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Full text of "Della questione di Beatrice"

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5ER 


STUDI 


SULLA 


VITA  NUOVA 


DI 


DANTE 


VINCENZO    ZAl^PIA 


DELLA  QUESTIONE 


BEATRICE 


L' EPISODIO  DELLA  DONNA  GENTILE 
IL  SEN'SO  LETTERALE  E  L'  ALLEGORIA 
LE  RIME  E  IL  RACCONTO  DELLA  VITA  MOVA 
LA  (QUESTIONE  STORICA 


ROMA 

ERMANNO   LOESCHER   e   C. 

t  BRETSniSEIIiER   E    REGEXBERG  | 

1904 


Proprietà  letteraria  dell'  autore 


DELLA  QUESTIONE  DI  BEATRICE. 


'  Se  lìianifcstamente  per  le  finestre  cV  una  casa 
uscisse  fiamma  di  fuoco,  e  alcuno  domandasse  se  là 
entro  fosse  fuoco,  e  un  altro  rispondesse  a  lui  di  sì, 
non  saprei  ben  giudicare,  dice  il  cantore  della  ret- 
titudine, qual  di  costoro  fosse  da  schernire  pili  ' .  E 
forse  non  avrebbe  risposto  altrimenti  a  chi  gli  avesse 
domandato  se  la  sua  Beatrice  è  persona  reale  o  al- 
legorica. Certo,  non  pare  oggi  inchiesta  del  tutto 
ragionevole.  Di  questa  benedetta  questione  di  Bea- 
trice, se  n'è  parlato  anche  troppo;  ognuno  oramai 
sentirà  stanchezza  e  fastidio;  ed  è  ben  giustificato 
il  timore,  non  sia  vana  ogni  ulteriore  discussione. 

E  vana  probabilmente  si  giudicherà  questa  mia 
qualunque  fatica  intorno  alla  'gentilissima  salute' ; 
nò  io  m' illudo  a  tal  segno  da  sperar  di  risolvere  la 
secolare  controversia.  Tuttavia,  1'  aggruppare  e  di- 
scutere a  parte  a  parte  i  ragionamenti  altrui,  lo  sco- 
prire le  deboli  radici  di   certi    arbusti   che   ingom- 


Della  questione  ài  Beatrice 


brano  ogni  tanto  la  via,  il  dare  nn  avviamento  ri- 
gorosamente logico  alla  discussione,  il  porre  nei  suoi 
veri  termini  il  fastidioso  problema;  potrebbe  pure 
giovare  a  qualche  cosa,  e  forse  potrebbe  avvicinarci 
alla  sospirata  soluzione. 

Della  quale  dovremmo  certo  disperare,  se  fosse 
vera  l' osservazione  dell'  Earle.  '  Il  presente  stato  della 
disputa,  egli  dice,  è  imperfetto  al  più  alto  grado  ;  il 
disaccordo  nell'  opinione  minaccia  di  diventar  fa- 
zioso. Qualunque  ragionamento  è  riconosciuto  buono, 
solo  se  appoggia  la  tesi  che  lo  scrittore  sostiene  ;  e 
le  prove  più  degne  di  fede  sono  messe  in  dubbio 
quando  atti'aversano  il  sentiero  del  disputante.  In 
questo  modo  le  difficoltà  insite  per  natura  al  sog- 
getto, sono  accresciute'.  Ma  io  non  voglio  credere 
al  '  disaccordo  fazioso  '  ;  credo  piuttosto,  che  la  di- 
sputa sia  tenuta  accesa  da  certi  malintesi,  che  sa- 
rebbe bene  chiarire  a  uno  a  uno  ;  che  la  lite  riarda 
continuamente  pel  confondere  e  contaminare  che 
spesso  si  fa,  la  vera  questione  che  è  semplicemente 
ermeneutica,  con  altre  questioni,  propriamente  di 
ragione  storica.  E  a  ogni  modo,  nessun  critico  chiude 
gli  occhi  alla  verità  per  partito  preso. 

Mi  sobbarco  adunque  a  tanta  impresa,  con  un 
po'  di  scoramento,  è  vero  ;  certo  con  poca  speranza 
di  toccar  glorioso  fine;  ma  con  la  mente  sgombra 
da  ogni  preconcetto.  Non  ho  una  tesi  da  sostenere, 
ma  una  verità  da  ricercare  ;  non  devo  difendere  una 
causa,  ma  esaminare  gli  atti  di  un  processo.  Né 
l'ossequio  dovuto  all'autorità  di  qualche  gran  nome, 
mi  sarà  d'  ostacolo  a   guardar   bene   in   fondo   alla 


Prefazione  7 

cosa.  Talvolta  una  va<^-a  ipotesi,  appena  aeconnatn. 
e  con  molte  cautele,  dal  maestro,  si  asside  verità 
acquisita  nello  scritto  del  discepolo,  che  si  fa  scudo 
del  gran  nome,  e  affastella  ipotesi  sopra  ipotesi  al- 
legramente, e  speditamente  tira  su  deduzioni,  e  con- 
cliiude.  E  incredibile  la  fecondità  d'una  ipotesi  che 
si  annidi  nel  robusto  tronco  d' un  grande  albero;  è 
mirabile  la  potenza  di  suggestione  che  esercita  una 
timida  congettura  buttata  li  da  un  grand'  uomo  !  Sic- 
ché allo  stringer  dei  conti,  pare  di  aver  fatto  molto 
quando  si  riesce  a  debellare  le  ultime  ipotesi,  che 
sono  naturalmente  le  più  avventate,  ^fa  alla  prima 
ipotesi,  un  po'  per  rispetto  al  gran  nome  e  per  un 
eerto  sentimento  d' inferiorità  che  tog-lie  baldanza  : 
un  po'  perchè  meno  strana,  e  perchè  si  presenta 
con  modi  garbati  e  molto  conciliativi,  e  non  iscopre 
incautamente  il  fianco  alla  critica,  e  nel  giro  sagace 
della  frase  non  offre  uncini  ad  una  piena  confuta- 
zione; un  po'  perchè  la  suggestione  è  contagiosa; 
nessuno  guarda  con  molta  dithdenza,  nessuno  tenta 
di  recarle  molestia;  e  rinvigorita  così,  quella  prima 
accorta  ipotesi  entra  pian  piano,  e  quasi  di  sojjpiatto, 
nel  quieto  dominio  delle  verità  inconcusse,  e  tal- 
volta riesce  anche  a  trascinarsi  dietro  qualcuna  delle 
ipotesi  più  avventate,  che  pareva  distrutta.  Occorre 
dunque  nell'  esaminar  la  questione,  che  l' animo  sia 
libero  e  franco;  occorre  risalire  alla  sorgente  dell'e- 
quivoco e  dell'  errore  ;  occorre  dare  alla  discussione 
un  andamento  affatto  spregiudicato. 

Ma  di  questo  probabilmente  io  dovrò    appunto 
dolermi  :  del  non  aver  saputo,  e  talvolta    forse    pò- 


Bella  questione  di  Beatrice 


tuto,  schivare  l'aperta  e  diretta  confutazione  delle 
parole  e  dei  ragionamenti  di  tanti  valentuomini,  de- 
gni sotto  ogni  rispetto,  di  rispetto  e  di  deferenza. 
Forse  alcuni  non  avrebbero  voluto  vederci  una  certa 
intonazione  polemica  ;  ma  talvolta,  oltreché  non  si  può 
del  tutto  evitare,  come  è  il  caso  di  questa  vessa- 
tissima  questione,  l'intonazione  polemica  forse  non 
guasta  ;  potrà  contribuire  anzi,  in  qualche  modo,  a 
far  risplendere  di  maggior  luce  il  trionfo  della  ve- 
rità, rendendo  più  vigoroso  1'  assalto  al  nido  dell'  er- 
rore ;  certo  non  si  presta  a  dissimular  nelle  pieghe 
sapienti  del  sudato  periodo,  le  imperfezioni  del  ra- 
gionamento ;  nò  a  nascondere  sotto  il  pietoso  man- 
tello del  dovuto  riguardo,  le  obbiezioni  altrui  che 
non  si  possano  pienamente  confutare  e  ribattere. 

Comunque,  eccomi  tra  i  numeri  innumeri  che 
della  '  distruggiti  ce  di  tutti  i  vizii  e  reina  de  le  vir- 
tudi  '  hanno  parlato  o  sparlato. 


L'EPISODIO  DELLA  DONNA  GENTILE. 


1. 

Racconta  il  divino  poeta  nella  Vita  nuoca  che,  al- 
quanto tempo  dopo  l' annovale  della  gloriosa,  si  innamorò 
d' una  gentile  donna,  giovane,  savia  e  bella  molto,  che  da 
una  finestra  lo  riguardava  pietosamente  ;  e  che  poi,  pen- 
titosi *  de  lo  desiderio,  a  cui  si  vilmente  s'  avea  lasciato 
possedere  alquanti  die  contra  la  costanzia  de  la  ragione, 
e  discacciato  questo  cotale  malvagio  desiderio  ',  rivolse  tutti 
i  suoi  '  pensamenti  a  la  loro  gentilissima  Beatrice  ' .  Di- 
chiara apertamente  e  ripetutamente  nel  Concicio  che  co- 
desto suo  secondo  amore  fu  per  '  la  bellissima  e  onestis- 
sima figlia  dello  Imperadore  dell'  universo,  alla  quale  Pit- 
tagora  pose  nome  Filosofia  '.  La  cosa  è  tanto  nota  agli  stu- 
diosi che  non  occorre  certo  più  lungo  discorso. 

Quando  il  Biscioni  finalmente  nel  1723  [Prose  di  Dante 
Alighieri  e  di  messer  Gio.  Boccacci,  Firenze  :  Prefazione, 
pp.  3  -  39  )  cominciò  ad  esaminare  e  primo  ad  illustrare  le 
due  opere  minori  dantesche  di  cui  parliamo,  non  trovò 
contradizione  tra  la  narrazione  della  Vita  nuova  e  le  di- 
chiarazioni del  Concicio  ;   e  dal   suo   esame  spassionato    e 


10  V  episodio  della  donna  gentile 

giudizioso  fu  condotto  alla  conclusione  che  bisognava  in- 
tendere allegoricamente  i  due  amori  danteschi  (').  Né  con- 


ti) II  Fornaciari  [ShidJ  .sa  Dante,  Milano  1883.  o  Firenze  1901: 
cito  dall'  ed.  fior.  p.  146  )  giudica  che  il  Biscioni  '  inti'odusse  nello 
studio  della  Vita  Nuova  un  metodo  veramente  critico  ' .  L' Earle 
(  La  Vita  Nova  di  Dante,  Bologna  1899  :  Bibl.  stor.-crit.  d.  lett.  itul. 
N.  11,  p.  13  )  scrivo  che  questo  studio  del  Biscioni  '  non  è  soltanto 
notevole  por  1'  originalità,  ma  anche  per  la  sobrietà  della  forma  e 
del  giudizio'.  Certo  non  esattamente  il  Ronier  [La  Vita  Nuova  e 
la  Fiammetta,  Torino  e  Roma  1879:  p.  142  n  ):  '  Il  Biscioni  fece  una 
lagrimevolo  confusione  della  Beatrice  con  la  donna  pietosa  del  Con- 
vito'; e  il  Gaspary  (  Storia  della  lett.  ital,  Torino  1887-1891:  1,205): 
'  ]N^ol  secolo  passato  il  Biscioni  ha  voluto  dimostrare  nella  Beatrice 
una  personificazione  della  filosofia  :  il  pensiero  era  già  per  questo 
molto  sbagliato,  perchè  Dante  ha  per  la  filosofia,  così  nel  Convivio 
come  nella  Commedia,  una  personificazione  tutt'affatto  diversa  ac- 
canto alla  Beatrice'.  Forse  la  dissertazione  jdel  Biscioni  fu  poco 
letta ,  benché  ristampata  anche  dal  Torri  nei  Preliminari  alla  sua 
edizione  della  Vita  Nuova  di  Dante  Allighieri  (Livorno  1843:  pp. 
28-44  )  :  e  si  accusò  spesso  il  povero  canonico  e  condannò  sulla  de- 
posizione acrimoniosa  del  Fraticelli  (  Dissertazione  sulla  Vita  Nuova: 
cito  dalla  sett.  ed.  Barbèra,  Firenze  1899,  voi.  sec.  delle  Opere  mi- 
nori di  D.  )  :  il  quale  rabbiosamente  sconvolse  e  falsò  il  ragiona- 
mento del  Biscioni.  Ed  il  Fraticelli  appunto  venne  primo  fuori  con 
queste  parole  di  colore  oscuro:  {Diss.  VN^.  p.  10)  'E  qui  dirò  Ter- 
rore del  Biscioni  esser  nato  da  questo:  che  egli  identificò  e  confuse 
la  Beatrice  della  Vita  Nuova  con  quella  del  Covilo  e  della 
C  0  m  m  edi  a\  Confuse  la  Beatrice  con  la  donna  pietosa  del  Con- 
vivio 1'  autore  dell"  Ottimo  Commento  (  Propugnatore,  1,  443  :  Rocca , 
Di  alcuni  commenti  della  Divina  Commedia,  Firenze  1891:  p.  293); 
il  Foscolo  (  Discorso  sul  testo  della  Commedia  di  Dante,  sezione  29 
e  122  )  :  il  De  Sanctis  (  Storia  della  lett.  ital  :  cito  dalla  terza  ed.. 
IN'apoli  1879:  1,  62  110  139  150  );  Giulia  Molino  Colombini  (  Le  donne 
del  Poema  di  Dante  .  nella  raccolta  Dante  e  il  suo  secolo  ,  Firenze 
1865:  p.  184);  Carlo  Cipolla  (Giornale  storico  della  lett.  ital.  8.  78  81): 
Ernesto  Lamma  {Questioni  dantesclie  ,  Bologna  1902:  p.  78):  e  lo 
stesso  Fraticelli,  come  si  può  vedere  nella  sua  Dissertazione  sulle 
poesie  liriche  (  cito  dalla  quinta  od.  Barbèra.  Firenze  1894.  voi.  pr. 


L' accoìììodamento  del  Dionisi  u 


tradizione  trovò  più  tanli  il  Dionisi  .  J'itjL,.,,ti^,.,,,t  ,.^ì,,,iììì 
e  critica  alla  nuoca  edizione  di  Dante  Alighieri,  Verona  1806)  ; 
il  ([uale  però,  confutando  il  Biscioni  e  schierandosi  risolu- 
tamente tra  i  primi  e  più  gagliardi  paladini  della  figliuola 
di  Folco,  venne  a  creare  esso  stesso  una  gravissima  e  troppo 
palese  contradizione  nella  stessa  Vita  nuoca  (').  Egli  bona- 
riamente argomentava  che,  (2,  54"^  '  siccome  il  secondo . . . 
amore,  quello  cioè  per  la  gentil  donna,  fu  scientifico  e  fi- 
losofico, cosi  il  primo  per  Bice  o  Beatrice,  donnesco  fu  e 
femminile,  e  per  lui  cagione  di  pensieri  e  vaneggiamenti 
fin  eh'  ella  visse,  e  di  travaglio  inconsola  bile  dopo  la  morte  ; 
della  qual  pazzia  (  non  essendo  in  somma  amor  altro  che 
insania,  a  giudizio  de'  sacj  unicersale)  (•)  egli  guari  fortu- 


(Icllo  Oporo  minori  di  D.:  pp.  81  41  ):  il  qualo  non  mostra  ili  aceor- 
t£oi*si  elio  il  poota  vuole  Au-  la  donna  pontilf  d««lla  Vita  nuora  sia 
la  Filosofia.  E  cosi  il  buon  Praticelli  confutava  il  *  visionario  inter- 
potrò'.  Il  Ce-siiroo  poi  i  Beatrice,  in  Xatura  rrt  Arte.  1,  119)  ponwi 
cho,  a  bandirò  *  la  crociata  contro  la  realtà  storica  di  Beatrice',  il 
disgraziato  critico  * f u  mosso . . .  da  uno  scrupolo  affatto  pretesco":  il 
cho  non  ò  noppuro  esatto.  Del  resto,  in  questa  fastidiosa  questione 
preti  o  frati  hanno  sempre  mostrato  più  simpatia  per  ijli  ndilinqui- 
monti  dei  realisti  che  per  le  fantasticherie  degli  allegoristi  ;  anzi, 
vero  foi'vore  alcuni  nel  propugnare  gli  amori  por  la  vezzosa  Bice. 
!Ma  la  colpa  di  tanti  falsi  giudizi  è  foiose  tutta  del  Fraticelli. 

(M  Non  saprei  davvero  come  spiegare  la  distrazione  del  Carducci 
(  Stiuti  letterari.  Bologna  1893:  Opere.  8,  219  ):  '  Il  Dionisi  per  ido- 
latria di  Dante  non  credeva  pure  alla  persona  di  Beatrice".  Cer- 
mente  può  far  cadere  in  erroi-e  1'  Ozanam  (  Dante  et  la  philosophie 
catlwliqne  an  treizième  siMe  :  cito  dalla  quarta  ed..  Paris  1859:  p. 
110  n-):  'Dionisi  a  soutonu  graveraent  rhypothèse  qui  fait  des  a- 
mours  de  Dante  autiint  d'allégorios  " . 

(-)  Allude  e'\ndentemente  al  Furioi^o.  24.  1  '  Chi  mette  il  piò  su 
r  amorosa  pania.  Cerchi  ritrarlo.  e  non  v'  inveschi  1'  ale  :  Che  non 
è  in  somma  amor  se  non  insania  A  giudizio  de'  savi  universale  : . . . 
E  quale  è  di  pazzia  segno  pili  espresso.  Che  por  altri  voler,  per- 
der se  stesso  "?  ' 


12  L'episodio  della  donna  gentile 

natamente  nel  nicdo  che  testé  per  lui  stesso  è  narrato  '  ; 
cioè  con  l' amore  alla  filosofia.  Siccome  rimaneva  tuttavia 
'  una  questioncella  ',  spiegare  perchè  il  poeta  chiama  nella 
Vita  nuova  vilissimo  e  avversario  della  ragione  e  deside- 
rio malvagio  e  vana  intenzione  il  pensiero  che  gli  parlava 
della  pietosa  donna,  cioè  della  Filosofia,  mentre  nel  Con- 
vìvio dice  che  cotale  pensiero  era  virtuosissimo  ;  il  disin- 
volto critico  speditamente  so  ne  sbarazza  spiegando  che 
'  nella  Vita  Nuova  prevalse  la  memoria  e  '1  lutto  per  la 
dipartenza  del  primo  suo  amore  ;  e  però,  soggiunge,  non 
è  meraviglia,  se  '1  pensiero  che  voleva  distoglierlo  dal  de- 
plorarne la  perdita  per  lui  troppo  amara,  gli  sia  paruto 
in  allora  vilissimo,  e  alla  ragione  contrario.  Ma  in  pro- 
cesso di  tempo  la  vittoria  si  dichiarò  in  favore  della  nuova 
donna  consolatrice,  come  si  narra  nel  Convito;  e  allora  fu 
che  '1  vittorioso  pensiero  meritò  d'  esser  appellato  virtuo- 
sissimo . . .  Ed  ecco  sciolta  la  questione  ',  conchiude  il  mar- 
chese. Ma  lasciando  da  parte  codesto  ingenuo  accomoda- 
mento, e  il  lutto,  e  la  pazzia,  ed  altre  questioncelle  ;  e  la- 
sciando eziandio  da  l'un  dei  lati,  che  non  si  vede  bene  come 
di  due  amori  appajati  nello  stesso  racconto,  1'  uno  sia  reale 
e  r  altro  allegorico  ;  notiamo  che  1'  egregio  Gian  Jacopo, 
buon  canonico  forse  nel  cospetto  di  Dio,  non  molto  loico 
certo  nel  cospetto  del  Diavolo,  non  curò  di  porre  un'  altra 
questioncella  e  di  farci  sapere  come  concepisse  egli  mai 
la  Filosofia  che  litiga  con  la  memoria  di  Beatrice  estinta  ; 
e  che,  dopo  aver  trionfato  della  rivale  per  un  po'  di  tempo, 
finisce  coir  averne  la  peggio  (').  Ma  probabilmente  il  Dio- 


(1)  iS^on  pare  tuttavia  che  il  Dionisi  vodoaso  nella  Beatrice  della 
Vita  nuova  soltanto  la  figlia  di  Folco;  pari  anzi,  eh' egli  sia  il  capo- 
stipite  di  quella  numerosa  famiglia  di  critici  che  vedono  parecchio 
Beatrici  nella  Vita  nuora.  Cfr.  Prepar.  2,  48  68  n.  Del  resto,  voler 
trovare  coerenza  nei  ragionamenti  del  marchese  canonico,  a  me  pare 


ÌM  filosofìa  che  litiga  con  la  memoria  di  Bice         13 

nisi  avrebbe  risposto  che  il  poeta,  quando  scriveva  il  li- 
bello (non  prima  del  1293,  secondo  il  critico,  Prc.par.  2,  51), 
forse  soffriva  tanto  ancora  di  quella  sua  pazzia  erotica,  da 
non  saper  bene  quel  che  si  dicesse.  E  cosi  sarebbe  sciolta 
davvero  la  questione  (').  Tuttavia  non  si  può  ragionevol- 
mente, nonché  al  misurato  e  ponderato  scrittore  della  Vita 
nuora,  ma  al  più  scapigliato  e  stravagante  verseggiatore, 
attribuir  questa  strana  concezione,  porre  in  contrasto,  far 
litigare  la  filosofia  con  la  memoria  d' una  cara  estinta.  Ben 
possiamo  pensare  che  un  amore  reale ,  anzi   una   forte   e 


impressi  affatto  diRpontta.  Il  Fraticelli  (  Diss.  VN.  8  )  nondimeno  sen- 
tenziava che  •  il  fanUistico  fnlifizio  del  Biscioni  incominciò  a  minare 
per  opera  del  valoroso  Dionisi".  Maria  Zamboni  (La  critica  dante- 
sca a  Verona  nella  seconda  metà  del  sec.  XVIJI ,  Città  di  Castello 
1901:  CoUoz.  di  opusc.  dant.  X.  GB:  pp.  23-104)  non  rileva  le  inco- 
erenze, le  incongruenze,  le  contradizioni  dionisiane  :  nota  soltanto 
(  p.  85  )  '  che  il  Dionisi  non  dimostra. ..  che  una  conoscenza  molto  su- 
perficiale del  Canzoniere,  non  distintruendo  in  esso  che  due  cicli  di 
poesie  ' .  Ma  ci  fornisce  utili  notizie  sid  *  collal>oratori  '  del  marchese, 
il  Perazzini  ed  il  Fontana.  Il  Barbi  (  Ballettino  della  Società  dant. 
ital.,  ns.  8,  269  )  lo  chiama  una  •  cornacchia  che  si  veste  delle  penne 
del  pavone';  e  non  sono  tutte  penne  di  paA'one  quelle  di  cui  si  ve- 
sìe  il  Dionisi. 

(•l  Scrive  il  Pelli  (  Me  morir  per  sercire  alla  cita  di  Dante  Ali- 
ff  li  ieri  ed  alla  sfarla  della  saa  famiglia,  sec.  ed.  Firenze  1823:  p.  71  )  : 
'  Basta  osservare .  per  concepire  la  follia  del  suo  amore,  che  egli 
faceva  consistere  la  sua  felicità  nel  sentir  lodar  la  sua 
Donna  '  !  Altra  cosa  è  certamente  la  frase  alaU»  dal  Carducci  (  Op. 
8,  67  ) ,  *  Tutto  deve  pijingere  quando  questo  povero  grande  pazzo 
di  poesia  e  d'amore  che  si  cliiàma  Dante  piange'.  Più  discreto  tut- 
tavia e  carezzevole,  lo  Scherillo  (  Alcuni  capitoli  della  biografia  di 
Dante.  Torino  1896:  p.  390)  chiama  l'amore  del  poeta  'un  così  ine- 
briiuite  sogno  d' amore  e  di  poesia  ' .  Ma  col  Dott.  Antonio  Canepa 
(  Xnore  ricerche  sulla  Beatrice  di  Dante.  Torino  1895  :  p.  88  )  ritor- 
niamo ai  furori  d' Orlando  :  '  Povero  pazzo  d' amore  egli  ha  creduto 
che  tutti  i  cieli  aves>;ero  concoi"sio  nel  creare  quel  miracolo  di  bel- 
lezza ' . 

2 


14  L'episodio  della  donna  gentile 

sfrenata  passione  ,  ci  allontani  dall'  amore  allo  studio  ed 
alla  filosofìa  ;  ma  non  che  1'  amore  alla  filosofia  e  allo  stu- 
dio affievolisca,  o  peggio  scacci  il  pietoso  e  mesto  ricordo 
d'  una  cara  estinta  ;  e  molto  meno  poi,  che  codesto  affet- 
tuoso ricordo,  ritornando  più  vivo  e  insistente  ,  tolga  di 
seggio  l' amore  allo  studio  e  lo  chiami  vilissimo  e  avver- 
sario della  ragione.  Certo  non  bene  il  Renier,  nel  suo  bello 
studio  del  1879  (  VN.  e  F.  187),  vedeva  nell'episodio  della 
donna  gentile  '  la  traccia  palese  d'  una  lotta  combattutasi 
fra  l' amore  per  Beatrice  estinta,  che  non  era  affatto  an- 
cora l'individuazione  della  teologia,  e  l'amore  per  la  filo- 
sofia '  ;  comechè  già  fin  d' allora  il  dotto  critico  riconoscesse 
(  non  evitando,  a  dir  vero,  nuove  difficoltà  e  contradizioni  ) 
che  (p.  189)  una  '  seconda  Beatrice ...  la  Beatrice  trasuma- 
nata, la  Beatrice  della  Commedia  '  scaccia  la  donna  gen- 
tile dalla  mente  del  poeta  ('). 


(1)  Il  Lubin  nel  1881  (  Commedia  di  D.  A.  preceduta  dalla  Vita 
e  da  Studi  preparatori^  Padova  :  p.  41  )  trovava  '  naturalissima  la  lotta 
tra  ì  due  amori.  Beatrice,  argomentava  il  critico,  ora  morta,  ma  non 
ora  in  Dante  spento  1'  amore  che  le  aveva  portato  ;  anzi  a  quello 
s'  aggiunse  1"  amore  intellettuale  per  Beatrice  celeste ,  di  certo  non 
ancora  ben  compresa  da  lui  che  non  sapeva  se  non  un  po'  di  gram- 
matica latina  . . .  Posto  ciò,  l' apparire  della  bellezza  della  Filosofìa  e 
l'affezionarsi  ad  essa  doveva  essere  contrastato  dal  primo  amore;  e 
più  dall'amore  di  Beatrice  fiorentina,  che  dalla  celeste,  non  ancora 
compresa  ' .  Ma  nel  1884  (  Dante  spiegato  con  Dante  e  polemiche  dan- 
tesche ,  Trieste:  p.  18)  la  pensava  un  po'  diversamente:  '  Chi  nella 
Beatrice  della  Vita  Nuova  non  vuol  vedere  se  non  la  Beatrice  sto- 
rica, non  riuscirà  mai  a  farsi  un'idea  chiara  degli  ultimi  paragrafi 
della  Vita  Nuova ...  In  quella  lòtta  era  già  la  Beatrice  allegorizzata, 
la  Beatrice  della  Commedia.  Che  vorrebbe  dire  una  lotta  cosi  aspra 
tra  l'amore  per  una  donna  già  morta  e  l'amore  per  un  ideale?  Que- 
sti amori  possono  sussistere  in  pace  e  senza  gelosia  '•  Alla  buon'ora, 
dunque!  Già  fin  dal  1862  (Intorno  all'epoca  della  Vita  Nuova  di 
Dante  Allighieri,  Graz:  p.  41  )  egli  vedova  neU'  episodio  della  Vi- 
ta nuova  'la  lotta  tra  gli  amori  della   donna  gentile  e  di  Beatrice' 


L' ipotesi  del  posteriore  adonesta  mento  15 

Poiché  adunque  l' accomodamento  del  Dionisi  era  pue- 
rile, e  il  concedere  d'altra  parte,  che  vi  siano  intendimenti 
allegorici  nell'  episodio  della  Vita  nuota,  o  apriva  1'  adito 
a  ben  pivi  grande  ed  aperta  contradizione,  ovvero  portava 
all'allegoria  di  tutto  il  libello  (');  parve  ben  presto  ai  cri- 
tici miglior  consiglio,  anziché  ritornare  al  Biscioni  e  chia- 
rir meglio  la  sua  interpretazione  allegorica,  procedere  ad- 
dirittura contro  le  affermazioni  del  Concino.  A  mali  estre- 
mi, estrerai  rimedi. — Troppe,  si  disse  e  si  dice  tuttavia,  sono 
le  contradizioni  tra  la  Vita  nuova  e  il  Concicio.  Liberia- 
moci una  buona  volta  da  questo  laberinto  ;  cerchiamo  di 
navigar  lontani  da  codesti  aequora  interfusa  nitentes  Cy- 
cladas  del  Concicio.  Il  poeta  nel  Concicio  tentò,  cercò,  s' in- 
dustriò di  ritorcere  a  senso  allegorico  quel  benedetto  epi- 
sodio della  Vita  nuoca-,  tentò,  cercò,  s'industriò  di  adone- 
stare queir  amore  episodico  della  Vita  nuoca  ;  '  errò,  grida 
pien  di  amarezza  il  buon  Gm\ìa.nì  {  Deìl' attinenze  della  Vita 
Nuora  di  D.  .\.  col  Concito  e  colla  Diana  Commedia:  in 
lìamegna  Nazionale,  15,  373  ),  errò  pertanto  l' Allighieri  e 
doppiamente,  cantando  per  cagione  e  in  risguardo  della 
Donna  gentile  ;  dapprima,  perchè  l' ebbe  amata  d'  un  amore 
cilissimo  e  malcagio,  disviandosi  anco  dall'  onesto  Amore  a 
Beatrice  :  e  secondamente,  per  aver  voluto  farcela  supporre 


del  simbolo  cioè  della  Filosotia  e  di  quello  della  Teologia*.  Ma  al 
Prof.  Alberto  Scrocca  (  //  peccato  di  Dante.  Saggio  critico  con  un'Ap- 
pendice intorno  a  La  donna  gentile.  Roma  1900  :  pp.  54  62  67  s  )  sor- 
rido tineora  Y  ipotesi  della  strana  lotti  tra  la  memoria  di  Beatrice 
estintii  e  la  filosofìa. 

(•)  Ben  a  ragione  il  Perez  (  La  Beatrice  svelata  .  Palermo  1865 
e  1898:  cito  dalla  sec.  ed.,  p.  137  s),  'Se  altri  argomenti  non  fos- 
sero per  diirci  l'assoluta  certezza  che  simbolica  sia  la  beatrice  della 
Vita  Xnora.  quest'  uno  varrebbe  per  tutti  :  ella  deve  significare  tal 
cosa  di  cui  potesse  dii-si  da  un  uomo  sano  di  mente  che ,  rispetto 
all' amore  per  ossa,  quello  perla  filosofìa  riusciva  abietto  e  malvagio  ". 


16  L'episodio  della  donna  gentile 

nella  Vita  Nuova  e  poi  richiamarla  nel  Convito  come  Im- 
magine della  Filosofìa,  i  cui  atti  gli  s' eran  meglio  dimo- 
strati nella  Donna,  che  fu  il  primo  suo  amore  '  —  . 

L' identità  adunque  tra  la  donna  del  Convido  e  la 
donna  gentile  e  pietosa  della  Vita  nuova,  è  negata  da  Bal- 
bo, Tommaseo,  Giuliani,  Ruth,  "Wegele,  Selmi,  Carducci, 
D'  Ancona,  AVitte,  Gaspary,  D' Ovidio,  Rajna,  Del  Lun- 
go, Scherillo,  Poletto,  Casini,  Zingarelli,  Barbi,  e  da  mol- 
ti altri.  Sicché  da  tal  generale  consenso  che,  direbbe  Dan- 
te, può  dirsi  quasi  cattolica  opinione,  jDare  non  sia  né  le- 
cito, né  ragionevole  allontanarsi  senza  gravi  e  ben  pon- 
derate ragioni. 


2. 


E  gravi  d'  altra  parte  devono  essere  le  ragioni  che 
persuadono  tanti  valentuomini  a  negar  fede  alle  aperte  di- 
chiarazioni dello  stesso  poeta.  Veramente  molti  (  forse  poco 
convinti  essi  stessi  della  gravità  delle  loro  ragioni  ) ,  men- 
tre parlano  di  posticcio  adonestamento  della  donna  gen- 
tile ed  accusano  il  poeta  di  mendacio,  cercano  tuttavia, 
valendosi  d' un  luogo  del  Convimo,  dimostrar  che  il  poeta 
non  neghi  nell'  opera  temperata  e  virile  d'  aver  parlato  nel 
fervido  e  passionato  libello,  d'  amore,  diciamo  così,  reale. 
Dice  il  luogo  del  Convivio  {^)  (1,  1,  111):  'E  se  nella  pre- 
sente opera,  la  quale  è  Convito  nominata  e  vo  '  che  sia, 
più  virilmente  si  trattasse  che  nella  Vita  Nuova,  non  in- 
tendo però  a  quella  in  parte  alcuna  derogare,  ma  mag- 
giormente giovare  per  questa  quella  ;  veggendo  siccome 
ragionevolmente  quella  fervida  e  passionata,  questa  tem- 
perata e  virile  essere  conviene.   Che   altro   si    conviene   e 


(1)  Cito  dall' od.  del  Moore,  Tnffc  le  opere  di  D.  A.,  Oxford  1897. 


//  giocare  e  non  derogare  alla   VN.  17 

dire  e  operare  a  una  etade,  che  ad  altra;  perchè  certi  co- 
stumi sono  idonei  e  laudabili  a  una  etade,  che  sono  sconci 
e  biasimevoli  ad  altra,  siccome  di  sotto  nel  quarto  Trat- 
tato di  questo  libro  sarà  per  propria  ragione  mostrato  '. 
Giovare  in  che  cosa?  non  derogare  in  che  cosa?  Eviden- 
temente ajutare  il  lettore  a  intender  la  vera  sentenza  della 
Vita  nuova;  non  derogare  ai  propositi  del  libello,  fervido 
e  passionato  nell'apparenza;  insomma  non  contradirsi,  ma 
spiegarsi  (').  Ma  (a  tacer  di  quelli  che,  senza  darsi  pur 
pensiero  di  quell'  incomodo  '  giovare  ',  cercano  cavar  dal 
'  derogare  '  un  tortuoso  costrutto  a  benefizio  della  loro  tesi  ) 
lo  Zingarelli  (  Dante ,  Milano  ;  in  corso  di  stampa  nella 
>>toria  Letteraria  d'Italia  scritta  da  una  Società  di  Profes- 
sori: p.  130)  da  quelle  parole  appunto  del  Concivio  crede 
potersi  conchiudere,  *  Dunque,  nella  Vita  Xuota  le  poesie 
d'amore,  nel  Concivio  rime  di  intento  morale  e  filosofico, 
allegoriche  ;  ne  quelle  entrano  in  alcun  modo  fra  queste, 
che  debbono  rappresentare  la  maturità  dell'  uomo,  quando, 
secondo  le  norme  della  nostra  spirituale  natura  (  Conc.  IV, 
26  sg.  )^  erasi  sollevato  ad  alte  speculazioni,  tralasciando 
ormai  le  cose  di  amore,  che  alla  sua  prima  età  ben  si  erano 
convenute  ' .  Sennonché ,  né  il  poeta  dice  che  alla   prima 


(1)  Biscioni,  Frcf.  24  'Quando  egli  compose  il  Concito,  approvò 
la  Vita  Nuora  solennemente,  e  mostrò  di  comporre  qnest'  altro  libro 
per  giovamento  e  corroborazione  del  primo.  E  se  egli 
sul  bel  principio  dell'  istesso  Conrito  mostrò  scusarsi  d' aver  compo- 
sto quel  primo  libretto  . . .,  questo  fece  egli,  acciocché  non  fosso 
biasimata  la  maniera  di  quel  primo  componimento.  Per- 
ciocché vedutosi  in  processo  di  t^mpo  (  conforme  accade  di  presente  ), 
che  la  Vita  Xnora  è  un  trattsito  puramente  filosofico  ;  si  sarebbe  po- 
tuto facilmente  apporre  all'  Autore,  non  essere  troppo  decente  alla 
gravità  della  Filosofia  1*  averlo  tutto  vestito  d*  amorose  passioni  e  de- 
liquj  ' .  Lucidissima  ed  affatto  esauriente  è  la  spiegazione  che  di  co- 
desto luogo  del  Conririo  dà  il  Barbi,  Bull.  ns.  2 .  11  s  :  cfr.  anche 
BartoU,  Storia  della  lett.  ital.,  Firenze  1878-1889:  4,  224  s. 


18  L'episodio  della  donna  gentile 


età  ben  si  convengano  le  cose  d'  amore,  né  il  fervido  e  pas- 
sionato ci  pnò  condurre,  così  speditamente,  a  conclusione 
alcuna,  né  in  fin  dei  conti  il  poeta  direbbe  qui  che  nella 
Vita  nuova  non  vi  sono  clie  rime  d'  amore,  e  più  in- 
nanzi contradicendosi ,  spiegherebbe  che  la  donna  gentile 
è  la  bellissima  signora  Filosofia  (').  Nondimeno,  comunque 
si  voglia  pensare  e  del  derogare  e  del  giovare,  e  del  fer- 
vido e  passionato,  e  dei  costumi  idonei  e  laudabili  nell'  a- 
dolescenza  ;  non  si  vede  come  si  possa  mai  prestare  a  ma- 
nipolazioni ingegnose,  o  ad  abili  e  garbati  storcimenti  e 
stiracchiamenti,  l'esplicita  e  tonda  dichiarazione,  più  volte 
ripetuta,  che  il  secondo  amore,  di  cui  si  fa  menzione  nella 
Vita  nuova  e  che  è  commentato  nel  Convivio,  fu  per  la  one- 
stissima figlia  dell'  imperatore  dell'  universo.  A  chi  dunque 
non  voglia  vedere  altro  nel  libello  dantesco  che  l'ingenuo 
racconto  degli  amori  di  Bice,  non  resta  che  negar  fede 
alla  testimonianza  dello  stesso  poeta,  ed  accusarlo  di  men- 
dacio. 


3. 

E  concediamo  pure  che  di  mendacio  si  tratti.  Parrebbe 
invero  che  un  bel  giorno,  forse  nell'  esilio,  il  poeta  abbia 
avuto  '  timore  d'infiimia ',  e  certa  ubbia  d' esser  ripreso  di 


(1)  Conv.  4,  26,  7  '  Dico  adunque,  che  siccome  l:i  nobile  natura 
in  Adolescenza  Ubbidiente .  Soave  e  Vergognosa  ,  Adornatrice  della 
sua  persona  si  mostra,  cosi  nella  Grioventuto  si  fa  Temperata  o  Forte 
ed  Amorosa  e  Cortese  e  Leale.  Cfr.  4,  24,  IIB;  4,  25,  3.  Quanto  al 
'  fervido  e  passionato  '  vd.  anche  3,  10,  10.  Hor.  ad  Fis.  114,  '  In- 
tererit  multum  Davusne  loquatur  an  heros,  Maturusne  senex  an 
adhuc  fiorente  juventa  F  e  r  v  i  d  u  s  '  ;  166  *  Conversis  studiis,  aotas 
animusquo  v  i  r  il  i  s  Quaerit  opes  et  amicitias,  inservit  honori  '  : 
1  ep.  1,  2  '  quaeris,  Moeconas,  iterum  antiquo  me  includere  ludo, 
!Xon  oadem  est  aotas,  non  mens  ' , 


La  Beatrice  del  Conricio  19 

'levezza  d'animo';  e  che  esilio,  timore  ed  ubbia  gli  ab- 
biano consigliato  quello  sconsigliato  travestimento  della 
giovane  donna  gentile,  bella,  savia  e  pietosa  della  Vita 
nuova.  Ma  non  pare  ci  sia  lecito  dissimulare  o  non  av- 
vertire le  facili  conclusioni  che,  a  malgrado  di  codesta  ipo- 
tesi, che  per  brevità  chiameremo  del  poi,  rampollano  tut- 
tavia, e  non  ci  lasciano  del  tutto  tranquilli  nel  godimento 
estetico  del  dolce  idillio  della  Bice.  Se  il  divino  poeta  ebbe 
di  codesti  timori  per  quel  tanto  di  passione  che  di  fuori 
mostrano  le  sue  canzoni,  e  per  quell'  innocente  desiderio 
d'alquanti  dì  della  ì'ita  mtoca;  come  mai  non  ebbe  ver- 
gogna d' aver  seguita  per  tanti  anni  la  passione  per  Bea- 
trice? d'aver  passato  tutta  la  sua  adolescenza  sognando  e 
sdilinquendosi  dinanzi  alla  moglie  altrui  ?  d'  affermar  nel 
Condcio,  già  marito  e  padre,  che  la  sposa  altrui  viveva 
in  terra  con  la  sua  anima?  Con  tutto  il  rispetto  che  si 
deve  all'  autorità  grande  del  D' Ancona,  diremo  forse  dav- 
vero che  (  Discorso  su  Beatrice,  prem.  alla  sec.  ed.  della 
Vita  Xiioca y  Pisa  1884:  p.  76;  'dell'affetto  per  Beatrice 
non  voleva  scusarsi  che  il  cuore  glie  '1  vietava  '  ?  Mancava 
forse  modo  al  poeta  di  trovare  un  accomodamento  anche 
col  suo  cuore?  E  come  mai  poteva  liberarsi  dal  timore 
d'infamia,  se  non  adonestava  anche  quella  sì  lunga  e,  co- 
me si  vuole,  colpevole  passione?  D'altra  parte,  non  vide 
il  sovrano  poeta  che  grave  incongruenza  sarebbe  se  il  li- 
bello avesse  intendimenti  allegorici  soltanto  nell'  episodio 
della  donna  gentile?  che  concezione  stravagante,  se  non 
assurda,  sarebbe  il  litigare  e  il  battagliare  della  Bice  con 
la  Filosofia  e  nella  Vita  nuova  e  nel  Conficio?  La  Bea- 
trice del  Conci  rio,  '  l' antico  pensiero  che  si  corruppe  ',  deve 
essere  già  la  simbolica  Beatrice  della  Commedia  ;  giacché 
non  si  vede  come  potesse  nascer  contrasto  tra  il  pensiero 
soave  che  spesso  sen  giva  al  cielo  a  contemplare  il  gloriar 
della  Bice,  e  il  nuovo  pensiero  che  parlava  in  favore  della 


20  L'episodio  della  donna  gentile 

nuova  donna  allegorica  ;  come  mai  1'  uno  pensiero  fosse 
'  avverso  '  all'  altro,  se  in  quel  primo  pensiero  non  è  da 
veder  che  la  mesta  ricordanza  d' una  cara  estinta.  E  ripu- 
gna pensar  che  il  poeta  si  sperdesse  in  quelle  sue,  chia- 
miamole pure,  se  così  piace,  fantasticherie  allegoriche.  Man- 
cano certo  prove  positive  ;  ma  qualche  indizio  diretto  forse 
non  manca.  Prima  di  passare  all' interpretazione  allegorica 
della  prima  canzone,  ove  appunto  è  descritto  il  contrasto 
tra  i  due  timori,  il  poeta  bruscamente  vien  fuori  con  que- 
sta dichiarazione  :  (  2,  9,  49  )  '  Ma  perocché  della  immor- 
talità dell'anima  è  qui  toccato,  farò  una  digressione,  ragio- 
nando di  quella  ;  perchè,  di  quella  ragionando,  sarà  bello 
terminare  lo  parlare  di  quella  viva  Beatrice  beata,  della 
quale  più  parlare  in  questo  libro  non  intendo  '.  Ognuno 
sa  come  si  chiude  la  Vita  nuova  ;  nessuno  può  pensare  che 
il  poeta  avrà  dimenticato,  scrivendo  codeste  parole,  la  pro- 
messa e  quasi  il  voto  solenne  fatto  dopo  la  '  mirabile  vi- 
sione '.  Nelle  parole  del  Convicio  adunque,  a  me  pare  vi 
sia  implicita  questa  dichiarazione  :  —  Qui  appresso  tratterò 
dell'  allegoria  della  donna  gentile,  altrove  mostrerò  1'  alle- 
goria di  Beatrice,  della  quale  non  intendo  nella  parte  al- 
legorica di  questo  mio  trattato  dell'  amor  filosofico  ragio- 
nare —  ;  e  pensava  certo  alla  Commedia,  a  cui  probabil- 
mente attendeva  ;  o  almeno  a  quel  qualunque  poema  o  trat- 
tato che  dovea  celebrar  la  gentilissima  e  mostrarne  a  chiare 
note  1'  allegoria  (').  E  non  è  forse  da  trascurare  il  fatto  che^ 


(1)  Cfr.  D'Ovidio,  Stiulii  sulla  Divi/ia  Commedia,  Milano-Palermo 
1901  :  pp.  326  ss,  431  s  ;  Gorra,  Per  la  Genesi  della  Divina  Commedia. 
nel  voi.  Fra  Drammi  e  Poemi,  Milano  1900  :  p.  179  ss  ;  Eassegna  bi- 
bliografica della  leti.  ital.  ,  8,  136  ;  Bull.  ns.  9 ,  39.  Il  Bassormann 
(  Orme  di  Dante  in  Italia,  Bologna  1902  :  p.  373  s  )  accetta,  con  qual- 
che riserva,  la  nota  storiella  dei  sette  canti  ;  e  il  Fodorzoni  (  Studi 
e  Diporti  danteschi,  Bologna  1902:  p.  126  ss)  crede  anche  al  'comin- 
ciamento  del  poema  in  versi  latini  ',  nei  noti  versi  latini  :  non  dico 


La  Beatrice  del  Convivio  21 

procedendo  dalla  litterale  sentenza  alla  sposizione  allego- 
rica e  vera,  egli  si  esprime,  toccando  evidentemente  di 
Beatrice,  in  modo  ambiguo  (').  Comunque,  un' altra  osser- 
vazione vorrei  fare  :  se  il  primo  amore  volea  il  poeta  che 
fosse  considerato  come  un  amore  reale  per  donna  vera, 
perchè  dovea  temere  che  altri  potesse  accusarlo  di  levezza 


però,  perchè  codesto  comincìainento  'non  può  essere  stato  scritto 
cho  prima  doU'esilio  '.  Anche  lo  Soartazzini  (  Prolegomeni  della  Di- 
rinn  Commedia,  Leipzig  1890:  p.  419)  tlosume  dal  luogo  del  Conririo 
cho  il  pootii  allora  '  non  avea  abbandonato  l' idea  di  consacrare  un 
suo  lavoro  alla  glorificazione  di  Beatrice  :  ma,  aggiungo  il  critico, 
nella  mente  sua  i  limiti  di  questo  lavoro  erano  ancora  un  po'  ri- 
stretti \  E  ci  vollero  ben  venticinque  anni,  secondo  lo  Scartazzini, 
porchò  il  poeta  allargasse  e  portiisse  al  punto  giusto  codesti  limiti. 
Ma,  aspettando  codesto  allargiimento  definitivo,  il  poeta  non  se 
ne  stava  con  le  mani  alla  cintola  ;  intanto  raccoglieva  ^  materiali  ', 
cio<;*  scriveva  *  centinaja  di  terzine  ',  anzi  '  forse  migliaia  '  (  Giorn. 
stor.  1 ,  283  )  ;  e  del  resto,  i  famosi  sette  canti  non  erano  altro  che 
*  r  abbozzo  del  principio  del  Poema  '.  L.  Leynardi  (  La  psicologia  del- 
l'arte nella  DC.  Torino  1894  :  p.  100  )  credo  che  il  poeta  scrivesse  la 
Commedia  negli  ultimi  '  cinque  o  sei  anni  '  della  sua  vitii  ;  anch'  egli 
ammette  un  lungo  periodo  di  preparazione  ;  il  '  materiale  era  tutto 
giìi  preparato  nella  mente  di  Dante  ':  ma  era  preparazione  •  affatto 
incosciente'!  Comunque,  niente  c'impedisce  di  pensare  che  il  poeta 
potesse  attendere  nello  stesso  periodo  di  tempo  a  più  cose;  che  poi. 
volendo  finire  il  Poema  che  gli  st<iva  certo  più  a  cuore,  lasciasse 
incompiuto  il  Conririo  e  il  De  Vulgari  Eloquentia ,  par  cosa  anche 
naturale. 

(1)  Conr.  2,  13,  3  *  E  però  principicindo  ancora  da  capo,  dico  che, 
come  per  me  fu  perduto  il  primo  dilotto  della  mia  anima ,  d  e  li  a 
quale  fatto  è  menzione  di  sopra,  io  rimasi  di  tanta 
tristizia  punto,  che  alcuno  conforto  non  mi  valea  '.  Il  Dionisi  (  Pre- 
par.  .52  n  )  osser^'a  :  '  Perchè  il  primo  diletto,  o  '1  primo  suo  amore, 
fu  Beatrice,  per  questo  dice,  della  quale:  altrimenti  sarebbe  discor- 
danza in  persona  '.  Ma  non  pare  spiegazione  soddisfacente:  cfr.  Conv. 
2,  7,  76:  8,  57:  9,  6:  10,3:  11,  2:  e  VN.  (cito  dalla  sec.  ed.  del  Ca- 
sini, Firenze  1891  ) ,  38,  25. 

3 


^  L'episodio  della  donna  gentile 

d' animo  per  essersi  dalla  memoria  d'  una  morta,  e  per  un 
tempo  assai  breve,  allontanato?  E  non  si  era  egli  già  di 
quella  pretesa  leggerezza  pentito  ?  e  gli  occhi,  causa  di 
tanto  fallo,  non  erano  stati  ben  guiderdonati?  A  me  in- 
vero riesce  più  ovvio  pensare,  che  il  poeta  volesse  insinuar 
nel  Convivio  che  coloro  i  quali  potevano  riprenderlo  d' es- 
sersi dal  primo  amore  mutato,  considerassero  1'  amore  per 
Beatrice  come  allusivo  a  tal  tenore  di  vita  e  di  studi  da 
parere  il  secondo  amore,  accennato  nella  Vita  nuova  e  svi- 
luppato nelle  canzoni,  un'apostasia,  o  un  deviamento,  certo 
un  abbandono  delle  mistiche  idealità  dell'  adolescenza. 

Sia  come  si  voglia,  il  poeta  ha  dichiarato  che  la  donna 
gentile  della  Vita  nuova  è  allegorica  ;  ha  detto  che  con  co- 
desta dichiarazione  non  intendeva  derogare,  ma  giovare 
alla  Vita  nuova  ;  ha  implicitamente  dichiarato  che  dell'  al- 
legoria di  Beatrice  si  sarebbe  trattato  altrove;  ha  insom- 
ma voluto  insinuare  eh'  egli  nella  Vita  nuova  aveva  avuto 
intendimenti  allegorici.  Se  così  stanno  le  cose,  anche  am- 
messa l'ipotesi  del  poi,  non  vediamo  perchè  si  debba  vo- 
ciferar tanto  contro  i  poveri  allegoristi  ;  perchè  gli  equites 
peditesque  delle  frequenti  dantesche  platee,  debbano  elevar 
si  alto  cachinno  se  ogni  tanto  qualcuno,  non  bene  esperto 
del  canto  corale,  con  audacia  insolita  nell'  impero  assoluto 
della  critica,  pronunzia  1'  abominevole  e  detestata  parola. 
Concedo  che  parlare  oggi  di  allegoria,  sia  grave  stonatura 
nel  grande  concerto  ;  ma  se  Dio  vuole,  a  codesti  poveri 
diavoli  pare  non  si  possa  negar  l'autorevole  testimonianza 
a  discarico  dello  stesso  poeta. 

4. 

Falsa  testimonianza,  ci  assicurano  i  dotti.  E  muove 
forse  da  lodevole  discrezione  quel  suggerir  che  si  fa  all'  e- 
sule  imraerito,  attenuanti  alla  sua  grave  colpa.  Ma  la  scusa 


La  pretesa  confe.s^one  del  mendacio  23 


riesci rebbe  allo  stringer  dei  conti  a  confermar  1'  accusa  ; 
sicché  non  discrezione,  ma  circospezione  sarà  da  veder  nel- 
l' opera  di  chi  cerca  scagionare  il  poeta  del  bel  tiro  che  gli 
si  appone  fatto  agli  esegeti  dell'  opera  sua.  Sarà  dunque 
necessario  alla  presente  trattazione,  veder  se  nel  Concicio 
si  possono,  come  assicurano  i  critici  del  poi,  pescare  co- 
deste attenuanti. 

Tre  luoghi  invero  dell'  opera  temperata  e  virile  pare 
che  oflfrano  un  indizio,  se  non  addirittura  la  confessione 
della  causale  del  posticcio  opportuno  adonestamento.  Nel 
purgare  dalla  prima  macola  (  '  parlare  di  se  medesimo  pare 
non  licito  '  )  il  pane  del  suo  convito,  cioè  il  commento  alle 
sue  canzoni,  il  poeta  scrive:  (1,2,  114)  '  Movcmi  timore 
d'infamia,  e  movemi  desiderio  di  dottrina  dare,  la  quale 
altri  veramente  dare  non  può.  Temo  la  infamia  di  tanta 
passione  avere  seguita,  quanta  concepe  chi  legge  le  so- 
prannominate Canzoni  in  me  avere  signoreggiato.  La  quale 
infamia  si  cessa  per  lo  presente  di  me  parlare  interamente  ; 
lo  quale  mostra  che  non  passione,  ma  virtù  si  è  stata  la 
movente  cagione  ' .  Veramente  in  codesto  luogo  il  poeta 
mostrerebbe,  o  meglio  lascerebbe  incautamente  trasparire, 
eh'  egli  avea  desio  di  adonestare  la  donna  delle  canzoni, 
non  la  pietosa  consolatrice  della  Vita  nuova  ;  e  da  quelle 
parole  potrebbe  dedursi  quello  forse  che  dedurre  non  si 
vuole,  eh'  egli  allora  (  qualunque  ne  fosse  la  cagione,  e  con 
qualsivoglia  ragione  )  considerava  come  allegoriche  gran 
parte  delle  sue  canzoni  ;  né  forse  v'é  modo  d' escludere  le 
cosi  dette  rime  pietrose  ;  anzi  da  quel  timore  d' infamia  par- 
rebbe che  ad  esse  appunto  il  poeta  pensasse.  Ma  certo  alla 
donna  gentile  del  libello  ci  riporta  l' altro  luogo  del  Con- 
vicio;  (3,  1,  82):' Dico  che  pensai  che  da  molti  di  retro 
da  me  forse  sarei  stato  ripreso  di  levezza  d'  animo,  udendo 
me  essere  dal  primo  amore  mutato.  Per  che  a  torre  via 
questa  riprensione,  nullo  migliore  argomento  era  che  dire 


24  /■-'  episodio  della  donna  gentile 


qual  era  quella  donna  che  m'avea  mutato'.  E  qui  vera- 
mente par  di  trovare  espressa  l' ubbia  che  avrà  consigliato 
al  poeta  il  posticcio  adonestamento.  Sennonché  quelle  pa- 
role il  poeta  scrive  nell'  esporre  le  ragioni  che  lo 
'informaro'  a  commendare,  con  la  canzone 
Amor  che  ìiella  mente,  la  donna  amata  ;  e  l' ubbia,  se  ubbia 
si  deve  chiamare,  è  da  riferire  al  tempo  della  composi- 
zione della  canzone.  Tuttavia,  in  un  altro  luogo  del  Con- 
vivio esclama  il  poeta  :  (  1,  3,  15  )  '  Ahi  !  piaciuto  fosse  al 
Dispensatore  dell'  universo,  che  la  cagione  della  mia  scusa 
mai  non  fosse  stata  ;  che  né  altri  contro  a  me  avria  fal- 
lato, né  io  sofferto  avrei  pena  ingiustamente  ;  pena,  dico, 
d' esilio  e  di  povertà  '.  Ma  anche  qui  è  fuor  di  luogo  pen- 
sare al  preteso  adonestamento.  Il  poeta  scusa  la  '  durezza  ' 
del  suo  commento,  accagionandone  l'esilio  (').  Toglier  dal 
loro  luogo  i  tre  brani  del  Convivio,  e  guardarli  fuori  del 
contesto,  e  cucirli  insieme,  pare  industria  molto  simile  a 
quella  dei  centonari  che  facevano  dire  a  Virgilio  quel  che 
essi  volevano. 

E  in  fin  dei  conti,  strana  senza  dubbio  é  la  pretesa 
di  chi  vorrebbe  scorgere  nello  stesso  Convivio  quasi  la  con- 
fessione del  mendacio.  Il  poeta  nello  stesso  tempo  che,  per 
fuggir  taccia  di  levezza  d'animo  e  per  timore  d'infamia, 
mentiva,  scusava  e  giustificava  la  menzogna,  adducendone 
la  movente  ragione  !  Mentre  s' industriava  di  dar  maschera 
filosofica  al  suo  secondo  amore,  non  ben  sicuro  di  sapere 
0  potere  aggiustar  le  cose  sue  come  la  gravità  del  caso  ri- 
chiedeva, previde  che,  se  non  subito,  fra  cinque  o  sei  se- 
coli si  sarebbe  scoperto  il  suo  gioco  ;  e,  avveduto  com'  era, 
non  si  lasciò  cogliere  alla  sprovvista;  pensò  alle  attenuanti, 
e  le  attenuanti  produsse  !  In  conclusione,  nello  stesso  tempo 


(1)  Belle  osservazioni  a  codesto  luogo  dol  Convivio,  ha  il  Foscolo, 
Disc,  soz.  99. 


La  canz.   Voi  che  intendendo,  è  allegorica 


che  mentiva,  ci  forniva  la  più  bella  prova  del  suo  men- 
tire, la  causale  del  mendacio,  e  implicitamente  confessava 
il  mendacio  stesso  !  Non  dico  che  non  sieno  cose  che  non 
possano  capitare  ;  ma  non  pare  che  sia  appunto  codesto  il 
caso  occorso  a  Dante,  che  sarebbe  per  Dante  davvero  un 
bel  caso. 

Né  pare  che  l' esilio  e'  entri  per  nulla  nella  pretesa  ri- 
trattazione. La  canzone  Voi  che  intendendo  è  anteriore  cer- 
tamente air  esilio,  e  in  essa  canzone  è  descritto  il  noto 
contrasto  delle  due  donne,  come  nella  prosa  della  Vita 
nuora  e  del  Concicio.  Non  si  può  pensare  che  quella  can- 
zone non  abbia  avuto  prima  dell'esilio  che  significazione 
letterale  di  amori  reali,  e  che  poi  le  sia  stato  attribuito 
un  significato  allegorico  (').  Il  D'Ancona  (  Disc.  GS  )  affar- 


ìi) So  bone  che  il  Fauriel  (  Dante  et  les  origines  de  la  langae  et 
de  la  littér.  itaL  Paris  la^A:  1,  402 1,  il  Balbo  (  Vita  di  Dante  Ali- 
ffhieri,  lib.  2,  cap.  4  ),  o  qualche  altro  { vd.  Gaspary,  St.  1,  452,  ap- 
pendice a  p.  218  )  affermano  anche  questo.  Ma  niente  contano  dun- 
que, neppure  le  parole  del  poetii  alla  stessei  sua  canzono  ?  '  Canzone 
i'  credo  che  «iranno  radi  Color  che  tua  ragione  intondan  bone. 
Tiinto  la  parli  faticosa  e  forte:  Onde  se  per  ventura  egli  addi- 
viene Che  tu  dinanzi  da  persone  vadi.  Che  non  ti  paian  d'  essa 
bene  accorto  ;  Allor  ti  priogo  che  ti  riconforto.  Dicendo  lor,  diletta 
mia  novella:  Ponete  mente  almen  com'io  son  bella'.  Cfr.  Conc.  1. 
1,  la"):  1,  2,  123:  2,  12,  21.  Del  resto,  a  sentire  il  Fauriel,  Dante 
composo  la  Vita  nuora  a  ventun  anno,  e  la  canzone  di  cui  parliamo. 
Voi  che  intendendo,  è  inserita  nella  Vita  nuova  !  (  1,  375  s  397  ) .  Ma 
la  gratuita  affermazione  del  Fauriel  e  del  Balbo  pare  oggi  si  rive- 
sta di  novelle  frondi  :  vd.  le  curiose  argomentazioni  di  M.  Bieger 
i  Bull.  ns.  9,  146  s  ).  Certo,  gravi  sono  le  considerazioni  del  Frac- 
caroli  (  Giorn.  star.  33.  365  s  ).  Nondimeno,  si  potrebbe  osservare 
che  il  poeta,  quando  scriveva  la  Vita  nuora  e  probabilmente  anche 
le  canzoni,  forse  pensava  che  fosse  lecito  fare  allegorie  con  inten- 
dimenti, come  pare,  molto  riposti.  E  codesto  sospetto  sarebbe  forse 
giustificato  dal  seguente  luogo  della  Vita  nuora  (25,  44):  'Dunque 
se  noi  vedemo,  che  li  poeti  hanno  parlato   a  le   cose   inanimate   si 


26  L'episodio  della  doìina  gentile 

ma  perfino  che  '  la  spiegazione  allegorica  è  la  sola  vera  e 
plausibile  ' .  Ed  invero,  codesto  disperatissimo  espediente 
non  arrise  neppure  allo  Zingarelli  {Dante,  131);  il  quale 
tuttavia  vede  la  '  prova  materiale  '  dell'  essere  diversa  la 
donna  gentile  della  Vita  nuova  dalla  donna  allegorica  della 
canzone,  '  nel  fatto  che  la  canz.  Voi  che  intendendo  è  po- 
steriore all'  ultimo  sonetto  della  Vita  Nuova  ',  perchè  in 
essa  canzone  v'  è  'un  richiamo  esplicito  '  a  quel  sonetto. 
Noi  codesto  esplicito  richiamo  non  vediamo  davvero  ;  ma 
se  anche  ci  fosse,  neppure  lo  Zingarelli  col  desumere  che 
'  la  donna  gentile  della  Vita  Nuova  sta  di  là,  non  di  qua  ' 
vorrebbe  concludere,  che  dunque  la  Vita  nuova  è  anteriore 
alla  canzone  e  quindi  anteriore  all'  amor  filosofico. 

La  canzone  allegorica  a  ogni  modo,  se  non  precede, 
segue  ad  assai  breve  intervallo  la  pretesa  ingenua  narra- 
zione del  libello,  la  cui  composizione  allo  stringer  dei  conti 
non  si  può  rimandare  più  indietro  del  1293  (').  Nessuno 


come  se  avessero  senso  o  ragione,  o  fattele  parlare  insieme;  o  non 
solamente  cose  vere,  ma  cose  non  vere  ...  ;  degno  è  '1  dicitore  per 
rima  di  fare  lo  somigliante,  ma  non  sanza  ragione  alcuna,  ma  con  ra- 
gione, la  quale  poi  sia  possibile  ad  aprire  per  pro- 
sa ...  E  acciò  che  non  ne  pigli  alcuna  baldanza  persona  grossa, 
dico  che  ne  li  poeti  parlano  così  sanza  ragiono,  né  quelli  che  rimano 
deono  parlare  così,  non  avendo  alcuno  ragionamento  in  loro  di  quello 
che  dicono;  però  che  grande  vergogna  sarebbe  a  colui  che  rimasso 
cosa  sotto  vesta  di  figura  o  di  colore  retorico,  e  domandato 
non  sapesse  denudare  le  sue  parole  da  cotale  ve- 
sta, in  guisa  che  avessero  verace  intendimento'. 
Ma  di  questo  luogo  della  Vita  nuova,  anch'esso  molto  controverso, 
diremo  più  innanzi. 

(1)  Lo  stesso  Zingarelli  (  Dante,  132  s  141  375  s  )  afferma  cho  la 
canzone  Voi  che  intendendo  è  della  seconda  metà  del  1293 ,  e  cho 
'la  prosa  della  Vita  Nuova  o  è  dello  stesso  tempo,  o  la  precedo  pro- 
babilmente di  poco  '.  Cfr.  Carducci,  Op.  8,  76.  Certo,  la  narrazione 
che,  '  alquanto  tempo  '  dopo  l' annovale  di  Beatrice,  seguo  nella  Vita 


//  gemino  battagliare  della  Bice 


dice,  nò  alcuno  sul  serio  direbbe,  che  il  poeta,  appena  nar- 
rato il  suo  trascorso,  chiamiamolo  pure  cosi,  e  quando  po- 
chi potevano  aver  letto,  pochissimi  aver  capito  quello  eh'  e- 
gli  avesse  inteso  dire  di  sé  e  dei  suoi  amori  nella  fervida 
e  passionata  operetta  giovanile,  se  ne  pentì,  intese  vergo- 
gna, temette  accusa  di  levezza  d' animo,  e  pensò  d' aggiu- 
stare ogni  cosa  con  ritorcimenti  allegorici.  Bisogna  dun- 
que pur  pensare  che  il  poeta,  descritto  nella  Vita  nuova 
un  contrasto  tra  Beatrice  morta  e  una  gentildonna  viva, 
poco  dopo  veniva  fuori  con  la  canzone  Voi  che  intendendo, 
per  notificare  ai  fedeli  d' amore  e  particolarmente  a  Carlo 
Martello  il  fatto  assai  singolare,  che  di  un'  altra  battaglia 
dopo  la  prima  battaglia,  di  un  altro  contrasto  dopo  il  pri- 
mo contrasto,  1'  animo  suo  era  stato  disputato  campo  ;  che 
codesta  seconda  battaglia  era  di  natura  diversa  dalla  prima 
bensì,  ma,  forse  per  la  legge  dei  ricorsi  storici,  alla  prima 
affatto  simile  ;  e  che  in  codesto  gemino  battagliare  la  glo- 
riosa Beatrice  avea  riportato  due  sconfitte,  che  poteano 
però  contare  per  una  sconfitta  sola  ;  costretta  bensì  a  liti- 
gare prima  con  una  gentildonna,  poi  con  una  donna  alle- 
gorica ;  ma  in  fin  dei  conti  con  due  donne  che  ben  po- 
teano valere  quanto  una  donna  sola  ;  '  savia  '  l'una,  *  sag- 
gia '  l' altra^  bensì  ;  ma  entrambe  '  pietose  '  e  '  belle  donne  ' 
entrambe.  Non  ricordiamo,  perchè  la  gravità  dell'  argo- 
mento cel  vieta,  il  fatto  singolarissimo  occorso  a  quell'  e- 
gregio  cittadino  di  Cuneo  ;  il  quale,  avendo  preso  parte  a 
una  gita  di  piacere  Cuneo  -  Aosta  e  Viceversa,  arrivato  ap- 
punto a  Viceversa,  non  sapea  darsi  ragione  come  mai  co- 


nnova  .  può  stringersi  o  costringersi  anche  in  un  semestre.  Ma  il 
poeta  parla  come  di  cose  affatto  lontane;  ed  il  solo  fatto  coevo  alla 
composizione  del  libello  è  questo,  che  il  poeta,  già  ritornato  a  Bea- 
trice, avuta  la  ••  mirabile  visione  ',  studiava  per  poter  un  giorno  dir 
di  lei  quello  che  non  era  stiito  mai  detto  d'  alcuna. 


28  L'episodio  della  donna  gentile 


desta  sua  città  fosse  del  tutto  simile  a  Cuneo.  Ma  dob- 
biamo dire  sinceramente  che  non  si  vede  bene  come  il  poeta 
potesse  illudersi  che  gli  occhi  del  vicinato  avrebbero  bene 
scorta  l' intenzion  dell'  artista.  Giacche  bisogna  pure  sco- 
prire chi  fu  quel  valentuomo  che  allora  avrà  creduto  pru- 
dente aspettar  che  1'  esilio  consigliasse  al  poeta  1'  identifi- 
cazione delle  due  avversarie  e  trionfatrici  della  gentilis- 
sima ;  e  che  non  avrà  fin  d'  allora  cristianamente  pensato 
di  risparmiare  a  quella  poveretta  una  almeno  delle  due 
battaglie,  e  a  sé  stesso  la  cura  fastidiosa  di  uno  sdoppia- 
mento non  necessario. 

Si  vuole  poi  che  il  poeta  nella  Commedia  confessi  di 
essersi  straniato  dalla  memoria  di  Bice  per  sensuali  amori  ; 
sicché  avremmo  che  il  poeta,  appena  narrato  nella  Vita 
nuova  il  fallo,  o  una  parte  del  fallo,  corse  al  riparo  con 
la  canzone  Voi  che  intendendo  ;  poi,  mentre  meditava  la 
confessione  di  quel  gran  fallo  nella  Commedia,  persisteva 
nel  fallo  stesso  e  insisteva,  con  le  dichiarazioni  del  Con- 
vivio,  neir  adonestamento.  E  gli  mancava  certo,  come  al 
Montefeltrano,  la  loica  del  Diavolo. 

Comunque,  é  caso  assai  curioso  certamente  quello  di 
chi,  mentre  pensa  che  il  poeta  non  volea  parere  d'essere 
stato  troppo  proclive  agli  amori^  non  vede  e  non  intra- 
vede dappertutto  che  amori  danteschi  ;  e  vagheggia  non 
so  quante  Pietre,  Lisette,  Violette,  Gentucche,  montanine, 
gozzute  e  pargolette  ;  e  nella  Lonza,  nell'  episodio  di  Fran- 
cesca, neir  episodio  di  Forese,  nell'  attraversare  che  fa  il 
poeta  le  fiamme  del  Purgatorio,  nei  rimproveri  di  Beatrice^ 
non  adocchia  che  peccati  di  lussuria  dantesca.  Perchè,  in- 
somma, pare  che  la  critica  sia  arrivata  a  questa  conclu- 
sione, che  il  '  grand'  uomo  '  passò  quasi  metà  della  sua 
vita  a  fare  all'  amore,  e  1'  altra  metà  a  lasciarne  prosaica 
e  poetica  testimonianza  ;  e  che  soltanto  un  bel  giorno  di 
efimera  resipiscenza,  anzi  un  cattivo  giorno  di  malumore, 


Le  pretese  contradìzioni  tra  la  VN.  e  il  Conv        29 

per  un  suo  malinconico  ghiribizzo,  volle  fare,  diciamo  così, 
una  sostituzione  di  persona,  sentendo  scrupolo  d'un  amo- 
retto, anzi  d'  un  innocente  desiderio  di  alquanti  dì. 


Rodolfo  Renier  e  Adolfo  Ikrtoli  ed  altri,  hanno  già 
con  efficacia  e  con  alcune  buone  ragioni,  ribattute  le  ar- 
gomentazioni dei  critici  del  poi,  sostenuto  che  la  donna 
gentile  del  libello  è  proprio  la  filosofia,  dimostrato  che  non 
vi  sono  vere  contradizioni  tra  la  Vita  miova  e  il  Convivio  ('). 
Nondimeno,  su  codeste  pretese  contradizioni  ancora  s' in- 
siste da  ogni  parte  ;  e  parrebbe  che  il  poeta  non  avesse 
ben  presente  1*  episodio  della  Vita  nuova,  quando  appunto 
quell'episodio  nell'opera  temperata  e  virile  richiamava. 
Stranissimo  sospetto,  senza  dubbio  ;  ma  necessario  a  chi 
si  propone  di  scoprire  contradizioni  palesi  ;  salvochè  non 
si  voglia  ripetere  con  S.  De  Chiara  che  '  il  poeta  cercò  di 
togliere  le  contradizioni  tra  le  due  opere,  ma  non  vi  riu- 
scì '  (  -  ).  A  storditezza  bisognerebbe  dunque  pensare,  oltre 


(*)  Ronier.  T'.V.  e  F.  179  8»  186;  Giorn.  s/or.'2,3S7  n;  Bartoli. 
Sf.  4,  214  88  232;  5,  80  n*;  Lubin,  Commedia,  39  ss;  D.  spiegato 
con  D.  37  ;  Dante  e  gli  astronomi  italiani.  Dante  e  la  Donna  gen- 
tile. Trieste  1895,  p.  65  ss  ;  Scrocea.  //  pece.  59  ss.  Dello  studio  del 
Carpenter  (  The  episode  of  the  donna  pietosa  )  non  ho  altra  notizia 
che  quella  fornitami  dalla  recensione  del  Pasqualigo,  L'  Alighieri. 
1,  254  ;  e  conosco  1"  opinione  del  Centofanti  (  Sulla  Vita  Xuoia  di  D.  ) 
dal  breve  cenno  del  Renier.  Giorn.  stor.  1,  478  n  3  ;  e  del  Kraus 
(  Dante,  sein  Leben  und  sein  Werk  )  dalla  recensione  dello  Zinga- 
relli.  Eassegna  critica  della  leti.  ital.  3,  175. 

{-)  La  Pietra  di  Dante  e  la  donna  gentile,  nel  Z'  Al.  3,  418.  '^cm 
si  capisce  tuttavia  perchè  non  sia  riuscito  il  poeta  a  toglier  via  le 
eontradizioni,  se,  come  pensa  il  De  Chiara,  la  Vita  nuora  non  è  che 
un  rifacimento  :  (  p.  436  )  '  Forse  le  rime  pietroso  f uron  dalla   Vita 

4 


so  V  episodio  della  donna  gentile 

che  al  deliberato  proposito  di  mentire  ed  all'  incanta  cau- 
tela della  excusatio  non  petita.  Ma  io  non  so  quanti  fra 
gli  stessi  assidui  ricercatori  di  contradizioni,  vorranno  aper- 
tamente dire  che  il  poeta  volle  adonestare  la  donna  gen- 
tile, senza  pur  ricordarsi  bene  dell'  episodio  della  Vita 
nuova.  E  già  codesta  pregiudiziale  avrebbe  potuto  frenare, 
anzi  fermare  addirittura,  la  corsa  frettolosa  nel  bujo  viot- 
tolo delle  contradizioni,  se  una  maledetta  fatalità  non 
avesse  sempre  perseguitato  il  giovanile  libello,  e  quel  be- 
nedetto amore  per  la  Portinari  non  avesse  sviato  anche  i 
critici  più  avveduti  e  sereni.  Comunque,  stridente  e  palese 
contradizione  si  è  creduto  e  si  crede  di  vedere  nel  fatto 
che  il  poeta  chiama  nella  Vita  nuova  '  vilissimo  '  e  '  av- 
versario della  ragione  '  quello  stesso  amore  che  nel  Con- 
vivio è  '■  nobilissimo  '  ed  è  per  la  filosofia.  Ma  saremmo 
noi  davvero  avversari  della  ragione  se  non  volessimo  con- 
cedere al  poeta  quel  che  egli  pur  vorrebbe,  che  sotto  un 
certo  rispetto  1'  amore  alla  filosofia  si  possa  concepire  co- 
me avversario  talvolta  della  ragione  e  vilissimo.  Perchè 
in  fin  dei  conti,  si  tratta  d' intendere,  non  di  negare  se 
non  s' intende,  1'  affermazione  del  poeta.  E  con  un  esame 
più  attento,  non  si  sarebber  forse  tirate  le  sue  parole  a 
peggior  sentenza  eh'  ei  non  tenne.  Nella  Vita  nuova  (  38, 
25  )  è  descritto  un  contrasto  tra  '  il  cuore  '  che  teneva  per 
la  donna  genlile,  e  '  V  anima  '  che  teneva  per  Beatrice  ; 
e  il  cuore  è  chiamato  '  appetito  '  e  1'  anima  '  ragione  '  ; 
adunque  il  cuore  è  1'  avversario  dell'  anima,  ovvero  1'  ap- 
petito è  1'  avversario  della  ragione.  E  benché  codesto  ap- 
petito, codesto  desiderio  malvagio  e  vana   intenzione,    sia 


Nuova  tolte  via  quando  1"  Alighieri  tornò  su  quel  che  aveva  già 
scritto,  e  corresse  la  Vita  Nuova  ;  e  per  fuggir  infamia  e  non  in- 
ducer sospetti,  variò  e  colori  in  diversa  guisa  il  già  scritto,  non  vo- 
lendo in  nessun  modo  a  quell"  operetta  derogare  '  ! 


U  aceersario  della  ragione  e  vilksinio  31 

r  amore  alla  donna  gentile,  cioè  alla  filosofia  ;  non  si  può 
a  rigor  di  termini  inferire  che  la  donna  gentile  sia  av- 
versaria essa  della  ragione,  e  sia  vana  e  malvagia.  D'  al- 
tra parte,  anche  nel  Concìcio  codesto  nuovo  pensiero  è 
'  contrario  '  e  '  avverso  '  alla  memoria  di  Beatrice,  cioè  al- 
l'anima  che,  secondo  la  Vita  nuova,  è  degno  di  chiamare 
ragione  (').  Né  ragione  maggiore  si  ha  nell'  inalberar  trion- 
falmente il  '  nobilissimo  '  del  Concìcio  contro  il  *  vilissimo  ' 
della  Vita  nuova.  Anzitutto  è  bene  notare  che  per  Dante 
'  nobile  '  vien  da  '  non  vile  '  (  Conc.  4,  16,  74  )  ;  che  '  viltà  ' 
è  la  '  sfacciatezza  '  (  19,  93  )  ;  che  '  la  viltà  di  ciascuna 
cosa  dalla  imperfezione  di  quella  si  prende,  e  cosi  la  no- 
biltà dalla  perfezione,  onde  tanto  quanto  la  cosa  è  per- 
fetta, tanto  è  in  sua  natura  nobile  ;  quanto  imperfetta, 
tanto  vile'  (21,  3);  che  'quanto  il  cielo  è  più  pres- 
so al  cerchio  equatore,  tanto  è  più  nobile  '  (  2,  4,  69  ). 
E  siccome  '  non  è  inconveniente  una  cosa,  secondo  di- 
versi rispetti,  essere  perfetta  ed  imperfetta'  (4,  11,  48), 
così  non  pare  vi  sia  inconveniente  che  una  cosa  sia  no- 
bile e  vile,  vilissima  e  nobilissima,  secondo  diversi  rispetti. 
E  sotto  un  certo  rispetto  invero,  il  poeta  nell'  opera  fer- 
vida e  passionata  chiama  *  vilissimo  '  1'  amore  per  la  donna 
gentile  e  savia,  quell'  innocent-«  desiderio,  quel  gentile  pen- 
siero che  gli  parlava  della  pietosa  consolatrice  :  (  VN.  38, 
10  )  '  Deo,  che  pensiero  è  questo,  che  in  così  vii  modo 
vuole  consolar  me  e  non  mi  lascia  quasi  altro  pensare  ? . . . 
Gentil  penserò  ;  e  dico  gentile  in  quanto  ragionava  di  gen- 
tile donna,  che  per  altro  era  vilissimo  '  (  cfr.  Perez. 
Beatrice,  138  ).  Del  resto,  nello  stesso  Convivio  risuona 
un'  eco  di  codesto  vilissimo  della  Vita  nuova.  Nella  canzone 


(»)  Conr.  2.  2.  28:  7.  73;  8.  64  :  9.  6:  10,  2;  11.  3.  Xon  mi 
riesce  chiara  Y  obbiezione  del  Barbi,  Della  pretesa  incredulità  di  D. 
in  Giorn.  stor.  13.  56  n  -. 


32  IJ  episodio  della  donna  gentile 

Voi  che  intendendo,  dice  '  uno  spiritel  d'  amor  gentile  '  al  - 
1'  anima  :  '  questa  bella  Donna,  clie  tu  senti,  Ha  trasmu- 
tata in  tanto  la  tua  vita.  Che  n'  hai  paura,  si  se'  fatta 
vile';  e  nel  commento:  (2,  11,  12).  'Non  è  vero  che 
tu  sia  morta  ;  ma  la  cagione,  per  che  morta  ti  pare  es- 
sere, si  è  uno  smarrimento,  nel  quale  se'  caduta  vilmente 
per  questa  donna  eh'  è  apparita  '.  Il  nuovo  pensiero  adun- 
que poteva  parer  vile  anche  perchè  generava  smarrimento 
e  viltà  ;  certo  a  ogni  modo,  non  perchè  fosse  turpe  o  a- 
bietto  (*).  A  buon  conto,  bene  il  poeta  ammonì  che,  sic- 
come '  il  ciel  sempre  è  lucente  e  chiaro  .  .  .  ma  per  alcuna 
cagione  alcuna  volta  è  licito  di  dire  quello  essere  tene- 
broso ',  cosi  una  certa  ballatetta  considerò  la  filosofia,  che 
altrove  è  'pietosa  ed  umile',  'orgogliosa  e  dispietata', 
'  secondo  Y  apparenza,  discordante  dal  vero,  per  infermità 
dell'anima,  che  di  troppo  disio  era  passionata  '  (  Conv.  3, 
9,  11  ;  10_,  6  ;  canz.  Voi  che  intendendo,  4G  ).  Non  pare  in- 
somma^ comunque  la  cosa  si  voglia  considerare,  che  code- 
sba  pretesa  contradizione  sia  tale  spauracchio  da  far  in- 
dietreggiare chi  non  sia  già  disposto  a  fuggire. 


6. 

Sennonché  lo  Zingarelli,  mésse  da  parte  codeste  omai 
logore  obbiezioni,  osserva  che  {Dante,  130  )  '  nella  Vita  Nuo- 
va V  amore  per  la  donna  pietosa  è  appetito  del  cuore,  che 
contrasta  alla  ragione,  e  dopo  un  breve  trionfo  cede  a  que- 
sta che  ottiene  impero  definitivo,  quando  nel  Convivio  essa 
è  invece  la  filosofia,  e  il  suo  amore  si  avanza  sempre  sino 
a  riuscire  dominante  '  ;  e  che  '  se    confrontiamo   i   cinque 


(1)  Vilissimo.  '  l^a^^l  '.  si  considerava,  rispetto  al  '  valore  '  di 
madonna  l'amante  àoW  Intelligema,  st,  10;  e  Lapo  Gianni  (canz. 
Donna,  se  'l  prego  )  volea  che  madonna  non  isdegnassc  suo  '  cor  vile  '. 


V  appetito  del  ctiore  33 

sonetti  [  veramente  son  quattro  i  sonetti  dell'  episodio  nella 
Vita  nuova  ]  con  quella  canzone  Voi  che  intendeììdo  il  terzo 
ciel  movete,  nella  quale  il  poeta  rappresenta  il  contrasto 
tra  la  filosofia  e  il  pensiero  di  Beatrice,  vi  è  tale  diversa 
ispirazione  e  sentimento,  quanta  suol  essere  tra  i  moti 
delle  nostre  passioni  e  quelli  del  nostro  intelletto  specu- 
lativo, tra  la  natura  umana  che  ama,  ride  e  piange,  si 
turba  e  rasserena,  sempre  sofferente  e  il  ragionamento  a- 
stratto  del  nostro  cervello  '.  Quanto  a  quest'  ultima  osser- 
vazione, lasciamo  giudice  il  lettore  ;  che,  se  dovessi  dire 
la  mia  impressione,  non  esiterei  a  giurare  che  io  non  vedo 
la  diversa  ispirazione  e  il  sentimento  diverso.  A  ogni  modo, 
sarebbe  codesta  una  prova  affatto  subbiettiva  che  non  pro- 
verebbe nulla.  E  poi,  altro  è  parlar  dei  sonetti,  altro  del- 
l' episodio  della  donna  gentile.  E  lasciamo  dunque  che  la 
natura  umana  ami,  rida  e  pianga  a  sua  posta,  e  che  a 
sua  posta  si  turbi  e  si  rassereni  ;  che,  se  la  cosa  avesse 
ancora  a  decidersi  a  parole,  diceva  quello,  la  declamazione 
che  s'  insignorisce  della  critica  positiva  più  spesso  di  quel 
che  non  si  creda,  ci  metterebbe  in  sacco.  Vediamo  piut- 
tosto r  altra  osservazione.  Non  è  forse  esatto,  dire  che 
*  l' amore  per  la  donna  pietosa  è  appetito  del  cuore  '  ;  certo, 
si  sconfinerebbe  da  ogni  part^.,  se  con  codeste  parole  si 
volesse  insinuare  che  nell'  amor  del  poeta  vi  fosse,  per  sua 
confessione,  alcun  che  di  sensuale.  Dice  il  poeta  nel  noto 
passo  della  Vita  nuova  :  '  In  questo  sonetto  fo  due  parti 
di  me,  secondo  che  li  miei  pensieri  erano  divisi.  L'  una 
parte  chiamo  cuore,  ciò  è  1'  appetito,  1'  altra  chiamo  anima, 
ciò  è  la  ragione  .  . .  Vero  è  che  nel  precedente  sonetto 
io  fo  la  parte  del  cuore  contra  quella  de  li  occhi,  e  ciò 
pare  contrario  di  quel  ched  io  dico  nel  presente  ;  e  però 
dico,  che  ivi  lo  cuore  anche  intendo  per  lo  appetito,  però 
che  maggiore  desiderio  era  'l  mio  ancora  di  ricordarmi 
de  la  gentilissima  donna  mia,  che  di  vedere  costei,  avve- 


3i  L'episodio  della  donna  gentile 

gna  che  alcuno  appetito  n'  avessi  già,  ma  leggero  parea  '. 
Adunque  '  cuore  '  o  '  appetito  '  sta  ad  indicare  '  maggior 
desiderio  '  ;  e  T  amore  per  la  donna  gentile  era  appetito  o 
cuore,  come  cuore  o  appetito  era  stato  il  desiderio  di  ri- 
cordare la  gentilissima  Beatrice.  '  E  che  degno  sia,  dice 
il  poeta,  di  chiamare  1'  appetito  cuore,  e  la  ragione  anima, 
assai  è  manifesto  a  coloro,  a  cui  mi  piace  che  ciò  sia  a- 
perto  '  ;  giacché,  come  si  legge  nel  Convivio  (  3,  5,  195  ), 
al  '  nobile  ingegno  ...  è  bello  un  poco  di  fatica  lasciare  '. 
Comunque  sia  di  codesta  distinzione  e  di  codesta  denomi- 
nazione (  cfr.  Conv.  2,  7,  18  e  76  ),  è  chiaro  che  nella 
Vita  nuova  abbiamo  un  contrasto  tra  due  pensieri,  1'  uno 
dei  quali  è  chiamato  appetito  o  cuore  perchè  ad  esso  in- 
clinava 1'  animo  del  poeta. 

E  neppure  si  può  trovar  contradizione  nel  fatto  che 
r  amore  alla  donna  gentile  è  breve  e  transitorio  nella  Vita 
nuova,  mentre  nel  Convivio  '  si  avanza  sempre  sino  a  riu- 
scire dominante  '  (').  Il  sonetto  Gentil  penserò,  come  ha  no- 
tato il  Bartoli  (  St.  4,  228  ),  descrive  appunto  quel  trionfo 
della  donna  gentile  che  si  legge  nella  quarta  stanza  della 
canzone  Voi  che  intendendo.  Nella  Vita  nuova  è  brusca- 
mente troncata  la  narrazione  delle  vicende  di  questo  nuovo 
amore,  e  nel  Convivio  è  ripresa  e  sviluppata.  Ma  da  quel 
che  abbiamo  dell'  opera  temperata  e  virile,  non  pare  che 
il  secondo  amore  trionfasse  definitivamente.  Nel  secondo 
trattato  si  è  ancora  al  litigare  ;  nel  terzo  il  poeta  si  deve 
già  scusare  d'  aver  chiamata  codesta  sua  seconda  donna, 
'  orgogliosa  e  dispietata  '  ;  nel  quarto  trattato  si  commenta 
la  canzone  che  comincia: 


(1)  Qualcosa  di  simile  avoa  già  obbiettato  il  \Vitte  (  La  Vita 
Nuova  di  Dante  Alighieri,  Leipzig  1876:  Prolegomeni,  p.  12),  con- 
vortitosi  por  la  seconda  volta  alla  tesi  dell'  adonostamento. 


//  SO)).  Paì'ole  ))ìie  35 


Le  dolci  rime  d'  amor,  eh'  io  solia 
Cercar  no'  miei  ponsiori, 
Convien  eh'  io  lasci,  non  ptM-cir  io  non  spori 
Ad  esse  ritornare. 

Ma  perchè  gli  atti  disdognofii  e  feri. 
Che  nella  donna  mia 
Sono  appariti,  m'  han  chiuso  la  via 
Dell*  usato  parlare. 

E  un'  altra  canzone  che  dovea  anch'  essa  probabilmente 
trovar  posto  nel  Convicio,  comincia  : 

Poscia  (ir  Amor  del   lutto  m'  ha  hisciato. 

Ma  e'  è  di  più  e  di  meglio.  C  è  un  sonetto,  in  cui  il  poe- 
ta, pigliando  commiato  da  codesta  bella  donna  del  Con- 
cicio,  confessa  che  in  lei  errò,  che  in  lei  non  v'  è  amore, 
e  che  non  intende  più  scriver  rime  per  lei. 

Parole  mie.  che  per  lo  mondo  siete  ; 
Voi  che  nasceste  poi  eh*  io  cominciai 
A  dir  per  quella  Donna,  in  cui  errai  : 
Voi  che  intendendo  il  terzo  ciel  morete  ; 

Andatevene  a  lei,  che  la  sapete. 
Piangendo  si  eh'  ella  oda  i  nostri  guai  ; 
Ditele:  Xoi  sem  vostre;  dunque  ornai 
Più  che  noi  seme,  non  ci  vederete. 

Con  lei  non  state,  eh' è  non  v'è  Amore; 
Ma  gite  attorno  in  abito  dolente 
A  guisit  delle  vostre  antiche  suore. 

Quando  trovate  donna  di  valore, 
Gittatevele  a'  piedi  umilemente 
Dicendo  :  A  voi  dovem  noi  fare  onore  ^*). 


('}  Il  Carducci  (  Op.  8,  77  )  prima  dice  che  codesto  sonetto  chiu- 
de •  il  periodo  della  lirica  allegorica  '  per  la  donna  del  Conririo,  la 
fìlosoHa  ;  poi  (  p.  93  ss  I  vorrebbe  insinuare  che  la  donna  a  cui  al- 
lude il  sonetto,  e  in  cui  il  poeta  dice  che  errò,  sia  la  donna  reale 


B6  Vepisodio  della  donna  gentile 

Potrebbe  alcuno  sottilmente  notare  che,  secondo  la  te- 
stimonianza di  questo  sonetto,  le  rime  per  la    donna   del 


delle  rime  pietrose,  che  sarebbe  da  identificare  con  la  donna  del- 
l' episodio  della  Vita  nuova.  Il  Bartoli  (  St.  i,  232  )  prima  afferma 
che  la  donna  in  cui  il  poeta  errò,  '  è  quella,  per  la  quale  scrisse  la 
prima  canzone  del  Convito  '  ;  poi  (  p.  258  ss  )  scorge  nel  sonetto  '  co- 
me un  pentimento,  come  un  rammarico  ',  e  pensa  che  '  il  sommo 
artista  avesse  un  giorno  sentita  quasi  ripugnanza  per  le  tre  can- 
zoni dottrinali  ',  e  che  allo  dottrinali  désso  commiato,  non  anche  alle 
allegoriche,  '  tutte  ispirate  da  Amore  '.  Meglio  il  D'  Ancona  (  Disc. 
70  n2  )  :  <  Le  rime  filosofiche  si  chiudono  col  sonetto  :  Parole  mie  '  ; 
e  il  Graspary  (  St.  1,  453,  append.  a  p.  221  )  :  '  Come  chiusa  della 
lirica  filosofica  si  considera,  e  pare  a  ragione,  il  sonetto  :  Parole 
mie  '.  Buone  osservazioni  ha  il  Ronier  (  VN.  e  F.  185  s  ),  e  il  Por- 
naciari  (  Stndj,  177  s  ).  Il  Gaspary  (  St.  1,  452.  append.  a  p.  218  ) 
intondo  1'  errai  del  sonetto,  non  nel  senso  che  il  poeta  '  si  sia  in- 
gannato nella  filosofia.  Errare  qui,  osserva  il  critico,  come  spesso 
no'  Siciliani,  ha  quasi  il  significato  di  «  essere  in  pena,  in  trava- 
glio, »  come  in  V.  jS^.;  13  :  Così  mi  trovo  in  amorosa  erranza  '.  Certo, 
le  voci  '  orrore  '  ed  '  erranza  '  nel  senso  indicato  dal  Graspary,  oc- 
corrono, por  influenze  occitaniche,  nella  nostra  poesia  amorosa  delle 
origini  :  non  mi  venne  fatto  però,  di  trovare  in  tal  significato  il 
verbo  •  errare  '.  Rinaldo  d'  Aquino  (  canz.  'iV  amoroso  pensare  )  :  '  Lo 
meo  'nnamoramento.  Che  m'  ha  miso  in  erranza  '  :  Semprebene 
(  canz.  Come  lo  giorno  )  :  •  Però  vi  prego,  dolco  mia  nemica.  Da  voi 
si  mova  mercede  e  pietanza.  Sì  che  d'  erranza  mi  ti-aggiate,  don- 
na'; Bonaggiunta  Urbiciani  (canz.  Ben  mi  credeva):  'là  ov' ella 
appare,  [N^essun  la  può  guardare,  E  mettelo  in  errore  '.  Sennon- 
ché, specialmente  noli'  esempio  della  Vita  nuova,  qualcosa  del  si- 
gnificato più  comune  pur  resta  ;  giacché  il  K^ostro  si  trovava  ••  in 
amorosa  erranza  '  appunto  perchè,  combattuto  dìi  diversi  pensieri, 
stava  •  come  colui,  che  non  sa  per  qual  via  pigli  il  suo  cammino, 
e  che  vuole  andare,  e  non  sa  onde  se  ne  vada  '.  Del  resto,  il  poeta 
nel  sonetto  Parole  mie,  non  dice  soltanto  che  nella  sua  donna  al- 
legorica errò,  ma  che  in  quella  donna,  eh'  ei  credeva  amorosa,  non 
v'  è  amore  ;  e  le  dà  bellamente  congedo.  Anche  nella  canzone  Io 
sento  sì  d'  amor,  si  legge  che  il  poeta  era  servente  'di  quella  che 
non  s' innamora  '. 


Come  s'inizia  la  serie  delle  rime  filos. 


Condcio,  jjer  la  filosofia,  cominciano  con  la  canzone  Voi 
che  intendendo f  mentre  le  rime  per  la  donna  gentile  della 
Vita  nuoca  cominciano  col  sonetto  Videro  li  occhi  miei  ; 
e  concludere  che  perciò  le  due  donne  non  siano  da  iden- 
tificare (').  Ma  si  potrebbe  rispondere  che  i  quattro  so- 
netti della  Vita  nuoca  non  sono,  sottilmente  considerando, 
rime  per  la  donna  gentile  ;  che  non  avrebbero  potuto  tro- 
var luogo  nel  libello  che  dovea  esser  '  loda  '  della  genti- 
lissima. Quei  sonetti  sono  narratori  dell'  innamoramento 
del  poeta,  descrivono  il  contrasto,  fanno  semplice  '  men- 
zione ',  come  si  legge  nel  Convivio  (2,  2,  9  ),  di  quella 
gentile,  pietosa  e  savia  donna  che,  scacciata,  dovea  ren- 
der così  grande  il  finale  trionfo  della  gloriosa  ;  ed  il  poe- 
ta non  ebbe  probabilmente  intendimento  d'  inserirli  nel- 
la Vita  nuova,  '  se  non  in  quanto  facesse  a  trattare  di 
quella  gentilissima  Beatrice  '  (  cjfr.  VN.  5,  22  ).  Veramente, 
anche  nella  canzone  che  cita  il  sonetto  Parole  mie,  siamo 
ancora  nel  periodo  del  contrasto  ;  e  il  poeta  avrebbe  po- 
tuto, anziché  la  canzone,  citare  il  sonetto  della  Vita  nuova, 
ultimo  dell'  episodio  della  donna  gentile,  che  con  la  can- 
zone coincide.  Ma  il  sonetto,  posto  in  servigio  della  loda 
di  Beatrice,  chiudeva  nella  Vita  nuova,  non  iniziava  l'  a- 
more  per  la  nuova  donna  ;  e  d'  altra  parte,  era  assai  po- 
vera cosa  rispetto  alla  canzone,  dove  il  trionfo  della  donna 
gentile  è  più  solenne  e  più  certo,  e  più  fermo  il  propo- 
sito di  celebrarla.  Del  resto,  quando  fu  scritto  il    sonetto 


(1|  Aveva  già  notato  il  Fraticelli  (  Dis.<irtazior,r  ftnì  Comito  : 
cito  dalla  ott.  ed.  Barbèra,  Firenze  1900.  vul.  ii  izo  dellf  Opero  mi- 
nori di  D.  :  p.  26  ).  ma  non  por  negare  codostit  identificazione,  che 
*  le  rimo  filosofiche  dell'  Alisrliiori  ebbero  nascimento  da  che  o^li 
incominciò  a  scrivere  la  canzuin-  Voi  rlh  .  iìifrjiili  ìi'hi  '.  Trovo  ora  che 
il  Barbi  (  Bull.  ns.  9,  33  :  lU.  97  )  ha  formulato  la  grave  obbiezione, 
che  mi  si  ora  parata  dinnanzi  molto  tempo  prima  eh'  io  leggessi  le 
suo  parole, 


38  L'episodio  della  donna  gentile 

Parole  mie  ?  Certo  molto  tempo  dopo  la  canzone  Voi  che 
intendendo,  e  non  prima  del  preteso  posteriore  adonesta- 
mento  della  donna  gentile.  Adunque,  se  particolari  ragioni 
non  avessero  consigliato  il  poeta  a  citare  nel  sonetto  Pa- 
role mie  la  canzone  Voi  che  intendendo,  egli  avrebbe,  anche 
per  rendere  più  verosimile  l' identificazione,  citato  il  so- 
netto Gentil  penserò  come  prologo  delle  rime  per  quella 
donna  in  cui  errò. 

E  degno  di  nota  certamente  che  codesto  sonetto  che 
chiude  il  periodo  dell'  amor  filosofico,  ha  bene  rispondenza 
col  paragrafo  39  della  Vita  nuova  che  chiude  1'  episodio 
della  donna  gentile.  Si  domanderà  :  tra  il  paragrafo  38  e 
il  paragrafo  39  della  Vita  nuova  vi  è  dunque  una  lacuna 
di  tanta  estensione  da  poter  accogliere  tutte  le  rime  che 
doveano  entrar  nel  Convivio'^  E  forse  probabile.  Del  resto, 
non  si  vede  perchè  il  poeta,  dopo  avere  scritta  la  Vita 
nuova,  non  potesse,  sviluppando  l'episodio  del  libello,  scri- 
vere altre  rime  per  la  donna  gentile  ;  ne  perchè^  dopo  aver 
detto  che  in  quslla  donna  errò,  non  potesse  più  tardi  com- 
mentare quelle  rime,  e  per  le  ragioni  appunto  eh'  egli  ad- 
duce. Sono  finzioni,  se  Dio  vuole,  e  1'  amore  alla  donna 
gentile  e  il  ritorno  a  Beatrice  ;  e  da  codesto  ritorno  fitti- 
zio e  allegorico  non  si  poteva  sentir  legato  il  poeta  a  non 
iscrivere  più  rime  per  quella  donna  eh'  egli  avea  chiamata 
savia,  pietosa  e  gentile  ;  specialmente  poi,  quando  egli  chiu- 
deva appunto  quelle  rime  col  noto  sonetto  che  riallaccia 
il  periodo  dell'  amor  filosofico  all'  episodio  della  Vita  nuova 
e  al  ritorno  a  Beatrice,  e  incastra  tutte  codeste  rime  tra 
il  paragrafo  38  e  il  paragrafo  39  del  libello.  11  precon- 
cetto che  ci  fa  trovar  tante  difficoltà,  è  questo  :  di  credere 
che  il  poeta  nello  scriver  le  sue  rime,  dovesse  sempre  to- 
glier motivo  da  un  sentimento  non  solo  reale,  ma  attuale. 
Tutti  sappiamo  che  nella  Commedia  egli  pone  il  suo  ri- 
torno a  Beatrice,  alla    vita   contemplativa,   all'  ascensione 


Le  rime  fihs.  sviluppano  l'episodio  della   VN.        39 

mistica,  nel  tempo  in  cui  più  si  era  da  Beatrice  allonta- 
nato, più  si  era  ingolfato  nella  vita  attiva,  più  precipi- 
tava a  valle,  nella  selva  erronea  di  questa  vita.  E  Bea- 
trice nei  suoi  rimproveri  sulla  vetta  del  Purgatorio,  co- 
mechè  intenzionalmente  si  riferisca  allo  straniamento  della 
Vita  nuova,  come  vedremo  più  innanzi;  non  comprende 
ella  uno  spazio  di  tempo  ed  una  somma  di  latti  che  oltre- 
passano anche  il  1300?  Sono  finzioni;  le  quali,  trovan- 
dosi come  in  germe  nella  Vita  nuova,  il  poeta  ha  creduto 
di  sviluppare  nelle  due  opere  che  nella  Vita  nuova  hanno 
le  loro  prime  radici.  Egli  non  poteva  certo  non  tener  conto 
di  quel  che  era  la  sostanza  della  cosa,  di  tutto  quel  che  era 
venuto  poi  a  colorire  e  a  dar  rilievo  ed  estensione  al  primo 
disegno  organico  dell'  opera  sua  ;  per  la  fisima  di  tenersi 
stretto  ai  confini,  vaghi  e  indeterminati  del  resto,  delle  fi- 
gurazioni della  Vita  nuova.  A  lui  dovea  bastare,  per  l' in- 
tento poetico,  che  in  fin  dei  conti  quelle  figurazioni  adulte 
conservassero  suppergiù  i  lineamenti  della  fanciullezza.  Co- 
me niente  gì'  impediva  di  portare  il  suo  ritorno  a  Beatrice 
nella  primavera  del  1300,  cosi  credeva  che  gli  fosse  lecito 
di  allargare  e  sviluppare  1'  amore  episodico  della  Vita  nuova. 
Certo,  mentre  studiava  per  dir  di  Beatrice  quello  che  mai 
era  stato  detto  d'alcuna,  ben  poteva,  ritornando  sull' epi- 
sodio della  donna  gentile,  scrivere  altre  rime  che  quell'  e- 
pisodio  sviluppassero  ;  certo,  nelle  sue  cogitazioni  e  con- 
cezioni destinate  a  glorificar  Beatrice,  si  presentava  spon- 
taneo queir  episodio  :  ed  è  naturale  eh'  egli  pensasse  che 
neir  economia  dell'  opera  sua,  ben  meritava  più  largo  trat- 
tato (').  Insomma,  siano  codeste  rime    allegoriche   e  dot- 


(1|  Il  Foriiaciari  (  Stiulj.  147  )  muove  questa  obbiezione  al  Bi- 
scioni :  •  Xon  ispiega  però  il  Biscioni  la  coiitradizione  fra  l' addio 
dato  nella  Vita  Knora  alla  Donno  gentili',  e  il  ritorno  fatto  a  lei  nel 
Convito,  il  quale  Siu-ebbe  composto  tanto  tempo  dopo  ".  Ma  nei  Con- 


40  L'episodio  della  donna  gentile 

trinali  per  madonna  la  Filosofia  state  scritte  prima  della 
Vita  nuova,  siano  state  scritte  dopo,  è  molto  probabile  che 
il  poeta  abbia  voluto  con  esse  colmare  la  lacuna  della  Vita 
nuova.  Certo,  per  cavar  da  questo  particolare,  contradizioni, 
ci  vuole  molta  buona  volontà  e  deliberato  proposito  di 
cavillarci  su  non  poco. 

7. 

Ma  dobbiamo  fare  una  non  breve  digressione. 

Nicola  Scarano,  in  un  suo  bel  Saggio  dantesco  (  Bea- 
trice, Siena  1902  :  p.  76  ss  :  cfr.  Giorn.  star.  40,  208  ss  ) 
non  dubita  punto  che  la  donna  gentile  '  sia  già  nella  Vita 
Nuova  immagine  della  filosofia.  Se  non  dovessimo  giovarci 
delle  esplicite  affermazioni  del  poeta  per  scoprire  il  con- 
gegno delle  sue  costruzioni,  io  non  saprei,  dice  arguta- 
mente r  amico  mio,  dove  cercare  saldo  fondamento  a'  no- 
stri sforzi  esegetici  '.  Sennonché  egli  vorrebbe  che  codesta 
filosofia  della  Vita  nuova  sia  '  una  filosofia  di  terzo  ed  in- 
fimo grado  '  ;  giacché  '  nella  Vita  Nuova  il  poeta  ci  rap- 
presenta il  secondo  amore  come  inferiore  al  primo,  sin  al 
punto  da  dire  vilissimo  e  avversario  della  ragione  il  pen- 
siero che  parla  della  Donna  gentile,  e  malvagio  il  deside- 
rio di  lei  ;  laddove  nel  Convito  1'  a,more  della  Donna  gen- 
tile o  Filosofia  vien  rappresentato  come  più  forte  e  più 
alto  dell'  amore  di  Beatrice  '.  Osserva  che  '  per  la  superio- 
rità della  Donna  gentile  rispetto  a  Beatrice  giova  non  di- 
menticare che  Dante  chiama  la  Filosofia  figliuola,  suora, 
sposa  dello  Imperadore  delV  universo  '.  E  cita  molto  a  pro- 
posito questi  due  luoghi  del  Convivio:  (2,  16,  50)  '  V  a- 


riiio  il  poeta  non  ritorna  Invero  alla  donna  gentile  ;  commenta  le 
rime  fatte,  o  almeno  le  rimo  che  considerava  come  fatto  nel  perio- 
do del  suo  secondo  amoro. 


Tm  donna  gentile  dèlia  FAT.  e  la  donna  del  Conc.         41 

ìKiiui  i>i((nge.  Qui  si  vuole  bene  attendere  ad  alcuna  mo- 
ralità, la  quale  in  queste  parole  si  può  notare  :  che  non 
dee  r  uomo  per  maggior  amico  dimenticare  li  servigi  ri- 
cevuti dal  minore  ;  ma  se  pur  seguire  si  conviene  1'  uno 
e  lasciar  1'  altro,  lo  migliore  è  da  seguire,  con  alcuna  one- 
sta lamentanza  1'  altro  abbandonando  ;  nella  quale  dà  ca- 
gione a  quello  eh' ei  segue  di  più  amore';  (3,  1,  82) 
'  Dico  che  pensai  che  da  molti  di  retro  da  me  forse  sarei 
stato  ripreso  di  levezza  d'  animo,  udendo  me  essere  dal 
primo  amore  mutato.  Per  che,  a  torre  via  questa  ripren- 
sione, nullo  migliore  argomento  era,  che  dire  qual  era 
quella  Donna  che  m'  avea  mutato.  Che,  per  la  sua  eccel- 
lenza manifesta  aver  si  può  considerazione  della  sua  virtù  ; 
e  per  l' intendimento  della  sua  grandissima  virtù  si  può 
pensare  ogni  stabilità  d'animo  essere  a  quella  mutabile; 
e  però  me  non  giudicare  lieve  e  non  istabile'. 

Certamente  lo  Scarano  tocca  qui,  un  po'  speditamente 
invero,  della  complessa,  anzi  ingarbugliatissima  questione, 
un  punto  assai  grave  ;  alla  cui  soluzione  non  possono  certo 
bastare  codeste  citazioni  del  Convicio,  senza  pur  guardare 
né  al  sonetto  Parole  mie,  né  al  noto  rimprovero  di  Bea- 
trice sulla  vetta  del  Purgatorio  (  33,  85  ),  né  ad  altri  luo- 
ghi del  Convivio  stesso.  D'  altra  parte,  la  pregiudiziale  che 
il  poeta  appunto  nel  Convivio  identifica  con  la  donna  gen- 
tile della  Vita  nuova  codesta  tanto  eccelsa  donna  (che  nella 
Commedia  non  sarebbe  neppure  rappresentata,  perchè,  se- 
condo il  critico,  '  Rachele  è  bensì  nella  Commedia  simbolo 
della  filosofia  ma  d'  una  filosofia  che  occupa  rispetto  alla 
Filosofia  del  Convito  un  grado  più  basso  e  si  stende  en- 
tro confini  più  stretti  '  ),  dovrebbe  farci  andar  cauti  nel 
giudicare  della  superiorità  di  essa  rispetto  a  Beatrice.  Né 
dal  fatto  che  il  poeta  mostra  di  non  accorgersi  della  con- 
tradizione, è  lecito  sospettare  che  egli  la  contradizione  as- 
sai aperta  e  stridente  non  vedesse  ;  né,  se  ancora  nessun 


42  L'episodio  della  donna  gentile 


Teseo  lia  avuto  dall'  amorosa  sua  Arianna  il  filo  per  uscir 
dall'  intricatissimo  laberinto  della  Vita  nuova  e  del  Con- 
vivio^ sarebbe  lecito  dire  che  il  poeta  nel  suo  laberinto  di 
astrazioni  e  figurazioni  si  sperdette,  come  ci  sperdiamo 
noi  tutti.  11  poeta,  come  Dedalo,  avea  sempre  pronte  un 
bel  pajo  d'  ali,  attaccate  bensì  con  la  cera,  ma  agili  e  pre- 
ste ai  suoi  voleri,  cosi  da  poter  uscire  speditamente  dal 
suo  laberinto  quando  avesse  voluto,  o  piuttosto  quando 
avea  fatto  disegno  di  uscirne.  Giacché  non  bisogna  dimen- 
ticare che  il  Convivio  non  è  opera  compiuta  ;  e  che  in  fin 
dei  conti,  non  avea  forse  torto  quel  predicatore  che,  do- 
vendo fare  il  panegirico  di  sant'  Antonio,  credette  fosse 
suo  dovere  di  dire  che  sant'  Antonio  era  il  migliore  di 
tutti  i  santi. 

Nondimeno,  in  quel  che  nel  Convivio  possiamo  pur 
leggere  e'  è  tanto  da  poter  dissipare  qualche  dubbio,  se 
pur  non  basta  a  tanto  nodo  disnodare.  '  Vita  del  mio  core, 
cioè  del  mio  dentro,  dice  il  poeta  (  Conv.  2,  8,  34  ),  solca 
essere  un  pensiero  soave  (  soave  è  tanto,  quanto  suaso,  cioè 
abbellito,  dolce,  piacente,  dilettoso  ),  e  questo  pensiero  .  .  . 
se  ne  già  spesse  volte  a'  pie  del  Sire  di  costoro  a  cui  io  par- 
lo, eh'  è  Iddio  ;  cioè  a  dire,  eh'  io  pensando  contemplava  lo 
regno  de'  Beati  '.  Or  che  la  nuova  donna,  che  quel  pensiero 
soave  facea  '  fuggire  ',  portasse  a  celestiali  contemplazioni, 
a  mistici  rapimenti  (  cfr.  Conv,  2,  8,  48  ),  non  pare  ;  né  pare 
che  il  poeta  alle  mistiche  contemplazioni  desse,  almeno  per 
figura,  meno  valore  che  alle  disputazioni  dei  filosofanti  ; 
se  egli,  lasciata  stare  la  nuova  donna,  a  Beatrice  ritornò 
e  alla  contemplazione  del  regno  dei  beati.  So  bene  che 
del  cielo  e  degli  angeli  e  dei  beati  nel  Convivio  qualcosa 
si  tocca,  ma  quasi  di  sbieco,  e  più  per  incidenza  che  di 
proposito.  '  Il  dono  veramente  di  questo  Commento,  dice 
il  poeta  (1,  9,  48),  è  la  sentenza  delle  Canzoni  alle  quali 
fatto  è,  la  quale  massimamente  intende  inducere  gli    uo- 


La  materia  del  Cono.  43 


mini  a  scienza  e  a  virtìi  '.  Il  primo  trattato  è  proemio  al- 
l' opera  ;  il  secondo  parla  del  contrasto  ;  il  terzo  è  lode 
della  filosofia  ;  nel  quarto  si  ragiona  della  nobiltà,  o,  come 
il  poeta  preannunzia  (1,  9,  55  ),  come  la  *  vera  nobiltà  è 
seminata  ',  e  (  3,  7,  144  )  come  la  '  naturai  semenza  si  fa  ', 
e  1,  1,  120)  come  'certi  costumi  sono  idonei  e  laudabili 
a  una  etade,  che  sono  sconci  e  biasimevoli  ad  altra  '  ;  nel 
settimo  si  sarebbe  detto  (  4,  26,  65  )  quanto  '  piacere  '  ri- 
cevette Enea  da  Dido  ;  nel  quattordicesimo  si  sarebbe  ra- 
gionato (  1,  12,  86;  4,  27,  100  )  della  giustizia,  e  si  sa- 
rebbe mostrato  (2,  1,  34)  perchè  il  linguaggio  allegorico 
fu  trovato  *  per  li  savi  '  ;  nel  'quindicesimo  ed  ultimo  trat- 
tato il  poeta  si  proponeva  di  ragionare  (1,8,  128  )  '  per 
che  si  caro  costa  quello  che  si  priega  ',  e  in  esso  si  sarebbe 
potuto  vedere  (  3,  16,  142  )  che  le  virtù  '  talvolta  per  va- 
nità o  per  superbia  si  fanno  meno  belle  o  men  gradite  '  ('). 
Certo  qualche  digressione  che  risente  dello  studio   che   il 


(1|  Il  Biscioni  (  Pref.  '22  ),  Rupponondo  che  il  Conririo  dovosso 
avere  un  trattato  finale  *  per  conclusione  di  tuttii  T  opera  *,  stimava 
eh'  ossa  '  sarebbe  stata  in  tutto  di  setlici  Trattati  '.  Certo  non  avverti 
che  penultimo  trattato  sjirebbo  stato  il  quattonlieesimo  (  cfr.  Conr. 
1,  12,  87;  4,  27,  101 1.  E  forse  a  codesta  svista  contribuì  I*  altra  sua 
«iupposizione  (  che  poi  fu  anche  del  Selmì,  del  Casini  e  di  molti  al- 
tri )  che,  dopo  la  canzone  della  nobiltà,  terza  del  Conririo,  il  poeta 
intendesse  commentare  undici  canzoni  sopra  le  undici  virtù  morali 
di  Aristotele  (  cfr.  Camp.  4,  17,  28  )  :  o  forse  a  questa  sua  supposi- 
zione ei  venne  a  cagion  di  quella  s^-ista.  Ma  il  conto  tornerebbe 
col  csilcolo  del  Biscioni  ;  giacché  alla  giustizia,  ultima  nella  enume- 
razione aristotelica,  egli  assegnava  il  quindicesimo  trattato  ;  non  toma 
più  se  consideriamo  che  della  giustizia  si  sarebbe  ragionato  invece 
nel  quattordicesimo  :  e  molto  meno  poi  se  consideriamo  che  bisogne- 
rebbe forse  fare  un  po'  di  posto  anche  alla  '  Prudenza,  cioè  Senno  ', 
che  •  ben  si  pone  . . .  per  molti  essere  morale  Virtù  '  (  Conr.  4.  17,  77  (. 
A  codesta  immeritamente  fortunatii  ipotesi  del  Biscioni  e  del  Selmi, 
obbietta  anche  lo  ZingareUi,  Dante.  393. 


44  /--'  episodio  della  donna  gentile 

poeta  avea  fatto  o  faceva  per  glorificar  Beatrice,  non  to- 
glie nulla  al  carattere  di  questo  libro  che  dovea  svolgere 
r  episodio  della  Vita  nuova  e  commentare  quelle  rime  che 
a  queir  episodio  intendeva  il  poeta  riferire.  Ed  è  pur  no- 
tevole che  appunto  sotto  gli  auspici  della  nuova  donna  il 
poeta,  ragionando  del  latino  e  del  volgare,  promette  (  1, 
5,  66  )  un  libro  di  Volgare  Eloquenza  ;  e  che  pur  sotto  il 
suo  governo  egli  tocca  qualcosa  (4,  4,  )  di  quella  materia 
che  poi  svolgerà  nel  De  Monarchia  (').  Tutto  insomma 
cospira  a  mostrar  che  il  poeta  volesse  con  le  sue  figura- 
zioni insinuare  che  dalle  mistiche  contemplazioni  egli  fosse 
passato  a  cogitazioni  che  nen  aveano  per  fine  diretto  la 
vita  futura  ;  e  che  1'  amor  delle  '  presenti  cose  '  lo  avesse 
distolto  dalla  visione  gloriosa  di  Beatrice. 

Né  la  '  beata  mensa  '  a  cui  egli  allude  nel  Concimo 
(1,  1,  68  ),  è  forse,  come  par  che  intenda  lo  Scarano,  '  la 
filosofia  del  cielo  ',  '  il  filosofare  dei  beati  '  ;  ma  è  la  mensa 
di  coloro  che  si  cibano  di  dottrina,  '  pane  degli  Angeli  '  ;  né 
il  pane  degli  angeli  é,  come  par  voglia  poi  G.  Manacorda 
(  Da  S.  Tommaso  a  Dante,  Bergamo  1901  :  p.  9  )  '  la  scienza 
divina  ',  '  la  teologia  o  scienza  di  Dio  '.  Alla  beata  mensa 
sedeva  certamente  il  suo  maestro  Aristotile  (1,  9,  61  )  ; 
'  glorioso  Filosofo,  al  quale  la  Natura  più  aperse  li  suoi 
segreti'  (3,  5,  55);  'Maestro  della  umana  ragione'  (4, 
2,  138  );  '  Maestro  e  Duca  della  ragione  umana  ',  '  degnis- 
simo di  fede  e  d'obbedienza'  (4,  6,  71  e  50);  'ingegno 
quasi  divino  '  e  '  Filosofo  sommo  '  (  4,  6,  133  e  156  );  '  Mae- 
stro dei  Filosofi  '  (  4,  8,  141  )  ;  '  Maestro  della  nostra  vita  ' 
(  4,  23,  81  );  ai  piedi  del  quale  il  poeta  certo  avea  ricolto 
la  maggior  parte  delle  briciole  e  dei  rimasugli  eh'  ei  nel 
suo  convito  imbandisce,  mosso  dal  '  desiderio  di   dottrina 


(1)  Por  le  recenti  discussioni  intorno  alla  cronologia  del  libro, 
vd.  Bull.  ns.  8.  240  ss  :  9,  20  ss  149  ss  279  ss  ;  Eass.  bibl.  11,  54. 


La  beata  meììsa 


dare'  (  ctr.  4,  i>,  i'.u  e  14v>  ;.  Ala  nuii  coluiu  ciie  primi 
seggono  a  quella  '  beata  mensa  ',  Aristotile,  Platone,  Boe- 
zio e  Tullio,  lo  libereranno  dalle  tre  bestie  e  dalla  selva 
erronea  di  questa  vita  ;  ne  la  *  donna  di  questi  autori,  di 
queste  scienze,  e  di  questi  libri  '  (  2,  13,  38  )  ;  ma  Beatrice  ; 
e  con  Beatrice,  non  con  la  donna  gentile,  cioè  con  la  fi- 
losofia, tornerà,  '  nel  mezzo  del  cammin  di  nostra  vita  ',  al 
pensiero  soave,  alla  contemplazione  del  regno  dei  be^ti  ('). 
Ma  lo  Scarano  osserva  :  *  stando  appunto  alle  afferma- 
zioni del  poeta,  nel  Convito  reca  subito  maraviglia  che 
Beatrice  e  la  Donna  gentile  non  sian  più  1'  una  contro 
l'altra  armata  come  nella  Vita  Nuova  :  nel  Convito  esse 
hanno  come  fatta  pace,  pur  occupando  la  Donna  gentile 
un  posto  superiore  a  quello  di  Beatrice,  e,  dirò  meglio,  pur 
cedendo  Beatrice  il  suo  posto  alla  Donna  gentile  '  (-).  Nel 


(*)  IXel  Concino  Aristotile  è  citato  lOA  volte,  Platone  15  volte, 
Boezio  14  volto,  Tullio  24  volto  :  mentre  4  volto  soltanto  b  citato 
8.  Tommaso  e  5  volto  s.  Agostino.  Cfr.  Ozanam,  D.  et  la  phil.  265 
8  ;  D'  Ovidio,  Sladii,  263.  Scrive  il  Gaspary  (  St.  1,  165  1  :  '  Benché 
Boezio  stesso  fosse  già  cristiano,  pure  il  suo  pensiero  filosofico  era 
ancora  quello  classico  ;  in  lui  noi  abbiamo  un'  argomentazione  sola- 
mente con  i  motivi  della  ragione,  dai  quali  vengono  derivati  anche 
r  esistenza  e  l'essere  di  Dio  :  di  premio  e  pena  noli'  altro  mondo  si 
può  prescindere,  il  premio  st.i  per  sé  nel  bene,  la  pena  nel  male, 
giusta  la  dottrina  della  filosofìa  del  paganesimo,  e  quando  Boezio 
mentova  inforno  e  purgatorio,  questo  avviene  soltanto  per  metterli 
da  parto  '.  Intorno  al  libro  di  Boezio  è  degna  di  nota  la  bella  pa- 
gina del  Graf  (  Roma  nella  memoria  e  nelle  immaginazioni  del  ME. 
Torino  1882  -  3 :  2.  .336  ). 

(^1  Anche  lo  Scrocca  (  //  pece.  22  )  vede  una  conciliazione  ;  ma 
per  liù  la  subordinazione  è  inversa.  'Ed  ho  per  fermo,  egli  affer- 
ma, che  il  Canario  è  il  libro  non  della  umana  scienza  disgiunta  dalla 
teologia  (  come  è  opinione  dello  Scartazzini  ).  o  inopportuna  almeno 
e  tale  che  valse  in  parte  a  distoglier  Dante  dal  suo  proposito  di  ce- 
lebrar Beatrice  (  come  è  espressa  opinione  del  D'  Ancona  )  :  ma  della 
umana  scienza  conciliata  già  con  Beatrice,  anzi  fattoi  soggetta,  e  ri- 


46  L'episodio  della  donna  gentile 

Convivio,  a  onor  del  vero,  la  donna  gentile,  la  filosofia,  è 
anzitutto,  come  abbiamo  veduto,  un  pensiero  '  avverso  '  al 
pensiero  di  Beatrice,  al  soave  pensiero  della  mistica   con- 


corcata  appunto  in  servigio  di  quella,  che  nel  pensiero  di  Dante  era 
salita  a  simbolo  altissimo  '.  Ma  non  è  cosa  molto  facile  veder  chiaro 
nella  ricostruzione  del  critico  (  cfr.  pp.  4,  35,  38,  40  ).  Sbrogliata  un 
po'  la  matassa,  forse  abbiamo  :  Dante  si  straniò  almeno  tre  volte  da 
Beatrice  ;  una  volta  quando,  '  morta  Beatrice,  si  die  in  preda  a  vani 
e  disonesti  amori  donneschi  '  ;  un'  altra  volta  quando,  '  ai  nuovi  studi 
incominciati  per  consolarsi  della  morta  Beatrice,  egli  si  diede  tutto 
con  esclusiva  cura  '  ;  una  terza  volta  quando  '  si  applicò  a  una  dot- 
trina filosofica  disforme  in  parte  dalla  teologia  '.  Isella  Commedia  di 
codesto  trinomio  abbiamo  il  primo  termine  e  il  terzo,  un  binomio 
molto  semplice  :  peccati  di  lussuria  (  Purg.  30  e  31  )  e  dottrina  filoso- 
fica disforme  (  Purg.  33,  85  ss  ).  La  Vita  nuova  e  il  Convivio  ci  danno 
invece  notizia,  come  di  cosa  passata,  dello  straniamento  che  noi  ab- 
biamo classificato  secondo,  oblio  della  donna  por  1"  amore  alla  filoso- 
fia. '  Niun  dissidio,  dunque,  conclude  il  critico,  so  non  passeggero  è 
nel  Convivio  { e  però  anche  nella  Vita  Nuova  se  si  creda  alla  allego- 
ria della  donna  gentile  )  tra  la  filosofia  e  Beatrice  ;  e  questa  ultima, 
non  nell'  aspetto  di  teologia  ;  e  quel  dissidio  stesso  è  compensato  nel 
Convivio  da  un  ragionevole  accordo  tra  la  nuova  scienza  e  Beatrice, 
non  obliata  più  come  donna,  e  inchinata  omai  come  simbolo  '.  La- 
sciando stare  che  non  si  vede  bene  come  mai  nella  Commedia  non  si 
faccia  cenno  alcuno  dello  straniamento  di  cui  tanto  si  parla  nelle 
due  opere  che  con  la  Commedia  hanno  così  stretto  legame  ;  osservia- 
mo che  neppure  è  molto  chiaro  perchè  mai  nella  Vita  nuova  il  poeta, 
che  avea  da  rimproverarsi  gli  amori  vani  e  disonesti,  dovesse  far  tan- 
to caso  del  breve  oblio  della  donna  per  1'  amore  alla  filosofia.  Scrive 
il  Foscolo  (  Disc.  sez.  20  ),  non  certo  dello  Scrocca:  '  Così  a  me  paro 
eh'  egli  guardandosi  dai  falsi  sentieri  battuti  dagli  altri,  n'  abbia  spia- 
nato de'  nuovi  più  tortuosi  ;  o  come  cavaliere  errante,  ei  si  trova 
nella  selva  incantata  faccia  a  faccia  co'  suoi  rivali,  senza  veder 
pix\  lume  a  duellare  '.  Lo  ZingarelU  (  Dante,  520  )  dice  che,  mentre 
'  r  amore  della  sapienza,  filosofia,  è  nel  Convivio  rappresentato  come 
diverso  da  quello  di  Beatrice  subentrato  ad  esso  '  ;  '  nella  Commedia 
Beatrice  si  prende  le  parti  della  «  donna  gentile  »,  ossia  della  sa- 
pienza stessa  '.  Il  '  progresso  artistico  '  della  mente  del  poeta  sarebbe 


Iji  donna  del  Conv.  è  acversarìa  di  Beatrice  \~ 

templazione  ;  è  'avverso'  ed  è  'contrario',  e  'natural- 
mente r  uno  contrario  fugge  T  altro  ;  e  quello  che  fugge 
mostra  per  difetto  di  virtù  fuggire  '(2,8,  70  ).  I  due 
pensieri  battagliano,  e  in  fine  la  nuova  venuta  ha  il  so- 
pravvento e  scaccia  1'  altra,  perchè  (  2,  2,  32  )  1'  uno  pen- 
siero 'era  soccorso  dalla  parte  [della  vista]  dinanzi  conti- 
nuamente, e  r  altro  dalla  parte  della  memoria  di  dietro. 
E  '1  soccorso  dinanzi  ciascuno  di  crescea,  che  far  non  po- 
tea  l'altro  '.  Vinse  la  nuova  donna  e  scacciò  1'  altra,  per- 
chè (  2,  9,  30  )  le  intelligenze  del  cielo  di  Venere  1'  amore 
'  trasmutano  di  quella  parte  eh'  è  fuori  di  loro  podestà, 
in  quella  che  v'  è  dentro  ;  cioè  dall'  anima  partita  d'  està 
vita,  in  quella  eh'  è  in  essa  '.  Loda  il  poeta  altamente  la 
nuova  donna,  ma  (  2,  16,  76  )  *  non  è  maraviglia  se  là 
dice  sì,  e  qui  dice  no,  se  ben  si  guarda  chi  discende  e  chi 
sale  '.  Non  si  conchiude  dunque  un  trattato  di  pace  dove 
sia  riconosciuto  il  vassallaggio,  o,  come  dice  lo  Scarano, 
la  '  subordinazione  '  della  povera  vinta.  Di  Beatrice,  dopo 
la  sconfitta,  il  poeta  non  intende  più  nel  Concicio  par- 
lare ;  e  la  nuova  donna,  dal  terzo  trattato,  non  litiga  più 
con  nessuno  ;  soltanto  si  accenna  due  volte,  in  fine  del 
terzo  trattato  e  in  principio  del  quarto,  a  un  disaccordo 
col  poeta  stesso.  Certo  la  fede,  la  chiesa,  il  domma,  ben- 
ché conservino   rispetto   alle  dottrine   filosofiche   autorità 


sUito  adunque  questo  :  prima,  aol  Coinirio,  adonestare  la  donna  gen- 
tile della  Vita  nuora,  identificandola  con  la  sapienza,  e  far  litigare 
la  sapienza  con  la  memoria  della  cara  defunta  ;  poi,  nella  Commedia, 
identificare  la  sfipienza  con  la  sua  antica  a^'versaria.  Beatrice  :  e 
sconfessare  il  primo  adonestamento.  Insomma  le  due  amanti  della 
Vita  nuova  con  vece  alternji  venivano  identificate  con  la  sapienza  : 
la  quale,  come  le  Compagnie  di  ventura,  quando  prestitva  i  suoi 
servigi  air  una,  combattea  contro  1'  altra  :  nel  Concicio.  militando  per 
la  donna  gentile,  si  trova  di  fronte  a  Beatrice  :  nella  Commedia,  mi- 
litando per  Beatrice^  si  trova  di  contro  la  donna  gentile. 


48  />'  episodio  della  donna  gentile 

maggiore,  occorrono  tuttavia  nel  Convivio  come  ancelle 
della  ragione,  o  per  meglio  dire,  come  suggello  delle  spe- 
culazioni dei  filosofi.  Avviene  a  chi  legge  come  a  colui  che, 
dopo  di  essere  stato  persuaso  con  buone  ragioni,  riceva  uno 
scapaccione  che,  più  potente  d'  ogni  ragionamento,  gli  fac- 
cia andar  via,  se  mai  gli  venisse,  il  ticchio  di  dubitare 
e  di  ribattere  (').  E  si  potrebbe  forse  supporre  che  nelle 
figurazioni  del  poeta  si  rispecchi  del  periodo  della  Scola- 
stica la  lotta  tra  la  ragione  e  la  fede,  e  il  tentativo  di  con- 
ciliar fede  e  ragione,  e  1'  altalena  della  ragione  ancella  della 
fede  e  della  fede  ancella  della  ragione  ;  ovvero  forse  1'  an- 
tagonismo tra  1'  ordine  dei  predicatori  che  avea  eletto  la 
scienza,  e  1'  ordine  dei  minori  che  avea  eletto  la  carità  ; 
tra  la  corrente   aristotelica   e   la   mistica  (^).  Sicché,  se  lo 


(1)  Con  filosofiche  ragioni  anzitutto,  il  poeta  dimostra  per  es. 
r  immortalità  dell'  anima  e  1'  esistenza  e  la  natura  degli  angeli  (  cfr. 
2,  9,  55  ;  5,  11  ). 

(2)  Certo  la  Scolastica  nelle  scuole  dei  religiosi  e  nelle  dispu- 
tazioni  dei  filosofanti,  dovea  ben  presto  infastidire  il  mistico  amante 
di  Beatrice  ;  cfr.  Par.  29,  82  -  96.  Un  bel  quadretto  di  quel  dispu- 
tare dà  r  Ozanam,  D.  et  la  phil.  89  ;  cfr.  anche  Tocco,  Le  correnti 
del  pensiero  filosofico  nel  s.  XIII,  nella  raccolta  Arte,  Scienza  e  Fede 
ai  giorni  di  D.  Milano  1901  :  pp.  194,  200.  Per  le  relazioni  tra  Dante 
e  8.  Bonaventura,  vd.  lo  studio  del  Di  Bisogno,  S.  Bonaventura  e  D. 
Milano  1899  ;  e  su  La  letteratura  mistica,  la  bella  conferenza  del  Nen- 
cloni,  nella  raccolta  La  vita  italiana  nel  trecento,  Milano  1897.  Non 
mi  nascondo  tuttavia  le  gravi  obbiezioni  che  si  potranno  fare  a  co- 
desta mia  ipotesi.  Il  poeta  nella  Commedia  non  professa  dottrine  mi- 
stiche, ma  tomistiche  :  vd.  il  citato  studio  del  Tocco,  p.  195  ss.  Acute 
mi  sembrano  a  ogni  modo  le  osservazioni  del  Perez  (  Beatrice,  252  ss  ) 
sul  misticismo  di  Dante.  'Anche  il  Kraus  (scrive  il  Di  Bisogno,  p.  22) 
recentemente  potè  dire  che,  sebbene  sti-ettissima  relazione  interceda 
tra  la  Somma  di  S.  Tommaso  e  Dante,  per  quel  eh'  è  dottrina  teologi- 
ca e  filosofica,  maggiori,  per  ciò  che  s'attiene  alla  disposizione  gene- 
ralo del  poema  dantesco,  alla  struttura  de'  tre  l'ogni,  all'  allegoria, 
sono  forse  le  relazioni  con  Bonaventura  '  (  Kraus,  Dante,  p.  438  ). 


IJ  altalena  nelle  figurazioni  del  poeta  4!» 

Scarano  volesse  dir  questo,  che  certo  non  vuol  dire,  po- 
tremmo anche  ammettere  che  dal  terzo  trattato  e'  è  tra  le 
due  donne  pace,  e  sia  pure,  sotto  un  certo  rispetto,  '  su- 
bordinazione', ma  temporanea,  di  Beatrice.  Ma  codesto  non 
potrebbe  maravigliare  alcuno,  né  alcuno  potrebbe  per  ciò 
solo  proclamare  in  modo  assoluto  la  superiorità  della  don- 
na del  Convicio.  Ben  sarebbe  da  stupire  e  del  contrasto 
e  della  subordinazione,  se  Beatrice,  come  vuole  lo  Scarano, 
fosse  simbolo  della  libertà.  *  L'  anime  libere  dalle  misere  e 
vili  dilettazioni,  e  dalli  volgari  costumi  '  s' innamorano 
della  filosofia,  dice  il  poeta  (  Conc.  2,  16,  65  )  ;  or  come  la 
filosofia  sarebbe  mai  contraria  e  avversa  alla  libertà?  or  co- 
me la  libertà  si  sottomette  e  fa  pace  con  la  filosofia  ?  or 
come  il  poeta  lascerebbe  stare  la  filosofia  e  tornerebbe  alla 
libertà?  Lo  Scarano,  cosi  cauto  e  misurato  in  tutti  i  suoi 
saggi  letterari,  questa  volta  pare  invero  che  si  sia  lasciato 
un  po'  sedurre  dal  miraggio  di  codesto  nuovo  svelamento 
della  Beatrice.  Ebbe  certo  vaghezza  di  lanciare  sul  mercato 
dantesco,  codesto  nuovo  titolo,  piìi  lusingato  dalla  novità 
della  sua  originale  trovata,  che  persuaso  del  valore  dell'  i- 
nopinato  rinvenimento.  Al  quale  egli  è  venuto  per  via  d' e- 
liminazione  :  Beatrice  non  è  figura  di  tal  cosa,  perchè  tal 
cosa  ha  il  suo  rappresentante  nella  Commedia.  Sarebbe,  a- 
vrà  pensato  l'  amico  mio,  sarebbe  come  un  voler  dare  due 
deputati  ad  uno  stesso  collegio  elettorale.  Sennonché,  la- 
sciando stare  che  potrebbe  trattarsi  di  elezioni  a  scrutinio 
di  lista,  chi  ci  assicura  della  giusta  assegnazione  del  pro- 
prio collegio  elettorale  a  ciascun  rappresentante  ?  Né  quel 
che  lo  Scarano  dice  di  Lia  e  Matelda  mi  persuade,  perché 
i  sogni  del  Purgatorio  sono  vere  prefigurazioni  ;  né  vedo 
perchè  la  Libertà  debba  andare  a  sedere  '  con  1'  antica  Ra- 
chele '.  Catone  poi  rappresenterebbe  '  il  desiderio  della  li- 
bertà ',  rappresentata  da  Beatrice.  E  qui  si  potrebbe  vedere 
il  caso  del  candidato  bocciato,  rimasto  col  desiderio  di  rap- 


50  V  eimodio  della  donna  gentile 

presentare  il  suo  collegio,  e  del  candidato  eletto,  che  rap- 
presenta veramente  il  collegio  disputato.  Ma  si  avrebbe  in 
fondo  quel  che  appunto  si  vuole  evitare,  si  avrebbe  un 
vero  doppione  della  Libertà.  Comunque,  non  è  da  confon- 
dere r  ipotesi,  sotto  un  certo  rispetto,  seducente,  dello  Sca- 
rano,  con  le  (chiamiamole  pure  supposizioni  di  Virg.  Rossi 
(  Della  libertà  nella  nuova  lirica  toscana  del  1300,  Bologna 
1886:  vd.  Giorn.  stor.  9,  311  s  ).  Tuttavia,  anche  lo  Sca- 
rano  dà  un  po'  di  vernice  politica  alla  sua  figura  della 
'  libertà  santa  '.  Egli  accenna  (  pp.  35  -  37,  62  -  65  )  alla 
coincidenza  di  rivolgimenti  politici  con  1'  anno  della  na- 
scita e  con  r  anno  della  morte  di  Beatrice  ;  e  parlando 
della  canzone  Donne  cK  avete,  e  cercando  '  perchè  mai,  per 
parlare  di  libertà.  Dante  si  rivolge  alle  donne  ',  pensa  pure 
che  il  poeta  in  ciò  *  dimostra  quale  alto  concetto  egli  avesse 
della  missione  della  donna  e  dell'  efficacia,  nella  vita  civile, 
della  educazione  morale  impartita  da  essa  ('). 

Ma  lasciamo  andare.  Certo  dovrebbe  parer  quasi  na- 
turale che  il  poeta  nelle  sue  figurazioni  sia  costretto  a  dire 
e  a  disdire.  Né  questa  è  una  supposizione  gratuita,  per 
sanare  le  pretese  contradizioni  tra  la  Vita  nuova  e  il  Con- 
vivio. In  quella  piccola  parte  che  abbiamo  dell'  opera  tem- 
perata e  virile,  si  vede  già  come  il  poeta  dica  e  disdica  e 
non  si  contradica.  Nel  tesser  le  lodi  della  nuova  donna, 
si  scusa  egli  d'  averla  chiamata  in    una  ballatetta  '  orgo- 


(1)  Conv.  3,  7,  125  '  Dico  che  qiial  Donna  gentile  non  crede  quello 
eh'  io  dico,  che  vada  con  lei,  e  miri  gli  suoi  atti  ;  non  dico  qual  nomo, 
perocché  più  onestamente  per  le  donne  si  prende  sperienza,  che  per 
r  uomo  '.  Del  resto,  probabilmente  il  poeta  parlava  a  donne  gentili, 
quasi  per  vezzo  letterario  ;  perchè  (  VN.  25,  31  )  *  il  primo  che  co- 
minciò a  dire  sì  come  poeta  volgare,  si  mosse  però  che  volle  fare 
intendere  le  sue  parole  a  donna,  a  la  quale  era  malagevole  d' in- 
tendere li  versi  latini  '.  Non  diversa  intenzione  ebbe  forse  il  Caval- 
canti quando  cominciava  quella  sua  astrusa  canzono  filosofica  sulla 


//  poeta  dice  e  disdice  e  non  si  contradice  51 


gliosa  e  dispietata"  [^'ó,  i>,  Òj  i  '  >  Dal  principio  essa  fi- 
losofia parea  a  me,  dice  il  poeta  (  3,  15,  203  ),  quanto  dalla 
parte  del  suo  corpo  (  cioè  sapienza  ),  fiera,  che  non  mi  ri- 
dea,  in  quanto  le  sue  persuasioni  ancora  non  intendea  ;  e 
disdegnosa^  che  non  mi  volgea  gli  occhi,  cioè  eh'  io  non 
potea  vedere  le  sue  dimostrazioni.  E  di  tutto  questo  il  di- 
fetto era  dal  mio  lato  '.  Fiera  e  disdegnosa,  orgogliosa  e 
dispietata  e  superba,  quella  filosofia  che  è  '  donna  piena  di 
dolcezza  ',  '  saggia  e  pietosa  e  cortese  '  !  Ma  ecco,  subito 
dopo  la  palinodia,  in  principio  del  quarto  trattato  il  poeta 
torna  a  dire  che  la  sua  donna  gli   si   mostrava   un'  altra 


natura  d'  amoro,  col  diro  che  scrivova  pregato  da  una  donna.  E  creilo 
volesse  anche  quasi  scusarsi  di  trattar  si  alta  materia  in  versi  vol- 
gari ;  corto  non  parlava  per  essere  inteso  da  una  donna  :  né  pare 
d'  altra  parte  che  con  quel  suo  '  Donna  mi  prega  '  volesse  alludere 
a  tutte  le  stravaganze  che  vi  hanno  scorto  i  commontatori.  Anche 
Francesco  tbi  Bjirberino  (  Del  reggimento  e  de'  costumi  delle  donne. 
Roma  1815  :  p.  0-7  )  scriveva  in  •  volgar  Toscano  '  per  far  piacerò 
ad  una  donna  :  tuttavia  egli  in  una  sua  •  cinzone  oscura  *  sulLi  na- 
tura d'amore  (  Docamenfi  d"  amore,  Roma  1640:  p.  363),  non  parla 
a  donne,  ma  ad  uomini  :  *  Dico  signori  a  voi  saggi  e  coperti  ;  Però 
che  ra'  intendete.  Voi  donne  poche  sete,  A  cui  omai  la  mente  a- 
v  risse  amore,  Ch'  avete  perduto  di  sangue  e  d'  onore  '.  A  donne 
però  si  volge  per  avere  o  dar  notizia  della  sua  strana  donna  alle- 
gorica (  Begg.  76  e  83  ).  Comunque,  nella  Vi/a  nuora  il  poeta  si  trova 
spesso  in  mezzo  a  '  donne  '.  e  parla  quasi  sempre  di  '  donne  ',  o  a 
•  donne  *  ;  e  bisognerebbe  un  po'  vedere  se  costoro  erano  '  le  sfaccia- 
te donne  Fiorentine  *  che  andiivan  "  mostrando  con  le  poppe  il  petto  '. 
come  dice  Forese  (  Pnrg.  23,  101  )  ;  o,  come  dice  Francesco  da  Buti 
(  Commento  sopra  la  DC.  Pisi»  18.58-1862:  2.  561  ),  che  '  al  tempo  de 
r  autore andavano  tiuito  sgolate  e  scollate  li  panni,  che  mostrava- 
no di  rieto  lo  canale  de  le  rene,  e  d' inanti  lo  petto  e  lo  fesso  del 
ditello:  ma  laudato  sia  Iddio,  esclama  il  buon  uomo,  che  ora  porta- 
no li  collaretti,  sicché  sono  uscito  di  quella  abominazione  '. 

iM  Si  crede  generalmente  che  codesta  'ballatetta"  sia  quella 
che  comincia:  *  Voi  che  sapete  ragionar  dì  amore  '  :  cfr.  Carducci.  Op. 
8.  78  :  Bartoli.  St.  4.  253  :  Gaspary.  St.  1,  219. 


52  L'episodio  della  dmma  gentile 

volta  'fiera  e  disdegnosa':  (4,  1,  GO  )  'E,  conciofosseco- 
saché questa  mia  Donna  un  poco  li  suoi  dolci  sembianti 
trasmutasse  a  me  (  massimamente  in  quelle  parti  ove  io 
mirava  e  cercava  se  la  prima  materia  degli  elementi  era 
da  Dio  intesa  ),  per  la  qual  cosa  un  poco  da  frequentare 
lo  suo  aspetto  mi  sostenni  '  (').  S'  allontanò  adunque  in- 
grognato da  questa  sua  nuova  beatitudine,  da  questo  suo 
nuovo  amore,  perchè  non  era  stato  contentato  nel  suo  de- 
siderio. Ma  nella  lode  della  filosofia  si  legge  :  (3,  15,  9  ) 
*  nella  faccia  di  costei  appaiono  cose  che  mostrano  de'  pia- 
ceri di  Paradiso  ',  cioè  '  quel  piacere  altissimo  di  beatitu- 
dine, il  qual  è  massimo  bene  in  Paradiso  ...  E  la  ragione 


(1)  Non  paro  che  in  codesto  dubbio  di  Dante  vi  sia  ribellione 
alla  fede  ;  vd.  Cipolla,  Sigieri  in  Giorn.  stor.  8,  83  ss  :  e  Scrocca, 
//  pece.  33  8.  Tuttavia,  se  il  poeta  non  poneva  in  dubbio  che  la  prima 
materia  degli  elementi  era  stata  da  Dio  creata  o  tratta  dal  nulla, 
ma  '  titubava,  pensando  come  mai  la  materia  prima  che  non  ha  forma, 
può  in  alcuna  maniera  rientrare  nella  species  intelligibilis,  per  cui 
Dio  stesso  conosce  ',  come  vuole  il  Cipolla  ;  ovvero  investigava  se  la 
prima  materia  era  stata  croata  '  secondo  un  tipo  od  esempio  ',  come 
vuole  lo  Scrocca  ;  da  codesta  ricerca  ben  poteva  in  ben  altri  dubbi 
sdrucciolare,  non  trovando  ragionevole  risposta  al  suo  quesito.  '  Il 
modo  con  cui  parla,  osserva  il  Cipolla,  fa  vedere  che  egli  vuol  farci 
sapere  soltiinto  d'  essersi  trovato  avvolto  in  difficoltà  puramente  fi- 
losofiche ;  e  nulla  più  '.  Ma  le  '  difficoltà  filosofiche  '  intorno  a  Dio 
ed  alla  prima  materia,  spianano  bene  la  via  al  dubbio  ed  all'  errore. 
ISTon  si  deve  dimenticare  che  furono  condannate  anche  alcune  pro- 
posizioni dello  stesso  s.  Tommaso  ;  e  che  proprio  Dante  fa  dire  di 
sé  a  Virgilio  :  (  Piirg.  1.  58  )  '  Questi  non  vide  mai  V  ultima  sera. 
Ma  per  la  sua  follia  le  fu  sì  presso,  Che  molto  poco  tempo  a  vol- 
ger era  '.  E  codesta  '  follia  '  mi  richiama  1'  attributo  di  '  matto  '.  dato 
puro  ài\  Virgilio  (  Pnrg.  3.  34  )  a  chi  spera  di  poter  con  la  ragione 
intendere  certe  cose  ;  e  il  '  folle  volo  '  di  Ulisse  (  cfr.  P.  Cesareo, 
L'  evoluzione  sferica  del  carattere  di  Ulisse,  recensione  in  Bull.  ns. 
8,  256;  e  Chiappelli,  Lectura  Dantis:  il  Canto  XXVI  dell'  Inferno, 
Firenze  1901). 


La  beatitudine  e  il  desiderio  oB 


è  questa,  che,  conciossiacosaché  ciascuna  cosa  disia  natu- 
ralmente la  sua  perfezione,  senza  quella  esser  non  può  con- 
tenta, che  è  esser  beato  ;  che  quantunque  l' altre  cose  avesse, 
senza  questa  rimarrebbe  in  lui  desiderio,  in  quale  [il  quale] 
esser  non  può  colla  beatitudine,  acciocché  la  beatitudine, 
sia  cosa  perfetta  e  '1  desiderio  sia  cosa  difettiva  ;  che  nullo 
desidera  quello  che  ha,  ma  quello  che  non  ha,  eh'  è  ma- 
nifesto difetto  (^).  E  in  questo  sguardo  solamente  la  umana 
perfezione  s'  acquista,  cioè  la  perfezione  della  ragione,  dalla 
quale,  siccome  da  principalissima  part€,  tutta  la  nostra  es- 
senza dipende  . . .  Sicché,  perfetta  che  sia  questa,  perfetta 
é  quella  tanto,  che  1'  uomo,  in  quanto  elio  è  uomo,  vede 
terminato  ogni  suo  desiderio,  e  cosi  é  beato  .  .  .  Veramente 
può  qui  alcuno  forte  dubitare,  come  ciò  sia  che  la  Sapienza 
possa  fare  1'  uomo  beato,  non  potendo  a  lui  certe  cose  mo- 
strare perfettamente  ...  A  ciò  si  può  chiaramente  rispon- 
dere, che  '1  desiderio  naturale  in  ciascuna  cosa  è  misu- 
rato secondo  la  possibilità  della  cosa  desiderata  . .  .  Onde^ 
conciossiacosaché  conoscere  di  Dio,  e  dire  di  certe  cose, 
quello  e  '  sono  [conoscere  Dio  e  certe  altre  cose,  come  1'  e- 
ternità  e  la  prima  materia],  non  sia  possibile  alla  nostra 
natura,  quello  da  noi  naturalmente  non  é  desiderato  di  sa- 
pere, e  per  questo  è  la  dubitazione  soluta  '  (  cfr.  4, 12, 117  ; 
13,  63)(-).  Ma  rampolla  a  pie  del  vero  il  dubbio;  né  pa- 


(M  Della  Lana  (  Commedia  di  Dante  degli  Allagherii  col  com- 
mento di  J.  d.  L.,  Bologna  1866:  3,  9):  'Dice  lo  Filosofo  in  terzo 
De  Anima:  Homo  non  est  perfeote  boatus  quandiu  restat  sibi  ali- 
quid  dosiderandum  '. 

(i)  Lo  Scherillo  (  Ale.  cap.  310  s  ),  esaminando  il  brano  del  CoU' 
ri  rio.  argutamente  osserva  :  '  Il  dubbio  non  isgomenta  Dante  :  anzi 
ei  lo  risolve  con  sofismi  in  buona  fede,  poiché  egli  è  innamorato 
della  Filosofia,  e  non  sa  e  non  vuol  vedere  le  imperfezioni  dell"  a- 
mata.  «  Il  desiderio  naturale  ».  afferma,  «  in  ciascuna  cosa  è  misu- 
rato secondo  la  possibilità  deUa  cosa  desiderata  ->  :  altrimenti.  «  desi- 

7 


54  TJ  episodio  della  donna  gentile 

re  che  durante  gli  amori  con  la  nuova  donna,  nelle  scuole 
dei  religiosi,  alle  disputazioni  dei  filosofanti,  il  poeta  avesse 
vaghezza  di  dissetarsi  dell'  acqua  della  femminetta  Sama- 
ritana. Come  abbiamo  veduto,  egli  racconta  eh'  ei  '  mirava 
e  cercava  se  la  prima  materia  degli  elementi  era  da  Dio 
intesa  ',  e  che  la  sua  donna  si  mostrava  in  ciò  fiera  e  di- 
sdegnosa, e  eh'  egli  perciò  s'  astenne  dal  frequentare  il  suo 
aspetto  ;  dunque  si  può  conchiudere,  che  se  prima  gli  parve 
beatitudine,  infine  dovette  parergli  cosa  difettiva  e  imper- 
fetta, e  che  non  è  vero  che  1'  uomo  non  desidera  di  sapere 
quello  che  non  è  possibile  alla  sua  natura  (');  e  che  non 
è  vero  neppure  che  (  1 ,  1 ,  7  )  'la  scienza  è  1'  ultima  per- 
fezione della  nostra  anima,  nella  quale  sta  la  nostra  ultima 
felicità  '.  Poteva  il  poeta,  col  ripetersi  degli  atti  fieri  e  di- 
sdegnosi della  nuova  sua  donna,  pensare  che  la  nostra  fe- 
licità e  la  perfezione  della  nostra  anima  non  è  nella  scienza 
che  conduce  a  dubbi  tormentosi,  ma  nella  fede  e  nell'  a- 
more  ;  poteva  egli  nell'  ardenza  della  '  sete  naturai  che  mai 
non  sazia  ',  non  trovar  quella  '  pace  '  eh'  ei  vedeva  nella 
dottrina  di  Cristo  (  cfr.  Conv.  2,  15,  171)  f^). 


derando  la  sua  perfezione,  desidererebbe  la  sua  imperfezione,  impe- 
rocché desidererebbe  sé  sempre  desiderare  e  non  compiere  mai  suo 
desiderio  ».  Quasi  che  non  fosse  proprio  codesta  «  sete  naturai  che 
mai  non  sazia  »  (  Pnrg.  XXI.  1  )  il  tormento  della  umana  ragione  ; 
e  questa  non  fosse  per  1'  appunto  così  irragionevole  e  nemica  di  sé 
stessa  quale  Dante  non  la  vorrebbe  !  '  Le  belle  parole  dello  Sche- 
rillo  mi  farebbero  quasi  venir  la  fantasia  di  spiegare  che  codesto 
appetito  insaziabile,  codesta  ragione  irragionevole  e  nemica  di  sé 
stessa,  sia  proprio  F  avversario  della  ragione  della    Vita  nuora. 

(9  Purg.  3,  40  '  E  disiar  vedeste  senza  frutto  Tai,  che  sarebbe 
lor  disio  quotato  Ch'  eternalmente  è  dato  lor  per  lutto.  Io  dico  d'  A- 
ristotele  e  di  Plato     E  di  molt'  altri  '.  Vd.  il  Commento  del  Buti,  2, 63. 

(2)  Certo  non  é  il  caso  d' insistere,  che  non  si  ha  prova  alcuna, 
sulla  pretesa  incredulitc'*^  di  Dante  ;  vd.  Bartoli,  St.  6,  1%  19  ss  :  Barbi 
in  Giorn.  stor.  13,  37  ss;  Cohigronso,  Stiidj  di  lett.ital.  YoroniilS92: 


Tm  filosofìa  del  Conc.  55 

Sennonché,  osserva  lo  Scarano  :  '  Nel  Convito  la  Fi- 
losofia ci  si  offre  sotto  un  triplice  aspetto  :  nel  primo  aspetto 
è  la  filosofia  di  Dio,  nel  secondo  la  filosofìa  degli  angeli  o 
beati,  nel  terzo  la  filosofia  degli  uomini.  Questa  viene  ad 
essere  così  una  filosofia  di  terzo  ed  infimo  grado.  Ora  Dante, 
scrivendo  la  Vita  Nuova,  è  possibile  che  nel  concetto  della 
filosofia  non  solo  non  andasse  oltre  la  filosofia  umana,  ma 
non  vedesse  tra  essa  filosofia  umana  e  la  felicità  del  cielo 
nessun  rapporto  o  legame,  e  che  considerasse  quale  scopo 
precipuo  della  filosofia  la  sola  felicità  della  terra  la  quale 
derivi  dall'  esercizio  delle  virtìi  cardinali  e  dall'  uso  del- 
l' intelletto  nella  ricerca  del  vero.  Beatrice  aveva  levata 
alta  da  terra  1'  anima  del  poeta  e  1'  aveva  rivolta  ai  beni 
celesti  ;  la  filosofia,  mostrandogli  invece  la  felicità  nella 
vita  attiva  e  nello  studio  o  nella  indagine  di  quelle  verità 
a  cui  r  intelletto  può  giungere,  potè  parergli  che  lo  tirasse 
ai  beni  terreni  e  gli  facesse  porre  in  secondo  luogo  o  tra- 
scurare addirittura  i  beni  di  lassù  '.  Ma  io  credo  che  la 
filosofia  del  Conncio  sia  proprio  codesta  filosofia  di  terzo 


p.  15  88.  Si  tratterebbe  invccf  ili  lui  certo  investigar  troppo  filoso- 
fi camentc  corte  questioni  che  è  meglio  non  toccar  con  la  ragione, 
di  un  certo  sjiper  prosuntuoso.  ili  un  certo  *  malvagio  desiderio  ',  se- 
condo r  espressione  della  Vita  nuora.  E  codesto  sarebbe  il  secondo 
amore  ripudiato  e  condannato,  per  figura.  Era  stato  un  seguire  una 
scuola,  un  indirizzo,  che  mal  poteva  seguire  la  parola  di  Bejitrice. 
e  che  conduceva  evidentemente  ad  uno  strsvniamento  da  lei  (  Piirg. 
33,  82-99  ;  Buti.  2,  820  s  ).  Quel  citar  che  si  fa  brani  del  Convivio, 
per  dimostrar  che  1'  opera  temperata  e  virilo  nulla  ha  che  contra- 
dica alla  Beatrice  teologale,  non  dovrebbe  poi  provar  nulla  ;  giac- 
ché il  poeta  non  rappresenta  nel  Convirio,  come  attuale  codesto  suo 
secondo  amor  filosofico,  conducente  o  no  al  dubbio  ed  all'  errore  ; 
anzi  dalle  suo  figurazioni  vediamo  eh'  egli  era  allora  già  tornato  a 
Beatrice.  Insomma,  se  si  guardasse  un  po'  la  cosa  dal  lato  poetico, 
io  credo  che  molto  difficoltà  sitrebbero  appianate  ;  né  con  questo  si 
verrebbe  a  negiu-e  un  certo  intonto  autobiografico. 


56  L'episodio  della  donna  gentile 

ed  infimo  grado  ;  la  quale  non  solo  allontanò  il  poeta  dalle 
mistiche  contemplazioni  della  sua  adolescenza,  ma  lo  so- 
spinse nella  vita  politica  ed  in  quelle  inacidite  contenzioni 
che  doveano  fruttargli  1'  esilio.  '  Fatto  amico  di  questa  Don- 
na ...  ,  cominciai,  egli  dice  (  Conv.  4,  1,  18),  ad  amare  e 
a  odiare  secondo  1'  amore  e  1'  odio  suo.  Cominciai  dunque 
ad  amare  li  seguitatori  della  verità,  e  odiare  li  seguitatori 
dello  errore  e  della  falsità,  com'  ella  face  ...  Io  lei  segui- 
tando nell'opera,  siccome  nella  passione,  quanto  potea,  gli 
errori  della  gente  abbominava  e  dispregiava,  non  per  in- 
famia 0  vituperio  degli  erranti,  ma  degli  errori  ;  li  quali, 
biasimando,  credea  fare  dispiacere,  e  dispiaciuti,  partire  da 
coloro  che  per  essi  eran  da  me  odiati  '.  Ecco  che  la  nuova 
donna  lo  portava  all'  odio  ;  e  d'  odio  non  gli  sarebbe  mai 
mancata  materia  ;  •  perversi  difficile  corriguntur,  dice  1'  Ec- 
clesiaste, et  stultorum  infinitus  est  numera s  '.  Ma  odio  non 
ispirava  Beatrice:  (  VN.  11,  1  )  '  Dico  che  quand'  ella  ap- 
paria  da  alcuna  parte,  per  la  speranza  de  la  mirabile  sa- 
lute neun  nemico  mi  rimanea,  anzi  mi  giugnea  una  fiamma 
di  caritade,  la  quale  mi  facea  perdonare  a  chiunque  m'  a- 
vesse  offeso  :  e  chi  allora  m'  avesse  domandato  di  cosa  al- 
cuna, la  mia  risponsione  sarebbe  stata  solamente  :  «  Amo- 
re » ,  con  viso  vestito  d'  umiltà  '.  Umiltà  e  amore  ispirava  la 
gentilissima  donna  ;  né  amore  né  umiltà  la  donna  gentile. 
Né  io  invero  riesco  a  capire  che  cosa  intende  lo  Sca- 
rano  con  le  parole  '  filosofia  di  Dio  e  filosofia  degli  angeli 
o  beati  '.  Filosofia  é  *  amoroso  uso  di  sapienza  ',  il  quale 
é  in  Dio  e  negli  angeli  e  negli  uomini  ;  ma  con  ciò  non 
si  ha  che  la  donna  del  Convivio  sia  trifronte.  La  filosofia 
del  Convivio  é  in  fin  dei  conti  la  filosofia  di  Dante.  E  se, 
come  dice  lo  Scarano,  il  poeta  '  con  la  sua  andata  in  pa- 
radiso pretende  di  aver  udito  il  filosofare  dei  beati,  il  che 
equivale  alla  pretesa  di  aver  lui  filosofato  alla  maniera  dei 
beati  '  ;  non  si  può  certo  pensare  che  Dante  sognasse  mai 


La  filosofia  e  ìa  teologia  57 

di  possedere  la  sapienza  di  Dio  e  degli  angeli,  di  filoso- 
fare alla  maniera  degli  angeli  e  di  Dio.  Contempla  bensì 
nel  suo  mistico  viaggio  il  regno  dei  beati,  e  dice  di  aver 
udito  il  ragionar  dei  beati  ;  ma  guidato  dalla  fede  e  dal- 
l' amore,  non  dalla  ragione,  ma  dopo  di  esser  tornato  a 
Beatrice;  alla  quale,  è  pur  cosa  notevole,  non  lo  guida  il 
maestro  e  duca  del  Conciaio.  Ma  forse  lo  Scarano  vorrebbe 
che  la  '  filosofia  di  Dio  '  sia  *  la  scienza  divina,  che  è  Teo- 
logia appellata  '  (  Conv.  2.  14,  64  ).  Sennonché,  la  teologia 
è  la  scienza  che  i  fedeli  hanno  delle  cose  divine,  non  è  la 
sapienza  che  Iddio  perfettissima  vede  in  sé  e  con  la  quale 
ordinò  il  mondo.  Né  pare,  d' altra  parte,  che  il  poeta  nel 
concetto  di  filosofia  vi  facesse  entrar  la  teologia  ;  comechè 
allora  non  vi  fosse  dottrina  filosofica  che  non  desse  una 
capatina  nel  ben  chiuso  campo  della  teologia.  Si  legge  nel 
Convivio  (3,  11,  172  )  :  '  Per  lunga  consuetudine  le  Scienze, 
nelle  quali  più  ferventemente  la  filoso- 
fia termina  la  sua  vista,  sono  chiamate  per  lo  suo 
nome,*  siccome  la  Scienza  naturale,  la  Morale 
e  la  Metafisica;  la  quale,  perchè  più  necessariamente 
in  quella  termina  lo  suo  viso  e  con  più  fervore, 
[prima]  Filosofia  è  chiamata  '.  E  la  metafisica,  con  la  quale 
talvolta  si  confuse  la  teologia,  è  comparata  al  cielo  stel- 
lato, e  la  teologia  è  comparata  al  cielo  empireo.  Si  é  fatta 
quasi  sempre  distinzione  tra  filosofia  e  teologia,  tra  la  scien- 
za propriamente  detta  e  la  fede,  che  è  di  verità  rivelate  ; 
né  pare  che  il  poeta  togliesse  via  nel  Convino  la  distin- 
zione e  quel  dualismo  che  anche  nella  Commedia  si  può 
vedere  e  ).  La  scienza  è  'perfetta  ragione  di   certe   cose' 


(M  Aldini  invero  confondono  la  metafìsica  con  la  teolosria.  Il 
Postillatore  Cassinese  (//  codice  cassinese  della  DC.  Monte  Cassino 
1865  ),  nelle  chiose  sincrone  { Inf.  2,  43  )  dice  appunto  che  tre  sono 
le  parti  della  filosofìa,  '  scilicet  naturalem.  miithcmatieam  et  theolo- 


58  V episodio  della  donna  gentile 


(  Conv.  4,  12,  128  )  ;  e  gli  occhi  della  filosofia  '  sono  le  sue 
dimostrazioni,  le  quali  dritte  negli  occhi  dello  in- 
telletto innamorano  1'  anima,  libera  nelle  condizioni.  Oh 
dolcissimi  ed  ineffabili  sembianti,  esclama  il  poeta  (2,  16, 
27  ),  e  rubatori  subitani  della  mente  umana,  che  nelle 
dimostrazioni  [cioè]  negli  occhi  della  filosofia  ap- 
parite, quando  essa  alli  suoi  drudi  ragiona  !  Veramente 
in  voi  è  la  salute,  per  la  quale  si  fa  beato  chi  vi  guarda, 
e  salvo  dalla  morte  della  ignoranza  e  delli  vizi'. 
E  codesta  donna,  giova  ripeterlo,  è  perfettissima  e  ci  ren- 
de beati,  quando  non  desideriamo  saper  certe  cose  ;  quan- 
do siamo  discreti  e  non  le  chiediamo  più  di  quanto  ella 
può  darci. 

E  un  ben  cospicuo  esempio  poteva  consigliare  al  poeta 
queir  altalena  delle  due  donne,  e  quelle  apparenti  discor- 
danze tra  il  Convicio  e  la   Vita  nuova,  ed  anche  tra  il  Con- 


gicara '.  Ma  Pietro  di  Dante  (Pet/i  Allegherii  super  Dantis  ipsius 
genitoris  Comoediam  Commentar iiwi,  Florentiao  1845:  p.  61  ) -ben  di- 
sàngue  la  metafìsica  dalla  teologia,  sebbene  anch' egli  ammetta  che 
'  largo  accipiendo  ',  '  metaphysica  . . .  idem  est  quod  theologia  \  !?f elle 
altre  due  note  redazioni  di  codesto  Commento  però,  la  distinzione 
manca  (  vd.  Rocca,  Ale.  comm.  416  s  ).  Il  Renier  (  VN.  e  F.Q'd)  crede 
che  sor  Brunetto  comprenda  nella  definizione  eh'  oi  dà  della  filoso- 
fia, anche  la  teologia.  Jacopo  di  Dante  (  //  Dottrinale,  38,  43  :  ed. 
Crocioni,  Città  di  Castello  1895:  CoUez.  di  opusc.  dant.  N.  26-28: 
p.  235  )  anch'  egli  distingue  la  teologia  dalla  filosofia  ;  ed  anche  il 
Della  Lana,  1,  122  ;  3,  8.  Francesco  da  Buti  (  1,  68  )  dice  che  '  la 
santa  Teologia ...  è  una  medesima  cosa  con  la  grazia  cooperante  e 
consumante . . .  Solo  amore,  aggiunge,  e  carità  è  quella  che  muove 
la  santa  Teologia,  o-v^^^ero  grazia  cooperante  e  consumante  '.  Alberto 
Magno,  citato  dall' Earle  (  VN.  di  D.5ò),  dice:  "la  Filosofia  è  la  vo- 
ce della  scienza,  ma  la  Teologia  qtiella  dell'  amore  '.  Secondo  1'  Oza- 
nam  (  La  ciiilisation  aii  cinquième  siede,  Paris  1855  :  1,  362  ),  '  la 
théologie  descend  de  la  foi  h  la  raison  et  la  philosophie  remonto  de 
la  raison  à  la  foi  '  ;  e  altrove  (  D.  et  la  p/iil.  77  |  afferma  che  la 
teologia  aveva  alloi-a  emancipato  la  filosofia. 


Le  figurazioni  del  poeta  e  i  libri  di  Salomone  50 


viiio  e  la  Commedia,  che  continua  la  Vita  nuora.  Una  è 
la  colomba  e  la  perfetta  di  Salomone,  la  Sposa  del  Cantico, 
'  la  Scienza  divina,  che  è  Teologia  appellata  ',  '  la  Sposa  e 
Secretaria  santa  Chiesa  '  (  Conc.  2,  15,  175  :  14,  64  ;  6,  33  )  ; 
come  una  è  la  gentilissima  nelle  figurazioni  del  poeta.  Ma 
come  il  poeta,  anche  Salomone  ha  lodi  altissime  per  la  sa- 
pienza ;  e  pei,  vinto  dal  dubbio  e  dallo  sconforto,  dall'  a- 
more  di  codesta  eccelsa  donna  anch'  egli  si  allontana.  Leg- 
geva il  poeta  nel  libro  di  Sapienza,  della  sapienza  :  (  7,  14  ) 
'  Infinitus  enim  thesaurus  est  hominibus:  quo  qui  usi  snnt, 
participes  facti  sunt  amicitiae  Dei ...  ;  (  25  )  Vapor  est 
enim  virtutis  Dei,  et  emanatio  quaedam  est  claritatis  om- 
nipotentis  Dei  sincera  , .  .  ;  (  26  )  Candor  est  enim  lucis  ae- 
ternae  et  speculum  sine  macula  Dei  majestatis,  et  imago 
bonitatis  illius  [cfr.  Conv.  3,  15,  53];  (8,  2  )  Hanc  amavi 
et  exquisivi  a  juventute  mea,  et  quaesivi  sponsam  mihi 
eam  assumere,  et  amator  factus  sum  formae  illius  '.  E  leg- 
geva nel  libro  dei  Proverbi:  (3,  19)  '  Dominus  sapientia 
fundavit  terram  ...  ;  (  8,  22  )  Dominus  possedit  me  [sapien- 
tiam]  in  initio  viarum  suarum,  antequam  quidquam  faceret 
e  principio  .  .  .  [  cfr.  Conv.  3,  14,  62  ;  15,  167  ];  (  31,  28  ) 
Surrexerunt  filii  ejus,  et  beatissimam  praedicaverunt,  vir 
ejus,  et  laudavit  eam'.  Ma  trovava  poi  neW  Ecclesiaste  : 
(  1 ,  13  )  'Et  proposui  in  animo  meo  quaerere  et  investi- 
gare sapienter  de  omnibus,  quae  fiunt  sub  sole.  Hanc  oc- 
cupationem  pessimam  dedit  Deus  filiis  hominum,  ut  occu- 
parentur  in  ea  ;  (  14  )  Vidi  cuncta,  quae  fiunt  sub  sole,  et 
ecce  universa  vanitas  et  afflictio  spiritus  ;  (  15  )  Perversi 
difficile  corriguntur,  et  stultorum  infinitus  est  numerus  ; 
(16)  Locutus  sum  in  corde  meo,  dicens  :  Ecce  magnus  ef- 
fectus  sum,  et  praecessi  omnes  sapientia,  qui  fuerunt  ante 
me  in  Jernsalem  :  et  mens  mea  contemplata  est  multa  sa- 
pienter,  et  didici  ;  (17  ;  Dedique  cor  meum  ut  scirem  pru- 
dentiam  atqne  doctrinam,  erroresque  et  stultitiam  :  et  agno- 


60  L  episodio  della  donna  gentile 

vi  qiiocl  in  his  quoque  esset  labor  et  afflictio  spiritus  ;  (  18  ) 
Eo  quocl  in  multa  sapientia  multa  sit  indignatio  ;  et  qui 
addit  scientiam,  addit  et  dolorem  ;  (  2,  12  )  Transivi  ad  con- 
templandam  sapientiam,  erroresque  et  stultitiam  (  quid  est, 
inquam,  homo,  ut  sequi  possit  regem  Factorem  suum?); 
(  13  )  Et  vidi  quod  tantum  praecederet  sapientia  stultitiam, 
quantum  difFert  lux  a  tenebris  ;  (  14  )  Sapientis  oculi  in 
capite  ejus  ;  stultus  in  tenebris  ambulat  :  et  didici  quod 
unus  utriusque  esset  interitus  ;  (  15  )  Et  dixi  in  corde  meo  : 
Si  unus  et  stulti  et  meus  occasus  erit,  quid  mihi  prodest 
quod  majorem  sapientiae  dedi  operam  ?  Locutusque  cum 
mente  mea,  animadverti  quod  hoc  quoque  esset  vanitas  ; 
(6,  11  )  Verba  sunt  plurima,  multamque  in  disputando  ha- 
bentia  vanitatem  ;  (7,  24  )  Cuncta  tentavi  in  sapientia. 
Dixi  :  Sapiens  efìiciar  :  et  ipsa  longius  recessit  a  me,  (  25  ) 
Multo  magis  quam  erat  :  et  alta  profunditas,  quis  inveniet 
eam  ?  (  26  )  Lustravi  universa  animo  meo,  ut  scirem,  et 
considerarem,  et  quaererem  sapientiam  et  rationem  ;  et  ut 
cognoscerem  impietatem  stulti  et  errorem  imprudentium  ; 
(  27  )  Et  inveni  amariorem  morte  mulierem  ...  ;  (  30  )  So- 
lummodo  hoc  inveni,  quod  fecerit  Deus  hominem  rectum, 
et  ipse  se  infinitis  miscuerit  quaestionibus.  Quis  talis  ut 
sapiens  est?  et  quis  cognovit  solutionem  verbi?  (8,  17) 
Et  intellexi  quod  omnium  operum  Dei  nullam  possit  homo 
invenire  rationem,  eorum  quae  sunt  sub  sole  ;  et  quanto 
plus  laboraverit  ad  quaerendum,  tanto  minus  inveniat  '. 

Né  solo  dalle  pagine  di  quell'  '  alta  mente,  u'  sì  pro- 
fondo Saver  fu  messo,  che,  se  il  vero  è  vero,  A  veder 
tanto  non  surse  il  secondo  '  ;  venivano  al  poeta  ispirazioni 
e  motivi  per  le  sue  figurazioni.  In  tutta  la  letteratura  a- 
scetica  dell'  età  di  mezzo,  non  si  fa  che  battere  e  ribat- 
tere lo  stesso  chiodo.  Dice  s.  Paolo  (  1  ad  Cor.  3,  19  ):  Sa- 
pientia enim  hujus  mundi,  stultitia  est  apud  Deum  ;  (  8,  1  ) 
Scientia  inflat,  charitas  vero  aedificat  '  ;  e  bello  è  di  code- 


La  scienza  e  V  amore  61 


sta  epistola,  il  capitolo  tredicesimo  che  tratta  dell'  amore. 
L'  ascesi  mistica  dei  Padri,  come  la  rima  del  poeta, 

spande 
Luce  d'amor,  cho  gli  angeli  saluta. 

Luce  intellottual  piena  d'amore, 
Amor  di  vero  ben  pien  di  letizia, 
Letizia  che  traiscondo  ogni  dolzore. 

La  ragione  è  bene  un  raggio  divino,  e  per  essa  par- 
tecipiamo della  divinità  ;  ma  è  pure  un  coltello  a  due  tagli. 
La  religione  di  Cristo  non  cercava  dottori  o  sapienti,  ma 
uomini  di  fede  e  d' amore  (').  Una  è  la  colomba  di   Salo- 


(•)  Della  imitazione  di  Cristo  { trad.  di  Antonio  Cesari  ),  1.  1 
•  Qual  prò  ti  fa  di  n»eìonar  coso  alto  della  Trinità,  so  tu  manchi 
doUa  umiltà,  perchè  tu  dispiaci  alla  Trinità  ?  In  verità  i  sublimi  ra- 
(fionamenti  non  fanno  Y  uomo  santo,  né  giusto . . .  Amerei  molto  me- 
\r\\o  di  sentire  la  compunzione,  che  di  saperne  la  definizione.  So  tu 
avessi  a  mente  le  parole  di  tutta  la  Bibbia,  e  le  sentenze  di  tutti 
i  filosofi,  che  ti  gioverebbe  tutto  questo  senza  la  carità,  e  la  grazia 
di  Dio  ? . . .  Ricordati  sovente  di  quel  proverbio  :  che  la  vista  non 
si  siizia  per  vetlere.  né  per  sentire  s' empie  1'  udito.  1,  3  Grande  stol- 
tezza è,  che  noi,  trascurate  le  cose  utili  e  necessarie,  a  bella  posta 
attendiamo  alle  curiose  e  dannose ...  Or  che  ci  prendiamo  noi  pen- 
siero intorno  a'  generi,  e<l  allo  specie  ?  Quegli,  a  cui  parla  l' etemo 
Terbo,  si  Libera  da  una  farraggine  d' opinioni . . .  O  Verità  Dio,  fam- 
mi toco  una  cosa  in  amore  perpetuo  ! . . .  Quanti  nel  secolo  per  vana 
scienza  periscono  ! ...  E  perchè  si  eleggono  d"  esser  piuttosto  grandi 
che  umili,  perciò  vaneggiano  ne*  loro  divisamenti.  Grande  vera- 
mente è  colui,  che  ha  gi-an  carità'.  E  vd.  il  capitolo  43  del  Libro 
terzo.  '  Contro  la  vana,  e  mondana  scienza  '.  3,  5  *  Grande  cosit  è 
r  amore,  e  al  tutto  gran  bene  ;  che  solo  rende  leggiero  ogni  peso, 
e  senza  mutarsi  regge  al  mutar  delle  cose.  Imperciocché  portj»  il 
peso,  senza  che  gliene  gra-\i.  e  fa  tornar  dolce  e  saporito  ogni  ama- 
ro . .  .  L'  amore  si  sforza  all'  alto,  né  da  veruna  delle  infime  cose  pa- 
tisce d'  essere  ritenuto  . . .  diente  è  dell'  amore  più  dolce,  niente  più 
forte,  niente  più  alto,  né  più  largo,   niente  più  dilettevole,  niente 

8 


V  episodio  della  donna  gentile 


mone.  Beatrice  è  Amore,  ma  non  v'  è  amore  nella  donna 
gentile.  Perchè  non  dovremmo  veder  espresso  nelle  figu- 
razioni del  poeta,  codesto  concetto  medievale  e  cristiano? 

8. 

E  torniamo  alle  pretese  con  tradizioni. 

C  è  poi  la  grossa  questione  degli  accenni  cronologici 


più  pieno,  nionto  meglio  in  cielo,  nò  in  terra  ;  poiché  F  amore  è  nato 
di  Dio,  né  può  altrove  che  in  Dio  sovra  ogni  croato  bone  quotarsi. 
L'  amante  vola,  corre,  ed  esulta,  è  libero,  né  da  alcuna  cosa  impe- 
dito . . .  L'  amore  spesse  volte  non  ha  misura,  anzi  sopra  ogni  misura 
ribolle.  L'  amore  non  sente  poso,  non  conosco  fatica,  più  vorrebbe 
fare  eh'  egli  non  può  . . .  Come  fiamma  vivace,  e  fiaccola  accesa,  così 
si  scocca  in  alto,  e  passa  oltre  sicuramente.  Se  v'  è  chi  ami,  sa  ben 
egli  che  vaglia  questa  parola . . .  Dilata  nell'  amor  il  cuor  mio,  ac- 
ciocché impari  ad  assaporar  col  gusto  interiore,  quanto  V  amare  sia 
dolce,  e  lo  stemperarsi,  e  notar  nell'  amore.  Deh  !  eh'  io  sia  preso 
d'  amore,  e  per  estasi  d'  eccessivo  fervore  mi  levi  sopra  me  stesso. 
Canti  io  canzoni  d'  amore  ;  ti  séguiti,  o  mio  Diletto,  nell'  alto  ;  si  strug- 
ga nelle  tue  laudi  1'  anima  mia,  giubilando  d'  amore  '.  Il  Carducci 
(  Discorsi  letterari  e  storici,  Bologna  1889  :  Opere,  1.  40  )  crede  che 
l' Imitazione  sia  '  il  più  sublimo  libro  religioso  del  medio  evo  e  un 
de'  più  dannosi  libri  del  mondo  '  ;  riconosce  però  (  Op.  8,  59  ).  che 
'  in  quel  che  dell'  amore  divino  scriveva  il  Grersenio ...  si  scorge  il 
fiore  delle  migliori  teoriche  della  gaia  scienza  e  i  pii\  alti  intendi- 
menti della  lirica  di  Dante  '.  Il  IPTencioni,  nella  testé  citata  confe- 
renza (  p.  227  )  :  '  L' Imitasione  é  indiscutibilmente  opera  del  secolo 
XIII . . .  Trulla  di  scolastico  in  questo  libro  —  anzi  vi  si  rivela  una 
istintiva  antipatia  pei  nominalisti  i  sillogissanti  ;  per  la  scientia  cla- 
morosa della  teologia  parigina .  . .  Ricorda  infinitamente  più  Gioac- 
chino di  Flora  e  san  Fi*ancesco  d'  Assisi,  che  san  Domenico  o  san 
Tommaso.  Vi  è  diffusa  un'  aura  di  raccoglimento  e  di  pace,  come  dal 
sereno  tramonto  di  una  bella  e  limpida  giornata  d'  autunno.  Gran 
libro  ! . . .  Li'  impressione  che  proviamo  leggendo  l' Imitasione.  è  con- 
simile a  quella  che  si  riceve  guardando  i  quadri  dell'  Angelico  ;  nei 
quali  la  materia  é  come  trasfigurata,  e  non  resta  che  una  forma 
eterea,  circonfusa  di  luco  o  di  azzurro . . ,  ' 


Gli  accenni  cronologici:  gli  alquanti  die  63 

della  Vita  nuoca  e  del  Convivio  ;  1'  arruffata  matassa  del- 
l' *  alquanto  tempo  ',  degli  '  alquanti  die  ',  delle  due  rivo- 
luzioni di  Venere,  e  dei  '  trenta  mesi  '. 

Noi  non  lasceremo  certamente  con  N.  Angeletti  (  Cro- 
nologia del  Convivio  e  De  Valgavi  Eloqiieìitia,  Città  di  Ca- 
stello 188G  :  p.  10)  che  'le  date  della  1 7to  nuota  e  quelle 
del  Convivio  camminino  per  la  loro  via  indipendenti  le 
une  dalle  altre  ',  come  par  che  voglia  anche  il  Barbi  (  Bull. 
ns.  3,  27  )  ;  quando  il  poeta  nel  Convivio^  e  in  uno  ap- 
punto di  codesti  accenni  cronologici,  richiamando  1'  episo- 
dio della  Vita  nuova,  insinua  che  coniurant  amice.  Vediamo 
piuttosto  un  po'  alla  buona,  come  stanno  le  cose  ;  e  se  re- 
sta ancora,  dopo  tanto  disputare,  qualche  via  ad  una  ra- 
gionevole conciliazione. 

Prima  di  tutto,  il  poeta  non  dice  nella  Vita  nuoca 
che  r  episodio  della  donna  gentile  debba  entrar  tutto  nello 
spazio  di  '  alquanti  die  '  ;  ma  che,  dopo  il  contrasto  e  la 
vittoria  della  nuova  donna,  un  bel  giorno,  '  quasi  ne  1'  ora 
de  la  nona  ',  si  levò  in  lui  '  una  forte  immaginazione  '  ; 
e  che  egli  allora  si  pentì  '  de  lo  desiderio,  a  cui  si  vil- 
mente s'avea  lasciato  possedere  alquanti 
die'.  Non  pare  dunque  che  codesto  spazio  di  tempo,  co- 
munque inteso,  corra  dall'  apparizione  della  donna  gentile 
al  ritorno  del  poeta  a  Beatrice  ;  che  insomma,  di  '  alquanti 
die  '  sia  la  narrazione  della  Vita  nuova  che  va  dal  paragra- 
fo 35  al  paragrafo  39.  Codesti  benedetti  '  alquanti  die  '  pos- 
sono bene  significare  che  l'  amore  per  la  donna  gentile,  che 
la  dedizione  del  poeta,  dopo  la  conquista,  fu  di  breve  dura- 
ta ;  che  per  non  molto  tempo  il  poeta  si  straniò  vilmente 
da  Beatrice.  Nel  paragrafo  38  della  Vita  nuova  si  parla  an- 
cora del  contrasto  ;  e  certo,  cessata  la  battaglia,  il  poeta 
potea  dire  di  essersi  lasciato  possedere  dalla  donna  gen- 
tile ;  e  gli  '  alquanti  die  '  segnano  di  co  tal  novello  amore 
solamente  la  fase  del  possesso.  Nella  Vita  nuova,  salvo  co- 


64  L'epmdio  della  donna  gentile 

desta  ben  cospicua  indicazione,  non  v'  è  nulla  (  ed  aperta 
è  la  ragione  )  di  codesto  abbandono  del  poeta  alla  bella 
donna,  savia  e  gentile  ;  e  dal  contrasto  tra  1'  anima  e  il 
cuore,  si  passa  bruscamente  al  ritorno  a  Beatrice.  Tra  il 
paragrafo  38  e  il  paragrafo  39  abbiamo  già  osservato  tro- 
varsi una  lacuna  che  il  poeta  deliberatamente  avrà  voluto 
lasciare.  Un  indizio  potrebbe  scorgersi  nel  fatto  che  nes- 
suna indicazione  di  tempo  lega,  come  già  in  altri  casi, 
la  forte  immaginazione  dell'  ora  nona  del  paragrafo  39,  alla 
narrazione  del  contrasto  del  pagrafo  38.  E  quell'  '  un  die  ' , 
anzi,  COSI  asciutto,  con  cui  comincia  la  narrazione  del  ri- 
torno a  Beatrice,  ribadisce  la  persuasione  che  il  poeta  a 
bella  posta  avrà  voluto  eliminare  la  terza  fase  del  novello 
amore,  affatto  estranea  alla  lode  della  gentilissima.  Co- 
munque, gli  '  alquanti  die'  indicano  uno  spazio  di  tempo, 
certo  non  lungo,  posteriore  al  contrasto,  posteriore  alla 
narrazione  del  paragrafo  38  della  Vita  ntiova  ;  e  a  me  par 
chiaro  che  essi  siano  affatto  estranei  ai  tormentati  e  tor- 
mentatori '  trenta  mesi  '  del  Convivio  (  2,  13,  50  ).  I  quali 
non  è  dubbio  che  si  compivano,  quando  il  secondo  amore 
trionfava  già  sul  primo,  e  lo  scacciava  ;  e  che  quindi  de- 
clinano e  coincidono  colla  narrazione  del  paragrafo  38  della 
Vita  nuova  ('). 


(1)  Conv.  2,  13,  5  '  Come  per  me  fu  perduto  il  primo  dilotto 
della  mia  anima ...  io  rimasi  di  tanta  tristizia  punto,  che  alcuno 
conforto  non  mi  valea.  Tuttavia,  dopo  alquanto  tempo,  la  mia  mente, 
che  s'  argomentava  di  sanare,  pro\"^'ide  . . .  ritornare  al  modo  che  al- 
cuno sconsolato  avea  tenuto  a  consolarsi.  E  misimi  a  leggere  quello 
non  conosciuto  da  molti  libro  di  Boezio ...  E  udendo  ancora,  che 
Tullio  scritto  avea  un  altro  libro,  nel  quale,  trattando  dell'  Amistà, 
avea  toccate  parole  della  consolazione  di  Lelio  . . .  misimi  a  leggere 
quello.  E  av^'egnachè  duro  mi  fosse  prima  entrare  nella  loro  sen- 
tenza, finalmente  v'  entrai  tant'  entro,  quanto  1'  arte  di  grammatica 
eh'  io  avea  e  un  poco  di  mio  ingegno  potoa  fare ...  E  siccome  es- 


Le  due  ricoluzioni  di  Venere  65 

Più  filo  da  torcere  tuttavia,  ci  dà  la  bella  Ciprigna 
che  si  volge  nel  terzo  epiciclo.  Racconta  il  poeta:  (  Conc. 
2,  2,  2  )  '  La  stella  di  Venere  due  fiate  era  rivolta  in  quello 
suo  cerchio  che  la  fa  parere  serotina  e  mattutina,  secondo 
i  diversi  tempi,  appresso  lo  trapassamento  di  quella  Bea- 
trice beata,  che  vive  in  cielo  con  gli  angioli,  e  in  terra 
con  la  mia  anima,  quando  quella  gentil  Donna,  di  cui  feci 
menzione  nella  fine  della  Vita  Nuova,  apparve  primamente 
accompagnata  d'  Amore  agli  occhi  miei,  e  prese  alcuno 
luogo  nella  mia  mente  '.  Il  Dionisi  (  Prepar.  2,  49  s  )  cre- 
dette che  codeste  due  rivoluzioni  di  Venere  si  compiano 
in  due  anni;  il  Balbo  (  Vita  di  1).  1.  7  .  in  trentotto 
mesi  e  mezzo  (')  ;  il  Todeschini  (  ^'Scritti  su  D.  Vicenza 
1872  :  1 ,  315  )  in  450  giorni,  '  poco  meno  che  quindici  mesi  '. 
Come  si  vede,  ce  n'  è  per  tutti  i  gusti,  e  non  abbiamo 
che  r  imbarazzo  della  scelta. 

I  trentotto  mesi  del  Balbo  son  troppi.  Il  poeta  direbbe 


BOI'  suole,  che  Y  uomo  va  cercando  argento,  e  fuori  doUa  intenzione 
trova  oro ...  ;  io,  che  corcava  di  consolare  me.  trovai  non  solamonto 
allo  mio  lagrime  rimedio,  ma  vocaboli  d"  autori  e  di  scionzo  e  di  li- 
bri ;  li  quali  considerando,  giudicava  beq^  che  la  filosofìa,  che  era 
donna  di  questi  autori,  di  queste  scienze,  e  di  questi  libri,  fosse 
somma  cosìì.  E  immaginava  lei  fattoi  come  una  Donna  gentile  :  e  non 
la  potea  immaginare  in  atto  alcuno,  se  non  misericordioso  ;  per  che 
sì  volentieri  lo  senso  di  vero  la  mirava,  che  appena  lo  potea  vol- 
gere da  quella.  E  da  questo  immaginare  cominciai  ad  andiire  là 
ov'  ella  si  dimostrava  veracemente,  cioè  nelle  scuole  de'  religiosi  e 
allo  disputazioni  de'  filosofanti  ;  sicché  in  picciol  tempo,  forse  di 
trenta  mesi,  cominciai  tivnto  a  sentire  della  sua  dolcezza,  che  '1  suo 
amore  cacciava  e  distruggeva  ogni  altro  pensie- 
r  o.  Per  che  io,  sentendomi  levare  dal  pensiero  del  primo  amore  alla 
virtù  di  questo,  qusisi  maravigliandomi,  apersi  la  bocca  nel  parlare 
della  proposta  Canzone  [Voi  che  intendendo]. 

(*)  Veramente  il  Biilbo   dice   trentanove   mesi  ;   perchè   di   584 
giorni  fa  diciiinnove  mesi  e  mezzo. 


66  L'episodio  della  donna  gentile 

nel  Convivio  che,  dopo  trentotto  mesi  dalla  morte  di  Bea- 
trice, apparve  a  lui  la  donna  gentile,  e  prese  al- 
cuno luogo  nella  sua  mente;  quando  nella  Vi- 
ta nuova  (  35,  1  )  si  legge  che,  '  alquanto  tempo  '  dopo  1'  an- 
novale  di  Beatrice,  la  donna  gentile  gli  apparve  e  gli  si 
mostrò  così  pietosa  che  egli  pensava  già  :  '  E'  non  puote 
essere,  che  con  quella  pietosa  donna  non  sia  nobilissimo  a- 
more  '.  L"  alquanto  tempo  '  sarebbe  più  che  due  anni  !  Ve- 
ro è  bene  d'  altra  parte,  che  codesti  trentotto  mesi  potreb- 
bero trovar  rispondenza  nei  trenta  mesi  dell'  altro  luogo  del 
Convivio  ;  giacché,  dice  il  Balbo,  '  queste  esattezze  astrono- 
miche non  erano  allora  così  facilmente  conosciute  come 
a'  nostri  dì  ;  e  Dante  potè  prendere  nel  primo  passo  due 
ritorni  di  Venere  per  30  mesi  all'  incirca,  come  lo  dice  più 
chiaramente  nel  secondo  '.  Ma  codesta  rispondenza,  resa  più 
compiuta  e  ragionevole  dallo  Zingarelli,  è  più  cercata  che 
spontanea,  più  speciosa  che  vera.  Lo  Zingarelli  (  Dante, 
132  s  )  pensa  che,  il  prendere  che  fece  la  donna  gentile  alcun 
luogo  nella  mente  del  poeta,  '  e  lo  scacciarne  chi  ci  stava 
prima,  essendo  la  stessa  cosa,  bisognerà  intendere  che  men- 
tre si  compivano  i  trenta  mesi,  si  compiva  anche  la  secon- 
da rivoluzione  di  Venere  nell'  epiciclo,  cioè  quella  che  gli  a- 
stronomi  chiamano  sinodale,  e  che  si  fa  in  584  giorni  ;  che 
dunque  i  trenta  mesi  si  compissero  quando  ne  passavano 
trentotto  dalla  morte  di  Beatrice,  ossia  nell'  agosto  del 
1293.  Il  poeta,  osserva  il  critico,  così  dove  spiega  il  senso 
letterale  della  donna  gentile  (capo  11)^  come  dove  spiega 
r  allegorico  (  cap.  XIII  ),  a  questo  unico  fine  tende,  a  mo- 
strarci la  ragione  e  1'  origine  del  contrasto  fra  il  vecchio  e  il 
nuovo  amore,  dal  quale  contrasto  sorse  appunto  la  canzone 
[  Voi  che  intendendo  ]  che  ora  prende  a  commentare  ;  egli  vuol 
portarci  al  tempo  in  cui  nacque  la  sua  canzone,  cioè  quando 
la  donna  gentile  teneva  un  luogo  nel  suo  cuore,  ma  non 
era  divenuta  ancor  padrona,  quando  il  pensiero  della  filo- 


/  trenta  mesi 


sofia  discacciava  il  ricordo  di  Beatrice,  ma  non  1'  avea  an- 
cora fugato  e  allontanato.  Ora  questo  tempo  è  di  trentotto 
mesi  se  si  conta  dalla  morte  di  Beatrice,  di  trenta  se  dal 
momento  in  cui  il  poeta  passò  dalla  lettura  di  Boezio  e 
Cicerone  agli  studi  filosofici  '.  Ingegnoso  accomodamento, 
senza  dubbio.  Ma  abbiamo  già  veduto  che  i  trenta  mesi 
si  compivano  quando  la  donna  gentile  trionfava  già  di 
Beatrice,  quando  il  novello  amore  '  cacciava  e  distruggeva 
ogni  altro  pensiero  ',  quando  il  poeta  si  sentiva  '  levare 
dal  pensiero  del  primo  amore  alla  virtù  di  questo  '  ;  e  che 
invece  le  due  rivoluzioni  di  Venere  si  compivano  quando 
la  nuova  donna,  mostrandosi  pietosa,  prendeva  soltanto 
alcuno  luogo  nella  mente  del  poeta;  che 
non  è  lo  stesso,  con  buona  pace  dello  Zingarelli.  Giacche 
il  poeta,  dopo  d'  aver  detto  che  erano  passate  due  rivolu- 
zioni di  Venere  quando  la  donna  gentile  gli  apparve  e 
prese  alcun  luogo  nella  sua  mente,  aggiunge  :  '  Ma  peroc- 
ché non  subitamente  nasce  amore  e  fassi  grande  e  viene 
perfetto,  ma  vuole  alcuno  tempo  e  nutrimento  di  pensieri, 
massimamente  là  dove  sono  pensieri  contrari  che  lo  im- 
pediscono, convenne,  prima  che  questo  nuovo  amore  fosse 
perfetto,  molta  battaglia  intra  '1  pensiero  del  suo  nutri- 
mento e  quello  che  gli  era  contrario,  il  quale  per  quella 
gloriosa  Beatrice  tenea  ancora  la  rocca  della  mia  mente  '. 
Finito  codesto  battagliare  adunque,  il  poeta  potea  dire  che 
la  donna  gentile  trionfava  e  scacciava  1'  altra  ;  ed  allora 
si  compivano  i  trenta  mesi,  ed  il  poeta  scriveva  la  can- 
zone Voi  che  intendendo  ;  la  quale  parla  bensì  del  contra- 
sto, ma  accenna  pure  al  trionfo  della  nuova  donna,  e  non 
può  esser  nata  quando  si  compivano  le  due  rivoluzioni 
di  Venere,  quando  cioè,  la  donna  gentile  faceva  il  primo 
ingresso  nella  mente  del  poeta.  Sicché  ai  trentotto  mesi 
bisognerebbe  a  ogni  modo  aggiungere  un  certo  spazio  di 
tempo,  certo  non  molto  breve,  per  la  lotta  ;  e  far  nascere 


L'episodio  della  donna  gentile 


la  canzone  Voi  che  intendendo  un  po'  tardi  ;  se  pure,  ag- 
giungendo i  trenta  mesi,  come  fanno  alcuni,  non  si  voglia 
toccare  il  1296  ;  il  che,  qualche  venticello  che  spira  ap- 
punto dal  cielo  di  Venere,  potrebbe  scuotere  ('). 

Quanto  ai  due  anni  del  Dionisi,  fortunatamente  non 
v'  è  più  bisogno  di  lunga  confutazione.  Il  Lubin,  seguito 
dal  D'  Ancona  e  dal  Carducci  e  da  altri,  avea  già  soste- 
nuto codesta  ipotesi  (  Epoca  della  VN.  22  e  39  ;  Comme- 
dia, 39  )  ;  ma  poi  si  accorse  (  D.  spiegato  con  D.  71  )  che 
'è  erronea',  e  che  la  sua  'fu  certo  buaggine',  'e  buag- 
gine davvero  grossa  '  (  Il  cerchio  che,  secondo  Dante,  fa  pa- 
rere Venere  serotina  e  mattutina,  in  Propiign.  ns.  b,  45): 
e  divenne  il  più  petulante  avvocato  dei  trentotto  mesi. 
Certo,  codesti  due  anni  non  contentano  né  la  Vita  nuova, 
ne  il  Convivio,  né  1'  astronomia  ;  e,  a  malgrado  dei  gene- 
rosi conati  di  L.  Mascetta  (  Il  pianeta  Venere  e  la  crono- 
logia dant.  in  Giornale  dantesco,  1,  314  ss  ),  non  v'  è  ra- 
gione alcuna  per  non  lasciarli  dormire  in  pace  (^). 

Resta  il  calcolo  del  Todeschini,  rinverdito  dalla  dia- 
lettica arguta  e  profonda  di  Francesco  d'  Ovidio  (  La  Vita 
nuova  di  D.  in  Nuova  Antologia  del  15  marzo  1884  :  p. 
259  )  ;  quindici  mesi^  che  è  il  periodo  più  discreto  e  più  con- 
ciliabile sia  con  la  Vita  nuova,  sia  col  Convivio.  L'  '  alquanto 
tempo  '  della  Vita  nuova  sarebbe  uguale  a  due  mesi  ;  la 
donna  gentile  sarebbe  apparsa  al  poeta  quattordici  mesi 
circa  dopo  la  morte  di  Beatrice,  cioè,  secondo  la  Vita  nuova, 
alquanto  tempo  dopo  1'  annovale  ;  e  dopo  qualche  altro  mese 


(1)  Cfr.  Casini,  Aneddoti  e  Studi  danteschi,  Città  di  Castello  1895: 
CoUoz.  di  opusc,  dant.  N.  24  :  p.  35  ss. 

(2)  Si  sarebbe  potuto  trovare  un  rincalzo  a  codesta  ipotesi  dei 
due  anni,  nella  legge  sottima  del  Codice  d'  Amore  :  'Biennalis  vidui- 
tas  suo  amante  defuneto  sxiperstiti  praeseribitur  amanti  '.  Ed  anche 
forse  neir  opinione  dell'  Anonimo  Fiorentino  {  Commento  alla  DC. 
Bologna  1866:  2,  492). 


/  quindici  mesi  conciliatori 


avrebbe  occupato  alcun  luogo  nella  sua  mente  ;  saremmo 
insomma  al  quindicesimo  mese  dalla  morte  di  Beatrice,  con 
la  narrazione  del  paragrafo  35  della  Vita  nuova.  A  code- 
sta prima  fase  del  nuovo  amore  si  riferiscono  nel  Convi- 
vio le  due  rivoluzioni  di  Venere,  che  dalla  morte  di  Bea- 
trice, si  compivano  appunto  quando  la  donna  gentile  ap- 
parve primamente  al  poeta  e  prese  alcun  luogo  nella  sua 
mente  ;  quando,  come  si  legge  nella  esposizione  allegorica 
e  vera,  il  poeta,  dopo  la  lettura  di  Boezio  e  di  Tullio,  im- 
maginava la  filosofia  '  fatta  come  una  Donna  gentile,  e  non 
la  potea  immaginare  in  atto  alcuno,  se  non  misericordioso  '. 
Poi  venne  la  conquista  degli  occhi  e  del  cuore,  la  lotta, 
ed  infine  il  trionfo  (  VN.  36  -  38,  Conv.  2,  2,  22  );  ovvero, 
secondo  l' esposizione  allegorica  e  vera,  il  frequentar  le 
scuole  dei  religiosi  e  le  disputazioni  dei  filosofanti  (*)  ;  e 
non  pare  che  sia  troppo  mettere  in  conto  altri  quindici  o 
sedici  mesi,  che  abbraccerebbero  la  narrazione  della  Vita 
nuova  che  va  dal  paragrafo  36  al  paragrafo  38,  inclusiva- 
mente.  Or  se  consideriamo  che  i  '  trenta  mesi  '  cominciano 
a  decorrere  *  alquanto  tempo  '  dopo  la  morte  di  Beatrice, 
troveremo  che  la  donna  gentile,  sia  nella  narrazione  della 
Vita  nuova,  sia  nelle  dichiarazioni  del  Convivio,  trionfava 
trentuno  mesi  circa  dopo  la  morte  di  Beatrice  ;  e  che  col- 
r  entrar  del  1203  nacque  la  canzone  Voi  che  intendendo. 
Sennonché,  accettando  i  quindici  mesi  del  Todeschini 
per  le  due  rivoluzioni  di  Venere,  non  abbiamo  potuto 
seguire  il  suo  ragionamento,  che  riesce  monco  e  confuso. 
Egli  non  concilia,  ma  divide  le  date  che  si  riferiscono  al- 
l' amore  della  donna  gentile  della  Vita  nuova,  dalle  date 
dell'  amor  filosofico  ;  e  infine  alla  troncatura  del  Dionisi, 
dei  '  trenta  mesi  '  in  '  tre  mesi  ',  ricorre  per  liberarsi   in- 


(M  Cfr.   VX.  36.  5  '  E  certo  molte  volte ...  io  andava   per  ve- 
dere questa  pietosa  donna  '. 

9 


70  V  episodio  della  dorma  gentile 


teramente  dai  trentotto  mesi  del  Balbo.  E  molto  meno  po- 
tremo trovar  plausibili  le  ragioni  astronomiche  eh'  egli  ad- 
duce a  sostegno  della  sua  ipotesi.  Astronomi  antichi  e  mo- 
derni concordemente  dicono  che  una  rivoluzione  di  Venere 
'  in  quel  suo  cerchio  che  la  fa  parere  serotina  e  mattu- 
tina '  si  compie  in  684  giorni,  non  in  226  come  vorrebbe 
il  Todeschini  {}).  Due  rivoluzioni  sinodiche  di  Venere  si 
compiono  dunque  appunto  in  trentotto  mesi  e  mezzo,  come 
vuole  il  Balbo,  e,  che  a  noi  più  importa,  come  vuole  Al- 
fragano  (^). 


(1)  Oltre  il  Todeschini  e  il  D'  Ovidio,  sostennero  il  periodo  di 
225  giorni  anche  il  Carpentor  (  vd.  L'  Aligli .  1,  261  )  e  il  dott.  Prompt, 
//  pianeta  Venere  e  la  Donna  filosofica,  nel  L  Aligli,  i,  184.  Ed  an- 
che recentemente  si  tentò  di  dimostrare  che  il  luogo  del  Convivio 
parli  della  rivoluziono  siderea  di  Venere,  che  si  compie  appunto  in 
225  giorni,  non  della  rivoluzione  sinodica  ;  ma,  come  pare,  senza 
buon  fondamento  (  vd.  la  recensione  critica  dell'  Angelitti  all'  arti- 
colo The  Astronomij  of  Dante,  p.  7  s  dell'  estratto  dal  Bnll.  ns.  v.  7, 
f.  6  ;  e  dello  stesso  Angelitti,  Salle  principali  apparenze  del  pianeta 
Venere,  Palermo  1901  :  p.  4  n  2  dell'  estratto  dal  v.  6,  s.  3  degli  Atti 
della  R.  Accademia  ). 

(2)  Anche  Francesco  da  Buti  (  3,  255  ),  chiosando  il  verso  Che  7 
sol  vagheggia  or  da  poppa  or  da  ciglio,  scrive  :  '  Quando  va  innan- 
zi al  Sole,  si  leva  [Venere]  la  mattina  innanzi  al  Sole  quattro  me- 
si dell'  anno,  e  di  rieto  al  Sole  si  leva  la  sera  innanti  che  '1  Sole 
sia  ito  al  tutto  giù  ne  lo  occidente,  e  dura  questo  non  più  che  11 
dì,  1'  altro  tempo  sta  celato  ;  ma  in  diciannove  mesi  si  trovano  ri- 
storati gli  appiattamenti  e  li  manifestamenti  suoi  '.  [Bendo  sentite 
azioni  di  grazie  ai  miei  amici  professori  F.  Millosevich,  A.  Favilla, 
F.  Chiavassa,  che  gentilmente  mi  procurai'ono  dal  prof.  Millosevich 
dell'  Osservatorio  astronomico  del  Collegio  romano,  dal  prof.  Conta- 
rino di  Capodimonte,  dal  prof.  Abetti  di  Arcetri,  preziose  notizie  di 
fatto,  spiegazioni  e  disegni  intorno  a  Venere  serotina  e  mattutina  ; 
al  prof.  Lorenzoni,  che  anche  gentilmente  mi  mandò  la  sua  dotta 
monografia,  //  movimento  ed  il  cielo  di  Venere  secondo  Dante,  Ve- 
nezia 1891  ;  e  al  prof.  Angelitti,  che  superò  in  cortesie  ogni  mia  a- 
spottaziono.  ] 


Tm  qtiestione  astronomica  71 

Ma  quei  quindici  mesi  sono  cosi  convenienti  alla  nar- 
razione fervida  e  passionata,  nonché  alla  temperata  e  vi- 
zile, che,  cacciati  dalla  porta,  rientrano  per  la  finestra.  Ja- 
copo di  Dante  (  Dottr.  16,19  )  così  e  non  diversamente  poe- 
teggia intorno  al  movimento  di  Venere  nell'  epiciclo  : 

Venus  in  s««pte  mesi 
Et  nove  di  compresi 
Il  suo  epiciclo  agirà. 

Codesto  probabilmente  è  un  errore  di  Jacopo.  Ma,  se  in 
grazia  dell'astronomia,  non  vogliamo  scompigliare  ogni 
cosa,  di  tale  errore  bisogna  pure  far  carico  a  Dante  stesso  ('). 
L'  errore  avrà  avuto  origine  dalla  corrotta  lezione,  o  dalla 
falsa  interpretazione  di  un  passo  di  Alfragano.  Si  legge 
nelle  edizioni  a  stampa  degli  Elementi  d' Astronomia,  com- 
posti nel  secolo  nono  da  Maometto  di  Fergana  (-)  :  '  re- 
volvit  epicyclum  .  .  .  venus  1  anno  Persico  7  mensibus  et 
9  diebus  fere  '.  È  certo  cosa  di  significato  non  trascura- 
bile, la  discorde  concordanza  di  codesto  luogo  dell'  astro- 
nomo arabo  con  i  tre  settenari  di  Jacopo.  E  poco  proba- 
bile, ma  non  è  forse  impossibile,  che  il  passo  dell'  astrono- 
mo sia  stato  inteso  così,  che  Venere  si  volge  nell'  epiciclo 
in  un  anno  persico,  cioè  in  sette  mesi  e  nove  giorni  ;  o  per- 


ii) Cfr.  Torracu,  La  Dirinn  Commedia  di  D.  A.  con  commento 
del  prof.  Giacomo  Poletto.  in  Bull.  ns.  2.  198  :  Crocioni.  Una  canzone 
e  un  nonetto  di  Jacopo  Alif/tiieri,  Pistoja  1898,  annunzio  in  Bull.  ns. 
7.  323  ;  Salvador!.  Sulla  rifa  giovanile  di  Dante,  recensione  in  Bull. 
ns.  9,  30. 

(-)  Muhamedis  Alfragani  Arabis  Cìironologica  et  astronomica 
elementa.  Francofurdi  1.590  :  cap.  20.  p.  88.  Cfr.  Angeletti.  Cronol. 
6  n  1.  Codesto  trattato  dell"  astronomo  arabo  è  certo  da  identificare 
col  Libro  dell'  aggregazione  delle  stelle,  citato  nel  Convivio  { 2,  6,  134  )  : 
vd.  la  lettera  del  prof.  O.  Sehiaparelli  nell'  opuscolo  del  Lubin.  D. 
e  gli  astr.  p.  43  :  e  Paget  Toynbee,  Ricerche  e  note  dantesche.  Bo- 
logna 1899  :  Bibl.  stor.  -  crit.  d.  lett.  dant.  X.  1  :  p.  51. 


72  L'episodio  della  donna  gentile 

che  nel  testo  degli  Alighieri  ci  fosse  tra  '  1  anno  Persico  ' 
e  '  7  mensibus  et  9  diebus  fere  ',  qualche  segno  come  h.  e., 
ovvero  i.  e.,  o  simile  ;  o  forse  perchè  quel  '  Persico  '  ag- 
giunto  ad  anno,  induceva  facilmente  il  lettore,  che  non  te- 
neva presente  il  capitolo  primo  del  libro  (  p.  10  ),  a  pen- 
sare che  quei  sette  mesi  e  nove  giorni  fossero  come  una 
specie  di  parentesi,  ovvero  un' interpolazione  dichiarativa  ; 
o  forse  perchè  nel  manoscritto  come  un'  interpolazione  ve- 
ramente si  presentavano  (').  Ma  è  più  verosimile  che  quel- 
r  anno  persico  fosse  rimasto  nella  penna  del  menante  del- 
l' esemplare  degli  Alighieri,  Comunque,  non  sarebbe  che  af- 
fatto fortuita  r  equivalenza  dei  sette  mesi  e  nove  giorni  di 
Jacopo,  con  la  rivoluzione  siderea  di  Venere,  col  periodo 
cioè,  di  225  giorni,  '  che  nel  sistema  Copernicano  segna  il 
tempo  di  un  giro  completo  di  Venere  intorno  al  Sole  ',  e  che 
^  non  ha  alcun  significato  nel  sistema  di  Tolomeo  ',  per  ser- 
virmi delle  parole  dello  Schiaparelli  al  Lubin.  Più  che  pro- 
babile pare  invece,  che  i  suoi  sette  mesi  e  nove  giorni,  Ja- 
copo li  togliesse  di  peso  dal  passo  di  Alfragano.  Scrissi  al 
prof.  Filippo  Angelitti,  pregandolo  di  volermi  dire  che  ne 
pensasse  di  tale  mia  supposizione  ;  ed  egli  gentilmente  mi 
rispose  (  Palermo,  6  luglio  1901  ),  riconoscendo  che  Jacopo 
'  desume  probabilmente  da  Alfergano  la  durata  della  rivo- 
luzione del  pianeta  [  Venere  ]  suU'  epiciclo,  di  7  mesi  e  9 
giorni  '  ;  ma  osservando  d'  altra  parte,  che  '  Jacopo  nell'  as- 
segnare le  durate  delle  rivoluzioni  di  ciascun  pianeta  sul- 
1'  epiciclo  e  del  centro  dell'  epiciclo  sul  deferente,  commette 


(1)  È  notevole  che  anche  il  Giuliani  {Attinense  in  Eass.  nas. 
15,  365  )  prese  tale  abbaglio  :  '  Due  rivoluzioni  del  pianeta  Venere 
nel  proprio  epiciclo . . .  corrispondono  per  1'  appunto  a  un  anno  e 
pressoché  tre  mesi,  stante  che  (giusta  i  Principii  astronomici  ài  X\- 
f ragano,  ai  quali  Dante  suole  attenersi  )  cotal  riioliisione  si  compie 
in  sette  mesi  o  noce  giorm\ 


Ijt  teatinwnìanza  di  Jacofìo 


errori  grossolani  ,  mentre  '  Dante  come  scien^uiio  e  im- 
mensamente superiore  ',  e  *  non  si  trova  mai  in  fallo  '.  Con 
tutto  il  rispetto  che  dobbiamo  all'  autorità  del  valentuomo 
che  ha  portato  il  largo  contributo  della  sua  dottrina  nella 
soluzione  delle  questioni  astronomiche  dantesche,  crediamo 
che  codeste  ragioni,  che  hanno  certo  molto  valore,  non  ba- 
stino a  toglier  via  ogni  sospetto.  Certo,  né  Jacopo,  né  Dante 
erano  astronomi  (  cfr.  D'Ovidio,  Studiif  668  )  ;  ma  Jacopo 
in  fin  dei  conti,  in  alcuni  di  quei  suoi  capitoli,  si  occupa 
appunto  di  astronomia,  senza  veli  allegorici  e  senza  (  pur 
troppo  !  )  poetiche  infiorature  ;  e  certo,  come  il  padre,  do- 
veva attingere  quelle  sue  cognizioni  da  qualche  trattato 
che  correva  ai  suoi  tempi.  L'  errore  poi  nel  caso  nostro 
particolare,  non  è  da  attribuire  a  povertà  d' ingegno,  ma 
alla  fonte  ;  ne  pare  che  sia  da  rifiutare  senz'  altro  l' ipo- 
tesi che  il  passo  di  Alfragano  in  qualche  manoscritto  fosse 
corrotto,  o  poco  chiaro,  o  lacunoso.  Le  stampe,  che  ci  danno 
suppergiù  la  traduzione  dell'  Ispalense,  non  quella  di  Ge- 
rardo da  Cremona,  differiscono  tra  loro  specialmente  ri- 
guardo a  numeri.  Sia  come  si  voglia,  non  è  detto  che  chi 
novantanove  volte  non  ha  inciampato,  non  possa  la  cen- 
tesima volta  inciampare  e  cadere  ;  e  tutti  sappiamo  che  il 
poeta  mostra  d'  avere  inteso  assai  stranamente  anche  qual- 
che verso  di  Virgilio,  che  pure  era  il  suo  maestro  e  il  suo 
autore  (').  Insomma,  quei  quindici   mesi    sono  così   neces- 


(1)  Cfr.  Scherillo,  Ale.  cap.  4ó3.  Il  Biiti  (  2.  528  |  cerca  giusti- 
licare  il  poetii  dell*  aver  reso  il  virgiliano  '  Quid  non  mortalia  pec- 
tora  cogis,  Auri  sacra  fanies  ?  '  con  '  Perchè  non  reggi  tu,  o  sacra 
fame  Dell'  oro.  l'appetito  dei  mortali  ?  '  osservando  che  •  li  autori 
usano  r  altrui  autoritadi  arrecarle  a  loro  sentenzia,  quando  commo- 
damente  vi  si  possano  arrecare,  non  ostante  che  colui  che  1'  à  ditt<i 
l'abbia  posta  in  altra  sentenzia  . . .  Simile  fece  Boezio  dell'  autorità 
di  Lucano  '.  Ma  forse  il  poeta  leggeva  •  r  e  g  i  s  ',  non  'cogis'  nel 
luogo  di  Virgilio  {Aeu.  3,  .56):  e  d'altra  parte,  contribuiva  forse  a 


74  TJ  epiaodin  della  donna  fjp.nf'de 


sari  a  conciliare  gli  accenni  cronologici  della  Vita  nuova 
e  del  Convivio,  che,  se  anche  non  ci  soccorresse  il  passo  di 
Jacopo,  non  vi  sapremmo  rinunziare. 


Dall'  esame  fatto  fin  qui.  non  pare  davvero  che  tra 
la  Vita  nuova  e  il  Convivio  vi  siano  vere  contradizioni,  o 
che  vere  contradizioni  vi  possano  essere.  Quale  sarà  dun- 
que lo  spiraglio  incautamente  lasciato  aperto  alla  criticra, 
che  ha  ficcato  lo  viso  al  fondo  ed  ha  scoperto  il  giochetto, 
anzi  il  mendacio? 

—  La  finestra.  La  gentildonna  dell'  episodio  della  Vita 
nuova  riguardava  pietosamente  il  poeta  da  una  finestra,  e 
per  ciò  appunto  è  più  reale  della  stessa  Beatrice,  che  alla 
finestra  in  fin  dei  conti  il  poeta  non  vide  mai.  La  signo- 
ra Filosofia  non  istà  mica  alla  finestra,  a  riguardare  e  a 
consolare  i  giovanotti  dell'  amor  trovadoresco.  E  chiaro 
come  la  luce  del  giorno  — . 

Certo,  è  cosa  assai  singolare  codesta  indicazione  locale 
un  po'  determinata,  in  quella  Vita  nuova  dove  Beatrice  non 
si  vede  mai  se  non  in  '  alcuna  parte  '  d'  una  '  cittade  '  che 
non  è  mai  nominata.  Vero  è  bene  che  una  volta  '  questa 
gentilissima  sedea  in  parte,  ove  s'  udiano  parole  de  la  reina 
de  la  gloria  '  ;  e  un'  altra  volta  '  questa  gentilissima  venne 
in  parte,  dove  molte  gentili  donne  erano  rannate  '  e  '  mo- 
stravano le  lor  bellezze  '.  Ma  qui,  grazie  a  Dio^  abbiamo 
finalmente  addirittura  una  finestra  !  e  non  è  maraviglia  se 
di  codesto  buco  si  sia  voluto  fare  sì  gran  caso. 

Sennonché,  e'  intendiamo  noi  oggi  tanto  di  linguag- 


sviark)  dalla  l'etta  interpretazione  anche  quel  benedetto  punto  inter- 
rogativo :  porche  la  proposizione  virgiliana  è  veramente  esclamativa. 
Tuttavia  vd.  Scherillo,  anche  in  Giorn.  sto/:  32,  102  n*. 


Im  finestra  e  il  linguaggio  allegorico  75 


gio  allegorico,  del  linguaggio  allegoricu  di  nueir  età  che 
stimava  dottrina  profonda  le  più  stravaganti  e  pazze  fan- 
tasticherie dell'  esegesi  biblica,  da  giudicar  senza  appello 
che  tale  immagine  può  esser  veste  allegorica,  e  tale  im- 
magine non  può  allegorica  veste  costituire  (')?  Chi  sapreb- 
be oggi  indovinare  che  il  palazzo  dell'  '  amorosa  madonna 
Intelligenza  *  è  '  1'  anima  col  corpo  '  ?  che  '  la  gran  sala 
è  '1  core  spazioso  '  ?  il  quale,  avendo  '  tre  partite  in  un'  es- 
senza ',  comprende  anche  '  la  sagrestia  e  '1  tesor  nascoso  ', 
e  *  la  scola  de  la  sapienza  '.  E  certo  sarebbe  oggi  più  fa- 
cile scoprire  1'  America,  se  Cristoforo  Colombo  non  si  fosse 
incaricato  già  della  bisogna,  che  spiegare,  se  il  rimatore, 
e  nello  stesso  componimento,  non  avesse  avuto  cura  di 
spiegare,  che  '  La  camera  del  verno  e  de  la  state  È  '1 
fegato  e  la  milza  veramente  '.  Qualche  cultore  di  fantasti- 
cherie potrebbe,  dopo  molto  sudare,  venir  fuori  col  dire  : 
'  Savete  eh'  è  '1  cenacol  dilettoso  ?  Lo  gusto  coli'  assag- 
gio savoroso  '.  Ma  non  gli  si  risparmierebbero  le  beffe.  E 
sarebbe  addirittura  legato  per  pazzo,  se  volesse  anche  fan- 
tasticare che  *  r  ossa  son  le  mura  ',  che  i  *  nervi  son  le  no- 
bili parete  ',  e  che  '  la  cappella  dove  s'  ofìzia  Si  è  la  fede 
dell'  anima  '  del  rimatore  (  Intell.  st.  299  ss  ).  Il  quale,  in 
quello  snodar  eh'  ei  fa  la  sua  allegoria,  par  che  fornisca 
a  Dante  perfino  un  verso  :  (  st.  307  )  '  O  voi  eh'  avete  sot- 
til  conoscenza  '  (  cfr.  Inf.  9,  61  '0  voi  eh'  avete  gì'  intel- 
letti sani  '  )  ;  e  un  altro  al  Guinicelli  :  (  st.  309  )  *  La  'n- 
telligenza,  stando  a  Dio  davanti  '  (  cfr.  canz.  Al  cor  gen- 


(*)  La  donna  gentile,  scrive  il  Canepa  (  K.  rieer.  87  ),  deve  *  cer- 
tamente essere  ima  donna  vera  perchè  le  scienze  e  le  astrazioni  non 
se  ne  stanno  alla  finestra,  e  perchè  Dante  non  avrebbe  potuto  al- 
lontanarsi da  un*  astrazione,  che,  appunto  perchè  tale,  dovea  risie- 
dere nella  sua  mente  *.  Certo,  certo.  Ma  si  può  essere  piti  semplici 
di  così  ? 


7(]  IJ  episodio  detta  donila  gentite 

tu,  '■  Donna,  Deo  me  dirà,  che  presumisti?  Stando  l'anima 
mia  a  lui  davanti  '  ).  Certo,  dal  non  saper  trovare  1'  allego- 
ria di  ogni  più  piccolo  particolare,  non  si  può  conchiudere 
che  il  poeta  ha  mentito  dicendo  e  ridicendo  e  tornando  a 
dire  che  è  tutt'  una  allegoria.  Neghiamo  forse  tutto  quel  che 
non  intendiamo?  Il  Bartoli  (  St.  4,  305  )  per  esempio,  nega 
che  sia  allegorica  la  sestina  Al  poco  giorno  per  questa  ra- 
gione, che  '  i  sostenitori  dell'  interpretazione  allegorica  si 
sono  dimenticati  di  dirci,  perchè  la  Filosofia  abbia  in  capo 
una  ghirlanda  d'  erha,  perchè  i  suoi  capelli  sieno  gialli,  come 
abbia  fatto  a  serrar  Dante  tra  piccioli  colli,  e  come  ancora 
riesca  a  fare  sparire  i  colli  che  fanno  piti  nera  ombra  sotto 
il  hel  verde  '.  Noi  non  sappiamo,  né  alcuno  forse  oggi  po- 
trebbe dire  con  certezza,  se  nelle  cosi  dette  rime  pietrose 
vi  siano  o  non  vi  siano  intendimenti  allegorici  ;  ma  non 
sono  davvero  ostacoli  codesti  a  considerar  quelle  rime  pure 
allegorie  ;  che  anzi,  a  dir  netto  il  mio  pensiero,  per  quelle 
espressioni  appunto,  e  per  altre  simili,  le  giudicherei  af- 
fatto allegoriche  (').  Il  Bartoli  (  St.  4,  295  )  anche  a  pro- 
posito della  canzone  Così  nel  mio  parlar,  esclama  col  Car- 
ducci (  Op.  8,  89  )  :  'A  noi,  tanta  ardenza  di  sentimenti, 
tale  sfogo  della  propria  natura  dell'  uomo,  dopo  il  ritegno 
della  mistica  contemplazione  di  Beatrice,  a  noi  piace  '.  E, 
dico  il  vero,  non  dispiacerebbe  neppure  a  me.  Ma,  come 
dice  il  proverbio,  facile  credimus  quod  optamus.  Già  il  To- 
deschini,  il  Witte,  il  Boehmer,  lo  Scartazzini,  ed  altri,  cre- 
dettero che  codesta  canzone  dovesse  entrar  nell'  opera  tem- 


(1)  '  Madonna,  il  core  è  sempre  pien  di  voi,  E  lo  intelletto  si 
volge  nel  prato  Dove  fioriscon  le  vostre  virtù  ',  dice  il  Barberino 
(  Begg.  4  )  alla  sua  donna  allegorica  ;  e  in  un  '  prato  '  appunto  vede 
poi  le  Virtù.  Nei  Documenti  { p.  309  s  )  pone  anche  in  un  '  prato  ', 
a  coglier  fiori  la  Gloria,  che  ha  la  veste  '  gialletta  '.  Non  occorre 
ricordare  il  '  prato  di  fresca  verdura  '  dogli  '■  spiriti  magni  '  del  primo 
cerchio  dell'  Inferno,  né  l' interpretazione  degli  antichi  commentatori,. 


Se  ffono  aììegoriche  ìe  rime  pieiròae 


perata  e  virile  ;  e  così  credette  recentemente  anche  il  Kraus. 
Ben  si  vide  un  accenno  ad  essa  canzone  nel  luogo  del  Con- 
vivio :  (  4,  26,  64  )  *  E  quanto  raffrenare  fu  quello,  quando 
[  Enea  ]  avendo  ricevuto  da  Dido  tanto  di  piacere,  quanto 
di  sotto  nel  settimo  Trattato  si  dirà,  e  usando  con  essa 
tanto  di  dilettazione,  egli  si  partì,  per  seguire  onesta  e 
laudabile  via  e  fruttuosa,  come  nel  quarto  dell'  Eneida  è 
scritto  !  '  Si  legge  infatti  nella  canzone  :  '  El  [  Amore  ]  m'  ha 
percosso  in  terra,  e  starami  sopra  Con  quella  spada,  on- 
ci' egli  ancise  Dido  '.  Ed  è  certo  congettura  ragionevole  ; 
ne  sarà  di  molto  peso  l'  obbiezione  del  Bartoli,  che  *  Dido 
è  nominata  nei  versi  affatto  per  incidenza,  anzi  per  figu- 
ra retorica  '.  Per  incidenza  e  per  figura  retorica  è  nomi- 
nato nella  seconda  canzone  del  Convivio,  il  Sole,  per  esem- 
pio ;  e  nondimeno  il  poeta  ne  tira  fuori  una  lunga  digres- 
sione (  3,  5,  18  ).  C«rto  nessuno  '  può  indovinare  quello  che 
di  Dido  e  di  Enea  avrebbe  scritto  Dante  se  avesse  termi- 
nato il  Convito  '  ;  ma  tutti  sappiamo  che  pensasse  Dante 
dell'  Eneide  :  e  d'  altra  paite,  il  dubbio  che  la  canzone  che 
dovea  essere  commentata  nel  settimo  trattato,  non  fosse 
scritta,  non  mi  pare  possa  insinuarsi  nell'  animo  nostro  e 
renderci,  anche  per  questo  rispetto,  perplessi  ;  giacche  il 
poeta  si  proponeva  di  commentare  quattordici  canzoni  già 
fatte  (1,  1,  102).  E  a  pensarci  sii,  quell'ardenza  che  a 
noi  piace,  o  non  dispiace,  forse,  intesa  alla  lettera,  potea 
molto  dispiacere  al  cantor  della  rettitudine,  a  colui  che 
aveva  scritto  la  Vita  nuova  e  scriveva  canzoni  allegorico  - 
filosofiche  e  canzoni  morali  e  meditava  la  Commedia.  Non 
pare  davvero  molto  verosimile  che  tale  poeta  prestasse  an- 
cora lo  stancato  dito  alla  penna  d'  un  amor  bestiale,  da 
orsacchiotto  ;  d'  un  '  terribile  amore  .  .  .  che  devasta  l' anima, 
traverso  a  cui  passa  '.  Codesto  '  triste  Amore  '  (  lo  afferma 
proprio  il  Carducci  neir  ode  a  Sirmione  )  '  odia  le  Muse,  e 
lascivo  i  poeti     frange  o  li  spegne  tragico  '.  Certo  nessuno 

10 


78  L'episodio  della  donna  gentile 

in  quelle  condizioni  ha  mai  pensato  di  scriver  versi,  d'in- 
trecciar rime,  di  divincolarsi  sotto  le  torture  della  sestina 
arnaldesca  e  di  una  forma  ancor  più  faticosa.  D'  altra  parte, 
da  tutti  gli  scritti  del  poeta  è  così  lontana  la  sensualità, 
anzi  vi  è  in  tale  abominio,  che  non  dovrebbe  parer  cosa 
molto  naturale  eh'  egli  si  sia  mai  lasciato  andare  a  trescar 
con  le  vergini  Muse,  fuori  anche  d'  ogni  nobile  tradizion 
letteraria.  Né,  chi  ben  guardi,  ha  nulla  che  veder  qui  la 
contumeliosa  tenzone  con  Forese.  Ma  guardiamo  un  po' 
quella  canzone,  che  è  la  più  incriminata,  e  non  in  quei 
luoghi  che  per  la  loro  crudezza  appunto,  dovrebbero  pure 
ingenerar  il  sospetto,  non  si  tratti  d'  altro.  Il  poeta  non 
ci  dice  che  è  solo  a  soifrire  per  la  '  bella  pietra  ', 

La  quale  ognora  impetra 

3Ia2gior  durezza  e  più  natura  cruda 

E  vesto  sua  persona  d'  un  diaspro  : 

ma,  secondo  il  solito,  generalizza  : 

Ed  olla  ancide,  o  non  vai  eh'  vxom  si  chiuda, 

^è  si  dilunghi  da'  colpi  mortali  ; 

Che,  coni'  avesser  ali, 

Giungono  altrui,  e  spezzan  ciascun  armo. 

Beatrice  beatificava  tutti,  costei  ferisce  mortalmente  tutti. 
E  non  pare  che  uell'  ardenza  del  sentimento  un  innamo- 
rato possa  parlare  della  donna  del  suo  cuore  così.  L'  a- 
more  è  esclusivo  e  geloso.  Dice  ancora  di  costei  il  poeta: 

come  fior  di  fronda, 
Cosi  della  mia  monte  tien  la  cima  ; 

e  nel  Convivio,  del  verso  '  Amor  che  nella  mente  mi  ra- 
giona', si  legge:  (  3,  3,  1)  'Non  senza  cagione  dico  che 
questo  amore  nella  mente  mia  fa  la  sua  operazione  ;  ma  ra- 
gionevolmente ciò  si  dice,  a  dare  ad  intendere  quale  amore 


La  cara.  Così  nel  mio  parlar  79 


è  questo,  per  lo  loco  nel  quale  atlopti^  ,  ^...  anche  3,  3, 
94  ).  E  intendimenti  allegorici  forse  hanno  questi  due  versi: 

Che  tanto  dà  noi  Sol,  quanto  nt-l  rozzo. 
Questa  schorana  micidialo  <'  l;iii:i. 

'  Probabilmente  (  chiosa  il  Fraticelli  )  con  questa  metafo- 
ra lia  voluto  significare  eh'  ella  si  conteneva  in  egual  mo- 
do si  neir  estate,  che  nell'  inverno  '.  E  il  Giuliani  :  '  Fe- 
risce del  pari  quando  il  sole  la  irraggia,  come  allora  che 
si  ritrova  all'  ombra,  di  e  notte,  in  ogni  tempo  ella  vibra 
le  sue  mortali  saette  *.  Ma  sarà  poi  vero  ?  Sia  pure  che 
'  Sole  '  possa  significare  estate,  o  giorno  ;  ma  '  rezzo  '  si 
dirà  r  inverno,  o  la  notte  ?  E  non  sarebbe  espressione  af- 
fatto oziosa  dire  che  una  donna  nell'  inverno  e  nella  state, 
di  notte  e  di  giorno  si  procaccia  degli  amanti,  o  incrude- 
lisce con  1'  amante,  o  che  altro  so  io  ?  Quando  pure  non 
fosse  illepida  goffaggine  (').  Insomma,  tutto  cospira  a  trat- 
tenerci dal  dare  giudizi  assoluti  e  recisi  su  codeste  strane 
rime  pietrose  ;  e  la  riserva  del  critico  non  mi  parrebbe  uè 
eccessiva  né  irragionevole  ;  perchè  potrebbe  aver  ragione 
il  Dionisi  (  Prepar.  2,  43  ),  che  *  quella  Pietra,  di  cui  s' in- 
tese il  Poeta,  non  era  .  .  .  delle  nostre  petraje  '  (*). 


(t)  Nella  sestina  Al  poco  giorno,  come  le  parole  *  pietra  *  •colli' 
•  erba  '  '  verde  '  '  donna  *,  ricorro  in  fin  di  verso  la  parola  '  ombnt  '  ; 
e  cfr.  Conr.  2,  9,  127  '  Vctlomolo  por  fede  perfettamente  ;  e  per  ra- 
gione lo  vodemo  con  ombra  d'  oscurità,  la  quale  incontra  por  mi- 
stura del  mortale  coli'  inimortnle  '. 

(-)  Poco  probabile  mi  pare  la  recente  congettura  del  Torraca 
(  Bnll.  ns.  10,  157  ss  )  :  il  quale,  identificando,  come  già  il  Serafini, 
la  donna  della  canzono  •  montanina  '  Amor,  dacché  conn'en,  con  la 
donna  delle  rime  pietrose,  vorrebbe  che  tutte  codeste  rime,  ed  al- 
tre ancora,  fossero  composte  verso  il  1311,  nel  Casentino.  •  La  bel- 
lissima e  crudelissima  fanciulla  molto  probabilmente  ora  di  Prato- 
vecchio  ',  dico  il  Torraca  ;  sennonché,  considerando  che  il  Boccac- 
cio e*  informa  che  era  '  gozzuta  ',  egli  sospetta  o  che  Gozzuti  fosse  il 


so  L'episodio  della  donna  gentile 

Sia  come  si  voglia,  la  famosa  finestra  della  Vita  nuova 
non  è  poi  sì  grave  negozio  come  pare  a  primo  aspetto.  La 
'  finestra  '  aveva  avuto  prima  di  Dante  la  sua  bella  signifi- 
cazione allegorica.  Nel  Cantico  (  2,  9  )  si  legge  :  En  ipse  stat 
post  parietem  nostrum,  respiciens  per  fenestras, 
prospiciens  per  cancellos  '  ;  e  nell'  Esposizione  attribuita  a 
Gregorio  Magno  {Opera  omnia,  Venetiis  1768-1776:  2, 
10  )  :  '  Quasi  post  parietem  nostrum  Christus  incarnatus 
stetit  ;  quia  in  humanitate  assumta  divinitas  latuit.  Et  quia 
ejus  immensitatem  si  ostenderet,  infirmitas  humana  ferre 
non  potest,  carnis  obstaculum  objecit,  et  quidquid  magni 
inter  homines  operatus  est,  quasi  post  parietem  latitans 
fecit.  Per  fenestras  autem  et  cancellos  qui 
aspicit,  partim  videtur,  partim  vero  se 
abscondit.  Sic  et  Dominus  Jesus  Christus  dum  et  mi- 
racula  per  divinitatis  potentiam  fecit,  et  abjecta  per  carnis 


cognome  della  fanciulla,  o  che  '  1'  origine  di  questo  comico  parti- 
colare debba  cercarsi  nel  fatto  che  ella  fu  di  Strumi  '.  Insomma, 
a  Pratovecchio  o  a  Strumi,  intorno  al  1311,  il  poeta  sarebbe  stato 
cotto,  stracotto  e  biscottato  ;  e,  nel  bisogno  prepotente  di  strombaz- 
zare il  suo  amorazzo,  avrebbe  scritto,  oltre  il  resto,  un'  epistola  a 
Moroello  Malaspina,  scomodando  così  anche  F  eloquio  di  Marco  Tul- 
lio per  la  ritrosetta  del  Casentino.  '•  Un  amore  tormentoso,  osserva 
il  Torraca,  tempestoso,  che  s' impossessa,  a  un  tratto,  di  un  cuore 
agitfito  dalla  passione  politica,  non  capita  tutt'  i  giorni  ;  ma  pur  ca- 
pita, e  la  storia  ne  offre  esempi  memorabili.  Dante  avea  quaranta- 
sei anni,  1'  età  degli  amori  violenti,  nulla  refragante  virtute  ;  e  lungo 
tempo  s"  era  tenuto  lontano  dalle  donne,  e  fu  «  colto  »  nell'  ozio  e 
nella  solitudine,  amica  solitudo  della  campagna....  Qualcuno  stimerà 
invorisimile  che  per  una  donnetta,  comunque  bella  e  attraente,  ri- 
trosa per  giunta,  il  fierissimo  uomo  dimenticasse  quello,  che  più  do- 
veva stargli  a  cuore  —  lo  sorti  di  Firenze,  dell'  Italia,  dell'  Impero. 
Che  farci  ?  «  Amor  terribilis  et  imperiosus  eiim  tenuit  »,  e  basta  '.  Tut- 
tavia, vd.  Bartoli,  St.  4,  277  ss  ;  Zingarelli,  Rass.  crii.  4,  49  ss  ;  Dante, 
222  s.  232  s. 


L' allegoria  della  finestra  81 

infirraitatem  pertulit,  quasi  per  fé  n  est  ras  et  can- 
cellos  prospexit;  quia  in  alio  latens,  in 
alio  quis  esset  apparuit'.  Madonna  la  Filosofia 
dunque,  riguardando  da  una  finestra,  potava  bene  aver  le 
sue  belle  ragioni  allegoriche,  non  dissimili  forse  dalle  ra- 
gioni attribuite  all'  itifianimato  amante  della  formosa  Sul- 
lamita  ('j. 


10. 

Ma  e'  è  ancora  un  altro  scoglio,  o  diciamo  piuttosto, 
un  altro  bastone  m«»sso  tra  le  ruote  di  questo  benedetto 
carro  della  donna  gentile  e  pietosa.  Michele  Barbi  (  Due 
noterelle  dantesche,  Firenze  1898  )  ha  trovato  che  nel  so- 
netto Per  quella  eia,  anziché  '  passa  una  donna  ',  nel  terzo 
verso  deve  leggersi  '  passa  Lisetta  '.  E  passi  anche  Lisetta, 
e  solletichi  anch'  essa  le  non  pigre  fantasie  dei  confettieri 
di  quei  rugiadosi  romanzetti  sentimentali  che  impinguano 
la  biografia  di  Dante  (-j.  Adunque, 


(*)  D  Biscioni  (  Pref.  21  )  spiegava  :  *  Per  la  pietà,  Li  moralità 
intendere  si  dee;  per  la  finestra,  an  hiogo  elevato  ed  aperto  bensì, 
ma  non  frià  fuori  d'ogni  terreno  abitacolo:  a  significare  che  questa 
donna  per  lume  naturale  si  può  dagli  uomini  vedere  '.  Il  Bartoli 
(  St.  4,  223  )  :  *  La  finestra  . . .  può  esprimere  qui  un  luogo  alto,  e  per- 
chè Dante  siasi  fatto  riguardare  dall'  alto  s' intende  benissimo  '  :  e 
altrove  (  5,  79  n^  )  richiama  molto  opportunamente  il  luogo  di  Boezio 
(  De  consolatione  philosophiae.  prosji  I  |  :  *  adstitisse  mihi  s  u  p  r  a 
vorticem  \Ì8a  est  mulier  '. 

(^)  '  Come  Violetta,  impone  il  Lamma  (  Qaest.  134  ),  anche  ma- 
donna Listi  deve  entrare  nella  schiera  delle  donne  che  amarono 
Dante  '.  Ed  entri  pure,  senza  cerimonie,  anche  madonna  Lisa  :  e 
facciamoci  una  fregatina  di  mani.  Xon  intendo  però,  perchè  il  Lamma 
cominci  allegramente  coli'  assicurarci,  che  (  p.  119  )  '  tra  le  donne 
realmente  amate  da  Dante,  con  buona  pace  di  tatti  i  crìtici  che 
nelle  suo  rime  d'  amore  cerciino  il  simbolismo,  più  o  meno  recon- 


82  L' episodio  della  donna  gentile 


Por  quella  via  che  la  Bellezza  corro 
Quando  a  destaro  [chiamar]  Amor  va  nella  monto, 
Passa  Lisetta  baldanzosamente, 
Come  colei  che  mi  si  crede  tórre. 

E  quando  è  giunta  a  pie  di  quella  torre 
Che  s'  apre  quando  1'  anima  consento, 
Odesi  voce  dir  subitamente  [cortesemente]  : 
'  Volgiti,  bella  donna,  non  ti  porro  '  ; 

Che  donna  dentro  nella  mente  siedo, 
La  qual  di  signoria  tolse  la  verga 
Tosto  che  giunse,  e  Amor  sì  gliela  diede  (*). 

Quando  Lisetta  accomiatar  si  vede 
Da  quella  parte  dove  Amore  alberga. 
Tutta  dipinta  di  vergogna  riede. 

Il  Barbi  crede  che  oramai  non  si  possa  vedere  altro  in 
questo  sonetto,  '  se  non  un  contrasto  fra  Beatrice  e  una 
donna  vera  e  propria,  o  al  più  tra  la  Filosofia  e  una  donna 
medesimamente  vera  e  propria  '.  Niente  si  opporrebbe  a 
quest'  ultima  ipotesi  ;  che  inverosimile  non  pare  che  un 
poeta,  amante  della  filosofia,  ad  una  donna  vera  e  propria 
che  tenti  di  sedurlo,  faccia  dire  dalla  sua  donna  allego- 
rica :  '  Volgiti,  bella  donna,  non  ti  porre  '.  Sarebbe  una 
fantasia  poetica  che  in  fondo  vorrebbe  dire  :  ■ —  Attendo 
allo  studio,  Lisetta,  e  non  posso  badare  a  te,  che  credi  di 
avermi  già  conquistato  ;  e  vattene  —  ,  Sennonché,  forte 
era  per  sé  stessa  la  tentazione  d'  identificare  codesta  bai- 


dito  o  più  o  mono  ignoto  allo  stesso  Alighieri,  Madonna  Lisa  o  Li- 
setta occupa  un  luogo  non  secondario  '  ;  e  finisca  poi  col  mostrarsi 
turbato  da  dubbi  angosciosi  :  (  p.  138  )  •  A  Lisetta  a^Tà,  presto  o 
tardi,  ceduto  1'  amore  di  Dante  ?  O  la  pi'ofezia  di  M.  Aldobrandino 
de'  Mezzabati  sarà  stata,  come  tutte  le  profezie  dei  poeti,  una  pro- 
fezia mendace  ?  Sono  interrogativi  ai  quali,  io  temo,  non  si  potrà 
rispondere  mai  '. 

(1)  Le  stampe  leggevano  :  '  Che  quella  donna,  che  di  sopra  sie- 
de, Quando  di  signoria  chiose  la  verga,  Com'  olla  volse,  Amor  to- 
sto lo  diede  '. 


Passa  Lisetta  83 


(lanzosa  Ijisetta  vcon  la  donna  gentile  ;  e  veniva  poi  in 
buon  punto  a  rassicurare  i  bene  intenzionati,  questa  cu- 
riosa circostanza  :  si  ha  un  sonetto,  responsivo  al  dante- 
sco, di  un  messer  Aldobrandino  Mezabote  ;  il  quale  pare 
che  sia  da  identificare  alla  sua  volta  con  un  *  dominus 
Aldobrandinus  de  Mezzabatibus  ',  padovano,  capitano  del 
popolo  a  Firenze  dal  maggio  1291  al  maggio  1292  ;  e 
coir  '  Ildebrandinum  Paduanum  '  citato  in  De  Vulgari  E- 
loquentia  (1,  1-4.  6)(').  E  concediamo,  come  'probabi- 
le ',  che  il  sonetto  dantesco  e  il  responsivo  del  signor 
capitano,  '  fossero  composti  in  Firenze,  quando  ancor  fre- 
sca era  la  memoria  di  Beatrice  e  nuovi  affetti  venivano  a 
tentare  il  cuore  di  Dante  '.  Concediamo,  ma  a  patto  di 
non  mischiare  in  codesta  novissima  faccenda  ne  la  B  e  a  - 
trice  della  Vita  nuora,  ne  la  donna  gen- 
tile. Beatrice  nel  sonetto  non  è  nominata,  ne  si  vede  in 
alcun  modo  che  il  poeta  volea  serbarsi  fedele  alla  memo- 
ria di  una  morta.  E  certo  occorre  un  bel  castelletto  d' i- 
potesi  per  salire  fino  alla  sospirata  conclusione  '  probabi- 
le '  (-).  Qualche  schiarimento  o  ajuto  potremmo  sperare  an- 
che noi,  come  Lisetta,  dalla  Musa  di  messer  Aldobrandino  ; 
ma  il  responsivo  sonetto  del  signor  capitano  è  cosi  oscuro, 
che  poco  costrutto  se  ne  può  cavare  :  tuttavia  è  notevole 
che  non  vi  è  neppure  in  questo  sonettaccio  accenno  alcuno 
né  a  Beatrice,  né  a  donna  morta.  D'  altra  parte,  Lisetta, 
checche  vada  dicendo  G.  Manacorda  (  Giarn.  dant.  8,  105 


(*)  Cito  dall'  ed.  minore  del  Rajna.  Firenze  1897.  Vd.  la  co- 
municjiziono  di  Paget  To\Tibee  in  The  Athenaenm.  n"  3706  :  e  Y  o- 
pinione  del  Hajna  nel  Bull.  ns.  6.  27. 

(^)  Vittorio  Cian  (  Bull.  ns.  5,  125  )  troppo  speditamente,  io  cre- 
do, scrive  :  '  ^Xel  Son.  Per  quella  eia  è  notevole  1*  allusione  a  Bea- 
trice come  a  signora  della  mente  del  Poeta,  signora  per  virtù  d'  a- 
more,  giìi  donna  reale,  ma  oramai  morta,  assunta  in  cielo,  idealiz-* 
zata  nelle  memorie  e  nel  culto  dell'  Alighieri  ". 


84  L'episodio  della  donna  gentile 

ss  ),  non  può  identificarsi  con  la  donna  gentile.  Lisetta  pas- 
sava '  baldanzosamente  \  credendosi  sicura  del  fatto  suo,  e 
la  donna  gentile  della  Vita  nuova  (  35,  8  )  '  riguardava  si 
pietosamente,  quanto  a  la  vista,  che  tutta  la  pietà  parea 
in  lei  accolta  '.  E  il  poeta  dicea  fra  sé  medesimo  :  '  E'  non 
puote  essere  che  con  quella  pietosa  donna  non  sia  nobi- 
lissimo amore  '  ;  e  non  cantava  la  baldanza  della  nuova 
donna,  ma  '  quanta  pietate  Era  apparita  '  ;  e  non  dipin- 
geva tutta  di  vergogna  la  pretendente,  ma  le  attribuiva, 
con  tenerezza. 

Color  d'  amore  o  di  pietà  sembianti. 

Insomma,  la  donna  pietosa,  savia  e  gentile  non  ha  pro- 
prio nulla  da  spartire  con  la  Lisetta,  che  '  passa  baldan- 
zosamente ',  e  che,  quando  *  accomiatar  si  vede  ',  se  ne  va 
mogia  mogia  '  tutta  dipinta  di  vergogna'.  Ne  si  può  pen- 
sare che  la  donna  gentile,  dapprima  pietosa,  poi  si  sia  mo- 
strata baldanzosa  ;  giacché,  così  nella  Vita  nuova  come  nel 
sonetto,  si  parla  della  prima  fase  dell'  innamoramento,  della 
conquista  cioè,  fallita  alla  Lisetta,  riuscita  alla  donna  gen- 
tile. Oltre  di  che,  non  pare  molto  probabile  che  il  poeta 
tra  il  1291  e  il  1292  mandasse  in  giro  per  Firenze  la  sfron- 
tatezza di  codesta  Lisetta,  che  per  sua  fortuna  trovò  quel 
messer  Aldobrandino  così  cavaliere  da  scioglierla  dalla  ver- 
gogna ('Lisetta,  io  voi  dalla  vergogna  sciorre ',  pare  che 
cantasse  il  capitano  )  ;  e  qualche  anno  appresso  chiamasse 
savia,  pietosa  e  gentile  quella  stessa  donna  ch'egli-avea 
pubblicamente  svergognata  (^). 


(1)  Albino  Zonatti  (  Rime  di  Dante  per  la  Pargoletta,  nella  Ri- 
vista d' Italia,  15  ott.  1898  :  p.  125  e  131  n2  )  si  mostra  indeciso  ; 
il  Lamma  (  p.  123  ss  )  crede  poi  che  l' identificazione  sia  impossi- 
bile, anche  pei-chè  le  dne  famose  rivoluzioni  di  Venere  ci  portano, 
secondo  il  critico  che  crede  di  seguire  il  Lubin,   al   giugno   1292  j 


Lisetta  0  licenza/  ftS 


Tutto  ciò  se  dobbiamo  tener  per  definitiva  la  restitu- 
zione del  Barbi.  Sulla  quale  del  resto,  potrebbe  elevarsi 
qualche  dubbio.  Il  fatto  stesso  che  il  nome  Lisetta  riap- 
pare nel  verso  dodicesimo  (  '  Quando  Lisetta  accomiatar 
si  vede  '  in  luogo  di  '  E  quando  quella  accomiatar  si  vede  '  ) 
in  qualche  manoscritto,  e  non  in  tutti  gli  otto  che  hanno 
nel  terzo  verso  Lisetta  (  alisetta,  Ollisetta  )  ;  mostra  che  chi 
copiava  il  sonetto,  si  sentiva  talvolta  in  diritto  di  far  delle 
sostituzioni.  E  questa  ipotesi  pare  avvalorata  dall'  altro 
fatto,  che  ben  quattro  codici  hanno  suppergiù  licenza,  an- 
ziché Lietta,  nel  terzo  verso.  Che  alcuno  cambiasse  licenza 
in  Lisetta  a  me  par  verosimile  ;  ma  che  ad  alcuno,  salvo 
che  non  fosse  un  burlone,  venisse  in  mente  di  sostituire 
licenza  a  Lisetta  non  pare  probabile.  Nel  caso  di  scrittura 
poco  chiara,  chi  copiava  correva  più  facilmente  col  pensie- 
ro a  un  nome  di  donna,  Lisetta,  che  all'  astratto  licenza  ;  e 
quindi  la  sostituzione  di  Lisetta  a  licenza  è  più  probabile 
del  caso  inverso.  Il  sonetto  del  Mezabote  pare  che  tagli 
netto  e  corto,  e  che  non  dia  luogo  a  supposizioni  di  questa 
specie  ;  ma  io  ho  pure  un  sospetto,  non  si  tratti  di  due  re- 


p  quindi  la  donna  trentilo  '  sarobV»*»  apparsa  a  Dante  quando  Aldo- 
brandino dei  Mozzabati  avea  finito  il  suo  ufficio  di  Capitt'ino  del  po- 
polo e  senza  dubbio  aveji  lasciato  Firenze  '.  Ma  non  era  strettamente 
necessaria  la  presenza  di  niesser  Aldobrandino  a  Firenze,  perchè 
madonna  Lis.-»  avesse  1'  ajuto  d'  un  sonetto.  C  è  da  domandare  piut- 
tosto ai  bene  intenzionati,  se  è  molto  serio  che  la  donna  gentile  e 
pietosa  della  Vita  nuora  debba  far  tutte  le  parti  in  commedia,  eccetto 
quella  parte  che  volle  farle  rappresentare  il  poeta.  Es.sa,  così  nella 
Vita  nuova  come  nel  Contino,  non  ha  nome  personale  ;  essa  è  bella, 
savia,  pietosa,  gentile,  nella  Vita  nuova  e  nel  Concirio  :  e  nondimeno 
non  dev'  essere,  non  è  quella  che  è  ;  dev'  essere  Gemma  Donati,  de- 
v'  essere  non  so  quale  madonna  Pietra,  dev'  essere  qualche  signora 
Matelda,  dev'  essere  qualche  sfrontata  Lisetta ...  E  quelli  che  fan- 
tiisticiino  sono  poi  gli  allegoristi  ! 

11 


86  L'episodio  delia  donna  gentile 

dazioni  alquanto  diverse,  la  seconda   delle    quali   di   poco 
forse  posteriore  al  sonetto  del  Mezabote. 

Comunque,  solo  questo  a  me  par  sia  da  concedere  ; 
che  se  il  sonetto  dantesco  parla  di  due  donne  reali,  ed  è  an- 
teriore alla  Vita  nuova,  è  probabile  che  il  poeta,  nel  creare 
r  allegoria  del  fervido  e  passionato  libello,  non  abbia  fatto 
lavoro  esclusivamente  di  fantasia  (').  La  testimonianza  del- 
l' Ottimo  (  L'  Ottimo  Commento  della  DC.  Pisa  1827  -  29  : 
2,  549  )  ha  avuto  probabilmente  origine  da  un'  imperfetta 
e  vaga  notizia  del  sonetto.  Dal  quale  appare  chiarissimo 
che  il  poeta  non  amò  la  baldanzosa,  come  1'  Ottimo  ci  at- 
testa, mettendo  in  un  fascio  la  '  pargoletta  ',  la  '  Lisetta  ', 
la  '  montanina  ',  e  '  quella  ',  e  '  quell'  altra  '  ;  ma  la  re- 
spinse. E  certo,  né  1'  Ottimo  avrebbe  saputo  dire,  né  altri 
saprebbe  dire  se  quella  rejetta  abbia  fatto  poi  altri  tenta- 
tivi di  seduzione,  e  sia  riuscita  infine  a  conquistare  il  cuore 
del  poeta. 


(1)  Un  motivo  elio  pare  ispirato  e  dall'  episodio  della  Vifa  finora 
e  dal  sonetto  dantesco  della  Lisetta,  svolge  il  sonetto  seguente  di 
Sennuccio  del  Bene  : 

Era  nell'  ora  che  la  dolce  stella 
Mostra  il  segno  del  giorno  a'  viandanti. 
Quando  mi  apparve  con  umll  sembianti 
In  visione  una  gentil  donzella. 

Parea  dicesse  In  sua  dolce  favella  : 
'  Alza  la  testa  a  chi  ti  vien  davanti 
Mossa  a  pietà  de'  tuoi  pietosi  pianti, 
Piena  d'  «amore  e,  come  vedi,  bella, 

A  rimettermi  tutta  In  la  tua  mano  : 
Tlen  me  per  donna,  e  lascia  la  tua  antica. 
Prima  che  morte  t'  uccida,  lontano  '. 

Io  vergognando  non  so  che  mi  dica  ; 
Ma  per  donzella  e  per  paese  strano 
Non  cangio  amor,  né  per  mortai  fatica. 

Ond'  ella  vergognosa  volse  1  passi, 
E  piangendo  lasciò  gli  occhi  miei  bassi. 


La  canz.  E  m' incresce  di  me  87 


11. 


Vere  contradizioni  adunque  tra  la  Vita  nuova  e  il 
Concicio,  noi  non  vediamo  ;  anzi  molte  concordanze  e  ri- 
spondenze non  dubbie  (').  E  invece  di  codesto  sonetto  della 
vergogna  d'  una  baldanzosa  Lisetta,  si  potrebbe  forse  più 
a  proposito  richiamare  a  chiarimento  e  complemento  del- 
l' episodio  della  Vita  nuota,  la  canzone  E"  m' iiicresce  di  me. 

Neil'  ultimo  sonetto  del  giovanile  libello,  un  sospiro 
esce  dal  cuore  del  poeta  ;  una  nuova  intelligenza  lo  tira  in 
alto,  nell'  empireo  ;  a  codesta  *  intelligenza  nova  '  si  volge  il 
poeta,  che  omai  passa  i  cieli,  passa  '  Oltre  la  spera  che  più 
larga  gira  '.  *  Lo  peregrino  spirito  '  vede  quivi  una  '  donna 
che  riceve  onore  '  ;  ma  '  parla  sottile  ',  e  il  poeta  ancora  non 
lo  intende.  Or  come  codesto  sonetto  pronunzia  la  '  mirabile 
visione  '  dell'  ultimo  paragrafo  della  Vita  nuova,  e  come 
la  '  mirabile  visione  '  accenna  già  alla  Commedia  ;  così  a 
me  pare  che  la  canzone  E  m' incresce  di  me  sia  foriera  ap- 
punto di  codesto  incielarsi  del  sentimento  del  poeta,  del 
ritorno  a  Beatrice  celeste,  dopo  la  '  vana  intenzione  ',  dopo 
il  gentile  pensiero  per  la  bella  consolatrice.  Nella  canzone 
'  r  anima  '  del  poeta  '  Innamorata  se  ne  va  piangendo 
Fuora  di  questa  vita.  La  sconsolata,  che  la  caccia  Amore  '. 
Nelle  prime  quattro  stanze  il  poeta  descrive  lo  stato  del- 
l' animo  suo  nella  dolorosa  disillusione  del  suo  secondo  a- 
more,  e  nelle  ultime  due  ricorda  i  due  innamoramenti  e 
le  due  donne  della  Vita  nuova.  Io  credo  dunque,  che  la 
canzone  coincida  quasi    con    la   '  forte   imaginazione  '    del 


(t)  Cospicua,  per  esempio,  è  1' <>s>.ivazione  del  Kenier  |  T'.V.  <  F. 
193  ),  che  si  può  vedere  '  una  connessione  fra  l' intendimento  ed  il 
titolo  stesso  dell'  opera  boezian:^  e  1*  appellativo  tli  donna  pietosa  dato 
tbi  Dante  iilla  filosofia  ". 


88  L' episodio  della  donna  gentile 


paragrafo  39  del  libello,  nella  quale  parve  al  poeta  rive- 
dere Beatrice  '  con  quelle  vestimenta  sanguigne  '  che  avea 
quando  la  vide  la  prima  volta  e  se  ne  innamorò. 

Sennonché,  questa  nuova  interpretazione  non  può  pas- 
sare senza  più  lungo  discorso.  L'  Oeynhausen  crede  '  che 
questa  canzone  sia  quasi  una  transizione  dalla  Vita  Nuova 
al  Concito  '  ;  e  al  Witte,  '  che  pur  rigetta  F  opinione  del- 
l' Oeynhausen,  non  sembra  che  in  essa  canzone  si  alluda 
alla  Beatrice  della  Vita  Nuova  '  (  vd.  Bartoli,  St.  4,  242  n^  ). 
Del  resto,  quanti  della  canzone  direttamente  o  indiretta- 
mente si  sono  occupati,  hanno  inteso  che  il  poeta  parli 
sempre  in  essa  del  suo  amore  per  Beatrice.  Il  Giuliani  però 
chiude  le  sue  note  di  commento,  con  questa  grave  osserva- 
zione :  '  Veramente  chi  pon  1'  occhio  un  po'  a.ttento  a  questa 
canzone,  vi  discopre  si  la  mano  e  i  concetti  del  sovrano  ar- 
tefice della  Commedia  ;  ma  dubito  se  gli  riesca  di  com- 
prenderne ben  determinato  il  disegno.  Certo  altri  potrebbe 
desiderarvi  quella  unità,  che  è  costante  e  proprio  suggello 
d'  ogni  scritto  dell'  Allighieri.  Forse  che  le  strofe  vi  son 
male  ordinate,  se  già  non  vogliono  credersi  in  uno  rifusi 
due  diversi  componimenti  '.  Certo,  se  in  quella  canzone 
dobbiamo  intendere  che  il  poeta  parli  del  solo  amore  per 
Beatrice,  non  sé  cava  chiaro  costrutto,  e  le  ipotesi  del  Giu- 
liani ci  parranno  molto  ragionevoli.  Tuttavia,  né  il  Car- 
ducci (  O}).  8,  52  ss  ) ,  né  il  Bartoli  (  St.  4,  240  ss  ;  5,  55  s  ) 
si  fermano  a  notare  o  a  chiarir  le  difficoltà  d' interpreta- 
zione ;  e  ciò  forse  non  può  bastare  per  dire  che  ai  due 
grandi  maestri  riescisse  '  di  comprenderne  ben  determinato 
il  disegno  '  (^).  Bene  intende  ogni  cosa  il  Fraticelli,  a  co- 


(1)  Lo  Zingiirolli  (  Dante,  34  )  vedo  '  il  combattimento  ohe  so- 
stenevano la  sua  [  del  poeta  ]  mente  e  la  sna  vita,  1'  una  tutta  de- 
siosa o  devota  alla  donna  amata,  1'  altra  afflitta  e  stremata  '  ;  e  pili 
innanzi  (  p.  107  ),  ritornandoci  su,  scrivo  ancora  :  '  Il  poeta,  in  sei 


Ijtt  canz.  IP  m*  incresce  di  me  80 

minciare  dalla  *  bellezza  e  sublimità  di  questa  canzone 
dettata  con  pura  e  nobile  favella,  e  piena  di  passionate 
espressioni  e  di  alti  concetti . .  .  Questa  (  continua  allegra- 
mente il  rabbioso  e  puerile  contradittore  del  Biscioni  )  non 
parla  già  d'  un  amor  filosofico,  ma  d'  un  amor  naturale, 
ed  apparisce  scritta  vivente  Beatrice  '.  Nondimeno,  s' in- 
gannerebbe chi  dalle  sue  chiose  credesse,  non  dico  di  acqui- 
star convinzione  della  ragionevolezza  di  codeste  due  ultime 
aflFermazioni,  che,  come  tante  altre  sue,  sono  aflPatto  gra- 
tuite ;  ma  e  di  trarre  un  costrutto  qualunque  per  l' inten- 
dimento della  canzone.  Chiosando  i  versi,  *  Ch'  altrettanto 
di  doglia  Mi  reca  la  pietà  quanto  il  martiro',  l'egregio 
uomo  si  domanda  :  *  Come  mai  la  pietà,  eh'  egli  implora,  po- 
tea  recargli  altrettanto  dolore,  quanto  recavagliene  il  mar- 
tiro,  del  quale  lagna  vasi  ?  Ciò  che  ho  detto  di  sopra  rende 
facile  la  risposta.  La  pietà,  che  recava  a  Dante  altrettanta 
doglia  quanto  il  martiro,  era  quella  che  dimostravangli  le 
donne,  delle  quali,  afiinchè  sospettar  non  si  potesse  di  Bea- 
trice, fingeva  d'  essere  innamorato.  E  questa  pietà  per  riu- 
scirgli affatto  inopportuna,  e  per  fargli  palese  come  altre 
femmine  erangli  piìi  benigne  di  colei,  che  formava  la  sua 
unica  fiamma,  recava  ad  esso  non  già  sollievo,  ma  doglia  '. 


sUmzo  di  qualtdidici  vci^i,  e  un  unnmitilo.  l'spriiiK'  il  fuiiUahto  Uà 
r  anima  sua  afflitta  per  un  amore  non  rallegrato  da  speranza,  e  la 
mente  desiosii  di  contemplare  l' immagine  della  sua  donna  :  Beatrice 
non  fu  più  cortese  del  suo  sguardo  a  Dante,  poiché  si  accorse  del 
suo  amore.  Richiama  il  ricordo  del  suo  innamoramento  nella  pueri- 
zia, e  come  tutu»  la  sua  vita  no  rimanesse  dominata  ;  si  mostra  sicu- 
ro di  andare  incontro  Jilla  morte,  e  finisce  raccomandandosi  alle  don- 
ne che  accolgano  le  sue  proteste,  e  quasi  abbandonandosi  al  suo  de- 
stino, per  la  inflessibile  crudeltà  di  Beatrice,  QuesUi  crudeltà,  ed 
il  riserbo  da  lei  assunto  quando  ebbe  conosciuto  l' iinimo  di  Dante, 
sono  i  tratti  sensuali  della  canzone,  pei  quali  sarebbe  stata  più  che 
una  stonatura  in  una  storia  ordinata  a  significazione  altamente  ideale, 
oom'  è  la   Vita  Xuoca  \ 


90  L' ephodio  della  donna  gentile 

Si  salvi  chi  può  !  Nella  nostra  canzone  Dante  implora  la 
pietà  ?  e  codesta  implorata  pietà  poi,  è  la  pietà  che  reca 
doglia  ?  ed  è  la  pietà  delle  due  donne  dello  schermo  ?  e 
dove  è  detto  che  le  donne  della  difesa  eran  donne  pie- 
tose ?  Chi  ne  capisce  qualche  cosa,  può  ben  dire  d'  avere 
interpretato  il  Fraticelli,  che  interpreta  Dante. 

Il  Giuliani  ha  pienamente  ragione  :  stando  all'  inter- 
pretazione comune,  vi  manca  unità  e  congruenza.  Ma  in- 
vece di  rifugiarci  nelle  sue  disperate  ipotesi,  vediamo  se 
non  sia  miglior  consiglio  accettare  l' interpretazione  che 
a  me  sorride,  e  a  cui  ho  già  accennato  ;  cioè,  che  nella 
canzone  si  parli  di  due  amori,  da  identificare  1'  uno  con 
1'  amore  per  Beatrice,  1'  altro  con  1'  amore  alla  donna  pie- 
tosa, che  veramente  '  non  fu  mai  pietosa  ',  benché  non  ne 
avesse  colpa,  come  dice  1'  ultimo  verso. 

Il  poeta  comincia  col  dire  che  gli  reca  doglia  tanto 
'la  pietà  quanto  il  m  a  r  t  i  r  o  '  (').  Codesta  '  pietà  '  è 
chiaramente  determinata  più  innanzi  : 

Oimè  quanto  piani, 

Soavi  e  dolci  ver  me  si  levaro  [gli  occhi], 

Quand'  egli  ineominciaro 

La  morto  mia,  eh'  or  tanto  mi  dispiace. 

Dicendo  :  Il  nostro  lume  porta  paco. 

IN^oi  darem  pace  al  cor,  a  voi  diletto, 
Dicieno  agli  occhi  miei 
Quei  della  bella  donna  alcuna  volta  ; 
Ma  poiché  sepper  di  loro  intelletto, 
Che  per  forza  di  lei 
M'  ora  la  mente  già  ben  tutta  tolta, 
Con  le  insegne  d'  Amor  dioder  la  volta  ; 


(1)  Cfr.  VN.  38,  son.  Gentil  penserò  :  '  Oi  anima  pensosa,  Que- 
sti è  uno  spiritel  novo  d'  amore.  Che  reca  innanzi  me  li  suoi  de- 
siri: E  la  sua  vita,  e  tutto  '1  suo  valore.  Mosse  de  li  occhi  di 
quella  pietosa,     Che  si  turbava  de'  nostri  martiri'. 


La  canz.  E'  ni'  incresce  di  me  ftl 

Sicché  la  lor  vittorYosit  vista 

^Ton  si  rivide  poi  unu  fVata. 

Ond'  è  rimasa  trista 

L' anima  mia  che  n'  attendea  conforto. 

A  me  pare  evidente  che  codesta  *  bella  donna  '  è  la  donna 
pietosa,  la  '  gentile  donna  giovane  e  bella  molto  '  della 
Vita  nuova,  la  Filosofia  del  Concino  {^);  e  non  per  code- 
sto attributo  di  *  bella  ',  che  potrebbe  essere  fortuita  con- 
cordanza ;  ma  e  pel  fatto,  che  nella  canzone  si  parla  pro- 
prio di  una  bella  donna,  i  cui  occhi  piani,  soavi,  e  dolci, 
si  levarono  verso  il  poeta,  promettendo  pace  e  diletto  agli 
occhi  dello  sconsolato  che  n'  attendea  conforto,  appunto 
come  nell'  episodio  della  Vita  nuoca  ;  ma  e  pel  fatto,  che 
gli  *  occhi  '  della  '  bella  donna  ',  quando  videro  che  la  '  men- 
te '  del  poeta  era  già  conquistata,  *  Con  1'  insegne  d'  Amor 
dieder  la  volta  ',  appunto  come  è  accennato  nel  comincia- 
mento  delle  canzoni  filosofiche  Le  dolci  rime  d' amor,  Poscia 
cV  Amor  del  tutto,  e  nel  sonetto  Parole  mie  ;  ma  e  pel  fatto, 
che  la  '  vittoriosa  vista  '  di  quegli  '  occhi  '  non  si  rivide  più 
dopo  la  conquista,  appunto  come  la  vittoria  della  donna 
gentile  fu  di  *  alquanti  die  ',  secondo  la  Vita  nuova.  Ed  an- 
che quel  '  bella  donna  '  in  fin  dei  conti,  potrebbe  essere  più 
che  una  fortuita  concordanza.  Nella  canzone  Amor  che  nella 
mente,  della  Filosofia  si  dice  appunto,  che  '  Sua  beltà  piove 
fiammelle  di  fuoco  '.  D'  altra  parte.  Beatrice  nella  Vita  nuo- 
va non  è  mai  chiamata  '  bella  donna  ',  come  due  volte  è 


f*)  È  certo  sorprendente  che  ijli  attributi  della  donna  gentile 
si  trovino  dati  anche  a  madonna  Intelligenza.  Intell.  st.  9  '  Bella, 
savia  e  cortese  in  veritate  '  ;  st.  15  ^  Savia,  e  cortese,  e  di  novella 
etate,  Sì  bella  mai  non  fu  al  tempo  di  Darò  '  (  cfr.  VX.  35.  7  •  gen- 
tile donna  gioviine  e  bella  molto  '  ;  38,  4  •  donna  gentile,  bella,,  gio- 
vane e  savia  '  :  Conc.  canz.  Voi  che  intendendo,  43  '  bella  donna  '  ; 
46  '  Mira  quant'  ella  è  pietosa  od  umile,  Saggia  e  cortese  nella  sua 
grandezza  '  ). 


92  V  episodio  della  donna  gentile 

chiamata  la  donna  gentile.  Si  ricorda  bensì  nelle  rime  la 
sua  '  beltate  '  (  VN.  12,  79;  14,  64  ;  26,  56  ;  33,  41  ),  è  chia- 
mata '  bella  gioja  '  (  15,  23  ),  è  detto  che  '  Per  esempio  di 
lei  bieltà  si  prova  '  (  19,  QQ  )  ;  ma  potrebbe  non  esser  la 
stessa  cosa.  Di  Beatrice  nella  prosa  e'  è  soltanto  che  il 
poeta  immaginava  '  la  sua  mirabile  bellezza  '  (  15,  12  )  ;  e 
nella  dicisione  della  canzone  Donne  eh*  avete  si  legge,  che 
il  poeta  in  essa  canzone  dice  '  d' alquante  bellezze,  che 
sono  secondo  tutta  la  persona  '  e  '  d'  alquante  bellezze,  che 
sono  secondo  determinata  parte  de  la  persona  '  (  19,  116  ). 
Quanto  al  resto.  Beatrice  è  '  gloriosa  donna  '  (1,4),'  donna 
della  salute  '  (3,  13  ),  '  gentilissima  salute  '  (11,  13  ),  '  mi- 
rabile donna  '  (  14^  32  ),  e  '  mirabile  Beatrice  '  (  24,  18  ), 
e  '  nobilissima  Beatrice  '  (  22,  4  ),  e  '  anima  bellissima  ' 
(  23,  61  ),  e  spesso  '  gentilissima  donna  ',  o  semplicemente 
'  gentilissima  '.  '  Donna  di  molto  piacevole  aspetto  '  è  la 
donna  del  primo  schermo  (5,  5  )  ;  e  '  gentile  donna  ...  di 
famosa  bieltade  '  è  Giovanna  (  24,  13  ).  Comunque,  che 
nei  versi  citati  non  vi  sia  descritta  nessuna  fase  del  primo 
amore  del  poeta,  sarà  chiaro,  io  spero,  a  chiunque  voglia 
considerare  che  Beatrice  nella  Vita  nuova  non  si  offre  mai 
apportatrice  di  pace  al  cuore  del  poeta.  Né  si  saprebbe 
d'  altra  parte,  donde  cavare  che  il  poeta  attendea  '  con- 
forto '  da  Beatrice  ;  e  neppure  s' intenderebbe,  riferita  a 
Beatrice,  la  conquista  con  promesse  mendaci,  e  il  subito 
abbandono. 

L'  a  n  i  m  a  del  poeta  che  n'  attendea  conforto,  non  ri- 
vedendo più  la  vittoriosa  vista  della  bella  donna,  e 
vedendo  il  cuore,  a  cui  era  sposata,  quasi  morto  ;  se  ne 
va  innamorata  piangendo  fuori  di  questa  vita,  e  si  lamenta 
d'  Amore  che  fuor  d'  esto  mondo  la  caccia  (  vv.  22  -  42  ). 
La  bella  donna,  la  cui  immagine  siede  su  nella  mente 
ancora,  e  che  vie  più  lieta  par  che  rida,  alza  gli  occhi  mi- 
cidiali e  grida  contro  1'  a  n  i  m  a  :  '  Vatten,   misera,   fuor, 


La  canz.  È'  tn  rncrexce  di  me  tó 

vattene  ornai  '  (  vv.  43-51  ).  Certo,  codesti  '  occhi  mici- 
diali '  ben  si  convengono  alla  '  disdegnosa  e  fera  '  donna 
del  Convivio  ;  e  1'  attitudine  della  bella  donna  verso  1'  '  a- 
nima  '  può  ben  richiamare  l'  '  avversario  della  ragione  ' 
della   Vita  nuova. 

Ma  qui  sorge  una  gravissima  difficoltà.  Il  poeta,  dopo 
le  testé  ricordate  crudeli  parole  rivolte  all'  '  anima  '  dalla 
bella  donna,  segue  nella  quinta  stanza  cosi  : 

Lo  giorno  che  ooetei  nel  mondo  venne. 
Secondo  che  si  trova 
Nel  libro  della  mento  che  vien  mono. 
La  mia  persona  parvola  soRteniK- 
Una  passlfon  nuova. 
Tal  eh'  io  rimaKi  di  paura  pieno  : 
Cir  a  tutte  mie  virtù  fu  posto  un  freno 
Subitamente  sì.  eh'  io  caddi  in  temi 
Per  una  voce,  che  nel  cor  percosso. 
E  (  so  '1  libro  non  erra  ) 
Lo  spirito  magerior  tremò  sì  forte, 
Che  parve  ben.  che  morto 
Per  lui  in  questo  mondo  giunta  fosse  : 
Ora  ne  incresce  a  quei  che  questo  mosse. 

Qui  senza  dubbio,  il  poeta  parla  di  Beatrice  ;  e  vi  è,  più 
che  un  richiamo,  un  compendio  del  lungo  paragrafo  con 
cui  comincia  la  narrazione  della  Vita  nuova  ;  ed  anche  un 
assai  palese  riferimento  alle  parole  del  Proemio,  '  In  quella 
parte  del  libro  de  la  mia  memoria  ...  si  trova  una  rubri- 
ca, la  qual  dice  :  Incipit  rifa  nova  '.  Non  mi  par  verosimile 
che  la  prosa  del  libello  sia  molto  posteriore  amplificazione 
di  codesti  versi.  Certo,  se  vero  innamoramento  a  nove  anni 
vi  fu,  non  fu  quello  narrato  nella  prosa  e  nei  versi  ;  e 
non  è  ragionevole  supporre  che,  prima  della  morte  della 
donna  amata,  il  poeta  idealizzasse  tanto  quel  suo  puerile 
primo  incontro,  da  concepire  la  solenne  fantasia  apocalit- 
tica delia  Vita  nuova  e  della  canzone.  Ma  quel  '  costei  '  del 

Vi 


94  L  episodio  della  donna  gentile 

primo  verso  della  stanza,  a  chi  deve  riferirsi  ?  alla  '  bella 
donna  ',  o  all'  '  anima  ',  cacciata  da  Amore  fuori  di  que- 
sto mondo  ?  Riesce  infatti  un  po'  duro,  sebbene  sintatti- 
camente possibile,  non  riferire  il  '  costei  '  alla  stessa  bella 
donna  di  cui  parlano  le  stanze  precedenti.  Ma,  se  si  con- 
sidera che  il  poeta  nella  Vita  nuova  e  nel  Convivio,  come 
abbiamo  già  accennato,  par  che  voglia  identificare  la  Bea- 
trice con  r  anima,  non  si  troverà  strano  che  quel  '  costei  ' 
si  riferisca  appunto  ad  '  anima  '.  Certo,  che  in  codesta  quinta 
stanza  non  si  parli  della  donna  micidiale  da  cui  il  poeta 
attendea  conforto^  si  vede  chiaro  dalle  parole  che  seguono 
nella  stanza  sesta  ;  nella  quale  il  poeta  passa  a  narrare  il 
suo  secondo  innamoramento,  ritornando  alla  bella  donna 
delle  prime  quattro  stanze  della  canzone. 

Quando  m'  apparve  poi  la  gran  boltato. 
Che  sì  mi  fa  doloro, 
Donno  gentili,  a  cui  io  ho  parlato, 
Quella  virtù,  che  ha  più  nobilitate, 
Mirando  nel  piacere, 

S'  accorse  ben,  che  '1  suo  male  ora  nato  : 
E  conobbe  '1  disio  eh'  era  criato 
Per  lo  mirare  intento  eh'  ella  fece. 
Sicché  piangendo  disse  all'  altre  poi  : 
Qui  giugnerà  in  vece 
D'  una  eh'  io  vidi,  la  bella  figura, 
Che  già.  mi  fa  paura  ; 
E  sarà  donna  sopra  tutte  noi. 
Tosto  che  sia  piacer  degli  occhi  suoi. 

Codesta  grande  beltate,  codesta  bella  figura,  che  apparve 
poi,  che  prese  il  luogo  d'  un'  altra,  non  pare  assolutamente 
sia  la  Beatrice,  della  quale  si  narra  l' innamoramento  nella 
stanza  precedente.  E  quel  dire  che  l' intelletto,  mi- 
rando nel  '  piacere  ',  conobbe  che  il  '  disio  '  era  nato  dal 
^  mirare  intento  '  della  bella  donna  ;  e  quel  dire  che  tutte 
le  virtù  s'  aspettavano  di  esser  signoreggiato  quando  aves- 


La  voce  del  buon  senso  a") 


sero  voluto  gli  occhi  di  lei  i^  cioè,  le  sue  dimostrazioni,  come 
si  spiega  neir  opera  temperata  e  virile  )  ;  ben  pare  che  ac- 
cenni alla  dolce  consolatrice  della  Vita  nuova  e  del  Convivio, 
a  colei  di  cui  il  poeta  s' innamorò  '  appresso  lo  primo  a- 
more  '.  Nella  tornata  infatti,  egli  perdona 

;i    (|il"'lla    li  <■  1  1  ,1    e  CI  r-  ,i 

Che  men  n'ha  colpji,  e  non  fu  inni  pietosa  ('i. 

La  qual  conclusione,  sottilmente  considerando,  pare  sia  sug- 
gel  eh'  ogni  uomo  sganni. 


12. 

Non  si  ha  dunque  ragione  alcuna  per  negar  fede  alle 
dichiarazioni  del  Convivio  ;  le  quali,  anziché  abbujare  o 
sconvolgere  1'  episodio  della  Vita  nuova,  vengono  molto  a 
proposito,  non  derogando  a  quella  narrazione,  a  dichia- 
rarla e  a  toglierle  quelle  contradizioni  e  inverosimiglianze 
che,  intesa  alla  lettera,  essa  offrirebbe. 

Ed  invero,  è  forse  quell'  episodio  cosi  semplice  e  na- 
turale da  ricever  nocumento,  anziché  giovamento,  dalle 
proteste  e  spiegazioni  del  Convivio  ?  In  mezzo  a  tanto  scom- 
piglio d' ipotesi  dotte,  a  si  disperato  parapiglia  di  conget- 
ture argute,  o  perchè  non  sarebbe  egli  lecito  di  guardar 
la  cosa  un  po'  alla  buona,  con  la  fida  scorta  del  senso  co- 
mune? Giacché,  anche  il  buon  senso  potrebbe  aver  bene 
onorevole  parte  nell'  esegesi  del  libello  dantesco.  E  si  veda 
un  po',  quale  uomo  di  giudizio,  anche  concedendo  gran 
parte  all'esagerazione  poetica,  possa  sentir  tanto  scrupolo 
di  essersi  lasciato  a  ventisette  anni  vincere   da    un'  inno- 


li)  Cosi  stampa  il  Giuliani  (  La  Vita  Nuora  e  il  Canzoniere,  Fi- 
renze. Lo  Monnier,  1885  ).  Altri.  '  Che  men'  ha  colpa  e  non  fu  mai 
pietosa  ". 


OB  L'episodio  della  donna  gentile 

cente  passioncella  intenzionale,  da  guiderdonarne  ben  bene 
gli  occhi  col  pianto  ;  quale  uomo  di  senno  possa  sentir 
tanto  orrore  dell'  amor  platonico  di  alquanti  giorni  per  una 
donna  gentile,  pietosa,  bella,  giovane  e  savia,  da  adone- 
starlo per  timore  d'  infamia.  D'  altra  parte,  quale  amore 
avea  mai  sentito  o  dimostrato  Beatrice,  perchè  il  poeta  do- 
vesse 0  potesse  sentirsi  tanto  obbligato  alla  memoria  di 
lei  ?  Codesta  gloriosa  donna  della  mente,  codesta  gentilis- 
sima salute,  per  alquanti  anni  lo  avea,  ben  è  vero,  beati- 
ficato col  suo  dolcissimo  salutare;  ma  poi  gli  negò  anche 
codesta  magrissima  sodisfazione,  ed  egli  allora  ripose  tutta 
la  sua  beatitudine  nel  cantarne  le  lodi.  Una  volta  in  com- 
pagnia di  certe  donne,  si  gabbò  di  lui  la  gentilissima  ;  e 
appunto  quando  egli  entrava  nella  gioventù,  mori  la  glo- 
riosa^ lasciando  vedova  e  dispogliata  un'  intera  città,  ai  ma- 
gnati della  quale  il  poeta  scrisse  in  quell'  occasione  un'  e- 
pistola  latina  con  un  cominciamento  di  Geremia.  Concesso 
pure  che  la  realtà  di  codesto  amore  non  si  possa  negare, 
perchè  molti  critici  pare  che  di  tali  passioncelle  abbiano 
esperienza  particolare  ;  come  mai  codesto  strano  amore  po- 
teva aver  tanta  efficacia  oltre  la  tomba,  da  far  riprovare 
come  vile  e  malvagio  ogni  altro  onesto  e  gentile  pensiero 
che  ad  esso,  dopo  tanto  tempo,  si  sostituiva  ?  Né  sarebbe 
il  caso  di  pensare  a  quel  che  nella  Vita  nuova  non  e'  è, 
ma  di  considerar  diligentemente  quel  che  nella  Vita  nuova 
il  poeta  volle  che  pur  ci  fosse.  Certo,  se  non  molto  con- 
venienti, molto  sennate  sono  le  parole  di  Vittorio  Imbriani 
(  Studi  dant.  Firenze  1891:  p.  429  ),  che,  sebbene  dette  ad 
altro  proposito,  io  voglio  qui  riferire.  '  Dato  anche  e  non 
concesso,  che  Dante  avesse  difatti  amato  nella  infanzia  e 
neir  adolescenza,  molto  buffonescamente,  una  Bice  qualun- 
que, che  vergogna  ci  sarebbe,  per  lui,  nello  aver  amata, 
dopo  la  morte  di  costei,  un'  altra  femmina  ?  0  che  siamo 
infeudati  in  perpetuo  alla  prima  pettegola,  che  ci  fa  bat- 


Il  preteso  sentimento  di  fedeltà  <»7 

tere  il  cuore  ?  E  non  maucherebb'  altro  !  Dovea  egli  forse 
incenerirsi  sul  rogo  di  lei  o  rinunziare  al  mondo  ?  Ride- 
rebbe chiunque  si  sentisse  dire,  che,  dopo  aver  amoreggiato 
da  ragazzo  con  una  piscialetto  e  fatto  gli  occhi  di  tri- 
glia ad  una  civetta,  è  per  lui  colpa  1'  amoreggiar  poi  con 
un'  altra  !  ' 

Senza  dubbio,  non  mancano  esempi  di  fedeltà  alla  me- 
moria dell'  amata  ;  ma  non  è  certo  cosa  naturale  che  il 
poeta  per  quella  sua  amata  avesse  tale  eccessivo  sentimento 
di  fedeltà,  per  (^ueH'  innocente  pensiero  gentile  tale  amaro 
rimorso  ;  quel  poeta,  che  pure  in  quel  torno  di  tempo  tolse 
moglie  ;  quel  poeta,  che  pare  non  avesse  poi  tanti  scru- 
poli in  codesto  negozio  dell'amor  migratore,  se  scriveva 
a  Gino  (  son.  Io  sono  stato  )  che  Amore 

Ben  può  con  nuo>i  npron  punger  lo  fianco, 
E  qual  che  sia  "1  pÌHc«'r  r fi"  ora  n' a«I<l«'stra. 
St'iruitar  si  convion  so  l'altro  è  stanco  (M- 

Tutto  insomma,  cospira  a  mostrar  che  il  poeta  non 
volle  adonestar  niente  col  Convivio,  e  che  volle  invece  gio- 
vare alla  interpretazione  della  Vita  nuoca.  Se  di  adonestar 
qualche  cosa  egli  ebbe  veramente  bisogno,  provvide  ap- 
punto con  la  Vita  nuoca,  ritorcendo  il  significato  origina- 
rio di  alcune  sue  rime  ed  adattandolo  a  un  concetto  or- 
ganico che  governa  tutta  1'  opera  sua.  Il  breve  episodio 
della  donna  gentile  non  macula  certo  la  purezza  mistica 
del  giovanile  libello,  anzi  contribuisce  a  renderla  più  tersa 
e  splendente.  Concludendo,  il  ripiego  del  '  poi  '  è   affatto 


(1)  Ovid.  Jfem.  amor.  462  •  Successore  novo  ^incitur  omnis  a- 
mor  '  :  Cod.  d'  Ani.  17  •  Xovus  amor  voterem  compellit  abire ':  fonti 
codeste,  più  dirette  forse  per  Guittone  (  son.  Donna  del  cielo  ),  "  Co- 
tal  rimedio  ha  questo  aspro  furore  Tal  aequa  suole  spegner  que- 
sto fuoco    Como  d*  asse  si  trae  chiodo  con  chiodo  '. 


98  L'episodio  della  donna  gentile 

gratuito,  e  allo  stringer  dei  conti  non  risolve  nulla,  seb- 
bene a  primo  aspetto  possa  sembrare  che  sciolga  1'  aggro- 
vigliatosi tra  la  Vita  nuova  e  il  Convivio  nodo  gordiano, 
che,  non  so  se  debba  dire,  per  non  tentare,  o  per  troppo 
tentare,  è  fatto  sodo. 


IL  SENSO  LETTERALE 

1.    L  ALLEGORIA. 


1. 


Alcuni  critici  credettero  di  pot^r  salvare  il  roman- 
zetto della  Bice,  senza  negar  fede  alle  dichiarazioni  del 
Concivio  ;  e  alla  ipotesi  del  poi  preferirono  la  soluzione  del 
doppio  senso,  letterale  e  storico  da  una  parte,  allegorico 
dall'  altra  ;  bel  ritrovato,  che  permetterebbe  anche  di  spie- 
gar facilmente  le  gravi  incongruenze  della  Vita  nuova,  se 
non  fosse  come  uno  di  quegli  accomodamenti  che,  volendo 
contentar  tutti,  finiscono  sempre  col  non  contentar  nessuno. 

Il  TodeschJni  fece  della  sola  donna  del  Concimo,  due 
donne  ;  1'  una  reale,  1'  altra  allegorica.  *  Avea  1'  Alighieri, 
egli  dice  {Scr.  1,  317),  scritto  nella  sua  gioventù  quella 
canzone  mentovata  da  Carlo  Martello  nel  canto  Vili  del 
Paradh^o  :  Voi  che  intendendo  il  terzo  del  movete,  nella  quale 
avea  parlato  dell'  insorgere  d'  un  nuovo  amore  nell'  animo 
suo  dopo  la  morte  di  Beatrice.  Accintosi  molto  più  tardi 
air  opera  del  Convito  ne  dedicò  il  Trattato  secondo  ad  un 
copioso  comento  di  quella  canzone,  nel  quale  prese  a  darne 
due  interpretazioni  diverse,  l'  una  secondo  il  senso  lette- 
rale, r  altra  secondo  il  senso  allegorico  ;  nel  primo  de'  quali 


100  //  senso  letterale  e  V  allegorìa 

la  canzone  si  riferisce  all'  amore  di  una  nuova  donna,  nel- 
r  altro  all'  amore  della  filosofia  .  .  .  Non  andiamo  a  cercare, 
che  non  sarebbe  punto  del  presente  proposito,  quale  de'  due 
sensi  della  interpretata  canzone  fosse  il  vero  e  primitivo  : 
il  fatto  è,  che  nello  sporre  la  lettera  e  1'  allegoria  della 
canzone  il  poeta  ci  narra  due  storie  diverse,  1'  una  amo- 
rosa r  altra  letteraria,  che  sono  ambedue  verissime  '.  Qual- 
cosa di  simile  avea  già  accennato  1'  Ozanam  ;  il  quale,  do- 
po avere  scritto  {D.  et  la  phil.  116)  che  il  poeta  'tentò 
vanamente  di  velare  a  mezzo,  con  ingegnose  interpreta- 
zioni, le  sue  passioncelle  passeggiere  '  ;  insinua  che  nel  com- 
mento alla  canzone  Voi  che  intendendo,  il  poeta  ammette 
esservi  un  senso  storico  e  letterale  indipendente  dal  senso 
allegorico  .  '  Stando  al  senso  letterale,  pensava  il  critico 
(  p.  382),  egli  confessa  schiettamente  che,  dopo  la  morte 
della  donna  amata,  le  sue  incessanti  lagrime  commossero 
una  giovine  donna  sua  vicina,  la  cui  compassione  non  fu 
per  lui  senza  attrattive,  né  forse  senza  pericolo.  Secondo 
il  senso  allegorico  poi,  costei  fu  la  Filosofia,  che  sola  con- 
solò la  vedovanza  della  sua  giovinezza  '.  Più  esplicito  e 
comprensivo  e  sistematico  il  Fornaciari  ;  (  Studj,  173  )  'E 
qui  la  questione  ci  conduce  ai  rimproveri  di  Beatrice,  e 
al  senso  o  letterale  o  allegorico  della  Donna  pietosa.  Ri- 
facendoci da  questa  parte,  noi,  per  analogia  colia  D.  Com- 
media, dove  entrambi  i  sensi,  il  letterale  e  1'  allegorico, 
sono  continui  e  certi,  e  dove  Beatrice  è  insieme  vera  don- 
na e  vera  scienza,  ci  sentiamo  costretti  a  supporre  che  an- 
che la  Vita  Nuova  contenga  doppio  senso,  letterale  e  sto- 
rico da  una  parte,  allegorico  dall'  altra  ;  ma  che  il  Poeta, 
quando  la  scrisse,  vedesse  solo  confusamente  il  secondo,  e 
che  in  gran  parte  volesse  attribuirglielo  dopo  .  .  .  Sia  pur 
vero  e  storico,  adunque,  1'  amore  di  Dante  per  la  Porti- 
nari  con  tutte  le  sue  circostanze,  sia  pur  vero  il  secondo 
amore  onestissimo  per  la  Donna  pietosa,  e  il  rimorso  che 


L*  ipotesi  del  doppio  senso  in 


il  Poeta  ne  provò  e,  fors'  anche,  il  riaccendersi  per  essa 
(  diciamo  forse  anche,  perchè  le  canzoni  del  Concito  potreb- 
bero essere  state  scritte  solo  per  figura  ),  ma  deve  esserci 
pure  un  senso  allegorico  per  ambedue  le  donne,  e  questo 
senso  non  può  essere  che  di  scienza,  se  è  vero  che  Bea- 
trice nella  Dicina  Commedia  simboleggi  la  teologia,  e  se 
la  Donna  pietosa  personifica,  nel  Concito,  la  filosofia  '.  11 
marchese  Trivulzio  avea  già  escogitato  codesto  facile  espe- 
diente dell'  innesto  del  senso  allegorico  sul  senso  letterale 
e  storico  ;  e  avea  bonariamente  creduto  spenta  ogni  con- 
tesa col  sofiìarvi  sopra  una  citazione .  dantesca.  '  Hi  mottis 
animorum,  atque  haec  cerlamina  tanta  Pulceris  exigui  jactu 
compressa  quiescent  ;  e  questo  pugno  di  polvere,  scriveva 
il  benemerito  marchese,  lo  prenderemo  dal  Concito,  Tratt. 
II.  Cap.  l'C). 


(*)  Anche  lo  interpretazioni  che  il  Lubin  e  il  Renior  (  rjV.  <» 
F.  )  davano  della  Vi/a  nuora,  pajono  ispirato  dalla  teoria  triviilziana. 
oltreché  da  certi  spunti  dionisiani  assiti  caratteristici  (  Prepar.  2.  47  s 
07  (ì8  n  71  8  ).  Il  Lubin  trovava  nel  povanile  libello  dantesco  '  il  rac- 
conto storico  delle  fasi  della  !Musa  di  Dante  '  (  vd.  Epoca  d.  VX.  )  ;  un 
racconto  che  (  D.  spiegato  con  D.  17  )  •  no  fa  sapere  le  circostanze  e  i 
motivi  che  indussero  Dante  ad  allegorizzare  la  sua  Donna,  e  però  a 
riportiire  in  esso,  dopo  le  poesie  erotiche,  alcuni  sonetti  allusivi  ai  fe- 
nomeni psicologici  eccitati  da  quella  trasformazione  di  Beatrice  sto- 
rica in  Beatrice  mistica  . . .  Né  da  quello  eh"  io  dissi,  aggiunge  il  cri- 
tico, si  può  ritenere  eh'  io  vedessi  nella  Beatrice  della  Vita  Kuora 
due  individui  per  aver  detto,  confutando  e  quelli  che  vi  vedevano 
la  sola  donna  reale  e  quelli  che  non  volevano  esservi  se  non  la  sola 
ideale,  che  nella  Vita  Xuora  vi  era  la  Beatrice  storica  e  la  Beatrice 
allegorica  '.  Xon  molto  diversamente  dovea  veder  la  cosa  il  Renier. 
La  Vita  Nuova,  egli  scriveva  (  p.  142  ),  mi  sembra  '  appartenere  a 
quel  secondo  modo  di  componimenti  allegorici,  in  cui  l' ingegno  del 
poetante  risiile  dalla  realtà  delle  cose  ai  principi  scientifici  e  reli- 
giosi che  ad  essa  si  uniformano  o  in  guisa  alcuna  si  riconnettono . . . 
(  p.  157  )  Dato  per  illazione  logica  dalla  sussistenza  di  Beatrice  un 
amore  affettivo,  cosi  lo  chiamo  per  brevità,  nell'  Alighieri  :  io  stimo 

13 


102  //  senso  letterale  e  V  allegoria 

FÌDalmente  lo  Scartazzini,  senza  citar  nessuno  dei  suoi 
benemeriti  precursori  e  inspiratori,  ma  non  senza  lasciarsi 
sfuggire  la  propizia  e  davvero  bella  occasione,  per  insinuare 
che  il  Giuliani  non  sapeva  leggere  Dante  ;  mise  fuori  con 
cert'  aria  di  sufficienza  infastidita,  una  sua  geometrica  di- 


di  avoro  delli  argomenti  abbastanza  validi  per  provaro  come  sopra 
la  realtà  appunto  si  fabbricasse  la  allegoria,  e  come  ne  venisse  un 
amore  razionale,  contemporaneo  all'  amore  affettivo,  ma  non  sempre 
parallelamente  espresso  . . .  (  p.  171  )  A  mio  parere  adunque  la  realtà 
e  la  allegoria  si  svolgono  contemporaneamente  nella  Vifa  Nuova.  So 
non  che  l' allegoria  è  ben  lungi  dall'  essere  qualche  cosa  di  alta- 
mente vero,  di  profondamente  sentito,  cui  si  conformino  i  fatti  della 
vita  reale.  Il  passaggio  qui  è,  come  notai,  dalla  realtà  all'  astrazione, 
e  non  dall'  astrazione  alla  realtà.  Donde  a"S'\"ieno  che  non  vi  ha  una 
allegoria  che  segua  parallelamente  la  realtà,  come  avverrebbe  nello 
canzoni  del  Convito  e  nella  Commedia,  quando  il  senso  letterale  fosso 
verità  e  non  favola  '.  Il  Renier  non  voleva  probabilmente  dire,  come 
forse  il  Lubin,  che  il  poeta  si  propose  di  mostrarci  nella  Vita  nuova 
le  diverse  fasi  per  le  quali  era  passata  nella  sua  mente  la  donna 
amata,  prima  di  farsi  luna  piena  quale  appare  nella  Commedia  { ma 
vd.  Giorn.  stor.  1,  481  )  :  che  si  propose  di  farci  stiperò  come  e  quando 
e  perchè  egli  venne  al  simbolo  della  Commedia  ;  che  insomma,  non 
contento  di  farci  mangiare  il  suo  manicaretto,  abbia  voluto  esibire 
una  specie  di  ricetta  del  Ee  dei  cuochi,  per  insegnarci  come  si  ah 
legorizza  col  metodo  induttivo,  dal  reale  all'  ideale.  Egli  voleva  forse, 
che  il  poeta  in  un  periodo  di  tempo  molto  lungo,  avesse  scritto  a 
poco  a  poco  la  Vita  nuova,  e  con  intendimenti  sempre  incerti,  an- 
naspando in  un'  allegoria  vaga.  Certo  non  pensò  che  le  allegorie  o 
sì  fanno  o  non  si  fanno.  Ma  la  sua  ambidestra  ricostruzione  détte 
ansa  ai  realisti  puri  di  fabbricarsi  una  prima,  una  seconda,  una  terza 
Beatrice,  e  di  risciacquarle  tutte  con  serafica  unzione,  una,  due,  tre 
volte,  nella  broda  aromatizzata  della  declamazione  patria.  E  se  que- 
sto non  fosse,  io  non  avrei,  ne  qui  né  altrove,  tenuto  parola  di  opi- 
nioni in  gran  parte  oramai  abbandonate  dal  dotto  critico.  Alle  ri- 
costruzioni del  Trivulzio,  del  Lubin,  del  Renier  e  del  Fornaciari, 
si  accosta  la  recento  interpretazione  dello  Scarano,  al  quale  par  che 
Bori'ida  ancora  l' ipotesi  dello  scrivere  in  partita  doppia  (  cfr.  Bea- 
trice, 52.  58.  09  ss  ). 


L  ipotesi  del  doppio  senso  103 


mostraziuiR',  geniKgluiia  t- \nJt^iìic-iueiite  dall'osservazione 
dell'  Ozanara  e  del  Todescliini  ;  la  quale,  essendo  quasi  come 
la  diagonale  del  parallelogrammo  delle  forze  delle  ipotesi 
del  Todeschini  e  del  Fornaciari,  non  riesce,  con  la  sua  ru- 
vida ingenuità,  che  a  scoprire  quanto  vi  sia  di  falso  e  di 
storto  nei  garbati  ragionamenti  dell'  uno  e  dell'  altro.  An- 
ch' egli,  dopo  avere  scritto  (  Proleg.  184  )  che  '  non  senza 
fondamento  si  dubitò  se  fosse  veramente  da  prendere  sul 
serio  ',  non  il  sillogizzar  di  certa  critica,  ma  la  '  solenne 
protesta'  del  Concicio  {2,  16,  99);  cosi  e  non  altrimenti 
ragiona  :  (  p.  211  )  'Il  Bartoli . .  .  oppone  che  Dante  «  ha 
lasciato  scritto  non  una  ma  più  volte  che  la  donna  pietosa 
è  la  Filosofia  » .  IjO  sappiamo  benissimo  . . .  Ma  facciamo  a 
intendersi,  il  trattato  secondo  del  Convivio  ha  due  parti: 
la  prima  contiene  la  •  litterale  sentenza  »  della  Canzone  : 
Voi  che,  intendendo  ecc.  ;  e  in  questa  prima  parte,  che  ab- 
braccia i  capitoli  I  a  XII,  Dante  parla  semplicemente  di 
una  donna,  non  già  della  filosofia ...(').  Col  cap.  13  poi 
Dante  procede  alla  s  posizione  allegorica,  e  qui 
la  Donna  gentile  diventa  il  simbolo  della  filosofia  .  . .  Ora 
dunque,  se  nella  parte  puramente  allegorica  Dante  afferma 
«  che  la  Donna  pietosa  è  la  Filosofia  »  dovremo  noi  dedurne 
la  conseguenza,  che  essa  non  fu  donna  reale  ?  Dante  stesso 
ci  proibisce  di  intendere  in  tal  modo  le  sue  parole  . .  .  Come 
nella  sposizione  letterale  Dante  parla  della  donna,  della 
quale  s' innamorò,  e  nella  sposizione  allegorica  egli  dice 
che  questa  donna  fu  la  filosofia,  cosi  egli  parla  in  quella 
a  lungo  dei  cieli,  e  in  questa  poi  ci  dice  che  per  cielo  in- 
tende la  scienza  e  per  cieli  le  scienze  (  Conc.  II,  14  ).  Nega 


(1 1  Pare  uno  scherzo  :  ma  non  si  ebbe  foi*so  la  pretesa  di  aver 
dimostrato  che  la  Beatrice  della  Commedia  è  figura  storica,  col  met- 
tere innanzi  questa»  acutissima  osservazione,  che  il  poeta  la  chiama 
donna  ? 

i 


104  II  senso  letterale  e  V  allegoria 

egli  forse  con  ciò  1'  esistenza  reale  dei  cieli  ?  E  se  non  la 
nega,  come  si  può  dire  che,  affermando  la  Donna  gentile 
essere  la  Filosofia,  egli  ne  abbia  negata  1'  esistenza  reale  ? 
Insomma,  non  è  vero  ciò  che  tanti  andarono  ripetendo, 
avere  Dante  nel  Convivio  solennemente  protestato  che  la 
Donna  gentile  della  Vita  Nuova  non  fu  altra  cosa  che  la 
Filosofia.  Là  dove  egli  dà  1'  esposizione  letterale  della  sua 
canzone  e'  non  parla  che  di  una  donna j  e  soltanto  nella  spo- 
sizione allegorica  egli  afferma  che  questa  donna  fu  la  Filoso- 
fia. Ma  da  questa  sposizione  allegorica  non  lice  inferire  che 
quella  donna  non  fosse  persona  reale  '.  È  proprio  così,  non 
lice.  Infatti,  lo  strenuo  dantista  in  questo  particolare  è  ir- 
removibile. Neil'  Enciclopedia  dantesca  (  Milano  1896  - 1899  : 
p.  647  )  scrive  ancora  :  '  Ma  da  questa  protesta  [Cono.  2, 
16,  99]  non  si  può  inferire  aver  Dante  voluto  negare  la 
realtà  storica  della  Donna  gentile,  come  dall'  aver  egli  scrit- 
to :  «  Dico  che  per  Cielo  intendo  la  Scienza,  e  per  Cieli 
le  Scienze  »  (  Conv.  II,  14,  4  e  seg.  ),  e  dall'  aver  egli  detto 
che  per  i  Motori  de'  cieli  intende  i  Filosofi,  «  siccome  Boe- 
zio e  Tullio  »  (  Conv.  II,  16,  2  e  seg.  ),  non  lice  in  verun 
modo  inferire  aver  egli  voluto  negare  la  realtà  oggettiva 
dei  Cieli  e  degli  Angeli  '.  E  davvero  che  qui  non  lice  in 
verun  modo.  Sennonché,  il  poeta  nel  Convivio  afferma  che 
r  interpretazione  allegorica  è  la  '  vera  sentenza  '  (1,2,  124  ; 
2,  16,  13  )  ;  egli  procede  alla  '  sposizione  allegorica  e  vera  ' 
(2,  13,  3  )  ;  e  dice  che  1'  allegoria  è  '  sentenza  vera  ',  il 
senso  letterale  è  '  fittizia  '  (  2,  13,  64  )  ;  e  che  la  lettera  è 
'  parola  fittizia  '  (  2.  13,  77  ) ,  e  che  la  prima  sposizione  è 
'fittizia  e  litterale'  (2,  16,  15).  E  cfr.  Bull.  ns.  2,  11  ('). 


(1)  Cfr.  anche  10,  221.  Questo  fascicolo  del  Biillctfìno  (  aprilo 
1933),  pervenutomi  alla  fine  di  maggio,  appena  in  tempo  per  fare 
sulle  bozze  di  stampa  codesto  rimando  ;  reca  due  belle  recensioni  di 
Michele  Barbi,  che  mi  daranno  materia  a  faro,  in  fine  del  volume, 
alcuno  aggiunto  alle  pagine  qui  addietro  già  stampato. 


L  ipotesi  del  doppio  senso  iqò 


Codesta  ermeneutica  del  Giano  bifronte,  senza  dubbio 
escogitata  dai  dantisti  nella  dura  necessità  di  conciliare  l' in- 
conciliabile, la  realtà  della  donna  gentile  della  Vita  ntioca 
con  le  dichiarazioni  del  Concicio,  e  alcune  inverosimiglianze 
della  narrazione  del  libello  con  la  pretesa  passione  per  la 
figliuola  di  Folco  ;  appare  certo  falsa  e  insostenibile.  Tut- 
tavia il  Trivulzio  si  serve  d'  una  citazione  dantesca  che 
pare  confermi  appunto  la  sua  ipotesi,  e  lo  Scartazzini  d'  un 
ragionamento  che  a  qualcuno  potrebbe  parer  logico.  D'al- 
tra parte,  noi  vediamo  che  spesso,  troppo  spesso,  si  parla 
del  senso  letterale  nelle  concezioni  allegoriche,  non  solo 
come  di  (qualcosa  che  possa  star  sempre  da  sé,  indipendente 
dall'  allegoria,  ma  come  se  fosse  storia  vera,  non  sempre 
finzione  allegorica.  E  sarebbe  certamente  assai  utile  che  al- 
cuno, fra  tante  (  ahi  quante  !  )  noterelle,  appunti,  schizzi, 
asterischi,  scampoli  danteschi,  che  continuamente  "si  libra- 
no, e  volano,  e  svolazzano  continuamente  ;  venisse  un  po'  a 
chiarire,  studiando  a  fondo  la  questione,  che  s' intendesse 
per  senso  letterale  e  per  senso  allegorico.  Noi,  poiché  1'  ar- 
gomento a  questo  punto  lo  richiede,  faremo  qualche  osser- 
vazione, movendo  appunto  dal  ragionamento  del  Trivulzio. 

Nella  Prefazione  all'  edizione  della  Vita  nnova^  curata 
dal  marchese  G.  G.  Trivulzio  e  da  A.  M.  Maggi  (  Milano 
1826  )  e  citata  spesso  sotto  il  nome  di  Editori  Milanesi  ;  si 
legge  questa  miracolosa  deduzione.  Nel  trattato  secondo,  ca- 
pitolo primo  del  Concito  '  l'  Autore  dice  chiaramente,  che  le 
scritture  si  jìossono  intendere,  e  debbonsi  sponere  massimamen- 
te per  quattro  sensi,  i  quali  sono  da  lui  individuati  nel  litte- 
rale,  che  dicesi  anche  isterico,  nell'  allegorico,  nel  morale, 
neìV anagogico,  cioè  socra  senso.  E  queste  medesime  cose 
egli  ripete  nella  lettera  latina,  con  cui  dedica  la  terza  Can- 


lOG  II  senso  letterale  e  V  allegoria 

tica  della  Dimna  Commedia  a  Can  Grande  della  Scala  ;  dove, 
come  pure  nel  Concito,  arreca  gli  esempi  a  dichiarazione 
di  ciascun  senso.  Ora,  dov'  egli  spiega  il  senso  anagogico^ 
prende  ad  esempio  il  Salmo  :  In  exitu  Israel  de  Aegypto  ...  ; 
e  dice:  acvegna,  essere  vero  secondo  la  lettera  sie  manife- 
sto ;  non  è  meno  vero  quello  che  spiritualmente  ,s'  intende^ 
cioè,  che  nelV  uscita  dell'  anima  dal  peccato,  essa  sia  fatta 
santa  e  libera  in  sua  podestade  ;  soggiungendo  poi,  che  in 
dimostrare  questo,  sempre  lo  litterale  dee  andare  innanzi,  sic- 
come quello  nella  cui  sentenza  gli  altri  sono  inchiusi  ;  che 
in  ciascuna  cosa  naturale  e  artificiale  è  impossibile  procedere 
alla  forma,  senza  prima  essere  disposto  il  suggetto,  sopra  che 
la  forma  dee  stare  ;  .  .  .  che  la  litterale  sentenza  sempre  sia 
soggetto  e  materia  delV  altre,  e  cose  simili.  Di  che  noi  de- 
duciamo, che  letteralmente  ed  istoricamente  la  Beatrice 
della  Vita  Nuova  sia  la  figlia  del  fiorentino  Folco  Porti- 
nari,  di  cui  Dante  innamorò  in  età  di  nove  anni  ;  in  cui 
egli  contemplò  ad  amò,  finch'  ella  visse,  il  complesso  di 
tutte  le  virtù  morali  ed  intellettuali ...  Su  questo  fonda- 
mento istorico  della  vera  Beatrice,  adorna  d'  ogni  virtù  e 
donna  del  cuore  di  Dante,  noi  crediamo,  senza  tema  di 
errare,  che  sia  piantata  1'  allegoria  della  Beatrice  fanta- 
stica, donna  della  sua  mente,  a  cui  prese  amore  nella  sua 
puerizia,  cioè  della  Sapienza,  eh'  egli  coltivava  collo  stu- 
dio di  tutte  le  scienze  e  di  tutte  le  arti,  d'  alcuna  delle 
quali  crede  vasi  per  gli  altri,  ed  era  fatto  credere  da  lui, 
eh'  ei  fosse  unicamente  invaghito  . .  .  Ben  è  il  vero,  che 
sarebbe  opera  perduta  quella  di  chi  volesse  trovare  come 
ogni  circostanza  istorica  si  confronti  perfettamente  colle 
allegorie  della  Vita  Nuova,  ovvero  e  converso  ...  Né  forse 
ogni  particella  di  questo  libro  contiene  ambidue  i  sensi, 
ma  quale  sarà  semplicemente  istorica,  e  quale  semplice- 
mente allegorica  ;  bastando  che  il  doppio  senso  possa  con- 
venire alla  somma  dell'  opera  ed  alle  principali  sue  parti  '. 


L' ipofetii  del  doppio  aenxo  Ut? 

Codesta  molto  comoda  e  sbrigativa  soluzione,  accolta 
dapprima  con  ditHdenza  dal  Fraticelli  (  Disa.  VS.  44  ss  i, 
che  vedeva  probabilmente  compromessa  la  sua  vezzosa  Bice 
da  codesto  compromesso  trivulziano  ;  con  più  considera- 
zione dal  Torri  (  VN.  Introduzione,  p.  16  },  che  non  sapeva 
rassegnarsi  a  veder  tutto  piano  nella  Vita  nuova  ;  certo  se- 
dusse e  seduce,  giacché  si  trova  anche  in  fondo  ai  ragio- 
namenti dei  realisti  ;  i  quali  pare  non  possano  divinco- 
larsi altrimenti  dalle  strette  degli  allegoristi,  che  infilando 
quella  scappatoja  del  doppio  senso  (').  Veramente  sarebbe 
curiosa  storia  codesta,  a  rovescio  simbolico  e  a  risvolti  al- 


(1)  Scrivo  il  D'Ancona  \  Disc.  32),  confutiinilo  il  Poivz  :  •  Xè 
noi  negheromo  cho  il  .sinilK)lismo  provalosso  ncU'  otìi  di  mezzo,  o  si 
ostondosso  ad  ogni  genere  di  discipline  e  ad  ogni  forma  di  artistica 
e  dottrinale  manifestazione;  neghiamo  bensì  che  il  significato  sim- 
l)olico  «lit-truggt'SKo  al  tutto  la  espressione  letterale  e  la  rejile  som- 
V>ianza  degli  obbietti  ai  quali  si  sovrapponovii,  e  senza  cui.  anzi,  non 
]>otova  sussistere.  Certo,  vuoisi,  secondo  le  dottrino  dell'  etjl  mfnlia, 
chiaramente  espresse  da  Agostino,  «  anteporre  il  senso  recondito  al 
letterale,  come  1'  anima  al  corpo  »  ;  ma  ciò  non  'vniol  dire  che  1'  uno, 
sebbene  abbassato  e  diminuito  di  pregio,  venisse  dall'  altro  intera- 
mente annullato  :  e  Dante  stesso  nel  Conrito  esplicitamente  professai 
che  «  sempre  lo  litterale  dee  andare  innanzi ...  ».  Or  noi  concederem- 
mo che  Beatrice  allegoricamente  raffiguri  l' Intelligenza  attira  o  Sa- 
pienza ...  :  ma  non  possiamo  punto  concordare  col  Perez  quando  egli 
non  appoggia  il  simbolo  a  nulla  di  reale  e  di  vivente  '.  Certo,  dovea 
il  d'  Ancona  giudicar  molto  importante  per  la  sua  tesi  il  luogo  del 
Concino  che  tratta  del  senso  letterale  :  giacché  quel  passo,  con  un 
altro  di  s.  Tommaso  dello  stesso  tenore,  è  posto  in  fronte  a  tutto  il 
Discorso,  come  il  più  importante  postulato  nella  dimostrazione  della 
realtìi  di  Beatrice  nella  Vita  nuova.  Anche  il  Mjizzoni  (  Bull.  ns.  6, 
.61  s  )  concede  ben  volentieri  '  che  la  Vita  Nuora  abbia  un  senso  mi- 
stico e  morale  voluto  da  Dante  '  :  e  non  nega  che  •  la  donna  gen- 
tile è  la  Filosofia  ;  ma.  osserva,  il  significato  morale  o  il  vero  della 
figura  non  potrà  addui-si  contro  il  racconto  reale  o  il  velo,  che  ben 
potè  e  dovè  anche  in  questo  caso  preesistere  ', 


108  //  senno  letterale  e  V  allegorìa 


legorici  ;  e  ammesso  che  sia  vero  il  concetto  che  il  Tri- 
vulzio,  e  molti  con  lui,  mostrano  di  avere  del  senso  let- 
terale, non  sapremmo  vedere  come  in  quelle  particelle 
semplicemente  allegoriche,  si  salvi  codesto  senso  letterale 
'  che  dicesi  anche  isterico  '.  Ma  lasciando  stare  il  curioso 
piccolo  miscuglio  di  particelle  semplicemente  isteriche  e  di 
particelle  semplicemente  allegoriche,  che  solo  Iddio,  che 
sa  bene  scegliere  i  suoi,  potrebbe  nella  Vita  nuova  sceve- 
rare ;  il  Trivulzio  pretenderebbe  dimostrare  che  il  '  verace 
intendimento  '  del  poeta  nella  Vita  nuova  sia  doppio,  e  nella 
corteccia  della  lettera  e  nel  senso  riposto  sotto  la  cortec- 
cia ;  che  il  '  velame  '  non  sia  finzione  trovata  per  nascon- 
dere la  '  vera  intenzione  ',  ma  vera  intenzione  anch'  esso, 
anzi  storia  vera  ;  che  la  Vita  nuova  insomma,  sia  come  un 
tappeto  a  due  facce,  un  coltello  a  due  tagli,  una  specie  di 
arca  di  Noè  impeciata  di  dentro  e  di  fuori.  Egli  ha  il  torto 
di  saltare  a  pie  pari  quanto  nel  Convivio  si  legge  del  senso 
allegorico  ;  di  non  considerare  che  il  poeta,  nel  passo  ci- 
tato, ragiona  sopra  un  esempio  della  Bibbia  ;  di  confon- 
dere 1'  allegoria  dei  teologi  con  1'  allegoria  dei  poeti. 

È  noto  a  tutti  che  la  Sacra  Scrittura^  dettata  o  ispi- 
rata, non  so  bene,  dallo  Spirito  Santo,  è  cosa  affatto  di- 
versa dalla  Vita  nuova  e  da  qualunque  altra  opera  di  umano 
ingegno  (').  Scrive  Vito  Fornari  (  DeW  arte  del  dire,  lib.  2, 


(1)  Gregorio  Magno,  Moralìa,  praef.  2  '  Sed  quis  haec  scripso- 
rit,  valde  supervacuo  quaeritur:  cum  tamen  aiictor  libri  Spiritus 
sanctus  fideliter  credatiir.  Ipse  igitiir  haec  scripsit,  qui  scribonda 
dictavit.  Ipse  scripsit,  qui  et  in  illiiis  opero  inspirator  oxtitit,  et  por 
scribentis  vocem  imitanda  ad  nos  ojus  facta  transmisit , . .  Scriptores 
igitur  sacri  eloquii,  quia  impulsu  sancti  Spiritus  agitantur,  sic  de 
se  in  ilio  testimonium  tamquam  de  aliis  proferunt.  Ergo  sanctus 
Spiritus  por  Moyson  locutus  est  de  Moyse  :  sanctus  Spiritus  per 
Johannem  locutus  est  de  Johanne  '.  In  primum  Regniti,  5, 1, 1,  '  Cum 
sacrao  hujus  historiao  profunditatera  asscrcrc  in  istius  opcris  Prae- 


V  allegorìa  dei  teologi  e  V  allegorìa  dei  poeti        lOÒ 


lez.  29  )  :  '  tutte  [  le  allegorie  descritte,  mitologica,  fisica, 
poetica,  didascalica,  retorica  J  convengono  in  queste  due 
cose  :  che  argomentano  un  difetto  d' intelligenza  ;  e  che 
hanno  il  vero  mescolato  di  falso,  giusta  il  detto  di  Esiodo. 
Il  vero  è  il  concetto  che  giace  chiuso  nell'  intelletto  no- 
stro, e  che  si  vuole  indurre  nell'  altrui  intelletto.  Il  falso 
è  r  immagine  che  covre  il  concetto,  la  quale  ancorché 
non  sia  finta  di  peso,  ma  traggasi  dalla  natura,  è  nondi- 
meno sempre  mendace,  in  quanto  non  significa  se  mede- 
sima, ma  alcun  che  altro.  Così  per  non  uscire  del  consueto 
esempio,  avvegnaché  la  luce  sia  una  real  natura,  non  per- 
tanto mentisce  in  certo  modo  colui  che  la  nomina  per  di- 
notare 0  la  verità  o  l'intelligenza.  Or  ci  ha,  sappiate,  un'  al- 
legoria pura  di  ogni  mendacio,  nella  quale  sono  il  con- 
cetto e  r  immagine,  il  senso  occulto  e  il  senso  palese  ugual- 
mente veraci  ;  si  che  tu  debba  pigliare  e  intendere  alla 
lettera  un  fatto  avvenuto,  e  credere  ad  una  verità  che 
sotto  il  velo  di  quel  fatto  s' insegna.  Questa  è  1'  allegoria 
di  cui  parlano  i  teologi  ;  e  consiste  in  un  fatto  storico  o 
in  un  reale  avvenimento,  il  quale  sia  pure  segno,  figura 
e  vaticinio  di  un  fatto  o  avvenimento  futuro.  Compren- 
dete che  allegoria  si  fatta  è  onninamente  diversa  da  tutte 
le  altre  ;  perchè  non  vi  è  lega  di  sorte  alcuna  tra  il  vero 
e  il  falso,  e  tanto  la  parte  apparente,  quanto  la  velata,  vo- 


fatione  voIuiRsom,  in  eo  potissimum  videri  posse  asserui,  qnod  seripta 
fuerit  a  Prophetis.  Ipsi  quìdom  mjstica  dicere,  non  solum  verbis, 
sod  otiaiu  rebus  consueverant  :  plana  proferre.  sed  alta  signare. 
Quia  enim  per  eos  Spiritus  sanctus  loquebatur.  et  planum  erat  quoil 
ipsi.  velut  homines  dicebant  ;  sed  prof nndum  et  mysticum  ;  quìa  lo- 
cutionem  hominìbus  suiuinus  et  incircumseriptus  Spiritus  suggere- 
bat.  Quia  ergo  Pi-ophetam  Samuelem  loquentem  exponimus,  tanto 
majori  studio  indigemus,  quanto  ipse  in  Spiritus  spineti  gratia  su- 
blimiter  assumtas,  exteriora  dixit.  sed  interiora  vidit.  Carnalia  pie- 
rumque  asseruit,  sed  intima  et  spiritualia  signavit  '. 

U 


110  //  senso  letterale  e  V  allegoria 

glionsi  credere  del  pari  '.  Altra  cosa  dunque  è  1'  allegoria 
dei  teologi,  altra  cosa  1'  allegoria  dei  poeti  ;  e  Dante  stesso 
bene  avverte  la  distinzione  (  cfr.  Perez,  Beatrice^  73  ;  Giorn. 
stor.  15,  274  ;  Bull.  ns.  8,  162  ).  Certo,  scrivendo  '  avvegna 
esser  vero  secondo  la  lettera  sie  manifesto  ',  si  riferiva  all'  ac- 
cennato passo  biblico  ;  e  non  poteva  ragionevolmente  aver 
r  intenzione  d' inculcare  che  vi  possa  essere  una  poetica  al- 
legoria in  cui  la  lettera  non  sia  pura  finzione,  ma  verità  o 
storia  ;  quando  neppur  nella  Sacra  Scrittura,  pei  teologi,  il 
senso  letterale  è  sempre  storia  o  verità  (').  Ognun  vede  che, 
se  poniamo  nel  passo  del  Convicio,  in  luogo  del  solito  ver- 
setto della  Bibbia f  i  tre  primi  versi  delia  Commedia,  non  po- 
tremo più  dire  '  esser  vero  secondo  la  lettera  '  ;  e  non  an- 
dremo certamente  a  cercar  nell'  Appennino  toscano,  o  altro- 
ve, la  selva  reale  in  cui  il  poeta  si  sia  veramente  smarrito. 


(1)  Gregorio  Magno,  Epistola  ad  Leandr.  coepisc.  (  prem.  ai  ilor.  ). 
3  '  Aliquando  vero  oxponere  aperta  historiae  verba  negligimus,  ne 
tardius  ad  obscura  voniamiis  :  aliquando  aiitem  intelligi  juxta  litte- 
ram  nequeunt  ;  quia  superficie  tenus  aceepta,  nequaquam  instruc- 
tionera  legentibus,  sed  errorem  gignunt . . .  Aliquando  etiara,  no  for- 
tasse  intelligi  juxta  littei-ara  debeant,  ipsa  se  verba  litterae  impu- 
gnant . . .  Sed  nimirum  verba  litterae,  dum  collata  sibi  convenire  ne- 
queunt, aliud  in  se  aliquid  quod  quaeratur  ostendunt,  ac  si  quibus- 
dam  vocibus  dicant  :  Dum  nostra  nos  conspicitis  superficie  destrui, 
hoc  in  nobis  quaerite,  quod  ordinatum  sibique  congruens  apud  nos 
valeat  intus  inveniri  ',  Mor.  4,  praef .  3  '  Quia  igitur  verba  haec  in  su- 
perficie a  ratione  discordant,  ipsa  jam  Uttera  indicat,  quod  in  eis 
sanctus  vir  juxta  litteram  nihil  dicat . . .  Hoc  nimirum  tanto  intrin- 
secus  majori  mysterio  plenum  est,  quanto  extrinsecus  humana  ratio- 
ne vacuum.  jVam  si  quid  exterius  rationabile  fortasse  sonuisset,  ne- 
quaquam nos  ad  studium  interioris  intellectus  accenderet.  Eo  ergo 
nobis  plenius  aliquid  intus  innuit,  quo  foris  rationabile  nihil  osten- 
dit'.  Homiliae  in  Esecìi.  2,  1,  3  '  Si  ergo  cum  aliquid  deest  histo- 
rìae,  aperta  ratione  ducimur  ad  intellectum  allegoriae  ;  quanto  ma- 
gia illa  spìritaliter  accipienda  sunt,  in  quibus  juxta  ratìonom  litterae 
nihil  historieuin  sonat  ?  ' 


//  senno  letterale  è  finzioìie  mendace  ni 

A  me  pare  evidente  che  dove  vi  è  un  senso  allego- 
rico, che  è  la  verace  intenzione  dell'  autore,  la  lettera,  per 
questo  appunto,  non  possa  mai  essere  anch'  essa  verità.  Chi 
scrive  un'  allegoria  assume  come  vero,  non  quel  che  la 
lettera  mostra,  ma  quel  che  la  lettera  nasconde.  Il  senso 
letterale  non  è  qualcosa  che  stia  da  se  e  per  se,  che  abbia 
valore  finito  in  se,  propriamente  e  generalmente  parlando. 
E  benché  nelle  rime  allegoriche  del  Concicio,  come  deduce 
il  Gttspary  {'Sf.  1,  217)  dal  noto  congedo  della  canzone 
Voi  che  intendendOy  vi  sia  '  lo  sviluppo  indipendente  del- 
l' immagine,  la  quale  come  allegoria  propriamente  è  pur 
destinata  ad  accennare  ad  altra  cosa  '  ;  tuttavia  non  biso- 
gna pigliar  troppo  alla  lettera  V  affermazione  del  critico, 
e  molto  meno  poi  non  intender  con  dantesca  discrezione 
la  condizionale  concessione  esortativa  del  poeta.  Anche 
nella  canzone  allegorica  del  Concicio,  V  immagine  non  è 
cosa  che  stia  da  se  tanto  da  non  esser  necessario  ricercarne 
il  senso  nascosto  ;  né  il  poeta  dice  che  si  può  prescindere 
da  tale  appiattamento,  che  si  può  considerar  come  acci- 
dentale codesta  investigazione.  Dice  solamente  che  (  Conc. 
2,  12,  60  ),  chi  non  sia  da  tanto  da  poter  vedere  la  '  sen- 
tenza '  della  sua  canzone,  non  la  rifiuti  però,  ma  ponga 
mente  alla  'sua  bellezza,  eh' è  grande,  si  per  costruzione, 
la  quale  si  appartiene  alli  grammatici  ;  si  per  l'ordine  del 
sermone,  che  si  appartiene  alli  rettorici  ;  si  per  lo  numero 
delle  sue  parti,  che  si  appartiene  a'  musici.  Le  quali  cose 
in  essa  si  possono  belle  vedere,  per  chi  bene  guarda  '. 

Ed  invero,  il  senso  letterale  in  tanto  é,  in  quanto  si 
manifesta  come  funzione  del  senso  allegorico.  Il  raggio,  per 
esempio,  del  circolo,  in  tanto  é  raggio,  in  quanto  si  considera 
come  generatore  della  superficie  circolale  ;  non  ha  insomma, 
esistenza  a  sé,  ma  un'  esistenza  funzionale  ;  che  se  pigliamo 
una  retta  determinata,  non  è  raggio,  ma  retta.  Così,  nelle 
scritture  dove  non  si  nasconde  allegoria,  non  v'  é  propria- 


112  //  .senso  letterale  e  l'  allegoria 

mente  un  senso  letterale,  ma  una  storia,  una  novella,  un 
racconto  vero  o  verosimile  o  fantastico.  Chi  scrive  un'  al- 
legoria, adopera  la  lettera  come  mezzo  per  velare  la  ve- 
rità che  vuol  significare  ;  e  chi  legge  non  dovrebbe  acquie- 
tarsi in  essa,  che  è  pura  apparenza.  La  verità,  cioè  quel 
che  lo  scrittore  vuol  veramente  dire,  assume  forme  non 
sue  ;  e  queste  forme,  in  quanto  sono  aliene  dalla  sentenza 
che  si  vuol  significare,  sono  nell'  intenzione  di  chi  scrive, 
e  devono  essere  nel  criterio  di  chi  legge,  finzione  e  men- 
zogna. Il  senso  letterale  è  menzogna,  in  quanto  mostra, 
non  quel  che  si  vuol  dire,  ma  altra  cosa  ;  non  mostra,  ma 
nasconde  il  verace  intendimento,  la  vera  sentenza,  la  vera 
intenzione  dell'  autore.  Chi  si  fermasse  all'  apparenza,  con- 
siderando la  lettera  come  per  sé  stante,  sarebbe  indotto 
in  errore  ;  giacché  non  intenderebbe  quel  che  lo  scrittore 
volle  pur  dire,  ma  quel  che  lo  scrittore,  allo  stringer  dei 
conti,  non  disse  ('). 

Nel  luogo  del  Convido,  citato  dal  Trivulzio,  Dante  de- 
finisce il  senso  letterale  e  il  senso  allegorico  '  secondo  che 
per  li  poeti  é  usato  '.  Disgraziatamente  il  passo  è  lacunoso  ; 
ma  anche  cosi  com'  é,  mostra  benissimo  la  sentenza  del 
poeta,  specialmente  dall'  esempio  messo  innanzi.  Si  legge 


(1)  Giorn.  stov.  2,  879  n*  'Il  Centofanti  [Sulla  VN.  di  D.  lez. 
ult.  p.  9  s  1  giustamente  osserva  che  tale  interpretazione  [  di  coloi-o 
che  nella  donna  di  Dante  trovano  nel  tempo  stesso  realtà  e  simbolo  ], 
credendo  di  lasciar  larga  parte  alla  lettera,  ne  distrugge  il  valore. 
Infatti  «  o  si  vuole  che  il  senso  apparente  così  s' introduca  in  quello 
recondito,  che  questo  solo  sia  la  verità  che  si  cerca,  o  si  vuole  che 
l'uno  non  abbia  una  primitiva  e  radicalo  dipendenza  dall'altro». 
Nel  primo  caso  la  realtà  non  ha  valore  :  essa  si  atteggia  sempre  al 
simbolo,  che  è  il  vero  oggetto  del  libro.  Nel  secondo  caso  Dante  o 
Beatrice  si  sarebbero  amati  sensibilmente  o  poi  in  seguito  Dante 
avrebbe  «  tratto  da  questi  amori  naturali  un  valore  scientifico,  in- 
nalzandoli a  grande  spiritualità  ».  Ma  in  questo  caso  che  cosa  sa- 
rebbe avvenuto  della  realtà  ?  ' 


//  senno  letterale  è  finzione  mendace  113 

adunque  nel  Confido  (2,  1,  14):  'Dico  che,  siccome  nel 
primo  Capitolo  è  narrato,  questa  sposizione  conviene  es- 
sere Utterale  e  allegorica.  E  a  ciò  dare  ad  intendere  si  vuole 
sapere  che  le  scritture  si  possono  intendere  e  debbonsi  spo- 
nere  massimamente  per  quattro  sensi.  L'  uno  si  chiama 
laterale,  e  (juesto  è  quello  *  *  *  che  si  nasconde  sotto 
il  manto  di  queste  favole,  ed  è  una  verità  ascosa  sotto 
bella  menzogna  (').  Siccome  quando  dice  Ovidio  che  Orfeo 
facea  colla  cetera  mansuete  le  fiere,  e  gli  arbori  e  le  pie- 
tre a  sé  muovere  :  che  vuol  dire,  che  '1  savio  uomo  collo 
strumento  della  sua  voce  fa  mansuescere  e  umiliare  li  cru- 
deli cuori  ;  e  fa  muovere  alla  sua  volontà  coloro  che  [non] 
hanno  vita  di  scienza  e  d'  arte  ;  e  coloro  che  non  hanno 
vita  ragionevole  sono  quasi  come  pietre.  E  perchè  questo 


(*)  Oli  Editori  Milnnesi  (  Trivulzio.  Monti  t-  Maggi  :  Milano  1828  ) 
restituivano  così  il  passo  malconcio  :  *  L*  uno  si  chiama  litleralo,  e 
questo  è  quello  in  cui  lo  parole  non  escono  del  senso  proprio  rigo- 
roso ;  il  secondo  si  chiama  allegorico,  e  questo  è  quello  che  si  na- 
sconde sotto  il  manto  di  queste  favole  '.  Il  Todoschini  poi  (  ìS<t.  2, 
120  |,  migliorò  il  conciero  milanese  cosi  :  •  L'  uno  si  chiama  litterale, 
o  questo  è  quello  che  la  scrittura  ci  offre  secondo  il  snono  e  '1  va- 
lore delle  parole,  secondo  il  quale  senso  le  favole  de'  poeti  ci  si  ' 
rappresentano  come  a>"veninienti  realmente  accaduti  :  lo  secondo  si 
chiama  allegorico,  e  questo  è  quello  che  si  nasconde  sotto  il  manto 
di  queste  favole  '.  E  un  altro  conciero  mise  fuori  il  Giuliani  :  •  Lo 
primo  si  chiama  letterale,  e  questo  è  quello  che  risultit  dalle  Fa- 
vole o  dalla  Storia  della  lettera,  né  si  stende  più  che  la  lettera  suona. 
Lo  secondo  si  chìanut  allegorico,  e  questo  è  quello  che  si  nascondo 
sotto  il  manto  di  queste  favole  *.  Il  Fraticelli,  nella  seconda  edizione 
del  Conrito,  segui  la  lezione  del  codice  Riccardiano  lOM  :  '  L'  uno 
si  chiama  litterale.  e  questo  è  quello  che  non  si  distende  più  oltre 
che  la  lettera  propia,  siccome  è  la  narrazione  propia  di  quella  cosa 
che  tu  tratti  :  che  per  certo  e  appropiato  esempio  è  la  terza  can- 
zone che  tratta  di  Xobiltade.  L'  altro  si  chiama  allegorico,  e  questo 
è  quello  che  si  nasconde  sotto  il  manto  di  queste  favole  '.  Ma  il  Moore 
non  accoglie  la  lezione  del  codice  Biccardiano  :  alla  quale  non  fa 
buon  viso  neppure  il  Yandeili  (  vd.  Bull.  ns.  8.  160  n  1  ). 


114  II  senso  letterale  e  V  allegorìa 

nascondimento  fosse  trovato  per  li  savi,  nel  penultimo 
Trattato  si  mostrerà.  Veramente  li  Teologi  questo  senso 
prendono  altrimenti  che  li  poeti  ;  ma  perocché  mia  inten- 
zione è  qui  lo  modo  delli  poeti  seguitare,  prenderò  il  senso 
allegorico  secondo  che  per  li  poeti  è  usato  '  ('). 


(1)  Segue  il  poeta,  accennando  a  duo  luoghi  biblici,  come  ad 
esempi  appropriati  ciascuno  al  senso  eh'  egli  vuol  dichiarare  ;  a  par» 
lar  del  senso  morale  e  del  senso  anagogico.  !Xella  lettera  a  Can- 
grande  (  Epist.  10,  7  )  si  tocca,  un  po'  sommariamente,  di  tutti  i  fa- 
mosi quattro  sensi,  col  solo  e  solito  esempio  del  versetto  della  Bib- 
bia, accennato  nel  Convivio  pel  solo  senso  anagogico,  qui  espressa- 
mente citato,  '  In  exitu  Israel  do  Aogypto  '  (  segue  alla  lettera  que- 
sto luogo  à-eW  Epistola,  senza  però  citarla,  il  Buti,  1,  14  s);  e  si 
aggiunge,  che  il  senso  morale  e  1'  anagogico  possono  chiamarsi  an- 
ch' essi  allegorici,  '  quum  sint  a  litorali  sive  historiali  diversi  '  (  cfr. 
Buti,  1,  39  ;  e  Filippo  Villani  [  //  Comento  al  primo  canto  dell'  Inf.  ; 
ed.  Cugnoni.  Cittcà  di  Castello  1896:  Collez.  di  opusc.  dant.  N.  31-32: 
p.  28  ]  ;  il  Boccaccio  [  //  Commento  di  G.  B.  sopra  la  Commedia,  Fi- 
renze 1863  :  1,  l.o4  ]  traduce  dall'  Epistola,  o  da  altra  fonte  comune, 
non  solo  il  brano  sui  quattro  sensi,  come  il  Buti,  ma  anche  quost'  ul- 
tima osservazione  ).  IS^on  si  esclude  veramente  nel  Convivio,  che  dal 
senso  letterale  fittizio  si  possa  cavare,  oltre  il  senso  allegorico,  an- 
che r  anagogico  e  il  morale  (  cfr.  Conv.  2.  1,  121  )  :  come  non  si  dice 
neppure  che  dalla  storia  non  si  possa  tirar  fuori  il  senso  allegorico  ; 
ma  insinua  bene  il  poeta,  che  in  questo  caso  non  si  ha  V  allegoria  dei 
poeti,  ma  1'  allegoria  dei  teologi.  Insomma,  pel  poeta  il  senso  letterale 
è.  in  ogni  caso,  uno  solo,  quel  che  suona  la  lettera  :  la  quale,  intosa 
prima  d'  ogni  altra  cosa,  si  presta  alla  generazione  degli  altri  tre  sen- 
si. Degno  tuttavia  di  molta  considerazione  sono  le  ossei-vazioni  di 
Francesco  d'  Ovidio  (  Stndii,  461  ss,  481  s  ).  Cfr  Ball.  ns.  8, 160.  Quan- 
to air  autenticità  dell'  Epistola  a  Cangrande,  non  sappiamo  veramente 
deciderci.  Contro  1'  autenticità  scese  gagliardamente  in  campo  il  D'  O- 
vidio  (  Rie.  fi?"  It.  15  seti.  1899  ;  vd.  ora  Stndii,  448.  474  ).  e  giudicò 
che  Dante  ben  poteva  scrivere  a  Cane,  ma  non  da  cane.  A  codesta 
sentenza  interpose  subito  appello  il  Torraca  (  Riv.  d' It.  15  die.  1899  ). 
Poiché  dunque  la  cosa  non  ò  ancora  passata  in  giudicato  e  la  sen- 
tenza non  ò  esecutiva,  contentiamoci  di  accennarvi  con  riserva  (  vd. 
Bull.  ns.  8,  137:  9,  77). 


Le  confusioni  dell'esegesi  115 

Neil'  esempio  citato  di  Ovidio,  e'  è  un  senso  letterale 
e  e'  è  un  senso  allegorico.  Il  senso  letterale  è  finzione,  è 
bella  menzogna.  Tuttavia,  voleva  forse  con  ciò  il  poeta 
negare  '  la  realtà  oggettiva  '  delle  fiere,  degli  alberi,  delle 
pietre  ?  Ma,  siamo  giusti,  che  e'  entra  la  realtà  oggettiva 
delle  fiere  e  degli  angeli  col  senso  letterale  ?  Quelle  pietre, 
i[uegli  alberi,  quei  cieli  stanno  forse  lì  a  significar  sé  stessi  ? 
Stanno  a  significare  altra  cosa.  Dunque  il  senso  letterale 
è  finzione  e  il  senso  allegorico  è  verità. 


3. 


Sennonché,  V  esegesi  biblica,  volendo,  e  dovendo  tal- 
volta, trovar  1'  allegoria  dove  non  e'  era,  turbò  e<i  oscurò 
ogni  genuino  e  ragionevole  concetto  di  senso  letterale  e 
di  senso  allegorico.  Gli  odorati  campi  di  mirto  e  d' alloro 
dell'  allegoria,  nel  medio  evo,  come  tante  altre  cose,  insel- 
vatichirono. Si  chiamò  allegoria  un  informe  accozzo  di  si- 
militudini, analogie,  moralità  ;  e  non  vi  fu  un'  allegoria, 
ma  tante  allegorie  quante  frasi,  quante  parole  ;  anzi,  spesso 
una  sola  parola  ebbe  la  capacità  di  dar  ricetto  a  molti 
sensi  mistici  o  allegorici  in  una  volta.  La  qual  moltitu- 
dine d' intendimenti  riposti,  se  ne  stavano  insieme  bensì 
nello  stesso  racconto,  ma  ciascuno  per  conto  suo.  Lo  Spi- 
rito Santo  avea  certamente  appiattato  allegorie  dapper- 
tutto, e  i  sottili  ed  arguti  mettevano  piamente  a  soqqua- 
dro tutta  la  loro  erudizione,  affilavano  tutto  il  loro  acume, 
per  scoprire,  per  cogliere,  per  sorprendere  1'  allegoria,  che 
poteva  starsene  comodamente  accoccolata  anche  dietro  il 
povero  paravento  d'  una  semplice  congiunzione  della  tra- 
duzione latina  della  Bibbia.  Codesto  preconcetto  fu  causa 
di  febbrili  investigazioni,  che  oggi  sembrano  deliri  e  ci 
fanno  mestamente  pensare  ;  di  fatiche  immani,   puerili   e 


116  //  senso  letterate  e  t  attegoria 

sciocche,  che  ci  fanno  ridere  :  ma  un  tempo  erano  singo- 
lare acume  e  dottrina  profonda. 

Quella  malattia  dello  spirito  (  stavo  per  dire  dello  Spi- 
rito Santo  )  dalla  Sacra  Scrittura  si  propagò  alle  profane 
scritture,  e  le  attaccò  facilmente.  L'  allegoria,  come  gra- 
migna, invase  ogni  scritto  e  si  abbarbicò  ad  ogni  parola. 
E  si  cavarono  allegorie,  imitando  1'  esegesi  biblica,  anche 
da  testi  che  eran  considerati  come  scientifici.  Chi  coli'  o- 
nesto  proposito  di  moralizzare,  volea  volgere  a  senso  al- 
legorico una  scrittura  qualunque  (  leggenda,  storia,  favola, 
nozioni  scientifiche  ),  dall'  esempio  autorevole  dell'  esegesi 
biblica,  si  credeva  licenziato  a  trovare,  non  1'  allegoria  coe- 
rente ed  integra  che  non  e'  era,  ne  vi  poteva  essere,  per- 
chè il  senso  letterale  era  tutto  ;  ma  tante  allegorie,  ma 
un'  allegoria  spezzettata  e  incoerente.  La  sola  cosa  ragio- 
nevole era  il  senso  letterale,  nato  prima,  e  non  certamente 
coli'  intenzione  di  sposarsi  all'  allegoria  ;  la  quale  veniva 
a  galvanizzare,  dopo  averle  dilacerate,  le  povere  membra 
della  lettera  ;  ma  non  a  rivelare  quell'  anima  occulta  che 
non  e'  era.  Si  procedeva  per  similitudini  e  analogie,  e  si 
moralizzava  allegorizzando.  Non  sempre,  come  nei  poeti, 
si  poteva  negare  la  sentenza  espressa  nella  superficie  della 
lettera  ;  ma  si  voleva  vedere  a  ogni  modo,  sotto  la  lettera, 
una  verità  più  alta,  d'  ordine  morale  e  mistico  (').  Cosi  vi 


(1)  Non  è  chi  non  conosca  qualche  pagina  dell'  esegesi  biblica. 
Noto  lo  Moralisationcs  medievali  (  vd.  Bartoli,  St.  1,  83  ss  )  ;  né  oc- 
corro certo  i-icordare  le  belle  pagine  del  Comparotti  (  Virgilio  nel 
ME.',  cito  dall'  ed.  di  Livorno,  Vigo,  1872:  1,  138  ss  156  ss  169  202  )  : 
cfr.  anche  Perez,  Beatrice,  35  ss,  47  ss;  Graf,  Roma,  1,  5;  2,  187  ss 
305  ss.  Traccia  della  confusione  tra  allegoi'ia  e  moralità  conservano 
gli  antichi  commenti  alla  Commedia.  Il  Buti  dico  espressamente  (  1, 
39):  '  Allegoricamente  si  dee  intendere,  o  vero  moralmente:  imperò 
che  tra  moralità  e  allegoria  non  fo  distinzione,  seguendo  li  gram- 
matici, che  dicono  che.  quando  la  seutonzi;!    ò  altro  elio   lo   pnrolo 


ìje  confusicni  dell'  esegesi  lt7 

fu  un  ceiLu  senso  letterale,  fuori  dei  sacri  campi  dei  tec- 
logi,  che  a  buon  diritto  rimase  saldo  e  indifferente  accanto 
air  allegoria,  che  in  fin  dei  conti  era  un'  intrusa  ;  e  tal- 
volta ragionevolmente  si  chiamò  storico,  e  spesso  giusta- 
mente fu  considerato  verità.  Sennonché,  si  confuse  codesto 
senso  letterale,  nato  libero  e  indipendente,  ma  asservito 
poi  ad  una  strana  allegoria,  col  senso  letterale  propria- 
mente detto,  nato  schiavo  d'  un  vero  intento  riposto.  L'  al- 
legoria, nel  primo  caso,  era  figlia  bastarda,  e  non  ricono 
sciuta,  del  senso  letterale  ;  nel  secondo  caso,  madre  legit- 
tima ed  imperiosa.  E  si  scambiò  dunque,  un  fanciullone 
e  fannullone  mezzo  stordito,  una  specie  di  fantoccio  disar- 


suonino,  ù  allegoria^  come  dice  lo  Dottrinalo  nel  trattato  delle  figure  *. 
Il  Della  Lana  oliiania  '  metafore  '  le  alloirorie.  e  dice  che  il  jM)eta 
'  metafori/za  *  (  '2,  ìì-W  ;  3,  2S  5.J  65  )  :  nella  trattiizione  dei  soliti  quat- 
tro sensi,  dove,  come  fa  notato  {Bull.  n».  8,  156  n*),  egli  ha  strettii 
soraii>:lianza  con  Guido  da  Pisii  (  V  Ottimo,  nel  noto  proemio  La  natura 
(Ir Ile  cose  aromatiche  [vd.  Rocca,  Ale.  comm.  233  n,  288  s],  che  si  log- 
ge nella  citata  stampa  del  Commento  di  Jacopo  della  Lana  [1, 95  ss], 
copia  addirittura  dal  laneo  )  :  non  dice  che  anche  il  senso  morale  e 
r  anagogico  si  possono  chiamare  allegorici  :  ma  poi  col  fatto  non  fa 
distinzione  tra  allegoria  e  moralità,  ^el  proemio  generale  (  1,  1C6  ) 
si  legge:  '  Lo  secondo  senso  è  allegorico,  per  lo  quale  lo  termine 
della  littoratura  significa  altro  che  elio  non  suonti,  come  ad  inter- 
pretare lo  ditto  Minos  la  giustizia  la  quale  giudica  le  anime  secondo 
sua  condizione.  Lo  terzo  senso  è  detto  tropologico  ciof'  morale  per 
lo  quale  s' interpreta  lo  ditto  Minos  siccome  uno  Re  che  fu  in  Greti 
che  fu  giusto  e  virtudioso  '.  Ma  in  una  chiosa  poi  si  legge  (  1,  151  )  : 
•  Or  questo  Minos  moralmente  parlando  significa  Giustizia  '.  Vice- 
versa, altrove  chiama  allegoria  la  moralità  :  (2.  13  )  '  Brevemente 
r  allegoria  di  questit  fabula  si  è,  che  nessuno  dovrebbe  surgere  in 
tanta  audacia  per  arroganzia  d'  alcuno  volere,  eh'  elli  s' ereggesse 
contro  li  divini  misteri  '.  Un  luogo  di  Gregorio  Magno  (  Epist.  ad 
Leandr.  3  ),  come  si  legge  nel  Commento  di  Pietro  Alighieri  (  p.  7  ), 
ha  :  '  quaedara  per  sola  allegoricae  raoraliUìtis  instructa  [  mortali- 
tatis  instrumenta  ]  discutimus  ', 

15 


118  //  seìiso  letterate  e  l'  allegoria 

ticolato,  che,  senza  aver  coscienza  della  propria  individua- 
lità, si  piegava  come  giunco  schietto  a  tutti  i  capricci  del- 
l' autorità  materna  ;  con  un  tocco  d'  uomo,  tutto  d'  un  pezzo, 
scapolo  e  libertino,  a  cui  si  attaccava  ai  panni  una  mona- 
cella  isterica,  che  si  diceva  figlia  sua  e  che  con  certe  sue 
moralità  ed  elevazioni  mistiche,  se  lo  tirava  dietro  recal- 
citrante tra  la  gente  pia.  Codesta  confusion  di  parole,  e 
non  sempre  di  parole  soltanto,  era  poi  favorita  e  aggra- 
vata dal  fatto,  che  spesso  non  si  faceva  vera  distinzione 
tra  invenzione  verosimile  e  storia,  tra  storia  e  assurda  no- 
vella, tra  favola  e  leggenda  e  storia  ;  sicché  il  senso  lette- 
rale, ora  per  1'  una,  ora  per  1'  altra  ragione,  ora  per  tutte 
e  due  insieme,  talvolta  anche  perchè  dicendo  '  istoria  '  s' in- 
tendeva 'istoria  Attiva',  cioè  novella  o  favola;  fu  chia- 
mato storico  anche  quando  di  storia  non  si  trattava,  ma 
di  invenzione,  perfino  inverosimile  ed  assurda  ;  e  si  finì 
col  chiamare  '  senso  storico  e  letterale  '  indifferentemente 
tutto  quel  che  non  era  sentenza  occulta,  tutto  quel  che 
al  preteso  nascondiglio,  o  al  reale  nascondiglio,  guidava  (*). 


(1)  Comparetti  (  Virg.  2,  20  )  :  '  Lo  opere  dotte  dell'  ultimo  me- 
dio evo,  repertori,  riassunti,  enciclopedie,  manuali  o  altri  simili  la- 
vori scritti  in  latino  o  in  volgare,  mescolano  ogni  cosa  con  una  as- 
senza di  critica  tanto  strana  quanto  strano  è  lo  sfrenato  moltipli- 
carsi delle  produzioni  fantastiche  d'  allora.  C  è  di  tutto,  tutto  il  de- 
tritiis  medievale  di  idee  classiche,  cristiane,  e  romantiche,  mito,  leg- 
genda, romanzo,  tutto  posto  alla  pari  '.  Jacopo  della  Lana  chiama 
talvolta  '  istorie  fitti  ve  '  (  3,  207  ),  o  *  istorie  poetiche  '  (  1,  466  ),  o  sem- 
plicemente '  istorie  '  (  1,  466  ;  3,  206  )  le  favolo  mitologiche  ;  il  senso 
letterale  della  Commedia  è  '  istoria  '  :  (  2,  362  )  '  Virgilio  dolcissimo 
padre.  Qui  per  continuare  sua  novella,  1'  autore  si  lamenta  della  par- 
tita del  suo  duca  ;  e  altro  non  ha  a  significare  so  non  lo  sono  della 
istoria  '  ;  (3.  14  )  '1'  autore,  siccome  è  ditto,  istorialmente  intende  li 
preditti  quattro  circoli,  ma  per  allegoria,  le  quattro  virtudi  morali  '. 
Il  Buti  (1,  14  )  chiama  '  storia  litterale  '  la  narrazione  dell'  incontro 
del  poeta  con  le  tre  fiere.  Sor  Graziole  (//  Commento  j)iit  antico  e 


1^  con f unioni  deli'  esegesi  no 


Da  codesta  confusione  dell'  etadi  grosse,  oltreché  dal- 
l' avversione  istintiva  che  si  sente  oggi  per  tutti  quei  pa- 
sticci allegorici  medievali,  proviene  forse  quel   considerar 


la  più  antica  pernione  latina  delt  Inferno  di  Dante,  Udine  18J>2  :  p. 
55):  '  Farteli  bestia  che  questi  non  riene.  Ammaestrato  dalla  tua  so- 
rella :  hec  verba  raiinifGHk}  sunt  ex  istoria  proxini:»  prwtHÌt?nti  \  Guido 
da  PÌ8A  (  Ball.  ns.  8,  158  )  chiama  storico  il  seiMO  letterale  della 
Commedia  :  '  Priinns  nainquo  intellootiis,  sivo  HonmiH,  quera  continot 
Conu'ilia,  dicitur  hyKtoricus  ...  :  iste  intt'llectus  non  s«>  extondit  nisi 
ad  litteram,  sicut  quando  accipimuH  Minorcm  [sic]  jiidicem  et  att- 
sosRorom  inforni  '  (  Della  Lana.  1,  104  '  Lo  primo  si  ^  litterale  ovoro 
istorialo,  lo  (|ualo  sonno  non  si  ostondo  più  innanzi  che*  comò  suon-i 
la  lotterà  o  quelli  termini  in  li  quali  ella  è  posta  ;  siccome  quan- 
d'  elio  pone  Minos  in  lo  inferno  por  uno  dimnnio  fjiudicatoro  dello 
anime  '  ).  Caratteristiche  le  distinzioni  e  lo  detinizioni  di  Pietro  Ali- 
ghieri (  p.  4  )  :  '  primo  utitur  quod'im  sonsu,  qui  dicitur  1  i  t  e  r  a  li  s 
sivo  suporfìcialis  et  pantbolicus  :  hoc  est  quml  seribit  quaedam.  quae 
non  importabunt  aliiul  intolloctum  nisi  ut  litera  sola  sonabit . . . 
Socundo  utitur  quo<lam  sensu.  qui  dieitur  historicus,  dictus 
ii>)  historia  :  quao  liistoria  dicitur  ab  /listorin.  quod  est  ridere,  ex 
.1)  (juod  oa  qusio  in  historia  narrantur  ac  si  esecnt  subjecta  vjsui 
doclarantiir  :  et  continot  res  voras  et  verisimilos... 
Tertio  utitur  quodam  sensu,  qui  dicitur  apologeticus  ab  a- 
pologns.  qui  est  oratio  quae  nec  veras  nec  verisimiles 
r  o  s  e  o  n  t  i  n  e  t  :  est  t:im',»n  inventa  ad  instructionera  transumpti- 
vani  honiìnum  ...  Et  differt  a  fabula,  quae  dicitur  a  fando.  quao 
nihil  informationis  habet  nisi  vocem.  Tamen  poeta  eis  fabulis  uti- 
tur aut  delectationis  eausa,  aut  rerum  naturam  estendendo,  aut  prop- 
tor  mores  informandos  . . .  Quarto  utitur  alio  sensu,  qui  dicitur  m  e  - 
taphoricus  a  meta,  quod  est  extra,  et  fora  naturam,  unde  mo- 
taphora  quasi  senno  sivo  oratio  extra  naturam  :  ut  cum  auctor  no- 
ster  fingit  lignum  loqui,  prout  facit  infra  in  XIII "  Capitulo  Inforni. 
Quinto  utitur  alio  Bensu,  qui  dicitur  allegorie  us,  quod  idem 
est  quam  alienum  :  nam  allegoria  dicitur  ab  alleon  quod  est  alie- 
num.  Et  differt  a  metaphorico  superdicto,  quoti  allegoricus  loqui- 
tiir  intra  se,  metaphoricus  extra  se,  ut  ecce  :  haec  vox  Hierusa- 
lem.  quae  historice,  ut  dixi,  prò  terrestri  civitate  accipitur.  allego- 
rico prò  civit^ite  Dei  militante.  Et  seribit  aUegorice,  quando  per  id 


129  //  senso  letterale  e  V  allegoria 

che  spesso  si  fa  il  senso  allegorico  come  cosa  accidentale 
e  di  cui  si  può  fare,  e  si  fa  volentieri,  astrazione.  Ma  s'  in- 
corre nella  confusione  del  tutto  opposta  a  quella  degli  ese- 


quod  factum  ost  intelligitur  aliud  quod  factum  est,  ut  ecco  do  duello 
David  cum  Golia,  quod  significat  bollum  commissum  per  Christum 
cum  Diabolo  in  ara  crucis.  Sic  et  cum  auctor  iste  dicit  so  descen- 
disse  in  Infernum  per  phantasiara  intellectualiter,  non  personalitor, 
prout  fecit,  intelligit  se  descendisse  ad  infimum  statum  vitiorum  et 
inde  exisse . . .  Sexto  utitur  alio  sensu,  qui  dicitur  tropologicus, 
unde  tropologia  dicitur,  quasi  moralis  intellectus,  et  dicitur  a  tropoa 
quasi  convevsio  ;  ut  cum  verba  nostra  convertimur  ad  mores  infor- 
mandos.  Et  scribitur  tropologico,  quoniam  por  id  quod  factiun  ost 
datur  intelligi  quod  faciendum  sit  :  ut  haec  vox  Hierusalem  tropo- 
logico accipitur  prò  anima  fìdeli.  Soptimo  utitur  quodam  alio  sensu, 
qui  dicitiu-  a  n  a  g  o  g  i  e  u  s  ,  unde  anagogia,  idest  spirifiialis  intel- 
lectus, sive  supen'or  ;  unde  dieta  vox  Hierusalem  anagogico  intelli- 
gitur coelestis  et  triumphans  Ecclesia  '.  A  Pietro  di  Danto  si  accosta 
Filippo  Villani  ;  il  quale,  pur  tenendo  per  autentica  la  famosa  epi- 
stola canina  (  la  chiama,  p.  28,  '  quodam  introductorio  suo  [Dantis] 
super  cantu  primo  Paradisi,  ad  dominum  Canem  de  la  Scala  desti- 
nato '  ),  non  la  segue  però  alla  lettera,  come  il  Boccaccio  e  il  Buti, 
in  questo  particolare  :  (  p.  25  )  '  nostri  theologi  quatuor  dumtaxat  in 
sacris  licteris  posuerunt  theotoricos  intellectus,  videlicet  hystoricum, 
allegoricum,  moralem  et  anagogicum  :  quos  in  expositione  versus 
prophete  dicentis  :  In  exitn  Israel  de  Egypto . . .  exemplariter  osten- 
dunt.  ]N'am,  si  simplicis  hystorie  veritatem  velimus  agnoscere,  libe- 
ratio  ebrayci  populi  de  servitute  Pharaonis  facta  per  Moysem  ap- 
parebit.  Huic  ei  persimilem  licteralem  poterimus 
applicare,  qui  nichil  affert  significati  citra  vorborum  sonum  . . . 
Si  vero  de  licterali  hystoricoque  aUegoriam  velimus  elicere,  tropum 
intelligomus,  quo  aliquid  nobis  dicitur,  et  aliud  significatur  ;  iuxta 
illud  :  Eva  fabricata  est  de  Intere  Ade  dormientis  :  hoc  ost  Ecclesia 
producta  est  de  latore  Christi  pendentis  in  cruce.  Similiter  in  versu 
nostro  figuratur  nostra  redemptio  facta  per  Christum ...  Et  prose- 
quondo  dico,  quod  grecum  nomen  allegoria  est  compositum  ab  al- 
lon,  quod  alienum  sìa'o  diversum  latine  sonat  et  gore  quod  est  in- 
tellectus. Et  sub  isto  generali  nomino  omncs  sonsus,  ab  hystorico 
licteralique  difforentes,  allegorici  nuncupantur,  Post  allegoricum,  in 


Le  conftisioni  dell' esegeai  121 

geti  del  medio  t-vu.  Allora  si  confuse  la  moralità  con 
r  allegoria,  e  si  chiamò  allegoria  anche  la  moralità  ;  oggi 
non  si  vuole  vedere  che  un  semplice  intendimento  morale 
dove  realmente  e  propriamente  si  tratta  di  allegoria.  Nel 
medio  evo  si  volle  vedere  l'allegoria  anche  dove  non  e'  era, 
e  si  trovò  di  necessità  un'  allegoria  disgregata  e  incoerente  ; 
oggi  si  vuol  vedere  un  senso  letterale  e  storico  indipen- 
dente, anche  dove  non  e'  è,  e  si  trova  di  necessità  (  ma 
non  si  vuol  riconoscere  )  un  senso  letterale  malconcio  e 
stravolto  e  incongruente.  Allora  si  argomentava  :  —  Poi- 
ché in  alcune  scritture  (  e  sono  le  scritture  per  eccellenza, 
la  Bibbia  )  V  intendimento  allegorico  è  consentito  dal  senso 
storico  e  letterale,  cosi  dunque  in  ogni  scrittura  noi  pos- 
siamo trovare  un  senso  allegorico,  oltre  il  senso  storico  e 
letterale,  che  è  sempre  corteccia  e  quindi  apparenza  —  .  E 
si  trovavano  allegorie  dove  non  e'  era  che  storia  e  verità. 
Oggi  si  pensa  :  —  Poiché  si  credeva  che  in  alcune  scrit- 
ture il  senso  storico  e  letterale  non  era  distrutto  dal  senso 
allegorico,  cosi  dunque  in  ogni  scrittura  di  quei  tempi  noi 
dobbiamo  trovare  un  senso  storico  e  letterale,  oltre  il  senso 


spocio  sua,  subsoquìtur  la  o  r  a  1  i  s  ,  in  quo,  in  versa  prophotc,  osten- 
tUtur  animo  conversi»  ynriiro  do  luctu  miseriaquo  peccati  £id  statuni 
gratio.  Vorumtamon  huic  poteri  in  u  8  sotiare  apolo- 
gie u  m  ,  hoc  est  f  a  b  u  1  o  8  u  m  ,  qiialem  afferunt  elegante»  EHopi 
fabule,  quo  transuniptive  ad  instructionem  nostrani,  irrationabilium 
nature.  coUocutiones  gestaque  trasferuntur.  Hiis  duobus  adi- 
citur  tropologicu8,id  est  conversi  vus, in  quo,  per  illud 
quod  factum  est.  quod  fieri  debet  datar  intelligi  :  et  sic  resolvitar 
in  m  o  r  a  1  e  ra  . . .  Post  moralem  theologi  a  n  a  g  o  g  i  e  u  m  posue- 
runt.  id  est  s  p  i  r  i  t  u  a  1  e  m  .  prò  quo  versus  prophete  nobis  signi- 
lìcat,  exitum  anime  sancte.  exute  eorpore,  a  corruptionis  servitute,  ad 
eterne  glorie  libertatera  . . .  Super  istos  quatuor  theotoricos  intellec- 
tus  principales,  per  prudentes,  versus  editi  sant,  qui  dicunt  :  «  Idc- 
tera  gesta  refort  :  quid  crediis  allegoria  :  Moralis  quid  agas  :  quid 
speres  anagogia  »  '. 


122  II  senso  letterale  e  V  allegoria 

allegorico,  che  a  ogni  modo  è  cosa  secondaria  e  qnindi  tra- 
scurabile —  .  E  si  trova  storia  e  verità  dove  non  e'  è  che 
allegoria.  Antitesi  questa,  certo  giustificata  ;  ma  novissima 
confusione  non  meno  strana  della  prima. 


4. 


Chi  si  accingeva  a  scrivere  in  quell'  ambiente  così  am- 
morbato di  allegorie,  dovea  trovarsi  in  una  condizione 
molto  curiosa.  Oltreché  era  messo  fuor  à,i  strada  dall'  e- 
sempio  di  chi  si  affaticava  ad  elicere  allegorie  dalle  parole 
dello  Spirito  Santo  e  dalle  gentili  e  gaje  immagini  dei  poeti 
pagani,  non  avea  certo  una  buona  norma  direttiva  nep- 
pure nei  precettisti  che  perpetuavano  e  accrescevano  le 
confasioni  e  gli   stravolgimenti   degli   esegeti  (*).   Sentiva 


(1)  Isidoro,  Etymologiae,  1,  37,  22  'Allegoria  ost  alienìloquium, 
aliud  enim  sonat.  aliud  intelligitur  ;  ut  t  r  e  s  l  i  t  o  r  e  e  e  r  v  o  s 
Conspieit  errantos.  Ubi  tres  duces  bolli  Punici,  vel  tria  bella 
Punica  significantur.  Et  in  Bucolicis,  Aurea  mala  decem  misi, 
id  est,  ad  Augustum  decem  eclogas  pastorum  [  cfr.  Nevati,  Inda- 
gini e  postille  dant.  Bologna  1899  :  Bibl.  stor.  -  crit.  d.  lett.  dant. 
N.  9-10:  p.  67  n58].  Hujus  tropi  plures  sunt  species.  ex  quibus 
eminent  septem  :  Ironia.  Antiphrasis,  Aenigma,  Charientismos,  Pa- 
roemia,  Sarcasmos.  Astysraos  [  cfr.  Filippo  Villani,  Coni.  26  ]  . . . 
Aenigma  est  quaestio  obscura,  quae  diffìcile  intelligitur,  nisi  ape- 
riatur  :  ut  est  illud  :  De  comedente  exivit  cibus  et  de 
forti  egressa  est  dulcedo:  significans  ex  oro  loonis  fa- 
vum  extractum.  Inter  allegoriam  autem  et  aenigma  hoc  interest. 
quod  allegoriae  vis  gemina  est  et  sub  re  alia  aliud  liguraliter  in- 
dicat.  Aenigma  vero  tantum  sensus  obscurus  est,  et  per  quasdam 
iraagines  adumbratus'.  Beda,  Liber  de  schematibus  et  tropis  {HuXm, 
Rhetores  latini  minores,  Lipsiae  1863  :  p.  615  )  :  '  Allegoria  ost  tro- 
pus,  quo  aliud  signifìcatur  quam  dicitur,  ut  :  Levato  o  e  u  1  o  s 
V  e  8 1  r  o  s  e  t  V  i  d  e  t  e  r  e  g  i  o  n  e  s  ,  quia  a  1 1  a  e  sunt  i  a  ni 
ad    m  0  s  s  o  m  ,  hoc  ost  intelligito  quia  populi   iam   parati   sunt  ad 


Le  coticezioni  allegoriche  i  •_>.'. 

che  per  fare  qualcosa  di  vitale  e  di  veramente  letterario, 
bisognava  coprire  e  abbellire  ogni  cosa  con  V  allegoria,  o 
almeno  inquadrare  in  una  cornice  allegorica  quel  che  pia- 
namente gli  occorreva  dire.  Il  senso  letterale,  nel  caso  suo, 
era  pura  finzione  ;  non  si  trattava  di  un  lavoro  di  esegesi, 
ma  di  una  vera  creazione  allegorica  ;  e  immagini  aliene 
appunto  andava  egli  escogitando  per  coprire  la  '  vera  in- 
tenzione ',  che,  poveretta  !  gli  stava  davanti  nella  sua  scarna 
e  inestetica  nudità.  Ma  d'  altra  parte,  la  moda  era  capric- 
ciosa, e  pareva  che  consentisse  anche  certe  vesti  d'  Arlec- 
chino, molto  comode  a  fare  e  molto  opportune  anche  a 
travisare  addirittura  quella  poveretta  ;  il  che  non  era  poi 
piccolo  vantaggio,  E  cosi,  andava  rivestendo  i  suoi  magri 


crodonduin.  Hiiius  sppcios  miiUao  sunt.  ox  qiiibus  oininont  soptom  : 
ironìiu  antiphniHis.  nonigmsu  chariontismos.  parooraia,  sarcasmoR,  antoi- 
snios . . .  Xotandum  sano  quoti  allojroria  aliquando  factìs.  aliquando 
verl»is  tantum  modo  fìt  :  factìs  quideni,  ut  scriptum  ost  :  Q  u  o  n  i  a  m 
Abraham  duos  fi  lios  kabuit.  unum  de  anelila  et 
unum  de  libera,  quae  sunt  duo  testamenta,  ut  ApostoluH  expo' 
nit.  Verbis  autom  solummodo,  ut:  Egredietur  virga  de  ra- 
dice lesse  et  flos  do  radice  eius  aseendet:  quo  si^i- 
fìcatnr  de  stirpe  David  per  Mariani  virginem  dominum  salvatorom 
fuisse  nasciturum.  Aliquando  factis  sinuil  et  verbis  una  oademque 
res  allegorice  significatur . . .  Itf^m  allegoria  verbi  sive  operis  ali- 
quando  historicam  rem,  aliquando  typicam,  aliquando  tropologicara. 
id  ost  moralem  rationom.  aliquando  anagogen.  hoc  est  scnsum  ad 
superiora  ducentem  figurate  denuntiat . . .  Xonnumquam  in  uno  eo- 
demque  verbo  vel  re  historia  simul  et  mysticus  de  Christo  sive  ec- 
clesia sensus  et  tropologia  et  anagoge  figuraliter  intimatur.  ut  tom- 
plum  domini  iuxta  historiam  domus,  quam  fecit  Salomon,  iuxta  al- 
legoriam  corpus  dominiciun  . . .  sive  ecclesia  eius  . . .  Per  tropologiam 
quisque  fidelium  . . .  Per  anagogen  supernae  gaudia  mansionis  ...  Si- 
mili modo  quoti  dicitur  :  Lauda  H  i  e  r  u  s  a  1  e  m  dominum... 
De  civibus  terrenae  Hierusalem.  de  ecclesia  Christi.  de  anima  qua- 
quo  electa.  de  patria  caelesti  iuxta  historiam,  iuxta  allegoriam,  iuxt.i 
tropologiam.  iuxta  tuiagogen  recte  potest  accipi  '. 


lui  II  senso  letterate  e  V  allegoria 

concettuzzi  con  immagini  allegoriche  incoerenti  spesso  ed 
oscure.  Lo  Spirito  Santo  e  Virgilio  doveano  bene  saperne 
qualcosa  dell'  arte  del  dire  !  E  con  industria  paziente,  ap- 
piattava sotto  la  varia  corteccia  disgregata  della  lettera, 
la  solita  moltitudine  d' intendimenti  riposti.  Codesto  ser- 
viva ad  acuire  l' ingegno  del  lettore  ;  serviva  anche  a  pre- 
servare dall'  avvilimento  quei  poveri  concettuzzi,  oltreché 
conferiva  al  componimento  quella  tanto  gradita  e  ricer- 
cata oscurità,  che  i  maestri  inculcavano  gridando  :  —  Ab- 
buja!  abbuja!  —  (Comparetti,  Virg.  1,  51).  Ed  avvenne 
questo  :  nell'  interpretare  si  forzò,  si  costrinse,  si  compresse 
la  lettera  e  si  disorganizzò  per  cavarne,  per  spremerne  a 
ogni  costo  il  senso  allegorico,  un  intendimento  allegorico 
che  nell'  intenzione  dello  scrittore  non  e'  era  stato  ;  nello 
scrivere  poi,  con  quella  febbre  delle  allegorie  addosso,  con 
1'  occhio  sempre  vólto  all'  allegoria,  si  maltrattò  talmente 
il  povero  senso  letterale  che  spesso,  non  una  veste,  ma 
pare  a  noi  un  cencio,  uno  straccio,  una  misera  rattoppa- 
tura. Guardate  l' intelajatura  allegorica  nel  Reggimento  del 
Barberino  ;  considerate  a  quante  stranezze,  a  quante  gof- 
faggini, a  quante  incoerenze  si  abbandona  il  senso  lette- 
rale per  nascondere  le  impenetrabili  o  sciocche  allegorie 
del  povero  rimatore  ! 

Dove  vi  è  una  sentenza  allegorica  più  o  meno  palese, 
voluta  dallo  scrittore  e  preesistente  alla  formazione  del- 
l' integumento,  il  senso  letterale  è  variamente  materiato. 
Non  sempre,  come  nell'  esempio  dantesco  di  Ovidio,  è  l' in- 
verosimile e  1'  assurdo  ;  vi  sono  anzi  allegorie  dove  il  senso 
letterale  è  in  gran  parte  materiato  di  storia  ;  ma  con  ciò 
non  perde  il  suo  essenziale  carattere  di  finzione  allegorica. 
E  l' argomentazione  del  Fornaciari,  che  nella  Commedia 
'  entrambi  i  sensi,  il  letterale  e  1'  allegorico,  sono  continui 
e  certi  ',  e  che  '  se  tutta  la  Vita  Nuova  ha  un  significato 
letterale,  non  può  non  averlo  la  pietosa  e  gentile  signora, 


//  seììso  letterale  neììa  Commedia  1^5 

che  ne  tiene  si  gran  parte  '  ;  non  vediamo  a  che  conclu- 
sione possa  condurre.  Sicuramente,  nella  Commedia,  come 
in  ogni  scritto,  il  senso  letterale  è  continuo  e  certo  ;  senza 
dubbio,  tutta  la  Vita  nuova  ha  similmente  un  significato 
letterale,  non  esclusa  la  gentile  signora  ;  ma  il  senso  let- 
terale non  è  storia  ;  è  menzogna,  è  finzione,  e  non  sem- 
pre neppure  finzione  coerente.  E  vero  che  gran  parte  de- 
gli episodi  della  Commedia  sono  materiati  di  storia,  ma 
non  sarebbe  proprio  dire  che  siano  storia,  che  il  senso  let- 
terale sia  storia.  È  storia  forse,  '  La  bocca  sollevò  dal  fiero 
pasto  '  y  0  forse  storia  si  dirà,  '  Nacqui  sub  Julio  ancor- 
ché fosse  tardi  '  ?  È  finzione,  che  dalla  storia  assume  bensì 
la  materia,  ma  non  è  storia  ;  è  in  certo  modo  anche  que- 
sta menzogna.  E  si  chiamino  pure  alcuni  episodi,  per  bre- 
vità, storia  ;  ma  in  essi  manca  affatto  probabilmente  un 
intendimento  allegorico  particolare,  e  il  senso  letterale  è 
in  fondo  tutto  quel  che  si  trova.  Tanto  la  storia  è  aliena 
dall' allegoria  e  )  !   Bene   l'estensore  della   lettera   a   Can- 


(1)  Sono  probabilmente  niente  altro  che  fantiisticherie  strava- 
ganti certe  interprotiizioni  allegoriche  date  a  luoghi  del  Poonui,  dove 
la  materia  storica  ò  certissima  ;  sogni  di  febbricitante  d' allegoria 
sono,  secondo  ogni  probabilits'i.  gì'  intendimenti  riposti  che  Filippo 
Villani,  per  esempio,  tira  fuori  dalle  notizie  storiche  che  Virgilio 
dà  di  sé  nel  primo  canto  della  Commedia.  Tuttavia,  di  tale  specie 
di  esegesi  allegorica,  non  applicata  propriamente  alla  storia  ma  alle 
finzioni  dei  poeti  materiate  di  storia,  Danto  stesso  avea  dato  un  ben 
cospicuo  esempio  nel  Convivio  (4,  28,  ©7  ),  spiegando  1'  allegoria  del 
Catone  di  Lucano.  E  codesta  allegoria  forse  si  potrebbe  chiamar 
teologica.  Ma  chi.  profitt:indo  di  codesta  circostanza,  volesse  dire 
che  il  senso  allegorico  nelln  Vita  nuova  è  appunto  secondo  che  per 
li  teologi  è  inteso,  verrebbe  a  fare  un'  altra  confusione.  Lasciando 
stare  che  non  si  vede  bene  come  la  Vita  nuora  passa  considerarsi 
narrazione  storica,  l' allegoria  teologica  è  ricerca  di  sensi  riposti 
in  un  fatto  storico,  non  narrazione,  con  intendimenti  allegorici,  di 
im    fatto    storico  :  non   esce   insomma   du\ì   confini   dell'  ermeneuti- 

16 


126  11  senso  tetterale  e  V  allegoria 


grande  e  i  primi  commentatori  avvertono  che  il  Poema  è 
'  Attivo  e  positivo  d'  esempi  '  ;  e  bene  fu  in  ogni  tempo 
notato  che  non  è  necessario  che  il  senso  letterale  racchiuda 
in  ogni  sua  parte  un  intendimento  riposto  (').  Dove  l' in- 
tento allegorico  è  soltanto  nell'  immagine  centrale,  il  senso 
letterale,  salvo  qualche  contrassegno,  è  finzione  coerente 
che,  in  certo  modo,  sta  da  se  :  è  come  chi  possiede  un 
campo  in  enfiteusi  ;  il  vero  signore  è  sempre  il  senso  al- 
legorico, e  in  qualche  inciso,  in  qualche  attributo,  afferma 
r  alta  sua  sovranità,  quasi  per  tema  che  chi  legge  non 
voglia  negargliela  o  dimenticarla  ;  ma  non  dà  alcuna  mo- 
lestia alla  lettera  che  fa  le  viste  di  procedere  liberamente 
per  conto  suo.  Nella  Commedia  vi  sono  episodi  materiati 
di  storia,  che  hanno  propriamente  un  intento  storico  e 
morale  ;  e  vi  sono  episodi  verosimili  ed  anche  talvolta  fan- 
tastici, che  saranno  soltanto  decorativi.  Ma  1'  insieme  è 
un'  allegoria  ;  1'  idea  centrale  al  cui  servigio  stanno  i  sin- 
goli episodi,  è  allegorica.  Nel  senso  letterale  non  abbiamo 
che  un  viaggio  nei  regni  d'  oltretomba  ;  e  il  sovrano  poeta 
non  trascura  particolari  e  circostanze  e  dati  di  fatto  per 
rendere  la  sua  finzione  sempre  più  verosimile  e  credibile. 


ca.  Che  se  Dante  attribuisce  a  Lucano  intendimenti  allegorici  nella 
narrazione  di  un  fatto  materiato  di  storia,  e  se  egli  stosso  ebbe  vera- 
monte  intendimenti  allegorici  nelle  sue  finzioni  materiate  di  storia  ; 
questo  vorrebbe  solo  dire  che  in  una  finzione  allegorica,  o  credu- 
ta tale,  neppure  la  storia  era  immune  dal  pagare  il  suo  tributo  al- 
l' allegoria.  Del  resto,  non  era  necessario  che  lo  scrittore  avesse  avuto 
coscienza  degli  appiattamenti  che  scoprivano  gli  esegeti.  L'  allego- 
ria e'  era,  ma  non  e'  era  per  volontà  cosciente  dell'  autore  ;  cfr.  Pnvg. 
22,  67-73;  Filippo  Villani,  Com.  157,  168. 

(1)  Cfr.  Sant'  Agostino,  De  Civit.  16,  2  ;  Gregorio  Magno,  Mor. 
21,  1,  2  ;  Dante,  De  Mon.  (  ed  Moore  )  3,  4,  45  ;  Della  Lana,  2,  360 
862;  Pietro  di  Dante,  4;  Boccaccio,  Comm.  1,  196;  Buti,  1,  24  40 
61,  e  Centofanti,  nell'  Introduzione  allo  stesso  commento,  1,  24  ;  Pe- 
rez, Beatrice,  51. 


//  seììso  letterale  nella  Commedia  127 

E  la  '  bella  menzogna  '  è  cosi  bella  e  fresca  e  fiorente  di 
giovinezza  e  di  salute  che,  con  noi  certo,  fallisce  alla  sua 
missione,  ci  trattiene  con  se!  Il  'velame'  non  è  un'im- 
maginazione stravagante  e  incoerente  come  quelle  di  tanti 
altri  poemi  allegorici,  ma  è  un  mondo  reale  che  palpita  e 
vive  della  nostra  vita,  è  tutto  il  medio  evo  che  rivive  e 
vive  eterno  al  soffio  potente  ed  animatore  dell'  ispirato 
poeta.  Non  manca  certo  1'  *  ascosa  verità  ',  ma  è  cosi  esile 
e  rannicchiata  che  impallidisce  e  sparisce  sotto  i  colori 
smaglianti  del  maestoso  e  ricco  paludamento. 

Neil'  allegoria  generale  però,  che  si  fa  cosi  poco  sen- 
tire e  valere  nei  suoi  vasti  domini  della  lettera,  s' incar- 
dinano o  serpeggiano  allegorie  secondarie  ben  più  esigenti 
e  importanti  ;  le  quali  intralciano  spesso  il  senso  letterale, 
fermano  chi  non  abbia  altra  voglia  che  di  badare  alla 
*  bella  menzogna  ',  e  spronano  il  pigro  ingegno  sulla  via 
dell'  '  ascosa  verità  '  (•).  Sono  come  le  articolazioni  e  le  ar- 


(*)  Strane  .suim  rritanu  iito  lo  ossorviizioni  che  ini.so  fuuri  con 
jrran  disinvoltura  il  Borgognoni  (  Scelta  di  Scritti  dant.  Città  di  Ca- 
stello 18.97  :  Collez.  di  opusc.  dant.  N.  Ì6-48  :  p.  123  ss  )  siili'  alle- 
goria in  generale,  e  suU'  allegoria  del  Poema  in  particolare.  •  L'  al- 
legoria sarebbe  sempre  una  faccenda  del  lettore,  non  dell'autore'! 
Sennonché,  al  Borgognoni  venne  fatto  di  porre  un'  obbiezione  che 
pare  sia  di  qualche  peso,  a  giudiciire  dsU  fatto  che  spesso  fa  capo- 
lino nei  ragionamenti  di  altri  critici.  Egli  si  ferma  alla  terzina  0 
coi  eh'  arete.  e<l  alla  terzina  Aguzza  qni  lettor,  ed  ammonisce  :*  que- 
sti distinti  inviti  che  il  Poeta  fa  al  lettore,  questi  suoi  speciali  am- 
monimenti, riguardano  i  casi  pei  quali  egli  appunto  li  fa  :  non  im- 
portano, anzi,  al  mio  parere,  negano  che  l' intero  poema  contenga 
una  intenzionale,  organica,  continua,  non  mai  interrotta  allegoria. 
Xegano  ;  perchè  domando  io  :  se  Dante  avesse  avuto  neU'  intenzione 
che  il  lettore  per  tutto  il  Poema  dovesse  darsi  briga  di  quella  spe- 
cie di  escavazione  del  senso  sotterraneo  alla  lettera,  ad  quid  avver- 
tire e  ammonire  esso  lettore  che  sotto  alcuni  particolari  versi  quel 
senso  nascosto  e'  è,  e  ammonirlo  proprio  dove  1"  intelligenza  di  quel 
secondo  senso  è  più  facile  ?  "  Perchè  il  poeta  abbia  proprio  fatto  ciò. 


128  II  senso  letterale  e  l  allegoria 

terie  del  grande  organismo.  Alcuni  di  questi  simboli  sono 
materiati  di  storia  ;  sono  figure^  nel  senso  letterale,  com- 
piute ;  e  r  intento  allegorico  traspare  dal  loro  ufficio.  Il 
senso  letterale  è  anche  qui  signore,  sebbene  talvolta  at- 
tenda ai  contrassegni  per  1'  allegoria  più  di  quel  che  la 
sua  natura  materiata  di  storia  non  comporti.  Sono  figure 
disegnate  secondo  la  verità  storica  o  leggendaria,  e  soltanto 
qua  e  là  quella  verità  è  macchiettata  da  qualche  neo  che 
mostra  apertamente  l' intento  riposto.  Sennonché,  codeste 
figure  materiate  di  storia  inducono  facilmente  il  lettore  a 
considerar  come  ugualmente  di  storia  materiate  altre  fi- 
gure che  con  esse  hanno  comune  una  funzione  allegorica 
particolare.  Ma,  chi  ben  guardi,  le  figure  in  cui  l' intento 
allegorico  è  predominante  e  i  caratteri  storici  mancano  af- 
fatto, si  presentano,  nella  lettera,  soltanto  come  verosi- 
mili ('). 


non  è  certo  facile  dire  ;  corto  è  tuttavia,  che  da  codesto  fatto  non 
si  può  desumero  quel  che  desumere  vorrebbe  il  Borgognoni.  Manca 
forse  1'  allegoria  nel  primo  canto  doli'  Inferno  ?  e  nondimeno  il  poeta 
non  ci  ammonisce  di  aguzzare  gli  occhi  al  vero.  Ifon  dobbiamo  forse 
darci  briga  dell'  escavazione  del  senso  sotterraneo  nel  canto  tren- 
tesimo secondo  del  Piwgatorio  ?  e  nonpertanto  il  poeta  non  ci  esorta 
a  mirare  la  dottrina  che  s'  asconde.  Bello  e  profonde  osservazioni 
intorno  all'  allegoria  della  Commedia  ha  invece  il  De  Sanctis,  St.  1, 
186  ss  ;  cfr.  Gaspary.  St.  1.  287  s. 

(1)  Lo  Scarano  (  Beatrice,  69  s  )  per  provare  che  nella  Vita 
nuova  vi  sia  simbolo  e  realtà,  osserva  che,  '  se  così  non  fosse,  an- 
che Virgilio  nella  Commedia  verrebbe  ad  aver  valore  soltanto  come 
simbolo  della  ragione,  e  non  anche  come  Virgilio  che  visse  e  scrisse 
sotto  il  bnon  Augusto  '  ;  e  pensa  che  ciò  basti  per  concludere  che  lo 
obbiezioni  del  Centofanti  (  vd.  qui  addietro,  p.  112  n  )  '  non  abbiano 
peso  '.  Veramente,  perchè  il  paragone  fosse  giusto  e  valida  1'  osser- 
vazione, occorrerebbe  che  dello  figure  della  Vita  nuora  si  avesse 
sicura  notizia  storica,  come  si  ha  di  Virgilio.  Ma,  nonché  secondo 
un'  ipotetica  verità  storica,  la  narrazione  della  Vita  nuova  non  pro- 
cedo neppure  secondo  il  verosimile.  '  Quell'  argomento  poi  della  città 


Il  senso  letterale  nella  Commedia  120 

Talvolta  però,  anche  nella  Commedia,  il  senso  lette- 
rale non  solo  non  è  né  storico  né  verosimile,  ma  è  incoe- 
rente ed  è  limitato  al  puro  e  semplice  significato  lessicale 
e  grammaticale  delle  parole.  L' intento  allegorico  è  tutto  ; 
il  senso  letterale  è  semplicemente  quel  che  suonano  le  pa- 
role. Tuttavia,  anche  qui  1'  allegoria  è  fondata  sul  senso 
letterale,  cioè  è  affidata  al  senso  letterale  ;  e  falsata  la  let- 
tera, resta  falsata  1'  allegoria. 

Francesco  d'  Ovidio,  a  cui  mi  lega  antico  debito  di 
gratitudine  e  sentimento  sempre  acceso  di  affettuosa  de- 
vozione, parlando  delle  tre  '  bestie  illustri  ',  argutamente 
ha  notato  (  Studii,  312  )  che  '  le  condizioni  del  reale  sono 
l^r  tutte  e  tre  le  fiere  sopraffatte  un  poco  dall'  intenzione 
poetica  '.  Ed  ha  detto,  senza  parere,  una  gran  verità,  a 
cui,  come  a  tutte  le  verità  molto  ovvie,  non  ci  si  bada 
tjuanto  si  dovrebbe.  A  ogni  frase  del  poeta  si  volle  dare 
anzitutto  un  significato  letterale  ;  e  questo  sarebbe  giusto, 
se  per  senso  letterale  s' intendesse  in  ogni  caso  quel  che 
suonano  le  parole,  non  altro.  Ma  nel  senso  letterale  si  vuol 
trovar  sempre  una  sentenza  verosimile  o  vera,  rispondente 
alle  condizioni  del  reale  ;  quando  pure  non  si  vuol  vedere 
addirittura  una  verità  storica,  non  altrimenti  saputa.  E 
non  si  avverte  che  talvolta,  come  dice  il  D'  Ovidio,  '  il  sim- 
bolismo sforza  la  lettera,  eccedendo  i   confini    del    reale  '. 


senza  nome,  dice  lo  Scarano,  non  è  un  argomento.  Se  la  donna  ama. 
ta  da  Dante  fu  amata  da  lui  nella  sua  patria,  o  Dante  non  ebbe 
patria  o  la  città  innominati»  è  Firenze  '.  Ma  dove  è  detto  che  Dante 
amò  Beatrice  *  nella  sua  patria  '  ?  La  prima  volta  la  •  città  '  è  men- 
zionata  così  (  VK.  6.  6 )  :  'la  cittade,  dove  la  mia  donna  fue  posta 
da  r  altissimo  sire  '  :  1'  ultima  voltti  (  40,  6  )  è  '  la  cittade,  ove  nacque 
o  vivette  o  morto  la  gentilissima  donna  '  :  quanto  al  i-esto,  è  sempre 
•  la  sopradetta  cittade  '  ;  né  vi  sono  indicazioni  topografiche  o  accenni 
a  peculiarità  locali  che  ci  assicurino  in  qualche  modo  che  proprio 
ili  Fu-enze  si  tratti. 


130  II  senso  letterale  e  V  allegoria 

Nella  Commedia  abbiamo,  per  esempio,  il  '  pianeta  ',  il  Sole, 
che  si  trova  nella  costellazione  dell'Ariete,  e  che  coi  suoi 
raggi  veste  le  '  spalle  '  d'  una  collina.  Si  pensa  natural- 
mente al  Sole  reale,  e  si  trova  che  nel  senso  letterale  la 
finzione  è  verosimile  ;  ma  l' intento  allegorico  fa  uscire  il 
poeta  nell'  attributiva,  '  Che  mena  dritto  altrui  per  ogni 
calle  '.  Nel  senso  letterale,  che  non  sia  lessicale  e  gram- 
maticale, non  sappiamo  più  di  qual  '  pianeta  '  si  parli.  E 
vero  bensì  che  di  giorno  si  cammina  meglio,  perchè  si 
vede  meglio  dove  si  mettono  i  piedi  ;  ma  chi  non  sa  la 
via,  non  ispera  certo  indicazione  sicura  dal  sole,  guida  si- 
cura nel  sole.  L'  intento  allegorico  ha  sopraffatto  il  senso 
letterale,  1'  ha  forzato  e  costretto  a  scoprire  quel  che  esso 
voleva  che  fosse  aperto  ;  senza  pur  guardare,  nel  suo  sen- 
timento egoistico,  se  quel  poveretto,  chiamato  a  far  da  pa- 
ravento, serviva  più  a  qualche  cosa,  così  bucherellato  co- 
m'  era(').  Similmente,  indarno  si  cercherebbe  qual  sia  1'  a- 
nimale  che  '  s'  ammoglia  '  a  molti  altri  animali  ;  ovvero 
qual  cane  si  ciba  di  '  sapienza  e  amore  e  virtute  '.  Chiun- 
que volesse  concepire,  sia  pure  come  immaginarie,  bestie 
simili,  dovrebbe  prescindere  da  ogni  condizione  della  vita 
reale  ;  il  che  non  occorre  neppure  nelle  concezioni  fanta- 
stiche, che,  in  fondo,  se  non  sono  propriamente  verosimili, 
col  verosimile  e  col  probabile  mantengono  tuttavia  rela- 
zioni di  buon  vicinato,  e  sono,  direi,  verosimili  idealmente. 
Eppure  il  poeta  parla  così  di  una  lupa  e  di  un  veltro,  di 
animali  cioè,  notissimi.  Staremo  forse  a  strologar  sul  senso 
letterale  che  non  sia  semplicemente  lessicale  e  grammati- 
cale ('-)'?  Non  si  ha,  come  in  altre  figure  affatto   fantasti- 


(1)  Buono  ossorvazioni  siiU'  Jillegoria  doi  '  raggi  dol  pianeta  ', 
si  leggono  nei  Saggi  danteschi  del  Finzi,  Torino  1888. 

(^)  Il  Boccaccio,  cho,  noli'  esporre  il  senso  letterale,  tonta  di 
trovare  (  1,  IIB  ),  '  che  speranza  poteva  porgere  di  vittoria  sopra  la 


//  sienso  letterale  nella  Commedia  131 

che,  un'alterazione  del  reale  con  elementi  anch'essi  tolti 
alla  realtà;  si  ha  qui  la  pura  realtà,  che  dovrebbe  esser 
del  vero  ombrifero  prefazio,  e  che  invece  si  presenta,  come 
un  recipiente  di  vetro,  fortemente  colorata  di  quell'  alle- 
goria che  la  riempie  ;  si  ha  la  famosa  corteccia  che  per  le 
screpolature  mostra  il  midollo,  coperto  appena  di  una  pel- 
licola ;  la  quale,  se  con  la  corteccia  non  ha  stretta  parente- 
la, con  la  corteccia  cospira  a  render  più  definita  la  sen- 
tenza riposta,  che  sotto  quei  discordanti  velami  cerca  riparo 
dal  volgo.  Insomma,  la  realtà  assunta  a  simbolo  allegorico, 
non  si  può  mantenere  sempre  asciutta  e  rigida  e  serrata 
realtà.  E  veste,  non  appesa  ad  un  attaccapanni,  ma  indos- 
sata dall'  allegoria  ;  epperò  si  modella  sulle  rotondità,  e 
talvolta  gibbosità,  dell'  allegoria.  E  certe  vesti  poi,  son  fatte 
apposta,  non  per  nascondere,  ma  per  mostrare  le  nudità 
della  persona.  L'  essere  reale  in  cui  spira  1'  idea  astratta, 
l' intento  riposto  di  chi  scrive,  si  comporta,  non  come  un 
essere  reale  semplicemente,  ma  come  un  essere  reale  anima- 
to da  queir  idea,  da  quella  sentenza  che  si  vuole  con  quel 
simbolo  reale  rappresentare.  Ma  è  degno  di  nota  tuttavia, 
che  il  poeta  altera  e  presenta  cosi  il  reale  o  il  verosimile, 
non  mai  la  realtà  storica  ;  la  quale  occulta,  anzi  seppelli- 
sce addirittura  1'  altro  intendimento.  Ma  tant'  è  :  dove  ogni 


lonza,  1'  ora  del  mattino  e  la  staigiono  dolla  primavera,  conciossiaco- 
saché, egli  dice,  in  questi  duo  tempi  si  sofirlia  più  ferocit«à  essere  ne- 
irli  animali  '  ;  quando  poi  viene  al  verso.  Molti  son  gli  animali  a  cui 
.s"  ammoglia,  spiega  bensì  (  1.  142),  '  cioè  si  congiugne'  :  ma  osserva: 
•  Questo  è  fuori  dell'  uso  della  natura  di  qualunque  animale  ...  E 
questo  non  è  da  dubitare  che  l' autore  non  sapesse,  perchè  avendol 
posto,  asssii  ben  si  può  comprendere.  V  autore  volere  altro  sentire 
che  quello  che  semplicemente  suona  la  lettera  '.  E  similmente,  al 
verso.  Ma  sapienza  e  amore  e  virtute:  -Questi  non  sogliono  essere 
cibi  de'  cani:  e  perciò  assai  chiaro  appare  lui  [  il  poeta  ]  intendere 
altro  che  non  par  che  dica  la  lettera  '. 


132  //  senso  letterate  e  V  allegoria 

frase  e  quasi  ogni  parola  è  gravida  di  sensi  riposti,  è  quasi 
impossibile  che  la  lettera  non  resti  talvolta  malconcia  e 
deformata,  e  che  possa  offrir  sempre  da  sé  una  sentenza 
che  non  sia  incoerente. 

Ma  non  sempre  il  senso  letterale  appare  cosi  aperta- 
mente violato  ;  talvolta  dissimula  assai  bene  la  sua  dolo- 
rosa condizione,  anzi  affetta  un  certo  affrancamento  dal 
suo  signore  e  tiranno.  Vi  è  nella  Commedia  qualche  pen- 
nellata di  stranio  colore,  che,  mentre  cerca  di  afforzare 
r  intelligenza  dell'  allegoria  centrale,  nella  lettera  si  mostra 
come  una  piccola  sciarada  che,  per  servirmi  delle  parole 
del  mio  Maestro,  '  piacerebbe  vedere  sciolta,  o  potersi  glo- 
riare d'  avere  sciolta,  sol  per  la  smania  che  dà  ogni  scia- 
rada, in  ispecie  se  famosa  '.  Sono  come  incastramenti  spe- 
ciali del  grandioso  mosaico.  Si  vestono  codeste  piccole  al- 
legorie, d'  un  senso  letterale  che  è  quasi  soltanto  gram- 
maticale e  lessicale  ;  ma,  per  (^uel  trovarsi  allogate  dove  il 
senso  letterale  corre  unito  e  appoggiato  al  verosimile,  in- 
generano il  dubbio,  non  sia  in  loro  il  senso  letterale  si- 
mile al  resto,  congruente  e  secondo  le  condizioni  del  reale  ; 
e  per  la  loro  piccolezza  non  tradiscono  a  prima  giunta  nella 
corteccia  la  loro  vera  condizione  ;  cosi  che  alcuni  critici 
non  vogliono  riconoscere  neppure  che  si  aggrovigli  sotto 
quella  lettera  un  particolare  intendimento  riposto.  Insom- 
ma, in  loro  1'  altro  intendimento  è  tutto,  e  nondimeno  si 
direbbe  che  non  abbiano  altro  senso  che  il  letterale.  Gli 
antichi,  abituati  dall'  esegesi  biblica  a  questi  giochetti  al- 
legorici;  se  ne  sbrigavano  subito  con  disinvoltura  ;  ma  i 
moderni,  forse  affetti  da  mitofobia,  direbbe  il  Perez,  non 
giurano  che  sul  senso  letterale,  e  poi  discutono  lungamente 
e  accanitamente  e  vanamente  su  codesto  benedetto  loro 
senso  letterale,  per  far  che  dalle  parole  del  testo  venga 
fuori  una  sentenza  letterale  indipendente  dalla  per  loro 
ipotetica  allegoria,  non  oziosa,  né  incoerente  col  resto  della 


//  senso  letterale  nella  Commedia  tìS 


luiiiiizione.  Tale,  pti  v..^w..|ììo,  quel  grave  negozio  del  '  per 
lungo  silenzio  parea  fioco  '  ;  tale  la  famosa  e  oramai  ridi- 
cola sciarada  del  'pie  fermo '('). 

Per  conchindere,  il  senso  letterale,  propriamente  e  ge- 
neralmente parlando,  è  il  senso  del  contesto  ;  è  intender 
le  parole  nel  loro  significato   proprio   o    traslato,   e   nelle 


(*)  Grt'ijorio  Matrju».  Mor.  10.  31  •  In  activa  l'tunini  vita  sino 
dofoctu  inoHK  n<ritur  :  a  contemplativa  autoni  intìrmittitis  suao  pen- 
dere vieta  lasaatur.  Dia  quìppo  tanto  f  i  r  m  i  u  s  durai,  quanto  ad 
vicina  so  or^a  utilitatom  proximi  dilatiit  :  haoc  tanto  colorius  labi- 
tur,  quanto  ot  carnis  claiistra  transgrodions,  super  scinotipsam  irò 
conatur.  Illa  )>  ••  t-  p  I  .1  ii  ;i  ^  •'  di  r  i  gi  t .  <■  *  i  <l  >-  i  1  e  o  p  edam 
oporis  robusti  US  figit:  haec  antoin  quo  supor  so  alta  app«'- 
tit.  ad  so  citius  fossji  doscondit.  Qumì  bono  ac  brevitor  Ezochiol  in- 
sinuat.  cum  eorum,  quae  >nderat,  motu8  animaliura  narrat,  dicons  : 
Non  rcrcrtebanliir  rum  incedere/i  t.  Et  paulo  post  subji- 
cit,  adjungons:  Et  nnimalia  ihant  et  rererfebantnr'.  22,  48  '  Apposi- 
ti8  igitur  quasi  quibusdam  gradibus  profectiu)  nostri,  m  o  n  t  i  s  p  o- 
d  o  ni  prius  por  timorem  in  imo  ponimus,  ot  postmodum  por  carità- 
tora  ad  altji  amoris  lovamus  *.  4.  praef.  1  *  Qui  toxtum  considerai,  et 
sensum  sacrao  locutionis  ignorai,  non  tam  se  eniditione  instruit. 
quam  ambiguit:»to  confundit  :  quia  nonnumquam  sibi  litterao  vorba 
contradicunt  ;  seti  dum  a  somotipsis  por  contrarietatom  dissidont. 
lectorem  ad  intelligontiam  voritatis  mittunt  '.  In  pr.  Reg.  3,  1,  22 
'  Dormirit  Samuel  iisgue  mane.  Quid  est,  quod  por  sacrum  oloquiuni 
Samuolis  somnus  tara  attento  doscribitur  ?  Et  quia  jam  quator  ro- 
potisse  somnum  dicitur,  multum  dosipii,  qui  a  Dei  Spiritu  hoc  non 
spiritualiter  dictum  credit.  Xam  otsi  dormisse  toties  recto  intelligi- 
tur  prò  ventato  historiae.  ad  hoc  scribitur.  ut  in  veritate  litterae 
intellectus  proferantur  allogoriae  '.  Mor.  18.  1  '  Pleriimque  in  sacro 
eloquio  sic  nounidla  mystica  describuntur,  ut  tiimen  juxta  narratio- 
nom  historicam  prolata  videantur.  Sed  saepe  dieta  talia  in  eadem 
historica  narratione  pormixta  sunt.  per  quae  superBcies  historiae 
cuncta  cassetur  :  quae  dum  nil  historicura  resomint.  aliud  in  eis  in- 
quirere  lectorem  cogunt.  His  enim  dictis  quae  aporta  credimus,  cum 
interjecta  aliqua  obscurius  invenimus.  quasi  quibusdam  stimulis  pun- 
gimur,  ut  ad  aliqua  filtius  intelligenda  vigilemus.  et  obscurius  prò- 
lat.i  seutiamus.  ea  etiam  quae  aperte  dieta  putavimus". 

17 


134  //  senso  letterale  e  V  allegoria 

loro  relazioni  logiche.  Comunque  materiato  e  modellato,  è 
sempre  finzione  ,  ed  è  chiaro  che  bisogna  intenderlo  prima 
d'  ogni  altra  cosa,  e  che  chi  ben  non  l' intende  non  può 
penetrare  V  allegoria,  come  sarebbe  il  caso  di  chi  non  ba- 
dasse quanto  si  conviene  ai  costrutti  ed  al  significato  spe- 
ciale delle  parole,  e  particolarmente  a  certe  strane  etimo- 
logie ad  alcune  parole  allora  attribuite.  Un  senso  letterale 
che,  eretto,  cammini  amabilmente  e  fraternamente  a  brac- 
cetto dell'  allegoria,  di  rado  si  può  trovare  (').  Talvolta, 
come  nel  primo  canto  dell'  Inferno,  V  allegoria  si  lascia  senza 
tanti  riguardi  il  senso  letterale  indietro,  mortificato  e  rotto 
dallo  sforzo  di  seguir  quella  padrona  che  vuole  andar  troppo 
presto,  che,  impaziente,  sdegna  di  star  lì  ogni  tanto  ad 
incitarlo  a  seguirla  più  da  vicino,  e  che  talvolta  si  rasse- 
gna ad  andare  avanti  tutta  sola,  purché  il  servo  la  segua 
e  le  difenda  in  certo  modo  le  spalle.  Ma  più  spesso,  nella 
Commedia,  il  senso  letterale  s' incammina  ben  lui  glorio- 
samente e  severamente  solo,  pago  tuttavia  di  saper  che 
cammina  in  servigio  della  gran  dama  che  lo  protegge  e 
1'  onora  dei  suoi  riveriti  comandi. 

6. 

Come  il  De  Sanctis,  belle  osservazioni  intorno  alla 
forma  allegorica  della  Divina  Commedia  ha  Giacinto  Ca- 
sella (  Opere  inedite   e  postume,   Firenze    1884  ;  2,  371    ss 


(t)  Gregorio  Magno,  Mor.  praef.  21  '  Debemus  priiis  historiae 
radicem  fìgere,  ut  valeamxis  niontem  postmodum  do  allegoriarum 
fructu  satiare  '.  Sequestrarono  il  senso  letterale  dal  senso  allegorico 
seguendo  1'  esempio  di  Gregorio  Magno,  Dante  nel  commento  .alle 
sue  canzoni,  e  il  Boccaccio  nel  commento  ai  primi  17  (  o  meglio,  16  ) 
canti  dell'  Inferno.  Ma  o  in  Gregorio  e  in  Dante  e  nel  Boccaccio, 
codesto  parallelismo  ò  piuttosto  un'  intenzione  che  una  norma  effet- 
tivamente praticatn.  o  un  roalmonte  effettuato  dieegno. 


Dal  reale  aìU  ideale  135 


402  ss  ).  Egli  yiuMiiinente  osservava  che  nell'  allegoria  dan- 
tesca '  la  idea  precede  al  simbolo,  il  quale  è  scelto  arbi- 
trariamente per  darle  forma  sensibile  '.  Ne  invero  potrebbe 
in  ogni  caso  altro  processo  tenere  chi  si  accinge  a  fare 
un'  allegoria,  si  serva  di  mere  personificazioni,  o  assuma 
materia  dalla  storia  o  dalla  leggenda.  Nondimeno,  pensava 
il  Renier  (  VN.  e  F.  123  )  che  '  nel  concetto  fondamentale 
della  allegoria  vi  può  essere  un  doppio  movimento,  dalla 
verità  trascendente  alla  figura  sensibile,  ovvero  dalla  realtà 
sensibile,  alla  verità  trascendente.  Nel  primo  caso,  osser- 
vava il  critico,  è  molto  facile  che  volendo  la  figura,  od  il 
simbolo,  servire  esattamente  al  principio  ideale,  si  plasmi 
completamente  nella  fantasia  del  poetante  ;  nel  secondo 
caso  invece,  senza  che  la  verità  filosofica  abbia  a  cangiarsi 
per  nulla,  può  avvenire  che  la  realtà  vivente  sia  ritratta 
tal  quale,  ovvero  con  poche  modificazioni.  Il  primo  è  certa- 
mente il  caso  della  Commedia,  il  secondo  è,  a  mio  parere, 
quello  della  Vita  Xttoca  '  ;  la  quale  apparterrebbe  (  p.  142  ) 
'  a  quel  secondo  modo  di  componimenti,  in  cui  l' ingegno 
del  poetante  risale  dalla  realtà  delle  cose  ai  principi  scien- 
tifici e  religiosi  che  ad  essa  si  uniformano  o  in  guisa  al- 
cuna si  riconnettono  '.  Nel  creare  i  simboli  della  Comme- 
dia dunque  (  le  fiere,  Virgilio,  Catone,  ecc.  ),  il  poeta  se- 
gui il  processo  ordinario  e  naturale  dell'  allegorizzare,  '  dalla 
verità  trascendente  alla  figura  sensibile  ',  dal  concetto  che 
si  vuol  rappresentare  alla  forma  allegorica  che  rappresen- 
terà velandolo  quel  concetto  ;  e  nel  creare  invece  i  sim- 
boli della  Vita  nuova  (  meno  storici  e  verosimili  certo  di 
molti  simboli  della  Commedia  )  un  procedimento  afiatto 
nuovo,  '  dalla  realtà  sensibile  alla  verità  trascendente  ' .  Ma 
sarebbe  stato  un  voler  fare  due  pesi  e  due  misure,  ingiu- 
stamente. E  siccome  codesto  secondo  modo  di  allegorizzare, 
che  avea  il  vantaggio  di  lasciare  intatta  la  verità  della 
lettera  del  libello,  sulla  quale  come  bel  coronamento  si  so- 


136  II  senso  letterale  e  V  allegorìa 


vrapponeva  il  senso  allegorico  ,  poteva,  con  più  ragione 
forse,  vedersi  anche  nella  Commedia^  così  si  generalizzò  e  si 
eresse  a  norma  dell'  allegorizzare  dantesco.  Altri  pare  anzi 
volesse  dare  maggior  estensione  alla  cosa. 

Ad  Alessandro  d'  Ancona,  nel  confutare  l' idealità  del 
Bartoli,  venne  fatto  di  affermare  {Disc.  35  s)  che  gli  '  an- 
tichi dal  reale  salivano  su  su,  di  collo  in  collo,  all'ideale  : 
non  andavano  ali'  ideale  di  slancio,  ne  avevano  penne  a 
tal  volo  '  ;  che  '  oggettivavano  l' ideale,  ma  in  qualche  cosa 
di  reale  ;  anzi  da  questo  partivano  per  giungere  a  quello  '  ; 
che  '  noi  moderni  siamo  capaci  di  coteste  quintessenze  del 
sentimento  e  del  pensiero  :  ma  non  erano  capaci  le  corpu- 
lente fantasie  e  i  rudi  ma  gagliardi  intelletti  dell'  età  me- 
dia '  ;  che  '  Beatrice  è  donna  prima  di  esser  simbolo,  e  può 
esser  simbolo  appunto  perchè  fu  donna  '  ;  che  '  i  nostri  anti- 
chi procedevano  .  .  .  realizzando  fortemente  e  scolpitamente 
r  astratto  ;  e  Dante  poi  in  ciò  superò  i  suoi  coetanei  che  del 
reale  si  fece  scala  all'  ideale  '  (').  Lasciando  stare  quel  che 
evidentemente  vi  è  di  contradittorio  (  sia  detto  col  dovuto 
rispetto  )  in  codeste  affermazioni;  certo,  codesto  principio, 


(1)  Cfr.  Puccianti,  Allegoria  di  Beatrice,  nella  raccolta  D.  e  il 
silo  scc.  p.  159  s.  Il  D' Ancona  pone  in  fronte  al  suo  Discorso  su 
Beatrice,  oltre  le  note  citazioni  sul  senso  letterale,  i  seguenti  versi 
della  Commedia  : 

Vostra  apprensiva  da  esser  rerapc 
Traggo  intenzione,  e  dentro  a  voi  la  spiega. 
Sì  che  r  animo  ad  essa  volger  faee. 

E  se.  rivolto.  In  ver  di  lei  si  piega 
(^uel  piegare  è  amor. 

Pnrg.  XVIU.  il. 
.  .  ,  vostro  ingegno 
.  .  .  solo  da  sensato  apprende 
Ciò  che  fa  poscia  d'  intelletto  degno. 

Farad.  TV,  40. 

Cfr.  Nannucci,  Mannaie  della  leti,  del  primo  secolo,  soc.  ed.  Tirenzo 
1856:  1,  47. 


Dal  reni  e  air  ideai  e  VX, 


dal  reale  all'  ideale  ',  che  riceve  rincalzo  dall'altro  assioma 
del  senso  letterale  e  storico  che  dee  andare  innanzi,  infor- 
ma tutta  la  ricostruzione  del  critico,  che,  sotto  questo  ri- 
guardo, si  accosta  in  certo  modo  alle  vecchie  interpretazioni 
del  Lubin  e  del  Renier(').  E  nessuno  vorrà  negare  che  gli 
antichi  dal  reale  procedevano  all'  ideale,  come  nessuno  vorrà 
far  torto  ai  moderni  col  pensare  eh'  essi  procedano  affatto 
irrazionalmente,  slanciandosi  sull'  ideale.  Ma  non  si  vede 
che  abbia  a  far  codesta  psicologica  osservazione,  col  fatto 
dell'  imbastire  un'  allegoria.  Chi  si  accinge  a  scrivere  un'  al- 
legoria, è  già  arrivato,  certo  per  vie  razionali,  a  quella  .sua 
idea  astratta  che  vuol  rivestire  di  forme  aliene  e  sensibili  ; 
e  cerca  appunto  queste  forme,  e,  come  dice  il  Casella,  pro- 
cede dall'  idea  al  simbolo  ;  il  quale  sempre  dev'  essere  reale, 
sia  realtà  storica,  sia  realtà  fisica,  sia  realtà  fantastica. 
Certo,  l'anonimo  scrittore  deW Intelligenza  avea  veduto  gole 
bianche  e  trecce  bionde,  prima  di  descrivere  la  sua  donna 
allegorica  con  quegli  appetitosi  attributi  ;  e  ser  Brunetto 
similmente,  prima  di  parlarci  della  bianca  fronte  e  delle 
labbra  vermiglie  e  del  naso  aJBfilato  e  della  gola  bianci- 
cante  e  dell'  altre  biltà  tante  di  madonna  la  Natura  ;  ma 
sarebbe  ridicolo  anche  il  pensare  eh'  essi,  da  una  donna 
realmente  amata,  siano  saliti  di  collo  in  collo  fino  alla  con- 
cezione delle  loro  donne  allegoriche  ;  eh'  ossi,  anziché  an- 


(*)  A  p.  40  n-  il  D"  Ancona  scrive  :  *  11  Dioni.si.  Prepara^.,  pag. 
72,  dimanda  :  «  E  come  può  essere  che  due  donne  { Beatrice  e  la 
Sapienza  )  così  diverse,  sieno  divenute  quasi  una  sola  ?  Io  mi  di- 
spenserò con  destrezza  da  tiiie  istanza,  rimettendo  V  interrogante  stu- 
dioso a  richiederne  la  soluzione  allo  stesso  poeta  ».  A  tale  dimanda, 
risolta  con  destressa  dal  Dionisi.  vorremmo  appunto  rispondere  con 
questo  studio  critico-psicologico  '.  Xel  quale  si  dimostra  che  (p.  461, 
•  nel  primo  momento,  Beatrice  è  donna  reale  :  nel  secondo,  è  vivente 
personificazione  :  nel  terzo,  è  simljolo  animato  in  cui  si  uniscono  e 
congiungono  intimamente  la  donmi  e  la  pei-sonificazione  '. 


1B8  II  senso  letterale  e  V  allegoria 

dare  di  slancio  all'  ideale  di  madonna,  abbiano  preferito, 
o  siano  stati  costretti  dal  momento  storico,  di  arrivarci  a 
piccole  tappe,  con  graduale  processo  di  trasformazione  e 
idealizzazione  e  ). 


(1)  Il  Casella  aveva  anche  notato  che  '  lo  antiche  mitologie  ger- 
minavano spontaneamente  *nolla  inconscia  fantasia  dei  popoli  infan- 
ti ',  e  che  '  in  queste  la  idea  e  la  sua  forma  simbolica  nate  a  un 
parto  si  componetrano  e  s' immedesimano  perfettamente  '.  Pare  che 
il  Del  Lungo  {Dal  secolo  e  dal  poema  di  D.  Bologna  1898:  p.  151 
ss  )  abbia  tolto  ispirazione  da  codesta  affermazione  del  Casella,  per 
confutare  Y  altra  affermazione  del  Casella  stesso,  che  il  poeta,  cioè, 
'  partendo  dall'  idea  astratta,  cercò  di  poi  le  forme  simboliche  che 
la  rivestissero  '.  Egli  crede  che  si  possa  dubitare  '  se  il  procedimento 
del  concetto  dantesco  veramente  fu  dall'  astrazione  al  simbolo  '  ;  e 
pensa  che  '  piuttosto  debba  dirsi  che  1'  oggetto  di  questa  [della  rap- 
presentazione fantastica]  e  le  rispettive  forme  nacquero,  lo  une  e 
r  altro  ad  un  tempo,  nella  mente  del  Poeta  . . .  Invero,  osserva  il 
critico,  quelle  tempre  robuste  d' ingegni  medievali  apprendevano, 
come  la  vita,  così  V  arte,  con  grande  unità  e  immediatezza  d' im- 
pi-essioni  e  di  concetti.  Il  lavorio  dell'  analisi,  minuto  e  dissolutivo, 
essi  lo  esercitavano  largamente  nella  scienza  del  pensiero,  nel  campo 
della  filosofìa . . .  Ma  nella  vita  era  altra  cosa  ;  era  altra  cosa  nel- 
r  arte,  che  rispecchia,  per  proprio  ufficio,  la  vita  '.  Confesso  candi- 
damente che  il  ragionamento  del  dotto  critico  non  mi  riesce  molto 
chiaro.  Ma  non  mi  parve  bene  tacere  d'  un  così  autorevole  contra- 
dittore  dell'  opinione  del  Casella.  E  vorrei  notare  che  tanto  1'  argo- 
mentazione del  D'  Ancona,  quando  il  ragionamento  del  Del  Lungo, 
a  me  pare  che  risentano  dell'  opinione  dell'  Ozanam  (  D.  et  la  phil. 
122  8,  375  ss  )  sul  '  vero  simbolismo  ',  che  sarebbe  il  simbolismo  stori- 
co, per  la  solita  fìsima  del  senso  storico  e  lettei-ale  della  Sacra  Scrittu- 
ra sposato  all'  allegoria.  Anch'egli,  come  1  nostri  due  critici,  osserva 
(  p.  379  n  )  :  '  r  idéal  et  le  réel  forment . . .  par  leur  réunion,  1'  essence 
mème  du  symbolisme  véritable.  L' intelligence  robuste  des 
hommes  d'autrefois  comportait  sans  diffìculté  la  présence  de 
deux  conceptions  sous  un  méme  signe.  Nos  habitudes  analytiques  nous 
perraettent  à  peine  de  saisir  1'  une  ou  1'  autre  '.  Ma  1'  Ozanam,  per 
esser  coerente,  insinua  che  la  donna  del  Convivio  non  ò  soltanto  la 
Filosofia,    ma  è  anche  una  gentildonna  pietosa.  Sulla  realtà  storica 


Dal  reale  all'  ideale  l39 


Il  modo  di  allegorizzare  dantesco,  questo  ha  di  par- 
ticolare :  il  poeta  generalmente  non  incarna  1'  idea  astratta 
in  una  realtà  verosimile  o  fantastica  che  pigli  nome  dal- 
l' idea ,  non  personifica  insomma  1'  idea  ;  ma  la  incarna 
in  un  individuo  reale  (  la  lupa  ) ,  o  storico  (  Virgilio  )  ;  e 
quando  poi  è  costretto  a  personificare,  non  sempre,  come 
j>er  le  Virtù  teologali  e  per  la  Prudenza,  procede  scopren- 
do sgarbatamente  la  personificazione,  ma  si  attiene  al  ve- 
rosimile, e  talvolta  dà  nome  personale  etimologico  alla  idea 
astratta  personificata  ;  e  forse  cosi  facendo  credeva  d' imi- 
tare lo  suo  maestro  ed  autore,  Virgilio  ('j. 


\ 


8i  erge  V  allegoria,  ed  ecco  il  vero  simbolo.  Anzi,  proprio  codoRto 
esempio  della  donna  del  Concino  offre  air  Ozanam  la  prova  piA 
schietta  che  Dante  usò  di  codesto  vero  simbolismo  nelP  innalzare 
Beatrice,  figlia  di  Folco  lK>n8ì,  ma  non  moglie  di  Simone,  all'  idea- 
lità mistica  della  Commedia.  E  siccome  il  vero  simbolo  non  è  ohe 
*  un  rapprochement  *,  egli  è  costretto  a  far  della  Portinari  una  '  vierge 
chrt'ti*'nne  *  (  p.  137  ),  una  '  siiinte  inspirét»  (  p.  213  ).  una  *  vierge  flo- 
ivutinc'  (  p.  382);  benché,  allo  stringer  dei  conti,  finisca  col  rico- 
noscere* che  in  questo  Ciiso  la  realtà  si  trasfìgura  nel  simbolo  :  nel 
quale  non  si  vede  più  né  la  santji  vergine,  nò  la  vergine  fiorentina 
I  p.  386  ).  Ma  era  questo  trasfigurarsi  o  deformarsi  o  sparire  della 
realtà  che  1'  Ozanam  volea  ve<len>  nel  suo  vero  siml>olÌ8mo?  No  certo. 
(*)  Forse  a  codesto  principio  s"  inspirò  il  Boccaccio  nell'  Ameto. 
Certo  codesta  innovazione  dantesca  avverti  Giovanni  da  Prato  :  giac- 
ché nel  suo  poemetto  Filomela  (  Del  Balzo,  Poesie  di  mille  autori 
intorno  a  D.  A.  Bomii  1891  :  3,  311  ss  )  dà  nome  personale  alle 
sue  allegoriche  figure  :  Costanza  (  che  però  è  anche  figura  storica  ) 
è  chiamata  la  Fortezza,  Ginevra  la  Prudenza,  Margherita  la  Giu- 
stizia, Tommasti  la  Temperanza,  Viredia  la  Speranza.  Feronia  la 
Fede,  Caterina  la  Carità,  Diana  la  Vita  attiva,  Francesca  la  Vita 
contemplativa.  La  Teologia  è  chiamata  con  Dante.  Beatrice  :  p.  385 
'  Quivi  regna  una  iddea  di  stato  miro  :  Già  1"  hai  vedut;i  vestita  di 
soli  In  color  vago  più  che  di  zaffiro.  Questa  è  colei  che  sopra 
tutti  i  poli  Alza  sua  testa  in  sua  profonditate.  Per  costei  fissi  son 
gli  eterni  voli.     Molti  costei  d*  eterna  beltiite     La  chiaman  donna  : 


140  II  senso  letterale  e  V  allegoria 


Sennonché,  un'  obbiezione  che  dà  molto  da  pensare, 
fece  il  D'  Ovidio  (  La  VN.  di  D.  in  NA.  15  marzo  1884, 
p.  240  s  )  ;  il  quale,  osservando  che  nelle  rime  della  Vita 
nuova  non  vi  è  traccia  di  certi  '  arzigogoli  ',  che  la  '  fan- 
tasia sul  nove  '  venne  al  poeta  soltanto  dopo  morta  Bea- 
trice ;  afferma  che  '  questa  è  una  riprova  che  il  concetto 
mistico  era  una  sovrapposizione  al  reale,  un  neoplasma. 
Se  Beatrice,  argomenta  il  geniale  critico,  fosse  stata  una 
pura  creazione  poetica,  il  procedimento  noi  lo  troverem- 
mo avvenuto  in  senso  inverso:  il  misticismo  e  l'astra- 
zione avrebbero  via  via  assunta  in  mente  del  poeta  un'  ap- 
parenza di  maggior  concretezza  '.  Certo,  l' obbiezione  è 
grave.  Ma  si  potrebbe  forse  rispondere  che  1'  arzigogolare, 
del  resto  sconveniente  nelle  rime,  s' insinuò  nella  prosa  del 
libello  per  necessità  di  cose  ;  per  lo  stesso  concetto  inde- 
terminato che  il  poeta  sulle  prime  probabilmente  aveva 
dell'  allegoria  ;  per  quel  voler  costruire  un'  allegoria  con 
materiali  in  gran  parte  non  a  ciò  originariamente  desti- 
nati. Giacche,  come  vedremo,  buona  parte  delle  rime  della 
Vita  nuova  nulla  avevano  di  comune  con  gì'  intendimenti 
del  libello.  D'  altra  parte,  dalla  Beatrice  della  Vita  nuova 
alla  Beatrice  della  Commedia  vi  è  appunto  quel  che  saga- 
cemente osserva  il  D'  Ovidio  ;  il  misticismo  e  1'  astrazione 
assumono  via  via  maggior  concretezza.  Comunque,  a  me 
pare  evidente  che  se  il  poeta  volle  dare  un  senso  allego- 
rico al  suo  racconto,  gli  tolse  per  questo  appunto  ogni  ca- 
rattere di  storici tà_,  e  lo  considerò  come  pura  finzione.  Se 
in  qualche  parte  codesta  finzione  sia  materiata  di    storia, 


ma  il  tuo  dolce  Dante.  In  sno  poem.a,  fra  F  alme  beate  Beatrice 
la  chiama  sì  raggiante,  E  chi  Teologia  per  altro  nome  '.  E  poco 
pixi  innanzi.  Beatrice  è  anche  •  la  santa  diva  Poesia  '  ;  forse  perchè, 
come  si  diceva  allora,  i  poeti  non  sono  che  teologi  (  vd.  ^N'ovati.  In- 
dagini, 11  s  ). 


iJal  reale  alt  ideate  ui 


non  sappiamo  ;  perchè  nù  documenti  storici  ci  soccorrono, 
né  la  lettera  della  Vita  nuova,  con  le  sue  inverosimiglianze 
e  le  sue  incongruenze,  ci  incoraggia  a  metterci  sulla  pe- 
ricolosa via  delle  supposizioni.  Questo  solo  sappiamo,  che 
il  '  primo  amico  '  a  cui  allude  più  volte  il  poeta,  era  Guido 
Cavalcanti.  Ma  codesta  notizia  è  di  così  poco  rilievo  e  quasi 
cosi  estranea  allo  strano  racconto  degli  amori  danteschi, 
che  non  ci  autorizza  certo  a  far  deduzioni  eccessive. 


Egidio  Gorra,  dal  sao  studio  Bill  RoggettiviRmo  od  oggettiviamo 
dantesco  (  //  soggettiri.tmo  di  D.  Bologna  1899  :  Bil)l.  stor.-crit.  d.  lett. 
(lant.  ^.  5  :  p.  10  ).  si  riprometto  che  '  risulterà . . .  come  forse  non  sarji 
più  lecito  revocare  in  dubbio,  ad  esempio,  la  realtà  storica  di  13eatrice. 
come  anzi  tale  dubbio  suonerà  offessi  all'  arto  dantesca,  come  il  poeta 
abbia  nella  concezione  di  alcune  parti  del  suo  poema  e  nel  generale 
concepimento  seijufto  norme  determinate  e  sicure  '.  Certamente  ;  ma 
perchè  quell'  offesa  ?  Si  offenderà  dunque  1'  arte  di  Dante,  se  cre- 
diamo, come  crediamo,  alle  sue  parole,  alle  sue  solenni  affermazioni, 
che  la  donna  gentile  della  Vita  nuora  è  solo  madonna  Filosofia? 
*  Una  Beatrice  interamente  simbolica,  conchiude  il  critico  (  p.  85  ). 
mi  sembra  distruggere  il  principio  che  io  ho  tentato  di  stabilire  in 
queste  pagine,  il  canone  artistico  del  nostro  poeta,  la  tendenza  istin- 
tiva del  suo  genio  di  pensatore  e  di  artista,  eh'  b  quella  di  salire 
dal  particolare  al  generale,  dal  reale  all'  ideale,  dal  concreto  all'  a- 
stratto,  di  fondere  insieme  obbiettivisrao  e  subbiettivismo  '.  Parrebbe 
che  il  Gorra  non  si  acquieti  nel  vedere  nell'  arte  di  Dante  quel  sog- 
getti>-ismo  che  si  vede  nell'  arte  di  tutti  i  veri  e  grandi  poeti  ;  vor- 
rebbe vederci,  a  quel  che  pare,  un  soggettivismo  oggettivo,  o  un  og- 
gettivismo soggettivo,  conducente  pian  pianino  dal  particolare  al  ge- 
nerale, dal  rejUe  all'  ideale,  dal  concreto  all'  astratto.  Egli,  per  esem- 
pio, esamina  la  descrizione  del  corso  dell'  Amo  (  Parg.  14,  16  ss  ), 
ed  esclama  (  p.  30  )  :  *  un  pixì  completo  obbiettivismo  non  potrebbe 
pensarsi  '.  Ma  i  poeti  del  puro  subbiettivismo  manomettono  forse, 
così  come  niente,  la  topografìa,  la  geografia,  la  geologia"? 

Sennonché,  il  Gorra  col  suo  oggettivismo  vorrebbe  forse  insi- 
nuare che  la  fantasia  del  poeta  e  il  criterio  estetico  ed  etico  che  lo 
guidava  nella  collocazione  e  nel  disegno  d'  ogni  sua  figura,  non  fos* 

18 


142  II  senso  letterale  e  V  allegoria 

sero  che  un'  eco  fedele  della  cronaca  spicciola,  dei  soliti  si  dice,  pei 
quali  il  disdegnoso  Fiorentino  avrebbe  avuto  una  gran  tenerezza  è  un 
rispetto  assai  meticoloso.  Il  critico  non  crede  che  il  poeta  sia  stato 
affatto  libero  neppure  in  quel  eh'  ei  volle  fosse  sua  mera  finzione, 
nel  popolare,  in  gran  parte  a  modo  suo,  i  suoi  tre  mondi.  Il  che  ci 
condurrebbe  direttamente  all'  inaspettata  conclusione  che  il  Poeta 
non  è  un  poeta,  e  che  il  Poema  non  è  un  poema.  Al  D'  Ovidio  era 
occorso  di  dire  che  Dante  talvolta  si  servì,  talvolta  non  credette  far 
uso  di  un  certo  suo  *•  diritto  di  grazia  ',  per  salvare  alcuni  peccatori  ; 
ed  ecco  che  quest'  innocente  affermazione  urta  cosi  sgarbatamente 
r  oggettivismo  soggettivo,  da  render  necessaria  la  confutazione  della 
confutazione  d'  una  verità  inconfutabile  e  per  se  stessa  intuitiva. 

Codesto  negozio  delle  condanne  e  assoluzioni  dantesche  avea 
già  richiamata  1'  attenzione  del  Balbo  (  Vita  di  D.  2,  8  )  ;  il  quale 
accusò  il  poeta  d'  aver  mandato,  '  d'  autorità  usurpata  ed  atroce  ', 
tanta  povera  gente  all'  inferno.  Al  Balbo  rispondeva  con  grande  sem- 
plicità il  Casella  (  Op.  2,  377  )  :  '  Ma  sia  detto  con  pace  dell'  uomo 
illustre,  questo  è  un  prendere  sul  serio  l' Inferno  di  Dante  per  quello 
di  cui  si  pai'la  nel  Catechismo  '.  Il  Gorra  invece,  purgherebbe  ora 
il  poeta  dall'  accusa  del  Balbo,  obbligandolo  a  lavarsi  le  mani  nella 
catinella  di  Ponzio  Pilato.  ■  Basta  al  poeta,  egli  scrive  (  pag.  29  ), 
che  nessuno  possa  accusarlo  di  avere  per  cieco  entusiasmo  o  basso 
livore  0  puerile  capriccio,  falsata  la  verità  e  la  storia  ;  bastava  a 
lui  di  potere  all'  occasione  mostrare  che  quanto  asserisce  ha  radici 
nella  realtà  o  nella  coscienza  contemporanea  '.  Certo,  né  cieco  en- 
tusiasmo, né  basso  livore,  né  capriccio  puerile  ;  e  nemmeno  sciocca 
intenzione  di  falsare  la  verità  e  la  storia  ;  non  sarebbe  stato  poeta. 
Ma,  e  che  perciò  ?  Dice  il  Gorra  (  p.  51  )  :  '  Guido,  assolto  dal  papa, 
è  dannato  ;  il  figlio,  morto  senza  assoluzione,  è  salvo  ;  come  è  salvo 
Manfredi,  morto  scomunicato  ;  ma  a  ritener  colui  dannato  e  questi 
due  salvati  non  fu  il  capriccio  di  Dante,  sibbene  il  giudizio  di  molti, 
di  cui  il  poeta  é  l' interprete  ;  interprete  obbiettivo  per  un  rispetto, 
ma  quanto  mai  subbiettivo  per  un  altro,  perché  egli  riesce  co'  suoi 
espedienti  e  ossequioso  agli  altri  e  fedele  ai  suoi  sentimenti,  ai  suoi 
principi,  ai  suoi  fini  riposti  '.  L' interprete  obbiettivo  sì,  ma  sub- 
biettivo quanto  mai,  fece  adunque  quel  che  volle  ;  si  servì  del  suo 
diritto  di  grazia.  Chi  erano  allora  codesti  molti  che  credevano  salvo 
chi  era  condannato  dalla  Chiesa,  e  dannato  chi  era  stato  assolto  dal 
papa  *?  E  se  vi  erano  molti  a  pensare  contro  la  cattolica  opinione, 
non  saranno  stati  moltissimi  a  pensare  come  consigliava  la  Chiesa  ? 


//  diritto  di  grazia  ]r.\ 

AI  far  dei  conti,  poiché-  non  si  tratUiva  di  articoli  di  fo<lo.  ognuno 
era  padronissimo  di  pensarla  come  meglio  credeva  :  nò  alcuno  po- 
tava mai  dare  alle  sue  suppoeizioni  carattere  di  certezza,  né  Dante 
intese  fare  altro  mai  che  finzioni  poetiche.  Che  e'  entra  qui  1'  obbiet- 
tivismo  ?  Certo,  il  poeta  non  poteva  alterare  la  fìsonomia  storica  delle 
sue  figure,  giacché  avrebbe  fatto  cosa  non  verosimile,  e  quindi  non 
poetica.  Ma  dal  riconoscere  codesto,  al  dire  che  non  poteva  inven- 
tare di  siina  piantai  una  lagrimetta  per  salvare  chi  si  sia,  ci  corre. 
Certo,  '  snaturare  la  verità  non  poteva  giammai  '  :  né  alcun  poeta 
ha  mai  di  i)roi>osito  snaturato  la  verità.  Ma  che  un'  anima  sia  salva 
o  dannati!  non  «>  verità,  ma  finzione,  possibilità,  verosimiglianza  :  •• 
il  poeta  era  liberissimo  di  salvare  o  dannare  chiunque,  siilvando 
sempre  però,  non  dannando  mai.  la  verosimiglianza  della  narrazione. 
Insistere  su  codesto  punto  può  parere  perfino  ridicolo.  Si  vorrebbe 
forse  che  il  poeta,  prima  di  porre  nel  suo  inferno,  o  nel  suo  purga- 
torio, o  nel  suo  paradiso  qualcuno,  avesse  spinto  lo  scnipolo  fino 
al  punto  di  fare  un'  inchif^tt'»,  un  plebiscito,  un  referendum,  per  sa- 
pere quale  fosse  1'  opinione  pubblica  sullo  stato  d' oltretomba  della 
figura  che  alla  sua  fantasia  si  presentava  ?  0\"vero.  che  avesse  fru- 
gato dappertutto  per  trovare  se  in  qualche  cronachetta  si  attribuiva 
la  famosjt  lagrimuccia  a  quella  creatura  della  sua  fant<tsia  ?  E  data 
r  inchiesta  o  il  rinvenimento  della  cronachettii,  la  sua  opinione  (  se 
opinione  deve  veramente  dirsi  )  e  la  sua  fantasia  non  valevano  ({uanto 
l'opinione  e  la  fantasia  del  cronist^i  e  degli  altri?  Giacché  di  fan- 
tasie e  d'ipotesi  a  ogni  modo  si  tratterebbe.  Lasciamo  stare  Guido 
da  Montefeltro.  Buonconte  e  Manfredi  :  quali  leggende,  quali  tradi- 
zioni, quali  cronache  suggerivano  a  Dante  che  i  principi  della  val- 
letta avevano  fatto  tutti  buona  fine  ?  di  quale  storico  era  l' opinione 
che  Forese  fosse  morto  quasi  in  odore  di  santità  ?  e  quale  storia  o  tra- 
dizione orale  assicurava  Dante  che,  senza  scrupoli,  poteva  pure  ficcar 
neir  inferno  Ciacco,  Filippo  Argenti,  e  gli  altri  ?  e  Celestino  ?  La 
tradizione,  o  la  cronaca,  potè  dar  qualche  volta  incentivo  ai  suoi 
fantasmi  poetici,  non  frenarli  o  fermarli  :  potè  destare,  sprigionare, 
accendere  1*  immagine  poetica,  non  soffocarla  o  spegnerla.  Sarà  en- 
trata con  gli  altri  fattori  nel  concepimento  della  figura.  Ma  si  sco- 
noscerebbero i  diritti  della  poesia  e  si  pretenderebbe  di  veder  troppo 
a  fondo  nelle  oscure  vie  del  genio,  se  si  credesse  che  il  poeti»  ha 
fatto  così  e  cosi  perchè  cosi  e  non  altrimenti  la  pensavano  alcuni 
suoi  contemporanei.  Scrive  il  Gorra  (  p.  54  1  che  Dante  mai  avrebbe 
assolto  il  conte  Ugolino,  *  nò  per  ispirilo  partigiano ,  né  per  odio  o 


144  //  semo  letterale  e  V  allegoria 

per  amore  d'  alcuno,  né  per  nessuno  di  quei  principi  estetici  che  do- 
vettero senza  dubbio  guidarlo  nella  composizione  del  suo  poema.  La 
sua  coscienza,  afferma  risolutamente  il  critico,  vi  si  ribellava  ;  e  seb- 
bene una  leggenda  narri  che  il  Conte,  giunto  all'  estremo  della  sua 
vita,  domandasse  ad  alte  grida  penitenza  (  cfr.  Villani,  Cronica,  VII, 
128  ),  Dante  non  accolse  quel  grido  ;  la  conoscenza  dei  fatti  non  gli 
permise  di  assolvere  il  Conte  '.  La  conoscenza  dei  fatti  ?  O  che  la 
misericordia  di  Dio  non  ha  si  gran  braccia  da  accogliere  qualunque 
gran  peccatore  che  si  penta  allo  stremo  di  sua  vita  ?  Dante  non  ac- 
colse quel  grido,  di  cui  si  ha  pur  cosi  cospicua  testimonianza,  per- 
chè non  gli  convenne,  perchè  non  gli  parve  bene,  perchè  insomma 
non  volle.  ^  Se  la  fama  di  Cunizza  (  osserva  il  Gorra,  p.  56,  facendo 
suo  le  parole  di  F.  Zamboni  )  non  fosse  col  tempo  divenuta  migliore, 
eerto  colui  che  dovea  cercare  di  acquistarsi  ogni  credenza  dai  con- 
temporanei, non  avrebbe  potuto  imparadisare  una  femmina  priva  di 
ogni  bontà  e  che  anzi  «  a  vizio  di  lussuria  fu  si  rotta  ».  Il  santo  vate 
non  poteva  rimontare  contro  l' opinione  di  tutti  senza  fallire  alla 
propria  missione,  riformatrice  della  religione,  dei  costumi,  dello  sta- 
to d' Italia  '.  Certo,  Cunizza  nella  lunga  vecchiaia  divenne  migliore  ; 
ci  voleva  assai  poco.  Ma  era  allora  opinione  della  maggioranza  eh'  essa 
fosse  salva,  anzi  che  fosse  da  adorar  sugli  altari  ?  E  Dante  cercava 
di  acquistarsi  credenza  dai  contemporanei  con  le  sue  finzioni?  Ma 
se  gli  antichi  commentatori  avvertono  bene  spesso  chi  legge,  che 
solo  Iddio  sa  chi  è  salvo  e  chi  è  dannato,  e  che  il  poeta  non  in- 
tose né  dannare  né  salvare  alcuno  veramente  ?  Che  la  Divina  Com- 
media sia  la  vera  storia  documentata  dell'  altro  mondo  ?  l^on  mi  me- 
raviglierei ;  attesoché  una  vera  storia  di  questo  mondo  ancora  non 
si  è  potuta  fare,  pigliamoci  quella  dell'altro  ;  certo,  è  molto  più  di- 
vertente. A  proposito  di  Brunetto,  domanda  il  Gorra  (p.  57): 'Non 
poteva  il  Poeta  valersi  del  suo  diritto  di  grazia,  o  almeno  inven- 
tare una  lagrimetta  di  pentimento  all'  ultim'  ora  ?  '  Certo  potea,  non 
voUe.  Avrebbe  trovato  anche  altri  che,  niente  sapendo  della  sorte 
di  ser  Brunetto  nel  mondo  di  là,  come  niente  sapeva  Dante,  e  come 
niente  sapranno  i  critici,  avrebbero  trovato  ben  fatta  la  cosa  ;  certo, 
non  inverosimile.  I  Padri  pensavano  che  Socrate  e  Platone  fossero 
salvi  ;  e  salvi  furono  creduti  da  molti  Aristotele,  Cicerone,  Virgi- 
lio, ed  altri  (cfr.  Graf,  Roma,  2,  184  s  290  s  263  284).  Ma  Dante 
non  li  salva.  Probabilmente,  in  molti  casi,  neppure  Dante  stesso 
avrebbe  saputo  o  potuto  dire  perché  ha  fatto  questo  o  perché  non 
ha  fatto  quest"  altro.  Vuole  il  Gorra  (  p.  61  )  che  il  poeta  non   pò- 


//  diritto  di  grazia  Ui 

tesso  assolvere  '  in  nome  di  un  diritto  di  e;razia  che  nessuno  gli 
aveva  concesso  '.  Ma  chi  dovea  conctxlergli,  siamo  {linsti.  il  diritto 
di  scrivere  le  sue  finzioni  ?  Sì  chiede  il  superiore  permesso  per  fare 
un  lavoro  di  fantasia  ?  Certo,  Dante  era  guidato  dal  sentimento  della 
giustizia,  non  da  odio  o  livore  ;  ma  amore  «1  odio  bollivano  troppo 
neir  animo  suo,  e  neppure  lo  storico  può  in  tal  caso  riuscire  obbiet- 
tivo. Certo,  '  non  dobbiamo  ammettere  che  il  Poeta,  serv'endosi  del 
suo  semplice  arbitrio,  sia  pure  in  un'  opera  poetica, . . .  condannas.sf 
a  peno  ignominiose  o  crudeli  persone  stimate  dabbene  o  incolpe- 
voli, e  assolvesse  rei  '.  E  nessuno  ha  mai  pensato  codesto.  Servirsi 
del  proprio  arbitrio  non  vuol  dire  far  coso  da  matti.  E  cose  proprio 
dell'  altro  mondo  sarebl>ero  stijte  queste,  porre  Francesco  d'  Assisi 
a  scontare  il  peccato  della  gola,  e  Farinata  sulla  scala  dei  contem- 
planti. Ma  non  per  questo  si  deve  dire  (  p.  70  |  che  i  giudizi  del 
poeta  '  erano  dettati  non  dal  suo  arbitrio,  ma  dalla  coscienza  sua, 
e  dji  quella  de'  suoi  coetanei  '.  Xò  la  coscienza  siui,  né  molto  meno 
la  coscienza  dei  suoi  contemporanei,  entrò  per  nulla  nelle  fìnzioni 
della  Commedia.  Non  arbitrio  corto  stravagant««.  ma  arbitrio  di  potati», 
che  vuol  fare  opera  poetica  per  incarnare  un  concetto  morale,  re- 
ligioso, politico,  non  sostituirsi  al  Padreterno.  Più  innanzi  il  Gorra 
concedo  che  Dant^  '  u«i  degli  espedienti  di  un  grande  poeta  per 
reagire  contro  la  tradizione  e  la  storia  '.  E  qui  parrebbe  che  il  cri- 
tico conceda  troppo  ;  ma  non  concede  tanto  da  lasciarci  supporre 
che  so  Danto  avesse  voluto  assolvere  chi  si  sia.  avivbbo  ben  potuto 
usjire  dogli  espetlienti  di  un  grande  poeta,  senza  tuttavia  reagire  né 
contro  la  tnidizione,  né  contro  la  storia.  Cfr.  D'  Ovidio,  Stadii,  18. 
ss,  56  67  s.  373,  419.  421.  536. 

Ma  torniamo  a  Beatrice.  D  Gorra  (  n  **-  )  é  '  persuaso  che  dopo 
elucubrazioni  infinite  rimarrà  fermo  quel  che  scrisse,  fra  gli  altri, 
il  D*  Ancona  :  che  cioè  i  grandi  artisti  del  medio  evo  «  dal  reale  svi- 
livano »  su  di  «  collo  in  collo  »  all'  ideale  :  non  andavano  all'  idealo 
di  slancio  '.  Il  Cian  (  Bull.  ns.  5,  129  )  scrive  infatti,  che  il  poeta 
•  prende  le  mosso  dalla  realtà  più  palpabile  e  forte  per  tendere  agli 
ideali  più  vertiginosamente  elevati  ",  Sicché,  dalla  realtà  palpabile 
della  moglie  di  messer  Simone,  Dante  salì  di  collo  in  collo  all'  ideale 
più  vertiginosamente  elevato,  alla  Sposa  del  Cantico.  Mirabile  e  fa- 
ticosa ascensione,  certo  :  ma,  come  pare,  facilitata  dal  fatto  che  1"  o- 
pinione  dei  contemporanei  doveva  essere  singolarmente  concorde  in- 
torno alla  realtà  della  superlativa  glorificazione  di  madonna  Bice 
nel  regno  dei  cieli. 


146  II  senso  letterale  e  V  allegoria 


6. 


Assai  caratteristica  è  la  propaggine  che  codesta  teoria 
dell'induzione  dal  reale  all'ideale,  distese  nei  vilipesi  campi 
dei  puri  allegoristi.  Prima  il  Bartoli,  poi  il  Renier,  pur 
negando  la  realtà  storica  della  Beatrice  della  Vita  nuova, 
vi  scorgono  1'  uno  '  idealità  non  allegoria  ',  1'  altro  '  idea 
non  simbolo  '. 

Il  Bartoli  trovava  '  idealità  '  in  tutte  le  donne  della 
lirica  del  dolce  stil  nuovo.  '  La  beatrice  di  Dante,  affer- 
mava il  critico  (  St.  4,  191  ),  è  la  beatrice  di  Lapo,  di  Guido, 
di  Gino,  ed  in  questa  uguaglianza,  in  questa  uniformità 
di  concepimento  artistico  sta  la  prova  maggiore  della  sua 
non  oggettività  .  .  .  Basta  leggere  ...  la  Vita  Nuova  senza 
preconcetti,  per  accorgersi  che  la  beatrice  è  un  essere  pu- 
ramente ideale.  Non,  si  badi  bene,  un  essere  allegorico  ...  ; 
ma  la  donna  ;  la  donna  terrena  contemplata  nelle  più  no- 
bili, più  alte,  più  celesti  sue  qualità  ;  guardata  coli'  occhio 
un  po'  mistico  degli  uomini  medievali  in  genere,  ed  in 
ispecie  di  questi  Fiorentini  Bianchi  della  fine  del  secolo 
XIII  ;  la  donna  terrena  che  a  poco  a  poco  acquista  qual- 
che cosa  dell'  angiolo  ;  un  essere  vago,  astratto,  impalpa- 
bile che  si  concretizza  in  ogni  volto  gentile  di  bella  fan- 
ciulla, per  tornar  poi  a  sfamare  nelle  forme  più  aeree  .  .  . 
La  beatrice  dei  poeti  del  nuovo  stile  non  è  appunto  altro 
che  la  oggettivazione  di  una  intima  e  profonda  soggetti- 
vità '.  A  prima  giunta  parrebbe  che  codesta  '  beatrice  '  sia 
una  delle  tante  donne  ideali  cantate  in  ogni  tempo  dai 
poeti.  E  certo,  intesa  cosi  la  cosa,  non  vi  sarebbe  nella 
Vita  nuova  allegoria  ;  la  ^  beatrice  '  sarebbe  una  concezione 
poetica  di  donna  ideale,  e  bisognerebbe  attendere  solo  al 
senso  letterale.  Sennonché,  il  critico  abbandona  col  fatto 


La  donna  ideale  147 


codesta  ipotesi  die  si  ricounette  per  un  verso  agli  ultimi 
postulati  dei  realisti,  e  passa  nelle  file  degli  allegoristi 
quando  interpreta  qualche  episodio  della  Vita  nuoca  (  vd. 
4,  185  ss  ).  Ed  a  me  pare  che  1'  equivoco  nella  ricostru- 
zione del  Bartoli  stia  in  ciò,  eh'  egli  ora  parla  di  '  donna 
ideale  ',  ora  deli'  ideale  della  donna,  di  un'  '  idealità  tra- 
scendente ' ,  che  sarebbe  incarnata  in  una  figura  concreta 
di  donna  ideale,  in  una  poetica  persona  ;  e  in  questo  caso 
non  si  avrebbe  che  un'  allegoria.  '  Beatrice,  afferma  il  Bar- 
toli, non  è  per  il  poeta  che  un'  idea,  che  un  sentimento, 
che  un'  astrattezza,  com'  è  1'  Amore,  personificato  anch'  esso 
da  Dante,  ma  la  cui  persona  non  è  visibile  che  dagli  oc- 
chi della  mente  '.  Beatrice  è  dunque  un  essere  allegorico  ; 
il  poeta  si  servirebbe  nella  Vita  nuoca  di  figure  concrete, 
che  non  rappresentano  se  stesse  ma  altra  cosa,  per  rap- 
presentare le  vicissitudini  della  sua  '  realtà  interiore  ',  della 
sua  '  idealità  trascendente  '.  Certo,  se  nel  cantare  e  nar- 
rare le  vicende  d'  un  amore  fittizio  per  una  donna,  intese 
parlarci  del  suo  sentimento  per  un'  astrazione,  fece  un'  al- 
legoria bella  e  buona.  Ma  la  distinzione  del  Bartoli  avrebbe 
forse  il  vantaggio  di  far  riposare  l' idealità  sulla  base 
granitica  della  realtà;  il  che,  come  pare,  non  sarebbe, 
secondo  il  critico,  dell'  allegoria.  Dalla  pluralità  reale  dov'  è 
implicata,  si  divincola  e  si  sviluppa  e  si  drizza  e  si  schiu- 
de all'  azzurro  puro,  bianca  e  vaporosa  e  redolente  l' idea- 
lità. *  L'  allegoria,  dice  il  Bartoli  parlando  del  Cavalcanti 
(4,  149  ),  esclude  ogni  affetto,  mentre  nei  lirici  della  scuola 
toscana  e'  è  afietto  vero.  Affetto  vero  si,  ma  non  però  af- 
fetto esclusivo  ed  assorbente.  Non  è  una  donna  unica  che 
abbia  legato  a  se  il  poeta,  esercitando  sopra  di  lui  quel 
fascino  che  esalta  lo  spirito  ed  acceca  la  ragione.  Sono  più 
donne  che  si  concretizzano  in  un  ideale  unico  cantato  se- 
condo che  imponeva  l'  ambiente  letterario,  e  secondo  che 
poteva  r  ingegno  dell'  uomo  '.  E  parlando  di  Cino  (  4,  91  )  : 


148  It  senso  letterate  e  l' allegoria 

'  ignoriamo  ...  se  ci  sieno  poesie  scritte  per  una  donna  sola, 
o  se  tutte  collettivamente  non  abbiano  ispirato  il  poeta, 
vagheggiatore  di  una  bellezza  unica  divisa  in  tanti  esseri 
animati'.  Insomma,  1'  'ideale  unico',  la  'bellezza  unica',  la 
'beatrice'  di  quei  rimatori,  sarebbe  una  specie  di  minimo 
comune  multiplo  o  di  massimo  comun  divisore  (').  Ma  la- 
sciamo stare  la  pretesa  '  beatrice  '  di  Lapo,  di  Guido,  di  Gino, 
e  degli  altri  ;  certo,  la  Beatrice  della  Vita  nuova,  secondo  la 
ricostruzione  del  Bartoli,  è  un  essere  allegorico,  qualunque 
astrazione  rappresenti,  e  comunque  a  quell'  astrazione  sia 
il  poeta  venuto.  Ne,  d'  altra  parte,  è  vero  che  1'  allegoria 
esclude  ogni  affetto;  né,  in  fin  dei  conti,  l'affetto  straripa  da 
ogni  parte  nelle  rime  e  nella  prosa  della  Vita  nuova  (-). 


(1)  Secondo  il  Bartoli,  quei  rimatori  doveano  faro  suppergiù 
come  sì  proponeva  di  fare,  pei-duto  1'  amore  della  sua  donna,  Ber- 
trando del  Bornio  ;  andavano  '  per  tot  achaptan  De  chascuna  un 
bel  semblan  '.  Ma  quel  seminator  di  discordie,  con  quelle  suo  rap- 
pezzature, voleva  in  fin  dei  conti  illudersi  di  aver  riacquistato  un 
bene  reale  perduto  ;  mentre  i  nostri  avrebbero  costruito  con  ele- 
menti reali  e  storici  di  cui  godevano,  una  realtà  fittizia  della  quale 
si  sarebbero  invece  innamorati.  Pare  dunque  eh'  essi  abbiano  tratto 
ispirazione  dalla  leggenda  della  Venere  di  Zeusi,  con  la  quale  la 
loro  '  donna  ideale  '  avrebbe  qualche  grado  di  parentela.  ]^on  così 
il  divin  Raffaello:  'per  dipingere  una  bella  (scriveva  egli  a  Bal- 
dassarre Castiglione,  a  proposito  della  Oalatea  ),  mi  bisogneria  ve- 
der più  belle,  con  questa  condizione  che  V.  S.  si  trovasse  meco  a 
fare  scelta  del  meglio.  Ma  essendo  carestia  di  buoni  giudici  e  di 
belle  donne,  io  mi  servo  di  certa  idea  che  mi  viene  alla 
mente.  Se  questa  ha  in  sé  alcuna  eccellenza  d'  arte,  io  non  so  : 
bene  m'  affatico  d'  averla  '  (  cfr.  Cic.  Orat.  1,  9  '  Nec  vero  ille  arti- 
fex  [Phidias]  quum  faceret  Jovis  formam  aut  Minervae,  contempla- 
batur  aliquem,  e  quo  similitudinem  duceret,  sed  ipsius  in  mente  in- 
sidebat  species  pulcritudinis  eximia  quaedam,  quam  intuens  in  eaque 
defixus  ad  illius  similitudinem  artem  et  manum  dirigebat  '  ). 

(2)  Cfr.  Benier  VN.  e  F.  124  ss,  140  s  ;  Gaspary,  St.  1,  217, 
Altrove  però,  anche  il  Bartoli  (  St,  4.  179  )  ammette  che  '  Dante  era 


La  donna  ideaU  l4d 


Il  Renier,  accettando  per  la  i>^».. .ce  Ui  Dante  il  prin- 
cipio dei  Bartoli,  propende  ora  '  all'  idea  di  un'  assoluta  al- 
legorici tà ',  e  crede  che  le  difficoltà  della  Vita  nuota  tro- 
vino '  nella  interpretazione  allegorica  una  adeguata  solu- 
zione '  (  Giorn.  stor,  1,  483  ;  2,  388  ).  Pare  nondimeno,  eh'  ei 
voglia  fare  una  nuova  distinzione  tra  allegoria  e  allego- 
ria. Egli  scrive  (  Giorn.  star.  2,  380  )  :  *  Ora  il  campo  si 
divide  assai  nettamente  :  abbiamo  i  sostenitori  della  pura 
realtà,  senza  simbolo  di  sorte  alcuna,  e  abbiamo  quelli  che 
nella  beatrice  ravvisano  o  un  simbolo  o  una  idea.  Si  badi 
che  la  differenza  tra  questi  due  termini  è  molto  notevole. 
Il  fdmboìo  è  di  natura  sua  qualche  cosa  che  è  fuori  del- 
l' oggetto  simboleggiato,  che  è  completamente  estraneo  ad 
esso,  che  si  atteggia  in  un  determinato  modo  per  sola  vo- 
lontà del  pensatore.  L' idea  invece  può  essere  in  siffatto 
modo  immedesimata  nella  cosa  che  la  rappresenta  mate- 
rialmente, da  venire  a  far  parte  di  essa,  poiché  fra  i  due 
oggetti,  r  ideale  e  il  reale,  non  vi  è  diversità  di  essenza, 
ma  solo  di  esistenza.  È  per  questo  che  il  sistema  siml>o- 
lico,  quale  fu  sostenuto  dal  Biscioni,  dal  Filelfo,  dal  Ros- 
setti, dal  Centofanti  e  ora  dal  Perez,  va  distinto  dal  si- 
stema idealistico  del  Bartoli  '.  La  distinzione  sarebbe  dun- 
que questa,  allegoria  simbolica  e  allegoria  idealistica.  Ma 
non  sarà  che  question  di  parole.  Se  nella  coaa  che  rappre- 
senta materialmente  l' idea,  V  idea  è  immedesimata,  allora 
la  cosa  è  idea,  altrimenti  è  simbolo  ?  La  Beatrice  che  è  una 
figura  concreta  di  donna,  è  idea,  non  simbolo,  perchè  Videa 
è  immedesimata  in  quella  figura  ?  Ma  è  simbolo  appunto 
ogni  cosa  concreta  che  rappresenta  un'  idea  ;  la  quale  deve 


facile  a  lasciarsi  trasportare  dal  sentimento,  anche  parlando  di  es- 
seri allegonci  '.  E  non  è  infatti  riverberante  d'  affetto,  non  è  pla- 
sticamente calda  e  talvolta  perfino  sensuale  ed  oscena  la  parola  dei 

mistici  ? 

19 


150  //  senso  letterale  e  l' allegorìa 

essere  necessariamente  come  immedesimata  in  quella  cosa  ; 
giacché  nessuno  si  sognerebbe  di  rappresentare  la  conti- 
mnza,  servendosi,  per  esempio,  del  simbolo  della  lupa.  Si 
dirà  :  —  Beatrice  è  una  donna  che  rappresenta  l' ideale  del- 
la donna,  non  rappresenta,  per  esempio,  la  teologìa,  o  al- 
tra astrazione  simile  —  .  '  La  massima  attrattiva,  dice  in- 
fatti il  Renier  (  Giorn.  sfor.  2,  390  ),  che  ha  per  me  la  in- 
terpretazione del  Bartoli  è  data  dal  fatto  che  per  lui  la 
beatrice  non  è  simbolo  di  un  ente  astratto  dalla  umana 
natura,  ma  è  semplicemente  incarnazione  di  qualità  natu- 
rali alla  donna.  Solo  nella  beatrice  tali  qualità  sono  tutte 
raccolte,  sono  tutte  in  grado  eminente,  ed  è  perciò  detta 
beatrice  da  quelli  alla  cui  mente  è  apparita,  i  quali  non 
sanno  come  chiamarla  altrimenti  \  Se  ho  ben  compreso,  l' i- 
dea  '  donna  '  è  incarnata  nella  cosa  '  donna  '  ;  ecco  perchè 
la  cosa  è  idea,  non  simbolo.  Ma  sia  come  si  voglia,  codesta 
idea  finirebbe,  pel  Bartoli  (  St.  4,  229  ss  )  come  pel  Re- 
nier {Giorn.  stor.  2,  389  395  ),  coli'  essere,  nella  stessa  Vita 
nuova,  un  simbolo:  Ma  scienza  divina',  'l'Idea  Divina', 
'  la  beatrice  celeste  ',  '  la  scienza  celeste  '  ;  giacche,  come 
dice  il  Renier,  la  '  beatrice  persona  va  svaporando  nella 
beatrice  simbolo  '.  Colla  qual  conclusione,  non  solo  s'  in- 
corre nel  solito  inconveniente  di  trovar  più  d'  una  Beatrice 
nella  Vita  nuova  ;  ma  si  fa  una  curiosa  distinzione  tra 
'  persona  '  e  '  simbolo  '  ('). 


y^)  Strettamente  parlando,  la  Beatrice  degli  allegoristi  (  Filelfo. 
Biscioni,  Rossetti,  Centofanti,  Perez.  Costerò,  Crietmann,  Pasqxia- 
ligo,  Earle  )  non  è  mai  nn  simbolo,  ma  una  persona  ;  è  la  personi- 
ficazione, con  nome  concreto  attributivo,  d'  un'  astrazione  ;  la  Bea- 
trice degli  idealisti  sarebbe  invece,  ora  la  personificazione  d'  un'  a- 
strazione,  ora  la  personificazione  di  un'  altra  astrazione.  La  sola 
Beatrice  dei  realisti  sarebbe,  negli  ultimi  paragrafi  della  Vita  nuova 
e  nella  Commedia,  simbolo  storico  d'  un'  astrazione.  Si  avverta  tut- 
tavia, che  ogni  personificazione  allegorica  non  si  fa  che   con   sim- 


Im  donna  ideale  i.")i 


A  parte  codesta  question  di  parole,  non  si  vede  bene 
di  quale  sentimento  d' idealità  femminile  fossero  accesi  i 
poeti  del  dolce  stil  nnovo  (')  ;  non  si  vede  bene  come  mai 
la  '  beatrice  persona  '  della  Vita  nuota  rappresenti  -  V  ideale 
perfetto  della  donna  '  ;  in  che  mai  e  qnando  mai  la  Bea- 
trice si  mostri  •  donna  ideale  '. 

Certo,  la  interpretazione  che  si  può  dare  della  Vita 
nuova,  con  l' ipotesi  degli  idealisti,  è,  come  si  può  vedere 
dai  saggi  del  Birtoli  e  del  Renier,  tra  le  meno  persuasive  ; 
e  forse  anche,  tra  le  meno  probabili  (*). 


1>oIi.  cioè  con  roaltò  naturali,  che  hanno  con  1'  ^tratto  alca* 

no  qnaliUt  o  attributi  comuni,  o  Hono  univor«alni'>nto  rìeono8oiuti> 
conio  Kt»pni  8  »n«ibili  di  ideo  astr.itt'». 

|M  II  Renior  (  Giorn.  star.  1,  483)  accenna  all' *  Ewig  weibli- 
che  '  del  GroPthe  :  e  idealisti  e  realisti,  scambiando  la  maniera  di 
(|U('i  rimatori  con  Tidealizzitzione  e  la  sublimazione» 
della  donna  e  dell'  amore  umano,  attribuiscono  a  queir  et:i  le  tor- 
ture del  sentimento,  i  lattei  lan^iori,  le  romanticherie  insomma,  di 
un'  età  a  noi  molto  più  vicina.  Certo,  nel  culto  della  Verdine  Ma- 
dre vi  orA  qualcosa  di  quell*  etemo  femminino  che  è  nella  um-:ina 
natura  (  vd.  Kerbaker.  L'  eterno  femminile  del  Goethe,  nel  La  Ta- 
vola rotonda,  an.  t?rzo.  1893.  nura.  17-19;  Nencioni.  La  leti.  mist. 
nel  La  cita  ital.  pp.  226.  239  ).  Ma  per  converso,  basso  ed  intriurio- 
so  era  il  concetto  che  della  donna  si  aveva  (  vd.  Comparetli.  Virg. 
2.  102  s  )  :  e  non  pare  davvero  che  fossero  tempi  quelli  da  venire 
a  spiritualizzazioni  erotiche,  né  dall'  amore  di  più  donne,  né  dall'  a- 
more  di  una  donna  sola. 

(-)  Lo  Scartazzini  (  Proleg.  Ili  ss  J,  trovando  facile  breccia  nella 
ricostruzione  del  Renier,  si  sbarazza  del  '  si8t?nia  simbolico  '  in  modo 
assjii  sommario  e  bonario  :  e  crede  di  aver  debellato  cosi,  una  volta 
per  sempre,  tutti  gli  allegoristi.  •  Il  sistema  simbolico,  egli  scrive, 
non  avendo  oggimai  più  difensori  attendibili,  basterà  qui  esaminare 
il  sistema  ideale,  secondo  il  quale  Beatrice  é  Y  ideale  della  donna'. 
3Ia  se  chi  si  accinge  a  combattere,  per  riportjime  facili  vittorie,  il 

•  sistema  ideale  '  o  il  '  sistema  simbolico  '.  pensasse  un  po'  a  com- 
battere e  a  ribattere  e  a   superare   le   obbiezioni   che   •  idealisti  '   e 

•  simbolisti  '  muovono  ai  valoi-osi  trionfatori  d'  una  ricostruzione  al- 


152  //  s'ew.so  letterale  e  V  allegoria 


Degni  certamente  di  miglior  causa  sono  gli  sforzi  di- 
sperati della  critica,  per  preservare  dai  venti  gelati  della 
nevosa  allegoria  le  non  dubbie  finzioni  di  cui  è  infarcito 
il  dubbioso  racconto  della   Vita  nuova. 


legorica,  per  sua  natura,  sempre  discutibile,  le  cose  antli-ebbero  forse 
un  po'  più  pel  loro  verso.  Perchè  lo  Scartazzini  non  ha  cercato  di 
rispondere  alle  '  molto  interrogazioni  particolari  cui ...  la  Vita  Nuova 
si  presta  ',  che  furono  mosse  appunto  dal  Renier,  od  alle  quali  egli 
giustamente  dice  che  '  dentro  i  limiti  della  lettera  non  si  risponde  '  ? 
D'  altra  parte,  chi  si  concede  hi  grande  sodisfazione  di  sbaragliare, 
con  punti  ammirativi  e  con  interrogati^T  punti,  una  qualsivoglia  in- 
terpretazione allegorica,  dovrebbe,  per  esser  sicuro  che  non  combat- 
ta coi  mulini  a  vento,  rendersi  quasi  esatto  conto  di  quel  che  sia 
linguaggio  allegorico.  Perchè,  se  facciamo  lo  maraviglie  che  altri, 
per  esempio,  possa  pensare  che  un'  astrazione  si  corrucci,  è  inuti- 
le qualunque  discussione.  '  Che  esseri  reali  si  corrucciano,  dico  lo 
Scartazzini,  lo  sappiamo  troppo  bene  :  ma  si  corrucciano  anche  gli 
ideali,  le  astrazioni  ?  e  se  i  puri  ideali  veramente  si  corrucciano, 
come  si  fa  noi  altri  ad  accorgercene  ?  Via,  -s-ia  !  ammonisce  con  bo- 
nario disdegno  il  critico.  Se  Beatrice  si  corruccio  ella  era  pur  trop- 
po donna  reale  '.  Certo,  certo.  Come,  per  esempio,  se  la  donna  del 
Convivio  si  mostrò  fera  e  disdegnosa,  ella  era  pur  troppo  donna 
reale  ;  tanto  più  perchè  non  si  può  sapere  (  p.  213  )  '  quale  è  la  Ji- 
nestra,  dalla  quale  la  Filosofia  riguardava  il  Poeta  '  ;  e  molto  meno 
si  può  indovinare  come  mai  la  Filosofia  pensasse  veramente  '  alla 
triste  condizione  della  vita  di  Dante  '.  Similmente,  se  le  ^ìnfe  della 
'  divina  foresta  '  (  Piirg.  31,  104  )  danzarono,  cantarono,  coprirono  del 
loro  braccio  il  poeta,  elle  ei'ano  pur  troppo  donne  reali.  Che  esseri 
reali  si  sdegnino  e  ballino  e  cantino,  è  chiaro  anche  ai  ciechi  e  ai 
sordi  ;  ma  si  sdegnano  e  ballano  e  cantano  anche  le  astrazioni  ?  E 
chi  se  ne  accorgerebbe  ?  '  E  composto,  domanda  con  ingenuità  can- 
zonatoria, ahimè  !  lo  Scartazzini  ;  è  composto  anche  un  ideale  di  ani- 
ma e  coi"po  ?  '  È  fisiologicamente  impossibile  !  E  il  poota  sonnec- 
chiava certamente  come  il  buon  Omoi'o.  quando  commendò  madonna 


Jja  digressione  della  VN.  sulle  personificazioni        153 

Francesco  Perez,  in  un  libro  che  non  finisce  col  per- 
suadere alcuno,  perchè  quel  valentuomo  caracollò   lunga- 
mente attorno  alla  vera  questione,  e  talvolta  assai  lonta- 
no dalla  vera  questione,  or  guardandovi  dentro  di  sbieco, 
or  non  guardandovi  pure  dentro  ;  tutto  chiuso,  com'  era, 
nel  paludamento  della  sua  '  idea  -  madre  '  ;  sempre  in  fac- 
cende per  procacciar  titoli  di  nobiltà  alla  sua  '  Intelligen- 
za attiva  '  ;  come  tutti  gli  allegoristi,  occupato  quasi  sol- 
tanto, nella  sua  disdegnosa  sicurezza,  a  scoprir   1'  allego- 
ria della  *  beatrice  ',  invece  di  porre  bene  in  sodo  che  nel 
libello  di  un'  allegoria,  di  una  qualunque  allegoria,  vera- 
mente si  tratta  ;  ma  in  un  libro  tuttavia  che  meriterebbe 
certo  più  considerazione  che  oggi  non  ha  ;  Francesco  Pe- 
rez, nel  capitolo  quarto  della  sua    Beatrice  scehita,   inda- 
gando e  trascrivendo  quanto  il  poeta   dice    '  intorno   alla 
forma  allegorica  ed  all'uso  eh'  egli  ne  fece  ',  dal  paragrafo 
25  della   Vita  nuova  crede  potersi  dedurre:  i  p.  71  )  '  —  I 
rimatori  volgari  essere  quel  che  erano  un  tempo    i    poeti 
latini  ;  —  Dovere  usare  allegorie   come  quelli  le 
usavano  ;  con  questo  di  più  :  che  le  debbano  assumere  sem- 
pre apparenza   di   amore,  '    Se   fossero   davvero   codesti   i 
'  principi  estetici  dell'  Alighieri  ',  espressi  nella  stessa  Vita 
nuoca,  ognun  vede  che  impossibile  sarebbe  negare  che  un 
intento  allegorico  vi  sia  nel  libello;  giacché,   salva   ogni 
altra  considerazione,  non  si  può  pensare  che  il  poeta  de- 
rogasse a  quelle  norme  eh'  egli  stesso  inculcava,  e  proprio 
quando,  e  giusto  dove  le  inculcava.  Il  Perez,  a  cui  quelle 


Filosofia  •  si  secondo  1'  a  n  i  m  a  .  come  secondo  il  corpo*  (  Coite. 
3,  7,  1  ).  Ma  lasciamo  stare  le  ricostruzioni  allegoriche  e  i  quasi  in- 
fantili trionfi  che  altri  vuol  riportarne  ;  questo  bisogna  bene  tener 
presente,  che  se  nel  dichiarar  qualunque  allegoria  si  può  sbagliare, 
è  certamente  fuor  di  strada  chi,  dove  l' intendimento  allegorico  è 
evidente,  s' impunta  a  negarlo,  sol  perchè  non  gli  si  fa  vedere  un'  e- 
sposizione  allegorica  che  lo  pei*suada. 


154  //  seìiso  letterale  e  V  allegoria 

conclusioni  parevano  evidenti  e  sicure,  non  insiste  gran 
fatto  neir  esame  del  luogo  della  Vita  nuova  ;  e  si  contenta 
d'  osservare  che  (  p.  67  ),  '  dove  Dante  non  avesse  posto 
senso  allegorico  nelle  sue  poesie  —  e  tanto  più  in  quelle 
della  Vita  Nuova  —  avrebbe  dato  a  se  stesso  dello  stolto  e 
del  grosso  '.  Però,  siccome  la  cosa  sarebbe  decisiva  se  fosse 
a  un  puntino  come  vuole  il  Perez,  così  meritava  certo  più 
riposato  esame  e  più  lungo  discorso.  Un  giudizio  somma- 
rio, espresso  per  giunta  in  tono  così  assiomatico,  non  po- 
teva naturalmente  convincere  neppure  chi  fosse  già  dispo- 
sto a  lasciarsi  convincere  ;  né  il  Perez,  da  una  facile  con- 
futazione in  fuori  alla  strana  e  non  troppo  perspicua  in- 
terpretazione che  di  quel  luogo  dantesco  avea  dato  il  Balbo 
(  Vita  c?è  />.  1,  7  ),  si  dette  pur  pensiero  di  prevenire  e  ri- 
battere qualche  possibile  obbiezione  ;  né,  a  dire  il  vero, 
come  già  ha  notato  il  Gasparj  {  St.  1,  451,  append.  a  p. 
205  ),  si  tenne  scrupolosamente  alle  parole  del  poeta,  o  si 
contenne  nei  limiti  della  sentenza  del  poeta,  nel  formu- 
lare le  sue  troppo  assolute  conclusioni  che  doveano,  sen- 
z'  altro,  tagliar  la  testa  al  toro. 

Non  pare  tuttavia  che  si  accorgessero  dell'  importanza 
del  paragrafo  25  della  Vita  nuova,  e  delle  deduzioni  a  cui 
si  prestava,  i  primi  commentatori  del  disgraziato  libello, 
eccetto  il  Biscioni  (  Pref.  15  s);  il  quale;  come  poi  il  Pe- 
rez, da  quella  digressione  appunto,  trasse  argomento  a 
beneficio  della  sua  tesi.  Il  Fraticelli  vi  scivola  su,  alla  che- 
tichella ;  ma  né  il  Torri,  né  il  Giuliani,  non  sospetti  certo 
di  tenerezze  allegoriche,  si  allontanano  in  fondo  dal  Bi- 
scioni e  dal  Perez  nell'  intendere  che  il  poeta,  parlando 
del  rimar  '  cosa  sotto  vesta  di  figura  o  di  colore  retorico  ', 
accenni  appunto  all'  allegoria.  Il  Torri  annota  :  '  Qui  é  ben 
chiaro  che  Dante  parla  di  quegl'  insulsi  poeti  che  non  san- 
no nascondere  sotto  i  vacui  loro  versi  utili  concepimenti, 
in  somma  che  non  usano  un  linguaggio  allegorico,  com'  e- 


La  digressione  delibi  VN.  «uUe  perdoni  Reazioni         155 

gli  fece  nelle  sue  Rime,  e  segnatamente  poi  nel  suo  mag- 
gior Poema  '  (').  Un  po'  sulle  generali  si  tiene  invero  il  Giu- 
liani :  '  Dante  avvisava  che  le  cose  dette  per  allegoria  fossero 
come  velate  sotto  benda  di  parola  oscura.  Libere  da  cotal  ben- 
da, le  parole  resta van  nude,  tali,  da  doversi  intendere  lette- 
ralmente '.  Ma,  come  si  vede,  anche  il  Giuliani  ammette 
che  nella  digressione  della  Vita  nuoca  si  parli  di  allegoria. 
Sennonché,  ben  vide  il  velen  dell'  argomento  il  Car- 
ducci ;  il  quale,  confutando  il  Perez,  o,  com'  egli  lo  chia- 
ma, 'il  sig.  Perez',  osserva  (D'Ancona,  VX.  186  ss):' il 
poeta  riporta  ed  espone  un  suo  sonetto  nel  quale  egli  a- 
veva  introdotto  Amore  in  persona  come  prenunzio  e  pre- 
sentatore ...  di  monna  Vanna  e  monna  Bice.  Ma  egli  al- 
tro non  fa  qui  che  giustificare  questa  sua  personificazione, 
questa  figura  o  colore  retorico  (com'è'  dice 
espressamente  ),  con  gli  esempj  de'  poeti  latini ...  In  certo 
periodo  della  sua  vita  che  direbbesi  di  transizione,  nel  pe- 
riodo del  Convito,  abozzò,  e  alla  materia  amorosa  volle  dare, 
come  direbbe  il  sig.  Perez  con  gli  scolastici,  forma  filoso- 
fica. Ma  nella  ]'.  N.,  e  nominatamente  in  questo  para- 
grafo, non  si  tratta  di  allegorie  :  in  questo  paragrafo  si 
tratta  delle  personificazioni,  e  di  personificazioni  sono  tutti 
gli  esempj  che  allega  de'  poeti  latini  :  nell'  altro  caso,  per- 
chè non  avrebbe  citato  esempj,  che  non  gli  potevan  cer- 
tamente far  difetto,  di  allegorie  splendidamente  e  notoria- 
mente adoperate  da'  poeti  romani  ?  Questo  paragrafo  adun- 
que è  una  giustificazione  retorica  con  le  autorità  contro  i 
pedanti,  i  quali  avevano  che  apporre  agli  ardimenti  di  stile. 


(1)  Affatto  inopportuna  è  la  citazione  del  Conn'rio  (3.  10.  50) 
che  il  Torri  aggiunge  alle  sue  parole  :  '  E  questui  cotale  figura  in 
rettorica  è  molto  laudabile,  e  anche  necessaria,  cioè  quando  le  pa- 
role sono  a  una  pei*sona  e  la  intenÉione  è  a  un*  altra  ".  Il  poeta  parla 
qui  delhi  'Dissimulazione'. 


156  II  -semo  letterate  e  l' allegoria 

ai  colorì  retorici,  di  che  Dante  e  la  nuova  scuola  fioren- 
tina dietro  gli  esempj  dei  dottori  di  Bologna,  andavano 
volgarizzando  l'uso'.  Veramente  il  Carducci,  che  cita  ed 
espone  quasi  tutto  il  paragrafo  25  della  Vita  miova^  non 
si  ferma  sull'ultimo  brano,  che  è  questo:  'E  acciò  che 
non  ne  pigli  alcuna  baldanza  persona  grossa,  dico  che  né 
li  poeti  parlano  cosi  sanza  ragione,  né  quelli  che  rimano 
deono  parlare  così,  non  avendo  alcuno  ragionamento  in 
loro  di  quello  che  dicono  ;  però  che  grande  vergogna  sa- 
rebbe a  colui  che  rimasse  cosa  sotto  vesta  di  figura  o  di 
colore  retorico,  e  domandato  non  sapesse  denudare  le  sue 
parole  da  cotale  vesta,  in  guisa  che  avessero  verace  inten- 
dimento. E  questo  mio  primo  amico  ed  io  ne  sapemo  bene 
di  quelli  che  cosi  rimano  stoltamente'  (').  E  non  solo  il 
Torri  e  il  Giuliani,  come  abbiamo  veduto,  intendono  che 
il  poeta  quivi  parli  di  allegoria  ;  ma  anche  il  D'  Ancona, 
il  cui  commento  accoglie  la  nota  del  Carducci,  pare  che 
da  tale  opinione  non  si  voglia  allontanare  ;  giacché  a  co- 
desto punto  riporta  l' integra  nota  del  Giuliani,  e  per  giun- 
ta rimanda  al  trattato  secondo,  capitolo  primo  del  Cmimmo, 
dove  del  senso  letterale  e  del  senso  allegorico,  della  '  ve- 
rità ascosa  sotto  bella  menzogna  '  appunto  si  ragiona  ;  e 
chiude  tutte  le  note  a  questo  paragrafo  della  Vita  nuova, 
col  riferire  un  passo  del  De  Vulgari  Eloquentia  (  2,  4,  2  ), 
dove  si  legge  che  la  poesia,  rettamente  considerando,  '  ni- 
chil  aliud  est  quam  fictio  rethorica  musice  composita  [  in 
musicaque  posita  ]  '  ('-).  Ma   ben   s'  avvide   della   contradi- 


{^)  Codesto  brano  è  citato  invece  dal  Carducci  nello  studio  Delle 
rime  di  Dante  [Op.  8,  12);  e  da  esso  e  da  altri  luoghi  delle  opere 
del  poeta,  il  critico  desume  che  '  ì  difetti  da  Dante  rimproverati 
a'  suoi  antecessori  e  contemporanei  erano,  d' ispirazione  e  d'  affetto, 
di  ragion  poetica,  di  stile  '. 

(2)  Per  codesta  restituzione,  vd.  Eajna,  VE.  ed.  min.  Proemio, 
p.  33,  s.    Guido  da  Pisa  (  Dichiorasioìie  poetica  dell'  Inferno  dant.  : 


Im  digressione  della  TiV.  sulle  personificazioni         157 


zione  di  codeste  note  il  Casini  ;  il  quale,  tenendosi  stret- 
tamente, come  pare,  alla  sentenza  del  Carducci,  non  solo 
espunge  dal  suo  commento  codesti  poco  opportuni  richia- 
mi al  Conricio  e  al  De  Valga  ri  Eloquentia,  ma  confuta  la 
nota  del  Giuliani,  sebbene  assai  alla  lesta,  coli'  accodarvi 
queste  sue  parole  :  '  Ma  qui  veramente  più  che  di  alle- 
gorie si  tratta  di  personificazioni  :  <•  li  giustificazione  è 
esclusivamente  retorica,  come  dimostrano  gli  esempì  ad- 
dotti dai  poeti  latini.  ' 

Il  Carducci  adunque,  seguito  dal  Casini,  alle  catego- 
riche conclusioni  del  Perez,  oppone  che  il  poeta  parla  di 
personificazioni,  non  già  di  allegorie  (').  Osserva  inoltre 
il  Carducci  :  il  poeta  par  voglia  '  determinare  e  limitare 
nettamente  la  questione  al  solo  caso  presente,  alla  perso- 
nificazione cioè,  fatta  nel  Son.  :  Io  mi  senti'  svegliar,  della 
passione  d'  Amore  :  onde  non  par  lecito  il  trarre  da  que- 
sto passo  una  teorica  d'  allegoria  per  tutta  la  V.  A".  :  po- 
trà bene  applicarsi  la  dottrina  assai  elementare  contenuta 


Del  Balzo,  Poesie,  1,  4l>i  n '■«>(:  •  8cifntia  autein  poetica  multa 
f  i  n  j;  i  t  t't  unum  ponit  in  cortice  littere  et  aliud  signiiìcat  in  nie- 
dulla  allegorice'.  Buti,  2,  11:  '  Po3BÌ  è  scienzia  che  s*  appartiene  ai 
poeti,  che  insegna  a  fingere  e  componere  le  cose  non  vere  sì,  che 
pajano  vere  ".  Filippo  Villani.  Com.  82  :  •  Quantum  vero  ad  formam 
tractandi,  eiusque  modum,  procesHUS  est  pooticus,  fictionibus 
atque  integu  mentis  redundans  '.  Il  Villani  (  p.  155  ss  ),  par- 
lando di  poeti  e  di  poesia,  ricalca  le  orme  del  Boccaccio  (  Vifa  di 
D.  9  -  10  ;  Compendio,  17  -  20  ;  Geneol.  deor.  14,  5  ss  :  Comm.  1,  125 
ss  ),  che,  com"  è  noto,  ricalca  le  orme  segnate  dal  Petrarca  nella  let- 
tera al  fratello  Gerardo  (  Fam.  10,  4  ). 

(1)  Il  De  LoUis  (  Dante  e  i  trovatori  provenzali,  in  Flegrea  1, 
321  )  lascia  stare  ora  anche  le  pei-soni Reazioni  e  pensa  alle  meta- 
fore :  •  Allorché  Dante,  nella  Vita  Xova.  volle  render  ragione  del 
parlar  figurato  di  un  suo  sonetto  amoroso,  ebbe  a  dire  che  1'  uso 
del  linguaggio  metaforico  era  stato  un  sacrosanto  diritto  dei  poeti 
latini,  e  dovea  esser  ora  dei  poeti  volgari  '. 

20 


158  //  senso  letterale  e  V  allegoria 

in  questo  paragrafo  ad  altre  consimili  personificazioni  della 
T".  A^.  '  Ed  invero,  con  la  sua  famosa  digressione^  già  pre- 
annunziata nella  divisione  del  paragrafo  12,  il  poeta  giu- 
stifica e  chiarisce  in  fondo  ben  poca  cosa  ;  e  nessuno  sa- 
prebbe dire  perchè,  a  giudizio  dello  stesso  poeta,  questa 
sia  la  '  parte  più  dubbiosa  '  della  Vita  nuovo,  la  personi- 
ficazione d'  Amore  nel  sonetto  Io  mi  senti'  svegliar  ;  tanto 
dubbiosa  da  godere  essa  del  benefìcio  di  cosi  importante 
difesa,  che,  in  linea  subordinata,  deve  anche  all'  occorrenza 
correre  in  ajuto  di  qualche  altra  parte  men  dubbiosa  del 
libello.  Ma  codesta  benedetta  figura  non  occorre  nel  pa- 
ragrafo 24  per  la  prima  volta,  e  neppure  nel  paragrafo 
12  ;  giacché,  senza  guardare  alle  personificazioni  dello  '  spi- 
rito de  la  vita  ',  dello  ^spirito  animale  ',  dello  '  spirito  na- 
turale',  che  si  trovano  sulla  soglia  della  Vita  nuova]  la 
personificazione  d'  Amore  occorre  continuamente  fin  dal 
primo  paragrafo,  e  nelle  rime  fin  dal  primo  sonetto.  Per- 
chè dunque,  questa  del  paragrafo  24  è  la  '  parte  più  dub- 
biosa '  del  libello  ?  Perchè  il  poeta  vuol  solvere  qui  e  di- 
chiarare quel  dubbio  che  già  avea  fatto  capolino  altrove  ? 
E  se  dubbio  era,  meritevole  d'  esser  chiarito,  perchè  in- 
dugiò tanto  a  far  valere  i  suoi  diritti  ?  Come  si  spiega, 
d'  altra  parte,  che  il  poeta  si  mostra  cosi  sollecito  di  sol- 
vere tale  ingenua  dubitazione,  quando,  anche  secondo  la 
sua  sentenza,  di  dubbi  e  ben  gravi  nel  libello  vi  è  dovi- 
zia (')?  quando  egli  stesso  dice  che  teme  di  avere 
a  troppi  comunicato  il  suo  intendimento 
pur  con  le  divisioni  fatte  alla  canzone  Donne  eh'  avete  ? 
Potrebbe  forse  pensarsi  che  il  poeta  faccia  cosa  '  simiglian- 
te  all'  opera  di  quello  savio  guerriero  che  combatte  il  ca- 
stello da  un  lato,  per  levare  la  difesa  dall'altro,  che  non 
vanno  a  una   parte   la  intenzione   dell'  aiutorio  e  la  bat- 


[i)  Cfr.    TX  paraiirtìfi  7.  8,  12.  14,  15,  '28,  33.  'òi. 


La  digressione  delia  VN.  sulle  personificazion}         i:,<.i 

taglia'  (  Conc.  3,  10,  Q^).  Nel  luogo  della  Vita  nuova  che 
il  poeta  con  la  sua  digressione  vuol  chiarire,  un  dubbio 
ben  più  grave  della  personificazione  d'  Amore,  s' affaccia 
a  chi  è  certo  '  persona  degna  da  dichiararle  ogni  dubita- 
zione ',  al  Renier,  per  esempio  ;  il  quale  naturalmente  e 
ragionevolissimamente  si  domanda  (  Giorn.  Mor.  2,  387  )  : 
*  E  perchè  D.,  il  quale  impiega  tutto  il  §  XXV  nello  spie- 
gare perchè  e  come  egli  personifichi  1'  amore,  non  suppone 
alcuna  meraviglia  nei  lettori  per  il  fatto  della  somiglianza 
della  beatrice  all'amore  ?  Come  poteva  esser  simile  un  essere 
corporeo  ad  uno  incorporeo,   spirituale,   allegorico?' 

Ma  forse  qui  appunto  il  poeta  vuol  mostrarsi  *  savio 
guerriero  '.  Un  fine  recondito  par  che  abbia  davvero  quel 
dichiarare  eh'  ei  fa  la  poco  dubbiosa  dubitazione  proprio 
quando  la  '  gentilissima  salute  '  è  chiamata  '  Amore  ',  quan- 
do r  '  accidente  '  personificato  dice  che  la  *  mirabile  donna  ' 
ha  '  molta  simiglianza  '  con  lui  ;  giacché,  il  voler  far  coin- 
cidere tale  rapporto  di  somiglianza  e  tale  identità  di  nome 
con  la  digressione  sulla  personificazione  d'  Amore,  deve 
aver  avuto  gran  part«  nel  consiglio  di  ritardare  la  solu- 
zione del  dubbio  del  paragrafo  12  ;  se  non  si  vorrà  diro 
j)iuttosto,  che  la  digressione  fu  consigliata  appunto  dal- 
l' opportunità  di  creare  quella  coincidenza.  Certo,  non  par 
verosimile  che  il  poeta  togliesse  pretesto  per  ismaltire  la 
sua  erudizion  letteraria,  che  non  gli  sarebbero  mancate 
occasioni  meno  futili  ;  né  pare  probabile  eh'  egli  si  scalma- 
nasse tanto  per  giustificarsi,  cosi  tardivo,  della  personifi- 
cazione d'  Amore,  benché  a  prima  giunta  sembri  eh'  ei  co- 
desto soltanto  volesse  fare.  La  gente  grossa  non  era  certo 
'  degna  da  dichiararle  ogni  dubitazione  '  ;  di  chi,  come  Gui- 
do Orlandi,  pensava  '  Ch'  amor  sincero  non  piange  né  ride  ', 
si  era  bene  sbarazzato  di  sdegnosamente  il  suo  primo  amico. 

E,  a  parte  quella  significativa  coincidenza,  altro  in- 
sinuava più  apertamente  il  poeta  ;  eh'  ei  derivava   1'  arte 


160  11  senso  letterale  e  V  allegorln 

sua  dai  poeti  latini,  che,  come  ognun  sa,  erano  interpre- 
tati allegoricamente.  Ma  se  voleva  parlar  di  allegoria,  co- 
me pare  evidente  dall'  ultimo  periodo,  perchè  limitava  le 
sue  citazioni  alle  personificazioni  ?  Certo,  il  poeta  nel  più 
breve  spazio  possibile  (  e  il  paragrafo  25  è  il  più  lungo 
della  Vita  nnova  )  volea  citare  il  maggior  numero  di  esem- 
pi ;  certo,  i  miti  dell'  antichità  classica  erano  considerati 
pure  allegorie  ;  certo,  allo  stringer  dei  conti,  di  personi- 
ficazioni si  tratta.  Ma  che  intendiamo  noi  oggi  per  perso- 
nificazione ?  Il  nome  forse  è  nuovo  :  pare  che  allora  si 
chiamasse  prosopopea  (  cfr.  Halm,  Rhetores,  pp.  15, 
23,  72,  514  ),  come  anche  oggi  si  continua  a  chiamar  '  pro- 
sopopea o  personificazione  '  quella  figara  che  (  cito  dalle 
Istituzioni  di  Rettorica  di  Francesco  Soave  )  '  consiste  nel 
dar  senso,  vita,  discorso  alle  cose  inanimate  '.  Dante,  nel 
Coni-imo  (  3,  9,  14  ),  tocca  di  tale  figura  così  :  '  E  però  mi 
volgo  alla  Canzone^  e,  sotto  colore  d' insegnare  a  lei  come 
sé  scusare  le  conviene,  scuso  quella  :  ed  è  una  figura  que- 
sta, quando  alle  cose  inanimate  si  parla,  che  si  chiama 
dalli  rettorici  Prosopopea  ;  ed  usanla  molto  spesso  li  poe- 
ti '  (').  Comunque  sia  di  ciò,  nella  canzone    dantesca  Tre 


(1)  Filippo  Villani,  Coni.  144  *  Mi  si  fu  offerto.  Prosopopeia  est, 
seii.etopeia,  que  species  est  prosopopeie  ;  et  est  introductio  alieiiius 
ad  loqiiendum,  et  dicitur  prosopopeia  a  prosopo,  quod  est  persona, 
et  poio  pois  qiiod  est  /ingo  fingis.  Et  est  confirmatio,  seu  e  o  n  f  o  r  - 
m  a  t  i  o  nove  persone,  etiam  si  res  inanimata  introdiicatur  ad  lo- 
quendnm,  ut  illa  :  «  Xux  ego  iuncta  vie,  cum  sim  sino  crimine  vite  ». 
Ceterum  ubi  sermo  ad  rem  inanimatam  dirigitur,  potius  erit  apo- 
sti'opha,  ut  :  o  lapis  *.  Frate  Guidotto  (  La  Rettorica  nuora  di  Tullio, 
traslatata  di  grammatica  in  volgare  :  ]N"annucci,  3/an.  2,  128  )  traduce» 
'  e  o  n  f  o  r  m  a  t  i  o  '  con  '  informare  '  :  '  Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che 
si  appella  informare,  la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  pone  una 
persona,  che  non  è  presente,  che  favelli  siccome  fosse  presente,  o 
una  cosa  che  non  può  favellare,  come  fosse  se  favellasse  '.  Il  Car- 
ducci chiama  (  Op.  8,  247  )  '  prosopopea  dell'  Alighieri  '  il  sonetto  che 


La  digressione  della  VX.  sulle  personificazioni         km 

donne  inforno  al  cor,  il  Carducci  stesso  (  Op.  8,  106  )  vede 
allegoria  :  '  La  contenenza  gnomica  di  cotesta  canzone  si 
drammatizza  nella  forma  allegorica.  E  V  allegoria  qui  altro 
non  è  che  la  personificazione  dei  concetti  astratti  '.  Or  dun- 
que, la  personificazione  può  talvolta  espandersi  in  allego- 
ria ?  ovvero,  l'allegoria  può  talvolta  assottigliarsi  in  per- 
sonificazione ?  Pare  invero  di  si  ;  pare  che  l' insister  trop- 
po in  una  personificazione,  o  1'  uso  continuo  di  personifi- 
cazioni, converta  nei  bozzacchioni  dell'  allegoria  le  vere 
susine  della  jìersonificazione.  Allegorici  sono  chiamati  tutti 
quei  poemi  che  in  fin  dei  conti,  di  allegorico  non  hanno 
altro  che  personificazioni,  la  cui  favola  sulle  personifica- 
zioni ^i  sostiene.  D'altra  parte,  la  personificazione  lascia 
il  nome  alla  cosa  personificata  ;  e  gli  esempi  addotti  nella 
digressione  della  Vila  nuora,  non  possono  perciò  conside- 
rarsi tutti  semplici  personificazioni.  Insomma,  se  '  Giuno, 
ciò  è  una  dea  nemica  de  li  Troiani,  parlòe  ad  Eolo  se- 
gnore  de  li  venti  ...  e  questo  segnore  le  rispuose  ',  ben 
poteva  il  poeta  vedere  in  quel  colloquio  un'  allegoria  ;  sia- 
no pure  personificazioni  Giuno,  '  cosa  che  non  è  ',  ed  Eolo, 
'  cosa  inanimata  ',  come  spiega  il  Casini  (').  Del  resto,  for- 


coinincia.  '  Dante  Alighieri  son.  Minerva  oscura  ',  e  (  p.  319  )  '  pro- 
sopopea della  Musica  '  il  sonetto  che  comincia,  '  Io  son  la  teraa,  più 
^rata  e  faconda  '.  E  bene  abbiamo  la  famosa  •  Prosopopea  di  Peri- 
cle '  del  Monti. 

(')  Boccaccio,  Comm.  1,  250  'E  questa  s?dia  della  ragione  es- 
sere nel  nostro  cerebro,  e  perchè  quivi,  ottimamente  sotto  maravi- 
gliosa  fizione  dimostra  Virgilio  nel  primo  dell'  Eneida,  dove  dice  : 
Aeoli  a  m  venit:  hic  vasto  rex  Aeolus  antro  etc.  '  Gc- 
iieol.  (  trad.  Betussi,  Venetia  1581  :  p.  215  v  )  •  Nondimeno  sono  di 
quelli  che  vogliono  in  questa  fizzione  di  Virgilio  che  Eolo,  il  qual 
siede  nella  rocca,  sia  la  ragione  che  nel  celebro  ha  la  sua  sede,  et 
i  Venti  siano  gli  istabili,  et  vani  appetiti  che  nell'  antro  dell'  human 
petto  fanno  tumulto  \  Per  1"  allegoria  di  Giunone,  che  *  si  piglia  per 
la  terra,  et  1*  acqua,  et  talvolta  per  Y  aere  solo  ",  vd.  p.  113  ss. 


162  //  senso  letterale  e  1'  allegoria 

se  è  da  distinguere  personificazione  da  personificazione. 
Semplice  personificazione  potrà  vedersi  nelle  parole  :  (  VN, 
1,  29)  'D'allora  innanzi  dico  che  Amore  segnoreggiò  la 
mia  anima,  la  qual  fu  a  lui  si  tosto  dispensata,  e  comin- 
ciò a  prendere  sopra  me  tanta  sicurtade  e  tanta  signoria, 
per  la  virtù  che  li  dava  la  mia  imaginazione,  che  mi  con- 
venia fare  tutti  li  suoi  piaceri  compiutamente.  E'  mi  co- 
mandava molte  volte  eh'  io  cercasse  per  vedere  questa 
angiola  giovanissima,  ond'  io  ne  la  mia  puerizia  molte 
volte  r  andai  cercando  '.  Ma  personificazione  che  ben  po- 
trebbe dirsi  allegorica,  o  addirittura  allegoria,  è  nel  so- 
netto A  ciascun'  alma  presa,  e  nel  sonetto  Cavalcando  V  al- 
tr  ier  ;  ed  anche  nel  sonetto  a  cui  particolarmente  si  rife- 
risce la  digressione  che  al  presente  ci  occupa  ;  nel  quale 
si  legge  che  Amore  veniva  verso  il  poeta  cosi  allegro,  che 
era  irreconoscibile  ;  che  quell'  '  accidente  '  esortava  il  poeta 
a  fargli  onore  ;  che  quella  '  non  sustanzia  corporale  ',  '  in 
ciascuna  parola  sua  ridia  '  ;  che  quella  cosa  che  '  non  è  per 
sé  '  battezzava  col  suo  nome  monna  Bice,  perchè  gli  so- 
migliava tanto  !  Il  poeta  per  dir  tutto  codesto  del  suo  '  ac- 
cidente in  sustanzia  ',  dovea  bene  avere  '  alcuno  ragiona- 
mento '  in  sé  di  quello  che  diceva,  e  domandato  avrebbe 
ben  saputo  '  denudare  le  sue  parole  da  cotale  vesta,  in 
guisa  che  avessero  verace  intendimento  '.  Né  veramente 
la  digressione  chiarisce  codesta  allegorica  personificazione  ; 
perché  il  poeta  non  denuda  le  sue  parole  e  non  ci  mostra 
la  vera  sentenza  ;  ma  si  limita  a  giustificar  con  gli  esempi 
dei  poeti  latini  il  suo  parlar  '  per  figura  '. 

Non  dice  il  poeta  espressamente,  ben  é  vero,  eh'  egli 
faccia  liso  dell' allegoria  ;  né  che  i  poeti  volgari,  se  non 
sono  grossi  e  stolti,  debbano  usare  allegorie, 
come  vorrebbe  il  Perez  :  quanto  a  sé,  apertamente  mostra 
di  voler  giustificare,  come  dice  il  Carducci,  la  personifica- 
zione d'  Amore  e  le   altre   personificazioni   che   occorrono 


Im  digressione  detìa  VS.  sulle  personificazioni         163 

nel  libello  ;  e  quanto  ai  poeti  volgari,  ammonisce  che  chi 
vuoi  fare  allegorie,  deve  saper  bene  quel  che  fa,  deve  guar- 
dar bene  a  quello  che  fa  (*).  Nondimeno,  sia  da  codesta 
ammonizione,  sia  da  codesta  giustificazione,  sia  dal  luogo 
dove  ammonizione  e  giustificazione  occorrono,  sia  da  altri 
indizi  ;  si  potrebbe  forse  ben  desumere  che  il  poeta  non 
tutto  quel  che  pensava,  dicesse  ;  che  non  quel  che  volea 
veramente  giustificare,  apertamente  giustificasse;  che  l'am- 
monizione mirava  a  prevenire  i  possibili  indotti  censori 
della  sua,  non  certo  ingenua,  storiella  d'  amore.  E  oltre  a 
ciò,  con  quel  po'  d'  apparato  erudito  mostrava  lo  studio, 
a  cui  egli  attendeva,  dei  poeti  latini,  e  il  suo  desiderio 
d'imitarli  (-1.  Egli  dice  che  il  suo  Virgilio  parla  per  fi- 
gura, cioè  allegoricamente  (  Conv.  4,  24,  94  ;  4, 
26,  62  )  ;  or  pochi  crederanno  davvero  che,  quando  scri- 
veva la   Vita  nuota,  non  sapesse  o  non  volesse  imitare  il 


(1;  >iuii  1111  {(ir.-  improbabile  che  aveRSt*  di  mira  Danlr  ila  Ma- 
jano  :  il  quale  avoa  giudicato  (  son.  Di  ciò  che  stato  sci  )  inesplica- 
bile e  pazzesca  l' allegoria  del  sonetto  A  ciascnn'  alma  presa  :  •  Sol 
e*  hai  farneticato,  sappie,  intendo  ',  sentenziava  il  Majanese,  lardel- 
lando la  sua  insolenzij  di  triviali  volgarità.  Tuttavia,  a  una  vera- 
mente strana  e  stravagante  visione  enigmatica  del  suo  burbanzoso 
0  villano  omonimo  (  son.  Prorredi  saggio  ),  pare  che  il  poeta  rispon- 
desse, dichiarandola  allegoricamente,  con  molto  garbo  (  son.  Sarete 
giudicar:  vd.  però  Scherillo.  Ale.  cap.  241  n;  e  cfr.  Carducci,  Op. 
8.  42  ss);  sebbene  non  senza  qualche  punta  di  fino  ironia,  aneht-  a 
giudizio  del  Carducci  e  dello  Scherillo. 

(2)  Cfr.  VE.  2.  4.  2  e  7.  Cr,isp:iry.  St.  1,  2l(j  •  La  poesia  vol- 
gare, aspirando  a  mettersi  alla  pari  con  la  latina,  dovette,  dal  canto 
semplice  e  spontaneo,  com'  era  stata  nella  bocca  del  popolo  e  ne'  poeti 
aulici  di  amore,  divenir  proprio  quello  che  si  ritenea 
fosse  la  poesia  latina.  Essa  divenne  una  scienza,  come  il 
medio  evo  appellò  sempre  la  Poetica,  offrì  il  vero  nel  manto  del- 
l' immagine,  come  la  Bibbia  e  la  poesia  latina,  e  richiedeva  quindi 
lo  stesso  metodo  d"  interpretazione  ". 


164  II  senso  letterale  e  V  allegorìa 

suo  prediletto  poeta  che  nelle  personificazioni  retoriche  ; 
che  non  ammirasse  altro  nel  suo  '  autore  '  che  colori  re- 
torici ;  che  altro  non  togliesse  dal  sno  '  maestro  '  pel  '  bello 
stile  '  che  quelle  figure  di  cui  s'  infioravano  anche  le  rime 
degli  stolti  e  dei  grossi  ;  quelle  figure,  delle  quali  certa- 
mente non  si  era  aspettato  che  la  nuova  scuola  fiorentina, 
dietro  gli  esempi  dei  dottori  di  Bologna,  volgarizzasse  1'  u- 
so  ;  quelle  figure,  che  non  si  vede  bene,  in  fin  dei  conti,  di 
che  dovessero  esser  denudate  per  aver  verace  intendimento. 

Un'  altra  osservazione  sullo  stesso  luogo  della  Vita  nuo- 
ta avea  creduto  poter  fare  il  Perez,  la  quale  ci  condur- 
rebbe senz'  altro  ad  affermar  recisamente,  che  il  non  forse 
a  torto  torturato  libello  è  il  racconto  d'  un  amore  allego- 
rico ;  e  cosi  il  Carducci  bene  armò  la  sua  nota  di  un'  al- 
tra confutazione,  la  quale  alla  sua  volta  ci  condurrebbe 
senz'  altro  a  negar  recisamente,  che  nel  certo  non  ingenuo 
libello  vi  sia  ombra  d'  allegoria. 

Diceva  il  giovine  critico  (  VN.  25,  31  ):  '  E  'l  primo, 
che  cominciò  a  dire  si  come  poeta  volgare,  si  mosse  però 
che  volle  fare  intendere  le  sue  parole  a  donna,  a  la  quale 
era  malagevole  d' intendere  li  versi  latini.  E  questo  è  con- 
tra  coloro,  che  rimapo  sopr'  altra  matera  che  amorosa  ;  con 
ciò  sia  cosa  che  cotale  modo  di  parlare  fosse  dal  principio 
trovato  per  dire  d'  Amore  '.  Il  Perez  vorrebbe  che  la  pa- 
rola '  materia  ',  nel  linguaggio  scolastico  e  quindi  dantesco, 
valesse  '  per  l' appunto  quello  che  oggi  diremmo  apparenza 
o  forma  esteriore  '.  Il  Carducci  ragionevolmente  obbietta 
che  la  parola  '  materia  '  occorre  in  De  Vulgari  Eloquentia 
(2,  2  )  e  nella  stessa  Vita  nuova  (  17,  6  ;  18,  45  e  48  ),  nel 
significato  che  ha  nell'  oraziano  (  ad  Pis.  38  ),  '  Sumite  ma- 
teriam  vestris,  qui  scribitis^  aequam     Viribus  '  (')  ;  e  con- 


(t)  Cfr.   VE.  2,  4,  3.  iS'ella   Vita  nuova  la  parola  'materia'  oc- 
corre anche  nel  significato  di  '  cagione  '.  '  motivo  "  :  (  8,  42  )  '  Poi  che 


Il  rimar  sopra  materia  amorosa  165 


chiude:  '  Quando  scriveva  il  l'olytd'e  EliH^a  io.  Dante  nella 
maturità  delle  sue  forze,  Dante  che  aveva  già  composto  le 
tre  canzoni  della  Rettitudine ,  sentiva  di  poter  allargare, 
se  non  altro  con  1'  esempio  suo,  i  limiti  della  nuova  poesia  ; 
e  per  ciò  le  proponeva  la  triplice  materia  della  salute  pub- 
blica, dell'  amore,  della  virtù.  Dante  ancor  giovine  e  non 
ancor  sicuro  di  se,  teneva  co'  più  de'  suoi  contemporanei 
che  le  rime  volgari  non  potessero  avere  altra  materia,  al- 
tro argomento  che  amoroso, essendo  i  più  nobili  argomenti 
degni  di  sola  la  poesia  latina  :  tant'  è  vero  che  incominciò  a 
verseggiare  in  latino  un  di  quei  concetti  primordiali  di 
quel  tutto  che  fu  poi  la  Dicina  Commedia  '  (*). 

Nessuno,  senza  dubbio,  può  non  trovar  giusta  1'  ob- 
biezione del  Carducci.  Ma  forse  dall'  interpretazione  d'  una 
parola  non  si  può  cavare  tutto  quel  costrutto  che  egli  vor- 
rebbe cavare,  come  non  si  può  venire  neppure  alla  con- 
clusione esorbitante  del  Perez.  È  certo  che  *  la  litterale 
sentenza  sempre  è  suggetto  e  materia  dell'  altre,  massima- 
mente dell'allegorica'  {Conc.  2.  1,  89):    A  cprto   che    le 


hiù  data  matera  al  cor  doglioso,  Ond'  io  vado  pensoso.  Di  te  bla- 
smar  la  lingua  s'  affatica  '  (  vd.  anche  13,  36  e  47  ).  Al  passo  di  Guit- 
tono  (  Xannucci.  Ma».  2.  152  ),  •  Perchè  non  ho  materia  di  tut- 
ta gioia?'  mi  par  che  faccia  eco  il  dantesco,  '  Perchè  non  sali 
il  dilettoso  monte.  Ch'  è  principio  e  cagion  di  tutta  gioia?' 
Sarebbe  ozioso  citiire  qui  i  luoghi  delle  altre  opere  di  Dante,  dove 
la  parola  *  materia  '  occorre  nei  suoi  significati  ordinari. 

(•)  Cfr.  D'  Ovidio,  Saggi  enfici,  IS^apoli  1878:  p.  851  s:  De  LoUis. 
in  Flegrea.  1.  322  s-s.  È  notevole  che,  anche  in  tempi  non  molto  dai 
nostri  lontani,  si  discuteva  ancora  suU'  attitudine  del  nostro  volgiire  a 
trattar  certi  argomenti.  La  lingua  italiana  venne,  per  cosi  dire,  di  se- 
colo in  secolo  regolarmente  promossa  per  anzianità,  di  grado  in  grado 
ufficialmente  abilitata  ad  esprimere  concetti  d' ordine  sempre  più  ele- 
vato. Il  Boccalini  {Ragguagli  di  Parnaso,  73)  c'informa  che  Apollo, 
a  malgrado  d' una  '  gagliardissima  istanza  '  dei  letterati  italiani,  non 
volle  mai  concedere  alla  lingua  italiana  di  trattar  cose  di  filosofìa. 


166  II  senso  letterale  e  V  allegoria 

canzoni  allegoriche  del  Convivio  sono  '^d'  amore  materiate  ', 
che  la  '  materia  '  della  canzone  Voi  che  intendendo  è  '  amo- 
rosa ',  come  '  amoroso  canto  '  (  Purg.  2,  107  )  è  la  canzone 
Amor  che  nella  mente  (').  La  canzone   Le  dolci  rime   d'  a- 


(1)  Epist.  Kaiii,  10  '  Differt  ergo  [  comoedia  ]  <a  tragoedia  in  ma- 
teria per  hoc,  qiiod  tragoedia  in  principio  est  adrairabilis  et  quieta, 
in  fine  sive  exitu  est  foetida  et  horribilis  . . .  Comoedia  vero  inehoat 
asperitatem  alieuius  rei,  sed  eius  m  a  t  e  r  i  a  prospere  terminatur  . .  . 
Et  per  hoc  patet,  quod  Comoedia  dicitur  praesens  opus.  Nam  si  ad 
m  a  t  e  r  i  a  m  respieiamus,  a  principio  horribilis  et  foetida  est,  quia 
Infcrnns  ;  in  fine  prospera,  desiderabilis  et  grata,  quia  Paradisns  '. 
Della  Lana,  1,  103  '  La  prima  cosa  ...  è  da  notare  la  m  a  t  e  r  i  a 
0  V  e  r  o  s  u  b  i  e  1 1  o  della  presente  opera,  la  quale  è  lo  stato  delle 
anime  dopo  la  morte  '.  Sennonché,  mentre  1'  epistola  canina  chiama 
bensì  '  subietto  '  1'  argomento  così  del  senso  letterale  come  del  senso 
jiUegorico  (  8  '  His  visis,  manifestum  est  quod  duplex  oportet  esse 
snbiectiim,  circa  quod  currant  alterni  sensus.  Et  ideo  videndum  est 
de  subiecto  huius  operis,  prout  ad  literam  aceipitur  ;  deinde  de  su- 
biecto,  prout  allegorice  sententiatur  '  ),  ma  non  chiama  '  materia  ',  co- 
me pare,  che  il  solo  argomento  del  senso  letterale  ;  il  Della  Lana 
invece  non  fa  alcuna  distinzione,  e  chiama  '  materia  '  1'  uno  e  1'  al- 
tro '  Bubietto  '  :  '  Un  altro  modo,  egli  dice,  può  esser  considerando 
la  materia  o  v  e  r  o  s  u  b  i  e  1 1  o  d'  essa  :  cioè  lo  uomo  lo  quale 
per  lo  libero  arbitrio  può  meritare  overo  peccare  '.  Ma  veramente, 
benché  il  Della  Lana  collimi  in  questo  particolare  con  1'  Epistola 
(  8  '  Est  ergo  subiectum  totius  operis,  1  i  t  e  r  a  1  i  t  e  r  tantum  ac- 
cepti,  status  anima  rum  post  mortem  sirapliciter  sum- 
ptus  ...  Si  vero  accipiatur  opus  allegorico,  subiectum  est  h  o  - 
mo,  prout  merendo  et  demerendo  per  arbitrii  li- 
bo rtatem  lustitiae  praemianti  aut  punienti  obnoxius  est  '  ),  non 
dice  espressamente  che  dei  due  modi  di  considerare  la  '  materia  o- 
vero  subietto  '  della  Commedia,  V  uno  riguarda  il  senso  letterale, 
1'  altro  r  allegoria.  Si  poti'ebbe  però  osservare  che  il  poeta  nel  Co«- 
Vìvio  (  1,  1,  104  ;  1,  2,  122  ),  scrìvendo  che  le  sue  canzoni  sono  '  si 
di  amore  come  di  virtù  materiato  ',  e  poi  che  '  non  passione  ma 
virtù  si  è  stata  la  movente  cagiono  '  di  quel  rimare  ;  intese  forse 
chiamar  '  materia  '  il  '  subietto  '  così  del  senso  letterale  come  del 
senso  allegorico. 


Il  rimar  sopra  materia  amorosa  167 


iiivr,  iiLii  è  certo  di  mateiia  auiorosa,  giacché  ■  non  eia 
buono  sotto  alcuna  figura  parlare  '  ;  nondimeno  la  figura 
e  r  amorosa  materia  non  sono  del  tutto  bandite,  grazie  a 
quella  specie  di  cornice  allegorica,  materiata  d'  amore,  in 
cui  s'  inquadra  la  materia  dottrinale  (').  D'  altra  parte,  una 

(1)  Non  pare  si  possa  negar  che  il  poeta  allarga  nel  De  Viil- 
gari  Eloqaentia  i  confini  della  poesia  volgare  segnati  nella  Vita  nuo- 
va. Xondiint-no.  la  contrndizrono  appare  a  primo  aspetto  più  stri- 
dente di  4U«'l  che  in  realtà  forse  essj»  non  è.  Nella  Vita  nuota  si 
tratterebbe  d'  un'  affermazione  troppo  assolnta  e  troppo  recisa,  con- 
sigliata dall'  opportunità,  ed  includente  un  sottinteso,  per  giunta  : 
nel  De  Vn/f/firi  Eloquentia  invece,  d'una  classificazione  dottriiiiili-. 
che,  a  ben  considerare,  non  è  fatta  che  per  soggetti,  degni,  per 
cosi  dire,  di  materia  poetica  :  poichò,  giova  notare,  la  voce  •  mate- 
ria '  occorre,  non  nel  testo,  ma  nella  didiiscalia  del  capitolo  (  VE. 
2,  2  ).  E  ben  potrebbe  la  '  materia  amorosa  '  di  cui  parla  la  Vita 
nuova,  abbracciare  anche  la  Virtus  e  la  Salus,  o  pel  fatto  dell'  al- 
legorìa, o  pel  fatto  del  solito  accenno  a  madonna,  consuetudine  tro- 
vadorica.  anche  in  rime  di  contenuto  non  amoroso  ;  o  pel  fatto  del 
parlare  a  '  donne  innamorate  *,  anche  in  rime  di  contenuto  dottri- 
nale, com'  è  il  caso  della  canzone  Doglia  mi  reca,  citata  in  De  Vul- 
gari  Eloquentia  per  la  Rettitudine  :  la  quale  canzone,  come  anche 
l'altra  Poscia  eh'  Amor,  è  tutta  di  motivi  amorosi  risonante.  An- 
che a  proposito  della  Divina  Commedia  si  potrebbe  forse  dire  che 
la  visione  dantesca,  nella  sua  impostatura,  non  è  che  la  rappresen- 
tazione d'  un  rapporto  amoroso  verso  madonna,  che  il  mistico  viag- 
gio non  è,  come  infatti  dice  il  Del  Lungo  (  Dal  sec.  331  ),  che  un 
•  aiTivare  '  alla  donna  della  Vita  nuova,  alla  donna  delle  rime  del 
nuovo  dolce  stile  d'  amore.  Si  chiarirebbe  cosi  qualche  curiosa  cir- 
costanza, si  toglierebbe  via  1'  occasione  a  qualche  dubbio  o  incer- 
tezza, e  non  ci  sorprenderebbe  qualche  omissione.  Se,  come  si  vuole, 
il  poeta  avea  sulla  coscienza  tante  rime  d"  argomento  suppergiù  e- 
rotico  (e  in  VE.  sono  citate:  le  due  sestine  pietrose,  Al  poco  giorno 
e  A  mor  tu  redi  ben  :  le  canzoni  Donna  pietosa.  Donne  che  avete.  A  - 
mor  che  nella  mente.  Amor  che  movi,  e  Traggemi  de  la  mente  Amor 
la  stiva  [■?  VE.  2,  11,  3]),  nonché  l'erotico  libello,  si  proclamava 
egli  cantore  della  Rettitudine  per  le  tre  canzoni  dottrinali  (  solo  due 
citate  in   VE.  :  Doglia  mi  reca  e  Poscia  eh'  amor  )  ?  Ci  tispcttorenimo 


168  II  senso  letterale  e  V  allegoria 


poesia  amorosa  che  non  abbia  intendimenti  allegorici,  è 
materiata  d'  amore,  ha  per  '  materia  '  amore,  appunto  co- 
me quella  che,  materiata  allo  stesso  modo,  ha  tutt'  altro 
intendimento.  Un'  astrazione  può  esemplarsi  in  questa  o 
in  quella  materia,  e  vige  nella  materia  scelta  dal  poeta  che 
parla  sotto  veste  di  figura,  che  rappresenta  quell'  astra- 
zione in  un'  allegoria.  Un  pittore,  potendo  in  mille  modi 
rappresentar  la  Pietà,  incarna  e  materializza  la  sua  idea 
in  quelle  figure  che  gli  pare  che  meglio  s'  attaglino  al  suo 
concetto,  o  che  meglio  sa  disegnare  e  colorire,  o  che  più 
predilige,  o  che  i  compratori  più  prediligono.  Pel  poeta, 
poniamo,  la  materia  sarà  1'  amore,  e  specificatamente  gli 
effetti  della  presenza  dell'  amata,  la  dolcezza  del  saluto, 
la  lode  della  sua  donna  ;  se  egli  vi  farà  circolar  dentro 
r  altro  suo  intendimento,  se  vi  soffierà  dentro  il  suo  bra- 
vo senso  riposto,  la  materia  sarà  sempre  amorosa,  ma  sarà 
soltanto  soggetto  della  sentenza  allegorica,  del  verace  in- 
tendimento ;  se  invece  quella  materia  sarà  come  un  basto- 
ne piombato,  non  sarà  che  il  soggetto  di  se  stessa,  e  sarà 
parimenti  materia  amorosa  ;  sarà,  per  dir  così,  materia  i- 
norganica,  come  nell'  altro  caso  sarà  materia  organica,  an- 
zi animata.  Tizio^  insomma,  è  sempre  Tizio,  sia  che  pensi 
colla  sua  testa,  sia  che  si  lasci  suggestionare  da  Sempro- 
nio ;  la  materia  amorosa  è  materia  amorosa,  sia  quando 
non  è  mossa  né  commossa  e  nemmeno  molestata  dall'  al- 
legoria, sia  quando  ubbidisce  all'  ascosa  verità  e  si  atteg- 
gia secondo  i  voleri  dell'  altro  intendimento.  Or  se  il  poeta 
non  concedeva  che  si  potesse    rimar   sopra   altra   materia 


anche  nel  De  Vulgari  Eloquentia,  come  vediamo  in  altri  casi,  una 
esplicita  ritrattazione  della  teoria  della  Vita  nuova.  A  me  pare,  in- 
somma, che  si  vogliano  stringer  troppo  i  panni  addosso  al  poeta, 
senza  tener  conto  neppure  dei  motivi  che  gli  avranno  potuto  dettare 
e  r  affermazione  forse  maliziosa,  e  la  classificazione  certo  dottrinalo. 


//  rimar  sopra  materia  amorosa  im 

che  amorosa,  è  naturale  che  di  quella  materia  dovea  ser- 
virsi chi  volea  parlar  veramente  d'  amore,  come  chi  volea 
parlar  d'  altro  ;  con  questa  differenza,  che  chi  volea  parlar 
d'  altro,  doveva  assumere  la  materia  amorosa  come  veste 
indossata  dalla  verità  che  volea  significare  (').  Sennonché, 
codesta  verità  dovea  esser  tale,  o  dovea  esser  concepita 
come  tale,  che  non  fosse  troppo  goffa  in  quell'  abbiglia- 
mento ;  epperò,  se  la  materia  amorosa  non  rappresentava 
un  amore  reale,  un  reale  sdilinquimento  erotico,  la  '  sen- 


(*)  !Xon  molto  lontano  dal  yom  pam-bbo  il  Rospotto,  ohf  il  poe- 
ta, con  la  sua  mansiina  che  ai  tirava  dietro  anche  una  censura,  vo- 
lesse riprovare  lo  dissertazioni  e  le  prediche  in  versi  di  Guittone  : 
mostrando  coli'  esempio  che  ben  si  potea  cantar  di  Dio,  cantando 
di  madonna  o  a  madonna.  Xon  sarà  invero  s<^nza  sijrnifìcato  il  fatto 
che  del  religiosissimo  Dante  non  una  canzone,  non  un  sonetto  ab- 
ì)iamo  d'  argomento  religioso.  Comunque  sia  di  ciò,  certo  non  solo 
Guittone  meritava  quella  tiratina  d'  oi'ecchi.  Voleva  Dino  Compagni, 
por  esempio,  aver  dal  giudico  Lapo  Saltarelli  un  parere  legale?  e 
naturalmente  poneva  mano  a  un  sonetto.  E  cantava  il  cliente  (vd. 
Dol  Lungo,  Dino  Compagni  e  la  sua  Cronica,  Firenze  1879-80:  1. 
327  ss  )  :  •  Per  Dio.  me  date  una  sentenza  vera  D'  una  quistion  leg- 
giera Ch'  è  nata  di  diritto  maritaggio  '.  Una  donna  ebbe  tre  ma- 
riti, r  un  dopo  r  altro  ;  un  figlio  del  primo  letto  e  una  figlia  del 
terzo  letto  :  e  mori.  Il  terzo  marito,  rimasto  vedovo,  sposò  un'  altra 
donna,  dalla  quale  ebbe  un'  altra  figlia  ;  e  morì  anche  lui.  La  que- 
stione ò  intorno  ai  beni  dotali.  '  A  questa  dote  ogni  figliuol  s'  api- 
glia. Dal  primo  al  terzo,  com'  avete  udito  :  Ciascun  si  crede  aver 
dritto  pulito.  Piacciavi  dir  se  torto  vi  somiglia'.  Rispondeva  per 
le  rime  U  '  sommo  saggio  di  scienz'  altera  ',  messer  Lapo  :  '  Vostni 
quistione  è  di  sottil  matera  '  ;  e.  fatto  lungo  preambolo  per  salvar 
la  modestia  e  gi-atificar  di  qualche  reverenza  Dino,  •  d' ingegno  lu- 
men» ',  risolveva  brevemente  e  in  fretta  '  la  sottil  matera.  Di  ra- 
gione stranerà  ',  cominciando  :  •  Dico  dunque  che  '1  caso  è  difinito  '  : 
suppergiù  come  il  dottore  Azzeccagarbugli  diceva  a  Renzo;  e  forse 
anche  il  Saltarelli  come  U  suo  tardo  plagiario,  non  aveva  ben  capito 
{li  che  si  trattasse.  Ma  vedete  un  po'  che  generazione  di  rime  anda- 
vano escogitando  quegli  uomini  gravi  di  mercatiinzio  e  di  toghe  ! 


170  II  senso  letterale  e  V  allegoria 


sibile  dilettazione  ',  insomma  ;  ma  da  qualche  contrassegno 
dava  indizio  d'  altro  intendimento  ;  l' ascosa  verità  non 
poteva  essere  altro  che  an  amore  allegorico.  Sicché  a  ben 
riguardare,  la  materia  amorosa,  anche  quando  era  soggetto 
della  sentenza  allegorica,  d'  amore  a  ogni  modo  veramente 
parlava,  e  poteva  sempre  ben  dirsi  materia  d'  amore. 

Se  così  stanno  le  cose,  come  a  me  veramente  pare 
che  stieno,  dal  luogo  controverso  non  e'  è  da  cavare  gran- 
de costrutto  per  l' intelligenza  della  Vita  nuova.  Giacché, 
appunto  questo  è  da  dimostrare,  che  le  rime  e  la  narra- 
zione del  libello  siano  '  suggetto  e  materia  '  della  sentenza 
allegorica,  d'una  qualunque  sentenza  allegorica,  che  critici 
autorevoli  non  vogliono  ammettere  ;  ovvero,  che  rime  e 
narrazione  non  siano ^'  suggetto  e  materia'  di  niente  altro 
che  di  quello  che  letteralmente  dicono,  perché  quello  che 
dicono  letteralmente  è  verosimile,  e  non  richiede  altro  in- 
tendimento, e  non  accenna  in  nessun  luogo  e  in  nessun 
modo  a  sensi  riposti.  Dall'  essere  il  libello  materiato  d'  a- 
more,  non  si  può  certo  dedurre,  né  che  il  verace  inten- 
dimento del  poeta  fosse  quello  di  raccontarci  la  singolare 
istoria  del  suo  amore  per  una  donzella  o  per  la  moglie 
altrui,  né  che  la  vera  sentenza  del  libello  sia  1'  amore  per 
un'  astrazione.  Da  ben  altro  che  dall'  interpretazione  della 
parola  '  materia  '  potrà  aver  soluzione  il  secolare  problema 
della   Vita  nuova. 

Ma  sarà  bene  a  ogni  modo  notare,  che  par  poco  pro- 
babile che  quel  precetto,  non  forse  senza  intenzione  così 
assoluto  ed  esclusivo,  sia  venuto  per  caso  e  quasi  di  sop- 
piatto ad  adagiarsi  nella  dotta  digressione  giustificativa 
della  personificazione  d'  amore. 


LE  RIME  E  IL  RACCONTO 

DF.U.X    VITA    NrOVA. 


1. 


Grande  sarebbe  la  delusione  di  chi  si  accingesse  a  leg- 
gere, spoglio  d' ogni  commento,  il  giovanile  libello  del 
'  pazzo  d'  amore  '  ;  senza  aver  niente  delibato  e  senza  nien- 
te sapere  di  quella  critica  lattiginosa  che  investe  oramai 
la  Vita  nuoca  come  torrente  eh'  alta  vena  preme,  ma  pur 
col  presupposto  di  trovarvi  la  storiella  d'  una  passione  a- 
niorosa,  o  almeno  un  poetico  e  sentimentale  racconto  d'  u- 
na  platonica  passioncella  romanzesca.  Però  che  questo,  allo 
stringer  dei  conti,  è  il  costrutto  del  giustamente  giudicato 
'terribile'  libello.  'La  gloriosa  donna  de  la  mente',  'da 
molti  chiamata  Beatrice,  li  quali  non  sapeano  che  si  chia- 
mare ',  '  dal  principio  del  suo  nono  anno  ',  'apparve' 
a  un  fanciulletto  di  quasi  anni  nove,  '  vestita  di  nobilissi- 
mo colore  umile  ed  onesto  sanguigno  '  ;  e  'in  quel 
punto  '  grande  fu  il  commovimento  e  conturbamento  dei 
novenni  '  spiriti  '  del  miracoloso  ragazzo  ;  i  quali,  certo 
compresi  della  gravità  del  momento,  emisero  sentenze  la- 
tine. Dopo  nove  anni  appunto,  né  un  giorno  di  più,  ne 
una  notte  di  meno,  codesta  gloriosa  donna  'apparve' 


172  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

un'  altra  volta  all'  oramai  giovinetto  suo  muto  spasimante, 
*  vestita  di  colore  bianchissimo,  in  mezzo  di  due  gen- 
tili donne,  le  quali  erano  di  più  lunga  età  '  ;  e  in  questo 
secondo  '  a  p  p  a  r  i  m  e  n  t  o  ',  salutò  il  suo  trasognato  a- 
doratore  '  molto  virtuosamente  '.  Per  una  strana,  certo  non 
combinata,  combinazione,  '  V  ora  che  '1  suo  dolcissimo  sa- 
lutare giunse,  era  fermamente  nona  di  quel  giorno  ;  e  però 
che  quella  fu  la  prima  volta  che  le  sue  parole  si  mossero 
per  venire  agli  orecchi  '  del  per  nove  anni  troppo  paziente 
e  poco  esigente  innamorato  ;  a  costui  '  parve  allora  vedere 
tutti  li  termini  de  la  beatitudine'.  Ma  tutto  finisce 
quaggiù,  anche  la  inebriante  dolcezza  del  saluto  !  Dopo 
alquanti  anni,  la  '  gentilissima  salute  ',  la  '  donna  della 
mente  ',  la  '  distruggitrice  di  tutti  i  vizii  e  reina  de  le 
virtudi  ',  senza  evidente  e  sufficiente  ragione,  '  passando 
per  alcuna  parte  ',  '  negò  '  al  suo  malcapitato  amante  co- 
desto '  suo  dolcissimo  salutare,  nel  quale  stava  tutta  la 
beatitudine'  di  quel  poveretto,  certo  di  non  ecces- 
sive pretese  ;  e  per  giunta,  in  una  prossima  occasione, 
quella  '  cortesissima  '  sua  e  d'  altri  Beatrice,  '  si  gabbò  '  di 
lui.  In  fine,  non  ostante  tutto  ciò,  il  sempre,  e  allora  più 
che  mai,  infiammato  e  singolare  giovine,  pose  tutta  la  sua 
'beatitudine'  'in  quelle  parole  '  che  fossero  lode 
della  gentilissima  e  cortesissima  che  lo  avea,  senza  dubbio 
cortesissimamente  e  gentilissimamente,  schernito  ;  e  non 
cercò  più  altro. 

Su  codesta  tenue  tela,  nella  quale  si  son  vedute  '  le 
solite  vicende  di  cui  s' intense  la  vita  degli  amanti  '  ;  su 
codesto  semplice  canavaccio,  che  non  ha  impedito  di  fare 
un  giovine  Werther  del  giovine  Alighieri  ed  una  Carlotta 
di  Beatrice,  che  non  ha  distolto  dal  pensare  a  Giulietta  e 
a  Romeo,  che  non  ha  sconsigliato  di  scomodare  Giorgio 
BjTon  e  Gian  Giacomo  Rousseau  ;  brillano  i  trapunti  di 
parecchie  considerazioni,  i  ricami  di  alcuni  episodi  che  di- 


Im  materia  delta  VK.  e  V  adattamento  delle  rime      i/B 


rettamente  o  iiminLtamente  si  licuiuiettuiio  all'  amor  del 
poeta,  i  dipinti  di  sogni  e  visioni.  Ed  è  certo  cosa  ben  sin- 
golare e  caratteristica  questa  :  in  un  racconto  d' amore 
così  impalpabile  e  così  fuori  dalle  contingenze  della  vita, 
mentre  si  tace  perfino  del  luogo  dove  codesto  amore  così 
stranamente  nacque  e  in  modo  così  inverosimile  si  nutrì, 
vi  sono,  quasi  per  accrescer  perplessità  nel  lettore,  alcune 
indicazioni  cronologiche  cosi  precise  che,  se  da  una  parte 
non  pare  giusto  attribuirle  a  un  semplice  capriccio  di  fan- 
tasia, dall'  altra  parte  sembra  che  sieno,  sotto  un  certo  ri- 
spetto, poco  consonanti  con  l' intonazione  generale  del  libro. 
E  sarebbe  forse  indagine  non  priva  di  positivi  risul- 
tati instituire  un  confronto  tra  le  rime  e  la  prosa  della 
Vita  nuora,  e  veder  se  quelle  rime  avvalorino  e  confermi- 
no la  notizia  della  prosaica  narrazione,  se  siano  documenti 
che  in  certo  modo  forniscan  la  prova  dei  fatti  narrati. 
Giacché,  venute  alla  luce  prima  della  composizione  del  li- 
bello ;  coeve  alle  vicende  amorose  che,  come  dice  la  prosa, 
furono  propizia  occasione  di  quel  rimare  ;  frutto,  la  mag- 
gior parte,  dell'  ispirazione  d'  un  tempo  in  cui  il  poeta  non 
si  era  ancora,  secondo  ogni  probabilità,  spinto  col  suo  a- 
more  verso  le  nebbiose  latitudini  del  misticismo  ;  potreb- 
bero, anzi  dovrebbero,  esse  rime  appunto  fornir  la  più  si- 
cura testimonianza  della  storicità  del  racconto,  o  per  me- 
glio dire,  del  nocciolo  storico  del  racconto.  Ma  se,  per  con- 
verso, le  rime  non  conservano  traccia  di  quei  fatti,  se  la 
prosa  mostra  ritorcimento  del  primitivo  significato  delle 
rime  e  adattamento  a  un  nuovo  e  molto  posteriore  dise- 
gno organico,  e  attribuisce  talvolta  alle  rime  allusioni  così 
lontane  che,  a  malgrado  delle  dichiarazioni  e  delle  indica- 
zioni fornite  dallo  stesso  poeta,  non  si  riesce  a  vederle 
punto  ;  a  me  pare  che  si  possa  dir  quasi  con  certezza  che 
quei  fatti  sono  finzione  posteriore,  e  che  il  libello  è  stato 
messo  insieme,  sia  nella  scelta  delle  rime,  sia  nel  loro  ri- 


174  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  miova 

torcimento  e  adattamento,  con  intendimenti  affatto  estra- 
nei alla  concezione  delle  rime  stesse  ('). 


(*)  Facevo  appunto  tali  considerazioni  o  tali  raffronti,  qnanclo  in 
ima  bella  conferenza  del  Flamini,  pubblicata  nella  Eicista  d' Italia 
del  15  giugno  l%dfi.{ Dante  e  lo  stil  nuovo,  p.  230 ),  lessi  le  seguenti 
parole  che  mi  confermarono  nel  mio  sospetto.  '  La  Vita  Nova  è . .  . 
come  il  preludio  o  il  preambolo  della  Commedia.  Mossa  insieme  o 
ordinata  mentre  l' idea  del  gran  poema  si  dovea  venire  a  poco  a 
poco  determinando  e  già  forse  anche  disegnando  nella  mente  del- 
l' autore . . . ,  la  Vita  Nova  inserve  a  un  alto  ed  unico  concetto,  e, 
di  conseguenza,  delle  rime  dantesche  già  prima  «  divulgate  tra  le 
genti  »  sol  quelle  trasceglie  ed  ospita,  che  allo  svolgimento  graduale 
di  codesto  concetto  o  fossero  congenite  o  potessero  in  qualche  modo 
adattarsi.  Poiché  ...  il  cantor  di  Beatrice  ...  ha  proceduto  a  un  pen- 
sato lavorio,  oltre  che  di  selezione,  di  adattamento  ...  In  tal  guisa 
più  d'  un  componimento  poetico  antecedentemente  scritto,  1*  Alighie- 
ri, nel  mettere  insieme  la  Vita  Nova,  ha  tratto  ad  una  significazio- 
ne alquanto  diversa,  o  si  è  sottilizzando  ingegnato  di  dimostrar  gra- 
vido di  riposti  sensi,  d'  allusioni  segrete,  che  non  contiene,  dappoi 
che,  dettandolo,  1'  autore  certo  non  vi  pensava  neppur  per  ombra.  ' 
Sennonché,  il  Flamini  si  tiene  ben  lontano  dalle  conclusioni  a  ciii 
mi  pare  si  debba  venire  da  tali  premesse.  '  Quest'  adattamento,  egli 
scrive,  com'  è  naturale,  in  ispecial  modo  si  riferisce  ai  particolari  di 
fatto,  connessi  all'  occasione  o  alla  materia  di  quelle  rime,  a  cui  nella 
parte  prosastica  si  accenna  ;  ciò  che  di  molte  cose,  s' io  non  m' in- 
ganno, vale  a  renderci  ragione,  le  quali,  come  inverosimili,  appar- 
vero al  Bartoli  e  ad  altri  seri  indizi  per  negare  la  realtà  sto- 
rica dell'amore  di  Dante'.  Ma  forse  cade  qui  anche  il  Fla- 
mini nel  solito  equivoco  di  confondere  e  scambiare  il  problema  sto- 
rico degli  amori,  diciamo  così,  reiili  o  sensuali  di  Dante,  con  la  que- 
stione dell'  amore  di  cui  parla  la  Vita  nuova.  Il  Bulle  (  Dante  '  s  Bea- 
trice, vd.  Giorn.  stor.  17,  131  s  ),  come  vidi  poi,  aveva  già  fatto  sup- 
pergiù le  stesse  osservazioni  del  Flamini,  ed  era  incorso  nello  stesso 
inconveniente.  E  osservazioni  simili  a  quelle  del  Bulle  e  del  Flamini, 
fece  più  tardi  anche  lo  Scarano  {Beatrice,  67  ss).  Affatto  gratuita  l'af- 
fermazione dell'  Earle  (  VN.  di  D.7S):  '  non  vediamo,  egli  dice,  nessuna 
ragione  per  credere  che  la  Vita  Nuova  fosse  una  compilazione  di  poe- 
sie già  composte,  ma  riteniamo  piuttosto  che  le  poesie  fux*ono  scritte 
ciascuna  per  il  posto  che  adesso  occupa,  eccettuato  il  primo  sonetto.  ' 


Il  8on.  A  ciasctin'  alma  presa  175 

Esaminiamo  dunque  le  poesie  della  prima  parte  della 
Vita  nuoca,  per  la  tesi  della  realtà  certo  la  piìi  importante, 
nella  quale  il  D'  Ancona  vede  '  Amori  giovanili  e  Rime  sulla 
bellezza  fisica  di  Beatrice  '. 


Primo  Bonetto.  A  ciascun'  alma  presa  e  gentil  core  (  VN.  3  ).  Do- 
po nove  auni  <li  muta  adorazione,  il  poeta  udì  la  prima  volta  le  pa- 
role di  Beatrice  nel  ricevere  un  saluto.  Come  inebriato  si  partì  da 
le  genti,  ricorso  al  solingo  luogo  d'  una  sua  camera,  e  si  pose  a  pen- 
sare  d«'lla  cortcsiKsima.  (^li  sopraggiuns«>  un  soave  sonno,  nel  qiutle 
«rli  apparve  una  maravigliasji  visione.  Svegliatosi,  propose  di  farla 
sc>ntire  a  molti,  fumosi  trovatori  in  quel  tempo,  e  scrisse  il  sonetto. 
Xel  quale  però,  manca  (putlunque  accenno  al  saluto:  manca  'la  ne- 
bula  di  colore  di  fuoco  '  ;  non  è  detto  che  Amore  parlasse,  e  che 
nelle  sue  parole  dicesse  *  molte  cose  '  che  il  suo  fedele  *  non  inten- 
dea,  se  non  poche  '  :  non  è  detto  che  madonna  dormisse  '  nuda  '  nelle 
braccia  d'Amore:  né  che  il  "drappo*,  in  cui  •  parea  involta*,  fosse 
•  sanguigno  "  :  né  che  1'  amoroso  sognatore  conobbe  eh'  essa  era  *  la 
donna  de  la  salute*,  o  ch'era  Beatrice:  cose  tutte  codeste  che  si 
leggono  nel  racconto  in  prosa.  In  fine,  che  Amore  se  ne  gisse  con 
madonna  '  vei*8o  il  cielo  ',  è  pure  un  accomodamento  alla  chetichel- 
la, molto  significativo,  della  prosaica  '  ragione  '. 

Se  nessuno  dei  '  risponditori  '  intese  allora  il  sonetto,  e  se,  come 
dice  il  poeta,  '  ora  è  manifestissimo  a  li  più  semplici  ',  non  è  già  da 
supporre  che  allora  per  intendere  quella  visione  fosse  necessaria  la 
divinazione  del  futuro.  Gli  è  che  il  nuovo  intendimento  non  poteva 
t'sser  veduto  allora  per  alcuno:  e  quel  che  alcuno  poteva  allora  ve- 
liere, non  dovea  scostarsi  troppo  da  quel  che  il  poeta  avea  voluto 
significare  con  la  concezione  allegorica  del  suo  sonetto.  Il  posterio- 
re adattamento  e  1*  amplificazione  simbolica  di  quella  visione,  mi- 
rano evidentemente  a  dar  valore  di  profezia  a  quel  sogno  che  il 
])oeta  aveva  inventato  per  proporre  ai  fedeli  d*  Amore,  secondo  il 
vezzo  di  quei  tempi,  una  specie  di  indovinello  sul  motivo,  non  nuo- 
vo, del  cuore  mangiato  :  né  il  saluto,  o  la  donna  deUa  salute,  o  la 
gentilissima  «Uute,  c'entravano  per  niente  in  quella  finzione  d'an- 


176  /^e  ì'ime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

tropofagia  amorosa  (*).  Certo,  è  ragionevole  pensare  che,  se  nessuno 
dei  •  risponditoi'i  '  ha  proprio  colto  nel  segno,  o  1'  uno  o  Y  altro  si 
sarà  bene  avvicinato  alla  prima  e  vera  intenzione  del  poeta  ;  o  forse, 
parte  1'  uno  e  parte  Y  altro,  avranno  ben  dichiarato  il  sonetto  pro- 
posto. Nessuno  vorrà  dare  oggi  ragione  allo  sguajato  ed  insolente 
Majanese,  che  delle  sue  insolenze  e  sguajataggini,  d'  altra  parte,  non 
aveva  allora,  come  non  si  ha  mai,  ragione  alcuna.  Comunque,  resta 
bene  assodato  che  il  grande  avvenimento  dei  diciott'  anni,  il  saluto 
della  donna  della  salute,  non  riceve  conferma  dal  sonetto  ;  il  quale, 
nella  prosa  esplicativa,  con  opportuno  amplificazioni,  assume  nuovo 
0  più  profondo  significato  allegorico. 


La  nebiila  di  colore  di  fuoco,  il  drappo  sanguigno,  il  cuore  ar- 
dente, sono  forse  simboli  di  queir  '  incondium  amoris  '  dallo  cui  fiam- 


(*)  Codesto  motivo  del  saluto  di  madonna,  entra  Invece  In  molte  altre  rime  di 
Dante,  Pare  motivo  dello  stil  nnovo,  e  quindi  delle  nnoie  rime  ;  certo,  dal  rimato- 
ri del  nuovo  dolce  stile  assai  sfruttato.  Lapo  Gianni  (ball.  Amore,  io  non  son 
degno  ),  a  tanta  grazia  di  madonna,  pare  uscito  davvero  fuor  d'  ogni  grazia  di 
Dio.  Guido  Gulnlcelll  invece  (son.  Lo  vostro  bel  saluto),  forse  per  la  complica- 
zione dei  •  gentil  guardo  ',  rimaneva  *  come  statua  d'  ottono  *.  Il  D'  Ancona  vor- 
rebbe leggere,  nel  luogo  della  Vita  nuova,  '  la  donna  delle  salute  ',  cioè  '  del  sa- 
luti '  ;  non  escludendo  tuttavia  che  vi  possa  essere  '  doppia  significazione  e  al- 
lusione alla  virtù  saiutlfei-a  della  donna  amata  '.  Osserva  11  Renler  (  Giorn.  stor. 
2,  372),  che  non  è  certo  "bella  cosa  il  cliiamaro  una  donna  la  donna  dei  saluti, 
quasiché  il  salutare  fosse  jier  lei  cosa  abituale  '  ;  e  gli  sembra  •  che  in  quel  plu- 
rale vi  sia  del  biasimo  ".  Nondimeno,  anche  lasciando  stare  1*  emendazione  del 
D'Ancona,  la  Beatrice  della  Vita  nuova  è  davvero  la  donna  del  saluti.  Quella 
mirabile  donna  non  faceva  che  salutare,  o  dare  salute,  cioè  saluti,  di  qua  e  di  là. 
E  quanto  codesto  costume  della  gentilissima  fosse  anche  delle  costumate  fan- 
ciulle di  quei  tempi,  si  vede  da  questo  luogo  del  Barberino  ( Regg.  45 )  :  'E  se 
le  avvien,  che  con  la  madre  sua  Per  alcun  luogo  passi.  Non  s' Inframmetta 
d'  alcun  salutare  ;  Ma  cortese  e  soave,  Facendo  plcciol  passi,  e  radi,  e  pari, 
Vada  davanti  a  lei  ;  Non  guardando  sua  spera.  Né  risguardando  alcuno.  Né 
dilettandosi  nelle  dande,  che  vede.  Ma  guardi,  e  pensi  come  onesta  vada  '.  3Ia 
mi  dimenticavo  che  pel  D'  Ancona  si  tratterebbe  d'  una  donna  maritata.  E  la 
■  donna  Ideale  '  del  Renler,  sarebbe  per  avA'entura  1"  idealo  della  donna  marita- 
ta ?  O  sarebbe  codesta  del  salutare  una  delle  due  qualità  (  l'altra  sarebbe  il  gab- 
barsi, qualche  volta  )  naturali  alla  donna,  senza  tener  conto  del  suo  stato  civile  ? 
Che  si  dicesse  poi,  non  solo  //  saluto,  ma  anche  la  salute  o  la  saluta  (  cfr.  salu- 
lem  dicere,  salute  data  redditaque,  prov.  la  salnts  ),  non  è  dubbio.  E  agli  esempi 
nddotti  dal  D'  Ancona  e  dal  Casini,  si  può  aggiungere  questo  del  Barberino  (  Do- 


/  simboli  dell'  incendium  amoris  177 


me  è  por\'n«j»  la  letteratura   mistica  (*).  Beno  il  Gorra  (  La  teorica 
ilrìV  .ntiui-r ,   in    /)/•.  '•  P.  ^^  !\  •"•  »    insinua    <-h''   il   mantello   allego- 


CttM.  44)  I  :  -  Xò  vo'  eh*  alcano  Lsdegnl  ;  E  per  camln  Me  '1  maggior  troverai.  Da 
lunzi  Inchinerai;  E  se  *1  Aalnta.  tu  rispondi  poi.  Se  90.  non  dir  da  poi.  Non 
vaglia  la  salute:  eh'  egli  avviene  Talor  pensier  ehe  '1  tiene  ;  Basti  ehe  tu  Al 
tuo  debito  fatto'.  Del  resto,  è  ehlaro  che  il  giochetto  anfibologleo  era  solo  pos- 
sibile col  doppio  senso  già  consolidato  della  parola  salute. 

(•(  Gregorio  3Iagno.  Homiliac  in  Erang.  2,  30.  1  ■  Hodle  namque  Splrltus 
sanctus  repentino  sonitu  super  discipulos  venit,  mentesque  carnaliam  In  sui  a- 
morem  permutavit  :  et  foris  apparentibus  linguls  IgneLs.  intus  facta  ftunt  corda 
flammantla:  quia  dnm  Deum  in  Ignis  visione  susciplunt,  per  a  m  o  • 
rem  snavlter  arserunt.  Ipse  namque  Spiritns  sanctus  Amor  est ' .  2,  90. 
5  •  Ignem  veni  mittere  in  terram,  et  quid  volo,  nisi  Mi  ardeat  f  Terra  enlm  vo- 
cata  sunt  eorda  terrena,  quae  dnm  semper  infìmas  in  se  cogltationes  eongerunt. 
a  ninlignis  spiritibus  conculcantur.  Sed  ignem  Dominus  in  terram  mittit,  cum 
afflatu  sancii  Splrltus  corda  carnallum  incendlt.  Et  terra  ardet.  cum 
cor  carnale  in  suls  pravls  volnptatibus  frigidum.  relinqait  concupiscentias 
praesentls  seenli.  et  Incenditurad  amorem  Del.  Bene  ergo  in  Igne  ap- 
par  ni  t  Spiritns:  quia  ab  omni  corde  quod  replet,  torporem  frigoris  excutit,  et 

hoc  in  desiderium  suae  aeternitatis  acceudit Vel  certe  In   linguLs   IgneLs  ap- 

l>aruit  Spiritns.  quia  omnen  quos  repleverit.  ardentes  pariter  et  loquentes  facit. 
Linguas  igneas  doctores  habent  :  quia  dum  Deum  amandnm  praedicant.  corda 
audlentium  inflammant.  Nam  et  otiosus  est  sermo  doeentls,  si  praebere 
non  valet  incendium  amoris.  Hoc  doctrlnae  Incendlnm  ab  Ipso  Verltatls 
ore  eonceperant.  qui  dlcebant :  Nonne  cor  nostrum  ardens  erat  in  no- 
bis,  cani  loqueretur  in  ria,  et  aperiret  nobis  Scriptnras  f  Ex  andito  qulppe  ser- 
mone Inardescit  animas.  corporLs  frigns  reeedit  :  fit  mens  In  superno  desiderio 
.uixla,  a  concuplscentils  terrenis  aliena.  Amor  verns  qni  hanc  repleverit.  in  f  I  e  - 
tii)us  cruciai;  sed  dum  tali  ardore  cruciatur,  Ipsls  suLs  crnciatlbus  pasci- 
tiir".  Mor.  25.  15  •  Ignis  in  altari  semper  ardebit...  Altare  qnippe  Del,  est  cor 
nostrum,  in  quo  julwtur  ignis  semper  ardere:  quia  necesse  est  ex  Ilio  ad  Do- 
ininum  caritatis  flamniam  Indeslnenter  ascendere'.  In  Gregorio  anche  1"  Imma- 
ulne  della  dormiente  nelle  braccia  del  divino  Amore:  Expositio  super  Cant. 
cantic.  2.  8  •  Sancta  auteni  anima  sponsa  ChrLsti  a  cnnctis  mundi  perturbai  ioni- 
bus  qnlescere  appotit,  in  slnu  Sponslsopitls  terrenis  cupldltati- 
I1US  dormire  sancto  otto  eoncnplsclt...  Sed  hanc  dormlentem 
(-arnales  qui  sunt  in  Ecclesia  nonnnmqnam  importune  excl- 
i:int,  negotlls  mandi  eam  Implicare  deslderant*.  Anche  pel  sa- 
luto, non  sarebbe  fuor  di  luogo  guardare  un  po'  nella  Bibbia  :  Psal.  9, 16  •  Exul- 
tabo  In  salutari  tuo  :  12.  6  Exultabit  cor  meum  in  salutari  tuo  ;  20.  2  Super  sa- 
lutare tnum  exultabit  vehementer  ;  23.  5  HJc  accipiet  benedlctlonem  a  Domino  et 
mlserlcordiam  a  Deo  salutari  suo  :  34,  9  Anima  autem  mea  exultabit  In  domine, 
et  delectabitnr  super  salutari  suo  ;  50,  14  Kedde  mlhl  laetitlam  salutarLs  tul  ;  84, 
10  Terumtamen  prope  tlmentes  enm  salutare  Ipslns;  118,  41  Et  ve- 
nlat  super  me  misericordia  tua.  Domine:  salutare  tnum  secundum  eloqninm  tnum; 
81  Defecit  In  salutare  tunm  anima  mea;  123  Ocnll  mei  defece- 


178  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuora 


i-ico  (  '  r  amore  che  signoreggia  V  amante  '  ),  di  cui  parla  un  an- 
tico poemetto  francese  (vd.  p.  249),  'potrebbe  indurre  a  pensare 
che  un  significato  allegorico  abbia  anche  il  drappo  nel  quale  Amo- 
re tiene  avvolta  Beatrice  ignuda  nel  primo  sonetto  della  Vita  Nuo- 
va \  Dante  infatti  (  se  è  di  Dante  il  son.  Savete  giudicar,  responsivo 
al  son.  Provvedi  saggio  ).  i  versi  del  Majanese, 

Appresso  mi  trovai  por  vestlglono 
Cainlscia  di  suo  dosso  a  mia  parvenza. 

cosi  interpretava  : 

Lo  vestimento  asolate  vera  spene 
Che  fla  da  loi.  cui  desiato,  amore  ; 

cioè,  come  spiega  il  Carducci  {Op.  8.  44).  •  Abbiate  speranza  vorace 
che  il  vestimento  . . .  sarà  o  sia  simbolo  significativo  elio  voi  avrete 
amoro  da  parte  di  lei  cui  desiderato  '.  Il  Barberino,  in  una  canzonci 
discorrendo  della  forma  da  lui  data  ad  Amoro,  attribuiva  significato 
allegorico  al  nudo  (  Docmn.  800  )  : 

Nudo  1"  ò  fatto  per  mostrar  com'anno 

Le  sue  virtù  spiritual  natura. 

Non  è  compresa,  ma  comprende  pura. 

E  poi  per  onestura, 

Non  per  significanza  il  covre  al(][uanto 

Lo  dlpintor  di  ghti-landa  e  non  manto  (*). 

Ma  forse  non  a  tutti  parrà  giustificata  codesta  indagine  sid  si- 
gnificato allegorico  del  drappo  e  del  nudo.  Michele  Scherillo,  in  una 
sua  arguta  recensione  (  Bull.  ns.  9,  180  s  ),  inserì  la  seguente  '  chio- 
serella  \  por  ammonire,  come  pare,  '  qualche   critico    timorato  '  cho 


runt  in  salutare  tuum;  166  Expectabam  salutare  tuiim,  domine;  174  Con- 
cupivi salutare  tuum,  domine  ;  et  lex  tua  meditatio  mea  est  '.  VN.  11,  7  'E 
quand"  ella  fosse  alquanto  propinqua  al  salutare,  uno  spirito  d' Amore,  distrug- 
glendo  tutti  gli  altri  spiriti  sensitivi,  pingea  fori  li  deboletti  spiriti  del  viso,  e 
dlcea  loro  :  *  Andate  a  onorare  la  donna  vostra  >  ;  ed  elli  si  rlmanea  nel  luogo 
loro.  E  chi  avesse  voluto  conoscere  Amore,  fare  lo  potea  mirando  lo  tremore 
de  gli  occhi  miei.  E  quando  questa  gentilissima  salute  salutava,  non  che  Amoro 
fosse  tal  mezzo,  che  potesse  obumbrare  a.  me  la  intollerabile  beatitudine,  ma  elli 
quasi  per  soverchio  di  dolcezza  divenia  tale,  che  '1  mio  corpo,  lo  (juale  era  tutto 
allora  sotto  '1  suo  regg;m?nto,  molte  volte  si  movea  come  cosa  grave  inanimata. 
Sì  che  appare  manifestamente  che  no  le  suo  salute  abitava  la  mia  beatitudine,  la 
quale  molte  volte  passava  e  redundava  la  mia  capacitate  '. 

(*)  Cfr.  Petrarca,  son.  Non  d' atra  e  tempestosa,  '('loco  non  già.  ma  faretra- 
to 11  veggio  ;    Nudo,  se  non  (luanto  vergogna  il  cela  ". 


//  drappo  e  il  nudo  iTìi 


t^i  s)iiiu1ali/znva  di  vodor  madonna,  nella  vÌRÌono  della  i  un  nunia. 
dormir  nuda  nelle  braccia  d'  Amore,  e  '  mulinav.-i  allegorie  e  «im- 
boli  sbalonlitivi  '.  Scrive  dunque  lo  S<*lH»rillo  :  •  Ho  mostrato  altrove 
^Alcuni  capitoli,  p.  2B2-3)  quftle  fosse  il  modello  orientai»»  del  so- 
pno  dantesco  :  e  ho  anche  richiamato  qualche  sconcia  narrazione 
trovsuloresca  di  sojrni  procaci  (  225  -  2B  ).  E  ora,  senza  pretendere 
di  giustifìcare  il  giovinetto  Dante  di  quel  suo  guardare  molto  inten- 
tivo,  sono  al  caso  <!'  aorjji ungere  che  il  costume  in  cui  ei  sognò  che 
Beatrice  dormisse  è  un  tocco  realistico  veramente*  singolare  e  pò- 
tentti  ;  e  tale  da  sgjinmire,  esso  solo,  tutti  i  più  fer>'enti — e  ohimè, 
ce  ne  sono  ancor  tanti  !  —  investigatori  o  sognatori  di  simboli  e  d'  al- 
legorie. Jfel  sonetto  aveva  detto: 

e  nelle  braccia  area 
Madonna.  Involta  In  nn  drappo  dormendo. 

Il  pudore  è  salvato  dal  drappo,  che  nella  prosa  è  specificato  san- 
guigno e  leggiero  ;  ma  poiché  la  bella  dormente  non  s' ora  accorta 
della  presenza  di  quel  Signore.  «  tanto  che  solo  una  camicia  »  aves- 
se potuto  vestire,  essa  continuava  nelle  sue  braccia  a  tranquilla- 
mente dormire  nuda.  Cosi  appunto  le  donne  (  e  gli  uomini  altresì  | 
dormivano  a'  tempi  di  Dante  :  o  che  fossero  madri  amorevoli,  come 
quella  della  similitudine  di  Inf.  XXIII,  38:  o  gentildonne  capric- 
ciosette,  come  quelle  ritratte  in  nn  affresco  della  chiesa  di  San  Luc- 
chese in  Poggiijonsi.  Quel  costume  molto  semplice  e  primitivo,  che 
richiamava  sì  vivamente  colei  «  Il  cui  palato  a  tutto  il  mondo  co- 
sta »,  era  dunque  cosi  generale  in  Firense,  che  Dante  non  sospetta 
possji  ai  fedeli  o  agi' inf«xleli  d'amore  sembrare  sconveniente  che 
la  sua  gentilissima  non  vi  si  sottraesse  !  '  Certo,  codestii  ipotesi  del 
critico  elegante  ed  arguto,  condita  della  solita  festività,  è  molto  se- 
ducente. Sennonché,  non  avendo  detto  il  poeta,  nella  rima  presto 
divulgatii.  che  madonna  dormiva  nuda,  non  pare  davvero  che  quel 
nudo  aggiungesse  egli  nella  prosa  della  Vita  nuora,  così  esagera- 
tamente pudica  (  vd.  VX.  19,  121  )  e  così  immateriale,  per  la  fisi- 
ma, giusto  in  una  visione  allegorica,  del  tocco  realistico  ;  o  per  lo 
scrupolo,  giusto  questa  volta,  di  non  essere  stato,  nel  sonetto,  esat- 
tamente obbiettivo  :  preoccupato,  come  parrebbe,  dalla  considera- 
zione che  la  gloriosi»  donna  della  mente,  la  donna  della  salute,  non 
potesse. dormir  nelle  braccia  d'Amore,  se  non  come  le  donne  del 
cuore  e  della  perdizione  nei  soffici  loro  letti.  E  gli  uomini  altresì  : 
ma  Dante  pare  che  allora  dormisse  vestito  addirittura.  Lasciamo 


180  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


stare  i  timorati  e  i  collitorti,  che  sono  poi  quelli,  per  quanto  io  ne 
sappia,  che  più  si  riscaldano  nell'  adocchiare  qua  il  '  nudo  '  e  al- 
trove la  '  carne  '  della  vezzosa  Bice  :  se  allora  tutti  dormivano  nudi 
(  ed  anche  ora  veramente  molti,  specialmente  in  estate  ),  pare  anche 
poco  probabile  che  fosse  il  caso  di  notare  tal  generale  costumanza 
nella  dormiente  gentilissima  salute,  non  avendo  altra  intenzione  che 
qnella  del  tocco  realistico  :  ora  un  particolare  codesto,  che  ognuno, 
senza  speciale  nota,  avrebbe  sottinteso  da  sé,  anche  nel  processo 
verbale  di  un  sopraluogo.  Giusta  mi  pare  invece  l' interpretazione, 
che  il  '  drappo  sanguigno  '  fosse  '  leggiero  '  ;  non  già  '  d'  un  leggie- 
ro colore  sanguigno  ',  come  chiosa  il  Giuliani,  o  '  di  nna  leggera 
tinta  sanguigna,  rosea  ',  come  spiega  anche  il  Casini  ;  il  quale,  col 
Giuliani  e  il  D' Ancona,  richiama  il  '  nobilissimo  colore  umile  ed 
onesto  sanguigno  '  di  cui  apparve  A'ostita  la  pretesa  bambinella  di 
otto  anni  al  non  ancora  novenne  servente  (*).  E  potrebbe  forse  l' in- 
terpretazione dello  Scherillo  spianare  la  via  a  qualche  altra  sup- 
posizione. Se  proprio  è  da  leggere  :  '  ISTe  le  sue  braccia  mi  parea 
vedere  una  persona  dormir  nuda,  salvo  che  involta  mi  parea  in  un 
drappo  sanguigno  leggeramente  '  ;  e  non  :  '  in  un  drappo  leggera- 
mente sanguigno  ',  come  legge  qualche  codice  (**)  ;  credo  che  si  possa 


(*)  VN.  1,  12;  cfr.  39,  3  '  MI  parve  vedere  questa  gloriosa  BeJitrlce  con  quelle 
vestimenta  sanguigne,  co  le  quali  apparve  prima  a  11  occhi  miei'.  Per  codesto 
sanguigno  abbigliamento,  sia  detto  di  passata,  Att.  Luciani  {La  VN.  preeed.  da 
uno  Studio  critico,  Roma  1883)  si  pose  in  cuore  di  rivolgere  gli  occhi  del  corpo 
e  l' acume  della  mente  alle  pitture  del  trecento,  e  di  verificare  se  le  fanciulle  di 
quel  tempo  vestivano  qualche  volta,  come  anche  oggi,  di  rosso.  E  1"  esplorazio- 
ne pare  che  abbia  condotto  l'editore  della  Vita  7/no/'flr  alla  conclusione,  che  pro- 
prio le  bambinelle  allora  tlgnevano  il  mondo  di  sanguigno.  Ma  vd.  piuttosto 
Pnrg.  30,  33  '  Vestita  di  color  di  fiamma  viva  '.  Anche  la  donna  allegorica  del 
Barberino  {Eegg.  76),  'Veste  sanguigna  avea';  e  la  Fortezza  (p.  350)  'per  lo 
suo  vigore  ha  rossa  veste  '.  Caterina  djv  Siena  scriveva  ad  una  serva  di  Dio  : 
'  Inebriatevi  del  sangue,  saziatevi  del  sangue,  vestitevi  del  sangue". 

(**)  Perchè  poi  II  poeta  dovesse  aggiungere  quel  '  leggei-amente  '  non  ad  '  In- 
volta', ma  a  '  sanguigno  ',  non  si  vede.  Non  determinava  egli  abbastanza  la  gra- 
dazione del  rosso  con  la  sola  parola  sanguigno  ?  O  si  dirà  eh'  egli  voleva  qui 
specificare  il  colore  del  sangue  impoverito  delle  clorotiche  ?  Né  il  confronto  col 
'  nobilissimo  colore  umile  ed  onesto  sanguigno  '  pare  molto  congruente.  Gli  attri- 
buti '  umile  ed  onesto  '  non  determinano  una  varietà  di  color  sanguigno,  ma  at- 
tribuiscono umiltà  e  onestà  a  chi  di  sanguigno  si  veste,  appunto  come  1'  attri- 
buto '  nobilissimo  '  attribuisce  nobiltà.  Beatrice  vestiva  umilmente  e  onestamen- 
te e  nobilissimamente  di  sanguigno  :  11  color  sanguigno  non  ei-a,  insomma,  che 
un  contrassegno  di  quelle  sue,  cei'to  non  bambinesche,  virtù.  Nel  paragrafo  39 


Involta  leggeramente  I8l 


c-uii  qualche  probabilità  eongetturai'«.  eiiu  il  pu«>t<i.  avendo  {>ii>tu  nel 
sonetto  che  madonna  era  '  involta  in  un  drappo  \  e  volendo  poi  dire 
invece  che  era  ignuda,  abbia  trovato  modo  di  conciliare  il  pia  detto 
col  nuovo  intendimento,  di  iilentilìcare  madonna  involtai  nel  drappo, 
con  la  donna  della  salute  ignuda  ;  aggiungendo  ali*  affermazione  as- 
soluta, *  mi  parea  vedere  una  persona  dormir  nuda  ',  una  specie  di 
limitiizione  introdotta  da  un  '  salvo  che  ',  por  farci  entrare  anche  il 
drappo.  Il  quale,  secondo  la  ragione,  '  leggeramente  \  appena  ap- 
pena, involgea  Beatrice,  richiamando  l' immagine  di  quelle  vaghe 
ed  eteree  figurine  ignude,  avvolte  il  seno  in  un  niml>o  vaporoso  e 
fiammeggiante  di  bende  morbide.  Il  significato  allegorico  che  pare 
abbia  il  drappo,  avvolgente  e  non  sanguigno,  nel  sonetto,  sarebbe 
muditicato.  anzi  mutato  addirittura,  nella  prosa,  sia  coli'  aggiunta 
del  sanguigno,  sia  colla  nota  del  particolare  nuovo,  che  esso  drappo 
lasciava  scoperta  madonna;  e  cospirercibbe  con  la  •  nebula  di  colore 
di  fuoco  '  e  col  '  cuore  ardente  ',  a  simt>oleggiare  V  -  incendium  a- 
moris  '  di  cui  abbiamo  parlato.  Al  '  nudo  '  poi,  che  manca  nel  so- 
netto, e  che  non  senza  ragione  nella  r  off  ione  il  poeta  insinuò,  io 
credo  sia  proprio  da  attribuire  il  significato  allegorico  a  cui  pen- 
sava il  Barberino.  Certo,  tutto  codesto  ^  non  è  cosa  che  si  porti  in 
mano  '  :  tuttavia,  che  il  poetii  in  codesti  accomo<lamenti  dovesse  te- 
ner modi  ambìgui,  sembra  cossi  molto  naturale.  Certo,  codesti  pa- 
jono  oggi,  e  forse  sono,  arzigogoli,  stiracchiature,  sottigliezze  ;  tut- 
tavia, giusta  mi  pare  1'  osservazione  del  Rocca  (  Mate  Ida.  nella  rae- 
coltii  Con  Dante  e  per  Dante.  Milano  1808  :  p.  9(j  ),  che  •  il  simigli- 
smo  è  scabroso  anche  se  trattato  da  Dante';  e  non  ingiustificato  il 
suo  sospetto,  che  '  i  dubbi  o  i  dissensi  '  siano  nati  dall'  aver  lasciato 
'  tJ'oppo  da  parte  '  *  i  simboli  e  le  allegorie  '.  Forse  talvolta,  anche 
illustri  maestri  e  critici  sagaci  come  lo  Scherillo,  concedono  il  pa- 
trocinio del  loro  eletto  ingegno  a  qualche  pregiudizio  che  sia  riu- 
scito a  insediarsi  con  improntitudine  fastidiosa  nell'  oramai  ben  tur- 
rito castello  della  critica. 

Secondo  il  Renier  (  Giorn.  .ftor.  2,  39J  ),  i  '  famosi  trovatori  '  non 
capirono  niente  della  visione  dantesca,  'perchè  in  quel  sonetto  era 
già  presagiti»  la  beatrice  celeste,  che  era  fuori  della  loro  maniera  di 
concepire  '.  Del  tutto  cervellotica  la  ricostruzione   dell'  Earle  (  VX. 


infatti,  le  •  restlmenta  '  •  di  nobilissimo  colore  nniile  ed  onesto  flan^lgno'  sono 
semplicemente  •  sangmlgne  '  :  e  nel  paragrafo  9  si  legge,  che  Amore  'apparve  co- 
me peregrino   leggeramente   vestito". 


182  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


di  Z>.  73  s  )  :  nel  sonetto.  Amoro  sarebbe  Cristo  ;  il  pianto  d'  Amo- 
re, '  le  lagrime  di  Cristo  su  Gerusalemme  '  ;  madonna,  '  la  Chiesa, 
la  Sposa  che  obbedisce  allo  Sposo  Divino,  perfino  mentre  si  ritira 
dall'  ufficio  impostole  '  ;  ed  altro,  altro  eziandio.  Nella  prosa  poi  si 
vedrebbe  un  adattamento  alla  rovescia  :  '  Quello  che  nella  conce- 
zione originale  non  era  che  una  pittura  emblematica  di  una  men- 
tale attitudine,  era  adesso  rivestito  di  storiche  relazioni  e  di  terre- 
stri contorni  ;  e  1'  emblema  di  un'  idea  astratta  si  era  trasformata  in 
un  personaggio  concreto  capace  di  figurare  in  un  poema  epico  ', 
Come  abbia  fatto  1'  Earle,  che  pure  ha  qualche  buona  osservazione, 
a  trasferire  nel  sonetto  quel  che  è  della  prosa,  e  nella  prosa  quel 
che  è  del  sonetto  ;  a  vedere  in  '  madonna  '  del  sonetto,  '  la  donna 
de  la  salute  '  della  prosa,  e  nella  '  donna  de  la  salute  '  della  prosa 
'  madonna  '  del  sonetto,  io  non  saprei  dire.  Certo,  non  sempre  lo 
buono  marito  fa  la  buona  mogliera.  Si  vedano  piuttosto  le  sennato 
osservazioni  dello  Scherillo,  Ale.  cap.  329  ss;  del  Gorra,  Genesi,  in 
Di',  e  P.  121  s;  dello  Zingarelli,  Dante,  87  s.  Riferimenti  e  con- 
fronti in  D'  Ancona,  VN.  32  ss  ;  Benier,  Giorn.  stcr.  2,  375  s  ;  Sche- 
rillo, Ale.  eap.  223  ss;  Gorra,  Genesi,  119  s  (ma  cfr.  Eass.  hibl.  8, 
134  n  3  ),  Non  trovo  però,  che  si  sia  fatto  cenno  di  O-vadio  ;  il  quale 
{Amores.  3,  5)  ha  proprio  il  racconto  di  un  suo  amoroso  sogno  sim- 
bolico, di  cui  anch'  egli  chiese  il  '  parvente  ',  ma  a  persone  più  com- 
petenti dei  •  famosi  trovatori  ',  a  qualche  interprete  di  visioni  not- 
turne ;  e  riferisce  la  spiegazione  avutane  (*). 

Assai  si  sono  sbizzarriti  alcuni  per  trovare  '  lo  verace  giudi- 
ciò  '  del  sogno  del  giovinetto,  futuro  splendore  italico.  Il  Lamma, 
rinfrescando  la  congettura  del  Todeschini  {  Se/:  1,  328  ;  cfr.  D'  An- 
cona F#.  28  ss.  )  intorno  alla  data  del  matrimonio  di  Bice  Porti- 
nari,  argomentava  (  Qnest.  77  ss  )  :  '  Se  noi  supponiamo  che  il  ma- 
trimonio di  Beatrice  avvenisse  nel  1283,  il  primo  sonetto  della  Vita 
Nuova  ci  sembrerà  alquanto  più  chiaro.  Se  Beatrice,  sposa 
al  De  Bardi,  amava  Dante,  non  ostante  che  i  vincoli  di 
moglie  glielo  vietassero,  è  spiegato  perchè  Amore  l' avesse  colta 
addormentata,  cioè  in  un  momento  in  cui  la  sua  ragione  non  po- 
teva illuminarla,  e  mostrarle,  se  non  colpa,  almeno  il  male  che  olla 

facea  concedendo  questo  amoro  al  poeta Amoro  la  svogliava  per 

farle  pascere  del  cuore  di  Dante,  cosa  che  olla  paventosamente  fa- 


(*)  Un'altra  visione  d"  Amore   nel  sonno  (  •  si  modo  somnus  eraf)  In  Rem. 
amor,  555.576. 


Lo  verace  giudich  18^ 


c«-v...  j„i,n,.  ,,,.-..,  Ila.  amava  tjuaiulo  il  sud  aiuor»'  poU-va  i»st«ero 
una  colpa.  E  così  si  spicca  porche  Amore  fosst»  alleorro  prima,  quan- 
do ciot*  si  sforzava  iH  far  m:mjriaro  a  Beatrice  il  cuore  di  Danto, 
perchè  è  di  sua  natura  e  si  compiaco  quando  può  istigare  in  altri 
il  suo  fuoco ....  ma  piangeva  allontanandosi  da  lei, 
perchè  l'aveva  costretti»  ad  amare  quando  altri  vincoli  non  glielo 
permettevano,  quasi  e  »»  m  <•  disse  ('ino.  <;  o  m  m  i  s  e  r  a  n  d  o 
Indonna  che.  anch'  immi  \n|,iiil<j.  dovea  purea- 
mare.  Se  è  imp(>.ssil)ile  ammettere  che  in  questa  visione  si  allu- 
(l»»srt««  alla  morte  di  Beatrice,  e  o  m  e  o  p  i  n  a  v  a   i  1  C  a  v  a  1  e  a  n  - 

1  i  .    -nltanto   così   spieghiamo  le  parole:  //  verace  giudizio è  ora 

inaiiifrslo  al/i  pi»  semplici,  perchè  la  Vita  Xuoca  fu  divul- 
gata nel  13  00.  quando,  cioè,  quegli  amori  comin- 
ci a  v  a  n  o  ,i  d  .  -  r.  <•  I-  Il  I)  i  i .  !•  Dante  nel  Convito  dava  ad  intende- 
re che  Beatrice  era  la  figlia  bellissima  dell'Impe- 
ratore dell'Universo^  (  p.  79  *  il  Conrito  fu  scritto  per  nar- 
rare il  suo  secondo  amore,  nel  quale  la  Bice  Portinari  è  convertita 
nella  eccelsa  Beatrice  "  |.  Con  la  hella  ipotesi  dunque,  ch*^  Beatrice 
non  volle  sjdiitar  Dante  prima  di  andare  a  nozze  con  Simone,  il 
Damma  spiega  il  sonetto  :  e,  oltre  il  sonetto,  spiega,  o  si  spiega,  pa- 
recchie altre  cost\  E  il  suo  ragionamento  potrebl>e  forse,  bene  o 
male,  andare,  ed  anche  correre,  se  non  fosse  viziato  da  molte  ine- 
sattezze ed  errori  di  fatto  ;  di  che  il  brano  citato  dà  saggio  noi  luo- 
ghi segnati  con  1'  espediente  srrafìco  dello  spazieggiare.  Sennonché, 
il  Damma,  ripicchiando  su  codesto  chiodo  e  confutando  T  interpre- 
tazione del  Melodia  (la  quale,  se  non  collima» colla  sua,  riposa  sem- 
pre sulla  stessii  ipotesi  iniziale,  il  matrimonio  di  Beatrice,  cioè  di 
Bice  Portinari,  avvenuto  intorno  al  1:2S3.  che  sarebbe  poi  anche 
data  indiscussa  del  sonetto  |,  mentre  ci  ammonisce  (  p.  112  s  )  di  la- 
sciare *  andare,  una  buona  volta,  di  spiegare  questo  sonetto  con  una 
certa  superficialitìi  e  leggerezza  ',  ci  annunzia  eh*  ei  non  ci  tiene  poi 
tanto  alla  sua  trovata,  (  p.  108  )  può  '  anzi  ammettere  che  sia  ad- 
dirittura assui'da  '.  Sfondimene,  la  biografìa  di  Folchetto  lo  induce 
a  domandarsi  (  p.  115  ),  '  perchè  non  si  pnti\i  supporre  che  Dante, 
sotto  il  celarne  delti  versi  strani,  alluda,  nel  primo  sonetto  della  Vita 
Suora,  al  fatto  stesso  per  cui  tanto  lui  che  Folchetto  debbono  ri- 
correre alle  donne  dello  schermo  '.  Certo,  con  un  poco  di  buona  vo- 
lont?».  tutto  si  può  supporre.  Ma  giuste  mi  sembrano  a  ogni  modo 
le  osservazioni  che  a  codeste  inteiiiretjizioni  del  Damma  e  del  Me- 
lodia, fa  il  Gorra  (  Genesi,  114  ss  )  ;  come  giustifìcatissima  è  lu  breve 


184  Le  rime,  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


nota  che  vi  dedica  lo  Scherillo  {Ale.  cnp.  330  ni).  E  forse  tanto 
discutere  non  sarebbe  mai  stato,  so  si  fossero  più  attentamente  con- 
siderati i  sonetti  responsivi  di  Guido  e  di  Cino  ;  e  se  si  fosse,  dal- 
l' altra  parte,  tenuto  nel  debito  conto  che  il  '  verace  giudicio  ',  che 
'  non  f  uè  veduto  allora  per  alcuno  ',  non  era  propriamente  quello 
espresso  nel  sonetto,  che  certo  a  un  dipresso  fu  veduto  o  intrave- 
duto ;  ma  quello  che  volle  poi  al  sonetto  attribuire  il  poeta.  Codesto 
•  verace  giudicio  ',  non»  del  sonetto,  ma  al  sonetto  affibbiato,  sarà 
come  si  suppone  generalmente,  il  presentimento  della  morte  di  Bea- 
trice ;  e,  nel  senso  allegorico,  suppongo,  il  presagio  dell'  ascensione 
in  cielo  di  Beatrice,  del  trasferimento  dell'  affetto  del  poeta  dalle 
cose  di  questo  basso  mondo  alle  cose  dell'  altro,  dagli  schermi  della 
Veritade,  dai  simulacri  della  Beatitudine,  alla  Verità  ed  alla  Bea- 
titudine eterne,  dalla  Beatrice  '  carne  "  alla  Beatrice  '  spirito  '.  E 
il  pianto  d'  Amore,  non  nel  sonetto  ma  nella  prosa,  avrebbe  molta 
relazione  e  l'ispondenza  colle  lagrime  che  lo  stosso  dio,  in  un'  altra 
visiono  (  VN.  12  ),  versava  sul  suo  fedele,  parlando,  anche  questa 
volta,  '  molto  oscuramente  ",  e  dicendo  queste  parole  :  '  Fili  mi,  tem- 
pus  est  ut  praetermittantur  simulacra  nostra  '.  Ma  sia  come  si  vo- 
glia di  codeste  congetture;  certo,  sarebbe  davvero  molto  semplice 
chi  volesse  prender  troppo  alla  lettera  1'  affermazione  del  poeta,  che 
'  lo  verace  giudicio  del  detto  sogno  . . .  ora  è  manifestissimo  a  li  più 
semplici  '.  Manifestissimo  è  invece,  che  il  poeta  prova  come  un'  acre 
voluttà  neir  avvolgere  nel  mistero  e  nel  dubbio  chi  legge,  anche 
quando,  anzi  specialmente  quando  accenna  a  svelare  il  mistero  e  a 
solvere  la  dubbiosa  dubitazione. 

Non  è  giusto,  come  ha  già  avvertito  lo  stesso  Scherillo  (  Ale. 
cap,  329  ).  dire  che  il  Cavalcanti  nel  suo  sonetto  presentisse  la  mor- 
te immatura  di  madonna.  J^el  sonetto  di  Cino  (  o  di  Torino  da  Ca- 
stelfìorentino  ;  vd.  Scherillo,  234  ss;  Rass.  bibl.  7.  250:  8,  343:  10, 
138  ;  Bull.  ns.  9,  46  e  204  ),  Katnralmente  chere,  è  spiegata  così  la  vi- 
sione dantesca  :  —  Ogni  amante  desidera  naturalmente  di  far  cono- 
scere 1'  animo  suo  alla  sua  bella,  desidera  di  manifestarle  il  suo  a- 
more  ;  e  questo  significa  quel  dare  a  mangiare  il  cuore  alla  donna  : 
la  quale,  prima  di  sapersi  amata,  non  sentiva  amore,  non  aveva  al- 
cuno affanno  amoroso,  era  corazzata  contro  i  dardi  d'  amore  :  e  que- 
sto è  il  significato  della  donna  dormente  avA'olta  in  un  drappo.  A- 
more  si  mostrava  allegro  perchè  veniva  a  contentare  il  suo  fedele, 
perchè  conchiudeva  felicemente  gli  sponsali,  '  insieme  due  coraggi 
comprendendo  '  ;  ma  poi,  prevedendo  lo  pene  amoroso  che  per  cagion 


//  parcente  di  Ohio  e  di  Guido  183 

stia  avi*ehbo  avuto  madonna,  obbe  piota  di  lei  o  piangendo  se  ne 
parti  — .  Codesta  spiojrazione  «•  fal/antÌAKÌnia  :  il  drappo  avrebl)e 
8Ì«rniJìcato  del  tutto  oppoHto  a  quello  che  abbiamo  indicato:  ma  l' in- 
tei-pretaziono  di  Tino  confermerebbe  il  fatto,  che  madonna,  nel  so- 
netto dantesco,  anziché  ignuda,  era  tutUt  chiusa  nel  suo  drappo  : 
qualche  dubbio  si  potrebbe  avere  intorno  alla  spiegazione  del  pianto 
d'  Amore,  che  non  era  eerto  la  nota  predominante  del  sonetto,  co- 
me vorrebbe  insinuare  il  poeta  nella  ragione  :  ma  ben  potrebbe 
essere  sUito  quello  di  Cino  appunto  il  pensiero  di  Dante  nel  pro- 
porre il  suo  indovinello.  Guido  invece  (  son.  Vedesti  al  mio  parere  ), 
intese  meno  bene  la  cosa,  a  quel  che  pare  ;  forse  volle  filosofeg- 
giare »in  po'  troppo,  afelio  due  quartine  mi  pare  vi  sia  suppergiù 
questo  costrutto  :  —  Se  ò  vero  che  Amore  ti  punse,  che  anche  tu 
sei  un  fedele  d'  Amore,  che  anche  tu  sei  de'  nostri,  me  ne  compiac- 
cio, pt'rché  il  signor  valente,  che  governa  il  mondo  tlelT  onoit^.  è 
nemico  della  gente  nojosa,  e  dà  valore,  gioco,  etl  ogni  bone.  Insom- 
ma. 80  ti  sei  innamorato,  bene  sta.  Questo  pare  dal  tao  sonetto  ; 
giacché,  proprio  quel  signore  viene  nei  sogni  ai  suoi  fedeli,  e  soa- 
vemente, senza  far  dolore,  porta  via  i  loro  cuori  —  (*).  Fin  qui  non 
vi  è  allo  stringer  dei  conti,  e  si  vedo  ancor  meglio  stando  alla  let- 
tera, che  un  elogio  del  signor  valente  e  una  mezza  interpretazione 
del  cuore  che  il  valente  signore  teneva  in  mano.  Poi  viene  l' im- 
broglio : 

DI  te  Io  core  ne  portò  reggendo 
Che  Ih  tna  donna  la  morte  chedea  : 
Xodrilla  d' esto  cor.  di  ciò  temendo. 

Quando  t'apparve  che  sen  già  dogllendo. 
Ku  dolce  sonno  ch'allor  si  complea. 
Che  "1  su*  contraro  la  venia  vincendo. 

Recentemente  il  Federzoni  (  Studi,  103  n  )  mise  fuori  una  sua  in- 
gegnosa parafrit.si  di  code.sti  versi  che  mette  conto  di  riferire.  •  A- 
more  vide  che  la  morte  (  e  deve  intendersi  per  morte  bassezza  e 
oscurità  di  vita,  qual'  è  propria  di  quanti  non  hanno  amore  e  nobile 
virtù  in  loro  stessi  [  v.  canz.  Donna  mi  prega  ecc.  v.  35  e  segg.  ]  . . .  ) 


(*)  Letteralmente: — Se  fosti  In  prova  d'Amore,  signore  valente,  governato- 
re del  mondo  dell'  onore,  ogni  valore,  a  mio  giudizio,  vedesti  ed  ogni  gioco  e 
tutto  quel  bene  che  si  può  avere  ;  giacché  questo  signore  vive  dove  ogni  noja  è 
lontana,  e  rende  I  suol  giudizi  nella  mente  di  chi  sente  pietà.  Egli  viene  nel 
sonno  appunto,  e  così  soavemente,  che  porta  via  I  cuori  senza  far  dolore  alcuno—. 


186  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


voleva  a  sé  la  tua  donna  ;  e  però  temendo  per  lei  tale  morte,  cioè 
oscura,  vile  vita,  nutrì  essa  donna  del  tuo  cuore,  cioè  la  fece  inna- 
morare di  te.  Quando  poi  al  finire  della  visione  ti  parve  di  veder 
Amore  andarsene  doloroso,  quella  fu  la  fine  del  dolce  sognare  ;  poi- 
ché nel  contrasto  che  tra  V  amore  e  la  morte  accadeva  intanto  nel- 
V  anima  della  donna,  la  morte  (  la  naturale  avA'ersaria,  contraria, 
opposta,  coni'  anche  é  chiamata  nella  cit.  canz.  ai  vv.  37  -  38  )  pren- 
deva in  lei  il  sopravvento.  Il  che  vuol  dire  in  sostanza  che  tal  don- 
na non  doveva  esser  degna  di  alto  o  vero  amore.  E  si  comprende, 
mi  pare,  assai  bene  questo  giudizio,  quando  si  pensi  che  Guido  Ca- 
valcanti non  doveva  punto  sapere  di  qual  donna  fosse  innamorato 
il  rimatore  che  avea  scritto  il  sonetto  A  ciascun  alma  presa  e  gentil 
core  '.  Codesta  intorprotaziono,  certo  ingegnosa  e  sottile,  non  mi  pare 
che  possa  aver  molta  fortuna.  Bel  valore  o  gioco,  e  bene  sommo 
davvero,  avea  veduto  il  fedel  sognatore  !  Bel  servizio  avea  prestato 
al  suo  fedele  il  segnor  valente  del  mondo  dell'onore!  E  Guido  fa- 
ceva anche  i  mirallegro  all'  uno  e  il  panegirico  all'  altro  !  Ed  altro 
si  potrebbe  osservare.  Ma  vediamo  piuttosto  l' ipotesi  di  coloro  che 
intendono,  che  madonna,  giacché  •  la  morto  chedea  ',  voleva  proprio 
andarsene  presto  all'  altro  mondo.  Perché  ?  Perché, 

Quando  novellamente 
Nasce  nel  cor  profondo 
Un  amoi'oso  affetto, 

Languido  e  stanco  Inslem  con  esso  In  petto 
Un  desiderio  di  morir  si  sente. 

Ma  perché  Amore,  vedendo  che  madonna  volea  morire,  dovea  por- 
tar via  il  cuore  del  servente  "ì  Per  punirlo  dell'  istigazione  al  sui- 
cidio ?  ^o.  per  darlo  a  mangiai'e  a  madonna.  Ma  il  segnor  valente, 
dando  a  mangiare  il  cuore  dell'  amante  alla  donna  innamorata  che 
volea  morire  appunto  perché  allora  s' innamorava,  non  accresceva 
egli  le  amoi'ose  fiamme  e  insieme  il  desiderio  di  morire  nella  don- 
na ?  '  IN'odrilla  d'  esto  cor,  di  ciò  temendo  ',  dice  Guido  ;  dunque  il 
dare  a  mangiare  il  cuore  a  madonna  non  era  certo,  in  quel  caso, 
espediente  di  buona  terapia.  E  quando  mai  la  donna  di  quella  li- 
rica è  tanto  innamorata  da  desiderar  la  morte  ?  'So,  no  ;  quel  dire 
che  madonna  '  la  morte  chedea  ',  significa  che  la  morte  madonna 
'  la  A'oleva  come  fosse  sua,  mostrava  di  essersene  quasi  impadro- 
nita :  e  in  ciò  si  avrebbe  una  conferma  dell'  ipotesi  che  da  sogni 
esterni  corporei  fosso  facile  a  Danto  il  presagire  prossim:»  hi  morti» 
di  Beatrice  '.  Veramente  il  presagio  qui  sarebbe  di  Guido,  o  da  Gui- 


Madonna  hi  morte  chedea  187 


do  attribuito  a  Danto.  SurcblM»  (liiido  ii  V(«i*o  jottatoro.  Ma  a  che 
(ine  il  wifrnor  vali'Utts  toiuondo  di  cod(»«ta  morto  immatura,  nudri- 
va  del  cuore  del  serv'ente  madonna  ?  Per  curarla  con  una  specie 
di  amoroso  olio  di  fegato  di  merluzzo  ?  M»  vedete  un  po'  a  che 
può  condurre  un  secolare  pregiudizio,  anche  critici  provetti  ed  ar- 
guti !  Ad  altro  bisogna  dunque  pensare.  Non  so  perchè  nessuno, 
eh'  io  siippia,  si  è  incamminato  por  la  via  indicata  dall'  Ercole  (  Gui- 
do Caialciiiiti  e  le  sue  rime,  Livorno  188.J  :  p,  31(J).  Certo,  è  la  sola 
via  praticabile  e  meno  impetlita  da  fossi  attraversati  o  da  catene. 
Direbbe  Guido  :  —  Madonna  chiedeva  la  morte  del  tuo  cuore,  volea 
che  tu  morissi  (*)  :  ed  Amore,  vedendo  ciò  e  temendo  di  ciò,  portò 
vìa  il  tuo  cuore  e  di  osso  cuore  nudrì  madonna;  vale  a  dire,  corso 
al  riparo,  questa  volta,  il  mattacchione;  tentò  di  far  concepire  an* 
che  a  madonna,  fera  e  nemica  di  pietà,  passione  amorosa  —  ..A  me 
invero  non  paro  improbabile,  che  a  quell'  intrusione  del  chieder  la 
morte,  affatto  gratuiti!  perchè  nel  sonetto  dantesco  non  v'  ò  neppur 
r  ombra  di  ciò,  Guido  sia  ricorso  per  trovare  una  ragione  del  pa- 
scolo del  cuore  :  non  sembrandogli  forse  giusto  o  verosimile  che 
Amore  tentasse,  sia  puix>  in  un  sogno,  d' innamorare  madonna,  so 
non,  qualche  volta,  in  casi  estremi.  L' interpretazione  di  Gino,  seb- 
bene piò  ricca  di  esegosi  allegorica  e  senza  zeppe,  concorda  dunque 
suppfTiriù  con  r  interpretazione  di  Guido  :  direbbe  in  fondo  1'  uno  e 
r  .litio  :  —  Mio  caro,  tu  sei  innamorato  di  madonna,  e  ti  par\-e  che 
madonna  s"  innamorasse  di  te  —  .  Divergenza  sostanziale  si  potrobl>e 
vedere  nella  spiegazione  del  pianto  d*  Amore.  Cino.  come  al)biaino 


{*)  Galdo  Caralcantl.  son.  Tn  m' hai  sì  piena.  '  Amor  che  lo  tno  grande  valor 
fiente.    Dice:  mi  duci  che  ti  convlen  morire    Per  qne<tta  fera  donna  che  neente 
Par  che  pleiade  di  te  voglia  udire  *  ;    canz.  Io  non  pensava,  •  Xon  sentio  pace  né 
riposo  alquanto    Poscia  ch'amore  e  madonna  trovai  ;    Lo  qnal  mi  disse  :  tu  non 

camperai.    Che  troppo  è  lo  valor  di  costei  forte Tu  sai.  quando  venisti,  eh'  lo 

ti  dissi:  Poi  che  l'avel  veduta.  Per  forza  convenia  che  tu  morissi*;  son.  Li 
mie'  foli'  occhi,  '  Quando  mi  vlder,  tutti  con  pietanza  DLsserml  :  fatto  se'  di  tal 
servente  Che  mal  non  del  sperare  altro  che  morte  '  ;  son.  Perchè  non  foro  a 
me,  '  chi  gran  pena  sente.  Guardi  costui  e  vedrà  lo  suo  core  Che  morte  '1  porta 
'n  man  tagliato  In  croce';  son.  S'io  prego  questa  donna,  ■  Allora  par  che  nella 
mente  piova  Una  figura  di  donna  jjensosa  Che  vegna  per  veder  morir  lo  core  '  : 
ball.  /'  prego  roi,  'Davanti  agli  occhi  miei  veggio  lo  core  E  r  anima  dolente 
che  s'  anclde.  Che  mor  d'  un  colpo  che  11  diede  amore  In  quello  punto  che  ma- 
donna vide.  Lo  suo  gentile  spirito  che  ride.  Questi  è  colui  che  mi  si  fa  sen- 
tire.   Lo  qnal  mi  dice:  e*  ti  convlen  morire". 


188  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

detto,  spiegava  che  Amore  piangeva  per  gli  affanni  amorosi  di  ma- 
donna : 

E  r  amorosa  pena  conoscendo 
Che  nella  donna  conceputo  avea, 
Per  pietà  di  lei  pianse  partendo. 

Guido  invece,  seguendo  il  filo  delle  sue  idee,  voi-rebbe  che  Amoro 
piangesse  perchè  quello  non  era,  e  non  poteva  essere,  che  un  dolco 
sogno,  presto  svanito  : 

Quando  t'  apparve  che  sen  già  dogllendo, 
Fu  dolce  sonno  eh'  allor  si  complea, 
Che  '1  suo  contraro  la  venia  vincendo. 

Madonna  è  senza  pietà  ;  1'  avere  sperato  ricambio  d'  amorosi  sensi, 
non  fu  che  un  dolce  sogno  ;  il  suo  contrario,  cioè  la  realtà  ovvero 
r  avversione  di  madonna,  la  vinse,  e  il  bel  sogno  svani  ;  allo  strin- 
ger dei  conti,  madonna  non  è  innamorata  del  servente.  Amore,  sia 
per  lo  scacco  patito,  sia  pel  cruccio  di  veder  che  i  suoi  fedeli  non 
hanno  mai  altro  che  pianto,  nella  realtà  ;  dolendosi,  se  ne  partì  in 
lagrime.  Sennonché,  anche  qui  le  due  interpretazioni  in  fondo  si  ac- 
cordano, se  non  concordano  :  Amore,  insomma,  piangeva  per  gli  af- 
fanni amorosi  degli  amanti.  E  codesto  sarà  stato  il  '  verace  giudi- 
ciò  '  del  giovinetto  che  allora  entrava  nell'  agone,  per  gareggiar  di 
simbolismo,  di  sottigliezza,  di  casistica  amorosa,  coi  '  famosi  tro- 
vatori '. 

Tutto  codesto,  se  non  è  vero,  a  me  pare  molto  verosimile.  Cer- 
to, vi  è  qualche  oscxirìtà  ;  ma  chi  volesse  trovar  d'  ogni  più  piccolo 
particolare  una  soluzione  chiara  e  lampante  come  acqua  sorgiva, 
mostrerebbe  davvero  di  credere  che  Dante  proponesse  ai  fedeli 
d'  Amore  il  suo  amoroso  motivo,  sviluppato  in  un'  allegoria,  come 
oggi  i  giornali  illustrati  propongono  ai  loro  abbonati  le  loro  scia- 
rade pel  sorteggio  del  premio.  Un  indovinello  era  in  fin  dei  conti 
anche  il  sonetto  di  Dante  ;  ma  uno  di  quegP  indovinelli  in  cui  i 
sensi  riposti  e  il  simbolismo  non  permettono  mai  di  cogliere  appie- 
no la  verità,  la  vera  intenzione,  il  verace  intendimento.  Bene  il 
D'Ovidio  (in  NA.  1  sett.  1888:  p.  119)  avvertiva  che  'di  queste 
benedette  sciarade  mistiche  e  politiche  la  soluzione  non  ottiene  mai 
il  premio  di  riuscire  pienamente  convincente  '.  Un  indovinello,  al- 
lora ;  oggi,  piti  indovinello  che  mai.  Un  simbolo  può  esser  simbolo 
di  questo  e  di  quello,  ed  anche  di  altro  ;  possono  aver  ragione  tutti, 
0  nello  stesso  tempo  può  non  aver  ragione  nessuno.  E  a  chi  mi  ob« 


Il  8on.  0  voi  che  per  ta  via  189 

bicttasse  che  non  possono  aver  ragione  tutti  se  nessuno  ha  ragio- 
no, rispondei"ei  come  rispondeva  quel  giiulice  di  pace  al  suo  figliuo- 
letto :  •  Hai  ragione  anche  tu  '. 


«^ 


Secondo  sonetto.  0  coi  che  per  la  ria  (F  amor  passate  (  Vy.  7  ). 
Como  ognun  sa,  il  poeta,  volendo  tener  celato  il  suo  vero  amo- 
ro, fìnse  d'  essere  innamorato  d'  una  '  gentile  donna  di  molto  piace- 
vole aspetto  \  che  avoa  veduta,  pare,  in  chiesa,  starsene  '  nel  mez- 
zo de  la  ritta  linea  la  qual  movea  da  la  gentilissima  Beatrice  e  ter- 
minava ne  gli  occhi  '  suoi,  contemplanti  quella  sua  '  beatitudine  ' 
(  VX.  5  )  (*).  Poi  codesto  *  schermo  de  la  veritade  \  cotlesta  *  gentile 
donna  ',  egli  dice,  '  co  la  quale  io  avea  tanto  tempo  celata  la  mia  vo- 
lontade,  convenne  che  si  partisse  de  la  sopradetta  cittade,  e  andas- 
se in  paese  molto  lontano  :  per  che  io.  quasi  sbigottito  de  la  bella 
difesa  che  mi  era  venuta  meno,  assai  me  ne  disconfortai  più  eh'  io 
medesimo  non  avrei  creduto  dinanzi.  E  pensando  che,  se  de  la  sua 
partita  io  non  parlassi  alquanto  dolorosamente,  le  persone  sarebbero 
accorto  più  tosto  del  mio  nascondere,  propuosi  dì  farne  alcuna  la- 
luentanza  in  un  sonetto,  il  quale  io  scriverò  ;  acciò  che  la  mia  don- 
na fue  ìmmediatji  cagione  di  certe  parole,  che  nel  sonetto  sono,  sì 
come  appare  a  chi  lo  intende  '.  Così  il  poeta  nella  ragione.  Nel  so- 
netto però,  non  v'  è  cenno  alcuno  né  di  partenza,  né  di  lontananza  : 
né  si  riesce  a  veder  chiaro,  anche  con  la  scorta  del  poeta,  dove  mai 
si  annidi  1'  allusione  alla  ^  gentilissima  salute  \  Questo  il  sonetto  : 

O  voi  che  per  la  via  d'amor  passate. 
Attendete  e  guardate, 

S' e^ìi  è  dolore  alcun,  qoanto  '1  mio  grave  : 
E  prego  sol  eh'  audir  mi  sofferlate  ; 
E  poi  imaginate 
S' lo  son  d*  o^e  tormento  ostello  e  chiave. 

Amor,  non  già  per  mia  poca  bontate, 
Ma  per  sua  nobiltate, 


(*(  Fin  dal  primo  •  apparimento  '  della  '  gloriosa  donna  della  mente  %  '  lo 
spirito  animale  '  del  quasi  novenne  trasognato  fanciullo,  maravigliandosi  molto 
e  'parlando  spezialmente  a  11  spiriti  del  vLso,  si  dLsse  queste  parole:  Appamit 
Jam  beatitndo  lesira'  (  YX.  1,  20  (. 

24 


190  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

MI  poso  In  vita  si  dolce  e  soave, 

Ch'  lo  mi  sentia  dir  dietro  spesse  fiate  : 

Dee  !  per  qiial  dlgnltate 

Così  leggiadro  questi  lo  cor  have  ? 

Or  ho  perduta  tutta  mia  baldanza. 
Che  si  mdvea  d'  amoroso  tesoro  ; 
Ond'  io  pover  dimoro, 
In  guisa  che  di  dir  mi  vlen  dottanza. 

Si  che,  volendo  far  come  coloro, 
Che  per  vergogna  celan  lor  mancanza, 
Di  fuor  mostro  allegranza, 
E  dentro  da  lo  cor  mi  struggo  e  ploro. 

Data  come  vera  la  congiuntura  e  il  proposito  di  cui  parla  la  ragione, 
il  componimento  avrebbe  dovuto  svolgere  il  motivo,  molto  accarez- 
zato nella  nostra  lirica  delle  origini,  del  dolore  per  la  partenza  o 
per  la  lontananza  dell"  amata  :  e  toccar  velatamente,  in  uno  spunto, 
del  vero  amore  e  della  '  bella  difesa  '  venuta  meno.  Ma,  come  si 
può  vedere,  né  1'  una  cosa,  né  1'  altra,  fa  pur  capolino  nel  sonetto 
doppio  o  rinterzato  che  s'  abbia  a  chiamare,  di  maniera  gnittonesca. 
La  rima  piange  sulla  '  vita  dolce  e  soave  '  trascorsa,  sulla  '  perduta 
baldanza  ',  sull'  amore,  insomma,  non  si  sa  perchè,  spezzato  :  gere- 
miadi codeste,  certo  poco  appropriate  al  caso  di  cui  ragiona  la  ra- 
gione. Era  proposito  del  poeta  di  fare  una  lamentanza  pur  per  la 
partita  della  donna  eh'  era  stata  '  schermo  di  tanto  amore  ',  non  già 
per  1'  amore  perduto,  simulato  o  no  eh'  e'  fosse.  J^essuno  poteva  pen- 
sare che  quella  separazione  dovesse  spegner  così  di  botto  1'  amore 
creduto  vero  e  sentito  ;  e  quindi  il  poeta*  non  poteva  veder  la  ne- 
cessità urgente  di  cantare,  per  celarsi,  1'  amore  perduto,  ma  dovea 
invece  veder  la  convenienza  di  rimar  dell'  amore  lontano  (*).  Né, 
d'  altra  parte,  si  spiega,  perchè  mai  il  poeta,  che  per  quella  parten- 
za era  rimasto  sbigottito  e  disconfortato,  dovesse  dir  nel  sonetto 
che  di  fuori  mostrava  '  allegranza  ',  mentre  si  struggeva  e  plorava 
'  dentro  da  lo  core  '.  Codesta   dissimulazione  non   era   certo  consi- 


(*)  Onesto  Bolognese  (  ball.  La  partenza  che  fo  dolorosa  )  diceva  anzi,  che, 
per  la  lontananza,  '  Ciascun  giorno  più  erosele  e  più  sale  L' amor  fin  conferma- 
to nel  casso  '.  E  infatti  Francesco  Ismera  (  canz.  Per  gran  soverchio),  anch' egli 
per  la  'partenza  gravosa",  portava  'dentro  formato  nel  casso  Amaro  pianto'. 
Matteo  Frescobaldi  (son.  Accorr' nomo ,  accorr'  nomo  !  ).  vedendo  che  madonna 
partiva  e  se  ne  andava  'con  Dio',  'in  altra  contrada",  pretendeva  che  quella 
'  ladi-a  '  e  '  giudea  '  gli  rendesse  il  cuore  :  e  non  a  torto,  come  pare  ;  perchè,  egli 
diceva,  '  io  non  veggio  di  poter  campare    Poiché  1"  anima  e  '1  cor  non  è  dov"  lo  '. 


V  amore  perduto  o  V  amore  lontano  f  i9t 

aliata  nò  dal  preteso  proposito  del  sonetto,  né  dalla  pretesa  condì» 
zione  particolare  dell'  aiuant«>  :  e  a  me  pare  che  in  queir  atteggiamen. 
to  simulato,  sia  da  veder  piuttosto  un  dispettuccio  amoroso  (*).  Corto, 
è  strano  che.  volendo  il  poeta  celarsi  con  la  '  lamentanza  '  per  la 
partiti!  della  bella  difesa,  egli  dovesse^  in  fin  dei  conti  proprio  qui 
dire  che  mostrava  allegi*ezza  per  quella  partenza.  Insomma,  coiìesto 
secondo  sonetto  della  Vi/a  nuora,  anziché  per  la  partenza  o  per  la 
lontananza  dell'  amata,  t^sprime  un  lamento  per  1'  amore  perduto  ;  e 
il  poeta  conchiude  che  cela  il  suo  dolore  sotto  un'  apparenti»  alle- 
grezza per  la  vergogna  di  mostrarsi  debole  <•  «-olpito.  jx-r  n^n  f;ir»> 
aver  vondetta  allegra  a  madonna. 

Ed  anche  invano  si  cercherebbe  V  allusione  a  Beatrict;  {**).  Tut- 


(•(  Guido  dello  C'olonne.  oanz.  Amor  che  loitiiinmrnte  (  MonJwl.  Vrrstoma:ia, 
p.  218,  '  lunfiramentc'  I.  '  V  allumo  dentro  e  sforzo  in  far  sembianza  Di  non  mo- 
strar ciò  che  Io  meo  cor  sente.  Ahi  quanto  ò  dnra  pena  al  cor  dolente  Istar 
tacente  e  non  far  dlmostraiuM  ! . . .  Forca  di  senno  è  quella  che  soverchia  L' ar- 
dir del  core,  asconde  ed  Incoverchia  :  Ben  ha  ^ran  senno,  chi  lo  pnote  fare. 
Saper  celare  ed  essere  sigrnore  De  lo  suo  core,  quand'  este  in  errore  '.  Ovld. 
Rem.  amor.  491  •  Qnamvls  infelix  media  torreberis  Aetna.  Frigidlor  glacie  fac 
videare  tnae  ;  Et  sanum  <iiniuln.  ne.  >«lqald  forte  dolebls.  Sentlat.  et  ride,  cum 
tibi  flendns  eris  '. 

(♦♦|  D*  Ancona.  l'.V.  .>;;  -So  noi  pfu.siauiu  ihi-  ijui-sii'  i-iiin.-  appartengono  al 
tempo  nel  quale  il  magLstero  poetico  di  Dante  non  era  qnai  fu  dappoi,  e  in  che 
egli  seguiva  la  maniera  artificiosa  dei  provenEall,  ricca  di  spedienti.  di  sottin- 
tesi, di  allusioni  sottllLssime.  non  parrìk  strano  che  noi  dimandiamo,  se  la  coperta 
menzione  al  coperto  amore  verso  Beatrice  si  nasconda  nella  parola  celare  del- 
l'antlpennlt  imo  verso O  forse  anche,  come  si  potrebbe  desumere  dalla  divi- 
sione, le  estreme  parti  delia  poesia  racchiudono  altrn  intendimento  dal  principio 
della  parte  seconda  che  comincia  :  Amor  non  già  :  dacché,  nel  suo  pensiero,  di- 
cendo ore  Amore  l' area  posto  alludeva  Dante  alla  donna  -  schermo,  e  poi  par- 
lando della  sua  dolorosa  condizione  alludeva  piuttosto  a  Beatrice.  Ma  tutto  ciò 
è  così  Involuto,  che  anche  colla  esplicita  avvertenza  delle  certe  parole  apparte- 
nenti a  Beatrice,  non  si  riesce  a  vederci  chiaro  ".  U  Ga-sinl  :  •  Sebbene  11  sonetto 
sia  scritto  per  la  partenza  della  donna  dello  schermo,  alcune  parole  di  esso  ac- 
cennano a  Beatrice  :  polche  nella  parte  che  si  riferisce  alla  prima  è  accennata 
la  gioì:»  che  per  amore  veniva  a  Dante,  mentre  In  quella  che  riguarda  Beatrice 
si  accenna  Invece  la  dolorosa  condizione  nella  quale  si  trovava,  apparentemente 
per  l'allontanamento  della  donna  che  egli  fìngeva  d'amare,  ma  realmente  per- 
chè 11  sno  amore  vero  non  conseguiva  una  soddLsfazlone  piena  ed  Intera  '.  La- 
sciamo stare  la  '  soddLsfazlone  piena  ed  Intera  '  non  conseguita,  che  II  libello 
certo  non  ci  autorizza  a  far  giudizi  temerari:  dovremo  dunque  Intendere  che  11 
poeta  mostrava  di  fuori  allegraaza,  realmente  per  dissimulare  un  dolore  vero, 
e  apparentemente  per  dissimulare  II  simulato  dolore  per  la  jjartenza  del  para- 
vento, 11  che  sarebbe  tale  un  bisticcio,  e  sarebbe  stato  tale  un  pasticci»  di  si- 


10-2  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

tavia,  che  un  cenno  all'  amore  per  Beatrice  il  poeta,  scrivendo  la 
Vita  nuova,  abbia  voluto  attribuire  al  sonetto,  non  è  dubbio  ;  sicché 
non  ci  resta  che  veder  dove  egli  volle  che  si  cercasse  codesta  al- 
lusione. Nella  divisione  si  leggo  :  '  Questo  sonetto  ha  due  parti  :  che 
ne  la  jjrima  intendo  chiamare  li  fedeli  d'  Amore  per  quelle  parole 
di  Geremia  profeta  :  0  vos  omnes,  qui  transitis  per  viam,  attendile 
et  videte,  si  est  dolor  sicut  dolor  mens  ;  e  pregare  che  mi  sofferino 
d'  audire.  Ne  la  seconda  narro  là  ove  Amoro  m' avea  posto,  con 
altro  intendimento  che  l' est  rem  e  parti  del  sonet- 
to non  mostrano:  e  dico  ciò  che  io  ho  perduto  (*).  Pare  dun- 
que, che  1'  '  altro  intendimento  '  non  sia  da  ricercare  nelle  •  estreme 
parti  '.  Ben  è  vero  che,  se  '  1'  estreme  parti  del  sonetto  non  mostra- 
no '  1'  altro  intendimento,  si  può  intendere  che  lo  nascondano  ;  ma 
si  può  anche  intendere,  e  forse  meglio,  che  non  1'  hanno  :  giacché 
r  allusione,  por  non  riuscir  del  tutto  vana,  dovoa  puro,  nel  luogo 
dove  si  trovava,  o  meglio,  dove  il  poeta  voleva  insinuar  che  ci  fosso, 
dar  qualche  sentore  di  sé,  mostrarsi  in  qualche  modo  (**).  Ed  io 
credo  che  il  jioeta  avrà,  per  codesta  pretesa  allusione,  guardato  pro- 
prio alle  parole  : 

lo  mi  senti'a  dir  dietro  spesse  fiate  : 
Deo  !  per  qual  dignltate 
Così  leggiadro  (f)  questi  lo  cor  have? 

È  tutt'  altro  infatti  che  inverosimile,  che  in  codoisto  parole  il  poeta 
abbia  potuto  vedere  come  un  riferimento  alle  parole  dei  ■  molti  pie- 


mulazlonl  e  di  dissimulazioni,  di  dolori  e  di  allegranze,  da  perderci  la  testa.  Non 
pare  davvero  che  occorresse  quella  dissimulazione  né  alla  pretesa  storia  del  ve- 
ro amore,  né  alla  storiella  dell'  amor  simulato. 

(*)  Così  stampano  quasi  tutte  le  edizioni  che  ho  sott'  occhio  :  Biscioni,  Fi- 
renze 1723  e  Venezia  1741  ;  Milano,  PogUani,  1827  ;  Pesaro,  NobUl,  1829  ;  Torri, 
Livorno  1843  ;  Fraticelli,  Napoli  1855  e  Firenze  1899  ;  Wltte,  Leipzig  1876  ;  D'  An- 
cona, Pisa  1884;  Giuliani,  Firenze  1885;  Milano,  Sonzogno.  1890  ;  Moore,  Oxford 
1897.  Il  Casini  però,  11  Passerini  (  Fli-enze  1900),  11  Canevazzl  (Milano  1901): 
"e  dico  ch'I'  ho  ciò  perduto'.  Dall'  edizione  critica  del  Beck  (  Milnchen 
1896  )  si  rileva  che  soltanto  tre  codici  del  secolo  decimo  quinto  offrono  la  prima 
lezione  delle  stampe.  La  quale  tuttavia,  forse  sarà  da  preferire  all'  altra,  più  so- 
stenuta dalla  tradizione  manoscritta,  ma,  come  pare,  meno  difesa  dal   contesto. 

(**)  Il  Renier  (  Giorn.  stor.  2,  391  n  )  aveva  già  avvertito  clie  1'  allusione  a 
Beatrice  si  annida  nella  seconda  fronte  del  sonetto;  e  ali"  opinione  del  Renier, 
mostrò  di  aderire  anche  lo  ScherlUo  (  Ale.  cap.  271  ). 

(t)  Per  codesto  leggiadro,  vd,  la  luculenta  nota  filologica  del  D"  Ovidio,  Stn- 
dii,  575  ss. 


La  preff'xa  allusione  a  Beatrice  19B 


ni  irinvitlirt*  dol  parairrafo  4.  Domandavano  all' infìanimato  giovi- 
netto, ch'era  divenuto  'in  picciol  tempo  di  fraile  o  debolo  condi- 
zione ',  e  che  '  portava  nel  viso  tante  de  le  insegne  '  d'  Amore,  '  che 
questo  non  si  potea  ricovrire  '  :  «  Per  cui  t'  ha  cosi  distrutto  questo 
amore  ?  »  Ed  egli  "  sorridendo  li  guardava,  e  nuUa  dic»>a  loro  '.  Cer- 
to, cosi  di  codeste  parole,  come  delle  parole  del  sonetto,  il  poeta 
poteva  ben  dire  che  Beatrice  *  fue  immediata  cagione  '. 

Comunque,  codesta  pretesa  e  involuta  allusione,  e  probabilmen- 
te la  parola  '  celan  '  (  o  '  celar  '  )  del  tera'  ultimo  verso,  e  forse  an- 
che la  parola  •  dimoro  '  del  quindicesimo.  par\'ero  al  poeta  più  che 
saldi  addentellati  o  forti  uncini  per  attaccare  il  sonetto  dell'  amore 
perduto  al  racconto  della  Vita  naoca  ;  quelle  due  parole  massima- 
mente, che  nel  sonetto,  senza  speciale  allusione,  occorrono,  gli  a- 
vranno  potuto,  se  non  suggerire  il  ritorcimento  della  prosa,  certo 
mostrar  che  era  convenientemente  miischertito  codesto  ritorcimen- 
to (*|  :  senza  dire  che  le  parole  <U  Geremia  cospiravano  così  In-ne 
con  gì'  intendimenti  del  lil>eUo,  che,  quando  altro  fosse  mancato, 
non  sarebbe  parso  inopportuno  trovare  un  espediente  qualunque 
per  farci  entrar  tutto  il  sonetto. 

Il  quale,  chi  voglia  leggerlo  senza  il  soccorso  o  il  concorso  della 
prosa  che  gli  appresta,  con  la  preziosa  oscuritìi.  un  abile  travesti- 
mento, appare  estraneo  al  racconto  della  Vita  nuova.  A  ogni  modo, 
è  certo  cosa  ben  notevole  e  singolare  questa  :  negli  '  alquanti  anni 
e  mesi  '  di  codesto  primo  celamento.  il  poeUi,  per  la  donna  eh'  ei 
non  amava,  fece  '  certe  cosette  per  rima  '  che  nel  libello  non  si  leg- 
gono perchè  non  toccano  di  Beatrice;  e  per  la  donna  amata,  non 
fece  né  rime  che.  non  dovendo  portare  scritto  in  fronte  il  nome,  il 


(*(  Dimorare  nel  significato  di  trorarsi,  stare,  essere  :  VX.  13,  25  *  Ed  In 
questo  stato  dimorando,  mi  giunse  volontà  di  scrivere  parole  rimate  *  ;  18, 
49  *dlmoral  alquanti  dì  con  desiderio  di  dire  e  con  paura  di  cominciare': 
Compiuta  donzella,  son.  .-i  la  stagion,  *  Ed  ogni  damigella  in  glo'  dimora*: 
Barberino.  Docniii.  22S  *  Primo  è  suo  documento  Cli*  ognun  dimori  attento  "  : 
Boccaccio.  Decani.  1,  7  'trovandosi  egli  una  volta  a  Parigi  In  povero  stato,  si 
come  egli  II  più  del  tempo  dimorava';  2,  6  "e  trartl  della  miseria  e  della 
cattività  nella  qual  tu  dimori";  2.  8  'non  è  convenevole  che  così  bella  dami- 
gella, come  voi  slete,  senza  amante  dimori*;  3,  5  'In  voi  soia  il  farmi  il  più 
lieto  et  il  più  dolente  uomo  che  viva,  dimora';  3.  6  "uè  morir  sapeva,  né  gli 
giovava  di  vivere  :  et  In  cotal  dLsposizIon  dimorando,  avvenne . . .  '  ;  4,  5  '  Et 
In  tal  dlsposlzlon  dimorando,  e  rìdendo ....  avvenne  che,  sembianti  facen- 
do d*  andare  . . .  ' 


194  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

cognome,  la  paternità  e  il  domicilio  della  gentilissima,  il  famoso  se- 
greto non  avrebbe  certo  impedito  di  fare,  ed  anche  di  divulgare  ; 
né  velate  allusioni,  da  codesta  in  fuori,  clie  non  si  vede. 


Terzo  e  quarto  sonetto.  Piangete,  amanti,  poi  che  piange  Amo- 
re, e  Morte  villana,  di  pietà  nemica  (  VH.  8).  La  morto  d'  una  '  don- 
na giovane  di  gentile  aspetto  molto  ',  diede  materia  ai  due  sonetti. 
'  Ricordandomi,  dice  il  poeta,  che  già  1'  avea  veduta  fare  compagnia 
a  quella  gentilissima,  non  poteo  sostenere  alquante  lagrime  ;  anzi 
piangendo  mi  propuosi  di  dire  alquante  parole  de  la  sua  morte  in 
guiderdone  di  ciò,  che  alcuna  fiata  1'  avea  veduta  con  la  mia  don- 
na '.  E  di  codesto  particolare  (  in  grazia  del  quale  il  mesto  episodio 
potè  innestarsi  nel  racconto  della  Vita  nuova  )  '  toccai,  dice  il  poeta, 
alcuna  cosa  ne  1'  ultima  parte  de  le  parole  ched  io  ne  dissi,  sì  co- 
me appare  manifestamente  a  chi  le  'ntende  '. 

Col  terzo  sonetto  si  chiamano  e  sollecitano  '  li  fedeli  d'  Amore 
a  piangere  ',  e  si  parla  '  del  signor  loro  che  piange  ',  e  si  narra  *  la 
cagione  '  ;  in  fine  si  dico  che  Amor  fece  '  erranza  '  a  quella  pove- 
retta, lamentandosi 

in  forma  vera 
Sovra  la  morta  Imaglne  avvenente  (*). 

Di  codesta  '  orranza  '  d'  Amore  '  in  forma  vera  ',  nella  ragione  non 
si  fa  cenno  :  quivi  il  poeta  dice,  eh'  ei  vide  il  corpo  di  quella  gen- 
tile '  giacere  sanza  1'  anima  in  mezzo  di  molte  donne,  le  quali  pian- 
geano  pietosamente  '  ;  il  che  risponde  ai  versi  : 

Amor  sente  a  pietà  donne  chiamare, 
Mostrando  amaro  duol  per  gli  occhi  fore. 

'  E  gratuita  sarebbe  la  supposizione  che  Beatrice  fosse  del  coro  delle 


(*)  Guido  Cavalcanti,  son.  Perchè  non  foro  a  me,  '  donna,  or  ci  aiuta  Che 
gli  occhi  ed  1*  non  rimagnam  dolenti.  Tu  gli  hai  fasciati  sì  che  venne  A- 
more  A  pianger  sovr'alor  pietosamente';  vd.  anche  ball.  Poi  che 
di  doglia,  v.  8.  Cfr.  Intelligema,  st.  6  '  Amor  che  per  sua  dibonaritate.  Per 
farmi  bene  la  grasla  compiuta,  Non  Isdegnando  mia  vii  ciualltato,  DI  s 6  mi 
die  sensibile  ji  a  r  u  t  a  '. 


/  due  son.  Piangete  amanti  e  Aforte  villana  idS 

luifriiuanti.  giaechè  il  poota,  lU'ppur  nella  dirisiuiic.  iiiHliiua  che  sia 
da  ricercare  un  senso  riposto  in  codeste  onoranze  funebri  del  'si- 
f?nore  de  la  nobiltiid»'  '.  Paro  adun((ue  che  1'  ultima  parto  di  questo 
sonetto  sia  stata  considerata,  anche  posteriormente,  dal  po*'ta  come 
una  figura  poetica  sena»  doppio  fondo,  destinata  probabilmente  a 
signiticar  che  lo  lacrimanti  aveano  intelletto  d'  amen»  e  che  la  gio- 
vane mortai  era  slitta  anch'  essa  fe<lole  d'  amore  ;  e  pare  che  il  so- 
netto sia  stato  rimorchiato  dal  suo  gemello  più  pingue^  che,  come 
vuole  51  poeta  nolla  ragione,  aveva  appunto  il  titolo  «^he  gli  dava 
licenza  di  libera  pratica  noi  porto  misterioso  della  Vita  nuora.  Y  al- 
lusione a  Beatrice. 

Nel  sonetto  doppio  infatti,  dopo  un  lung«ì   biasimo   alla   Jforte 
il  poeta,  parlando  tlella  <lefunta.  conchiud»*  : 

Pib  non  ro'  dlscovrlr  qnal  donna  nln. 
Che  per  le  proprietà  $*ne  ponoscinte  : 
Chi  non  mertii  sitiate. 
Non  Hperl  mal  ti' aver  sua  compatta  <*l. 

Veramente,  codeste  parole  non  doveano  forse  racchiudere  altro  in- 
tendimento che  questo  :  —  Non  vi  dico  altro  di  lei  :  questo  solo  vo- 
glio aggiungere,  che  chi  non  andrft,  in  cielo,  non  la  viilrà  più  —  : 
né  dovejino  probabilnionto  esprimere  in  fondo  altro  concetto  che 
questo  :  —  Ella  è  salita  in  cielo  — .  Ma  il  poeta  pur  vuole  che  in 
codeste  parole  sia  adombrata  la  circostanza  della  compagnia  fatta 
alcuna  fiata  dalla  sriovino  donna  a  Beatrice,  sola  circostanza  che 
giustiiìehi  r  ins*Mv<ìone  dei  due  sonetti  nella  Vita  nuora.  Tuttavia, 
codesta  allusione,  certo  attribuita  posteriormente,  non  è  chiara  :  e  il 
Carducci,  dal  non  vederla   dove  il  poetii   pur    \in)l.'   che  ci  sia,  fu 


(•|  A  qualche  confronto  col  sonetto  quarto  della  Vita  nuora  si  presta  la 
cana.  Morte,  perche  m' ìtai  fatta,  di  Giacomino  Pugliese  :  G.  '  Morte,  perchè  m'hai 
fatta  si  ^ran  guerra  Che  m'hai  tolta  madonna,  ond' io  ni  dolilo?*  D.  'Mor- 
te,.., Poi  che  hai  clata  matera  al  cor  dogllo^io.  Ond'  io  vado  pensoso  '  :  G.  '  La 
fior  de  le  belleaze  mort'  hai  in  terra.  Per  che  lo  mondo  n'  è  rimase  spoeto  ' 
(  Monaci,  Crest.  92  •  non  amo  né  volgilo  '  )  ;  D.  ■  Dal  secolo  hai  partita  cortesia . . . 
In  gala  gloventnte  Distrutta  hai  1'  amorosa  leggiadria  '  :  G.  '  Villana  morte,  che 
non  hai  pietanza':  D.  'Morte  villana,  di  pietà  nemica":  G.  •  Partlf  hai  la  più 
dolze  compagnia  '  ;  D.  '  Non  speri  mai  d'  aver  sua  compagnia  *.  Una  canzone  a- 
noninia  del  cod.  Vat.  3793,  comincia  :  •  Morte  fera  e  dLspietata.  Crudele,  senza 
pietanza.  Per  ragione  dèi  essere  blasmata,  Non  curi  di  fare  fallanza  '.  E  u- 
a'altra,  parimenti  anonima,  dello  stesso  codice  :  '  Dlspietata  morte  e  fera,  Cierto 
se'  da  biasmare . . .  già  mal  non  credla.  Lassa,  vedere  quella  dia  Di  tanto 
ismarrlraento,    Che  da  così  dolcle  compagnia    Faciesse  partlmento  ', 


196  Le  rime  e  il  rcicconto  della  Vita  nuova 


indotto  a  congetturar  che  vi  fosse  dove  il  poeta  non  la  volle,  ap- 
pvinto  noli'  altro  sonetto.  Egli  scrive  (  W  Ancona,  T'^.  64  s  )  :  'Al- 
cuna fiata  l'avea  veduta  con  la  mia  donna.  E  di 
ciò  toccai  alcuna  cosa  nell'ultima  parte  delle  pa- 
role che  io  ne  dissi,  siccome  appare  manifesta- 
mente a  chi  le  'ntende.  Parrebbe  dovesse  intendersi  della 
quarta  stanza  del  son.  doppio,  i  cui  due  ultimi  versi  il  Fraticelli  e 
il  Witte  vogliono  si  riferiscano  a  Beatrice  ;  che  a  me  non  par  con- 
sentito dalla  sintassi  e  dal  retto  discorso.  Avesse  invece  ad  inten- 
dersi dei  terzetti  del  primo  Sonetto,  nei  quali  Amore  che  piange  in 
forma  vera  sopra  la  morta  non  è  altri,  anche  a  senso  del  Fraticelli, 
che  Beatrice  ?  '  Il  Casini,  senza  però  lasciare  il  certo  per  l' incerto, 
ritenendo  '  che  Dante  abbia  voluto  alludere  a  Beatrice  in  ambedue 
i  sonetti  ',  volle  corroborare  codesta  tìmida  congettura  del  Carduc- 
ci :  '  Il  Frat.,  egli  scrive,  il  Giul.  e  il  "Witte  credono  che  in  tutto 
il  sonetto  [  Piangete  amanti  ]  sia  indicata  Beatrice  col  nome  d'  A- 
more,  come  nel  son.  del  cap.  XXIV  ;  crederei  invece  che  la  ideale 
identificazione  di  Beatrice  coli'  Amore  si  abbia  solamente  negli  ul- 
timi sei  versi  :  primo,  perchè  Dante  ha  già  avvertito  che  il  senso 
riposto  dei  suoi  concetti  si  deve  cercare  ne  l'  ultima  parte  de  le  pa- 
role ;  secondo,  perchè  anche  nel  sonetto  del  cap.  XXIV  sono  in- 
dicato contemporaneamente  col  nome  di  Amoro  la  personificazione 
dell'  affetto  e  Beatrice  '  (*).  Il  valentuomo  cerca  evidentemente  di 
scansare  questa  tacita  obbiezione  :  se  in  tutto  il  sonetto  Beatrice  si 
cela  sotto  il  nome  d' Amore,  siccome  Dante  nella  diiisione  dice  : 
'  chiamo  e  sollicito  li  fedeli  d'  Amore  a  piangere,  e  dico  del  Signo- 
re loro  che  piange  '  ;  così  bisognerebbe  intendere  che  Beatrice  avea 
molti  fedeli  e  che  era  loro  Signore.  Xondimeno,  neppure  l' ipotesi 
restrittiva  del  Carducci  e  del  Casini  e  d'  altri,  pare  accettabile.  I^el 
sonetto  del  paragrafo  24,  Io  mi  senti'  svegliar,  è  proprio  Amore  che 
parla  e  dice  al  poeta  :  '  quell'  ha  nome  Amor,  sì  mi  somiglia  '  ;  che 
non  è  indicar  contemporaneamente  con  lo  stesso  nome  due  cose  nel 
breve  giro  di  un  sonetto.  Del  resto,  •'  ne  1'  ultima  parte  de  le  pa- 
role '  il  poeta  insinua  trovarsi  ricordata  la  circostanza  della  com- 
pagnia, circostanza  che  nel  terzo  sonetto  non  sarebbe  certo  con  co- 
desta pretesa  allusione   adombrata.  I  due   sonetti   sono   considerati 


(*)  Oltre  11  Fratk-elll.  il  Toni.. il  Giuliani.  Il  Witte.  il  Carducci,  il  Casini 
e  il  Passerini,  anche  lo  Scherillo  {Ale.  cap,  250)  vede  codesta  allusione  a  Bea- 
trice nel  terzo  sonetto  della  Vita  ìinora. 


Amore  in  forma  vera  197 

come  un  tutto  di  parole,  e  l'ultima  parte  di  esse,  è  T  ultima  parte 
del  quarto  sonetto.  Se  in  quel!'  Amore  *  In  forma  vera  '  il  poeta  a- 
vessG  voluto  farci  vedoro  una  vclat^i  allusione  a  Beatrice,  non  si 
sarebbe  probabilmont«>  lasciata  «fuggire  1'  opportunità  di  farne  qiuil- 
che  cenno  nella  ragione  o  nella  dirisione.  Porse  non  rispondeva  a- 
gl'  intendimenti  del  libello,  codesto  far  piangere  Beatrice  '  sovra  la 
morta  iraagine  avvenente  '  ;  e  forse  il  pianto  di  B<>atrice  voleva  il 
poeta  serbare  per  altro  e  ben  più  grave  avvenimento.  Certo,  non 
è  prudente,  alle  allusioni  che  volle  vedere  il  poeta  nelle  sue  rime, 
quando,  con  altro  int(>ndimento,  le  assunse  ed  innestò  nel  racconto 
della  Vita  nuova,  aggiungere  le  allusioni  che,  non  saprei  se  occu- 
pati o  preoccupati,  indotti  o  sedotti  dal  solito  pregiudizio,  vogliamo 
veder  noi.  ([u.uulo  ci  accingiamo  a  dichiararle. 

Ma  se  in  nessun  modo  può  vedersi  allusione  a  Beatrice  nel  ter* 
zo  sonetto,  nel  quarto  bisogna  bene  scoprire  dove  mai  il  poeta  volle 
che  ci  sia.  Egli,  volgendosi  'a  parlare  a  indifiniUi   persona',  dice: 

f'hl  non  merta  <wiIato. 

Non  speri  mai  d'aver  sua  oompM^U. 

Non  certo,  come  alcuni  intesterò,  quel  'sua'  si  può  riferirò  a  B<«n- 
trico  :  il  poeta  {Mirla  sempre  della  giovino  donna  morta,  e  il  Car- 
ducci ha  ragione  da  vendere  (*).  Neppure  si  può  ammettere  che 
il  poeta  si  volgesse  a  Beatrice  (  che  «irebl>e  T  '  indifìnita  persona  '  ) 
per  dirle,  secondo  il  Totleschini  :  '  tu  avesti  talvolta  la  compagnia 
della  giovane  donna  defunta  :  d' ora  in  poi  non  si  speri  d'  averla 
mai  so  non  chi  si  meriti  la  salute  eterna  '  :  sarebbe  affatto  gratuita 
la  prima  parto  di  codesta  chiosa,  e  la  seconda  parte  avrebf>e  tuttii 
r  aria  d'  un  monito,  che  la  gentilissima  salute  e  reina  d'  ogni  virtù 
non  avea  fatto  niente  per  tirarsi  addosso.  Né  T  interpretazione  che, 
dubitando,  dà  il  D'  Ancona  mi  pare  migliore  :  '  solo  quegli  che  me- 
rita salute,  e  certo  Beatrice  la  merita,  d'  ora  innanzi  potrà  sperare 


(*|  A  codesta  Interpretazione  del  Fraticelli,  del  Torri  e  del  Wltte.  11  Renler 
[Giorn.  stor.  2.  3!H  n)  forni  una  nuova  acconciatura  ;  la  quale  tuttavia  non  mi 
pare  che  la  renda  più  accettabile  o  meno  strana  :  '  Xet  due  versi  D.  si  volge  a 
parlare  a  indifflnita  persona,  quindi  letteralmente  saa  compagnia  si  riferisce 
alla  donna  morta,  come  la  grammatica  vuole:  ma  quanto  all'  intendimento  AiD. 
questa  persona  è  diffìnita.  Secondo  dunque  il  riposto  Intendimento,  questo  mem- 
bro va  staccato  dal  rimanente ....  si  deve  far  punto  dopo  conosciute  e  riferir© 
sua  alla  beatrice  '.  La  '  Indlflnlta  persona  '  non  è  da  vedere  nel  '  sua  ',  ma  nel 
>  chi  %  certamente  ;  è  la  persona  a  cni  11  poeta  volge  11  discorso. 

25 


198  Le  rime  e  il  racconto  detta  Vita  nuova 

d' civer  in  cielo  la  compagnia  della  defunta  '  :  non  si  terrebbe  nel 
debito  conto  ciò  che  più  importa  rilevare,  la  circostanza  della  com- 
pagnia fatta  quaggiù  dalla  giovine  donna  a  Beatrice  ;  e  di  Beatri- 
ce, cioè  della  gentilissima  salute,  della  donna  della  salute,  di  colei 
che  dava  appunto  salute,  si  direbbe  che  meritava  salute.  A  me  sor- 
riderebbe invece  questa  ipotesi  :  il  verso 

Non  speri  mal  d'aver  sua  compagnia, 

si  può  intendere  in  duo  modi  :  —  non  isperi  mai  d'  aver  la  com- 
pagnia di  costei;  cioè,  non  isperi  d'  andare  in  cielo,  dov'  ella 
si  trova  ;  non  isperi  di  vederla  più  ;  ella  è  salita  in  cielo  —  :  ovve- 
ro anche  :  —  non  isperi  d'  aver  mai  la  compagnia  che  si  eb- 
be costei,  la  compagnia,  cioè,  di  Beatrice  ;  di  colei  che  '  qual 
vuol  gentil  donna  parere  '  deve  avere  compagna  ;  di  colei  che  '  do- 
na salute  '  a  chi  la  merita  :  di  colei  che  dà  buona  fine  a  chi  '  le 
ha  parlato  '  (  vd.  canz.  Donne  eh'  avete^  vv.  31  -  42  ).  Insinuerebbe 
quindi  il  poeta  nella  prosa  della  Vita  nuova,  che  i  due  tormentati 
versi  si  debbano  intendere  cosi  :  —  L' indefinita  persona  e  definita 
quanto  al  mio  intendiménto,  sappia  dunque  che  chi  non  merita  sa- 
lute, non  avrà  mai  la  compagnia  che  si  ebbe  una  beata  —  .  Sarebbe 
poi  vano  voler  ricercare  chi  sia  proprio  la  '  indifinita  persona  '  ; 
certo  non  è  Beatrice  :  e  sofistica  sarebbe  l'  obbiezione  che  la  de- 
funta faceva  compagnia  a  Beatrice,  non  già  questa  a  quella. 

Con  tale,  certo  posticcia,  sottigliezza,  il  poeta  pigUava  più  pic- 
cioni ad  una  fava  :  diceva  che  Beatrice  dava  salute  a  chi  ne  era 
degno  ;  diceva  che  la  defunta  aveva  fatto  compagnia  alla  gentilis- 
sima ;  insinuava  che  per  ciò  quella  gentile  donna  era  salita  in  cie- 
lo ;  senza  contare  che  quel  ritorcimonto  confei-iva,  non  solo  al  so- 
netto, ma  a  tutto  V  episodio  il  pregio  pregiato  dell'  oscurità.  Alla 
parola  '  sua  '  probabilmente,  penultima  delle  parole  che  il  poeta  in 
quella  triste  occasione  disse,  siamo  dunque  debitori  di  tutto  1'  epi- 
sodio dell'  amica  di  Beatrice  ;  quel  povero  uncino  dunque  offrì  al 
poeta  il  destro  di  poter  sospendere  i  due  funebri  sonetti  alle  lut- 
tuose pareti  della  V/fa  nuova.  Opportunità  codesta,  che,  d'  altra  par- 
te, non  dovea  certo  sembrar  di  poco  momento  a  chi  volea  che  in 
quelle  pagine  di  studiata  oscurità,  vi  spirasse  continuo  il  soffio 
della  morte,  vi  aleggiasse  frequente  un  sospiro  al  cielo.  Jfotevole 
infatti,  che,  dopo  il  pianto  d'  Amore  ed  il  versetto  di  Geremia,  spunti 
melodici  del  preludio,  in  queste  rime  vibra  già  forte  la  corda  del 
dolore,  prima  ancora  della  morto  di  Beatrice  ;  e  1"  animo  mesto  e- 


La  pretesa  comfxigna  di  Beatrice  19& 

pprimo  pia  con  un  «romito  queir  aspirazion»*  al  cielo  che  il  poet:t  pur 
vorrebbe  espressa  nel  primo  sonetto.  Xotovole  che  ai  due  so- 
netti dell'  episodio  della  morte  della  compa|;na  di  Beatrice,  par 
facciano  eco  i  due  sonetti  dell*  episodio  della  morte  del  padre 
di  Beatrice  :  duplicità  di  carmi  non  concessa  agii  altri  episodi,  e 
ripetuta  tre  volte,  quasi  con  ostentazione,  nelle  rime  per  la  morte 
di  Beatrice  ;  prima  una  canzone  e  un  sonetto,  poi  due 
stanze  d'  una  canzono,  e,  nell'  annovale.  un  sonetto  con  due  e  o  • 
mincia  mentì. 

Per  conchiudfiv,  il  secondo  e  poeo  eviil»«iiltf  i^i^nilìcalo  dt-i  due 
ultimi  versi  del  quarto  sonetto,  sembra,  e<l  i\  posticcio  e  stiracchia- 
to :  comunque,  nò  dal  terzo  né  dal  quarto  sonetto  possiamo  desu- 
mere con  certezza  un  indizio  qualunque  che  valga  a  darci  qualche 
prova  della  veridicità  della  storia  dell*  amor  del  poeta. 


^ 


Quinto  sonetto.  Caralcando  /"  altr  ier  per  un  cammino  (  VX.  0  ). 
Vi  è  descritta  una  visione  simbolica  che  il  poeta  dice  di  aver  a- 
vuta  non  solo  ad  occhi  aperti,  ma  cavalcando.  Amoro,  '  in  abito  leg- 
ger di  peregrino  \  portando  il  cuore  del  poeta,  gli  viene,  '  di  lon- 
tana parte',  incontro,  i'  irli  dicf  oh' fi  reca  qnol  cuore  *  a  sen-ir  no- 
vo piacere  '. 

Cavalcando  l' altr^  ier  per  an  cammino. 
Pensoso  de  l' andar,  ohe  mi  flgmdla. 
Trovai  Amore  In  mezzo  de  la  via. 
In  abito  le^f^r  di  pereprlno. 

Ne  la  sembianza  mi  parea  me<ii-]ilnn. 
Come  avejwe  perduta  si^nioria  ; 
E  sospirando  pensoso  venia. 
Per  non  veder  la  gente,  a  capo  chino. 

Quando  mi  vide,  mi  ctiiamò  per  nome. 
E  disse  :  Io  vegno  di  lontana  jwrte, 
Ov'  era  lo  tuo  cor  per  mio  volere  : 

E  recolo  a  servir  novo  piacere. 
Allora  pre<<i  di  lui  sì  gran  parte. 
Ch*  elli  disparve,  e  non  m' accorsi  come. 

Di  codesti»  immaginazione,  come  se  si  trattitssc  d'  un  fatto  reale  ed 


200  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

obbiettivo,  il  poeta  nella  ragione  determina  meglio  i  particolari  ac- 
cennati nel  sonetto  (per  es.  la  cagione  della  sua  tristezza,  la  pro- 
venienza d'  Amore  ),  ed  altri  ne  aggiunge  (  per  es.  i  '  vili  drappi  ', 
il  '  fiume  bello  e  corrente  e  chiarissimo  '  )  ;  mirando  evidentemente, 
non  solo  ad  innestare  il  sonetto  nella  narrazione  della  Vita  nuova, 
ma  a  completare  il  simbolo.  '  Appresso  la  morte  di  questa  donna, 
egli  scrive,  alquanti  die,  avvenne  cosa,  per  la  quale  mi  convenne 
partire  de  la  sopradetta  cittade,  ed  ire  verso  quelle  parti,  dov'  era 
la  gentile  donna  eh'  era  stata  mia  difesa,  avA'egna  che  non  tanto 
fosse  lontano  il  termine  del  mio  andare,  quanto  eli'  era.  Tutto  eh'  io 
fossi  a  la  compagnia  di  molti  quanto  a  la  vista,  1'  andare  mi  di- 
spiacea  sì,  che  quasi  li  sospiri  non  poteano  disfogare  1'  angoscia, 
che  il  cuor  sentia,  però  eh'  io  mi  dilungava  da  la  mia  beatitudine. 
E  però  lo  dolcissimo  signore,  il  qual  mi  segnoreggiava  per  la  AÙrtù 
de  la  gentilissima  donna,  ne  la  mia  imaginazione  apparve  come  pe- 
regrino leggeramente  vestito,  e  di  vii  drappi.  Elli  mi  parca  sbigot- 
tito, e  guardava  la  terra,  salvo  che  talora  li  suoi  occhi  mi  parca 
che  si  volgessero  ad  un  fiume  bello  e  corrente  e  chiarissimo,  lo 
quale  sen  già  lungo  questo  cammino  1^  ov'  io  era  (*).  A  me  par- 
ve che  Amore  mi  chiamasse,  e  dicessemi  queste  parole  :  «  Io  ven- 
go da  quella  donna,  la  quale  è  stata  tua  lunga  difesa,  e  so  che  '1 
suo  rivenire  non  sarà  a  gran  tempi  ;  e  però  quello  cuore,  eh'  io  ti 
facea  avere  a  lei,  io  1'  ho  meco  e  portolo  a  donna,  la  qual  sarà  tua 
difensione,  come  questa  era  (  e  nominollami  per  nome  sì  eh'  io  la 
conobbi  bene  ),  Ma  tuttavia  dì  queste  parole,  eh'  io  t'  ho  ragionate. 


(*)  Cfr.  VN.  19,  1  "Avvenne  poi  che,  passando  lo  per  un  t'animino,  lungo 
lo  quale  sen  già  un  rivo  chiaro  molto,  a  me  giunse . . .  volontade  di  dire  '.  Se- 
condo 11  Carducci  (  D' Ancona,  VN.  73  )  :  '  leggermente  vestito,  adombra  la  leg- 
gerezza e  varietà  di  siffatti  amori  ;  e  di  vili  drappi,  significa  che  quel  nuovo 
amore  fu  Indegno  :  per  ciò  . . .  guarda  la  terra  '.  Il  D' Ancona  :  '  Perchè  Amore 
è  rappresentato  sbigottito,  e,  come  Virgilio  nelF  Inf.  A^II,  118,  cogli  occhi  alla 
terra  e  le  ciglia  rase  d' ogni  baldanza  ?  [  cfr.  Aen.  6,  862  •  frons  laeta  parum  et 
delecto  lumina  voltu  '  ].  Forse  perchè  la  bontà  degli  avvolgimenti  da  lui  consi- 
gliati a  Dante  era  adesso  messa  In  forse  dalla  partenza  della  donna  -  schermo, 
sebbene  Amore  provvedesse  a  trovare  altra  che  facesse  11  medesimo  ufficio.  Ma 
perchè  poi  si  volgeva  al  fiume  ?  Forse  11  correre  del  fiume  era  un  simbolo  della 
mutabilità  delle  cose  umane  ?  '  A  me  pare  che  1  vili  drappi,  11  capo  chino,  la 
meschina  sembianza,  siano  esponenti  simbolici  della  condizione  d*  Amore  che 
avea  perduto  signoria.  Giusta,  forse,  è  1'  interpretazione  del  simbolo  del  fiume 
corrente.  Eros  pellegrino  è  rappresentato  anche  In  una  Anacreontéa ,  tradotta  dallo 
Zanella  (vd.  Vitelli  o  Mazzoni,  Mannaie  della  Ictt.  greca,  Firenze  1899:  p.  215). 


//  8on.  Cacalcando  V  altr' ter  201 

se  alcuna  co«i  no  dicossi,  dillo  nel  modo  che  per  loro  non  si  di- 
scemefwe  il  simulato  amore,  che  tu  hai  mostrato  a  questa  e  che  ti 
converrà  mostrare  ad  altri  •.  E  dette  queste  parole,  disparve  que- 
sta  mia  ima<rinazìone  tutta  su1)itamente  \ 

Che  significato  avea  codesta  finzione?  Quale  il  proposito  del 
poeta  ?  Non  quello  di  manifestar  velatamente  il  suo  sentimento,  l'a- 
nimo suo.  tutto  occupato  del  pensiero  della  gentilissinui  :  e  di  ac- 
cennare alla  dura  necessità  in  cui  si  vedeva,  per  la  partenza  della 
donna  del  primo  schermo,  di  provvedersi  d'  un'  altra  difesa  ;  perchè 
Beatrice  e  le  donne  dello  schermo  appajono  solo  nelle  amplificazio- 
ni della  prosa.  È  vero  bensì,  che  il  poeta  nella  ragione  avverte,  che 
il  suo  signore  gli  aveva  vietato  di  fare  alcuna  allusione  al  simu- 
lato amore  :  ma  codesta  riserva  sarà,  come  sembra,  un  naturale  ri- 
piego per  r  adattamento  del  sonetto  :  giacché  nel  sonetto  non  si  leg- 
ge neppure  che  Amore  avesst»  detto  altro,  che  fosse  da  tacere.  Ne, 
d*  altra  parte,  il  poeta  poteva  proporsi  con  questo  sonetto  di  aprir 
la  via  al  nuovo  amoiv.  simulato  o  non  simidato  ;  perchè  non  sareb- 
be stata  conveniente  dichiarazione  amorosa  venir  a  dire  a  una  don- 
na ;  —  Eccovi  il  mio  cuore,  che  mi  è  arrivato  or  ora,  fresco  fresco, 
da  lontana  parto  —  ;  né  il  poeta  dice  che  mandò  il  sonetto  alla  nuo- 
va difesa,  e  che  quel  sonetto  appunto  inaugurò  U  nuovo  giochetto  (*K 


\*\  Assai  trita  ì-  1*  Immagine  della  spedizione  del  more  dell'  amante  all'  oh- 
bietto  amato.  Mazzeo  Ricco  team.  Lo  core  innamorato)  cosi  rappresenta  una 
dolce  corrispondenza  d' amorosi  sensi  :  *  —  Lo  core  Innamorato,  Messere,  si  la- 
menta .. .  Avendo  di  voi  roglla.  Lo  mio  core  a  voi  mando;  Ed  elio  vene  e 
con  voi  si  so^loma  ;  E,  poi  a  me  non  torna,  A  voi  lo  raccomando  ;  Non  11 
facciate  gelosia  nò  doglia  — .  —  Donna,  se  voi  mandate  Lo  vostro  dolze  core 
Innamorato  si  come  lo  meo,  Sacclate  In  verltate,  Che  per  verace  amore  Im- 
mantinente a  voi  mando  lo  meo...  —  *.  Lapo  Gianni  (ball.  Io  sono  Amor)  ha 
nna  figurazione,  per  cosi  dire,  alla  rovescia:  madonna.  *  avendo  cordogl  lenza  ' 
del  servente,  vuol  dare  *  al  suo  mal  guarigione  '  ;  e  dice  ad  Amore,  che  era  ve- 
nuto mezzano  per  Implorare  mercè  :  •  Portateli  lo  cuor  eh'  avea  'n  prigione.  E 
da  mia  parte  li  date  allegranza  '.  In  una  corona  di  tre  sonetti  (  Così  dirtene  a 
me.  Io  mi  disdico,  Grazie  e  mercè  \  Chiaro  Davanzati  rappresenta  un  curioso 
contrasto:  messere  manda  il  suo  cuore  a  madonna:  'Così  '1  mio  cnor.  che  a  voi, 
donna  avvenente,  alando  perchè  vi  conti  le  mie  pene  ;  Con  voi  rimane,  ed  Io 
ne  son  perdente  '  :  madonna  però  risponde  :  •  Io  mi  disdico  che  non  ho  tuo  core. 
E  s' Io  r  avessi,  lo  ti  renderla  :  Ma  poi  non  1"  ho.  richiedilo  ad  Amore.  A  cui 
lo  desti  per  la  tua  follia  '  :  e  gli  dà  una  buona  lezione  e  un  corollario  ancor  per 
grazia  :  '  Se  sei  saputo,  pensalo  e  provve<ll.  Ch'  esser  non  può  amor  senza  pia- 
cere '  :  replica  messere,  ringraziando,  mostrandosi  lieto,  e  promettendo  di  ubbl- 
»Hf<^  a  sua  signoria,  l'avvenente.    L'Immagine  d'Amore  che  reca  11  cuore  del- 


202  Le  rinie  e  il  racconto  della  Vi  fa  nuova 

E  di  posticcio  accomodamento  risente  la  causa  che  il  poeta  adduce 
nella  prosa  per  ispiegare  perchè  quell'  andare  non  gli  era  gradito  : 
e  la  circostanza  della  '  compagnia  di  molti  ',  che  il  poeta  aggiunge 
parimenti  nella  prosa,  sembra  anch'  essa  un  espediente  per  dar  più 
peso  alla  pretesa  cagione  della  sua  tristezza  :  1'  andare  gli  sgradla, 
non  perchè  fosse  solo,  come  potrebbe  alcuno  pensare,  ma  perchè  si 
dilungava  dalla  sua  beatitudine.  Amore,  nel  sonetto,  venÌA'a  bensì, 

Per  non  veder  la  gente,  a  capo  chino  ; 

ma  codesta  gente  non  è  poi  necessario  pensare  che  fosse  la  compa- 
gnia del  poeta,  anziché  ogni  altro  viandante,  come  Amore  e  il  poeta 
stesso.  Né  per  intendere  il  sonetto  occorre  davvero  fare  buon  viso 
ai  posticci  supplementi,  che  ben  a  ragione  riescon  sospetti.  Se  A- 
more,  meschino  nella  sembianza,  sospirando  pensoso,  e  a  capo  chi- 
no, andava  in  servigio  del  poeta  dall'  uno  all'  altro  '  piacere  '  ;  il 
poeta,  eh'  era  fedele  d'  Amore,  pensoso  e  triste  dovea  andare  come 
il  suo  signore,  a  cagion  di  congruenza  simbolica  ;  nò  Amore  ora  tri- 
sto e  pensoso  perchè  il  suo  fedele  si  dilungava  dalla  sua  beatitu- 
dine, ma  perchè  parca  che  '  avesse  perduto  signoria  '.  E  codesta 
causa  della  tristezza  d'  Amore,  sulla  quale  destramente  il  poeta  nella 
prosa  sorvola,  finisce  col  darci  quasi  la  certezza  che  Beatrice  era 
affatto  estranea  a  quella  immaginazione.  Come  avrebbe  potuto  dire 
il  poeta  che  gli  parea  che  Amore  avesse  perduto  signoria,  se  allora, 
come  sempre,  lo  '  segnoreggiava  per  la  virtù  de  la  gentilissima  don- 
na '  ?  Insomma,  né  del  simulato  amore,  né  di  Beatrice,  ci  riesce  di 
scorger  traccia  in  codesto  sonetto. 

Ifessuna  opportunità,  come  nessun  sentimento  amoroso  poteva 
dunque  ispirar  quella  finzione.  Ma  ben  poteva  l' ispirazione  venir 
dalla  casistica  amorosa.  Il  poeta  probabilmente  si  proponeva  di  ri- 
spondere alla  questione,  so  amor  lontano  può  durare  ;  e  come  poi 
giudicò  (  Piirg.  8,  76  )  che 

assai  di  lieve  si  comprende. 
Quanto  In  femmina  foco  d"  amor  darà, 
Se  r  occhio  o  '1  tatto  spesso  noi  raccende  ; 

COSÌ  qui,  por  esprimer  suppergiù  la  stessa  sentenza,  si  fece  venir 
incontro  Amore  a  notificargli  il  trasferimento,  per  ragion  di  servi- 


1*  amante  alla  donna  amata,  è  anche  in  un  sonetto  di  Hustlco  di  Filippo,  /'  ag- 
gio inteso  :  '  Lo  cor  quando  dal  corpo  si  partio.  Disse  ad  Amor  :  Segnorc,  in 
quale  parte    Mi  meni?  E  que"  risposo:  Al  tuo  desio". 


Amore  spodestato  dalla  lontananza  303 


/io,  (ti  qiU'l  ciiniv  ih»<  in  lontana  j>aiU'  faceva  porder  niìinoria  al 
dio  perojrrino  (*).  E  si  proponeva  altresì,  probabilmente,  d' insinuare 
che  è  volontà  d'  Amore  trapsissar  da  un  affetto  a»l  un  altro,  appunto 
come  nel  sonetto  a  Cino,  Jo  sono  stato.  Probjibile  dunque,  che  co- 
desta rima,  nella  prima  intenzione,  non  uscisse  dai  confini  della 
ciUiistica  amorosa.  Conferma  a  questa  supposizione  pare  possa  tre* 
varsi  n"i  dui'  ultimi  versi  del  sonetto: 

Allora  presi  di  lui  sì  g^ran  parte, 

Cli'  elli  dl.<)parve,  e  non  m' accorsi  come  ; 

il  cui  significato  forse  era  questo  :  —  M' infiammai  così  dell*  amore 
vicino,  che  quella  immatrinazione  d'  Amore  meschino  e  senai  signo- 
ria, dispai^'e  —  ;  cioè,  il  cuore  divenuto  freddo  e  triste  per  1*  amoro 
lontano,  s'  infiamma  qiuindo  V  amore  è  vicino  ;  non  pensa  più  al 
p<iSKiito,  e  serve  novo  piacere.  Tuttavia,  nella  prosa  quei  versi  sono 
cosi  parafi-iisjiti  :  •  E  dette  queste  parole,  disparve  quesUi  mia  inui- 
ginazione  tuttii  subitamente,  per  la  grandissima  parte,  che  mi  par\'o 
che  Amore  mi  desse  di  sé  '.  Bene  osser>-ò  il  Witte  che  mentre  nella 
prosa  r  agente  è  Amore,  nel  sonetto  invece  è  il  poeta.  Ma  codesta 
sostituzione  non  avrebbe  certo  importanza,  se  non  ingenerasse  alcun 
ritorcimento  del  primitivo  significato  dei  due  versi  ;  la  cui  para- 
f  nisi.  daUtci  dal  poeta,  par  che  si  possa  intendere  così  :  —  Disparte 
quella  immaginazione,  perchè  mi  parve  che  Amore  mi  d^sse  gran- 
dissimo ajuto,  perchè  mi  parve  che  Amore  prendesse  grandissima 
parte  ai  casi  miei  :  disparve,  quando  queir  ajuto  eh"  io,  rimasto  senza 
difesi!,  speravo  dal  mio  signore,  mi  parve  che  fosse  venuto  —  :  sen- 
tenza codesta  che,  se,  forse  anche  con  >un  poco  di  buona  volontà,  si 
può  vedere  nella  prosa,  non  potri'bbe  in  nessun  modo  attribuirsi 
alle  parole  rimat<»  (**). 

Ma  se  nessuna  circostanza  di  fatto  noi  sapremmo  vedere  in  co* 
destji  rima  d'  Amore  spodestato  dalla  lontananza,  ben  seppe  scovar- 


1*1  La  sentenza  che  la  lontananza  produce  oblio,  era  già  nei  precetti  cho 
Amore  avea  dettato  a  Guglielmo  de  LiorrLs.  Cecco  d' Ascoli  (  Acerba,  i,  11  )  que- 
sta Tolta  consentiva  :  '  Infin  che  U  vLso  accende  e  II  tatto  dura,  Fermo  è  II  vo- 
ler in  donna,  e  ciò  consento  :    Stando  dlvLsa,  più  di  te  non  cura  '. 

(**|  8er  Xoffo  notajo,  son.   Vedete  s' è  pietoso  :  *  Eo  stava  si  doglioso   Ch"  o- 
gnl  nom  dlcea  :  el  muore.    Per  lo  meo  lontan  gire    Da  quella  in  cui  lo  poso 
Piacer  tutto  e  valore    Dello  mio  fin  gioire.    E  stando  in  tal  maniera.    Amor 
m'  apparve  scorto  ;    E  in  suo  dolce  parlare    Mi  dLsse  nmllemente  :    Prendi  d' A- 
more  spera    Di  ritornare  a  porto  :    Xè  per  lontano  gire    Non  dLsmagar  neente  *, 


204  t£  rime  e  il  raccónto  della  Vita  nuòva 

ne  una,  e  assai  importante,  la  critica  positiva,  nella  sola  prima  pa- 
rola del  sonetto,  in  quel  semplice  '  cavalcando  '.  Che  cavalcata  sarà 
stata  mai  codesta  di  Dante  ?  Certo,  è  ben  naturale  che,  della  gio- 
vinezza del  poeta  sapendosi  poco  o  niente,  si  colga  con  sollecitudine 
amorosa  e  scrupolosa  la  più  piccola  occasiono  per  carpir  qualche 
indizio  che,  ben  coltiA'ato,  valga  a  mitigar  sì  grande  carestia.  Ma 
non  sembra  molto  ragionevole  dar  valore  di  prova  all'  arzigogolare 
oltre  i  confini  del  verosimile.  Su  quella  innocente  parola  si  costrui- 
sco un  capitolo,  e  il  più  bel  capitolo,  della  biografia  di  Dante.  Il 
poeta  ha  detto  :  —  L'  altro  jeri,  cavalcando,  incontrai  Amore  pere- 
grino —  .  Or  bene,  quel  cavalcando  non  sarà  stato  messo  lì  per  ren- 
dere verosimile  l' incontro  con  Amore  che  veniva  da  lontana  parte, 
o  per  qualche  altra  ragiono  poetica  ;  sarebbe  stato  un  cavalcare  con 
1'  immaginazione,  e  ciò  non  piiò  essere  :  con  V  immaginazione  è  le- 
cito cavalcare  soltanto  ai  critici,  non  ai  poeti  (*).  È  straordinaria  la 
potenza  suggestiva  d'  una  parola,  quando  si  trovano  argute  fantasie 
disposte,  a  fin  di  bene,  a  spaziar  liberamente  per  i  campi  sterminati 
delle  ipotesi  !  In  quella  cavalcata,  anzi  in  quel  '  cavalcando  ',  il  Balbo 
(  Vì'fa  dì  i>.  1,  3  e  5  )  A'edi-ebbe  Danto  giovinetto  andar  '  per  istudio  a 
Bologna  '  ;  il  Todeschini  (  Scr.  1.  271  s  ),  confutando  l' ipotesi  del  Balbo, 
vi  scopre  invece  '  una  marcia  guerresca  verso  il  contado  di  Arezzo  '  ; 
il  Witte  prende  a  dimostrare  e  specifica  la  marcia  guerresca  :  si  tratta 
dell'  imprèsa  di  Campaldino,  e  1'  andare  era  sgradito  a  Dante  perchè . . . 
egli  era  già  '  propenso  al  Ghibellinismo  '.  Alla  '  celebre  spedizione 
dei  Guelfi  a  Campaldino  '  aveva  già  pensato  anche  F  Orlandini  (  Del' 
la  Vita  Nuova,  discorso,  nella  raccolta  D.  e  il  suo  sec.  394  )  ;  ma  il 
D'  Ancona  scarta  Campaldino  per  ragioni  di  cronologia,  e  inculca 
che  '  bisogna  dunque   pensare  a  qualche  fatto   militare,  a  qualche 


(*)  Guido  d'TJlssel  (citato  dal  Nannuccl,  Man.  1,  140  n),  '  L' autre  lorn  per 
aventora  M' anava  sol  cavalcan  Un  sonet  notau  '.  Messer  Pleti-o  Asino  comin- 
ciava un  suo  sonetto  così  :  '  Per  un  camln  pensando  già  d' amore  '  ;  e  forse  an- 
ch'egli  cavalcava.  A  Ciacco  dell' Angulllara  (  vd.  ^«5S.  W6/.  8,  295  ;  Oiorn.stor. 
36,  445  )  è  attribuita  una  canzone  che  comincia  appunto,  '  Part'  Io  mi  cavalcava  ' 
(  al.  '  Mentr'  io  mi  cavalcava  ',  '  Per  Arno  mi  cavalcava  '  ).  Al  raffronto  con  lo 
Pastorelle  francesi,  obbietta  11  Bartoli  (St.  2,  242  n):  'Ma  bisognerà  dimostra- 
re che,  come  si  caviilcava  lungo  la  Senna,  non  si  potesse  caA'alcare  lungo  l' Ar- 
no '.  Certo,  ed  anche  lungo  II  Tevere.  Sennonché,  quel  cavalcare  essendo  una  fin- 
zione, come  tutto  il  contrasto,  ben  potrebbe  esser  motivo  venutoci  d'  oltralpe. 
Comunque,  non  ora  cosa  nuova  certamente  11  cavalcare  con  l' immaginazione  :  ser 
Brunetto,  per  es.,  dopo  di  essersi  confessato  a  Montpellier,  se  ne  tornò  alla  fo» 
rosta,  e  tanto  cavalcò  che  arrivò  sull"  Olimpo,  dove  si  abboccò  con  Tolomeo, 


1m  cacalcata  di  Dante  à05 


e  fi  calcata  jinterioro  '  al  1289,  forse  all'  assedio  di  Poggio  Santa  Ce- 
cilia. Il  Del  Lungo  (  Beatrice  nella  rifa  e  nella  poesia  del  sec.  XII J, 
^Milano  1891  :  p.  32  ss  )  porta  un  notevole  rincalzo  ali*  •  interpreta- 
zione militare  '  ;  egli  trova  che  le  espressioni  di  cui  si  serve  Dante 
nel  racconto  di  codesta  cavalcata,  '  ire  verso  quelle  parti  \  '■  toma- 
ta  '  (  o  '  ritornata  *  ),  sono  di  '  uso  militare  '  :  e  afferma  che  '  le  cir- 
costanze e  locuzioni  del  testo  dantesco ...  si  adattano  benissimo  ad 
una  spedizione  milit^ire  fìorentina  quandochessia  e  per  dovecchessia 
a^'^'onut^l  '.  E  so  1'  armigero  amante  di  monna  Bice,  cosi  tenero  per 
le  locazioni  militari,  racconta  che  Amore  tiilora  volgea  gli  occhi 
'ad  un  fiume  bello  e  corrente  e  chiarissimo',  invece  di  dire  eh' ei 
cavjilcava  militando  lungo  1'  Arno,  sjirebbe  prova  del  *  solito  scru- 
poloso e  perirnistico  astrarre  dalla  storica  realtà';  e  se  nel  racconto 
del  poeta  non  v'  è  accenno  alcuno  né  a  battaglie,  né  ad  assedi,  né 
a  Guelfi,  nò  a  Ghibellini,  si  dovrebbe  argomentare  che  '  nel  rac- 
conto che  abl>iauio  dinanzi,  queste  realtìi  S4>lenni  e  tragiche  svani- 
scono, e  sottentrano  ad  esse  i  fiuitasmi  ideali  del  romanzo  d'  un'  a- 
nima  '.  Insomma,  quel  Grande  che  tanto  fortemente  sentì  1'  amor  di 
patria,  che  tjinto  virilmente  sempre  operò,  dopo  una  spedizione  mili- 
tare, sarebbe  venuto  a  dire:  —  Recentemente  cavalcando,  come  sape- 
te, per  quella  gran  seccatura  di  Campaldino,  di  Caprona,  di  Pog- 
gio Santa  Ceciliiu  che  mi  iillontanava  dalla  mia  beatitudine;  sapete 
novitc'i  che  mi  occorse?  che  mi  appar\'e  Amore  vestito  leggermente, 
e  mi  disse  certe  cosette  che  saprete  meglio  quando  piacerà  al  *  si- 
gnore de  la  giustizia  '  di  chiamare  a  gloriare  in  cielo  quella  gen- 
tilissima che  voi  non  sapete  —  .  Insommii,  il  più  fiero  cittadino  di 
Firenze,  in  un'  impresa  militare,  non  avrebbe  trovato  di  meglio  che 
farsi  venire  nell'  immaginazione  Amore  meschino  e  peregrino,  re- 
cante il  suo  cuoricino  '  a  servir  novo  piacere  '  !  Sennonché,  il  pun- 
tello filologico  del  critico  illustre  all'ipotesi  dell'impresa  guerresca, 
non  sembra  cosi  forte  da  sostener  tanta  mole.  La  frase  del  paragra- 
fo 9.  '  ire  verro  quelle  parti  dove  ',  non  pare  che  abbia  un"  and.*!- 
tura  più  marziale  di  molte  altre  simili  della  stessa  Vita  nuora  (*)  ; 


(*)  Cfr.  FA'.  2,  7  •  volse  gli  occhi  verso  quella  parte  ove  '  ;  .5.  1  '  sedea  in 
parte  ove  *  ;  10,  10  •  pa<>.sando  per  alcuna  parte  '  ;  12,  3  ■  In  sollnga  parte  andai  '  : 
12,  49  •  nolle  mandare  in  parte  sanza  me  '  :  14,  2  '  renne  In  parte  dove  '  :  24,  2 
*  sedendo  io  pensoso  in  alcuna  parte  '  ;  24.  »4  •  parve  che  Amore  m"  apparisse  al- 
legro da  lunga  parte  '  :  34,  3  '  io  mi  sedea  in  parte  ne  la  quale  '  :  35.  1  '  con  ciò 
fosse  cosa  ched  io  fosse  in  parte  ne  la  quale  '  ;  40,  10  '  Questi  peregrini  mJ  pa« 
lono  di  lontana  parte  *, 

20 


206  Le  rime  e  it  racconto  detta  Vita  nuova 


né  la  A^oce  '  toi-nata  ',  o  '  ritornata  '.  è  certo  più  bellicosa  nel  para- 
grafo 10  del  colombino  libello,  che  altrove  (*).  Più  discreto  il  Ca- 
sini s'ispira  ad  Ovidio  {Amores,  3.  2,  49): 

Plaude  tuo  Marti,  mlles  !  nos  odlmus  arma  : 
Pax  Invat  et  media  pace  repertiis  amor. 

Egli  crede  *  che  si  tratti  di  una  cavalcata  fatta  per  dipoi-to  nei  din- 
torni di  Firenze  in  compagnia  di  amici  ',  Ma  non  vediamo  perchè 
'  il  fatto  che  Amore  gli  nominasse  la  nuova  donna  in  mezzo  alla 
via  e  gli  apparisse  in  abito  di  pellegrino  non  può  significar  altro  se 
non  che  quella  donna  fosse,  certamente  con  altre,  nella  lieta  brigata 
alla  quale  si  era  unito  Dante  '.  Il  poeta  dice  che  dopo  il  ritorno 
cercò  della  donna  nominata  da  Amore  (**).  Certamente,  perchè  il 
quadro  fosse  completo,  ci  mancavano  le  dame  ;  e  così  in  quel  '  ca- 
valcando '  abbiamo,  senza  tener  conto  delle  Pandette, 

Le  donne  o  1  cavaller,  l'armi  e  gli  amori  (f). 


(*)  Il  Casini  cita  V  esemplo  d'  una  ballata.  Partite  amore,  conservataci  da 
un  Memoriale  del  1286  di  un  notajo  bolognese:  '  Or  me  bassa,  odo  meo  ;  Tosto 
sia  l'andata,  Tenendola  tornata  Como  d' Inamorati '.  Cfr.  anche  Chlai-o 
Davanzali,  son.  Adimoraudo,  'Ma  tuttavia  membrando  la  tornata,  Ched  lo 
veniva  a  si  grande  diporto.  Lasciava  pene  e  grande  pensamento  '  ;  Novellino , 
nov.  66  '  Cristo  si  volse,  e  ripreseli,  e  disse  : ...  E  che  ciò  sia  vero,  alla  tor- 
nata n'  udirete  l' assemplo  '  ;  nov.  90  '  Poi  gli  venne  In  talento  di  tornare  a  ve- 
dere il  padre  e  la  madre  ; . . .  con  ricca  compagnia  salì  a  cavallo  e  ml- 
sesi  in  cammino  : . . .  ave'  elli  Imposto  al  messo  che  dicesse  come  elli  avesse  la 
gamba  spezzata,  per  attemperare  il  cuore  della  grande  gioia,  la  quale  elli  sapeva 
che  elli  avrebbero  della  sua  tornata';  Barberino,  Regg.  83  '  Vanne,  non  pti- 
re  andar  cercando  come  Tu  possa  più  parlar  con  esso  meco,  Ch'  io  sento  an- 
cora alquanto  d'  adirata  ;  Direni  più  cose  all'  altra  tua  tornata';  p.  139  '  E 
dimandando  per  la  terra,  chi  è  questa  giovane,  e  slmili  dlmande,  tanto  1'  allu- 
strano  per  la  terra  In  seguitarla  Inslno  alla  tornata  In  sua  magione,  che  co- 
stei tornò  in  casa  e  comlnclossl  a  specchlare  '  ;  p.  359  '  Che  se  dovete  voi  tor- 
nare a  Quello  Che  vi  donò  l'eccellente  corona...  Avanti  a  quella  tornata 
sublime,  Degnate  a  me  alcuna  grazia  fare  '  ;  Boccaccio,  Decam.  1,  4  '  Io  voglio 
andare  a  trovar  modo  come  tu  esca  di  qua  entro  senza  esser  veduta  ;  perciò  stattl 
pianamente  Infine  alla  mia  tornata'.  Se  poi  dalla  voce  '  tornata  '  passiamo 
col  Del  Lungo  a,lla  voce  '  andata  ',  basterà  ricordare  11  dantesco,  '  Per  questa 
andata,  onde  gli  A&i  tu  vanto  '  ;  e  se  da  codesti  sostantivi  passiamo,  come  fa 
Il  Del  Lungo,  alle  formo  verbali  di  '  andare  '  e  '  tornare  '  o  '  ritornare  ',  gli  e- 
sempl  di  uso  non  castrense,  sono  senza  numero. 

(**)  Un  episodio  d'  amor  cavalleresco  che  si  svolse  lungo  nn  fiume,  In  una 
cavalcata  di  donne  e  cavalieri,  ò  narrato  dal  Barberino,  Begg.  137  s. 

(f)  Cfr.  Pnrg.  U,  109  '  Le  donne  e  1  cavaller,  gli  affanni  e  gli  agi  ". 


Tm  hall  afa  307 

Tuttrtviii,  r  ipotesi  del  Casini,  bonchò  parimenti  gi*atuita,  cansa  le 
insormontabili  obl>iezioni  che  tolgon  l' andare  alle  altre,  e  che  ha 
in  parte  noWite  il  Casini  8t*»8RO  (*).  Perchè  mai  dobbiamo  veder 
rimescolio  cruento  di  Guelfi  e  Ghibellini  nel  pacifico  'cavalcando' 
del  mistico  racconto  dei  mistici  amori  del  poetit  ?  scorger  corrusche 
d'  armi  ferree  larve  jsruerriero  nel  *  cammino  do'  sospiri  '  (**)  ?  Però 
che  nel  sonetto  non  v'  è  altro  che  una  visione  8Ìmi>olica  del  dio 
dell'  amore,  e  nella  prosji  tale  visione  ò  accomodata,  come  pare,  al 
racconto  della  Vita  nuora,  che  non  tratta  d' altro  che  d'  amore.  Se 
allegorico  è  il  sonetto,  e  se  T  allegoria  è  anche  amplificata  nella 
prosa,  perchè  non  dobbiamo  pigliar  tutto  per  una  fantasia  poetica  ? 
Dovrebbe  esser  la  cosa  più  naturale  di  questo  mondo,  specialmente 
jv'i-  chi  sonte  giusto  ribrezzo  dello  fantasticherie. 


^^ 


BallaUi.  Ballata,  f  co  che  tu  ritroci  Amore  (  l'.V.  10  e  12).  Quan- 
do una  *  soverchievole  voce  '  parea  che  '  infamasse  viziosamente  ' 
il  poeta,  perchè  egli  *  in  poco  tempo  *  avea  fatto  la  donna,  che  il 
suo  signore  gli  '  avea  nominata  nel  cammino  de*  sospiri  '.  sua  •  di- 
fesji  tanto  che  troppa  gente  ne  ragionava  oltre  li  termini  de  la  cor- 
tesia '  ;  la  '  distruggitrice  di  tutti  i  vizii  e  reina  de  le  virtudi,  pas- 
sjindo  per  alcuna  parte,  negò  lo  suo  dolcissimo  salutare  '  al  mistico 
suo  adonitore.  Allora  Amore  apparve  in  sogno,  *  ne  la  nona  ora  del 
die  ',  all'  inconsolabile  insalutato  giovine  :  e,  dopo  avergli  detto  che 
•>ni  tempo  di  lasciare  gli  schermi,  e  spiegato  con  parole  oscure  la 
cagione  del  suo  pianto,  cosi  prese  a  ragionare  *■  de  la  salute^  hi  qual 
fue  negata  '  :  *  Quella  nostra  Beatrice  udfo  da  certe  persone,  di  te 


(*l  I-o  Scherillo  {Ale.  cap.  249)  procaccia  qualche  ^rado  di  probabilità  al- 
r  Interpretazione  militare.  ln<«inuando  che  la  •  spedizione  '  era  •  forse  di  semplice 
pjirata  *. 

(»'i  I  .V.  10.  3.  L'Orlandlni  (art.  elt.  p.  3%)  troTa  che  '  anche  questa  espre«i- 
slone  è  ottima  a  designare  la  via  che  conduce  ad  una  Impresa  di  fratricidio  '. 
'  Xotevoll.  «scrive  11  D"  Ancona  (  l'.V.  75  (.  queste  designazioni  precLse  date  da 
Dante  a  luoghi  che  furono  teatro  o  testimonj  di  alcun  capitale  episodio  della  sua 
vita  amorosa,  e  novella  riprova  Insieme  della  realtà  dell'  affetto  suo  per  Bea- 
trice ■.  Certo,  è  notevole  che  il  •  cammino  de"  sospiri  "  portava  da  Firenze  al  forte 
castello  di  Poggio  Santa  Cecilia,  nel  contado  di  Slena. 


208  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

ragionando,  che  la  donna  la  quale  io  ti  nominai  nel  cammino  de  li 
sospiri,  ricoTea  da  te  alcuna  noia  ;  e  però  questa  gentilissima,  la 
quale  è  contraria  di  tutte  le  noie,  non  degnò  salutare  la  tua  per- 
sona, temendo  non  fosse  noiosa  '.  Codesta  dunque  la  cagione  di  tanta 
jattura  ;  questo  poi  a  tanta  jattura  il  rimedio,  proposto  o  imposto 
al  poeta  dal  suo  provvido  signore  :  *  Onde  con  ciò  sia  cosa  che  ve- 
racemente sia  conosciuto  per  lei  alquanto  lo  tuo  segreto  per  lunga 
consuetudine,  voglio  che  tu  dichi  certe  parole  per  rima,  ne  le  quali 
tu  comprendi  la  forza  eh'  io  tegno  sopra  te  per  lei,  e  come  tu  fosti 
suo  tostamente  da  la  tua  puerizia ...  ;  e  per  questo  sentirà  ella  la 
tua  volontà,  la  quale  sentendo,  conoscerà  le  parole  de  li  ingannati  '. 
Nella  perdita  del  saluto  e  nel  consiglio  d'  Amore  si  avrebbe  dun- 
que r  occasione  o  l' ispirazione  della  ballata.  Nella  quale  però,  il 
poeta  chiede  scusa  e  perdono  e  pietà  a  madonna,  eh'  oi  crede  verso 
di  lui  '  adirata  '.  E  commette  alla  sua  rima  di  dirle  : 

Madonna,  quelli,  che  mi  manda  a  vul, 

Quando  vi  piaccia,  vele, 

Sed  elli  ha  scusa,  che  la  m' Intendiate. 

Amore  è  qui,  che  per  vostra  bleltato 

Ijo  face,  come  voi,  vLsta  cangiare  : 

Dunque,  perchè  li  fece  alti'a  guardare, 

Pensatel  voi,  da  eh'  e'  non  mutò  il  core  (*)• 

E  a  conferma  di  ciò,  la  ballata  deve  aggiungere  : 

Madonna,  lo  suo  core  è  stato 
Con  sì  fermata  fede, 

Che  'n  voi  servir  1'  ha  pronto  ogne  penserò  : 
Tosto  fu  vostro,  e  mai  non  s'  è  smagato. 

In  fine,  dice  il  poeta, 

falle  umil  pregherò, 
Lo  perdonare  se  le  fossi  a  noia. 
Che  mi  comandi  por  messo  eh-  eo  moia  ; 
E  vedrassi  ubbidir  bon  servidore  (**). 


(*)  Mazzeo  Ricco,  canz.  Lo  gran  valore,  '  Però,  donna  avvenente,  Por  Dio 
vi  prlego,  quando  mi  vedete,  Guardate  me  :  così  conosciereto  Per  la  mia  dora, 
ciò  cho  '1  mio  cor  sente  '  ;  Chiaro  Davanzati,  son.  Madonna,  io  non  udivi,  '  Se 
l'amore  peccò  ed  lo  peccai,  Lo  coro  è  messo  che  sempre  v'adora,  Cherendovi 
perdon  sed  io  fallai  '. 

{**)  Enzo  re,  canz.  S' co  trovasse,  '  non  m"  è  noia  Morir,  s"  ella  u'  ha  gioia  "  ; 
Onesto  Bolognese,  ball.  La  partema  che  fo,  '  Di'  che  scovra  ver  me  so  volere  : 
Se  'n  piacere    gli  ò  eh'  eo  senta  morte,     A  me  forte     gradisco  esser  morto  '  ; 


Madonna  adirata  e  gelosa  209 

*  Milli-  <>i:imii  \<-,U'.  né  poche,  né  di  poco  momento  sono  le  di- 
screpanze tra  la  rima  e  la  prosa.  Dallo  parole  della  ragione,  par- 
rebbe che  il  poeta  non  avesse  prima  d'  allora  manifestato  aperta- 
mente il  suo  amore  alla  gentilissima  :  e  la  ballata  dovrebbe  esser 
la  prima  dichiarazione  di  un  amore  lungamente  tenuto  chiuso  in 
seno.  Ma  non  par  conveniente,  anzi  stranissimo  pare,  che  alcuno, 
a  chi  non  ha  detto  mai  :  —  Io  v"  amo  !  —  venga  fuori  un  bel  giorno 
a  dire  :  —  Voi  siete  adirata  con  me  perchè  ho  guardato  un'  altra  ; 
perdonatemi  :  so  no,  falerni  il  favore  di  mandarmi  a  diro  eh'  io  muo> 
ja  —  .  Vorrebbe,  senza  dubbio,  disincagliar  la  narrazione  deUii  Vita 
nuora  da  coilesta  incongruenza  il  Casini,  intendendo  che  Beatrice 
conoscesse  *  al({uanto  per  lunga  consuetudine  ',  non  giii  il  segreto 
amoro  del  poeta,  ma  1'  espediente  degli  schermi.  Ma  non  pjire  dav- 
vero che  le  parole  del  libello  si  prestino  di  buona  voglia  a  tale  in- 
terpretti/.ione.  La  concessiva,  '  con  ciò  sia  cosa  che  veracemente  sia 
oonosriuto  j>er  lei  alquanto  lo  tuo  8t»greto  per  lunga  consuetudine  ', 
)'  <li  lomplemento  air  espressione,  'voglio  che  tu  dichi  certe  parole 
per  rima,  ne  le  quali  tu  comprendi  la  forza  eh'  io  tegno  sopnt  te 
per  lei,  e  come  tu  fosti  suo  tosUimento  da  la  tua  puerizia  '.  E  ad 
ogni  mo<1o,  non  si  potrebbe  dire  che  dall'  interpretazione  del  Casini 
non  rampolli  altra  e  non  meno  grave  contradizione.  Possiamo  noi 
pensare  che  il  poeta  si  fosse  ser\-ito  per  molti  anni  del  ripiego  dei 
simulati  amori,  senza  che  vi  fosse  un'  esplicita  intesa  con  la  donna 
amata  ?  Chi  ama  cosi  da  divenir  gelosa,  non  si  contenta  di  sapere 
alquanto  per  lunga  consuetudine  che  il  suo  fedele  finga  d'  amare 
un'  altra  donna,  ma  vuol  sincerarsi,  e  acquistar  piena  fede  ed  in- 
tera, e  vetlemo  aperta  o  chiara  e  urgente  la  necessità,  e  approvare, 
e  acquetaci.  E  nel  cjiso  supposto  dal  Casini,  quel  chieder  perdono, 
dovea.  nonché  dissipare,  confermare  i  sospetti  di  madonna  (*). 


Pier  delle  Vigne  però  era  più  ragionevole  :  •  Che  (  argomentava,  canz.  Amore  in 
cai  viro  ),  a*  io  troppo  dimoro,  aulente  cera,  Pare  eh*  lo  pera,  e  voi  mi  perde- 
rete :  Adnnqae.  donna,  se  ben  mi  volete.  Guardate  eh'  eo  non  mora  in  vostra 
spera'.  Se  poi  avea  dei  torti,  madonna  poteva  ben  contentarsi  di  dargli  peni- 
tenza :  *  Mea  canzonetta,  porta  estl  compianti  A  quella  che  'n  baUia  ha  Io  meo 
core,  E  le  mie  pene  contale  da^^antl.  E  dille  com*  eo  moro  per  su*  amore  ;  E 
mandimi  per  suo  messaggio  a  dire  Com' Io  conforti  l'amor  che  le  porto:  E 
s"  lo  ver  lei  feci  alcuno  torto,    Donimi  penitenza  al  suo  volire  *. 

(*(  Guitton  A'  Arezzo,  rimando  a  freddo  su  motivi  trovadorlcl  (  canz.  Sì  mi 
distringie  ),  riesce  invero  ad  accumular  ì>en  altre  assurdità  e  contradizioni.  Egli, 
sapendo  '  "per  certanza.  Che  discoverto  amore  non  vai  fiore.  Che  tempo  con 
dolzoi-o    Poco  dura,  ed  un"  ora  tolte  pregio  '  ;  pensò  di  andarsene  lontano  da  ma- 


210  T^  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuora 

Comunque  sia  di  ciò,  deir  ira  di  madonna  si  tace  nella  ragio- 
ne, come  si  tace  del  perdono  implorato  dal  servente  ;  per  converso, 
manca  nella  ballata  ogni  accenno  al  saluto  negato  ed  alla  beatitu- 
dine del  saluto,  non  v'  è  traccia  della  '  soverchievole  voce  ',  ed  è 
poco  evidente  1'  allusione  all'  amor  della  puerizia  ;  giacché,  in  luogo 
di  supplire  con  le  parole  della  ragione.  '  tostamente  da  la  puerizia  ', 
si  può  bene  intendere  il  '  tosto  fu  vostro  '  della  ballata  così  :  —  ap- 
pena vi  vide,  appena  cominciò  ad  amai'\-i,  fu  vostro,  tutto  vostro 
fin  dal  primo  momento  —  . 

Forse  codesta  rima  si  proponeva  di  calmare  la  proA'ocata  a  bella 
posta  gelosia  di  una  donna  amata  ed  amante.  Pare  che  il  poeta  vo- 
glia dire  a  madonna  :  —  Voi  sapete  come  dinanzi  a  voi  mi  trasco- 
loro :  or  di  che  temete  ?  Guardai  un'  altra  ;  ebbene,  sarà  stato  uno 
scherzo,  sarà  stato  un  ghiribizzo  ;  volli  provaro  il  vostro  affetto, 
volli  avvivare  la  vostra  fiamma  ;  che  so  ?  pensatoi  voi.  Certo  è  eh'  io 
sono  stato  o  son  tutto  vostro  '  —  (*).  E  forse  la  ballata  si  riconnette 


donna,  e  fingere  di  non  amarla.  Tuttavia,  temeva  che  madonna  per  ciò  lo  bia- 
simasse :  '  Fallenza  forse  pare  A  lei  oh'  Io  son  partuto  Di  là  ove  stava,  e  stogi  I 
or  più  lontano  :  Ma  non  mi  de'  blasmare.  Che  piùe  già  non  muto  :  Lo  core 
meo  m' ha  pur  lei  prossimano  ;  Ma  mutat'  ò  il  corpo,  e  fo  sembiante  Ch'  io  non 
aggia  che  fare  In  quella  parte  ov'  è  sua  dlmoranza  '.  Egli  era  disposto  perfino 
a  morire  per  la  '  plagonte  donna  '  :  '  Perchè  (diceva)  mi  piace  più  per  lei  morire, 
Che  per  altra  guarire,  Poiché  mi  credo  tutto  in  sua  piagenza  :  Che  mi  place  ed 
ngienza  E  morte  e  vita,  qual  più  n"  ha  in  grato  '.  Ma  il  guajo  era  appunto  que- 
sto, eh'  egli  non  sapeva  qual  cosa  le  fosse  in  grado  :  'Et  in  grato  qual  sia, 
Certo  non  so  di  vero,  Perchè  per  me  né  per  altrui  non  posso.  Dir  lei  la  voglia 
mia  '.  Il  '  piacentero  sembiante  '  di  madonna  però,  gli  mostrava  '  gran  benvo- 
gUenza  ',  e  gli  faceva  bene  sperare  '  dolze  mercede  '  ;  ma  egli  non  osava  doman- 
dare :  '  Poi  non  oso  per  me  né  per  altrui  ;  Sì  forte  temo  a  cui  Eo  poi  pareggi 
di  sì  grande  affare,  Che  me'  m'  è  tormentare,  Che  'n  ver  1'  onor  suo  far  fior 
di  fallenza  '.  Aveva  trovato  però  un  certo  espediente  per  Iscoprir  tei'reno,  man- 
dare la  canzone  :  '  Va,  mia  Canzon,  là  ov'  Io  non  posso  gire,  E  raccomanda  me- 
ne A  lei,  che  m'  ha  per  suo  leal  servente  :  E  di'  che  sia  piagente  Di  dare  me 
matera  e  'nsegnamento  Di  dir  lo  meo  talento  Com'  lo  potesse  lei,  poich'  io  non 
saccio  '.  E  codesta  era  la  vera  ragione  :  il  futuro  frate  gaudente  non  sapeva  fare 
all'  amore  neppure  per  rima. 

(*)  Cat.  Carni.  83  'Irata  est:  hoc  est,  nritur  et  loqultur'  ;  Ovid.  Amores,  1, 
8,  95  '  Ne  seeurus  amet  nullo  rivale,  caveto  :  Non  bene,  si  tollas  proelia.  durai 
amor  ;  2,  19,  13  A  !  quotiens  finxlt  culpam,  quantumque  licebat  Insontl,  spo- 
ciem  praebult  esse  nocens  !  Sic  ubi  vcxarat  tepldosque  refoverat  ignls,  Rursus 
erat  votis  comis  et  apta  mois  ;  2,  19,  25  Pinguls  amor  nlmiumque  patens  In  tae- 
dia  nobis  Vertltur  et,  stomacho  dnlcis  ut  esca,  nocet  '  ;  Ars  aniat.  2,  435  '  Sunt. 
quibus  Ingrato  timida  ludulgentla  servii  Et,  si  nulla  subest  aemula,  languot 
amor . . .    Sic,  ubi  pigra  sltu  securaquo  poctora  torpont,    Acrlbus  est  stimulis 


It  son.  Tutti  ti  mìei  penser  ali 


al  sonetto  doppio  0  coi  che  per  la  mi.  u.im.  a  me  paro  che  il  poeta 
ritragga  Io  stato  del  suo  animo  nel  momento  in  cui  vide  che  ma- 
donna adii-ata  non  voleii  perdonare.  Egli,  mosttrando  di  ftiori  '  al- 
legrunza  '  e  struggendosi  '  dentro  da  lo  core  ',  avrebbe  tentato  per 
altra  via  di  venire  a  quel  rappacificamento  che  con  le  scuse  e  le 
preghiere  della  ballatoi  non  avea  potuto  ottenere.  Ballata  e  sonetto 
doppio  sembrano  infatti,  per  la  lingua  lo  stile  la  forma  metrica,  più 
vecchi  non  solo  del  sonetto  Caralcando  f  altr'  ìer,  ma  e  del  primo 
sonetto  .1  ciascun'  alma  presa,  e  del  terzo  Piangete  amanti. 


<S?5?< 


Sesto  sonetto.  Tii/ti  li  miei  penser  parlan  tf  Amore  (  VX.  13  ). 
Perduto  il  saluto  ed  eseguito  il  consiglio,  riuscito,  come  pare,  v<mo, 
del  ^  signore  de  la  nobilUuIe  '  ;  prima  della  '  nova  trasfìgiirazione  ' 
e  del  proposito  d' imprendere  '  materia  nova  e  più  nobile  che  la 
passetta  '  ;  il  poet;».  combattuto  da  diversi  pensieri,  era  incerto  per 
qual  via  si  dovesse  incamminare.  '  Appresso  di  questa  soprascritta 
visione,  egli  dice,  avendo  già  dette  le  paroh»,  eh'  Amore  m' avea 
imposte  di  dire,  mi  cominciaro  molti  e  diversi  pensamenti  a  com- 
battere ed  a  tentare,  ciascuno  quasi  indifensibilemente  :  tra  li  quali 
pensamenti  quatti-o  m'ingombravano  più  lo  riposo  de  la  vita'.  Co- 
desti quattro  pensamenti  d'  Amore,  nel  sonetto  sono  esposti,  in  dop- 
pia antitesi,  con  queste  parole: 

altro  mi  fa  voler  sua  potentato. 
Altro  folle  ragiona  11  suo  valore  ; 

Altro  sperando  m'apporta  doliore, 
Altro  pianger  mi  fa  spesse  ffati-. 

Pai*e  che  il  poetii  volesse,  filosofeggiando.  Uiiiuir  iL-lla  natura  e  de- 


ellelendns  amor.  Fac  tlmeat  de  te  tepidamqne  recalface  mentem  ;  Palleat  Indi- 
ciò  crimlnLs  Illa  tui.  O  quater  et  qnotlens  numero  conprendere  non  est  Fell- 
cem.  de  quo  laesa  puella  dolet.  Qnae,  simul  Invitas  crlmen  perrenit  ad  anres, 
Excidit,  et  mlserae  voxqne  colorqne  fuglt  !  Ille  ego  slm,  cuins  laniet  furiosa 
eaplllos  ;  Die  ego  sim,  teneras  cui  petat  ungue  genas,  Qnem  videat  lacrlmans, 
quem  torvLs  spectet  oeellis.  Quo  sine  non  possit  vivere,  posse  vellt .'  "  Rem.  a_ 
nior.  543  •  Flt  quoque  longus  amor,  qnem  diffidentla  nntrit  *.  Cod.  d' Am.  21  •  Ex 
vera  zelotypia  affectus  semper  crescit  amandl  :  22  De  coamante  suspicione  per* 
cepta  zelus  iuterea  et  affectns  crescit  amandl*. 


212  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

gli  effetti  contradittorìi  d'  Amore.  Sotto  un  certo  rispetto,  Amore  è 
savia  cosa  e  desiderabile  ;  ma  per  un  altro  riguardo,  è  detestabile 
e  folle  (*).  E  per  tale  incongruente  natura  e  capricciosa  signoria, 
il  fedele  d'  Amore  or  sente  il  dolce  della  speranza,  or  ò  messo  in 
travaglio  dal  timore,  o  sente  1'  amaro  del  disinganno.  È  una  tesi 
astratta,  condotta  su  motivi  assai  frequenti  nella  letteratura  d'  ogni 
tempo  e  d'  ogni  paese  (**).  IN^uova  forse  ò  la   trovata  che,   volendo 


(*)  D"  Ancona  :  '  la  signoria  d"  amore  ò  . . .  folle,  temeraria,  Imprudente  '  ;  Ca- 
sini :  '■folle,  pericoloso  cioè  e  conti-arlo  alla  ragione,  11  valore,  la  signoria  d'A- 
more '. 

(**)  Anacr.  Od.  29  (  ed.  Rose,  Llpslae  1890  )  ;  Cat.  Carm.  68,  17  '  Non  est  dea 
nescla  nostri,  Quae  duleem  curls  mlscet  amarltlem  '  ;  Terg.^c/.  3, 109  '  et  quLs- 
quls  amores  Aut  raetiiet  dulcls,  ant  experletur  amaj-os  '  ;  Ovld.  Ainores,  2, 19, 5 
'  Speremus  parlter,  parlter  metuamus  amantes  ;  Hcroides,  1, 12  '  Res  est  soUlcltl 
piena  tlmorls  amor  '  [  cfr.  Cod.  d'Am.  20  '  Amorosus  semper  est  tlmorosus  '  ]  ;  Ars 
amat.  2,  515  '  Quod  luvat,  exlguum,  plus  est,  quod  laedat  amantes  :  Proponant 
animo  multa  ferenda  suo  !  Quot  lepores  In  Atho,  quot  apes  pascuntur  In  Hybla, 
Caerula  quot  bacas  PalladLs  arbor  liabet,  Lltore  quot  conchae,  tot  sunt  In  amo- 
re dolores  !  Quae  patlmur,  multo  splcula  felle  madent  '  ;  Inghllfredl,  canz.  Au- 
dite forte  cosa,  '  Eo  vivo  In  pene  stando  in  allegranza  '  ;  Guido  delle  Colonne, 
canz.  Amor  che  longiamente,  '  Ben  òste  affanno  dilettoso  amare,  E  dolce  pena 
ben  si  può  chiamare  '  ;  Maestro  Migliore  (  ?),  son.  Amor  s' eo  parto,  '  Ai  lasso  ! 
che  non  è  gioia  d' amore  A  nessun  uomo  che  di  bon  cor  ama,  Che  non  haja 
più  doglia  che  dolciore.  Lo  cominciare  è  doglia  a  chi  lo  brama,  E  lo  iìnii-e  è 
doglia  e  più  dolore,  E  '1  mezzo  è  doglia  e  conforto  si  chiama  '  ;  Dante  da  Ma- 
jano,  son.  NnW  omo  pnò,  'Xull'omo  può  saver  che  sl.a  dogllenza  Se  non  pro- 
vando lo  dolor  d'  Amore  ;  Né  può  sentire  ancor  che  sia  dolzore,  Finché  non 
prende  della  sua  piacenza  '  ;  Tommaso  di  Sasso,  canz.  D' amoroso  paese,  '  Giam- 
mai sen  sospirare  Amore  me  non  lassa  solo  un'  ura.  Deo  che  folle  natura  ! 
Elio  m'  ha  preso,  oh'  io  non  so  altro  fare  Se  non  pensare  :  e  quanto  più  n  i 
sforzo  Allora  meno  pozzo  avere  abente  . . .  Amor  mi  face  umile  Ed  umano, 
cruccioso,  sollazzante,  E  per  mia  voglia  amante  amor  negando  ;  E  medica  pia- 
gando Amore,  che  nel  mare  tempestoso  Naviga  vigoroso,  E  nello  piano  teme 
tempestate.  Folli,  sacclate,  finché  l' amadore  DLsia,  vive  in  dolzore  ;  e  polche 
tene,  Credendosi  aver  bene.  Dagli  amor  pene,  sperando  aver  gioia  :  Ija  ge- 
losia è  la  noia  che  1'  assale.  Amor  mi  fa  fellone.  Sfacciato  e  vergognoso  : 
Quanto  più  son  doglioso,  allegro  paro  . . .  Ben  ameragglo  :  ma  saper  vorria. 
Che  fera  signoria  mi  face  amore.  Che  gran  follia  mi  pare  Uomo  In  orare  a 
sì  folle  signore.  Che  allo  suo  servidore  non  si  mostra  '  ;  Petrarca,  son.  Or 
che  7  cielo,  '  sol  d'  una  chiara  fonte  viva  Move  '1  dolce  e  1'  amaro  ond"  lo  mi 
pasco  '  ;  son.  Amor  mi  sprona,  '  Amor  mi  sprona  in  un  tempo  ed  affrena.  Asse- 
cura  e  spaventa,  arde  ed  agghiaccia,  Gradisce  e  sdegna,  a  sé  mi  chiama  e  scac- 
cia, Or  mi  tene  in  speranza  ed  or  in  pena  ;  Tr.  d' Am.  3,  175  '  So  com'  Amor 
saetta  e  come  vola  ; . . .  E  come  sono  instabili  sue  ruote  ;  Le  speranze  dubbio- 
se e  '1  dolor  certo  ;    Sue  promesse  di  fé  come  son  vote  ; . . .    In  somma  so  coni'  è 


Motivi  antitetici  sulla  natura  cP  Amore  àia 


mc-tu  i\'  d'  accordo  codtsti  termini  Luiitradittorii,  si  riesce  ;ul  una 
nuova  contradizione.  Converrebbe  invocar  la  Pietà,  dice  il  poeta, 
per  fare  con  tutti  codesti  pensieri  '  accordanza  '  :  ma  la  Pietà  è  '  ne- 
mica ',  probabilmente  perchè  Amore  è  anche  fero  e  crudele,  altro 
fecondo  motivo  della  poesia  erotica  (*).  dunque  altra  contradiziono, 
altra  antitosi,  piusto  dove  i  diversi  pensieri  si  appuntano  e  concor- 
derebbero. Parrebbe  infatti,  che  se  un  sentimento  di  pietà  tempe- 
rasse la  varia  natura  d'  Amore,  le  sue  opposte  qualità  sarebbero  in 
certo  modo  ravvicinate  e  armonizzato,  e  non  tormenterebbero  più, 
col  loro  stridente  contrasto,  il  povero  fedele  ;  il  quale  troverebbe 
allora  appunto  nella  Pietà,  una  difesa,  un  compenso,  un  contempe- 
ramento alla  dura  sipioria  d'  Amore.  E  d'  Amore  il  poeta  vorrebbe 
pur  diro;  ma  non  sji  da  quale  di  codesti  discordanti  motivi  debba 
prender  miiteria  ;  e  cosi  si  trova  '  in  amorosa  erranza  '  ;  volendo  for- 
se con  ciò  insinuare  che  il  fiero  despota  induce  anche  in  errore  (**). 


Incostante  e  ruga,  Timida,  ardita  vita  degli  amanti,  Ch'  an  poco  dolce  molto 
amaro  appanni:...  E  qnal  ò  '1  m<51  temprato  con  1* assiensio '.  Noti  i  bisticci  di 
amore  amaro  amarore  ah  mor  '.  Meo  Abbracciavacca  comlnclaTa  un  suo  sonetto 
appunto  cosi  :  '  Amore  amaro,  a  mor  •  te  m'  hai  feruto  '  ;  Federico  dell'  Ambra 
cantava  (son.  Amor  comcnza  dolce):  "Amor,  anzi  Amaror';  e  diceva  che  '  A- 
mor  da' suol  quasi  ah  mor!  s'espone'.  Chi  poi  non  avea  materia  d*  inquietu- 
dine, non  dovea  mostrarsi  troppo  allegro,  per  conveniensa:  cosi  Ranieri  da  l'a- 
lermo  (  canz.  Allegramente  io  canto  )  :  perchè,  diceva.  '  nomo  senza  temere  Non 
par  che  sia  amoroso  ;  Che  amar  senza  temer  non  si  conviene  '.  Qui  e  altrove, 
per  confronti  coi  rimatori  di  Provenza,  vd.  nelle  Note  del  voi.  pr.  del  Man.  del 
Nannnccl.  e  nel  bello  studio  dello  Scarano.  Fonti  proremali  e  italiane  della  li- 
rica petrarchesca  (  negli  Stadi  di  filologia  romanza,  8,  269  ss  ). 

(*)  Hor.  Carni.  2.  8.  14  •  ferus  et  Cupido,  Semper  ardentes  acnens  sagittas 
Cote  cruenta  "  ;  Ovld.  Amores,  1,  2,  8  •  Et  possessa  ferus  pectora  versat  Amor  *  ; 
Bem.  amor.  230  *  Et  tua  saeviLS  Amor  sub  pede  colla  premlt  '  ;  Cavalcanti,  canz. 
Donna  mi  prega,  '  un  accidente  che  sovente  è  fero.  Ed  è  sì  altero,  eh'  è  chia- 
mato Amore  * .  Federico  dell'  Ambra  passa  poi  ogni  misura  :  son.  Considerando 
ben,  '  Amore  è  passione  ed  amarore,  Cmdero,  fero,  falso  e  disleale  :  Promette 
gioia  e  dà  dolor  mortale,  E  dobla  sempre  "1  mal  In  via  peggiore  '.  È  Insomma 
il  Diavolo  ;  e  come  11  Diavolo,  anch'  egli  •  al  suo  maggiore  amico  dà  più  pena  ' 
[  cfr.  Tlb.  Carm.  1,  2,  9"  '  At  mlhl  parce,  Venns  :  semper  tlbl  dedita  servit  Mens 
mea  :  quid  messes  nrLs  acerba  tuas  T  '  ;  Cavalcanti,  son.  Morte  gentil ,  '  Amor , 
perchè  fa*  mal  sol  pur  a*  tuoi,  Come  quel  de  lo  'nfemo  che  t  percuote  f  '  ]  ; 
sicché  a  Federico  '  par  fol  chi  vuole  su'  amlstanza  '.  In  un  altro  sonetto  lo  chia- 
ma perfino  '  soprawlllano  '. 

(♦*)  Vd.  qui  addietro,  p.  36  n.  Ovid.  Amores,  1,  2,  35  (  descrivendo  II  trionfo 
d*  Amore  )  '  Blandltlae  comltes  tlbl  erunt  Errorque  Fnrorque,  Adsldue  partes 
turba  secnta  tnas  '  ;  Petrarca,  son.  Io  son  de  l' aspettar,  '  Allora  errai  quando 
r  antica  strada     DI  libertà  mi  fu  precisa  e  tolta  "  ;  son.  Amor  mi  sprona,  '  Or 

27 


214  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

Certo,  tutto  codesto  non  può  fare  accordanzii  neppur  con  la 
naiTazione  della  Vita  uiiova.  Il  dire  che  Amore  è  bensì  dolce  e  no- 
bile, ma  folle,  temerario,  contrario  alla  ragione,  crudele,  errore,  può 
convenire  ad  una  tesi  generale,  non  al  caso  particolare  del  poeta 
che  parla  della  sola  beatitudine  del  saluto  e  di  quolF  amore  che 
giammai  lo  governò  '  senza  il  fedel  consiglio  de  la  ragione  '  (*). 
Sennonché,  con  qualche  opportuno  accomodamento  esegetico,  quella 
battaglia  di  diversi  pensieri  e  quelF  esitazione  ad  assumer  materia 
all'  amoroso  canto,  ben  parve  al  poeta  conveniente  preludio  all'  e- 
pisodio  della  '  trasfigurazione  '  ed  all'  entrata  della  '  materia  nuova  '. 
E  perchè  il  sonetto  avesse  appunto  un  addentellato  col  racconto  del 
libello,  egli  si  servi  del  solito  espediente  :  insinuò  nella  ragione  quel 
che  nella  rima  non  era  stato  né  detto,  ne,  pare,  sottinteso.  !Nel  so- 
netto i  motivi  antitetici  del  terzo  e  del  quarto  '  pensamento  '  sono 
la  speranza  e  il  timore  o  la  disperazione: 

Alti'o  sperando  m' apporta  dolzore, 
Altro  pianger  mi  fa  spesso  fiate. 

Ma  nella  ragione  la  cosa  è  ben  altrimenti  posta  ;  e  il  poeta  trova 
pur  modo  di  farci  entrar  Beatrice  e  il  saluto  negato.  Prima  di  tutto, 
sor^'ola  sulla  speranza  del  terzo  pensamento  ;  e,  traendo  profitto  dalla 
parola  '  dolzore  ',  chiosa  :  '  L'  altro  era  questo  :  lo  nome  d'  Amore  è 
sì  dolce  a  udire,  che  impossibile  mi  pare,  che  la  sua  propia  ope- 
razione sia  ne  le  più  cose  altro  che  dolce,  con  ciò  sia  cosa  che  li 
nomi  seguitino  lo  nominate  coso,  sì  com'  è  scritto  :  Nomina  snnt  con- 
seqnentia  rernm  '  (**).  Poi  spiega,  amplificando,  il  quarto  pensamento 
così  :  '  Lo  quarto  era  questo  :  la  donna  per  cui  Amore  ti  stringo 
così,  non  è  come  1'  altre  donno,  che  leggeramente  si  mova  del  suo 
core  '.  Senza  dubbio,  leggendo  il  sonetto  a  caso  vergine,  nessuno 
penserebbe  né  al  nome  dolce  d'  Amoro,  né  al  saluto  negato  e  al- 


alto  or  basso  11  mio  cor  lasso  mena,  Ondo  '1  vago  deslr  perde  la  traccia  ;  E  '1 
suo  sommo  piacer  par  che  11  spiacela  ;  D'  error  sì  novo  la  mia  mente  è  piena  '  ; 
son.  Tennenii  Amor,  '  Omal  son  stanco,  e  mia  vita  riprendo  DI  tanto  error,  che 
di  viriate  il  seme  Ha  quasi  spento  '  ;  nella  canzone  alla  '  vera  beatrice  '  (  Ter- 
giìie  bella  )  :  '  Medusa  e  1'  error  mio  m'  han  fatto  un  sasso  D'  umor  vano  stil- 
lante '. 

(*)  Francesco  da  Barberino  (  lìegg.  341  ),  •  L' Amore  lUlclto  è  uno  furore  inor- 
dinato, non  contento  di  dolcezza,  né  nemico  di  pena,  cieco,  disleale  e  superbo*. 

(**)  Cavalcanti,  canz.  Donna  mi  prega,  '  E  '1  placimouto  che  '1  fa  diro  ama- 
re '  ;  Giudice  Ubertino  d' Arezzo,  son.  Se  'l  nome,  '  Se  '1  nome  deve  seguitar  lo 
fatto,    Vera  vita  è  la  tua,  o  fra  Gulttone*. 


Perchè  madonna  la  Pietà  è  nemica  215 

r  irromovibilità  di  Beatricu  (  ).  JS'ò  oodcstii  amplificazione  sai'à  poi 
digiuna  di  sensi  riposti.  '  Varium  ot  mutabile  semper  Femina',  di- 
cova Virgilio  {Acn,  4,  569:  ofr.  Petraiva,  son.  Se  7  dolce  sguardo, 
•  Femmina  ò  cosa  mobil  por  natura  '  )  ;  ma  Beatrice  non  era  come 
lo  altro  !  Tuttavia,  se  per  la  '  soverchievole  voce  '  si  era  già  mossa 
una  volta  dal  suo  cuoi-o,  quando  poi  cosi  tosto  al  mal  giunse  1'  om- 
piastre,  e  il  poeta  le  foco  conoscere,  secondo  il  consiglio  d'  Amore, 
'  le  parole  do  li  ingannati  '  ;  perchè  non  avrebbe  potuto  far  come 
aA'rebl)o  fatto  certamente  qualunque  altra  donna,  ricredersi  e  resti- 
tuire il  Riluto  e  ricambiare  1"  affetto  ?  Ma  codesta  rigida  '  donna  do 
la  mente  '  e  '  do  la  salute  ',  codesta  '  loda  dì  Dio  vera  ',  amò  o  non 
amò  mai  il  fervente  cantore  della  sua  lode  ?  '  Amor  nìhii  potest  a- 
mori  denegare',  affermava  il  Codice  d'  Amore;  or  come  nuii  l'amo- 
re negava  tutto,  negava  perfìno  quel  non  dico  magro  pegno  d'  af- 
fetto, ma  tenue  segno  di  simpatia,  quell*  innocente  saluto,  di  cui  la 
Bic«>  sdirebbe  stata  cosi  lil)erale  per  le  vie  di  Firenze  ?  D'  altra  parte, 
per  testimonianza  dello  stesso  poeta  (Purg.  22,  10), 

Amore. 
Acceso  di  virtù,  sempre  altro  accese, 
l'ar  che  la  fiamma  sua  paresse  fuore. 

Or  ({uale  amore  fu  mai  più  virtuoso  di  quello  di  Danto  (**)  f  Ma 
Beatrice  non  era  come  le  altre  donne! 

Sia  comunque  di  codesta  irragionevole  irremovibUità  della  *  don- 
na de  la  cortesia  '  :  paro  poco  persuasivo  il  nigionamento  che  fa  il 
D'  Ancona  per  ispiegare  perchè  *  madonna  la  Pietà  '  era  '  molto  ini- 
mica '  v(>i*so  il  poeta.  'Se  per  la  tattica  sbagliatii  di  Dante  (egli 
scrive  ),  mal  consigliato  da  Amore,  Beatrice  si  era  straniata  dall'  a- 
matore  suo,  ed  ella  tion  era  come  le  altre  donne,  ette  leggiermente  si 
mora  del  suo  core,  evidentemente  non  vi  era  altra  speranza  se  non 
in  un  sentimento  di  pietà,  di  compassione,  che  difficile  era  susci- 
tare in  lei.  tanto  eh'  egli  ne  tremava  nel  core.  Ma  Ln  tanta  erranza 
amorosa  e  battiiglia  di  diversi  pensamenti  non  v'  era  altro   rimedio 


(♦(  D  primo  pensamento  (  •  altro  mi  fa  voler  sua  potestate  *  )  è  chiosato  cosi  : 
'  buona  è  la  signoria  d"  Amore,  però  che  trae  lo  'ntendimento  del  suo  fedele  da 
tutte  le  vili  cose".  Ma  ampllllcazione  meno  giustificata  è  forse  quella  del  se- 
condo pensamento  (  •  Altro  folle  ragiona  11  suo  valore  ')  :  '  non  buona  è  la  signoria 
d'Amore,  però  che  quanto  lo  suo  fedele  più  fede  li  porta,  tanto  più  gravi  e 
dolorosi  punti  11  conviene  passare  ". 

(**)  Da  codesto  luogo  del  Purgatorio,  il  Boccaccio  (  Contili.  1,  231)  desume 
che  Dante  fu  •  onestamente  amato  "  dalla  Bice  Portlnari. 


216  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

se  non  ricorrore  alla  Pietà,  che  ognun  lo  capisco  e  lo  sente,  non 
è  Amore  :  alla  Pietà,  da  cui  Dante  rifuggiva,  nò  ad  invocarla  pie- 
gavasi  se  non  sdegnosamente  :  dicendole  Madonna,  quasi  per  isde- 
gnoso  modo  di  parlare  \  Come  avviene  in  simili  casi,  aveva  già.  da 
una  parte,  cominciato  timidamente  ad  insinuar  la  cosa  il  Witte  : 
'  Non  s' intende  troppo  bene,  egli  osservava,  perchè  1'  a.  chiami  sua 
nemica  la  Pietà.  Sarebbe  che,  invece  di  esser  compatito,  desiderava 
di  esser  amato  ?  '  Ma,  dall'  altra  parte,  ora  venuto  fuori  il  Tode- 
schini  a  spazzar  via,  con  una  furiosa  ventata  di  retorica,  dubbi 
0  titubanze  :  '  Sdegnoso,  ed  orgoglioso  anche  in  amore,  il  nostro 
poeta  trova  cosa  ripugnante  all'  animo  suo  il  dover  ricorrere  alla 
protezione  della  pietà.  Egli  vorrebbe  a  titolo  di  giustizia  quella 
corrispondenza  e  fiducia,  che  il  suo  caldo  affetto  si  merita  '.  I  ma- 
gnanimi sdegni,  e  il  fiero  orgoglio,  e  il  titolo  di  giustizia^  e  il  caldo 
affetto,  e  il  resto,  sono  certo  belle  e  rotonde  parole  ;  ma,  per  av- 
A^entura,  qui  son  fuor  di  luogo.  Madonna  la  Pietà  è  nemica  del- 
l' amante,  sia  perchè  Amore  è  crudele  e  madonna  è  '  spietosa  ',  come 
diceva  Lapo  Gianni  (  ball.  Amore  io  prego  )  ;  sia  perchè,  invocata 
spesso  e  volentieri,  non  viene  mai  in  ajuto  del  povero  servente. 
Nella  ballata  della  Vita  nnova  infatti,  il  poeta  chiedo  *  piotate  '  a 
madonna  ;  nel  sonetto  Con  V  altre  donne  (  VN.  14  ),  il  poeta  dice  che 
'  piotate  '  tiene  contro  di  lui  *  1'  u  s  a  t  a  p  r  o  v  a  '  ;  e  in  tutta  la  Vita 
nuova,  anziché  ostentazione  di  fierezza,  e'  è  esagerazione  di  umil- 
tà (*).  Dice  bensì  il  poeta  eh'  ei  chiama  la  Pietà  '  madonna,  quasi 
por  disdegnoso  modo  di  parlare  '  ;  ma  con  ciò  non  avrà  voluto  diro 
eh'  egli  disdegnasse  di  muoverò  a  pietà  Beatrice  ;  sì  bene  che  ad 
una  nemica  non  conviene  il  titolo  di  madonna,  se  non  per  ironia. 
E  neppure  oserei  affermare  che  Beatrice,  non  concedendo  più  la 
beatitudine  del  sahito,  '  si  era  straniata  dall'  amatore  suo  '.  Non  sa- 
prei spiegarmi  come  mai  colei  che  si  era  già   straniata  in  vita  dal 


(*)  Cfr.  Bartoll,  St.  i,  245  n  ;  Renler,  Gioru.  stor.  2,  373  :  Barbi.  Ball.  ns.  8,  31. 
Enzo  re,  canz.  >S"  eo  trovasse  pietanza,  '  S-  eo  trovasse  pietanza  In  carnata  fi- 
gura, Mercè  le  chiederla  ,  Ch'  a  lo  meo  male  desse  allegglamento.  E  ben  f  a  c- 
clo  accordanza  Infra  la  mente  pura,  Che  '1  pregar  mi  varri'a,  Vedendo 
lo  meo  umile  gocchlmento.  E  dico  :  ahi  !  lasso,  spero  DI  ritrovar  mercede. 
Certo  '1  meo  cor  noi  crede  ;  Ch'  lo  sono  Lsventurato  Più  eh'  uomo  Innamorato  ; 
Solo  per  me  Pietà  verria  crudele.  Crudele  e  dispietata  Seria  per  me 
Piotate...'  Tutti  chiedevano  pietà  e  mercè  ;  anzi  Dante  da  Majano  (  son.  O/rc- 
sca  rosa  )  ci  assicura  che  non  avea  cessato  un  momento  solo  dall'  invocar  mercè  ; 
non  avoa  neppure  pensato  a  riposarsi  un  pochino  :  '  Servente,  ei  cantava  alla  fre- 
sca rosa,  Servente  voi  so  stato  In  bona  fede,    Non  riposando  voi  mercè  chiamare  '. 


Effetti  della  presenza  delV obbietta  amato  217 


suo  limatore,  potesse  rimproverar  sulla  vetta  del  Purgatorio  1'  ama- 
tore suo  di  essorsi  da  lei  straniato,  quand'  olla  mutò  vitii. 


-^ 


Settimo,  ottavo  e  nono  sonetto.  Con  f  al/re  donne  mia  cista  gab- 
bate, Ciò  che  m'  incontra  ne  la  mente  more,  Spesse  fiate  vegnonmi  a 
la  mente  (  VN^.  14  - 1(5  ).  Particolare  degno  di  nota,  in  questi  tre  soli 
sonetti  della  Vita  nuora  il  poeta  parla  direttamente  a  madonna  ;  cosa 
che  già  il  'signore  de  la  nobiltade'  area  giudicato  non  degna,  e 
ohe  più  innanzi  il  poeta  stesso  stimerà  sconveniente  (  vd.  VX.  12. 
49  ;  19,  5  ).  Egli  svolge  qui,  con  motivi  della  lirica  del  Cavalcanti 
(  cfr.  i  8on.  Veder  poteste,  Voi  che  per  li  occhi,  L  anima  mia,  Io  te- 
mo che,  e  la  ball.  Oli  occhi  di  quella  ),  il  vecchio  tema  degli  effetti 
•Iella  presenza  dell'  obbietto  amato.  Celebre,  su  codesto  tema,  è  1'  o- 
de  di  Saffo,  come  noto  è  il  carme  di  Catullo  (  n**  51  ),  che  ricalca 
lo  orme  della  poetessa  di  Mitilone.  A  torto  dunque  il  Bartoli  {St. 
4,  193  s  ),  osservando  che  alla  fine  del  dugonto  erano  '  compiuta- 
mente sconosciute  le  torture  del  sentimento  odierno,  le  sue  raffimi- 
tozze,  le  suo  malattie,  il  suo  sUito  di  orgasmo  continuo',  volea  ve- 
dere nella  rapprosentjizione  dugontistica  degli  effetti  d'amore,  *il 
tormento  dello  spirito  che  anela  ad  una  idealità  non  possibile  a  rag- 
iriungorsi'.  Ma  so  codesto  sentimento  non  è  più  recente  d'ogni  al- 
tro umano  sentimento,  non  pos.siamo  conchiudoro  tutta^^a  che  fosso 
sempre  vero  e  reale  ed  attuale  lo  stato  d'  animo  che  i  rimatori  del 
dolco  stile  con  molt.-i  frequenza  descrivono.  Il  Xannucci  (  Jlan.  1, 
29  n  ),  lo  Schorillo  (  Ale.  cap.  259  ss  ),  lo  Scarano  {  Fonti  pror.  p.  i)7  ss 
dell'  estr.  ),  per  codesto  tremore  e  sbigottimento  alla  vista  doUa  don- 
na amata,  istituiscono  boi  raffronti  anche  coi  rimatori  di  Provenza  : 
o  giova  ricordare  che  il  Codice  d'  Amere  recava  :  15  '  Omnis  con- 
sue-N-it  amans  in  coamantis  aspectu  pallescere  ;  16  In  repentina 
coamantis  visione  cor  tremoscit  amantis'.  Un  tema  obbligato  dun- 
que, che  mesticava  il  convenzionalismo  nell'esagerazione,  talvolta 
troffa,  dell'  espressione,  e  nei  luoghi  comuni  delle  immagini  (*). 


(*l  Xel  son.  Con  i' altre  donne.  Amore,  trovando  il  poeta  presso  madonna, 
ImbaldanzLsce,  e  con  mano  sicui-a,  mena  botte  da  orbo  sa  gli  "spirti  paui-osl  ' 
del  trasognato  ;  sicché,  uccisi  alcnnl  spiriti  ed  altri  scacciati,  solo  Amore  rima- 


218  Le  rime  e  il  racconto  delia  Vita  nuova 


Nel  settimo  o  ottiivo  sonetto  della  Vita  nuova  occorre  inoltre 
un  motivo  che  par  sia  1'  ultimo  portato  delle  variazioni  sul  tema 
della  crudeltà  di  madonna;  il  contegno  di  madonna  dinanzi  alla 
pietosa  vista  del  povero  innamorato  ;  il  gabbo,  lo  scherno  di  ma- 
donna. E  neppure  qui  mancano  invero  confronti  con  altri  rimatori. 
Lo  Scherillo  {Ale.  cap.2Q'^)  ricorda  Bernard  de  Ventadorn  ;  ed  an- 
che Jacopo  da  Lentino  (  son.  Chi  non  avesse  )  diceva  a  madonna  : 

E  certo  l' amor  fa  gran  villania 
Che  non  dlstrJgne  te,  che  vai  gabbando, 
E  a  me,  che  servo,  non  dà  sbaldlmento. 

Pucciandone  Martelli  (  son.  Signor  sema  pietanza  )  s'  ebbe  tanto  a 
male  lo  *  schernire  '  di  madonna,  che  la  mandò  a  farsi  benedire  e 
a  trovarsi  '  miglior  servente  '.  Anche  Lapo  Gianni,  che,  mirando 
negli  occhi  amorosi  di  madonna,  avea  sofferto  '  passione  in  ciascun 
membro  ',  cantava  (  canz.  Donna,  se  7  prego  )  : 


ne  a  veder  madonna,  e  11  poeta  si  cangia  '  In  figura  d'  altrui  "  ;  ma  non  così  eh'  e- 
gll  non  senta  '  LI  guai  de  11  scacciati  tormentosi  '.  Jfol  son.  Ciò  che  in'  incontra, 
per  la  presenza  di  madonna,  '  Lo  viso  mostra  lo  color  del  core,  Che,  tramor- 
tendo, ovunque  può  s'  appola  ;  E  per  la  ebrietà  del  gran  tremore.  Le  pietre 
par  che  grldln  :  Mola,  mola  !  '  Nel  son.  Spesse  /fate,  appena  11  poeta  leva  gli  oc- 
chi per  guardare  madonna,  comincia  nel  suo  cuore  un  '  terremuoto ',  che  fa  par- 
tire 1'  anima  dal  '  polsi  '.  Gianni  Alfanl  (  ball.  Guato  mia  donna  )  presentiva  che 
sarebbe  morto  per  forza  d"  un  grande  sospiro  ;  11  che,  se  non  altro,  era  molto 
semplice.  Negozio  assai  complicato  è  Invece  la  rappresentazione  dell'  abbattimen- 
to In  una  ballata  di  Lapo  Gianni  (  Angelica  figura  ).  Nel  cuore  di  Onesto  Bolo- 
gnese (  son.  Quella  che  in  cor  )  madonna  avea  piantato  '  1"  amorosa  radice  ',  così 
di  primo  acchito  ;  e  questo  sarebbe  stato  niente,  perchè,  come  si  sa.  Amore  pian- 
tò addirittura  '  un  lauro  verde  '  in  mezzo  al  cuore  del  Petrarca  ;  ma  tali  erano 
gli  effetti  d' Amore,  che  Onesto  avea  gli  occhi  '  morti  In  la  cervice  ',  e  si  pote- 
vano udh'e  anche  '  gli  angosciosi  stridi  '  del  suo  cuore  ;  oltre  a  ciò,  parea  che 
gridasse  la  morte  '  ogni  pendice  '  del  suo  corpo.  Nel  Reggimento  (  p.  3  s  )  del 
Barberino,  madonna  non  vuole  '  esser  conosciuta  ',  se  ne  sta  '  celata  '  e  non  de- 
gna di  mostrar  la  sua  '  fattura  '  al  suo  fedel  Francesco  ;  al  quale  deve  bastare 
1'  odor  eh'  essa  spande  e  lo  splendore  eh'  essa  gli  '  raggia  nel  viso  '  ;  ma,  anche 
senza  veder  la  '  fattura  ',  messer  Francesco  sente  che  1  suoi  spii-iti  sono  abbat- 
tuti, e  teme  morte  :  '  Madonna,  lo  sprendore  E  questo  odor  che  dite  M'  hanno 
abbattuto  1  spiriti  miei  Per  modo  tale,  che  non  so  che  parli . . .  quando  s' ap- 
pressa Vostra  valente  e  nobile  sombranza',  Indebolisce  la  mia  vita  tanto, 
Che  temo  morte  '.  In  circostanze  affatto  ridicole,  lo  ZIma  del  Decamerone  (  3,  5  ) 
diceva  a  madonna  :  '  Spero  tanta  essere  la  vostra  cortesia,  che  non  sofferrete  che 
lo  per  tanto  e  tale  amore  moi'te  riceva  per  guiderdone,  ma  con  lieta  risposta  e 
piena  di  grazia,  riconforterete  gli  spiriti  miei,  11  quali  spaventati  tutti  trieman 
nel  vostro  cospetto  '. 


//  gahho  di  madonna  219 

Douna.  roi  li  [  1  miei  dislrl  ]  gai>l'ittc  sorridendo, 
E  vedete  la  lor  riUi  morendo 
Con  .sofferenza  far  riparamento. 

11  Casini  rieortla  Gino  dft  Pi^toja  (son.  Se  ini  luìiste)'. 

Se  voi  adibite  la  voce  dolente 
De'  miei  sospiri  qnand'  escon  di  fnore, 
Non  gabbereste  la  vista  e  -1  colore 
Ch*  i*  cangio  allora  eh'  1'  vi  son  presente. 

Da  questo  stesso  sonolto,  come  dalle  parole- di  Lapo,  si  vede  che 
il  gabbo  di  madonna  non  era  che  '  riso  e  gioco  '  : 

L'anima  dice  a  ini  [al  core]:  ora  ti  lasso! 
Per  che  m' incontra  ciò  che  riso  e  gioco 
VI  fa  menar  qnand'  avanti  vi  passo. 

E  forse  anche  da  un  altro  sonetto  (  Chi  a  falsi  sembianti),  dove  Gino 

o<Mi(lann;i  la  donna  beffarda  e  crudele  : 

non  chiamo  già  donna,  ma  morte. 
Quella  che  altrui  por  servitore  accoglie, 
E  poi  gabbando  e  sdegnando  l' ncclde  ; 

A  poco  a  poco  la  vita  gli  toglie, 
E  quanto  più  tormenta,  piti  ne  ride. 

E  dei  miirtiri  del  servente  rideva  madonna  •  disdegnosa  *.  aucho  in 
una  canzone  di  Dino  Froscobaldi  (  Un  sol  pensier  )  : 

Tu  la  vedrai  disdegnosa  ridendo, 

Render  grasie  a  colnl 

Che  co"  martiri  sui 

Mi  fa  cosi  per  lei  morir  piangendo  (*). 

Sennonché,  una  circostanza,  molto  importante  per  l.t  storia  del- 
l' amor  del  poeta,   dovrebbero  confermare  i   tre  sonetti   danteschi 


(♦)  Il  riso  di  madonna  dava  invece  buona  speranza  ed  era  di  conforto  al  Ca- 
valcanti (son.  Io  ridi  gli  occhi),  come  ad  Ovidio  {Amores,  3,  2,  83):  talvolta 
però  (ball.  Io  prego  roi),  forse  per  la  troppa  dolcezza,  anche  a  Guido  il  rLso 
di  madonna  dava  noja  :  '  Lo  suo  gentile  spirito  che  ride,  Questi  è  colui  che  mi 
si  fa  sentire.  Lo  qual  mi  dice  :  e'  ti  convien  morire  '.  E  '  rise  '  di  Guido  •  sbi- 
gottito '  anche  Tnna  delle  due  •  forosette  nove  '  (  ball.  Era  in  pensiero  )  ;  e  benché 
egli  dica  che  'molto  cortesemente'  a  lui  rispose  costei,  tuttavia  chiama  '  pieto- 
sa '  e  •  piena  di  mercede  *  1'  altra,  che  non  avea  riso  del  suo  sbigottimento.  Del 
sorriso  di  Beatrice  si  trova  già  nella  Vita  nuora  (  son.  Xe  li  occhi  porta  )  :  '  Quel 
eh"  ella  par  qnand'  un  poco  sorride,  Non  si  può  dire,  né  tenere  a  mente,  Si  è 
novo  miracolo  e  gentile'. 


220  Le  rime  e  it  racconto  delia  Vita  nuova 

della  '  trasfigurazione  '  e  del  '  gabbo  '.  Dalla  ragione  del  settimo  so- 
netto sappiamo,  che  il  poeta,  intervenuto  a  un  convito  di  nozze, 
senza  sapere  non  pur  che  vi  avrebbe  trovato  Beatrice,  ma  che  an- 
dava a  un  convito  di  nozze  ;  trovandosi  '  in  tanta  propinqui  tate  a 
la  gentilissima  donna  ',  tenne  '  li  piedi  in  quella  parte  de  la  vita, 
di  là  da  la  quale  non  si  può  ire  più  per  intendimento  di  ritornare  '  ; 
e  sappiamo  che  allora  appunto  la  gentilissima  donna  si  gabbò  di 
lui.  Ma  di  codesto  episodio  nuziale,  che  avi-ebbe  ispirato  i  tre  so- 
netti, nelle  rime  non  v'  è  traccia  ;  anzi  non  pare  che  trasfigurazio- 
ne e  gabbo  fossero  un  fatto  singolare,  un  accidente  capitato  al  poeta 
lina  volta  sola  e  in  nna  particolare  e  determinata  congiuntura  :  dalle 
rime  pare  invoce  trattarsi  di  un  fatto  ordinario.  Cantava  infatti  il 
poeta  : 

non  pensato,  donna,  oncle  si  mova, 
Cli'  lo  vi  rassonibrl  sì  flgiii-a  nova, 
Quando  riguardo  la  vostra  beliate. 

Amor  quando  sì  presso  a  voi  mi  trova 
Prende  biildanza  . .  . 

Quand'  lo  vegno  a  veder  voi,  bella  gioia, 
E  quand'  lo  vi  son  presso  . . . 

Peccato  face  chi  allor  mi  vide, 
Se  l' alma  sbigottita  non  conforta. 
Sol  dimostrando  che  di  me  gli  doglia. 

Per  la  pietà,  che  '1  vostro  gabbo  anclde. 

smorto,  e  d'  ogne  valor  vóto, 
Vegno  a  vedei'vl,  credendo  guerlre  : 

E  s' lo  levo  gli  occhi  per  guardare. 
Nel  cor  mi  si  comincia  un  terremuoto. 
Che  da'  polsi  fa  l' anima  partii-o. 

Certo,  a  prescindere  per  ora  da  ogni  altra  considerazione,  neppur 
da  questi  tre  sonetti  possiamo  desumere  alcun  che  di  positivo  e  di 
concreto  por  la  storia  dell'  amor  del  poeta. 


2. 


Una  volta,  non  so  se  un  erudito  o  un  bellumore,  vide 
dipinto  un  braccio  di  mare  fra  due  nude  rive.  Pretendeva 
il  valentuomo  che  il  dipinto  rappresentasse  il  biblico  pas- 
saggio del  Mar  Rosso.  E  a  chi  gli  obbiettava  che  nel  di- 


Il  dipinto  del  biblico  passaggio  del  Mar  Rosso         221 

pinto  non  si  vedevano  né  gli  Ebrei  guidati  da  Mosè,  né 
gli  Egizi  condotti  da  Faraone,  rispondeva  trionfalmente  : 
—  Ecco,  gli  Ebrei  sono  già  passati,  e  non  si  vedono  ;  e  gli 
Egizi  non  sono  ancora  arrivati  — .  Forse  qualcosa  di  simi- 
le si  potrebbe  rispondere  a  chi  domandasse  dove  sia  mai, 
nelle  Rime  sulla  bellezza  fidca  di  Beatrice,  Beatrice  con  la 
sna  bellezza  fisica.  Certo,  non  un  dato  di  fetto,  non  una 
circostanza  confermano  del  racconto  in  prosa,  le  prime  dieci 
liriche  della  Vita  nuora  ;  le  quali,  nella  storia  dell'  amor 
del  poeta,  dovrebbero  pur  rappresentare  non  solo  la  parte 
pili  viva  e  caratteristica,  ma  anche  la  parte  maggiore  ;  per- 
chè coli'  episodio  del  gabbo  siamo  già  intorno  al  1287, 
e  Beatrice  morì  nella  prima  metà  del  1290.  Si  può  dun- 
que con  qualche  prova  positiva  affermare,  che  non  era  in- 
tenzione del  poeta  raccontare,  idealizzando,  la  ingenua 
storia  dei  suoi  amori.  Anche  se  alcuna  di  codeste  dieci 
liriche  fu  ispirata  da  reale  sentimento  amoroso  e  rappre- 
sentò una  verità  di  fatto,  un  momento  d'  una  qualunque 
passione  amorosa  del  giovinetto  Dante,  assunta  nel  libello, 
perdette  quel  che  in  essa  vi  era  di  sentimento  reale  e  di 
verità  di  fatto.  Nella  Vita  nuova  le  rime  servono,  non  alla 
storia  della  passione  che  le  avrebbe  ispirate,  ma  a  ben  altro 
intendimento  ;  esse  effettivamente  non  danno  materia  ad 
una  pretesa  ricostruzione  romantica  d'  una  passione  amo- 
rosa, che  si  sarebbe  via  via  sublimata  ed  idealizzata  ;  offro- 
no soltanto  apparenti  addentellati  ad  una  costruzione,  che 
in  realtà  é  da  loro  affatto  indipendente. 

Ma  non  cosi  di  tutte  le  rime  della  Vita  nuota.  Certo, 
risponde  pienamente  agl'intendimenti  del  libello  la  canzo- 
ne Donne  cKarete  intelletto  d'amore,  con  la  qaale  il  poeta 
assunse  '  materia  nuova  e  più  nobile  che  la  passata  '  ed 
iniziò  le  *  nuove  rime  '  (  Ptirg.  24,  50  ).  Ed  io  non  ho  al- 
cun dubbio  ch'essa  sia  allegorica. 


à^  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


3. 


Grande  importanza  ha  sempre  attribuito  il  poeta  alla 
canzone  Donne  cK avete  intelletto  di'  amore.  Non  solo  ne  fa 
ben  due  volte  onorevole  menzione  nella  Volgare  Eloquenza, 
ma  la  ricorda  in  modo  solenne  nella  Commedia,  e  da  essa 
toglie  occasione  per  definire  il  magistero  dell'arte  sua  (^). 


(1)  Assai  s'è  detto  della  nota  terzina  del  Purgatorio,  e  non  sa- 
rebbe cosa  lieve  riassumere  pure  la  questione.  Vorrei  solamente  no- 
tare che,  non  solo  la  canzone  Donne  ch'avete,  ma  anche  le  canzoni 
allegoriche  del  Convivio,  ricordate  anch'  esse  nella  Commedia  (  2,  2, 
112;  3,  8,  37),  e  allora  già  commentato,  furono  scritte  a  quel  modo 
che  Amore  dettava  dentro.  !Nionte  giustificherebbe  1'  esclusione  di 
queir  '  amoroso  canto  '  dalle  *  rime  nuove  '.  E  quando  il  poeta  scri- 
veva la  Commedia,  quale  Amore  spirava  e  dettava  dentro?  Giacché, 
alla  norma  del  poetare  dantesco,  non  par  che  si  debbano  o  possano 
far  limitazioni.  D'altra  parte,  la  stessa  canzone  Donne  ch'avete  non 
ha  pure  un  periodo  che  tradisca  l'interna  commozione  dell'  affetto, 
non  pure  una  frase  da  cui  traluca  la  schiettezza  del  sentimento,  non 
pure  una  parola  da  cui  spii'i  la  calda  fiamma  della  passione  d'  a- 
moi*e.  Né  una  rima,  a  cui  il  poeta  aveva  attribuito  intendimenti  ri- 
posti, poteva  del  resto  esser  citata  come  esempio  di  sincerità.  La 
terzina  del  Purgatorio  richiama  l'altra  terzina  del  Paradiso,  26, 16. 
Tutti  i  poeti  si  dissero  sempre  ispirati  dalla  divinità,  e  Dante  stesso 
invoca  allegoricamente  Apollo  perché,  '  divina  virtù  ',  gli  entri  nel 
petto  e  spiri  {Par.  1,  19).  Ovidio  ammoniva  [Ars  amai.  3,  547)  :  '  Va- 
tibus  Aoniis  f aciles  estote,  puellae  :  Numen  inest  illis,  Pieridesque 
favent.  Est  deus  in  nobis,  et  sunt  commercia  caeli:  Sedibus  ae- 
theriis  spiritus  ille  venit  '.  E  secondo  s.  Agostino,  non  avea  parlato 
la  stessa  Verità  per  la  bocca  di  quel  Virgilio,  da  cui  il  poeta  tolse 
'  lo  bello  stile  '  delle  '  rime  nuove  '  ?  Cfr.  Pnrg.  21,  94-97;  22,  64-73. 
Pare  che  Dante  attribuisse  l'eccellenza  dell'arte  sua  all'ispirazione 
0  allo  studio  (cfr.  VE.  2,  4,  7)  ;  certo,  buona  chiosa  alla  terzina  del 
Purgatorio  è  il  paragrafo  19  della  Vita  nuova  :  quando  Amore  spi- 
rava, '  la  lingua  parlò  quasi  come  por  so  stessa  mossa  '  ;  a  quella 
improvvisa  ispirazione,  seguirono  alquanti  giorni  di  riflessione  e  di 


Im  canz.  Dmine  ch^  acefe,  e  la  citazione  della  Conim.     228 

E  nella  Vita  nuova  stessa,  è  presentata  con  grande  appa- 
rato, sia  nella  ragione  della  sua  genesi,  sia  nella  divisione 
per  la  sua  intelligenza.  La  '  materia  nuova  ' ,  la  lode  della 
gentilissima  salute,  al  poeta  parea  'troppo  alta  materia', 
e  stette  *  alquanti  di  con  desiderio  di  dire  e  con  paura  di 
cominciare  '  ;  poi  '  passando  per  un  cammino,  lungo  lo  qua- 
le sen  già  un  rivo  chiaro    molto'  ("ì,  c:li  venne    volontà 


studio:  il  pooUi,  poste  '  n«.>  la  iiicntf  ron  iriaiuli-  letizia"  it»  ispirala 
paroks  notata  Tispiraziono,  andò  poi  sifoni  fi  cjindo  corno  Amore  det- 
t^iva  dentro,  come  Amore  ragionava  nella  monto  (cfr.  Conc.  3,  12, 
10).  E  forse  l'Amore  da  cui  il  poeta  Jispettava  Tispiraziono,  era  in 
fondo,  chi  potrebbe  negarlo  recisamente  ? . . .  era  davvero  il  Primo 
Amoro,  V  Eterno  Spiro,  lo  Spirito  Santo.  Codesta  interpretazione 
della  famosii  terzina  del  Purgatorio^  è  del  resto  molto  vecchia;  òdi 
Filippo  Villani  [Com.  85),  e  fu  attribuita  anche  al  Petrarca  (vd.  De 
Batines,  Bibliogrnfia  dant.  Prato  1846  :  2,  200  s;  Carducci,  Op.  a  283  s  : 
Papanti,  D.  secondo  la  tradizione  e  i  norellatari,  Livorno  1873,  p. 
85  ss),  il  quale  dell'i  mmagine  dantesca  si  servi  veramente  con  ben 
altro  intendimento  (cfr.  canz.  In  quella  parte,  'Colui  che  del  mio 
mal  meco  ragiona.  Mi  lascia  in  dubbio,  si  confuso  ditta  '  :  ma  Ovi- 
dio avea  già,  Amores,  2,  1,  38  '  Carmina,  purpureus  quao  mihi  dic- 
tat  Amor').  Molti  nel  trecento,  a  cominciare  da  ser  Graziole  (  vd. 
Roccii,  Ale.  comm.  53  ),  credettero  che  la  Commedia  fosse  d' ispira- 
zione divina  ;  e  non  a  torto  il  Foscolo  scriveva  {Disc.  sez.  158)  :  *  A 
dirne  il  vero,  ei  [  Dante  ]  tenevasi  uno  do'  pochi  degni  dell'  amici- 
zia dello  Spirito  Santo  '.  Mostra  il  Lucchese  d'  avere  bene  inteso 
r  affermazione  del  poeta  ?  Dante  parlava  di  sé,   e  Buonagiunta  di 

•  vostre  penne  '  e  di  '  nostre  penne  '.  E  a  me  pare  invero  di  fiutare 
una  fine  ironia  in  quel  far  dire  a  Buonagiunta  sentenziando  :  '  E 
qual  più  a  riguardar  oltre  si  mette,  ISon  vede  più  dall'uno  all'al- 
tro stilo  ':  ironia  che  sfirebbe  suggellata  dalla  conclusione  del  poeta: 

*  E  quasi  contentato  si  taeette  '. 

(1)  Codesto  •  rivo  ',  anziché  il  *  fiume  bello  e  corrente  e  chia- 
rissimo '  del  paragrafo  9.  forse  richiama  il  *  bel  fiumiceUo  '  che  di- 
fendeva intorno  il  '  nobile  castello  '  degli  '  spiriti  magni  '  (////.  4, 108). 
È  notevole  che  la  '  ricca  e  nobile  fortezza  ',  il  '  palazzo  '  di  madon- 
na Intelligenza,  era  anch'es.so  '  Intorneato  di  ricca  fiumana  '  {Infell. 
st.  60). 


224  Lp  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

di  dire  ;  e,  pensando  al  modo  da  tenere,  gli  venne  un'  im- 
provvisa ispirazione,  '  la  lingua  parlò  quasi  come  per  se 
stessa  mossa  '  ;  in  fine,  dopo  d'  aver  pensato  ancora  '  al- 
quanti di',  scrisse  la  mirabile  canzone,  il  canto  nuovo,  la 
lode  di  Beatrice  (').  E  benché  il  senso  letterale  non  offra 
alcuna  difficoltà  d' interpretazione,  e  solo  qualche  punto 
possa  dirsi  disputabile,  il  poeta  insinua  eh'  essa,  come  la 
consorella  del  Convivio,  '  parli  faticosa  e  forte  '  ;  e  cosi 
1'  ammonisce  : 

Ingegnati,  se  pnoi,  d'esser  palese 
Solo  con  donno  o  con  uomo  cortese. 

E  *  acciò  che  sia  meglio  intesa  '  egli  la  divide  '  più  arti- 
ficiosamente che  1'  altre  cose  di  sopra  '  ;  e  con  tutto  ciò^ 
conchiude  :  '  Dico  bene,  che  a  più  aprire  lo  'ntendimento 
di  questa  canzone  si  converrebbe  usare  di  più  minute  di- 
visioni ;  ma  tuttavia  chi  non  è  di  tanto  ingegno,  che  per 
queste  che  sono  fatte  la  possa  intendere,  a  me  non  dispia- 
ce se  la  mi  lascia  stare  :  che  certo  io  temo  d'avere  a  troppi 
comunicato  lo  suo  intendimento,  pur  per  queste  divisioni 


(1)  Psal.  32,  3  '  Cantate  oi  canticum  novum  :  bene  psallite  ei  in 
vociferatione  ;  38,  2  Benedicam  Doniiniim  in  onini  tempore  :  somper 
laus  ejus  in  oro  meo  ;  39,  4  Et  immisit  in  os  moum  canticum  no- 
vum, camion  Deo  nostro  ;  50,  17  Domine,  labia  nioa  aperios,  et  os 
meum  annuntiabit  laudem  tuam  ;  68,  31  Laudabo  nomen  Dei  cum 
cantico,  et  magnificabo  eum  in  laude  ;  70,  6  In  te  cantatio  moa  som- 
por  ;  8  Repleatur  os  meum  laude,  ut  cantem  gloriam  tuam,  tota  dio 
magnitudinem  tuam  ;  95,  1  Cantate  Domino  canticum  novum  ;  2  Can- 
tato Domino  et  benedicite  nomini  ejus,  ann untiate  de  die  in  diom 
salutare  ejus  ;  97,  1  Cantate  Domino  canticum  novum,  quia  mirabi- 
lia fecit  ;  118,  131  Os  meum  aperui  et  attraxi  spiritimi,  quia  man- 
data tua  desiderabam  ;  171  Eructabunt  labia  raea  hyranum,  cum  do- 
cueris  me  justificationos  tuas  :  143.  9  Deus,  canticum  novum  can- 
tabe  tibi  ;  144,  21  Laudationem  Domini  loquetur  os  moum  ;  149,  1 
Cantato  Domino  canticum  novum,  laus  ejus  in  ecclesia  sanctorum  '. 


Accenni  a  un  riposto  intendimento 


che  fatte  sono,  s'elli  avvenisse  che  molti  lo  potessero  udi- 
re'. Dove  giace  mai  codesta  oscurità  ?  Chi  ben  guardi,  la 
dicisione  più  artificiosa  non  è  che  per  la  seconda  parte  del- 
la seconda  divisione  principale,  cioè  per  quella  parte  ove 
il  poeta  canta  che  di  Beatrice  *  si  comprende  in  terra  '.  Co- 
me le  parti  della  prima  divisione  principale,  così  la  prima 
parte  della  seconda  divisione  principale  (  della  divisione 
che  contiene  tutta  la  lode  di  Beatrice,  *  lo  'ntero  [  'nten- 
to]  trattato  '  ),  non  ha  suddivisioni,  e  il  poeta  si  limita  ad 
avvertire  che  in  quella  parte  si  dice  che  della  gentilissi- 
ma '  si  comprende  in  cielo  '.  Ecco  graficamente  rappresen- 
tata l'artificiosa  divisione: 


Divisioni  alla  canz.  Donne  eh'  avete 


Donne  ch'avete 


Angolo  rlnma 


Canzone  lo  so 


Donno         Io  E  lo  Donno     Angolo        Madonna  è  desiata 

eh'  avete      dico        non  e         clama 

vo'  donzello 
parlar 


Madonna       Dice  di  lei  Amor 
è  desiata 


Dice  Degli  occhi  «noi 

di  lei 
Amor 


occhi  bocca 


Ma,  se  v'era  parte  che,  per  esser  meglio  intesa,  avea  bi- 
sogno di  suddivisioni  esplicative  e  dichiarative,  era  appunto 
la  prima  parte  della  seconda  divisione  principale.  Cosi  di 
Beatrice  '  si  comprende  in  cielo  '  : 


226  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


Angelo  clama  il  divino  intelletto 
E  dice:  '  Sire,  nel  mondo  si  vedo 
Maraviglia  no  l'atto,  che  procedo 
D'un'anima,  che  'nfin  quassù  risplende  '. 
Lo  cielo,  che  non  have  altro  difetto 
Che  d'aver  lei,  al  suo  Sognor  la  chiedo, 
E  ciascun  santo  ne  grida  morzedo. 
Sola  pietà  nostra  parte  difende; 
Che  parla  Dio.  che  di  madonna  intonde  : 
'  Diletti  miei,  or  sofferite  in  pace, 
Che  vostra  speme  sia  quanto  mi  piace 
Dà,  dov'  è  alcun  che  perder  lei  s'  attende, 
E  che  dirà  ne  lo  inferno:  —  O  malnati. 
Io  vidi  la  speranza  de'  beati  —  '  (1). 

Certo,  ha  molto  affaticato  i  critici,  ed  è  stato  dai  critici 
in  più  modi  tormentato,  quel!'  '  alcun  '  che  s'  attendea  di 
perder  madonna,  e  che  doveva  andare  all'inferno. 


(1)  Gregorio  Magno,  Mor.  2,  10  '  Aliter  loquuntur  Angoli  ad 
Doum ...  "V  ox  namque  Angolorum  est  in  laude  conditoris,  ipsa  ad- 
miratio  intimae  contemplationis.  Virtutis  divinao  miracula  obstu- 
puisse,  dixisse  est  :  quia  excitatus  ciun  rovei'entia  motus  cordis,  ma- 
gnus  est  ad  auros  incircumscripti  spiritus  clamor  a^ocìs.  Quae  vox 
se  quasi  per  distincta  verba  explicat,  dum  sese  per  innumeros  mo- 
dos  admirationis  format.  Deus  ergo  Angelis  loquitur,  cimi  eis  vo- 
luntas  ojus  intima  videnda  manifestatur.  Angeli  autem  loquuntur 
Domino,  cum  per  hoc,  quod  super  semetipsos  respiciunt,  in  motum 
admirationis  sui'gunt.  Aliter  Deus  ad  Sanctorum  animas,  aliter  Sanc- 
torum  aniniae  loquuntur  ad  Deum.  linde  et  in  Johannis  Apoca- 
lypsi  rursum  dicitur:  Vidi  siibter  altare  animas  interfectorum  prop- 
ter  verbnm  Dei  et  propter  testi monium  quod  habebant:  et  clamabant 
voce  magna  dicentes  :  Usqiieqno,  Domine ,  sanctus  et  verus,  non  judicas 
et  vindicas  sangninem  nostrum  de  his  qui  habitant  in  terra?  Ubi  il- 
lieo adjungitur,  Datae  sunt  illis  singnlac  stolae  albae,  et  dictnm  est 
illis,  ut  requiescerent  tempus  adJiuc  modicum,  doncc  impleatur  nume- 
ras  conservornm  et  fratrum  eorum.  Quid  est  enim  animas  vindictao 
potitionem  dicore,  nisi  diem  extromi  judicii,  et  rosurrectionem  ox- 
tinctorum  corporum  desiderare  ?  ' 


X,'  alcuno  della  sciarada  infernale  227 

Naturalmente,  prima  e  per  lunga  pezza,  si  pensò  al 
poeta  stesso,  e  si  vide  un  accenno  alla  Commedia.  I  primi 
commenti  al  libello  e  le  prime  dissertazioni  sul  libello,  sono 
come  un  porto  di  mare,  dove  convengano  mercanzie  d'ogni 
genere  e  da  ogni  parte,  e  dove  nessuno  abbia  cura  di  sor- 
prendere il  contrabbando.  Si  declama  su  '  l'importabile  pas- 
sione ',  su  *  l'ingenuo  racconto  ',  ma  e  si  fa  buon  viso  al- 
l'intempestivo accenno  alla  Commedia,  ed  anche  al  poco  a- 
morevole  presagio.  Però,  fatti  meglio  i  conti,  se  non  parve 
del  tutto  malagevole  spiegare  perchè  mai  il  poeta  temeva 
di  veder  morire  la  donna  amatA,  e  come  mai  gli  era  venuto 
in  animo  di  cantarle  e  ricantarle  il  funesto  prognostico  ; 
l'accenno  alla  Commedia,  o  a  qualcosa  di  simile,  sconcer- 
tava un  po'  il  romanzetto  della  Portinari.  E  ben  si  vide 
che  in  nessun  modo  si  poteva  consentire  che,  vivente  an- 
cora la  moglie  di  messer  Simone,  epperò  non  ancora  ve- 
nuto pel  poeta  il  momento  buono  di  distillare  il  forte  vi- 
no della  sua  passione,  di  idealizzare  e  trasformare  l' altrui 
fida  sposa  in  madonna  Teologia  ;  Dante  pensasse,  sia  pur 
vagamente,  a  un  viaggio  nell'  altro  mondo,  con  l'intendi- 
mento di  glorificarla.  Si  pensò  allora  (  poiché  accogliere, 
d'  altra  parte,  non  parve  si  potesse  l' ipotesi  d'  un  rifaci- 
mento posteriore),  si  pensò  che  il  poeta,  per  umiltà,  si 
facesse  mandare  al  Diavolo  da  Domineddio,  e  si  facesse 
da  chi  tutto  sa  e  tutto  vede  ed  errare  non  può,  chiamare 
malnato,  per  umiltà  ;  sicché  il  poeta  sarebbe  andato  bensì 
all'  inferno,  ma  per  restarci,  non  già  per  il  solito  viag- 
getto  di  andata  e  ritorno,  a  cui  allora,  in  tutt'  altre  fac- 
cende affaccendato,  non  avrebbe  potuto  pensare. 

Sennonché,  pare  che  molti  ingojassero,  quando  pure 
ingojavano,  codesta  amara  pillola  più  per  timor  di  peggio, 
che  perchè  fossero  convinti  della  virtù  del  rimedio.  Che 
umiltà  sarebbe  mai  stata  questa,  di  chiamarsi  malnato  e 
dannato   all'  inferno  ?  e  si  dava  del  malnato   chi  parlava 


^28  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

soltanto  a  '  donne  e  donzelle  amorose  '  eh'  aveano  '  intel- 
letto d'amore  '  ?  ed  era  un  predestinato  all'inferno  chi  cele- 
brava la  '  loda  di  Dio  vera  '  ?  e  si  faceva  qui  solennemente 
dannare  da  Dio  alle  pene  eterne,  chi  più  innanzi  doveva 
dire  ch'ei  sperava  d'andare  in  cielo,  dopo  d'aver  detto  della 
gloriosa  donna  '  quello  che  mai  non  fue  detto  d'alcuna  '  (^)? 
Parve  e  fu  un  gran  fatto  adunque,  quando  si  riuscì 
di  mandare  a  casa  del  Diavolo  gente  più  meritevole  del- 
l'eterno castigo  che  il  poeta  non  fosse,  o  non  si  credesse. 
Guido  Mazzoni  pensò  che,  a  non  render  necessario  1'  in- 
grato ancoraggio  della  dannazione  del  poeta,  e  nello  stesso 
tempo  a  causare  le  secche  pericolose  del  determinato  ac- 
cenno alla  Commedia,  bisognava  drizzare  l'artimone  del  pe- 
riodetto  dantesco  all'ora  del  desiderio,  intendere  quell'  '  al- 
cuno' per  '  qualcuno  ',  '  più  d'uno  ' ,  '  alcuni  '.  E  cosi  pa- 
rafrasava le  parole  di  Dio  il  Mazzoni  (  Il  primo  accenno 
alla  DC.  ì  vd.  Bull.  ns.  5,  73  s  )  :  '  Abbiate  ancora  pazien- 
za,  0  miei  diletti  ;  1'  ora  della  morte  di  lei  non  è  per  an- 
che scoccata,  ed  è  giusto  ch'ella  rimanga  un  altro  poco  a 
far  beato  di  se  il  mondo,  dove  più  d'uno,  vedendola,  pensa, 
come  voi,  che  quella  è  cosa  di  cielo,  scesa  di  cielo  tra  gli 
uomini  a  mostrare  un  miracolo,  e  si  aspetta  di  averla  a 
perdere,  sempre  che  paragona  sé  con  lei  ;  che  veramente 
più  d'uno  di  quelli  che  l'han  vista  andrà  poi  all'Inferno, 
ma  anche  laggiù  costui,  tra'  suoi  compagni  di  dannazio- 
ne, avrà  un  qualche  conforto  nel  rammentare  d' avere  in 
.  Terra  goduto  quasi  un  saggio  del  Paradiso,  e  trarrà  alcu- 
na gloria  dal  poter  dire  vantandosi  con  loro  :  —  Eccomi, 
come  voi,  ne'  tormenti  ;  ma  io,  almeno,  prima  di  piombar 
qui,  ho  visto  in  Terra  quella  ch'era  desiderata  perfino  da' 
beati,  e  chiesta  da  loro  a  Dio  !  —  '  Alcuni  fra  coloro  che 


(1)   VN.  42,  9;  cfr.  Conv.  %  9,  133;  Pnrg.  %  91;  13,  133;  21,  24: 
24,  77;  32.  100:  Par,  30,  135;  e  vd.  Scherillo,  Ale.  cap.  339  s. 


V  alcuno  della  sciarada  infernale  2-^9 

aveano  vista  Beatrice  andranno  dnnque  all'inferno;  non 
già  il  poeta  che  le  avea  parlato,  ricevendone  il  saluto  ; 
perchè  nella  stessa  canzone  è  detto  che  '  non  può  mal  fi- 
nir chi  le  ha  parlato'.  'Chi  sa,  conchiudeva  il  Mazzoni, 
fjuanti  anche  di  quelli  che  avevano  vista  Beatrice,  saranno 
dovuti  andare  all'inferno,  secondo  il  giudizio  de'  loro  con- 
temporanei, se  non  si  vuol  dire  secondo  il  giudizio  di  Dio  !  ' 

Certo,  codesta  interpretazione  aveva  principalmente  un 
grave  difetto  organico  :  V  *  alcuno  '  della  canzone,  nella  pa- 
rafrasi era  inteso  prima  per  *  alcuni  ',  e  poi  per  '  alcuni  di 
alcuni  '  ;  alcuni  s'aspettavano  di  perdere  Beatrice,  e  solo 
alcuni  fra  essi  sarebbero  andati  all'inferno  ;  il  che  non  pare 
davvero  dalle  parole  del  poeta.  Ma  la  via  aperta  dal  Maz- 
zoni (')  parve  alla  bella  prima  cos'i  comoda  e  sicura,  che 
alcuni  critici,  senza  esitare,  anzi  con  vero  entusiasmo,  ab- 
bandonarono tosto  per  essa  i  vecchi  sentieri.  Ad  Egidio 
Gorra  essa  parve  '  la  diritta  via  '  ;  però,  pensando  che  il 
Mazzoni  '  ebbe  forse  a  percorrerla  quasi  frettoloso  di  giun- 
gere presto  alla  meta,  come  a  porto  tranquillo  e  sicuro  ', 
si  propose  di  rifarla,  '  sostando  più  spesso,  e  girando  in- 
torno con  maggiore  insistenza  lo  sguardo,  nella  fiducia  di 
avere  a  scorgere  qualcosa  ...  a  lui  rimasta  inosservata  '. 
Tuttavia,  l'interpretazione  del  Gorra,  anche  dopo  le  osser- 
vazioni dello  stesso  Mazzoni  {Bull.  ns.  5,  177  ss),  e  nella 
sua  forma  ultima,  quale  si  legge  nel  volume  Fra  Drammi 
e  Poemi  (p.  127  ss)  non  pare  molto  persuasiva. 

Pensa  il  Gorra  che  '  chi  fissi  lo  sguardo  nella  terza 
strofe,  nella  quale  il  poeta  si  propone  di  dire  alquante  del- 


(1)  11  Barbi  (Bull.  ns.  10,  97  n^)  ricorda  che  il  Tommaseo  a- 
veva  già  interpretato  :  '  Iddio  risponde  :  Aspettate  alquanto,  si  che 
gli  nomini  la  possano  ancora  godere,  e  coloro  che  vanno  all'Inferno, 
raccontino  /'  ridi  la  $peransa  de  beati  (  Commento  alla  D.  C,  Mi- 
lano 1S>J:.  p.  22  )  '. 

29 


^  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

le  «  virtudi  effettive»  che  procedeano  dall'anima  di  Bea- 
trice, facilmente  vi  discerne  indicate  tre  sorta  di  perso- 
ne :  —  quelle  che  avendo  da  natura  sortito  «  cuore  villano  » 
non  possono  dalla  vista  di  lei  derivare  nessun  giovamento, 
ed  esse  non  «  soffrendo  di  starla  a  vedere  »  devono  fug- 
girla o  morire  ;  —  quelle  che  mostrandosi  disposte  a  mi- 
rarla, sono  perfettibili  e  perciò  ne  provano  la  virtù  e  ne 
ottengono  «  salute  »  (non  il  saluto)  ;  —  e  infine  coloro  che 
avendole  parlato  (saluto)  son  certi  di  non  avere,  per  con- 
cessione divina  (  «  ancor  l'ha  Dio  per  maggior  grazia  dato  »  ), 
a  miseramente  finire  '.  Donde  il  Gorra  cavi  fuori  codeste 
sue  tre  categorie,  non  si  vede  bene.  Canta  il  poeta  nella 
terza  stanza  della  canzone: 

Dico  :  qiial  vuol  gentil  donna,  parere 

Vada  con  lei;  che  quando  va  per  via 

Gritta  nei  cor  villani  Amore  un  gelo, 

Per  che  ogne  lor  penserò  agghiaccia  e  p(?re  ; 
35  E  qual  soffrisse  di  starla  a  vedere, 

Diverrla  nobil  cosa,  o  si  morrla  : 

E  quando  trova  alcun  che  degno  sia 

Di  veder  lei,  quei  prova  sua  ^^rtute, 

Che  li  a^'Anen  ciò  che  li  dona  saluto, 
40  E  sì  l'umilia,  ch'ogni  offesa  oblia. 

Ancor  l'ha  Dio  per  maggior  grazia  dato, 

Che  non  può  mal  finir  chi  l'ha  parlato  (*). 

Pare  che  nei  versi  33  -  36  il  Gorra  veda  descritta  la  con- 
dizione della  prima  categoria.  Veramente,  dalle  parole  del 
poeta  pare  che  anche  i  '  cor  villani  '  ricevevano  benefizio 
della  dimora  quaggiù  di  madonna,  tutti  i  '  cor  villani  '  che 
si  trovavano  sul  suo  passaggio  ;  ogni  loro  malvagio  pen- 
siero irrigidiva  e  periva.  Ed  è  opportuno  ricordare  che 
Beatrice,  non  solo  '■  sveglia  '  amore  '  là  dove   dorme,    ma 


(1)  Sap.  6,  17  '  Quonlam  dlgnos  se  Ipsa  [  Saplentla  ]  clrcult  quaerens,  et  la 
vlls  ostendlt  se  lllls  hllariter,  et  Iii  oninl  provldentla  occuri-lt  illls.  Inltlum 
enim  lllius,  verissima  est  dlscIpUnae  concuplscentla '. 


Il  cuor  cillano,  la  salute  e  il  saluto  2"U 


là  ove  non  è  in  potenza,  ella,  mirabilmente  operando,  lo 
fa  venire'  (  VN.  21,  5).  Ben  è  vero  che,  se  alcuno  fosse 
stato  di  tanta  virtù  da  sostener  la  vista  di  madonna,  sa- 
rebbe divenuto  '  nobil  cosa  ',  o  sarebbe  morto,  probabil- 
mente dalla  dolcezza  ;  ma  non  mi  pare  che  il  poeta  allu- 
da in  particolar  modo  ai  cuori  villani  :  anch'egli  non  sof- 
friva '  di  starla  a  vedere  '  ;  e  ben  glielo  avevano  ricordato 
le  donne,  in  quel  colloquio  che  fu  come  il  primo  passo 
verso  la  materia  nuova  e  la  mirabile  canzone  {VN.  18,  17;: 
'  A  che  fine  ami  tu  questa  tua  donna,  poi  che  tu  non  puoi 
sostenere  la  sua  presenza?'  Diremo  forse  che  anche  il  poe- 
ta aveva  '  da  natura  sortito  cuore  villano  ',  e  non  poteva 
'  dalla  vista  di  lei  derivare  nessun  giovamento  ',  e  dovea 
'  fuggirla  o  morire  '  V  Non  pare  dunque  che  nella  canzone 
vi  sia  posto  per  gl'infelici  della  prima  categoria.  E,  d'altra 
parte,  codesti  cuori  villani  così  induriti  da  non  potor  ri- 
cavare giovamento  veruno  dalla  vista  di  monna  Bice,  o 
perchè  non  soflfrivano  di  starla  a  vedere,  e  doveano  fug- 
girla? e  perchè,  se  per  curiosità  malvagia  di  cuori  villani 
si  fermavano  un  poco  e  soffrivano  un  tantino  di  starla  a 
vedere,  doveano  inesorabilmente  morire  ? 

E  passiamo  alla  seconda  e  terza  categoria.  Nei  versi, 

E  quando  trova  alcnn  che  desmo  sia 
Di  veder  lei.  quei  prova  sua  vertute  ; 
Che  li  avvien  ciò  che  li  dona  salute. 
E  si  l'urailia,  ch'ogni  offesa  oblia  : 

il  critico  vede  accennate  quelle  persone  che,  '  mostrandosi 
disposte  a  mirarla,  sono  perfettibili  e  perciò  ne  provano 
la  virtù  e  ne  ottengono  «  salute  »  (non  il  saluto;  '.  Sen- 
nonché, esser  degno  di  veder  madonna,  non  è  certo  lo  stes- 
so che  mostrarsi  disposto  a  mirarla.  E  perchè  costoro  non 
ottengono  la  salute  col  saluto?  Evidentemente,  nella  pa- 
rola '  salute  '  il  Gorra  non  vuol  vedere  il  frequentissimo 
giuoco,  perchè  con  la  gente  meritevole  del  saluto  vuol  for- 


232  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

mare  i  quadri  della  terza  categoria,  alla  quale  ascrive  il 
poeta.  Il  saluto  dunque,  come  l'accenno  alla  classe  privi- 
legiata, il  Gorra  lo  scopre  nei  versi: 

Ancor  l'ha  Dio  per  maggior  grazia  dato, 
Che  non  può  mal  finir  chi  l'ha  parlato. 

Fatta  codesta  distinzione  e  partizione,  il  critico  passa 
alla  soluzione  della  sciarada  infernale.  E  senza  esitare  un 
momento,  manda  al  Diavolo  la  prima  categoria.  E  qui  ap- 
pare il  vantaggio  della  classificazione  dei  Gorra  ;  perchè  i 
procedenti  all'inferno  formano  una  schiera  a  se,  affatto  di- 
stinta dalle  due  legioni  dei  meritevoli  del  paradiso,  da  quelli 
che  aveano  veduta  la  signora  De'  Bardi,  e  da  quelli  che 
le  aveano  parlato  ;  i  quali  perciò  esulano  totalmente  dal 
passo  contrastato  della  canzone,  e  sen  vanno  per  più  si- 
curo calle  in  cielo.  11  Mazzoni  aveva  avuto  il  torto  di 
avviar  dannati  e  salvati  pur  per  quel  passo,  che  non  la- 
sciò giammai  persona  viva.  '  Non  resta  per  me  nessun  dub- 
bio, afferma  il  Gorra,  che  coloro  ai  quali  Dante  fa  da  Dio 
decretare  l' inferno  sono  i  malvagi  e  i  disdegnosi,  che  o 
non  sanno  ravvedersi,  o  non  sanno  commuoversi  dinanzi 
a  colei  che  il  cielo  mandò  sulla  terra  «  a  miracol  mostra- 
re » .  Costoro  sono  destinati  al  luogo  di  pena  dove  diranno 
di  aver  veduto  un  tanto  miracolo,  ma  non  per  «gloriar- 
sene» (ecco  il  verbo  usato  a  torto  dai  commentatori,  ma 
non  dal  poeta),  sì  per  attestare  una  volta  di  più  la  infi- 
nita misericordia  divina,  che  per  la  salute  degli  uomini 
compiè  un  altro  prodigio,  inviando  fra  loro  Beatrice  (  «  e 
venne  in  terra  per  nostra  salute  »  )  ;  e  sì  per  rammaricarsi 
di  comprendere  troppo  tardi  il  beneficio  perduto  '.  Come  si 
vede,  non  e'  è  proprio  speranza  per  costoro  ;  son  proprio 
dannati,  non  solo  a  giudizio  dei  contemporanei,  ma  anche 
dei  posteri,  eh'  è  più  grave.  E  bene  sta.  Quei  malnati  cuori 
villani  non  solo  non  si  mostravano  disposti  a  mirare  la  fi- 


L'ahuno,  i  cuori  villani,  le  inah  femmine  233 

gliuola  di  Folco,  ma  non  soffrivano  neppure  di  starla  a 
vedere,  e  neppure  sapevano  commuoversi  dinanzi  a  lei  ; 
senza  dire  che,  per  non  andarsene  sabito  all'  inferno,  dovea- 
no  fuggirla  come  tanti  cani  arrabbiati. 

Ma  chi  erano  costoro?  Dalla  indagine  del  Gorra  è  ve- 
nuto fuori  che  '  Dante,  ben  lontano  dal  volervi  andare  e- 
gli  stesso,  vuole  invece  mandare  all'  inferno  la  gente  vil- 
lana, in  ispecie  quelle  male  femmine,  ch'ei  ben  conosce,  che 
hanno  osato  metter  male  fra  lui  e  Beatrice,  dipingerlo  a 
questa  come  un  arnese  pericoloso,  far  sì  che  ella,  moglie 
fedele  e  custode  gelosa  della  sua  fama,  non  volesse  più  sa- 
perne di  lui.  Al  povero  Dante,  osserva  il  critico,  altro  non 
rimase  se  non  imitare  1'  esempio  della  volpe  della  favola, 
la  quale  non  essendo  giunta  a  cogliere  l'  uva,  disse  che 
non  aveva  avuto  nessuna  intenzione  di  mangiarla  !  '  Ma, 
con  buona  pace  del  Gorra,  non  saranno  state  '  male  fem- 
mine '  le  persone  di  cui  si  parla  nel  paragrafo  12  :  '  Quel- 
la nostra  Beatrice,  spiegava  il  signore  de  la  nobiltade,  udìo 
da  certe  persone,  di  te  ragionando,  che  la  donna  la  quale 
io  ti  nominai  nel  cammino  de  li  sospiri,  ricevea  da  te  al- 
cuna noia  ;  e  però  questa  gentilissima,  la  quale  è  contra- 
ria di  tutte  le  noie,  non  degnò  salutare  la  tua  persona, 
temendo  non  fosse  noiosa'.  Ne  il  poeta  poteva  compren- 
dere tra  i  cuori  villani  dannati  all'  inferno,  quelle  persone, 
che,  se  anche  '  male  femmine  ',  aveano  pur  parlato  con 
Beatrice,  e  quindi  non  poteano  '  mal  finire  '  {}).  Yeramen- 


(M  Ai  mottimalo  augurava  forse  l'inferno  Galletto  da  Pisa,  eanz. 
In  alta  donna  :  '  Li  mai  parlier  che  mettano  scordansa.  In  mar  di 
Settelia  Possali  'nnegare  e  vivere  a  tormento  '.  In  una  canzone 
anonima  del  Yat.  3793  (  Quando  la  primavera  )  :  '  Dio  sconfonda  in 
terra  Le  lingue  do'  mai  parlanti  Ch'  en  tra  noi  due  misero  guer- 
ra, Ch'eravamo  leali  amanti.  Chi  disparte  sollazo,  Gioco  ed  ispel- 
lamento.  Dio  lo  metta  in  tormento,  Che  sia  preso  a  reo  lazo,  E 
giudicato  di  serra  '.    E  in  un  sirventese   (  Monaci,  Crest.  297  )  :  *  A 


234  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

te,  secondo  il  critico,  parlar  con  Beatrice  non  significa  di- 
scorrere con  lei,  e  molto  meno  dipingere  a  lei  il  poeta  co- 
me un  arnese  pericoloso  ;  significa  ricevere  il  saluto  ;  giac- 
ché chi  riceveva  la  '  salute  ',  non  riceveva  il  '  il  saluto  '; 
e  chi  parlava  con  lei,  non  le  parlava,  propriamente  par- 
lando, ma  riceveva  il  '  saluto  ',  che  non  era  la  '  salute  ', 
comechè  '  salute  '  portasse.  Tuttavia,  codeste  male  femmi- 
ne non  si  può  dire,  a  onor  del  vero,  che  non  soffrissero 
di  stare  a  veder  madonna  Bice,  e  che  la  fuggissero,  se  an- 
davano a  chiacchierar  con  lei  degli  amorazzi  di  Dante. 

E  mi  pare  affermazione  parimenti  gratuita,  che  il  poe- 
ta desideri  '  che  la  sua  canzone  non  sia  troppo  chiaramen- 
te e  ampiamente  compresa  ',  perchè  non  vuol  '  troppo  di- 
vulgare la  malignità  o  risuscitare  i  pettegolezzi  e  le  dice- 
rie '  delle  male  femmine.  Ma  forse  quella  volpe,  a  cui  non 
era  riuscito  di  toccar  l'uva  della  vigna  di  messer  Simone, 
veramente  provvide  a  non  divulgare  la  malignità,  non  solo 
con  la  oscurità  della  canzone,  ma  anche  col  non  far  cenno 
alcuno  di  codeste  male  femmine  nella  ballata,  e  col  non 
lasciare  in  tutto  il  libello  (salvo,  s' intende,  quella  molto 
dissimulata  vendetta  di  animo  esacerbato  ),  altrimenti  trac- 
cia di  costoro.  Nessuno  però  avrebbe  mai  pensato  che  il 
poeta  imprese  '  materia  nuova  e  più  nobile  che  la  passa- 
ta',  per  'smentire  i  maldicenti';  ne  che  'da  più  luoghi 
del  libro  [della  Vita  nuova]  chiaramente  risulta  che  non  po- 
chi a  quei  di  giudicavano  sensuale  l'amore  di  Dante  an- 
che per  Beatrice  '.  Nessuno  crederà  oggi,  che  '  la  stessa  in- 
sistenza sua  [di  Dante]  nel  ripetere,  nel  protestare  che  il 
suo  ultimo  fine  altro  non  era  che  il  saluto  di  questa  gen- 


loro  [  ai  mal  parlori  ]  mandi  Deo  pistiloncia  et  serra,  Quello  Doo 
glie  struga  che  formò  la  terra.  Ch'  anguano  siano  morti  e  portati 
in  barra  Al  fossato  ;  Po  eh'  ol  loro  malfare  agli  amanti  ono  in- 
grato'.  Per  riscontri  provenzali,  vd.  iScliorillo,  Ale.  cap.  204  ss. 


India  d'  ainor  semuale  f  235 


tilissima  donna',  basti  'a  metterci  sulla\\i.so  ,  su  code- 
sto avviso  ;  e  nessuno  vedrà  che  un  indizio  dell'amor  sen- 
suale sia  andato  ad  annidarsi  proprio  in  queste  parole  del- 
la diamone  della  canzone  Donne  ch'avete  :  '  ne  la  seconda 
[  parte  ]  dico  de  la  bocca,  la  quale  è  fine  d'Amore.  E  acciò 
che  quinci  si  lievi  ogni  vizioso  pensiero,  ricordisi  chi  ci 
legge,  che  di  sopra  è  scritto  che  '1  saluto  di  questa  donna, 
lo  quale  era  de  le  operazioni  de  la  bocca  sua,  fue  fine  de 
li  miei  desiderii,  mentre  ch'io  lo  potei  ricevere'.  Certo,  era 
lecito  sperare  che  non  avrebbero  piìi  adescato  nessuno  le 
bonarie  congetture  dell'Orlandini  {  Disc,  in  D.  e  il  suo  sec. 
389  s  )  ;  e  si  poteva  sorridere,  oggi  più  che  mai,  di  que- 
sta sua  ingenua  osservazione  (  p.  401  ),  che  il  Gorra  pa- 
rimenti raccoglie  e  riconsacra:  '  Questa  scrupolosità  ombro- 
sa e  quasi  soverchia  di  essere  meno  che  delicatamente  in- 
teso o  franteso,  non  apparisce  nel  secondo  stadio  della  sua 
passione  ,  in  cui  pur  narra  di  aver  veduto ,  almanco  per 
virtù  di  estasi,  la  nudità  dell'amata.  A  questo  dovrebbero 
pensare  coloro  che  si  lasciano  prendere  dalle  mistiche  sdol- 
cinature di  certi  illustratori  spigolistri,  e  vedrebbero  nella 
Vita  nuova  quello  che  vi  è  veramente  ,  e  non  quello  che 
essi  sognano'.  Dio  mio,  si!  I  sogni  degli  illustratori  spi- 
golistri !  Ma  certo,  solo  un  prepotente  pregiudizio  poteva 
oggi  spingere  il  Gorra  ad  accodare  questo  curioso  codicillo 
all'osservazione  deirOrlandini  :  '  E  le  amiche  di  Dante,  che 
non  ignoravano  che  egli  della  immagine  di  queste  nudità 
si  era  compiaciuto,  certo  non  cosi  facilmente  sapevano  in- 
dursi a  credere  che  i  suoi  pensieri  fossero  ad  un  tratto  di- 
venuti purissimi'.  Le  '  amiche  di  Dante  ',  a  cui  qui  il  Gorra 
allude,  sono  le  '  donne,  le  quali  rannate  s'erano,  dilettan- 
dosi l'una  ne  la  compagnia  de  l'altra  ',  del  paragrafo  18 
della  Vita  nuova  ;  l'una  delle  quali  chiese  al  poeta,  quale 
fosse  il  fine  del  suo  amore,  poiché  egli  non  poteva  la  pre- 
senza della  sua  donna  sostenere.  E  codeste  donne  non  igno- 


^36  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

ravano  che  il  poeta  si  era  compiaciuto  della  immagine  delle 
nudità  di  Beatrice?  E  chi  aveva  lor  detto  che  il  poeta  si 
era  mai  compiaciuto  della  immagine  delle  nudità  di  chi  si 
sia?  Al  Gorra,  che  pure  discorre  a  lungo,  in  questo  stesso 
studio,  del  primo  sonetto  della  Vita  nuova,  è  sfuggito  qui 
che  in  quel  sonetto  madonna  è  '  involta  in  un  drappo  dor- 
mendo '.  Quel  primo  sonetto  della  Vita  nuova  è  davvero 
disgraziato  ! 

Ma  torniamo  alla  chiosa  della  sciarada  infernale.  I  cuo- 
ri villani,  le  male  femmine  ,  dunque  ,  avranno  detto  nel- 
r  inferno  :  —  0  malnati,  noi  vedemmo  la  speranza  dei  bea- 
ti —  :  e  non  altrimenti,  giacche  il  Gorra,  coi  codici,  si  tie- 
ne alla  lezione  col  vocativo.  E  bisognerà  notare,  a  perpe- 
tuale loro  infamia  e  depressione,  che  codesti  cuori  villani 
di  prima  categoria  saranno  stati  gente  affatto  stravagante 
e  pazza  e  villana  e  peggio,  anche  nell'inferno.  Prima  di 
tutto,  si  volgono  villanamente  ai  loro  compagni  di  sven- 
tura, apostrofandoli  :  —  0  malnati  !  —  come  se  malnati 
non  fossero  anche  loro  ;  poi  impudentemente  affermano  di 
aver  veduto  colei  che  non  avevano  voluto  vedere,  che  non 
aveano  sofferto  di  stare  a  vedere  ;  in  fine  pazzescamente 
proclamano  che  è  speranza  dei  beati  colei,  della  quale  a- 
veano  '  offesa  la  fama,  disconoscendone  la  virtù  e  la  mis- 
sione divina'.  Però,  i  cuori  villani,  prima  di  far  codesto 
sermoncino  ai  malnati  consorti,  appunto  quando  offende- 
vano la  fama  e  disconoscevano  la  virtù  e  la  missione  divi- 
na della  signora  De'Bardi,  appunto  quando  non  si  mostra- 
vano neppure  disposti  a  mirarla,  e  la  fuggivano  come  la 
testa  di  Medusa,  appunto  allora  ...  si  attendevano  di  per- 
derla. '  Il  verbo  s'attende ,  spiega  il  Gorra  ,  qui  significa 
non  solo  si  aspetta,  prevede,  ma  anche,  comprende,  sa,  do- 
vrà. Qui  attendersi  vuol  dire  aspettarsi,  ma  nel  significato 
in  cui  questo  verbo  occorre,  a  mo'  d'esempio,  nella  I'"*  no- 
vella della  Giorn.  V^  del  Decamerone:  «Forte  gridò:  arre- 


Come  il  ctior  villano  dorrà  perdere  Beatrice  a^t 

statevi,  calate  le  vele,  o  voi  aspettate  d' esser  vinti  e  som- 
mersi in  mare  » .  Chi  ha  cuore  «  villano  » ,  continua  il  Gor- 
ra, cioè  malvagio  e  disdegnoso  al  punto  che  dinanzi  a  Bea- 
trice sentendosi  correre  nelle  vene  un  gelo  di  morte,  non 
vuole  sofferirne  la  vista  ,  ne  rispecchiarsi  in  lei  affine  di 
rendere  se  stesso  migliore,  oppure  muore  senza  ch'ella  ab- 
bia su  di  lui  «  virtuosamente  operato  » ,  costui  «  dovrà  per- 
dere »  Beatrice  '.  "\'eramente,  nel  luogo  del  Boccaccio  il 
verbo  '  aspettare  ',  o  *  aspettarsi  ',  è  usato  nel  suo  signi- 
ficato ordinario  di  *  ripromettersi  ',  '  tener  per  fermo  ',  '  far 
conto  ',  0  simile  ;  né  si  vede  come  codesto  esempio  possa 
condurre  ad  una  nuova  interpretazione  del  passo  dantesco. 
Ben  muterebbe  significato  il  verso 

Lìt,  dov'  è  alcun  che  pordor  loi  g'attende, 
se  si  potesse  leggere 

Lil.  dov'  è  alcun  che  pordor  lei  s'attenda  ; 

giacché,  è  appunto  il  modo  imperativo  che  dà  aWaspettarsi 
del  Boccaccio  quel!'  atteggiamento  che  vorrebbe  vedere  il 
Gorra  neìVattendersi  della  canzone.  Ma  i  cuori  villani,  co- 
me '  dovranno  perdere  '  Beatrice  ?  '  Quelli  che  la  fuggono 
o  la  disdegnano,  spiega  il  Gorra,  dovranno  perderla  per- 
chè essa,  che  è  «contraria  di  tutte  le  noie»  (cap.  XII), 
finirà  col  lasciarli  in  balìa  della  loro  protervia  e  dei  loro 
vizii  '.  Iddio,  insomma,  direbbe  agli  angeli  e  ai  santi,  che 
la  figliuola  di  Folco  Portinari  e  moglie  del  nominato  Si- 
mone de'  Bardi,  madonna  Bice,  finirà  col  non  incaricarsi 
più  di  chi  la  fugge,  agghiaccia  dinanzi  a  lei,  e  non  vuol 
soffrire  di  starla  a  vedere  ;  e  che  così  il  cuor  villano  do- 
vrà perderla,  che  in  questo  modo  le  male  femmine  do- 
vranno perderla,  prima  ancóra  di  andarsene  all'inferno  ad 
insultare  gli  altri  malnati  e  a  testimoniare  il  falso.  Par- 
rebbe dunque,  che  i  cuori  villani  non  s'aspettassero  niente, 

30 


238  Ze  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

e  che  Iddio  li  ammonisse  del  pericolo  che  correvano,  di 
essere  abbandonati  da  Beatrice.  Sennonché,  il  Gorra  d'al- 
tra parte  riconosce  che  il  verso 

Là,  dov'  è  alcun  che  perder  lei  s'attende, 

'  esprime  quello  che  passa  nell'  animo  di  alcuno  '.  Ed  in- 
vero, è  proprio  così.  Non  diremo  dunque  che  alcuno  '  do- 
vrà '  perdere  Beatrice,  ma  che  alcuno  '  prevede  ',  '  s'aspet- 
ta ',  '  teme  '  di  perderla  ;  che  alcuno  '  prevede  ',  '  s'aspetta  ', 
'  teme  '  che  Beatrice  finirà  col  lasciarlo  in  balìa  della  sua 
protervia  e  dei  suoi  vizii.  E  resterebbe  a  spiegare  perchè 
mai,  proprio  nell'animo  di  chi  fuggiva  e  disdegnava  ma- 
donna Bice,  dovessero  passare  simili  malinconie. 

Ma  se  il  Gorra,  mettendosi  per  la  via  aperta  dal  Maz- 
zoni, si  è,  come  pare,  smarrito,  ha  però  il  merito  di  aver 
richiamato  sui  suoi  passi  lo  stesso  antesignano  della  chiosa 
fortunata.  Neil'  esaminar  lo  studio  del  Gorra,  il  Mazzoni, 
emendando  evidentemente  e  chiarendo  la  sua  prima  inter- 
pretazione, scrive  (  Bull.  ns.  5,  184  )  :  '  Perdere  nel  verso 

là  dov'  ò  alcun  che  perder  lei  s'attende 

ha  per  me,  come  Beatrice^  come  salute^,  come  vedere^  come 
parlare,  come  tante  altre  voci  nella  Vita  Nuova,  un  dop- 
pio significato,  reale  e  morale  (  non  direi  allegorico)  .  Se 
i  «  villani  »  presentono  che  di  Beatrice  non  son  degni,  e 
se  ne  andranno  all'  Inferno,  mentre  essa  in  Paradiso,  ne 
perderanno  per  sempre  la  vista,  non  la  vedranno  più  dalle 
loro  tenebre  nella  sua  luce  :  e  del  pari,  disdegnando  il  mi- 
racolo, sottraendosi  alla  benefica  efficacia  di  lei,  la  perde- 
ranno, perchè  perderanno  l'anima  loro  '.  Il  D'Ovidio  {Stu- 
dii,  329  )  così  riassume  la  chiosa  del  Mazzoni  :  Iddio  direb- 
be agli  angeli  e  ai  santi  :  '  Abbiate  pazienza  che  Beatrice 
stia  ancora  un  pezzo  a  beare  il  mondo,  dove  più  d'  uno 
(i  cor  villani)  ha  vedendola  il  presentimento  che  nulla  a- 


La  nuova  chiosa  nella  sua  forma  pietosa  239 


vrà  mai  di  comune  con  quel  raggio  di  cielo  disceso  in  terra, 
ma  nell'inferno  potrà  dire  agli  altri  malnati  d'aver  alme- 
no visto  in  terra  un  raggio  di  cielo  '.  E  il  D' Ovidio  stesso 
ridurrebbe  '  alla  più  semplice  espressione  '  codesta  chiosa 
così  :  '  —  I  celesti  vorrebbero  subito  in  cielo  la  celeste  don- 
na, e  Dio  lo  concederebbe  se  un  solo  essere  celeste,  la  Pie- 
tà, noi  rattenesse.  I  celesti  avranno  un  giorno  Beatrice, 
gli  uomini  destinati  a  salvarsi  l'avranno  ugualmente  ;  ma 
e  quei  poveretti  che  non  vedranno  mai  il  Paradiso  ?  Dio 
misericordioso  pensa  di  lasciar  che  essi  godano  almeno  un 
raggio  di  Paradiso  in  terra  vedendo  Beatrice  —  '.  Ovvero  : 
'  —  Ella  è  già  così  celeste  che  Dio  certo  la  chiamerebbe 
subito  a  sé,  ove  un  sentimento  pietoso  non  gì' insinuasse 
di  lasciarla  come  un  saggio  del  Paradiso  a  quei  che  il  Pa- 
radiso non  vedran  mai  ;  dobbiamo  quindi  solo  a  codesto 
sentimento  pietoso  se  e'  è  riserbata  a  noi  tutti  la  conso- 
lazione di  vederla  lungamente  quaggiù  —  '  (*). 

Certo,  méssa  in  questi  termini,  la  cosa  pare  a  primo 
aspetto  assai  piana  e  naturale.  Alcuni  -s'attendeano  di  per- 
dere Beatrice,  di  esser  privati  un  giorno  o  l'altro  per  sem- 
pre di  quel  raggio  di  cielo;  perchè  pensavano  ragionevol- 


(')  Il  Barl)i  [Bull.  ns.  10,  m\  propono:  -Diletti  niiui.  tollerate 
in  pace  che  Beatrice,  vostra  speranza,  rimanga  ancora  quanto  mi 
piace  nel  mondo  per  SiUute  e  consolazione  degli  uomini  (v.  8  :  solo 
Pietà  nostra  parte,  cioè  di  tutti  gli  uomini,  difende):  nel  mondo  ove 
c'è  pure  chi  s'  aspetta  di  averla  a  perdere  per  sempre,  non  poten- 
dosi salvare  ;  e  anche  questi  poveretti  (  e  Dante  doveva  porre  fra 
questi  anche  se  stesso,  che  altrimenti  non  si  spiegherebbe  bene  per- 
chè appena  ricordato  il  mondo,  il  suo  pensiero  si  fìssi  esclusiva- 
mente su  chi  è  destinato  a  perder  Beatrice  )  potranno  almeno  aver 
la  consolazione  d*  aver  veduto  la  speranza  dei  beati  in  terra  '.  Af- 
fatto alieni  dalla  nuova  interpretazione  sono  il  Faiani  (  L'opera  di 
D.  nella  race.  Xel  VI  centenario  della  DC.  Messina  1900  :  p.  32  n  20), 
il  Federzoni  (  Stndi.  132  s  )  e  il  Ciuffo,  delle  osservazioni  del  quale 
non  ho  notizia  diretta  (vd.  Bull.  ns.  8,  132). 


240  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

mente  che  essi  sarebbero  andati  all'  inferno  e  Beatrice  in 
paradiso  ;  e  non  la  perdevano  subito  per  intercessione  della 
Pietà.  Ma  perchè  poi,  per  sentenza  irrevocabile  di  Dio,  co- 
storo doveano  andare  davvero  all'  inferno  ?  Eiconoscer  che 
Beatrice  era  cosa  di  cielo,  non  era  già  un  titolo  di  meri- 
to, pel  quale  poteano  sperar  guiderdone  ?  Riconoscer  se 
stessi  meritevoli  dell'inferno,  non  era  egli  tale  atto  di  umiltà 
e  di  contrizione  da  meritar  da  Dio  men  dura  sentenza  ? 
Giacché,  chi  s'aspettava  di  perder  Beatrice,  di  andare  cioè 
all'inferno,  doveva  andare  all'  inferno  davvero,  senza  mi- 
sericordia, per  giudizio  di  Dio  !  Il  quale  avrebbe  detto  sup- 
pergiù ai  suoi  diletti  :  —  Sopportate  che  Beatrice  stia  quan- 
to mi  piace  nel  mondo,  dove  alcuni  poveretti  s'aspettano 
di  andare  all'  inferno  ;  ed  io  infatti  all'  inferno  ve  li  man- 
derò ;  ma  quei  poveretti  avranno  almeno  la  consolazione 
di  poter  dire  :  Non  siamo  nel  regno  dei  beati,  ma  vedem- 
mo la  loro  speranza;  e  questo  ci  è  di  grande  sollievo.  Sia 
lodato  Iddio  che  ebbe  pietà  di  noi  malnati!  — Ma  quei  mal- 
nati poveretti  aveano  avuto  già  quella  soddisfazione,  po- 
teano già  vantarsi  di  aver  veduta  la  speranza  dei  beati  ; 
perchè  dunque  Iddio  non  contentava  subito  i  suoi  diletti  ? 
perchè  codesto  eccesso  di  pietà  verso  chi  era  destinato  al- 
l'eterna dannazione?  verso  chi  non  avrebbe  saputo  trarre 
vantaggio  alcuno  per  l'anima  sua,  dalla  prolungata  dimora 
di  Beatrice  nel  mondo?  D'  altra  parte,  il  poeta  parla  alle 
donne  che  hanno  '  intelletto  d'amore  ',  alle  '  donne  e  don- 
zelle amorose  ',  e  dà  loro  notizia  che  *  Madonna  è  desiata 
in  sommo  cielo  '  ;  e  quando  dice 

iSola  Pietà  nostra  parte  difondo. 

intende  probabilmente  di  sé  e  di  quelle  gentili  a  cui  parla. 
La  Pietà  difendeva  certo,  non  la  parte  dei  malnati  (  che 
secondo  ogni  verosimiglianza  non  pensavano  a  Beatrice  ), 


Di  chi  cUfendea  la  parte  madonna  la  Pietà  ì  241 

ma  la  parte  di  coloro  che  avrebbero  avuto  dolore  nel  ve- 
der la  '  cittade  quasi  vedova  e  dispogliata  da  ogni  digai- 
tade  '  per  l'assunzione  in  cielo  di  Beatrice  ;  del  poeta  e  delle 
donne  gentili  principalmente,  che  non  aveano  nessuna  ra- 
gione di  aspettarsi  l'inferno.  Perchè  dunque  Iddio  mostre- 
rebbe di  aver  pietà  soltanto  dei  malnati  ?  Osserva  il  D'O- 
vidio :  *  la  Pietà,  col  muovere  Dio  a  concedere  ai  futuri 
dannati  almeno  un  ricordo  di  un  raggio  paradisiaco  .  . .  , 
viene  a  difendere  la  nostra  parte,  cioè  a  far  la  causa  di 
noi  uomini,  compreso  Dante,  ai  quali  interessa  che  Bea- 
trice resti  a  lungo  nel  mondo.  La  Pietà  non  perora  diret- 
tamente la  causa  di  Dante  e  degli  altri  buoni.  Difende  ha 
qui  tutta  l'elasticità  di  un  tuettir  o  tutatur.  In  quanto  sup- 
plica pegl' infelici,  essa  giova  alla  causa  degli  altri  :  di  tutto 
il  mondo  '.  Ma  se  Dante  e  gli  altri  buoni  aveano  interesse 
che  Beatrice  restasse  a  lungo  nel  mondo,  e  più  di  chiun- 
que altro  sapevano  quanto  ella  fosse  cosa  di  cielo  ;  Dante 
e  gli  altri  buoni,  più  di  chiunque  altro,  doveano  temere 
di  perderla,  se  non  nell'altro  modo  o  nell'altro  mondo,  nel 
modo,  diciamo  così,  ordinario  ;  e  la  Pietà  dovea  in  ogni 
caso  difendere  principalmente  la  parte  dei  buoni  ;  i  quali, 
concesso  pure  che  potessero  avere  interesse  minore,  aveano 
però  maggior  merito  e  maggior  diritto  dei  malnati  al  suo 
patrocinio.  E  ben  diceva  il  poeta  alle  sue  donne  amorose, 
che  la  Pietà  difendeva  la  loro  parte.  Chi  mai  invero,  s'a- 
spettava di  perder  Beatrice,  se  non  il  poeta  ?  Chi  mai  te- 
meva di  perderla,  se  non  colui  che  allora  annunziava  ap- 
punto che  madonna  era  desiata  nel  cielo  ?  se  non  colui  che 
poco  dopo  farneticò  d'averla  perduta  davvero  ?  se  non  co- 
lui che  poco  dopo  la  perdette  davvero,  e  vide  per  questa 
morte  la  cittade  vedova  e  dispogliata,  e  lacrimando  ne 
scrisse  ai  '  principi  de  la  terra  '  ?  Non  certo  i  cor  villani 
s'aspettavano  di  perderla,  se  alla  sua  morte  il  poeta  scri- 
veva (  canz.  Li  occhi  dolenti^   VN.  31,  66  ): 


242  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

No  è  di  cor  villan  sì  alto  ingegno, 
Che  possa  imaginar  di  lei  alquanto, 
E  però  no  gli  vien  di  pianger  doglia. 

Né  certo  alcuno  meglio  del  poeta,  poteva  dire  ai  malnati 
nell'inferno  d'aver  veduto,  conosciuto,  riconosciuto,  che  Bea- 
trice era  cosa  di  cielo  ;  né  alcuno  meglio  di  chi  allora  can- 
tava la  '  loda  di  Dio  vera  ',  di  chi  allora  riferiva  i  celesti 
colloqui,  poteva  un  dì  volgersi  ai  dannati  dell'  inferno  e 
dir  loro  :  —  0  gente  malnata,  io  vidi  la  salute  ;  io  vidi,  non 
voi,  la  speranza  dei  beati — . 

Sicché,  tutto  sommato,  é  meglio  forse  tornare  all'an- 
tico ;  tornare  alla  prima  e  spontanea  e  generalmente  accet- 
tata interpretazione  (•;.  Che  il  poeta  allora  pensasse  alla 
più  o  meno  prossima  morte  di  Beatrice,  non  mi  par  cosa 
di  cui  si  possa  dubitare:  anche  stando  all'interpretazio- 
ne del  Mazzoni,  la  Pietà  intercedeva  per  ottenere  un  pro- 
lungamento della  vita  di  Beatrice,  non  già  per  la  longe- 
vità di  chi  s'aspettava  di  perderla;  per  la  longevità,  po- 
niamo, dei  cor  villani;  i  quali;,  se  mai,  temevano  di  per- 
derla prima  in  questo  mondo  e  poi  nell'altro.  Dubitar  si 
dovrebbe  dell'opportunità,  della  convenienza  che  avrebbe 
veduto  il  poeta,  di  fare  un  complimento  alla  sua  bella  di- 


(1)  Bene  osserva  il  Renier  (  Giovn.  sfor.  35,  411  n"^  )  :  '  Che  però 
in  quel  passo  siavi  allusione  alla  Commedia  futura,  ò  opinione  molto 
antica,  se  poniamo  mente  che  già  noll'odiz.  1518  di  alcune  rimo  di 
Dante,  i  tre  ultimi  A-ersi  della  strofe  seconda  sono  modificati  cosi  : 

È  nel  mondo  un  che  perdendo  lei  Intende 
D'andar  giù  ne  l'Inferno  a  gli  malnati 
E  veder  liv  speranza  de'  beati. 

Osservò  il  fatto  recentemente  il  D'Ancona  nella  sua  Rassegna,  VII, 
247.  Si  aggiunga  che  la  medesima  lezione  occorreA-a  anche  nel  ms. 
cinquecentista  Marciano  IX,  191,  ove  fu  poi  emendata.  Vedi  l'ediz. 
Bock  della    Vita  No  uà,  p.  40". 


Torniamo  aW  antico  2tó 


cendole  ch'essa  era  cosa  di  cielo,  che  gli  angeli  e  i  santi 
pregavano  Iddio  di  chiamarla  a  se,  che  insomma  quaggiù 
in  terra  e'  era  chi  s'aspettava  di  perderla,  probabilmente 
come  si  perdono  tutte  le  persone  care,  e  che  lassù  in  cielo 
c'era  chi  avea  fretta  di  acquistarla  (').  Che  vi  sia  un  pre- 
ciso accenno  alla  Commedia,  nessuno  certo  vorrà  sostene- 
re; ma  che  fin  d'allora  il  poeta  fosse  sulla  via  della  Comme- 
dia, mi  par  che  quasi  nessuno  voglia,  allo  stringer  dei  conti, 
negare.  La  scenetta  che  allora  si  svolgeva  in  paradiso,  e 
la  scenetta  che  dovea  svolgersi  nell'  inferno,  sono  certo 
spunti  belli  e  buoni  del  gran  dramma  dell'altro  mondo.  È 
facile  pensare  ad  un  di  quei  drammatici  episodi  che  tanta 


(•)  Verainf*nt»>,  da  qualcho  t^sonipio  sì  potrebbe  inferire  ohe  non 
riuaoisser  senipn»  sgraditi  cmlesti  malaugurosi  complimenti.  Proper- 
zio avo»  già  qualcosa  di  simile  (  Carm.  2,  2.  55  )  :  '  Cur  haec  in  ter- 
ris  facii"»  humana  moratur?  .Tuppit4'r.  ignosco  pristina  furta  tua'; 
ma  si  osst>rvi  che  1'  elegiaco  latino  conchiudeva  :  '  Hanc  utinam  fa- 
ciem  nolit  mutare  senectaa,  Etsi  Cumaeae  secala  vatis  aget '.  Il 
Petrarca  non  è  certamente  parco  di  tali  effusioni  Rentimentnli  con 
madonna  Laura  :  ma  avea  forse  lo  sue  buone  ragioni  (vd.  Scherillo, 
Ale.  cap.  328}  :  casa  strana  però,  egli  perseguiva  con  le  stesse  adu- 
lazioni anche  re  Roberto  (  vd.  Foscolo.  Disc.  sez.  33  ).  Il  Ci'Siireo 
{Oiorn.  (lant.  1.  480)  ricorda  questi  versi  del  son.  Re  glorioso.  •  ma- 
lamente attribuito  da  F.  Trucchi  {Poesie  ital.  ined.  1,  56)  a  Giacomo 
di  Lenti  no  *  : 

Re  glorioso,  pien  d'ogni  pietate. 
Xon  guardate  a'  prleghl  che  fanno  1  santi. 
Xè  agli  angeli  che  vi  stanno  davanti. 
Che  per  lor  gioì'  qnesta  donna  chiamate. 

E  corto,  se  la  cosa  avesse  a  restringersi  al  vago  presagio  della  canz. 
Donne  ch'avete,  nffh  si  avrebbe  buon  fondamento  per  istituire  gravi 
considerazioni.  Ma,  e  la  canz.  Donna  pietosa,  scritta,  come  pare,  dopo 
breve  intervallo  di  tempo  '?  Anche  queUa  visione  di  morte  e  di  ster- 
minio, quella  specie  di  finimondo  (  vd.  Carducci,  Op.  8.  65  :  Sche- 
rillo, Ale.  cap.  351  ss  ),  parve  al  poeta  '  amorosa  cosa  da  udire  '  (  VX. 
23.  94).  Xe  udiva  di  belle  madonna  Bice! 


244  Le  rime  e  il  racconto  dèlia  Vita  nuova 

vivezza  e  movimento  danno  alla  Visione  dantesca  ;  sarebbe 
anzi  facile  ricostruire  una  scenetta  di  Fiorentini,  meravi- 
gliati di  veder  piombare  anche  Dante  fra  loro  :  —  Ci  sei 
dunque  anche  tu  ?  —  Ma  io  non  son  qui  per  restare  ;  io 
vidi  la  speranza  dei  beati  —  .  Certo,  un'idea  concreta  di  quel 
che  poi  fu  il  gran  poema,  lampeggia  soltanto  nel  para- 
grafo ultimo  della  Vita  nuova  ;  ma  qui  qualcosa  di  più  mo- 
desto, di  più  rudimentale,  di  meno  determinato  forse  e  più 
vago,  a  me  pare  che  ci  sia  già  :  e  davvero,  non  a  me  solo. 
Sia  come  si  voglia,  anche  a  prescindere  dalla  sciagu- 
rata sciarada  infernale,  la  canzone  Donne  ch^avete  è  molto 
probabilmente  allegorica.  Della  sua  allegoricità  potrebbe 
esser  prova  non  dubbia  la  stretta  analogia  che  essa  ha  con 
la  canzone  Amor  che  nella  mente  (').  Certo,  è  cosa  notevole 
che  la  lode  della  donna  gentile  e  pietosa  sia  inferiore  alla 
lode  della  gentilissima  che  si  era  gabbata  del  suo  mistico 
cantore  (^).  Certo,  pochi  si  persuaderanno  davvero  che  di  una 


(1)  Probabilmente  un  intendimento  allegorico  dovette  fmtarN'i 
chi,  a  nome  delle  donno,  fece  la  nota  canzone  di  risposta  per  le  ri- 
me Ben  uggia  l'amoroso  et  dolce  core,  che  a  me  pare  scritta  dopo  la 
pubblicazione  della  Vita  nuova,  e  non  certo  dall'Alighieri  (vd.  a  ogni 
modo,  Federzoni,  Studi,  3  ss  ;  e  cfr.  Giorn.  stor.  26,  195  ss  ;  Bass. 
bibl.  10,  139  s;  Bull.  ns.  10,  99  ss).  Analogie  offre  anche  una  can- 
zone di  Matteo  Frescobaldi,  Amoi',  dacché  ti  piace  pnr  ch'io  dica  (vd. 
I^annucci,  Man,  1,  337  s),  senza  dubbio  allegorica;  come  pure  la 
lode  della  donna  allegorica  del  Barberino  (vd.  spec.  Regg.  77),  e  di 
madonna  Intelligenza. 

(2)  La  donna  gentile,  la  fdosofia,  '  ajuta  la  nostra  fede  '  (  vd. 
Conv.  3,  7,  155  )  ;  ma  la  gentilissima  salva  addirittura  :  •  non  può  mal 
finir  chi  l'ha  parlato  '  ;  nel  qual  verso  il  Tommaseo  (  La  Commedia 
di  D.  A.  col  Comento  di  N.  T.  ]N"apoli  1^39  :  p.  380.  nota  a  Pnrg.  31, 
49  )  trovava  perfino  '  il  germe  dell'  intera  Commedia  '.  Del  '  color 
di  perle  ',  che  Beatrice  avea  *  quasi  in  forma,  quale  Convene  a 
donna  aver,  non  for  misura  '  ;  e  che  oi'a  fra  le  '  bellezze  che  sono 
secondo  tutta  la  pei-sona  '  {VN.  19,  116);  ha  discorso  da  par  suo 
lo   Schorillo    (Ale.    cap.   315  hr  ;   e   vd.   anche   Flamini,  Riv.  d' It. 


Ti-  8071.  io  mi  sentV  svegliar  24à 


donna  viva  e  vera,  di  una  fanciulla  fiorentina,  della  moglie 
altrui,  il  poeta  dicesse  che  '  non  può  mal  finir  chi  1'  ha 
parlato  '.  Non  è  certo  una  volata  lirica,  un'alata  frase,  una 
poetica  immagine,  codesta  ;  concesso  pure  che  altrove  non 
ci  sia  niente  altro  che  esagerazione  poetica. 

4. 

Nessuna  delle  rime  della  Vita  nuova  ci  lascia  tanto 
perplessi  quanto  il  sonetto  Io  mi  senti^  svegliar  dentro  lo 
core.  Comechè  il  poeta  nella  ragione  intendimenti  allego- 
rici gli  attribuisca,  non  pare  a  prima  giunta  che  allego- 
rico fosse  fin  dalla  sua  origine.  Ripugna  infatti  pensare 
che  il  poeta  chiamasse  '  monna  Vanna  e  monna  Bice  '  due 
sue  astrazioni.   Certo,   altro  è  Beatrice,   altro  Bice  (').  Si 


15  0ugno  1900  :  p.  227  s).  Vorrei  notare  tuttavia,  che  le  perle  eran 
chiamate  anche  margherite,  che  '  margherita  '  era  spesso  chiamata 
hi  Vergine  (Dino  Frescobaldi,  son.  Poscia  ch'io  reggia,  anche  della 
sua  donna  :  *  Che  luce  il  lume  della  sua  bellezza  Come  stella  dlCana 
o  margarita"),  o  che  la  Sposa  del  Cantico  era  'dealbata',  secondo 
Gregorio  Magno:  Mor.  18,  87  '  Hinc  est  enim  quod  spensi  voce  de 
sancta  Ecclesia  dicitur:  Quae  est  ista  qaae  aseendit  dealbata?  Quia 
enim  sancta  Ecclesia  caelestem  vitam  naturaliter  non  habet,  scd  su* 
perveniente  spirita,  pulcritudine  donorum  componitur,  non  alba,  sed 
dealbaia  momoratur  ' . 

(1)  Michele  Scherillo  (  //  nome  della  Beatrice  amata  da  D.  p.  4 
n  4  dell'  estr.  dai  Rendiconti  d,  r.  Isf.  lomb.  d.  se.  e  lett.  s.  2  *,  voi. 
34  )  giustamente  osserva  che,  *  pur  da  poeti  che  non  avevano  la  pre- 
occupazione d' tina  madonna  Beatrice,  avviene  di  vedere  usata  fre- 
quentemente la  voce  beatrice.  Gino:  Ella  sarà  del  mio  cor  beatrice. 
Il  Petrarca  :  Dolce  del  mio  pensier  ora  beatrice,  Vaghe  farille  ange- 
liche beatrici.  Giusto  de'  Conti  :  0  sola  agli  occhi  miei  vera  beatrice. 
n  Poliziano  :  Fra  '  quai  la  mia  beatrice  Sola  talor  sen  nene  ',  E  be- 
ne avverte  anche  il  critico  arguto  che,  nella  Vita  nnoca,  la  donna 
del  poeta  è  detta  talvolta  beatrice  •  probabilmente  nel  significato  di 
datrice  di  beatitudine  *. 

31 


246  Le  rime  e  il  racconto  delta  Vita  nuova 

potrebbe  tuttavia  osservare,  che  Bice,  allo  stringer  dei  conti, 
il  poeta  chiama  la  sua  donna,  certamente  in  veste  allego- 
rica, anche  nella  Commedia  (3,  7,  14).  E  per  chi  non  vo- 
lesse vedere  nel  B  ed  ice  del  luogo  del  Paradiso,  il  Bice 
della  Vita  nuova,  valga  questa  osservazione  :  la  donna  del 
poeta  è  chiamata  '  Beatrice  '  nella  Vita  nuova  v  e  n  t  u  n  a 
volte,  e  ventuna  volte  tre  è  chiamata  '  Beatri- 
ce '  nelle  tre  cantiche  della  Commedia  (').  È  quindi  molto 
probabile  che  1'  unico  '  Bice  '  del  libello  abbia  anch'  esso 
la  sua  rispondenza  nel  poema.  Certo,  le  concordanze  nu- 
meriche son  tante  che  non  potranno  attribuirsi  al  caso  ; 
sarà  piuttosto  un  caso,  e  un  bel  caso,  il  caso  inverso  ;  che 
il  poeta  nel  luogo  del  Paradiso  non  abbia  voluto  dire  Bice, 
come  nel  sonetto  della   Vita  nuova  (-). 

Nel  quale  invero,  se  si  togliesse  via  1'  ostacolo  di  quei 
due  accorciativi,  non  parrebbe  cosi  ostica  l'interpretazione 
allegorica.  E  a  pensarci  meglio,  se  in  quell'  ostacolo  inca- 
glia 1'  allegoria,  in  gravissime  obbiezioni  s'  imbatte   1'  in- 


(1)  VN.  1,  5  ;  5,  13  ;  5,  24  :  12,  33  ;  14,  26  ;  22,  4  ;  22,  17  ;  23 
13  ;  23,  76  ;  23,  76-77  ;  24,  18-19  ;  24,  24  ;  24,  31  ;  28,  8  ;  31,  46  (nella 
divisione  è  citato  due  volte  1'  emistichio  Ita  n  è  Beatrice  )  ;  31,  86  ; 
39,  3  ;  39,  13  ;  40.  54  ;  41,  50  ;  42,  11.  Per  la  Commedia,  vd.  Scar- 
tazzini,  Elicici.  194  ;  e  F  Indice  del  Toynbee  nelF  ed.  del  Moore  di 
fatte  le  opere  di  D. 

(2)  Leggono  '  Bice  '  nel  luogo  del  Paradiso,  fra  gli  altri,  il  Boc- 
caccio, Comm.  1,  224  ;  il  Bartoli,  8t.  4,  235  ;  il  Del  Lungo,  Beatrice, 
52  8  ;  il  Rajna,  La  genesi  della  DG.  in  Vita  ital.  nel  300,  p.  180. 
Sennonché,  codesto  Bice  della  Commedia,  se  da  una  parte  parve  po- 
tesse confortar  l' ipotesi  della  Bice  Portinari,  dall'  altra  parte  do- 
vette parer  pericoloso  per  la  stessa  tesi  della  realtà,  alla  quale  ba- 
stava del  resto  il  '  Bice  '  del  sonetto,  senza  la  compagnia  di  raffronti 
o  rimandi  compromettenti.  Perchè  infatti  Danto  non  chiama  Bice  la 
donna  sua  nel  colloquio  con  Forese  ?  E  fu  così  che  per  alcuni  '  il 
dolce  nome  di  Bice  '  non  echeggiò  pixì  fra  gli  splendori  fiammeg- 
gianti del  cielo  di  Mercurio. 


Bice  e  Beatrice.  H  segreto  247 

terpretazione  letterale.  Non  è  certamente  un  fatto  molto 
ordinario,  e  in  ciò  ci  soccorre  la  magistrale  indagine  di 
Francesco  d'  Ovidio  (  Madonna  Laura  in  NA.  del  1°  ago- 
sto 1888,  p.  397  ss  ),  che  alcuno  metta  fuori  apertamente 
nelle  sue  poetiche  fantasie  il  nome  della  donna  del  suo 
cuore  ;  e  nel  nostro  caso  particolare,  non  si  saprebbe  come 
spiegare  che  il  poeta  da  una  parte  facesse  tanto  per  tener 
celato  il  suo  amore,  e  dall'  altra  spiattellasse  in  un  sonetto 
il  nome  della  donna  amata,  e  per  giunta  non  si  curasse 
neppure  di  serbare  il  segreto  dell'  amico  suo.  Ci  liberereb- 
be da  tale  intoppo  l' ipotesi  dello  Scherillo  (//  nome,  21  s), 
che  il  poeta,  nelle  riine  in  vita,  *  il  nome  vero  della  donna 
sua,  monna  Bice,  non  rivelò  che  in  un  sonetto,  che  doveva 
rimaner  certamente  intimo,  destinato  a  quel  Guido,  che 
nella  Vita  Nuova  è  ripetutamente  dichiarato  «primo»  de- 
gli amici  suoi  '  {}).  Guido  sarebbe  stato  per  Dante  una 
specie  di  secretario,  un  rappresentante  a  Firenze  sul  cader 
del  dugento,  di  quella  cavalleresca  istituzione  di  cui  parla 
Andrea  Cappellano.  Ma  se  l' ipotesi  dello  Scherillo,  cosi 
saldamente  piantata  nell'  '  insigne  codice  della  galanteria  del 
secolo  decimo  terzo  ',  vale,  riguardo  alla  finzione  del  li- 
bello, a  sanar  la  quasi  incurabile  contradizione  che  vi  è 
tra  la  balda  spensieratezza  mostrata  dal  poeta  nel  sonetto, 
e  il  suo  esagerato  timore  del  paragrafo  precedente,  d' es- 
sersi lasciato  sfuggire,  pur  nel  vaneggiare  di  un  sogno,  il 
nome  dell'  amata  donna  ;  guardata  poi  la  cosa  sotto  il  ri- 
spetto della  verità  storica  o  di  fatto,  tal  ripiego  non  pa- 
re accettabile.  Non  pare  davvero  che,  anche  in  mezzo  a 
quel  comunicare  per  rima  e  tenzonare  d'  allora,  alcuno  scri- 
vesse un  sonetto  che  avrebbe  dovuto  restar  chiuso  con 
sette  suggelli  e  riguardato  come  una   lettera   riservata   e 


(1)  A  codesto    ripiego  avevano  già   accennato  contempcranea- 
monto  I.  Sanosi  o  F.  Eonchetti  nel  Giorn.  dant.  1,  294  o  331. 


248  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

particolare  ;  che  alcuno  volesse  '  perdere  rime  sillabe  e  so- 
netto '  per  confidare  al  suo  secretario  non  si  vede  bene  che 
cosa.  Né  Andrea  Cappellano  ci  dice  che  1'  amante,  secre- 
tario del  suo  secretario^  affidasse  gli  amorosi  segreti  a  so- 
netti riservatissimi.  D'  altra  parte,  dato  pure,  come  pensa 
lo  Scherillo,  che  non  importasse  più  a  Dante,  morta  la 
donna  sua,  di  conservare  il  suo  segreto  ;  non  avrebbe  però 
il  secretario  del  suo  secretario  probabilmente  inserito  il  so- 
netto nella  Vita  nuova  per  conservare  il  segreto  di  Guido, 
la  cui  donna,  certo  abbandonata,  non  sarà  morta  anch'  essa 
in  acerba  etate.  Si  potrebbe  piuttosto  pensare  che  il  poeta 
abbia  avuto  vaghezza  d' incastonare  il  nome  della  donna 
sua,  una  Bice  qualunque,  in  una  gentile  fantasia,  non  trat- 
tenuto da  alcuno  scrupolo,  perchè  in  fin  dei  conti  egli  non 
si  dichiarava  amante  della  Bice,  ma  ammiratore  della  sua 
bellezza,  e  non  diceva  neppure  che  la  Vanna  era  1'  amante 
di  Guido  ;  che  quando  poi  pubblicò  la  Vita  mwva,  giacche 
la  Bice  era  morta  e  la  Vanna  era  stata  abbandonata,  del 
doppio  segreto  non  importasse  più  a  nessuno,  anche  per- 
chè la  cosa  era  un  po'  tirata  all'allegoria.  Sennonché,  nes- 
suno potrà  dire  con  profonda  convinzione  che  Dante  fosse 
più  discreto  e  riservato  con  la  donna  deli'  amico  suo,  quan- 
do credeva  eh'  ella  fosse  riamata,  che  non  quando  sapeva 
eh'  era  stata  lasciata  in  abbandono  ;  e  con  la  donna  sua, 
quando  quella  maraviglia  era  coi  vivi  ancor  congiunta,  che 
non  quando  quella  poveretta  era  sotterra  (^).  Alla  postic- 


(*)  Bene  osserva  lo  Scarano  (  Beatrice^  59  )  :  '  quel  sentimento 
delicato  [  sentimento  di  delicata  riservatezza  ]  verso  la  donna  viva 
non  ora  poi  men  doveroso  verso  i  parenti  di  lei  morta,  specialmente 
verso  il  marito  ;  senza  diro  che  la  morte  ha  per  certe  cose  potere 
contrario  alla  sua  stessa  natura,  di  rendere  cioè  più  vivo  ogni  buon 
sentimento  che  si  riferisca  alla  persona  morta  '.  Il  Gaspary  credeva 
di  superar  tale  obbiezione  pensando  che  la  Vi'fa  nuova  fosse  rima- 
sta por  molto  tempo  clandestina.  '  11  libro,  egli  chiede  (  St.  1,  206  ), 


Il  segreto  249 

eia  allegoria  nessuno  avrebbe  più  ne  guardato  né  creduto, 
se  con  la  pubblicazione  del  libello  fosse  stato  facile  iden- 
tificar le  due  donne,  specialmente  la  Bice.  Del  resto,  se 
nel  sonetto  della  Vita  nuova  occorre  soltanto  '  monna  Van- 
na '  e  non  anche  il  nome  del  suo  servente,  bene  occorre 
r  uno  e  r  altro  nome  nel  sonetto  Guido  vorrei.  Il  qual  so- 
netto veramente  imbroglia  ancora  più  la  matassa,  che  è 
poi  arruflfata  addirittura  dall'  intervento  di  questi  due  so- 
netti, furbeschi  forse,  certo  oscuri,  del  Cavalcanti,  Dante 
un  sospiro  e  Amore  e  monna  Logia.  Nel  sonetto  dantesco 
Guido  correi,  pare  che,  in  luogo  di  '  monna  Bice  ',  si  deb- 
ba leggere  *  monna  Lagia  '  (')  ;  e  certo  '  monna  Lagia  ' 
occorre  anche  nei  due  sonetti  del  Cavalcanti.  Come  Bice 
e  Vanna,  anche  Lagia  è  un  accorciativo  ;  forse  aferesi  di 
Alagia  0  Adalagia  ;  e  accorciativi  saranno  Pinella  e  Man- 
detta,  pur  delle  rime  di  Guido  ;  Pinella  da  Beppinella,  Man- 
detta  da  Armandetta.  Ma  che  dobbiamo  pensare  di  tutte 
codeste  denominazioni,  che  tutte  vanno  per  la  scorciatoja  ? 
Forse  bisogna  distinguere,  e  caso  per  caso  giudicare; 

Che  quegli  è  tra  gli  stolti  bono  abbiisso, 
Che  senza  distinzione  afferma  o  nega. 

Quanto  a  Pinella  e  Mandetta,  bisogna  avvertire  che  code- 
sti nomi  o  nomignoli  non  occorrono  più  di  una  volta  sola 
nelle  rime  del  Cavalcanti  (  Pinella  nel  son.  Ciascuna  fre- 
sca, di  risposta  a  un  sonetto  di  Bernardo  da  Bologna,  nel 


quando  si  pubblicò  ed  uscì  esso  al  principio  da  una  cerchia  ristrettji 
di  amici  ?  Viveva  ancora,  quando  esso  fu  più  generalmente  noto, 
lo  sposo  della  morta,  che  solo  avrebbe  potato  risentirsi  di  un  af- 
fetto di  tal  natura  ?  '  Ma.  avrà  aspettato  il  poeta,  per  di^'lllgare  la 
canzone  Li  occhi  dolenti,  che  messer  Simone  se  ne  fosse  ito  anche 
lui  in  r  alto  cielo  ? 

(1)  Td.  Bnll.  ns.  4.  160.   Aveva  già  il  Torri  (  VN.  1.58)  pubbli- 
cato codesta  variante  dal  Yat.  3793. 


250  T^  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

quale  appare  la  prima  volta  quell'accorciativo;  Mancletta 
nella  ball.  Era  in  pemier  ;  nel  son.  Una  giovine  donna,  Man- 
detta  non  è  nominata,  sebbene  di  lei  parli  il  rimatore  )  ; 
che  si  tratta  probabilmente  di  due  amorazzi  di  corta  du- 
rata, e  certo  di  donne  viventi  in  paesi  molto  lontani  da 
Firenze,  a  Bologna  e  a  Tolosa;  e  che,  quanto  alla  Pinella 
di  Bologna,  altro  ancora  sarebbe  da  dire.  Codesti  due  ac- 
corciativi potevano  dunque  benissimo  rispondere  ai  nomi 
di  battesimo  delle  due  donne,  sia  che  si  voglia  vedere  in 
essi  veri  nomi  familiari,  sia  che  si  voglia  pensare  che  siano 
stati  foggiati,  per  analogia,  sui  nomi  di  battesimo  dallo 
stesso  Guido  (').  Ma  quanto  a  Lagia,  il  caso  è  diverso. 
Lagia  non  pare  che  fosse  donna  del  Cavalcanti  (  cfr.  Er- 
cole, G.  0.,  97  s  ),  e  dai  due  sonetti  citati  non  si  può  esclu- 
dere che  queir  accorciativo  fosse  un  nomignolo  furbesca- 
mente affibbiato  a  una  donna  da  chi  non  era  suo  amante 
e  voleva  forse  ridere  alle  sue  spalle  e  alle  spalle  del  suo 
servente.  Sennonché,  nel  sonetto  di  Dante,  '  monna  Lagia  ' 
si  presenta  in  onoratissima  compagnia,  insieme  a  '  monna 
Vanna  '  e  a  '  quella  eh'  è  in  sul  numer  de  le  ti'enta  '  ;  e 
non  pare  che  in  questo  sonetto  vi  sia  niente  di  furbesco  (-). 


(1)  Lo  stesso  può  dirsi  della  Bcccliina  { Bechina,  Bichina  )  di 
Cecco  Angiolieri,  figlia  d'  un  '  asinel  calzolajo  '  ;  o  forse  anche  della 
Teccia  di  Gino  da  Pistoja. 

(2)  A  titolo  di  curiosità,  ricordo  qui  una  scoperta  del  Torri- 
colli  (  Stndii  sul  Poema  sacro,  sec.  ed.  IS'apoli  1856,  p.  276  s  ),  il  quale 
leggeva  :  '  La  Monna  eh'  è  sul  numer  delle  trenta  '.  '  Insegnato  dun- 
que, egli  dice,  de'  rudimenti  arguti  alli  scuola  di  Ormanno,  scrissi 
in  abbreviatura  del  dugento  le  parole  «  Numer  delle  trenta  »  cosi: 

N    DE    TTA 

e,  ubbidientissimo  al  poeta,  scrissi  sopra  { aranti  )  il  «  Numer  »,  in 
abbreviatura  del  dugento,  la  Monna,  o  Madonna,  eh'  ò  «  M.  a  »  ;  e  così 
m'  ebbi  sotto  gli  occhi 

JM.A   N   I)K     TTA 

Leggo;  e  che  leggo?  il  nome  della  bella  Tolosana  amata  da  Guido 
Cavalcanti,  Mandetta  !  ' 


It  segreto  àJl 

Ma  che  Lagia  e  Vanna  fossero  i  veri  homi  delle  due  donne, 
non  mi  pare  probabile  ;  giacché  il  poeta  sarebbe  venuto  a 
spiattellare  i  nomi  delle  amanti  dei  suoi  amici,  appunto 
quando  taceva  il  nome  della  donna  sua.  Saranno  dunque, 
se  non  designazioni  allegoriche  (  non  improbabili  forse  nel 
sonetto  di  chi  dovea  dar  nome  personale  perfino  a  due  sup- 
poste città,  chiamandole  Lucia  e  Maria  ;  e  il  sonetto  man- 
dato in  risposta  da  Guido,  S*  io  fosse  quelli  ,  potrebbe  forse 
puntellar  tale  ipotesi);  saranno  dei  nomignoli,  probabil- 
mente trovati  da  Dante  stesso;  dei  nomignoli,  coi  quali 
Dante  si  compiaceva  di  chiamare  le  donne  dei  suoi  amici  ; 
sarà  stato  un  dantesco  ghiribizzo.  Non  saprei  davvero  tro- 
vare una  spiegazione  che  fosse  men  peggio  ;  e  volentieri, 
seguendo  il  famoso  consiglio  del  Parini,  stamperei  l' altra, 
se  un'  altra  ne  avessi.  Bene  avrei  un  empiastro,  tornare 
alla  lezione  *  monna  Vanna  e  monna  Bice  '  ;  tolta  di  mezzo 
queir  imbarazzante  monna  Lagia,  si  semplificherebbe  la 
questione.  Ma  non  par  che  il  consenta  la  terapeutica  delle 
carte  vecchie  ('), 

Sia  come  si  voglia,  se  alcuni  vorranno  pur  riconoscere 
la  ragionevolezza  delle  obbiezioni  accennate,  certo  non  tro- 
verà facilmente  grazia  l' interpretazione  allegorica  del  so- 
netti) della  Vita  mioca.  Eppure,  non  mancherebbe  qualche 
incentivo  al  fantasticare.  Incoraggia  lo  Scarano  (  Beatrice, 
58  )  a  dire  che  il  sonetto  sia  '  improntato  di  realismo  ',  an- 
che '  il  riso  di  Amore,  il  quale  riso,  egli  osserva,  dà  ad 
Amore  atteggiamento  quasi  di  comico  '.  Ma  forse  Amore, 
con  quel  suo  riso,  assume  atteggiamento  malizioso: 

E  'n  ciascuna  parola  sua  ridia: 

quasi  volesse  con  ciò  il  poeta  insinuare  che   nelle   parole 


(*)  Un  cospicuo  risconti-o  col  sonetto  Gnido  rorrei,  offrono  i  versi 
213-235  del  Mare  amoroso  (  Monaci,  Crest.  .324  ). 


^52  Le  rime  e  il  racconto  delia  Vita  nuova 


del  suo  signore  vi  era  bene  adombrato  il  suo  pensiero.  In 
una  ben  singolare  ballata,  il  Cavalcanti  avea  celebrato 
1'  '  angelicata  orlatura  ',  la  cui  lode  doveano  cantare  '  gli 
augelli  '  su  le  verdi  fronde,  e  '  tutto  lo  mondo  '.  Comin- 
ciava : 

Fresca  rosa  novella. 
Piacente  primavera, 
Per  prata  e  per  rivera, 
Gaiamente  cantando 
Yostro  fin  pregio  mando     a  la  verdura  (*). 

Quel  secondo  vocativo,  'primavera',  che  non  avea  certo 
pretensioni  antonomastiche  più  che  non  ne  avesse  il  pri- 
mo, avrà  ispirato  all'  Alighieri  quella  sua  maliziosa  fan- 
tasia. Egli,  col  sussidio  della  solita  erudizione  etimolo- 
gica, ha  escogitato  che  la  donna  dell'  amico  suo  era  stata 
chiamata  Primavera,  perchè  doveva  apparire  a  lui  prima 
di  Beatrice.  Diceva  Amore  :  '  Quella  prima  è  nominata  Pri- 
mavera solo  per  questa  venuta  d' oggi  ;  che  io  mossi  lo  im- 
ponitore del  nome  a  chiamarla  così  Primavera,  ciò  è  pri- 
ma verrà,  lo  die  che  Beatrice  si  mostrerà  dopo  la  imagi- 
nazione del  suo  fedele  '.  E  pare  davvero  che  il  poeta  da 
quel  Primavera  abbia  cavato  fuori  quel  suo  Giovanna  o 
Vanna,  che  indarno  si  cercherebbe  nelle  Rime  di  Guido. 
Diceva  Amore  :  '  E  se  anco  voli  considerare  lo  primo  nome 


(1)  Anche  Giulio  d' Alcamo  cominciava  'Fresca  rosa  au- 
lentissima  ',  e  Lapo  Gianni  '  Questa  rosa  n  o  v  e  1 1  a  ',  e  il  Maja- 
neso  'O  fresca  rosa,  a  voi  chero  mercede  '.  Lo  stesso  Caval- 
canti, con  motivi  primaverili,  cominciava  anche  un  sonetto  :  '  Ave- 
te 'n  voi  li  fiori  e  la  verdura  '  ;  cfr.  Intell.  st.  12,  '  Quand'  ella  ap- 
par. . .  Allegra  1'  aire  e  spande  la  verdura  '  ;  Guinicolli,  son.  Voglio 
del  ver,  '  Voglio  del  ver  la  mia  donna  laudare  E  rassembrargli  la 
rosa  e  lo  giglio  . . .  Verde  rivera  a  lei  rassombro  e  1'  aire.  Tutti 
color  e  fior,  giallo  e  vermiglio  '. 


Primatera,  prima  verrà,  ùtovanna  2.jJÌ 

suo,  tanto  è  quanto  dire  prima  terrà,  però  che  lo  suo  no- 
me Giovanna  è  da  quello  Giovanni,  lo  qual  precedette  la 
verace  luce,  dicendo  :  Ego  vox  clamans  in  deserto  :  parate 
viam  domini  '.  A  me  pare  fuor  di  dubbio  che,  come  1'  un 
nomignolo  vale  l'altro,  cosi  l'un  nomignolo  condusse  al- 
l' altro.  Dant€,  insomma,  trovando  un'  occasione  o  un  ad- 
dentellato nella  ballata  di  Guido,  chiama  la  donna  dell'  a- 
mico  suo  Giovanna  perchè  venne  prima  della  donna  sua, 
ch'ei  chiama  Beatrice,   cioè  Amore  (').  E  chi   avesse  vo- 


(*)  Lo  Schorillo  ( //  nome.  17  s)  pt.n.>Hi  vìa-  Vanna  o  Bice  fos* 
Boro  i  veri  nomi  dello  due  donne,  e  che  Prinuivera  e  Amore  fos- 
sero i  loro  senhals.  Ma  sarebbe  forse  questo  di  Danto  il  solo  esem- 
pio di  senhaUi  accoppiati  ai  nomi  veri.  Che  nel  son.  Piangete  amanti, 
Amore  sia  senhal  di  Beatrice,  ho  già  detto  che  non  mi  pare  vero- 
simile (  vd.  qui  addietro,  p.  104  ss);  del  reato,  dal  son.  Io  mi  senti' 
sregliar.  e  più  chiaramente  dalla  ragione,  si  può  vedere  che  il  poeta 
non  avea  altre  volte  chiamata  la  sua  donna  Amore,  che  non  s' inten- 
derebbe che  novità  fosso  allora  venuto  a  dire  il  signore  della  nobiltà 
al  suo  fedele,  con  queste  parole  :  *  E  chi  volesse  sottilmente  consi- 
derare, quella  Beatrice  chiamerebbe  Amore,  per  molta  simi- 
glianza  che  ha  meco  '.  Comunque,  Dante,  come  Guido  nella  ball. 
Fresca  rosa  soltiinto,  si  sarebbe  servito  del  senhal  soltanto  nel  son. 
Piangete  amanti.  [Amore  non  è  certo  senhal  di  madonna  nel  son.  Di 
donne  io  ridi  :  cfr.  Cavalcanti,  son.  f^hi  è  qaesta,  '  E  mena  seco  Amor  '  : 
Dino  Frescobaldi,  son.  Qiiest'  <^  la  giovinetta.  '  Quest'  è  la  giovinetta 
eh'  Amor  guida .  . .  Vienle  dinanzi  Amor,  che  par  che  rida  '  ;  Ja- 
copo Mostacci,  canz.  Amor  ben  veggio,  'Donna  ed  Amore  han  fatto 
compagnia,  E  teso  un  dolco  laccio  '  :  Giraldo  da  Castello,  ball.  Guar- 
date in  che  beltà.  '  EU' ha  con  seco  Amore  in  compagnia';  Ovidio. 
Amores,  1,  6,  34,  '  Solus  eram,  si  non  saevus  adesset  Amor  . . .  Ergo 
Amor  . . .  Mecumst  '.  ]  Ma  bene  osserva  lo  stesso  Scherillo  :  •  Il  poeti* 
latino  o  il  provenzale,  sceltosi  il  nomignolo,  lo  adoperava  poi  libera- 
mente, tinzi  ne  faceva  pompa.  Il  senhal  era  quasi  il  suggello,  o  la  firma, 
che  il  trovatore  apponeva  alla  sua  canzone  '.  E  per  tale  buona  ragiono 
il  critico  nega  che  Bice  e  Tanna  fossero  senhals.  Ma  per  la  stessa  ra- 
gione si  può  forse  negare  che  fossero  senhals  Xmore  e  Primavera.  Cer- 
to, se  una  rondino  non  fa  primavera,  una  primavera  non  fa  senhal. 

32 


254  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

luto  '  sottilmente  considerare  ',  avrebbe  potuto  notare  pur 
nel  sonetto,  che  le  due  donne  venivano  1'  una  dopo  1'  al- 
tra ;  che  Vanna  o  Giovanna  era  chiamata  Primavera,  la 
cui  etimologia  era  appunto  prima  verrà  (');  che  se  c'è  equi- 
valenza tra  Primavera  e  Giovanna,  evidentemente  Gio- 
vanna è  da  quel  Giovanni  che  precedette  1'  Amor  divino  ; 
Beatrice  infatti  veniva  dopo  ed  era  chiamata  Amore  (^). 
Chi  avesse  voluto  sottilmente  considerare,  avrebbe  potuto 
avvertire  che  la  produzione  poetica  dell'  Alighieri  veniva 
dopo  quella  del  Cavalcanti,  il  quale,  quando  Dante  scri- 
veva il  primo  sonetto  della  Vita  nuova,  era  già  famoso 
trovatore  (  cfr.  Bartoli,  St.  4,  210  s  ),  Che  più?  Anzi  il 
poeta  avrà  temuto  di  aver  parlato  troppo  chiaro,  e  si  servi 
dei  due  accorciativi,  Vanna  e  Bice  (^).  Chi  dunque  avesse 
voluto  sottilmente  considerare,  non  nuovo  allora  ai  motti 
oscuri  e  a  quel  fantasticare  etimologico  che  in  servigio  del- 
l' allegoria  pare  addirittura  una  specie  di  demenza  nell'  e- 


(1)  Cora'  ò  noto,  di  codeste  etimologie  tagliate  coli'  accetta,  non 
v'  era  allora  penuria.  Del  solo  nome  femina  nel  Reggimento  del  Bar- 
berino (  p.  343  )  occorrono  due  etimolotrie  :  '  la  femina  si  lasciò  in- 
gannare, e  fu  cagione  di  tanto  nostro  danno  e  affanno.  E  però  fue 
detta  Femina,  peroccliè  fé  men,  eh'  alcuno  altro  animale  '  (cfr.  Cecco 
d'  Ascoli,  Acerba,  4,  11,  '  Femmina,  che  ha  fé  meno  di  una  fera  '  )  ; 
'  detta  è  femena,  perchè  la  fé  mena,  e  fé  guberna  '.  Giuste  osserva- 
zioni fa  Ildebrando  della  Giovanna  '  intorno  alla  efficacia  delle  eti- 
mologie sulle  finzioni  poetiche  di  Dante'  {Lecfara  Dantis :  Il  canto 
XXIII  dell  In f  Firenze  1901:  p.  18  s). 

(2)  Bernardo  di  Chiaravalle  (  Opera  omnia,  Parisiis  1690,  voi. 
fec.  ),  De  Caritate,  2,  9  :  '  Deus  amor  est,  quem  qui  amat,  amorem 
amat.  Amare  autem  amorem  circulum  facit,  ut  nullus  finis  sit  amoris  '. 

(3)  Forse  non  a  caso  codesti  due  nomi  occorrono  nel  nono 
verso  del  sonetto.  Cfr.  VN.  6,  11.  Ed  anche  nel  nono  verso  del  so- 
netto Guido  vorrei  starebbe  il  nome  della  gentilissima,  preceduto 
sempre  dal  nome  della  donna  di  Guido,  se  non  fosse  venuto  a  to- 
glierlo di  seggio  monna  Lagia. 


Non  sapeano  che  si  chiamare 


segesi  biblica  e  nell'  interpretazione  allegorica  dei  poeti  la- 
tini, avrebbe  probabilmente  trovato.  E  se  alcuno  non  sa- 
peva trovare,  tanto  meglio  ;  al  poeta  non  dispiaceva  se  gli 
lasciavano  stare  le  cose  sue.  perchè  temeva  sempre  d'  aver 
comunicato  a  troppi  il  suo  intendimento. 

6. 

l'^in  dalle  prime  battute  del  misterioso  racconto  della 
Vita  nuova,  un  fort€  dubbio  già  s' insinua  nell'animo  del  let- 
tore intorno  al  vero  nome  dell'  eroina  dell'  opera  dantesca. 
'  La  gloriosa  donna  de  la  mia  mente,  dice  il  poeta  (1,4), 
fu  da  molti  chiamata  Beatrice,  li  quali  non  sapeano  che 
si  chiamare  '. 

Alcuni  solitari  non  videro  altro  partito  che  quello  di 
considerar  come  guasto  il  luogo  della  Vita  nuota,  e  di  pro- 
pone capricciose  e  talvolta  sterili  emendazioni  (').  Ma  i 
più,  cauti  e  industriosi,  lasciarono  le  cose  come  stavano  e 
come  realmente  stanno,  e  cercarono  di  cavar  dalle  non  so- 
fisticate parole  del  poeta  un  senso  che  sempre  più  consoli- 
dasse il  presupposto  dell'  identità  del  nome  della  donna  ama- 
ta. E  si  divisero  in  due  forti  schiere  procedenti  verso  l'ob- 
biettivo comune.  Per  gli  uni  (  Targioni  -  Tozzetti,  Giuliani, 
Todeschini,  Casini,  Barbi  ),  quei  '  molti  '  non  sapevano  co- 
me Beatrice  veramente  si  chiamasse,  ma  ne  indovinavano 


(*)  Il  Trivulzio,  '  i  quiUi  non  saponno  che  si  (così)  chiama- 
re '  ;  il  Fraticelli,  'e  quali  (ed  altri)  non  sapeano  che  si  chia- 
mare (  non  sapeano  come  chiamarla  )  '  :  ovvero,  *  fu  chiamata  da  molti 
Beatrice,  ed  altri  v'avea,  i  qaali  non  sapeano  che  si  chiama- 
re '  ;  il  Bressan,  '  i  quali  non  sapeano  che  sì  si  chiamasse';  il 
Borgognoni,  ' li  quali  non  siipeano  che  si  chiamare  ella  dirit- 
tamente si  dovea';  il  Eonchetti  (  Giorn.  dant.  1,  330),  'fu  d  a' 
molti  chiamata  '  ;  il  Davidson  e  1'  Haller  (  vd.  Ross.  bìbl.  10,  41  s  ; 
Bull.  ns.  9,  178  ss  ),  *  i  quali  non  sapeano  che  s  i  e  (sia)  chictmare  '. 


256  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuoca 

tuttavia  il  nome,  chiamandola  appunto  Beatrice  (')  ;  per 
gli  altri  (  Orlandini,  Witte,  Fanfani,  D'  Ancona,  Flechia, 
Gaspary,  Scartazzini,  Del  Lungo,  Zingarelli,  Passerini,  Sche- 
rillo  ),  i  '  molti  '  sapeano  bene  come  si  chiamava  la  gloriosa, 
ma  non  vedevano  quanto  quel  nome  si  convenisse  a  quella 
beatitudine,  non  sapevano  che  cosa  quel  nome  veramente 
predicasse  di  Beatrice,  '  ignoravano  quanto  dirittamente 
appropriassero  alla  fanciulla  questo  nome  significativo,  che 
le  davano  senza  pesarne  il  valore  '  (-). 

La  prima  interpretazione  che  pareva  abbandonata,  non 
mi  pare  che  abbia  veramente  alcun  titolo  per  esser  riam- 
messa in  servizio.  Certo,  ben  a  ragione  il  Barbi  {Bull.  ns. 
9,  44  )  trova  più  conveniente  '  che  il  poeta  voglia  sul  priu- 
cipio  dell'  amoroso  libretto  dar  questa  lode  alla  sua  donna, 
che  la  sua  vista  beatificava  tanto  che  molti  indovinavano 
dagli  efi'etti  il  suo  nome  vero  '.  Ma  possiamo  dalle  parole 
del  poeta  desumer  codesto  ?  Qualunque  si  fosse  la  ragione 
per  la  quale  quei  molti  avrebbero  chiamata  Beatrice  la 
gloriosa  donna,  e  qualunque  si  fosse  il  miracolo  per  il 
quale,  senza  che  ad  alcuni  venisse  il  ticchio  di  chiamarla 
Angiolina  e  ad  altri  Serafina,  tutti  in  quel  nome  si  sareb- 
bero accordati  ;  come  mai  può  venir  fuori  dalle  parole  del 


(1)  Primo  ispiratore  di  codesta  chiosa  fu  certo  il  Biscioni ,  il 
quale  però  veniva  a  conclusioni  affatto  divei-se:  Pref.  17  *  le  fu  po- 
sto allor  quel  nome,  da  chi  non  sapeva  come  chiamarla.  Sicché  si 
può  conchiudei-e,  che  questo  nome  non  era  suo  proprio,  ma  che  in 
quella  età  così  fu  colei  denominata  da  molti,  i  quali  non  sapevano 
come  altrimenti  nominarla;  vedendosi  quivi  chiaro,  che  tal  nomo 
ebbe  origine  dall'  intrinseca  natura  del  soggetto,  e  non  dal  benepla- 
cito dello  genti'.  Cfr.  Bartoli,  St.  4,  187;  5,  57  s. 

(2)  Il  Tommaseo,  nel  dar  fuori,  forse  primo,  quest'  ultima  più 
vagheggiata  interpretazione,  era  indeciso  :  Com.  a  ////.  2,  103,  p.  91  : 
'  non  sapevano  qual  senso  arcano  fosso  in  quella  voce  ;  oA'vero  :  non 
sapevano  con  quivle  più  alto  nomo  chiamarla'. 


Xon  sapeano  che  ai  chUtmare  257 

poeta  che  essi  indoviuavano  il  vero  nome?  Bisognerebbe 
almeno  emendare  :  —  fu  anche  da  molti,  che  non  sapeano 
che  si  chiamare,  chiamata  Beatrice  —  .  E  lasciando  stare 
che  *  non  sapeano  che  si  chiamare  '  non  certo  molto  age- 
volmente si  può  intendere  '  non  sapeano  come  si  chiamasse 
come  altrimenti  chiamarla,  con  quale  altro  nome  chiamar- 
la '  ;  avrebbe  detto  il  poeta  che  molti,  non  sapendo  come 
chiamare  la  donna  della  sua  mente,  tiravano  a 
indovinare,  quando  egli  stesso  nelle  rime  l'  avea  chiamata 
Bice  e  Beatrice?  avrebbe  detto  che  molti  non  sapeano  che 
nome  avesse  la  gentilissima,  se  era  venuta  '  in  tanta 
grazia  de  le  genti  che  quando  passava  per  via  le  persone 
correano  per  vedere  lei  '  (  VN.  26,  i 

Sordi  dunque,  o  negligenti,  ma,  come  pare,  molto  per- 
spicaci, codesti  molti  della  prima  chiosa  ;  certo,  meno  stor- 
diti e  più  intendenti  degl'  inconsapevoli  o  sbadati  della 
seconda  interpretazione,  che  non  è  più  persuasiva  della 
prima.  Perchè  mai  il  poeta  dovea  con  tanta  sollecitudine 
occuparsi  di  quegli  sciocchi  che  non  aveano  saputo  vedere 
quanto  alla  gentilissima  fosse  appropriato  il  nome  di  Bea- 
trice? E  come  mai  e  perchè  mai  la  Bice  era  chiamata  Bea- 
trice appunto  dagli  sciocchi  ?  Per  quale  ragione  quegli  stor- 
diti, senza  intenzione  riposta,  avrebbero  chiamata  la  bella 
Fiorentina,  anziché  Bice,  com'  ella  si  chiamava.  Beatrice  ? 
Se  degli  sciocchi  il  poeta  si  fosse  voluto  occupare,  avreb- 
be detto  :  —  fu  chiamata  Beatrice,  benché  molti,  non  sa- 
pendo quanto  quel  nome  le  si  convenisse,  la  chiamassero 
Bice  —  ;  o  qualcosa  di  simile  ;  e  non  gli  sarebbe  certo  oc- 
corso di  esprimere  il  suo  pensiero  alla  rovescia.  E  in  fin 
dei  conti,  *  non  sapeano  che  si  chiamare  '  può  egli  valere 
'  non  sapeano  con  quale  e   quanto   nome  chiamassero  '  ? 

Giacché,  se  non  tutta,  gran  parte  della  questione  è 
qui  :  che  valore  ha  *  non  sapeano  che  si  chiamare  '  ?  Tal- 
volta in  simili  costrutti  troviamo,  come  in  latino,  il  con- 


25S  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

giuntivo.  Nella  stessa  Vita  nuova  abbiamo  :  13,  19  '  mi  fa- 
cea  stare  quasi  come  colui,  che  non  sa  per  qual  via  pigli 
il  suo  cammino,  e  che  vuole  andare,  e  non  sa  onde  se  ne 
vada  '  ;  13,  36  '  Ond'  io  non  so  da  qual  matera  prenda  ; 
E  vorrei  dire  e  non  so  ch'i' mi  dica  '.  E  nella  Commedia: 
1,  24,  11  'Come  il  tapin  che  non  sa  che  si  faccia'.  Ja- 
copo da  Lentino,  canz.  Madonna  dir  vi  voglio^  '  Vivo  in 
foco  amoroso  e  non  saccio  che  dica  ;  Lo  meo  lavoro  spica 
e  poi  non  grana  '  ;  Barberino,  Begg.  81,  '  Pensoso,  che  non 
so  qual  via  mi  prenda  '  {}).  Ma  più  spesso  occorre  l' in- 
finito :  Folcacchiero,  canz.  Tutto  lo  mondo  vive,  '  Non  so 
onde  fuggire,  ne  a  cui  m'  accomandare  '  ;  Rustico  di  Fi- 
lippo, son.  Poiché  vi  piace,  '  Merzede,  Amor,  eh'  io  non 
saccio  che  dire  '  ;  Novellino,  52  '  che  tutti  gridino  a  una 
voce  mercè,  e  non  sappiano  a  cui  la  si  chiedere  '  ;  61  '  non 
seppe  che  si  dire  '  ;  64  '  non  sapea  che  si  fare  '  ;  87  ^  non 
sapea  che  si  dire,  ne  che  si  lare  '  ;  89  '  ma  non  sapea  come  '1 
si  fare  '  ;  Fioretti,  4  '  frate  Masseo  non  sa  che  si  fare,  ne 
che  si  rispondere  '  ;  26  '  per  nessuno  modo  non  sapea  che 
si  fare,  né  che  si  dire  '  ;  45  'io  non  so  che  mi  ti  addiman- 
dare  '  ;  Decamerone,  2,  4  'non  sappiendo  che  farsi  '  ;  2,  5 
'  non  sappiendo  altro  che  rispondersi  '  ;  2,9  'né  sapea  che 
si  sperare,  o  che  più  temere'  ;  3,  3  '  non  sapeva  che  dirsi  '; 
4,  7  'non  sappiendo  che  dirsi'.  Sono  evidentemente  locu- 


(1)  L'  espi-essione  *  non  so  elio  mi  dica  o  mi  faccia  '  pnò  valere, 
non  solo  'non  so  che  diro  o  fare',  ma  anche  'non  so  quel  che  io 
dico  o  faccio';  giacché  paro  da  qualche  esempio  che  in  quel  con- 
giuntivo abbiano  confluenza  e  V  una  e  1'  altra  espressione,  di  signi- 
ficato ben  differente:  cfr.  VN.  25,  75  'non  avendo  alcuno  ragiona- 
mento in  loro  di  quello  che  dicono  '  ;  Coni.  2,  15,  59  '  Quello  che 
Aristotile  si  dicesso  di  ciò,  non  si  può  bene  sapere';  Buti,  2,  531 
'  profetò  non  sapendo  quello  che  dicesse  '  ;  Decani.  2,  5  '  Come,  disse 
Andreuccio,  non  sai  che  io  mi  dico  ?  certo  sì  sai  '  ;  2,  5  '  senza  sjv- 
pere  dove  s'  andasse,  preso  la  via  per  tornarsi  allo  albergo  '. 


•fc^on  sapeano  che  si  chiamare  ^50 


zioni  ellittiche  ;  manca  il  servile  o  perifrastico  o  modale  al 
congiuntivo,  che  si  trova  invece  in  questi  esempi  :  Tavola 
Rotonda  (  Nannucci,  Man.  2, 161),  '  io  non  soe  eh'  io  altro 
vi  ne  possa  dire  '  ;  Decamerone,  2,  3  *  più  non  sappiendo 
che  aspettare  si  dovessono  '  ;  2,  8  '  appena  sapeva  che  far  si 
dovesse  '  (*).  Pare  dunque,  che  per  analogia  *  non  sapeano 
che  si  chiamare  '  valga  '  non  sapeano  che  si  dovessero  chia- 
mare '.  Il  poeta  avea  già  chiamata  la  donna  della 
sua  mente,  nelle  sue  rime,  Bice  e  Beatrice  ;  ma  la  g  e  n- 
t  i  1  i  s  s  i  m  a  ,  conosciuta  da  tutta  la  *  cittade  '  come  un 
miracolo,  non  era,  stando  alla  narrazione  della  Vita  nuota, 
conosciuta  come  donna  di  Dante  ;  quindi  il  poeta  insinue- 
rebbe che  molti,  pur  chiamando  la  donna  della  sua 
mente  Beatrice  perchè  cosi  leggevano  nelle  sue  rime, 
non  sapeano  tuttavia  che  cosa  dovessero  con  tal  nome  chia- 
mare ;  non  sapeano  a  che  attribuire  tal  nome  ;  non  sapea- 
no che  cosa  il  poeta  con  tal  nome  volesse  significare  ;  non 
sapeano    insomma,    di  che  cosa  fosse  egli   innamorato  (*). 


(*>  Por  attrazione  pro>>abilinente.  U  Boccaccio  metto  talvolta 
all'infinito  anche  il  servile:  Decam.  2,  6  'senza  saper  dove  mai  al- 
cuno dover  g-e  no  ritrovare  '  ;  %  7  *  nò  sappiendo  che  dovermi 
dire  '. 

(-)  La  formula  risolutiva  del  Fleehia  (vd.  D'  Aiitonu.  VN.  16  s), 
•  i  (j[uali  non  sapevano  che  si  chiamassoro.  chiam:indo  Beatrice',  non 
può  piegarsi  che  a  tiile  interpretazione  :  giacché  codesto  congiuntivo 
dovrebbe  alla  sua  volta  risolversi,  non  nell'  indicativo,  ma  nell'  in- 
finito. La  distinzione  messa  fuori  primamente  dal  Fanfani  (  Stndj 
ed  osserra^ioni  sopra  il  testo  delle  opere  di  D.  Firenze  1873:  p.  2ft4  s). 
che  in  tali  costrutti  l'infinito  ora  si  usa  *  con  riferenza  ad  un'  azione 
non  ancor  fatta  ....  dove  gli  antichi  lo  usavano  . . .  nell*  attualità 
d'  azione  '  :  cosicché  la  frase  dantesca,  anziché  richiamare  il  servile 
al  congiuntivo,  varrebbe  *  non  sapeano  ciò  che  attiuilmente  chiama- 
vano '  :  è  forse  più  speciosa  che  vera.  Certo,  molti  dotti  oggi  chia- 
mano Matelda  la  donna  della  '  divina  foresti»  ',  senza  saper  chi  deb- 
bano chiamare  con  tale  nome.  Il  diro.  '  senza  sjiper  chi  si  chiama* 


^  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  rmpxid 


Qualcosa  di  simile  disse  anche  Gino  (  son.  A  vano  sguardo): 


no  ',  sarebbe  altra  cosa  ;  a  quei  critici  scrupolosi  si  attribuirebbe 
trascurataggine,  mentre  si  vuole  attribuire  onesta  dubitazione.  I 
'  molti  '  della  Vita  nnocn  pur  pensavano  :  —  Noi  chiamiamo  Beatri- 
ce la  donna  di  Dante  ;  ma  che  dobbiamo  chiamare  Con  tal  nome  ? 
Ifoi  non  sappiamo  bene  che  cosa  chiamare  —  .  È  naturale  dun- 
que, che  il  poeta  dica  eh'  essi  '  non  sapeano  che  si  chiamare  '.  I 
tre  esempi  addotti  dal  Fanfani,  saranno  leziosaggini  del  Davan- 
zati  e  del  Varchi  ;  leziosaggini  che  lasciano  in  dubbio  il  lettore  sul 
loro  vero  significato.  Non  è  chiaro  infatti  se  debbano  essere  inter- 
pretati come  vuole  il  Fanf  ani,  ovvero  in  altro  modo  :  '  disse  quel 
Re  guerriero  che  sapeva  che  dirsi  ',  ^  disse  Dante  il  quale  sapeva 
che  dirsi  ',  '  Annibale  seppe  che  dirsi  quando  avverti  il  Castelve- 
tro  ',  possono  valere,  anzi  dovrebbero  valere,  non  già  '  sapeva  ciò 
che  diceva  ',  ma  '  sapea  che  eflt-a  da  dire,  sapea  bene  quel  che  do- 
vesse dire  ',  o  simile.  E  lo  stesso  suppergiù  può  dirsi  degli  altri  e- 
sempi  addotti,  a  sostegno  di  codesta  chiosa,  dal  Gaspary  (  cfr.  Bull. 
ns.  9,  44  ).  IVla,  concesso  pure  che  in  simili  costrutti  l' infinito  fosse 
tah'olta  usurpato  in  tal  modo,  non  resta  però  escluso  che  fosse  usato 
più  generalmente  e  più  correttamente  noli'  altro  significato  :  e  gli 
esempi  del  Novellino,  dei  Fioretti,  del  Decamcrone,  che  abbiamo  ad- 
dotti, son  certo  buona  prova  ;  come  buona  prova  è  1'  uso  costante 
ed  esclusivo  moderno.  Del  resto,  anche  se  il  luogo  della  Vita  nuova 
può  valere  '  non  sapeano  ciò  che  si  chiamavano,  ciò  che  essi  nomi- 
navano', si  può  bene  intendere  che  quei  molti  ignoravano  che  cosjv 
fosse  la  gloriosa  donna  del  poeta  :  diceano  che  si  chiamava  Beatrice, 
ma  non  sapeano  altro.  Pur  credendo  alla  realtà  della  donna  amata, 
negava  l' identità  del  nome  Paolo  Costa  :  '  Se  molti  e  non  tutti,  egli 
scriveva  (  Vita  di  D.  prem.  alla  DC.  Firenze  1839  :  1,  7  n  ),  così  la 
chiamarono,  è  da  credere  che  tale  non  fosse  il  nome  suo.  E  forse 
Dante  stesso,  per  riverenza  all'  onestà  dell'  amata  donna,  ne  ascose 
il  vero  nomo  e,  chiamandola  Beatrice,  avvisò  di  significare  la  bel- 
lezza del  corpo  e  dell'  animo  di  quella  gentilissima  che  faceva  beati 
coloro  che  la  riguardavano  '.  Alla  stessa  conclusione  veniva  poco 
dopo  anche  Luigi  Muzzi  (  vd.  Torri,  VN.  102  )  :  '  tal  nome  idealo  fu 
imposto  a  donna  vera,  ma  in  quel  tempo  non  conosciuta  da  ninno  ; 
e  forse  le  fu  imposto  dal  medesimo  Danto,  dal  quale  udendolo  molti, 
ei  potò  dire,  da  molti  fu  cìiiamata,  che  non  sapeano  altro  ', 


AVw  .sapeano  che  »i  chiamare  ^1 


A  vano  sguardo  od  a  falsi  sombianti 
Colo  poloi  cho  nolla  monto  ho  pinta: 
E  covro  lo  dosio  di  tjilo  infintji. 
Ch'altri  non  wi  di  qiial  donna  io  mi  canti. 

Molti  similmente  chiamavano  Corinna  la  donna  di  Ovidio, 
ma  anch'  essi  non  sapeano  qnal  donna  cliianiar  si  doves- 
sero con  tal  nomignolo  : 

Et  multi,  qnac  Kit  nostra  Corinna,  rogant. 

avea  pur  cantato  {Ars  amai.  3,638)  1' amoroso  poeta  la- 
tino. E  pare  davvero  che  il  Nostro,  nel  tormentato  luogo 
della  Vita  nuova,  voglia  fare  un'  insinuazione  che  potrebbe 
trovar  rispondenza  o  riscontro  nell'  altra  sua  affermazione, 
che  i  molti  risponditori  al  primo  sonetto  non  aveano  sa- 
puto vedere  il  *  verace  giudicio  '  del  sogno  del  cuore  man- 
giato. Pare  eh'  egli,  fin  dalla  soglia  del  dubbioso  libello, 
voglia  insinuare  che  molti  ancora  chiameranno  Beatrice 
la  gloriosa  donna  della  sua  mente,  ma  non  sapranno  tut- 
tavia che  si  chiamare.  Certo,  a  questo  appunto,  non  ad 
altro,  riesce  il  misterioso  racconto  della    Vita  nuoca. 


Bai  fatto  stesso  che  il  poeta  chiama  Beatrice  la  donna 
amata  e  nelle  rime  e  nel  racconto  della  Vita  nuoca,  sarei 
indotto  piuttosto  a  negare  che  a  riconoscere  aver  egli  mai 
amato  una  fanciulla  di  tal  nome.  Ma  sia  come  si  voglia  ; 
abbia  egli  amato  una  Bice  qualunque:  abbia  egli  amato 
la  Portinari  ;  il  povero  Biscioni  concedeva  anche  codesto  : 
abbia  egli  cantato  di  codesta  Bice  ;  si  può  concedere  anche 


33 


262  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

codesto  :  ne  verrà  forse  eh'  egli  di  tal  donna  e  di  tale  amo- 
re ha  parlato  nel  mistico  e  misterioso  racconto  della  Vita 
nuova?  Certo,  se  la  narrazione  del  libello  rasentasse  pure 
il  verosimile,  sarebbe  codesta  logica  conseguenza. 

Il  Todeschini  (Scr.  1,  326)  e  lo  stesso  D'Ancona 
(  VN.  8  )  revocano  in  dubbio  1'  innamoramento  dei  nove 
anni  e  la  passione  del  secondo  novennio,  sia  perchè  il  poeta 
ci  dice  che  solo  dopo  nove  anni  dal  primo  '  apparimento  ' 
udì  la  prima  volta  le  parole  dell'  amata  sua,  sia  perchè  non 
ha  saputo  trovare  nel  '  libro  de  la  memoria  ' ,  di  tutto  co- 
desto lungo  intervallo,  nessun  episodio  degno  di  esser  ri- 
cordato. Sarà  stato  '  un  sentimento  fanciullesco',  sarà  stata 
'  piuttosto  una  inclinazione  che  una  passione  ',  sarà  stata 
'  un'  affezione  simpatica  ',  secondo  il  Todeschini  ;  '  si  trat- 
terebbe di  una  di  quelle  illusioni  che  spesso  fanno  a  sé 
stessi  gli  innamorati',  secondo  il  D'Ancona.  A  diciott'anni 
dunque,  sarebbe  divampata  la  potente  ed  eterna  passione, 
e  parva  favilla  di  tanto  incendio  sarebbe  stato  il  saluto 
della  gentilissima. 

Ma  quali  saranno  poi  gli  episodi  verosimili  della  gio- 
vanile passione  ?  Nel  primo  periodo  quasi  solo  campeggia 
1'  episodio  delle  due  donne  dello  schermo.  Il  poeta,  per  ce- 
larsi, finse  per  alcuni  anni  che  altri  fosse  veramente  1'  og- 
getto del  suo  amore.  E  non  occorre  certo  ricercar  nei  co- 
stumi dell'  amor  trovadorico,  né  scomodar  Guglielmo  di  San 
Desiderio,  né  fastidir  Folchetto  di  Marsiglia,  e  neppure  oc- 
corre turbar  la  pace  del  sepolcro  del  gran  Torquato,  per 
trovar,  come  si  direbbe,  dei  precedenti  e  delle  controprove. 
Gli  amanti,  cosi  solleciti  sempre  nel  protegger  la  loro  fiam- 
ma dai  venticelli  di  don  Basilio,  sempre  cosi  abili  nello 
schermirsi  dalla  petulante  oculatezza  degl'  indiscreti,  avran- 
no in  ogni  tempo,  come  con  altri  espedienti,  cosi  anche 
talvolta  con  codesto  ripiego,  distratto  dal  vero  oggetto  del 
loro  amore  le  indiscrezioni  dei  ciarlieri  e  le  malignazioni 


V  episodio  degli  schermi  203 

degl'  invidiosi  ;  e  avranno  così,  pel  conseguimento  dei  loro 
fini,  sopito  la  vigilanza  molesta  delle  persone  interessate  ('). 
Ma  se  verosimile  è  il  fatto  in  se  stesso,  non  pare  che  ve- 
rosimile sia  nel  caso  specifico.  Si  intende  e  si  giustifica  in 
certo  modo  il  prendersi  giuoco  di  una  gentildonna  per  ope- 
rar diversioni  e  assicurar  la  via  ad  una  tresca;  ma  nell'a- 
mor della  Vita  nuova  codesto  espediente  di  manichini  o  pa- 
raventi riesce,  stando  alla  lettera,  del  tutto  inesplicabile. 
Ben  potremmo  supporre  che,  se  il  poeta  avesse  voluto  nella 
Vita  nuora  ammannir  la  storiella  di  un  amor  trovadore- 
sco,  non  avrebbe  probabilmente  lasciato  da  parte  cotale 
ingrediente,  che  si  dice  '  canone  principalissimo  nelle  leggi 
dell'  amore  e  della  poesia  cavalleresca  '.  Ma  non  pare  dav- 
vero che,  per  la  fantasia  d' imitar  le  tresche  dei  trovadori. 
Dante  giovinetto  abbia  voluto  seguir  cosi  appuntino  i  ca- 
noni dell'  amor  cavalleresco,  da  ricorrere  efiettivamente  a 
quei  pericolosi  e  indegni  ripieghi  che  dal  suo  amore  non 
erano  richiesti,  a  cui  anzi  il  suo  amore  repugnava  ;  da 
provvedersi  di  schermi,  quando  il  fine  del  suo  amore  di 
nessuna  diversione  doveva  giovarsi  ;  non  pare  davvero 
eh'  egli  abbia  avuto  vaghezza  di  simulare  pel  solo   gusto 


(•)  Miirlioro  doirli  Abati  cantava: 

Sici-oinc  il  l)uon  arciere  a  la  battaglia. 
Che  sa  di  guerra  l>en  venire  a  porto. 
Che  tragio  1'  arco  o  mostra  eho  jrli  rafirlia 
Di  tal  ferir  che  no  gli  sta  conforto; 

E  filr»  mano  e  poi  fere  in  travaglia 
A  tal  che  de  1"  arciere  non  è  accorto  ; 
Ed  co,  per  la  nojosa  indivina^lin 
De  la  mia  donna,  simile  mi  porto. 

Che  faccio  vista  d'amare  e  sembianti, 
E  mostro  in  tale  loco  benvogllenza. 
Che  giammai  non  vi  sclese  U  mio  coraggio. 

Por  li  nojosi  falsi  malparlanti 
Che  "nfra  li  fin'  amanti  d.inno  intenza  : 
Xon  sanno  onde  move  il  mio  alegragglo. 


264  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

di  simulare,  di  fare  insomma  una  canagliata  cavalleresca 
per  la  ridicola  pretesa  di  mostrarsi  perfetto  trovadore.  E 
certamente^  né  pudore  né  verecondia  giovanile  potevano 
consigliare,  né  hanno  mai  consigliato,  quelle  simulazioni. 
Se  il  ritroso  amante  avea  verecondia  di  confessare  il  suo 
vero  amore  j3urissimo  e  idealissimo,  se  lo  schivo  giovinetto 
sentiva  pudore  della  sua  innocente  passione,  come  e  per- 
chè nello  stesso  tempo  perdeva  ogni  verecondia  nell'  amor 
simulato,  tanto  che  una  soverchievole  voce  parca  che  l' in- 
famasse viziosamente?  No,  certo,  né  pudore  né  verecon- 
dia. —  Perché,  si  dirà,  voleva  del  tutto  celare  altrui  il 
suo  amore  per  Beatrice  —  (^).  Ma  quel  suo  amore,  cosi 
poco  esigente  e  così  privo  di  azione,  per  tenersi  celato  do- 
veva proprio  rimpiattarsi  dietro  quello  sconveniente  rÌ2)a- 
ro?  non  bastava  forse  il  silenzio?  Il  fine  dell'amore  del 
poeta  è  così  innocente  e  così  puro,  che  il  contaminarlo  con 
infingimenti  scandalosi  pare  cosa  assurda.  Ma  concediamo 
che  il  poeta,  per  ragioni  che  non  si  vedono,  si  servisse  di 
tali  amori  simulati;  perché  doveva  egli  offuscare,  col  so- 
spetto che  nasce  dalla  confessione  di  codesti  mezzucci  o 
mezzacci,  il  cristallo  purissimo  del  suo  vero  amore?  Anche 
se  il  suo  amore  non  fu  così  puro  come  nella  Vita  nuova 
è  rappresentato,  nella  Vita  nuova  resta  a  ogni  modo  l'in- 
coerenza. E  perché,  d'altra  parte,  doveva  egli  esporre  alla 
derisione  due  gentildonne,  probabilmente  alla  pubblicazio- 
ne della  Vita  nuova  ancora  in  buona  salute  ?  Sarebbe  per 
avventura  anche  questo  un  altro  canone  dell'  amore  e  della 
poesia  cavalleresca,  che  1'  amante  cavalleresco,  dopo  aver 
gelosamente  tenuto  nascosto  il  suo  amore,  venga  quando- 


(1)  Grrogorio  Magno,  Mor.  8,  78  •  Bona  nostra  ot  intorapestive 
manifestata  deperount,  ot  diutius  occultata  solidantur '.  Cod.  (T  Ani. 
2  '  Qui  non  celat,  amaro  non  potost  ;  13  Amor  raro  consuevit  du- 
rare vulgatus  '. 


//  epi.iodio  degli  schenni  265 

chessia  a  dir  tutto,  anche  dei  mezzi  adoperati  per  coprir- 
lo? che  l'amante  cavalleresco  non  possa  essere  che  cana- 
gliesco scrittore?  Insomma,  a  intender  la  cosa  secondo  la 
lettera,  codesta  cavalleresca  birbonata  non  si  vede  proprio 
perchè  debba  tener  tanto  luogo  nel  breve  racconto  della 
Vita  nuova.  Certo  non  tornerebbe  né  ad  onore  del  cantor 
della  rettitudine,  né  a  lode  della  distruggitrice  di  tutti  i 
vizi  e  reina  delle  virtù. 

Sennonché,  dinanzi  all'  assurdo,  sono  costretti  a  fan- 
tasticare anche  i  più  gagliardi  persecutori  di  fantastiche- 
rie; trovandosi  nella  curiosa  condizione  di  Lodovico  dei 
Promessi  sposi,  che  si  era  ridotto  ft  viver  coi  birboni  per 
amor  della  giustizia.  Non  simulazioni,  ma  '  affetti  giova- 
nili ',  '  debolezze  della  carne  inferma  ',  '  deviazioni  sensua- 
li ',  giudica  il  D' Ancona  (  VN.  75  s  )  gli  amori  delle  due 
donne  dello  schermo;  e  per  ispiegar  la  convenienza  del 
racconto  di  tali  trascorsi  camuffati  a  quel  modo  e  colle- 
gati con  1'  amore  a  Beatrice,  l' illustre  critico  osserva,  che 
il  poeta,  '  dovendo  in  questo  libretto  far  le  sue  confessioni, 
non  poteva  tacere  ',  e  che,  *  volendo  anche  mostrare  la  fa- 
talità e  la  perennità  dell'  amore  a  Beatrice,  li  collegò  con 
questo  rappresentandoli  quali  schermi  all'  occhio  e  ai  com- 
menti altrui  '.  Veramente,  comunque  si  stia  la  cosa,  di  con- 
fessioni nella  Vita  nuota  non  é  il  caso  di  parlare  ;  e  molto 
meno  poi,  se  le  cose  stanno  come  pensa  il  D'  Ancona.  Ma, 
d'  altra  parte,  ben  si  dovrebbe  riconoscere  che  il  travesti- 
mento dei  due  affetti  giovanili  è  dovuto  alla  fantasia  da 
cui  pare  predominato  il  poeta,  di  mostrare  la  fatalità  e 
la  perennità  dell'  amore  a  Beatrice.  '  Nemo  duplici  potest 
amore  ligari ',  ammonisce  il  Codice  d'Amore.  Debolezze 
della  carne  inferma,  deviazioni  sensuali,  bensì;  ma  debo- 
lezze e  deviazioni  con  la  prima  gentildonna  durate  '  al- 
quanti anni  e  mesi  '  ;  debolezze  e  deviazioni  che,  appunto 
per  la  infermità  della  carne,  doveano  finire  coli'  esser  vere 


266  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

passioni  (');  debolezze  e  deviazioni  che  il  poeta,  senza  al- 
cun riguardo  né  a  se  stesso  ne  alle  due  gentildonne,  non 
nascondeva,  egli  che  teneva  così  gelosamente  celato  1'  a- 
more  ideale!  Ma  a  che  si  riduce  allora,  e  dove  si  va  a 
confinare  la  passione  per  .Beatrice  ?  Che  se  è  naturale  che 
Beatrice  per  codeste  deviazioni  sensuali  dovesse  scemar 
queir  affetto  e  quella  stima  che  a  noi  piace  supporre  ani- 
massero il  suo  cuore,  è  poco  naturale  che  il  poeta,  senza 
aver  avuto  in  alcun  tempo  altro  segno  di  affetto  e  di  stima 
che  il  saluto,  s'  infiammasse  più  che  mai  della  gentilissima 
e  si  consacrasse  ad  un  eterno  amore  per  lei,  appunto  quan- 
do quella  cortesissima  gli  toglieva  il  saluto  ;  poco  naturale 
che  pensasse  di  rigar  diritto,  di  fortificarsi  contro  le  de- 
bolezze della  carne,  di  corazzarsi  contro  le  insidie  degli  af- 
fetti giovanili,  quando  sui  22  anni  perdette  quel  conforto 
che  fra  le  debolezze  e  le  deviazioni  era  stato  sua  ineffa- 
bile beatitudine  ;  poco  naturale  che  cominciasse  a  entrar- 
gli in  corpo  la  fantasia  che  codesto  amore  era  stato  fatal- 
mente perenne  ,  quando  la  cortesissima  col  suo  gabbo  a- 
vrebbe  fatto  scappare  V  amore  dal  più  cieco  e  ubriaco  spa- 
simante ('-);  poco  naturale  che,  per  mostrare  1'  eternità  del 
suo  inverosimile  amore  alla  beffarda,  pensasse  al  tiro  bir- 
bone di  esporre  al  pubblico  scherno  le  due  gentildonne 
delle  deviazioni  e  delle  debolezze,  che  d'  amor  vero  ed  u- 
mano  gli  aveano  tuttavia  scaldato  il  petto  (^). 


(1)  Ovid.  Ars  amat.  1,  615  '  Saopo  tanion  voro  coopit  simula- 
tor amaro;  Saopo,  quod  incipions  finxerat  osse,  fuit*.  Rem.  ciiiior. 
i99  'Saopo  ogo,  no  biborom,  volai  dormirò  vidori:  Diim  vidoor, 
somno  lumina  vieta  dodi.  Docoptum  risi,  qui  so  sìmulabat  ama- 
ro    In  laquoos  auceps  decidoratquo  suos  '. 

("^)  Gino  da  Pistoja,  son.  Se  non  si  move.  '  So  non  si  movo  d' o- 
gni  parto  amoro,  Si  dall'  amato,  corno  dall'  auianto,  Non  può  molto 
durar  lo  suo  valore  ;     Clio  '1  mozzo  amor  non  ò  formo   nò  stanto  '. 

(3)  Chiavo  di  tutto  1'  episodio  sono  l'orso  lo  famose  parole  oseii- 


Ije  parole  oscure  e  i  »imutacri  ^ Amore  387 


Nel  Concicio  (  2,  13,  27  )  il  poeta  confessa  che,  nella 
mistica  adolescenza  della  Vita  nuova,  '  molte  cose,  quasi 
come  sognando,  già  vedea  '.  Certo,  egli  non  aveva  ancora 
temprato  i  suoi  muscoli  alla  severa  disciplina  delle  armi  ; 
non  ancora  nella  destra  gli  balenava  la  *  spada  lucida  ed 


re  d'  Amore,  cho  ri  lofrafono  noi  p:ira*fi'afo  12.  Danto,  por  il  Kimu- 
lato  amore  alla  gentildonna  del  secondo  schonuo,  avoa  perduto  il 
Hjiluto  di  Beatrice  :  '  un  giovano  vestito  di  bianchissime  vostimen- 
t;i  ',  ciò»'  Amoro,  gli  apparve  in  sogno,  e  sospirando  gli  dìss(3  :  *  Fili 
mi,  tempus  est  ut  praotormittantur  simulacra  nostra  ".  Poi  piangeva 
*  pietosiimente  ',  e  il  poeta  gli  chiese  :  '  Signore  de  la  nobiltade,  e  per- 
chè piangi  tu  ?  '  E  Amoro  allora  <lisso  quf>ste  oscure  parole  :  '  Ego 
tamquam  contrum  circuii,  cui  simili  modo  se  habent  circuraferen- 
tiao  partes  :  tu  autem  non  sic  \  Il  poeta  non  capiva,  e  voleva  spie- 
gazione ;  ma  Amore  tagliò  corto,  dicendo  :  '  Non  «lomandaro  più  cho 
utile  ti  sia  '  ;  e  si  pose  a  ragionare  '  de  la  salute  negata  ',  senza  poro 
muovere  alcun  rimprovero  al  suo  fedele.  Potrebbe  il  luogo  attri- 
buito a  s.  Bernardo,  qui  addietro  citate  (  p.  2.>4  n  ?  ),  illustrare  co- 
deste oscure  parole  ?  Oltre  le  spiegazioni  riferitt»  nello  edizioni  della 
Vifa  nuora  del  D'  Ancona  e  del  Casini,  ricordo  :  l' interpretazione  di 
(  ».  Maruffì  (  Le  parole  oseare  (f  Amore.  Venezia  1895  :  estr.  dal  q. 
2"*,  a.  3'*  dol  liior».  doni.  ),  alla  quale  si  accostai  in  fondo  il  Boflìto 
(  Bull.  ns.  10.  266  )  :  1*  interpretazione  di  A.  Butti  (  Giorn.  dant.  6. 
129  s):  o,  insiorao  alle  ossorvazioni  del  Federzoni  {Studi,  108  ss) 
o  dolio  Scarano  (  Beatrice.  42  K  un  recente  articolo  di  E.  Pi-oto  {fiass. 
rrit.  7,  193  ss),  cho  muove  appunto  dalla  chiosa  del  Federzoni,  e 
la  sviluppa  e  conforta  di  'ragioni  filosofiche'.  Sta  bene:  il  circolo 
rappresenta  perfezione  e  nobiltà  ;  dunque  si  tratta  di  perfetto  e  no- 
bile amore.  Si  è  citato  il  luogo  del  Paradiso,  18,  49  -  51,  e  il  luogo  del 
Conririo.  4,  16.  E  si  potrebbero  ricordare  di  Jacopo  della  Lana  più 
luoghi,  e  specialmente  questo  (2,  198):  'nelle  cose  naturali  quella 
line  che  torna  al  suo  principio,  è  detta  perfetta,  siccome  appare 
nel  moto  circolaro,  il  quale  è  tra  li  altri  movimenti  il  più  perfetto, 
perchè  il  suo  fino  torna  al  suo  principio,  conio   appare  noli'  ottavo 


à68  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

acuta  '  eli  Paolo  ;  come  il  rapito   di   Patmos,  venia    '  dor- 
mendo con  la  faccia  arguta'. 

Veramente,  due  soli  sogni  fanno  parte  della  dubbiosa 
narrazione;  e  non  sono  pur  chiamati  sogni,  ma  '  visioni  ' 
nel  sonno  (  §  §  3  e  12  )  ;  e  '  vana  imaginazione  '  è  chia- 
mato il  farneticare  in  una  specie  di  dormiveglia  (  §  23  ). 
Altri  episodi  sono  visioni  ad  occhi  aperti,  '  imaginazioni  ', 
come  le  chiama  il  poeta  (  §  §  9,  24,  39  )  ;  una  sola  ima- 
ginazione, 1'  ultima,  è  chiamata  '  visione  ',  '  mirabile  visio- 


(lella  Fisica  e  noi  libro  De  Coelo  et  Mnndo  d'  Aristotile  ',  Cecco  iT  A- 
scoli  poi,  dell'  amor  sensualo  cantava  (  Acerba,  3,  1  )  : 

Amor  nel  cerchio  non  tlen  fermo  punto, 
O  cala  o  monta  nell'  uman  concetto, 
Sempre  col  moto  fu  così  congiunto. 

Ma  una  spiegazione  chiara,  e  per  ogni  verso  convincente,  non  si 
potrà  mai  dare,  se  non  si  spiega  1'  episodio  degli  '  schermi  della  ve- 
ritade  ',  dei  '  s  i  m  u  1  a  e  r  a  '  d'  Amare.  [  Dionigi  Areopagita  (  Ope- 
ra, Antuerpiae,  1634  ),  De  divinis  nominibas,  4,  12  '  Cum  enim  verus 
amor  non  a  nobis  solum,  sed  ab  ipsis  sanctis  Seripturis,  ut  Deum 
decet,  laudetur,  vulgus  hominum,  cum  non  percepisset  illam  iini- 
formitatem  quam  divinura  nomen  amoris  significat,  convenientor  sibi 
ad  aniorem  patibilem  et  corpoi-eum  atque  distractum  delapsum  est, 
qui  non  est  verus  amor,  sed  imago,  voi  potius  lapsus  a  vero  a- 
more:  multitudo  enim  non  potest  cogitatione  capere  ili ud  singulare 
divini  et  unius  amoris'.  Paraphrasis  Pachymerae  (1,  659):  'Hoc 
igitur  divini  amoris  nomen  vulgus  non  intelligens,  ad  amorora  cor- 
poroum  et  distractum  ac  divisum  dilapsum  est  :  alius  enim  aliud 
amat,  et  alius  aliud  appetit  secundum  istiusmodi  amorem,  qui  non 
est  verus  amor,  sed  magis  s  i  m  u  1  a  e  r  u  m  vel  prolapsio  ab  amo- 
re divino  . . .  Amor  corporeus  s  i  m  u  1  a  e  r  u  m  est  amoris  divini  '• 
In  Dionigi  anche  il  paragono  col  circolo  :  De  die.  noni.  4,  14  '  Qua 
in  re  et  fine  et  principio  se  carerò  divinus  amor  oxcollenter  osten- 
dit,  tamquam  sempiternus  circulus  '.  ]  Certo,  stando  alla  lettera,  nò 
degli  schermi,  nò  delle  parole  oscuro,  anche  so  rischiarate  un  poco 
da  ragioni  filosofiche,  non  se  ne  vede  davvero  la  ragione.  Cfr.  Oiorfi, 
Sfar.  2.  aS6  e  nn2. 


Le  visioni  ^ 

ne'  i  t?  -i- .')  '  mi  labi  le  '  come  la  prima  \  .o.v...e  nel  sonno. 
Sette  sono  dunque  le  visioni  che  occorrono  nel  breve  rac- 
conto (  cfr.  BuU.  ns.  9,  262  ).  E  se  non  pare  del  tutto  ine- 
splicabile che  il  poeta,  passando  dalla  visione  alla  realtà 
e  dalla  realtà  alla  visione,  rimpolpi  con  visioni  i  pochi 
accenni  alla  strana  storia  del  suo  amore  ;  ben  desta  me- 
raviglia che  le  visioni  siano  cosi  opportune  e  necessarie 
air  integrazione  del  racconto,  che  mal  si  apporrebbe  chi 
volesse  considerarle  come  semplici  adornamenti  poetici.  D'al- 
tra parte,  anche  in  quel  che  come  realtà  è  narrato,  pare 
che  le  condizioni  del  reale  siano  sopraffatte  da  un  inten- 
dimento riposto;  che  il  simbolismo  sforzi  la  lettera,  ecce- 
dendo i  confini  del  reale  ;  certo,  codesta  pretesa  realtà  sto- 
rica è  rappresentata  essa  stessa  come  vero  sogno  e  vera 
visione. 

Come  una  visione  è  narrato  l'  apparimento  sanguigno 
della  gloriosa  donna  della  mente  al  novenne  fanciullo  ;  come 
una  visione  il  bianco  apparimento  della  donna  della  sa- 
lute al  diciottenne  giovinetto.  E  visione,  estasi  mistica, 
ascetico  rapimento,  pare  davvero  la  '  trasfigurazione  *  del 
poeta  e  l' apparizione  della  gentilissima  nel  convito  nu- 
ziale (').  Si  legge  nei  Salmi  (  83,  3  )  :  '  Concupiscit  et  de- 
ficit anima  mea  in  atria  Domini  '  ;  ed  un  altro  versetto 
(21,  8  )  potrebbe  pure  averci  avuta  qualche  parte  nel  fatto 
del  gabbo  :  *  Omnes  videntes  me,  deriserunt  me  :  locuti  sunt 
labiis,  et  moverunt  caput.  '  Comunque,  all'inverosimiglian- 
za del  racconto  (  vd.  Bartoli,  St.  5,  64  ss  ),  si  aggiunge 
la  grave  incongruenza  di  codesto  ingrato  particolare.  Nes- 
suno vorrà  certo  dii*e  che  la  donna  amata  non  si  possa 
burlare  dell'  amante,  che  spesso  non  si  burli  dell'  amante  ; 
ma  il  gabbarsi  di  chi  si  sia  è   forse   delle   gentilissime    e 


(l)  Cfr.  Gresorio  Masrnn.   Mm:  \  ">  ss:    f??..   41    ss;  -27,   31    s; 
31,  70. 

34 


270  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

cortesissime  donne?  Se  altro  non  fu  1'  intendimento  del 
poeta,  riesce  davvero  affatto  strano  e  incongruente  codesto 
ricordo  nell'  apoteosi  della  gentilissima,  della  cortesissima, 
della  distruggitrice  di  tutti  i  vizi  e  reina  delle   virtù  (^). 


(1)  L'  Orlandini  (  Disc,  in  D.  e  il  suo  sec.  408  )  osserva  :  '  la  Vita 
nuova  non  è,  comò  altri  affermava,  una  storia  compiuta  dogli  amori 
di  Dante  per  Beatrice  ;  ma  una  eletta  di  fatti  appartenenti  a  quella 
storia,  e  precipuamente  di  quelli  che  fossero  bastanti  ad  apparec- 
chiare e  giustificare  1'  apoteosi  che  il  Poeta  si  accingeva  a  farne  in 
una  maggiore  opera  futura,  che  fu  poi  la  Commedia  '.  Ma  il  critico 
non  si  dà  punto  cura  di  farei  sapere  come,  nella  '  eletta  di  fatti  ap- 
partenenti a  quella  storia  ',  e'  entrasse  il  gabbo,  eh'  egli  stesso  chia- 
ma (  p.  399  )  '  volgare  leggerezza  '.  Lo  Scartazzini  (  Proleg.  185  )  non 
vuole  che  si  esageri:  'E  non  meno  naturale  è  pui-e  quel  gabbarsi 
di  Beatrice,  su  cui  ultimamente  si  fraseggiò  e  declamò  tanto,  e  tanto 
inutilmente.  Non  si  tratta  di  uno  scherno  spietato  nò  di  una  beffa 
spinta  oltre  il  segno,  come  alcuno  favoleggia,  si  tratta  di  una  sem- 
plice derisione'.  Dio  mio,  sì!  Una  semplice  derisione.  Cose  che  pas- 
sano coli'  acqua  fresca.  Il  Canepa  poi  si  spiega  ogni  cosa  (  N.  ricer. 
29  )  :  '■  Non  è  perciò  tanto  inesplicabile  questo  gabbarsi  :  inoltre  nel- 
1'  angiola  giovanissima  adorna  di  tutte  le  virtù,  forse  potrà  parere 
una  stonatura,  ma  quando  Dante  canta  le  virtù  della  sua  amata  è 
poeta  e  segue  l' ispirazione,  mentre  esponendo  i  fatti  è  storico,  e  non 
gli  è  lecito  travisarli  '.  Ma  Dante  dice  che  madonna  si  gabbò  di  lui, 
anche  quando,  come  '  poeta  ',  '  segue  l' ispirazione  '  ;  e  la  chiama 
'  gentilissima  '  ben  quattro  volte  appunto  quando,  come  *  storico  '? 
espone  il  fattaccio  del  gabbo.  A  ogni  modo,  il  Canepa  (  e  non  il  Ca- 
nepa soltanto)  farebbe  dire  a  Dante:  —  Signore  e  signori!  Questa 
è  la  vera  storia  di  una  gentilissima  donna,  la  cui  *  ineffabile  cor- 
tesia è  oggi  meritata  nel  grande  secolo  ',  Ma  badate  bene  eh'  io,  co- 
me poeta,  seguendo  l' ispirazione,  la  chiamo  gentilissima  e  cortesis* 
sima  ;  perchè,  a  parlarvi  da  storico,  vi  so  dire  che  quella  gentilis- 
sima giunse  a  tal  punto  di  villana  crudeltà,  che  una  volta,  e  non 
faccio  per  vantarmi,  si  gabbò  di  me.  Se  nell'  esposizione  dei  fatti 
voi,  gentili  signore  e  cortesi  signori,  trovate  incoerenze  e  contradi- 
zioni, sappiate  che  la  colpa  non  è  mia,  ma  della  storia  che  non  si 
sa  metter  d'  accordo  eoli'  ispirazione  poetica.  Potevo  io  far  tacere 
l'ispirazione?  o  dovevo  manomettere  la  storia?  E  perchè  poi?  per 


Episodi  che  arieggiano  la  visione  •2~\ 

E  sogno  o  visione  pare  anche  il  colloquio  con  le  donne 
che  s'  erano  rannate  non  si  vede  ben  dove,  e  che  aveano 
così  poca  verecondia  e  cosi  grande  familiarità  col  poeta, 
da  chiamarlo  alla  loro  adunanza  e  sottoporlo,  fra  i  sospiri, 
a  un  indiscreto  interrogatorio  intorno  al  fine  del  suo  a- 
more.  Come  trasognato  infatti  il  poeta  risponde,  e  come 
trasognato  si  parte  e  '  quasi  vergognoso  ',  per  essere  stato 
còlto  in  contradizione. 

E  che  altro  se  non  sogno  o  visione  ad  occhi  aperti 
sarà  l'episodio  della  morte  del  padre  di  Beatrice?  Giacché, 
niente  varrà  a  rimuovere  le  obbiezioni  del  Centofanti  e 
del  Bartoli  (  St.  5,  71  s) .  All'  episodio  del  gabbo  fa  da 
contraltare  1'  episodio  della  pietà  di  Beatrice.  '  Melius  est, 
dice  r  Ecclesiaste  (7,  3  ),  melius  est  ire  ad  domum  luctus, 
quam  ad  domum  con  vi  vii  '.  Il  Barberino  cantava  (  Do- 
cimi.  374  )  : 

Piotii  non  Andi,  ma  crcnìo  in  voi  sia, 
Xon  per  tór  pena  mia. 
Ma  por  averla  colà  dove  iisaro 
Disonestjite  non  puote  chiamare 
Alcun,  nò  dir  follia. 

E  dalle  incongruenze,  dai  sogni,  dalle  visioni,  dal  far- 
neticare sulla  futura  morte  di  Beatrice,  colla  morte  di  Bea- 
trice passiamo  bruscamente  al  calcolo  ed  all'  enigma.  In- 
troduce quest'  altra  '  nova  materia  '  un  cominciamento  di 
Geremia  :  '  Quomodo  sedet  sola  civitas  piena  populo  !  facta 
est  quasi  vidua  domina  gentium  '.  Ed  ecco,  tra  il  grave 
e  il  malizioso,  il  poeta  vien  fuori  con  questa  dichiarazio- 
ne :  '  E  avvegna  che  forse  piacerebbe  a  presente  trattare 


la  sciocca  pretosa  di  essere  coerente  ?  Ma  l' incoerenza,  vi  dico,  non 
è  mia.  Ville  a  dire,  non  è  di  chi  è  poeta  e  si  trova  talvolta  nella 
dura  necessità  di  far  lo  storico  :  ma  è  della  storia  e  della  poesia  che 
si  guardano  come  cani  e  gatti  — . 


272  Xe  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


alquanto  de  la  sua  partita  da  noi,  non  è  lo  mio  intendi- 
mento di  trattarne  qui  per  tre  ragioni  '  (').  Tuttavia  egli 


(1)  Son  queste  le  tre  ragioni  :  '  la  prima  che  ciò  non  è  del  pre- 
sente proposito,  se  volemo  guardare  nel  proemio,  che  precede  que- 
sto libello  [  queste  le  parole  del  proemio  :  '  In  quella  parto  del  libro 
de  la  mia  memoria,  dinanzi  a  la  quale  poco  si  potrebbe  leggere,  si 
trova  una  rubrica,  la  qual  dice  :  Incipit  vita  nova.  Sotto  la  qual'  io 
trovo  scritte  le  parole,  le  quali  è  mio  intendimento  d'  assemprare 
in  questo  libello,  e,  se  non  tutte,  almeno  la  loro  sentenzia  '  ]  ;  la  se- 
conda si  è  che,  posto  che  fosse  del  presente  proposito,  ancora  non 
sarebbe  sofficiente  la  mia  lingua  a  trattare,  come  si  converrebbe,  di 
ciò  ;  la  terza  si  è  che,  posto  che  fosse  1'  uno  e  1'  altro,  non  è  con- 
venevole a  me  trattare  di  ciò,  per  quello  che,  trattando,  conver- 
rebbe esser  me  laudatore  di  me  medesimo,  la  qual  cosa  è  al  po- 
stutto biasimevole  a  chi  lo  fae:  e  però  lascio  cotale  trattato  ad  al- 
tro chiosatore  '.  Queste  tre  ragioni  restano  tuttavia  oscure  e  impene- 
trabili. Non  occorre  confutare  le  varie  interpretazioni  date,  anzi  le 
varie  bizzarrie  escogitate  o  improvvisate  dai  critici  nell'  onesto  ten- 
tativo di  penetrare,  anche  con  un  colpo  di  mano,  nella  tre  volte  cer- 
chiata d'  alte  mura  ragione  dantesca.  Dei  più  cauti  e  discroti,  al- 
cuni non  tengono  conto  del  fatto  che  il  poeta  aveva  trattato  della 
morte  di  Beatrice  nella  canzone  Li  ocelli  dolenti'. 

No  la  ci  tolse  qu.-illtà  di  gelo, 
Né  di  calore,  come  1'  altre  face  ; 
Ma  solo  fue  sua  gran  beiilgnltate  : 
Che  luce  de  la  sua  uinllltate 
Passò  U  cieli  con  tanta  vertute, 
Che  fé'  maravigliar  1'  eterno  Siro  ; 
Sì  che  dolce  destre 
Lo  giunse  di  chiamar  tanta  salute  : 

ed  anche  nel  frammento  della  canzono  Quantunque  volte  : 

Il  piacere  de  la  sua  bleltate, 
Partendo  sé  da  la  nostra  veduta, 
Divenne  spiritai  bellezza  grande, 
Che  per  lo  cielo  spande 
Luce  d'  amor  che  gli  angeli  saluta  : 

rimo  codeste  che  il  poeta  appunto  allora  inseriva  nella  Vita  nuova. 
Altri,  intendendo  che  il  poeta  non  voglia  trattare  della  condizione 
di  Beatrice  in  cielo,  dà  forse  significato  un  po'  arbitrario  alle  pa- 


Im  morie  di  Beatrice  e  V  nitro  chiosatore  27:'. 

crede  '  al  proposito  couvenirsi  '  alcune  considerazioni  ca- 
balistiche sul  numero  nove,  che  fu  *  tanto  amico  '  della 
gentilissima;  anzi,  dice  il  poeta,  '  secondo  la  infallibile  ve- 
rità, questo  numero  fue  ella  medesima  ',  cioè  *  per  simili- 
tudine '  ('i.  In  fine,  per  giustificare   l'introduzione   fatta 


l'ole  del  lilwllo  :  pt'ifhè  il  poota  veramento  dice  di  non  voler  trat- 
ture '  de  la  sua  partita  da  noi  ',  non  dico  della  sua  condizione  in 
ciolo,  così!  del  resto  non  taeiiiUi  niella  Vita  nuora.  Forse  il  poota 
volle  insinuare  che.  nello  rimo,  della  morte  di  Btjatriee  '  sententia- 
litor  canitur,  quamquam  transumptivo  more  poetico '(  cfr.  ^.  ^IvH- 
tanti  Pistoriensi  )  ;  e  che  la  chiosji  eh'  egli  rimetteva  ad  *  altro  chio- 
satore', doveva  spiegare  la  natura  di  t-ale  avvenimento,  doveva 
sottilmente  ragionare  del  vero  significato  della  transumanaziono  di 
Beatrice,  doveva  insomnui  svelarne  l' allegoria  (  vd.  qui  addietro, 
p.  1H4  ).  Cosi  si  spiegherebbe  che  il  far  tale  chiosai  non  era  propo- 
sito di  chi  allora  scriveva  il  libello,  la  cui  prosa  non  è  un  commonto 
alle  rime,  non  ò  già,  come  alcuno  mostra  di  crt>dere,  la  prosa  del 
Conririo  ;  cosi  si  spieghei-obbe  che  la  lingua  non  era  sufficiente  a  ciò, 
perchè  avrebbe  dovuto  il  poeta  con  filosofici  argomenti  tratUire  i 
quel  che  con  unj4  figurazione  poetica  più  facilmente  e  più  efficace- 
meato  rappresentava  ;  casi  si  spiegherebbe  perchè  sarebbe  venuto 
il  poetii  con  tido  chiosa  a  lodare  so  stesso  (  cfr.  Conc.  1,  2).  Corto 
r  *  altro  chiosjitore  '  non  è  la  Commedia  né  il  Conririo,  che,  so  mai, 
sarebln»  altra  chiosa,  non  altro  chiosatore  :  né  potevji  il  poeta  allu- 
dere alla  famosa  consolatoria  di  C*ino  :  perchè,  liisciando  stiire  ogni 
altra  consideniziono,  la  canzone  di  Cine,  Ar regna  ch'io  non  aggia, 
non  ò  chiosa,  e  a  ogni  modo  non  v'  è  detto  niente  che  il  poeta  po- 
tesse considerar  come  altro  trattato  o  altra  chiosii  che  giìi  non  si 
avesse  nelle  rime  della  Vita  nuora.  Per  la  stona  della  questione,  vd. 
Torri,  VN.  64  n  iO  ;  Perez,  Beatrice,  248  s  ;  Bartoli,  St.  4,  226  :  5, 
51  n^:  Scartazzini,  Proleg.  193  s.  e  Giorn.  dant.  1.  105:  Giorn.  stor. 
17,  li32  ;  Seherillo,  Ale.  cap.  364  s  (  in  nota  e'  è  una  bella  riissogna 
di  iiltro  opinioni,  che  io  qui  perciò  non  cito),  368  s;  Federzoni, 
Studi.  416:  Bnll.ns.  8.  2<J5:  10,  86  e  267  s  :  Canovazzi,  VX.  116  n. 
(l|  D  Giuliani,  seguendo  1'  edizione  stroppiata  e  cer\'ellotica  del 
Sermartelli  (  Firenze  1576  ),  legge  :  '  secondo  l' ineffabile  verità  '  ! 
Del  resto,  il  Sermartelli  aveva  fatto  ben  altro:  aveva  sostituito  la 
parola  *  felicità  '  siila  parola  '  beatitudine  ',  in  tutta  la   Vita   nuora  ; 


274  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


col  cominciameli to  di  Geremia,  racconta  che,  dopo  la  morte 
di  Beatrice,  '  rimase  tutta  la  sopradetta  cittade  quasi  ve- 
dova e  dispogliata  da  ogni  dignitade;  e  che  egli  perciò  , 
'  ancora  lagrimando  in  questa  desolata  cittade  ',  scrisse  '  a 
li  principi  de  la  terra  alquanto  de  la  sua  condizione  ',  in 
un'  epistola  che  aveva  appunto  il  citato  cominciamento  di 
Geremia,  non  inserita  nella  Vita  nuova  perchè  scritta  tutta 
in  latino.  La  cosa  parve  e  pare  affatto  inconciliabile  col 
fatto  della  morte  di  una  gentildonna  fiorentina  ;  e  natu- 
ralmente si  cercò  un  accomodamento,  qualche  accomoda- 
mento che  salvasse  la  tesi,  o  che  non  molestasse  troppo 
la  tesi.  L'  epistola  latina  non  sarà  stata  mandata  ai  prin- 
cipi del  mondo,  ma  ai  principali  cittadini  di  Firenze  ;  non 
sarà  stata  mandata  a  nessuno  ;  forse  non  sarà  stata  neppu- 
re scritta  ;  non  avrà  parlato  il  poeta  della  morte  di  Beatrice. 
Certo,  ognuna  di  codeste  ipotesi  ha  i  suoi  buoni  gradi  di 
probabilità;  ma  nessuna  vale  a  spiegare,  perchè  mai  il  poeta 
ci  dica  qui  che,  per  la  morte  della  sua  donna,  scrisse  un'  e- 
pistola  latina  ai  principi  della  terra  con  quel  cominciamen- 
to di  Geremia.  Lasciamo  stare  quel  che  vi  possa  esser  di 
vero  in  ciò  ;  quel  che  importa  per  l' intelligenza  della  Vita 
nuova  è  pur  questo,  vedere  a  che  fine  il  poeta  parli  di  co- 
desta epistola,  vedere  con  quale  intenzione  egli  ci  dice  che 
per  la  morte  della  sua  donna  (  e  non  dico    per   la    morte 


aveva  mutato  '•  donna  do  la  salute  '  in  '  donna  della  quiete  '  ;  aveva 
insomma  dato  fuori  la  prima  edizione  della  Vita  nuova  '  con  vaghez- 
za, dice  il  Torri,  di  variare  negli  attributi  di  questa  donna  '.  Oltre 
a  ciò,  queir  edizione  principe  corso  mutilata  di  tutto  le  divisioni.  Sup- 
pliva però  a  tale  deficienza  e  giustificava  lo  curiose  omendazioni, 
la  Vita  di  Dante  del  Boccaccio,  che  lo  teneva  buona  compagnia.  E, 
fatto  degno  di  nota  anche  per  la  storia  della  questione  di  Beatrice, 
fino  al  Biscioni,  cioè  fino  al  1723,  per  un  secolo  e  mezzo,  una  Vita 
nuova,  anzi  novissima,  conciata  a  quel  modo,  sola  si  offriva  alla  let- 
tura degli  eruditi  ed  alle  deduzioni  dei  critici. 


V  epistola  ai  princìpi  della  terra  275 


della  moglie  di  Simone  de'  Bardi  )  non  scrisse  un  com- 
pianto poetico,  dove  qualunque  esagerazione  sarebbe  stata 
naturale  e  sincera,  ma  un'  epistola  latina  ai  principi  della 
terra,  lamentando  la  dolorosa  condizione  di  una  non  si  sa 
ben  quale  città,  rimasta  vedova  e  dispogliata  da  ogni  di- 
gnitate  per  la  morte  della  gentilissima.  Giacche  non  pare 
che  abbia  niente  che  vederci  con  la  morte  dell'  amata  e 
col  dolore  dell'  amante,  la  condizione  della  città,  i  prin- 
cipi della  terra,  il  latino  e  Geremia.  E  bene  ammonisce 
il  Torri  (  VN.  07  n  )  :  '  Giova  leggere  per  intero  il  citato 
capitolo  1"  di  Geremia,  per  entrare  neil'  intendimento  del- 
l' Allighieri,  cioè  nella  fina  allusione  alle  miserie  politiche 
e  alla  Babilonia  del  suo  tempo,  in  tutto  ciò  che  il  Pro- 
feta dice  di  Gerusalemme  '  (').  E  d'  altra  parte,  non  si  può 
qui  del  tutto  dimenticare  che  quel  cominciamento  di  Ge- 
remia, allegato  nel  libello  *  quasi  come  entrata  de  la  nova 
materia  che  appresso  viene  ',  è  appunto  il  cominciamento 
di  un'epistola  latina  che  il  poeta  indirizzava  molto  più 
tardi  ai  cardinali  italiani  (-).  Sia  pure  come  vuole  lo  Sche- 
rillo,  che  i  cardinali  allora  non.  eran  chiamati  '  principi  '  ; 
ben  poteva  tuttavia  chiamarli  principi  il  poeta,  in  quel 
libello  che  ha  certo  ben  più  coverte  allusioni  (').  Né  sarà 


(1)  Una  lettora  di  Guìttone  agi"  •  infatnnti  miseri  Fiorentini' 
(  Xannucci,  Man.  2,  137  ss  ),  non  è  in  gran  parte  cho  parafrasi  dei 
treni  di  Geremia. 

(i)  11  Crocioni  ne  difende  1'  autenticità  ;  vd.  Bull,  ns,  9,  206. 

(3)  È  notevole  che  nell'  epistola  ai  cardinali,  subito  dopo  il  co- 
minciamento di  Geremia,  si  ricorda  la  cupidigia  dei  principi  dei 
Farisei.  Cosi  comincia  l'epistola  :  '  Qiiomodo  sola  sedcf  cin'fas,  piena 
popiilo  :  fada  est  quasi  vidiia  domina  gentiam  !  Principum  quondam 
Pharisaeorum  eupiditas,  quae  sacerdotium  vetus  abominabile  fecit, 
non  modo  Leviticae  prolis  ministerium  transtulit,  qiiin  et  praeelec- 
tae  civitati  David  obsidionem  peperit  et  ruinam  '.  Per  Y  importanza 
che  dà  il  Gietmann  a  codesta  epistola  nell'  interpretazione  allego- 
rica della    Tifa  nuova,  vd.  Giorn.  sfor.  15,  275  s. 


270  Le  rime  e  il  racconto  delia  Vita  nuova 

ostacolo  insormontabile  il  fatto  cronologico  :  buona  parte 
dell'  epistola  ai  cardinali  (  quasi  tutta,  meno  gli  ultimi  due 
paragrafi  )  potrebbe  bene  essere  stata  scritta  (  e  se  non 
scritta,  progettata,  pensata,  abbozzata  )  molto  tempo  prima 
del  conclave  di  Carpentras.  Comunque,  1'  essere  state  1'  una 
e  r  altra,  l' epistola  accennata  nella  Vita  nuova  e  l' epistola 
ai  cardinali,  scritte  in  latino,  e  1'  avere  avuto  1'  una  e  l' altra 
lo  stesso  cominciamento  di  Geremia  ;  l' essere  state  1'  una  e 
1'  altra  indirizzate  a  capi  o  principi,  e  1'  avere  avuto  1'  una 
e  1'  altra  suppergiù  lo  stesso  soggetto,  la  dolorosa  condi- 
zione d'  una  città,  '  vedova  e  dispogliata  e  desolata  '  nel- 
1'  una,  '  viduam  et  desertam  '  nell'  altra;  son  fatti  che  do- 
vrebbero pure  aver  qualche  peso  nella  questione.  Certo, 
codeste  concordanze  tra  le  due  epistole  ingrossano  il  già 
ben  pingue  manipolo  dei  dubbi  intorno  al  vero  significato 
dell'  episodio  della  morte  di  Beatrice.  Ben  codesto  episodio 
è  determinato  nel  tempo.  Ma  se  bastasse  una  data  a  dar 
suggello  di  storica  verità  ad  una  narrazione  qualunque, 
dovrebbe  considerarsi  come  storica  verità  anche  il  viaggio 
del  poeta  nell'  altro  mondo  {}). 


(1)  È  stata  fatta  più  volte  1'  osservazione,  che  il  poeta,  con  fa- 
ticoso stento,  ajiitandosi  con  '  1'  usanza  d'  Arabia  '  e  con  '  1'  usanza 
di  Siria  ',  arriva  a  conciliare  la  data  della  morte  di  Beatrice  con  le 
sue  misticlie  fantasie  sul  numero  nove  ;  il  che  sarebbe  prova  della 
storicità  del  racconto.  Vi  accennò  in  una  nota  il  Dionisi,  Prepar. 
2,  50  ;  poi  anche  il  D'  Ovidio,  NA.  15  marzo  1884,  p.  240  ;  il  Casini, 
VN.  Notisia,  p.  29  ;  il  Del  Lungo,  Beatrice,  63  ss  ;  il  Cesareo,  N.  ed 
A.  1,  121  ;  il  Moore,  Bull.  ns.  2,  58;  il  Toynbee,  Ricer.  56.  Ma  non 
si  considera  che  quella  data  potrebbe,  dato  un  intendimento  allego- 
rico, rispondere  a  un  altro  fatto  reale.  Non  potendo  il  poeta  mu- 
tare il  verso  '  Già  eran  quasi  che  atterzate  F  ore  ',  trovò  che  la  vi- 
sione del  cuore  mangiato  gli  era  apparita  nella  '  prima  ora  de  le 
nove  ultime  ore  de  la  notte  '.  Si  dirà  per  questo  che  il  sogno  è  vero, 
e  che  è  anche  vera  la  data  precisa  del  sogno?  I^è  è  da  vedere  in 
tanto  arzigogolare  sul  nove    altro   che    im    inez/o   poetico   p(M-  dai- 


ùii  accenni  cronoìogici  27? 

Non  è  altrimenti  verosimile  1'  episodio  del  cosi  detto 
fratello  di  Beatrice,  di  colui  che  '  fu  tanto  distretto  di  san- 


qualche  contrassegno  della  sentenza  riposta.  Ed  è  pur  notevole  che, 
anche  quando  il  poeta  potrebbe  dare  il  suo  bel  novo  tondo  tondo, 
forse  per  faro  più  credente  altrui,  forse  por  non  tradiro  goffamente 
la  finzione,  si  serve  d' un'  espressione  approssimativa,  e  dice  ohe 
una  visiono  gli  apparve  '  quasi  ne  1'  ora  de  la  nona  '  (  VN'.  39,  2  ). 
D' altra  parte,  dovrebbe  parer  naturale  che  il  poeta,  *  per  seguir  sua 
finzione  '  (  come  direbbero  gli  antichi  chiosatori  della  Commedia  ). 
ci  dica  anche  1'  ora  e  il  giorno  della  morto  di  Beatrice,  anche  se  ora 
e  giorno  siano  determinazioni  un  po'  arbitrario  nella  data  del  fatto 
reale  eh'  egli  con  quella  morte  vuole  rappresentaro  ;  come  dovrebbe 
parer  naturale  elio  uno  scrittore  conio  Dante  non  si  poteva  conten- 
tar di  schierare  tanti  nove  1'  uno  appresso  dell'  altro,  senza  variare 
ed  innalzare  il  dettato,  senzii  far  bella  mostra  della  sua  erudizione. 
Esigenze  cotleste  che,  in  parte,  potrebbero  spiegarci  anche  la  pre- 
cisa d«'tenuiiuizione  dell'  età  di  B<3atrice  al  primo  apparimento.  Certo, 
stupisce  vedere  che  a  codesto  particolare  dell'  età,  che  in  umi  nar- 
razione così  scarna  nessuno  si  aspetterebbe,  sia  attribuita  dal  poetai 
tanta  importiinza  ;  certo  sorprende,  nel  racconto  di  quel  primo  in- 
contro o  apparimento,  trovar  notizia,  con  tanto  lusso  di  erudizione 
astronomica  significata,  dell'  oth  precisa  della  bambinella  che  a\Teb- 
be  mosso  e  commosso  gli  spiriti  del  futuro  splendore  italico  ;  in  quel 
racconto,  dove  invano  si  cercherebbe  il  dove,  il  come,  il  perchè  ; 
dove  invano  si  cercherebbe  pure  un  cenno  sulla  bellezza,  sulla  gra- 
zia, sulla  leggiadria  della  divina  bambinella  ;  dove  della  bambinella 
divina  non  campeggia  altro  che  codesta  età  di  otto  anni  e  quattro 
mesi  ;  codesto  particolare  poco  aspettato,  meno  desiderato,  cosi  stra- 
namente preciso  ;  cotlesto  particolare,  certamente  ultimo  fra  lo  cose 
notando.  Ma,  un  ideale  di  otto  anni  e  quattro  mesi  ?  Il  poeta  che  a 
nove  anni  s' innamora  d'  un'  idealità  di  anni  otto  e  mesi  quattro  ! 
Un  ideale  di  otto  anni  e  quattro  mesi  non  si  può  certamente  tro- 
vare ;  ma  sarebbe  eccessiva  la  pretesa  di  chi  volesse  sostenere  che 
non  si  tratti  d'  allegori.1,  sol  perchè  il  poeta  a  nove  anni  non  s' inna- 
morò di  una  donzella  di  anni  venti,  l*  età  della  Gi'iisfizia  del  Bar- 
berino,  o  di  anni  venticinque,  1'  età  della  Gloria,  o  di  anni  trenta, 
r  età  della  Prudenza  { Docnm.  321,  309,  227  ).  Se  avesse,  poniamo 
pure  per  dannata  ipotesi,  se  avesse  voluto  fare  un'  allegoria,  non 

35 


278  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  ìiuova 


guinitade  con  questa  gloriosa  che  nullo  più  presso  1'  era  '. 
Costui  era  anche  amico  di  Dante,  '  secondo  li  gradi  de  l'  a- 


avrebbe  dovuto  il  poeta  attribuirò  all'  idealità  simboleggiata,  1'  età 
alla  sua  conveniente  ?  JYè  è  strano  che  un  fancinllo  si  rappre- 
senti un'  astrazione  come  qualcosa  di  fanciullesco.  Le  scienze  tntto 
por  i  ragazzi  non  sono  bambine  ?  quando  non  sono  pur  troppo  '  va- 
ne orride  larve  '.  Ciò  in  tesi  generale.  IS^el  caso  particolare  poi, 
ben  altre  ragioni  potevano  indurre  il  poeta  a  dare  otto  anni  e  quat- 
tro mesi  alla  gloriosa  donna  che  gli  apparve  quasi  alla  fine  del  suo 
nono  anno.  A  considerar  sottilmente,  egli  nella  Vita  nnora  dice  che 
la  donna  della  sua  mente,  quando  gli  apparve  la  prima  volta,  '  era 
in  questa  vita  già  stata  tanto,  che  nel  suo  tempo  lo  cielo  stellato 
ora  mosso  verso  la  parte  d'  oriente  de  le  dodici  parti  V  nna  d'  un 
grado  '  ;  e  nella  canzone  E'  m'  incresce  di  me,  descrivendo  appunto 
codesto  primo  apparimento,  dice  che  allora  Beatrice  era  venuta  ili 
mondo  (  vd.  qui  addietro,  p.  93  )  :  '  apparve  '  dunque  costei  al  poeta, 
quando  '  nel  mondo  venne  ',  cioè  quando  cominciò  a  dare  alcun  se- 
gno del  suo  essere,  quando  '  eli'  era  in  questa  vita  già  stata  '  otto 
anni  e  quattro  mesi.  Costei  che  al  mondo  venne,  avendo  un'  età  di 
sei  o  sette  mesi  inferiore  all'  età  del  poeta,  era  lo  '  spirito  nuovo  ' 
per  cui  1" animai'  diviene  'fante'?  Td.  Pnrg.  25,  37-75;  e  cfr. 
Conv.  4,  21,  32.  Si  potrebbe  forse  con  tale  ipotesi  spiegare,  perchè 
solo  gli  *  spiriti  '  inferiori  si  siano  commossi  al  suo  primo  apparire. 
O  il  poeta  fu  battezzato  di  sei  o  sette  mesi  nel  suo  bel  San  Grio- 
vanni  ?  Nel  Convivio  poi  si  legge  che  (  4,  24,  44  )  '  1'  adolescenza  non 
comincia  dal  principio  della  vita,  pigliandola  per  lo  modo  che  detto 
è  [  cioè,  '  accrescimento  di  vita  '  ] ,  ma  presso  a  otto  mesi  [  al.  '  anni  '  ] 
dopo  quello  '.  La  morte  di  Beatrice  coincide  col  tramonto  dell'  ado- 
lescenza del  poeta.  Avverto  chi  legge,  eh'  io  non  presumo  con  ciò 
di  svelare  la  Beatrice  della  Vita  naova.  Faccio  a  cagion  d'  esempio 
qualche  ipotesi,  per  mostrare  che  non  è  poi  impossibile  rimuovere, 
o  almeno  smuovere,  le  poche  serie  obbiezioni  in  cui  s' imbatte  l' in- 
terpretazione allegorica.  Per  svelare  la  Beatrice  della  Vita  nuova  bi- 
sogna bone  che  i  critici  si  mettano  prima  un  po'  d'  accordo  intorno 
al  significato  allegorico  della  Beatrice  della  Commedia,  allegoria  que- 
sta concepita  con  ben  altra  maturità  di  studi  e  con  ben  altra  mano 
disegnata.  Né  alcuno  si  dovrebbe  sgomentare  se  di  Beatrice  si  facesse, 
anche  nella  stessa    Vita  nuova,  un  simbolo  mutabile,  cangiante,  prò- 


Il  preteso  fratello  di  Beatrice  iTO 

mistade  .  .  .  immediatamente  dopo  lo  primo  '  ;  e  quando  il 
poeta  aveva  già  scritto  la  canzone  Li  occhi  dolenti,  andò 
a  trovarlo  :  '  E  poi  che  fue  meco  a  ragionare,  mi  pregò, 
egli  dice,  eh'  io  li  dovessi  dire  alcuna  cosa  per  una  donna 
che  s'  era  morta  ;  e  simulava  sue  parole,  acciò  che  paresse 
che  dicesse  d' un' altra,  la  quale  morta  era  certamente  ('): 
onde  io  accorgendomi  che  questi  dicea  solamente  per  que- 
sta benedetta,  sì  li  dissi  di  fare  ciò  che  mi  domandava  lo 
suo  prego  '.  Scrisse  infatti  il  sonetto  Venite  a  'ntender,  dove 
l^erò  chi  si  lamenta  non  è  un  fratello  ;  e  poi  due  stanze 
d'  una  canzone  ;  nella  prima  delle  quali,  1'  autore,  lamen- 
tandosi '  come  fratello  ',  chiama  *  donna  '  la  persona  com- 
pianta ;  nella  seconda,  lamentandosi  '  come  servitore  ',  la 
chiama  '  donna  mia  ',  come  già  nel  sonetto.  E  già  code- 


teiforme.  secondo  i  procetiimenti  doli'  esegesi  bii>lu-a.  Danto  stesso 
por  lu  Sposii  del  Cantico  ora  intondo  la  Chiesa,  or  la  Teologia  (  cfr, 
Sehorillo,  Ale.  cap.  294  gs  );  o  nel!'  Esposizione  di  Gregorio  Magno,  la 
Sposa  è  bensì  laCliiesa,  ma  ò  anche  Y  Anima  iniìammatii  delFamor  di 
Gesù  ;  il  quale  è  bensì  lo  Sposo,  ma  le  sue  mammelle  sono  i  Santi 
nomini,  sono  gli  Apostoh',  sono  i  Predicatori  della  chiesi».  Della  sua 
donna  allegorica  il  Bjirberino  avvertiva  (  Rcgg.  14  s  )  :  *  E  ponetevi 
a  cura,  che  in  diverso  parti  del  libro  voi  udirete  parlare  la  dotta 
Donna,  sicché  se  voi  siirete  accorte  persone  e  usate  di  udir  parlare 
cosi  gentilmente,  porrave  essere  che  cavoroto  grazia  da  Iddio  di 
conoscere  chi  è  quostji  Donna,  che  ci  appar  cosi  chiusii.  Simigliane 
temente  voi  vedrete  eh'  elhi  m'  apparirà  in  diverse  e  nuove  forme 
e  figure,  e  quando  mi  mostrerà  una  virtù,  e  quando  un'  altra  in 
A-ostro  servigio,  e  perchè  voi  la  vediate.  Sicché  anco  nella  sua  ap- 
parita, chi  s'  assottiglierà,  la  porrà  conoscere,  che  non  sjirà  picciola 
grazia  a  chi  Iddio  la  desse  ".  Chi  parla  oggi  di  allegoria  e  di  non 
allegoria,  probabilmente  non  guarda  né  alle  vere,  né  alle  credute 
vero  allegorie  di  quel  tempo. 

{•)  •  Certamente  ',  leggono  il  Casini  o  il  Beck  ;  altri,  '  cortamen- 
te ".  Ma  'cortamente'  vale  breviter,  non  già  'recentemente',  o.  co- 
me si  diceva  allora,  '  novellamente  '.  Pel  testo  critico  del  Beck,  è  da 
vedere  la  recensione  del  Barbi  iu  Bull.  ns.  4.  33  ss. 


2S0  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

sto  sottile  discrimine,  che  nessuno  vedrebbe  senza  1'  espli- 
cita dichiarazione  del  poeta,  fa  nascer  dei  dubbi  sulla  ve- 
ridicità del  racconto.  Ma  oltre  a  ciò,  non  si  può  davvero 
spiegare  la  richiesta  simulata  del  fratello  di  Beatrice,  amico 
del  poeta,  né  coli'  ipotesi  eh'  egli  qualcosa  sapesse,  né  col- 
r  ipotesi  eh'  egli  niente  sapesse  degli  amori  dell'  amico 
suo  (*). 

E  dagli  enigmi  e  dalle  inverosimiglianze  torniamo  al 
sogno  ed  alla  visione  coli'  episodio  dell'annovale.  '  In  quello 
giorno,  dice  il  poeta,  nel  quale  si  compiea  1'  anno,  che  que- 
sta donna  era  fatta  de  li  cittadini  di  vita  eterna,  io  mi 
sedea  in  parte,  ne  la  quale  ricordandomi  di  lei  disegnava 
un  angelo  sopra  certe  tavolette:  e  mentre  io  lo  disegnava, 
volsi  li  occhi,  e  vidi  lungo  me  uomini  a  li  quali  si  con- 
venia di  fare  onore.  E'  riguardavano  quello  che  io  facea  ; 
e  secondo  che  mi  fu  detto  poi,  elli  erano  stati  già  alquanto 
anzi  che  io  me  ne  accorgesse.  Quando  li  vidi^  mi  levai,  e 
salutando  loro  dissi  :  «  Altri  era  testé  meco,  però  pensava  » . 
Onde  partiti  costoro,  ritornai  a  la  mia  opera  del  disegnare 
de  li  angeli  :  e  facendo  ciò,  mi  venne  un  pensiero  di  dire 
parole,  quasi  per  annoale,  e  di  scrivere  a  costoro,  li  quali 


(1)  Vd.  le  belle  osservazioni  del  Eeniei';,  Gioni.  stor.  2,  374  s. 
Secondo  il  Perez  (  Beatrice,  398  s  )  il  '  distretto  di  sangiiinitade  con 
questa  gloriosa  ',  il  preteso  fratello  di  Beatrice,  sarebbe  Gino  da  Pi- 
stoja.  Si  può  infatti  osservare  che  Dante  nella  Volgare  Eloqiiema 
chiama  amico  suo  soltanto  il  Pistojese.  È  stato  ricordato  più  volte 
che  di  madonna  Filosofia  dice  il  poeta  (  Conv.  3,  1,  12 ) :  'E  non  so- 
lamente di  lei  era  cosi  desideroso,  ma  di  tutte  quelle  persone  che 
alcuna  prossimitade  avessero  a  lei,  o  por  familiarità  o  per  pare  n- 
tela  alcuna  '.  Del  resto  ò  noto  che  la  pigrizia  parca  '  sirocchia  '  di 
Belacqua,  e  che  la  Commedia  era  chiamata  '  sorella  '  da  Jacopo  Ali- 
ghieri. Virgilio  ha,  'consanguineus  Leti  Sopor  '  (  Aen.  6,  278  )  ; 
e  nei  Proverbi  si  legge  (7,  4  )  :  '  Die  sapientiae:  «  s  o  r  o  r  mea  es  »  : 
et  prudentiam  voca  araicam  tuam,  Ut  custodiat  te  a  muliore  estra- 
nea, et  ab  aliena,  quao  verba  sua  dulcia  facit  ', 


Gli  episodi  delV  annocah  e  dei  lìellegrini  lNi 

erano  venuti  a  me  '.  Scrisse  infatti  un  sonetto  ;  il  quale  ha 
'due  cominciamenti';  nel  primo  è  ricordato  *  l' al- 
tissimo signore  ',  e  il  '  ciel  de  l'umiltate  ov'  è  Maria  '  ;  nel 
secondo,  Amore  che  piange  :  nell'  uno  e  nell'  altro,  madon- 
na è  chiamata  '  donna  gentile  '.  Al  sonetto  col  secondo  co- 
minciamento,  segue  1'  episodio  della  donna  gentile  e  pie- 
tosa, della  Filosofia,  secondo  le  dichiarazioni  del  Concicio. 
Al  Pasqualigo  (  vd.  U  Aligh.  1,  2G2  )  venne  fatto  di  ac- 
cennare ad  una  molto  probabile  congettura  per  codesti  uo- 
mini gravi,  che,  penetrati  cosi  di  soppiatto  nel  luogo  dove 
il  poeta  disegnava,  se  ne  stavano  li  zitti  zitti,  quasi  per 
lungo  silenzio  fossero  fiochi,  come  1'  ombra  di  Virgilio  nel 
gran  deserto:  il  poeta  alluderebbe  a  Boezio  e  a  Tullio  ('). 
Certo,  non  si  può  dire  che  il  racconto  e  la  stessa  rima  non 
tradiscano  un  intendimento  riposto. 

Ultimo  episodio  quello  dei  pellegrini,  i  quali  venivano 
da  lontani  paesi,  andavano  a  Roma,  ed  erano  affatto  sco- 
nosciuti al  poeta.  Il  quale,  pensando  che  costoro  forse  non 
sapevano  neppure  che  '  la  città  dolente  '  avea  '  perduta  la 
sua  Beatrice',  fece  il  sonetto  Deh  peregrini  che  pensoid  an- 
date. Poi  quei  pellegrini  '  mandaro  due  donne  gentili  a  me, 
dice  il  poeta,  pregando  che  io  mandassi  loro  di  queste  mie 
parole  rimate  '  ;  ed  egli  *  pensando  la  loro  nobilita  ',  li  gra- 
tificò di  triplice  rima  ;  fece  il  sonetto  Oltre  la  spera,  e  lo 
mandò  insieme  ad  altri  due  sonetti,  al  sonettto  Deh  pe- 
regrini e  al  sonetto  Venite  a  ^ntender,  già  fatto  pel  fratello 
di  Beatrice.  Certo,  oltre  l' inverosimile  circostanza  delle  due 
donne  gentili,  accenna  a  un  intendimento  riposto  anche 
la  bella  antitesi  che  prima  si  mostra  in  iscorcio  e  che  in 


(•)  Dante  Gabriele  Rossetti,  nel  suo  quadro,  Dante  sorpreso  a 
disegnare  un  angelo,  dava  codesta  interpretazione  all'  episodio  della 
Vita  nuova  ?  Td.  La  Vita  Nuova  di  Dante  con  le  illustrazioni  di  D. 
G.  Eossctii,  Roma  -  Torino  1902. 


282  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 


fine  dell'  episodio  campeggia.  Coloro,  '  peregrini  ',  anda- 
vano a  Roma;  ma  il  poeta,  'peregrino  spirito',    passava 

Oltre  la  spora  che  più  larga  gira  (1). 

Egli  ebbe  allora  una  '  mirabile  visione  '  ;  alla  quale  accen- 
nando, finisce  di  assemprare  la  sentenza  delle  parole  della 
rubrica  della  '  vita  nova  '.  Bene  quei  peregrini  andavano 
a  Eoma;  ma  egli  forse  (e  perchè  forse?)  pensava  a  più 
santo  peregrinare. 


8. 

L' immortale  don  Ferrante  farebbe  questo  semplice  ra- 
gionamento. —  Quattro  sono  i  generi  di  narrazione  :  histo- 
rìa,  fabula,  argumentum,  negotialis  vel  iudicialis  asserito  (-). 
Che  la  Vita  nuova  sia  assertio,  è  uno  sproposito  che  nes- 
suno vorrebbe  sostenere  ;  sicché  è  inutile  parlarne.  Che  non 
sia  aì'gumenttmi,  si  dimostra  in  quattro  parole  :  quel  che 
ivi  è  narrato,  non  è  mai  potuto  accadere.  Che  se,  per  e- 
vitar  questa  Scilla,  i  signori  critici  si  riducono  a  dire  che 
sia  fabula,  danno  in  Cariddi  ;  perchè  favole  son  quelle  di 
Fedro  e  di  Ovidio.  E-iman  da  vedere  se  possa  essere  histo- 


(1)  Non  è  forse  senza  significato  il  fatto,  elio  il  poeta  chiama 
'  peregrini  ',  anche  nella  prosa,  coloro  elio  andavano  a  Roma  ;  e  non- 
dimeno avverte,  cho  propriiuuente  si  chiamano  'romei'  (cfr.  Giorn. 
star.  2,  388). 

(^)  Marziano  Capella,  Liber  de  arte  rhetoHca  (  Halm,  Ehetores, 
486  )  :  '  IN^arrationum  genera  sunt  quattiior  :  historia,  fabula,  argu- 
mentum, negotialis  vel  iudicialis  assertio.  Historia  est,  ut  Livii  :  fa- 
bula ncque  vera  est  ncque  verisimilis,  ut  «  Daphnen  in  arborem 
versam  »  :  argumentum  est,  quod  non  facta,  sed  quae  fieri  potue- 
runt  continet,  ut  in  comoediis  «  patrom  timori  »  et  «  amari  raore- 
tricem  »  :  iudicialis  autom  narratio  est  rerum  gostarum  aut  verisi- 
milium  expositio  '. 


Le  concatenazioni  di  don  Ferrante  à83 


ria.  Peggio  che  peggio.  Ci  dicono  questi  signori  critici 
eh'  essa  sia  una  storia  poetica  ;  che  questo  è  il  loro  achille, 
questo  il  pretesto  per  far  tante  storielle  senza  costrutto. 
Ora,  se  fosse  una  storia  poetica,  dovrebbe  partecipare  della 
storia  e  della  poesia  del  reale  ;  e  se  io  provo  che  la  Vita 
nuova  non  partecipa  ne  dell'  una  ne  dell'  altra,  avrò  pro- 
vato che  non  è  storia  poetica.  E  son  qui.  L' incongru- 
ente e  r  assurdo  non  è  idealizzazione  poetica  di  fatti  reali, 
dunque  non  è  poesia  del  reale.  Ma  il  racconto  della  Vita 
nuova  è  pieno  d'  incongruenze  e  di  assurdità,  dunque  il 
racconto  della  Vita  nuova  non  è  poesia  del  reale.  Ma  se 
non  è  poesia  del  reale,  molto  meno  sarà  storia  ;  perchè, 
supponendola  storia,  verrebbe  a  essere  una  storia  invero- 
simile, due  parole  che  fanno  a  calci,  non  essendoci  in  tutta 
la  filosofia  cosa  più  chiara  e  più  liquida  di  questa,  che  il 
vero  deve  essere,  prima  di  ogni  altra  cosa,  verosimile.  Po- 
sti questi  principi  ...  — 

Posti  questi  principi,  la  Vita  nuova  non  sarebbe  niente. 
Ma  non  è  poi  detto  che  le  concatenazioni  di  don  Ferrante 
non  abbiano  qualche  volta  un  certo  valore.  Se  non  si  può 
dire  che  la  Vita  nuova,  intesa  alla  lettera,  è  niente,  non 
si  può  dire  neppure  eh'  essa  sia  cosa  della  quale  un  attento 
lettore  possa  contentarsi.  E  un  racconto  sui  generis  :  pen- 
satamente oscuro  ed  enigmatico,  a  disegno  inverosimile  ed 
incongruente,  a  bello  studio  incoerente  ed  assurdo,  non 
pare  che  possa  essere  altro  che  una  concezione  allegorica. 
Sicché  la  conclusione  sarebbe  pur  questa,  che  bisogna  a- 
prire  ufficialmente  a  due  battenti  la  porta  alle  fantasti- 
cherie ;  e  dico  ufficialmente,  perchè  nel  fatto  le  fantasti- 
cherie nella  esegesi  della  Vita  nuova,  per  amore  o  per  for- 
za, son  sempre  riuscite  ad  esercitare  il  contrabbando. 

E  in  fin  dei  conti,  nessuno  dovrebbe  opporsi.  Il  D' An- 
cona (  Disc.  41  )  concede  che  '  non  vi  ha  quasi  un  mo- 
mento nella   Vita  Nuova  in  cui  Beatrice  sia  soltanto  una 


^  Xe  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

vaga  giovanetta,  una  creatura  mortale  al  pari  di  tante  al- 
tre: al  modo  stesso  come,  e  converso,  non  vi  ha  un  mo- 
i](iento  nella  Divina  Commedia  nel  quale  colei  che  siede 
accanto  a  Maria  nell'  empireo  cielo,  non  sia  anche  la  leg- 
giadra pargoletta,  per  cui  Dante  sospirò  e  scrisse  nell'  età 
giovanile  '.  Il  Rajna  (  in  Vita  ital.  nel  300,  p.  154  )  ammo- 
nisce: '  Guai  di  sicuro  a  chi  nella  Vita  Nuova  prenda  ogni 
cosa  alla  lettera  ;  ma  la  Vita  Nuova  non  è  neppure  un  tes- 
suto di  finzioni  immaginate  colla  mira  di  comporre  un  ro- 
manzo ;  anche  là,  dove  non  è  storia  di  fatti  reali,  essa 
viene  ad  essere  pur  sempre  —  talora  con  una  certa  pertur- 
bazione cronologica  —  storia  di  sentimenti,  di  pensieri,  di 
fantasie'.  Lo  Scartazzini  {  Proleg.  320;  cfr.  198)  risolu- 
tamente afferma  :  '  Questa  storia  (  chiamiamola  così  )  degli 
amori  di  Dante  e  Beatrice,  procede  per  via  di  visioni  e  di 
sogni  che  sono,  non  esitiamo  un  momento  a  dirlo,  non  già 
storia,  ma  invenzione  poetica.  Onde  quelle  interminabili 
questioni,  se  la  Vita  Nuova  sia  «  un'  ingenua  storia  de' 
giovenili  amori  di  Dante  con  Beatrice  »  (  Fraticelli  ),  op- 
pure «  un  libro  da  cui  non  può  ritrarsi  nulla  per  la  sto- 
ria della  vita  di  Dante  »  (  Bartoli  ).  Non  è  ne  1'  uno  né 
1'  altro.  È  un  lavoro  d'  arte.  Realtà  e  invenzione,  storia  e 
poesia  fuse  insieme  in  modo,  che  anche  coli'  acqua  forte 
della  più  arguta  critica  non  è  a  noi  possibile  di  separarne 
i  due  elementi  e  dire,  tal  passo  essere  storico,  tal  altro  poe- 
tico. Sopra  un  fondo  di  realtà,  di  esperienze  della  propria 
vita,  Dante  eresse  un  edifizio  ideale,  poetico,  in  buona 
parte  allegorico  ',  E  lo  Zingarelli  (  Dante,  99  )  :  'La  storia 
dell'  amore  di  Dante  per  Beatrice,  in  ciò  che  vi  ebbe  di 
reale,  deve  procedere  tra  molte  difficoltà  ;  la  narrazione 
prosastica  della  Vita  Nuova  è  scritta  dopo  la  morte  della 
sua  donna  e  quando  le  aveva  dato  carattere 
simbolico,  le  rime  accoltevi  furono  scelte  nella  mede- 
sima disposizione  d'  animo,  le  escluse  (  e  certo  non  le  ab- 


Le  conctusioni  della  critica  285 

biamo  o  non  le  sappiamo  tutte  )  non  serbano  un  chiaro 
indizio  della  loro  destinazione,  molte  situazioni  erano  già 
convenzionali  nella  lirica  amorosa.  Ma  tutti  questi  elementi 
velano  la  realtà,  non  la  fìngono,  e  a  chi  li  esamini  nelle 
reciproche  relazioni  e  coi  necessari  sussidi,  danno  modo  di 
scoprirla,  e  di  intessere  con  quella  storia  gli  altri  fatti  reali 
della  vita  di  Dante  '. 

Della  giovinezza  di  Dante  non  sappiamo  niente  che 
possa  considerarsi  come  notizia  storica.  C  è  1'  affermazione 
del  Boccaccio  e  del  codice  Ashburnhamiano  sugli  amori 
di  Bice  Porti  nari,  e  e'  è  1'  affermazione  di  Francesco  da 
Buti  sulla  vestizione  dell'  abito  francescano  ;  notizia  l'  una 
e  r  altra  che  merita  conferma,  come  dicono  i  giornalisti  ('). 


(*)  Voraraonto  il  JJuti.  n.-I  Proemio  posto  innnn/i  all'  «'sposizio- 
ne  (lolla  prima  cantica,  toccando  alcuna  coHa  della  vita  dol  pootji. 
non  fa  conno  dol  fatto  cho  Danto  vestì  Y  abito  francescano.  Jfo  parla 
a  proposito  della  famo»i  corda  (1.  488):  'questa  corda  ch'olii  a- 
voa  cinta  sitrnifica  eh'  olii  fu  frate  minore  :  ma  non  vi  fece  profes- 
sione nel  tempo  della  sua  fanciullezza.  E  con  essa...  pensai...  al- 
cuna volta,  cioè  quando  mi  feci  frate . . .  Questa  lonza,  come  fu  posto 
nel  primo  canto,  si^^nifìcn  la  lussurisi,  la  qu.iIo  1'  autore  si  pensò  di 
lejxare  col  voto  della  religione  di  «in  Frtincesco  . . .  Poscia  che  F  ebbi 
da  me. . .  tutta  sciotta  .. .  Sì  come  il  Duca  ...  m'  area  comandato,  que- 
sto si  dee  intendere  quand'  olii  fu  in  questa  considerazione  de'  vizi, 
ove  la  ragione  li  fece  vedere  cho  quello  pigliamento  di  religione 
era  stjito  spezie  di  fraudo,  cioè  atto  d*  ipocresia,  poi  che  non  v'  era 
perseverato  ;  e  però  li  comandò  che  si  sciogliesse  la  corda,  cioè  quel- 
lo atto  e  sogno  d' ipocresia  '.  E  ne  tocca  anche  altrove  :  2,  735  '  Pri- 
ma di'  io  fuor  di  puerizia  fosse,  cioè  inanti  eh'  io  Dant«  avesse  pas- 
sato la  puerizia,  che  si  finisce  al  xim  anno;  e  per  questo  appare 
che  '1  nostro  autore  infino  quando  era  garsone  s' innamorasse  de  la 
s.  Scrittura  ;  e  questo  credo  che  fusse  quando  si  fece  frate  dell'  or- 
dine di  8.  Francesco,  del  quale  uscitte  inanti  che  facesse  professio- 
ne '  :  2.  740  '  Anco  si  de  intendere  che  Beatrice  sia  pure  la  santa 
Scrittura,  come  ditto  è,  de  la  quale  s' innamorò  1*  autore  quando  era 
garsone.  quando  si  fece  frate  '  :  2,  741  '  tornò  adrieto  lassando  la 

36 


286  Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova 

Quale  realtà  velano  le  figurazioni  della  Vita  miova? 
Apriamo  a  due  battenti  la  porta  alle  fantasticherie,  che 
altro  non  si  può  fare.  Salvochè  non  si  voglia  preparare 
alla  Vita  nuova  un  funerale  di  prima  classe. 


religione  e  tornando  al  mondo  '  ;  2,  759  '  E  però  bene  apparo  in  que- 
ste parole  che  Beatrice  lo  riprendo  de  lo  sviamento  e  de  1'  errore 
suo,  quando  abbandonò  la  religione  e  toi-nò  al  mondo  . . .  Le  pre- 
senti cose  . . .  cioè  mi  feceno  tornare  adrieto  et  uscire  de  la  religio- 
ne '.  Che  sia  codesta  un'  invenzione  del  Biiti,  è  poco  probabile.  Egli 
una  volta,  per  esempio,  scrivo  (  2,  266  )  :  'Se  queste  istorie  narrate 
non  si  diceno  per  me  a  pieno,  abbimi  scusato  lo  lettore,  eh'  io  nol- 
1'  ò  trovate  altramente,  et  io  non  volilo  fìngere  da  me  '.  Yd.  Pelli, 
Memorie,  79  s  ;  Hass.  crit.  3,  173  ;  Bnll.  ns.  8,  317  ;  9,  30  e  176  ;  10, 
85  ;  D'  Ovidio,  Stndii,  585  ;  Rass.  bibl.  10,  116. 


LA  BEATRICE  STORICA. 


La  storia  o  storiella  eh'  essa  sia  dell*  amore  per  la  fi- 
gliuola di  Folco,  ha  tanto  che  vedere  con  1'  interpretazione 
della  Beatrice  della  Vita  nuoca,  quanto  la  relazione  di  qual- 
che fededegna  persona  intorno  a  un  vero  smarrimento  in 
una  vera  selva  avrebbe  che  vedere  con  l' interpretazione 
del  primo  canto  dell'  Inferno.  Giacche,  questo  appunto  bi- 
sognerebbe prima  d'  ogni  altra  cosa  dimostrare,  che  il  poeta 
nella  Vita  nuova  parli  di  un  amore  reale,  o,  diciamo  piut- 
tosto, sensuale  ;  ovvero  che  abbia  avuto  almeno  intenzione 
di  ricordare  in  qualche  modo  il  suo  sensuale  amore.  Indi- 
zio sicuro  non  è  certamente  il  nome  della  donna  amata. 
Indizio  sicuro  potrebbe  esser  V  età  e  la  data  della  morte 
di  Beatrice  ;  ma,  eh'  io  sappia,  nessuno  sinora  ha  provato 
che  la  figliuola  di  Folco  e  moglie  di  Simone  de'  Bardi  na- 
scesse sul  cader  del  1265  e  morisse  nel  1290.  Se  codesti 
particolari  cronologici  potranno  un  giorno  essere  acquisiti 
alla  storia,  sapremo  allora  la  genesi  dell'  allegoria  della 
Vita  nuova]  diremo  allora  che  il  poeta,  movendo  da  alcuni 
casi  della  sua  vita  amorosa,  imbasti  1'  allegoria  della  Bea- 


288  La  Beatrice  storica 


trice  ;  la  quale  tuttavia,  nell'  opera  sua,  non  sarebbe  mai 
quella  madonna  Beatrice  di  cui  egli  già  sentì  corale  amore, 
ma  sarebbe  sempre,  come  è,  ben  altra  cosa  (  '  ).  Certamen- 
te, per  risolvere  una  dubbiosa  questione  non  è  bene  con- 
fonderla con  un'  altra  questione  ancor  più  dubbiosa.  Altra 
è  per  ora  la  questione  di  Beatrice,  altra  la  questione  della 
Bice  Portinari  (^).  Intendo  bene  che  se  le  due  questioni 
fossero  risolute,  potrebbero  lumeggiarsi  a  vicenda  ;  ma  nel 
loro  stato  presente,  1'  una  non  può  offrir  valido  ajuto  al- 
l' altra.  Né  la  Beatrice  di  Dante  pare  ben  disposta  a  sor- 
reggere l' ipotesi  dell'  amore  per  la  Bice  di  Simone,  che 
anzi  pare  che  le  voglia  dar  lo  sgambetto  ;  ne  le  notizie  che 
della  figliuola  di  Folco  si  hanno,  son  tali  e  tante  che  pos- 
sano recar  qualche  lume  air  esegesi  della  Beatrice  di  Dante, 
che  anzi  par  che  addensino  tenebre  sopra  tenebre  (  ^  ).  Sap- 


(1)  Il  Del  Lungo  (Beatrice,  55  s)  fa  un  gran  caso  della  sco- 
perta fatta  nel  1759  del  testamento  di  Folco  Portinari.  Nel  quale  si 
leggeva  :  '  Item  domino  Bici  otiara  fi  Ho  sue,  et  uxori  domini  Simo- 
nis de  Bardis,  legavit  de  bonis  suis  libras  l  ad  florenos  '.  Ma  il  Bi- 
scioni, benché  non  sapesse  nulla,  come  paro,  di  quel  testamento,  non 
metteva  in  dubbio  1'  esistenza  di  codesta  Bice.  Certo,  quel  che  nes- 
sun ser  Tedaldo  Rustichelli,  per  autorità  imperiale  giudice  e  notare, 
potrà  mai  venirci  a  rogare  e  certificare,  è  questo  appunto,  che  la 
'  gentilissima  salute  '  sia  una  figliuola  di  Folco  Portinari.  sia  la  mo- 
glie di  Simone  de'  Bardi. 

(2)  Primo  a  confonder  le  duo  questioni  fu  il  Dionisi.  Egli  era 
certo  degli  amori  di  Danto  per  la  Bice  Portinari,  perchè  credeva 
{Prepar.  2,  51  n2)  che  il  Boccaccio  nella  Vifa  di  Dante  affermasse 
che  egli,  il  novelliere,  *  vide  e  conobbe  viA'onto  '  madonna  Bice  !  Ma 
del  resto,  il  marchese  non  era  alieno  dal  riconoscere  che  codesta 
Bice  nella  Vita  nuova  rappresentasse  la  •  Morale  Filosofìa  ',  e  la  '  Ve- 
rità ',  e  non  so  che  altro  (  2,  40  e  68  n  ). 

(3)  La  Beatrice  di  Dante  non  pare  che  fosse  donna  maritata, 
nò  vicina  di  casa  del  poeta  ;  non  pare  neppure  che  il  '  genitore  di 
tanta  maraviglia  '  morisse  pochi  mesi  prima  di  lei.  Oltre  a  ciò,  poi- 
ché la  Portinari  avca  fratelli  e  sorelle,  il  poeta  parlando  di  lei  non 


i 


Fm  tradizione  della  Bice  Portìnan  389 

piamo  solo  che  la  Bice  Portinari  viveva,  moglie  di  Si- 
mone de'  Bardi,  il  15  gennajo  1288  (  1287,  stile  fiorenti- 
no ),  e  che  allora  viveva  anche  il  padre  di  lei,  il  quale  poi 
morì  il  31  decembre  1289,  Si  può  benissimo  dire  che,  se 
codesta  Bice  viveva  sposa  nel  1288,  nulla  osta  che  fosse 
nata  nel  12(>5,  e  che  morisse  nel  1290  ;  come  si  può  be- 
nissimo dire  che  nulla  osta  che  fosse  nata  prima  o  dopo 
il  12G5,  e  che  morisse  prima  o  dopo  il  1290. 

Tuttavia,  quella  benedetta  tradizione  della  Bice  Por- 
tinari fa  sempre  un  certo  effetto  nelle  dicerie  dei  critici, 
e  preoccupa  a  tal  segno  1'  animo  di  chi  legge  le  opere  di 
Dante,  che  alcuno  non  se  ne  sa  in  nessun  modo  liberare; 
costretto  quasi  inconsapevolmente  a  un  processo  di  fanta- 
stica integrazione,  in  cui  la  scarna  ed  aliena  notizia  del 
testamento  di  Folco  assume  l' importanza  di  un  vero  docu- 
mento, del  solo  vero  documento  che  ci  dica  qualcosa  della 
prima  giovinezza  del  divino  figliuol  di  monna  Bella.  Non 
sarà  pertanto  estranea  al  presente  proposito  quest'  altra 
piccola  indagine,  veder  quanto  siano  legittime  le  origini  di 
quella  benedetta  tradizione,  che  in  forma  parassitaria  ger- 
mogliò e  si  abbarbicò  prima  che  sul  tenue  stelo  del  bian- 
co fiorellino  della  '  gentilissima  ',  sul  robusto  tronco  della 
'  donna  di  virtù  ',  della  *  loda  di  Dio  vera  '. 

Pare  infatti  che  la  pubblicazione  della  Commedia  ab- 
bia fatto  quello  appunto  che  la  pubblicazione  della  Vita 
nuova  non  avea  potuto  fare.  La  storiella  della  Portinari 
non  pare  che  si  sia  formata  con  la  divulgazione  del  libello. 
I  primi  lettori  del  divino  poema  o  non  sapeano  di  quale 
Beatrice  storica  il  poeta  parlasse,  o  non  vedevano  altra 
Beatrice  che   l' allegorica.    L' illustre   professor   Francesco 


avrebbe  detto,  come  dice,  che  il  secondo  amico  suo  *  fu  tanto  di- 
stretto di  sjinguinitade  con  questa  gloriosa  che  nullo  più  p  r  e  s 
so  r e r a '. 


290  La  Beatrice  storica 


Stabili  non  si  sarebbe  tenuto  dal  rimproverare  al  poeta  la 
straordinaria  glorificazione  della  moglie  di  messer  Simone, 
la  stravagante  teologica  apoteosi  d'  un  amore  adultero;  l' il- 
lustre professore,  a  cui  tanta  senapa  al  naso  faceva  venire  il 
sonetto  Io  sono  stato  con  amore  insieme  (').  E  chi  sa  quanti 


(i)  Vd.  Acerba,  3,  1  ;  4,  5.  Il  Carducci  (  Op.  8,  168  )  vede  nel- 
r  Acerba  (  1,  2  )  anche  '  una  cinica  burla  su  1'  amoro  per  Beatrice, 
per  buona  ventui'a,  egli  dice,  non  facilmente  intelligibile  '.  Ecco  le 
parole  dell'  Ascolano,  come  si  leggono  in  un  manoscritto  della  Bi- 
blioteca JN^azionalo  di  IS^apoli,  segnato  XIII.  C.  12.  [  Pagine  non  nu- 
merate ;  '  Incomenza  il  primo  libro  del  claris  |  simo  philosopho  Ci- 
che Asculano  dicto  lacei'ba  '  ;  finisce,  '  Lans  dee  et  deiparae  uirgini 
in  coolum  as  |  sumptao  in  cuius  uigilia  finitur  liic  liber  |  Anno  Chri- 
sti  1381.'] 

[  st.  11  ]  Oltre  quo!  cielo  non  o  qualltade 

NI  tanche  form.a  che  moue  lutellecto 

Ma  nostra  fede  uol  che  pleiade 

Dimori  sopra  nel  beato  regno 

Al  qual  la  spene  mena  a  quel  effecto 

De  quella  luce  del  factor  benegno. 
[  st.  12  ]  Del  qual  già  ne  traete  quel  fiorentino 

Che  11  lui  si  conduce  beatrice 

Dal  corpo  umano  mai  non  fo  diulno 

Ne  può  si  come  el  perso  esser  bianche 

Perche  si  rlnoua  come  fenice 

In  quel  desio  che  gli  ponge  el  fianco. 
[st.  13]  No  gli  altri  regni  dono  andò  col  duca 

Fondando-  gli  sol  pie  nel  basso  centro 

La  lo  condusse  la  soa  fede  pocha 

El  suo  camln  non  fece  mal  ritorno 

Chel  suo  desio  lui  sempre  tlen  dentro 

De  lui  mi  do!  per  suo  parlar  adorno. 

Il  Carducci  logge  la  stanza  12  così  : 

Del  (lual  già  no  trattò  quel  fiorentino 

Che  li  lui  ci  condusse  Beatrice. 

Tal  corpo  umano  mal  non  fu  divino 

Né  può,  sì  come  'l  perso,  essere  bianco  ; 

Perchè    si  rinnovò  come  fenice 

In  quel  desio  che  gli  pungeva  II  fianco. 

A  me  non  paro  davvero  che  vi  sia  alcuna  cinica  biula,  che  sarob- 


Cecco  cC  Ascoli  291 


Fiorentini,  in  ijuei  primi  anni  della  pubblicazione  della 
Commedia,  avrebbero  con  facili  malignazioni  sfogato  il  loro 
cruccio!  Probabilmente  neppure  Gino  da  Pistoja  si  sarebbe 
guardato  dal  fare  qualche  confronto  maliziosetto  ;  egli  che 
'  fra  gli  altri  difetti  del  libello  ',  cioè  della  Commedia,  tro- 


be  del  resto  cosa  molto  in^iolitii  alhi  >f  luui  dell'  AHColano.  Direbbe 
Cecco  Ruppor^iù  :  —  Del  boato  regno  trattò  già  Danto,  il  qiuilo  finse 
che  Beatrice  se  lo  conducesse  colà.  A  torto  si  crede  che,  per  code- 
sta aaà  fantastica  ascensione,  sia  (  o  sia  stato  )  uomo  divino.  Egli 
non  fa  (  o  fece  )  che  rinnovarsi  continuamente  in  quel  desio  che  gli 
pungo  (o  pungeva!  il  fianco,  e  che  lo  tiene  (o  tenne)  sempre  nel» 
r  inferno,  ove,  d' altra  parte,  lo  condusse  la  sua  poca  fede  —  .  A  me 
pare  che  Cecco  non  faccia  che  ribattere  qui  il  solito  chiodo  del  son. 

10  sono  stato.  Area  detto  Dante.  '  rescrivendo  a  meeser  Cine  ',  che 
Amore 

Ben  pnò  con  nnorl  npron  pnnger  lo  fianco. 
E  qnal  rhe  sia  '1  piacer  eh'  ora  n' a<I(le<<tra. 
Seguitar  si  conrien  se  l'altro  è  stanco. 

Con  la  quale  sentenza  il  poeto,  a  sentir  Cecco,  non  avea  mostrato 
di  aver  veduto  Amore  nella  '  pura  forma  '  nella  quale  lo  vedeva 
lui.  Del  resto,  codesto  sonetto  dantesco  non  il  solo  Cecco  fece  er- 
rante. Ma  non  pare  che  sia  lecito  trar  deduzioni  eccessive  per  la 
nostra  questione  :  vd.  VN.  13  ;  Conv.  2,  9,  20  ;  Ep.  ExnlaHti  Pisto- 
n'cnsi  :  oltre  a  ciò,  si  mottn  in  conto  che  Dante,  in  un  altro  sonetto 
(  Io  mi  credca  del  tutto  ),  rimprovera  a  Cine  appunto  la  poca  fermez- 
za neir  amore,  la  facilità  a  mutar  desio,  a  rinnovarsi,  come  diceva 
r  Ascolano,  continujimonte  in  quel  desio  che  gli  pungeva  il  fianco. 

11  Pistojese,  secondo  il  poeta,  si  lasciava  pigliare  ad  ogni  uncino. 
Vero  è  bene  che  Dante  dice  che  alla  sua  *■  nave,  già  lungo  dal  llto  ', 
*  si  conviene  ornai  altro  cammino  '  :  ma  con  ciò  non  axrh  voluto  diro 
altro  so  non  che  oramai  la  sua  Musa  era  ben  lontana  dal  punto 
donde  primamente  si  mosse,  daUe  questioni  di  casistica  amorosa. 
Avea  creduto  che  messer  Gino  non  lo  avrebbe  infastidito  più  con 
quelle  inezie  :  e  se  allora  prestava  un  poeolino  a  quella  penna  il 
dito  da  ben  altre  penne  stiincato,  gli  era  per  ammonire  ed  esortare 
1'  amico  e  correggerne  il  costume  ;  e  certo,  egli  non  doveva  rimpro* 
vonu*si  il  vizio  che  altrui  rimproverava. 


^^  La  Beatrice  storica 

vava  che  Dante  avea  fatto  male  a  non  ricordare  Selvag- 
gia e  Onesto  Bolognese  ;  egli  che  appunto  in  quel  torno 
di  tempo  tante  lodi  tributava  al  primo  detrattore  della 
Commedia,  a  Cecco  d'  Ascoli  (  '  ).  E   se    Cecco   Angiolieri, 


(1)  Vd.  per  es.  il  son.  Cecco,  io  ti  prego  per  virth  di  quella.  Lo 
Zingarelli  (  Dante,  348  )  non  erodo  elio  siano  di  Gino  i  tre  sonetti  : 
Messcr  Boson  lo  vostro  Manoello,  In  verità  questo  libel  di  Dante,  In 
fra  gli  altri  difetti  del  libello.  Il  Carducci  (  Op.  8,  173  ss  ),  pur  ri- 
fiutando i  due  primi,  non  si  mostra  alieno  dal  riconoscere  come  o- 
pera  dL  Gino  il  terzo  sonetto.  Il  Bartoli  (  8t.  4.  57  s  :  n'  150,  151, 
158  )  indica  due  codici  per  tutti  i  tre  sonetti  ;  e  dice  (  n°  213  )  di 
non  aver  veduto  in  nessun  codice  la  canzono  Sn  per  la  costa,  Amor, 
dell'  alto  monte,  che  sfirebbo  il  compianto  di  Gino  per  la  morto  del 
poeta.  Comunque  sia,  Beatrice  è  così  ricordata  nel  son.  ///  fra  gli 
altri  difetti: 

Li'altr'è:  socomlo  che  '1  siio  canto  dice. 
Che  passò  poi  nel  boi  coro  divino, 
Li\  dove  vide  la  sua  Boatrieo. 

E  quando  ad  Abraam  guardò  noi  sino. 
Non  riconobbe  1'  unica  fenice 
Che  con  Sion  congiunse  l'Aponnlno. 

E  Beatrice  è  anche  ricordata  nella  canz.  Sn  per  la  costa  : 

Ah  vero  Dio,  che  a  perdonar  benogno 
Sei  a  ciascun  che  col  pentir  si  colea, 
Quest'  anima,  blvolea 
Sempre  stata  e  d'  amor  coltivatrice. 
Ricovera  nel  grembo  di  Beatrice. 

Ma  qui  si  tratterà,  molto  probabilmente,  della  donna  allegorica. 
Kella  famosa  consolatoria  poi  (  canz.  Avvegna  eh'  io  non  aggia  ),  non 
saprei  davvero  rassegnarmi  a  vedere  neppure  qnalcho  debole  con- 
ferma dell'  ipotesi  d'  una  storica  Beatrice.  Codesta  canzone,  che  si 
può  leggere,  ricca  di  chiose,  nella  Beatrice  del  Del  Lungo  (p.  167  ss), 
non  è  in  fin  dei  conti  che  la  parafrasi  di  alcuni  motivi  della  Vita 
nuova  ;  una  specie  di  florilegio  delle  canzoni  Donne  eh'  avete,  Donna 
pietosa,  Li  occhi  dolenti,  Quantunque  volte,  Voi  che  intendendo  ;  e  si 
potrebbe  sospettare  che  fosso  scritta  dopo  la  pubblicazione  della 
Vita  nuova  ;  e  che  Gino,  scrivendo,  '  Beata  gioia,  coni'  chiamava  il 
nome  '  (  al.  '  Beata  cosa  eh'  uom  chiamava  il  nomo  '  ).  ave.sse  frain* 


Cino  da  Pistoja,  Cecco  AngioUeri  295Ì 

anche  prima  della  divulgazione  della  Commedia  (  non  sap- 
piamo se  egli  ancora  vivesse  ),  avesse  saputo  nulla  di  co- 
desta moglie  di  raesser  Simone,  ne  avremmo  sentito  delle 
belle  !  A  Cecco  Angiolieri  non  sarebbero  mancati  motti 
mordaci  per  codesta  Bice  di  Simone  ;  a  quel  Cecco  che, 
leggendo  il  sonetto  Oltre  la  spera,  avea  già  trovato  a  ri- 
dire suir  intendere  e  non  intendere  il  '  sottil  parlare  '  della 
Beatrice  (son.  Dante  AUaghìer,  Cecco  7  tu'  sere' amico  )  ; 
a  ([uel  Cecco  che  scambiava  anche  ingiurie  col  poeta  (  son. 
Dante  Allaghier,  s'io  son  buon  hegolardo).  I  primi  esposi- 
tori, chiosatori,  commentatori  del  poema,  o  non  parlano 
che  dell'  '  allegorica  Beatrice  ',  o,  fra  tante  loro  storielle, 
non  hanno  modo  di  confettar  la  più  ghiotta  delle  storielle. 
Il  Capitolo  di  Bosone  da  Gubbio,  la  Dichiarazione  poetica 
di  Frate  Guido  da  Pisn.  1'  F.<pn<:i-inììp  poi^fim  di  Minod'A- 


teso  il  'non  sjipoano  cho  si  chiamar»''  del  libello,  (."omunquo.  si  po- 
trà diro  soltjinto,  che  il  Pistojose  allora  intendeva  alla  lettera  an- 
che la  canzono  Donne  eh'  avete,  e  che  dalle  rime  giudicava  sensuale 
l'amore  del  poeta.  Egli  più  tardi  scriveva  all'  Aliirhinri  (son.  Dante, 
io  non  odo  )  : 

Dnnqne.  s'al  bene  o^i  reame  è  tolto 
Nel  mondo,  in  ogni  parte  ove  tu  girl, 
Vao*  mi  tu  fare  ancor  di  piacer  molto  T 

Diletto  frate!  mio  di  pene  involto. 
Mercè  per  quella  donna  che  tu  miri  : 
DI  dir  non  star,  se  di  fé  non  sei  sciolto. 

E  non  mi  pare  che  il  Pistojose  quivi  parli  di  donna  reale,  come 
non  parla  certo  di  donna  reale  nel  testé  citato  sonetto  a  Cecco  d'  A- 
scoli.  Egli  poi  assunse  anche  come  appellativo  il  nome  di  Beatrice 
(  '  Ella  sarà  del  mio  cor  beatrice  '  ),  nel  sonetto  Norellamente  amor., 
a  cui  Dante  rispose,  come  pare,  un  jk)'  imbronciato.  Del  resto,  la 
consolatoria  di  Cino,  che  allora  dava  del  voi  al  poeta,  non  puntel- 
lerebbe che  r  ipotesi  d' una  Beatrice  fiorentina  :  ma  non  sa- 
rebbe certo  suggello  alla  tradizione  della  Bice  di  messer  Simone 
de'  Bardi. 

37 


294  Tm  Beatrice  storica 

rezzo,  non  conoscono  che  la  Beatrice  allegorica  (  '  ).  E  dai 
loro  versi  si   vede  chiaro  che,  se  in    qualche   altra   figura 


(*)  Si  possono  leggere  nel  primo  volume  della  citata  raccolta 
del  Del  Balzo.  Cantava  Bosone  :  v.  31  '  Ma  perchè  V  ;irra  che  si 
prende  al  fonte  Del  nostro  batisteo  ci  dà  uno  Innie,  Lo  qual  ci  fa 
le  cose  di  Dio  conte.  Venne  del  lustro  del  supei-no  acume  Una 
gratia  di  fede,  che  si  dice  Che  jifonde  l'alma  come  terra  il  fiu- 
me ;  E  mosse  lui  con  la  ragion  felice,  Per  farli  ben  conoscer  quel- 
le fere  :  En  que  ci  lalegorica  Beatrice  '.  [  Questo  ultimo  verso  si 
può  forse  leggere  :  '  Et  quest'  è  V  allegorica  Beatrice  '  ;  cfr.  v,  73 
'  Et  quest'  è  quella  gratia  che  prevene  '  ;  v.  79  '  Et  quest'  è  quella 
gratia  coaiuvante  '.  ]  Di  Virgilio  si  legge  :  v.  40  '  Et  la  ragion  per 
cui  da  lor  non  pere  Descriver  per  Vergilio  el  vuol  mostrare  Ch'  eb- 
be da'  libri  suoi  molto  savere  '.  E  cantava  Frate  Guido  :  v.  71 
'  Et  quinci  fugo  il  duca  le  vedute,  Quando  Beatrice  sul  grifone  ap- 
pare, Perch'  eli'  è  sola  la  nostra  salute.  Questa  '1  condace  sola  a 
Dio  junare,  Spiegandoli  quelle  bellezze  eterne,  Ch'  occhio  carnai 
non  puote  contemplare.  Senza  lei  dunque  1'  alme  sempiterne  Ne 
la  beata  e  sempre  angusta  sala  Esser  non  puon  beatamente  eter- 
ne '  ;  V.  Ili  '  Quivi  virtù  lo  sprona  infin  al  caldo  Spirto  di  carità 
di  quella  dea  Che  'n  sul  grifone  tien  lo  'ntento  saldo  '  ;  v.  144 
'  La  prima  è  quella  gracisi  che  prevene  L'  uom  a  ben  fare  ;  e  que- 
sta donde  vegna  Non  lo  sapem  ;  però  tra  le  serene  Del  ciel  nome 
non  ha,  ma  sola  regna  ;  La  seconda  ò  la  gratia  illuminante,  Che 
figura  Lucia  eh'  è  tanto  degna  ;  La  terZit  è  la  gratia  cooperante. 
Segnata  per  Beatrice  ;  et  questa  invia  Lo  Mantovan  con  le  parole 
sante  '.  E  nella  chiosa  al  verso  141  si  legge  :  •  Prima  domina  non 
habet  nomen,  et  ista  significai  gratiam  prevenientom,  quo  dicitur 
provenions,  qnia  ante  venit  ad  hominem,  quara  homo  suis  ipsam 
meritis  mereatur.  Et  qida  nescimus  nude  veniat,  quod  Deus  in  statu 
peccati  miseratur  hominis  peccatoris,  ideo  ista  domina  sino  nomino 
ponitur  ab  autore.  Secunda  domina  significai  gratiam  illuminantom, 
quia  postquam  preventi  sumus,  indigomiis  lumino  dirigente,  undo 
recto  por  viara  Dei  vadamus.  Ideo  ista  domina  ponitur  sub  nomino 
beate  Lucie.  Tertia  domina  significai  gratiam  cooperantem,  quia 
quantumcumque  Deus  gratia  siui  nos  preveniai  et  in  agendis  nos 
dirigai  et  illustret,  quia  multa  suni  impedimenta,  indigomus  imdo 
ipso  nobiscum  op^retur,  quia  sino  ipso  nihil  l)oui  po^sumus  operari. 


Bo.sone,  Frale  Guido,  Mino,  Jacopo  Alighieri  2<)5 


allegorica  della  Commedia  vedevano,  oltre  la  figura  alle- 
gorica, anche  la  figura  storica,  in  Beatrice  non  vedevano 
che  una  pura  e  semplice  allegoria.  Né  torse  di  altra  Bea- 
trice parlano  le  Chiose  di  Jacopo  Alighieri  ('). 


Et  isdì  U'rtia  firatiu  «'riìcit  iios  hcatos.  et  ideo  ponitur  sub  nomino 
Bc«atriei.s  ".  K  cantava  Mino:  ////.  2,  2"}  'La  U'iv.a  donna,  eh' a 
sua  putiziono  Sct«o  dal  Ciol  noli'  inforno  al  Poeta  Cho  '1  soccor- 
roKSo  col  suo  Ih'I  sornioni'.  Quosta  è  la  donna  dilocUi  ot  discre- 
ta Di  tutto  r  altro  più  splondida  pura.  La  cui  chiarezza  passa  o- 
gni  pianeta.  Ciò  viene  a  dir,  che  le  sue  luci  sjincto  Virgilio  stu- 
diando noir  inforno  Dello  cose  di  Dio  mostrò  alquanto  :  Ma  non 
cho  cognoficossf  il  liono  otorno.  Poro  la  forma  con  pietoso  viso. 
Quando  li  mostra  l' iniìnito  verno.  (  Cioè  che  Virgilio  non  conobbe 
Doo.  )  iSorbantlo  il  lume  ilei  suo  chiaro  ^^8o.  Dove,  chi  seguo  lei, 
convion  cho  rida  Di  tutta  gioia  pione  in  paradiso.  A'prirghi  suoi 
Virgilio  facto  guida,  A'on  vuol  dir  altro,  cho  noi  suo  trattato  Di 
Virgilio  Danto  più  si  tìda.  (  Cioè  di  lioatrico  cho  thoologia  impe- 
trata ilivina  scriptura.  )  Cho  mai  non  fu  poeta  coronato.  Cho  del- 
l' Inforno  cotanto  cercasse.     Quanto  Virgilio  PooUi  honorato  '. 

(1|  Cfiiotte  alia  Canlica  dell'  Inferno  ili  D.  A.  altribuitc  a  Jacopo 
tuia  figlio,  Firenze  1H4S  :  p.  J)  •  Boatrice,  dicendo  la  qnal  per  tutto 
questo  libro  la  Divina  Srritura  s'intendo,  sicome  perfetti»  e  beata  ' 
(  cfr.  Dottrinale,  58,  .11)  ).  Di  Virgilio  si  logge  :  •  1'  effetto  de  1'  uma- 
na ragione  dinanzi  agli  occhi   ilolla   utente   gli   apparve il  qual 

effetto  ligurativamonto  ...  in  forma  «li  colui  che  più  nella  ragion»» 
umana  poetando  si  steso,  compone  cioè  di  Virgilio  '.  Di  Jacopo  a- 
vrenirao  oggi  un  commento  latino,  di  cui  in  questi  giorni  la  tipo- 
graiìa  Carno.socchi  di  Firenze  ha  stampato  il  volume  secondo.  Pur- 
gatorio (  Chiose  (li  Dante  le  quali  fece  el  jigliuolo  co  le  sue  mani, 
messe  in  luce  da  F.  P.  Luiso  ).  Queste  Chiose  latine,  che  un  figliuolo 
di  Danto  avrebbe  fatto  *  co  lo  suo  mani  '.  non  danno  cho  un*  espo- 
siziono frammentaria  di  ciascun  canto  del  Purgatorio,  e  restano  af- 
fatto disgregate  :  sono  insomma  vere  chiose  o  postille  marginali,  non 
un  volt)  e  proprio  commento  :  sicché  non  presentano  quei  caratteri 
principali  delle  Chiose  volgari  publilicato  dal  Vernon,  che  così  bene 
rilevò  e  descrisse  Luigi  Rocca  (  Ale.  comm.  7  ss,  33  ss.  Per  brevità 
indicherò  nelle  pagine  sogiu-nti  con  un  R.  il  bel  libro  del  Rocca.  ). 
^ono  certo  molto  antiche,  forse   anteriori  al  1320,  come  giudica  il 


La  Beatrice  storica 


Sennonché,  come  le  parole  del  poeta  si  facevano  ser- 
vire a  strane  deduzioni,  eh'  egli   era   stato   uomo    fraudo- 


benemerito  editore  (  vd.  p.  174,  append.  a  p.  25  )  ;  e  ben  preludono 
a  lavori  più  compiuti  ed  organici  intorno  alla  Divina  Commedia.  Si 
trovano  nel  codice  Laurenziano  pi.  xc  sup.  114,  non  rimasto,  co- 
me pare,  sconosciuto  al  Rocca  (  vd.  p.  7  n  )  ;  il  quale,  d'altra  parte, 
giudicava  (  p.  26  s  )  che  '  assai  probabilmente  non  sono  di  Jacopo  ' 
le  postille  latine  marginali  del  codice  Laurenziano  pi.  XLii.  15,  che 
iu  parte  concordano  con  lo  Chiose  pubblicate  dal  Luise,  e  che  nel 
1431  un  Bartolomeo  di  Piero  de'  Nerucci  da  San  Geminiano  trasse 
di  sua  mano,  com'  egli  dice,  *  d'  uno  Dante  antiquo  tanto,  che  do- 
ve era  alcuno  testo  dubbio  et  oscuro,  era  legato  insieme  quello 
tale  testo  et  dicea  :  Jacobe  facias  declarationem  '.  Quanto  alla  no- 
stra questione  importa  notare,  che  il  chiosatore  non  trova  alcuna 
allegoria  o  moralità  nei  miti  e  nelle  leggende  dell'  antichità  clas- 
sica, e  par  che  assuma  miti  e  leggende  come  storia  vera  ;  il  che 
non  occorre  nelle  Chiose  volgari  attribuite  a  Jacopo  Alighieri,  e 
neppure  occorre  nel  Commento  di  Jacopo  della  Lana.  Oltre  a  ciò, 
pare  che  el  figliuolo  di  Dante  non  conosca  né  le  Rime  del  padre, 
né  la  Vita  nuova,  né  il  Convivio,  né  \\De  Vnlgari  Eloqiicntia,  né  il 
De  Monarchia.  Di  Beatrice  si  legge  :  p.  129  '  Quel  dolce  pome  . .  . 
Dicit  autor  quod  Virgilius  loquitur  Danti  de  Beatrice,  quam  hic 
ponit  prò  beatitudine';  p.  144  '  Sotto  candido  velo  . . .  T^ota 
quod  hic  loquitur  de  Beatrice,  idost  de  sacra  teologia,  quam 
fulgore  dicit  spe  fide  et  caritate  '  ;  *  Ma  lo  spirito  mio  . . .  Hic  dicit 
autor  quod  Danto  ropetit,  quomodo  ab  infancia  dilexit  hanc  Bea- 
tricem,  et  quod  semper  spiritus  eius  cum  ipsa  fuorat,  et  ipsam  vai- 
de  dilexerat.  Inteligit  de  sacra  theologia  '  ;  p.  148  •  Sotto  suo  velo  . . . 
Hic  vult  dicere  quod  ei  Beatrice,  sub  suo  A^elo  et  ultra  flumen  sita, 
nunc  ostendit  magis  se  ipsam  in  pulcritudino  antica,  idost  quam  in 
vita  habebat,  quam  tunc  vivens  vincere  alias  dominas  videbatur  '  ; 
'  Di  pentere  sì  mi  punse  . . .  Hic  vult  dicero  quod  nunc,  videndo  pul- 
ciùtudinem  Boatricis,  sic  oum  penituit  dolictorum,  quod  illud  quod 
magis  retracxoi-at  eum  ab  amoro  Beatricis  ipsa   vivente,  magis  ab- 

oruit,  et  odivit  vanitatom  '  ;  p.  149  '  Fot/,  quando  7  cor dixe- 

runt  ei  se  deputatas  ad  bonoplacita  Beatricis,  idest  ad  sacram  thoo- 
logiam,  antequam  nasceretur  Christus  '  ;  p.  151  '  Tant'  cran  li  occhi 
miei . . .  Dicit  autor  quod  orunt  X  anni,  quod   mortua  erat  Beatri- 


Ser  Grazialo  de  Batnbogiuoli 


lento,  e  avaro,  e  sodomita,  e  peggio  ;  così  ben  presto  dalle 
stesse  parole  del  poeta  naturalmente  germogliò  nella  fan- 
tasia di  alcuni  lettori  e  chiosatori  la  supposizione  che  la 
Beatrice  della  Commedia  fosse  1'  anima  beata  di  qualche 
fanciulla  fiorentina,  veramente  amata  dal  divino  Alighieri 
C^rto,  fin  dal  1324  ser  Graziolo  ebbe  codesto  sospetto.  E- 
gli,  dall'  indirizzo  dato  al  suo  Commento  air  Inferno,  era 
condotto  ad  intender  come  donna  reale  Beatrice,  e  «juindi 
a  dar  qualche  notizia  di  lei.  11  valentuomo  mii  lu  sa- 
peva niente  ;  ma  non  disperava,  come  pare,  di  saperne 
qualcosa  in  processo  di  tempo  ;  e  lasciò  il  posticino  da  riem- 
pire, una  lacuna  per  la  jmternità  ;  una  lacuna,  che,  se  era 
semplice  previdenza  per  Graziolo,  fu  poi  grazioso  invito 
per  quelli  che  vennero  dopo.  Nel  latino  pubblicai' .  dil 
Fiammazzo  si  legge  (  p.  13  )  :  *  quedam  felix  et  pulcerima 
domina  venit  ad  me  meque  vocavit  et  requisivit  ut  ad  te 
amicum  ipsius  in  hoc  formidando  itinere  sub  pericnlo  con- 
stituto  et  prò  succursu  et  protectione  tua  absque  dilatio- 
ne  pervenire  deberem  declarando  michi  qualiter  ipsa  domi- 
na erat  olim  [anima]  generosa  domine  Beatricis  et  domi- 
ni Quo  quidem  intellecto  Respondi 


e*-  '  :  p.  158  *  Sola  sedeasi . . .  Dicii  quod  Beatrice  sola  sedebat  ad 
custodìain  currus.  quem  Iì<:atutu  viderat  prius  griffoni  :  idest  quod 
sola  sacra  scriptiira  gubernat  et  custodii  ecclesiam  '  :  p.  159  •  J/a. 
riprehendendo  leg . . .  Dicit  autor  quod  Dante  per  Dominam  suam 
inteligit  B.,  que  prò  theologia  et  siura  scriptura  ponitur  '  ;  p.  1(82  s 
*  £t  Beatrice  sosspirosa . . .  Hic  autor  inteligit  de  siicra  theologia. 
que  dolebat  de  transsfonuacione  et  dexstruccione  sui  currus,  soilicet 
ecclesie  '.  Lucia  è  la  '  beatii  Lucia  "  (  p.  33  )  :  Matelda  '  fuit  conii- 
tissii  Jlatelda ...  et  per  hanc  Mateldiiui  inteligit  felicitntem  munda- 
nam.  Ipsjt  vero  comiti^Sii  fuit  Siipientissima  et  potens  et  victoriatrix 
domina,  et  moribus  et  virtute  repleta  ;  et  ideo  dicit  quod  coligebat 
et  eligebat  flores  in  floribus.  quasi  dicat  quod  in  vita  activa  elegit 
sibi  preheminenciores  virtutes.  Et  est  domina  illa  quam  videbat  in 
sompnis.  que  se  nominat  Liam  '  (  p.  13<Ì  ). 


298  La  Beatrice  .storica 

0  domina  virtutis  hoc  est  o  summa  vlrtus  per  qiiam  scili- 
cet  virtutemlmmana  species  excellitur  magnificatur  et  tran- 
scendit  omnia  contenta  in  minori  circulo  hoc  est  ',  ecc.  (';. 


(1)  Ed.  di  Udine,  gita  citata.  Bono  il  riammazzo  aggiunge  '  a- 
nima  '  dinanzi  a  ^  generosa  '  ;  cfr.  infatti,  p.  39  '  anima  illa  beata  do- 
mino Boatricis  canit . . .  sicut  obtulit  anima  dicto  domine  Beatricis  '  ; 
p.  50  'iinima  Domino  Beatricis  quo  in  summo  Colo  landibus  divi- 
nis  instabat  '.  Ma  bisognerebbe  correggere  anche  qualche  altra  men- 
da ;  mutare  '  et  domini  '  in  '  l'[ilie]  domini  '.  IfolF  edizione  del  Ver- 
non  (  Comento  alla  Cantica  dell'  Iiif.  di  D.  A.  di  untore  anonimo,  Fi- 
renze 1848  ),  che,  come  tutti  oramai  Sitnno,  è  traduzione  del  com- 
mento latino  di  sor  Graziolo,  si  legge  :  p.  30  '  dichiarandomi  eh'  es- 
sa donna  era  stata  anima  nobile  di  mona  Beatrice,  figliuola  che 
fue  ;  la  qual  cosa  '  ecc.  Codesta  lacuna  in  un  codice 

fu  poi  colmata  da  qualche  lettore  ;  e  in  un  altro  codice,  nel  quale 
parte  del  commento  di  Graziolo  si  trova  mescolato  con  altre  chiose, 
fu  colmata  dallo  stesso  menante  ;  ma  1'  una  e  T  altra  colmata  non 
sono  anteriori  alla  line  del  trecento.  11  codice  Barberiniano  XLVi,  13, 
scritto  nel  138(3  (  vd.  R.  50),  ha:  'figliuola  che  fu  di  folco  porti- 
nari  '  ;  ma,  come  avverte  il  Rocca  (  p.  57  n  ),  •  il  nome  di  Folco  Por- 
tinari  è  scritto  con  inchiostro  e  carattere  diverso  '.  11  nome  del  pa- 
dre ed  anche  il  nome  del  marito,  occorrono  nel  codice  Magliabe- 
chiano  Pai.  i,  39  (  \à.  R.  51  n  )  :  '  il  quale  però,  essendo  guasto 
ne'  margini,  ci  dà  una  lezione  incompleta  '  (  R.  57  n  )  :  '  dichiaran- 
domi come  essa  . . .  era  stata  anima  nobile  di  mona  biatrice  iìgliuola 
cheffu  . . .  folco  de'  Portinari  di  fìrenze  e  moglie  che  fue  di  me  . . . 
di  geri  do'  bardi  di  iìrenze  :  la  qual  cosa  '  ecc.  Il  Rocca  recente- 
mente (  Giorn.  dalli.  11,  142  )  ha  creduto  di  vedere  in  codesta  le- 
zione incompleta,  una  nuova  testimonianza  favorevole  alla  Bice  Por- 
tinari. e  indipendente  dal  Commento  del  Boccaccio;  nel  quale  invero, 
sì  parla  bensì  di  messer  Simone  do'  Bardi,  ma  non  si  dice  eh'  era 
figlio  di  Geri.  Ma,  che  codesto  messer  Simone  di  Geri  de'  Bardi 
fosse  esibizione  del  Cancelliere  di  Bologna,  mi  par  poco  probabile. 
Senza  dire  che  non  sarebbe  facile  spiegare  come  mai,  nei  primi 
vent'  anni  d'  esegesi  del  Poema,  degli  amori  di  Dante  si  avessero 
più  notizie  a  Bologna  che  in  Toscana  i*  nella  stessii  Fii-enze,  e  si 
avessero  anche  a  Bologna  notizie  così  precise  dello  stato  civile  di 
madonna  Bice   e  delle  generalità  di  messer  Simone  ;   non  mi  pare 


Chiose  anonime  del  Selmi  299 


Era  una  bella  e  buona  suggestione  :  ma  non  se  ne   videro 
gli  effetti  che  molto  tardi. 

Non  vanno  oltre  il  presupposto  di  un'  amata  fanciulla 
fiorentina  1'  estensore  delle  Chiose  anonime  alla  prima  can- 
tica e  i  rimaneggiatori  di  esse  chiose,  pubblicate  prima  dal 
Selmi  e  poi  dall'  A. valle  ('i.  Dicono  le  Chiose  anonime  :  '  I\ 


davvero  che  ci  si»  nesHuna  Haldu  ratji'nif  <\i,-  pttHsa  pienaniwit*' 
spiofraroi.  porche  tutti  jrli  altri  codici  dol  comuu'iito  di  sor  Cìra- 
ziolo,  sia  doli*  originaUì  hitino,  sia  doUa  traduziono  volgare.  «•.. ri- 
servino oHtinatamonte  la  nota  lacuna,  che  d*  altra  parto  dov  • 
varo,  fra  i;li  altri,  anche  l'Ottimo.  Che  poi  noli' ultimo  troiiltu- 
nin  dol  troconto,  ci  fossero  a  questo  mondo  almono  una  trentina 
di  persone  ohe  potevano  l)enÌ8.simo  8{i|>ore  il  nome  del  padre  di 
niossor  Simone,  «mI  anche  11  nomo  del  nonno  o  del  bisnonno,  non  mi 
par  coRJi  di  cui  si  poss^i  rajjionovolmont*^  dubitiro.  A  sentire  sor 
(ìraxiolo  de'  Bamltii^iuoli  cancelliere  di  Bologna,  il  poeta  nel  primo 
canto  'aperte  niostravit  quditorlongo  tempore  in  hac  vita  miserie  a 
via  voritatis  erravorat  et  maxime  in  inipootu  vitinniin  luvurio  su- 
perbie et  avaritie  vel  cupiditatis  '  (  |i.  1:  ifr.  Il'  •  Il  t.iini>. 
sa  corda  signiiica  che  '' Dant^'s  aliquando  vnlmi  <iuii  iraudulfutia  ' 
accosUirsi  a  lussuria  (  p.  72  |.  il  couimonUitore  non  conosc»»  certji- 
mente  la  Vifa  nuora.  Delle  Rime  cita  alcuni  versi  della  canzone  Tre 
(io/me  inforno  al  cor  me  son  renate  (  p.  7  ;  vv.  03  -  72,  manca  però 
il  V.  09),  e  tre  versi  «lolla  sestina  Amor  fu  redi  ben  che  yucsfa  don- 
na {  p.  124  ;  v\'.  25  -  27  ).  Conosce  anche  il  Parf/atorio  e  il  Paradiso 
(  vd.  p.  15  e  68  I  :  tuttavia,  molto  singolaro  ò  quost;i  chiowi  :  '^  Alle 
guai  poi  se  fu  corrai  salire  . . .  Ad  quam  quidem  gloria m  beate  gen- 
ti8  si  volueris  pervenire  dicit  ipso  poeta  danti  {*.'<  oportebit  esso  vir- 
tuosioris  oporationis  et  vite  quam  ego  fnerim  quia  —  cum  ego  Vir- 
gilius  fuerim  paganus  et  sic  fucrira  divino  legis  contrarius  —  hoc 
est  quia  ex  aqua  et  spirita  sancto  non  fui  baptismato  ronovatus  — 
non  possimi  ad  illam  summam  et  incessabilem  gloriam  per\-onire. 
Con  lei  ti  lascerò  nel  mio  partire.  Dicit  poeta  cum  ad  illa  superiora 
beata  contrarietur  accessus  cum  te  usquo  ad  locum  michi  habilom 
et  concessum  tunm  presentiara  sotiavoro  tunc  te  reliquani  cum  ilio 
choro  gontiura  et  felicium  animarum'  (p.  10). 

(t)  Chiose  anonime  alla  prima   cantica  della  DC.  di  nn  confem- 
poìoiico  ih  '   P->-  >■•    '■•ii'ì>lit(ift'  jìrr  Ut  juiiiin  '"if"  '1"  F<:Mi.t.w..n  SpI- 


BOÒ  La  Beatrice  storica 


lina  lupa  che  di  tutte  brame.  Dicie  1'  autore,  che  guardando 
egli  a  le  divine  cose,  e  guardando  che  per  iscientia  si  pos- 
sono avere,  volentieri  le  seguiva,  e  1'  avaricia  lo  stregneva 
sì  forte  per  avancare  gli  altri,  che  del  tutto  abbandonò  lo 
studio,  e  recossi  a  guadagnare,  non  volentieri,  ma  quasi 
isforcato.  E  mentre  che  su  1'  avaricia  s'  era  rechato  per  vo- 
lere avancare  gli  altri,  trovò  di  libri  di  questo  sommo  auc- 
tore,  ciò  è  Virgilio,  el  quale  pone  come  Enea  fu  ne  lo  'n- 
ferno  e  nel  purghatorio,  e  pone  e  ramenta  e  meriti  de  le 
vertù  e  le  giusticie  de'  vicij.  E  dicie  che  questo  libro  li 
fu  messo  inan9Ì  per  gratia  di  questa  vertù,  la  quale  è  bea- 
tricie,  cioè,  proprio  nome  a  dire  Beatricie  [  Sei.  virtìi,  che 
è  da  la  biatitudine,  ciò  è  proprio  nome  a  dire  biatitudine, 
cioè  biatrice  ]  ;  e  pone  per  figura  d'  una  bella  donna  fio- 
rentina chui  già  Dante  amò  di  carnale  amore,  la  quale  a- 
veva  nome  Beatricie  '  (  p.  3  )  ;  '■  L' amico  mio^  e  non  de  la 
ventura.  Questa  donna,  si  come  parla  di  sopra,  è  Beatri- 
cie ;  e  come  decto  è  indietro  dove  parla  di  lei  Dante,  ad- 
vegnia  che  fusse  una  donna  di  chui  esso  Dante  sentì  già 
carnale  amore  [  Sei.  donna  fiorentina,  non  è  Biatrice  di  cui 
Dante  sentì  già  corale  amore  ]  ;  ora  ne  parla  in  questo  li- 
bro per  quella  virtù  che  |  fa  ]  beate  le  cose  ...  E  '1  camino 
unde  si  va  a  beatitudine  si  è  questa  virtù  che  si  chiama 
beatricie,  e  sempre  aita  e  chiama  e  dà  aiuto  a  chi  vole 
essare  beato,  e  però  disse:  amor  mi  mosse  che  mi  fa  par- 
lare .  .  .  O  donna  di  viriti  . .  .  Adunque  non  potiamo  essare 
contenti  un  pocho  se  non  per  Beatricie,  ciò  è  per  la  gratia  di 
dio  '  (  p.  8  ).  Insomma,  il  così  detto  Anonimo  del  Selmi  non 
ne  sa  più  del  Cancelliere  di  Bologna.  Forse,  che  Dante  abbia 


mi,  Torino  1865.  Giuseppe  Avalle,  Le  aiiticlie  Chiose  anonime  al- 
l' Inf.  di  D.  secondo  il  testo  Marciano,  Città  di  Castello  1900  :  CoUez. 
di  opiisc.  dant.  N,  GÌ  -  62.  Cito  dall'  ed.  del  cod.  Marciano.  Vd.  B. 

79   88. 


Jacopo  della  Lana  ;kii 


amato  di  corale  o  carnale  amore  una  fanòiulla  fiorentina 
chiamata  Beatrice,  non  sarà,  come  nella  chiosa  di  ser  Gra- 
ziolo,  che  un  semplice  presupposto  dell'  Anonimo  ;  forse  an- 
che, nelle  sue  parole  si  potrebbe  scorgere  come  una  bo- 
naria concessione  a  chi  avea  già  messo  fuori  codesto  pre- 
supposto della  fanciulla  fiorentina.  Certo,  V  Anonimo  nega 
che  nella  Commedia  di  tal  donna  e  di  tale  amore  si  parli, 
e  par  che  voglia  attribuire  a  ragioni  etimologiche  la  scelta 
del  nome  proprio.  A  ogni  modo,  la  storiella  della  Bice  Por- 
ti nari  non  era  certo  nel  ricco  corredo  di  storielle  della  po- 
polare erudizione  del  chiosatore. 

Ed  anche  a  Jacopo  della  Lana,  che^  come  ha  osser- 
vato il  Rocca  (  p.  183,  cfr.  p.  195  ),  *  difficilmente  si  lascia 
sfuggire  le  occasioni  ofiferte  dal  poeta  per  narra  re  7iore//e ', 
manca  materia  per  la  novella  della  moglie  di  Simone,  che 
sarebbe  tornata  certo  ^  molto  a  destro  ad  udire  '.  Matelda 
è  bensì  la  Contessa,  ma  Beatrice  non  è  in  tutto  il  com- 
mento che  la  Teologia  ('). 


(•)  V«l.  noli'  oìì.  bolo«int'so  «U<llo  ScaralK'lli  jjiji  citato,  ////.  pp. 
1-22,  288  ;  Fiuff.  18,  172,  a>9,  38»,  370,  371,  372,  873,  37.5,  380,  .382. 
394.  898  ;  Far.  23,  29,  53,  70,  73,  7ó,  76,  122,  Ktt,  167, 171,  181,  235, 
278,  2K0,  322,  381,  ij82,  407.  Sopra  alcuna  chiosa  potrebbe  forse  ca- 
der qualche  dubbio  :  Anima  fia  a  ciò  piìi  di  me  degna  . . .  '  Siche  que- 
sto è  quello  che  proffera  Virgilio  a  Dante  :  io  ti  mostrerò  quello  che 
per  i-airiono  umana  ni  può  vedere  :  1'  altro  ti  mostrerà  una  anima 
sant<i  alla  quale  ha  voluto  lo  Signoro  revelarlo.  E  intende  questa 
anima  Beatrice,  la  quale  per  allegoria  s' intornio  la  scienzia  di  teo- 
logia '  (  1,  117  )  ;  Sotto  suo  celo,  ed  oltre  la  riderà  . . .  '  Pone  sua  bel- 
lezza che  sicorao  Beatrice  al  mondo  li  parve  più  bella  dell'  altre, 
cosi  qui  pareva  eccellere  quella  riviera  si  delli  angeli  come  d'  ogni 
altra  gente  eh'  ivi  era  '  (  2.  .374  )  ;  A  disbramarsi  la  decenne  sete, 
'  Dieci  anni  erano  passati  che  Beatrice  era  morta,  ed  elli  avea  a- 
vuto  fedo  di  vederla  ;  quasi  a  dire  che  dieci  anni  stette  vagabondo 
ed  errante"  (2.  380):  Onde  a  pigliarmi  fece  Amor  la  corda,  'Cioè 
che  amor  prima  mi  congiunse    con  Beatrice,   e   questo  si   è  l' iste- 

38 


HCÉ  La  Beatrice  storica 


Ma  la  prova  più  certa  che  fino  al  1334  nessuno  ave- 
va ancora  pensato  a  porre  o  proporre  o  suggerire  la  can- 
didatura della  figliuola  di  Folco,  ce  1'  offre  1'  Ottimo  Com- 
mento. L'  Ottimo  si  mostra  '  pratico  delle  cose  di  Firenze  ' 
(  E.  318  ),  e  '  non  solo  toscano,  ma  fiorentino  '  (  R.  330  ); 
conobbe  il  commento  di  ser  Graziole  (  R.  243  ),  e  non  gli 
mancava  dunque  l' incentivo  ;  non  è  meno  di  Jacopo  della 
Lana  vago  di  raccontar  novelle,  e  non  gli  mancava  dun- 
que la  voglia;  ma  neppure  lui  sa  nulla  della  Portinari. 
Scrive  il  Rocca  (p.  336  ss):  'Quanto  a  Beatrice,  l'Otti- 
mo ne  presuppone  la  realtà  storica,  e  non  dubita  punto 
che  Dante  abbia  veramente  amato  una  donna  di  tal  nome; 
quindi  per  lui  i  canti  xxx  e  xxxi  del  Purgatorio,  ne'  quali 
ella  rimprovera  al  Poeta  d' averla  dimenticata,  oltre  al  si- 
gnificato allegorico,  ne  hanno  nno  reale  e  storico  ;  un  si- 
gnificato più    «  laicale  » ,  com'  egli  dice,    in  confronto  del- 


riale  ;  o  T  amore  divino  mi  illumina  ad  amare  teologia,  e  questo 
si  è  senso  allegorico  '  (  H,  425  ).  Sennonché,  dice  il  commentatore  : 
Sovra  candido  vel  cinta  d'  olirà  . . .  '  Quasi  a  dire  :  io  pegno  Biatrice 
per  allegoria  essere  la  scienzia  di  Teologia  e  introducola  a  tale  es- 
sere un  sermone  poetico,  e  però  1'  adorno  di  segni  poetici  '  (  2,  361  )  ; 
'  Alla  quinta  cosa  si  è  da  sapore  che  l' autore  pone  Beatrice  tra 
1'  altre  alme  sante  per  adornare  sua  pootria,  avvegnaché  1'  allegoria 
d'  essa  sia  da  intendere  la  teologia  si  come  più  volte  è  detto,  e  per- 
chè teologia  è  scienzia  più  contemplativa,  pone  Beatrice  essere  in 
simile  grado  o  scanno  di  Rachel  mogliero  che  fue  di  Jacob,  la  quale 
figura  in  la  santa  Scrittura  la  vita  contemplativa  '  (8,  471  ;  cfr.  485). 
Il  Della  Lana  avea  notizia  delle  Rime  di  Dante,  ma  non  cono- 
sceva, come  pare,  né  la  Vita  nuova  né  il  Convivio  :  '  Qui  è  da  sa- 
pere che  r  autore  fé',  fuori  che  questa  Commedia,  molte  altre  cose 
in  rima  e  suoni,  e  sonetti,  e  ballate  canzoni,  e  canzoni  distese,  e  fra 
le  altre  vogliendo  alcuna  cosa  toccare  d'  amore  concupiscivo  fìngen- 
do poeticamente  la  opinione,  della  quale  é  fatta  menzione  nel  prin- 
cipio del  presente  capitolo  [  vni  ],  si  cominciò  o  disse  :  Voi  che  in-- 
tendendo  il  terso  del  movete^  (3,  137), 


ottimo  Commento  H08 


l'altro  «spirituale»  .  ..  L'Ottimo  Commento  dun<iue  po- 
trebbe essere  addotto  in  sostegno  della  realtà  storica  di 
Beatrice,  ma  solo  in  guanto  il  commentatore  presuppone 
tale  realtà  storica,  basandosi  sopra  le  parole  stesse  del  Poe- 
ta ;  perchè  sembra  non  ne  abbia  altre  notizie  all'  inliiori 
di  quelle  ch'egli  ricava  dalle  opere  di  Dante'  ('). 


(•(  Commento  roltjan'  ni  trr  primi  canti  della  DC.  del  codice  di 
San  Daniele  del  Tagliamento  :  Propugnatore.  1,  382  -  335  e  4ìtt  -  464 
(  vd.  R.  290  H«  )  :  p.  443  '  E  donna,  dice  Virgilio,  mi  chiamò  beata  e 
bella...  E  «[Ili  »•  (la  notimi  la  poi"Hoiia  di  oosUn  esigerò  «ccelleiite  in 
tri)  i-OM\  in  iK-atitudiiK',  in  ìk>IU«zzh  ìmii  aiitoribitt)  :  u  hi  ))er»ona  di 
Virgilio  038ere  laudabile  a  discrezione  «f  quanto  a  subieaione.  Vuole 
r  autore  questa  donna  avere  nome  Be<itriee.  della  «(uale  teli  sponi- 
tori divi'i-siimonte  sentono.  Perocché  alcuni  la  vogliono  [  alcuno  la 
vuole  I  interpretare  per  uno  lume  di  felle  che  sia  infuso  nel  batte- 
simo da  Dio  in  colui  che  si  battezza  [  e  T  autore  nella  disposizione 
eh'  elli  stesso  fece  su  una  sua  canzone  che  comincia  :  ]  Voi  che  '«• 
tendendo  il  terzo  del  moiete  —  cioè  in  quella  parto  della  sposizione, 
eh'  egli  chiama  allegorica,  dice  che  per  Beatrice  egli  intende  la  ti- 
losoiìa,  e  gli  occhi  suoi  sono  le  sue  [dijmostrazioni  le  quali  diritte 
neir  intelletto  in<tmorano  1'  anima  libera.  Alcuni  dicono,  cho  questa 
Beatrice  s'  intende  per  la  ttMilogia,  e  qui  essi  [  e  questi  J  pajouo  me- 
glio sentire.  >'^è  osti»,  che  l'autore  la  prese  per  la  lihjsolìa,  perocché, 
come  io  di  sopra  dissi,  avendo  diversi  rispetti  una  persona,  li  poeti 
quella  chiamano  per  varj  nomi.  E  questo  medesimo  pare  fare  1'  au- 
tore in  questo  libro  di  questa  medesima  donna  ;  cho  alcuna  volta 
pare  volere,  che  Beatrice  sia  queUa  Beatrice  bella  che  e  in  carne 
umanji  egli  tanto  amò.  E  cosi  [  intendere  ]  pare  volere  il  nome  a 
lettera  sanza  altra  allegoria,  come  quivi  :  Quando  di  carne  a  spirto 
era  salita,  capitulo  xxx  purgatorii.  Alcuna  volta  pare  eh' e' la  vo- 
glia porro  per  la  beatitudine,  quivi  :  Come  degnasti  d'  accedere  al 
monte  .' . . .  capt.  xxx  purgatorii.  E  il  più  polla  scrittura  di  teologia, 
onde  quivi  capitulo  vi  purgatorii  :  Veramente  a  così  fatto  sospet- 
to.  ..^  L'  Ottimo  Commento,  ed.  del  Torri  citata  :  *  introduce  qui 
[  Piirg.  xxx  1  Beatrice,  la  quale  pone  per  la  teologica  scienza  ...  la 
quale  innanzi  a  ogni  altra  dimostrazione  dichiara  e  dimostra,  come 
r  autore  amò  cei'to  primo  e  poco  tempo  lei,  la  cui  cagione  fu  il  poco 


304  La  Beatrice  .storica 


Ma  codeste  insistenti  supposizioni  intorno  a   nn'  ipo- 
tetica fanciulla  fiorentina,  doveano  pur  dare  il  loro  frutto  ; 


conoscimento  che  ebbe  della  cosa  amata  ;  e  poi  procede,  come  per 
amore  delle  cose  temporali  e  sansibili  abbandonò  1'  amore  delle  e- 
terne  ed  invisibili  ;  quasi  dica  :  Tu  apprendesti  della  scienza  di  teo- 
logia corti  principi  intelligibili,  e  quasi  per  sé  nati  ;  ma  quando  la 
lettura  porvenia  allo  cose  divine  e  profondo,  tu  abbandonasti  la 
scuola  e  '1  maestro  e  donastiti  a  cose  lascive,  e  con  esse  ottenebra- 
sti la  memoria  e  lo  intelletto ...  E  più  laicamente  si  potrebbono 
sporre  a  lettera  le  parole  di  Beati'ice,  prendendo  lei  semplicemente 
per  quella  madonna  Beatrice,  eh'  egli  amò  con  pura  benivolenza 
(  siccome  mostra  nelle  sue  Canzoni,  e  nella  sua  Vita  N^uova  ),  la 
quale  partita  dal  mortalo  corpo  tosto  dimenticò,  ed  amò  quella,  per 
la  quale  disse  :  Io  mi  son  pargoletta  bella  e  nova,  ecc.  Ondo  disse 
Beatrice  :  se  tu  m*  amavi  prima  quand'  io  era  al  mondo,  molto  mi 
dovevi  più  amare  quando  io  era  salita  al  Cielo,  dove  li  Angeli  han- 
no pace,  poich'  io  era  venuta  a  quel  sommo  grado  di  beatitudine, 
eh'  è  r  ultimo  fine  : ...  e  eh'  io  vi  fossi  pervenuta,  tu  stesso  il  provi 
quivi  :  Ita  n'  è  Beatrice  in  l'  alto  Cielo,  Nel  reame  ove  li  Angeli  han- 
no pace''  (2,  525);  Alcun  tempo  il  sostenni  col  mio  rotto...  'Dico 
qui  Beatrice  in  reprensione  di  Dante,  che  declinando  1'  autore  a  la- 
scivia e  vanitade,  ella  il  sostenne  per  alcuno  tempo  con  la  bellezza 
del  volto  suo  conducendolo  in  parte  diritta  e  virtuosa.  E  questa 
lettera  ha  due  sposizioni  :  1'  una  puoi  riferire,  eh'  elli  parli  di  Bea- 
trice, in  quanto  ella  fu  tra'  mortali  corporalmente,  che  aveano  tanta 
forza  le  sue  bellezze  in  Dante,  che  toglievano  di  lui  ogni  malo  pen- 
siero, e  inducevano  e  cercavano  ogni  pensiero  buono,  secondo  che 
appare  in  sue  canzoni  e  in  suoi  sonetti,  e  ancora  di  messer  Gino 
da  Pistoia,  dove  elli  disse  di  lei  ;  e  qui  cadrebbe  una  lunga-dimo- 
strazione, la  quale  per  brevitade  è  da  lasciare  :  1'  altra  è  da  riferire 
a  spirito  ed  intelletto,  che  l' Autore  incominciando  lo  studio  di  teo- 
logia infine  da  fanciullo,  al  quale  ora  ottimamente  abituato,  come 
dice  capitulo  xv  Inferni,  quivi  :  Vcggcndo  il  cielo  a  te  così  benigno 
ecc.  ;  che  questo  studio  per  pili  tempo  il  sostenne  e  difese  da  non 
cadere  nello  lascivie  e  viziositadi  del  secolo  '  (  2,  539  s  )  :  Ben  ti  do- 
vevi per  lo  primo  strale . . .  '  Dice  Beatrice  :  poiché  la  mia  carne  o 
le  bello  membra,  che  tanto  piacere  ti  rappresentarono,  orano  fallite 
(  il  quale  fu  il  primo  strale  delle  cose  fallaci,  che  più  ti  punse  ),  tu 


Giovanni  Boccaccio  305 


e  1'  Ottimo,  col  ricordare  eh'  ei  la  la  canzone  Li  occhi  do- 
lenti e  la  consolatoria  di  Gino  e  la  stessa  Vita  nuova,  seb- 
ben  vagamente,  e  il  Convivio,  benché  questa  volta  a  spro- 
posito, dava  già  un  buon  avviamento  alla  cosa  ;  veniva, 
quasi  con  prove  di  fatto,  a  giustificar  la  lacuna  di  ser 
Graziolo.  E  quel  che  ne  seguì,  è  cosi  naturale  e  necessario, 
che  ci  maraviglieremmo  se,  in  mezzo  a  tante  storielle  corse 
allora  sulla  vita  e  gli  amori  di  Dante,  non  fosse  nata  anche 
la  storiella  della  Portinari,  o  qualche  altra  storiella  simile. 


Il  Boccaccio,  che  scriveva  il  suo  Tratta tello  in  laude 
di  Dante  passata  la  prima  metà  del  trecento,  si  fece  au- 
torevole banditore  di  codesta  storiella,  come  di  molte  al- 
tre storielle  che  udiva  ;  e  si  compiacque  di  colorirla  cosi, 
che  si  direbbe  abbia  avuto  intenzione  di  renderla  ancora 
più  storiella  di  quel  che  per  fama  non  corresse. 

Pare  che  il  cosi  detto  Compendio  del  trattatello  del 
Boccaccio  sia  redazione  meno  meditata,  anteriore  alla  cosi 
detta   Vita  intera  {*);  e  pare  che  la  notizia  sugli  amori  di 


non  dovevi  jiUfiulcif.  ir-  diRian'.  s^i  ».lit*  un  altro  tf  no  losbo  dilet- 
tato. E  dico,  che  uè  quella  giovane,  la  quale  eli!  nelle  sue  Rimo 
chiamò  pargoletta,  né  quella  Lisetta,  né  quell'  altra  montiinina,  né 
quella,  né  quoll'  altra  li  dovevano  gravare  lo  penne  delle  ale  in  giù, 
tanto  eh'  elli  fosse  ferito  da  uno  simile,  o  quasi  simile  strale  *  (  2,  549  ). 
(1)  La  Vita  di  Dante:  testo  del  così  detto  Compendio  attribnito 
a  Giovanni  Boccaccio,  per  cura  di  H.  Bostagno,  Bologna  1899:  Bibl. 
stor.  -  crit.  d.  lett  dant.  N.  2  -  S.  La  Vita  di  Dante  scritta  da  Gio- 
canni  Boccaccio  :  testo  critico  con  Introduzione,  Note  e  Appendice  di 
Fniueesco  Macrì  -  Leone,  Firenze  1888.  [Cito  da  queste  due  edizio- 
ni, prima  la  pagina  e  poi  la  linea.]  Per  la  priorità  del  Compen- 
dio, vd.  lo  buone  ragioni  addotte  dal  Bostagno  nella  sua  Prefasio- 
ne,  p.  35  ss. 


306  La  Beatrice  storica 

Dante  per  la  Portinari,  sia  passata  via  via  per  un  pro- 
cesso di  elaborazione  e  di  integrazione,  che  si  rispecchia 
nei  tre  luoghi  boccacceschi  dove  quella  notizia  occorre,  Com- 
pendiOf   Vita,  Commento. 

Nel  Compendio  si  legge  (p.  14,  15):  '  Fu  questo  amore 
di  Dante  onestissimo,  qual  che  delle  parti,  o  forse  amen- 
due,  fosse  di  ciò  cagione  ;  e  quantunque,  almeno  dalla  parte 
di  Dante,  ardentissimo  fosse,  ninno  sguardo,  ninna  parola, 
ninno  cenno,  niuno  sembiante,  altro  che  laudevole,  per 
alcuno  se  ne  vide  giammai'.  Nella  Vita  (  p.  16, 
3  )  :  '  Tanto  solamente  non  voglio  che  non  detto  trapassi,  cioè 
che,  secondo  eh' egli  [  Dante  ]  scrive  e  che  per 
altrui  a  cui  fu  noto  il  suo  disio  si  ragio- 
n  a  ,  onestissimo  fu  questo  amore,  né  mai  apparve,  o  per 
isguardo  o  per  parola  o  per  cenno,  alcuno  libidinoso  appetito 
ne  nello  amante  né  nella  cosa  amata  '.  Il  biografo  nella 
Vita  non  si  contenta  più  dell'  indeterminato  alcuno  del 
Compendio,  ma  più  avvedutamente  chiama  a  testimonio  di 
tanto  miracolo,  alcuno  a  cui  fu  noto  il  desio 
del  poeta.  Chi  infatti  poteva  sicuramente  dire  che  Dan- 
te, in  cui  '  truovò  ampissimo  luogo  la  lussuria,  e  non  so- 
lamente ne'  giovani  anni,  ma  ancora  ne'  maturi'  (  Vi.  61, 
31  ),  non  mostrò  in  quella  '  fierissima  e  importabile  pas- 
sione d'  amore  '  (  Vt.  13,  16),  neppure  con  uno  sguardo, 
neppure  con  una  parola,  neppure  con  un  cenno,  alcuno 
libidinoso  appetito?  Certo  colui,  a  cui  fu  noto  il  desio 
del  poeta.  Ma  nel  Commento  si  viene  a  determinazione 
maggiore,  che  pare  svolgimento  della  notizia  della  Vita. 
Chi  poteva  aver  conosciuto  il  desio  del  poeta ,  e  assi- 
curar degli  atti  onestissimi  di  quell'  amore ,  se  non  colui 
che  aveva  conosciuto  Beatrice  ?  Soltanto  Beatrice  poteva 
confidare  a  qualche  sua  amica  o  sorella  la  delicata  riser- 
vatezza di  Dante,  Ed  ecco  nel  1373  1'  accenno  a  testimo- 
nianza più  determinata  e  più  attendibile.  Si  legge  nel  Coni- 


Foid  della  notizia  delia  Portinari  307 

s 


mento  (  1,  224  )  :  '  Fu  adunque  questa  donna  (secondo 
la  relazione  di  fé  dedegna  persona,  la  qua- 
le la  conobbe,  e  fu  per  consanguinità  stret- 
tissima a  lei)  figliuola  di  un  valente  uomo  chiamato 
Folco  Portinari,  antico  cittadino  di  Firenze  ...  E  fu  di 
costumi  e  di  onestà  laudevole,  quanto  donna  esser  debba, 
e  |V)ssa  ;  e  di  bellezza  e  di  leggiadria  assai  ornata  ;  e  tu 
moglie  d'  un  cavaliere  de'  Bardi,  chiamato  messer  Simone, 
f  nel  ventiquattresimo  anno  della  sua  età  passò  di  questa 
vita,  negli  anni  di  Cristo  MCCXC.  Fa  questa  donna  me- 
ravigliosamente amata  dall'  autore  :  né  cominciò  questo 
amore  nella  loro  provetta  età,  ma  nella  loro  fanciullezza; 
perocché  essendo  ella  d'  età  d'  otto  anni,  e  1'  autore  di  nove, 
siccome  egli  medesimo  testimonia  nel  principio  della  sua 
Vita  Nuova,  prima  piacque  agli  occhi  suoi  :  ed  in  questo 
amore,  con  maravigliosa  onestà  }>prsfvorò  mentre  ella  vis- 
se'  (•). 

Nel  Compendio  come  nella  Vita,  il  vago  accenno  a 
fonte  orale  mira  a  confortar  di  prove  1'  asserto  della  pu- 
rezza incredibile  e  maravigliosa  di  quell'  amore  ;  nel  Com- 
mento invece,  la  fededegna  persona  è  invocata  a  confer- 
mare, come  se  alcuno  già  ne  dubitasse,  che  la  Beatrice  del 
poeta  era  figlia  di  Folco  Portinari,    e   moglie   di   Simone 


(*)  Una  ben  curiosa  occasione  introduce  nel  Commento  codesta 
notizia  della  moglie  di  messer  Simone  :  '  Ma  potrebbesi  qui  muo- 
vere un  dubbio,  e  dire,  come  sai  tu  che  questa  donna  parlasse  fio- 
rentino ?  A  che  si  può  rispondere,  apparire  in  più  luoghi  in  questo 
volume.  Beatrice  essere  stata  una  gentildonna  fiorentina,  la  quale 
r  autore  onestamente  amò  molto  tempo  ;  e  per  questo  comprendere 
e  dire,  lei  in  fiorentino  volgare  avere  parlato.  E  perciocché  questa 
è  la  primiera  volta  che  di  questa  donna  nel  presente  libro  si  fa  men- 
zione, non  pare  indegna  cosa  alquanto  manifestare,  di  cui  1'  autore 
in  alcune  parti  della  presente  opera  intenda,  nominando  lei  :  con- 
ciossiaoos;i<'lit''  non  senipr»-  di  Ifi  allegoricamente  favelli  '. 


B08  La  Beatrice  storteci 

de'  Bardi  ;  particolare  questo  del  matrimonio  di  Beatrice 
che,  si  noti  bene,  non  era  stato  prima  d'  allora  detto  dal 
Boccaccio,  non  nel  Compendio,  non  nella  Vita.  Certo,  a 
codesta  definitiva  elaborazione  della  notizia  della  Portinari, 
il  Boccaccio  non  venne  da  se  ;  ma  non  è  forse  troppo  te- 
merario il  sospetto  che  vi  avesse  contribuito  il  suo  tratta- 
tello.  Il  biografo  insomma,  e  le  sue  fonti  orali,  congiura- 
rono amicamente  al  definitivo  assetto  di  quella  notizia,  a 
cui  avevano  dato  il  primo  incentivo  e  bene  auspicato  i 
primi  commentatori  del  Poema. 

La  fededegna  persona  del  Commento  che  conobbe  Bea- 
trice, è  la  stessa  persona  della  Vita  a  cui  fu  noto  il  desio 
del  poeta,  e  che  quando  il  Boccaccio  scriveva  la  Vita  (cioè 
intorno  al  1364,  secondo  il  Macri-Leone  ;  vd.  Intr.  p.  69  ss), 
andava  ragionando  dell'  onestissimo  amore  di  Dante  ?  Se 
si,  quanti  anni  sarà  mai  vissuta  codesta  fededegna  perso- 
na? Quando  Beatrice  morì,  costui  (o  costei)  non  doveva 
essere  un  bambino  ;  giacche,  non  solo  intorno  al  1364  ricor- 
dava bene  la  consanguinea,  ma  ricordava  anche  gli  amori 
di  lei,  perchè,  nella  sua  giovinezza  certamente,  avea  co- 
nosciuto il  desio  del  poeta.  Pare  dunque  che  fosse  supper- 
giù dell'  età  di  Beatrice  ;  e  nel  1364,  tempo  in  cai  ancora 
ne  ragionava,  dovea  esser  quasi  centenaria  la  famosa  fe- 
dedegna persona  ;  il  che,  se  non  è  impossibile,  è  poco 
probabile.  Ovvero  diremo,  che  la  persona  accennata  nella 
Vita  non  è  la  fededegna  persona  del  Commento!  Sarebbe 
infatti  ipotesi,  sotto  ogni  rispetto,  più  probabile.  Ma,  con- 
cesso pure  che  la  indeterminata  persona  della  Vita  for- 
nisse al  Boccaccio  la  monca  notizia  del  trattatello  in- 
torno alla  Portinari,  cosa  che  il  biografo  non  dice  ;  code- 
sta monca  notizia  era  già  di  seconda  mano.  Nata  la  fonte 
del  trattatello  quando  Beatrice  mori,  nel  1364  a  74  anni 
poteva  certo  godere  buona  salute  e  voglia  migliore  d'  an- 
dar ragionando  dei  miracoli  della  passione  amorosa  del  di- 


La  fededegna  persona  30d 

vino  poeta.  Ma  aveva  attinto  ad  altra  fonte,  molto  tardi, 
una  notizia  che,  per  la  sua  stessa  natura  delicata,  richie-^ 
deva  scrupolosa  diligenza  e  conoscenza  esatta  dei  dati  della 
Vita  nuova  per  essere  accertata  (').  Se  dunque  fino  al  1364 
il  Boccaccio  non  avea  trovato  per  la  notizia  di  quegli  a- 
mori,  fonte  più  ricca  e  più  schietta  di  quella  che  poteva 
venirgli  dalla  indefinita  persona,  a  cui,  non  si  sa  come,  fu 
noto  il  desio  del  poeta,  e  che  andava  confermando  solo  le 
parole  del  poeta  ;  come  mai  in  processo  di  tempo  poteva 
egli  trovare  la  fededegna  persona  che  avea  conosciuto  Bea- 
trice ed    i  poetici  amori  di  lei? 

Da  chi  abbia  saputo  il  Boccaccio,  non  dico  del  roman- 
zesco innamoramento  in  casa  di  Folco,  ma  dell'  amore  del 
poeta  per  la  Bice  Portinari,  nel  trattatello  veramente  non 
dice.  Probabilmente  verso  la  metà  del  secolo  la  storiella 
di  cotlesto  amore,  lungi  dall'  esser  consolidata  ,  si  andava 
appena  formando.  Certo,  intorno  al  1355  1'  amore  di  Bice 
era  già  una  di  quelle  storielle  che  riesce  sempre  impossi- 
bile trovare  come  siano  nate,  e  donde,  messe  le  alucce,  ab- 
biano preso  primamente  il  volo.  Nessuno  inventa  di  pro- 
posito deliberato.  Ad  alcuno,  colpito  da  qualche  circostan- 
za, abbagliato  dalla  luce  improvvisa  di  qualche  remini- 
scenza, balena  un'  ipotesi  che,  in  un  momento  di  curiosità 
morbosa,  pare  una  rivelazione.  Altri  riferisce  l' ipotesi,  non 
come  ipotesi,  ma  come  notizia  altrui  ;  e  allora  l' ipotesi  si 
veste  delle  autorevoli  assise  del  si  dice,  e  nessuno  ne  du- 
bita più,  anzi  ognuno,  senz'  avvedersene,  sviluppa  di  nuovi 


(1)  Il  dubbio  di  Giacomo  Colonna  intorno  all'  amore  del  Petrar- 
ca per  Laura,  e  le  incertezze  che  si  hanno  intorno  agli  amori  del 
Leopardi  o  di  altri  poeti  moderni,  mostrano  quanto  sia  difficile,  an- 
che por  gli  amici  od  i  parenti,  anche  oggi  in  tanto  lume  di  critica 
e  con  tanta  febbre  di  ricerca,  saper  niente  di  positivo  intorno  a  co- 
deste passioncelle  poetizzate.  Cfr.  G.  A.  Cesareo,  Beatrice,  in  iV.  ed 
A.  1,  199. 

39 


310  La  Èeatrìce  storica 


particolari  la  notizia  di  patrimonio  cornane.  Il  Boccaccio 
accolse  nel  suo  trattatello  quella  voce  spuntata  in  quel  pri- 
mo grattarsi  pel  prurito  della  curiosità  stuzzicata,  fiorente 
in  quel  primo  fervore  di  letture  dantesche  ;  accolse  quella 
voce,  senza  dubitarne,  e  senza  pensare  che  era  impossibile 
che  alcuno  allora  ricordasse  gli  amori  affatto  platonici  del- 
l' adolescenza  di  Dante,  se  nessuno  seppe  mai  dirgli  nulla 
di  queir  adolescenza,  nulla  intorno  a  fatti  di  ben  altro  ri- 
lievo, intorno  a  fatti  veduti  certo  e  toccati  con  mano  da 
amici  e  nemici  del  povero  esule.  Egli  non  ne  dubitava  ; 
la  notizia  era  infatti,  non  solo  molto  probabile,  ma  molto 
opportuna  anche  ad  una  comoda  esegesi  dell'  opera  dan- 
tesca ;  e ,  che  forse  più  gì'  importava,  opportunissima  al 
suo  panegirico.  Né  si  può  supporre  eh'  egli,  scrivendo  il 
trattatello,  sapesse  nulla  della  relazione  della  fededegna 
persona,  e  del  particolare  che  occorre  nel  Commento.  Egli 
nel  trattatello,  non  solo  non  fa  cenno  del  matrimonio  di 
Beatrice,  ma  carica  le  tinte  sulla  purezza  di  quell'  amore 
più  di  quel  che  tale  circostanza  non  consigliasse.  E  dal- 
l' aver  poi  saputo  codesto  particolare,  sarà  venuto  quell'  at- 
tenuar eh'  ei  fa  nel  Commento  V  incredibile  e  miracolosa 
onestà  della  ^  cosa  amata  '.  Egli  infatti  nel  Commento  scrive 
che  la  Bice  fu  bensì  '  di  costumi  e  di  onestà  laudevole  ', 
ma  '  quanto  donna  esser  debba  e  possa  ',  non  più  ;  giacché, 
avrà  pensato  il  novelliere  che  di  questi  negozi  se  ne  in- 
tendeva, codesta  donna,  in  fin  dei  conti,  moglie  di  messer 
Simone,  avrà  anch'  essa  amato  il  poeta,  se  egli  tanto  ne 
arse  ;  e  1'  amare  un  uomo  lussurioso  come  Dante,  non  é 
certo  per  una  moglie  il  miglior  titolo  d'  onestà. 

Comunque,  a  ben  guardare,  il  Boccaccio  non  disse  mai 
d'  avere  attinto  a  fonti  orali  dirette  quella  sua  notizia.  Nello 
stesso  Commento^  dove  1'  accenno  alla  fonte  é  fatto  con 
certa  intenzione  critica,  e  viene  a  conferma  dell'  identità 
della  Beatrice  di  Dante  con  la  Bice  di  Simone,  il  Boccac- 


La  fededegna  j)en>ona  :;ii 


ciò  non  dice  già  :  —  secondo  la  relazione  eh'  io  ebbi  da  fe- 
dedegna persona  —  ,  o  simile  ;  raa  '  secondo  la  relazione  di 
fededegna  persona'.  Probabilmente  alcuno,  dopo  il  1364, 
disse  al  Certaldese,  che  una  fededegna  persona,  parente 
della  Bice,  (che  avea  veramente  conosciuta  la  Portiuari, 
e  che  allora  da  una  ventina  d'  anni  dovea  esser  morta  ot- 
tuagenaria )  gli  aveva  detto  che  avea  conosciuto  la  figliuola 
di  Folco,  la  quale  era  stata  moglie  virtuosa  di  Simone 
de'  Bardi.  E  il  locacelo  nel  1373  volle  citare  quell'  au- 
torevole fonte,  sia  perchè  forse  alcuno  cominciava  a  dubi- 
tare, sia  perchè  il  nuovo  particolare  acquisito  del  matri- 
monio della  Bke,  rendeva  })oco  probabile  1'  identificazione 
della  moglie  altrui  con  la  Jieatrice  della  Commedia.  Certo, 
r  affermazione  della  fededegna  persona  era  vera,  e  lo  prova 
il  testamento  di  Folco;  ma  siamo  noi  sicuri  che  co<lesta  fe- 
dedegna persona  affermò  alla  fonte  diretta  del  Boccaccio 
che  la  moglie  di  Simone  amò  Dante,  e  che  morì  negli  anni 
di  Cristo  121X)?  La  fonte  orale  del  Boccaccio  potè,  sia  per 
mezzo  dei  primi  commenti  al  Poema,  sia  per  mezzo  dello 
stesso  trattatello  del  Boccaccio,  accomodare  o  completare 
la  notizia  della  fededegna  persona  ;  ovvero,  il  Boccaccio 
stesso  potè  integrare  la  monca  notizia  con  i  dati  eh'  egli 
desumeva  dalle  opere  di  Dante. 

Certamente  il  novelliere  non  guardava  la  cosa  tanto 
pel  sottile.  Non  solo  egli  non  approfondì  quella  notizia, 
ma  par  lecito  sospettare,  non  si  servisse  delle  sue  fonti 
orali  con  bonarietà  maggiore  dell'  incuria  che  mostra  nel- 
r  uso  delle  fonti  scritte.  Dalla  Cùmmedia,  egli  o  altri,  de- 
sunse 1'  anno  della  morte,  e  a  un  dipresso  anche  1'  età  di 
Beatrice.  Ma  alla  determinazione  maggiore  del  trattatello, 
che  Beatrice  morì  '  quasi  nel  fine  del  suo  vigesimo  quarto 
anno  '  (  Cmp.  IG,  6;  T7.  17,  6  ),  e  del  Commento,  che  '  nel 
ventiquattresimo  anno  della  sua  età  passò  di  questa  vita  '  : 
che  insomma  Beatrice  morì  senza  aver  compiuto  i  suoi  24 


312  La  Beatrice  ^lorica 


anni  ;  il  Boccaccio  sarà  forse  venuto  con  la  scorta  di  un  luogo 
non  bene  inteso  della  Vita  nuova.  Egli  narrando  romanzesca- 
mente r  innamoramento  del  poeta  in  casa  di  Folco  '  il  primo 
di  di  maggio  ',  afferma  che  Beatrice  allora  '  di  tempo  non 
passava  1'  anno  ottavo  '  (  Cmjì.  13,  14  ),  d'  '  età  era  forse 
d'  otto  anni  '  (  Vt.  14,  14  )  ;  mentre  nella  Vita  nuova  si  leg- 
ge che  Beatrice  d'  otto  anni  e  quattro  mesi,  '  quasi  dal 
principio  del  suo  nono  anno  ',  apparve  la  prima  volta  al 
poeta,  che  era  '  quasi  da  la  fine'  del  suo  nono  anno.  Cosi, 
avendo  il  Boccaccio  fatto  nascer  Beatrice  tra  il  maggio  e 
il  giugno  del  1266,  anziché  tra  il  decembre  del  1265  e  il 
gennajo  successivo,  venne  alla  conclusione  eh'  ella  fosse 
morta  senza  aver  compiuto  i  24  anni,  probabilmente  tra 
il  marzo  e  1'  aprile  del  1290,  giusto  dieci  anni  prima  della 
Visione  dantesca  ;  mentre  ella  compiva  i  24  anni,  o  sullo 
scorcio  del  1289,  o  coli'  entrar  del  1290^  e  non  mori  nel  suo 
ventiquattresimo  anno,  ma  nel  suo  venticinquesimo  anno 
inoltrato,  nel   giugno  del    1290  (').  Il  Boccaccio,  come  le 


(1)  La  data  dol  primo  '  apparimento  '  di  Boatrico  può  farsi  o- 
sciliare  tra  1'  aprile  e  il  maggio  del  1274,  giacché  nella  terza  deca- 
de di  quel  maggio  appunto  cadeva  il  nono  compleanno  del  poeta  ; 
la  nascita  di  Beatrice  si  può  dunque  porro  tra  il  decembre  1265  e 
il  gennajo  1266.  Il  Gambéra,  in  un  opuscoletto  di  4  pagine  che  porta 
la  data  di  Salerno,  maggio  1902  (  tip.  Jovane  ),  e  il  titolo  Data  della 
nascita  di  Dante  e  di  Beatrice  e  altre  date  relative  alla  loro  vita  ; 
vorrebbe  conciliare  la  data  che  ci  dà  il  Boccaccio  per  la  festa  e  il 
convito  e  l' innamoramento  in  casa  di  Folco,  con  gli  accenni  cro- 
nologici della  Vita  nuova ^  dove  certo  nò  di  feste  ne  di  conviti  non 
vi  è  pur  r  ombra.  E  pone  che  Beatrice  '  nacque  il  1"  gennajo  1266 
(  venerdì  ),  cioè  sette  mesi  dopo  di  Dante,  nato  il  31  maggio  1265  '. 
Ben  è  vero  che  della  sua  età  dice  il  poeta  che,  al  primo  appari- 
mento della  gentilissima,  novo  volte  '  era  tornato  lo  cielo  de  la  luco 
quasi  a  uno  medesimo  punto  quanto  a  la  sua  propria  girazione  '  ;  ma 
o  si  sta  strettamente  a  queste  parole,  e  allora  ò  meglio  porre  il  pri- 
pio  ^  apparimento  '  nella  seconda  quindicina   di  maggio  ;  o  in  quel 


U  età  di  Beatrice  .secondo  d  lioccaccio  ;U3 

sue  fonti  orali  dirette,  identificavano  la  Beatrice  di  Dante 
con  la  figliuola  di  Folco,  in  modo  assai  bonario  e  som- 
mario, un  po'  alla  carlona  ;  certo  senza  troppi  scrupoli, 
anzi  mostrando  una  certa  compiacenza.  Giacche  di  una 
vera  Beatrice  si  aveva  stretto  bisogno,  quando  si  trovò 
che  una  Bice  era  vissuta  a  Firenze  durante  la  giovinezza 
del  poeta,  e  quasi  sua  vicina  di  casa,  parve  che  ciò  ba- 
stasse, anzi  per  le  esigenze  critiche  di  quell'  età  era  an- 
che troppo.  Insomma,  se  da  una  parte  il  Boccaccio  attinse 
la  notizia  della  Portinari  a  fonti  orali  tardive,  dall'  altra 
parte  non  mostra  che  sapesse  o  volesse  ben  vagliare  ogni 
particolar  circostanza  di  quella  notizia  ;  anzi  pare  eh'  egli 
quella  notizia  completasse  con  circostanze  particolari  non 
esattamente  desunte  dalla  Vita  nuova  e  dalla  Commedia. 

Certo,  comechè  possa  sorprendere  che  il  Boccaccio  in 
una  notizia  di  tanto  rilievo,  nella  sola  notizia  eh'  egli  sap- 
pia riferire  dell'  adolescenza  di  Dante,  prima  non  accenni 
neppure  alla  sua  fonte  e  finalmente  nel  1373 ,  accennan- 
dovi appena,  tenga  celato  il  nome  sia  della  fededegna  per- 
sona, sia  del  relatore  della  relazione  della  persona  fedede- 
gna ;  e  comechè  codesta  fededegna  persona  possa  per  al- 
cuno aver  1'  aria  dell'  altra  non  meno  fededegna  persona 
che  viene  anch'  essa  in  buon  punto  a  testimoniare  della 
verità,  del  racconto  in  cui  s'  inquadrano  le  cento   novelle 


'  quasi  '  ci  può  entrare  un  mese,  e  allora  ci  può  bene  entrare  anche 
un  mese  e  mezzo.  E  a  me  pare  invero  che.  se  al  •  principio  '  del- 
l' anno  nono  Dante  dava  quattro  mesi  parlando  dell'  età  di  Beatri- 
ce, sia  poco  probabile  eh'  egli  désso  un  mese  (  o  una  ventiuci  di 
giorni  )  alla  '  fine  '  dello  stesso  anno  parlando  della  sua  età.  Credo 
piuttosto  che  Dante  ponga  quel  primo  '  apparimento  '  nell'  aprile  del 
1274.  Comunque.  1'  errore  del  Boccaccio,  quanto  all'  età  di  Beatrice, 
resta.  [  Ringrazio  il  mio  caro  amico  prof.  F.  Cantiirella  d' avermi 
procurato,  grazie  alla  cortesia  del  prof.  Gambéra,  suo  preside,  il 
prezioso  opuscoletto  di  cui  qui  è  parola.] 


314  La  Beatrice  storica 

del  Decamerone  ;  niente  giustificherebbe  il  sospetto  che  il 
Boccaccio  abbia  scientemente  mentito  ;  tutto  anzi  par  che 
cospiri  ad  insinuar  la  supposizione  che  anche  la  sua  fonte 
orale  fosse  in  buona  fede.  Certo,  le  accuse  che  si  muovo- 
no al  Boccaccio  sono  ingiuste.  Egli  non  volle  fare  una 
vera  biografia,  ma  con  lodevolissimo  e  nobilissimo  inten- 
dimento, tessere  un  bel  panegirico.  Suo  principale  assunto 
è  questo,,  mostrar  che  Dante  fu  un  uomo  straordinario  ; 
che  grande  ±u  a  malgrado  di  gravissimi  ostacoli,  e  prin- 
cipalmente a  malgrado  della  passione  per  Beatrice  ;  che 
'  e  per  gli  impeti  superati  e  per  1'  acquistata  scienzia,  sia 
di  doppia  corona  da  onorare  '  (  Cmp.  30,  2  )  ;  che  *  se  ob- 
stanti  cotanti  e  cosi  fatti  avversari  .  .  .  egli  per  forza  d'  in- 
gegno e  di  perseveranza  riusci  chiaro  qual  noi  veggiamo  ', 
sarebbe,  rimossi  quegli  ostacoli,  '  in  terra  divenuto  uno 
Iddio  '  {Vt.  31,  7  )  ;  che  insomma.  Dante  fu  un  uomo  mi- 
racoloso. E  sui  miracoli  infatti  il  Boccaccio  si  trattiene  con 
maggior  compiacenza.  Secondo  il  biografo,  primo  e  prin- 
cipale ostacolo  alla  grandezza  del  filosofo  e  teologo  Dante, 
fa  1'  amore,  e  specialmente  1'  amore  che  occupò  e  in  parte 
sciupò  gli  anni  suoi  migliori.  Non  è  esatta  1'  osservazione 
del  Moore,  non  confutata,  anzi  riconosciuta  giusta  dal  Ro- 
stagno  (  Pref.  30  e  38  ),  che  nel  Compendio  '  1'  amore  per 
Beatrice  è  affermato  stimolo  ai  sacri  studi  ',  mentre  nella 
Vita  intorno  a  ciò  vi  sarebbe  '  un  certo  riserbo  '.  Il  moti- 
vo dell'  amore  avversario  agli  studi  del  filosofo  e  teologo 
Dante,  non  escluso,  anzi  magna  parte  e  in  capo  della  lista, 
1'  amore  per  Beatrice,  è  cantato  e  ricantato  e  tornato  a 
cantare  nella  Vita  non  meno  che  nel  Conqjendio  ('). 


(1)  Noi  Covipendìo,   i  noti  luoghi   della  Commedia   dove  Dante 
parla  del  suo  rimaro  (  '  Clic   non  soccorri    quei   elio  t'  amò  tanto, 
Che  uscio    per   te   della  Aolgaro   schiera  ?  '  —  'e  forse  è  nato     Chi 
1'  uno  e  r  altro  caccerà   di   nido  '  :  —  '  lo  mi  son  un  che,  quando 


//  panegirico  e  t  importabile  passione  31o 

Difficile  cèrto  sarebbe  dire  come  il  Certaldese  conce- 
pisse quella  *  fierissima  e  importabile   passione   d'  amore  ' 


Amor»  spira,  ii<ii<>  .-«1  a  (jutl  iu<«l..  t  U.-  iliiiu  tlt-iitro,  vo  Higiiitit-aii- 
do')^  sono  pai-af rasati  con  questo  parole  (p.  13,  5):  'dal  viso  di 
questa  giovane  donna ...  fu  primieraraento  desto  nel  petto  suo 
lo  'ngegno  al  dovere  parole  rimate  comporre  ; ...  e  tal  maestro  sospin- 
gendolo amore,  no  divenne,  che  tolta  di  gran  lunga  la  fama  a'  di- 
citori passati,  mise  in  opinioni»  molti,  che  ninno  nel  futuro  ossero 
no  dovesse,  che  lui  in  ciò  potesse  avanzare  '.  Ma  in  questo  luogo 
non  si  parla  di  studi,  nò  sacri,  nò  profani.  E  che  1'  amore  per  Bea- 
trice, quel  '  troppo  focoso  desiderio  spesse  volte  nojoso  e  grave  a 
sofferire  '  (  Cmp.  Ift,  5  ),  fosse  ostjicolo  ai  s.acri  studi,  nel  Compendio 
è  detto  più  volte.  Prima  di  parlar  di  quel!'  incitamento  al  rimare, 
scrive  il  Boccaccio,  come  prrsimbolo  al  romanzetto  della  Rice  (  p. 
12,  4):  'Oli  studij  generalmente  sogliono  solitudine  e  rimozione  dì 
sollecitudine  disideraro  o  tranqnillitji  d*  animo,  e  massimamente  gli 
speculativi,  a*  quali,  si  come  mostrato  è.  il  nostro  Dante,  in  quanto 
la  possibiliti'i  permetteva,  s'  era  donato.  In  luogo  della  quale  rimo- 
zione e  quiete,  quasi  dallo  inizio  della  sua  puerizia  infìno  allo  e- 
stremo  della  sua  vita,  Dante  ebbe  fierissima  et  importabile  pas.sione 
d'  amore  '.  E  dopo  d'  aver  detto  di  quell'  incit<imento  al  rimare,  ed 
accennato  agli  amori  '  per  una  giovane  '  di  Lucca,  che,  secondo  il 
Boccaccio,  Dante  'nomina  Pargoletta':  e  'per  una  Alpigina  '  del 
Casentino,  '  la  quale,  dice  il  1»iografo,  se  mentito  non  m"  è,  quan-> 
tunquc  bel  viso  avesse,  era  gozzuta  '  :  scrive  (  p.  17,  13  )  :  '  Agro  e 
valido  nimico  degli  studij  è  amore ...  ;  perciò  che,  poi  che  con  lusin- 
ghevole speranza  ha  tuttji  la  mente  occupata  [  cfr.  canz.  £'  m'  in- 
cre  di  me,  'Ma  poiché  sepper  di  loro  intelletto,  Che  per  forza  di 
lei  ir  era  la  mente  già  ben  tutta  toltji  '  ]  di  chi  nel  principio  non 
1'  ha  con  forte  resistenzia  scacciato,  ninno  pensiero,  ninna  medita- 
zione, ninno  appetito  in  quella  patisce  che  stia,  se  non  quelle  sole, 
le  quali  esso  medesimo  vi  reca  ;  e  eh  enti  questo  siano  e  come  con- 
trarie allo  speculare  filosofico  et  alle  poetiche  invenzioni,  sì  mani- 
festo mi  pare,  che  superfluo  estimo  sarebbe  il  metterci  tempo  a  più 
chiarirlo  '.  Xel  qual  periodo,  che  manca  nella  Vita,  come  manca 
r  accenno  alla  Pargoletta  lucchese  ed  alla  gozzuta  del  Casentino, 
amore  non  solo  è  contrario  '  allo  speculare  filosofico  ',  ma  anche,  e 
questo  nessuno  qui  se  lo  aspetterebbe.  *  alle   poetiche   invenzioni  ', 


816  La  Beatrice  storica 


per  Beatrice,  quel  '  concupiscibile  appetito  ',  quel  '  troppo 
focoso  desiderio  spesse  volte  nojoso  e  grave  a    soiFerire  '  ; 


Ancora,  corno  riassumendo  (  p.  29,  4  )  :  '  Assai  credo  che  manifesto 
sia  da  quanti  o  quali  accidenti  contrarij  agli  studij  fosse  infestato 
11  nostro  Poeta,  il  quale  ne  gli  amorosi  desiri,  uè  le  dolenti  lagri- 
me . . .  tutte  imbolatrici  di  tempo  agli  studianti,  non  poterono  con 
le  loro  forze  vincere,  né  dal  principale  intento  rimuovere,  cioè  da'  sa- 
cri studij  della  filosofia  '  ;  (  p.  63,  13  )  'In  così  fatte  cose,  quali  di 
sopra  narrate  sono,  consumò  il  chiarissimo  uomo  quella  parte  del 
suo  tempo,  la  quale  egli  agli  amorosi  sospiri,  alle  pietose  lagrime, 
alle  sollecitudini  private  e  pubbliche  . . .  potè  imbolare  '.  Né  si  pensi 
che  il  biografo  non  alluda  in  codesti  brani  all'  amoro  per  Beatrice, 
ma  agli  altri  amoii  :  degli  altri  amori  non  occorre  che  un  breve 
cenno,  mentre  dell"  amore  per  Beatrice,  è  quasi  piena  tutta  la  di- 
ceria ;  e  di  tale  amore  si  legge  (  p.  16,  1  )  :  *  Gravi  erano  stati  i  so- 
spiri e  le  lagrime,  mossi  assai  sovente  dal  non  potere  aver  veduto, 
quanto  il  concupiscibile  appetito  desiderava,  il  grazioso  viso  della 
sua  donna  ;  ma  troppo  più  ponderosi  glieli  serbava  quella  estrema 
et  inevitabile  sorte  che,  mentre  vivere  dovesse,  ne  '1  doveva  pri- 
vare '.  Codesto  si  legge  nel  Compendio.  IVella  Vita  il  Boccaccio  af- 
ferma le  stesse  coso,  1'  amoro  per  la  Portinari  sprone  al  rimare,  ma 
avversario  ai  sacri  studi  :  (  p.  16,  12  )  *  Se  tanto  amore  e  sì  lungo 
potò  il  cibo,  i  sonni  e  ciascun'  altra  quiete  impedire,  quanto  si  dee 
potere  estimare  lui  essere  stato  avversario  ai  sacri  studi  e  allo  in- 
gegno ?  Certo  non  poco  ;  come  che  molti  vogliano  lui  essere  stato 
incitatore  di  quello  ;  argomento  a  ciò  prendendo  dalle  cose  leggia- 
dramente nel  fiorentino  idioma  e  in  rima,  in  laude  della  donna  a- 
mata,  e  acciò  che  li  suoi  ardori  e  amorosi  concetti  esprimesse,  già 
fatte  da  lui  ;  ma  certo  io  noi  consento,  se  io  non  volessi  già  affermare 
1'  ornato  parlare  essere  sommissima  parte  d'  ogni  scienzia  ;  che  non 
è  vero  '.  E  del  rimare,  scrive  ancora  (  p.  44,  18  )  :  '  Quanto  fervente- 
mente esso  fosse  ad  amore  sottoposto,  assai  chiaro  è  già  mostrato  : 
questo  amore  è  ferma  credenza  di  tutti  che  fosse  movitore  del  suo 
ingegno  a  dover,  prima  imitando,  divenire  dicitore  in  vidgare,  poi 
por  vaghezza  di  più  solennemente  dimostrare  le  sue  passioni  e  di 
gloria,  sollecitamente  esercitandosi  in  quella,  non  solamente  passò 
ciascuno  suo  contemporaneo,  ma  in  tanto  la  dilucidò  e  fece  bella, 
che  molti  allora  e  poi  di  drieto  a  sé  n'ha  fatti  e  farà  vaghi  d'  essere 


V  amore  per  Èeafrice  amersario  agli  studi  :\\  7 

che,  se  da  una  parte  era  cagione  di  pensieri,  di  sospiri, 
di  lagrime  e  di  '  altre  passioni  gravissime  '  le  quali  non 
permettevano  al  filosofo  e  teologo  di  occuparsi  quanto  a- 
vrebbe  voluto  di  teologia  e  di  filosofìa  ;  d'  altra  parte  poi, 
non  si  manifestava  neppure  con  uno  sguardo,  neppure  con 
una  parola,  neppure  con  un  cenno  !  Ma  è  affatto  impos- 
sibile dire  che  pensasse  egli  mai  del  chiamare  che  fa  il  fi- 
losofo e  teologo  Dante,  vile  e  malvagio,  rispetto  all'  amore 
per  Beatrice,  l'amore  alla  Filosofia.  Del  Convivio  il  Boc- 
caccio parla  un  po'  vagamente.  Nella  Vita  (  p.  74,  4  ),  e 
suppergiù  anche  nel  Compendio  (  p.  63,  3  ),  si  legge  :  '  Com- 
pose ancora  un  Comento  in  prosa  in  fiorentino  volgare  so- 
pra tre  delle  sue  Canzoni  distese,  come  che  egli  appaia 
lui  aver  avuto  intendimento,  quando  il  cominciò,  di  e  o- 
mentarle  tutte,  benché  poi  o  j^er  mutamento  di  pro- 
posito 0  per  mancamento  di  tempo  che  avvenisse,  più  ce- 
mentate non  se  ne  trovano  da  lui  ;  e  questo  intitolò  Con- 
vivio, assai  bella  e  laudevole  operetta  '.  Non  si  serve,  ne 
cita  il  Coni'icio,  nell'  investigare  che  fa,  perchè  la  Comme- 
dia sia  stata  scritta  in  volgare.  Però,  due  affermazioni  pare 
che  egli  dal  Convivio  appunto  desumesse  ;  sulle  quali  dob- 
biamo un  po'  fermarci  ;  perchè,  se  già  abbiamo  veduto  co- 
me si  servisse  il  biografo  della  Vita  nuova  per  determinare 
1'  età  di  Beatrice,  la  prova  più  chiara  della  sua  negligenza 


esperti  '.  Ai  brani  citati  del  Compendio  (  12,  4  ;  29,  4  ;  63,  13  ),  dove 
r  amore  per  Beatrice  è  considerato  come  avversario  agli  studi,  cor- 
rispondono i  seguenti  luoghi  della  Vita,  13,  11;  30.  30;  74,  23.  Il 
Boccaccio  salda  nella  Vita  le  due  affermazioni  contradittorie  del 
Compendio  intorno  al  rimare,  e  con  più  riserbo  giudica  dell'eccellenza 
delle  rime  dantesche  ;  ma  sostanziale  contradizione  tra  la  Vita  e  il 
Compendio,  non  solo  riguardo  all'  amore  avversario  agli  studi,  ma 
neppure  riguardo  all'  amore  spi-one  al  rimare,  non  e'  è.  L'osservazio- 
ne del  !Moore,  accettata  dal  Eostagno,  muove  dall'  osservazione  più 
discreta  del  Witte,  accettata  dal  alacri -Leone,  vd.  T7.  87,  app.  ap.  64. 

40 


318  La  Beatrice  storica 


nell'  uso  delle  fonti  scritte,  e  specialmente  della  Vita,  nuova, 
ce  r  offrono  appunto  queste  sue  deduzioni  dal  Convivio. 

Afferma  il  Boccaccio  nella  Vita  (  p.  63,  7  ),  che  Dante, 
'  duranti  ancora  le  lagrime  della  morte  della  sua  Beatrice, 
quasi  nel  suo  ventesimosesto  anno  compose  in  un  volu- 
metto, il  quale  egli  intitolò  Vita  Nuova,  certe  operette,  sic- 
come sonetti  e  canzoni,  in  diversi  tempi  davanti  e  in  rima 
fatte  da  lui,  maravigliosamente  belle  ;  di  sopra  da  ciascuna 
partitamente  e  ordinatamente  scrivendo  le  cagioni  che  a 
quella  fare  l'avevano  mosso,  e  di  dietro  ponendo  le  divisioni 
delle  precedenti  opere.  E  come  che  egli  di  avere  questo 
libretto  fatto,  negli  anni  più  maturi  si  vergognasse  molto, 
nondimeno,  considerata  la  sua  età,  è  egli  assai  belio  e  pia- 
cevole,  e  massimamente    a'  volgari  '   (').  Molto    probabil- 


(1)  Nel  Compendio  si  leggo  soltanto  (  p.  53,  19  )  :  '  Compose  que- 
sto glorioso  Poeta  più  opere  no'  suoi  giorni  ;  tra  le  quali  si  erede 
la  prima  un  libretto  volgare,  che  egli  intitola  Vita  nuova,  nel  quale 
egli  et  in  prose  et  in  sonetti  et  in  canzoni  gli  accidenti  dimostra 
dell'  amore,  il  quale  portò  a  Beatrice  in  gioventù  '.  Secondo  la  te- 
stimonianza di  un  codice  della  Vita  nuora  {  Laurenziano  pi.  xc  sup. 
136;  vd.  Beck,  Danfen  Vita  Nova,  prof.  pp.  8  s,  22  ss),  del  Boc- 
caccio sarebbe  questa  Nota,  che  si  legge  in  ben  altri  cinque  mano- 
scritti del  disgraziato  libello  di  Dante  :  '  Maraviglierannosi  molti  per 
quello  eh'  io  avvisi,  perchè  io  le  divisioni  de'  sonetti  non  ho  nel  to- 
sto poste,  come  1'  autore  del  presente  libretto  le  pose.  Ma  a  ciò  ri- 
spondo, due  essere  state  le  cagioni.  La  prima,  per  ciò  che  lo  divi- 
sioni de'  sonetti  manifestamente  sono  dichiarazione  di  quegli  ;  perchè 
più  tosto  chiose  appajono  dovere  esser,  che  testo  ;  et  però  chiosa 
r  ho  poste,  non  testo  . . .  La  seconda  ragione  è,  che,  secondo  eh'  io 
ho  già  udito  più  volte  ragionai'o  a  persone  degne  di  fede,  avendo 
Dante  nella  sua  giovanezza  composto  questo  libello,  et  poi  essendo 
col  tempo  nella  scienza  et  nelle  operazioni  cresciuto,  si  vergognava 
aver  fatto  questo,  parendogli  opera  troppo  puerile  ;  et  tra  1'  altre 
cose  di  che  si  dolea  averlo  fatto,  si  rammaricava  d'  avere  inchiuse 
le  divisioni  nel  testo,  forse  per  quella  medesima  ragione  che  muove 
me.  Laonde  io,  non  potendolo  negli  altri  omendiin*.  in  questo  che 


f.p  drduzioni  dal  Convirìo  •rt 

mente,  come  già  è  stato  osservato  dal  Macri-Leoue  (  Intr. 
p.  114;  e  Appendice,  p.  05,  append.  a  p.  03),  il  Boccac- 
cio desume  ()u»'.ste  sue  atfermazioiii  dal  seguente  luogo  del 
Concicio  1,1.111  ;  •  E  se  nella  presente  opera,  la  quale 
è  Concito  nominata  e  vo'  che  sia,  più  virilmente  si  trat- 
tasse che  nella  Vita  Nuova,  non  intendo  però  a  quella  in 
parte  alcuna  derogare,  ma  maggiormente  giovare  per  que- 
sta quella;  veggendo  siccome  ragionevolmente  quella  fer- 
vida e  passionata,  questa  temperata  e  virile  essere  convie- 
ne. Che  altro  si  conviene  e  dire  e  operare  a  una  etade, 
che  ad  altra  ;  perchè  certi  costumi  sono  idonei  e  laudabili 
a  una  etade,  che  sono  sconci  e  biasimevoli  ad  altra  ...  E 
io  in  quella  dinanzi  all'  entrata  di  mia  gioventute  parlai, 
e  in  questa  dipoi  quella  già  trapassata  '.  Della  seconda  af- 
fermazione del  Boccaccio,  che  Danto  si  vergognasse  della 
Vita  nuoca,  comunque  si  vogliano  intendere  le  parole  del- 
l' opera  temperata  e  virile  che  già  abbiamo  esaminate,  non 
occorre  neppure  parlare  ;  è,  sul  luogo  del  Contacio,  un  ri- 
Hesso  del  concetto  che  il  biografo  si  era  fatto  intorno  al 
filosofo  e  teologo  Dante,  ed  alla  importabile  passione  d' a- 
more  per  Beatrice.  La  prima  atfermazione,  che  Dante  com- 
pose la  Vita  nuova  nel  suo  ventesimo  sesto  anno,  mostra 
chiaramente  che  il  Boccaccio  non  tenne  alcun  conto,  quan- 
to alla  Vita  nuoca,  dell'  annovale  di  Beatrice,  e  dell'  epi- 
sodio della  donna  gentile,  e  del  resto  ;  e,  quanto  al  Con- 
cicio, dei  trenta  mesi,  di  Venere,  e  del  suo  famoso  epici- 
clo. Secondo  il  biografo,  Dante  un  primo  dì  di  maggio 
non  avea  finito  il  suo  nono  anno,  e  Beatrice  non  avea  fi- 
nito r  ottavo  ;  se  Beatrice,  secondo  il  biografo,   morì   nel 


scritto  ho,  n"  ho  voluto  sodisfare  1*  appetito  de  V  autore  ".  Le  o.sser- 
razioni  fatte  n  questa  Xota,  non  sono  degli  Editori  Milanesi  (  Tri- 
vulzio  e  Magiri  )  della  Vita  nuora,  come  mostra  di  ci*edere  il  Beck, 
ma  sono  del  Biscioni.  Frase  di  D.  A.  e  di  mesaer  0.  B.  ed.  cit.  p.  329  s. 


320  La  Beatrice  storica 

fine  del  suo  ventiquattresimo  anno,  evidentemente  il  poeta 
era  allora  anch'  esso  sul  compiere  il  suo  venticinquesimo 
anno  :  or  bene,  se  il  Boccaccio  avesse  aggiunto  a  codesta 
età  del  poeta  alla  morte  di  Beatrice,  un  anno,  ricordan- 
dosi dell'  anno  vale,  e  alcuni  mesi,  ricordandosi  della  nar- 
razione della  Vita  nuova  che  segue  all'  episodio  dell'  anno- 
vaie  (  e  non  dico  delle  dichiarazioni  del  Convivio  ),  ed  al- 
cuni mesi  ancora  per  la  composizione  della  Vita  nuova  ; 
non  avrebbe  detto  che  Dante  compose  il  libello  '  quasi  nel 
suo  ventesimosesto  anno  ',  perchè  tale  espressione  vuol  dire 
propriamente  che  Dante  compose  la  Vita  nuova  suU'  alba 
dei  suoi  26  anni  ;  a  conceder  molto,  nella  seconda  metà  del 
1290,  alquanti  mesi  dopo  la  morte  di  Beatrice,  '  duranti  an- 
cora le  lagrime  della  morte  della  sua  Beatrice  ',  come  spie- 
ga egli  stesso.  Né  possiamo  pensare  che  codeste  lagrime,  pel 
Boccaccio,  durassero  molto  a  lungo.  Sappiamo  (  Vt.  18,  1  ) 
'  che  Dante  infra  alquanti  mesi  apparò  a  ricordarsi,  sanza 
lagrime,  Beatrice  essere  morta  '  ;  e  sappiamo  che  non  solo  le 
lagrime  dopo  poco  tempo  erano  passate,  ma  anche  i  sospiri  : 
'  né  guari  di  spazio  passò,  che  dopo  le  lasciate  lagrime,  li 
sospiri,  li  quali  già  erano  alla  lor  fine  vicini,  cominciarono 
in  gran  parte  a  partirsi  sanza  tornare'.  Insomma,  largheg- 
giando, mese  più,  mese  meno,  un  anno  non  si  può  concede- 
re che  il  Boccaccio  credesse  che  fosse  passato  tra  la  morte 
di  Beatrice  e  la  composizione  della  Vita  nuova  (^). 


(1)  Corto  nessuno  direbbe  che  Dante  composo  la  sua  giovanile 
operetta,  anche  lasciando  stare  il  '  quasi  ',  nel  suo  ventesimo  sosto 
anno.  Danto  era  entrato  già  nel  suo  ventesimo  sesto  anno,  quan- 
do Beatrice  morì  ;  e  nell'  annovale  ora  entrato  noi  suo  yontisottosi- 
mo  anno;  dunque  Dante  compose  il  libello,  al  pivi  presto,  nel  suo 
ventisettesimo  anno,  e  neppure  quasi  nel  suo  ventisettesimo  anno, 
ma  nel  suo  ventisettesimo  anno  molto  inoltrato.  Il  Macri  -  Leone 
(  Appena,  p.  98  )  corca  di  salvare  il  Boccaccio,  ragionando  così  :  '  le 
parole  diuanli  ancora  le  lagrime  di  Beatrice  quasi  nel  suo  ventesimo 


T/ì  data  della  composiz.  della  \'N.  .secondo  il  Bocc.      821 

Certo,  se  non  si  deve  Ikr  troppo  carico  al  Boccaccio 
(l'aver  raccontato  tante  storielle;    d'aver   confuso    Attila 


sesto  anno  composr  in  un  luluimllu  t-rc  mm  si  ilrvijiKj  iieceKsariti- 
mento  iutoiidero  noi  sonso  che  alquanto  tempo  dopo  il  9  giugno  1290 
Danto  avesse  f;ià  finita  di  comporre  la  Vita  Xiiova,  ma,  come  da 
altri  fatti  ci  vien  confermato,  che  avesse  cominciato  a  comporla  per 
finirla  alquanto  tempo  dopo  l' anniversario  di  Beatrice,  verso  il  1292'. 
Cosi  il  critico,  usurpando  un  *  cominciò  a  comporre  '  per  *  compose  ', 
concilia  le  parole  del  Boccaccio  colla  data  più  remota  che  si  possa 
tentar  di  attribuire  alla  composizione  della  Vita  nuoca.  Ma  le  pa- 
role del  Boccaccio  veramente  significano  che  Dante  absolvit  il  suo 
libello  alcuni  mesi  d<ìpo  la  morto  di  Beatrice,  che  d'  altra  parte  il 
biografo  non  poneva  nel  giugno  1290,  nm  alquanti  mesi  prima.  E, 
liisciando  stare  che  •  compose  '  non  può  certo  valere  '  cominciò  a 
comporre  quel  che  poi  fini  di  comporro  circa  due  anni  dopo  ',  come 
concepiamo  noi  la  narrazione  della  Vita  naocat  davvero  come  un 
diario  ?  La  data  del  1300  pare  oramai  del  tutto  arbitraria  ;  vd.  Baj- 
na,  Fer  la  data  della  VX.  e  non  per  essa  soltanto,  in  Giorn.  stor. 
G.  113  ss  ;  cfr.  Scolari,  appresso  Torri,  VN.  133.  Tuttavia,  io  credo 
eh'  essa  si  avvicini  più  al  1300  che  al  1290;  vd.  qui  addietro,  p.  26  n. 
Il  Casini  sta  pel  1295,  e  tiil  datii  assegnarono  alla  Vita  nuoca  an- 
che il  Pelli,  il  Foscolo,  il  Ginguené,  ed  altri.  Come  si  spiegano  dun- 
que lo  parole  del  Conririo  ?  O  si  logge,  '  in  quella  dinanzi  [  cioè 
nella  Vita  nuora  ],  sdì'  entrata  di  mia  gioventute  parlai  '.  e  in  ([uosto 
caso  niente  e'  impedisce  di  considerare  i  primi  tre  o  quattro  anni  della 
gioventù  (  che  pel  poeta  durava  20  anni  )  come  •  entrata  '  della  nuova 
età  :  o  si  vuol  leggere,  '  in  quella  [  cioè  nella  Vita  nuoca  ],  dinanzi  al- 
l' entrata  di  mia  gioventute  parlai  ',  e  si  vuol  tener  fermo  nei  confini 
delle  età  segnati  dal  poeta  (  Conc.  4,  24,  11  ),  e  in  questo  caso  bisogna 
venire  all'  assurda  conclusione  che  la  Vita  nuoca  fu  composta  prima 
del  maggio  del  1290  ;  giacché  non  pare  in  nessun  modo  che  sia  accet- 
tabile r  ipotesi  che  Dante  parli  delle  rime  della  Vita  nuoca,  non  già 
di  tutto  il  liljello.  Del  resto,  le  stesse  rime,  senza  tener  conto  delle 
dichiarazioni  del  Conricio,  oltrepassano  di  un  anno  e  mezzo,  a  dir 
poco,  il  limite  dell'  adolescenza  di  Dante.  Dal  D*  Ovidio  (  Studii,  588  ) 
apprendo  che  Varrone  faceva  terminare  1'  adolescenza  a  30  anni,  ed 
Isidoro  a  28  anni.  Il  poeta  stesso  poi  av^'erte,  che  i  confini  da  lui 
posti  alle  età  dell'  uomo,  possono,  secondo  i  casi,  essere  ximossi. 


322  Ln  lieatì'ice  storica 


con  Totila  ;  d'  aver  fatto  nascer  Dante  sotto  papa  Urbano  IV, 
morto  fin  dal  2  ottobre  del  126-4  ;  d' aver  fatto  andare  1'  esu- 
le, '  nel  primo  fuggire  ',  presso  Alberto  della  Scala,  morto 
prima  dell'  esilio  di  Dante,  nel  settembre  del  1301  ;  quando 
s' invoca  appunto  la  testimonianza  del  Boccaccio  a  soste- 
gno dell'  identità  della  Beatrice  di  Dante  con  la  Bice  Por- 
tinari,  quando  quella  sua  notizia  appunto  impiglia  e  svia 
r  interpretazione  della  Vita  nuova,  del  Conmcio,  della  Com- 
media ;  non  si  può  prescindere  dal  fatto  che  il  Boccaccio 
non  mostra  di  avere  attentamente  esaminato  né  la  Vita 
nuova,  ne  il  Convivio  ;  e  nessuno  si  dovrebbe  dissimula- 
re che,  per  questo  appunto,  la  sua  identificazione  è  poco 
probabile. 

Il  buon  Certaldese  non  avrebbe  mai  creduto  che  la 
sua  affermazione  fosse  di  tanto  peso,  e  dovesse  accender 
sì  gran  lite.  Egli  faceva  quel  che  sapeva  fare,  della  '  re- 
torica novelliera  ',  per  servirmi  delle  parole  del  Del  Lun- 
go ;  e  '  chi  fa  quel  che  sa,  più  non  gli  è  richiesto  '  dice 
lo  stesso  biografo  scusandosi  dell'  operetta  sua.  Quel  che 
si  può  ragionevolmente  e  sicuramente  desumere  dal  Boc- 
caccio è  questo,  che  verso  il  1350  germogliava  o  fioriva 
a  Firenze  la  storiella  della  Portinari,  non  altro  ;  e,  se  al- 
tro si  vuole  aggiungere,  che  quella  storiella  germogliò  e 
fiori  come  germogliano  e  fioriscono  tutte  le  storielle  di 
questo  mondo  ;  la  quale  ebbe  molto  propizie  le  stelle,  se  tra 
i  suoi  fattori  è  entrato,  e  di  lieto  animo,  anche  chi,  come 
il  Boccaccio,  avrebbe  forse  dovuto  meno  di  ogni  altro  fa- 
vorirne lo  sviluppo.  Certo,  il  Boccaccio  in  questo  partico- 
lare si  mostra  meno  sollecito,  meno  diligente,  meno  critico 
che  non  in  altre  occasioni.  Ma  se  di  questa  sua  negligenza 
noi  non  abbiamo  alcun  diritto  d'  incolparlo,  abbiamo  bene 
il  dovere  di  esaminare  attentamente  le  sue  parole,  e  di  non 
veder  più  di  quello  eh'  egli  ci  lasciò  scritto. 


Pietro  di  Dante  e  la  ìez.  Ashburnhamiaìia  32à 


3. 

Oltre  il  Boccaccio,  fa  cenno  dell'  amore  di  Dante  per 
la  Portinari  la  cosi  dotta  terza  redazione  del  Commento  di 
Pietro  Alighieri,  la  oramai  famosa  lezione  del  codice  Asli- 
burnhamiano  841,  che  sulle  prime  tanto  sconcertò  e  mor- 
tificò il  povero  Bartoli.  Non  è  questo  il  luogo  di  trattar 
della  paternità,  spesso  negata,  del  commento  o  dei  commenti 
che  ix)rtano  il  nome  di  Pietro  di  Dante:  ricordo  soltanto 
che,  se  qualche  ragione  o  parecchie  ragioni  militano  in 
favore  di  tale  paternità  per  la  prima  redazione  che  abbia- 
mo stampata  e  che  molti  codici  conservano,  è  assai  discu- 
tibile e  malferma  l' ipotesi  che  siano  anche  di  Pietro  le  al- 
tre due  redazioni  posteriori  che  soli  tre  codici  contengono  ; 
e  che  i  dubbi  più  gravi  cadono  appunto  sulla  terza  reda- 
zione, che  reca  la  notizia  della  Portinari  come  si  legge  nel 
trattatello  del  Boccaccio.  Il  Rocca  stesso,  che  conchiude  pro- 
ponendo di  riconoscere  1'  autenticità  di  tutte  le  tre  reda- 
zioni del  commento,  non  si  dissimula  che  per  le  ultime  due 
redazioni  dubbi  vi  sieno  ;  e,  che  a  noi  più  importa,  non 
pare  eh'  ei  voglia  del  tutto  escludere  che  nell'  una  o  nel- 
r  altra  '  sia  entrata  una  mano  estranea  '  (').  D'  altra  parte. 


(*|  Aie.  ronim.  40()  'confrontandola  attf^ntamente  l'una  coli' al- 
tra [  la  redazione  stampata  o  la  redazione  Ashbumhamiana  ),  si  tro- 
va che  concordano  non  solo  circa  l' indirizzo  generale  e  il  metodo 
che  seguono,  ma  ancora  nello  svolgimento  dei  singoli  passi  e  nel 
8uecedei-si  delle  idee  ;  sebbene  non  ci  occorra  mai  nep- 
pure una  pagina,  in  cui  le  due  lezioni  convenga- 
no perfettamente  alla  lettera...  Gli  autori  citati,  tran- 
ne poche  eccezioni,  sono  gli  stessi  nell'  una  e  nell'  altra  redazione ...  ; 
tuttavia,  e  questo  pure  è  d' avvertir  e,  non  sono 
sempre  gli   stessi   i  testi    che    troviamo  riportati 


3^4  La  Beatrice  storica 

notò  il  Rocca  che  una  buona   metà   dei    fogli   del   codice 
Ashburnhamiano  portano  impressa  una  marca  di  fabbrica 


n  e  ir  u  n  a  e  n  o  1 1'  a  1 1  r  a  '  ;  p.  402  '  il  commento  tlol  codice  Yati- 
cane  non  è  molto  diverso  dell' Aslibnrnharaiano,  ma  ci  offre  in  più 
luoghi  lina  lezione  dalla  quale  sembra  derivata  l'Ashburnhamiana  : 
in  generale  quella  ò  più  ampia,  questa  più  compendiosa,  e  raramente 
avviene  il  contrario  ;  quindi,  dato  chenè  in  questa  nò 
in  quella  sia  entrata  una  mano  estranea,  dobbia- 
mo ritenere  che  il  codice  Vaticano  contenga  la  seconda  redazione 
del  commento  di  Pietro,  e  che  1'  Ashbnrnhamiano  contenga  la  stes- 
sa seconda  redazione,  ma  ritoccata,  riordinata,  e  qua  e  là  rifatta. 
Potremmo  anche  dire,  che  il  Vaticano  ci  offre  la  seconda  redazio- 
ne, e  l' Ashburnhamiano  la  terza  ;  ma  in  tal  caso  dovremmo  sog- 
giungere, che  tra  la  seconda  e  la  terza  redazione  non  hanno  luogo 
le  diversità  continue,  che  si  riscontrano  tra  la  prima  e  le  altre  due  '  ; 
p.  404  '  Ma  sono  veramente  opera  di  Pietro  tutt'  e  due  queste  nuo- 
ve lezioni  ? . .  .  Il  dubbio  non  può  essere  tanto  per  la  Vaticana, 
quanto  può  essere  per  la  Ashburnhamiana  ;  perchè  mentre  riesco 
difficile  giudicare  quella  come  un  rifacimento  d'  altra  mano  della 
Ashburnhamiana,  può  invece  sorgere  facilmente  il  dubbio,  che  que- 
sta sia  opera  di  qualsiasi  altro  scrittore,  il  quale  abbia  creduto  bene 
di  l'itoccare  qua  e  là  il  commento  del  codice  Vaticano.  Tale  dub- 
bio parrebbe  anzi  aver  buon  fondamento,  se  ci  fermassimo  solo  a 
certi  passi  del  commento,  in  ispecio  a  quelli  ne'  quali  la  re  d  a  - 
z  i  o  n  e  Ashburnhamiana  compendia  o  altera  1'  a  1  - 
tra,  rendendola  anche  meno  chiara'.  A  tutto  questo 
si  aggiunge,  che  un  codice  Barberiniano,  il  quale  riproduce  la  lezio- 
ne del  codice  Ashburnhamiano,  ha  in  principio  :  '  Quamvis  librum 
comedie  Dantis  Alegerij  de  Flor.'^  mei  p  r  ecesso  ris...  non- 
nulli tentaverint  aperire  .  . .  nitar  et  ego  post  eos  ad  presens,  non 
tam  fiducia  sciontie  quam  quodam  zelo  et  caritativo  m  o  t  u 
accensus,  si  poterò  . . .  '  ;  in  luogo  di  queste  parole  del  codice  Ash- 
l)urnham  :  '  Quamvis  librum  comodio  Dantis  Alegerii  de  Floi-on- 
eia  Petri  mei  genitori  s...  [  non]nulli  temptaverint  tota- 
liter  calamo  aperiro . . .  nitar  ego  post  eos  ad  presens,  non  tam  fi- 
ducia scientie.  quam  quodam  zelo  et  e  a  r  i  t  a  t  e  filiali  accen- 
sus, si  poterò...'  In  fine  poi  del  Barberiniano  non  si  ha  l''ego 
Petrus   prefatus  '  che   si   ha   nell'  Ashburnhamiano  (  vd.  Rocca,  in 


Pietro  di  Dante  e  la  lei,  Aalihurnhamiana  323 

che  si  trova  anche  in  carte  scritte  a  Padova  tra  il  13G1 
e  il  1309.  Or  bene,  giacche  il  codice  non  è  certo  nn  au- 
tografo del  figliuolo  di  Dante  (cfr.  Giom.  stor.  7,  371  n), 
a  me  pare  che  niente  impedisca  di  supporre  che  sia  stato 
scritto  tra  il  1365  e  il  1370,  e  che  la  notizia  della  Porti- 
nari  sia  entrata  nel  commento  appunto  allora,  quando  le 
due  redazioni  del  trattateli©  del  Boccaccio  1'  avevano  già 
divulgata  fuor  di  Firenze  ;  e  tale  ipotesi  parrà  molt^  ve- 
rosimile, se  si  consideri  che  qnella  notizia  nel  commento 
ci  sta  un  po'  a  disagio,  e  che  è  monca  come  nel  tratta- 
tello  ('). 


Giom.  sfar.  7,  382  ).  Inoomino,  il  codice  Barborìniano,  anch'  esso  del 
Bocolo  tlocimo  quarto,  non  attribuisce  la  lozione  ARhbumhamiana  a 
Pietro  di  Dante  (cfr.  Cesjireo,  in  X.  ed  A.  1,  198). 

{})  Lezione  del  rad.  Afdib.  {  vd.  Rocca.  Appendice  )  :  Inf.  2  *  Venio 
Jid  (luartum  et  ultimiim.  ubi  auctor  mistico  valdo  loquitur,  vodoH- 
cot  partim  ad  literaui,  partim  allegorico,  partiin  anagogico,  et  partim 
tropologico,  prout  infra  pntebit.  Et  quia  modo  hic  primo  de  Beatrice 
Ht  nientio.  do  qua  tantns  est  sermo  maxime  infra  in  t«*rcio  libro  pa- 
nulisi,  promittendum  est  quod  revera  quedam  domina  nomine  Bea- 
trix,  insignis  valde  moribus  et  pnlcretudino,  tempore  auctorìs  vi- 
guit  in  civitato  Florentie,  nata  de  domo  quorundam  civium  floren- 
tinorum  qui  dii-untur  Portinarii,  do  qua  Dantes  auctor  procus  fnit 
et  amator  in  vita  diete  domine,  et  in  oius  laudem  mnltas  fecit  can- 
tilena» ;  qua  mortua.  ut  in  eius  nomen  in  famam  levaret.  in  hoc 
suo  pooniate  sub  allegoria  et  typo  theologie  oam  ut  plurimum  ac- 
cipere  voluit  '  :  Piirg.  31  *  Post  hoc  auctor  mistico  loquens,  scili- 
cet  ad  litoram  in  hoc  passu  et  allegorico,  inducit  ipsam  Beatricem 
non  sub  typo  theologie,  seti  ut  animam  ipsius  Beatricis  mulieris  iam 
corporaliter  defuncte  ad  reprendendnm  enm,  ut  olim  eius  procum, 
cur  post  eius  mortem  ad  aliam  rem  mortalem  amandam  et  sequen- 
daiu  processit,  ut  fuit  pargolecta,  eius  soquens  domina  in  pi-ocando, 
cum  nunquam  natura  vel  ars,  id  est  pictura,  sibi  in  hoc  mundo 
presontavorit  pidcriorem  formam  mulieris,  quam  fuerit  sua  morta- 
lis  extinftit  '.  Questi  due  soli  luoghi  del  commento  del  codice  Ash- 
burnharaiano  accennano  alla  realtà  storica  di  Beatrice.  A  me  pare 
che   si  tratti  proprio  d' interpolazioni.  Beatrice  non  è  mai  intesa  dal 

41 


3à6  Tm  Beatrice  storica 


Ma  concediamo  tutto  quel  che  si  vuole  ;  concediamo 
che  proprio  Pietro,  figlio  di  Dante,  verso  il  1355,  postosi 
per  la  terza  volta  a  quella  sua  fatica,  abbia  fatto  cenno 
della  Portinari  ;  concediamo  pure  che  verso  il  1355  non 
fosse  scritto  il  cosi  detto  Compendio  del  Boccaccio  ;  non  si 
potrà  conchiudere  altro  che  questo,  che  verso  il  1355  cir- 
colava già  la  storiella  della  Portinari,  e  che,  come  1'  ac- 
colse in  quel  torno  di  tempo  il  Boccaccio  nel  suo  tratta- 
tello,  V  accolse  anche  Pietro  Alighieri  nella  terza  redazio- 
ne del  suo  commento.  Si  dirà  per  questo  che  la  notizia  è 
piÌT  attendibile?  Certo,  Pietro  nel  1341,  quando  scriveva 
la  prima  redazione,  non  ne  sapeva  niente  ;  e  neppure  quan- 
do scriveva  la  seconda  redazione,  posteriormente  al  1348  ; 
giacché,  come  fin  dalla  prima  redazione  non  tacque  della 
contessa  Matilde,  non  avrebbe  aspettato,  per  identificare 
la  Beatrice  del  poema  con  la  Portinari,  che  gli  fosse  ve- 
nuto il  talento,  stavo  per  dire  il  ticchio,  di  rifare,  non  si 
vede  bene  con  quale  intenzione,  per  la  terza  volta  il  suo 
faticoso  commento.  Concediamo  dunque  tutto  quel  che  si 
vuole  ;  in  fin  dei  conti,  la  tardiva  attestazione  di  Pietro 
Alighieri  che  non  avea,  come  pare,  notizia  alcuna  della 
Vita  nuoim,  non  è  certo  più  autorevole  dell'  attestazione  del 
Boccaccio.  Dal  fatto  poi,  che  nella  redazione  Ashburnha- 


Comraeiitatoro  noi  solo  senso  letterale,  come  insinuerebbe  la  chiosa 
del  secondo  canto  dell'  Inferno.  Quanto  alla  chiosa  del  Pnrgatoì'io, 
non  si  vede  come  mai  il  commentatore  cominci  il  capitolo  con  lo 
spiegare  allegoricamente  tutto  il  contenuto  del  canto  trentesimo  pri- 
mo, venga  poi  a  dire  che  il  poeta  parla  secondo  la  lettera  e  secon- 
do 1'  allegoria,  e,  toccato  della  lettera,  torni  da  capo  con  1'  allego- 
ria. Il  commentatore  non  nega  espressamente  la  realtìi  storica  di 
Beatrice,  ma  non  conosce  altra  Beatrice  che  1'  allegorica,  cosi  nella 
prima  redazione,  di  cui  ha  curato  la  stampa  il  Nannucci  (  od.  cit. 
vd.  pp.  57  ss,  512  ss,  516  ss,  523),  come  nella  seconda  del  codice 
Vaticano  (  A'd.  Rocca,  Appendice  ). 


Francesco  da  Buti  327 


miana,  come  nel  trattatello  del  Boccaccio,  non  e'  è  alcun 
cenno  del  matrimonio  di  Beatrice,  si  può  trarre  nuova  con- 
ferma che  la  storielia  della  Portinari  nel  suo  primo  decen- 
nio corresse  succinta,  senza  quell'  impaccio  matrimoniale, 
senza  quell'ingombrante  messer  Simone;  circostanza  que- 
sta del  matrimonio  di  Beatrice,  che,  se  fosse  stata  cono- 
sciuta a  tempo,  avrebhe  probabilmente  compromesso  la  car- 
riera, se  non  tarpate  le  ali  o  fiaccate  le  gambe  a  quella, 
lasciatemelo  dire,  stupida  storiella. 

Non  era  infatti  passato  forse  un  decennio  dalla  esu- 
mazione boccaccesca  di  messer  Simone  de'  Bardi,  che  già 
si  negava  fede  alla  storiella  della  Portinari.  Francesco  da 
Buti  non  vuol  riconoscere  che  il  poeta  parli  d'  una  donna 
veramente  amata  ;  si  tratta  di  una  pura  finzione,  dice  il 
commentatore;  'crederebbe  forsi  altri  che  Beatrice  fusse 
stata  una  donna  di  carne  e  d*  ossa  come  sono  le  altre,  ma 
non  è  così  '  (ed.  cit.  2,  740).  Credeva  Ireneo  Sanesi  (  Giom. 
dant.  ì,  302  )  che  il  Buti  non  volesse  con  ciò  smentire  il 
Boccaccio.  Ed  invero,  un'  aperta  confutazione  nel  commento 
non  e'  è.  Ma  è  pure  da  avvertire,  che  il  Buti  non  pole- 
mizza mai  coi  commentatori  che  lo  precedettero,  come  fa, 
per  esempio,  qualche  volta  1'  Ottimo  ;  e  che  non  è  proba- 
bile eh'  egli  *  non  conoscesse  ne  punto  ne  poco  la  testimo- 
nianza boccaccesca  ',  come  asserisce  il  Sanesi  suU'  autorità 
del  D'  Ancona.  Francesco  da  Buti  fa  espressa  menzione 
del  Commento  del  Hoccaccio  (2,  674;  cfr.  anche  1,357); 
e  non  e'  è  alcuna  ragione  per  sospettar  che  a  lui  fosse  sfug- 
gita la  notizia  della  Portinari.  Osservava  poi  il  D'  Ancona 
(  Disc.  27  ),  che  '  il  difetto  di  ragionevole  interpretazione 
letterale  e  storica  '  avea  tratto  il  Da  Buti  '  di  necessità 
alla  spiegazione  allegorica  '.  Sennonché,  anche  chi  pensava 
ad  una  donna  veramente  amata,  avea  già  dato,  prima  del 
Butese,  interpretazione  allegorica  ai  canti  30  e  31  del  Pur- 
gatorio ;  ne  l' interpretazione  allegorica  fu  abbandonata  da 


323  T.a  Beatrice  sfor/cn 


chi,  dopo  il  Boccaccio,  ricordò  gli  amori  per  la  Portinari. 
Il  povero  Buti  avrebbe  solo  il  torto  di  aver  pensato  per 
un  momento  alla  contessa  Beatrice,  figliuola  dell'  impera- 
tore di  Costantinopoli,  madre  della  contessa  Matilde  ('). 


(1)  Francesco  da  Buti,  nel  suo  lunghissimo  commento,  non  ò 
troppo  vago  di  digressioni  filosofiche,  teologiche  e  scientifiche,  né  di 
storielle,  come  Jacopo  della  Lana  e  V  Ottimo  ;  non  isnocciola  nep- 
pure sul  tosto  di  Danto  tutte  quello  citazioni  od  autorità,  che  sono 
spesso  inutile  ingombro  nel  commonto  di  Pietro  Alighiori.  Egli  vuole 
invece  rendersi  ragione  dello  finzioni  dantesche,  e  pone  o  risolvo 
molte  di  quello  questioni  alle  quali  oggi  guardano  con  più  insisten- 
za i  dantisti  ;  egli  spiega,  por  esempio,  perchè  Catone  è  posto  a 
guardia  del  Purgatorio  (2,  17  ss  )  ;  perchè  occorro  la  finzione  del 
jiontimonto  di  Manfredi  (2,  71  )  ;  perchè  Sordello  mostra  i  principi 
della  A^alletta  amena  (2,  160);  perchè  altra  è  la  classificazione  dei 
peccati  noli'  Inferno,  altra  nel  Purgatorio  (  2,  239  361  ).  Quanto  alhi 
nostra  questiono,  attribuisce  a  ragioni'  etimologiche  la  scolta  del  no- 
me Beatrice  per  la  '  teologia  '  { 1,  65  ;  2.  129  733  ;  3,  818  ),  come 
del  nome  Lucia  per  '  la  grazia  illuminante  '  (1,  73  ),  e  del  nome  Ma- 
telila  per  '  1'  autorità  sacerdotale  '  (  2,  675  766  :  '  mathesiin  laudans, 
cioè  lodante  la  divinazione,  o  vero  la  scienzia  d' Iddio  '  ;  '  dante  loda 
a  la  scienzia  di  Dio  '  ).  Spiega  perchè  Beatrice,  cioè  la  teologia,  è 
'  beata  '  (  1,  66  )  ;  perchè  ha  sua  sede  in  cielo  (1,  74  ;  2,  792  ;  3,  816  ). 
Trova  che,  con  'intendimento  allegorico',  della  'teologia',  'de 
r  amor  do  le  virtìi  ',  '  della  benignità  ',  aveva  il  poeta  cantato  in 
alcune  sue  canzoni  ;  e  segnatamente  della  teologia  nella  canzone 
Donne  di'  avete,  e  della  benignità  nella  canzone  Voi  die  intendendo 
(1,  9  ;  2,  576  ;  3,  259  ).  Pensando  tuttavia,  che  il  poeta  voglia  che 
la  Commedia  "  sia  repertorio  di  tutto  le  persone  diffamate  e  di  tutte 
le  persone  virtuose  note  a  lui  infine  al  suo  tempo  ',  sospetta  il 
Butese  che  egli  abbia  voluto  ricordare,  come  in  Matelda  la  con- 
tossa figlia,  così  in  Beatrice  la  contessa  madre,  '  por  fare  menziono 
di  due  donne  virtuose  che  occorsero  a  la  memoria  sua,  avendo 
nomi  convenienti  a  la  sua  figurazione  '  (  2,  646  s  ).  Ma  non  dà  im- 
portanza a  codesta  sua  congettura  :  '  questo  pensieri  m  abbo  fatto, 
egli  dice,  per  cagione  solamente  dei  nomi.  Se  questa  fu  la  inten- 
zione dell'  autore^  nollo  approvo,  perchè  noi  testo  non  è  parola 
cho  '1  provi,    se  non   no    la   tersa   cantica  xxxiii,  nel    quale   fìngo 


Benvenuto  da  Imola  329 

Tuttavia,  se  il  Buti  negava,  Benvenuto  Rambaldi  da 
Imola  continuava  la  tradizione  boccaccesca  (').  Egli  era 
confortato  dall'  esempio  del  Petrarca:  '  Simile  vidimus  tem- 
poribus nostris  in  alio  poeta  fiorentino  ;  nam  Petrarca 
amavit  Laurectam  per  tempus  xxi  annorum  historice  et 
jwetice  '  ;  e  confortato  anche  da  un  esempio  biblico  :*  Nec 
videatur  tibi  indigiium  ,  lector,  quod  Beatrix  mulier  car- 
nea accipiatur  a  Dante  prò  sacra  theologia.  Nonne  Rachel 
secundum  historicam  veritatem  fuit  pulcra  uxor  Jacob  sum- 
me  amata  ab  eo?...  et  tamen  anagogice  figurai  vitam  con- 
templati vam,  quam  Jacob  mirabiliter  amavit  '  (  1,  SU  ).  Ed 
anche  Minerva,  dice  Benvenuto,  '  de  rei  ventate  fuit  mu- 
lier carnea,  inventrix  raultarum  et  bonarum  artium,  sicut 
sapientia  facit,  quae  hic  ponitur  sub  nomine  Beatricis  * 
(4,  210).  Sicuro  dunque  del  fatto   suo,    il   commentatore 

cho  vetk'890  Beatrice  soderò  noi  torso  grado  do'  beati  con  Rachele  '. 
Della  quale  ragione,  il  Buti  non  solo  non  tion  conto  per  Lucia, 
ma  altrove  non  tion  conto  neppure  por  la  stessii  Beatrice  ;  la  qua- 
le, secondo  il  commentatore,  discese  dal  suo  *  beato  scanno  '  per- 
chè '  ogni  gnizia  viene  di  hissù,  et  in  cielo  essenzialmente  abita  e 
st.-u  benché  nelli  uomini  adoperi  '  (1,  74  )  :  *  la  spirituale  Teologia, 
i^gli  dice,  sempre  è  in  cielo,  imperò  che  li  Teologi  spirituali  sem- 
pre abitano  co  la  mento  in  cielo,  ma  li  carnali  stjinno  in  teiT»  col- 
r  ossa  snoo  cho  sono  li  libri  in  che  è  scritta'  (2,  792);  'e  ch'ella 
sia  tornatii  ora  al  lerao  grado  intende  delli  santi  Dottori,  che  la 
santa  Teologia,  come  istrumento  dello  Spirito  Santo,  hanno  compo- 
ski  e  scritta  '  (  3,  810  ).  Comunque,  alla  contessa  Beatrice  pensò  in 
questi  ultimi  anni  anche  il  Kraus  (  cfr.  A'a.ss.  crit.'ò,  1S8).  Ad  Bea- 
tricem  Ducitisam,  Gothifredi  Ducis  Tusciae  nxorem,  ò  diretta  un'  E- 
pistola  gratidatoria  di  Pier  Damiano  {Opera  omnia,  Parisiis  1(>42: 
1.  116).  Pare  che  la  duchessa,  d' accordo  col  marito,  facesse  propo- 
sito di  osservare  perpetua  continenza.  'Solutum  est  in  te,  scriveva 
Pier  Damiano,  illud  antiquae  maledictionis  elogium.  quo  primae 
mulieri  dictiim  est  :  Sub  viri  polestate  eris,  et  ipse  dominabitiir  tibi  '. 
(1)  Bemcnnti  de  Rambaldis  de  Imola  Comcufum  saper  Dantis 
A'<lif]lierij  CouìQcdiam.  curante  I.  Ph.  Lacaita,  Florontlae  1887. 


330  La  Beatrice  storica 

riassume  la  notizia  del  trattatello,  traducendo  quasi  alla 
lettera  le  parole  del  Certaldese  (  1,  89  ;  4,  210  s  221  )  ;  ma 
la  '  mulier  carnea  ',  la  Bice  Porti  nari,  cede  quasi  sempre 
il  luogo  alla  Teologia,  anche  nell'  esposizione  di  Benve- 
nuto ;  che,  d'  altra  parte,  per  qualche  nuova  stranezza  e 
lagrimevole  confusione,  riesce  talvolta  più  incongruente 
delle  altre  (1). 

Quanto  ai  posteriori  commenti  del  Poema,  ricordo  sol- 
tanto, che  il  Postillatore  Cassinese  e  Guiniforto  delli  Bar- 
gigi  non  conoscono  altra  Beatrice  che  1'  allegorica  (-)  ;  che 


(1)  L' Imoleso  trova  non  mono  di  citiquo  ragioni  por  il  'fioco' 
di  Virgilio.  La  quarta  ragiono  sarebbe  questa  :  '  quia  ratio  autoris 
hucusquo  fuorat  rauca  ;  nam  do  rei  voritate  autor  fuerat  panca  lo- 
cutus  hucusquo  ;  fecorat  onim  solum  quasdam  cantiones  et  sonitia, 
de  quibus  postea  verecundabatur  in  niaturiori  aetate  '  (  1,  43  ).  E 
poiché  il  poeta,  jiarlando  del  suo  '  bello  stile  ',  dico,  cìic  in  lui  fatto 
onore,  Benvenuto  spiega:  'idest  dabit  niilii  perpetuani  l'amam ;  et 
sic  nota  quod  autor  ponit  pi-o  facto  illud  quod  futurum  sperabat  ' 
(1,  52  ;  cfr.  Boccaccio,  Coiiiin.  1,  140  )  ;  e  ripete  col  Boccaccio  che 
Dante,  del  '  suo  tractatu  de  vita  nova,  quem  fecit  in  juv^entute, . . . 
erubescobat  in  matura  Jietate'  (4,  220).  Dice  che  Gentncca  vuol  dire 
'  genticula  ',  '  gens  obscura  ',  e  chiama  '  Pargoletta  '  la  Lucchese 
(4,  73  s  )  ;  la  quale  poi  sarebbe  la  '  pargoletta  '  dei  rimj)roveri  di 
Beatrice  (  4,  231  ).  E  cosi  spiega  Benvenuto  le  parole  di  Beatrice  : 
'  8)  come  in  su  la  porta  fui,  voi  soglia,  di  mia  seconda  etate,  idest 
in  initio  adolescentiae,  e  mutai  vita,  quia  nupsi,  questi  si  tolse  a  me 
e  diessi  altrui,  scilicet,  aliis  rauliei-ibus.  Alii  tamen  exponunt  istam 
litoram  non  histoi'ico  sed  allegorice,  et  dicunt  ',  ecc.  (  4,  221  ). 

{^)  In  una  sola  chiosa  fra  le  '  sincrone  '  del  codice  Cassinese 
(  ed.  cit.  ),  si  legge  (  Purg.  31,  84  )  :  '  quandclla  cera  .  quasi  velit  di- 
cere .  quod  ista  .  Beatrix  .  cum  fuit  vÌA^a  in  mundo  multo  plus  pulce- 
rima  aliarum  animarum  .  modo  .  fac  sic  constructum  .  videbatur  railii 
beatricem  anticam  .  idest  .  senem  .  sub  suo  volo  et  ultra  flumen  letlie- 
um  plus  vincere  in  pulcritudine  .  scilicet .  motìpsam  rospectu  pulcri- 
tudinis  quam  haJ)ebat  dum  vivebat  quam  vincere  hic  alias  domi- 
nas'.  E  in  una  chiosa  delle  '  posteriori  '  si  leggo  (////.  2,  50  ):' r///«- 
tesi.'A  Beatrice  amata  tua  quo  quandoquo  prò  sua   amasia  ponittir 


Posteriori  commenti  wa 

Cristoforo  Landino  vede  nella  Commedia  solo  la  Teologia  ; 
la  (jnale,  dice  il  commentatore,  '  certo  è  Beatrice,  perchè 
ci  fo  beati,  facendoci  conoscere  Iddio,...  et  chiama  et  ec- 
cita la  mente  nostra,  et  conducela  a  beatitudine  '  (');  che 


qiiandoquo  prò  sacra  thoologia '.  Noll«<  'HÌiiorone'  invoco  {Inf.  2. 
4ìJ):  'et  l)oatrirom  tortiani  (Inniinain  accipit  liic  ot  infra  por  totum 
prò  sjicra  tln'olojiia  '.  MatoMa,  ncllf  oiiioso  HÌncrone,  ò  fjiìl  la  Con- 
tossa, (lujniforto  (lolli  Har^i<;i  poi  scrivo  (  Lo  Inferno  della  Com- 
media di  D.  A.  col  Coment 0  di  G.  d.  B..  con  inlrod.  e  note  dell'  arr. 
O.  Zaohoronl,  ^farsilia  Fironzo  18518):  '  /"  amico  mio.  e  non  della  ren- 
tura,  cioè  Danto  voro  mìo  amico.  ♦•  qnosto  si  «lice  qni  ÌKtoricamonte, 
porocchò  Danto  fu  cupido  »■  -^tu-lio^)  più  di  «.'MlMiri.i  ciio  di  ìdtri 
boni  temporali  o  fortuiti  \ 

(1)  Ho  prosonto  1' od.  di  V«'n«*/ia  dol  !.">;{(>:  Comedia  del  diri  no 
poeta  Dantlie  Alighieri  con  la  dotta  et  leggiadra  .^posizione  di  CItri- 
stophoro  Landino.  Lo  parole  citato  sono  a  f.  19.  Ammetto  il  Lan- 
dino cho  il  po<?t^i  amò  la  Bice  di  Folco  Portinari  :  ma,  noi  commonto, 
delia  Beatrice  reale  si  legge  soltanto  questo:  ////.  2,  70  Io  .son  Bea- 
trice  che  ti  faccio  andare,  '  Fu  Beatrice  donna  fiorentina  et  dal  poeta 
nostro  amata  come  disopra  nella  sua  vita  narrarne  ;  ma  in  questo 
luogo  puon  Beatrice  por  la  thoologia  come  già  habbiamo  dotto  '  ;  2, 
91  Io  .son  fatta  da  Dio  sua  mercé  tale,  ' ...  Et  se  pigliamo  Beatrice 
por  uno  spirito  boato,  ò  vera  la  sontentia  cho  ogni  anima'  ecc.; 
Piirg.  ììO,  24  £t  lo  .spirito  mio,  che  già  cotanto,  '  Xella  vita  dol  poeta 
dimostrammo  chi  fusso  Beatrice  iìgliiiola  di  Folco  Portinjiri,  et  dipoi 
in  più  })arti  di  questo  poema  è  stato  manifesto  cho  1'  amoro  pudico, 
il  quelle  portava  a  questa  donnii,  foco  cho  lui  riducesse  la  historia  a 
poetica  fantjisia  et  fìttione,  ot  ponghila  per  la  vita  contemplativa  se* 
condo  la  religione  Christiana.  Il  perchè  fu  molto  aiutato  dal  nome: 
perchè  Beatrice  significa,  piena  di  beatitudine;  et  nessuna  cosa  ab- 
bonda di  beatitudine,  se  non  la  cognitione  di  Dio  et  delle  celesti 
cose  '.  E  poiché  il  Landino,  nella  Vita  et  costami  del  poeta  (  somma- 
ria notizia,  desunta,  ci-odo.  dalla  Vita  di  Dante  del  Manetti  :  e  pre- 
messa, con  molte  altre  dicerie,  al  commento  ),  accenna  anche  all'  a- 
more  dei  nove  anni  (  era  Beatrice,  come  Dante  '  ne'  suoi  versi  di- 
mostra, noir  ottavo  anno  :  et  lui  non  era  uscito  del  suo  nono  '  ),  ed 
alla  morte  di  Beatrice  '  nel .  xxiiii .  anno  della  sua  età  '  :  nessuno  si 
aspetterebbe  di  leggere  tuttavia  queste  chioso:  Piirg.  30,  37  Sanza 


33à  Tm  Beatrice  storica 


Giovanni  da  Serravalle  e  Stefano  Talice  da  Ricaldone  se- 
guono il  Certaldese,  e  l' Imolese  ;  raccontano  la  storiella  del 
calendimaggio  in  casa  di  Folco  ;  ma  non  fanno  cenno  di 
messer  Simone  :  si  direbbe  che  per  Frate  Giovanni,  Bea- 
trice morisse  nubile,  e  che  per  Stefano  Talice,  l'identità 
della  Portinari  con  la  Beatrice  della  Coìnntedia,  sia  da  con- 
cedere soltanto  per  (lualche  luogo  del  Poema  (').  Comun- 
que, solo  r  Anonimo  Fiorentino,  dopo  il  Commento  del 
Boccaccio,  ricorda  Simone  de'  Bardi  ;  dando  tuttavia  an- 
che lui  poco  sviluppo  all'  interpretazione  storica  dei  canti 


de  gli  ocelli  ' . . .  Fingo  adunque  già  in  pueritia  esser  stato  inna- 
morato di  Beatrice  ...  Il  che  dinota  che  infino  da'  teneri  anni  V  huo- 
mo  comincia  ad  amare  Beatrice,  idest,  il  soiamo  bene,  il  quale  ci 
beatifica  '  ;  30,  73  (ìli ardami  ben  . . .  '  Ma  acciocché  meglio  intendia- 
mo tutto  questo  luogo,  le  querelle  di  Beatrice  inverso  Danthe  sono, 
che  lui  havondola  amata  nella  prima  età,  dij^oi  nella  seconda  età 
nella  quale  essa  mutò  vita,  et  di  carne  sali  ad  spirito  et  era  più 
bella,  esso  la  lasciò  per  un'  altra.  Questo  finge  Danthe.  Ma  noi 
intendiamo  Beatrice  per  la  theologia,  la  quale  è  di  duo  spetie.  po- 
sitiva et  speculativa ',  ecc.;  32,  2  ^Decenne  sete,  cupidità  dui*ata  .  x  . 
anni.  Et  vuole  intendere  che,  da  poi  che  hebbe  cognitione  del  senso 
letterale  et  morale  delle  sacre  lettere,  dopo  il  quale  abbandonò  tali 
studii,  insino  che  l'itornò  per  bavero  lo  intelletto  allegorico  et  spi- 
rituale, furono  in  mozzo  dieci  anni.  Et  però  fingo  che  stette  dieci 
anni  sanza  Beatrice  '. 

(1)  Fratria  loJiannis  de  Serravalle  Translafio  et  Comentnìn  tofins 
libri  Dantis  Aldigherii  cu  in  te.vfn  italico  fratris  Bartìwlomaei  a  Colle, 
Prati  1891:  vd.  p.  15.  La  Commedia  di  Dante  Alighieri  col  Com- 
mento inedito  di  Stefano  Talice  da  Ficaldone.  pubblicato  per  cura  di 
V.  Promis  e  C.  Negroni:  sec.  ed.  Milano  1888:  vd.  2,  403;  Giorn. 
stor.  4,  56  ss;  Rocca.  Ale.  comm.  137  n^,  Noto  qui,  che  por  sem- 
plice svista  lo  Scartazzini  nell'  Enciclopedia  (  p.  198  s  )  afferma,  che 
non  è  facile  sapere  so  il  Talice  ammetta  '  accanto  all'  allegorica  an- 
che una  Beatrice  reale  '  ;  come  per  semplice  svista  avrà  dotto  pure, 
che  Benvenuto  Rambaldi  '  iunraette  la  lealtà  storica  di  Beatrice, 
ma  non  dico  chi  ella  fosse  '  ;  e  che  il  Landino  non  dice  '  che  fosse 
la  Portinai i  nei  Bardi  né  che  {"oKf.e  altra  donna'. 


t  biografi:  Antonio  Pucci,  Filippo  Viìtani  iì33 


30  e  31  del  Purgatorio  ;  e  cita  auche  un  brano  del  Con- 
rido  ;  ma  confonde  la  donna  gentile  della  Vita  nuova  e 
del  Convivio  con  la  Lucchese,  che  anch'  egli  chiama  Par- 
goletta (  vd.  ed.  cit.  1,  42  61  ;  2,  390  s  49-2   . 

Cosi  pei  commentatori.  Pei  biografi  la  cosa  non  istà 
altrimenti.  Come  si  sa,  Giovanni  Villani  nella  sua  Cronica 
(9,  136)  non  fa  cenno  dell'amore  di  Dante  per  alcuna 
Beatrice.  Ma  se  il  silenzio  del  sobrio  cronista  non  può  ra- 
gionevolmente provar  nulla  nella  nostra  questione,  non  mi 
pare  eh'  esso  basti  tuttavia  per  ispiegare  il  silenzio  di  An- 
tonio Pucci,  verseggiatore  della  Cronica.  Il  popolano  fio- 
rentino, nel  capitolo  55  del  suo  Centiloquio,  altre  notizie 
aggiunge  intorno  al  divino  poeta  ed  all'  opera  di  lui  ;  e, 
che  pare  molto  significante,  condanna  quei  chiosatori  della 
Commedia  che  allora  davano  interpretazione  letterale  alle 
finzioni  dantesche.  Insomma,  se  il  Pucci  avesse  saputo  della 
storiella  della  Portinari  e  vi  avesse  prestato  fede,  nel  Cen- 
filajuio  troveremmo  probabilmente  qualche  traccia. 

Dopo  il  trattatello  del  Boccaccio,  un'  altra  Vita  di  Dante 
scrisse  Fili])po  Villani  (').  Il  nuovo  biografo,  benché  nel  cita- 
to Contento  al  primo  canto  delV Inferno  (vd.  Bull.  ns.  4,  81  ss) 
non  mostri  di  voler  riconoscere  altra  Beatrice  che  l'allegorica 
(  Matelda  è  anche  per  Filippo  la  Contessa  ),  nella  Vita  parla 
invero  dell'  amore  di  Dante  per  una  Beatrice,  che  per  vez- 
zo fiorentiiif^ro  era  cliianiata  Bice.  Ma  non  dice  chi  fosse  (-). 


(*)  Philippi  Villani  libcr  de  cirìtatix  Fìorentiae  famofiis  ciribns 
ex  codice  mediceo  laurentiano  nane  primnm  editas,  et  de  Fiorentino- 
rum  litteratnra  principes  fere  si/nr/ironi  Scriptores  denno  in  Incem 
prodennt  cnra  et  studio  Gustavi  Carailli  Galletti.  Florontint»  1<S47. 
Cito  da  questa  Riceolta  anello  per  lo  biografie  di  Dante  scritte  dal 
Bruni  e  dal  Manetti. 

(-)  De  vita  et  moribas  Dantis  in.signis  comici,  p.  9  '  Is,  ut  retro 
paululum  cedam,  dum  iuvenis  admodum  dulei  usu  patriae  fruere- 
tur.  Beatricis.  eui.  iiiorositate  florentinao    facetiae.    Bice   dicebatur, 

42 


334  La  Beatrice  storica 

E  vero  che  la  notizia  è  sommaria,  e  che  il  biografo  in  fine 
rimanda  alla  Vita  del  Boccaccio,  chi  dei  casi  del  poeta  vo- 
glia aver  notizia  più  larga  (  p.  13  )  ;  ma  è  vero  altresì  che 
in  più  luoghi  contradice  tacitamente  al  Boccaccio  (').  Se 
in  Filippo  Villani  non  abbiamo  1'  esplicito  '  ma  non  è  cosi  ' 
di  Francesco  da  Buti,  sarà  da  attribuire  ciò  alla  convin- 
zione molto  diversa  che  avevano  i  due  scrittori  intorno  al 
nome  della  donna  amata.  Il  Buti  probabilmente  non  cre- 
deva che  il  poeta  avesse  amato  una  donna  di  nome  Bea- 
trice: '  fu  ancora,  egli  scrive  (1,  9  ),  lo  prefato  nostro  au- 
tore passionato  nella  giovanezza  sua  di  quella  passione  che 
comunemente  si  chiama  amore,  coni'  elli  dimostra  in  al- 
cuna delle  sue  canzoni  morali  '  ;  certo,  non  credeva  che  a 
una  donna  veramente  amata,  a  un'  oscura  Fiorentina,  il 
poeta  alludesse  chiamando  Beatrice  il  simbolo  della  teolo- 
gia. Il  Villani  invece,  non  pare  che  avesse  ragioni  per  ne- 
gare 1'  amore  per  una  Bice  ;  ma  pare  che  avesse  qualche 
ragione  per  non  credere,  o  almeno  per  dubitare,  che  co- 
desta Bice  fosse  la  figliuola  di  Folco.    Sennonché,    si    può 


amore  castissimo,  qui  in  ipso  piioritiae  limine  coopit,  ardentissime 
teneretur,  in  eius  honorem  multas  morales  composuit  cantilenas,  ele- 
gantiao  multae,  eloqnontiao  multao,  multaoque  gravitatis  et  doctri- 
nae,  sub  certa  podum  monsuratione  legoque  decurrontes,  quao  au- 
dientium  ingeniosas  aures  mira  cum  suavitate  demulceront,  et  pru- 
dentium  ingonia  prò  allogoriarum  mysteriis  in  admirationem  suspen- 
deront  :  quarum  plorasquo  sub  corto  volamino  copulavit,  cui  impo- 
suit  titulum  Vitae  I^ovae.  Cumque  Beatrix  dies  obiisset  suos,  serio 
coopit  poeta  utiliora  tractare  ;  arduumque  et  prof  undissìmum  Co- 
moediae  opus  aggressus  est  '. 

(1)  Per  esempio,  vuole  che  la  moglie  di  Cacciaguida  fosse  '  ex 
nobili  stirpe  de  Adiguoriis  de  Parma  '  (  p.  8  ),  non  di  Ferrara  ;  af- 
ferma che  il  poeta  '  f  uit  insupor  morum  mirabili  praoditus  hono- 
stato,  omnique  actu  ordinatus  atquo  compositus,  vitae  continentis- 
siraae  '  (  p.  11  )  ;  e  non  parla  nò  di  pargoletto,  nò  d' impedimenti 
amorosi. 


Leonardo  Bruni  Aretino 


anche  osservare  che  neppure  il  Villani  doveva  dar  troppa 
importanza  alla  cosa  ;  perchè,  se  si  fosse  dato  cura  di  ve- 
rificare la  notizia  del  Boccaccio,  e  avesse  trovato  eh'  era 
falsa,  o  eh'  era  vera,  ne  avrebbe  probabilmente  fatto  qual- 
che cenno.  Si  tratterà  dunque,  d*  un  dubbio  affatto  sub- 
biettivo.  Non  mi  pare  infatti,  eh'  egli  avesse  cognizione 
diretta  nò  delia  Vita  nuova,  né  del  Conririo.  che  del  resto 
non  è  neppure  citato. 

Leonardo  Bruni  Aretino  (  Della  vita,  studi  e  costumi 
di  Dante,  Galletti,  p.  46  ss  ),  benché  non  faccia  menzione 
del  Convivio,  né  mostri  in  alcun  modo  di  averne  notizia, 
pare  tuttavia  che  avesse  conoscenza  diretta  della  Mta  nuo- 
va ('}.  E  qualche  lieta  speranza  ci  farebbe  poi  concepire 
anche  quel  cominciare  eh'  ei  fa,  rimproverando  il  Boccac- 
cio, '  dolcissimo  e  soavissimo  uomo  ',  d'  avere  scritto  '  la  vita 
e  i  costumi  di  tanto  sublime  Poeta,  come  se  a  scrivere  a- 
vesse  il  Filocolo,  o  il  Filostrato,  o  la  Fiammetta.  Peroc- 
ché, soggiunge,  tutto  d'  amore  e  di  sospiri  e  di  cocenti  la- 
grime é  pieno  '  (-).  Tuttavia,  quanto  alla  nostra  questio- 
ne, non  si  vede  ben  chiaro  che  cosa  ne  pensasse  l'  Aretino. 
Dopo  aver  raccontato  che  Dante,  nella  sua  prima  gioven- 
tù, '  vivendo  e  conversando  con  gli  altri  giovani  di  sua 
età,  costumato  ed  accorto  e  valoroso  ad  ogni  esercizio  gio- 


(M  Ricordano  il  famoso  paragrafo  25  della  Vita  nuora,  queste 
sue  affermazioni:  •  Or  questa  è  la  verità  certa  ed  assoluta  del  nomo 
e  dell'effetto  de'  poeti,  lo  scrivere  in  istile  letterato  o  vulgare  non 
ha  a  fare  il  fatto,  ne  altra  differenza  è,  se  non  come  scrivere  in 
Greco  ed  in  Latino  '  (  p.  50  )  :  "  Cominciossi  a  dire  in  rima,  secondo 
scrive  Dante,  innanzi  a  lui  anni  150  '  (  p.  51  ). 

(2)  Vero  è  bene  eh'  egli  subito  dopo  dichiara,  eh'  ei  non  iscrive 
'  per  derogare  al  Boccaccio,  ma  perchè  lo  scrivere  sao  sia  quasi  in 
supplimento  allo  scriver  di  lui  '  :  ma  è  evidente  che  si  trattai  di  mo- 
destia e  di  semplice  cortesia.  Se  il  Bruni  non  iscriveva  *  per  dero- 
gare ',  scriveva  certo  derogando  al  trattatello  del  Boccaccio,  a  co- 
minciare dalla  notizia  intorno  agli  antenati  del  poeta. 


3%  La  Beatrice  storica 


vanile  si  trovava  '  ;  e  che  '  in  quella  battaglia  memorabi- 
le e  grandissima  che  fu  a  Campaldino,  lui  giovane  e  bene 
stimato  si  trovò  nell'  armi  combattendo  vigorosamente  a 
cavallo  nella  prima  schiera  '  ;  fatto  discorso  della  batta- 
glia, conchiude  :  '  Tornando  adunque  al  nostro  proposito 
dico,  che  Dante  virtuosamente  si  trovò  a  combattere  per 
la  Patria  in  questa  battaglia,  e  vorrei  che  '1  Boccaccio  no- 
stro di  questa  virtù  più  tosto  avesse  fatto  menzione,  che 
dell'  amore  di  nove  anni,  e  di  simili  leggerezze,  che  per 
lui  si  raccontano  di  tanto  uomo.  Ma  che  giova  a  dire  ? 
La  lingua  pur  va  dove  il  dente  duole,  ed  a  cui  piace  il 
bere,  sempre  ragiona  di  vini  '  (  p.  46  ).  Intendea  con  ciò 
il  Bruni  negare  1'  amore  di  nove  anni  e  le  altre  simili  leg- 
gerezze ?  Non  è  chiaro.  Questo  è  chiaro,  che  all'  Aretino 
non  doleva  quel  dente  che  doleva  al  Certaldese.  Non  fa 
nessun  cenno  ne  di  Folco  né  di  Simone,  ne  per  negare  né 
per  affermare  ;  e  non  parla  neppure  di  alcuna  Bice,  o  Bea- 
trice. Il  poeta  '  fu  usante  in  giovanezza  sua  con  giovani 
innamorati,  ed  egli  ancora  di  simile  passione  occupato,  non 
per  libidine,  ma  per  gentilezza  di  core;  e  nei  suoi  teneri 
anni  versi  d'  amore  a  scrivere  cominciò,  come  veder  si  puote 
in  una  sua  operetta  volgare,  che  si  chiama  Vita  Nuova  ' 
(  p.  49  ).  Allo  stringer  dei  conti,  dell'identità  della  Bice  Por- 
tinari  con  la  donna  amata  dal  poeta,  Leonardo  Bruni,  co- 
me già  Filippo  Villani,  avea  probabilmente  dei  dubbi,  forse 
non  ci  credeva  affatto  ;  ma  non  credette  che  la  cosa  me- 
ritasse qualche  diligente  ricerca.  Era  per  lui  un'  inezia,  una 
puerilità,  alla  quale  lo  storico  non  doveva  neppure  guar- 
dare. Dante,  nella  sua  prima  gioventù,  come  tutti  gli  al- 
tri amò,  e  scrisse  rime  d'  amore  ;  ecco  tutto.  Così  supper- 
giù anche  Francesco  da  Buti. 

Al  Bruni  tennero  dietro,  nella  seconda  metà  del  quat- 
trocento, il  Manetti  ed  il  Filelfo.  Giannozzo  Manetti  (  Vita 
Dantii)  I*oetae  Fiorentini,  Galletti,  p.  70  ss)  torna  al  Boc- 


Giannozzo  Manetti,  Mario  FileJfo  .557 

Cciccio,  traducendo,  parafrasando,  ricamando  il  trattateli©. 
Si  direbbe  che,  di  fronte  all'  accusa  rappresentata  dall'  A- 
retino,  Giannozzo  abbia  voluto  assumer  la  difesa  del  Cer- 
taldese. Ai  miracoli,  ai  sospiri,  alle  lagrime,  agi'  impedi- 
menti amorosi  dell'  uno,  il  Manetti  aggiunge  però  le  bel- 
liche gesta  dell'  altro  ;  ma  talvolta,  volendo  integrare,  rie- 
sce a  strane  confusioni  (').  Talvolta,  spinto  da  troppo  zelo, 
esagerando,  tira  a  peggior  sentenza  le  parole  del  Boccac- 
cio ;  e  talvolta,  con  le  penne  di  messer  Giovanni,  Gian- 
nozzo fa  più  alto  volo.  Gemma  Donati  fu  addirittura  una 
Santippe.  Quanto  a  Beatrice,  comincia  il  biografo  con  la 
festa  del  calendimaggio,  e  si  distende  sul  banchetto  in  casa 
di  Folco,  sulle  danze,  i  canti,  le  sinfonie,  e  tutto  il  resto, 
come  nel  trattateli©,  e  pivi  che  nel  trattateli©.  Aveva  il 
Manetti  conoscenza  diretta  della  Vita  Xuoca?  ìiion  mi  pa- 
re (-;.  Ne  c©uosceva   probabilmente  neppure   il  Commento 


(*)  Anche  pel  Manetti,  por  ck..  Dante  riparò  presso  Alberto 
della  Scala  ;  ma  non  '  nel  primo  fu<rgire  '  come  vuole  il  Boccaccio, 
si  bone  dopo  11  vano  tentativo  di  rientrare  a  Firenze  del  1304.  Evi- 
dentemente Giannozzo  volle  completare,  con  la  notizia  del  Boccaccio, 
la  narrazione  del  Bruni,  che  dice  semplicemente  :  *  fallita  adunque 
questa  tanta  speranza . . .  parti  d'  Arezzo  ed  andossene  a  Verona, 
dove  ricevuto  dai  signori  della  Scala,   fece  dimora  alcun  tempo  '. 

(-)  Egli  dice  che  è  opportuno  parlare  degli  amori  di  Djinte  per  la 
figliuola  di  Folco,  '  praesertim  quum  ipse  [DantesJ  quodam  librorum 
suorum  loco  praecipuam  quamdam  eius  rei  mentionem  fecerit  '  (  p. 
71  ).  Parlando  della  bellezza  e  dei  costumi  lodevoli  della  bambinella 
di  circa  otto  anni,  aggiunge  :  *  quemadmodum  ipse  [Dantes]  quodam 
loco  scriptorum  suorum  manifeste  testatur  '  (  p.  72  ).  Parlando  infine 
delle  opere  di  Dante,  scrive  :  •  Xam  praeter  solutos  quosdam  ryth- 
mos,  compluresque  solutas  cantilenas,  adolescens  duo  egregia 
opera  litteris  manda  vi  t.  Horum  alterum  Vita  I^ova,  alterum  vero 
ConAàvium  inscribitur,  in  quibus  quidem  opusciilis  claras  quai  undam 
cantilenarum  suariuu  expositiones  congregavit'  (  p.  81  ).  Dante,  se- 
condo il  biografo,  '  non  multo  post  adamatae  puellae  obitum,  vigesi- 
mo  sexto  aetatis  suae  circiter  anno  (  1291  )  uxorem  accepit  '  (  p.  73  ). 


3B8  l.a  Beatrice  .storica 


del  Boccaccio  ;  giacché,  egli  fa  morire  bensì  Beatrice  nel 
'  vigesimo  quarto  aetatis  anno',  ma  non  fa  cenno  alcuno 
del  matrimonio  di  lei.  Era  proprio  destino  che,  per  la  glo- 
ria della  vezzosa  Bice^  si  andasse  sempre  più  coprendo  d'o- 
blio quel  povero  messer  Simone,  che  Iddio  lo  abbia  in  glo- 
ria insieme  alla  gloriosa  ! 

Troppo  discredito  s'è  tirato  addosso  il  Filelfo,  con  al- 
cune sue  non  saprei  dire  se  imposture  o  improvvisazioni. 
Tuttavia,  al  giudizio  dello  studioso  di  Dante  ed  esposito- 
re della  Commedia,  non  si  può  ragionevolmente  negare  un 
certo  valore.  Comunque,  se  al  Manetti  piacque  tornare  al 
Certaldese,  al  Filelfo  piacque  tornare  all'  Aretino.  E  lo 
segue  nei  rimproveri  al  Boccaccio  ;  ma  intorno  all'  amoro 
per  Beatrice  è  più  esplicito  e  radicale.  Egli  crede  (  Vita 
Dantis,  FJorentiae  1828:  p.  19  s  ),  '  fìctam  esse  rem  om- 
nem  '  ;  che  se  il  poeta  scrisse  '  ad  amicam  cantiones  \  scris- 
sero, dice  il  critico,  '  et  poetae  somnia,  quae  figurata  ratio- 
ne  majus  aliquid  complectuntur.  Scripserant  et  navalia 
bella,  et  castra  in  liostes  firmarunt,  et  machinas  erexerunt 
poetarum  carmina,  quibus  nunquam  adfuerunt  '.  Sicché,  di- 
ce il  Filelfo,  '  ego  aeque  Beatricem,  quam  amasse  fingitur 
Dantes,  mulierem  unquam  fuisse  opinor  ;  ac  fuit  Pandora, 
quam  omnium  Deorum  munus  consecutam  esse  fabulantur 
poetae  '.  Non  era  molto,  certamente  ;  ma  era  già  qualche 
cosa.  Ne  sapremo  di  più,  quando  il  Biscioni  avrà  per  il  pri- 
mo esaminato  attentamente  la   Vita  nuova  ed  il  Convivio. 


E  qui  avremmo  finito.  Ma  alcuni  critici  abbandonano 
volentieri  al  loro  destino  il  testamento  di  Folco  e  il  trat- 
tatello  del  Boccaccio,  Bice  Portinari  e  Simone  de'  Bardi, 
e  sostengono  le  sorti  della  tesi  storica  da  una  rocca    ben 


La  modesta  ipotesi  d'una  Bice  fior,  e  la  prova  della  Comm.  33Q 

munita  e  non  facile,  per  la  natura  del  luogo,  ad  espugnare, 
quasi  fuori  del  tiro  demolitore  e  birbone  dei  rivoltosi  ;  co- 
me quel  prudente  capitano  che  non  vuol  compromettere 
r  esito  finale  della  campagna,  col  distrarre  e  disperdere  le 
sue  forze  in  difese  e  piccoli  fatti  d'  arme  d' importanza  as- 
sai discutibile. 

La  prova  della  storicità  si  troverebbe  nella  Comme- 
dia. Dicono  alcuni  :  —  Lasciamo  pure  dormire  in  pace  la 
moglie  di  Simone,  che  davvero  non  e'  entra.  Ma  non  si 
può  sostenere  che  la  Beatrice  della  Commedia  non  sia  l' a- 
nima  beata  d'  una  fanciulla  amata  veramente  ;  e  la  con- 
corde testimonianza  degli  antichi  commentatori,  è  certo  qui 
di  molto  peso.  Quindi,  anche  la  narrazione  della  Vita  nuo- 
va ha  un  certo  valore  storico  per  gli  amori  giovanili  di 
Dante  —  . 

Veramente,  gli  antichi  commentatori,  e  non  tutti,  pri- 
ma confondendo,  in  questo  particolare  come  altrove,  il  senso 
letterale  col  senso  storico,  poi  sviandosi  dietro  la  notizia 
della  Bice  Portinari,  hanno  talvolta  pensato,  nell'  esporre 
la  lettera,  ad  una  donna  veramente  amata,  che  coli'  inter- 
pretazione allegorica  non  ci  aveva  poi  nulla  che  vedere, 
ed  era  anzi  incompatibile  coli'  interpretazione  allegorica, 
a  cui  principalmente  attendevano.  Il  che  potrebbe  dimo- 
strare, che  quell'  interpretazione  storica  era  illegittima  e 
intrusa  ;  e  che,  nata  da  un  pregiudizio,  fu  confermata  da 
una  diceria,  a  cui  essa  stessa  aveva  dato  origine.  Comun- 
que sia  di  ciò,  a  noi  veramente  importa  che  si  tengano 
ben  distinte  le  due  questioni,  della  donna  amata  e  della 
Beatrice  delle  finzioni.  Alla  questione  storica,  anche  se  ri- 
dotta ai  minimi  termini,  dovrebbe  rispondere  la  Vita  gio- 
vanile di  Dante,  che  noi  non  ci  sentiamo  autorizzati  a  co- 
struire sulle  finzioni  del  poeta.  Certo,  è  oramai  tempo  di 
uscire  da  questo  secolare  circolo  vizioso  :  in  luogo  della  po- 
sitiva notizia  storica,  un  presupposto  genera  l' interpreta- 


'J40  La  Beatrice  storica 

zione  storica  delle  poetiche  finzioni  ;  con  questa  interpre- 
tazione poi  si  dimostra  che  quel  presupposto  è  storicamente 
provato,  e  provato  anche  nelle  sue  particolari  circostanze. 
Insomma,  non  e'  è  che  una  data  interpretazione  di  alcune 
poetiche  fantasie,  la  quale  si  sostituisce  alla  prova  positi- 
va del  presupposto  che  le  serve  di  base.  Ne  meno  vizioso 
è  il  circolo  di  prove  corrente  e  ricorrente  tra  la  Vita  nuova 
e  la  Commedia  :  la  Vita  nuova,  non  letta  o  non  attenta- 
mente letta,  conferma  1'  interpretazione  storica  della  Bea- 
trice della  Commedia  ;  letta  e  discussa,  chiede  alla  Comme- 
dia la  prova  del  valore  storico  del  senso  letterale  di  qual- 
'che  suo  episodio. 

Ma,  benché  a  prima  giunta  possa  parere  strana  la 
pretesa  di  chi,  dalle  nebbie  della  Vita  nuova  rifugiandosi 
nel  quieto  aer  sereno  della  divina  foresta  del  Purgatorio, 
pensa  di  trovar  quivi,  fra  tutte  quelle  personificazioni  al- 
legoriche, la  prova  più  salda  della  realtà  storica  di  Bea- 
trice ;  tuttavia  bisogna  pur  riconoscere  che  appunto  la  Bea- 
trice della  Commedia,  certamente  allegorica,  pare  meno  al- 
legorica e  più  reale  della  Beatrice  della  Vita  nuova.  E  d'al- 
tra parte,  la  convenienza  di  veder  modellate  sullo  stesso 
stampo  le  principali  figure  allegoriche  del  Poema,  ben  a 
ragione  persuade  oggi  critici  arguti  e  profondi  a  veder 
nella  Beatrice  di  Dante  la  donna  amata,  veramente  donna 
e  veramente  amata  dal  divino  poeta. 

Certo,  se  la  cosa  stésse  nei  termini  in  cui  general- 
mente vien  posta,  che  tutte  le  principali  figure  allegori- 
che della  Commedia  siano  anche  figure  storiche,  assai  de- 
bolmente forse  si  potrebbe  obbiettare  qualche  arzigogolo  ; 
e  si  dovrebbe,  allo  stringer  dei  conti,  pur  riconoscere  che 
il  poeta,  così  nella  Commedia  come  nella  Vita  nuova,  volle 
in  qualche  modo  ricordare  i  suoi  giovanili  amori,  e  glo- 
rificare la  donna  amata.  Ma  la  cosa  sta  bene  altrimenti. 
Principali  figure  allegoriche  del  Poema    sono  Dante,  Vir- 


/  simboli  storici  della  Commedia  ;ui 

gilio  e  Catone,  Lucia,  Matelda  e  Beatrice.  Che  la  prima 
triade,  alla  quale  si  può  aggregare  Stazio,  sia  di  figure 
storiche,  non  è  il  solo  nome  che  ce  lo  faccia  ricordare.  Le 
figure  storiche  e  allegoriche  insieme,  nella  Commedia  sono 
ben  determinate  storicamente,  e  sol  qualche  tocco  o  con- 
trassegno particolare  ci  addita  1'  allegoria.  Anzi  la  figura 
storica  è  quel  che  si  vede  sicuramente  a  prima  giunta,  e 
solo  le  esigenze  della  finzione  richiamano  la  nostra  atten- 
zione su  quel  tocco  o  contrassegno  che  ci  mette  sulla  via 
del  senso  allegorico,  appena  sospettato.  Dante  è  Dante  Ali- 
ghieri, nepote  di  Cacciaguida,  '  florentinus  natione  non 
moribus  ',  e  futuro  '  exul  immeritus  '.  Virgilio  è  Publio 
Virgilio  Marone,  '  anima  cortese  Mantovana  ',  *  gloria  de' 
Latini  ',  '  cantor  de'  bucolici  carmi  ',  scrittor  dell'  Eneide, 
nato  a  Pietole,  vissuto  a  Roma  '  sotto  il  buono  Augusto', 
morto  a  Brindisi,  sepolto  a  Napoli.  Catone  è  . .  .  Catone, 
a  cui  per  la  'libertà  non  fu  '  amara  in  Utica  la  morte  '.  E 
cosi.  Stazio  è  1'  autore  della  Tebaide  e  dell'  Achilleide.  Ma, 
quanto  alla  triade  donnesca,  alla  quale  si  può  anche  ag- 
gregare r  Innominata  (  la  '  donna  gentile  '  che  mosse  Lu- 
cia ),  la  cosa  è  affatto  diversa.  Nessuna  di  codeste  quattro 
*  donne  '  è  determinata  storicamente  in  qualche  modo  ;  e 
chi  vuol  dimostrare  che  1'  una  o  1'  altra  di  esse  è  figura 
storica,  non  può  che  aggirarsi  in  un  altro  circolo  vizioso  : 
r  una  è  figura  storica,  perchè  le  altre  sono  storiche  figure. 
Cosi,  per  un  sentimento  di  convenienza  e  di  equità,  si 
pensò  di  provvederle  tutte,  una  alla  volta,  d'un  bel  titolo 
storico,  aifinòhè  nessuna  rimanesse  in  una  condizione  d' in- 
feriorità rispetto  alle  compagne,  ed  ognuna  potesse  degna- 
mente star  nella  storica  famiglia  ;  come  oggi  di  necessità 
si  fa  senatore  alcuno  che,  senz'  esser  persona  parlamenta- 
re, venga  nominato  ministro.  Così,  dell'  Innominata  si  fece 
la  Vergine  Maria,  o  Sant'  Anna  ;  di  Lucia  si  fece  la  mar- 
tire sirarnsana,  ovvero,  a  scelta,  la  beata  Lucia  Ubaldini  ; 

43 


342  La  Beatrice  storica 

di  Matelda  si  fece ...  E  che  non  si  fece  di  Matelda  ?  Si 
può  dire  che  ogni  dantista  che  si  rispetta,  ha  la  sua  brava 
storica  Matelda.;  come  ogni  buon  cabalista  il  suo  '  colpo 
sicuro  ',  il  suo  bel  terno  secco,  per  ogni  prossima  estrazione 
del  lotto.  Grande  è  la  ressa  delle  Matelde  ;  e  più  grande 
sarà,  se  cominciamo  a  presentare  al  concorso  anche  le  Mad- 
dalene, Certo,  nessuna  storica  Matelda  avrà  mai  altro  ti- 
tolo da  far  valere  che  il  nome.  Il  poeta  una  sola  volta  , 
e  in  fine,  chiama  Matelda,  la  '  bella  donna  '  della  divina 
foresta  ;  ne  in  tutto  1'  episodio  si  trova  altro  che  possa  con- 
durci ad  una  identificazione  almeno  probabile. 

Si  dirà  :  —  Sia  pure  così  di  Matelda,  di  Lucia  e  del- 
l' Innominata  ;  ma  non  è  forse  Beatrice  1'  anima  beata  di 
quella  Bice  fiorentina  che  Dante  amò  di  puro  amore,  e 
che  morì  in  su  la  soglia  di  sua  seconda  etade  ?  Non  è  così 
di  Virgilio  ?  non  è  cosi  di  Catone  ?  — 

Veramente  l' anima  beata  di  codesta  signora  o  fanciulla 
fiorentina,  forse  perchè  più  saggia  di  Virgilio,  forse  per- 
chè più  beata  di  Catone,  si  comporterebbe  in  modo  aifatto 
nuovo,  e  direi  stravagante  ;  tanto  che,  a  stare  al  senso 
letterale,  si  direbbe  una  pazza.  Non  dico  che  Virgilio,  al 
solo  sentire  il  suo  nome,    la    chiama 

donna  di  virtù,  sola  per  cui 
L'  umana  spezie  eccede  ogni  contento 
Da  quel  ciel  che  ha  minor  li  corchi  sui. 

Non  dico  eh'  egli  parla  sempre  di  lei  come  d'  autorità  ri- 
conosciuta ed  infallibile: 

Veramente  a  cosi  alto  sospetto 
ISon  ti  fermar,  se  quella  noi  ti  dice, 
Che  lume  fìa  ti-a  il  vero  e  l' intelletto. 

Non  so  so  intondi  ;  io  dico  di  Beatrice. 


Se  In  Beatrice  della,  Comm.  sìa  fUjura  storica  iU8 

E  su  hi  mi:i  ra|;ion  non  ti  <Usfani:i. 
Vedrai  Beatrice,  ed  ella  pienamente 
Ti  terrà  questa  o  cijiscun'  altra  brama. 

(guanto  niijion  4111  wdv. 
Dirti  posH*  io  ;  dn  indi  in  là  t'  aspetta 
Puro  a  Beatrice,  eh'  ò  opra  di  fede. 

La  nobile  virtù  Beatrice  intonde 
l'er  lo  libero  arbitrio. 

Non  dico  che  Lucia  la  chiama  '  loda  di  Dio  vera  ',  come 
riferisce  essa  stessa  a  Virgilio  ;  ne  che  i  beati  del  cielo  di 
Mercurio  esclamano  al  suo  apparire, 

Ecco  chi  crescer.'»  li  nostri  amori. 

Nuli  iliou  lIk-  il  pufia   la   invoca  : 

O  amanza  del  primo  amante,  o  diva  ! 

Non  dico  né  questo  né  altro.  Ma  essa  stessa  dice  delle  cose 
sconvenientissime  a  qualunque  anima  beata,  anzi  a  qua- 
lunque anima  nata.  Prima,  parlando  alle  '  sustanzie  pie  ', 
muove  al  piangente  e  dolente  poeta  acerbo  rimprovero 
d'  essersi  tolto  a  lei  e  dato  altrui  ;  poi,  volgendo  per  punta 
al  poveretto  quel  suo  parlare  che  pur  per  taglio  era  stato 
così  acro,  richiede  1'  esplicita  confessione  di  sì  grave  colpa  ; 
e  allora,  dice  il  poveretto, 

Confusione  e  paura  insieme  miste 
òli  pinsero  un  tal  si  fuor  della  bocca, 
Al  quale  intender  far  m^stior  le  viste. 

Ma  r  anima  beata  della  fanciulla  fiorentina  (  e  lasciamo 
stare  la  moglie  altrui  )  non  si  queta  per  questo  ;  e  il  rab- 
buifo  continua  ;  e  perchè  quel  poveretto  abbia  più  vergo- 


344  La  Beatrice  storica 


gna  ancora  del  suo  gravissimo  errore,  più  orrore  ancora 
della  sua  vergognosa  colpa,  d'essersi  dato  altrui,  d'aver 
rotto  fede  al  cener  dell'  amata  fanciulla  (  e  lasciamo  stare 
la  moglie  altrui  ),  gli  ricorda,  pudicamente  e  modestamente, 
che  mai  non  fu  donna  in  questo  mondo  più  bella  né  più 
piacente  di  lei  ;  che  le  sue  belle  membra,  eccetera  ;  che  lei 
morta,  eccetera  ;  che  nessuna  pargoletta,  eccetera  eccetera. 
E  solo  tacque,  quando  quel  misero  dolente,  punto  dall'  or- 
tica del  pentimento,  morso  dal  rimorso  del  grave  fallo, 
cadde  vinto.  Insomma,  dinanzi  a  quel  mistico  'coro  che 
tutti  sanno,  dinanzi  a  tutti  i  venerabili  rappresentanti 
del  Vecchio  e  del  Nuovo  Testamento,  la  vezzosa  fanciulla 
fiorentina  (  e  lasciamo  stare  la  moglie  altrui  )  farebbe  una 
scenetta  di  gelosia,  farebbe  un  piccolo  schiamazzo  da  beata 
pettegola  al  malcapitato  marito  altrui,  che  avea  fatto  tanto 
per  rivederla. 

—  Ma  che  andate  dicendo  ?  Allora  non  parla  soltanto 
la  vezzosa  Bice,  parla  anche  il  simbolo  e  al  simbolo  si 
parla.  Evidentemente  qua  e  là  parla  come  donna  reale, 
vissuta  in  questo  mondo,  non  come  simbolo.  Si  può  tutto 
riferire  al  simbolo  ?  — 

Ogni  volta  eh'  io  penso  a  codesto  episodio  del  Pur- 
gatorio e  ai  critici  realisti,  mi  viene  innanzi,  non  so  per 
quale  associazione  d' idee,  il  dialogo  di  Luciano  tra  Dio- 
gene ed  Ercole  giù  nell'  Ade.  Certo,  se  di  un  solo  Ercole 
si  potevano  fare  tre  Ercoli,  qui  della  vezzosa  fanciulla  fio- 
rentina si  fanno  due  Beatrici  :  una,  teologica  personifica- 
zione, parla  allo  sviato  peccatore,  stando  come  ammiraglio 
sul  mistico  carro  del  Grifone  ;  un'  altra,  anima  bella  di  gio- 
vinetta fiorentina^  parla  all'  antico  amante,  oramai  povero 
padre  di  famiglia,  stando  come  torre  ferma  che  non  crolla, 
nella  fantasia  dei  critici. 

Parla  certamente,  e  si  parla  al  simbolo.  Ma  quando 
dunque  Beatrice  parla  come  un'anima  beata?  come  tutte 


Se  la  Beatrice  delUi  Comm.  sia  figura  Hlorìca  :;j.) 

le  anime  dei  defunti  della  Commedia'^  come  Virgilio?  come 
Catone  ?  Quando  Virgilio  dice  mai  parola,  anche  con  inten- 
dimento allegorico,  che  a  quell'  anima  cortese  mantovana 
non  convenga  ?  Quando  Catone  dice  mai  verbo  che  al  ma- 
rito di  Marzia  non  convenga?  Quando  dell'  uno  o  del- 
l' altro  si  dice  mai  cosa  che  all'  uno  o  all'  altro  non  con- 
venga (')? 


(»)  V.l.  (  ..mi.u.tti.  Vii;/.  1,  27n  2iU  :i.»4  jJ;»?.  11  D"  Aucoim 
{Beatrice,  ik-Hji  Iliblioteca  delle  Stuoie  ital.  Torino  1889:  1,  257  ss; 
v(l.  !«nch«'  Dol  Lungo,  Dal  aec.  ;J2:-J  ;  o  Cian  in  Bull.  ns.  5,  181  :  o 
cfr.  L'  Aliffh.l,  211  s)  osserva  cho  'il  nomo  di  Boatrico  ò  da  Dan- 
to pronunziato  soltanto  nel  colloquio  con  Forese  ':  e  nota  che,  come 
quel  goloso  ricortla  la  sua  Nella,  Danto  ricorda  Heatrice  ;  e  trova 
che  *  essi  riconoscono  e  confessjino  quanto  tlebbano  a  cotesti  loro 
angeli  tutelari  *;  e  desume  da  tutto  ciò  '  una  nuova  prova  della  realtà 
umana  di  Beatrice  '.  Veraniento,  altro  è  il  dolce  e  tenero  ricordo 
della  *  vedovella  *  di  Forese,  altro  è  l'  accenno,  affatto  indeterminato, 
a  Beatrice  :  né  Dante,  come  Forese,  parla  dei  suoi  obblighi  verso 
il  suo  angolo  tutelare,  che  poi  sarebbe  la  moglie  altrui.  Dice  sol- 
tanto: —  Pochi  giorni  or  sono,  colui  che  va  innanzi,  mi  ritrasse  dalla 
vitaccia  di  queir  aiuola  che  ci  fa  tanto  feroci  ;  o  con  questa  mortai 
soma,  mi  guidò  por  1*  inferno  :  or  mi  conduce  per  il  purgatorio,  e 
mi  proinottc  di   ranni  compairnia  fino  a  tanto 

Ch"  lo  sarò  là  dove  Ca  BeatrU-c  ; 
Quivi  fonvlen  oho  senza  lui  rimagna. 

Egli  è  Virgilio  :  1*  altro  mio  compagno  ò  quoll"  anima  beata  por  cui 
tremò  questo  monto  poco  fa  —  .  Corto,  niente  in  codesto  accenno  a 
Beatrice  che  richiami,  anche  lontanamente,  le  parole  di  Forese  per 
la  sua  Nella  ;  anzi,  il  poeta  non  dice  neppure  a  Forese  che  Virgi- 
lio lo  volse  dalla  selva  selvaggia  per  intercessione  di  Beatrice.  Chi 
non  sjipesse  altro,  come  niente  altro  poteva  sapere  Forese,  crede- 
rebbe che  il  merito  di  tale  conversione  fu  tutto  di  Virgilio  :  ed  in- 
tenderebbe che  Virgilio  prometteva  di  guidar  Dante  fino  alla  bea- 
titudine, dove  lo  avrebbe  abbandonato,  perchè  non  era  anima  beata, 
perchè  aveva  fatto  e  faceva 


346  La  Beatrice  dorica 


E  di  quale  colpa,  di  quale  errore  rimprovera  così  a- 
cerbamente  la  fanciulla  fiorentina  (  e  lasciamo  stare  la  mo- 
glie altrui  ),  il  confuso  e  vergognoso  e  dolente  e  pentito  e 
contrito  marito  di  Gemma  Donati  ?  Di  essersi  dato  ad  amori 
sensuali  e  lascivi  dopo  la  morte  di   lei  (^)?  Ma,    lasciando 


come  quel  che  va  di  notte, 
Che  porta  11  lume  retro,  e  sé  non  giova  ; 
ila  dopo  so  fa  lo  persone  dotte. 

Che  Dante  non  pronunzi  mai,  fuor  che  in  questa  occasione,  il  nome 
di  Beatrice,  non  ò  poi  vero.  Anche  so  s' intonde  del  suo  discoi-so 
diretto,  Dante  pronunzia  quel  nomo  un'  altra  volta,  nella  divina  fo- 
resta {Piirff.  82,  85).  D'altra  parte,  il  nome  di  Beatrice  non  suona 
mai  tra  i  dannati  ;  suona  due  Aolte  nella  prima  cantica  (  come  duo 
volte  il  nome  di  Yii-gilio  nella  terza  cantica  ).  ma  fuori  della  città 
dolente,  dell'  eterno  dolore,  della  gente  perduta  ;  e  nel  regno  dell'  e- 
spiazione  non  occorre  mai  se  non  nel  suo  più  schietto  significato  al- 
legorico. All'accenno  alla  triste  vita  abbandonata,  all'intonazione 
contrita  dell'  episodio  di  Forese,  ben  si  accorda  quel  mostrare  la 
guida  alla  beatitudine,  quel  nominare  eccezionalmente  Virgilio  e 
Beatrice;  né  occorre  vederci  sottintesi  che  sarebbero  del  tutto  cam- 
pati in  aria. 

(1)  Si  è  fatto  e  si  fa  tuttavia  un  gran  parlare  della  vita  lus- 
suriosa e  scioperata  di  D.inte  dopo  la  morte  di  Beatrice  :  e  si  tro- 
vano le  prove  per  codesta  imputazione,  oltreché  nei  rimpi-overi  della 
Sposa  del  Libano,  nelle  Bime  pietrose  e  nelle  testimonianze  di  U- 
baldo  da  Gubbio  (  Teleutelogio,  vd.  Zingarolli,  La  data  del  Telent. 
in  Studi  di  leti.  ital.  jmhbl.  da  una  società  di  studiosi,  I^apoli  1899: 
1,193),  del  Boccaccio  e  di  alcuni  antichi  commentatori  del  Poema; 
nella  contumeliosa  tenzone  con  Forese  ;  nelle  parole  stesse  che  il 
poeta  rivolge  a  quel  goloso  nell'  incontro  del  Purgatorio  ;  nel  sonetto 
di  Guido  Cavalcanti,  /'  veguo  7  giorno  a  te  'nfinite  volte,  nel  fatto 
che  il  poeta  partecipa  alla  pena  delle  anime  purganti  il  peccato 
della  lussuria.  Lasciamo  stare  le  Rime  pietrose,  che,  comunque  in- 
tese,  non  provano  nulla  ;  e  lasciamo  stare  le  testimonianze  dell'  Eu- 
gubino, del  Certaldese,  e  degli  antichi  commentatori,  che  della  vita 
intima  di  Dante  ne  sapevano  forse  meno  di  noi.  Vediamo  un  po' 
le  prove  dirette.  La  tenzone  con  Forese  fu  una  volgarità  pettegola 
e  indecorosa,  alla  cui  memoria  dovea  tornare  con  rincrescimento  e 


/  rimproveri  di  Beatrice  e  la  lussuria  di  Dante        347 

stare  ogni  altra  considerazione,  niente  certo  dovrebbe  tanto 
valere  a  spiegare  aì^^  •^'^  '•-  finzioni  allegoriche  della  Cnm- 


disgusto  il  poota  (cfr.  D'Ovidio,  Siudii.  218  da  quei  ve- 

lenosi sonotkicci  (  vd.  Del  Lun^o.  Dino.  2,  612  ks;  Duiiit  ne  tempi  di 
Dante,  Bologiui  1888,  p.  435  ss  )  qualche  costrutto  si  cava,  ò  questo, 
che  Diinte  inveì  contro  Forese,  sputandogli  in  viso  Y  origino  adul- 
terina, i  bairortli.  «rli  stravizi  e  le  mariolerie  ;  e  che  Forese  si  sca- 
gliò su  Dante,  abbiijandogU  contro  eh'  era  un  pezzente  ed  un  vi- 
gliacco, e  forse  mordendolo  velenosamente  con  allusioni  a  colpo  che 
il  nostro  cotlice  penale  chiama  peculato,  concussione,  corruzione. 
Certo  è,  che  nelle  contumelie  di  Forese  indarno  si  cercherebbe  puro 
la  più  lontana  allusione  a  vita  dissoluta  :  anzi,  da  qualche  cenno 
si  potreblw?  desumere  che  Dante  allora  menasse  vita  operosa,  ben- 
ché non  decorosa  nò  onesta,  a  sentir  Bicci  novel.  Come  si  possa  da 
queir  ontoso  metro  argomentare  che  Forese  fu  a  Dante  compagnone 
di  vita  scapestrata,  io  non  ve<1o  punto  ;  salvochè  non  si  voglia  con- 
tinuare a  vedere  in  quella  tenzone  una  burhi,  un  badalucco  da  begli 
umori,  un  palleggio  di  rime  preburchiellesche.  Né  vedo  bene  perchè 
le  contumelie  siano  propri(>  di  un  periodo  di  vita  che  prenda  nome 
dalla  passione  mondana.  Neil"  epismlio  del  Purgatorio  e'  è  un'eco  do- 
lorosi! di  codesta  tenzone  abominevole,  che  non  fu  certo  la  sola  briga 
che  allora  cercasse  T  Alighieri.  Dice  il  poeta,  s\'elandosi,  a  Forese  ; 

Se  ti  ritlncl  a  mente 
Qiul  fosti  meco  e  quale  lo  teoo  fai. 
Ancor  fìa  ^rave  II  m*<morar  predente. 
DI  «luolla  vita  mi  volse  costui 

•  111'   mi   \  .1   luiiiiiizl  .  .  . 

Qiial  fosti  meco,  cioè  comò  ti  comportasti  con  me,  contro  di  me  : 
Di  quella  cita,  cioè  di  odii  e  di  litigi,  pettegola  e  volgare.  Certo, 
cotleste  contumelie,  codeste  l)righe  non  sono  della  inistica  <idolescenza 
del  poeta  ;  ina  non  si  può  dire  che  siano  indici  di  un  periodo  di 
vita  lussuriosa  e  dissolut<i.  Direi  piuttosto  che  sono  escrementi  d'  un 
periotlo  di  vita  attiva  e  battagliera.  [Notevole  un  recentissimo  ar- 
ticolo di  G.  Venturi.  Dante  e  Forese  Donati,  nella  Rie.  d"  It.,  mar- 
zo 1904,  p.  391  ss.  Xon  credo  però  che  la  tenzone  sia  anteriore  al 
1293.  ]  E  allo  sviarsi  e  ingolfarsi  nei  pubblici  negozi,  e  incanagliarsi 
tra  i  popolani  del  Comune,  par  che  alluda  il  sonetto  del  Cavalcanti 
(  cfr.    Lamina.    Qtìisf.  44  <«  )  ;    il  quale  non  volle  mai  uscire  •  dalla 


348  La  Beatrice  storica 


media,  quanto  la  testimonianza   chiara    ed    esplicita    dello 
stesso  poeta.  Il  quale  afferma  che,  dopo  il    primo    amore, 


disdegnosa  solitudine  nella  quale  l'ispetto  a  tutto  e  a  tutti  s'  ora  rin- 
chiuso '  ;   non  volle,  benchò,  a  quel  che  paro,  stuzzicato  e  invitato, 
'  seguire  sotto  le  vittorioso  insegne  dello  Arti  il  suo  Dante  ',  nò  volle 
'  portare  ne'  Consigli  del  Popolo  e  ne'  magistrati  del  Comune  il  tributo 
del  potente  suo  intelletto  '  (  Del  Lungo,  Dino,  1,  372  ).  *  L'  annoiosa 
gente'  fastidiva  Guido,  come  il  '  profanum  vulgus  '  Orazio  ;  ed  egli 
pretendeva  imporre  la  sua  linea  di  condotta  all'  amico.  Comunque  sia 
di   ciò,  perchè  bisogna  bene  tener  nel  debito  conto  le  osservazioni 
del  D'  Ovidio  [Stndii,  202  ss),  il  Cavalcanti  non  rimproverava  certo  a 
Dante  la  vita  mondanetta,  della  quale  egli  stesso  era  buon  campione. 
Resta  l'ultimo  indizio  di  prova,  il  partecipare  alla  pena   dei  lussu- 
riosi. Ma  anche  qui  si  tratterà  del  solito  caso  di  daltonismo.  Danto 
e  Virgilio  e  Stazio  andavano  ad  uno  ad  uno  '  dal  lato  schiuso  '  della 
cornice  dei  lussuriosi,  perchè  fiamma  di  quoll'  incendio  non  li  assa- 
lisse ;  o  Danto  poi  si  teneva  cosi  stretto  al  ciglio  della  cornice,  che 
temeva  di  cader  giii.  Attraversa  bensì,  con  Virgilio   e   Stazio,  per 
entrare  nel  paradiso  terrestre,  quel  muro    di   fuoco   che   chiude    il 
passo  a  tutte  le  '  anime  sante  '  del  regno  dell'  espiazione  ;  ma,  ben- 
ché non  vi  siano,  come  pare,  netti  confini  tra  le  fiamme  della  cor- 
nice dei  lussuriosi  e  questo  fuoco  che  sequestrava  Dante  dalla  bea- 
titudine, tuttavia  si  tratterà  di  ben  altra  figurazione  ;  cfr.  Piirg.  9, 
19  -  33  ;  e  vd.  Buti,  2,  116  e  202.  Corto,  nessuno  può  penetrare  nella 
divina  foresta  '  se  pria  non   morde ...  il    fuoco  '.   Il   poeta,   d' altra 
parte,  non  si  accusa  di  lussuria,  ma  d' invidia  e  di  superbia  (Fun/. 
13,  133-138);    e  non  sopporta  tormento  nella  cornice  dei  superbi, 
né  in  quella  degl'  invidiosi,  perchè  1'  espiazione  è  por  lo  sole  anime 
dei  defunti.  Adunque,  se  non  si  vuole  assolvere  Dante,  né  per  ine- 
sistenza di  reato,  né  per   non   provata   reità,    si   ordini   almeno    un 
supplemento  d' istruttoria  ;  ma  si  eseluda  ad  ogni  modo  che  a  vita 
lussuriosa    e   dissoluta    alludano   i   rimproveri  di  Beatrice.  Affatto 
gratuita  è  poi  la  supposizione  che  Beatrice,  nel   canto   trentesimo, 
rimproveri  al  poeta  colpe  diversissime,  di  senso  e  d"  intelletto.  Una 
è  la  colpa  rimproverata,  lo  straniamonto  ;  il  quale,  poco  per  volta, 
condusse  Dante  tanto  giù   che,    per   salvarlo,  la    loda  di  Dio  vera 
dovette  visitar  1' uscio  dei  morti,  e  lasciare  nell' inferno   le  sue  ve- 
stige  (  vd.  Fornaciari,  SfiKÌj.  17.')  ss). 


Di  quale  strania menfo  parli  ftenipre  il  poeta  349 

s'  accese  dell'  amor  filosofico,  e  che  1'  amor  filosofico  scacciò 
Beatrice  dalla  rocca  della  sua  mente,  e  che  in  questo  suo 
secondo  amore  errò.  Questo,  non  altro,  è  lo  straniamento 
di  cui  parla  sempre  il  poeta  ;  e  nessuno  dirà  eh'  egli,  nel- 
r  episodio  della  divina  foresta,  voglia  smentire  le  dichia- 
razioni del  Convicio  ;  eh'  egli,  nella  Commedia,  voglia  dis- 
adonestare il  preteso  adonestamento  della  donna  gentile 
della  Vita  nuoca. 

Del  resto,  nella  stessa  Commedia  è  chiarita  ogni  cosa. 
Dopo  il  rabbuffo,  il  pentimento  e  le  trasformazioni  del 
Carro,  chiedeva  il  poeta  a  Beatrice: 

Ma  percliì'  Uinto  gopra  mia  veduta 
Vostra  parola  desiata  vola. 
Che  più  la  perde  quanto  più  h'  aiuta? 

E  Beatrice, 

Perchè  eonoschi,  dinso,  quella  scuola 
Ch'  di  seguitata,  e  veggi  sua  dottrina 
Come  può  seguiliir  la  mia  parola  : 

E  veggi  vostra  via  dalla  divina 
Distar  cotanto,  quanto  si  diaconia 
Dm  terra   il  eiel  che  più   allo  festina. 

Ma  il  poeta,  che  aveva  bevuto  dell'  acqua  di  Lete,  ob- 
biettava : 

Non  mi  ricorda 
Ch'  io  straniassi  me  giammai  da  voi 
Né  henne  coscYenza  che  rimorda. 


E  Beatrice, 


E  se  tu  rlcord.tr  non  te  ne  puoi, 
Sorridendo  rispose,  or  ti  rammenta 
Come  bevesti  di  Lete  ancoi  ; 

E  se  dal  fummo  foco  s'argomenta, 
Cotesta  oblivion  chiaro  conchiude 
Colpa  nella  tua  voirlia  altrove  attenta. 

44 


350  Tm  Beatrice  storica 

Se  non  si  pensasse  che  le  più  semplici  questioni  dantesche 
s'  ingarbugliano  spesso  maledettamente  per  uno  sciocco  pre- 
giudizio, non  si  saprebbe  spiegare  come  mai  alcuni  si  siano 
messi  in  testa  che  qui  Beatrice  rimproveri  al  poeta  una 
nuova  colpa,  ben  più  grave  della  colpa  per  taglio  e  per 
punta  già  colpita.  Qui,  nessuno  dovrebbe  negarlo,  si  tratta 
dello  straniamento  dalla  Beatrice  allegorica  :  si  parla  non 
solo  di  '  scuola  ',  ma  di  '  dottrina  '  che  non  può  seguitar 
la  parola  della  '  loda  di  Dio  vera  '  ;  si  parla  di  via  umana 
e  di  via  divina  (').  Ma  lo  straniamento  qui  ricordato,  non 
può  esser  diverso  dallo  straniamento  già  rimproverato.  Al- 
trimenti bisognerebbe  conchiudere,  che  il  rimprovero  più 
grave  Beatrice  si  riserbò  di  farlo  per  incidenza  e  quando 
Dante  non  poteva  più  pentirsi,  perchè  non  poteva  più  ricor- 
dare il  fallo  stesso  ;  e  che  1'  alto  fato  di  Dio  era  stato  rotto, 
perchè  lo  straniato  avea  passato  Lete  e  gustata  tal  vivanda 
senza  alcuno  scotto  di  pentimento  (  cfr.  Bull.  ns.  9,  33). 


Più  volte  ho  pensato  che  è  poco  probabile  che  Dante 
non  abbia  lasciato  nessuno  spiraglio  da  cui  si  possa  ve- 
dere, come  due  e  due  fanno  quattro,  che  Beatrice  è  una 
figura  meramente  allegorica. 


(*)  Cfr.  Scrocca.   //  pece.  8  s.     Dico    Virgilio  a  Stazio   (  Pnrff. 
21,31): 

fili  tratto  fuor  cloU"  ampia  Rola 
D"  Inferno,  por  mostrargU,  o  mostreroUi 
Oltre,  quanto  11  potrii  menar  mia  scuola. 

Inclinei'ei  u  vedovo  adombrata  unii  figurazione  dello  straniamento 
di  Dante,  anche  noli'  '  oblio  '  in  cui,  nel  cielo  del  Sole  (  Par.  10,  00  ), 
'  ecolissò  '  nella  mente  del  poeta  Bealrico.  ohe  quoista  volta  ne  rÌKo. 


È  Beatrice  nella  Comm.  V anima  d'una  donna  morta.'    xa 

È  Beatrice,  nella  Commedia,  V  anima  beata  d'  una  don- 
na morta? 

Certo,  la  prima  volta  che  Virgilio  parla  di  lei,  la 
chiama  '  anima  '  : 

Anima  fi»  u  ciò  di  me  più  degna, 
Con  lei  ti  lascerò  nel  mio  partire. 

]\[a,  lasciando  stare  che  qui  la  voce  '  anima  '  occorre  per 
una  specie  di  attrazione  del  comparativo,  non  bisogna  di- 
menticare che  *  Amore  è  forma  di  filosofia,  e  però  ...  si 
chiama  Anima  di  lei  '  (  Conc.  3,  13,  109  ). 

Essa  è  '  beata  '  ;  lo  afferma  Virgilio,  fuor  della  valle 
dolorosa  : 

E  donna  mi  chiamò  beata  e  bella. 

Ed  anche  nel  (aiucìcìo  (  2,  2,  G  ;  9,  53  )  il  poeta  la  chiama 
'Beatrice  beata'.  !Ma,  anche  la  Fortuna  è  'beata'  (/»/". 
7,  94  )  ;  e  se  Beatrice  '  vive  in  cielo  con  gli  angioli  ',  come 
si  legge  nel  Conricio  e  si  vede  nella  Commedia,  anche  la 
Fortuna  vive  '  con  V  altre  prime  creature  lieta  ',  e  come 
le  altre  Intelligenze,  è  '  ministra  e  duce  '. 

Resta  dunque  a  vedere  se  si  tratti  d'  una  defunta.  Le 
anime  dei  defunti,  uomini  o  donne,  non  sono  mai  chia- 
mate né  uomini  né  donne.  Virgilio  dichiara  subito  che  non 
è  più  un  uomo: 

^Xon  uomo,  uomo  già  fui. 

'  Donna  '  invece  è  sempre  chiamata  Beatrice,  come  '  donne  ' 
son  sempre  chiamate  le  personificazioni  allegoriche  (*).  Vero 


(1)  'Donna',  Beatrice:  ////.  2.  óìì  :  2.  /•»  "donna  di  virtù*;  1.), 
90  :  Piirg.  1,  53  ;  26,  59  :  30,  32  :  30,  (M  :  30.  96  :  32.  122  :  33,  29  •  Ma- 
donna '  :  Por.  2,  46  •  Madonna  '  :  4,  134  :  5.  94  :  7,  11  :  8.  15  ;  8.  41  : 
10.  93  '  bella  donna  '.  cosi  chiamata  da  s.  Tommaso  :  14.  84  :  15.  32  : 


352  La  Beatrice  storica 

è  bene  che  Piccarda  (  Par.  3,  98  )  chiama  '  donna  '  s.  Chia- 
ra ;  ma  in  questo  caso,  affatto  eccezionale  del  resto,  si  po- 
trebbe vedere  come  un  riferimento  alla  donna,  all'  archi- 
mandrita, alla  guida  terrena,  piuttosto  che  all'  anima  di 
quella  '  pianticella  spirituale  '  di  s.  Francesco.  '  Donna  ', 
'  Nostra  Donna',  e  'Donna  del  cielo',  è  anche  chiamata 
la  Vergine  ;  ma  la  Vergine  è  stata  sempre  chiamata  così  ; 
né  ad  alcuno  è  mai  venuto  in  mente  d' invocare  la  Madon- 
na, chiamandola  anima  della  madre  del  Redentore.  Del  re- 
sto, Maria  fu  assunta  in  cielo  con  tutto  il  corpo,  e  bene 
è  anche  donna  in  cielo  ('). 


17,  7;  17,  114;  18,  4;  21,  2;  22,  100;  23,  10;  24,  82;  25,  16;  25, 
110  ;  25,  115  ;  2G,  10,  da  s.  Giovanni  :  20,  68  ;  26,  82  ;  26,  119  •  tna 
donna  '  ;  27,  76  ;  28,  40  ;  28,  61  ;  28,  88  ;  31,  56  ;  31,  79  ;  32, 137  '  tua 
donna  '.  Cfr.  Far.  27,  88  '  La  monto  innamorata,  che  donnea  Con  la 
mia  donna  sempre  . . .  '.  con  Par.  24,  118  '  La  grazia,  clie  donnea 
Con  la  tua  mente  . . .  '  ////.  2,  94  '  Donna   gentile  ',   F  Innomi- 

nata ;  2,  124  '  tre  donne  benedette  ',  le  tre  Grazie  ;  10,  80  '  donna 
che  qui  [  noli'  inferno  ]  regge  ',  Proserpina  ;  19,  57  '  bella  donna  ', 
la  Chiesa  di  Eoma  ;  32,  10  '  donne  ',  le  Muse  ;  Fitrfj.  1,  91  '  donna 
del  cielo'.  Virtù,  Grazia  divina  (cfr.  v.  68,  Beatrice);  9,55  'don- 
na ',  Lucia  ;  9,  88  '  Donna  del  cielo  ',  Grazia  divina  (  Lucia  )  ;  19,  7 
'  femmina  balba  ',  la  Sirena  ;  19,  26  '  donna  santa  e  presta  ',  la  Ra- 
gione ;  28,  40  '  donna  soletta  ',  Matelda  ;  28,  43  e  148  '  bella  donna  ', 
Matelda  ;  e  così,  '  donna  '  e  '  bella  donna  ',  Matelda,  in  più  luoghi  ; 
29,  121  'tre  donne',  le  Virtù  teologali;  29,  180  'quattro  [donno]', 
le  Virtù  cardinali  ;  e  così,  '  donne  '  e  '  sette  donne  ',  le  sette  Virtù, 
32,  25,  e  33,  3,  e  33,  109  ;  Far.  11,  58  ■  donna  ',  la  Povertà  ;  20,  127 
'  tre  donne  '  le  Virtù  teologali. 

(1)  Cfr.  Far.  25,  127.  Non  credo  che  a  codesta  mia  argomen- 
tazione si  vorrà  anche  obbiettare,  che  il  poeta  parlando  di  anime 
di  defunti  dice  (  /«/.  4,  29  )  che  erano  •  turbe  ...  Ed'  infanti  e  di 
femmine  e  di  viri  '  ;  qui  si  parla  della  loro  apparenza,  della  lor  va- 
nità che  par  persona.  Dice  infatti  Virgilio:  'Tu  non  dimandi  Che 
spiriti  son  questi  che  tu  vedi?'  Né  maggior  valore  avrebbe  l'altra 
obbiezione,  che  il  poeta  dice  d'  avere  intoso  (  ////.  5,  71  )  '  Nomarlo 


Indici  della  pura  allegoricità 


Comunque,  Beatrice  è  anche  chiamata  '  diva  '  (  Par. 
4,  118  ).  Ma  '  diva  '  è  chiamata  la  Musa  {  Par.  18,  82  ),  e 
'  dei  '  le  Intelligenze  come  la  Fortuna  (  Inf.  7,  87  ),  e  '  tre 
dee  '  tre  ordini  di  Angeli  (  Par.  28,  121  ),  e  '  dee  '  le  Virtù 
teologali  (  Purg.  32,  8  ),  che,  come  le  cardinali,  sona  an- 
che chiamate  *  vergini  '  e  '  sorelle  '  di  Beatrice  (  Purg.  33, 
7  e  11  ).  E  qui  non  vi  sono  eccezioni. 

Un  altro  indizio  che  Beatrice  non  è  1'  anima  d'  una 
morta,  si  potrebbe  vedere  in  ciò,  eh'  essa  parla  della  re- 
surrezione della  carne  come  se  non  dovesse,  con  tutte  le 
anime  beate  dei  defunti,  partecipare  a  quella  novissima 
gloria  (  Par.  7,  142  -  148  ;  14,  13  -  18  ). 

Non  mi  pare  poi  che  sia  da  esagerare  la  portata  del 
fatto,  che  Beatrice  ha  nel  *  convento  delle  bianche  stole  ' 
il  suo  scanno.  Veramente,  ella  siede  *  con  l' antica  Rachele  ' 
(  Inf,  2,  102  ;  Par.  32,  8  )  ;  e  la  cosa  è  già  un  po'  inde- 
terminata. Tuttavia,  nel  convento  delle  bianche  stole  e'  è 
anche  il  simbolo  della  potestà  imperiale  al  posto  dell'  alto 
Arrigo,  che  è  ivi  aspettato.  Or  chi  ci  assicura  che  il  poeta, 
'  figli  uol  di  Grazia'  (Par.  31,  112),  non  avrà  voluto  con 
la  figurazione  di  Beatrice  nella  Rosa  celeste,  presentarci 
un'altra  faccia  del  suo  bai  prisma?  chi  ci  assicura  ch'egli 
non  avrà  voluto  porre  nel  seggio  che  vagheggiava  a  se 
riserbato,  il  simbolo  della  sua  teologica  Musa  ?  i  simboli 
di  quella  sua  Grazia  divina,  al  cui  piacere  egli  pregava 
che  r  anima  sua  un  giorno  si  liberasse  dal  corpo  ?  Certo, 
r  indeterminatezza  della  figurazione  ben  si  attaglierebbe  a 
tale  intendimento  riposto.  La  congettura  è  un  po'  cam- 
pata in  aria  ;  ma  intorno  a  codesti  indovinelli  allegorici, 
quante  ipotesi  hanno  più  solido  fondamento? 


donne  antiche  e  i  cavalieri  '.  K^ella  rassegna  di  quelle  anime  (  '  ani- 
nime  affannate  '  chiama  il  poeta  due  di  quelle  '  ombre  '  )  si  dice  eh'  es- 
se furono,  non  sono,  donne  e  cavalieri. 


354  La  Beatrice  storica 

E  qui  abbiamo  veramente  finito.  Ma  non  oso  dire  che 
sia  finita  la  questione  di  Beatrice.  Vorrei  soltanto  sperare 
che,  in  sede  di  critica  positiva,  si  finirà,  un  giorno  o  l'al- 
tro, di  trattar  1'  ombre  come  cosa  salda  ;  e  che,  dopo  que- 
sta mia  qualunque  fatica, 

con  miglior  voci 
Si  pregherà  perchè  Cirra  risponda. 


NOTE  AGGIUNTE 


NOTE  AGGIUNTE 

ALLA    PARTE  PRIMA  E  SECONDA  :  L'  EPISODIO  DELLA  DONNA   GENTILE, 
Il   senso   LETTERALE   E   l'  ALLEGORIA  ] 

Paride  Chistoni  (  La  seconda  fase  del  pensiero  dantesco.  T^ivor- 
no  1903  )  afferma,  che  la  Vita  nuova  e  il  Conricio  sono  '  frutti  ben 
diversi  di  duo  diversissime  età  '  (  p.  x  )  ;  che  è  '  accertato  e  indi- 
scusso che  osso  sono  state  concepite  e  distese  in  due  diversi  mo- 
menti dello  svoljrimento  psichico  del  compositore  '  (  p.  9  )  :  che  *  il 
periodo  nello  scritto  giovanile  non  è  plasmato,  non  è  pieno  e  saldo 
come  neir  opera  filosofica  '  (  p.  68  )  :  che  insomma  la  Vita  nuora  fu 
scritta  prima,  e  il  Conriiio  fu  scritto  dopo.  Il  che  nessuno  invero 
ha  mai  negato,  ila  nessuno  può  consentire  alle  deiluzioni  del  cri- 
tico, che  la  donna  gentile  e  pietosa  della  Vita  nuova  non  è  la  Fi- 
losofia del  Conririo,  neppure  per  il  preteso  posticcio  adonestamento, 
e  che  lo  rime  allegoriche  sono  posteriori  al  libello,  per  confessione 
dello  stesso  poeta.  Il  critico  confonde  la  prosa  costruttiva  della  Vita 
nuora  con  la  prosit  esegetica  del  Conririo,  e  confonde  le  rime  del 
Conririo  col  commento  alle  rime  stesse.  Egli  crede  che  sia  di  Dante 
r  '  asserzione  che,  soltanto  dopo  aver  messo  insieme  questo  libretto 
[  la  Vita  nuora  ]  e  dopo  la  morte  di  Beatrice,  egli  [  Danto  ]  siasi 
dato  allo  studio  dei  elassici  e  dei  filosofi  antichi  '  :  e  che  lo  stesso 
poeta  confessi  la  '  scarsità  delle  sue  cognizioni  durante  il  periodo 
della  composizione  della  Vita  Xuova  '  (  p,  x  ).  Quindi,  nessuna  ma- 
raviglia se  egli,  con  moltii  sicurezza,  conchiude  :  '  la  seconda  fase 
è  rappresentata  dal  Convivio  e  dalle  rime  allegorico  -  morali,  ed 
ebbe  inizio  quando,  dopo  Ijì  morto  di  Beatrice  e  la  composizione 
della  Vita  Xuova.  1'  Alighieri  si  diede  a  consultare  i  dotti  capola- 
vori del  tempo,  distesi  nella  lìngua  delle  Scuole,  gli  autori  greci 
nello  traduzioni  latine,  ed  i  chissici  romani  nella  lezione  originale  * 
(  p.  X  -  XI  ).  Codesto  afferma  risolutamente  il  critico  nella  Lettera  - 
prefazione,  codesto  va  ripetendo  per  tutto  il  volume.  Ma  il  ragio- 
namento riposa  suir  equivoco.  Dante  dice  bensì  di  essersi  dato  agli 
studi  filosofici  •alquanto  tempo*  dopo  la  morte  di  Beatrice,  ma  non 

45 


B58  JSf  O  T  E    A  O  G  I  U  N  T  K 


dopo  di  avere  scritto  la  Vita  nuova  ;  anzi  vuole  che  il  poriodo  dogli 
amori  filosofici  sia  adombrato  noli'  episodio  della  donna  gentile  della 

Vita  nuova  ;  e,  stando  allo  sue  affermazioni,  quando  scrisse  la  Vita 
nuova  aveva  almeno  letto  Boezio  e  Tullio,  e  aveva  anche  sci-ìtto  le 
canzoni  allegoriche  del  Convivio.  Altro  è  negar  fede  alle  affermn- 
zioui  del  Convivio,  altro  è  travisarle.  E  so  siamo  sempre  da  capo,  è 
meglio  far  giustizia  sommaria  di  tutta  la  farraginosa  letteratura  dan- 
tesca, e  non  pai-larne  più.  Nò  pili  saldo  fondamento  ha  1'  altra  affer- 
mazione del  critico,  che  Diinte,  quando  scriveva  la  Vita  nuova,  era 
quasi  un  mezzo  analfabeta.  Egli  desume  tal  corollario  dalle  parole 
del  Convivio  (2,  13,  22)  :  'E  avvegnaché  duro  mi  fosse  prima  entrare 
nella  loro  [  di  Boezio  e  Tullio  ]  sentenza,  finalmente  v'  entrai  tan- 
t'  entro,  quanto  1'  arte  di  grammatica  eh'  io  uvea  e  un  poco  di  mio 
ingegno  potea  fare  ;  por  lo  quale  ingegno  molte  cose,  quasi  come 
sognando,  già  vedea  :  siccome  nella  Vita  Nuova  si  può  vedere  '.  Buo- 
ne sono  corto  le  osservazioni  dello  Schedilo  {^Alc.  cap.  448  s),  a 
coiestb  luogo  del  Convivio,  che  a  torto  il  Chistoni  rifiuta.  Le  pa- 
role dell'  opera  temperata  e  virile,  intese  con  discrezione,  non  di- 
cono altro  che  questo  :  che,  prima  degli  studi  filosofici  (  quindi  pri- 
ma della  morto  di  Beatrice,  non  già  prima  della  composizione  della 

Vita  nuova  ),  Dante  vedea  vagamente,  quasi  come  sognando,  certe 
verità,  che  poi,  leggendo  Cicei-one  e  Boezio,  vide  ad  occhi  aperti. 
Se  dunque  egli  dice,  che  nella  Vita  nuova  si  possono  vedere  co- 
deste verità  sognate  prima  della  morte  di  Beatrice,  bisogna  inten- 
dere eh'  ei  si  riferisca  alle  rime  della  Vita  nuova  anterioi'i  all'  epi- 
sodio della  donna  gentile  (  cfr.  Bull.  ns.  10,  318  ).  Che  fantasia  è 
questa  di  far  come  la  mula  di  Florimonte,  che,  come  ricorda  lo 
Scherillo, 


Dal  più  profondo  e  tenebroso  contro 
Dove  Dante  ha  alloggiati  1  Bruti  e  1  Cassi, 


faceva  nascere  i  sassi  pel  gusto  di  darci  dentro  ?  e  che  vantaggio 
vi  ò  nel  sostituire  alle  pretese  contradizioni  tra  la  Vita  nuova  e  il 
Convivio,  altre  pretese  contradizioni  tra  una  pagina  e  1'  altra,  anzi 
tra  un  periodo  e  1'  altro  d'  uno  stesso  capitolo  del  Convivio  "ì  Ma  cosi 
non  la  finiremo  più.  Il  Chistoni  trova  (p.  18  n),  che  il  Convivio  non 
deroga,  ma,  g  i  o  a'  a  alla  Vita  nuova,  '  per  la  medesima  ragio- 
ne .. .  per  la  quale  1'  Otello  del  Verdi  non  deroga  affatto  alla  Tra- 
viata, anzi  le  giova,  mostrando  1'  evolversi  di  un  grande  genio  mu- 


sicjile  ;  ma  i  criteri  niflotlici  o  annoriici  (  airfjiiingo  )  che  ci  guidano 
nollo  etudio  dt'll'  un*  opera  non  valtrono  pret'isjimentf»  por  1'  altra.  Si 
tratta  di  due  maniere  !  '  Ma,  con  buona  pace  del  Chistonì,  è  proprio 
rairionando  cosi  che  arriveremo  a  capir  qualche  cosa  dello  figura- 
zioni di   Dante  ? 

Ma  il  critico  ha  provo  ponitivo  o  dirette  per  dimostrare  che 
Dante,  quando  scriveva  la  Vita  nuora,  era  ancora  uno  scolaretto  di 
ginnasio.  Nega  il  Chistoni  (  p.  45  bs  )  che  sia  da  far  conto  dell*  e- 
rudizione  astronomica  che  ostenta  il  poeta  nella  Vita  nuora.  Non 
si  può  dire,  osserva  il  critico,  che  allora  Danto  conoscesse  Alfra- 
gano,  perchè  '  nella  Vita  Xuova  non  si  trova  citato  lo  scrittore  a- 
raho  '  ;  quello  notizie  astronomiche,  egli  avverte,  si  trovano  anche 
nei  Metafisici  commentati  da  Alberto  Magno,  si  trovano  anche  nella 
Teorica  dei  pianeti  di  Alpetragio,  si  trovano  anche  nella  '  spiega- 
zioìie  dei  libri  de  Cacio  et  Mundo^  di  s.  Tommaso.  Dunciue  parreb- 
be che,  so  non  Alfragano,  .siirà  stato  Alberto  Magno,  Alpetragio,  o 
8.  Tommaso.  No,  signore  :  neppure  Alpetragio  !  •  Dante  molto  pro- 
babilmente, qualora  si  voglia  tener  conto,  intendendola  a  dovere, 
della  sua  stessa  confessione  al  e.  13°,  tr.  II  del  Convivio,  non  era 
in  grado,  quando  poneva  mano  a  narrare  le  suo  avventure  amorose, 
di  capire  dimostrazioni  «istronomiche,  tanto  più  se  esposto 
in  lingua  1  a  t  i  n  a  '  (  p.  49  s  (.  Si  tratterà  dunque  di  '  qualcuno 
dei  compendi  scolastici  del  tempo  '  :  •■  ■  iniìne,  osserva  il  critico,  bi- 
sogna sempre  tener  conto  di  quel  patrimonio  comune  a  tutta  un'  etfi, 
composto  di  apoftegmi,  proverl)i,  nozioni  scientifiche  che  corrono 
sulle  bocche  di  tutti  '  (  p.  50  ).  Insomma,  l' astronomia  della  Vita 
nuora  sarà  stata,  sul  cader  del  dngonto  a  Firenze,  come  oggi  La 
rifipa  Teresa,  Chi  cammina  con  io  zoppo  impara  a  zoppicare,  La  terra 
è  rotonda,  e  simili.  Lo  stesso  si  dica  della  citazione  della  Metafisica 
di  Aristotele  (  VX.  41.  23),  e  di  qualche  altro  'riferimento  A^ago'  a 
dottrine  filosofiche  (  p.  52  ss).  Nel  paragrafo  25  del  disgraziato  li- 
bello, vedo  il  Chistoni  '  termini  trascritti  senza  variazione  alcuna 
da  un  compendio  di  stilistica  '  (  P>  58  ).  Dante,  secondo  il  critico,  non 
era  allora  neppure  molto  forte  nel  suo  latinuccio  da  scolaretto  : 
giacché,  i  '  brani  latini  '  che  nella  Vita  nuova  occorrono,  '  eviden- 
temente messi  insieme  dall'  autore  stesso,  non  brillano  corto  per  e- 
loganza  e  non  mancano  di  solecismi  '  (  p.  04  |.  Sicché,  se  Dante  a 
27  anni  non  intendeva  bene  il  latino  del  De  amicitia,  e  non  era 
'  molto  pratico  neppure  nella  parte  grammaticale  della  lingua  lati- 
na (  p.  60  ),  e  '  slatinoggiava  '  scrivendo  in   un   Uitino  •  sgrammati- 


•*^ìO  Note    a  r;  c;  i  r  x  t  k 

caio  '  quello  suo  proposlzioncoUo  con  cui  lardellò  Li  Vita  nuova  :  si 
può  concliiudore  cho  non  doveva  avere  neppure  quel  po'  d'  inge- 
gno eh'  egli  si  attribuiva  ;  perchè  allora  appunto  gli  ora  saltata  la 
fantasia  di  scrivere  epistole  in  latino  ai  principi  della  terra,  ed  aveva 
anche  la  sciocca  pretensione  di  potere  scrivere  la  Vita  nuova  in  la- 
tino. '  Povero  Dante  !  dirò  anch'  io  col  Chistoni  (  p.  45  )  ;  e  dire  che 
è  campato  meno  di  Matusalemme  !  ' 

Quanto  al  senso  letterale  ed  all'  allegoria,  il  critico  divido,  sud- 
divide, distingue,  e  definisce.  Avremmo,  da  una  parte  1'  allegoria 
retorica,  e  dall'  altra  parte  1'  allegoria  filosofica  ;  poi  avremmo,  da 
un  lato  r  allegoria  filosofica  fantastica,  e  dall'  altro  lato  1'  allegoria 
filosofica  reale  ;  e  poi  avremmo,  per  un  verso  1'  allegoria  filosofica 
reale  teologica,  e  per  un  altro  Aderse  1'  allegoria  filosofica  reale  poe- 
tica (  pp.  XII  e  197  s  ).  Ed  io  credo  cho  si  potrebbe  continuare  ; 
ma  senza  cavarne  alcun  costrutto.  A  ogni  modo,  ecco  le  conclu- 
sioni del  Chistoni  :  1'  allegoria  della  Vita  n  uova  è  retorica ,  quel- 
la del  Convivio  e  della  Commedia  è  filosofica  reale  poetica.  Ma  cho 
cosa  intende  il  critico  per  allegoria  retorica  'ì  Tina  '  metafora  pro- 
tratta, quale  viene  definita  ed  esposta  in  tutti  i  trattatolli  reto- 
rici '  ;  per  esempio,  dice  il  Chistoni,  '  nel  proemio  della  Vita  Nuova 
per  relazioni  di  similitudine  la  memoria  ò  assomigliata  ad  un  libro, 
formandosi  perciò  una  metafora  ;  questa  poi  viene  continuata  col 
discernimento  di  due  parti  nella  memoria,  e  di  conseguenza  nel  li- 
bro, poiché  nell'  una  si  addita  un  punto  culminante,  al  quale  nel- 
1'  altro  corrisponde  una  rubrica  '  (  p.  73  s  ).  Ma  con  buona  pace  di 
'  tutti  i  trattatelli  retorici  '  dei  nostri  tempi  leggiadri,  codesta  non 
è  allegoria,  cioè  '  alieniloquium  '  ;  è  un  parlare  ordinario  per  simi- 
litudini. Dicendo  '  nel  libro  della  mia  memoria  ',  non  si  vuole  dire 
altro  che,  '  nella  mia  memoria  che  è  come  un  libro  '.  Qui  non  e'  è 
un  altro  intendimento,  dunque  non  c'è  allegoria.  Ma  non  è  la 
stessa  cosa  per  l' indovinello  del  cuore  mangiato.  '  Amore  perso- 
nificato, spiega  il  Chistoni,  ha  tra  le  braccia  Beatrice,  il  cui  son- 
no ne  raffigura,  per  metafora,  l' inconsapevolezza  ;  que- 
gli ha  in  mano  un  cuore  ardente,  quello  del  Poeta,  e  ciò,  per 
metafora,  significa  grande  affetto,  mentre  il  tenerlo  in  ma- 
no Amore  è  indizio,  sempre  per  metafora,  della  sua 
potenza.  Così  (  conchiude  il  critico  )  continuando  nell'  analisi  di  que- 
ste fantastiche  visioni,  troviamo  che,  fondate  principalmente  sul  pri- 
mo traslato  e  sulla  prosopopea,  diventano  poi  allegorie,  che  noi  chia- 
miamo retoriche  '  (  p.  74  ).  Ma,  lasciando   stare  che  la  prosopopea 


N  «  I  T  r.    A  ( .  1 .  I  r  N  T  1 :  381 

non  ò  inotafora,  o  che  Danto  non  proponova  corto  ai  fedeli  d'  a- 
moro  la  soluzione  d'  una  '  protratta  metafora  '  ;  come  mai  si  può  diro 
che  il  sonno  di  madonna  ^  raffigura  *  questo  o  quello,  '  per  meta- 
fora '  ?  che  il  cuor*.*  ardent*'  *  significa'  quello  o  quell'altro,  'per 
mot^ifoni  '  ?  e  che  cosa  è  un  *  indizio  per  metiifon*  *  ?  La  vera  sen- 
tenza di  quella  A'isiono  non  è  nella  letifera,  nel  significato  proprio  o 
tr.uilato  dei  vocaboli  e  nel  loi-o  nesso  logico,  ma  bisogna  cercarla  sotto 
la  lettera  :  dunciuo  abbiamo  una  vera  allegoria.  E  che  cosji  è  poi 
pel  Chistoni  la  vera  allegoria,  cioè  l' allegorismo,  cioè  l' allegoria 
filosofica  ?  *  L'  allegorÌ!>mo.  egli  scrivo  (  p.  80  s  |,  o  allegoria  filoso- 
fica, è  datii  dalla  figurazione  per  mezzo  di  un  essere  umano,  o  con- 
siderato comò  tale,  di  un  concotto  superiore,  al  quale  si  saio  per 
una  scala  omogimea.  di  modo  che  questo  contiene  quello  nella  sua 
estensione  e  ne  è  contenuto  nella  comprensione.  Por  esempio  Cji- 
tono  ò  rappresentiizione  allegorica  di  Dio  '.  Ma,  anche  stando  alla 
definizione  del  critico,  perchè  madonna  dormente  nello  bntccia  d'  A- 
raore  non  può  essere  rappri-sontazione  allegorica  di  qualche  con- 
cetto superiore  ?  perchè  manca  forse  la  scala  omogenea  ?  ovvero 
perchè  il  senso  letterale  *  dove  contenere  un  avvenimento  realmente 
accaduto  per  poterne  poi  significare  un  altro  '  (  p.  216  )  ?  E  non  è 
apertamente  negatii  dallo  stesso  poeta  1'  affermazione  del  critico  (  p. 
20(i  I,  che  '  por  Dante  non  vi  può  essere  allegorismo  otl  allegoria 
filosofica  senza  fondamento  di  senso  storico  o  letterale,  che  inchiu- 
da  realmente  un'  assolut;i  veritii  '  ?  [  Cfr.  Bull.  ns.  10,  322.  ]  Ma  la 
vei"a  rsigione  che  persuade  il  Chistoni  a  negar  recisamente  che  nella 
Vi/a  nuora  vi  sia  un'  allegoria  vera  e  propria,  è  questa  :  Dante  ap- 
prese r  allegorismo  dopo  la  composizione  della  Vita  imoca,  secondo 
la  profonda  convinzione  del  critico  (  p.  92  ss  )  :  solo  allora  egli  *  ap- 
preso la  teoria  dei  quattro  sensi  principali  '  (  p.  142  :  cfr.  p.  195  s  )  ; 
egli,  *  nel  tempo  che  riordinava  1'  operetta  amorosa,  era  completa- 
mente allo  scuro  del  metodo  allegorico  ',  perchè  era  '  la  teoria  al- 
legorica propria  esclusivamente,  come  affermano  Planciade  ed  Ugo 
da  San  Vittore,  di  gente  dotta  o  familiare  coi  misteri  della  scien- 
za '  (  p.  202  |.  Tuttavia,  checche  dica  Planciade.  il  poeta  vuole  che 
la  canzone  allegorica  Voi  che  intendendo  sia  stata  scritta  prima  della 
Fifa  nuora.  Del  resto,  si  richiedeva  grande  dottrina  per  1' esegesi 
allegorica,  specialmente  dell'  Eneide  e  della  Bibbia,  non  già 
per  imbastire  qualche  allegoria.  Certo,  è  più  facile  fare  un  indo- 
vinello che  risolverlo,  come  è  più  facile  imbrogliare  una  matassa 
cho  dipanai'la. 


36*3  Note    a  a  a  i  x'  n  t  e 


Il  Chistoni,  pur  tenendo  separati  i  dati  cronologici  della  ViLi 
nuova  e  del  Conviiio  che  si  riferiscono  all'  episodio  della  donna  gen- 
tile, vuole  che  la  famosa  rivoluzione  di  Venere  '  in  quello  suo  cer- 
chio che  la  fa  parere  serotina  e  mattutina  ',  non  sia  la  rivoluzione 
neir  epiciclo,  ma  la  rivoluzione  nel  circolo  eccentrico  (  p.  21  ss  )  ;  la 
quale,  dice  il  critico,  '  più  nota  dell'  altra,  al  suo  tempo  veniva  di- 
versamente computata,  oscillando  la  sua  durata  fra  i  dodici  mesi 
calcolati  da  Tolomeo  e  quindi  proposti  da  Alfragano  e  i  dieci  va- 
lutati da  altri  e  propugnati  dal  Doctor  universalis  '  (p.  38).  Il  Chi- 
stoni poi  starebbe  per  i  dieci  mesi  del  Doctor  universalis.  Ma  an- 
che questo  è  affatto  arbitrario  e  contradetto  dallo  stesso  poeta  nello 
stesso  Convivio  { 2,  6,  136  )  :  dei  tre  movimenti  di  Venere,  il  secondo, 
quello  *  secondochè  lo  epiciclo  si  muovo  con  tutto  il  cielo  ugual- 
mente con  quello  del  sole  '  (  cioè  per  F  eccentrico  o  deferente  ),  si 
compie  evidentemente  in  un  anno,  non  in  dieci  mesi  ;  e  quel  che 
più  importa,  non  è  questo  il  movimento  per  cui  la  stella  di  Venero 
appare  serotina  e  mattutina,  ma  il  primo,  quello  '  secondochè  la 
stella  si  muove  per  lo  suo  epiciclo  ',  perchè  è  1'  epiciclo  appunto  il 
'  suo  cerchio  '  (  cfr.  Bull.  ns.  10,  315  s  ). 

A  proposito  dei  sette  mesi  e  novo  giorni  del  Dottrinale  di  Ja- 
copo Alighieri,  il  Chistoni  (  p.  37  )  fa  proprio  lo  ipotesi  che  si  leg- 
gono qui  addietro  (  p.  71  s  ).  Devo  certo  compiacermi  della  con- 
cordanza ;  ma  devo  anche  aggiungere,  che  non  mi  pare  oggi  ve- 
rosimile quello  che  io  stosso  ho  scritto  e  che  il  Chistoni  ha  scritto, 
nello  stosso  torno  di  tempo,  quasi  con  le  stesse  parole  ;  cioè,  che  il 
passo  di  Alfragano  sia  stato  inteso  cosi,  che  •  Venere  percorre  il  suo 
epiciclo  in  un  anno  persiano,  cioè  in  sotte  mesi  e  nove  giorni'.  Oggi 
direi  che  è  più  probabile  che  quell'  '  anno  persico  '  sia  stato  letto 
0  inteso  come  un  genitivo  ;  così  :  '  Venere  si  volge  nel  suo  epiciclo 
in  sette  mesi  d'  anno  persico  e  novo  giorni  ',  11  mese  dell'  anno  per- 
siano era  di  30  jjiorni. 


Pier  Angelo  Menzio  (  //  traviamento  intellettuale  di  D.  A.  .se- 
condo il  Witte,  lo  Scartassini  ed  altri  critici  e  commentatori  del  se- 
colo XIX,  Livorno  1903  ;  vd.  Bull.  ns.  10,  220  s  )  credo  che  la  canzone 
Voi  die  intendendo  '  sia  stata  scritta  por  una  donna  vera,  e  che  solo 
più  tardi,  por  quei  inotiAÙ  che  tutti  conoscono  e  che  il  Poeta  ci  dico 
chiai'amonto  in  molti  luoghi  del  Convivio,  co  n'  abbia  voluto  amman- 


^m 


nire  una  intorprotazion»'  iiiriirata  '.  Ma  il  nuoro  miscredente  muove 
un'  ol)l»iezione  che  si  riconnotto  all'  osservazione  che  il  lettore  di  qu«>- 
sto  mie  panine  già  conosco.  '  Se  il  pensiero,  dico  il  Menzio,  che  caccia 
la  memoria  di  Beatrice  ò  quello  che  parla  di  madonna  Filosofìa,  tutta 
la  canzone  è  un  non  senso  :  perchè,  (juale  opposizione  vi  poteva  es- 
serti tra  madonna  e  la  memoria  di  Ht>atrice?'  Giusta  l'osservazio- 
ne, non  <riusta  la  deduzione  alla  rovescia.  Invece  di  negare  che  la 
canzone  è  allegorica,  avrebbe  dovuto  il  Menzio,  come  gij'l  il  Lubin 
ed  altri,  riconoscere  che  la  lotta  non  è  tra  la  memoria  d'  una  morta 
e  la  iìlosofìa,  ma  tra  la  Beatrice  allegorica  e  1'  allegorica  madonna 
Filosofia.  Nò  vedo  d' altra  parte,  come  si  passjino  accetUiro  lo  os- 
servazioni che  all'obbiezione  del  Menzio  fa  il  Barbi:  'Non  giudi- 
chiamo, egli  scrive,  st>condo  la  comune  psicologia,  ma  secondo  il 
sentimento  e  il  pensiero  di  Dante.  Egli  viveva  del  ricordo  di  Bea- 
trice, e  si  studiava  di  giungere  a  dire  di  lei  ciò  che  non  fu  mai 
detto  d'  alcuna  :  qimnd'  ecco  il  desiderio  della  scienza  farsi  tale  da 
cacciare  e  distruggere  ogni  altro  pensiero,  anche  quello  cosi  soave 
che  «  solea  esser  vita  de  lo  cor  dolente  ».  Perchè  ha  da  essere  un 
«  non  senso  »  la  poesia  che  narri  simile  contrasto?  È  esso  invero- 
simile perfino  come  invenzione  poetica?'  Dato  e  non  concesso  che 
Dante  jilhn-a.  e  non  dopo  Titmore  alla  pietosji  e  gentile,  e  non  dopo 
il  ritorno  alla  gentilissima,  studiasse  per  diro  di  Beatrice  quello  che 
non  era  stato  detto  d'  alcuna,  come  mai  lo  studio  filosofico  si  trova- 
va in  contrasto,  era  avverso  alla  Bt^atrice  indiata?  Che  cosa  stu- 
diava allora  Dante  per  glorificar  Beatrice? 


Francesco  Flamini  (  /  significati  reconditi  delia  Commedia  di  Dan- 
te e  il  suo  fine  supremo.  Parte  prima.  Preliminari  —  //  celo:  la  fin- 
zione. Livorno  1903  )  ha  l)ello  osservazioni  sulT  importanza  e  sul- 
r  uso  dell'  allegoria  nel  medio  evo,  e  sulla  necessità  di  considerare 
la  Commedia  come  un  poema  allegorico  -  didattico  (  pp.  4  -  18  ).  Cre- 
do però  che,  quanto  all' interpretazione  dei  simboli  e  delle  allegorie 
del  divino  poema,  gli  antichi  commontiitori  valgano  più  di  quel  che 
il  Flamini  non  si  mostri  disposto  a  riconoscere  (  pp.  27  -  33  ).  Non 
dalle  definizioni  bene  o  male  intese  del  resto,  né  dal  generalizzare 
una  norma  bene  o  male  desunta  da  qualche  piccolo  esempio  d'  al- 
legoria, dovremmo  oggi  sperare  ajuto  o  lume  nel  rintracciare  la 
vera   sentenza   degli   appiaUamonli   e  travestimenti  danteschi  ;  ma 


B64  Note   aggiunte 

dal  renderci  familiare  1'  esegesi  allegorica,  specialmente  dell'  Eneide 
e  della  Bibbia  ;  e  dal  meditar,  senza  preconcetti,  sulle  concezioni  al- 
legoriche del  medio  evo.  Impresa  certo  non  facile,  oggi  meno  che 
mai. 

Quanto  alla  disperata  questione  del  senso  letterale  e  del  senso 
allegorico,  il  Flamini  (  pp.  33  -  44  )  ben  distingue  V  allegoria  dei 
teologi  dall'  allegoi-ia  dei  poeti  ;  1'  una  fondata  sul  senso  letterale 
storico,  1'  altra  sul  senso  letterale  fittizio.  Sarebbe  tuttavia  bene  av- 
vertire, che  1'  allegoria  dei  teologi  non  è  concezione  allegorica,  ma 
esegesi  allegorica  ;  e  che  neppure  per  i  teologi  il  senso  letterale  è 
sempre  storica  A'erit.à.  In  un  punto,  e  dì  capitale  importanza,  non  so 
tuttavia  acconciarmi  alle  conclusioni  del  critico.  Egli  non  considera 
come  allegoria  lo  smarrimento  del  poeta  nella  selva,  e  quindi  né  la 
selva  selvaggia  ne  il  dilettoso  monte  ;  il  velo  comincerebbe,  nella 
Commedia,  con  gì'  impedimenti,  con  le  tre  bestie  illustri.  Ma  codesta 
distinzione  delle  figurazioni  del  canto  primo,  sarebbe  cosa  di  poco 
conto,  se  il  critico,  considerando  gli  '  antefatti  dell'  azione  '  come 
espressi  pur  nella  lettera,  cioè  senza  alcun  lelo^  fuor  d'  allegoria,  non 
venisse  a  questa  importante  conclusione  :  che  i  rimproveri  di  Beatrice 
nei  canti  30  e  31  del  Purgatorio,  non  sono  '  bella  menzogna  '.  ma 
'  verità  '  ;  sicché  '  il  senso  letterale,  dice  il  Flamini,  quivi  non  si  può 
dir  velo,  ma  vero,  ed  un  senso  allegorico  come  lo  intende  Dante, 
cioè  «  secondo  che  per  li  poeti  é  usato  »,  quivi  non  può  aver  luo- 
go '.  Beatrice,  aggiunge  il  critico,  '  non  finge,  ma  solo  parla,  dirò 
ancora  coli'  Alighieri  |  VN.  25,  77  ]  «  sotto  veste  di  figura  o  di  co- 
lore retorico  »,  come  usano  i  poeti  ;  onde  le  sue  parole,  dinudate 
«  da  cotal  vesta  »,  debbono  avere  «  verace  intendimento  »  secon- 
do la  1  e  1 1  e  r  a  '  (  p.  50  8  ).  Ma  lasciando  stare  che  il  Flamini  in- 
tende le  parole  del  paragrafo  25  della  Vita  nuova  forse  come  le  in- 
tendeva il  Balbo,  cosa  che  a  me,  come  già  al  Perez  (  Beatrice,  67  s  ), 
pare  assai  strana  ;  come  si  concilia  il  lùmprovero  di  straniamente 
*  dei  canti  30  e  31  del  Purgatorio,  che  sarebbe  fuor  d'  allegoria,  col 
ricordo  dello  stesso  straniamente,  certo  fuor  d'  allegoria,  del  canto 
33  ?  Il  Flamini  compone  la  cosa  smussando  gli  angoli  :  '  1'  Alighie- 
ri, egli  scrive,  in  un  periodo  della  sua  vita  tenne  condotta  disformo 
da  quella  che  più  tardi  si  persuase  convenire  all'  uomo  conscio  de- 
gli alti  suoi  fini,  e  che  prima  della  morte  dì  Beatrice  avea  tenuta. 
Perciò,  qu.ando  la  sua  donna  salita  «  di  carne  a  spirito  »  nari-a  a- 
glì  angeli  di  averlo  alcun  tempo  menato  «  in  dritta  parte  volto  » 
col  mostrargli  i  propri  «  occhi  giovinetti  »,  e  fa  loro  sapere  eh' e- 


1^  O  T  B    A  O  O  I  r  X  t  È  'J6i> 

iiìi  dopo  la  morte  di  lei,  volti  i  passi  «  per  via  non  vera  »,  «  giù 
cadde  »  tanto  che  non  e'  era  per  salvarlo  se  non  un  mezzo,  distan- 
do codesta  via,  cioè  la  via  del  mondo,  da  quella  di  Dio 

i|uanto  ni  discorda 
«la  tiTi-a  il  old  ohe  più  alto  fosfina. 

olla  non  fingo ...  E  nel  fatto  significano  [  lo  parole  di  Beatrice  ] 
che  Dante,  guidato  verso  la  salute  doli'  anima  dalla  bellezza,  fuori 
tralucente,  doli'  anima  della  sua  donna,  tosto  che  questa  fu  sparita 
da'  suoi  occhi,  si  dcHte  alle  cure  o  dilettazioni  del  mondo,  e  fini  con 
accostarsi  molto  alla  perdizione'  (p.  óO  ss).  Ma  il  raccostjimento 
del  rimprovero  dei  canti  30  e  31,  al  ricordo  del  canto  33,  legittimo  e 
naturale  nel  senso  allegorico,  nella  lettera  è  coartato  e  falso.  Beatrice 
prima  rimprovera  al  poeta  di  essersi  tolto  a  lei  o  dato  altrui,  di  a- 
vore  amato,  dopo  la  morto  di  lei,  alcuna  pargoletta  o  altra  vanità, 
con  manifesta  allusione  allo  straniamento  della  Vita  nuora  :  poi,  fuor 
d' allegoria,  gli  ricorda  non  solo  che  la  via  del  mondo  discorda  da 
quella  di  Dio,  come  intende  il  Flamini,  ma  che  ha  seguitato  una 
'scuola'.  la  cui  'dottrina  '  non  può  seguibir  la  'parola'  sua.  E  ap- 
punto allora  gli  dico  : 

oramai  saranno  nude 
Le  mie  parole,  quanto  conrerrassl 
Quelle  scovrire  alla  taa  vista  rade. 

Nei  canti  30  e  31  del  Purgatorio  non  si  parla,  nella  lettera,  né  di 
'  scuola  ',  nò  di  *  dottrina  '  ;  dunque  so  uno  è,  come  uno  è,  lo  stra- 
niamento di  Dante  da  Beatrice,  nel  rimprovero  dei  canti  30  e  31 
bisogna  riconoscere  che  e'  è  il  velo,  l' altro  intendimento,  V  allego- 
ria, secondo  che  per  li  poeti  è  osatji. 


Alla  ia(,in"a  .">7  ] 

Con  molto  piacer^  u..».,  dio  iliohele  Rirbi  { Bn/I.  ns.  10,  2:24  | 
riconosce  che  Dante  distingue  nel  Concino  la  filosofia  dalla  teolo- 
gia :  '  la  «  scienza  divina,  che  è  teologia  appellata  »  (  IL  14  )  è  na- 
turalmente fuori  della  filosofia  umana  :  in  questa  <  la  prima  scien- 
xa . . .  si  chiama  metafisica  »  (  II,  14  ;  e  cfr.  III.  11  :  «  la  metafisi- 

46 


B66  Note   a  o  g  i  r  n  t  tì 


Cii  , , .  prima  filosofia  ò  cliiiimata  »  )  ;  e  la  metafisica  non  dà  quel 
perfetto  appagamento  al  nostro  intelletto  che  dà  la  teologica,  che 
«  piena  è  di  tutta  pace  »  o  «  perfottamonto  ne  fa  il  Vero  vedere, 
nel  quale  si  queta  1'  anima  nostra  »  (  II,  15  )  '.  Osserva  inoltre  il 
critico  arguto  :  '  Se  D.  chiama  nel  Convivio  filosofia  anche  la  sapien- 
za divina,  è  perchè  avendo  definito  la  filosofia  stessa  «  uso  amo- 
roso di  sapienza  »,  doveva  ammettere  questo  uso  «  raassiniamento 
in  Dio,  però  che  in  luì  è  somma  sapienza  e  sommo  amore  e  som- 
mo atto  »  (III,  12).  Ma  che  egli  distingua  la  filosofìa  divina  dal- 
l'umana,  basta  a  provarlo  l'affermazione  (IH,  13):  «  della...  fi- 
losofìa umana  séguito  poi  per  lo  trattato,  essa  commontando  »  '  (  al. 
'  commendando  '  ).  Io  non  ho  invero  tenuto  conto  di  quost'  ultimo 
luogo  del  Convivio;  dal  qu.ale  si  potrebbe  dodivri-e,  che  dunque  Dante 
nella  canzone  Amor  clic  nella  mente  commenda  anche  la  teologia, 
e  che  dunque  il  contrasto  della  canzone  Voi  che  infendendo  non  può 
Gssero  tra  madonna  Teologia  e  madonna  Filosofia.  Ma  sarebbero 
forse  deduzioni  eccessive.  Anzitutto,  il  contrasto  non  sarebbe  pre- 
cisamente tra  la  teologia  e  l:i  filosofia,  ma  tra  tendenze  mistiche  e 
tendenze  scolastiche  ;  in  secondo  luogo,  la  canzone  della  lode  è  po- 
steriore al  contrasto,  e  quindi  si  può  supporre  che  il  poeta  voglia 
in  essa  adombrare  la  conciliazione  ;  in  terzo  luogo,  la  lode,  salvo  il 
vago  accenno  al  filosofare  divino  (  che  non  sarebbe  poi  la  teologia  ), 
è  per  la  filosofìa  umana,  cioè  por  la  scienza. 


A  PAGINA  80] 

Quanto  alla  Lisetta,  o  Lisa,  o  Lisabetta,  o  Isabetta,  bisogna  faro 
i  conti  anche  con  un  sonetto  di  Giovanni  Quirini  (  vd.  Bull.  ns.  10, 
408). 


A   PAGINA   IIB] 

Col  sussidio  del  cod.  Ital.  536  della  Bibl.  Nat.  di  Parigi,  oggi 
il  Mooro  (vd.  Bnll.  ns.  10,  ItKJ)  così  reintegra  il  passo  lacunoso 
del  Convivio  :  '  1'  uno  si  chiama  letterale  e  questo  è  quello  che  non 
si  stende  più  oltre  che  la  lettera  propria,  1'  altro  si  chiama  allego- 
rico e  questo  è  quello'  ecc. 


X  ()  T  E     AGGIUNTE  367 

A    l'A<ilNA    151  ] 

Vii.  pur  r importante  studio  del  Vosslor  (l'i:  pliilosophischen 
Grundlagen  znm  «  sUssen  neuen  Stil  »  des  Guido  Guinicellì,  Guido 
Caralcanti  inid  Dante  Alighieri.  Hcidollierg  1904),  La  Critica,  riri- 
sta di  letteratura,  storia  e  filosofia,  diretta  da  Benedetto  Croce  :  2, 

132   88. 


A    l'A(.IN.\     !••'•  I 

Cfr.  VE.  2.  -i.  (>  •  El  nuamlu.  >i  Ik-uu  ixi.oliimis,  f<uium;i  siim- 
luis  esse  digna  iain  fiiit  probatura,  et  iste  quem  tragiciim  appella- 
mas  summus  videtur  esse  stilorum,  illa  qun  siunme  canenda  di- 
Rtinximu8  Ì8to  solo  sunt  stilo  canenda  :  videlicet,  Salus,  Amor  et 
Virtus,  et  que  propter  oa  concipimus,  dum  nullo 
a  e  e  i  <l  !■  n  t  e    \  i  I  '■  -  I-  a  II  t  '. 


AI.I.A    l'AKTK  TKKZA  :    Li".  KIMK  K  li.   KA(  foNTo  I»I:L1.A    VlTA    M  <i\  A  ] 

Per  il  racconto  della  Vita  nuora,  e  non  per  esso  soltitnto.  è  da 
vedere  ocìtì  la  cospicua  recensione  di  Michele  Barbi  al  Dante  dello 
Zingarelli  (  Bull.  ns.  11.  3  ss  ).  Trascrivo  lo  osservazioni  di  maggior 
rilievo  nella  nostra  questione.  *  Chi  ci  assicura  che  1'  amore  per  Bea- 
trice cominciasse  t:uito  presto  h  fosse  davvero  il  primo?  Guardia- 
mo pui*e  al  racconto  della  Vita  Xuoca.  Xon  è  strano  che  dopo  un 
primo  sonetto,  che  parla  genericamente  di  *  madonna  *.  e,  invece  di 
rappresentiire  la  grande  commozione  prodotta  dal  saluto  di  Bea- 
trice, sembra  composto  a  freddo  por  fare  una  sottile  questiono  ai 
rimatori  del  tempo.  Dante  non  scriva  più  alcuna  poesia  in  onoro 
di  lei  per  molti  anni  e  mesi,  ma  solo  lilluda  ad  essa  —  allusioni  an- 
che per  lo  Zingarelli  «  assiti  dubbie  »  —  nello  rime  per  la  donna 
dello  schermo  ?  So  1'  amore  per  la  gentilissima  orfi  già  nato,  perchè 
non  celebrarlo  mai,  neppure  con  Guido,  col  suo  *  secreLirius  '  ?  An- 
zi —  guardato  un  po'  !  —  anche  al  Cavalcanti  mostra  il  desiderio  di 
avere  per  Y  immenso  mare  il  simulacro  piuttosto  che  1'  oggetto  vero 
del  suo  amore  I  Allontanandosi  poi  la  prima  donna  della  difesii,  che 
bisogno  ci  sarebbe  stato  di  nascondere  ancora  con  un'  altra  donna 


368  N  O  T  K    AGGIUNTE 


qiiell'  amore,  del  quale  da  anni  e  luosi  mostrava,  anche  cogli  inti- 
mi, di  non  curarsi  affatto  ?  , . .  I  sostenitori  della  realtà  di  Beatrice 
eccedono  quando  si  fanno  a  difendere  come  storico  ogni  racconto 
della  Vita  Nuova.  È  un'  opera  poetica,  e  il  poeta  è  libero  di  rap- 
presentare i  suoi  affetti  non  solo  in  quella  veste  che  gli  suggerisce 
la  fantasia,  ma  anche  trasfigurando  la  realtà  por  ragioni  di  conve- 
nienza o  poetica  o  sociale  :  può  anche  rinnovare  per  una  data  oc- 
casione quei  sentimenti  che  ha  provati  in  un'  altra  e  immaginare 
in  atto  quello  che  ha  semplicemente  desiderato  . . .  Le  difficoltà  che 
incontriamo  a  voler  accertare  quello  che  di  reale  sia  in  queste  fin- 
zioni o  rappresentazioni  poetiche,  scompaiono,  o  s'  attenuano  d'  as- 
sai, quando  sia  nostro  proposito  dedurre  da  esso  quel  tanto  che  oc- 
corre a  intendere  e  giudicar  1'  opera  d'  arte,  cioè  in  quale  stato  d'  a- 
nimo  r  autore  la  componesse,  e  quali  impressioni  con  essa  volesse 
destaro.  Questa  è  la  mira  che  deve  avere  il  critico  letterario,  e  a 
cui  deve  essere  indirizzata  ogni  sua  indagine  :  rifare  la  storia  in- 
teriore di  Dante  quale  egli  ha  creduto  o  voluto  che  fosse  x'va  via 
che  s' accingeva  alla  composizione  delle  singole  opere,  servendosi 
di  quel  po'  di  vero  che  la  critica  ha  potuto  accertare  nella  vita  e- 
steriore  a  precisare  il  tempo,  il  luogo  e  le  circostanze  in  cui  cia- 
scun' opera  nacque,  od  anche  a  scoprire,  quando  sia  possibile,  con- 
frontando la  probabile  realtà  con  la  finzione,  lo  più  riposte  inten- 
zioni dell'  autore  '. 

Quanto  alla  canzone  IT  m  incresce  di  ine,  mantengo  l' interpre- 
tazione data  (  vd.  qui  addietro  p.  90  ss,  e  278  ).  Il  Barbi  pensa  '  che 
Dante  abbia  servito  successivamente  due  gentildonne  . . . ,  e  che  da 
ultimo  sia  comparsa  Beatrice,  della  quale  il  poeta  avrebbe  ricevuto 
una  così  profonda  impressione,  da  sembrai'gli  che  quello  solo  fosse 
vero  amore,  e  da  immaginare  volentieri  che  il  suo 
spirito  fosse  in  comunicazione  miracolosa  con 
quella  gentilissima  sin  da  eh' eli  a  comparve  al- 
la luce.  Che  poi  nella  Vita  Nuova  piacesse  al  poeta  di  collocare 
a  nove  anni  quei  mirabili  effetti  che  nella  canzone  aveva  immagi- 
nato d'  aver  proA-ato  assai  prima,  si  spiega  col  proposito  di  far  ap- 
parire costante  il  numero  nove  negli  avvenimenti  del  suo  amore  ; 
eie  una  conferma  che  1'  apparire  di  Beatrice  a  nove  anni  e  il  riap- 
parire a  diciotto  è  invenzione  e  non  realtà  '.  Certo,  sono  finzioni. 
Ma  che  poetica  fantasia  sarebbe  mai  questa,  mettere  un  bambino 
di  sei  o  sette  mesi  in  comunicazione  miracolosa  con  una  gentilis- 
sima neonata  ?  far  sostenere  a  un  lattante  di  sei  o  sette  mesi  '  Una 


369 


paflsYon  nuova  '  ?  farlo  rimaner  •  di  paura  pieno  *  ?  farlo  anche  '  su- 
bitamente '  eadoro  *  in  terra  Por  una  voce  che  nel  cor  percosse  '  ? 
E  il  •  freno  '  posto  a  tutto  lo  •  virtù  '  ?  o  lo  •  spirito  maggiore  '  ?  La 
gravo  obbiezione  eho  muovo  il  Biirbi   allo   Zingarelli,  che  il  verso 

•  Lo  giorno  che  costei  nel  mondo  venne  ',  non  può  spiegarsi  *  nel 
giorno  che  Beatrice  venne  innanzi  agli  occhi  miei  e  al  mio  cuore  *, 
porchò  dell*  apparizione  di  Bwitrico  si  parla  nella  sUinza  seguente, 

•  Quando  m*  apparve  poi  la  gran  bollato  ',  ecc.  ;  sarebbe  rimossa  dalla 
nostra  ipotesi,  che  nella  canzone  si  p:trli  di  due  innamoramenti. 


A    l'Ai.lNA     IMI  I 

Cfr.  Della  Lana,  2.  '•)'■)  :  ■  K  iuichi-  1'  auioru  di  tarit.ulu  ù  ac- 
i-ondevole,  sì  lo  pone  l'autore  in  colore  rosso.  Li  quanto  a  gravez- 
za e  arduità  lo  figura  anco  sanguinolento';  Buti,  2,  708:  'lo  bat- 
tismo  ò  di  colore  vermillio  o  sjinguiirno  «-h"  siirnifi»'.-»  la  pietà  cho 
sta  radicata  in  su  la  caritli  '. 


A    I'A<.INA    lf>Sl 

Cfr.  VX.  2^-J,  IM  :  •  «^»u»'f>ta  canzono  ha  duo  parti  :  no  la  prima 
dico,  parlando  a  in  difinita  persona,  coni'  io  fui  levato 
d'  una  vana  fantasia  da  certe  donno  '. 


A    l'A<.iNA    2H)) 

Cfr.  Cavalcanti,  son.  0  do/ina  mia  :  •  El  fu  Amore  che,  trovan- 
do nui.  Meco  restette,  che  venia  lonUmo,  En  guisa  d'  arcier  pre- 
sto siriano     Acconcio  sol  per  uccidere  altrui  '. 


A    l'AGlXA    S4r7  ] 

Alle  chiose  che  il  Del  Lungo,  il  Suchier,  il  Gaspary.  e  recen- 
temente il  Chini,  già  fecero  alla  tenzone  di  Dante  con  Forese  Do- 


370  Note    aggiunte 

nati,  nuovo  contributo  reca  oggi  il  Torraca  con  una  notevole  Me- 
moria  letta  all'  accademia  Pontaniana  nella  tornata  del  17  aprilo 
1904  (  La  teiisonc  di  Dante  con  Forese  Donati,  Ifapoli,  stab.  tip.  nella 
r.  universiti,  1904  ).  Molte  lo  nuove  ipotesi,  alcune  assai  seducenti. 
Ma  non  mancheranno  le  obbiezioni,  perchè  non  tutte  persuasivo  a 
un  modo.  Per  esempio,  non  avrà  forse  molta  fortuna  F  ipotesi  che 
Alighiero,  padre  di  Dante,  morisse  scomunicato,  e  non  avesse  '  se- 
poltura ecclesiastica  ',  perchè  '  eretico  ',  '  paterino  ',  '  cataro  ',  '  come 
il  magnanimo  Farinata  '.  Dante  allevato  in  casa  di  paterini  ?  Ed  era 
così  a  corto  di  contumelie  Bicci  novello  ?  A  chi  gli  dava  dello  strac- 
cione, come  crede  il  Torraca,  rispondeva  :  —  Straccione,  va  bene  ; 
ma  tu  sei  figlio  di  un  paterino,  e  1'  anima  di  tuo  padre  è  là,  tra 
le  fosse,  •  legata  dei  vincoli  così  del  peccato  come  della  scomunica  '  ; 
e  voleva  che  io  la  sciogliessi  per  amor  tuo,  voleva  da  me  1'  ego  te 
absolvo,  queir  anima  dannata  !  —  Certo,  feriva  F  animo  del  figliuolo 
codesto  irriverente  licordo  ;  ma,  in  fin  dei  conti,  che  colpa  aveva 
il  figliuolo  so  il  padre  era  stato  paterino  ?  Ed  era  onta  che  potesse 
ricader  sul  figliuolo,  era  vergogna  di  cui  il  figliuolo  dovesse  arros- 
sire, codesta  pretesa  scomunica  toccata  ad  Alighiero  ?  Tuttavia, 
molto  significativo  pare  il  nesso  che  il  Torraca  vede  tra  il  '  nodo 
di  Salamene  '  del  sonetto  di  Forese,  e  il  fatto  che  proprio  un  fra 
Salomone  da  Lucca  '  era  inquisitore  dell'  eretica  pravità,  in  Firen- 
ze, il  21  agosto  1282  '.  Non  si  troverà  forse  neppure  molto  ferma 
F  ipotosi  che  Dante  trattasse  da  straccione  che  non  abbia  cenci  da 
coprirsi  la  notte,  chi  mandava  giù  '  tanta  roba  '  e  si  ti'attava  a  •'  petti 
di  starne  '.  Forese,  secondo  Dante,  era  un  ghiottone,  dissipatore  e 
dissoluto,  ridotto  perciò  quasi  al  verde,  o  perciò  datosi  alle  mario- 
lerie. Il  '  copertoio  cortonese  ',  e  il  '  difetto  '  che  la  moglie  sentiva 
'  al  nido  ',  alluderanno  piuttosto  alla  irregolare  condotta  del  mari- 
to. Ma  è  pure  da  avvertire,  che  il  cominciamento  della  risposta  di 
Forese,  par  che  confermi  davvero  la  nuova  interpretazione.  Il 
Torraca  così  restituisce  il  cominciamento  del  secondo  sonetto  di 
Forese  : 

Va,  ti  vest'  1'  San  Gal,  prima  cho  dlflil 
Parole  o  motti  d' altrui  povertato. 

Direbbe  Bicci  novel  :  —  Ya  a  vestirti  in  San  Gallo,  che  è  F  ospe- 
dale dei  poveri  e  dei  bastardi,  prima  di  parlare  della  povertà  al- 
trui — .  Non  vi  sarebbe  dunque   un  accusa  di  peculato  in  codesta 


Note  aggi  un* tk  H71 

alIuRÌoiii-  il  S;iu  dalli».  Ut-  alhulorobboro  a  cunuzioiif  Ui  •  liivuihiato 
d' Altafronte  *  [Altra fonte,  nel  sonetto,  è  errore  di  stampa  ].  Forese 
trattorol)l)o  D.into  da  pitocco.  Certo,  niojrlio  pitocco  che  ladro.  Ma 
la  restituzione  non  mi  \y.\yf  molto  felice:  —  Va  a  pitoccare,  prima 
di  chianiiirci  pitocclii  .  I.  >il»biezione  <  li.'  il  iritieo  muovo  con- 
tro la  vecchia  interpreta/ione,  non  Harebl>o  poi  molto  jjr!»ve.  Danto 
poteva  ljenis.simo  aver  sottratto  o  distratto  danaro  o  vestiti  o  altro 
dair  ospe<1ale  di  San  Gallo,  e  tuttavia  non  es.sor  ricco,  essoro  anzi 
costretto  a  viver  sempre  di  illeciti  espcnlionti.  Né  bisoijnu  dimenti- 
care, che  qui  si  trattr»robl)o  di  m.ilijine  insinuazioni.  Ma  foree  il 
Tomica  h;i  ragiono.  Anche  il  Barbi,  senza  ricorrerò  a  lezioni  con- 
jjetturali.  scrive  (  Ball.  ns.  11,  18  n^  )  :  *  A  me  le  grembiale  che  Danto 
ha  dal  castello  d'  Altiifronto  mi  paiono  alludere  piuttosto  a  elemosino 
•  In  A  illeciti  guadafriv  :  ■•  ;iiii'ho  por  San  Gallo,  non  Avrebbe  avuto 
parti'  nell'amministrazione,  ma  vi  sjireblK»  ricorso  per  il  suo  sosten- 
tamento tante  volte e  con  tantit  fam;>  da  ridurlo  in  cattive  con- 
dizioni '.  Sennonché,  avrebbe  detto  Forese. 

V:i.  rivesti  San  Gal,  prima  rho  dichl 

I>.'irwl<'  M  motti  d' altro!  povertate. 

se  non  si  fosse  trattato  d' altro  che  di  elemosine  ?  E  non  sarebbe 
forse  più  piano  intendere  in  altro  modo  ?  suppergiù  :  —  Ti  sei  un 
po'  rimpannucciato  a  San  Gallo,  ed  ora  vieni  a  parlar  della  pover- 
tà altrui  !  Va,  va,  restituisci  quel  che  hai  rubato  a  quei  poveretti 
che  quest'  inverno  facevano  pietà  a  tutti  i  loro  benefattori,  e  poi  ne 
parleremo  —  .  Comunque  sia  d»  ciò.  ò  certo  un  fatto  degno  di  nota 
che  per  cotlesta  famosa  tenzone  ci  siamo  oramai  liberati  dai  vecchi 
pregiudizi  ;  non  si  tratta  più  della  vita  scapestrata  di  Danto  dopo 
la  morte  di  Beatrice.  Anzi  il  Torraca  insiste  nel  porre  non  *  molto 
più  tardi  del  1:283  '  la  composizione  dell'  ultimo  sonetto,  nel  quale 
Forese  rimprovera  a  Dante  di  non  essersi  vendicato  d' un'  offesa 
fattii  al  padre.  Ma  codesta  data,  che  nessuna  buona  ragione  sostie- 
ne, con  molte  ragioni  avrebbe  pure  da  aggiustare  i  suoi  conti. 

Il  Bjirbi  poi.  rinunzia  anche  alla  prova  del  .sonetto  di  Guido. 
Io  regno  il  giorno  a  te.  '  Il  documento,  egli  scrive  (  Ball.  ns.  11,  13  ). 
è  da  porsi  non  con  la  tenzone  avuta  con  Forese,  ma  con  la  conso- 
latoria di  Cine  per  la  morte  di  Beatrice  :  Gino  adopera  la  persua- 
sione, il  Cavalcanti  il  rimprovero  '.  Ma  quando  Cine  scrisse  la  sua 
famosa  consolatoria  ?  E  quanto  al  rimprovero,  domanderò  col  D'  O- 


37'^  K  O  T  E    A  (1  G  T  {'  K  T  K 


vidio  (  Stndii,  210  ):  •  ad  un  amico  avvilito,  sia  pure  soverchiamen- 
te, ma  da  oneste  cagioni,  si  nega  anche  il  conforto  di  visitarlo  ? 
Gli  s'  inculca  di  sfuggir  la  gente  ?  O  non  gli  si  raccomanderebbe, 
invoce,  di  non  fare  il  misantropo  ?  I^on  gli  si  perdonerebbe  anche 
un  po'  il  cercar  distrazione  tra  gente  volgaruccia  ?  ' 


INDICE 


Prefazione l'I' 

L'  EPISODIO   DELLA    DONNA   OENTILE pp 

1.  L'  accoiuodainonto  il«*l  Diouisi  —  Ìjh  lilosofìa 
eliti  litijra  con  la  iii«>nioria  ili  Bioo  —  L' ipotesi  del 
poHterioro  a*lon»>stii monto pp.  9-16 

2.  Il  iriov.ii-c  I'  imii  (l»M-o<^;irt'  alla  Vi/a  niio- 
ni pp.  16-  18 

3.  La  Beatrice  d»»i  Coni  il  io pp.  18-22 

4.  La  pretesa  confesHione  del  mendacio  —  La  can- 
zone Voi  che  iiiteiifìendo  ò  aIlog:oricH  —  Il  gemino 
battagliare  della  Bice pp.  22-28 

5.  Lo  protese  contradizioni  tra  la  Vita  iinoia  e  il 
Concino  —  L'  avversario  della  ragione  e  vilissi- 
rao pp.  29-32 

6.  L'  appetito  del  cuore  —  Il  aon.  Parole  mie  —  Co- 
me s' inizia  la  serie  delle  rime  fìlosoiiehe  —  Le 
rimo  filosi>fiehe  sviluppano  l'episodio  della  Vita 
nuora pp.  32-40 

7.  La  donna  gentile  della  Vita  nuora  e  la  donna 
del  Conr.  —  La  beata  mensa  — La  donna  del  Conr. 
è  avversiiria  di  Beatrice  —  L'  altalena  nelle  figu- 
razioni del  po«'la  —  Il  poeta  dice  e  disdice  e  non  si 
contradice  —  La  beatitudine  e  il  desiderio  —  La 
filosofia  del  Conr.  —  La  filosofia  e  la  teologia  —  Le  . 
figurazioni  del  poeta  e  1  libri  di  Salomone  —  La 
scienza  e  I'  amore pp.  40  -  62 

8.  Gli  accenni  cronologici  —  Gli  alquanti  die  — 
Le  due  rivoluzioni  di  Venere  —  I  trenta  mesi  — 


i' 


374  Indi  c  e 

1  quindici  mesi  conciliatori  —  La  questione  astro- 
nomica —  La  tostimonianzn  di  Jacopo  Aligliio- 
ri pp.  62  -  73 

9.  La  finestra  e  il  linguaggio  allegorico  —  Se  so- 
'     no  aj[legoriche  lo  rime  pietrose  —  La   canz.    Co- 
si   uri    mio  parlar  —  L'    allegoria    della     fine- 
stra   pp.  74  -  81 

10.  Passa  Lisetta — Lisetta  o  licenza  ?  . .  .  pp.  81  -  8(i 

11.  La  canz.  E'  /«'  iiicresce  di  me .  .  .  pp.  87  -  9.'5 

12.  La  voce  del  buon  senso  —  Il  preteso  senti- 
mento di  fedeltà pp.  05  -  98 

Il  senso  letterale  e  l'  allegoiua pp.    99  -  170 

1  -  2.  L' ipotesi  del  doppio  senso  —  L'  allegoria  dei 
teologi  e  l'allegoria  dei  poeti  —  Il  senso  lettera- 
le è  finzione  mendace  .........  pp.  99-115 

3.  Le  confusioni  dell'  esegesi  ....  pp.  115  -  122 

4.  Le  concezioni  allegoriche  —  Il  senso  letterale 
nella  Commedia pp.  122  - 134 

5.  Dal  reale  all'  ideale pp.  134  -  141 

[  Il  diritto  di  grazia pp.  141  -  145  ] 

6.  La  donna  idealo pp.  140  -  1.51 

7.  La  digressione  della  Vita  iinova  sulle  per- 
sonificazioni —  Il  rimar  sopra  materia  amo- 
rosa   pp.  152  -  170 

Le  rime  e  il  racconto  della  Vita  nuova pp.  171  -  286 

1.  La  materia  della  Vita  nuora  e  l' adattamento 
delle  rime pp.  171  -  174 

Primo  sonetto.  A  ciascun  alma  presa  e  gentil 
core  —  I  simboli  dell' incondium  amoris  —  Il  drap- 
po e  il  mulo  —  Involta  leggeramente  —  Lo  verace 
gtudicio  —  Il  parvente  di  Gino  e  di  Guido  —  Ma- 
donna la  morte  cliedea pp.  175  -  188 

Secondo  sonetto.  0  voi  die  per  la  via  d'  amor 
passate  —  L'  amore  perduto  o  1'  amore  lontano  ?  — 
La  pretesa  allusione  a  Beatrice .  .  .  pp.  189-194    ^ 

Terzo  e  quarto  sonetto.  Piangete,  amanti,  poi 
che  piange  Amore,  e  Morte  villana  di  pietà  nemi- 
ca —  Amore  in  forma  A'era  —  La  pretesa  compa- 
gna di  Beatrice pp.  194  - 199 

Quinto  sonetto.  Cavalcando   /'  altr  ier  per  un 


I  X  1»  1  e  n  375 

rammiiio  —  Amore  tspoilt'stalo  «lalla  lontananza  — 
La  cavalcata  di  Dant«< pp.  199-207 

Ballata.  Ballata,  i'  cu  che  tu  ritrori  Amore  — 
Madonna  adirata  t«  golosa pp.  207  -211 

Sosto  sonetto.  Talli  li  miei  penser  parla it  d' A- 
more  —  Motivi  antitetici  snila  natura  d'  Araoro  — 
Perrli»"'  madonna  la  Pietà  è  nemica  . . .  pp.  211  -  216 

Settimo,  ottavo  e  nono  sonetto.  Con  f  altre 
ifo/i/ie  mia  rista  gabbate.  Ciò  che  m'  incontra  nella 
mente  more.  Spesse  paté  reguonmi  a  la  mente  — 
Il  gabbo  di  madonna pp.  217  -  220 

2.  Il  dipinto  del  biblico  passa'^frio  tiel  ilar  Ros- 
so   pp.  220  -  221 

3.  La  canz.  Donne  eh'  avete  intelletto  d  amore,  e  la 
citazione  della  Commedia  —  Accenni  a  un  riposto 
intendimento  —  L' alcuno  della  sciarada  inferna- 
le—  Il  cuor  villano,  la  saiuto  e  il  saluto  —  L'  alcu- 
no, i  cuori  villani,  le  malo  femmine  -  -  Indizi  d'  a- 
mor  sensualo  ?  —  Come  il  cuor  villano  dovrà  per- 
dere Boiitrice  —  La  nuova  chiosa  nella  sua  forma 
pietos;i  —  Di  chi  difendea  la  parte  nuulonna  la  Pie- 
tri —  Torniamo  all'  antico pp.  222  -  24') 

4.  D  son.  Io  mi  senti'  svegliar  dentro  lo  core  — 
Bice  e  Beatrice  —  Il  segreto  —  Primaverju  prima 
vorrfi,  Giovanna pp.  24.J  -  205 

5.  2fon  sapeano  che  si  chiamare    .  .  .  pp.  255  -  261 

6.  L'  episodio  degli  schermi —  Le  parole  oscure  e 
i  simulacri  d' amore pp.  261  -  267 

7.  Le  visioni  —  Episodi  che  arieggiano  la  visiono  — 
La  morte  di  Beatrice  e  l' altro  chiosatore  —  L' epi- 
stola ai  principi  della  terra  —  Gli  accenni  cronolo- 
gici —  Il  preteso  fratello  tli  Beatrice  —  Gli  episodi 
dell' anno  vale  e  dei  pellegrini pp.  287-282 

8.  Le  concatenazioni  di  don  Ferrante  —  Le  con- 
clusioni della    critica pp.  282  -  286 

La  Beatrice  storica pp.  287  -  354 

1.  La  tradizione  della  Bice  Portinari  —  Cecco  d'A- 
scoli—  Cino  da  Pistoja.  Cecco  Angiolieri — Bosone, 
Frate  Guido,  Mino,  Jacopo  Alighieri  —  Ser  Gi-azio- 
lo  —  Chiose  anonime  del  Selmi  —  Jacopo  della  La- 


o7o  Indice 

n;i  —  Ottimo  Commento pp.  2S7  -  805 

2.  Giovanni  Boccaccio  —  Fasi  della  notizia  della 
Portinari  —  La  fededegna  persona  —  L'  età  di  Bea- 
trice secondo  il  Boccaccio  —  Il  panegirico  e  Y  im- 
portabile passione  —  L'  amore  per  Beatrice  av- 
versario agli  studi  —  Le  deduzioni  dal  Cornicio  — 
La  data  della  composizione  della  Vi/a  nuova  se- 
condo il  Boccaccio .  pp.  305-322 

3.  Pietro  di  Dante  e  la  lezione  Ashburnhamiana  — 
Francesco  da  Buti  —  Benvenuto  da  Imola  —  Po- 
steriori commentì  —  I  biografi  :  Antonio  Pucci, 
Filippo  Villani  —  Leonardo  Bruni  Aretino  —  Gian- 
nozze  Manetti,  Mario  Filelfo pp.  323  -  338 

4.  La  modesta  ipotesi  d'  una  Bice  fiorentina,  e  la 
prova  della  Commedia  —  I  simboli  storici  della 
Commedia  —  Se  la  Beatrice  della  Commedia  sia 
figura  storica  —  I  rimprovei-i  di  Beatrice  e  la  lus- 
suria di  Dante  —  Di  quale  straniamente  parli  sem- 
pre il  poeta pp.  338  -  350 

5.  È  Beatrice  nella  Commedia  anima  beata  d'  una 
donna  morta  ?  —  Indici  della  pura  allegorici- 
tà pp.  350  -  354 

JN'oTE  AGcauNTE pp.  357-372 


Edizione  di  270  esemplari 

finita  di  stampare 

il  di  20  giugno  1904 

nel  premiato  stabilimento  tipografico 

DI  L.  DE  Martini  e  Figlio 

IN  Benevento 


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o7o  I  X  n  I  e  E 

na  —  Ottimo  Conimonto pp.  287  -  305 

2.  Giovanni  Boccaccio  —  Fasi  della  notizia  della 
Portinari  ^  La  fedodegna  persona  —  L'  età  di  Bea- 
trice secondo  il  Boccaccio  —  Il  panegirico  e  l' im- 
portabile passione  —  L'  amore  per  Beatrice  av- 
versario agli  studi  —  Le  deduzioni  dal  Comiiio  — 
La  data  della  composizione  della  Vifa  nuova  se- 
condo il  Boccaccio .  pp.  305-322 

3.  Pietro  di  Danto  e  la  lezione  Ashburnhamiana  — 
Francesco  da  Buti  —  Benvenuto  da  Imola  —  Po- 
steriori commenti  —  I  biografi  :  Antonio  Pucci, 
Filippo  Villani  —  Leonardo  Bruni  Aretino  —  Gian- 
nozzo  Manetti,  Mario  Filolfo pp.  323  -  338 

4.  La  modesta  ipotesi  d'  una  Bice  fiorentina,  e  la 
prova  della  Commedia  —  I  simboli  storici  della 
Commedia  —  Se  la  Beatrice  della  Commedia  sia 
figura  storica  —  I  rimproveri  di  Beatrice  e  la  lus- 
suria di  Dante  —  Di  quale  straniamento  parli  sem- 
pre il  poeta pp.  338  -  350 

5.  È  Beatrice  nella  Commedia  anima  beata  d'  una 
donna  morta  ?  —  Indici  della  pura  allegorici- 
tà pp.  350  -  354 

IfoTE  AGGIUNTE pp.  357-37'-:' 


Edizione  di  270  esemplari 

finita  di  stampare 

il  di  20  giugno  1904 

nel  premiato  stabilimento  tipografico 

DI  L.  DE  Martini  e  Figlio 

IN  Benevento 


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