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Full text of "Delle rivoluzioni d'Italia;"

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D.gi.zedDvGot>gIc 


DELLE 

RIVOLUZIONI 

D-   ITALIA 

LIBRI    VENTICIHQDE 
DI 

CARLO     DENINA 


YOLOME  PRIMO 


VENEZIA 

4  »PE»S  DEL  no^uo  DI  UBU  ILt'lVOUD 

MDCCClTl 

IIEU.JI  TIPOCUFU  Si  àLTfSOrDU 


D.,t,;.d-,:G00^1C 


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AL  LETTORE 


GLI    EDITORI    VENETI 


I  j  opera  presente  è  una  di  quelle  che  la 
Italia  e  le  straniere  Nazioni  accolsero  con 
applauso ,  e  che  si  merita  un  posto  tra  i 
classici  nostri  lavori.  Ne  furono  qua  e  14 
replicate  le  stampe,  e  a  vero  dire  chiun- 
que voglia  pascersi  della  fruttuosa  lettu- 
ra di  un  libro  in  cu!  la  storica  esattezza , 
1»  preziosa  imparzialità,  la  sodezza  del 
ragionare,  e  la  robustezza  della  locuzio- 
ne rilucano  in  grado  eminente,  della  iSto- 
ria  delle  Rifoluzioni  d  Italia  di  Carlo 
Denina  fòrmeri  sempre  la  sua  delizia .  - 

Tra  le  tante  triviali  ristampe  Venete, 
per  lo  più  per  sola  venale  speculazione 


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eseguite,  occorreva  che  una  finalmen- 
te se  ne  vedesse,  la  quale  se  non  per 
lusso  tipografico,  almeno  per  tipogra- 
fica decenza,  e  per  iscrupolosità  di  cor- 
rezione meritasse  di  essere  bene  accol- 
ta; e  tale  confidiamo  che  sarà  trova- 
ta la  presente,  la  quale  venne  fedel- 
mente modellata  sulla  prima  edizione 
Torinese  in  forma  di  quarto,  conser- 
vata essendosi  anche  la  non  ovvia  or- 
tografia che  piacque  all'autore  di  voler 
in  essa  adottare. 

Venne  qnesta  Storia  dal  Denina  trat* 
tata  in  XXIV  Libri,  incominciando  da' 
piii  rimoti  tempi,  e  trascorrendo  sino  alla 
celebre  Pace  di  Utrecht.  A  questo  punto 
egli  levò  la  mano  dal  lavoro,  ma  do- 
po parecchi  anni,  eccitato  essendo  a  dar- 
ne una  Continuazione,  pubblicò  nn  nuo- 
vo libro,  intitolato  Italia  Moderna,  il 
quale  venne  comunemente  aggiunto  ai 
precedenti,  chiamandolo  Libro  XXV.  La 
Storia  d'Italia  è  condotta  in  quest'Appen- 
dice dall'anno  171 5  sino  all'anno  1793, 


ovGooglc 


ma  convien  osservare  che  gli  nomini  di 
ottime  lettere  riconobbero  questa  tan- 
to al  di  sotto  in  pregio  all'antecedente, 
che  occasionò  sin'  anche  dicerìe  poco  fa- 
vorevoli alla  riputazione  letteraria  del- 
lo scrittore .  In  effetto  nell'  Italia  Mo- 
derna, ossia  nel  Libro  XXy,  in  vano 
si  cerca  quell'  aggiustatezza  di  pensie- 
ri, quella  importanza  di  osservazioni, 
quella  nettezza  di  dizione  che  spicca- 
no nelle  Rivoluzioni.  Siccome  però  non 
lascia  tuttavia  di  appartenere  anche  que- 
st' Appendice  al  nome  illustre  che  com- 
pilò la  prima  grand'  opera ,  e  siccome  non 
può  negarsi  che  non  dia  un  Quadro  ric- 
co di  belle  tinte,  dicevoli  a  far  conoscere 
lo  stato  delje  Arti,  delle  Scienze,  delle 
Lettere  e  del  Carattere  de'  nòstri  mo- 
derni Italiani,  cosi  ci  parve  opportuno 
consiglio  di  non  lasciare  in  dimentican- 
za quest'  ultima  parte .  Cinque  soli  lu- 
stri tuttavia  mancherebbero  onde  porta- 
re sino  a'  nostri  giorni  la  Storia  delle  Ri- 
voluzioni d  Italia ,  e  questi  cinque  lustri 


ovGooglc 


darebbero  argomento  assai  fertile  ad  una 
penna  investigatrice  della  ragion  delle  co- 
se. Quest'è  quanto  noi  avreinmq  deside- 
rato di  poter  presentare  a' nostri  Lettori, 
iqa  né  avendo  creduto  ben  fatto  di  pro- 
fittare di  chi  si  offerse  spontaneo  a  dar 
mano  a  tal'  opera ,  né  avendo  ottenuto 
cbe  la  volesse  imprendere  chi  avrebbe 
meritata  la.  nostra  piena  fiducia  t  riserbe- 
remo a  migliore  occasione  si  fatta  ultio 
ma  Appendice, 


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PREFAZIONE 


Jua  Storia  generale  d*  Italia  *  anoorcfaè  il  Biondo 
e  il  Sigonio  con  varie  opere  ne  avessero  aperta 
la  strada,  appena  in  due  secoli  dì  tanta  cultura 
di  lettere  era  stata  trattata  da  un  Girolamo  Brìa- 
ni  (i),  e  da  qualche  altro  ancor  più  ignoto  scrit- 
tore (2)  ;  quando  verso  la  metà  del  presente  se- 
colo nuovo  lume  e  più  certa  guida  ne  porse  il 
celebre  Muratori .  Ma  io  non  so  se  di  tanto  ca- 
pitale siasi  fatto  finora  quell'  uso  che  s*  intendeva 
da  dii  cel  lasciò;  perciocché  egli  è  manifesto  che 

(1)  Istoria  ^Italia  dalla  venuta  ^  Annibale  fiiuf  al- 
T  anno  di  Cristo   15^17.  Venezia  i€34- 

(aj  Fra  Umberto  Locato  PiaceDlido  dell'Ordine  de'Pre- 
dìcalorì ,  veicovo  di  Bagoarea  ,  compTese  1' iiloria  generale 
d'Italia  dalla  venuta  d'Enea  fino  al  i5^5,  «otto  Jl  titolo 
i'  Italia  travagliata  f  in  na  •volume  in  4-  Venezia  1776. 


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la  Raccolta  (i),,  le  Dissertazioni,  e  gli  AnnaU  del 
Muratori  sono  come  foodameotl  e  materia  appa- 
recchiata per  altri  lavori. 

La  felice  riuscita  del  Compendio  cronologico 
della  storia  di  Francia  fece  nascere,  come  si  è 
Veduto  succedere  in  lanti  altri  generi  dì  libri,  utì 
simile  compendio  della  storia  di  altre  prorincie, 
ed  ultimamente  dell'  Italia .  Vero  è  che  il  signor 
di  Saint-Marc  autore  di  quest'opera  usò  it  titolo 
di  compendio  in  senso  più  largo  (2) .  Peroccliè  « 
Aove  il  presidente  d' Hainaut  comprese  in  un  to- 
mo solo  tutta  la, storia  di  Francia,  il  compendio 
cronologico  della,  s^rla,  d'Italia  riuscirà  per  lo 
meno  a  dieci  o- dodici. volumi  d'ugual  mole;  e' 
jion  h  niente  più  brevQ  del  Sigonìo  e  c^el  Mura- 
.tori,  de' quali  ti  sÌ  trovan  trasdotti  i  passi  interi, 
e  talvolta  anche  luqgbi  (5).  Non  è  .dubito  che 
quando  il  signor  di  Saint-Marc,  non  avesse  fatto 
altro  che  tradur  Muratori ,  egli  fece  opera  utile 

(i)  Rerum  flalìcaram  Scrtptores  eie.  ■  ■   .    - 

(a)  Il  primo  volume  ili  quetlo  compendio  (  Abregé, 
chronologitfue  de  thisioire  generale  À!  Italie  in  8.  }  coni- 
ptende  dall' anno  476  doll'era  Volgare  sino  all'Hoc-  Il  qnar- 
t«,  bb'è  l'nhimo'jdi  qaeUi.chctano  finoia-usciti  in  luce« 
CDBaiQcia,  dal  1076,  e  finisce  al  ki^"}-  -  ■       :  ..-  -    , 

(3)  La  méme  raison  m' a  fait  iraduire  .  .  .  ,des  mot' 
eeaux  méme  un  peu- longs  de  Sigonius,  et  de  Muratori. 
Freface  p.  xviii.  .  .   . 


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Ili 
alta  sua  nazione  che  nòo  aveva  ancora  nella  pro- 
pria: lìngua  l'equivalente;  e  voglio  credere  che 
per  qualche  riguardo  possa  anche  esser  utile  agi*  I- 
talianì.  Ad  ògbi  modo,  se  gli  annali  d'Italia, 
tuttoché  pieni  di  tante  cose  importanti ,  e .  scritti 
con  franchezza  e  ishtarezza  poco  ordinaria  di  sti- 
le ,  riescono  bene  spesso  molesti  e  stanchevoU , 
per  dover  passare  di  tratto  in  tratto  da  Milano  a 
Napoli,  da  Firenze  a  Venezia,  in  affari  diversi  e 
disparati;  che  sarà  d* un  compendio  cronologico. 
Opera  di  sua  natura  più  arida  e  più  secca  che 
non  sono  gli  annali,  e  per  l'ordinario  di  poco 
profitto  a  chi  non  à  preso  notizia  delle  stesse  co- 
se dà  altra  sorta  di  libri  storicif  Quindi  sarà  for- 
se a  molti  ràduto  In  pensiero  che  si  potesse  trat« 
tare  la  storia  d'Italia  beltà  maniera  che  fecero  il 
padre  Orleans,  l'abate  Vertot,  e~  des  Fontaines 
quella  d'altre  nazioni;  e  il  titolo  di  Rivoluzioni 
che  pòrta  in  fronte  quest'opera,  farà  credere  di 
le^ert,  che  noi  ci  siuao. proposti  d'imitare  que- 
sti autori.  'Ma  le  rivduziobi,  per  cagion  d'esem- 
pio, d' Iiighilterra ,  e  dì  Spagna,  e  di  Polonia, 
da  che  quelle  provincie  vennero  di  molti  stati  a 
formare  un  sol  reame ,  non  sono  altro  che  la 
storia  del  governo  interno,  mostr^n^o  conu)  J'au.- 
torìtà  sovrana  s'andasse  o  restn'gnendo  o 'dilatando, 


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e  come  per  la  morte  d'un  re,  per  l'oppres^ 
sione  o  l'estensione  d'una  casa  regnante ,  ne  sa- 
lisse un'altra  sul  trono.  Fero  la  serie  stessa  degli 
.avvenimenti  serve  di  guida  a  chi  li  racconta;  o 
l'unità  della  materia  rende  meno  difficile  il  darle 
forma.  Ma  in  Italia,  poiché  per  la  declinazione 
del  secondo  imperio  occidentale  si  fu  divisa,  in 
diverse  nazioni,  le  rivoluzioni  del  regno  di  Napo- 
li non  ebber  che  fare  col  governo  Veneto;  né  le 
.civili  discordie  de' Fiorentini  e  de'Sanesi,  o  le 
sollevazioni  de' baroni  della  Romagna  e  della  Mar- 
•ca  fecero  cambiar  aspetto  alle  cose  di  Milano,  di 
'Monferrato  e  di  Piemonte ,  dove  i  visconti,  i 
■marehesi  di  Monferrato,  i  conti  e  i  duchi  di  Sa- 
voia regnavano  senza  contraddizione  e  sospetto, 
allorché  più  bollivano  in  Toscana  le  fazioni  po- 
polaresche, e  il.  papa  non  trovava  in  tutto  lo  sta- 
to suo  sede  sicura.  Per.  la  qual  cosa,  a  fine  di 
ridurre  a  certa  unità,  e  disporre  con  qualche  or- 
dine cose  che  a  primo  aspetto  parevano  à  dis- 
punte ,  fu  necessario  di  seguitare  altro  metodo 
da  quello  che  si  é  usato. finora  da  ohi  trattò  le 
■rivoluzioni  d'altre  Provincie. 

Quanto  alla  notizia .  de' fatti  che  formano, 
■fK  cosi  dire,  la  base  di  questi  libri,  non  è  biso- 
,goo  eh'  io  dica  di  quale  aiuto  mi  sieno  state  le 


Diqitized  ..'Google 


V 

opere  del  gran  Muratori  *  spezialmente  1*  tosigae 
raccolta  degli  ScriUori  delle  cose  d'Italia:  percioc- 
ché il  Sigonio ,  il  BaroDÌo ,  il  Rainaldi ,  il  Tille- 
mont  ed  il  Pagi  poteaa  pure  io  gran  parte  sup- 
plire al  bisogno,  dove  ci  fossero  mancati  gli  an- 
nali dMtalia  ;  ma  non  sarebbesi  potuto  senza  in- 
credibile stento  e  dispendio  aver  alle  mani  tante 
cronache  non  ancora  per  innanzi  stampate,  e  tan- 
ti libri  divenuti  rari  ,-.se  mediante  P industria  del 
biliotecario  Modenese  non  gli  avessimo  ora  io  à. 
acconcia  maniera  raccolti  insieme.  Con  tutto  que- 
sto ,  per  una  parte  notabile  della  presente  nòstra 
opera,  o  ci  mancò  affatto,  o  non  ci  bastò  Paiuto 
dì  questo  ^  celebre  e  sì  commendevole  autore  ; 
e  propriamraite  ci  siamo  preraluti  dell'erudite  suo 
fatiche  per  Io  spazio  di  que'  mille  anni ,  di  cui 
la  storia  è  compresa  ne'  venticinque  o  ventotto 
volumi  della  suddetta  raccolta ,  voglio  dire  dal 
principio  del  sesto  sino  alla  fine  del  decimoquiato 
secolo  dell'era  Cristiana.  Prima  e  dopo  di  qoeste 
due  epoche,  parte  ci  fu  necessario,  parte  ci  parve 
utile  di  ricorrere  ad  altri  fonti,  e  cercare  altre  guide. 
In  un  sì  lungo  corso  di  storia,  di  nazione 
per  tanti  rispetti  si  illustre,'  avrei  certo  potuto 
parlare  d'infinite  cose,  e  far  menzione  d'innume- 
revoli autori  die  trattarono  chi  una,  chi  un'altra 


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'delle  maferie  che  qtù  da  noi  o  frattansi  dì  prcK 
posito,  o  si  toccano  di  passaggio:  e  già  m'itn- 
magioo  di  sentir  domandaFe  passo  passo;  [lerchè 
■tiott  abbia  io  rilevata  questa  o  quell'alba  {Hirti- 
tiotarità ,  s  non  abbia  citata  il  tale,  o  U  tal  9ltro 
scrittore.  Ma  a  quale  immensa  e  confusa  mole 
'fearèbbesi  allora  condotta  un'opera  «b' esser  vo- 
leva '  e  breve  nell'  esteasione ,  e  facile  e  piana 
nell'orditura?  Non  dissento  pertanto*  phe  s'at- 
tribuisca 0  al  caso ,  o  ad  ignoranza  e  prevenzio- 
ntr  kntà,  «be  fta  tanti  autori  che  poteanq  nomi^ 
narsi  e  lodarsi ,  io  abbia  nominato  piuttosto  ^i 
Uiiì,  ebe  gli  altri;  purchi  frattanto  sia  noto  al 
'Ietterei  che  nelle  cose  essenziali  al  mio  proposito 
So  mi  sono  -costantemente  attenuto  a^  scrittori 
piii  autorevoli  e  più  '  riputati ,  e  per  la.fHÙ  parte 
ooVitempotanei  (i).'  il,  carattere  e  la  naUira  dì 
quest'opera  non  richiedeva  punto  ohe  io  mi  con- 
sumassi a  ricercare  archivi  per  produrre  nuOvì 
dormienti  e  diplomi ,  bastandomi  abbondante- 
Itlèt^  quanto  i  finora  aseito  alla  luce»  Nondimp- 
-no  io  più  d'rm  luogo  mi  tornò  bene  valermi  di 
notizie  acquistate  per  altra  via,  che  per  quella 
di   libri   stamimti .   In  generale  però   b   piuttostq 

(l)  Vedi  la  nou  che  «egue  a  pag.  IPft 


0.  Google 


vn 

Telata  '  prefmre  il  comodo  e  T  utilità:  altrui  ad 
ogni  proprio  vanto  Al  erudizioae  ricercata  e  rara-. 
Quindi  b  che  per  le  costì  ^e  sono  state  da  mol- 

-ti  riferite  e  scritte,  non  sf^meote  ò  citato.,  ia 
nìargine  (!)<  ^^  taJofa  ò  lodate  nel  coBtesto  o 
netie  note  gli  autori,  da*  quali  si  potrà  più  faciU 
mente  e  eoa  più  profitto  prender  cogniziqpe  (ii 
ciò  cbe  il  mio  disegno  non  permetteva  ài  tratta- 
re più  disfesameote. 

Non  ardisco    per    tutto   questo'  .di   presagir-e 

-sino  a  qua!  segao  potranno  riuscir  utili  al  pulì' 
hlico  questi  Hbri  ;    né    TogKo  tampoco  prescrìverà 

'  le  disposizioni  che  io  desidero  nel  leggitore .  Dir6 
solo ,  essere  stato.  1^  intento  mio  <A'  essi  servissero 

'  e  d' introduzioDB  e  di  chiosa  alla  storia  generale 
d*  Italia , .  taotocbè  ne  jvhdessero  lo  stadio  più 
interessante  e  più  facile  premettendovisi  »  e  eoa 
qualche  ùtil  (ìflesiioiie  ne  rinaovassero  la  memo- 
ria legg^doii  dopo. 

FcBce  me ,  le  per  cagione  dì  questi  libri  si 
potrà  dire  che  siccome  sotto  il  regno  dì  Cablo 
En^oAKUELE  questo,  avventuroso,  stato  potè  vaatace 

(i)  Le  citazioni  ohe  ttayano  in  invgine  nelt' eiiiziofie 
in  4-  di  Torino,  ioaoii  traiporiate  a  pie  4i  pagina  in  que- 
Ita  ristampa  Veneta,  cosi  comportando  la  forma  della  pTe~ 
lente  ooatta  edirioiie>  Nota  degii  editori  f^atuii. 


ovGooglc 


vftl 

in  fanti  generi  d*  erudizione  e  di  scienza  uomìnf 
lodafissimi  ìd  tutta  Europa,  così  per  favore  di  lui 
(poiché  80  bene  di  quanto  £il  suo  provvido  e  be^ 
neBco  genio  io  sia  tenuto)  riBorisse  ancora  l'utì-^ 
le  amenità  della  storia,  e  non  s'abbia  in  questo 
genere  ad  aspettare  ogni  cosa  da  straniere  con- 
trade. 


0.  Google 


INDICE 


DB    LlKU  E  CAPI  CHE  a  CONTENGCmO 
IH  QULSTO  VOLUMK 


LIBRO     PRIMO 


L  Crrandezza,  e  decadenza   degli 

ànitchi  Tosàanij  Elmschi^   o 

Tirreni .                                Pag. 

>: 

n.  Qiud  mutazione  recasse  àW  Ila- 

Uà  r  invasione  de*  Galli  circa 

gii  anni  di  Roma  trecento  cin- 

quanta. 

5 

IH.  In  quante  nazioni  restasse  diptsa 

V  Italia  antica ,  così  detta  pro- 

priamente >•  e  quali  ne  fossero 

le  forze . 

II 

IV.  Economia,  e  commerziodegUm- 

tichi  Italiani. 

>9 

V.  Ricchezze  naUtraU  deW Italia. 

34 

VL  Delle  arti  eh'  erano  in  uso   ap- 

presso gl'Itali  aniicJii. 

43 

VU.  Sludi,  e  religione. 

5o 

VUI.  Leggi  civili:  Jorma  di  governo: 

0.  Google 


idea  gettetah  '  disSe  rivoluzioni 
interne ,  a  euij'uron  soggette  ìe 

repubbliche  (all'antica  haìia.  Pag.     6( 
|X.  mpoluziorti  per    cause  esteme: 
diritto  pubblico  :  cagioni,  ^def- 

Jèiti  delle  guerre  :  equilibrio  éhe 
si  mantenne  lungo  tempo  Jrc^ 
popoli  Italiani .  74 

LIBRO    SECONDO 

Capo.        L  Riflessioni  generali  sapra  le  cau- 
se delUt  grandezza  Romana  .  95 
"  II.  Della  guerra  tra  i  Romani  «  i 
Sanniti,  e  di  alcune  particolarità 
che  V  accompagnarono .                \1Q_ 

III.  Progressi  de*  Romani,  e  rivolu- 
zione dette  cose  d' Malia  dopo 

la  guerra  Sannitica.  126 

IV.  Staio  politico  rf'  Italia,  dopoché 

;fu  soggiogata  da* Romani.  184 

V.  Tiegoziazioni,  guerra  e  vicende, 

per  le  guati  i  popoli  s'' acquista- 
rono la  cittadinanza  Romana.      i3g 

VI.  Conseguenze  che  nacquero  dalPes- 

sersì  uniti  ih  uno  stesso  corpo 


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2? 

f  pon  gii  stessi  di' 
ritti,  tutti  i  popoli  e  tutte  le  città 
d'Italia.  Pag.  iSo 

LIBRO     TER  Z  O 

C^fQ  .        t.  Delgovemo  d'Italia  sotto  i  pri- 
mi cesari.  167 
n.  Nuovi  magispati  proposti  da  A- 
driano  a  reggere  V Italia':  lodi 
d'Antonino  Pio}  e  bontà  no- 
cefok  dì  Mar(^  Aurplia.  172 
m.  Come  il  vero  dispotismo  siasi 
stabiliio   a'  tempi  di  Commo- 
. .   do*  con  detrimento  grandissimo 

dell'imperio.  179 

IV.  Cesdii^ion^diCaraCidladigran- 
.  de  .pregiudizio  aìP  Italia  :  al- 
tra legge  non  mep.  notabile  di 
Gallieno-:  governo  slraordint^ 
rio  d  Italia  sotto  Aureliano.  186 
V.  Divisione  e  rivoluzioni  deWim- 
perio,  e  primo  sensibile  scadi- 
mento dello  stato  ff  Italia  a* 
tempi  dì  Diocleziano.  194 

.         Vi.  Delle   mutazioni   che   cagionò 


=dDvGooglc 


iti 

ùir  Italia  7*  imperadot'  Costan- 
tino. Pag.  210 
Vii.  involuzioni  àeWimperìO  sotto  i 
,                         successori  delTìmperadore  Co- 

stantìrtò.'  2i8 

VIU.  mfltssioni  sopra  le  cause  del~ 

Vinvasiorte  àe'barbati.  21^ 

K.  Rivoluzioni  deW  imperio  (t  Oc- 
cidente^ ed  effètti  che  da.  esse 
nacquero  per  lo  stalo  d'Italia.  a38 
X.  Principiì  del  regno  et  Orwrio  ; 
e  primi  attentati  de^  barbari 
sopra  l'Italia.  248 

LIBRO    QUARTO. 

Capo  I.  ttiiraitó  delle  cose  d'Italia  ver- 

so  la  fine  del  quarto  secolo  : 
agricoltura^  commerzio,  arti,  e 
studi.  264 

li.  Continuazione  delia  stessa  ma- 
teria: forze  militari;  polizìa; 
religione.  267 

HI.  involuzioni  nella  corte  (T  Ono- 
rio.- progressi  de*  barbari;  e 
primo  sacco  di  Roma.  '  279 


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IV.  yimiaggi  detta  sovranUà  legìtti- 
ma :  successori  <f  Onorio  ;  e 
rijlessiord  sopra  la  successio- 
ne ed  amministrazione  delle 
ìmperadrici  Placidia ,  e  Pid- 
cheria.  Pag.  288 

V.  Guerre  civili,  ed  anarchìa  d'I- 

talia dalla  morie  di  talenti- 
niano  terzo  fino  alla  deposi- 
zione et  Augustolo  nel  quat- 
trocento settanta  sei.  3o3 

VI.  Staio  d'J^mjpa  nella  distruzio' 

ne  dell'imperio  occidentale^       3i4 


ovGooglc 


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NOTA 


Buona  parte  delle  citazioni  stavanadaprincipio  nel  intt- 
toosciitta  per  sicurtà  e  ÌDtliriiio  nostro  proprio;  poi  riflet- 
tendo che  nel  modo  in  cai  si  avevano  a  stampare ,  non  po- 
tevano riuscire  d' incomodo  alcuno  ai  leggitori,  ma  bensì  a 
molti  di  qualche  uso ,  si  stimò  bene  lasciarle ,  ancorché  poi- 
sano  in  qualche  Iuo);0  psi'er  meno  necessarie  . 

Si  sono  citati  gli  autori  per  l'ordinario  GoU'indicazionc 
de'  libri,  e  capi  o  paragrafi,  secondo  la  division  ftiìi  con- 
sueta e  comune  .  Quelli  che  il  troveranno  citali  a  nameru 
di  pagine,  sono:  Tito  Livio  stampato  da  Sebastiano  Gri- 
fio  i5j8',  Strabone  dell'edizione  fatta  dal  Casaabouo  nel,  1587. 
Di  Polibio  si  citano  i  capi  seconda  l'edizione  di  Lipsia 
Greco-Latina  in  tre  Volumi  in  8.  ì'}0^,  benché  in  alcuni 
luoghi  sieno  trascorse  le  citazioni  delle  pagine  d' un'edizio- 
ne del  Grifio.  Per  gli  scrittori  della  storia  augusta  ci  siamo 
kervitì  dell'edizione  dello  Sciorevelto  fattainLeiden  nel  i68t. 
Della  storia  di  Francia  del  p.  Daniel  si  cita  l'edizione  ia 
tre  tomi  iu  foglio,  1713. 

Se  d'altri  libri  aoiìchi  e  moderni  si  sono  pur  talvolta 
citate  le  pagine,  se  ne  troverà  nelle  stesse  postille  margina- 
li [ij  indicata  l'edizione,  salvo  di  quelli  che  finora  noa 
^ono  stati  stampali  piò  che  una  volta,  come  la  raccolta  del 
Muratoti,  notata  con  queste  parole  R.  /.,  o  Ber.  Iiaì.  Al 
qua)  proposito  avvertiamo  altresì^  che  sotto  nome  dipogt'na 
si  debba  anche  intcodcr  colonna  per  qnc'  primi  tomi  delta 
suddetta  raccolta,  e  per  tutti  gli  altri  libri  che  ànoo  le  fac 
ciate  divise  io  due  colonne- 

Nelle  cose  precedenti  V  era  volgare  o  Cristiana,  abbiamo 
gìiidicato  bastante  segnare  l'epoche  cosi  digrosso,  Senza  te- 
ner conto  di  due  o  tre  anni  che  vi  possano  essere  di  diva- 
rio fra  le  diverse  cronAiogìe  .  Dal  principio  dell' era  volgare 
in  appresso  abbiamo  generalmente  seguitato  la  cronologia 
dell'annalista  Italiano* 


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DELLE 

RIVOLUZIONI 

DÌ'   ITALIA 
LIBRO    PRIMO. 


CAPO. PRIMO 

Gnmdezza ,  e  decadenza  degU  antichi  Toscani y 
Etnischi y  o  Tirreni. 

Xja  storia  delle  nazioni  cbe  abitarono  aiktìca- 
mente  questo  tratto  di  paese,  ebe  dato  da  due 
mari  si  stende  dalle  Alpi  sino  allo  stretto  di  Si- 
cilia ,  ed  ebbe  poi  col  tempo  il  nome  d*  Italia , 
noD  può  rìpi^iarsi  da  più  fdti  prìactpi! ,  che  dal 
tempi  Romani  ;  e  quello  ancora ,  che  possiamo 
raccogliere  dagli  aotiali  di  Roma  riguardo  allo 
stato  universale  della  provincia,  è  tuttavìa  scar- 
sissimo '  ed  oscuro ,  perciocché  ì  primi  Romani 
tanto  furoD  lungi  dal  ricercar  curiosamente  le 
cose  altrui ,  che  pochissimo  pensiero  si  presero  di 
tener  conto  de*  fatti  loro  propri .  Né  dalle  storie 
Greche  possiam  ricavare  maggiori  lumi  e  notizie , 
To^no  I.  -I 


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2  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

atteso  che  gli  autori  di  quelle  non  iama  pasP- 
lato  delle  cose  d'Italia,  fuorché  di  alcuor  cit* 
tà  marittime  vicine  alla  Sicilia;  e  i  più  antichi 
fraessi  non  precedettero  di  molti  secoli  Polibio 
che  ancor  abbiamo,  né  Fabio  Pittore*  primo  an- 
nalista di  Roma,  le  cu!  mpinon'e  furono  ne' libri 
dì  Dinnigi  d' Alicarnasso  e  di  Tito  Livio  traspor- 
tate. Noi  la';ciaiiw  ppifrdibuon  grado  a  pili  eru- 
diti e  più  curiosi  indagalnri  di  storie  antiche  il 
ragionare  quali- foiisero'i  primi  abitatori  d'Italia; 
giacché  quafurque  siasi  il  più  antico  autore  che 
di  lor  parlò,  visse  cèrtamente  da  nove  o  dieci 
secoli  dopo  loro,  a  ntìO  potè  lasciarci  altro  che 
incerte  e  deboli  congetture.  Quello  che  in  tanta 
lontananza  di  tempi ,  in  tanta  scarsezza  e  cofiftt- 
sion  di  memorie,  e  io  tanta  mescolanza  di  favo- 
le può  tuttavia  affermarsi  sicuramente  del  più  an- 
tico «tato  d'  Itali«,  ai  k  cW  ella  fu  in  grandissir 
Jiia  parte  occupata  e  «iguoceggiata  dai  popoli  Tirr 
leni,  chiamati  con:  più  noto  nome  Etruechi  o  Tot 
scani .  £  comech^  non  pp^iamo  dire  duocle  que^ 
Iti  popoli  traessero  U  prima  origine,  w  da'viò* 
pi  lidi  della  Grecia,  0.  iromediataments  da*  paesi 
(irientali ,  certo  i  pur  nondimeno ,  che  questa  nsi 
»one  si  stese  largamente  per  tutta  Italia,  e  reih 
de  il  suo  nome  famoso  per  lutto  il  mond»  fintìr 
co,  al  par  de'  Gt^f»  (i).  U  tempo  detia  maggior 

fi)  Chiv.  Iial.  ant  — Maff.  Os».  Iclt  t.  4.  -r-  Maizoc- 
clil  Disscrt.  liipia  l'origine  de*  Tiireni.  •>  Saggi  di  Cor- 
tona  t.  a. 


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Libro  I.  Cavo  I.  :  a 

graadfzìEa  lena  ^  diffidle  a  deternùnare;  Biase 
pùnto  merìtuiQ  viguwdo  le  opÌDÌoni  de*  cronologi 
in  tempi  così  rìmoti^  abbiamo  da  credere  ch'es- 
«  passassero  io  Italia  drca  direct' anni  dopo  la 
guerra  di;  Troia,  e  pii^  dì  dilato  avanti  la  foo- 
dazioae  di  Roma  •  Ma  assai  più  certo  k  che  ,i 
Toseaaì ,  i  quali ,  regoandD  in  Roma  ^i  ultimi 
re,  già  stavaa  sull*  orlo  delta  decadenza ,  aveano 
soumessa  al  dominio  loro  la  più  felice  metà  dì 
tutto  il  paese  Italiano .  Percioediè ,  oltre  l*  Eteu- 
ria  propria  che  si  estendeva  tra  V  Apeuiitio  >  il 
mare  Timno,  il  fiume  Maci-a,  ed  il  Terere; 
passato  r  Apeooioo ,  s^.eraoo  allargati  fin  presso 
«II*  Adige  nel  paetd  de' Veneti,  ed  aveano  occu- 
pata |a  Campania,  ciie  fa  dagli  antichi  stimato 
paese  felicissimo  eopra  ogn* altro.  Pare  cbe  ì  To- 
aeani ,  o  Tirreni  oominoiassero  a  decadere  dal» 
I*  antico  stato  e  potere ,  da  che  cessando  di  gO" 
vecAarsi  setto  un  sol  otpo,  come  si  reggeran  da 
prima,  si  divitercf  in  piìi  dinastie  ^  o  repubbliche 
indipendenti  T  usa  dall'altra  (i).  Dall'altro  can- 
to caduti  noli'  oaia  e  nel  lusso  per  la  fertilità  del 
paese ,  per  la  prosperila  delle  prime  imprese , 
del  commercio,  e  delle  arti  eh' eseroitartmo ,  tro-^ 
varonsi  aUa  fine  esposti  a  quelle  vicende  e  rovi-r' 
ne ,  a  eui  soggiacciono  tutte  le  cose  umane .  Gran 
cose  véramente  appresso  gli  antichi  scrittori  e  La-* 
tini   e  Greci  lediamo   del  lusso   dei  Tirreni,  e 

COStrab.  1.  S,  p.  >5a. 


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4  Delle  RivoLtrzion  u*  Italia 

de*  vizi ,  che  rade  volte  ne  van  diagiuati ,  libìdini, 
golosità^  mollezze  d'ogni  genere,  superstizioni, 
incantesimi ,  venefìzi .  Ma  non  è  però  aerto  so 
tutte  queste  cose  si  debbano  rapportare  a  quel 
tempo  ch'esn  erano  emoora  signori  di  ben  mez- 
za'Italiai  ovvero  a' quello  in  cui  già  si  trovavan 
respinti  dentro  ai  termini  dell'Etrurìa  propria  i 
percioochè  non  solo  Diodoro  ed  Ateneo,  ma  ao- 
oora  Platone  e  Teofrasto,  ohe  del  lusso  de' To- 
scani sparlarono  assai  fortemente ,  scrìveano  io 
tempo  che  già  questi  avean  ceduto  ai  Galli 
ed  ai  Sanniti  forse  i  due  terzi  idei  lor  dominio. 
Del  resto ,  non  ohe  sia  per  recar  maraviglia  oh« 
il  lusso,  la  mollezza,  il  fasto  duri  tuttavia  in.una 
nazione  decaduta  dall'antica  potenza^ e  rìputaxio' 
ne,  ma  egli  si  vide  assai  comunemente  suocedere 
il  somigliante  dì  molte  città  e  pòpoli ,  1  quali  in 
vece  di  scemare  accrebbero  il  fasto  dopo  estero 
caduti  di  stato,  e  passali  sotto  il  dominio  tfca^ 
siero.  L'ambizione,  e  tutti  quegli  umori  cho 
qualche  volta  trovalo  sfogo  nelle  cose  dì  gov»- 
no,  sì  rivolgono  poi  unicamente  alle  arti  de' pìa- 
cerì,  e  ad  ima  certa  ambizìon  privata  e  (delica- 
tezza.  domestìoa ,  quanto  la  naturai  fecondità  del 
paese  il  può  comportai^ .  Ma  con  tutti  ì  vizi  che 
oscurarono  le  virtìi  degli  antichi  Toscani,  pur 
fanno  assai  chiara  testimonianza  le  memorie  de- 
gli antichi  tempi ,  eh'  essi  furono  de*,  primi  .a  di-' 
rozzare  la  selvatichezza  di  queste  provincie.  fj 
già  avea  l' Italia  deposti  in  gran  parte  i  costumi 


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LiBBo  I.  Capo  I.  5 

lKiii>aTl  e  ferini  de'  primi  tempi,  allorché  essa  fu 
dalla  barbarie  di  straoierì  popoli  Duovameate  agi- 
tata e  sconToIla- 

CAPO     n. 

Qaal  mutazione  recasse  ail'  Italia  V  ùwasione 
de^  Galli  circa  gli  anni  di  Roma  trecento  cin- 
quMUta. 

ilira  usanza  delle  anticliìssiine  genti,  che  quan-  ^-^^  '^"'' 
do  troTavau  nelle  città  o  ne'  borghi  loro  talmen- 
te accresciuto  it  numero  delle  persone ,  che  '  il 
teTntoria  non  bastasse  a  nodrirle,  allora  manda' 
Tasi  una  parte  della  g^orentù  a  procaodarsi  ven- 
tura ia  qualunque  paese  si  fosse  loro  parato  in- 
nanzi, dove  o  coli' armi  in  mano  potessero  occu- 
par terreno,  o  dagli  antichi  abitatori  men  nume- 
rosi fossero  amicfaeTolmente  ri^oevutj ,  e  messi  a 
parte  del  territorio  capace  di  sosteoere  maggior 
numero  di  coloni .  Si  fatta  usanza  fit  per  lùolte 
età  cagione  all'  Italia  di  grandi  e  quasi  continua 
rivoluzioni ,  fin  a  tanto  che ,  perfezionatasi  la  col- 
tivazione, le  terre  poterono  somministrare  nuig- 
^r  copia  dì  viveri;,  e  pel  commerzio  e  le  arti 
ette  s' introdussero  a  poco  a  poco ,  sj  furono  mol- 
tiplicati i  mezzi  di  sostentarsi,-  e  le  società  civili 
cresciute   e  stabilite,    preso   più   aflett»    al   suol 


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6  DEtLE  RivomzMKi  d'Itaiu 

natio ,  abbandonarono  il  costume  antico  di  tramitt 
giare  cosi  leggermente  (i).  Nel  tempo  stesso  I« 
guerre ,  cui  niuna  civiltà  di  costumi  poli  mai  le* 
var  via  del  mondo ,  e  cbe  piuttosto  nascono  na- 
turalmente daita  frequenza  delle  ciiià  e  società 
ordinate,  servirono  in  parte  a  snemar  di  tanto. in 
tant'i ,  ed  esaurire  la  soverchia  popolazione  ;  e 
cesK^  anche  per  questo  io  motti  lunghi  iJ  bisogno 
di  mandar  fuori  numerose  turbe  alla  ventura  .  Ma 
le  regioni  più  occidentali ,  come  ermo .  le  Gallie 
rJKpetto  all'  Italia ,  essendosi  più  tardi  popolate , 
ritennero  anche  più  tardi  quella  sfessa  barbarie 
di  cui  riJalia  sì  era  io  buona  parte,  purgata: 
laonde  durava  in  quelle  nazioni,  anche  due  miU 
le  anni  dopo  il  diluvio  universale,  jl  costume  di 
egMvar  per  via  d*  emigrazione  le  città  della  so- 
verchia moltitudine»  a  cui  1* ignoranza  delle  arti 
e  della  politica  non  potea  provvedere  oè-  tratte- 
nimento ,  oè  cibo .  JSarraao  adunque  le  antiche 
«toiie  (2),  poco  discordanti  su  qurato  punto,  tìif 
Ambigato  re  de' Celti,  trovando  i  suoi  popoli  di 
soverchio  moliiplic^ti ,  pensò  di  sgrajarne  il  pae- 
se, niandandone  parecchie  migl'aìa  a  procaocian- 
ti  altrove  istanza  e  pastura  ;  ■  e  che  una  parie  di 
questa  gente  sotto  la  condotta  di  Belloveso  patmò 
-in  Italia ,  e  caccio  i  Toiicam,  o  quali  altri  si  foa- 
iScro  i  vecchi  abitanti  dei  paesi  do\'e  sorsero. poi 
cui  temj-o  le  città  di' Milano,   Pavik,   fiaocnza., 

/t)  THoB.  Hiiiic.  1.  I ,  e.  3. 

(iJ  Liy.  1.  5.  -r  ^lut  ia  Camill. 


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Libro  I.  Capo  li.  7 

Qtttaoni.  Gfì^sti  primi  venuti,  trovania  dnk^e  « 
oopioso  pascolo  in  queste  contrade',  vi  traascro  aU 
Ui  lor  paesaói .  Racoontast  ancora  che  Amate , 
1X00  de*  principalt  della  nazion  Toscana,  per  sue 
private  brighe  e  gelosie  invitasse  con  doni  e  prò* 
messe  qae*  b-irbarì  a  paiisar  io  Italia .  Se  questo 
h,  molto  antico  sarebbe  il  primo  argomento  del* 
la  fatai  condizione  d*  Italia ,  di  dover  per  le  sue 
intestine  discordie  essere  tante  volte  oocupata  « 
Mgnoreggiata  da  genti  Oltramoataoe .  Ma  a  dir 
vero ,  una  sola  cosa  è  certissima  fra  tutte  queste, 
per  Don  dir,  tradizioni  delta  venuta  dei  OalU  Cel- 
ti in  Italia;  ed  b  cbe  circa  gli  anni  trecento  cin- 
quanta della  fbndazion  di  Roma,  e  quattrocento  ^  .  i^^r 
avanti  l'era  volgare  (  Air,  del  m.  8600.  )  i  Galli,  ^y»  ^ra 
occupata  gii  una  buona  parta  del  paese  vicino  al  ^^  ;-,  ,:< 
Po ,  si  avaniarono  netl*  Etruria  o  Toscana  propHa 
fino  alle  maremme  di  Siena,  àov'  era  la  famosa 
ao  tempo  ed  or  piccola  t  deserta  città  di  Chìus^ 
e  preaero  ancora  ed  abbruciArouo  Roma.  Ma  o 
essi  non  *i  curarono  dì  nuove  oonquistc;  da  eb*, 
essendosi  mossi  dal  natio  nido  per  fi^re  1*  mtv* 
zia  e  la  hit»,  ebber  trovato  eiò  cbe  desiderava- 
no lungo  il  corso  del  Po;  o  Veramente,  per  di- 
fendere le  occupate  proviacie  *  le  caso  loro  dal-* 
Tarmi  Venete,  dovettero  lasciar  il  pensiero  di 
estendersi  piìt  largamente  nella  bassa  Italia  ;  0  In 
qtmltmque  modo  la  toxi»  ferocia  loro-fii  sàpera- 
ta  dalla  maggior  accortezza  degl*  Italiani,  i  quali» 
desti  e  ammaestrati  dalle  prime  perdite  ioopioate» 


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B  Delle  RivM,eziom  d'Italia 

provvidero  poi  bastevolmènte  al  propria  stató 
per  I*  avveDÌre .  Nieatedjmeiio  il  cambiamento 
che  riovasion  di  que*  popoli  Transalpini  reco  al- 
le cose  d'Italia,  fìi  grandissimo  fìior  dì  dubbio., 
S'impadronirono  in  primo  luogo  della  migliore  e 
più  felice'  parte  di  questa  provincia  ;  e  separan- 
done quasi  Finterà  metà  da'  tutto  il  corpo,  le 
fecero  totalmente  cambiar  leggi,  e  costumi,  e 
nome .  Gli  uni  si  stabilirono  intorno  al  Po ,  allaT- 
igandosi  nulladimeno  per  tutto  quel  paese  che  for- 
ma il  ducato  di  Milano;  e  questi  ^  prendendo  for- 
se  il  nome  da'  popoli  che  so^ogarono ,  si  cbia' 
marono  Insubri.  Quelli  cfae  più  c^tre  s'avanzaro- 
no,  doT'e  ora  sono  Bergaimo  e  Brescia,  ritennero 
il  patrio  lor  nome  dì  Cenomaoi .  I  Ben  s' annida- 
rono  più  vicini  all'  Etrurìa,  dove  or  sono  Mode- 
na, Reggio,  e  Bologna  che  prese  Ìl  nome  da  lo- 
ro .  Gli  ultimi  che  ci'  vennero ,  che  furono  ì  Se- 
noni,  si  andarono  stendendo  verso  l'Umbria  fio 
presso  Rimini'.  Coà  tutto  quest'  ampio  tratto  di  . 
paese ,  che  dopo  la  decadenza  del  Romano  impe- 
rio fu  detto  Lombardia,  e  che  da' Galli  stessi,  che 
r occuparcmo ,'  prese  it  nome  di  Gallia  Cisalpina, 
si  trovò  diviso  dal  f^to  d' Italia  ;  laddove  per'  tre 
secoli  interi  quella  che  tenne  il  nome  d'Italia, 
terminavasi  all'Arno  Vicino  a  Fisa,  e  al  Rubicon 
ne  tra  'Rimim  e  Ravenna. 

Vero:  h  che  tra  questi  termini  e  le  Alpi  re- 
starono' tuttavia  alcune  nazioni ,  che  o  per  natia 
ferocia  e  per  T  asprezza  de' luoghi  che  abitavano. 


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LiÈRO  I.  Capo  II.  9 

o  per  la  prudenza  «  l'arte  militare  die  pro&ssa- 
TQDo,  o  non  faroDO  assaltate ,  o  non  poterono  es- 
sens  superate  dai  Galli .  Tra  queste  furono  i  Lir 
gurì ,  sotto  it  qnal  ooiDe  converrà  comprendere 
gli  anlicbì  abitatori  del  Piemonte;  ì  Salassi,  «he 
teoevano  la  valle  d'Aosta  e  qaeUo  dui  or  chia- 
masi Caoavese,  dove  fu  pò!  da*- Romani,  che  a 
grande  stento  li  domaxono,  edifisata  Ifrea;  e  fi- 
nalmente i  Veneti*  posti  tra  T Adige  e  il  fondo 
dell'  Adriatico ,  paese  che  fin  dalle  rimoté  età  par- 
ve essere  destinato  ad  aver  sorte  diversa  dalle  al- 
tre provinde  d'Italia  e  del  mondo  (i)!.  Né  fu  di 
minor  momento  alle  cose  d' Italia  (  oltre  quello 
d' averne  dismembrate  le  migliori  proviacie  )  un 
altro  efietto  che  nacque  dall*  essersi  annidate  dea* 
tro  a'  confiiii  suoi  quelle  allor  sì  ferod  ed  inquie- 
te, oazioni-di  Transalpiai.  Impercio<»:hè  le  repub- 
bliche o  i  tiranni  d*  Italia ,  in  cui  rade  volte 
mancavano  i  semi  di  gelosìe  e.  di  disooniic,  eb- 
bero  la  vicinanza  de*  Galli  1  ogiloi-  pronti  o  per 
denaro  o  per  naturai  leggerezza  a  prender  V  armi 
e  seguitare  chi  li  chiamava ,  come  un'  oppoHum- 
tà  dì  turbar  le  cose  degli  emoli  e  de*  vicini. 
Una  generazione  di  Galli  eravi  spezialmente,  chia- 
mati Cesati  o  diremo  noi  stipendiar!,  i  quali, 
per  certa  ior  feroce  vaghezza  d' acquistar  gloria  , 
facean  proprio  mestiere  d*  andare  al  soldo  di  chi 
che  si  fosse,  ed  in  ogni  occasione  la  facevano  da 

(0  Slrab.  1.  4,  p.  1^0-41. 


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lo  Decls.  BivoLOZion  d*Itaua 

eaporal!  e  da  brari  (i):  degna  gente  d'assomi- 
gliani ,  non  ào  s*  io  deiiba  dire  a  que*  paladiai 
che  mill'anpi  dopo  diedero  tanta  materia  ai  ro- 
inatiri ,  ovvero  a  ffieìh  oompagnie  d*  avrenturie- 
ri  che  nri  decimoquarto  e  nel  deeimoqwnto  se* 
eolo  dell*  era  Cristiana  pigliavSDo  stipendio  or  qak 
or  IJt  dagli  stati  d*  Italia .  Del  resto ,  tutto  qnel 
tratto  di  paese  che  rìteonr  il  pome  d*  Italia  e 
ohe  pub  ohiamarsi  Itale  antica  «  dui-ò  tuttavia  dì» 
viso  io  motti  ttatì  diversi ,  non  allrinif  otÌ  eh'  egU 
sì  fosse  '  avanti  l' mvasione  de*  Galli .  E  comerhè 
altro  quasi  non  sappiamo  di  quegli  slati ,  fìmrufaè 
ei&  solamente  che  riguarda  le  aolicbità  di  Boma, 
t  che  ricaviamo  dagli  scrìltort  delle  cose  Boma^ 
ne;  egli  è  nóndioieno  bm  certo  ehe  cent'anni 
avanti  >  e  poco  men  che'  altri  cent*  anni  dopo 
Alessandro ,  fiorivano  in  Italia  molte  narìosi  ed 
infinite  repuhMiche  indipendenti ,  le  più  dello 
quali  potean  dare  più  nieteria  dì  Mnrìe .  che  per 
avventura  noa  fece  Roma  fino  al  tempo  della 
giuerra  Oarlaginese  :  e  non  h  dubbio  che  molte  ne 
sareblìero  state  assai  famose  nella  memoria  de'  pò* 
sieri,,  se  avessero  trovato  un  Tucidide,  un  Srno> 
foiUe,  o  UD  Pausanìa,  che  avesse  sctitlo  di  loro. 


fi)  Poljb.  1,  3  ,  e.  sa. 


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lAtìHo  I.  Capo  ffl.  ut 

C    A    P    O       HI 

J/t  ^uarOe  mizhnì  nstaasé  £vlsa  i'  Italia  atrtt^- 
ca,  eoH  detta  propiiameìtìe  ;  e  ^mU  ne  fosatro 
h  foni. 


Q™ 


Quantunque  todiose  nefcano  d'onKoarìo  le  im» 
merazioni  e  le  rasRegoe ,  non  poiao  perb  pass» 
queito  luof^osrnz'additara,  aliaeno  «osi  alla  sfiig-' 
gita ,  le  nozioDÌ  ItaKaoe  cbe  fuori  della  Gallia  Gìt- 
aiptna  fiorivano  a'  tempi  di  Ruma  deotio  i  ter- 
mini,  dell'antica  ItiJia  testé  accennati.  Rimetterti 
del  resto  ì  L^ìtwi  che  fosier  vaghi  'ài  più  esat^ 
to  ragguaglio,  o  a  Strahone ,  «  a  CluTerìo,  o  « 
qaalohe  altro  secktore  d^aatica •  geografia  (i^. 

(t)  fta  ir  libri  pnbMtmt  finan  fpoìtM  Mp(>nRioeb« 
tiene  inedite  aaove  uxervaùouf  tofità  (|umu  mÉttria^^  ol- 
ire l' Italia  attica  del  Cluverio,  o  il  OoiTfpendio  che  ne 
fece  Giovanni  Bunonc,  poMono  vnlerst  i  Paralleli  geoera- 
fici  del'UncEip  ^Append-  ad  t>  3.  )i  la  Gea^afia  antivt 
del  Cellario  al  cap»  nono  del  libra  aecuudo;  il  ragiona^ 
mento  del' MarTei  sopra  gl'Itali  primitivi,'  sUrtipalo' alla  fi- 
ne iléll^  >aa  Storia  d'p'omatica ,  tao  quel  di  pìb^cbe  ui 
lasciò  nel  quatto,  oiiiuto  e  seil*  ismo  delle  OsservaiioiU 
letterarie;  le  Ricerche  sopra  V origine  e  l'antica  istoria 
dei  vari  popoli  dell'  Italia  ,  del  Freret  (  Mémor,  de  C  Aco' 
dem,  dei  inscrip'.  et  beli.  leti.  t.  i8.  }•  Gioverà  altresì 
vedere  le  Origini  Italiche  di  monsignor  Maiio  Uuaraucci, 
stampate  ulti  inamente  in  Lacca  in  due  lonii  infogliu  ,  aa- 
coi<;hè  le  opiiilotw  di  lui  non  nieiio  per  concordar  facil- 
mente col  parere  d'altri  eruditi:  ma  come  tu  »  fatte  cose 
è  lecito  ad  ogniiao  sentire  e  cougetluraro    a    mo   tal<nla> 


ovGooglc 


J:»  DéXLE  RjVOLyzioNl  d'  ItALlA 

l  Toscani,  ancorché  avessero  perduti  gli  sfa** 
ti  che  prima  tenevano  dì  qua  dell'  Apennino  « 
erano  tuttavia  per  que'  tempi  nazione  grande  e 
potente ,  possedendo ,  oltre  alle  città  che  ancot 
{onnano.il  granducato  di  Toscana,  buona  parte 
ancora  di  ciò  che  oggi  si  comprende  nel  donuBÌó 
Ecclesiastico ,  come  il  patrimonio  di  san  Pietro  , 
le  Provincie  d'Orvieto  e  ài  Perugia.  K  non  sola- 
mente tutta  insieme  la  nazione  Etnisca  suprravd 
di  gran  lunga  Io  stato  de'  Romani ,  ma  poco  meo 
che  ciascuna  delle  dodici. dinastie,  in  cui  era  divi- 
sa, potea  gareggiar  con  Rmiui  .  Vei  o  Veiento, 
allcox^è ,  dopo  quel  lungbisnmo  e  famoso  asse' 
dio ,  fu  alla  fine  espugnata  dai  Romani ,  era  ri- 
gualcata  o(KDe  città  d' uomini  e  di  forze  uguale 
a  Roma  (i):  eppur  Veiento  noa  dovea  superare  y 
o  certo  non  superava  di  molto  Cortona,  Phu^v 
Viktezzo,  Volterra,  e  Chiusi. 

Un  altro  bucm  tratto  d' Italia,  non  mferiore 
alla  Toscana  propria,  era  abitato  dagK  Umbrr, 
nazione  che  fu  per  lungo  tempo  emola  de' Tosca- 
ni :  e  eomechè  non  contasse  allora  città  cosà'  gran- 
di e  popolose ,  quali  erano  le  Toscane ,  ve  ne 
aveà  pur  tuttavia  dì  molte  ed  assai  raggnardevo- 
K,  come  Sanrina,  Urbino,  Camerino,  Gubbio, 
Spoleti,  FoligDOf  Todi,  Terni,  Narni ,  ed  Otricoli, 

coli  d^bi amo  aBlI&dimeao  sapet  knaa  grado  a  cbi  ci  pò- 
ne  tlavanti,  o  ajiche  ne  addila  soltanto    i    niaDuiiieDlì,Gb« 
fanno  il  loggelto  di  laii  ricerche  e  coogelture. 
(i)  Plut.  la  Camill. 


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Dbro  I.  Capo  10.  -  »3 

slcnne-  delle  quali  rheugono  aneora    gli  antichi 
nomi  (i). 

Vicini  all'  Umbrìa  erano  i  Sabiói ,  abitatori 
d' un  paese  meno  grande  e  meoo  fertile ,  ma  per 
virtÌL  e  fone  ancora  per  numero  d' uomini  noi» 
inferiore;  i  quali  acoome  si  mantenDero  sempre 
liberi  dalla  dfnntnazion  de*  Tosoaoi  e  deg^  Um- 
bri, con  federo  lungameate  ohe  iàre  a*  Romani. 
Peroecbb  quella  gente  sfas  si  crede  ewer  v«niitm> 
eoa  Tito  Tazio  adooirsi  dopo  nxJte  battaglie  in' 
un  sol  corpo'  eoi  piùai  Romani,  non  poteaenie-i 
re  più  che   ima  piocdissima  parte   della   oazion 


Di  quella  proTÌncia  oba  fa  poi  tutta  coin-^ 
ptesa  ool  nome  di-Laaio,  e  ohe  or  chiamasi  cam-'. 
pagna  di  Roma,  una  piooola  porzione  tt-a  ooen- 
pata  dai  Romani  anche  dopo  ranno  quattroiìen-"^ 
tesimo  dxAla.  lor  fondazione .  Csnciotsiadhè ,  <^tre 
i  Latini  propri,  o  Eia  gli  abilatcni  del  I^azio  an- 
tico, di  cui  'Al  pasta  lo  itàto  diAoma,  sussisteva- 
no  qiiBttro  potenti  e  fìnooi  popoli.  Equi,  Volsci, 
Erniei,  ed  Ausoni.;  ciascuno  da'  qu^i  oredevasi 
di  andar  del  pari. e  .stai«;a  frtwteddla  repubbli- 
ca Romana  fino'  quasi'  ai  tea^i  della  guerra  dì 
Pirro.  .  . 

In  quel  lungo  trotto.  d'IitaKa  ohe  or  chiama- 
si regno  ,di  Napoli ,  molti  erano  gli  stati  e  liberi, 
e  potenti.  Vi -erano  i  Marsi,  rVestini,  i  Peligni, 

(i)  Stnb.  I.  5,  p.  i5*. 


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i4-  Delle  BivotuzioHip*  Italia 

i  MarrueÌDÌ,  i  Ferentanij  e  i  Sanniti  «  oba  ft- 
bìtavano  quello  cbe  ora  chiamasi  Abtu2zo,  o 
parte  d«IIa  Puglia.  GlUrpiai ,  i  Oaunit  j  Mesea- 
^,  i  Pcììoezi ,  i  SaWntini  soggioraavaDo  dov*i  or« 
k  terradlBari,  d'Otranto,  e  la Battiltcata-- <juÌD- 
dì  «cendendo  verso  la  moderna  Calabria ,  v'ei^a&o 
i  Lucasi,  i  Bruci,  i  Fìcentinìt  i  xjuali  tuttt  o$-< 
CUfiATaDo  altrettanto  e  più  di  paese,  che:<)ualm« 
^no  ù  voglia  de' quattro  popoli  dej  DomeXatioo; 
Q  mohi  di  loro  poscedevand,  piìi  terreno,  «bsDfW- 
vaia  tutto  insieme,  il  Lazia  adfa  sua  maggior  cstea" 
«otte.  I  Campani  poi,  chic  teneviui)  h  miglior 
parte  di  quella  provincia  cbe,  per  1* eccellente  iu& 
fertilità' V  ottenne  il  «locae  di  terra  di  Lavoro, 
dov'  era  ed  è  tuttavia  NapoU,:dov'  k  U  jiuova  a 
dpve  fu  già  ta  famosa  antica  Capoa4  foswdevaao 
un  molto  ragguardevole  stato.  A^'iu^anni  a  tut- 
te queste  nazioni  o  repubbliche  molte  ciUà  ma- 
xittiraa  le  quali  ikeerano  «tati  separati  da*  popoli 
del  continente ,  come  Tare&to ,  Tulio  o  Sibari ,  ' 
fr^lea ,  leggio  ,  e  Crotone  ;  le  quali  tutte  così 
non  erano  dì  forzq  inferiori  alle  città  marittime 
dell'Asia  Mincure  e  della  Grecia,  nome  quelle  del 
continente  potevano  gareggiare  con  le  più  ùaao» 
repubbliche  del  Peloponneso  e  dell' Acaia. 

la  fatti,  di  quelle  ionnmerabUì  repubbliche 
qbn  rìempievan  V  Italia .  niuna  «a  di  sì  poco  sta-, 
to,  cbe  non  potesse  mandar  in  campo  da  dieci 
o  quindici  mila  uomini  armati,  o  almeno  col  van- 
taggio  delle   muraglie    e   del  sito    difendersi   da 


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Loro  I.  CavoUL  i5 

podenin  esmàti  di  Mtalìfoiì"  Afolte  poi  n^'eratio, 
ohe  di  tre  in  tre  lustri  ne-nundafan»  foorì  qua- 
ranta e  oinqnaota  iniiat  eomr  fecero  «erameDttt 
più  fiate  i  Volici,  i  Iiatioi,  e  i  S«oaki>.  B  w  voi 
vogliamo  teaer  dietra  «Ile  pvti'iipUrìti  chd  ei  In* 
sdarono  gli  antielii  geografi  •  ^riei  (t)v  troTÌ«- 
mtk  die  ì  Crotmiatì  annarooo  cento  e  tnnUt  nùr 
la  uomini  /  e  i  Sibariti  trecento  niUt  pbe  \  Ta- 
rentini  m^adarono  f>ttaDta  miht  fanti  coli  otto  mi- 
la eavaUi  d*  aiuto  ai  Sonoit!^  e  cbe  »  Tap^woii» 
per  mesco  de*  loro  ambasoiaderì  al  n  Fin»  di  po- 
ter metter  iHHeine  sotto  al  suo  comando  treoent» 
e  veni!  mila  cavalli  e  fanti,  di  Liicànì.  Mnsapi» 
«  ài  qualobe  parte  del  Suinio  (2)  .  Vogliamo  «ti 
buon  grado  supporre  ebe  in  tali  racconti  o  vi  sie- 
no  scorsi  sbagli  ed  '  esagevaiiioai  ftotevoU,  0  vera- 
aienfe  cbe  cotesti  fatti  arvenissero  in  tempo  che 
Sibari  e  Crotone  e  Tarento,  o  qualche  tiranno^ 
ebe  regnasse  in  qadle  città,  avessero  a  lor  divo- 
sioDe  altre  terre  o  nazioni,  e  che  le  truppe  arma- 
te da*  popoli  soggetti:  e  confederati  si  denominas- 
sero dalla  città  prìacipale  e  dominante.  Ma  per 
grande  ebe  si  faocia  la  diffalta ,  noi  non  posiamo 
tuttavia,  Senza  rivocar  in  dubbio  ciò  cbe  Ì  più 
riputati  scrittori  delle  storie  antiche,  ci  anno  la* 
sciato ,  e  senza  abbandonarci  al  piii  intollerabi- 
le pirronismo ,  non   possiamo ,  dico ,  negare  che 

(t)  $trAb.  ].  .6,  p.   180-81.  —  DioH.  Sieul. 
(i)  PluL  ia  Pyrrlio.  — FrcinsLfcniuiSuppl.Uv.dec.a, 
I.  a,  e.    12.  .'■•,:■ 


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i6  Delle  Rivoluzioni  o*  Italia 

moltissime  nazioni  Italiane,  bmchè  ristrette  in  bre- 
vi confini,  pur  fossero  nientedimeno  potentissime  e 
di  grande  stato.  Un  celebre  serittor  moderno  (r); 
il  quale  si  mostrò  tanto  incGnato  a  credere ,  e  si 
^diò  di  mostrare  non  essere  stato  '  il  mondo  an- 
tico sii  pieno  idi  abitanti ,  siccome  stimasi  volgar- 
mente (2) ,  si  ride  costretto  dì  fare  in  quel  suo 
discorso  quasi  una  continua  eccezicMie  riguardo  al- 
V  Italia ,  ìa  quale  egli  consente  ohe  ne'  primi  tem-< 
pi  della  Bomana  repubblica  '  dovesse  ecs««*popo- 
ladssima  sopra  tutte  le  antiche  provincie .  Una 
pniova  pivssoohè  evidente  (  per  lasciar  da  un  la- 
to tatti  gli'altri  indizi  ed  argomenti  partioolarì  ") 
possiam  trarla  dalla  rass^na'che  fecero  i  Boma-' 
ni  dèlie  truppe  lor  proprie  e  de'  confederati  Ita- 
liani, in  occasione  cbe  sì  temeva  -  d' una  miova 
irruzione  di  barbari  Transalpini .  Leggest  quesE» 
rassegna  distesamente,  in  Folibio'  (3)  * -scrìttoro  dì 
queir  autorità  che  tutti  sanno;  e  fti' riferita  anco- 
ra da  Fabio  Pittore ,  che  a'  tempi  di  panile  im- 
prese sostenne  ndla  repubblirà   le    prime  earìefae 

(i)  DavM  Haute  Diiconn  sur  le  nombrt  àés  lubiuia 
panni  qaelques  anciennes  DatioDs.  Disc,  polilicj.  t.   i, 

(3)  M.  Wallace  nel  suo  Saggio  sopra  la  differenza  dc£ 
numero  degli  abitanti  ne*  tempi  antichi  e  moderai ,  «ostie'' 
ne  MO  più  giustezza  e  più  foodamentg  l'opiaioQ.e  coptra- 
ria  a  quella  del  sig.  Hunie:  dico  con  più  giustezza  ,  per- 
che  quaniuuqtie  il  sig>  Hume  traiti  co»  mólta  erudieione 
il  suo  argomealo ,  e  non  senza  riUeuioai  vei'issiine  ,  cnn- 
foade  tuttavia  i  tempi,  mal  dUtiuguendo,  eìempiEiazia , 
il  SI  colo  di  Pirro  da  «jucl  di  Cetaic  . 

(5)  Polyb.  I.  2,  e.  34.  .    . 


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Libro  I.  Capo  DI.  ^  17" 

eo^  civili*  che  militari  (i).  ,Noì  troviamo  dun» 
que ,  che ,  suU'  avviso  della  venuta  de'  Galli ,  ;  i 
Sabini  e  i  Toscani  armarono  settanta  mila  fanti , 
e  quattro  mila  cavalli  ;  ^i  Umbri ,  e  certi  popoli 
(  Sarcemtea  )  abitatori  deir^Apennino  di  quella 
banda,  vénti -mila;  i  Romani  venti  milA  fanti,  e 
mille  cinquecento  cavalli;  i  Latini  trrntadue  mila 
tra  cavalli  e  fanti;  ì  Sanniti,  comechè  usciti  pur 
allora  da  quella  rovinosa  guerra  Romana  »  in  cui  . 
perdettero  per  Io  meno  da  cento  mila  uomini ,  in 
più  battaglie ,  pur  mandarono  sotto  il  comando 
de'  Bomani  settanta  mila  fanti,  e  sette  mila  ca- 
valli; i  Ia{Hgi  e  i  Messapi  cinquanta  mila  d*  in- 
fanteria ,  e  sedici  mila  di  cavalleria  ;  i  Lucani  tren- 
ta mila  fanti ,  e  tre  mila  cavalli  ;  e  tra  Marsi , 
Marrucini,  Ferentani  e  Vestini,  ventiquattro  mila 
tra  fanti  e  cavalli  :  cosicché  nella  somma  totale  sì 
trova  che  da. una  minor  parte  d'Italia,  che  noQ 
comprendono  ora  lo  stato  del  Papa  e  il  regno  di 
Napoli,  si  armarono  allora  di  primo  tratto  più  di 
settecento  mila  uomini  (z);  numero  senza  dubbio 
maggiore  di  quanto  ne  possono  metter  insieme  duo 
delle  più  grandi  e  più  fiorite  monarchie  d'  Euro- 
pa. E  se  noi  riSettiamo  che  le  guerre  Galliche  e 
Cartaginesi,  nelle  quali  troviamo  che  si  armarono 
tante  migliaia  d*  uomini ,  avvennero  in  tempo  che 
non  solo  ì  Sanniti ,  ma  tutti  gli  altri  popoli  Ita- 
liani erano  pei  disastri  delle  guerre  eh*  ebbero  a, 
Tomo  I.  2 

(i)  Ewtrop.  ).  5,  C.-5. 

(?J  Polyb.  1.  cil. 


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i8  Delle  Eivolvzioki  d'Itaua 

sostenere  da  Roma,  fortemente  caduti  da  qaeì 
cb' erano  ceDt'aDoi  Addietro;  dovremo  quindi  ar- 
gomentare che  a*  tempi  di  Pirro  tatti  i  «uddptti 
popoli  potessero  annare  uo  molto  maggior  nume' 
ro  di  gmte,  che  non  fecero  nel  caao.  riferitoci  da 
Polibio  (i).  Del  resto,  egli. è  ben  certo  die  que- 
gli stessi  popoli,  i  quali  maodarano  quella  gente 
come  per  suwidìo  e  per  taglia  a*  loro  alleata  • 
avrebbero  posto  in  arme -agevolmente  tre  o  :  quat- 
tro v<^te  altrettanta  moltitudine  d*  uomini,  la  qua- 
lunque occasione  di  guerre  e  di  pecicoti  loro  pro- 
pri a  particolari.  Vera  cosa  È  che  se  nella  piiesQD- 
te  coodizion  de'goverai  e  secondo  i,  costun^  no- 
stri, non  può  ubo  stato,  senza  particolarisatma ec- 
cellenza d*  ami&istcaaione  o  senza  propria  rori- 
na;  sostener  maggior  numero  di  soldati»  che  in 

(i)  Tito  Livio  in  parecchi  laogìii  della  tCTEa  deca  ri- 
feriice  espiesumeate ,  che  i  ftomani  dopo  le  «confitte  di 
Trebbia,  e  di  Tratìmena  e  Cinne,  rimettevano  it>  campo 
or  diciotlo ,  e  or  pìin  di  venti  iegioni  i  summa  trium  et  vi- 
ginii  legionum  eo  anno  (558)  effectaest.  Lìv.  I.  aS  ;  cbe 
vaol  dire-  cento  e  più  imla  oominì/  e  queiti  «celli  da  una 
piccoliMÌma  parte  d'Italia,  giacché  è  bea  noto  che  le  frap- 
pe ausiliarie,  compagne  ed  amiche  del  nome  Latino,  non 
entravano  nelle  legioni .  Tfel  tempo  »Xtua  «i  fa  menzione  di 
trentacinqne  milaCampani,  dr  sedici  mila  Locresi,  di  qua- 
,  si  alirelUoti  Lacani  ,  e  cojì  di  Bru^t  e  di  SalentÌDi,  i 
quali  faceano  loro  spediKÌoni  gli  unì  contro  gli  altri  indi- 
pendentemente da'  Romani.^  da' quali  O  si  erano  ribellati, 
o  etano  stati  abbandonati .  Dopo  la  guerra  di  ADDÌbaic, 
tnttì  quegli  eserciti  cbe  conquistarono  la  Grecia,  la  Mace- 
donia, e  st  gran  pane  dell'Asia,  erano  pur  composti  dì 
soli  o  di  quasi  soli  Italiani  ;  e  se  facciam  ragione  alla  qua- 
lità delle  potenjEe  che  ti  ebbero  a  combatterà  ^  non  poli- 
Vano  non  essere  'Usai  nntner^ti  « 


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tiBìlo  1  Capo  AL  ig 

ragione  d*aQo  pw  eétto;  poterànn  in  quegli  ao-' 
tìchì  tempi  e  ìd  qua*  piccoli  stetì  arolare  senza  fa- 
tica otto  e  dieci  per  c^  cento.  Ma  noa  h  per- 
ciò men  niamfestD  che  una  città  o  un  tenitwio, 
per  mandar  m  campo  da  quindici  o  venti  mila 
armati ,  dovea  contare  da  dugento  mila  teste  di 
Aio  distretto  <  E  poiché  tanti  erano  i  popoU  e  la 
repubUiche  in  halia ,  a*'  quali  le  venti  migliaia  di 
ftritiatì  erano  piccolo  «fono,  parta  tuttavìa  cosa 
ìncredilHle  che  Tltalia  potelee  com^endere  e  no- 
drìre  cotanta  moltitadine  di  penone  ;  Per  intende- 
re adunque,  donde  potesse  e  prodursi  e  sostener- 
n  co^  numerosa  |»opolaiione  ^  non  ostante  le  guer* 
^e  e  gli  altri  flagelli  a  cui  fo  il  mondo  sempre 
Soggetto*  uopo  è  dimostra»  quali  fossero  i  costu- 
ini  e  le  atti  che  aìW  fiotÌTano,  e  le  qualità  del 
paese  che  ai  abitava. 

CAPO        IV. 
■  Èeemm^t  e  eommenio^degU  antichi  JtaSani. 

iNon  è  credibile  che  il  clima  e  la  naturai  qua- 
lità del  tarctto  Italiano  siensi  cambiati  da  quel 
eh*  erano  anticamente  ^  piuttosto  potrebbe  sppporsi 
che  il  clima  mtglicHrasse  ;  e  che  divenisse  general- 
tnente  più  temperato  e  più  mite  per  le  molte  fo- 
reste che  si  SODO  disfatte  non  tanto  entro  l'Ita- 
lia ,  quanto  ne*   paesi  vioiiu  deUe  OaUie  •  delia 


=dDvGooglc  " 


&0  Delle  VirvotxziGm  d*  Itaiu: 

<5«rinania ,  le  quali  antioamente  contrìbirivanp  a  mi'^ 
dere  più  fredda  l'aria,  e  però  meno  fertili  le  ter- 
re d'Italia.  Tutto  il  peggio  che  potrebbe  esserle 
accaduto,  riguarderebbe  forse  qualche  proviacia 
del  regno  di  Napoli ,  dove  V  eruzioni  del  Vesuvio 
avendo  più  volte  coperto  di  sue  ceneri  le  contrar 
de  vicine,  poterrao  corromperne  la  pristina  fecon- 
dità .  Ed  in  vero  ,  non  so  se  il  territorio  di  Capoa 
e  di  Napoli  corrisponda  presentemente  a  quella 
tanto  celebrata  dagli  antichi  scrittori  Campania  fe- 
lice. Ma  generalmente  non  poliamo  supporre  che 
la  qualità  del  terreno  e  del  nostro  cli^a  sia,  per 
cagion  fìsica  o  superiore  infiuenia,  diversa  da  quel- 
lo che  si  fòsse  una  volta.  N&  tampoco  le  terre 
Q*  Italia  possono  stimarsi  oggidì  deserte  ed  incolte;  e 
tuttavia  bastando  ella  appena  a  sostenere  forse  la 
Ventesima  parte,  per  non  dire  la  oioquantesiiuA , 
secondo  il  coniputo  che  ne  fecero  alcuni ,  della 
popolazione  che  trovavasi  due  o  tre  secoli  avanti 
r  era  Cristiana ,  parrà  cosa  incredibile  com*  ella 
potesse  contener  nel  seno  e  sostentar  tante  genti . 
Gioverebbe  forse  a  i:enderc)  persuasi  di  questo  fat- 
to il  ridurci  a  mente  l' antico  stato  della  Palestina 
a*  tempi  di  Saulle  e  di  Davidde  (i);o  veramente 
il  supporre  i  cantoni  più  popolati  e  più  colti  degli 
Svizzeri,  uniti  in  uno  stesso  corpo  di  provincia  eoo 
qualche  parte  della  Lombwdia ,  Perocché ,  assOf 
flìandosi  V  industria  e  il  vigor   degli  unì  con  Ut 

[i]  Vìauj  Moenr*  de»  (itb^Ijks,  Cb,  \- 


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liBftO  ì.  Capo  IV.         '  a« 

feflUìtà  dell'altra,  ne  lisi^terebbe un* immagine  dj 
ciò  ch'era  l'Italia  a  que'  tempi  che  discorriamo; 
ma  immagine  anoor  tanto  mÙDore.del  vero,  quan- 
to ì  <!oslumi  degli  Svizzeri 'odierni  sono  nella,  sem^ 
plicità  di  molto  inferiori  agi* Itali  antichi.  Non  i 
dunque  da  dubitare  che. la  aeinplicità.  de*  costu- 
mi t  una  vìtK  faticherole'  e  procacciante  •  e  la  ro- 
btistekza  che'  quindi  nasce  naturalmente,  erano 
al  tempo  stesso  cagione  della  crescente  popolazione, 
e  solvente  delle  facoltà  necesiarie  per  sostenwla. 
Che  tutti  generalmente  i  popoli  d*  Italia  . fos- 
sero^ qtiasi  per  propria  e  indispensabile,  professio* 
ne,  dati  così  all' i^rìa(Jtura,  come  alle  .armi,  non 
è  cosa  da  porre  in  dubbio.' Il  fnittJ  che  ne  na- 
sceva, tanto  era  più  abbondante.,  quanto  tBa%^ 
jgìore  era  l*operB  che  vi  s'impilava.  Ed  è  por- 
caio da  saptf^  primieramente,  che  buona;  parte 
delle  genti  Italiane  (  estendendo  questa  diaomioa- 
zione  fino  ai  temiini  propri  e  naturali  d'Italia, 
che  sono  le  Alpi)  abitavimoi a  casali  e  borghi. 
Tale  era  l'uso  dei  Sabini^  de'  Latini,  dei  Vestini, 
e  di  altri  popoli  Sanniti;  tale  quello  dei  Liguri; 
falé  spezialmente'  Tuso  de'  Galli  Cisalpini ,  ì  quali 
tuttoché  possedessero  così  felice  parte  d'Italia^ 
qual'è  la  Lombardia,  non  atramente  non  si  pre- 
-der  pensiero  di  fabbricarsi  e  di  abitar,  gjcanài  cit- 
tà, ma  appena  si  fabbricavano  case,  albergando 
pure  in  bassi  e  vili  abituri  e  strette  capanne  (i)< 

[i]  De  Sai.  Uy.  i.  i,  p.  197.  ^  De  £«f.  S(rab.l.5, 


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fts  ^  Delle  RivoL«2iaw  t>*  Itaua 

la  questo  modo  dod  ci.  potendo  essere  alcuna  nor 
tabilc  disuguaglianza  di  beni,  oga*uomo  e  daseu-r 
DA  famiglia  coftivara  la  sua  porzion  di  tnreiio  in 
sul  hiogo  stesso  del  suo  albergo ,  e  però  più  age- 
•rolmente  e  con  più  frutto.  Né  per  fiàr  deÙe  strad* 
o  fabbricar  case  si  occupava  altro  ^>azio  o  dì  f^npo 
odi  luc^o«diquel  che  bastasse  per  capirvi  eofro, 
e  per  condurvi  o  piccola  carretta ,  o  bestiami  d* 
■Otta;  e  da  ogni  palmo  di  terreno  si  traeva  profitto, 
Le  donne  che  sono  nei  nostro  vivere  cittadinesco  o  dì 
carico,  o  di  piccolo  s  nìnn  sollievo,  siccome  quel- 
le  che  si  adoperano  per  la  più  parte  nelle^^ti  dj 
puro  lusso  e  distnittÌTa«  orano  allora  di.  miglior 
uso  die  non  sono  le  stesse  femmine  villanesche 
'd*c^idì,  e  dì  aiuto  alla  coltivazione,  e  di  oppor- 
tuno sdilievo  per  tutti  gli  uffizi  domestÌQÌ;  poten- 
dosi in  pochi  momenti  condurre  daU'albeigo  al 
campo,  e  dalle  pentole  o  dal  telaio  al  rastrello  o 
sdla  grigia  pascolante.  U  vero  è  che  nelle  prò- 
-^ncié  di  am[He  e  futili  pianuxs,  dove  non  era 
«eccssaria  sì  grande  industria  a.  farle  fruttare,  le 
iòttà  grandi  si  trovavano  pia  frequenti ,  perchè  gU 
uomini  non  forzati  dalla  neeessità  a  sudar  del  con- 
tinuo si^e  sterili  glebe,  s'indncevano  natiualmea- 
it  a  congregarsi  insieme,. per  godervi  più  agi  e 
ffHi  loaRerì*.  OItnechè  i  la  fertilità  del  paese  esseor 
ite' per  se  stessa  unita  ooU'aere  più  mite,  e  clima 
•^iù'  -tepido   e   moUe*   gli  uomini  vi  sono  ancora 

p.  i58.  •—  De  Samnit,  Idem  p.  167.  —  De  Z^gur.  Idem 
!>.  iSi.  —  De  Gait.  Foladi,  U  3  ,c  29.    . 


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Libro  I.  Capo  IV.  »3 

naturalmenfe  piii  iadioati  all'ozio^  ed  alla  vita 
eifemminata  e  voluttuosa.  Cotali  erano  i  popoli 
Campaai.  Ma  rEtrurìa  e  l'Umbria,  paesi  meuQ 
caldi  della  Campania,  e  meno  freddi  e  più  ferlir 
li  del  paese  Latìoo ,  Sabino  e  Sannitico»  ritener 
vano  in  parte  il  naturale  d^li  uni  e  degli  altri. 
E  siccome  alcuni  de'  popoli  Umbri  e-  Toscani  a? 
bitAvano  ancor  essi  a  bollate,  co^  vi  arcano 
nondimeno  grandi  e  frequenti  città.  Né  già  per 
questo  celle  fertili  provìiicie  dell'Etrurìa  si  tra* 
scuvava  ragricoltura;  ma  quella  nazione  fa  ezian- 
dio celebre  negli  aotiahi  tempi  por  questo  riguaiw 
do,  è  appena  pare  che  ne  cedesse  il  Tanto  a'  Sa?- 
hìoi ,  coltivatori  seni:*  alcun  dubbio  celebratissì- 
mt  (t).  Del  rimanente,  il  viver  di  quelle'  che  à 
cbìamavan  citta,  dico  ancora  delle  più  popolose 
e  principali ,  non  età  così  opposto  alta  vita  rust^ 
ea,  come  a'  tempi  nostri.  Elle  erano  piuttosto  si- 
mili a*  nostri  villaggi  (  eccettuata  la  dÌ0erenza  d«l 
numerò  degli  abitanti  ) ,  dove  si  confonde  il  ru- 
Blieo  col  civile  ;  e  i  terrazzani ,  uscendo  a'  lor  vi- 
cini campi ,  ne  rimenàvano  la  sera  entro  al  re- 
cinto della  casa  il  lor  bestiame,  e  le  biade,  e  i 
ftutti  raccolti .  Il  che  era  a  que'  popoli  tanto  più 
necessario,  perchè  essendo  quasi  del  continuo  im- 
pacciati in  qualche  guerra  co'  vicini,  troppo  im-  - 
portava  loto  il  ritirare  dentro  alle  mura  della  ter- 
rà e   biade  «  bestiami.  Le  case  essendovi  per  >> 

Ji]  Virg.  Georgio.  I.  a.  io.  fin. 


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i4  Delle  Rivoluzioni  d'  ItALiA 

più  umili  ed  anguste,  e  con  regolate  da  aHro  dì- 
■^  segno,  che  dalla  sola  necessità  di  albergarvi^  non 
si  tralasciava  di  coltivare  ogni  piccolo,  spano  di 
terra  cliè  -  fc^e  vacuo .  Donde  ancor  ne  oasceva 
che  talvolta  una  città  assediata  poteva  sostentar» 
non  pur  colle  biade  già  raccoUe ,  e  col  frutto 
ìilelle  pecore  e  d*  altri  animali ,  ma  con  quel- 
lo ancor  che  si  raccoglieva  dal .  seminate  che 
ifacevasi  entro  alle  mura  ;  e  durar  cosi  i  luoghi 
toiesi,  e  gli  anni  interi  (i).  Kè  di  poco  rilievo 
era  nelle  stesse  città  V  opera  delle  donne ,  le 
quali  facendo  domesticamente  gran  parte  di  que- 
gli ufBzi  che  sogliono  ora  farsi  dagli  uomini,  . 
rendevano  '  molto  maggiore  il  numero  delle  per^- 
sona  che  potevano  attendere  alta  milizia,  ed  al- 
le faccende  esterne  della  colUvazione  e  del  com- 
Snerzio .  L*  arte  della  lana ,  che  pur  dovea  allora 
supplire  a  tre  o  quattro  delle  arti  che  oggidì  oc- 
cupano tanto  numero  d* uomini,  come  fanno  tut- 
ti ì  lavori  delle  sete,  dei  lini ,  e  de*  cotoni,  era 
allóra  un  affar  domestico  non  meno  delle  femmi- 
ne plebee ,  che  dejle  nobili  matrone;  costume  che 
si  mantenne  in  Italia  assai  tardi,  poiché  sappia- 
mo che  Cesare  Augusto  usava  di  non  vestir  al- 
tre   robe,  che  quelle  che  gli  lavoravano  in    casa 


[>]  Lefg«ti  tìtt  Annibile,  itando  all'asKilio  di  CtiÌ< 
lino  bella  Campunia,  ebbe  una  volta  a  maravigliarti  dod 
poco,  vedendo  (;eiile  die  teminava  rape  e  legumi  lungo 
le  mura,  non  diffidando  di  averieoe  a  cibare^  dove  il  ne- 
nico  Gootinuaue  l' aucdio .  Liv.  t.  iS< 


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tiBRO  I.  Capo  IV»  afi 

le  isorelle  e  U  mo^ie  (i).  la  Roma  medesima- 
meate  fino.  alPanno  cinquecentesimo  ottantesimo,  dv>.'  ~ 
quando  già  ella  era  senza  controversia  la  niag- 
gione  e  la  più  agiata  delle  città  Italiane*  non  vi 
era  ancor  chi  iàcease  proprio  mestìer  di  fornai^ 
o  panattiere  ;  perocché  queste  opere  si  facevano 
dalle  donne,  come  si.  usa  ancor  ne*  nostri  TÌUa{£) 
oggidì.  Non!  è  difficile  a  computare  quante  cen- 
tioaia  d*  uomini  robusti  s*  impic^bino  in  somi^ian» 
ti  iaccende.  nelle  càtth  capitali  dell'età  nostra,  che 
ctntino  tre  o  quattro  cento  mila  abitanti,  com^ 
contarla  per  lo  meno  Roma  in  quel  tempo;  e  se 
d  aggiungono  e  i  cuochi  »  e  i  tavernieri,  mestiere 
popò  noto  alla  più.  parte  degli  auticbi,  e  tutta 
quella  moltitudine  d*  oziosi,  famigli .  che  occupan 
le  sale  de'  gran  signori,  questo  sol  bastei;^bbr 
a  fare .unWmata  poderosa,  o  a  popolare  e~  cpU 
tirare  un  'va9to  contado .  Copiosa  materia  dì  'Ar 
gionare  ci  ei  farebbe  avanti ,  se  prefìdeisipio  a 
^mostrare  e  1*  ioduatria  ed  infinita  fatica  con  cui 
ù  traeva  dal  seno  delle  terr^,  anche  più.  ingrate 
e  più  sterili,  notabii  cc^ia  di  vettovaglie;  e  la 
qualità  de*  cibi  che. si  usavano;  e  la  modestia  e 
semplicità  del  trattare,  cbe  lasciavano  adoperare 
la  masuma  parte  delle  persone  alle  utili  opere 
dell'  agricoltura.  Negli  abitanti  delle  pianure,  per- 
chè il  terreno  fosse  naturalmente  fecondo ,  non 
«i   rallentava   la  diUgieiiza  del   ooltivare;  oè   i 

CO  Suet.  in  Ocgn.  .f.  .jS.  , 


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ss  Delle  RirOLUzioNi  DMtALU 

monttnewhi  e  gli^pioi-fralasciaTano  la  colfura  dd- 
I«lòcrocchd,  per  quanto  sterili  fessero  ed  ii^atii- 
sìme.  I  Sibariti,  per  es«mpio,  col  vantaggio  eh* 
Mppeiti'ti'U»  da*  dae  fiumi  Ctatì  e  Sibarì  ch« 
bagnftraBd  il  lor  oontadò ,  venoero  a  fasta  opib- 
lHù^i  «fae  poi  la  vita  lur  deliziosa  passò  in  jpco* 
Vttbid  (i).  E  quel  ohe  p^Hrebbe  incredibile  cosa 
a*  iio^i  tempi,  vollero  piuttosto  dìviderfe  con  £>* 
Kfltieti  cui  chiamarODO  a  parte  4eIIo  stato  loto  t 
«he  laseiafe  in  abbandono  le  teire ,  o  et^tirbrl» 
Ms&  di  groffio  cotne  si  fa  ordinariamez^  da  obi 
né  possiede  ^afflpie  tenute:  talmente  t*avea  per 
fettatt  ìa  que*  tempi ,  che  la  riecfatiEea  e  la  pot- 
tenra  d'  uoó  étSAo  consfotessero  nel  moltb  numero 
éegU  abitanti.  I  Liguri  dall'altro  «aoto  non  di>- 
Speravano  de*  fatti  loro  «  né  abbandoaarono  il  suol 
natio  per  MdHc  ti  cereare  altra  statua  :  ma  so^ 
steDt&^abo  te  vita  e  la  libertà  insietne,  ai»ndo  • 
lappando  aspto  terreno  jO  piuttosto  tagliando  e 
stritolando  sassi,  per  cavarne  pur  qualche  frutto 
ad  onta  qvan  della  aatora  (a) .  Il  vero  i  the  per 
ider^ar  fiumi,  per  rendere  in  qualche  modo  fer- 
tili  I  nudi  abò^i  molt' opera  richiedesi:  ma  la 
|>opolazione  numerosa  supplisce  agevolm<»iEe  ad 
<^ni  cosa;  e  l'opera  e  la  fatica  devon  contarsi 
|ier  nulla ,  dove  qualche  frutto  ne  s^ua.  La  qu8r 
Kfà  del  govenio  pcAitìoo  non  penaetteva  gran  Cit- 
iso ,  bhe  gli  uomini  di   quache   «£Gu«   teneisexo 

(i;  Diod.  Sicn).  I.  isv 

W  P««id.  »f  ud  Strab.  1.  4. 


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lEBbo  I.  Capò  IV.  27 

graù  &B)Ì£^B  pet  fai  io  imbasciata  per  fatto  e 
per  pompa.  La  grandetta,  e  roitore^  e  il  cre- 
dito oonsirtevano  pure  mi  trovar  siUla  piazza  mol- 
ti cittadini  che  ti  fftoewero  cerchio  d* intorno, 
negli  Mputtim  ti  dessero  le  f  oe!  ,0  ti  si  ^  racco-  ' 
maztdafisero'  per  averìe  esri  col  tuo  favOM.  Fieni 
SÒDO  i  libri  di  queste  voci  t  che  &e'  vetusti  tempC 
la  vita  rurale  non,  toglieva  nobiltà  e  gentilezza , 
e  molte  pruove  abUamo  per  mostrare  ohe  fra 
gì*  Itali  e  fì-a'  Oreoi  il  nobile ,  il  grande ,  il  ma- 
gistrato, siccome  al  par  dell*  uomo  privato  e  plo- 
beo  attendeva  alla  coltirazìone  de'  suoi  campì-, 
«odi  vìveasi  assai  codtQtlemente  di  cilù  semplici  fe 
grossi.  GJi  ambasciatori  che  andavano  da  unare^ 
pubblica  air  altra  f  benché  pur  s'eleggessero  de* 
pfibcipdi  delle  città,  non  ispendeVano  pel  viatico 
ioro  piik  che  non  ftodano  a*  nostri  di  i  più  id- 
£fflì  bo^faesi  deputati  dal  lor  comune .  Né  i  ca^- 
pitafii  si  nodrivsiio  negli  accampamenti  in  più 
ddfcata  guisa,  che  gli  ultimi  fanti .  Chi  è  mai 
là  ignorante ,  che  non  abbia  piìt  d*una  volta  o 
Ietto  o  sentito  che  gli  ambasciatori  d'ub  gran  re 
fìireno  a  vintale  e  offrir  doni  e  tesori, &d  tin  ge- 
iaerale  de*  Ronòani ,  mentre  ^  si  stava  traoquilr 
UmMte  cBocendo  0  cenaado  rape  al  suo  picciolo 
"focolare?  Ma  fì-a  tanti  scrittori  e  storici  e  politi- 
ci, che  questo  fatto  o  citarono  o  riicrìroiio,  non 
*>  «e  alcuno  abbia  mai  fatte  le  più  rilevanti  o*- 
serrazioai  che  da  questi   e   somiglianti  tratti  di 


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antica  stona  si  dovrebboao  rìcavqi-e  (t) .  Ca^ni« 
il  vecdbio  yenne  lodato  singolarmente.,  pnobèet<« 
srado  put  uomo  di  tanto  affare  io  una  repubt^i* 
ca  già  signora  dell*  Africa  e  dell*  Eurc^,  a  ~,sch 
inigUanza  dì  Curio  e  dì  Falmzìo  si  b^vagliaaw 
del  pari  e  mangiassi! , ad. un.  mederimo  desca  .00* 
suoi*  servi .  Poteva  egli  veramente  recare  mafavì* 
glia,  a*  Romani  del  tempo  di  Siila,  di  Cesare  >e 
^^Aagfifito,  già  altamente  immersi  .nelle  d^lica^ 
tezze  e  nel  lusso;  ma  Catone,  nato  ed  alle'rato 
in  TuscoIq,  potè  ritener  gran  ^parte  de'.costoim 
eh'  erano  poco  prima  comuni  a  tutti  i  pc^oli'dd 
La^io  e  .Sabini:, giacché:  è  ben  cecto.die.il  Iubw 
s'introduce  prima  nella  città  capitale,  ohe.  neH* 
Provincie.  .    .      ;  :<•■'-'■  ■ 

Or,  non  è  dubbio  che  così  &tti  costami  n<Hl 
solamente  agevolavano  ì  mezsi  d^  susastedea 
alla  numerosa  popolasione ,  ma  ancora  servivano 
ad  afscraseerla  in  ìnEnito;  perciocché  in.  quel  tener 

(1)  Fra  tutte  le  geaerazioDi  d'erbe  e  di  frolli, -Ì«  r»- 
|>e,  oltre  all'ottima  salubrità,  sono  la  più  facile  e  più  si- 
cura ricolta^  e  di  più  agevole  conseTvaìioDe,  cotturd e  Gon- 
(limento,  di  tutte  le  ptoduziooi  della' terra;  come  qtnt- 
'  le  cbe  si  seminano  sotto  gli  alberi  ,  e  ncgl'  intervalli  del- 
le viti^  e  dentro  ogni  JiiccOl  bnco  pieno  di  terra,  cbe  sia 
«er  le  mitraglie  e  per  le  rocche.  Or^  aiceome  è  indioibHe 
la  quantità  di  tal  cibo,  che  la  diligeq»  degli  nomini t>n& 
Scavare  da'  piti  sterili  e  più  ineschini  paesi,  così  è  leggier 
cosa  r  argo  meo  tare  quanto  agevolmente  possa  sita  iCfn  tarsi  aa 
gran  popolo,  dove  ancbe  i  più  riguardevoli  cittadini  tt 
conteotauo  di  rape  e  dì  legumi,  dalla  coltura  o  dall'amor 
de'  quali  già  presero  il  «opraonoine  i  Fabi^  i  Pitoni,  e  i 
Lentttli. 


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Mb&o  I.  CAtO  IV.  ÌQ 

di  vita  che  si  è  mostrato  qui  sopra,  non  thè 
fosse  frequente,  ma  non  era  quasi  possibile  il  ce- 
libato ;  e  la  stessa  vita  dtira  e  faticante  rendeva 
ù  le  donne,  che  gli  uomini  più  generatici:  tal- 
ché alla  fine  il  numero  de*  TÌTeoti  avrebbe  pur 
dovuto  in  molti  luoghi  soverchiare  la  quantità  del- 
le v^tovaglie  che  ciascuna  nazione  potea  ricavare 
dal  proprio  territorio  o  contado,  non  ostante  qual- 
sivoglia parsimonia,  ed  ogni  maggior  '  industria 
che  s'impiegasse  nel  coltivarlo.  Ma  egli- è  qui  da 
osservare  che  siccome  i  popoH  de*  paesi  montuo- 
si'mDldplicaao  più  facilmente,  .ed  anno  tuttavia 
pN  la  natura  del -luògo  minor  copia  delle  cose 
Beoei^arie  alla  vita;  così  ì  paesi  feh'ci  di-  belle 
pianure  dove  possono  di  I^^eri  i  viveri  soprab' 
bendare,  e  le  città  marittime  e  mercantili ,  non 
solamtnte  moltiplicano  inteniamenfe  assai  meno# 
ma  seeniano  e  mancano  insenùbilmente,'  se  non 
sono  di'  DOteHì^  awratorì  rìferniti .  L*  abbondanza 
vi  produce  subitamente  l'ozio,  il  lusso  e  là  mor> 
i>idezza ,  cose  non  manco  contrarìe  alla  mohipli- 
cazion  della  spezie,,  che  alla  virtù  e  alla  bravura. 
Ma  una  mente  superiore  provvide  sì ,  cbe  1*  una 
all'altra  cosa  fosse  util  compenso,  e  che  un  .ap- 
parente disordine  rimediasse  all' altro,  Concioésia- 
che ,  senza  contare  qudle  traspiantagìooi  e  quasi 
innestamenti  di  popoli ,  che  procedono  dai  vari 
tocoes^ì  delle  guerre,  e  dalle  vidssitudini  de*  go* 
verni  e  de'  r^i  ;  la  naturale  pove'ttà  de'  paesi 
alpestri  stimola  i  ^  loro  abitanti  lempte  creweatì 


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.^  Delle  Bivp&va?oHi  dMtaìia 

ad  aodarn.eoll'iiidMctria  «  col  treitaglio  pnJeaC'* 
ciando  ventura  dove  ahbondang  I0  rìochejfze.  « 
dove  la  moUezza  de*  popseditori  di  quelle  non 
pu^  far  dì  meno  die  lasciar  la  strad/a  aperta  A 
imora  fortume.  I  Volaci  pertanto,  j  Latini*  j  I*» 
gurì ,  molti  della  nasion  Sannitica  e  della  'SosoOf 
na,  dove  la  qualitii  del  paese  DOQ.poteajimgere 
copia  proporzionata  di  viveri  al  numero  degli  ^i* 
tanti  *  col  tralHoQ  «  colla  mercatura  cemaTano 
tiiatnpo  e  fortuna  nella  Campania,  onMi'Dtnuia* 
a  in  al^  felici  e  doviziose  contrade . 

Nelle  storia  politiche  non  accade  onUaaHflk 
mente  che  si  ragioni  di  mercatanti^  Nondìmeiw 
«ssai  spessi  luo^  s'incontrano  di  anticU  «tocùa» 
dove  si  i^  menzione  di  mercatenti  Italiani  ^  «hi 
lontani  dalle  lor  patrie  bada?ano  «  diversi  negQ>r 
ti.  Né  solunento  colqro  che  facevano  proptio 
mestier  di  mercanzie,  e  i  vitaudieri^  «  i  provvedi^ 
tori  delle  armate«  con»  ancw  si.  usa  ;  ma  i  sol- 
dati  stessi  attendevano  a  lor  trafBci  ne*  paen  do^ 
ve  la  congiuntura  delle  bierre  li  conduceva.  Va. 
singoiar  luogo  di  Tito  Xivio  gioverà  rapportare  a 
jquesto  proposito ,  La  guardia  de'  Romani,  die'  r* 
^,  che  sì  trovava  in  Anjnira  (  o  Tecraoina, 
città  de'  Volsci  ) ,  per  la  negligenza  de*  widati  t 
quali  andavano  vagando  e  ricettando  generalraen* 
te  i  mercatanti  Volsci ,  vi  capitò  male ,  essendo 
repentinamente  tradite  le  guardie  delle  porte  ^  Ma 
il  numero  de*  soldati  che  vi  perì ,  non  fu  pe- 
rb   grande,  pu^hè,  eccettuati,  gì'  infumi >  tutt» 


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:     ttBRo  h  Cam  IVi  3t 

fiBdàrano  negotiaDdo  pel  contado  e  pev  le  otta  vi- 
cùos'a  guisa  di  saceomaniri  (i).  Ma  quello-  eh*  ^ 
più  notabile,  i  il  Veder 'ch&  i  Romani,  i  quali 
appena  dopo  quatfroccnt'  anni  eonuneiarono  a 
possedor  Jnoghi  marittimi  d^  Lazio,  fia  dall'an- 
no-dugentestmo  quatanteumo  quarto  evesAero  por* 
ti  aperti  e  £iiidadit  nell' Africa  i  Peroiocchi,  fi« 
dal  primo  consolato  dì  Giunto  Bruto  e  Yal^o 
Fubblicda  si  era 'fatto  un  teattato  eolia  repubUi* 
ea  di  Cartagine  a  vantaggio  dei  Romani,  e  de*lor 
collegati  di  Ardea ,  d'Ancio  >  di  Lanrento,  di  Cìn 
ee  i  di  Temuina ,  e  di  altn  popoli  Latini  ;  a{6n- 
thò  potessero  n^oriar  nell*  Africa  inununi  da 
jogni  gabeUa  e  dazio  ^  toltone  la  mercede  del  a»- 
gpetaró  e  del  banditcar' della  piaraa  (2).  Il  qual 
trattato,  jrìimovato  e  confermato  di  poi  nel  «pib* 
salato  di  Valerio  Corro  e  Pc^iHo  Lenat» ,  è  di 
vero  un  trt^po  rigoaidcTole-monumtnto,  sia  per 
fks  conoscere  oorae  in ^quei  tempi,  stimati  barba- 
ri e  rozzi ,  il  governo  steuo  si  adopnsase  pure  a 
pvomoTov  il  commeraio;  «a  per  unatestimonian- 
ca  si  manifesta ,  che  aacora  ì  Romani  di  cui  pa* 
reva  essere  «ola  arte  la  -  guexra ,  erano  apfJieatf 
al  commerzio  Iransmarino  (3) .  Dal  ohe  si   può 

,  .  (1)  L..5  ,  p.  ,4iS  edit.  Crjpb.  ùxarian  in  jnodum 
omnes  per  agros,  vicinasque  urles  negotiabantur . 

■■    (2)  Poijb.r:  5,  p.194.    .   ' 

t;.\  (3)  pa  «pffto. con^^iq^ -dell' Afnf:a. li  pai  cotBfnn- 
dere  come  i  Romaiii ,  anche  ne'  tempi  di  loro  maggiof 
poveriir,'  potessero  aver  sedie  d'avorio  cotanto  nominata 
fin-da' pTùBi -Hc»U  dilU  iWmani  atprtt*. 


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Sa  Delle  PivoLifziom  d'Italia 

ai^meatare  quanto  vasto  foste  il  trE^co  dellfr 
città  che-aTeano  nome  d*  essere  mercantili,  coni» 
Anao,  Cuma,  Turìo*  Eradea,  Tarento,  Adria, 
ed  Ancona. 

Io  so  bene*  che  molti  vi  saranno  *  i  quali 
soliti  d'inoalzar  al  cielo  il  secai  nosti'o  pei  som- 
mìssimi  comodi  eh*  essi  presumono  esserci  stati 
arrecati  dalla  navigazione  moderoamente  pecfe* 
lionata ,  si  taioveranno  a  riso  al  sentir  pur  solo 
ragionare  del  commerzio  degl'Itali  antichi,  i  qua- 
li non  che  agguagliassero  il  trai6co  che  fassi  og* 
gidì  dagli  Olandesi ,  dagl'  Inglesi ,  e  da  altre  na* 
noni  navigatrici  d'Europa,  forse  non  pareggia* 
vano'  il  commerzio  che  facevasi  nel  deeimotetzo- 
e  decimoquarto  secolo  da'  Veneziani,'  Genavesi, 
e  Pisani.  Ma  da  codesti  lodatori  così  solenni  del* 
r  odierno  commerzio  cenherei  io  volentieri,  qual 
sia  quei  cotanto  vantaggio  ohe  da  questo  immen* 
so  commerzio  raccolgono  le  nazioni  Europee  dei> 
l'età  nostraf  Non  altro,  a  mio  credere,. che.  quel- 
Io  di  aver  moltiplicati  i  nostri  bisogni ,  ed  ir* 
ritata  la  nostra  ingordigia  ;  di  levar  dall'aratro , 
dai  pascoli  e  dalle  nozze,  e  mettere  in  balìa  de' 
venti'  tante  migliaia  d'uomini,  per  portarci  alla 
line  in  EurofMi  (  tacendo  le  troppo  note  e  mor- 
tifere infermità  che  ne  nacquero  )  alcune  merci 
e  derrate,  senza' le  quali  non  ebbero!  nostri  mag- 
giori per  tanti  secoli  né  meno  cara,  né  meno 
iunga  la  vita ... 

Ma   coinuiu^e  su   questo  particolafie    «tltrì 


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Libro  I.  Capo  IV.  33 

l'ÌDtSDda.  cecta  cosa  è  cbe  se  le  nasìoni  deirantin 
oa  Italia  non  praticavaao  qnel  vasto  conunerzio,  che 
fecero  Ìd  altri  tempi  altre  genti,  fioriva  tutbtvi» 
presso  loro  il  commerzio  quanto  era  opportuno 
perchè  ogni  parte  di  lei  potesse  procacciarsi  non 
pure  il  necessario ,' ma  T utile  e  il  delizioso,  se- 
condo le  facoltà  di  ciascuno^  (i).  .Dai  porti  del 
mar  Tirreno ,  cbe  a  proporzion  delle  navi  cbe  al- 
lora usavansi,  erano  moltissimi  e  grandi,  traffica- 
vasi' spezialmente  nella  Sicilia  e  nella  5ard^;na, 
araendue  fertilissime  e  popolose  avanticbè  le  guer* 
re  tra'  Cartaginesi  e  Romani  le  devastassfiro  ;  .a 
nelle,  piagge  deU'Afdca.  e  dell' Egitto ,  donde  pò- 
teasi  ritcarrfnunento  agevolmente,  ed  altri,  capi 
di  hmkì,  qualunque  volta  o  per  colpa  degli  uo- 
mini «  o  .per  naturai, vicissitudine  degli  elementi 
mancaBsero  i  viveri  «die  città^laliane  .^.Rispetto  a 
quella  parte  d' Italia  eh'  è  posta  sopra  V  Ad^iati^ 
no,  sappiamo  particolarmente  da  Polibio (2),. che 
molto  tra6Scavasi  00'  bubari  dell'  Illirico  ,  i  quali 
Tomo  I.  ò 

(1)  Non  per  altra  ragione,  ored'to,  d  divenuto  il  coni- 
memo  r  oggetto  4^lle  opra  di  chi  goyeriu  >  se  nou  perchè  , 
avvezzati  noi  alle  derrate  irnnsmarine,  ed  essendo  assai  dif- 
fìcile che  chiunque  pub  farlo  noa  ne  voglia  usare  o  per 
■oddiafare  «'suoi  Mnei  o  per  grandigia  o  per  Ilaria,  e  cbje 
i  tnercatanii  o  pae*ani  o  forestieri  non  ceicliino  per  cupi- 
dità di  guadagno  d' inlroUurlu  per  qualche  via;  conviene 
p»r^  ,  che  ogni  stato  provvegga  queste  coje  ia  tal  modo, 
fftw  questi  traf&ci  e  queste  provvisioni  si  facciano  con  mag- 
gior  piofìtlo  e  con  minore  dispendio  della  nazione  ■ 

(a)  Polyb.  apud  Suab.  1.5,  p.  148.  —  Id.  Strab.  J.  5, 
P'  I48-49-  .,  ;     ,        .       ... 


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34  Delle  Bitolu^ioni  d'Italia 

ancora  a  tempo  di  Augusto  graa  merca,tQ  foceTa.' 
no  in  Adria,  cooducendoTt  chi  schiavi,  beatiatoi 
e  pelli,  chi  vino ,  cito  e  merci  mariDe.  '_ 

C    A    P    0        V. 

Ricchezze  natwaU  deW  Italia  ^     - 


(Ad  ogni  modo ,  poco  bisogno  avea  V  Italia  di 
tX)>mmerzio  straniero  in  quell'  età,  raccogliendo 
«ntrò  il  suo  proprio  seno  tutta  quello  asaol)ltamea^ 
te ,  che  potea  rìoercarst  non  per  nodrire  i  suoi  por 
ppa  solamente,  ma  per  appag^ure  esiandio  la  mor*- 
'bidezza,  e  soddisfare  al. lusso  de'griuadi.  Il  grano 
'TÌ  abbondava  si  làttamente,  che,  non  ostapte  la 
ànoltitudine  -  degli  abitanti  incomparabitmeatc  «ipet- 
riore  a  quella  de'  secoli  posteriori ,  ne  sommiólstr^r 
iva  nienteditnenD  alle  straniere  nazioni,  «iocome 
attesta  chiaramente  Cornelio  Tacito  (z)*  bi.&tti:, 
poche  volte  s!  legge  che  ì  Romani ,  comecfaè  per 
r  ialèUcità  del  contado  ^  e  pel  grandimmo  nume- 
to  de'  cittadini ,  e  spesso  per  la  oaparbÌCTÌa  della 
plebe  mancassero  di  grano  ,  oeabbìano  pr:pcaccia-. 
*to  fuori  d'Italia  ;  e  se  si' ebbe  rìeono  ai  Sicilia- 
ni, ciò  fu  peichè  la  gelosìa  o  l'odio  di  alcun! 
popoli  d'Italia  verso  di  Hotna  ricusava  di  permel>- 
terne  l'estrazione,  come  fecero  i  Sanniti  a  tempo 

(i)  ADnal.  1.  la.   Oìim  ex   Ilah'ae    regtpnihui    Ungiti' 
<juas  in  provincia*  eòmmeatus  ponabant . 


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LiBHp  I  Capp  V.  3S 

bke  tèaeratw.  Cane  (i)l  Ma  il  più  delle  volte  st 
traeva  iì  graao  dalle  terre  della  Toicana  o  del- 
V  Umbria ,  benché  esse  fosvero  don  'meno  abbon-' 
daati  d*  uomtttì ,  che  di  biade .  Vero  è ,  che  non 
essendo  alloca  in  que&te  regioai  introdotta  la  me- 
liga, potea  mancare  un  molto  opportuno  compen- 
so al  fallir  della  prima  ricolta. de' ^am.  Ma  nel- 
le pianure  d' Italia ,  innaoqu^e  .allora  opporluna- 
mente  per  la  molta  industria  e  per  1*  opera  che 
v'impiegavano  gli  ragricoUcwìi  il  miglio,  che  ib 
grande  copia  si  raccòglieva  in:pììt  luoghi  (2),  sup- 
pKw'Bl  difetto  delle  zdtre  biade,,  ad  era  chiama- 
to perciò  ,da  Strabone  prontissimo  .riputi  alla  fa- 
me- (3).  U  vino  e^ft  abbondiate  per  tutte  le  par- 
tì d'Italia,  ancom  dopoché  T  agricoltura  vi  iu 
scaduta  per  le  spopolamento  .dèlie  aat;apagBe  (4)  i 
Sé  ad  (nwscsre  a  dismtsmn  H  popolo  di  Ronaa  aj 
.e«Fcò  vino  di  Coo  e:diChiO(  non  fu  giàpervezr 
Mo  e  per  -gola  de' ricchi  «  ma  per  necessità  dell^ 
m<dtitudÌDe  e  per  «omodo  del  oommerzio .  Per- 
ciocché  le  terre  vioiue  a  Boma  più  non  potendo 
in  quel  tempo  prodùrpe  quanto  si  cercava  per  ab- 
beverare e  le  num^erode  famiglie  de'  ricchi  che  I^ 
teneraoo,  e  l' immeoia.  plebe  della  città  1  stimar 
vasi  pili  opportuno  e  più  agevole  il  condurne  per 
man  dalle  isole  dall'  ArtìipeJftgo ,  che  £ar!o  venirf 

-  -/liXiv.,].  4,  p.  7"- 

(a)  Polyb.  !.  a,  p.  ,,7. 
■     (5)  Siràb.  l.  5,  p.  i5i. 

(4;  Varrò  de  Re  l'uatica  ].  3.  ipraefat. 


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56  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

da  lontane  contrade  d*  Italia .  Egli  è  però  da  os-: 
servare  che  a'  tempi  di  Augusto  le  tavole  de'  gran- 
di e  dilicati  sìgDorìnbn  vaataTanoaltri-Tiai,  che 
Italiani.  Conciossiachè  Orazio,  quel  beviter  iaei- 
gne ,  commensale  d'un  gran  ministro  famoso  pel 
suo  vivere  delizioso,  non  parla  giammai^  di  tìdì 
forestieri,  e  ne  celebra  da  dièci  o  dodici  sorte  del 
solo  Lazio  o  sia  campagna  di  Roma,  e  di  alcune 
contrade  del  regno  di  Napoli ,  paesi  oggidì  non 
ponto  reigguardevoli  per  conto  di  vini.  Et^enon 
avrebb' egli  potuto  dire  de' vini  Toscani,  che  fu- 
rono ancor  per  lunghissimo  tempo  appresso  in  gran 
|>regio  ;  o  di  quelli  della  Liguria ,  o  vogUam  dire 
del  Monferrato,  contado  d'Asti  e  di  Langhe ,  cfae 
non  cedono  sicuramente  ai  più  lodati  vini  della 
IToscana?  A' tempi  di  Plinio,  vale  a'  dire  di  Tito 
é  di  Traiano,  oeppur  alla  corte  d^l'imperadorì, 
né  per  ragione  di  sanitÀ  né  per  gola ,  niuno  si  era 
ancora  studiato  d' usare  e  lodare  altri  vini ,  che 
quelli  d'Italia;  comechè  niuna  parte  del  mondo 
fosse  stretiiiera  per  loro ,  e  potessero  riguardare  co-' 
me  di  proprio' fondo  tutto  ciò  che  nasceva  in'qua- 
lunque  parte  dell'Asia,  dell'Africa,  e  delle  più 
rimote  Provincie  d'Europa  non  meno,  che  dell'I- 
talia .  Lo  stesso  Plinio  suppone  come  cosaeviden- 
te,  che  se  nell'Assiria  fossero  stati  anticamente 
«oDosciuti  i  vini  d'Italia,  sarebbero  stati  stimati  co- 
me i  migliori  e  i  piìi  nobili  alle  mense  .dei  re  (i)^. 

(i)  Plin.  1.  ti,  e.  6. 


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/     tiiÌBRD  .1.  Capo  V,  ■        ■  €7 

&  genèrìdiiieote ,  qualor  ai  parlaste  di  vino  stra' 
nnro ,  la  maggior  lode  che  s'  usasse  dargli ,  a{ 
era'  di  '  agguagliarlo  ai  vlai  d*  Italia  (t) .  Era 
però  ques^ta  insigne  lode  riservata  alla  dilicatez^ 
za.  d^i  ultiau  secoli  e  dell'  età  nostra ,  cbe  gii, 
eseeodò  l'Italia  feUa  in  gran  patte  tributaria  dì 
potenze  e  più'  aocora  di  artisti  straoierì»  s'andas* 
seco  anche  prooacoiaitdo  1  vini  di  Francia,  dì  Spaf 
gna ,  e  d' oltremare  .•  " 

.  .^Deir  abbondanza  degli  altri  viveri  non  c*à 
d'  uopo  di  far  paròla .  La  sola  catbe  de*  porta  cbe 
pei  campi  e  per  le  stive  pascevansi  della  Gallia 
Cisalpina ,  quaudo  Elppena  tomiuciava  a  spiegare 
aotto  il  giogo  de*  Romani ,  lai'gameate  b»tava  a 
sostentare  grandissimi  eserciti  e  popolo  inqumera« 
Inle ,  La  qual  coéa,  pbrcbè  non  facesse  dubitar  à 
tAluoo ,  cbe  fòsse  anzi  indiztO;  dell'  essere  questi 
fKResì  spopolati  ed  '{□colti  (  contro  ciò  cbe  poco  dì 
tópiu  abbiam  preso  a  mostrare),  ci  vien  purezi> 
ferita  'dallq  stMso  Polibio  ia  "quello  stesso  luo^ 
dov*  egli  scrìise  cose  maravigliose  della  moltitudi'- 
pe  degli  abitatori,  e -dell*  incredibile  abbondanza 
di  frumepto,  d'orzo,  di  miglio,  e  di  vàio  (3). 
Di  buoi  e  di  pecore  fanno  spessissimo  menzione  le 
storie,  di  qualunque  parte  d'Itulia'si  tratti :-e  fu 
anche  opinione  presso  gli  antichi,  che  daU'aver' 
-molti  buoi  prendesse  l' Italia  il  suo  nome  (3) .  Ma 

(1)  Sirab.  1.  4,  et  alibi.  —  Athaen.  1.  i  ,   o.  a3,  a<; 
aS.  — ■  Man.  J.  tff. 

(njyoìyh.  lib.  3,  p.   i6,  17.  ^        ' 

(5-)   I   buoi  '  pL^'99»  i    Greci  chìamavansi  ••ta-Wi-.    Siasi 


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BÒ  Delle  ^vóLVuom  d'Italia  ' 

rispetto  à*  bestiami  d' ogni  genere  ,  di  cui  le  fta^ 
liche  contiade  tanto  abbondavano ,  debbonsi  Gon- 
fiare specialmente  le  pelli  e  le  lane ,  dì  cui  1*  uso 
era  allora  di  gi-an  lunga  maggiore  che  non  è  og- 
^dì  ^i).  Perciocché  non  usandosi  né  lino  uè  se* 
ta  nel  vestire,  né  tela  per  le  trabacche  de' solda- 
ti (2),  bisognava  cbe  le  pelH  e  la  lana  supplisse- 
ro a  tutto  questo:  talt^bé  una  stessa  cosa  non  puo- 
fo  malagevole,  com*è  il  pascere  e  guardar  le  gi^- 
ge ,  serviva  a  tutti  i  principali  bisogni  del  vivere 
tornano  ;  cioè  a  fecondar  i  campi ,  a  provveder  sem- 
plici e  salubri  cibi,  come  stmo  tutti  i  frutti  degli 
animali ,  a  coprir  ne'  campi  le  'armate ,  e  a  '  for- 
aire  il  vestimento  di  ogn*uomo.  Lascerò  a*  leggi- 
tori più  esperti  il  calcolare  quanto  di  terreno  s' im- 
pieghi per  le  seminagioni  de'  lini  e  per  la  pianta- 
gione ^e'niori,  e  quanta  opera  si  conmmi  perla 
fabbrica  delle  sete;  e  quindi  determinare  quanto 
di  vantaggio  e  di  comodo  avessero  quegli  antichi 
sopra  il  vivere  ed  il  vestire  de'  nostri  tempi . 

'  Ma  una  cosa  principalmente  debbesi  su  que- 
sto proposito  rilevare,  ed  é'cbe'in  tanto  uso  di 
lane,   di    cui   si  vestiva   universalmente,  e   senta 

fore  comunque  ti  voglia  vana  e  falta  l' etimologia  :  la  sola 
opinione  cbe  la  produsse,  può  farci  pruoYa  die  non  solo 
Ib  L«mbardia  di  cui  niuno  è  che  dabili,  ma  ancora  la 
biaia  Iialta  dove  i  Greci  aveano  certo  maggior  commenio , 
dovea  essere  aaticamente  assai  copiosa  di  liaoi ,  a  ptefe* 
^ùota  degli  aldi  paeii  conosciuti  da' Greci . 

(1}  Ani.  Gali.  1.  11.,  e.  1.  —  Varr.  de  Re  nut.  1.  a, 
e.  I.  >—  Colnmel.  I.  6.  in  prooem. 

(a)  Pompcui.  Fest.  apud  Cluv.  1.  1 ,  e.  i ,  p.  3. 


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Ubro  I.  Capo  V.  39 

cKstÌBztcnie  di  grado,  e  di  «esso  tutta- la  nazione  Ita- 
liana, Don  :ii  parlava  quatioliè  punto  di  lane  di 
^gn&  e  di  Larante ,  né  por  la  morbidezza  né 
pri  i»lorb ,  Le  fìunose  lane'  di  Mileto  ai  contarono 
da.  Plinio  (t)  nel  terzo  grado  dì  eocelicuia,  e  pos- 
poste perciò  a  due  generi  di  lave  dMtalia,.fra  le 
quali  quella  dell'  Apulia  era  la  più  «limata  lana  e 
la  più  bdata:  e  la  poipora  di  Tiro  cainiacÌ6  aì 
(empi -di- Cesare  per  vezzù ,  o  per  pompa  e  sfo^ 
gio  di  dii  amara  le  cose  nuove  ed .  il  ^ran  lus- 
so (2);  laddove  iìoo  .allora ,. e  tuttavia  per  lungo 
tsmpo  d(^,  ia  porpora  di  Tarento  fi)  in  gran- 
dissimo, pregio  e  calebrità.  E  non  solamente  le  la-* 
ne  dell'  Italia  meridionale,  che  sono  ancora  in-qu(d- 
ebe  conto  ne' laniGzi  moderni,  ma  di  varie  sorta 
ne  lodano  gli  antichi  scantfoti ,  di  pafsi  che  or'  si 
eomprendono  nella  Lombardia .  Quelle  di  Pado- 
va ,  che  si  contavano  di  qualità  mezzana  fra  le 
altre  più  morbide  e  più.  sottili  di  queste- Provin- 
cie, servivano  acche  a*  tempi  di  Ài^sto  a  tene- 
re preziosi  ta[^cti,.  e  a  far  tabarri,  e  ^arnacM 
che  (3).  E  siccome  le  lane  de'  paesi  vicini,  al  Po 
erauo  sopta^ tutte  le  altre  d'Europa  pregiate  per 
la  splendida  bianchezza  ,  così  famosissime  erano 
quelle  di  PcJcnza  vicino  al  Tanaro  per  l'eccellen- 
te nero  naturale.  Né  mancherebbono  sì  fatte  lane 

(1)  Plin.  I.  8,  e.  48- 

(a)  Quid  placet  ergo? 

Lana  Tarcntino  violas  imitata  venenn  .  Horat.  /.  3  , 
».   I.  Veggasl  anoora  Plinio  1.  ai  ,  e.  6  t  8-  ^ 

(3)  Stiab.  1.  5,  p.  i5o.5i.  —  P4iii.  J.  8,  «^  48. 


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40  Delle  RjVolozioni  D'ItALU 

ne*  tempi  nostrì  ,  -se  vi  si  adoperasse  fat  steaà. 
cura'  che  praticavasì  da  quegli  antichi  :  laddovié 
già  da  molti  secoli  si  è  abbandonata  un'opera  di 
tURto  momento  alla  più  rosea  parte  del  genere 
umano  .  E  obi  non  riderebbe  oggidì  come  dì  un*  in-^ 
signe  stravaganza ,  all'  udire  che  alcuno  mandasse 
a  pascolo  le  sue  pecore  copèrte  e  vestite  di  pelli, 
perchè' non  s' innasprisse  la  morbidezEa  o  scon- 
(àaràe  il  naturai  color  della  lana,  concie  usavasiia 
italia  daiTarenttni,  e  dagli  Attici  nella  Grècia  (i)? 
Ben  so  che  quando  i  Romani  ebbero  conquistate 
le  Spagne;  e  che  incominciarono  a  usarsi  qurile 
lane,  esse  furono  trovate  più  morbide  e  molli,  e 
perciò  anteposte  da  molti  a  quelle  d*  Italia  >  Ma 
non  si  cerca  or  qui  da  noi  di  sapere  se  gritaltS" 
ni  avessero  per  appunto  tutte  le  cose  della  mede- 
sima qualità  che  le  avevano  altre  nazioni;  ma  di 
stabilire'che  aveano  ad  ogni  modo  l'equivalente. 
Cosi,  se  la  lana  Italica  era  meno  molle  che  la 
Spagnuola ,  ma  più  durevole  e  di  miglior  uso , 
questo  non  era  altro  che  un  vanta|$io  per  la  uà* 
zione  (2) .  ' 

In  comparazione  de'  buoi  e  delle  pecore,   di 


0)  Horat.  1. a,  od. 6.  —  Colam.  1.  7  ,  e. 4.  —  Martial. 
Epigr.  I.  14.^^  Varr.  de  Re  rustica  K  2,  e.  a.  Similiier 
faciendum  in  ovibus  peliilis ,  tjuae  ptopter  lanae  lonita- 
teht  pellihus  integuntur ,  ne  lana  ìnquineiur. 

;af  Notò  Varfone  ,  che  quantunque  fossero  in  uto  ap- 
presso alcuni  Romani  le  lauc  Spagouole,  gl'intendenti  di 
cose  dotnesticlie  preferivaoo  tuttavia,  come  più  durevole, 
la  lana  PugJiete .  Ve  Liag.  Lat.  i. 


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-Dbho  I.  Capo  V.  4t 

molto  minore  utilità  al  loatentanieiito  degji  oo^ 
miorsoDo  i 'oavallì  ;  e  forae  sono  dì  tutti  ìgli  asÌM 
ntaii  domestid  i  più  distrattÌTÌ,  e^  a- parlar  gitt* 
stamente ,  i  meno  tuscesBarì .  Ma  oltre  ai  comodi 
^le  pel  trafBco  sé  ne  possono  trarre ,  è'  suppotCo 
il  ciMtDine,  più  antico  d*  ogni  mtfnoria*  di  eeF> 
TÌrsene  per  le  guerre  ^  ^lOKono  contarsi  i  candii 
eotoe  un  notabile  avere  in  ùiut  proTÌnciaf  penihè 
dov'esn  non  sono,  aopo  i  pocaoDàsrli  om  j£»t 
pendio  di  altri  beni .  Or ,  questo  dispendi»  non 
era  necessario  alfat  aàiione  Italiana  de'  tempi  an- 
tìcfaì^i.trovHndoscDe  in  parecchi  luoghi  d'Itaha  dì 
molto  egregi,  ed  in  gran  numero ^  l  cavalli  Vfr* 
Iteti  erano  appresw  i  Greci  e  atte  oorti  dei  re  ^ 
Sicilia.' in  gran  pregiò  (i)';  e  nt^  Puglia  >  paese 
nel  mto.  abbondantissimo  d' altri  bestieuni ,  vi  era- 
no le  razEe  de*  cavalli  immerosÌKsime  .  Una  squa» 
dra  di  Cavtagìuesì  mandati  mia  volta  da  Anniba- 
le  a  far  bottino  nel  pEicni  degli  Apuli  ',  ne  menb 
via  sì  gran  numero  di  poledrì ,  che  Annibale,  fat- 
tane scelta  dì  quattro  mila^  diedegli  a*  suoi  ca- 
ralierì  perchè  gli  addestrassero  (2).      ' 

Ma  lunga  opera  e  noiósa  sarebbe  per  avven- 
tura r  andar  così  distiolamente  annoverando  di 
capo  in  capo  tutti  i  generi  deVbeni  o  reali,  o 
per  comune  estimazione  supposti  tali,  'che  com' 
prendeva  l' Italia  avantichè  coli*  apparente  gran- 
dezza che  acquistò  in  appresso,  divenisse  di  vero 

(i)  Sirab.  !.  5,  p.  147. 

h)  Liv.  dee,  3  ,  !.  4,  e.  a«. 


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4*  Delle  RivouJzioni  d'  Italia 

povera  e  vile  >  C&rto  h  che  oltre  alle  suddetta 
ebse  vi  eranto  ;iii  'ItaHa  cave  di  marmi  d' ogni  gcM 
sere,  e  mimere- di  quacti  metalli  à  possano. dei 
jiderare  per  le  opportuoità  del  viver  dom«fltico  n 
del  pabblico  -eommerzio .  Nob  i  &cile  il  cop^t^ 
tarare  quanta  fòsse  la  sbtnma  dell'oro  conialo, 
elle  correva  per.  le  citUi  kalicfae  (i) .  E  se  •vo-' 
gliama  supporre'  d^i  atiri  popoli-  ciò  ohe  l^geii 
de^ Romani, 'potmno  dire  ohe  Doa  fosso,  ia  Italia 
fi^quenCe  Tubo  di  batter  monete  d* oro,. ma  ben-r 
^•vi  avessero  còno  qudle  d'  oltrèmars .  Per  al- 
tro le  ftotie  éì  spesso  parlano  d'armi  e  di  arma- 
ture d* oro 'o^  dorate:,  e  di  vasi  offerti  egU  dei, 
éfae  non  possiam  dubitare  esservi  stata  notabil 
copia  d'  oro  presso  que'  popoli .  Sappiamo  in  fat- 
ti, che  molto  se  ne  traeva  dalle  miniere  massi- 
mamente  del  Vercellese  (2),,  e  tango  il  corso  del- 
la DoT^  Baltea  (3) .  Ancor  non  mancano  prezio- 
si avanzi  di  quelle  miniere  una  volta  con  tanta 
diligenza  coltivate ,  prima*  che  i  Romani ,  abban- 
donati i  beni  interni  e  propri  d' Italia ,  volgessero 
r  opera  de'  loro  schiavi  alle  miniere  Galliche  ed 
i^tane.  Ed  oltre  alle  lor  mine  proprie,    sapevano 


fi)  Oupaj  Diuerl.  am  l'etat  de  la  monnoieBomaioQ. 
M«pi-  dea  .inccrìpt.  et  beli,  lette,  t.  a4- 

(a)  Riferisce  Plioio,  essersi  fatto  da\  senato  di  Roma 
on  decreto,  per  cui  si  proibiva  l'impiegar  pi&  che  cinque 
mila  uomiai  a  lavorar  nelle  miniere  del  Vercellese*  £.35, 
e.  4-  Veggasi  il  Maffei  oell'  Epistola  dedicatoria  dell'  /K9* 
ria  diplomatica, 

(3)  St/«b.  \.  4,  p.  i4oi  e  1.  5^,p.  i5«.,    . 


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LiBBO  L  Capo  V.         ,  4% 

molfò  bette  gli  aocorti  JkaKani  far  eolare  in  Itali» 
ì'  preziosi  metalli  dàlie  montagne  de-'  barfani  vi-* 
croi,  come' a,*  tempi  ài  Polibio  ai  fiece  dell* dea 
abbondante  che  si  eru  seóperta  preno.Aqnileia  e 
ael  Nbrico  (i).  Ma  egli  i  piuttosto  da  vedere 
qua!  V90  facessero  glMtaliani  delle  rìcciiezie' dia 
la  qualità. del  paese  porgerà  loco.  Peraianefaè  né 
)*  oro  né  V  argento  nascosti  nel'  seno  della  terrs 
sono  di  alcuna  utilità  ,  se  taon  sono  daWartedm 
gli  ìiomitM  lavorati  e  puliti  ;  aè  la  tetra*  «OMcciiiè 
naturalmente  ferace,  potrebbe  mai  tanta  oose  pro- 
durre «  beneficio  degli  uomini,  <e  l'opera  urna* 
na  colla  diligente  coltura  non  1*  aintava . 


DeÙe  arti  ch'erano  in  usù  t^ìpnsso  gi' Itali . 
rnitìcìù. 


Xj  Oleine  stesso  della  materia  ci  gnida  «ponta- 
ceamente  a  spiegate  quali  arti  fossero  iu  uso  ap>- 
presw  gr  Itali  antidn ,  ohre  a  quelle  che  appar- 
tenevano al  governo  familiare  «  che  si  sono  accen- 
nate. Un  notabile  ordinamento  di  Numa  Pompi- 
lio, che  riferisce JHutarco  (a),  può  darci  a  cono- 
scere quali  fossero  le  arti  più  comuni  nella  sem- 
plicità di  qut^  tempi ,  Perocché  quello  che  si  ^ce 

(i)  Polyh.  apud  Sfrab.  I.  4,  p.  i^. 
(9)  PUt.  in  R««>'C'  iS. 


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44  Delle.  "RivoLÙkiONi  Ti*TtAtu 

de'  Ramaiù,  deesi  panmente  l'ntMidefo  fle'  (w- 
'  poli  Sabini  e  Latini  i  dai  costumi  de' qtialì  noD' 
potevaidiscoÈdare  iJUaviò  legislatore  .-Noma  dOit- 
que',  ìàveédo  stimattf  utile  provveditAento  il  dÌ7Ì-^ 
dere -le .  arti ,  afììnchè  '  T  aoimosità  nanonalè  ah» 
durava  tra  i  -primi  Romabi  raccolti  da  vari  pòpo- 
li; si'sc»infoiasse  io  una  non  inutile  garA  tra  gli 
artrfcL  di  vario,  genere  j  ridussa  tutte  ^  te -arti  H 
queste  novei  cioè  dì  troii^etti ,  ore6ci',  Ikbbri, 
tintori ,: calzolai,  cuoiai,  metallieri,  e  vìKelWj'a 
nell*  ultima  .compreee  tutti  gli  altri  artefici  di  mi*' 
HOT  conto  :e 'minor  num«Yi.  Rispetto  a  ckiep»  o 
sa  della  ^arti  suddette ,  egli  h  raasifesto  eh' .esse 
sono  comuDÌ  e  necessarie  in  ogni  ancorché  picco-'  ' 
lo.  e  rozzo  popolo  v  Neppur  de'  tronibettieri ,  osuó- 
fcatori  di  pifferi  e  flauti  mi  maraviglio  che  fosse- 
io  allóra  in  gran  nomero',-  perciocché,  ehre~  al-* 
1*  opera  che  prestavano  àx  capitani  nelle  guerre  e 
ai  magistrati  delle  città,  facendo  ufBzio  di  messi 
e  banditori ,  servivano  nelle  feste  alle  danze  e  a 
simili  tripudi,  a*  quali  i  popoli,  quaal.0  più' sono 
semplid ,  tanto  più'  sono  inclinati .  Ma  egli  è  ben 
notevole  cosa  Tavec  creata  un'arte  propria  e-di- 
stiata  degli  orafi,  cinquecent*  anni  ftvantichè  i 
Romani  battessero  monete- d' oro'.  'E  veramente, 
anche  ne'  paesi  più  poveri  e  di  minor  lus«o  i  ]a'-> 
vori  in  oro  erano  frequenti ,  almeno  per  ornamen- 
to delie  donne ,  per  vasi  sacri  e  corone  da  offeri- 
re agii  dei ,  come  la  più  antica  stona  Romana  ci 
addita   in   più' luoghi.  Mai   lavori  dell' oco  sì 


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Libro  I.  Capo  VI.  45 

usavano  ancor  dagli  uomÌDÌ ,'  e  da*  popoli  i  più  iè" 
i:oci  e  meno  inciviliti ,  aiccome  dimostra  manife* 
stamente  la  storia.  E  forse  anche  i  Latini,  e  ì 
JRomani  ancor  frugali  e  non  rìocìii  usavano  di  am 
le- armature  loto  e  i  ferramenti  de*  lor  cavalli , 
fr^iati  e  carichi  d'oro  (i).  Questo  facevasi  da- 
gli uni  per  vezzo  e  per  grandigia,  come  può  cre- 
dersi de'  Sanniti;  altri,  come  i  Galli {  it  &ceva- 
no  ncHi  più  per  pompa  »  che  per  un  certo  loro 
principio  di  economia  e  d' avarizia .  Perocché  i 
Galli  vivendo  non  solamente  vita  semplice,  ina 
spesso  anche  non  Besi  in  luogo  eerto,  riducevano 
tutti  gli  avanzi  e  beni  loro  in  bestiami  ed  in  oca 
effettivo,  come  in  cose  agevoli  a  trasportarsi .  Pe- 
rò non  credevano  forse  di  far  migliore  e  più-  si- 
curo impiego  dell'  oro  che  ritraevano  dalla  milizia 
e  dai  sovrabbondanti  frutti  delle  lor  terre,  che 
di  riporlo  nelle  arn»  e  negli  amesi  che  aveana 
indosso  (2).  E  quel  Lucio  Valerio  che  persuase 
V  abrogazione  della  !*gge  Oppia ,  per  cui  si  vie- 
tavano alle  donne  gli  ornamenti  d*  oro  e  la  por? 
pora,  osservò  giustamente,  che  l'usar  l' OTo  ne^ 
gli  abbigliamenti  era'  piuttosto  un  risparmio  e  un 
vantaggio  del  pubblico,  che  dispendioso  costume. 
Erano  adunque  in  que*  tempi  i  lavorìi  dell*  oro 
fuso  Q  battuto  mollo  comuni  non  solamente  neUe 


fi)  Liv.  1.  33.  Plurìmum    ai-gentum    erat    ia 
e^uorum . 

\2}  Poljb.  1.  a.  —  Liv.  1.  34. 


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46  Delle 'ftiv^o^fONi  d'Italia 

città  rìcchb  e  fastose  e  (Ute  al'  lusso ,  eocne  CeI" 
poa,  Turio,  TateotOf  e  molte  delle  città  Etnische  ; 
ma  atfcora  '  io  tutte  le  nazìooi  pieno  agi&te  e  id«t 
no  colte  d*  Italia,  '  Né  era  nianco  comuBe'  V  mtjf 
dèll«  sottili  %  dilicate  fiate ,  e  de*  rìcami ,  e  delle 
iotessiture  d*oro  di  ogni 'geaere .  Perocché,  udii 
Bolamente  si  usava  la  pptpora  da  tutti  ì  Aagistra-r 
ti  d' Italifi  e  dalle  donne ,  tad  ì  Galli  e  Ì  Sanaiti 
usavano  anche  alla  guerra  i  loro  saìoAi  screziati 
0  listati  d*oro.  Ma  non  è  [ierciò  da  credere  che 
tutte  le  nazioni  Italiche  fossero  egualmente  appUt 
cate  a  queste  sorti  dì  toanifatture  :  ed  è  assai  ve-» 
risiniile  che  i  Toscani  n'  esercitassero  la  ttiaggior 
parte*  ^nche  per  usa  d' altri  popoli  abitatori  d'Ita- 
lia; e  che  molti  fosspi-o  gli  artefici  di  quella  na- 
tEÌQije  qua  e  là  sparsi  per  vari  patìsi,  o  che  vi  fos- 
ser  chiamati  da*capi  delle  repubbliche  e  da*  gran- 
di *  o  che  v!  andassero  spontaneamehte  a  procac- 
ciarsi occaslon  di  guadagno  dalla  rozzezza  e  cu- 
riosità altrui.  Certamente  scrive  Polibio  (l),  eh» 
gran  numero  di.  Toscani  dimorava  ùa  ì  Galli  >  a 
sia  eh'  è'  vi  fossfer  rimasti  dopo  che  quelle  provin- 
cie  furono  tolte  da  que'.  barbari  alla  nazìod  To- 
scana ,  o  che  Vi  atidasgier  di  poi  ;  ed  e  forse  da 
credere  che  que^i  esercitassero  ira  i  barbari .  Cis- 
alpini diverse  arti  di  ricami  e  d' intagli ,  e  vi 
'  fabbricassero  arme ,  saloni ,  e  collane  d'  oro  ,  a 
d'oro  guemite,    che,    come   si    è  detto,    molto 

(i)  Polyb.  1.  a. 


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..    Z,iBRO  L  Gafo  VI.        ,  47. 

»*  inaiano-  da* .  Galli ,  applicati  dì;  loc  fiofemoao 
BolBniente  all^  agricoltura  ed  alla  gnerta.  Ma  dì 
qual  nazioà  che  si.  fossero  i  pifi  eccdJeoti  artefi- 
ci d'Italia*  certo  è  che  oltre  alle  ftctic  suddette  vi 
fiorivano  ancora  le  più  nobili,  e  quelle  principale 
na«nte,'clie  arti  del  disegno  si  appellano.  Niùno 
ignora  che' tra.  gli  ordim  dell*  architettura  il  più 
antico  ritiene  -ancora  oggidì  ,il  nocae  di.  Toscano . 
perocché  era  in  uso .  appresso  quegli  stesiì  fitniichi 
«  Xoficaoi,  che  avanti  le  conquiste  di. Roma, era- 
no si  famosi .  e  pfr  tutta  l'Italia^  e  per  tutXg 
V  antico  .  mondo..  La  semplicità  e  solidità  .  dell^ 
fiibbricbe  d*  ordina  Toscftflo  furono,  e  sono  ancQC 
t>g£ii  la  ^aravigliade'canoscitori,  dopo  il  raffina? 
mento  che  le  arti  Greche  intandussero  in  Italia 
sotto!  Cesari,  e  dopo  tutte  le  vantate  scoperte 
de' moderni  artisti.  Le  mura  delcamf^dogUo  fabr 
i)ricats  da  Camillo  di  pietre  quadre  per  opera 
certamente  d' architetti  Toscani,  stimsTansi  c^wra 
di  gran  pregio  anche  a*  tempi  di  Augusto  in  queir 
la  magnificenza  della  città  (1) .  Le  fogne  .0  cloa- 
che che  un  de'  Tarquini  venuto  di  Toscana  vi  co- 
stnitse ,  sono  in  que*  pochi  avanzi^  cfae  durano  tutr 
tavia  dopo  più  di  due  mila  e  dugent'  anni .  I  trat- 
ti della  via  Appia  che  ancor, si  batte*  opera  piutr 
tosto  ,  incomprensibile  che  imitabile  ,  lastricata 
a*  tempi  della  guerra  Sanaitica  da  trecent*  anni 
avanti  il  regno  di  Augusto;  le  mura  di  maravi- 
gliosa  sodezza  dell'  antica  Fiesole ,  che  ancor  sì 
(i)  Liv.  1.  6.  iait. 


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'4&  D^LLE  BiTOLUZIONI  D*  ItALIA 

vedono;  ed  altri  sì  fatti  insigni  avanzi  dsUe  anti- 
che fabbriche  costrutte  prima  che  il  genio  Greco 
prevalesse  in  Italia,  fanno  cbiarissima  pruova  del* 
r  alto  grado  dì  eccellenza,  a  cui  la  loascbùa  ar- 
chitettura degli  antichi  Italiani  era  pervenuta  i 

Della  scultura  e  della  pittura,  arti  ambeifau 
che  per  lo  più  camminan  del  pari  coli ''architet- 
tura, non  parlerò  io,  né  mi  dilungherò  punto,  a 
citare  i  preziosi  monumenti  dì  bassi  rilievi  e  di 
pitture,  che  ancor  si  veggono  in  Cortona  parti- 
colarmente ed  in  parecchi  luoghi ,  e  di  cui  si  pu2> 
prender  cognizione  da*  famosi  antiquari  Gori  a 
MaHei .  Molti  degli  scrittori  che  vissero  a  tempo  ' 
di  Cesare,  parlano  di  statue  e  di  pittura  antiche 
di  dueo  tre  teo^,  che  in  più  luoghi  d'Italia 
ancor  si  vedevano .  La  storia  Romana,  lasciando- 
ne a  parte  ì  tempi  o  mescolati  o  sospetti  di  &- 
Tole ,  parla ,  benché  nel  vero  come  di  cosa  rara  t 
di  statue  equestri  innalzate  ai  due  consoli  cba 
soggiogarono  Ìl  Lazio ,  Ed  é  cosa  assai  nota ,  che 
anche  ì  più  notùli  fra  i  patrizi  Romani  professa- 
vano la  pittura.'  Un  ramo  di  casa  Fabi  ebbe  ìl 
soprannome  di  pittori  da  un  Caio  Fabio  che  di- 
pingeva templi  e  delubri  nell'anno  quattrocente- 
simo cinquantesimo,  cioè  in  tempo  che  i Romani 
non  potev£tno  essere  più  colti  degli  altri  popoli 
d*  Italia  (i).  A*  tempi  di  Annibale  un  Tito  Sem- 
pronio Gracco   fece   dipingere   nel  tempio   deUa 

(i)  Liv.  I.  8. 


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LiBftò  J.  Capo  VI.       '  49 

Liberia  una  nuova  singolar  foggia  di  convito,  che 
ì  suoi  soldati  ebbero  da' Beneventani  (i) .  H  qual 
fatto  non  sarebbesl  potuto  tentare  senza  molta  in* 
f elligenza  del  disegno ,  qaanta  almeno  ne  avessero 
nel  risorgimento  delle  arti  ì  primi  scolari  del  Ci- 
mabue .  Che  w  nella  toscana  e  nel  centro  d*  Ita- 
lia queste  tali  arti  non  eran  ■  neglette ,  ctì  può 
dubitare  eh*  esse  fossero  di  gran  lunga  in  mag- 
gior uso  e  frequenza  nella  Campania ,  e  nelle  cit- 
tà marittime  di  tutto  quel  Iato  d' Italia  che  avea 
ù  -strétto  commeriio  colia  Sicilia  e  colla  Grecia  ? 
Noi  sappiamo  particolarmente ,  che  in  Tarento  vi 
era  un  comodissimo  porto  artìBziale  e  cittadellai 
teatro  e  ginnasio  bellissimi ,  e  capi  d*  opera  di 
eccellenti  scultori ,  e  colossi ,  dopo  quello  di  Ro- 
di ,  maravigliosi ,  di  cui  si  vedono  stupendi  avan- 
zi nel  campidoglio  di  Roma ,  dove  uno  di  que'co-  ~ 
lossi  era  slato  trasportato  e-  dedicalo  da  Fabio 
Massimo  ;  ed  anche  nsl  tempo  che  più  fiorivano 
in  Roma  le  arti  del  disegno,  -servi  d'ornamento 
alla  curia  Giulia  quella  famosa  statua  rappresen- 
tante la  Vittoria,  trasportata  pur  Èia  'farento anr 
tieamente  (2)  .  ■  - 

Tonio  I.  4  -     ' 


Ci)  Liv.  1.  a4,  e.  i6.        ' 

'   (3)  Dìon.  CaM.  1.    Si,    p.  :6'oS.,  edu.   Itavill-    Tarento 

olim  Romam  adoecta.  —  Liv-    i.    37.    Ingens    argenti   vis 

facii ,  signatique  auri  LXXXtlI  milita  pondo  ,  signa ,  la- 

iulas<fue ,  prope  ut  Sj-racusarum  ornamenta  ^aequM'ent .  . 


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5o  Delle  RivoLtfziONi  &'  Italia 

e     *    P    O        VIJ. 
Siutiif  e  religione . . 

Oomigliaote  vantaggio  traevano  dncor4   le  città 

-Italiche  deUa  niagos  Orecia ,  rispetto  sile  lettere 

ed  agli  studi,  dalla  ricinanz^  e  da^  «omm^zio 

de'Greoi.  FotevaDo  esse  partecipare)  come  Skce- 

vaoo.èffeftìvanientei  di  tutto  cib   die  la   felicità 

de'  Greci  ìitg^oi  ave^  prodotto,    e  tuttavia  pio- 

.  .■  ifi^n:^,  jduoeva  ia  quei  medesiaio  spazio  di  tempo  che 

'ii----.(  noi  qui,  discomaifto ,  cioè  del  quarto  e  quinto  se- 

Vt.C  colo  di  Roma,   trecent' ansi  t^tca  avanti   Tera 

Cristiana.  In  Cuma ,  in  Elea.ip  Locri^   iti  Cro- 

-  4one,  inTurio,  io  Tairento,  e  in  molte  altre  cit- 
iìi  della  Campania .  de*  Lucaci ,  de'  Snizi ,  e 
de'  Messapi  «  usandosi  nel  tempo  stessa  j  dialetti 
d'Italia  e  la  lingua  ^Greca*  come,  si  usa  a'  tempi 
nostri  la  lingua  Tedesca  e  la  Franoese  l'n  molti 
-paesi  degli  Svizzeri  e   dell*  Àlemagna  ;  sicoltÌTa-' 

'  rono  gli  studi  non  meno  che  si  fapesse  nella  Si- 
cilia ,  dov'  è  certo  che  a'  tempi  di  Dionisio  e  di 
Gerone  fiorirono  famosi  poeti ,  e  filosofi ,  e  stori- 
ci,   e  retori.   E  T  antica   Italia  non  che  andasse 

-  del  pari  con  la  Grecia;  per  alcuni  rispetti  la  su- 
però. Pitagoi-a^  fondator  della  ietta  Italica  che 
porta  meritamente  sopra  le  discipline  dell'antica 
filosofia  il  primo  pregio,  precedette  di  beo  cento 


ovGoogFc 


e  pìii  anni  F  età  di  Socrate,  il  guade  oracolo 
é^a.  Greca  stqiìeaza;  e  poche  scuole  de*  Grei^ 
fUcaoR  p09flooo  andar  a  fronte  dì  questa  setta,  o 
per  soHdilà  di  dottrina,  q  p&e  nobiltà  di  seguir- 
ci (r) .  RìsUonana  aocoi;  altamente  ì  nomi  di 
OceRo  Lucano,  di  Filolao  Crofoniate  «  di  Timeo 
Locresa ,  di  Parmetiidé ,  di  S^one ,  dì  JU>oEiita , 
non  nten  rìnom&ti  da'  moderni  trattatoi-i  di  filo- 
sofia; che  dallo  stesso  Fiatone  V  il  quale  dalle  vo-  . 

'  ci  e  dagli  scrìtti  df  q&asti  Itab'ani  apprese  buona 
parte  delle  sue  dottrine  (2)  ^  Ma  né  i  filosofi  dì 
questa  ^ettSt  né  ì(-(m^>o  loro  Pitagora  non  furono 
già,  coinè  il  piti  de'  Greci,  ozjosi  vagionatorì  djl  \ 
sottigliezze,  ma  operatori  zelanti  d*(^re  virtuo- 
se, e  promotori  del  pubblico  bene.  Pitagora  si 
travag^ò  grandemente  e  ndle  guerre ,   e  nel  cìtìI 

'  goretnodi  Crotone';  e  f  suoi  discepoli  furono  an- 
cor essi  per  la'piJi  parte  oemipati  nelle:  più  rile- 
Vanti  caricfae  càascuoo  della  sua  repubblica,  e 
molti  ne  iurooo  gli  ordinatori ,  come  Carenda  le- 
g^slator  di  Reggio,  di  Catana,  di  Turio  ;  e  Za- 
leuco ,  da  cui  i  I^icresi  ricetettero  eccellenti  leg- 
gi e  statuti  (3) .  Da  questa  cura  ohe  si  presero 
qne*  filosofi  di  riformare  i.  costumi  e  dar  Icggì 
agli  stati ,   Tké  napque  che  molte   piccole    città  e 


[1]  Aug.  de  Ordine  )■  a,  e.  ao,  a.  53,  54>  et  Be- 
trtel.  e.  5 ,  II.  3. 

[a]  }.  Lipg,  Praep.  '  ad  Stoicam  pbìloj.  1.  i  /  di».  4- 
Warb.  .  . 

Pi  bfód.  Sieiil.  l.  in.  .  . 


,;  Google 


52  Delle  Ritoluzioni  d'  Iìaua 

di  sterile  contado,  cotiie' Elea  patria  di  Pivinéiii^ 
de  e  di  Zenone,  [fel'sróoo  di  cfai  le-  resse  potea-^ 
tio  gareggiare  Con' na^iom  naturahneote  più'  rk:- 
che  e  più  grandi.  E  forse  che  la  grandezza  acni 
salì  la  città  di  Tarento  ,  procèdette  dai  prudenti 
ordinamenti-  che  ■  •vi  stabili  il  Pitagorico  Archita' , 
il  quale  presedette  sett'anni  a  quella  città  e  re- 
pubblica popolare  (i)  ;  mentre  che  Platone  Ate^ 
niese,  suo  -  eguale  e  suo  amico ,  andava  inutilmen- 
te predicando  a*  principi  ed  a*  tiranni: la  sua  me- 
iàfisica  ■  e  Id  stia  morale .  Né ,  a  parer  imo ,  alcu- 
iia  delle 'Gréòhe' nazioni  ebbe  mai  tanto  dà  poter-* 
sì  vantare  'de*  sXiói  savi ,  come  dovette  far  Tebe  '  di 
tisìde  TaCentioo  (2) ,  il  quale,  fooruscito  della 
sua -patria,  divenne  maèstro  d'Epaminonda,  il  più 
commendévole  di  quanti  furono  famosi  eroi  della 
Grecia  (3) .  E  certo  che ,  se  la  riuscita  de'  gran- 
di uomini  dee  attribuirsi  alla  qualità  ■à^V.  educa* 
zìone  loro ,  noi  possiamo  sicuramente  anteporre 
questo  nostro  filosofo  Italiano, a  Socrate,  a- Plato- 
ne,  ad' Aristotile,  maestri  d'Alcibiade,  di  Dioni- 
sio,  e  d*  Alessandro  Magno  (4) . 

Non  mi  farò  io  già  a  disputare  dì  qual  pae- 
se fosse  nativo  ed  originario' Pitagora,  e  se  tanta 
sapienza  sia  direttamente  nata  in  Italia,  0  venuta 


<i)  Laert  1.  8. 

(aj  JEl.  var.  HiM.  5,17. 

(3)  Cic.  de  Officiis  1.  I.,  e.  44. 

(4)  Quod  Platonis  discipuU  fuerint  t^annici .  Atfaaen. 
1.  II. 


0.  Google 


LfBfto  l  Capo  VII;  53 

àsi  più  rìmote  contrade .  Kasi  egU  -  pur  di  Satuo , 
o  di  Rupella,  o!  di.  Torio,  o  di  Metaponto^,  o  di 
t>otoDe  ,  che 'cab.  poco -rìleva  al  nostro  preseqte 
ragionamoito .  Nfe  sarà  però  meno  certo,  che^  in 
Italia  si  amassera  e  si  coltivassero  gli  studi  della 
filosofia' non  meno  ardeatonente  j  che  nella  Cre- 
da; né  quel  chiaro  lume  di  uipan  sapere  sareb- 
besi  co^  lungamente ,  com'  egli  fece ,  fermato  in 
Italia  (t),  né  avrebbe  sortito  sì  fiorita  e  sì  nume- 
rosa scuola  di  tante  nazioni  Italiche, .  se  già -non 
ci  fossero  stati  negli  animi  Italiani  principi!  ■  più 
che  niediocri ,  e  un  affetto  doiniotaiité  di  quello 
stadio.  Del  resto,  appena  è^I^ito  dubitare  cha 
Pitagora' (ancorché.  DOD  fosse  Toscano,  com'egli 
età  probabilmente)  non  sìa, stato  istrutto  deU'Ej' 
tnoca  dottrina,- di  cui  non.  vi  é  antico  .  scrittiore 
die- non  ragioni  (a).. E  T antica  opioio.ne,  sebbea 
falsa  e  rigettata,  che.Numa  Pompilio  Sabino,  re 
di' Roma,  fosse' stato  discepolo  di  Pitagora;,)  non 
ebbe  altra' origine ,  che  la  confumiità  chetrova- 
vantra  la  dottrina  Fìtt^rioa  e  la  filosofia  prati- 
ca de*  Sebiai .  .Perciocché ,  quantunque  gli  -  studi 
e  Je  scienze 'fiorissero  con  più  chiara  fama  nella 
magna  Grecia  per  la  vicinanza  e  pel.  commerzio 
degli:  altri  Greoi ,  non  é  però'  da  credere  che  fos^ 
ser  negletti  dagli  altri  popoli  Italici .  Noi  avrem- 
mo  di    questo    più  :  chiare   pruove-  se  la   lingua 

(i)  Laerl.  1.  8,  e'  i,  n.  i5.   .  ,  .^  :      ; 

(a)  S^i   (li  Cortoua   t.   6,  'p.  di.^-  Coccliì,  Vitto 
Pitag.  —  Maffei  Osjerv.-fcui  t-'^4. 


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84  Delle  Rivoluzioot  d'  ItAijÀ! 

Bomatìa ,  per  la  superiorità  che  ottenne  quel  pt^laV 
non  avesse  oscdrato  e  spento  in  breve  tempo  tut^ 
ti  i  dialetti  delle  TÌcìoe  nazioni,  e  spezialmente  U 
lingua  Strusca  ch'era  come  la  lingua  letteraria  di 
tutta  Italia  ,  e  la  quale  ancora;  nel  quinto  secolii 
della  Bomauà  repùbUica  s*  insegnava  in  Roma 
ste»»  a*  fanòiulli  (1),  come  si  costumò,  poi  ne? 
posterióri  tempi  d* imègnervi  la  Greca.,  Net  qual 
proposito  non  è  da  tacere  eHere  stata  usanza  de- 
gli antìcbi  Italiani,  almeno  in  parecchie < città j  di 
tiver  pubblicàe  scuòle  e  luoghi  pubblici  per  istnii* 
ire  i  fanciulli ,  assai  somiglianti  a*  nostri  ooUegii  -. 
In  Falen'a  n'erano  parecchi,  ordinati  enandio  ee- 
condo  le  diverse  eondizios!- de' giovani;  e  la- per- 
6dia  d'uno  di  que*  recenti  diede  oooaaione  agli 
Atenei  di  farne  menzione,  siccome  per  qu^h# 
altro  accidente  parlò  Tito  Livio  di  pubbliche  «cuò- 
le  d'altre  città (3).  E  quello  ch'i  non  bimo  dc- 
gtio  di  esser  notato  ne'  costumi  d*  allora,  non  so- 
lamente a'  fanciulli ,  ma  alle  figliuole  de'  citiadi* 
ni  di  mezeano  stato  s'insegnavano  pur  neUe  pub- 
bliche scuole  le  lettere.  K  inRoriia.cbe  per  biol- 
ti  eecoli  ebbe  quasi  per  sDo  carattere  partieokra 
in  disprezzo  gli  studi ,  v'  erano  anche  per  le  fan- 
ciulle scuole  pubbliche  di  lettere  (e  la  faoKsa' Vir- 
ginia fìi  quivi  rapita  (3)  per  ordine  del  decemviro 
Appio  Claudio),   nelle   quali,   oltre   alja   lingua 

[1]  Liv.  1.  9,  p/  768.  ed.  Grrpli. 

[a]  ìàtM  L  6,  p.  53i..^ 

\Ji]  Dioi)>>.  Balie.  I.  ti ,  e.  &. 


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..  ..  Libro  1.  Capo  VH,  S5 

fitmsea,  e^  insegnavano  probaliUmente  i  pviacipii 
d^a  sMrale  -e  delU  religione ,  o  vogliam  die?  del- 
ia nàtologia  e  delta  favola . 

'  Ma  né  Ja  squisita  letteroti^a  d^e  città  Gre- 
che «  delle  Toscane  ^  nh.  la  -severa  edncazion  de* 
Sabini  e  Me' Latini,  non  andarono  esenti  da  quel- 
la superstìzit^e  che  £ece  una  parte  deirqntioa 
fiioio^s .  I  popoH  dsQa  magna  Grecia  .poteano  asf 
«ai  di  Iftggerì  aver  così  la  loro  religione ,  come  gU 
altri:  studi  i  som^lianti  e  comuni  bogli  altii  Gre- 
ci ;  è  gli  Etrusobi ,  come  nftzìooe  .più  IqtterEita.e 
{iniJCoUa'^a  tutte  le  altre  ItaUcbe  (;};J^  sape- 
-ravBtio' ancora  jn  ogni  genere  di  :44pers|izio(ie  *  p 
-^udo  però  riguardati  non  in  Ualift  solamente, 
■ma  pet  tatto  aftrore  fino  a'  tempi  jdi  PUtooe,, 
coiae  solenni  •I^idatori  e  xùaeetà  iu  ^ivJ'^tà^  Mol- 
-fi ;A-ano^  gì' imptvtori  di . quella  naaione,  che  .g^- 
TavRUo  le  città  Italiane,  facendo  mt^tiep  propno 
d' insegnar  le  ptatiofae  di  rdigione,  e  spacciaqdp- 
si  come  indorini  ;  giaochè.  queMù  era -Ìl  pcÌDoip^l 
vanto  de'saoardoti  fitruschi,  dì  presagir  1*  avveni- 
re (2>).  Ciò  non  ostante,  aoa  so)am<(ute.gli.^^- 
cht  Italiani  non-fniono  io  questa  patte  pulito  peg- 
giori di  quatsiroglia  altra  na«Ìo<ie,:chp,  dalla  Qiu- 
daì<A  in  fuori,  fko-isse  avanti  la  r^nuta  del  difjn 
Maestro;  ma  ancora  ;  se  noi  vogliamo  a  tniona 
ragion  giudicarne,  'poesiam  .  dire .  che  T  idolatria 
4^'  ItaK  antichi ,    o    ahusno  d'  una  buona  parte 

[i]  Maffei  Osserv.  leti.  I.  4,  I.  i,     parL  i,    num.  17. 
fa]  Cic.  de  Divin.  !.  4.      , 


ovGooglc 


i6G  Delle  Rivoluzioni  d^^Italja 

■di  essi ,  fu  meno  irragioneToie^ciM  quella.^  mol- 
te altre  naziooi  dell*  più  celebri  Ita- le.<anticbQ> 
Il  ch«  non  intendo  io  già  di  provare  eoa  ?  iQ«t(ei- 
re ,' per  esempio ,  in  paragone  i  priocipii  ài  teli- 
giope  -  di  Pitagora  e  di  Timeo  coli  le  dti^ttriiie 
d' altre  scuole  di  Greci  filosofi  ,  o  '  le  -  cerimonie 
Elrusche  con  quelle  degli  Assiri  o-^cte'Feaici,-.  da 
cui  non  è  opinione  improbabile  che  traessero  i'o^ 
rigine  .  -  Queste  discussioni/  «ono  troppo  ardue ,  e 
di  non  general  conseguenza.  L'autorità  di  un, sol 
'Gireco,  ed  alcune  nozioni  generali  dell'  antica  sto- 
ria d'Italia,  basteranno  al  noslró  propio«to.  Dio- 
nigi d'Alicainasso,  benché  tutto  inteso  a  mostra- 
re che  i  Romani  aveano  tratto  l' origine  é  le  in- 
dlituzioni  da  gente  Greoa,  quasi  che  nulla  di  gran  • 
de  e  di  buono  non  potesse  venire  d'  altre  nazio- 
ni; si  trovò  nondimeno  costretto  di  lasaar  in  que- 
sta parie  tutta  la  lode  all'Italia,  mostrando  come 
la  religion  de'  Romani ,  e  per  più  ragione  de'  po- 
poli del  Lazio  e  de'  Sabini ,  andasse  esente  dagli 
scandalosi  racconti  e  dalle  ridicole  cerimonie  du 
<>reci  (i).  E  veramente,  se  Porfirio  e  Giuliano 
che  sì  forte  sì  travagliarono  per  dar  qualche:  obe- 
sto  significato  a  tutte  quelle  «conce  ed  indegne 
favole  di  cui  fu  piena  la  tet^gia  de'  gentili ,  aves- 
sero avuto  soltanto  a  6f>ìegar  l'antica  religione  de- 
gl'Italiani, non  sarebbe  stato  loro  mestieri  di  tanto 
sottilizzare  per  dar  qualche  aspetto  dì  ragionevolezza 

(tj  Dionys.  Balie,  i.  i ,  e.  3. 


ovGooglc 


'      Libro  I.  Capo  VII.  S7 

a  "titlella  sapeRtiiioDe  .  Perciocché ,  cfaian^e-  vo- 
glia diso^rrere  i  soli  nomi  degF  iddii  ItaliaDÌ,-co^ 
noscerà  di  leggeri,  die  altro  non  erano  che  vir- 
fù  V  o  cose  a  virtù  somiglianti  ed  iaducenti  a 
virtù;  o  chiarì  effetti,  0  dotiì,  o  .ùiodificazioiu 
della  divinità. 

Trovansi  nelle  storie  Romane  vari  nomi  ag- 
giunti a  quello  dì  Giove  che  veniva  riguardato  co- 
me sommo  e  prìncipal  diot  edorchiamavasi  Gio- 
,ve  liberatore,  or  Giove  salvatore*  statore,  Sut- 
trio,  secondo  ohe  pareva  a  quelle  aoce(ìate  mentì 
di  aver  ricevuto  o  dì  poter  ricevere  da  lui  que< 
sto  o  quel  benefizio .  E  Io  stesso  fócevasi  rispetto 
a  Giunone  che  come  dea  sovrana  ed  universale 
itdoravasi'  o  col  sopraanome  di  Lucina  ,  pronuba , 
sospita  0' salvatrice  ;  o  di  Moneta  0  siaconsjgh'e- 
ta .  V  ahra  moltitudine  delle  divinità  cui  pur  in 
quegli  antichi  secoli  s'ergevano  templi,  come  fé- 
cesi  alla  pudicizia,  alla  gioventù,  ^la  virtù,  al- 
la pietà,  'filla  mente',  all'onore>-^alU  concordia, 
alla  speranza,  alla  vittoria,  egli  è  da  per  sé  ma- 
nifesta cosa  per  qaaL fine  fosse  preposta-,  all'ado-' 
razion  delle  genti .  E  se  noi ,  uell'  oscurità  degli 
antichi  dialetti  d'Italia,  andremo  curiosamente ri- 
(^rcando  i  significati  primitivi  di  molte  voci  Lati- 
ne ,  potremo  per  avventura  couosoere  la  ragione  del 
culto  che  si  prestava  a  parecchie  divinila .  La 
dea  Terra  0  Teliate,  la  tanto  famosa  Vesta  che 
non  dovea  nel  linguaggio  del  Lazio  antico  »guiiìcare 


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66  Delle  Bitolu^ion?  d'  VrJitu 

altro' «he  fatrra  (i),  non-  solo  si  venerava  ccnnQ 
lat^  producìtrice  di  tutte  le  cose  Dcceasarie  .^la 
vifA  ntturna*  ma  serviva  parimente  ad  eccitare. gli 
Upntini  ;  ànahe  per  motivo  di  reUgicoe ,  alla  pqf? 
tiraìiòoe  de' campi.  Celebre  è. altresì  nella  priina 
età ,  e  molto  raccoroaDdala  a*  popoli  liatini  e  Sa,- 
bini ,  la  dea  Matula,  che  niol  dice  alba  o.auro- 
m  ;  df^iirità  non  per  altro  fine  immaginata  *  ch<) 
per  afiiftiare  i  pòpoli  atta^  vigilanza ,  «  a  mettersi 
alle'opfere  di  buon  mattino.  In  fatti  colevano  « 
taón  che  le  altre  còse ,-  le  adunanze  del  popolo  • 
la  rassegna  de'  soldati  farsi  avanti  il  ievar  del  so- 
le; e  il 'dittatore ,  magistrafo.  di  tanta  importanza 
hppresso  i  Kotnftni ,  solevasi  creare  avanti  gioi;r 
nò  Qz) .  Numa  Pompilio ,  quel  grande  conosciti» 
de'  «ostami  umftni ,  e  che  possiamo  riguardare  qual 
Èompiuto  modello  della  sapienia  Latina  e'  Sabipa, 
nbn  meBO>  ohe  Romana;  proponeva  come  princi- 
pali Oggetti  dell'osservanza  de' popoli  il  dio  Ter- 
mino e  la  dea  Fede.  Il  che  tendeva,  come  com- 
prende agevolmente  ciascuno,  al  fine  d'avvezzai 
le  genti  a  non  invadere  Je  terre  de*  vicini ,  e  a 
mantener  la  fede  in  ogni  genere  di  contralti .  Per 
,  questo,  non  solamente  si  adorava  quel  dio  Terr 
mino,  ma  si  erano  a  certi  giorni  dell'anno  instt- 
tutte  alcune  iette  ohe  cbiamavansi  perciò  terminali , 

[i]  Slat  vi  terra  saa;  vi  stando,  Vesu  vocatur,  Ovid, 
■tast.,1.  6,  V.  500. 
-      [a]  J/iv.  1.  5,  p.  775. 


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•  tlflftò  1.CAM  Vff.  % 

nelle  qùal!  i  tÌÈÌnl  adulati  Ita  su*  ctm&n  •  preaM 
4**  segni  dmsorJi  6é*  lòf  podéri,  vi  facevano  ofier* 
Ife  e  sacrifizi;  ed  amìòbefoImeBte  banchettando  « 
ciakcxmo  nefliV  stesso  ternpo  fiÈOROBCwa  i  termim 
del  carnet  K  se  in  tàota  lontamiiM  di  tempa  ei 
&sse' lécito  portata  giudifeìj»  belle  ewe  che  appena 
possono  trattarsi  per  congetture,  ardirei  dire  ohe 
gli  antichi  legislatóri  Ilalìaùi  [HTATidero  ancora  wm 
religiose  insfituziofai  a  molte  opportunità  del  rive* 
re  timano,  dovunque  non  credettiera  che'  nfeit-so» 
Io  ùtnano  rispetto 'oI*ai)etto  del  comun  b«ie,iifr 
^ualavoglia  TÌgor  di  leggi  potesse  bastare .  Certa4 
hienté  fu  opinione  di  molti,  òhe  «piel' saeto  fìio> 
co  con  tanta  solennità  custodito  da  vn^'ni  a  ciò 
destinate,  altro  non'  fosse  nella  prinùem  sue  insti* 
tuzione',  che  un  necessario  ordinam^to  da'  legi»* 
latori  immaginato  affinchè  le  genti  che  Tivevann 
o  a  borgate ,  b  in  uìnili  casette  dispeiw ,  ave»»* 
ro  un  luogo  pubblibo  dffm  si  guardasse  a  como^ 
do  di  tutta  la  città  utt  èiemetito  sì  necessario  pet 
tanti  bisogni  della  vita  umana ,  e  che  io  qodle 
rimofe  età  non  età  né  facile  ce  comune  T  uso 
d'estraire,  come  fàcolaifi  noi,  dafle  pietre  (i),. 
Or  ,  per  quest*  c^>eTa  di  guardare  il  fuoco  ei  nun- 
(enèvano  a  spese  del  comune  i]uattro  o  sei  femmine 
dì  varia  età,  perchè  VaiUtàsswo  viceodevolmeatet 

[i]  Dionys-  Halic.  1.  a,  e.  8.  fresia  eroi  focus  urbis 
puhlicits;  unde  Cicero  in  secando  da  Legibus:  Virgines 
F'esiales  custodiant  {gnem  foci  puhli'cl  sempitemaitt .  — 
Findati  Scholiaiiet  io  Rem.  vd.  x. 


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) 


6ò  Delle  Rivoluzioni  d' Italia 

ed  apprendessero  le  Hne  dalt'raltre  il  modo  ,e  1*  e-* 
conomia  dì  manteoetlD  continuo ,  e  dispensarlo  se^ 
condo' il  bist^no  (i).  E  perchè  le  cuce  domesti- 
che e  il  natui-ale  afietto  alla  prole  ed  al  marito  , 
o  la  coDvei'sazion  degli  amanti,  non  le  distraesse 
dair  opera,  furono  forse  per  questo  col  rispetto 
della  religione,. e -con  severissime  pene  stabilite 
contra  ogni  lor  fallo,  obbligate  ad  un*  invìolabil 
verginità ,  finché  duravano  in  quell'  uffizio  .  Ma 
nei  tempo  stesso  con  ogni  maggior  dimostrazione 
d*' onore,  secondo  la  coudizione  de* tempi,  furono 
in  vari  modi  privilegiate ,  af6ochè  quel  si  strstto 
ritiro  'fòsse  loro  più  sopportabile.  Né  i  priaoipali  ' 
cittadini  rìousaxono  di  sacrificare  a  un  tal  genere 
di  vita,- ed  a  perìcolo  ancor  d*  un*  infame  e  cru- 
dél  morte;  le  Ich:  figliuole,  per  contribuire  ad  uno 
•tabilimeato  ù  necessario .  Ben  so  che  queste  so- 
lennità e  questi  riti  passarono  poi  coll'azular  del 
tempo  in  abusi  e  in- superstizioni,  le  quali  il  vol- 
ga seguitava  per  usanza  e  per  sciocchezza-,  e  le 
persone  più  iliuminate,  quando,  non  se  ne  faces-- 
aero  befte,  lodavano  e  vantxvsaio  per  un  certo  ri- 
spetto d*  antichità  ,  e .  per  non  discreditare  negli 
am'mi  volgari  gli  ordini  stabiliti,  e  le  usanze  a 
iHione  o  ree,  che  sotto  titolo  di  religione  serviva- 
no a  tener  sommessa  Ja  moltitudine .  Ma  egU  non 
ne  segue  però,  che  nel  principio  loro   non  fosser 


.[>]   Lafilcaa.  Moen»   <1es    Ì9|iavag«s   'Àmeric^iiis  ' 
i6o. 


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Iìbro.I.'  Capo  VII.  6t 

£  sotaraoì^tìvaméato  a 'procurare  il  bencomuna 
dèlia  società  e^  ciascun  particolare  >  > 


Leg-gi  eiv^h'  /orma  di  governo  :  idea  gemrah  die*- 
le  rivoluzioni  interne;  a  eia  jfuron  so^tùe-Ja 
'   TepubMiche  ^f  antica  Italia. 


A'^ueste  taK  cose  per  avrentura  "^  non  pongono 
meiate  coloro,  cbe  trattan  di  barbara  e  poco  uma- 
na la  legislazione  e  Xa  polìtia  degli  anUcbi  lt&-. 
Baai  :  Per  darci  di  questo  una  pniova,  '  citano 
per  esempio ,  che  le  leggi  delle  dodici  tavola ,  'i. 
cui  frammenti  possono  servir  come  saggio  del-t»-' 
vii  diritto  che  allor  valeva,  assegnavano  pei:  ter-' 
mine  di  prescrizione  due  anni- per' i  beni- ióaino-- 
bili ,  ■  e  un  anno  sdo  per  le  cose  mobili  '.  '  Ma  quan- 
do i  padroni  delle  terre  costamavano  di  visitare 
in  compagnia  degli  amici  e  de*  vicini  i  limiti. 
de'  lor  poderi ,  è  fadl  '  cosa  comprendere  quanto 
sarebbe  stato  vano  e  ridicolo  V  assegnare  lo  spa- 
no di  vent*  anni  alla  prescrizione .  %  nella  me- 
diocrissima quantità  delle  masserìzie  che  poteano 
averle  genti  Latine  di  queir  età,  appena  era  pos- 
sibile che  taluno  dinrniticasse  nelle  mani  altrui 
le  cose  sue  per  un  anno  intero  ,  Il  perchè,  quan- 
tunljué  io  non  ■  voglia  metter  in  dubbio  che  in 
incHEte^cose  non  .siasi   opportunamente    anuno^itO' 


=dDvGooglc 


^a  YÌELte  BlVOLt^IONI^  D*  h'ALU 

i'  aspvexza  dd.  gioa  antiqd ,  -noa  {tosto  pèth  ^V&i- 
mulare  che  ^>e8ao  si  aoau»«Da  dibarbuie(  e  d'iau-i 
maniik  quella  grossd  semplicità  e  quella  ductezu 
di  leggi,  che  tahx^  aiODor  side^i^raad  «'gior- 
ni nostri*.  Bisognerebbe  Don  aver  mai'  amia  né 
Ijtr,  Etè.  conoscenza  akuaa  di  litiganti.,- -pe^ppter 
«  buona  «quità  oelebratie  e  vaatam  quella .  preci- 
sione di  Uggii  che.  da' -Romani  giùreconsultj  do^ 
la  decadènza  della ,  repubblica  fu  introdotta ,  e 
da*  più  recenti  interpreti  e  legislatori  tuttavia  a»- 
•erttigliata  e-er^sciuta^  Egli  k  dunque  veco  che  ie 
wpubbliohe' Italiane  di  quella,  rìmpta,  età  non  eb- 
faem  grossi  volumi  ^  uè  luoga  sede  di  ordìoaimea- 
ti  ptt  limitare  i  diritti  d'ogni  particolu^f  ma  si 
itudiArono  d'andar  incontra  ^le  frodi  e  all'iu- 
ginstii^ia  cdil* osservanza  di  alcuna  leggi  capitali, 
é  tioH* insinuare ,  mediaste'  la  religione,  r^equJtà! 
•'la  buona  fede;  E  ben  ili  dagli  .antichi  indaga* 
tori  ^  queste  cose  osserrato,.  che  le  migliori  re- 
' pubbliche  non  fìiron  già  -quelle  ch'ebbero  una 
molto  abttil  precisior^e  di  -leggi,  riguardo  inassi- 
tuamdite  a'  contratti.. Zaleuco>  secondo  che  leg- 
giamo appresso  Strabene,  ■«  nelle  leggi  che  die- 
»  de  a'Locresi,  prescrisse  veramente  -le  pene  a 
V  ciascun  delitto ,  toglieuda  a*  giudici  la  libertà 
a-  d' imporle  ad  arbitrio ,  come  si  qsava  per'  V  in- 
>>  '  nanzì  da  quelle  genti  j  ma  intorno  a^  cootrattis 
>>;  rendè  le  costituzioni  'piii-  semplici.  Quelli  di^ 
B  Turìd  essendosi  poi  studiati  d*  andar  dietro  e 
«  spiegalo  molto  sottilmeutp  ogni  punto  di  ragione^ 


ovòooglc 


'*  za,  e  i*  ia^of^à  t  Dialo  stato.  IwOl  ne  ^gn- 
mtìj'  feg^otei  Berocatò  .da  huotto^.ie^i  s^W 
^  gpTCroad -noia  già  quelli  jobe  -nogliiiDQ:  jp  ietS|9 
V  ^enrap  la  àtradd.'ftd  agni  oalttsiiia.o  .»o^«hjl^ 
*>  ria;  nul'ipdli  chi)  insittoDD,  soprd  leg^  mqi- 
^  ptic^neote  otdniirt»  perciòidisse  Flatooe.  icliie 
K  dovè  abbondali  :le  ^eggi ,  si  :  ttfovana  antnr  mot' 
»  •te'-liti,  «  i  Qoatuqu  vi'  nml  «attiri;  6^94^ 
-»'^  eÓiiM  doglioDO  «Bser  più  ipes«B  leinalattio-i-4o' 
A  ve  con  molti  -óiedici  t  (i) .  Ma  dioa«  puf  «op 
■pace 'e  dd  Aoatroi  get^afa  e  di  Fiatone)  ohe:  st 
ie  mdf d  >I(^  iun  jreBdono  più  ohe  lie.ppcbfr.  jM 
uotnim  virtuosi f  i  nzi  degli  uonuoi  readopa.a 
4aDgo  andare  le  ìnolté.  leggi  hecesaarìei  maanuna^ 
biente  nette  òaziaai  chti  otnrasBOfdi  fortvOQ^  0  di 
«tato  ;  e  il  progresae  medeaìmo  delle  nctà  4ei^ 
è  talvolta  cacone  di  duqvI  trava^  a}lA  Wnetk. 
Perà  Don  è  tanto  da  trìasismre  la  *Qttil  predai^' 
ne  dctie  leggi  t  perdiè  essa  «  trovi  d' ordinario 
congìuntsi  con  molti  vizi;  .quanto. è  da  dolore  la 
condizioo  delle  c(»e  umane*  per  cui  rari,  eomo 
que'  beni  cbe  non  portino  seco  di  iteoettità  qual- 
che, incomoda . 

Ma  due  particolai-i  ragioni  «  a  vero  dice ,  rcit* 
devino  allora  meno  necessaria  l' ecatta  piecifiion 
delle  l^gi .  h'  una  o-a ,  come  sì  h  detto ,  perchè 
certe  pratiche  di  culto  n;ligioso«upplivaDo  in  gran 

[i]  Stiab.  1.  fi,  p.  i7g. 


=dDvGooglc 


64  Deu-k  RiTOLOterom  nTTAiiÀ 

parte  alla  le^slanoc*  éBcIie  per  le  cose  civiti  ^ 
r  ahra ,  perchè- oriundo  gli  s'tali  così  distìnti,  eba 
per  rispetto  «IIV  ammiaistrazion  civile  non  pur 
ogni  nanone,.  aia  quasi  ogni  boi^o  e  casate  em 
f ndipe^lvnt» ,  e  govemaTEiei  da  sé  stesso,  a  eh* 
•ptytaaao  eervire  i  loro  statuti,  se  per  ogni  pìcco- 
la affare  dovea&i  trafficar  concittadini  d^altrere* 
pubbliche  ;  e  però  soggetti  ad  altri  statuti  ?  E  se 
ji  oornuU' diritto  delle  gentil  o  sia  l'equità  na« 
turale  e  la  buona  fede,  non  bastava  a  r^;oIarD« 
il  eommersio ,  vana-  fatica  sarebberei  perciò  pres* 
i  principati  e  i  magistrati  a  volerlo  fere  con  leg^ 
gj  8<»ritte.  Seguita  vasi  pertanto  nel  più  delle  eose 
queir  equità  ingenita  negli  animi  umani,  o  va* 
gliam  dire  la  ragiou  comune  ;  non  già  quella  de- 
scrìtta in  libri ,  quale  intendiamo  noi  oggi  ne'  fi-am^ 
meati  delle  leggi  Remane  e  negli  editd  di  Giu« 
stìoiaoo  (i),  ma  quella  ricevuta  per  rauuentimeI^• 
to  dette  nazioni ,  e  che  perciò  fu  da'  giureconsulti 
chiamata  ^5  ^en/iz«n.  Appresso  i  moderni  giuristi 
intendesi  per  tHrùto  ekUs  gvnti  quella  sorta  di 
leggi  ,  di  riguardi,  o  di  r^ole,  che,  quasi  peo 
tacito  consenso,  osservano,  gli  stati  e  le  società 
civili ,  sieno  principati  o  repubbliche ,  usando  q 
contrattando  fì-a  loro  (2),  Ma  gli  antichi,  meno 
sottili  in  ^6nire  e  distinguere ,  chiamarono  pari- 
mente dmtto  t&Ue  gerUi  così  quello  che  usavano 
ì   pftriicolari   nella  più  parte    de'  lor   contratti, 

(r)  L.  g.-£r.  de  Jusc. ,  et  Jtire;  et  Insi.  1.  1 ,  l.  9. 

(_a)  Paifendorf  1.  a,  e.  3  ,  §•  a5,     ^       ....       ;        ,-.' 


ovGooglc 


,  Lreao  I.  Capo  V»!.-    ^  65- 

qome  quello  ciie  si  osserraFa  tra  ima  repubblioa 
«  r  altra  ;  perocché *:pFDv«iuva  dallo  stesso  princi- 
pio <  e  posava  sopra  b  'steso  :  fbndfimeQto ,  cioè 
sopra  un  tacito  «onsenso  de*  popoK .  Nói  vedre- 
mo qui  apptrtssa,  ;  che  'cotesto-  tal  diritto'  delle 
geotbi  o  diritto;  pubbIÌco>Qhe  altri  'VogKa  nomi- 
oarló,  non  solamente  non'era-  neHa  sua  sostanza 
seonosoiuto> ia  Italia,  ma  eao'vi  emtmmnaeìneh- 
te  in  gpande  oeèfvaiùa .  '       1- ■ 

^sn  furono' iir.  una -coes^gencEalmenfe  difet- 
tMfB'  le  aotiche.  naaioni'  nelle  i  loro  coGtituzIoni;  e 
questa  «A  r  incoltezza  :d^asosi<anità',  .e  per  coa- 
seguenea  V  instabilità  del  gDvehio ,  la  quale  fu  in 
tatte  o  quasi  tutte  lis  cépubbitche  d'Italia  perpe- 
tua cagione  d' infiniti  scompigli  .■  Non  dico  gjà , 
che  s' igoorassei^o  allora  i  diritti  della  sovranità; 
perchè  troppi  sono  gli  osempi-  che  ci  possono  con- 
vincere che  qurile  genti  c6no«oei'aDo  chiaratiieiits 
,  qual  fos86  e  quuito  T«KHÓbile  la  pubblica 'auto- 
rìtà:  nut-Ktveiite  akrdife  cader  poteva  in  dubbio 
chi  si.  fosse  il  sovraDO^  In  niun  luogo?  d' Itamar, 
per  quanto-  appaia,  si  trovata  stabilita  la  monar- 
chia a^cduta  ed  ereditaria  I  cbncios«aobè'per  moi-< 
ti -esempi  sia  manifesto  che  ì  ré  :o  'si  creavano 
per  favor  deHa  moltitudine,  o  se  ne  cercava  ai- 
miHH>  il  consenso  ;  e  -gli  stessi'  re  consul^vano  il 
popolo  negli  sETari  {hu  rilevanti  -  &  più  risohiosi . 
E  siccome  il  goremo  de*  grandi  era  piuttosto  una 
0  fraudolenta  o  violenta  usurpazione ,  che  vera  e^ 
propria  aristocrazia  stabilita  da  leggi ,  o  fermata 
Tomo  I.  5 


=d.vGooglc 


66  Deixe  Rivoluzioni  d'Italia 

.  sopra  uà  luogo  e  .non  conteso  poBsesso  ;  così  ^ep^ 
pure  il  governo  popolare  dou  fìi  mai  91  libero, e 
sì  durevole,  che  Uon  «trovMse  mescolato  dall' au- 
torità d*  un  capo  supremo,  o  d'un  senato:  tal-* 
che  quasi  sempre  si  troTarouo  i  governi  misti . 
Nondimeno  è  facile  Posservare  che  l'uno  de' tre 
generi  di  governo  s'  andava  6ull'  abbassatneRto 
deli*  altro  innalzando  ;  e  ctic  tutte  o  pressoché 
tutte  ad  un  tempo  le  repubbliche  Italiane  per  gli 
Etessi  gradi  passarono  dall'una  alt' altra  forma  di 
reggimeiito,  e  che  ot  vi  prevaleva  il  governo  mo- 
narchico, ora  r  autorità  de' nobili,  crepella  del- 
la- moltitudine . 

Ooncordaoo  in  questo  particolare  tutte  le  me- 
morie che  ci  son  rimaste  degli  antichi  popoli 
d'Italia,  cioè  ch'essi  fosscTo'^da.  principi^j  govee- 
nati  dai  re:  e  tale  fu  certamente  Ja.più 'anticci 
forma  di  governo  in  tutte. 'le  nazioni  del  mondo  « 
da  qualunque  priticipio  se  te  prenda  1^  origine  .~.I  , 
Toscani  ebbero  i  re;  gli  ebbero  i  Sabìiw,  e.ipQ- 
poli  del  Lazio .  E  siccome  ogni  città  e  dasouU 
hco-go  formava  un  governo  separato  .  ed  indipeQ-' 
dente ,  così  non  poteana  essere  questi  re  di  gran- 
de stato .  Ma  spesso  avveniva  che  molti  stati .  ob- 
'  bedivano  a  un  re  medesimo  ;  perocché  colui  che 
aveva  la  signoria  di  una  città  o  d' ud  popc^, 
procurava  di  farsi  eleggere  capo  del  governo,  e 
signore  d'altri  popoli  e  d'altre  città.  Cosi  fece 
per  avventura  quel  Porsena  che  la  storia  ci  rap- 
ipresenta  coki?   se  assai   potente ,   e  che   Dionigi 


=dDvGooglc 


tiSRo  I.    Capo  VIIT.  Gf 

etiìàma  re  de' Toscani ,  probabilmente  perché  egU 
era  seguitato  da  molte  nazióni  Toscane ,  '  benché 
da  principio  non  fosse  altra  cbe  re  di  Chiusi . 
Così  ire  dì  Roma  si  andarono  in  vari  modi  gua- 
dagnando il  comando  di  città  Latine  >  \e  quali 
Aondtmenp  due  seòolì  appresso  si  riputarono  an- 
cor ìodipeddenti  dallo  stato  di  R<Hna.  Tolunttio 
ré  di  Veienta  ebbe  la  signorìa  di  FJdena,  città 
libera  ed  affatto  indipendente  'da'  Veientani  ;  in 
quello  stesso  mudo  die  i  Visconti  signori  di  Mi- 
lano, Canniccio  signor  di  Lucca  i  Cane  e  Mastio 
della  Scala  signori  di  Veroba  (  e  ooù  tanti  altri 
principi  e  tiranni  de*  bassi  secoli  avanti  l'esalta- 
mento di  Carlo  V  ^;  si  andavano  procacciaoda 
la  sovranità  di  molte  città  o  repubbliche  che  nul- 
la aveanò  di,  comune  né  con  Milano,  né  con  Luc- 
ca, né  con  Verona;  Questi  regni  erano o  templi-^ 
cernente  elettivi ,  o  almeno  ricercavasi  l' espresso 
consentimento  del  pubblico ,  qualunque  volta  un 
parente  succedesse  all'  altro ,  Né  al  popolo  gene- 
rdmente  dispiaceva  il  governo  regio  ;  ma  i  gran- 
di e  ì  nobili,  comtf  quelli  ch'erano  pjii  esposti 
alle  v<^lie  del  principe  e  nelle  persone  e  nelle 
robe  loro ,  cercarono  d*'  ingenerar  nella  plebe 
l'odio  del  nome  reale,  e  di  eccitarle  il  desiderio 
deil^  libertà  ;  Lmiagavansì  i  grandi  non  solamen- 
te di  poter  vivere- con  più  sieuFerea  ■  e  piìi  licen- 
za ,  fna  eziandio  con  più  autorità  di  comando  a 
pia  potenza,  abolito  cbe  fosse  il  principato,  il 
quale. spesso  cadeva  in  mano  d'uomini  iiUon  ed 


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68  Delle  RjvoLuziom  d'Ita  Lia 

avventurieri,  qual  fu  in  Roma  Tarquinio,  e  in 
Cuma  Aristodemo .  Da  qual  nazione  e  da  quel 
città  nascesse  Ìl  principio  dì  queste  rivoluzioni , 
non  è  facile  determinarlo.  Ma  correndo  il. terzo 
secolo  deir  era  Romana ,  V  un  popolo  seguendo 
r  esempio  dell'altro,  quale  per  un' opportunità  ^ 
qual  per  un*  altra,  o  cacciarono' violeatemeinte., 
o  cessarono  di  eleggere  nuovi  re;  e  tutta' l'I ta-i 
Ka,  quasi  levando  segnai  comune,  si  vide  mutar 
forma  di  reggimento .  L' odio  del  nome  reale ,  ed 
un  certo  entusiasmo  di  libertà  occuparono ,  così 
universalmente  e  con  tal  forza  le  genti  Italiane.  ì 
che,  se  alcuna  città  voile  o  continuare  o  ripigliar 
talvolta  r  u»o  di  crearsi  un  re ,  essa  n'  era  perciò 
mostrata  a  dito,  e  svillaneggiata  dalle  altre,  e 
ne' maggiori  bisogni  abbandonata.  I  Veientani, 
o  per  tedio  delle  brighe  ed  ambizioni  che  nasce- 
vano dal  crearsi  ogn*  anno  nuovi  magistrati ,  o 
per  meglio  provvedersi  nella  guerra  che  lor  so- 
prastava  de'  Romani ,  crearono  nuovamente  un 
re  (i) .  Per  la  qual  cosa  incorsero  talmente  Del- 
l'odio  e  nel  disprezzo  degli,  altri  popoli  della  To- 
scana, che  contro  ogni  regola  di  politica,  ed  an^. 
lihe  contro  l' obbligo  e  lo  stile  ordinario  di  soc- 
corrersi r  un  l'altro  tra'  popoli  d'  una  stessa  na- 
zione ,  furono  lasciati  soli  a  sostener  l' ostinata 
guerra  che  li  condusse  a  rovina .  Eppure  -un  se- 
eoh)    avanti    fra    quelle    stesee    nazioni    regnava^ 

(I)  Uv.  I.  S.  e.  I. 


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■timo  I.  Capo  Vili.  6g 

Porseoà  cou  grande  seguito  di  popoli  j  e  ìd  grao- 
de  stima  .  Fu  anche  notato  '  negli  annali  di  Ra- 
ma, che  i  confederati  del  nome  Latino ,  i  quali 
pure  aveano  un  tempo  riconosciuti  per  loro  si.- 
gnori  e  duci  i  re  di  Roma,  furono  per  rinunzia- 
re 'all'  amicizia  de*  Romani  aUorcfaè  li  videro  ca* 
duti  sotto  la  tirannide  de'  decemviri ,  mostrando 
di  Doiì  voler  essere  confederati  d' una  città  che 
non  fosse  libera.  In  somma,  dal  principio  del 
quarto  secolo  della  storia  Romana  poche  volte,  e 
quasi  non  mai  si  fa  menzione  di  '  re  in  niuno  sta- 
to d' Italia.  E  se  appresso  qualche  nazione  soleva 
crearsi  il  re  tu  occasione  di  guerre  (i),  come 
-facerasi  da'  Lucani ,  questo  nome  importava  nul- 
-la  di  più  che  quello  dì  dittature  o  capitan  gener- 
rale  che  creavasì  nelle  altre  repubbliche.  TtUta 
la  somma  dell'autorità  o  ammiqistrazìone de'.pub^ 
blici  affari  passò  allora- alla  nobiltà  o  sia  al  senar 
to;  e  quello  che  prima  era  l'ordine  mezzano  tra 
i  re  ed  i  popoli ,  diveraie  capo  sapremo ,  del  go- 
verno .  E  benché  i  maggiori  magistrati  -  si  eleg- 
gessero dalle  voci  e  dagli-- squittìni  dei  popolo, 
■nondimanco  tutti  gli  onori  e  tutta  la  podestà  del 
governo  riducavansi  a*  grandi ,  siccome  quelli  che 
aveano  facilmente  in  mano  loro  la  voce'  attiva, 
e  che  soli  avevano  la -'passiva;,  perchè  niuno  djel- 
la  [^be  ardiva  di  pretèndere  alle  oariohe  civili , 
-o  Toilitari .  Ed  è  troppo  evidente  che  in  qualsivoglia 

<0  Slrtb.  I..  6,  p.  1-^5. 


ovGooglc 


•;b  DellB  RlVOtUZIOKl  D'  IlTALlA 

genere  di  comuDÌlà  iì  rìcco  ed  il  nobile  tendom) 
quasi  di  lor  natura  a  sovercbiare  il  povero  ed-H 
plebeù .  SflDzachè ,  il  più  degli  affari  rilevanti  deU 
le  guerre  e  delie  paci  trattandosi  per  lo  più  dftl 
corpo  del  senato,  composto  esseoiialibeate  di  pa- 
trìeì  e  di  nobili,  anche  per  questo  riguardo  U 
costituzione  delle  repubblicbe  inclinava  assai  pia 
all'  aristocrazia ,  che  al  governo  popolare  .  Del  r«- 
i;to,  niuna  dtf&  era  ù  meschina  e  si  mal  ordinar- 
tà ,  che  non  avesse  un  consiglio  pubblico ,  vaW 
a  dire  un  senato.  Parla  Tito,  Livio  del  senatq 
non  pur  di  Napoli,  di  Capoa,  e  di  Cudù;  onn 
di  Nola;  di;  Pipemo,  di  Tuscolo,  di  Tivoli,  di 
Veiento ,  e  d' akrì  sì  fóttameate ,  qhe  assai  ohia- 
•ro  apparisce  essere  stato  generalissimo  in  tutte  le 
repubbliche  un  ordine  distinto  dalla  plebe,  che 
riteneva  in  sua  mano  la  somma  dèi  gomrao .  Ma 
la  plebe  ,  ostinatasi  una  volta  a  sollecitaiione 
^é*  nobili  nell'odio  della  tirannide,  non  «bbe 
lungo  andare  ad  aprir  gli  occhi  sopra  la  condi- 
zioa  sua  propria,  e  conoscere  che  non  si  era  fat- 
to altro  che  cambiar  uno  in  più  padioni .  Si  vol- 
itò pertanto  con  ogni  sforzo^  à  procurarsi  di  fatto 
'St  possesso  di  quella  libertà,  che  fin  allora.  le  sì 
'  .era  fatta  assaporare  in  parole  dati*  ordine  de'  pa- 
'trizi'edal  senato.  £  poiobè'Ia  moltitudine  ebbe 
cominciato  a  far  pniova delle  sue  forze,  fu  d'uo- 
po'cederle,  benché  a  poco  a  pòco,  F  autorità 
sovrana;  e  toccò  la  volta  anche  a*  nobili  d' esse- 
"  re^  malmetaatì  e  tiranneggiali  dalla  [debe.  Osservò 


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Libro  I.  Capo  VIU.      '  71 

Tito  Livio ,  che  circa  i  <empi  delle  ^erre  Carta>- 
ginesi,  per-  una  quasi  eomune  malattia  eparsa  per 
le  repubbliche  Italiane,  la  plebe  si  eia  voltata  4 
perseguitare  la  nobiltà;  e  pacecchi  esempi  oe  ad- 
duce nella  terza  .deca  delle  sue  stane,  Nondimer 
no  l'ordine  dei  grandi  ootiserrò  pur  sempre  mot- 
ta parte  della  potenza.  Peroioccò^  la  natura  del 
'governo  popolate  essendo  per.  sé  varia,  ed  inpo- 
etante ,  ed  aoohe  incapace  di  condursi  da  per,  sé 
stessa  ;  il  senato  o  la  nobiltà ,  come  quella  che 
opera,  con  più  maturati  consìgli  e  eoo  interessi 
-più  uniti ,  potè  quasi  sempre  contrappesare  il  par- 
tito della  plebe,  e  ad  ora  ad  oc  superarla-  Di 
qui  nasceva  che  tutte  generalmwte  le  città  era- 
-qo  sottoposte  a  rivoluzioni  continue  di  governo, 
e  rue  volte;  si  godeva  quella,  perfetta  .egualità 
eh*  è  il  fine  dèglì  stati  liberi;  ^zna  g  il  favor  4el 
Ipopolo,  o  la  necessità  del  senato  rivolgeva  lapria- 
dpal  autorità  a  qoalcheduno ,  il  quale ,  .  o  fosse 
Don~titolo-o:8Bnza -titolo  di  magistrato  supremo, 
riguardavasi  tuttavia  come  capo  del  govecuo-  Co- 
sì troviamo  passo  passo  un  iVIanilio  capo  de',  («a- 
'tioi  ;  ■  un  Accio  Tullia  principal  de'  Volspi;  .un 
Erennio  '  Ponzio  de'  Sajiniti  ;  un  Calavio  capo 
de*  Campani  ;  un  Valerio ,  un  Camillo ,  ut}  Fabio 
princqjaii  de*  Romani.  E,  a  dir  vero,  non,.8«p- 
eesse  mai  nulla  né  di  buono  né.  di  rìlevan^te  ne- 
gli stati  liberi  né  dentro  né  fuori.,  salvo  io  quel 
tempo  che  un  sol  cittadino  teneva  i  voleri  del 
pubblico  ja  -uia  balìji  ,    Cot^st»  atttp.rità.  qua^i 


ovGooglc 


lirÌDcipale  e  sovrana  in  una  nazione  passava  assai 
flesso  di  padre  in  tìglio ,  siccome  tra^  Sanniti  nel- 
la-fòmiglia  Fonzia,  e  ira  i  Campani  io  quella 
de'  Calavi ,  che  furono  capi  del  governo  per  mol- 
te generazioni .  Ma  egli  è  vero  altresì ,  che  spes- 
so il  rimedio  si  convertiva  in  veleno  ;  e  quello 
stesso  credito  e  potere  clie  pur  un  tempo  servi- 
vano di  vincolo  a  tenere  uniti  gli  ordini  dello  sta- 
lo, diventavano  poco  dopo  titolo  e  bandiera  di 
divisioni,  di  partiti,  e  di  tumulti.  Poche  volte  i 
'figliuoli  d*im  gran  pei^onaggio  potevano  trovar 
così  favorevoli  i  voti,  per  continuare  col  consen- 
timento del  comune  nell' autorità  de*  lor  padri; 
e ,  come  spesso  succedette ,  ne  diventavano  per  lo 
più  indegni,  appunto  perchè  il  padre  l'avea  go- 
duta ,  cioè  perchè  la  presunzione  e  1*  orgoglio'» 
che  di  leggeri  s' insinualno  ne*  figh'uoli  de'  grandi 
e  fortunati,  sono  un  ostacolo  a  quelle  arti  che 
seziono  conciliare  la  slima  e  l'affetto  della  gen- 
ie .  Non  pertanto ,  volendo  ì  figliuoli  d'  un  gran 
cittadino  succedere  negli  onori  de'  padri  e  degli 
avi  y  é  il  più  delle  volte  contro  1*  ordine  delle 
l^gi;  siccome  per  rispetto  delle  ricchezze  e  del- 
la potenza  già  stabilita  in  casa  loro  non  manca- 
vano i  partigiani,  così  non  poteano  a  meno  di 
b'òvar  emoli  e  contraddittori  :  laonde .  riso^evano 
sotto  altri  nomi  le  stesse  discordie,  e  più  arrab- 
biate di  prima  ;  percioochè  Je  dissensióni  tra  po- 
polo e  plebe  non  sono  di  buona  pezza  così  osti- 
nate e  furiose,  come  quelle  che  tutta  il  pubblicp 


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tiBRO  I.  Capo  VIU.  <)» 

<:foiitepisee  eootro  una  persona  prepotente ,-  o  ch« 
^  poFt£uio  vicendevolmeote  tra  loro  le  famiglie  e 
ì  capi  dì  fazione,  the  aspirano  alla  maggioraaza^ 
E  chi  non  sa  di  quanto  pregiudizio  sieno  state 
alla  repubblica  di  Cartagine  le  pretensioDÌ  de' ni- 
poti d'  Amilcare  Barca ,  e  le  troppo  ostinate  op- 
posizioni d*  Annone  e  de'  suoi?  Tutta  la  namon 
Toscana  fu  in  tumulto  ed  in  arme ,  e  condotta 
pressoché  alla  total  perdita  della  liberà,  p«  ì» 
civili  discordie  degli  Aretini,  i  quali  cominciaro- 
no a  voler  con  l'armi  cacciar  di  città  la  fami- 
glia Licioia  troppo  potente ,  «d  avvezza  certamen- 
te a  goder  il  primato  nella-suà  patria;  e  fu  d'uo-_ 
pò  che  un  console  Romano  vi  andasse  come  mo- 
dìatore,  per  riconciliare  coi  Ucini  la  plebe  d'Arèz* 
Ko  (i):  rimedi  per  rordioario  poco  salutari  alle 
repubbliche .  À  questi  scompiigli  erano  soletta 
particolarmente  le  città  ^audi  e  di  fertile  terri- 
torio ,  o  quelle  che  per  la  vioioanza  del  mare  por 
tevano  colla  mercatura  più  fàcilmente  arricchire  ■ 
Per  questa  troviamo  che  molte  città  della  Gam- 
paeia  e  dell'  Etruria ,  e  le  città  marittime  ^  della 
magna  Grecia ,  furono  più  sottoposte  alle  tiraiv^ 
nidi  e  alle  -rivoluzioui  di  govèrno;  e  passarono 
spesso  anche  spontaneamente  sotto- al  dominio  de-* 
gli  stranieri ,  mal  potendo 'Coavenir  fra  loro  del 
modo  di  governarsi.  L'abuso  delle  I7ccjie2ze,  tì 
V  invidia  che  di  là  nasceva,  erano  cagione  uirdìnaria 

■  (i)  Livi  1.  IO.  init.  ■ja4-a9.  ,.;...:    .i 


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f4  Dbllb  .BITW.UZI01ÌI  p'Itaua 

di  que^  mali.  Laddove  per  io  emitrarìo  i  Volr 
sci,  tutti  i  popoli  Latioì,  i Mirai,  e  generalmen-r 
te  i  Sanniti. e  ì  Liguri,  per  quanto  possiamp  in* 
teadere  d^  poche  memorie  che  ci  ^rono  coa- 
gorate  della,  storia  loro ,  fiirocq  men  soggetti  al- 
le- tirannidi  e  alle  risoluzioni  di  goremo,  e  mol- 
to più  hiDgamente  mantenaefo  lo  stato  loro  h'be* 
ro  ed; indipendente,  perchè  la  qualità  del  paese 
perluetteva  assai  meno  V  ineguaglianza  delle  for- 
tune f  sdito  «coglio,  -  dove  vanno  a  rompere  gU 
«lati  Uberi ,  ;  ; 

CAPO       IX-, 

SwtAizioni  per.  cause  egttme:  dirìuo  pid>bUcoi 
-  cagioni ,  ed  effetti  delle  guerre  ;  eqiulìbrio  che  n 
■- .  mantenne  iungo  Umpo  fr^  popoli  Italiani. 

J.VJU  non,  sempre  le  rìroluzioni  di  quelle.  vepUh- 
bliche  iiascerano  dagt*  interni  umori  di  esse  ;  e 
fpeeso  altresì  procedevano  da  forza  esterna ,  '  e  dal- 
le, vicissitudini  delle  giierre.  Per  le  .quali  cose  in 
più  modi  potea  succedere  mutaziop  .di  governo  » 
ed  esaltazione  o  abbassamento  di  questo  o  di  quel- 
lo stato.  II. che  in  breve  da  quanto  ora  diremo 
li  farà  chiaro . 

La  distinzione  di  repubbliche  belligeranti  «  e 
di  quelle  che  chìamansi  commerzìaoti,  non  fu  Eli- 
trimentì  in  uso  fca  gì' Italiani  antichi.  Il  commerziq 


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tiiuto  I.  Capo  IX,  ^5 

e 'le  arti  Borivano  beasi  io  qua!  più-,  io  qual 
taèno  dèlie  città  d'  Italia;  ma  tutte  aveaoo  U 
guerra  per  mestier  necessario .  Q  vero  è  ebe  Id 
eittà  più  TÌccbe  e  più  meroantili*  siccome  qudUe 
ch'erano  più  dedite  alla  delicatézza*  o  alle  arti 
ed  al  negozio  ^  e  che  aveano  maggioc  &à^  d'  a»< 
soldare  uomini  stranieri,  armaTaDo  meno  ebe  Jion 
facevan  le  altre',  di  propria' gioventù.  Ma  non  ne 
trovo  alcuna  i  neppur  la  deliziosa  Capoa,  né  3 
ricco  Tùrio ,  né  il  pecunioso  e  mercantil  TsXen- 
to ,  che  facesse  guerra  con  soli  soldati  stranie- 
ri (i).  Poche  volte  parimente  si  trova  che  le  na- 
zioni Italiane  dessero  il  comando  dell'  armi  loro  a 
capitani  stranieri,  eccettuandone  in  questa  parte 
i  soli  Tare'ntini  con  grande  biasimo  di  ehi  o  sta- 
bili per  legge ,  o  introdusse  i^  primo  ootest*  usan- 
za .  Perciocché ,  noh  eh'  essi  ingrandissero-  per 
questa  via  lo  stato  loro,  ma  non  poterono  nep- 
pur conservare  né  più  lunga  né  più  illesa  la  pro- 
pria libertà:  Ìl  che  purè  era  il  solo  fine,  per  esi 
s'erano  indotti  ad  eleggere  un  capitano  straniero, 
non  si  fidando  de' propri  'cittadini.  Prima  di  Pir- 
ro ,  già  avèano  in  due  diverse  occasioDi  chiamato 
al  loro  servizio  Gleonimo  Spartano,  e  Alessandro 
re  d*Epiro.  Quest*  ultimo  spezialmente,  assai  più 
inteso  a'  £ir  grande  sé  stesso ,  che  a  secondar  i 
disegni  de*  Tarentioi ,  non  lasciò  per  altro  di  por- 
tare   grandissimo  cambiamento,    come   poi    fece 

[1]  Strab   1.  5. 


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^6  Delle  Ritoluìiòni  d'  IÌ'alu 

Krfo  ,■  in  uba  gran  parte  d' Italia  .  E  non  ir  in 
questo  propasito  da  tacerai  che  tutte  le  rivolurio- 
nì  degli  stati  dì  quella  parte  d'Italia  che  ora  à 
n  reame  di  Napoli,  procedevano  bene  spesso  da- 
gli avvenimepti  dèlia  Grertia  e  della  Sicilia.  Ditì- 
nigi. tiranno  di  Siracusa  s*  immaginò  una  volta  di 
farsi  uno  stato  in  Italia  j  il  qual  pensiero  'come-' 
che  gli  andasse  fallito ,  gli.  riuscì  nondimeno  in 
ini  principio  di  porre  in' (discordia  e  in  disordine 
molte  repubbliche,  e  più  dì  tutte  i  Briizì  e  i  Lu> 
cani ,  che.  da  quél  tempo  in  poi  furono  divisi  in 
due  nazioni ,  laddove  prima  ne  formavano  uria 
sola  (i)'  Del  resto,  il  più  delle  nazioni  abitatrì^ 
ci  d' Italia  talmente  erano  armigere'  di  loro  insti- 
tuzione,'che  le  maggiori  cure  deMegialatorì  pare- 
vano rivolte  agli  ordini  della  milizia .  Né  sola- 
mente ogni  comunità  in'  particolare-avevasuoi  or-» 
dini  e  statuti  per  imprendere  e  sostener  gueiTB 
con  armi  proprie ,  '  ma  esse  erano  ancora  con  per- 
petua lega  unite  insieme  le  une  colle,  altre  della 
stessa  nazione,  a>  comune  difesa  e  vantaggio.  Già 
abbiamo  accennato. altrove,  che  ogni  nazione  era 
divisa  in  più  popoli  o  comunità ,  le  quali  si  reg" 
gevano  cdn  proprie  leggi  e  senza  dipendere  Tana 
dall' altra..  In  cento  luoghi  delle  antichità  Italiane 
si  fa  menzione  delle  dodici  dinastie  de'  Tosca- 
ni (z) .  I  Bruzi  erano  ancor  essi  divisi   in   dodici 


[i]  Strab.  I.  6,  p.  76.  —  Diod.  Sical.  I..i4-. 
[1]  Liv.  1.  a5/  iait. 


ovGooglc 


Dbro  I.  Capo  ÌX.  77 

o  pìit  repubbliche,  e  così  a  Lucani  e  i  Saonir 
ti  (j).  I  Volsà  e  gli  altri  popoli  del  Lazio  si  go- 
veraavano  ciaficuno  nella  ima  città  e  nel  suo  can- 
tone, senza  riconoscere  per  1' amministrazìon  cÌ^ 
vile  alcun  supremo  e  general  magistrato  o  parla-r 
mento  .  Nondimeno  per  gli  atlari  di  maggior  rir 
lievo  sì  congregavano  i  deputati  di  ciascun  popo- 
lo ,  per  consigliànn  in  comune  sopra  cib  che  -  uti- 
le fosse  della  nazione.  Teoevaosi  queste,  diete  ge- 
nerali o  regolamenti,  a  certi  tempi  o  secóndo  cbe 
ebiedeva  il  bisogno,  in  alcuni  d^  più  comodi. e 
più,  illustri  templi  che  fossero  nel  paese.  Rinoma- 
tissimi spezialmente,  sono  il  tempio  della  deaVoJt; 
torna  per!  le  diete  della  naziòn  Toscana  (z.) ,  e  la 
sacra  selva  Ferentina,  dove. parimente. »'adun&var 
no  a  general  conoilio  i  popoli  .Latini  (3)  '. .  Termi-r 
navansi  in  queste  assemblee  le  contése  e  le.-difie- 
reoze  che  potevano  sorgere  tra  l' uno  e  T  altro  po- 
-polo,  e  si  cercava  di  levar  le  cagioni  delle  guer- 
re intestine ,  e  regcdavansi  forae  le  cose  necessarie 
pel  mubio'commerzio:d' una  città  o  d'un  popolo 
coli*  altro .  Ma  vi  à  trattava  sopra  tutto  della  guer- 
ra e  della  pace,  e. di  tutto  ciò  cfae  riguardava  le 
potenze  straniere.  I  deputati  di  ciascuna  contradit 
pigliavano  quél  miglior  partito  che  loro  pareva  » 
iatoroo  die  riolueste  che  si  facevano.,  o  di  man- 
dar socoorsi  alle  Eepubblicfae  estranee*  ó  dì  prendei; 

[1]  Liv.  1.  loj  p.  157;  et  1.  2,  p,  60. 

["j]   DioDjs.  Halle.  —  Liv.  passim  in 'dee.  i- 

l^J  Ur,.  1.  7  ,  p.  6m.  ~  Cluvoc.  ì.  i,  p.  9i4>. 


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^8  Delle  Eivoluzioniìd' Italia 

l*atmì  per  k  difes  delle  città  loro  namoBi-' 
li.  Se  le  guerre  sHmavansì  di  minor  momento,  tf 
rìgaardantr  solamente  il  vantaiggiD  di  qu^dobe  cit« 
tao' cantone,  s'univano  solo  gì*  interessati  ;  é 
speesq  lasciavasi  il  pensier  della  guerra  '.a  chi'  la 
voleva:  perocché  non  era  disdetto;  ad  alcunit  co? 
munita  il  far  guerra  di  proprio  parere;  ed U prg'* 
gio  che  le  avvenisse  a.  non  dotlsigliargi  prima  cori 
le  idtre,  era  l'andarne  priva  degli  altrui  «oooorsi.- 
Mai  «e  l'intereraé  o  il  pericolo  era  comune  di  tut-* 
ta'Ia'  nazione,  dì  comune  eònséntinténto  altresì  la 
guerra  si. risolveva,  e  le  amicizie  e' confedérazào^ 
ai  straniere  si  catic|iindeVano  .  Un*  immagine  df 
tal  govHnO'  vedesi  a'  nostri  tempi  ne'  circoli  de^ 
TAlemagita,  nelle,  pravincie  unite  d'Olanda,' 6> 
negli  Svizzeri  i  Ed  io  non  so  come  alcuni  moder* 
ni  Ipolitici  abbiano  potuto  scrkere  che  fossero  an-' 
tièamente  sconosciute  le  repubbliche  ./«Jlma&wj 
Dalla  detenninazioni  di  questn  diete  nazionali  «  e 
dalla  scelta  che  pur  facevasi  del  capitano  da  tut-J 
ti-,  o  da  quella  sola  parte  de*  popoli  che  av«I  ri-» 
soluta  la  guerra,  nasceva  il  prìooipìo  delle  muta^ 
zioni  di  stato  .  Frìtnieraiiiente  ,  1'  autorità  ^rinci-' 
pale  di  tutte  le  città  o' borgata  di  quella  na«ÌoDe 
riducendosì  appresso  colui  oh'  era  dichiacaito  capo  - 
dell'impresa,  anche  la  patria' di  lui,  o  veramen- 
te quella  città  che  contavasi  come  cagìod'  della^ 
guerra,  diventava  quasi  capitale  della  nazione;  e 
la  riputazione  e. l' autorità  di  quella  si  andavano 
aocreseando  f  secondo  che  procedeva  l'iaoontiodata 


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LtBHO  L.Capo  XKr.  .7(1 

f;uerra .  E  pei:  poco  ohe  il  oapitano  avanzasse 
molle ,  prime  sue  imprese,  egli  aodava  poi  tìo  pi4 
liagliardamente  aumentando  1*  autmtà  sua  e  AA- 
la  sua  città >  I  Or,  gli  eiTetti  della  riputazione;  eh» 
nelle  operazioni  acquistàvasi ,  erand  questi ,  ehe 
■gli  stati  o  neutri  o  indecisi  o  anche  neraioi^  6 
£*  ioducevano  spontaneamente  i  o  eraa  costretti  a 
far  lega  col  vindtore  capo  deJla  guerra,  e  però  a 
concorrere  colle  forze. loro  a  nuove  imprese»  «  a 
farlo  tuttavia  più  potente  e  più  grande^  Questo  st 
osserva  spezialmente  nella  storia  dei  re  di  Roma:. 
Tarquinia  pTÌmo*  per  -cagion  d' esempio  «  fatto  re 
é  duce  di  Homa.e  quindi  de*  popoli  Latini ,  moar 
te  guerra  a'  Toscani  »  i  quali  battuti  n^le  prìm« 
^olmate  1  dcconsentìrong  d'unirsi  a  lui  e  seguif&r- 
ìo  conie  ioi'  capo  ■.  Con.  1*  aggiunta  degli  aiuti  To* 
scani  assaltò  i  Sabini ,  e  li  oosttinse  ad  entrtr  neU 
la  stessa .  lega  :  tanto  che  quel  re  che  pur  ent  in 
tUiifìa  nn  aì'veDturiere,  per  questo  modo  venne  ad 
aver  di  grandissima  lunga  ma^iore  state,  ohe  non 
ne  ebbe  la  repubblica  Romana  trecentVanni  dopo 
lui .  Ciò  lioa  ostante  la  'geandezza  e  lasupwiorì* 
tà.  che  una  repubblica  acquistava  so|mi  le  altre 
per,  la  w'rfù  e  prudenza  del  suo  re  o  capitano, 
erant)  piuttosto  transitorie  ,  che  at^U.  E  se  par- 
liamo de'goQerali  Greci  che  ci  venderò  chiamati 
daVT^reotioì,  benché  avessero  seguito  dì  molti 
popoli»  tutta  l'autorità  loro  era  posta,  per  così 
dire,  npUa  riputazione  giornaliera  dell'armi.  NÀ 
la  grandsnut  de'  duci  ojuioDali  dion.  s'avanzava  né 


ovGooglc 


8o        ,    Delle  Rivoluzióni  d*  h'ALiA 

lì  QonfennaTa  giammai  imito ,  che  potesse  durar 
iungamente;  come  quella  cbe  non  essendo  di  pro- 
pria rapane  aè  ereditarìa  nk  successila,  passava 
ad  un'ahra  perscma  e  ad  un^altra  città.'  L'am- 
-binone^  de'partieolarì,  e  la  gdosia  che  nodrìvano 
ie  «ittà'  d-  una  stewa  nazione  le  une  verso  le  al- 
tre, nòD  consentivano  che  i  principati  e  gì*  impe- 
ri si  perpetuassero  ne  in  una  stessa  '  fami^ia ,  nh 
in  una  medesima  città.  Quindi  nasceva  che  fra  i 
popoli  d* una  stessa  nazione,  come  leggicimo' spe- 
zifdmeote  de'  Toscani ,  or  uno ,  or  altro  avea  la 
riputazione  di  principale;  e  védevansi  or  abbassa- 
re,  or  crescere  vicendevolmente.  Ne  in  tatita  vi- 
cinanza e  piociolezza  di  stati  differenti ,  m^sima- 
mente  reggendosi  a  popolo ,  era  possibile  che  man* 
cassero  a  qualunque  ora  motivi  di  turbamenti  e 
di  gueire. 'Oltre  a  quelle  più  consuete  cagioni eb« 
anno  gli  «tati  confinanti  dì  venir  in  discordia ,  co- 
me predar  i  conGni  gli  uni  degli  altri,   ricoverar 

.  banditi,  e  gl'infiniti  rimproveri  di  violate  giuris- 
dizioni; moke  altre  ne  nascevano  dal  continuo 
commNzio'  cbe  aveao  fra  loro  per  le  fiere  e  le 
feste  che  talvolta  erano  comuni  non'  pur  tra*  po- 
poli dello  stesso  nome,  come  Toscani  o  Umbri  q 
Sanniti,  ma  ancora  fra  le  nazioni  divèrse.  I  La- 
tini e  i  Sabini,  per  cagion  d' esempio, aveanoco- 

-  mune  fra  loro  il  tempio  della  dea  Feronia^  fre- 
quentato dalle  due  narioni  non  meno  per  motivo 
di-reb'gione,  che  di  oommerzìo  :  A  questi,  'per 
eon  dire  »  santuari  d' idolatria  accbrreyABO  ia  gran 


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LifiRo  I.  Capo  IX.   .  «t 

numera  e  le  femmÌDe  per  certo  lor  divoto  cosfu» 
me ,  o  per  curiosità  ;  e  gK  uomini  per  loro  traf- 
fici, o  per  far  mostra  d'armi  e  di  arnesi  (r). 
tf  gelosie  e  le  gar«  de*  giovani ,  le  villanie ,  gì*  ra- 
anlti  ed  i  contrasti,  che  appena  sì  poseono  im- 
pedire in  cnKÌ  fatti  concorsi. di  persone  che  vanno 
a  prender  sollazzo ,  e  ad  innebbriarsi  alle  feste  eti 
alle  solennità,  levano  spesso  il  rumore  in  una  ter- 
ra ,  ed  interessando  i  patrìotti  dell*  una  parte  è 
dell'altra,  mettevano  le  repubbliche-  ìa  isoompi- 
glio  ed  in  armi.  E  talvolta  i  magistrati  ambizio^ 
si  Q  i  particolari  maloontenti,  che  bramavano  no- 
vità ,  davano  le  mosse  a  -simili  tumulti ,  spargen- 
do sospetti  e  gelosie  per  le  adunanze  del  mobrl 
volgo  (2)  .  A  leggere  nelle  storie-  di  que'  tempi; 
come -tante  Dazioni  e  città  distanti  tra  loro  lo  spa- 
zio di  poche  miglia ,  erano  tutte  con  l' armi  in 
mano  le  une  contra  le  altre  «  potrebbe  alcuno  dar- 
si a  credere  che  iH>n  potesse  esser  altro  che  info-* 
Ucissima  la  ctwdizioa  di  tjue'  tempi .  Né  voglian» 
dire  che  tutl»  le  person»  d*  età  militare  prendes- 
sero di  buon  pado  le  armi  alle  chiamate  de*  ma^ 
gislrati  ;-  e  che  peir  ispiccar  dalle  case  e  dai  eam- 
pi loro  gH  uomini  anche  bene  affetti  alla'  pa- 
trìa,  noti  Insognassero  talvolta  ordini  efficacissimi-. 
Tomo  1,  6 


[i]*»Ìonys._HaIÌc.  I.  3,C.  8.  . 

[a]  Tal' origine  ebbe  la  famosa  guerra  de' Volici  >  di 
coi  fa  capo  Moriio  Corialano«  fuoruscito  di  ftoma.  Liv. 
i.  a But.  in  CùrioL        , . 


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$9  DE14£  RlV{S.UZIOHIDMTALri 

awalcrrati  accora  da  rì^>eHo  di  rdigiòne .  E  aof 
troviamo  farsi  penàb  menzione  di  ìeg^  sacrate  di 
jpopoli  Toscani ,  Catioi*  e  Sanniti  ia  oooasinne  di 
gravi  guerre  e  perJcoloae  (i) .  Ma  per  intende» 
fino  a  qual  segno  ed  in  qual  senio  le  guerre  stra* 
liiere*  «  le  tiene  dvifi  dtieordie,  e  le  rivoluzione 
|3f^  Atati  alle  quali  foggiacevan  que'popoK*  ab^' 
biano  da  confarn  fra  i  mali;  basogoa  coasigliam 
con  la  6IoMfia  esploratrìce  dell*  animo  e  degli  af* 
fetti  Hi9JV>i  •  Presentemente  le  molte  arti,  e  ì» 
soiente ,  9  ii  commerzio  dÌTeouta  n  fadle  e  si 
tegol«e  Sea.  tutte  le  nazioni  del  mcmdo,  e  tante 
altre  oagtopi  s'uniscono  msieme  a  iomird  di mez' 
fi  QfijMrttim  per  fiiggir  l' inerzia  e  k  noia ,  dv' 
par  quasi  nna  mscavigUa  come  vi  sien.  persone  al 
moDcU) ,  le  quali  non  ttovÌDCh  trattemmmta'.  £  «e 
pon  altro,  quello  spirito  di  tranquillità  e  di  som- 
missione 4  di  pane ,  che  la  religioa  nostra  ci  deb-  . 
be  inspirare  ;  e  jlU  eserdzi  di  pietà  «  e  le  occupa- 
noni  iifteUcttuali  ch'ala  propone,  possono  xendinr* 
ci  non  che  tollerabili  *  ma  anche  preziosi  ■  tutti 
que^'  intervallr  di  tempo  cbe  rimangono  vacm 
dalle  funzioni  vcBSsarie  della  vita  omana  e  gìtì-' 
•le.  Ciò  non  oifairie  molta  parte  de^uonnni  po-> 
trebbe  con  miglior  animo  sopportare  ogni  trava« 
.glio  e  correre  ogni  perioolo,  che  sostener  il  tedio 
"d'una  Tifa  soverchiamente  ^anquilla  ed  unifor- 
me. E  donde  procede  quel  gènio  dì  inal^cenzar 


[1]  Liv.  1.  4,  p.  348i  et  1.  9.  p.  774/ 


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'LifiEo  I.  Gapo'DL  £3 

cosi  comaae  anche  ira  le  persone  meno  viziose; 
e  quel  costume  si  antico  ed  universale  d' interro»- 
garsi  l'un  l'altro:  che  e* è  ^nnoito?  se  non  che 
da  una  certa  morale  necessità  di  trovar  materia 
di  trattenimento,  t  dar  qualche  pascolo  ai  nostri 
pensieri ,  a  cui  aiuna  umana  filosofia  pul>  tnetter 
freno  P  Bisognava  pur  dunque ,  cfae  quelle  onticfatf 
|)opolazioBÌ  qualche  via  trovassero  di  fuggir  Tin»- 
zione  e  la  noia.  II  naturale  instinto  dell' uomo  so 
ciate  invitava  gli  uomini  della  stessa  contrada  a 
ragunarsi  fi:a  loro  ;  e  la  pisrte  cfae  ognuno  aveva 
o  pretendeva  d*  af»  nel  governo  i  gliene  dava  il 
pretesto  e  V  ocoasione .  Per  questo  riguardo  tro- 
viamo cfae  nelle  ciuà  Italiane  cosi  de*  primi  tenN 
pi  di  Boma^  come  ne'  mezEùii  secoli,  abitando 
pur  ^  UDmiui  stréttÌBHftiàmente  ed  a  mal  agio  in 
^'valo ,  amavano  le  pìanze  e  le  logge  e  i  pub- 
blici edifizi  per  far  raguaate  •  Or ,  chi  può  mai 
limmagìaarsi  oome  coteate  adunan»  di  persone  fé- 
nMìi  e  baldanaote  e  Jibere  per  la  natura  del  go- 
verno» potessero  passarsi  sen»  far  il  sindacato 
de*  comandanti  «  senza  sparlar  de*  popoli  vicini , 
senza  un  desiderio  òóntinuo  di  novità,  e  senza 
progetti  infittiti  di  riforma  dì  stato  odi  guerre  (i)? 

[i]  L*  not»  per  te  tlorib  d'ogni  tempv,  Ae  tuu!  co- 
loro cbe  ^DDo  voluto  introdaire  nelle  città  libere  o  prin- 
cipato .o  tiraniiide,  anno  procurato  di  divertire  la  plebe 
con  gli  tpeitacelif  e  la  nofiiltb  cab  le  Heiie  «  con  le'cott* 
parM  e  col  fatto ,  e  tnlti  generalmenie  «  colla  miieria  o 
col  lusso;  affiatile  i  trangli  e  le  occopaiioDi  domeslicbe 
poco  spazio  laniaiHTO  d' ÌBip«cÌKrsi  delle  ce«e  pubbliche  . 


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84  Delle  RivoluzÌoni  d'  Italia 

La  gelniiia  D.tturale ,  e  quel  genio  feroce  di  liber* 
tà ,  e  la  cupidità  drlfa  preda  animaTano  del  con* 
tiuuo  alle  imprese  Tua  popolo  contra  T altro;  e 
gli  uomini  s' erau  talmente  assuefatti  alle  fatiche 
ed  ai  pericoli  della  guerra ,  che  lo  stimolo  della 
gloria  e  la  cupidità  del  bottiiio  superavano  ogn' al- 
tra considerazione:  non  •■altrimenti  che  si  faccia- 
no i  giuocalori ,  i  quali  trovano  sempre  un  vìtq 
jMac^re  nel  giuoco  (  tuttoché  rovinoso  di  sua  na- 
tura )  perrbè  o  vi  sono  allettati  dalle  passate  vin- 
cile, o  animali  e  caldi  dalla  speranza  dì  rifarsi 
un  tratto  .  Tanto  minor  maraviglia  ci  dee  'parere, 
che  fossero  date  alla  guerra ,  come  a  mezzo  ne- 
cessario per  sostenersi  i  quelle  nazioni  le  quali  o 
abitavano  sterile  ed  infelice  terreno,  come  una 
parte  de'Volsci,  e  de*  Latini,  e  de*  Liguri  ;  ® 
ohe  pel  sciverchio  numero  delle  persone  mal  pò- 
teano  nelle  angustie  del  proprio  cfHtfado  campar  ■ 
la  vita.  Famosa  e  veramente  moho  notabile  i  la 
nsposlB  che  fece  Brenno  agli  amb^ciatori  di  Rov 
ma ,  i  quali  domandavangll  qual  torto  avesse  là 
nazioD  de'  Galli  ricevuto  da*  Cbiusiài ,  perchè  egK 
si  fosse  mosso  a  molestarli  con  aspra  guerra . 
it  Questa  ingiuria,  ditseBrenno,  oi  fanno  i  Chiiir 
»  sinì,  che  putendo  eglino  abitare  ogni  poco  di 
«  territorìu  0  di  paese,  t'animo  loro  idi  volerai 

Ed  è  non  mtao  evidenle  che  la  itaiu  condìuone- de' teoa* 
pi  e  ile'cotlum!  Maticbi ,    lanUDi    egaaloente    dal    iauo  e 
dalla  luiuria,  reodeva  via  più  ineviubili  k  pubbliche  di*  - 
sirazioui,  e'k  agitaiioni  di  stato. 


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•   ItBso  I.  Capo  K.       '  85 

»  o(!cupar  pure  ansai;    ed   a   noi    fores«eri .  :  che 

•  siamo  molli  più  e  poverissimi ,  dod  ne  vogliono 
»  ftp  parte  alcuna.  Io  quello  medesimo  modo, 
»  o  Romani ,  fecero  anche  ingiuria  a  voi  prima 
»  gli  Albani,  i  Fideoati ,  e  gli  Ardeati;  ed  ora 
«  la  città  di  Veiento,  i  Capenali,  e  molli  popoli 
.  de'  Falisci  e  de'  Volsci ,  contro  i  quali  voi  mo- 
»  vele  le  TOslie  genti  :  e  s'  eglino  non  vi  fanno 
»  parie  delle  cose   loro,  ve  li  fate  servi  ,    li.  ro- 

•  vinate,  e  spianate  le  città  loro;  e  ciò  non  vi 
»  pare  che  sia  cosa  ingiusta  né  fitor  di  ragione , 
»  ma  imitate  U  legge  amica,  la  qual  vuole  ohe 
»  le  cose  de'  minori  sempre  si  dieno  a'  maggio- 
s  ri,  incominciaodo  da  Dio,  e  finendo  sino  alle 
»  bestie  le  quali  anno  ancor  esse  questo  inetìnto 
n  di  natura,  che  i  possenti  abbiano  molto  più 
»  che  i  deboli  •  (■) .  Se  queste  partioolariH  che 
ni  vengono  da  Livio  e  più  distintamente  da  Plu- 
tarco riferite,  aveano  «mdamenfo  nelle  antiche 
memorie  o  di  Roma,  o  della  Toscana;  bastetefr- 
he  por  questo  a  darci  argomento  che  il  diritto 
pubblico  degli  antichi  Italiani  sentisse  del  barba- 
ro e  del  ferino .  Ma  dove  mai  furono  al  mondo 
le  nazioni  si  incivilite  e  sì  moderate,  fra  le  qoaK 
la  più  potente  d'uomini,  d'armi,  o  di  denari 
non  presumesse  di  dar  legge  agii  stati  più  piccoli 
e  Dien  potenti?  Que'  nostri  antidiì  operavano  con 
più  sempliciti ,  e  quindi  ancora  con   più   feroci 

.     [ii.r'u.  io.Cwiilv.  . 


ovGooglc 


86  Delle  Rivca-uziONi  d*  Italia 

manieré  e  più  sohietta  baldanza.  E  come  non  ti 
Tei^ogaavano  di  far  tiuuiifpstq  !a  cagione  che 
griddnccTa  alle  armi,  cosi  noq  «i  astenevano  dal-' 
le  bravate,  e  dal  vantar  la  forza  e  il  valore.  E 
eh)  potrebbe,  a  parlare  «eoondo  i  primitivi  det- 
tami della  natura,  condannar  un  popolo  pìea  dr 
coraggio  «  di  fcn^e,  che  voglia,  anziché  morìrsì 
di  fame,  costringere  ^tre  dìizìobì  a  fargli  parte 
del  soverchio  cit'  esse  ^nno?  non  essendo  ciò  altra 
cosa,  che  ricorrere  a  quell'equità  naturale,  l2| 
qnal  consente  che  si  reputi  (^ni  cosa  comuno 
nell'evidente  ed  assoluta  necessità.  Ma,  a  vero 
dire,  troppo  è  difficile  ^he  gli  uomini  stieno con- 
tenti a  giusti  teimini  ;  e  per^  te  liti ,  e  le  guerre^ 
e  ogni  genere  di  dispute  9  à\  contese,  di  rado 
vanno  esenti  dalle  ing;iurie  e  dai  torti . 

Per  tutto  questo  non  abbiamo  da  credere  ohe 
senta  riguardo  alenino  a  quella  comune  l^ge 
ch'essi  ancom,  al  par  di  noi,  ohiamftvaio  ra^ 
gion  delle  genti,  ad  ogni  caprìccio  di  comaDdan* 
te ,  o  impeto  di  popolo  sì  venisse  <x)sì  subitamen- 
te ali*  arini  ed  alle  offese  ;  né  che  si  IrìdasraaST 
ser  d'usare  gli  opportuni  tneszì  per  levar  via  le 
cagioQÌ  delle  guerre.  Quegli  stessi  Galli,  a'  quali 
la  storia  mette-  in  boo(:ci  ooei  fiere  massime  e  sì 
pòco  civili  y  Don  per  altra  ragione  sì  mossero 
•'  danni  di  Roma,  se  non  per  Io  sd^no  cbepre* 
tero  al  veder  gì'  inviati  di  Braia ,  contro  il  di- 
ritto delle  ambascerìe ,  vestir  armi ,  ed  entrare  in 
ballaglla  nell'esercito  de*  lor'  nemiiiij  a   tuttavia 


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uno  1.  uipo  IX.  07 

don  veniMR)  alle  ostilità  prima  d*  aver  fatte  ìatan- 
M  alla  repubblica  di  Roma,  perchfe  i  violai 
della  rafpnn  delle  genti  fosaer  puniti .  E  que*  tali 
ordini  feeialt  che  si  praticavano  io  ocoasione  dì 
minaonare  e  d'intimar  la  guerra^  o  di  stipatar 
paci ,  cnnFederazioni-o  (I(>dÌxÌonì ,  donde  hitta  la 
posterità  prew  motivo  d'  innalzu«  al  ciftlo  I*  equi- 
tà de'  Romani,  erano  certamente  cx)mum  ad  al* 
tri  stati  Italiani  (i);  e  i  Romani  furono  forsv 
i]uelli  che  gli  usavano  men  francamente.  Onde 
fij  detto  in  più  d*ua  lut^  dagli  scrittori  mede- 
simi delle  cose  di  Roma ,  che  se  i  Romani  aves- 
sero dal  cantn  loro  mantenuta  queUa  fede  che 
pur  dagli  altri  esigevano,  la  ^gnoria  d*[talà  non 
sarebbe  toccata  a  loro. 

GÌ*  instrumenti  a  atti  pubbh'ci  di  paci ,  d'al- 
leanze e  dì  vanteggi ,  dob  si  compcmevano  ve- 
ramente con  espressioni  rìoeneate  e  troppo  sottil- 
mente pesate,  ma  con  semplid  e  sdiiette  parole; 
e  in  luogo  di  pergamene  e  d' archiri ,  s*  iotaglià- 
Ttmo  in  tavole,  in  ban  e  in  oolcmne  di  l^oo, 
di  pietra  o  di  metallo  ;  cbe  restavano  dposte  alla 
vista  d*'ogmino  in  loogbi  pubUiei,  e  per  la  più 
parte  be'  tenìpU  (a).  E  a  dir  vero,  appéna,  ti 
trova  esempio  che  per  sofistiche  interpretazioni  dì 
patti  stabiliti  una  vdta,  si  rompesse  '  l' accordo 
ira  due  nazioni .  Né  «wtumsvasi  in   quell'età  di 

{i}  Dion^i.  Balie.  I.  i,  e.  8.  t-  Ut.  K  8  in  fin. 
lì]  Dioo;i.   HaUc   1.   a,   3,   et  4.   —  Poljt).   1.    5, 
e.  36. 


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88  Delle  RivolMioni  D'ItALiA 

mandar  le  ambasciate  con. tanta  solennità,  e  oon- 
queir  apparato  che  s*  usa  di  fare  oggidì;  ma  an* 
davano  per  le  oo^rrenze  emettenti  gli  ambascia-r 
tori  da  un  popolo  air  altro  in  poco  più  spazìO:  di 
tempo ,'  cbe  non  sì  madderebbe  ora  un  corriere  .- 
Per  altra  parte,  le  corrispondenze  cbe  s'intratte-- 
nevano  fra  i  parenti  di  nazioni  diflerenti,  o  i 
mercanti  che  per  loro  interessi  soggiornavano  qua 
e  là  in  diversi  stati  (i),  servivano  alle  volte^in 
que'  governi  liberi  e  per  lo  più  popolari ,  a  far 
quegli  ufììzi  cbe  oggi  fanno  i  ministri  stranieri 
residenti  alle  corti  de'  princìpi. 

Ma  finalmente,  siccome  non  v'h  dubbio  che 
bene  spesso  riuscissero  vani  ,  o  ancora  .si  trasea- 
rassero  gli  spedienti  opportuni  che  il  genio  allor 
domioànle  potea  suggerire ,  per  mantener  la  pace 
e  gli  accordi;  non  dobbiamo  credere  che  le  guer- 
re ,  ad  ogni  modo  assai  frequenti  tra  i  popoli 
dell*  Italia,  fossero  anticamente  (  voglio  dire  men- 
tre duraron  fra  loro  una  certa  eguaglianza  di  sta- 
to,, e  quegli  antichi  costumi  che  già  si-  sonoia 
parte  spiegati  altrove  )  si  rovinose  e  crudeli ,  co- 
me poi  diventarono  quando  Taquila  Romana-  si 
diede  ad  insanguinare  più  aspramente  1* artiglio, 
e  a  volersi  divorar  ogni  cosa.  Dionigi  d'Alicar- 
nasso,  guida  principalissima  di  chiunque  tratti 
delle  antichità  -Italiane ,  può  darci  materia  d' ar- 
gomentare quali  fossero  le  guerre  che  soleau  farsi 

[i]  Liv.  a  ,  4/  «'  C- 


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Libro  I.  Capo  K.  89 

in  Italia .  »  La  gue^'a ,  die*  egli ,  che  nacque 
»  ira  que'  popoli  (Latiifl),  durò  cint^ue  aoDi.in- 
M  teFÌ,.e  fu  come  una  guerra  civile  -e,^  fatt4  al- 
s  i*  usanza  antica  ;  perciocché  niuna  delle  loro 
V  città  fu  espugnata ,.  né  ajbbattuta,  né  ridotta, ia 
D  aervitùf  ne  oppressa  da  .alcun*  altra  intpllera- 
»  bile  calamità,  ma  saltando  gli  uni  sul  territo^. 
»  rio  degli  altri  in  ani  maturarsi,  del  grano,  e 
«  saccbeggÌBudo  il  paese,  rìducevano.  le  ge«t!.  a 
»  casa,  e  scambiavano  i  prigioni  «  (i).  lofìoiti 
luoghi  dello  stesso  Dionigi ,  e  di  Livio ,  e  di  Plu- 
tarco, presso  i  quali,  nel  raccontar  che  fecero'  le 
guerre  de*  prìmi  Romani ,  -  leggesì  passo  passo  , 
chi;  la  gu»-ra  sì  ridusse  a  modo  di -latrocinio;  ci 
possono  conFermare  ia  questo  pensiero,  cioè,  che 
le  guerre  si  facessero  bensì  tra  Pus  popolo  e  l'al- 
tro con  ferocia  e  cou  certa  rustica  e  villaoa  bra- 
vura ,  ma  senza  crudeltà  e  però  senza,  molta  di- 
4truzion  dì  persone.  Un  general  de*  Romaoi,  esor- 
tando i  suoi  soldati  a  menar  le  spade  addosso  ai 
Galli ,  riguardati  come  nemici  strani  e  barbari 
rispetto  alle  altre  nazioni  Italtaoe ,  andava  d(cen< 
do;  «  che  state  voi,  o  soldati,  a  fare?  Qui  non 
»  M  combatte  con  i, Latini  o  Sabìm*  i  quali,  do- 
ti pò  la  vittoria,  da  inimici  voi  ve  gU  abbiate  a 
R  far  compagni.  Noi  abbiamo  prese  le  armi  con- 
»  tro  fiere  selvatiche:  qui  bisogiia  avere  del  san- 
*  gue  loro ,  o  darne  del  vostro  »  :  (a)  -  Parol?,,  a 

[I]  Dionys.  Halic.  I.  3  ,  e.  8. 
■   [3]  Liv.  1.  7.  p.  599. 


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90  Delle  Riydìv^oni  s*  Italia 

mio  credere ,  tfoppo  notaMlE  per  '  farei  argomen- 
tare che  dovp  pur  fòssero  fra  gì'  Italiani  ostìoàto 
le  guerre  e  sanguinose,  gli  fletti  distruttivi  di 
quelle  si  termioavaso  ne'  fatti  d'armi,  e  nel  prì-> 
mo^  furor  ddla  pugna  ;  e  1*  intentò  de*  combat' 
tenti  era  di  vincere,  «  non  di>litigg«e  ì  lor  nc' 
mici  ■ 

Se  la  condizione  degli  scbiavi  fosse  sfata  ne^ 
più  antichi  tempi  qoal  fa  dappoi  sotto  gl'impe- 
radori  Eomaui  e  poco  avanti ,  e  qual*  è  ancora 
o^idì  ne*  governi  dispotici  dell*  Oriente  e  del" 
r  Africa ,  troppo  pW/e  e  depkvahile  sarebbe  sta- 
ta il  destino  delle  genti  Italiane ,  ciascuna  delle: 
quali  avendo  il  nemico:  pressoché  alle  porte  d( 
casa,  e  trovandosi  così  spessd  alla  schermaglia  Itf 
nne  colle  altre,  ognuno  era  oootinuaDiente  in  pe- 
rìcolo d*  essere  fatto  schiavo  da'  nemici  delta  suaì 
patria.  Ma,  oltreché  sarebbe  diffioit  cosa  a  per-' 
suadersi  che  potessero  essere  in  gran  numero  i 
servi  in  mezzo  a  nazioni  per  la  pìik  parte  labo- 
riose e  frugali ,  «  lontane  dal  làsto  e  dal  lusso  ; 
non  oi  mancano  ragioni  di  credere  ohe  i  più  de*  ' 
servi  fossero  di  nazioni  straniere  e  barbare,  o  al- 
meno che  il  lor  numero  s'accrescesse  piuttosto 
per  r  intema  moltiplicazione  da'  maritaggi  degli 
schiavi  stessi ,  che  per  le  catture  di  nuovi  uomi- 
ni* che  si  facessero  n^e  guene  tra  vicini  e  vi- 
dni.  Dall'altro  canto,  è  cosa  assai  maojfesta  che 
la  schiavitù  domestica  era  allora  troppo  diversa 
da  quella  che  s' ebbe  dipoi  a  patire  ^1    superbo 


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Libro  I.  Capo  IX.  91 

fastidio  degli  ultimi  Romani ,  i  quali  dopo  che  « 
vìder  giuDtt  a  .qtìell' alta  seguo  di  potebza,  cheli 
fece  riguardar  còme  nati  al  ccnnando  del  mon- 
do, s'avvezzarono  sin  dall'inezia  a  trattare  gli 
schiavi  eh»  loro  veoiano  da  straBÌere  cazìoai ,  non 
altrimeotì  che  si  farebbe  drj^i  auinaU  di  sperì* 
inferiore  all'  umana  ;  e  con  ogai  genere  di  cm^ 
deità  gli  stradavano  veramenta  a  guisa  dì  pecore 
e  di  giumniti.  Ma  gli  antichi  usavano  co*  serri 
poco  meco  che  con  gli  uontioi  loro  eguaU  (i),' 
in  tptel  modo  che  ancor  feono  og^àì  le  persona 
Tur^i  co*  loro  (:^)eraì,  o  le  buone  e  cacìtatevoH 
gentìldonoe  con  )e  fiintesche.  Se  cib  non  fosse  sta- 
to,, chi  potrebbe  non  biasimar  altamente  Tiira* 
manità  de^'  primi  legiìdaton  Bomaai,  j  quali  pern 
mettevano  a'  padri  di  vendere  i  loro  6glìuoIÌ  una 
alla  terza  volta?  O  che  bisogno  vi  poteva  esser» 
di  far  leggi  cosi,  precìse  ni  questo  particolare ,  se 
rare  vdte  fosso  avvenuto  il  caso  pbe  i  padri  si 
recasero  a  questo  termine  di  dare  altrui  in  ser- 
vitù la  lue  prc^e?  Conviene  però  credere  che  fra 
gU  antichi  Italiani  la  so^ìtìi  pon  fosse   altrimenti 


[i]   a  Inquel  tempo  s'uiav*  grande   umanìU  verso   i 
■  «ivi  pe'  «ervigi  che  facivaooj    vivemìo    ioiieme    co'  lor 
padroni ,  £  la  maggior  |)cfM  ch«  ai  dava  «  uà  servo  cUs 
peccasse ,  era  ([oeita ,  che  se  gli  attaccava  al   collo   quel 
legno  de)  carro,  dove  i*  bppicca  il  timone,  ed    era    n>e- 
'   naia  aitoilw  coa>eu«,  aiscbi  luuo  il  vicinalo    lo    vede- 
va ;  e  poi  fatto  ciò ,  etfeiido   egli    riputato   infedele    da 
quei  di  casa  e  da'  viciai ,  era    chiamalo    forcifero ,  '  per- 
>  ci«Mtiò  4|««1  Wgao  4i  cfaiaaw  forca  a  .  /Vm.-  ir  Coriol. 


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92  Delle. Rivoluzioni  d'Italia 

un  pregiudizio  reale  e  fisico  deìrumanhà.noDpiiìi' 
ébe  siasi  a'  tempi  nostri  l'uso  di  tener  famigli  j 
e  che  per  questo  solo  verso  si  riputasse  uotajbjle 
incomodo  V  esser  serro ,  perchè  il  naturai  senti- 
mento dell'  uomo  preferisce  la  libertà  e  l'indìpen- 
denza  domestica  a  qualunque. sì  voglia  più  do)ce 
e.  mansueta  servitù  . 

■  Sìmil  ragione  Eacciam  degli  altri  danni  che 
potcan  nascere  dal  genio  guerriero  di  quegli  an- 
tichi.  Siccome  il  menar  preda  era  il  più  ordina-' 
no  e  ii  più  ■  prossimo  fine  che-.aspettavasi  dalle 
|[uerre ,  ognuno  de*  popoli  belligeranti  avea  in- 
teresse ^di  non  devastare  di  troppo  le  campagne 
de'vtcini,  e  non  disturbarne,  la  coltura,  perchè 
spei-ava  di  prpQttar  egli  stesso  della  ricolta .  Che- 
se  le  vittorie  erano  segnalate,  e  i  vinti  costretti 
a  ricever  la  pace  a  condizioni  gravose,  il  popolo' 
vincitore  migliorava  Io  stato  suo  privato  e  dome- 
stico d'una  porzion  del  contado,  ohe  si  fa^liera 
a*  vinti .  A  dir  vero,  questo  costume  di  castigar 
i  vinti  togliendo  loro  una  parte  del  contado,  do-*- 
vea  cagionare  tali  turbamenti  e  ecompiglt,  che 
io  duro  fatica  a  comprendere  con  qual  modo  si 
procedesse  nelle  città  che  »i  trovavano  cosi  puni- 
te, per  render  eguale  con  proporzion.  geometrìe^ 
a  tutto  il  corpo  della  r^nbUica  la  perdita  che" 
*ì  leceva  d'una  parte  del  territorio  (i).  Mai  for- 
se ohe  a  que'  tempi  che  que^o  ooslume  durava/ 

.     (0  Di  radv  acodeva   ràe.  tra  .le.dn  repuldilkhtf  » 


ovGpógle 


Libro  I.  Capo  IX.  gS 

la  frequenza  del  male  vi  fece  ritrovar  gli  oppor- 
tuni compeiui  ;  o  veramente  dobbiamo  dire  che 
a  queste  condizioni  di  perd«%  il  contado  si  veDÌs- 
se  di  rado,  e  che  assai  piìi  leggeri  fossero  ordì- 
nariamente  gli  effeUi  di  quelle  guerre.  Bastava  ìl 
più  delle  volte  al  vincitore  di .  far  accorto  con 
qualche 'spezie  di -vinania  il  vinto  nemico  delta  sua 
maggioranza .  La  più  usitata  vet^gna  che  i  vinti 
avessero  a  sopportare ,'  era  d' esser  fatti  passar  sot* 
to  il  giogo  mezzi  nudi ,  e  così  scornati  e  vftu- 
perati  tornarsi  senz*  armi  e  senza  bagaglio  a  ca- 
sa loro .  Erano  le  Italiane  nazioni  così  vaghe 
ed  appaflsionate  dì  '  fòr  '  quest*  onta  dascuna  alle 
sue- rivali,  che  si  trascuravano  per  questo  i  più 
essenziali  vantaggi  delle  vittorie.  £  noi  vedremo 
nel  seguente  libro ,  come  r  Sanniti  rovinarono  sé 
stessi  e  ritah'a,  per  non  aver  voluto  privarsi  di 
questo  così  vano,  ma,  seconda  TuDwr  di'  que' 
tempii  fa  gioioso  spettacolo. 

Io  vo  tanto  p4Ù  volentieri  rilevando  così  fat- 
te particolarità,!  per  quanto  la  scarsità   delle  an-t 
.  tiche  memorie   e   ìl  metodo   propostomi    pcuAono 


che  ai  movean  guerra,  dod  {otte  pawalo  per  l' in- 
nanzi <)ua]che  accordo,  o  qualche  iraitato  di  pace  o  ài 
Ic^sr.  PeFcìi  i  neoiici  iu  gnerra  chìamavangi  defectores , 
cioè  mancatori  o  ribelli  nel  aeDt*>  che  Jeggiama  ia  Flora 
1.  1  .  rebellavere  saepe  Sardi.  Ora,  di  questa  presuQ£ÌoiiQ 
d'infedeltà  e  ài  ribellione  sempra  i' vincitori  davaa  carico 
a'  viali;  s  £<mI;  wd  pWea  non  avYeniia  che  gli  itewi  vintr 
qon  facessero  tornar  lui  capa  a,  coloro  ch«  si  (Upponeva- 
no  gli  autori  della  ribelfiona,  i  Iridi  elTctti  dell'infelice 
Sagrr».    ,     . 


D.q,t,zed.vG00glc 


§4  Delle  RitoLoaaom  d'Italia 

comporCarlo ,  perché  nel  firogmuo  della  prrseii- 
te  opera  ci  accàdèrà  d*  osservare  ud^  immagin* 
còmiglraDtissinia  di  qUnte  stesse!  cose ,  allorché  « 
dopo  il  Itingo  giro  dì  quiodici  secoli  da'  teni' 
pi  che  or  discorriaffiOt  per  mttto  d' tofioìte  livo* 
luzioni  d*  imperi  «  e  iovflsioiii  di  geoti  straniere , 
e  stràgli  e  saccheggiameiitì,  e  rovine  indicìbi- 
li, ritornò  in  Italia  quello  stesso  tenor  dì  costu- 
mi che  già  vi  regnata  prima  che  la  fortuna 
de*  ^Romani  facesse  mutar  Ciccia  a  sì  gran  par- 
te del  mondo'*  Ora,'  questa  tal  ferocità  di  costu-  ' 
mi,  la  rozza  e  vilkoa  bravura  che  anitnava  cia^ 
scun  de'  poix)Ii  Italiani  a  voler  soprastare ,  p  al-* 
meno  non  cedere  a^  sboi  vicini,  fu  forse  la  pri- 
ma e  più  general  cagione  dell^  uguaglianza  efao 
di  fatto  pur  m  ntantenno  fra  lora.  Verameate 
niun  tiranno*  né  alcuna  nariooe  vi  era  alquanto^ 
più  riputata  e  più  potente,  che  non  presumesse 
e  non  si  provasse  d'asac^iettare  le  circostanti' 
|!taziani,  e  non  s*  augurasse  l'imperio  d'  Italia. 
Ma  niuna  pàrhnenti  ve  n'era  sì  trascurata  e  mi- 
sera, che  non  attendesse  a  fare  che  i  troppo  po- 
tenti vicini  non  s'  aggrandissero  di  vantaggio  .  E 
qualunque  volta  non  vi  sìa  differenza  grandissi- 
|na  di  forze,  la  stessa  ostinata  voglia  di  non  ce-i 
dere  è  fortissimo  scudo  per  la  dilèsa ,  siccome 
r  ardente  e  ferma  voglia  di  vincere  è  validissima 
iDes2o  per  ingrandire,  E  quegli  «tati  che  con6- 
nando  con  più  potenti  non  si  tenean  sicuri  colle 
forze  proprie ,    cercavano   con   alleanze   di   geoti 


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LtBBO  t  Capo  IX.  g5 

pili  lontane  e  monoo  sospette;,  di  fan!  forti.  Cosi 
i  Tiburtini  che  Tolevano  sostener  la  riputazione 
dello  stato  loro  fra  le  altre  irepttbblicbe  del  La- 
aie,  erano  in  lega  perpetua  eoa  le  Dfinetiìd)  qua 
dell*  Apennino,  o  Togliun  dire  co*  Galli.  C04Ì 
gli  Arpinatì  inai  potendo  aoQordani  co*  SapniU 
Ticini ,  e  temendo  la  soverdiìt  potepza  dì  questi, 
^*  accostarono  ai  Romani  ;  e  lo  stesso  fecero  alca- 
Ili  popoli  BfUzi ,  per  far  dispetto  a*  Salentini  lor 
confinanti .  Trovasi  <^  ì  tiranni  della  ^ilìa  quasi 
sempre  furono  iàvorevoli  a*  Romani  1  allorcbi  il 
dominio  di  questi  non  8*erB  ancor  esteso  fiiorì 
de*,  confini  ^1  Ilario  ;  tornando  ia  accooióo  cosi 
d^i  .uni  coma  degli  altri  aver  pronta  la  via  di 
divertir  le  fone  de*  Campani ,  de'  Lucani ,  de* 
Bruzif  de'  TarentÌDÌi  e  .dello  repubUlche  della 
magna  Grecia,  t^qt  qwtl  volta  accadene  d'ftvec 
guerra  con  loro .  Vera  cosa  è  ohe  assai  spesso  il 
sovercbio  odio  cbe  I*un  vicino  all'altro  portava  « 
li  condusse  a  partiti  vie  peggiori ,  che  ih»  sarebr 
be  stato  un  tristo  accordo  fra  loro.  Ad  (^ni  mo^ 
do,  pria  che  giugnesse  quell'ultima  spinta  cbe 
rovesciò  totalmente  gli,  antichi  stati  d'Italia,  Ja 
bilancia  o  per  un  v«w  o  per  l'altro  si  tenne 
pare  assai  lungo  tempo  in  tospeso;  conciofosse' 
cosacfaè  s'andassero  di  quiuido  in  quando  rag-* 
gpai^iaqdo  le  partite,  a  misura  cbe  da  una  par- 
te o  dall'  altra  cresceva  il  peso .  E  benché  non 
tutte  le  repubbliche  potessero  pareggiarsi  fra  loro. 


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96  Delle  ^iyM-ozioni  d'Italu 

e  sempre  ve  ne  -fiuse  qualoutla  'predomiozwfè 
(  giacché  era  pressoché  impnssibile  cbetufte stes- 
sero io  egual  ^rado  di  forae  co'  loro  Tìcitai  ì^. 
nondimeno,  quando  l'unioB  delle- forze  éi  mbifi 
rendeva  troppo  poteate-uac  statof  gii  altri  che 
ne  temevano,  riroltdVaiio -ancor  es»i  le  forze' e  1« 
riputazione  in  altra  paFte,  cf^icohé- HvgiOaKlà  chfe 
non  potea  sostenersi^  jfra-  bwlti'  se^Jaratamente,  i^ 
manlvnfs.se  almeno  &a  ckM  aazioni  efae  fossero 
come  le  principali  di- due  partiti.  Chfr  se  iltimot 
di  tirarsi  addosso -una  subita  guerra  icon  forze  "tff^ 
uguali.,  '  riteneva-  alwne  repubbliohe.xkl  pretader* 
apertamente  p^rfito.,' non 's'  ignoravano  uè  ertraù 
scuravànch  aUH  Jtpedirati .  Era  ^aesHat  «m  -massi^ 
ma  di  dirìHo  piA^bd>f;oeotrHÌQnaeDtoriceTulftt^fiè 
«ìuelle  repubbliche  fra  '  le  '  quàiti' -pMsava  '  aecdrdtt 
o  di  piK%'«  if-amislÀ'ì'rMtn  màiidaueto^tpei^-  pab^ 
blioa  aotoritii^geots  ÌM'iOiiito  di  diìanque' >^e^ 
se-  gUCTTp  òi-  aloBj»  '4i  •etm,  ÌÌA-:qv«gti.  pabì  nbrl- 
vietevapo-,ptìPèy,  oh&  ■  qjiaiunqoe.  paitioofeitf  pó^ 
tMSe  ,an*iB4  a^^ftìo-  'taljanto.:  aii  gus^ugaar-'toiàt}  l 
o  f^fiffm■i»fl\ode"»s^ìpolattDzk  aiegtt'  eMféill  W-aU 
tre  ;epu|^liahe  ^t)'-^»-  h  rfamj»  :à'|  i«d«ffjtoapè 
oberi(^gi^Lgt^fi|«riV)f  £olienà(iaMéi  (oalA-^gió^ '^ 
nè^ò:,é  lV^t^^ra>^a^iat>diq-eiidÌb'  )st')pisÀdì»^di-~ 
chitfa^v*>iS(igHer«K4l  ^iù-.^tpntwv  J*  «»t>9tldn& 
di^(^^>tein^v4i>ì:r4d9iaBftiiBeo.tD:y  3lt«>  Lifid 
■    .*;:  W-^   r;-''.-  ^'    rlì  b  ^>yci     i!..  .  r-    ■"■:. 

...in    I.-       -vv,.r.-ì    j    ■    -.    ::■-.  ■■;■  :    '.■-^     -         - 


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IJBRO  I.  Capo  K.  97 

Bft  dà  io'  pnVoehi  luogfii  ragguaglio  ài  processi  e 
d*  iiH^iiisiziom  cbe  ai  lècfro  dai  Romani  per  so- 
migtianti  Mspetti,  cioè  a  Edc  d* accrrtarsi  se  Ì 
loldati  die  avean  portate  I*  armi  cootro  dì  toro , 
FavewHo  fatto  per  pubUioa,  o  solamente  per 
privata  autorità.  Alle  neutralità  ed  alle mediazio- 
ni  rìcorrevaei  non  di  rado  :  né  cib  solamente  per 
desiderio  di  goder  pace  in  casa  sua,  o  procurar- 
la altrui  ;  ma  ancora  per  attendere  l' esito  de'fat-  . 
ti  d' altri  f  e  con  fresche  e  nuove  fòrze  mettere 
osta«)lo  al  rincitore  cbe  Tolesse  portar  più  avan- 
ti le  sue  conquiste.  Finalmeote*  ninno  de*  sottili 
avvedimenti  che  o  per  ambizione ,  o  per  giusto 
riguardo  dia  propria  sicurezza  pone  in  opera  la 
moderna  polìtica ,  era  ignoto  ed  inusitato  appres- 
so le  aaticbe  repibbliohe  d'Italia.  Ma  la  diffe- 
retua  era  questa ,  cfae  essendosi  negli  ultimi  se- 
coli piì^  ristretto  il  governo  eziandio  nelle  re- 
fMibbliebe  d»  portan  nome  di  democratiche,  gli 
affari  si  trattano  con  più  occulte  pratìebe,  e  per- 
ciò aneora  con  più  lentezza;  laddove  negli  anti- 
chi tempi  ohe  discorriamo ,  essendo  U  govena 
più  Ivgo  e  più  aperto ,  sì  operava  con  maggior 
fBpeto  e  più  iraacbeiza.  Or,  comunque  ci6  sìa, 
le  COS0  de^  Italiani  procedettno  pure  sì  fatta- 
mmt»,  cbe  U  più  piute  di  loro  maotennero  lo 
stato  e  ta  libertà  1  senza  sbe  per  lo  spazio  dì 
quasi  tre  secoli  interi  »  dalla  decadenza  de'  To- 
scant  per  V  tavaùone  de'  Galli  «ino  agli  anni 
quattrocento  cinquanta  delli  fondazion  di  Roma, 
Toma  J.  7 


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f)5  Delle  tlivoLOzioia  t>*  Itaua 

sccadesse  in  qu«sfa  provincia  al<maa  rabtaiaiKM 
notabile ,  o  graqde  ppo£[uÌ4ta ,  pbp  .  alferffsw  qnd 
certo  equilibrio  di  potenza,  cbe  ri  si  mantenevat 
se  non  che  parca  pnre,  cfer  ìSaDOÌti  foseero  per 
'alzarsi  di  troppo  90[hb  i  popoli  circonTÌciiii,  e  iDiV 
pacàaastro  4i  sQtfinmHitein  «ui&  gmssa  ..,|MUA»,  filr 
meno  deiraotìca  Italift^  , .,. 


■■  .»    ■-     '.■       ;    :q  . 


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LIBRO    SECO  N  D  O.     '■ 

Roììuàia-.  •      ■     '     ■■ 

Ualle  cose  cbe  «  aon  ragi'oaate  nel  precedeate 
libro,  nasce  satozalmeate  nell'aoimo  de*  leggito- 
ri 1*  ansietà  d' iatendcrs  le  cagioni ,  perchè  fra 
^adle  tante  repubbiiclic  che  fiorirono  in  Italmael 
lempo  stesso  che  fioma,  quest*  oltima  cbe  por 
hiDgo  spazio  non  fii  certo  delle  priacipali,  «a 
poi  tanto  cresciate,  a  segno  di  «oTerchiare  non 
por  gli  altri  stati  d'Itali^,  ma  d'inghiottire  nella 
vastità  sua  tatti  i  reami  del  iBoado .  Ed  in  verOf 
BÌaao  k  degli  aittìohi  scrittori  ddla  lU^ana  sto* 
ria,  al  quale  in  qnald^  Ist^o  delle  opere  sua 
■OQ  paresse  ^neocssario  H  riflettere  alte  cagrom 
de*  maravigHosi  pnigrensf  di  quella  repuUrfiea.  E 
fra  ^i  autori  moderai  ckc  sulle  meoiorie  dì  qn»* 
^  antichi  ritrattarono  gli  stessi  fatti,  qunls  tm- 
Tsremo  noi,  di^  non  abbia  qualche  parte  rieo^ 
piato  di  dì)  che  leggeN  in  tal  proposito  iti  Poli- 
ino,  in  Sallustio,  m  Livio,  in  Tacito,  «dinPla- 
taroo  -y  o  cèe  non  v*  jibbia  aggitmta  dà  proprio  «7- 
Tedimc'nts  qualche  riBesso?  Due  opere  singolar- 
nteals  abbiano  di  due  £unoi»  scriìtOfi,.^  qiMH 


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I  Off  Deu-b  '  RiTcA^ZKua  u*  Itaiia 

fu  oggetto  pfoptio  r  esaminar  queste  eauKi'iat 
oè  il  segcetano  Fiorestind , nel  libro  àe'.  snoi'iài^ 
seatà  flOf>ra  la  prima  deca  di  Tito  Livio,  ni-  M 
Moofesquieu  aelle  sue:  coosidnaiiciiì  BcpM  ie  «a*- 
ginn  dèlia  grandezza  e  decadenza  de*  Rtoumì; 
uè  1*  UB^  né  r  Altro,  per  qwA  shà  n  me  f«fe« 
di  «luestì  autori  oda  rilevarono  la  vera  origine 
della  grandezza  Eonuma,  ÀI  aegretaria  Jioreiid- 
no  venne  bensì  fatto  dì  censurare  il  modemesot* 
to  titola  {li  lodar  lUbtico  -j.  e  come.paalioo alt*6gli 
4M  de*  gOveriH  dell' età  sua,  jasl'Bob  s^appòie 
ia  più  d*un  luogo:  ma  l'^stoto  .esagàce  «orittfr> 
M»  9  non  ebbe  nptuie  i>aMaiiiti,  namni  «i  oat^, 
^^Awegtim  c^ÌB'  tttKv  <l&j.ailtà i d'Italia  r«ranb 
jpratioak)  le  Atevw^poM,  eke  in  Ben»;  ioads-  ri- 
jnane  ,4ft«tt«via  ìodAciMi  poetai  ^iuttnto  i  Bon» 
ai,;cihA  i^kmt), elico  4e*4Hipolfìd*haIia,  W(m»<vÌB^ 
jiuti  a.  .<pcJia  ^Mi4mB.  SrtMoB<«qiDeu!  dir-pw- 
se  in  pieciol  tìbni  «trive  ■Msgi.sot^  m  'nde  «iutì>* 
JU  e  -JBteresSAQti:^  pas«ò  tv^ppaAeegtrBiBiité  laMo*- 
TÌft  de'  primi  seooti  eh  pfiniB'ùMiquùte  .^  ill»- 
.«!««  «  iiKofie.  pecl>  ikIIo- stsBso  idi&Mia  drii  Fio*- 
-«dat)iii9  :.  perche  egli  oqo>  è  puiMó  diFfial*  a  ka*- 
4D»gìifbn»b cc4tw  i  Rqnaam,  :£Mtt  ipadrfHÙ  d'JbiIiav 
■mpetàemto  U  at<te  orioni  ;^  ma  f>N  quali,  «io  es» 
a  wno.  diivenutìj  pnacipali<  dTMIiav-'di  qu^« 
■oBQ|i^J>OTÌà^il  J(fo«te8qai<^^U ,  .rivy^io  tfocndo^e 
^ftel  ;«i;o'  tnuuei.  ed  ambiguo  <tàio4ae  fé*- ^in- 
no iri^po/ffKiii^taeatér-^^  énocn  ùwìosòbò 
jdo^tpnègitfdizìo  esGencìaìIe'i  conuuis  ncói   8oh>  al 


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LiBnoJl.  Capo  Ir  loi 

|fI«d)ÌMeUi  t&Jfl  Montfliqoieii  ^  ma  ad  altri  an- 
■4liraif  icbe  de' fatti  ài  Roma  àtmo  scritto,  si  è  pui; 
Quésto  , di, f«-esupf offe  eh*  ella  sia  pervenuta  a 
«paeUa  t^ta  graodezaain  vigore  de*  saw  fboda- 
moatalMostittdi  V  B  -  pM:  tetA  aaoi  ordiai  propii 
e,{nrticcdari;  laddove  egli  À^  assai  maoifesto  ch'el- 
la , non  «bb*  aiuta. 'ONgÌMria  iatìksiioBeit  uè  at- 
óm  ncdiafr>siia 'pròprio  e  partieolate,' che  )a  do- 
Tcssero  ododUETs  a  iupecar  gU  stati  d'Italia.  la 
fatti ,  dì  la  dinùens' tra  il  senato  e  la  pletie  ; 
-nò  l'essersi  toovata  rautorìtà  civile  unita  a)  co- 
manda jBÌlitare;'Boa  l'amcìr  della  patoìa,  sé  de- 
«idoriàidi  ^orìa  .  Eoelto  straordinarie  ,  cias  fesse 
a',  «apìtau  41  stimolo  alte  graodi  imprese ,  e 
i*s  soldftfi  pcar  jecondwli;  ni  rispetto  «ngolare  o 
«antità  alouoadi  réU^Be^  obe  coBteDesse  nella 
-dirogóeiie  4b*'  magistndi  e  de'  grandi  la  dit^titu- 
jdiiie,  «  l'acoendMie  d'utile  entusiasmo  aettebat- 
laglie:  ninna,  dico,  di  ^iéste  case  fit  eòa  pKM 
prik  de'  Homani,  cbe  non  sì  tròvaase  ancora  in 
altri  popoli  d*  Italia.'  Né  tampoeo  st  debba  dii« 
«he  fòsse  pftipria  polillca'de*  dbtnajii  ìt  costume 
.d'abbattete  le.  città  viate,  e  di  mandawi  eol^ 
Itie,  ed  aeco^ere  nel  ftapncf  seno  i  pop(^  90g' 
giogati.  Cbi  i  ^he  *cà  sappia  ewers  stato  à  9m~ 
ticor  sì  universale  e'  à  ctnaube  3  eoetume  ài 
mandar  colotùe,  che  Roma  stessa,,  secondo  l'opi- 
spione  più  ricevuta-»  i^ovtbe  a  quastD-  il  suo  «a- 
abimento?  E  quaJ  fa  mai  quel  popob  eosì  inna- 
^«  bemga<>,  ohe    potendo   distruggere   le-.'cit^ 


ovGooglc 


io±  Delle -BtVóUtzìoni  d'Italia 

emole,  masaìntérhente  vicine,  noti  lo  facete-;-  ò 
quel  pipjpcipe  e  governatore  di  sfeto  n  male  ac- 
corto, cbo  non  procurasse  d'aoorescere  io  iilternS 
eufs  forze,  invitandovi  gli  stranieri  co* privilegi, eoli 
ié  comodità  del' tavère ,' e  con' le. occasioni  di  uri» 
gliorar  fortuna  (i)P  Vera  cosa  ècbeirrìgor^tcUa 
disciplina  Valse  assaissimo  àll'ingràn^oiédto^  di 
qudla  i«pubbtica ,  Ma  donde  naeque  ella  Ina] 
questa' dnctplina?  £  quando,'  e  dove  rappresero 
i  Romeni  f  Kon  s*è  già  egli  veduto -che  uod-ì 
sòl)  Rumami  ma  tutti  i  popoli  del  Xaziot  ht^ ^ 
Sanniti,- i  gàbini,  i  Toscani  à^tu :pres96<^bè;  gif 
stessi  ordìm  per  le  «ose  di  |;ilerra;  chfi  tutti  erA- 
:$o^|M>poU  armigm)  e  che  da  p«r  ftitta  Vl^voà 
vialidis«iini  ordinaménti  {'èr  fiv.  Ift -scelta  («)?  I* 
so  béné'che  gli 'Scrittoi.  BomMif-ttovàodoM  «6* 
stretti   «,  'bdftr?  b  milìtw  ditn'plùìa  di 'aìcuBj> 


[r].'!^'  ritrosia  e  la  boria  dì  oon  accomsdate  la  ciu 
Ufllàaòia  òfi'  Moderi  clié  Veii^oùo'a  '«Tibilirsf  ÌD  daii  n<M 
Hì9f  noù  è.texìfiitiiHo  ehorn  ca^iv  Mir^ùao-mcnireCbtf 
tiarao  io  hMio  nato  e  df  jpQcp  ponift,  ma.  bensì,  dopo  clis 
la  gloria  Tì^cqainàia  ci  k  tkaifiM'm  'pTe^vAxìooe'  t  di 
fRad:  «quMtQi^ncor  non  accade -ffturcbe'DQllé  re^tabBli-^ 
cbe  detAocralkbe  jjCpuie,  Atfii»^  perche  n^  pfiiocigalo  ^  e^ 
nef  f;overd6  de'  nobili  giova  niaj'  sem'pie  cte  il  nntèero' 
d«'  tudditi' liberi 'si  vol^iSlicbi-^^  1  ieiw^  'nti}ihn<r  i^ 
«nliWio  fii^5x>ll",ajnlff^dpi  ^earp»  'l»^W>^n«..di  ^i|f  ^ 
«rAteott.  Ora,  egli  è  da  avvè^lire  c^e  i  più  Databili  ac* 
crt-Kimeotì  che  ti  fecero  in  Som»  coD  aggregarci  ì  vinti 
erAt*.MWWWÌ»'*»cM*l^'fl  w"*  i*  goY«|io -fegjii,   f  de' 

M./VLiJit   i.  Ur  p.  34èv'-r-  V'id*   wp.   J..  i,   e.    S. 


ovGoOgIc 


^po4iitir  vioioÌB  loro  emolì,  Anno  cercatq  fli  ri- 
«dtar^  xjnella  i^«  a'tVimain«  quasiché  gli  'altri 
popcdi- ntflle  g»eFM  cb' ebbero,  k  sQs(eD«re  .o  oo-- 
ibe  Ji«iibid-'i>''CDme'.cc^écleratt  de*''KomaDÌ,  ap» 
pn<DtìeSB«C''da  questi  le^' leggi  della  milìzia.  Ma 
«^i>è<'fàcile  'jl  rieoneecere  là  vaoità  e  ftlsità  di 
tale ' OMUantnia.  K  siccome  non  sì  può  in  ,iiiua 
modi}  prcten<}eK  chb'i'Latitù  ponto 'ìmperaiBera 
ia!'  Romani  i  cosìèooia  ipanifìriaariiente  dicbia- 
t&ta-  perhsBtìnjomaDia  degli'  stessi  Romanii^-  eh'  es-^ 
fi  iàt>I>roMiw.  dfil  Saimiti  partiodiarniente ,  e  dà  al-< 
ttì^  p«^i.  t'erte  tletlàgaerra  (i.)..  Del  resto,  è 
éb'^aài  genfe*  si  ,pab  J^ger  peggio-,  p&e  iun  iwr-. 
6Ì««  ti  tasei'batteF^  «  9baragliar«ìpce"far  ijiota'e 
dfepefto)  si  -SCIO  ^neralq  ;>  ebe.le  gaernigitinirsr 
Rveltitib  a  mahoiiiettav  osdlÉaeaté  -je^-  b'trà' ami- 
d»f.«'pa^Bcbe^.  alla  evj'^ré'a  etano  {lostè;  -fr 
tanli  altri  ammutinamenti  d'eserciti,  e  ribellioDi 
dì  colonie,  di  cui  sono  pieni  |^Ì  annali  di. Roma? 
Elftàe-TQJte.ebbMOrl.lVàBwnì'ftisir.gwWra  .iq  Jt»-. 
Iia-,''thfe'iKftJ^'|tn>'«<«sWoa  !fronfe';(*.etcÌtf  *  ca-' 
pitapia?.  ^órò' ibfqHo):^  i.  'Che  >e',nBg^'  ylij7^i>'ecór^ 
Kv  •  allDrchè  là  reftubblica  ■portfc  le  anni  ^facfé 
dje''"CQnfiol  d*  It'ali^,',!.,  *;l>,!]er9  la ^aat^^fésca,. meglio,' 
iiscipliriata  ebe-i  .re  dair.^fli»^  Ot  le:  altre  p(»teli>t- 
ze  d*'BuròJ)a   é  detf  Afncal  ■qàgtop  •tie' furbnb  ^ 

Samnitiius  sumpserunt  ;  et-...qiu)d  ubiìjua  apud  ióeftifi 
ani  'llosufs  itìoittlarh  pi^f^irtn»-,'  ittnt'  sup»mà  inutiV'domt 
exetjitebanltir .  Caciar  ap.  Sallult.  in  Catil.  ->.   '' 


ovGooglc 


1^4  Delle  RivoLVZHn^i  d*  frAUA 

T:irì"e  mtìkì  disastri  '^'ebbero  -Ilfi^hieofé  '«  m- 
sfraer'  tifile  guerre  ItaKcbe,  Helle  -qnati  feeeto,  e^ 
dir  vero,  un  (uiign«  ma  atlUssitao  tiroeittie .' Cef 
tstnente  ,  tutto  quello-,  cbe  t/ttmatì  aver  foivisi»- 
ìt  più  fbrte  viDcoto  è  la  baiae  dd  militar  eomaB- 
do  appre!«ò  i- Romani,  oaoqufr  nioD'^tit'  dal  étto 
'  e'  dalle  oboasioDÌ  che  moHi  »éb(Aì  d<^  la  food»': 
ziofle  di  Roma  si  pr68éntarbtid(i),  ma -quasi  dal- 
hi  -bestialità  e  dall*  am&izknw  di  alconi  capitani  i 
talchi  tam  abbiamo  piuttosto  a  m&rsvjf^inci  éfa« 
appresso  quel  popolo  ei'fermas»tre  così  tardi  leleigr 
gi  del  comBEtdo'O  della  subordinafeioa  milìlaTe,  eh* 
à^buirgli  xxime  singotar  lode  d'aver  ps^  Voiut» 
thè  I  toldafl  e  gli  uffizicdi  inferiori  òbb^iesero 
ia'  comandatiti  (>) .  Noi  sappiamo  iBfdtosiinaqrae»- 
1e,  che  quelte  Ytiassiena  fiuta,  fkà  «aonbrai  alta.- 
toente  non  manco  -da'  poeti  c6iè  da'  politici  (3)> 
CH  non  riseattar  i  Mudati  prìgictm , -«omiacib  a  ri- 
ceversi  e  |H-atÌc«nÌ  coMe  re^la  fijDdaiHental  di 
gbverno;  aUorobi  ^a  era  dpcisa  la  ét^rtorità 
de'Romaoi  sopra  ^  altri  r.'ptTpoli  d'Ifialie^  Cfie 
'se  rìgtiaHiamtJ  le'eos»  citili  e  i  costumi  interni  ^ 
XH^iTediamo  la-  plebe  eìi  ooòtumace-  e  ri  belle  v  cho 
per  &r  dispetto  ai  grandi  «  mette  a  pericolo  di 
norie  di  faiuei  abbaudoifando  la  coltura  de'campij 

CO  Vide  inK  e.  a. 

i;i)  Livio  nel  ].  5,  oarrand»  lagnem  JiVeiento-^  di" 
-^-f  ttitif  edictum,  ns.quiì  miussti  ntgnaret ; .  chi;  fu  dopo 
gli  «Doi  trecento  cinquanta  4r<Ua  Ipiiaatione  di  Ilo^ft. 
■        ■[5>  Iloral.  I.  3  ,  -od.  '5,  —,  J^v.  J.  a ,  «.  60. 


ovGooglc 


tifino  Q.  Cak)  I.  io5 

la. nobiltà  dìriegoo»,  prepotente»  e  crudelmen- 
te usuriera,;  T  onesta  e  ,  la .  pudicizia  ,  cbe  che 
sì .  decjlOti ,  tk  mal  osserratc  dall'  mio  e  dall'  altro, 
«esso,, cbe  ppcbi  aI^^  si  contano,  poche  ne' mi- 
gliori secoli,  io  cui  ài  quattro  o,  sei  sacerdptessr 
Vestali,  non  ostante  I4  sevefitì  proposta,  del.  ca* 
stiga,  alcuna  non  ne  fosse  convìnta  di  stupro;, 
le  jn^trone  sì  mal  soddis^tte  de'  lor-  mariti  »  site 
gli  s<a-ittoH  .Rpmani  non  taciterò  aver  esse  un» 
yblta  epiBpirato  insieme  d' aweleurli  tatti  qnan* 
ti;  le  I«ggi  aipobe.iHii  gravi  e  più  utili  non.  pri- 
laa.  p(^e,.  nfkft  -vii^l^te  o.  delusa;  e  i  riap^ti  e 
§l' interest  privati  pervertile  e  sturbare  I9.  i;ose 
dctl-d^bblicor  i^  fQ^HH! * .  oomecbè  ip  non  negibi 
iQoUe. cose  essem  slate  d&.co>ViaeDd<uw  afipreew 
gli  antichi  Romtini,  ardilo  tùentrdÌQi«fW!.  aHì»' 
mn  boifie  ctf»  oert^,  ^be  >e ,  ^MMJfOi^pt  dall'  un 
deMati.Ie  i^ge  i^  a'iwbevMi^  ^^f/fSf^rìascifntt 
dagli  sludi  acolaatiei  e  gi^yaiUIi,  ««Jroi^rrfnw 
le  storie  loro  con  _^|}elje  di  altri  popbli  e  d*jJfre 
attà,jsapemo  appieno  ccnvifiti  .^  4ì%  ^.Biom^ 
ni,  dì<%i  ancora  de* p^tai  secoli,  w»  £Lu«no.  né 
più.vittù  né  msBO,  difstti t  ^b®  neBevatltfp,r»iail^ 
blicbe  o  Grecbe,Efl  Italicbe; antjcbe 4  Q  in, ^ueUe 
cbe  ricorsero  in.  Italia^  dopQ.  Gwle  M^ai^Ot,  p  n^ 
gli  Svizzeri,  o  in  altre  nazioni  d*  Europa  cbe 
M  tessero  un  tempo  o  si  tcggo^  -  i^p|Oca  ^  eo- 
-tnun*.  ..;  .  "    c.-.r  ■  ,1  ..  :,,: 

Converrà  pertanto  rJpìtóiiire  rfà  afM  pl*r  te!?Ì 
e  più  particolari  prjncipiiV.oingìne  4^1a,gi^B}lezza 


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to6  Delle  .ftrvJùtezidirtiy'JTAiJA  , 

Rooiana^  e  ^-rìoetcfflr  'J^.^agròin'  pei'  età 
refnibiUìea,  ;ÌVb, tento ^pià  atoticfae  »  '^pHi  'pofeiAt 
é  fxìtt  ffle^id  Mdi&ate  'nanòaì  d'fìalìa;  lAtéties^ 
se  sola  0  'prìocìpato,-  e  quiddi"' ^ancora  st^Sesse' 
n  8U(>:d6mÌDÌo  st^rd  tàfila' parte  dftl  ìnotiilo  /  %o-' 
fila  à*.'tempi  ^  Rohiolo  (  o  ibase  Rinvia'  é'fffr- 
fiomiiTata  da  luì ,  o  egli  stesso  prèndere  il  D&mé 
deUania  patfirf,  come  è  'più  probabile)  ^tìon'po-^, 
ti: esser  altro  ohe  nn  ignobile  borgo  del  àdiUaèo 
di  Alba.  Ma  RomcJo  d'aoinio  grande-,  o  per  ìa^- 
dola  .natia*  0  per  aver  veduta  e  "prèso  ep^hiiìohé' 
Òii  moItflpaeHì  leoe"p<ÌDnem 'di forfìlMirst  vìÀb  «Ìf^' 
fetp^eBsiero'  cBe  àncfaè  aè'VtìJon'  pìùt:*ezrf'U*Pri#> 
faoiliriente  Dell' atììmo  :a'dhiu'dQT.ie  supera  fsì/'affrr 
di  ferada-e  di  spiritffj  ÌÌMéna  a''^'"hrSf^'^ 
spedito  rpaiTe.  natiiraltùente  ^ftìfr  quésto  'di'dfcfcia* 
l<ai8Ì  "ckptT  de'-.  làorpscitì't'  de'  faÌHfÌ,:''<ftì^*f&a|i- 
contenti  delle  terre  vicine;  il  irtim^ró  'tìg' 'ijuatìt' 
d^le  repubbliebe  e  nei  ^oWrni -ìiiistì  () '^flilVéltà 
grtrtdisMttio.  sporse  "^' t-gfi'  prese 'la' cooè^eitirìl- 
di  qufik^e'guéiTft  «tumùltò' òMl*'  dFgìi  ASàoii' 
e  the  it  partito  inferiore  tt  iìhtóXmfTckiWkUati^ 
dblo  i  Tlncitor'i  )  si  ritirafiSe  èOftd  la  condotta  di' 
Bómotonèl  borgo  cte'o  già  tìbiaiiiavasf,  'ti  dopy- 
sl'òfa^uQÒ  Roma  .  Cottlunqbe  m , '  nitlflb  neppiiré' 
degli -serittori  Bomaaf  testìò  mai  in  dùbbio"  ihè'i" 
princfpii  di  qtielti'  r^tibblifih  sìeno' starti 'tìttlerftr; 
igniìbiti,  e,  se  debbo  dìHò,  ignominiosi '.-'K'dòvé-'- 
a  noi  fossero  pervenute  le  storie  delle  cose  di  Ro- 
ma ,  già  scritte  dagli  esteri  ne*^  -paesi  '  non-  itkov 


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;i    'tlBR0B.:C**0fr..   '■   'l  107 

•PfSfMi  *'  ^mapi  (i),  noi.- troreretamo  flS8«9 
pqggioti  cote  «u  (}fit^ste  pioposho.  Ma  quello  .clnf 
dM<i' A  B.oói(Ho  e  é*  suoi  mccésiorì  'V-ttftpottuni*' 
t&cK  eresoere  efiahdib  «enra  tDadiinghi^  e^^iow 
lenti  ,  ifì]  pf>r  avventerà  la  sìtnarioBè  dd"  peese.' 
^f^a^asi  EoDia  in  mezzo  a"  Ibscarii,  a^Sàbiufi' 
(fd,;iV£atìà)f  gli  uni  Hcrhfj  magnifici^,  «'già  "in' 
grati  parte -éorTOttì- dal  lasso;  e  ^i  albi  o  powri- 
per-qatura*  OTillani  e  rigidi  per  'instìlÌtto."l  ró* 
dì<  p9ma  pceWR)  tanto'  deBe  arti  è  &Ì  aoìàiara- 
de'  ^^imaBì<f  ^oaata  pòtea  permettere  la  quatità' 
dello  «tafoJg.roj  e  quanto,  iiastara  da'"  allettar  la 
tWfwità  p«p0larq  d^'.SafaÌDÌ  e..4;*d[j*im  j'^erifeiiH. 
Ww^'-dèl^atvMt^sritè^  qtieati  ultimi  ^anto  tteoat^ 
p«BÌv:«  per  ^a,AlÌ«parpe,j  |)rtiol:.  ia  quella  guirv- 
sa  4Ì|hi  MAomatto'  itaati  -tet^U '<dDfiK>,'<e'  iai  £«> 
lecH»  U  p^agtiiu.,  oopipQsè.quel  sUo  nuovo  «o-. 
dicft:^!  ftUì&awrja  dìlpplttÀe^j  dai-Tarìe.  dotlriae- 
di  Qr^'aai  ierètwi',  «lì  /Giudei ,  é  Ai  ^agatd  é 
fatifiTm^ia^j  cbfi  .^tpsse- trp^jar .  seguaci  ia<  iutr 
tf.i^t^j^  ^i^fiTse"  astte;.'  Per;  qifedto-  fin  da'  pri- 
n^i./^W*  :«ì  (wfebijaT'MP.  ifl  rRomst  .giuocbi  e.  «prt-.. 
ta^olkcbe  qMei  ts  inrìtarooo'  da'  TtneaBÌ;  eàé- 
Osservàzionp  divulgata,;^!  tutti  gli  > scritfon  dat*': 
l9.£OM>^oinatw>^he  le  iosfgne  de*  magutafitti^ 
e  le;i«er^6iite  dèUa,  rMigioDe,  e  gfì  edjfìzi  pub- 
blipì;  nqq  Bfepiza  <Ki9gpì|icanga  fHbhrìcatì,.!.eonrat 
nella  .roKzezvs:  di  qse*  ;e<api,  «i'ftceEo  cotì  àttfr; 


(ij^  Dii^)t  BiHiq.  in  pro«e«i«  ÀvItsiÉtt. 


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(0&  DbLLE  .{tlvciurziiiNt  '&*  tlAUA 

de'TosRWii.  Fé*  qóali  Hiezzi  verse!  te  fwrsfieà* 
vulgBir  ncdto  lefìfìanàv  •  gi»ii  ^iiuBkf«oj4*«<»aIdf  # 
di  ^«le-trtnwvc-altottiMi  dalle  borgata!  <d(i'<[jB^ 
tinì-étde'  Sabiri»  dovè  i^^ imyficqìaìtxM  ^^ 
eitti ,  i?  per  ~U  «aveiilà'  '  dc^  ''b(MtBiiÀ'<-  wkyaas^ 
^^De'.'ccae  ^j;^  dr  mdo-e-)^  nitM:fcJne.(K)i^  A* 
gufiti  «*AggiugiierMO:  txAtì:  ooiatù^  Ai  -.otn  h  -«gti 
qtk.'ied  io  ;ogiiÌ;pjicseDp?^rè!:.ina»>  pÌReicJa^.  H  A»»  ^ 
meOa-i  i  if^vaìiìD.  xata  taaixni^'O  ■eve&eenfé  dttàr. 
eoncerKiDa  a  cercar  veatur».  -Anf^'  l«^  ^tti^lrè^ 
KCcbec!  [>o<t|»ilàdi&*  paesi 'vicòaiy  o   d»l  Lt^'i}) 


ti' tf  4tliMi«tà  Ir»  i  ^msoi  e  t  La6»i  i:'->i'.«BMdVTuer^  aw 
bando  per  etti  si  la»iava  Ja  j^r|iì(rio  .^c^'lp  '^«^^c  ,^'i9"l4 
itacione  accassCq' péj\' altn  ti  ritornaraen'b  qlla  jniKa., -o> 
atttni.bi^  le*- nflriti,- «  «là  4«tle'<lo«°t^'ZibtftÌc  tctie  in  paw 
nuj««r^.si  Ifoy^aniy  ^«Hl^la  »(>  8f!W»»-.P "»«*.. »9;  ^  *!?•* 
ntuna  ch'eleggesse  di  topnare  alla  patria,  e  tuUcr,  fuorché' 
ètte  iòle'  ddh'  RnnaDe  accasate  DelK  éttA  Latìiie  ^  ktd^n^ 
do  i  .làficttF,  m  ne  tbrAatoRo  a  -RotDÌi«  U  «he'di€^  «  «^ 
dera,  dipe  to  storico,  quacio  il  soggiorno  dì  fiomft  ^erai. 
^a(o  aile  donne.  Eraoo'in  Roma  per  àVv^titura  più  tn^ 
ifatai^'^ìe  testai  e  /piìi^*ptuaÉiaii  j.e  gli  .«ernia»  .♦»■  eratt»- 
forse  piii  galaDtì ,.  e  pei'ciJt  aile  femmine  più' graditi  ^-  Or,, 
Ouellif  stésse  cause  cBe  r«nde»arto-  H  sù^iorno  dì  Roma' 
rato^'^V  ^«laM  ,  dcsveano'  iovitam  gif'  «dmM  d-''aila-  cn''' 
ta- età  e  A'  tin  certo  geiM«,  ed  essere  «orgepli  di^p^al^ 
EÌcne . .  fy  accorilo  «  di  comiiae;  tpe^  tra  i  Rimani  e  i  La' 
tiif^'*ra:'cauvMimo  d*"  Miln^càrfe'  na  -feiMpiu-  'ìh'6ìaD»^ 
Sfivì^  T^iHio»'  secondo;,  ch^  .|»n;s  Titq  Wì(V  t-ft  k  '^''^-t* 
eia  arlL'  e  C911  iaaaDitD  fece  à  clie  questo  tempio^  f 9 tse' 
fibbrldàto  piòrtòsio'  in- U'dtnà ,  che  ifi  àlcdlf  attl-o^'in'o^o'' 
iW'Lai^'  ll'.y^lg*»'  s(ij)eTsti»cmj-pi'«B(JeT>'^WÌi  vani  pror- 
nostici  del  t4ituro  j  ma  quello  ch'era  ceito  e  preseole  van- 
eggio per  B«ma ,  rra'  la  frcq.uGnaa  di  vati*  gentj.  flhe  ^c 
Iti  iamoN  UBtuar)  vi  ticatanò.     ,       ■>-■■< 


ovGooglo 


V  r.  tAso  II)  Cavo.!.  :'    -  !  t«9 

4#i. To3«tiiMi.a  de*'Sabinìij<.^><jtedi  ai  fetOTSMé»* 
9  (qten^tlitef  selle  cin^  dtsdMidm:ila''jii(rtiC'edii- 

Wttf9  •  del  «^gìarnf) ,  «  fra^fintfabo'  fioMte* 
aF^»«o%ff»olieMl  aeH«-nlaeva.viHà,  dov*mip 
a9  wcme,d^«aMm  àéoolte  di  Uioa  gradir»  eAw» 
tf»  agK  'onori .  mtma  igoaira  ci»  t  TarqiiItH  i  90- 
i«i  d6  gctwdiMimt jrftotaggt  alla  stata  dt'BomA, 
«Biftietoàft^ai'arquiiifoxnttà  della  ToAjsoa;  «ttno. 
ttifcU^ri^itt che  l'orgi^iota  nofaìltii  del  puae  is» 
«eT»'£  loro.  £  là  iàniif^  CSsiidìa  per  f/sn  (^ 
vili  latoiè  il  paese  de'  Sabiai ,  e  vease  a  stabilir- 
à  a  Roma ^  «eguitatii  (a  <]uel  che  si  racpqtda  ") 
^  pi^'dii^ciiiqaevBla  tra  parenti ,  ramià*  «elienf* 
M-^^iJt.  Tiwte  'qtìtelie  tdàfc ,  e  thoho  (riù-fe  itfeérìe, 
g.' Tq^ti^  Je  seoiiKiie  «opra  i  TÌcioi..  dalle,  quali 
iMi''pcipola«cto>f  act«IlÀ  'di  tétitarìeri  «  di  ribaldi 
e.^^^^iti  mal' «i  potèa.  eoufenefé,  non  pot^ooQ 
S»  «L^moàoa.irììé  «BoìMrff  eootrcP'i  Rooiain  l'^odkf 
rf  hi]ÌHÌ(^jli(  'di  oghi'pan^';i,'S(a  queslfe  IniiftuuT 
ai»  pi'ii^oatD  .^4»v  ad  aeeie^ien!  quello  statio,  olia 
ad  afcbattét-lo  ;  perpccÈè 'là  ftiòftaiidibefin  da-pritì- 
dpioctowU^  ativec^ani  all'ansi,  e  «tar  allaguar-, 
dWp-tì>sèt; ;■'  V-  -■  '  •■  .■-  ■■-  ;  ■  ■  ■■■■;-■  ■  -^ 
JSc^i  ,v'  è  dìibfeio^  -e^  se  aleuoo  ài)'  popoli  con- 
fisanti  f  o  ^escBbi  o  tjattùlo  S^mi;  sì  fatte  moa-" 
sò<;BiiJpii,  Hom»  eon  ,tutie  1é  forze  unite  4^113  «a- 
zifloe  ^  qu«il«i  4^ttètai*bbe  È  Wa  ia<  Inemsf  tao  ^ 

\t)  IiJT.  1.  I.  —  PUt.  io 'Suk.  ■ 


ovGooglc 


«Uitote  e  dispensa  .Ma:  comii  aì^ncn*  d*  «db' 
«àrioicke.gG  oomiDÌ  notfii  maitv<Mo  j^aiì  finti» 
^ei  poripoH  e  iaaài  atout,  {teticiJ»  t«  isgìune  r^lt 
Ì8fiese«he  i  Romafli  ^évas*  Vnoiaiv  un nutì* 
leraaoile  anni  io  manO'ad  inhriobétf  quelli  :clw 
I9  àaatÌT&ito;-eirade  volte  qiiirifar'eìHi'ebfemdBa^ 
SK^giata^i  poteva  soBevare:  due^o  tra-^alMei'itb  tktì 
piìt.'idJEómte.-quaiitiloqu»  della  sdtMB  Mieìsw;-Ailà 
gU  Aretìsi  «  ì  Volatcrraitì.,  ptìr  esempio  ,^0»»  ai 
pcvaieyaBo  f^v^  briga  de' Veìot«fÌ>  -fiiin^rH^ 
di  Piperà»/»  d'  ADBgB^g'impMciavkio  4mi(^ 
degli  Annoti  p  de'  Tiuoab»^  ^qiaààfìi^^md 
fiwNmeatB .  per  -  la  vicinata  del  '  perioslo  ^  >r j  bevane 
so"f>en'^  fiparo' al  terreirtfr.^'cl*«Av»ifaktet»» 
•etato  e  fncno,- ooQ  ìótooo-ii  «enppvBdd  dwwi«* 
viiartire  fffae  i  primi  ppsii  rioletUi  cba  ilèMFo<  i- ft*« 
mani,  e  le  prftae  g^rre  cfa' ebbom  aiHHtoiKr^ 
oontro  «fu  cercava  di  vendìcnsì)  DÌére>  itttf  aico- 
KEQt-  pra»cnte'<^e.Ìa  nsoeanfà  '(!li'i£»mf&  «'  mi^ 
cpee^oranD  per  Io  pi6  ntioTO  «tion^  a  c^4é 
viqlefaza  a  àuoiEa  rapine  ^ìtotto  spezie  dì  v^dieàr 
set  ttcB»  -delle  ricemte  «Site  >  Dal  tfae^scé^à  ùiic 
pngÉessicmd-  iofÌBJta  di  'pié8JQli-acqutMiV''fieDfaèea» 
«  diVeiràsm  potenti  da  pt»Mrbe  ifor  d»?  i&a^Wj 
E-'se  tolTOhapartivaita  Tf^  da'  icetittci' ,  iresti 
tali  dmv  BOP  ^toeraDo  zittio  £hS'  irfiXsr-  la  ktré 
feiDdftt^  e  stÌBiniaf'gli  a  maggiori  sforzi'  [mr^nstò* 
tarai  <iCQa.  ptii'  .feKci  jnprcse  -  delle-  -patùtte?  'petéité  i 
Io'  ftob'C!fedo:|K'ter  dare-  piò  |^iBla>  ìdf^ad^^Ià'sOF^ 
le  ch'-el^  la  città  ^^-JB^ijim,  'CÌie  iGàr^fatrsgoDè 


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.V.  /.. Libko.il Ctf ti  ti.,'j  Jii 

dti£>^  cbe  Tediamo. tutto  ^nu>  «fEtenire  tra  j 
iDsgoriaDtì,  fm*  quali  colora  che  cominciaroiio  4al 
«Smte,  àiventiao  col,  tempo  necfaùsimi  ftr  .qùer 
■|«j  stessa  ragione',  fffirdiè  |ioco'.o;  uulb  .^ueano  di 
e^it^e]  laddore  moltf  de*JÌoclrìrìdaeoDiiaLtiiaii>- 
te^a^wi  sitesBpi  pércioedii  i  primi  -.forzati,  ut'lak 
pcipQÌpii  :A.cam^an  d'àndattiSa.  C' éi  .Tifpsraùff  f  • 
4i''JnacijB  ÌQ-  maan  a.  mrttei;- «profitto  ognipicoo^ 
lo  Mxaavì  t  pw  molto  «ke  .abUano  .aoricc^U)^  % 
teag^o  tuttavìa.  1!  abito  defla  fcàgalifà  di  -  lisparf 
n^^.^  e  di  n9D,diiptezÈare:<le  oscauomicbe  alfa 
JAdustpta; ,Ioro  si  preseniano  di.ikr  ^guadagni.  Qùr 
iff.»  TedopoJe  famiglie  atrarÌocb)>e.t  fina  a  tan* 
to  «bè.Jo.MisADCcbefDli  facollà  .Doa  potendo  a 
iqtPti  d' impili»  ì  coatumi  e  iniuparbire  i  pòsx 
s«94mH.«  ttitìoade  a  poco  a  ppoo'e^ii  petùo»  nd- 
]a.]DÌiHtBa.     .  ■     e    ■■  ■■■'  *'■  '  '  '  ■■ 

-....  Jtver(t.feclici^nè  ì  RomAoi  laadaroaiD.  di  {>n>>> 
Vig»r»  gli  aiuti,  altrui,  oè  i  toc  TÌciai ,  pii;  quan* 
^ 'm^i^  pml/BBCto  fl„Roin^  ,  patcrona  '«dimeni 
4{tUa«oc4t»itivd^  oollegar»  con  esso  lot».  I/pb* 
j^  deJ.nQfoelLftt^iio  divisi ,.  come  $Ì-i  din»Mra>> 
tp.>  ìA.  i^'ti^t]^  pcincipalì  càzioaì,  Vol«à,  £gtii| 
£f Aki^  a  t^i.do  j-itcìMef)»  oDiDR  propri»  iil^o* 
In»,^  X4Uni  I  guerreggiando»  peTpetaàménte  isà 
1^ ,  '^*asdftvàDo,;di^inftiio  in-  ipaaov  se  iioii  dì- 
•te^en^o  e  corauni^do,  ^r^amcote  dbbattaodd 
ÌD  tnpdPr  choniuno  di  loro  potè  mai  acquistara 
«ta^LipjtptA^tfto  flo^gtoraotsa  sop^a  .dfglìr-akri-. 
^(%^arji  che  0  ;ipootaiwaineQte  o,  titati  pier'tivrzi 


ovGooglc 


ria  Deujì  RrFouraiom  d'Italia 

doreano  avH  parte  io  quelle  guerre,  due  vui- 
taggi  vi  troraroao  eoneiderabilì ,  nascenti  dalle  e»- 
gtoni  medesime  che  pareano  a  prìma  vista  recar 
loro  dei  pregiudfzib .  Occupando  etsi  una  parte  del 
Lazb,  avrebbero  dovuto,  ptx  ragion  del  hingo, 
euere  guardati  come  membri  e  consorti  della  na- 
none  e  dello  stato  geoerale  de'  Latini  ;  no.  o  per 
la  novità  e  r  ignomìnia  dell' origin  lo»,  o  per  lo 
VK^enze  che  usarono  ne' loro  prìn<npii,' assai  chia- 
ro  risulta  dai  loro  annali,  cfa*  egK  erano  odiali; 
disprezzati ,  e  rifiutati  dal  comune  consorzio  d^H 
alfH  popoli.  Talché,  sebbene  in  processo  di  tem* 
pò,  per  le  pruove  ohe  fecero  con  felice  8Ucoe»> 
ao ,  per  orgoglio  e  per  interesse  ricusassero  d' u- 
guagltarsi  cogli  altri;  iu  sul  principio  noadimMo« 
piattosto  per- necessità  che  per  voglia cbe  ne  aves- 
sero ,  dovettero  Jar  capo  e  corpo  da  tè  soli .  t«ad- 
dova  gli  altri  popoli  eomponeifti  una  gronde  e  nu* 
Sierosa  Dazìoue,  potevano  far  Causa  comune  di 
tutti,  o  almeno  di  molti  ioiìeme.  Vera  cosa  è  cbb 
fia  queste  vtirìe  rei>ubblicbe  d*  noa  cola  nazione 
«ano  inevitabili  le  ji^osìe;  e  due'  impedimenti 
^Ddì  nascevano  ali* ingrandimento,  ed  aile  cm^ 
quiste:  l'uno,  per  la  difficoltà^  d' intraprendere  di 
eoDuiQc  ccwsentimento  e  co»  eguali  sfbrzf  le  guer- 
re, e  d*  eleggere  fra  tante'  distinte  oiimuoità.  un 
«d  capo  cfae  le  amminiitrasse  ;  l' altro ,  per  non 
eatw  pottìbile  di  spwtire  g!i  acqubtt  cfae  m  fa«er 
vane^  la  modo  da  soddisfare  proporstoBatameote 
a  -tut^  i .  membri  della^  eon&dH^zione  '.  Dal,  cbe 


ovGooglc 


'         Libro  U.  Gap*  1.  ii3 

WR^e  oascera  ehe  pooo  stìfftolo  i  più  de' cbllfr- 
ptì  pofeaoo  svere  aefitnar  selle  fazioni  di  qkftl- 
triie  rìh'evo.  In  fatti,  poco  pHea  importare  allo 
ìtatd  gAHtale'tle'TcMeàiH'  o  degK  UmbH  V  acqlii- 
•to'd'ud  boi^  o  di  un  «astrito;  ^owDdòsi  pafTir 
fra  4ie>ci  o  dodici  Tepnbb^be,  a  daictioa  d«^ 
^jotkU' piccala  parte  ne  pote^  toccar  in  sorte,  e 
f^r^  pìecefisdma'pQtwne  tt^partiliolari',  fiFa*<]uà' 
ti  'dovw<Rtu-MiddivIdeM'.  fé  ecco  'dood*  ^berò  1 
Bomatti*<«fngDlar'  TàiTtaggio  Sopra  tutte  h  repub- 
bfislie'OdfifitKUiti'^'Vfeiae.  Frimieraineiite,  ven- 
ae-^uaii  «empMi  Ittr  fstto  d'aver  il  gorèmo- delle 
gmm  ch*~esn  fkeevano  te  compagHi»  d*  altri  -pò»- 
poli  e  ptmiifèì  quanttiiKpie  i  Latìar  avénèto' ìoeMo^ 
»  fooigbi'maggiw  wufaero'^di' persdotf ,  che-  rida 
anno  iteHa  citt^'  e  tnd  tèFTÌtorio  i£  Efoma-,  a  che 
p««afb  foMe'pìà  fittile  »  levar  ibldatì  i»A  Ì  lAìS* 
BJ  p  efato  #a'ìtomanI  ;  era  nondnAesd  più  agerdìé 
a  qit«Bti  uMdil  '1*  aftfnae' ifeomAiido,  peKhè  Rich 
Ma"  era:wr»ff  dubbJo'^'ebffianftà'niaggforè  <Air  non 
tbMé  oiesoMo  de* pòpoli  o- tacili  o'EAiìcff^  dalla 
patta ' de' ^nftli'tennlirooRKnàriainébte  MUoiftam; 
Qaàii  altro  Moto';  ogni  <pìofe^(r  idlàrgatAento  di  tei> 
i4totTO -ar«>4ì '^ailde'vitfevo  :  e  to  nelia-  òonC^a' 
ziiMe>«:«Kti9fcn!  dBtI#'feTfe''éfae' ù' tD^ievaoa  si 
Tàiti  ^  iHHi'tMti  i  oftiadin  «nvano  uà  dgude  e'-pn» 
pbnsoBato '^uada^ò ì'tn-  prcnttavaiio adògni tao^' 
dn  t  gMiri^,  eì  nobili»  tf  qatfli  -che  areanó  fò 
tttXo  ftfr  umim;  fi  éte  bastava  per  atiimai^U, 
e  stitoc^ai^i  alle  imprese .  -Vkt  nixt  '  perdei!^  il 
Tomo  I.  8 


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ii4  Delle  Rivoluzioot  it*  Italia 

vantaggio  che  nasceva  da  questo  interesw  ooù  con» 
centrato  ed  unito ,  e  perohè  il  ■  popolo  Romano 
non  si  diramasse  in  piti  stati ,  come  le  più  dello 
nazioni  Italiane  aveano  fatto  ;  sì  trovò  semfsv  fìa' 
capi  del  governo  chi  bastò  ad  impedire  che  n 
mandassero  colonie  sì  numerose  e  ra^^rderolì, 
che  avessero  pereto  da  partecipar  del  comanda  '< 
Questo  punto  di  politica  fu  spezialmente  e  con 
sommo  calore  discusso  nel  senato  e  appresso  il 
popolo,  allorché,  prelo  Veiento  dopo  quei  lungo 
e  memorabile  assedio ,  proponevano  alcuni ,  che 
si  dovesse  colà  mandare  una  parte  del  senato: e 
del  popolo,  che  vi  rapfveseatasse  parte  della  re^ 
pubblica  ([);  la  qaal  cosa  quando  fosse  aweni»* 
ta  ,  sarebbe  stata,  se.  non  la  rovina  di  Roma,  cer- 
to UB  impedimento  insuperabile  alla  futura  grao^ 
dezza. 

A  questo  vant^^^  un'  altra  cosa  s'aggiu»t 
se,  la  quale,  bencbè  pur  sembrasse  render  Iaconi 
dizioDe  di  Roma  mollo  inferiore'  a  {vessocfaè  tutr 
te  le  altre  città  d'Italia,  in  forse  la  veta  ed  uni^ 
eà  cagione  della  sua  immensa  fortima.  11  ntocha 
i'  primi  Rcmiaoi  presero  ad  aiàtare,  fu,  a  dir  ve* 
ro ,  il  meno  atto  che  potesse  eleggersi  per  ^bbri^* 
carvi* una  grande  e  ben  (ffdinata  e  fotte  città; 
pociocchè  non  era  né  un  piano  da  cingenì  di 
fòssi  e  di  mura,  ne  un  peggio  elevato  e  monito 
dalla  natura ,  talché  potesse  da  poca  gente  guardai» 


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tiDRO  li.  Capo  I.  \ili 

ir.àtféaéertà .  Erano  sette  od  otto  uraìU  colli  uno- 
vi(SQD  all'  altro  ia  juodd ,  che  ciascuno  di  essi  iioa 
era  ne  di  bastante  spazio  per  una  popojazion  au- 
taaoaa.^  nh  fatale  a  -difeddere  da  coloro  massima-i 
ineote ,  che  -ne  occupaitsero  un  altro .  Miioirgli  e 
viagerli  tutti  di  prìmo' tratto  sarebbe  stata  opera 
piuttosto  matta  t  che  praticabile,  mentre  che  ap- 
pena milioni. di  persone  poteano  occupare  così  am- 
pia sito.  E  benché  si  tacesse:  del  moute  Capito- 
lino ,  o  sia  del  campidoglio ,  una  .specie  dì  castsl-< 
lo  o  cittadella,:  con  tatto  questo  fu  cosa  subita- 
tneote  manifesta  non  .meno  al  popolo  cbe  al  se^ 
aato,  ohe  ;non  poteva  esser  difeso  dagli  assalti 
de*  finnici  da>  muraglie  e  rìpari ,  ma  dai  petti 
de*  dltadini;  e  però  ad -ogni  moviinento  di  guer^ 
ra  si  mandavano  tosto  eserciti  in  campo  v  e  siau- 
dava  ad  incontrare  il  nemico  prima  cbe  s' avvi-* 
einaasealle  porte.  La  plebe  . codarda  era  per  que- 
sto sempre  stiou^ta  a  lasciare  quella  città ,  e  oc- 
aipame  qualche  altra. piìi  sicura  e  munita.  Né  vi 
volean  meno  ohe  il  credito  e  ^autorità  del'  gran- 
de ed. immortai  Camillo-  per  .ritenerla  da;qaella 
furia,  dopo  cbe:Rodia  era  stata  presa  e-  poi  a 
gran  pena-  riscossa  dalle  mani  de'  Galli .,  M^  i 
principi 'dello  stato,  -conosciuto  il.  vero  interesse, 
e  riflolutì  di  non  abbandonare  la  primìeca  .  sedq 
della  repubblica,  si  applicartmo  a  tener  il  nemico 
kmtano.il  più  ehe  si  potsa  dalla  città  «  ed- aliar- 
garne  per  questo  i  confini  (i)  * 
{!>  Liv.  1.  5,  e.  5i, 


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tiS  Dellk  RivoLtrziONi  D*>rAwA 

Manifesta  cosa  è  che  un'armata  (spezìalmen* 
fé  quali  erano  quelle  delle  piccole  nazioni ,  'coa» 
poste  dalla  moltitudine  de'  cittadini  )  qualmiqiM 
volta  sa  d'avertile  spalle  un  ricovero  sicuro  odi 
scoscesa  montagna,  o  di  dttà  ben  munita ,  al  pri- 
mo tuHs'amento  cbe  nasea  nelle  battaglie,  si  ^à 
più  di  leggeri  alla  fuga;  ma  al  contrario  la  ne- 
cessità costringe  ad  una  ferma  ed  ostinata  i«8t> 
utenza  quegli  eserdti  che  o  piccolo  o  DÌunrifugio 
anno  a  -sperare ,  cedendo  il  campo  al  nemico .  V-e- 
ramentej  per  qud  che  io  etimo,  fu  questa  la  più 
giusta  o&wi'vaEÌoae  ohe.  il  famóso .  commentatore 
della  prima  deca  di  Tito  Livio  abbia  fatto  in  lo- 
de della  politica  de*  Romani;  oioè  l'arer  essi  [xro- 
curafa)  che  le  truppe  loto  fossero  spezialmaatr  ec- 
cellenti Bel  combattere  a  campo  aperto:  pnvbè  le 
-b^aglie  campali  scmo  a  preferenza  d'-ogn'  altra 
operazione  di  guerra,  le  più  decisive '.'Dobbiamo 
avvertir  nondimeaó  ,  che  nello  «tcssot  oaso  erano 
..  le  armate  Romane,  e  generalmeoCe ' tutti *ipapdi 
che  abitavano  a  borgate,  come  i.lLàtimxs  i-San- 
niti ,  i  -quali  forse  per  questa  furono  -  getieralmen- 
te  n^oiori  in  guerra  agii  alta"!  Itàliam  .  Betidiò 
essendo  ■  così  gli  uni  cbe  gli  attri  Aurati  «  fer  trìu-f 

■  cea  n  faaloavdi  del  petto  loro,  o  almeno  colta  fa-? 

■  tfea  continua  e  coli'  industria ,  furoóo  nella  liafta.* 
.glie  campali  più  dèstri  e  valenti  '(>);  e-  Forse  a 
•  pcefeceoza  degli  altri  invalse 'fra  lci«  il'  costumo 

{i).Qua  pugnandi  arta  (in  aciem)  Bomanus  excel- 
lat .  Liv.  1. 5.  -        '    .        -Il 


=dDvGooglc 


tJBRO  ìli  Capo  I.  *  '7    . 

Si  ^rtf^csre,  ogni  volta  che  9^  accampavano ,  gli 
^lo^iameDti ,  eh'  erano ,  per  coù  dire ,  quasi  mo- 
bili cittadelle  nelle  frontiere .  Ma  i  Romani ,  co* 
ffie  quelli  il  cui  Btato  era  P  ultimo  ed  il  più  nuo- 
vo,, ebbero  l'opportunità  di  profittare  dell*  csem- 
fso  altrui  1  e  fermar  presso  loro  eoa  più  vigore  le 
atili  pratiche  che  apprendevan  dagli  altri.  Perciò 
avvalorarono  ancora  coi  pi^egiudizì  della  volgare 
tUperstisione  ciò  che  la  necessità  dovea  natural- 
mente prescrivere  cerne  legge  prioelpal  del  gover- 
no ,  L'  opinione  che  a  bello  studia  si  sparse  n^ 
jnpcio ,  che  il  dio  Termino  di  Rotta  non  s'arre- 
trava mai ,  giovò  ancora  maravigliosamente  ad  in- 
wra^axt  ■  soldati  ni^  disastri  delle  guerre  y  per 
non  essere  ridotti  a  qualche  paee  disonorata  e 
«vantaggiosa .  Bra  facile  il  prevedere  ehe  uaacit- 
itk  makmento  munita,  e  in  niim  modo  atta  a  sostc' 
'ntxe  assedio  ancbe  per  difetto  di  acqua  v  era  iena' al- 
■  '^aao  Kampa  perdita  per  ogni  pìecolo  segno  che 
ri  desse' A  debolena;^  £d'  ecco  la  vera  orìgine  del 
genio  conqtàatailore  de* .Roncai,  e  della  fiirxnezm 
loro  nelle  sciagure .  Non  v'  h  dubbio  che  il  Buon 
'««to'- delle  prime '-ìmpnise  dovea  gonfiar  df  sua  na^ 
tafa  il  cuor  de'  Romani ,  popolo  rorzo  ed  idiota  ; 
e  rendJerlo  ostinato  e  fermo  neffe  guerre  seguenti . 
Cessando  poi  la  necessità  di  eonqnistarr  ed  alkri- 
■gare  ì  confini' per  mofivoi  di  propria  sicureiiar 
succedette  l'am&izioae  de' grandi  e  de*^  nagistca- 
.  li ,  i  qnaK  o  per  cupidità  d*  arricchirsi  di  spoglie 
nem>!che^  o  ^er  eguagliatagli  uni  la.gloda-  degH 


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1 1 8  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

altri ,  indussero  il  comune  a  nuove  imprese  ;  e  Us 
sostennero  gagliardamente  o  per  una  certa  ferocia'' 
divenuta  abituale  ne'  petti  umani  per  lungo  uso , 
o  per  vergogna  di  non  mostram  inferiori  agli  al- 
tri. Questa  fu  dunque  in  poche  parole  là  storia 
de' Romani,  e  non  altra  (i).  Essi fiirono  da  pria-, 
tipio  guerrieri  e  conquistatori  per  necessità;  poi 
maOtennero  quello  stesso  genio  e  non  so  qual'  fé-' 
roc6  virtù  per  abito,  e  qufisi  per  forza  della  pri-t 
ma  impressione.  Finalmente  i  vizi  de' particolìai , 
ì*  ambizione ,  l' avarizia  e  l' invidia ,  fecero  negli 
ultimi  tempi  lo  stesso  effetto  che  le  virtù  do'  pri- 
mi; finattantocbè ,  per  necessaria  rivoluzione  del-' 
le  cose  umane,  (o  stato  dì  Roma  rovinò  per  H 
peso  della  sua  stessa  grandezza. 

Ad  ogni  modo,  prima  cbe  i Romani ginignes^ 
sero  a  dar  il  tracollo,  non  dico  alle  potenze  del- 
l'Africa e  della  Macedonia  e  delPAsia,  il  che, 
conquistata  l'Italia,  non  fu  malagevole,  ma  sola- 
mente appiccolì  stati  Italiani;  cinque  interi  secoli 
durarono  dì  fatica  e  di  stento .  E  quantilnque  gran 

(i;^  db  che  dice  Montesquieu  nel  e.  18  delle  Coasi' 
derazioni  sopra  la  grandessa  e  decadenza  de'  Romaiii,  è 
Ì>er  ;ivTent|ira  più  vago  e  (pecioso,  che  giusto  e  sodUisfa- 
tente .  *  Ecco,  die' egli,  in  breye  la  storia  de' Romani  ;  es- 
«  ^  vinMro  tulli  j  popoli  médianie  le  Uro  massime,  tD» 
■  quando  furono  giunti  a: questo  segno,  la  repubblica  do^ 
4  potè  suasisiere,  e  fu  fona  mutar  le  massime  j  e  le  uovel- 
«  le  massime  contrarie  alle  pritne  fecero  rovinar  la  tara 
*  grandezza))-.  Ma  quali  fossero  queste  massime,  e  quando 
e  dmt  le  avessero  i  Romani ,  non  mi  parve  abbastanza 
spiegìito  dal  celebre  presidente. 


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Libro  II.  Capo  I.  jig 

parte  de*  progressi  di  Roma  s'  attribuisca  o  alla 
oondizion  del  paese,  od  alla  necessità,  madre  del- 
l' iodustria  e  del  valore  ;  convienci.  tuttavia  con- 
fessare che  moltissima  ancor  vi  cootrìbuì  la  for- 
tuna ,  o  per  dir  meglio  la  disposizione  d^lla  su- 
perna provvidenza  ,  a  cui  piace ,  secondo  gli  arca-* 
ni  suoi  fìni ,  d' abbassare  le  maggiori  altezze ,  e 
d'innalzare  ciò  che  alla  terrena  vista  sembra  il 
più  vile  ed  abbietto.  Cèrtamente  già  erano  passa» 
ti  più  di  quattrocent*  anni  dalla  fondazione  di  Bo- 
ma,  o,  diciamo,'  dal  tempo  io  cui  comunemente 
■i  stìnra  ch'ella  avesse  il  suo  principio,  quando  i 
Romani  non  che  aspirassero  all'imperio  del  raoD-> 
do  o  dell'Italia ,  ma  non  poteano  ancor  presumer- 
si i  principali  della  nazion  Latina  ;  e  il  proprio 
domìnio  loro  non  «'estendeva  per  avventura  fino 
a  Marino,  né  dal  canto  della  Toscana  fino  a  Vi-. 
terbct  ('!)■  Ma  un  avvenimento  che  di  sua  natu^ 
ra  potea. parer  troppo  alieno  dalle  cose  di-Roma.,. 
cominciò  fuor  d'ogniespet^azione  ad  aprire  a!  Ro- 
mani la  strada  a  più  vasti  e  più  ragguardevoli 
acquisti . 

(i>  Qacstq  si  raccoglie  manifestamente  dal  7  j  3  e  g 
libro  (li  Tito,  Livio,  dove  fra  gli  altri  fatti  aacor  sì.  rao- 
coQta  che  ilopo  l'aDDo  quattroceotesìmo  Ai  Roma  i  Latini 
tencvao  I^r -diete  deaerali  aell%  sacca  seiTaFercnciDa,  dov'è 
ora ,  per  4juel  cbe  sk, crede  4.  M^ìno. .  CLuver.  p.  giS.  £  j 
Toscani  parimeote  continuavaao  i  lor  parlamenti  al  tem- 
pia di  Volturaa,  che  certamente  non  poteva  essere  assai 
(liicosto  dal  luogo  dov'è  ora  Viteibo;  giaecHè  Voltoroa  lì 
trovava  di  mezzo  tra  Botsena  ,  Cere  ^  Tarcjuinioy  Falcria, 
8  Veiento  ,  fdem  p.  564- 


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lizo  Delle  Rivoluziomi  d*  Italia 

e    A    P   O       II. 

Vèlia  'guerra  tra  t  Romani  e  i  Samtìdi  e  diaUnme 
•partìcalarùà  che  V  accompe^narono , 

X  SidicÌDÌ ,  pìcciola  Dazioae  del  paese  Ausonio 
posta  di  mezzo  tra  il  Lazio ,  il  Sannio  e  la  GaiU' 
pania ,  furono ,  per  non  si  sa  qual  cagione ,  a»> 
sputati  da*  Sanniti;  è  non  si  credendo  sufficienti  a 
fat  difesa ,  richièseco  il  favor  de*  Campani ,  e 
rottennero.  1  Sanniti,  usati  per  altro  ^  come  mcnw 
taoesclii  e- alle  fatiche  iodiiriti,  a  disprezzare  i 
pianigiani;  e  sdegnati  novellamente  a  veder  cfae 
ì  Campani  prendessero  contro  loro  le  partàde'Si^- 
diciDÌ ,  abbracciarono  di  buona  voglia  que^a  con- 
giuntura (  AH.  AV.  <S.  G.  340,  DI  ROMA  41O  )  per 
Tolgeni  dirittamente  nel  fertile  e  ricco  paese  d^ 
la  Campania ,  i  cui  pc^i  molli  ed  effeminati  (i), 
e  quasi  per  proprio  e  particolH  fato  destinati  a 
vivere  sotto  dominio  straniero,  non  ebbero  eorag- 
^0  di  far  fronte  alla  feroce  e  bellicosa  nazione  , 
ma  subitamente  si  rivolsero  per  aiuto  alle  repub- 
bliclie  dét  Lazio  vicino,  dalle  quali  sole  poteano 
aspettare  d' esser  di&si .  In  quel  tempo'  i  popoli 
"flel  tairio  abbattuti  per  varie  sfconfitte  date  lor 
da'  Romani,  mal  poteano  intrafK'endere  ADvell» 

''      [1]  ftraB.  ■  '  ,        *     -  ■'.  "      ^  . 


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I     Iabbo  il.  Capo  8.  121 

guerra  contro  ì  SaoDÌti:  però  i  Campani  matr- 
dacono  ambaseiatorì  a  Roma  per  ofteaer  socxarso 
sotto  titolo  d'alleanza,  ma  con  segreta  facoltà  dì 
fare  maf!;gi(»-ì  offerte ,  dove  le  prime  domanda 
fossero  rigettate .  Erano  i  Romani  allora  .  in  lega 
e  in  amìeizia  co'  Sanniti  ;  laonde  o  per  affetto  dì 
giustizia  e  di  fede,  o  perche  aressero  avuto  al- 
ata indìzio  delle  segrete  eommissionì  degl' inviati 
di  Capoa  t  o  che ,  per  soL'to  vezzo  dì  chi  si  senta 
ricercare  d' alcnna  cosa ,  volessero  mostraiM  rì- 
bosi  e  restii  pee  ottenerne  maggiori  vantaggi; 
negarono  di  potersi  collegare  contro  i  Sanniti, 
«tante  la  lega  e  l'amiaizia  contratte  con  questi. 
AUora  gli  ambasciatori  »  sKoodo  la  facoità  che 
pur  aveano  dal  lor  comnner  misero  il  popolo 
Campano  in  balia  e  sotto  il  dominio  di  Romaj 
4Ìcfodo  che  se  non  voleano  di&ndere  i  Campani 
come  amia  ed  alleati,  li  difendessero  per  1* av- 
venir come  sudditi  e  cosa  propria  :  rìtuedio ,  a 
dir  vero,  assai  violento,  e  d&ttato  piuttosto  da 
tfjieUa.  labbia  e  da  t^eU'  odio  che  ordioariavìente/ 
nodriscoa  fra  ìoro  .due' vicine  e  rivali  nazioni  rcbe 
.da  saggia  .e- «cons^Uat^  poHtf'cav  Peroeehè;  i|t  qu»I 
modo.  i.  Campani  aqaà  liberavamo  d^la;  viotei^- 
:za  de*  Sanniti,  e  ù  tiravano  addosso-  daUVahFB 
parte  up  pa4'^one  .ebeaon  era  p«T,[tfotpggerl|i  gra- 
tuitamente; éoftiocfaè  (})^lvnqufl  pìùcf^vo  ^OR- 
do  ea*  Sanniti  noq  ^arettbe.  «tato,  ^,'  C?tq>p^f)i  Pf$- 
gior  partito  T  ohe'  il  fWsi  così  spaeeiatamente  sog- 
getti  d'un*    altra  nazione.  Ma    boi)i,„^u,, quello 


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i23  Delle  Rivoluzioni  d'.  Italia 

l'oHimo,  né  per  avventura  il  primo  esempio  di  pre- 
eipitosi  e  dannosi  consigli ,  a  -cui  ]e  città  libere 
si  conducoDÒ  allorché  sono  in^prìte  dalie  ostili^ 
tà ,  ed  actxcate.  dall'  odio  fanatico  contro  i  Tici- 
ni. Ma  i  Romani,  osserTantìssìmi  della  fede  quan- 
do niuno  o  piocol  vantaggio  v'entrava  di  mezzo', 
non  erano  per  farsi  coscienza  di  romper  la  pat^ 
tuita  lega  co'  Sanniti  per  acquìatare  sì  bella  con- 
trada, che  per  poco  valeva  quanto  essi  aveaii 
potuto  rodere  dalla  Toscana  e  dal  Lazio  in  quat* 
tfQ  secoli  interi .  Ed  ecco  venir  -fieramente  all'ar* 
mi  due  popoli  bellicosi,  e  forse . ambiziosi  del  pa- 
ri. Non  era  dubito  che  qualunque  di  essi  fosse 
uscito -vincitore  di  quella  guerra,  dovesse  poi  da- 
re il  tracollo  a  tutti  gli  altri  stati  d*  Italia.  Dur&  là 
guerra  ben  settautre  anni  continui  con  brevissimi 
ìuterv^i  di  tregua,  e  con  sucoessi  sì  vari  da  una 
parte  e  dall' altra ,  che  quantunque  alla  (ine  ì 
Sanniti  neno  rimasti  vinti  e  distrutti ,  fiirono  pu- 
re assai  vicini  ad  abbattere  per  lungo  tempo  la 
potenza  di  Boma.  Ma  quel  certo  partilo  di  mez-' 
zo  che  mattamente  elessero  alle  forche  di  Gau- 
dio, di  rimandar  a  casa  libere  e  salve,  ma  pie' 
ne  di  sdégno' e  d'ignominia  le  Romane-  legioni, 
in  vece  o  di  farle  passare  a  fil  di  spada ,  o  dì 
lasciarle  andar  senza  far  loro  né  danno  ne  ver- 
gogna  alcuna  ,  come  il  savio  Erennio  Ponzio  coa-^ 
sigliava  di  fare':  questo  fii  un  fàfal  colpo  che  » 
Sanniti  menarono  non  meno  al  rimataente'  de- 
gli itati  Italiani ,  che -allo  stato   topo   proprio  ^   e 


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•  .    Libro  ÌL  Capo  li.  i23 

diedero  campo  a'.Bomani  dì  rderarsi  esaIirea'so-> 
vrana  potenza  fra  tutte  le  uazioni  d*italia,  quando 
erano  suIP  òrto  dell*  eetrema  rovina .  U  peso  della 
guerra  Samiitioa,  gravissimo  per  sé  stesso  e  sa-^ 
periore- per  avventura  alle  forze  di  Roma, -anda-' 
va  accompagnato  da  altri  travagli  dì  non  mioor 
carico .  Molti  de*  popoli  confederati ,  percbb  fe- 
mevano  d*  essere  avviluppati  nella  rovina  dì  Bo- 
ma ,  dove  i  Sanniti  ,  come  sembrava  probabile , 
fossero  vincitori;  o  perchè  temessero  cfae  i  Roma- 
ni ,  vincendo  cogli  altrui  aiuti  quetU  im[H%9a , 
acquistassero  troppa  riputazione  fra  gì'  Italiani , 
s'aliontanaroDo  dall' amicizia  e  lega  cìie  av^no 
con  essi .  I  Latini  spezialmente ,  cbe  '  già  coQ  oc- 
chio invidioso  riguardavano  Roma,  divenuta  qua- 
si città  principale  e  poco  raen  obe  aignora  as- 
soluta del  loF  pane,  credettero  esser  questa  op- 
portunissima  congiuntura  o  d'umiliare  i  Romani, 
D  d'esser  fatti  partecipi  degli  onori  di  quella  re- 
pubblica t  e  però  rauidaròno  a  Roma  i  lor  depu- 
tati a  domandar  al  senato ,  che  in  avvenire  uno 
de*  oonsdi  e*  eleggesse  dalla  nazione  latina .  Ma 
gli  accorti  padri-  già  erano  pienamente  persuasi 
del  vantaggio  ohe  risultava  dall*  indivisibilità  dello 
stato;  e  le  fresche  vittorie'  riportate  sopra  gli  Er- 
oici aveanò  ingenerato  negli  animi  Romani  tanttf 
di  presunzione,  eh*  essi  non  erano  per  lasciar- 
si  porre  in  mano  la  le^e  da  quelli  cui  s' erano 
avvezzi  a  guardare  come  inferiori .  Fu  dunque 
eoa  indignazione  e  eoa  dispeUo  udita  la^domanda 


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f  J4  Delle  RivoLuzitoni  d'  h-AtiA 

dft'  LatÌBÌ  (0  ;  e  Roma  ebbe  o  il  coraggio  * 
l'audacia  di  subir  «la  ad  un  temp*?  «tesso  dop- 
pia guerra  eonffo  ^ue  popoH,  fimo  di  forze  laag^ 
giori  alle  sue ,  e  V  altro  senza  dubbio  Ai  Soft» 
eguali .  Ma  chi  no»  sa  di  quaota  iBdiutria  e  di 
^uabti  [Mt>digiosi  effetti  sieno  cagione  le  difficoW 
là  ,  le  stretteziee ,  i  più  ardui  perieolr ,  e  oa  fe- 
roce orgoglio  irritato  ed  offeso?  Due  o  tre  aoci- 
^eoti.  diedero  il  maggior  rilievo  nel  prtnei^.  di 
qur»t^  guerra  al  partito  de'  Etomam  .  .Toecb  il 
cqmafido  delle, armi  Romase  oostro  t  Lefttni  a 
1j)SatKx>  MbdIio  (2)  f  i]  qoale  con  dispietAto  figonr 
fee^.  battere  e  denollai-e  vb  suo  figlitiokt  virtuoso- 
«  dabbene,  cbe  ticato  da  forza  e  necessita  qua» 
incolpabile ,  avea ,  oentpo  gli  ordini  del  padre  r 
combattuto  e  vinto  hd  caposquadra  de'  nemik» 
(,AN.  DI  RC»HA  430(  )«  Foebi  anjù  depoveasrado' 
dittator  contro  i  Sanciti  Papirio-  Cursoie,'  iK)iDe> 
fìero  ed  imperioso ,  ^  >^a  nene  -ara&szisM»  «fa» 
ioesMabile ,  a  ^n  peea .  scampò-  daMe  Te^ie  «■ 
,  dalla  raansaia  il  valoroso  Qiuniio  Fabio  sao  mae- 
stro della  oavalWìa  o  sia  luQgoteBent«  gcBoaFey 
.perchè  in  asseasa  d'esso  Papirio  cvinbatti  fuor 
,deir ordine  vicevuto^  e  riportò  non  dispregerei 
.vittoria  sopra  i  bcrucì  ^  Non  è  eredibife  qiuuiti» 
opportunamente  questi  due  esempi  piuttosto  con^ 
mendevoli  per  le  coBseguease  t  ohe   lodevoli   pes 


[i]  LIw.  T.  7,  pi  mg. 
[3]  tdenit  {•  ^r  P-  *'3' 


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Libro  n.  Capo  li.  laS 

-^  ifteeaì',  servissero  ar^f^fiAare  la  militar  dìsoi'' 
pliiia  in  orcaeìoM'ilì  gilwre^  aziardcMe  e  sì  de- 
amv*  per  le  eos«  -di  Roifta-.  Nel  tem^  fite»sQ 
i^ltcfezva  iudomita  e  la  smisurata  ambizione  d'uà 
Appio  Clmdto  j^  AN.  DI  ROMA  440.  ),  ebe  puv 
parava  volesse  seoBvolgere  tutd  gli  on^ai  delltf 
Atta,  ae  aecs^ih&o  le  forze  iateroe  mcJto  apro- 
-pDBÌto  i  aìlaTcàA  le-^ueire  suddette  ,  sebben  pn^ 
^HtTe -e  vittorìcwe,  l'esaurìvatio  largamente .  Co- 
ntai ,  fatto  vecchio  e  poc»  atto  alle  cose  di'  guer- 
ci ^  uè  per  tutto  questo  volendo  cedere  agK  altri 
'4i  finoBiaiiza  e  <di  cretto',  si  diede  eoa  tatita 
tapacbierìa  a  Tcder  esercitare  le  cariche  civili  e 
nferm»è  ogni  cesa  ,  clie  non  curando  I*  ìavidia 
«  l'odio-de^  suoi  eguali,  della,  nobiltà  «  del"  s»- 
nàtof  riempiè  la  curia  d'uomini' di  vii  nazione; 
il  che  dando  speranza  a'foFestìerì  ed  alla  plebe  ài 
'potnrn  nobilitare,  e  a*  serri 'd' entrare  una  volta 
a  parte  ancor  ddgoveriio,  rendè  opportunamente 
k  «fttadinanza  più  nmuMroia  e  più  anknata  ed 
attiva'  (t)  .  11  vanti^gìo'  che  ci  trasse  da  questa 
gFande  ed  in  casa  Claudia  inaudita  popolarità 
td'-Appio  censore,  fu  il  compimento  di  dae  ata- 
fenéi  dbegu  che  diedero  come  principio  alla 
l^andezza   ÈBctHQparabil^  ddta   città    di   RtJma  ; 

£1]  Appìus  Cfau4iv  >a  ceitsura  Uieni;efis  .^mi^.,in 
senatum  fegit  :  Herculis  sacerdote!  pretto  còrrupit ,  ut  sa* 
era  Herculea  aervos  piAUcos  edocerent  >  •  .  •  viam  usquo 
Brundusiupt  lapide  sirmif  .  .  .  Anienfm  atfuam-ia  urlent 
indaxit ,  Censaram  solus  omni  ouina»eniùo  oiliaaitt  Sext. 
&ur.  de  Vir.  illustr.  e  34-  V.  «  Liv.  I.  9,  e.  ag. 


ovGooglc 


f.2fi  Delle  ^RIVOLUZIONI'  D*lTALrA 

voglio  dire  un  acquedotto  maravìglìbso,  e  là  famc^ 
^  sfradlache  ancor  porta  il  ttome  del  suo  auto- 
re. Le  quali  opere,  siccome  nella  memoria  de* 
posteri  rèiidettew)  chiaro  il  nome  d*  Appio  Clau- 
dio' 9opT$.  tutti  i  capitani  che  a  quel  tempo' sos- 
tenoerci  le  guerre  del  Lazio  e  dei  Saunio,  cosi 
Boii  è-  dubbio  che  furono  di  gran  vanfaggio  at 
quella  città  nella  sua  prima,  possiaimo dire ,-  ado- 
lescenza', rendendovi  il  '  commerzio  più  -agevole  , 
ed  il  vivere  men  penoso.  '         • 

GAP»       III. 

■Progróisi  de*  Romani;  &  rivoluzione  delle  cast' 
■d'- Italia  dopo  la  guerra -S»ninlicà, 


ijli  acquisti  o  piuttosto  la  riputazione  che  sf 
guadagnarono  i  Romani  nelle  pfU-ti  onestali  d1ta-> 
Ka,  e  l'arte  militare  che  guerreggiando  co*  Sai>' 
Biti  s'acquiataroB  molto  ma^iore  che  per  Vaà- 
diètro,  lì  rendettero  vie  più  potenti  a'  resistere, 
e  quindi  ancova  a  porre  ìl  giogo  agli  Umbri, 
a*  Toscani,  ed  a'  Galli  Cisalpini.  E  tal  èra  l'ar-' 
TÌamento  preso ,  che  i  Romani ,  pochi  anni  dopa 
d'aver-eomiftciato  a  portar  le  armi  fuori  del  La- 
zio, parevano  assai  vicmi  a  rendersi  tutta  l'Italia 
obbediente  è.  soggetta;  quando  un  nuovo  movi<u 
mento  'nato  oell'  e»trerartà  della  magna  Grecia ,' 
li    ricondusse,  ìii   gravissimo    rischio   miGlie  della 


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,      LntLO  n.  Capo  HI.   ■    :  la? 

atiticò  loro  stato.  ^enpgueiT*e9ollevazìomde^Qi 

nitii  e  poi  de'  Lucani  e  d*  altri  popoli  di  quelle 
contrade  coatro  i  Romaai,  que*  di  Tarento,  città, 
rìocbissirQa  io  queU*8tà  e  di  gran  nome ,  non 
s'erano  dichiarati  per 'alcuna  delle  due  parti;  e 
benché  fossero  stati  per  avventura  de*  principali 
motori  di  qudle  conspiraziooi ,  aveano  tut^ivia 
mostrato  di  mantener  pace  e  neutralità  verso  le 
due  Dazioni  belligeraoti,  standosi  oziosi  ad  A^et- 
lare  in  mezzo  alle  feste  ed  ai  piaceri  da  qual 
parte  piegasse  la  sorte .  Ma  quando  essi  pe'  pro- 
gressi delle  armi  Romane  sopra  i  Sanniti  comin- 
ciarono a  temere  dello  stato  lor  proprio,  e  di  do- 
ver poi  essere  alla  diserezione  de*  vincitori,  allora 
mandarono  ambasciatori  all'uno  e  all'altro  popo- 
lo, per  vedere  di  rimenargli  alla  pace;  né  s' a»* 
tennero  dal  minacciare  i  Romani  di  nuova  guer- 
ra ,  qu^do  essi  nop  voleasem  ritirarsi  dal .  paese 
altrui.  Ma  i  Romapi.  che. già  cominciavaDu  ad 
abbzusare  fortemente  e  a  sottomettersi  i  valorosi 
e  feroci  Sanniti,  si  fecero  per  poco  beffe  de'  Ta*  - 
leotini  più  doviziosi  che  prodi  ;  Frattanto,  ecci- 
tatosi in  Tarento  per  opera  d*  uà  yit  Fi|ocore  un 
popolar  tumulto,  furono  prima  prese  e  a£fqadatQ 
certe  navi,  Romane,;  che  in  Rofua  si  sospettasse  os- 
tilità alcuoa  di  quelUii  parte*  Di  poi  gì*  iwultj  cbq 
sfacciatamente  e  a  furor  di  popolo  si  fecero. a* le? 
gati  Romani ,.  mandati  per  domandar  ragione  deir 
le  cose  successe .  to|«^o  -via.  ogni  pecsiero  dì  riu- 
nione e  di  pace.; Per  condottiero,  di  qijirsta  guerra 


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isS  Dei^le  Riv(h.uzioni  d*  Italia 

fu  da*  Tarentinì ,  aeboDdo  V  usanza  loro  id*  as- 
soldar cEqiitani  stranieri,  fetto  venir  il  re.  Pirro^ 
il  quale ,  signore  di  poco  stato,  già  «a  «otito  ^ 
cercar  pascolo  ali*  ambizione  sua  «  all'  avido  suo 
genio  di  far  imprese ,  negli  affari  e  ui^i  stajd 
altrui .  Non  si  era  forse  veduta  in  Italia  più  chia- 
ra pruova  di  quanto  possa  1'  autorità  e  la  riputa- 
zione d*  un  solo  capo  nelle  cose  spezialmente  di 
guerra,  e  quanto  abbia  di  vantaggio  il  governo 
monarcfaico  sopra  d*ognÌ  altra  forma  di  reggia 
mento.  Perciocché,  quantunque  Pirro  senz'alena, 
diritto  di  vera  sovranità  si  travagliasse  in  quella, 
guerra ,  von  essendo  altro  cbe  un  solcato  di  for* 
tuna  e  mereenarìo  capitano  d'una  repubblica^ 
diventò  in  pòco  di  temj>o  terribile  e  peri<><^os» 
nemico  d'uno  stato  già  fatto  asaat  grande,  e  per 
antichità  e  pw  fresche  vittorie  egrègìaamte,  a»* 
sodato.  Sotto  il  comando  di  quel  re  s^ unirono^. 
oltre  ì  Tarentinì,  i  Lucani,  i  Bruzie  1  Sanniti  « 
i  quali  comechè  abbattuti  e  scemi  per  tante  scon- 
fìtte, furono  di  piìl  terrore  a'  Romani  sotto  il 
comando  di  Pirro,  che  int^i  e  liberi  non  eraiija 
stati  negli  anni  addietro .  Ma  sleeome  i  Sanniti  e 
quegli  altri  popoli  mostrarono  tanta  prcnilezza  a. 
sollevarsi ,  e  odio  sì  pertinace-  contro  dì  Roma  ; 
noù  i  Romàni,  insuperbiti  naturalmente  dalle  pas*. 
sate  vittorie,  non  furono  meo  costanti  e  f»mi  a 
volersene  consfervare  il  frutto,  E  peucbè  coDosce»- 
vano  troppo  bene  quanto  facilmente  un  tale  av-. 
versano ,    qual   era    Finro  y  sarebbe .  f  revaUo   a. 


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"■    Litoo  li.  Capo' ni.  129 

eònqaistare  in  lor  vece  l'Itaìfa  per  ogni  poco  che 
gli  sì  fosse  eeduto  ,  s*  ostlDarono  fortemente  a  □od 
TDler'attetvl«re*ad  alcùiD  Accordo,  se  Pirro  oon 
{sgombrava  affatto  d'Italia,  o  noti  ripassava  oltre 
mare.' 

Vkce  che  la  divina  pfb'i^'deD^a,'  la  quale  pec 
fimté  e  sì  varie  ed  incomprensibili  vie  coodace 
ogni  cosa  a*  suoi  fini,  concèdesse  a  Roma  'due 
grandi  uomini ,'  quaii  in  così  scabrose  congiun<^ 
ture  si  richiedevano ,  perché  l' astuzia  di  Pirro 
non  acquistasse  coli'  oro  e  co*  doni  '  quello  che 
non  V  otteneva  col  ferro  e  colle  alrmi.  Certo  è 
^e  la  rigida  e  fi'ugale  *  onestà  di  Fabrizio'  e  di 
Olino  Dentato  fu  la  salute  di  Roma ,  e  scampò 
ritidia,  che  non  cadesse  sotto  il  giogo  d^un  re 
straniera.  Ma  quello  che  non  h  meoo  degno  di 
maravigKaE ,  à  è  pure  òhe  l'esempio  loro  abbia 
avuto  sì  pochi  imitatori.,  e  la  frugalità  Romana 
abbia  avuto  fine  giustamente  a  'quel  tèmpo;  e 
che  r  antico  abitn  di  modestia  per  cinquecent*an- 
ni  contratto,  non  potesse  lungamente  ritardar 
Y  abuso  dalle  ricchezze^  da.  che  esse  per  la  presa 
di-Tarento,  coinìneiarono  ad  entrare  incorna. Non 
erano  peròanoorà  i  Roman!  usciti  d'Italia»  né 
avean  fatta  prùova  alcuna  nelle  cose  di'  mu-e, 
salvo  che  corseggiando  a  guisa  di 'pirati ,  come  fa-:. 
ceono  'in  que'  tempi  tante  '  altre  repubbliche  e 
Itjrfiaiie  B  Greche'.  Ma  ùnà  'congiiintura  di  po- 
co diversa  ndla  sua  sostanza .  dal  caso  poco  .  so- 
pra riferito  de'  Càpoani',  aperse  à  Romani  nuovo 

Tomo  1.  g- 


=dDvGooglc 


i3o  Delle  RivoixjiioNt  d'Italia 

cammino  a  divenir  grandi,  e  valse  a  ralfennaeeltf 
pta^o  d' Italia  con  forze  di  mare,  e-  eoa  V  agptm- 
ta  di. quasi  nuovi  granai  ad  assicuraile-  l*«bboa- 
danza  de'  viveri'.- 

Certi  soldati  Campam',  famosf  nelle  storie  St< 
ciliane  e  di  Boma  aotto^  nom?  di  Mamertini ,  era^ 
no   stati    mandati   di    presidio    in  Messtwa  oiroff 
que*'  medesimi  tempi  che  si  diede''  fine   in   Italia 
alla  guerra  di  Pirro.  Costoro- y  sedotti"  dalla  cupi- 
dità df,  godersi  a  guisa  di  tiranni   le    rìcc6ezze  er 
le  donne'  e  la  gioventù  di  Messala,  coospirarono' 
msieme  tutti  d'accordo,  e'  ammazzati'  f  capf  del 
governo  ier  r  principali  della' catta,',  sr  diedero*  a* 
manometterlo'  come  per  forza'  d' anni'  espugnaU,- 
'  pigliaiidoEr.Ie  facoltà  r  e  parte*  d^'  persone  ucci- 
dendo ,-  e-  parte  abusandone  comunque  loro'  venis- 
se a  grado  (i)..  Ma-  stretti'  d' assedio'  daf  re  ale- 
rone,, principe  potentissimo  fra-  tutti  gli  stati  del- 
la Sicilia .  èia'  erancr  vicini  a  portarla'  pena-  d*  litr 
tradimento'  veramente  atrodsiimov  allorehi  dopo* 
varie-  deliberazioni  se  più  convenisse,  xieonere  al- 
la merpedc  (b:''CarlagiiiesÌ ,.  o   deV  Romasìv  per 
sottrarsi  alla  vendétta  di  Geroney  eFesEero'idtìma- 
menfe-  di'  mandare-  ambasciatoti   a'  Bòmk'*  loffe-r 
rendo-  di  dare  in  poter  de''  Romani  la  md  occa*^ 
pata  M(9»sana ,,  dov'  essr  volessero :,averK    per  rac-.- 
comandati'.  I.  Bomani  eheaveanopochi-  anni  bvsdw- 
ti   severamente'  pusiti  i  lor'  propri;  »Idati:  per* 


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■'     Libro  E  Capo  IIL      '  i3i 

Akmfgliànte  attentato  cóntro  i  cit&idùii  di  R^gio , 
parti  tìou  tsdegaaronor  per-  quella  volta'  dì  farsi 
protettori  d*'uD  braoeo'  di  masnadieri  iaiqui ,  es^ 
sendo'  loro'  proposta-  sì'  liarga  mercede ,  qual'  era 
di  nDe^r.  piede  neHa  Sicilia,  e  d'impedir  i  mag- 
giori pn^reBsi  della  potenza!  Cartaginese .  Costò 
Teramente  qnesùr  fatto<  dì  molto  sangue  a*  Roma- 
ili  ;:  perclocdii  di  là  ebbe  origine  Pinimiazia  ir- 
teconciliabile'  che'  si  presero  contro  i  Cartaginesi . 
La-  prima-  guerra  Panica  fu'  i*  immediata  conse- 
garaza  dell'aver  i  B'omani  presoparte'  nella  cau- 
sa de'  Mamertini;:  ma  il  frutto  che  dopo  molti 
anni  ne  ricolsetò  r  Romani',  fu  l' essersi  fatti  po- 
tenti, e'  poco'-  meir  cbe  signori  di  ^ue  rieche  -e 
liertìli  isole :,  Sicilia  r  Sardegna,'  le  quali  allora 
^er  Fa. prima:  voIt% comineiàrono'  a'  riguardinosi  co- 
eoe  memlin  -dell*  Itdià . 

"  ;  ''Ciò'  non  pertanto'  gran'  parte'  delle'  contrade' 
Italiane'  or  erano-  ancora  affatto  esenti  dal  domini» 
ftoBiaoo,'  o'  Tcnmienfe- setta  nòme'di  soci  ed  ami- 
ci vi  stavano-  pur  dfsposfe,  a  'sollevarsi  e'  scuotere 
41'  gii^o^  y  quando  si  pinzasse  loro  &vorevole  con- 
^antura..  Ma  la:  riputazione  che'  s' acqufstarono  i 
Romani  nelle  guiérre  lontane  e  pnvissitne'  che 
contro'  ^i  Africani:  avéano'  sostenuto-  e  portato  a 
&e  -oocr  ^anta^io ,  itenne  ior  tTmore'  ed  in  sog- 
geziime  i  popoli-  vicini ,  i  .quali  peTciÒ'  dovettero 
i^uardan  ì  Romani  y  so  nbn  come  loro'  padrom' , 
almeno'  come  amici  superiori ,  e  seguitargli  e'  se- 
condali nelle'  loro  spedizioni  coma  prittcipali .  Uu 


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i3z  Delle  Rivolcziióot  d'Ptalia 

nuovo  movnnento  di  Galli  TraBsdpixii  e  di  la- 
guri, cbe  uDJfi  inaeme  B*appareodiiavauo  d'in- 
vadere l'Italia,  determinò  vie  maggiormente  eo- 
testa  autorità  che  i  Romaui  già  ei  eratio  in  {lat- 
te guadagnata  sopra .  g^i  altri  popoli  d' Italia  ■;  sot- 
to il  quat  nome  dMtalia  non  ci  esca  di  meofe 
che  tntèndevasl  dlora  la  metà  appena  dtiìe  pro- 
vibcie  '  che  vi  si  comprèndono  adesso .  Essenda 
adunque  i  pòpoli  Italici  la  più  parte  usati  dì  ri- 
guardare i  Galli  come  nemici  comuni  delta  '  na- 
zione ,  essi  ebbero  minor  ritegno -^  a  «uire  le  loro 
forze  cori  quelle  de'  Romàni  ■  e  seguitarne  le  in- 
segne, e  con  questo  quasi  pubblico'  itto' dichia- 
rarsi seguaci  e  dipèndenti  di-Roma.  In  pochi  an- 
ni la  guerra  Oalliea  che  pur  nelle  prime'  mosse 
parve  terribile  è  perigliosa ,  fa  condotta  felicemeo.- 
te  a  fine;  L'accrescimento  di  stato' che  Roma  ce 
acquisii,  non  fu  ne  grande,  né  importante;  e 
l'oro  èhe  dalle  spoglie  ostili  sì  trasse',  g^à.  si  sa^ 
pea  per  pruova,  che  non  era  quello  che  <doTe$9e 
Vender  lo  stato  sua  maggiore  degH  adtrì.  Ma'  fìi 
bensì  circostanza -assai  notabile  di  quella  spedi- 
zione la  rassegna  che  si'fece  d^le  genti  che  s*  air 
maroao,  e  la  cognizione  che  di  là  presero  i  Ro- 
mani dello  stato  e  delle  ibrze  loro:  perciocché 
quella  tu  T  occasione,  in  cui  gli  stati  d*  Italia  col* 
legati  o  sudditi  di  Roma  arrotarono  que'  secento 
e  più  mila  uomini  di  cui  si  è  parlato  nel  primo 
libro .  E  nondimeno  contro  forze  sì  maravigliose 
ne  più  udite  in  Italia  da  quel  tempo' in  pòi,  osò 


ovGooglc 


tiBRO  a  Capo  la.  iSS 

Annibale  portar  la  guerra,  con  avendo  seco  (dì- 
damo  almeno  dof^)  la^  discesa  delle  Alpi  )  non 
più  dì  ventimila  armati .  Vero  è  che  )a  venuta 
d'Ànnibak  fece,  ribellar  qnasi  tuKÌ  i  Galli  (i), 
de'  qu$Ii  non  solo  ,i  Tratualpi&i,  ma  quelli  d' Ita- 
lia ancora,  e  gì*  Insubri  spezialmente  si  congiun- 
sero alle  truppe  Cartaginesi  ;  e  dopo  i  famosi  fòt> 
ti  di  Trebbia  e  ài  Trasimeno  e  dì  Canne,  per 
cui  parve  che.  Eoma  dovesse,  da  subita  tovina  es- 
sere .oppressa,  i  Sanniti,  i  Campimi,  i  Lucani, 
ì  Bruci,,- e,  in  una  parola,  grandissima  pcale 
jde'  confederati  o  sui^ditì  de*  Komani ,  si  yollaro- 
110  ^la  divozione  de'  Cartaginesi.  E  i  Capoani 
xpezìaltnente  pà  aveana  eonce{Hto  gerenza  di  dor 
.ver  DOS  pwe  agguagliarev  ma  superare  i  Roma- 
M ,  e  polb  jfor»  delle  armi  Aincane  rimuwr  si- 
giion  d' Italia,  partito  cfae  si  fosse  Annibale-  Ma 
cessalo .  il  primo  iavcur  di  fortuna ,  che  fece  bilan- 
«tar  qualche  tempo  tuttA  Italia  tra  Annibale  e 
fioma,  k  .fermezza  ,o .  il  destino  de*  Romani  non 
K^ameide  U  Hber^  da ,  quel  nemico  ebc  fu  co- 
stretta  a  ritornarsene- ia  Africa,  ma.  li  rendè  più 
«he  non  fossero  stati  per  ^i  anni  addwtio,  pa^ 
drom  «usoluti  d' Ualìa  . 


(i)  Polyhi  I.  ar,  p.  w;. 


D.q,t,zed.vG00glc 


-3  34  Delle  '  Rivoujzìòm  d'  Italia 


Stato  ppUiiòp  j^  italiat  dopo  ahe  fix  Jo^ie^gaU 
ida'  Romani. 


iVlanoD  tutte  le  naEltaii  Italiane  passate  wtta 
il  dominid  di  Homa ,  vi  stavano  in  «guai  grado 
di  dipendenza .  Alcune  govemavansi  secoodo  le 
proprie  e  anticbe  lor  le^  (i) .  Altre ,  «onte  lè 
(.■olonie,  gsavano  leggi  miste  ^  oawrvando  in  pac' 
te  le  l^gi  «  1  privilegi  ^  cioè  il  gius  privato  y 
de'  Romaai;  «  parte  ritenendo  ^lle  le^  'è  dei 
costumi  propri ,  con  qu^H  stessi  -ordiiii  che  si  te^ 
nevano  ineotre  ancor  erano  aflalto  libere  ^2)  :  e 
queste  chiamav^ansi  po'  lo  più  municipi,  da  che 
le  città  che  afeano  titolo  Ai  <xAome:,  «rano  m 
fotti'  composte  d*  .antichi'  abitatori ,  e  di  nuovi  co- 
loni coiu^tti  da  Roma.  Ma  così  i  municipi  <^ 
le  colonie  .erano  governati ,  quanto  alla  civile  Am- 
ministrazione ,  da'  propri  magistrati  eletti  da  loto 
stessi ,  jo  da  ^  pubblico  .consiglio  «he  senato  •owf  ■ 
vero  collegio  di  decurioni-  «hiansfavasi .  D*  una 
terza  .e  peggior  ^condizione  erano  alcune  città  «  o 
perchè,  ^sse  medesime  non  potendo  per  le  gare 
e  invidie  ^omestìufae  governarsi  da   loro ,    aveano 

(i)  A.  Geli.  1.  16,  e-  i3. 

(3)  SigoD.  de  Jure  Ita).  1.  3 ,  e.  7.  —  Croche    de  Co-  - 
mit.  fiom.  |.  a.  —  Maffei  Veroia:  ilttiur;  I.  5.       - 


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;:      EiBRO  U.  Capo  IV,  .    i3S 

^ontaDeamente  domandato  a  Roma  leggi  e  ma- 
gistrati che  le  reggessero,'  come  fece  Capoa  la 
prima  di  tutte;  o  veramente  perchè  furono  dalle 
CMidizìoni  ddla  pace  che  dopo  le  ribelliooi  rìo& 
Tetterò  da'  Romani ,  costrette  a  perdere  ogni  lo- 
ro diritto ,  e  ridotte ,  in  gm'sa  di  provincia  sog- 
getta ,  sotto  il  governo  d'  un  magistrato  che  lor 
ù  mandava  da  Roma.*  e  queste  si  chiamavano 
^efetture  ;.  IVIa  o  poca  o  molta  che  fosse  la  dif^ 
ferenza  ita  il  gius  civile  -o  privato  de'  jraunicipì  ;■ 
«felle  colonie,  *  delle  prefetture;  in  questo  però 
la  condizione  loro  «ra  jjonforme ,  che  doveaao  co-t 
Ù  ■  nel  «omune  ^che  ii«l  particolare  dipendere 
da*  Romani'  per  infiniti  rigtiardi .  t-Asdo  da'  partd 
■eh*  essi  dovessero  «ommìiustrare  alle  armate  Bo^ 
mane  ;òerto  mimerò  di  soldati  a  piedi  e  a  «araU 
ìa';  sfornirle  isecoadoje  «ccasiboi  di  vivtn  r'e^i 
denari, !«  d'altre  cose  bisc^eroK  perule  guerre j 
^wsendo., questo  il  minor  carico  {qiiaodo  con  «'ecv 
toeda  adU  proponzione)'  che  ogbi  sovrano  poasa 
imporre  .&*  ivatsatli.  Xasoerò  ancor  di  ceroarese' 
<obre  a  :quesite  si  fossero  imposte'J^ra  altra  gaEiel- 
]e,  e.  pubbliche  gravezze  di  qualsivoglia  genere  i 
Dah  btàìsìi  «he  in  jnille  -maDÌerè  doMeattm  oasi 
Ift  cpQulnità^  tdtane  cissQuniUaliaao  <  jn^p^rfeicokc- 
m.staniì  sQfgelfitra'-icitUttìci  Boi)ltam,'i  quatisor; 
li.easefldo.  ai  .pantei delia  /tevvaùìtitj'  f>{)teaQÒ'-in.- 
niille  modi  intei«ssare  e  travagliare  i  soggetti , 
proteggendo  e  favoreggiando  ^li  i«ii ,  '  fraVaglflat^ 
do  e   perseguitando   gli  alft-i -»  >CotaÌ  -dip^idenaa 


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i36  DELit  fiivdLuzioia  d*  Italia 

d&Tea^'  ritHcirctimlò  .piò.:  rìncveecevoìe  e  più;  gnt' 
ve  agV'tialiaai,  quanto,  che  il  govehao'di  Rom» 
(liventaBdo  ogni  giorbo  più  popolare  >  ogni  vii 
plebeo  avea  giusta  ragioBe  di  stimarsi  dà  più'  cfae 
^atsivaglia  più  riputalo  patrizio  delle  altre  città  « 
sia  perete*  avendo  voce  attiva  e  defioidra  ne^ 
V  elezione  e  nella  l.egÌ6la2Ìone ,  concorreva  aloiO'. 
no  jndirettatnente  a  tutte  le  (tepoaizioin  rìlevaiit» 
e  della  pace  e  della  guerra;  sta  perchè  essCBdoet 
a  poco  a-póco  accomunate  alla  plebe  tutte  le d^. 
gnità  della  repubblica,  ogn' uomo  della  £eeoia  del 
popolo,  un  pòco  ardito  e  brigante ,:.petea  per 
gualcite  coDgiuDtura  usmr  fuori  tribuno  ,:  pretore^ 
ceoKolo  e  generale  di  armi,  e  aree  in  mano  fà- 
coltà  di  far  bene  e  male  al  par  d'  mi  gran  re.  Per 
la  ^al  cosa  è  facile  a  compreodwr  quanto  fosse 
grande  il  desiderio  cke  aveano  gì'  Italiani-  dì  parte- 
''eipare  d'unrvantaggiecosiragguardevole,  quaJertt 
d'essere  aegual  diritto  aggregati  a  quella  città. 
Di  passo  iq  passo  che  I-'  imperio  s'  andava  aUar» 
gaodo,  il  desiderio  della  cittadinanza  si  faeero 
maggiore;  e,  per  dir  vero,  cresceva  ancor  la-  ra^ 
'^ne  che  aveano  ì  popoli  Italiani  di  domandarla 
e  prettoderla  (-»).  Tutte  le  conquiste  ohe  fece 
Roma  fuori  d' l^ia  *  le  fece  in  gran^parte  col  brac- 
cio de-  collegati  ItaKani ,  gli  aiuti  de'  quali  faceva- 
no più  che  la  metà  delle   armate  Romane.    Ma 

(i)  Pefehant  cttim  eam  eìvitaiem ,  cujus  impevimu 
'armt's' iiiebamar  ctc.  Dtiplfci  munere  se  mititum ,  equitunt' 
que  fungi  eie.  Veli.  Patere.  I.  a. 


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Libro  H.  Capo  IV.  187 

dall'altro  canto  j  più  8*a^raDdÌva  lo  ifato  Si  Ro- 
ma, e  più  dÌTentarano  qae*  cittadini  dìsdegooM 
ed  altari ,  .e  però. meno  facili  ad  associani  al  co- 
mando coloro  <che  riguardaraDO  come  serri  e  mg-* 
getti.  E  perdiè  non  erano  igeati  né  il  desiderio 
uh  le  ragi(Hii  che  aveano  gH  alleati  Italiani,  i 
grandi  di  Roma,  a*  quali  maggiorm«ite  pmaea- 
di  non  s' accrescere  i  competitori  alle  dignità ,  e 
ài  non  dare  alla  tribanizia  prepotenza  mag^òr  pe- 
so coli'  a^'unta  di  nuova  tm'ba  nel  foro ,  -  anda^ 
Tono  con  ogni  studio  procacciando  di  tener  loi»- 
tane  le  catta  Ualiche  eziandio  dal  pen«ero  e  dal- 
la speranza  di  poter  essere  agguagliate  a*  Roma- 
ni (i).  Vero  b  cbe  in  -rari  modi  poteva  otlenei^ 
ù  o  a  buon  diritto  «  o  per  inganno  la  cittadinan- 
za. H^lolte  persone-,  per-cagioo  d'esràipio,  si  da- 
vano Tolontarìamoite  io  servitìi  d*un  cittadina 
fiomano,  per  cni,  secondo  la  promessa  che  sèv 
n*  esigeva  s'  ottenesse  di  poi  insieme  colla  libertà 
anche  la  cittadinanza;  .da  che.  i  servi  <af&ancfaiti 
divenivano  issofatto  oittaditd.  Altri  stando  aìcua 
tempo  in  Roma,  col  mentir  nascita  e  nome,  o 
con  altre  frodi  sì' foeeano  mettere  a-registro  nel- 
le rassegne  che.&cevàoM^*  censori  .E  perchè  ì 
cittadini  d' alcune  dttà  più  privilegiate,  com*eran 
quelle  del  Lazio'  (2) ,  potetmo   passar  facilmente 

[i]  Liv.  I.  a3,  e.  3». 

[aj  II  gius  Latino  si  famosD  nel  scUÌmo  e  ottavo  seco- 
lo di  Koma,  erji  ,  pec  dirlo  in. breve  ,  uu  . dtrillo  di  f^iUa- 
diuanza  di  secondo  giada,  ^  (j^uasi  mcMBao.  tr»  i  .sudditi  iJi 


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][38  Delle  .SivoLiiKioNi  c'iItalu 

alla  eìttadltDEwza  dj  Roma ,  molta  gente  d*  altre 
città  Italiche  por  tpeato  £ee  vi  trasbiigraiono .  l 
quali  lutti  ragpri,  oltreché  ximipievstBo  i  tribu- 
nali-di  Roma  d'infiniti  proceasi,  per  vedete  .se 
questo  .tale.oquell'  altre  Asse  cittadino  di  Roma 
.(  eraesdo  talvolta  addìvoiuto  «he  si  condanaò 
d' amistà  cittadìoania  chi  pk  aveva  frttenuto 
non  òhe  la  «ivilità  Romana,  ma  11  conaolato,  co- 
me  Perpenoa  ) ,  mettevano  gran  coofusioiie  «  dU 
sordine  -per  tutta  Italia  «  «  riduoevano  a  più  inco- 
moda e  peggior  condizione  i  municipi .  Percioc- 
ché ,  oltre  al  disttirbo  «he  .  nasceva  per  l' ammi- 
nistrazione della  giustizia ,  dagli  ordini  della  qua- 
le mcdti  .ffi  sottraevano  eoa  allegare  privilegi  di  c^-. 
vilità  fiomana  *  m  ^^opolavano  generalmente  io 
terre  per  la  dipartita  di  coloro  che  s' avviavano 
altrove  a  fine  di  farsi  ascrivere  passo  passo  nel  nu- 
mero de*  eittadìoi  Romani;  e  diveniva-  perciò  al- 
le comunità  municipali  vie  più  malagevole  ti  sos-^ 
tenere  i  pubblici  .carichi.  I  Sanniti  *■  i  Teligni 
mandarono  una  volta  ambasmatorì  a  querelarsi 
appresso  il  Senato  della  foga  di  loro  gente,  mo- 
strando particolarmente ,  come  n^la  sòia  Fregel- 
le,  città  Ijatina,  pe'cut  privilegi,  come  s'è  det- 
to ,  sì  poteva  più  agevolmeitte  jsaìire  alla  cittadì-' 
ttànza  di  Jtoma ,  erano  andate  a  |ar  soggiorno  bea 
quattromila  famiglie  del  3fuuiio.  Uè  il  senato, 
benché  continuamente  stimolato»  travagliato  per 

Baal»  «d  {. cittadini .  Vegguì  il  S^n.  de  Jwe  Italica-,  e 
Gruch.  de  Comit.  Roman.  1.  i. 


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/     laflio  B.  €apo  tv.        ■  iBg 

'questo  disordqiè  .dalle  querele  de'  municipi ,  -e  cha 
{wr  altra  parte  mal  potea  -comportare  che  il  di- 
ntto  di  cittadinanza. 'diventasse  ccwì  .comune  pec 
Cali  abusi ^  imki  potè  peto  farvi. riparo  che  fossa 
buono .  Uttiauunente  la  'distnardia  etema  tra  ìa, 
plebe ,  -o  per  om^Iìo  dire  tra  i  tribuni  e  il  senato 
Romano,  cbe  già  tante  rivoluzioni  area  -cauBato 
nelle  viscere  della  repubblica  «  diede  aoohe  Voti- 
gine  ad  una  general  rivoluzione  ja  tutto  io  stato 
,d'  Italia , 


If^oziazionì ,  guerre ,-  «  vicende^  per  Je  -quali  i 
popoli  s'  .aetfuistarono  Ja  cittadinanza  Jtomana. 

Viaio  Gracco  fra  le  altre  nuove  <cose  che  ad  imi-, 
taziop  di  Tiberio  ■  suo  fratello  tentò  .di  fare  mei 
suo  sedizioso  ;tribuDato,.UDa  fu  di  dare  alle  Ita- 
liche nazioni,  «d  estendere  quasi  £no  alle  Alpi  la 
cittadinanza  Bomans  .(ij.  JVIa  oppresso  dalla  fa-  . 
zione  de'  patria,  «ome j;ran  parte  de'  ^uoi  disc-, 
gai ,  così  .ancor  questo  and^  vuoto  per  .quella  vol- 
ta .  JVUreo  pruso  ^  fattosi  «leggere  tribuaQ  della 
plebe  per  «pstegno  <e  difesa  à^  grandi ^  contro, 
de*  quali  il  coospie  FÌJj^0.  ^tutto  popolare  .Eera- 
mente  javeiv^ .,  pensò  di  .Ibi-f  ifio^^  |1  suo  partito  » 

'     [■]  Dahat  civitatem  omnlhus  ìtalicis;  extendèbat  eam 
pene  usque  ad  Atpes.  Véli.  li'a.- 


ovG.ooglc 


i4o  Delle -feiVotiffiiewr»*ttALiA 

enipietido  ìa  piazza  di  noova  turba  ;  ed-  ofl&rw 
perciò  a*^  popoli  -del  Lazro  e  di  tutta'  haiia  il  gìiw 
àe*  Quiriti ,  cdii  la  facoltà  di -dar  le  voci  negli 
iquittitii  0  comizi .  Virerà  allora  un  potente  ff»- 
Kario  del  paese  de'  Marsi,  chiamato  Popedio  Si- 
loncCi)»  il  quale  dr' principale  com' egli  erar drf- 
la  sua  Daziotie,  divtsntie  in  breve  aorbe- capiy  di 
tutti  gli  altri  popoK  cbe  pretendevaBo  la  eiWHt^' 
Romana.  Costui,  porlandori  a  Roma  eoa  gran» 
Seguito  d'uomini  occultamente  armati,  fu  da  vo» 
nobile  Romano ,  Gneo  Domizìo ,  incentrato  per 
Tracio,  e  domandato  dov«  s' at^tiasse  eoo  tant» 
gente?  Ne  andiamo  a  Roma,  rispose  Popedio, 
ctóawiati  da*  tribuni,  a  prende»  la  cittadinanra:, 
lAHora  Domiiìo  con  amieberoli  persuasÌMip  pre«p 
a  mostrargli  cóme  fosse  migliop  partito  ■  aspettar» 
-  dalla  liberalità  e  indulgenza  del  senato  quello  cha 
per  modi' sedìiTosi  e  violenti  il  tribunt)  gli'  prof- 
feriva,  e  cheo  forse  sàrebbesi  tentatb ' invano,  o' 
nort  sarebbe  possedtrto  con 'sicurezza.  Mosso  "Pìt-' 
pedio  dà  queste  parole ,  con  fultà  la  sua  brigata 
se  ne' tdmò  a  casa',  lasìogaadosi  cbeìl  senato  fb«^ 
«e  veramente  per  darà  pensieror  di  «oddisfòre  aX 
toc  desiderio.  Morì;  frattanto  il  tinbuno  Marco- 
Druso  per  le  insidie  de'  suoi  nemibi  j  e  gl'Italiani 
s'avvidero  bea  presta,  come' toroavan  fàWaci'tnt-- 
te  le  speranze  onde  s'  erano  fin  allora  pasciatf , 
Perciocché',  non  solamente  non  sr  veniva  ali*  effetto' 

(0  FrelieBj.  L  yr,  e.  3o,  3i. 


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Imap  fi..  Caco  V.  -  i4j 

dwderatQ ,  :ina  tutto  ki .  tpcboleoze  «nd*  epst  in 
4|uel  tempo  pHi  che  mai.pel  .  passato  agitata  la 
città  di  Roma, .  tutte  tiravano  a.  £tr  «oneicere 
qu«oto  i,IÌom&ai. fossero  alksi. dal  Toler  cDncede> 
re  aUe.  g«Bti  Italiclu;  le  loTO'4<HnaDde.  Un  Quid» 
ti»  V«r)o.,  vomo  del  lìmaneate  da  jiuUa*  ma.  éi- 
tàttx-  wa  attivo  *  propose  e  vìnse  una  logge,  a 
teotH-  della  quaJe  doveese  farsi  processo  addosso  a 
coloro  ehe  avean  promesso  la  civilità  a*  popoli 
ooUeg«ti  (i)  .  lastigatori  e  pcomotorì  di  quella  leg^ 
gè  furono  i  cAT^lìeri  Romwi,  a  fioe  di  travi^ac 
i  patrizi  e  i  prìncipaU  delta  c>^,  quasiché  pec 
Ii»o  .codseatimento .  Dniso  avesse  cocirnowi  i  po^ 
f^i  a.  ctrcAE  la  cittadinanza  .  Tanto  era  hingi  dal 
«ec9  sì  £atto  earìeo  V  ohe  anzi .  Drufio  era  Tenuto 
a  sdegno  ediu  difgrazia  de*  ^andi  per  questo 
«Vito,  per  arer  dado  speranza  agritaUaQi.d'essec 
&MÌ  cittadim .  NuUadiioeito  la.  le^e  di  Vario  (  es- 
tendasi pur  alk>ra  ]'  autorità  -^dinaria  ridotta  in 
mano  de*  cavalieri  )  portò  secso  T  esigilo  e  T- e^ei> 
minio  de'  più  riputati  e  più  onesti  cittadini,  ^a 
cui  6i  «onta  il  <taDto  «noraio  MelelloPio;  eriem- 
pie  .Roma  di  scompirgli  e  d'afTumi  -(a)  .  Alla  fi- 
lie  iu  condannato  aaebe  T autore  stewo  -di -quella 

(0  Freheos.  I,  3i,  07,  3S- 

(3)  Cicerone  ne'  suoi  tre  libri  de  Oratore  ci.  fairipilt 
looghj  mfeniione  ài  ^u«9t«  cmc;  e  pa&  boMrù  in  iijpezisi 
cb*  ,il  cpitiitg  4;at»re  yi»Kt>  Cumìo  ^  di  cui  lo  ^1«md  Cìce,- 
rone  fece  uel  teizo  de'  (addetti  libri  l' oraKion  funebre, 
mori  quasi  violeniemente  in  quel  toibido  codkUio  di  Mar- 
cio Filippo .  .,.,.. 


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X4>  Delle  ItivoiiuziONi:  d^Italia 

leg^e^t  in  our  nim  maficavano^  ài^menii  per'  far»- 
lo'  giudioare  itr  qualche-  modo*  apTrJuppato'  nelle- 
farigbe'  occorreDii  ^  'e  promotore  occulto- delle'  pt&i- 
tffBSÌìmr  ^e*'pQpoIì>..  'Ma  -gì-  Italiani V  inferociti  vJe^ 
mà^ormeaté  al-  vedere  come'  ì  iU^maiir,.  pi>en- 
dandotà:  quasi  'ai  giuoco-  ler  loro-  incbieste  ,■  ile'-  fà> 
wsser  materifC  di  oontese'  cittadniescfi'e  ^  pers^iv 
iando  e-  traragfieindo  coir  le  proscrizioni:  9'  kogli 
esigli  chiunque'  fosse-  pur'  solamente-  sospette  di  fa-- 
*tìrirli  ;■  deliberarono?  di  far'  prub^a  se^  per'  minaci 
ce'  .e  a  Jòr2a'  aperta-  jpofessero  piegar  ralteretea' A' 
rorgc^lib  de*  lor  padi-oni'  (i):  Fecero'idanqiie'  le- 
gai:f[ra  loro-,,  e  fissando  in  Corfinìo  Ta '.sede-  dtllb- 
«tato  comune  de^'confedìitati,-  diedero^  X-  efoellà- 
dUÀ!  nuova  nome-  d' Italica','  come:  m  dire'  capi^le- 
de*  popoli  Italici .  Crezu-Ona  ad  emulazione'  di  R'o^ 
ma'  due-  consoli",^  elessero-  fra^  i  fàit  notàbili  di!  It^. 
ro  cinquecento-  senatori,'  e  fecero^  parecchi  prèf^ 
ri ,,  i  quali'  futono'  parte-  mandali  al  goremo-  di' 
{rane-  ciltàv  parte-  feritati  in  Cbrfinìo»  a-  render  rat- 
fpone  nelle  occorrenze'  de''  pafetìcolari-i.  Fwncipìo 
-della  guerra-  fu  la:  strage  chC'  si  fece'  in  Ascoli  di^ 
'tutti  quanti;  vi  si  trovarono-  cittadini  Homam-,.  e- 
del  proamsDle'  Quinto'  Sentilio^,.'  il  quale',,  senia 
rifletfcbs-  che-  le-  minacce  er  le  bravate'  contiii^qnd^ 
K.  che-  già  anno'  da-  sé'  cacciato-  ogni  t^^mtire  e  ijì- 
spetto-  verso'  1  comandanti,,  «ano- vane,,  o  nucevolì 
I  a  chi  le-  usa;:  in'  ■vece'  di  calmarK.   cott' 


(1)  FrelienK.  e.  ^S-,  i4,-4^. 


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Lima  H.,  Ciro  V. .  «43 

aiodi  doléì-e  mansueti,  ioaipii ed aeÒMe gli  ammi 
àe*  sonerati  con  a^re'  TÌpTeiuioni  ei  strapazzi .  .Al- 
lora si  vide  riUdidr  diTiea.tutta' in  due  repubBli- 
che,  Tenire-  ali*  anni  ed  aUeoffesenoniler  la  pos^ 
(essFqne  ài  un  contad»  a  d'una  .piccola,  pravm* 
eia,  ma. per. r intera  dòmiota  di  TÉnà  grandissima 
parte  del  moDdiT^  Perocché  mmii  dabfcao-  che  a» 
h:  confederaziòncdegl' Italici  fosiev  preraluta  tH» 
forz^  de'^  Honiaiù.r:queglrDO-  rtcaùi  aTrebbero  ;->pre* 
tesa  di  irifaraare  lo-  stato  a-  lar  modo ,  comff  si  far 
Bolle  cìtìL'  guerre  ;:  edavrebbanrceroato  o  ^i  tra» 
lerir  la  sedei  in  Corfiaio ,  o  cacciando  via.  gK  an^- 
fichi  cfttadÌMy  alraoDO  i  prìndpali».  in4}adroniisi. 
di  Roma  e-  di  tutto  V  imperio-  di:  quella  .  Né  caM 
téhhff  stata  opera:  malagevole  if  oosùÌDgerer.  eollk 
forza  le  Provincie'  straniere*  soggette!  ar  Bopiàm 
S  pas^r  ~soft6- 1^  '6%Doria  de*,  Matsi.  e-  de-'^Sane 
xitif  capii  della:  fazibae  Qalioa  ;'  conciOBsiacbè'  le 
.tfessc  forze  con'  le.  quali-  essf  avi^booo'  superati'  i 
Komanf ,,  acoresciute-  ancora  dàlia:  mag^gK»»  «epe» 
4ietuHì,  '.e  dalla'  ripu^zkine'  che  di'  «la^n'àtarx  pcnr- 
feiseocril  rinuiiPer- superìtwe'  di  un-  {XitentissìRio 
patito  e^.d'iina'  osliiiata-  ed'  aspra  gneiTa-,  sarblv- 
hcrtr.  state'  più  che  bastanti  a~  tener  'gli'aitk'j  popei- 
Ir  D^'iobbecHenza,'  Mot  seblitene  JeTorts'  della  .te- 
ga^ pansisero  da'  principio'  Maggiont  che  'non'<'(|fuel^ 
U  dr  Boma,  pei  numero;  e-  per  la  ferocia  di '*}«*' 
popoli  non  ancor  antmsllitì. dalie-  ricchezze  e  dàl»^ 
la  potènza,  come  i'  Romani  ;  egli  avvenne  pure  in 
qu^ta  orribil  guerra  cjÀ  che  succ^ij^t^^n-itiitte  le 


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/ 

i44  Delle  Ritoi^zioni  o'Ìtallì 

rìfaellionì  e  guerre  cmli ,  pelle  quali  a  luogo  a»- 
dare .  prevale  quel  partito  che  à  la  presunzion  dei 
diritto  ia  Taror  suo,  e  che  sì  trova  ia- ptxstaiBo, 
della  pubblica  e  sovrana  autorità  ;  potendo  per  in-* 
fiditi  accidenti  e  ia  mille  maniere  ristorare  te  hw 
fcrae,  e  dividere  e  mdebolire  quelle  de^casgiuiSi 
ti.  1  Latini  e  i  Toscaui  ebbero  in  questa  rivolun 
■ioae  la  miglior  sorte.  I  primi,  siccome  quelli cfa« 
.  già  avevano  particolari  privilegi,  «  godevaBOipec 
eoù  dire,  a  metà  la  cittadioaoza  Romana,  noa- 
credettero  utìl  coniiglio  d'avventuru*  il  certo  cbe 
areano,  per  1*  incerto  che  si  cercava;  e  i  Tosca- 
ni ,  oltre  air  esser  più  molli  e  pacìBct  di  lor  tta-^ 
tura,  tcovavami  ancora  lontani  dal  grosso  e  dal 
forte  della  lega,  da  cui  erano  separati  da  tutto  il. 
Lazio  che  vi  era  di  mezzo.  Frattanto  né  a*  Lati- 
ni, oè  a^  Toscani,  né  agli  Umbri,  quantunque 
esternamente  si  restassero  a  divozion  di  Roma,  o, 
almeno  in. neutralità,  opn  dispiacque  però  la  ac4-. 
lepaziooe  degli  altri  popoli  ;  perchè  la  causa  che 
ì  coll^ati  trattavano  con  pericolo  praprio,  era 
tuttavia  cotpune  a  tutte  le  altre  nozioai  .Italiche . 
Era  facile  il  prevedere  che  per  poco  che  i  Roma- 
ni  fossero  stati  travagliati  e  stretti  da  quella  guer- 
ra,  essi  avrebbero  dovuto  allargar  la  mano  verso 
coloro  cbe  ancor  non  avessero  prese  le  armi.  Co- 
sì andò  il  fatto  per  appunto.  Lucio  Cesare,  con-, 
solo  Bomano,  rotto  in  battaglia,  e  vedmdo  come 
d'ogni  parte  i  ribelli  prendevan  vantaggio,  diede 
una  legge,  p«t  cui  si  concedevano  alle  città  non 


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'      CiBHo  n.  Capo  V.  145 

illKlIatè  ì  diritti  detta  civiltà  Kbmaiia.  Questa 
te^e»  t^trecfeè  rinforzò  di  molto  il  partito  de' Ro- 
mani per  raggiunta  che  vi  si  fece  di  molte  gen- 
ti le  qudi  abbracciarono  poi  còpie  proprio  il  par- 
tito di  qatAìa  repubblica,  fu  pncora  un  valido sper  . 
diente' per  adescar  uàa*  parte'  de',  apllevati  ad  af- 
frettarsi di  trattare  privatamente  di  pace  coi  Bo- 
mani ,  con  la  speranza  d' essere  ricevuti  nelK*  stes- 
Eò  grado  de' Latini  e  de' Toscani,  E  nel  vero,  da 
quel  tempo  in  poi  la  lega' Italica  si  andò  scepa^n- 
do' di  giorno  fn  giorno;  perchè  ciascuno  de' popo- 
li manicò  a  parte  suoi  ambasciatori  per  trattare 
delle  condÌEioui  della  resa .  Agli  amatori  dell*  an- 
tioa  storia  d'halia,  di  pocbì  altri  libri  debbe  rin- 
crescer'la  perdita,  quanto  dell' ottava  decaddi  Ti- 
to Livio,  in  cui  narratidosi  partitamente  tutte  If 
gaenv  e  le  n^oziazitmi  de'  popbti  Italiani ,  non  v! 
potevano  non  essere  espressi  disti  uUimente  i  costu- 
mi ,  le  forze ,  e  la  forma  del  governo  di  que'.  po- 
poli ■        ' 

Oi-,  beQcbè  Rama*  dopo  tanti  danni  e  tac|te 
sconfitte  ricevute ,  sia  scampata  dal  pericoli^  ài} 
qaella  guerra ,  dovette  -  essa  .  nientedimeno  ^  conce- 
dere a'-malcontedti  tutto  ciò  che  domandavano 
avanti  il  principio  della  ribellione  (i)  :  e  finaV 
mente  -,  ■  V  anno  secentesimo  sessantesimo  quinto  do- 
po la  sua  fondazione,,  per  decreta  del  senato  ^ 
■■■  Totno  f.  'IO 

O;  Veli,  Patere.  1.  a  ,  p. 'iS, 


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14&  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

concedette  la  cittadinanza  Romana  a  tutti  i  fM» 
pdi  d' Italia ,  che  avessero  posate  le  armi .  Ma 
d*  altro  canto ,  il  danno  che  tutta  Italia  ebbe  a 
patire  da  quella  ribellione,  fu  oltre  ogni. credere 
grande  ed  irreparabile,  avendo  la  guerra  consu- 
mato il  fior  della  gioventìi  Italiana ,  di  coi  si  tien 
per  certo  che  trecento  mila  teste  perissero.  E  le 
drcostanze  de' tempi  in  cui  seguirono  te  negozia^ 
sioni  Ira  i  popoli  Italiei  e  Roma ,  rendettero  vie 
più  funeste  quelle  rivoluzioni  ;  avendo,  per  così 
dire,  raddoppiato  il  prezzo  che  costò  alle  città 
c(Jlegate  il  privilegio  d' essere-'  aggregate  alla  car 
pitale.  Nello  stesso  frangmte  della  guerra  Italtoa 
covavasi  dentro  alle  vìscere  di  Roma  un  peggior 
male .  Mario  e  Siila ,  il  partito  del  popolo  e  del 
senato-,  tiravano  dirittamente  a  sconvolgere  adat- 
to quella  repubblica ,  in  ctìi  fino  a  quel  tempo  i 
cattivi  umori  erano  stati  da*  pcnsieò-i  di  nemioì 
estemi  ritenuti  in  qualche  calma  ancor  dopo  -le 
sedizioni  de'  Gracchi .  Vennesi  finalmente  à  guer- 
ra manifesta;  e  le  forze  della  repubblica  divise 
in  due  parti  si  consumavano  fniseramente .  Ne*  van- 
taggi '  eh*  ebbe  in  sulle  prime  il  ièi-oce  Mario  »  fa- 
moso capo  del  partito  plebeo ,  il  senato  fu  costret- 
to, per  rinforzar  la  sua  parte,  d'trfferire,  come 
testé  dicemmo ,  la  cittadinanza  ad  una  parte  al- 
meno de'  sudditi  e  compagni  Italiani ,  ed  attende- 
re tuttavia  a  disarmare  i  più  audaei  ed  ostinati 
con  qualche  tollerabile  condizione. ^  Siila  che  in 
quel  tempo  si  trovava  in  Oriente  a  fax  k  gaeira 


ovGoo^lc 


Libro  H.  Capo  V*  x^y. 

di  re  Mi^date,  avea^  prima  di  lasciar  1* Italia* 
talmeDte  abbattuti  i  suoi  awarsari ,  ebe  appena 
restava  uo  mediocre  esercito  a  Cinaa  ;  e  Mario  ao- 
davateae  tQÌsero  e  tapino ,  ceroaodo  pure  dove 
ascondere  e  scampar  la  vjta ,  finché  gli  renne  fat- 
to d'essere  ricevuto  da  Cisna,  e  messo'  a  putc 
delle  Mie  forze.  In  questo meZRo,  intendendo  Ma* 
rio,  (^e  i  popoli  Sanniti  ( oompreodiamo  sotto 
^esto  nome  tutti  que'popcJi  che  si  trovavano  in 
quella'  sollevazione,  e  di  cui  i  Sanniti  siriguurda- 
vSDó  tsome  principali)  eriuio  poco  paghi  delle  oon* 
dizioni  phe  il  senato  loro  ofTerìva  ;  per  ridui^U 
air obbedienaa  ed  alla  pace,  mandò  a  soUeoitar? 
gli-  e  mostrar  loro ,  che  quando  si  fossero  uniti 
sMo ,  essi  avrebbero  per  mezso  suo  ottenuto  oom* 
pinfamento'  quanto  bramavano.. Venueii- con  poca 
difficoltà  alla  oondusione  ;  e  Mario ,  fattosi  fort4 
6olI*'aiUto  de* malcontenti  Italiani-,  non.  ebbe  a 
penar  molto  per  entrare  iaRonia,  e -manoaietter« 
h  a  vt^ia  eoa.  Ebbero  senza  dubbio  ad  avpp  par- 
te  -nella  cnudeltà  di  Mario  tiitte  le  altre  oittàlta^ 
K<^  che  s'erano  mo8tcste->ben  afiètte  alla  fazlo-r 
Qe  d^ti  ottiqiati,*  ma  i  Sanniti  non  aiularonolun'- 
ganKfite  lieti  sotto  la  «gnorìa  e  la  protecione  df 
Mario  da  loro  assistita  e  servito .  Tornato  SiUa  vinr 
citor  dell*  Oriente  con  numeroso  e  ben  affezionar 
to  eséréito ,  abbatta  facHmeate  ed  esterminò  afo 
fatto  il  partita -di  IS^o,  ed  in  mezso  alleviolen* 
^  ch'esercitò  sopra  i  Bomani  propri,  non  trdla- 
kcSb  di  'ftue  aspra  e  cradel   v«delta  de'  {wpoU 


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148  Delle  Ritoluzicwi  d'  Italia 

Halicì  che  avevano  dato  aiuto  a*  suoi  emoli  per 
risalire.  Udo  de' più  roemorabili.  esempi  di  crudel- 
tà cbe  si  raccontino  di  quella  tirannica  dittatura* 
fu  Tessersi  per  comando  di  Siila  in  una  mattina 
trucidati  in  sulla  piaraa  d<  Roma  ottomila  tra 
Marzi  e  Sanniti  ;  non  altrimenti  che  ee  per  ordì'^ 
naria  esecuzion  di  giustizia  fossero  mandati  a  mor- 
te sette  od  otto  assassini .  Cosi ,  qual  più  e  qual 
meoe ,  ma  pressoché  tutti  i  municipi  d*  Italia  e 
le  colonie  ebbero  per  le  vicende  di  quella  civil 
guerra  a  portar  danni  ^aviesìim .  Ma  aUa  fine* 
Bini  ostante  i  £en  ordini  cbe  diede  Salla  per  pri'- 
Tiar  i  Sanniti  ddla  cìttadinania ,  tutte  le  nazióni 
Italiane,  poste -alcune  leggwieslme  dìitinrioni,  iìi» 
roBO  messe  inposseaso  de'medesinàprivìlegi,  per^ 
ehè  gli  ordini  di  Siila  non  teonera  in  qaasta  pas- 
1e  neppur  quanto  durò  la  sua  dittatura. 

Vero  è  che  non  comprendendosi  allora  sotto 
il  nome  d' Italia  quelle  provinde  che  ora  ehiamià'-  ' 
zno  col- nome  generale  di  Lombardia,  la.  migliar 
parte  di  questa  provincia  era  tuttavia  csdiitta  dai 
diritti  della. capitale;  comechi  non  troppftisi  <)0n- 
Tengano  fra  loro  gì*  indagatali  di  qqe^e  oose  a 
determinare  in  che  condizioni  stessero  allrav  que- 
sti paesi  sotto  il . dominio  .  di  Roma..  Ma. circa 
vent'anni  dopo  Siila,  trovandosi  al  governo  delle 
Gallie  di  qua  e  di  là  dell'  A^  =  Giulio  Cesare , 
questi  andò  lusingando  i  Cisalpini ,  ed  animando* 
gli  a  chiedere  la  cittadinanza  al  par  degli  altri 
Italiani .  Cesare  tendeva  in  questo  moda  per  do[^ÌQ 


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titìfeO  W.  Capo  V.  149 

e&mtnino  al  suo  interesse  particolare  ;  prima ,  per- 
chè eoo' le  novella  pretansìoni  de*  Galli  accresce- 
Ta  in  Roma  le  sedizioni  e  i  disordini ,  in  mezzo 
a'quali  voleva  «ali»  alla  sovrana  potenza;  quindi 
ancora,  moBt\-ando3Ì  protettore  e  bmevolo  a  que- 
sti popoli ,  sì  andava  procacciando  maggiori  forze 
per  rovinare  i  suoi  emoli .  Possiamo  credere  di 
leggeri,  che  sotto  Cesare  abbiano  molti  in  pztrti- 
colftre,  e  molte  comunità  coù  della  Gatlia,  come 
della  Venezia  coaseguìti  i  privilegi  Romani  ;  ma 
la  brevità  dei  suo  dominio  non  lascifa  forse  dar 
perfezione  alla  cosa  .  Pochi  anni  dopo ,  allorché 
per  la  morte  di  quest*  ultimo  dittatore  V  autorità 
sovrana  passò  in  mano  de*  trìtunnri ,  -o,.  per  die 
meglio  t  d*  Ottaviano  Cesare  e  di  Aforc*  Atitoiuo , 
tutti  i  popoli  posti  di  qua  dell'Alpi  di  buon  gra- 
do de*  comandanti  ottennero  pienamente. illoro  de- 
siderio .  I  trìumvirì ,  per  1'  evidenza  del  pencolo  , 
e  per  la  fresca  ricordanza  di  colui: che  aveva  lo- 
ro fatta  la  strada  ali*  imperio ,  «on  vollero  avere 
in  tanta  vicinanza  dì  Roma  un  governatore  o  vi- 
ceconsalo  con  mìhtar  comando ,  come  usavdsi  nel- 
le Provincie;  e  stimarono  vantaggioso  partito d! ag- 
gregare all'antico  corpo  d'Italia  cib  che  lasnatum 
avea  ordinato  come  nido  d'una  stessa  nazione, 

»  Quando  dell'Alpi  schermo 

»  Pose  fra  noi,  e  gli  Alemanni,  e  i  Galli. 


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i5o  Delle' RrvotuziOKi  d*Itàlia 


C    A    P    0       VI. 

'Conseguente  che  nacquero  ^^  essersi  it^ti  in 
uno  stesse  corpo  di  juizione,  e  con  gii  atessi 
dirìttiy  iutd  ì  papoU  e  tutte  le  città  tinàia. 


JN  el  vantaggio  che  ottennero  le  città  ItaUche  » 
essendo  messe  à  parte  dei  diritti  e  de*  privilegi 
che  seco  portava  la  cittadinanza  di  Roma,  essa 
dovettero  naturalmente  tenersi  per  coatanlitnme; 
ed  è  verisimile  che  dovesse  paro-  cosa  assai  ^a- 
ve  a'  vecchi  cnttadini  1'  essere  stali  eòslrettà  a  di- 
ividere  in  tanti  con^fiagnì  quello  che  a  loro  soli  *. 
come  cosa  propria  \  s*  apparteneva .'  Certp  è  che 
il  passai  dallo  stato  di  sudditi  a  quello  di  con- 
sorti del  comando  per  1*  una  parte ,  e  per  1^  altra 
accomunar  con  dodici  d*  aggiunta  ciò  eh*  (ira  pri- 
ma di  soli  quattro  o  sei ,  non  può  farsi  seasa  es- 
cessivo  gaudio  degli  uni,'  e  grava  Tammarieo.  de- 
gli altri.  Gò  non  ostante,  qualorasi-  ptmga-ognì 
cosa  in  considerazione ,  troverasai  sicuramente , 
che  siccome  1'  esser  aperte  in  Boraa  le  vie  d^Ii 
onori  agl'Italiani  giovò  incredibilmente' prima  ad 
ampliar  quello  stato,  e  a  ritenerlo' poi  nella  de- 
cadenza; coù  la  rovina  d*Italia  ebbe  cominda- 
menfo  da  quel  tempo  stesso ,  in  cui  parve  eh*  el- 
la  dovesse  ascendere  al  più  alto  segno  di  gloria 
e  di  potenza.  Né  già  questo  si  à  da  intendere 


ovGoòglc 


/     luIBBO  II.  Capo  VI,  i5i 

per  la  roviaa  che  meDarono  per  taote  contrade 
d'Italia  prima  le  guerre  sociali ,  poi  quella  di  Mo- 
dena e  di  Perugia  :  perocché  coteste  calamità,  an- 
corché'grandissime ,  avixbbero  avuto  riparo;  e  in. 
due  generazioni  di  pace  sarebb^sì  largamente  am- 
pliata ie  raddoppiata  la  popolazione ,  e  in  pochi 
anni  restituito  in  fiore  le  campagne  ed  i  borghi . 
Ma  la  rovina  d' Jtah'a  procedette  da  un  male  in- 
temo e  contiauo,  tutto  che  più  lento  che  non 
soDo.i  mali  della  guerra,  non  però  meu  perni- 
EÙxo  ;  e  cij>  fu  il  cambiajneato  de'  costumi  e  del- 
1.'  esset-  pcditico  delle  città  Itidiche .  Ma  perchè  il 
dir  cÌk  sotto  Cesare  e  «otto  i  primi  imperadorì 
1*  Italia ,.  indipendentemente  dalle  guerre  eh',  ebbe 
a  patire ,  andasse  in  covina ,  potrebbe  per  avven- 
tura semlvar  a  molti  un  solenne  paradosso;  fìa 
necessario  ripigliare  il  discorso  da  più  aito  prin- 
cipio . 

'  Ncìn  sì  tosto  le  vittorie  drìle  guerre  Sanniti- 
che  e  Cartaginesi  ebbero  assicurato  a  Roma  pri* 
nm  il'principata  d'Italiat  e  poi,  una  maggioranza 
-  non  dabbia  sopra  tutte  le  potenze  del  mondo , 
.  aoche  i  cìUadini  pi^ticolar) ,  .qual  per  un  modo 
e  qual  per  ud  altro  ,  ebbero  opportunità  d'  arric- 
chire.- Le  ricchezze  dovettero  di  necessità  sbandir 
'da  -Boma  quelle  virtù  che  1', antica  povertà  vi 
aveva  introdotte  e  mautenute  alpun  ternpo .  Fra 
-gli  altri  vizi  che  seco.menarono  le  ricchezze,  uno 
•sì  fu  la  dilicatezna ,  l'amor  dell'ozio  e  de'  pìa- 
^ceri,  il  rallwtaptento  delta  militar  disciplina,   la 


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i§i  Dille  Rivoluzioni  d'  Itaua 

quale  ancóra  i  più  Dobili  e  riputati  cìttadt'nì  par^ 
vero  abbandonare .  Al  riparo  d'un  disordine  ooù 
rilevante,  il  quale  avrebbe  fora»  ancor  potuto  ri*' 
menar  al  basso  la  potenza  Romana  (prima  ch'es- 
sa diventasse  tale ,  che  per  vizi  grauctiseimì  e  per- 
niziosissimi  non  potette  ,  salvDchè  in  lunghissimo 
tempo  ,■  essere'  dietrotta  ) ,  vennero  opportunamen- 
te nuovi  uomini  da*  municipi  e  dalle  colonie  no-' 
Tcllamente  ascritte  alla  cittadinanza,  ai  qualr,  per 
poter  salire  in  credito  ed  agli  onori,  &  neceasa^- 
TÌB  quella  stessa  industria,  quel  travaglio  che  avea. 
ne*  passati  tempi  accresciuto  lo  sfato  de*  Rfima- 
ui.  Falso  ed  incredibile  sarebbe  il  dire  che  dopO' 
essersi  introdotte  in  Roma  le  ricchezze,  e  con> 
queste  il  lusso  é  la  morbidézza,  niumi  delle  an- 
tiche famiglie  Romane  avesse  &tte  opere  illustri 
ed  oDoratei  e  giovato  coli' ingegno  e  coli*  arte  al- 
la repubblica  ed  all'imperio.  Ma  verissimo  è  al* 
tresì,  che  i  forestieri,  cioè  gl'Italiani  (mentre 
che  fuor  d'Italia  di  rado  e  difBcilmente  si  con- 
cedette la  cittadinanza  )  i  quali  o  avanti  la  guer- 
ra sociale ,  o  dopo  furono  reódutì  capaci  delle  di- 
gnità e  degli  uffizi  di  Roma,  valsero  grandini- 
niamentè  a  ravvivare  le  virtù  de'-  Romani ,  e  li 
ritennero  da  quella  più  rapida  e  più ,  grave  deca- 
denza ,  in  cui  sarebbero  rovinati  senza  lo  stimolo 
di  nuovi'  emoli  .  Scipione  Africano ,  nome  sì  ce- 
lebre nella  stoiria  Roifìana,  avea  coli' indulgenza 
e  mollezza  talmente  lasciato  indebolir  )'  eserci- 
to che  comandava  nelle  Spagne ,  che  i  Romani 


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Libro- II;  CaSo  VI.  i53 

{snebberò  di  le^erì  potuto  petdereU  vantiig^  cha 
avevano  acquistato  sopnà  ì  Cartaginesi ,  e  però 
aneora  l' imperio  del  moifdo .  Ma  la  gelosìa  che 
tisreglìò  opportunamente  nell'aoimo  di  qud  caf 
pitaao  il  credito  che  il  primo  Catone  ^i  andava 
acquistando  colla  aeverìtà  de*  suoi  costami  i  iìi 
Tfdidissnno  stimolo  per  muoverlo  al  rittabilimento 
della  disciplina .  Senzacbè ,  troppo  è  noto  per  tut- 
te le  metnorie  delle  cose  Romane ,  quanto  di  b»* 
ne  facesse  a  quella  repubUioa  che  g^  avea  co- 
minciato a  piegar  fortemente  alla  corruttela»  la 
sefvera  virtù  di  questo  stesso  Catone ,  gran  ca> 
pitano,  grande  oratore  e  gran  filosofo,  ed  ag- 
giugniamoci  ancora  gran  politico  e  grand*  eco- 
nomo .  Di  queste  tante  6  sì  varie,  doti  unite 
insieme  in  un  medesimo  soggetto  già  pac«ra 
obe  r  indole  Romana  fosse  c^^wiAÌ  incapace  :  ma 
Catone  nato  e  cresciuto  in  Tuscolo ,  lontano  dàl- 
ia dilicatezza  della  capitale,  venne  in  Roma  for- 
nito di  maschia  virtù ,  e  con  quel  naturai  deai- 
derio  che  seco  porta  chiunque  escb  dal  patrio  ni- 
do per  entrare  in  più  gran  .mondo .  I  IU>oam  non 
aveano  ancora  tanto  dimenticato  i  loro. primi  oo- 
stumi ,  cb'  essi  potessero  disapprovare  qtielU  virtù 
che  una  volta  pareva  essere  slata  lor  propria  .  Per 
la  qual  cosa  Catone  non  tardò  guari  ad  aprirsi  la 
strada  alle  cariche  ed  ai  primi  onori ,  e  con  prò-' 
fittevde  emulazione  eccitare  gli  altri  a  seguitar- 
lo .  Che  se  il  concorso  de*  provinciali  d*  Italia  fu 
solamente  utile  in  sul  primo  nascere  del  luaio  di 


ovGooglc 


454  DELLB^RirtjfcOzioin  p'  Itaua 

Roma,  eOB-^fiitono  t^  più  necessari  coU*  onto 
del  tempo-,  allorchit  oltre  ai  vin  de*  prìacipali» 
anche  la  plelifc  rs*  era  incattivita  nell*  o2Ìo  * .  nella 
brìgho; del  foro,  e  neg^  spettaeoU  e  n^e  feste  e 
sa'  pi^blici  banchetti,  ebe  i  grandi  solevan  da- 
r^  in  varie  occasioni .  Per  la  qual  cosa , .  tutta  U 
soldatesca  ohe  si  potea  scegliere  da  quell*  immen- 
sa moltitudine  di  plebe  urbana,  fu  poca  cosa  e 
di 'poco:rìIieTo.  Quindi  il  nerbò  ddle  legioni  che 
prima  componevansi  dalla  eittà  e^  dal  contado 
lUttnano,  fu. formato  di  soldati  Mar»,  Apuli, 
Vestini ,  Lucani ,  i  quali  tutti  tanto  erano  dì 
fatto  migliori  soldati,  quanto  una  volta  erano 
stati  più' ferooi  «tenibili  nemia  di  Roma.  À* 
cittadini  ricebi  e  di^  sangue  illusi^,  o  fossero  p»- 
triri  o  plebei  {poiché  ancora  l'ordine  plebeo  non 
Moludera  nobiltà,  essendo  sì  frequenti  n^Ii  ulti- 
mi tempi  della  repubblica  le  distinzioni  di  nobili 
pabixi,  e  nobili  plebei  ) ,  non  fu  difScile  il  man- 
tenersi in  possesso  della  maggior  parte  delie  di- 
gnità così  militari,  che  civili;  e  molti,  vi  si  acqui- 
fltaron  gcaa  nome .  Siila ,  Pompeo ,  e  Cesare  era- 
no pur  nativi,  ed  originari  di  Roma;  ma.  nel  t^tn- 
po  stesso  fiorirono  altri  capitani  dì  non .  Romane 
famiglie,  i  quali  dagli  ultimi  gradi  della  milizia 
ergendosi  a*  primi  uf6zi  ed  al  comando  generale, 
sostennero  per  difesa  e  ÌDgrandimento  di  quella 
repubblica  gravissime  guerre.,  e  furono  ancor  ca- 
gione del  progresso  che  fecero  nella  mili^fi  e  Sil- 
■la,  e- Cesare, .e  tutti  i  grandi  capitani  .di  quella 


ovGooglc 


età. 'Mario  e  Ssrtorio,  dae  cfaiarisstini  geoerali, 
«d  utilisaiin!  finebi  1*  ambizione  loro  pro^a  e  la 
gek»ìa  altniìnoD  gli  ebber  «ospinti  alla  ribeOio- 
ne  ed  alle  anni  civili ,  anaendoe  furono  nati  di 
^lictM^  città  Italiche,  le  quali  aveano  di  poco 
lempo  ottenuti  i  privilegi  della-  cittadinaflza .  ■  Or 
A  V  tuo  ■  die  r  altro  dovettero  allft  maschia  eda- 
cazìone  eh*  ebbe»  nelle  lor  terre ,  qnella  fero- 
tia,  quel  rigore  <^*  dÌMiplina  che  U  rcildfe  cortei- 
tori  ddla  Romana  milizia,  e  maestri  de*  più  no- 
bili e  più  gentili  ufBziali ,  che  sotto  il  comando 
ài  loro  appresero  a  diVenfat  prodi  e  sagaci .  AI 
tempo  di  Cicerone  già  sf  contarano  parecchi  al- 
tri iaiigoi'  generali  delle  armi  Romane-,  verniti 
eoù  di  TÌle  come  d'illustre  nazioni»  di'  municipi 
e  dalle  colonie:  E  Cicerone  egli  stesso  puh  ■  darei 
col  suo  iSMmpio  nobile  praova  che  non  solo  ne}' 
le  cose  di  guerra,  ma  in  tutte  h  altre  arti  della 
pace  noTolli-  cittadini  'lùrono  di  grandissimo'  van- 
taggio a  quella  repubblica .  E  se ,  per  ìion  ritor- 
laie  tm* altra  volta  in  queste  riflessioni,  noi  dis- 
erriamo cdl  pensilo  gli  annali  di'  Roma  dòpo 
ohe  in  lei  ebbe  fine' il  governo  repubbKcano,  tal- 
mente troveremo  gli  uomini  nuovi,'  usciti  da  ogni 
eittà  e  borgo  d'Itab'a,  ttavagliarsi  utilmente  nel- 
le eose  dell*  imperio ,  cb*  èssi  sostennero  qtiasi  eo- 
li la  disciplina  mìKtare,  la  dignità  del  senato,  lo 
•plendore  e  la  coltura  delle  lettere;  rinnovarono 
e  restituirono,  per  quanto  fu  possibile,  l'antica 
modwtìa  e  gravità  di  costumi:  mentre i  discendenti 


ovGooglc 


iB&  DèLLB  RlVOLtlKlOill  D'ItAUA 

delle  antidhe  e  più  nobili  famiglie  di  Ron!» 
njaicivapo  neghittosi  nell'Odio,  ai  coDqpffiaTaiMr 
nelte- dissolutcitze;  e  e'  avvilivano,  bcuttameaté  ncl'^ 
le  più  sordide  adulaziooi  verso  de'  cesari.  Mece^ 
nate  Toscano,  Marcello  Eprìo  di  Capoa,  Vibior 
Grispo  di  Vercelli,  Ti-asea  Peto  Padovaao,  Caa-> 
8Ì0  Severo  e  PMnponio  secondo  Veronesi,  :CcéÌilft 
di  Vicenza ,  ebbero  nel  primo  secolo  dei  Rotoano 
imperio  pochi  eguati  nel  senato  e.  Degli,  swroìti 
jra.  le  più  cospicue  e  numerose  famìglie  di  Ro^ 
ma.  Ed  oltre  questi  e  parecchi  altrì  de*  quali 
diffìcil  opera  sarebbe  di  riotraceiare  1*  erigine  ^ 
Vespasiano  che  fa  poi  sì  utile  prìncipe  a  rìfw' 
mare  e  nstabilir  l' imperiò,  dai  vizi  de'  primi  fie^ 
sarìi  e  d^e  guerre  d'Ottone  e  di  Vitellio ai gua- 
tto  ed  afflitto,  era  nato  in  un  piceol  villaggio 
presso  a  Rieti  (i).  JE'ra  tanti  scrittoci  Latini,  per 
oui  Roma,  e  il  secolo  di  Cesare  e  di  Traiano 
vanno  gloriosi,  appena  due  o  tre  nacquero  ia 
Homa.  Ne  alcuno  è  mezzcmameate'  venato  nella 
letteratura  Latina ,  il  quale  non  sappia  che  En- 
nio, Virgilio,  Orazio,  Catullo,  Ovidio,  Tito  Li- 
vio, Cornelio  Nipote,  Velleìo  Patercolo,  e  i  due 
Plini,  comechè  tutti  nati  in  Italia,  non  hirooo 
perb  Romani  d'origine  o  di  naraone.  Vera  cosa 
è  che  r  opera  e  1*  industria  loro  era  assai  lardar 
mente  ricompensata  dagli  onori  e  dalle  rtcch^ezc 
ch'essi  ne  ricevevano.-  però  oon  dovea riguarda» 

[i]  Saei.  in  V«ip.  e.  a. 


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IJBRO  IL  Capo  VI.  iB^, 

pn  pìccol  vantaggio  queUo  Aéle  cìttk  Italiche» 
ohe-  i  suoi  figli  avessero  il  òammiiiQ  aperto  alle 
oarìche  di  Roma ,  le  quali  raper^vano  dì  poten- 
sa  e  di  grado  i  più  gran  prìncipi  .delle  altre  oa* 
zioDÌ .  Ma  per  un  pooo  di  boria;  e  di  fvaao  -ohe 
le  città  esempigrazia  deirStruna,  i<  borghi  àé. 
Lazio:,  del  Sannio,  o  de'  Bruzì  potevi  godersi, 
d'avere  un  de'  lor  terraEzanì  pretore,  consolo  io 
Roma*  governatore  d'.una  provincia*  ominiaCro 
d'  un  impéDadore  ;  essi  n'  ebbero  ben  tosto  a  pa- 
tire la  «elitudine  e  la  distruzione  totale  dì  loro 
steasr.'  QueUa  fadtità  che  g^'  &afoDÌ>  d'ogni  cotv- 
trada  avevano  d'avanzarsi  e  trovar, fbrhuiia  iaRo- 
ma*. vi  tirava  ogni  uomo;  il  rict»,  perohè  col 
mec^  dflUe  rìcclieize  «ì  lusingava  .  d*  aprirsi  pili 
fiicilmeiite  la  strada  a  miglior  farfuna;  il  pevere 
e  popolare,  per  la- speranza  di  far  i  guadagno,  « 
di  trovar  più  .facile  e  più  oopiosa.  pescagione  in 
un  gran  mare,  qual  era  RiiDia,'dQW  i  soli  rifiuti 
e  lo  acialaequamentD  de'  faeolioii -potevan  fare 
lo  scaflDpo.«idar  pascolo  a  molta  gente.  Ne  di 
tante  perspne  óix  lasciando  il  patrio  nido  se  ne 
veoivaDo.a  Roma,  erano  però  incute  quelle  ohe 
dopp  d'aver  minorato  destino  ae  ne  ritornassero 
tliV  antica  pailria,  e  vi  portassero  iloro  averi ,  .e 
ristorassero  in  questo  modo  quel  paese  o  d' abir 
latm ,  0  di  beni . .  Noi  vediuoo  per;  la  contìnua 
«specienza,  quanto  cari  sieno  :que'  prorindalì ,  ■  i 
quali  dopo  d' essersi  avanzati  nelle  cariche ,  nelle 
^rti  e  nel  commerzio,  e  d'caserù  perciò  arriccbiU 


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i5&  IDelle  RiVoiuzioKi  V  Walia 

nella  capitale,  s'iaducauo  poi  di  duoto  a  risia-» 
bilir  k  famigb'a  nella  primiaa  ì<x  patria:  oh». 
anzi  vediamo  regnare  un  pregiudìzio  molto  strano. 
e:  pernizioso ,  ohe,  quando  alcun  signore  -o  citta-i 
aino  0  borghese  abbia  certe  entrate  alquanto  su-*' 
periorì  a  cUb  che  basta  '  per  vivere  agiatamente' 
nelle  città  pt?ovinciali  o  in  contado,  diSBcnlmeiite' 
xesiste  alia  tentazione  d'andarsene  a  vivere  nella- 
città- prìncipai  dello  stato.  Il  meglio  cbe  si  cre- 
deano  di  poter  fare  per  la  loro  terra  '  natia ,  :  à 
era  di  tirar  pure  dia  capitale  i  compatriotti  ; 
proteggergli  ed  avanzargli  amigUov  fortuna!;  « 
&taltnente  d'acquistarvi  nuove  campagne,' «  <d*es* 
teiìdére,  qlianto  più  potevano,  i  lor  poded.  La 
quAli  cose  non  che  giovine  al  comune  di  qQsl 
pae^e,'  ma  :tendono  del  pari  a  rovinarlo,  sia  per 
gliabitantt  ch6  se  ne  tolgono  a  dkittura,  qualar 
ra  colla  speranza  di  nuova  protezione  soOo  allet^ 
tati  e  tirati  alle  grandi  città  ;  sia  perche  Tacqui-^ 
sto  delle  terre  che  le  famiglie  traspiantate  altrove 
vi  vanno  facendo ,  non  può  non  tc^liere  a  pooo 
a  poOo  il  mezzo  di  sussistere  ai  restanti  bcH'ghesiì 
i  quali  o  per  fòrza  o  di  buon  grado  sr  spogliane 
de'  loro  campi ,  e  quindi  sì  volgono  altrove  a  «jet»* 
car  ventura  con  le  arti  spesso  '  poco  ofaeste  ^  é 
quasi  sempre  inutili  del  lusso  cittadinesco. 

Il  vero  è  che' i  gran  poderi  già  aveàno  dato 
incominciamento  alla  rovina  d*  Italia ,  avanti  che 
i  mumcipi  e  le  colonie  italiche  vedessero  i  lorcit* 
tadini ,  mtialzati  alle  grandi  cariche,  ed  arricdliiti 


ovGoogJc 


Limo  H.  Capo  VL  1^5 

begli  uffizi  di  Eonia  e  nella  córte  Segl*  imp(^• 
radon,  allargare  nel  paese  natio  ì  campi  eredita-' 
ri,  ed  acquistar  nuove  ville.  Cosi,  tosto  come^ 
fi  orna  andò  dilatando  i-  ccHifini  sopra  le  rovine 
delle  altre  repubblicbe  deH'  Italia ,  non  cessarono; 
mai  t  potenti  eittadiai,  né  lor  mancaroiio  i  modi 
d*  occupare  le  terre  de*  popoli  o  Vinti,  o  per  ali- 
ixo  titolo  venuti  sotto  il  dominio  Romano.  La 
legge  Licinia^  e  quant*  altre  ne  furono  pubblica- 
te e  stabilite  per  lirattare  la  quantità  de*  poderi 
che  ciascun  cittadino  potea  possedere ,  deluse  con' 
arti  e  con  raggiri  da  principio ,  iurono  posda  col 
tempo  disprezzate  e  violate  apertamente.  E  tutti 
gli- apparati ,  e  tanti  rumori  tribuneschi  per  dirif 
der  le  terre  alla  plebe,  riuscirono  a  nulla  da  bel 
[Hincipio,  o  r  effetto  non  fa  dicevole.  Caio  Grao^ 
co  lasciò  scritto  che  lo  stimolo  più  forte  che  mos* 
se  Tiberio  suo  fratello  a  fare  la  l^e  agraria  t 
fu  questo  ,  che  uell*  andare  a  Numanaia ,  passan- 
do per  la  Toscana ,  vide  il  paese  privo  d' uomini 
liberi,  e  io  questo  cambio  pieno. di  schiavi,  cioè 
di  servi  lavoratori  dhe  a  profitto  de*  patrizi  e  de- 
gli altri  ticchi  coltivavano  bene  o  male  qu^ 
terre  (i).  Ora,  se  attempi  di  Gracco,  allorcbi 
si  suppone  la  città  di  Roma  essersi  trovata  nel 
vigor  deirinstiluzione,  e  ancor 'non  oofrotta,  già 
s*  erano  tanto  negletti  gK   ordini  cke  regolavaB9 

fi]  Plm;  in  Giacchii.' 


ovGooglc 


i6a  DellH:  RiVQLtizce^  D*  Italia 

le  pouessiÒDt  de'  c^^aMnì;  eht  crediunsfìi,  cha 
si  &cesse,  poiché  rhuù  a'  ricòbi  di  superar  g}i 
sfòrzi  gr'andiuinu  chef  fecMO  1. Gracchi  per  mp- 
dKara  la  kno  cu[»dità ,  e  pcrichè  la  tìriMMude  di 
SiUfc  aìÀisSiè  totalmeote  Je  ragioni  de'  porerì ,  e 
iovese»  per  sempre  quella  poc4  e^a^avza  di 
fìtto  e  di  diritto,  che  avéa  potuto  durar  fio  al- 
lora? Comiociarono  i  favoriti  di  questo  dittatm» 
tiranno  a  invader  con  vari  artifizi  e  con  aperte 
violenze  le  possessioni  che  lòr  vennero  a  grado» 
cacciandone  i  lor  proprietari  qua  e  là  per  ì  rau- 
nioipì  e  le  colonie  d' Italia .  Chiunque  è  passato 
p«I  solito  corso  de'  collegi ,  può  ricordarsi  c^ 
rdtDoca  caso  d«  due  Bosci,  V  uno  assassinafo,  e 
r altro  accusato  di  parricìdio,  non  d'  altronidA 
nacque ,  ohe  dalla  sc^entta  cupidità  d*  un  fa- 
vorito, di  Siila,  che  vc^va  occupare  i  poderi  d'un 
hor^ejK  d' Amena .  Di  mano  in  mono  ogni  cit- 
tadino potente)  Q  le  «eature  de' triumviri  e  poi 
d'Augusto  e  quindi  de'  seguenti  cesari,  non  fu- 
rono in  questa -pwto  più  modesti  che  fossero  sta- 
ti i  Sillani.  Cosiocfaè,.  tra  per  quelli  che  sponta- 
neamente si  venivano  a.  Roma  a  vivere  de'  dona- 
tivi e . nell* oaio , - o  a. brigare  par  ottener  cariche; 
e  quelli  che  pier  prepoteflza  «  violeoza:  altrui  eran 
cacciati ,  grandissima  parte  di  que'  paesi  che  ^ii- 
gent'aoni  addietro  sostenevano  si  numerose  pò- 
pùlazioni ,  e  mettevano  in  campo  potenti  esèrciti , 
erano  divenuti,  secondo  l'espressione  del  geografo, 


ovGóogle 


LiBBO  li.  Capo  Vr.  i6i 

poderi  dì  particolari  (i) .  Celebre  ir  dì  vero  tropi- 
po  rimardiéròle  è  un  r^sto  dì  Tito  Livio ,  il  qua- 
le parlando  del  paese  de'  Volsoi,  donde  uscivano 
sì  Dumerose  armate  ■,  argomento  indubitato  detla 
popolazione  grandissima  di  quelle  contrade,  ci  fa 
sapere  che  a  suo -tempo,  tolti  ^li  schiavi  de' Ro- 
mani, e  pochi  soldati  che  vi  si  tenevano,  era  ri- 
dotto a  solitudine  (2) .  Quello  che  del  paese 
de*  Volse!  e  degli  .E)qui  disse  per  incidente,  era 
parimente  awenuro  alta  più  parte  del  Sannio^ 
della,  Lucania,  e  de*  Bruzi,  come  sì  può  leggere 
espressamente  presso  Strabene  contemporaneo  di 
Tito  Livio  (3) .  Io  so  bene  che  al  sentir  ragiona- 
re di  tante  colonie  che  Siila,'  e  Augusto  speziai"' 
niente  vi  mandarono  ,  orederanAo  alcuni ,  che  tan- 
to gran  numero  di  soldati ,  a  cui  furono  assegna-' 
ti  terreni  e  dato  stabilimento  tn  diverse  regioaf 
d*  Italia ,  dovesse  ripopolare  il  paese  che  pe*  mo- 
tivi suddetti  si  era  andato  diswtando.  Ma  se  noi 
riguardiamo  e  al  modo  che  usavasi  nel  '  condui; 
le  colonie,  e  il  fine  a  cui  esse  riuscivano  per' la 
più  parte ,  noi  '  troveremo  che  tutti  que*  nomi  di 
colonie  ,  di  cui  fu  piena  l' Italia  nell*  ottavo  se- 
Golo  di  Roma,  valsero  in  fatti  assai  meno  che 
Hon  si  crede  comunemente  »  a  ristorare  lo  stato 
Tomo  ì.  it 

(1)    Té-a  fii»  •*a\/x»M,  *Ì>  ^  ni(t»i,  %rit*ti  fiMrC*  •  SUah, 
1.  5,p.  iSg. 

(»)  Liv:  1.  6,   p.  507. 

{3^  Sirab.  1.  5,  et  6.  passìtn. 


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,i6a  Delle  RrvotuzioNi  d'Italia 

à*  Italia .  Egli  è  però  in  primo  luogo  da  avverti- 
re, coree  spesso  si  dava  titolo  e  diritto  di  coto' 
sie  a  molte  città ,  dove  però  non  sì  mandavano 
uh  soldati  licenziati ,  ne  altro  genere  di  nuovi 
abitatori  (i).  Perocché  molte  città  municipali» 
per  adulazione  verso  i  principi ,  o  per  vaghezza 
di  meglio  assomigliarsi  alla  capitale,  brigavano 
d' esser  fatte  colonie ,  ancorcbè  da  principio  si 
stimasse  molto  migliore  la  condizione  de*  munitù- 
pi  (2).  Quanto  poi  alle  colonie  di  plebe  Boma- 
iia,  egli  è  noto  che  anche  ne' tempi  della  repub- 
blica, benché  il  basso  popolo  mostrasse  si  caldo 
desiderio  per  le  leggi  agrarie  ,  pochi  tuttavia  era- 
no quelli  che,  vinto  il  partito,  volessero  dar  il 
nome  nelle  colonie,  e  lasciar  i  tumulti  del  foro 
e  i  piaceri  delia  città,  per  sequestrarsi  ne'  con- 
tadi a  lavorare;  e  se  pur  v*  addavano ,  non  indu- 
giavano un  pezzo  a  ritornarsene' a  Roma,  ceden- 
do per  ogai  vii  prezzo  la  lor porzione:  di  maniei- 
ra  che  coteste  divisioni  dì  terre,  promosse  con 
tanto  calore  da'  magistrati  popolari ,  tendevano 
non  a  rimenare  l'eguaglianza,  ma  ad  accrescere 
r ineguaglianza  de*  beni,  e  a  levarne  da  uu  ric- 
co cittadino  per  farne  un  altro  ancor  più  ricco . 
Peggio  ancora  ne  avveniva  deQe  colonie  milit£uriy 
le  quali  furono  condotte  veramente  in  gran  nu- 
mero nel  secolo   di   Siila  e   di  Cesare   per  tutta 

CU  A.  GelT.  !.  16.  e.  iS. 

(a)  Tacit.  Add.  1.  ij.  e.  37.  —  Uaffei Verona  illnstr. 
1.  5. 


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•     XiMo  n.  Capo  VI.  i63 

Italia.  PrimieraÓKiite »  per  fare  gli  assegnamenti 
a',  vecchi  soldati  che  si  coaducevaDo  in  colonia  > 
toglieTansi  le  terre  non  già  ai  ricchi  patrìzi  di 
Roma,  come  sì  pretendeva  di  fare  con  le.  leg- 
^  agrarie  ;  ma  ai  proprietari  de*  municipi ,  cb« 
vi  abitavano,  e  le  coltivavano  coir  opera,  pro- 
pria :  il  che  non  poteva  farsi  s^za  grave  detri* 
mento  delle  comunità  ItaHcfae,  né  senza  infinita 
desolazione  de*  particolarì ,  come  testìmoqia  quel 
Melibeo  Virgiliano .  Poi,  i  soldati  che  v'eranman^ 
dati,  dopo  d' aver  ttranueggiati  e  manomessi  i  pae- 
laai ,  e  col  viver  largo  e  licenzioso  dato  fóndo  a 
quanto  aveano  di  mobili  e  di  contanti ,  non  tar- 
davano guari  a. scialacquarsi  il  prezzo  delle  los 
porzioni  di  terreno ,  per  ritornare  a  nuova  milizia 
e  a  nuove  armi  civili ,  come  nuova  sQrgente  di  for- 
tuna .  Così  la  iecero  per  la  più  parte  ì  coloni  di 
Siila,  da  cui  prese  animo  iCatilina  a  formar  que' 
suoi  vasti  disegni  che  son  sì  conti  (i)<  Né  sotto 
i  cesari  s' accrebbe  gran  &tto  negli  animi  della 
soldatesca  la  vo^ia  di  passar  dall'  armi .  alta  yan- 
ga,  e  d#  quel  vivsr  libero  e  dissoluto  che  dal 
principio  delle  guerre  Astaticbe.  e  civili.  »'  era  in- 
trodotto ne* soldati ,  rìiurnare  alla  semplicità  e,  al- 
la dnrezza  dplla  TÌta .  rustica  .  Però:  è  credibile 
eh'  essi  cereaisevo  di  convertire  in  cfintantì  il  più 

f'i)  Pleri^ue  Sjilani  milites.  Utrgius  suo  uri,  rapina- 
iian  et  viaoriae  veieris  memof-es ,  iellum  civile  exopta- 
htmC...  Ex  Sjdianis  jx/oofs f^ ijuitts  libiAo  aiijtte  luxuiia 
nìkil  reliqiù  fettrat .  SalllitL  io  Gatil.  i 


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i64  Delle  Bivoloziom  d'Italia 

che  potevano  delle  terre  loro  assegnate  per  ricooi- 
pensa .  Véggatiì  da  4^uesto  lungo  dì  Tacito ,  cbe 
cosa  fossero  fé  cotoDÌe  sotto  gì'  irapeiadori  del  pri- 
mo secolo,  (c-ln  Italia  F'zzurlo,  terra  antica,  fu 
»  fatta  colonia,  e  prese  da  Nerone  il  nome.  A 
i>  Taranto  e  Anzio  furono  assegnati  ,vecchi  solda- 
»  ti;  ma  non  però  le  popolarono;. torBandosimol» 
»  ti  nelle  provinole  dove  avevano-milit^tn .  Altri 
t>  non  usati  a*  maritaggi  né  ad  alle?ar  figliuoli , 
»  taitciavano  senza  posteri  le  case  orbe .  Perchè  non. 
»  si  eonducevano,  come  una  volta,  legioni  intere 
»  ooD  tribuni  e  centurioni,  e  co'soldati  di  ciascun 
^  tardine,  affìnchè  coir  unione  e  coli' amore  faces- 
»  sero  còme  una  pepubblica;  ma  andandovi  a  pÌo- 
»  cole  truppe  senza  conoscersi  e  .senz'. amarsi.,  e 
■  »  quasi  d'un  altro  mondo  raccolti,  facevano  piut- 
»:  tosto  numero,  ohe  coloni^  »  (i).  Ora-,  se  i 
soldati-  licenziati  non  si  contentavano  di  starsi  in 
Taranto -ed  in  Anzio,  ch'erano  a  quel-tempo  del- 
Je  più  fiorite  e  delizióse  città  d' Italia  (z) ,  com'  era 
mai  possitule  che  le  colonie  pigliassero  radice  ne' 
borghi  desolati  6-deserti ,  e  nelle  campagne  più 
bisognevoli  d'essere  ripopolate?  Per  la  qua|. co- 
sa le  terre  che.  dou  rimasero,  del  tutto  daserte , 
«i  riuDijroDO  in  .vastissime  tenute  di  poderi,  che  i 
xÌC(ìM  acquistavzmo  di  .mano  ia  mano-,  e  che  fa- 
cevano, secondo  il  solito  costume,  coltivare  dagli 
sfcbiavi  ;  disordine  oltre  ogni  cr^sdere  di^ruUivoi  per 

'  '{i^  Xacil.  Ano.  1.   14,  «..37, 

ij;  Strafa.  I.  6,  p.  175  j  et  J.  5,  p.  i«i. 


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LrBRO  U.  Capo  Vt.  i65 

due  effetti  ioevitabiU:  uno,  la  diminuzioue  nota- 
bile del  frutto  della  terra,  la  quale  spartita  ìd 
piccole  porzioni,  e  coltivata  da'  proprietari  e  da' 
borghesi ,  rende  senza  controversia  maggior  copia 
di  frutti  ;  V  altro  ,  la  disper«one  della  più  utile 
spetie  del  genere  .umano ,  quali  sqbo  i  rustici  H- 
berì  f  «  i  boi^esi  d'  nmil  fortuna .  Quindi  osser' 
Tò  Plinio,  correndo  ancora  il  primo  secolo  dell' im- 
perio Romano,  che  i  vasti  poderi  avevano  rovina- 
ta l'Itaca.  Ma  noi  siamo  talmente  usati  dì  riguar- 
dai:' come  fortunata  e  fiorita  ogni  nazione  cbe  di 
molte  Provincie  formi  un  sol  regno,  massimanien- 
te  se  per  nabirfil  situazione  e  per  le  fòrze  sns  pro- 
prie possa  riputarsi  sicura  dalle  incursioni  di  ;geii-« 
ti  straniere,  e  abbia  dentro  il  suo  ^éno  e  per  la 
fatalità  del  conunerzio  possa  procacciarsi  ogni  co- 
sa necessaria  al  vivere  amano;  che  quanto  ablna-* 
mo  fin  qui  detto  non  varrebbe  giammai  a  persua- 
dere la  più  parte  de*  leggitori ,  che  sotto  Ce!>are  e 
sotto  Angusto  l'Italia  fosse  ÌD  misero  stato  e  in 
decadenza.  Veramente  la  fecondità  dell' Kgitfo  e 
di  tante  provincie  dell' Afn'ca  vicine  al  mare ,  del- 
le isole  ^  Sicilia  e  Sardegna  ,  poteva  supplire  al 
^fetto  delle  campagne  dMtalia  o  abbandonate,  o 
mal  coltivate,  ti  cambiate  a  bello  studio  itt  par^ 
ehi ,  in  foreste ,  in  deliziosi  e  dispendiosi  giardi- 
ni. Le  scelte  di  soldati,  che  si  facevano  per  tut- 
te te  Provincie  y  adfempìeraifo  la  mancanza  de*  sol- 
dati Italiani ,  di  cui  ^  fuori  deBe  coorti  prefonri 
.coannciò  ad  essere   scarsissimo   Ìl   numero .  ancbe 


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i66  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

sotto  i  primi  imperadorì .  E  gli  scfaiavi  che  in  gran 
numero  si  fìonducevano  da'  paesi  barbati  ,  e  che , . 
o  si  riteoesdero  io  Roma  o  sì  mandassero  alla  cu- 
ra delle  campagne,  ottenevano  la  libertà,  com- 
pensavano  in  qualche  parte  lo  scemamento  gran- 
dissimo della  popolazione,  che  1* abuso  inesplica- 
bile del  celibato  vi  cagionava,  abbiasi  dunque  a 
queste  cose ,  e  al  volgar  pregiudizio  qualche  ri- 
guardo ;-  e  differendo  ad  altro  tempo  il  rappresen- 
tare come  in  un  solo  quadro  git  effetti  che  ,  poi 
divennero  sensìbili,  e  le  conseguenze  perajzìose 
de*  vizi  morali  e  politici  che  abbiamo  accennato , 
chiamisi  frattanto  fortunata  I* Italia,  mentre  ch'el- 
la fì]  la  sede  ed  il  centro  di  quel  vastissimo  im- 
perio, il  quale,  sebbene  a  tempo  d'Augusto  già 
si  Vedeva  rovinar  per  il  peso  della  sua  stessa  mo- 
le ,  fìi  pure  per  la  medesima  sua  grandezza  luti^ 
gamente  sicuro. 


ovGooglc 


167 

LIBRO    TERZO. 

CAPO     PRIMO 
Del  governo  et  Italia  sotto  i  primi  cesari . 

Vjhiunque  è  persuaso  di  questa  massima,  cbe  le 
i-epubblicIìÈ  democratiche  con  possono  sussistere 
se  non  che  fra  brevi  Utntti  di  dotiunio,  ed  in  un 
num»o  non  troppo  grande  di  cittadioi,  potrà  fa- 
cilmente icnmagihare  qual  esser  dovesse  lo  stato 
politico  d' Italia ,  e  V  amministrazione  delle  cose 
di  Roma,  allorehè  tutte  le  città  e  tutti  t  borghi 
divennero  quasi  membri  à*  una  sola  città ,  e  cbe. 
molti  railiom  di  persone  avean  diritto  di  trovarsi 
agli  squittinì  per  creare  magistrati  *  ordinar  leg- 
gi. Ma  poco  spazio  ebbero  a  durare  Jn  quello  sla- 
to le  cose  di  Roma  ;  e  certo  non  potean  durar 
lungamente  .  La  guerra  servile  sotto  la  condotta 
di  Spartaco,  che  succedette  quasi  immediatamen- 
te alla  signoria  di  Siila ,  e  cbe  travagliò  1'  Italia 
con  più  terribile  sbattimento,  cbe  non  potea  fare 
l'irregolarità  e  la  confusione  del  governo  (i),  non 
lasciò  badare  alla  riforma  dello  stato.  Poco  dopo, 
la  coDspirazione  che  fecero  tra  di  loro  Crasso, 
Cesare  e  Pompeo ,  pose  in  mano   a  tre  soli  tutta 

(1)  Pene  non  levius  hellunt  in  ea  ^Italiajf  tjuam  An- 
nibal  moverai.  Eatr.  1.  6,  e.  7. 


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t68  Delle  Rivoluzioni  d'  Itaìia 

}a  "podifi^tà  che  dovea  e$sev  divisa  in  iafinifo  gH- 
mero  di  cittadini.  Né  pnma  sì  ruppe  per  la  mor- 
te di  Craiiso  quel  triumvirato,  che  la  gelosàa  nata 
ira  Cesare  e  Pompeo ,  e  poi  la  guerra  aperta  che 
si  frcero ,  rendette  necessariamente  il  governo  ir- 
regolare e  coDiligo;  e  la  brevità  della  dittatura  di 
Giufio  Cesare  non  lasciò  compierei  disegni  ch'egli 
forse  aveva  ,  d'  ordinar  la  repùbblica  in  qualche 
forma^ehe  stesse  bene..  La  morte  di  luì  rimen& 
le  amii  civili ,  e  lo  scompìglio  getm'ale  dì  tutta 
Italia  per  le  guerre  dì  A'Iodeaa,  di  Perugia  e  di 
Sicilia,  senza  cootarvi  quelle,  che  si  fecero  coutro  - 
Bruto  e  Cassio  da  Marc'  Antonio  e  Cesare  Otta- 
viano .  Ma  restato ,  quest'  ultimo  arbitro  d'ogni  co- 
sa, se  non  ebbe  ingegno  ik  Ièliee,  e  mente  gran» 
de  ed  attività  pari  a  quella  di  Giulio  Cesare  suo 
■zìo  m&tenio  e  padre  per  adozione ,  1*  esempio  dì 
lui  che  sì  recò  quasi  a  coscienza  e  religione  dì 
seguitare ,  la  cognizione  che  forse  ebbe  de*  suoi 
disegni,  e  finalmente  la  lunghezza  del  suo  prin- 
cipato ,  gli  diedero  comodo  ed  opportunità  di  ri- 
iormare  lo  stato  in  quella  maniera  che  la  vastità 
Atà  dt^ninio  ricbie{kva,  e  che  la  fresca  memoria 
dellaliberlà  potea  sopportare.  Seocbè  dall'  un 
capito  il  governo  d' Augusto  e  de'  successori  potesse 
chiamarsi  dispotico,  -giacché  avendosi  riservato  il 
comando  ddi'  armi  per  tutto  T  imperio  e  nella  ca- 
pitale,- potevano  sempre  violentare  a  lor  grado  tut-i 
ti  gli  ordini  dello  stalo  j, nondimeno  (piescincten- 
do  ora  dall'abuso  che  ieceroi  cesari  dell*  aatorità  ■ 


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LìBRO  in.  Capo  h  169 

imperatoria,  e  da*  duetti  che  sogliono  trascorrere 
netr  esecuzione  di  qualsivoglia  meglio  ordinato  sistC' 
lAa)  certa  cosa  h  che  dt  sua  natura  il  governo  ordina- 
te da  Augusto  fu  di  forma  mista  ^  o  vogliam  dire  mo- 
narchia temperata  coli' autorità  d'un  senato,  0 
colla  libertà  e  podestà  '  popolare .  Però  gritaliani,  ' 
non  solamente  pe'  diritti  acquistati  stante  ancor 
la  repubblica  in  piedi ,  poteano  al  pari  de'  Ro- 
man! propri  e  naturali  ottener  qualsivoglia  uffizio 
e  dignità;  ma  per  un  bello  e  memorabif  ripiego 
che  immaginò  Augusto,  potevano  dì  casa  joro 
dar  le  voci  per  l'elezioni  de'  magistrati,  che  si 
facevano  in  Roma .  Il  ritrovamento  fu  questo,  ch^ 
circa  quel  giorno  determinato  in  cui  si  dovfeano 
ten(^  nella  capitale  t  comizi ,  si  <»)ngregas3a-o  ì 
decurioni  delle  altre  città ,  e  raccolte  le  voci ,  si 
mandassero  a  Roma  suggellale,  per  ccmferiHe  co'suf- 
fragi  del  popolo  Romano  (i).U  qaaì  ordinamen- 
to, l'unico  veramente,  a  parer  mio  «  chs  si,  po- 
tesse inventare  per  lasciar  senza  confusione  e  scu- 
sa tumulto  qualche  ombra  di  sovranità  alle  -città 
Italiche,  non  ebbe  però  durevole  effetto,,  o-.  fu 
abolito  probabilmente  nella  stessa  cong^untutfi  bh* 
abotiti  furono  i  comizi  di  Roma .  Ben  è  mar4ri- 
gtia  die  d' una  cosa  che  pur  ci  dee  parere  pi  ri- 
levante ,  appena  si  trovi  ricordo  in  due  sole  righe 

[ij  Excogitato  genere  suffragiorum ,  <juap  de  magi- 
Stratibu!  urbicis  Aecurìones  colonici  in  sua  auisque  colonia 
ferie nt ,  et  sub  d-em  corti itioium  oitsignata  liomàtn  -mii- 
terent.  Suet.  Ui  Octav.  e.  ^ù. 


=dDvGooglc 


170  Delle  IUvoi.wzioni  d*  Italia 

d^Svetonlo  ;  e  che  Tacilo ,  Del  raccmilare  conia 
Tiberio  traE^rì  dal  campo  Marzio  al  senato  '  l' e- 
lezione  de'  consoli  (i),  iioii  faccia  menzione  al- 
cuna di  cotesti  squittinì  municipali .  Né  più  du- 
revole effètto  ebbe  un'  altra  opCTazione  dello  sles- 
so Augusto  riguardante  Tltalia,  percoiegli  di- 
vise tutto  il  paese  io  undici  regioni .  Plinio  che 
TÌfNisce  sì  distintamente  questa  divisione;  credei-' 
te  anch'  egli,  che  piuttosto  la  facesse  per  tomo-* 
do  suo  proprio  e  singolare,  che  per  regola' stabi-: 
le  di  governo  (2). 

Tutto  ciò  dunque,  che  possiamo  dire  del 
governo  d'Italia  in  quel  che  riguarda  Io  stato 
particolare  di  ciascuna  città  e  terra  (  percloechè 
nella  somma  delle  cose  essa  dipendeva  senza  dub-^ 
bio,  come  tutto  il  rimanente  dell*  imperio ,  dalla 
volontà  degl'  imperadori  ),  si  è  che  tutte aveand 
1*  interna  funministrazione  e  il  governo  di  se  sles- 
se, creandosi  ognuna  dal  corpo  suo  -i  magistrati 
per  giudicar  le  cause ,  e  per  regolare  la  polizia ,~ 
e  per  levar  qualunque  sorte  di  contribuzioni  o  di 
carichi  che  o  per  bisogno  del  paese,  o  per  servi- 
zio del  prìncipe  potessero  occorrere .  II  vero  è  che 
dalle  sentenze  e  dagli  ordini  de'  giudici  ed  altri  ' 
magistrati  municipali  eravi  spesso  ricorso  a'  con- 
soli ,  a'  pretori ,  ed  ai  prefetti  della  città  di  Ro- 
ma j  e  certi  processi  più  segnalati  solevano  anche 


[1}  Tacit.  Anna!,  t. 
[a]  Flin.  i.  3.  e.  5. 


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Libro  III.  Capo  V  171 

(U  priina  iastaoia  tratEarsì  nel  senato  Romano  6no 
da*  tempi  della  repubblica  (i).  Ma  l'andar  dal- 
l' oscurità  de*  moaumenti  ricavando  minutamente 
à  fatto  case,  lunga  opera  sarebbe  e  poco  'confe- 
rente al  nostro  instituto: 

Le  guerre  civili  (  era  volo.  ah.  68.  )  che 
eeguìroao  in  Italia  tra  i  pretendenti  all'imperio 
dopo  la  deposizione  e  la  morte  di  Nerone,  ulti-- 
mo  idtperadore  del  sangue  Cesareo ,  non  poterono 
fat  a  meno  di  turbar  grandemeate  ogni  ordine 
di  governo,  mentre  che  devastarono  tante  fertili' 
campagne  ,  e  rovinarono  tante  grandi  e  nobili  cit- 
tà.  Ma  riuscito  alla  Sae  superiore  Ìl  partito  di' 
Vespasiano,  fra  ì  molti  beni  che  recò  questo 
prìncipe  all'  imperio  afflitto  ,  uno  fu  sicuramente 
£  ristabilir  anche  ne*  municipi  T  antico  gover- 
no ;  e  non  ai  trova  che  né  i  suoi  figliuoli ,  né 
alcun  altro  de'  sudeessori  6ao  dopo  la  morte  del 
gran  Traiancf,  alcuna  cosa  di  rilievo  vi  rinno- 
vassero.. 


[1]  Haffei  Verona  iUostr.  1.  5. 


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i7a  Delle  Rìvoluzioni  d'Italia 

CAPO        II. 

jifuovì  magistrati  preposti  da  Adriano  a  Ttggere. 
V  tii^a:  lodi  d* ^intonino  Pio,  e  botUà  noot' 
vaie  di  Mòre'  Aurtlìo  .    '■  - 

Jrofrebbesi  forse  credere  che  l'jHnbiaione  dì  A-. 
driano,  e  la  vagbezza  eh'  egli  ebbe  di  eensuiare' 
gli.  aodaioetiti,  de'  suoi  pFedeoessovt ,  .e  speziaV 
meate  di  Traiano,  Io  stimolassero  a  eunve  rìfbc-. 
me;  ma  per  «juanto  grandi  fc)S6epo  i  difetti  cher 
oscurarono  le  molte  viitù  di  questo  pnncipe,  tut-r 
to.n  complesso  delle  sue  am'oni  ci  fa  stcuri  cbtr 
non  gli  mancara  né  scienza,  dì  gOTecoo,  né  abioe. 
di  giustizia .  In  q.ue'  suoi  lunghi  e  quasi  continui 
viaggi  cbe  fece  per  le  provincia  dell'imperio,  ri- 
formò  Adriano  vari -abusi  introdotti  nel  go^i^erno 
di  esse,  e  nuovi  ordini  vi  pose,  Benché  per  di^ 
fetta  di-  storie  Aon  ci  «eno  note  le .  particolarità' 
di  tali  riformazioni.  Né  fìarono  più  esatti  gli  sto» 
rici  a  daitn  ragguaglio  di  ciò  che  fece  Adrl^to' 
rispetto  all'Italia..  Solamente  sappiamo  cb*^  egR» 
già  fatto  imperadore,  esercitò'  in  parecchie  città 
Italiane  ufHzi  e  cariche  particotfuri .  Fu  capo  del 
goverjH)  in  Napoli,  pretore  rielFEtruriav  dittato- 
re, consolo,  edile  in  motte  città  del  Lazio.  Da 
questa  sua  o  vanità,  o  popolarità  che  si  fosse, 
l'effetto  nacque  tuttavotta  buonissimo.  Egti -ebbe 


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UbRo  UI.  Capo  IL  1^3 

eoa  maggior  opportunità  d' essere  informato  dello 
etato  di  qua'  paesi;  e  di  ià  s'itidusse  a  destinare 
nuovi  magistrati  pel  governo  loro.  Creò  dunque 
Adriano  (  an.  i35.  ),  cerne  giudici  supmni  per 
PkaKa,  quattro  senatori  slati  consoli ,  stabilimeii- 
to  a  prima  vista  per  ih  stésso  notabile,  cheSpar- 
ziano  accenna  tuttavia  assai  leggermente ,  e  quasi 
di  passaggio  (i).  Ben  è  da  «upporsi  che  1*  auto- 
rità di  questi  giudici  o  eorreltori-  d'Italia' abbia 
diminuita  la,  libf^rtà  del  proprio  governo, -cfae  ave- 
vamo goduto  te  città  per  Io  passato;  ma  Adriano, 
g-raodé  coooicitor  delle  cose,  avea  forse  osservato 
ohe  la  pia  pai'te  de'  papolr,  MJtto  questo  spezio- 
soaome-.di  lìbero  governo,  erano  coatiauament9 
travagliati  dalle  '  discordie,  e  tiranne^iati  datlal 
prepotenza  di.  pochi  grandi .  Per  questo 'cercò  egJi 
di  fargli  in  apparenza  meno  liberi,  ma  più  tran- 
quilli e  liguri.  La.  qualità  delle  persone  alle  qua- 
li Adriano  affidò  questa  novella  carica ,  dee  farci 
credere  eh'  egli  cercò  io  fatti  il  vantaggio  della 
Dazione.  Uno  de'  giudici  6uddettì  fu  Tito  'Anto- 
nino ,  cbe  fu  poi  suo  successore  nell'  imperio ,  e 
meritò  per  la  bontà  sua  singolare  il-  soprancoma 
dr  Pio .  £d  appunto  la  scelta  che  Adriano  fece 
c]e'  successori,  bastò  a  dimostrare  quanto  selo  egli 
avesse  del  pubblico  bene,  »  dovette- cancellare 
dall'animo  degt'  Italiani  ogn' impressione  oattìva 
alle- vi  avesse  fatta  il  misto  carattere  di' «piasto 
[■]    Spart.    ÌB   kdr.   e.    ai.   —  Salm.    <t   Casaub.  ia 

lUltiiB.    -,       •     ■  ■■■'    -  ■"       ■ 


=dDvGooglc 


174  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

ùnperadore.  Morto  Elio  Vero  (  an.  i38.  ),  ctó 
aveva  Adriano  poco. prima  adottato  e  creato  oé- 
sare  (titolo  ette  cominciò  pur  allora  a  significare 
it  successoT  pnsantivo  dfll' imperio  ),  adottò  e 
dichiarò  sao  snocessore  AnfooinO',  e  volle  cfacr 
(Questi  sì  adottasse  nel  tempo  stesso  Marc'  Aure^ 
Mo  e  Lucio  Vero  figliuolo  di  Elio  cesare  soprad- 
detto.. Per  tutte  le  Provincie  deirimperio  cammi-' 
aavano  sotto  Antoniao  le  cose  con  tanto  ordine* 
e  tanta  calma,  obe  mancò  fino  agli  scrittori  ma-' 
teria  di  scrivere:  pruova  singolarissima  di  un  go- 
verno moderato  ed  uniforme  (i).  Ma-ntalia-eb-' 
be  a  godere:  tanto  maggiore  eliciti  ^  qnaafa  elkr 
era  più  vicina  al  suo  .principe^  il  quale  appena 
Vscì  di  Roma,  non  cbe  si  partisse  d'Italia  in  tut- 
to il  corso  del  suo.  regno ,  a  fine  di  rl^armiare  af- 
fi] Giallo  Capitolino  che  ci  lasciS  la  vita  éì  questo 
impera  dorè ,  benché  parli  Inngamente  Mìe  sue  tìnìl,  noit 
racconU  alcun  fallo  particolsre ,  d«l  ano  regno .  Sifilino  i 
abbreviatore  della  «loria  di  Dione  Casno^  lospelli»  che  ia 
qóesia  parie  fosse  tronco  o  mancante  il  suo  antore  >  per- 
diè  vi  trova  gì  leggermente  loccao  il  i«gD«  di  AntotijnO' 
Pio.  I  motlerni 'com[Hiatorì  della  storia  augusta  replicwo- 
lib  la  stessa  querela,  che  il  regiio  d'Autooino  si  degvo  di 
noria  aia  stata  si  scarsamente'  illirslrato  dagli  anikbi  «crii* 
tori .  KU  io  non  trovo  ragione  di  credere  che  maacniero 
gli  storici  al  régno  di  Aoiopiao',  o  che  siensi  smarrite  più 
ohe  degR: altri  le  mentorie  del  suo  regno.  Il  vero  è  bene; 
a,  parer  mio,  che  .non  avendo  Avnio  gnerre,.  come  Tito^, 
né  fatto  stravagante  u  ingiustizie,  come  Nerone  e  Car^cal^ 
la  ed  Eliogabalo  ;  né  essendo  segirìle  mntationi  di  gover-" 
no,  o  tivoluiiooi ,  »  pubblici  disastri ,  tntlo  ciò  che  si 
ebbe  a  dire  del  regno  d'un  sì  buon  nriuctpe,  si  rìdmM 
ad  un  semplice  elogio,  o- sia  ragguaglio  delle  ine  virtù, 
e  delle  mamme  che  tenne  nell'  amminisiraiion  dello  Maio. 


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.  :.   tiBRQ  fll  Capo  n.  .;  :  .  175 

salditi  le  spes»  iDevitabfli  é  sempre  grondi ,  eh» 
cagionano  i  viaggi  del  priocipe  «  per  quanto  mo-r 
(Jesto  egli  sia.  La  prosperità  dell' «tmi  di'  Traia-'  . 
DO,  e  l'altività  d'Adriano  nel  reg^menta ioterno- 
pareva  cbe  avessero, disposte  «  preparate  le  icosc' 
percbè  si  godesse  il  frutto  compiHto  «otto  Aato-^ 
nioo;  perocché  qod  ebbe  né  guem  di  -iìiori  da 
«osteqere,  né  mutazioni  da  fare  'deatro  allo  stato^ 
Ebbe  egli  a  vegliar  solamente  per  mantenere  gir 
ordini  stabitilì,  e  vr  '  riuscì  certo  rairab'lmcnte  j 
Kel  provvedere  a*  bisogni  dello  slato ,  e  render 
cagione  a  chiunque  la  domandasse,  fu<  à:  esalto 
e  si  attento,  die  ne  Su  proverbialo  da'  cortigia- 
ni C')*  '-  quali,  per  vantaggiarsi,  colf: oppressione 
degrinfei^iori,  avrebbero  voluto  nel  principe  mx-- 
nor  diligeoea  nel  governare:.  Del  resto ,-  fu  cle- 
mentissimo  (2) .  Impedì  le  ribellioni  allora  sì  fre- 
quenti; e  spense  le  congiure  senza  versar. sanga&i 
La  religion  Cristiana  si  professò  e  praticò'  sicura^ 
mente  (3);  pbrchè  il  savio  principe  «  ancorché 
gentile,  conobbe  e  Id  ra^onevolezza  del  Cristiane^ 
simo,  e  la  necessità  che  vi  era  di  lasciar  ad 
ognuna  libera  la  scelta  della  religione.  Protesse: 
le  lettere  3»iza  fasto  e  senza  gelosìa  ;  e  fiorirono 
al  ^o. tempo  le  scienze  più  utili  alla  società,  la 
SIosoBa  e  la  giurisprudenza .  Promosse  anche  mol- 
to r  agrioiltura ,  arte  sópra  tutte  le   altre   nobile 

[ij  TSf  f«xf «Xej'/af ■  JuUaii.  in  Caes. 
'  [a]  JdI.  Capìiol.  io  AuioD.  e.  6. 
.,      [5]  Orsi  Sior.  Ecd.  t.  a,  1.  .3 ,  e.  5i-  ci  «q. 


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176  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

«d  importante,  cui  egli  amava  stDgolarmente,es- 
aendovisi  esercitato  io  tutta  la  vita  sua,  e  nel 
tempo  massimameate  ohe  fu  de*  quattro  giudici 
d'Italia.  Né  sì  sa  che  fatto  imperadore  egli  uscis- 
se di  Roma  per  altro  motivo ,  che  di  visitare  le 
9Ue  campagne  .  Con  questi  e  simili  modi  impedì 
la  peggior  corruzione  de*  ooolumi  pubblici  che  il 
lusso»  figlio  deir  abbondanza .  aveva  intrr.dotti  : 
al  ohe  giovò  ancora  non  poco  quel!*  amor  di  S(4ii- 
plioita,  chf  avea  mostrato  Atlrìano,  In  E<nnma , 
per  quanto  si  scorrano  le  memorie  de*  tempi , 
non  si  può  trovare  che  l'Italia,  da  ohe  fu'  uni^ 
in  un  solo  imperio ,  godesse'  giammai  più  quie- 
to e  felice  stato ,  che  sotto  il  regno  di  Aatonino 
Pio  . 

Marc*  Aurelio  ebbe  tutte  q  in  gran  parte  le 
virtù  di  Antonino,  ed  alcuna  ne  -  aggiunse ,  che 
rendè  lui  più  glorioso ,  e  il  suo  regno  più  cele- 
bre. Alla  bontà,  alla  giustizia,  0  ali*  amor  de* 
sudditi  UDÌ  il  valore  e  Tette  della  guerra,  che 
dimostrò  .nelle  sconfitte  che  diede  a*  Mareomanl 
che  già  parevano  minacciare  l*Ita]Ìa,  e.  nella  spe- 
dizione contro  i  Quadi,  particolarmente  celebrata 
dagli  scrittori  cosi  cristiani ,  come  gentili ,  per  la 
miracolosa  pioggia  che  ottenne  dal  .cielo .  Nondi- 
meno da  questo  imperadore ,  filosofo  sì  giusto,  sì 
umano  e  sì  virtuoso,  modello  poco  meo  che  per- 
fetto di  buon  governo,  nacque  il  principio  delia 
rovina  d'Italia,  né  senza  colpa  di  lui:  tanto  è  dif- 
fìcile a  litrovarsi  l'uomo,  e  molto  più  il  principe 


ovGooglc 


Libro  HI.  Capo  H.  177 

pòfettissìmo  (i).  Ud  atto  d*  indiscreta  bontà' 
portolk)  ad  associarsi  neÌI'  imperio  con  eguale  air- 
torìtà  Lucio  EUo  Vero,  suo  fratello  adottivo;  a 
acDza.  essere  richiesto  o  stimolato  (  per  quanta 
appare  )  dal  fratello  stesso  o  da  altri,  diede  il 
primo  esempio  alla  dìtrisione  della  dignità  impe-. 
mie ,  esempio  dì  funesta  conseguenza  a*  succes- 
sori .  Quindi ,  per  levare  dall'  occhio  de*  Roipa- 
m  lo  scandalo  che  dajva  loro  il  vìvere  dissoluta 
del  fratello,  pensò- di  mandarla  alla  guerra  de* 
Baiti  :  altro  fallo  peggior  del  primo .  Non  sola- 
mente la  persona  di- Lucio  Vero  fu  inutile  a  quel- 
rirapresa,  ma.  vi  fu  di  ritardo  e  d'impedimen- 
to; ed  il  suo  ritorno  in  Italia  calamitoso.  Menò, 
seco  dal}*  Oriente  (  an,  iti6.  )  una  pestilenza  or- 
ribile, che  tolse  dal  mondo  grandissima  parte 
de*  cittadini  Romani  e  degli  agricc^tori  Italiani  : 
disastro  che  safdbbcSji  evitai*  certamente ,  se  la 
lentezza  della  sua  naaroia  che  ad  ogai  passo  '  vo- 
leva spettacoli  e  sollazzi.,  e  la  sua  dimora  sover- 
chia in  Onéoto  non  avessero  ritardato  la  spedizione 
«d  il  ritorno.  £  senza  quell* imitile  moltitudine  dì 
Tomo' 2.  12 


[i]  GiulÌBDO  neHa  sua  ingegnota  «  mordace  satira  so- 
pra i  cesari,  onorsado  sopra  lutti  Marc'  Aarelu  filosofo, 
a  coi  Giuliano  stesso  prelendeva  probabilmeiite  di  essete 
àtsomigliato,  cercò  con  le  pìii  plausibili  ragioni  di  scusar- 
ne le' azioni  cbe  aveaao  iocontralo  maggior  biasima,  come 
£u^'av|ir  tollerati  ì  disordini  dellu  moglie  >  «  d'aversi  la- 
scialo Bucceuore  un  così  mal  avvialo  uomo^  qua!  e^a<:olK- 
nl«d«• 


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178         Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

gente  cbe  si  trasse  dietro ,  il  contajgiosa  moriia 
avrebbe  fatto  meno  stcage.  Per  tutti  i  aeooli|!)r»f 
cedenti ,  e  per  dodici  secoli  appi'esso  non  91  trm.^ 
va.  memoria  dì  mortalità  alcuna  che  abbia  à^ 
strutto  così  gran  numero  di  gente  in  Italia, ooms 
questa  fece.  Ma  un'altra  peste  ancor  più  noce» 
vole  all'imperio  accompagnò  Vero  augusto  dal- 
l'Oriente  ^  Ne'  ciitque  anni  che  ti  ti.  trattenne'', 
aveva  egli  fatta  ku^a  dimora  spezialmente^  ia 
Antiochia  capitale-  dell'  Asia ,  e  seggki  pidncipa- 
Itssimo  del  lusso  e  della  mollezza  Asiema.  Antio- 
chia si  rendè  famosa  per  questo  riguardo  in  tut- 
ta- la  Storta  antica  fin  dal  tenipo'  de'fwiBti  suc- 
-cesscffì  di  AleMandrcr  Magno.  Il  oarattere^di  qua' 
^èittadini  che  ci  ritrasse  Giuliana,  augosto  du- 
geat'anni  dopo,  quando  già  la  zel^ion  CrìstiaBa 
vi  avea  faui  progiussi  grandissimi  r  può  darci  «d 
inteoders  qua!  fosse  quella  dtlà  al  tempo  di  Lui- 
eio  Vero.  Or,  questa  prìncipff  penato  ftxteniienCe 
di  sux  natura  ai  piaceri  ed  ai  vizi,  s'abbandonb 
eoa  la  sua  Aorte  in  Antiochia  ad  ogni  geserv  d» 
corruttèle»  e  tovuò  a  Roma-  peg^'ore  che  maìcan 
■infinito  corteggio  di  commedianti,  -di  buCRim» 
■d* eunuchi*  di  fémmine  lascive,  di  .ragazii  iofa- 
nif,  e  di.ogm-SQTtff  d'artefici  di  piaceri,.  U. buon 
AJaroòn  dolente  di  veder  costumi  cosi  defórmi 
da'  .sugi,,  ebbe  di'tapto  la;  forfutu^  p^opina^r  cbe 
rimafle  lìbero  da  4ui  collega -oh»  ù  aveva  per  trop- 
ijrt.igf^pdp  impru^aozij  a?s(Mu>ta  nel  trpflp^.  ;3^V 
;«è' Id, 'mocte  dì  Verot  nèla  diligenza  4^  : 


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Ijbro  lU.  Cai^o  il  179 

itoti  tolse- già  ebe  il'  mal  Mine,  «paiM  una  voltai 
B  ^  larga  inaDo ,  non  g«nogliauB  col  tempo ,  t 
tmtì  crescesse  fino  «  spegnere  $utto  ciò  che  restai 
tw  di  4»t]0D0  nel  teiTèoo  It^aoo.  > 

■K.        .  Q    j^    p    0       IH. 

■Come  (t  -vem  éiìspófism&  stasi  slàbiUto  a*  ietìtfx 
'  di  Vómmodà,  tón  Seùìmenìa  grandissimo  4et- 
~-  Pìinpcrìó.  '■      :■■■■■.. 

■vjommodo  fi^liaolo*  siitìcessoró  di  Marc'Aùrc- 
Ho'portò  sul  trono  tutti  i  vizi  del  rio ,  «  nruna 
■Affettò  ddlè  paterne  virtù  ;  La  vita  di  questo  \ta- 
liperadérè,  cbe  non  sembtà  jireifentariiltro  c6e  un 
^liipìesaa  dt  crtìdelfà' e  3i  libidini  móstfUos*,  4 
«nóito  fltìtabilepef  le  thuta^ioni  impòrtaoiissime 
i4f  gévernò  «  ffi  ciu  Al  cagione' .  Niuno  ignora  quan- 
•to^  gtandé  fosse  in  Roma  bncbe  sotto  i  prknì  ee- 
*iri^la^'poféni&  dfe*'  ttoldatl  pretoriani ,  àob'  deUe 
-gtiardù  del  cdfpò  dell'imperadortì,  mas^amfs- 
to  dà-cheEtio-SeiaDa,  fèrorito  di  -  Tiberio ,  ave- 
va ÌUnìfe-ifl  un  sot  qu&rtiere  d  alIoggiameotO'  tut- 
ti^ te -cMfipàgBÌe -che  prima  sfataistt  itì  quartieit 
•^tiuff  .  H  «afiilatm  di'  questa  guardie  t  chiamato 
pftfétfó  del  pretella,  antwrcliè  fosse  il  primo  luo- 
"gétetieotiJ 'dell' ìiApiftadore- quando  qaésfo  andava 
alla  guerra  ^  non  area  per&-  ^anda  in  Roma  altra 
•autoiì'tàrv  ftwréhi  qu^Itr-che  g&  vmft'a^U'eSMr 


=dDvGooglc 


i8o  Delle  Rtvqluzioni  d'Ptalia 

capo  d*  un  corpo  di  jnilizie  molto  potente ,  e  daf- 
r  accesso  frequente  appresso  al  priiiQ|pé .  Cornino* 
do  accrebbe  fuor  -di-  misura  il  pevere  di  -questa 
carica,  aggiugnendo  al  militar  comando  un'auto*. 
rità  civile  poco  dissìmile  da  quella  che  sogUona 
avere  nelle  modeiiue  muuarcbàe  i  gran  cancelKffli 
o  i  ministri  di  slato .  Perenne ,  uno  de'  due  pre- 
fetti sotto  -Commodo  \(  ah-  i85.  ),  Accortosi  per 
tempo  quiuato  il  suo  signore  fosse  alieno  dall'ap- 
plicazione al  governo ,  e  inclinato  a*  piaceri  del- 
le femmine ,  ed  agli  esercizi  corporali  :  di  lottare 
e  combattere  con  gladiatori  e  con  fiere,  trasse  a 
sé  solo  tutta  intera  l'autorità  sovrana;  e  caccia- 
to  via  il  collega  Paterno  con  segrete  calunnie,  « 
sotto  «pezie  d' «aorarlo  della  dignità  senatoria,  à 
studiò  vìe  maggiormente  d'invischiar  Caounodo 
nelle  sue  lascivie ,  e  nella  vita  scioperata  e  hsìx- 
taIe...Egli  frattanto  a  none  del  prin&ipe  rioeyeva 
le  Appellazioni  „  depideva  le,titi ,  segnava  i  ie>7 
scritti ,  e  conferiva  le  'carìebe  d*  ogni  .qualità  (i)'« 
Allora  la  prefettura  pretoriana  comiociò  a  coox- 
|»-endere,  come  di  propria  ragione*  tutta  l'ajnr 
minìstrazioAe  dell' imperio  così  civile  che  milita- 
re, come  il  gfan  visUato  appresso  gì'  imperadori 
Ottomani .  Vero  è  ohe  in  capo  a  tre  anni  Peren- 
ne fu  deposto  led  estinto,  e  tuttbil  favore  del 
principe  ili  rivòlto  a  Oleandro  suo  canjetiere,  ne» 
mico  ocQUIto  ed  etQcJo  ài  Penezine.   Pavye   «iw 

[i]'A£l.  iimapTÌi:  in  Comtitodo  e.  5^  et  iéì[> 


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Ijbro  ni.  C&po  m.  r6i 

pier  qiialche  tempo  restasse  sospesa  1*  autorità  del 
ppefetto-del  pretorio.  Era  Gleatidro  di  vile  origi- 
ae,'  e  schiavo  affraot^ito.,'  che  col  secondare  e 
Iimngàre  vilmente  le  passioni  del  prìncipe  ,  sa  ne 
avea  guadagnato-  il  favore.  La  prefetiur»  del  pre- 
torio era  uffizio,  troppo'  onorevole,  e  il  tentar 
d' accularlo  di  primo  trfltto  non  pareva  sicuro. 
Fensb-  {jertanto-  di  affidarlo  a  persone  vili  e  dap 
poca,  Q  per  diminuire  la  dignità  e  lo  splendore- 
^..quel  posto  ,  b  per  BÌdnrre  il  principe  sella  ne-- 
oessità  dì  nonùnr  Jui ,  come  uaìca  pet^on»  fede* 
le  edabile^o;  tanto  impiego.  In  fatti  oon  queste 
arti'  vi  salì',  .dopo<  ìurervi.  ìnnalzàtii  parecchi  ohe 
ferooo  lasciati  p«F:.poclii  gionli,  e  talvòlta  per 
poclicoce..  Neppur.  Cleandro-  stesso  lopganteote 
vi  stette;  ptroeohirGoramod»,  impaurito  da*  tu<r 
multi  popdari,  fitieostrétto  di  foito  lu^ìdereit  e 
BÌ«no  ^ffirrìvj>  sotto  lui  a  possedere  la  (irefettura 
per  tre  ■  anni .  Ma- non  per  questo  à  moderò  il 
potere  di  quciP  uffizio  ;  peroccbc^  gPin^igfai'  e  le 
cabale'  del  paJaxzo  (  o\  diremo  bene  del  ^miglio 
di  Commodo,  dov'egli  se  tìt  stava  nnoliiuso' 
efr'suoi  eunuchi,  e  con*  teeoento  concubioe },- -le- 
farìgbevdico,  degli  euauehi-  e-  de-'  famrltì  ,>)cli0 
ad9peravQn9Ì  -per  deporre  o  ammsaxaf»  i\  9iainistro , 
sol  iàcéano-  per'xiftmn^  iì  gpvtraQ,  ^a-per  in- 
nalzare- qualche  novella  creatura:  hh  Coramodo 
.ebbe  mai  t&dtò  di' ^rfea  di  ripigliasi  la -mar  af- 
fidata autorità,- e  badare  a^i  affarì..' 

NDti.è  f$iQÌle  lo  spiegare  a  qpal   tfeeetiiy  di^ 


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ifia  Delle  BivottjzioNi  D*  Italia 

dispotismo  questo  novello  magistrato  (  eh'  ebbe  l'u 
sul  principio  qualche  utilità  per  la  virtù  di'  Papi- 
uiano  e  di  Giulio  Paolo,  che  rotlenner  de'  pri- 
mi) riducesse  il  governo,  J  prefetti  del  pretorio, 
divenuti  soli  e  sovrani  mìnistrì  .  dell*  autivifà  im- 
peratoria ,  cercarono  d'  estenderla  oltre  .  misura , 
ed  impiegarono  per  questo  tutte  le  spttìgUe^ze  delr 
la  giurisprudenza f  ph«  da'  tempi.  di.CQranctcìdo  q 
almen  di  Severo  fii  posta  io  lor;:  manq.(^)^'  Io 
non  sarei  lontano  dal  credere  eh*  «fói .  .ceroassero 
di  stabilirvi  questa  masuma*  TÌc8.TUla  f.aQeh9t  ^r 
gidì  presso'i-Tdrchi,  cbe  ilprìncipa  »a.,j]oni.pur 
capo  delta  repubblica,  ma  dispòlo  assoluto  .dell» 
fortune  de'  particolari  (2).. Questa  .era:  una.^vi^ 
molto  compendiosa  perchè  i  '  favoriti .  disila  coirtei 
gli  amici  e  le  creature  del 'ministro.,,  e  parttcolas- 
mente  gli  uffizioli  pretoriani  occupauero  ogp.i,cQ- 
f&  che  loro  venisse  a  greulo ,  senz*  andar  pec  citf 
cuito ,  e  intentar  delitti  di  lesa  maostà.  solito 
mezzo  in  quella  tirannìa  d*  invadere.!  bspìde^  ric- 
chi, «  d)  spogliare  i  nemici  <  Talmeqtfi  si  avvez- 
zarono essi  a  queste  massime, -che  anche  gliuo^ 
mini  riputati  più  santi  e  più  dabbene  non  si  tro- 
varono alieni  da  queste  tali  usurpaóonc.  Claudio, 
secondo  di  qnesto  nome,  che  fu  annoverato  con- 
cordemente fra'  buoni   imperadorì,   si   godeva  il 

[i]  y.  Goltofcej,  Qp^rìi  minora  (^  L^gd.  Batav,,i755  J, 
jisfert.   1.  ■■■■:-.• 

[a]  Vlpianns,  lea  de  majéstate  prìiici|tii  KomànPIt^i- 
bat  solata  ■  ■  .       .  1  <- 


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■      IJBRO  in  Capo  HL  i83 

«fetaggib  d^ana.  femmitia  meischÌDelIa  ,  che,  essea- 
4o  ancora  nfBziale  di  Gallieno,  aveva  occupato; 
e  fìi  stimata  azione  ^i  singolar  bontà ,  che ,  sali^ 
tò  Eul  froDo.  \ó  abbia  restituito  all'anlica  e  le* 
g^ttima  posseditrice  (i).  Se  questi  abusi  si  estet>- 
devaòb  per  tutte  le  proviucie  dell'imperio-,  non 
v'  à  dubbio 'che  non  inquietassero  particolarmente 
i  paesi  più  espostf  air  ingordigia  de*  pretoriani  « 
degli' uffiziaii  di  corte.  .    . 

*  tHè  qui  Rtette  solamente  il  danno  -che  recìi 
all'  IblTià  il  governo  dì  Commodb  »  e  la  prepoten-  ' 
za  de'  suoi- favoriti  e  de*  capitani  delle  goardié.. 
Oleandro,  ammalò  dal  vile  e  malvagio  genio  del- 
la sua  origine  ,  si  diede  a  tutto  pevere  ad  -arvilic 
il  senato  che  aveva  fino  allor  eostcnutp  il  decora 
del  nome  RomàEio  (2) .  Perseguitò,  spense  a  di- 
spèrse i  più  gravi  e  più  oDoratì  ornatori  ;  aatEiisse 
per  denaro  e  per  capriccio  oonuni  viKssimi  -e  di 
stirpe  servile  nm  solamente  nel  sciato,  ma  aa«' 
cfce  neirordìne  delle  case  patrieie,  contaminando 
con  nuovi  -ed  inauditi  mo^  'la^  nobiltà  (3)»  So- 
migliante maneggio  SieeTO  d'  ogni   altra  cosa:: 

■    [1]  fonar.^i^t.  Till^m.!  -  ; 
[:*]  Lampr.  e.  6. 

(3]  •  HqH  er»  cosa  nuerfa  e  di  arupirsene;  iJìcé  €a- 
»'  MubftQQ,  ^0  al  TLCQveuero  ir  lenalo  pertone  ^i  botsa.fl 
>  vii  oondìzione  >  ma  bensì  una  novità  inaudita  fu  che 
»  colati  persone  s'annoverassero  fra'  patrizi,  poiché  erasi 
■  fin  d'  allora  costumato  ài  scegliere  il  fiore  dells  nobilià 
«  per  .p^ppltmentp  delle  famiglie  patrìiie   che  t'itliagaf 

Ctuaui.  not.  im  Lamprld.  p.  a-]4- 


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i84  DEtLB  Rivoluzioni  n' Italia 

Tendeva  ì  decreti  e  le  sentenze  anomedel  pritict'-' 
fie,  i  governi  delle  provincie ,  e  tutte  le  ma^o*- 
ri  cariche  dello  stato;-  e  fu  il  primo,  e  forse  il 
solo  che  in  un  anno  creasse  ventìcinque  consoli'. 
Questo  avviUmeote  delfe  dignità  civili,  e  delibo»- 
dine  senatorio  e  patririo  accrebbe  vie  più  V  ardi- 
re e  la  licenza  della  soldatesca ,  e  fu  cagione  im 
-gran  parte  delle  rivoluzioni  che  seguitarono  ^ 

Elvio  Pertinace ,  primo  successore  di  Qjib- 
modo,  che  mostrava  di  voler  ristabilire  l'onor 
del  senato  e  di  Roma,  fu  ammazzato  da*  soldar- 
ti,  r  quali  per  piti'  vei^t^a-  del  nome  Romano 
Tendettero  F  imperio  a  Didio  GiuKano,  e  glielo 
-tolsero 'dopo  due  taiesi'.  Settimio  Severo-,  tutto- 
ché principe-  nel  '  rÌBÉtanente  di  molta  virtù-,  fìi 
nandimeoo  tutto  intento  ad-  umiliare  il  senato-, 
»  fosse  per  mostrar  gratitudine  verso  Commodo', 
o  per  qualche -suo  sdegno  e  dispetto  particolare-. 
Macrìno  ed  EHegabalo  non  imitarono'  d^le  quali- 
tà-di Severo  altro  ohe  l'odio  contro  it  senato. 
Succedendo  Alessandro  Severo  ,  Ottino  imperado- 
rc-^  a  epe'  tve  vili  tiranni,  rìmenò  all'imperio 
tranquillità  e  calma* .  Ma.  mentre  eh*  egli  pensò  di 
tisforare  la  dignità  e  l' antico  splendor  del  senatOy 
gli.  nocque  per  imprudenza .  l^er  legge  d^Augusto 
e-  per  uso  inveterato  r  prefetti  del -pretoria si  eleg- 
gevano non  più  clie  dall'ordine  de'  cavalieri.  Au- 
gusto avea  stimato  oosa  riscbiosci  che-  ad  un>  uf« 
fìzio  di  tanl^  riUevo  si  aggiugnesse  l'autorità  se^ 
natoria .  Ma  Alessandro  Sevwo  trovasda  o^  legge 


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LiBRa  m.  Capo  Vi.  iS5 

o  uiaaza  noreDameDte  stabilita ,  che  i  pn^tti  del 
pECtorio  decidessero  sovran^unente  d'  ogni  genere 
di  causa ,  stimb  sconvenevole  che  i  patrìzi  fossero- 
gnidicati  da  persone  d*  ocdine  inferiore ,  è  diede 
legge  perchè  in  avvenire  i  prefetti  fossero  senato- 
ri (i).'  Migliore  spediente  sarebbe  statO'  T  esenta- 
re i  senatori  dalla  giurìsdizion  pretoriana,  e  lar 
sciar  solo  il  senato  giudice  de'  suoi  membri  ;  lad- 
dove dando  nuovo  lus^  e  peso  al  potere  già  esu- 
berante de* prefetti  del  pretorio,  due  egualmente 
perniziosi  e^tti  ne  nacquero.  Quegli  uifiiìali  a 
prefetti  guanto  più  partecipavano  dell'autorità  so- 
vrana 4  tante  più  in  quegl*  iniqui  tempi  erano  ten- 
tati di  salire  al  primo  grado,  coli* a^rettar  la  mor- 
te dell'imperadore.  Dall'altro  canto,  Ìl  senato  già 
tante  volte  afflitto  ed  esteniiato  dalle  brutalità  di 
alcuni  cesarì',.  trovoeà  dovellamente  abbandonato 
alla'  dÌKresiene  d' un  solo  ministro  che  mille  sti- 
moli e  mille  pretesti  potta  av^rc  dt-  malmeBar lo . 
Vero  è  che  non  si  mutò  per  questo  io  stato  uni- 
versale delle  cose ,  nà.  il  guvMoot  deUei  provincia 
Italiane.. Ma  1' essere  in.  tanti  modi'  perorata  la 
cohdiaone  del  senato  conferme  ed  accrebbe  taj- 
nente  l'audacia  de'itorpi  Bulitari,'cbe  l'elezione 
degt' Jmper»tdori  divenne,  loro  propna,  e  l'appro- 
vazión  del  senato  twnlù  per  poeo  o.per  nulla;  -il 
«he  fu  colpo  iàtale  all'^iijiperio ,  e  rovina  d'Ita- 
lia.. Quindi  nacquetog^rreoivìli.senza  fine.  IHiuno 

(1}  Tillein.  ari.  13.    .   .  ... 


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i86  Delle  EliTOLDZiONi  d*  Italia 

degli  CKicìti  non  volle  essere  inferiore  agli  ali 
tri;  e  (qualunque  volta  manob  l'imperadore  prìnja 
d'aver  fatto  prestar >  giuramento  al  successore, 
ciascun' armata  eleggeva  un  augusto.  L'abuso  an- 
dò taat'  oltre ,  ebe-  in  meno  d*  un  secolo,  tra  Set- 
timio Severo  e  Gallieno,  ittfcmo  creati  da  venti 
imperadori . 

C    A    P    G       IV. 

ConstUuziòne  di   Caracolla  M  grande  pre^u^ia 
aiV  Italia  :  altra  legge  non  pien  natala^  di  Gal* 
-  lUnò:-  goì>errt&  straordinaria  ^  Xlàlìa  soiio  Au^ 
-•Teiiaii»,    -.       .     1 . 


ijipca  que^i  stesiti  tempi  che  V  autorità  esube- 
rStòtfrdei  prefetti  del  pretorio  fece  -quasi  cambiac 
natQFtt  al  governo  Romano,  fu  ancora  per  no  aU 
tro  veMoi  peggiorata  in  generale  la  condizione 
d*Italia^.  Da  un  fratiunento  d' Ulpiaoo ,  riferito 
nel  digesto,  si  fa  palese  obe  -per  légge  d* Antoni- 
no tutti  i  sodditr  del  dominio  Romano  furono  faC* 
ti  oittadini  di  Boma^i]).  Non  mancano  scrìttm 
ohe  attrìbuisoono  questa  constituzione  ad  Antoni- 
no Fio;  ed  altri  con  più  fondamento  ne  fanno 
autore  Marc*  Aurelio  il  61osofo .  Ma  oggimal  non 
si  dubita  essere  uscita  quella  legge  sotto  il  regno 

(i)  In  orbe  Romano  qui  sunt ,  cives  Romani facli suiti, 
Digeit.  1    l'i,  ff.  de  (tatù  nomÌD. 


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.Libro  HI.  Capo  TV.  1:87. 

d*Antomao  Caracalla.  Già  si  è  da  do!  notato  ài 
sopra ,  come  e  par  quali  n'ietti  dopo  Jà  morte  dìi 
Cesare  siasi  data  a  tutta  la  Gallia  Cisalpine*  o 
w^liam  dir  Lombardia ,  la  cittsdìnaoza  Romana  :■■ 
D*  allora  in  poi  Augusto  ^i  mostrò  sempre  assai 
pareo  o  jteatìo  a  pfivilegiare  i  pronot^Ei  (ì);  né 
oppiamo  che  i  niocessori  suoi  per  lungo  tempo- 
abbiano  usato  in  questo  sorercliia  larghezza ,  ec- 
cettuatone Claudio  t  principe  d' insigne  indolenza 
e  dabbenaggine  (z) .  Adriano ,  nel  visitar  in  per- 
soti^  .ogc^  pai^  dell* imperio,  ebbe  senza  dubbio) 
ooeasÌD0e'0.stiiiiaIo  di.  Concedere  la  cittadinanza 
di.  Roma  a  molti  particolari  e  a  mi^  città  fuo- 
ri d*  Italia  :  e  Maro*  Aurelio  suo  nipote  per  ado- 
zione lo  imitò  forse  in  questa  parte  ne'viaggi  cbe 
fece  0  per  visitar  paesi ,  o  per  motivo  di  guer- 
re (3),  Ma  Caracalla  o  per  accattarsi  T  affetto- 
delie  province,  da  che  ri  avea  colle  sue  crudeltà^ 
guadatalo  1'  odio  di  Roma  ;  O'  per  .rifar  ì*  erario. 
ewmto  con  l' ereà'ti  e  xsoi  legati  che  da.*  soli  cit- 
tadini poteaa  venire  si.  principe,  estese  a  tutto 
r  lÉiperio  indistintamente  il  diritto  della  cittadi- 
nanza ,  Or  cbi  <ibe  si  fosse  e  1*  autore  dì  quella- 
Ugge,  e  il  motivo  ohe  lo  indusse  a  daHa,  ^H  è-. 
tuttavia  certissimo  obe  il  vantaggio   cbe  far    ess» 

.    (j)    CMtalem .  Bon^maitt   parcitstma   dedit-,  -Susi,   in 
Ocuv.  e.  4»- 
■     U)  V.  Dion.  Ca».  i.  5.Ì.  '  ^     ' 

(V  Sext  Anrel.  de  CMurib.  e.  i^.. 


ovGooglc  • 


r8S'  Delle:  Rivoluzioni  d'  Italia 

ottennero  le  provincie ,  scemò  notabilmeaté  le  pre^ 
rogative  d' Italia ,  la  quale  non  formando  che  pic- 
cola parte  di  lutto  lo  stato  Romafio  ,>  dovea  con-.' 
seguentemente  non'  restare  agrit&liaai  più  ohe  ima' 
piccola  parte  nelle  cariche  e  nel  governo  _(An.  azSv) 
Id'  'fatti ,  si  potrà  osservare  nel  seguito  della  sto- 
ria augusta,  che,  dagli  Antonini  in  poi  .ira  tut- 
ti quelli'  che  salirono  al  trono ,  appeaAt  se  ne  cob^ 
taoo  due  o-  tre  naturali  d'Italia.  Vero-è che- 1? ef- 
fetto perniziosmimo  della  consititiizicnie  di  €aia'< 
cfdla  ùì  accelerato  da  un  colpo'  non  men  fatale' 
che  vi  menò  Gallieno  (  àn.  261  ,  b  seg.)  .  Co^ 
jiteii  famoso  per  viltà  e  dapix>cagg)ne  sopra  quàn-' 
ti  portarono  corona  impraialè ,  di  poco  fallH  che 
non  recasse  al  nulla^  I*  Imperio  Romano .  '  0 
gifwno  s' udKt' r  avviso  della  perdita  di  qualche 
protincia  :  ora  una  xibellion^  dell*'E^tto;v  era' 
KAsia.  e  la  Dacia-  devastate  dagli  Sciti;  ora  ud' 
nuovo  augusto  xegnante  nelle  GalHe .  A  queste 
novelle  replicava  Gallieno:  e  ehei*  ISoB- si  potrà-, 
viv-ere  e  non  si  potrà  regnacie  senza  i  nitrì  del*- 
l*'Asia,  senea  i  lini'  d' !EgÌtto ,  e  senza  le  saie  d' Ar- 
ras ?  Sentimenti  lodevoli  senza-dubbio,quahdo  fos- 
sero procedati  dalla  severità  d'un  Ve^>asiano ,  o- 
dalla  saviezea  di  -im  Maro*  Aurelio:^ .'  Se  Gallieno 
avesse  operato  conformemente  a  cotesta  modera- 
zione'ohe  ìntendeTa  mostrare  ,  si 'avrebbe  fhtta' al- 
lora una- divisione  d'imperio  più  utile  e' più  dli- 
^volo  di  (^lla   ohe  fecero,  dipoi  Diocleziano'  e 


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Tabro  hi.  Capo  IV.  189 

'Costeatino  (i  ) .  Ma  Iddio  cbe  dispooeva  le  cose 
àlL*" esaltazione  della  religion  Cristiana;  avea  ordi- 
nato altramente.  Gallieno  cfae  -per  l'autorìtà  sua 
più  legittima  e  principafe  doveva  dar  iegge  agK 
altrì,  «ra  il  più  disprezzevole  di  tatti;  «  fra*  tan- 
ti ttraani  che  ei  levarono  satto  il  suo  regno,  non 
ne  fu  uno .  se  la  storia  Ài  Trebelk'o  non  mente  .* 
fìhe>  non  saporasBé  Gallieno  ijell'  abilità  di  regna- 
re .  In  fatti ,  XjalUeno  di  tante  proviode  che  com- 
ponevano r  insperio ,  non  potè  aemtDe&o  «ostener 
r  Italia ,  cui  laseiò  prima  esposta  alle  inoorsiom 
de'  barbari ,  poi  occupace  in  gran  parte  ^a  Au-. 
■eolo  governator  dell' Illirico,  il  quale»  pceso,  co^. 
me  {ti  ahri ,  titolo  d' augusto  ,  passò  le  Alpi ,  4 
pose  fiua  sede  impOTÌale  io  Milano .  Il  mezzo  con- 
cui  s'avvisò  Gallieno  di  repriBaere  queste 'solleva^ 
zioni ,  non  val»e  punto  ad  assicurargli  il.  tiiono,  e 
fu  cagione  aUMtalia  di  Volgimenti .  più  rovinosi . 
Egli  è  da  notare  che  la  più  parte  di  questi 
capitam  era^o  senatori  Boi^ni.  Questo  sistema  dì 


XO  'OJenato  e^MUimto,  il  prima  aell'Orieoie  «  l' al- 
tro nelle  Gallie  cìceruù  come .  e<>vraDÌ  ed  aiigiuti,  -poievMOQ 
coi  tao  temente  difendere  le  ptovincie  Romane^  1'  udo  da* 
Oeiiuani  j  l' altra  da' Parli;  ed  allargarne  ancora  ì  coofini . 
Amendue  »veaiio  fìgliiieli.da  luciar  sue  e  esso  ci  ,  i  t[uati, 
uccpme  poteasì  sperare  c^e  avrebbono  sostenuta  la  lo£o  jiar- 
tè  delf  Imperio  ,  cosi  non  era  da  temere  eh*  essi  fossero  per 
turbar  .l' Ilalu.  Percioocbè  non  aveado  l' iiutotitù  d'Odeitti- 
to  e.  di  Posiumio, avuto  prìuclpio  iu  Roma  «  i><è  per  con- 
uaio  del  senato,  GatHeno  e  il  s^o  figliuol  Satonino  avreb- 
bero eòa  ti  cu  rezza  ritenute  quelle  provìncie  nMdeiime,  che 
poi  furono  assegnate  a  Costante  - 


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I9<3  Delle  BivolbzjOni.p' Italia 

dare  U  icQDiaado  a  penoae  d'ordiae  ^«bdtoria  erA 
divenuto  tanto  più  óecassario,  da  clw  le  I^Ìqdì 
s'eraao  riempite  di  soldati  stranieri  e  b&fban ,-.  ff 
da  obe  i  nativi  Rpmani  ed  i  Latini,  antico  D«r|jq^ 
di  quelle  ansate  eooquistatrìci .  »  erano  iticodar-i 
diti  qeir  abbondcto»  e  nei' mìo.  Fer  maateawet 
^att^otu  ^negli  éteiratì  l'autorità  del  Bom«.  l^om&^^. 
no,  ^vanat le.' cariche  principali  a'  eeoatori  a'a^ 
yatrixi.  Vd>Q  è  cbe  fino  dal  tempo  -di  Giuli»  Ce-f 
9am  «i  asimettevanD  alle  d^nità  e'.nercetMftf  ì 
fb^ieetieri  al  futri  de'ntiuri^  cittadini  e  de'  mihih 
ìi.  Ma  gli  jtrapiéri  ricévuti  in  qaell*  prcUoe  codce* 
pivati(>  f!  BQ^rlvapo  poi  per  la  sede  coarone  di 
tao^  statovi»  stHBOf  affetto  de'<primi.  Per -tema 
che  questa  affettQ  si  raffreddasse' col  tempo  ^  Tro^ 
ìaoa  e  Msxtì  AukUo  avisamr  ordinato  cbeciascuo 
senatore  dovesse ,  avere  sue  possestroni  denteo  al* 
UIUiIÌfi(:  (»dinatnsiito ,  conKcliè:'per  quf^Iie  altro 
xispetto  non  troppo  lodevole  r  utitis^mo  ooodim»' 
PQ  ,per .  questa-'  rj^tone,  cioè  'per  ritenere  dalle  cop>- 
giura  e  dalle  rìvofte  i  senatori  che  andavano  al 
comando  d^e  provincie  e.de^  tiierciti,  i;  per- 
ebè'CMendo  aleuti  dì  kro-  per  qMalàvogItacaSo' 
innalzata  alla  dignità  imperiate,  avesse  quasi  un 
Biqtiyof;d',int^6S5B.(Jomestìce(  ,d''aBiace'  e.difende- 
re  'ritalia.,  e  risedem  .  * Iqtontò  M  perìzia  dèl-« 
Ift.fioàcjii.; guerra,  che  m  tenea  viva  neirordinef 
[>9erìzlo,  rìniedìava'  in  parte^  al  difètto  della  ple- 
be in/ìngardita  ndl^.ozio  della  città.  Fina.a,tanv 
to.   che  ,t ,  senalori   si    mantennero  jnellecarichai 


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.    Ijbro  HI.  Cjuv  IV.       ■  191 

della  milizia,  si  potevano  ai  biiogna  preoder  Io 
arftif;  perchè  d'ogni  sorte  ^'uòmini  si  possono 
ftv-  buoni  eseroìtiv- dove  non  manchino  >  i  capita^ 
ni.  N«*  primi  anni  di  Q&Ilieuo^  alltwchb  questo 
iA]pei^oPe  s'era  portato  nedie  Gi^'e  a  repriòiere 
qUE^die  ribdlidne-,  graà  molb'ftidiae  di  barbar» 
s'ardozb  ««reo  Jtalta  per  la  vìa.  d'  Àqulleia  .  Al 
primo  terrore  oli*ecoitò  in  :Roma  questo^  avviso,- 
it  «aator  non  [R)tendo  altrimenti  fomirn ,  armò 
gli  sc)»av«^>e  min»  in  piedi  un  eserdflo  da  far 
fronte  a^  nemici  v  qualora  si  fossero  innoItratÌT^- 
sola  città.  Ma  Ift  «ciocca  polifiba  di  G^lieno 
tolstt  anche  questa  via  di  scampò  a*  Rtimdni.'Vie^ 
tò  egli  pdr  h^ge'  espressa*  die -in  avVenìve^  biub 
seoatorr  potesse  aver  comando  di  esèròiti.  i  se- 
natori, bencfaè  ricevesMro  questo  come  sfregio  ed 
jo^QTÌa,  9  se  D«  '  ranmgrìcBSsei'a  da-  principio  f 
pure  TÌ's'aocODCÌaa*ono  assai  di  leggieri  in  ap- 
preiso;  e  contentandosi  deUe  carìcb*  'civili,  faa* 
darono  a  goderti  quietamente  le  smisurate  loro 
ribòbezze ,  colle  quali,  tolti  vìa  gli  stimoli'  della 
^oria  e  dell'ambizione,"  potevano  agevtJnìente 
sbddisiara  ogni  altra  passione  (1).  Crebbe  pcù  col 

I.        :        ■  i     .         ■  '      ■ 

(1]  E  cosa  incetta/  éìce  Aurelio  Villore>  se  il  aenalo 
p^  pigrizia,  o  ptr  tim^orp,  a  per  ^fsiderla  di  fuggir  bri> 
ghe  e  diiicofdie^  s'abbia  lanciato  andar  di  maDo  t' aoton" 
Af  che  ripigliar  polca  sotto  Tacito,  di  crear  il  principe, 
e  di  coptaudare  gli  eKrcilt.  EefOcchè.  dim^titicata  la  leg- 
ge di  Gallieno,  poteyanii  (ipao'rpre  gli  ordini  ,  della  i?i'lì- 
lia  ,  con  rèsiituit  le  cariche  militari  a'  Knatori.  Le.  legioni 
lo  avrebbero  allora  accODieqtito,  e  l'ita  peri  o  in  quel  modo 


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102  DELt.E  BlVOLUZlONT  D*  Il'ALlA 

tempo  r  ìnfiogardaggine  de'  seoafòrì;~e  daUa  non 
curimza  delle  milHarì  Tennero  essi  a  trascurare 
anche  le  cariche  civili,  «  per  esentarsene,  molti 
dì  loro  uscivano  d'Italia,  e  s'andavano  nascon- 
•  deodo  nelle  campagne  -della  Dalmazia,  della  Ma- 
cedom'a,  e  della  Tracia  (i),  Coà  finì  d'eatin-. 
guersi  ne*  petti  Italiani  ogni  valcve,  tii  si  tro\'& 
neUe  seguenti  congiunture  chi  potesse  far  resisten- 
za a  qualsivc^ia  anche  leggero  assalto  de*  nemi- 
ci; e  gli  ufBziali  e  ì  «onumdanti  delle  armate 
Romane,  stranieri  e  barbari,  come  si  è  detto, 
innalzati  poi  all'  imperio ,  poco  curando  e  dì  &o-< 
ma  e  'd'Italia  di  cui  non  «raoo  £gli,  cominciaro- 
no a  travagliarla  e  draoneggiarla  aspranteate*  e 
fiir  dimora  in  altre  provineie.  Non  fu  perb  laca* 
data  d'Italia  sì  subita;  perchè  alcuni  4e'  vecchi 
ufGziali  che  si  ritcovarono  nelle  armate  di  Gallie- 
no, e'che  gli  succedettero  nel]' imperio ,  ripMao- 
de^  quanto  fu  possibile,  a*  passati  mali,  sosten- 
nrao  lo  «tato  di  {loma ,  benché  vacillante  :  ed  era 
forse  da  specar  molto ,  se  la  vita  loro  &sse  stata 
più  lunga.  Ma  Aureliano  e  Probo  regnarono  por 
chi  anni,  Tacito  e  Claudio  pochi  mesi.  Vero  è 
che  Aureliano  fu  di  genio  rigido  e  feroce;  ma 

iKiD  farebbe  venuto  in  nane  Si  solcati  idi  fortuna .  Ma 
mentre  che  i  grandi  ài  Roma  ti  compiaceano  ndl'oKìo,  e 
temevano  di  tnelteie  in  pericolo  le  ricchezze  che  antcpe- 
Devaue  a  tult' altri  rispetti,  spianarono  la.  strada  ad  uomi- 
ni militari  e  quasi  barbari  di  dominafe  sopra  Inio  e  i  loro 
poiterì.  Aurei,  Vici,  de  Caesaribus  ».-«5g.  ' 
(0  God.  Theodos.  I.  6,  i.  4,  J.  *i. 


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Libro  HI.  Capo  IV.  198 

ài  meiio  non  ci  volea  in  quello  sfato  ài  cose:  é 
per  iofìaiti  esempi  si  può  dimostrare  cheoves*eb- 
be  a  dar  negli  estremi,  più  giovò  al  comune  la 
soverchia  durezza,  che  la' troppa  clemeuza  e  fa- 
cilità. Ad  ogni  modo  il  régno  d'Aiu^Iiano,  co- 
mechè  di  cinque  soli  anni  ,  fu  de*  più  gloriosi  e 
fortunati ,  non  già,  perchè  abbia  allargato  gli'  an- 
tichi confini  deir imperio,  come  Tito  e' Traiano, 
ma  perchè  egli  colla  sua  virtù  ed  attività  distrus- 
se tutte  le  reliquie  de*  tiranni  che  si  erano  solle- 
vati sotto  Gallieno,  e  rìcompose  la  repubblica  la- 
cera e  dissipata  ;  e  ' 

»  Se  gli  altri  l'aiutar  giovane  e  forte, 
»  Questi  in  vecchiezza  la  scampò,  da  morte. 
Ampliò  la  città  di  Roma,  la  fortificò  di  nuove 
mura  di  cui  ancora  oggidì  si  vedono  avanzi  ma- 
ravigliosi ,  e  ristorò  la  popolazióne  per  mólte  par- 
ti d*  Italia  con  la  moltitudine  .  di  persone  anche 
ragguardevoli ,  che  dalle  '  Gallie  e  dall'  Oriente 
condusse  in  trionfo,  fì'a  le  quali  si  conia  la  fa- 
miglia dì  Zenobia  celebre  regina  de'  Palmiréni ,  e 
vedova  d'Odenato  augusto.  Il  vivido  zelo  eh*  eb- 
be Aureliano  di  riformare  i  corrotti  costunù,  e 
ristabilire  il  governo  e  la  giustizia,  lo  indusse  a 
creare  un  nuovo  magistrato  straordinario  con  am- 
plissima giurisdizione  sopra  tutta  Italia  (an.  274.). 
Eleue  persoaa  attissima  a  tale  uffìiio  .  Queeti  fu 
Tetrico,  seoator  Romano,' il  quale  creato  imp»- 
radore  nelle  Gallie  contro  sua  voglia,  avea.  go- 
vernato alcuni  anni  con  grande  prudenza  e  virtù 
Tomo  l  i3     . 


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194  Delle  Rivoluzioni  n'  Italia 

le  Provincie  che  V  obbedivano ,  (ìncbè  vìato  pef 
forza ,  o  lasciatosi  vincere  da  Aureliano ,  fìi  da 
lui  menato  in  trionfo.  Ma  cessato  quello  stimolo 
di  boria  o  di  collera,  Aureliano  che  conosceva  la 
virtù  di  Tetrico,  lo  ebbe  poi  sempre  per  fami- 
liare e  molto  caro  (i).  A  costui  dunque  cranini- 
se  il  governo  d'  Italia  col  titolo  di  correttore  , 
riunendo  in  lui  solo ,  e  forse  con  qualche  ag^'un- 
fa»  quella  stessa  autorità  cbe  in  quattro  partì  di- 
stinte aveano  i  giudici  consolari  stabiliti  da  Adria- 
no (2).  Questo  nuovo  magistrato,  il  quale,  se  sì 
riguarda  la  qualità  della  persona  cbe  prima  1!  ot- 
tenne, e  di  quella  che  Io  instituì,  dee  credersi 
cbe  fosse  utile  a  questa  provincia,  durb  fino 
a'  tempi  di  Costantino  or  eoa  maggiore ,  or  con 
minore  autorità  e  potere,  secondo  le  circostanza 
e  il  vario  favore  de'  principi . 

CAPO       V. 

'Dwistone  e  rivoluzioni  dell'  imperiai  «  prono  itrt- 
sibUe  scadimento  dello  staio  d'Italia  a'  tempi  di 
ZHodeziimo  . 

JVla  le  cose  d'Itab'a  erano  condotte  a  tale  che 
io-  niuna  maniera  potcano  ricomporsi  durevolmen- 
te. Quegli  stessi  ordini,  che   pur  da   un  cantti 

[1]  Treb.  Poìì.  in  (riginta  Tyrano. 

[3]  y.  Paacicol,  in  Dotit.  ùap.  oceidwU.  e  49. 


ovGoaglc 


,    Libro  III  Capo  V.   .  it,5 

jiàPeano  i  più  Decessari  a  sostener  la  grati  Mole  ma- 
□ifejtameate  cascante  «  dall'  altro  Iato  né  rendera- 
no  la  rovina  più  vastA  è^  irreparabile  <  Morto 
Caro  che  tornava  vittorioso ' dedla  Persia*  ed  uc- 
ciso poco  dopo  Numeriano  cesate  suo  Bgliuolo , 
prese  1*  imperio  DiocleziaQo  (  an.  ^84.  )  *  uomo 
dì  vilissìma  prìgide,  ma  d^  accortezza  e  capaciti 
incomparabile  a  governarci  L* essersi  «gli  avanza- 
to alle  dignità  per  la  via  dell' armi  ^  ci  dee  per-, 
suadere  che  la  bravura  militare  non  gli  mancò . 
Nondiinetici  Lattanzio  *  scrittore  infoi'matiBsimo  di 
queste  cose  (t),  ci  assieurà  eh*  egli  era  di  natu- 
ra timidissimo.  Ora,  da  queste  contrarietà  ap- 
parenti convìen  raccogliere  che  ì*  ambizione  sua, 
e  la  necessità  di  farsi  per  aè  medesimo  la  sua 
fbrtilha  «  lo  rendevano  coraggiosd  e  bi'avo  in  tem- 
po che  militò  sotto  il  comaOdo  altrui.  Ma  ap- 
pena ottenne  il  titolo  di  augusto  «  che  o  nacque  « 
o  ritornò  in  luì  la  naturale  timidità.  Se  rimase 
solo  jmperadore  dei  tre  o  quattro  suoi  coDCorren<' 
ti,  fii  effetto  dell'astuzia  e  della  fortuna  sua»  noa 

[1]  iiMtinvo  iDiegnara  pubblicatficnle  rettorie*  In  Ni* 
GOmtidia  nel  tempo  appunto,  che  vi  riwdia  Diocletìaba 
COD  la  sua  corte.  Noa  v'  i  dùbbio  eh'  egli  e  come  uotna 
di  lettere,  e  come  Cristiabo  potè  aver  molti  amici  fra  j 
minìairi  e  familiari  dell'imperadore  ^  e  malti  più  ve  ne  pOli 
conoicere  dopo  1'  abdicasioae  e  la  morte  di  Ini,  allorché, 
regSatido  Costantino,  si  potè  Senza  rischia  professare  lare- 
ligiod  Ctiiliana^  Nel  libt-o  da  m«rtihas  Persecutorutn  tro- 
viamo  motte  particolarità  del  regno  e  del  Carattere  di  Dio»' 
desiano )  <t  ignorate >  0  scatnbiate^  o  taciute  .dagli  altri 
scrittori.  Perì)  tnlti    coloro    che    cciaipilarono    la    storia    di 

?  netti  tempi  prima  die  ìl  ^alttiia  pubblicasre.  .iJ  '  suddetto 
ibro  di  Lattanzio ,  lona  dilèttosi  e  mancanti  - 


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ty6  Delle  RiTOLuzioiH  D*rTALU  , 

del  valore .  Perocché  pglì  lasciò  battere  e   coi]su-> 
niarsi    fra    loro    Valente,    e  Carino;    e   spento  il 
primo,  fece  per  segreto  trattato,  cioè    per    ttadi- 
meoto,  levar  di  vita  il   secondo.    A^ssìcuratasi    in 
questo  modo  la    corona  imperiale,    certo   è    che 
Diocleziano  difese  poi    sempre   I*  imperio   da*  ne- 
mici esteri,  e  represse  i  vassalli  ribelli   col   hrao 
cio  altrui ,  né  più  espose  la  sua  persona  ai   peri- 
coli delle  battaglie.  Passò  egli  bene  spesso  d*uaa  in 
altra  provincia,  secondo  che  giudicava  esser  bisogno; 
ma  lasciò  menar  la  spada  a*  suoi  6di,  e  comandò 
gli  eserciti  dal  gabinetto.  A  considerare  il  carattere 
e  le  azioni  di  questo  imperadore,  non  i  faci!  co- 
sa il  giudicare  gè  la  nuòva  divisione  eh*  egli  fece 
'delle  Provincie  Romane,  dalla  quale  procedettero 
le  rìvoluziooi  delP  imperio,  e  la  declinazione  é  la 
caduta  d' Italia  ,  debba  attribuirsi  alla  timidità  sua 
natia,  alla  necessità  dello  stato*  o  ad  un   taro  e 
singolare  efretto  di  amicizia.  11  più   verisimile,  à 
parer  mio,  si  è  che  queste  tre  cagioni  sìensi  uni- 
te insieme,  e  lo  abbiano  unitamente  inclinato  al 
partito  memorabile  ed  inaudito  che  prese ,    d*  as- 
sociarsi un   compagno   nella   dignità   sovrana  •  •  H 
bisogno  di   custodire    j    con6ni    dell'imperio  da' 
Persi ,  da'  Germani ,  e  da*  Sciti ,  che  non    oessa- 
.vano  mai  di  assalirlo  j  le  tante  ribellioni    de'  ca- 
pitani, che  si  eran  vedute  ne*  tempi  addietro,  fe- 
cero conoscere  a  Diocleziano ,  che  ormai  era  una 
presunzione  folle  il'  credere   che   un  imperadore 
potesse  viver  sicuro,  non  potendo  uè  regnar  senza 


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Libro  IH.  Capo  V;  197 

eserciti,  oh  comandarli  tutti  in  persona <  Dall'al- 
tra parte ,  posto  ciò  che  s*  è.  detto  del  suo  natu- 
rai pauroso ,  voleva  evitar  a  tutto  potere  le  im- 
prese, pericolose;  e  l'esempio  di  Valerìano  augu- 
sto, fatto  prigione  da*  Persi,  e  ridotto  da  loro  ad 
una  servitù  vilissima  e  tormentosa,  gì!  dava  spa- 
vento. Pensò  egli  dunque,  che  miglior  consiglio 
fosse  cercarsi  un  collega,  con  cui  potesse  divider 
sicuramente  1*  onore  dell*  imperio ,  ed  a  cui  ad- 
dossare il  carico  di  sostenerlo*  In  tal  pensiero,  la 
stretta  amicizia  eh*  egli  areva  con  .Massimiano , 
e  la  pratica  della  sua  br4vura  non  lo  lasciaro- 
no esitar  nella  scelta.  Lo  creò  dunque  cesare 
(  AH.  286.  ) ,  e  poco  stante  Io  dichiarò  augusto 
e  suo  compagno  nell'  imperio .  Ngn  era  questa  già 
cosa  nuova,  ohe  un  imperadore  si  assumesse  un 
collega:  Nerva,  e  Marc' Aurelio  lo  avevano  fatt9 
molto  prima.  Ma  fu  cosa  ben^  nuova  il  divider 
re,  come  fece  Diocleziano,  le  proviooie.  dell'im- 
perio,'assegnando  l'It^ia,  l'Atrioa,  le  Spagne,  le 
Gallio,  e  tutta  la  parte  occidentale  dall'imperio, 
a  Massimiano  Ercuh'o;  e  ritenendo  per  sé'  l'Orien- 
te, cioè  l'Egitto,  tutta  l'Asia  Bomana,  e  riUirioo 
che  comprendeva  le  Pannonie,  la, Macedonia,  ta 
Grecia,  e  la  Tracia,  Trovossi  allora  per  la  prima 
volta  l'Italia  separata  dal  corpo  intero  ,  dì,  quel 
vasto  imperio,  e  per  conseguenza  oonunoiJ?  a.  ri- 
maner priva  delle  ricchezze; che  soleanp  venirle 
dall'  Egitto  e  dall'  Asia .  Diocleziano,  intento  ad  in- 
grandire eoa  nuovi  edilìzi  Nicomedia  ed  Antiochia, 


=dDvGooglc 


198  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

non  si  prendeva  pensiero  ne  d'Italia,  uè  di  Ro- 
nia;  e  Massimiano,  Decapato  a  gueiT^;giar  con- 
tro i  Germani,  fatta  area  Treviri  quasi  sede  del 
suo  dominio.  Del  resto,  l'Italia,  tuttoché  lontana 
dall' occhio  de*  principi,  non  aveva  cambiato  fór- 
ma di  governo  da  quello  ch'era  stato  introdotto 
da  Adriano,  salvocbè,'  all'esempio  d'Aureliano, 
vi  restò  un  giudice  generale  con  titolo  di  corret- 
tore , 

Stettero  le  pow  d'Italia  e  dell'imperio  in 
questo  sfato,  fino  a  tanto  che  Diocleziano  potè 
manleuer  la  pace  ed  Parti ,  Degli  affari  delle 
Gallie  dove  insorgevano  euove  guerre  ogni  ài  , 
'non  si  dava  pensiero,  sicuro  delP attività  àeì  fe- 
-del  Massimiano ,  Ma  turbatesi  le  cose  d'  Oriente, 
'Piocleziauo  ohe  s*  era  fermo  nell'  animo  eli  r^na- 
<^rie  alla  Persiana ,  lontanQ  dalle  battaglie ,  in  me^ 
"zo  alte  adorazioni  de*  cortigiaqi  e  de*  popoli  ;  ed 
-occuparsi  a  beli'  agio  in  f^'e-  e  rifar  terme ,  par* 
lazzf  ^  teatri,  deliberò  di  rifornirsi  dì  novelli  cam- 
pioni per  resistere  a'  nemipi  dj  fuori  e  tener  sem- 
pre ìu  fr^QO  gì* interni,  Egli  venne  ìn  Italia,  'e 
'fattovi  v^nir  da  Treviri  Massimiano,  si  concertb 
ftà  loro  in  ^Milano  di  crear  cesari  due  de*  più 
riputati  capitani,  giacché  l' uno  oon  aveva  fig^uo- 
li,  e  l'altro  ne  £^vea  un  soto  cattivo  e  da  po- 
%o .  Si  costrip^eto  ì  nuovi  cesari ,  ohe  furono  Oh 
jrt^zq  Cloro  e  Galerio,  a  ripudiare  le  loro  mo- 
gli, e  menarsi  uno  la  figliuola  di  Diocleziano, 
V  altro  dì  MKBsimieBo ,  pwchè  iòsecto  con  doppiq 


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Libro  HL  Capo  V.  agg 

-■rìiieolo  di  gratitudiae  e  di  parentela  obbligati  ai 
due  auguiti  ;  Si  divise  con  questo  l' imperio  in 
quattro  parti  (  an.  293.  ) .  Diocleziano  ebbe  per 
sé  la  Siria ,  e  l' Egitto  ;  Galeno ,  tutto  l' Ulirìco  ; 
Costanzo,  le  Gallio,  le  Spagne,  la  gran  Breta- 
gna ;  e  Massimiano  ritenne  V  Italia  cun  le  Ìsole 
adiacenti ,  e  1*  Africa .  Da  questo  punto  cominciò 
Tìe  maggionoente  a  declinare  lo  stato  d*llalia, 
la  quale ,  dopo  aver  per  molti  secoli  inghiottito 
le  ricchezze  di  tante  provinrae ,  e  goduto  intema- 
ménte  nna  pace  lunga  e  appena  talvolta  interrot- 
'ta  da  qualche  breve  moto  d'armi  civili,  fu  per 
-più  secoli  avvenire  spogliata  e  smunta  dagli  stea-  ' 
'si  cesari,  e  da  lunghe  e  varie  guerre  travagliata 
'é  deserta-.  In  vece  d*  una  aorte  essendone  ora 
quattiro ,  e  volendo  ciascuno  de'  cesari  agguagli»' 
Te  gli  altri  nel  iàtto ,  uopo  era  che  ogni  quarta 
parte  del  dominio  Rconano  somministrasse  al  man- 
'tenimento  loto  quanto  soleva  per  1*  addietro  con- 
'tribuir  tutto  insieme .  AI  che  si  à  da  aggtugnere 
che  pur  allora  era  cresciuta  il  fasto  de'  cesari  per 
i'  esempio  massimamente  di  Diocleziano ,  il  qu^de 
superò  tutti  i  principi  precedenti  nella  vanità  de- 
gli abiti,  del  corti^gio,  e  àel  trono.  Massimiano 
che  b'  era  piuttosto  aweiao  a  seguitar  le  vanità 
e  le  sciocchezze  di  Diocleiiano ,  che  le  virtù  dì 
lui  (t),: cominciò  «imporre  nuovi  tributi  agl'Ita- 
liani, i  quali  non  aveano  fin  allora  avuto  altro 

[i]  Atir.  Ticioc  d«  OaMfrib.  e.  Sp,  p.  411, 


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'200  Delle  Rivoluzioni  ù*Italia 

carico,  clie  il  sostentammto  Atile  guardie.'  Qqc' 
ste-  gravezze  diventarono  tanto  più  iatoHerabilt 
■agritàliani,  perocché,  ohre  all' esser  privati  nel 
tempo  stesso  delle  solite  contribuzioni  che  vi  ve- 
nivano di  fuori,  erano  pit>babilniente  dalla  nuova 
moltitudine  di  milìzie  molestati ,  e  &  disturbata 
più  che  mai  la  coltivazione  delle  '  campagne .  E 
siccome  l'Italia,  perdute  le  sue  prerogative,  in- 
corse nel  destino  comune  delle  altre  provincie  ; 
così  Roma  nel  tempo  stesso  parve  che  cessasse 
d'essere  la  capitale  non  che  dell'  imperio,  ma 
■anche  dell'Italia  stessa,  perchè  Massimiano  tenne 
la  sua  sede  in  Milano.  Non  ostante  questa  diri- 
sion  dell'imperio  e  la  pluralità  de' prìncipi,  le 
cose  in  generale  procedettero  alcun  tempo  felice- 
mente, finché  riusci  a  Diocleziano  di  mantenersi 
come  anima  e  capo  di  tutti .  Penàocchè  egli  col- 
la sua  accortezza,  e  coU'autoHtà  che  avea  sapu- 
to rìteiìere  sopra  i  tre  colleghi,  aveva  con  esem- 
pio inaudito  tenuto  fermo  ed  unito' un  vastissimo 
sfatò  governato  da  quattro  capi .  Ma  o  fosse  vo- 
ler di  Dio  castigar  l'empietà  e  l'Orgoglio  dì  Dio- 
cleziano persecutor  acerbissimo  della  religione  Cri- 
stiana, o  che,  secondo  il  corso  ordinario  ddlle 
cose  del  mondo ,  rarissimo  sia  od  impossibile  che 
r  umana  prudenza  ,  siasi  pur  provata  e  grande 
quantunque  si  voglia ,  non  venga  meno  ;  1'  astu- 
zia e  la  fermezza  di  Diocleziano  non  potè  evita- 
re la  sorte  tròppo  comune  nel  mondo  e  nelle  cor- 
ti ,  di  vederlo  spiantato  da  una  delle  sue  creature . 


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Libro  UT.  Capì)  V.  201 

Galerio  cetàn  mandato  contro  i  Persiani ,  se 
-  ne  tornò  dalla  prims  spedizione  vinto'  e  disfatto 
•  con  grande  perdita.  Venntò  a  sousarn  con  Dio- 
cleziano, fìi  da  costai  accolto  con  gk-andiissimo 
disprezzo;  perchè  T  o^glibso  impefìidore  se  k> 
lasciò  correre  a  piedi  uolla  porpora  ìndosto  un 
tratto  di  parecchie  migUa  diètro  al  carro.  Era 
Galerio  feroce ,  intollerante ,  e  di  smisurata  am- 
bizione i  ned  è  però  da  diilutare  eh*  egU  msditat- 
se  6n  da  quel  punto  di  liberarsi  da  quella  umi- 
Jiante  soggezione,  e  che  ì  suoi  amici  e  cortigia- 
oi ,  per  lusmgarlo  e  mitigare  h  sua  amarezza , 
non  ve  lo  stimojassero  in  m(Jti.modi.  Ma  prìna 
di  tei^tar  novità,  convepiva  cancellar  la  macchia 
ricevuta  con  qualche  opeA  gloriosa  ■  Dissimulò 
dunque  Galerio  il  suo  sdegno ,  e  datosi  tqsto.  a 
rifar  1'  eeeroito,  marciò  da  capo  oontro  i  Persia- 
ni, e  tornò  vittorioso  da  quell'impresa.  Xio  rice- 
vette allor  Diocleziano  con  grandi  dimos^ttziwi 
dì  affezione  e  d'onore;  ma  i  &vori  anche  grao- 
dissinù  difficilmente  fanno. dimenticar  I9  ingiurie, 
quando  una  volta  s'ostinò  l'animo  alla  vendet- 
ta .  Gonfio  per  le  sue  .vittorie  Galerio  cesare  *  e 
piti  dalle  adulazioni  de*  suoi  cortigiani ,  coipinraÒ 
a  trattar  Diocleziano  da  vecchiardo  impoftente  ed 
astuto ,  che  voleva  solo  godere  il  frutto  de'  peri- 
coli altrui ,  'aeoz*  arrischiarvi  la  «i)a  persona .  Con 
tali  stimoli  e  lusinghe  Galerio  andava  formando 
nuovi  disegni,    ch'erano   per   Io   meno   d'essere 


ovGooglc 


■joa  Delm  RiToLuzioM  »*  Italia 

solo  ìlpacb-one  di  bitto  T  imperio  (i).  TojtbegH 
da  priaa.  con  si^eHmentì  aimehevoli  in  appa- 
miza  di  muoTcre^  DiodeaaDO  a  rìnundargli  la 
corona .  Dalle  penuasìoiiì  passe  alle  mioaoae  ;  e 
pereiiè  e^i  area  sotto  il  suo  comando  un*  arma- 
la nM^to  maggtoTs  che  non  avessero  i  due  vecchi 
>imp«rad(»i,  o  i  capitani  a  loro  fedeli,  d*uopo  fa 
-ehe  I^ooleztano  cedesse  al  più  forte.  Frogettossi 
-«Hora  par  la  prima  vtJta  di  crear  (}uattro  io^w- 
-radorì  assohiti .  P^reioccbè  Diocleziano ,  se^Ando 
-Galeno  stanco  ed  infastidito  del  titolo  di  cesare^ 
•fl  detta  o  poca  o  molta  d^endenza  che  questo 
ililolo  importava,  propose  ohe  si  creassero  quat- 
tro imperadori ,  cioè  a  dire  che  si  dichiarassMV 
'augusti  i  due  cesari  Galen'o  e  Costanzo.  Ma  Gfr- 
4erio ,  risoluto  di  non  volere  uè  superiori  né  ooI«- 
l«ghi  i  due  vecchi ,  rigetth  il  partito ,  e  Dioder 
-aiano  fìi  forzato  a  deporre  la  porpora ,  Notidimer 
«o  per  coprire  in  qualche  modo  1*  enorme  ingra* 
"tìtudine  dell*  uno ,  e  la  debolezza  dell'  altro ,  fu 
preso  accordo  dì  fingere  «he  I^ocleziano  volesse 
di  proprio  movimento  lasciar  le  cure  del  trono  a 
«agione  dell'  età  avanzata ,  e  di  tue  infermità . 
fa  questo  tenore  si  pariò  in  pubblico  neU'  attp 
dell'abdicazione;  cosi  si  scrisse  negli  editti  e  nelr 
le  pubbliche  lettere  d'  avviso  ,  che  si  ihandarono 
llttorno .   Dal  ^  nacque   V  opinione'  del    yolgo , 

l"]  liaotatil.  ubi  sui»-».  ■       ' 


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HOBO  JH  Capò  Y,  .m3 

'possafa  per  via  della  storia  aocbe  a*  posteri,  c^e 
Diooleliaao  spoiitaaeanietite  laecib  l'imperio,  per 
JudarseiH!  a  coltivar  i  suoi  orti  in  Salona .  Muii- 
miano  Eroulio  che  regaara  ìd  Italia,  uomo  più 
fHoce  e  meno  disBÌmnlaate ,  diede  facilmente  a 
conoscere  cl^e  non  deponeva  dì  buon  •  gr:^  H 
ooroDa  :  ma  la  fama  si  sparse,  che  vi  era  neon- 
-sitato  da  Piookteiaoo ,  il  quale,  come  padre  e  be- 
neiàttore  comune  di  tutti ,  si  premmeva  tuttavia 
arbitro  de' lor  voleri .  Nel  tempo  stesso  obe  riaun- 
«iavano  Diocleziano  e  Màssfmiaao,  e  dichiaravao- 
'«i'  ati^iosti  Galerio  ^  Costumo  Cloro,  doveansi 
«reare  due  novelli  pesar],  per  seguitar  l'usato  stile. 
Crearonsi  questi  ad  arbitrio  di  Galeno  (an,  3o&.). 
£)iocIeziano ,  costretto  a-  cedergli  nelle  prime 
dommde,  dovette  acconsentire  poi  a  tutto  &b 
the  piacque  all'  ingrato  genere  >  l^on  s' ebbe  duiù- 
que  riguardo  ni  a  Costantino  ,  né  ad'  alcuno 
eie'  parenti  o  deg$  amici  e  servitoti  de*  vecchi 
principi,  Furono  tratti  fuori  con  grbnde  itupor 
deHa  gente  due  scadati  di  fertona ,  bevitcni  e-  bru- 
cali j  Severo  «  Massimino,  l'autorità  e  il  braccio 
de'  quali  conSdavasi  Galerio  d' impiegar  senza.so- 
spetto  ad  ogni  suo  volere.  Massimioo  fu  lasciato 
alla  cura  dell'Oriente-;  a  Severo  fii  dato  il  go- 
Temb^  deir  Itdia  e  dell'  Africa ,  con  le  ìsole  dd 
Mediterraneo ,  Se  ^tto  a  im  cesare  sì  stolido  ed 
inumano  ebbe  V  Italia  per  tre  anni  a  sostener  ca- 
richi ed  ingiustizie  più  gravi  che  non  s*  erano 
provati  sotto  Massimiana  *  possiamo  fone  dire  cho 


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ifto4  Dell^  RiTOLczTom  d'Italia 

Iti  modérazioDe  ed  il  buon  aaimo  di  Costadm  na 
fnron  cagione  (t).  Conteato  egli  oramai  di  pof« 
goverDare  a  suo  senno  le  Gallie  e  le  altre  provn>< 
eie  dell*  Occidente  ì  che  con  autontà  subordinata; 
«  con  titolo  di  cesare  avea  governate  negli  andì 
addietEo  ,  naunzib  al  dominio  d*  Italia  e  dell*  Afri- 
ca t  lasciando  che  .Severo  le  nggéiae  a  sua  vogfia , 
e  se  la  intendesse  con  Galeno ,  dal  odi  favore  ri- 
DODOsceva  la  sua  dignità. 

Cose  maravigfiose  rìferisòe  la  storia  del  i^egno 
^Costanzo,  e.  della  felicità  che  godettero  a  sua 
tempo  le  proVincie  a  lui  obbedienti .  La  fama  cha 
«e  ne  sparae  di  qua  dell'Alpi,  e  la  tirannide  di 
Severo  cesare,  mossero  molti  degli  Italiani  a  ri* 
fuggiarsi  nelle  Qallie .  Però  l' Italia  a  cu!  veniva 
già  da  qualche  tempo  tnanoando  Ìl  concorso  ed 
il  sussidio  delle  Provincie  straniere,  cominciò  ora 
a  decadwe  in  peggiòr.  guisa ,  perchè  gli  antichi 
aiutatori  l'abbandonavano,  e  ne  trasportavano  il 
più  che  potevano  de*  beni  loro . 

I  Romani  oppressi. dalle  instJite  gravezze  ohe 
imponeva  Severo,  e  i  soldati  o  Italiani  di  nazio- 
ne, o  stati  lungamente  in  ItaUa  comedi  presidio. 


[t]  Secondo  l'ordine  introdotto  da  DìacleiìsDO  di  dì^ 
vidcre  l'imperio  in  dae  parti  principali»  Occideote  ed 
Oriente,  l'Italia  apparteneva  all' imperio  occidentale,  a  do- 
vea  dipendete  da  CostanKo;  e  Severo  ereato  cesare,  o  vo- 
gHam  dire  dichiarato  figliuolo  e  anccMSore  dell' imperaJot 
d'Occidente,  dovea  nel  governo  della  provìncia  aiKgiHU* 
gli  obbedire  a  Cottanzo ,  siccome  MauimÌDO  cesare  nel- 
r  Oriente  dipendeva  da  Galerìo  angnito  ■ 


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Libro  IlL  Capo  V.  io5 

mal  fioddisfatt!  di  lui,  perchè  dairozio  e  dalle 
delizie  di  Roma,  a  cui  ai  ^anoavveizi,  gli  stra- 
scbava  nell'  Africa  ;  iovitarono  alla  porpora  Mag- 
seodo,  figliuolo  di  Massimiano,  che  scioperato  sfo- 
gava ignobilmente  isuoi  vizi  ìa  una  villa  loDta- 
sa  da  Roma  sei  miglia.  Quasiché  <]uesto  nuovo 
mostro  non  bastasse  ad  aoeresceire  la  miseria  d' Ita- 
lia, vi  s'aggiunse  il  vecchio  MasBimiano ,  il  qua* 
}e  essendo  a  gran  dispetto  di.sceso  dal  trono ,  non 
aspettava  fdtro  dal  suo  ritiro  di  Lucania ,  che  oc- 
oasifAie  favorevole  per  risalirvi .  Invitatovi  adun- 
que dal  novello  aiigusto  suo  figliuolo ,  volò  a  Ro- 
ana subitamente .  Si  vide  allora  1*  imperio  Romano 
occupata  da  sei  imperadori  (  AV.  3i3.  ),'  non  già 
usurpatori  manifesti ,  quali  erano  ì  tiranni  a*  tem- 
pi di  Gallieno,  ma  tutti^  sei-  avendo  o  certo,  o 
probaisile  diritto  alla  dignità  che  occupavano  (i)e 
insegne  pruova  di  «spanto  vaglia  un  solo  esempio  a 
produrre  rivoluzioDÌ  grandissime  ne*  govertat.  Appe^ 
sa  efanoscorsi  vent'anai,  da  che  Diocleziano  avea 
dato  il  f^imo  esempio  di  divisione  nell'  assumersi 

(i]  Galerio  k  isnera  per  rìanntia  dìDiaclcuMt».  Se- 
vero e  Massìmino,  eiiendo  stati  in  quella  medesima  abdi- 
casioD  di  Diocleziano  creati  cesari  ,  presero  poi,  l'uno  per 
drdltM  dì  Galerio  ,  l'altro  ipottUneameate  a  titolo  di  sua 
Waianit^  I  il  nome  d' augusto  •  Costaniiop  fu  da)  padr« 
morendo,  e  da' soldati  di  lui  dicbiarato  e  ricoaosciuto  per 
tutto  l'Occidente  Transalpino.  Massenzio  fu  eletto  in  Ro- 
Wk  da' pretoriani ,  riguardati  quasiché  Ugitlimi.. elettori  del 
-principe;  e  Massioaiaup ,  «Itrc  agli  antichi,  ditìlti  a'  quali 
KUfi^  ripiiiisiato  |wr  fona,  v'  ola  assunto  come  collega  del 
fuo  figliuolo . 


ovGooglc 


ibé  Delle  BivoLuzionì  d*  ItauA 

per  éompagno  Mdssiibiaoo  ;  ed  ora  d^cuoò  de*  prhi->-' 
dpi  si  stimava  in  ragione  ^,  drearai  coUegbi  A- 
sua  'atielta ,  ed  ogai  capitano  Vii  qualclie  riputa^' 
zioDe  òredeva  di  meritar  dal  Sud  signore  Ja  por-' 
pera  imperiale  t  Ma  iquello  che  dee  parere  aium^ 
ra  pia  strano ,  ta  è  che  di  gaestì  sei  imperadorì< 
non  ve  n  era  pur  uno  ch^  fosse  né  Ramano,  nh 
Italiano;  è  sì  poco  si  facea  contò  ó  d'Italia  o  di 
bomà^  cbé  Galeno,  il  ina^'ore  ed  il  prindipal^ 
di  tutti  gli  augusti  già  detti  «  aveà  fatto  fjensis* 
i-o,  sbrigato  che  si  fosK  de*  concònvnti  ^  di  fras- 
})ortare  la  sedti  dell^  irtipèrio  nella  I)a<»'a  dond'  ^U> 
era  natird  «  e  df  chiamarlo  ioipèrio  Dacto  ih  vece- 
di  Booiano'  (i)  ;  Né  in  trent*  àniii  di  {>rìno)pato 
Entrò  inai  in  Roma  ^  ed  una  sola  volta  si  avvici- 
nò per  assediai^a ,  6  fotse  per  distrùggèrià  i  Dei' 
testd,.^  facile  ririìmaginarie  quali  movimetìti  ca- 
giariassé  all'  imfierio  questa  meltiplidtà  di  sovra- 
ni. Ma  r  Italia  fu  teatro  priitcìpale  delle  guerre 
che  né  seguirotìo,  è  sentì  più'  particolarmente  le 
cakiBità  che  la  tirannide  e  la  discordia  prodi»-" 
8e  ;  Severo  ^  iritesa  l' esaltazione  di  Massenzio ,  si  " 
Aiossé  ad  assediarlo  itì  Roma .  I  soldati  eh*  «gli 
condusse  dall' Africa,  predarono  lutto  11  pàésé  dó- 
ve passarono  -  Questi  stessi  soldati ,  allettati  dalle 
«peram»'  che  Massenzio  lor  diede   di  tenerli  nelle 

(0  Galeriuij  ut  aotnen imperaioris  accepentt ,  hotimf 
se  Romani  uominis  erat  pro^isus  j  cu/us  titulum  immutai; 
ri  volebat ,  ut  non  Bomanunt  itnperium ,  led  Daciaan  co- 
gnonunaretur ,  Ltct.  e  97. 


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LiSBo  in.  Capo  V.  ao^ 

delixìe  di  Bosna*  abbaDdoDarono  Severo  i  il  <]uaIo. 
loaÌDgato  e  tradito  d«  Mas^aiiano  ,  mori  poco 
dopo  ia  Bavenaa*  Galeno  creò  augusto  in  luogo 
di  lui  Caio  LìcioiOt  6  Venne  incontanente  egli 
stesso.  daU*IItirico.  per  effettuare  1*  impresa  mal 
prìndinata  àal  suo  collega  ;  e  fa  quella  la  prima 
volta  e  U  sola  che  ai  avvicina  alla  capitale  del- 
l' ìmpierio  t  ìàa  vedendosi  CorTer  riachio  d*  essere  ; 
ancor  esso  «  abbandonato  da*  suoi  come  Severo,, 
costretto  a  ritirare,  lasciò  dare  a  qpel  che  gli  ri' 
maoeva  delle  sue  truppe,  orrendo  guasto  a^  un 
lungo  tratto  di  paese  Italiano  .  Cosi  «  tiranneggia- 
ta.Boma  da  Massenzio)  l'Italia  p^edat%  prima 
d^la  paHe  del  Medìterra^  da  Severo ,  e  poi  ver- 
,  so  V  Adriatico  dA  Galerio ,  «m  nd  tetnpo  stessa  : 
smuQtd  dall*  esazioni  dì  lyUu^iaaìano  «  spezialmeor 
te  neir  Insubria  t  dov*  egli  «ve^  tenuto  la  sede  pan-: 
cìpale  del  suo  domtiùo  avanti  l' abdicàiìone-,-  O: 
dove  egli  era  più  facilmente  obbedito  e  temuto. 
Il  vero  è  che  poco  dopo  ti  mori  Galraio  bdi'  ì]r. 
lirico;  e  Ucinia  «fatto  da.  Itlì  augusto  ^  Ìas<;iato, 
come  successore,^  distratto  e  molestato  dalla  parte. 
d'Oriente  da  Massimì^o  suo  emtJo,  bulla  potè, 
intraprendere  riguacdo  all'  Italia;  e  Massimiano 
Erculio  sì  parti ,  per  andar  -qua  e  là  .  cercando 
stromenti  alla  sua  ambizione  ^  Ma  l'Italia  rimasta, 
sotto  il  domìnio  del  solo  Massenzio ,  non  ebbe 
per  questo  miglior  destino.  Com*  egli  non  avea  né 
talento  per  governare,  né  l'amore  nel' obbediti-. 
BL  de'  popoli  f  pose  tutta  la  fiducia  .neU'afiezioMr 


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3jo8  Delle  Rivoldzioni  d'Italia 

e  nel  Dumero  d«'  soldati ,  per  sottmere  i  quali 
impoverì  coir  esazioni  i  tuoi  sudditi ,  ed  atfatòò 
le  città  e  le  proTÌncie ,  per  assicurare  a*  medemni 
r  abbondanza  de' TÌverì .  Oltn  alle  gravezi».  iu- 
sopportabili  che  pose  a  Boma  ed  in  Italia ,  la  li- 
cenza sfrenata  che  lasciava  alla  soldatesca  per  rì- 
tenersela  benevola ,  l' esempio  die  ognuno  -pren- 
deva degli  andamenti  del  [wiiieàpe,  mottiplieava- 
mf  i  tiranni,  quanti  eran  gli  uffizialì  o  pMsiaiB 
dire  i  soldati  . 

In  questo  tempo  regnava  Costantino  con  som- 
ma rìputazioDe  e  gloria  nelle  Oallie ,  e  io  tutte  le 
(ftovincia  che  aveano  obbedito  a  Costanzo  suo  pa- 
dre, morto  pooo  innanzi  ^he  Massenzio  preodess» 
la  porpora  in  Roma .  Costanfa'no  o  {nù  ambizioso 
del  padre,  o  più  {«etoso  afle  calamità  d'Italia, 
rassettate  le  cose  (teli* imperio  co'  Franchi,  evita-* 
te  ed  alla  fine  vendicate'  le  malvage  trame  del 
suocero  Massimiano ,  dùcese  in  It^ia  per-  liberar-  - 
la  dalla  tirannide  di  Massenzio;  e  presa  Susa  , 
chiave  dell'  Italia  ,  poi  Torino  e  Vercelli ,  si  avan- 
aiì  piuttosto  trionfando ,  che  combattendo ,  verso 
Roma  :  spedizione  celebre  io  tutte  le  storie  per 
gli  aiuti  miraixilosi  eh*  ebbe  da  Dio  la  pietà  di 
Costantino,  e  per  essere  stata  l'epoca  insigne  del- 
l' esaltazione  del  Cristianesimo .  Massenzio ,  perse- 
cutor  de'  Cristiani ,  vinto  più  volte  dalla  virtù  de' 
nemici  fatti  anche  più  forti  dal  favor  del  cielo, 
ebbe  fine  degno  del  viver  suo.  Allora  cominciò  a 
rasfurare   Tafiitta   Italia  ,   perchè   le    vìttqrìe  di 


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Libro  flJ.  Capo  V.  -  seg 

OottaaEìao,  non  che  *bco  arrecEusero'i  soliti  frutti 
dclU  guerre  civili ,  menarono  anzi  perfetta  calma  ; 
e  con  ce»ar  dell'armi  ogni  cura  fu  volta  alla  cle- 
menza t  ed  all'  (ndìaamento  di  utili  leggi  è  del 
buon  governo .  La  guerra  che  poco  dopo  s*  acce- 
se tra  Licinio  e  Meusimìno ,  non  alienò  Costanti- 
no àaì  pacifico  governo  degli  stati  suoi;  e  le  dis- 
sensioni che  poi  nacquero  tra  Costantino  stesso  e 
Licinio ,  rimasti  soli  imperadorì  di  tutte  le  pro- 
vinme  Romane,  dissensioni  che  poi  liuscirooo  in 
guerra  aperta  e  in  rovina  total  di  Licinio,  non 
disturbarono  lo  stato  d*  Italia.  Tanto  maggiore  fò- 
Iteità  si  aveva  da  aspettare  ia  questa  provincia, 
j^loRhi ,  debellati  in  vari  modi  cinque  o  sei  coo- 
ooiTmti ,  Costantino  fu  rioonosotuto  da  tutto  il 
mondo  unioo  imperadore;  se  la  superstizion  gen- 
tilesca che  regnava  tuttfvvia  in  gRjtn  |>arte  della 
nobiltà  e  del  .pi^b Romano,  o  qual  altro  sìfosi- 
se  il  motivo,  non  avene  rivolti  altrove  i  disegni 
di  quel  oionarca. 


Tom.  2, 


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vto  Delik  RivoLuzioKi  e*  Ita  UÀ 

e    A    P    o       VI. 

DtUe  mutazioni  che  cagionò  aJT  ItaUa 
l' Imperador  Costantino . 

juoàmo  scrìttor  pagano,  e  GiuHatio  apostata ,  a 
dopo  loro  Montesquieu  «  Voltaire  (i),  intenti  a 
copiar  degli  anticbi  tutto  db  che  pub  screditare 
la  religion  Cristiana,  anno  fatto  TestmiaD^  ìor 
potere  per  dipingere  con  neri  colori  V  imperador 
Costantino ,  che  dalla  miglior  parta  de^  altri  sto- 
rioi  Tien .  ceIebra;(o  con  tante  lodi ,  -e  por  comenso 
di  tanti  secoli  cognominato  il  grtuide.  In  due  co- 
se  principalmente  portò  biasimo  questo  tmpwado- 
re  :  runa  ,  d'aver  abbandonato  Roma*  antica  la- 
de  di  sì  gloriosa  repubblica;  l'atra,  d*aveT  inde- 
bolito i*  imperio  colla  division  che  ne  fece .  Stra- 
aa  cosa  parrebbe  e  poco  credibile  a  vtAgc  dire-  .che 
questi  fatti  con  sieno  stati  di  pregiudizio  all^  co- 
se d*  Italia .  Ma  dove  si  riguardi  e  k.  condizion 
di  que*  tempi ,  e  le  vere  o  ahneno  le  probabili 
cause  onde  procedettero  questi  avvenimenti  nella 
storia  famosi ,  troveremo  forse ,  ohe  né  Costantino 
V*  ebbe  colpa,  né  Tltalia  ne  pati  quel  grave  dan- 
no che  comunemente  si  stima  :  o  diremo  veramen- 
te, che  Roma  potea  aver  ragione   di   dolersi   che 

[■]  Zo(.  HÌ5t.  1. —  Jul.  de  Csesar.  —  Monteiq.  Consid. 
lur  la  granileur  «t  decad.  det  Rom.  e.  17  ,  16.  — Voltaire 
OEuvr.  t.  5. 


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liBRO  ni.  Capo  VI.  xit 

Costantino  non  le  facesse  tutto  quel  maggior  be- 
ne che  potea  sperare  dal  suo  valore,  non  già 
d*  inglu^ieia ,  o  torto  manifesto  cfa'  ella  liceresso 
da  lui. 

Da  t>en  cinqnant*  anni  e  più  s' erano  avvezzi 
gì'  imperadorì  a  non  guardar  Roma  come  sede  ne- 
dessarìa  del  lor  dontinio-  (i),  L*  opinione  che  i  i 
primi  cesari  tennero  sì  ostinatamente,  ohb,  fer- 
mandosi in  'Soma ,  -H  ritenesse  in  stcìiro  la  digni' 
tà  im^ei<ìale,  qualunque  si  fosse  lo  soompigUo  del-* 
le  ptovinme,  »'era  talmente  abbandonata,  oIib  di 
dieci-ó  quindici  degli  ultimi  -imperadorì'  o  tiran- 
ftf  che  regnarono  -  avanti  Costantino,  ecsettuàto 
Massenzio,  ttìunof^ce  uè  lungo,  né  oidÌDarìo  sog* 
giorno  in  Roma .  'Stranieri  e  barbari  dì  '  naiàone  « 
non  guardavabo  né  Roma  nfe  Ibdia  con  oochio  par- 
Halé  e'colla  tetisréKza  degH'antichi; '>e  se  pure  i 
bfeògnt'  dello  stato  cercavano  la~  presenza  de^i'au-^ 
gusti  iti  ItÉlIia,  fu  facile  che  agli  occhi  non  pre^ 
Venuti  dall'^àmoF  della  patria  '  la  Lombandia  sem- 
brasse -irtigliot  paese  ,'<4e  la  Romagna .  Pia:  «Itra 
^àrtè ,  non  cb«  fosse  cosa  in  Roma,  che  smollo 
potesse  allettare  i  prìncipi  a  risedervi,  anaiàLfa- 
'Sbx  iàtòlleranté  della  oolnltà ,  Ift  lìcusa  dèlta  ^bp- 
tiéi,  là  eattmtà  degli  uni  e  dógH  altri;  erano ^tì- 
moIì^ftMiteittii  ad  abbsnddoftvla .  Le  pemfae  di 
nà^ità  è  Qualità  ragguardevole  (  quisUe  almeno  i; 

fi)  Abbiaiiio  da  Erodian»  t.  4  e.  3,  che  Gela  volea 
iialiilire  io  ■AIeM»[idrìa'd"Egilt(i  UaWo  reggilo/  kiJciando  ■ 
Caracalla  U  domicilio  di  Roma. 


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212  Delle  Rivoluzioni  d'  Italia 

eh'  erano  avvezzate  alle  crudeltò  ed  al  sospettoso 
aoimo  dì  taoti  tiranni  )  hod  poteaoo  far  a  nteoa. 
di  sprezzare  cotesti  imperadorì  tratti  dalla  vanga. 
e  dall'ovile,  e  venuti  dalla  Dalmazia,  dalla, Da- 
aia,  e  dalle  ultime  Brelagoe .  Amtniano  Maroel- 
lioo  che  vivea  in  Roma  ne*  primi  anni  dì  Teodo- 
sio, ci  rende  autwevole^  testimonianza  ohe  «weh» 
al  suo  tempo,  cioè  un  intero  secolo  dopo  eh' èli' «-a 
stata  abbandonata  da'priooipi,  gli  orgoglìpsi  Ro« 
mani  disprezzavano  6eramente-  tutto  ciò  eh*  era 
nato  fuor  delle  mu»  (i).  Pensi  Ìl  lettore ,  qua- 
le dovette^  essere  la  superbia  e  presunzione,  loro , 
prima  che  la  lontananza  de*  prìncipi  *  e  T  esalta- 
mento d^  una  rivale  avessero  umiliata  e  depressa 
l'antica. Roma.  Il  popolo  e  la  plebe  avvezzi  a 
{tascersi  e  a  sollazzarsi  delle  grandeize  e  degli  spet- 
tacoli degrìroperadori  precedenti,  mal  sof^xirtava.- 
Bo  la  meschinità'  ed  il  risparmio  dì  questi  ultimi , 
i  quali ,  oltre  al  ritirar  la  mano  dal  donale ,  avea- 
no  già  jocominciato  a  imporre  cavezze  alla  cita- 
ta ,  esente  per  1-  addietro  da  ogni  tributo, .  Dio- 
cleaìano,  principe  rispettato  e  temuto,  pestatosi  a 
Rmna  neir  anno  trecentesimo  terzo,  dopo  felice- 
tnente  terminata  la  guerra  Persiana,,  fu  talmente- 
crfifeso  dalle  satire  e  da* OKttteggi  de'Romani ,  che 
dispettosamente  se  ne  partì  sulla  fin  di  dicembre , 
MDza  vder  puc  aspettare  le  caliende  di  gennaio, 
giorno  in  «uì  doveva    entrar  cpnsolo  la    nona 

(i)  Kile  esse  qtud^ui4  «wm  pomoerium  nascitur ,  «<■• 
'ftimtint ..  Marceli!  !•  1^4* 


ovCioo^lc. 


'      LiBfto  in.  CArt)  VL  2i3 

Wtà  (t).  Ma  k  cattività  de'Romaiii  si  mostrò  Ter- 
so Cdstaoti'no  tanto  più  acre  e  maligaa  4  quanto 
che  egli  pressando  il  primo  fra*  cesarìlaràìgioo 
Cristiana,  era  più  coatrarìo  alle  voglie  e  dèi  se- 
nato e  del  popolo,  itnmersi  ancora  in  gran  parta 
nella  superstìzion  gentilesca.  Venuto  ^ii  a  Roma 
nell'anno  ventesimo  del  suo  r^gao  (an.  326.")ì 
per  celebrarvi  secando  il  costume  le  feste  che  per 
^esto  chiamavansi  vicennali  «  fu  don  modi  atraor-' 
didari  villaneggiato  da'  Romani .  Non  maDcavana 
a  questo  t  quantunque  gran  priodpe ,  difetti  no^ 
tabili,  cbe  potevano  dar  nrateria^  di  motteggi  e  di 
satire  all'ardito  volgo.  £  in  chi  non  troverebbe. un 
-popoJD  di  natura  beffardo  e  maligno  da  motteggiBcet. 
Ma  hi  sua  professione  di  Gristì^o  «  e  l' aver  egli 
abolite  le  profane  cerimonie  che  sì.  fecevano  nella 
tolennità  videmialì,  irritava  più  che  mai  la  taià* 
vagita  della  plebe ,  e  lo  eeio  superstizioso  de*  se* 
ilatorì .  Indispettitosi  Costantino  per  questa  ingra- 
tituditte ,  fede  pensiero  d'  abbandonar  Róma  pec 
sempre .  S' aggiunse  a  questo  un  altro  stimolo  p«s 
awedtura  non  meno  potente  ;  Era  l' imperadoto 
avido  smisaratameste  di  gloria  {  affetto  ohe  saxé 
vblte  si  bi£isima  ne'  prìncipi ,  ancorché  spesso  de:< 
generi  in  viziosa  ambitione  .  Quest'  avidità  di  glo- 
ria, unita  al  genio  inclinato  a  fabi^ware,  deter* 
dtinb  Costantino  a  edificare  una  nuova  oittà  che 
potesse  di  grandezza'  gareggiare  con  Roma.  Hrito 

(tj  Cum  libercaiem  popult  Romani  ferre  non.  pòlo  rat , 
impatìens  et  aeger  animi  prorapit  ex  urie  .  Laot.  e.  ij.' 


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3i4  Delle,  fov<n.tTzican  jd'Italu 

oppoctnnisuinò  di  Bisanzio ,  un  atfetto  pattièor 
lare  a  quel  luogo  dov'egli  avea  superato  il  suo 
flmolo  Lieinio ,  non  ne  lasciò  dubbiosa  la  scelta  * 
Costantino  trasse  alla  nuova  città  Qon  favorì 
e  pnrìlegi  quanto  piìi  potè  maggior  numero  d'uo- 
mini.  Le  frandiigie  cbe  diede  a'. mercatanti «tIÌt 
Tolaero  la  niaggìor  patte  del  commozio  da  quel-* 
la  parte.  Statue,  colonne,  oeo  e  metalli  furono 
in  gr&n  copia  toUi  da  Roma,  e  portati  a  Costane 
tinopdi  ;  e  tutti  quanti  si  poteroi»  trovare  pec 
1*  imperio  artefici ,  tutti  colà  si  condussero..  Dir» 
che  qnnti  tali  ordini  non  scemassero  la  popdla- 
sàotie'.e  le.  ricchezze  d' Italia ,  parrebbe,  uno  «tra-r 
Do  àbsUDto.  od  im  paradosso.  Ma  per  qualche  mi- 
gliaio d*  uomini  che  per  seguitare  le  veglie  del 
prineipe ,  e  per  Ja  speranza  di  più  comodo  stato 
passb  in  Tracia ,  Costantino  non  potea  dìiertar« 
né  Italia  ne  -Roma  più  che  s'  avesse  :^atto  Diocle- 
nano  quando  volle  aggrandir  Antiochia  e  .  Nicp: 
media .  La  perdita  d*  una  parte  dì  tanti  :  marmi 
ond'  era.  Bop»  sì  piem ,  potea  in  quel  teppo  sti- 
marsi assai  Ie|;geE  cosa.  Maggior  danno  perBoma 
in  questo  cambiamento  della  sede  imperiale  fu  ptf 
aweatora.  la  diminuqone  del  denaro,  il  quale  s«r 
{luto  sempre  la  persona  del  principe .  Ma  e^i  « 
da'riflettwe  che  lungo  tempo  avanti  la  corte  im- 
periale era  divenuta  ambulante  {  il  che  doye%, es- 
sere di  maggior  pregiudizio  a"  Romani ,  che  non 
sia  r  edificar  nuova  sede  e  nuova  capital^ .  E 
'd^  altra  parte,    le  ricchezze   dè'.particolan  erano 


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Libro  HI.  Capo  VI 


anoor  A  copiose  in  Roma,  ed  il  fasto  alamegtli- 
ficenza  del  senato  e  de*  magistrati ,  e  le  spese  che 
il  fitco  0  la  camera  contiatiava  dì  farvi  «  erano 
tuttavia  li  grandi,  che  la  residenza  della  corte 
non  era  punto  neoessarìa  per  sostenerri  la  circo* 
lazion  del  denaro,  e  il  sostentamento  del  popolo 
minuto .  Vero  è  che  un  danno  per  «è  stesso  gran- 
itissima recb  a  Roma  la  passione  eh'  ebbe  Costan- 
tino di  far  grande  e  fiorita  e  abbcmdante  la  sua 
metropoli.  Si  è  da  noi  accennato  di  sopra,  ch« 
la  città  di  Roma  s'  alimentava  -  quasi  in  tutto  di 
grano  che  conduceraii  dalP  Africa  e  dall'  Egitto  fino 
da^  ultimi  tempi  della  repubblica  (i),  vale  a 
dire  dopo  che  si  fu  introdotto  fra*  Romani  V  uso 
de'  parchi  e  de' giardini .  Costantino  ordinò  cKe 
tà  fornisse  Róma  del  granò  dall'Africa,  e  desti* 
nb  alla  nuova  città  quél  dell* Egitto,  Così  dì  due 
granai  un  solo  ne  rimase  a'  Romani^  e  diventa 
maggiore  il  pencolo  d'  es8«-é  traTagliati  dalla  fa- 
ine .  Ma  questo  che  parea  sì  pregiudiziale  idi*  I- 
talia,  potea  riuscirle  utilissimo,,  se  il  maggior  pe<- 
ricolo  della  mancanza  del  grano  avesse  stimolato 
i  Romani :a  cercarlo  dai  campi  Vicini^  e  se  fosse 
stato  possibile  di  spingere  l'-ozioaa  plebe  dì' Roma 
à  popolar  le  oàmpagne  dMfalià  già  fatte  scarsis- 
sime d'  agrìcoltOFÌ .  Veramente  Costantino^  diede 
alcune  leggi  per  favorire  la  coltivazione  (2);'mfc 

!    .  CO  Tftcit.  J,  la. 

\flj  L.  ^i  et  ì ,  e.   de   ^grìcolis;  1.    3,    e.   de  "Ferfisj 
!<  if  e.  de  '«miti  Agr6'  deteno ... 


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2i6  DellS  BivòLUziÒMi  D*  Italia 

cbi  non  sa  «juanto  più  agevole  sia  tirar  in  poclìì 
mesi  le  migliaia  d*  uomini  a  viver  nelle  ^an^i 
'cìtth,  che  ridurne  in  molti  anni  un  picdol  ntime- 
To  alla  campagna?  Tuttavia  se  questo  prìncipe 
avesse  impiegato  a  rìformare  e  migliorar  l'Italia 
queir  attività ,' quella  diligenBa,  e  qiiel  denaro» 
cbe  profuse  nelP  edificar  Bisanzio ,  grondi  cose  era*- 
no  da  sperare .  Ma  il  genio  troppo  morbido  di 
Costantino,  poco  atto  a  promorere  la  TÌta  rustica 
è  laboriosa ,  'Cd  'avidisumo  com*  egli  era  di  ^oria 
è  di  rìnomanea ,  stimava  essere  più  spedito  mez*- 
so ,  per  acquistala ,  erger  dalle  fondamedta  una 
'gran  metropoli ,~  cbe  render  quetlebe  tratto  di  cam^ 
f>agna  più  fertile)  e  ristorare  «  -ripopolare  qual* 
che  città  desolata  dalle  guerre  passate .  E  il  di»- 
)>etto  concepito  cóntro  i  Romani  (o  infìcunmava  à 
Òeprimetli  :  nel  che  sùebbe  forse  da  dire  cbe  in 
i^uesta  parte  mancassero  al  gran  Costantino  le  mas- 
sime della  morale  Cristiana  t  Ma  finalmente  «  po« 
■tao  la  volontà  o  la  neoessità  che  avesse  egli'  di 
dividere  1*  imperio ,  non  solamente  la  -novella  me- 
tropoli oetta  sulle  rovine  di  Bisanzio  non  dovea 
racor  danno  all'  Italia ,  ma  comodo  .*  pércioccbè 
per  mutuo  sostegno  de*  due  imperi  in  niun*  altra 
città  deH*  Egitto  ,  deir  Asia  ,  o  della  Grecia  pote- 
va cbn>  più  opportunità  dell'Italia  posarsi  la  «ede 
it^'  imperio  d' Oriente . 

Già  era  per  moltissime  pruove  manifesto  cbe 
un  sol  oopo  non  bastava  a  reggete  À  vasta  e  mal 
composta  moiiarcbia .    Gli   esempi   dell*  iafedeltà 


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tiMLo  in.  Capo  VI.  fii? 

de^gèiieràli  e  de' gov«natoTÌ  delle  (tfovincìe  s'è* 
taao  veduti  co^  frequenti  ,  che .  Diocleziaiio  , 
come  si  è  detto  dì  sopra ,  avea  stimato  neoes- 
sdrio  divider  1*  imperio  fra  quattro  prìncipi  * 
V  attività  di  Costantino  »  la  rìpuitazione  dbie  in 
tante  guerre  si  area  acquistata,  potè  Ifiner  fer« 
tfio  tid  Unito  l' impwio  ne*  poòfai  anni  di*  ebbe  a 
regnar  solo  dopo  la  rovina  di  Licinio .  .Sarebbe 
stata  cedtà  in  lui  f  iù  che  patema  il  crederà  ch« 
eUcnno  de'  suoi  quattro  figliuoli  fosse  atto  a  so- 
«tener  tanto  peso  > .  E  quando  pura  questo  fosse 
stato  possibile ,  in  'ohe  modo  provvedere  di  stato 
gli  altri  fratelli,  quando  ad  un  salo  si  lasciasse 
r  imperio  ?  Se  il  prìmogenìto  ,  il  quale  certamen- 
te doveasi  in  questo  caso  preferire,  fótte  stata 
superiore  agH  albi  di  mdti  «unì,  o  di  valore ,  a 
d'  esperienza  e  di  riputazione  ,  .ottimo  consìglio 
poteva  rinscire  il  fame  un  solo  imperadore,  a 
tener  gli  altri  bel  grado  di  cesaxi  dipendenti  daj 
primo:  ma  la  debolezza  del  primogeorto  dava  * 
pensare  U  contrario .  Oltreditihè,  qualunque  de*frif 
telU  fosse  sQprawivùto  al  tnaggiore  il  quale  avés-i 
sfl  tjuciato  prole  t  le  guerre  òivili  corì  frequenti 
nelle  mioorì  età,  eakadio  celle  monarobìe  eredi^ 
tane  le  meglio  ordinate ,  erano  asscdutaoìènte  ine- 
vitabili in  quel  tempo,  quando  le  suceeuioni  po^ 
tean  dirsi  arbitrarie  e  casuali .  Che  te  i  fratelfi 
arano  ^pcx  viver  ooneordi  fra  lorO'  e  (ton^  sincera 
ftateUanza,  inolio  ^il-  e  per   ciatcun.  di  lora  • 


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^  1 6  DELUt  RnroLtJzictfii  d*  ItAim 

per  tutti  r  arere  i  governi  dUtiad;  e  Tind^iev' 
deau  dovea  renderli  più  fentoquilli'  ti  siouri.  S« 
poi  ^loda  e  diacordie  e  cupidità  di  regnare  do^ 
v«ni;  nascer  fra  loro  ,  mioor  male  era  che  ritro- 
pàssero  gli  stati  divisi  dal  padre,  che  venir  sqbi-; 
to  alle  ribelb'oni  ed  all' armi,  allorché  oiasctHia 
pretendesse  'parte  (  com*  era  verisimile  -)'  del  re|^ 
paterno.  Queste  furono  KDza  dubbio  le  ragioni 
ehe  mossero  Costantiao  alla  dirìsion  ddl'  ioape^ 
rio;  e  forse  aon  si  poteva  in  miglior  «redo  prov- 
vedere alla  sicurezza  dette  provincie  RiMQUuie  «.     ' 


<  '     Rimbtzwm  delT  m^erio  sotto  i  successori     ^ 
deW  imperadore  Costantàib ..     - 

JVLs  i  Sf^iaak  di  CostaotÌDo  e^editaytmo  egual- 
mfmte  IVunbmonQ  e  la  mollezza  del  padre,  e 
tiiinio  di  loro  ne  imìtb  il  valore  :  Cosa  in  vera 
degna  dì  riflessione,  che  fra*  tanti  priooipi  ohe 
tennero  1*  imperio  Romano,' pochissimi  abbiano 
avuti  figliuoli  da  lasciar  successori,  e  niuno  ne 
abbia  lasciati  simili  nelle  virtù  e  nella  capacità 
di  regnare.  Solo  Tito  si  mostrò  degno  di  succe- 
i^re. ad  tnnio.  Ma  oltre  ch'egli  non  ebbe  forse 
tempo  da  spiegar  pienamente  il  suo  carattere,  si 
À  da  por  mente  che  Tito  nacque  e  cret^  essendo 


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■  LifiRo  DL  Capo  VIL  aig 

il  padre  in  minor  icn-funa  ,  e  pcri>  neUa  con*- 
dizione  cC  «operarsi  egli  stesso  per  1'  avaiizanieD- 
to  àèiìz-  femi^'a .  Ma  DomiziàDo  fravatoal  gtora>- 
ne  satto  il  padre  regntmte,  i' aasomigliò-  mcdto 
bene  a  Caligdb  ed  a  Nerone,  audrki  ambidueìu 
case  regoatriei,.  benché  saliti  ali*  imperio  per  odo» 
ùove.  G0mmodo  Bgliuolo  del  biion  Marc^Aure» 
lio,  e  Caracallai  del  Tsloroso  Settimio  Severo ,  fti" 
rono  crudeli  ed .  in3ensati  tiranni .  Sa  i  fi^aoli  di 
Gontantino,  di  Valentiniano,  e  di  Teodosio,  de*  qua- 
li ci -accfiderà  di' ragionare  in  apf^esso,  ihmi  si 
rendettero  famosi  per  crudeltà  e  per  libidini ,  co- 
me i  sopraddetti  k.  fu  questo  T  effetto  della  reli- 
l^one  Cristiana  cbe  professarono .  Ma  egli  è  boi 
certo  cbe  non  ebbero  aeppur  essi  le  anitra  qualità 
reali  de* genitori:  il  cui  esempio,  siceome  smentì 
altamente  t*  assioma  Jbrtes  creantw  fordbus  (i), 
eosì  ièce  vedere  non  essersi  detto  fuor  dì  ragio- 
ne, ebe  non  49  ben  ^mandareclu  Don^eppcob- 
bedire-  Perocché  futtil  cc^ro  cbe  sostennero  e^sel* 
leraiTQiDO )Oen  quakjbe  riputaisone  l'imperio,  tutti 
«ebbero  fi^a. dipen^nza ,  e  si-devarono  aà  trek 
119  pef  :V£tri.  gradj..  M4  comecbè  degenerasse  mol* 
to  ne*  figliuoli  diCostantìn»  le  Tirtìl  del  padre., 


(1)  Sentimento  d'Oraiio  e  di  Pinda»,,  diyenato  •!(- 
ftetm  i' poeti  luogo -comHDe  da  piaggiare  ì  nobili.  Pid 
^iri^moente' P*i»ò  D»ptf;,:doirc  «riiie).'  ■ 

B    Kare  volte  risorge  per  li  lami  '      ,        i 

»   li' mnana  probìtate:  e  questo  vuole 

•  Quei  che  la  dà,  perchi  da  lui  ù  chiami. 


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44»  Ì)EtLk  tllVOLtlZIONI  b*lÌALtA 

non  k  però  vero  ciò  che  suol  dirsi' coiiiutteAelit^f 
che  te  discordie  di  costoro  abbiano  rotinato  1*  im* 
peno,  o  che  IMtafa'à  abbia  avuto  a  sófteilc  mol-* 
ta  da  questa  dÌTàsbne;  Il  vero  è  bece^  che  poca 
stante  dalla  mbrte  del  padre  ^  Costantino  primo- 
geoito  rimase  estinto  o  dalla  forza  superiMe^  o 
dalle  inndie  d^  fratello  Costante  >  Ma  appena  la 
discordia  loro  potè  aver  tìome  di  guerra  crvite  r 
perocché  Costante  si  trovò  signore  di  tutto  1*  im- 
perio occidentale  e  dell*  Illirico ,  prima  che  si  sa^ 
pe^  pure»  che  fosse  per  nascer  guerra  tra  ì  due 
fratelli .  Ccèì  stette  l'Italia  da  quattordici  anni 
sotto  Costante  senz*  alcun  movimento  né  di  guer- 
re straniere,  né  di  tumulto  interno}  efìi  mirabii 
cosa  ^  che  tra  luì  s  Costanzo  che  renava  in  Orien-^ 
te ,  massime  non  essendo  d%n*  istessa  credenza ,' 
metitre  ruOoeta  buon  cattolico  i  l*àUty)  Ariano 
dtchiaràtissimo ,  tuttavia  ncm  sìa  itìsotta  contesa 
alcuna  per  dividere  gli  stati  del  motto  fratello; 
La  qual  cosa  avrebbe  turbato  specialmente  le  ce^ 
se  d' Italia  i  come  quella  che  si  trovava  di  me»Ed^ 
a  due  imperi  ;  Le  guerre  eh*  ebbeto  a  fare  o  so-' 
stenere  i  due  imperadori  ,  si  contennero  néll*  estra^ 
mità  delle  Gallie,  o  ne^eolifioi  del  regbo  dì  Perù 
sia  ;  né  gU  evenimenti  di  quelle  poteano  gran  fat- 
to ioquietar  gl'Italiani.  A  questo  partito  ben  po- 
teasì  tollerare  la  lontananza  del  prìncipe,  giac- 
ché Costante  in  quattordici  anni  che  tenne  l'im- 
perio d'Italia,  passò  appena  alcuni  mesi  di  qua 
dell'Alpi.  Ma  que*  midi  che  poteansì  temere  dalle 


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LiSRO  III;  Capo  VIL  tu 

<^scQi'die  de*  due  fratelli ,  furono  p(»  cagionati  ' 
daUa  perfidia  d^  uà  ufBziale  .         :  ; 
-    ,  MagpcfiKio ,  capitaqo  d*  una  o  due  compa» 
gtùe  DfUe  guardie  di  Costante,   preval 
V  ioawerteoza  dì  lui,  e  dell'affetto  che  s'aver 
guadagnato  di  molti  ufBziali  jqfetiorì ,  prese  ndU  ^ 
Gallie  la  porpora  imperiale ,  e  tolse  la  vita  ni  suo  -,  ■*>i^^^  ^^'  ^U 
signore.  La  ribellione, di  costui,    e  qudla  di  Ve-  -  '^''^^«•n 
tranione  che  nel  tempo  stesso  si  feoe  da* suoisoU 
dati  chiamare  augusto   nell*  Illirico.,  cagionò  per 
farere  tempo  in  Italia  piuttosto  anarchìa  od  inter- 
regno,' che  rivoluzione  o  «ntntanone  di  stato .  Era 
troppo  manifesta  r  usijrpazìone   de' due   tiranni,,  i.       , 

«  troppo  chiaro  il  diritto  di  Costanzo  alla  suocesr  J»»-?--  "^^  ' 
ai(H)e  del  fratello  morto  senza  prole:  ma  il  tetto-  *-  *'"***''^ 
re  dell'armi  di  Magnenzìo  vicino  non  Ia£cit) .lun- 
gamente esitar  gì'  Italiani  ;  e  ,  il  senato  dì  Rohm 
ricevette  ben  tosto  le  immagini  sue,  e  Io  rìco*. 
npbfae  sovrano.  Ma  non  tanto  nocque  all'Italia 
la  tirannide. di  costui ^  quanto  la  ribellione  cU  lui 
nocf]ue  a  tutto  l' imperia,  per  le  forze  «he  si 
consumarono  internamente  nelle  guerre  civili,  e 
pel  vantaggio  che  ne  trassero  i  nemici  esterm* 
Magnénzio  non  tenne  lungamente  il  dominio  d'Ita- 
lia ^  e  non  yl  fu  in  persona  fuorché  di  pass^^o, 
allorché  andò  coli'  esercito  contro  Costanzo  nella 
Faiinoni^ ,  e  quando  battuto  e,disfattQ  .se  ,ne  tor* 
nò  precipitosamente,  nelle  Gallie.  Ma  Costanzo» 
ispogliatp  prima  con  arie  e  pon  fi-ode  Vetranio- 
ne;  vinto,  indebolito  ed  alla  fine  evinto  Mageensio,  \ 


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2sa  ÌDelLg  HiVoLuzioift  d*  Italia 

b  dopo  lui  Silvalito  che  ìndarilò  avèar'  telato . 
di  succedergli  Deirusurpkzìode' tf  nella  tiratiDÌdé  ^ 
rniDÌ  sotto  di'sètuttr^  stati  paterni.  Così  l'Ita- 
lia,' tornata  novellaatente  ad  esser  centto'  di  tà  va« 
eto  dominio ,'  èra  per  godere  sicura ,  tranquilla* 
td  anche  abbonderole  e  felice  pace;  se  non  chs 
]a  debolezza  di  Costanzo  tolse  ria  in  buoéa  par^ 
te  ì  vantaggi  che  si  potevano  aspétfor  d&l  suo 
KgDo,  e  dalle  massime  dì  govèrno  obe  sì  statuiti 
»ódo  sótto  lui.  Era  la  poìitica  di'Costaiizo  effetto 
probabitmehte  dèli*  educazione  cfa*  egH  aveva  avu-^ 
to  dal  padre,  a  cm  fb  caro  ed  afférfonato  sopra 
ttÌKi  i  fi-atelli  (r)  .  Lodevole  fu  siogolvmeate  ni^ 
la  regola  ch'egli  teaoe  di  separare  le  cariche  <^ 
vili  dalle  militari.  Notabile  ordinamento  ■fu  «o- 
ptattutto  r  essersi  allora  iadeb(^ita  1*  autorità 
de*  prefetti  del-  pretorio  (z) ,  i  qùalt  «pt^iatl 

:  (1}  Àmm.  MiieelL  1.  ai.  ciré.  -Sil 
(3} .  11  padiglione  del  generale  appiesso  i  Romani  c^ta- 
ibaVasi  (in  da'  primi  tempi  della  repubblica  il  pcetofio  j 
ptroeàbè  anobe  i  conioli  naui,  quando  erano  ine  anaiy 
cbiamavan^i  pretori  i  colui  cbe  avea  l' iaspe^ooe  sn  questo 
padiglione  generalitio  o  pretorio,  ch'era  come  ua  mag- 
giordomo o  mastro  di  Casa  del  capitano  generale  f  chiniu* 
va»' {itefétto  del  pretorio.  Ognuti  sa  come  ed  in  che  mo- 
do ai  Èoitumasse  dare  a' generali  il  titoìo  d' imperatiori  . 
Hegli  ultimi  tempi  della  repubblice^'qaaado  i  vapitMii-Bo* 
mani  s'agguagliataDo  ai  più  gran  re,  il  j>adiglióDa  l*t* 
era  cuitodit<>  e  frequentato  come  sarebbe  ora  un  palano 
reale.  La  guardia  e  la  direziotie  di  quella'  divenne  n^zi* 
non  dispregevole .  Angusto  che  si  fé'  capo  della  repnbhli* 
cacol  titolo  d'imperadore  o  capitan  .generale)  tenne  an- 
che in  ftoma  parte  delle  distinzioai  da  generala  ,  e  speùal- 
ùeale  bUhm  eompagnle'di  loldali  che  faccMo  la  gnardu 


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Ìjbro  io.  Capo  Vlt    -  »23 

bigatto  d'ogni  podestà  mHttare,  riteonero  splamon* 
fo  gtumdìzion  civifó,  ed  upa  certa  autontà  eco* 
qomìca.  Cosi,  quella  caiìca  la  quale  era  stata  da 
[«ima  putameote  militare,  e  poi  per  luogo  tei% 
pò  militare  e  civile,  alla  fine  rìmase  purament* 
chile^  e  dove  pHma  il  nuaiero  de'ptefet^  età, 
JadeGtiitQ, -O; ciascun  di  loro,  quando  eraita  più» 
AVea  1*  autorità  in  solido  sopra  tutti  ^  stati  de^ 
suo  priocip^f  invalse  e' si  stabili  sotto  Costanzo 
V  uso  di  crearne  quattro  con  giurìsdinone  tetrito» 
fiale  sopra  le  pretincie  assonale  loro.  Uno  ejbbo 
r  Egitto  con  l'Asia  Roman»;  il  secondo  Ia-Tra« 
da,  la  Greeia,  e  tutto  rillirieo;  ii  terzo  ob* 
be  l'IftJia  eon  le  isole  adiacenti,  e  l'Aftic»| 
il  quarto  tutte  le  provhioie  Transalpine,- eioà 
ìe  Gallio  )'  la  Spagna  ^  la.  Bretagna .  Tutti  i  g&i 
Te^atori ,  presidenti ,  giodioi ,  maglstiati  -  dell* 
proviocìe)  obbedivano  al  prefetto  del  pretorio, 
secondo  lo  spartìmenlo  suddetta  -(j).  Aveva  es- 
so ancora  l*ammÌnistrajnon  ^premtt  di  tutti  ì 
tributi,  e  di  tutte  P entrate  ^el  piùcipe.  SoIjh 
metite  'ÌI  cablando  de41e    tnlppe  non  dipendeva 


aìt*(M>  palsBio.  e  alla  lUft  ■penofa,  e  cl^U 
ni,  e  tt  capitana  toro  prefeUa  del  pretorio.  Seiana  ch'eb- 
be queita  Cilici  sotlo  Tiberio,  e  che  macchinava  graodi 
eoie,  par  aver  luue  ([aeate  cotnpa^ie  a  ccitiiti  più.pt9D* 
ta  ad  ogni  ino  cenno  ,  persicate  all'  imperadore  di  fabbri* 
car  loro  un  alloggiamento,  dove  poteuero  alloggiare  tutta 
ialieme  .  QoMto  mi  parve  neceaiario  avvertire  per  naaggios 
cbiweaza. delle  coK  che  si  ioa  dette  dell'autorità  e  polen* 
%i.  de'  prefetti,  del  pretorio . 

•  {O'V.  Cad-.Juttin.  i.  I,  lit.  a6,  37,}  1.  la,  ti^4•■• 


ovGoOgIc 


224  Dei4£  Bivoi.vz!ONi  dMtalia 

da  lui  ;  e  questo  sìAq  poteva  impedirlo  dalle  ri- 
volte y  e  dall'  usurpare  V  autorità  sovrana .  £d  i  - 
generali  tauto  della  oavalleria  che  della  fanterìa 
goveraavano  le  loco  legioni,  senza  rìcevere  co- 
mandameato  da*  prefetti  pretorìani.  Dovean  bon- 
à  dipendere  da'  prefetti  riguardo  agli  stipendi  ; 
il  clia  era  un  gran  freno  a' generali,  per^Jià  non 
potessero  macchinar  novità  e  sollevare  le  truppe  ; 
perdpcchè ,  tolti  loro  di  mano  Y  entrata  e  gli  era-* 
ri  delle  provincia,  non  aveano  sì  facile  il  t^eszQ 
ài  guadagnarsi  i  soldati  ;  e  ad  altri  che  a'  soldati 
non  aveano  autorità  di  comandare.  L'esempio  dj 
tutte  le  monarchie  Eiu'ppee,  nelle  quali  si  sono 
ricevuti  costantemente  gli  st^i  ordini  di  governa 
ohe  tenne  Costanzo ,  e  che  introdusse  fprs'.^  il 
primo  nel  Romano  imperio ,  oi  dee  convincerà 
dell'utilità  di  un  .tal  sistema.  E  non  è  mpno. cer- 
to che  4él  Costanzo  in  pQi  la  vita  degl'imperio^ 
ri  fa  più  sicura .  Che  se  queati  nuovi  ordin^nei^ 
ti  non  trattennero,  Qepp.ur.  vivendo  Cost^zo,  la 
declinazioD  dell'imperio,  la  debolezza  propna  del 
suo  governo.,  o  la  disgrafìa  di  non  aver  figliuoli, 
ne  luron  cagione.  Nato  egli  d'ingegno' mediocre» 
ed  imbeyuto  per  tempo  de*  costumi  orientali ,  -'iti 
schiavo  perpetuamente  de'  suoi  eunuchi  «,  Le  prì^ 
me  azioni  del  suo  regno  iurono  uu  saggio  .  dell» 
sue, massime  di  dispotismo,  se  pur  è  vero  che  df 
suo  ordine  particolarmente  furono  ammazzati,  tpt- 
ti  ì  parenti  da' quali  temeva  o  disturbo ,  o  sce^a- 
m^nto.  ^  dopiinio .  Gli  eiiiuic¥  .« .  fili  ^tri  vìU 


=dDvGoogtc 


tiSRO  lU.  Capo  VII.  àzi 

aioj  cortìgiao!  Io  preaccuparono  in  favor  degli 
Ariani ,  o  sìa  che  fossero  dall'  astuzia  e  da*  doai 
de' vescovi,  capi  del  partito,  sedotti;  o  sia  che 
credessero  d* assicurar  meglio  l'autontà  propria, 
imbarazzando  il  principe  nelle  dispute  della  reli- 
gione ,  .e  disti^eodolo  dagli  .aflarì^  del  governo . 
Così  doppio  danno  rieevè  la  repubblica  dal  vio- 
lento favore  ebe  Costanzo' prestò  a  quella  setta. 
Le  violeiize  che  si  fecero  a-  vescovi  congregati  in 
Milano,  in  Bimim ,  in  $Ìrm^*o;  T  esilio  di  papa 
Liberio  e  di  tant'altrr  santi  vescovi ,  mesoolarono 
dì  molto  amaro  la  dolcezza  dì  quella  pace  ohe 
ioti»  il  regno  dì  Gistanzo  avrebber  goduto  l'Ita- 
Ua  e  le  altre  pruvìncie  che  sì  trovavano  lontane 
dai  n^ovimeoti  delle  guerre  straniere.  Ma  l'altro 
forse'  ancor  più  notabile  danno  che  il  furor  del- 
l'Ariafia  eresia  recò  allo  stato  politico  dell'impC' 
rio  sotto  Costanzo, 'fìi  questo,  ohe  1' i,mperadore 
intricatosi  sempre  più  nelle  controversie  ecclesia- 
stiche, nelle  quali  ambiva  di  farla  da  arbitrio, 
lasciava  alla  discrezione  d'indegni  ministri  le  cU- 
re'del  principato.  Costoro  poco  solleciti  de'.pro- 
gFfssi  dfllfe  aì-mi  Romane ,  e  de'  casi  futuri ,  purr 
cbè  cbnsArvassero  l' autorità  presente  eh'  essi  raet- 
de^'nti  «ercitavano ,  tutti  erano  '  intenti  a  spaura^ 
re  il  loro  signore  sopta  ogni  menomisaima  ombra 
ili  ribellióne .  Pa  queste  sue  gelosìe  e  sospetti 
continui  procedetterp  non  mmio  lè  ingiustizie  e  ié 
orudebà  e  le  misure  maJamente  preae  per  reprì- 
mere gli  ammutinamenti ,  che  la  pooa  fortuna 
Tomo  I.  i5 


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226         Delle  Rivoluzioni  d' Italia 

eh'  egli  ebbe  a  provare  nelle  guerre  straniere.  So- 
stenne l'imperio  orientale  debolmente;  e  il  più 
delle  volte  tornò  vinto  dalle  imprese  contro  de* 
Persi,  massimamente  allorché  v'abdava  in  perso- 
na. Quindi  con  più  vergogna  eziandìo,  e  con  peg- 
gior  conseguenza:  per  gli  affari  d'Italia  venne  a 
mostrare  la  su^' debolezza  a'  Franchi,  ed  a' Ger- 
mani :  perciocché  non  volendo^  lasciar  a  Magoen- 
zio,  come  costui  chiedeva  per  grazia,-  il  governa 
pacifico  delle  Gallie  ,'  e  noir  soffreodoglr  1*  animo 
«no  timido  e  sospettoso  o  dt  marciar  egli  stessa 
a  combatterlo' r  o  di  mandarvi  un  generale  con 
forze  ed  autorità  sufBcienti  a  compire  l'impresa} 
s'avvisò  di  muovere  i  re  (erbari  ooirinviti  e  con 
doni  a  far  guerra  al* suo'  rivale,  e  portar  Tarmi 
Delle  Provincie  Romane.'  Politica'  veramente'  degna 
di  que*  codardi  ed  invidiosi  eunuchi  che  to'  ood-i 
«igliavana,  e  lo  reggevano'  a'  lor  talento^ 

Estinta  Magnenrio,^  continnarontf  i  Franchi  <r 
i  Germani  ad  infestar  le  Gallie  per  quella  stessa 
vìa  che  Costanzo*  avea  loro-  spianata .  Costretto  ì 
dopo*  molti  anni,  di  mandarvi  Giuliano ,.  quell'u* 
nico  de'^suoi  parenti  che  avea  lasciato  in  vita» 
diede  a  que*"  popoli  novelle'  pruove  delK  iofingjur- 
dsggine  «uà,  e  delle  infermità  dell'imperio^  Non 
solamente  noir  diede  a  Giuliano  cesare,:  pe*" 
«uoi  sospetti^  esercito  e  soccorsi  bastevoli  -x  rista- 
bilir r  onore  del  ttome  Romano  appressa  quella 
nazioni,  ma  aggiunsegli  ministri  ed  uffiziali  e  conir 
pagnì  che  lo  traversassero ,  e  ritardassero  ì  sun 


=dDvGoo^lc 


Libro  HI.  Capo  VII.  '227 

progressi  ;  e  volle  sotto  fiofo  pretesto  rìtorgli  an- 
cora que'  pochi  soldati  che  gli  avea  dati .  Quan>- 
tacque  a  ragione  sia  restata  infame  appresso  i 
Cristiani  la  memoria  di  Giuliano  pcF  la  sacrilega 
sua  apostasia ,  pure ,  se  la  storia  non  fu  in  quel- 
ita patte  di  troppo  alterata  dogli  scrittori  gentili^ 
si  dee  credere  ch'egli  avrebbe  bravamente  reprcE* 
si  i  neiiiici  deH*imperio  nell'Occidente  e  nel  Nord, 
se'  Costanzo,  dopo  averlo  innalzato  alla  dignità  di 
cesare ,  non  Io  avesse  ofFeso  co*  suoi  raggiri .  Ad 
^nj  modo  convien  pur  dire  che  GÌDÌtano,  con 
ttitto  che  vantasse  tanto  dr  probità  e  di  filosofìa^ 
non  ebbe  virtìi  eguale  a  quella  di- Germanico ,  H 
quale  frovandosì  appresso  Tiberio  in  simil  grado 
di  parentela  e  dignità,  e  -travagliato  per  simil  ge- 
losìa dalla  corte  r  pure  st  mantenne)  cosCante  nel- 
1*  obbedienra  e  nella  fedeltà  verso  un  principe 
meno  legittimo^'  meno  f^solutOr  e  da  cui  era  sta- 
to molto  meiio  ■beiirfoato .  Tanto  è  vero  che  d' un 
apei^-idolftfra  è  peggiore  un  CristìaDo  ipocrita, 
qual  §a  Giuliano.^  Sollevossi  dunque  costui;  «Co-. 
stahzo'non  ttovb' altro  mezzo  d* opporsi  alcugino 
sao'«mdIo;  i;lie  indur  nuovamente  con-  denari  i 
re  Franchia  Muovergli  guerra.  Intanto  Giuliano 
istesso  che  -gli  avea  alcun  tempo -tenuti  in  freno, 
dv  là'St  mosse^  per  portar  l*armi  contro  il  sud  si- 
gnore  e  ^uo'  ctfgiob.  Così  s'addava  agevolando ' la 
▼itt'^qu^^polid*  occupare  le  pibvìncie  Rotuar, 
ne ,  e  d' avvignarsi  àlP  Italia  .     i.  '■  '  ■■ 


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■228  Delle  RivoLuzrom  d^WaiiA 

Giuliano  rendè  il  suo  breve  regno  memorabile 
pel  genio  pedantesco  che  pprtò  sul  trono ,  attor- 
niandolo di  sozzi  e  pri^untuosi  sofisti ,  per  V  apo- 
stasia della  religion  Cristiana,  e  per  T  entusiasmo 
ridicolo  oltre  i^ni  credere  nella  professione  che 
fece  d*  idolatrìa .  Ma  la  superstizione  sua  iii  più 
funesta  a  lui  stesso  ed  al  Rcanano  imperio,  che  al 
Cristianesimo ,  La  persecuzione  che  mosse  contro 
i  Cristiani ,  ultimo  sforzo  del  furore  pagano ,  non 
che  distru^esse  la  fede  1(m*o,  1*  accrebbe  e  la  raf- 
fermò ,  Ma  la  temerità  con  cui  portola  guerra  con- 
tro de' Persi,  stimolato  più  dalla  vanità  de* suoi 
fallaci  auguri!,  che  da  motivi  di  ragipnevole  pOf 
litica ,  cagionò  gran  perdita  di  provincìe  ali*  im- 
perio ;  perchè ,  morto  egli  nell*  intrapresa  spedi- 
zione,  dovette  il  suo  snccessore  con  ignominiosa, 
ma  necessaria  pace  riscattar  1'  eserotto  Roniano 
dair estremo  perìcolo  di  perire;  cosicché  cotesto 
sì  celebrato  spirito  dì  Giuliano,  attivo  ed  intra- 
prendente ,  altro  effetto  non  produsse  allo  stato 
de' Romani ,  che  indebolirlo  dai  due  lati-privci^ 
pali ,  prima  coli*  abbandonar  le  Gallie ,  esposte 
già  alle  incursioni  degli  Alemanni,  per  portar  le 
armi  ribelli  contro  Costanzo  ;  poi  colla  ■  gufìra 
sconsigliata  e  irovinosa  che  Diosse  a'  Persi .  Alt'  l- 
talia  'si  può  dir  che  Giuliano  non  facesse  di  pre- 
sente' né  ben,  né  male:  privò  venunrate  del  go* 
verno  di  ess^  Tauro  prefetto  dsl  "pretorio,  wfio 
giusto  e  discreto;  e  vi  pose  in  sua  vpce  M^mertloo, 


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Liuto  DI.'  Gafo  vii.  229 

più  celebra  del  primo  nella  repubblica  delle  l«t> 
tere-,  e  nelle  qualità  politiche  probabilmente  non 
ìafefì'ore . 

Il  buon  animo  di  Oioviniano  che  successe  a 
Oiuliano ,  non  ebbe  spazio  di  far  gran  bene .  Ma 
lè  cose  che  sotto  il  regno  de'  due  fratelli  Valen- 
tiaiano  e  Valente  s^uirooo  tanto  nelle  provìncie 
delP  imperio  d'Occidente,  quanto  in  qQelle  d'O- 
riente ,  beQcbfe  non  offendessero  né  motestaasero 
immediatamente  I*  Italia  j  sono  pur  nondimeno  da 
osservarsi  come  cause  assai'  prossime  de'  grandi  rì- 
Tolgìmedtì  cbe  poco  dopo  ne  veoDwo  ;  però  6a 
necessapìo  ripigliarle  dal  locoprìncìpio,  e  spieg»'- 
le' alquanto  distesamente. 

CAPO       VJII, 

•  Rimessioni  soprtt  le  cause  deWimuMsiortff 
ék*  barbari. 

V7raa  ragione  abbiamo  di  maravignard»  per^e 
ì  Itomani  cbe  cinque  secoli  ormai  contarano  di 
latita  grandezza  »  non  abbiano  mai  potuto  aasieu- 
rarsi  dal  canto  de'  Germani  ;  anzi  che  alla  6ae 
F Italia  stessa,  centro  e  sede  di  sì  vasto  imperio, 
abbia  doTUto  esser  [H«da  di  quelle  nazioni ,  eia- 
«cuna  delle  quali,  non  facendo  esse  né  wi  regao 
solo ,  né  una  repubblica  sok ,  era  di  sì  poco  sta- 
to ,  cbe  ogni,  angt^  della  Gallia  n'  era  più  largo 


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23o  Dell»  Rivoluzioni  d'Italia 

e  più  ricco.  Se  l'imperio  Romano  avea  da  temer 
di  guerre  funeste  e  di  rovina ,  pareva  che  i  soU 
'  Persiani  Tossero  nemici  formidabili  :  e  nondimeno 
r  imperio  d'Orientie  si  sostenne  ancor  per  molti 
secoli  a  fronte  della  Persia,  monardiìa  i^astissima , 
stabile  ed  agguerrita  ;  quando  già  avea  l*  Occ)^ 
dente  subito  il  gipgo  de'  popoli  Settentrionali  , 
usciti  come  da  anguste  tane,  uomini  vili,  e  sen- 
za ordipe  di  pilizie  e  senza  disciplina.  Ma  i  Ro- 
mani si  erano  molto  ben  assuefatti  a  rispettare  e 
temere  ì  Persiau!  ;  e  questo  timore  fu  per  molti 
secoli  lo  scampo  dell'  imperio  d*  Orienlp .  S*  im- 
prendevano centra  i  Persiani  speSse  guerre  con 
grandi' apparecchi ,  e  si  trattava  di  pace  e  di  tre*- 
gua  con  non  minore  apparato  e  diligenza ,  perche 
non  is^egoavann  di  mandare  e  ricevere  ambasce- 
rìe,  e  di  venire  ^a  trattati  pom^  tra  eguali ,  Non 
si  ammetteva  tàmpoca  pibche  la  ragic»i-  di  sta-^ 
to ,  o  r  Usanza  inveterata ,  o  il  diritto  delle  genti 
chiede  o  permette ,  cioè  di  jnantenersì  con  doni  e 
con  promesse  e  con  lusinghe  potenti  partigiani  ap- 
presso l'emofe  potenze;  e  riuscì  talvolta  a*  Roma- 
ni di  tirar  dalla  loro  alìpuni  principi  dèi  san^e 
Tersjano:  tio^  quali  mezzi  si  pianteqnero le  dije  po^ 
tenze'  óra  in  pace  v  ora  in  guerra ,  ^enza  distnig- 
gersì,  come  fanno  oggidì  {e  potenze  emole  del^- 
r Europa.  Ma  i  Ronjani  non-  seppero  tenere  gli 
stessi  modi  con  le  nazioni  settentrionali.  )e  quali 
essi  diaprezzavano  come  povere  ed  ignobili ,  e  per 
le  strettezze  del  paese  che  abitavano,  le  stimavano 


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Libro  DI.  Capo  VIH.  23  i 

S  |>ocheTorze.  Io  somma*  i  Bomani  già  una  voU 
ta  sì  astuti  negoziatori  e  politici,  quasi  avesser*^ 
ultimamente  scordato  i  piìi  perìgliósi  avversari  es- 
wr  quelli  che  non  anno  che  perdere ,  sì .  poo9 
conto  faceaoo  di  que*  popoli ,  che  ofTeodendoglì 
jpesso  fìior  di  proposito,  non  degnavano  di  venir 
con  loro  a  que^  maneggi  di  pace ,  d*  amicizia  *  « 
di  lega,  che  riescono  pei;  l' ordinario  vantaggiosi 
ili  più  potente . 

Chiara  pruova  di  questo  ci  porge  la  storì^ 
delle  ultime  azioni,  dì  Valentiniano  il  vecchio  (i). 
Intento  questo  imperadore  a  munir  con  castelli  e 
ibrtezze  i  limiti  settentrionali  dell*  imperio ,  uno 
de'.suoi  ufGzìaU  avea  intrapreso  a  fabbricarne  di 
là  del  Danubio  nel  territorio  de*  Quadi ,  Questi 
ne  fecero  doglianze  appresso  V  imperadore,  il  qua* 
le  i^i^dicando .  non  meo  nece^sarìo  di  non  disgu- 
stare i  vicini f  che  fortificar  le  frontiere,  cornan- 
do che  sì  cessasse  dall*  opera ,  Ma  il  suo  ufGzial^ 
Marcelliano ,  fatto  rivocar  il  decreta ,  continuava 
pure  ad  innalzar  la  foi^ezz^  a  dispetto  4«'  Quadi. 
Andò  Gabinio  re  loro,  14  persona,  a  trattar  ppji 
Marcelliano  di  questo  fatto;  ma  rutlìziale Boma- 
^o  Vagendo  d' arrendersi  alle  preghiere  d^l  r«  bar- 
baro ,  lo  ritenne  la  sera  seco  con  diqiostrazioni  di 
amicizia-,  e  l'^pcise.  Un  cpsi  pero  tradimento  fece 
prender  rar(ni  a^Quadi,  i  qiiali  pljiam£^ti  i  Sarmf^tì  ia 
aiuto,  eotcaroDD  nelle  provincie  BenMUie  deirillirÌQ?! 

Ci),imm.  Marce".  I,  5o. ,   _;, 


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a3a  Delle  ^ivoLvzsom  d'Italia 

e  \i  menaioDo  grande  .  rovina .  Accorse  Valenti* 
vìiaho  il  più  presto  che  potè  sbrigarsi  dalfé  altre 
guerre  della  Gallìa  ;  e  dopo  qaakhe  fatto  d'ar* 
me  faronevole  a'Romanl ,  i  Qaadi  gli  mandarono 
ambascialorì  per  acquietarlo  ,  mostrando  coma 
*|ueMa  guèrra  noe  s'era  mossa  per  oousentimento 
della  nazione.  Cominciò  Valentiniauo  con  fiera 
collera  a  gridar  contro  .costoro ,  e  rìmproTeroiiì 
d'ingratitudine.  Narrano  le  stori?,  che  Valenti* 
BÌano  Tedendogi  davanti  quegli  arnhasciatorì  bar- 
bari d'abito,  di  statura  asai  umili  é  mescbiiif, 
à  lamentava  pure,  che  sì  viti  uomini  gli  foeset 
inàbdati  ambasciatori  (i).  Essendogli  risposfo  che 
costoro  erano  de' più  nobili  e  de' più  cbspicuì  d^-* 
la  natone,'  indispettito  allora  Vie  lAaggiormente', 
proruppe  co' suoi  m  dolor(He  querele,  percbè  un 
ìnpecador 'Romàno  avesse  a  trattare  con  sì  fatta 
gente  :  e-  fu  tanto  il  suo  corrnccró  iir  questa  co 
cbsione,  che  uscitogli  il  sangue  dai  petto,  perde 
jn  poche  ore  la  Vita;  e'  mancò  in  lui  un  gran  ri' 
paro-  air  insolenza  degli  Alemanni,  che  già  forte- 
mente cominciato  afeàna  a  minacciare  le  G^Ke. 
Ma  comechè'  tatti  ì  popob  boreali  abbiane 
avuta  parte  nella  generale  invasione  dell*  imperio 
Romano  «  che  segui  net  quinto  secolo ,  conTfend 
osservar  sondimene,  che  la  prima  e  Is  pù grave 
rovina  da  cui  fu  sobbissata  l'Itedia,  mosse  benà 
dì  verso  il  Settentrione,  ma  dalte  regioni  orientali, 

(i)  Ann).  Al«rceU.  loc.  eh,  —  Zoi.  1.  4;  e*  >7• 


ovGoOglc 


Libro  ID.  Ca»o  VI0.   ~  a38 

e ,  cosa  dd  non  intendersi  senza  maraviglia  ,  da- 
gti  ultilÀi  confìoi  dell*  imperio  Persiano  ,  e  dalla 
China .  Quella  parte  d'  £uropa ,  cfae  giace  tra  1 
due  grandi  e  famosi  fiumi ,  Danubio  e  Tanai ,  cfaa 
or  comprende  una  parte  della  Russia,  della  Polo« 
uia,  dell'Ungheria,  e  della  Turchìa  Europea,  e» 
miocìd  ad  esser  tentata  dalle  armi  Romane,  quan- 
do già  era  venuto  il  termine  della  loro  grandez- 
za. I  popoli  che  abitavano'  quelle  contrade,  divi*  , 
fl'ft-a  loro  sotto  varie  denominazióni,  erano  con 
nomi  più  generali  conosciuti ,  e  diiamati  Sciti  Ea^ 
ropei,  l'artari ,  Sarinati.  Dico  Sciti  Europei ,  per- 
ire la  Seizia,  eome  oggi£  la  Russia  e  la  Turw 
cfaìa,  s*  estendeva  egualmente  neirAsia,  che  nel- 
1*  Europa .  Fra  qtiesti  popoli  quelli  soli  ohe  si  tro- 
Tarqno  piìi  vicini  al  Danubio ,  o  sia  ì  Dacì ,  fn- 
fono  soggiogati  e  ridotti  in  provincia  da  Traiano , 
sotto  il  quale  si  può  dire  che  abbiano  avuto  ter- 
nufle  le  conqirìste  de' Romani  (i).  Gli  altri  pia 
lontani  dal  Danubio  e  piìi  vicini  al  Tanai,  come 
gli  Alani,  ebbero' bensì  sotto  gli  Antonini  qual- 
che sconfìtta ,  e  furono-^  rispinti  dai  confini  del- 
1*  imperio  :  ma  tutte  le  più  felici  ^edizioni  che  si 
poterono  fare  da  quella  parte ,  si  terminarono  in 
trattati  o  di  tregua,  o  di  pace  e  d'amierzia;  né 
mai  que*  popoli  si  contarono  come  sudditi  del  do- 
minio Rumano.  Quando  poi  le  Jbrze  dell'imperio 

Tillem.  HUt.  do  emper.   (om.  a.-   Domiiiea   ari.  ai; 
Trajaa  art.  i6  et  j^. 


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à34  Deu£  fiivoLuaioNi  s^  Italia 

comÌDCi'aTano  a  decimare ,  tutto  il  maggiore  sfor- 
so  che  si  fece  rispetto  a  quelle  naziom,  fu  di  rì- 
tenerle  di  là  del  Danubio,  e  con  castelli  e  presi* 
di  impedire  che  uon  ^^avanzassero  nell*  Illirico  • 
nella  Tracia .  Aureliano ,  prìocipe  non  mica  àsap' 
poco  uè  trascurato  delle  cose  dell'  impii^rìo,  tras* 
portb  di  cjuà  dal  Danubio  tutti  ì  sudditi  Romani 
della  provincia  Dacia  ;  e  facendo  termine  dell' it»- 
perìo  quel  fiume ,  laacìò  V  antica  Dacia  io  poter 
d'altri  popoli  di  que'cootorai,  obe- si'  cfajamaroa 
Goti,  o  sia  cb'ieBsi  fossero  gli  stessi  obe  dagli  an- 
tichi chiamaronsi  Geti  e  da' Romani  anch' essi  tal- 
volta Dact,  o  cbe  vi  fossero  venuti  da  più  occi-^ 
dentali  e  boreali  regioni  della  Germania.  A' t«iH 
pi  dì  Valentiniaoo  primo  e  di  Valente  tenera'  Il 
governo  di  questi  Goti  Atanarioo ,  il  quale ,  lascia- 
tosi allettar  nel  partito  di  que}  Procopio  che  si  sollevò 
sotto  Valente  e  cercò  di  levargli  V imperio,  si  tirò  aà- 
dosso  le  armi  imperiali,  vinto  ?  distrutto  che- fu  Pro- 
eopio.  Perciopch^  Vateote  che  volle  pr^uder  vendetta 
de'  Goti  che  aveano  dato  aiuto  a*  suoi  nemici  < 
fece  per  tre  anni  continui  ostinata  guerra  a  queU 
la  n&zione  *  e  li  ridusse  6nalmente  a  chieder  pie« 
tà  e  pace  (i).  Quand'ecco,  mentre  cbe  i  Goti 
si  stavan  pacifici  ne*  prescritti  termipi.  e  che 
r  imperlo  si  credeva  sicuro  da  quella  parie ,  com* 
p^rir  come  da  un  nuovo  ed  ignoto  mondo  .  una 
strana   nazione  ,    per  cui   e    i  Goti    e  i  Romani 

(i)  Àmm.  Morteli.  1.  aj. 


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riBRO  m.  Capo  VOt.         .     sSS 

dovettero  peoeare  ad  altri  spedienti  e  a  duotÌ  trat- 
tati. Gli  Uaat  ohe  potrebbonn  egualmente  chiar 
mare  Sciti  o  Tartari,  p  che.  abìtavatio  Ja  prima 
regione  dell'Asia,  dov^essa  per < via  del  Tanai  t 
divisa  dair  Europa ,  fumao,  più  ancora  che  gli 
Sciti  Europei ,  sconosciuti  a*  Romani  »  .  FicoìoUi 
p  parte  del  Tanaì;,  dioe  Strahonct  ci  è  nota,  a 
»  cagione  del  freddo  e  degl'  incomodi  dì  quel 
»  pae«e ,  che  i  naturali  virenti  di  eami  «  di  ÌAt* 
31  le  possono  sopportare ,  e  i  forestieri  non  powx  ^ 
u  no .  Del  Ji-esto.  onesti  Tartari ,  lontani  4al  iraf- 
».ficare  fiou  altre  nazioni,  per  numero  e  per  ro* 
»  bustezza  potenti,  chiusero  ogni  strada  dì  terra 
»  praticabili ,  e  ogoi  parte  navigabile  idei  fiu-? 
9-  me»  (i).  Tolomeo  un  secolo  dopo  Strabono 
scrisse  parimente,  tch«  gran  paMe  della  Scizia  era 
sconosciuta.  Ed  è  cosa  veramente  d^a  dì  nHH 
ravigUa  come  Flioio  il  giovane,  uomo  dì  tanta 
sapere  e  sii  curioso  di  cose  nuove,  allor  ch'era 
governatore  della  Bitinia  «opra  il  mar  Nero,  e 
eh*  ebbe  porrispondenza  col  re  del  Bosforo  «onfi-» 
naote  con  gli  Unni ,  non  «ìasi  iogegoato  dì  pren-t 
dere  cognizione  dì  quelle  genti  (2).  Ora>    questi 


(-1)  Strab,  1.  Il ,  p.  340. 

(a)  Per  quel  cbe  ti  conobbe  io  ptoc«Mb  di  laiii|io  t 
cotesti  Dudì  divenuti  (V  famosi  per  la  detolanone  che 
recarono  all'ltatìa  e  a  tante  provincic  dell'imperio,  occu- 
pavano quflU  parte  delta  Buisie  Aaiaticha  ,  cbe  cbiamait 
Aitracan,  tra  il  fiume  ^^'k**  il  tnonte  Caucuo,  e  il  Don, 
dello  Tanai  anttcanienle.  jE  perii  trovandoli  vicÌDÌallo  da- 
to   de'   Pcrtiani,    urebbonii   potate   procacciar-  diTtttioni 


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-/■ 


liX  Delle  Rivoluzigm  n*  Italia 

UsDÌ ,  nazione  'incolta  e  barbara  ,  osata  a  viver 
«SDza  ^bili'albeT^bi  in  campagna  aperta ,  scor- 
tetido  epredabdo  e  combattendo  per  tutto,  pira» 
saifODo ,  Bon  si  sa.  pei-  qnal  caso  ut  copie ,  ia  pa- 
lude^^^ifeotìde ,  e  il  Hum^Tinuii  obe  ib  es«a  sboc- 
«&  (i) .  TroTarODiti  di  <  priina  gtunfìì  nel  paese 
4egK  Alani;  ma  o  questi  gaf^liaidt  e  fercMì  Tr- 
^MMaoglr  aMalitcwi ,  o  Vepam«i^'il  pwse'Ioro 
■toàtuoso  esedvaggìo  non  presentò'  cosa-oh^  .at- 
iettale.  4a  cupwàità  degli  Dnoi.,  -i  qiidti  ikrsìò 
spingendosi  oltre,  Tennero  addosso  a  qiie*  Goti 
«beabitaToiK)  verso  il  Danubio.  I  Goti  spare»- 
laitt 'dalla  Bubha-^teursiohe  dì  co»  stratta  gente  e 
^  stra«n)kMna  ■%ura,  se  vero  è  ciò  cfad  ne  xtu> 
cantano  gir  anttefai  storrci  (a)*  si  gettaron  fag- 
gcndo  alte'ÌTvo  del^  Datnubio,  supplicando  d'esse^ 
j«: accolti  nelle  terre  de' Romani,  per  non  restar 
predai  e  vittima  de'  nnovì  assalitori .  Portato  V  avi- 
viso  di  sì  gran  novità  all'  imperador  Valente ,  le 
dispute  e  le  consultazioni  furono  molte  e  vbrìe  > 
per  ile^erminare  guai  fosse  il  partito  da  prende^ 
ré'.rìipetto  a  questi  Goti.  Intraprender  guerra  con 
kvo  era,  edsa  -pericolosa,  di  nrun  frutto,  ed  infi- 
nita ;  perchè  vinta  una  nazione ,  per  esempio  dì 
Sciti,  s' incontravan  quegli  Unni  stessi. jjjte- gli 
avean    cacciati  :    perocché    quelle  stt-afcrocchevoU 

d'.armi  di  gran  rilievo  per  la  difew  e  per  maggioie  it>- 
grau^ineato  ancora  dell'  imperio  Bomaa*  .    , 

(i)  Amtn.  Marceli.  1.  3i. 

(a>  Zoa.  1.  4;  .e-  30.  —  Amm.  Marcel^  aJ>^  top. . 


£iBRO:nL  GasòTIU/  ;k37 

IMfidezióDi  dì  barberi  settcQtrìonali  rovinarano  per 
lo  jDv^ricItio  ecflvcere  le  une  aopra  le.  altte .  Àc- 
co^ìu^  e  cooteaerìi^nel  seoo  delle  provùicie,  • 
destòiar:  uno  terr«  da  coUivar^  «  >a  guUa  dì  coIch 
aie,  «ra  .ìau>resa  dod  meno  malégevole,  speciale 
-mante  {)er  iVitifBcoltà  fSi  trovfur  :  ministri:  e  go» 
-Tcrnfttori  abili  'fs  non  avarì ,  che  li  eonteneBSsra 
-ne*  t«*mini  prescritti.  It  meno  rischioso  partilo 
era  senza  dubbio  spai^ere  i  novèlli  avrantorì  in 
più  luoghi,  e  fì-anunischiaHi  nelle  armate ,  e  cwp- 
care  di  renderna  una  parte  quasi  8ud<Uti  i)atur<iU 
dell'  imi^no;  alleMar  gli  altri  ocJJa  ^leraua;;^ 
videi^li  e  indebolirli  con  susàtar  gdoùs  tra  lo- 
ro, e  armar  quelle  nazioni  le  une  contm  la  al- 
tre ,  Uo  tale  spediente  veniva  anche  sòftenuto  da 
un*  altra  necessità  :  perocché  icarse^iando  le  ap- 
mate  Romane  di  soldati ,  e  crescendo:  le  guer»; 
poteìuo  questi,  barbari  parere  i  benvenuti,  da 
che  s'  offerivano  di  militare  a  mo^co  ^'pendio . 
Qualunque  di  questi  o  d*  altri  risguàrdi  movetie 
i'  imperador  Valente  ,  u  coocUiue  nel  aao  £qiu»> 
:glÌo  dì  ricevere  ì  Goti  con  eerti  patti  ecoodizio- 
BÌ  (i).  Ma  i  ministri  ed  uffìzidi  suoi  esogUiroDO 
ù  mais  dal  cauto  loso  le  condiaioni  aoiHtrdale-, 
cbe'si.^Mi  dall'avarizia  de*. Romani  spogliati  e 
ridotd  a  solmna- miseria»  e  quasiché  a*  termini  di 
morirsi  di  fame,  di  amici  ch'erano,  divennero 
in  breve  nemici*  e  nemici  tanto  più ^da  temersi, 

rO  V,  Jisinan^.  derdiM  Gelici*  e.  36. 

/ 


DiqitizeaovGoOglc 


s38  Delle  BrvoLuzìoNr  d*  Italia 

quanto  oh*  esri  si  trovaianu  armati  nelle  nscerfr 
dell*  impcTÌty.  Valente  cbé  sulla  fidada  di:  queftd 
lòrettierì  avea  trascurate  r  smitniite  e  scoofeutate 
le  mih'zia  Remane ,  venuto,  a  gaerra  con  questi 
Goti ,  Ti  perde  1*  ecercito  e  la  Tita  ;  e  lasciòf  l' im- 
periu  d*  Oriènte  n^  peggiore  scxanfiglio'  che  ìòsm 


Rholmipni  deir Imperia  éTOtxiden^^  éS-  tffetli^ 
che  da  esse  neequera  per  lo  statò  ^  ItaUa  , 

VTodera;  eì6- nwr pertantff  rifalla  piena  e"  perfet- 
ta pace  sotto  il  nome  dì  Valentinidno'secondoi' 
faDBHiIIov  ma  per  autorità  ed  arbitnc  di  Grazia- 
no angusto,  suo  maggior  fratello.  QUest'alfimo 
già  enr  stato  parecchi  ami  avanti  creato^  ttugusttf' 
e  oollegft  del  padre  ;  e  alla  morte  di  qùtsto ,  di" 
fatto. 'c di  ragione  a  lui  «ricadera  l'imperio  d'Ita- 
lia e  di-tutto  rOccideofe,  Ma  gli  ufBzialt  dì  Va- 
leutimano',  e  pift  di  tutti  Merobaude,  trovatido6i 
coù:'!*' esercito  in  Sabaris',  assai  lontaoi  da  Tne- 
veri  dove  s'era  f^fiiiato ' Graziano  augusto,  tc- 
mettcfo  che  quaTenbo  non  voleste  ocoupat  l'im- 
perio j  e  perciò  s' affrettarono  di  ■  prodamare  im-J 
peradore  il  fanciullo  Flavio  Valenlitiiano ,  secon- 
do di  questo  nome,  il  quale  aveva  insieme'  a  sua 
madre  seguitato   il   padre  fino   ad  Acinco    nella 


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Ijbro  SL  Capo.EC  339 

Phnnoaia .  Omnaiio  che  fu  il  f/tìma  tra  gì*  impe- 
radoTÌ,  in  cui  la  relìgìon  CrÌEtiana  conservaiDe'so- 
<|i  e  visibili  gli  effetti  suol«  approvò  senza  trop-^ 
pò  indugio  1*  elezione  ,  aacorché  fatta  lenza  suo 
consenso';  eà  ebbe  sempre  in  luogo  di  caro  £glia 
il  giovinetto  fratello','  col  qude  0  inoontanenta 
dopo  che  V  ebbe  rìcotfosciuta  per  collega ,  o  qual-^ 
che  atrao  appresso  divise  fé  proviocie  occidentali  : 
per  la  qual  divisione  restb'  a  -Valentiniano  1*  im- 
perio d* Italia^  In  questo  mezzo  vacò  I*iiAp«ÌD 
d*  Oriente  per  ìtt  morte  infelice  dì  Valènte  ,dis- 
fatto  T  come  abbiamo  accennato  «  e  «w  vivo'  pres- 
so Andrìnopoli  da*  Goti ,  i  quali  di  poi ,  senza 
trovare  ostacolo  ,  scorsero  e  predarono  insieme 
con  altre  nazioni  barbare  là  ^acia,  Ila  Macedo- 
nia, la  Grecia,  con  tutta  quella  parte  del  domi- 
nio Romàntf  (an.  375.  )jk  Graziano  in  cut  rìo»^ 
deva  il  dirìtttf  e  Fobbl^  di  provvedere  alto  sta- 
to d^l*  imperio  y  dove  Valente  non  avea  lascilo 
alcun  successore  y  non  credette  poter  me!g|tó  lì- 
ccHuporre  le  cose  d' Oriente ,  che  coH*  asscmiersi  - 
per  collega  Teodono  di  virtù  conosciuta,  e  d'età 
fresca  e  vigorosa.  NonZosimo  stdamente.  nìa'Si' 
neno  ancora  Dti  bellissimo  trattato  di  pol&ica  che 
Ktìtse  e  indirizzò  all'imperadore  Arcadie,  ripre- 
se non  oscuramente  la  condotta  dì  Teodosio  in 
questo  particolare,  d'aver  col  troppo  fiivorire  e 
stipendiar  barbari  tolte  di  mano  all' imperio  l'ar- 
mi e  le  forzo  proprie.  Parrà  strana  cosa  ad  alcuno, 


=dDvGoo^lc 


240  De[.le  RiYouraoM  d*^  Italia 

cbe  in  un.  punto  ù  poco  dui^Hiso-di  politica 
potesse  il  grao  Teodosio  commettere  errore  ài 
rilevante ,  di  disarmar  quasi  af&tto  gH  antiolii ,  • 
afEdare  a'  erbari  le  forze  e  la  difesa  dell*  impe- 
rio ,-  fbrmaodo  gli  eserciti  di  loro  soli ,  e  dando- 
Oe  a  persone  della  «lessa  oazione .  il  comando . 
A9a  da  che  Valente  area  dato  ricetto  nelle  terre 
^elP impecio  a  quelle  nazioni,  non  restava  né  a 
Teodosio ,  né  a  Graziano  altro  partito,  cbe  cer- 
care di  conciliarle  ed  affesionarle  ,  all'  imperio  -. 
Per  discacciarle  o  distruggerle  sarebbe  stato  biso- 
gno d'  altri  buoni  eserciti  di  mih'zie  Romane .  Ma 
non  che  &sse  possibile  di  m«tt«r  insieme  troppe 
Romane  bastanti  a  rispignere  tante  migliaia  4'  uo* 
mini  gagliardi  ed  agguerriti,  massimamente  quai»* 
do  sì  fosser  ridotti  alla  disperaoza ,  era  anche  dif- 
ficile per,  ^i  altri  bisogni  dell'  imperio  di  trove^ 
nelle  provincie  Romane  mediocri  eserciti;  e  q^e-' 
gli  che  vi  si  potevan  raccogliere,  non  avrebbero 
servito  np  più  fedelmente  n<è  per  minore  stipen- 
dio, che.  i  barbati:  sa!vo  che  convenne  ridurr* 
in  tributo  reale  V  obbligo  efae  aveano  le  comumV 
tk  di  somministrare  e  mantener  certo  numero 
.  d' iiomioi  negli  eserciti.  D'altra  parte,  è  bea 
certo: che  i  Goti,  e  gli  Alani,  e  tutti  quegli  o 
Alemanni  o  Sciti  cbe  vennero  allo  stipendio  de- 
gVìmperadori,  er9no  migUorì  soldati,  ohe  imo 
pofeano  tessere  i  Romani  a  quel  tempo  general- 
mente ammolliti  e  corrotti  ;  e  per  T  aspetto  esteriore 


ovGooglc 


'    Lima  ni.  Capo  IX.     T  t4t 

delle  persone  poteano  trovar  parzialità  d'affet- 
to De'  priacipi  (i)>  Vera  cosa  è  che  per  noa 
dar  troppo  potere  a  cotesti  straDieri*;  sarebbe  con- 
venuto ò  frammesoalarli  con  nazionali  -,  o  lasciar- 
ne il  prioGÌpal  comando  a*  Romani .  Il  che  sareb- 
be stato  conn'gKo  utilissimo,  ■dovaci  prìncipi  non 
avessero  avuto  a  diffidar  maggiormente  de*  gene- 
rali Romaai ,  che  de*  barbari.  Questi  aitimi,  sup-< 
ponendosi  sempre-  incapaci  d*  oocupar  in  penona 
propria  la  dignità  imperiai*;  aveano  »n  motivo 
di  meno  a  rivoltaci  e  tradir  S  principe.  E  chi 
pub  gcordarsi  che  tutte  le  rivoluzioni  dell' impe^ 
rio  per  ^ù  di  tre  secoli  addietro  j-  erano  per  la 
più  parte  procedute  dall'  infedeltà  '  de*  capiUmi 
^e  pur  non  erano  stranieri  P  In.  sonàma ,  il  tem- 
po fatale  della  cadutaci  sì  vasto' imperio  s'av' 
vicinava;  e  oontro-le  disposizioni  di  AiftA'iorprov- 
videnza  niun  riparo  valea .  Un  loFo  spedtente  tiel>^ 
P  ordine  delle  cose  poteva  essere -A  ritardar  la  ro- 
vina, ed  è  quello  sti^o  che  -fece,  che 'sostenne 
e  che  aggrandì  gl'imperi  in  qualsivoglia  età  e 
nazione;' ed  era  quèrto,  che  il  principe  banian-< 
dasse  Parmi  in  persona'.  Percib' Téodosio'che  in 
lotte  le  guerre  ohe  nacquen»)  amante  il  auo  im- 
perio, e  seppe  e  v(dle  govéraarle  per  sé  stesso* 
non  solo  potè -meglio' <^:iriua  altt*o  scegliersi  va- 
liti capitani ,  nta  fi  raairteone  ancora  fedeli  e 
Tomo  i.  .    '   ,       i6:  ' 

(■)  kmm.  Harcell.  I.  27.  et  Si. 


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242  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

divoti.  Egli  ebbe  noodimnio  a  wperare  difRcòl-t 
là  grandUsime,  e  tutta  la.  sua  destrrnra  gli  fè*^ 
bisogno  per  contentare  e  tener  io  freno  quella 
Bioltitudtae  di  straDi'eri;  e  per  aoddisfare  a  que- 
sti,  e  noa  isconteotare  i  Romani  *  0Ì  fa  d'nc^ 
moltiplicar  le  cariche  militari ,  ed  aggravar  per 
questo  con  nuove  imposizioni  le  sue  provincie  (i}. 
Graziano  attese  ancor  egli  a'  guadagnarsi  V  animo 
degli  Alani  che  in  gran  numero  doveaoo  cwero 
al  uio  servino,  e  gli  adoperò  utilmente  nelle 
guerre  che  fece  contro  i  Germani .  Ma  o  e^ 
non  £eppe  cori  bene ,  come  il  eoll^ ,  c<HvIursi 
Terso  gli  antichi  sudditi  ;  o  veramente  ia  malva-i 
gita  d*  alcuni  pochi  o  d*  un  «olo  rendè  funesta  « 
rovinosa  quella  gelosia  contro  de*  forestieri  r  CUi 
vedevano  ri  bene  eecohi  dall*  imperadore  . 

Bfogno  Màssimo  trovavasi,  non  si  sa  bene* 
sé  esule  o  ufBziale  nella  Bretagna,: allorché  Gra- 
ziano per  la  mtnle  di  Valente  e  U  necessità  àgh 
lo  stato  elesse  per  suo  collega  Teodorio ,  di  cui  ' 
Massimo  sì  vantava  d* essere  paesano,  e  di  me^ 
rito  non  inferiore  .  Invìdia  .ed  ambizione  lo  sti- 
molarono alla  ribellione  ed  alla  vendetta  ;  e  col 
finneotare  i  cattivi  umori  ohe  scoperse  ne'  sold»* 
ti  Roman»,  li  fece  scoppiare  in  aperta  ribellione, 
IFcciso  in  questo  amiiintinameoto  il  buon  Grazi»* 
Bo,  Massimo  ottenne  (  ah.  383.  )  molto  agevola 
nlen^   il  titolo  di  augusto,   e   l'imperio   delle 

(i)  y.  Zo*.  1.  4 ,  e.  Se.  et  Mq. 


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Ubso  IH.  Capo  IX.  t43 

Oallifl ,  e  coDs^uentemente  delle  Spagne  e  d«IIft 
!&«tagua,  le  quali  provincie  soleraao  senza  «on- 
irasto  obbedire  a  coloro  che  iinperarano  nellf 
GaUie.  Valentioiano ,  debole  fanciullo»  non  ob^ 
potesse  vendicar  l' ucciso  fratello ,  e  rìtorre  air 
r  usurpatore  le  mal  occupate  provinoie,  ebbe  per 
gran  mercè  di  rìconoicerlo  per  collega  (i);  « 
Teodosio  f:he  aveva  troppo  che  fare  io  Oriente , 
approvò,  o  ne  fece  almeno  le  viste*  l' esaltamene 
to  di  Massimo:  e  benché  le  tre  corti  di  questi 
priocipi  fossero  piene  di  sospetti ,  perchè  Valen- 
liniaoo  e  Teodosio  temevano  del  continuo  qual- 
che nuovo  attentato  del  tiranno ,  e  quesU  non 
poteva  mai  lUsiogacai  che  ì  due  |HÌmi  Io  nguap- 
dassero  dì  buon  animò  com'  egOale;  pur  nondi- 
meno si  passarono  alcuni  aDui  in  mandarsi  am>- 
bavperìe  reci[HX)che  ora  uffiziose,.  ora  mioaoeero- 
li ,  secosdonbè  si  temeva,  o  si'  prendeva  tigor» 
4à  una  parte  e  dall'  altra;  Fu  saot*  Amtwogio  ve- 
scovo di  Mtiano  più  volte  adoperato  in' queste  le* 
galloni  ;  primo  esempio  della  _parte  che  poì  eb- 
bero i  vescovi  a*  tempi  seguenti  ^nel  Aianeggìo  del- 
le cose  politiche ,  massime  nelL'  Occidente .  Giifr* 
stioa  augusta^  .madre  del  giovane  Valei^nUnio-, 
governò  a  nome  del  figUuolOi  tr«nqu!ll«naènte 
Vkdia,  non  ostante  che  inibevuta  degli  Àriam 
errori  abbia  dato  qualche  travaglio  a*  v^kovì  catk 
talici .  Ma  alla  fine  una  donna  iofuperta  «  e  uà 

fi)  Tillent.  Mem.  de  rempereorTalentioien  IL  — Ma- 
rat. Du.  383  et  Kq[.  '       '     '      .' 


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244  Delue  Rivoluzioni  d'ItalU 

debole  fanciullo  piccol  riparo  poteaao  fòre.  ad  un 
astuto  ed  agguerrito  tiranno .  Giustina  augusta 
vedendo  la  superiorità  del  Demioo,  si  fuggì  ed 
figliuolo;  e  r  Italia  rimase  soggetta  a  Magno  Mas- 
simo. Ma  egli  non  ebbe  a  godersi  lungamente  di 
tal  oonciuista ,  perchè  Teodosio  gli  venne  Con- 
tro; e  TÌnlo  ed  ucciso  l'usurpatore,  ritornò  Tltar 
lia  sotto  il  governo  del  giovane  Valentiniano .  .Ma 
nondimeno  due  pernlziosissimi  efTetti  procedettera 
dalla  ribellione  di  Massimo .  Uno  fu  V  essersi  per 
cagion  sua  o  mantenuto ,  o  ravrivatp  nelle  Gal- 
H«  un  certo  genio  d'indipendenza  per  un'usan- 
za inveterata  da  più  secoli  di  crearvi  degli  au- 
gusti: drcostanza  singolarmente  notevole  per  ri- 
guardo alle  rivoluzioni  dell*  imperio  occidentale  e 
dell'  Italia ,  la  quale  dovette  da  questo  tempo  ser- 
vir di  frontiera  a  sé  stessa ,  ed  abbandonata  qua- 
si a  sé  sola  difendersi  colle  proprie  fbr2e  che  cer- 
to non  eran  grandi ,  e  però  prender  legge  da 
<^unque  l' approssimava .  Àbbiam  notato  altro- 
ve (i) ,  che  regnando  Gallieno ,  Fostumio  si  era- 
£itto  ittiperador  delle  Gallio ,  e  che  le  governò 
saviamente.  Successegli  Saturnino  suo  figlio»  e 
poi  Tetrico.  Questi  fu  vinto  da  Aureliano,  il 
quale  col'  terror  del  suo  nome  contenne,  le  Gallip 
soggette  a  sé  solo .  Ma ,  pochi  anni  dopo ,  Caro 
diede  il  governo  delle  Gallio  a  Carino  cesare  suo 
figliuola.  IM  questo  in  poi  non  paesacono.  mai 

(t)  Y.  mp.  1.3,c.  4.      ,"      . 


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Libro  IH.  Capo  EX.  245 

iiioUi  anni  seoz*  aver  quella  provincia  ud  impera- 
dpre  proprio  ;  e  Treviri  divenne  sede  e  capitale 
d*  imperio,  più  che  non  fosse  Roma  in  quel  tem- 
po. Diocleziano  vì  mandò  il  suo  collega  Erculio 
nella  prima  divisione.  Poi  v'andòGwtanzo Cloro, 
a. cui  succedette  Costantino  il  grande,  il  quale, 
beocfiè  per  alcuni  anni  tenesse  l'imperio  riunito, 
lasciò  tuttavia  il  ooRtando  delle  Gallie  a  Crispo 
suo  primogenito,  mentre  Io  ebbe  in  grazia.  Mor- 
to il  gran  Costfuttino,  le  Gallie  tornarono  sotto  un 
imperadore  proprio,  che  fu  Costantino  il  giovane. 
Costante  che  ucciso  il  fratello,  rinoì  le  Gallie  al- 
la sua  parte  d' imperio ,  non  durò  a  lungo  ;  pe- 
rocché Magnenzio  si  rivoltò ,  e  si  sostenne  impera- 
<lor  delle  Gallie  contro  Costanzo  angusto .  Estinto 
Magnenzio,  si  sollevò  Silvano;  ed  appenii  TimpCr 
rador  Costanzo  ebbe  debellato  questo  tiranno ,  che 
Giuliano ,  andatovi  come  luogotenente  di  Costan- 
zo, fu  in  captf  a  non  molti  mesi  ureato  augusto 
per  via  d' anunutìnamento  .  Questa  continua  suc- 
cessione di  principi  e  di  tiranni  nelle  Gallie  para- 
va che  si  fosse  terminata  sotto  Valentìniano ,  i! 
^ale  eoi  vigore  del  suo  governo  impedì  non  mt^ 
ao  le  ribellicmi  de* sudditi,  che  TinrctsioD  de* ne- 
mici ì  n'ccbè  lasciò  molto  ben  fermo  1*  imperio  a* 
•noi  %liuoli .  Ma  la  sollevazione  di  Massimo  su- 
scitò ndle  Gallie  gli  spiriti  assopiti  dell*  indipen- 
denza ;  e  le  circostanze  de*  tempi  che  seguitarono 
l'usurpazione  di  lui,  diedero  per  avventura  la  pri- 
ma   otigine   alla    mooarcEìa   Frances*  ,   e  -alla 


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34^  DELtE  BlVOLlTZIOMF  D*  ItALM 

separaKione  totale  dellMtaKa  dalle  altre  parti  già 
compotieoti  rimprtio  occidmtale;  In  fattidaqu»- 
8tò  tempo  in  poi  appena  bÌ  trova  che  le  GalJie^ief 
nò  state  anche  per  breve  spazio  obbedienti  agl'iniì- 
peradorì  regnanti  in  Itaiia^  Ma  T  altro  non  m»* 
no  grave  danno  che  cagionò  allo  stato  d'Italia 
1* usurpazione  di  Massimo,  fu  eh* egli  espose  più 
che  non  erano  state  per  I*  addietro ,  le  provincrè 
Romane  agli  assalti  degli  Alemanni .  Massimo', 
ancorché  desse  principio  alla  sub  M^tevazione  con 
mostrar  di  proteggere  e  favorire  i  spldati  Romani 
,  vale  a  dire  i  nati  sudditi  dell'  imperio;  fermata 
eh'  ebbe  coli*  assenso  o  ferrato  o  grazioso  de'  idue 
legittitaii  imperadori  Tuturpata-  signoria,  badò  an^ 
cor  egli  a  cercarsi  nuovi  sostegni,  comprando  Ta- 
micizia  e  l'alleanza  degli  Alemanni.  Con  la  fidu- 
cia di  tale  aiuto  trattò  egli  sempre  superbamente 
e  come  inferiore  ValentinianOf  mipacciandogli  ad 
bgn'ora  di  mandatali  addosso  in  Italia  un'armata 
di  barbari  (i),  de*  quali  area  sicuramente  un  gran 
enumero  anche  belle  sue  legioni.  Queste  cose  crel>- 
bero  animo  e  baldanza  a  quelle  nazioDÌj  le  qua- 
li, conosciuti  i  disordini  che  travaglìavan  l*im>- 
perìo,  poterono  ai^omentar  fàcilmeote  che  lasoi^ 
te  de*  cesari  stava  a  loro  discrezione.  Intanto  ì 
Goti,  gli  Alani,  i  Franohi,  e  gli  altri  barbari  ri» 
ceVuti  ài  soldo  non  meno   degl' ìmpuradorc ,  che 


^i)    Quum   rraHsrhenaaot   milhai   minìteris  Itàliàe', 


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'  '  LiBBo  UI.  Capo  IX,  ^7 

Ab*  tiranni ,  formavano  la  maggior  parte  delle  for- 
ze loro;  e  fra  gli  ufBziali  di  Teodosio  »  come  già 
abbiamo  detto,  e  del  giovane  Valentinìano  ì  pia 
riputati  erano  barbari.  Né  il  credito  6  il  poter  lo- 
to si  contemie  solamente  nelle  armate ,  ma  passò 
prestò  nelle  città  e  nella  stessa  Roma  dov'erano  d 
eorfeggiati  e  rispettati  e  temuti .  Costoro ,  coma 
ognuno  può  Immaginar  di  leggeri,  favorivano*  io- 
vitavano,  protèggevano;  e  conosciate  Ift  forze  pro- 
prie e  là  debolezza  de'Romaoi,  si  fecero  dispoti* 
ei  dell*  imperio  *  poco  si  curando  del  titolo  d*  iiA" 
peradorì.  ÀrbogAste,  Franco,  di  nazione,  generale 
cU  Valentinìaoo ,  teneva  questo  principe  come  suo 
pupillo,  per  non  dir  come  schiavo;  e  in  fìne  .lo 
fece  uccidere,  perchè  vqleva  oomaòdare.  Arboga- 
ate  che  tutto'  poteva  in  Occidente ,  diede  il  titolo 
e  la  corona  iniperìale  ad  Eugenio,  uomo  di  let- 
tere e  suo- raccomandato,  ma  ritenne  tutto  il  ci- 
mando e  tutta  I*  autorità  del  governo  in  sua  ma>- 
no.  Non  so  se  nella  storia  aatioa  ù  tròn  più  a- 
perto  vestigio  del  governo  dei  re  di  Francia!  del* 
la  prima  scbiatta,  e  de*  oalifB  Saradnì,  a'  quali 
t  iqaggtordomi  e  ì  sóldani  lasciavano  le  insegao  .è 
"il  titolo  di  sovranità ,  esercitandone'  essi  èffettivct- 
mente. tutti  gli  uffìid.  E  noi  vedremo  per  un  té- 
■colo  quasi  intero  troppo  bene  «egintato  un  tal  e- 
«empio.  Vero  à  che  Arbogaste  ed  ^ngenn  fUrO^ 
-no  vinti  e  spenti  dalle  armi  di  Teodosio,  il  qua- 
le V  aacorcliè  avesu  gli  eseccitì>  «  la  corte  pieni  di 
barbari ,  potè  col  suo  senno  e  «oUa  np}itWO(i  Aél 


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246  Delle  Rivoluzioni  d*  Italu 

tao  nome  manteDersi  obbediente  -  ed  ossequiósa 
ogDuno,  e  tutto  l'imperlo  sottoHiesso  ed  unito.. 
Ma  Onorio  che  per  diritto  delle  concfuiste  del  pa-. 
'dre  soccedette  a  Valenttniano  secondo  nell'irape- 
rìo  d*  Occidente  *  e  parttcolarmeote  dell'  Italia 
(mentre  Arcadìo,  Taltro  mi^gior  fratello,  nma* 
se  alla  morte  di  Teodosio  imperador  dell*  Orien- 
te ) ,  non  eredita  delle  virtù  paterne  altro  cbe 
r  amore  alla  religione  ;  e  quanto  fu  pio  e  zelan- 
te cattolico ,  altrettanto  fu  debde  ed  inetto-  p«i>- 
cipe. 

CAPO        X. 

Prìncipu  del  regno  if  Onorio  ;  e  primi  attertìatà 
àe* barbari  sopra  l'Italia. 


C^uando  Tediamo  cdd  guai  ièrmezza  si  adoperas- 
se Onorio  a  distruggere  in  Roma  gli  ultimi  avan- 
zi dell'idolatrìa,  e  reprìmere  per  tutto  il  suo  do-  . 
minio  l'insolenza  degli  eretici  e  de' pagani,  appe- 
na possiamo  credere  eh*  egli  avesse  tratto  dalla  oft> 
tura  quel  eavattere  d'imbecillità,  che  fu  il  carat- 
tere proprio  del  suo  governo .  Vtt  questo  sarebbe 
•  forse  da  presupporre  che  saot*  Ambrogio ,  e  ^\ 
altri  i  quali  ebbero  cura  d*  instruire  il  giovane  ìra- 
peradore  nella  reHgion  Cristiana,  il  fecero  con 
piiro  zek)  ed  affetto;  e  cbe,  avendo  trovate  bu»- 
ne  disposiziom  e  buon  terreno ,  il  frutto  vi  cor- 
rispose |)ienamente .  liiddove  coloro  che  futono 


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tiBBO  ni.  Capo  X  949 

lasciati  da  Teodosio  alla  cura  del  pn'ocipe  negli 
affari  di  stato ,  credettero  d*  assicurartii  meglio  per 
l' avveoire  1*  autorità  che  godevano ,  e  quella  mag- 
^ore  a  cui  aspiravano,  audrendo  nel  debde  aui- 
rno  del  }or  signore  la  timidità  e  TÌDdoIenza.  Per 
altra  parte ,  egli  è  assai  probabile  che  i  maestri  e 
i  consiglieri  d' Onorio ,  coaoKÌuta  la  »oa  ioclioa- 
zione  alla  pietà,  per  mantenersi  la  grazia  del  loc 
«igaore,  sì  mostrassero  anch'essi  molto  affezionar 
ti  alla  religione;  e  per  questo  la  più  parte  degli 
editti  o  rescrìtti  che  sotto  Onorio  uscirono  contro 
i  pagani  e  gli  eretici,  procedessero,  come  tutti 
gli  altri  ordiaameati  politici ,  dall'  attività  e  dal- 
Va,cGqptezm  de' ministri,  anziché  da  vigor  partico- 
lare del  prìncipe  nelle  cose  di  retinone .  Comun- 
que ciò  fosse ,  non  è  però  meDo  certo  che  Onorio 
fu  perpetuamente  giuoco  e  ludìbrio  de'suoi  servi- 
tori ;  ma  noa  metro  debole  in  lasciarsi  governar 
da  loro ,  Sflcbè  si  mantenevano  nel  favore ,  che 
sconsigliato  e  precipitoso  a  rovinargli ,  aUorohi 
uoa  vdlia  avea  cominciato  aprir  le  orecchie  alle 
accuse  o  calunnie  degl*  invidiosi .  Alle  quali  cose 
qualora  io  rivolgo  il  pensiero  «  stimo  esser  vanìd- 
sima  e  fuor  dì  proposito  quella  questione  che  so- 
gliono muovere  certi  scrittori  delle  cose  politici^, 
4e  più  giovi  alio  statQ  1* avere  il  principe  buono, 
■o  il  ministro .  Perocché  non  è  possibile  che  sotto  un 
debole  o  un  cattivo  principe  «a  o  si.  manlepga  in 
■«r^ito  un  buon  ministro .  L'  esempio  del  ij^rdìual 
{Ucbelieu  che  seppe  conservarsi  Tautorìtà.,  eser^'ì 


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&5o  Delle  Bi^olùzion/  d'Itaua 

utilmente  il  suo  re  qxutoi  a  suo  dwptftto,  h  fonie  l'unico 
io  tutta  la  stona  del  mondo.  Stìllcoofr  troravasi  ap* 
presso  d*  Onorio  nellostesso  grado  dìBichelieu  appFe;tJ- 
<o  di  Lodorico  XIII  ;  ed  è  certb,  ch'egli  resse  l' im- 
perio d'Occidente  non  da  Diinistro,  ma  da  sovranot 
Fosse  virtù  sincera,  fosse  nobile  affetto  di  gloriai 
che  lo  animasse,  o  un  ambitioso  desiderio  di  «a- 
perare  nell'amor  de* sudditi  e  nell'estimazione  del' 
le  due  corti  l' emolo  Ruffrno,  creatura  ancor  esso 
di  Teodosio ,  e  ministro  di  stato  appresso  Aircadio 
io  Oriente  ;  StiUcone  govemb  con  tanta  destrezza 
e  con  tal  vigore  gU  affari  di  guerra  e  di  pace , 
che  dee-  eccitarsi  fra  i  grand'  uomini  dell'  atitichì» 
tà.  NTuno  de*  più  famosi  monarchi»  o  de*  più  ce- 
lebri favoriti  ricevette  mai  da' sudditi  o  da'clien*- 
ti  tante  Iodi,  quante  n' ebbe Stilitnse  da  Claudia^ 
no  che  visse  a  suo  tempo;  e  ciò  che  più  impor- 
ta ,  ninno  forse  n'  ebbe  mai  né  di  più  sode ,  nh 
di  più  ragionevoli  e  più  meritate.  Impei-occhèt 
quantunque  le  cose  si  trovino  magniScate  ed  esa- 
gerate dalla  copiosa  e  felicissima  vena  del  poeta; 
pure  non  sono  lodi  comuni  o  iperboli  di  oaprio»- 
ciò,  ma  appoggiate  sopra  azioni  vere  e  notorie 
dell'  eroe .  Una  sola  cosa  rimane  dubbiosa  intorno 
al  carattere  di  Stiticoaei  oioÀ  la  sincerità  delle  sua 
intenzioni,  e  la  sua'fedeltà.  Rimase  questo  comA 
{»roblema  nella  memoria' de' posteri  ;  e  non  ci  ab- I 
biamo  molto  più  dì  ragione  a  credere  ch'egli  ab- 
bia volpto  usurpare  la  corona  al  suo  principe,  o 
eh'  egli    sia   stato   sacrificato   ingiustamente   alla 


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Libro  IH.  Capo  X.  -aSk 

-geloiiìa  ed  alle  (ìalunnie  d*  Olìmpio  suo  eio^lo  «  e 
lioi  'suo  succnsore  nel  mtBÌsteco  e  nel  favore  d*  O- 
-nono.  Ad  ogni  modd,  il  meno  equìvoco  si  fu  for- 
se, ch'ali  abbia  tentato  di  stabilir  il  suo  figliuo- 
lo Eucberid  sul  trono  di  Gjstanlinopoli  aliti  mor^ 
te  d'Arcadio.  Ma  finalmente  egli  era  Vandalo,  6 
per  ogni  piccola  ombra  cfae  dessero  i  suoi  anda- 
menti ed  i  stKti  trattati  con  gli  altri  barbari,  non 
fo  difBeile  a' suoi  rivali  il  persuadere  ad  Onorio  i 
eh*^K  maocbinasse  di  tradirlo.  Fu  dunque  ucci^ 
so  quei  gran  ministro  e  grim  eaprtauo; enfila suft 
caduta  diede  l'ultimo  crollo  Pimperio  d'Occiden* 
te.  Ma  se  nella  morte  diStilicone*  Onorio  e  TI' 
talia  perdettero  il  solo  braccio  cbe  ancor  restava 
■  ritardarne  la  rovina,  egli  non  è  meno  certo  che 
alcuni  anni  prìmaStiticonemedesimoavea  perdu- 
to DeHa  morte  di  sant'Ambrogio  runico  sostegno 
d^a  sua  virtù,  e  il  più  sicuro  compagno  nel  con- 
•Iglio  e  nella  conBdeoza  dèli*  imperador'e.  Era  pas^ 
iato  da  principio  qualche  disparere  tra  Stilicone, 
ed  Ambrogio  ;  ma  Stilicone ,  conosciuta  V  onestà 
e  l' abilità  del  santo  vescovo  nelle  cose  di  gover*- 
no,  ne  concepì  gr«idissiffla  stima  e  venerarione: 
Dal  che  nacque  probabilmente,  che  i  primi  aUnS 
del  suo  ministero  iìirono  meno' soggetti  a  rimjuo' 
Veri,  e  a  sinistre  interpretazioni  (ì). 

Ma  che  cbe  si  debba  credere  alla  fine  delle 
buone  o  delle  ree  iotenàÒDÌ  di  Stilìcone ,  Il  tatto 

(i)  V.  Tauli».  io  Ambtoiit  viu  e.  ^4  et  45.    - 


=dDvGooglc 


262  Delle  RivotoztONi  J>'  Jtalis 

è  pur  certissimo,  che  meotre  egli  ebbe  "il  coman- 
do delle  armi  Romane,  T Italia  scampò  due  Tolte 
dai  pericolo  gratidiusimo  in  cni  si  trovava;  di'  ca- 
der sotto  i  barbari .  Le  storie  di  questi  tempi  so- 
no sì  mancanti  e  couftise ,  che  appena  dì  grosso 
si  può  trar  contezza  de*  fatti  più  principali .  Ciò 
non  ostante  tutti  gli  scrittori  e  prolasi  e  sacri  ci 
fanno  unanime  testimonianza  di  du«  memorande 
sconfitte  cbe  Stilicene  diede  ad  Alarico  e  a  B»- 
dagasio,  il  primo  general  de' Goti,  l'altro  dfcgli 
Unni  o  sieno  Sciti.  Questi  due  capitani  assaltaro- 
no d'accordo  l'Italia  verso  l'anno  quattFocentesi- 
^mo;  e  di  tanto  spavento  riempierono  l'atiìmo  de^ 
grita^asi,  che  Onorio  già  si  era  partito  di  Ba> 
Tcnna ,  risoluto  di  passare  le  Alpi ,  e  ricoveràra 
nelle  Gallie  :  se  non  che ,  scongiurato  e  persuaso 
da  Stìlicone,  si  fermò  in  Asti  con  animo  ancora 
'  di  lasciarsi  assediar  da'  nemici  io  quella  città  na- 
turalmente copiosa  di  viveri,  ed  in  quel  tempo 
fuor  di  dubbio  assai  bene  fortificala  dall'arte.  Ma 
la  famosa  vittoria  ch'ebbero  i  Romani  salte  rive 
del  Tanaro  presso  a  Foenza ,  liberò  Onorio  di 
quella  paura;  perchè  Alarico,  usdto  d'Italia,  dod 
vi  pose  più  i  piedi  fino  alta  morte  di  Stilicene . 

Radagasio  cbe  due  anni  dopo,  rifattosi  pro- 
babilmente di  nuòve  genti  «  mosse»  verso  Roma 
con  potentissima  armata,  fu  ancor  egli  vinto  sot- 
to Firenze:  poi  rifuggitosi  sopra  il  vicino  monte 
di  Fiesole  >  perde  miseramente  sé  stesso  con  tutti 
i  suoi .  Il  vantaggio  che  da  questa  vittoria  trassero 


=dDvGoo§lc 


Libro  ID.  Capo  X.  i53 

!  RoDiani ,  parea  che  potesse  ristorare  in  parte; 
r  Italia  del  danno  tuttavia  notabile  che  queste  ul- 
time guerre  le  cagionarono,  benché  abbiano  avu- 
to favorevole  il  fine .  Si  fecero  a  Fiesole  i  prigio- 
ni in  tanta  copia ,  ebe  si  vendevano  via  a  guisa 
di  pecore  per  pochi  danari  ;  Ìl  che  non  era  pio- 
ciot  comodo  ndla  scarsità  così  di  sèrvi,  cfae  d*uo- 
mini  liberi ,  ìn  cui  si  trovava  T  Italia .  Ma  in  bre- 
ve tempo  videsi  tornar  vano  sì  fatto  vantaggio  ^ 
perocché  una  fierisaima  epidemia,  provenuta  per 
avventura  dalla  fame  patita  dai  barbari  m«itee 
fìirono  assediati  sul  monte,  ritolse  a'  compratori 
quel  nuovo  acquisto  di  servi:  e  l'ora  estrema  cfae 
Dio  avea  prefisso  alla  grandezza  Eomana,  già  era 
neina. 


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254 


LIBRO    QUARTO..       . 
CAPO    PRIMO, 

SìtraUo  delle  cose  d'Italia  verso  ìajìne  del  quar- 
to secolo  :   agricoliura  ,   commercio,    arti^    e 
.  sludi . 

JNoi  .abtoamo  da  dieci  o  dodici  ':sttdC>U  qq^  bene 
assuefatto  ranimo  a  queita  idea*  <^é  ì  Coti,  gli 
Eruli«  i  Vandali,  i  Longobardi  abbiano  rovinata 
ed  ioselvaticbita'  r  Itala ,~  obe  senza  pur  rifletterà 
essere  noi  stessi  discesi  per  avventura  da  qu^^le  tOLf 
zioni,  appena  possiamo  immaginarsi  cb*  esse  ab" 
bìano  potuto  recar  ombra  di  bene  a'  paesi  cbe 
conquistarono .  Né  già  può  negarsi  obe  in  quel 
primo  sconvolgimento  di  cose ,  quando  fu  distrut- 
to e  affitto  spento  1*  imperio  d'  Occidente  Io; 
scompiglio  e  la  desolazione  non  eieno  stati  gran« 
'  dissimi .  Ma  se  daremo  uno  sguardo  allo  sfat- 
to in  cui  era  l'Italia  quando  i  Goti  ci  ven- 
nero e  presero  Roma  la.  prima  volta*  Terremo. 
forse  a  conoscere  cbe  le  genti  cbe  sono  vivute  iir 
Italia  dopocbè  i  barbari  v'ebbero  stabilito  il  lo--^ 
ro  domìnio ,  non  aveano  grande  ragione  di  deplo- 
rare le  passate  rivoluzioni. 

L' Italia  ne'  due  primi  secoli  del  Romano  im- 
perio ,    divenuta    giardino   di   Roma,   s*  andava 


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Libro  IV.  Capo  t  265. 

consumando  nelle  sue  delizie.  Il  primo  e  più  note* 
Tole  danno ,  e  quello  da  cui  tutti  gli  altri  deriva- 
rono, hi  l'esser  ristretta  e  poco  meno  che  spenta 
la  sorgente  della  popolazione.  La  più  parte  s'era- 
no avvezzi  a  riguardare  come  grave  giogo  il  ma- 
trimonio; e  per  quante  leggi  ai  fossero  fatte  con- 
ti^p  ^i  scapoli  o  iO' favor  de*  mariti,  non  s'era 
potuto  levar  via  it  molto  maggiore  allettamento 
d'  un  licenzioso  celibato  :  ed  era  divenuta  tanta  la 
scarsezza  di  prol« ,  die  a'  tempi  di  Costantino. 
L*  Aver  un- figliuolo  solo  portava  seco  grandi  privir 
1^*  (i).  S'introdusse  questo  abuso  da  prima  ne*, 
^ndi  e  nel  popol  grasso ,  e  finalmente  passò  in 
tatti  gli  ordini  di  persone  non  pur  di  Boma,  ma. 
$;  tutte  te  contrade  Italiane.  Le  più  vicine  a  Ro- 
ma ,  frequentate  per.  camion  di  diporto  dai  citta- 
dini deliziosi,  come  quelle  della  Campania,  furo- 
no più  presto  infeste  dallb  oorruzìon  de*  costumi , 
che  i-egnava  nella  capitale .  Le  altre  più  discoste , 
oome  sono  queste  postre  della  LombariUa ,  riten- 
nero .per  alcun  tempo  e  conservarono  l'antica  mo- 
destia, e  parsimonia,  e  semplicità  (2);  ma  alla 
fiiie  corsero  la  sorte  delle  altre ,  massimamente 
da  che  la  residenza  d^l*  imperadori  in  Milano ,  in 
Pavia,  in  Verona,  in  Ravenna  condusse. m  questi 
paesi  gli  stessi  disordini,  che  in  Roma  e  nelle  vi- 
cinanze di  essa  (3).   Gli  spettacoli,  le  feste,  l 

-.  [i]- V..HeÌaecc.  idi.  Pap.  P«pp.  .■ 

[a]  Win.  l.  I.  ep.  i4. 

15J  V.  Olyoipiod.  sp.  Phot.  cttd.  80.       . 


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256  Delle  Rivolvzioki  d*  Italia 

sollazzi  che  seguitavano  la  residenza  della  corte  ; 
i  donativi ,  le  larghezze  che  facevano  i  grandi  ia 
occasione  spezialmente  di  prender  possesso  di  qual- 
che dignità,  quando  ia  pòchi  giorni  si  gettavano 
molti  milioni  ;  le  vettovaglie  che  non  meno  da* 
buoni ,  che  da*  cattivi  imperadorì  faeeansi  distrì- 
buìre  o  gratuitamente ,  o  per  vilissimo  danaro  al- 
la plebe  (i)  ;  tutto  questo  nudrira  maravigliosa-. 
mente  gli  abusi ,  e  diremo  quqsi  le  malattìe  po- 
litiche dello  stato,  che  il  trassero  lentamente  al- 
l' ultimo  distruggimento .  Pochi  erano  coloro  che 
volessero  prendere  il  carico  della  moglie  e  de'  fi- 
gliuoli, potendo  an~darsene  a  Roma,  e  camparvi. 
senza  briga  e  travaglio  fra  i  piaceri  de*  teatri  e 
del  circo .  Mancata  poi  o  dimiouita  in  Roma  la 
larghezza  de'  principi ,  dopoch'  essi  ebbero  ferma- 
to altrove  il  loro  soggiorno,  la  pietà  Cristiana  so- 
stenne,  benché  con  miglior  fine,  l'ozio  medesi- 
mo .  La  Chiesa ,  arricchita  per  le  donazioni  di 
molti  cittadini  divenuti  Cristiani,  sòccorrea  con 
larghe  limosine  ali*  indigenza  de'meschinelti.  Ma 
questa  pietà  verso  ì  poveri ,  e  spezialmente  versò 
gt'  iofermì,  fu  oagione  che  molti  ribaldi  e  sciope- 
rati corressero  in  Roma  per  abusare  di  questa  pia 
liberalità ,  e  fuggir  fatica  (2)  .  Così  per  vari  mo- 
di 3'  andava  ritraendo  la  gente  dalle  opere  ni- 
stiohe  (3) ,  e  s' abbandonavano  i  borghi ,  ì  villaggi 

[1]  V.  Cod.  Thèod.  I.  14,  tu.  i4,  »5,  17,  19  etc 
[3]  V.  Cod.  Theod.  de  Meodìc.  aoa  iuvalidU. 
[3}  Ambr.  de  Oilfic.  1.  a  /  e.  i6- 


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Libro  IV.  Capò  t  267 

f  U'piccbls  città,  cbe  woo  ordiaariamente  la  di- 
fesa e  il  sosterò  delle  città  graadi  e  degt'  impe- 
ri .  Le  cotoaie  Doa  volta  sc^te.  di  riatorar  la  popOf 
ladope  delle  terre  dat  guénesco  furor  desolate , 
gii  abbiamo  veduto  che  anche  nel  primo  secalo 
dell'imperio  riuscivaao^  P°co.  profitto  a  ripopo- 
lar la  campagne  die  il  ìatso  e  Parti  cittadioescfatt 
pnk  ancor  delle  guerre  distroggeraDo  del  continuo; 
t  bel  ^fzo'e  qiiarto  secolo  n'era  passetta  io  disu- 
so fi^o  l'ombra  e  l'idea.  Siccome  pochissimi  à 
eoataraóo  ì  soMati  nativi  Italiani ,  cosi  pochi  si 
curavano  d'avere  per  ricompensa  campagne  in  I- 
(alia,  fatta  ultimaDitnte,  come  le  altre  provincie, 
■oggetta  ai  tributi  ed  alle  gunre ,  ed  esposta  da 
iDDgbissimo  tempo  alta  cupidità  de*  favoriti  e  de* 
nifàistfi,  le  osàrpazioaì  de*  quali  aveaao  renduta 
troppa  incerta  0  mutabile  la  propn'età  de*  beni. 
Cosìcchi,  sé  manc&  a*  terràzsaoì  ed  a'  rustici  na- 
turali 1*  animo  0  la  fibertà  di  ooUìvare  i  prc^ri 
eampi ,  niolto  minore  allettaibeoto  àveauo  a  ciò 
fare  i  scadati  invecchiati  ndla  licenza  e  nelle  ra- 
pine  (i).  Tutto  il  terreno  coltivabile  dovette  a- 
dunque  essere  posseduto  da  pochi  ricchi ,  e  spe- 
zialmente (^'senatori  Romani,  massimamente  da 
che  sì  era  stabilito  una  volta,  che  ciascun  di  la- 
ro dovere  a^er  beni  stabili  in  Italia.  Costoro  fa- 
ceano  lavorar  le  terra  dai  loro  lofaiavi .  Ma  ancor 
Tomo  L  17 

<i)  V.  Colt  I.  I.  de  AgcQ  (luerlo.' 


=dDvGooglc 


z6B  DeiìB  RivQLuziòiii  dMtalu 

questa  forte  di  lavoratori  vnine  manfìando,  dopot 
che  le  proTÌacie  orìentalr  e  le  GaUie  comÌDcianH- 
tio  a  ctesxe  a  ncoBoscers  i  loro  impcradori  o  ti-r 
ranni  paFffoolari .  Quet  poco  numero  di  F»%iosÌ 
die  fóciCTan  nelle  guerre  di  Persia  e  di  Gflrnuh 
nia ,  poche  volt?  passava  in  Italia,  Oltncbi,  nua 
tanto  si  cercanano'  da.  lootaiiff  provimtte'  serri  rux- 
itici  ed  uoiDÌoi  indurati  alla  gleba  ed  al  travaglio  » 
na  di  qaellì  c&r  servivano  ai  piaceri  ddla  lits 
0or{Hda  r  al  Iqsw  ^  ^^  ^f''  ^^  °<*°^  ^'^  punb» 
dimómito  in  Romar  snoorcbi'  qu^la.  eiitji  ttvMse 
•oeasato  d*'euer  sc^^omo  ordinario' degl'imperador 
ri  e  della  corte.  C^ni  damxr  '  oi«acuDode''gin»4' 
dì  generalmente  arria  creduto  di'saeqrar  la  nascite 
e  ir  grado  r  ae,  uaenado  in  pubblica ,  aoK  aiAraeA 
dietro  una  ivsg^  ed  ìnoomoda  Mbiem  dì  cputtra 
ty  cinque  cento  paggi  e  «erviftwf  (i).  ; 

A  misura  cb«  si  &rona  dìl^oatìi  a  aptioti  i 
iTOtieì  naturali,  v  cbe  mancò'  o  ratfenrione  o  E» 
possibilità  de*  ricchi  altadint  a  hr  ooltivur  le  tenr 
rr»  alcuni;  de' più;. savi  tmpeiadorf  '»i  preaero  eail 
medramt  la  cara  i£  fisforarìff  di  nuovi  cultori  *^ 
AureHano  avee  fatte  pensiero  di  mandar  «obiai» 
di  seUavi  barbara  in  certe  ter»'  defU  Toaaan»  • 
della  Liguria  ^  o  sia  delle  Langber  ma  ìa.  brevifi 
ad  suo  regna  r  o  il  cnimgjio  de"  sisot  mimsfrr  ^ 
ioikeKo  l'esecTHione  di  un^  tal  disegno.  Kè.sapfàa»^ 
mo  che  per  più  d'un  weoIodt^Aurdiano  alcun 

(ìj  Amm.  MarceH.  1.  i4<  . 


ovGoo^lc 


Libro  IV.  Capo-'  L  sSg 

altro  de' CMarì  teotasia  d*efFètfiiarfOf  &)dhè  Va- 
lentioiaDo  primo  -  nel  trecenti  settanta  imadi'  • 
poppare  e  coItiTare  i  paesi  vitn'oi  al  Po  alemn 
barturi  fatti  prì^oai  nefla  guerra  della  Gennaniai 
Bachi  anni  dopo  Q  Ah.  377.  y ,  Fiigerìdo  general 
Ai  Grauaoo  lece  passar  dall' IHirìoo  nel  contado 
eh*  è  tra  Parma ,  Modena  e  R^gio,  qualche  nu^ 
nero  dì  prìgiomen  Goti ,  Vani ,  AlanDÌ ,  e-  Tat'« 
fili .  Ma  oltre  che  <|ueBto  non  potè  essere'  gran 
eoDipeaso  a  fanfff  contrade  aUiandoiiate^  gli  stet* 
ti  dìmràiai  dì  pcìma  poterono  iacilmeiite'  ed  in 
breve  tempo  render  inutili  questi  stabtlimeittr.  Cer* 
fo  è  pure ,  che*  verso  la  fine  del  rs^oo  di  Teodo- 
sio tutta  quella  parte  di  Lombardia ,  eh' è  tra  Mi- 
lano e  Bologna  T  paese  ù:  grasso  e  si  fertire,  gìa^- 
eea  quasi- deserta  ed  incolta.  Eia  Campania^  det- 
ta come  per  eccelfema  ferra  di  lavoro  net  regno 
di  NapoH,  che,  dalla  LomErar^M  in  fuorir  h  sen- 
za  dubito  de'piir  felici  terreni  A^ltiàitir  era  cói> 
dotta  a  tale,  che  Onorio'  dovette  in  un  sol  privi* 
1^*0  esentar  dalle  assiso  o  faglio  piic  di  cinque^ 
cento  mila  giornate  di  terreno  divenuto  inutile  ed 
infecondo  ^r).  Alcnne  altre  feggi  detltf  stesso  im- 
peradore  ci  possono  far  eonrpren^re  che  le  altre 
«ontradff  d'altana  gi&  eran  mofto  bene  praRtrate, 
e  qtiasi  deserte  r  prima  che  l'esito  del  &ftenK 
^ODtf  le  tenyertwse  (2}^ 


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x6o  Delle  Rstoluzioni  d*  Italia 

"  '  I.à  popolazioae  della  città  oonispondeà  c«r- 
tamcBte  alb  stato  ddle  vioine  icampa^e.  Sappia- 
tao  ÌQ  fatti  éa.  sant*  Ambrogio  (i),  che  Piacen- 
za, Parma,  Modena ,  Reggio,  Bologna,  città  per 
1* addietro  sì  nobili  e  ei  fiorite,  eistno  miseri  avan- 
ri  ai  eoo  tempo,  e  cadaveri  cU  catta.  Se  Milano 
eiBaveuia,  ultimamente  divenute  sedi  degl*  impé- 
radori  ^  d!  Occidente  , .  crebbero  in  questi  tempi 
d* abitatori,  eom'è  da  crcdefe;  égli  è  altresì .cér- 
tHwimo  che' vi  s' indussero  in  buona  parte  gli  stes- 
si', abusi  che  già  erano  luEoma,  e  che. di  lorsjt: 
fura,  non  che  potessero  fctr  riparo  ,  acoelerarono  Ja 
T&*ÌRi.  à*  Italia  ■  Roma  f'erameDte  si  mantenne  tut- 
tavia popolosa  e  grande ,  anche  dti  che  gì*  impe- 
radorf  V  ebbero  abbandonata  .  Ma  che  potea  ser- 
vire^ a  «Quella  tìittà,  e  alla  diFesa  dMtalia  un  mi. 
serabile  avanzo  di  uolultà  neghittosa  e  eattiva  ; 
una- vile  moltitu^ne  dì  s4rvi  iuibelli  e' viziosi, 
d^tìoati  a  far  vano  e  ridicolo  corteggio  a*  padro- 
ni ,  di  buffoni ,  di  commedianti ,  di .  baUerinì , 
d' eunuchi  ,*  e  finalmente  una  turba  di  villani  co- 
dardi ,  che  venivano  a  mangiarsi  il  pane  del  fisco, 
a  passar  le  giornate  oziose ,    a  dormir  anche  le 

(i)  De  Bononiensi  venìens  urbe  a  tergo  Gatemam , 
iosdtn  Sononiam ,  Mutinam  ,  Rhegiom  dereliiufueias  i  in 
aexiera  erat  Brixillums  a  fronte  occurréhat  Placentta ,  ve' 
lèrem  nobilitatem  ipso  adkuc  nomine  stfnans:  ad  laevam 
Apsnnini  inculta  miseratus  ,  et  fionetttinimeram  ^uemdar» 
fVpulonim  castella  considerabas  ^  aOfue  »Jfèctu  relegehas 
dolenti .  Tot  igiiur  semirutarutn  urbium  cadavera  ,  terra- 
rumqoB  sub  eodem  .canspecta  exposita  funera ...  >.  ih  per- 
petutiat  proUmia  ac  diruta..  Amb.'tp.  >3i)}  i^ìÌr  6t  i   c,  3. 


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XiBio  IV.  Capo  L  a6( 

notti  su  p«*  teatri  e  sei  circo  (i)  ?  Per  altra  parte , 
la  sorercbia  popolazione  di  Roma,  che  fu  la'  prì- 

'  ma  cagione  per  coi  a'  abbandonarono  le  altre  con- 
trade d*  Italia ,  nocqne  |io(  particolarmente  alla  cit- 
tà «tessa,  per  il  perEcolo  continuo  d'essere  trava* 
gliata  dalla  fame .  Perciocché  non  raccoglieodori 
dalle  TÌcine  campf^iK  il  neoesaario  grano-  pernu- 
drire  quel  popdo  immenso,  conr^rnva  condurlo 
da  rimole  provincie  con  ìn&oito  impaccio,  e  tti6- 
tavia  con  gravissimo  rtscbio  ohe  mancasse  a  tem-< 
po^  Nel  trecento  e  normrtasette  avendo  GildtHie^ 
tiranno  dell* Africa,  mipedito  ti  tiS^cnto  del  sO' 
lito  grano  di  quella  provincia ,  fu  d*  w^  ,  per 
isfamar  fioma  ,^  cercar  grano  dalle  GaiUe  ;  o  ^Itf 
^M^ne  (2).  Ed  ogn*  altro  ministro,  che  &ti4ioo~ 
ne ,  appena  avrebbe  in  tal  contingente  scatztpato 
Roma  da  quella  calamità.   Quindi  è  £unl  cosa  il 

'  conoscere  che  tutto  il  commerzio  d*  Halia  èra  me- 
ramente passivo  è  rovinoso  ;.  pereiocchè  dov«ansi 
eerear  di  fuori  m>ti  meno  le  cose  più  necessarie  ak 
soateatameofo  della  vita ,  ohe  quelle  che  servivano 
atta  morbidom.  ed  «1  lusso  ^3):  a  noa  appacisce 


(i)  Amm.  Marc.  1.  t(. 

(a)  V.  CUad.  in  Eulrop.  I.  i,  f.  4oi  :  et  de  I^ndìb. 
Sliiic.  1.  »f  ▼.  ^4  et  teq.;  et  1:  5  ,  T.  91. 
1.  (3)  Le  pelli,  i  tknppi  piìi  finir  gli  aromi  di  cui  ùfk- 
«era  grancfiwo ,  »■  marmi  per  le  fabbriche,  le  pietre  pre- 
■ioie',  ed  ianmiiaerevoli  altre  cose  portavansi  a  Romk  noa 
•olMiieiiBe  dAll'e .  piì»  rkaote  prevìAoie  delt'iiftperi»  «  "ma 
•BModÌB  da'  paeri,  bob  M^eM»  a'  ftowaoi  y  com'  erano  le 
Peri»  e  le  Indie .   Le  bestie'  feroci  che  dovMn  jerrit«  tgti 


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262  Delia  RrvoLufion  o'itaua 

pOatOy  che  9*e&ttaeaae  d*ltaIia«IcUngeBeredi.iiuK 
DÌfatlure>  che  pateese  fare  il  compenso  di  ciò  che 
mancava,  Cmicchè,  mettendo  ioiNsne  andie  k 
eontribuziopi  (die  già  da  buon  tsmpo  m  palavano 
a' barbari  t  per  le  quali  bì  accano  Btraordioarùf 
esazioni  in  Boom  etesu ,  «1*  Italia,  avrebbe  dovuto 
in  breve  tenapo  essere  esaiist»  di  denaro  ;  te  non 
che  per  aweatHra  1*  entrate  che  nnilti  de*  grandi 
di  Roma  godevano  in  altre  provìncie ,  poterono 
supplire  io  parte  al  difetto  delle,  ooaei  d'Italia.  Ma 
qae<tt  sopventmenti  remwro  nenoanehfc  in  que- 
sti ultimi  teiqpi'  che  precedettero  Tinrasione  de* 
Goti  ;  perchè  già  essendo  caduta  in  poter  de*  baiy 
bari' Ja  nuiggior  parte  delle  abnrfiroyiiioie  dell*  imt 
perio  ooddeotale*  prima,  che  fo^e  affatto  spento 
H  nome  Romano  in  Italia  ,  uoa  potevano  i  citton 
dini  di  Roma  rioerere  i  frutti  delle-  posaefleiW 
m  già  fatte  alttiji. 

Del  retto  *  le  arti  che  avrebbero  pettuto  tica- 
re  a  Roma  Toro  forestiero,  vi  erano  affatto  trar 
•Mirafe,  e  leadate .  &t  è  maraviglia  ohe  in  qnd- 
Feccetsiro  hisso  che  in  Roma  noit  ^itcemò  pui^ 
nel  diminuir  dì  potenza,  le  stesse  arti.  6glie  io- 
simile  e  nutrici  del  lusso ,  non  sieusi  mantenute , 
Nife  la  passione  incredibile,  per  gli  spettacoli  e  p^ 
teatri  potè  sostenere  l' architettura  p-  la  aoultunt» 
ebene  costituiscono  la  partf.  pincipalissìma^   Q 

mttMftli,  ri  tncvH  dall' Africa  o«ii  inar«dibìl  di^eaiiìa. 
Vegga*!  il  codica  Tea^MÌano,  Ckadiano^td  altri  •critlari 
ài  filai  t^po. 


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Lifito  IV.  Cawo  I.        '  1^ 

genio  n*eia  n  fattamente  perito,  che  ti  faceaper 
tutta  r  Italia  grand'  eatermiaio  dette  opsre  più  pre« 
genAi  degU. antichi  maestri.  Per  ogni  vano  ca- 
priccio, o  per  qnaluoque  hinagao  di  materiale  da. 
Uibrìoare ,  «  rovcseiaraao  possa  passo  i  mauto- 
kit  e  s'abbatteraoo  archi  e  colonne  {i).  Io  Ro- 
ma stessa,  volendo  il  «nato  innalza»  a  GostaDti<4 
■D  un  arco  trioftfalc,  nA  ai  trovando  artefici  nepn 
pm  mediacR ,  «l  disfeee>  uno  degli  archi  di  Tiaìa*) 
aof  e  4Ì  pniato  que*  marmi  scolpiti ,  i  quali  pec 
una -tal  quale  specie  di  parodìa  si  fecero  «ervire  ad 
onorar  Costantino.  Que* pochi  -che  furono  «colpiti 
di  fHvsMite,  tanto  son  g(^',  ■oha  bea  ci  fanno  ve^ 
dere  come  la  barjbvie  amea  preceduta  di  luog« 
Biant)  r  i&nsioae -die  poi  seguì  da' Goti  «  de' Vaa- 
4aK.  £  M'gtÀ  «raoo  quelle  arti  a  «ì  fatti  tecmi-i 
ni  totfo  CotfMBtiaor  t  &oils  arfoventaiv  tn  t^a- 
le  peggioramento  doreano  esser  «adute  nel  prìnd- 
pio  d»l  quinto  Moolo,  La  poesìa  eziandio  dram- 
Mattea  ,  prinetpio  ed  anima  d^li  spettacoli  tea- 
Indi,  già  crfe  assai  prima  della  sculturae dell' ar- 
éfaitUttura ,  decaduta  in  Bona ,  Fencioeohii  fin  da- 
tempi  d'Augusto  il  comun  genio  8*em  oomiooia- 
to  8  mostrar  pòco  sensibile  alle  bellezze  e  all'ar- 
tifizio di^  eompoeizioni  poetiche;  •  s'andò  sem- 
pre maggiormente  ìocllaando  alle  pompe  e  allo 
etrepili)  dell'  apparato ,  a*  giuochi  de^  accoltellanti 


(i)  V.  Cai.  JnRìD.  I.  «3  et  mq.  de  Sipul.  violato;  et 
Cod.  Tbflod.  I.  0,  tit.  17,  ).  3. 


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S64-  DeLIX  RlTfÀ^UONI  S*ItALU 

e  de' loftatorì,  a  Rcmibattimeiiti  dì  &ete,  e  «or- 
se di  cavalli  (i) . 

-  Né  si  oolHvaTaao  in  ItaUa  ■con  migKctr  genia 
altri  generi  di  letteratuia  ;  ed  a|^fi«n&  per  tatto  il 
quarto  secolo  »  trorerà  lucano  autore  più  chff 
mediocre.  Gli  astrologhi  e  i  diuiHulori,  che  soìt- 
to  nome  di  filosofi  e  matemàtici  spaceJavaiio  b- 
maraviglie  fra  gì'  ignorand ,  eraso  Yteraneote  m 
gran  nomerò.  Ma  quando  aant*  postino,  nato  od 
allevato  in  Africa ,  venne  ad  insegnar  in  Itali» 
V  eloquenza  latina ,  e  si  cosdtuse  un  Bacato  dal- 
le Gallie  per  reaitare  a  Teodosio  un  pan^rico 
Dtl  senato  di  Roma ,  certo  non  vì  doreano  esBere> 
troppo  frequenti  i  letterati .  Le  «omoie  lodr  onde  gli 
stesM  scrittori  Cristiani  esaltarono  l'doquema  dÌ>SiW< 
maco  (z)  orator  pagano ,  e  ohe  in  naigUòrì  tempi  iiob 
potrebbe  stimarsi  più  che  mediocre,  danno  a  coftoaciò- 
rè  quali  dissero  gli  altri  retcm  in  Rome .  E  tuttavìa 
la  tanta  antorità  e  lor  rmomiuiza  d'-nn' ùrìptilato 
senatore  Don  bastaruio  a  fare  che  le  orazÌQBÌ'da 
lui  pubUìcate  fossero  lette  e  gradite  (^)  :  talmieii- 
te  a  V  eloqunua  sua  sì  tcaib   debc^ ,   a  il  gusto 

(i)  ....  media  intef  carmina  poieunl 

4^ut  arnaHfOut  pngihs;  hit  nam  plahéàila,gaUdbt ^ 
feram  eguitis  quoque  jam  migravit  ab  aure  volupta% 
Omnis  ad  incefeas  ocul»s  et  gaudfa  vana ,' 

Horat.  t,  3',  ep.  I,  V.  iBSr 
(v)  Quo  nane  nemo  disertior  exuliat ,  fremir,  intonai, 
vMismm  eloqtat  tuntet.  V.  Prndenl.  ip  Sytttn.  1.»  prmefM. 
&\.  Posi  Mttarcis   calia   «FotioauiH  moatùm .  Sjmafc. 
ep.  ag,  1.  4^  et  ep.  68,  1.  8. 


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I  -     Lano  IV.  <:«0b  1  s€$ 

•n  K^nrio  iM*k^&>rì'  CUandiano  elMaCrebio,, 
tra  ^i  s<;rìttor!  p^ani  ^  qaéii'  età,  nacquerd  uqo 
ifl  Greeia,  1*  altro  itf  Egitto  ;  e  di  poco  furono 
delatori  ali*  Italia  ée'  lor  progreaai.  Icberio  che 
a  qu«'  iteibpi  medeiiini  faoea  ù  grandfi  lo  itr^pi- 
to  ftet  la  Hia  eloqueazb  e  dottrina  «  era  eato  net- 
la  Siria,  ed  area  poi  studiato  ItiDgaineate  in  6r«r 
da.  pritna  di  veoire  a  Bomat  dove  tuttavìa  ebbe 
ira*,  retori  e  letterati  il  pijoio  vanto  (s)  .  E 
fi-a*  tanti  sorìttmii  aocleaiasticì  che  finrìrooo  io 
quel  secolo,  a{q>cM  potè  V  Italia  ouonursi  del  no- 
me  d*" Ambrogio 4  il  quale,  benefaè  nato  Delle 
Gallie,  venne  assai'  giovane  in  Roma,  e.  vÌ;SO> 
stenne  preseocbi  solo  non  meno  il  dectwo  dell*  w- 
oleaiastioB,  cbe  della  oìvil  ger^-ehk,'e  della  httr- 
twaria  repubblica .-  Lo  stu^  che  '  mantennest  in 
BooA  eoa  quakhe  lustro,  fu  quello  della  giurie- 
prudenza  ,  per  riatto,  del  quale,  e  per  un  cer- 
ta non  irragionevole  pregiu^zio  cbe  la  Usgua  la- 
tìaa,  quando  non  fdsse  obe  per  k  pranvnna» 
s'apprendesse  nibbio  in  Roma  cfap  {dttove,  du- 
rava anche  sei  fine  del  quarto  soeoto  il  cosbiaw 
di  mandarvi  a  studiare  da  lontane  provincie  ì 
giotaai.  Ma  i  piìt  dt  loro  sotto  pretesto  -di  stodi 
renvano  a  perderu  nelle  dìuoluteiie;  e  fu  d'uo- 
po  talvolta   di    porre   ordini    severìsrimi  ,     per 


ft)  Stapnttfs  ^Hod  ex  Ìomine-fyro  daaù  ptii^Graa- 
eoe  facuiidiae ,  post  in  Latina  etiam  dector  mirabilis  ex- 
titisset.  Augusi.  Conf.  1.  4,  e.  .j4> 


ovGooglc 


a6S  DelU  BivoLuzion  n*  Italia 

rìmandari^i  ai  lor  paesi  (i).  Dd  resto^  non  à  ti»» 
va  che  gì'  impenulorì  favorìssero  gli  studi  pi4  ia 
Bon»,  ohe  in  altre  città  deU*i»pori«.  I  notali  e 
i  ricchi,  i  quali  non  abbisognavano  d* aiuti estrin* 
6eci ,  ni  d*  eAlrì  stimoli  ofa«  della  gloria  >  erana 
tanto  alieni  dagli  studi,  che  appena  cbi  più  si 
pregiava  di  vago  ed  ornato  spiri^  leggeva  qual- 
che Hbrìeoiuolo  galante,  o  qualche  satira  (>)•  E 
nccorae  non  prendevan  diletto  di  dottrine ,  né  dt 
letterari  esercizi,  ooà  non  era  da  spiare  che  I 
letterati  trovassero  appo  loro  protezione  e  favore. 
£  sarebbe  forse  quell'  età  rimasta  priva  del  su- 
biime  ed  ingegnoso  poeta  Claudiano,  senza  un 
semibu-baro  Mecenate .  I  grandi  e  i  potenti  Ro- 
mani ,  «  gli  '  stessi  magistrati  della  città  troppo 
•ran  lontani  dal)*  imitare  neppur  in  questa  parte 
la  grandezza  e  la  muiiificenut  di  Sttlicone  '-.  Rao- 
conta  Ammian  Marcellino ,  testimonio  in  questa 
cote  senta  ecceaione  autorevoliseimo ,  ch'essendo- 
si a*  suoi  giorni  per  tema  di  carestìa  scacciati  da 
Roma  i  foresti»},'  furono  precipitati  via  senza 
respiro  alouni  pochi  uomini  ^  lettere ,  e  vi  ri^ 
nasero,  senza  pur  essere  interpellate,  tre  mila 
ballerine  ,  altrettante  o  più  cantatrìcì  co*  loro 
maestri ,  ed  un  grandissimo  numei-o  <d*  altre  per- 
MJK   eh*  erano  o  finsero   a  tempo  d*  essere   al 


[i]  T.  Cod.  Theod.  de  Stadiit  nfi'iuiq.  Ilomie  I:  ti, 
ti. 

[a]  Amm.  UarcelL  1.  a8.  ' 


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taso  IV.  Capo  L;   .  '  067 

MgDÌto  delle  commedijuiti  (:).  FarticiJarità  iav»- 
ro  botrrolissima  ,  e  Ae  sola  {wtrsbbe  farci  argo 
neotare  quali  eoatomi  pulsici  ngnaHero  ìnRóì- 
ma  vergo  il  quattrocento ^  se  lo.  stesso  seritton 
Doo  ce  U  vappresentassa  molto  apertamelite  ifl 
|HÙ  pagkte  del  deoimoquarto  e  TantotteNmo  libro  » 


CùKtìnmziem  dtUa  stesta  materia:  ^fiìttemOBàrti 
poiixÈai  i^ione. 

lo  taota  solitadins  doli*  camp«|;iae  e  délfe  ctttè 
priocqiaUi  ed  ia  eoa!  ertrema  mt^zta-  della  c»^ 
pitale,  noa  è  da  ocrcwe  quali  fbswro  in  Italia  le 
forze  nilitan.  Appena  da  lutto  l'Hc(>mo  poteri 
natteni  imieme  qualche  «rmata  mèdiixnre  ;  è  già 
da  cinquant*  aittu  si  ficea  la  guerra  eòa  soldati 
stHOiierì  e  barbari  ^  Fino  dal  tempo- di  Tirodono; 
il  quale  puj>  qua»  coDtairi  \*  uHìh»  de*  capitani 
Rcmaait  gì*  imperad(»i  o  non  trovavano  itt  fatti  ,- 
vfifmx  noa  credevano  di   poter  'trovare   £rft'  lorci 


-  '  {■]  fottréntò  ad  td  intti'gnitatis  èst  ventian ,  ut  qaum 
jreregrint  ab  formidatam  haud  ita  (Utdian  aUma/uomm 
inopiam  pellereniur  ai  urbe  praecipites,  sectatoribus  di- 
sciptinMvm  Uberalium  impendio  paucìs  sine  respiranon» 
ujla  extrusis ,  tenerentwr  mimarum  aneclae  veri ,  tfuivé- 
id  iimultWuttt  ad  tempus;  et  triamiUia  saltatricwn ,  ne 
interpellata  quidem ,  cum  choris  totidemque  remanserunl 
magìttris.  Amm.  Marceli,  i.  \\.- 


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.  a68  DeUiè  B]V0Lu2ic»ri  un'Italia 

uidditi,  persone  abili  a  condurre  eserciti  f  e  q«» 
Iwque  volta  Su  d'  uopo  resistere  a*  nemici  àtà^ 
r. imperio,  o  frenare  le  ammutinate  provioeie,  à 
cominettea  1*  impresa  a  eapitaor  Vaildali,^  Got», 
.  o  Franchi .  Ma  se  inriaaio  F  halia  in  particoUr 
re  r  fino  daiki  metà  del  terzo  seeolo  don  sslamen- 
te  non  sì  trova  menzione  di  generali  Italiani ,'  ma 
non  so  nemmen.o  se  nelle;  memorie  di  bea  .due 
secoli  si  parli  di  qualche  uf6ziale  subalterno  di 
quanta  nazHtiBe  t  o  aasora  di  sen^lic»  soIdMi  :  H 
popofo  minuto  delle  grandi  e  WQche  città  (  ^li 
erano  Roma,  e  Milano,  e  Verona  ne'  tempi  clt* 
disc<HTÌamo  "X  iu  sempre  riputato  ùtetfo  alla:  guer- 
ra ..La' nobiltà ,  nata  natti»lmentB  aUe  euiche 
i&i^ri,  s*  era  perduta  nella  morbidezza  e  nel-< 
Tozio,  spezialmente  d^io  ti  regao  di'  Gtrilieno* 
L' iudo^za  o  piuttosto  P  iaiensalezza  dé^  aenato^ 
rì  era  giunta  a  tal  segno ,  iclie  non  solamela  Boa 
peosavanfr  .a  trattar  V  tmm  essi  stes»  ìa  difesa 
dello  stato»  m*  sopfxwtavany  assai  di  mal  animo» 
che  si  an9lBSisero>  r  servi  loror  e  lappìama  da 
£(imma«)  (j)^  coma  la  euria  e  la  dtlà  furra» 
pienedi  qu^ele  e. di  scotapigli,  allorehi  Oo«»i^» 
pel  vicino  pericolo  di  ved«  l'Italia  e  Roma  a»* 
saltate  ed,  invase-  dai  barbari. .  cerei»  di  rinforzare 
orai  nuovo  ruolo  di  servi  le  armate  Romane .  I 
senatori  vennero  à  questo  partito,  dì  esibire  aU 
r  imperadore  certa  quantità  d*  oa> ,  perchè   egli- 

(i)  Symm.  I.  8,  ep.  65.  .      -  ■ 


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Libro  IV.  Cai»o  H.-  169. 

nvoejtsse  qndl'  ordmej  quasiché  dovesse  ]oro  gio- 
Tsre  assai  d'  aver  grande  e  fastosa  funiglìa ,  qoan- 
'do  la  patria  e  le  case  loro  fossero  preda  de'  ne- 
mle! .  i  villaggi, ^-i  Itorghi  alpestri,  e  i  nistiei  ca- 
sali, 4^de  (Procedono  non  meno  ì  comodi  del 
vìver  ctirile ,  ci»  il  vigore  ed  il  nervo  della  oai-^ 
liztB,  erano,  come  abfaìaiR  detto,  spogliati  d'  abi- 
tatori'. Appena  da  qualche  angolo  delle  Alpi  sf 
traevano  alcasi  soldati;  e  non  era  piceòla  hriga' 
P  impedirne  la  diserzione  (f  )  .  Una  oottle  iofin- 
gardia ,  dinnota  abituale ,  avea  ingombrato  l' aci- 
no a  tutti  gli  wdinì  di  persone  :  o*  fu  allora  sin** 
golttnnmte  notata  n^l'  Italiani  questa  vile  ed  in-' 
««Kirta  poltroneria ,  di  tconcarsi  le  dita  per  Ì8fug>> 
gir  la  miUria  (2).  E  "molti  soelsoro  anzi  dì  vive- 
le  inutili  ed  oziosi,  «  perir  forse  anooì-  della  fil- 
ine ,  che  pruder  V  arvii  in-  difesa  dello  stato  xo- 
mune  e  del  priitcipe .  Se  uoDlim  si  tiova^ano  tat-- 
tavia  abili  all'armi,  impiegavasi  le  lor  ferocia 
axm  in  opere  di  guerra,  ma  ad  infestar  nella  pie^' 
sa  pace  il  paese;  ad  i  meno  violenti  erano  vitti-' 
me  delle  violenze  altrui .  Assattavansi  moki  nètle' 
eHtii  di  nottetempo,  e  di  giorno  i  vìag^atòrìe  i 
TflfciDiper  te  stfade'e  per  4e  campagne,  non  tffl»>i 
to'per 'Ucoidet|;U  0  spogliarli  d'oro  ohe  non  aveà-' 
no,    ma    ^r   serrarli    vìvi  ne*  sotterranei   od  ini 

[1]  Cod'.Theod.  et  Juttio.,de  Pewrtoribns, 

[a]  iVec  eorum  [Galiorutn  ]  aliquando   tfuisauam ,    ut 

in    Italia,   munus   JUartium   pertimescens  ,  poliicem    sibi 

praescidit .  Amm.  Marceli.  1.    i5. 


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270  Delle  Rivoluzióni  bMtalu 

altio  luogo  duoài  e  ganrdafi,  onde  adopi^K  ni» 
girar  mutiDÌ,  ed  in  aftri  sMmgliaiiti  etwcm  f»»- 
non  e. servili,  a  guisa  di'  schiaTi  ed  ia  nteztó. 
a*  giumenti .  Vecobio  disordine  era  pur  questo ,; 
cbe  oonùnoiò  sentirsi   fioo  da'  tempi   di-Augiuto 

9  <S  Tiberio.  CHtre  alle  pubbliche prìgiom  oistm-' 
•ervatftrìi,  aveano  anche  ì  ricebi  loro  «gaittoE  o 
carceri  particolari ,  dove  »Ì  cintodivano  f^  scUa^ 
vi  oocopati  in  Tari  laronr-qmvi  dentro  VandO" 
vaso  spont{uieani0ii(e  a  nascondere  ntoltt  Ai  qmì- 
U  dio  f enieraniv  d*  e«ere  ariDlati  nelle'  nrilTzic  ;  « 
bene  spcua  ancora  vi  si  naccbiodgiano  persone 
libere,  eh?  ì  psdrimi  rapivano  qua  e  là  por tnev' 
xo-  de'  Imkt  nomini  ^vi ,  ed  a  qneato>  fwe  ewr- 
ckatF .  Per  corriere  qasrii  abou  Adnanc»  avHC 
posto  divieto  cfao  nma  p«rtèx>Iare-  potesse  aver 
di  eoCtste  caiueri  (i)  ;  ma ,  aboliti  gli  erj^ofi  ^ 
non  maneaniDo  all'astute  pnpofenia  le  via  di 
oootìnuare  Io  ttteiso  dnordine  adaDOtr  degi' inaia* 
ti  viUani  e  d'altra  nunntic  gentef.  cbe  per  Imo 
traffici  aodavam  attm».  La  cearskà  degli  mAìih- 
•n  Sa  VBÌ  quarto-  fteicolo  di  mt^'ore  rtiraoio  a  ca^ 
teste  WoTenze  ^  percioccbè  n>fc«ansi  ad  «gai  mo- 
do dnttner  gli  edifixi  ed  r  laboratoriì,  «eavar  ìv 
minìeiv,  e  sorcbiar  i  paxdSm ,  A  qcRsto  cbe  per* 

10  più  eoDD  TÌoIniza  de'  grandi  e  de'rioebir  e< 
ihs  non  itirona  fra  le*  ultime  cauae  cbe  ditmanì- 
rpno  la  popotazione  d' Italia ,  s'aggiuguwK- im 

{1]  V.  Salatala  ti  Cuaiib.  in  Spati,  de  vita  HatTrìan. 


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•     tiBRO  nr.  Capo  E      '  474 

«hro  gtmw  d' asHmioamenli ,  dw ,  <pMi  pn^ 
rapfresaglia,  prMìca.'nln  da*  fovert  coatro  de*  rio- 
clii .  Tra  t  fereitifrì  e  i  aiendìeì  ohe  ne*  perìcoU 
di  carestìa  ià  caccinran  di  Romaf  i  più  debdì  e 
più  onesti. TI  pannilo  b««v  sposaff,  e  i  |H&  «dìt 
ti  «più.  ^validi,  dandott  alrnbarD  ed  awunDare 
le  gmti.  per  la  strade ,  iofestavano  le  TÌcsaanao 
di  Hqow,  unìao  rifugio  alkm  della  mauaatepo- 
p^tMote  «  dd  coRfBicrzÌ9  d'Italia.  Non  manca- 
Tana  a:,i|ueMt  predatarì  nccmri  nette  case  de*  ono- 
tadi«  che  ae  la  lUteBderan  con  loco,  0^  ecam- 
pamno  daib  pone«»iam  del  ^ìseo.  Fara  che  » 
pastori ..  il  eia  aumeiO'  è  per  la  aatun  del  paew 
aisai  più  grande  ^e  cfuello  degli  agricoltori,  sca 
idaneote  dessero  ricetto  ai  ladrom ,  ma  fcauro 
essi  medesimi  i  più  fcrod  e  più  «ionri  a  &r  la- 
draaeen  (0*  (">ne  qnoUi  ohe  pia  agewbaeattt 
tfovarano  tiascoad^Ii,  e  dbe  lenxa  distrarsi  gtu» 
fttto  dal  preprioi  mestiere  di  goardar  le  gregge, 
potofoso  sraligiar  per  le  ttnàa  i  paoaf^eri .  Gip* 
to.è  obe  questa  serto  di  peraoae  ofae  pk  solerla 
no  e  at^ionsi  tnftsna  a*  nostri  temf»  ettaro  00^ 
BM  la  più  ioaocienfo  e  k  più  quieta  parte  del 
gMKro.nmainr,  eraaa  in  qud  surola  setagtotato  i 
pi^'ori  dJttbfffaalori  della  quieto  altrai .  Ned  i 
mend  oerto  che  la  mclfifadine  e  1*  anfiee  di  co* 
testi  ladri,  quali. cfa* essi  si  fossero,  recava  tale 
ifaiVfirto..cl)Bia^P«te  i  ^ripotati  0  inùpofratì 

(0  y.  Gvtk.  inCoiL  Tbtod.  1.  3o4  3i.   . 


=dDvGooglc 


>73'  Deus  Rivgluzìoih  ft'  Italta 

KiiBtorì  oravano  uxnr  di  Roma  |^F>ettdaMfine:at> 
le  lor  ville  (i) .  Vera  eosa  h ,  che  coatto  a  u/ae» 
sti  e  !!pmigliaiitì  disordiai  non  taccrvaii  lel^ì^),^ 
Ma  e  ohi  uqd  sa  ^asto  à«Do  diiScàli  -cèa-  tutto 
le  buone  le^  a  aradicani  gli  abMi  Dna  vdta  &h> 
hudotti  e  radicati;  e  molto  più  in  cpu^a-  Mita 
mutabilità  di  governo ,  ohe  la  deboleqia  de'fMÌB«x 
dpi  e  le  oabale  eterne  di  quella  ood»  intrattMaa^ 
vane?  Poe». giovava  che  la  vita  d«'  -ptiod^tt' fes- 
se direnata  più  nóttta,  &  perbi  stffA  più- iMln» 
li  e  più  durevoli;  po-cioot^  h'vobbiKtà^idel  fa-' 
vo»  Imv  rendeva  tuttavìa  incostaafte  l'^anunbmttVì 
zioa  dello  «tato.  Per  moHo  ebe  à  finse  moéna- 
ta  e  quaii  anniclnlata  Pautontàditpotica  delpw* 
fette  del  pt-etorìo,  ti  dispotismo  del  goverito,  Mm*' 
pte  aane^so  di  sua  natura  al  favor  del  principe^ 
si  manteond  sMto  altri  D0ti)i  d'uffizi;,  e  ciascuno' 
de*  favoriti  lasdava  oorrvreri  vecchi  abusi  j  e  sa 
afitotisxava  de*  naovi ,  Kocmdo  die  gkidieava  e^, 
s^ÌMite  a*  sUoi>  interessi.  Possiam  diriiftaacar 
metifei  éhe  tutto -qoei  ^nde  volume  di  nacrittl 
e'd*edKti,  c^  dirimane  diqùe'tempi  ttrtto  it 
tìtolo  di  codice  Teodosiano,  servi  pii^ttotto  aflia- 
slruire  i  posteri  de'  vizi  d'allora,  che  a  ooctvg. 
gerii  di  presente.  E  forte  ohe  buona  parte  di  tali 
leggi  furono  date  fuori  dati*  ipocrisìa  di  ^ue^'-iM^ 
nìitri ,  per  imporre  al  principe  ed  ai  popoli ,  pet 
tender  lacci  agi' incauti  ,1  e'^r  ogn*  altro  fine  elte 

<»)  C^mm.  ep.  m,  1.  x^ap.  Gotb. 

(t)  Cod.  Tbeod.  1.  g,  tii.  ag,  I,  »}  et  L  7,  lift.  18. 


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•  trsHo  IV.  Capo  B,  273 

il  pu^yk»  bene  (i).  Gli  andamenti  della  corte 
troppo  erano-  contrari  al  tener  delle  leggi  che  sì 
vedeMP  tralto  tratto. uecir. fuori.  Chi  crederebbe 
mai ,  che  Costantino  il  grande  fosse  stato  cosi  in<- 
dulgente.  a  tollerar  le  vessazioni  e  soperchierì» 
de*  luoi  ministri  e'  governatori  delle  provinde., 
I^gendo  quella  -stia  sì  magaifica  legge  de  officio 
Twdoris  prqvmoiae  ,  dov'  egli  minaccia  si  rigorosa 
e  spedita,  ^ustizia  contro  i  cattivi  magistrati ,  ■ 
prcHOstta  si  facile  udieoa:^  alle  querele  de'  suddi' 
ti  t  Sotto  nome  d' Àrcadio  uscì  una  legge  gravis- 
sime contro  coloro  che  cercassero  le  cariche  per 
,via  di  doni ,  ael  tempo  stesso  oh'  E^utropio  primo 
mioistro  di  quella  corte ,  autore  probabilmente 
della  detta  legge ,  vendeva  poco  mea  che  all'  ior 
caato  i  governi  delle  provinoie ,  gli  ufBai  dell» 
corte,  e  le  grazie  del  princiji^.  I^o»  pier- questo 
ni^berò  io ,  che  parecchie  deile-  con^itunonl  che 
si  pubblicarono  a!  tempi  clie  01^  trattiamo,  non. 
nitmo  nate  da  vero  zelo  e  da  buona  affezione  ; 
ma  quella  stessa  dabbeiiaggioe  c^e  lasciava  txea- 
gredire  le  veoehie  leggi ,  facea-spre^ar  nello  fttes3f> 
Tomo  1.  18 


(1}  Pfitco  iilorico'di  quelli  tempi  riferiica  uà  ragia- 
pwqento  fhe  k/io  ìul  teone  uà  uomo  ,  il  quale  eisen4a 
Italo  pr«8o  dagli  Unni,  s'era  accostumato  a  vìver  fra  loro, 
autepoiiendo'  la  società  de!  barbari  a  quelh  dei.  Romani  j 
t  4ìce^  iu  lOD^ma,  che  Is  leggi  Komaac  qrfiDo  ecccUpoti,~ 
ma  quelli  clte  le  dòvcano  far  osservate,  facean  tutt' altro 
che  il  lor  dovere .  TUiem.  t.  6 ,  art.  i  de  l' emp.  3%^* 
.(fof.://,  ,...■■  .:■■.■' 


=dDvGooglc 


S74  Dellb  finroLiTzioMiD*  Italia 

biodo  aocbe  le  tmove.  E  giàftì  éMò  asuj  -Tot* 
te ,  cbe  la  moltitodne  di-  DAove  I^gi  è  -  inanif»' 
ito  segno  ^  govMUD  ilebt^e;  Ne  fa  chiara  pnu>^ 
va  il  rrgno  d'Onorio,  ^  cui  si  trova  ua'slugt^ 
ornerò  di  c^afitituzioni  tiél  oodiee  sopraddetto. 
<Chi  non  'diìvbbe  obè  lin  con  -diiig»<e  legatone 
'dovesse  render' sfouri  e- felibi  -i  suoi  pafK^if  Chi 
^on  gindieberebbe  fdrtuoatà  1*  It^a  dondt^ti'wm 
'^rtì  mai ,  ^uaiito  fìi  luogo  il  suo  r^nof  Ma  U 
storiaf  hgrìtne^cic  del  quinto  secolo  tropjf»  alto 
•ci  grida  itì  contrario.  .  ,    .    , 

Non  dobbiam  però  credere  cbe  le  eose^rOk 
'cedessnv  n^lle  ^tre  prorinoìe  d^'<imperio  cotf 
'pift  órdine  e  più  yigord.  II  ritratto'  due  ci  feett 
'Salriànò  delle  cose' d(dl*'AfHca>e  delle  Spagne- « 
'delle  Gatlie',  le  onuitHii  di  Ubanìo  e  le  c^ere  di 
'Sineslo,  le  omdTi»  dì  Grìaostemo  ed ^tri  ragguan 
'gli  dell*  imperio  d' Create  f  ci  [Versuadona  bastaxv- 
'tementè,  che  i  vm  regnavano  fierementc!  perti^- 
fo.  Maritatia  era  fuor  di  dubbio  di  tanto  peg- 
gior  condizione  d'ogai  altra  ptoTìncia,  quanto 
'che  essft  era  qiielld  sola  che,  non  potea  sussistere 
pei-  sè  stessa,  noo-aveddo  ne  uomirri  che  -la  di- 
feddessero ,  né  vettovaglie  sufficienti  ,  a  nudrirla  i 
e  la  comizione  generale  de*  costumi  era  ^tanto 
'maggiore ,  quanto  che  tutti  i  vizi  che  accompa- 
gnano il  luKOy.  erano  più  aJtiuq^n^. -radicati, e 
più  sparsi  nella  città  e  nella  provincia  capitale 
deli'  imperio ,  die  altrove,, . 

iSftana  ooia  dovrà  parere  a  taluno,  come  Ja 


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'    fiiMlo  IV.  Capo'B.  J75 

Migion  Gristfaha  ohe  ri  largamente  «'i'»  ptopa^ 
jita  nel  tjiiàrl»  secolo  dell'imperio,  non  »ale>M 
s  «orreggere  (fie'  disòrdini,  o  "ImeDO  non  impe- 
disée  il  peggiotanleirto  ili  uno  «tato  già  cod  flo- 
rido e  così  robusto.  Veramml»  non  tralasciarono 
I  pagani  qhestd^  pretesto  della  rovina  di  Roma , 
per  inTeiré  contro  del  Cri»tian««imo  ;  qoasicb» 
l'ablandwio  degli  antichi  liti  no  fcsw  cagione. 
Aassi  è  noto  ohe  la  grtiri' opera  AUa  alla,  # 
Blofi  Siritla  da  «ani' Agostino  per  ribattere  qup- 
rte  accuse.  E  che  aon  ai  i-  detto  •  scritto  nelr 
Peti' nostra  inlorm)  agK  iBetti  ohe  opera  la  re- 
ligione bella  Tcpubblioaf  Ma  noi  •  Ijon  abbiaBi? 
tiiaggiòr  molìVb  di  dire  che  le  massima  e  ,Io  .spi- 
Tito  della  reKgion  Cristian*  abbiano  indeboUU  jo- 
(ieramente  la  pdténla  Romana  i  di  quel.che  avesr 
Sè*o'  quegPidolalri  Si  querelarsi  ohe  l'^abbaodono 
delle  antibbe  cerimonie  avesse  :pri«ato  Roma  del 
favor  degK  dei.  E  poiché  Gesii  Cristo  oi  a  di- 
chiarato cosi  esptksmmente  ,•  nO"  essere;il  suo  re- 
gno di  quésto  mondo i-s!  pub  dir  sicuramente, 
■cheitt  riguafdò  allo:  Italo  politioo,  la  religion 
Criirtiaiià'  non  dovea  d!  su»  natura,  (tórtarvi  ttnj- 
teiibde' veruna;  e  cIm,  non  dovendosi  oonfonde- 
fé'le  Vinir  Oristian»  con  i«  politiche,,  non  dee 
■iiÌ!'iaTfJ!he  paret  maravigli»  che  neUo  storie,  del 
'moMo  s' iicontrino  principi  deboli  •  poBo  atti  al 
góverio)  e  tnttiivia'rdigiosisiimi.Cho  te  si  àda 
ricorrere  alla  religione  a  fine  di .  render  ragip- 
iie  aaia  Totìna' «  RooM  ,  •  haslenk  .  dite  con 


ovGoogIc 


i'j6  Delle  Rivoluzioni  D'ItALU 

sant'  A{;ostmo  /che  siccome  i  primi  Romani  ect^ 
no  merilato  da  Dìo  la.  prosperità  delle  >  ariiri  e-I^ 
tanta  gi-aadezza   per  }e  virtù   maiali  icfaé 'pi^esAb 
loro  sì  praticavano ,' -CPU  1ó  stesso  .ordine 'di'^FOt^^ 
videnza  io  querà  aitimi  .seoòU  dovwsse  ifblicita?  ti 
imprese  de*  barbari ,  fra  -i  -qualf  sivradeano  o  più 
Tirtù  o  meno  vi^iy  ^ilie  fca;^  ioRottiairì  .   fAà:  uÓQ 
è  qui  iuogo  d' iorestigare  p»  quati  aioaoi  ■  giflrit* 
^t  Idi^io  abbia  peUQCsao  PestàroliAio  dì  RolUa  ,  0 
U  desolazione  di  ,cq4  Ta^i.imperìb^/^^ortìb&'il 
j^iimero.de'(jiwi, fedeli  ^mai  tasto  nidf^)>tieato 
Bel  moptlR  ,(!),•.  Consien  piatto^ :  al  <:^og$*^"^ 
iqjj^tì;  lif?"  -V  ooeffDtax  brevemente»  qaJd'  fotte '«fc 
iora  I9  statq^ell^  religione- i»  Italia  ^  affiochì 
S*  jnte^d^.  apche  jpef  i  questa  parta ,  iqoal  ■■  t&aWAf*^ 
flfi  vi  recassero^Ie  invasioni  de' i)»ri)«rì.        ■    '-' 
|n  Bonaa  buona  .part» della iinoitiltà  ei^*rf^-poi 
polo  durava  o&tinataiQente,  nsll' idolatrìa.  LaàìòU 
titudioe  de'  ricchi  templi;  la  fi^qùrtiza  éJa  pr*' 
iBi^ione  d^Ii  spettacoli,  ohe  faceano  ona  ^^6 
della  rdJgion  pagana;  il  {«giudizio ftltamente ni^ 
djcata,  «he.Jbi  proftszioneide'suoi  d«i aveisé'p«*<^ 
tmnttp  a  Roina  i'ipipeuo  del  nMMrcb^  f^odfo'etì 
^  dispKZ^o  cijie  da  luogo  tempo  nOdrìVAbài  ^Vèrdo 
i;^ud^,^i^'Tqt^alj|  av«a.iawrttt  prindip^  la-  ^relP- 
jBÌpR.rCristìajaaj  in,  fioe/la santità  del ^aJ^éìd-trtìp^ 
pò,  cQntra.^  .all'oscenità  ;edi  9M  '^Màr  d*-Bti 
popo^^.  coy^ottis^mq  dàlia  ipoteiiia',  "^iir.  orib'i 

(1)  y.  S4IV.  de  gitbcmatioae.'péi ti;  &.<i>7  ^iéì 


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>  ■  lasttoiiV.' Capo  U.  277 

SeìV  aUbobdaoza  ,  datl^eKinpio  de*  passati  princi- 
pi :  tatto  qatsio  mantttiKTa  néll*  antica  rrligiotae 
la  ffiaggror  'piatte  de'' Romani  ,  e  spezialmente 
dfe'gràhdi^i).  Hella  Toscana  si  trovavano  ancor 
ift  ■gc6n  nuBonro  6  in  molta  npatazictae  gli  ani- 
iprci>  « 'durava  pec  consegamka  ìu  buona  parte 
di'';qM''  popbti'l'  antica  snperstRdane.  hi  'Milano 
e''BélIe  vicme  città  di  XoiAbardìa,''  oltre  ^li  avan- 
u  tuttana  '  notàbili'  del  'geìB^'Iesimo  ,  1'  eresìa 
d*  A^iq-radicafafit  altameDfe  sottoCofitankove  so- 
«tènuta'  aaohc  a*  tempìdi  sant'Ambrogio  dall' im- 
péradnc«  Gittstitta;  '  apm  forse'  non  hieno  òeguaci^ 
obe  la  dottrina  cottela.  Né  mànbavadO'  iii  It»^ 
Ha  altre  sorti 'd*  ei<esìe ;  e  l'astrologia ,  arte  non 
mfeno  otìntraria  aHa:  buttna  filt^fia  ,  che  alla  Te'' 
rà  fede,  regioava  assai  -comunemente  pèt  !  tutto 
r  imfiede  /  '  Anoiie  queglinb  iteikì  elie  facevano 
professione  di  cattolici,  non  ne  praticavano  p!fi> 
come  ce*  primi. due  secoli ,  gl'insegBamenti.Che 
se  nella  pace  che  godè  la  Chièsa  sotto  i  due  Pi- 
li^ ,  1  Cristiani  s' erano  tanto  rimessi  dal  pri- 
jniero  fervt^re;  e  l'avarizia,  la  frode,  Finconti- 
n^zai ,  1$  vif^enza  già  tanto  di  forza  aveano  gua- 
dagnato nel  WBo  d^la  Chiesa  :  quanto  più  sparsi 
e  più  coiautai  doveano  essere  i  viri  tra  |  fedeli  ; 
alloncfaè  la  seligione  Cristiana  era  evenuta  la  re- 
ligiiH]  dominante ,  é  non  puro  con  sicurtà,  ma 
con  isperanza  dì  temporali  vantaggi  si  professava 

fO  V.  Oypt.  de  lapsii.        ''■■-.'    ■      '  "'    ''' 


ovGòoglc 


178  Delle  RivoiuzTom  d'Italia 

la  fede  dì  Cristo  P  Allora  rimescolatasi  la  4atitttàii 
della  religione  con  le  paMicmi  ÙMparabiU  dal* 
V  umanità ,  e  a  cui  soggiace  per  V  ordinario  il: 
più  gran  numero  de'  TÌvédti ,  ti  venne  asni  >fre- 
quentementrf  a  professare  Ia'f«de  di  Cristo,  .q 
praticar  costumi  pagani .  Ma  pochi  eremo  per  av- 
ventura quelli  che  non  conoscessero  il  vants^ìa 
della  religione  Cristiaaat  e  die  fowero  alieni  da{ 
seguitarae  Ja  dottrina  così  ^pectilativainente  «  pélr 
le  pratiche  esteriorì.  jE  pocfci  eranD  «albvsì 'C0>^ 
loro  che  abbracciando  la  rcKgione  ,  -.  ya}fs|ser 
ro  'distaccarsi  dalla  vita  voluttuosa  e  fp(^4Mi 
a  cui  quasi  tutto  Titapfrid  <s^«ra  ffà  da  1>^QI| 
.  tempo  abbaadopato  ,  e  rStalia-  9  Homa  ««gfr 
lamiente,  dove' la  ^espa  chiesa .  di  s^a.  !Pietn9 
«l-a  fatta  piuttosto  pala  di  festini,  f^ie  «aia  d'^or^ 
ttione  (i):  afe  lo  jelo  de-  poittfSoi  arot  StD^t^ 
A«l  trecento  novaBtawujw!  potuta  1)0tte^^&^  A 

^BQ.diSOEdJDe. 


(i)Ang.  pp.  U^  ci.  ». 


=dDvGoogIc 


pBRO  ly,  Capo  II.  279 


:  C  -fi.,  p    o      in. 


Jiùfobaiiw  neUa,  cctrl^  à*  Oifar^t:  progressi 
■  ■■d^- barlumi  e  fùriff  fOCCQ,  di  Roma. 


••X'^  «ea  dunque  |p,»^to  d'Italia  yecfp,i|,,pnticl- 
T^'  dsl  quinto  <  3a^c4o  doir  ,pra  Cristifiqa,  fiiraa 
^o^t  cbe  j ,  barbici  vi  .comiqciasqero  a  f^rmu 
^^ie^,  e  (  devasCaria  .  Ma  dalU^,  nie^  d^l  rfgao 
^OAorio^qa.  alili  depaij^nf  di  Ai^ustolo,  al- 
Jotphè  »  speut»  affatto  il  B9nje;4e^'inipericj  ocà- 
d^HCloi  ^be>pinii0ipic}  il  regno  I^fbanco,'Ie  ,c(|- 
«g;4*Itfd#a  kapitasmo  t>epe  assai,  d'av^vanta^o, 
ITceiio  'Sttlicone ,  ^CHijiipio  governò,  p  l' imperadQ' 
rt',  «  le  miserabiir  rpUqwiei  dell*  impecip ,  pccidea- 
ìr1b;i  9o  fqaae  fierlo^  cpni'è  (wMaviadubbjpsp^^l^e 
Stilicone  avesse  macchinato  in  fatti  coq^  l^^ita 
del  suo  signor^  e  contro  lo  stato,  appena  trove' 
]>emmo  noi  che  i-iprendere  nel  carattere  e  nella 
condotta  d' Olimpio .  Egli  diede  pruove  molto  se- 
gnalate della  sua  religione;  né  si  può  addur  cosa 
eh'  egli  facesse  contro  1*  onestà  e  contro  il  dove* 
re .  Ma  per  quanto  sieno  e  lodabili ,  e  necessarie 
la.  probità  e  la  iRioaa  intenzione  dì  uà  ministro , 
non  bastano  però  sole  alla  sicurezza  né  di  lui  stes- 
so, ne  del  prìncipe,  né  dello  stato.  L'abilità  e 
la  bontà  sua  ,  ed  il -suo  credito  ,  per  grande  che 
8Ìa ,  pon  possono  mai  conciliarci    nella  corte   Ifi 


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aStf  Delle  RivotuziòNi  D*'lTALrA 

slima  si  uDÌversale,  die  non  trovi  embli  e  eonttact* 
ditorì.  E  quando <iuia  volta  s'è  fìttilo  pniova  chs 
le  persone  più  caxe-e  più  sollevate'  nel  favtir  dei 
pt^ncipe  possono  cadere  e  perderai,  allora 'si  priH 
cfpita  '  assolutamiBiJte  nella  confìisioBe  e  neU'anatf 
chìa .  Se  Stilioone  clie  per  tanti  titoli  dovèa  pre^ 
sumersi  etereo  nel  sno  posto ,  era  stato  abbattuto 
*  spento;  uè  Olimpio,  ne Gìotìo  obe  lo  s^àntiye 
gli  «ùccedette ,  vi  potean  durar  lungameófe.'  CHiai^ 
pio,  senza  perdere  per  avrentura  il-ikTor  dd^ilnC'* 
t>eradore,  perde  DÌentedimeno  la  dignità  e  l^«iio4 
te  \  e  io  processo  dì  tempo  anc^ela'vitft.>~l  fattii* 
gliari  della  corte  e  spesiftlmente  ■  gli  -  eunacbi  t  i 
^uati  forse  odiavano  più  le  virtù-  cbe  i  diftitfi 
d'Olimpio,  fecero  «1  gran  romóre  appresso  d*0* 
norio  per  le  sventure  dello  stato  ^  attribuite  aecoa* 
^o  il  solito  al  mài  govouo  del  favorito ,  -  tibe  O- 
korio  ,  debole  e  sbalordito ,  -  fìi  coc^retto  di  man* 
darlo  in  «sllio,  eìonalzàr'  Giovk>  al  ìcuoi  Jtaogoi 
Or,  ineet»  oostdto  l'an  dopo  1* alti»  nell* oH^ 
3^  giiaìi  oiattibeHaiio  diqMHieTano  oon  'poter  aasot- 
lotti' dtdleocae'd' Onorio',  Alu-ìco,  entrato  iàll» 
lia!V;&oea-tremàre  il  sezató:di  Boma  etacoete  di 
{ttaffioD^,'^  con  autorità  quasi  aisdcta'  e  sovrana 
pcitffai  dar  fcgge  all'imperio  .     ■  -y  ■ 

■■■■■■  'r/Xrovav»si  ^Alarico  saHe'  coite  d«Aa "DalpMuiB 
^<ÀK^r49ii.)^  aìlófcbg  intese  Ja  caduta  ài  StiHon- 
se,;  e' C03i09(^ido.b&n«,  c|te,  "mancabioostdi,  pie- 
..ciQlo'bstBOolo 'puteVa'-'incontrare  ai-  feib'a,  si  avso- 
Itò.yfjrso  JRoBuiv^la  tjvaSei  strétta  di ;^nie anedio'. 


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tiBflb  IV,  Capo  in.  iài 

ìà  forzata  d'accettare  le  otodiaùoDÌ  che-  piacque 
«1  general  barbaro  d*  imporre ,  le  quali  non  fìiro- 
Àtj  perà  troppo  ìntollarab^ì  per  quella  prima  voi-' 
ta .  Ma  Onorio  che  non  potea  né  fare  né  patire 
ebe  aftri  facesse  quello  chb  lo  stato  ddle  cose  chis<« 
deva,  addò  frapponendo  dubbi  e  dilazioni  a  con-, 
ferbiar  la  pace*  per  cui  il  secato  di  Roma  avea 
ibàndàti  ambasciatori  a  Ravenna .  Alarico  offeso 
da  qùest*  inopportuni  ritardi  dell^  imperadoce  «  ei 
voltò  £  nuovo  contro  Roma ,  e  per  «cmdietoQe  dtìl- 
h,  paée  che  lece  comperar  la  seconda  volta  9ls^  - 
nato ,  volle  che  si  eleggesse  un  ^tro  augusto  ia 
Idogo  d'Onorio.  Fu  pertanto  creato  iibperadore 
Attalo ,  prefetto  della  città  .  U  pritadpal  capo  di 
quell'accordo  si  fu  che  Alarico  dovesse  essere  gch 
nterale  del  nuovo  augusto.  Questo  «-a,  dopo  U-oa- 
go  d' Arbogàsto  e  d^  Eugenio ,  ÌI  secondi^  ntft  U 
]più  singolare  esempio  del  vet^c^noso  scberto  cb« 
i  barbari  si  facevano  deHa  dignità  ìmpetìatei  Ifét 
ièmpì  segufmti  8Ì  videro  fìvquentcHnmté  uffina}i-'ffi~-~ 
eatte  e  generali  d*  srniate  di^iocre  adi  iiiEbÌtria>  ÌH* 
'  m  della' fortana  e'ijena  vita  del  ^rineipé^Mttqae' 
sta  itt  allora  cosa  atsai  nuova-,  -  dke-  iinr  oxpitaoi 
«tranieco  si  dicesse  ministrò  e  stipendidriit  'd*o9i 
imperadore  ch'egli  slesso  area' posttrifutipoflo,"» 
otafr-pofea  dqjorro  ad  ogo*orai"  coinB'rJijcie  vera- 
^oentis  più  Tolte-,  {^.'{tatn  fràttarate  s(  ttovavK'iìk 
^rau'tutbarione  s  rivofginrento ,  boBtretfta  di -pfei*- 
der  partito,  e  Schiararsi  per  1'  uno  d' per  l'àttTO 

de*  ditt  jmperadorì  dm  teneva  n^  «eilo.'  JMEa  11 


D.q,t,zed.vG00glc 


a^;         Delle:  Rivoloziowi  ;»'  Italia 

tètrore  delle  armi  de*  Goti .  non.  permise  lungo  9pa5  ' 
zip  ài  le^po  a  deliberare ,  Peroqphè  AUrìco,  fecp^ 
n'ooDosceFe  ed  obbedir  jl  «uo  ^Àttalo  Ba  -qu^ì  ^xf^ 
U  pwte  di  {l(|reiuia ,  dove  stara  tcemaate  I^  co^<^ 
t9.d* Onorio;  ed  appena  Bologna  fra  ie-cjttj^.T^^, 
gV4rd«rolj  potè  maitt^oersi  fedele  al  legittimo  ini' 
pcradqre.  In  tutti  questi  frangenti  il  gettai  Gi>t 
t»  ipQsU'ìr  ^Bora  tapto  rispetto  al  npme  iUimano.» 
«he.,  «pi  «upistfi  4'  Onorio  fossero  stati  meno  ùut 
prudeetif  •  Attalo  più  awe^Mto  p.più.coi^p^eA? 
te  ,.BarebM>  fone.  p^uto  sottq  il  nome  d'uno  di 
Wo  listabili^e  alquanto  le  coie  d' Italia  e  deir  Oc? 
«idente..lVla,&ÌQVÌp  icompigliò  tutte  le  gufine  disr 
posiaeni  cbe  avea ,  Al^tìoo  di  lemre  Qaorìp  ,  ,9 
lidnsat  il  fiuo.pviocipe  quasi  a  ,unj|li,^e[ato parti- 
to p  di. fuggir  d'Italia),  9,  d'esser  relegato  e  mu- 
^tO'da  Àtbtlo  sQO  a^v^rs^f io ,, Questi  dall'alte^ 
«auto  f. die  dorea  rìciOQoscere'  e.  speraj;  tqt^  ^da 
Alarico  e4a*Goti,  .pre^  «osik  a.spropo^to. a  ifio- 
«bar  loro  la  «uà  diffidenza,,  che  ,roTJAb  affatto  Ip 
noscaie.  U  Italia  aellp  stato  19  cu^  era  cidpt^ 
flonpotea  sussistere  senza  J' Africa;,,  ed  qgni  an- 
-«nrol^  pìccolo.  DFoIgiioepto  di  quella  proyi^cj^  i^- 
-naociava  Eoma  di  fame.  Era.  però  cec^^^o  die 
Aitalo  ed  Alarìcq  «  &tti,  padrt^  di  f{(;ana  e  d'I- 
^'t^ia.,,  si-  ^i^jojg^ssero  ipconfapQnte  .  a  oQ^gpistar 
J^:Africa,.<HÙ  goKa'oava  allora  Eracli^qo  cmtp  a 
ztomei-d*  Onorio,  Ma  Attalo, ostinatosi  mattamj^- 
teia  :non,Vol)er  affidare quell' impri^ a' qapitani Gp- 
'ti  *.  esiiw^  «onsigUava  AlfiùciO}  vi  oiandb  Costantino  j, 


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'  ■  •im.o-w-.Cfi.vo  m,'  jiBL 

tt  queìé  '  ^sf^to  .r  e  preso  da  Éracliatio  ,  làscij^ 
Roma  travagliata  dalla  &me  .  Queste  bestia- 
lità d^^^ttalo  fu  la  salute  d'paorior  perucchè  A' 
Uirìbo,-  «donatosi  del  suo  iiovello  imperadore  ,  Ja 
3{iìjglib'  della  porpora,  0  prese  da  CBpo  a  trattar  di 
pace  B  tT  alleanza  cqo  la  «orte  di  RaTeona.  Mat 
I*  énormie  itnpradeDaa  de'mioistrì  d'Ooorìo,  e  1<( 
Tiiano  invisibile  di  supetior  provvidema  rìspinsera 
Ancora  vuorameptb'qq^vIeMe  imperadorein  nao* 
vè'Atoordfè  con  Alarico  j  e  non  poti  rioÓTtare  41 
iflonrioio  d'Italia,  fioche  non  fa  tutta  calpesta  e 
vantata*  «  il  ctipo  ^i'eua  'non  ebbe  sofferta quri- 
1*'ombil  saécó;  e'dlspierao  inBuito  namero  di  cit* 
fa^'ói  -per  tutte  te  piii  rìraote  provÌBci&delinciiido^ 
AlarìcQ,  rotta  og^ii  'pratica  d'ftooordo  cx«0<: 
iiorìò  ('AN:'409.)t  tiè  si  ciArando  pùpte  di  quel» 
S'efiìmetìco  impenidore  cb^.  a  guisa  di  persona^- 
^o  da  scena,  mostrava  fuori  e- poiouideTa  a-'«n 
talento ,  tornò  peie  h  tpr^  voltn  ad  as»diar--H(i" 
ma  ;  ed  entrato  «dentro  TÌncitore  «  le  -lasciò  dat* 
un  orrido  ncco  alle  su'p  genti  *  1?  quali,  canclis 
d'immenso  bot^ó)  >e-  ne  ptrtiinoo  -deipe  ^iciat- 
tb  |[toni!i  9  jMrtattmo  orretido  guaito  ;aile  «ootni- 
)3e  dHntòmo.  Xa  piìt  patt»  di  cokHTQ  «tba  ccrioB- 
ro  dì  questi  awenimeqtit  i^au»  taostrafto  dtitia- 
tsvi^sm  iCfae- Alarico,'  dopo  esser»  ÌR)|>aiGb-apiita-4ti 
ÌEtòma ,  non  vi  sia'  fumato ,  ina^uMunet^  aibék- 
éa  fotze  bastanti  da  po(ervi«i  mantenete  oonlaa^ 
sfòrzi  di  qualunque  de*  due  ìmperadorl,  Occaio'e 
CTeodosicr,  avesse  tentato^  ri[^liflEla^-fi  oMdatscJi) 


ovGoo^lc 


zèjjr  Delm  RfVottraioKi  6'  fi-AtlÀ 

^a  .'Ma'  ì^cHi-àHtìt»  jrtn^ettito  "h  ràgioòe 'i»^; 
altro  maiHfesfà ,  oh'  ebbe  Atft^i^oo  ^  wnt  adgguir-, 
dar  luDganieófe  idBsma  ;  La't^ttà  era;''glài  tratiii-^ 
^'afa  dalla  penuria  Òt^vv^éti,  ptmtt'clie  i'Gtitj; 
V*  éntrBiàséio  .  he  vitine  cOtapiipst,  M  tfaedit^  60*-% 
fa  di  TettoTàg^ié  pate&aO'Sotenmistesre  in  i^iudla 
^tatò  cfae  i  Goti  le  rittbvarM»),  «mo'.irtatadJhlo^ 
to^  durante  l*àss^Q  e  prima,  trappo  ìdiligeaten 
ihétité  spogliate  è -rase  .  li^'AFrica  tottarìa  .fedoh) 
dd  Onorio  non  era  per  ùiaodare  Is  :niite  ipnìTvi^ 
sìoDi,  dove  Alaii&ò  fòsse  il  padronsi*  ^ffisogiia?» 
dùriqùe  dt  necessità  ,bh*  egli  se  n'^fodiisé/d/pit'^ 
scere  le  sue  geiA)  ne*  campi  detla^cBia  a.  ideUft 
Sardegna;  atribedue  isole  abbondaDtì.di  igraQO';;Q 
di  là -gassasse -alla 'cónq'iUGta  dell' Afìiioa».. che  si 
rìputh^^  in  qùé* tèmpi  la  più  ricea  pron'aóia.di^ 
tutto  1*  imperio.  T^f  eraaò'sanEadabbiokftHteti^ 
2ÌoDÌ  del  bàrbaro;  Aia  lédidche  «i  era  serrìto.^ 
hii  a'  castigare  ì  Roma^ìi  Io  féftnb  MpentitfflBteB*' 
te  ih  ttie^zo  al  còrso ,  cbtaniafldòlo  a  fenkc:  rari 
grono  ddte  opere  sue  (■t)\      '  i  ■. .      "    '  .' 

H  sacco  che  i  Gbf!  diédo^oa  EkRiia,  fecsper 
^Tretitura  nel  materiale  a  quella  città  minor  ddn^ 
tìò'^di  queHo  ch'ella  ebbe  a  soffrire  a' limpidi 
Cesare' e  di  Nerone,  una  volta  per  fuoco' casuale'* 
l'altra  per  capriccio  t*ufeile  del  priiicìpe .  iifcBr*- 
I^t  che  v'entrarono  con  Alarico, ■  intenti  »: fi» 
bottinò  e  saziare  le  lor  voglie  presenti ,  non  ebbero 

■'rO'SaÌT.d«  g«b.  Dei  I;  7-  .  .   .    i  .    i    :  . . 


ovGooglc 


tpaficK:  K.ùe  degli'  edìGu  '^laad^  cotìo^  in  udi^ 
cit&  bIk  .ofBUjìava  .forse  cibquapta  miglia  di  .«jiv 
cdko',  ed.  in  cui  ogni  casa  poteva  ccuitarsi  aomif. 
iiiì*^tietm- città:  (i:)..  Ma-'tfì}n  è  > però  meno  ycro 
<^  Iff  slarto  d.' JtaKa  aMia  da  quell'ioyasioiiq.  pa^ 
tita-duuio  -gcandisaimQ.ed  iojB^mabìle.  Siperdetr 
te  'altbra  gran  .quaotitÀ:  d*  qfO;  «  d*  amento  j  e  di 
eùàe  'piìaiiòn  c^  o  si  .«marrironct  in  quelb.ecom^ 
loglio. j.o'fìtroiicH da' 6({tì  yinottori  o,  f}a',,^qffi^ 
^S8*^^>  portato  iuon.  d'Italia,  a  parte  ancor aep- 
p^i^o^  89cando  iI::P0s(Cime;baTbaf9»  nella  tOD^ 
■d(  Ataiioo^ '£'tuMQcllè:I*oco  0  Vasgenlq,  a  paj;- 
IttP  giuitamenie ,  non  bknft  t  .beta,  .e  le;  ai^taax^ 
i«ali  d'tm  p£idse,^a^Q9  peiìi  in  qi^l  tenfpamezr- 
»  Bccessc^  agì' ItaliaDf  ppr  procacgiaj^ù,  i  ,beai  efj- 
fótivi ,  che  sqio  ì  vti!ei'i«  dì  «ui  essi  m^ncai^^^. 
Ei-nebtfe  si^tojse.alla<;)it(àca)>itaIe-it;f^^zzp,,,{^ 
■tim  direv  del  bÌsagQe7<de ,  !«  «^f^pag^e  .Ticjn^^ 
devastate  'iit^  HcfS9  tteiiq»  >  dlivei^^^a  :  vieppiù' 
jiirpoteDtÉ  a  «oqiHiiniìitrarlo-  H9-  Min  ,a  ^i^tv» 
perde  r  Italia  un  infinito  ^nnpf^  d' .Honùq  pji^a 
aocìsi,  parte ^mqo^tt^  TÌ(t  da'^iemipì.,  ,e  p^r^  ao-- 
dàtò'qoà;  e  ìk  tapinaqdQ  ù  Iwlfme  r^PPtra^  :,  ^q. 
•fibt  i>ae»'ir.cIie,;Aopn4o  (ibiCoiKU^na^&.iq  rus(i,d^ 
■gli  aatiohi  tempi  »  fapejui^^^oa  pi^cvjl^.pafte;  de^l-' 
■le  :£Lceltà!;d»'  paitic^laiì  e  ideila:  {^QJL^z^nep  con» 
iviói  diiìe  ohe  una  mpUitudine.  .graoflissìaui^  ^  AQ 

■->'';:■  \;"      ■   ■■ .       :■■■'.       -i.     ..1  .-...c'o-;:  .,  .    '■■  ,* 
(1)  £«  uròs  unadomu}-.  mille  ùrbes  coniiìiet  una  ui-ts . 
Olympiodor,  apud  Fhotium.    V.  VopUc.  ìn  Aureliana,   et 
^a^tolom.  Madia nii)fi  <1«  ai&biu  Vr^iìA  ^l-;;;C•..4<t(tBq• 


=dDvGoOglc 


i8S-  DELLE'IUVOLtJaiONi  D'fTALa 

Sìèno  andati  ài  iegbitb  àé'  barbari  j  giaicetèi  int4 
Vìaino  che  fcett  qtìBraiirtaimla  fbggìrooo' da'  le« 
flàdrònj^  e  c(»3érd'alÌe'baBdiérd  d'Ahu-icd'mtìbtf 
prima' delU  ^resà  ^'di"Boma-^  E  Donditnpaoi  mtat-t 
fio'  ó  òinqa*  anni  dopò  i!  «bcd  patitb,  t^utHà  g:ratt<f 
de  città  si  troTb  iidil  scJamfiBttf  ridtorata  dì'  fab^ 
Ittjclteì' ma  florida  e  ripópidata  pHtehe  fissista* 
tà  pél-  gli  dtibì  àd^etrd;  ntccliè  Ib  d'''tKipcf  rad^ 
éoppfan  la  i^aÉifità  del  grano,  <ée  à  nome  d^' 
I*imp«addré  st  distrifciiivtf  ài  popòlt*  (t)  t  Vero  5 
el^e  Se  noi  'ngtiàrdiàmo  aUà  càgioàé  che  TmeaU 
ìa  VióinÀ' toimiA  popoUtióné ^  ii^  troveremo '«sMr 
te  statò  (]Ueitoi  ìiod  gtà  Vantaggio,  Ina  nliova  ca^ 
famitft  d' Italia .'  pèròtdcchè  trovatìdosi  d^i  bbt^d 
di  lei  è  le  campagnd  titne  spogliato  o'  divenuti* 
sterili  per  le  passate  iticursioni  j  e  scarso  più  di# 
prima  il  numera  de' laVc^Mort ,  tutta  làvgeiite  i!Ìk 
correa  d  Roma  pef*  satollarsi  delU  ifettcxt^lie-efav 
.  la  cMdieittt  imperiala  vi  faoefi  cofidurre  ddll*  Afn- 
òa  e  dalle 'ìsofe  dd  MeditnraDèO'v  Dalla  ràSsegnìi 
ctielil  prefetltf  della  città  faceat  fare  eli  codesti 
nuovi  concorrenti  «  si  trovò  che  fino  à  quattordiei- 
tnila  al  giorno  ri  capitavano  (2) .  Cod  per  tin  cip- 
cuito  di  mali  inevitabili  per  ogni  ferso  si  peggii>' 
rava  lo  stato  d*  Italia  :  p«roccbè  le  campagne  de- 
vastate sforzarono  gli  abitatori  di  cercar  lor  avan- 
za nell*  ozio  di  Botna  ;  e  la  desertione  de*  coloni 
tendeva  sempre  più  sterili  le  campagne ,  Due  o 
(0  0$.  1. 7 ,  e.  4o. 


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tiBRO  IV.  Capo  Uf.  afif; 

kté  leggìCO  cbQ-diedéOooritfrptf.  etentar  dai  tn^ 
t»utt 'la  Toscana ,:  I3  Campania,  il  Ficeao,  cioè 
Inàroat  dVAocooa  «  il  Ssonto  ,  la  Puglia ,  là  Cala-* 
bria ,  1*  Abruzzo  ,  é  la  Eiucania ,  fanno  testimo^ 
fiiaoHt'froppp  autorévole  dello  stato  miaerabìlé  a, 
cui  eriifiO  ridotte,  quelle  pronacie. 

:  U  eoÌQ.'hents  (^w  potè  trar  .l' Italia,  e  Koqu, 
XfleclàlmeittO^  dalle  ricevute  qalaaiità  sotto  Alar^ 
c6  ;  fu  per  ^'gual'do  4ÌIa  tcIigioBe.  Il  liipctto,  ciui 
i;  Goti' Qiostrar&ao  pdC'  la  «antità  dellft  cibi^nri» 
ÌÀ-  màggìfit  fuHadel  s«xMf  dovette  hlgeoerare  in 
tnelte  penQBe  tnàggioFe  afiletto,  che  primatioit 
wrfVBiK»!  al  Crietiattesiimrf- e  l^ossem.da'b^rban 
preddtdrì  abbattuti  e  spogliati  de'ricclii  nmttwntì 
lin-  budti  tium^rd  dì  simulacri  che  pei  pubblici  Ino»- 
gbj  della  citià  seittfaoo  ad;  iotraùecete  làsupaB».. 
«licione  del:  vo^  idiota*  nmacb  d^indi  a.iftA 
lnoIt<>ogn'dTaB2t>. ch'idolatrìa'  e  di .  |»giàn«rimo * 
€^ì  U  Violenaa  e  knpscttà  de'baibarìiecequeb- 
to  -ohe  gli  ordini  di  tanti  imper^dorì  non  «Teano 
^tuto  ottenne  pei'  il  co^  d*  uil  Mcolo  inteeoi , 


(i)  Cod.  theotl.  i.  it,  tit.  a8,  Ì..^M  i» 


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s86  Delle  ^ivoLifzteea  n*  ItaUì( 

CAPO        IV.  (0 . 

yaniaggi  della  sovmmtà  legittima:  succMtorid'O-* 
noria  ;  «  riftessioai  sopra  la  auccessionfi  xd  aam 
«miistrazwne  ^Ue  imperadrìci  Plaoìdia  »  e  Pid^ 
cheria . 

i/arrà  oosa  sfrana  per  una  parte  a  r^ettMb  olis 
un  prìndpe  c&e  iòne  non  poisedeva  ud  palmo  dì 
ferra ,  potesse  ridurre  in  oosi  fatte  angustie  i  figlhio- 
li  e  succeasori  di  Teodosio  :  ma  consideraQdo  daU 
1*  altro  canto ,  che  Alarico ,  quel  ohe  »  fosse  na* 
suoi  prineipu,  era  pure  in  forza  d*armi  iocon^>a- 
rabiloienté  supeHore  ad'  Onorio,  da  che  Je  Gallio 
e  le  Spagne  parte  «ansi  ribellate  per  opera-diCo- 
atantino  e  Gerunno  tiranni,  parte  andora  occupa- 
te da*  barbarì  ;  è  maggior  mat-aviglia  come-Oooriq 
con  tante  nazioni,  e  con  l'imp^dmaa'  e  perfidia 
de* suoi  ministri',  abbia  potato  scampa»  da  quel- 
l'immenso naufra^,  e  morir  dopo ^oltì  ancrii  eoa 
la  ooroha  ferma  sul  capo,  Ria  uno  stato  bene  star 
bilito  ed  antico  è  appunto' come  un  vecchio  edi- 
6zio ,  a  distruggere  ÌI  quale  tanto  d' opera  si  ri- 
chiede a  proporzione,  quanto  se  ne  pose  ad  innal- 
zarlo ;  e  quantunque  sia  sdrucito  e  fesso  e  lottu , 

[i]  Tatto  cii  elle  in  qnetto  capo  ed  «Itrov*  diciniMi 
del  governo  delle  donne  >  non  dee  pregindicare  atta  stima 
che  meritarono  le  vtrtìi  morali  e  politiche  di  molte  illnstri 
principesse ,  di  cui  aqcora  nella  ntoderna  storia  li  veggono 
esempi. 


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A . .  Ubao-  IV.  Oupo  IV-     :  189 

e  minacd  rovioa  da  tatte  -patti ,-  noadimeiio ,  per 
ridurlo  al  niente,  raderlo  al  suolo,  e  fabbricarvi 
di  sopra  un*  altra  mole ,  vi  vuole  ancora  assai  .di 
tempo  e  di  fatica.  Però  l' imperio  Italiano  che  da 
DiooleKÌaDo  in  poi  s'andò  dd  oonUiiuo  visibilinen- 
te  distn^eodo  e  rovinando,  prima  che fooc^ dal- 
la forza  de*  barbari  del  tutto  anoieDlato,  passò  al- 
teetiaqto  quasi  di  tempo,  che.  ne  corse  da  A"^' 
sto  &10  aU' elezioiw  dì  Diocleziatio .  Ma  l'Italia  non, 
ebbe  altro  frutto  daUft  lentezza'  della  sua  rovina^ 
di  ^el  che.  abbia  un  robusto  malato  da  una  lun- 
ga agonra .  Berciocchè ,  dove  le  Spagne ,  per  eson* 
pio,  cadute  quasi  di  primo  tratto  sotto  il  dommio 
de*  barbavi ,  ocHBÌQciarona  pitUtosto  a  goder  quie- 
te e  ristotR>.3<4to  i  nuovi  signori;  T  Italia,  dalla 
pi-ima  invasione  di  Radagasio  eA'^'^ì'^*  ebbe  pei; 
«ttaat-ianpi  a  patir  mali- itiiìoiti,  prima  che  dopo 
«arie- vicende; sì  fosse  stabilito-, il  regno  de* Goti .  _  . 

:  Frattanto  .dopo  ia<iQOEte  di  Alarico  ritomò  in 
l»Mre  tutta  1^ Italia  sotto  il  dominio.  4* Oaorìoj 
beachi  egli  corse.- peiicob  d*  esserne  ^Kigliatu  da 
,  queJIo  stesso ,  per  cui  -  qpera  L^^avea  ricuperata  daj^ 
le  mani  d*.Àttalo  e  d'Alane» .  Appena  era  mor- 
to-Alarico,  che  il.conte-^acliaoa  che  ayea  dife- 
«q  l'Africa -con  tanta  lode  dt  fedeltà,  e  che  per 
ricompensa  era  stato  creato  console  da. Onorio, 
djadò  voce  di  yder  venirsene  qpu^  magnifico  ap- 
parato a. prender  ii  possessr»  delie  sue  cariche  in 
Koraa,<avea  alleato  i^FU'.gcan  floUa'almeno  di 
ceicento  navi,  e  facea  vela  verso  Italia  con  afiimo 
Tomo  L  19. 


ovGooglc 


290  Delle  Rivoluziomi  d'  Italia 

d* ìasignorìrai  di  Roma.  Questo  atlenteto  diede  A 
conoscere  ch^Eracliano  nel  difender  l'Africa  era 
statò  meno  animato  da  zelo  di  fedellà  verso  il 
suo  priocipe ,  che  dall'  ambizione  e  dall'  invidia  « 
cioè  per  non  dover  riconoscer  Aitalo  già  suo  egua- 
le o  un  suo  emolo  per  superiore  .  Per  un  somi- 
gliante effetto  Eracliano  fu'  rispinto  dalla  spiaggia 
id'  Italia  per  opera  di  Macrìno  prefetto  della  città  ; 
il  quale,  secondo  che  la  storia  cel  rappresenta, 
non  era  molto  migliore  ni  più  fedel  suddito  d*  E- 
racljano ,  ma  aveva  almeno  tanto  d'ambizione., 
che  bastava  perchè  egli  non  volesse  essere  persona 
dipendente  da  lui .  Cosi  ciò  che  non  faceva  per 
sostegno  d*  Onorio  la  virtù  de'  suoi  uffiziali ,  T  ot- 
tenne egli  dagli  stessi  loro  cattivi  umori .  E  certo 
non  apparì  mai  più  visibilmente  nella  serie  delle 
eutiche  storie,  quanto  di  forza  abbia  per  sh  stes- 
sa l'autorità  legittima  e  indubitata  a  sostenersi 
contro  gli  sforzi  delle  ribellioni,  ed  eziandìo  con- 
tro gli  assalti  de'  nemici  stranieri  :  perdoccfaè  O- 
norio  ,  dopo  tanti  sollevamenti  e  tante  «porse  d' iu- 
numerabili  truppe  di  barbari ,  morì  pacificamente 
sul  trono  ;  e  se  non  potè  conservarsi  tutto  intero 
r  imperio  ricevuto  dal  padre',  il  che  era.  quasi  cfae 
-impossibile  in  quelle  circostanze  di  tempi,  ne  rì- 
lenne  però  buona  parte,  la  quale  ancora  dopo  lui 
passò  in  mano  de' suoi  congiunti,  e  di  chi  egli 
stesso  s^avea  riconosciuto  per  successore. 

Flacidia ,  sorella  d' Onorio ,  contribuì  moltisi- 
Simo  alla  salvezza  del  fratello .  Costei  venuta ,  non 


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LiBfto  IV.  Cak>  IV.  agf 

Si  sa  ben  «ionie',  ià  mani  d' Alarico ,  rimase  do- 
t>o  la  morte  di  questo  barbaro  ia  potestà  d' Àtaul- 
Fo.suo  cegnato  e  successore  del  camaodo  de' Go- 
ti .  CrèdesI  che  Alarico  gliet*  avesse  desinata  per 
moglie;  e  certameote  Ataulfo  se  ne  nxostrò  sem- 
pre  vagfaiasitno,  e  la  sposò  pijr  alla  fiae.  È  fàci- 
le iDunaginare  che  questa  principessa  trattata  mol- 
lo oiiorevolmenfe  ed  amata  dà  Ataulfo,  abbia  pò* 
tute  ìmiùaargH  seutìmeott  di  pace  e  d*  amidzia 
verso  d*  Onorio  ;  e  che  a  persuasìoae  di  lei  s*  iu- 
ducesse  3  bàrbaro  a  sgombrar  d'Italia,  com'egli 
fece  veramente  .  Perciocché,  avanti  che  molti  me- 
si passassero  dalla  morta  dì  Alarico ,  Ataulfo  si 
frbvb  nelle  Gatlle  coti  seco  Placidìa  ed  Aitalo  a 
(Ùsputàr  il  comaódd  di  quelle  '  provincìe  con  Giu- 
stino, ed  alfrì  tiranni  e  rt;  bÉu:bari  che  vi  domi- 
naVano.  Il  flirore  dell'armi  allora  passb  tutM  di 
là  delle  Alpi  ;  e  Onorio  ebbe  a  godersi  tranquil- 
lamente l'Italia  af&'tta  per  altro,  e  sommamente 
estenuata  dalle  passate  invasioni.  11  vero  h  che  M 
Onorio  ritenne  fuori  d*  Italia  e  dell'  Afuca  qual- 
che Ombra  dMmperìo,  e  se  dopo  essersene  dipar- 
titi ì  Goti  con  Àtaiilfd ,  nluno  né  ribrile  né  bar* 
bà^pbie  piede  in  Ralla  UvendoegU,  dovette  sa- 
perne grado  alla  virtù  di  Costanzo  suo  capitano» 
4iudrftD  nélta  sua  giovinoza  n^ti  eseroiti  dì  Teo- 
dosio, e  salito  pet  vari  gradi  al  generalato  r  N«^ 
podiì  anni  tìh'èglì  Ct^iuindò  te  armi  Romane ,  e 
nel  brevissimo  spazio  che  stette  sul  trono ,  si  fé* 
manifesto  che'  1*  imperio ,  benché  stuttiito  e  lac^o^ 


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agi  Delix  Rivoluzioni  d*  ItAuA 

potea  pur  trattener  lungamente  Ja  sua  rorioa^. 
se  gì' imperadorì  noo  aveseero' abbandonato  il.  go- 
Terno  delle  armi  loro  a  uffìzlali  stranieri ,  e  più 
encora  se  all'esempio  di  Traiano;  Aureliano,  Co- 
stantino e  Teodosio ,  le  avessero  trattate  eetì  me- 
desimi /Il  desiderio  grandissimo  che  aveano  così 
Aiaulfo  come  il  general  Costanzo  ,di  sposare  Pia-, 
oidia ,  sia  per  le  doti'  personali  di  lei*  sia  p^  va- 
lersi delle  ragioni  ch'ella  aveva  air  imperio  come 
sorella  '  uoioa  d*  Onorio ,  il  quale  ooq  era  [wr  la- 
sciar figliuoli  successori ,  valse .  per  avventura  di 
maggiore  stimolo  a  Costanzo  di  servir  valorosa- 
mente e  con  fede  il  suo  principe,  e  ad  Àtaulfo. 
di  .non.  danneggiare,  anzi  pure  d'àdoprarsi  ancor 
esso  alla. difesa  dell*  imperadore .  Fu  scritto  (i) 
che  Ataulfo,  avendo  da  prima  fatto  disegno  da 
barbaro  e  nemico,' com'egli  era,  di  voler  distrug- 
gere afFalto  l'imperio  Romano,  s  stabilire  sulle 
*ue  rovine  quello  de'  Goti  ;  e  -  conoscendo  di  poi 
per  pruova,  che  i  suoi  barbari  erano  intoUeraoti 
di  freno,  e  iocapad  di  sostenere  ogni  buon  ordi- 
ne di  governo  e  per  la  natia  loro  ferocia ,  e  per 
la  gelosìa  e  i  differenti  umori  che  agitavano  ì  ca- 
pi, d'eoti:  avea  seco  deliberato  di  farsi  protettor 
|le'.Rom4ni.,  e  probabilmeote  di  por  la  corona 
imperiale  wl  capo  ^lla  prole  eh'  qgli  sperava  dal 
Buv  piatrimoolo  con  Flacidia .  la.  f^tti ,  .poco  ri- 
guardando alle,  voglie. di  Costanzo,  ed  alle  istanze 

.  ^,.    :p)  JiUfia.  Ueu.  de  l'ciDf.  Honor.  un.  53. 


ovGoòglc 


LiBfto' IV;  Capo  IV.      '  293 

tl*'OtìùTfo  che  non'MBsata  di  aolkratarb  a  ri- 
màndargU  ìa.  sorella  ^  egli  la  sposò ,  e  n*  ebbe  fi^ 
glìaoli.  Ma  la  motte  immstura  di  lui  (ak.  421.) 
fèndè  Tao!  questi  disegni;  e  Placidia  riraarìtataai 
òMo  stesso  Costanzo ,  tutte  le  Ibrce  dell'  imperiai 
insieme^  eoi  diritto  idla  sueceswone  ti  trovarono 
unite  nella  persona  ^  lui.Non  mancb  chi  scri- 
vesse che  (htorìo  non  ricolmò  di  buon*  grado  il 
suo  generale  e  suo  cognato-Costanzo  ^  di  tabtì  ono* 
ri  e  di  tanta  autorità,  ^ ma  ch'egli  irfeoepeF.ne^ 
cessità  e  per  tema .  Certo  che  Onprio  non  aveva 
allóra  hbiglìor  braccio  per  sostenére  'la  vacillante 
corona',  né  avrebbe  avuto  nemico  pKt  formidabi* 
le  di'  Costanzo  quando  l'avesse  aHe&afo  da  sé  con 
riousargli  qualunque  eosa .  Comunque  si  fosse-» 
{Costanzo  oltre  d'aver  per  moglie ;là  sordlIe>  e  in 
iWano  l*<anhi  e  Pautorìtàd^'ìmperadore,  ottetK 
ne  ancora  il  titolo  d'augusto:  e  già  pareva  che 
dovesse  in  hri  e;  ne* suoi  posteri  fermarsi  e  rìst»- 
bilirsi  l'imperto  se  no'a  di  tutto  l'Ocddento  ,  al- 
meno d'Italia,  non  optante  che  Teodosio  ricusas- 
se ^approvare  la  siìà  esal^ioae .  Già  ^li  avea 
dMt  Pkididia  avuto  una  -figlia  che  si  chiamò  Ooo- 
na ,  e  un  figliuol  masdhio  chtf  fii  Valentinìaim 
tertò';.  Ma  egli  morì  un  anno  dopo  il'  suo  innal- 
canieiifo  alla  dignità  imperiale;  e  i  dissapcnri  «he 
vact^no  tra  Plàcidia  ed  Onorio  ,  disturbaroiio 
non  poco  codesti  buoni  ìncominciamenti'. 

Dopo  la  morte  di  Costanzo  ,  Plàcidia  vedova 
di  questo  secondo  maritò  rimase  in  tanto  favore 


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S94  Delle  .RrrotoziOHi .  d*  Italia 

appresso  Onorio ,  e  m  tanta  iamigliarìtà  0  -qodG- 
dfoza,  ebe  diede  alla  maligaità  de' ci»tìgìani  q^alr 
che  materia  dì  maldiceanà .  Le  disseosicKii  utoet- 
biuime  cbe  seguitaroao  tra  lor  diie ,  diedero  poi 
qualche  ragione  di  sospettare  che  V  afTezioDe  d*  O- 
.  norio  verso  Plaoidias'asBom^lia«epiutto8to4d  004 
mal  ofldioata  patsiooe,  che  a  pura  9  fratellevvlfl 
aniìcizia  (i).'Perciocofaè  un  amore  onosto  e  ìoVt 
preDsibile  nao  sarebbe« 'mai  eambiato  ìq  tant*  o^ 
ed  aperta  atmieicia  tra  due  A  «fretti  congiunti  di 
eangue  ,  Qurate  discordie  passaroBOta^fc*  oltre'*  ohei 
Pkeidia  non  sotamente  abbandonò  k  conte  «  l'I* 
talia  (ah.  423.  ),  ma  si  ritirò  approsso  Teodosio 
nio  ntpdte  col  suo  figliuolo.  Ilche^  fuori  di  i)jEi*er 
{pìdeote. necessità  (  sarebbe  parso  un  proceder  con- 
teario  ad  ogni,  ragion  politica  ;  perocché  ell^  ao- 
davaia.  metter  sé .  alessa  e  il  .%liu(^  in  ipano 
d'un  ftio  concorrente  all'imperio.  E  già  Teodpr 
•io , ' rWutaodo  d'apfHovare  l'elerione  dì  CpstaiiT 
sot^avea  dato  a  vedere  eh* ^li  pretendeva  dì  suo^ 
oedere' ad  Onorio  negli  stati  d' Occidente  .  ,Wratr 
lantoils  laatananEa  di  Flacidia  e  d^gjovaaeVar 
jtotinìano  dall*' Italia  non  era  meno  pericolosa  eo 
«B  t-'di.  quel  cbe  fosse  il  trovarsi  le  loro  p^naav 
VX  balìa  d' uo'  competitore ,  V  esito  il  fece  tantor 
otoi  vedere^  Fe^comecbè  ti  oaao  riparasse  in  parte 
•al-^diaordinato,  itoto  d'Italia,  n*ebhe  tuttora  a  p^p 
:tir  gra/wdABiio.. 


ovGooglc 


lifiRo  IV.  Capo  IV.  'agS 

Appena  si  era  partita-  d'Italia  e  ritirata  aGo* 
staótinopoli  Placìdia  co'sum  figliuoli,  che  Ooorìa 
ihaDCÒ'  di  vita .  O  la  dignità  imperiale  era  già  tan- 
to ÌD  dis{»>egio  appreso  i  «apitanì ,  che  più  non 
si  eurarono  d*  ottenerla  ;  9  veramente  dìudo  era 
fra  i  generali  d'Oocndeote,  che  alla  morte  d' O- 
norio  avesse  tanta  riputazione  appresso  il  senato  e 
gli  'altri  ordini  doltd  stato ,  che  osasse  cercarla  , 
tutfocliè  la  lontananza  de*  leghtimì  successori  d'O-t 
nono,  e  le  travagliose  circostanze  dell'  imperìo 
d*  Oriente^  ne  porgessero  1*  occasione  assai  txnnoda . 
Ma  nn  uffizJale  di  toga ,  un  curif^e  fece  quella 
die' non  si  «iuraron  di  fare,'  o  -noà  ardirono  gli 
i^ziati  della  milizia.  Giovaani,  capo  de'segreta- 
rì,  o  gran  «aaeelliere  0  ma^iordomo  che  fosse, 
assicuratosi  sepza  dubbio  dèli*  animo  de'  capitani 
e  ài  Giustino  ch'era  il  principale,  prese  in  Roma 
la 'porpora  e  si  fece  riconoscere  ìmperadore. ,  o 
s'avventurò  eziandio  di  mandare  ambasciatoti' a 
Teodosio  seòpndo,  perchè  volesse  approvare  la  sua 
elezione ,  e  ricoooseerlo  per  coUega.  Ma  Teodosi» 
òhe  ^imavasi  arbitro  ddl*  imperio  il*  Occidènte , 
sia  per  la  consnetudine  già  da  più  d'  un  secolo 
ricevuta ,  che  quando  uno  degV  ioaperadori  mcrb- 
va  prima  'd' essersi  dichiarata  o  '  fatto]  riconoscere 
il  successóre!,  l' inrperio  si -presuni^^  oonsoUdato 
in  tì&pò  a'qudlor  cb&  si  trovava  regnante;;  siaiper- 
chè,  come  nipote  de'- fratelli  e  pnxaogttàtxt  ,.i^ 
riguardava  per  vero  erede  e  successore  d*  Onorio , 
riprovò  1*  elezióne ,  e  spedì .  subito  in  II6U&  due 


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igiS  DelU  RtYotvzìom  d'Iialia 

subì  generaU,  Ardabnro  ed.  Aspare,  padre  e'  fi-" 
g^uotb,  pef  condurci  con  buone  truppe  Ilacìdia 
eVa!entÌDÌario,  a  cui  egli  area  dato  il  titolo  <fi 
Cesare ,  riserraodogli  ad  altro  tempo  A  tìtolo  e 
r  autorità  sovrana  d'  imperàdore  :  Ebbero  i^  due 
generali  assai  diversa  fortuna  in  qudla  spedizione; 
ma  I'  esito  fu  qoesto  nientedimeno  ,  cbe  Oiovann! 
fti  sopraffetto  in  Ravenna  (an.  426.),  e  tutte  lé 
oìmire'  che'  avea  prese  in  Ravenna  per  sua  sicu^ 
rezza,  furono -vane,  coMcchè  egli'fù  spento  dopo 
tm  anno  o  poco  più  di  signorìa.  Ma  comechè  pic" 
ciol  tempo  durane  l'iisurpazione  di  Giovanni,- le 
con^gueoK  cbe  di  là  nacquero  per  lo  stato  d*  Ita- 
lia, friròno  tuttavìa  irreparabili.  Se  -Flacìdia  alla 
tnorte  d'Onorio  sì  fosse  trovala,  come  prima, 
dispotica  della  corte ,  Valentiniaoo  suo  figliuolo  sa- 
rebbe stato  senza  contrasto  alcuno,  eziandìo  dalla 
corte  di  Teodosio,  ricevuto  ìnconfonente  per  sue- 
cessore  dello  zio  sotto  la  reggenza  di  Flacidia  stes- 
sa. Ma  essendosi  ìn  quel  frangente  di  cose  trova- 
.tà  'lontana'  da  Ravenna  e  da  Roma,  metropoli  del- 
l*'ItaHà  in  quel  tempo,'  non  solamente  sfornita  af- 
"fatto  d'  eserciti ,  ma  avendo  ancora  la  persona  sua 
e  de'jìgUuoIi  in  poter  di  colui  che  avea  per  Io 
meno' egual  diritto  alta  successione  d'Onorio,  fu 
primieramente  necessario  venir  a  trattati  svantag- 
giosi con  Teodosio,  per  ottenere  da  lui  il  titolo 
'  cesaréb ,  e  forze  bastanti  da  entrar  in  Italia  con- 
tro ih  macchine  dell'usurpatore.  L'esito  però  del- 
l' accordo  che  fece  Placidia  con  Teodosio ,  fu  questo, 


ovCioogIc 


Libro  IV.  Ca^o  IV.  397 

Èlle  ValentinìaDo,' giimio  a' ibatura  età»  spov 
serebbe  Eudossia  figlia  di  Teodosio,  e  cinlerebbe 
al  luO' cugino  e. suocero  tutto  riHirìco  occideata-. 
le,  cfae  faceva  Aon  piccola  parte  dello  stato  di  O- 
norìo .  Questo  promise  Plaoidia  a  nome  del  figlìuou 
lo,  il  quale  atempo  debito  effettua  la  promessa, 
Cosi  Teodmio  prese  per  si  una  parte  deUMmperio 
d'Occidente,  e  l'altra  diede  a  Valeatiniano  qua- 
si per  dote  d'  Eudouia  .  Lo  smembramento  del* 
r  Illirico  ch'era  per  sé  stesso  perdita  molto  nguar' 
derole,  era  in  quello  stato  di  cose,  danno  di  gran 
lunga  gravissimo:  perocché,  noti  restando  all'im- 
perador  d*  Occidente  che  piccola  parte  delle  Gal' 
lie  e- delle  Spagne,  ed  essendo  vicina  a  perder» 
la  provìncia  dell'  Africa ,  riducevasi  quest'  imperio 
all'Italia  sola  in  quel  tnis^ro  stato ^ veduto abr 
bìónna  disopra;  .  .  ^ 

Ed  oltre  a  questo,  rusurpaTÌon  di  6ìcFvaa> 
zti ,  cagionata  senza  dubbio  dalla  '  loidananza  d«' 
principi ,  diede  principio., alla  potenza  d'Aezio  che 
dovea  riuscire  più  funesta  ali*  imperio  d*  Italia ,  ed 
.accrebbe  l' ardire  degli  Unni .  gik  tròppo  cresciuti 
di  forze  e  dì  baldanza .  Giovanni ,  inteso  '  il  rifiu- 
to che  gli  fece  Teodosio  di  riconoscerlo  come  .col- 
lega ,  oh  trovandosi  forze  bastanti  da  resistergli 
quando  esso  mandasse  annate  in  Italia  a  spogHac- 
lo  della  dignità  imperiale  ,  .inviò^ubittimeate..Àe- 
zio  a  cercar  1*  alleanza  e  i' aiuto  degli  Unni  ch'era- 
no nella  Pannoniat  i  quali  subito  si  nios^rovv^cso 
Italia  COR  animo  di  sostener  T'UsucpalOT^ .  co^t^.  ^i 


ovGooglc 


39&  Delle  Rivoutzk»»  i>*Italu 

ifoni  dell' irapeiador  d'Ocicitfe.  Ma  ptrtmcfaég^ 
Cimi  ^ugaessero  io  Aquileù,  s*eUia  arnsoi^e  Gio* 
.  vanni  era  preso  e  morto .  Aseìo  Toltosi  agerofaneDCa 
al  partito  del  nuovo  oeeare  VnhntinaanQ  e  diPla4 
ctdia,  periìHue  gUUmii  a  rìtomarsiaditietro.  .Era 
Ac»o  di  grande  ed  elevato  aniioo*  e  già  noia 
«*  ftomaoi  per  la  destrezza  e  il  vslor  ano  ;  e  Gio' 
vanni  die  aiibisogoara  di  viziali  e  ifiìmttiì  pee 
swfeegBo  deir  usurpata  ugnala  «  favea  creato  ma 
laaggiovdfHno .  Il  doppiò  successo  eh' egli  ebba 
nelk  sua  ambasciata  appresso  gU  Uani*  prima 
oott* avergli  indotti  nel  partito  del  tinomo,  e: poi 
o^^amrU  rìjnaodsti  via  quando  già  stavano  per 
metter  piede  in-  Italia,  gli  accrebbe  riputaziona 
ed  autorità . .  Gnadagnossi  egli  ntA  tempa  stessa 
1*  affetto  e  la  stima  dcf^l  Unni  ;  né  Placidia  po^ 
tea  lare  a  meno  d*  onorarlo  con  le  principali  ca« 
ricbe  dell'imperio.  Così  divenne  per  doppio  ri- 
spetto noB  solo  41  oampione  e  il  prot^ttor  princt' 
psJe  del  giovan»  iH:in<lipe  e  della  r^geote,  iaft 
arbitro  dello  «tato .  Quando Aezio  non  avesse  dor* 
lito  daU»  nascita  un  naturate  ambÌKÌoeo,  cbe  ntt. 
ffàmente  va  disgiunto  4k  qfaeir  intimo  swso  de) 
^uroprìo  v^ore ,  i  uioQessi  paissati  e  il  grado  a  cui 
»*n-a  elevato,  gli  avrebber  tuttaràt  ripleoo  Tani- 
•aso  d'ambizione  «  d'orgoglio,  Però  no«  contenr 
'tordi  mere  il -primo .nel  favor  della  corte,  voUe 
•esaerrf.  s^lot  o  esserne  piuttosto  il  padrone.  Cor 
ittita  i  Aua  .gdosìft  fu  il'  ultima  rovina  della:  già 
itropp»  AfOitta  ed  abbattuta  Italia ,  óon  -tanta  per 


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le  aeM^iridne  «Iie  m  menti  Attila  false  tìknoìata 
ed  aiutato  da  Aezio,  quanto  per  I»  perdita  dia 
ci  fece  dell' Africa,- sema  la  quale  '  non  poteva 
lUtaliasuasisiere  in  alcun  modo;  Era  goveraat<( 
m  quel  tempo  l'Africa  dal'fàraoto  oohte  BfHÌfft- 
BÌo,  uemo  ài  valor  miStart  non  pUnta  iaferiov» 
«d  Aenoi  e  di  ptobità  e^  fìsde  '«éma  dublno  A 
hit  superiore  p  c^  quale ,  non  meno  che  da 
egn*  idtni  penena ,  Aovai  rìconoseer  FlaoidÌA  U . 
oadutai  di  Giovastrì)  x  1*  esaltamentcr  «uo  a  ddt 
^liaolò',  avendo  Ìo»  «nnservaCa  qu^*^  importaa- 
Usima  pnovÌKiav  mal^db  le  v&etie  e  le  tnU 
IMoce -del<  tiraiino.  Aezio  eolla  ma^'or  pinfi^ 
.dd- monda  costrinse  Booì&eio  a  rìbellarst  « 'i& 
okàmar  nell'  Africa  i  Vandali  per  saa  difesa ,  < 
quali  i  postovi  dentro  una  <^olta'  ¥  artigliò,  voA 
■fidò  a  loDgo  vite  se  ne  fecero  it^rainnité  pà- 
clnioi .'     -" 

-  Ne^orribilr  danni  ch'ebbe  a  patir  ritali* 
Bel  qtmto  tecolo,,  non  fu  leggera  óagiotie  la'fi«^ 
tmial  moUeiBa,  e  ramlùnone  le  la  rafefaift  àea- 
aeeca  .  Da  >  qnattftp  secoti  e  più ,' dia  iRemaaiiS 
eontffrano  da  die  Augusto  avea  abilito  in  Roma 
la  monarcfaìa,  e  ndU  sutJeedeione  di  tanti  imp^ 
T«dori  satiti  pei  tanti  diversi  modi  ani  trono ,  non 
-s*  era  ancor  veduto  ì'  imperio  ctadetf  -  atiolutame»- 
te  e  manìfintamente  in  mano  ^  .femoMne»  «otte 
dalla  morte  di  Teodosio  in  poi.  Q^iKo-ciò  die 
Livia  ed  Agrippina  ebbero  ad  ÌBfitùr  dì  ootdvcfe 
neUftnioceMioD  dell' impanò  t  i%   r-adi»i<»}p  di 


=dDvGooglc 


8o«         Dell^  Rirai.feidKi  0*  Ii^uA 

TibeHò  e  di  Nerone  ^  ì  quali-  voameate  nofi  Si^^ 
déro  felice  [prflBagia  di ' db 'cbe  pctfeva  'aspettanti 
dalla  succewidD  proccurata  per  doaaeachi'  rdggirif 
Ma*  ad  ogni  modo^  co8Ì~ allora  come  taapprea'-r 
sò-futta  l'autorità .  dhe  le  imperadrìci  poterono 
«fFogarsi  ne)l*'ammÌDÌ9tra^on  ddlo'  stato,  fu  ìih 
diretta  0  quasi  domeitioa  :  laddove  Eodosna ,  mo- 
glie d*  Aroadio,  cotnincib  a  &rla  da  ngina  oal^ 
niello  da  reggente;  poiFulcherìa  con  éBcti^iio  in-* 
solito ,  come  quella  che  non  era  moglie ,  tak  so- 
rella dell*  ìmperadore ,  fu  ricooostàuta  da  tutto 
1* Oriente  per  imp««drìce,  e  cominoibt  cosne.^ 
{iroprìa  ragione  e  di  fatto,  ftgoinxnar' ogni  cosa^ 
findiè  EudoHÌai  d^ta  prima  Afenaide ,  che  Pul- 
cheria  stessa  area  scelta  per  moglie  al  giovana 
Teodosio  »  s' ifnpaeciò  ancor  essa  nel  goremo .  Sa 
Fuloberia,  rt^Iatrioe  dell'imperio  ne'  primi  a 
iiegli  Intimi  anni  del  fratello,  e  poi  erede  aneot 
deU*ittiperìo  di  Uii,  fu  ca^ne  all'Orìedie  dt 
«tolti  rantaggi,  come  donaa  dVinoomparabile  « 
rara  virtù;  non  è  maraviglia  :  ma  T  imperio  d'ita^ 
Ita  sentì  effetti  totalmente  contrari,  dalle  .donne 
f^  pretesero  d*  aver  diritto  alla  corona  imperi^* 
le  ed  al  governo.  Tuttoché  a  Fhtcidia  non  man- 
casse né'  ingegno  né  '  esperienza,:  massimamente 
appresso  le  vicende  oh'  ella  <»>rse  ■  dopo  il.  primo 
saeeb  di  Roma ,  non  potè  per  tutto  questo  cao- 
ciar'via  il  naturale  di  donna  e  di  madre ,  IeHE)Ua- 
-)i.  per  r  ordinano  sono  molto  ben  soddisfatte  dat 
1^ educazione'  ohe  .d^no  a' fanciulli,  quando  lì 


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'     Lib'kdIV.  Capo  IVi       !         3oi 

wdóno  viri  e  stfni  «'gagliardi .  ^a  io.  fatti  wllif 
sue  care  fftnmiaili  >e  xxMa.  tenera  edveaùone  gn»- 
ath-  là  fattamento  l'animo  di . Valeatimaiio  suo  &-, 
gtìo ,  cfa*  egli  .ehbo  pnrttosto  la  vihà  e  i  via  d*  uil 
servifov  di  palano,  'cfae  Ja  virtù  e  la  magoam- 
mità  d'.un  prinoipe.  L*  efiemmÌDatesia  m^,  » 
F  incontìneoza'  ohe  n^  & -figlia',  fu  r.orìgine  di  M&< 
ti  i  mali  ofas  ^Btì  l' Italia  :e  sotto  il  suo  regno, 
e  dofK>  Im.  .    i  ' 

-  D?  altra  '  parte  i  P  esempio-  di  Falcberìay  di 
Pladdia ,  ed  ancor  -d*  Eudossia  risvegliò  assai  pre* 
sCo:iietì*  animo .d*ODorìa/ sorella  di  Valentinìano) 
ia  To^ia  di  partecipare'  ancfa^essa  deU'iinipario. 
E  perchè  V^entinlano  e  Pladdia,  lungi  dal  con- 
discendere ails;  sfie  voglie  ÌQ.qoestB  cosa,  cerca- 
rooo  di  farla  oonsiecrar  'vergine;  -  oostei  innlb  At- 
tila  re  degli  Unni  alle  sue  nozze',  e  diede  a  quel- 
1*  amb^ìoso  barbaro  un  nuovo  pr«t«sia  'M-  oaktce 
ìa  Italia  (an.  462.}.  Io  fatti 'egli- soleva  addur 
per  ragione  della  guerra  che'  moveva  all'  imperio 
d'Occidente,  i  diritti  neevuti  dalle  promesscc 
dalle  ricbiéste  d*  OnOria .  Ninno  ■■  ignora  eoBie  e 
per  qual  motivo  il  iìiror  d'  Attila ,  ohe  avea  me- 
nato orribil  rovina<-per  tante  provinoiev  e  distrut- 
te tante  città  d^*  uno  e  dell'  altro  imperio ,  ri»- 
pàrniiò  nientedimeno  la  città  di  Roma-,  che  pur 
era  V  oggetto  primario  delle  sue  biamiBJMa  JMfc- 
-toéhè  Roma  scampasse  ■  al  bra  daB*eocidÌ0  che 
quel  rabbioso  re  minacoiava',  l' Italia  'patì -litftji- 
vìa  graudissimo  danno  da  quell' invasione.. .QttiUi 


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Su' ■         Delle  RivoLUzioin  d*  itìiUÀ 

iùtM  ia  CADÌbardìa.  fb  crndeliiietite  inésia  a  tet^ 
ra  «  fuoco;  e  gK  abitatori*  quali  ticcUi,  quali 
iattì  prigiotii,  quali  datisi  ià  f^ga,  HetcMàùo  ti- 
fa^ dove  la  fbcfanà  to  p^-etèatavH  ^  tia  sttlp^uda 
ed  iataortal  Venezia  ebbe  iti  questo  fràdgfedfe  il 
fuo  frÌDoifnd  dà  alcuùti  genti  dì  quf»Hd  ieontfade» 
ebe  seampahmò  dalle  spade  degfi  Uanìi  '«  scel- 
«SFo  fet'  loro'  rìcdrehi  dciinè  deserte  «  quasi  inàc'^ 
«Mnbili  isòlette  nel  fondo  dell*  Adriatico  <  Se  ri- 
cètto si  dì^i^oso  0^  infecondo  parve  alle  ìibigot- 
tite  genti  Italiane  asilo  ben  avventuroso,  àaisca' 
no  pub  itutaaginar  facitmetate  «  quanto  gnia  nu- 
mero d*  Italiani  aninuo  provveduto  alla  salvezza 
loto  ìli  quel  generale  spavento,  fuggebdosi  in, 
Grechi,  e  pef  tutto  I*  Oriènte,  e  per  molto  isole 
Aét  MediMrratwo.  Cosi  dì  p«^o  in  pèggio  s'an- 
davano spopolando  le  città,-  e  inselvatichivano  le 
campagne  d*  halia .  Né  la  morte  che  s^nì  poca 
dopo*  d'Attila,  e  le  discordie  de'  suoi  iìgliucrft 
ohe  aamèntarono  tantosto  la  potenza  formidabile 
d^i  Unni ,  giovarono  puntò  a  recar  sdlievo  àI-> 
K  ftalìat  'ma  cKedero  piuttosto  principio  ad  altri 
niali;  Valetitiniana *,  come  si  vide  libero  dàlia 
paitfa  d«gU  Unni,  non  potè  più  sostenere  la  gp- 
loMa  già  da  lungo  spano  concepita  verso  d'Aezio; 
e  eoUa  più  detesfabife  azione  che  mai  cadesse  in 
meato  d*un  monarca  legittimo,  1* uccìse  di  pro- 
pàa  irixnOf  e  tolse  a  sé  il  miglior  braccio.'  Uili 
così  indegno  attentato  rendè  1*  imperadore  sì  odio* 
so ,  eh*  «gli  ne  dovette  pender  fra  non  motti  me« 


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LiBao  IV.  Cabo  IV.  3dS- 

)a  Tita .  Uassuno ,  capo  degli  ucd»rì ,  «poib^ 
Eudossia  TedoTadi Valentìiiiaiio ;  credendosi  d' ai-' 
sicursrsi  in  questo  modo. la  coronai  Ma  £adaB8Ì« 
corauposo  molto  tnale  ali*  affetto  cbe  volle  mo^ 
atrarle  il  nuovo  Inarìto;  e  non  potando  xxpfnmet* 
Io  ahxamentor  dùamb  dall*A(rica^Genscrieo  io 
de*  Vandali^  il  quale  venuto  sabHamcnte  io  Ita-- 
lia,  «  presa  e  saccfa^gìata  Boma  onibftMcter 
fornì  d'  abbattere  t  desolare  quelle  'coitnida 
eh*  erano  scampate  dalla  &ri»  e  ^d«|k  rapaoMi 
degli  Unni. ■  i 

"Guerre  cw2ij  ed  attorci^  àP  JUaUa  AUla  motìsM 
f^alentùmno  teràìjmo  aUa  ^ponzìOM  dP  ^/^t* 
gustalo  nel  qiuàlfocentò  Htlanta^, 


Cjrli  effetti  pesami  della  debolezza  d*  ODorio« 
della  r^genza  Cemminile*  e  della  viltà  ignomi^ 
siosB  di  Valentiniaiia,  non  si  -  provarono  ie-  non 
in  parte  durando  il  lor  regno.  H  cambiamento 
più  notabile  che  D*  ebbe  a  sentite  k>  staito  d'I' 
taliàt  si  manifestò  dopo  la  morte  di  V<ileatìnia« 
nò  (t).  Non  sqlameBte  l'impnio  «ra  lacero  • 
dismembrato,  ma  V  s^tar^k  imperiale^  si  tiovi 
talménte  avvilita  nell'Occidente,  ohe  quantunque 


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3o4  DeII,E  RlTOLUZICWI  D' iTAtlA 

■Mtnii:  inttalzati  sul  trono  calorosi  personali  l*iia 
d(^ .  l' altro,  niuno  di  Iona  potè  ricuperarne  Y  ono- 
re e  la  forza.  I  generali  che  per  la  più  parto 
«mno  barbari ,.  tali^&te  8*  erano  avvezzi  a  voler 
domiome ,  che  per  hìuo  conto  potevaoo  tenerù 
io  dovere  da^li  augusti,  poiché  essi  sedi  sosfeene- 
vano  col  bracdo  e  oo'  maneggi  loco  P impeciò. 
La  naturai  presunzione  dì  chi  si  trova  ^vato  al- 
le gcandi  cariche,  dovea  facilmente  stimolargli  a 
-  goderne  le  più  reali  prerogative .  Due  cose  fuf'O-i 
no  però  degne  d'osservazione  nella  condotta  <^e 
tennero  in  qae&tì.  tempi  sì  i  Romani ,  come  i 
barbari.  -Una,  che^  i  Romani :(  intendiamo  per 
Romaoi  tutti  quelli  ch'erano  nati  sudditi  e  rìco- 
noscevago  l'autorità  dell'imperio,  e  spezialmente 
gì' Italiani,  mentEechè  da  Valentinìano  in  poi 
r  in^ìerio  fa.  ridotto  quasi  alla  sc^  Italia  ^)  ve- 
dendo  che  non  sì  poteva  far  senza  ì  capitani  bar- 
bari, non  siensi  ridotti  a  riceverli  per  sovrani: 
r altra,  che  cotesti  capitani  con  tanto  seguito 
de' suoi,  e  con  tanti  Romani  che  faoean  .loro 
corte,  non  abbiano  immaginato  qualche  spedien- 
te,  cioè  qualche spezioso  titolo  (  da  che  ai  è  tan- 
te volte  provato  che  U  moltitudine  si  ferma  ài 
nomi),  per  cui  potisseiV'  ritenere  in  loro  nome 
r autorità  sovrana  indipendente,  senza  dover  in- 
BRlzare  e  dèpoEte  ogni  giórno  nuovi  '  fantasmi 
dMmperadori.  Or,  mentre  i  Romani. non  potea* 
Ao'ceggersi  da  loro,  negli  stranieri  ottenere  T^as- 
solnto  dominio  né  «Ifu*.  so^tUit  lo  siftto  .d'Atalia 


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'      Libro  IV.  Capo  V.      '  .3o5 

eomitióìtia  dedinare  in  vera  an^vchìai  o  ioterre- 
-goo  o  ^speilH(Hi  di  goveroo,  che  vogliamo  cbia^ 
.maelo. 

Massimo  cfae  ucciso  Vateatinìaoo,  gli'succe^ 
dette  (  AN.  455.  ),  non  regnò  se  non  pochi  tne^ 
-«1%  e  fa  toUo  di  vita  sedi^osamente  tre  giorni 
.-prima  die  Genserico,  chiamatovi  daEudossia  sua 
«p^sa,  entrasse  in.  Roma  a  aaccheggiarla.  Avito 
già  uffiziale  di  Massimo  e  non  inabile  capitano-, 
prese  la  porpora  dopo  lui  a  sollioitazione  dì  Teo- 
dorico, re  de'  Goti ,  e  non  senza  suo  aiuto .  Ma 
un  imperadore  che  dovea  riconoscere  le  sue  di- 
gnità diiHa  protezione  d' un  re  straniero  >  non  èra 
per  inconlirare  appresso  i  suoi  moHo  grande  ripu- 
tazione; e  non  andò  a  Imigo  che  .un  capitano  gli 
tolse  lo  scettro,  per- fargli  prendere  il  pastorale. 
Questi  fa  Bicimero.Svevo  o  Goto  o  di  (juàraltr£L 
si  fosse  genarazione  di  barbari  «  uomo  ài  nobile: 
parentado,  e  df  valore  e  d*  aocortezziEt  non  infe- 
riore alla  nascita .  Tottavìa  non  sì  sa  eh*  egli  dès- 
te  praovB  della  sua  virtù  avanti  l'impresa  di  Car- 
sica i  dove  mandato  general  dell'armata  imperia- 
la da  Avito ,  ne  discacciò  f  Vandali  che  se  n*  era- 
v>  fatti, padroni.  L'esito  della  prima  impresa  gli 
accrebbe  talmente  1* orgoglio,  cui  già  i  vai!itaggt 
della  sua  origine  e  la  presunzione  deDa  propria 
capacità.  gP  inspiravano',  che  non  potè  piò  rico- 
uoscere  alcun  superiore;  e  come  la  f>er6dra  e  I4 
frode  agguagliavano  in  lui  le  altre  sue  doti  *  -  s! 
,  died«  tantosto  a  {procacciar  la  rovina  del  imo 
Tomo  I,  20 


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So6  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

benefattore  e  suo  priacipe.  Cacciato  3al  trono  Avi» 
to  (  AN.  467.),  Ricimero  vi  fece  salire  MaggioK 
rane,  il  quale  non  meritò  forse  altro  biaumo, 
che  quello  d'  aver  conspirato  con  xjaesto  barbaro; 
del  resto ,~^ egli  era  fornito  di  tante  virtùeditcM»' 
to  senno  nelle  cose  di  stato,  che  pareva  deitÌD»' 
to  da  Dio  a  ristorar  1*  impeno  d'Occideuts  gA. 
quasi  ridotta  al  nulla,  e  rimenar  Roma  alla  pri- 
miera grandezza.  Ma  il  ralòr  taor  e  Iarìnoinaa»> 
za  che  s'^acquistò  in  due  o  tre  anni  di  goveniov 
accelerarono-  il  suo  €ne.  Ricimero- scorgendo. che 
sotto  un  tal  imperadore  l'opera  sua  non  era  per 
contarsi  moltissiinoy  prese  consiglio-  di  deporlo^:  « 
portò  sul  trona  un  Severo,  il  quale  tì  stette quan»- 
fo  tempo  piacque  al  barbara  di  ksoiarlo^  UJti^ 
mamente  Bicimno'  Tolle  far  pruoTtt  se  potesse 
goTernarl* Italia  a  suo  modo,  senza  crearn.  pì^ 
avanti  xm  imperadore.  Malgrado-  tao^  nÌuao:ar# 
diva  in  Bom^  ptgliaìivi  il  titolo  d^augosto;  uè 
tampoco*  era  da  aspieftare  cbe  veoisur  vis  o  da 
qualche  contrada  delle  Gallie  che  ancor  restasie 
a*  Romani  «  a  da:  qualunque  ahra  parte  Ad  moo* 
da  un  nuovo  fmpcKtdòrd  a:  prender  il',  ctmiand» 
d*  Italia  r  mentre!  Rìcimera  la  teneKquuf  l'a  sua 
mana.  I/imperadortieoace^Tonerìco  Tede'Vaiu- 
dair  neir  Àfrica  aveano-  amendue  Sxzer  su£6oruiti 
da  occupre  e  dar  legge  airitalia,  ae  non  che  r^ 
guardi  più  rHevanti  gli  strìgnevana  da  altre  par- 
ti. Così  TÌdest  dopa  moltissimi  secoli  qn  'mio<' 
TO   interregno  in  Italia,  0  qua»  JBiit  ^a»  dt 


ovGoogIc 


tfaflo  ly.  Capo  V.  Soy 

«epobblioa,  dì  cui  ai  fag^a  come  capo  eprotettor 
Bieimero.  NoD  8o  se  fosse  questa  un'affettazione 
del  generale,  o  se  veramMte  c'ih  fece  egli  natu- 
ralmente, perchè  T  balia  si  riguardasse  in  quel 
fieriodo  (U  .tempo  come  uno  stato  indipendente.; 
aia  egli  è  .pur  ceKo  che  ne'  trattati  che  si  fece- 
to. allora  con  i  prìacipi  e  generali  forestieri,  ai 
parlava  a  nume  non  de*  Romani  o  dell'imperio, 
ma:  sì  à  uomedegl' Italiani  (i).  Pare  che  Rìci- 
meriB , ,  ftni^e  regcaudo  Severo,  abbia  cominciato 
a  trattar  le  cose  sotto  questo  nome  degl*  Italiani , 
Probabilmente  voleva  egli  .aqdar  avvezzando  gli 
animi  ad  uh  nuovo  genere  di  dominazione ,  dellìf 
quale  foswegli  stesso  il  disposiCore  <  Ma  Ricitoero 
non  potè^  sosfecer  lungamente  .quella  forma,  di  do^ 
minio,  e  s'avvide  in  meo  dì  duei  anni  *  che  gli 
(R-a  più  sgevoi  cosa  disporre,  a  svta.  voglia  d'uq 
«mpentdore,  che  «feir«nperio^  Costretto  adunque 
di  creatae. uno, ricorse  a.hextbfi aaga^tif  in  Orienr 
te,  perchè^i  o*eJieggwses  una  de*  9UoÌ  (a).  Io 
questo  modo  .fion  si  privava  di  qffeUa  ticoooMeii- 
ea  che  sperava  dal  nuovo  eletto,  il  quaje almeno 
iodirettamente  dovea  ripatarsegli  teiiuto:  per  la  di- 
gmtà;  è  si  conciliava  l'amidzia  deir iipperador 
Greco  f. a  cui  cornowlteva  un  n&io  ^  onorevola 
"  è  sì<gnuÌQ60' 

..  (ij  Priic.  «ia  tegat.  in  Corp.  Hiil^  Bywntinic;   et  «p. 
Tìttem.i:  6,  p.  33i.  '  ,. 

(9]  y.  TiUeinr,  iitt.ntpra,,    ..  ■/ 


D.q,t,zqfiOvGOOglC 


3o8  Delle  Rrvotuziom  d'Italia 

'  Fu  dunque  creato-  imperador  d' It^ia 'Ante^ 
mio  (  AN.  467.  ),  H  quale,  olfre  i  diritti  che  pò* 
teva  avere  alla  dignità  imperiale  come  il  più  stret- 
to congiunto  di  MareiaBo  antecessor  di  Leone, 
«vea  tutte  le  altre  più  insigni,  qnatità,  le  quali 
possono  rendere  un  uomo  degnissimo  d*  imperio  . 
Unirà  egli  al  valor  militare  somma  pnideozae 
cognizione  del  governo  civile  e  delle  cose  di  pa*- 
ce,  ed  era  graodlesimo  amatore  ddla  giustizia, 
e  pieno  di  sìncero' affetto  del  comun  bene.  Cmi- 
dnsse  ancor  seco  dall'Oriente  uomini  virtuosi  in 
gran  numero;  il  cbe  io  Roma,  donde -per  tanCe 
calamità  s' era  partito  il  fior  della  nobiltà  e.  tut- 
to il  meglio  delle  £imigtie  popolane,  non  era  <xh 
sa  df  picciol  conto.  Nuovo  e  ^<hoso  spettacolo 
fu  agi* Italiani  l'arrivo,  d'  un  tanto  principe  con 
una  fiorita  armata  ed  una  oorte  sceltissima .  £ 
s'  avea  grande  speranza  eh*  egli  fosse,  per  restituir 
re  l'antico  lustro  all'imperio  d'  Occidente.  Qucr 
/sta  speranea  era  ancor  forti6cata  dalle  nozze  che 
in  Italia  celebrò  il  novello-  augusto  colla  figliaci 
del  patrizio  Bìcimero:  perocché  questo. parentado 
diede  motivo  di  credere  che  il  nuovo  imperado* 
re  e  il  troppo  potente  patrizio  avrebbero  gover- 
.inato  ogni  cosa  concord«meate, -S'aggruose,  .anco- 
ra f)]i' esaltamento  d'Antemia  una  càrcostaoza.di 
grande  utilità  allo  stato  d'Italia.  Marcellino  « -già 
general  de'  Romani ,  dopo  yarie  guerre  e  vicende 
-ribellatosi  da  chi  imperava  in  Italia,  s'era  ioar 
padronito  della  Dalmazia,   dove  r^oei&do   a  sxa. 


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tiÈBa  IV.  Capo  V.  Sog 

*o^iay  non  dava  leggere  inquieti^ioi  alla  vicina 
It^ia  .  Leone  -  augusto  ,  ■  nel  destinare  Anteniio 
air  imperio  d*  Italia  , .  persuase  BlarceltÌDO  a  sog- 
{^ttarsegli,  ed  accomp&gfiarlo  eziandio  nella  sua 
TCTiuta,  e  assisterlo  con  le  sue  ibrze.  Così  Tinir 
perio  d'Italia  appoggiato  a  tre  capi  della  tempra 
cfa'  erano  Antemio ,  Ricimero  e  Marcellino  ,  e 
protetto  dair  imperador  Greco,  pareva  cAk  dod 
avesse  a  temer  molto  del  re  Genserìca,  tnttoebè 
re  dell*  AfHca  e  poco  meno  che  signor,  del  Me- 
dtterraneo,  mentre  i  Romani  .erano  malamenta 
forniti  nella  marina. 

Ma  Riermero  voleva  por  essere  il  priacipa> 
le;  e  per  quelle  stesse  ragioni  ch'ebbe  Tttaliadì 
chiamarsi  contenta  del  nnovo.  prineipe ,  V  ambir 
sioso  e  inttdlerante  patrizio  si  pentì  molto  presto 
-d*  averne  promossa  1*  elezione .  E  già  à  noto,  quan* 
to  sieno  '  deboti  ì  legami  del  *  sangue  a  contener 
}'  ambizione  d^  grandi .  Ricimero^  vedendo  eor 
me  scemasse  il  suo  credrto  sotto  un  principe  eh* 
-poteva  Tegnat  da  sé  solo^  e  non  potendo  soppor- 
tare d'essere  né  terzo  ne  secondo  in  une  stato 
4ov*egIi  già  da  lungo  tempo  pretendeva  d'esera 
il  primo,  diedesi  per  a^o  e  per  ìnvi<^*aa  turbe» 
le  cose  d'accordo  eo»  Ganserìco  nenuco  eapìtalff 
del  nome  RoBiano .  La  r^utazion«  dell' iniperap- 
]^,.^tenaio^  superiore  di  gran  lunga .  aeU*  auto- 
crìtica buffli.-  nufnero  di  quelli  ohe  k>  aveano  pce^ 
ceduto  ,  fu  in  questo  frangente  di  maggior  dai>- 
tfa>  che  di  vantaggio  alJl'Iti^avPerciocohè^  dove 


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3io  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

i  passati  imperatori  o  deboli  o  screditati  O:  iuig;tv 
sitati  dalla  potepza  di  Bicìmero ,  erano  stati  dei- 
'posti  senza  ostacolo  né  dìfHcoItà ,  e  si  inutp  fó 
lutato  senza  travaglio  de*  sudditi;  -fli  contrario,  fij 
d'  uopo  venire  a  guprra  aperta  per  detronizzare 
Antemio ,  il  quale  avea  suoi  partigiani  e  suoi  di- 
fensori contro  gli  attentati  del  generale , 

'Rióimero,  jabbandopata  Homa  e  [Ravenna,  4 
ritirò  in  Milano,  forse  perchè  in  «jUelle  coo^a- 
de,  e  generalmente  in  tntt?  In  I^mbardìa  egli 
aveva  rnaggtor  numero  di  seguaci  :  e  già  er^ 
apertamente  divisa  V  Italia  non  pure  in  due  par- 
liti, ma  quasi  in  due  imperi  distinti .  Alcuni 
fle'  più  ragguardevoli  signori  della  I^igeris ,  ve- 
dendo  imminente  alla  rnisera  Italia  una  crude) 
guerra ,  portatisi  a  trovar  Bicimero  in  MiUoo ,  a 
mani  giunte  e  jgipoccbionì  il  suppHoarqno  cb?  vo* 
lesse  pacificarsi  coIP  imperadore .'  I^ioirnero  sì  la- 
sciò piegare  alle  inchieste  loro  a  fòsse  sinceramene 
'te,  à  per  fiùzione;  e  fu  cercato  subitamente  U 
(nodo  d*  indurre  Antemio  a  restituirgli  sua  gra-' 
ria .  Era  vescovo  di  Pavia'  Epifanio ,  uomq  per 
saviezza  è  santità  in  quel  tempo  assai  famoso  (i)  ^ 
Gii  stessi  deputali  dejla  Uguria  si  portarono  dal 
iaoto  vescovo  pef  questo  fatto,  il  quale  preson 
di  buon  anitno  queir  incarioo ,  ed  andato  a  tfti- 
var  r  infperàdore,  brevemente  ìt  riconciliò  eoa 
fticiméro.  Ma  o  la  pace  non  fu  sincera  ,  o  se  fu 

[r]  Eoaod.'ìn  vita  Epipb. 


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tiBRO  IV.  Capo  V.  3m 

tale,  noD  Auto  a.  lungo.  La  stona  non  ci  porge 
alcun  foDdameoto  d*  accusare  Anfpmio  né  di  per- 
fidia,  oè  d'animo  simulato  o  cattivo;  laddove  si 
pUDir^iooeroImmte  sospeitiii-e  della  fede  di  Ri- 
cimeco. 'Tuttavìa  conviea  pur  dire  ch'essi  avea- 
oo  amendue  gravùsÌDii  inotìt'i  di  prender  guardia 
di  sé;  e  certa  non  era  possibile  che  in  quelle 
circostanze  di  tempi  passasse  tra  lor  due  verace 
amicizia  .  Gli  esempi  di  Srilicone  e  d'  Aeaio ,  sta- 
ti 1'  UDO  e  l'altro  nello  stesso  grado  di  potenza  e 
di  credito  appreno  d'Onorio  e  Valentiniano,  s 
che  finirono  amendue  di  mala  morte ,  Tudo  per 
debolezza ,  V  altro  per  la  perfìdia  del  suo  signore; 
«rano  ancora  assai  retxnti  e  famosi.  Ed  oltre  a 
questi,  un  altro  esempio  succeduto  a  que*dì  me* 
desimi  in  Oriente  nella  rovina  d*  Àspare  patrizia 
A  g^eraldi  Ceone,  eome  Ricimero  era  d'Ante' 
mio,  non  potea  non  riempire  di  paura  e  di  so- 
spetto gli  animi  dt  àasoano .  VéQaesi  pertanto, 
dopo  varie  o  brevi  o  fallaci  ricoociliaiioo) ,  a 
guen-a  maoista,-  nella  Eguale  non  solamente  1« 
Provincie  d*  Italia  si  trovaroa  divise  le  une  dal 
partito  di  Rioimero,  le  altre  dell'  imperadore,  n^a 
Roma  stessa  fu  il  teatro  di  quella  oìvil  guerra. 
Ricimero  v^ assediò' dentro  l' imperadore;  e  dppo 
averla  espugnata  colla  fame  e  col  fctrp,  dovette 
tìncor  combattere  contro  il  partito  coirtrapio,  fin* 
chef,  vinto  ed  annegato  nel  Tevere  Antemio,  ad 
abbattuti  i  suoi  seguaci,  Ricimero  vi  fece  pro- 
clamare   augusto   Olibiio  (  M.   472.  ).  t^e   già 


=dDvGooglc 


3ia»  Delle  Rivoluzióni  c'Itaua 

pretendeva  a  quella  dignità  allorchi  vi  fh  dera-f 
to  Antemio.  Olibrio,  oltreché  egli  «a  della  ^ìs 
illustre  e  più  ricca  famigHa  che  fosse  in  Roma 
da  più  secoli  (  cioè  di  casa  Anìcia  "),  era  con- 
giunto ancora  d' affinità  con  l' impertiddr  Vaien» 
tiniano  tevzo  di  cui  area  sposato  la  figUnda ,  «  , 
cognato  d*l''lnerìco  figliuolo  del  re  Genserìoo;  ed 
epa  altamente  proietto  da  questo  re  (i)  .  Con 
lutto  questo  alla  morte  di  Severo  fu  posposto  ad 
Antemio  per  V  inimicizia  che  passava  tra  U:  cor- 
te di  Costantinopoli,  e  Genserico.  Vi  salì  nondi- 
meno senza  contrasto  dopo  la  rovina  d' Antèmìò, 
ma  per  restarci  cbsìf  pochi  mesi,  come  H  fH'ede'' 
ceasore  v'  era  jstato  pochi  anni .  Ricimcpo  essendo 
morto  poco  dopo  Antemio,  e  poco  aranti  cho 
merìsse  Olibrio,  questo-  inperadoM'  ebbe  campo 
di  creare  uà  nuovo  generale  e  patrìzio,  cioè  un 
nuovo  padrone  a  sé  ed  all'  Italia.  Questi  fii  Gòn- 
debaldo  prìncipe  de'  Sorgognoni*  nipote  di  Rioi- 
mero .  Il  nuovo  generale  fece  prender  la  porpora 
ad  un  Glicerìo ,  uomo  vile  non  meso  per  nascita, 
che  per  costami..  Ma T  imperadovd* Oriente,  ^s* 
approvando  1*  elezioin  di  Glieerio ,  mandò-  coli  ti- 
tolo d'augusto  Giulio  Nipote,  il  quale  non  ebbe 
a  penar  molto  per  superar  V  emolo ,  cui  fotto  to- 
sare, è  conseerar  vescovo ,  mandò,  come  in  ban- 
do-, a  reggenr  la  chiesa  di  Salona  nella  Dalmazia. 
Giiulio  Nipote  (  se  diamo  credenza  a  quanto  ne 

(i)  Tinem.  p.  5781 


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Libro  IV.  Capo  V.  3i3- 

Knve  SidoDio  (i)  che  il  doTea;coiioseere,  e  dmi 
era  d>  carattere  a  voler  mentire,  comechi  sover- 
ofaiamente  £tc!)e  ed  abbondaste  negli  elogi  de*  saoi 
amici)  fu  delle  migliori  teste  che  meritassero  di 
portar  corona ,  ma  di  quelli  veramente ,  ohe  giiuir 
sero  ,troppo  tardi  all'  imperio ,  quando  agi*  impe- 
radori  più.  non  restava  altro  che  il  nome  e  la  in- 
segne, e  queste  ancora  stavano  io  mano  de'  caf* 
pitoni. 

Giulio  Nipote  creò  suo  generale  Oreste  ;  e  se 
si  avea  riguardo. alle  passate  azioni  di  costai,  an- 
che in  questa  parte  l' imperadore  diede  pruova 
ddr  eccellati  doti  eh*  egli  avea  per  regnare .  'Ma 
Oreste ,  divenuto  pel  favor  di  Nipote  la  seconda 
persona  dello  stalo,  fu  anch*  egli ,  come  tant* al- 
tri ,  precipitato  dair  ambizione  e  della  voglia  im- 
portuna di  voler  essere  il  primo .  Voltò  dunque 
contro  r  imperadore  quelle  armi  e  quell*  autorità 
che  aveva  da  luì  ricevuto,  e  diede  'la  porporae 
il  titolo  imperiale  al  figliuolo  Romolo,  che  per 
la  tenera  età»  o  per  ludibrio  fu  poi  chiamato 
Augustolo  t  Cotesti  procedimenti  non  poteano  pia- 
cere allcf  corte  di  Costantinopoli,  di  ci4i  era  crea* 
tura  Giulio  Nipote  :  ma  prima  die  alcuna  cosa  si 
moTesse  da  quella  parte'  contro  l'usurpatore,  i 
Goti  e  gli  altri  barbari,  de'  quali  era  grande  il 
.  numero  in  Italia ,  si  sollevarono  ad  tostigazìon 
d'  Odoacre ,  che  colla   deposizione   d-'  Augustolo , 

(i)  ApoJI- Sidon.  1.  B,  ep.  7. 


ovGooglc 


3i4         Delle  RiVolotioni  O'Italu 

è  cùllà  morte  d*  Oreste  (an.  476.  )  levò  via  final- 
TOcnte  quell'ombra  che  ancor  reslava  dell' fmpe- 
rio  Romano'  nell'  Occidente,  e  rece  dell*  Italia 
qnello  che  delle  altre  provincie  avean-  fatto  altri 
barbari .  La  qual  cosà  gioverà  ^mostrare  sùcctD'^ 
tameDte  ,  afBnchè  meglio  comprendasi  '  per  qtiali 
Almòli  e  con  qual  (tdocja  Odoacre,  e  dopo  luì 
Teodoiico  abbiano  impreso  a  stabilire»  io  '  Ita^Bi 
un  nuovo  regno ,  -  ■ 

CAPO      vr. 

Sfato  (f  europa  neSa  riistmzìon  àélP  impeiio 
pcciàentalg, 


XJi  tutte  le  partì  che  componevano  laveàta  mo- 
le della  Romàna  grandezza  ,  ■  quelle  che'  nella 
divisione  de'  due  imperi  formarono  l'orientale, 
restavano  ancora  pella  fine  del  quinto  secolo'  uni- 
te in  un  corpo  solo ,  tuttoché  malamente  go* 
vernate  e  debolmente  difese  per  le  ribellioni  in- 
testine che  agitarono  del  continuò  la  corte  di 
Gostantinopoli .  E  quantunque  gli  Ostrogoti'  Ver- 
so 1*  Illirico,  e  dal  canto  dell'Africa  i  Vandali 
non  cessassero  d*  infestar  colle  scorrerìe  le  pro- 
vincia del  Greco  imperio ,  ebber  tuttavìa  nel  tem-  - 
pò  stesso  lungo  riposo  e  sicuro  dal  canto  de*  Per- 
siani ,  i  quali  se  lo  avessero  assaltato  gagliar- 
damente  in    questi   tempi  ,    come    tentarono    di 


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Libro  IV.  Capo  VI.  BiS 

fare  altre  volte ,  sarebbesi  di  leggeri  distrutto 
td  estinto  àfiàtto  il  nonie  Romaao  in  Levante , 
ccttne  si  fece  Jn  Ponete,  Ma  egli  h  da  credere 
che  la  stessa  debolezza  lassai  visibile  dell'impe- 
rio Romano  gli  fosse,  riguardo  a*  Pei'S(Jinif  dì 
difesa  e  di  sicupezza.  Percioccfaè  questi,  allor 
che  conobbero  di  -non  avere  più  cbe  temep 
da*  Romani,  noQ  «  presero  più  tìitre  pensiero 
d*  infestare  1*  inìperio ,  come  quelli  che  avevano 
di  che  vivere  e  regnare  nelP  abbondanza  nel  pro- 
prio stato.  Ma  al  tutto  diversa  iij  la  sorte  del- 
ie altre  provipcie  Romane  verso  V  Occidente; 
perocché  le  nazioni  confinanti  con  esse,  di  nut- 
P  altro  abbondanti  che  di  persone,  erano  stimola- 
te piuttosto  dalla  fame,  e  dal  naturale  vigoroso, 
faticante  e  inquieto,  anuchè  dall'ambizione  o  da 
altri  motivi  politici,  alle  conquiste,  Però.  le  Gal- 
lio che  comprendevano  allora  una  parte  della  Ger- 
maìiia  (r)  ,  trovandosi  esposte  alle  iticursioni  de' 
barbari ,  furono  ai»:he  le  prime  a  mutar  signorìa  ; 
e  forse  che  avvezzate  da  lungo  tetppo  a' suoi  pro- 
pri o  imperadori  o  tiranni ,  non  passarono  di  mal 
grado  sotto  il  domìnio  de* principi  stranieri.  [Bor- 
gognoni occviparono  con  la  Savoia  molte  città  del- 
la Gallia  Celtica,  che  poi  da  loro*  fu  detta  Bor- 
gogna .  }  Goti  che  per  essersi  fermati  nelle  parti 
occidentali,  cfaiamaronsi  Visigoti,  ridussero  all'ob- 
bedienza loro  le  Provincie  della  GaltiaNarbonese, 

[i]  V.  Tillem.  I.  6  tiL  de  Valeutinien  EU,  de  MajoK^ 
*t  de  S^VQi«< 


^dov.Googlc 


3i6  Delire  RivotozrONi  d'Italm 

poste  versò  il  Mediterraneo  ed  i.  PireHei;  «già  af 
tempo  che  Augustolo  fu  depost»,  centavano  dus 
e  tFe  successioni  di  principi ,  vabrosi  ed  acooFti ,  ■■ 
ehe  aveano  arzi  dato  terrore ,  che  prestata  ol^- 
dienza,  agli  uhìm!  iraperadori.  Un'altra  parte  del- 
le Gallie  uè  difesa  dai  Romani,  né  invasa  ascora 
dà  maggior  forza  cU  stranieri,  fii  opportuno- rice- 
verò d'alcune  migliaia  di  fuggitivi  Bretoni  <  i  qaa* 
li  lasciando  la  patria  loro  preda  degli  Aggio- Sas- 
soni ,  passato  lo  stretto ,  si  rivolsero  a  cercare  tA- 
tre  sedi  di- qua  del  mare  ^  Così,  affìncliè'  niuna' 
parte  dell'imperio  andasse  esente  da  quel  genera- 
le scompìglio  e  sconvolgimento  di  sazìoni  e  di  re- 
gni ,  mentre  la  Bretagna  che  già  era  stata  abbair- 
doaata  da  Onorio  e  da  Valentiniane  terzo  ^  rice- 
veva il  giogo  de'Sassoui  e  degli  Angli,  parte  del- 
le^ sue  genti  veoiiero  a  stabilire  un  dUov»  princi- 
pato, e  dare  il  nome  di  Bretagna  alle  caritrad* 
marittime  della  GalUa  Lionese.  Le  Spagne  furoD« 
nel  tempo  stesso  o  poeo  prima  eceapate  da  varie 
generazioni  di  barbari  Svevi,  Alani  «  Vandali,  » 
spezialmente  dai  Goti  o  vogliam  dire  Visigoti  r  i 
quali  sotto  il  governo  d*  Evarùjo  formavano-  nb 
vasto  regno ,  avenda  unite  in  un  corpo  sole  vari» 
provineie  delle  GalIie  e  deUe  Spagne^  Nelle  qua- 
li Provincie  se  qualche  città,  ,o-  guatehé  potente 
v'gpoEe  riteneva  .ancora  il  nome  Rontano,  piutto* 
sto  il  taceano  per  aver  questo  pretesto  di  non  ob' 
bedir  ad  alcuno,  che  per  vero  desiderio  d'esser 
l^ttavìa  sudditi  dell*^  imperio .  Ma  le  conquiste  che 


ovGooglc 


Libro  IV.  Capo  VI.'     ■  817 

eoatmnaroDo  di'faif^  i  re  Goti  aeUe  Spagne ,  e  ì 
rapidi  progressi  del  re  Clodoveo ,  spensero  poco 
dopo  ancor  questi  nomi .  {legnava  nell'Africa  si- 
©uraraente  Genserico  re  de' Vandali ,  il  quale  en- 
trato?! a'  tempi  de!  famoso  conte  Bonifazio  e  di 
Flaeìdia  augusta,  vi  sì  era  talmente  stabilito,  che 
piuttosto  dava  a  temere  a  due  impeiì ,  eh'  egli 
temesse  d'  essere  disturbato  da  loro;  e  già  regnan- 
do aoeota' Maggiorano  ed  Antemìo,  niuno  dubi- 
tava -■  eh'  ^li  fòsse  per  lasciai^e  paci6eo  successore 
del  regdo-^^suo  figliuolo  Uonerìeo  .X*  Italia  Eola 
di  tutte  le  piovintue  dell'  imperio  occidentale  rite- 
neva ancora  un'ombra  d'imperio  e  nome  Roma- 
no .  Né  deesi  tacere  che  la  cònservalzione  -dì  que- 
sta provincia  costò  agi'  imperadori  d' Occidente  là 
|!«rdita  d*  una  buona  parte  dell*  altre .  Feroioccbè 
vedeodo  calar  d'  ogni  parte  armate  di  barbari , 
alle  qnaii  le  forze  present»  dello  stato  non  basta- 
▼ano  A  far  resistenza  y  credettero  utile  partito  per 
Irào  stessi  d'allontanare  in  qualunque  modo  po- 
tessero dal  centro  dell'imperio  quell'inondazione 
di  gente  s^pbniera,  e  rivolgerla  e  divertirla  nelle 
terre 'delle  Gallie,  della  Spagna  e  dell*  Illirico  « 
dove  non  tardarono  guarì  a  stabilirsi  principati  as- 
soluti,  tiscendo  ancora,  di  que'Iimiti  cbe  si  erano 
loro,  assegnati  da  prima .  Ad  ogni  modo  riusci  pu- 
re per  alcuni  anni  agi'  imperadori  di  conservarsi 
con  sì  tatti  spetUenti  la  sovranità  di  tiTtta  V  Italia , 
Bella  quide,  comechè  vi  si  trovassero  numerose" 
geoerazioni  dì  barbari  ohe  già  da  un  intero  secolo 


ovGooglc 


3i8  .  Deixe  Rivoluzioni  dMtalJA 

si  .erano  sparsi  per  lutto,  noQ  vi  aveaao  per&, 
come  altrove,  dominii  stabiliti»,  ma  vi  stawaoo  co- 
me valsili  ed  aUeati  deil' imperio.  Ma  l'ewrapint 
di -qve'tanti  nnovi  ?  barbari  principati  stabiliti 
neir Africa ,  nelle.  Spa:gne,  oelle  Gallie,  e  ia  va- 
rie provìpcie  ancora  dell' Illirico ,  doveMio  pata- 
ralpienf e. muovere  qlcuno.  de' capitani  barbaj-ì  a 
tentar  (o  sfesEo  sopra  l' Italia  ,  in  .cui  spia  si  era 
ancor  inaotenuto  if  nome. ed  un'immagine  ed  poi* 
bra  vana  dell'imperio  Romano,  da;  cfae  .lutto  il 
[imaiTeate  era  stato  smembrato  e  fatta. preda  di 
prìncipi  sb^DÌeri  ^  Né  solamente  il  c^o  delle  altrcr 
pruvincig  dovea .  essere  d' iqcitamento  ad  alcun  ,bart 
baro  d'aiSBoggettar  l'Italia,  dai  cbe  l'autorità  tfe-i 
gli  augusti  già  ^ra  scaduta  ia  sommo  disprezzo; 
ma  gli  era  anche  facile  rargOTnentareobe  a  cbinn-t 
qtie  de' capitani  fosse  veoutu  fatto  d'occuparne^  la 
signorìa,  non  area  da  temer  molto  d'esserne  di- 
scacciato dagli  altri  poteotafì  che  allora  regnava-» 
no ,  perocché  ciascuno  .di  essi  dovea  badare  a  con*  . 
servarsi  e  stabiliisi  i  suoi  stati .  .  Del  resto  ,  aoa 
era  per&  nrìgHore  la.  condizione  d'Kalia,  che  deW 
le  altre  proviu^ie  anuoverate:  qui  sopra.;  anzii'stt 
Salviano  non  esa^rb-  di  soverchio  le  cose,  -«'■pe^ 
pattivo  animo  non  menti  (_  cosa  da  noa.enppnc^ 
in  così  religioso  scrittore),  p^^or  era  la  condi-! 
zioo  de*  paesi  ancxtr  soggetti  all' iu^erio,  che  de^ 
gli  altri.;. ecploro  che  viveano^  sotto  il  domioia 
de'  Goti ,  dì  non  altro  temeaoo  maggiocmeote  ^ 
che  di  ritornare  in  potestà  ^a'RoQiaiu*  ft  vedendo; 


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tiBRo  IV.  Capo  VI.  3ig 

»  piuttosto  sotto  dome  di  st^iàtitìi  TÌvere  U>- 
B  beri  fra^  barharì ,  cbr  sotto  falsa  apparenza  e 
9  nome  vano  di  libertà  vivere  schiavi  in  effef» 
n  to  »  (i).  Or,  ee  Fltalia  a  frovavd  nel  regno 
d'Oaorìo  condotta  id  qnèUo  stata  che  abbiamo 
spiegato  dì  sopra  r  'gli  ^  £tcìle  argomentare  in 
quanto  peggior  coDCdinoDe  ella  tósse  cadnta  dr' 
óinquant^  anni  che  pas5^ii6  'dalla  motto  dì  Stili* 
cono  finora  quella  del  generaTeC&Vsfe,  e  alla  de* 
poÓKóne  dì  Romolo  Angustia  sao  figliucJo  . 

Le  rivoluzioni  delta  corte  e  la  debolezza  ad 
mimsfero^  còsi  frequenti  dnpo  la  metà  def  regno 
d'ODotio,  già' aveano  cominciato  a  rovesciar  for- 
temente l'amtarinisIrazioDe  della  gìuatHia  e  tutti 
gli  ordini'dì  governo»  dìmodoché'Doneradaaspetp- 
tctrsì  da' qùé*  suoi  favoriti  di  pocBÌ  mesi  alcuncr 
stabile  provvedi'meiata  ìo  vantaggjcr  del  pubUico;; 

[ij  SfalunI  emnt  su6  specie  captivìtaiU  vivera  liSeri^ 
tjuam  sub  specft  liberi^is  esse  captivi.  Salv<  ).  5. 

I  fibn'  dì  Salviano  de  gubernaiionè  Dei  ilalc^uartsiìnò 
all' ottavo  sono  pieni  «li  umili  tratti  che  diDTdilranoi  elMr« 
Unta  peggiore  Ja  conditone  de^Eomant  [soito  il  qaal  no- 
ne iuleiideT^si  fotti  i  sadditi  dell' inrperio  ]  r  che  de' po- 
poli già  panali  sotto  il  dominio  dè'b3rb»ri.  Nihil  korum 
est.f^ud  Vpadfdos ,  nihil  Jtùrum  apud  Gothos .  Tarn  ^on* 
se  enìm  esi ,  tU  Saec  inter  Gothos  bartari  loUerem ,  ut  ne 
Romani  ifuidem  ,  qui  inKr  eos  vivant  ,  isia  patianiar.Iia- 
fae  unvm  ilUaBamt^qffupi  òmmym  votun  èst ,  neuftq^ant 
eos  necesse  sii  in  jus  transire  Bomanorum .  Una  et  con- 
semiens  illic  Romanne  plebis  oraiio  f  ut  liceat  eis  vitam 
ifuam  agujit,  agere  ctim  barharis....  Iiaipie  non  Solum 
tranffyger^  a^  eis  ad  noi  frairfìi  npstri,  Qi^nino  nplunt , 
sed  ut  oH  eos  confugiant ,  nos  relinquunt.  L'.  5.  Et  I-  & 
quid  simile  apud  baiharos  etc.7 


=dDvGodglc 


3ao  Delle  Rivoluzioni  d'  Itaua 

ma  gli  scellerati  e  ì  prepotenti  trovarono  sempiie 
iti  quello  scompiglio  di  cose  l' impunità  delle  loro 
ngiustizie  e  violenze .  Crebbero  questi  disordini 
assai  di  vantaggio  sotto  la  debole  reggenza  di  Fla- 
ddia ,  e  sotto  Valentiniano  :  peroccliè  cosi  l' una, 
come  l'altro,  non  che  fossero  sufficienti  a  frena- 
re la  prepotenza  de'  ministri  e  degli  ufHzìali ,  gli 
aizzavano  eziandìo  a  farsi  guerra  e  ad  usar  vio- 
lenze ,  perchè  si  distru^essero  e  si  consumassero 
tra  loro  (i) .  I^a  qual  cosa  comechè  forse  potes- 
se giovare  alla  sicurezza  de'  prìncipi ,  non  si  potea 
però  fare  senza  rovina  de'popoli  e  distru^imento 
delle  Provincie,  Ma  se  questi  disordini  furon4>  gra- 
vissimi nel  regno  dell' effemminato  e  debole  Va- 
lentiniano ,  furono  fuor  di  dubbio  assai  più  incom- 
portabili dopo  la  morte  di  lui,  allorché  la  brevi- 
tà de' regni,  e  l'incertezza  dì  chi  si  fosse  il  vero 
imperadore,  rendevano  ì  presidenti  delle  Provin- 
cie ,  e  tutti  coloro  che  si  trovavano  in  possesso  di 
qualche  carica  o  militare  o  civile,  altrettanti  pic- 
coli tiranni  ciascuno  nel  suo  distretto;  i  quali  non 
solamente  non  aveano  cura  veruna  '  tjelle  leggi , 
ma  incoraggiavano  i  ribaldi  ad  ogni  sorla  di  cat* 
tività  e  violenza,  purché  ne  dividessero  il  frutto 
cop.esso  loro  (2).  E  come  se  Tavarizia,  la  perfi- 
dia (9  V  insolenza  de'  mioistvi  e  de*  capitani  fossero 


(t)  Hirc<y'l;  cbron.  ap.Tillem.M^fla.'de  )'«mp,V(rfffat: 

HI   Ht.    IO. 

ra)  Cod.  Theod.  noTell.  til.  7. 


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'  ■  "  Libro  IV.  Capo  VI.  Sa  r 

ài  poc&  forza  a  raviisare  le  contraile  d' Italia ,  la 
natura  sfessa  e  le  condizioni  dell'imperio  doveva- 
no necessariamente  desolare  i  sudditi ,  e  la  mise- 
ria de' sudditi  costringeTa  nuovamente  a  più  rodi- 
nosi andamenti  gì'  imperadori  ;  cosicché  dalla  per- 
dita delle  facoltà  si  cadeva ,  eziandìo  sotto  i  mi- 
gliori imperadori ,  quali  furono  per  esempio  Mag- 
giorano ed  Antemio,  in  una  spezie  di  cìvìl  se^^'i- 
tù.  ;  ciò  che  sarebbe  il  peggior  effetto  d'ogni  in- 
tollerabfle  tirannìa. 

Imponevansi  le  gravezze  al  corpo  della  città  j 
ed'éra  uffizio  e  carico  de' decurioni  (  che  forma- 
vano la  curia  o  sia  il  corpo  d'essa  città,  e.  chia- 
mavansi  corporati)  di  distribuire  i  pubblici  pesi 
ripartitamente  ^pra  tutti  i  particolari  .  Per  que- 
sto rispetto  i  decyriom  o  corporati  potevano,  rac- 
coglier qualche  vantaggio  dall'  uffizio  loro .  Ma 
siccome  tutta  la  somma  dell*  imposizione  s' esige- 
va per  parte  del  fisoo  dal  corpo  della  città ,  per- 
ciò la  scarsità  del  denaro,  la  miseria  e  l'impo- 
tenza de' particolari  di  soddisfai*^  agrimposti,,  cu- 
strignevano  i  corporati  a  pagare  del  proprio;  il 
che  tornava  ìn  danno  e  rovina  ciò  che  prima  era 
utile  privilegio .  E/)  epediente  che  solo  restava  e 
ù  comuni,  cioè  ai  corpi  dena_città,  per  soddisfa- 
re alle  imposte  de' principi ,  e  ai  particolari  pec 
pagar  ciascuno  la  lor  porzione,  era  di  ricorrere 
aU«  pr^^taoze  d^glt  usurai  ;  spediente  ohe  siccome 
è  sempre  indizio  de* passati  danni,  così  è  cagione 

Tomo  I.  21 


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321  Deixp  Rivw-usiONi  d'Ita lu 

di  peggior  miseria  per  l' avrenire  (i).  Dunque 
air  estorsioni  de' magisirati  e  de' grandi  s'aggiun- 
sero noipellamente  quelle  degli  usurai,  la  potenza 
de'  quali  fu  tale  e  tanta  in  questo  secolo,  cbe  Si- 
donio  Apollinare  ebbe  a  chiamarci  i  soli  padro- 
ni del  Bomano  imperio.  Per  un  così  fatto  alletta>- 
menfo  t  cherici  cbe  avevano  qualche  capital  di 
denaro ,  si  diedero  ancor  essi  al  mestiero  di  pre- 
statori .  Ed  allora  per  la  prima  volta  il  pontefice 
san  Leone  Magno  fu  costretto  di  vietare  a*  cheri- 
ci Italiani  le  usure;  divieto  nvovo  in  Italia,  per- 
chè nuovo  era  almeno  in  questa  provincia  l' abu- 
so (?).  Le  necrasi^,  le  angustie  del}*«rarip,  e  la 
gravezza  delle  imposizioni  da  cui  nascevaso  que- 
ste miserie  de*  particolari ,  furono  cagione  d' albi 

[i]  Da  lomigliante  cagiono,  cioè  d[  pielUr  denaro  a~ 
preetanea  per  lottenere  i  pubblici  carichi ,  §ih  erano  proce- 
dute ne' tempi  della  gran  decza  Roma  Da  le  calamità  di  mol- 
le Provincie.  Nelle  lettere  di  Cicerone  le  ne  trova  un  esem- 
pio veramente  poco  onorevole  alla  moderazion  de* Romani, 
e  alJs  morale  pratica  degli  atorici  .  L'  Italia  fu  per  due  p 
tre  iecnli  in  giao  parte  esente  da  questo  male ,  mentre  cbe 
l'oro  straniero  colava  in  Roma  copiosamente,  e  le  derrate 
che  li  traevano  dalle  prnvincie,  uscivano  dal  fondo  pro- 
prio o  de' senatori,  o  del  6sco .  Ma  qaando,  cessali  i  Ifi- 
bati  delle  provincie ,  si  fu  ancora  coniumato  il  denaro 
d'Italia  a  stipendiare  i  re  barbari,  la  scarsità  del  denaro  , 
e  la  necessità  ogni  volta  maggiore  ch'ebbero  gì' imperadori 
d'impor  iribnti ,  ebbero  al  line  ridotti  gf  Italiani  a  tallì 
quegli  estremi,  a  coi  riduconsi  d'ordinario  gì' indebitati  e 
i  mal  avviati  mercanti,  d'accelerarsi  li  rovina  con  vie  pie 
svantaggiosi  contralti. 

[3j  S.  Leon.  Mago.  ep.  5,  e.  4  et  5.  —  V.  Qnesn. 
not.  in  eand.  n.  7. 


ovGooglc 


tiÈRo  IV.  Capo  VI.  SaS 

-IniTaglt ,  e  poco  meno  ebe  della  perdita  della  ci- 
Tjl  libertà.  E^a  più  parte  de' corporati  avrebbno 
duaqoe  desiderato  di  sottrarsi  ad  un  carico  dive- 
nuto Doa  nwno  odioso  «  che  ^speadioso  ì  ma  le 
leggi  sempre  atteoti&aime  in  ciò  che  riguardava 
1*  utilità  deSa  camera  imperiale ,  obbligayano  mal- 
grado loro  fattele  persone  uà  poco  agiate  a  ri- 
manere Baite  al  corpo  della-  lor  città  ;  e  si  pose- 
ro ordini  strettissimi  (i),  perchè  niuno  potesse  o 
eoi  cambiare  stanza  r  o  coli*  entrar  nel  clero  e 
ne'. monasteri  y  liberarsi  da  quell'  odioso  impegno 
di  corporati  o  dì  oirìali .  Ad  ogni  modo  »  la  con- 
ditone degli  a)tri  non  era  punto  migliore.  I  graih- 
i&  o  per  I(H«  KetiH-a ,  o  per  av^u-izia  indispettiti 
delle  TÌolenze  ebo  ricevevano  dagli  uffiziati  del 
fisco ,  si  riToItavano  poi  a  travagliare  e  ttraoneg- 
giare  gì*  inferiori  ;  ond'  è  che  buona  parte  di  qver 
sti  cercarono  di  rinuiizìare  ai  coraot^  del  viver  ci- 
vile ,  e  ritirarsi  a  menar  vita  selvaggia  in  qualche 
angolo  della  campagna  (a).  L* ìmperador Maggio^ 
ranO',  per  impedire  T abbandono  delle  città,  or- 
dioò  ebe  ia  ciascuna  di  esse  g'  eleggesse  qualcbs 
persona  ragguardev«ile ,.  che  difendesse  il  popolo 
minuto  dalle  ingiurie  de'più  potenti .  ìi  pici  sicu- 
ro effetto  che  dovette  operar  quella  novella  carica, 
si  fu  di  chiudere  alle  persona  travagliale  e  ves- 
sato ¥  unifco  scampo  che  lor  rinamva,,  dì  &ggip 

Cu  €oJ.  Tlieod.  novdt.  ì.  4.  «t.  t. 
(là.)  Ibiàam  vit.  g; 


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324  Delle  Rivoluzioni  d'  ItALiA 

nelle  solitadiiii  e  ne' deserti .  Le  quali  cose  a 
ciii  ben  le  riguarda  fanno  indubitata  ptuova  che 
i  sudditi  dell'imperio  cosi  in  Italia,  come  inquè* 
pocbi  avanzi  di  pTovincie  che  ancor  restavano  ob- 
bedienti ,  erano  ridottila  schiavitù  peggior  di  quA- 
la  che  »  avesse  a  temere  dalla  dominazione  de* 
barbari;  ed  ogn* altro  stato  poteva  parere  scampo 
e  salute  agli  affitti  e  desolati  popoli  di  questa  prò- 
vit)GÌa .  Vera  cosa  %  che  a  quest'ióterni  disordini 
dello  stato  d'Italia,  che  l'aDdavano  più  che  len- 
tamente struggendo  e  ' consumando ,  già  s'erano 
aggiunti  gli  esterni  e  crudeli  colpi'  menati  da  for- 
sa  sfaraniera  ,  che  finirono  d' eiaunme  il  sangue , 
è'  dì  prostrarla  senza  riparo .  Le  invasioni  de*  Go- 
ti; il  sacce  di  Roma  sotto  Alarico;  T irruzione 
ancor  più  violenta  degli  Unni  sotto  Attila;  il  «e< 
eoiido  sacco  che  diedero  aRoma,  e  lediseeseche 
ì  Vandali  faceano  continuamente  a>  guisa  dì  cor- 
sari per  tutte  le  spiagge  d'Italia  ;  le  ocorrerìe  de* 
Borgognoni  e  degli  Alani,  stabiliti  nella  Savoia  e 
Bella  Gallia  Viennese  ;  quelle  dei  barbari  della 
Dalmazia ,  e  delle  genti  del  conte  MarceUino  (i) 
che  vi  si  avea  formato  uno  stato  od  una  tiranni- 
de :  tutte  queste  cose  aveaao  spogliato  d*  oro ,  e 
d'argento,  e  di  eib  ohe  vi  sì  trovava  di  prezio- 
so, e  di  bestiame,  e  di  biade  le  contrade  d'Italia. 
Ala  quello  che  fu  forse  maggior  danno ,  tolsero  ' 
un  numero  infinito  d'uomini  d'ogni  condizione, 

(i>  Phot.  e.  a^a* 


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Libro  IV,  Capo  VI-  SaS 

parte  uccisi  *  parte  menati  schiavi  ;  molti  codsu- 
laati  dalla  miseria  per  essere  state  loro  predate  le 
case  e  le  città,  e  molti  cindatì  raminghi  a  cercar 
nido  e  ricovero  ia  altre  provincie  ,  fra  ì  quali  ì 
più  pripcipali  ed  agiati ,  come  la  famiglia  d*  OU- 
Ih'Ìo  ,  8*  andarODO  a  stanziare  in  Costantinopoli.  La 
rabbia  degli  elementi ,  tutta  la  natura  parve  che 
ancor  essa  coospirasse  in  questo  tempo  colle  cau- 
se morati  e. politiche  alla  distruztou  dell'Italia: 
perocché ,  le  ioondazìoni  de'  fiami  a  cui  la  pover- 
tà de' comuni  non  potea  far  riparo,  T  eruzione  del 
Vesuvio  che  per  incredibile  spazio  versò  le  arden- 
ti sue  ceneri ,  e  la  pestilenza  che  a*  tempi  d'An- 
temio  tolse  e  spense  una  moltitudine  infinita  d! 
persone;  per  tutte  queste  cose  unite  insieme  è  dif- 
ficile rimmaginare  in  che  modo,  e  in  qual' altra 
peggiore  e  più  universale  calamità  potessero  mai 
cadere  le  provincie  d' Italia . 


Fine  del  Prìma  polume. 


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DELLE 

RIVOLUZIONI 

D'  ITALIA 

LIBRI    TENTICINQÙG 
DI 

C  A  R  L  O    D  E  N  I  N  A 
VOLUME  SECONDO 


VENEZIA 

TlFOeKAFlA    DI    ALTISOPOLI 
MDCCCXVI 


ovGoògle 


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tu 
INDICE 

t)fe*  Libri  e  Capi  che  si  coNTBweoHO 
In  quésto  secondo  volume  ì 

LIBRO  QUINTO. 


Capo       h  Elevailom  di  Odoacre,  pròno 

/ondaùjre  del  regnò  Italico.       Pag.  ti 
n.  Di  alcune  tivoluzioni  del   borico 

riguardane  lo  stato  d'Italia.  m 

in.  Principii  di  Tecdorico  il  Grandi  : 
sua    mossa   contro    d'    Odoacre  t 
vicenda  e  fine  di  quella  guerra.       j5 
tv.  Origine  deUa  podestà  e  del  domi- 
nio temporale  degli  eodesiastici .      s5 
Vi  Stalo   d*  Italia   sotto  Teodorico  t 

grandezza  di  questo  re  3ri 

VIj  Comparazione  di  Teodarìco  Cogli 

altri  potentati  del  tempo  suo.  43 

Vn.  Principio  delia  decadenza  del  re- 
gno de*  Goti.  47 
Via<  Di  Atatarico,  e  di  Teodato.         6a 


D.q,t,z«i.vGooglc 


Capo       L  Cogitimi  d'  Orkrtte  e  dsìh. carte 

àì.Cosiajttihopoìi  nel  tempo  che 

V  It^Ju  riunita  a  giutl*  impe- 

rÌ0ip       ■  •    ì       ■     •  1  58 

U.  Cagioni  e  princìpii  4bllà  guerra 

contro .  i .  Goti .  „  65 

BL  prima  §pedixiose  di  Bdisario  in 
Italia:  sue  qualità  ed  imprese  j  e 
.  ìratlati  co*  Gt>ti  -e  oo'  FrmcM .        68 
-    IVj  Creazione  di  Totiia  iate\de'^Go- 
. .  'ti:  viaiKde-  <&'  BelfAuio  afta  cor- 
te di  CostantìnopoU^.. e  sua  secon- 
da '^editione  in  Italia:  79 
[V.     Sìpe^iUane  delV  eunuco  N^sete;e 

fa»  della  guerra  Gotica .  88 

yi.  Eletti  che  questa  guerra  recò  al- 
l' Italia  .  100 

LIBRO  SETTIMO. 

Capo  -  U  Pi/te  di  Nars«^:  07%n«  db'Zon- 
gohardì  che  a  quel  tempo  assalto- 
fon  r  Italia .  107 
II.  Venuta  de'  JJongobarM  in  It^ia  : 
Jàiti  ^  Alboino ,  e  di  Clefi  :  va- 
riazion  di  governo  dopo  loro.  iiS 
in.  Di  Autori  terzo  re  ìjongobardo , 
e  suoi  succtesori  fmo  a  Rotori.     222 


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IV.  Dèi  K  de* Langéhardi  e  re  d'I- 
talia, (£  stirpe  JBavara  .  j25 

V.  B^  IldibmnÀi  ;  e  dogli  idtrì  r« 
Ziongobardifiho  a  Desiderio  148 

■      \l.*D9l  gwemo  poUtico  dc^  Longo^ 

bt^rdi  ;  e  deW  origme  de*  feudi  in 

Italia.  '  ^  1S2 

VII.  Staio  d' Italia  setto   i  LongoboT' 

di:  l^gi  e-poUzia  ^tfneUa  na- 

Vni.  Dei  pTVgnssi   delta   rèUghne  fra 

■  i  Ikmgohardi  ;  €  di  akitni  avanzi 

deUa  ittro  mtìca  barbarie  e  super- 

.  \   ■      ttbisriè .    ■•   ^  177 

IX.  Stato  ikUe  pfovincie  f  Italia  y  ri- 

':'■'      meste-  soggètte'  tdPòtrperiò Greco- 

BoTTum&  in  letttpò  ée*  Longobùr- 

di.        V     .  ^  ^  ■  188 

LIBRO  OTTAVO. 

Capo  I.  Considerazioni  generali  intomo  al- 
■'  '  fonSne  A'  sudcessioiK  néWimpe- 
■  ■  '■     rio  di  Boma,   t  ne'  regni-  barba- 

rici^  ■"  '*  igS 

fi.  USiioluziani  della   carie  db  Fran- 
ca, per  cut  U  fam^Uà  de^  Car- 
■  •  ti'  sM^std  trono .  ao4 

iU.  Stdtevazòmt  in  Italia  ^c&dtit  l*  ^ 
peraddré  ^Ofiente.  ito 


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P'twieia.:  sfonfifJAe  Hi»  di  De- 
t  ;  ■.:  :'  .Jìiderio  re  xle'  ijaii^t^rfH.  ': T  »14 
V*  JRegW  rff  Vaeh..M^m  in  /te- 
iia ,  e  di  Pipino  sn^\<fyf8à  :  va- 
ni sfora  rfe'  Longobardijier  ricu- 
perare lo  stato  .  S2fl 

VI.  Rinnovellamenlo  deìVimperio  d'Oc- 

cidente :  ragione  di  questo  fatto; 
e  quali  mutaiionì  cagionasse  al- 
lo stato  d' Italia .  s33 

VII.  DegU  ultimi  anni  di  Cariò  Ma- 
gno ;  ptincipii  di  decadenza  del  rt- 
gno  Francese  in  Italia  sotto  il 
gavóne  JBemardò  HI.  m,  e  sot- 
to Lodovico  il  Pio  ùnperadore .     14% 

Vili.  t?Ì  Lottarlo  I.  iinperadore  e  re 
^Italia:  fari  successi  delia  sua 
ribellione  contro  il  padre:  vicen- 
de del  monaco  f^alà  princìpat 
ministro  di  stato  per  le  dose  d*/- 
taliat  t4^ 

IX.  Di  Lodovico  II.  imperadore  é  re 
<f  'Italia  :  rit'olgimenti  che  ai  suo 
tempo  avvennew  in  alcune  Pro- 
vincie. 

X.  Interessi  e  negoziati  di  vari  prin- 
cipi per  la  successione  di  Lodo- 
vico IL  371 

XI.  Di  Carlo  il  Calvo  t  CaHomannot 


ovGooglc, 


^57 


*ll 


'»^'Carh  il' grffssà  uHkno  ré  d'I- 
•   -'i'  talìa  S  gUet  iegtisggfo .  278 

Xn.  Cagioni  della  Heeadénzà  de'Carlo- 
^  fingi i  smó'd'tuUHi  aòtio-U  hr 


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DELLE 

RIVOLUZIONI 

D'    ITALIA 

LIBRO    QUINTO. 


CAPO    PRIMO 

Bìevazione  di  Odoacre,  primo  fondatore 
del  regno  Ifaiico. 


-Cjn  eMebre  ed  ingegnoso  scrìltore  osservb  giu- 
stamente *  che  i  barbari,  dopo  arer  dato  il  gua- 
sto a  tutte  le  provincie  dell'  imperìo  Romano ,  al> 
loTchè  ^iù  non  vi  trovaron  di  che  far  preda,  vi 
presero  stanza  e  si  diedero  a  coltivarle;  il  che 
arverosei  alla  fine  anche  riguardo  air  K^ia .  Glt 
Grilli ,  i  Rugi ,  i  TurcilÌDgi ,  ed  altri  barbari  dì 
varie  generazioni ,  che  quivi  erano  al  soldo  de^ 
gì*  ìmperadori ,  vedendo  che  non  solamente  man- 
cava l' oro  e  1*  argento  da  soddisfarli ,  ma  si  tro- 
TAvano  spesso  ridotti  a  grave  disagio  di  vettova- 
glie' divenute  scarse  e  care  per  lo  scadimento  della 
Tomo  II.  I 


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2  Delle  Rivoluzioni  n'  Italia 

•  I  coIlivazioHe ,    furono   costretti    df  prenda*  •ter» 
'   partito ,  che  doó  s*'era  fatto  per  l'iniiaDzi  >  Pai- 
'i  sato  era  il  tempo  di  scorrere  le  provÌDcie ,   come 
I  aveatio  fatto  i  VaodaK  e  gU  Uqdì  e  molte  schie- 
,  re  di  Gbtlt  è.d'hcdare  dal^iino  àiraltro  cauto 
ì   cogliendo  ir  fiore  d** ogni, uosa-  che  vi  si  trovasse». 
Tutte  le  altre  provincìe  o'ccideìifali  già  rase  e  de- 
*^^  «(^astate  dalle    iutaiionl  precedènti  »  erano  anche 
signoreggiate  e    possedute  da  altri   rè  e  dazioni 
barbare  e  belKcose  ^  contro'  le  quali  -avrebbe  do- 
vuto, fare  aspra  e  difBciI   guerra   chi  fosse  stato 
desideroso  di  stabilirsi  'm  q_u^''  pqesi ..  Per  la  qual 
cosa  ledenti  straniere   che  mìlifavano  in  Italia» 
stimavano  più:  agevole  e  più;  aicoro  conug.Ko'  I*'  in- 
gegnarsi di  conseguire-  q^iivi  ciò-  che  non,  poteva- 
no ,  senza  incorrere  in>  maggiori  rìschi  e  travagli, 
cercar  altrove;  cioà  copia  di  viveri ^  e  terre  sta- 
bili, donde  cavarne  .  Eatrarcmo  in  pensieiU'di  pròv- 
ivedere  al  proprio  sostenfamento<»  eoa  pigUarsi  i& 
proprietà  delle  terre  d*' Italia  qudla-  pasto   che  si 
credesse  bastevole  ^  \c00xautnt9  per  lorb  ^  e''  fe- 
cero di  queota;  cosa  forté^  istaDza>  aA  Oneat»  pa> 
Crizio,,  che.  a  nome  del  %UuoJo  Romolo  Augusto* 
lo  reggeva  V  Italia  ^  ultimo  avanza  dell*  jmpem 
occidentale^. 

Er^no  in.  gran  parte  i  teixenr^Italìp»  sieco- 
me  si  è  mostrata  nel  libro  pseae^eUti  ^  lascìEiti  io- 
oolti  o  leggpruunte  coltivaci  ^a.**  ppseessorì .  Nien- 
tediinena  eX  per  riavidia.;  eh^  i  ^outoii,  cioÒ 


=d.vGooglc 


Dbro  V,  Capo  I.  3 

I^Mtaliaoi,  portavano  agli  straDierl  già  di  sover- 
chio iDsolenti  pel  credito  che  aveano  nella  milizia , 
sì  per  non  privarsi  al  tutto  di  quel  poco  frutto  - 
che  dalle  campagoe  aache  neglette  e  deserte  po- 
nevano ricavare  «  non  erano  per  indursi  agevol- 
mente a  cederq:  ai  bachaci  ìk  porzion  delle  terre 
che-  preteaderapo.  Oreste  cbe^  non  voleva  o  non 
ardiva  di  levar  per  forza,  i  poderi  ggU  antichi  - 
sudditi .  e-  che-  nelle-  strettezze  in  cui  s*  era  rìdotf 
fé  r  erarip  ifiipaiale',,  Don'  poteva  entrar?  ezian- 
dia  nella  spesa-  gicandusima  di  pagarne  it  prezzo , 
ìson  credeva  né  taropoca  utìi  consiglio  d'accre- 
scerft  ancora:. eoa  T' assegnamento  di  beni  stabili 
[a  potenza  già  troppfr  grande  ài  quelle-  g,eDti .  Nel 
calda  di  questa-  q,ueEele  Odoacre^  diede  voce .  che 
i^ualbra'  toccasse-  a  lui  la  stesso',  potere-  e-  grado 
d' autorità  ^  ohe  teneva  Oreste  ,.  avrebbe  soddìs- 
£alj^  alla  domanda^4eIle  soldatesefae*  ^  Non  è  pos- 
sibile nelle  varie  ed  ambìgue'  memorie-che  ci  fu- 
vono  tfEunandlate  dagli  antichi  ».  V  affevmare'  asso- 
(utamente  né-  dì  qual  nazione  ib«se  Odoacre,  né 
in  qual  ^ado  si  trovasse  di  dignità  .  e  d*  ufBzio 
ayanti  questo,  franante-,,  ire  cui  fattosi  capo  di 
*  barbari  ammu^nati  ^  mosse  le  armi  contro  di 
Oreste  e  d'  Augustolo  -  Adriano"  Vàlwio  ,,  TiHe- 
ipont  f  e  Muratori  «  tre  insigni  ctutipT  della  storia 
di  questi-  tempi ,.  non:  seppia  che-  conchiuder  di 
certo  intorno-  alle  varie-  cose  ,  e  non  perii  copio- 
se ,  che-  di  hit  scrissepo-  Ennodio ,  1%oEÓBe ,  Gior- 
dano, Procopio-,,  tidbro  ,.  Gregorio  Turonese  »   e 


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4  De«.b  Ritoluzioot  b^  Italia 

ISlalco  storico  (i^.  Pare  nondimeDo  H  più  pro{>v 
bile  ch'egli  fosse  capitano,  e  de*  primari  ufHziap 
li  delle  guardie  d'AugustoIo.  Ma  quali  che  sEg 
fossero  la  sua  patria ,  la  sua  origine ,  ed  i  primi 
impieghi ,  certo  k  heoe ,  che  Odoacre  era  uomo 
di  gran  valore  e  dì  grande  aoipio,  quantunque 
gli  acrittori  che  poi  fiorirono  sotto  il  re  Teodori- 
co  suo  emc^o  e  capital  aemieò^  abbiano  mostra- 
to di  credere  diversamente .  Del  resto  ',  o  sia  che 
Odoacre  abbia  mosso  guerra  contro  Oreste  ed  Au- 
gustolo  con  le  sole  mifizie  barbare  che  sotto  nor 
me  d{  ausiliarie  eraao  in  It^a ,  ^o  eh*  egli  eondu- 
ce&se  dalia  Germania  e  d'altronde  nuove  fbrz^, 
come  pure  scrìvono  alcuni  ;  Oreste ,  non  creden- 
do di  potergli  resistere  in  campo  ^erto,  sì  chiu- 
se in  Pavia,  cìtlà  assai  forte  e  che  d*  ora  innan- 
zi si  troverà  spesso  noDun&ta  come  ca|ritale  de| 
regno  Italico  .  Odoacre  1'  assedb ,  la  prese  per  ^r- 
za ,  la  diede  al  sacco,  e  al  fuoco;  ed  avuto  nelle 
mani  Oreste ,  gli  tolse  la  vMa .  Quindi  s' inviò  a 
Bavenna  dove  Augustolo  era  stato  fasciato  dal 
Jiadre ,  ed  entratovi  senza  fatica,  spoglib  fi'  gio* 
vane  imperadore  de^e  insegne  imperiali  ;  ed  aven- 
do rispetto  aU'  età  sua ,  il  mandò  nel  castelto  det- 
to di  Liiculano  presso  Napoli  (2),  dove  il  la* 
sciò  vivere   in  larga    e4   onorata    prigione  004 


ilìiYalet.  Rerum  Fnncicar.  lab.   4-  **^  Tillem..  lom. 
lÌt,.d'OiloacTc,  '^^■Jlt  P*g-  4^4-  ~~  Murat.  vt.  ^JG. 
(3)  Ex  Tilleai.  de  Taleat.  III.  art.  i4,  p>g.  217. 


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Libro  V.  Capo  I.  5 

assegnattieato  di  seimila  soldi  o-  ììhhve  d'oro  (i). 
Odoacre  rimase  seoza  contrasto  padrcoe  d'Italia; 
.rd  animato'  daH' esempio  d' altri  -suei  pari  che 
s'  erano  stabiliti  con  titolo  di  reneU*  Àfrica  »  nelle 
Gallie^  neUa  Spagpa,  non  si  curò  né  di  prendere 

(t)  Ù  S^alatoTÌ'  qui  e  in  in6iiili  laog&r  de'jnoi  jtn- 
Hali  spiega  la  voce  solidos,  Kriveodo  soldi  d  scuti  £  orni 
«  neHa'  Oìssertatione  vigeiim  a  ottava  delle  sne  Anficiiià 
d'Italia  mutira  eoo  bnone  ragÌQDÌ ,  che  il  toldo  aureo 
d«'  tempi  Gotici  e  Loagobandici-dovesie  valere  una  mezza 
d'abbia  di  Fraacia  dì  quelle  dì  Luigi  XrV:  ed'  ia  credo 
asMÌ  probabile  un  lai  ragguagKo-  ik  egli  è  certo  nienie- 
diiueno^  che  MHo  g|v  ultimi  imperadori  d' Occidente,  cor- 
l'eVa  Rn  soldo  d'  oto  di  molto  maggior  Valuta,  e  dhe  era 
una  peiaa  effettiva  d' oro' coniato ,'  e  non  nonela-  ideale, 
teggeai  in  na  editto  di  Maggiorano',  &henÌuD  esattore  deb- 
ita ricusare,  sotto  pretesto  di  non  esser  legittimo,  il  soldo 
ài  giilsto  peso,  eccettaato  il  soldo  Gallico,  1' dro  del' qua-» 
le  è  lassato  a  minM>  pretino  !■  praet^erea  judlas  solidam-  in- 
tegri  pondexis  calumnioso  adprùbailonis  obterttu  reeuset 
pxrabloì" ,  excepto'  eO  (^,4llicO ,  cujus  aarùm  minarti  aesti- 
tttatione  taxaiur .  Cod.  Tìfcodos.  Leg.  novell,  Majorahi 
lib.  \,  tit.  I.  Poco  piiran  di  questa  legge  Valsntiniana 
èia  avea  ordinato  cbe  i  soldi  aurei  lisciti  dalle  zeccUe  dì 
Teodosio  H.  8  d' altri- augusti  suoi  pfarenti ,  itoti' potnscro 
ne u sarsi ,  e  che  ninno  dovesse' valatarsi  a  mUior  pretto^ 
elle  dì  settemila  nuriim;:  ne  antfuam  .infra  seplem  miUia 
mimmOium  solidus-  di'sirakaTar  .  Pfoveit..  lib.  r ,  ift.  «5.  E 
in  nn'altM  legge  {.Uh.  cod.,  (iV.  ^4  >  volendo  Io  slesso 
ìmperador  Valentiniano  III  fissar  il  pre'zao  de' Viveri  che, si 
potesse  esigere' da' soldati  rielle'  loro  marbie',  onjlnfe  che 
^i:  ogni  soldo  (!■'  Italia  (  ad-  singulot  solidos  halicos  )  A 
dovessero  dare  ^arania  moggia  di  graao  ,  oduecento  se- 
Stari  di  vino,  o  du^centoseltanta  libbre  di  carne.  I^o»  tro- 
ir6  elle  né  Buddeo ,  né  Montesqmea,  né  tariti  altri  ch« 
tuilavia  o;  di  pcaposilo  o  incidcutcroentc  parlarono  delie 
Valute,  de*^  pesi  e  delle  misure  Roinatte,  abbiano  fatto  quel- 
V-Mtb  afte  si  poteYa- dì- testi-  cosi-  specifici  per  tpattwc'  di 
Queste  Biatsfi*.' 


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6  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

né  di  dare  ad  nitrì  il  titolo  d*  imperadore ,  tai 
tenne  il  nome  di  re^  solito  darsi  a'  barbari .  Non 
si  può  tuttavia  accertare  se  Odoacre  si  facesse' 
chiamar  ro  d' Italia  e  di  Roma .  Pare  piuttosto , 
.die  per  non  offendere  con  nomi  inutili  gli  animi 
degl'Italiani,  e  mantenersi  se  non  benevoli,  al- 
meno indifferenti  i  Greci  augusti ,  si  contentasse 
del  titolo  di  patrizio,  che  tanto  montava  come  a 
dir  vicario  e  luogotenente  dell*  imperadore  .  Que- 
sto titolo  di  patrizio  1'  ebbe  Di^oacre  per  due  ina- 
niere ,  cioè  da  Giulio  Nipote  prìnuerameate ,  poi 
da  Zegone  imperador  d'Oriente.  Ma  egli  è  qui 
da  sapere,  acciocché  meglio  s'intenda  per  quai 
maneggi  s' andò  Odoacre  confermando  nel  domi- 
nio sovrano  d' Italia  dopo  la  deposizione  d*  Augu-: 
stolo ,  che  pirca  quel  tempo  slesso  che  avvcnno 
questa  mutazione  di  stato  in  Italia,  I*  ìniperadoc 
Zenons  sopraffatto  <da  una  congiura  dì  suoi  pa- 
renti che  pisiicarono  di  dar  V  imperb  h  Basilisco  ì 
avea  dovuto  fuggir  di  Costantinopoli ,  e  ritirarsi 
neirisauria;  poi  coli* aiuto  de'  barbari*  di  alcu- 
ni sudditi  che  gli  restaron  fedeli,  avea  ricupera- 
to lo  stato.  In  questo  mezzo,  quel  GÌùHo  Nipote 
che  £Ìà  vedemmo  cacciato  di  Roma  e  d*  Italia 
per  opera  d'Oreste  patrizio,  riteneva  tuttavia  le 
insegne  e  il  titolo  d' imperadore,  e  qualche  reli- 
quia di  dominio,  spezialmente  nella  Dalmazia t 
dove  ritiraìtosi  stava  aspettando  se  via  alcuna 
s'aprisse  da  rimontare  sul  trono.-  Pereto,.  udi> 
ta  la  rovina  dì  Oreste  e   le  vittòrie   d*  Odoacre, 


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Libro  V.  Capo  [.  7 

autn^  ■  racetHuatidarst  a  costui,  ofFerendogU  U 
dignità  ài  patrizio  f  e  pr^aodolo  a  voler  'impìc' 
gare  le  anni  «uè  vincitrici  per  riporlo  nello  stato 
di  prima  ■.  Nel  tempo  stesso  o  poco  dopo  avendo 
inteso  il  ritornò  di  Zenone  in  Costantinopoli ,  man- 
dò anche  a  lui  ambasciadori  sotto  «pezie  di  con- 
gratulazione, ma  in  effetto  per  tentare  «e  per  la 
somiglianza  di  lor  fortuna  potesse  indurlo  a  dar- 
gli gagliardo  aiuto  per  nmettersì  ancor  egli  'nel- 
P  imperio  d^It^'a.  Odoacre  informato  à  témptì 
delP  oggetto  di  queir  ambasciata ,  prese  il  partito 
che  meglio  n  'Conveniva  a^  suoi  afTari  presenti , 
per  non  aver  a  contrastare  contro  le  forze  d*  Orien- 
te, mentre  -cbe  appena  avea  potuto  pigliar  pos- 
sessione del  conquistalo  regno .  ObbKgò  dunque 
il  senato  di  Roma  a'  mandare  anch^e^o  amba- 
seiadori  a  Costantinopoli  per  rappresentare  a  quej<« 
r  imperadore ,  come  non  era  bisogno  oggiraai  ; 
che  si  cFeassnro  due  angusti ,  potendosi  reggere 
Sotto  nome  dt  Zenone  le  [»ovincìe  che  ancor  re- 
stavano dell' impeno  occidentale;  che  Odoacre 
avrebbe  potuto  con  soddisfanonA  de'  Romani  so- 
stenere il  governo  ;  «  che  perciò  pregayano  Zéné- 
m  a  volérlo  onorare  della  dignità  di  patrìzio  ; 
l?nitunente  a  questi  legati  che  andavano  a  nome 
del  Mnato  Bomano ,  Odoacre  ne  maodb  altri  A 
iiorae  suo,  che  doveano  portar comUMSMom  e  «tei- 
mando  non  differenti  dà  quelle  de'  Romani  (i)-. 

.   [i]  Jlalcli.  io  Excerp.   de  Legak  Hìitor.  ByEant.   pB{. 


ovGooglc 


9  DeXLE  BlVOlUZlOMl   D*lTALrA 

ZenOneV  o,  qualuBqua  si  fosse  il  muistra  ìAe-  n 
noma  di  Ini  diede  rieepìte  «  qudle  attibaseiaté', 
soddisfa  agK  un,  •enu  troppo  8C9Btentat« , gli 
oltri  ;-  né  perà  »i  prese  realmente  impaccio  delle 
coae  d*Ualia,  perchè  egli  areva  assai  che  iàra 
per  sb  stesse  sopra  uà  bullo  ancor  Taeilla&te  pet 
le  scosse  della  passata  oeadpiratiQiie  .  -Furon»  n- 
mandati  .BOB-  busse  pan^,  sectmdocbe  s'usa- di 
&re  agli  sventurati,  gU  ambaMìadorì  di  Nipote» 
promessagli  largamente  beuevol^exa  e  pretezioiik'. 
I  Romani  ebbero  p«r'  nspesta'  pim[H«vePÌ  e  rìcbiar 
mi,  perche  avessero  cacciàite  quell*  imperadore 
che  dalla  corte  di  Costantniopeli  era  stato  loro 
destinato  ,  ciò)  Giulio  Nipote;  e  furono  però^esoB- 
tati  di  ritornare  all' ebbediesia^  lui r  énoevet^ 

10  di  ni^ovo'per  pr-uicipe.  Ma  Odoacre  che  pifc 
dì  CUpote  e  del  senato  BeinaDO  dovea  per  la  sua 
potenxa  trovar  eorfesia  e  riguardi  presso  Zenoae', 
ottenne  ìb  fettt  quelli»  ehe  desiderava .'  Fu  a .  lui 
neposto  che  dov*egU  non  avesse  già' rìocyata  da 
Nipote  suo  legittimo  sovrana  il  pafiiiiato ,.  ^i  sì 
concederebbe  di  buon  grado  da  Zenone;  «  frab- 
tanto  gli  fìi>  quasi  riconfsrmatoy  perebi  nell*  indi- 
IWH)  della  lettera-  fu  cUamato  Odoaece  patrìzio . 
mk  si  trdaseiè  d*  esortalo  pen^à  vdesse  ìb;  con^ 
I(tfmi4à  dell' uffizio  «della  d%ni^  ricevuta  tv 
jnetter»  Giulia  Nipote  nell'itnptì'io-'di  Bomav  « 
^dot>e^are  in  setvùiio  di  Uu  T  ^mù  suo  e  la  sue 
genti..  Odoaera,  contento  di  non:  aver  per  allora 
da  kiBtiener  goeira;  nh  spetta,  ounicisia  dal  canto 


=dDvGooglc 


/-.      Ubro  V. , Capo  L   .<-  ^ 

'^  .Zenone  frADàb^  come  .po8«Ì4ro-i«unagJMai:e,  pa- 
st^eado-di  ^wlche  speranza  1' «tib^ndonato  Nipo- 
te^ ma  n^D  furona  appena  .partati'  {te  anni  ^  cfae 
Sjipote  fu  mortp  in  Dalmazia,  dagli  emissari  di 
qwl  .Glicf!rio  ch'egli  stesso  avea  cacciato. dal tFo» 
|u>  imperiale,  e  fatto  coneecrar  vescovo  di  SaTo- 
na^.^lora  |a>  cotte  dà  Cqgt^ntioc^oli  sgravata  .<C 
qVQ' j:i^¥ii;di  che  o  .1*  equità- o.  k..  ciwMiieaBa 
V  obbligava  d' avere  .almeno  in  parole,  ed'. in. f^- 
xpi^ità  aU^  persona  di  quell*  imperadore  suo  erea- 
tQ.»  '■  e  parente .  di  Venoa  augusta  ,  confermò  di 
numo  il  patriziato,  ad  Odoacre>  «  cuosentì  anco- 
Ka.,  ulte  fosse  ticeoosciulo  padrone  nella  Proven- 
za ,  la  quale  pare  es3ei;3l  mantenuta  fino  ,  a .  qnel 
lampo  neUVobbedienxa  di  Nipote.  Vero  i  che 
.Qdoacre  fcQo  dooo  dì  queDa  proviiicia  al  re 
do'  Vìsigpti  Evarìoo  4  SuqcQ,.  eli»  regnava  sopra 
aitile  Gallicbe  pcovincie,  e  che  .importava  al.ro 
id*  Italia  r  aver  amico .  Foco  prima  già  aveva 
Cdpacrb  contratta  lega  ed  amistà  con  Gen»tfÌQp 
.Vandalo  r  potentisHmo  le  dell'  iLfrica,  dal  <]ua)e 
avea  coi  carico  di  qjialche  tributo  .e  dì  lasciar 
jWmìdio.di'  Vandali  in  qnalche  forte^a»,  ottenuto 
il  dominio  della  Sicilia.  Così  parei^a  che  il  nuo- 
vo re  .d*  balia  fosse  pressoché  sicuro  dagli  assalti 
fU  £iie^,  pprchè  ,  tolti.!  potente  . suddetti ,  Ze- 
jBone ,  Eurico  e  Genserico ,  m/m.  v^era  altro  prin- 
ipipe^  che  po^sse  con  fòrze  eguali  muovergli  guer-: 
ra .  Frattanto  egli  attendeva  ad  ordinar  le  co- 
se di   dentro.   Scrive   Frocopìo  ,    che   Odo^cre , 


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lo  Delle  RivoLUzrONr  d'Italia 

secondo  le'prornesse  latfe  ìn  sul  principio  delfa 
ribellione,  distribuì  a^  barbiari  cbe  Io  avean  segui- 
to, il  terzo  delie  terre  d*  ItaHa  (i).  La  "qual  co- 
sa gli  acquietb  senza  fallo  l'odio  degli  antichi  pa- 
droni, a*  quali 'non  par  punto  che  Odoacre  pa« 
gasse  il  prezzo  di  ciò  che  lor  sì  toglieva,  M» 
gP  Italiani  già  troppo  deboli  a  resistere  alla  fero- 
cia de'  barbari  agguerriti ,  mollo  meno  fnrono  in 
istato  d'impedire  il  dispotismo  del  viocitore,  da 
che  egli  s'ebbe  più  fermamente  che  mai  conoii 
liato  r  affetto  de*  suol  coli*  assegnamento  di  beni 
stabili,  per  la  conservazione  de'  quali  diventarono 
ancora  interessati  «dia  difesa  del  prìncipe .  Del  re* 
sto,  tuttoché  dolesse  non  poco  di  presente  afpar- 
ticolarì  il  vedersi  spogliare  de'  lor  poderi ,  era  non- 
dimeno per  1*  universalità  della  provincia  utilissi- 
mo e  necessario  partito  quel  che  prese  il  re  bar- 
baro. Nell'essere  incollo  ed  ozioso  in  che  giace- 
vano ■  tanti  ten-eni ,  comecbè  rincrescer  ne  doves- 
se l'abbandonargli  affatto  a  chi  gli  aveva,  biso- 
gnava sicuramente  un  provvedimento  vigoroso  e 
gagUardo,  senza  il  quale  non  sarebbe  potuta  ri* 
sorgere  la'  coltura  e  la  popolazione .  Ne  era  diver- 
so, né  meno  incomodo  V.  a^avar  di  nuovi  impo- 
sti i  padroni,  per  fornir  l'erario  pubblico  della 
somma  necessaria  a  fine  di  pagar  il  prezKo  di 
quelle  terre .  Perocché ,  come  avrebbe  potute 
Odoacre  pigliare  altronde  il  danaro  per  si  immensa 

(0  Procop.  d«  Bell»  Goth.  lib.  i,  cap.  l. 


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Ltbro  V.  Capo  1.  1 1 

compra?  Al  solo  Licurgo,  se  fe  vero  ciò  che  si 
l'acconta ,  -questa  sìr^olarlode  fu  riserbata ,  d' arer 
fndotto  gli  Spartani  a  ricevere  di  buon  grado  ùntf 
riforma  generale  dello  stalo ,  e  ia  riduzione  de'  be- 
ni ad  una  generale  uguaglianza .  Da  ijuesto  esem- 
pio in  fuori, 'non  so  dove  si  traverà  nelle  «Iorio, 
che  sìa  riuscito  ad  alcun  riordinatore  o  fondator 
di  nuovo  «tato  il  poter  senza  modi  aspri  e  vio- 
lenti arrivare  al  ■  suo  fine .  Tanto  meno  sembra 
da  riprendere ,  a  parlare  secondo  l'umana  politi- 
ca, Odoacre,  che  poteva  trattar  da  conquistatore 
gì*  Italiani .  E  coihechè  sotto  il  regno  di  Teodori- 
co affettassero  ì  suoi  d'oscurare  più  che  potevasi 
le  azioni  ed  il  carattere  di  Odòacre ,  possìam  tut- 
tavia tener  per  fermo  che  Teodorico  trasse  dal- 
l' ordinamento  e  dalle  azioni  di  Odoacre  lo  stes- 
so vantaggio  e  forse  maggióre  che  non  ebbe  Ol- 
faviano  dalla  dittatura  di  Giulio  Cesare,  che  gU 
spianò  la  strada  alla  monarchia. 

e   A   P   o      n.  . 

Di  alcune  rìvoluziom  del  Nerico  r^aràantt 
Io  stato  (Tltalia. 


dtabilite  lé  cose  di  dentro  all'Italia  (dove,  ec- 
cettuata la  novità  dì  veder  capo  del  governo  e 
signor  sovrano  un  re,  ogni  cosa  fu  per  altro  o 
lasciata  o  rimessa  sééondo  il  tenore  delle  stesse 


=dD;Googlc 


13  DèU£'  B1VOLU2IOKI.  V^^ltAÉiX 

leggi  Romane,»  cogli  stessi  nomi  de*  mi^trati  w 
a  colto  steesor  uffizio  dU  pcima),  Odoacrtf  &  Sa, 
cercato^  o  si  mosse  spontaoeaaieBte  a^ igUar  pav- 
te  nelle  cose  del  Norica  e  de'  fìugi.  Cotesta  im- 
presa di  Odoacre  per  le  cose  del  NofÌco,  donde 
ì  prosperi  successi  doveuio  p^r  altro  afisicurar  vie: 
DUgMo  lo  stato  d'Italia-,  ed- aociwseere  la  graa- 
dezza ,  la  riputaKÌone  e  le  forae  del  re,  non  se-, 
lamente  fu  l' ultima' ,-  ma  forse  fit  quella  ohe  ae- 
celerò  grandeiaeDle  la  sua.  oaduta  e  Ia'  desolazio- 
ne del  suo  regDo  .  Perì)  è  necessano  di  fótroe  men" 
zione,  aneoTchè  assai  difettose  e  scane  notizie- «e 
ne  aieao  state,  trasmesse,  sparse, pia ttotto  incideor 
temeote  nella  ^ìta  di  qualche  santo  ntonaii^o-  (^)>t 
che  riferite  dì  proposita  da^i  scvitton  di  oose  n- 
vili  o,  di  guerre-.' 

Era  re  de'Rugi.,.  nazioa  Oermaoica,  ab  Fé- 
bfm  V  detto  altrimenti'  anche  Ì'»va,  e  Fetètteó.  Co- 
stui o  per  voglia  ed  ambizione  sua  propria  ^  0 
tì-attovt  dal  genio  della  nazione  6era  «d  intimi- 
tà ,  travf^liò  con,  guerre  e  con  iscorrerìÌB  lunga- 
mente i  popoH  del  Norieo  ^  ì  qmdi  per  mettere 
qualche  riparo  ai  ler  mali,,  chiamarono  in  aiuto 
il  re'  d* Atalia.  Vi  andò  Odoacre  kt  prima  voka  in 
persona ,  e  sconffsse  i  Bugi ,  accise  Fava  lor  re , 
ed  obbligò  Federico  di  Iui  figliuolo  a-  saFvar»'  «^ 
la  fuga*  Ma,  tornato  il  vincitcwe  in- UaUa  ^  Fede- 
rico  tornò  nel  suo  paese  a  ngnoceggiare-  come  il 

(1^  Eogip-  io  Tita  ■.  Severi  i^ad  Bollanti.  8.  jtn. 


=dDvGooglc 


Libro  V.  Capo  H.  «3 

paSre,  Cift*  inteso  da  Oiteacre ,  tnandb  con  buoJ 
ewrcìto  an  sud  fratello  Aonutfo  ,  il  quale  utr"*!- 
tra  vojta  eòstrfàse  Federico  a  lasciar  il  pae^,  o 
ritSparsi  a  tioTa  deHa  ■  Mèsia  presso  il  gran  Teo- 
dorico,  a  cui  «ra  coDgiairto  in  qilalche  grado  di' 
panenWla  (i).  Per  questa  vittoria  benché  potesse' 
credersi  che  le  cOstf  dolessero  essere  in  tutto  quìe- 
tftte  da  quella  parte,  Odoaere,  piir  non  aver  d! 
Qaovo  a  pfgtiarst  pensiero  deHe  cose  de'  Rugi ,' 
prese  questo  partito  di  trasportar  io  Italia  gli  an- 
tichi abrtatori  del  Noricd ,  e  lasciar  quel  paese 
vuoto  jiHa  piena  disposizione  de*  Bugi .  Que*  del 
Nórièo  furono  Ketissimt  di  to^iers!  nnà  volta  alla 
viclnqnka  di'  gente  GOii  raoTesta,  e  da  cu!  noh  {spe- 
ravano mai  d'essere  lasèlat!  in  pace,  per  molte 
volte  che  U  battesse  il  re  d*  Italia  lor  pròteftOFe, 
I  Bugi  che  daHa  «conStta  rìceruta  ebbero  quasE 
Io  stesso  frutto  .ehQ  avrebbero  avuto  dalla  vittoria; 
cioè  d'occupare  le  terre  altrui',  doveanò  averne 
anzi  obbligo  ,  "che  malevogKénza  verso  Odoaere  ; 
e  l'Italia  n'ebbe  vantaggio' non  mltiore,'  per  una 
grandissima  moltitudine  di  persie  che  vennero 
con  loro  robe  e  bestiamt  ad  abitarla:  la  qual  mol- 
titudine a^unta  ad  pn  numero  ioEnito  di  schia- 
vi che  ntrasse  Odoaere  daHa  «sa  prteià  spedizio- 
ne io  quel  paese,  e  che  tradusse  ìn  Italia,  era  il 
più  opportuno  sollievo  ohe  queste  nostre  oontrade 
tanto  sfornite    d*  abitatori    potessero    desiderare  . 

fi)  V.  Ennod.  io  lib.  dìcto  Theodorici  reg.  pag:  agS- 


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14  .Selle.  Bivolijziom  b*  Italia 

Odoacre  con  autnent^c  ùf  .tal'modailouatemde* 
sudditi  V  pcìmo  e  costante  prinpi^a  di  grandézza 
per  t  regnanti»  pareva  che^  fosse-  per  gpdecsl  più 
sicuro  e  più  quieta  cUa  mai  >l.«K?rcgpo,-  JVIa  gli 
effetti  che  segtiicoDo,  furona  tro,ppo  diversi  ,da 
(]uelli  che  si  potevana  r^ònevotinente'  appettare, 
GL'  Ifaliaol  già  pieni  di  mal  upioie  verso  O- 
doacre  pec  la  puma:  diviBÌone.  de*be;iì^  e'  pel  suo 
goveroo-  certamente  più.  v^vast^diqueUo.cfae  con 
eran»  soliti  dt.pcovare:  dagr^iupci^^^FJ^i  riceyetle- 
to  per  avventura»  nuova  $dnii?lo'  a. .  desiderar  mu-: 
fazione  di  stat(^  per  qu.^ta  seo^ivìa:  distrì^imoiie 
di  tenieni  ohe  ecmveiuie:  fare,  a .  qve*  del  Horico, 
i  quali  ù  vtfut^to  ad  aggregare  agli  altii  barbari 
che-  occupavano-  e  ^pote^a.yaao'  PltaUa-  Pen:i{> 
non  è-  dubbio^  eh' eapi  sojlpqit^ero'  paj:^colann^D7 
(te  rìinperador  Zeoooc;,  cW  li  temesse;. ^all'op- 
pressione di  qufiSti  barbjyril.  )S?1,  tejflpo- -ste^o. Fe^ 
dorico-  ed.  altri  Rugi>  igalcoiri^ti  so}IécitavaDq  Teo- 
dorico  a  far  di  loro  wadettacofiCeaOdofi^BK;,  chf 
gli  avea:  mal  conci  nel;  Norica  XO*  ■      ... 


-  (  1  )  DaUfr  po«far  «4w  e  confuM'  «bir  di .  questa  -  gaem 
iti  Horico  e  de'Ragi  ci  fnron  lasciate  ..  sembra  potersi  rac- 
cogliere che  fosse  ira' Bugi  stessi  guerra  civile,  e  che  Odoa- 
cre, il  quilo  forte  ei«.  «iella  medeiìiba  Mnaoe ,  Matimbst» 
|)c^  sastanera  una  tieijt  fi|ZÌ(»DÌ  caDlrasUpU,  e  che  io  gra- 
»a  de' suoi  proteitt  si  nvviBnue  anche  di  evactrare  il  Cion- 
co. Eugip,  ap.  BoUand,  8  Jan.  pag.^g^  —  TiUemont  art.  j 

«  »;•■  ..■.■.-.. 


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Libro  V,  Capo  IIL  «$ 

C   A    P   O       m. 

frìtHsìpit  liì  TtodoHc»  il    Grande  :    9Na  mossa 
^ntro  d*  Odpaat  : .  vicende   e   fine  di  quella 

guerra*  .  .  -     .. 


jyia;  9  dir  veFOr  itlfri  magg^wi  ìnleressi  e;motÌ> 
vi  più  efBcaù  c&e  non  e^ano  o  le  dogUanze  de- 
^rjlalfaiii  b  la  vendetta  de*KugÌ,  condussero  alla 
vol^  d'Iialia  il  gcftoTeodovico- Ripigliamone  pei'h 
tanto  bcerenwQte  r.origine,  la  vita  ^  e  le  nazioni 
da*  loro  principii ,  gjaccliè  non  è  dubbia  efae  le 
prime  sue  ini|»ese  servirono  a  far^i  strada  al  con- 
quisto d'Italia»  dove  pochi  re  ,  pochi  iniperadori 
fccer  comparsa  egoale  a  lui.  Discenda» Teodpri-» 
co  per  lunga  serie'  di  ben  dieci  generazioni  da  Axìr 
gis  f,  cogpominato  AmaJo  y  che  fu  una  di  que'  fa- 
mosi eroi  de^Goti,  chiamati  dalla  nazione  o/ui 
o  semidei»  e  da. cui  prese  il  soprannoine  d^Amt^ 
]a  la  famiglia  di  Teodonco,  il  quale  era  altresì 
^chiamato  V  Amalo  per  distiogoerlo  da  altri  pria- 
i^pi  Goti  del  suo  tempo,  che  pur  aveano  Io  stes- 
so nome  di  TeodorJco  (i).  Suo  padre  Teodemi- 
ro,  re  o  giudice  di  una  parte  de' Goti  che  s'era- 
tH>  stabiliti'  nella  Fannonia ,  lo  mandò  in  età  assai 
tenera'  a  Costantinopoli  appresso   a  Leone ,  come 

[i]  Jornandes,  sive  Jordau.  de  Rcbui  Gct.  cap.  14. 


D.q,t,zed.vG00glc 


1 6  Deuìè  Rìtòluztohi  i»'  Itaua 

statico  della  pace  allora  fennafa  tra*  Romani  e  i  Go> 
ti  (i).  Così  ai  vantaggi  ddla' nasbita ,  edalle  do- 
ti DÉUuralt  potè  il  giovane  Teodorìco  ag|;iugiiere 
altre  qualità  che  non  avrebbe  forse  pcrtutovacquii- 
«tare  restaDdo  fra*  suoi  (i)  .■  La  necessità  in  eui 
ii  trovava  dì  procedere  con  rispetto  e  eoa  |fuàcdia 
per  essere  in  casa  «  nelle  force  Strili  «  gli  fece 
prender  conoscenza  delle  persone  e  dcjgli  affetti 
umani ,  e  lo  avvezzb  per  tempo  à  moderar  Is  na- 
tia fierezza,  lo  «dégno  e  l'impazienza.  Rimanda- 
to poi  Ubero  a  casa  dopo  dieci  anai  (  an.  47 1  } 
dallo  stesso  Leone  aagiisto ,  che  cercava  di  farsi 
vie  più  benevolo  tanto  il  figlio*  che  il  padre,  dath- 
do  all'  ubo  la  libertà,  all'altro  la  consolazione  di 
Heuperare  un  à:  caro  pegno';  se  ne  venne  Teodo^ 
rlco  nella  Pannonia ,  dove  Teodemira  era  pur  al- 
lora ritornato  vittorioso  degli  Svevi  e  degli  Ale- 
manni. Né  stette  molto  a  dar  pruovo  del  suo  va- 
lore nelle  opere  di  gaerra  j  perchè  in  assenza  o 
Senza  saputa  del  padre  mise  insieme  buona  mano 
d*  amici  e  di  vasìtalli  di  casa  sua ,  e  eoo  tale  èser- 
feiEo  marciò  eoofro  Bebedo  re  de'Sarmati,  méntre 

[i]  JorDande),  sive  Jordan,  de  Bebm  GeU  cip.  5a. 

[a]  Diodoro  Siciliano  e  Gìumìdo  haao  oucttMo  che 
fra  le  cvgiont  della  grandetu  di  Filippo  fendaiure  della 
monarchia  de'  Macedoni,  fu  Teucre  egli  stato  in  gioventù 
lungo  tempo  come  ostaggio  in  Tebe,  dove  per  la  cono- 
•ceoza  d'  Dpaoiiuonda  e  di  Pelopida  e  d'  altri  Greci  capi* 
tant  e  politici  apprese  l'arte  di  governare,  con  cui  inoalii 
là  piccola  per  l' avanti  ed  igaobii  nazione  de' Macedoni  so* 
pra  lutti  gli  stati  della  Grecia  e  dell' Alia  •  Justin.  lib.  6  in 
jine ;  et  lib.  7,  cap,  5.  —  Diodor.  liè.  16,  pag,  ^«7  <V' 
Boti.  lom.  6,  pag.  'i5. 


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Ijbxo  V.  Cupo  UL    r.  17 

costui  n*E(iidaTa  fcfo  e' niperbo  per  .una  nttoria 
riportetft  sqpra  un  mercito  di  Romani -(i).  Così 
GWMuuto  di  forze ,  d' esperìeaza  ,  di  riputazione, 
sUooedette  al  padre  nel'  prlacipato ,  e  rendi  egual- 
mmte  ue(ì«ss«ria  ohe  cara  l'amicizia  sua  a  Zeoo- 
ne*  il  quale  aotto  nome  e  colle  ragiooi  del  figHuo-» 
lo  era, succeduto  BeH'imperìo  d'Oriente  a  Leone, 
detto  ÌL  Grande ,  l' anno  spesso  che  morì  Teode- 
miro  (ak.  475)'.  Questo  nuovo  imperadore^coQ- 
fermb  troppo  volentieri  col  figliuolo  la  confedera'^ 
ziooe  cbe  s*era  poco  prima  rinnovata  col  padre; 
e  non  and6  molto  cfae  ne  provò  con  sommo  van- 
taggio gli.  efietti  :  il  che  fu  nella  ribellione  di  Sa- 
siHsco..  Zenone ,- scampato  anche  per  l'aiuto  di 
TeodoricD  da  quella  burrasca ,  Io  accrebbe  graor 
demente  di  ricchezze  e  d-  onori ,  lo  creò  patrìzio 
generale  dell*  armi ,  e  lo  adottò  per  figliuolo,  se- 
condo>.iI  rito  di  que'  tempi  (2)..  Ma  Zenone,  in- 
co^qtùsimo  e  sospettoso  ¥«"80  tutti  coloro  cha 
aveva  ingranditi,  e  sempre  agitalo  da  pensiinri  di 
ribellioni  o^vere  o  temute,  non  tardò  lungamen- 
te ad  inimicarsi  l' Amalo ,  cui  '  perfidcuneote  atM 
baqdonò  senza  soccorso  e  con  false  g&ide  alla  mer- 
cede d'un  altro  re  Goto,  cioè  Teodorico  il  Losco ,; 
che  in  quel  tempo  facen  ^erra  all'  imperio  •. 
L'Amalo  uscito  felicemente  da  quel;  pericolo  per 
Tomo  II    va 

[i]  Jorn.  cap.  55. 

{.a]  Ualcb.  de  Legat.  pag.  BÌ  et  Kq.  ip.  Tillem.  tom.  5 , 
tit,  de  Zgdod  ,  «Tt.-i3-i3> 


ovGooglc 


i    .  ■ 

iB  DeiìÉ  flrtétowqjrt  ^'Italia 

!a  geiwrbsftà  dd  tao  oakiODftl*,  •'pri«^f6  «rfla 
càrica  dì  generale',  ebbe  |*r  «léutìi  aBrf!  aipefta 
nimicizia  colf' imperadort ,  é  andò  èsIìtméDie  {■* 
fesfancio  or  fa  Tracia  ^  tir'  la  Ma«dbiiit  ;  fiftcM 
dopo  vari  fatti  d'armi  e  vttti  trattati  fìifléMÒ  boI* 
ia  dignità  di  prima,  e  fatto  %éatnAe  delle'mitìi 
^le  di  corte»  e  éreàto  consólo  nel  4^;'  *eni  tì 
nuovo  '  àtiimente  rìmperadorc  ofell4  guewa  ci^, 
vile  contro  dMllo.  Ma  offeso  lin'  alfra  +oltÀ  dati 
la  doppiezza  e  perfidia  lolita  dì  Zenone,  raBtìio 
quella  corte  e  si  ritirò  a  Nova,  capitale  dell*  ter- 
re che  possèdea  nella  Ména:  qiliodi  nel  486  av«n^ 
do  rionovata  la  guerra  contro  Zenone  ,  '  torob  n 
saccbeggiar  la  Tracia  fino  alle'  poi^e  di  Costanti-' 
nopoli,  dove  Zenone  quasi  stretto  d*àssedro  e  pìen 
di  paura  fece  propOTre  a  Teodorico  qu^ló  che  al- 
tre volte  gli  avea  negato,  essendone  da  luirit^tfr* 
sto .  Sette  anni"  prlriia ,  che  fu  nel  4^5  •  Tebdo^ 
rico  s'offerse  a  ZenoBe  dì  venir  lo  Italia,  e,;caoJ 
eiandone  Oddaere ,  di  riporre  sul  trono  Giulio  Ni'' 
potè  che  ancor  vived:  alla  quale  offerta  non  volJ 
le  corrispondere  I*  imperadòre ,  o  perchè  non  VO- 
IwBé  lasciar  Teodorieo  il  Losco  senza  rivale  o^a 
«putazione  che  godeva  allóra  m  Orienta,  o  per 
altra  ragione  ch'egli  avesse  (0-  Ma'  ultimamen-' 
te  vedendo  Zenone,  che,  abbattuti  gli  altri  capi-: 
tani,  di  ninno  più  gU  restava  a  temere,  che  di 
questo  stesso   Teodorico  ,    s*  avvisò    dì    levarsel 

[ì]  Malch.  pag;  84  ap.  TiIIeiB.  vt-  iS,  34- 


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.,      Libro  .  V.  Capo  UL  rg 

d'afìonio  ooa rlyplgf  r^o.alle  cose  d'Italia ,  dov«  qua- 
loDfjue  fosse  l*  «cito  della  guerra  tra*  Goti  ed  U 
pe  Odoaore ,  altro  clie  vantalo  e  stcureua  noa 
era  per  riaverne  1*  imperio  Greco  -  Imperciopchè 
se  Teodorieo  era  U  perdente  »,gU  si  toglievano  co- 
si le  'ktm  e  la  nputazione  di  nuocere  io  :  altre 
porti;  e  se  tiusctra  vittorioso  colla  roTÌna  d'Oi- 
doacre^  dovea  mdto  jttene  cbiamani  contento  del 
dAmiiHo-  d^  balia ,  fi  degli  acquisti  che  verso  Oc- 
cidente  e^i  potea  &re  *:  s,eDW  turbar  le  cose  d*  P- 
rtente.  ^Eradorico  <  benché  non  ignorasse  Tiatenr 
zione  di  anione ,  pure  accettò  animosamente  il 
partito,  e  s'accinse  all' impresa  .  Non  si  può  trop- 
po aoeqrtare  se  1*  accordo  che  sì  fece  allora  tra 
Zenone  e  Teodorìco ,  portasse  .che  'questi  *  con- 
qatstando  1*  Italia,  la  ritenesse  e  lasciassela  a'sutu 
À'aecndeati  come  stato  proprio,  dd  ereditario ,  o  ed 
più  aoa  qualche  dipendenza  dagl*  imperacbori  ;  o 
meramente  con  patto  espresso  *  che  dopo  la  mor- 
te-di Teodorìco.  doress^  riunirai  all' imperio  ,  co* 
«e,  di  poi  pretesero  i  Gceci  (i)  .  Certa  cosa  è  che 
i  Goti  si  valsero  in  questa  implosa  del  nome  Ro- 
mano ,  :e  che  Teodorico  si  comportò  da  princìpio 
come  capitano  e  luogotenente  di  Zenone,  il  qua-* 
le  {Basendo  solo  riconosciuto  imperadore  in  tutto  il 
dominio  Romano  ,,^i  presumeva  tuttavia  aver  di- 
ritto sopra  ritalia.  Ma  non  à  latao  certo  dall'altro 
canto,  qual  che  si. fosse  l'intenzione  o  espressa  o 

[j]  ProB>  df  9eU.  Goth.  |ib.  s.  cap.  0. 


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%o  Djslle  RiTOLuzioin  d*  Italia 

tacita  della  Corte  Bisaotiiia ,'  ohe .  Tcodocico  kcé. 
fermo  disegbo  di  ftMinaru  delle  provinete .  Itatiam 
ODO  Slato  proprio  ed  indipendente,  e .d'assìeurar- 
ne  a*  suoi  la  MiocessiotK  .  Una  moltitudine  ìoqu^ 
merabile,  fatto  di  diverse  gcpti  un  sol  popolo,  ù 
mise  ÌB  cammino  a  seguitar  la  fortuna  drl  prinoi- 
pe  Goto  cfae  la  invitò .  Né  solanieDte  traevaoo.iii 
Italia  uomini  atti  alle  armi  >  e  quelle  persone  che 
potevano  servire  alP  esercito  ;  ma  à  veuiKff  te  ^Ur 
ne  co*  bambini  in  collo,  e  grandittimo  muBMo.di 
fanciulli  e  di  femmine  d'  ogni. età,  Icoi  loro  be- 
stiami ed  arnesi  e  tutto  quanto  aveano'  di.  mol»^ 
le  al  mondo.  Furono  per  questo  effetto' fabbrìott- 
ti  carri  a  guisa  di  case;  e  si  adattarono  sopra  ruo- 
te mulini,  e  tutti  gli  altri  instrumenti  e. maccbi- 
ne  che  per  la  necessità  della  vita  potevuio  abbì- 
-aogaare.  La  qual  dosa  tuttoché  dovesse  cagtonare 
inBoito  disagio  e  notabile  rìtardanza  allaigueiva, 
nutasimamente  essendosi  ùtrapreso  sì  lungo  viag- 
gio  nel  cuor  dell*  inverno  ,  era  senz*  alcun .  fallo 
mezzo  utilissimo'  a  Teodonco  d' asnourani  in  pi»- 
cesso  dì  tempo  il  fermo  possesso  delle  sue  óon' 
quìste  .  Superata- dunque  l'asprezza  .de*  monti -Ira 
il  rigore  del  gelo  e  l'impaccio  d'attissime  -noTÌ> 
-varcati  Burnì  difGcilissimi,  noti  e  fugati  ì  Gepidi 
«he  si  levarono  in  armi  per  xxiatrutar'  1'  aodi^ 
'de'Ootì,  già  tutta  1* immeiua- torba  s'.ffmcinBva 
>^allMtalifl.  NèOdoacie  si  aUva- neghittoso  a  Kotìt 
le  novelle  di  lor  venuta  ;  ma  armatosi  gagliarda- 
mente alla  éiitast^  si  'few  iocMh»  -a  Sepdorìco'' 


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tiBRo  V.  Capo  DL  ar 

&o  alle  ultime -spiagge  deH*  Adriatico  (i)  .  Fu 
detto,  ancorché  con  esagerazione  da  panegirista  « 
eh*-egU  avea  'più  re  nel  suo  esercito ,  cbe  non  so- 
glia aver  soldati  un  genei;a]e;  e  che,  quati  sctio- 
titor  del  mondo ,  avea  mosso  cootro  di  Téodorico 
le  ùaiverse  nazioni.  Certo  par  bene,  cheOdoacre 
dovesse  aver  maggiori  forze  di  quelle  cbeoimdus- 
se  r  assalitore  ;  pur  nondimeno ,  o  perchè  Teodo- 
ric&  fesse  meglio  obbedito  da*  suoi  che  non  era 
Odoeere  p«  la.oonfìisione  ebe  cagitma  la  tsolti- 
tudine'  massimamente  de*  comandanti ,  o  perchè  i 
Goti  '(imbattessero  con  [hù  bravura ,  Odoacre  fu 
disfatto  nel  primo  incontro  al  fiume  Zonzo  presso 
Àquileia  .  Raccolte  e'  riordinate,  le  sue  genti  prea* 
so  a  Verona  dove  s'  accampò ,  ebbe  quivi  a  toc- 
care una  seconda  sconfìtta;  e  tra  per  queste  rot- 
tef  ,e  ia  diaerzione  dì  Tdà,  uno  de*  suoi  più  vec- 
chi generaH,  pareva  già  ridotto  airestcemo:  oor 
de  non  potendo  più  fìir  fronte  in  campf^oa  aper- 
ta ,  8*  era  ristretto  in  Ravenna .  Ma  la  gueri«  non 
ebbe  sk^  presto  6ne  >  come  mostrarono  le  prime 
^oni;  e  la  parte  di  Teoderico  non  fu  esente  da 
travagli  e  da  pericolose  vicende.  U  general. Tufa 
ch'era  passato  nel  partito  de' Goti,  non  trovtuido 
il  suo  servigio  bastevolmente  rimunerato  da  Teo- 
dotieo  ,'  come  fu.  sempre  difficile  di^ conteiUa v,  e 
■&iù  cotesti  capitani  dà  veirtura,<  passò  di  nuovo 
lAf  «bbedienn  d' Odoane  »  e    menò  sepo  nofabìl 

:4i>finiiod._»  Jib.  di«l0  I^odprv  wgc,  pag.  5oi-a-   . 


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22  Delle  RivoIuzIoni  d*  Itaua 

baada  dì  gente,  dì  cui  TeodOTÌco  gli  '(iv«&  dato; 
il  comando.  Nello  stesso  tempo  quel  Federico,, 
principe  Rogo ,  eh'  «a  stato  sì  caldo  -a .  sollecitAi 
ì  Goti  a  portar  la  guwra  in  Italia,  poco  soddisfat- 
to di  Teodorìco  ,  o  allettato  da  .  piìt  motangfosB 
condiziooi  che  gli  offerisse,  il  oeniico,  passò'aBcor 
egli  dalla  parte  di  Odoacre  ,  dove  por  .^tro'  bob 
istette  molto  a  romperla  cogli  altri-  jcapi  -  di  quei 
partito.  Ma  intanto  il  re  Goto  phe  ^'à  era«  fat< 
to  padrone  di  quasi  tutta  l'Italia  .'ftcenato  ed  al^< 
battuto  per  queste  rivolte^  fu  costretto  aclùud^- 
si  in  Pavia,  bitta  particolarmente  inoliofita'a  lui 
per  la  -memoria  de*  mali  sofiecti  da  Odoacw  neUa 
disfatta  d'Oreste.  Era  quella  città ,  heijohi  auai 
forte  io  quel  teippo^  poq  perjl)  mo|to^i«|ule  ;  on- 
de fu  d'  uopo  fabbricar  'nuove  '  c^e  ed  innalzar  le 
antiche,  perchè  vi  potesse  capir  ^ófa  genti:  e  i 
vecchi  abitanti  coi  barbari  vi  stettero  '  eosìt  stivati 
41  meglio  che  fu  possibile,  Uà  tal  partito  doveva 
.parer-  azu-dfso  a  priina  vista ,  pel  peri<s>lo  ragt- 
-ni restissimo  di  ptirir  della  fame  ^alora  vi-  foiae- 
To  ««sediatì ,  com^  era  ragiònevglnMsotf^  44  aspi^t- 
-t&m  .  Ma  Tecfdorico  q.  per  sentin>eat(>  d'mnaiutà 
'non  voHe  abbandonare  al  furoV  de*- nemici  quella 
genie  inerlue  che  s'era  fìdàtajn  lui,  é  pierder:CO- 
cù''l'affetto;e  la-confìdanM'ide'  popeH.chs  troppo 
gì'  importava  di.coocilim-si;  o  véramiilttv^fglJoòo- 
fuìò  moltissimo  nel.  aocQorso  de*  Viùgoti  *  spoi  an- 
tichi nazionali ,  che  dalle  Gallìe  aspettava  ^  che 
ia-'fdttl  gioDsero  'wcoi^' peE.teoipo.  Tra  pWqueato 


ovGoo^lc 


'      Libro  V.  Capo  ^.  i3 

aiuto  de* Visigoti,  e  per  lo  scompiglio  e  lacoufu- 
siòDè  -eh*  entrò  improrTÌsamente  neli* esèrcito  d'O- 
doBore,'  7eodorioo  riprese  assai  tosto  il  vantaggio 
di  prima,  e  non' solamente  si  fu  liberato  dall'as- 
sedio, ma  rispinti  ì  nemici  e  'divenuto  quasi  im'- 
màntinente  assedìatore ,  bloccò  Qdoaere  nella  cit* 
tà  di  Ravenna .  Il  vero  è  'che  Odoaere  potea  star 
ehiuso  in  qtiella  città  a  fiiiglior  condizione ,  che 
non  avrebbe  potuto  far  kingamonte  in  Pavia  Teo- 
dorico;  perchè  <di  Ravenna  restava  ad  ogni  even- 
to-sicuro  scampo  per  mare,  ed  era  per  la  stessa 
via  'molto  facile  il  rifornirsi  d'uomini  e  di  vetto- 
vaglie, per  aspettar  le  nuove  vicwide  di  quella 
guerra .  Con  tutto  questo  ,  mancata  forse  agli  as- 
sediati la  sperane  d'  aiuti  stranieri ,  e  della  pro- 
tezic»ie  che  Odoaere  non  tralasciò  di'  cercare  in 
questo  frangente  dall'  imperador  Zenone  ;  riè  cre- 
•d^bdo  di  trovar  fuòri  "di' Ravenna  e  d'Italia  sede 
«itìif*,  sì  venàe  a  trattar  d'accordo  cogli  aKedian- 
ti .  l^  accordo  si  fece  veramente ,  ma  le  coadmo- 
ni  particolari  di  qud  trattato  ci  sono  ignote  .  Se 
'non  che  la  storiarne  accenna  confnsam'ente ^  ohe 
Teodorico  acconsentì  cH  conservar  la  vita,  ài  suo 
emolò ,  e  di  lasciargli  qualche  parte  ancor  dello 
'&tato  d' Italia .  Ma  troppo  è  raro  che  tali  promes- 
4e  sienb  sincere,  e  che  le  paci  che  si  fanno  dòpo 
odio  inveterato  e  nimìcizia  esercitata  oon  grati  fu- 
ro je  ,  sieo  dtfrevoli  e  sicore.  Ora,  qualunque ios- 
'se  il  p'riiAo  dei 'due'recbe  4ent6  d'andar  ^ebntro 
ij- patti,  l'esito  fu  pur  tale,  che  in  .capo  alpochi 


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3j4  Dejxe  RiyOLuziONi  ij"  Itaua 

.giorni  dalla  tesÉi  di  Raveooa  Teodoi't£&  '  toke  di 
4)'ropria  tnaao  la  yila  ad  Odoacre,. nella  'Sui  mor- 
,te  ebbe  fine  ua'avpra  e  rabbiosa  guerra'  di  quat- 
.tro  a^D)  coDtiDàt,  iS  che  fu.  oagioBe  alltltalis 
d* iafiahi;  ma]! ;  pereti  le  città',  «  i  borghi,  e  le 
joampagqe^  oocupatealternatÌTanHHite  orai^l*  uno, 
ora  dall'atro  partito,  erano  egHalmeote  sposile 
e  devastate  da  amendue.  E  come  se  i  danoi-di 
questa  intestina  e.  possiam  &'re  civile,  guerra  fos- 
sero leggier  cosa  air  afflitta  Italia,  vi  s' giunte 
un  terzo  nemico  a  desolarla  con  più  furore .  I 
Borgognoni  o  Burgundi;  ohe  sotto  il  re  Gonde- 
baldo  tenevano  la  Savoia  e  la  moderna  Boi^ogoa 
con- altre  provinole  delle  Gallie,  vedendo  J  due 
re  pretendenti  del  regno  d'Italia  forte  oòcupati  a 
combatter  fra  loro,  passate  le  Alpi,  vennero  non 
solo  a  dare  il  guasto  alla  Liguria,  ma. predando 
tohe  e  bestiatm  quanto  poterono  trovare ,  ne  me- 
])aronD  anche  schiavi  molte  migliaia  d*  uomini  ; 
talché  le  campagne  1  che  per  gli  ordinamenti  di 
C^lc^aere  aveano  cominciato  a  rifiorire ,  ancora  p«c 
queste  incursioni'  de?  Burgundi  ricaddero  nella  pri- 
mieta  solitudine  ed  ìncoltura  ,  e  minacciarono  a 
cjoloro  che  scampavano  dalle  mani  de*  predatori, 
gran  caro  dì  viveri  e  gran  famer.  A  tutti  questi 
mali  un  sol  conforto  ^iveano  d*  ordinario  i  miseri 
jho^G  ,.  ed  era  la  carità  ed  il  sc^ecìto  zelode*  re- 
«covi  e  de*" sacerdoti .  E  certo,  «.mai  i  ministri 
della  ^ligione  giovaroqb  agH  uomini  anche  per 
le . cose  . temporali  ,   io.  que»ti  tempi  furtmo  e|  , 


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.  treno  V.  Capo  IH.  aS 

Iraragliafo  mondo  ^'ovevòlì&simi .  Stimo  io  qui 
pertanto  soD.  disconveoirsi  a  questo  luògo  il  dìmo- 
èttare  succintameote ,  come  in  cotesti  tempi  che 
ora  discorriamo  y  aresttr  prìad|Ho  quelle  signorie 
ecclesiasticlie,  le  .quali  poi  ebbero  grandissima  par- 
te nelle  rÌToluzioni  cbe  avvnmero  in  Italia  eà  al- 
tri regni  dell*  Occidente  ne'  sectJj  suss^uetrtì.  La 
quel  c^sa  o  non  intesa ,  o  fìi  per  malignità,  dis- 
simulata dalla  più  parte  degli  autori  die  di  qne» 
atì  domini  temporali  della  Chiesa  anno  scritto . 

C    A    P    0        IV. 

t-    Orbate  tklta  podestà  e  ad  dominh  tcmporaU 
degii  ecclesiattici. 


xje  calaraiìà  grandissime  che  totte  le  provìncia 
occidentali  sostennero  dalla  malvagità^  de' ministri. 
imperiali,  e  dalla  forza  de' barbari  i  quali  si  soor- 
gevano  manifestamente  guidati  dal  voler  sopecio- 
re  del. cielo f  ayean  rivolti  molti  mortali  al  pen* 
siero  di  religione,  ^i  uni  per  trovar,  come  ri 
suole  ,  coosolaztone  nelle  -  miserie  presenti  ^  e  g^ 
altri  per  riconoscimento  delle  prosperità.  I  Goti» 
i  -Vandali  o  gli  altri  barbari ,  ancorché  o  cooveiv 
.titj  -di  poco,  tempo  al  Cristianesimo,  o  infetti  del-' 
jjliiiaoa  eresia,  e, molti  di: loro  tuttavia  immer- 
si nella  superstizion  pagana,  riconoscevano  la  fe- 
lipità  dell'armi  loro  dal iàvoce  de!  ciel<p.  £8Ìccoine 


=aovGooglc 


«6  Delle  Rivoluzioni  d'Itali^ 

pio  volle  ool  braccio  di  queste  nazioni  flagellare] 
Romani  (i),  così  non  è  faos  di  ragione  il  crede^ 
xé  che  rìnuiniirar  Tolegse  la  religicmé  loto  t  tutto- 
ché diCettos9  ed  erronea,  con  temporali  vantaggi: 
La  virtù,  e  la  santità  de*  vescovi ,  che  in  q«wto  se- 
tolo fu  in  molte  provinde  singolare  e  maFavì^io^ 
«a;  (regolando  Iddio  ogni  cosa  con  modi  vari  ed 
incomprensibili),  giovò  anche  assaissimo  ad  in- 
generate negli  uomini  barbari  rìverenEa' e  vmera- 
zìaoB  al  nome  Cristiano  ed  alla  legge  evangelica. 
G)sì  il  primo  visibile  effetto  che  produsse  in  Ita- 
lia r invasione  e  poi  la  signoria  de'  barbari,  fu 
r estìnguimento  totale  dell'idolatria.  E  dove  sotto 
i  Romani  augusti,  eziandio  fatti  Cristiani,  appena 
si  ardiva  nel  senato  professar  il  vangelo ,  sotto  un 
re  barbaro  divenne  nel  senato  medesimo  delitto 
.  capitale  il  solo  sospetto  d*  idolatria  (2)  .  Ma  i  tra- 
vagKftti  sudditi  dell'  imperio  trovarono  vantaggio 
temporale  nel  rispetto  che  i  loro  vincitori  ebbero 
alla  religione  :  perciocché  nel  sommo  disprezzo  che 
fecevano  i  w  barbari  degl'  imperadori  e  .de^bro 
ufEziali ,  dovette  la  carità  de'  sacri  ministri ,  a  fine 
di  provvedere  a' bisc^  temporali  de' loro  popoli, 
.  impacciarsi  grandemente  nelle  cose  dì  stato . 

Anche  sotto  Enrico,  re  Goto,  che tenea par- 
te delle  Spagne  e  delle  Gallie,  i  vescovi  non  so- 
lamente furono  spesso  impiegati   in    varie   amba- 
-,  «cècie  per  trattar  paci  e  legfaetÈa'Goti^i  Romani, 

(0  Salv.  Je  Gnber.  —  Àugust.  d«  Civ.  Dfii. 
(3)  Boeth.'  Itb.  òo  CoDiol.  Thiloi. 


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'  -    Libro  Vi  Capo  IV.  ay 

ma  Inailo  ònKaariàmente  èfaiamatì  in  fufte  le  aa-> 
sem%lee<c^  ìli  tenevano  i&  ^eAe  'proTÌDciie  per 
regolare  i  pubblici  affari  (r)  .  Ma  Tltalia 'eb- 
be speBÌalmeote  à  seiìtìFe  i  salutévoli  effetlt  del- 
la parte,  cbe  si  «dovettero  pigliare  i  vescovi  dbU 
le  tnnpoFali -fauceodèl  Nófo  è  per  tutta  la  stCM 
rk  ',  come  t' ìtitet^HMizioDé.  del  muto  poatefite 
Leotìe  I;  scampzfssft  la  eitf à  di  Boiba  dalle  ^dé 
Tovfnatricì  degli  Unni .  Qoesftj  stesso  pontefice  ali- 
teone  dal'  Vafidak»  Kyehserìco ,  che  nel  setìofldft 
»aceo  di  Rbtnà  fes^rò  éoìiséiH'afé  le  pel^otìe  e -le 
case  de*  <iÌtt»tÌDÌ  ;  it  cbe  A  àderàpi  in  quanto  fu 
potìibile  in  cosi  fatti  casi'.  "^E  partitt  cbe  si  fiJtó- 
ho  i  nemici ,  bob  altri  tneglib  thb  -san  Leone  si 
fidóperb  a  ristorare  ì  danni  del  patite  sacdfa^gid, 
Bfel  tempo  stesso  '^k  dn  *ltrò  santo  Téscovo  Éi 
Cartagine  v?sa  indicìbile' canta 'èÓDfin>lai^ -è  %oiMe- 
iiev^  grandissimo  numero  di  Romaài  cràdotti'  pirf- 
■gitìbi  ià  Cartagine,  parte  de'  quali  riscattai ■  poi 
in  appresso  ritornarono  ad  àbftare  la  perduta?  pA- 
■trìa  (2).  Fdofai  aurni  dopo  pqfecdhi  vescovi  dJBa 
l^mbardia,  comesant'Epìfòmo  di  PanV,  Lb- 
,  renzo'  dì  Milnò,-  Vittor  di  Torino,  fecero ift  vaft- 
fag^ìo£  queste  Provincie  tutta  quanto^  pótvebbe 


tìoncique.  portantur .  jipol.  L  6.  ep.  Ù  ad  Basii- .  ..•  •  per 
■■  VOI  legatione*  meaiit .  v  obi»  prinium ,  quimqaam  prìncipe 
abMDle,  non  lolnm  traciaia  rKScrautnr..   verum    ;tiain    tran 
fclanda  commlcitiiitur .  Ihid.  episC.  6  aà  Graecunt,. 
(3)  V.  Orsi,  et  Tili.  Biili'eccWi.'  '    '     ■ 


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%ó  Delle  ^watvzvssi  n'  ItalU 

TreTÌrì  (i) .  E  nella  stòria  della  chiesa  dì  Reinu 
si  trova  frequente  menziotie  ài  colali  fortezze  che 
i  vescovi  del  quinto  e  sesto  secolo  edificaroiio  a 
difesa  de*  lor  diodbsani .  Òr,  come  questa  è  a 
mio  credere  la  prima  e  più  antica  origine  de*  do- 
mini territoriali  degli  ecclesiastici ,  così  1  àUtorì* 
tà  che  la  condizione  de'  tempi  ed  il  pi'oprio  lo- 
ro zelo  diede  a'  vescovi  nel  pubblico  codsiglio  del- 
le città  e  nelle  corti  de*  rei  diede  principio  a 
quella  possanza  ch'essi  ottennero  poi  grandissinia 
in  tutti  ì  regni  dell'  Occidenfe,  particolarmente 
dell'ItaHa^  E  bel  seguente  capitolo  si  farà  inen- 
zinne  «une  i  vescovi  di  Pavia*  dì  Milano  é  di 
Torino  ebbero  moltd  parte  a  rimettere  in  ìstato 
le  cose  d'Italia  dopo  la  rovinA  d*Odoaare  e  la 
vittoria  de'  Goti , 


fi)  BaeC  vtr  apostolicui  Nicatiol  arva  |>«ragraw« 
Condidit  optatum  pastor  ovile  gregi  ■ 
Tnrribai  indtixit  terdeais  undique  collant; 
PraebBÌt  liìc  iabricaoi)  quo  ncmut  ante  f(rìt> 

yenant,  Fortunat.  da  Cast,  leali  Ifìcet.  Uh.   5  carm.  io- 

Vid.  Crinofh.  Browtr  in  notis  pag.  8i. 


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'  ■  '  tJBRo  V.  Capo  V^       '  3r 

■'     ■    '  C  i   f  ò   ■■  .'V.^    ■  -      .'     ■    ■ 
'Staio  ^  fialùi  sot/e\Tko(ÌoTÌcó:  grandezza 

JVlóI^'MTitniri  di  quelli  cbe  fraltdrdno  la  storia 
éi  'CeOd<irifìo,  intaal^drond' 6fao' al  cnélo  la  mode' 
raiìone'di'rui  in'cib.'cbfe  potendo  per  ragion  di 
con<!iuista  reggere  secondo  le  l^gf  di  sua  nazione 
le  pròTÌflcìe  Italiane,  volle  anzi  assoggettarsi  alle 
leggi  .romane ,  lasciando' i  Vioti  nello  statò  diprì- 
Dia  ;  laddove  '  t  re  EVabcbi  ridussero  '  quasi  alla 
condizion  di  servi  i  popoli  deKe  GalHe.  Ma  sen- 
za panto  s«jeniar  della  lode  di  questo  re  che  so- 
lamente da*  barbari  ingAgni  potè  meritarsi  il  no- 
me di  barbaro,  non  è  però  dà  tacere  cbe  ì  mo- 
di cb*  ei  tenne  nel  suo  governo  ^  furono  efletfi 
non  tanto  della  naturai  sua  clemenza,  quanto 
della  sua  politica  e  della  sua  accortezza*  o  forse 
ancbe  della  necessità  cbe  ve  lo  astrinse  .  Cbe  i 
Franchi  trattassero  alquanto  più  aspramente  le 
Provincie  cbe  conquistarono  nelle  Galb'e ,  che  to- 
gliessera  a'  vinti  i  due  terzi  de'  beni ,  ohe  in  ve- 
ce  delio  leggi  Rottane  il  re  Clodoveo  pubblicasse 
un  «uo  codice  di  leggi. divenuto  famoeo  ne* poste- 
riori tMDpi  per  un  soia  brevissimo  articola  fra 
più  di  settanta  che  ne  comprendeva,  non  ci  dovrà 
parere   strano ,    se  noi  riflettiamo   che   Qodoveo 


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3s  Delle  RiTolvziqni.  o*  Italu 

assaltb  le  GaUie  come  nemico  dichiarato  del  nomo 
Romano ,  e  rìsohito  di  iDvcaciar  lo-  stato  delle 
Provincie  dov*  egli  portava  l' armi ,  e  dì  signoreg- 
giarle a  MIO  arbitrio  (t) .  Ma  Teodorìco.  vt>on 
elisegli  entrasse  armato  in  Italia,  per  distruggere 
gli  ordini  dell*  imperio  *  ci  venne  al  contrario  cO' 
me  liberator  de*Bomam,  autorizzando  1*  impresa 
col  nome  d'nn  imperadore  d<  cui  ri  dichiarava 
vassallo.  U  perabè  non  sarebbe  stato  prudente 
conyi^io ,  eh*  egli  contro  la  data^  fede  togliesse 
agi*  Italiani  quelle  I^ggi  e  quella  fordia.  di  gover- 
no, a  cui  erano- per  tanti  secoli,  assuefatti*  e  che 
Odoaore  «tesso  non  avea  abolite '■ .  Ned  era  si 
grande  il.  numera  de*  suoi  Goti, 'almeno  dopo  i 
disastri  della  passata  gueiTa,..che  per;  ricetto  to- 
ro portasse  il  pregio  di  sciinvólgere  tutto  il  siste-t 
ma  d'un  paese  grandissimo  .'  ]?er  idtra  sparto  aóa. 
erano. i  Goti,  di  lor  natura  né  inumani  ed.  incivi- 
li ,  né  avversi  alle  massime  del  governo  iKonutnc^^ 


(i)  n  Mopteaqaieti  n«(  ÌA.  i9,  cap^  3  ,*  e>  'piii  spnìaT- 
mente  nel  Uh.  ìQ,cap.  a3,  i{  tf^lp  Spirilodellé  Itssii^ 
rìgelU  aaimosainfole  come  ckinREv^o  il  .liiteiDa  dell'abate. 
DuboB,  il  quale  in  un'opera  volaniinaia  sopra  lo  stabili- 
menta  della  nqnart^ia  Fnncéic  pretentle  mùiintt  blie  i 
primi  te  CraDcbi  foueio  noa  loltnienit  ÌKvUaiii  d*^  pepali 
(Ielle  Gallte  a  lor  difesa,,  ma  autoriszali  esisudia  dagllim-, 
pcradori  Romani ,  da  cui  lappone  leuza  il  fondamento  bii- 
tlemle»  che  i  principi  Franchi  foMero  creati  loro  Ja«go> 
renenli  or  con  titolo  di  consoli  ,  ur  di  proconsoli,  e  sem- 
pre con  grado  di  lor  capitani.  Veggasi  ancbra  su  questo 
punto  d'  istoria  Francese  nn  opuscitfo  di  i^ilpniua  A. 
Orig.Franf or.  .Daniel  f^rèface,  à  V  llist.  de  France,.. 


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Libro  V.  Capo  V.  33 

aaxi  egK  è  ofàmone  di  Grozio  (i)  e  d'altri,  che 
il  nome  di  Goti  fosse  dato  a  questa  nazione  ncm 
per  ra^oni  del  paese,  ma  per  riguardo  alla  ci- 
vilità  de*  lor  costumi.  £  si  Teodorioo,  che  gli 
altri  Goti  eh'  erano  vivuti  ne'  paesi  Romani,  po- 
teano  veromenie  aver  concepiito  odio  e  sdegno 
contro  la  malvagità  de'  Greci  mioistri  ed  ufììzia- 
li  degl'  imperadorì ,  ma  non  già  disprezzo  delle 
leggi  né  degli  oidini  dì.  governo .  Il  miglior  par- 
tito che  potesse  dunque  prendere  il  nuovo  padro- 
ne ,  era  quello  di  obbligare  i  vinti  a  osservare  le 
proprie  leggi ,  ed  avvezzare  gli  stranieri  ad  assog- 
gettarvisi.  In  fatti  Teodorico  dimostrò  sempre  di 
voler  governare  l' Italia  non  da.  straniero  ne  da 
conquistatave,  ma  come  capo  della  repubblica  in 
quella  guisa  che  avea  fatto  Augusto  nel  dar  prin- 
cipio alla  sua' 'monarchia .  Ed  eccettuati  alouui 
statuti  particolari  per  le  controversie  emergenti  tra 
Goti  e  Goti,  còsi  i  vinti  che  i  vincitori  goderono 
«otto  di  lui  egual  (dritto.  Vera  cosa  è  che  te  co- 
me barbaro  e  come  conquistatore  Taodorico  non 
roreseiò  Io  stato  generale  d' Italia  e  la  condizione 
àia*  vinti ,  ^li  fu  molto  vicino  a  rovinarne  una 
porto  come  vincitore  di  guerra  civile ,  appunto  in 
quel  modo  che  lo  «tesso  Augusto  avea  fatto  do- 
po U  floonfitta  de'  oongiurati  e  la  rovina  di  An- 
tonio. . 
Tono  U.                   3 

'* 
[i]  OtMii  Pr«k^  Biit.  Groihor. 


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34  Dellx.  BnroLunoHi  i>*ìItaua 

Buona  parie  'de'  Lngorì  arean^  segEtitftto:.jt 
fiartito  dì  'Odoaore  «  o  pttr^^  si  cred«sse|K)  -objblì- 
-gati  a  sostener  qoellQ  cbe  avcfrano-  iica|KiS|cài|i|o 
sovrano  oon  promessa  d*  obbediensa- e  diiede^o 
-perchè  pendeote  ,1*  esita  della  guerra  avasasro  rstf* 
canato. Odoaore  il  più  ùxte,  e  -perb.più'naiFo  par- 
tito da  seguitare  .Per  Io  cfae  Teodorico^  rimasto 
vincitore,  fu., per  ;veiidicani  de*  leguaià  .della:  ^ 
uon  >oontraria  ,  .con  Sa^  di.  loro,  ^ua^  .una  gen^ 
ral  pTotcrizione  ,  ipogli^ndaU  di:  imn-r  j;iinoiiex^ 
ii  perpetuamente  da  ogn^.  sorta  d'uOSzi,  ^w  .cer- 
to modo  privandoli  deUa  libertà  .ci^ile^,  ta  cpial 
jjosa  >^ando  jì  fosse  eseguita,  inen  potea<Jaf:di 
.meno  c^a. mettere,  in  grandissimo  scompiglio  -tool- 
te  città.  Coloro  che  ne  temevano,'  mpeaen  iliiuqn 
vetoovo .  di .  Favia,  Epifanio  a  portarci .  .al^  ..cRrt^ , 
a  fine  .di.  placar  Teodorico  e  nuuacerla  .da,  c^ 
.{tensierq.  .V* and&flpifanio. ,  e.^enaodoa  pBii;com- 
'paguo  di  quella  .cantatevda  ^basciata  aan-Lo- 
refuco  di  3Mlilano,  seppe,  così  bemj.fait  «an«ici9Ce 
i  disordini  che  sarebbcra.nati  da.  i|aeI]a.:.>pi)08aEÌ- 
2Ìone,  -cbe  ìlre,.  perdonando;  all!.univerÀIe,  li 
contentò  per  sua  sicurezza  di  dar  ban^odalkt  ^ 
tfiff  a. quelli  solamente,  ahi;, sbafino  mostrati  più 
«aldi  e  più-.ostÌDati  .a.&xgU  eontroj  ■  :  ■•.^ 

-Né  qui  ^  stette;  il  T^ta^p  db»  1*  qpeca.^i 
-  qijèl  valoroso  pastoce  fruttò  allota  »  :quesfat  :pa3- 
Ttnd(^..ll  recbe  conosceva  1*  abilità,  di':  ^lifi^HO , 
fi  il  ^re^to  ,(jie  la  svitità  ,fj^.  captyliaE^,  ì^  yolle 
impiagare  ip  un*  aìtU'.«Dibasce9a,^,lli<ouicQitt  «ca 


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tr^o  y.  Capo- V.  85 

tji  niqesar  a*  patri  tetti  quegli  si^Bnturali   Liguri 

efae  i  Scyrgognooì  aveacò  fatti  ptigiopi  e  condotti 

oTtre   1*  Alpi  nell^  ìdQurBÌone   che   fecero  diirandoi 

la  guerra .  Accetti?  Epifapìo  questo  itfcarìco'  assai 

Velf!fltierì/sra  per  obbedire  al  re,  sia  perchè  ^ra 

Ut)  nsgpzio  convsoeTolissima  al  suo  carattere  ;   ^ 

per  riuscire   vie  meglio   ia   quelP  joipresai    toHo 

aver  p6r  compagaO'Vìttor  dì  Torino,  uno  de*pi£| 

t^^^ardévoli  prelati  di  qqeir  età  .  H  successo  dd- 

Taaibastììata  dtlqùetti  do?' vescovi  fu  ch'eu)  ot- 

téùùtfra  gratujtamepte  la  liberti  di  seimila  pTjgio- 

ni  Italiani ,   oltre  il   gran  numero  dì;  quelli  cui 

tise$tl^ronÉ>  ool  danaro  c&e  loro  diede  il  re  Tep- 

"fltìridOf cché  àteiioe  nedie  e   pie  persoqe   della 

'Ste^  OàUiA  v*a|^uil^rD  per  istimolo  di  carità, 

e  ^p^  dare  ài  dna  vescovi  Italiani  tjlttrto  segno 

déllaf  «tìrtJa  6  dell' apttjr  loro.   Bfe  E[iift(nÌ'*  dopo 

'^'wj^r-fìmttaixf  iootì  gran  moltitudine  di  penoio 

-afte'lot  pattié,   ftr  poi  è^i  8*é^   il  tìstoratore 

aÉBH'**  fòrtiUia.  etìrme'era  stató  mftdiat»rè  defl^ 

;H^^arata  Hbe^;  à^operftndilisf'coti: Ietterà  prrt- 

i90<éBti«,  perdio  fossero  ataeora  reUituiti  ne-  ló- 

-TÓ  -flveri'-.  ■■  .  ■  '  ;    \-^  .-.    > 

1     Questa  premura  oV  ebbe  TeodoflcòidìJ  rwetrl- 

tar  i  pr||ionf,  *f  la  fatóKtà  con  Otti  sMndUsa^tan. 

ìoi^a.  Tes'titillìfK  ni&r  lóto  l«bH  qaatitó^  9  rimetter» 

seilai'pritBwte'fwtBttft  qaeRi  cy*raiio^  rfàti  nioi 

'  fttMnkv  fétìe  condscfcrjf  éht  ^à  principàl-  cunt  d«l 

Ttf/  dà  rfie  sr  fii  stabilito  sul  tròno,  era  di  tipó- 

polate*e  <Mltivar  P  ttalia^  Nan  Bcottleota»  i/Vecoiu 


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36  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

abitatori  ,  e  destinar  a'  suoi  Goti  competente 
porzione  delle  terre  ch'egli  aveva  conquistate  col 
braccio  loro ,  non  era  cosa  di  leggièr  momeato . 
Ma  Teodorico  conoscendo  ottimamente,  (ìhetióB 
^'à  le  immense  tenute  di  poderi',  ma  la  ooltiva- 
zione  di  quelli  arricchiscono  le  provfAcie*e  i  par- 
ticolari,'  e  li  mettono  in  istatodiftrhir  l'tìario 
del  principe;  venne  perciò  al  t^ìo  oecessal'ioi, 
ch'era  di  togliere  a^Mtaliam'  un  -terao'  deHe  ktfr 
terre  per  darle  ai  Goti.  Questa  c^Trsioiie  di  ^l>«5 
'dolse  senza  dubbio  ai  padroni  i  a'  quali' nbn  '  p>fr 
punto  cbe  fosse  pagato  dal  tie^'o''fi9co>il  pr^o 
de'  beni  che  si  toglievano.  lUb.  oltreobi'  dosea- 
no  darsi  pace,  pensando  'ch^éssì'-eitiaò'''tuttavia 
trattati  più  umaDainente'  assai,  che  ^aon-haaao 
dai  Franchi  t  popoli  delle  Gatlie,  a^  quali  s*>ént 
lasciato  solamente  ii  terzo  delie  terre',  e  «he»  do; 
vettef 0  essere  io  gran'  numero  ridotti  ìiellà  ne'ce»* 
sita  di  diventar  come  schiavi  di' gleba  èm  nhó» 
fori  ;  .^ti  è  da  ci^ere  che  Teodortoo  si  'Stadiasc 
se  di  far  la  distribuzione  m  tal -modo  >-  eh'éHa 
fiisse  ool  mh»»'  disturbo  possibii»  de'  proprietari-, 
e  che  la  dìsciezioue  nelP  eseguire  rendesse  'meno 
grave  il -pulito,  arduo  per  sé' stesso  è  ptaksolo*- 
SO,f'di  lerat  aigli  uai  per  dareag)!  altri  (i)--  £rioir 
arò'in  qtusta-oesft  moItissimo.Ja  eiiuidiuoBe>titessà 
'deHe  guMTe  cb' e^Ì  avea .TÌotb . -  Già;  fo  '■  pór<nM 
«tostralo   più  sopra,   ohe'  Odoacite^  -idistatto?  ci] 

(0  V.  Groiii  Pfolegom.  ad  Hitt.  Gothor.  —  E»prit  de» 
lioiiUb.  a8,  cap.'S  ,e(  i«qf     ■■'  ...  '-*.i   . 


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.  .   LiDRO  Y.  Capo  V.  S7 

)i6mw  On:ste ,  e  deposto  Àugustolo ,  avea  distri'- 
buito  ai  'Rugi,  Eruli'  ed  altri  suoi  seguaci  il  terzo 
delle  terre  dMtalia.  Sicurameate  il  più  di  cote-^ 
sti  barbari  da  lui ,  beaeBcati  preser  le  armi  in  fa- 
vor 8UD  contro  Teodorico;  ed  è  assai  verisimile 
ehq  molti  di  loro  o  periti  uella  guerra,  o  puoiti 
e  banditi  dal  viocitOFe,  lasciassero  vacanti  le  ter- 
re, ofae  ptMsedeyano .  Tracotestc  poi'ziaDÌ  e  quel- 
Ift  cke  Teodorico  stimò  bene  levare  ad  alcuni  Ita- 
liani deVpiù  fni'vidi  partigiani  del  suoavversariot 
jp^i  .«bbe  per  avventura  poco  meno  che  il  baste- 
Tol« -da  «ootentare  i  suoi  Goti,  senza  dover  per 
questo  'stnliOTer  molti  pacifici  proprietari  dalle  lo* 
xo  T^o^fesàoDÌ  per  là  destinata  distribuzione.  Co-^ 
;unM^e>  sia  ,rabbiamo;  argomento  .di.  giudicare  che 
gl^.Ha]iaxu7«f  tennero,  ben  jn-estD-per  contenti  del- 
le ionov^ifmi  o:graadi  o  piccole  chefece  in  sul 
pw^cckr  .delle  terre. il  jguovo  re;  e  che  1' effler 
éveÌM  età  Qdtì.Ieican^agne- non,  solamente  non 
£ti' ifOpove  né  di  rammarico  '  ^è  di  'disturbo  :  agU 
atldchi'  f^ùtatori,  ma  fu,  direi  quasi ,  un:  vìi^c» 
J«  ^'Opncordia  tré  le  due  nazioni  per  F  aiuto  vi- 
o«devgl».':'qhe.riseyBvano  g^*  nni  dagli  altri  tanto 
rigsondo,  alla,  eoltivteioof ,  quanto  al  commereic^, 
aniókatùr/  prlndtjiajissima  4ell' ■  agpcoltura  (i.)« 
L'aototC' d^'^vesti -oidjiii  vanta^iosl- noi}  mena 
aifiiincipe  (^' aifBoggetlàr  cr^'anpesset^  stato 
j^itwffiov  'bba  Jb'^ib'  primo   precetto  4el  foretorìo 

IO  Caiiiod.  Vdrior.  lib.  ajitpìtfc  ■igji  ..  t 


ovGooglc 


36  Delle  ^Rivoluzioni  d'Italia 

d*  Italia  sotto  T'eodorlt» .  Degno  h  A*  dsèer^  «[tif 
rapportato  uc  tratto  di  lettera  che  a  qae^6  ÌJi* 
berio  scrisse  Etinodlb  diacono  e  poi  teseòTO  di 
Pana,  uomo  di  somniil  credito  in  (]uesti  tèmpli 
H  Appena  con  V  enormi  spese  del  pubblico  iH  pft>- 
n  cacciàra  per  T  addiètro  dì  ^hè  pascer  l"ftatla'i 
»  allorcbè.  tiìttó  ad  lin  batto  le  de^  -  spUfVbA 
»  d'  essere  ristorata ,  e  la  ponesti  ih  istàte  &  ^fc* 
»  gar  tributi.  Noi  per  la-  tua'  dthmiiìisti'&iéSDiié 
n  cominciamo  dì  btion  grado  a  inandaM  àlT'Artf- 
»  rio  ab  che  òon  ijostrb  ramlnai^cd'  «rapite '-'sf^ 
M  liti  di  riceverle ,  ÌV  tiió  ministèro'  fit  fcfcrtpi* 
»  cagione  dell*  abbondanza'.  Il  bielo  sfeèòt^^  ì  ttìiÀ 
»  venerabili  disegni;  perciocché' fu  ìp«r  p&bMIcb 
»  bene  fosti  o  autore  ò'  diigfibràtote  aélTedttale 
»  del  principe.  TU  stt^eriote  ad  bgnf  altetea,  fti 
»  "  fosti  il  primo  a  far  iti  modo  (ihelè  (hi^é  dfel 
»  re,  senza  spogliare'  é'i'oviDat  i  ^articoldri-,  -iS- 
w  vesserò  Bell'abbondanza.  Vaie,  ttòpo'Dlo,*  si 
n  dee  riconoscere  che  sotto  un  potj^^mò  ift  fla 
A  o|^i  parte  vittorioso  principe;  senza  pffrib^ 
;»  ni  ansietà  confessìam  d* esse*  ricéM .  Ghe  flW) 
»■  dell' aver  tu  arricchito  con  lal-gtt  fflatribuS*»» 
»  di  pòde'ri  quelle  inniimerabili  Schière  'dì'Grftì, 
»  senza  cfae  se  ne  accorgessero  i Romani?  Peroc* 
»  cAè  f  vincitori  noo'  cercarotio  daTa^taggib,  né 
»  danno' altìono  sentirono  i  tintt  (!)-.■  ■  ■■'>  ^ 
Vagliamo  pur  credere  eh* Eiùtodit),,  11  "^^^o 


[i]  Ennod.  lib.  9^  cpìft  x3. 


ovGoo^lc 


timo  V;  Capo  -V.  3® 

mostca  di  aver  avuto  ubbligo  particolare  een  Lf- 
bqna  e  col  re  steseo',  o  per  moTimeoto  dì  grad- 
tudio»,  o.  per  voglia  di  lusingare  an  potente  siasi 
lasciato  :fraspoi;tare  oltre  i  precisi  termini  della 
.ve^tà.  Ma  confrontando  ciò  eh.' egli  qui  scrìve, 
fqQe  altre  memorie  «he  fibbiamo  de*  fatti  dì  Teo^ 
4onoo,.  par«-cfae'  poco  se  ne  abbia  a  detrarre  (i). 
AIa;Ja  «omnift  deUe  Ipd^  cbe  per  mi^  riguardi 
jà  meritò  r  Teodorico,  :  consisteva  certamente  eel- 
if gorgia, «qelt^. che  «olea  far  de*  ministri.  Era 
jq^esta  sua,  lodo  effettq  lìigran  parte  dell*  ingegno 
suo^nvo.t  9  .probabìlmeata  dì  quella  cognìzioiie 
{4éi^  cose  del  moni:^,  cVegK  [vese  alla  corte  £ 
Oasf;aptjnopoli  ^  dQpe  r  come  forestiero,  ed  Smpar-' 
,sÌ4W,  potè  sentir  pev  molti  anni  ciò.  cbe  il  pe- 
rita 5;  ia-  qpbiHa  così  in  pubtjico  come  in  priva- 
'.to  dio^a  de*  nvlnìstrì  e  degli  ufIiziaU  di t^m.  gè- 
.nere-c  d*ogpì;cpnd»ioiìe.  £'  ^ostinata  guerìra 
;jcfa*^i  JeoB  e  sostane  ne*  primi ,  anni  deKa  stia 
r.se^uta  ià- Italia,  .diedri!  ancora  opportunità  di 
.t)oatostxxs  i  caratteri- Q  gli  umori  di  molte  perso- 
'ae  tan^djel  suo^  dhe  del  contrario  'partito;.  Ma 
-epmo'-paco  giova  i)..  conoscere  le  cose  dove  non  ^ 
^  |& 'finsie^za  «  il  mgor  dell' esecuzione ,  Teódpric» 


'    i'\  QuelFa  che  a  uome  deHa  iietso.n  »criv«C^odo- 

to  i    certe  coraaiik^  d'alalia,    si    conforma    per   a[^uiilo 

,.;euljnigai^c<>  ,earaflRre    che   ci  (lipÌDie"£anDdÌt>  di   «jiiet 

'  ga^iùò  :' sensimus  auctas  illati^net  ì  •  tos  ad4iif   tributa 

neteitis ....  atet  Jtscus  crescerei ,  et  privata  utHitas  damnA 


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4^  DeLL£  tWoLtlZfom  d' h-ALIA 

^'o  per  praoTa'c  fer  senao .iatitiìo i  'per  così Idìrth 
^  cOQOBcava  superiore  a  tuttf  «obn»  cui  «gli  pò*- 
feste  Jttipisgam!  al  su^mio  suo  e- dello  ^stMo^  'è 
che'  sapeva  comatidar  Je  armi  in  persoaa  (i4cti« 
fa  sempre  ì&  potémA  pia  solida  di  qtiàUivogUa 
monarca) ,.  non  temea  putlfo  oè  H  sorerebio^re» 
dito,  nò  1*  firtùdp^suoi  -ufBzìall  e  lainistrij  e 
Bimfr  potè  Bttuoverkt  .da!vale*»i-'di  queUi  ciie-co>^ 
sosceva  aMi  alle -faccende  eos^  civili  «Ite  '  luilìtarì  . 
Or,  tra'  per  il  valore'  ed  II  «éaao.  proprìeV  'e  per 
H  mioMferó  di  ben  scelte  persone  v  TeodorìcoBOd 
solamente  cóonocìb  a  ristorar  l'Italia  da' gran 
danni  obe  e  la  gnérra  ultima  di  Odóecre,  e  le 
panate  rivoluzìoBT,  e  i  sacclieggi-TÌ  !ateailo  por-^ 
tato,,  ma  rìalsò  •  eziandio  a  tjnita  grandezza  e 
splendore  il  suo  r^oo,  oh' egli  aèguagliìv  se  forse 
non  superò  la  •  gloria  .  de*  primi  ■  cesari  e  de*'  più" 
lodati'.  Gli  ordini  del  ^ovetno  non  p«r  .riafabHtti 
e  rinnovati ,  malmessi  furono  (  tàb-  che  ptu^fm^ 
porta  )  ki  esecueione .  Non  solamente  Korbai  e 
Ravenna ,  ma  'graodissima  parte  delle  altre  'città 
Ifalicbe  si  fiderò  ristorate  e  d*  edifìzi,-edi.murBi 
£  «perchè  nulla  mancasse  del  primiero  Justro,  an> 
ehe  gli  ai-redi  imperiali  stati' trasportati  e  Cosfan- 
tinopoli  gli  furono  con  nuova  giunta  di  gloria  e 
di  splendore  rimandati  dall' ìmperador  Zenone. 
Risorsero  sotto  kii  con  nuova  magnificenza  gli  ^let- 
tacdi' anfìteatrali- e  del  circo;  il  che, -McoDde  la 
pregiudicata  opinione  'del  volgo ,  contavasi  fra  i 
precipui  segni  della  felicità' e  della  grandma  del 


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Lìtìao  V.  Capo  V.  4t 

(lÓbbUco  stato .  Ma  quelle  cosf  che  ne .  fermano 
sicuFameote  la  gran^zza  e  la  forza,  fìirooo.aotto 
il  grande  Teodorìco  rimeaate  in  Italia,  ega^ar- 
.(damente  esercitate:  1' agricoltura  «  U  coiur^rno  ,> 
e  le  arti  ^  La  prima  spezialmente  diede  ben  tosto 
lepruove  del  suo  risolvimento.  Fercioccbè  dove , 
^tte  le  città  sce^e  d*  abitatori ,  solevasi  negli 
anni  addietro  sostener  disagio  di,  viveri ,  con  pro- 
cacciar d' anno,  ùa  anso  di  là  de*  man  e  de'  incui- 
tì,  il  oeoeesarip  gr^no;  regnando  Teodorìco,  non 
Bo1aiuente..non  fu  bisogno  di.  cercar  biade'  strs^ 
niere ,  ma  l  gr^oai  dell*  Italia  bastarono  ancora  a 
piKscer  ^li;  farciti  del  re,  cbe  guerreggiavano  nel- 
le proyiopie.loittaae.  II  che  avvenne  speKÌ£dmen- 
te  nel  5o8.>a  tempo  cbe  ardeva  nelle  Gallie  la, 
guerra  tra.  i  Franchi  .a  gli  Ostrogoti  padropi  de^ 
ls-pnHfen(Ea,^{.) ,  I^a  Sicilia,  riunita  ancM  9o^< 
OdoQfffe  al  r^qo  d'Italia;,  e  «he  .fu.  sempccitiK 
[ui(^ta.,coinp  aia.  propria  i  e -granaio,  d^lla.  pa^f  e 
meridionale  dì  :;questa  prov'ocia.^  flpmministrava 
pr.obabUipi5pte,i  viveri  A  Roma,  e.aUei  città  disi- 
la Campania,  è,  delle  altre  Provincie  ohe  foi^ana 
oggidì  il  regno;.di  Napoli,,  dovunque, i  .propri  lor 
t9rrit<}FÌ  noti .  ne.  «omministrassero  a  ^ufficùenza  i 
!IUIfi;^qpeste ,  parti  più  fertili  della  Lìgurja,  oo-. 
melolonte,  Monferrato  e  Milanese»,  e. pari-, 
mtaio  ^]Ia..Vene)ita,  e  del  Piceno,  oggidì  •  mar-, 
ca^.  d*  Apc«°9  «   fifcoup   |:^i,  Qi-diiii  .e  .dettinati 

(0  Ca^ador,  lil».  3,  «pi»l.,44.  ,■■... 


ovGooglc 


4*  Delle  Bir^MztoHt-  tà^  ÌAàua 

pabUioi  .grabaì-  io  fboUe  oittty  OMÌoflii'  ttumoiBd^ 
f)ei'  quilsmif^  ftcdideute  ^  grtQo*  in  utia  .|»r()^ 
vìncia V  li- -triducexè  dall*alira  il  bisogocrola-t 
OissiodcAfo 4'  [ìMfeflto  dftt  pretorile  etmo  de*-prì»- 
à'pkH'iiiiDÌstiì  dd  i'egooi  éhe  tanta  «nrtf.  i^bb« 
péróbè  ^00»  avesse  fziuDdio  abbtHideTOte  :  it  -.vir 
♦ere,  ttotr-dh» -ii  neCes«i-iò  ('per  .la  i)i2al  rftttf 
don  ttt)Vo  ttii ,  quanto  fa  longii  JI  régoà  .dìTecK 
doriiìb,  òhe  si  cercassero  gnloi  dàll*  Africa-^  come 
iT  (afa  tSòstuaiàtd  (t)  pei?  tasti  tfefiqli  ) ,  'kce^  par- 
riittente  Gl'air  Milano  eie  provincie'  deUa  Vtfw»> 
'iia  de'  liranai  che  opportunàrneate  V  er^io.  stft- 
fcìGtt  ita  7orioQa  e  in  Pavia .  Né  «olameoto  ù  nù- 
'^tò  alIoKA  lo  stato  d*  Italia  per  le  forze  ititene 
-<fhe  la  sayiexza  de' goverdatiti  T*acci!efibe;  (a^]^ 
-dia~in  due  Ib^o^  avrantaggib  la  fua  condizions  .* 
■{leif  r  «ggÌQ«ta.  che  «i  tfece  al  suo  «tato  di  ^cuùc- 
;n^MxmÌDoìe;  b  perchè  la  rìputazìot^  d^suo  ce 
..nótk  solamét^  impedì  la  ^ipazìofle  delle'proprie 
-riocèeaze,  AiA  n»  potè  attnmre  etian^o  da',  fore- 
stieri, e!  verkmeate  da  due  o  tre  secoli  addif^ 
Aina  regnante  d'Italia  avea  goduto  maggior  pò- 
tettzà  e  dominib.  Pettioocltì^i  quantunque  dt^ 
Diocleziano  che,  come  abbiamo  a  suo  Inogo  no' 
dbldtcr,-  eòkniscib  a  divider  T  imperio  ^  trasfus^r 
sua  sede  luori  d*  Italia  *  1*  imperio  Romano  sia 
stato  tre  0  quattro  volte  riunito  di  nuovo  sotto 
un  sol  principe  ;  0  questi  r^ni  furoa  brefissinii  t 
*  ■    ■   ^i)-Ca8floic(or.V'arÌ6r.  lib.  1,  ipht.  b  H  Si"'  i- '  "  ■• 


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^■■-  tiBRò  V.  Capo  V.  48 

$ma  fi*  fa  I*lttkliar  la  sede  ed  9-  ceutto .  Costane 
fkfd ,  CàtìBtixo-,  Giulltti» ,  Teodosio  o  non  si  fer^ 
fiiatljaè,  0  ce^mieBtie  dòn  feneto  lango  aoggioiv 
i^aèMdidffiriò' Hi  Itaffà;  e  ttibhti  degl'imperaJ^ 
Ètri'  d^Occtdgbte,  eccetto'  Valentiaiana  I.  (  2 
tjliale  aal'O^  "sttrtM  -quasi  sempre  udì'  estremiti 
ddte  Gt3Ue  },  «bb«  ^  ttintijo' stato  i  come  Te» 
lidt^è^.  F^rteioeck^  egli ,  divenuto  6hd  fii  sovrana 
acMttfotd  d^^ialià  6  di  MdiKa  dopala  morte d*  Ock»)^ 
<Itf«,'^ìiì-ÌD'i'ft^e  ó66àsÌoid  ed  ì»  vari  mòdi- la 
D&lma2ia  i  il  Ndrìct>  «  biiona  parte,' u  pure  eoa 
4blibt&Hìò)  dir  ftitta  la  moderna  Ungheria  ,  tutta 
Éècóta  6  gi-àfl  parte- della  SVetia  &m  le  due  Bé^ 
^6;-hi  Provenza  e  altre  cbnfrftde  della  Pallia  èop 
Ib  migliorì' e  maggiori  provìncid  delle  Spagne.  Né 
ptt  tatto  quésto  trasportò  mai  fi>w1  d*  ItiAa  lÀ 
^&  del  sUtf  '  regm  ;  anzi  &pp«na ,  da  i^%  'si  f^ 
^stièurafo'sUl'tt'tTtió'V'si  distòlse  dal  governo*  tidlé 
tìnse  eiviii  put  'guéi1»0ggÌBF6  in  atee  (rttìvincte, 
«atto' tie' imijeltJe  àtìimoso  «a  anrfgftro'  flatarài- 
iOJéhtè:    ■•■-'*■  '   ■'  "■     ■   ■•  -—■  .-■   ■■  .;-■■'; 

<     j    i.-.-:-     I  ...ji  ,ji'.,  p.  .-©  n  yj[,.;  .  .,.. 

..!    -.;-..  ;..i  "'■ 'del  tempo  sìUf.  ' ■    •'   •'     '■ 

iVia  per  mc^lÀo  idtQndtire  qual. fosse   lapplitica 
4iTeodDfioo-,  céfivwflà  dattf  Ano  iigttaKdoaHb  stato 


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44  t)ÉLiM  hev&Lmom  dTItaìu 

ìfl  eui  ìs!  troT^cra  Pfiiuo(Kk  «I"suD^i<tAnp<9irSerp 
oiooolièi  aitci  D^aneggi)  ultià'ìootttigU  fac^ano  tià* 
nE)g99,a  lini  1, che  noo  occornesaM-agl'ìnipaBiidaifi 
Romani, ri  quali. etmano  un, a  scornar; le. ooébco» 
me  padi'oai-  del  ìbod^oj.o  ^nattar,  k  ffiiù  périé 
de*  nemiei  come  ri&elU.  Laddove  aVteiopi.'d£ 
tTeodonco  .r  Eucopai  e  >Uttto  l%iKdicio-.Cc»t1ÙMBtb 
pta  divùo  ia  va»  Ji^anii  indipeodeéti  e  pòdertHiit 
e  biaogoa^a  tmt^r  la  guerra  e  la,.  pace<i  s-ptm^ 
der.  c»scanQ  per, la  sioarez^a  del  prolMéib  .staio, 
poco  dÌTt)i»e  vie  da  quelle-cbe  t^engotio  i  po^iH 
tati  deV  nostri  leiqpi..  Kagg«va,rÌB]pciÌaor»Dtala 
Anastasio,  augusto  ,  .pHp<^^  in  vero  non  Iroppif 
animoso  uè  giwtriero ,  «aa,  signore  nondìmened-uq 
id(nnÌDÌo  va«ti«eimo  (i);  9  qualuqquit  wita  aimsd 
trovato  un,  nticiistro  fedde,  cheìo  aeprive.n^'Sim 
iiDprese>{<  avrebbe  dAjc^  ass^ì  che  fare  a*  suoi  »? 
chn'.  'Ma  in  fatti  non. cbe- potesse  recar,  gray^dt-e 
storbo  agli  aHarì  d*  Italia ,  ^ì,  ebte  .«ziandio  it 
più  del  tfmpo  in  gran  mercede  ctie  Taodoiifid 
non  s*  impacciasse  ne'  fatti  suoi;  e  oomecbi  io» 
Volta  mandasse  contro  all'Italia,  tutto  il  fruttò 
della  spedizione  fM  d'a^rer,  pnedfito  Taranto  e  i 
lidi  vicini  piuttosto  a  modo  di  corsari ,  ohe  di 
giiMrieri.  I4ell' Africa  regnavano;  i  Vaodali  *vH^ 
iì  re  Trasamondo ,  già  terzo  sucoessor  del  famoso 
Genserico  foodatoro  dt  quello  stato .  Oltre  alli^ 
tofAte  ed  ampie  e  feconde  provineie   d«EQ' Africa  ^ 

.   [i]  ììOfm-  lom.  5  de  Anau.  Ub.iek >'33.  — Ditafel pi(h'4^ 


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poisedera  '  anoop  IWsambtidó  lat  Sardegna  '  «  là 
Corsica,  dì  riiodo'tìfce  niun  àltw  pfòdihii'avveb-' 
be  aviitO'b{^rtuoitàd^!Bquietarntalm;  mapas- 
sò'anooira'  fìtti  questi  due  ré  ibftmt  e  sincera  atni^ 
cizia,  percbfc,  'comfe  aa?ì  ch'erano  amendue,  re' 
devaDo-  guanto*  importasse  loro  di'  teD^ti  uniti  ,- 
doretido  >  tutti  ctoe'  «gualmentè'  &tar  in  guardia 
contro  Fampeno  GmcO  bhé'mitava  di  mal  occhio 
»on"tneDOÌ 'Vandali ■ielt^'Afritìa,  che  i  Goti  in 
Italia.  ]^t(e''Spa^)i9V'ebe-anite  alla  Ftovenza  e 
fc  qualche  idtEfk^kwnoD- delle  GalHe  formavano  un 
«ólo  rtaW  Mttd  i  ^^ti ,  6n'  a  tanto  che  ri  re-» 
gab  Alarico  ,bod  taavéb  'savio  i;bm|uÌ8tat«'e  che 
prode  capitano,  Téodoricò  fti  riguardato  come 
PamicO'  ed  alleato  prinéip^e' e  necessario'  di  quel 
»-oohtw>.  i'  pr^re*ì'  dì  Glodoveo.  Poi'  quando  i 
per  un  fervor -mal' cbncetlo  de'  nioì^ 'siedati 'Ala^ 
rieo  costretto  di  vehine  a  una"  battàglia  sVantag*^ 
Ijios»,' fu  morto  ÌQ-<]UelIa,  Téòdorico si  godfeiael-' 
te'  «tato  de'  VtsÌgoti''Una  *era  sovranità  ,  sotto  noJ 
me  però  di  tutore  e  protettoi'  del  fanciullo  "Ama-^ 
fan-icd  che  successe  ad  Alarico.  In  un' altra  parte 
delle  Osdlie  ^egoafanù  iSoi^ognoni,  i  quali  aven- 
do nnito -abusile 'Provincie  che  poi  ebbero  nomò 
di  Borgogna  e  Del6tf«to,  anche  la  Savoia  e-  par^r 
te  ancor  dell'Elvezia ,  tenevano  stafo  di  troppo 
grande  '  ìinpottaBza  alla  miglior  parte  àtA  regnò 
Qot^.  Qoadebaldo  re  loro,  che  vìsse  he?  tèmpi 
■di  Teodorico ,  non  cedeva  gran  fatto  uh  per  va- 
lose,  , tè' pei:  «ooattcaaa )■  BÒ  pec  antbizSone'  ad 


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|6  Dms  Kivottntiom  DMtAtiA 

Ciktno  de*  principi  sUoi  coetanei  ;  e  oon  1^  perdo- 
nò panto  a  queste  proviocie,.  allorché  .vide  >  4u9 
tx)iicoiTentì  al  re^o,  d'Italia  ,(xciipat!  a  gnerr^g* 
giar  fra  di  ,loro ,  Ma  quando  sì  ifovaxono.  da.  una 
parte  le  forze  d*  Italia  fertUamente  rìordiaate ,  4 
cbe  dall'altro  cacto  le  rapide  conquiste, de* ^ntn,4 
clii  daVaqo  assai  che)  temere  agli  stati  circou^cj.T 
ni ,  Goqdeijaldq  ebbe  per  nepessario  j^tiitp  4! 
procacciarsi  1*  alleanza  de)  ce.dUtalia^  ,0  alpieno 
di  non  mupver  le  afilli  di  questa  parte .  Ma  só- 
pra 'tutti  i  principi  che  fiorirono  durando  il  regno 
di  Teodoqcp  ,  il  piti  .celeljre  e  glorioso  jiella  me-' 
morìa  de'  posteri,  ed  i!  piv  terribile  mentre  cl^a 
TÌs^e  *  fu  CIodoveQ  fondatore^  4«Ua  monàrcllia 
É'ranccse.  Questo  pHncipe,  scoDGfto  Sìagrio  gè-; 
aerale  den^nnperjo ,  e  spenti  affatto  gl^.  pltimf 
ivanzi  del  nome  domano  nelle  GalUe ,  .dipdie  » 
^ovat»  ancor  di  vent'amii,  alti  principìi  ad  'uq' 
CmoTO  regno  t  di -cui  fece,  allora  città  capitale  et. 
ffde  Sòissons.  Quindi  con  nuove  vittorie'. allarg?! 
(ion  rapidità  degna  d*  ifii  Alessandro  e  d*  Un  Céf 
lare  il  suo  domìnio'  e  pel  cuor  delle  Gallfe,  4' 
Òsi  canto  della  G^rmoni^  fin  oltre  ì\  Reqo .  Vir- 
tuoso e  lodevole  per  molti  riguardi  >.  nodrira.jion-t 
dimeno ,  un*  avidità  indicibile  d*  ingrandirsi , ,  .per 
cui  non  ebbe  rispetto  pè  atte  divine  ;i)èLal^e  urna-, 
né  leggi ,  né ,  8*  astenne  d4  bruttane  crudamente 
le  m^  d&l  'sangue  de*  più  congiunti  per  arric- 
cbirai  di  Ioro_  spoglie  vcd.assìfjur^rsi  uQr^qo, più 
libero  e  piti  assoluto .  Pagano  »   qual  egli  er4 


ovGoo^lc 


He-*  ^prif^  ,  aBDÌ  del  ,9110  r^gjtjp  ,  ;9  t^ttfX.^'^ 
(avesse  ctatp  firiac^io  alla  sit%  poteo^a  ,d^,,ii^FPÙ^ 
dichiàratissimo  de'  Romani.  (1)^  (jpi^.tiilto  .gpestq 
ebbe  tanto  o  di  fortuna. o  di  ^np,.cl^9  1^  «fes^ 
{a"  Òistiapa.  religione  e  r^iutori^  del.  Ao;q;i«i^ 
impepD-seryifoiib  non  poco  ^a  sua  ,gnitide7iEaf 
P^Eciocchè  divjsmito  Cristiano   per.opefp.  .^i.  (J^- 

^^^,  '  i^.^ '^P?^  .44  ' 

QpP§  u  fpi^  il  a<Jp  j^ 

cosa  (  !  de*  veacpvi  j 

de^  P  potavano  tfopp<| 

sostfiD  t  Aff  B.o^ogn^ 

tiiy  A  à  valse,  non  po= 

C9.,ad  agevolargli  Tacquistp  di  iQoJte  città.'  ^^ 
^mpo  stesso  ,1*  astuto  e  debole  Àn^^io  Ìiiif>er^-^ 
dor  d' Oriente»,  per  divertir  h  forze  jiel  i;^  d*^^ 
Ka.,  ^ui.iglì  odiava  grandemente, e  l5(!n»fT^;K;iRBRt, 
^  c^.  ^ai?i  aipico  il  ™  Franpeg?  ,  e  gli.fl?^^^  ^ 
insegoe  o  4*  consolo  o  di  j)atrÌRÌQ,jaggiqgnp|jd(^ 
apGpra  il  titolo  d* augusto.  In  questo  jBjp^o  .C^. 
^ove?:,  ,rÌcoBos<;|uto  e  qu^Ì,a40t^^to,  conte  ^faff^ 
pò  e  collega  ^ell' imperatore  ,  si  potè.g^adagpaj^ 
vie  meglio  la  stima  de*  Galli  cbe  ancot  si  yB^af^ 
van  Romani,  Ma  l'accortezza  dì  Teoderico  seppe 
proGttar  troppo  bene  dell*  ambizione  e  delle  felici, 
imprese  di  Clodoveo.  Perciocché  ardendo  questi 
a  un    gran   desiderio   di   occupare    il  i<egno    de* 

[i]'^.  E»init  Att  Loii  Jib.  Jo,  Cip.  93,  a4. 


=dDvGooglc 


'4^  DsUiB  Rivoluzioni  dMtaua 

Borgoga<Uii,  cerc&perquesfefiettoedottenneT'at'' 
leanza  degli  Ostrogoti.  Teodorico,  che  per  altro 
era  lontano  dal  voler  aiutare  un  potentissimo  re 
ad  accrescere  verso  Italia  '.1  suo  dominio ,  seppe 
sì  ben  Tare*  che  t^n  una  mediocre  somma  sì 
colse  il  prìncipal  frutto  delle  vittorie  eh*  ebbe  Clo- 
doreo  nella  Borgogna,  unendo  allo  stato  d'Italia 
buon  tratto  de*  paesi  transalpini  che  le  armi  Fran- 
che aveano'  occupato  .  Di  poi  con  una  sola  scon- 
fitta che  diede  a  Clodovep  presso  Arles,  sotto  ti- 
tolo di  vendicar  le  ofiese  fatte  a*  Visigoti  e  la 
morte  del  re  Àlvico ,  s*  impadronì  effettivamente 
di  tutti  gli  stati  del  morto. re.  Con  tutto  questo, 
avvicinandosi  Teodorico  già  molto  bene  alla  vec- 
chlezza,  laddove  Clodoveo  passava  appena  lame- 
tà  del  corso  umano ,  non  potea  non  concepire 
grandissima  gelosia  e  paura  di  questo  re,  giovane 
belllcoto  e  savio  e  riputato ,  -se  la  morto  immata- 
n  di  oostui  non  Io  avesse  liberato  da  un  vicino 
così  formidabile,;  eoaicohè  per  un  rispetto  o  per 
r altro. Teodorìco  ritenne  finché  viste  una  iserta 
mag^oranza  di  credito  e  di  potenza  eopra  tutti  i 
prìncipi,  quantunque  grandi  e   potenti,   dell'età 


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làBBo.  V.  Capo  VII.  .    49 

CAPO       VII.  ,  . 
Priao^io  della- decadenza  del  regno  (k'  Goti.  . 

Or,  ijorremo  noi  dire  pef  tutto  qupsfo,  che  il 
caràtteri!  dì  Teodoricp  fosse  perfetto;  che  un  bar- 
baro ,  un  Ariano  fòsse  senzji  .difetti  ;  che  il  gor 
verno  d*  tn.  ùc^sor  di  Simmacp  e  di  Boezio  an- 
dasse eeeBte.di.'biaKJmo  ^  d'ogni  macchia;  che 
un  re  stranieto  soddisfacesse  appieno  aVRomani, 
lisati  per  tanto  tèmpo  di  riguardarsi  ^oipe  signo- 
ri del  mondo  ?  Siauramente  quel  gran  r^  non  po- 
tè'sfuggire  ila  disavventura  che  toccò  a  tanti  «''''^* 
grandi. prjncipi,  d'a^ver  talvolta  mafTàgi comiglie- 
rt'e  tristi  cortìglfitiid* attorno,,  è  secondare,  più 
che  dòn  sarebheglì  bifp^natd ,  ^  fìUrpi  suggeri- 
menti. Ma,  a  voler,  dire, 11  verói  qu^lo  che  ca- 
gionb,  sebbeq  '&rsé .  non^  inrmedrààiniténtc  ,  la  ro- 
vinft  d'una  monarcHl^.  fdic^9kentQ,foiiddta«  ed 
oscuri)  forte,  la  gloria-  9,  la  rinomanza  del  r«  Teo- 
dorico,  fu  il  ilon  aver  egli  avuto  figliuoli  ma- 
wfai,  e  la  pn'dita  immatura  del  genero  che  s' ave- 
va eletto  da  lasdar  successore. 

La  .vecohi^zz»  poco  ineiio  cba  wba  di  Teo- 
9orìco,  da,  che  non  gUreitava  ohe  una  figliuola 
cop  nipoti  ancor  bambini ,  suscitò  ,  cosi  ia  Boma 
come  per  tutto, il  mcoido  i  soliti  pensieri  s discor- 
si intorno  ai  successori  ed  alle  rivt^uaioDi  ohcf  la 

Temo  II.  4 


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5©  Dells  Rrrotuziò^i  d'  Italu 

mancanza  d'uà  re  poteotiMÌmo  di  nuovo  potea 
cagionare.  Non  può  dtibìUrgi  che  fra  i  grandi  di 
Roma  qualche  susurro  non  si  movesse  adi  rimet- 
tersi in  libertà,  o  almeno  di  crear  come  prima  un 
imperadore  *  e  sottrarsi  dalla  signoria  de'  b£u:barì . 
Governava  già  allora  le  cose  di  Oriente  T  accorto 
ed  ambizioso  Giustiniano  sotto- il-nomeddTficchio 
Giustino ,  a  cui  non  era  dubbio  eh*  egli  voleK* 
succedere  .  11  qual  Giustiniano  già -lÌTol^ndo  va- 
sti progetti  neir  animo  i  potè  di  leggeri  esser  ecK 
tralo  in  occulti  trattati  con  qualche  Bomatio\  di 
TÌanire  sotto  al  'suo  imperio  anche  Tltalia  aUt'  mo» 
te  di'  Teodorieo ,  dopo  cui  era  focile  il  prevedeiè 
che  la  minorità  d* un  euovo  rC)  é  la  legg/stam 
d*una  femmina  avrebbono  lasciato  adito  A  uac^ 
chinatioBÌ .  Ora ,  eome  queste  cose  doreano  toast 
idi  latto  verisNtne,-  così  t  servitoci -di  TTeadimè* 
non  èessaroBo  di  rappresentarle  magg^oci^  db  pcm 
che  il  timer  prefirio'  faceva-  j^be-  nsi^giori  -  se  I» 
immaginassero  essi  più  di  queHo  che  era»  ^1P™* 
Ghè..voleweK>'^«'Wsi -di-questo^  pfttosto'per  rovi- 
nare i  più  ac(9>ei£tati  senatori ,  Id  rip«taaotte  èif 
quali  oscurava  il  loro  nome ,  e  s'oppo&eva  sfies» 
«e  alle  loro  voglie  avare  ediniqoe.  D*  qsetta  aa» 
«a  ebbe  origbe  la  caduta  di  Boerie,  »  K«dÌ6 
^* eccitò  e(»iti!t]  di  si  Teoihtiào  &a  ì'ROmani, 
«  il  desjderio-che  di  là  nacque  di  sottiarai  al  d» 
mitfio  GoHt»}.  Boezio  ehe  id  fùù  riaeòntri,.  a  spct>- 
rialoMnte  per  la  proteiìone  e  la  difesa  che  prese 
d'Albino,  uoffli>  ^^mde  e  dabbene  »  perseguitato , 


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Limo  V.  Capo  Vir.  fik 

com'egli  sfemo  racconta  (i);  dai  cagnotti  dei- 
la  corte',  s*aTea.  tirato  addosso  Io  sdegno  e  l'odio 
dt'COttoro,  fa  per  loro  operaeione  accusato  egli 
Messo  f  che  avvsse  scritto  lettere  contro  il-gorer- 
so  ;  »  pensato  a  ritornai  Roma  >Q  libertà.  In  una 
eltusa  sì  lubrica  >e  delicata  ì  'più  de*  senatori ,  per 
BOB  ne  comparir  coÉt>plici,  voltarono  le' spalle  a! 
loro  ocRega';  talché  Su  prima  bandito,  por  carce- 
nlo  »  '  e  ttltiraBineate^  toftò  di  Vita  qiiel  ebiaro  lu- 
me de^Ia  sspieiitea'  RemaoB.  L' ingiusta  'morte  dt 
BoeBÌO'in  Tece' ^i 'calmare  |jt  erndeltà  e  i  sospietti 
del  re,  la  fette,  come  il  più'  d^lle  volle snecede » 
iatperversar  naggiormeote  ;  e  sparso  otta  ioitii  Ai 
■at^ue  innocente  ;  fu  come  da  furie  vendicata 
ipirasatoa  mioris-  scellentà,'  cpasi  per  rìparaf  ìe 
p»nte.  Ber  toma'  efte  Shninaco ,  suocero  i^  Bue- 
aÌD-«sebatei«  ■Dciif' e^  dfgraifde'  affare  e  di 
nraamo  cre«£tQ'fra  ÌBinnam.,  aoficei«ftssei3i  veti- 
dicar  la^  irftx^  del  genero-,  utfdse  poeo  appresso 
TOcfae<  liM .    ■     -  ■ 

Permiimoiaté  dbvettgro  queste  tÌMamieber  opw* 
raiaifMii  al)e1l!a^  dà  Teodorico  T  ammo  di  tutti  i 
buoni ,  S' a^'obstf  a  reoderhy  Ti»  pift-odioso  ap- 
fVMBO  i  cfitfoIìoT,  cfuali  erano  a  quel  tèmpo- gene»- 
ralmentfr  gFItaliani ,  cn  motir»  di  relìgioB»  .  A- 
vèva  -  rimperàdor  '^'Otieate  pubMicate'gag^iar- 
*e  leggi  cétìtrt)  gli  Ariani  -  l'itodòrictì^;  0"  perchè 
it-mcfVeie&  sua  pròpviò  aieló  'fti  faxav-d^ìÌA  v^ì^oOff 


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5a  Delle  Rivotuziow  p'  Italia 

che  professava  «  o  die  ne  fosse.  soUeoitattf.fja* 
suoi  Goti  tutti  Arìaui ,  s*  Adpperò  prima  eoa  -Vari 
modi  a  fìae  d' indurre.  Giustino  augusto  e  Giusti- 
Diano  a  non  molestare  gli  Ariani  Ìoc  sudditi  ^  meor 
tre  i  cattolici  godeapo  perfetta  libertà  e  pace  ia 
tutto  il  dominio  de*  Qoti .  Qr ,  non  avendo  il  iv 
ottenuto  su  questo  particolare  la  soddisfazione  cb« 
desiderava  dalla  corte  di  Costtaotinop^li,  jsi  rivolse 
alla  fine  ancor  egli  a  usar  crudeltà  contro  i  catt 
tolioi.  Veramente  era  troppa  n^tMral  insa  ohe^n 
re  qual  Teodorico  non  pptesse  djstifBular  t'ingi^ 
ria  che  gli  pareva  di,  ricevere  dall' ìmpenadore,  e 
che. si  movesse. a  usar. verso. i  cattpUci  suoi  sog'; 
getti, quel  trattamene  raedesimp  che  rice,iHivanQ 
da  Giiistl^  coloro  phe  professavamo  i;eligioiie  ^ 
.versa  dalla  don^ìnantè.  Ma  nqn- per,  qiutstp  jk^jtfh 
Y9  imp^irsi  che  in  Italia  o  in  ..Eom^  ,gli .  zdaittì 
QE^toliof  piendesseni  gcauijifiavr^sioBe  qp^tro  Xeck.  - 

dorico  e  i  suoi  GoIÌt     .■:-■:.         .      i      :   ]: 

.  ..,  .e-,  A   ?  o  '    yia,:,  ....,.: . 

jyiprì  in  questo  .mezzo  il  v?c£;!tio  'rp^  a,  yui  ,for^ 
se  il  rincorso  4'  aver^  uccisi  c^ue  _  if i^liU^si  sen^i^ri  j 
e  ^.s^jèfe  A'essw^v^uto,  in^piiiii,  i^e^.jgyi^R,,^: 
^qonf',,vàtbréyiò  la,, vita.  ,1^  savl^z^.,^  Aipa^ 
li(suiitìi'..che.  gpwrjiò  i|„r^np  a  noi^  ^^jM'^ 


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t'iBRÓ  V.  Capo  Vili.  53 

Àlataricó,  ritenne  pet  alcuni  anni  Ogni  cosa  in  buon 
oKtìne'  e  lo  statò  in  riputazione*  mentre  ella  s*in- 
gegnara  d*  allevar  il  fanciullo  non  da  barbaro  ; 
ma  da  Romano,,  facendolo  diligentemente  instrui' 
re  nelle  lettere  Latine  e  Greche.'  Ma  al  genio 
de*  Goti,  di  cui  era  piena  la  corte  del  re,  non  si 
confàceva  punto  1*  educazion  letteraria  ".  Non  era- 
no al  certo  dimentichi  quanto  la  loro  stessa  na- 
zione senz' alcuno  '  studio  di  belle  lettere  avesse  su- 
perato nelle  opere  dì  goerra  e  di  governo  i  Gre- 
ci ed  ì  Romani  ifi  queireta.  Teodorico,  ■  ancor- 
ché avesse  mostrato  assai  stima  e  riguardo  verso 
le 'persone  letterate  ne*  paesi  conquistati  i  avea  nbn- 
dimeiTo  proibito  a' suoi  Goti  lo  studio.  Ben  è  fa- 
etìc  il  pOTsuaderir  che  quel  gran  re  stimasse  prfa 
siouro  mezzo,  per  mantenere  la  grandezza  deMa' 
sòa  nazione,  roccupargfi'Dnicamenté  negli  raerci- 
zi  militari,  pèrcbè  la'dofcezza  de^fi  studi  leHeta-' 
ri  non  ne  ammollisse  il  valore*.  Ma  forse  che  so* 
pra  tutt' altre  ragioni  prevalse  nell'animo  de' Go- 
ti ad  ingenerar  loro  odio  agli  ^di'  V  esempio  che 
avean  presente  di  Teodato  figliuolo'  d*  una  sorella 
di  Teodorico;  esempio  certamente 'attissimo  ad  ab-* 
bassar  la  superbia  <K  chiunque  si  credesse  miglio- 
re dfegll  altri  per  aver  fmpregati  i  giorni  e  gli  air-' 
et  iregK  sludi  d*'ilmane  lettere  e  delia  più  nobile 
ffló^bfia;-  Teódato,  '  cui'  là  storia  tì  rappresenta' 
istmtto  ntìilè  'belle  let'fere ,  '  e  nella  filosofia  df  l'b- 
fcmte  Versatisiima ,  cii>  non  ostante' era  si'  drfppocd 
e  cat^o,  ebc  tion   eh'' ?gK   àvessa-'pùf'Vòhibrà 


ovGooglc 


54  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

delle  virtù  dello  zio,  ma  avrebbe  niperatb  tn^ 
viltà,  neiravarìzia  e  perfidia  <^  peggior  rìbAldo 
di  feccia  plebea.  Per  queste  e  gomigliftoti  ra|^c«Ì 
i  principati  della  nazione  o  iifertuaeero  o  cforzaro- 
no  Amaiasunfa  a  levar  d'intorno  al  gioViaetto  re 
que*  suoi  precettori  ;  e  scegliere  per  gli  eserciti 
dell'armi  e  del  comando  compagDÌA  più  «onve- 
niente.  U  pessimo  «ucce»8o  ch'ebbe  il  coitM'gKo 
de'  Goti  ti  voler  rimuovere  da|^t  studi  Atjdàrtco  i 
paragonato  eòi  cattìf E  frutti  cfae  produsse  l' era- 
dizioDe  di  Teodato,  e  colle  grandi  cose  chfi  fecii 
il  non  dotto  Teodorìco,  basterebbe  solo  »  indiAre 
nell'animo  nostro  un  vero  pirronismo  fatt^oe  tU4 
l'Btib'tà«d  inutilità  delle  seienu  i  qoalora  sì  tnt^ 
lasciasse  una  considerazioiie  che  mi  p$r  Aeeei* 
saria. 

Iti  una  narioae  o  povera  o  razzar,  dóve  sono 
più  fiwquenti  le  guerre  e  le  occasìom  di  darar  fa- 
tiche e  darsi  agU  esereid  del  co^o,  e  più  rurì'i 
perìcoli  di  corrompersi  ne*  piaceri. e  aal^'^b'zie,- 
pub  ben  essere  che  acche  i  fij^iooU  de'graDdi 
passano  passare  la  giovìnezzft  e  fiuscir  uomini  di 
qualche  conto  senza  lettere  e  team  «tudi,  coni-* 
pensandosi  il  difetto  delle  n'ozioni  che  s' ae^istarl 
no  dalla  lettura,  oon  quelle  che  la  pratica  delle 
cose  c'insegna*  fida  nelle  città  grandi  e  doviaiose 
un  giovane  ^  gtìm  assenta  e  di  grande'  stato  eòt* 
re  «nnifesto  perìcolo  d*  immergeni  nelle  semiafi* 
tà  e  ne*  disordini ,  allorché^,' passate  aleune  ore 
d'esisrctzio  co^ortde  di  schenoa,   di  giostra  è  di 


ovGooglc 


.     Eifiao,  V.  Ca»o  VOt  65 

danM/t  non  cerca  dì  fissarsi  ia  «uj  libri  ^  o  dj  ri- 
volgere aliaeao  una  parte  .del  suo  pensiero  iq  co- 
H  soientiSche;  ed  arti  liberali.  Pi  fatta  Àtalanco  » 
lasciato  libero,  e  tciolto  io  cQmpagaia  de'  suoi  et 
guali ,  iu 'bsDì  pceato  dirotto  ai  disordioi  della  go- 
la e  dell^  lascim  :  iielle  quali  cose  trovò  tanto  più 
iàcile  la  rovina,  percbò  esaeodo  re  ebbe  mepo  o<i 
itffooli  a11«  sfogo  d^Ue  «ue.giovaDÌli  passioni  q 
dt^tuoi  capriooi.  Se,  i' avo  di  lui.  avea  potuto  sen- 
sa.  studio  di  Iettai:»  p^riieiiirB  a  sì  alto  'grado  di 
saaaa.e.di  vìrtit>  cagiqa.  ne  fu  TavAr  e»ao  pa^sa-i 
ti  i  fwimi  aopi  in  dura  e  pericolon  milizia,  « 
Wavet  fiittp  ia  età  perde  luogo  soggiorniA  in  Cq-> 
staatinopoU  t  dopa  potè^  s^vùrgliin  luogo  di  Ist-. 
tura  e  dì  libri  il  ulo  vedere. ed  udirà,  ciò  cke  «i 
faceva  e  di(ìcvja  io  quelle  taute  cabale  di  corte  e 
moluziom  di  governo-.  Era-ben  altra  co»  lo  sta- 
tt.oAaggn  «ooD.  Tanirao  .ÌDt«sQ.  a  .pno4curJff4 
pretUto*  e  «tudiar  io  cau.  d!  akd'  U  via  di  salire 
ia- fÙEtuiHi:,  che  i^ovair  in  cqi^pFQpBÌa.l4gni&dez->. 
M  ^ì  "«tabilila ,  iQorpe,  la.  trovò:  At^ioo  .  Ora^ 
il  -  c3ttivt*3ÌiiiQ  awiaiQWto  'cliB>  prese.quetto.regio- 
vÌQntto.,';ft  il  nallentawi.  cbe.  fecei»  per.  necessita 
gli  ordia^  de\  ■govetnq ,  non  sodamente  ipdebotivA 
JMteVD^niepte  lc'&t«e  d^l  regno,  ma.  d«vitaiK(»4 
taAggiofie  .«tÌDKhli^  a  M^HiAtiuiano  augusto.»  fìir  Ì*iu-> 
pce«ai*-«.  cui  l' u39J)i4op@  .aua  ^-  da.  per  .xè  ìa 
ohtMUsajia^  éì  i^per^r  «jf  imperio  fioòxana  Via 
Miia ..  E4:ioli«e  -a  «io,,  ^atalasuatai  vcdlepdpsi  d«» 


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S6  DeUB  •RwOLÒ'ZiONI  bMtalia 

anni  di  sua'  reggenza  ,'  e  scorgendo  aliewrtD','  da 
sfe  ir  favore  de*  Goti ',  oomlnciò  -  a  "trattar  éi  raiv 
rìspohdenza  colla  c^te  d*  Oriente  j' mosbttodò'spo- 
ranzaa'Gìus^iaae,  gìk  succeduto  nd.tconoa 
Giustino,  di  Voler  essergli  devota  fid  'ot^ligata-. 
.Teodato  dall'altro  canto,  dhe  perla  diqieróttr's»- 
Itite  d*  Atalarico  si  fedea  vÌcÌBÒ>Adeiserecbiatnar 
to  al  rc^no  come  solo  mascliio  del  sangue  degli 
Amali ,  non  ommetteva  di  farsi  benevolo  INmpe- 
radore  ;  e  trattò  eziandio  ,  prima  di  salire  al  tro- 
no ,  di  dargli  in  mano  per  tradimento  la  Tosca- 
na, dov'eglt  era  per  sue  ricchezze  assai  potente. 
Così  andavano  le  cose  de'  Goti  vie  più  dedioan- 
do  di  giorno  in  giorno ,  allorché ,  morto  Atàlari- 
co  dopo  otto  anni  di  regno ,  Amalasaota  o  da  in- 
giusto consiglio  indotta ,  o  costretta  da  necessità , 
non  essendo  costume  appresso  j  Goti ,  che  1*  au- 
torità e  il  nome  sovrano  ripassasse  in  capo  d'una 
femmina,  assodò  àt  trono  il  saddetto'  Teodato; 
esigendo  però  co' maggiori  giuramenti  del  mondo 
promis^one  espressa',  cb'ei  dovesse  contentarsi  del 
titolo  e. dell' onor  del  diadema,  e  Iitsciare  a  lei 
1*  eserdzio  libero  della  sovranità  ,  di  cui  alla  moiv 
te  del  f^uolo  sì  trovava  in  possesso .  Ma  tanto 
fu  langi  Teodato  di  mantener  la  promessa  alla  sua 
benefattrice,  ohe ,  lasciatasi  dietro  alle  spalle  ogm 
san^  di  r^gicoie  e  dì  fede,  non  solo  tìrossì  Tas- 
solnto  comando,  ma  tolse  «Ila  regina  con  la  eo- 
rena  la  vita:  perchè  in  lui,  come  por  troppo  sucw 
cede  io  alcuni,  ebbe  più  fcwza  l'abito  di  perfidia 


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LifiBo  V.  Capo  VIIL  67 

ft  d*aTaTÌ2Ìa  longameots  contratto,  e  la  memo- 
ria ddle  offese  una  volta  ricevute  ,  che  il  ri-. 
guardo  iti  fìnscet' b<9Qefi2io ,  L*  infamia  d!  così  ma- 
nifesto spettoro  e  d*  icgratitudine  coù  detestabile 
rendè 'Teodato  odioso  a  tutti  i  sudditi,  e  diede  a 
GiastìDÌiuio  l'ultiim)  invito ^d* invader  l'Italia,  col 
pretesto  di  vendicar  la  morte  della  r^'oa. 


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'  LI  B  RO    SÉ^TO.  ' 


CAPO  ?RiMo:  ■    ■  ' 

Costumi  ^Oriejtìe  e  della  certe  di  Cóstan&topo^ 
li  nel  tempo  che  P  Italia  Jìt  riunita  a  gapW  im^ 
perio. 

ir  et  le  cos^  cbe  ci  £uemo  ora  a:tr^buv«  bea  si 
renderà  manifesto  che  la  famosa  impresa  cui  £toe 
Giustioiano  per  la  ricupo-azione  d* Italia,  porti  « 
questo  nobile  paese  maggior  detnm£ato,.(^:noa 
fecero  nel  precedoote  secob  quegli  stessi  berbarTf 
dalla  dominazione  de' quali,  ctmie  da  lusopportaM 
bile  ed  esecranda  tiranaide ,  pretesero  :Ì  Otvoì  di 
liberarla.  Non  sarà  però  opera  inutile,  prima  c^ 
Tenghiamo  a  raccontar  le  vicende  e  l' esito  di  ijuel^ 
la  guerra,  premettere  quasi  un  breve  ritràtto deU 
W  case  d*  Oriente  e  de*  costumi  di  quella  nazio-i 
]»,  sotto  la  quale  tornò  l'Italia  colla  distmzioi» 
del  regno  Gotico. 

L'imperio  d'Oriente  non  contava  più  didne 
secoli  al  tempo  che  lo  reggeva  Giustiniano:  e 
s'egli  avesse  avuto  somigliante  principio  a  quello 
dell'antica  Roma,  avrebbe  dovuto  trovarsi  ^Iora.> 
nel  suo  vigore.  Ma  quell'imperio  nato  net  fasto, 


D.q,t,zed.vG00glc 


■  .  ■    LiBBO  VI.  Capo  I.  $g 

nella  moUezza;  sótto  il  reggimento  d'eunuchi,  di 
femmiue ,  di  bacbarì  venturieri  ;  e  In  mezzo  a  na- 
zioni per  doppiezza  e.  r^ìa,  fede  .  passate  in  pro- 
verbio (i),  non  fece  altro  per  duecent* anni ,  che 
crescete  in  corruzione .  La  '  mollezza ,  P  infiogac- 
daggioe ,  e  lo  epjcito  ,  sedizioso  «  fazionarìo  -  che 
Dell'  autica  Roma  andò  crescendo  grado  a  grado  a 
misura  <^elU  potenza  e  del  lusso  pbe  s*.  introduce- 
va,) ebbe  nel|a  nuova  Bomp  «lUo  principio  nel  oaL-* 
score,  della  città;  e  tutti  i  vìzi  morali'  e  {wlitiià 
che  abbiamo  osservato  in  Italia  ed  in  Roma  alIor-< 
che  r  imperio  d*  Occidente  era  presso  alla  sua  fine  * 
tutti  si  trovarono  nello  ^tesco  grado  io  Costantinon 
poli  fia  d^  suo  principio,  perchitrovanwo  le  stes- 
te xause.  Circo  e. teatro,  distribuzioni  di  denari  d 
di  Fiveri  V  tutte  cose  ohe  invitano  e  favoriscono 
Ycaiae  to  spìrito  dì  fazione  nella,  plebe*  furond 
iotco^oitte  in  Costantinopoli  dallo  stesso  fondatot 
Costantino';  e  il  popolo  dr  qudla  città  ebbe  tuttd 
ad  un.  tratto  non  blamente  la.pcJtroneria  della fde- 
be  Bomana^  inacquasi  ancora  io  ìspicito  .aedì^oso 
e  dispotico  de'  pretoriani .  E  se  l' ippodromo  dove 
1  tuimilti  erano  così  frequenti,  e  dove  l'autorità 
imperatoria  j^mtamente  sì  disprezzava,  fu  luogot 
più  funesto  che  non  gli  ìdloggìamecili'  nùlìtaii  di 
Boma  ;  ìs  nobiltà ,  il  senato  i   e   la.  coite  nata  e 


(lì  Graéca  CJes,  rifrlf  ÈWds  «-*.  t'olir-  idest:  Gr«- 
d«  nequaqnam  novit  fìdem.  Eurip.  in  tpigh.  Tour. — Hòc 
Hue  nomiuc  ea  nati»  ptitìnic  audiit.olijn .    2IJ(mut..Jdag. 


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6o  Delle  Rivolohoni  d'-Italia 

crespiuta  sotto  un  governo  dispotico*  "ed  orìenble, 
ebbe  per  prima  impressione  e  per  carattero  origina- 
no- grìQtriehi,  la  cabala  e  radulazìone:  e  itgran 
numero  de' capitani  barbari,  Unni,  Goti ,  laaari , 
che  ^ncgl'imperadori  Greci  cominciaronp  sì  p^r  fem- 
po  a  tenere  a  lor  9oldo ,  rendè  nel  ■  minisfero  e 
nelta  corte  di  Costantinopoli  I»  doj^iezza ,  la  men- 
zogna -e  la  perfidia  quasi  necessarie  per  i  fwspet- 
ti  continni  che  ora  i  principi  e  i  lor  miaistrì 
aveano  de'  generali,  ora  ì  gelieralf  de'  loro  pa- 
dron-i .'  E  il  sittema  militare  di  quell'  imperio'  non 
sotamente  influirà  di  molto  nel  carattere  della 
corte ,  ma  generalmente  sopra  gì*  interessi  d' ogni 
particolBre;  perchfe  essendo  invatso  V  uso  nef- 
l'Orienfce  fra  »  TÌUani  di- regalar  largamente  fc»- 
pitani  pep  essere  protetti  da-  loro,  oftre  cbe  i  «if- 
lani  diventaTano  fosolenthsimi  contro  i  padroni 
delle  terre,  s' accresceva  la  pi-epotenzaì  la  vio- 
lenza e  ringiuatìm  de'  militari.  Ma-  due  coso 
fanno,  per  così  dire,  ri  carattere  distintivo-  del- 
l' imperio  Bìzairtinoj'  cbe  sono  fa  poteora  sorrana 
cbe  sempre  v' esercitarono  le  imperadricf ,  el*  en- 
tusiasmo deKa  -religiqne ,  o  sia  lo  spirito  dell'"  ere- 
sia, ein  vi  à  sparse  &a  dal  principio  della  sua 
fondazione  (i).  -  . 

Per  non  so  quale  fatai  capriccio  gPimpera- 
dori  d'Oriente  s'iovogliarono  quasi  tutti  di  farla 
da  teologi  ed  arbitri  nefle  controversie  di  religione  j 

(i)  \.  Sines.  de  Regno  —  Libati.  Orat.  i. 


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^tiBBo  'VI.  CawdI.     '  61 

c0»lcilfè  la  storia  ieccleriasticff  dal  quarto  'seò<j- 
ìa  in  poi^  è  talmente  iotrecaafa  con.  la  storia 
politica  -di  Coìctantìitopoli ,  che  per  essefre'  ìafor- 
mato  delie  PÌeende  di  quella  corte  basta  aver  let- 
Ib  la  storiia  de*  condii  e  delle  .  ereeie .  E  senza 
Snàar  più  oltre  ricercando  di  queste  case,  una 
sola  riàefsione  fotrà ,  a  mio  credei» ,  dafc!  a  co- 
noscere qua!,  divario  passasse  tra  lo  spirito  del 
Cristi&besTino  de'  Greci,  «  quello  d'Italia  e  d'Oc- 
c^deate;,Cd  è  citò  tutti -jr  .veecori  e  pontefici  di 
merito  singolare,  cbe  vissero  in  ffalia  p  nelle  Cal- 
ile, furono  non  solamente  venerati  come  padri  e 
inaestri  delle  cose:  di  religione,  ma  riguardati  co* 
me  oracoli  eziandio  neHe  bisogne  e  ìiegli  affari 
dì  stato  cori  da*  Bomani,  che  da*  barbari  beo- 
chè  erelfei ,  E  se  alcuno  di  qile*  vescovi  pcciden7 
tj^'di  .graa  nojtne,  come  Eusebio  di  Vercelli, 
Ilario  di  Fottìers;  e  talvolta  lo  stesso  Ambrogio, 
ebbero  e  patire  trav^^U  e  guai,*  cÌ6  avvenne  ap« 
plinto  pa-  malvagità  de*  Greci  augusti  '■  che  m 
quel  tempo  domìnavan  l' Italia  e,  le  GalUe;  Ma 
in  Oriente  tutti  i  più  dòtti  e^  più  zelanti  paistori, 
Atanagio,  Gregorio  Nazianzeno,  Giovanni  Griso- 
atomo,  CirHIo,  passarono  amaramente  ì  loro  aor 
ni  in  tristi  vicende,  deposti  dalle  ler- sedi,'  perse- 
gurtatr,'  esiliati-,  e-in  varie  mam'^re trayagliati  da 
persone-'cbe  tutte  profe'ssayan .  per  altro;  nome  0 
fede  Cristiana . 

Veramente   la   più    parte   di    quest»   brigte 
provenivano,  dall'  ambjzìon  -  deJIe  '.  donne  ài  corte.^ 


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sì  .  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

e  delle  auguste  prìncipalmeate.'ie  quali  pìh  a¥p^ 
de  del  eomaddo  per  questa  régiòDC  appunto ,  per- 
ctè  noù  ignoraoD  che  la  pfOTTÌdenzà  e  la  ragio- 
ne della  natuira  e  delle  genti  Te' voglJòn  soggette^ 
facili  a  sedurre  dalle  in*mere  Itlsiiigh^olr  j  edàl- 
r  aria  e  dall' apparenza  dipiéti,  faróBó  per  1*  ordi- 
nario lo  strumento  di  cu»  si  valsero  i  novatori  pe* 
rinforzare  >  dar  rilicTo  agli  crròn  fc  alle  br  fano- 
ni. Le  storie  del  regno  diCostanzo,'  d'Artiadió,  è 
dì  Teodosio  n.  faoDÒ  chiara  'testimonianza  delle 
parte  ch'ebbero  iù  tutti  gli  affart  dello  statò  & 
della  Cliìesa'Ie  imperadrìci  di  GastMttoopd)! -.  Ma 
il  Vero  carattere  di  (Mrepofenza  donnesca  ■  spìecS' 
fn  partìéolàr  iDantera  '  nel  regno  di  GitisfiniaiioL 
Perocché  le  due  donne  che  regolarono  sole  ogni 
cosa,  non  ebbero  la  potente  Iona-- stabilita  né  so- 
pra'alcun  "ditìtto  di  nascita  (  come  Plactdia  ^ 
Puloberìa),  né  sopra  la  stupidità  de*  mariti;  ma 
sopra  tutto  cr^  eie  costituisce  il  primo'  esferr  éì 
molte  femmine  :  bellezza ,  lusiade,  menzogne* 
gdkmteritf; 'E'perb  tanto -fu  più  rovinosa  la  kor 
potenza,  quanto  pie  di  raggiri  e  di  fròdi  e  d*"!»- 
giastiaie  doveltero  nsaee  per-  rìtunfe  ne^  k>r  ài^ 
segni. ' 

Vivendo  aneora  Giustino  ai^usto  ed  Eafe*- 
nta-^ua  moglie,  chiamata  pimaXupicìna,  Giu- 
stiniano di  Ira  nipote,  che  come  paceùte  favorito 
e  successor  presuntivo  amministrava  V  imperio," 
s  wa  invaghito  d*  una  cort^iana  insigne ,  chia- 
mata <T«}dotst,  la  quale  ■  uscita  di  vii  nazioney 


=dDvGooglc 


liaftO  Vt  CAPal.     -  •  63 

corrte  quella  che  fii  figlhidft  d'uaAeaeiognar^- 
no.  degli  otsì  ohe  serrivano  ag)Ì  spettacoli  deV* 
l'anGteab'ò  per  la  fazion  Prasiaat  era  prima  sta- 
ta serrente-  d*  una  ma.  maggior  sorella  *  e  poi 
tioBunediapte  t>uJ9a  e  donna  di  mondo  nel  tempo 
ste^:,  Pare  nondimeoo,  .eh*  ella  abbandonasse 
non  solameatQ  il  teatro^  ma.  ogni  altra  galante^ 
Ha,  da  ciie  s'ebbe  assicurato  l'amore  di  GÌ«iti- 
niano.  Morta  la  vecchia  iniperadrioe  Eufemia,  la 
quale  Bachi  vi»e  avea  costantemente  impeéito 
le  nozze  de'  due  Amante,  .  Teodora  fioelmente* 
dichiarata  sposa  dell'  imperadore  ed  augusta  ,  .fu 
padrona .  deir  animo  del  marito,  e  dell'' impC" 
rio  (i>.  Dalla  storia  segreta   di  Procopio  risulta 

(i)  Conié-IJc  leggi  dello  (Uio  Tietatan»  a'  jMiirUi  il 
pigliar  per  moglie  ^o^  eoHÌRÌana,  Giustinimo  «w«  inti- 
cipataiuente  rivocato  quella  leBge  per  potere  sposar  la  sua 
amica  (  ^necàoi .' pag,  4*-)-  L'autor  che  citiaino,  c'iiif«>r« 
iaa  anche  altroTC  (jMt-  65  ),:  che  GiB»U«lajio  leges  Jixit 
et  refixit  ad  ogni  variar  dì  capriccio  od  ialerefie,  di  Ini 
o  di  Teodora  o  de!  ino'  famoso  conriglìere  Triboniano } 
cosa  che  molti  «ilici  gÌur<ci>DiuU>  nofc  ia»clfcr<ni6  di. rile- 
vare. floB  vogliamo  diwiraiilare  peii^  cbe  la  storia  stgiTe- 
ta  da  cui  )i  ricavati  te  cose  suddeite  e  il  ritratto  cbe  qni 
abbiaoaa  aUMniato  della  corte  di-GìnstioidDO  ,  ti  cxed*  d4 
aleani  apocrifa  e  falsamente  attribuita  a  Procopio  ■  Ma 
chiunque  siasi  1'  autore  di  quella  storia  descritta  veramen- 
te con  istile  alquanto  avvelenato  e  satirico,  Boa  è  p«ri> 
posiibite  di  rivocarla  in  dubbio  nella  sna  toilanza  •  Giovafi-. 
ni  Eicheiio,  per  rigettare  i'aulorili  di  questa  storia  segre- 
tk,  mise  insieme  nna  farragine  di  lestìmoDi'  d' autwi  tìvU' 
ti  tolto  Gibstiniano  a  poco  dopo,  e  cbe- icf isserò  il  cqn- 
tfarió  dlcii  che  si  legge  nella  storia  segreta.  Ma  e  facii 
cosa  il  comprendere  che  quegli  scrittori  credessero  oltret- 
UiBta    tttil   partito   lodar  Teodora   e   GìuiuoiMlor -^uao'A 


=dDvGooglc 


$4  Delle  Bitoluziow  D*h'AUA 

ineDte^iueDo ,  che  Giustiidaiio  e  (teodora  aveaiio 
ingegno  ed  accòrtexza  fiqiuiiiia ,  e  che  mao^g^- 
rotu>  'Con  soinpia  concerìa  tra  lofo  -  tutti  ,gli .  e£- 
fari  ^11* impedo ;  con  questo  divario,,  che  Teo- 
dora ci  poteva  più  del  manto ,  Or ,  ocnne  esn 
erano  aneodue  da  inopinata  fortuna  poirfatj .  a  « 
alto  AtatPi  do^e  «od  eia  passibile  disfìig^  riot 
ridia  e  Io  sconteptainento  d'  ÌQ&pjite  gexioiw  che 
sì  pputaTaqo.-aisai  più  nerìterqli  .^  ^^Ua.scanr 
deifSBt.i  soipetd,*  I?  ^f^^fitae,  e  la  p^^otfif^ 
ne  de'  grandi  e  .de' .potenti,  «Ffiiio,  inevitabili. 
Sen^acfaèjri  disegpi  e  le  .voglie  di,  Git^stiniano 
erano  amqoi  lupenorì  alla. gcapi^ezj^r del  suo-s^* 
to,  e^  il  fastp.di  !!I^e()doira ., maggiore  q»^ì, divari- 
lo che  si  convenisse  a  gran  reioa.  Qin;idi  naicfr- 
va  r.avai^zia  d^Hl^uoo.e.  dell* altra, ,.p^  supplirà 
alle  spfse  ohe  i.  yast^  edaiabìzig8Ì.-d^agiiiipgbÌ9t- 
tis90.ao  necessariamebte ;  ed  infiniti  raggiri,  frodi 
e  ingiustizie  si  p^p^Tj^/jp  .opera,,, pef..tf;%sr&-9i ca- 
sa loro  il  den^  e  la  soetania  .de'  su^ditì^  (j). 
OjT, questi,  dunqqg^  fiironq  l  prjiKjipi,  ^t^p  ,gV  SS' 
diai  de*  i}uali  s- intrapeese: di  eapoiar. i-Goti  d'Ita^ 
lia^.c  jriynirl^  ^U*Ìp)p?rio,      :'i  .  ,  .     .,    ,  ...  .; 


tarebhè  stato  pericoloso  llSirnétìiaìe/'aiicprchè  veroJ*iixeit 
Uftlvivèépo  «Mi  e  i-IpTo  parerli.   '  '   i-     ..'■-'    "^ 


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tiBRO  Vf.  Capo  H.     '■  iSS 

C   A    P   O      «. 

Ca^m  e  prìncipU  déBa  guèrra   contro  i  Goti^ 

Oe  alla  storia  segreta  prediamo  fède,  il  primo 
ed  aache  ragionevol  pretesto  eh'  ebbe  Giustinia- 
no dì  muover  guerra  in  Italia,  nacque  pure  dal- 
ia maTragia  gelosia  dell*  imperadrice  Teodora . 
Amalaìiuata,  da  die  ■rìde  che  l'autorità  sua  era 
caduta,  è  che  Teodato' chiamato  da  lei  a  parte 
del  regno ,  in  luogo  di  cooteptareì  degli  onori  e 
del  tìtolo,  voleva'  piir  comandare  ìneffetto,  avea 
fatto  pensiero  di  ritirarsi  a  Costantinopoli  per  vU- 
TfeWf;  benché  in  privata  fortuna  ^  con  quegli  ono- 
ri e  *iue'  comodi' che  per  "mezzo  d'occulti  trat- 
tati l'impefadoreie  dava  a  sperare .' Ma"  Teodo- 
tSi  fatta  di  questi  disegni  consapevole,'  temiindù 
che' lina  regina' di  sangue  chiarissimo,  di  bellez- ' 
n  e  d'iog^no'e  di  senno  egrrfgìàitìerife  fornifa, 
gl'unta  che  foMe  aHa  corte,  potesse  senza  troppa 
difficoltà  guadagnarsi  o  l'affètto  o*la;  sliiha  del- 
l'imperadore ,  ed  alienario  da' sé  (  oom6  queHa 
che  non  potea  lusingarst  d'andar  per  nascita  e 
per  virtù  del  pari  colla  regina  de'  Goti);  sì  stu- 
diò di  romper  colla  sua  perfìdia  un  di«^ao,  H 
quale  per  poco  avrebbe  diminuiti  i  mali  che  poi 
«bbe  a  patir  l'Italia  nel  cambiar  signoria.  loque-. 
sti  frangenti  adunque  Teodora  persuade  Giusti- 
iffano,  che  si  dovesse  mandare  alla  regina  come 
Tomo  IL  5 


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.66  Delle  Bivolisioni  d'ItalU 

ambascBadore  un  uomo,  quasr. per  onorarla  e- traf-' 
lar  con  lei  e  con  Teodato  delle  cose  va-tenti ,  A 
qnesta  imbasceria  ft.  per  suggerimento  d'aurata 
destinato  Pietro  (i),  al  quale  ella  diede  in  spra^ 
ma  questa  commissione  dì  stimolar  Teodato  a-  le- 
Tar  via  del  mondo  AtnafuUBta.,  pHma  ph'  ella 
partisse  d^  Italia  .ppr.Teaìre- a.'Co»taQtÌAoppli.  Goa 
quali  ragioni,  il  ministra  di  Teodora  abbia  indot- 
to il  r^  Goto  a  quel  parricidio ,  serìtae  Fropppip 
di  non  sapere  (t)  ;  ma  l' effetto  eegiH  .pijre  _6fr 
■condo  il  desiderio  dell' imperadrice  ►:  Of  ìfi  ^CPH^ 
di  Co3tcUitincy)òli«  preso',  argomento  dalla  .nioptje 
d'AmalosuDtlE*  com^iciò  subito,  ft  imqAaùar  i]Ì 
T^n(let<a  il  re  TeodAto.,  il  quale  al  s<rfQ  nome  di 
guerra  tremava  tutto .  Colla  speranza  ,di  librar» 
éa  questQ  pericolo^  dicliiarò  ali* ambc^seìador  Gre- 
co,, che  p^  compiacere  all' ittfperadoRe  av^b^si 
icoDtentato  di  rìtcnerttfl  regno  d'Italia  Qomfi  s^9 
vassallo  _^  Temendo  .tuttavia ,  «he  a  questi  patti 
Giustiniano  noa  s'acquetasse,,  ritornò,  indict*^ 
ramba$ciadore,. annaso  dMatendere da l^i^  ee.^- 
U  corte  i^p^riale .crebbero  state' Acoett^.ìeL sue* 
proferte.- Piacevole .cpUoquia  $i  h  quello,  c&c  in 
^qesi' iwopito  tsi  rapporta  ProcQpie.tJa^.'Iìwditf* 
e  Pietro. ^Perciopc^è  ;staiido  pura  il  re  Goto  « 
jnqsirAre-cIio:  dopo-Ie  «^oodiziptii  di  pBcv\  ahe  gU 
!90'ei4va,,  rini|)eraàone  not^  arreljbe 'avuto  ragj»> 
jo^  di  muovergli  ^«rra  ^  r^^plicò.  PÌet«>  )  ».  Tu  cb« 

ft)  Procop.  Hìstor.  are.  pag.  78  et  teq;.- 
(3)  De  BeJl.  Goth.  lib.  j ,  c«p.  5,  A. 


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Dbro  vi.  Capo  H.  67 

«  Bei  fiibsoFo  hS  ài  studiato  Platone ,  ben  fai  di 
»  tkcaxtì  a  coscienza  e  avere  scrupolo  d*  ammaz- 
»  zar  coliti  goecre  gli  uomini,  bèncliè  tanti  ne 
»  sien  nel  raoddo;  ma  Giustiniano  che  vuol  far- 
ri la  da  magnaoiffio  impcràdor'e,  non  à  cosa  che 
»  .lo  ritenga  dal  ripigliarsi  coli*  armi  le  provincie 
»  che  per'  antfcii  ragione  ali*'  imperio'  appartengo- 
Ji  riti  »  .  ^qnt*  é  :  fl  titnido  é  vii  "feodato  fece 
pFomessa,  giurata' a  Piètra,-  cte',  dove  le  proposta 
non*  soSdiifadessero  ,  "  egli  avrebbe,  mediarité  un 
certo  assegnamento ,  lasciato  il  regno .  S' obbligò 
Pietro  cori  giuramento  di  non  manifestare  ali*  im- 
peradore  questa"  seconda  inteùriftrié ,  salvo  che 
r  Ostinato  rifiato  del  prìnla  patto  vél  Costringesse  ; 
ed  in  quel  caso'  portava  àncbe  '  séco'  ima  lettera 
dl'Teodàfo'  medésimo'  dirètta  é£  Giustiniano  in 
confermazlgne  di  qùantd  egfì  àverf  Aà  pTofefire . 
ri  Se  ncm  si'  pu&  aver  regno,  scriveva 'il  re  Gbtò, 
■*  senza  gueh'ày  lo  rinunzio  'ài  bUori  gf^do  .irt- 
»  l'uno  ed  all'altra.  Non  feggti' per'  qual  ragì^- 
»  ne' IO  debba  pèrdere  là  dófciizza  della  qinef« 
rf  per  la'  gloria  peiieòldsa;  e" penosi  ;dì  régriaffe. 
n  Rlrchè  io'  abbia  tanti  poderi ,  cfce  itìi  :  fruttili* 
jtf  iiiilledùbcelùto  libbre^  d*  oro ,  ftiàndai  Jiur  siltìtto 
«  (iereòne  ftelte  cui  mani  icf  riponga  "  i*  impalo 
*  dfe'  Goti  e  dell'Italia  »  (i)-  Créderà."  chi  vpo- 
le*  èbe  quid  '  Pietro'  sollécftator  <fi  parricidio  ab- 
bia-mahfenùto  là  promessa  giurata  ait^sòdatodi 

(i)  Procop.iifc;  (  «p;  «.-  ■     — 


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68  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

non  Sscoprire  le  seconde  proposìzioBÌ ,  salvo  "dopo 
rifiutata  la  prima .  Fatto  «ta.  che  a  Giustiniano 
fu  rimessa  la  lettera  di  Teodato,  e  offertagli  ÌA 
cessione  eh*  egli  prometteva  fare  del  regno  d' Ita-* 
lia.  Ma  Teodato  unì  alla  viltà  sua  la  solita  -fiep- 
fidià  e  l' impiudenza  .  Alta  nuova  che  poco  dopo 
ricevette ,  d*  una  leggiere  sconfitta  che  1'  esercitò 
imperiale  avea  toceo  óèllàiDalmizSa,  levatosi -ia 
'  superbia,  ai  fece  brffe .de' ttiinistri  che  già -l'ìnw 
pgraddre  avea  mandato  in  4ta)Ìft  perchè  ii  à^k 
coropimento  a>  trattato,  -^       -     .   - 


Prima  spe^zìone  £  BeKsarh  in  hàUa:  sue  qualbà 
'-  ed  imprtsé;  e  trattati  co'  GoH  e  co^'-Ihineki;  | 


Ma  già  era  in  Sicilia  ìì  famoso  duce  ■  BeHsari(>, 
il  quale  passando  io  Itafia,  se  non  riceveva',  se- 
tòindò  l'ordine  datogli  da  Giustiniano 'che 'il  co^ 
stituiva  suo  general  luogotenente,  la  cessione  '  pn> 
tnessa  del  regno ,  era  per  occuparlo  con'  ìa  forza 
tìeiP  armi  ;  Il  carattere  di  Belisario  è  '  quello  cfeb 
Viacon^a  M  spesso  nelle  vite  degK  uomini  iltó- 
stri;  vòglfo  dire  un  compósto  dì  grandi  Virtù  * 
tì^'gtandì" vizi,  come  colui  cfre  fa  nn  grflndrefrtife 
Th^feccla'al  liondoi  e  dentro  alle  nhirà dèlia prS- 
"pria  casa  nn  uomìcciuolo  iriescfainissimo  e  ridico- 
Ì6i  Gran  capìtaào;^  di' mente  sopta  ogirf  dttìlerÈ 


=dDvGoo^lc 


Libro  VI.  Capo  Ut  69 

feconda  dì  partiti  e  di  spedìenti  fu  e^li  certamen* 
te:'  fcd  ancorché  piacesse  ad  alcuno  diffólcaro 
gualche  cosa  da  ciò  che  delle  sue  spedizioni  scii- 
ve  Procopio  ia  tre  distinte  storie  della  guerra 
Persiana ,  della  Vandalica,  e  della  Gotica,  essen- 
do per  altro  state  scritte  in  tempo  da  non  poter 
variare  la  sostanza  de*,  fatti  t  forza  è  credere 
eli*  eg)i  superasse  ne4I'.arfe  militare  tutti  i  capii^ 
ni  che  avesse  avuta  i'imperìo  per  molti  secoli. 
JMa  questa  gran  duce ,  soggìogator  de*  Vairdali  e 
de*  Goti,  e  vincitor  de*  Fersiaiv,  fu  perpetua- 
mente vile  schiavo  d*  una  sua  moglie  avara  e  li- 
oenzìosa,  la  quale,  per  più  ignomima  di  quel- 
r  imperio ,  non  solamente  con  sue  donnesche  lu- 
singhe -e  malizie  gOTcroi  -dispoticamente  tutto 
V  ipterno  e  il  domestico  dì  Belisario ,  ma  per 
r  amicizia  che'  Aatomna  (  che  tale  era  il  nome 
di  quella  donna  ^  seppe  mantenersi  con  l'irape'^ 
FadriGC,  esempio  Tarissimo  e  stupendo  d' amicizia 
.ferma  e  durevole,  e  di  somma  cenBdenza  tra  dw 
Aonne,  potè  «sei  l'  arbitra  deUft  fortuna  di  suo 
ynarito .. 

Belisario  tornato  era  di  fresi^  dall' impresa 
.^cll*  Africa  felicemente  mandata  a.  fiofr,  a.v«ido 
eopqmstato  ed  unito  ^  dominio  del^  ^0  «gnpre 
fi  gran  provincia ,  forche .  Gisstuiiano  lo  destt* 
-BÌi  a^i  affari  d*  Kalca ,.  lisolutp  di  riunire  al  soo 
iiupcEio  aocQi;  quesCa  regno  o  per.trattato.,  a  per 
fopza.^a{>e[ta.  imtonina  sua  mt^ie»  che  coleva 
leguìJiailo  ia  tuttl.ì  suoÌ.,vÌE^gr  o  ,pei:.  ttmat  cho 


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70  Deixb  Rivoluzioni  d'  Italia 

lungi  dalle  V)plustpg;h|e  jl'appassioiiato  marito  004-. 
aprisse  gli  pcchf  e  le  iweiase'dì  nianp,  o  ptì»  i- 
strarriccbir  th  e  il  sua  male  am^to  Teo^oeio;  i( 
quale' teputo  io  età  giovamleal  sagrq  fon<«  da 
lei  e  da  Belisario,'  era  cresciuto  ip'vasa  kiro«  fe 
divenuto  col  tempo'  «rrastànte  di  «gm  «««a» 
drudo  della  padronar;  ^fu  poi-  ci^ne  fji. tutti  i 
falli  di  B^issfio^  e4  ebbe  non  'poca  pàtte<-ì)El 
peggìpràriecose- d'Italia,' '"  ■      •  ■  -■     .    .    , 

Focbi'  hiesi  dofio  la  morte  d'-AtealaÀmti 
("AN.  535)  già  !S'*  tfóTavà  in  Sicilia  Bélisariov 
doT*e^H  diede  principio- al  còosijàf»  coóTerlfoglì 
d?  Gf^stìpfanq  senza  cajlega.  Passattf'iD'  Ra^  ìt( 
quel  fìangepte  medesimo  cbe  Teodato  pe*  la  tbt* 
ta  dell*  eseirito  Greco  nella  Dalmazia- >avea  rrtraiw 
tati  i  patti  già  còDcbiust  colla  do^  di  Gostatit]« 
napoli  j'preée' Napoli  non  sepka' '  stento  ;  la<  qittdjl 
presa  in  rendè  memorabile  pere^sHe  glic^sediaiH 
ti~  eiitrati  nella:  città -per  -qtiella'  stèssi)  aequ^dóttot 
per^  cOì  ■mille'-  anirt  dopp-  eptràropo.  i  Soldati  del 
re^Àffcmo.  '<5u«ta- prima  'injpreea-  ebe  fece  iu 
Italia  Belì^rìp',  'come  iu  cagtppe -ini^«4iiata  della 
depósiziprip  e'  dpllà  morte  di  -Tpijdato,  .tdla  cui 
trascui^g^  «ttribufvìmo- i  Goti  la  perdita  df 
Kapòli;  pósi 'fu  ancor  principiò  della  caduta  ^ 
iJÈnJé  di  gudfii  pàzltìné,  -  '  "'^-  ■'  ■■■■-  ;'-  "jj 
'■"^  'Non^  pwè-leggère^  seirea-'affappreJi  bomax^ 
to  o  dieci  mila  uopiioi ,  cbe  appena  tanti  ne 
aj«a.SteIia»rie  Bot*0oih%iQv.cfti9aBdp»..,fls«*ed|p8e' 
ro  e  mettessero  guerm'gìoni    in  'tante  «j>ttàr'\<* 


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1    XmBo.  VL  Capo  IIL  71 

«eorrssftiD  con^  padcooi  e  trioDfanti  quasi  tutt^i 
Itdlkt ,  dove  una  volta  qn^nque  si  fosse  piìi  me- 
cKocre  cantone  n^ett^va'  i^  campo  venti  o  trenta 
mila  aratati .  Venamcnte  non  maocavaDo  qua  e 
ìà.  per  i  tutte  le  .  citÈà.  -  ^^liane  molte  persone  .mal 
■oddiafatte  de*  Goti  oonj9odan.tJ-*  c^e  ^  credeva- 
Qo  scigcQROieBtfl  di,  ricorgere  a  migUore  stato  mn-' 
tbodo.  ngaorìq. ,  e  ,perb  ùclìniiTaDa  a  ritoroai;  sot- 
to il  dominio  di  chi  portara  H.  oome  d'impera- 
^ritetiiiliU)<.-^^ottrechè  sÌ8a:p^pr}ioi;a,  quan-' 
tfti  bìfi  dipopO"  rilievo  il  fa.voF  dell»  raoltitudiaa 
ditaroHlfa-vi  cpi&para^ioDe  degli- ^ercitf  ordinati,- 
gì*  Uadiani  uwi  et}beTa  -lungo  andaj-e  ad  accpi^er-, 
si' quanto  foBSQ  p^^oce  iir  dominio  de'  Greci,, 
che  qusUo.d^i  Goti,;;  e  che -Je  .ganti  le  quaJt  por-,. 
taTaEi.0  rai^mì' B  no nie- dell' impeiradoret  {eraqo-di 
più  barbari  0  Btrani  .paesi-,  che-,  Jspjj  .fipssero.ia 
origìoe  glj  stMw  Goti.^  Per  Ia..quaÌ  .-cosa' dórette. 
Qsud  pr»to  «^s^Sire  e  falle^|tarsi:-queU*j[|cIii}azii>r 
■e  e'  favore  che  |Bost;racoaa  :da  •  principio  agU 
ftvasjiainwti  de}l^-armi  imperiali..  -Ciò  non.ostaQ-: 
te  -noq  dir^.gjà ,  -pfas  wj  piccolo -,esef\:ìtq  di  Giu^ 
stisiano^  jsa  quasi  cti&  il  «eguito.  q  la  potenza 
à''  una  fa»ii^a'bast6  solo  a,  royesoiare.  lo.  ,atàta 
àgjt  giaft  Teptìppcol;  (i.),,  Certs»  è-ic^".  le;,  trup- 
pe che  mandò  Giusttniaiio  ip  Italia»  npq.njontj^- 
ftiVKMan  ^Vmtwit^' uomini.,  'e ';per  ^  .fHi  del 


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7»  Delle  Rivox-uzioni  n'Ir  ali  a 

tempo  che  darò  la  guerra ,  non  passarono  i  dt'fr- 
cimtta ,  raccolti  di  sì  diverse  genti,  Orecr,  Triu 
ci ,  hauri ,  Abini ,  Uoni ,  iMaurì ,  «  pertìo  de'  Per- 
Mani  ;  comandati  da  capitani  di  nazione,  di  lin- 
gua, e  più  ancora  d'interesse  diversi. e  diseordi  ' 
^  loro,  e  ^asi  sempre  dìsobbedienti  «  restii 
agli  ordini  del  duce  supronor  laddove  i  Gol*, 
nazione  flior  dì  dubbio  valorosa  e  guerriera»  che 
da  ben  iSo  anni  avea  dato  tanto  terrore  ai  Re- 
taani  *  e  acquistatasi  nelte  triippe  nuperiali  ripu- 
tazione sì  singdaie ,  contavano  ancora  sul  pria-i 
cipio  di  questa  guerra  fino  a  cinquantamila  ar- 
mati di  loro  gente.  -  Convien  dire  che  qiialche 
inusitato  o  terrore  od  avvilimento  per  oceaka  ea- 
gioBe  avesse  occupato  allora  gli  animi  'de'  6oti , 
£  Ppocopio  spettatore  e  scrittOTB  di  questa  guer- 
ra ,  brache'  non  troppo  solito  a  dftfsi  vanto  di 
.  veligiesità ,  ^e  questo-  pensiero ,  ebe  le  imprese 
non  procedono  e  non  si  cooduetHio  a  fine  iièpeK 
generosità  o  moltitudine  d' uomini ,  aè  per  fcraa 
d'ammo-;  ma  essere  un  nume  (^e  piega  e  guida 
a' suoi  destinati  £m  h  mesti  loro  (i).  Non  era 
per  altro  jsh  di  bravura,  ne  dipradenaa  Sbraito 
Vìttge  eh'  era  stat«  eletto  re  de'  Goti  alla  depo* 
«izioue  di  tFeodatò ,  e  che  per  m^lio  asMcurarsi 
.^ello  Ec()ttro  avea  costretta-  la  nipote  del  gran. 
Tcodorica  a  sposarlo.  Cercb  Vitige  suhitsuneote 
di  liberarsi   da  ogni  cura  d'altre  guerre}  e^ di 

(ij  Procoji.  Kb.  a,  «ap..3E^ 


ovGooglc 


.     lAso  VI.  Capo  IH-  7* 

«luinrsi  ODCwa  d' aiuti  esteroi  còl  cedere  «i  re 
f  l'anchi  *  per  farsegli  amici ,  le  pronncie  cfae  gli 
Ostrogoti  poseedevano  nelle  Gallie  ;  il  che  già 
area  deliberato  e  preso  a  trattare  Teodato  suo 
antecessore  (i).  Ma  né  Vitìge  ebbe  T  aiuto  che 
sperava  da'  Fraachi ,  uè;  con  le  forse  cfae  area 
in  Italia,  potè  ÌDipe(Sre  j  pfogreasi  deglWmpeóa- 
K.  Belisario  entrato  in  fìotna  vi  «  forti6cè,  e  si 
difese  dagli  assalti  che  gli  diedero  i  aeaioi  per 
ricuperar -^lella  caf»tale.  Quindi  aTanzatosi  versa 
l'oEmilia  e  la  Liguria ,  prese ,  beochè  poi  per  cst- 
ttvjtà  de*  suoi  luogoteoentì  sì  perdesse  di  nuovo , 
la  città  di  Milano;  e  costrettoli  re  Vitìge  achiiv- 
dersi  in  Ravenna ,  ve  lo  assediò ,  e  l' indulse ,  a 
peosaM  alla  resa. 

Ma  mentee  il  gsaieral  Greco  a  di^tto  d*ÌQ- 
fìntti  ostacoli  e  dell'  indolenza  dell'  imperadore 
suo  paò-one  avanzava  sua  impresa  coptco  j  Oo- 
ti,  poca  mancò  che  «n  fenio  .potentato  ooa.  ne 
cogliesse  o  tutto,  o  la  massima' parte  dfel  frutto. 
iVolgendo  il  quarto  anno  da  che  JBeltsario  av^ft 
jtpprodafo  alla  Tiriera  dÌI4apioIÌi  l'Italia,  pel  cui 
r^no  si  guerreggiava  tra' Greci  e  ìGoti»  fu  vjpi- 
ua  a  divenir  la  poeda  de'  Fwachr^  Teodeborto 
le  dell' Austrawa  in  quel  tempo  v..jigeMati  gì' in- 
viti tanto  di  Gìustiniaiio  creile' Goti*  da.aui'Ael 
prindpio  della  guerra  era  state  icbiadiiató  io  .cou- 
federanooe,  avea  in  oi»ic&jì»ian«  /atto.  p(0iw«s4 

(1)  Casiìod.  lib.  io^(epiil..^5S  .■  ■'  ..     -    .'.  '^:. 


ovGooglc 


^-  Delle  RiTOtUzrMi  ip'  ktkUA 

di  atani  .neutrale  .  Nondimeno ,  tedttti  ^i  avaiN^ 
zameàti  de'  cesariAoi ,  o.  tetnendo;  per  vejitHra, 
òhe  Giustiniano,  debellati  j  Goti  e'^'nacqqistàiA 
rit^ia,  aon  g' inrojgUafse  dì  cercar  ts&od^ . df^i 
stati  delle  GalHe;  o  , perchè  roleese  .  meqtiìe  ^U 
altri  8Ì  consumaroóo ,  .^t^Iorarlle  cose.  d'Italia  « 
oomìacib  a  masdar  :  sotto  nome  de'  Borgognoni 
dieoiniila  de'  suoi  ipr  aiqto  de*  Goti  i  «  la  v0Qut«t 
di  questa  ^ente  fu  io  fatU  di  ooa  piccob  impw-^ 
eie  aU'ìmfnvsa  de'  Grecia  Cin»;  uà  «iiaoi  dopo^' 
vedendo  te  fòrze  degU  uni  e  d^  altvi  graiide^ 
ment0<  esaiisfe  c(|  indébdJte,  Teodeberto  .«i  rìsc^- 
Tè,  aoQ  ottante  la  giorala  neutralità.,  di  itasajtarj 
Vilaiàa  t  scdtomettferla  al  auq . dominio .  Credette-. 
ro  i  Goti  io  sul  principio ,  che  t  francbi  .cÌ'T»t<. 
lÙRsero  come  amici,  in.- loro  aiuto;  ^e  perdntfache. 
gì' impedissero  .nel  passaggio,  ma  gli  sioei^fittart)! 
lietamente,  finclù  .comint^'arono  essi-  ì  primi,  -tìk. 
provar  la  loro  ne|nica:  bacbari»,  albrcbè  iuràno. 
penetrati  nel  cuore  dcUa  Liguria. fin  presso  Mila- ^ 
no  •  Payi^.  Cosà  i  fraiicbi  diedn^t;^  dua'SDonHtfe 
a'  Goitì  ed  ai  Greó),  prìqift  che  .ai (.sapesse  bene, 
a- che  fine  fossero  «alati  in  Italia.  Ma  il  reFran* 
cese  non  ebbe  altro  frutto  di  ^uell*  ìmpeesa ,  che . 
P'Onta  d' uqif  temeraria  ed  ingiusta  ìny^ionei  a. 
della  perdita  .dei  due.leczi.  delia  sua'  osta  nume-»: 
Toaa.;  Pe^CiQcobè  non  trorando-  altro. .da'  sodeoEar. 
te  st^e  genti,  chebuoi  ed  acqua  .(talmente,  «raij 
acche  la  miglior  contrada  d'Italia  ridotta  a  soli- 
tudine); e  per  le  acque  che -beyeaaott.non&yefido 


ovGooglc 


.  -L^BRO  VI.  Capo  HI,  ^ 

fpnea  ^  '  digerir  fé  qualità  del  cibo,  uDa'aì  6e-i 
f&  dUsi&Ateàa.  atéapob  V  annata  de'  Fraacbi ,  inde» 
beliti  é;£&Cclii  per  alte?)  parte  dalla  qualità  della' 
stagiono  e  dèi  clima  ptù  eaildo  de}  loro  p»se  ì 
phé  vi  perivano  nùier^tnente ,  perchè  ìi  caldo:  a 
il  difetto 'ds*  t^ireri,  :o£^!on  del  nua'boi,  -ne  toi- 
l^evaìXi  aDcora:  il  rimediti  ('i)  .  Partito  cogli  at^an* 
fi  del  sud  afflitto  esercito-  Teoàiehetìii ,  p^co  stetw 
tero  i  Otiti  «  per  vari  fo^nosi  accidenti ,  e  pep 
ÌBdustria  di  B«^99no  a  mancar  di  viveri  aoch^  es< 
^t  ;  :  sicché  'P<3op  pareva  che  potesser  durare  ;  con- 
Itro  i  Ro^P^i  fli^: qualcosa  iotend«pdo  i-re  FraD-* 
ettsi-,  cioè  Teodeberto  si^ddetto  e  i  suoi  fratelli  i 
maodaroBo  ambasciadori  a  Vitige  per,  «firirgli 
proQtd  socoorso,  dove  i-Goti  voles^r ' dÌTÌ(]ére>  ii 
dwi^ino  d' Italia  :coii  esSQ  loro  .  Bel»ario  che  fù- 
di  questa  cosa! avviato',  mandò  altresì  snoi  atu 
nx&tàkì  T&  Vitvge  a  6tie  di  limuoveFlo  da  ogni. 
peoÀeit)  di  &r:  leghe  eòa  altra  gente  ^  e  Sat  '  in* 
teodniea  'In!  ed.  a'-ca{n  de*  Goti;  ;  che  qualora 
deUberasieK^-dì  cedere  parte  de-  paesi  Italiani  ebo 
aveao  tenuto  iqaaozi.,  fi  più  sicord  partito  ,  per 
loto  exa.di  trattai-e  accordi  con  Gii»tinianp  .  Pre- 
Tab»  pel  connglip  de*  Goti  la  propoerta-  di  BeU* 
ario ,  js:  licenziati  i  l'rancbi,  fu  cpnchiaso  di' 
mandar  incontanente  amba^iadori  -  a  Co^st^tino-  • 
poli  per  trattar,  della  pace.  CoBCiniiavasì  in.  que^ 
sto  ms9Eo  r  astemia  di  Batenna  dove'  i  Goti  &-  erano 

(i)  Ptowp,  lil».  a^^oap.- »A '.  ■-:    '  f  «   ■< 


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7&  Delle  BivoLDziosi  d'Itilm 

ridotti  col  meglio  delle  lor  foi'ze,,Buperiori  tetf- 
xa  Gomparazioae  a.  quelle  de'  Greci  *  aspettane 
dcf  te  determinazioni  della  corte  di  Costantinopo» 
U  .  (funsero  in  fatti  gP  iaviati  dell*  impefadore; 
OQn  lettere,  per  cui  egli  lasciava  Tarbitrìe  a;' suoi 
capitani  ed  agenti  di  part^  il  demÌDra  d' Italia 
co*  Gotr,  e  di  por  6ne  alla  guerra.'  Belisario  cui 
forse  i  porffuneDti  d'Antoaina  sua  moglie  ebe 
»*  impattava  sovranamente  to  tutto-  il  goterso 
della  guerra,  rendevano  sempre  più-odioso,  iróvìn 
tutti  i  capitani  inferiori  incHnatìssimi  al.  partiU» 
della  pace ,  ì  quali ,  obbligati  %  ciò  da  Belisasia 
medesimo  y  diedero  il  parer  loro  per  iscritto  ,  in 
eui  anche  dicbiararono  cbe  l'annata  eesariani^ 
BOB  bastava,  assolutameiite  a.£ar  fronte  a'  Goti  (.i) , 
Ciò' Boa  ostante  vinse  la  fermezza  ed  il  maneggio, 
di  Belisario ,  il  quale  avepdo  per  segrete  pràticb« 
|à.tta  appiccar  fuoco  a'  magazzini  di  Raveanà , 
stimolò  maggiormente  i  Goti  alla  resa  ^  E  &i  allo-^ 
ra,  che  le  donne  de'  Goti^  vedendo  sì  scarsa  e 
si  misera  V  aroiata  de*  Greci  f  dissero  gran  vil-> 
lADÌa  a'  loro  uomini  ehe  s* erano  dati  per  vieti* 
XJfi  fatto  si  rilevante  d'entrar  niocitore  nella- ca- 
pitale del.  regno  d' Italia ,  é  di  ricever  prigione  il 
tfl  Vitige  epH  forze. si  disuguali,  giovò  pmttosta:^ 
iBelisario  pf  r  coDciliargli  la  stima  de'  nemici ,  che 
pcc  quietar  i  sospetti,  la  gelosia,  V odia  de' suoi» 
Non .  potevano:  i  suoi  malaroU  inetta  wpetto 

(i)  Pc«co|i.  iil>.  a,  <|ap.  7  ;  «t  puiin  alibi/     .  , 


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Libro  VJ.  Capo  Ilt  7? 

«elf*  annoio  dell' imperatore  ,éhe  Belisario  ée  la  ]'□•' 
-tèndesse  co*  Goti  e  vendesse  loro  gl'interessi  dei 
«uò  signofe ,  esseado  manifesto  che  fuor  dell*  al- 
trui espettazioné  egli  avanzava  fortemente  l' ifti- 
presa .  Cetcai'ono  perciò  dì  far  credere  a  Giusti- 
alaflo  ,  che  l' iutraprendente  capitano  macchinasse 
dì  rivoltare  all'esaltamento  suo  proprio  gli  acqui' 
sti ,  ed  oecupàre  per  «è  ÌI  regno  d'Italia.  Cotesto 
spspetto  potè  tanto  '  più  facilmente  annidarsi  neì- 
r  animo  delj*  impemdore ,  perchè  egli  stesso  ebbe 
di  questo  qualche  timore  avanti  la  spedizione  del- 
la^ "sua  armata  in  Italia;  e  perì)  Belisario  era  sta- 
tò nel  frangente  di  sua  partenza  obbligato  a  giu-i 
l'are  che  egli ,  vivendo  Giustiniano ,  non  avrebbe' 
tóai  preso  titolo  né  d*  imperadore  *  né  di  re  d'  I- 
talia  .  Se  non  vogliamo  negar  fede  a  Prooopio , 
dobbiamo  credere  che  il  suo  eroe  sia  stato  fedeltà 
(die  fatte  promesse,  e  che  quantunque  soUecitaló 
fòrtemente' a  volersi  prendere  la  corona  e  la  por- 
pora dai  Gioti  medesimi  che  si  offerivano  dì  rico- 
noscerlo ed  obbedirlo  cbme  laro  sovrano ,  obbe- 
disse francamente  agli  ordini  della  corte  che  16 
richiamava  in  Oriente.  Il  motivo  che  addusse  la 
éorte  per  rimuovere  Belisario  dagli  affari  d' Italia^ 
fu  il  bisogno  che  v'era  dell'opera  sua  per  la 
guerra  Persiana ,  al  governo  delta  quale  egli  fu 
di  fatto  mandato  incontanente  •  Non  dobbiam  ta- 
cere che  là  guerra  allor  mossa  dal  re  di  Persia 
contro  r  imperio  era  stata  cagionata  per  opera  e 
per  raggira  de* 'Goti,    t  quali  ftierò    in  questa 


ovCooglc 


(!onghintùra  quello  appunto  che  cento  e  dtì^« 
Cent'  aDDÌ  prima  avfebbono'  dovuto  far  i  fiomaDÌ 
per  sicurezza  dèlio  etato  loro,  se  dicessero  avuto  « 
come  ahbìà.aio'  osservato  altrove ,'  sufficiente  co" 
gbizìDue  della  Scizia  ò  Tiu-taria  ^ìatica''.  Aveva^ 
no  i  Goti,  mentre  che" correvano' slla^'agliati  *  bat- 
tuti dall'armi  cesaree,  riltìvato  ne'  loro  consigli» 
che  gì' impfera'dorì  Romani  d' Oriràte  non  s'erano 
lAai  mossi  a:  disturbare  gli  stati  de*  barbari  tik  in 
Italia,  né'  in  altra  parte deH*OiccIdeilttfj  salvocfe* 
quandtf  essi  erano  in  pace'  coi  re'  tji  Persia  (i)', 
Mossi  d^  questo^  riflesso  V  i  fine  di  ^avars^a^S'at-' 
to  o  di  flCeàiar  il  peso  che  orattiai  stava  .^*  op4 
)>rjmerli ,  della  guèrra ,  mandarono  .sfgi'efAÙènM 
dtatì  ecelesiastìci ,  probabtfm^tè  Ariani ,  unirete 
b  un  Vescovo  ,'con  lettere  al  re  Perd^^b-  a  -^ni 
d'  iiida]>Io  '  a  rompere  la  p^oe  con  ì  Ito^tiibiì  %  14% 
in  fòtti  rìuiscì:  lor  vano*  iT  di^gnffr  pa%faèv  tjuaa* 
do  meno  se  nff  temeva,  le  pvòvfticie -Rcmahefiti 
ronq  ostilmente  invase  «  cfevastate-  dall' arali 'feirr 
sian0'.  ■-.;.:  '■■. 


(■i)  Procop.  libi  a,  oap. ^a. 


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liBAo.  vi  GafO  W.  79 


Vreazime  M  Totìla  in  te  df^Gctii  vieemkdiSfi 
.    i&^TZQ  aìla  corte  <à'  C^tai^ap<Mi  è  suasecon^ 
■da  spe^zùm  in  Italia,  . 


j\l«ot¥«  hf  oM»  ae^Orecì'dopo  la  pattenxi  Ai 
BtMfeado  {Uidaf £Mio  ricadendo  pei  U  dappocaggioa 
od;  avadraà  d«'  miflastri  che  fecero  vie  jnaggioiw 
meDt«  <ioaascet^,aigyiiàS&D.if  com'essiv  per  uscìt 
rè  d'uH  le^QF  lactfìo,  sperano  messi  tra  ceppi  e 
jU-a  -catena  coll^.aver  toIuW  riniavare  il  nomg 
d'ImperÌQj'i  Goti  che  già  peC  qaesta  stessa  mala 
condotta  dn*  loro  avversari  aveaco  comidciato  s 
riacquisfór  credito  e  favore,  WcJto  più  gagliarda? 
taente  rkots^o  qaaiiào,  pec  U  pn^'ooia  di  Viti-r 
gcr  e  per  la  morte  violenta  d' Idebaldo ,  il  qual^ 
al  rifiuto  di  Belisario  gli  cta  succeduto  per  .opeca 
male  di  poi  ricompensata  del  generale  Uraìa ,  fu 
innalzato  al  regno  il  gran  Totila .  Lo  storico  Pro- 
copia  partigiano  de'  Greci ,  che  scrisse  dopo  Ut 
morte  dì  lui  o  dopo  la  distrazione  de*  Goti,  e 
che  peonò  non  potea  avere  stimolo  alcuno  di  lo- 
darlo più  del  giusto  e  del  vero,  parla  in  più  luo- 
ghi della  sua  storia  delle  aziorti  di  questo  re  bar- 
baro in  tal  maniera,  che  appena  fra  gli  antichi 
eroi  che  ci  presenta  l^.jitoria.Greca  e  la  Etofimna , 


=dDvGooglc 


$4  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

troveremo  alcuno  da  anteporgli  (i).  Egli  s^pr 
pe  si  bene  accoppiare  il  vigore  e  la  fermezza  del 
governo  con  1*  umanità  e  la  clemenza,  la  destrez- 
za e  l'attività  d'un  ministro,  e  t'affetto  d'un 
prìaape  amorevole,  che  «  difficile  non  arder  di 
sdegno  quando  à  ledono  certi  scrittori  Ì4veire 
contro  quella  nazione,  e  chiamar  Totila  un  bar- 
baro ed  un  tiranno  .  La  cura  che  in  tanta  agita- 
zione di  guerra  e  «coavolgimento  di  governo  egli 
ebbe  di  animar  gli  agricoltori  alle  opere  i:u^. 
cbe  .(z)  ;  1*  ordine  poeto  loro  -  per  i  tributi  da  pa- 
gar al  principe  ,  e  per  dare  la  dof  uta  parte  jje? 
frutti  a'  padroni  delle  tene;  h  lettere  cbcseritse 
a'  Romani  prima  di  slritig^re .  d' assedio  ,  la .  città , 
ci  fanno  vedere  eh'  egli  intendeva  egregiamente  U 
ragion  di  stato  e  il  diritto  delle,  genti.  La  cariT 
tatevtde  economia  che  dopo  la  pr^sa  ^i  Napoli 
lìsb  a  quegli  affamati  ed  indeboliti  cittadini,  per- 
che  non  .6*  afTogas^ro.  nell'abbondanza  d.^'  cibi; 
e  la  modestia  che  mostrò  nella  sua  persona  e  fe^ 
ee  osservare  a'  suoi'  in  (^tii.occaaio^  dì  città- 
espugnate  e  d'acquietate  vittorie,  messe  io  conr 
fronto  della  crudeltà  p  delle  estpriiioni  insopporr 
tabili  praticate  dai  Greci .  yerso  quelle  città  ch^ 
sos^enaan  luoghi  assedi  pec  aqaor.  dell' imp^rìg, 
dimostrarono  assai,  chiarameote,  che  se  il  destip^ 
d' Italia  fosse  statp  We  *  cfaq  TotìIa  succodes*? 
immediatameutp.  .a   T^odori^ca.  o    aU^  reggenza 

[i]  Procop.  lib.  5,  cap.  a  et  se^. 

£aj  Idem  lìb.  5,  cap.  i3k  ■    .   .  t 


ovGooglc 


Libro  VI.  CAlki  IV.  :  8| 

i^  Àinalasuiifa  ^  egli  ^vi^bbe  fèrtnato  a  s^oo  lo  stato 
di  quesHa  provintna ,  clie  B  gran  tòrto  sì  sarebbero 
gì*  Itelraoi  ìdvògliati  di- niutar  si^oria.  Ma  t' Ìm> 
perscrutabile  voler  del  delo  portò  al  regno  d'Ita- 
lia un  fai  uomo  perchè  la  virtù  sua  non  ad  altra 
xrviiae  che  a  ma^or  rovina  di  quéste  contrade, 
pe'  nuovi  sforzi  che  ebbero  a  Btre  i  suoi  nemici 
a  ricuperar  le  oontjuiste  già'  fatte  una  volta .  Or 
Totila  tra  per  suo  valore ,-  e  per  trascuraggìne  de- 
gli uffiziali  di  cesare  andò  sì  fattamente  rilevando 
la  p^te  de*  Goti ,  che  alla  fine  la  oorte  di  Co- 
«tantÌDopob*  si  rìsolvette  di'  rimandar  a  questa  guer- 
ra BeHsarìo,  il  quale,  rìòhìaniato  circa  questi  tem- 
pi dalla  guerra  Persiana',  e  caduto  in  disgrazia 
degli  augusti,  li  marciva  in  no  vile  e  disonorato 
ozio,  méntre  1*  Italia,  con  tanta  stia  lode  riunita 
all' ìcapeno,  cadeva  di  bel  nuovo  in  man  de'ne-^ 
mici.  L'istorìa  acereta  ne  fa  fede  che  gli  sbagli 
in  cui  cadde  Belisario  nella  seconda  guerra  Per- 
siana ,  non  avantaodo  sua  impresa  un  dove  pa- 
reva che  le  circostanze  presenti  Ib  invitassero , 
procedettero  dal  turbaménto  e  dalle  vàrie  a^'ia- 
siòoi  in  cui  r  animo  di  lui  fii  gettato  per  l' arri-r- 
vo  improvviso  d*  Aotoaina  sua  moglie .  fa  quale 
easendo  pet  altro  sc^ta  di  svitar  .  il  marito  ia 
tutte  le  SUOI  spedisìoai,  se  n'era  questa  Volta 
litnasta  in'  Costairtinopoti  per*  n'acquistar  forse 
un  suo  pfffdtito  amatite;  poi  per  notizia  ch'ella 
ebbe  di  ciò  che  il  mftri^  e  figliuol  soo  m^cfìhi- 
naranp  ooqtro  di.  lei  assente ,  volò  al  òatnp»  ìb 
Tarn.  IL  6 


D.q«,zeaovGOOglC 


8b  Delue  RiTDLOZiOOT  d'  Italia 

diligenza  nel  teOipo  appunta  clu  Bditario  ù  .ti' 
trovava  nel  più  arduo  fraogei^  di  quella  ^otìt- 
ra  .  Certa  cosa  è  ch^  egK  cadde  allora  ;dB  oiu^ 
sovrana  riputazione  in  cui  era  stata  prima  ap-, 
presso  la  gente ,  e  che  -  o  per  sospetti.  <^e  n« 
concepisse  1*  imperadore ,  o  per  neta  volcutà  di 
Teodora  augusta  che' prèndesse  a  far.  veedetta 
di  Antonina,  fu  riofaiamaba  a  Costantinopoli,  pri- 
mato dei  generalato,  spigato  di  bnDDa,:parte.<Lei 
suoi  tesori,  e  rìdMto  a  menar,  con»  già  abbìam 
Idetto,  una  vita  umile  e  difooorila:,  Mi  ti  feroce 
d*  augusta  ohe  tutto  poterà,  e  die  profinsavaiK»»- 
tee  oBbliganoDÌ'ad  Antoiiioa{>erDUÌd<^trezKt  ■•'«Ka 
vendibata  d*un  <uo- Remico  «diatèsimo,^  sollevò  di 
nuovo  al  pristino  gvado  i'afffitta  ed  abbottato  3er 
liaarìd,  allorché'  {dti  che^raai  dìq>erava  deUe  cose 
sue' e  de^  sua  vjta.  U  che  avvenne  nel  modoise^ 
giiente-  Erasl  egli  portjtfo  noa  mattiad,  secondo  il 
isuo  costume,  a  visitar  cesare  e  ^'imptradric*  ,.c 
non  solamente  non  ebbe  argomento  alcQnO:  di:b^ 
^èVoleUza  e'  di  stima ,  ma  egU  ebbe  ancora  a  sof- 
i^rìr' qualche  affronto 'da' seiTÌtiiri.TÌIissiial  «  xìba^ 
Idi  ;  n  che  fu  da  lui  prèso  per  indizio  cseirtissimp 
.deàa  sai.  disgtana  estrama,  i&cui  caca  a{:^rnso  i 
padroni .  Eltlroa»  a  casa  verscv  sera  piono  db  ^^ 
to  sbigottimento ,  ^le-.  tratto!  tctito  .$»>  riw^tc^vji  in- 
dietro e  qua  e  là  Tiguaédbva!,  ebisd»- sf  «Viewer  ajU 
le  spalle  i  ministri- dells'tccxte  inandati^  ad '^ocj- 
derlo .  Così  entrato  io  camera  ed  abbandonatosi 
•opra  il  letto,  passò 'In^'ittezzo  .^';trì6tì- pei^«ieri  la 


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Libro  VI.  Capo  IV.  63 

tK^e'con  dlìoottrazìoDi  di  paura  e  di  viltà  ind^- 
gilianiui  d'  ud  tanto  gnerfiero .  ÀatoiuBa  io  qj^el 
inezao,  nome  tgoara,  a&tto  di  quello  ch'era  per. 
«cf^in ,  mdava  presso  alla  caniberft  àxi  manto 
«pUMggiaddo ,  e  dava  ad  intendere  che  per  effet- 
to d'iddìgestioDe  non  potesse  quella: notte  fiposa- 
i<è.  Quand'ecoo  vmic  di  palazzo  i^i  iQessaggio, 
il  quale,  traversato  L'  atrio  e.  le.  sal^,  ,^ì.  fé*  8E;ntir 
w  ali*  uscio  stesso 'della lOMXtera  di  Belisario,  e  dis- 
se cb»  veaìne  mandato  .dall'  imperadcicei .  Come 
questo  udì  Bdiurio»  qua»  dfi  un  upovo  pacossìs^9 
dì>  paum  sopcaffatto ,  rìoadde  boopoti»  sul  letto,, 
còme  còsa  destinataa  stoaire.  Q^ia^L-a^,  ebe  t^^ 
le  era  irnome  der  messaggero ,  gli  pr&aentò  la  Jet^ 
tera  di  augusta^  che  diceva,  in:  sopinja  queste  par 
téiè:  «Tu  s»,  amico^  cii>  che  ci  #i,f§tto;  xp^ 
•»  io-'Cbb  MAIO  alla  tua  mogUci  80BjtpMt9<eQt«  tenu- 
'■»  ta, 'Vàglio  pt»  cagioQ.sua'iper^^tii  ,pgai>cnsa» 
^ ^e  faU  a  ilei.  &  grazia deHarUta  vìt^.  In  lei fl*ora 
V  iiinaniA  fonderai: le  spu^L^e;  e  delja.tviia  ^l^ez- 
•*  ta-,  4 'detta- tua  ifbrtuaft;,  ma  sappjL  G)ftt  qon,i 
•n  SsAti  kà  da-daimi  a  eoDpsa«^«  ijiial.  tii  ^.vie^ 
»  "di'  fei-«'  (i).  Come  Bdisairip  eblm  lc%  jf»?ste 
còse,  nenipot^pec  la  subita.  3ili*^reMa **]^*''^°'" 
trai  di  «è,  :i|ia  prostratosi  ÌfflmaQtia<i*f^  ayanti  di 
AtftoAiii&i  o  le.  gmoochia  afofetacp^Oflole»  ^l'"°o 
e-  l'aki*  la'ede  baoiandole,  it*«1tr«i  ancor  erapre- 
«éiite  ìt  mcBio  d'  angusta.^  per   ^,., pressamente 

■•  (tyPioscrp^lUK.  aie.  posi  tnjLj  _.      ^    .,^.    ,;    ^^  . 


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B4  DsLLfi  Rivoluzioni  b*  ItALiA 

pruova  della  sua  obbedienza  e  cobrerstoaet  etóa.» 
maya,  la  moglie  autrice  della  sua  salute,  e  prole* 
stava  di  volerle  essere  per  V  avvenire  dob  |hv  a- 
mico,  ma  serro  fedele    (i).    QuÌAdì  rìebbQ'-uoa 
parte  de*  suoi  tesori  cbe  deUe  apogììe  dì.  Gìlimore- 
e  di  Vitfge  avea  anim«»atì ,   e   che   forse'  erano 
stati  la  cagioQ  pHncipale  della  sua  caduta  t  perja 
cupidìtà  che  ne  avevano   GiustioiaDO  e  Teodora. 
Conferitagli  poi  nuovamente  la  dignità' C'iil.gia^ 
di  generale,  si  venne  in  delibeiaiiotie/  £  -.rfinafi- 
darlo  alla  guerra  Persiana .  Ma   Aatoiuna  prete- 
stando  altamente  di  non  voler  più  ri«)ddp  qu^'pae- 
9Ì  doT*elbi'era  stata  sl''ÌDÌ<]uanieQte  oltragglfita, 
si  dichiarò  Belisario  grande  scudiere  dejl*  iiQpera- 
dore  (forse  <^e   Ìl  titolo   di    patiizit»,   oheavea 
prima,  s*erft  dato  ad  un  altro )'^  e  fu  la. secon- 
da vdta-  mandato  io  Italia   (a)  .    Gotto.  vocS',  e 
Bon-senn  ragione,   che  l'imperadore  es^^sse  per 
patto  dèlli  riconotliasione  '  di  Betisarìo ,.  «1»;.^  egli 
doiresae  'a!  .epesd  sue  proprie  fav-  la  guerra  contro  i 
-Goti.  Certo  è  bene,  eh*  ^i  vi.v<xioe  nudisuma- 
^□te  fornito  d' armi  e  di  geute;  il  che  si  attii- 
^"^  éRneràlmeóte  da  tutti  ali*  avariiìa  di    Giusti- 
niano^tiJè; -spese  ohe  portava  seco  la  guerra  P^r 
siaaa  chp  pì^.^  premeva,  ed  al  farneti0o«b'egli 
ebbe,  di  fabbriuré  e  di  spendere  ae'toatfi  e mlr 
le  i^usichq,  ed  i^^^i|i.  passatempi.  .1»  scrittof? 
che.  gni  seguitiamo ,  o.,  sug^Isoe  u&a  rìBessìou» 

(iyProcop.  Hitt.  «re.  (loit  ìWi.     '  .         .      * 

'  in)  Hom  ptfi  6  ti  ^,        :       -     ■  ■•     .   !   f  1     1 


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Libro  VI.  Capo  IV.  85 

otte  Dm  Vàolù  trasandare.  «  La  forfuDa;  disse, 
»'  talmeote  abbàddonb  Beliìtario  in  questa  seconda 
■»  spedJzMne  Italica,  che,  sebbene  egli  per  la  mag- 
»■  gktr  cognieioDe  del  paese  govei-oasse  ogni  cosa 
»  con  più  seDUo,  che  notr  avea  fatto  la  prima 
«^  vol6i  i  ogni  cosa  gli  andava  a  rovescio  ;  laddo- 
■v-vt  per  l'ìanftozì  i  partiti  più  temerari  gli  era- 
»'  Ào-  sempre'  riusciti  felicemente  o  .  Se ,  prescin- 
-dttfldo  ptireddle  superiori  cagioni  della  prowiden- 
iì(t"c^e  il  Tttlgo^f^oradte  ed  aoche  gli  scrittori  si 
SOrio:  ab  antico  aTrezzatì  a  chiamar  fortuna ,  to- 
)esiiteq>  Hoerear  una  morale  ed  iosieme  naturai 
èàgtolie  perchè'  le  òperazioBÌ  anche  più  maturate 
tucoedesJsefo  meno  prospere .  al  oapitano  imperiale 
-in  questo  rinBorellatnento  delta- guerra  Ottica; 
iSHymtemato  essei.e'  stata  questa,  oiofe  che  T avvi- 
limento e  il'dìscFedito  io'Cuiera  caduto  nt^' in teiv 
"Palle 'Còrso  tra  Tuaa  e  I*  altra  spedizione,  aveoi- 
Hti  lAtaralmente  renduto  -  tìmido  e  dubbioso  'Ki^- 
>nkiKi  di  quelPePoe.  Or,  uiutiO'  che  abbia  cogoi- 
"none^'delte  toaé  mondane  ,  dubiterà  cite  gli  azx^ 
liosi  ©'fervidi  quelli  «iene  per  lo  più;  che  effeÉ- 
tùaito  le-  grandi  c^e  ;  laddove  gì'  indugìatorv  ed  i 
freddP  {tppfena  vagfioao  a  guardar  il',già  fatto .  E 
da ■  nfìnice '  praove  che  si  sono  .di "ci6  vedute, 
liteqdfc'Jl'iBnlo  io  ogiiì:patìe-di«olgftto  p^crt^efbio, 
%h« 'la  foMuna  atluta  gli.  aùdaei.  1Ì  vew  è  cbe^Be^ 
tittSt^ò  fil  dal'suo'.prfeeipe'^esaimamente  seaondii* 
to  in  questa  impresa  ;  e  tutti  i  s^issidi  eh'  ^U  po- 
tè impetrare  da  Costantioopoli  ^  sant^bero:  af^ena 


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8^  Delle  Rivolitzicmii  &*1taua 

di  qualche  rilievo  per  guardare  ifaa  {òrteEraj,  jiln 
'che  J'Itafìa  intera  «  1*  tsòlie' che  le  appàrtamgctiai. 
Chi  potrebbe  leggere  soizasti^reo  difetto, -rie 
per  assediar  tanti  luoghi  fbrti  eh»  ancor  eran*  io 
Itah'a  in  poter  de*  Goti,  e  per  soweBÌrne -tanti  al- 
tri che  si  tenevano  pef  'F  imperio  ;  ci  speitìma  uà 
rinforzo  or  di  trecento',  om  di  ottanta  soMatt;  « 
che  quasi  per  un  sommo  sforzo  pur  sì  mawìasse 
una  volta'  un  esercito  di  mille  'atitnati^i)P  Berciò 
Belisario  tra  per  quella  sua  o  lentezza  o<  disgrana 
6bé  portò  seco  nel  sno  ritomo  alla  guerre  baKcs, 
éT indolenza  e  la  meschinità  incredibile,  contali 
.'fii  fornito  da  besarè  d'uomini' e  di  denari.,  |iogd 
più  altro  'potè  fare ,  che  ora  andarsi  or  feggìvecdi 
lido  In' lido,  "é  guardar  le  contieni  ddmareJraiio 
e  Siciliano .  Dae  cose  ftce  egli  nulla^meio  rèhe 
linìte  insieme  furono  forse  cagione  ohe  la'patena 
de*  Goti  non  si  raffermasse,  e  U'  fegno  J<Ho.^neu 
risorgesse  itìteramfente  in  ItaKa'*'  ■  :■^•  ':r 

Benché  Belisario  non  giungesse'  a  iempa-di 
soccorrer  Ronia,  cooperò  for^  pfà  ohe  »e«una  ad 
frapèdiì-e  che  Totìlaì  preia  eh*  e&be  queHa' città. 
non  la  'smantellasse  e  disertasse' affiato,  oom*^egli 
crasi  protestato  di  voler  fare,  àlkiitifaò  veiin^  il 
diacono  Pelagio  a  trattar  con  lui,  prfma  dw  la 
■prendesse'  (2).  Belisario  adunque,  liiaddatìgti  am- 
"■bàscfa'doVi  e  lettere  t>er  quèst'efletlo,  glffèeenm- 
fàr  pensiero .   SJéssagfi   sotto  gU  occhi  Mdi^ifttà 

(1)  Proc<jp,..i^e,Bell..Gotb.  lib.  5,  wp.aj.,      .      , 
(a)  Idem  Jib.  3,'cap.  16,  aaV    ■     •   ■  '• 


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Libro  VI.  Capo  IV.  87 

venenibile  di  quell*  antica  città ,  la  cui  rovina  ca- 
-gioDerefobe  eterna   infamia    al  suo.  distruggitore, 
conchiude  ocm  questo   argomento .    a   Se  tu  sarai 
a  Tinottore  di  questa  guerra,  col  distrugger  Roma 
»  [MvteTtti  la  perdita  d'una  città  non  d'altri,  ma 
»  taaa  ;-  laddove ,-  craservaadola  t  decrescerai  il  prez- 
■w:n)  deUa  tna  TÌEtoria  col  possesso  della  prindpal - 
v  portai  delle  ;tue  conquistB.   Cbe  se  poi  la  fortu- 
>'n:sà  tis^ii:  oontracia.   nestando  Koma  in  [uedi 
:»-|«r<lua  mercè <  potcu  obbligo  e  grazia  incon- 
.»;ÌKtti]e:dall*imperador&;  dpve  iche  ise  t^  lasfua- 
»^  nani ,  itoii  ti  rinwmbb^   luogoi  da  speirav  ele- 
vi amenza 'r.  'n^tper  queste  ragiam  cb'^li,^ssa 
fiotè:  penare  f  6  per  la  n^turalfl  siiEt   uioaiaità-  sf 
rtaolvè.  l^otila  di  non  fttteriare  le  mura:dt.,RDaia. 
XSa  il  segidto- di  quella. guerra  diede  ipne  &  lui 
.ntotÌTO  .41  tftontìxfi  di  sua  clemeava^  e  occaisiope 
«'suoi.  Goti  0  ad  altri  Jucbari  confederati  di.  bia- 
simarlo ;  poiché  pooo  dopo  ..veutje  fat^.  a  Belis4- 
«o- di: ripigliar  Ia<;ittà,  e  di  forbificarnsi  di  buo- 
'namaoKia.  Oc.ia  questo  frattempo  che  ì  Qreci 
l'itènoefo  R(»da ,  Totila  mandò  ambocciadoti  ai  fc 
'de'Kfaachi.pw  tcattare  di-.sttiqgere  parentado  e 
piìt  ferma  l^a  pon  essi;   I9   qua)  cosa. quando  si 
Josae-  conchiusa,  pos  ogni:  piocol  soccorso    che    il 
~«eid»*6eti  ne  avesse  ricevuto,  poco  gli  restava. a 
TtoBiere  dell'  armi  Romane .  Ma.  i  'Ffanchi  rispose- 
■tO  fieramente.,  che  non  eca,  degno  d^  unirsi  col 
sangue  loro  chi  avendo   ìn   poter   suo   la  capital 
dell'  imperio  ,  non  seppe  conserVurspla . 


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8ft  Delle  RiV(0tw:5iow  d?  Italia 

Q    A    P    O      ;  V.,  i/!-  ;:■   ■■■  •!■    , 

Spéàhionc  dell' eunuco  Nam^^  *>^J^      '  ' 
.        dotia  gdcrrtf  Gotica-.'      ■■■.:• 

JPartì  frattanto  Bc^mhq  4*J^a;  e  bencbèla 
parte  de*  Bomani  ¥Ì  restasse  assai  idebole,  -i  Goti 
vi  erano  aatior  essi  t^uenté  abbattuti:  s.  scemati 
di  oumero,'  cfae  poeo  arcano  da:  fasafidare  dtile 
cose  1<^  .  Giiutiniano  , .  bendtè'  più  '  volte  J&ccMfe 
ti  ri&cesse'  disegni  per.  omd'uc  pace  aìi'soo  fine 
l'impivsa  d'Italia,  ed  «ra  vi  destinase<  un  geni- 
tale ,  ed  oca  un  altro  ;  itt  maggior  parte  de'  aixai 
penùerì  era  tuttavia  distratta  daile'ótràdelfetgijè^'- 
va  F^siana:»  e  più  ancova.dalle  dittpetetsologinhe 
allora  vertenti.  Finalmeota i un  ciambiBrlaDOt:^  (m 
uffisiat  di  palazzo,  luì  eunuco  'diede  a  vedere  abe 
siooome  le  più  gloriosa  «aoni  de' priocipii.^pioóe- 
dono  talvolfai  dalia  passione,  o- dall' ^fistio  jipacii- 
oolare  a  qualche  lor  fevodto ,  òon-.è-gran  to^h- 
ca  del  pubblico  quando  ewi  ànnod' iiilontQi:a -$è 
pei  servigi -domestici  persone  di  gtan' onorere  d^al* 
tà-  pensieri  Narsete,  entrato  c<^U  altri  ètmoBhsiiBel 
«wvigio  -della  «orte ,  diveond  in  bnlrv  teéapo  oa- 
mtriefe  <i  Aolto  domestico  di -Giustiniano.  QaÌBdi 
~  n&*  familiari  e  quotidiaoi  ragionàmeiHi  -.  cAbs  fditao 
i  padroni  non  di  rado  i  alla  preÈeoDai  de*.  loc'TSNr- 
vUpri  ifitonio   9^i>'ftSafi  aoooixanti  >  .diede  .per 


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I 


.    Libro  VI.  Capo  IV.  89 

avventura  alcun  saggio  del  talento  che  avea  per  le 
cose  di  guerra  e  di  gùverao^  e  fii  perciò  manda- 
to in  Italia  con  qualche  reggimento  di  soldati  bar- 
bari. Le  maniere  ofa'ei  tenne  verso  Belisario  cO' 
mandante  supremo  di'  qu^la   spedizione,   possono 
farci  sospettare  o  eh*  egli  javesse  segreta  facoltà  di 
operar  a  suo  modo  e  di  contrariare  ancora  gli  an- 
dtitoAiti  del  generale ,  o  vèraitaente  che  il  favore 
toh*. egli .sapead'^ aver  alla  corte,   Io  £tcesse  ardi- 
rlo «  iicuro.ne)<disobbiadir«.    Certo  è  che  per  gli 
«btacoli.  che  |>OBe  alle  imprese  dì  Belisario  ,  Nar'- 
«ete.-noQ  p«rdè  punto  :ìL  favore  di  Oìdstiuiano  . 
.',n      RtcbìamatoiBeliGario  daHe  oc^  d*  Italia  pet  la 
«acfisnda;  voba,  e  disturbati  o  svaniti  i  progetti'  di 
..mandarn  Gennapo  nipote  dell'ìmperadore  j  e  poi 
-Giovanni  figltudo  di'  Vitaliano,   Tin^radore   0 
.^^Rtàneamcs^  o  tinatovì  dalle  solite  atti 'èor%Ìa- 
'«escbe^eoteaociò,  massimamente    dopo  la  lìidtte 
->dt  ^EWdora,  a  -entvam'  in  deUberazioDe  dì'  thaadfù'- 
<rì.>reua>KO  Naraete;  comfe  quegli  '  che   st  pfCMi- 
imeBa- già  pratico  degli  aSsn  d'Italia  per'  etmérì 
-stato  gik  innatm,  e  che-doveite  dalle  sue '^nme 
pEDOTB'iarsi  vie  maggÌM-meate  ;  conoscfeos;  d'ingé- 
gnb  non  ordù^rio.  Ma  Narsete  0'  per  ^naturale 
'snà^andeiEza  d*  animo ,' o   per  la   ccA'ttizttct  -  raie 
avea  dell'  affetto  del  suo  àgaore,  protestò  aniriio- 
BamcDte  di  non  voler»  addossar  qutfir  impresa,  se 
mon  CTS' cónirenienti^metite  fornito  ^i  truppef  e>  di 
denari,  e  d-'ogni  cosa- i^poituna  a  bondurk  a'fine 
qin  ^cnria<tua  e  4slsuo  p»naJ[ie.  ORenù^pèttaato 


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9©  bELLE  RiTOtùzioNr  tf  Italia 

da  Giustiniano  tutto  cì&  eh' egl^  volle  ;  e  «celi 
to  il  fiore  delle  milìzie  itnperìàK,  collo  peawu 
noni  che  credette  opportune ,  egli  si  trasse  a!  suo 
seguito  buon  numero  di  persone  làié  voleatiert 
vennero  a  ftir  corte  ad  un  favorito  ■  dd  ppinripe , 
e  apprendere  sotto  lui  l'arte  di 'gneifregglaftvi  ■■ 
H  ragguaglio  òhe  ci  lasciarono  cfi  qiidla  ape* 
dizione  due  scrittori  contemporanei ,  Pn>oopÌtt  ed 
Àgatia,  pah  farci  deddère"  fraftèametite;  ohe'Éopi 
«e  da  molti  secoli  niuna  guèrrat  ita  ftaHa  em  iMàtft 
governata  con  più  armonia,  né  Etlcuiì  generai  pifi 
sliiiiato,  più  riverito  ed  obbedito';  argomtoto  ini 
dubitabile  ti  deir  abilità  singòlarissiaia  &  C(MieiIiar- 
si  PaSetto  e  la  stima  de' subalterni ,  o  delsoiiHdd 
credito  ch'egli  aveva  alla  corte,  sicché  non' soia* 
mente  niunto  osasse  dì  contrappors^Ii ,  mH  tattì 
facessero  a  gara  per  secondarlo .  Se  qualche  1t»> 
liano  motteggiatore  si  ritrovata  ancora  tanto  jtó' 
dioso  delle  passate  cose,  che  ripetesse  ad  onta  3& 
Narsete  i  tratti  piccanti  e^àtirici  che  contro  d*  Eu- 
tropio àvéà  lanciati  Caudianò ,  fb  fn  pochi  mesi 
costretto,  cangiando  stile,  di  portare  a!  cielo  con 
somme  Iodi  la' saviezza,  làdesterità,  larirtùgrAn- 
dissiraa  dì  quest* eunuco .  1  nemici  stessi,  ìtjualf 
dia  principio  appena  sì  poteSn  tenere^l  farsi  bef- 
fe d'un  eunuco  guerriero,  come •  d*tin  niiòVo  mo- 
stro, "ne  fecero  subitamente  pnlova  àlor- danno." 
Perocché  vìnto  e  disfatto  Totìta,  eypotìo  appresi» 
anche  Teia  che  gli  era  succeduto,  non  restava  al- 
*ro  duce  fra  loro  da:  fìtrne  coato-,  tolto-  Aligèrno 


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-%     tJBRO  VI.  Capò  V.     '  gt 

c1i6  area  ridotte  e  tutte  le  ricdiezze,  e  tutte  qua^ 
il  le  forze  de*  Ooti  nella  forte  città  di  Cuma  i     , 

Ma  beo  d  f u  da  travagliare  astai  per  sottrar 
le  protincie  ttaliabe  dallfl  servitù  d*  una  geqera- 
tnotie  barban'cai'cbe  dì  poco  fòlli  a  non  impa- 
droiiirsene  interamente ,  alloraliè  il  regno  de*  Go^ 
li  fu  ndotto  air  estremo .-  Converrà  peto  rì^gb'at 
queste  co80|daMor  pri/icipìo,  e  mostrare  in  qua- 
le itato,  fossero  allora  le  cose  de' Franchi,  e  comme- 
ntino entranero  nn*  altra  volta  ia  grande  spenuza 
d*  impadronirsi  d' Italia .  Il  Muratori ,  i  cui  rao- 
t^bti  ci  studiamo  di  non  ripetere  ma  'd'accennar- 
gli; essendo  gli  annali  dì  questo  inììgne  lume  4el- 
ì»  9k>t<ia  d' Italia  oggi  sì  divolgati ,  toccò  assai  leg- 
germente l' orìgine  di  questa  guerra ,  e  dovendo 
l^uitar  rordìnede'tempi.ci  diede  troppo  disgiun- 
ta e -dispensa  notizia  de*  grandi  progressi  e  de*  di* 
segni. assai  maggiori  de*, re  Francesi  che  vìssero 
»*  tempi 'di  Giustiniano. 

TeodeberEo  ,  figliuol ,  di  quel  Teodorioo  o  Tien- 
ri  primogenito  bencbè  illegittimo  di  Godoveo ,  che 
«Tea  con  altri  tre  figliuoli  di  questo  famoso  re  di- 
viso ilmiovo  stato  de*  Franchi  fondato  sulle  rovi- 
ne delle  Galiie,  non  solamente  succedette  alla  por- 
zione del  regno  posseduta  dal  padre  ctmtro  gli  at-; 
dentati  de'  duo  zii  patemi  dotano  e  Childeberto , 
ohe  ancor  viveano  (i);  ma  fu  per  l'autorità  e  il 
vcdor  suo.il  più  rìputato  e  fik  potente  tra  i  re 

■  ■  -  (■»)  DunW  Hitc  de  Frange  tom.;  i ,  p»t,.  88. 


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gx  BELtB  RiTOLUzioKi  D^  ItaliA 

Fraoctti  :  Oltre  la  ^pat'te  obe  gli  toccè  del'  Fegtf^ 
dì  Bologna,  che-fu  dall'armi  loro  oofte  iosienn. 
interaineate  distrutto,  avea  ancor 'fatto  segoalate 
conquiste  nella  Germania .  L' ìmperador-  Giusti- 
fiiaoo  e  i  re  Goti  cercavano  a  gara  l'amicìzia  di 
Teodeberto,  il  qu^e  lusÌDgando  oc  Vimo  or  t'al- 
4ro  oolb  parole,  cercava  io  fatti 'd'iagrabdir- sii 
stesso  sulk  depressione  degli  uni  e  degli  altri.  GiJi; 
abbiamo  veduto  eh*  egli  mandò  «na  volta  nn  kìb- 
fono  di  diecimila  uomini  a'.Goti  al)b»RutÌ',  ,dàtv 
do  voce,  per  inganaar  la  cotte  "di  Cosfanlinapoli',. 
che  questi  erano  Borgognoni  Volontari  o  Teoturi&- 
rì  ^  e  che  ci  tornò  un'  altra  volta  egli  stesso  cOa 
«tmata  numerosi^stma,  cbepee  cattiva  influenza 
del  climai  e-  per  disagio  di  cibi  vì  péri  in  gran-.pàN 
te.  Non  per  questo  depose  I' animo  sBoatnbtziot 
«d  efwoce,  ma  attese  ad  accrescere  «idi  nno'™ 
poesìa  e  di  nuove  prerogative  il  suo  regno;  e  fu 
il  prìma  tra,  tutte  le  potenze  che  si  elÈrrawraowv 
pra  le  jorine  di  Roma,  che  battesse  eotto  it  prò- , 
pfìo  jxnne  monete  d'  oro  o  per  c(ntiessi<aie  gra* 
tui(a.>o  per  connivenza  e  diseimulaaoae  d^'iin- 
peradore,  4a  cui'  ancora  ottenne  espressa-  conlèr' 
mazione  e  diremo  f|uasi  investitura  delle  -  pf^vlzK 
de  cb*e930£  isuoi  maggiori  areano  usurpateci 
r  In^criò  (i) ,  ...        ; 

'    Né  contento  a  questi  termini ,  p^ioc«faè  Gw^ 
stioiano  metteva  fra' suoi  titnli  quelle»  dì  Fr&netÒo:Ì 

(i)  ftoftifi  Iil;.'3.,«»p,.a5.-'D«t)idul».H4yp*ig4i7i> 


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^^uaafcoj  Uingobaidico' (i) ,  mense  una.  gran- 
de ao)IevaKÌQtw  ihc  i  bafrbarì  cfae  si  erano  sta- 
^jlUi  Dell'  lUirróo't  e  fu  pKs»Q  a  portmc  la  gnecra 
«ontCò  {Ul^imperadorefìn  wtto  lemora  diCostan- 
tinofiòUv  Nel  primo  fervore  di  questo. audace. d^ 
.4eg&0'  Taedeberto  finì  là  vita  ,  e.  lasciò  .p^;.suc- 
<t!e9sWfi  un  suo  figliuolo  Teòdebaldo,  giovaae.  di 
,cù^a  sfrdioi  aD«i>'di:graeile  temperatura,  ed'iib- 
gegQP  i(pti  piiii  «he  jaftcdiocre .  Vero  b  che  la  aa^ 
^ia  pr0i'rideD;ea  del  padre  colla  scelta  dì  ministra 
^.uflìiiali  'abilisaimi  avea  opportunamente.  nmedia<- 
-to  .allavdetoleiEa  e  idi' imesperieoza  del  giovam 
l!e-(i).  ,    . 

r  A  questo  Teodebaldo ,  siccome  a  colui  eh* 
£"9  gli  .dtd  t»  de'  Fratachi  aveva  i  stioi  stati  più 
propinqui  all'Italia,  riconwffo  i  Goti,  per  «iuta, 
{tUorchè  per  la  morte  dì  Totila  e  di  IL^eia.  à>  vi-*- 
déro  animati  a  mal  fCmlo  de*  iatti  loro.  Vmi* 
basciata:  tuttavia  non  andò  a:  nome^ofe^  per.delii- 
berazione ^  tutta  la  nazioua,  ma  solameiile  di 
questi  ohe  aiutavano  tra  le  Alpi  «d.  il- Po.  .Gli 
alici  che  si  trovavano  più  lut^i  dall' Al[Hf.  aania*' 
rooo, meglio  d*  attendere  qual  avviamento  |vei^ 
desser  le  oose  de' Greci,  e  qual  esito  avesse  l'as'^ 
stdio  di  Cuma;  o  veramente  temettel»  »-  coli'  invìi» 
tare  i  Franchi,  di  tirarsi  in  casaun  ngmicod'ag^ 
giunta  ai  Greci-Rod9anÌ.  Furono  intanto  ncevutì 
e  sentiti  gli- aOtbasóiadori. mandati  a  ^Eeodebaldo, 

tO  Agiih.  lib.  5. 


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94.  DeìM  &VOLiri^iM  «Atalia 

i  qiufli'rìa  somme  oeròftraao:di  :peiniade|^.arfj^l^ 
re  ed  al  suo  consiglio,  che  quando  ìGpti.^ossat)- 
iaterameota  debdUti  e  distratti,  aoche.kh  ^tato 
de*  FiaDclu.'tuMi  «arebbe  lìcuro  dalle  .^ratep^nì. 
deliMmpeiadore  ;  cbe  pvtò  egU  era  coaa  dicc^x^^ 
ne  utilità  <  dell' una  e  dell'altra  nazione,,  oiie  i 
Franchi  maiàattaco  in  Italia  in  difesa  de'  Q^^t 
Fu  tispo^  «  nome  del  reTeode^do.,  cheì'Atà 
e  la.feDoe  sua  sanità,  e  lo  stati»  del  regno  nq^ 
{gli  pennetteràno'  di  entrar  per  sUoxa  a  pdft^àfì*. 
perìcoli  altrui  (i) ,  Ma  Leutarì  e  ButselliDo^  Alor^ 
aianni  di  nezione>e  duci  peimarì  delle  -^uf^e.  di 
Teodebaldo,  nel  dar  commiato  agli  amba&piadtHÌi 
li  coniovtarQiio.iai  non  perdersi  d'animoi,  ,pQrchèf 
non  «tante  il  dissentimento  del  re,  eseisartUi^o 
ah  propria-  autorità  venuti  :colt  .potuit«:.  Metoito^^ 
soceorrere  i  Goti.  Con  molta .  probabili^  ' ctA«(!^ 
un  ó^bre  «oriStore  delle  stwie  Fifancesi:  (2),i|ch9 
TOtèsta  discoidasxa.  tua  la 'risalta,  dei  rfe  .«de'duf 
fratelli  capitani,  non  fu  akrache  un arti&ào <h>o- 
^oertalo;  e  serpe  pei:  appanta.a.coi^erQiai;. ciòiclfc 
scuse  Frooòplo,  ix^  chi  in  tuttó  le  w&tni  cpn- 
farse  che  ièoem  i  Fcandii  in:  questa  giXerEa«  mai 
.non  ebbero  po' imira  di  prestar  sertìgio  nèt^'OiO- 
•mani  uè  aV  Goti,  ma  lo  scopo,  loro  era,  ^^oipiee 
«tato  d'i  impadronirsi  d'Italia,  e  di  laseì^i:  penùò 
indebolire  i  due  partiti:,  .affinchè,  abbattuto  4U>p, 
fatuàcas  poi  imuovcr  guerea  ali*  abto;  dfi  toro  tleesì  » 

fi)  Agath.  lib.  I. 

(3)  Daaì«|l.But>:d«  Fcufi*  too».  i.,  fig..i»5.'. 


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j    >   Dbro  vi.  Capo  V.    "  ^$. 

e  seni  già  come  amici  fr  colEegatì  de*  Ronumiro 
de*  Goti  (r).    ■ 

Certamente  senza  procedere,  ad  una  dìserzi(H- 
ne  e  rìbellioae  manifesta,  del  che  dod  apparisce 
pur  il  minimo  sospetto  per  tatto  il  tenore  di  que* 
sto  racconto,  Leulari  è  Eucéllioo  non  pbteano 
menar  io  Italia,  senza  il  consentimento  del  lorsì- 
gnore,  un'armata  sì  numerosa;,  com*  esà  fecero 
sùbitamente  dopo  la  partita'  degli  «nbasoiadori 
Goti.  Vennero  ifanque  vàxte  fratelli  in  Italia  se- 
guitati da  eettantamila: combattenti.  Colla  laeiKtà 
che  frovàroDo  dalla  parte  de*  Goti ,  non  ebbero 
a  -penar  molto  per  oocniKU'e  quante.  [»a2Mi  credet- 
tero es^re  di  lor  convemenza  aelk  Venezia  e 
betta  Liguna,  dall'alpi  Retìohe  ^no-al  mar  To' 
scaiJo  '.  Restava  perciò  V-  Italia  quasi  divisa  fra  tre 
tiazioni  che  aveano  domini  y  e  tenevano  forterae 
in  diirecse  provincia t Goti, Greci-Romani,  «Frati>- 
cfai .  Ma  i  Goti  vi  cano  dopo  la  Confitta  i£  Teia 
Uoik  più  in  istato  di  reggersi  da  loro  soli  (  èaenEa 
4i  Vantaggiò  del  posto  i<wti«imo  ,  <piai  ara  Coma, 
'dóve  s'èrano  ritirati  'cot  m^lio  de'  loro  stmisn!, 
-già  sa'i^bbero  in  breve  rimasi  affatto^ ttpeoti.  11  re- 
sto della  naKiosie  disperso  in  -vari  luoghi  d'Italia-, 
xon  tema'  nerameno  il  partito  comune  ;  ma  '-o  sin- 
lùMAnetife  o  À'mulatamente  £tltvi  ^  aocostàrouo  a* 
'Rdtnanri' altri  se  la  ititendevan  co' Franchi.  Qua- 
esti ùlrimi-,  benehà^noù  avesKro  per  av&entura  maggioc 


=dDvGooglc 


^  DELib  Rnr<n.unoia  d*Ìtalia 

numero  di  fortezie ,  die  qnrila  tibe  li  trae» 
VADO  a  nome  dell'imperio,  pare  perdià  aveano 
maggior  moltitudine  di  gente  ormata,  ofae  non  ne 
avesse  Naieete,  MumTano  pni  arditamente  pet 
tutto. 

Frattanto  T  esito  deBa  guMm  pareva  ^Kpendò- 
re  dalla  retistenza  ddle  due  dttà  Coma  eEiuecn; 
r  una  tenuta  dai  Goti,  Paltra  da'  Fraocbi;  ed 
ambedue  assediate  e  combiriCutB  opìtaanmcnltc  dm 
Nanete .  L*  asse^  e  la  prem  di  Looca  eDocìH»- 
rona  al  geoeral  Greco  riputaiioae  grandminia  non 
meno  d' umanità  e  dì  denwDxa,  che  di  vafore  e 
di  senno;  e  fu  principio  della  «uperìorìtà  ch'^^ 
acquistò  in  appresso  sopra  la  parte  de'  Frsndii , 
e  dell*  intera  ricuperazione  d' Italia.  Non .  era  oi^ 
mai  ad  alcuno  cosa  dubbia  edoscora,  cbaiFran- 
cbì ,  od  tentar  cbe  facevano  di  cacciar  d*  Italia  ì 
Romeni  «  avessero  in  animo  di  sottomettMsi  um 
pure  gli  antichi  Italiani,  ma  i  &>ti  medesimi, 
in  cui  favore  e  soccorso  Bngevano.eàsei- venuti  (i). 
Però  Àligemo  che  tuttavia  si.  teneva  forte  m  Co- 
ma, pensò  di  volersi  liberare  a  lin  tratto  e  dai 
disastri  d'un  lungo  assedio,  e  dai  perìcoli,  con 
dar  sé  e  i  suoi  e  le  iosepie  reali  e  tutte  le  cose 
àg'  Goti  a  Narsete,  e  farsi  come  suddito  Vero  e 
naturale  del  Romano  imperio .  Frese  dunque  a 
mostrare  agli  aitai  oapi  del  suo  partito ,  che  s' egli 
era   destino   che  andasse  a  terra  il  regno   degli 

li]  kgtOi.  Tih.  i^pig.  587. 


=dDvGooglc 


l,iBlK)  Vi  Capo  Vi       '  ,  §f 

Ostrogoti, liptù  «aorevok  era  ebe-ritaKii  tornasse 
«'  «Hoi  antìcJiì'  patlroni  *  «be  io  pét»'  di'  ohra  geo* 
tot  Iptbmtat)  e-  pnsuen  -i  pi-incipali  Goti  del  suo 
dia^nOv  -ÀjiseHio  fece  inteBdere'  agfi  aHèdianti  ,' 
cii'egli  vedeva  conferir  cou  Narsete;  e  prese  mo- 
de e  Mmpo  epportao»  dì  portarsi  a  'Classe,  for- 
teiza  TJeiiut  e  quasi  oìttaddla  -  di .  flbveima ,  '  do- 
i^«ra  il  Greco  duce:  al  quaie  'cÓBIe  AlJgtrno  fu 
avanti,  cD^  gli  pw9«nl!ò  eufaitainetrte  ' le  chyin 
dL'Ciuna,  «  «  proteslb-  pronto  ad-'Ogni  suo'  co- 
maqKUaieato .  lDooiifati«it«  fa  introdotto  ,  presìdio 
Bdoiuio  ili  Guraa,  e  cooségaate  àNoMete  le  spo- 
gHfr  reali  con  tutto  il  fesoro  che  i'Goti  aveano 
riédveralo  ia  -quelki  rorea  ;  e  Nonetc  io  couirac-' 
cambio  proDiise  e  manteoDe  ogai  più- 'favorevole 
tuttameato  ad  Aligemo  e'aT  Goti  «h&  passarono 
s»tto.idlft3ua«bbedfeDiia.  N<ui  molto  dòpo  iFran- 
efai  saUa  Hduoift  di  rìmnorer  daJI* 'assedio  di  Ctinta 
i  Kotaaoi ,  ed  occiipare-,  sótto  '  ptretesto  di  soccor- 
rMe  i  Goti  ,>  quelle  città  fatta  quasi  sede  del  re- 
gno ,  s*  «rado  inaohrati  iper  qiìella  parte  .  Ma  in-; 
t«60  il  camtnamente  che  d*  era  siegufto ,  dissero  le 
nnggiori  villanie  del  mondo  ad'Allgerno,  ctiia- 
maodolo  disertore  e  traditore  della  nazìooe . 

Era  -piaciuto  a  Narsete,  che  Aligerno  ,~  tor- 
Daodo  iD  Cuma  e  manifestando  l'accordo  fatttj 
eo*  Romani,  dall' alto  della  rocca  si  facesse  vede^ 
dft  <3«loro  ohe  di  là  soUo  passavano',  e  si  levasse 
così  ogni  pensiero  a'  nemicH  di  creare  un  nuovo' 
re,  essendo  ogni  ornamento  della  dignità  velluto 

Tomo  il.  7 


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c,8  Delle  Rivoluzioni  d'  Italia 

in  man  de'  Romani .  Stettero  i  Fran«h[  noodf- 
meno  ancor  fermi  nella  deliberazioite  di  coatiouar 
l'impresa  guerra  contro  Narsete;  ma  parte  vìpti 
e  disfatti ,  sebben  in  numero  assai  maggiore  ;  pai^ 
te  consumati  dalle  malattie  in  pena ,  come  ere* 
dette  Agatta,  iiella  sacrilega  rapacità  ed  empietti 
loro  y  per  cui  spogliarono  e  profanarono  tanti  luo- 
ghi sacri  per  tutto  dove  passarono ,  furono  aJla 
£ne  forzati  di  lasciar  a'  Romani  intero  e  libera, 
per  quanto  era  in  Ich'o,  il  dominio  d'Itali?'  O)- 
Solo  restava  nua  fazione  di  settemila.  Goti*  i  qua- 
li essendo  prima  stati  uniti  co'  Franchi ,  e  ve' 
deodosi  ora  abbandonati  alla  mercede  de'  vioci- 
tori«  per  tema  di  non  dover  trovar  grazia*  n  get- 
tarono in  ConsB  sotto  la  guida  di  Ragaart,  Utii.- 
turg^  od  Unno  ch'egli  fosse.  Quest' uoiro  aadae« 
^  di  spiriti  superiori  alla  nascita ,  benché  di .  na^ 
zione  assai  vile ,  sperava  forse  di  salire  a  qualche 
stato;  e  se  il  colpo  che  perfidamente  macchinò 
(  AN.  ^95  )  ,  non  gli  andava  fallito  ,  poteva  oa- 
gionare  nuovi  rivolgimenti  nelle  cose  d^lfaUa . 
Ben  conoscendo  quel  barbato»  quanto  gU  fosse 
difficile  di  sostenersi  a  forza  aperta  contrt»  la  p<i>- 
tenza  e  la  riputazione  già  nfolto  cresciuta  di  Nar- 
sete,  volle  provar  sua  sorte*  se  potesse  od  ottene- 
re da  lui  qmlche  utile  ed  onorata  oondizioae 
quando  si  arreodesse ,  o  vanificarsi  per  via  di 
tradimento  (a).  Chiedette  perciò  di  abboccarsi  eoo 

[1]  igétfa.  )ib.  1  de  Bel).  Golh. 
]i]  Idem.  tit|.  a  io  £d. 


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tiBRo  Vi.  Capo  V.  99 

Narsete*  ,e  fu  rìceTUto.  il  luc^o  destinato  al  ccd- 
loquio  dovette  ,  per  quanto  appausce  ,  troTacsi  ia 
campo  aperto.  Quivi  poiché  ebbero  alquanto  ra- 
gionato insieme ,  vedendo  Narsete  V  alterezza  e  la 
presunzione  con  cui  Ragnar!  parlava  della  resa* 
lo  licenziò  ;  e  probabilmente  il  barbaro  non  si  cu- 
rava della  concIilsioDe ,  e  disd^oava  ogni  partito 
men  che  largo  ed  onorato ,  Partissi  Bagnari  da 
Narsete,  come  s^  egli  andasse  al  suocaminino  alla 
volta  di  Consa.-  ed  ecco  che  repentinamente  vol- 
tatosi addietro  (  come  avean  per  costume  di  far 
nelle  battaglie  gli  Senti,  e  gli  antichi  Parti  che 
da  loro  discesero  ) ,  lanciò  un  darda  per.  colpire 
Narsete  ;  ma  il  colpo  andò  a  vuoto .  Le  guardie 
di  Narsete ,  veduta  la  perfidia  di  Ragnari ,  e  il  pc 
ricalo  che  corse  H  lor  capitano ,  non  ìstettero  a 
badar  più  avanti  ;  e  dirizi»te  te  loro  armi  verso 
del  barbaro  ^  lo  stesero  a  terra .  Morto  ctMtuì , 
Taudada  ed  il  coraggio  del  quale  avea  solo  so- 
ttenuto la  resistenza  di  quella  fazione,  i  Goti  trat- 
tarono subitamente  la  resa  ;  e  Narsete  concedette 
loro  senza  difHcoItà  alcuna  la  vita .  Bensì  per  i- 
«pegoere  aOatto  (^ni  semenza  di  guerra  volle  che 
que'  settemila  Goti  tutti  passassero  a  Costaotmo- 
poli,  non  s'assicurando  abbastansa,  ohe  tanti  uo- 
mini lesati  alle  armi  potessero  stare  in  un  paese 
signoreggiato  per  tanti  anni  dalla  loro-  nazione-, 
senza  pericolo  d'essere  stimolati  un'altra  volta  a 
sollevarsi.  Con  ebbe  fine  il  famoso  .regno  de' Go- 
ti ,  che  essendo  fiorito  molti  anni ,  andò- .  poi  per 


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ìoo  Delle  EIivoluzioni  d'  Italia 

noD  miudre  spazio  di  tempo  ora  crolUado ,  ora 
rialEaDdosi ,  fincbè  fii  dalla  rirtù  di  Cfanete  atti- 
rato affatto  fd  estinto. 


JSiffeiU  che  questa  gmrra  recò  all'  Italia . 

JNon  mi  farò  io  a  rìfletlcFe  quello  cfae  il  gtdit- 
de  annalista  Italiano  in  molti  luoghi  del  terzo  to- 
no onervò  intorno  al  carattere  di  questo  regno 
barbaraco,  vituperato  soTerobiameote  da  molti  per 
un  volgar  pregiudizio  nato  dall^  ignoranza  delle 
buone  storie,  da  altri  per  un  ootal  aifetto  al  no- 
me Romano  «  e  da  altri  mossi  Snalmente  da  nn 
lodevole  rigpetto  di  nligìone,  per  essere  stati  i 
Goti  generalmente  eretici  Ariani.  Ma  qualunque 
cosa  debbasi  dire  degli  Oatrogoti  che  dominarono 
r  Italia  nella,  prima  metà  del  sesto  secolo ,  certo 
i  che  peggio  ne  avvenne  a  questa  provincia  pel 
riacquisto  cfae  ne  impresero  e  che  ne  fecero  i 
Greci  .  E  posiiam  air  fermamente,  che  niuna  in* 
vasìone  di  gante  straniem ,  eccettuati  ibrse  gli  Un» 
ni,  non  Ssce  mai  maggior  danno,  che  questa 
piccda  banda  di  truppe  imperiali^  le  quali  ci  ven- 
nero col  nome  di  liberatrici  >  I  Goti  e  i  Longobar- 
di, come  vedremo  fra  poco,  esswido  venuti  in 
Italia  con  animo  di  occuparla  e  stabilirvi  dimo- 
ra ,  condussero  seco   mogli  ^   figliuoli ,   servì  ^   ed 


=dDvGooglc 


Libro  VI.  Capo  VI.  loi 

ttnbeirfi  e  roba  quanta  essi  avevano;  per  le  qua- 
h  cose  compensaruDo  m  parte  il  guasto  e  la  re- 
vina.  che  meoarono'  a)  primo  arrivo.  I  Cimbri 
stessi,  che  di  tanto  terrore  empierono>  T antica 
Roma ,  vinti  alla  fine  e  disfatti  da  Caio  Mario , 
cogli  avanzi  che  rimasero  dalle  soonfiMe  ricevu- 
te! ristorarODO  pur  tuttavia  iu  qualcbe  parte  la 
stragi  die  avevano  fatto-  da  prima  .  Alcum-  bor- 
^in  ancor  sono  tra  i  coniìat  del  Veronese , .  tiel 
Vicentiuo  e  Trentino ,  dove  ai  parla  il  proprio  ed 
antioo  idioma  Teutonico-,  e ,  che  più  è ,  il  dia.' 
,  tetto  Sasmnico  in  corrotto  (t)  :  pruova  assai  ehia- 
ra,  cbe  cotesto  generanoni  discesero  da  certe  co- 
lonie di  Ted'esobi ,  chiamati  Cimbri ,  che  dopo  la 
•addetta  memorabile  sconfìtta  ottennero  di  i»m- 
par  la  vita  sa  quelle  montagne-^ 

Ma  la  spedinone  de'  Greci  contro  de*^  Goti 
mivma.  sperie  d*  utilità  potè  cagionare  ali*  Italia , 
e  fece  tutti  r  dannr  cbe  può  fare  uà'  invasic»  di 
■etnici.  Sr  sturbarono  primieramente  i  Goti-,  le 
famiglie  de'  quali  stabilite  pec  varie  contrade 
avrebbon-  potuto  ripopohir  l'Italia,  e  feria  per 
avventura  risorgere  aM' antico  valore'.  Né  i  &re^ 
•i,  ve^ti  in  piccol  munero  a  guisa  di  passeg- 
gierì  e  Mccomaani ,  erano  per  lasciare  né  figliuo- 
li v  n&.  facmglie  in  oompeaso  di  qoelle  generano* 
■i  che .  dis^iiggevano .  Per  ^ra  parte  lo  scarsa 
delle    truppa    imperiali    non    tolse   già> 


i;t>  .MUTai  Venwr  ilttuM.  Ulk  S  io^  fin;- 


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loi  Delle  RiroLuzioNi  d'Italia 

eh' esse  non  devastassero  l'ItaKacome  avretibe 
fatto  un*  armata  grandissima  d*  ioTasorì  .  Le  uc* 
cisioni  che  seguirono  nelle  battaglie,  non  erano 
al  certo  di  gran  conseguenza;  ma  come  quella 
guerra  si  fece  per  via  d'  asso^  oontinui  che  ora 
i  Greci ,  e  tantosto  i  Goti ,  e  poi  di  nuovo  i  pri-* 
mi  ponevano  alle  città  ed  ai  castelli  occupati  dal* 
le  parti  contrarie,  malagevole  cosa  sarebbe  a  nu- 
merare le  migliaia  di  persone  che  perirono  di  fa-> 
me  e  di  disagio  e  di  pestilenza  per  innesta  cagio* 
ne.  La  guemigione  che  trovarari  nelle  piazze  as- 
sediate, intesa  solo  a  proccnrare  per-si  gli  ali» 
menti  onde  fare  il  più  che  n  potesse  lunga  dìfe* 
sa ,  laaciava  tutta  la  moltitudine  n^a  miseria;  • 
il  san^e  e  ia  vita  d^P  Italiemi  così  d^l*  una  par- 
te che  dtUl* altra  oontavasi  per  nulla.  Nfegli  abìt 
taf  òri  delle  campagne  erano  però  esenti  da  que- 
ste calamità,  e  liberi  dal  pericolo  di  morir  della 
fame.  Greci  e- Goti  scorrendo  a  piccoli  batta*- 
l^ioni  tutta  r  Italia ,  s' ingegnavano  per  lo  più  di 
raccogliere  quanto  poteaw)  di  viveri,  per  esserne 
provveduti  selle  città  dove  «i  acquartieravano,  o 
dove  aspettavano  d'essere  assediati;  e  perchè  i 
Bemici,  venendo  appresso»  non  trovassero  donde 
sodrirsi.  Nel  letnpo  stesso  distocbavan  fòrtemen- 
te la  coltivazipne;  e  tm  per  le  biade  ohe  si  con- 
suiaavano  a  bdlo  studio,  e. quelle  che^  s'impedi- 
va di  seminare ,  spesso  ed  in  più  luoghi  nasceva 
orribii  fame,  la  quale  passando  il  più  delle  volte 
in  malore  epidemico  ed  in  pestilenza,  cagioiiava 


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Dbro  vi.  Capo  VI.  io3 

fierìssine  mortalità  (i)  •  Ned  era  punto  mino- 
ro il-  guasto  obe  aveva  a  patir  l' Italia  rispetto 
air  aro  e.  a  tutti -gli  altri  generi  di  ricchezze,  che 
dopo  le  passate  rovine  vi  rimanevano  .  Appena 
le  scorrerie  rovinòee  degli  Unni  e  de*  Vandali 
set  quinto  secolo  possono  paragooarn  colle  indi- 
chili "ruberie  ch'ebbe  1'  Italia  a  soffrire  sotta 
l'imperio  di  Giustiniano  da*  capitani  Greci,  i 
^uali 'in  diciatto  armi  che  durò  quella  guerra, 
con  insaziabil  cupidità  e  con  inesprimibile  dili- 
genza andarono  ammassando  ori ,  argenti ,  pietre^ 
Tasi ,  statue ,  e  quanto  di  spiccio  e  di  prezioso  si 
ritrovava .  E  coUiechè  al  servizio  de*  loro  principi 
Cd  al  successo  dell'  impresa  fossero  poco  attenti  è 
molto  discordanti  fra  loro,  par  nondimeno,  che 
io  vna  cosà  fteessero  molto  bene  a  gara ,  a  cfaì 
ftìù  è  più  tosto  arricchisse  delle  spoglie  della  mi- 
sera Italia;  né  più  gli  amici,  che  gl'Inimici  era- 
no risparmiati .  Il  numero  de*  condottieri  che  fu^ 
rQDo  mandati  con  Belisario  nella  sua  primiera 
spedirioilé,  ià  grande  fuor  d'  dgni  propbr2ione 
rigu»do  alla  poca  quantità  de*  soldati  ;  ed  ésd 
per  In  più  si  diportavano  come  generali  indipén- 
éetti  da  Belisario,  appunto  per  poter  far  quella 
Ébè  spéràvàùo  dover  loro  apportare  maggior  preJ 
da  e  guadagno .  Belisario,  come  ricchissimo  è 
gtaàdè  eh'  egli  èra    di  casa  sùà,   e  per   Hsfietti) 


(i)    V.   Procop.   de   Bell.    Goth.   lib. 
ilibr.-  ■  . 


ovGooglc 


ic4  Delm  BivoLuzroNi  s'Itauji 

delia  sua  dignità,  doveva  iii|;oiarsi  «tnbocdlkeToI^ 
ineDte  e  a  dinoisQra  più  degli  aUri ,  e  lasciafe 
ancora ,  cbe  Antonina  sua  oieglie ,  Teodosio  ainan*. 
te  di  lei  e  suo  maggiordomo,  e  Udigere  genera 
d'  Antonina ,  con  tutte  Je  altre  creature  di  quel- 
la famiglia,  pigliassero  e  diTorastere  a  tutta  for- 
za; e  perà  mal  poteva  impedire  le  raberie  degU 
altri  uffiziati .  Frocopio  che  pur.dovea ,  scrìvendo 
questa  storia,  aver  riguardo  »  -molti  cbe  aneoE 
vireano  e  si  trovavano  in  poeti,  mal  potè  pallia- 
le  e  mascherare  la  loro  cupidità  d' aFriecbire,  la 
^uale  più  d^  una  £ata  fa  cagione  ebe  le  opera- 
zioni della  guerra  andaasero^alla  peggio  per  l' im- 
pevadore ,  ma  però  sempre  con  maggia  rovina 
delle  città  e  de'  popoli  Italiani  abbandonati  sca- 
sa soccorso  r  e  caduti  e  ricaduti  o  in  mano  de*  ne* 
mici,  o  nella  fame  (i).  Or  questa  fu  la  famosa 
liberarione  d'Italia,  la  quale  c^ebrando  i  poeti, 
portarono  in  cieJo  il  nome  di  Belisario  e  di  Gio- 
stiniaDO. 

Vera  cosa  è  ebe.  sotto  Natsete,  il  (^lale  sen- 
X*  alcun  titolo  particolare  né  di  proconsolo  uè 
a*  esarcò  uè  di  presidente  rimase  al  governo  d-'Itar* 
Jb'a»  questa  provincia  hi  alquanto  ristorata  dalle 
passate  rovi^e»  non  solamrate  per  Iftcuxach'  eg^ 
n  prese  di  rìnnovac  d*cdifizì  le  ciUà  state  distrut- 
te,,  e  peE  i|  buoa  ordine. (^  gì  etndib  di  mante* 
nervi  ;   ma  ancora  perchè'  essendo    totdmeotB 

'    (i)  Procop.  lib.  a ,  cap.  6,  io,  ij ,  181,  *q^  »l^ 


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Libro  Vi.  Cavo  Vf.  loS 

cenate  le  gqerre,  poti'  non  meno  ne'villa^  cbe> 
tuMe  grandi  città  rifarsi  pur  na  poco  d'abitatori^ 
per  tft  :  moHipKcazione  che  vi  recu-ono  eoa  ^ 
anticht  TÌUam  scampati  da  t^mte  etragt,  come  ^ 
av^RÌ  aneora  della  nazion  de*  Goti»  di  evi  non> 
k  da  dubitare  ohe  gran  numero  rimanesse  tatt£t- 
ria  in  Italia  dopofl  fine  di  qtteHa  ganra.  Per- 
ciocché ,  quantunque  meltissimr  fbssèrtr  penti  in 
varie  &2!odì,  e  Narsete  «vose  mandato  prigione 
a  Costantioepoti  l' uhimo  squadrone  che  »*^arrete 
a  Consa,  e  molti  finalmente  debba  snpporsr  cho 
densi  ritH-ati  ne*  pae»  de'  Franehi  e  degH  Ale- 
manni ed  altrore  ^  per  tema  di  n(Hi  pcpfer  viver 
«curi  sotto  il  donuDÌo  de'  vincitori;  eerto- è  non^ 
dimeno»  «he  kifitnte  famiglie  disperse  qua  e  là 
per  varie  contrade  d'ItaTia,  vi  rimasero  tuttavia 
jdopo  il  fine  detta  guarà,  e  molti  passarono  alla 
.divozione  e  all'obbedienza  de*  Romani  fiso -dal 
tempo  della  prima  spedizione  di  Belisarìa  (i).  E 
da  tatto  ìk  racconto  d'Agatia  risalta  manifesta- 
noente,  che  da  quegli  m  fuori,  che  persisterono 
armati  fino  all'  estremo,  tutta  ti  resto  deHa  na- 
aione  non  fu  più  oltre  inquietato  da  Narsete,  ma 
lasciato  a  modo  degli  altri  naturali  d'Italia  viver- 
si paci6cament« .  E  sebbene,  come  Ibrse  è  da 
credere,  o  per  Irgittime  vie  o  per  prepotenza 
ile'  ministri  cesarei  fossero  privati  di  parte  di  que- 
gli averi  che  sotto  i  re  Goti  aveatio   o   usurpati 

(i).  ProGop.  vlib.  i,  «p.  a8. 


=dDvGooglc 


io6  Deus  RìroLVttotti  d*  Italia 

od  acquistati  *  ciò'  non  togKeva  il  vantaggio  dte 
tìcetea.  Tltalia  dalle  persone  loro  ;  aarì  quantcf 
più  vi  restavano  poveri,  tanto  maggiore  stimola 
aveano  dì  starsene  nelle  campagne  a  meoar  vita 
«empìiee  e  laborìdsa,  e  però  piii  utile  in  genera- 
le ^la  popolazione.  Né  e»i  eraiio  alieni  da  un 
simil  genwe  di  vita,  giaoohfe  mdti  ve  n*  ebbero 
nel  mag^or  lustro  e  nel  Bore  del  régno  loro,  cbs 
non  itdegoarono  d*  aodanette  ad  abitare  nclP  AIj 
pi .  Ma  questo  paoìfioo  e  tranquillo  stato  In  òuì 
si  mantenne  1'  I^i&  sotto  il  reggimento  di  Nar- 
sete,  non  durb  più  che  sedici  anni,  dopo  i  qaaK 
questa  lempn  trav^liata  provìncia  ricadde  id 
peggiori  mali  *  che  prima  » 


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I07 


LIBRO    SETTIMO, 


CAPO    PRIMO. 

jF¥w  di  Naeete:  orione  de*  Longobai^  che  a 
qutt  tempo  assi^aron  t Italia, 

Jf  iaobè  TÌsBe  GlnttÌDÌafio,  per  molte  pmotré  eh*  egU 
i^bia  dato  ne'  eaoì  ultimi  aooi  di  debole  e  vacU- 
knte  cervello,  luciò  tuttavia  al  governo  d'Italia 
quello  stesso  cbe  t*  aveva  col  suo  valor  conquista- 
ta ,  Morto  queir  ìmperadore  '  quattordici  anni  dopo 
il  famoso  conquisto ,  Narsete ,  qual  che  si  fossa 
il  motivo,  perdette  o  fu  viciao  a  perdere  col  fa- 
vor della  corte  ancor  la  sua  digaità  e  il  suo  co- 
mando. Sofia  augusta  e  moglie  dì  Giustino  IL  che 
si  lasciava  da  lei  a  guisa  di  fanciullo  governare  e 
guidare ,  non  avea  V  istessa  affezione  verso  un 
vecchio  eunuco ,  che  Giustiniano  avea,  verso  un 
antico  suo  ed  amorevole  familiare .  Questa  diffe- 
renza bastava  sola  perchè  alcuno  degt'  inimici  di 
Narsete»  che  non  gli  poteano  mancare  fira  gli 
stessi  Italiani,  e  spezialmente  fra  i  grandi  che  mal 
soffrivano  d*  esser,  tenuti  a  freno,  tentasse  di  sop- 
piatto, o  con  occulte  calunnie  o  lettere  anonime 


ovGooglc 


■%oS  Delie  Rivoluzioni  d'Itau» 

di  mettere  neUa  disgrazia  della  tmoTa  eorte  wè 
antico  favorrto.  Seazacliè  rimperadrice ,  poTOoe,. 
smibiziosa  «d  avida  di  signoreggiare ,  dove»  di 
per  sé  stessa  l'oolinar  molfo  a^  innalzue  ai  pria» 
cipali  ufBzi  e  go>^erm  L  suoi  amici  e  ì  suoi  divo- 
ti  ;.  percliè  l*  essere  stato  nel  favore  e  nella  Gonfia 
deoza  d'un  principe  è  talvoftar  un  potente  Kotìro> 
d'essere  escluso  dalla  grazia  del  successore,  come 
un  cdebre  e  valeste  mìaiAttò  del  presente'  secolo: 
à  confessato  (r):.  Ma  s»  1-'  «ubuoq  Narstte  f<»8e  » 
no-  richiamato  dal  suo  governo  in  seguito  a  tutto 
questo ,  e  se  egli  irritato  per  questa  novità  del  suo- 
OBOI"  vilipeso-  invitasse  i  Loz^obardì  m  Ftatia  per 
fcH-  sue  vendette  contro  l'oragliela  Sofia,  nimu» 
è'  finora ,  che  abbia  fu^inent»  sufficiente  per  ao-. 
ccrtarlo  (2),.  Fatto-,  sta  che-  circa  due  aom  da  eba 
CiustiniaBo:  finì  di  vivere ,  mori  aocora-  Narsete 
^Av^S&jy^  £  some  la  vir(ì>  e-  la-  riputazione'  di 
lui  era  il  sola  pEppugoacolo  ebe'  guardasse-  PkaJìa 
daUa  cupidità  de' barbari  efa&  l'adoechiaveuio,  co- 
si 1^  sua  morte  cisvegliò^  in  questy  qaeHo  stessa 
pensiero  di.  occuparla ,  qual  nuova,  e  osai  difésa 
predai  siccome  già  la   morte  di  Te»derica  avta> 


(i)-n  marchew  di  Torty- 

(3)  Io  aoa  trovo  miggiore  probabijilìi  Beir«pÌAÌqus 
de*  iuaderni  storici  che  tratlan  di  favola  e  à'  ioipoitora 
l'àDlica  tradìziaue  d'  an  molto  piccante  uscito  di  bacca 
air  inperadrict  cootro  Narfete^  e  dell«  Uappo  bene  tce«'. 
modale  voglie  dell'eunuco;  che  uella  relaziosc  più  comu- 
ne e  più  volgala  di  coloro  che  ricopiarono  leoz  altra  di-' 
Mmioa  le  parole  di  Paolo  diicouo. 


ovGboglc 


LiB&o  yfl.  Capo  I.  log 

•cagiooaUi  agi'  impecadori  fiomant  la  -voglia  di  na- 
9Ìrta  all'  imperio .  Ma  dove  che'  ^*  imperiali  an-- 
daróno  per  iBoIti  anni  «correndo  e  uggendo  per 
l'Italia,  e  «olamente  dopo  lunga  guerra  riuecì  lo- 
co di  ri|Mgliame  il  domìaio  che  poi  appena  rìtea- 
nero  f)oehi  sani  ;  i  Longobardi  non  naoiti  inesì  do- 
po morto  JSarsete ,  gettatisi  ìu  questa  bella  parte 
d'Italia^  che  da  loro  prese  poi  it  nome  di  Lom- 
bat-dia,  la  ritolseró  prestatfieDte  all'  imperio;  e  - 
non  elle  ne  ttìiseio  soaceiati  dai  Greeì,  che  anzt 
tanto  s'  allargarono  ia  proeewo  di  temira  dopo  le- 
pritne  «oiiquiste ,  che  appena  laGciarono  agl'ìnipe- 
radori  iiMccolissima  parte  della  bassa  Italia. 

I  Longobardi ,  nazion  senea  dubbio  Germaai- 
ca,  useiroao  aaeor  essi,  se  crediamo  ad  alcuni 
autori ,  dalla  SeandinaTia ,  come  i  Vandali  e  i  Go- 
ti- V  è  aocor  chi  pretende  che  fossero  una  stes- 
sa sazioDe  coi  Goti,  e  che  non  per  altro  prendes- 
sero nome  diverso  dal  resto  della  nazicne,  se  non' 
per  cagione  dèlia  barba  ohe  per  calche  lor  nuo- 
vo caprìocio  s' invaghirono  di  portar  lunga  ,  dove' 
che  gli  altri  la  si  tagliavano .  E  forse  molte  furo- 
no nella  Germania  quelle  nazioni  che  per  uno  stes- 
so motivo  ebbero  lo  stesso  nome.  Comunque  sia, 
quelle  genti  di  cui  noi  qui  prendiaiuo  a  parlare , 
già  erano  ne*  primi  anni  dell'  imperio  di  Gìusti- 
i^iano  state  nella  Panoonia  (  ak.  517  )«  dove  le 
avea  poco  prima  condotte  (  non  sì  sa  d*  onde  ) 
Audoino,  che  fu  il  nono  o  il  decimo  re  di  quella 


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I  IO  Delle  Rivouixiom  d*  Italia 

nazione  (i).  Prima  &  Tenue  nella  Patmonia, 
esse  aveano  avuto  hutganunte  a  contendere  co^i 
Bruii  probabilmente  nella.  Moravia  ;  e  non  furono 
senza  rivali  uella  nuova  stanza  che  si  certaro' 
Bo  (2) .  Perocché  venute  in  dissensione  coi  &«[»• 
di ,  tutti  popoli  della  stessa  orìgine  de*  Longobar- 
di* cercarono  le  une  e  gli  altri  o  d'accreMcre  le 
proprie  forze  cogli  aiuti  dell' imperadore,  o  alme- 
no di  dar  peso  e  riputaziime  al  loro  partito  col 
vantarne  TamiciEia  e  la  lega .  Mandarono  per  que- 
sto ambasciadorì  a  Costantinopoli  ;  ma  Giustinia- 
no che  non  potea  avere  in  ciò  altro  interesse, 
che  di  umiliare  amendue  le  nazioni ,  e  invìsehiar- 
lé  ed  accenderle  ancor  davvantaggio  nelle  lor  ge- 
losie ,  or  si  mostrava  inchinevole  egli  uni ,  or  man- 
dava aiuto  agli  ahrì .  In  coleste  guerre  de'  Gepi-' 
di  cominciò  il  famoso  Alboino  a  dar  pniove  del 
suo  valore.  "E  perehi  quello  che  di  lui  raccooUt 
lo  storico  Longobardo  (3) ,  serve  a  far  conoscere 
non  solamente  il  propno  -  carattere  di  questo  re , 
Boa  il  costume  della  nazione  in  generale  ,  credo 
qui  opportuno  di  nferirlo  . 

In  una  delle  prime  battaglie  che  diedero'  r 
liongohardi  a'GejHdi,  come  nemici,  la  quale  du- 
rò bène  a  lungo  prima  che  sì   vedesse   vantaggio 

[1]  Paul.  diac.  lih.  a,  cap.  a»,  a5. — Procop.  !ib.  5/ 
cap,  55  —  Rer.  Ital.  tom.  »,  pag.  4i8. 
[3]  Ber.  lui.  iib.  1  ,  cap.   i^. 
[3]  Paul.  diac.  Iib.  1  ^  cap.  a^- 


D.q,t,ZBaovGOOglC 


{jBBa  VH.  C*H>  I.  ut 

4]enD0  uè  dall*uaa  uè  dall'altra  parte*  s'ineo»-. 
UsaXQD.0  per  ranUira  ì  GgL'uoli  dei  due  re*  Alboi* 
DO  Bgtiuol  d'AudoìDo,  e  Torismoado  di  TorÌ-<- 
aendo  re  de'Gepìdi.  Venoaro  ì  due  giovani  guer- 
rieri a  fiingolar  pugna  tra  laro,  e  Tan»nioiido  vi 
tiraaBe  morto.  Per  la  (]iial  cosa  afflitti  e  8ooiicei> 
tati  .i  Gepidi  voltaron  le  spalle,  lasciando  la  viti 
tdda  a' Longobardi.  Questi,  ritornati  così  vioeito- 
ri  e  trionfanti  alle  lor  sedi  y  dooiaiidaroDo  al  pa- 
dra  t  obe  in  premio  di  sì  beUa  vittoria  riccTessQ 
per  r  arvenire  alla  sua  mensa  il  figliqolo  »  afSnr 
cbìs  egli  fosse  suo  compagno  ne*  conviti  ,  coma 
ne' pericoli  egli  era.  «Voi  sapete,  rispose  Audoi- 
n  no ,  che  io  non  potrei  far  questo  senza  violare 
M.  i  costumi  della  nostra  nazione,  secondo  i  quali 
u ,  non  è  permesso  ohe  ij  £gIiuolo  del  re  pranzi 
3*  col  padre ,  s' egli  prima  non  prende  le  armi  di 
».  un  re  d*  altra  nazione  «.  Udita  questa  rispo«ta 
del  padre ,  Alboino  pr^e  seco  quaranta  giovani 
•olamente ,  e  se  ne  andò  a  trovare  il  re  de*  Ge- 
pidi Torisendo ,  al  quale  manifestò  immantinente 
la  cagione  della  sua  venuta .  Torisendo  lo  accolse 
cortesemente,  ed  invitatolo  a  mangiar  seco  sei 
fé'  sedere  a  destra  nel  luogo  stesso  che  scJea  sede- 
re r  ucciso  Torismondo .  Or  mentre  così  mangia- 
vano ,  il  buon  Torisendo ,  rivolgendo  seco  chi  fos- 
se prima  solito  di  sedergli  accanto,  e  chi  ora  vi 
sedesse  in  sua  vece ,  cioè  in  vece  del  figlio  1*  uc- 
cisore di  lui,  cominciò  a  mandar  fuori  atti  sospi- 
ri,  uè  più  potendosi  ratteoere  proruppe  in  questo , 


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fxa  Delle  Ritoluzioni  s*Italu 

teaero  lamento .  «  Questo  Iu(^  mi  è  caro  ed^anutfo, 
»  ma  colui  che  ora  vi  siede,  mi  è  troppo  doloroso 

■  oggetto  a  vedere  a.  Ki queste  parole  di  Toritendo 
«timolato  OH  altro  suo  Bglio,  che  [wobabilmeote  fu 
Cuuemondo ,  comÌDciò  con  motti  piccanti  a  cercar 
ocoanoHe  di  veoir  alle  mani  co* Longobardi.  Usa- 
vano  questi  di  cìnger  la  parte  iaferìor  delle  gam- 
be con  certi  hoiracchini  o  fascette  biaoclie .  Dì 
qui  prese  a  farai  beSe  de*Longobardi  l' ardito  Cu- 
Betnondo,  e  disse;  «Con  quelle  vostre gaoibo fo- 
»  sciate  voi  mi  parete  certe  cavalle  che  oi  sono  ; 
»  ma  ben  vi  dico  io,  che  le  c^aUe  a  cui  con 
»  coleste  gambe  somigliate ,  le  soa  cavalle  da  po- 
li co  « .  Allora  un  Longobardo  brevemente  rispo- 
ae:  «  Vieni  in  campo,  e  colà  dove  sono  sparse 
»  le  ossa  del  tuo  fratello,  come  d' un  vii  giumen- 
w  to  in  mezzo  ai  prati,  tu  potrai  certo  provaro 
»  come  queste  che  Ui  chiami  cavalle,  sappian  me- 

■  aar  di  calci  « .  Non  poterono  i  G^idi  soctener 
l'onta  a  sentirsi  rinfacciar  le  passate  sconfitte ,  e 
presi  da  fiera  collera  passarono  alle  vitlaote  ed  al- 
le iDgiurie  scoperte.  Così  gli  uni  e  gli  altri  dispo- 
sti a  combattere,  tutti  mettono  mano  alle  spade < 
Ma  il  ce  alzandosi  frettolosamente  dalla  tavola ,  e 
gettandosi  di  mezzo ,  con.  preghi  e  con  minacce 
contenne  gli  animi  agitati ,  mostrando  cbe  non  po- 
teva essere  grata  a  Dio  la  vittoria  quando  altri 
decideva  il  nemico  jn  casa  sua.  Così  dalle  ingiu- 
rie e  da* contrasti  tornarono  alla  tavola,  e  lieta- 
mente fioirono  il  convito.  Quindi  To^isendo  tolse 


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Libro  VII.  Capo  I.  ii3 

le  armi  del  morto  figliuolo  e  le  diede  ad' Alboi- 
no, il  quale,  preso  commiato  e  tornato  al  padre, 
fu  di  poi  ammésso  alla  sua  tavola .  Ma  non  per 
quMto  ebbero  fine  le  guerre  tra  quelle  genti;  per- 
ciocché, morto  Toriseodo ,  Cunemondo  che  gli  suc- 
cèdette nel  regno  ,  tornò  alle  armi .  Frattanto  la 
fama  che  del  valor  d*  Alboino ,  il  quale  quasi  Aà 
UD  tempo  stesso  che  Cunemondo,  mortogli  il  pa- 
dre ,  fu  eletto  re ,  à  sparse  per  tutto ,  avea  mos- 
so Clotario  re  de'  Franchi  a  dargli  la  sua  figlia 
Clotsuiuda  per  móglie .  Né  contento  di  questo  pa- 
rentado, il  re  Alboino  strinse  lega  perpetua  con 
certi  Unni  che  dal  nome  d'un  loro  re  presero^ 
quello  di  Avari ,  i  quali  '  doveano  abitar  qual- 
che paese  non  molto  lontano  da  quello  de*  Gepi- 
di .  Mediante  questa  nuova  lega  Alboino  non  tar- 
dò molto  a  debellare  affatto  i  Gepidi  ;  ed  uccito 
il  suo  emolo  Cunemondo,  fece  incassar  in  argen- 
to il  cranio  di  lui^  e  per  certo  costume  comune 
a  quelP  età  se  ne  servì  poi  come  di  coppa  ne'  suoi 
banchetti .  La  preda  che  dalle  spoglie  de'  Gepidi 
ritrassero,  fu  grandissima;  e  lo  storico  dice  che  i 
Longobardi  per  lo  bottino  diventaron  ricchissimi. 
Il  paese  per  altro ,  che  abitavano ,  non  era  trop- 
po felice;  e  però  ci  convien  supporre  che  le  rie 
chesze  de'  Gepidi  fossero  loro  provenute  dai  sac- 
cheggi che  diedero  alle  terre  dell'  imperio ,  e  cTài 
regali  che  tuttavia  ricevevano  tante  nazlool  bar- 
bare dall' iraperadore .  Fra  le  spoglie  de' Gepidi 
non  di  picco!  moménto  erano  i  prigioni  dell'  uno 
Tomo  n,  8 


ovGooglc 


j  1 4  Delle  Rivoluzioni  d'  Italia 

e  dell'altro  sesso  ,  che  fecero .  i^  viocitori ,  Tra  ì 
quali  prigioni  fu  ancora  la  :  figliuola  dello  stesso 
re ,  per  nome  Rosmonda .  V  averle  ucciso  il  pa- 
dre e  distrutta  la  famiglia  ed  il  regno  non  inpe- 
di  Alboino  dal.  cercar  le  nozze  di  questa  princi- 
.pessa  prigioniera,  da  clie  -egli-  er^  rimasto  vedo- 
vo della  prima  moglie  Clotsuinda  (i).  Se  .motivo 
politico  4  o  stimolo  d'amore  l'abbia  indotto  a  que- 
sto matrimonio,- non  ai  può  afierinare  ;  maqua- 
Junque:  si  fbsse  de*  due,  egli  dopo  avere  sposato 
Rosmonda,  dovea.  averle  più  rispetto  ^hs  non  -fe- 
ce ,  o  non  dimenticarsi  quale  donna  ella  si  fosse , 

.icbe  quel  famoso  re  avrebbe  avuto  un  fine. più  coa- 
■facme  a' suoi  felici  prìncipit .  Io  tanta  agli  Unni  o 
Avari  ch'erano  slati  cooperatori  delle  sue  vittorie , 

.Alboino  cedette^  come  per  porzione  delle  spoglie  ne- 
miche,.  una  parte  della  Faononia;  e  se  la  passarooo 
assai  concordemente,  insieme  le. due  nazioni,  tut- 
toché in  un  paese  poco  atto  a  somministrare  ai 
due  popoli  dì  che  vivere  agiatamente  .  Riaccende- 
vasi  in  questo  mezzo  la  guerra  d' Italia  tra*  Greci 

,eÌ<9o(i.  Ciustiniaao  augusto  iion  indegno  di  cfaia- 

.  mar  io  £uuto  le  armi  de'  Longobardi ,  che  risuo- 
navano allora  con  tanto  grido  per  tutto  (2)^.  Al- 
boino mandò  pertanto  ai  comandamenti  di  Nai- 
Bete  buon  numero  di  cotnbattenti  <  Narsete,  come 
$ì  fu  serv.ito  di  loro  nel  maggior  biso^poo,  chic  fa 

.h  disfatta  <di  Totila ,  Ji  riijiandò  «atidn  di  dpni 

[ij  Paul.  dine.  lik.    i,  ca'p.  ì-j.    '      ■  •     '        '    "^ 
.  [a}  V.Moiat.  si»..fi5a.  ,'    -     "  1!-- 


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'     ■      Ubro  VII.  apol.  nS 

ài  lor  paese  il  più  presto  die  potè ,  perchè  dì 
troppo  seaDdalo  e  di  tròppa   briga   eran  cagione 

■  a'  fatti  suol .  Costoro  che  avean   provàrto    quanto 
"  i' Italia  isupwasse  m  bellezza  ed  in  bontà  la  Fan- 

■nonìa  che  abitavano,  con  loro  racconti,  e  eoa 
'Sfarne  anche  maggióri  del  vero  le  '  maraviglie  ac- 
'  ceserò  facilmente  fra  i  naijonali  un  vivo  desiderio 

t(i  possedére  qiiésto  paese,  Ma  o  l' altissima  stima 

■  è  il  timore  che  avevano  -dì  Narsete,  o-  un  giusto 
'rispetto  deH' alleanza- contratta  coti  Giustiniano  li 

"Titebne  da  £ir  novità.  Ma  intesa  appena   che  eb- 

■  béro  »  là  taorte  n  tó  disgrazia  di  STdrsete,  ch*es- 
«'presefle  Tfjosse  per  passare-  iit  Italia  ;  e  forse 

'  dbe-  già  anticipatamente  s*  erano   a[JpatecchÌati  ■  a 

■  -quésto,  riguardando  o  àft*  età'-avaniafa  del  valen- 
fe  eonuéo,'  b-  à-  quella  di^Giustìniano,  alla  morte 

"■■derqualè- era  facile  il  presentire  chb  sarebbesi  mu- 
tato goyetiio  per  tìittol*  imperio". 

-■■■■■     "    ■  ■  -     '0    A-  ■!•  'O-       SU    - 

■  Tenuta' d^  Èmgobàràiin  Itaiia:  fatti  à^  Alboi- 

no \   e  ^  ■  Clé/i  :  ^  vanazion   di  '■gofèYna  dojya 
"'  -^  /ot»/.  ■     ■•■  ■'  ■■"■  -  ■■■  ■    '  ■■• 


■\jH\  tJnni'-o  Avariche  tma  pale  soltanto  teij«- 
•vano  deìfa  Panntìma  f  occupata  da  lóro;  pet  r«([- 
leanza  fatta  co'  Longobardi;,  furopo  alla  ;  partenza 
di    questi    ultimi  fatti  padroni  -del    rimaucnte . 


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ii6  DsLtÈ  RiVoLUKioNi  D*  Italia 

Fromisero  beoo  di  render  questa  nuova  porzione  a* 
Longobardi ,  dove  che  fallisse  ai  loro  amici  il  con- 
quÌDto  deM' Italia;  ma  il  caso  sarebbe  stato  nofa- 
faite  e  raro ,  e  sovranamente  onorifico  alla  ragion 
delle  genti  che  regnava  fra  que'  barbari ,  se  fosse 
accaduto  che  i  Longobardi  n'spinti  o  rìmuidati 
per  qualunque  modo  dairitalia ,  lavessero  ricerca- 
to di  nuovo  le  primiere  lor  sedi,  e  gli  Unni  si 
fossero  senza  contrasto  ristretti  negli  antichi  ter- 
mini delle  lor  possessioni  o  del  loro  dominio.  Ad 
ogni  modo  i  Longobardi  si  partirono  di  là  con 
animo  e  con  fermissima  fidanza  di  stabilire  lor 
soggiorno  in  Italia  ;  e  però  trassero  seco  e  mogli 
«  figliuoli  e  -bestiami,  e  quanto  di  mobile aveano 
al  mondo  (i).  E  il  re  Alboino  non  contento  delle 
sue  genti ,  o  non  s*^  assicurando  abbastanza  di 
poter  con  quelle  abbattere  ogni  ostacolo  che  potesse 
nascere  al  suo  disegno ,  raccolse  d*  altre  nazioni 
Germaniche  il  maggior  numero  che  gli  fu  possi- 
bile; e.  con  questa  innumerevole  e  mista  moltìtu- 
dioe  di  genti  passò  le  Alpi  ^  e  si  gettò  di  primo 
tratto  nella  Venezia,  laqual  provincia  fìl  tutta, 
da  Padova  e  Monselice  in  fuori ,  con  poco  osta- 
colo occupata  dai  nuovi  assalitori .  E  perchè  ella 
sì  potpsse  più  agevolmente  conservare  contro  gli 
sforzi  de'  Greci,  piacque  ad  Alboino  di  lasciarvi 
Un  duca  con  una  parte  delle  famiglie  nobili  e 
dell*  armata .  Alboino  diede  quel  governo  ad   un 

(i)  Paul.  diac.  lib.  -a ,  ftp.-  -j. 


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liBHO  VII.  Capo  H.  117 

suo  nipote  chiamato  Gisolfo  (i)  :  e  questo  fu  il 
primo  slato  di  natura  quasi  feudale,  che  i  I^U' 
gobardi  ordinaBsero  in  Italia .  Io  m' indurrei  facil' 
mente  a  credere  che  Alboino  non  meno  per  for- 
za e  per  necessità,  che  per  utilità  della  guerra 
abbia  lasciato  Gisolfo  nella  Venezia  con  titolo  e 
autorità  quasi  prìnapale .  Ma  Gisolfo  che  essendo 
forse  stato'  in  Italia  a  militar  con  Narsete ,  era 
mformàto  delle  cose  di  questa  provincia,  e  del 
governo  che  vi  si  era  introdotto,  volle,  senza  a- 
spettar  più  oltre  i  dubbi  successi  di  quella  spedi* 
zione ,  cominciare  ad  assicurarsene  il  prima  frut» 
to .  Perciocché  ,  comunque  fossero  poi  proceduto 
le  cose  della  sua  nazione,  egli  facendosi  fotta 
nelle  terre  che  benché  con  titolo  subordinato  oc- 
cupava ,  non  sarebbe.stftto  così  di  leggeri  discacciata 
da  ^i  che  n  tosse .  Frattanto  Alboino  continuò 
sue  imprese  felicemente,  e  preso  Milano ,  fu  con 
le  cerimonie  militari  usate  da'  barbari  Creato  re 
d'Italia  nel  569,  benché  egli  non  fosse anoor  pOf 
drone  oè  di  Roma  né  di  Ravenna  né  di  Pavia  , 
eh'  erano  le  tre  capitali  del  regno  Italico .  Pavia 
costò  al  nuovo  re  tre  anni  d'assedio,  nel  quaj 
tempo,  per  non  occupare  tutte  le  sue  forze  per 
una  sola  città,  mandò  di  qua  e  di  là  parte  dell» 
sue  genti  ad  impossessarsi  di  altre  terre ,  dovun* 
que  ostacolo  non  s'incontrasse.  L'acquisto  di 
Pavia,  che  Alboino  pare  che  abbia  riguardato 

[i]  P«iil.  diac.  lib.  a,  cap.  9.    . 


=dDvGooglc 


ii8  Delle  Rivoluzioni  D*ItALiA 

come  r  epoca  ed  il  priiicipiu  della  sua  monarcliia  ^  ' 
fu  altresì  il  fìae  delle  sue  .coaquisfè  e  de*  suoi 
giorni.  Conciossiachè  nel  solenne  .convito  eh* egli 
fece  in  Verona ,  quasi,  per  solennizzare  vittoria 
così  rilevante  ,  avendo  per  quella  sua  famosa  cop- 
pa formata  del  cranio  di  Cunemondo  altamente 
offeso  l'animo  di  Bosmonda  'sua  móglie,  fti  per 
coDspirazione  di  lei.  pochi  mesi  dopo  ammazzato* 
Elmechilde  che  ne  fu  V  uccisore ,  e  la  regina  ve- 
dova che  Juì  prese  per  suo  nuovo  marito ,  tenta? 
roDO  in  vano  di  occupare  il  regno;  e  conosciuto 
Tumore  e  l'odio  che  I  Exingobardi' avean  conce- 
pito contro  di  loro  per  la  morte  d' un  re  carissimo 
alla  nazione^  si  fuggirono  a  Ravenna,  Quivi,  se- 
. pondo  che  leggesi  in  tante  storie,,  V  ésarco  Longi*- 
no  eh?  di-  buon  grado  gli  accolse ,  fece  tosto  pen- 
,  siero  dj  prendersi  per  moglie  Ja- stéssa  Ròsmonda; 
.  t  tra  per  le  ragioni  9  le  aderenze  che  con  tal 
maritaggio  acquistava,  e  l'autorità  che  per  T uf- 
fizio suo  già  aveva  nelle  terre  ancor  soggette'  al- 
l' imperio ,  grandemente  si  confidava  di  farsi  pa- 
drone di  tutta  balia .  Ma  mentre  Bosmonda  sol- 
lecitata dall' esarco  volle  levar  di  vita  Elmèchild^, 
.fti. ancor  essa  sforzata  a  bersi  dello  stesso velerio, 
.-con  cui  djede  la- morte  a  lui.  In  quésto  mezzo  i 
Longobac<3i  nella  dieta  generale  che  per  quest*  af- 
fetto tennero  'in  Pavia ,  elessero  a  re  Clefi  o  vo- 
,,  gliam  Clirlo  Qefoue,  il  quale  in  tro.alini  cfce  du- 
rò il  suo  regno ,  si  fece  conoscere  non  meno  su- 
perbo e  crudèle  verso  i  suoi ,  che  valoroso  é  feroce 


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.  LiBBo  VU.  Capo  II.  119 

contro  i  BomaDÌ ,  a  danno  de' .,  quali  ampliò  aa- 
ocra  il  domiDÌo  de'  Longobardi .  Uccìso  costui  per 
,oagÌQa  della  sua  libìdine,  oè  avendo.  lasciati  fi- 
gliuoli- atti  per  1'  età  ancoc  tenera  a  succedergli 
nel  governo,  i  grandi  dèlia  nazione  credettero  la 
congiuntura  troppo  favorevole  per  dare  maggior 
rilievo  all'autorità  ed  alla  potenza  lor  propria,  é 
cambiar  il  governa  monarchico  nell' aristocratico , 
ó  almeno  nel  misto /.Egli  è  posa  affal'to  incerta 
se. quando  i  nob'ili  Longobardi  s'accordaron  fra 
loro  di  non  eleggere  un  successore  a  Clefi,  aves- 
sero in  animo  di  non  crearne  più  alcuno'  in  av- 
venire,  o  solamente  di  continuar  1*  interregno  fin* 
che  .i  figliuoli  di  Clefi  fosser'  cresciuti  in  età,  0 
che  i  voti  degli  elettóri  si  trovassero  più  concor- 
di nella  scelta  di-qudlclié  personaggio  capace  di 
governar  la  nazione  con  soddisfazion  de*  soggetti. 
■Ma  comunque  si  fosse.  Io  stesso  interregno  ed  Ìl 
-solo  indugio  dell*'  elezione  ci  può  mostrare  che  la 
successione  al  regno  non  era  ereditaria,  ma  il 
dipendente  dai  suffragi  de'  principali. 

Or  se  i  capi  prìmm  della  nazione ,  come  é- 
rfuio  i  duchi,  già  stabiliti  m  Friuli  e  Spoleto ,  '  e 
in  alcune  altre  delle  principali  città ,  avessero  po- 
tuto dividersi  lo  stato  fra  loro  soli ,  ben  e  da  cre- 
dere che  non  avrebbero  ceri::ati  altri  consorti  nel- 
la signoria:  ma  non  [potendo  per  avventura'  ciò 
ottenere  per  le  pretensioni  dì  molti  altri  grandi, 
^|u  forza  di  divìdere  in  maggior  '  numero  di  co- 
^mandantì  il  donjiniaj  e  fu  preio  partito  ffi  (^éate , 


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I20  DELtB  RVOLUZIOMI  D'ITaLiA 

obf  e  a  quelli  che  già  erano  stati  ordinati ,  trent*  al> 
tri  duchi  in  varie  teire  :  cosicché  se  ne  orearona 
in  tutto  trentasei ,  fra  i  quali  fu  dìriso  il  comao' 
do  che  prima  era  stato  in  un  solo  (i) .  I  popoli 
d'Italia  già  soggic^ti  e  ridotti  in  «ervitù,  non 
poteau  far  motto  a  qw»ta  novità  che  piaceva 
d'introdurre  alla  nazion  dominante;  «  la  gente 
minuta  o  vogliam  dire  la  plebe  Longobarda ,  par^ 
le  sconcertata  ancot  essa  pei  tinumid  andamenti- 
di  Clefi ,  parte  delusa  dalle  parche  de*  grandi  che- 
davan  voce  di  voler  solamente  farla  da  reggenti 
del  regno,  (girante  la  minorità  del-  figliuolo  del 
morto  re ,  non  sappiamo  che  abbia  fatto  rumor» 
al  nuovo  governo  de' trentasei  duchi.  Intendimen- 
to di  questi  novelli  signori  fu  senza  dubbio  d' am- 
ministrar la  repubblica  de'  Longobardi  di  comu- 
ne aocotdo,  e  di  difenderla  da  qualunque  assalto 
stranilo  con  la  union  delle  forze  dì  tutti  i  du- 
cali .  Ma  poscia,  siccome  suole  naturalmente  av'- 
yenire  in  somiglianti  casi,  ciascuno  badò  iu  fatti 
ad  ingrandire  il  suo  distretto  proprio ,  ed  arric- 
chire la  sua  casa,  col  muover  guerre  particolari 
D  ciascuno  da  sé,  o  talvolta  unendosi  insieme  due 
o  tre  di  que*  duchi  che  aveano  interesse  comune 
in. qualche  impresa:  e  però  si  rivolsero  gli  uni  ad 
infestar  le  terre  e  i  sudditi  de*  Romani  dal  canto 
di  Ravenpa  ,  gli  altri  verso  le  Alpi  a  far  la  guerra 
a' Francesi  .Giteste  spedizioni  particolari  ebbero  in 

(1}  Paul,  dite,  lib.  3,  cap.  Sa. 


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ti&Bo  VU.  Capo  U.  tzt 

Vàrie  oc6asiom  vati  successi;  ma  nella  somma  dello. 
cose  questa  di?Ì3Ìone  di  sovraoità  fu  non  meno  pre^ 
giudiziale  alla  grandezza  de'  Longobardi ,  che  allo 
stato  universale  delle  proviocie  Italiane ,  almeno 
di  quelle  che  non  ierano  soggette  alla  nazion  Lon- 
gobarda (i)  .  I  dudii  non  avendo  forze  bastanti 
a  conquistar  nuovi  e  graudi  domini,  &cevaaa< 
piuttosto  la  guerra  a  guisa  di  pirati,  assassinando. 
Ù  più  cbe  poteano  de*  sudditi  in^eiiiali,  ucciden- 
do  spezialmente  o  togliendo  ì  ricchi,  e  predando 
le  campagne ,  e  «aceheg^audo  le  case .  GÌ*  impe-^ 
r-adori  Greci  e  gli  esarchi ,  tuttoché  non  soliti  ad- 
tssere  molto-  teneri  e  sensitivi  alle  calamità  d*  Ita-r 
Uà ,  sopportavano  tuttavia  queste  ruberie  e  queste^ 
uccisioni  che  commettevano  i  Longobardi,  assai 
malamente  ;  perchè  alla  £ne  tanto  meno  restara 
loro  a  pigliare,  se  già  i  sudditi  erano  spogliati  e 
tosati  da*.lor  nemici.  Con  tutto  questo  tale  era 
la  debolezza  dell'  imperio,  che  né  potea  difender 
le  terre  che  ancor  restavano  ali*  obbedienza  di  lui , . 
né  molto  meno  ricuperare  le  già  perdute.  L'uni- 
co spediente  che  ponessero  in  opera  gì'  imperadò- 
ri,  era  di  metter  discordie  fra  i  ducei,  e  tirac 
alcuno  dalla  lor  parte  (2)  ;  d*  invitare  e  sollecitar 
con  ambasciate  e  eoa  regali  i  princìpi  Franchi ,  la  ' 
potenza  de*  quali  era  allora  in  grande  '  estìmazio. 
ne ,  e  far  eh'  essi  movessero  guerra  a*  Longobardi , 

(1)  V.  P«al.    diac.  lib.    a,    cap.    3a,-  «t   lib.   3,    cap. 
(a)  Idtm  lib.  5,  cap.  jy. 


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1-22  Delle  Rivoluzioni  d'  Italu 

e  li  discaccìasser  d'Italia  (i^.  E  verameote  Chil- 
deberto  re  de*  Franchi,  mosso  dal  denaro  e  dalle 
promesse  di  Maurizio,  e  non  diffidando  d*UQÌr 
frattanto  una  parte  d'Italia  al  suo  domioìò  ,  s'ap- 
parecchiò di  passare  le  Alpi  .'0  timore  di  "questa 
guerra ,  e  gì'  interni  lamenti  del  popolo  Longo- 
bardo e  de'  sudditi  Italiani  a'  quali  il  governo  d? 
tanti  piccoli  e  sempre  avidi  tiranni  riusciva  grave 
,  e  molesto ,  e  finalmente  il  sospetto  che  all'  esèm- 
pio  di  Drottulfo,  uno  de'  loro  duchi  che  avea 
tradito  la  nazione  ed  era  passato  -  alla'  divoziod 
dell'  imperadòre  (2) ,  altri  facessero  il  somiglian- 
te ;  obbligarono  a  [>rocedere ,  dopo  un'interregno 
di  dieci  anni,  £ill*  elezione  d' un  nuora  re. 


Di  autori  terzo  re  ' Ijongobardo,  à  suoi  successati 

fino  a  Roiarì.  '    '' 

'■      ■  •  I     -  ..      '      .  .s 

Il  vantaggiò  della  nascita ,  e  gì'  indizi  che  da- 
va di  sennò  e  di  valore,  inclinarono  fàcilmente 
le  voci  degli  elettori  io  favor  d*AàtaH  figliuofo 
di  Clefi  (  AN.  584.  )  Questi  rfie  fu  il  terrò  re 
d' Italia  della  stirpe  de'  Longobardi ,  per  Jfr  tìe- 
sé  phè  fece  nel  breve  spazio  di  sei  anni,  mer^ò 
bene   d'entrar   nel   numero  de'  re  più  gloriosi. 

(1)  Greg.  Tur.  ap.Dan.  Hj'sl,  deFrancetom.  l,pag.a5o. 
(3}  Wul.  diac.  lib.  3,  cap.  .16.,  .igb:         .,.1  \  >  ' 


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tÌBHo  Vn.  Capo  m:     '  i'25 

Primieramente  rialzò  II  decoro  e  la  maestà'  det 
teoDO  ,  che  dall'  usurpazione  de*  duchi  pareva 
dover  ridursi  a  puro  nome  o  al  mero  uffizio 
di  capitan  generale  ;  e  mentre  che  coh  somma' 
fermezza  perseguitò  i  duchi  ribelli,  è  tenne  in' 
obbedienza  tutti  quelli  che  n*  erano  -  vacillanti ," 
s' oppose  gagliardamente  agli  assalti  replicati  che 
ì  re  de'  Franchi ,  sollecitati  dall'  imperador  Mau- 
rizio, diedero  al  suo  regno:  e  confermate  le  co- 
se da  quella  parte  or  con  trattati,  ora  eòo  le 
sconBtte  che  diede  agli  assalitori ,  ampliò  dal  can- 
to opposto  il  dominio  de'  Longobardi  con  notabi; 
li  acquisti.  Perchè  penetrato  "destramente  ne*  pae- 
si inediterranei ,  con  leisciarsi  addietro  Havennai 
Koma,  e  le  terre  che  o  per  naturai  sito  o  per 
grosso  presidio  che  vi  fosse  a  guardarle ,  poteva- 
•no  trattenerlo ,  9'  avanzò  lino  alle  spiagge  del 
mar  Ionio ,  aperse  la  '  strada  a*  suoi  successori 
d'ampliar  quegli  acquisti  con  1*^ espugnazione  del- 
le terre  dell'  esarcato  di  Ravenna  e  ducato  di  Ro- 
ma ,  e  diede  o  il  primo  principio ,  o  veramente 
con  nuovi  ordini  raffermò  ed  incorporò  agli  altri 
stati  della  sua  nazione  il.  ducato  di  Benevento , 
che  divenne  ne'  tempi  seguenli  così  famoso ,  e 
fu  cagione  di  tante  contese  (i).  Teodelìndà  fi- 
gliuola di  Garibaldo  duca  ài  Baviera,  che  Aufa- 
ri  si  avea  presa  per  moglie  in  un  modo  che  tién 


[1]  Giann.  Stor.  cW.  .del  BegDO  il)  Nap.    lib.    4«    cap. 
a,  *—  Cam.  Peltegr,  Hìslor.  piiucip.  LoDgobard. 


ovGooglc 


ja4  Delle  Rivoluzioni  d*Italu 

àtA  galante  e  del  romanzesco,  s'acquistò  talmett-'' 
te  l'afTetto  e  la  Btima  de'  Loógobardi,  che  essi, 
morto  il  marito,  la  riconobbero  come  reggente  e 
arbitra  del  regno,  e  lasciarono  all'arbitrio  suo  la 
scelta  d'un  nuovo  re  e  di  un  secondo  marito (i). 
Ella  che  fin  dal  tempo  in  cui  si  trattava  delle 
sue  prime  nozze  con  Àutarì ,  aveva  conosciut» 
Agilulfo  mandato  dal  suo  re  ambaiciadore  io  Ba- 
viera ,  uomo  in  cui  alle  qualità  dell'  animo  si  uni- 
vano quelle  del  corpo  (  non  mai'  di  poco  rilievo 
nel  determinar  il  giudizio  delle  donne  ),  ed  era 
allora  duca  di  Torino,  a  lui  subitamente  rivolse 
l'animo;  e  fattolo  venir  a  Lumello,  residenza 
allora  della  corte  reale,  il  dichiarò  re  de' Longo- 
bardi, e  ne  fu ,  alcuni  mesi  dopo  (  an.  589  ) , 
dalla  dieta  generale  degli  altri  duchi  confermata 
F elezione.  Agilulfo  oltre  alla  novella  sua  dignità 
doTOtte  riconoscere  dalla  sua  bene&ttrice  e  sua 
donna  ì  sentimenti  eh' egli  ebbe  ^  più  che  niun 
altro  de*  suoi  predecessori,  in  materia  di  religio- 
ne: e  dalle  favorevoli  indioazioni  che  i  due  re- 
gnanti mostrarono  verso  la  religione  cattolica^ 
nacque  all'  Italia  questo  vantaggio ,  che  di  quindi 
in  poi  si  cominciò  ad  .  iotrodun-e  in  questa  pro- 
vincia- l' uniformità  e  la  purità  ancora  della  reli-. 
gione .  La  santità  e  la  dottrina  di  Gregoria  Ma-^ 
gno,  che  reggeva  con  infinita  lode  la  chiesa  di 
Roma  a'  tempi  del  re  Agilulfo ,  fu  in  gran  parte 

[1]  Paul.  <li«c,  lib.  3 ,  cap.  ^. 


ido^Googlc 


LifiRO  VII.  Capo  HI.  laS 

cagione  della  pietà  di  Teodelinda  e  della  conv«r-> 
ubne  del  stio  manto.' Foche  sono  le  contrade  sel- 
la LAmbacdia .  dove  o  non  si  mostrino  ancora , 
o  non  ai'  sentano  citar  momimenti  della  pietà  d^ 
l'uno  e  dell' altro  di  questi  due.  Ma  AgHulfo 
con' troppo  utile  e  memorabile  esempio  fece  an- 
cor vedere  che  la  pietà  de*  sovrani  non  indebo- 
lisce e  non  isnerra  il  vigor  del  goveNio  ;  peroc- 
cbè  in  mezzo  ai  discorsi  e  alle  pratiche  di  rrii- 
gione,  che  occupavano  non  poca  parte  de*  gior- 
ni suoi ,  represse  1*  ardir  de*  Franchi  che  tuttavia 
di  tempo  in  tempo  scendevano  ad  infestare  1*  Ita- 
lia (i)  .  Stabilì  pace  onorata  e  ferma  con  buone 
ed  onorevoli  condizioni  cogli  Avari  che  molesta- 
vano l'Istria  pel  mal  governo  del  duca  di  Friu- 
li ;  accrebbe  il  suo  reame  con  1*  espugnazione  di 
Padova  e  d'altre  terre  che  ancor  si  tenevano -per 
r imperio;  e  col  timor  che  diede  dell'armi  eae 
agli  esarofai  de'  Rtmiani,  gì*  indusse  a  pagargli , 
sotto  spezie  e  titolo  di  regalo,  un  tributo  di  do- 
dioimila  libbre  o  scudi  d*  oro  (a) .  Tenne  a  fre- 
no i  suoi  duchi,  ì  quali  per  V  autorità  eh'  eser- 
citavano ne'  lor  governi ,  assai  facilmente  ricusa- 
vano di  vivere  obbedienti  e  subordinati,  al  capo 
eovranò  della  nazione  (3)  ;  e  per  gì'  intervalli,  pa- 
ifflfici  che  procurò  al  «uo  regno,   diede  comodo  e 


[i]  V.  Murat.  an.  £i3. 

[a]  Paul,  diac.  lib.  4t  cap. 33et  43— Fret}e£.  cap.  69. 

(3)  Apud.  Marat.  aa.'635.    .        . 


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iké  t)Et£E  Rivoluzioni  ©''Italia 

tiggiuose  stimolo  a*^ao!  nidditt'  di  à6<kÈst  '8pà-> 
gliaodo  la  oatia-barbafie,  e  d' imberrai.  '  di .  co- 
£tumi''p!ù  dolci  e  ciVih';  Alla  qual  cosa  gk>TÌ»as- 
saxttiino  la  cdtifideasachegrìtaliaai  prqsetodeMQ^ 
«igaòrì,  dacbeii  videro  o  abbrSÉciBx<e  -od  awi- 
«ÌDarBi  ad  ima  stessa  credenza.  Ma  per  4eetitu) 
«ssai  frequente  delle  còse  umane,-  il  figliud'  di  Agi- 
lulfo, betichè  cattolico,  iton- ebbe  virtù  simite  al 
padre*  o  ebbe  il  vdler  del  cielo  mea*  favòtevole 
alIesUé  imprese.  ìu  dieci  aoni  di  regno  noti  la- 
nciò Adaloaldo  monuniento  almioo  che  gli  acqui- 
stasse apptesso  i  ' postela'  rìoomaozat  Solamente 
■sappiamo-  che  o  per  suggestioni  -maligne  d' alcuni 
emiasarì  déH^ésarco  RaTCnnafe,  da.cuiimprudei> 
^emècfe  si  lasciò  sedurre ,  o  per  6sica  ed  iocci- 
fabile  frenesia  dhe  gli  sconvdse  l'uso  della  ra- 
'gitaoi  ^ce  uccider  parecchi  nobili'  lUii^obardi 
«be  non  avevan  delitto;  e  che  aJ  fine,  rfbellatiai 
gli  altri  pia  potenh*,  fìi  ammazeato  (AN,  62»  ), 
«  datogli  siideessore  un  altro  ihica  di  Torino  per 
tiome  Arioàldo;  capo  pròbabilmeule  'de*  thalcon- 
ttnti  per  motivo  ài  paterne  inimicirie,  essendo 
«tato  il'patfre  d' Arioàldo  da  quello  di  Adaloaldo 
punito  dì  mwte.  Gontuttociò,  tìts  lasaa^aKta  ad 
trono  fu  poco  legittima,. fi  sì  tenne  tuttavìa  non 
•eifta  lode  dì  moderazione.'' Ma  là  potenza  troj>- 
po  grande  e  le  cabale  eterne  de*  due  frMetli  du- 
chi -del  Friuli  intorbidarono  non  leggérriiente  il 
suo  regno,' -ed  i  sospetti  maìizfdsaniéàte  insinua- 
tigli r  che  Guadeberga    sua-  moglie  '  mantenessi? 


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Ciecutti  r&fUeggi'  ci^ques^iiif^eUed  Inquieti' va«T 
'Aftllìiigli  nNQ&^rp'i^iuiOi^fL 'A  :tarba.>:«  T  interno  idei- 
la fìuàfglia  e  1^  quicitfi  domestica  •  Era  Gundeber- 
'[gEt(  per-qitaittf)  narrar  istoriai  in!io(;eiite -(ji  quel- 
le,. piiRticbe;  ma  per.  altro  assai  prof^ia  a  dar 
ijS()8p^o^Ì  ^,, colpe  sDrelIaidel  re  Àdalpaldo,  q 
4)erò  di  :  :{Wnigh'a  inemicA  da  lungo  ten^  ^Ut 
'pae^  di  luj  I  Ma  c^la  fine  .1*  inqoeenza.  della  regi- 
xta-si.fsee  maniieAfa,  e  xitora^ta  daioartore  al  trio- 
do .furìferrata:  a  provar  d^  chi  meoo  dovfa  raag- 
■giofi  ttaFagli .  Zntftnto  Arìoaldo ,  non  vjdJendQ  uè 
^omproi^ttere.iiè  .consumar  le  Bue  forze  per  ^b- 
'hftttefea  .duchi  rd^  Friuli,  gupd^nò  uà  ministro 
-«esaceo  che-  gli  uc&idess^  a  .tradimento;.  Costi!» 
j|uestaiqos^  9Ì\Té  de'  Longobardi;  la:ces»one  d*.ua 
Jnbuto  che, gli. si  .pagava,,  eome^  ^bbiam  ^ft^» 
tdagli  «satìchi  di ,  Rafienoa  \  TuttaypUa  Àfioi^d^ 
jimn  ant^ò  Jungò  tempp  lieto  :daU*9»térmiqio:4^ 
que'  Suojn^ntici:,,-  essendo;  morto ,  ^(«tff-  (gli  nm 
■9niiQ,dQpo.  AUpra.si  TÌ4e  di  bel  pw<>vo  arbitra 
xlel  regnd  I^oqgobardo  una  ^.Tedoya.  Ida  ^nde* 
.belga. fu  mf;no  feh'ce  nella  scetlta  del apcont^o.m^ 
Rito,  di  ìquel  ph' er^, stata  XeocJeKnda;  o  el|a  non 
ebbe  eguale  arvenenza.  «d:  accortezza,  per.  cposeir- 
varsi  .l'affetto  di  Botari,  ^  .f::ui.  diede  :  oolla  sufi 
XnAoo  anche. lo  sgettrq.  Rotari  ebbe  i  vizi  e  1« 
virtù  che  sVinootitEanO' bene 'spesso  in  quelH  che 
k  Sitoria  del  mpndo  chiama. gran  leste  e. gran 
principi.  Poco  ecrupoIoGO.in  fotlo.  di  femmine,  n 
tolse  per  sue  .concubine  quante,  ne  gli  piacquérojw 


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J28  Delle  Rivoluzioni  d*  Ìtalu 

Ristìlut»  e  fiero  a  reprttinere  la  prepotenza  e  Ta 
inaccbinazioni  de'  grandi ,  ne  uccìse  un  gran  nu- 
mero con  più  biasimo'di  crudeltà  i  cbe  lòde  ài 
giustizia  .  Ma  nel  tempo  stesso  prode  e  intrapren- 
dente neHe  cose  di  guerra,  assaltò  più  volte  i 
Romani ,  e  tolse  loro  molte  terre  nella  Liguria 
spezialmente .  E  desideroso  di  mantenere  1*  egua- 
lità e  la  giustizia  ne'  popoli,  fii  il  primo  fra  i 
principi  Longobardi ,  che  desse  leggi  scritte  a*  suoi 
popoli,  i  quali 'fin  aìhrk  s'èrano  gorertidti  se- 
guendo semplicemente  le  manze  de*  loro  maggio- 
ri. Il  qual  sistema  di  governo,  poco  poco  che  la 
nazione  inclini  alla  conuzione ,  porta  seco  gravis- 
«mi  inetwvenienti'.  Pwtìocchèj  dòveapptfiia  con 
leggi  chiare  e -fisse  e  dimostrabilf  si  'possono  gl'ina 
ferìori  difeud«re>ed- asneurare  {IslleWolenze  de^po- 
fenti  e  de*  riccbf,  come  si  itc^bìsè'^fiir  ragtené 
agP  inferiori  dóve  non  vi  «Àendo  altra  regola 
che  1*  usanza,  basterebbe  che  Un  '  gHinde  &ceSse 
due' volte  la  stessa  ingiustizia, 'p*r  prtìendere-dS 
farìa  senza  ciHitroversia  nell* avvenire?  Questo jèr^ 
adunque  fl'disoi^'ne  a  ciu  il  re-  Rotati  cercò  di 
portar  rimedio ,  dichiarando  egli  stesso  n^'  esoi^ 
dio^del  suo  editto  o~  sia  nuova  compilazione  di- 
leggi, c4i*  egli  s*«ar  mosso  a  Tat^a  pei  continm 
travasi' de*  poveri,  e  per  le  soverchie  'gravezze 
che  s!  ponevano  da*  più  potenti  contro  i  più  de- 
boli.'E'perb  questo  nuovo  ordinamento  'di  leg^' 
forma  senza  dubbiò  nel!' interiore  e  cfvil  govemft 
del  regnv d' Italia  uu' epoca  notabHe.  '  ' 


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Ubko  Vii.  Capo  IU.  i  29 

Rotati  «bbè  per  successore  il  suo  figliuola 
ciie  tegiA  brevissimo  tempo  ;  né  aUra  notizia  a 
Bei  perrarae  delle  sue  azioni ,%, non  eh' egli  per 
la  sua  ÌDContinenza  si  fec:e  ucddere  da  un.mar.t- 
to  Mll'onor  deHa  Aua  doofia  oficso  e  vituperato 
dalui..^ 


^M  n  da'  LMtffthoT^  ed'  Italia  ^M  stirpe 


\joDyimx  <màm  ofa«  1*  ioetHttiixiiza  e  la  nuctd-. 
là  <fi  RodoaJdo  a  di  Kotari  avessero  altrettanto  . 
seoBteatata  la  Buion  Loi^obarda,  quanto  Vaae- 
stk  «  la  pietà  .di  IReodelinda  se  ne  ave&  guada- 
gnato r animo.  Morto  pertanto  Bodoaldo»  ì  oo- 
bìK  Lo&gobaidi  che  forse  Aon  si  .poteano  aeoor- 
dore  DcU*  elezione  d' alcun  di  loro«  si  eonvenae- 
ro  {  AN.  653  )  d*  eleggersi  a  ze  AritMrto  nipote. 
della  zegina  Teedelìoda ,  il  cui  padre.  Guadebat- 
éo  Bavaro  di  nascita  ara  già  stato  pel  Jwor  del- 
la  soreUa  o  da  Autaci  o  da  Agibilfo  fatto  duca 
dì  Asti.  Ni  Ariberto  smeatì  T aspettaiione  degli 
elettori;  e  goverab  eoa  njoderasioaB *  e  tenie -m 
catena  il  sup  cegoo  per  molti  anni.  Ma  Bertui^ 
do  suo~6gUw}lo,  cui  Arìbtfrto  laenò  in  compa- 
gnia di  Godeberto.  ««^e  del  r^gno ,  ebbe  a  sop- 
portar varie  e  strana  vicende,,  di  fortuna»,  oenie 
^   Timo  II.  9 


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i3o  Delle  Rivoluzioni  d'  Italia 

<]ue]Io  che  poco  staote  dalla  morte  del  padre  fa' 
caacialo'  dal  regao,  ed  andò  per  Io  mondo  mUe>. 
ramente  tapino ,  prima,  di  risalire  e'  ristabilirsi  sujt 
trono . 

La  troppo  scarsa  e-  meichiiiay  perchè  sem- 
plice e  «lacera  storia  che  ci  lasciò  dei  fatti  dn*, 
Longobardi  Paolo  Vaniefrido,  più  conosciuto  coT 
nome  di  Paolo  diacono,  ci- dà:  luoga  d'argomen- 
tare che  se  le-  cose  di  quella  nazione  ci  fossero' 
state  descritte  con  più  ditigeqza:.'  noi  avremmo 
per  avventura  upo  de*"  più.  eccaUeott  tratti  di  sto- 
ria, che  nel  giro  di  tanti  secoli  e  in  tanta  md- 
tipKcità  di  nazioni  e  ,di  regni  sì  possano-  ritrova- 
re. PiKciocchè  vi'  le^gg^ma  acoesBate  così  som*- 
marràmente  st  carÌQs«  vicende  e  ù  diversi  ìntti* 
ghi,  e  azioni  di  lor  Astuta  sì;  rilevanti  v  fa -gì»' 
vit  che  se:  noi  ne  potes^nao<  «corgerp  il  filo-  e  in- 
tender Ip  prime'  capponi ,  appeilK  troveremmo'  al- 
trove più  tUile-e  più  istruttiva  parte  di  storia  tnt 
vile,  barrai  dunque,  il  Viorae&ido ,:  .che  il  bum 
Aiiberto ,  mormda ,  .divise  il  sue  regna  tciBt*  satài 
figUupU  Sertprido  r  God^beilo ,.  6tova  M  credei- 
r»  ohe  ima  Bvverchja  tenezean-  verso  il  «eoQndcf 
genito  .Godeberto'  porfasseil  re-  padr&v  con  esem.- 
pio'  maudito  in  tutta'  la  storia  ^d^  re  Longobaff* 
4  ,  A'  divisione-  del  dominÌQ  tra'  due  fì-atelli.^  di- 
.v^fian«:  che  se  non!  portò  .soeo,  la:  dissipazione  dal 
.r«gn0>  come'  io^  altri  tempi  e  in  altre-  ^enti. .  s*  e 
;veduto  più  volte,  iii  ad  ogni;  modo  la'  rovina:  iH 
•quel  figliuolo  eh*  egli  volle  contro   la  ragion  di 


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'-     Dbbo  VH.  Capo  IV.     '  i3i 

^ato  vaotaggiaré,  e  mandò  l'altro  luogo  tempo 
èsule  e  ramingò  fuori  del  reguo .'  0^  Godeberto  ,- 
come  aMai  spesso  i  figliuolr  più  diletti  e  più  fa- 
Torìti  dai  genitori  sono  più'  ribaldi  e  più'  pr^un- 
taosi  f  hoD'  contento'  &  uvet  ctf tenuto  parte  del  re- 
gno cliewon'gK  dorea  toctìire ,  cercò'  ancora  di 
^oglrare^il  ni^^tttr-  jratello  dell' i^a  parte;  e 
per  -tal-  fine'  pteratf  dt  ribortere  tf  GrimoaWo  dtìca 
di'  Benerenta,  (lerotó  tjuesti'  cow  le  forze*  del  suo  . 
educato ,  che  già  doreano^  éssw  grandi  a  quel  tem- 
poi  l' aiutasse' al  tacciw  di  ^to  il  ftàtdi  -indgr 
gìore.  Macoli  st^lse  -à'  mà&mfente  il  tnìtiistro  4 
questo  trattato,- (fte'rf  ft-asse  ii  casa  in  weed'un 
idleato  tìn  micidiale.  L* ambasciadore  che' Gode-  . 
berto'  mandò  £f  BeDev%nto ,  fii  Garibaldo  duca  (fi 
Tbririo,  la, perfidia  iflei  quale,  «eWogliàm  prestar 
pièna  fede  à'  Eaceonto  del  V-anréfrìdò',-  8Ì«3ome 
non  è' da  scusarsi' ia' aIci]n"modb ,  coù  non' posr 
siam'  sapere  quàf  motìro'  aveise  di  tanta-  malevo" 
giienza  verso  il  suo'  re ,  né  quaf  vantaggio'  potes- 
se egli 'sperare  dal  cambiar  '  aorrano  ;  ^actbè  <b 
Een  dertò  che  niuno,'  per  malvagio  che-  sìa,'  noù 
^  muove  all^  ree  opere-  senza  qaalche'  stiihblò  di 
sdégno  e' dì'  Téadeftà,"  o^  speranza  di  proprib  Ut^ 
Ktà .  Orcdtfestar  Garibatdo  afadato  a  nome  del  re 
Godeberto'  sr  Irattér  col  duca'  dì  'Benevenifo  i  m 
vece  di  eseguire  i  com^danìentitlel^  suo^  signore', 
prése;  anri  a  pfersuaderlo  a caxnnardM regno  l'uno 
e*  l*  altro'  fratello.-'  ne  gli  potean  rnancate  ragioni 
apparenti  per  far  credere  che  una  tale  impresa 


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i3a  Delle  Rivoluzioni  d'Itama 

potesse  preoder  aspetto  d*  onestà  e  di  cotnuae 
vantaggio  e  de'  [xmgobardi  e-  degli  altri  .sudditi, 
f  quali  '  per  1  r  ambizione  e  la  discordia  de'  due 
■  fraCelii  pervenuti  al  tremo  de'  Longobardi  da  .stra- 
niera caxiooe ,  9Ì  vedean  .vicini  a  (tatira  i  daow. 
sempre  gravi  ed  iorvitabili:d'uiia.  guerra  civile, 
hi  somma  Grimoaldo  vmne  aHa  volta  di.FavJa; 
•  l'astuto  Garibaldo  con  falsi  rapporti  .taoto  isep- 
pe  operare,  che  ripieni  di  «ospetti  l'uà  verso 
V  altro,  Gntaoaldo  appena  inoootfttto  e  ueevqfi»- 
dal  re  Godetwrtn,  i'  uorase,  e  feee  a^ere^  pQr. 
me  forse  per  le  fuggestioni  del  ^djtwe  er^éev^, 
egli  Steno,  she  tìodeber,to  Voliessie  .ucetder  lui^  A 
ebe  peroib- foBBe  stato  ;  costretto  pei-  propna.'S^ai?' 
«èzxa  di  (V0veBÌrla..Bertarid9,  iatesi  i  movimene, 
ti,  lum  ebbe  animo  d'aspettare  l'flrrivp,  di  ;G^ir» 
moddo,  dk  dì  .òr  dìfew;  ma:  lasciata  cMcb^  ht 
moglie  ril/ffigliiiob,'  si,fuggì:.dt:MJWao»..«:  mm 
^«ade:  dìEpiua  si-noaverìt  .ndl'  Unghena.  ^ai,^!? 
Àfnrìi>  antiohi:  oonfederati  «d  ^amtci  -dd  npadroi 
sao.  Intuito  Grimoaldo  i  il  cpiakiV  ffiortoiilirs  di 
Fsvia'i  lavea  ipre»  iawQttiDeat*.  il:  titalo  dli  i^» 
non  ebbe  :^a'dii»ii  fatica  ad  impédronif»)  d^glÀ 
stati  de^'duB 'fratsUn^ -e  Mntft  ostacoto^^fu; da  ti)t« 
tr^rioooosduto  «djobfaedito  qualfo  deMjofigobdtr, 
di  e  d* Italia,  Con  somma  equità  e  virtù .  si . die- 
^:a  goPeraaM.ttQ  .T^xi.-^ingTustaRieatiK:  oeoupa-' 
tov'e  l' aecnid)^  anoQc  ^rsmderacnte  «ipre-.le  ro-t 
vine  de'  Greci.  I  pericoli  e  le  vicende  cjie 
questo  re  avea  passato  dai  pi'ìmi  .aDoi.}  ddla^sua 


ovGooglc 


Libro  VK.  Capo  IV.     .  i33 

^oV&nvzia ,  T  avean  fatto'  capace  di  molte  cose  . 
£ra  «tato  GrimoaM»  ancor  faDcìulIo  latto  schiavo 
dagli  Avari  mfiieme  co'-suol  fratelli  ^  tutti  figlinoli 
di  GiauHo  duca  del  Friuli,  per  V  insana  libidina 
di  Romilda  sua  madre,  cbe  moafuoratasi  del  ca- 
eaoo  è  sia  re' di  que*tnrbarr,  grande  e  bello  del- 
la pei^ona ,  gli'  diede  io  potere  (  Aw.  6sz  y  la  at- 
ta di  PriuK ,  capitate  di  quet  ducato.  Scannpato 
poi  tìoD  marariglioflo  ardimente'  da  quella  scbia- 
Titiìi  con  ^doaIdo'«uo  frateUo',  vissero  amendue 
alcun  fenipa  bc^  tpriie  già  donitnate  dil  padre  i 
e  altHnaraente  passate-  strttn  il  governo  di'  Grasol- 
fo  Kb  paterno  (i}.Ma  i  grattdt  edaniraod  gìo» 
vani  non'  potendo  sosteBsre  di  vÌTtre-  qiiaB'  sud* 
dici'  ìb  un  paese  dove  TnsEt  volta  arem  tegù3tt9-ìk 
padre  i  ooctiftamenl»  quiadf  partiti ,  »  o?>aiidaro^ 
a»  da  Aredii'  duca  ^  fìeitevento,  chteia  st&t» 
laro'  aio,  e  che  probabilmente' pel  favor  dì  Oir 
salfe  aveva  ottenuto'  quel^  ducato-  erediti  ^  ac- 
colse e  li  tenne  come  fìgliaotì',  e^gfi  ebbe  dk  pa» 
Pun  dopo  V altro  per  succcssotì.-  perckè^  merto' 
kztr  &  creato  duca'RodDaldo»  e  mancato- anetv 
questo- dopo' sei  anni,  gli  succedette' HmioopfraH 
ielJo-  GtimoaMo  dì  cui  parHamo.  Or»,  cotftùi  nef 
gsAire  al  regna  cede  al  soa  i^'u<^  il  ducato  Be^ 
■eveotano. 

In  questoTOezzD  £o»taitté  imptra(kr:d'Ocietati^ 
apaE  soddìt^tq   del^  x^giorno   di  GostjuitinopoU y 

li)  Paul,  àìac-  libi  {.',  eap.  fjv-' 


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i34  Delle  RivoiunoNi  d'  ItALiA 

dove  parerà  che  ì  luoghi  istem  gli  riniàeaias>et« 
le  crudeltà  e  i  siiot  parricìdi;  e  bramerò  per  av* 
ventura  d*  aggiungere  qualclie  nuovo  fionquisto  si 
tuo  regno,  naVigb  oon.grande appORrecchìo  e'gcan- 
de  seguito  in  Italia  O)-  Q^i^i  'iii>m&gtDaQdo9Ì 
che  per  le  fresche  liyoluribni  le  fotte  de*  Longoc 
bardi  si  trovassero  secnnpoBte  ied  vinfèrnae,  e  Ber 
nevento  spezialmenfì),  per  «Kem  va  giovane  du^ 
ca,  iiaD'tToppo'ftH'nito  di  gente'  d'A'tnì,  pensè 
di  coraincia)*  dàtraisei^o  di  questa  fuazza  più  $ 
iiiun*^altra  importante  per  la  sicurexza  4elle  lem 
che  in  quella  parte  ancor  si  tceMv^no  per  l'inw 
perio,  come  Napoli»  Amalfi,  Otranto,  GaHìpoIi , 
Gaeta ,  Bari ,  Brindi» ,  Taranto,  e  tutto  dò  eh* 
terra  d*  Quanto  ed  ulterior  Calabria  jiel  regno  di 
Napoli  dg^  si  chiama.  Certasieste  fonerà  il  du- 
ca Romoaldo  gran  fatto  {nwvedttlo  per  resistete 
alle  forze  dì  tasto  ^ffiaHtote,  perchè  una  .parte 
de*  m^Itòri'  soida^  di  quel  ducato,  '  ch6  aveirao 
servito  Grìmualdo ' nella spedisioB. di  Paria,  s'eran 
colà  fennati  a  gèdeici  gli  Kmari  e-  gli  a^  in  eiii 
a  nuovo  Te  gli  area  posti  •  Sostenne  bondihienò 
il  megKó  che  potè  '1*  assedb  della  sua  città,  « 
frattanto  nmadò-  un  suo  fedol  balìe,  per  nome 
lesualdo,  a  sollecita  il  padre  >di  pMsto  socc(»so, 
il  quale  con  somma  diligetna  Tnoveado  tvetr 
SD  Benevento,  ritnamlb  il  messo-dei  £glitioIo  a 
vébame  i*  avviso,  perchè  ^teiM  saldo  tadUa  d^oa  (i). 

[<1  V.  Muratoti  an.  66a-63.  ' 

[a]  Paul.  diac.  Itb.  5 ,  <»p.  j'ei-SL- 


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.    LiSRo  VII.  Capo  IV.  i35 

FooQ  tnabot^  clie  la  sventura  del  buon  lesuaMo , 
caduto'  in- man  de*  nomici,  non  rendesse  troppo 
tardo'ed  JaoipfKirtuna  il  soccorso  .clie  si  avvicina- 
va-.  Ma  la  fortezza  ìnoonxparahUe  del  fedel  servo 
.che  con  certilsiibo  perieoTo  della  sua  vita  trovò 
inodeld' informar  gli  assediati  dell' .arrido  del  ra, 
fece' scioglieif  l'assedio;  e  Costante  non  solamen- 
te) non  ricuperò  all'imperio  le  città  occupate  da' 
Jiiongobardi,  ma  diede'  lord  oocasione  e.  stimolo 
'd'nceuparné  ancor  molte  altre;  .tanto -.die  in  bre- 
ve Dog  rioKtte  a-  Greci  altra  parte  d'Italia,  che 
il  ducato  di  Napoli,  il  quale  si  sostenne  piuttosto 
pee  la  gelosia  e  1'  odio  che  i  Napolitani  -concepi- 
Xtao  ooBtro  quelli  di  Benevento ,  che  'per  suffi- 
^cnfe^  gtiernigione  che  vi  mandassero  gì'  impe- 
radort^ 

•-•<  1^  Mentre  tfiv^^  «ose  faceva  iik  Itafia  ìl  valo^ 
•voso,  ffia'tuifarJa  usurpAtor  GrimoaMo ,  JBertari- 
lào  'Lqgittitno  .re  se'  ne  stava  trcfid^a  ed  incerto'  air 
■kEEtercè- degli  Unìn»  apprèsso  i  ^juali  fi'er^  ri- 
jfuggiatò.'Oone  Questa  ^rtonne  >a  notizia  diGri- 
mpstilov'il  qualb  iUon  petea  £u!  a-sueoo  «t^e  atitr 
•solléoito  sopra  gH  andamenti  d*  iw  <così  iktto  pne- 
itendeoto  jal  .regbc^,  mandò  suoi  amhasciadou  con 
.(^rte  grandissinie  di  regaìi-ali-cacu^  degli  Ua- 
-ni,  sei  gli'^avanelie' tnani  ;qttd  re  £ig^Ì;?o>  Mt^ 
.>^lr cadano,  anconAò  barbai  4d  idolatra,  ebt^ 
.iaùto^ì  rispetto  alla  santità  del  ^tamento,  che 
ricusò  un  .pieno  moggio  di  scudi  d'oro^  (  sicoo- 
me  Bertarìdo  stesso  'dicliia'ò.poi  moM  antu'dopo 


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ì?6  DelÌiE  Rivoluzioni  d'Itaux 

al  celebre  ereiTeseovo  di  lorcsan  ViUrìào),  potr. 
tosto  che  mancare  aUà  promessa  fatta  al-  buq 
Ospite  di  non  darlo  inpelc^  dei  sua  tùraimo^i)^ 
Tuttavia  perchè  gli  Uddì  non  volean  brì^e  co:* 
Longobardi ,  fu  ^ta  licenza  a  Bcrtaride  d' aodas 
d<0Te  gJi  piacesse ,  parcfaè  usci«Be  dal  lor.  paese , 
i^llore  BMTtarido  terese  un  partito  geiMrcso;.  e  dft 
ìaiagnaoino  venato  destro  i  coi^oi  .d*  Italia  «in» 
a  Lodi,  feee  sapere  per  un  suo  fbéel  fìttwUai»  a 
€n'inea)do ,  cfae  egU ,  cosfidatosi  nella-  fama  cIm 
per  tutto  córreva  della  boutà  sua^  avea  j^Bsato 
di  venirsi  porre  nelle  sue  maiii,  e  aspettare  dal- 
\a  discrezioBe  di  Ini  stesso  il  suo  'destioo .  Udì 
Grisioaldo  eon  itusvdibil  piacere  ^|itest'  imbaiotar 
te,  e  fece  rispondere  a  Berta^ido  ,  eh' agii'  era 
non  solammte  per  lasdarlo  viver  ùcuro,  ma.ibf- 
BH-lo  ancor  largfOiteBte  da  menar  vita  convenien- 
te alta' sua  nas^nta.  Né  fìuvoo  i  ^tti  diyeisi  dal* 
le  ppomesse;:  pnoiocckè  assolandogli  alb^o  ^ 
gDorile  e  famiglia  e  provvisioni  d' ogni  sMrte.^pB- 
«eva  ebe  Sertarido  ^  dallo  scetfro  in  himi ,  u<m 
avesse  cbe  desideiaìr  di  vantaggio .  Mat  le  troppe 
Uete  accoglieoze'  cbe  molti  de'  Longobasd»  fecive 
al  priocipe  restituito  alla  patria,  ìe-  gelosie  ^ 
statOr  acutissimi  sproni  a  chi  regna  mwsìmameDr 
te  con  noa  giusto  titolo,  rìsoselo  in  nuovi  ib- 
«^b  e  io  nuovi  travaglt  BertaEÌdo..ffer6.GcBBoa]r 
dO',  lasciate  dal!' un  de'  lati  le  su»  psomesM^ 

■    do  Eddios  Sleph.  in  Vita  »:  Witfr.  ap.  Wafiill.' AnnaL 
BeD«d»  tom.  if.  par.  v,  pag,  fisi» 


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'      XiBRo  VH.  CtìtolV-  i»7 

TÌsokè  di  tor^i  la  vitali  e  già  awea  ordjaato  ij 
eome  ed  il  quando',  e  sarebbesi  la  oosa  effettua- 
ta ,  se  Moo  era  la  pietosa  artuwa  dì  un  suo  gyar-r 
daroWere  che  sotto  abito  d'un  vii  servo,  e  cj^ri^ 
co  di  grosie  robe  lo  condusse  fuori  del  palazzo" 
*)Ve>già  erain»  poste  k  guardie,  e  qm'ndi  cala-r 
telo  coti:  Hoa-fime  giit  daHq.iaura  della  citlày  Io 
Mi«b:as8e  alle  . insidie  idell*  usuepalore.  Bertarido 
con  akjniH  femigli  ebe,  nelkì  stesso  modo  idi  li^ 
eraao  idiìceei  per  via -di  funi  da  Pavia,  tforatì 
alcwQ  caraHi  oW  per,  le  cajnpagpe-.peacavituiù 
ncm  hjDgi  dalle  Biwra ,  fuggi  Ju  Asti  ,dpy«  fu  rjr 
cerato  ed  aiutata  da'  sutìiaipibi  e  partigJ4pi,  p 
di  là  pwsaadQ  a  Tqtìdo,  in  pochi  gioiti  «kìò» 
}B  Fxancia  senza  trovare  QS^acolo;  (an^6(j4.  )^. 
Grimoaldct',  àntesa  la  sua  &iga  ed  ìl-BiDdo;con  eur 
l'aveva  cttgvil^r  non  solapaeate  dgj»  s'  a£tìrò.QOn- 
teo  colfwo  che  r avevano, idutato,  ^.  SuggfKe-^  m^ 
èi  premiò,  li  «ereò  nl  suo  .servàio^..^  gM  ebbe 
poi  00100  servì  fedeli  e  vatieati;f;  «ra^ku^  dì.  Ipni 
cbe  nmtii^  desiderio  d'awdar  (poi  s^p,  pn^w  p»- 
Aooe,  fu  da  Grimoalda  stesso  jnsodato,  s  &i>- 
mto  di  quante  abbisognava  ai.  su»  viiiggiof.  Tan. 
ta  viilii  fina  eotesta,  chiamata  da»  alcuni  bafbfl- 
nr ,  nefaniìa  Dazione ,  si .  tl>pvava  attcw»  i?  un 
lirwmo,  Frattanto  Bertarìd»  poetatosi  ad-  iiQpIp- 
xw  fassisteoz^'.di  Clotarìo  111.  re  di  Parigi  e  del- 
la BoiigogJKi,  lo  in^se^  a  yeiuc  inU^ia^em 
buon  eseecilo  oontFO  il  re  Grimoaldo ,  il  quale  , 
beocbè    di   forze    d'ai'"!»    ^A.  supec^or^    al  ,re 


ovGooglc 


l3B  Delu  Bxvowxicaa^tì'trtìJA 

Ftaaco,  «upertore  d' astuzia,  «   d'esperìeDza,  ì», 

sconfisse  e  sbaragliò  presso  ìk  città  4'  Asti,  e  il, 
rimandò  .a  casa  con  pochi-  avanzi  della  sua  wn^ar 
fa  .  Ma  noo  -cessò  tuttavia  Grimoaldo  dì  guardarbi; 
bene  da  altre  sorprese  die  ipotessero  ca|;ioaargU 
le  cabale  e  i  moTimeoti  di  Bertarido  ;  e  quasi 
ehe  per  tener  le  sue  fctt*^  proote  d^la  parte* 
de'  Francesi ,  «orse  rischio  di  lasciar  ìa  preda  de-i 
g^i  Unni  una  parte  almeno  del  suo  reame,  « 
mettere  io  fluoro  divisioni  e  nuovi  «sompigU  Tlta" 
lia.  Perchè  non  volendo  mapciar  in  persona  a. 
reprimere  la  soUevazion  di  Lupo  duca  di-i^^Iù 
ohe  lasciato  da  lui  suo  luogotenente  in  Pavia  nel 
tempo  della  guerra  di  Benevento,  area  teutaio 
d*  usurpargli  Ja  corona ,  avea  invitati  gli  Haai  a 
&r  la  guerra  a  iquel  ribdle  «  torbido  4uca«  M^ 
vinto  «  punito  Lupo ,  gli  Unni  trovaado.  ami 
buona  pastura  io  Italia,  mostravano  di  jaoa  -  va- 
lersi tornare  pella  Panqouia  ;  se  tum  obfs'  Au-qoo 
in^Wffiti  da  UB  ^tìBzio  militare  di  Gniooaldtf 
che  fiol  riveatire  tn  varie  gtuse  gli  stesti  Mldati:* 
e  farli  oomparir  più  volte  davanti  agJi  stessi  am- 
basoiadori  del  jiacano ,  gp  Indusse  a  partii»!  p» 
timore  di  non  esserne  ■&  forza  disoaceìatt ,  In-^ue- 
sto  mezzo  Clofario  HI.  iti  de'*  Franchi^  'quel  pro> 
tettpre  che  abbiamo  detto,  di  Bertaridoi-mantiòi 
0  Dagoì>erto  II.  che  gli  succedete ,  cacei^b  dal 
regno  dal  -suo  maggiordomo  (^rimocddo  cfaero^r 
mincip  dei  primi  in  iqutU'ufHzio  a  fatai  so^^tti 
i  re  stessi  e   governar   ogni  cosa   a   suo    seancf» 


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-      laMo  "Vn.  Capò  IV.  iBg 

(Vtveva  esule  in  In^Uerra.  Ristàlnlito  dopo  alcuni 
addì  sul  trono  ,  il  rb  de'  Loti^i^ardf  mandò  a 
CDi^atularsi;  e  come  intentissimo  elie  egli  età 
«d  «spiccar  gli  andamenti  di  Bertarido ,  diede  foN 
se  .segnate  commissioni  a'  «uoi  inviati  su  questo 
f>artiéoIare..'Bertarìdo  che  ne  temerà;  «egretamen-' 
te  «' avviò  verso  r  Inglriiterra ,'  dove  «redeva  di 
trovare  pni  ùeurtà .  In  questo-  fi-angente  venne  a 
morte  il  re  Grimoaldo;  e  si  credè  cbe  Iddio,  il 
quale  voleva  dopo  otto  o  nove  anni  di  tcavaglioso 
esilio  {«stituire  a'  jLoogc^rd{  il  legittfmo  e  pio 
principe,  gUene  ^uiésse  per  mirac^osa  ed  ignota 
voce  giunger  l'avviso,  quando  ^K  «lava  in  sul 
partire  dalle  costiet^  di  Francia .  Tornato  perà 
indietro  alla  volta  d'Ifalìa-,  e  mandati  i  »ioì  ad 
esplorare  la  verità  delle  cose,  e  come  gli  animi 
fossero  disposti*  si  trovò  in  fatti ,  che  Grimftaldo 
era  motto,  e  che  quantunque  ^li  avesse  lasciato 
due  figliuoli,  de'  quali  il  primo  renava  tuttavia 
in  BefwvtiQto,  ed  il  secondo  era  stato  dichiarato 
da'  suoi  favorevoli,  alla  morte  del  padre,  succes- 
sore ne!  regno;  nulladpmeno  i  voti  comuni  sima- 
nifèslavano  inclinati  a  ricewr?Bertarido.,  il  quale 
perciò  venivo  a  Pavia,  «  deposto  dopo  due  mesi 
di  regno  il  giovane  Garibaldo,  in  breve  rimontò 
sul  trono;  e  ricuperata  la  moglie  e  il  figliuob* 
ebe  durante  il  tempo  del  suo  esilio  erano  stati  dal 
duca  Romoiddo  tenuti  come  privai  io- Beneven- 
to,'ijovernò  con  somma  lode  di  pietà  e  di  giusti- 
zia e  di  bontà  il  suo  reame.  Otto  anni  dopo'  il 


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I<44  DelC£  RiyOlUZlONI  D^  [tACIA 

SUO  pistabitimeBto-  (  xs.  678  ) ,  pet  a^curar  vftr 
meglio  al  suo  figtìuoT  Cimiberta,  già  d'aBniniff 
iarp ,  la  suceessioae,  i\  fece  dichiarar  naocJIegiii 
net  regno;  gioysae  d'^iodole  80a  meo  generosa^ 
«be  pia  .  ^Nè  poro  fii  affatto-  immune  da*  turauht 
dyiU  H  regno  di  Bertnidof  perchè  Aladn  o  .é:k<^ 
ebisov  duca  dì  Trenti,  gonGo  di  presuaztone  per 
qualche  vittoria  ripepteta  de'  Baràri  confinaotii 
col  aito  ducato-,  si-  ribellò:^'  eoo-  »e ,  Vinìo  ede^ 
saato  dal  Talore  di  Bertvido,'  £0^  BDodimaio  per 
r  affetto  «he  Ctìniberta^  po'rtaìra',  i«stitaito  al' 
ano  ducato  ;- ma- non  meoe  iogtato  amico,  che 
ttiddito  infìnlete,  abusò-  empiamente  deU'amon- 
di  Cuaiborto',  U  pnehi  restato  solo  al  governo 
d»po  la  morjte  di  fitrtarido',  appesa  scamp^dallé' 
imidie  e-  si-  difese'  .dalla  forila  aperta  deHo  sper^ 
gh»o^^acbi.r  che  si  àoatence  fdriatame>te-  in 
dotere  meatffe  visse  Bertaiido,  dalla  cui.  eaperten» 
za  m  virtù  guerriera  eglv  aveva  dt  che  tem^e  ;: 
watt  quando  per  la*  merle  del  padre  e^i-  ebfie  a 
far:  oej  %1ìiu]}ot.s»  riseaidb' più  che  mai  nd  de* 
sidario  di  salire;  ed  trooo  r  e  ài  aacoiarat  chi-I'  oo- 
Gupwa- .  Melfi  a-  {»rte  del  sua  diserò  alcuai 
Longobardi-,  e.  &a  gli>  ajtci'  prineipftlDieBfe  dae 
potenti  di  Brescia,  Aldon*  e  Grausone  fìatdlr, 
prese  .oadip*  co»  loro  d?  eótrare  io  Pavia  io  tempo 
clief  il  re  fosse  Haafh  per^^ofae  occor>eiiR&  d  pas« 
saterapp ,  ao&ipar  il  pakxo  reale ,  aBsicurarsldoI- 
h  parte,  della  dttà ,.  e  fac,  gridane  lui:  atessa-iw 
per  la  ter*», ,  Nodi  era  3;  popoIo'Moamenle^  ioidìnato 


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liBBo  Vn.  ■Capo  IV;  141 

a  qiKHtta  '  ddvUà  ,  '  perbliè  Jìi  pietà  e  la  bc*.fk 
di'Cantbefto,  »  k  meifforia  del  padre  lo  Teti^t«i^ 
t9»o  a  tutti  'Card,  é  a''  oheriei  spezialoiente .  Ma- 
domiHitie  ndettr  aUa  forza  armata,  e  AÌÌ&  eaga- 
^^i)/  de*  coAgimatì  ;  cosicobè  essendo  il  tireano' 
temuto  ed  obbedito ,  il  buoo  Cuniberto  ebbe  a«- 
ffii  «Ik  fitre  a  aalvaraì .  Fa  jaf  sedute  del  re  una' 
piceola  isola  dai  lago  di  CoBio ,  <!fae  veauta  a' 
gran  fatica  in  potere  de'  Lbngcabardi  -b^I  regna' 
■di  Àutarì ,  si  teneva-  &a  le  migliori  fortene  del- 
ti CcfOfi^rdia;  perciocché  avanti  i^invenzioDe  del ^' 
Fartiglferia,  «  dopo  che  si  fu' -perduto  irt-  gi^n- 
porbe  l'usa  deHeaniiche  maoehiBe'  militari  dar 
eaecrarlootano  sassi  e  saettoni,:  un  castello. ciotisc 
dall' aóqua,  coinè  i' isola  d'C^la  e  di  Ciomo,  era* 
pkaza  importante.  Uà  tal  F«tacÌiHiè  che  cornati-' 
dava  nella  detta  isola  di  Como  atlorchè  ìk  Lam- 
bat^  fn  occupata  da'  JLoagobacdi ,  noa  sdlamea^ 
te  vi  «  maateuQe  per  '«enti  aoni^vieuro ,  'malgra- 
do tdntc  forze  de'  barbaci  «he..  d(»inT«£Waa'  per 
tutto i^  nà' vi  av&va-aduB:^  intniensff'  ricchezze* 
le  quali  vennero  iiUa  fine  con  l'isola  stessa  In  po- 
tei» de*  Longobardi .:  e  fu  «ssa  eotto  il  lor  3regrf»> 
nido  famoso  di'  tnusatori ,  :  i  quali  nelle  'léggi  Cion^ 
góbarde' sono,  chiamati  maèiitri  ^eti'' isola -Cornaci-^ 
□a.  Or  in- quest'isola  si  rifiuggiò  Cuniberto,  e  di 
lyàvi  aspett&va  Resito -dell*  usurpazion  d'Àlachi». 
so  .  Costui  V  .detosi  incoataneate  a  mar'  di  sua  fer-^ 
za,  e  far  tesori  dell'oro  altrui,  non  tardò  guari 
a  voltar  1*  avido  sguardo   aite  ricchezze-  de'  suoi 


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r4a:  Dellb  Hivcav^ioni  n'ItAtiA' 

principali  parti^'auf  ^Idotitfe  Gnk«s«De.  (bfa-<e9«- 
me  e  difficile  ebe  iì  buon  «enntf  »  laj  cautela  nou 
abbondooinO'  qualche'  «dita*  i  -tirasuf  ,--'pA"  alean<; 
parole  flette  di  boiBca:>  ad  ÀWcbi  '  in  freWDZ» 
d'un  suo  paggio' figliuolo  d' AldoBe''(i)  r  -i  due 
fratelli  ^  inteeo  il  pericold  bho  lor  ispmst&v»,  '  r 
ravveduti  dell*  eitore- comniflsso  tal  voler' '  dinlbr 
^ngnovia,.  s' aj^pareeclMaKilio  a'  cdrfeggrfla^  silbiia- 
mente  ^Scaatouttisi  i!  pi^  desMinscfts:  efab'  per 
Idr  si  potè,  dal  ti^aqoa,  otifconsiglM^Oiioadinri^ 
re  a  diporto  fuor  di  Pavja,  n  p€>ttaefyhfi<  Aavecti- 
fi  a  trovare' ndr isola  di  Gota»  il  M-Caubttto,. 
acuì  <^iesto  prima,  pendono  delie  oDse:~i!oi]^ip'lui 
£^6'  p«]r  Io  {«Bsato:,  gli  moBftiHKiO'  Aa-  «egiato-v 
com'esu  erano  risolati  di  riparami-  freso -perr 
tanto  seco'  lui  aceordo  intomo-  a  ci«icfaé  ÌMtoode- 
van-  di  fAre,  om  istetIero>  guarì  «fasi  ia^  «wnta 
del  tiranno  il'  rìctntduMerd-iii  FànJtt,  dova-  dal  po- 
polo con-  somn»'  allegnuBta  fti  ricevuto^  Alacri 
Gom'egU  ebbe:  di  aio  nov^^a  r  sdegnato  fiarameuj- 
te  cuitfrir  Àldone  e  Grauso&e  ,vandò  <}uà  e  lÀper 
le  città  Lombarde  a  eoHevift-  le  gen<à>,  e  fi»-tifìcar 
te  il  più  che  poteva  il  stio-  partito  (;  ai*.  690  )'. 
Molti'  dalla  saa  presene  r  dalle- sue'  promesfee-se^ 
dotti  Io  segaitarMo,  altri  stettero'  saldi-  nell'ob- 
bedienza'  di  Cuniberto;'.' ed <aUa'  fine  còirvemre  cbe 
un  aspro  combattinHWtò  io  em'  Alaohr  restò  per- 
dente, termimsse  qudlà  dvìl  guerra.  E  sptDto'A 


[1]  Paul.  diK.  lib.  S,  cap.  39» 


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ImRo  Vlt  Capo  IV^  145 

tìrauiio  ,■  &)rì  per  alcuni  anni  la  ^Aev  ed  il  buon 
ordine ,  0  spezialmente  ì&  religione  che*  Cuniberto' 
■  promosse'  sempre  don'  gcaaàe  télo .  La  xobrte  di 
quetto  re  diede  principio  a  nuove^goerre  dviJj  per 
la  successone  al  l'egiio  ^  perchè  avendo  lasciato 
on  solo  0gliuol  gioTanetto  pen  nome  I»iutberto^ 
Kagimberto  duca  di  Torino  ,■  cugino  di  Cuniber- 
to, si  levò ,  e  vinto  ia  uà  fatto  d'^arme  il  tutore' 
del  giovanetto  re,  occupò^  il  régno'  cbé  di  là  se 
pochi  me»!  Iitscì&r  ntorendo ,.  4d^  sua  figliuolo' Ari- 
Berto  II.  {i) ,  Non  era  iperb  ancora  né-  prigione 
né  mwfo  il  re  legittimo ,  n^  disperato' il  suo' par* 
ti6>;  perocché  molti  duchi  di  vùie  oittà  lo  s^v^- 
tarónv,  e  he  presero  la  difesa:  ms  venate  le  due 
parti  ad  una  seconda  giornata  y  Àribertone  ripor- 
tò la  vittoria ,  ed  ebbe  nelle  mani  il  suo'  conborf 
rente  r  e  ruccise.  Sé  la  morte  di  £itutberto>  non 
fosse  stata  opera  d*'Àriberto,.  e  se  la  fellonia  oil 
delitto-  della  rìbefìlone  non  lo  avesseprivato  d'ogni 
diritto ,  Àrìberto  stiesso  diventava  il  Vfqro>  ed  uni- 
00  Mede'  del  regno  per  ragfone  del  sangue.  Eea 
egli  nipóte-  di  quel  Godeberto^  lasciato  ereded' una 
parte  det  regno  da'  Àrìberto  T.  ;  e  però  r  stando  la 
division  fatta  dal  bisavolo,  t^H  avrebbe  avuto  lo 
«tesso  diritto  al  regno  '  di  Pavia ,.  come  Uutberto 
«r  quetb  di  Milano  ;  e'  morendo  costui  senza]  pro- 
le, riuniva  tutto  il  disitto  della  sucoesBÌone  nella 
«uà   persona.    Vero   è   ohe   la   legge  salica  non 

(1)  Paul.  diac.  lib.  6,.  cap.  iS  et  ttq. 


ovGooglc 


i44  Delle  BiWM.uzioin  d'  Itaua 

»*  osservaTa,  fuorché  peracoidra'tp;  eson  pareva  cfae 
la  corona,  riacquistata  con  tanto 'stento  da  Berta- 
rido,  doveste  dividersi  .«^p^i- «cedi,  di  Godeberto 
sito  minor  fratello,  iatlo. ce  quasi  coatro  Je  le^4^ 
«  tieiineo' dicluarato  éxA  primogenito.  Comunque 
aia,  se  Ariberto  non  avea  vagioa  «ufficiente  -a 
succeder  nel  vegno,  egli  ^ìfctuie  t0a/rifi  re  dì 
fMto.  Rimaso^ti  «ncom  due  cottooFrept^,  daab- 
batEere.  Uno  fa  Botart  dwa,  di  Bergamo,  <^e 
avendo  seguite  le  fatti  di  Liittl^erto ,  morto  co- 
stui ,  ooDtiouò  nrik  guerra ,  «  pr^e  il  titolo  di 
re.  Vista  e  fàUo  prìgiooo  da  Àriberto  IL,  fini 
per  ardine  del  vinci^re  1^  TÌta.  L'alta  che  aa- 
eor  Ptst&Ta  ,  era  Ànsprando , .  aio  ,  ministro ,  e  ge- 
nerale di  Liutbeito .  Costui ,  vinto  in  quel  secon- 
do fatto  d'  arme,  fveso  e  ferito  il  gloTane  re,  si 
ritivò  nell'  isola  di  Como  (  xs.  SjS  ) .  Ma  poco 
dopo  temendo  boq.  potérsi  difendere  dalle  forze 
del  re-Arìberto  che  con  grande  amianiento  s*  ap- 
parecchiava ad  espugnar  queir  isola,  ebbe  éiscot 
"mexzo  di  fuggir  in  Baviera,  lasciandd  )a  fan^lia 
alla  disoreziooB  del.  moi  nemico  ohe .  cojla  morta 
de*  iìgUuoli^ivce.  aspra  e  ccudel  veadetia  del  pa- 
dre .  Un  solo,  di  questi  figlii^oH  o  per  conniveivza 
o  per  Doncairanza  del  .vincitore  scanipb  da  mor- 
te, e  si  condusse  ancor  esso  in  Baviera:  conforto 
non  ^iceolo  all'afllitto  padre,  e  restauratore  de- 
stillato  dal  eido  della  sua  gran  famiglia  e  delie- 
gnu  de'  Longobardi .  Sette  anni  stettero  in  Bavie- 
ra Ansprando    e   il  suo  flg]iu(^  ad   aspettar  che 


ovGooglc 


Limo  vn.  Capo  IV.  14S 

sì  offerisse  loro  congiuntura  favorevole  dì  rientrar 
ia  Italia  e  discacciar  dal  regno  Arìberto  li. ,  o  al- 
meno di  succedergli  se  per  qualche  accidente  n« 
fosse  da  altri  scacciato ,  o  morisse .  Finalmente 
arendo  "ottenuto  competente  esercito  di  Bavaresi , 
8e  ne  vennero  alla  testa  dì  essi  per  a«altarlo;  « 
benché  vinti  in  una  formai  battaglia,  o  ^meno 
uscitine  con  successo  eguale  ,  ottennero  tuttavia  da 
un  notabile  fallo  del  re  tutto  il  vant^g-io  che 
avrebber  potuto  aspettare  dalla  vittoria,  ed  anche 
maggiore .  Perchè  essendosi  Aribèrto  dopo  la  pri- 
ma battaglia  ritiralo  a  Pavia ,  diede  motivo  a*  Ba- 
varesi dì  vantarsi  come  superiori  ;  e  pel  dispetto 
che  di  ciò  ebbero  i  suoi  E^ogobardi ,  oad^e  egli 
io  tanto  disprezzo  appo  loro ,  che  tutti  concor- 
demente risdlvettero  d' abbandonarlo ,  e  di  portare 
Ansprando  sòl  trono.  Sbigottito  a  questo  avviso 
Aribèrto,  non  ebbe  animo  dì  aspettare  il  suo  ri- 
vale ;  ma  preso  il  più  che  potè  de*  suoi,  tesori , 
»'  avviò  subitamente  e  di  soppiatto  fuor  di  Pavia-, 
■per  cicoverarai  in  Francia:  ma  nel  passare  il  Te- 
eino  vi  rimase  annegato,  imbarazzato  (  dice  lo 
storico  )  ed  oppresso  dall'oro  che  aveva  seco  (i). 
il  che ,  se  è  vero ,  può  darci  ad  intendere  quan- 
to egli  mancasse  d' eimici  e  di  servitori  nella  sua 
caduta ,  o  quanto  egli  fòsse  difBdeote  ed  avaro  se 
non  volle  commettere  alla  cura  altrui  il  trasporto 
Tomo  II.  IO 

(1)  Paul.  dine.  lib.  6,  up.  35. 


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14S  Delle  Rivoluzioni  d'Ixaua 

di  ciò  cbe  stimò  bene  di  raccogliere  per  la  sua 
fuga .  Salito  Ansprando  sul  trono  de*  Longobardi , 
mercede  dovuta  -all^  fedeltà  da  lui  servata  al  pu^ 
pillo  suo  principe  mentre  vìsse,  non  ebbe  quasi 
altro  spazio  di .  vita ,  cbe  per  assicurare  ìL  re^o 
a  rLiutprando  suo  figliuolo  che  pocbi  mesi  dopo 
gli  succedette .  Lìutprando  che  avea  sperimentata 
1*  mia  e  V  altra  fortuna ,  e  cbe  compagno .  delle 
paterne  vicende,  aveva  in  casa  altrui  imparato  a 
^Doscere  il  mondo ,  portò  sul  trono  quelle  virtù 
fbe  mapcano  d'  ordinario  a  chiunque  abbia  pa^ 
eati  i  verdi  anni  in-  un  aono  costante  di  coibodi 
e  di  prosperità  :  per  la  qua!  cosa  potè  non  sola-^ 
molte  mantenersi  fermo  nel  regno  in  tempi  dif? 
£cili  e  liurrasposi  per  lo  spazio  restante  della  sua 
vita,  cioè  di  ben  trentadue  anni;  ma.  accrebbp 
4o  stato  con.  le  conquiste,  nobilitollo  con  nuovi 
litoti ,  e  l' incivilì  e  V  ornò  con  buone  leggi  0 
oostumi.        .     .  ; 

'._■  •■ . I. duchi  di  Spoipti  e.  quelli  di  Benevento  già 
inelto  ingranditi  per  le  terre  tolte  dai  loro  ante- 
cessori al  Greco  imperio ,  echet  speiialmente  do- 
po., le  uUinte  vìvoIukìodì  e -guerre,  civili  ^a*  co»- 
^rrenti  al  regno  Longobardico,  già  -erano  ..poco. 
Usati  di  riconoscere-  alcun  superiore  ;  avjebbeni 
scorsa  per  poco  ogni  dipendenza,  e  ridotto  al 
nienle.l'.autonlà  regia,  se  la  €erme«za  e  diciamo 
.^ncora  l' ambizione  di  Liutprando  non -gli  avesse 
^^uti'ìn  freno.  Dall' iiltro  canto  i  Ffani^fai  che 
4a  lui^o  tenjpo  av?ano  cumtociata  a  guardar  cctit 


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^    liBiio  VII;  Capo  IV.  $47 

tìcchio'  cupido  il-  paese  ItaliaDo,  non  avrebbero 
mancato  dl'^adagaar  terréno  ne' paesi  sabalpini , 
se  i!  te  distratto  verso  Spoleti  ed  oltre  il  Tevere, 
avesse  lasciata  mal  custodita  questa  parte  del  do* 
miniò  Longobardo,  dove  non  erano  potenti  duchi 
a  far  difesa .  S*  aggìugnevano  alla  cupidità  de* 
Franchi  gli  stimoli  de'Romam  pontefici,  i  quali, 
per  le  ragioni  che  altrove  diremo ,  non  cessavano 
d'àtììmat  le  iìoteniìe'oltranìoQt:uie  contro  i  domi- 
nanti d'Italia.  Lo  stesso  facevano  medesimamen* 
te  gì'  imperadori  d*  Oriente ,  i  quali  inferiori  dì 
lunga  mano  alla  forza  che  sarebbe  stata  neéeisa* 
rfa  pef  resistere  a*  Longobardi  che  gibrnalmentd 
si  andavano- dilatando  nelle  provlncie  the  ót  for- 
mano ri  regno  di  Nafìofi;  e' che  furon  le  ultime 
à  dìatnembrarsr  dal  Greco  imperio  ,'  ricorrevano 
afacor  essi  all'aiuto  de' Francesi  pei:  fat  guerra  ia 
halia:  quasiché  i  re'de*' Franchi  ci  loro  mag^ 
giordomì  fossero  poi  per  restituire  a  queU' impeg- 
no ciò  ch'essi  avessero-  con  lor*  pmctìlo  *  fatica 
titdto  dalle  mani  de' Longobardi .  Contro*  tutte 
quéste' ■maceh'inazfonì  non .  solamente  stette'  saldd 
r  accorto  ed  animoso  Liutprando;  ma  raddoppiach- 
5o  ancata  l'attività',  ed  estendendo  i  disegni  è  le 
ìaìtb  a  ^toporziori  degli  sfbrzi'che  Vedeft  fare  al- 
i^  altre  potènze  per  traversarlo',  ànd^  seix^re  ere* 
8'ceiidò 'e  dr' riputazione  e  di  «titto;  Vera  cbsa  è 
ch'^  Tà  fiitìi^ratd  Voglia  eh'  Egli  iiìdsti*  d' inSran- 
9ìt' il' suo' r^no  ;  berichtì,  vivendo  lui ,  se  le  ad- 
créscessé'  la  ^ettó  ;  dee  cdhta^  tia  le  (djndlp^ 


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148  Delo:  RirotutiONi  d'  Italia 

cagìoDi  della  rovina  de'  suo!  siiccesscHÌ  ;  perehè  a 
tempo  MIO  cominciò  a  ordirsi  tra  Roma  e  Ftaiit 
eia  quella  gran  tela  che  riuscì  poi  fatale  al  re- 
gno de*  Longobardi ,  come  appresso  faremo  men- 


:   D*  Bdebrando  ^  e  degli  altri  re  Ltfftgobar^ 
fino  a  Desiano. 

Lascìb  Liutprando  un  nipote  chianiato  Ildebran- 
do, il  quale  enendo  stato  quatto)  anni  avanti,aar 
sociato'  al  trono  ,  gli  succedette  immediatamente . 
ma  non  ebbe  a  durarvi  lungo  tempo.  In  capo  a 
pochi  mesi  dalla  morte  dello  zio  «  Hdebrando  fa 
da* Longobardi  deposto,  «d  eletto  in  suo  luogo 
Bachi  (  AN.  744  ) .  uomo  amàntissioio  non  mieno 
^la  giustizia-^  drila  pace,  che  della  religione. 
Ques^  carattere  lo  fece  amare  così  da' suoi,  «o^ 
«diti  che  dagli  stranieri ,  e  molto  valse  a  ritardare 
i  colpi  già  imminenti  a  quella  nazioiìe .  I  papi 
che  godevano  nelle  corti  di  Francia  .e  di  Costan- 
tinopoli grande  autorità  io  quel  tempo,  parte  per 
desiderio  proprio  ,  e  parte  per  compiacere  all'  im' 
^radot«,  ordinarono  è  madtesnero  una  tregua  di 
vènt'  anni  'tua'  Loi^obardi ,  Romani  e  Greci  ;  ed 
impedirono  che  i  Franchi  non  movessero  dì  qua 
'dei'  Alpi.   Coà  lo  cose  d'ItaKa  in  geoMitle  « 


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tiéRO  Vn.  Capo  V.  149 

passarono,  regnando  Bachi ,  assai  quietamente,  an- 
corché non  senza  sospetti .  Troriatno  che  questo 
re ,  per  ovviare  alle  conspirazioDÌ  e  alle  cabala 
chft  gualche  suddito  torbido  C'  malcontento  potes- 
se ordire  o  con  duchi  Longobardi  sospetti  al  re  ì 
o  con  altri  prìncipi*  vietò  per  legge  espressa,  che 
niuDO  potesse  mandar^  messaggi  "a  Roma  ,  Raven- 
na., Spoleti  e  Benevento;  né  in  Francia,  in  Ba- 
viera, Alemagna,  Grecia  e  Navarra  (i):  legge 
quanto  savia  e  giusta  nella  letgion  di  stato,  altret- 
tanto nuova  e  singolare ,  a  cui  non  so  se  mai  per 
V  avanti  fosse  uscita  la  somigliante  dalla  cancella- 
ria  di  niun  prìncipe  né  di  repubblica.  Ma  il  pio 
entusiasmo  che  regnava  allor  nelle  cinti -d'abbrac- 
ciare la  vita  monastica  ,  mosse  anche  il  re  Ha* 
chi  (come  in  Francia  avean  fatto  pwe  '  di  qua' 
tempi  Unaldo  e  Carlomanno)  a  depor  la  porpo- 
ra C  AK.  749  )  ;  e  preso  per  mano  del  pontefica 
l'abito  d!  san  Benedetto,  entrò  nel  celebre  mona* 
stero  di  Montecasslno ,  il  quale  fondato  dal  mede* 
simo  patriarca,  e  saccheggiato  e  preasodiè  deier- 
fatò  dopo  la  sua  morte  da'  Longobardi ,  fii  poi 
attempi' di  Eju^rando  da  un  c^vota  e  facoltoso 
Bresciano  (Petronacio)  ristabilito,  e  ora  dal  re  « 
fatto  monaco ,  grandemente  arriot^to  e  nohifi^ 
tato.  .      , 

L'ambizioBe  e  il  genio  oonquiBtatore^'' Asfol»- 
^£0,:  hatello  e  successore  di' Baòbi   ael  Tegpiòi  de* 

.     .  U)  I«9-  S^cbi  -c*f.  5,'  et  filUii  lih.  5>  th/afi,  Itf;.  ^ 


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iSo  Delle  Ritoluzioni  B*ItALiA 

LoDgobardì ,  fu  aUrettantò  proprio  ad  accelerare 
lo  scoppio  deJla  gran  macchina  cbe  già  aVeao 
cominciato  a  fabbricar  contro  i  Longobardi  le  vici- 
ne potenze  ,  quanto  la  modestia  di  Bachi  area 
giovato  a  calmarne  ed  assopirne  l'invidia.  AstoU 
fo  ali*  autorità  regale  norellamentc  ottenuta  unì 
le  forze  proprie  de^ì  stati  che  già  prima  tenera', 
e  fatto  capo  sovrano  defla  nazione,  e  possedèddÀ 
tre  diversi  stati,  in  meijo  à*  quali  si  trovava  H 
ducato  Romano  ,  cedette  fkcilttiente  alla  tentazid- 
jie  di  voler  pigliare'  nocor  quella  proviarìa  cbe 
troppo  quadrava  a*  suoi  fatti;  onde^  potea  poi  sen- 
ta ostacolo  impadronirsi  di  quél  pocoche  ancor 
restava  in  Italia  al  Greco  imperìo.  Cinse  egli  pei> 
taóto'  Roma  di  stretto'  assedio  ;  e  il  papà  Stefanc) 
p.  che  troppo  bene  sapeva  come  Astolfo  fosire  pò- 
co ailetto  al  cberìcato  e  alla  chiesa,  non  Sstette  a 
badare  al  successo;  ma  portatosi  in  Francia,  au- 
'tórizzh' 'quivi  con  la  cerimonia  della  cotonarfWfe 
là  famosa  e  memorabile  traslazione  della  digailà 
reale  dalla-  casa  Merovingia  in  quella  di  Pipino  o 
sia  de*  Carolingbi ,  e  in  guiderdone  di  taiilo^  fil- 
vore  'assicuri»  alla  sua  chiesa  uQ  potènte  protettb- 
rè'che  la  portò  nelle  cose  temporali^  à  quelPàpi- 
'ce'  di  grandezza,  ohe' a  suo  luogo  direnio.  Intan- 
to mori  in  mezzo  alle  sue  ardite  ìotrapre«e  SI' re 
•Àsblfof  An.  756);  e  la  !'nàzion  ton|;òbàrd*  e 
:ll* Italia  fu  'ài  nuovo' vicfiia:  a  dividersi  in  dò*  par-t 
''liti,  ed  èssere  travagliata"  da  cml  guetVa.  Perchè 
'  essendo  stato  da  una  j^arte  d»*  grandi  'etelto  -a» 


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Ijbro  VJL  Capo  V.   ..  iSi, 

Desi4en'o ,  Bachi  che  noa  ramava)  o  che  forse 
prevedeva  il  suo  regno  dover  esser-  funesto  alla' 
nQEione  ,  0  fioalmeiite  perchè  -entrato  ne^  chiostri 
pec  qualche  rispetta  non  puramente  Cristiano  ,  fa 
nuovamente  dal  genio  di  comandare  stimolato  % 
tornar  nel  secolo;  i^  somma,  deposta  la  oocoll^ 
e  rivestita  la  clamide  ,  si  feee  vedere  alla  testa  dì 
un  esercito  per  contendere  col  nuovo  eletto  )a  co- 
i-ona  reale.  Ma. il  ponteSce  Stefano  li.,  bencfa^ 
avesse  da  sperare  assai  dal  governo  d'  un  princi^ 
pe  quale  si  era  mostrato  Bachi  pey  lo  pa^to* 
nientedimeno  credè  fiù  sano, comizio  e  più  coi^- 
veuiente  al  suo  uffizio- esortarlo  a  rientrare  pel'sup 
monastero. » -siccome  fece.  Desiderio  assicurato  co- 
^^ul'tronn,  parve  pagare  assai  male  i  servigich^ 
^i  fece  il  pontefice ,  liberandolo  senza  suo  ne  pf^ 
ricolo  ne. danno  d§  un  concorrente •  Xa  sfocia  del 
lungo -e  tort)id?  «gpo  di  Desiiìerio ,  ultimo  dell^  ' 
nazion  Longobarda,  si  irova  talmente  intrecciata 
■«on  quella 'de' francesi  ©he  succedettero  a' Longo- 
bardi nel' r^po  d*  Italia,- e  coi  maneggi  de*  papi 
che  a  ciò  li  condussero ,  che  io  stimo  soverchio 
.disfarne  qui  parole,  doven(^Q  nel  ^^guente  Ijbro 
ripigliare  da'^suoi  prinqipii  l'origine  di  si  notabi- 
Ì0<  rivoluzione  .Ma  prima  di  passare  .a  questq  non 
,5i«ia,ajriJ^9.c^e,IiihrÌQp,p^p  ^  s'S^I^  '  ^^^H*^* 
.,a;ncprida  mestrue  ,qual  fosse  il  governo  de'Loa- 
■*fthfrdi.:CÌìe^..dominarono,  per'più  ^d' u«  Secolo, tap- 
r'j(a,|ifrtq..,d-'J^ÌÌftj  quali  i  iorp  cflsCumi.,  iquali.le 
jj-Jcf o  .^  ,e  ^  là  j^i^ncp  e,  l'*?/®.^'»?  .^'^*',^^9?" 


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fi  52  DELtE  RlVOLOZIOm  D'h-ALtA 

degli  antichi  Italiani  Botto  il  governo  di  <jtttt^ 
stranieri  :  e  finalmente,  poiché  egli  è  certo  oIk  i 
Longobardi  ncm  possedettero  mai  tutta  intera  Yh 
talia,  bendiè  assai  piccola  parte  ne  lascìajseTO 
esente  dal  lor  dominio ,  converrà  anche  veders 
qual  fosse  lo 'statò  di  quelle  provincie  ohe  rima- 
sero obbedienti  al  Greco  imperio.' 

'  C     A     P     O        VI. 

ThI  governo  politico  de* Longobardi;  e  deWorigim 
de*  Jeudi  in  Italia . 


Jl  governo  de*  Longobardi  fu  monarchico  ed  ari- 
stocratico ;  differente  percib  dalle  antiche  nazioni 
Greche  ed  Italiche,  fra  le  quali  benché  alcun 
tempo  durasse  il  governo  misto,  era  piuttosto  ma^ 
"giare  il  poter  del  popolo,  che  non  de' nobili.  Or 
egli  è  manifesto  che  dove  il  regno  sìa  elettivo ,  il 
"governo  è  necessariamente  misto,  e  però  tempe- 
rato da  queir  ordine  in  cui  potere  sta  reiezione. 
Ma  la  differenza ,  grandissima  a  parer  mio ,  che 
si  potrà  osservare  tra  la  qualità  del  governo  de* 
Longobardi,  e  quello  di  tutte  l'altre  nazioni  non 
meno  moderne  che  antiche ,  nacque  pwte  da*  co- 
stumi nativi  ed  originari  della  naeione ,  comuni 
per  altro  ad  altri  popoli  della  Germania;  parte 
dalla  situazione  politica  dell'Italia  che  conquista- 
Toiio.  Certo  è  in  primo  luogo,  che: fra  lenasiom 


ovGoóglc 


L     tìBHo  Vn.  Capo  Vi.  iSa 

iettenttionali  la  nobiltà  del. sangue  fa  Senlpre  ia 
grande  istìma  :  effetto  sebza  dubbio  o  del  clima  , 
e  dell*  antica  barbarie  ;  perocché  d  vede  che  le 
prerogative  della  nobiltà  si  andarono  di  mano  in 
mano  dimÌDuendo  ,  a  misura  che  le  nasioni  s'in- 
civilirono. Ora  ì  Longobardi  che  vennero  in  Italia 
eon  Alboino  «  benché  Io  abbiano  rìconosoiuto  co- 
me Capo  principale  e  chiamato  re,  non  erano  pe- 
rò tutti  egualmente  soggetti  t  che  i  più  nobili  fra 
di  loro  non  avessero  molti  plebei  «shiavi  o  quasi 
jBchiavi,  che  da  essi  immediatamente  dipendeva?- 
no .  E  siccome  le  nazioni  barbare  di  que*  tempi 
altro  mestiere  non  professavano  che  quel  delle  ar- 
mi, ì  nobili  spezialmente;  così  dovean distinguer' 
H  prindpaimente  fra  loro  dal  solo  maggiore  o  mi- 
nor grado  che  fenevano  nella  mih'zia^  e  dalle  pruo- 
ve  ohe  davano  di  valore.  Questi  nobili  adunque, 
cobdottieri  qual  di  maggiore  >  qual  di  minor  nu- 
mero d'uomini  armati  e  d'altra  moltitudine,  i^- 
lorchè  ebbero  invaso  un  buon  tratto -di  proviocie 
Italiane,  pensarono  a  trovare,  ciascuno  per  sé  e 
per  le  sue  genti,  una  sede  stabile  dove  posarsf. 
Già ,.  come  abbiane  detto ,  tutti  erao  venuti  con 
animo  di  stabilirsi  in  Italia.  La  necessità  dd  co^ 
mune  era  ancor  conforme  a  questa  volontà  de' par- 
ticolari ;  perchè  non  potendo  tutti  sussistere  nel 
distretto  d'  una  sola  città ,  e  bisognando  per  gli 
acqm'sti  già  fatti  collocar  presidi  in  .vari  luoghi 
con  un  capitano  cbe  li  comandasse ,  parve  miglioi; 
,  partito  di  spartire  così  tutta-  la  massa  delle  nazioni 


ovGooglc 


(%  DeLI^  RirOLUZIOKI  D*  ÌTÀUA 

ìa  altrettante  quasi  colonie ,  quante  erano  le  pro^ 
viocie  coaqulstate .  Quel  Gisolfo  che  sì  fece  r  ap' 
penei,  entrato  in  Italia,  crear  governatore  del  Friu- 
li,, ed  erasi  in  quella  contrada  felicemente  stabi- 
lito (i) ,  diede  senza  fallo  esempio  e  stimolo  agli 
altri  primati  di  far  lo  stesso  di  mano  in  mano  che 
si  acquistava  terreno  .  Il  sistema  che  introdusse 
Eiongioo  succeduto  a  Narsete  nel  governo  d,' Italia 
eOD  titolo  d' esarco  ,  diede  ancor  occasione  à  que- 
sta divisione  di  governi ,  che  fecero  i  Longobar^ 
di .  Perciocché  [«ongino ,  aboliti  i  nomi  e  gli  uf- 
£zi  di  correttori ,  di  consolari  e  di  presidi ,  clu 
s'erano  dagl* imperadori  molti  secoli  prima' stato- 
liti ,  e  continuati  ezian^o  sotto  i  re  Goti ,  maa- 
dò  in  ciascuna  città  alquanto  ragguardevole  un 
comandante  oin  titolo  di  duce.  Nel  ohe  però  egli 
pon  introdusse  nell'  imperio  nuovi  nomi  ;  ma , 
com*  h  la  sorte  di  tutti  i  tìtoli  d'  onore  d'  andar 
sepipre  degenerando ,,  coltitolp solito  darsi  ne'  tem- 
pi- addietro  ai  comandanti  d' eserciti  e  ai  rettori 
di  V4ste  Provincie  ,  volle  onorare  ì  governatori 
d*  una  9ola  città  e  d'  un  piocol  distretto .  Altro 
non  ci  volea  »  perchè  i  nobili  Longobardi  sì  con- 
eigliaesero  di  sottentrar  nelle  città  conquistate  cdi- 
]o.  st«so  titolo  e  con  pari  autorità  ai  duchi  che 
prima  stavano,  a  nome  dell' imperlo;  e  il  re  vi  u 
acconciò  di  leggeri ,  parte  per  non  poter  tropjìo 
contrapporsi   al  volere  de' grandi,    parte  perchè 

(i)  Paul.  diac.  lib.  6,  ■cap.  ir-  "    '      ! 


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.    liiBRD  VU:  Capo  VI,     -  (55 

drèdeva  esser  cosa'  confacentc  al  comun  vantaggia 
della  nazione  ed  alla  sicurezza  del  nuovo  regno. 
Da  questo  stabilimento  de' duchi  Longobardi 
sudai  ripetere  la  prima  orìgine  de'  feudi .  Certo  h 
Botidimeiui  presso  tutti  i  più  eruditi  e  atorìci  e 
giureconsulti ,  che  lungo  tempo  dopò  Desiderio  ^ 
ultimo  re  Lombardo ,  ebbe  il  suo  vero  e  proprio  ; 
prÌEKipio  il  -gius  feudale  da  una  legge  che  diede 
in  Roncaglia  Corrado  il  Salico  néLio26  (i)  .  Ma 
perchè  anche  prima  di  questa  ^egge  di  Corrado 
erano- in  Italia  consuetndiili  »  e  si  praticavano  le 
stiesse' cose -che  fhrirao  pòi  ordinate  per  leggi  scrit- 
te (2);  possiamo  con  buon  fondamento  ripigliar^» 
dà' pia  alti  ■  principii  l' origine  de' governi  feudali, 
Lasciando  da  parte  l'erudite  ed  inutili  congettura 
dì  coloro  che  s*  ingegnarono  di  derivare  anche 
dà' tempi  Romani  una  Igiusta  immagine  di  questi 
governi  ereditari,  ci  faremo  a  riflettere  come  spe- 
tialmente  sottd  i  Longobardi  avessero  il  vero  prin- 
cìpio )  cosa ,  a  parer  mio ,  non  troppo  ben  ru0- 
vatà  e  spiegata  dal  famoso  autore  della  storia  N^- 
politatìa  (3),  né  dall' immortai  Muratori  (4)- 

'  Altro  in  sii!  principio  non  fupono  i  duchi 
Longobardi,  che  governatori,  anche  amovibili  do- 
vè piacesse  al  're .  Né  in  ci6  era  differente  il 
'gòverpo  "de'  Longobardi    da    quel  de'  Franchi  , 

(')  Sigon.  àA  ann.  lolS. 
(9)  De  Feud.  lib.  i ,  tiL  i  ^  S-  a- 
(3)  Lib.  4,  cap.  »,§■  3. 
-      C4if  Di»m.  li.  ABtìfl[.  mefl.  aevi.  ■...■;■. 


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iStf  OELife'RivoLtjziótii  d'Italia 

apptesso  i  quali  ebbe  quasi  la  stessa  orìgine  tjià  in' 
Italia  il  governo  feudale  ^  e  in  tempi  non  difie* 
renti .  Ma  coloro  che  ottenneiti  que'  gov^ni , 
eonducendo'seco  la  funiglia,  gli  amici  oi  clienti^ 
feceto  della  città  che  presero  a  governare,  quasi 
proprìa  patria  {  e  non  solamente  proccurarono  di 
mantenervisi  stabilmente,  ma  di  assicurare  anco- 
ra a*  figliuoli  la  stessa  óarica ,  e  a*  lor  seguacH  Io 
stesso  nido.  I!4è  il  re  poteva  facilmente  negate  il 
suo  consentimento ,  perchè  alla  fine  esten^do  -la  più 
parte  de*  duchi  nello  stesso  caao ,  1-'  accordo  loro 
avrebbe  potuto  sforzate  il  re  stesso  a  consentirvi. 
•  Ma  r  autorità  dei  duchi,  dopo  eh' ebbe- appena 
avuto  il  suo  principio  dai  re  nei  tre  aoni  d*  AU 
boìno  e  nei  diciotto  mesi  di  Glefi«  i'ac(^*ebbe  e 
si  fece  poi  forte  da  per  sé  stessa  nell' intenregno 
Si  -dieci  anni ,  che  segnitb  alla  morte  di  Clefi . 
Nel  qual  intervallo  non  è  punto  da  dubitare  che 
ciascun  6uca  attendesse  vie  più  sicuramente  a 
perpetuare' nella  sua  famiglia  il  ducato ,  e  che 
vicendevolmente  gli  unì  e  gli  altri-,  e  tutti,  una- 
nimemente in  questo  particolare  s'  adoperasaero . 
All'opposto,  allorché  furono  di  nuovo  eletti  i  re, 
'questi  fecero  continuameate  ogni  sfbrzo  non  Wr 
lo  per  abbassara  l'autorità  che  ì  duchi  sperane 
arrogata  »  ma  proccurarono  ancora  d*  esfioguerf 
i  ducati  a  misura  che  si  vedevano  vacanti,  o  dì 
trasferire  i  duehi  da  un  governo  alPaltrù,  lé  di 
scemarne  il  più  che  po'ttfvano  i  privilegi^  e  imr 
pedite  che  non  direotasse^   «reditari  .  Il  che 


=dDvGooglc 


Libro  VII.  Capo  VI.  tS? 

Venoe  lòv  ^tto  leggermente  ìo'  mi^tì  luoghi  della, 
Lombardia  propria,  perchè  i  docht  si  trovama 
più  deboli  e  più  vicini  '  al  oentio  del  regao ,  e, 
però  più  facili  a  reprimere,  qualunque  volta  ten- 
tassero cow  nuove .  E  forse  per  questa  stessa  fa- 
cilità di  ritener  questi  duchi  nel!' ohbedieiwa,  i 
re  furono  meno  restii  a  permettere  la  successione 
di  padre  in  figlio,  «  d*un  fratello  ali* altro,,  se- 
condo il  profffio  sistema  de*  feudi.  Ma  ne*  tre. 
prinéipali  ducati  di  Friuli,  di  Spoleti,  di,  Bene- 
vento ,  che  per  essere  confinanti  de'  paesi  nemici 
poterono  per  la  virtù  di  chi  li  possedeva  andarsi 
sulle  rovine  altrui  aceresuendo,  e  formare  domi- 
ni considerabili ,  non  solamente  mal  poterono,  es- 
sere  dominati  dai  re,  ma  essi  poteton ;  quasi  col- 
le proprie  forze  competere  con  la  potenza  àa^ 
stessi  re ,  i  quali  se  talvcdta  ebbw  que*  duchi  c^ 
sequiosi  e  divoti,  fu  piuttosto  per  cagioni  acci- 
dentali ,'  come  di  parentela  e  d*  amicizia  partico" 
lare,  o  per  comune  .interesse  e:  bisogna  di  re^ste- 
re  ad  un  nemico  straniero  ;  che  p«c  ordinaria  ob^ 
bedìenza  che  profeseawero  ai  re. 

Noi  Tediamo  nelle  storie  de*  passati  secoli, 
che  qualunque  volta  Timperadore  o  pec  aggiunr 
ta  straordinaria  dì  potenza  e  di  dato.,  o  per  es- 
tere di  grande  am'mo  e  intraprendente ,  volle 
tialKare  l'ìititorìtà  del' sue  g^o,  i  più  de*  prin;|- 
«ipi  dell*  Alemagna .  furon  costretti  di  ricever  la 
ie^e  da  lui,  »  seooodarlo  nella  sua  ambiz^on; 


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i58  Delle  RitoluzióHi  z>*  Italia 

•  aellfl  SBe  imprese  (  come  sovente  aoc^cle  &|^' ia* 
fenoli  (ti  doTBÌe  malgrado  loro-  aver'  parte  velie 
guerre  da'  maggiori  potentati};  laddove  se  Tìm- 
peradore  sì  trovò  o  debaie  natHralménte ,  oà  ab* 
battuto  da. estere  potenze y  i  pn<ieipi;dell* imperlò 
appAba  mostrarano  dì  rìoonOBOnv  ud  superiore . 
Non  altrimenti  vediamo  nella  storia  de'  Longo- 
bardi ,  cbe  ì  prodi  «d  animosi  re  Liutprando:  ed 
Astolfo  trattasono  i  àdeatì  di  Spoleti  e  di  Bene- 
vento cmne  paeti  soggetti  (i)[  dove  che  il  buon 
ttaohi  mostrò  di  gtiardarli  aonu  provincie  straniè- 
re, e  t|uui  emole  ed  initmche.  E  vediamo  pari- 
ramte,  cJxs  i  ducbi  di  Spoleti  e  di  Benevesto, 
(forche  non  ebbero  che  temere  dal  re  Desiderio, 
passarono  alla  divozione  ds*  Francesi  ^  e  si  fecet^ 
quasi  vasulli  d«]  n  Pipino  (ar.  ^8')  . 

OtegìA  k  certo  ohe  Tautorità  del  re,   salvo  ■ 
cbé  con  feraa  d*  arttù  o   per  spreti  -  mani^gi  vi 
s' impegORsse ,  poto  o  niund  parte  aveva  iuH*  ele- 
ziont  de*  tre  duchi  suddetti,  -dopoché   que*  du- 
cati -sifureno'fàtti  grandi;  penkiobè,  mancato  il  ' 
dùca',  o  sùcoedeva  colui  4^*  era  stato  destinato  e 
promesso  dal  predecessore,'    còme   si  vede  ^uCce-' 
dntQ  ordinariamente  in  Benevento  ;  o  >  occopavasi  ■ 
da*  più   potenti   à    forza    aperta   e    con   guerre 

principahatur .  Aódieas  abba*   iu   vita*.  W«lb«r<-«pi'-Ai»i'<j 


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,    X^bftò  Va.  Capo  M.-:.  2  tSg-: 

(stviiii  pMne  accadde  Ufj  FciuU  idk  inDife.deI'dd-* 
c9i  Astolfo  {ah.  6oi  ):;.o  m  procederà  per  m.di 
giusta'  elezione,  non  dal  re,  ma  da' baroni  e  dai 
grandi  nella  dieta  generale  del- ducatd  medesiiaot 
cfttne, fecero  gli  SpoJetioi  (an^  7S7).  Queste,  co- 
se anno  dato  argomento  b  qualche  <crit(ar« 
dVasserire  che  ì  suddétti  ducati  di  Bumventa  e 
di.SpoIeti  fossero:  allatto  indipendenti  dal:  re^o  . 
Ma  »iccgme  a.  troppo  debole  fondamenta  s'^ap* 
poggia  tale  opinione,  così  a  noi  pace  altre^  ohe 
ÌL  Giaonone  siipponga  troppo  facilmente,  cfad  il 
dueato  di  BensvenEo  dipendesse  assolutamente  dal 
f^gno  di  Lombardia;  scrìvendo  e^li,  senza  addur 
pmiòya-o  tesfìmonianKa  d*  antico  scrìttore.,  che  Is 
lepidi  Eotari . fossetto  pubblicate  in  Seneventoi 
Ben  è  da  credere  che  per  .  somiglianza  '  di  costn* 
mi,  e  per  Pidentilà  de*  bisogoi  civili  esse  s' in" 
trbduce^eto,  o  presta  o  tardi  ìq' tutte  le  proTÌDoie 
signoreggiate'  da*  Longobardi .  Ma  non  si-  pm>  pec-  - 
ciò  dirb  né  eh*  esse  leggi  fossero  pubblicate'  im- 
trrtdratamente  nel  ducato  di  Benevento,  né.  che- 
que* duchi  fossero  chiamati  alla  dieta  ta  cui  ai 
fecerO'  (i)  •  Né  tampoco  tpi  par  da  concedersi  . 
settEa  eccezione  quello  che  Ugone   &roEÌò   (2)  e  - 

(0  Legf;esi  nei  proemi  del  primo,  tecondo  e  terto 
libro  dì  Lìutprando,  ch'egli  tenne  consiglio  cum  judicibus 
noàrir  de  parttbu?  Aastriae  «  S^ustrla^',  necnort  et  de 
Tascìa^  finihus  ;  e  «oh  si  f*  menzione  di  Benevento  che 
pur  nod  «ra 'compreso  ndl' Austria  e  NetillTÌa>  cioè  patte 
orientale  ed  occideotale  dplla  Lombardia  . 

{%)  Grot.  iti  Prolegom.  td  iiistor.  Gotk: 


ovGooglc 


i6a  Delle  Rivoluziohi  b'Etauà 

dopo  lui  il  suddetto  Giannone  (i)  anno  wserrva^ 
io,  che  la  podestà  legislatnce  foste  posta  ne^sof-- 
fragi  de*  duchi  e  altri  baroni  del  tegoo .  PctcÌoo- 
che  uè  anche  in  questo  particolare  camminaron 
le  cose  d*UQo  stesso  tenore  sotto  tutti  i  re, 
fra*  quali  alcuni  furono  più  dispotici ,  ed  altri 
meno  ;  e  lasciarono  qual  più  e  qual  meno  d*  au- 
torità ai  nobili  ed  a'  magistrati,  secondo  la  si- 
tuazione politica  degli  affari,  e  i  vari  rispetti  e 
fini  che  dovettero  avere  ciascun  di  loro .  Cosi 
Botari  non  fa  menzione  nel  proemio  delle  suo 
leggi  d'  aver  cercato  né  il  consiglio  ni  1*  assisten- 
za, 'e  molto  meno  il  coosenso  de*  duchi.  Gri-  - 
i&oaldo  ali'  opposto ,  chét  come  usurpatore  «  avea 
da  mfflieggiarsi  il  favore  de*  grandi  dichiarù  sd 
principio  del  suo  breve  editto  d' averlo  fatto  per 
cuggerioieDto  de*  giudici,  e  di  consenso .  di  tutti. 
Liutproado  parlò  in  diveni  de'  suoi  prologhi 
d'aver  cercato  il  parer  de*  giudici,  e  d'aver 
pubblicate  le  leggi  -coli'  inteFvmtò  loro  e  di  tutto 
il.  popolo  (2)  ;  ma  non  se'ns  pub  infelice  ch*'^U 
vi  cercasse  il  loro  voto  e  ooisentlmento .  Kadii 
rmedeeimainente  ìndulg«ite  e  bonario  .  parla .  ndle 
sua  l^ggi  quasiohè  a  tfome  conMwe;  ma  AstoUó, 
ttiQorcfaè  dica  d'aver  convooitto  dieta  o  parla- 
mento, e  d*  aver  ricercato  11  pttrtf  de*  giudici 
pei-  aggiugnere  alcune  nuove  I^i  alle ,  gii  &tte 


[1]  Giana.  lib.  4^  cap*  6. 
[3]  Ouuto  popuh  assittentoi 


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Limo  W.  Capo  VI  i6t 

da*  predecessori,  dichUtra  tuttavia  d'avere  stabi- 
lito ciò  che  a  lui  pareva  bene  (i).  Donde  si  pii& 
concbiudere  che  generalmente  ì  duchi  e  gli  altri 
signori  del  regno  fossero  piuttosto  consiglieri  del 
re ,  che  partecipi  della  podestà  legislativa. 


'SUUo  d^  ludia  sotto  i  Ijongóbardi:  leggi  e  polizìa 
di  quella  nazione. 

jyLa  comunque  ciòsia,  giacohè  le  lèggi  de' Lon< 
gobardi  scamparono  sì  felicemente  dalle  iagiurie 
del  tempo  distruggitore,  gioverà  trovarne  in' que- 
sti nòstri  libri  alcun* idea;  Ìl  che  servirà  nel  teni>* 
-pò  stesso  a  fatci  argomentare  qu&li  fossero  i  co^ 
-stumi  di  quella  nazione^  e  lo  stato  d'Italia  sotto 
il  suo  dominio .  Prima  di  tutto  pei'ò  ci  convec- 
Tebbe  saper  distinguere  qiial  divario  di  condizio- 
ne passasse  tra  la  naEiòn  dominante  e  i  popoli 
naturali  d'Italia,  sudditi  usa -volta  dell*  imperio 
Romano .  Certo  non  sarà  difficile  il  persuaderà 
che  la  condizione  degli  ultimi  fosse  inferiore  ai 
nuovi  padroni .  Né  leggier  motivo  abbiamo  di 
■peosare  che  gl'Italiani  abbiano  dovuto  sostener 
Tomo  IL  tt 

[i]  <^iae  excellentiae  nostrae  fasta  comparuerant , 
Aistulf.  ia  Proleg.  —  Quod  nostra  txcelleruia  inslilaii, 
Liutpr.  lib.  5^  cap-  i.       '  '      ' 


ovGooglc 


t6a  Delle  Rivoluzioni  d*  hAttA 

gravi  danni  sotto  la  signorìa  de'  Longobardi  *  prì- 
ma  dal  suppor  cosa  che  appena  puote  esser  dub- 
bia ,  ciofe  che  fosse  d'  uopo  cedere  ui  conquista- 
tori DotabiI  porzion  di  terreni;  poi  dall' intendere 
ciò  cbe  r  istorìco  Valpefrìdo  ne  attcsta,  che  i 
sudditi  furono  obbligati  a  pagar  al  prìncipe  il 
161*20  delle  annue  rendite  dì  ciascbeduno.  Ma  noi 
abbiamo  già  altrove  avvertito  cbe  piccol  danno  o 
fone  vantaggio  dee  riputarsi  d*  una  nazione  a  cdi 
manca  un  numera  competente  di  lavoratori ,  il 
cedere  ad  altri  una  parte  delle  sue  terre .  Nfe  il 
carico  che  s*  in^pose  della  iena  parte  dell*  entra- 
te (  cessando  perb  ogni  altra  gramezza  ) ,  dovrà 
parere- cosa  strana  ed  intollerabile  a-  chiunque 
sappia  per  quanti  canali  vadano  i  denari  de'  par- 
ticolari al  pubbKco  erario ,  o  a  chi  sì  ricorda  del- 
ie  esazioni  acerbissime  che  a*  tempi  -  e  di  Lattan- 
zio e  di  Salviano  si  facevano  in  tutte  le  provio- 
oie  dell'  imperio  dagli  agenti  del  principe .  Del 
resto,  molte  partìoc^arìtà  della  storìa  e  delle  leg- 
gi Longobarde  ci  fan  palese  che  fra  le  massime 
fondamentali  di  lor  polìtica ,  una  si  fu  d*  accre- 
scere il  più  che  poteano  la  popolazione  de*  paesi 
che  dominavano.  Agilulfo ,  saUto  sul  trono,  die* 
de  principio  al  sua  regno  dal  riscattare  ì  prigÌo> 
ni  che- i  Franchi  aveaoo  fatto  in, Italia  in  varie 
scorrerie  sotto  il  governo  de*  duchi  e  sotto  il  re- 
gno di  Autari  (i).   Accoglievano  e  con    privilegi 

(i)  Paul.  JUc.  lib.  4,  csp.  i.    - 


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'      CrsUo  Vn.  Capo"  VF.  iG3 

^viterano  gli  stranieri  a  vanirsi  stabilire»  tasctàa^ 
Adii  fócìImeiiM  vivere  àoa  quelle  leggi  che  pih 
gradissero,  iovtf  non  piacfesàe  loro  di  vìgere  «e- 
botìio  la  fegge  de*  Longobardi ,  la  quale  per  aK 
tro' s' iótendeva  esser  legge  propria  degli  s^anierf 
cbe  Ténivanò  ad  albergare  uel  regno:  d*  Italia  (i). 
{Regnando  Grimbaldo  nel  ducafb  di  Benevento , 
diedero  albergo  e  terreno  a  buon  numero  dì  Bul- 
gari partiti,  noti  si  sa  perchè,  dal  lor  paese  vfcì- 
(10' al  Danubio  sbtfo  la  gurda  dì  AUero.  Supino, 
fioiano ,'  ed  Isserbia  furono  con  altre  tenre  di 
que*  contorni  ripopolate  da  quellb  gente  (2) ,  sìc- 
cohre  nella  Lombardia  molte  teWe  furono  rifor- 
nite  d'abitatori  da  vairife  bande  di  nazioni  Ger- 
mahicbe  che  Alboino  cotodUsse,  Gepìdì,  Bulga- 
ri ;  Sarmati,  Pan  non?, 'Svavi  ò  Svevi,  e  Norici  : 
ed  anèora  sonavi  terre  che  dàll*tine  e  dall'altre 
di  queste  genti  presero  it  nome.  Non  era  per^ 
minore  la  cura  che  presero  i  prìncipi  Longobafr"- 
di  i  che  le'  pèrsone  divenute  una  volKi  lóro  sud* 
dite  non  se  ne  parfissèro  ^3)  ;'  e-  siccóme  invita^ 
vano  con  premi  le  genti  a  itar  fra  loro ,  cosi  ftoft 
pene  uè  iftipedìvàn  la  diserrioise »  .-Se  alòùn'uo^ 
»  mo  libero,  disse  Rotari ,  vorrà  andare  in  qual* 
»  che  luogo,  siagli  permesso  fra  i  confini  del  nò»- 
*  stro  regno  di  'passar  colla  sua  famiglia  dove 
'«■"vorrà,' 'si "^veràhientfe  però, 'ch'egli  ne  abbia 

[t]  Roih.  leg.  3go. 

P]  Mu„i.  ad  an.  503.  ■      ■  ■         ■       '  t'J 


ovGoogtc 


xG4  Delle  BiroLvnom  tf  Italu 

»  prima  licenza  dal' re.  £  se  alcun  duoa- o  sUlrà 
»  persooa  libera  gli  avrà  dato  qualche  cosà,  ed 
»   egli  non  voglia  restar  con  lui  uè    col  suo   nv- 

M  de ,  tornino  le  cose  al  donatore  o  all'  erede  di 
y>  lui  (1)0.  Altre  leggi  che  troviamo  dellb  stes- 
so re ,  ed  un'  altra  poco  diversa  di  Liutpran- 
do  (2) ,  nelle  quali  s' ordina  sì  rigidamente  a'  ma- 
gistrati d*  arreslare  i  lù||;itìvi ,  ci  potrebbero  far 
credeie  che  s*  usasse  in  questa  parte  rigor  sover- 
chio con  troppo  scapito  della civil  libertà;  se-uon 
ohe  dobbiamo  ragionevolmente  supporre  che  il 
fuggirsi  le  persone  dal  paese  dove  aveano  alber- 
go e  famiglia,  non  fosse  mai  senza  frode,  o  al- 
meno senza  sospetto  d*  ingiustizia  e  ribalderìa. 
Ad  ogni  modo  questo  vantaggio  ebbero  pure  tut- 
ti i  sudditi  de'.  Longobardi  di  vivere  ciascuno  se- 
condo la  legge  della  sua  nazione,  o  abbracciar 
quella  de'  padroni  se  lor  gradiva .  '  E  quello  che 
in  questo  genere  assai  più  rileva,  si  è  che  le  leg- 
gi, qualunque  si  fossero,  si  facevano  osservar 
multo  bene,  e  s'  amministrava  con  esattezza  e  eoo 
vigor  la  giustizia  ;  nel  ohe  consiste  veramente  tut- 
to il  fine  principale  d'ogni  civil  sooietà.  I  giudi- 
ci aveano  non  solamente  preciso   obbligo'  di  pu- 

,  mre  i  contravventori  delle  leggi ,  ma  essi  ci  avea- 
no -  ancora  per  savia  disposizione'  de*  legislatori 
propria  e  particolar  interesse .  di  farlo  :  (ìercioccbè, 

(1)  Roth.  teg.  269,  70,  73;  el  in  Cod.  liCfr  LoBgoh. 
)ìb.   I  ,  cap.   I ,  lit.  a6. 

(3)  Ì4utpr.  lib.  3,  cap.  4. 


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LiBfto  VH.  Capo  VH.  ié5 

'  tolti  alcani  delitti  più  atroci,  tutte  le  pene  che 
la  legge  imponera ,  consistevano  in  composizioai 
pecuniarie,  dì  cui  una  parte  toccava  alia  perso- 
na lesa  dal  delinquebte ,  e  V  altra  talvolta  al  giu- 
dice stesso ,  e  per  T  ordinario  al  re .  Non  era  pe- 
rò facil  cosa  che  il  giudice  o  per  pigrizia  trascu- 
rasse dì  cercare  i  rei,  o  per  doni  e  per  regali 
chiudesse  gli  occbi  e  dissimulasse;  perchè  né  la 
parte  interessata  l' avrebbe  permesso ,  né  impor- 
tava grau  fatto  a*  colpevoli  di  guadagnarsi  eoa 
denari  il  magistrato ,  allorché  con  denaro  si  ter- 
minava più  sicuramente  il  ^róòesso .  Oltreché  ia 
molti  caà  se  gli  uffiziali  dì  giustizia  non  usava-* 
no  la  dovuta  diligenza  a  render  giustizia ,  dovea- 
no  dopo  un  cwto  brevissimo  fermine  soddisfar  del 
suo  alle  persone  interessate  (i);  stimolo  grandis-^ 
/simo  a  fargli  attenti  nel  loro  uffìzio  .  E  pet 
que'  casi  che  convefiìva  ragguagliar  la  corte  de*  di* 
sordini  succeduti,  il  pagamento  della  pena  che 
dovea  per  legge  toccar  al  magistrato  «  cedevasi  ài 
particolare  che  lo  avesse  prevenuto  nel  darne  av- 
viso (3).  Né  per  tutto  questo  apparisce  che  ci 
giudici  o  gli  uffiziali  regi  costumassero  ■  dì  trava- 
gliar con  iniqui  processi  le  persone  o  a  iìne  di 
proprio  guadagno,  0  per  vantaggiar  la  regia  ca* 
mera;  né  meno,  che  pev  secondar  l'invidia  d 
r  odio  de*'particolari  rendessero  in^ste  sentènze  ; 

(0  Lintpr.  lib.  6 ,  csp.  97.       -         - 

(3j  Idem  lib.  6,  caju.  6./  alibi  lib.  i.,  liu  3S>  lef  *■' 


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i66  Deiab  Rivoluzioni  d'Italia' 

Don  si  trovando  sopra  di  ciò  legge  aldusai  éovp 
che  questa  veoalità  o  parzialità  degli  amauoistrat- 
tori  della  giustizia  s'acceunò  così  spesso  nel  oo- 
dice  delle  leggi  HnmaDe .  Fare  bensì ,  che  il  pi:Ì^- 
cipe  non  dissentisse  che  quando  non  si  trattava 
r  interesse  o  il  danno  d' una  ten»  persoiuri  glji 
uffìziali  della  corte  e  i  rettori  delle  città,,  o  queV 
li  che  per  qualunque  rispetto  avessero  in  corte  rir 
putazione  e  favore,  ricevessero  qualche  regalo  d« 
chi  sperava  col  mezzo  loro  qualche  grazia-  dallft 
corte ,  purché  si  facesse  con  partecipazione  dal 
re,  e  con  buona  fede  e  lealtà  (i).  Del  resto, 
ogni  giudice  minore  o  di  prìma  istanza  -  (  queUi 
che  in  lingua  Loagobarda  chiamavan» -  scfildasi^ 
dovea  nello,  spazio  di  quattro  giorni  terminar  ogaì 
causa,  e  {  giudici  maggiori  a  cui  s'  andava  ìli 
seconda  iitfaoza,  non  più  che  in  sei  gìtvni;  e  ^se 
il  caso  fosse  anche  dal  giudice  superiore  trovato 
idubbio  e-  scabroso,  doveano  in  capo  -a  dodici  gicn- 
Ili  {nandarsi  ambe  le  p«1i  innanzi  al  re  (s) ..  Tut-^ 
to  r indugio  che  si  permetteva,  qualar  si  tratt«|Si 
se  di  possesso  di  beni ,  o  di  pnsscrìzione  «'  ^on 
s' estendeva  più  oltre  che  al  tempo  necessario  per 
far  venire  da  una  ali*  altra  provinoia*  i  testimoni 
che  sì  trovassero  assenti;,  e  questo  termine  non 
d^* arbitrio  dd  giudice,  ma  dalla  legge  era -pr^ 
scf-it^oj  né  Diai  poteva  perà  ritardare  per  molte 

[■}  Leg.  Longobar.  lib.  a,  til.  17  s  36, 
[a]  Liutpr.  lib.  4,  leg.  6;   et  aUbi  —  X-eg. 'Elovgftb. 
lib.  »,  ùui\, 


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Libro  VH.  Capo  VU.  167 

•ettimane  la  decisione  ^i  qualunque  si  fosse  più 
{;rave  e  più  intricato  processo.  Questa  così  spedi- 
tiva giustizia  noD  era  già  eSetto  di  barbarie  e  dì 
gòverao  dispotico,  come  quello  che  aocor  dura 
fra  t  Turchi  ;  ma  conseguenza  ragionevolUsima 
degli  altri  ordini  di  giustizia .  Non  usavasi  oè  era 
leoito  appresso  ì  Eiongobardi  servirsi  d'avfrocati  9 
di  proccuratori  ;  ed  era  dalla  legge  espressajneoto 
punito  chiunque  si  fosse  presentato  dinanzi  al  giu- 
dice a  trattar  cause  d' altri ,  salrocbè  facesse  cer- 
ta pruora  ohe  colui  del  quale  si  agitava  la  cau- 
sa, fosse  assolutamente  Inabile  a  comparir  in  giu- 
dìzio, e  dir  sue  ragioni  (i).  Tale  fu  ancora  nel- 
la sua  prima  vigorosa  iosdtuzione  la  r^ola  del 
famoso  areopago  d'  Atene  .  Intesero  certamente  i 
legislatori  Longobardi,  come  già  fu  dagli  antichi 
savi  osservato ,  che  ognuAo  è  abbastanza  eloquen- 
te in  ciò  che  sa,  e  ebe  perciò  non  à  bisogao 
deli'  altrui  aiuto  per  dir  sua  ragione  (a) .  Ohre- 
chè ,  trattatsdosi  per  lo  più  nelle  liti  o  di  verìfi- 
care  un  fatto  ,  o  giustìàeuoe  1*  intenzione  «  cre- 
devano essere  di  gran  lunga  più  iàoile  il  cavar 
la  verità  della  cosa  dalla  bocca  stessa  deMitigan- 
ti ,  che  permettere  che  la  malizia  e  1*  astuzia  d' un 
terzo  venisse  ad  intbrogliarè  ed  inorpellar  le  pose 
con  ^sottigliezze .  Per  altra  parte  ogni  ragion  vuole 

(1)  Leg.  Rach.  cap.  5;  el  io  ÉJ. Gold.;  ètLiodedrog. 
lib.  I ,  lit.  5a ,  leg.  I. 

(3]  Omftes  in  e'o  (jiiod' sciunt ,  sotti   tsse  élo^uentes  i 
■  Èie.  de  Orai.  ' 


ovGooglc 


xSQ  DEtiE  BiVtauIziONi  d'Ptalia 

che  ferìficatou  il  fatto ,  o  chiarita  T  mteazionó 
del  facitore,  sia  il  |^udice  boIo  interprete  detl^ 
legge,  e  non  abbia  da  aspettare  cbe  l' avvocato  o 
il  causidico  gliene  suggerisca  T. applicazione»  Per 
questo  6ne  le  formole  dell'  intentar  le  liti  erano 
ù  semplici  e  sì  spicce  e  sì  chiare,  che  non  ce- 
devano a  quella  sì  giustamente  lodata  forma  del 
IHucedere,  che  regna  tuttavia  in  alcuni  tribunali 
dell*  età  nostra  (i) .  Ma  in  una  cosa  spezialmen- 
te il  sisteoaa  de'  Longobardi  superò,  non  che  al- 
tri «  la  giurìsprudenza  Romana  ;  ed  è  questo , 
che  siccome  gli  antichi  legislatori  e  giuristi  Ro- 
mani aveano  ridetto  ogni  delitto  ed  ogni  lite  a 
certi  capì  e  titoli,  fuori  de'  quali  non  si  dava 
nò  accusa  né  pena ,  egli  potea  molto  bene  awem'r 
re  che  un*  iogiustizia  manifestissima  non  fosse 
.vendicata,  né  ristorato  il  danno  altrui  :  e  solamen- 
te .dopo  lunghissimo  tempo  fu  dato  fuori  Ìl  fàmo-' 
so  editto  de  dola  malo,  per' cui  si  potè: poi  prò- 
cedere  contro  ogni  genere  di  &ode  .'e  d* ingiusti- 
zia. 1  Longobardi  fececo  tutto  il  contratio^e  sen- 
za  dubbio  assai  meglio  :  perciocché  senza  stare  ai. 


(')  Portiamo  questa,  per  modo  d' eiempio,  delle 
tiiolte  che  li  trovano  inserite  fra  le  leggi  di  liinrprando. 
«Pietio,  ti  chiama  Hnrtìnaf  perchè  tu  a.  tqrio   tieoi  uà 

>  podere  posto  nel  tal  luogo .  V.  Quel  podere  è  mio  prò- 
»  prio  per  successione  di  mio  padre .  M.  Tu  noà  gli  de- 
»  vi  succedere ,  perchè  sei  nato  di  serva .  P>  E^  veto ,   ma 

>  la  fece  lìbera y    come  porta  l'editto;    e    U  prese    a  '  mo- 

•  glie.  ProTt  che  cori  è,    o   perda.   tàtUpr.   Uh.  6;  cap. 

•  53.  '       /^ 


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'-;    LiBSo  VII.  Capo  VU.    -  169 

feomi  e  alle  parole,  tiravano  dirittamente  àìmpe- 
-  dir  la  frode  e  V  ingiustizia  nelle  cause  civili ,  a 
bastigare  più  il  cattivo  animo ,  che  l' azione  este- 
riore nelle  cose  criminali .  Il  perchè  in  (^oi  gene- 
re di  querele,  rifatto  che  fosse,  per  quanto  pote- 
Tasi  e  la  ragion  chiedeva,  il  danno  del  panticc^-. 
Te,  s'obbligava  l'accusato  a  giurare  di  non  aver 
Idrato  per  odio  e  per  astio  (i).  Finaltneoto  proc- 
curavasì  con  grande  studio  di  levar  via  le  radk» 
e  i  semi  degli  odi  e  delle  nimicìzie  tra  i  pertico-t 
lari,  fra' quali  fosce  corsa  offesa  o  seguito  qualun- 
que contrasto.  A  questo  6ne  avean  disposto  le 
leggi ,  che  in  tutti  i  delitti  che  si  punivano  cooi 
pene  pecuniarie  (e  rarissime  erano  le  al  tre  pene)  «^ 
sempre  toccasse  la  metà  o  più  alla  persooa  off&< 
sa,  acciooehè  il  comodo  ohe  ricevea  nella  compo-t 
sizion  del  delitto ,  fosse  come  un  compenso  del 
danno  dell*  iogìuria  patita ,.  e  nello  atasso  tempai 
le  si  potesse  come  impor  l'obbligo  di  perdonare:, 
al  reo .  Quindi  è  che  in  più  luoghi  degli  editti . 
Lungobardict  leggiamo  queste  memori^nli  piurole:  : 
»-  La  qaal  cosa  cosi  ci  parve  d' cnrdinare ,  a  fine 
»  di  levar  gli  odi ,  e  pacificare  le  inimicizie  o  (a). 
Né  minor  cura  si  presero  i  principi  Longobardi 
di  mantener  la  pace  e-  la  fratellanza,  e  di  conser- 
var anche  il  decoro  e  i  patrimoni  ddle  famiglie  : 
e  non  che  le  lor  leggi  s'assomigliassero,  jn  ciù ^ 


(,\\  Jutvt  guod, non  ilio  animo  fparit . 
(a)  Roih.  lag.  y^Z.  —  Litiipr.  lib.  i. ,  càp.7.  — XmM. 
lib.  ^ ,  cap.  g.  jtd  toUendam  faydam . 


sdovGooglc 


Xjo  Delle  RivoLuzroNi  dMtalu 

che  riguarda  la  patrìa  podestà,  alla  dEire^z^  delle 
dodici  tavole,  per  cui  era  lecito  ai  padci  idi  ven^ 
den  e  TÌreadere,  e  ancora  uccidere  i.l(?rofigltpa- 
Ji  ;  non  permottepaoo  che  senza  evidente  motivo 
fosse  un  fratello  sopra  T  altro  vantaggiato  nell' e* 
Fedita,  affinchè  qualche,  naturai  incKnAzione  o  par? 
zialità  d*  affetto  paterno  verso  qualcuno  de'  figliuo- 
li, o  gli  artifizi,  d'  upa  seconda  moglie  natural- 
meate  intenta  a .  migliorare  la  condizione  de'  suoi 
sopra  quella  de'iìgliastrì,  non  fossero  poi  dopo  la 
morte  del  padre  motivo,  di  dissapori  e  d*  invidi^ 
tra' iratelli .  £  tante  cose 'intorno  .alle  doqaiioni  si 
preKtÌTeano  così  fra  congiunti  e  fra  mariti  e  mo- 
gli ,  come  fra  estranei ,  che  appare  manifestamen- 
te essere  stata  intenzione  di  que'  prudenti  legisla- 
t«tti  d*  impedire,  tutte,  quelle  azioni,  di  cui  PqI 
lempo  l*uomo  potesse  faoilmentp  pentirsi.  Bispet* 
,to.alle  donne,  delie  .-quali  si  forma  una.  parte  co- 
.à  notabile  della,  società  e  del  virere  umano  ^  dat 
costumi  delle  quali  spesso  dipende  il  buorK>.o  cat- 
tivo essere  delle  nazioni,  parrebbe  quasi, .  cbe  i 
Longobardi  avessero  ricopiato  F  antica  severità  del- 
le leggi  Romane.;  se  non  che  ,  per  .tutta  il  fenor 
d' esse  leggi,,  per  le  notizie  che  abbiam  da  Taci- 
to de* loro  primitivi  costumi,  pel  vocabolo  barba- 
ro, e  non  latino,  che  s'usò  da  loro  perpetuamen- 
te in  parlando  della  tutela  e  del  governo  delle 
donne,  si  vede  chiaro ,  eh'  èssi  le  avevano  porta- 
te in  Italia ,  e  non  apprese  sicuramente  da*  Ro- 
mani giureconsulti,  i  quali,  a  tempo  massimamente 


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-  Libro  VD.  Cam  VII»    !  171 

a  'GiuttìBÌati0  ,  areana  alIargtUa  '  di^  HioUo  U 
ctmdiztoott  -e  U  libertà  doDoesoa  (i):  Or  egU 
è  certo  che  presso  i  Ixingobardi  ile  donne  erano 
semf»re  sotto  tutela ,  cioè  del  padre  ó  de!  suo  più 
Ticino-  parente ,  e  finalmente  del  marito  ;  né  po^ 
te'vano  senza  il  consentimento  dol  lor  curat(»«  dis^ 
porre  delle  cose  loro  (3).  Questa  dipendenza  delr 
le'  dònne ,  '  usata  ~  oertamente  anche  da'  Romeuii 
ne* tempi  migliori,  era  presso  i  Longobardi'  di 
graodissimo  momeotó  a  mantenne  la  pubblica 
onestà;  cosa  di  non'picool  riguardo  In  ogni  bea 
ordinata  repubblica.  FercioccfaS  non  solamente', 
tolta  lóro  la  facoltà  di  poter  donare ,  si  toglieva 
à*  ribaldi  uno  atitnolo  di  corteggiarle  é  dj  Iusìeh 
garle  ;  ed  es^c  aveano  meno  -  occasrotii  -  di  capitar 
male  e  d' abbandonarsi  alle  lascivie  ;'  ma  per  altri 
motivi  ohe  allevano  i  lor  curatori  di  vegghìifr  so- 
pra le  medesime,  e  di  perseguitar  giutidicdmenta 
•gn'  insulto'  e  disonore  che  lor  si  facesse ,  si  po- 
BeVa  un  gran  frenò  alla  dissolufezea  •  fijcpottte  ia 
•gai  sorte  di  delitti,  come  già  abbianlo  detto, 
una  parte  della  pena  ohe  s'imponeva,  toccava  ai 
'particolari  Interessati  ;  così  ai  curaton  delle  fem- 
iftine  si  dovea  la  soddisfhÉione  pecuniaria  df  qual- 
aròg^ia  onta  ed  insulto  o  diaobwe  òhe  lor  si  fa- 
«esse .  Il  che  rendeva  senza  dubbio  assai  guardinghi 


'    [1]  Heìnecc. Execcit.  a5  de Uaiìl. Usar,  mi.,  et  curàt 
Uzor.  cap.  i ,  3. 

[3]  Both.  leg.  305.  '      ' 


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t7*  DelÌE  RlVOLUZK3l>II  li'ItAUA- 

Éoloró  'Che   si  trovassero  nell'  opportunità  d*  a-* 
Ver  cbe  fart  con  le  medesime .  E  nel  vero ,    pei 
quanto  ci  sia  lecito  d'argomentare  dalla  storia  q 
dal  codice  delle  lor  I^gi,   possiamo   dir-  franca* 
mente,  <jhe  in  niuna  nazione  fu  mai  in  fatto  di 
femmine  meno  corruttela,  che  fra  i  liOOgobardì  ; 
ancoròhè,  per  necessaria  conseguenza  di  certe  lo» 
ro  Btrane  e  singolari  usanze ,  tanto  gli'uomini  cfae 
Ift'  donne  Longobarde  dovessero  avere  incitamento 
maggiore  die  in  «Itrì  tempi  e  in   altri  paesi  j  ad 
invogliarsi  d*  altre  persone    che  de'  loro  consorti . 
Agli  occhi  delle  iemmine  certamente  poco  le^'a« 
-  dra  %ura  dovean  presentare  que' loro  uomini  con 
qu&lle  barbe  lunghe  e   quelle  ciocche  di  capegU 
avviluppate  intorno  alia  fronte ,  e  colla  parte  pò- 
stetiot  della  ^ta  pelata  e  rasa  (i);  e  dall' akro 
lato  h  stesse  donne  alle  quali  *  nell*  andar  a  ma- 
rito, si  tagliavano  i  capelli,  come  ancor  oestuma- 
Do  le  Giudee  t  dovean  parer  meno  vaghe  e  mena 
ambili ,  che  le  donzelle  nubili  e  le  mogli  de^'  I- 
tàliani  o  le  schiave.  Ma  finalmente  come  la  cosa 
età  reciprpca ,  ne  veniva  in  conseguenza  che  taa- 
to  gli  uomini  quanto  le  donne  maritate,   essendo 
pooo  acconci  agl'intrighi   ed  agl'innamoramenti 
esteriori ,  e  gli  uni  e  le  altre   ritenuti   dal    vigor 
della  Jegge  e  del  general  costume   delia  nazione  y 
che  puniva  siccome  falli  gravissimi  certi  afiti  eh» 
a*  nostri  tempi  si   guarderebbono  come   scherzi  e 

[i]  Paal.  di«c 


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ttBRO  VII;  Capo  VH.  173 

Sisofdini  inevitabili ,  e  da  dissimular»!  assoluta- 
mente; V  union  coniugale  diventava  più  stabile  e 
più  ferma .  e  quindi  ancor  la  fecondità  de'  mari- 
taggi e  l' accrescimento  '  della  popolazione  inoom- 
parabilmente  maggiore  che  non  suol  essere  nelle 
nazioni  più  colte  e  più  incivilite,  dov'egli  è  noto 
che  la  galanteria  de'  coniugati  è  non  piccolo  osta- 
colo alla  moltiplicazione .  In  fiitti  non  solamente 
non  apparisce  nelle  memorie  del  regno  Longobardo 
vestìgio  alcuno  di  queL  vituperevole  celibato  ohs 
durò  in  tutte  le  grandi  città  dell' imperio  Roma- 
no almeno  per  quattro  secoli;  ma  egli  vi  si  par- 
la così  spesso  di  molti  fratelli,  di  figliuoli ,  nipo- 
ti e  cugini,  che  non  possiamo  a  meno  di  credei 
re  che  i  Longobardi  anche  in  Italia  sieno  stati 
molto  generativi  ;  come  sono  le  nazioni  settentrio- 
nali per  r  ordinario .  Né  solamente  colla  frequen-> 
za  e  colla  stabilità  de'  loro  matrimoni  la  nazioa 
dominante  accrebbe  in  Italia  la  popolazione ,  ma 
vi  rimènb,  a  dir 'vero,  l'antfca' semplicità  e  roz- 
zezza dì  costumi ,  la  quale  sebben  parta  aeco  suoi 
gravi  difetti,  è  tuttavia  utilissima  per  molti  ri- 
guardi p  e  segnatamente  per  l' accrescimento  della 
popolazione .  Perciocché  tra  per  le  passate  rovina 
e  per  4a  nuova  signoria  di  gente  straniera  perdu- 
ti o  posti  in  disuso  gli  strumenti  del  lusso  e  de-. 
glt'aDtiehi  vizi^'  anche  gl'Italiani  incominciarono, 
a  menar  vita  semibarbara  ;  e  datisi  alle  arti  ru- 
stiche e  grossolane,  divennero  ancoc  essi  più  uti- 
li al  mantenimento  della  stirpe  umana .    j 


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ti74  t)EtLÉ  RivÓLOziòm  d'Italia 

De' servi  il  numero  para  cBe  fosse 'sotto  ì 
Iióngóbardl  assai  graode  ;  non  già  eh*  esa  né  fa-» 
cessero  grandi  accatti  da'  paesi  stranieri ,  ^oihe 
tuttavia  si  faceva  in  alcune  città  Italiane  apoot 
soggette  ai  Greco  imperio  (i);  né  meaoj  chq 
dalle  guerre  che  atlòr  facevano ,  potessero  ritrarns 
copia  :  ma  piuttòsto  perchè  essendo  ì  servì  tratta- 
ti da*^lor  padroni  assai  umanamente,  é  lion  sólo 
lasciati ,  tea  anche  fatti  maritare ,  molti  pìicavano 
per  sé  stessi .  ta.  metà  o  pocq  meno  delle  leggi  dì 
Rolari  riguardano  gli  schiavi;  6  si  parla  per  tut^ 
to  il  modo  da  non  lasciarci  luogo  dì  dubitare  cbtf 
fossero  ammogliati  comuneitienté ,  e  che  avessero 
lor  pécblio  particolare  .  Una  di  queste  leggi ,  peC 
eiii' s*  obbliga  a  indennizzar  con  tre  soldi  d'oro  il 
padrone  chi  con  percosse  avrà  fatto  Elhortire  una 
serva  (2),  può  darci  ad  intenderò'  qual  fosse  il 
prezzo'  comune  d'  un  servo  alla  siia  nascita,  e  mo- 
strarci, riejlo  stesso  tempo,  che  i  padroni  guarda* 
vano  come  proprio  Vantàggio  la  fecondità  dellfl 
serve ,  del  pati  iehe  quefla  degli  animali  doméstì- 
ci .  Perciocché'  m  altra  legge  s*  impcmé  !a  mede- 
sima pena  a  chi  avesse  fatto  abortire  xinà  giUr 
menta.  Strano  ed  ingiurioso  alT umanità  potr^Jr 
be  parer  questo  paratelto,  vedendosi  agguagliar  il 
parto  umano  a  quelfo  d'Un  cavatlò  .  '  Ma  '  s$  nói 
osserviamo  come  spesso  ancora    a*  nòstri  tempi  st 


[1]  Tn  vita  s.  Greg.  Mago!,,    . 

[a]  Leg.  339;  alibi  Itb.  1 ,  cBp.  9o',  leg.  tS. 


ovGooglc 


LiBHtì  Vn.  Capo  VIL  17!» 

prelerisea  la  cura  4*  un  animai  domestico  o  dilet- 
tevole ad  lio  famiglio  e  talora  ad  uà  congiunto, 
non  avremo  da  maravigliarci  che  in  quelP  età  « 
In  quella  nazione,  appresso  la  quale  il  diritto  delle 
genti  e  la  ragion  civile  con  tanta  ingiuria  déiru- 
manità  permettevano  la  sobiantù ,  si  trattasèero  i 
servi  nel  computo  degli  altri  animali,  destinati  al- 
la comodità  del  vivere  umrào,^  e  che  eostì^sco- 
uo  il  patritnonio  e  la  ricchezza  d*  ogni  partieor 
lare. 

In  altra  parte  di  qtiesti  libri  ci  tornerà  forw 
in  pi;opòsito  d'esaminare  qual  comodo  o  quandi'* 
vagio  maggiore  di  noi  avessero  gli  '  antichi  nella 
vita  civile' ,  mentre,  la  schiavitù  domestica  ffx  in 
uso.  Basterà  qui  frattzinto  osservate  che  la  poli- 
zia de* Longobardi  fu  anche  in  questa  parte,  co- 
me in  parecchie  altre ,  as^i  più  umana  t:he  non 
fu  quella  de'  Romani.,  fra'  quali  é  la  legge*  per- 
metteva ai  padroni,  e  Fuso  quotidiano oònfcrnia- 
va  la  facoltà  di  stratiàr  'coti  ogni  genere  di  tor- 
menti ,  e  d'  uccidere  anche  per  .puro  capriccio  i 
lor  servi .  Costume  SÌ*  inumano  ed  empio  non  pa- 
re che  regnasse  mai  fra  ì  Longobardi,  tra* quali 
appena  apparisce  che  s'usasse  cU  uccidere  i  servi 
fuggiaschi  e  ladri,  usando  verso  dì  questi  quell'u- 
manità che  praticàvasi  ancora  riguardo  alle  per- 
sone libere  cadute  in  colpa.  Conciossìachè  quan- 
to erano  i  Longobardi  feroci  e  precipitosi  a  spar- 
ger sangue  nette  risse  ,  altrettanto  eran  lontani  dal 
IHinir  con  morte,  e  tanto  meno  dal  tormentar^  i 


ovGooglc 


iy9         Dellc  Vivtjsjtmom  d*Itjuja 

delinquenti .  E  nei  casi  di  delitti  pìk  gevrì  eltii 
fossero  stimati  degni  di  morte  >  consegnavaosi  ia 
balìa  di  colui  ch'era  stato  ofieso,  o  de* suoi  p»> 
retiti  ed  «redi ,  affinchè  ne  faceaserò  il. voler  lof 
ro .  Né  trovo  ai^omcDto  di  credere  che  da*  parti- 
colari s' usassero  in  tali  casi  Stattameati  tn^p^ 
ìnumaDi  ed  atroci. 

Queste  cose  qualora  io  va  odi'  ^imo  rivol- 
gendo ,  e  ricordomi  dall'  altro  lato ,  quanta  igno- 
ranza di  lettere  regnasse  fra  ì  Longobardi  in  Itar 
lia,  non  so  se  sia  piuttosto  da  faisi  b^  de*  Gre- 
ci soBsti  che  con  tanto  £isto  portarono  al  <»eIo 
TutiUtà  degli  studi  letteràri  per  riformar  I  costu- 
mi e  sostenere  gli  stati ,  o  sdegnarsi  altamente  oon- 
tro  quegli  scrittori  che  con  tanfo  dispreizo.  ^pQtfa- 
vtmcK  de'.LoBgobardi ,  quasiché  per  aver  b:aaairav 
io  .di  lag^e  Omero,  Virgilio,  Cicermefl  VlatO' 
ne,  avessero  rimenato  in  Italia  l'antico  caos.  La- 
scio però  giudicare  a  chi  à  cognizione  d'  antiche 
storie»  se.  i  popoli  della  Siria,  per  esempio,  del- 
l' Egitto ,  o  della  Grecia  sotto  i  successori  del  gran- 
de. Alessandro,  io  tanta  cultura  e  splendore  di 
studi  e  di  .belle  arti,  ueno.  stati  ^ù  felici  che  non 
fii  l'Italia  sotto  i  Longobardi  ;  e  se  que' Tolomei » 
que'Seleuoi  furono  miglipri  o  capitani  o  pplitid 
d'Agilulfo, -di  Liutpraiido,  e  direi -quasi  di  quid' 
eivogtia  altro  dei.  re  Longobardi .  Io  per  me.sicco 
me  tengo  per  co^ '.certissima  che  gli  studi  paesa- 
no recare  ed. abbiano  in  vari  tempi,  e  per  vari 
rispetti  ceciati  grftndissifpi  vantaci  aj  gemere  umant^ 


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Dbro  vii.  Capo  VE  177 

00^  bon  sono  meno  persuaso  che  il  naturai  in- 
gegoo  dell'uomo  posta  per  sua  propria  perspi- 
«toia  ,  e  coli'  aiuto  della  sola  pratica  delle  cose , 
e  coli'  etainina  del  cuore  umano  giungere  a  quel 
grado  dì  senno  e  d'accortezza,  a  cui  altri  appena 
■rrira  con  lunga  lettura  di  libri  (1) . 

CAPO       VHI, 

Dà  progressi  tìelU  reU^one  fra  i  Longobardi  ;  « 
éi  akuni  avanzi  della  loro  antiea  barbarie  e  su- 
perstktone . 

Aà  ogni  modo^dobbiamo  ancfae  avvertire  che  il 
«dina  temperato  d' Italia ,  e.  quel  resto  dì  civiltà 
che  malgrado  tanti  replicati  -  disastri  vi  sì  era  ancor 
Tomo  12,  12  .     . 


(t)  E  che  altro  lotio  nella  loro  orrgioe  gli  icn'tli  de* 
Wfiuntl ,  se  Don  k  il  fratto- di  ciò  cbe  (i  pHJ>  fate  cogU 
sforai  del. naturale  ingegno  e  della  ragione?  Verità  tanto 
piL  incontrattabilc ,  quanto  è  certissima  che  il  mondo  ri 
nunttnae  gthn  terupa  moki  libri,  o  che  le  migliori  ope^ 
re  c^e  ancor  leggiamo,  furono  compgite  o  senta  aiuto  di 
libri,  o  con  pochissimi.  Quauio  poi  alla  regola  delle  azÌo- 
ni  e  alla  scienza  morale,  per  cui  solo  riguardo  sono  dft 
■coa)(BeDdare  grandemente  gli  studi,  dove  que&li  ci  condu- 
cauo  a  dirigerla  e  migliorarla  nella  pratica;  noi  troviamo 
ne'  costumi  de'  Longobardi,  espressi  prima  da  Tacito  nel 
ritratto  che  fece  in  cornane  delle  genti  Germanictie,  e  poi 
nelle  leggi  scritte  da  seicento  anni  dopo  Tacito,  tanta  ret- 
tiiudiae  e  giustizia,  che  ogni  più  esalto  studio  d'  nmiD« 
.filMofia  di  poco  potrd>be  ridargli  a  migUpr  aegoo . 


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176  Delle  HivoLi^oni  D'itALiA 

conservato,  e  xpezialmente  la  religicui  Cristiatm 
-che  i  Longobardi  abbracóarono,  abbiano  avuto 
.non  poca  parte  a  moderare  la  natia  loro  ferocità. 
Quando  Alboino. si  mosee  al  conquisto  d* Italia,  i 
Longobardi  erano  parts  imbevuti  dell'Ariana  ece- 
«ia  ^  come  i  Goti  ;  parte  avviluppati  ancottk  nefle 
tenebre  dell*  idolatria  ;  e  non  so  come  Frocopio  si 
curioso  e  sì  dotto  storico  facesse  dire  a  certi  io' 
Tìati'  Longobardi  alla  presenza  dì  Giustiniano-, 
eh*  essi  waa  cattolici.  AI  più  al  più  potrebbe  sufv- 
porsi  che  alcuui  de'  principali  della,  nasione.  già 
avessero  nti  tempo  che  st  mandò  quel!'  imbasda- 
ta,  abbracdato  il  cattolicismo .  Ma  beocbèi  Lon- 
gobardi nel  venite  in  Italia  fossero,  o  «retici  o  pa- 
gani f  essi  coir  andar  del  tempo  aprìron  gli  occfai 
al  lume.della  vecità;  e  eoa  la  liberalità  loro  n- 
peurarono  largamente  così  i  danni  e  In  rovina  tibe 
ne'  primi  anni  del  lor  dominio  pra-G^rono  alle  diie- 
se  ed  a'  monasteri ,  come  la  rapacità'  e  la  arudd- 
-tà  ohe.  otmtro  tanti  cattolici ,  sudditi  ancor  deirimr 
perio»  esercitarono»  per  cui  ncMi  senza  qualche  ra-: 
gione  furono  chiamati  gente  nefandissima  dai  pon- 
tefice san  Gregorio.  La  dotb'ioa  ^  e  ,la  riputauo- 
ne  di  santità  e  di  virtù  singolare,  che  questo  in- 
Gomparatule  pontefice:  s*  aveva  acquistato,  pec  T  u- 
niverso  mondo  ,  e-  particolarmente  in  Italia ,  febbe 
per  avventura  la  principal  parte  nella  conversion 
di  quella'  nazione  <  Quindi  la.  confidenKa  cui  pose 
nel  santo  pontefice,  la  regina  Teodelinda,  che  dal 
patEÌo- paese  av^ea  portai  buoni  e.rettì. aentimeati 


=d.vGooglc 


•     Dtóo  VE  Capò  VI0.  179 

di  religioae,  valse  a  cooferoiarla  ina^E;Ìonnente 
nella  fede  cattolica  ;  e  V  aseendeate  cb'ella  ebbe 
sopra  i  suoi  due  mariti ,  e  spezialmente  Agilulfo , 
vaiie  sommamente  ad  impirar  uell*  animo  di  quei 
re  la  purità  della  ates^ia  fede  ;  ed  all'  esempio  de* 
Ee|;aanti  tennero  laeilineate  dietro  la  nobiltà  e  la 
moltitadine  .  Sotto  Adaloaldo  Ggltiiolo  di  Agilul- 
fo ,  battezzato  nel  seno  della  chiesa  caCtolica» 
crebbero  vie  più  i  semi  della  buona  dottrina.  A- 
rioaldo  e  Rotar!,-  amendiie  Ariani  ^  che  gli -suo 
cedettero,,  condussero  nnoTamente  sul  trono  d'I- 
talia l*Arisneniiip<:  ma  ntono  di  loro  perseguitò 
né  traragliò  i  seguaci  del  miglior  partito;  aaai  vo- 
lendo essi  aver  vescovi  di-lor  setta,  permettevano 
che  i  cattolici  avessero  parimente  un  vescovo  catt- 
tiJico  f  sicché  per  alcun  tempo  quasi  in- ogni  cit» 
tà  sedeano  due  vescovi .  Finalmente  essendosi  da^ 
f^i  ultimi  dodici  o  quindici  re  pr^ìfessata  costante* 
mente  la  religion  cattolica  ,  tutta  .  la  nazione  fu 
convertita  e  unita  fermamente  nella  stessa  fedo 
eon  la  chiesa  Romana;  l  Longobardi  di Beneren>4 
to  più  'Ostinati  de^i  altri  nelle  pratiche  gentilescha 
che  ritenevano  tuttavia  dopo  aver  ricetuto  il  bat* 
tcsimo,  e  che  per  essere  più  lontani  e  meno  ri-^ 
conosveeti  dell'autorità  dei  re,  profittavano  me^* 
no  del  loro  esempio  me' progressi  delk  religione, 
ebbero  par  dfv&ia  mercè  un'occauone  pniprìa  e. 
particolare  d'Usare' dalle  lor  ^ tenebre  ;  ed  il  ve. 
scovo  san  Barbato  fu  quegli  cbe  li  condusse  tut- 
ti unanimemente  alla 'fede  Cristiana,  regnando  in 


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]8o  De^le  Rivoluzioni  d'Italu 

Lombardia  Gritnoaldo,  e  nel  ducato  di  Beneven- 
to Homoaldo'suo  figliuolo.  Ciò  fu  allorcbè  P  im- 
perador  Costantino,  detto  Costante,  assediò  Bene- 
vento ;  ed  il  vescoTO  san  Barbato  predisse  a*  Lon- 
gobardi ,  che  Iddio  gli  avrebbe  liberati  dal  pen-> 
colo  di  quella  guerra ,  dove  eh'  essi  ai  risoIvess.e- 
ro  d'abbracciare  la  religion  cattolica  (i).  Or  tra 
per  una  via  e  per  P  altra  talmente  la  religion  cat- 
tolica divenne  appresso  i  Longobardi  la  dominan- 
te, che  i  successori  loro  se  ne  fecero  quasi  prin^ 
cipal  vanto,  e  il  re  Liutprando  e  Ariulfo  fa-a  i 
loro  tìtoli  mettevano  quello  di  cattolico^  e  bmcbè 
Y  uno  e  l'altro  sieno  stati  nelle  cose  temporali  ia 
gravi  discordie  co'  papi,  mostrarono  tuttavia  tanto 
rispetto  alla  cbiesa  Romana  in  tutte  le  loro  co- 
stituzioni ,  che  Liutprando  non  dissimulò  di  aver 
fatte  alcune  cose  a  persuasione  «del  papa  di  Ro- 
»  ma  capo  dell;  chiesa  universale  di  tutto  il  mon- 
»  do  u  (2).  Dagli  stesH  libri  delle  costituzioni  del 
suddetto  Liutprando,  e  da  alcuni  fatti  ohe  ci  à- 
conservato  la  scarsa  storia  di  que*  tempi ,  possiam 
rilevare  che  i  re  Longobardi  in  tempi  così  sterili 
d'ogni  sorta  di  studi  sapeano  assai  giostemente 
conciliare  le  parti  della  civile  autorità  con  i  do- 
veri della  religione .  I  molti  esèmpi  di  generosa  e 
sincera  pietà,  che  diedero  uomini  e  donne  Lon- 
.  gobarde  d' ogni  età  e  d' ogni  comBzione ,  ei  :  fipe- 
zialmente  di  stirpe  reale,  esempi  maggiori  di  quelli 

'     (i)  Mnrat.  «n.  668.  —  Giani),  liii.  4,  cap.  8,  '  '  ' 

-<3)  L(ui.  Leg.  lib.  5;  cap.  4. 


ovGodglc 


Libro  VU.  Capo  Vin.  i8t 

cbe  tutta  la  storia  augusta  e  Bizantina  può  ofie'- 
.  rirci  in  tre  interi  secoli  nella  successione  di  tanti 
imperadori  dal  gran  Costantino  fino  a  Giustino  11. , 
sotto  del  quale  occuparono  i  Longobardi  l' Italia) 
poti-ebbono  darci  luogo  d'  esaminare  se  più  facil- 
mente germoglino  e  miglior'  frutto  producano  i 
setni  della  dottrina  evangelica  negli  animi  natu- 
ralmente idioti ,  feroci  e  franchi  ';  o  nelle  genti 
più  colte,  incivilite  e  raFBnate  dalle  arti  liberali 
e  dagli  studi  d'umana  letteratiu-a  (i). 

'  Non  si  vuoi  però  dissimulare  che  in  compen- 
so dì  quella  semplicità  e  fi-anchezza ,  e  di  quel 
maschio  vigore  che  introdussero  ne'  costumi  d'  !■» 
talia ,  essi  vi  trassero  alcuni  abusi  e  pregiudizi  lop 
propri,  de* quali  dopo  tanti  sècoli  non  potè  ancor 
questa  provincia  essere  affatto'  libera ,' siccome  non 
ne  sono  neppure  ancor  liberi  fanti  altri  paesi 
d'Europa»  dove"  le  stesse  barbare  usanze  furono 
introdotte  da  altre  nazioni  uscite,  come  i  Lo&go- 
bardi,  dalla  Germania.  Ma  sopra  tutt* altre  cose 
ciò  che  ne' posterioià  secoli  più  illuminati  oscurò 
grandemente  la  memoria  e  il  nome  de'Longobardi , 
fu  quella  ferocia  precipitosa  che  tratto  tratto  li 
portata  a  risse  sanguinose,  e  la  strana  supersti- 
zione che  li  faceva  cercare  i   giudizi   di  Dio  net 

-  .  {t}.Si  poi  oìtcrvare  dal  conrremo  della  leggi  di' So'i 
tiri  e  diXiutpraiido,  come  dall' iacivilirche  fecero  iLon* 
gobardi  dopo  luogo  soggiorno  in  Italia>  insieme  alla  bar-^ 
barie  che  depotertf,  nacquero 'C  crebbero  apprejso  loro  al- 
enai altri  vÌM  che  prima  non  coooseqvanoj  e  a  cui  ftl 
d'uopo  metter  ireao  eoa  auovc  leggi. 


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iSi  Delle  Rivoluzióni  d'Italia 

sangue  umann;  dico  I*  uso  così  frequente  appresso 
loro,  e  si  furmalaieole  o  '  a|ìprovato  o  tollerato 
dall'autorità  delle  leggi,  di  teraiiaar ogni  più  leg- 
gera crmlroTersia  per  via  di  duelli .  Del  qual  co- 
stume gioverà  qui  additar  brevemente  la' prima 
origine,  e  le  cagióni  per  cui  fi  ostinatamente  si 
mantenne  fra  i  Longobardi  (i).  Tutte  le  antrche 
naziuni  settentrionali  clie  non  coltivando  altro  me- 
stiero  che  quél  della  guerra ,  altra  occupazione 
non  aveano  che  la  pastura  de*  bestiami  e  un  sem- 
plicissimo apparecofaio,  di  còse  domestiche,  l'uno 
C  r  altro  de*  quali  Impieghi  lasciavasi  alle  dmue 
e  alla  parte  più  vile  della  nazione  ;  dovean  passa* 
te  gran  parte  del  tempo  nell*  oziò,  ne*  conviti 
ne*  Scalamenti .  E  siccome  non  riponevano  in  al- 
tro cbe  nell' esertàzio  dell'armi,  e  nella  rpbustèz- 
la  e  destrezza  del  corpo  la  superiorità  del  merito 
per  ogni  leggier  eoótrasto  che  nel  mutuo  conver- 
sar loro  insorgesse  (  e  nasceano  certamente  assai 
spesso  )  ,  davasi  incontanente  di  mano  all'  armi 
che  perpetuamente   si   portavano    a  Iato,    e  col 


(i)  Intamo  all'origme  de'duellif  <  alle  iCa^iqni  cheli 
wanteonero,' noi  toccfaiamo  loltaoto  quella  patte  che  pab 
servire  (ler  reiicler  ragione  del  goveroo  e  de'' costami  hon- 
gobafdict  in  {Mtticolare .  £  quiti)<lq:il  dt*eg|M  della,  pie* 
M'Ite  opera  ci  peripeltetstj  di  ragioDarpe  più  laDgameotej 
non  potremmo  o  aggiugnervi,  o  dipaitTrci  da  cib  cbt  no 
ccrjue  il  padre  Oerdit  Dell'eccellente  e  in  auo  geneie  com^ 
pifo  libro  cbe  i  per  titolo  Traile  des  CoB^ats  lingw 
liers. 


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Libro  VU.  Capo  Vlfl.  1^3 

sangue  o  colla  morte  dell*  avversario  si  facevan 
ragione .  Laddove  è  ben  certo  che  se  avessero  avur 
to  più  arti  da  coltivare  ,  avrebbero  avuto  meno 
ozio;  conoiossiacbè  per  le  cognizioni  cbe  dal  veder 
varie  cose  e  dalla  lettura  s'acquistano ,  s'apre  alla 
vanità  ed  all'  oi^ogliu  umano  cammino  di  mostrar- 
si superior  1*  uno  all'  altro  ,  senza  correre  all'  ar- 
dì .  Or  da  questa  ferocia ,  e  dall'  orgoglio ,  e  dal 
non  saper  come  soddisfarlo  altrimenti ,  nacque  da 
prìqcàpio  1*  usanza  noti  ancor  abolita  de' combatti'- 
menti  singolari .  L*  idea  difettosa  e  falsa  che  avea<' 
no  della  religione ,  contribuì  grandemente  a  man- 
tenere ed  accrescere  quest*  abuso.  Certo  è,  pec 
quante  memorie  abbiamo  de'  passati  tempi*  che 
niuna  nazione  iu  mai,  che  in  un  modo  o  in  un 
altro  non  s'immaginasse  potersi  indovinar  "l'avve- 
nire. I  Germani,  di  cui  erano  connazionali  i  Lon- 
gobardi ,  siccome  non  avean  oognìzione  di  stelle 
e  di  segni  celesti»  eh' è  tra  tutti  i  generi  d'indo- 
vipamenti  (quantunque  vano  e  fallace)  'il  più. 
antico  e  si  può  dir  il  più  nobile  ;  cosi  non  cono- 
scevaa  neppure  quegli  altri  sanguinolenti  augurìi, 
e  la  pazza  superstizione  d'  altre  più  di  loro  inci- 
vilite nazioni ,  di  voler  leggere  nelle  vìscere  de* 
morti  animali  i  decreti  del  cielo.  Iloro  iodovina^ 
-menti  non  erano  né  arcani ,  nh  diffìcili  a  inten- 
dere; gettar  sopti,  iar  .correr  cavalli  scelli,  .è  pir 
gliar  presagio  delle  cose  che  s'avean  da  intrapren- 
dere *  dall' osservai-efiei  questo  o  quello  gìupgesse 


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^84  DbU,E  JEUVOLpZiONI  d'  ItALU 

il  primo  al  to-mine  .che  prefiggevasi  (i);- Ma  fra 
le -altre  maniere  di  presagire  usarano  questa  par- 
tieol^rmetite ,  allorché  nell*  incominciar  qualche 
;gi)erra  dejidNavano.s^re.qual  esito  dovesse  avere. 
f  rendeaco  qualche  servo  o  'prigione  di  quella  na- 
zione copi  cui  dovevano  gueri'eggiare ,  e  scelto  ud 
altro  guerriero  della  lor  propria  nazione  ,  li  face- 
,van  combattere  a  singoiar  battaglia  tra  loro  due, 
e  pensavano  d'aver  certo  argomento  della  fufum 
attoria,  qualora  vincesse  il  combattitore  lor  pae- 
sano ,  credendo'  che  Dio  dichiarasse  nel  successo 
di  quella  pugna ,  qnal  delle  due  genti  avesse  -la 
Tsgion  della  sua.  Questo  costume  che  già  rqgna* 
va  in  bro  a*  tempi  di  Traiano ,  allorché  Tarato 
fece  il  famoso  ritratto .  che  ancor  abbiamo  delle 
cose  di  Germania,  potè  passar  facilmente  dalle 
cause  pubbliche  a  quelle  de^  particolari ,  qualora 
accadeva  contesa  fra  loro,  in  cui  non  si  potesse 
subito  e  chiaramente  mostr£u:e  per  niuna  delle 
parti  la  verità  e  la  ragione .  Portarono  i  Longo- 
bardi questa  usanza  in  Italia ,  e  la  mantennero 
per  lungo  tempo  à  fattamente ,  che  '  in  ogni  ge- 
nere di  lite  pili  spesH)  si  passava  alla  deciMooB 
per  via  di  campioni ,  che  oggi  non  si  farebbe  per 
via  di  giuramento .  Quindi  è  che  tratto  tratto  tro- 
viamo nelle  leggi  dì  Rotari  queste  o  simili,  esprec- 
sioni  :  «  E  se  potrà  provar  ciò  che  vncAe,  dovrà 

(i)  Tacìc.  de  Mar.  Getmao.  pag.  6q5. 


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-ttBRo  VD.  Capò  VUI.  i8!Ì 

'*  0  potrà  .puigam  e  difendere  «ùa  causa  per  pu- 
M  gnam,  per  ceriamen^  per  campiotiem  «.  Il  po- 
polo era  'sì  ostinato  in  questa  superstizione  di  cre- 
dere che  Iddio  manifestesse  da  quat  delle  parti 
stesse  il  vero  ed  ÌI  giusto,  mediante  il  successo  di 
questi  duelli,  che  i  più  ripiltati  e  i  più  potenti 
l<»o  principi  mm  ebbero  animo  -  di  proibirli,  né 
speranza  d' essere  in  questo  obbediti .  Una  delle 
cagioni  che  a  mio  credere  ritenne  sì  fortemente  f 
Longobardi  in  questi  barbari  costumi ,  fu  quella 
stessa  che  maQtenne  fra  i  Romani  e  fra' Greci  U 
)>a9sioae  de'  ginoclfi  anfiteatràli  e  -  ciccensi .  L*  in- 
cUiUEÌone;  ingenita,  e  forse  un  vero  e  proprio  b!-^ 
sogno  o  morale  o  fisico  che  anno  gli  uomini  d*es< 
sere  internamente  commossi  ed  agitati  da  qualche 
gagliarda  affezione  (i),  area  prodotta  in  tutte  le 
grandi  città  del  Romano  imperio  e  ultimamnite 
in  Costantinopoli  quella  passione  furiosa  ora  per 
le  battaglie  degli  accoltellatóri  o  quella  delle  be- 
stie feroci,  or  per  le  corse  de* cavalli  e  de* carri; 
la  quale  ultima  sp^ie  di  spettacolo,  percbè  fór---' 
se  non  era  di  sua  nat^a  così  atta  a  commuorerA 
ed  agitar  le  viscere  degli  spettatori,  come  gli 
altri  giuochi  «aagtlìnari  de*  gladiatori  ,  degli  orsi 
e  de'  leoni,  vi  s' aggiunse  lo  spirito  dì  fazione', 
che  s'jntrodusM  nei  circo,  impegnandosi  la  mol- 
titudine parte  pei  corridori  della  livrea  'vérde, 
parte  per  que'  della  rossa  (  fazioni  (2)   che  tanto 

(O'V.Dnbo*  RéfleiioQ»  tur  la Poei.  et  la Peint.  tom.  t. 
(j)  Veneli  e  Priuini . 


D.(it,zeaovGoOglc 


186  D£t£E  Risoluzioni  d*  Italia 

•trrpito  fecero  io  CoBlaatinopoli  ^  .*  il-  che  serviva 
«d  aoimare  e  interessara  «d  agitare  in  mai3Ìere 
ìndìcibiU  il  pnpnk)  spettatore .  I  Longobardi  che 
per  V  ignoranza  delle  belle  arti  non  aveano  tea- 
tri, e  efae  non  aveano  cognizione  né  prendevaa 
diletto  delle  opere  d'arehitettura,  non  s'applica- 
lioBi  .nemmeno  ne*  primi  tempi  del  lor  soggiorno 
in  Italia  ai  giuochi  del  circo  e  dell'  anfiteatro . 
Questo  sollazzo  aveano  solo  di  veder  le  pugne 
de'  campioni,  ì  quali  davano  appunto  a'  riguar- 
danti io  stesso  ed  anobe  maggior  diletto ,  che  fa- 
cevano anticamente  i  gladiatori .  Dico  diletto  an- 
che maggiore ,  perchè  dove  il  piacere  e  il  passa- 
tempo che  aveano  i  Rcunani  e  i  Gred  da'  com- 
battimenti de'  gladiatori,  si  terminava  colla  vit- 
toria dell'  UBO  e  la  aiorte  dell*  altro  ;  le  pugne 
de'  campioni ,  oltre  al  diletto  d' una  certa  ansie- 
tà presente  nell' attendere  quol  dei  due  riusasse 
saperior»,  davano  poi  ancora  aUa  gente  assai  be- 
ne di  che  '  parlare  -  intomo  alla  causa  dì  coloro , 
a  nome  de'  quali  a' era  fatta' la  pugna,  cioè  a 
dire  della  ragione  e  del  torta  dall''una  parte  e 
dall'altra  :  e  questo  piacere  tanto  era  più  vìvo  e 
potente ,  quanto  1'  affare  di  cui  si  trattava ,  era 
di  fiii  momeoto  ;  come  fu  il  duello  famoso  tra  il 
campione  eletto  dalla  regina  Cundeberga ,  e  il  suo 
calunniatore  Adalolfo  .  Dal  tenore  di  molte  leggi, 
e  dalla  storia  Longobarda  si  può  argomentare  che 
ù^tre  alle  persone  libere. e  nobili  che  spesso  nelle 
loro  controversia  venivano  a- duello  fra  loro  stesse. 


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i'  'LWroi VH,  Capo  VBb    '  S87 

^I  'fbf6evo  molti  ohe  'iàcemno  àrtd  e'  mestiere 
dJ'qbMto';  e  cba  t  grandi  né  avesero^-fi-a*  lovm 
fteiri  e  lifcefti ,  sicconie  gli  aatjcbi  aTeàno  gU:acr 
tokfltect)  0  gladiatori  di  cbndìzioii  Bcrvilé.  Eoo» 
"pertanto  donde  nasceva  V  ogtinazione  della  pih 
putte 'in  questa  superstizione,  e  in  cotesto'  gfQÌ» 
empio  e  barbarico  .  La  passione,  ti  piacene  e  Viior 
teresse  proprio  faceva  cbtuder  gli  orecchi  e  gli  oc- 
chi alla  verìtà:"'^  il  popolo  kixè-  trovava  diletto 
Beli*  uso  stabilito  ab  antico,  non  volea  farsi  capa- 
be  deìla  ragione  per  cui  doveva  abolire  questo  ùiir 
lituthe,  tuttoché' per  Inoltissimi  esem(»  si  Tosse 
chiarito  che  molti  erano  stati  convinti  per  colpe- 
'voli,  i  quali  per  il  giudizio  delle  pugne  singolari 
s*eran  provati  innocenti; 'e  così  molti  scoperti  iq- 
hòcenti,  che  in  vlrtb  chil  duello  erano  stati  giu- 
dicati rei,  siccome  in  un  suo  editto  ci  attesta  il 
gran ' Liutprando  (i). 

l' grandi  e  potenti  potevano  ttdvolta  per  iinar 
liiolto  diversa  malizia  mostrarsi  impanati  in  &-< 
vòr  dell^antico  abuso;  perciocché avendoetà  ilct-' 
le  loro  famiglie  di  cotesti  sohermitori  o  tìampio-' 
ni',  avevano  così  un  facile  '  spediente  di  sostener 
cause  inìque,  quando  essi  col  pericolo  d'ui*  dis-^ 
graziato  famiglio  pofeaiio  riuscire  ne*  lor  disegni. 


(i^  Quid  incerti  ìumus  de  judiclo  Dei,  et  niuttos  au-i 
mvlnms  p^r  pugiiam  ring  injuflA  causut  suam  causiim  peri 
dere  .  Sed  propter  consuetudìnem  genus  nostrae  I^ngo- 
bardicae  legem  impiam  vetare  non  possumus.  Lib.  6,  leg. 
6S,' et  Ub.' j..  Gap.  jo,  ìeg.a.l'.    .")  -/ 


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FinalmentB  è  d>  notare  che  Tubo  de'  cauf^imi 
non  fu  né  più  crudele  m  sé.  stesso,  n&  più  dà* 
Stxuttìvo  della  s|nzie  timana  di  'quel  ohs-  fosM 
presto  i  Greci  e  gì*  Italiani  antichi  V  taaum 
ée*  gladiatori  che  così  per  tnutùllo  s*ueeideTaD0 
non  pera  negfi  an6teatrì ,  ras.  ne'  quotidiani  t^n^ 
viti  ^0*  ricclii  pactìeolari  ^i)  , 


Q    A.    T    O       IX. 


Sfato 


to  .dUfe  ffroi)me^  if  /is/ù;  rimaste  sogge&p  idf 
imperio  .Gre&h'iRomtn»  in  tattpo  d£  La^xH 
irdi  à-  ■       .        ■  ...  ... 


X^  ptvvincifl  cbe  rìmaRer  «^^ette  aU'impnm- 
Gceea»  aDaoEcH-.esenti  probatbillpenta  dal  super- 
stùioso  furor  de*  duelli,  e  d'aloune  aHre  ba^* 
riohe  usanze  che  ì  popoli  settentrionali  «i  pocta- 
TotiQ,  xiffn  erano  per  tutto  questo  i«i  più  feHc» 
stato  flbe.la.IiombatcKa ,  né  pei  vantai  e  como- 
di del  virer  civile,  uè  per  cuhuca  d'arti  e  di 
latore , ,  né  per  bootà  di  goveroo  e  rispetta  di  rcr, 
ligjon?.  L'idea  che  Paolo  diacono  in  quel  fawp~.~ 
8o.,te^o  del  terzo  libro  ci  à  voluto  lasóar  della, 
sicurezza  e  tranquilUtà  che  godevano  in  que'  se- 
coli gl'Itah'ani  sudditi  de*  Longobardi,  bastereb- 
be a  farcì  credere  che  giamniai  niun^ ,  prp^viiicia 

(i)  V.  LIpj.  Satur.  lib.  i. 


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'    LiBBO  VH.  Capo  IX.  dfig 

ta  pù  felio6  e  tranquilla ,  non  c^e  avessero  ad 
invidiale  le  proviocie  rimaste'  Middìte  dell'  impe^ 
lia  Greco  6  vt^liam  dirlo  Romano  s  .  Questa  ert 
»  certo  cosa  maraTÌgliosa ,  die'  egli ,  sotto  il  re>- 
»  gno  de*  Longobardi;  cbé  non  si  usava  riolen' 
»  za,  non  sì  tetidevano  ìnsidiB.  Nìoao  era,  che 
»  angariasse ,  né  spogliasse  altrì  ÌDgiustamente  • 
»  .Non  v' erano  furti,  non  ladronecci .- ognuno  an- 
V  dava  doTiinque  piacéragli  sicuro  e  senza  tlmo- 
»  re  »  (i).  Il  cardinal  Baronie,  mosso  spezial- 
mente dall'  autorità  dì  san  Gregorio  Magnò ,  eoa' 
traddice  a  questo  magni6co  elogio  che  fa  Vame- 
frido  de'  suoi  Longobardi  :  e  come  ad  autore  par- 
ziale, acconsentiamo  di  leggeri,  che  qualche  co- 
sa se  ne  detragga.  Ma  ad  ogni  modo  abbiamo  a 
tener  per  certo  cbe  le  terre  de'  Longobardi  era- 
no pili  ricche  e  di  denaro  e  d'ogni  altra  cosa  al 
vivere  umano  appartenente  .  I  Longobardi  nstt 
pagando  né  tributo  né  regalo  aloaoo  a  potenze' 
straniere ,  eccettuato  un  mediocre  donativo  die 
per  pochissimi  anni  fecero  a*  Franchi,  neltempo 
spezialmente  cbe  fa  il  regno  d*  Italia  vacante , 
consumavano  in  casa  propria  tutte  le  pubblìcbe 
e  le  private  rendite  delle  loro  terre  :  dove  che 
gK   esatchi   e   g1i  altri   uffiziali  Greci    pagarono 


(i)  Erat  sane  hoc  mirabile  in  regno  Longohardorum -. 
nulla  erat  violentia  ,  '  miUaè  struehanlur  in'sidtae  .  Nemù 
alitjuem  injuste  an^ariabat,  nemo  spoliahat .  Aon  eraiu 
funa,  non  latrocinia.  Unusquisijue ,  Quo  libebat  » ,  securus 
sine  timore  pergebat .  ■  '':''" 


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1^0  Db^vb  RivOLutTOiai)*  Italia 

quasi  contmuahiente  no  tributo  a'  Longobardi  per 
aver  [iace  con  loro;  e  dì  tutto  quello  che' «otto 
Dome  dì  pubblici  imposti  esigevano  da  popoli,  a 
fwr  privata  piffepotetóia  succhiavano  o  rapivano  al- 
la Chiesa,  aUe  comunità  od  a*  particolari  ;  doveaq 
ntóndarnc  parttf  ajla  camera  imperiale,  parte  alls 
lor  proprie  case  ,  ài  parenti ,  agli  amici ,  ed 
a'  protettori .  La  qua!  cosa  non  poteva  far  sitvsf 
ahe'impoverir  sempre  di  vantaggiò  le  terre  sog*' 
getle  a  quell*  imperio .  '  , 

Né  possiam  già  supporfeche  per  TÌa  di  qual- 
che commeraio  éì  agguagliassero  le  ricchewé  del- 
l'une  e' deH' altre  province ,  e  òhe  le  arti  che  ii 
ooltivavàtt  da'  Greci  e  fittile  terre  de' Roraam 
C  giacché  Greci  e  Bomani  fignificavano  lo  stesso 
ÌB  que'  tempi  )  ,  traessero  il  denaro  àa*  paesi 
de'-  Lotìgòbardi ,  dóve  le  arti  erano  cótatJto  cadu- 
te .  Ma  i  Longobanii  occupando  le  più  fertili  par- 
ti dell'Italia,  non  aveao  bisogno  di  procacciar  al-' - 
•tronde  le  cose  necessarie  alla  -vita;  e  la  rozzézza 
«che  aippoDÌamo  né*  lor  costumi,  toglieva  anche 
Joro  il  bisogno'  dì  procacciar  da  straniere  èonlrà- 
dé  0  derrate  o  manifatture  di  puro  lusso.  Per  la 
qua!  cosa,  potendo  consunlare  in  lor  uso  lutti  gli 
abbtmdanti-  prodotti  delle  lor  terre  e  i  frutti  de'  lo- 
ro bestiami,  dovea  in  tutta  l'estensione  di  lot' 
dominio  esservi  facile  il  mezzo  dì  sussistere  e  dì 
inolliplicare  ;  nei  che  consiste  la  principal  cagio- 
ne efficiente  della  naturale  e  civile  felicità.  E  re* ■ 
stava  tfncor  di  vantaggio  il  denaro  e  l' oru  elettivo  - 


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.  tiBRo  Vii.  Capo  IX   :  iQt 

che  proTeoiva  da  alcuae  spesie  sovrabbondaDtì  « 
e  dalle  coqtribuziopi  che  spesso  traevano  da*  lo- 
ro vicini .  .  .  . 
Del  jeepto^  ancorché  non  sia  da  negarsi  cha 
nei  suddetti  paesi  soggetti  air  imperio  sì  conser- 
vasse qualche  maggior  vestigio  della  letteratura  » 
e  in  Koma  spezialmente,  dove  lo  studio  cosi  del- 
le leggi  Romane  come  della  sacra  scrìttur;a  f 
de*  santi  padri  per  le.  diligenze  de*  soroipi  ponteo 
fìci  durò  io  qualche  vigore  anche  per  tutto  il  se- 
colo settimo;  abbiamo  non  pertanto  fprti  argomen- 
ti di  credere  cfae  in  po<^iissimo  numero  «i  con- 
tassero le  persone  erudite,  e  che  chiunque,  sapes- 
se di  grammatica  latina ,  di  s^ra  scrittura  *  ed 
avesse  qualche  cognizione  di  santi  padri,  poteva 
passare  per  un  valente. e  bravissimo  l^^terato,  pnit 
lettera  che  scrisse  papa  Agatone  a*  tio  fìiatelli  au- 
gusti in  occasione  che  s*  apriva  in  Costantinopolji 
il  sestp  concih'o  ecumenico,  ne  pub  far  fede  cha 
pochi  erano  anche  nelle  chiese  vicin?  a  Bon^a  ed 
in  Ropa  stessa  gli  ecclesiastici  di  qualche  sapere. 
Ma  la  miglior  pruova  che  abbiamo  dello  scadi- 
mento delie  lettere  nelle  città  Italiane  del  domi- 
nio Greco,  si  è  .la  meraviglia  che  fece  T  esarco 
di  Ravenna  per  avervi  trovato  un  uomo,  che  sapeva 
tradurre  dal  Greco  in  Latino  i  dispacci  che  gli  ve- 
nivano dalla  corte,   e   servirgli   di  segretario  (i)> 

[i]  Agpell.  io  Vita   pentif.  Baven.  par.  a  in  Viu  •. 
.Xheod.  cap.  a.  —  Rer.  It.  lom.  ii. 

Fiueni  di.  ^ui  npporUrs  colle  parok   OrigÌHli  d«ll* 


D.q,t,zed.vG00glc 


tg»  Delle  Bivoluzioni  s*  Italia 

Frofessavasi  p«r  altro  generalmeote  in  ^HJf» 
pcovincie  la  relìgion  CristianB  e  cattolica,  aneor- 
cbè  partecipas&ero  moltissimo  dello  spinto  acAi^ 
co  ed  inquieto  cshe  reguara  nella  carte  dì  Costao-' 
tioopoli ,  da  cui  dipeoderaao .  E  beachè  nella 
^ottrìoa  e  nelle  pratiche  esterìorì  di  retigione  d 
,  conformessero  assai'  bene  alla  cfaitsa  Bobkum* 
malgrado  le  spesse  eresie  che  infettarono  la  c^> 
tale  dell*  inipsrio  ;  mentedimeDo  i  oo8tumi<li  qudb 

storico  Bavennale  qnesta  particolaiità ,  che  Krv«  a  faroi 
couoscere  che  anche  in  Grècia  non  erano  frequenti  i  let- 
terali e  le  penone  di  qmlche  talento.  Contifit  eo  tempo^ 
re  ,  quod  notarius  praedicti  exarchi  (  Tkeodori  J  divinm 
JMsu  morluus  est  :  prò  tjuo  lamentahatur  patriciut  non  so- 
iuin  prò  morte  Jeut ,  sed  plus  ^wd  non  kàbehat  titMìem 
yirum  sapiemissimum ,  qui  potuisset  epislolas  imperialMM 
componere ,  vel  ceteras  scrìpiuras  chartuUs  quas  necesse 
vrat  in  palatio  perfccere  .  £bm  autem  Me  suis  iritfitia*H 
^Mfrn  ìndicasset ,  dixerunt  ad  illum  :  muUmm  ékiJdtttt^em 
dominus  noster  ex  hoc  habeat  causa ,  Est  bic  adolesctns 
unus  Johimnicius  nomine,  scriba  peritissimas  ..'.  ^o  SO» 
dito  oerho  quod.  dicthaiar ,  exhilaratus  praet3gpit  tuM  tt* 
nire.  Et  stetit  ante  eum ,  despexitque  eum'im  corda  suo  ^ 
eo  quod  brevis  erat  forma  et  indecorus  aspectu  ....  jus- 
tttque  deforriepisMàmm  ifiMte  ad  se  da  imptrat9r*  vtHm 
rat  Graece  scripta,  dixi\que  ei  ,patnciuse  legej  <lbf.  ÀUf 
prostratus  ante  pe.des  ejus  ,  stirrexit ,  explicuitque  ,  et  alt  : 
jìiies ,  domitìe  mU ,  m  Graece  l^am  iti  eximittt  Mt ,  '  ià* 
per  Latina  verba?  Quia  Gr/ieo^.  et  Latine  pubatur ».  4C 
Lalinam  ut  Graecam  tenehat .  Tunc  admiratus  patricius 
^a  cum  maioriius  et  coeiu  popoli ,  jussii  deferri  praec^ 
ptum  Latinis  litterìs  examium ,  et  prae^piear  «Ti  dixitt 
tolte  hoc  praeceptum  in  mona  tua ,  et  tege  idem  Graecit 
varbis  :  accipiens  vero  ille ,  iegit  Grasce  per  totum  ....  Post 
tertiam  vero  aanitm  imperator  Gonstanttnopt^taiius  jussii 
axardri  episioiam  ad  hunc  pairicUim  ,  «>rtrtn*»(iim  IhM 
mhta  ad  me  vinim  ilium  qui  latés  eompbittTOitef  aOat  ìli 
mf  misifti  ,  et  carmina  _firigit ,  AfiftH;'W)i'»ii3f.     -'* 


=dDvGooglc 


.     Lrsao  VIL  Cabo  IX.  i  1,9% 

otat^de  EÌsifMHidavasa  malamente'  aUa.  fède  che 
pcofe»6avasr .  1  vescovi  di  Kaveaaa,  .cfa«  dell'ìm- 
p«radore  ValentiiuaDO  lU.  etano  stati  onor^  e  di-* 
Wmti  con-molt)  privilegi,  si  levarono,  ad  'mutar' 
tiooe  de'  pEUnarchì  di  Costantinopoli  a  contrasta-^ 
N  il  prioiato  al  poateSce  Romano,  da  cui  dovètUt 
dipeodece  pur  tanti  titoli  (i);  e.  le  raalvage  bri- 
1^ ,  e  gli  scismi  di  quegli  arcivescovi  noB  fanna 
jMCOola  parte  nella  storia  ecolesiasti'ca  di  que*  k^ 
coli .  II  clero  inferiore  imitò  facilmente  l'auibi- 
zion  de' prelati  e  la  loro  alterezza;  e  il  popolo 
cogli  ammutinamenti  e  eoa  sanguinoù  tumulti 
diede  a  conoscere  chiaramente,  che  le  città  sggx 
gette  al  dominio  Grò»  non  «raoo  più  saviamWf^ 
te.  ne  più  dolcemente  governate  che  i  paei>i  sii 
gnoreg^'ati  da'  Longobaf^ ,  né  aveano  a  prefe* 
rensa  dt  questi  quelb  spirito  di  docilità  e  di  sont-* 
missione ,  che  la  religion  Cristiana  ci  raccoman* 
da  «  c'impone.  Gli  attentati  saerileghi  dell' esar- 
co che  col  consenso  d'Eraclio  augusto  spogliò  de' 
sacri  arredi  la  basìlica  Edtexaneme  (  ah.  665  )  ;  la 
tiranniche  ruberie  dell'  ìmperador  Costante ,  pec 
sui  molti  Pugliesi ,  Calabresi  e  Siciliani  elessero 
d' andarsene  ad  abitare  fra*  Saraceni  ,  anziché 
soggiacere  a  uu  tal  principe;  lestr^  enormi  ch« 
Tomo  U.  i3 


[li  De  Rub.  liistor,  Kav«pai  li!>.  a>  cap-  97  *  98  ia 
collccua.  Biuuaa.  toni.  7^.  peu*.  i,  pjg-  ^,  qj- ffinc  du- 
!fit  srtum  iniolent  altertatift ,  •  ■  ttìm^OMt  poiuìjìct  a^u^- 
ri  temere  pastutmtiuift . 


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.194  Delle  RivoiAmoni  b*b-ALtA 

fecero  ì  Greci  in  Ravenoa  (  an.  709  ) ,  sbperand 
ogni  aspro  trattamento  che  da*  dircbi  e  re  Loc- 
gobardi  abbiano  mai  patita  o  i  sudditi  o  le  cbìe- 
se  poste  nel  loro  dominio  t  tìJchè  non  fu  mara- 
viglia se  stanchi  alla  fine  i  pontefici  Bomani  del- 
Timpotente  governo  de'  Greci  augusti  *  si  ^oìseta 
altrove  a  cercar,  prottaione .  ■ 


D.q,t,zeaovGqOglc 


ilBRÒ    OTTAVO, 


dAPÓ    PRIMO.- 

Considgrazìoni  generali  intorno  ali*  ordine  dì  sucr 
tesaùmè  nelV  inipenà  di  Ramai  e  ne'  regni  baf^- 
harìcii 


Xjubrico  passò  e  malagevole  di  storia  ci  presentei 
la  6ae  del  secolo  ottavo  i  che  sarà  là  pcibcipal 
materia  di  questo  libro  io  cui  abbiamo  a  tratta- 
ré  d^  una  famosa  rivoluzione  là  tutto  lo  stato  d' Oc- 
ideate  i  che  traslazione  dell'  iolperio  Romano  si 
suoi  chiamare .  Prima  però  d*  entrare  nelle  parti- 
colarità di  questo  liotabite  avvenimento j  e  dell'e- 
levazione di  Pipino  e  di  Carlo  Magnò  al  regnò  di 
Fràaciìl  e  $  quello  de^  Longobardi ,  clie  il  rinno* 
tellamentd  dell'Imperiò  occidentale  precedette  i  sa- 
rai necessario  dì  farci  mdietro  pei'  alquanto  di  spa-^ 
zio  a  considerare  ne*  suoi  prìncipi!  la  natura  tan- 
ta deiriniperiò  Romano  ^  quanto  degli  stati  chò 
dalla  rovina  di  quello  si  sod  formati  ;  6  distingue- 
re diligentemente  gli  Ordini  oggidì  stabiliti  ifelld 
successione  de'  regni  j  da  quelli  che  s'  osservarono 
per  iiloItÌ9sÌDli  secoli  in  tutta  l'£ucòpa  lido  d  quel 


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»g6  Delle  Rivoluzioni  dMtAi.ia' 

tempo  che  pei  progressi  delle  seieaze  e  della  ra- 
gione umana,  anche  la  ragion  degli  stati  divenoa 
più  chiara ,  più  stabile  e  più  sicura ,  Vincenzo 
Gravina ,  non  meno  celebre  letterato  -che  dotto 
giureconsulto  (i),  e  T  erudito  marchese  Maffei  per 
iofìnìti  luoghi  della  storia  augusta  e  degli  scritto- 
ri che  vissero  sotto,  i.cesarr  (s)^  aSermano  co- 
stanleoienfe ,  che  lo  stato  di  Roma  non  cessò  oè 
sotto  Augusto  né  dopo  di  lui  d'essere  in  fatti  ve- 
ra e  propria  repubblica,  come  nell'uso  del  favel- 
lar si  chiamava,  talché  repubblica  e  iiQperioilo- 
mano  significassero  la  stessa  cosa,  né  altro  fosse 
r  imperadore  ehe  il  .principal  dello  stato .  N'>n  è 
Seppur  Dwjessario  al  mio  intento  I*  attenerci  si 
strettamente  alt' opinione,  quantunque  si  voglia; 
ben  fondata ,  di  questi  due  8cri<tDri  e  d*  Ugone 
Gl'ozio  che  in  tal  sentenza  li  precedette  (3) .  Va- 
glio supporre  soiMnenle  ciò  ohe  niuno  mediocre-- 
mepte  istrutto  nella  Romana  storia  può  ignorare, 
essft:e  stato  1* imperio  de'  Romani,  da  Cesare  in 
pois,  un  mjsta  di  monarchia,  di  dispotismo  milir 
tare  f  e  (ìi  repubblica  ;  e  che  la  dignità  imperatori 
ria  sì  riguardasse  or  come  elettiva  e  rilevante  dal-' 
r  autoplà  àsl  comune  ,  or  come  eroditaria  e' 
dipendente  dalla  disposizione  del  possessore  a  |gui- 
e^d:'(ui  bene.  0  d'un -patrimonio  privato.  Perciocché^ 

(i)  Pe  Iflip-  Rom-lib.  •iogul.  ..       '    . 

(a)  Verona  illustr.  lib.'g,  pag.470  elteq.',  edit.  Ver«lt7 
in  6. 

(3)  De  Jwe.)>«JU  ac  pa«it  Ub.  a,  c^p.;  11.^  OQin:  .9<-  ; 


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/     tlBItoVinvCAPOl.  X^f 

tjUalilbq'ue  ìmperadóre  ebbe  figliuoli  o- fratelli,  o 
se  per  difetto  di  questi  volle  eleggersi  per  sucoes* 
snre  un  altro  parente  od  un  estraDeo,-  egli  il  fé-* 
ce  ptessochè  senza  difBcoItà  né  ostacolò,  eome  fa-, 
^rfebbe  qualsivoglia  uomo  del  volgo  a  disporre  del-. 
le  robe  sue  (i) .'  Ma  egli  è  da  notar  bene ,  che, 
qualunque  associazione  e  dichiarazione  di  socces- 
sore  si  facesse  dall'  imperadore ,  pretodea  fòrza  e 
stabilità  dal  consentimento  del  senato ,  e  spezial- 
mente delle  miUzie.  Quando  poi  per  improvvisa 
o  violenta  morte  vacava  l' imperio ,  ben  è  mani- 
festo dal  seguito  di  tre  secoli  interi  di  storia  au- 
gusta, che  per  Io  più  colui  t-iosciva  di  fatto  im- 
peradore, che  piaceva  alle  guardie  chiamate  pfe*' 
toriane ,  il  cui  conselitimento  stimatasi  ancor  più- 
necessario  d' ogni  altra  '  cosa  nella  dcstirfàzioae  che 
gì' imperadori  regnanti  facevano  d'un  successóre. 
Essendo  questo  il  corpo  armato  dì  truppe  più  proB« 
siiho  alla  persona  dell*  imperadore ,  e  peri^  il  pri-* 
mo  consapevole  della  sua  morte ,  non  è  maravi-' 
glia  che  s*  arrogasse  sopra  gli  altri  fl  diritto  del- 
Prelezione:  perchè  ,  còme  corpo  unite  ed  armato ,~ 
era  più  forte'  della  moltitudine  del  popolò  disar-" 
mata ,  e  del  senato }  e  come  'residente  ordinaria-^ 
mente  nella  città  capitale,  pìtreva  avere  maggio»- 
dìritto  che  g!i' altri 'corpi  dì  soldatésche' sparsi  p6i<- 
le  Provincie ,  e  per  lo  più  ai  confini  dell'  impe- 
cio.,Oltpéfliclijè,,..  essendo  i  pretoriani  natiti  qUasì 

(i)  V.  Tàcit.  AÌiOal,'lit.'6,-cdp.  -iS  in  fio.,  '      '' 


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jgR  Delle  Rivotxrarów  p*  Itaha 

tutti  d*  Italia ,  ed  aventi'  perciò  in  ispézial  gKid<»'< 
il  diritto  di  cittadioaaza,  laddove  gli  eserciti  pm* 
TÌocìali  erano  in  gran  parte  di  straniere  pToviiicie- 
e  di  barbari  ;  pareva  che  io  particolar  liiodo  a  1<>- 
To  ancora  s*  appartenesse  l' elezione  degl*  impèri 
dori.  Quelle  memorande  paròle  (i)cbe  disse  Trafa' 
no  nell'  atto  di  dar  la  spada  a  SUburano  ,  cre^-j 
(o  da  lui  prefetto  del  pretonti,  pòtrebboho  anco» 
^a  citarsi  come  autentica  dichiarazione  dhe  ì  pfe-. 
toriani  fossero  non .  solamente  gli  elettori  del  prin^ 
^ipe,  ma  giùdici  della  sua  condotta  ed  arbitri 
della  sua  sorte, 

Ma  poD  h  già  da  dire  per  tutto  quésto ,  cho 
,ìl  senato  ed  il  popolo  niuna  parte  avessero  nelF  e-> 
lezione  de'  princìpi ,  Il  vero  ^  bene ,  che  il  popo-^ 
loi  l^encbè,  cessate  da  Tiberio   in  poi  le'  pubbhV 
.phe. adunanze  ,  pifi  non  av^se  itnmedtata  in^etì- 
^a  nel  govev'no,  non  potea  perb  dirsi  spogliato  af- 
. fatto  d'^ogni  sovranità,    S^noi  riguardiamo  bene 
,^  queir  ysanza  phe  tutti  i  principi    mantennero  e 
,  che  passò  ancora  tu  Costantinopoli ,  di  diatfibuire 
gratuitamente  vettovagli?   alla    plebe  a  spese  del 
fisco,  altro  pon  era  in  efletto,  che  quella  porzio- 
ne d' entrate  pubbHohd  che  pagavano  le  serv?  pror 
''vincie',  dì  cui  Sembra  quasi,  <cbe'  il  popola  sìopi 
'-■l^iantènuto -in  possesso  ^  J^.se'talvoltat  ^i  trovò'jier 

''  '  '  t>l  7^'^'  *!tw»:già4iuw*  od  mtf/ìime'ìtum  mei  étìnwiit' 
tOf  ti.recte  tigami  sinaiifer  ,  in  me  magh',  Sext-  Aiir. 
Victor  de  Caesaribug  cap.  i3,  pagi  3aQ.  —  V.  etiaiq  I^tÌK* 
JA  Paaeg.  nnin.  67)  et  ìììoa,  Casi.  lib. '6S.  '  ; 


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Libro  vni.  Capo  I.  199 

accidente  0  pe*  {«atri  di  Et^qma  o  nel  cfrco  fii  Co- 
stantioppoli  coijgregato,  ia  occasione  che  qualche 
ajlare.fo9se  pendente,  non  lasciava  di  richiamare 
ed  esercitai:  tuttavia  il  suo  diritto  (i).  Della  qual 
cQsa,  a  dir  v«ro.,  assai  più  rari  si  vedono  gli  e- 
sempt  Dell'  antica  Boma ,  che  in  Costantinopoli  dò-< 
Te.  il  popolo ,  non  m^no  che  gli  eserciti ,  avea 
parte  nell*  elevazioni  e  nelle  deposizioni  degli  aù-^ 
gusti.  Ma  in  Roma  si  può  dire  che  il  popolo  eser- 
citasse r  autorità: per  mezza  de*  suoi  magistrati  d 
rappceseqtaoti  (2),  I  tribuni  phe.contjnuarono  an- 
cor lungo  tempo  sotto  gt' iniperadori ,  benché  non 
avessero  ne[^ur  un'  ombra  di  quell*  autorità  che 
ebbero  avanti  Augusto,  avendo  tuttavia  voce  nel 
senato^  formarono  unitamente,  agli,  altri  membri 
di  queir  assemblea  quasiché  il  gran  consigliò  del- 
lo stato,  e  della,  repubblica.  Or:  come  ilsenatoera' 
in  certo  modo  compagno  e  consorte  degl*  impera-; 
dopi,  cosi  ftvea. anche  gran  .parte  nell'eleziotii 3e* 
medesimi .  Gronovio  per  avventura  più  graròrùa- 
tÌ9o.  e  oritjco ,  che  giurista  o  polìtico ,  per  ribat- 
tfire..  r  opinione  dì  Grazio,  e  dimostrare  che  le  so- 
le milizie  avessero  diritto  all'elezione  del  prìncipe, 

(1)  Multa  tìt  plufes  per  àiés  in  ihealro  l^auliit  e/(^d- 

■  f^tti  au^tn  i^litum ,  adverofs ^impfr^offim ^  TacJl.  |ib.6, 

.  cap.,j3,     ■,,....  ''■■■■. 

'  '     (3}  E  che  altra  ragibné  morbra  i  'primi  tamii  a.-vWer 

eMcre  investiti  dell' ai) tori tk  tribualzia  die  riguardavano  qua- 

,  fijjba^  .di  lor  potenza,  ed  associarvi    i    lìf^tiaoli  che  sì  de- 

,^tiaavaiip  aucc^ssofi^  4è  non  |)èlr^hiè  ttin^TAiMi  in    ^Irtù  di 

'.g^el  titolò  ^i  iratportare  delle  lor  penotle   la   podiuà  >:|0- 

Traoa  del  "popolo?   .        .,       '    ,       "    "  '  >     - 


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a«0  Deus  ■■Br?oLuzio»i;.t>'j3TfALiA 

preteodk  che 'i  decr^  è  le  conFerme  ddl  W' 
nato,  ed  jl  coAseottmento  clie  testknamaTa  ilpo' 
pdo -col -ricevere  le  imniBgiiri,  fossero  ibrmalttà 
.Taoe  e  di  niun  rìliero  ;  e  che  dì  ftitto  rara,  volte 
«dod  mai  s'amsoliiò  il  senato  di  rifiutar  ud  pria-' 
cipe- eletto  da*  pretoriani  o  dalle  iegiooi -:  e  sccr-- 
reodo-ad  uno  ad  uno  gli  esempi  che  paiooo  sbt- 
i>itire  rAutotità  del  senato  e  del  popolo,  ci  vuol 
mostrare  che  anche  inque'casi  le  miline  ti  èb- 
-Iwro  la  priccipal  parte.  Ma  sia  egli  pur  vero  cbe^ 
il' senato  ed  il  popolo  soverchiati  il  più  delle  vc^- 
*e,  e  sempre  tetnendo  d*  essere  mahomiessì  da*  sol- 
idali e  dalle  forze  presenti  di  un  usurpatore,  non 
ardissero  d'  opporsi  alle  voglie  loro  ;  '  le  dicìhìarà- 
«IÓdì  e  le  proteste  che  fecero  specialmente  Albino: , 
Jifàcrioo,  TiKito,  Probo,  e  fra  gli  aitimi  Mag- 
giorano, bastano  tuttavia  a  provare  che. gli  stessi 
ìtbperadòri  riconoGcevano  anche  dal  senato  e  dal 
popolo  la  loro  dignità,  e  che  il  senato  ed  il  po- 
polo non  »*  era  mài .  dispogliato  del  suo  diritto  nel- 
U  dreauqt»  degli  augusti  (i).  Però  aetiza  andar 
dietro  a  tutte  te  particolarità  che  si  potrebbbno 
«lavate  BU  questo  proposito ,  mi  basterà  il  con- 
chiudere quello  eh*  è  difficile  di  porre   in  dubbio 

'  [i]  Capilol.  In  Albin.  tap.  i5,  p»g.  jJÒS-  —  Wem  in 
Mflcp.  cip.  6,  pag.  435.  —  VopiK.  in  ^oÌo  cap."  /)., 
j;ag.  939.  r-  Idem  in  Probo  cap,  11  ,  pag,  g34-  ~^  Sup- 
plem.  CoJi  Tbeoflos.  lib.  4,  lit.  3  edil.  Lug.  Balav.  Oh 
peut  tòujòurt  inferir  de  là  ,  ijae  Iti  empet^itrs  eux  mé^*is 
reconnoissenc  tpte  le  jienple  liomain  ne  s'  èiolt  /joiitt  d»- 
pónillé  du  droit  de  se  donner  un  maitre  .  Barbejrac*  in 
Not.  ad  Grot.  pag.  j{4'  Joco  cit. 


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..::    tiÈBo  VID.  Capò  I.  aw 

-« :iiegarev'cioc.che  la  legittimità  de'pribcìpi  coif 
sittera  ueH'a^iettazioiie'  del  puèblico,  il  quale  di- 
dbiarava  il  suo.  consentìmenlo  col  ricevere  le  sta* 
tue  o  i  ritratti  che  del  nuoro  eletto  si  mandava- 
na  in -diverse  parti  dd  dominio  Rorbanò,  e  spe- 
zialmente io  Roma'  se  V  el^iotte  si  faceva  altro- 
ve ;  -  e  cbe  per  queste  coa'sentimeDto  a  aocettazio^ 
cedei  pubbHcO'diveiirva' Tero  imptradore  colui 
che'  da  pnma  era-murpatore  e  tnanno .  •' 

•\.  '  Fra  le  nazicHi' barbare  cfae  j;ràa  parte  o  pioA- 
' tosto  pre^ócbè  tutto  l'imperio  occidentale  occòì- 
parono  ^  U  diritto  de'  principi'  non  era  di  natura 
ìGtiverea  da  quello  degrìmperadorì,  ancorcbi  -tuia 
i  Galli,  non  gì* Italiani ,  noe  gli  ^gnuoli ^  ma 
i  Goti,  i  Longobardi ,  i  trancili,  per  quello  ote 
diritto:dì  conquista  si  chiama, . e',-per  dirinegfòtV 
pear'  ragion  dell^  esser  più  Jbrti,  fosMro-quettiiobp 
facevano  e  disfacevano  i  re..  Del-  resto,  cbe^jcfaè 
s*  ìmniagini  il  volgo  della  legge  salica  cbc  i  E^^Uf' 
«hi  introdussero  nelle.  Gallie,  le  cotona. di  qu^ 
sii, -sicconK  quella  ^de*  Goti'  e  ^' Loi^abardi  M 
Italia,  •■BOD  fu-  punto  più  ^«ditarja  dia  quelfet 
deli' imperio  fiomano .  Quanto  a'Ooti,£  Loi^o^ 
bardi  ^  la  cosa  è  da^i  aBneti'  di  quellp  gntti  .«* 
sai  manifesta.  E  se  noi  dalla  storia  di  qup^te  due 
■Inazioni  f  o  da  ciò  cbe  Tacito  ci  lasciò' so^bto:<dtjf 
costumi  della  Gerihania  donde  r  Francesi  ì^rtiVo»- 
.na ,  vogliamo  argomentare  qual  >fosse  ìLfieotimea^ 
"to  ^enèràl?"deilà  narionè,  e  le  fàggi ' lóro  inlotnò 


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3P2  Delle  BiroLuzioifi  d*  Italu: 

alla  siiccessioDe  e  aU'.auti;ijntàre|^,at)cW  appresa 
so  i  Fraocbi.;  vero  ^  legittimo  prìncipe  diveniva; 
oqIul  ch'era  capace  di  goTernarli,  e  che,  c^ma 
tale  era  riconosciuto  dalla  nazione ,  e  d^  consetu 
timento  di  lei  o  portato  o  confermato  sul  fcono , 
Né  pf r  altra  ragione  diventò,  il  reguo  de^.  Franchi 
quasi  che  ereditario  nella  prima  stltpe  de'  Mero^ 
\ringl,  se  non  perchè  i  primi, re  di  quella  sohiat-i 
ta  lasciarono  figliuoli  non  degeneranti  e-  per  lort» 
btiona  ventura  in  età  ili  poter  governarle ,  q  assÌ7 
atiti  da  persone  potenti  e  accorte  che  avcano  prò* 
prio  interesse  a  lasciar  .quasi  crescere. questa  sup- 
posBione*  che  il  regno  del  padre  toccasse  al  fi- 
gh'uolp.  Né  mai  accadde  fì-a.loro  congiuntura  ia 
eui  si  dovesse, dare  esempio,  contrario,  come  fra 
i  Longobardi' e  fra  i  Goti:  perciocché  ad  .uo 
prinoipe  riputato,  e,  temuto  non.riesce  difficile  Tin- 
stallar  nel  governo  de^suoi  stati .  o  figliuoli  o  altri 
eongiunti.  o  chìuaque  gti.sia  a  gradone  fomirli.di 
tali  fòrz«:, -che  alla  sua  morte  pomnò  i  destina- 
ti, da.  lui  ponservarsi  il. regno,  f eco.  non.  dobbiam 
già  apporre  che  tra  i  Franchi  spezialmente  (  giac- 
che di  questi  ci  conduce  a  trattare  la  fu-eeente  ma- 
teria), sì  osservasse  una  i^rta  regola  -nella  succes- 
sicele dei.  re ,  .ancorché  fossero  della. .stessa,  faipi- 
glia.  I  ftadri  dividevano,  come  lor  piaceva,,  tra  ì 
.figliuoli  la  monarchia.  I  fratelli, 8em|u:e. con  Var- 
mi  in.mano  .gli  .uni  cnntco  gji  altri,  si.toglìevcu^o 
gli  stati  ;  e  lo  stesso  facevasì  tra  zii  e  nipoti ,  cugini 


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v*    tìs^o  Vnr.  Capo  Ì.  *S» 

(f'cugitìì  (i).  E' fiochi  non  riuscì  à'tfiaggtordwnt 
d*  occupare  V  autorità  sovranéi  cb*  esercitavano  di' 
ftftì,  non  ebbero  altro  '  riguardò  né  di  primogfe- 
Arfura  ;  bè  di  maggioranza  e  di  i^rcAsihiifà  nel 
IrieHer  «ùl  trono  qn  vano  fantasma  di  re ,  '  sot 
di*  egli  fosse  del  sangue  diniidovco,  per  adattar-' 
si',  Rnchè  non  riuscì  loro  di  spiccar  il  ■peiiso  'pìU 
avaati,  all'idea  altatfiente  impressa  ocglf  animi 
della  nazione,  di  non  doversi  riconoscere  altri  re 
che  i  discesi  da' CIodoTeo  ;  in  qtfella  maniera  che 
i  Turchi  anche  a  qUestì  ultimi  tempi,  purché  veg- 
gaU  sul  tiS>aò  qualcuno  della  fòmigUa  Ottomana, 
non  sood  poi  troppo  sciilpòTost  nella  scelta  d*  un 
gran  sìgoore ."  Ma  se  i  proliipóti  di  Clodoveo ,  al- 
lorché' degenerati  dalla  vrrlù  de'maggiori  si  rìdus-. 
séro  a  vivere  neghittosi  hell'oscurità  e  bella  mor- 
bidézza del  lor  palazzo ,  e  riauueiaronn  ad  ogflt 
(iura  di  leggere  ì  popoli,  avesscfo  Io  stesso  diritto 
al  regito,  che'  aveano  avuto  gh*  avi  fbro,  stante 
"ii  costume  e'  la  legge  benché  "fton  iscritta  dì  qtìel- 
'la  nazione;  egli  i  argomento  d'altre  penne j  cbe 
della  mia.  A-  rtié  però  basterà  avfer  'queite  catta 
toccate  leggermeBte,  a  fine  d'avvertire  i  nostri 
leggitori  t  eh*  eisi  'non  debbòn'?  misurare  le  '  rivo^ 
Itiziorii'  degli  antichi  regni  'colle  tnassime-  del  nld- 
detnd  jus  pubblico,  e  che  ci  conviene  «onmettA'e 
che  gli  antìc&ì  ebbero  idee  diverse  dalle  boìtr^'m 
■questo  getìere,    o  U  massima   parte  de*  prìncipi 

-      ^(1  Vie.  Daiiel  HUt.  de  Frsnce  pag.  55,  55,  58, 


=d.vGooglc 


to4  Del^e  RivonratoNi  d'Italia 

furono  usarpatorì.  FeroiocchèMi«)la;<eried!  moHk*, 
siini  secoli  non  «blamente  in  Europa  da  Cenare. 
fino  a  Carlo  Magno,  ma  per  tntte  le  oacioni  de(->^ 
l'uflirerso  e  in  tutti  i  tempi  appena  si  trovereb- 
bero tre  o  quattro  AUccesHoni  continue,  le  quatì,- 
secondo  le  regole  di  successione  tifae  ora  si  c^ser- 
Tano,  non  fossero  iri-egolari  e  pet  conseguenza  il-*- 
I^iltime,  ingiuste  e  tiranniche. 


involuzioni  della  corte  di  Francia  t  ver' cui 
'-■''        la  famiglia  d^  Cadi  sali  sid  trono. 

JN  el  principio  deirottdvo  secolo  la  carica  di  ma^. 
giordomo  già  era  in  tal  considerazione  '  e  di  tale' 
autorità ,  elle  i  figliuoli  de'  più  potenti  del  regno. 
Vennero  a  guèrre  tìlvilì  per  occuparla,  non  altri- 
menti òhe  se  si  trattasse  dèlia  corona  stessa  e  del 
possesso  del  regno .  E  dove  che  queU'uflìzjo  si 
conferiva  per  T  innanzi  a  nominasione  de' siguo- 
rii  confermata  poi  dal  re,  Pipino  il  Grosso',  bi- 
savolo di  Carlo  Magno,  tentò.,  a  .for^a^  aperta,  di, 
renderla  ereditaria  nella  sua  famiglia';'  tanto  'fcbtfi 
TÌ^o  a  morte  si  destinò  per  sucqessQre  un  D.ij)0-,i 
tìito,  chiamato  Teodaldo  ,  «icor -fanoiulliK  E  Gar^,- 
lo  Martello  dovette  in  quella  congiunJt,ura.so.ccpmr,, 
bere  all«  fc^ze  mj^giori  di  Flettmda.  sua  mairi*  t 
gna ,  avola  e  tutrice   di  ;  ^eod^dd ,.  ^Etll»  ..ftOaFe  ' 


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■   :   EiBRO:  VHI.  Capo  il  ■■:  ;  >a& 

'ancora  fti  fatto. prigione  (i).  Ma  fuggitosi  poco 
'dopo i' e  rilevato  il'suo  partito,  si  rafferhiò ai {àt>-. 
tamente  io  quel  poeto ,  otte  per  Tertticioqué  anù 
*coatÌDi)ì  fu  non  solamente  io  Francia,  ma  dalle 
nazioni  straniere  riguardato  come  signore  sorrano. 
'di  quella  moDarcbia,  beocbè  non  ne  portasse  il' 
nome .  Le  sue  vittorie  g|i  acquistarono  p«  tutta 
Europa  tanta  riputazione,  che  i- più  potenti  prin^ 
cipi  ambirono  la  sua  amicizia .  E  il  re  Liutpran- 
do  particolarmeote,  per  farselo  vie  più  benevolo  ii 
«'  adottò ,  secondo  il  costume  di  que*  tempi  ,  un 
dì  hai  figliuolo  che  fu  Pipino  (a).  MA  nel  tempo 
stesso  i  Romani  pontefici  Gregorio  il.  e  UI.  che 
temevano  e  detestavano  i  Longobardi ,  ed  erano 
molto  ben  lassi  dall'impotente  governo  de' Greci» 
si  rivolsero  ancor  essi  a  cercai  1*  amicim  e  la 
prolezione  di  Carlo,  il  quale  per  una  segnalata 
sconfitta  che  diede  nel  ySi  tC  Saraceni ,-  pareva, 
meritarsi  spezialmente  il. vanto:  di  difensore^  delia- 
religione.  Nel  741  Gregorio  Ul.;  di  cotiseatimet^to: 

[1]  Anna).  Metens.  ad  ann-  714  ^^  leq.  ap.  Daniel  BisU 
de  FraDce  pag.  349- 

-  r[a]  La  cerimoDu  di  queste  onorarie  adozioDÌ  «n  tH" 
le,  che  l'adoitante  tagliava  al  figliuolo  adollivo  i  capegfi 
in  somigliante  guisa  a  quella  che  ancor  usano  1  chetìcì ,  e 
p«r  un  effetto  a«a  InoKo  dtversot  peichs  non  altro  impor- 
tava questa  nlo  d'adozione)  se  tiou  che  1' adoLttalo.  s'ici-. 
tèndeva  professare  particolar  divozione  e  riverenza  ai  paSre 
novello'.  Da.  questa  tonsata  che  il  gioTaòe  Pipine  ticcvefu- 
dal  re  Longobardo-,  credopo  alcuni  che  passasse  poi  in  cq- 
«turne  ile' re  CarolìugLi  il  portar  la  capiglialuru,  tagliata  ia 
fMUia'  rotonda,  .qnatf  si' 'voggobo  ubile  antiche  immagini 
cfa,s.  li -.co^Lierv^rona  di'  qn^iie  .  .     .      .  j      '     .,.■-.  f  ;i 


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iio6  t)ti£E  RivofitBttJN^VJrAtU 

<ijc*  prìocipaU  cittadiqi  t  mafidb  io  FnaefaiQna  nicJtiJ 
.««lenne  ambascerìa  diretta  noti  pk  4  iCbildenoc' 
ine  ad  alcuno  de\dUoeodeiiti  diGlodoireò.,chieipah 
tava  il  flOfné  di  n.  ma  bemìa  Carlo  i  ohe  legger' 
.Va  ^i  fatto  la  moDarcbiar;  e4  Cfiii  i^^ioiic  tik^ 
■che  si  creda-,  benché  noi,  dicA  àperiameote  la  ste- 
lla ,  cbe  lo'  scopò  di  quell* imbasciata  6iil,4at0 
d'impegnare  il  reggente  6.  frenar.  ]#i  pi0)teiwà.d9* 
t«agobardi.  pénchè  non  oecupasser»  Ramali,  P^Hc' 
.^eodoai  idj  rioonoaoere  lui  per  signare  qooìMoIq.^i 
,D«o$c4o  «dì  patrizio  «  in  v«cò  deU' ÌQipt;radp^  ^ 
jCo9taDtinopoÌi  i  Ma  la  mòrte  dt  Carid»  «.  dpl;(ii^ 
-pa  Gregwia^  e  di  teone  jMniricO  iràpur^s^^-f 
<)M  re  tiiutprando  cfa«  rjegsò.  quasi  nel.tempp  «t4%- 
À>  o  coti  pooo .  ivte«TsU0  dall'  iui<ìiaU*^trQij' db- 
sturbò  e  sospesa  1*  «Beenz^ne ,  di  &ly  ptid  «9a.  Itf 
tKciprpciie,  legìuinnì ' dbe  si  mandaMutf  daÀjnngjtf 
Francia,  é  di  Fcwcis  io  RomA^  erlper  dwfftr 
éura  concert^  e  oonoìuuBo  v  GaiIoaiaaacJL  ft  l^U 
■H^  t  siiccsdntt  A  Calia  Martellò  nel  gov^nò  di>r 
gli  «tati  Francesi  ebbero,  beiicbà  unaainiì  fraJfut' 
dué,  alqiianto  che  fare  fi  ca^  bro  pet'as^óiiraT- 
ù'Iapoten^  già  fatta  eriedilaria  nella. Ififoiiàmìr' 
glia  4  la  qual  potenza  si  tiunì  fra  pochi  «loaJ  iielf 
^,iP«rsQna  del  solo  Pipino,  per.la  rtovnzi'adiCafìr 
loiaatino  ckt  si  fé' monaco^  il-ponteGcs  Zaccark 
(l>O)':aItr0  eaatov  vedendo  salito  .sul  ..frona.  det 
Longobardi  Raobi ,  priocipt»  anat  ^jeUgiosp  o  inr 
clijti^tÌ96ÌiD0  alla  pace  ;  é  intero  4  iàpeire  qualip 
avviamanfc!  preddesse  il  gioTana  Costentiwoj*  atti» 


ovGooglc 


.      tfjjfto  vai.  Capo  tì.    '  ' W; 

i^t  sopreDDOBoe'  il  Cofuroaìmo  ,  non  rtnacivara 
«krihieiiti  'ie  fVenlure  per  tirar  Jl*bn»i  Fraotxst 
jn  ItaHa.  M«  scarne  ù  iii  ititéso  <^(t:  CkisiaotiiK) 
-OoBtkoaTa  atXM^Bxnente  ad  imperversare  '  coatto 
.1»  «acre  iittnagioi ,  è  abé  bti  rimanentti  età  a»- 
'saì  fieggior  principe  ì  che  Ben  fosse  efiftto  Leòiie 
4uo  padre  ,*  C'  in  Italia  al  ^pio^  e  paoifioo  Bachi 
cke  taacvt  egli  siireadè  tnonacd,  'era  ^ttooeduto 
il  fratèllo  Aatolfo  i  gaerric»]  arido  di  sraofii 
..jKjqtfistì,  e  pHi  ambizioso  ed  ìoquteto  diLìùtpraxf- 
'<lo  :  dotnÌQcib  papa  Stefoio  II,  luooetluto  a  Zac- 
caria i  a  rinnovare  i  man^gi  ■nfrodotfi  da' suoi 
>^redee<Msori  «olJa  corte  di  i'ran^av  -oìoè  «oa  i^ 
-pino  ckò  n'era  1*' anima  .6  il  bracao,  é«he  avtk, 
sboi  fini  propri  6  partìcolari  a*  venderà  4ieoeVafe 
it  sommo  poateBce .  Ma  perctó  1*  ambizione  mai 
fioiì  pub  à  vaniti  tornine'  stu^  eoóteiita ,  Piplnd 
Aotà  pago  di>  possedere  in  efifetto  tutta  1*  autoritlh! 
sovrana  t  volte  otteo^m  ànobe  tì  tìtolo  di  ré  i  H 
legare  alld  posterità  -ii  ClodoveO^  ^ubU'  ornila  dì 
toiaestÀ  ch«  ancora  godeva  «  Non  etd'  però  £osa 
tlKito  inutile  é  vana  Pinsmnere  va  tìtolo  che  già 
pareva  «pogliate  d'  ogni  'so^nzar  percioocbè  M 
ttlcono  si  fosse  Giovato  di  ^ue*  priilciid  Merovingi 
eke  solo  per  motitra  «raa  '  sotiti  di  porsi  sul  trono, 
M'qoale  o  per  vigcR-e  d* animo  proprioi  o  per 
iguggerimenti  de*  malevoli  ed  invidiosi  del  mag- 
gioi-doRMj- avesse  à  ardito  dì  depoire  il  ministro, 
.«'tentato  di  ripigliarsi  il  governo,  9  almeno  pre- 
^  italo  U  no  WHiie  4  i]Uàlch«  partito   Confrwio  al 


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io8  Deixe  Rivoluzioni  d'  Italfa 

reggente;  avrebbon  Pipreo.  e  i  «noi  disoewietrtf 
incoBtrate  gravi  contrarietà  alla  grandezza  loro, 
perchè  il  nome  d*  un  re  (ascendente  dalla  schiat- 
ta di  Clodoveo  avrebbe  -  aenza  dubbio  sollevata 
iwa  pai-te  ^troeno  de'popoti.  Per  li  qua!  cosa , 
oltre  al  maggior  lustro  della  dignità  che, Pipino 
lafggmgaeva  alla  sua  persona  ed  alla  faetigtia-col 
precidere  la  corena  reale  ,  aggiugneva  ancora 
maggior  sicurezza  all' autorità,  che  di  fatti' già 
possedeva.  Ma  con  tutte  le  forae  dello  stato', 
ehe  Pipino  avea  nelle  mani ,  e  coBa  riputazione 
acquistata  da  Cario  Martello  alta  sua  famiglia , 
non  era  fero  ù  leggiere  impresa  d'occupar  qu^- 
ÌQ  che  parca  sì  vano  ed  inutile  oraatueato  d*uB 
diadema  e  d*un  nome.  Non  ostante  il  disòrdine 
•  le  ingiustizie  che  s'erano  da  tanto  tempo  pra- 
ticate meii»  sucoessinne  de*  re  Fraoeesi ,  restava 
tuttavia  fissa  nelt*  animo  della  nazione  questa 
massÌDia,  che  ì  soli  discendenti  ;  del  fondatwe  di 
questa  monarohia  fossero  capaci  di  seder  sui  tro- 
'bo  ,  e  portar  la-  corona  e  il  nome  di  rè .  Conve- 
niva'pertanto  a  Pipino  trovar  efficace  spediente 
per  levar  via  quest'  opinione ,  e  preparare  gii 
animi  della  nazione  al  cambianento .  Una  con- 
suetudine  osservata  quasi  religiosamente  per  tan- 
to spazio  di  tempo  pareva  che  con  autorità,  ao^ 
cara  dei  ministri  deUa  religione  si  dovesse  to- 
gliere ;  né  mai  altrimenti  il  nuovo  re  ai  sarebho 
creduto  fermo  sul  trono  cbc  yoleva  occupar». 
Vivea  a  quel  tempo  il  sooto  vernava  di  MagMaa 


ovGoò^lc 


.  ,  Libro  Vili.  CaJk)  II.   .  aog 

BoQÌfano.  Voltossi  dunque  Pipino,  a  cotiduE 
quesV  uomo  appostolico  ne'  suoi  disegni ,  si^cura 
che,  persuaso  una  volta  il  vescovo  Sonifazio, 
avrebbe  agetrolmente  ti-ovata  l'approvazione  del 
Romano .  pontefice  ,  che  k  Franoia  riguardava 
oostantemeote  come  capo  supremo  della  religione. 
Le  opere  leligiose  e  pie  e  cui  Pipino  sì  moetrava 
icdinato ,  la  libeealità  die  o  usò  di  buon  animo 
o  affetlò  d'usare  verso-  la, Chiesa,  Io  zelo  che 
mostrò  per  la  riforma  della  disciplina  ecolesiastì- 
ca,  riparando  aacora  ai  disordini  seguiti  sotto 
Carlo  Martelk»  che  avea  dati  molti  benefizi  a* suoi 
soldati;  tutte  queste  cose  lo  facevano  molto  rao* 
-comandato  alla  pietà  dell'appostolo  della  Germa- 
ma.  Ne  lasciò. aerta  T  accorto  principe  di  esage- 
rare la  viltà  e  la  dappocaggine 'della  stirpe  allora 
regnante ,  e  di  lar  comprendale  a  tutti  colora 
che  doveano  aver  parte-  nella  disegnata  rivoluzio- 
ne,  .ohb  .qualunque  nolane  avessero  al  trono  x 
posteri  di  Clodoveo,  il  bena  dèlia' adizione  dovea 
tuttavia  prepoudeiare,  e  cbe  niun  popolo  potea 
mai  pre^uiliersi  d' aver  -rinunziato  al  suo  diritto 
prinoi pai  istmo  e  si^riore  ad  -  ogn^  altro  ,  eh*  è 
quello  d'  essere:  governato  ,  e  difeso  ;  che  perciò 
un  principe  che  Jiou  .reggeva  e  non  era. atto  a 
ECggere  il  suo  stato ,  s' intendeva  issoBktto  soadu-r 
to  dal  wio  -diritto,  e  il  popolo  libero  dall' obbli-, 
gazitìoe  d'obbKlJrlo i  e  dal  giuramento  dato. di 
fedeltà.  Un  partioobr  ,riguajdu  poteva  valer  mol- 
to n«iranimo.d*Ufl.  santo  ecKleaiastico,  ed  era  la 
Tomo  11.  14 


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210  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

Ticinaoza  de*  Saraceni  già  padroni  di  quasi  tutta 
la  Spagna  ;  i  quali ,  quando  la  Francia  non  fosse 
stata  governata  da  prìncipi  prodi  ed  attivi,  avreb- 
bero con  grandissimo  danno  della  religione  po- 
tuto invadere  le  Gallie  .  In  somma  il  vescovo 
san  Sonifazio,  persuaso  fortemente,  che  fosse 
.vantaggio  dello  stato  e  della  Chiesa  U  trasferì^ 
nella  famiglia  di  Pipino .  la  corona ,.  ne  persuase 
ancora  con  sue  lettere  il  pontefice  Zaccaria  ,  il 
quale  essendo  consultato  intorno  all'  equità  e  le- 
gittimità del  fatto  ,  diede  tanto  più  facilmente 
risposta  conforme  al  desiderio  di  chi  la -chiedeva, 
quanto  maggior  bisogno  avea  ddì^  protezione  di 
quel:  principe  valoroso  e  potente  per  gli  afiari 
della  chiesa  di  Roma,  e  d'Italia. 


SoUevazìoni  in  Italia  contro  V  imp/avtdore 
d*  Oriente . 


XJe  pMsperìtà  0  le  conquiste  de*  Lopgobardi ,. 
sotto  il  regno  spezialmente  di  Liutpondo  e  di 
Astolfo ,  diedero  a  temere  che  quidla  nazione 
fo^  per  diventar  fra  poco  dominatrìce  assoluta 
di>  tutta  Italia.  Quindi  comiaciarono  gt* Italiani  a 
cercar  modo  non  solo  di  por  convenienti  termini 
al  domìm'o  de*  Longobardi ,  ma  di  spegnerne  af- 
làtto,  se  si  potesse,  la  sigaoria.  Autori  principali 


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tfijao  VAI.  Capo  IH-  an 

di  tanta  rivoluzione  furoaoi  per  consèatimea- 
tD  di  tutti  gli  scrittori,  i  Bomaoi  pontefici:  e 
non  già ,  per  quanto  i  successi  mostrarono ,  a 
fine  di  restituire  agl'imperadori  di  CostaDtinopolI 
il  dominio  d*  Italia,  come  s' era  fatto  a*  tempi  di 
Giustiniano  colla  rovina  de*  Goti  ;  ma  per  darlo 
a  nuovi  signori,  e  parte  per  ingrandire  con  tem- 
porali domini  la  stessa  chièsa  Romana  . ,  Maravi- 
gUa  dovrà  recare  a*  lettori ,  che  il  popolo  Roma- 
no e  i  ponteGci,  che  già  doveano  esser  avvezzi  ed 
indurati  al  governo  di  barbari  e  d' eretici  ^  quali 
erano  i  Goti ,  e  con  inGnita  pazienza  aveano 
sopportato  i  mali  trattamenti  e  la  dominazione 
sempre  '  vaii&bile  e  sempre  umiliant&  della  corte 
di  Costantinopoli  ,  abbiano  poi  mostrata  tanta 
avversione  a*  ILongobardi  già  fatti  cattolici,  e  che 
pel  soggiorno  di  quasi  duecent'anui  poteano  ri- 
putarsi naturali  di  Italia,  più  che  stranieri.  Ma 
le  cose  del  mondo  e  Io  slato  ddt'imptìrio  Roma- 
no avean  bene  mutato  faccia  e  natura .  Da  Giu- 
stiniano in  poi ,  e ,  in'  una  parola ,  da  che  ogni 
cosa  andava  a  ruba  ed  in  rovina ,  parve  a'  Ro-, 
mani  di  ricuperare,  quanto  la  condizjon  de'tem-' 
pi  e  Ih  debolezza  loro  il  comportava,  le  antiohe 
ragioni,  e  se  non  di  signoreggiare  il  mondo,  dì- 
provvederé  almeno  allo  stato  proprio,  alla  prò-* 
pria  libertà  e  sicurezza.'  Certo  è  dhe  i  Longotrar^' 
di  don'avèano  diritto  di  sorte  alcnna  sopra  Roma;' 
e  gl'impecadòri  Greci  ofaé  v'erano  stali  finalloraf 
riconoscìnti  come  signori ,  tanto  erano'  Idntani  dal 


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2i3  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

poter  difeadere  e  guardare  quella  città  dagli  as-^ 
salti  de'  Longobardi ,  che  i  luogotenenti  od  esar- 
cbi  imperiali  più  qod  aveano  potuto  sostener 
Ravenna,. loro  residenza  ordinaria,  e  città  natu- 
ralmente forte  e  poco  accessìbile.  Restava  dun- 
que uno  di  questi  due  partiti  da  elefggersi  da'Ro- 
roani  :  o  di  passar  sotto  il  giogo  d' invasori  in- 
giusti, o  usando  del  naturai  diritto  che  così  ogni 
società,  come  ogni  uomo  in  particolare  tiene  daU 
la  natura  ne'  casi  estremi ,  ripigliarsi  il  dominio 
di  sé  medisimi .  Già  da  ben  tre  secoli  i  cittadini 
o  gli  abitatori  di  Roma  erano  usati  di  riguardare 
il  lor  vescovo  non  solo  come  pastore  nelle  cose 
spirituali,  ma  padre  e  protettore  nel  temporale, 
e  fiero  principale  della  città,- massimamente  da 
che  l'autorità  degli  esarchi  era  caduta.  Vera 
cosa  è,  e  ninno  degli  storici  la  mette  in  dubbio , 
che  i  papi  si  mantennero  fedeli  alla  corte  di  Co- 
stantinopoli ,  e  fattisi  quasi  di  lei  ministri,  s'ado- 
perarono  in  più  maniere  per  conservar  Roma  a 
queir  imperio  ;  ma  Baalmente  nacque  anche  ad 
es^i  il  pensiero  di  tirare  a  se  il  vero  e  reale  do- 
minio di  quella  città  e  d'altre  terre  ciroonvicine: 
e  r  empietà  tirannica  di  Leone  Isaurìco  e  di  Co- 
Jtaiitino  suo  figliuolo  ne  porse  loro  spezioso  titolo 
,C  favorevole  congiuntura  (i).  Non  fu  Leone  fra 
■gì' imperadori  d' Oriente  il  primo  fautore  e  prò- 
luotor  d^ei^esia  ;  anzi  appeba  alcuni,  da  Costantino 
(i)  V.FIeuryHiit.eccl.lib.35,  num.  la.fet  35;  ellib.^i. 


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LisHo  Vm.  Capo  HI."  2f3 

in  poi,  se  ne  contano,  che  non  sieno  slati  infet- 
ti di  qualche  errore  :  ma  ì  predecessori  di  Leone, 
benché  ora  involti  nell'  Arlanismo ,  or  sedotti 
da'  Nestorìani ,  dagli  Eutichiatli  ,  da*  Monotelifi , 
dagl'Incorruttibili,  incontrarono  piuttosto  la  dìs- 
approvationé  de' vescovi  e  de' dottori  e  de' mo- 
naci seguaci' della  dottrina  cattolica,  che  l'odid 
e  l'indignazione  della  moltitudine,  la  quale, 
trattandosi  di  materie  pilramente  speculative  ed 
astruse,  appena  poteva  penetrare' che  il  principe 
avesse  opinioni  diverse  dai' pastori  j  e  nelle  città 
d'altana  lontane  dalle  sedizioni  di  Costantinopoli 
e  da' conciliaboli  dell'Oriente,  e  poco  informate 
delle  opinioni  che  regnavano  in  quella  corte  in* 
torno  alta  religione,  si  obbediva  collo  stesso  ani» 
mo'un  imperador  moootelita,  the  un  cattolico  > 
Ma  Leone  che  per  un  falso  zelo  di  voler  purga- 
re la  religione  da  quelle  che  a  lui  parevano  reli'* 
quie  d'idolatria,  fece  pubblicar  nelle  òìttà  d'Ita- 
lia, soggette  al  suo  imperio,  un  fulminante  editto, 
a'  tenor  del  quale  si  ddtevàno  abbattere ,  cancel- 
lare ed  abolire  tutte  le  immagini  scolpite  o  di- 
pinte del'salvatore ,  della  vergine  sua  madre,  e 
di  tutti  i' cittadini  del  cielo;  oifese  io  còsa  troppo 
sensibile  la  pietà  del  popolo  Cristiano  che  di  là. 
cominciò  a  riguardarlo  come 'sacrilego  tiranno,  ta 
cercar  di  sottrarsi  al  suo  dominio.  ì  pastori  delle 
éhitesè  d' Italia  e  il  pontéfice  Romano ,  avendo 
dovuto  per  proprio  uffizio  mostrare  contro  l'edit- 
to imperiale,   che  la  Tenerarione    delle  immagini 


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ii4  Delle  Rivoluzioni  d'Italu 

Don  era  uè  contraria  alla  religione  né  ioutile  a 
sodrìre  la  pietà  de'  fedeli  ,  non  poterono  far  di 
menò  che  favorire  iodirettamente  cotesta  solleva- 
zinoe  de' popoli  .  Per  altra  parte  togliendosi  dal- 
l'obbedienza  deir  impèrio  Greco,  eravi  da  teme 
re  la  potenza  de'  Longobardi ,  verso  de'  quali  du' 
rara  tuttavìa  nel  ducato  Romano ,  neli'  esarcato 
dì  Ravenna,  e  nella  Pentapoli,  oggi  marca  d'ÀH'^ 
bona ,  un  odio  divenuto  abituale  per  te  coutinue 
scorrerie  e  saccbeggiamentì  ed  insulti  <^e  aveano 
per  più  d*uQ  secolo  sofferti  da  loro,  ie  per  l'av- 
.  versione  e  antipatia  cbe  naturalmente  si  nutre  e 
cova  tra  due  nazioni  b  vicine  é  soggette  a  domi- 
pi  diversi.  G>aveniva  pertanto  ricorrere  ad  uaA 
tèrza  persona  che  proteggesse  ed  a^icuraase  la 
libertà  e  l' indipendenza  a  cui  i  Romani  aspira- 
vano ,  e  che  potesse  frenare  da  un  canto  i  Lon- 
gobardi ,  e  imporre  dall'  altro  agi'  imperadori  di 
.Costantinopoli. 

c   A   P   o,     IV. 

'iTràitad  ira  U  papa  e   i  re  ài  Frtmcia  :   scotifijta 
e  Jiné  di  Desiderio  re  <fc'  Longobardi . 

■Jf  regno  de'  Franchi  o  Francesi ,  come  d' or  in- 
HÀibzi  li  chiameremo,  ofieriva  per  appunto  ciò 
'tibe-abbisc^nava  alle  bovità-cbe  io  Uatia  ni  nsac- 
ébinavano.  La  religione  cattolica,  la  quale  con 


ovGoo^lc 


Vin.  Capo  IV.  2i5 

title  le  dissolutezze  della  morale ,  cbe  pur  trop- 
po grandi  regaavarto  quasi  generalmente  in  tutte 
le  Provincie  della  Francia ,  «rasi  fin  dai  primi 
anni  della  monarchia  costantemente  professata 
sotto  ì  successori  di  Clodoveo,  darà  onesto  titolo 
ai  pontefici  Bomaoi ,  già  dichiarati  capi  anche 
del  civil  governo  di  quella  città ,  di  portar  le 
loro  querele  al  trono  di  Francia;  e  ì  popoli  del- 
la Romagna ,  che  non  aveano ,  per  quanto  fu 
lungo  il  regno  de'Lungobardi ,  ricevuto  uè  danno 
uè  □tua  né  insulto  alcuno  da' Francesi,  non  po- 
teano  aver  ripugnanza  oè  di  far  l^a  »  né  dì 
passare  eziandio  sotto  il  Ice  dominio .  Vero  è 
cbe  i  Francesi  erano  a  questi  tempi  degenerati 
grandemente  dalle  virtù  de*  primi  fondatori  di  u 
nobile  monarchia .  Perciocché  Clotario  1I<  e  IH.., 
Dagoberto  I.  e  IL,  e  gli  ultimi  Tierrì  e^Childe- 
ncbi  non  aveanq  di  regio  altro  che;  il  nome,  s 
le  private  delizie  che  si  godeano  •  da  neghittosi 
ne*  loro  palazzi  .  Ma  in  vece  de'  pronipoti  di 
Clodoveo,  già  frasi  »  grande  stalo  elevata  una 
famiglia  che  emulava  assai  bene  il  valore  e  la 
politica  dei--  primi  fondateri  di  quella  monarchia; 
la  qual  ^miglia ,  <^po  aTe,re  sotto  ^Ib'o  titolo , 
ma  con  assduto  arbitrio  governato  ogni  cosa  per 
molti  anni ,  avea  novellamente  ,  come  s*  h  mo- 
strato di  sopra,  colla  totcde •  deposizione  degli  an- 
tichi reali  occupato  Ìl  trono,  e  preso  nome  dire. 
Pipino  ,  .autore  di.  co^  famosa  rivoluzione,  era 
non   solamelite  jaella  Francia  divenuto,  principe 


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Ìtf6  DfittE  RlVÒLUlfòNI^B'ErAUA 

soprano,  e  come  taìe  obbedito-  e' tettiwfaJ;  ma 
per  la  TÌhomai»a  ddU  ma  vìrtìi  era .  salito  in 
'taofa  riputazione  appresso  g^i  esteri ,  che  sf^lsci- 
talo  nei  -tempo  stisso^^  con  lettere  e-  coti  amba- 
sciate-dal  pontefice! Rortwrao.i  daU'imperactojtp  di 
,Go5fanlÌDopotì,  e  dal  re  de' Loogc>bardt«  era  Tat- 
to arbitro  delle  tre  màcoli,  potenze  dellei .  Cri- 
stianilè,  che  si  coDta«sero  allora  dppo.. la  FraDoia. 
'Narrano  gli  annali  d'Italia  e  le. storie  di  Franc»^ 
assai  distesamente,  come  questo  noTeUo  ^  ^'e .  de*  ' 
Fraocesi  a  petizione  di  papa. Stefano  IH.  soeQdes- 
se  due  volte  in  Italia  con  potente  eSKcìto ,  e 
irioti  i  Longobardi ,  rìtogliesse  loro  e  donasse  al- 
la chiesa  Romana  ciò  cbe  questi  -  ascdn  tolto 
all'imperio  (r).  Ma  la  morte  di  Pipino,  e.  la  di- 
jcision  che  si  fece  del  regno  tra' due  fratelli  Car- 
lo e  Cariomanno,  diede  qualche  ocoa$iooe.  al.re 
Longobardo  di  ristorac  alquanto  :  lo  stata  iudebo- 
lito  e  '  cadente,  e  diede  altrettanto  timore  a 
Paolo  I.  pontefice  di  vedersi  togliere  i  frutti  di 
fonti .  man^gi  e  di  tante  cure  de'  suoi  antecesso- 
ri. Feroiòcchè  non  avendo  ancora  i  Francesi  por 
lutò  stabilir  l'autorità  loro  negli  stati  appena 
acquistati,  per  (^ni  poco  di  vantaggio  e  di  rip»* 
fazione  che  il  re  Desiderio  ricuperasse ,  si  sarebbe 
facilménte  rimesso  in  possesso  .  di.^  quanto  avea 
ceduto  negli  ultimi  frangenti. 

(i)  Muratori  tn.  754  e  Mg.—  V.  Daniel  Hittoir»  de  Fno- 
ce  A  SD.  ^Sa.  id  an.  ;68. 


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.■..    LiBKo  VIU.  Ciro  IV.  117 

^-  :  O  :tlbn  erano  i  due  novelU  re  per  anco  am- 
fenogliatì ,  ©  piuttosto  rper  un  abuso  che  appresso 
i  reoli  di  Francia  delle  due  prime  schiatte  fa 
•trojipo  frequente  ,  non  si  slimava  arduo  aSare  il 
ripudiar  una  moglie  per  menarne  un'altra.  Larer 
gina  Berta,  desiderosa  di  maritare  col  re  Adelgi- 
«o,  figliuolo  e  collega  di  Desiderio,  Gisila  sua  .fi- 
glinola ,  passando  per  qualche  o  motivo  o  prete- 
sto in  Italia,  s'abboccò  con  Desiderio  ;  e  per  ft- 
dlitare  le  nozze  della  figliuola,  ed  assicurare  al 
genero  l' amiciiia  ddla  casa  di.  Francia ,  propore 
ad  vn  tempo  stesso  il  matritnonio  di  Gialla  con 
Addgiso,  e  quello  di  Carlo  e  di  Cadomanno  con 
due  figliuole  del  re  Desiderio  .Come  il  pOBtefi^ 
Stefano  ni.  adi  questi  trattati. che  per  la  vogliji 
grandissima  che  aveeno  i  re  Longobardi  dì  tal 
parentado,  e  per  l'autorità  che  la  regioa,  Bc?lB 
"  potea  avere  appresso  :ìj  suoi  figli,  noa  cPani.psF 
trovar  •  gtande>  ostacolo  :  aH'  adempiraeiitoi  cosi  ceiv 
co  con -ogni  suo  sforzo  di  disturbargli,  e  scrisse 
a'  due  re  una  lettera  gagliardissima  da  non.  pntprr 
si  leggere  senza  stupore,  per  le  strane  cose  .eh' egli 
dice  in  Wasimo  de' Longobardi  (i).  Ma  non  ostaur 
«e  i  confrari  avvisi  del  fervido  ed  animo*)  papa, 
il  je  Cado  che  poi  chiameremo  Carlo  Magno ,  «por 
«ò  la  figliuola  di  Desiderio;  e  so  le  cose  ajesseto 
potuto  durare  dentro  al  torminedi  quegli  accorr 
di  che   si  fecero  allora,   né    il  papa  né   gli   altri 

(0  Cod.  Caro),  ep;  45)  alibi  49. 


DotizedovGooglc 


iiQ;  Dei.1^.  BivoLuzioifi  d'  Itaua 

potentati  à*  Italia  aveaa  da  pelarsi  dell'  all«saza  cito 
si  »tFÌosfl  tra  i  re  .Franchi  edi  Loagobardi;  conr 
«ossiachè  la  regina  promotriqe  di  quel  parentado, 
iodusse  anche  Desiderio  a  soddisfare  al  pontefice, 
con  cedergli  alcune  terre  che  si  pretendevano  ap- 
partenere alla  Chiesa ,  Ma  Carlo  non  .andò .  moN 
to ,  ohe  notato  della  sua  moglie  Lombarda,  o 
pentito  di  averla  menata  ilIegittimìuneDte»  s*  egli 
è  pur  vero  che  V  abbia  presa ,  vivente  ancora 
uni  altra  sua  moglie,  si  risolvè  di  rimandarTa^ 
Frattanto  la  morte  subila  e  repentina  del  fratello 
gli  diede  comodo  d*  impadronirsi  di  tutta  la  mo- 
nàrcbia  Francese  .*  perciocché  ,  com'  è  il  costume 
de'  conquistatori ,  poco  scrupolosi  osservatori  della 
ragion  delle  genti  e  della  giustizia,  Carlo  senza 
riguardo  alcuno  al  diritto  che  aveano  i  figliuoli 
del  mort»  fratello  di  succedergli  nello  stato ,  ri- 
dusse ogni  cosa  sotto  di  sé,;  e  la  vedova  Gilbep- 
ga  ,  già  '  moglie  -  di  Carlomanno  ,  si  riputò  a  scia- 
fila ventura  di  ritirarsi  co*  suoi  figliuoh'ni  appresso 
il  re  de'  Longobardi  suo  padre,  per  tema  che 
qualche  peggìor  infortunio  non  accadesse  a*  due 
pupilli .  Desiderio  tuttavia  diede  ricetto  di  buon 
grado  agli  esuli  principi ,  ■.  sperando  di  poter  a  no- 
me di  costoro' sdlevar  un  forte  partito  contro.il 
loro  zio ,  e  dargli  almeno  tanto  che  fare  a  ca» 
sua  *  che  lasciasse  in  pace  i  Longobardi .  Feqe 
anche  cercar  papa  Adriano  che  succedette  in  quel- 
lo stesso  tempo  a  Stefano,  perchè  consecrasse  i 
due  reali  fanciulli  jn  te  de'  Franchi  ;  già  ben 


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i .  "tìÉho  VIA.  Capò  IV.-  ^'  a*tf 

pel^tìàsó  aoéor  égli ,  quanto  valesse  appresso  i  popò-* 
U'  H  saperti  ohe  il  Romano  pontéfice  nconoscesstt 
«colle  cèriihonìe  della  sacra  unzione  dichiarasse  tìt 
questo  ò  quello  legittimò  té .  Ma  Adriano  notf 
età  per  triun  modo  disposto  ad  ÌDÌmicàrai  il  re  Cara 
io  per  cóinpiacere  al  re  Longobardo,  e  prendere 
flior  di  tempo  il-  parÉilo  più  debole.  Tra  perqaft- 
stì' dispareri,  e  la  brama  che  per  altro  aveva  na- 
tìiralmente  d* ingrafftìre  il  su»  regno.  Desidèrio 
non  Solamente  non  restituì  le  terre  già  pn'mà  oc-^ 
eupaic  alla  Chiesa,  per  cui  dolevasi  Adriano  per-' 
petuamente  nelle  sue  lèttere  al  rediT'ranci&  (i);' 
ma  vie  più  itìfellomito  contro  del  papa ,  s'  avanzò 
con  forte  esercito  fin  presso  Roma,  empiendo 
d' incendi  e  di  rovine  Sinigaglia  ,  Urbino ,  Gub- 
bio ,  con  altro  terre  della  Marca  e  dell'  EtruriS 
Romàna.  Il' re  Carlo,  scòrgesdo  inutile  ogni  altro 
spediente  che  da  lui  e  dal  papa'  s' tìdoperasse  per 
vìncere  1*  ostinazione  del  re  ILongobardo ,  finalmed'- 
te  messo  insieme  un  esercito  poderoso ,  s*  avviò 
iverso  ItiUia  per  costritìgerlo  colla  forza  a  soddisfe- 
re  al  papa,  e  certo  non  senza  '  speranza  di  occu- 
pargli il  regno,  se  la  sorte  dell'armi  16  fa^òrìs^e. 
Ma  Desiderio  non  era  né  meno  ardente,  né  me- 
no accorto  di  Carlo  ;  e  se  tión  che  mal  si  puote 
contrastar  col  destino ,  egli  fa  quella  volta  vicino 
&  cavar  U  voglia  a'  Francesi  di  fargli  guerra'. 

■     "  (0  Cod.  Carolin.  ep.  46  e(  seq. 


ovGooglc 


Certo  fe,  né  gli  scrittori'  SVaacesi  lo  cotifraddìco* 
no  (i),  che  Carlo  Magno  avendo  trovato  aHe  Al- 
la^ per  dove  si  lusingava  di  calar  in  Italia,  i'àac 
xe  Longobardi  id  igtato  di  contrastargli  il  passo 
6' respingerlo ,  andava  meditando  di  tornar  indie- 
tro dÌ8onoi(atamente,o  di  venire  a  qualche  ragio- 
nevole accordo  co' nemici;  il'  che  sarebbe  bastato 
a  rilevar  grandemente  la  riputazione  di  questi  prin- 
cipi* e  levar,  forse  senea  riparo,  al  re  Carlo  Ìl 
titola  di  Magno,  che  poi  ottenne  .  Ma  il  Bne  fa- 
tate della  dominazione  Longobardica  era  venuto. 
Ecco  una  notte  Tarmata  di  Desiderio  soprappresa 
da  inopinato  spavento,  dì  cui  mai  più' non  »  po-^ 
ih  acoprir  l'origine  o  la  cagione,  se  pur  non  fa 
tradimento  ordito  prima'  da'  capitani  stessi  Longo- 
bardi: e  senza' ascoltare  né  i  rimprovei'i  nfe  le  pre- 
ghiere de'  comandanti ,  tutti  si  diedero  precipito- 
samente a  fuggire  ;  e  i  due  rè ,  tirati  come  per 
forza  dalle  loro  truppe ,  mài  non  ristettero ,  fin- 
ché ai  fiiron  racchiusi  nelle  due  più  forti  città  del 
ixgBD ,  Verona  e  Pavia .  I  Francesi ,  trovatisi  col-' 
la  vittoria  in  mano  senza  tirar  pure  la  spada,  'se- 
guitarono animosamente  il  nemico  che  fuggiva .  e 
vennero  ad  assediare  i  due  re,  Adelgiso  in  Vero- 
na, e  Desiderio  in  Pavia.  Non  ci  dice  la  storia,' 
come  né  quando  si  arrendesse  Adelgiso',  se  prima 
del^padre,  o  nel   tempo    stesso;   bensì    sappiamo 

(■}  V.  Daniel  Hi»,  de  France  pag.  44^' 


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Dbro  Vni.  Capo  IV.  "  ass 

che  Desiderio  tenne  fermo  io  Pavia  per  molti 
mesi,  e  che  il  re  Carlo  per  non  istare  indarno 
sotto  a  Pavia  consumando  il  tempo  eoo  le  sue 
forze ,  andò  impadronetidosi  delle  altre  città  cht 
non-  poteano  far  difesa  ,  e  si  portò  iosino  a  Roma 
per  adorare  i  santi  appostoli ,  ed  abboccarsi  col 
papa .  Se  non  fu  per  allora  coronato  re  d' Italia, 
fu  almeno  riconosciuto  dalla  massima  parte  della 
città  e  ptorincie  ;  e,  come  già  arbitro  del  regno, 
dispose  d'alcuni  ducati  dipendenti  daUa  corona, 
e  rinnovò  le  donazioni  già  fatte  alla  Chiesa  da  Pi- 
pino suo  padre:  ciò  fu  dell* esarcato  di  Ravenna: 
principalmente ,  e  di  alcune  altre  terre  che  non 
è  facile  il  determinare .  Tornato  poi  verso  Pavia  ; 
ebbe  senza  troppo  indugio  a  sua  discrezione  il  re 
e.  la  città,  e  terminò  così  pienamente  la  sua  spe- 
dizione ,  e  pose  fine  al  regno  Longobardico  che 
avea  durato  poco  meno  che  duecent'  anni .  Dew- 
derio  condotto  prigione  in  Francia ,  finì,  per  quel 
che  fu  scrìtto,  santamente  1  suoi  giorni  in  un  hkm 
nastero.  Adelgiso,  trovato  il  modo  di  salvarsi  a 
Costantinopoli ,  servi  per  alcun  tempo  di  stimolo 
ad  alcuni  signori  Italiani  di  tentar  novità ,  come 
■  vedreiiio  ,  - 


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Db^j!  RnAoUtTZtomi/'lTAtiA 


Bagno  di  Cario  Magno  iu  HaUa,  e  fU-Pipivo.  am 
-jigUo:  vani  sforzi  de' Longotxffdi  perrùu^Kranti 
lo  stato. 


JNìusa  mutazion  di  stato  costò  mai  ^iritalia  ma- 
no di  laiigue  e  meao  travagli  di  questa  che  seguì 
sotto  Carlo  Magno,  ne  mai  in  minoF  tempo  pas- 
sò- il  dominio  di  lei  da  una  ad  altra  nazione .  Il 
Muratori  (an.  744  )  andò  argomentando  da  cert» 
sue  carte»  e  spezialmente  da  un  luogo  ootevelv; 
dell'  anonimo  Salernitano ,  le  cagioni  d' una.  si  so^ 
bita  rovina  del  re  Desiderio,  le  quali  si  riduaoBo.' 
in  lunnma  a  queate ,  eh'  egli  fosse  abbandonato  e 
tradito  da  moHi  deVsuoi ,  e  che  cotesta  diviùona 
d*.aninii  fra*  sudditi  del  re  Ibsse  nata  da' maneggi 
di  papa  Adriano,  e  dall' abate  Anselmo  di  Nonan- 
tola*  tiORibardo  accreditato  fra* suoi,  e  nemico  di  - 
Desiderio  fìn  dal  tempo  che  Bachi  aspìiÀ  a  rimon- 
tai sul  trono.  Comunque  sia,  il.re  Cario  vineito- 
re»  senza  punto  alterare  il  sistema  del  governo  nìf 
abolirvi  le  l^gi  stabilite  ,> prese  egli  il  titolo  di-re 
de'  Longobardi ,  che  aggiunse  a  quello  che  già  por- 
tava t  di  re  de*  Franchi  ;  cosicché  le  cose  d' Italia 
procedettero  da  quinci  avanti  non  altrimenti  che 
se  ,  morto  Desiderio ,  si  fosse  portato  sul  trono  un  - 
successore  della  stessa  nazione.  Meg^  di  offii^  altra 


=dDvGooglc 


ir  rtìBRo  VIU.  CAfro.y.  a*a 

brìncìpe  0  Italiano  o  Lombardo  profittò  dì  qu^ 
sto  TÌTolgimeato  il'  papa  a  U'-'  Chiesa ,  largamente 
edi  in  più  modi  beneficata  dal  vincitore.  Ma  né 
per  ftrttoii  qaesto  .twMie  il  re  Carlo  il  éqobo  doniir 
rf&'seDWi  (jnalche  soletto  ^  uè  H  papa  potè  go- 
der tranquilIamcQte  de'favori  da  lui  ottenuti.  Per 
Una  parte  non  mancava  materia  di  credere  che 
molti  de'  duchi  d' Italia  (  o  fossero  di  quelli  che 
aveima'CODspitato  pef'  la  rovnUi'  di  DeridenDj  e 
non  9Ì  trovaran  perb  ,  come  sempre  succede  id  ta- 
li-contiagesze ,  t^istevolmente  riconoecititi  ed'iil>!- 
granditi  dsà  Francese  ;  o  di  quelli  t^e  non  parte* 
cìpi  de'  passati  concenti ,  si  .eoggettarono  per  ne* 
cessità  al  vincitore)  tenessero  pratiche  con  Adel*  - 
giso ,  aspettando  che  questo  re  sbandito  eon  qual- 
che aiuto  deirimperador  di  Gostaatinc^li ,  e  ccA- 
le:-  inteHigenze  de*  sodi  antichi  fedeli  facesse  qual- 
che azzardosa  discesa  in  Italia.  U  che  per  aftrd 
non  ebbe  mai  effetto  alcuno;  e  Adelgiso  dovette 
finir  i  suoi  giorni  in  Grecia  coL  vano  tìtolo  di  pa- 
trìzio, che  gli  diede  per  consolarlo  l'impetadore. 
Quanto  al  papa,  egli  trovò  forti  contradditori  al 
possesso  -delle  città  donate  alla  Chiesa ,  dal  canto 
degli  «xàvescovi  di  Ravenna,  i  quali,  ptx  tutto 
quel  tempo  che  Tltaha  si  governò  a  nome  de*  re 
Francesi',  vi  fecero  assai  notabile  e  singdar  com- 
parsa ... 

Note  è  per  la  storia  ecclesiastica,  che  i  re- 
«covi  dì. Ravenna,  anche  dal  tempo  cbe.qnella 
città  fu  resideiua  ocdioarìa  degli  esarchi  imperiali  i 


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»34  Delle  Rivoluzioni  dMtaua 

eeroavaao  di  sottrarsi  olla  dipeoileBza  de*  ft>» 
mani  pootefici  per  quello  stetao'  falso  tàolo  , 
per  cui  i  patriarchi  di  CostaotìnopeH  CBKwnHM 
più  d'usa  Toha  di  far«  rioonodcen  per  prtiiar- 
olii  della  chiesa  uaìversde ,  per  aver  la  m49 
'  della  città  capitale  dell'imperio.  SappìaniD;altit«- 
Ui  che  il  principale  e  pììi;  ^dubitata:  «dottuai» 
di  cui  Pipino  e  Cadki  Ma§aó  fecero  restio  alba 
Chiesa,  si  fu  delle,  città  oanpraa  iwjl<«sac(^tft 
di  RaTeana  .  Peroioccbè^^ueya. provincia  eMe«i» 
stata  per  via'  di ,  firtto.  tetta  a* Greci,  e-wAM 
giusto  titolo  ooBBpatB  'da'Laogoèndi;  pctacaia 
aerto  modo  ntpppwi  uè  desìi  vois  joi.ilegUatoir 
fi  i  Fraadesi -ql»  Bo«  daran  dei:]»iopriDt  i"-  die-, 
derp  dOd  meno  >TÌtegiw  «tìa 'Chinfet  ;.  perahè  non: 
A  fatta  dootxndBi'i'aeanMiaMno.tnttaraAf'ilir^ga»- 
Italico  oh*  votevafa  fun-sè-^..^  atm  ^panévanò  -icM* 
tanto  di  fari  «orto  W-akmoai  obn< -danl*  euéroats; 
a  dii.lor  pìacet^a;^  iÀÌ>battnto':perta«tatilidDiAiBnti 
de'  £tot)gobapdK  o  «toLGau:  siiti  temp»  stteaò^.  o^nii 
spauuA  agi'  imperodori-Giecà:  ^  ritmarsi-.  ìb> 
ItaUa,'  gli-«nBTeK»tÌ!<dt.BaveitBa.  Van^anma'in* 
gegnando  di 'ae-ooppiafe' Mia  sfariCualè 'ine^v  autp- 
rjià  la  aoTruiiià  iteviponaìe.  di-  quelle  /teiÙTadciv 
4  farla  da  ardvncoTÌ  inreme  «  -da  Mwwhi.'  Se 
nella. storiai' A^DeU»i&asegaanov"»hc  jyciifBS«.-U' 
vite  di  quegH  arciTescoTi  fino  bl  >.to»po<<GAi*  ei' 
vÌMei  dMrfu  «rea  l'S^o,  man  maooalsà  quasi 
ioief^ntentc' 'quella  di:Lstai*^aucBCsscv«>  di'Sergù)  *. 
aH4vi;«iiutiOipt!9bdniÌDeate.|mi  dìM^tB  ragguaglia 


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Libro  VIU.  Capo  V.  aaS^ 

idi  queste  brig^.  Ad  ogni  modo  inteodiamo  dal* 
le  ktfere  di  papa  Adrìaco  L  ,  che  il  radd^Uo 
Wnrescovo  Leone  s*  adoperò  in  tutte  tnaniere 
per  -vfet  parte  nelle  spoglie  de'  Greci  e  de*  Lon- 
gobwdi ,  e  N  portò  anche  in  Francia  dal  ré 
Cavlo  per  questo  fine.  Troppo  è  credibile  che 
questo  sagace  ed  amjnaoso  prelato  s' ing^oasM 
di  far  intendere  a  Cark>,  che  avrebbe  egualnien- 
te  potuto  aervire-  a  onor  ^  Bto  e  de*  santi  appo* 
stoU  la  lib^nUtà  che  fesse  piaciuto  al  re  di  fare 
aUa  obieka  di  Ravenna,  come  a  qu^a  di  Roma; 
die  già  non  Dumoavano  a*  RoDuuii  pontefici  u- 
bertosi  patrimoni  in  più  parti  d*  Italia  e  di  Si- 
oilia,  si  per  mantenere  ool  neceraarìo  spleudore  i 
«ori  templi,  che  per  sovvenne  a* bisogni  de* po^ 
Twi  (  fioaimente ,  che  seua  profonder  tutto  ad 
una  sola  cliieea ,  svebbe  stato  basterole  dono  al 
pontefice  qualora  i  re  T^^euaro  <cedere  Ìl  ducbto 
Romano  oon  qualche  parte  della  Toscana,  ovve- 
ro la  Fentapoli ,  cioè  la  marca  d*  Ancona ,  senza 
du  ai  Gmm  smacco  a  Ravenna ,  la  quale ,  corto* 
mata  per  più  secoli  di  riguardarsi  come  la  tede 
degl' ioiperadori  e  poi  da' loro  luogotenenti  gène- 
re, si  vedesse  ora  dìvestiu  provincia  soggetta  à 
Roma,  dove  prima  si  mandavano'  da  RavNina  i 
(bici  o  governatori  subordinati  all'  etaxco  .'  Se 
Carlo  naa  concedette  interamente  all'  arcivtòcovó 
le  sue  ,dìmande<,  non  dissentì  però  v  non'  d*'op- 
j}Ose  come  avrebbe  potuto  fare  ^  e  come  il  papa 
desiderava  e  pcegafu.  E  forse  ohe  la  po^tiett 
Tomo  Ily  i5 


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^zG  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

de'  fraocesi ,  per  tenere  il  papa  in  rispetto ,  e 
per  tema  clie  col  farlo  troppo  grande  di  tempo-^ 
ra]  domioio  potesse  col  tempo  salir  sulla  cattedra 
qualcuno,  il  quale  scordevole  de*  passati  benefizi 
s'accordasse  co' nemici  della  Francia  oon. perìcolo 
dì  farle  perdere  il  regno  d*Italia;  senza  ritrattare 
e  ripigliar  per  sé  ci&  che  avea  protestato  e  pro' 
jnesso  di  dare  alla  Chiesa,  non  di^eDtjsse  perciò, 
che  l'arcivescovo  di  Ravenna  dividesse  col  pon- 
tefice Romano  la  giurisdizion  .temporale ,  e  la- 
sciasse durar  per  sua  propria  sicurezza  quella. ge^ 
Ipsia  fra  gU  unì  e  |;li  altri,  per.  averli .' tutti  più 
dipendenti  e  fedeli.  Ma  q\ialunqu0. si  £d8s^  l'ani- 
mo dì  Carlo ,  certo  è  almeno,  ,che  «otto  il  suo 
jegno  e  sedendo  in. Roma  Adciano.L',  l'arcive- 
scovo d^  Ravenna,  cui  il  papa  sqlea  chiamar,  ne- 
fandissimo, si  tenne  soggetta  qon  pur.Bavennà, 
ma  Fàénz^,  Forlimpopoli,  Forlì,  Ce!jena,XQaÌà(> 
chio,  Imola,  Bologna,  con  alt^e^terrp;  e,  cerc^ 
aiicsota  di  levare  al  papa,  la  mafca  d!,  Anct^g. 
chiamata  allora  .Pentapoli.(i)V  Viera  .ijbsi  fe  Vbf? 
à, lungo  andare  i' amjiìzionf  degli  .arcivesc{>vi>  Ra-r 
vennati  e  de' cittadini  c\\p  la  foméqtavajip,;  i-estò 
ìbrtemenfe  delusa  ;  ^  tutti  gli  sforzi  che  fecprb 
per  innalzarsi  o. sopra  Rpma  ó  al  par  ài  Ul  t  j^à 
àl^'Ò  non  servirono  che  ad  Impoverire  ed  umiliar 
d'avvantaggio  quella  chiesa  e  qi^Lla  , città.  .-'Cr^ 
parte  de. tesori  si. profuse  in  più  ocoasiónij  afi^e 

(i)'AdrÌ»r.  io  Cod.  Carolìn.  cp.  53,  54;  et  ap.  Cenni  ÌK 
Mouuin.  dominai,  pontific  5t,.S3.  ...    -^  ,  . 


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'   tiBHo  Vili.  Capo  V.  ii'J 

tìi 'jgùaJagnarsì  TI  favor  de*  Francesi  (r).  Le  cose 
pin"  prezióse  che 'nella  città  si  trovavano  ,  furono 
jiortate  via  dai  re ,  allorcbè  invitati  per  boria  da- 
'gli  arcivéscovi,  a  passare  jieJlà  città  ^  di,  mano  in 
mano  T andavano, spogliando  de' suoi  ornamenti, 
per  adornarne  o'  Acqulsgrana  >  a  altro  loro  luogo 
di  Francia  o  di.Lamagna. 

'  '  Òr  mentre  il  re'  Carlo  ajadava  temperando  gli 
effetti  delta  sua  lìbéraÙità  verso  gli  ecclesiastici 
con  méttere  qualche  contrappeso  a  chi  poteva 
pigliare  troppa  superiorità  nelle  cote  d'Italia ,  Cf 
gir  proyvidc'anch'e  ■per  altiQ  modo . afìa  conserva- 
zione dì  sì  beir  acquisto ,  e  alla  soddisfazione  de* 
nuovi  sudditi  in  .tempo  di  sua  lobtEtnanza  ;  giac- 
che la  vaètTtà  de*  suoi  'domini  j  e  la  fer'pcla  de' 
confinanti  lo  chiamava  '  ora  '  alle  rive  ctel-^énp 
tonìro  ì  SasBiitu  che  gif  diedero  per  irent',  anni 
continui 'maféna' di  guèrra",  br" contri  ì  Ou'ascp- 
tii,  "or  contro'  i  Saracini  'dì  ^à  de* Pirenei',  ^u 
bostume  dèi  re  Francesi' con  solamente  dì  dichia- 
rat  colteghl  del'regnò^i  figliuoli  (costunie  ancora 
praticato'  dàgl'imperadori,  che  assóaaronsi  '  i'fi"- 
gliuoli  aiicor  bambini. ali*  imperio),,  ma  di  asse^ 
gnar  '  loro  una  parte  degTi  stati ,  perchè  la  govèr^ 


dà  Wrani  anche  in  vita  del  paàr^,| 
usanza 'che  porlo  seco  bea  pretto  la.  rovina  "de? 
Carolingi ,' benché'  in 'sul' principio  non  paresse 
altro'  che  utile  per    avvezzare  '  i   gloTani  prìncipi 

(i)  V.  Murai*  id  tu.  7ft5j"elilitn   -  '  '  '■ 


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^28  Delle  Rivoluzioni  d'  Italia 

all'arte  di  governare,  e  i  popoli  alT obbedienza 
di  chi  dovea  cui  tempo  succeder  nel  regno.  Però 
Carlo  Magno,  passati  appena  sei  anni  da  che 
egli  s^era  impadronito  d'Italia,  dovendo  da  lei 
partirsi  per  tornare  alla  guardia  d^K''antioM 
stati ,  e  per  conquistarne  altri  nuovi  ;  dichiarò  e 
fece  riconoscere  per  te  d*  Italia  Pipino  si»-  se- 
condogenito, fanciulletto  di  non'  pUt  che  quattro 
anni.  Sotto  un  tal  re  ben  è  manifesto',  che  gli 
iafiari  dello  stato  doreano  '  pretider  regola  e  movi- 
mento dalle  lettere  di  Carlo  ì  da'  goTematotfv  e 
da'  balli  lasciati  o  mandati- da  lui  :  Non  pertanto 
,)a  presenza  di  un  principe  proprio,  beDchi' fan- 
ciullo,' giovara  assaissitno,  massimamente  ila  uh 
nuovo  stato,  qua!  tra  pé*FraDceii  il  r^od  d'I- 
talia, a  mantenere  la  moltitudine  nella  drWzfo- 
>ie;  ed  erb  non  debol  Htegoo  a  chiunque  fosse 
stato  tentato' d'ustìrpare-il  titolo  di  re;- f>atianÌo 
ipoMegno  ed  organo  prindpale  delle  xdse  d^Ita&a 
'  p^re  .ohe  fosse  lo  stesso  pontefice  Adriano' Ì.'i  di 
'cui  leggiamo  parecchie iettcrb  -sopra  diversi  aifii- 
rì  temporali  di  provìncia  noti  comprese  ùelte  do- 
nazione fatta  alla  Chiesa  (i).  Oltre  -ai  Tipetti 
.  delPaottca  corrispondènza  e  dei  mirtu!  tiffiil  ^s- 
'Wti  fra  loro,  il  re  Carlo  Magno  aveà  a&corft  uó'a 
'>;^t]ne  particolare  di  confidarsi  Iklpaf^  pet  Is 
'  coi^e'd'  Iiatìa  nella  lontuiànzA  fiia^  e  béfift'  pueiì- 
litii'^ 'Pipino';  .•..■■'     .i  ■ 

.     ti),V..,Cod.  Carelin.  ep.  ;4  ,  88.  —  Murai!  «ciVn-jSif, 
■pag.  i4€.  —  Eginùrt  aiind  Ùanicì  pag>'465  et'»:^,    '^'' 


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Libro  vili.  Cai'ò  V;  aàg 

^Effitava  nel  cuor  dell'  Italia  uà  potente  capo 
falla  parte  Lombarda,  ed  era  questo  Arìgiso  duca 
di' Benevento.  Costui  non  solamente  nella  caduta 
elei  re  Desiderio  non  volle  sottomettersi  al  vincì- 
.tnr  Francese ,  ma  prese  anzi  motivo  di  sottrarsi 
da  ogni  dipendenza  che  potessero  pretendere  i  re 
à*  Italia  sopra  Io  ^afò  Beneventano,  e  in  vece 
del  tifolo  di  duca,  che  dinotava  subordinazione, 
prese  .quello  di  prìncipe,  come  sovrano  ed  indir 
pendente;  e  fattosi  dal  suo  vescovo  ungere  ed 
ìDcDronare,  portò  poi  scettro  e  diadema  alla  rea- 
le.t  £  nel  vero' poco  gli  mancava  per  farsi  stimar 
uguale  al  re  di  Lombardia ,  da  che  egli  possedè^ 
va  iquaqi  .tutte  le  provincie  che  or  formano  il 
reame  di  Napoli  ^  e  per  conseguente  una  porzioa 
j^ItaU^  pteo  inferiore  a.  quella  che  obbediva  dì^ 
.Rettamente. ai  re  de* Lombardi.  Or  Car1[o  llilagny, 
per  effJor^vee  traversar  ^.an^amenti ,  d*A^]gi'■ 
■td«>a9n  poteva;,  troTiu*  persona  più ,  accioncia  die 
tAdrianq,  nemico  >  a  spada/tratta  de*  Longobardi  « 
«  {ìartlgiano.  ,  dichiaratissima  della  dominazion 
IVaD0è8e.>..Viei;a.è  che  Adriano  colle  poche  forza 
ddi^vòidomisio  mal  poteva  resistere  ai  LongOr- 
.I}dF4Ì  'di  Bén«ve^»^nè  i  duchi  vassali  dt^  r« 
,4*/t9M&  ei-aoQ  j^enipre:  x>btfedtcnti  ;^gU, ordini  ^e  ^ai 
tuggpriméntii  df  1:  fervid9..,e  .Attento  -pontefice  {  t^- 
.r^bè,.  q^ieUo  cVe^lì  fe^..per  l'iorfinario^  eradi 
^Ileoitar'  con  sue  lettere  e  co^'suoì^mfSSMgg,!  C^- 
Ip  Magno,'  perchè    colla    forza    invincibile    delle 

sùfc"  S):mì ,*  venisse"  in  'persona  a  iloi)iai;'.'ii'fi(!ro 


=dDvGooglc 


;t3e  Delìe  Rivòli/ziohi  D'ItALU 

AHgiso  ,  ddioso  anche  particolarmeiUs  al  ^fuuf^fi- 
ce  perchè  non  cessava  d'occupar  qualche  term 
che  o  era,  o  si  preteodeva  appdrtnMataid  iut 
Pietro,  Né  vane  furono  le  istanze. <  del  .santo. ptk- 
dre  ;  perocché  Carlo  Magno,  calato  inrJtalùj, 
non  ebbe  a  stentar  molto  per  ridane  .aHii--«tifi 
obbedienza  Arigito,  il  quale  intìmontD  att'avvl» 
che  Carlo  veniva  a  lui  »  cercb  subito  ^  dì'  calas*- 
I6,  e  promessogli  un  tributo  annuo  di  ìsettcBiilft 
ioidi  d'oro,  e  datici  'ptt  istattcfaì  ì  duo  filitiwlj, 
de*  quali  poi  ilaolo  primogenito  Grimoftld»  futile 
■Carlo  ritenuto 'e  menato  viat  sqampò  il  perio>jU> 
dì  maggior  roTtna  ;  Non  è  ben  corto  »■  -non 
astante  'la  fede  data  e  il  timore  di  -ca^outtr  il 
malanno  al  figliuolo  che  era  in  poter  di-€atiUik, 
il  duca  Arigisòlasciass*  dì  :  tener  cocrispondenfee 
e  maneggi  bon  Adelgìsù  già  re,  v  coi  -Greidt,  ipRr 
alihAttere  la  potenza  ée^'FpaatnA  insidiai  -e.ve< 
'rfituirpi  il  regno  de' Longobardi  (.ly.  Cedameato 
li  papa  ne  sfavar  fa  gran  timore,  e  neiintnttiaya 
cbn  sue  '  lettere  il  re  cli.&andà  (2)  ,  Ma  «he 
«he'  si  fosse  ^e*  dimgRÌ  '  e  dalle  jnuicdbHia«icMii  di 
'ArÌgi»o , '  egli  mori  a^o 'stesso. anno  .in  ictii  .a^era 
giui'ata  obbedienza 'at  reXkrlo!;' FuVl^  sua^otor^e 
iàfirrtfata  pt^F>bAbilmei)té  -dal^^  doioee.^deUQ  '  sa» 
'W^tut^;  percidcdiè,  oitre  all')BBeri\d<»mtO'>^- 
'  ^ie^arsì  va^alfo  éopo  avèr:f;QBtata.:e,  (inuitata 
PÌUdrpendéQzat  si^id«  aneha  pord  4^4Hf)  cqri 
(0  Cod.  Carolin.  ep.  59,  et  apnd"Cenni  $f.  '  '  '    '*'  '' 


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Libro  V//I.  Capo  V.  aSi 

-figliuoli ,  i'  ano  mortogli  ìa  questi  frangentì,  l*al- 
tro  tuttavia  rifcouto  statico  in  Francia.  Da  que- 
'Bt* ultima  disgrazia  in  fuori,  era  stato  An'giso  un 
-principe  glorioso ,  e  nella  storia  Napolitaoa  ancor 
di  gran  nome ,  per  avere  con  buoni  ordini ,  eoa 
'magoifìci  «  Ticchi  odifìzi.:  e  pon  nuovi  titoli  di 
*sóvpaìi?tà  governata  ed  illustrato  una.  .sì'  nobii 
parte  d'Italia.  Ma  la,  disgrazia.  d'Arigiso,  e  la 
^perdita ':che  di  Uà  fecero  i  B?Df!!veotaDÌ  >  fii  ripa- 
nata  in  gran  parte  -d^l  ^generoso  ^ìino  di  Carlo 
~ifóagno.  Non  -ebbe  egli  per  questa' vfilta- riguardo 
aite  cpdirairio.  persuanooit  .d*rA-drìanD  papà  che 
bobsigliaralo'  a  ritenersi  ptesso  di  4c  Grimoaldo , 
fìgKuolo  riiwasto  unico.  4' Af igiso,,  ■  e  «irbolire  od 
•fbdeboHr  ODO:  dividerei  tea'  pib  tjoQti  ;qMel  ras^ 
ducato  ,i  -  daUa-  vioininizi^^  ei  pdtea^  .'del  ^uaìe 
avrebbe  «empire  avuto.  Ift'Qfai^sa  ^ttfnfuia,;  dì-,c^e 
-f emere. ■  Non  ostante. queqi^  JcSpugiuii^p  dettfi^ia, 
TòHé*  Oirfo  riitabiiir  to^.  itaiì^  p^terpi  ;JI:  gwsaue 
©rìnK«ildoi( AN.'788kì),.  -il:  quqle.con/^.soHitìta 
venei^azion^  cho-s'iagè^  di  nio«t,E^(Q;  a(  s,uo^.pa- 
^rónei  'ttdn-  era,  ki  dir  neroi.  i^meirifeTole  ; ^i 
'quella'  fortuna  :  Ma  qoantupque  ilt  FsCarlp  ablva 
-àvuCb  ■»!&'  primr  aaài.  giusta. ..ragione  4i  ,chia;[f^m 
•pago  di'quMtb  rsuo  creato,,, il  quale,  o(trO|l|e;aI- 
'%e  Àondtzicori' che  fedélmente  oe^ers^ ,  dì.  ipitg^r 
't^batOj^di  radecsi  Ja,  bacbA,  e  di  .voittii-e..  ^a 
''F^abo^sé^>  fede  ;  aubora  valida..  r^sÌBtenza.a;' (>p(^ 
che  minaaci^vaDo,  di  far  una  discesa  in  Italia 
-;C0D^-:  buone  ■  armate,    a:  .cUpsq   de'.  JFr^ntasi  : 


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*3a  Dbm-e  .RrvoufijiqNfjiìMTAUA 

ciò  aon  pertanto  il  successo  fece  poi  conoscere 
che  Carla  Magno  sollevò^. nel]a  jiersona  dì  questo 
Grimoaldo  duca  un  potente  emolo  al  suo  figlio 
Bipino .  £r^p  d'ctà^.fjqasi  eguali  il  priodpe  .di 
jBeneyepto.  ,B  jl  rj?  d'It*ilia,  e-p^M"^  iuiciie,4a,:%cre- 
dere  che  l'uno  non  cedesse  gran  .fatto  all'altro 
di  valore,  di  magnanimità;  e  a  quel  di  più  che 
avea  Pipino,  d'autorità,  di  seguito  e  di  consi- 
glieri,  .cqme  re  e  figliuolo  di  iiQ  gran  monarca 
che  .rì^pieva  il  mondo  del  nome  suo  ,  siippliii(^ 
Grjinoaldo  eoo  quell'. accortezza  :che  le  passate 
iVig.ende  gli  arean  fatto;. acquistare:  dovechè  Fi- 
dino, era  fìo  dalle  fasce  allevato  n^lla  prosperità. 
NAcquft  dupque  grande  gpra  fra  questi ,  due  gio- 
.K:af:;i^  prodi  principi,  mentre  l'uno  non  .pQte« 
spfferir^alcur-*  egualq,  e.  .l' altiro  notiVQleajrico^ 
noscere  alcuo  superiore:  p^>  la  qual.  co&a  ebf^ 
iVIt^lia  ^  essere  ,  spettatrice  ,  c^  -  guerre-  piuttos^^ 
ipteres^nti  per  l'aspetta^ion  .  del  &ucoe^,  che 
rovinose  ^i  popoli. cke  1?  aostennerQ  .  .U  :Vero.  ^^ 
cbe.i-suc^cessi  dì  quc^e  guerre  nop.ci  son.  punt^ 
Iloti  f9rti<;»9^'mente:.iioi  salpiamo  soltafdo., ,  c^e 
Pipino,  per.  qu^uiti  sforzi,  abbia  fatta  .-9.  fin^  di: 
i^^lringer»  QEy]:\o^do-.a  fargli  om^ig^^.npp  po- 
tè mai  yenirne.a  capo,  Se  .noq  ifhg  vuul ,m,Q^ 
ìjnnjatu^a  .tolse  a' Longobardi  e.  a|,;B^eiH^tj^Ì 
^op  sppimp  loro  .rararaàripo  un  principe,  ch^  da,-. 
vgi^.|i-altF.'»peran2e  di  s^a  virtù;,  e,  qn^l  ,,cbc  ft.- 
I^g^o^;  alla  morte  di,  lui  .^venne  dÌp\To,-tepz^. 
jli^i^. intervallo  I4  ^eeadepza  di  quella.. stato.  ..,-. 


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Libro  Vili.  Capo  VI  sSa 

CAPO       VI. 

Rùmopellamento  AeW  imperio  tT  Occidmte  :  mgio- 
ne  di  questo  faiio  f  e  quali  mutazioni  cagionai' 
se  aUo  staio  d'Italia . 

JVl  eatre  coti*  armi  ili  mano  s*  ingegdav&no  I  due 
gióvani  eroi  o  di  accrescere  lo  stato ,  o  di  asnou- 
rani  I*  iodipendeaza,  covavasi  Ìd  altra  parte  Del- 
le menti  d'  uomini  più  di  toga  e  di  stola,  che  di 
spada ,  '  un  piti  notabile  avvenimento  e  di  maggie» 
rìlievo  ;  e  il  papa  con  mere  cerimonie  ed' onora- 
te aecoglténke  guadagnò  per  sé  e  i  successòri  sàóì 
[HÙ  d*  aaforità  »  che  non  poterono  far  altri  boa.  ar- 
mate schiere. ^ Questo  arreùimento  fit  lA  cfeazio? 
ne  d*  un  imperador  d' Occidente  ,  dignità'  òtte  d^ 
ben  trecent'anni  era  passata  in  disuso,  e  pddd 
meno  che  in  totale  obblio .  A  questa-  mfemotablle 
novità  diedero  in  parte  moh'vo  quegli  stesat  riguar- 
di che  già  avean  ridotto  i  pontefici  a  ribattere  agli 
aiuti  Francesi  per  librarsi  dalle  molestie  e  dal- 
P't^presstoDe  de' Longobardi ."  Ma  l' ultima  .spttifA 
procedette 'da.  circostanza  particolari ,'  che  qui  lire-' 
VemMtG  esporVenJo-  Irene;  già-  moglie  àì't^ii^ 
IV.',  TresSe  alcun; tempo  l'imperio  d'Oriente  coflie' 
futriee  e  pof  come  compagna  del  suo  Bglììiól' Co- 
stantino :  ultimamente  Tenuta  con  lui  a  nimicizia- 
tcoperta ,  Io  depose ,  e  gli  fece  cavar  gli  occhi^  e" 


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iS4  DeL&G  RlVOLUZlbKI  D*ÌI!ALU 

morto  pel  dolore  il  ciatlivo  e  maUreitfaìo  mipera-' 
dorè,  e«sa  prese  a  t^aar  da  sé  sola .'  Tbovandei^ 
si  perb  una  femmina  sola  «ul  trono  imperiali!  ^  òo- 
sa  affatto  nuova  ed  inaudita  ,  potea  non  senza  rah 
gione  pvesfunefèi  l'imperio  vacantr.  -E  se  in  Co- 
stantinopoli ,  nuora  Roma  -,  par  jk>  {imor  delle  for- 
ze presenti  non  sì  ardiva  procedere  ell'elesione 
d'un  principe  non  v*  era  né  legge  he  cwnsuetui^ 
ne  che  -obbligasse  Ruma  antica  'a.  sfarsene- neghit- 
tósa e  ibdolenfe  nell*  iùiftfchid  .  Ciò  àoi^  pevlant» 
8Ìi  a' Romani  sarebbe  forse  caduto  mai  In  pèasie>- 
ro  dinaseumere  il  perduto  diritto  di  crearti  Vitti*- 
peiadore','  uè' Cariò  Magno  ,  ancorché  -pieno  'di 
^rìs  sopra'  tutti '  gf  imperadori  che  da  ■  Teodosio 
in  poi  fÓ8S«'  saliti  «ul'  trono  ide'cèsari",  e  potente 
di  «blti  it  doppio' più  die-  non  fossero':  da  buda 
tempo  i  Greci  augusti ,  non  avKbbe  ardito-  di  as- 
sumer quel  titolo  ^. anziché',  ^n  ostante  la  'viltà'e 
la  deb^eiiza  degliultimi  imperadori  di  Gostariti- 
sOpólì,  rta  ancor,  jft  -dignità  -imperatoriaied  ii'sor 
me  Romano  «b'tssi  portavanoi  tuttavia,  in  tzde 
velnerazibne',  che-  Carlo  Aesso,  benché'  dopò  la 
acooBtta  de' Ijongobàrdi  più  padrone- di- Rema  ohe 
i  Greci  augusti  in  Bìaftuzio ,' non  isdègcaVà  ^ìkó- 
mendarri  col  solo  titolo  dr  paiano  ;>  titdu  'ofaei'a 
quel  tempo  non  altro  importava  che  vloa'rio  e  lui^ 
góteàente  imperiale4  Macorme  d*^  ordinario  raddàr 
viene  che  le  angustie  assoUjglìatìo  16  vamA  um^ 
làe^  e  suggeriscono  !spediea]tti'>e  disegni'a  ciii  nò? 
«i  «aiiebbotittesoj(lti-imentìj,cDsì  varamente  in  att^e 


ovGooglc 


,1  Libro  iViH.  Capo  VL  »3S 

«Tirava^'  tei^db  (arsecUHooii  aal  vslètìte  pob^ 
^i£ee^  Leon  X^j  bonéepì  i^aìto  e  nuovo  ^BSièr^ 
«U- portare  alle  cote  di  Oceideiite  buotiì  splendo^ 
MDi-.scerescBre  alla  digmtàpapald  Un  niurro  Siritv 
te,  euri  ttmpì  stesso  óiostrfft-si  ia  'maravigth^ 
oianiera  riconoscente  ad'  «m  stio'  beBefdttoFe .  Era 
-JLwDe  ili.  lucceduto  a  papa 'Adriano  (11.  ;  e  le  tuo(i- 
*a  «ìrtù  di  lui  conosciuto  dal  clèro  «  fìat  popolo 
ftamano'  non  lasei'aranó  sella  sua  eleziode  mate- 
ria, d*  indogio  e  di  kisga*  dtliberazioae  ;  '  Ma  neHà 
(■ràtioa  idei  governo  troppo  è  facile  di  sconte'ntard 
■fiorai  e  d'eccitapRi  nemici, -cjuailunqufe  «istéraà  ta 
|MgU.:ai'teguin( .  Pasquale  e  CiUìipoló ,  L'uno  prit- 
imicMiià'e!!' altro  sogreslano  dt^la  chiesa  Rotóaóa 
e  D^pate:d*Adriallol'I.  ,'TiBati  anleadue  al  comanì- 
do < sotto  il  psatìfìcato  pMcedentOj  mais!  potevoiM 
■«Bconciare  soU»  il-auvro  governo.,  ed!  malvada 
li.  vedetti'  costretti  dì  /ar  ior  copie  -ad  un  nuovo 
frìnoipe  e  a  traòre  Qt^ature ,  dove'  pWitm  'erano 
•lati  oorteggiatì  e  vènevai^  c(«iie  padroai .  Volle^ 
yb.dunque  praoder  veaàe\t3L  del  pontefiee^  cl^  all' 
tre  ing^rie  mon  faeea-  lorot  ohe  quella  <dt  non  la*^ 
soiai^ieignòr^giare  e ifarse  tirannpggiaM  a'iortwi 
hmlin  G4ìii^f£zi  co^icuì  che  teoeano,  il  eeguttd 
jdie Qoloró  ohe  aveano  altre'<volte  beneficati:,  t^ag^ 
giabtai  d^«l<niiri  malcontenti ,  di  cui  kionVè-mat 
tàiao  liiMneimoin:  nna  governo ,  rendevan  facib 
i^adenqiiiiHDto  ddP«&)pia  moIu2Ìóne'.  Con  tfO<> 
pvdi  irasoQQti'e  calunne  andarono  dvGbmando  H 
Mpbr  padre»  e.pre|MUSMido  la  gentv  M  tiàota-ok^ 


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^3(S  t)EttÈ  RtVÒLtliiiÒNr  D'ItALtA 

medifavauo/  Poi  in  tempo  di  pubblica  plt)ces9nM 
fattolo  assaltare  da' loto  uomini*  érmatì;  éononrp- 
bllìsìrapatei  lo  riiiséró  prigione  nel  raoHaster»  di 
fianf  Erasmo  (an,  799).  Se  di- peggio  noft  gK 
accadde  in  quella  azione,  fu -o  miracolo ,  ore»- 
pebtiiio  ribrezzo  cbe  prese  i  malfattori  ìa  ^^)el 
jiunfo,  o  destrezza  iua  propria  oetreTÌtei?e  i  eoU 
pi  malmeDati .  Ma  I*  intento  de*  coòf^urati  énl  pe^ 
cèrto,  che  gli  fossero  cavati  gli  occhi-.  Frattaata 
f^a  per  IMaterposiKiòne  d'alcuni  mìniìttri  di  Gaiio 
ò  (fi'Pipiao,  e  pel  pronto  arrivo  di Guinigiso ^diì^ 
éa  di  Spòleti,  cbe  accone  subito  al  primo  AjaitM 
fé,  il  pontefice  fa  tosto  liberato'  dalle  maiù  à^ 
siioi  nemici ,  e  poco  dopo  se  n*  andb  in  Francia  a 
ìàvltatoTi  da  Carlo  Magno ,  o  dopt>  àrerhe  egU 
stesso  ricercato  il  gradimento  e  la  liceneai  Jb  eam* 
hia  egli  vi  fa  condotto  con  Bothmo  eerteg^O'dalL 
Ib  stesso  re  d'Italia  Ftpindi  e  ricevuto  god  «guai 
|iòmpa  dal  re  Carlo .  Fermosn  sAcaa  t«»po'  in 
quella  corte;  ni  però  <n  dice  la  storia ,  che -coA 
vi  si  trattasse  partieolarm^rte .  Quindi  fo^on  bsH 
la  e  nobile  compagnia  di  prdati  e  di  eonCt  nCDO^ 
dòtto  a  Roma ,  e  ad  onta  de*  suoi  avversari  tipcU 
sto  sulla  santa  sede.  F'cce  Conoscere  anche  col  :8fi^  ' 
esempio  ci^  che  per  infinite  altre  stòrie  è  mai^ 
fetta,  cioè  che  le  calamita  de*  grinsdi  'tiomiai  bck 
nò  d'ordinario  compensate  da  gloriosi-  e  spl«ftdiéì 
fóccesii.'  -  '^, 

L'anno  seguente  al  raooontato  caso  di  pa^ 
teonst  che.  fu  l' ottoceittesima  ^U' era  volare  ^ 


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,  LiBao  VUI.  Capo  VL.  ^Bj 

VvaScAf^  M  nGarto  anch'esso  a  Roma,  fece  buo- 
j^v  neereba.de.* congiurati ,  e-  naovo  .esame  delle 
accuse  4ate:at{iOBtefìce  (i)  .Fonigli  udì,  e  oonr 
lèrnaò  1*  ÌDDocenza  dell'  altro.,  noD  vi  ai  essendo 
tcorato  obi  poteste  dar  praore  de'  delitti  apposti 
al  pontefice'}  il  .quale  al  postutto  invitato  a  jen- 
dep  eagioDB  a  s^  stesso ,  giurò  d*  esserne  innocen- 
te. Or  era  d' uopo  che  un  sì.  segnalato  favore  che 
Leon  Uh  avea  riceruto  da  Carlo  Magno ,  non  fosr 
ee  laEciato  seasa  qualche  uotabìl  seguo -di  gratitur 
ditiB.  oa  era  il  buon  pootefioe  di  tal  cacattere, 
ohe  volesse  con  dispogliar  ia  sue  chiesa  i-egalfir 
^de* sacri  tesori  il  suo. difensore  e  il  suo  patrono;, 
nè'Carlo  era  di  iì  vile  anino  »  che  potesse  gradj- 
t»  tal  ricompensa.  Ad  un  remagudUimQ  e  aman? 
tè.  di  gl(H:ia  .si  couveniva  qualche- attestato  d'onor 
iìB  straopdipario .  .Eld  ecco  in  ,qual'  ocoasione,  seguì 
la  memoranda  rìnuQvaiÙQni^  dell*  imperiai  djignitjf 
in  Occidente.  Foct?^ stante  dal  giudizio rcfae  si.for 
ee  con  soleanità  grandissima  della  causa  de'  «od.t 
furati  e  del  papa,  vepnc^Jl  ffioroo  del  santo jiar 
taIe,-ìo  Qui.  tutta-la  «orte  del  re  ipueme>oon  in* 
finita  moltitudiD»'dìEU)[nayoi  interveanero  alla  «op- 
hmae  messa-  oh^  caotjp  ha  ^eiso  papa  uella  basili- 
ca,.  VMipapii.;  ja  qtnl  messa;  terminata,;  iu.qaello. 
ohe  ogai.uotpo:  fttava  per  unir  di  chiesa^  ilpapa 
l«t[)<re4entb  ^  re  -eoo  uaa  ^lendidae  rìnc^  ooro- 
na,  e  mettendogliela  sul  capo,  intonò  hi-ivot^.^ 


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«^  DEltE  RiVÓLtteldOT  b' frAlU 

AncM  acoIamui<WB .-  o  'eario  pSiìlliti)  ìagtéHìi 
bBotm*  à  ih»  gmnib  t  pdcifitd  in^Kmhm-, 
mia-,  ».  vtOaia  :  la.  qual'  acolatnftrioné'  ripètuta  con 
«tomo  giubilo  àa  tatto:  il  clero,  dalli  :  nòbiftii 
•-dil')po{x)lo  'ch^era'in  t^iaui  ,■  per  ■  ctftDpimeiMó' 
dclh  funiiìiiie  il  pouteSoèuDle  «<n  olia  unto  il 
Diunrd  :elettD^  ed  ilsuo'figljo'fìjpino  ofae-'si-fro^a» 
va'ipnseote.!  ".■    "i-  i       ■■  , ,  .  r¥-r,  'I 

.  fer  raolta'ehc  i. Greci  abhiaflò''(>^eaitnifi<gf 
questa  fàUo,'«  (|iialtnic}ue  sieno  sopra' oiè  f-pérè^' 
lì  de' .moderili' stonci  ^  certo  è  HeodimniO'i  «e^ 
guMiama.  ogni  cosa  *)n  occhio 'Bioccroy  òhe  It^ 
pena  «Icudo  ide' piisati- cesari  ^iHi^ctib  pife  ^gttfr*" 
ato.  titola  la  corona  imperiale,  se  pel- ■artcBIBrii' 
«u  Togliam  credere  ob«  mtiggiop  dirilb)  akesset»' 
creare  un  prjocipe  un  braucO' di-soldati'ti' d?'H4' 
baldi(  poBu  qiKso^tiiccedevai  di  fetto/'  ehé^WiM- 
^  ordini  uidti  itasiema  d'tHt»  èittèf  èsjtitafe^^ieS" 
*  dea'  impeijo;  mo  meao  obo  'si  fete  CteS*-»' 
tì»polf;  Ma  ilfiitlo  «tappar  esèljliohl-awe^spà» 
«o.per  mia .tumiliaBria  Mctóntóiiane  dr  guMiliV' 
di' .addati, o  di  :po(iolaiioio,  c(4i,odfaed»hi|ifeiaSS'^ 
re,  cbe  «  dar*  ,a.<*i  fci«*l«ioi  lietóilàsii^»' 
rivai  òonveni™  poi  aHa-ini^ioi'i  parte'  détlc  iftWA  ' 
piegar  a. collo  foraataMeat»  «MtoJlavWgW  ài  eM" 
po<».|>cinM  «a  àomo  IJrjvato  e'raddSlb  j'Bk'ft-' 
ooroaaaoBC  di  CnrlolMagM  '«ié  già»  efU'tóori'' 
di^Bonia.*  di  tolte. fc.;|pro»ioele'  ebtf'foHIi&ii''- 
ne' tempi  addietro  l'imperlo  d'Oècidnltl!,-iiiod"il  ' 
fece  altro  che  dar  U  non*  .„  ibi  g»  t«Bà   la 


ovGoogIc 


;,  ;,.  tiBpo  Vfltt.  C*ro  Vii  1         aSg 

st^to  ptfieifia  4^-  Homa,  ,4abe^  C^rlo  «ibbmivduta 
prende^  i^  tìtoli^  j^.^lJA  mò^.  1%  ijualÀ^pcrtiu 
gic^  (liL.C(^Qa)8ta.,^^ebbejpptuit9i  ridUcre  'in  pio* 
Via«#rSe/poi^Cat,IQ&]{)gaO::a|Hbia  <deadeiatolcpi(H 
sto,,|^£Up.tìt^h  e  tratt^tpneanticìpidanoiiletcdl 
papf^,)^-^  pr^^ti  diiBoma^  0  datovi  abnBiia 
r assenso;  la  Tarìetà  de*  racconti  che  ae^.itvoHa 
^iit^ti '<^VlaipÌ4i;Ia.dpbI»fo.  Certo  fc  faene^.  oho 
9^-,fatt9  4t9Q  n  {^piQiMk  e  che  jcpwteb.oAUs opere ^ 
chp4J|  n^y/^,  tijEpIp.,KW  gU  Jii  dÌ80ftBft.< fiottìi 
e^'aodib  di  .CQoyfiUd^i;  quinta  «m  di^tà,  e  adlo 
st^o  te^po  di  iiuAV;l*»niQ.,eiraltilDnBpeiw  mai 
le  jQf^e  ohe  rìcOKò^^ella  yedoTa<iinpwàdiiot)'Ii«^ 
ta^y. .  ]^a,.  i  jgra^di  eli.  &)Btaétiaopfdi  iafarmcrti  di 
qU^to,  tr^t^it^^-e  ;noO;;V9lflQdoi  diitolltltit  sudditi  «^ 
co^tiglafii  d'uniiòrpptìeKj  «.d'^Uii  fnnaase^  tfJtt* 
to  rpbJpiedienza.AC)  henei  fli  pcatàtDDO.stil^hnbii^ 
Niceroro  i.. Verone  :(}}^  ÌL  wiqwf,  «ilgiistD.,  it  ip^ 
sospetti. j^terqi  di-,£KÌqni  contoasié,  ;  e  per  la '^e^' 
bolez^a  4e^;«u0:st3ttoii4-,«9niparamaaei  della  pMH' 
d^zza.^i.  (^lo  M^iKjj  i^be  pqr  ^ran'iiutb^  di 
stfim,  ip  pace^on  lyi  «  ,ct4eteriauiatido  i^dafÀtì  ^' 
r  «ap  &  l'Hltcp  impefiÌ9k.:rì«»io9e^r  l'eletto  inip«^ 
tador  d'OcciiJesite  ptìc  ^Piwilega'  Pe»  la  cpiial  «fr 
sa  se'  alqua  dubjii^  -fqsK  potuto:  EÙgia^eK  'ioCoftu» 
alla  legittiiuità  dell*  elezione  di  Carlo  Magno,  que- 
sto dùbbio  per  la  oonf^rmaziojie  del  Greco  impe- 
ra^ofc  fu  tqlttj  via» 
.1    Ma  .alta  fine    qual  oolnhiatoùBto    teeb  ftl 


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%j^  DuLE  RivoufZfONi  d'  Italu 

gomno  d'Italia  e  ddle  dtre  pioràoie  1* adonta 
d*  un  mIo  titolo  al  potH*  reale  die  già  avea  Car- 
la BieutaoMiite  ?  Meatre  dorarono  i  ra  d' Italia 
Mìa.  «cbìMft  Candina ,  Teramente  |»08uano  i£re  ■ 
«bet'haKa  poco  dvrario  ebbe  a  provare,  obe  vi 
£mm  o  do  r  imperiai  dtgiriti  ;  m  rm  che  arendo 
Cario  Magno  costituita  questa  corno  bmis  pémù' 
pale  fì-a  ^  altri  titoli  eh*  egli  avea  di  ùrraiùtà, 
e  die  lasrib  a*  snoi  *  ot^ui  che  per  d)spe«inoBe  d«i 
padre  N  trovava  vestito  del  titolo  d' impemdcxv; 
«t  presumeva  aver  maggioranza  d*  aotoricà  stupra 
gli  altri  eredi  deHa  monarchia  Franeeae  e  del  re- 
gno d* Italia  (i).  Ma  in  processo  di  tempo,  al- 
lorché venne  a  mancare  la  successione  de*  Carli, 

•  cbd  il  regno  d'Italia  uscì'  dì  mano  a*  FraBceri; 

•  molto  plh  da  che  mancarono  affatto  {  re  d"!- 
talia,  coloro  che  furono  creati  impavdori,  per 
pfcooli  ohe  avessero  gli  siati  propri  ed  ereditari,' 
pretewro  ed  eaercntarono ,  quando  poterono ,  uoft 
certa  superiorità  Boprà  i  principati  e  le  repubbli- 
che che  si  ahdaroa  formando  daHo  smainbnuxien- 
to  del  r^o  de*  Longobardi ,  o  dell*  imperio  Ro- 
majio:  cosicché  per  lo  spailo  di  molti  secoli  ap- 
presso poche  riv^uAcmi  avventiero  in  Italia,  a  cui 
il  nome  d'inìperio  ncm  desse  occauìoiìe  o  prete- 
sto ,  come  a  suo  luogo  faresbo  menziode . 


(i)  V.  Mant.  «d  aoD.  8i]. 


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LiBBO  Vffl.  Cap9  vii,  s^ 

CAPO         VII.   .  .    ,      .      ' 

Ve^  ultìmi  armi  di  Cario  Magno:  ^prbicìpiì^ 
deMàema  <iel  rggno  Francese  in  IlaiJa  sotto  -ti 
giovane  Bernardo  IH.  re,  e  soUa Hodofico Pi& 

.  ]j7ifieraik3re.    ■  -  ,  .     .       .   i     ■    . 

JL^  prosperità  di  Carlo  M4gao  .conunciarono  dqV 
suoi,  ultimi  anni  ad  essere  mescolate  ,di  moUe  ar 
mare^ze.  I.  progie»8Ì  de'Daiusi,  chiamati,  allorn^ 
comtitiemeDte  Noi-maoDÌ,  cioè  uomipi^del  sftt^D- 
trione ,  non  sensa  fatica  contenuti  *t  aegOQ  dai  lui 
8'tesso ,  gli  davano  forte  tipipre  che  col  .tewipqi 
avtfferp  &  fe^ar  grave., disturbo  e  ti^av^gUo  a'sijoi 
aucpesson.  In  f»tti  ooì.vediretaoi quella  oaaio{ie  non 
solamente  ipfestar  la  Fi'anoja  e, ridurre  qupliregovi, 
air  estremo  »  ^i^Venire  eziandio  dalle  ultime  spiagrj 
gè  delr  Oceano  occidentale  a  fondare  un  nobil  r,ea' 
me  nei  confini  d' Italia .  A  questi  timori  di  maji 
estnngfpi  e  rimoti  ^*  a|;giuasero  i  disgusti  presenti 
per.  gli  scandali  di  sua  famiglia,  e.  per  la  perdita 
de'  figliuoli  primo  e  secondogenito:  sltoile  infortu- 
nio avendo  angora  in  questo  al  primo  augusto  e 
foodatore  del  Romano  ii^erio.  Di  queste  sv:entU7 
re  domestiche  ebbe  singolarmente  a  partecipare  lo 
stato  d^  Italia .  Dei  tre  figliuoli  legittimi ,  e  già' 
fatti  d'età  matura  ed  abile  al  governo,  morirono 
i  due  maggiori ,  Carlo  destinato  re  della .  Francia 
Tomo  TI.  i6 


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342  Delle  Bivoluzioni  d'Ixaua 

orientale*  e  Piptao  redt  Jtalia;  e  preyenoero  Vana 
Si  tre,  r  altro  di  Quattro  Anni  la  morte  del  par 
'dre .  Era  giunto  Fìjpìiìp  'vi  alK  età  ^i  treotàqvaUro 
Bofii,  quando  morte  iEbportuna  Io  toUe(AN.6io} 
ini  genitore  ed  al  r^oo»  ìq  tempo  appOato',  che 
pel  vìgpt  dégU  anni,  e  per  la  praticnt  già  a.c(^t»,4 
«tata  e  del  oìtìI  govetoo,  e  del  mestiere  dell'armi 
era  ftitto  capace  dì  fegoaf  con  van'ta^o  de'sudf 
diti ,  e  laude  suft ..  Kon  solamente  in  Italia  egH 
ftVea  avuto  a  far  guert-à  pHma  coi  Benevéntanf  ^ 
è  pòi  co' VeDeriani'  (tratto  rafooio  e  nòli  Ti^n  sn 
>  ctiró  della  stòria  Veneta);  m&  si  t^ra  anche  àdór 
fetAto  nelle  cose  di  Gerilaaóìà,  dovè  abilara  col- 
}e  foi^e  del  st]d  regno  a  decoddar  le  imprese  cid 
padre.'  Lascib  egli  im  suo  figliuolo  dì  tenera  etk 
per  flomie  Bernardo,  cui  CarloHagooglidie^per 
toccessoM;  e  1* Italia  dal  governò  d^^ùó'  prtnoi^ 
'à*irk  perfetta  ed  esercitato  al  cotuando ,  '  tassb 
nUovameute  'sotto  1*  attutiinùtrazione  d*uD  faiiciul- 
h  ;  Questo  danno'  fu  tuttavia  per  afcùn  tèmpo 
menò  seiRìbilè  per  la  ftaTÌez2a'e'  per'  V  esperienza 
d'iW  tjttìm^o  miaiatfo  cbè  fu  Adélarjo  jibàte  di 
Cort)eìa ,'  già'  aio  é  priricTpal  corisiglièro  del  mor^ 
io  ~re,  persona  non  isieiiò  celebre'  tiegH  annali^ 
ecclesiastici  e  mòtiasrici ,  che  nella  stona  dei  re 
^''FràDcia  e  d'Italia;  perché,  olire  ài  merito  wó, 
egli  era  aflehe' nipote  di  Carlo  Martellò,  è  perii 
cùgitìo  di'Cdrlo  Magno.  ArévaAdelardai  per  com- 
pagno nel  ttiioistero  un  suo  fratello  per  nome  Vaia, 
uomo  secolare,  ìai  di  lealtà  non  meno  esperìm^ntata. 


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"'     tiBtio  Vm.  Capò  Vlt  448 

KessWQ  questi  due  fratelli  it  regno  d*  Italia  e  la 
fadciullezza  dal  té  Bernardo  ■  nt*  due  o  tré  aom, 
bh' ebbe  MaOot  di  vita  il  già  vecchio  inipecadore; 
Aia  mòrto  Carlo ,  è  succedutogli  t»^  neirimperìct 
tome  nel  t^gno  di  {'ràdcìa  Lòdovicd  coguoniiuato 
il  Fio, 6  H  fionarìot  titilco  superstite  de*  fratelli, 
|)oco, stettero  à  fatsi  sentire  gli  effetti  del  nuoro 
goyenu)  »  e  Bernardo  ebbe  tentostd  A  óodosoere 
come  fbss6  diverso  l'affettd  d'  un  àvolo  ridotto 
6uàsi  air  orbita  «  dd  iquel  d*  uno  zio  che'  ^veya  fi' 
gliiiott.  t  cortigiani  i  invidiosi  forstj  del  credito  de 
due  fratelli Adèlardo  e.Vala-j  insinuarcelo.. al  nuor 
Voinlperadore,  doti  eiser  cosà  pei^  lui  aicura.  cl^4 
due  uoniTui  di  nascita  si  chiara  e  di  tautat  IripùtaT 
iióai  fossero  lasciati  amministratori ,  d^  un  ai  bei 
regnd',  qual  ftrà  1* Italia,  sotto  nome  d*.uii,  re  fan^ 
òjullo .  Mo^  CI  Volle  molto  perchè  Lodovico  -Qata 
(jbtt  qualità  propne  à  lasciarsi  àggicaré  da^  suof 
éortigìani  «  rìchianiasse  d^  Italia  e  cacciasse,  ancha 
iri  esilio  1  duci  bravi  ministri,  alla  caduta  de* .qua- 
li poco  stette  à.  ièoei'  dietro  la  rovina  del.re  Bei* 
nardo  <  Ma  benché  Loddvitid  trattassd  {juésto  xé  it^a 
nipóte  con  poco  più  dì  rigore  é^  di  dcudeltà  1  ,clm 
non  SL  sarebbe  dovutd  aspettar  da  titt  ^rénto  ..d 
da  un  principe  cbe  pottb  ùotxM  di  Pio;  bisogn» 
dodfèssar  nondìmend,  ch'egli  merità>:]'il  parte;|cl 
«degno  dell' imptiradoi*  per  tsser-capq  à*  una  rw, 
belllobe ,  là  quale  siocoma  si  trasse  dietro  incoa" 
tanetite  mutà2ion  di  go^ertiQ  id  Italia  «  òost  fu  for^e 
^ìiì  tèmpo  ocdaeione  delle  turbolenze  che  nacquero 


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a44  Delle  Rivoluzioni  d'Itàlu 

nella  famiglia  di  Lodovico ,  e  della  rOTÌna  totaro 
della  potenza  de*  Carolingi .  Prendiamo  pertanto  là 
cosa  succintamente  dal  suo  principio .  Lodovico  au- 
gusto, appena  passati  tre  anni  da  che  ^i  era  re- 
stato  solo  sul  trono  di  Francia  e  dell*  ilnperìo , 
l'olle,  ad  imitazione  di  quanto  avea  fatto  verso  dì 
lui  lìles^o  Carlo  Magno ,  associarsi  uno  de'  figliuo- 
li nella  dignità  imperiale,  tuttoché  avesse  non  già 
gli  stessi  motivi  ch'ebbe  Ìl  suo  padre,  ma  piut- 
tosto flirti  ragioni  a  fare  il  contrario.  Aveva  egli, 
oltre  al  nipote  Bernardo  che  rappresentava  h  per- 
sona di  Pipino  fratel  primogenito  di  Lodovico,  tra 
iìgliunli,  già  tutti,  o  almeno  i  due  primi,  usciti 
di  fanciullezza:  di  modo  che  qualunque  dì  loro 
avesse  prescelto  per  farsene  un  collega  nell'impe- 
rio,, non  poteva  ciò  farsi  senza. disgustare  gK'  al- 
tri due  fratelli ,  e  con  questi  il  nipote  (i)-  Ciò 
non  ostante  in  una  dieta  di  baroni  ne  '  prese  pri- 
ma il  parere,  «  dichiarò  augusto  il -figliuolo  mag- 
giore ,  chiamato  Lottano.  Avvegnaché  questa  mag- 
gioranza di  grado  d*  un  de'  fratelli  poco  piacesse 
agli  altri  due,  ella  dispiacque  forse  d' avVàntaggio 
a  Bernardo,  al  quale,  come  re  d'Italia,'  pareva 
che  più  si  convenisse  il  titolo  d' imperador  Roma- 
410  (2).  Avea  questo  principe  fin  da' primi  anm 
dopo  la  morte  di  Carlo  dati  segni  di  pocadivo- 
?ioue  al  re  di  Francia  suo  zìo,  pretendendo  fórse 

"    '■  [i]  06  hoc  fratret  inài^iiatì  funf-.<Tegaat  affatiti.  817:' 
^3]  y.  £l«DÌeI  Hill,  de  Frloge  pag.  Sd^i  et  «eq,     ''  !'t . 


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I 


.    tifeio  vm.  CAPd  vn.  '        £45 

lai  voler  governare  I*  Italia  da  vero  sovrano  ed  in- 
dipendente ;  laddove,  regnando  Carlo,  tanto  egli 
quanto  il  suo  padrePìpìno  la  reggeano,  non  ostan- 
te il  titolo  di  re,  quasiché  da  semplici  governa- 
tori. Ma  la  differenza  era.  manifesta  tra  1*  obbe- 
dienza dovuta  al  padre  ed  all'avolo,  e  quella  cW 
potoa  pretendere  uno  zio ,  in  tempo- che  i  regni 
s' usavan  dividere  tra'  fratelli .  Or  vedendo  il  re 
d'Italia,  che  Lodovica  destinava  ad  altri  l'impe- 
riai dignità  con  suo  pregiu<ìizio,  non  si  stette  a 
covar  ■oziosamente  nel  «eno  il  suo8dtìgno(i).  Sa- 
pjBvasi  alla  sua  corte,  che  molti  de'  signori. e  de' 
prelati  Francesi  si' trovavano  mal  soddisfatti  di  Loi 
dovico,  sotto  cui  si  vedeano  scaduti  da  quella  ri- 
putazione che  avean  goduto  sotto  Carlo"  Magno, 
Si  può  anche  credere  che  questi  malcontenti,  fra 
ì  quali  il  prineipafe  era  Teodolfo  vescovo  d'  Or- 
leans, sollecitassero  Bernardo  a  farsi  capo  del  lóir 
partito-,  e  muover  l'armi  contro  la  Francia.  Ma 
Lodovico,  e  i  suoi  favoriti  che  aveano  eguale  in- 
teresse, al  suo  in  questa  congiuntura,  non  tarda- 
rono guari  d*  aver  notizia  della  conspirazione  ;  é 
prima,  che.  il  re  d' Italia  fosse  abbastanza  fatto  for^ 
te. per  resistere  alla  potenza  dello  zio,  fu  cosfret" 
to.tji. darsi  per  vinto,  e  di  venire  ai  piedi  dell' ibi't 
peradore  a  chieder  mercè .  Così  la  raccontano  glì 
storici  ì'canceai  ;  ma  la  cronaca  d':^adrea  prete, 
che  aliar  vivea ,.  ci  porge   argomento   di   crederà 

.[1]  Uemoria  del  Governo  di  Milano  d«l  conte  Giorgio 
GiDJiai  loui.   I,  lib.  %f  pag.  to|  g. 


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S4Q  Delie  RivoLuziom  B'ItiuA: 

ebe  Bernardo  fu  trailo  io  Francia  dalle  false  proo 
mente  di  pace  e  dì  buon  accordo,  che  gli  fece 
1*  imperadrìce  Ertnengarda ,  la  quale  eoo  insìgno 
perfidia  Io  trasse  al  laeck>  perpoferé  colla  rórlott 
'di  luì  'pròocurar  Riag^ìore  slato  alla-  sua  peole . 
Venuto  adunque  m  Fraocta  il  re  Beivarda*  ^yri^ 
eevuioTÌ  con  molta  fierezza  da'  Lodorica  che  ri 
lasciava  guidar  dalla  moglie ,  fu  subitamente  co- 
stretto a  nominar  tutti  coloro  che  aveano  avuto 
parte  neNa  soa  rìbelltooe  ;  Poi  fattogli  tlprocesio 
in  tìo^  a!!^emblea  di  baroni^  fa  (strana  ràcaÌKon 
re  )  condannato  ^  pèrder  1^  testa  come,  reo  di  iel^ 
Iònia.'  L^fniperadore,' perfài^K  grazia,  drdlnb'c^ 
Iti  vecÈ  di  tagltarglt  la  testa,  fosse  solgmeate ' «e- 
eecato,  ìmitàodi)  in  ab  la'barbara  pòl)titta'>jdelfci 
corte  dt  Costantìpbpolt,  dove  da  più  d*'UD'«a<x4o 
èra  invàlio  il  costume  ^abbacìn^tfè  gt*  tmperado* 
ri  'deposti  e  gli  aitri  -prìgioniert .  Ma  1*  or^'oe  di 
privar' degli  occtiì  l'infelice  prindpe  eTu-  eteguiio 
(yn  sì  poca  piacèToIezzav  che  in  ineao  di  tre 
èìòrqi'  nie  perde  la  ritct .  Così  LodoTÌeo  rioiÀ  Del- 
la sua  persóna  il  regno  dMtalia,  e  si  trafvÀ''s%DO- 
re  eli  rulli  gli  stati  posseduti  'da  Garid  Magna  suo 
padre '.' FWice  fui,  gè  dopo  avere-  con ' tantòt  sens- 
riià  punita  là  ribellione,  non'  fbss^  sconaiglièUa- 
meote  caduto  negli 'èirtrèmi  afiattq  contrari ,;  ^e 
h  rendettero. poi  dolènte  e'tniserQ  per  tuno^n* 
manente  sp&eio  (tei  river  «uo  I  -     •■  ■'  *  ■>    ~  j---: 


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.   imn  VHL  Capo  Vili,    t  847 

■   ,      ..,;,    e,  A.  P   O.      vili.       ,       _     ^ 

iJO/XDtttno  i.  impenàor»- e  ro,'^.IUiUa;vari  sucr 
>  -43aai  tUtiaanafi^eUiiWit  conerà  il  p(i^-:  ^-kvrt 
-  '  A  dsl  imnac»  ■■  J^aìa  pfim^^-  miiìiso^  ^U  stai» 
f-  p€f  h  coiS<D-£  Jtaliai 

L.p.ooQ'S^nte  dalla .  aorte  di  j^raardq,  IMmpo- 
/md(»r,.£4^Qvico,  .già  pùnairiinastpi  vedQvo  ^  fu 
■jter.OojUfglio  de'sucà  iadottQ  {t  menac  altra  sppsa, 
la  qUàI  iu  GÌMdÌtt«  figliuola  4*  n^^r  Q"&I^  nobilìs- 
-sim»  fiaTapeiB..E  forse  per  ieror  alla,  ouoya  veg^ 
«fia  lar presenza:  d'.UQ  %li^9,  e;  perchè  Lottano 
4hhii  fq««f  ifit^blig^to  a  fj^r  8M9  ^oirte  ad  uqa  matri- 
.gDa«,'il)^tB«id^~^t.gpTCnio  delle. pfovÌQoif!  ()Ì  ^uà' 
de£i'  AJpi,  aggiugocDdogU -al. titolo  ..cl]e.,gi^  pqr- 
tatya4'iffipe!i;ad(jj"re,,  queHo  di  re.  d' I**^'*  v  Ff^^ 
.'tanto  ^eooì  de,*  partigiani  del  je.  Ser^ardo^  ch'.^ 
MHu».  fit^tir  f elogiti  in  varie  ist^e  0,  ia  Qioiiasterì, 
•fatóDe:- piai  favore  di  qualche,  ocpulto.  congiiirato 
i.  sofiapftto  «UUfi.  rovii^  (»mune ,  o  da  .qiivJfuique 
- jd^  ;ù  .fìMftft  :ÌDYÌd>i;^  della, /a3don4oinÌDaiitfi,.ri^ 
-sUaiB^ti  «Ila  cprte^i).  {nsiijua^  c»Btoco  destra- 
rtmeotfl^fttpasle^  di  A4^*c^  »  -  tsinH  dbeco.e  prp- 
diiJaoi)ipt4»ila;Hi^''m(^eatìa  e.s^iiUa^  vita  cb^  mf' 
nava   nel  monaateEQ  ,   ch/^  ,ìl,  trpppf)  .ntutabite 

[1]  Ballibert.  ia  Viu  Walae,  —  EgiaarL  ia  Annal.— 
V.  Daniel  «no.  811 ,  pag.  579. 


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348  DEttt  RivoLtiziONt  p'Itàua 

imperadore  lo  richiamò -flllft  corte,  eabbaqdOQato 
ph'i  che  mai  a' consigliai  lui,  restituì I^uiagraa^ 
quasi'  a  tutti  coloro  che  prima  n'^anc)  4?c04Mti^ 
Me  qui  ei  stette  la  boatà  di  Lodovico,' m^  ccw? 
va*  azjooe  più ,  conTeuieote  ad  uo  novizio  rel|gip,- 
•o,  che  ad  un  reggitor  di  popoU  »  i  in  aOraerosft 
adunanza  di  baroni  e  prelati  del.  suo  reggo,,  qqq 
pubblica  confessione  accusò  se  stesso  di  ciò  eh*  em 
seguito  nella  causa  del  re  Bernardo ,  come  di  up'  ior 
giustizia  enorme  e  scandalosa,  ancorché  eglinoA 
Bvessie  fatto  altro  che  eseguire,  con  dimiffuiinento 
di  pena'  la  sentenza  portata  da*  giudi^  legittima^ 
mente  deputati  a  quel  processo.  Or  unatto.^'ur 
mittà  così  irregolare  dovette  screditar-  fortemente 
il  governo ,  e  levar  via  dai  sudditi  quell'apiQÌQDé 
troppo  necessaria  per  la  pubblica  tranquillità ,  «he 
il  govemp  agisca  sempre  con  buon  fondamcQtp.- 
Comunque  sia,  l'itna  e  l'altra  corto  di  Lodovico 
e  di  Lottano  si  trovò  governata  dall'arbitrio  di  due 
fratelli  monad,  Adelardo  e  Vaia,  l'uno  divenuto 
ccmsigliere  ìntimo  e  ministro  ^i  Lodovioo ,  l'altro 
mandato  iquovamente  con  Lottano  inItalia(AN.8a2)^ 
dove  già  avea  sotto  Bernardo  con  grandiesim*  au- 
torità amministeato  ogni  cosa.  Noi  poesiamo  forse. 
attribuire  al  consiglio  di  cotesto  monaco  che  sicu- 
ramente fu  de' grand' uomini  di  quel,  secolo  (an- 
corché non  vada  esente  da  rimprovero'  ogni:  siùt 
azione  ) ,  tutto  ciò  che  si  fece  di  buono  tanto  nel 
governo  civile  ed  epclesiastico ,  quanto  nel  ristora- 
mento  degli  studi  nel  regno  d' Itali»  pei  ht  spaaio 


ovGooglc 


:...  liàlo  Vm.  CapòVDI   •  049 

|8(  é^a  «ette' «UDÌ  d^  feifipo  che  Lof tario  ne  pie* 
Sé  ir  amminfstrHzione  fino  alte  turbazioni  grandis-t 
sitiie'cbtfsilfcvaronoper  tuttorimperio  □eIl'83o(i)t 
Ma  U  uuoTa  regina  e  iniperadrice  Giuditta  «nda-^ 
-Ki.,pi«parando  materia  a  novità  non  più  udita-j 
l.a  bellezza  di  lei  e  Ja^Tivaoìtà  del  suoiog^oo  U 
fendeHefo  subìtanrenteatb^'à  'de*' voleri  di' iuò 
Biarrto ,  il  quale  per  le  Bt^gesttosf  di  GKiditEa  ikté 
voleva  >  come  donna  di  gr^ade  '  aniBH> ,  «imAM(ti<^ 
strAr  rimperìo,  cominciò  a  peirtirai' d'aver  oedut 
to  troppo  precipitosamente  al  figiiutdo'  l  staoi  ■■sta*» 
ti .  Ma  questo  rinorescimecto  fu  assai  più  fortti  ( 
tiUorcbè  la  novella  sposa  gli  .  ebbe  partorito  uà' 
quarta  fì^ìuol  mascbio ,  a  cUi  fu  datoiil  noiAe  dr€àv« 
io  ;  e  ohe  direnne  poi-  famoso  neHa  rtoria  di  Fraiic̣l 
ffitto  nome  di  Carlo  il  Calvo.  Troppo  era  naturate 
che  dcpo  la  nascita  di' questo  figlÌDalo  UBStiésse  ai 
genitori  il  pensiero  di  provvederlo  dì  stàttf';'  'èet 
uopoera  per  cons^uente  di  scorèiar  le  porzìorf 
già'  destinate ,  e  quasi  già  date  in  mano  ai  ti-e 
fratelli  maggiori  f  o  acquistEtre  Un  nuovo  regno 
al  principe  Carlo  .  Questo  secondo  spédtente  tton 
era. né  conforme  allo  spirito  dolce  e  pacifico  del- 
l' iniperadore  ,  né  facile  a-  tentarsi- senza  l' i'nter-' 
Tento. degli  altri  figliuoli  che  già  arcano' in  raa^ 
no:  le  forze  Tuno  d'Italia,  1' altro  della  Germa- 
nia Foancese ,  1'  ultimo  di  bea  mézxa  In  IVanóìa' 
Gallica-cbe  portava  nome  di  regno  d' Aquitania'. 

[U  V.  ap.  MaMll.  taec.  4  Benedici.    Vit.  ,W«Jae,    «v« 
Àt3e»if  ab.  Coi;Ì)«)eD9.  pag.  3^8-9  ed;  VeQ, 


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lS«  Deixe  Bn^uziom  p'  Italia 

Sì  (r»tt^  adunque  d^  qn  puovo  paPteggiivneiitQ  <)( 
«ttrti ,  per  dividere  in  iqoattro  ^ttfi  la  nyfssa,  doU 
ifr  stato  cyeraù  da  {wima  p4itÌto  ìr.Up^  I  tre 
ììfateHi'  «li  non  potea  pÌBo««  (presto  proftettq^ 
«ema  trofei  oontpUmentì  feoeso  accorto  V  inpt^ 
néix9  e  la  sua  corte,  ck*  em  non  erano  per.  acr 
««WDtìic  à  nuQira  divisioiie  di  rrgoi.  (l):  tavtf 
ohe  da  una  oosa  aU' altra  n  ve^ao  a,  dis^owine 
apei4ft  tra  padre  e  BgliiniU  «en  inBuìto  scandale 
V  degli  ucmini  t^  aUora  ¥Ì7e£tiio ,  e  de*  posteri 
a  cui  la  storia  lasciè  xo&tasza  delle  p«r6die  e  de^- 
gli  spergiuri  cba  furoB  commessi  ia  quelle  o^tì- 
Date  contese,  e  dell'abuso  che  f«(»ro  taoti  ve>- 
«GDvi  e  taoti  monaci  dell'autorità  e.  del  credito 
lato,  per  sostenere  una  manifesta  ribellione,..  ^- 
po  principale  ^i  que'ribcHi  fa  Lotlarìe.rfd'  Ata- 
lia, ooffle  quE^li  cii'cra  e  più  degli  .«Itri  iote^M* 
iato- tf  non  lasciarti  scemar  la  paile  che  a  UM 
leccava  della  suocession  patema.,  e  ohe  .oelll  ain- 
.bizirae  e  nella,  cupidità  di  oan)andare..fiuperavaii 
fratelli  nainori .  Ma  toccarono  anche  a  Ini  i  prinù 
cattivi  frutti  eh*  essi  ebbero  a  laoco^liere  .^1  lo- 
ro ammutinaménto  1  £  la  caduta  di  totta^iq  pro- 
cedette da  que'oMsa  stein  ohe  aveva  scelti  |>er 
fermarsi  più  sicuramente  sul  trono.  Aveva  egli 
■tentato  d*  indun»  il  buon  Lodovico,  a ^ risanar 
totalmente  all' imperio,  e  gli  alTe%ma9^t<hd^  at- 
torno due  monaci  che  credere  d'aw'^a^agnati» 

(■)  Vita  liodovici  Pii.  ->  Eginar.  in  AniuL   ap.  Daniel 


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ti- fiìieHK'.  pfet^soadcifto  a  pnndw  T  abito  teU'- 
^róso'.  Mft  irc/vaàào  i  monaoi  il  «ecdii'o  te.poooi 
ìdiiposto  àd'tibbraec^  fuetto  pairUto,  1- un  d'est 
«>  p«rfionie  t^omb^o^  intrapreaet  un  <  maiipggw» 
ìdakb  diVeno  da  quello  che  Lottano  tuptUava, 
Fercfocdièo' mosso  Terameiria  a  oompassiesa  d^ 
CìnfelK*  re,  0  sperando  di  riceva  da  lui  magr 
gior  ricompensa  che  bob  avrebbe  avuto  servHulo 
liottario,  seppe  sì  bene  adoperare,  che  neoneilia?- 
fi-fd  padre  i  àaé  midon  figliuoli,  Kpinfi  eLodor 
Vièò  (tì' Baviera,  'U  partito  d«l  vecchio  impe^ador 
ita'tonìfr  n  forte;  che  egli j:rùtabi)it(>  nel  trono, 
poti'  floche  punire  tutti  i  còlpevdi  doUa- ribelUcv 
tie.  Pu  però  Lottarlo  privato' del  tifala  d*im|>era- 
dore',  egli  fu  solamente' lasciato  il  regno  d'Italia, 
a  condieiobe  QDOòra  ^  ébsooo  dovesse  far  cosa  di 
moment^  sènza  là am»  prinui  paxteoipe  U  padr^;, 
tacendo  qud  Agno  ntiovQinehte  accetto  ^la  oa< 
iona  F^anoése  (i);  ondedbè  tocnofiaen^  in  Loa»- 
bardia  più  coafinio  e  woroato  del  mal  successo , 
chéipentito  della  sua  impresa.  Come  ^tt  fisco 
appresso  n  sollevasse  di  auevo;  comti  d*  accordo 
eòi  diiè  lì-atelli,  facesse  rìbelkc  tutto  lo  stato  al 
suo  padre;  come,  fatto  prigiotm,  il  facesse  oon- 
'd&oaatt  da  -un  oòncilìabola  di  vescovi  ad  una  pe- 
^ÉiieoM't^Otìioa  per  vane  imputanooì  di  delitti, 
6 'il  riducesse  a  viver  da  penìteate  in  un  nioca- 
'|tè»i  di  S^issons-j  'fd  costreUo  dal .»  dì  Baviera 


(■)  NiUi.  lib,  I  ap.  Daniel  pag',  611. 


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(t5|  DEtLE  Rivoluzioni  o'  WAtiA 

SUO' fratello,  il  traesse  di'qudla  religiota  prigìébef 
e  finalmente  dopo,  varie  vicende ,  [ìrevaleDdò  il 
partito  del  padre;  Lottarlo  fosse  uà' altea  volta 
rimaDdato  pieno  di  -  coofuàoiie  ai  ^uo  governo 
^'Italia:  iitm  è  cosa  che  si  apparten^  al  sog;get-r 
to  di  questi  libri .  Se  non  che  gioverà  riflettere 
che  in  que' cinque  anni  che  Lottarlo  si  trovò  oun 
tanto  calore  invischiato  nelle  civili  guerre  di  Fran-' 
eia.  le  cose  di  queste  ptovincie  non  poteron  pfo^ 
cedere  altro  che  male  per  le  mutazioni  frequenti 
de' governanti ,  pei  diversi  umori  ed  interessi  chn 
avevano  i  conti  e  i  duchi,  e  per  una  specie  d'a* 
garOhta  che  nasceva  necessariamente  dal  sentirsi 
che  ora  Lodovico  .Fio  ^  ora  Lottarlo  preyabvano  ; 
ed,  ora  a  nome  del  primo,  oca  a  nome  dell'altro 
u  r^geva  T imperio,  e  correvan  gli  ordini  e  le 
spediiipni .  U  celebre  monaco  Vaia ,  già  nomina'^ 
(o  .di  t  sopra ,  il  quale  avrebbe  potato  fer  mena 
male  che  qualsivoglia  altro  de'miniatri  e  .favoriti 
del  re,  fu  egli  pure  dalle  aoHecitazioni  der^suo 
signore,  o  da  falsi  pregiudizi  di  zelo  tirato  a  par- 
te negl' ignominiosi  maneggi  delle  gu«;re  civili* 
e  passò  il  più  del  tèmpo  in  Francia  in  tutt*  altro 
opere  che  di  solitario,  finché  eueor  esso'^  tornata 
in  ,Italia,  fu  da  Lottano  fatto  abate  di  s.  Colom- 
i^ano  in  Bobbio  (i)..  Ma  né  Lottano  stette  Inn- 
gamenle .  quieto  al  governo  del  suo  r^^no-,  ni 
V^Ia  nel  suo.  monastero.  L'imperadrìce  Giudittài 

(0  MabijI.  Anaal.  Bebediu.  -"      t  ' 


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/iiIJB^ó  Vm.  Capo  Vili.  à58 

«tata  par  ^addietro  nemioa  capitaliesima  ediEof:- 
tariò  e  di  Vaia,  si  mosse  ultimameote  a  cercar 
con  «omino  studio  l'aiiiicizia  dell'uno  e  dell'ahjro* 
.Vedendo .ella  il  marito  oggimai  vicino  alla  fine-, 
e  temendo  tuttavia',  che  i  due  figliastri  o  d' ac- 
cordo uniti,  o  ancbe  separatamente,  come:  pia 
maturi  d'età  e  perciò  con  maggior  seguito  Al 
partigiani,  non  cacciassero  il  figliudl  suo  Catto  il 
Cairo  (tei  regno  di  Aquifania  che  gli  era  stalo 
-  assegnato,  qiiando;  questo  giovane  principe  rima- 
nesse aenia  l'aiuto  d'uno  de'due,  s'avvisò  savia- 
mente, benché  poi  l'effetto  seguisse  contrari,  di 
riciroeiliarsi  con  IjOttario ,  e  cOÌ  vantaggi  eh*  ella 
potea  proccurargli  vivente  il  marito ,  guadagnar» 
sene  l' amicizia  e  la  protezione  per  l' avvenire .  Il 
vantaggio  essenziale  che  Giuditta  potea  portare  a 
Lattario,  era  dì  rimeftterlo  pienamente  fièlla  gra- 
zia del  paà'e,.e  con  ciò  fargli  restituir  buòna 
parte  ddle  provincie  e  il  titolo  d'imperadorei 
ond'  egli  era  stato  privato  per  le  sue  ribellioni . 
Ella  avea  per  questo  fare ,  il  maggior  destro  del 
mondo,  perchè  Eiodovico  non  meno  tenero  del 
priuoìpei  Cario ,.  ohe  ne  fosse  la  madre ,  già  era 
molto  bene  di  ctmcerto  con  lei  in  questo  negoìiia  ; 
anzi  egli  stesso  si  fece  mediatore  per  riooDoiliare 
ooU'imperadrice. l'abate  Vaia,  stimato  unico  strc 
mento  valevole  a  trattar  poi  gl'interessi  comuni 
di  GiudittB,:0  8Ìa.deI  i-e  Cario  e  di  Lottaria(i). 

(i)  Pasch.  Bath.  ìd  Vita  Walac  ap.  Mabill.  ubi  sup.;  et 
panie!  paj.  Wg.       ^  .       .-;.      .  ;    ;:      j  ■[ 


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iè4         tìstu  tiFiftfLvtnm  h^ìfAUÀ. 

"Mi  finma  ch«  é  'buon  termìae  -it  cftoHwcMBtttf 
questi  trattati)  Vaia  aloidi  tottarJo;  «ItiV  «ll'inc 
fiacdd  ctie  g^  di^e  tioa  tnàUttk  ^ràggiilati^x 
in  ifiieiti  fraogenti,'  andata  ant^t-a  frappottetidtf 
HuOTÌ  ostàcoli  alla  siii  Hoo&ctliaitidDei  ptt-ìà^o»' 
tenie  ch'egli  faeerd  ia  Italia  «  indarno  òuMiima'' 
tbente  dtAla  Chieiat  e  iit  odio -di  tutti  (!<rf<Atxchtf 
ATcaDo  btìk  pasBaté  diaootdie  dato  -qdalcbé  iegaa' 
di  rispetto  b  all' jm[>èrador  Lodovi()ò  sqo-padMt 
a  e^a  hiatrigaa  CiudittAi  k  ctualfi  in  tempo  fi^ 
H  partito  de' ribèlli  '^rcTaleVa,  «ira  stata  i^^ta 
in  uii  monastero  a  Tortona  ^  Ma  •qdeiHi  iiB^afciiM' 
sima  impèradricé  non  toglieva  pevh  gli  ùcefai'<^U 
li  mira  «be  sì  ^a  prefissa  j  0  éoitó  it  tnafiéggìd' 
d' Una  niiovà  ainicli«vo]e  diviaioBe  di  séati  da  Saità 
col  re  d'Itfdiài  ibdii«sa  ad  ^i  biodo  il  hiaHto 
ad  aeerescere,  «orae  fìscet  la- pòritond  ài  |»in*iù^ 
Carlo  i  Questa  co«a  eccitò  »  fratelli  di  bet  iUMò: 
alla  gùetra*  Ma  Lottarìo- patte   àbbattatd   dalt^ 

,  forze  del  padre  i  parte  «ddòIciCo  dagli  >^ì62li^dì  - 
Giuditta  t  acconsi^  ■  ella  dìsptmzioiW'  fatta  in  '^  ' 
tor  di  Cftrloi  ed  ottenne  aoebd  !>#  ià'  itotatril» 

^ggtoltta  al  sud  dotbiòioi  Né  >(«*  qiiesto  rimase 
quieto  il  buon  todovico  i  ooàdatmato  dal  Uùa 
destino  a  passar  la  vita  con  Vami  intoatio  cofl- 
tre  il  propria  «àngnei  todofrico ,  altro  fi^gliùtìfo  ' 
deirimperàdore*  già  fatto  re  di  Baviertìt  rìptìtón^ 
do»i  pregiudioato  da  <jueit*uÌtÌtoo  epartimento  dé^ 
gli  stati  patemi  t  mosse  nuova  guerra  a  suo  padre, 
il  quale  parte  per  Vecchieaiza,   parta  fa  'questa 


=dDvGoogIc 


:    tiBso  vai.  Cam  vnt  |?ì 

nuova  rit»lUo»e  d'uà  figliauio ,  e  fa  t«*agB 
detti  ttard»  ?■  Mìa  guowaj  si  tarai  io  un'isola 
ticinp  h  Magoni*,  allorohÌ!  già  avendo  bpitretto 
kHa  iiSrala  il  figliuol  ribelle,  stav».  per  dat  nu<H 
»i  oriiOaBeoti  per  li  sicUteiia  del  predilettoci, 
lo  »  dell'  impetadribe,  «  lasolatt  morendo,  m  pa^ 
Da' la  «la.  famigli».  Hncipe  per  pietà  é  p«,  de^ 
liolBaà  egualmente  famo»)  e'  pe^  ricopiarne  il 
«aeatteré.chetólle  Spegare  in  poobé  patol»  Un». 
Slotico  Francese,  fu  principe  Stlimot  pnixé  ttopf 
pa  bui*o,  oattiró  pjiticot  imperadot  medioésist 
«itóo,  beucbt  Tirtttoso  (i)..  .: 

.  'Ma:  per  là  morte  di  Lodovico  ìiou  céMàionoJ» 
disoonii*  della  famiglia  teale;  e  anòorchi  tutti  • 
tre,  i  fcatelli  àvesseto  qualità  dà  tegnaré,  miglilirii 
forsèi  thB  aoU  ne:  aveste  il  padre  loh)i  noti  mi", 
fiorii  pet  inltb  questo  lo  (tata  de'FraUoewi  .i* 
quel  d'Italia  cbeavea  it  ttiettà  Union»  con  jB 
afiarl  di  BwUoi»;  L'Ambinone  e  a  gonio  àvidi», 
ed  inquieto  di  tottario,  cagiona  principale  delle 
calanuta  accadute  sotto  Lodovico,  riaccese  ancOr 
t-à'dopo  la  sua  morte  lo  stesso  fuoco  deUe  gUetrg: 
civili..  I  «noi  disegni  fcrano.fi  Vasti,  che  tiravano 
per  pocp  ad  occupare  tuttì  gli  stati  dell*  Uno  e 
dell'altro  fratello,,  mostrando  perb  sempre  ora  di 
Volei^  difendere  il  ,re  d' Aquitània  dalla  cupidità., 
del  re  di  Baviera ,  ora  di  far,  a  qUest'  ultimo  queU 
la.  ragione  cbe  non  gli.aveà  fatto  il  padre  troppo 

(0  .pan»!  fag..  646. 


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a 56  Delle  Rivoluzioni  d*  Itaua 

iodÌDato  alle  Toglie  della  seconda  moglie  .  Ma  il 
re  Lodovico  e  il  re  Cario  che  d'cw  innanzi  chiame- 
remo Cario  il  Calvo,  si  furono  senza  lungo  indu- 
gio avvedati  delle- ree  intenzioni  del  maggior  fra* 
fello  ;  ed  unite  le  forze  loro  *  come  uniti  etano 
gl'interessi,  stancarono  gì  fattamente  il  lor  nemi- 
co, ohe  Lottano,  o  di  buco  grado  o  per  forza,  do- 
vette dopo  tre  anni  dì  civil  guerra,  ridursi  a. 
trattar  sinceramente  di  pace  (  an.  844  ) ,  affinchè 
così  gli  uni  come  gli  altri  potessero  rivolgere'  le 
forze  che  ancor  avanzavano  alle  intestioe  batta- 
glie contro  i  nemici  esteriori,  i  Norraanoi  da 
uu  canto ,  ì  Saraceni  dall'  altro ,  che  ogni  dì  fii- 
eevano  maggiori  danni  alle  provincìe  soggette  a* 
Francesi . 

Neil'  anno  stesso  ehé  questa  pace  fu  stabilitft 
fra  i  tre  fratelli,  Lottario  augusto,  ancorché  md- 
to  non  gli  rimanesse  a  travagliani  nelle  cose  d'ol- 
tre monti,  e  potesse  di  l^geri  venir  in  Italia  a 
provvedere  alle  cose  di  qua,  stimò  meglio  di 
mandarci  il  figliuolo  ohe  portava  il  nome  dell'ava 
e  dello  zio ,  <aoh  Lodovico,  seconda  di  questo  no* 
me  fra  gl'ìmperadorì. 


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Libro  Vili.  Capo  IX.  aS?, 

.CAPO         IX. 

J)i  X^ovico  IL  imperadore  e  le  d' ItaUa  :    rivol- 
.  gementi  che  al  suo  tempo  avvennero  in  alcune 
Provincie. 

XJeochè  dopo  aver  mandato  in  Italia  e  fatto  co- 
ronar re  Lodovico  suo  primogenito,  EiOttario<ai>- 
-gutto  sia  vivuto  ^cora.  undici  anni,  egli  non 
sembra  però ,  che  s' impacciasse  gran  iàtto  nelle 
cose  Italiane  f  se  non  forse  quanto  gli  pareva  ne- 
cessario per  aiutare  con  suoi  consigli  ed  avvisi -il 
6gliuoIo.  Né  alla  morte  del  padre  cambiò  egli  di 
italo  e  di, fortuna:  perchè  avendo  due  altri  fra- 
telli ,  air  uno  che  fu  Lottarlo ,  fu  lasciata  quella 
parte  di  Francia,  che  poi  si  chiamò  dal  nome  di 
lui  Lottaringhia  o  sia  Lorena  ;  e  V  altro  iti  fatto 
re  di  Provenza .  A  Lodovico  U.  rimase  il  solo  re- 
-gno  d*  Italia  col  titolo  d' imperadore .  Ma  l'Italia 
a'  ebbe  almeno  questo  vantaggio ,  ohe  il  suo  gOf 
verno  fu  per  allora  fatto  indipendente  da  ogn'in*- 
iluenza  di  dominio  estero,  talché  pei  vent'anni 
«he  visse  Lodovico  IL  dopo  la  morte  del  padre, 
-«gli  fii  il  primo  e  il  vero  ai'bitru  e  di  ragione  e 
di  fatto  di.  tutte  le  terre  d'Italia.  Arbitro,  dico; 
perché  quantunque  egli  e  per  la  grandezza  del 
suo  regno  che  abbracciava  tutta  la  Lombardia,  e 
per  l'autorità  sovrana  che  come  re  ed  imperadore 
Tomo  IL  17; 


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a58  Deiìe  Rivoluzioni  b'IjAtiA 

vi  aveva  sopra  i  duchi  che  governavano  pa- 
recchie terre,  potesse  da?  legge  a  tutti  gli  altri 
principi  ;  non  è  già  da  credere  eh'  ei  fosse  sìgno- 
1-e  assoluto  d'Italia  come  era  stato  Teódorico,  né 
ancora  come  furono  tra  >  Longobardi  Liutpraodo 
e  Astolfo .  Ad  ogni  taodo  uon  si  fece  nfe  si  trat- 
tò cosa  in  Italia,  ch'egli  non  v'avesse  la  princi- 
pal  parte. 

Conrerrà  qui  accennare  nd  più  breve  modo 
che  ci  6a  possibile ,  le  cose  di  Benevento ,  nelle 
quali  ebbe  EiOdovico  II.  ad  impacciarsi  ora  con 
lòde  e  vantaggio,  ora  con  disonore  e  con  danno < 
Ed  ancorché  i  rivolgimenti  che  allor  avvennero  in 
quelle  contrade,  debbano  a  molti  parer  per  av- 
ventura poco  interessanti ,  non  è  per' ciò  inùtile 
di  volgervi  V  occhio  di  quando  in  quando ,  per 
osservare  per  quali  gradi  e  vicende  quella  sì  no- 
tabil  parte  d'Italia  venisse  a  formare  un  sol  rea- 
me nel  modo  che  viene  presentemente .  Oltre  che 
non  si  potrebbe  dar  giusta  e  compiuta  idea  del 
regno  di  Exidovico ,  senza  qualche  ritratto  delle 
cose  di  Benevento.  Che  se  alcuno  de' nostri' let- 
tori desiderasse  più  distinto  ragguaglio  di  quelle 
rivolùiioni  di  Benevento,  Salerno  e  Capòe  sotto 
i  principi  Longobardi,  potrà  consultare  Camillo 
P^egrino  (i),  insigne  rischiaratore  di  quelle  sto- 
rie. N&  mancano  altri  moderni  ed  atea!  nòti  au- 
tori, che  più  copiosamente  ne  scrissero. 

(i^  Slampato  prima  io  Napoli  nel  ifij3  ,  e  poi  dal  Mu* 
ratoti  nel  tom.  tt.  Iter.  llal. 


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tiBRo  vai.  Capo  IX.  ìSg 

ÀI  valoroso  Adelchi  (  di  cui  abbiam  ragionato 
^ol  sopra)  fondatore  del  principato Beneveataoo, 
èra  succeduto  il  Bgliuot  Grimoaldo,  il  quale  es- 
sendo morto  senza  lasciar  di  sé  prole  maschile, 
ebbe  per  successore  un  altro  Gritnoaldo,  chiama- 
to per  soprannome  Storesaiz  (i) .  Spento  costtii 
pfer  congiura  de*  suoi  conti  e  castaidi ,  gli  succe- 
dettero nel  principato  Sicone  capo  de*  congiuratu 
uomo  torbido  ed  ambizioso;  e  poiSicardo  di  lui 
figliuolo,  assai  peggiore  del  padre  ne' vizi,  e  noa 
■feguale  nella  bravura;  La  crudeltà  e  l'avarizia  dì 
Sicardo  condussero  a  tanta  disperazione  i  Bene* 
Ventani,  che  ti  tolsero  dal  mondo  dopo  non  molti 
abni  di  principato.  Fu  eletto  in  luogo  di  lui  Radel- 
cfaisio  gran  tesoriere  dello  sfata,  il  quale  per  bon- 
tà, per  senno  e  per  valore  avrebbe  dì  leggeri  po- 
tuto risforare  quel  principato. dalla  passata  tiran* 
side  scompigliato  ed  afflitto.  Ma  la  troppa  libei*- 
tà  e  r indipendenza  a  cui  s'andavano  avvezzando 
non  meno  i  conti  o  governatori ,  che  ì  popoli  ^ 
rendè  il  regno  di  Badelchisio  troppo  travaglioso. 
ed  infelice,  e  di  trista  ricordanza  a* suoi  .posteri . 
Era  Capoa ,  fra  le  città  soggette  al  dominio  de' 
Longobardi  Beneventani ,  quella  per  avventura  * 
che  più  delle  altre  aspirava  all'  indipendenza , 
forse  all'  esempio  di  Napoli  i  d'  Amalfi  e  di  Gae- 
ta, le  quali,  per  essere  dipendenti  da' Greci  im- 
peradorì  troppo  lontani  e  poco  potenti  a  sostener 

-    (i)  Storia  del  Regno  di  Napoli  lìb.  6,  cap.  6,  7. 


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s6o  DtLLE  Rivoluzioni  d'Itaua 

le  rose  d*  Italia,  rallentavan  facilmente  il  freno 
alle  città  llaliche  ctie  si  tenf>ano  a  lor  diTOzione, 
e  che  goffo  oome  dell'  imperio  orientale  si  r^- 
gpvaoo  a  forma  à'  imperfetta  repubblica .  Capo 
del  governo  era  io  Capoa  il  conte  Landolfo,  il 
quale  o  per  vecchia  inimicizia  che  avesse  eoa 
Radetchisio ,  o  perchè  avesse  ancor  egli  sperato 
^i  salire  al  principato  allorché  fu  morto  Sicardo, 
o  finalmente  per  qualche  altro  più  recente  moti- 
vo di  sdegno  e  mutui  sospetti ,  nodriva  pessimo 
voglie  verso  di  Radelcbisio  .  Pertanto ,  non  sola" 
inentp  fomentò  ne'  Capoanì  il  desiderio  dell'indi- 
pendenza ,  ma  fece  occultamente  sollecitare  in 
Benevento,  in  Salerno,  e  per  molte  partì  del 
principato  tutti  coloro  che  si  potean  presumere 
mal  soddisfatti  di  Radelohìsio ,  e  strìnse  lega  coi 
I^apotitani  già  troppo  pieni  di  rabbia  contro  quel- 
li di  Benevento ,  da  cui  spesso  avean  ricevuti  dan- 
ni e  molestie ,  Ma  Landolfo  o  non  volle  o  non 
potè  ottenere  da' sollevati  d'esser  creato  prinoipe 
di  Cappa,  essendosi  giudicato  opportuno,  per  dar 
più  riputazione  al  partito,  d'inàalzar  a  quel  gra- 
do Siconolfo  fratello  del  morto  Sicardo ,  e  che 
per  ragion  di  sangue  potea  presupporsi  chiamalo 
alla  corona  per  legge  o  per  costume,  e  rendere 
per  questo  solo  riguardo  l' elezione  di  Badelchisib 
vacillante  e  dubbiosa.  Era  stato  Siconolfo,  re- 
gnando il  fratello,  cacciato  in  prìgione;  donde 
trovato  modo  di  scapolarsi ,  e  statosene  lungo 
tempo  nascosto  appresso  d' un  suff  cognato"  conte 


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tifeno  Vin.  Capo  IX.  ìét 

fli  Consa,  (juindi  finalmente  s'era  rìdovérafo  in 
Taranto,  come  terra  con  soggetta  al  domiaio  dò' 
Longobardi  .  Da  Taranto  fu  per  sollecitazioae 
d'un  certo  Danserio  nuovamenle  bandito  per  or- 
dine di  Badelcbisio.  Ghiaoiato  a  Salerno,  vi  fu 
■da'Salernitalii,  da'Capoani,  e  da  alcuni  Benevep- 
tani  partecipi  della  ribellione,  creato  prìncipe. 
.U  suo  partito  si  fece  in  poco  di  tempo  sì  forte , 
ohe  Radeichisio  vide  levarsi  dalla  sua  obbedienza 
una  grandissima  parte  delle  terre  soggette  al  suo 
principato  .  Quindi ,  acceso  d' indicibile  sdegno 
Contro  ì  ribèlli ,  né  perb  vedendosi  forte  abba- 
■s^oìta  da  poterli  reprimere,  venne  ultimamente  a 
pigliare  di  <]ue'  partiti  che  solo  nel  fervor  della 
-collera  e  nel  desiderio  esuberante  di  far  vendetta 
possono  parer  buoni.  Già  erano j  alcuni  anni  ad- 
dietro, pacati  dall' Afriòa  nella  Sicilia  i  e  dalla 
Sidilia  ne' littorali  d'Italia  i  Saraceni,  conquista- 
tori rapidissimi  in  quell'età;  e  s'erano  stabiliti  in 
Taranto;  A  questi  barbari  ebbe  dunque  ricorso 
Badelcbisio  ,  i  quali  troppo  volentieri  ,  invitati  e 
non  invitati,  mettevano  piede  ne*  paesi  altrui;  e 
però  Cominciarono  a  far  costar  caro  a  Siconolfo 
r  aiuto  che  gli  portavano ,  occupandogli  subita- 
mente Bari  con  altre  terre  importanti  del  suo  da> 
minio .  Il  vero  è  che  con  T  aggiunta  dell'  armi 
loro  Radeichisio  divenne  superiore  di  forze  a  Sf-> 
conólfo.  Ma  questi  non  volle  cedere  per  tutta 
questo,  anzi  all'esempio  del  suo  nemico  si,  rivol- 
$e  -anch' esso  con  pernioioio  consiglio  a  cprout-^- 


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jt6z  Dbixe  fliTOLuzioHi  d'Italu 

'  aiuti  de'  Saracrsi  e  de*  Mori  dalla  Spagna  e  dal- 
'l' Africa.  Venne  pertanto  un  nuovo  sciame  di 
crudeli  e  rapaci  barbari}  e  i  due  partiti  che  con 
pari  aiuti  di  Saraceni  si  fecero  aspra  e  rabbiosa 
guerra,  non  altro  fruito  colsero,  che  quello  di 
vedere  i  lor  paesi  saccheggiati  e  distrutti ,  e  tut- 
.fa  Italia,  la  quale,  fuori  di  queste  guerre  de!Be- 
neTeniani,  godeva  pace  sicurissima,  esposta  ed 
aperta  alle  rapine  di  crudel  gente  che  non  era 
>per  lasciarsi  ritor  di  mano  s  leggermente  la  pre- 
da a  cui  era  stata  invitata .  Coovenne  .fiualtnente , 
«he  il  -re  Lodovico  II.  venisse  alla  volta  di  Sene- 
Tento  per  metter  argine  alle  rovine  che  vi  menft- 
vano  i  Saraceni,  e  fermar  qualche  accordo  tra  ì 
due  prineipi  contendenti .  Vinti  e  sconfìtti  i  Sa" 
raceni  dal  valore  di  Lodovico,  Radelchisio  e  8i- 
conolfo  ebbero  tuttavìa  iu  luogo  di  gran  favore 
di  dividersi  fra  loro  le  terre  componeoti  già  il 
dur-ato  di  Benevento,  ritenendo  l'upo  il  titolo  di 
principe  Beoevenlatto,  e  l'ahro  pigliando  il  nome 
dalla  cHtà  di  Salerno,  città  principale  tra  quella 
di  cui  SicoQuIfo'  erasi  impadronito,  Coù  cadde  e 
si  ridusse  a  piceni  dominio  quel  grande  e  fortissi- 
mo principato  di  Benevento,  ohe  per  circa  due 
«ecoli  avea  potuto  gareggiar  quasi  di  potenza  co- 
gli stéssi  re  di  Lombardia:  oon  solamente, per  la 
divisinne  che  se  ne  fece,  e  |>er  .«ssere  stato,  da 
lunghe  guerre  intestine  esausto  di  genti  e  dt  so- 
stanze,  e  scemata  '  ancora  per  le  terre:  (diQ  nMta- 
ìopo  io  potere  de'Svaceni;    ma  Lasche.  petiAè  ì 


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'       Libro  VIU.  Capo  IX.  i63 

nuovi  priaoipi  di  Benevento  e  di  Salerno ,  ìn  ve- 
•ee  di  padroDÌ  assoluti  che  prima  erano  (ad  ecce- 
zione d'un  tributo  non  grave,  che  s'eroao  obbli- 
gati di  pagare  agi' in:>peradori  e  re  d'Italia  sue- 
cessori  di  Carlo  Magno  ) ,  divennero  in  quello 
scambio  meri  feudatari  di  Lodovico ,  quasi  per 
guiderdone  dell' averti  sottratti  dal  giogo  dè'Sara- 
ceni .    ' 

Andossi  poi  vie  maggiormenfa  debilitando  }o 
stato  de'  Longobardi  Beneveolani ,  per  un  nuovo 
smembrunento  che  vi  si  fece  qualche  anno  dopo 
la  pace  e  la  divisimie  stabilitavi  da  Lodovico . 
Landolfo  castaido  di  Capo»,  /fighuolo  e  successo- 
re di  quel  primo  Landolfo  che  fu  autor  prio<ù- 
"pale  di  tante  calamità,  togliendosi  dall'obbedien- 
za del  principe  di  Salerno ,  nello  stato  del  quale 
si  comprendeva  Capoa  ,  volle  ancor  esco  fa^si 
prìncipe  e  signore  indipendente,  rispetto  ' almeno 
a  Benevento  e  Salerno,  ergendo  dalle  rovine  del 
ducato  Beneventano  un  -ferro  principato  che  da 
■C^poa  {u-ese  il  nome .  S' accrebbe  veramente  in 
questa  congiuntura  l'autorità  dell' impcradore;  .e 
sarebbe  forse  da  dire  ohe  per  questo  rispetto  Jd 
'stato  d' Italia  non  patisse  nell'  universalità  gran 
detrimento  per  la  caduta  del  principato  Beneven- 
tano,  èssendosi  que' paesi  in  certo  modo  riuniti 
sotto,  una  sola  monarchia.  Ma  né  i  Beneventani 
si  mantennero  lungamente  soggetti  e  fedeli  ai  re 
Francesi;  e  coU' essere  poco- dopo  mancata  la  fa- 
miglia de*  Carolingi ,   lo   smembramento    di   quel 


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r64  Deue  Rivoluzioni  d'  Italia 

Tosto  prìacipato ,  il  quale  restando  unito  Kné^é 
potuto  sostenere  in  qualche  riputazioiK  le  coae 
d'Italia,  si  trasse  ^etro  altre  calznmtà,-  e  ridw- 
se  in  estremo  scompiglio  quelle  provincie.  Frat- 
tentoi  Saraceni,  debellati  e  rispiiiti  più  volte 
dalle  armi  di  Lodovico,  rìoDovàrano  nulladimeuo 
«d  ora  ad  ora  la  guerra  ;  tanto  più  t^e  le  gelo- 
sie cKe  nodrivan  fra  loro  i  principi  di  Benevesto 
e  di  Saléròo,  Ì  c&ùtì.  o  prìncipi  di  Capoa,  e  ì 
duchi  di  Napoli ,  davano  opportunità  a  que*  bar- 
bari di  perpetuar  lor  dimora  in  ^ue'  paesi ,  e  le 
scorrerie  che  or  qua  or  là  facevamo  per  tutta 
l'Italia  orientale:  ondechè  per  avere  qualche  tre- 
gua da  levo , .  bisognava  col  pagamento,  d'  annui 
tributi  contentarne  l* avarìzia.  Veramente  le  altre 
contrade  d'Italia  dal  Tevere  alle  Alpi  godevano 
in  questo  tempo  tranquilla  pace.  Ma  gli  affari  di 
Benevento ,  e  le  spedizioni  che  si  fecero  contro  t 
Saraceni  da  I^odovìco  U.  imperadore,  non  lascia- 
ron  però  di  mettere  in  gru  movimento  il  re^io 
di  L«nbardia  ;  e  gli  evenimenti  di  quello  furono 
Ticini  a  cagionare  rivolgimenti  grandissìoii  per 
tutta  Italia. 

Due  anni  o  poco  più  dopo  la  pace  ohe  nell' 648 
erasi  conchìusa  tra  Radelchisio  e  Siconolfo,  e  la 
divisione  fatta  del  dominio  Beneventano  fra  loro 
due,  morirono  ambi  qpegti  principi,  ed  ebbero 
per'  successori  uno  Badelgario  , ,  e  T  altro  Sicone  . 
Ma  né  Radelgarìo  tenne  lungamente  il  principato 
di  Benevento,  né  Sicone  quel  di  Salerno.  Questi 


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■'  '     tiBRo  Vin,  CAta  VK.  465 

fedsen^  succeduto  al  padre  ìd  età  fuciuUesca , 
Sa  'da  Àdemarìo,  6gIiuol.d^  suo  tutore,  tolto  col 
velerà  dal  mondo  ;  e  Radelgario  esaendo  morto  » 
laseib  al  fratello  Adelgi'so  il  principato  di  Beoe- 
veato.  Era  Àdelgiso  fornito  di  quello  virtù  che 
rendono  non  meno  i  princìpi ,'  '  che  gli  uomini 
privati  cari  alla  gente ,  dolcezza  e  cortesia .  Ma 
^li  non  ebbe  sagacità  sufficiente  a  ravvisare  i 
buoni  dai  cattivi  cousiglien  e  falsi  amici.  Gli  as- 
falti contìnui  de* Saraceni,  e  la  necessità  in  cui 
et  trovara  di  dover  dipendere  da*  Francesi  di  cui 
era  come  vassallo ,  lo  condussero  spesso  a  cattl-^ 
vissimi  labirinti  ed  intrigbi .  Era  ben .  certo  che 
uè  le  sue  foi^e,  né  quelle  de*  Saleraifaai  aoa; 
eran  bastanti  a  reprimere  i  Saraceni .  Gli-  ^e&A 
imperadori  d' Oriente  non  avean  potuto  difendert 
dall' armi  di  qUe*  barbarica  Calabria  6  laFuglia. 
Furono  pertanto  gli  uni  e  gli  altri  costrettt'iS 
«ollecitare  con  ambastàate  e  con  regedi  l' impcm- 
dor  Lodovico ,  che  utìendo  le  forze  della  Ltìn- 
bardia  con  quelle  de'  Longobardi  BenevMTtEmi , 
tentasse  di  cacciar  d'Italia  qu^l'* infedeli  (i); 
Risolutosi  l'imperadore  di  far  quell'impresa,  pose 
io  grande  movimento  e  in  non  minore  aspetta- 
none  tutta  ritatla^  Né  il  successo  fu  contrarìft 
alle  speranze ,  ancorché  non'  tutti  gt'  inooatrì'  gtt 
toi-naasero  favorevoli^  Strìnse  di  forte  assedio-Ja 
città  di  Bari«  divenuta  da  molti  anni  città  prìndpale 

(i)  ADODym.  Salato,   cap.  87,  6S>   ap.   Mutat.    ton^  3, 
pag».  2.  &«r.  I(d.-- 


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^66  Delle  Bitolvzioki  d*  Italia 

e  la  mèglio  munita  de*  nemid  ;  ed  ancorché  Ba- 
silio imperador  d*  Orìrate  rìcbiamasstf  imimrtaiia- 
mente  1*  armata  che  io  gran  numero  di  Bavi  avea 
mandata  a  qu^a  guerra  in  àìtito  de*  Francesi , 
venne  quell'  importante  piazza  in  poter  di  Lodo- 
vico ,  '  e  con  lei  il  capo  della  nazione ,  chiamato 
o  per  notae  proprio  o  per  titolo  dì  digbilà,  sau- 
dano ,  La  guerra  pareva  quasi  che  finita  ;  e  por- 
tatoli Lodovibo  air  assedio  di  Taranto,  sfava  per 
discMciare  affatto  i  barbari  d*  Italia ,  ed  aggiu- 
ignendo  al  suo  regno  ed  al  suo  imperio  nuove 
Provincie  ,  ridur  quasi  sotto  un  sol  capo  I*  Italia 
intera  (r).  Ma  la  sciocca  perfidia  di  Adelgìso 
disturbò'  sì  belt* opera,  a  cui  per  altro  h  credibi- 
le che  gli  andamenti  della  moglie ,  del  conte  e 
de' soldati  di  Lodovico,  e  le  suggestioni  del  Gre- 
co imperadore  e  del  saudano  de*  Sarnìeni  dessero 
incitamento  '. 

Avea  Lodovico  augusto  da  quel  primo  tempo 
che  fu  chiamato  a  comporre  le  dissensioni  tra 
Ràdelgiso  e  Siconolfo,  e  molto' più  dopo  ch'ebbe 
dichiarata'  là  guerra  a*  Saraceni ,  lungamente  At- 
to soggiorno  in  Benevento  ed  in  altre  città  di 
quel  ducato .  Egli  avea  ancor  seco  Engelberga 
ìmperadrice  sua  moglie,  donna  fuor  di  misura 
fastosa  ed  altera ,  la  qual  sola  bastava  co'  modi 
suoi  a  far  perder  quanto  la  bontà  del  marito 
potesse  guadagnarsi  di  benevolenza  e  di  rispetto 

(0  Ercliemp.cap. 53,34.  — AnoDyin.S*lera.cap.  io8-^ 


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Libro  VHI.  Capo  IX.  raGy 

-dàttó'peraoiie  a  lui  soggette.  La  corfe  e  Teser- 
iko  'Fiaocese  cbe  seguitavan  gii  augusti  (i)., 
-pieni  di  boria  e  di  presumibile ,  com'  h  costume 
-della  nazioti  dominante  ne* paesi  strauìeri;  e  gonfi 
-ancora  pei  prosperi  successi  deli' armi  loro,  per 
cui  conoscevano  o  si  presumevano  d*  essere  stati 
scampo  e  salute  de' Beneventani,  usaTano,  com*è 
da  Credere ,  assai  largamente  e  ,  le  donne  e  gH 
averi  de*  Beneventani ,  a'  quali  pur  tutto  queste 
«ose  erano  gravissime  a  comportare. 

Più  drogai  altro  Adelgiso  con  pessimo  ani- 
tBo  sofferiva  di  far  sì  cattiva  comparsa  .in  casa 
sua  in  confronto  d' una  corte  imperiale ,  e  di  ve- 
dersi per  soprappiù  i  suoi  fedeli  malmenati  e  sprez- 
zati dall'  albagia  de'  Francesi ,  senza  pur  poterse- 
He  dolere ,  non  cbe  rimediarvi .  Il  saudano  Sara- 
ceno a  cui  Lodovico ,  richiedendolo  Adelgiso ,  avea 
lasciata  la  vita,  come  uomo  sagace  e  capacissimo 
d'ogni  intrigo  s'adoperò  anch' egli  a  tutto  potere 
per  metter  sospetti  e  gelosie  tra'Francesi  e*Bene- 
ventani ,  stimando  questo  !*  unico  mezzo  di  risto- 
rar Io  stato  abbattuto  della  sua  gente  .  A  questi 
naturali  e  spontanei  sospetti  di  Adelgiso»  ed  aljl) 
malÌKÌose  suggestioni  del  Saraceno  altri  non  meno 
éfìGcaci  stimoli  v' aggiunse  Basilio  imperador  d'O- 
riente .  Non  possiamo  chiaramente  ricavar  dalla 
storia  t  donde,  avesse  principio  l' inijnicizia  che  sì 
vide   scoppiar  tra'  due  imperadori»  i  quali   pec 

(i)  ÀDOD^ni.  Salem,  cap.  log,. 


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>68  Delle  Rivolu2ioni  d'ItalM 

nitro  s*  erano ,  come  abbiam  detto ,  collegati  ìtsiè-^ 
.qie  a  danno  de'  Saraceni  >  Ma  forse  che  la  mal- 
vagità degli  ufBziali  che  furono  mandati  a  cotnatir 
dar  r armata  Greca  sotto  Bari,  corrotti  per  av- 
ventura da'  Saraceni ,  guastarono  con  false  infor- 
mazioni r  tinione  de*  due  augusti ,  e  riempierooo 
di  mal  talento  P animo  di  Basilio.  Certo  che qpe- 
sto  imperadore,  dopo  aver  richiamata  la  flotta  di 
Bari^  scrisse  ancora  una  lunga  -  lettera  pietia  di 
querele  a  Lodovico  *  nella  quale  fra  le  altre  cose 
mostrava  particolarmente  di  non  poter  soffrir» 
eh* .egli  si  chiamasse  imperador  Romano,  e  porr 
tasse  quel  titolo  ohe  i  Greci  solevan  dare,  ai  lo^ 
re.  Però  avrebbe  voluto  con  ridicola  e  vana  ag» 
giunta  d'  un  barbarismo  accrescere  il  Gre0o  idio* 
ma ,  per  dare  all'  imperador  d'  Oriente  un  titolo 
diverso  dal  suo  (i).  Nei  supplementi  d'una  ero* 
naca  Salernitana  (z)  ci  fu  conservata  la  lunga  ri-* 
sposta  che  si  fece  da  Lodovico  a  ciascuno  de'ca* 
pi  della  lettera    di  Basilio .   Ma   boq  par  punto  « 


(i)  £'  manifesto  che  ta  voce  (ìreca  jSuvtXf'w  corrispon' 
ié  p«t  appunto  alla  Latina  rex .  Ma  perchè  gì  imperatori 
a  Costautinopoli     costamavaiio     di     cbiamariii    fiarfXì't   • 

riraxfa'-itfis .  ^^  •  primi  re  barbari  che  «iguoreggiarooo  la 
lalia  e  in  Occidente)  conte  Ìd  paese  LdliUO,  si  cbìaniara' 
no  con  voce  Latina  reges;  Ì  Greci  pet  una  ridicola  I«t  <rà« 
aita  non  potevano  soffrire  che  scrivendosi  in  Greco  si  dea* 
Me  a' principi  d' Occidenìe  il  nome  di  S"Aiv(ì  '»>  prtUt- 
sera  d'aggingilere  alla  lor  lingua  queato  nnovo  TOGabol« 
ftti'vf  •  ^''^  Anonym.  Salemlt.  cap.  ioa.- 

(a)  Id  PaialipoiÉu  Ànonym.  Salcroit.  ap.  HarM.  Ew- 
lial.  tom.  a.  .      ■  .     ■       ^ 


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tiBRo  Vlir.  Capo  IX.  269 

che  questi  deponesse  l' odio  che  contro  l' impera- 
dor  Francese  avea  concepito;  e  risoluto  di  fare 
ogni  sforzo  per  rovinarlo,  sollecitava  Adelgiso  al 
tradimento.  O  tale  fosse  in  fatti  la  verità,  oppu- 
re inrenzion  tnalignà  de'  Greci ,  Basilio  fece  in- 
tendere al  duca  di  Benevento ,  che  Engelberga 
col  suo  marito  avean  presa  risoluzione  di  levar- 
gli lo  stato,  e  cacciarlo  in  perpetuo  esilio  (i)  . 
Adelgiso  credette  o  finse  di  credere  questa  no- 
vella, e  si  dispose  a  prevenire  i  disegni  de'Fran- 
cesi .  Fece  prima  ribellar  gran  parte  delle  cit- 
tà del  suo  ducato ,  quelle  dell'  Abruzzo  e  della 
provinola  che  ora  chiamasi  Basilicata,  le  quali, 
levato  il  tumulto,  gridarono  per  sovrano  Timpe- 
rador  Greco ,  e  si  tolsero  dalla  divozion  de'  Fran- 
cesi ,  Adelgiso  vedendo  che  Lodovico  s' avviava 
animosamente  a  reprimere  le  città  ribellate,  e  che 
mostrava  di  voler  cominciare  a  trattar  come  tale 
Benevento ,  s'  in6nse  di  non  aver  avuto  parte  nel- 
la ribellione ,  e  tornò  leggermente  io  grazia  del- 
l' imperadore .  Entrato  poi  in  un'  altra  malizia ,  o 
con  aperti  ragionamenti  o  con  mezzi  indiretti  con- 
dusse Lodovico  a  questo  partito  di  disperdere  iti 
diversi  luoghi  le  sue  truppe ,  e  parte  ancora  di  li- 
cenziarne. Quindi  rimase  Lodovico  e  la  sua  corto 
con  assai  poca  guardia  in  Benevento;  ed  ecbo  A- 
delgiso  assaltar  il  palazzo  dove  V  imperadore  eoa 


(1)  V.  Aonal.  Bert.  cap.  37  et  seq.    -  Daniel'  Hist.  de 
Franct  tom.  1  in  fol. ,  pBg.  785.  -  Murai,  ad  aiiw  8^  1»  ' 


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X^O  ì)EttE  RlVtìLUZIONt   ìì*tfAÌlA 

l'augusta  e  con  la  figliuola  albergava.  Fece  sub!- 
lo  gagliarda  difesa  il  prode  Lodovico  colla  poca 
famiglia  che  aveva  séco;  ma  vedendo  non  poter- 
si tenere  il  palazzo ,  si  rìruggi  in  una  torre  di  efh 
80,  dov'egli  potea  difendersi  per  alcun  tempo.. 
Passati  tré  giorni,  Adelgiso  temendo  che  ^U'av.- 
viso  dì  quel  pericolo  le  truppe  Francési  sparse  ^«r 
xaric  terre'^  non  accorressero  a  Iiberar,e  il  lor  prin- 
cipe ,  fatte  attorniar  le  torri  di  varie  materie  com,- 
bustjliili,  fece  intendere  all' imperadore  ,  cb*egli 
sarebbe  arso  vivo  quandi}  non  s'arrendesse.  Sì 
Venne  alla  capitolazione,  e  il  duca  si  contentò  .^ 
tìiandar  libero  T irapei'adore.,  purché  egli  giurasse 
di  non  mai  più  in  avvenire  metter  piede  in  Bene- 
vento, né  di  far  vendetta  alcuna  di  .quello  ch'era 
accaduto.  Lodovico  che  pUr  voleva  uscire  di  quel- 
rimpaccio,  promise*  c'oq  molti  giuramenti  quanto 
volle  AdeTgiso  ;  ma  fu  appena  libero ,.  che  crucr  . 
ciaf»  fiet-amente  e  pien  di  rabbia  s'avviò  verso 
Roma,  e  fece  precorrere  nei  tempo  stesso  suot  mes- 
saggi' al  papa ,  pregandolo  che  gli  venisse  all'  in-* 
contro  per  assolverlo  il  piìi  presto  che  fosse,  pos- 
«ibile  dal  giuramento  fatto  di  non  vendicarsi  *  In- 
tanto la  novella  di  quell'  accidente  sparsasi  pe* 
tutto  il  mondo»  ed  acóresciuta  dall'immaginazio- 
ne altrui;  come  sempre  addiviene  .in  talt  contin-  , 
genti ,  diede  assai  che  dire  ad  ognuno  ;  ed  i  più 
credettero  e  spacciarono  che  Lodovico  era  stato 
morto  in  Benevento.  I  Saraceni  dall'Africa  e  da 
Palermo  non  tardarono  a  iar  nuora  ;  discese   in 


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tiBRo  Vài.  Capo  IX.  ,  zft 

italia;  e  il  re  dì  Francia  Carlo  il  Calvo,  e  Lodovi- 
co dì  Germania  gì  misero  róno  e  l'altro  con  se- 
guito dì  truppe  in  cammino ,  per  entrare  in  pos- 
sessione del  regno  d'Italia,  giacché  Lodovico  noa 
avea  figliuoli  tnaschi.  Questi  movrmenti  de'  due  re 
dì  Francia  e  di  Germania,  amendue  zii  paterni 
di  Lodovico,  diedero  chiaramente  à  conoscere  a 
lui  ed  a  sua  mefite,  ch'essi  si  presumevano  I'uoq 
e  T altro  eredi  del  lor  nipote.  L* imperadrice En- 
gelberga  era  certa  di  render  profittevole  a  sé  ed 
al  marito  questa  speranza  de* due  zii;  e  venuta ia 
persona  ne*  confini  d' Italia ,  ed  invitati  i  due  r^ 
a  venirla  a  trovare  uno  inTrento^  l'altro  alla  bar 
dia  di  san  MoHzio  vicino  a  Genova ,  trattò  sepa^  . 
ratamente  con  l'uno  e  con  l'altro  delta  successioa 
del  marito  ,  ed  io  ìscambio  della  speranza  che  dier  - 
de  al  re  della  Germajiia  di  volersi  essa  adoperare 
in  favor  di  lui  per  farlo  succedere  nell'imperio* 
t)el  regno  d'Italia,  fece  cedere  al  suo  marito  una  , 
parte  della  Lorena,  di  cut  alla  morte  di  Lottarlo 
i  due  re  di  Germania  e  di  Francia  nella  lonta- 
nanza dell'  ìiBperadore  s'erano  impadroniti  con  po<- 
ca  ragione.  Carlo  il  Calvo  o  sapendo  osospettaa» 
do  della  promessa  fatta  al  re  della  Germania  «  non 
si  lasciò  dar  parola  dall'  astuta  imperadrìce  , .  ma 
piantandola  bruscamente ,  cercò  di  provvedersi  aU 
trave  migliori  aiuti  per  salire  all'  imperio ,  quan- 
do la  morte  di  Lodovico  il  lasciasse  vacante. 


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17*  Delle  Rivoluzioni  d' {tallì 

e    A    F    0      X. 

Interessi  e  negozùtii  di  vari  prìncipi  per  bt 
successione  ài  Lodovico  II. 

V  eramente  la  debole  sanità  di  Lodovico  augusto 
dava  a  credere  ch'egli,  bencliè  più  giovane,  fo»> 
M  per  finir  di  vivere  avanti  i  suoi  »i;  cosicché 
la  materia  più  ordinaria  de*  consigli  e  de'ragiooa- 
menti  e  de*  secreti  commerzì  tra  le  enti  non  pùE 
di  Francia  o  di  Germania,  e  de* prìncipi  d'Italia 
così  secolari  ch«  eooletiastici ,  ma  dell*  imperadoc 
di  GostantinopoU ,  «-a  il  trattar  della  successione 
■1  regno  d' Italia  ed  ali'  imperio  .  Ciascuno  avea 
intnesse  immediato  in  questi  affari  :  Carlo  il  Cal- 
vo e  Lodovico  pel  diritto  che  aveano ,  e  il  desi' 
derio  non  mioorc!  di  ereditare  gli  stati  ;  gì*  Italia- 
si  per  la  mira  e  V  intenzione  comuni ,  che  aveanp 
di  farsi  un  re  che  poco  gì'  incomodasse  ne*  foro 
governi  divenuti  oramai  veri  dominii,  se  pur  non 
riusciva  ad  alcun  di  loro  d'occupare  il  regno  per 
sé  stesso.  Basilio  imperador  d'Oriente  avrebbe  al 
cerio  bramato  che  la  signoria  d*  Italia  fòsse  cadur 
ta  io  mano  di  chi  l' aiutasse  a  difendersi  da'  Sa- 
raoeoi  e  da  qualunque  altro  nemico ,  e  che  non 
fosse  VQglìoso  per  avventura  d'  occupargli  le  città 
che  ^li  rimanevano  nc*IittoraIi  d'Italia.  Per  que- 
sto egli  inchinava  fortemente  a  Lodovico  il  Ger- 
mapico^  il  quale  e  per  la  vicinanza  degli  stfiti,  e 


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Libro  VIU.  Capo  X.  a?3 

per  aver  nemici  comuni  da  combattere  da  quella 
parte  ,  coro'  eraco  gli  SclavoDÌ ,  poteva  essergli  un 
utile  alleato  ed  amico  ;  e  per  essere  riputato  dì 
carattere  più  onesto  e  più  sincero  del  suo  fratel- 
lo Carlo  il  Calvo ,  dovea  essere  amico  più  stabile 
B  più  sicuro.  L*  imperadrice  Engelberga  che  area 
grande  interesse  e  gran  potere  nella  scelta  che  si 
trattava  d'un  sucoestore  al  suo  maritò,  area  puf 
l'occhio  rivolto  al  re  di  Germania.  Dovendo  ri- 
maner vedova  con  una  figliuola ,  avrebbe  voluto 
che  il  nuovo  ìmperadore  le  fosse  benevolo ,  va. 
auohfl  obbligai»  «  ricooosoente ,  affinchè  col  favo- 
re di  lui  potesse  vivere  oon  decoro ,  senza  timor, 
dell'odiò  e  delle  cabale  de* nemici  eh'  ella  sapea 
faenissimo  d' aver  in  gran  numero  '  nella  corte  ate»- 
sa  del  suo  manto  e  fra  i  ^chi  d'Italia,  ì  quaK 
aveano  dovuto  -  dipentter  da  lei ,  e>  sopportarne 
l'orgoglio  e  la  fierezza,  regnando  il  marito  stie'>. 
Perciò  la  riputazione  di  lealtà  e  di  bontà,  che  H 
re  di  Germania  s' era  acqm'stata ,  e  la  conosceu- 
za  particolare  ch'ella  stessa;  donna  acQtissima  e 
penetrante ,  ne  avea ,  '  la  rendevano  rì^olutissìma 
d' adoperarsi  con  tutto  lo  studio  in  favor  di  lui . 
Ma  Adriano  ti.  che  in  questo  potea  assaissimo, 
era  tutto  impegnato  per  Carlo  il  Calvo.  Avea 
questo  pontefice  in  una  sua  lettera  secreta  (i)pro- 
me^o  chiaramente  a  qud  re ,  che  s*  egli  fosse 
Tomo  IL  i8  * 

(0  Hadr.  .11.  ep.    34   ap.   Labb.  tom.   3  CoocUìor.  - 
Horit.  aon.  871^  ■  ■■ 


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274  Delle,  Rjvoluìsioki,  d'  Italia 

sopravvÌTUto  alt' impqrador  Lodovico,  per  niun  teso* 
ro  del  mondo  non  avrebbe  ne  promossa  né  appro- 
,Tata  r  elezione  di  iliua  altro  ,  salvo  di  lui  :  che 
tale  era  eziandio  1*  intenzione  del  clero ,  del  popo- 
lo, e  della  nobiltà  di  Roma  e  del  moùdo  {|i).  U 
favore  smisurato  cbe  mostrò  ai  Francesi  Giovadr 
ut  VIIL  successor  d'  Adriano  II.  fece  conoscere 
eh'  esso  npn  avea  esagerato  nel  dire,  phe  il  clero 
Romano ,  nel.  quale  Giovanni ,  come  arcidiacono , 
era  certamente  de*  principali ,  desiderava  .1*  esalta-* 
.mento  -dì  Carlo  il  Calvo .  Ben  è  probabile  che  i 
Romani ,  per  que|r  antica  venerazione  a|Ia  discea- 
'.den^  di  Pipino  e  di  Qirlo  Magno  ,  inclinassero 
maggiormente  al  re  di  Francia  Carlo  ii  Calvo, 
che  rappreseotaya  più  direttamente  t|  successore 
■.di  qujp' grandi  bepefattofi.  della  Chicca  e  dì  Ro- 
ma; ma  più  verisimile  h  ancora,  che  Ì  suddetti 
pontelìci  fossero  portati  a  preferire  la  persona  di 
Carlo  il  Calvo  per  questo  appunto ,  perchè  vede- 
vano la  fazione  del  re  di  Baviera  moltO:potentp , 
Quando  questo  re  fosse  salito  al  trono  imperiale 
e  al  regno  d' Italia  ».  poco  obbligo  potea  averne  al 
ponte6ce,  attribuendone  piuttosto  l'elezione  ai  ma- 
neggi d'Engelberg^;.  laddove  ai  contrario  Carlo  il 
Calvo  avrebbe  quasi  interammte  ricpnosciula  la 
Buov^  sua  dignità  d^l  favore  del  papa  .  Otreché 
potava  il  santo  padre  sperar?  che  un  re  di  Fran- 
cia unendo  il  regno d'Itatiaa* saoi'stati  transalpini^ 

(3)  Ciobtliias  totius  urbis  et  orbis .  .-. 


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LtBBO  Vili.  Capo  X.  ^yS 

■  l'osse  {ler  cooteatarEÌ  più  facHineiite  del  domi- 
nio di  l^opibardia  ,  senza  troppo  impacciarsi  nel 
govehao  di  Roma  e  dplie  terre  cedute  al  papa 
da'  passati  mon^rphi .  '  ÀU*  opposto  un'  re  di  Ger- 
mania,* cHe  stendeva  il  suo  dominio  nella  Panno- 
nia  e  fino  ài  lidi, dell' Adriatico,  avrebbe  di  leg- 
geri potutp  ingelosire  il  papa  per  rispetto'  all'  e- 
sarcato  di  Ravenna  è  della  Pentapoli,  o  sia  mar- 
ca d' Ancona  j  sopra  le  quali  prOvincie  non  gli 
^arebberp  mancati  pretesti  d' esercitar  sua  giurisdi- 
zione, E  ,ld  corrispondenza  del  re  Germanico  col- 
1*  impèrador  d' Oriente  sempre  mai  affètto  ai  pon« 
telici  Bojnani  ^  recava  mi  nuovo  motivo  di  timo- 
te  e  di  sospetto  ; 

In  questi .  pensieri  sì  trapassaronp  ben  quattro 
anni,  durante  il  ^ual  tettipo  che  fu  dall'  871  fi- 
no all'  874,  Lodovico  augusto  i  ancorché  di  sani- 
tà debole  e  scadente ,  sostetlnè  quasi  guerra  con- 
tinua contro  i  Saraceni  òhe  Senza  far  grandi  con- 
quiste infestavano  colle  scorrerie  tutte  le  provincié 
che  "ora  formano  il  regno  di  Napoli  e  la  campa- 
gna di  Roma  .  Né  gli  ^ava  minor  travaglio  il  prin- 
cipe di  Benevento  ,  Cioè  qUelld  stesso  Adelgiso  chd 
lo  aVea  con  sì  enornlè  insulto  ingiuriato ,  come 
abbiam  detto ,  e  a  cui  fu  spesso  costretto  di  petv 
donare  e  restituire  la  sua  grazia ,  afHnchè  non  si 
desse  in  braccio  all' impèrador  Greco,'  di  cui  mi- 
nacciava di  farsi  '  vassallo . 

Per  quanto  gli  davao  tregua  gli  affari  di  quel- 
la  parte ,    1*  imperaUoc   Lodovico    venivasene    a 


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276  Delle  Rivoluzioni  d*  Italia 

Roma  ed  in  Lombardia  per  trattare  ora  co!  papa  « 
or  co*  baroni  del  suo  regno ,  delle  cose  emergenti  * 
e  spezialmente  dèlia  successione  de' suoi  stati.  Va 
solenne  abboccamento  si  fece  nelP  874  presso  a 
Verona ,  dove  si  trovarono  insieme  col  suddetto 
imperador  Lodovico  U. ,  il  pontefice  Giovanai,  e 
Lodovico  di  Germania.  Far  cosa  degna  dì  mara- 
vigb'a  che  con  tanti  maneggi  e  con  tanto  potete 
cbe  avea  Engelberga  nella  deliberazion  del  mari'- 
lo ,  non  siasi  né  concfaiuso  né  forse  '  progettato  j 
per  quel  cbe  apparisce ,  l' adozione  d*  UB  de'  fi- 
gliuoli del  re  di  Germania,  e  il  matrimom'o  oon 
Ermengarda  figb'uola  dell'  imperadore  ,  d' età  no.^ 
bile ,  a  fine  d' assicurare  uno  stato  a  quella  pri»- 
cipessa ,  e  contentar  Lodovico ,  per  cui  nastrava 
tanto  di  travagliarsi  T  imperadrice .  Ma  coriie  è 
costume  ancor  de'  veccbi  e  d*  ogni  iùfermiccio' , 
Lodovico  non  si  credea  sì  vicino  alla  Morte,  eh' e* 
gli  dovesse  tanto  affrettarsi  a  stabilir  '  le  cose  per 
la  successione;  e  i  cortigiani  nemioi  d'augusta  non 
mancavano  al  certo  di  lusingarlo  con  isperanza  dì 
lunga'  vita ,  a  fine  d'impedire  ógni  determinazio^ 
ile  conforme  alle  voglie  e  al  vantaggio  di  lei . 
Venne  fi^ltanto  a'  morte  P imperadore,  e  fo  tol- 
to all' Italia  il  miglior  principe  che  l*àvesse  fin  al- 
lo? governata  j  da  che  ella  era  caduta  in  mano  degli 
stranicH .  A|)pena  trovarono  ^ì  stórid  cosa  da  ri- 
prendere nelle  sue  azioni  e  ne'  su'oi  costumi  ;  'e 
fceflchè  dispiacesse  a  molti  di  veder-  sotto  il  suo 
regno  tanto  sovranamente  domipar  la  sua  "moglie. 


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.  LitìBo  Vin.  Capo  X.         "277 

ttoh  àppatlsce  per  tutto  questo,  clip  l'autorità  eh'  u- 
sercìib  Eagelberga ,  abbia  cagionato  né  ioglustizijt 
ilei  eÌTÌI  governo ,  uè  dato  occasione  a  guerre  te^ 
merarìe  e  rovinose  ^  Parrebbe  piuttosto  da  crede- 
re che  lo  spirito  alto  e  i  modi  imperiosi  d*  Engel- 
berga  fossato  ottimo  compenso  al  naturai  dolce  e 
mansueto  del  suo  marito  per  sostenere  la  maestà 
del  trono  e  il  vigor  del  governo  .  E  que'  cortigia- 
ni e  qué*  duchi  che  le  porfaron  tant'odio,  e  che 
cercarono  di  farla  ripudiare,  forse  che  non  d'al- 
tronde eran  mossi,  che  dalla  voglia  di  governare 
in  cambio  di  lei- il  buon  prìncipe.  Il  che  non  sa- 
rebbe stato  altro  che  peggio  alle  cose  d' Italia  : 
(jozuàossiachè  alla  fine  niim  consigliere  avrebbe 
avuto  gr  interessi  tanto  uniti  col  sovrano  ,  come 
erano  quelli  della  moglie  e  del  marito  non  intor- 
bidati da  varietà  di  prole,  da  che  nonaveano  che 
una  sola  figliuola  comune  k  II  perchè ,  dalle  cose 
di.  Benevento  io  fuori ,  nelle  quali  per  altro  non 
.si  travagliò  senza  lode  questo  imperadore,  tutto  il 
rimanente  d'Italia  dal  Tevere  all'Alpi  procedette 
assai  prosperamente  nei  venti  e  più  anni  del  suo 
regno,  contandoli  dalla  morte  di  Lottarlo  suo  pa^ 
dre.  E  certo  niuna  parte  d'Europa  godè  ìa  quel 
tempo  maggior  quiete.  Alla  felicità  del  suo  regno 
pare  che  mancasse  prole  maschile  •  per  difetto  del* 
la  quale  visse  i  isuoì  ultimi  anni  in.  qualche:  agi-* 
tazìone  per  l'incertezza  del  successore,  e  pel  pe' 
rìcolo  delle  guerre  intestine  assai  difficili  ad  evitarsi 
io  tali  casi.  Ma  dagli  esempi  non  solo  di  U>doTÌcai 


=dDvGooglc 


jyS  Delle  Rivoluzioni  d'Italia 

il  Pio,  ma  dei  due  re  Carlo  il  Cairo  e  Lodovica 
il  Germaoico ,  amendire  travagliati ,  come  per  far 
tal  iufeziune  di  quella  famiglia,  dalle  ribellioni 
cbotinue  de*  lor  figliuoli ,  possiamo  argomentare 
cbe  r  imperador  Lodovico  li.  re  d*  Italia  sia  slato 
anzi  avventuroso ,' che  infelice  nell'iofieooDditàdel 
suo  matrimonio:  salvo  che  per  favore  speciale  di 
STiperior  provvidenza  egli  ne  Eivesse  avuto  UD  solo 
docile  e  sommesso,  vivente  lui,'  ed  abile  al' go* 
Terno  al  'tempo  della  sua  morte. 


pi  Carlo  il  Caho,  Carlonìatitio ,  e  Carlo  il  tìnfSStt 
ultimo  te  d^  Italia  dì  quél  legnaggio, 

\  )l(re  alla  siòurezzi)  del  favor  pontificio  e  delU 
fazione  de'  oemici  di  Engelbergà ,  Carlo  il  Calvo 
si  provvide  in  altra  non  meno  efficace  maniera 
per  poter  occupare  il  regno  Italitio'  e  l' imperiale 
dignità.  Teneva  egli  ogni  cos»  io  ponto  per  pas- 
sar l' A'p"  al  primo  avviso  óbe  ricevesse  ddla  Mor- 
te di  Lodovico  11.;  e  le  corrispondenze  che  aveva 
alla  corte  di  lui,  gli  rendevan  facile  l' aver  que- 
sta niivella  speditamente.  In  fatti  oom'egli  l'.eb-  _ 
be,  cosi  fu  subilo  entrato  in  Italia  s^[uit&tp  da* 
puoi  vassalli  e  da  buon  numerò  di  gente, armata. 
Ma  nepptìr  Lodovico  di  tieriliania  si  stavaj  su  que- 
sti ii-aDgentì  dormendoceli  suofiglìu^l^MUtleimannQ 


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,    LiBHO  Vili.  Capo  XI.  27J 

s'avanzò  verso  la  Lombardia  con  non  minor  dili- 
genza- cbe  vi  discendesse  il  re  Cai'lo,  e  con  forze 
anohe  superiori.  Non  si  venne  per  tutto  questo  a 
giopoata ,  perchè  1'  accortezza  di  Carlo  scausò  Jl 
pericelp  del  combattere ,  mettendo  in  campo  trat- 
tati d'accomodamento,  nella  qual' arte  egli  era 
senza  fallo  superiore  al  giovane  Carlomanno.  Co- 
me passassero  le  faccende  in  questo  abboccamen- 
to de' due  concorrenti,  non  è  ben  chiaro;  per- 
ciocché due  scrittori  di  que* tempi,  l'uno  Tedesco 
r  altro  Francese ,  che  ce  ne  lasciaron  memoria  , 
narrano  la  cosa  a  onore  e  vantaggio  ciascuno  del- 
la sua  nazione.  Ma  ia  somma  del  fatto  fu  que- 
sta ,  che  Carlomanno  0  accecato  dalle  promesse 
che  il  re  Carlo  gli  fece  di  farlo  diventar  solo  pa- 
drone della  Germania  ad  esclusion  de'  fratelli ,  o 
come  sìa  ingannato  da  quel  re,  se  ne  tornò  ver- 
so casa;' e  Carle  facendo  anche  esso  serqbiante 
■d'andarsene,  diede  cosi  una  volta  colle  sue  trup- 
pe:, e  mentre  che  aspettava  di  saper  dal  papa, 
wa  quale  animo  fosse  per  riceverlo,  riprese  il  cam- 
mino d' Italia ,'  e  non  ristette  finché  giunto  in  bo- 
ntà fu  di  buon  grado  coronato  dal  papa  Giovan- 
ni Vin. ,  e  proclamato  imperadore ,  titolo  che  al- 
lora importava  la -signoria  d'Italia.  Nel  tornarse- 
'  ne  da  Roma'  in  Francia  convocò  in  Pavia  una 
dieta  generale  di  prelati  e  d'  altri  signori  del  re- 
gno ,  (k*  quali  fu  nuovamente  eletto  p  riconosciu- 
to <c  comeloro  protettore,  signore  e  difensore;  e 
4>  gli  fu  promessa  obbedienza  in  tutto  quello  cbe 


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28e  Delle  Rivoluzioni^  pi  IfALU 

V  fosse  per  ordinare  a  vdotoggù  .della.  Cbma  0 
«  salute  di  loro  »tes^i  «  (i):  espresueoi  troppo 
misurate,  e  che  faaiio  chìarameate. vedile chsgìà 
i  prelati  e  i  conti  che  a  quella  dieta  interritatie- 
ro,  cominciavano  a  riguardare  )a  dignità  del}*  im- 
peradore  più.  con  parole  e  c^rimuni^,  che  con  ve* 
race. voglia  d'  obbedirla  in  effetto  .  Certameote 
Tacijuisto  che  fece  Carlo  il  Calvo  e  del  re^w 
d'Italia  e. del  diadeina  imperiale,  servì  piattosjto 
idi  fregio,  e  di  lustro  agli  ultimi  due  anni  '^l  «u» 
regno,  che  di  notabile,  acpreaciii^ento  alla  sua. po- 
tenza. Lodovico  re.  di  Germania,  e  . Carlomanoo 
suo  figlio  ^i  voltarono  l*arm.i  incontro;  ed  Najao 
per.  contrastargli  non  meno  la  sovranità  d*  Italia* 
elle  il  possesso  di  quella  parte  della  Lorena  cb'  en 
{li  occupava j  se  non  cl^e  la  morte,  tpl^  lui  dal 
mondo. prima  che  altri  gli  togliesse  gli  stali h.  Gli 
efietti  più  reali  che  il  suo  esaltajoaento  e  la  gara 
quindi  insorta  tra  lui  e  Carlomanpo  produase ,  fu- 
rono questi  due ,  cipè  di  dar  nuovo  poUo.  aUa  pò- 
.tenza  de'  papi ,  e  largo  xampo .  a  qifattro  duchi 
d'Italia,  di  farsi  più  grandi  e  più  indipendenti  che 
mai  per  r addietro,  Lamberto  di  Spojleti,  Beren*^ 
garip  del  Friuli ,  Bosone  di  Provenza  e  di  LovOf 
bardia,.e  Àreberto  dì  Toscana,  i  quali  sotto  no- 
me o  di  Carlo  il  Calvo  o  di  Carlomanno  .«igno- 
reggiarono  ciascun  di  loro  un  buon  ttiatto  d'Italia, 
e   pochi  anni    dopo   aspirarono  ;  eglino    mede^'oiì 

[i]  Tom.   S.    Condì.   Gallic>.  ap.   Duiel   Bitloiro   de 
Frwce  pag.  -j^.  . 


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ti^Ro  Vlfl.  Capò  XI.  a8t 

tiU*ilnperìo,  come'  vedremo  nel  libro  segiiente.  Il 
f>apa  ,  oltre  ali*  aver  ottenuto  dalla  rìconosceoza  dt 
Carlo  il  CaWo  che  gli  era  molto  obbligato  per  la 
nuova  sua  dignità,  guanto  volle  per  rispetto  al 
sito  domìnio  di  Roma  così  nel  civile  che  nell'ec- 
.clesiastico  (i),  si  valse  ancora  del  favore  di  quel 
re  per  abbassare  la  potenza  de*  vescovi  Francesi, 
divenuti  sotto  gli  ultimi  regni  non  meno  irrive- 
renti al  pontefice,  che  ribelli  ai  loro  re.  GiovAn- 
nì  Vili,  mandò  al  ritorno  di  Carlo  in  Francia  due 
legati ,  uno  de*  quali  era  suo  nipote .  Convocato 
«n  concilio  a  PontJgone  (2),  il  re  ohe  avea  pur 
veglia  d*  umiliare  que'  vescovi  per  pili  riguardi , 
lasciò  operare  e  dispor  d'ogni  cosa  aì  legati  con 
tuta  maggioranza ,  che  da  quel  primo  tempo  in 
poi  t  p6r  quanto  a  me  sembra  «  i  legati  pontificii 
e  ì  cardinali  eominciarona  di  fatto  a  soverchiar 
l'autorità  vescovile .  Il  mezzo  più  efficace  che  fìi 
immaginato  per  sottomettere  i  vescovi  della  Fràn> 
da ,  parte  de*  quali  avean  mostrato  favore  al  par- 
tito del  re  di  Germania  nell'  ultima  concorrenza 
all'imperio,  fu  d*  umiliar  sopra  tutti  il  celebre 
Incmaro  arcivescovo  di  Reims ,  come  il  più  fer- 
mo ,  il  più  dotto ,  e  il  più  riputato  di  tutti  ;  e 
qoelto  che  con  più  ardore  s'era  opposto  fin  allo- 
ra-alle  voglie  del  papa.  Sommesso  ed  umiliato  co- 
stui ,  '  certo  ben  era  cbe  niun  altro  avrebbe  levato 
testa  .   Né    bastavano    al   papa  cpiest*  importanti 

[1]  Eulrop.  praesb.  Longob.  apnd  Daniel  pag.  ^g{, 
[2]  Act.  Concil..  Pooiig.  tttin.  3.  Concil.  Gill. 


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jBi  Delle  Rivoluzioni  «'  Italia    ■ 

terrigi  eb*^H  ebbe  daC^o.il  Calvo,  siiacreatii». 
Maggior  peosiero  davano  a  Giovanni  nei  tempo 
stesso  i  movimenti  de'  Saraceni ,  ì  quali ,  se  .non 
èrano  oppressi  da  fòrze'  nipetiorl  a  quelle  .del  pa- 
pa o  de' duchi  di  Benevento,:  di  cui  anche  peral- 
tro poco  bi  fidavano  i  papi ,  avrebbet  con  troppa 
facilità  icfeslatt  i  contorni  dì  Soma  e  la  etessa 
città .  Sollecitò  pertiuito  sì .  forte  1*  imperadoie  , 
cbe  lo  mosse  a  ripassare  io  Italia  a  far  guerra  .a 
que' barbari.  Non.  so  qual  vantaggio  recasse  .al 
nome  Cristiano  ed  allo  stato  della  cbiess  4i  Ro- 
ma questa:  spedizione  di  Carlo  il  Calvo  ;  ma  .  le 
cònsegUHize  the  poi  ne  avvenuto,  furono  affat- 
to nuove- ed  inaspettate.- 

'  E^a  morto  due  anni  avaqti ,  cioè  poco  dopa 
l'elezione  di  Carlo  il  Calva  eiir.im|Ki3o*. Lodovi- 
co re  di  Germania;  e  i  buch  tre  figliuoli,  divisisi 
pacificamente  gli  stftti  fra  loro.,  stettero.,  fuori 
dei  costume  dr  quella  stirpe,  molto  bett  uuiti  : 
unione  perb  assai  necessaria,  affinchè  non  rima- 
nessero' r  uno  e  poi  l' altro  oppressi  e .  spogliati 
dallo  2Ìo.  Deliberarono  eziandio  di:  levargli  il  do- 
minio dMtah'a;  'e  Carlomanne.  cbe  aveva,  e  mag- 
-gior.  diritto  e^maggior  comodo  di  tentar  quest' inn 
presa ,  come  primogenito  e  re  della  vicina  Bavie- 
ra ,'calb  in  Italia  con  buono  esmsito,  e  la  sua 
X'enuta  s'abbattè  a  quel  tempo. per  appunto^  cbe 
Carlo  il  Calvo  avea  passate  le  Alpi,  ed  invano 
aspettava  io  Tortona  1'  arrivo  di  quattro  suoi 
principali  vassalli  4    Quivi    ebbe'   la.  nuova  che . 


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'LiBBo  Vffi.  Capo  XLr.,         j83 

Catlbmanntr  s*approg8Ìmava;  e  nel  tempo  'stei^ 
fii  rapportato  pbt  véatura  a  quest'ultimo ,  che  l' ìiht 
peradòre'  trovatasi  iu  Lombardia  aotì  forte  anna- 
ta .  Presero  V  uno  dell'  altro  tale-  epavento ,  chi9 
iàineDdue  volfàron  le  spalle ,  e  si  fuggirono  nello 
stesso  tempo  l'utiò  verso  Francia ,  l'altro  verso 
Balera .  Somigliaote  destino  ebbero  ancora  in 
questa  congiuntura  ,  che  fii  :  d*  aminalarsi  grave- 
mente l' uno  e  r  altro  ad  uà  tempo  , .  Carlo  mon 
nel  passar  il  Moocenìsio ,  benché  non  per  forza 
del  male,  ma  pet  veleno  datogli  da  un' suo  me- 
dicò Giudeo  chiamato  Sedeoia .  Ed  è  maraviglia 
che  niuDo  abbia  lasciato  scritto  per  iihe  motivo 
ed  a  sommossa  di  chi  quel  medico ,  ancorché 
Giudeo ,  volesse  levar  la  vita  al  suo  rigore ,  a 
icui  era  carissimo .  La  Francia  e  1*  imperio  perde 
in  lui  Un  principe  che  non  altro  -avéa  di  grande, 
che  r  aiubizione  ì  ed'il  suo  regaoDÒn  è-jlotatHle 
per  altit)  che  ^er  la  potenza-  che  s' arrogaFOBo,  a 
cagione  della  sua  debolezza,  i  duchi  e  i  conti,  1 
quali  poi  rendettero  i  lor  governi  ereditari;  e  per 
aver  trasferito  net  papa  gran  parte  dì  quella  smi- 
surata autorità  che  i  vescovi  della  Frància  si  era- 
no arrogata  n^  dominio  temporale  del  regno  an- 
che ^ulla  persona  stessa  del  principe .  Carloman- 
no'  migliore  dì  lui  scampò  per  allora  dalla  mor- 
te ,  ma  non  ricuperò  mai  più  intera  sanità .  Man- 
cato lo  zio ,  egli  fu  senza  troppa  difficollà  rico- 
nosciuto re  d' Italia  .  I  due  anni  che  tenne  il  re- 
gno, furono  impiegati  ad  assicurami  la  sucoeesionQ 


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i,B4         DEcti:  .hivtoAmmi:^''  Ivauà 

al  fratello  Carletfo  o;,Carlo  il  GfqbmI:  <ìoiiMp  Ut 
pretennoD)  ■  di  -  Lodovk»»  il  Salbo»  «ueQedi^  in. 
ques^  aieixp  a  G«do  il  Calvp^  sqo  pa^  nel  i»- 
goa  di >f rancia.-  ; 

Cfclp  it  Orosao  iii. dunque  nell'^9;  ccesAo  re 
d'Italia,  in  luogo  di  ^  Carlòniaano .  Ala  il;  p^gao 
suo ,  iìhe  .^pareva  pur  dettinato  a  consolidare  la 
mon<|rctita  FraoceSR,  e  ristabilir  nella  sua  gran-^ 
dezKal- impecio  d*Oceid«Dte,  valse  S0I9  »  recar- 
vi 1*  ultinta  roTida  *  e  ,  a  ridur  particolarmente 
,r  balia,  a  totale  aaaTi:kia.  Paco  atto  per  sé  stesso 
al  govenQo ,  lasciò  ttltta  1*  autorità  sua  in  mano 
di  Liiitaj;dQ  vescaro  di  Vercdli ,  il  quale  per 
questo  ^0.  eccepivo  favore  e  potere  incorse  neU 
i'odijDiDon  meno  de*  principi  Lombardi,  cbp  de' 
Francesi,  e  Tedeschi .  Tuttavia  minore  sarebbe 
stato. il  male,  se  dopo  ^ver  elevato  a  tanta  au- 
torità questo  vescovo  ,  fps^  stato  almeno  fermo 
nel  sostenerlo  .  Ma.  secondo  la-  ifatuca  de'prìnoipi 
deboli  «  altrettanto  facili  ad  abbandonare  che  a  - 
sollevai;?  l  Dunisitri  favoriti,  Carlo  il  Grosso  si 
lasciò  dar  a  credere  che  tra  la  imporadrìce  Bic- 
carda  sua  moglie,  e  il  vescovo  di  Vercelli  pas- 
sasse amicizia  e  famigliarità  poco  onesta .  Mosso 
da  questi  rapporti ,  senza  dar  luogo  a  discolpa , 
scapciò  dalla,  corte  e  privò  d' ogni  jifiìzio  Untar- 
dp ,  <e  vituperò  in  pieno  consiglio  T  imperadrìce  » 
Ift  quale  benché  facesse  solei^ni  pn^ove  della^  sua 
innocenza ,  si  ritirò  nondimeno  a  vivere  in  un 
monastero .   Per   questi  scofisigliati   trasputi   di 


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'     Libro  Vffli  Capo  X!.-  aÒS 

sciocca  gelosia  i  progressi  che  lascib  fare  con 
somma  vei^gnà  '  a*  Normàtmi-  sotto  Parigi ,  fiiii^ 
rono  di  screditar  Carlo  il  Grosso,  e  lascfaròno 
r  imperio  io  peggior  confusione  ;  perete  V  autiiri- 
tà  che  prima  a  nomie  ■di  Tni' s' esercitava  dàt  ve- 
scovo Liutardo  e  da 'Rìcòarda  augusta,  !fu  s[)arti- 
tàniente ,  secondo  che  tSiascunoi  potè  più',  usur- 
pata da  molti  barotii,  -al  quàtì' la  debole  satittà' 
ognor  più  cagionevole  dell' impetadore' accresceva 
r  ardire  è  1*  iridipendénaa  .  Ridotto  a  qaesto  'sta- 
to,' cercò  d' assicdì-ar  la  successióde 'aJ' da'"8uo 
figliuòlo^  naturale  per  nome  Bernardo.  Ma  pèt  lo 
disprezzo  e  1*  avvilimento  estremo'  in  cut' era  cftr 
dulo  questo  imperadore',  tanta  èra-"  lontano  '  dà 
poter  assicurare  la  successione  Sd  uo  stìo  bastar- 
do, oh'  egli  stesso  fu  sbalzato  affatto  dal  trono; 
e  ridotto  a  meudiòarsì  il  Vitto  nel  brèVè  spailo 
che  sopravvisse  *1là  sua  deposizione.  '■  'i  ""  ' 
Venuto  eraTultimtf  periodo  di  grandezza,  che 
'  Hdio  avea  prescrìtto  al  legnaggio  dì  Carlo-  Ma- 
gno,"  legnaggio  ■  non  meQO'illustre  per  là  Virtù 
de'  primi ,  che  famoso  per  la  viltà  e  dappooaggl- 
ne,  e  per  le  discordie  domestiche  degli  ultimi'. 
Questa  famiglia  che  Dell^856  contava  sei  re  vi^ 
venti  nel  tempo  stesso,  già  forniti' di  prole  6  hi 
età  da  spei'arla -aneor  natiM'oEa',  priuia  però'cfae 
finisse 'il  nono' secolo,  cioè  in  meno  di  quaracft'au- 
ni,  si  vide  ridotta  a  poco  meno  che' ad  un"  Solo 
rampollo  (  Carlo  il  Semplice  )  che  fu  dà'  baroni 
del  regno  stimato  inetto  al'  trono  y  e  jaer  due  vol- 
te escluso  dallar  successione. 


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S86  DELtB  RivcfLUZlosh  D*  Italia 


Cagioni  deBa  decadenza  de'  Carlovingit    siaid 
d^  Italia  soSò  il  lor  refftìOi 

X  ÌBO  da*  prìtai  anni  di  LodoTÌno  era  stata  qù6-  ' 
sta  rovina  del  regno  di  Car|o  Magno  presagita , 
benché  ìuudo  potesse  prevedere  che  ÌA  domina? 
zione  e  il  lignaggio  de'  Carli  fosse  per  maocaFe 
aiiàtto  in  sì  btéve  tempo .  Là  prima  e  priocipat 
Casose  di  qiiestd  decadenza,  che  facilmente  s'ap* 
presenta  ad  ogni  rateadente  lettore ,  fii  senza 
dubbio  I^  usanza  di  dividere  gli  stijiti  tra*  fratelli, 
e  investire  i  figliuoli  -della  sovrana  autorità  ^  vi- 
vendo il  padre.  Ma  a  questo  abuso j  donde  poi 
nacquero  tante  guerre  intestine  fra  i  posteri  ^ 
Carlo  Magno ,  appena  vi  era  allora  chi  àttendes- 
80,  come'  a  cosa  stitnata  necessaria  ed  inevitabi- 
Je .  Vaia,  già  tante  volte  da  noi  nominato  di  so^ 
pra  i  essendogli  domandato  il  parer,  suo  intorno 
agli  emergenti  -dello  «tato  in  una  dieta  cher  si 
tenlie  per  Lodovico  augusto  nelP  629  *  compose 
sabito  è  presentò  a  quel  reale  consiglio  uno  scrìt- 
to ,  in  òui  esponea  schiettametlte ,  quali  '  fossero  i 
disordini  che  portavano  seco  le  rovine  dell' itnper 
rio' Francese  ;  e  propóse  i  rimedi  che  stimava  op- 
portuni per  farvi  riparo  (i)  ^   Queste  eause  dello 

(1)  Ratbert.   ìn   Vita  Waiae  lib.  a,  capi  a,  3,  4.  a^. 
MabiìloB  nec.  4.  Benedict.     -.  ■' 


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-.    Libro  VIU.  Capo.XIÌ.  aSj 

Itcàditilento  della  moaarcfala  si  riducono  a  questi 
due  capi;  cioè  obe  i  aherìci  e  ì  monaci  aveano 
troppa  parte  tielP  amministrazione  delle  cose  po- 
litiche, e  ì  lai^i  troppo  s'impacoiaTWo  n«Ue  cau- 
se ecclesiastiche;  che  i  laici  aveano  donato  trop- 
po alla  Chiesa ,  e  gli  ecclesiastici  non  contrìbui- 
vaQO  quanto  sarebbe  stata  conveniente  ai  bisogni 
del  principe <  L'erudito  lettore  stimerà  epa.  ra- 
gione, esser  queste  le  sdite  querele  già  tante 
Volte  é  in  tanti  secoli  ripetute  ;  ma  attempi  di 
Vala:questi  abusi  veputi  ajl*  estremo  riguardava- 
no, non  solapiente  la  disciplina  ecclesiastica.,  Ima 
direttamente  ancora  la  somma  dell'imperio ,  e  la 
|jace  de'  popoli* 

.  I  vescovi  delle  GaUie,  cbei  come  abbiamo- in 
altro  luogQ  avvertito  j  anch?  sotto  i  primi  re  Vir 
sigoti  e  MerovÌQghi  aveano  grandis^ma  parte  nel 
governo  politico  di  quella  provincia  (  maggione 
autorità  di  gran  lunga  si  acquistarono  sotto  i  re 
della  seconda  schiatta.  E  i  vescovi  della Lopihar' 
dia  che  fu  soggetta  allo  stesso  domiqioi  entraro- 
no anch'  fissi  nelle  pretensioni  e  ne'  privilegi  ^* 
V£«CiOvi  oltramontani,  e  divennero  sotto  Ì  re  Fran- 
cesi più  potenti  che  prima  uelle  cose  temporali  < 
Sebza  contar  1'  autorità  che  godevano  i  vescovi 
nel  governo  particolare  delle  loro  città*  la  patte 
eh'  essi  aveano  nell'  amministrazion  generale  de' 
regDi^  d'Italia ,  Francia  e  Germania,  rendeva  per 
riguardo  di  lor  soli  il  governo  de'Carlovingi  piut- 
tosto una  difettosa  e  sregolata  aristocrazia ,   che 


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l9è  IteLLE  BlTOLDZIONI  d'  1tAI.IA 

vera  e  propria  mootrehia'.  1  àacìn  «  gli  ahrì  ba- 
rooi  laici  entravano  anch'em  woza  dubbio  e  net- 
le  deliberazioni  delle  cote  dì  «tato ,  e  nette  e)^ 
noot  od  anebe  nelle  iBaugurarioni  dei  re .  Ma 
prevalevano  d'ordinario  gli  eccleiiastiot,  parte  per 
1*  antoi-ità  particolare  ohe  il  carattere  di  miaistri 
di  Dio  aggiungeva ,  e  per  essere  uniti  in  una  «tea- 
■a  causa  col  pontefice ,  e  quan  partecipanti  di 
qu^a  pote«là  che ,  qualunque  ■■  fosse  la  Ir^^ 
mità  di  queir  atlo  ,  avea  aulorìeeata  l' occapaaiob 
ne  d<4  Irono  ne*  Carlovingi ,  e  avea  portato  in 
casa  loro  l' imperiai  dignità  ;  parte  ancora  per  le 
ricchezze  che  possedevano  I  vescovi  e  i  monaci , 
naggiorì  in  generale  che  quelle  deMaitii*  per  le 
«terminate  donaeioni  ohe  andavano  sempre  faoen-  ■ 
do  alle  chiese  ed  a' monasteri  i  re'Fraaeesi .  Tut- 
ta l'istoria  di  qù^  regno  basta  a  oonvinoern* 
'che  I*  atitorìtà  dì  que*  principi  sì  trovò  perpetua- 
mente affidata  alla  discrezione  di  vescovi ,  i  qua- 
li sì  credettero  d*  ess«-  in  dovere  dì  deporre  e 
rialzare  al  trono  i  re  di  Frauda ,  non  attrioMoti 
(^e  facessero  de'vesoovi  o  de*[H«lì  i  ooocilì  pro- 
'vinciali  del  quinto  e  sesto  «eocrfo  .  Da  questa  esor- 
bitante autorità  degli  ecclesiastìei  sopra  i  lor  prin- 
cipi temporali  nacquero  quasi  tutte  le  scandiilose 
guerre  civili  de*  nipoti  di  CaHo ,  la  decadenza  dì 
quella  famiglia ,  Io  smembramento  del  vasto  im- 
perio fondato  da  Pipino  e  da  Carlo  ;  e  quindi 
poi  ebbero  origine  gì' tnoumerevolt  principati  e 
■atali  libart ,  fra  cui  sì  trovò  divìsa  V  Europa  nel 
secolo  susseguente. 


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I      .  tlBpO  Vin.   CAPO..XU..  2% 

.       Hon  era  possibile  cjbe  «  {«rsuasi.  una  vo^a  i 
' vescovi. d'eaaet  essi   gU  .arbitri    d^la   corona,   e 
giudici  a  nome  di  Dio  della  .condotta  del  re,,  una 
parte  alméno  di  loro  non  trovassero  qualche  mo- 
tivo di  riprenderlo,  di  punirlo,    ed   alcuna. volta 
di  deporlo  o  di  sostituire  uo.  altro  della  fanuglia\ 
giacchi,  in  generale   il  diritto   della,  famiglia,  .al 
'trono  non  pare  obe  si  mettesse  in  dubbio.  Somf' 
gitanti  motivi  di.  scontentamento  nascei^no   iafiìif 
mente  verso  del  nuoyo  pciacìpe;  e  coD.egaal  fa- 
dlità  sì  deponeva  quest'altro   per    ricbitunare   al 
■trono  il:  primiero,  o  invitarvi  un  terzo.  j[. principi 
Bte»si  della  fatniglia  r«gfHuite  fomentavano  ed  ac- 
'«reacevano  questa  aw^ìmento  dell*  autorità  xqale 
•  per  propria  ambizione,   per  le  ^re  e  le,  gelosie 
.n   frequenti  tra  ì   congiunti  ì   sperando  sempre 
-d' avanzarsi ,  e  di  salire  gU  uni  ^op»  le  rovine 
.degli  altri,  ì  lìgliuoH  colla  caduta  .del .  padre ,  .e 
r  un   fratello   colla   depressione,  dell*  .altro .   Per 
questi  atti  di  giurisdizione,  che  aodavauo  i  ve- 
.  scovi  esercitando ,  egli  è   evidente  che  olt,m  un 
certo  dirit^  di  preacrizìpne  e  di  poise&o,  elessi 
acquistavano  per  fare. altrettanto  in  avvenire,  ot- 
.  tenevano  sempre  da  .colui  eh,' era  eletto  re,  qual- 
che nuovo  e  particolar  vantaggio  in  favor  loro  . 
'Oltreché  in  tutto  il  corso  dei  suo  governo. ciascu- 
no de*  re  preccurava ,    con  altri  nuovi  privilegi  e 
'  d(«iazioDÌ:in  favor  della  Chiesa,  di  conservarsi  il 
piii  che  poteva  la  benevolenza  e  la  stima  delPor- 
dine  clericale.  Così  andava  sempre  a  ^an  passo 
Tomo  /i,  19 


ovGooglc 


,  ìQo  Delle  Rivoluzioni  d'  Italia 

peggiorando  la  coadtzìoD  del  sovrano:  impércioci^ 
-cbè,  oltre  una  tal  quale,  direm  così,  amovibili'' 
•  tà  del  suo  grado,  i  redditi  e  le  forze  della  coro- 
na diminuÌTano  ancor  fieramente  per  la  sottraziou 
deHributi,  cbe  oaséeTa  dall' immiinitit  delle  terre 
che  si  cedevano  à*  vescovi  ed  a*monaci ,  ì  giiafi 
'  non  par  punto ,  che  sentissero  dì  buòna  voglia 
richiedersi  di  sussidi  nelle  necessità  dello  stato  (i); 
e  il  parlar  d*  esigerli  forzatamente  sarebbe  stato 
capital  delitto.  Frattanto  i  baroni  laici  'che  in 
tutte  queste  rivoluzioni  non  trascuravano  neppnr 
essi  d' accrescete  ancor  di  potenza ,  di  riputaz/O' 
ne  e  di  stato,  andavano  prendendo  àrdiire  di  scqo- 
tersi  dall'obbedienza  del  capo',  ed  acquistarooo 
■forze  bastanti  per  sostenere  rindipeodenza,  meott« 
il  re  divenne  vie  piili  impotente  à  tenérgli  in  dovere . 
Ciò  non  ostantiè  prima  cbe  mancassero  ì  po- 
steri maschi  del  legnaggio  di  Carlo  atti  a  trattar 
lo  scettro,  gli  e0ettì  più  .essenziali  e  più  gravi  dì 
tutte  queste  vicende  della  famiglia  rejgoanfe  fu- 
rono poco  Sensibili  0  paissaggeri  rispetto  all'Italia, 
la  quale  si  pub  dtre  che  sotto  il  regnò  de*  Carli 
godesse  assai  prospero  e  tranquillo  stato  in  com- 
parazione de*  mali  che  avea   sofferto  tteglì    scorsi 

(i)  L'abate  Vaia  che  propAie  di  eercare  qaalchti  ape- 
^ieole  perchè  il  clero  spontaneainente  sì  tasiaiK,-e  desti- 
Ti««e  una  parte  delle  sue  enlralc  al  aeiviiio  del  ptincipe, 
iu<.orie  fieramente  netl'adio  de' tuoi  collcghi  :  ijuaerendus 
.  est  modus  et  orda  cum  suittma  ■  i-erereniia  et  religitine 
Hkristianiiatit  <  lUtbert.  ]ftC>  .di'  de  Vita  Walae  fag-  4()^< 
edit.  Veuct.  -, 


,;  Google 


Libro  Vin.  CIapo  XII-  29Ì 

Sècoli ,   é  de*  peggiori  rÌTolgiineati  che  s'eguìtàroa 
di  poi  <  -Se  noi  eccettuiamo  le  proriocie  orientali 
d'  èssa  ,  che  per  la  malvagità  di  alcuni  duchi  di 
Kaiwiì ,  di  Salerno  e  di  Benevento  furono  sotto- 
poate  a  varie  travaglióse   vicende,    tutta   quella 
parte  che  costituiva  propriamente  il  regno  d*  Ita- 
lia i  e  ge&eralthente  tutto  ciò  che   s*  estende   dal 
Tevere  all'  Alpi ,  dalk  caduta    di   Desiderio  fido 
al  regno  di  Carlo  il  Grosso  godè  quasi  pace  per- 
petua è  sicura  non  meno  dagli  assalti    di   nemici 
stranieri i  che  dai  movimenti  di  guerre  intestine. 
t  regni  di  Ftancià  e  di  Baviera  dà  un  canto,    é 
gli  stati  medesimi    che    i  Greci    e   i  .Longobardi 
tenevano  dovè  ora  4  il  regno  dì  Niipoli ,  serviro- 
no dall'  altro  lato  ài  regno  Italico   di    ripari  e  di 
mura   contro   lei   scorrerìe   de'  Normandi  i    degli 
Sclavoni  é  de'  Saràcìeni  ^   che   infestarono  e  deva- 
starono nel  secolo  nono  tante  contrade  Europee  * 
tn  Italia  né  Pipino  né  Lodovico  ctie  assai  lunga- 
tnente  vi  lagnarono ,  né  txyttAtìó  augusto  non  fu- 
t'onó   éobdotti   à    queliti    igdominiose   umiliazioni 
th*  ebbero  a    sostenere   in   Francia    parecchi    di 
q'ue're  .  Forse  che  l'autorità  superiore  è  sovrana 
ch'esercitavano  i  pontefici  Bomàni  sopra  gli  altri 
tescovi  italiani  4   è  il  bisogna    del   braccio   reale, 
ch'ebbero  ì  papi  stessi  per  eonténere  eltrì  nemK 
ci  della  santa  sede^  -é  pet  respitigere  i  Saraceni 
tante  volte  minacoianti  Roma,    li  ritenne  gli  luii 
«  gli  alfri  da  quégli  eccessi  che  si  videro  in  Frafl- 
<eia.  Me  in  tante  Volte-chc  i  uifioti  di  Carlo  Piagno 


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igs  Delle  BivoLuzrom  d'ItAlu 

portarono  le  armi  gli  uni  contro  degli  altri ,'  mai 
non  toccò  all'Italia  d*esser  teatro  di  quelle' guer- 
re .  Le  vessaEJoni  ioterne  per  la  poteuza  de*  si- 
gnori non  pare  nemmeno  che  fossero  maggióri  di 
quelle  che  seguono  quasi  ineritabilmeute  nelle 
grandi  moaarcbie  anche  bene  ordióate  .  I  duchi 
di  Spoleti  e  del  Friuli ,  i  marchesi  di  -Toscana , 
ohe  possedevano  come  ereditari  i  lor  ducati  o 
governi,  aveano  proprio  interesse  a  farvi  osservar 
la  giustizia  per  mantener  popolate  le  loro  terre, 
e  il  più  che  si  poteva  agiati  e  facoltosi  i  lor  sud- 
diti .  Le  città  che  ora  si  comprendono  nel  ducati 
di  Milano,  nel  dominio  Veneto  di  terra  ferma, 
nel  Piemonte  e  Monferrato ,  essendo  immediata- 
mente governate  dal  re  e  da*  vescovi  e  da*  mona* 
ci ,  doveano  esser  meno  soggette  che  gì!  altri  po- 
poli alle  violenze  ed  alle  rapine  .  Dico  eh*  erano 
governate  in  parta  da*  vescovi ,  »  perchè  questi 
aveano  nel  temporale  ciascuno  nella  stia  diocesi, 
e  gli  abati  nelle  terre  del  monastero ,  '  autorità 
grandissima  e  signorile;  sì  ancora'  perchè  ì  re 
della  seconda  schiatta  di  Frauda  costumavano  di 
destinare- in  lor  vece  al  governo  del  regno  vésco- 
vi ed  abati ,  di  cui  si  valevano  ancora  essendo 
presenti .  come  di  principali  segretari  e  consiglie- 
ri .  Ebbero  gran  nome  Angitberto  abate  di  Cen- 
tola  sotto  Cark)  Magno;  Adalardo  abate  di  Cor- 
beìa ,  e  Vaia  suo  fratello  parimente  monaco ,  già 
sì  spesso  nominato  da  noi  in  questo  libro ,  sotto 
LodoriCQ  l. ,  e  ^ot^Q  i  it  Bnnwrdo  e  Lóttarìo  ;  9 


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Libro  VUI.  Capò  M.  agS 

tutti  e  tre  furono  in  vari  tempi  principali  miai** 
stri  del  i-egno ,  e  ia  lontananza  de* principi,  qua- 
si vicari  1  I  visitatori  o  sindicatori  straordinari , 
che  con  titoli  d'inviati  o  messi  regii  si  mandava- 
no a  tener  corte  qua  e  là  per  varie  parti  d'  Ita« 
lia,  dove  occorreva  o  qualche  lite  di  maggior  ri- 
lievo da  terminare,  o  qualche  querela  contro  la 
negligenza  de'  giudici  ordinari ,  erano  cherici  o 
vescovi  f>er  la  più  parte.  Ne  mai  il  re  si  move- 
va per  andar  a  tener  corte ,  ed  aprire  que'  pub- 
-blici  giudizi  che  ma//i  o  placiti  si  chiamavano  < 
senza  menar:  seco  o  invitarvi  scelto  numero,  di 
vescovi  e  d'abati,  insieme  a* conti  e  ai  duchi  e 
marchesi  che  ìa  questi  giudizi  assistevano .  o  cor<> 
teggiavano  il  re .  E  ne*  giudizi  solenni  e  pubtJici 
de' conti  ed  altti  governatori  di  provincie,  che  si 
facevano  a  somiglianza  di  quelli  dei  re,  interve- 
nivano spessa  anche  i  .vescovi  e  i  prèti  della  con- 
trada.'(i).  Io  so  bene,  iche-  quel,  tauto'  impaccio 
che -si  prendeeano  i  véscovi  e  le  persone  ecclesia- 
stiche e  religiose  nel  governo  temporale  degli-ata-* 
ti,^  portò  seco  grandi  abusi  nella  disciplina  eccle' 
«astica  e  monacale  ;  ma  considerando-  ora  sola^' 
mente  quello  che  ne  nasceva  a  benefìzio  de-*  pò» 
poh,  dobbiam  confessare  che  l'autorità  che  sì 
dava  ai  vescovi  nel  civile,  fu  di  grande  momen-^ 
to  a  mantenere  la  giustìzia ,  e  a  frenare  le  usur-^' 
pazioQÌ  e  le -violenze  de' laici.  L'integrità  notoria; 

(i)  Murat.  Aatiq.  lui.  diswr.  3i.  


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594  Delle  Rivoluziont  d*  Italu 

d' Adalardo  e  di  Vaia ,  per  cagion  d' lesemplo ,  9 
tutta  la  storia  Italiana  e  Francese  del  dodo  kcot 
Io  ne  fa  pruora  phé  i  vescovi  quasi  Epmpre  s'  a- 
doperarono  in' prò  della' giustizia  e  in  rantaggi? 
de*  poveri^  La  colpa  fu  e  il  danno  parimente  de* 
prìncipi ,  se  essi  lasciarono  tanto  crescere  in  pre* 
giudizio  dell*  autorìtft  reale  quella  de'  veecoTÌ ,  la 
quale  quanto  potea  esser  ptile  a  pontentre  i  sud- 
diti e  rendergli  ancor  fortunati ,  altrettanto  fu 
biarimerole  e  pemidos^  allorché  essi  pretesero  di 
trattare  i  regnanti  come  ^i  farebbe  dVun  novizio 
religioso,  o  d'un  pubblico' penitente .  Pel  reato, 
nemmeno  1^  disciplina  clericale  0  monastica  noq 
fu  in  Italia  sotto  ì  re  Francesi  in  quella  conjìi- 
sìone  e  quella  decadenza,  iq  eui  A  venne  ne''se- 
guenti  secoli  *  e  che  già  si  vide  ntAH  Gallift';  e 
appuntò  percfaè  ì  vescovi  non  ijscivaoQ  cotanto 
da*  limiti  della  lor  professione ,  come  jècero  in 
Francia  (i) .  Gli  scandali  pia|^ori  e  in  questo 
particolfu'e ,  9  generalmente  ìD:  tutto  il  goTemo 
civile ,  ^  vMero  in  quelle  dttà  Italiche ,  le  qeudi 
o  dipendevano  dai  Greci,  come  Napoli,'  d  per  Ie( 
vicinanza  de* Saraceni  a  ^i  si  fecero  tributarie^ 
9ome  Qapoa  9  S^Ierpo,  poco  faceaq  contò  dB'pa-; 
pi,  e  pocQ  rispetto  mostravano  ai  re.  Ma.  o^I^ 
{Romagna,  nella  Toscaqa,^  in  tutta  la  I^mbar- 
idia ,  sia  che  i  vescovi  s*  ele^igessero  dal  pr<^Q 
clero  e  popolo  »  sia   che   fossero  nominati  dal  nt 

(i)  Yid.  Mabillon  Praefat.  in  Meca1.4'  Bepedìct.  ^-Sf 
Bum-  94- 


ovGoogIc 


;     UtìBP  Vili.  Capo  331-  i^^- 

(npl  chf  n"n  pare  che  ȓ  osservasse  regola  ferm* 
ed  invariabilfi),  ossi  erano  dal  rispetto  di  Roma 
tenuti,  a. sfgnu  .  £  l'ispezione  e  la  cngpizIoD  del- 
la lorO' elezione ,  cbo  i  papi  o  furon  costretti  o 
stimarono  bene  di  lasciar  agi*  imperadori  e .  re 
d'Italia,  giovò  grandemente  ad  impedire  che  non 
fosse  la  cattedra  dì  s.  Pietro  occupata  ed  invasa 
per  cabale  e  per  prepotenze .  E  di  vero ,  benchS 
non  tutte  le  azioni  de*  papi  del  secolo  nono  sieno 
da  canonizzare,  tuttavia  i  più  di  loro  furono  uo- 
mini di  gran  mente  e  ài  buona  vita ,  e  per  que* 
tempi  iornili  di  lettere  e  di  sapere. 

.1  monaci ,  benché  arrtochiti  grandemente  daU 
'  le  pie  liberalità  de* re  I^ongubardt  e  Francesi,  rìr 
tennero  noodimenq  in  cj^ualcbe  tollerabii  vigore  la 
disciplina:  e  non  apparis(;e  punto,  che  gl'Italia- 
ni abbiano  avutQ  che  dire  de' costumi  moDa^tici; 
anzi  P  uso  che  durò  sotto  \  re  Francesi ,  di  pi- 
gliar l'abito' religioso  nell'estreme  giornate  deUn 
TÌta^ , .  dimostra  bastevolmente  ,  che  i  monaci  non 
avean  molto  perduto  dell'antica  x*iputazÌotie  di 
santità .  L*  abuso  iniquissimo  che  già  s' era  Fen- 
duto tanto  comune  in  Francia,  di  dare  in  com- 
menda a  persone  laiche  ed  anche  ammogliate 
ramotipistrazione  de' monasteri ,  passio  in  Itdia 
alquanto  più  t&rdi,  e  non  ebbe,  tempo  d'introduc 
que*  disordini  e  quella  corraftela  »  ^  quello  scon- 
■  volgimento  e,  disprezzo  delle  regole  del  viver  mo- 
-  Bastico,  ghe  di  sua  natura  dovea  portare  la  fre- 
quenza della  commende.  Fare  che  tottario  sopra 


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agì*  DiiLtfi   RlVOtUglONf  D' ITAUA 

ruttigli  altri  che  regoarooo  in.  Italia  dà  CaHtf 
AfagDo  io  poi ,  abbia  abusato  d*  ogni  sorta-  dt 
beni  ecclesiastici ,  e  ne  abbia  ptfrticolarmieDte  fat* 
to  traffico  e  ]nercataii2ia  <;o*-  oaoaaci ,  dai  -  quali 
si  fé*  pagare  in  lìbera  elezione  che-  desiderarvio  |- 
de*Ioro  abati., Ma  noa  andò  già  ,fd  tutte  esente- 
r  Italia  da  quella  mostruosa  usanKt-  di  vedere  ve- 
scovi ed  abati  mooacì  vestir  corazza ,  e  coudurre 
squadre  amiate  ne*  campi  dì  battaglia  per  ràgio*- 
ne  di'  eerte  signorìe  temporali  annesse  ai  reddit» 
'de*.lor  monasteri.  Il  celebre  bando  dì  Lodovico  U, 
per  la  spedizione  dì  Benevento  comanda  agli  aba^ 
ti  e  alle  bades^  di  mandar  loro  •  uomini ,  e  m 
.TesoaFÌ  non  meno  cbe  agli  altri  signori  d'andar- 
vi in  persona  (i) .  Vero  è  che-  si  trattava  d'  una 
spedizione  contro  de'  Saraceni  pagani  :  del  rima- 
jiente ,  non  apparisce  che  fosse  ancor  in  Italia 
molto  distesa  né  autwizzata  cotesta  usanza;  per- 
ciocché uno  scrittore  alquanto  posteriore  a  Carlo 
il  Grosso ,  avendo  dovuto  raccontar  dì  onti  pre^ 
lati  che  si  trovarono  iu  una  battaglia  fra  le  squa- 
dre di  Berengario,  si  ritenne  dal  dirne  il  nome 
per  non  disonorarli  (2),  ritegno  che  sarebbe  sla- 
to vano  e  ridicolo,  se  l'uso  di  portar  l'armi  fos- 
se stato  comune  negli  ecclesiastici  .  Ma  come- 
cbè  meritassero  biasimo  i  oberici  e  i  moaacì  icbe 
con  sì  manifesta  contraddizione  alte  regole  della 

(i)  Ber.  Iialicur.  lom.  a  ,  pag.   aOy. 

('i)  De  Laiidib.  Hiicugarii  apud  Muratori  Iter.  Ita),  lo.  3  , 
pag.  593-94. 


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tamo  Vin.  Capo  DC.    '  igf 

ptofessìoti  loro  poitavano  spada  e  vestivagp  corazza, 
in  vtiO&  dì  pastorale  e  di  cocolla  ;  era  per  altro 
degDÌssiiiid  di  lode  it  sistema  tenuto  dai  re  d*  I-. 
isMa.  di  far  le  guerre  con  fojtze  proprie ,  arman- 
do vassalli  e  sudditi ,  ciascun  secondo  il  grado 
die  tenera  ndlla  mocardiiB .  Quando  altro  non 
fòsse  stato  y  almen  questo  di  bene  rìecvette  1*  Ita- 
lia-dalia signoria  de*  Longobardi ,  poi  de'Fcaoce- 
si;  di  riassumere  l'uso  delle  armi,  che  sotto  il 
governo  degl'  imperadori  Romani  s*  era  quasi  del 
.tutto  abbandonato,  da  che  si  cominciaFona  ad 
assoldare  Goti  e  Vandali  ed  Unni.  E  quantunque 
per  ìe  necessarie  vicende  dell*  arno ,  e  per  fallo 
e  trascuraggine  manifesta  de'eonrandanti  non  ve- 
nisse sempre  fatto  agl'Italiani  di  potnsi  schermir 
dagli  assalti  stranieri ,  come  dagli  Ungheri  ncm  si 
difesero  sotto  il  regnò  di  Berengario  ;  pur  non^- 
meno  vedremo  nel  processo  di  questi  libri-,  ébe 
r  Italia  si  mantenne  libera  e  potente  finché  durò 
fra  gì*  Italiani  1*  uso  di  portar  '  1*  armi ,  che  sem- 
bra abbiano  ripigliato  pEurtioolannente  sotto  i  re 
Fraacesi .  Non  solamente  il  regno  d'Italia'  ebbe 
sotto  i  Francesi  a  difendersi  e  ristorarsi  con  mi' 
lizìe  sue  proprie,  senza  condurre  eserciti  forestìe-- 
ri  ([);  ma  più  volte  ì  re  d'ItaUa  mandarono  di 
loro  truppe  in  guerre  lontane  e  straniere .  Percioc- 
ché Carlo  Magno  condusse  reggimenti  Lombardi 
contro  i  Saraceni  di  Spagna;  e  nella  spedizione 
contro  i  Sassoni  ed  Avari  a' tempi  di  Lodovico  il 
(0  Murat  ad  aan.  378  et  785.  i 


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99^  Delì^  RrvòLUiEfoNi  b^  Italu 

Ffo  mardiyrono  aacbe  i  re  d' Italia  ton  buono 
frappe  di  loro  sudditi .  Or  quali  forze  poterselo 
quésti  re  metter  ia  campo  si  può  ia  parte  argo- 
metJtare  dalla  guerra  cirile  tra  Lottarlo  augusto 
e  suo  nipote'  Pipino  contro  .Carlo  il  Cairo  e  Lp- 
doTÌco  il  Germaoico ,  e  particolarimezite  dalla  fi;- 
mosa  battaglia  di  Fontane  *  nella  quale  •  secondo 
ebe  scrìve  affermatÌTamenta  uno.  storico  «ontem- 
^oraàeo ,  -  perrroao  dalla  parte  di  Lottano  que^- 
^aótàmila  uomini'  (i)  .  Due  cose,  sono  qui  .da 
Botare  :  una ,  che  noa  tutte  le  genti  di  lattario 
perirono  in  quella  giornata ,  come  ognun  pM& 
supporre  ;  1*  altra  i~  cbe  quell*  esercito  senza  dub- 
bio numéipsisrimo  dovea  esser  composto  in  gran 
parte  d'uòmini  Lombardi.  La  lunga  pace,  o  al- 
meno là  lontananza  delle  guerre  che  poteano  in- 
teressare la  Lombardia,  diede  grande  opportiwilà 
all'  accrescimento  della  popcrfazione  ,  alia  qgale 
non  era  di  grande  impediiiiento  il  fìomc  che  fepe 
per  questo  tempo  I*  ordine  monastico ,  perciocrJij!} 
r  più  di  coloro  eh'  entravano  iie'  monasteri ,.  già 
aveano  avuto  mc^lie  e  ^iuoli,  e  s' ayvioinavano 
alla  Tcccbiezza.  D'altra  patte  ìt  disuso  totale  in 
cui  era  allora  quel  celibato  de*  laici  ù  feeque^le 
tra  noi  e  tra  i  Komani  de* tempi  corrotti,  reodea 
di  poco  pregiudiziale  alla  popolazione  una  medio- 
cre moltitudine  dì  cheriei  e  di  monaci .  Quagto 
alla  scelta  delle  milizie,  leguivasi  tuttavia  lo  stile 

(0  Agoeltr  ìb' Vita  G«org.  EpÌRop.  &er.  lulic.  toni,  ly 
par.  t,  pag.  i85. 


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/!  itiBRo  Vltt  Cipó  SXi,  t  «59 

risatò' 'da' Longobardi.  \Jp  e^Uo  diXodovicp  U., 
iMatidìfto  fuori  da  lui  in  occa^ìoae  delle  sqe  im- 
|ireSe  tibntro  j  Saraoepi ,  e  uil  altro  di  Carlo  il 
Crosso  de!r8&4,  possono  darp  a  chi  il  cercii^sp 
assai-distioto  ragguaglio  degli  ordini  militari  cha 
s*o^^v&vano  io  Italia  a  qqel  tempo  (i). . 

'Ma  ben  maggior  maraviglia  ci  dovrà  parere , 
che  1*  Italia  non  solamente  altoni  abbia  dovuto  ri- 
donoscfere  da*  barbati  boreali  il  rinnovamento  del- 
la milizia,  ma  abbia  da  loro  dovuto  apprend^ra 
ht  quello  stesso  tempo  te  sciente  più  nec^s^arie; 
0  che  bisogsf^e  dagli  ultimi  confini  d' Ocqid^nte 
e'  del'  Nord  far  venire  in  Italia  i  maestri  ad  inse-,  - 
gnàrci ,  nwi  che  altro,  la  lingua  Latina.  Carlo 
Magno  nel  781  avea  preposto  alle  scuoi©  dMtali^ 
è  di  FraBcia  due  monaci  Irlandesi .  Molti  gnui 
dopo ,  essendosi  trattato  in  un  concilio  Bomano 
sotto  Eugenio  II.  delta  rarità'  de'  maestri  che  si  ve- 
deva in  Itah'a,  e  ordinato  di  provvedere  a  questo 
difetto,  fu  neU'827  fetto  venire  di  Scozia  un  mo- 
liamo per  pome  DuQgalo,  famoso  in  quell'età  pel 
^o  capere .  -  Ebbe  costui  a  teiere  in  particolare 
la  studio  di  Pavia,  ma  fu  neUo  stesso  tempo  au- 
tore e  quasi  fondatore  delle  altre  scuole  d' Ivrea , 
di  Torino ,  di  -Fermò,  di  Verona ,  di  Vicenza,  di 
6ividal  del  Friuli;  alle  quali  dovevano  concorrer© 
ripartitameoie  gli  scalari  da  tutte  le  altre  città^ 
del  regno  Italico ,  siccome  ordinò  Lottano    in  un 

(t)  Ap.  GammUl.  PcllegtiD. ,  et  Marat,  tura.  a.  Rei-  luK 


=d.vGooglc 


ao<*  X)BtXÌ  BiTdLVaiOlH  D' IfALU 

Slip  fatno^  capittjarei  (i).  II  crebre  patriarca, 
d*  Aquileia  Paolino ,  sopranoominato  il  Grammi' 
tico ,  «ra  stato  da)  medesimo  Carlo  fatto  venir  ia 
ItaKadairÀiutna*  paese  uscito  .pur  allora,  dalla 
harbarie.  In  i|o  trattato  particolare  su  questa  .ma-> 
teria  (s)  noi  crediamo  di  avw  bastantemente  pie- 
gato com'egli  avvenga  molto  naturalmeate ,,  che 
il  genio  delle  lettere  vada  così  circuendo  per  va- 
rie'contrade;  e  come  d'ordinario  ancor  suooeda. 
«^'•fige  fioriscano  egregiamente  ae]Ie  provitioief 
allorché  già  sono  comÌQ(»ate  a  decadere  sella  ca- 
pitale .  NoO-  è  però  maraviglia  se  gli  studi  o^ 
dal  tempo  di^ti  Aotopini  erano  decaduti  in  Ro- 
ma;, coukindarono  a  fiorir  nell'Africa,  poi  nella 
Spagne  e  nelle  Qallie,  dove,  a  pocc)  a  pos»  s'era' 
no  sparale  le  lettene  daBoma  e  dall'Italia,,  centro, 
allora  di  quell'immenso  imperio.  Fioalmente dal- 
la Gallia  dove,  nel  q[uijDto  «  qel  principio  dd  se- 
sto secolo  erano  in  vigore  gli  studi  non  meno  prò-, 
fani  che  saori ,  si  diffusero  n  aj  propagaicono  nel*, 
le  isole  BritanDÌcl»e  e  nella  Germania  i  dove  Bel 
principio  dell' ottayo  secolo^  allorché  a^mma  ra-'. 
rità  s*eran  ridotti  gli  uamini  letterati  per  tutto 
1*  imperio  d' Occidente  *  si  renderono  chiari,  p^r, 
dottrina  molti  monaci  specialmente  (3).  Con^fo»^ 
sia^hè  in  quello  stesso  periodo  di  tempo  ohe  sì 
coltivarono  gli  studi ,  dominavci  anche  il  genio , 

(i)  loter  Leg.  LoDgab.  ap.  Murai.  Ker.  ttàl.  tom.  3. 
'  '(o)  DiKono  tofn  le  Viceoile  della  Letteratura  ; 
(3J  Vid.  MabilloD  Fraefal.  in  Mecal>  3.  B«ae4icl.  £,  ^ 


ovGoo^lc 


CiBRo  Vltt.  Capo  Xn.  dot 

ptwo  aratiti  rato  nell'Occidente,  della,  vita  mo- 
nastica .'■■': 

Ma  non  è  da  dii^  per  questo ,  che  (ussero 
in  Italia  passati  in  totale  £suK>  gli  studi  umani 'e 
divini.  Certo  è  ohe- in  Roma  per  lacurade'pon* 
tefici ,  de*  monaci  e  de*  cherici  si  ritenne  qualche 
letteratura,  e  la  liagua  Latina  nott  vi  rimase  af- 
fatto spenta ,' almeno  nelle  scritture.  Il  tenofó  del 
decreto  sopraccennato  d'Eugenio  H.  o  del  Consilio 
Romano  dell' 826  intorno  al  difetto  d6*  maestri 
che' sì  osservava  in  più  luoghi,  pi\h  farcì  argo- 
mentare che  in  quella  immortai  città  non  vi  ibs' 
se  tale  inopia  di  chi  fnsegnàsse  almeno  a'  giovani 
cherici  la  grammatica,  sotto  il  qual  vocabolo  in*- 
teodevaosì  allora  le  uinaoe  lettere ,  o  sia  la  ÌHtiit- 
ra  de' poeti  e  retori  e"  d'altri  autori  antichi,  a 
ddta  sacra  serittura- medesimamente.  ' 

Nella  stessa  ppoporeioné  delle  lettere  essendo 
scadute  le  arti ,~  fuori  dt  quelle  più'  grossolane  e 
più  necessarie  al" vivere  uinano,  non  troviam  me- 
moria di  aloun  arte  o  manifattura ,  salvo  ohd 
d'un  beilo  e  famoso  musaico  che  ei  orede  fatto 
fare  da  Leon  HI.  in  -  santa  Susanna ,  e  di  certe 
campane  che  OrsoFarticipazio  doge  di  Venezia 
mandè  in  dono  all' imperadore  Michele  UI. .  Gior- 
gio prete  VenezUtDo  avendo  portato  di  Costanti- 
nopoli r  invenzione  degli  organi ,  non  pare  che 
quell'arte  si  coltivasse  con  successo  in  Italia  ;  giac- 
ché troviamo  qbe.  Giovanni  Vili,  jichìòse  il  yewqvQ 


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Òtìà  ì)AiX 'Rivouhtàm  o*  ItalìA 

di  FmiAga  d*un  organo  per  la  sua  chiesa  dìAd^ 
ma,  e  d'uoa  persona  atta  a  sonarlo  : 

ti  commercio  parca  ged^almente  essersi  tU 
stretto  tra  poclie  terre  vicine  d'una  stessa  ^nntia- 
cìa,  ooDcorFenti  le  une  al  'menìato'  dell'altrèj'cd- 
Ine  fu  sempre  necessario  costume  dì  tutte  le  ùa' 
2Ìoni  anche  pi£i  rozze  e  |)i&  incolte .  Pochi  eratid 
quelli  I  per  quel  òhe  né  parli  la  storia  Italiana , 
che  fiieessero  allora  professione  d*  un  traffibo  al'' 
iqttuito  più  grande  e  più  esteso.  I  Giudei  dispen- 
si per  Io  motado  ^  esclusi  dà  ogni  uf6zi6  civile ,  e 
tirdioarìansente  anche  dall*  agricoltiirct  pe^  doìi  a7W 
beni  stabili  propri  j  alienissimi  per  altro  canto  dal 
tnestier  delle  armi,  furoikt  costretti  d  inipiegar  tut- 
ta Tiddilstria  o  fieli'  esercizio  della  scienza  6sica  ^ 
0  nelk  mercatura  :  pero  furono  in  tutti  i  secoli 
ed  in  tutti  i  paesi  del  mondo  rìgtiardati  come  ì 
più  intraprendenti  è  t  più  àvvedutT  mercatanti  j  é 
tali  erano  essi  in  Italia  anchti  sotto  il  regno  de* 
Francesi  (i)j  Ma  fra  le  nazióni  naturali  d'ftàb'a 
ì  Veneziani  furono  nod  pure  i  principali  i  mi.  ifia.- 
81  i  soli  oh*  esercitassero  fin  dal  nono  seciolb  un  va- 
sto éommerzio .  Venezia  £ra  1^  emporio  iioQ  me^ 
no  d'Italia,  che  deità  Grecia  è  de' paesi  confinaa" 
ti  con  r  Adriatico  ;  Lo  scrittor  Tedesco  «  autore 
degli  annali  chiamati  Fuldesi^  ile  lasdÒ  ^uaH  per 

[i]  Agaell.   in  ViU   pootit'.  Itavènn.   aff.   Uurat.   Iter. 
Itali  tomi  I  «  pag.  i6> ,  disi.  }«  in  Anti^.  med.  «evi  • 


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tiBRo  vm.  mvóf^        3«3 

incidenza  un  bel  testimonio  (i);  ft-p^u  Spesso  si 
parla  nelle  altre  memorie  di  que*  tempi  di  mMx^- 
tanti  Veneziani,  òhe  d'Italiani  genercjtliente.  Gli 
Amalfitani  posti  Begli  ultimi  confini  ^  Italia ,  e 
soggetti,  benché  t;on.poca  dipendenza  «  all'impe-" 
rio  Greco,  esercitarono  anch'essi  sotto  ì  re  Fran- 
cesi la  mercatura  .*  ma  il  commerzio  loro  fiorì  spe-r 
zialmente  nel  seguente  secolo  decimo  .  E  i  Pisani 
e  ì  Genovesi ,  che  poi  tanfo  grido  ebbero  per  tut- 
ti i  porti  del  Mèdi  terraneo  «  e  gareggiarono  dicrer 
dito  e  dì  potenza  cogli  stessi  Veneziani  «  hon  pri- 
bia  del  S600I0  Tindecimo  cominciarono  ad  acqui-- 
Itar  nome. 


i^'ine  Het  seconda  ppluiw. 


(t)  Ai  aDD.  86e. 


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