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X^fitr'u^ U^0rui4^ <A^«4^.
DISSE RTA Z IO NI
SOPRA LE
ANTICHITÀ ITALIANE,
Cui compofle e pubblicate in Latino
DALPROPOSTO
LODOVICO ANTONIO MURATORI,
E DA ESSO POSCIA COMPENDIATE E TRASPORTATE
NE ll' Italiana Favella.
OPERA POSTUMA
Data in luce dal Propofto
GIAN -FRANCESCO SOLI MURATORI
■s
suo NIPOTE.
TOMO PRIMO,
IN MILANO, M D C C L L
A SPESE DI Già M BATISTA PASQUALI.
CON LICENZA DE' SUPERIORI
ADAMS
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR
D- GAETANO BONCOMPAGNO
L U D O V I S I
PRINCIPE DI PIOMBINO , MARCHESE DI POPULONIA , SIGNORE
DELLE TERRE DI SCARLINO , SUVERETO , E BURIANO , DELL'
ISOLE MARITTIME, DELL'ELBA, DI MONTE CRISTO, E PIANOSA,
PRINCIPE DI VENOSA, CONTE DI CONZA , DUCA DI SORA, ED
ARCE , MARCHESE DI VIGNOLA , SIGNORE DELLE CITTA' DI
AQUINO, DI ARPINO, DELLA TERRA DI ROCCASECCA , E LORO
STATI, CAVALIERE DELL'INSIGNE ORDINE DEL TOSON D'ORO,
E DELL'ALTRO DI S.GENNARO, GENTILUOMO DI CAMERA CON
ESERCIZIO, E MAGGIORDOMO MAGGIORE DELLA MAESTÀ' DEL
RE DELLE DUE SICILIE.
HiuNQUE sa , che il fu Propofto Lo-
dovico Antonio Muratori mio
Zio era nato nella Terra di Vignola , Feu-
do di Vostra Eccellenza , e eh' io pure ho
fortita la Patria medefima , crederà tofto ,
che quefti flati fieno i motivi , per cui mi
a fon
fon dato V onore di dedicarle il prefentc
Compendio delle di lui Difjerta'xjoni [opra
le Antichità Italiane . Ma , oltre ad effi , un
altro più gagliardo impullb ho io avuto ,
ed è {tato il fapere , che intenzion era delF
Autore di f arlene la Dedica ^ le la morte
gli aveffe lalciato il tempo da pubblicar-
lo . Ragion dunque volea , che io in man-
canza di lui non lafciaffi ufcir dalle ftam-
pe queft' Opera , fenza porle in fronte il
veneratiffimo nome di Vostra Eccellen-
za: e ben mi giova fperare , che, attefala
llima diftintiifima , colla quale fono mai
fempre fiate da Lei onorate l'altre Opere
di lui, fia per efferle grata anche quefta,
che dir fi può fultima produzione delfuo
felice Ingegno . E chi ne può dubitare ? ef-
fendo r Eccellenza Vostra un Principe,
che alla Nobiltà del lignaggio accoppia il
bel genio per le Lettere e buone Arti, ac-
compagnato da una fomma Benignità e
Gentilezza • Ma quefli non fono i foli
pregi luiiiinofi, de' quali va adorno l'ani-
mo di Lei generofo . Altre doti più fubli-
mi , permettetemi che il dica , Eccellen-
tissimo Principe, fi ammirano in Voi, le
quali
quali vi rendono degno di eterni eiicomj ,
e venerato da ognuno . M' intendo delia
voftra Angolare Pietà verfo Dio, della
grande voltra Carità verfo i Poveri , le
cui beneficenze fperimentano iovente
anche quei della mia Patria : parlo dell'
Amor 5 che portate alla Giultizia , ma non
disgiunto dalla Clemenza; dell' Affabili-
tà eCortefia, con cui liete lolito di acco-
gliere e trattare anche ipiii infimi fra'vo-
fhi fudditi ; e finalmente della rara voltra
Prudenza e deftrezza nel maneggiare gli
affari Politici della maggiore importan-
za . L'effere Voi llato innalzato dalla
Maeltà del Re delle due Sicilie alla Cari-
ca riguardevolilTima di fno Maggiordo-
mo Maggiore , e l'avervi eglifpedito per
luo primo Ambafciadore Itraordinario ai
Re Cattolico Filippo V. fuo Padre^ e pofcia
alFoggidi regnante Monarca delle Spagne
Ferdinando VI. fuo Fratello , fono incon-
tr alla bili argomenti del veltro gran me-
rito; ficcome gli atti di bontà e diftiraa
particolarillima 5 co' quali folle accolto e
iempre trattato da que' graziofiffimi Mo-
narchi y e da tutti i Sereniffimi Infanti ,
a 2 hanno
hanno chiaramente dato a conofcere ,
quanto fia fiata da elfi gradita amendue le
volte la voftra fpedizione, e in quanta con-
fiderazione fofte preffo tutta quella Rea!
Corte, nella quale avete infine lafciata
un' indelebii memoria del voftro Nome .
Molto più ancora di eftimazione ha di-
moftrato verfodi Voi il Re voftro Signo-
re, con avervi nell'Anno 1738. prelcelto
all'alto onore di andare a ricevere su i con-
fini dell' Italia la Regina fua Spofa, ed a
ferviria nel viaggio fino a quei del Regno
di Napoli, dov'egli fi portò ad incontrar-
la. Tralafi:io di accennar gli altri onori
e finezze compartitevi dalla MaeftàSua
e dalla Reale luaConforte, per dire 3 che
fé grande è ia gloria a Voi prò v venuta da
tanti Perfonaggi illuftri per la Pietà, pel
Valore, e per le primarie Dignità Eccle-
fiaftiche , uiciti dalla voftra Proiapia , tra
quali fi conta l' infigne Pontefice GRE-
GORIO XIII. la cui memoria farà Tem-
pre in benedizione nella Chiefa di Dio
per le molte fue Virtù ed Eroiche gefta ,
e per averla con tanta Sapienza governa-
ta: non minore faràillultro, che da Voi
rice-
riceveranno i voftri Pofteri per tanti ono-
revoliffimi impieghi , che avete foftenu-
to , e per le eccelfe doti ^ che l'animo vo-
ftro adornano .
Ora nelprefentare, ch'iofo, a Vostra
Eccellenza l' Opera del Zio , mi avanzo
a fupplicarla di voler non folo gradirne
FofFerta , ma eziandio permettermi , ch'io
pofTa da qui innanzi gloriarmi d' effere ,
quale ora col maggiore ofTequio mi con-
fermo
Di Vostra Eccellenza
Modena i. Aprile 175 1»
UmìUfs.^" Dtvot.^" e Riverent.^' Servidore
Gian-Francefco Soli Muratori.
A I L E T T O 11 I
GIAN-FRANCESCO SOLI MURATORI.
Allorché' per ordine del ScreniiTimo Signor Duca di Modena
Rinaldo I. fuo clementifTimo Padrone il Propofto Lodovico
Antonio Muratori mio Zio di chiara e per me fempre grata
memoria, intraprefe la vifita di molti Archivj d'Italia negli An-
ni 1714. 171 5. e iyi6. a fin di raccogliere notizie per teffere la
Genealogia dell' antichiflima e nobilifTima Caia d'Efte, gli riufc'i
di far anche una copiofa mefle d'altri antichi Documenti, che po-
tevano dar molto lume alle cofe d' Italia de i tempi di mezzo ,
Nudriva egli da lungo tempo 1' idea d' illuftrare i' Erudizione di
que' Secoli cotanto Icuri per mancanza di Storie e di altri monu-
menti ; quindi, mefla eh' ebbe infieme si fatta raccolta, s'invogliò
toflo di dar efecuzione al fuo difegno . Si pofe pertanto a trattare
con varie Diflertazioni in Lingua Italiana de i Riti e Coftumi dell'
Italia, de i Magiftrati, delle Leggi, della Milizia, de gli Studj del-
le Lettere , delle Arti , e di tanti altri punti di Storia e di Erudi-
zione, per far vedere, qual folTe l'afpetto d'effa Italia dopo la de-
clinazione del Romano Imperio, cioè dal Secolo V. fino all'An-
no MD. dell' Era volgare, con animo di farle pofcia fuccedere al
primo Tomo delle Antichità Eftenfi , da lui pubblicato nell' An-
no 171 7. che per queQo motivo intitolò c^ellj Antichità Eflenfi
ed Italiane* Ma avendo egli frattanto unito buon numero di Cro-
niche e Storie inedite, riguardanti l'Italia, meffe in difparte le
DilTertazioni, tutto fi rivolfe a difporre la grande Raccolta degli
Scrittori Kcrum Italicarum , che fu polcia magnificamente ftam-
pata in Milano per cura ed alle fpefe de' Nobili Socj Palatini in
ventifette grofTì Volumi in foglio, ed anche accolta con plaufo da
tutti i Letterati . Siccome poi quella infigne Raccolta di Storie e
d'altri Documenti fornì al Muratori altre non poche notizie da
impinguare le da lui intermefle DilTertazioni ; così £gli ne ripigliò
il lavoro , ma in altro Idioma . Imperciocché avendo fatta rifief-
fione, che fcrivendole in Lingua Italiana, non farebbero ftate gra-
dite da tanti Letterati Oltramontani, cangiò penfiero, e fi miie a
rifarle in Latino , con averle eziandio pubblicate nella medefima
Citta, per opera pure della Società Palatina in lei Tomi in foglio,
col titolo di Antiquitates Italice med'it jEvì . Prefe egli dipoi a feri-
vere gli Annali Civili d Italia dal principio dell'Era volgare fino
air
all'Anno 1500. e.pofcia fino all'Anno 174P. che in dodici Tornì
in quarto iiicirono.
Credeva il Muratori di aver colle fuddette tre Opere abbaftan-
za provveduto al biibgno dell'Italia per conto della Storia e dell'
Erudizione de i Secoli di mezzo; ma non cosi parve a varj Lette-
rati fuoi Amici , i quali perciò cominciarono a limolarlo forte-
mente, perchè riduceiTe in Compendio, e trafportafre nella noftra
Lingua le fue Diflertazioni fopra le Antichità Italtans , Gli rappre-
Tentavano efTì , che quelle in Latino fervevano folamente per la
gente dotta : laddove fé fofsero Rate tradotte in Italiano , avreb-
bero potuto participare dell'Erudizione in else contenuta eziandio
i men dotti, anzi taluno de i dotti medefimi, cui mancava il polfo
di provvederfele ne i fei Volumi in foglio . In oltre efserfi egli in-
tefo, componendole in Lingua Latina, di far come un'Appendice
agli Scrittori Rerum Italic^rum ; e perchè dovean reflar fenza que-
lla dote gli Annali d'Italia? A quelle ragioni non feppe ridire il
Muratori, e trovandofi fenz' altro argomento da trattare, pofe ma-
no all'Opera verfo la meta dell'Anno 1748. e l' avrebbe certa-
mente condotta al fuo termine , le una molcHa flufliohe non lo
avefse per alcuni mefi dell' Anno fufseguente privato dell'ufo della
mano per ifcrivere. Non gli rellava piìà che la Diisertazione LXX.
con parte delia precedente da finire , allorché gli fopraggiunfero i
primi incomodi nella villa ; ed avendogli allora vietata i Medici
qualunque fotta di applicazione , gli fi efibi cortefemente il Sig.
Abbate Pistr Ercole Gherardi Vice - Bibliotecario Eilenfe , e Pro-
fefsore di Lingua Greca ed Ebraica nell'Univerfita di Modena, di
farne la traduzione, ficcome puntualmente efeguì . Ecco ciò, di
cui ho creduto necefsario avviiare i Lettori intorno al Cow/?e«^/o,
che loro preiento , delle Difsertazioni Muratoriane fopra le Anti-
chità d'Italia . Non s' afpettino elfi, ch'io dia loro altro conto
di quell'Opera ; perchè a quello ha foddisfatto l'Autore nella fua
Prefazione alle Difsertazioni Latine , che qui apprefso fegue tra-
dotta ; e l'incontro felice delle medefime prefso i Letterati fervi-
ra di una (incera tellimonianza del pregio loro. Aggiugnerò fola-
mente, ch'efsendofi prefifso il Muratori, nel compendiarle in Ita-
liano, di renderle intelligibili e meno difpendiofe a chi non fapcva
la Lingua Latina, ha egli perciò lafciata fuori la maggior parte de'
Documenti Latini, e tutte leCronichette, che nella prima Edizione
fi leggevano, con ritenerne però i palTi occorrenti al fuo propofito.
Debbo eziandio avvertire, che quantunque egli abbia pretefo di fa-
re
re foltanto un Compendio delie prime fue Diflertazioni , cofìtuttociò
non ha lafciato di fare in qua e in la delle Aggiunte , delle muta-
zioni o correzioni, fecondochè gli è paruto bene o neceflTario; quin-
di molte cofe s'incontrano in quefte, che non fi fcorgono nell'altre
Didertazioni . Per darne unefempio, fi olTervi la DilTertazione XI V*
de t Servi e Liberti antichi^ e fi troverà, ch'egli l'ha accrefciuta fui
principio colla Differtazione da lui comporta fopra lo fteffo argomen-
to, e Itampata nel primoTomo delle Memorie della Società Colom-
baria diTiren'ze nell'Anno 1747. Mi difpenfo io dall' indicar l'altre
Aggiunte* o mutazioni di minor conto , perchè cola troppo lunga
farebbe ; e per lo fteflb motivo tralafcio di accennar tant' altre cofe,
omeflfe dall'Autore, perchè da elio credute non convenire ad un Com-
pendio. Ma prima di chiudere quello difcorfo convien, ch'io rifpon-
da ad un'iftanza , che mi potrebbe eifer fatta da taluno, con dire:
Come non reftava al Muratori da compendiare, che la DilTertazio-
ne LXX. con parte della precedente; mentre leDiiTertazioni tue fo-
pra le Antichità Italiane fono Settantacinque? Per intendere, come
ciò poilk ftare, balla fapere, che avendo egU intraprefa quella fati-
ca in tempo, chenonavea, ficcome accennai di fopra, alcun altro
argomento per le mani, ebbe agio perciò di lavorare intorno a due
Tomi alla volta, cioè ad uno in cala, ed all'altro nella Ducale Bi-
blioteca; ma perchè maggior era il tempo, che in quella fi tratteneva,
più preflo ancora sbrigava i Tomi , ne' quali ivi fi applicava; e per
quella ragione gli reflarono da finire le fuddette due Diflertazioni, che
chiudono il Tomo V. ultimo Tomo, cheprefe a compendiare in caia.
Terminata poi che farà la prefente Edizione, faranno dame pub-
blicate l'altre cofe poftume del Zio, con inferirle nella ridampa ma-
gnifica, che ha rifoluto di fare in foglio il Sig. Giam-Batifta Palquali
di tutte l'Opere di.lui minori : alcune delle quali fono oramai dive-
nute rariffime , ed altre per efiere flampate fra i Libri altrui , rie-
fcono troppo difficili, o almen troppo difpendiofe da proccurarfi .
Mi riferberò lolamente da produrre nella Vita^ che di lui (lo com-
pilando ( ma che mio malgrado ho dovuto per alcuni mefi interrom-
pere a cagion d'altre indifpenfabili occupazioni) diverle Pillole ine-
dite, da efib fcritte in difefa di alcune fue Opinioni. Avrei eziandio
in animo di dar fuori una Raccolta delle Lettere di lui Scientifiche &
Erudite; e perciò avanzo ora le mie pii^i calde premure a tutti i Let-
terati , che hanno avuta corrifpondenza con elfo lui , acciocché ab-
biano la bontà di comunicarmi quelle , che giudicheranno degne di
veder la luce, per onor del loro Autore, e per utile della Repubblica
Letteraria. AL'
ALLE ANTICHITÀ' ITALIANE
PREFAZIONE
DI LODOVICO ANTONIO MURATORI.
H
O gPa dato i Scrittori delle cofe d'Italia. Sbrigatomi da
un'opera cotanto laboriofa , ora ne prefento un'altra,
cioè \q Antichità Italiane de i Secoli di trìe^^* Non mancaro-
no chi con preghiere e ragioni di qualche pefo mi (limolava-
no, giacché tanti aiuti io aveva procurato all' Iftpria Italiana
de i tempi barbarici , a rivolgermi finalmente a teiTere un'Ifto-
ria univerlale d'Italia dopo il decadimento del Romano Im-
perio ; come fé io folo , verfato per tanto tempo in cotefti ftu-
clj, e più accuratamente di altri molti, e più facilmente di chic-
cheffia, ad un tal lavoro accudire, e con un durevole benefizio
s'i i prefenti che i poderi obbligarmi poteffi. Ma me già fat-
to vecchio atterri una sì grande intraprefa , cui pure inceflan-
temente defidero, che da alcun altro abbracciata fia; poiché già
tra noi non manca chi egualmente bene , anzi con maggior
felicita di quel che a me riulciffe, a quell'opera polla applicarfi,
qualora fia ben provifto di libri, ed alla lua copiofa erudizio-
ne la lettura de gli antichi monumenti unir voglia . Frattanto
ricordandomi , in quel tempo , in cui pubblicai le Antichità
EJìenfe^ cioè nell'anno 1717. di aver anche promelTo \q Anti-
chità Italiane ; eccomi finalmente riioìto a mantener la paro-
la. Dalla qual Opera, avvegnacchè io non abbia avuto animo
di fcrivere l'Iftoria Italiana della mezzana età , lufingomi però
che non poco lume ed aiuto venir ne polTa a chi voglia fcrive-
re la detta Storia, o leggere le Klorie già meffe infieme . Ma
perchè il Lettore di buon'ora informato fia di quel che io con
quelle mie fatiche abbia fatto , e di quel ch'ei, volendone far
ufo , fperar ne polTa , mi convien premettere poche parole .
Dappoiché le lettere umane, riforte, per così dire, negli ul-
timi Secoli decorfi , la primiera dignità riacquiftarono , e le
barbariche fpoglie depofero ( il che certamente é avvenuto per
l'induftriofa opera della gente Italiana , del cui efempio le al-
tre più colte nazioni di Europa dipoi profittarono) gl'ingegnofi
Tórno L b nolìri
PREFAZIONE.
noftri Maggiori con fomma attenzione e premura attefero in
prima a ripulire la Lingua Latina dal commerzio de' Barbari
refa omai troppo deforme , indi ad introdurne la Greca per
lunghiflimo tempo innanzi non conofciuta e negletta . In legui-
to fi fecero a richiamare, ad ampliare, a perfezionare gli Ora-
torj e Poetici ftudj, laFilofofia, lalftoria, la Erudizione, eie
altre Scienze ed Arti , con tal fucceflb , che tra le tante cagio-
ni, onde congratularci dobbiamo della felicita de' tempi noftri,
l'ultimo luogo non deefi alla coltivazione delle buone lettere
nel fuo fplendore rimefle . E per quello fpetta all' ErudÌTjone ,
non men la Sacra che la Profana con particola riflì ma cura è
fiata trattata . Senonchè quei che diedero mano alla Profana ,
quafi a quei foli tempi fi riftrinfero, ne'quai Roma a tanti po-
poli in Europa, in Afia, e in Africa fignoreggiò; e la Grecia
fu per la gloria delle lettere egualmente che delle armi chiara
e famofa . Ad illuftrare i fatti dell' una e dell' altra Nazione ,
a diflbtrerrarne i monumenti , a fpiegarne icoftumi, iriti, la
religione, il governo, le leggi, e le altre cofe agli antichi Ro-
mani e Greci attinenti , erano dirette le mire degli Eruditi .
Qj.ia tendevano i loro sforzi , quelle erano le loro delizie . E
cotanto crebbe l'ardore di quello (Indio negli uomini letterati,
che già da Gronovio e da Grevio ci è flato dato un Teforo di
Antichità Greche e Romane in venticinque groflì volumi coni-
prefo ; cioè una grande ferie di varj Autori, che di quelle trat-
tarono. Indi di altri Scrittori , che fcriflero fopra lo flelTo ar-
gomento , infieme raccolti , tre altri Tomi formati furono da
Sallengre, dei quali, unitamente agli altri primi, una feconda
edizione fi è fatta in Venezia. In quefli però non confifte tutto
l'erario dell' Erudizion Greca e Romana; altri più ve ne fono,
e fpezialmente di cofe Romane ; a i quah fé unir fi voglia gli
altri moltiffimi, ne'quai fi riportano le antiche Ifcrizioni, i Fa-
fli, le Medaglie , le Gemme , gli Anfiteatri , la Geografia , la
Cronologia , e le altre parti , o frammenti di Erudizione Ro-
mana , un numero n' efce , quafi ho detto , da fpaventarne .
Quello pertanto era allora il felice ubertofo campo prefo uni-
camente a coltivare dagl'ingegni Italiani, e da cui grande mef-
fe ricoglievano di lode e di gloria ; e neflim conto intanto face-
vafi di ciò che riguardava i tempi pofteriori alla venuta de'
Barbari in Italia. Se alcuna carta diqueiSecoh, o libri fcritti
da
PREFAZIONE.
da Autori di quel tempo, o di Poefie latine , o di Leggi, o d*
Ifcrizioni venivano alle mani , il minor male era che foiTero
fenza difprezzo deporti , o mefiTi in un canto ; giacché non po-
chi eran quelli, che quai fetidi efcrementi in orrore gli ave-
vano : fpezialmente i Grammatici , i quai pel contrario ogni
mifero avanzo di Ennio, dì Catone, di Plauto, e degli altri più
antichi Latini , come gemme apprezzavano, e fino alle ftelle
innalzavano. Io per verità difapprovare non so quello smodera-
to amor de i Grammatici verio qualunque monumento dell'
antichità più rimota, e fo loro anche buona la grande avverfio-
ne che hanno per i libri de i Secoli barbari ; perciocché in eflt
l'oro Latino inutilmente fi cerchi, e grande abbondanza vi fia
di ruggine e fcoria Tedefca . Ma per quello riguarda gli altri
Letterati cotanto nemici dell' Erudizione della mezzana età ,
mi fia lecito chiamargli non diffomiglianti da quelli , che nati
nel feliciffimo fiiolo d'Italia, datale ecceffo di amore e di am-
mirazione fono trafportati pereflTa, che ogni altro paefe pollo
di la dall'Alpi, o di la dal mare , non curano, e fors' anche
difprezzano . Ciafcuna regione però ha le fue buone qualità ed
i fuoi comodi, e non le mancano prerogative di natura e di ar-
te . Di più , in molte di effe non fia malagevole rinvenire una
bellezza e magnificenza invidiabile. Benché che dico? quafichè
l'Italia, noflra Madre , non fia (lata, e non fia Tempre la fleffa
tanto fotto i Romani padroni del Mondo , quanto fotto i Lon-
gobardi, Franchi, Germani. Comecché non fenza dolor fi ram-
menti, che Roma, dopo aver dominato a tante nazioni , abbia
anch' efla imparato a fervire ; comecché non fenza difpetto ri-
membrifi la un tempo fioritiflima Itaha per la trasmigrazione
dei Barbari squallida refa e deforme; quello noftro paefe non-
pertanto non è divenuto un deferto di Libia, né ha perduto i
naturali fuoi pregi . Abbondavano anche allora i popoli provi-
ni di Rettori e di Leggi; non era malagevole trovare anche al-
lora degl'ingegni felici ; fi coltivavano i campi; vi erano com-
merzj, pace, ricchezze. E benché, a dir vero, nella Patria de-
gì' Italiani fotto i Longobardi quali' afpetto di felicita non vi
fofle, quella civiltk di coitumi , quell'ornamento di lettere, che
vi era prima fotto i Romani ; ni-^rue però di manco la maella,
la fortezza , la opulenza di qucito Regno non era neppur allo-
ra punto inferiore a quella di ogni altro Regno vicino. E quale
b ' 2 di
P R^E FAZIONE.
di grazia faftidiofaggine e dilicatezza d'uomini è mai cotefta,
che i' Italia lor Madre , folranto mentre fu felice e Signora,
vogliano intimamente conofcere ; balzata poi dal trono , ben-
ché l'antica fua nobiltà e fplendore ritenga, a vile la tengano,
e sdegnino di vederla ? Né la Francia , né la Spagna , né la
Brettagna hanno avuto un miglior deftino, conculcate anch'ef-
fe da i Barbari , ed a fervire coftrette . Nefifuno però per quefto
ha in orrore la Patria fua di quei tempi ; quafichè non abbia
cuore di rimirarla berfagliata da fciagure e infortunj. Per altro
anche in tempo dell' ampio dominio de i Romani non manca-
rono guerre civili, ed ellerne, fovverfioni di Citta, Imperato-
ri più moftri che Principi , e inondazioni di vizj : perché dun-
que tanta riverenza ed affetto per i tempi di allora , neffuno
per quei che venner dipoi?
Ma il Modenefe Sigonio, cui tanto debbono le Antichità Ro-
mane, che fé non è il primo, certamente é fuperiore a quanti
prima di lui delle c'ofe d'Italia de i baffi tempi fcritto aveano ,
degno di sé riputando un tale Audio, a quefta imprefa fi accin-
fe, e coi fuoi libri dell' Impero Occidentale ^ e del Regno d' Itali a ^
eccellentemente quefta parte di erudizione trattò, e largo cam-
po ai poderi aperfe , per cui quegli dipoi liberamente fcorrefìfe-
ro. Cosi a poco a poco gli uomini grandi cominciarono ad il-
luftrare i Secoli Barbarici ; e i foreftieri in maggior numero, e
con maggior premura degl'Italiani. Per tacer di Salmafio , le
cui fatiche non oltrepalfano la decadenza del Romano Imperio,
Jacopo Sirmofido , Filippo Lahbe , Jacopo Gr et/ero , Giovarmi
Bolla?2do , e i fucceiTori di lui , ed altri egregj e dottiffimi uo-
mini della Compagnia di Gesù', diffotterrati moltiffimi monu-
menti barbarici, induffero gii uomini di lettere a meglio cono-
fcere le ricchezze di quella età non curata. Né io qui, fé non
incidentemente , faccio parola della Erudizione Sacra ; imper-
ciccché a quella attefero tutte a gara le Nazioni Criftiane, e
fopra tutte la Italiana. Parlo principalmente della profana, cui
molta luce recarono Enrico Canijio , Gerardo Giovanni VoJJlo ^
Bignoìi^ Bavzio^ Conringio^ Du-Che[ne ^ Goldajìo ^ Meihomio ^
Adriano Vale fio , Lindenbrogio , BaluT^o , Dacherio , Ruinarf ,
Martene , Montfaucon , ed altri chiarii'fimi ed eruditiffimi Mo-
naci della Congregazion di San Mauro, Lambecio^ ^^§} lénio-
re, LeihnÌ7Ìo ^ Mencherùo ^ Eccardo ^ ed altri di Francia e di
Ger-
PREFAZIOPsTE.
Germania Scrittori celcbratilTimi ; a i quali fon pur da aggiun-
gere quegli Spagnuoli, e Britanni, che con molta lode per il-
luftrare le cole deila lor patria fi adoperarono . Tra gì' Italiani
poi mi fi prelentano Guido Pancirolo di Reggio , il Cardi?ials
Bnronio^ Niccolò Alewanrii^ Odorico Rinaldi ^ Borghini ^ /Immì'
rato Seniore , Ugbelli , Pignorio , Ottavio Ferrari , Ciampini ,
Torrigio^ Fratìcefco Bianchini^ Arringhioy Bacchini^ BoJìo^Be-
retti ; ed i viventi Scipione Maffei Marche fé ^ Guido Grandi Ab-
bate Camaldolefe, Giufeppe Bianchini , Giufeppe Antonio SaJJt^
ed altri per erudizione ilìullri uomini, che, giufta la loro polla,
a coltivare alcuna parte di quello campo fi polero . Chiedi ora
ai giudi ellimatori delle cofe , fé agli sforzi di tali Scrittori ab-
bia tenuto dietro la gloria . Certamente lor tenne dietro , e
niente minore di quella, che un tempo ai coltivatori delle An-
tichità Romane fi dava . Imperciocché fia che noi dilcendia-
mo dagli antichilTimi Itali , o da i Romani, o da i Goti, Lon-
gobardi , Franchi , e Germani , fempre feguitiamo la noftra
Iftoria , qualora rintracciamo le gefta , e i coftumi de i tempi
barbarici; ed è un egual piacere l'avere dinanzi agli occhi la
continuata genealogia de i noltri Maggiori . A tutto quePco ag-
giungi due ragioni , dalle quali , come da due fproni gli Eru-
diti del noftro tempo ponno effer mofli ed eccitati a ripefcare
ed illullrare i monumenti de i tempi di mezzo ^, La prima fi è,
che nell'Erudizione Romana, dacché intorno ad efla fono ufci-
ti tanti volumi , appena ci reila alcun nuovo argomento , fé
nuovi frammenti di antichità cavati di fotterra non vengano
a luce . Poiché fé v'ha alcuno, cui piaccia di trafportare dal
papiro alla carta i fatti e i riti de i Romani , coftui certamen-
te non fi dee afpettare gran lode . Pel contrario i barbarici
Secoli in denfiflime tenebre fono peranche involti ; e queRo
campo, fino adora coltivato da pochi, da grandi fperanze di
ubertofa raccolta. Il campo dell' Erudizione Romana é già quali
tutto occupato ; ma di quefto non poca parte rimane tuttavia
efpofta a chi voglia il primo occuparla. Se dalla novità fpe-
2Ìalmente nafce la gloria , da chi batte quefto fentiero più
certamente fi acquifta . Né di minor pefo è l'altra ragione .
Imperciocché tanti non folo facri, ma famigliari e politici riti
fono in ufo preflTo di noi, l'origine dei quali non ai Romani,
ma a i barbarici tempi dee riferirfi . Dunque non folo ad og-
Tomo L b 3 getto
PREFAZIONE.
g€tto di ampliare la erudizione , ma colla fperanza ancora di
ritrarne piacere, farà bene illuftrare, per quanto fi pofla, que'
Secoli ofcuri , e con ogni accuratezza informarfì di quel che
abbiano fatto i noftri Maggiori, per fapere nel tempo fteflb ,
e con diletto , le fonti , e le caufe delle cofe che oggidì cor-
rono .
Quefte furono le confiderazìoni, che imprendere mi fecero
la prefente Opera, ed a compierla mi animarono. Della qual
fatica quale ne fia lo fcopo, brevemente dirò . Mi fono pre-
fiffo, il meglio che potefTì, di far vedere qual fu l'afpetto del-
la Gente Italiana dal Secolo Qj-iinto dell'Era di Grillo fino all'
anno millefìmo e quafi cinquecentefimo. Per ciò fare, mi fo-
no mefTo davanti agli occhi varj profpetti dell'Italia e Nazio-
ne Italiana, in quella guifa appunto che fanno quei che pren-
dono a defcrivere qualche grande Citta , o alcun fplendido re-
gio Palazzo . Ci moftrano elfi in primo luogo il difegno dell'
intero edilìzio, indi i membri di elfo partitamente ci addita-
no ; la fala , le ftanze , gli atrj , le fcale , il cortile , le
loggie , la galleria , la chiefuola , le pitture, le ftatue , la Ral-
la , il giardino , il circuito , e gli altri membri , ed ornamenti
della gran mole , dall' afpetto de i quali fi forma l'immagine
di quella magnifica per cosi dir Cittadella. Lo fieiTo ho fatto io.
Volendo condurre il Lettore alla conofcenza di quale fiato fia
per più Secoli l'afpetto di quefio Regno dopo la fcefa de' Bar-
bari in Italia , ho fcelto e trattato varj principali argomenti
fpettanti all' Italia dell' età media , da i quali infieme uniti
arguir fi potefie , e in qualche modo fi dimofiraffe la condi-
zione e lo fiato di quella età. . Ho detto , in qualche modo fi
dimoflrafle : perciocché tra quegli argomenti che ho prefo a
trattare , ve ne fon molti , che ad un uomo erudito porger po-
trebbero materia, onde farne un competente volume. Più an-
cora fono quegli altri, de i quali non ho fatto motto, o che
fol di pafl'aggio ho accennati ; a dilucidare i quali fé alcuno ,
facendo prova di fue forze , badar volefie , un grande benefi-
zio farebbe alla Repubblica Letteraria , ed a sé un grande ono-
re. Pertanto in prima ho trattato dei Re, Duchi, Marchefi,
Conti , ed altri Magiftrati del Regno Italiano ; indi ho cerca-
to i var; riti del governo politico , ed i coftumi de i cittadini
privati . La Libertà e Servitù degli uomini , i Giudizj , la Mi-
lizia,
PREFAZIONE.
lizia , le Leggi , le Monete , le Arti , gli Studj delle Lettere ,
l'origine della Lingua Italiana , la Mercatura, ed altre cofe a
quefte fomiglianti l'oggetto furono di mie ricerche . E perchè
dopo l'anno di Crifto millefimo cangiò di afpetto l'Italia, ef-
fendofi moltifTime Città meffe in liberta, e governandofi con
una certa fpezie di Autocrazia , alla qual forma di governo
fuccedette dipoi quella de i Principi , o fia Regoli : anche da
quella parte di erudizione Italiana, colla giunta di alcune Dif-
fertazioni, sbrigato mi fcno. Finalmente la Religione , cui tra
gli affetti e coltumi di ciafcun Popolo il primo luogo fi dee ,
la Religione dico Criftiana , la quale , non men che prima
ed ora , fiori in Italia ne i tempi barbarici , largo campo di
difputare mi avrebbe dato . Ma quefta materia, oltreché mi
avrebbe portato di la de i confini del mio aflunto , ed effa fo-
la avrebbe potuto crefcere a più Tomi, è già fiata occupata
quafi tutta da uomini dottiffimi; ed il copiare i libri di quelli,
come ognun sa, neffun piacere a i Lettori, neffuna lode avreb-
be recato a me . Perlochè contentandomi di toccar leggier-
mente piuttofto che_di trattare compiutamente alcuni argo-
menti di cofe facre , cui mi è fembrato di poter rifchiarare
alcun poco ; lalciai gli altri fenza toccargli . In quefte poche
parole eccoti refo conto di quel che io abbia fatto , perchè
più noto di quel eh' era prima fi faceffe lo (lato dell'Italia de i
tempi di mezzo.
Ora poi fcoprire io debbo, ne fenza dolore, lapalmar differenza
che paffa tra i coltivatori delle Antichità Romane, e gli fludiofi
delle Antichità dei tempi barbarici . Per raccogliere ed illuflrare
i riti de i Romani, i coftumi, i regolamenti , le gefla , fono in
pronto fuffidj fenza numero; voglio dire moltiffimi, per non dire
innumerabili libri latini di ogni genere. I Greci Scrittori eziandio
in quefto ci ponno effer utili . Nei Poeti fpezialmente Comici ,
Satirici, Eroici fi rinviene un copiofìffimo erario de i coflumi e
riti di quel tempo . A ciò pure contribuifcono innumerabili
Marmi , Baffirilievi , Medaglie , ed altri Monumenti degli an-
tichi , de i quali tutti una maravigliofa fupellettile di erudi-
zione Romana fi lorma . All' incontro chi fi propone la de-
fcrizione dei Secoli barbarici d' Italia ^ entra in un paefe da
tenebre e denfa caligine da ogni parte attorniato . Cercanfi
Iftorie delle cofe d'Italia Icritte da Italiani fino all'Anno di
Cri-
P R E F A Z I O r^J E.
CriRo millefimo , e più oltre? Pochiflime ve ne fono, e que-
lle non difFuiamente fcritte, quali fon quelle che verfano in-
torno all'Erudizione Romana; ma brevi e luccinte eipofizio-
ni , e quafi fterili e lecchi compendj. Vi furono bene in quei
tempi alcuni Poeti facri , utili per la cognizione delle cofe
Ecclefiaftiche ; ma tra quelli appena uno ne troverai , che
deferiva i collumi profani e politici. Anzi quafi tutto l'appa-
rato di Libri , che quella età produfTe , tenue in vero , le fi
paragoni coi Libri fcritti nei cinque primi Secoli dell'Era Cri-
Itiana , ha per oggetto le cofe lacre : dalle quali rara cofaè,
che fpremer fi poflano gli affari civili , od altra cofa attinen-
te alle Arti e coftumi civili di allora . Rare eziandio di quei
Secoli fono le Ifcrizioni , rare le Monete , e quelle diflbmi-
gliantiffime da quelle de i Romani e de i Greci , nelle quali
tanta copia di erudizione rinchiudefi . Per la qual cofa for-
za è , che mettendoti a folcare le acque di quei tempi, ogni
qual tratto tu vada a rompere in qualche fecca , per man-
canza di aiuti di Lettere in affai fcarfo numero lafciateci dal-
la comune allora ignoranza , o dalla poca dottrina . A qual
dunque partito appigliarfi i ghiotti di Erudizione ? Elfi final-
mente ularono due mezzi , a fine di rimediare , per quanto
potelfero , a cos\ grande penuria . Cioè meffi folfopra gli ar-
madj delle Biblioteche , quante in elfi vi trovarono naicofle
Operette non difprezzabili dei Secoli rozzi, Trattati, Lettere ,
Scritti eflemporanei, Frammenti, dai quali credibil era che qual-
che luce venir potelfe alla Ifloria od erudizione di quella igno-
rante età , tutte quante mai furono fi avvifarono di pubbli-
carle ; con che i prefenti ed i poderi fi obbligarono , giacche
oggimai torna a comodo di tutti una tale pubblicazione. In-
di cercarono per entro gli antichi Archivj delle Cattedrali ,
de i Monafter; , e di altri luoghi ; e di la cavati i Diplomi ,
le Bolle, le Carte non per anche Campate, diedero in luce.
Ivi certamente è gran copia di Erudizione Barbarica , e con
tai monumenti non fi può dire qual giovamento apportar fi.
polfa alla povertà de i Secoli rozzi ; quando però una fcelta
fi faccia di quei che qualche novità od erudizione contengo-
no, e tutte le Scritture degli Archivj non fi cavino fuori in-
diftintamente . Imperciocché quelle , che d'ogni novità sfor-
nite, cofe trite, e volgari, e le bagattelle della privata gen-
te
PREFAZIONE.
te foltanto ci recano, e che unicamente fervirebbono a cari-
care, non ad erudire i Letterati : fon da lalciare nelle fue te-
nebre. Il che io intendo fia detto anche delle altre opere del-
la mezzana Età; moltiflìme delle quali ne troverai cosi piene
zeppe di inezie , o di favole , o di cofe tolte dal volgo , che
mal ufo della flampa farebbe , e demeriterebbe col pubblico,
chi Camparle voleiTe.
Pertanto veggendo anch' io , che per chi vuol far viaggio
per i campi di cotefta Erudizione non fempre amena , i mag-
giori aiuti attender fi deono dalle antiche Carte ; di quante
Cittk Italiane ho potuto , mi fono meflb a rivoltare gli Ar-
chivj, cola portatomi con quefto folo difegno ; e quante Car-
te mi fi pararon dinanzi , colle quali alcuna parte di erudizio-
ne rifchiarar fi poteffe , copiai, e di elfe mi fon fervito nel-
la coftruzione di quello edifizio . Moire ancora ne impetrai
dagli amici . In oltre ho qui raccolto quanto ne i Codici Ma-
nofcritti ho trovato di confacente o di utile a quefto vaftilfi-
mo argomento ; mofib da non lieve fperanza , che i Lettori
me ne fappian buongrado, avendo, anche per loro ufo, ca-
vati .dalie antiche membrane , difficiliOlime a leggerfi , tanti
pezzi di antichità non ancor pubblicati , a i quali ho accu-
rato per r avvenire una vita più lunga . Finalmente ho ag-
giunto alcuni Opufcoli fino ad ora privi di luce ; come pu-
re un numero grande di Monete de i tempi di mezzo . Le
quali cofe tutte , quando F amor proprio non m' inganni ,
fé non interamente rapprefentare , ponno almeno leggier-
mente abbozzare la condizione e lo ftato dell' Italia , mentre
ebbero voga queicoftumi, che da noi fogliono chiamarli Bar-
barici , perchè paragonati colf eleganza e dottrina de i tre ul-
timi fcorfi Secoli , pare a noi che incolti fiano , e la barbarie
dinioftrino.
E qui molte grazie rendere da me fi debbono ai Nobili Socj
Palatini di Milano, i quali di nuovi benefizj colmarono il loro
amore verfodime. Imperciocché appena udirono elferfi dame
terminata queft' Opera, che di farne fi efibirono una magnifica e
corretta edizione, nulla temendo la fpefa di far incidere in rame
tante Monete, Sigilli, ed altri frammenti di Antichità, e tante
Carte , per la cui barbarie uno maggiore ftudio ed attenzione ri-
cercai che per i monumenti della elegante Lingua Latina; poi-
ché
PREFAZIONE.
che in effe confervar con ogni premura fi debbono i Barba-
rismi ed i Solecismi j e nulla s'ha a mutar della ruggine di
que* rozzi Secoli . Non è quefla l'ultima ragione che abbiamo
di rallegrarci de i noftri tempi, ne i quali anche le perfone No-
bili fi degnano di patrocinare i Libri da pubblicarfi; dimodo-
ché refta foltanto a defiderare , che la di prefente infingarda
e quafì fonnacchiofa Italia di fue forze ornai faccia moftra ,
e ftampando buoni libri in maggior copia , degli offerti aiuti
con pubblica e privata lode fi valga .
IN-
INDICE
DELLE DISSERTAZIONI
contenute in queflo Tomo primo.
DISSERTAZIONE PRIMA.
Delle smentì Barbare , che ajfuggettarono l Itdta . pag. i
DISSERTAZIONE IL
Del Regno d'Italia^ e de' fuoi confini, io
DISSERTAZIONE III.
DellEle^jone deprimperadori Romani , e dei Re d'Italia . 1 7
DISSERTAZIONE IV.
De oli Ujizj della Corte dei Re antichi d'Italia^ e de gV Impera-
dori . 24
DISSERTAZIONE V.
De i Duchi ^ e Principi antichi d' Italia, 34
DISSERTAZIONE VI.
De gli antichi Marchejì d' Italia . ^6
DISSERTAZIONE VIL
De Conti del f acro Pai a-;!:^, 57
DISSERTAZIONE Vili.
De i Conti e Viceconti de' Secoli barbarici . ój
DISSERTAZIONE IX.
De i MeJJl Regali , 0 Jìa de' Giudici flraordinarj • 75?
DISSERTAZIONE X.
De i Minijlri minori della Giujìfs^a ^ cioè de^ Giudici , Scabini^
Seul da/ci ^ Ga/ìaldiy Decani^ Silvani &c, 87
DISSERTAZIONE XI.
De^ Beni Allodiali , de' VaJJì , Vajfalli , BenefizJ > Feudi , Ca-
Jìella7ii &c, lOi
DISSERTAZIONE XIL
De i Notai , 0 Notari . 115
DISSERTAZIONE XIII.
De gli Uomini Liberi ^ ed Arimanni , 123
DISSERTAZIONE XIV.
Dei Servi y e Liberti antichi* 134
DIS-
DISSERTAZIONE XV.
Delle ManumtJJioìù de Servi , e de Liberti , Aldii , & Aldiane . 1 61
DISSERTAZIONE XVI.
De* Giudei Prefìatori ad Ufura , Compagnie di Soldati , Mafnadie-
ri , Lebbroji &€. de' 'vecchi tempi . 175
DISSERTAZIONE XVII.
Del Fi/co e della Camera de i Re ^ Vefcovi , Duchi , e Marc he fi
del Regno d'Italia, ip^
DISSERTAZIONE XVIII.
Della Repubblica^ e parte Pubblica , e de'fuoi Minijìri ; e fé le
Città d'Italia avejf ero anttcamenteComunità ^ come oggidì, 203
DISSERTAZIONE XIX.
De^ Tributi , delle Gabelle , e di altri oneri pubblici de' Secoli bar-
barici . 215
DISSERTAZIONE XX.
De gli Atti delle Donne, 2^6
DISSERTAZIONE XXI.
Dello flato dell' Italia^ dell' abboìidaìi^a di abitatori^ della coltura
delle campagìie , mutaT^one delle Città 5 felicità e i?if elici tà de'
Secoli barbarici . 249
DISSERTAZIONE XXII.
Delle Leggi dell' Italia ne' Secoli barbarici , e dell' origine de gli
Statuti, 270"
DISSERTAZIONE XXIII.
De i Cofìumi de gì' Italiani ^ dappoiché cadde in potere de* Barbari
P Italia, 2p6
DISSERTAZIONE XXIV.
Delle Arti de gì' Italiani dopo la declinandone dell' Imperio Ro-
mano, 346^
DISSERTAZIONE XXV.
Deir Arte del Teff ere y e delle F^efìi de' Secoli ro:^, 370
DISSERTAZIONE XXVI.
Della MilÌ7:ia de' Secoli roT^ in Italia . 40(5"
DISSERTAZIONE XXVII.
Della Zecca , 0 del diritto 0 privilegio di batter Moneta , 47 3
DISSERTAZIONE XXVIII.
Delle varie forte di Denari , che anticamente furono in ufo in Ita-
lia, 58^
DÌS-
DISSERTAZIONI DI
LODOVICO ANTONIO MURATORI
SOPRA LE ANTICHITÀ' ITALIANE.
Delle genti Barbare , che ajfuggett (trono V Italia,
DISSERTAZIONE PRIMA.
OGGETTO di ammirazione fu ne gli antichi tempi Roma ,
quella Roma, che ftefe l'imperio fuo, non già fopra tut-
ta la Terra, come alcuni Scrittori adulatoriamente Icriffero una
volta ; ma si bene lopra gran parte delle tre parti allora cono-
fciute della Terra. A tanta potenza niuna era mai giunta del-
le precedenti Monarchie . Sommo valore nell' armi , Prudenza
non minore di Governo , coftanza nelle avverfita, amor della
Gloria, furono quelle cagioni, che portarono a tanta efaltazio-
ne il Popolo Romano. UnifTì con loro ancor quella, che nomi-
niamo Fortuna , avendo trovati tanti Popoli difuniti fra loro ,
difuguali nel vigore e nella diiciplina della milizia , e facili a
fottometterfi colla forza, o ad accettare la fervitù fotto lo fpe-
ciofonome di Socii e Confederati. Cangiò poi faccia la Romana
Repubblica con divenire Monarchia , e ciò non oftante gran
tempo durò la fua grandezza pel fenno e pel valore di alcuni
celebri Imperadori , che confervarono , ed anche dilatarono i
confini del Romano Imperio . Ma in fine , fecondo le umane
vicende , sì fmiiurato Corpo politico , a guifa de' corpi femo-
venti, rifenti varie infermità , e dopo molte cadute e ricadute
arrivò in fine a sfafciarfi tutto . Sul fine del Secolo Terzo dell'
Era Criftiana fi videro nello (leiTo tempo più Augufli e Cefari
partir fra loro le Provincie Romane , per eiferfi creduto , che
un Capo folo non baftafie alla difefa e confervazione di tanti
Stati , e di sì lontani confini : quafi che una lunga concordia
folTe un bene fperabile fra molti Regnanti . Coftantino il Gran-
de , primo fra' Cridiani Augulli , fece conofcere , che un folo
può tutto, quando in lui concorrano tutte le prerogative, che
formano un Eroe. Però fotto il folo di lui fcettro fi vide riunito
tutto l'Imperio Romano, ben regolato nell'interno, e riverito
Tomo I. A e te-
2 Dissertazione
e temuto da ogni Barbaro confìnaate . Ma lo ì\q(£q Coftantino
col trafportare a Bjlanzio, poi chiamato Coftantinopoli, la Se-
dia dell' Imperio , e col partire tra i Figli il medefimo Impe-
rio, fulla credenza òì fortificarlo , comirK:iò a dilporlo alla ro-
vina coir elempio Ilio , che fu iiiiitato da' Succeilori . Quefìa
divifion di Stati feco portò ancor quella de gì' in te re (Ti, e però
arrivarono filialmente i Barbari a mettere in catene qoafi tuttty
l'Imperio di Occidente colle Provincie ancQra^^dell' Affrica .
Col nome di Barbari ularono i Romani di chiamare "chiun-
que non era fuddito del loro Imperio, a riferva de'Greci, che
per la loro Letteratura e pulizia furono onorati fempre da ogni
altra Nazione . Che efii Barbari fofiero anfiofi di conquiltare
l'Italia, none da maravigliarlene. Anche oggidì l'Ambizione,
cioè il prurito d'ingrandirfi , è un mantice continuo, che fofìia
in cuor de' Potenti incitandoli a divorare i vicini , e a llendere
l'ali anche in lontane contrade . Se noi £mno , è perchè li tie-
ne in freno qualche maggior Potenza, o le Leghe, o la gelofia
di chi mira qual depreffione fua l'innalzamento altrui . Viderfi
i GaUi alla vigilia di piantare fui Campidoglio le loro infegne;
ma ritrovarono nel tenue allora Popolo Romano un coraggio ,
che nelle perdite fapea riforgere , e ributtare i nemici . Mag-
giori fenza paragone furono i tentativi de'Cartaginefi per ab-
battere la già molto crefciuta potenza Romana . Un Annibale ,
gran Capitano, feco conducendo dapertiitto la vittoria , quegli
parca, che foffe deflinato a metterla in ceppi. Ma né egli fep-
pe valerfi della fua fortuna , né i Romani giammai avvilirfi ; e
però in fine andarono a finire i di lui trionfi nella fchiavitù del-
la propria fua Patria . Singolarmente nondimeno erano trattati
una volta col nome di Barbari i Popoh Settentrionali , gente
bellicoia , gente fiera .^ Tale era il concetto delia bravura delle
Nazioni Germaniche, che i Romani non trovavano il lor conto
afluzzicarle coli' armi , e più in quelle parti attendevano alla
difefa, che all'offefa. Perchè le Nazioni Afiatiche, l'Egitto,
l'Affrica, la Spagna, e la Gallia godeano un Cielo più dolce ,
né la ferocità era toccata loro in retaggio, più facile riufci al
Popolo Romano di ftendere cola le fue conquide . Ma fé con
gran riguardo e rifpetto procedevano i Romani verfo le Nazio-
ni dell' Aquilone , quefte all' incontro nulla più fofpiravano ,
xhe di penetrar nelle Provincie Romane . Ne gli antichi Secoli
non fi coltivavano cotanto le Arti e il Commerzio nelle contra-
de
Prima, 3
de Settentrionali, come poi cominciò a praticarfi nel Secolo VlT.
e maggiormente fi pratica oggidì . Adocchiavano que' Popoli
le ricchezze , le grandioie fabbriche, le delizie degl'Italiani,
de' Galli, e degli altri confinanti Romani : motivi tutti d'invi»,
dia, e fproni continui per defiderar di cambiare il proprio mcn
felice pacie col più felice de' Popoli MeridionaH . Però circa
cent'anni prima dell'Epoca di Grillo fi videro i Cimbri, i Teu-
toni, gli Ambroni , ed altri Popoli Germanici in numero , per
quanto dicono, di trecento mila, fenza contar le donne e i fan-
ciulli, piombare in Italia, e commettere in effa infinite ftragi e
rapine. Trovarono coiì-oro ciò che non penfavano, cioè Mario
e Catulo, Generali di i^rmate di gran ienno e valore , e i fol-
dati Romani fuperiori in diiciplina, e non inferiori incoraggio
a qualfifia Nazione Barbarica. Però quel gran nuvolo di gente,
fconfitto in più battaglie , o colla morte , o colla fuga laiciò li-
bera l'Italia come prima. Scatcnaronfi poi fotto gl'Imperadori
nel Terzo Secolo contro il Romano Imperio le Nazioni Setten-
trionali, Franchi, Goti, Peucini, Trutungi , Virtinghi , Cel-
ti, Eruli, Sucvi, Sarmati, Marcomanni, ed altri Popoli della
Germania e Scitia , o fia Tartaria . Buona fortuna fu dell'Im-
perio, che regnaffero allora Claudio ed Aureliano fortiffi mi Au-
gnili. Il loro fenno e valore rilpinfe o dilTipò tanti Barbari; e
Probo lor Succefibre, fé vogliam credere a Vopifco, fiele anche
per la Germania il dominio Romano . Altri infulti fecero nel
Qiiarto Secolo alle contrade Romane i Barbari ; ma con poco
profitto e molto loro danno.
Il Secolo Qiùnto fu quello, in cui finalmente cominciò a
prevaler 1' ardire e la fortuna delle Barbare Nazioni . Cadde
l'Imperio in mano di Principi timidi e diluniti . Le cabbale,
le fazioni, le prepotenze fi accrebbero nelle Corti e nel Gover-
no. Erafi di troppo rilafciata l'antica Diiciplina Romana , ed
avvezzi i Popoli all' ozio , e al godimento de' lor comodi , ab-
borrivano il duro melHer della guerra . Perciò fu creduto ben
fatto il valerfi de' Barbari flefu nelle Armate Romane ; e cofto-
ro divenuti pratici de'paefi , e fcorta la debolezza de' Romani
d'allora, conobbero non difficile il Taccheggiare, anzi il figno-
reggiare le Provincie dell'Imperio, coli' animare perciò fegre-
tamente 1 lontani lor Nazionali a s\ ricca preda. Però nelfan-
110405. ecco calare in Italia Radagailb Re de' Goti (diedero!
noitri nome di Goti a varie Nazioni , mafrimamente alle prd-
A 2 ceden-
^ Dissertazione
cedenti dalla Tartarici ) con dugento mila armati , che infera
immenfi danni all'Italia. Codui in Toibana reflò Iconfitto da
Stilicene; gran macello e prigionia fu fatta di fu a gente . Ma
non iflette molto a cangiarfi fcena . Sopravenne in Italia con
grandi forze Alarico altro Re de' Goti , o fia delle Nazioni Bo-
reali, che non trovando fé non lieve oppofizione, prefe Roma,
e le diede un orrido facco neU'Anno 40^. I Gentili Romani ,
che tuttavia in gran copia, e malfmiamente della Nobiltà, abi-
tavano in Roma, fpacciavano , provvenir tanti mali dalla in-
trodotta ReligionCriiliana, o perchè piìi non fi adoravano que'
Dii , che foltamente venivano tenuti per difpenfieri delle vit-
torie ; o perchè fi credea, che una Religione, ifpirante l'Umil-
tà, la Moderazione, e la Carità, ammaliafie l'ardire, e toglief-
fe quella ferocia e brutalità , che fuol rendere vincitori i guer-
rieri . Ridicola immaginazione , fmentita da tanti efempli di
ogni Secolo polleriore , ne' quali fi è veduto e fi vede , fé le Ar-
mate Criftiane fappiano trionfare de i lor nemici . Non dalla
Religione, ma da altri poco fa accennati principj fcaturirono le
disgrazie , che inondarono in quel Secolo il Romano Imperio .
Si aggiunfe il gran diluvio di Barbari , che parvero camminar
d'intelligenza per muoverfi quafi tutti ad ingojar le Romane
Provincie : laonde non potè l'una parte dell' Imperio porgere
foccorfo all'altra . Si videro terminati eferciti di Goti , Van-
dali, Alani, Suevi, Borgognoni, fcorrere ed anche filfare il pie-
de per la Gallia , Spagna , ed Affrica . Attila con ifchiere in-
nmnerabili moffo dalle contrade più remote del Settentrione
portò un grave eccidio alf Italia , e mife foffopra le Gallìe .
Genferico Re de' Vandali , cioè di una Nazion Settentrionale
giunta a divenir padrona dell'Affrica Romana, tornò neU' An-
TiO 455. a dare il facco a Roma. In iomma troppo terribil fu
k fovverfione delle Provincie , di modo che i Popoli fpolpati
da amici e nemici , ed affatto inviliti , offerivano il piede alle
catene di chiunque veniva a conquiftarli.
Tuttavia fra tanti turbini fi foftenne 1' Italia anche per
qualche tempo fenza foggiacere al giogo de' Barbari , e coli'
avere i fuoi Imperadori, ma deboli ed incapaci di metter argi-
ne alla minacciata rovina; finché nell'Anno ^y6. Odoacre con
potente Armata di Turcilingi , Eruli , ed altre Barbare Nazio-
ni, s'impadronì di Roma e di quafi tutta l'Italia, e il primo fu,
che alfumelfe il titolo di Re , e formaffe il Regno Italico , con
filfa-
Prima. 5
fiflarc la fua refidenza in Ravenna , Citta per la fLia fituazione
la più forte allora di tutte l'altre Italiane . Poco nondimeno
durò la fortuna di Odoacre . Teodorico mfigne Re de i Goti ,
ottenutane la permiffione da Zenone Augu(to , corfe a quella
preda nell'Anno 48^. e in poco più di tre anni di guerra bal-
zò l'emulo Odoacre dal Trono , ed impadronitofi dell' Italia ,
ftefe anche fuori dell'Alpi la iua fignoria e potenza, e un fag-
gio governo mantenne . Di quefto Regno Gotico non erano
malcontenti i Popoli , quando nelf Anno 535. Giuftiniano L
Augnilo, che già avea ritolte a i Vandali le Provincie d'Af-
frica, fi avvisò di ricuperare anche l'Italia . Non gli foffe mai
venuta quefta voglia ; perchè s'accefe una si afpra guerra, che
durò fino all'anno 552. con io fterminio di tante Terre e Cit-
ta, e coll'aver fofferto i poveri Popoli indicibili angarie , af-
fanni, e morti. Peggio forfè fletterò dipoi fottoi Greci, che
fotto i Goti, fé non che tornò tal mutazione in profitto della
Rehgion Cattolica . Peggiorarono da lì a non molto le cofe
per l'arrivo de' Longobardi . Invogliatafi quefla Nazione del
felice paefe e Cielo dell'Italia, abbandonò laPannonia, oggi-
dì appellata Ungheria, e nell'Anno 5^8. condotta dal Re Al-
boino venne ad impadronirfi della maggior parte d'eifaltaha.
Nacque allora il Regno Longobardico, e Sede primaria dei Re
divenne Pavia . Non riufcì difficile a quelli Barbari la conqui-
lla di tanto paefe, perchè preceduta un'orribil Pede , ed una
crudel Carefìia , aveano fpopolate le Citta e le Campagne .
Troppo lontani i Greci Augnili poco poterono accudire a re-
primere quello torrente . Vittoriofl perciò fcorfero coiloro per
le Provincie Italiane , e chiosò di refiflere, rellò vittima del-
le loro fpade. Allora fu che l'Italia veramente mutò faccia.
Andarono a terra le bell'Arti; le Lettere più non fi coltiva-
rono; l'Ignoranza flefe l'ali dapertutto. Il folo mellier della
Guerra quello era, di cui fi compiaceva al pari dell'altre lue
fimili quella Nazione . La rapacità e la crudeltà accompagna-
rono quefla gente nella lor venuta, e ne' primi tempi del loro
governo. Ma da che videro ubbidienti i iottomeffi Popoli Ro-
mani, ed incominciarono ad incivilirfi quelle barbariche tefte,
fuccedette qui come nella Cina conquiflata da i Tartari (fon
già più di cento anni ) cioè s'introduITe un dolce governo , la
Giuftizia tornò ne' Tribunali, e nell'interno del Regno fi pro-
vò per lo più un invidiabil quiete . Quel folo , che turbò la
tran-
6 Dissertazione
tranquillità di quefto Pregno , venne dal di fuori , cioè dalla
guerra, che per tanti anni durò fra effi Longobardi, e il Gre-
co Imperio , in potere di cui erano rimarti l'Efarcato di Ra-
venna, il Ducato Romano, e varie Citta marittime nella par-
te ora chiamata Regno di Napoli. Né fi dee tacere, che fpar-
fafi per la Germania la voce della trasmigrazion de' Longo-
bardi , fi molfe per atteflato di Paolo Diacono gran gente di
altri paefi ad accompagnarli fulla fperanza di participar della
preda, cioè Gepidi ^ Bulgari^ S armati^ Pannonìi^ Sueviy No^
r'tciy ed altri di nomidiverfi. A colìcro toccarono in lor par-
te per abitazione Terre e Ville , che prefero il nome da effi.
Popoli . Tre miglia lungi da Modena abbiamo la Villa di Ba-
-zovara^ in cui ne' vecchi Secoli era Cartello . Bajoaria vien no-
minata ne gli antichi Strumenti , nome che denotava quello ,
che oggidì fi chiania Ducato della Baviera . Da uno Strumen-
to, efirtente nell'Archivio del Capitolo de' Canonici di Mode-
na, fi ricava, che nell'Anno 1033. Ligone Vefcovo di Modena
diede a Livello a Bonifa^jo Duca e Marchefe di Tofcana Padre
poi della celebre Conteffa Matilda , e a Rìchtlda fua Moglie
Cortes duas jmìs ipftus Ep'tfcopio , quibus fu?ìp poftie una in lo-
co^ ubi dicltur Clagnano ^ quod ejl Roca cum Cajìro inibì aben-
te , & Turrem cum Capei! a inibi nbente Ù'c. Alia namque Cur-
ie Abana in loco , ubi dicitur Saviìiiano , ftmiliter cum Caftro
hìibi abente &c. All'incontro erti Giugali donano al Vefcovato
di San Geminiano due Corti, unam in loco , ubi dicitur Bajoa-
ria ^ alia in loco ^ ubi dicitur Fojfato Regi ^ cum Cajìro aduna-
quaque Corte fuper fé abetite , & Capellis infra ecdem Cajlris
'vel Cortis &c. ma con ritenerne il Poflertb a titolo di Livello.
Sotto la Citta di Milano, come apparifce dalle antiche Memo-
rie, fi contava Ducatus o pure Comitatus Burgari^. Qiiivi pro-
babilmente abitarono i Bulgari venuti con Alboino , giacché
Burgari fi truovano anche appellati . E non è inverifimile che
a Soave Terra del Veronefe deifero il nome i Suevi chiamati
Suavi da gli antichi Scrittori Italiani . Allorché Odoacre s'im-
poHefsò dell' Italia , artegnò la terza parte de gli rtabili Italiani
a'fuoi foldati . Loro non tollero i Longobardi le terre, ma gli
obbligarono a pagare per tributo la terza parte de' frutti,, che
fi ricavavano dalle terre. Ut tertiam partem fuarum frugum Lan-
gobardis perfolverent , fcrive Paolo Diacono Lib. IL Cap. 32.
Per tale aggravio importo da i Longobardi a i lor nuovi fuddi-
ti,
Prima. 7
ti, è fembrato, che uno Scrittore moderno abbia voluto pro-
ceffarli di barbarie , lenza far caCo di ciò , che io avea avver-
tito ne gU Annali : cioè che i tanto lodati Romani toglievano
tante terre a i Popoli vinti, ed anche fudditi, o per premiare
i foldati, o per fondar Colonie ; e che fi poiTono mollrar Po-
poh anche oggidì, che pagano un uguale , fé non anche fu-
periore tributo ailorPrmcipi.
Fino all' Anno 774. lui Trono d'Italia fi mantennero i Re
di Nazion Longobarda ; furono pofcia abbattuti, e pafsò la lor.
Corona in un capo più degno, cioè in Carlo Magno Re de' Fran-
chi . Tirava anche la Nazion de' Franchi 1' origine fua dalla
Germania, e dopo effe r fi impadronita alcuni Secoli prima delle
Gallie, arrivò in quelli tempi a fignoreggiar anche nell'Italia
con fenfibil vantaggio de' Popoli, perchè governati con amore ,
giuflizia, e prudenza da elfo Re Carlo , divenuto pofcia Impe-
radure, e da' Difcendenti fuoi per piìi di un Secolo. E percio-
chè quefto fempre memorabil Augnilo avea non le fole Gal-
lie , ma gran parte ancora della Germania ubbidiente al fuo
fcettro ; però cominciarono allora o per cagion della milizia ,
o per li governi , a praticare e fifìfar le loro famiglie in Itaha
non fola mente i Franchi , ma eziandio i Norici , Turingi ,
SalToni , Alamanni , Suevi , ed altre Nazioni . Due Strumenti
dell'Archivio Archiepifcopale di Lucca ci fan vedere nell'An-
no 782. Adeltruda Saffoììe ^ nìicella dì Dio ^ (cioè Monaca in
quella Cittk ) Figlia diAdelvaldo^ che fu Re de' Sajfoni Oltra-
marini , cioè uno de' potenti Principi della gran Bretagna , o
fia dell'Inghilterra, che reftò uccifo , e cagion fu che la Fi-
glia fi ricove ralle in Italia. Tempo venne, che anche il Mez-
zo giorno in viò altri Barbari a calpeltare le nollre contrade . Que-
fti furono gli Arabi , appellati anche Saraceni , i quali dopo
avere Uefa la lor dominazione per le Provincie marittime dell'
Affrica, e per la maggior parte della Spagna , nel Secolo IX.
s'impadronirono della Sicilia, e giunfero a poffedere molte Cit-
ta nella Puglia e Calabria . Gran fatica fi durò a cacciarli da
que' nidi ; e folamente nel Secolo XI. tolta fu loro da i Nor-
manni la Sicilia fuddetta . Sul principio del Secolo medefimo ,
e ne'fuITeguenti anni , provò la mifera Italia inhniti guai per
le incurfioni di un'altra Nazione piìi fiera e barbara dell'altre,
cioè deghUngri, oUnni, gente Tartarica , che avendo colla
forza fottomelìa la Pannonia , e datole il nome di Ungheria ,
fui
8r Dissertazione
fui principio del Secolo X. qiiafi ogni anno calavano in Italia,
per dare non folamente il facco dovunque giugnevano , ma
per mettere tutto a ferro e fuoco . Grande e lunga calamita
che fu quella , maffimamente nella Lombardia, in cui fino la
Regal Citta di Pavia reftò da que' terribili mafnadieri cangiata
col fuoco in un mucchio di pietre. Leggefi in un Codice anti-
chiffimo della Cattedrale di Modena la leguente preghiera a
San Geminiano Veicovo e Protettore delia Citta in teftimoni»
di quella gran turbolenza.
-- Confejfor Chrtjìi ^ pie Dei famuh^
O Gemini ane ^ exorando fupplica^
Ut hoc flagellum , quod meremur miferi ,
Cc^lorum Regis enjadamus grafia.
Nam do6lus evas Attila temporibus
Portas pandsndo liberare fubditos,
Nmic te rogamus^ licèt fervi pejjlmi^
Ab VNGERORUM nos defendas jaculis.
Patroni jummi exorate jugiter
Servis puris implorante! Dominum»
Allora r infigne Moiiiftero Nonantolano , fondato nel Seco-
lo Vili, nel territorio di Modena, da que' Barbari venne dato
alle fiamme .
M A in fine furono pafTaggiere le fcorrerie di coftoro in Ita-
lia , né alcun di effi fifsò qui il piede . Neil' Anno ^6i. ebbe
uno (labile principio la tuttavia vigorosi Signoria della Nazioii
Germanica , in Italia , mercè della Corona Imperiale , che il
Romano Pontefice conferì ad Ottone il Grande, Re della Ger-
mania : Di quefto governo, che fervi anch'elfo a piantar mol-
te Famiglie Tedefche nelle contrade d'Italia, e delle mutazio-
ni poicia fopravenute , non è qui luogo da trattare . Merita
bensì, che fi rammenti un'altra Nazione parimente Settentrio-
nale, che nel Secolo XI. venne ad impoileifarfi di una delle più
belle parti d'Italia. Parlo de'Normanni, cioè di un milcuglio
di gente , ufcito dal più remoto Settentrione di Europa , cioè
da que'paefi, che ora chiamiamo Svezia, Danimarca, Norve-
gia, Littuania, e Ruflia : tutti uomini beftiali, che fin regnan-
te Carlo Magno fi diedero ad efercitar la Pirateria nell' Ocea-
no. Che danni, che flragi inferiffero quelli inumani Corfari nel
Secolo IX. all'Inghilterra, alla Frifia , e più fenza paragone
alla GaUia, noo fi può abbaftanza efprimere. Penetrarono an-
. . che
Prima. p
che nel Mediterraneo . A loro fi attribuifce la rovina della
Citta di Luni, di cui appena reftano le veftigia , e il faccheg-
gio di Fifa , e di altre Citta Italiane . Si quetò la rabbia di
coftoro , da che fui principio del feguente Secolo fu loro cedu-
ta nelle Gallie quella Provincia , che cominciò ad appellare
Normandia . Guglielmo il Conquiftatore , Duca di quella va-
lorofa Nazione , fottomife poi nel Secolo XL a' fuoi voleri l'In-
ghilterra. Ma ftupenda cofa fu in elfo Secolo il vedere un pu-
gno di que' Normanni, che per accidente capitato in Puglia
cominciò ivi a far delle grandi prodezze, e de gli acquifti; e
chiamati cola dalla Normandia altri compagni , giunfe in fi-
ne per valore di Roberto Guifcardo , e di Ruggieri fuo Fratel-
lo , a conquiftar quafi tutto il Regno appellato oggi di Na-
poli, e tutta anche la Sicilia . Un curiofo pezzo di Storia Ita-
liana fon le imprefe de' Normanni in quelle parti . Da quan-
to poi fi è detto finora, fi può comprendere, che anticamen-
te lembravano deftinati i Popoli del Settentrione a foggiogare
i Meridionali . Gente feroce di animo, e robufta di corpo , che
a capo baffo andava contro chi gli fi opponeva , trovava gran
facilita a fconfiogere gli abitanti del Mezzo giorno , parte ef-
feminati , e marciti neli' ozio , e tutti dimentichi dell' antica
militar Difciplina . Ciò, che fecero in Italia , fi è già veduto»
Paflarono a fignoreggiar nelle Gallie i Franchi , e i Borgogno-
ni; nelle Spagne i Vifigoti , e Svevi ; nell'Affrica i Vandali;
nella Tracia ed lUirico i Bulgari ; nella Pannonia gU Unni , i
Gepidi , i Longobardi , gli Ungri. Erano i Turchi di Nazione
Tartara , ed ognun sa e vede , dove fia arrivata la lor poten-
za, e Io fpirito conquiflatore. A i Tartari ancora riufci di con-
quiflar l'India Orientale con fondare l'Imperio del Gran Mo-
gol ; e fuileguentemente un' altra Nazion di Tartari fog^iogò
e tien tuttavia il celebre e maeflofo Imperio della Cina . S'è
veramente da alquanti Secoli mutata la faccia delle cofe in
Europa; pochi ci fono, che non facciano profeffione dell'ar-
mi ; le Fortezze fi mirano frequenti : laonde gran tempo è ,
che non fi veggono trasmigrazioni di Popoli , né i Settentrio-
nali tentano di fcavalcare i Meridionali ; o le tentano , non
fogliono durar le loro conquide. Se n'ha da eccettuare la Ruf-
fia , il cui Imperio per cura fpezialmente dell'immortale Pie-
tro il Grande è arrivato ad un auge di tanto credito e gran-
dezza di dominio . E certamente le un di fecondo le umane
Tomo l B vicen-
IO Dissertazione
vicende avrà da sfafciarfi la vafta Monarchia de i Turchi, na-
ta per iafciar andare in malora tanti bei Paefl e Citta , che
ne' Secoli antichi cotanto fiorirono : pare che fìa riferbato ai-
la Potenza Ruffiana di darle il crollo .
Del Regno d' Balia ^ e de' fuoi con finì,
DISSERTAZIONE SECONDA.
COnvien ora cercare, in che confifteffe , e fin dove ar-
rivaffe il Regno Longobardico , o fia Italico . Riguarde-
voliffimo fenza dubbio fu eflb . Pavia ne era la Regia e il cen-
tro. Dalla parte del Settentrione fappiam di certo , chelaCit-
ù. di Trento colle fue adiacenze era parte di queflo Regno, e
col tempo ebbe il titolo di Marca, cioè di confine alla Germa-
nia. Anche le Cittk di Bergamo , Brefcia, Verona, Vicenza,
Padova, Trivigi, e Aquileia benché diftrutta, ed altre minori
infien e con tutto il Friuli , appartenevano al Regno Itahano,
e i territorj d' alcune fcorrevano fino alle Terre Germaniche .
Verfo l'Occidente la gran barriera dell'Alpi divideva la Lom-
bardia dalla Francia e Borgogna , fé non che Aojìa ( Augufia
Pr^e feria ) in alcun tempo fu fottopofta al dominio de' Borgo-
gnoni : laddove il Tefiamento di Carlo Magno la fa dipenden-
te dal Regno d'Italia. Verfo il Mezzo giorno dalla parte Oc-
cidentale il Fiume Varo, come oggid'i , cosi anche anticamen-
te, divideva la Gallia dall'Italia, la cui prima Citta era Niz-
za . Indi poi procedeva il Regno per la Provincia oggidì chia-
mata le Ri'viere di Genova^ e una volta Li ttus Italie um , Suc-
cedeva il Ducato della Toicana , che fcorreva fino a i confini
del Ducato Romano, cioè ad un tratto di paefe, che con Ro-
ma fempre fi mantenne fedele a i Greci Augufti . Ma per
conto dell' Oriente non furono gik cosi ftabiii i confini del
Regno Longobardico . Da quefto Regno era efclufa Venezia
colle fue Ifole , e col territorio a lei fpettante in Terra fer-
ma. Da un Diploma de' Patti ftabiliti nell'Anno p 8 3. fra Ot-
tone IL Augufto, e Tribuno Doge di Venezia, da me pubbli-
cato nella Piena Efpofizione, fi raccoglie, che a'tempidelRe
Liutprando s'erano fiffati i confini fra quel Ducato e il Regno
d' Italia . De finibus (ivi fi legge ) Civitatis Nova Jìantimus ,
ut
Seconda. ii
uP termìrjatiO'^ ^w^ ^ tempore Llufpraj^di Regls faSla ejl iute^f
T nuluctonem Ducem^ Ò' Marcellum Magtjìrum militum ^ dein-
ceps manere debeat ^ tdejì de Piavi ma/ori ufque mPlavimJìc'
Cam* Però Andrea Dandolo , che fu poi Doge di Venezia nel
1342. nella fua Cronica, da me ftampata nel Tomo XII.
Rer. Ital. ne parla così al Lib. VII. Cap.I. Hk Paulucius Dux
umìàtiam cum L'tutprando Rege contramt , & paSia tnter Ve-
netos & Langobardos fecit^ per qua fibì & Populo fuo immuni'
tates plurimas acquiji'vìp , & fines Heraclice ( dalle cui rovine
forfè dipoi Città nuova^ cum Marcello Magijìro Mtlitum termi^
navit^ videlicet a Piave ma Jori ad Plav'fjellam. In un Diplo^
ma di Berengario e Adelberto Re d'Italia, fpettanre alla Ca-
fa de' Conti diCollalto, troviamo nell'Anno p6o. Cortem unamy
qua fjuncupatur Lwadift/t , jacentem in Comitatu Tarv'tfino non
longe a Flumine y quod nuncupatur Piave , Il Du-Cange nell'
Appendice al GlofTario Latino interpreta Plavim per Planitiemy
citando in pruova di ciò la Cronica del Dandolo. Quell'accu-
rati (Timo Scrittore non ofTervò, che v'era un Fiume di quefta
nome. Di un'altra partizìon di confini è fatta memoria in un
Diploma di Federigo I. Imperadore, conceduto nell'Anno 1 177.
a Leonardo Vefcovo di Torcello , con quelle parole : Cum Fof-
fato , quo flatutus efl terminus tempore Caroli inter Veneticos
Ù' Langobardos , unum caput exiens in fluvio Siclce , Ù* aliud
in fluvio Tarfo . Abbracciava la Diocefi di Torcello Aitino 5
Citta ne' vecchi tempi smantellata da i Longobardi.
Da i confini deli'Iftria venendo pel hdo del Mare fino a
quei di Ravenna , comprefo anche Comacchio , a riferva di
alcuni Luoghi polli fra le paludi , e appartenenti al Ducat»
di Venezia, tutto quel paefe ubbidiva a i Re Longobardi, né
fisa, chequefli, eccettochè con qualche icorrena, penetraf-
fero mai nella giurisdizione de' Veneziani . Ma ne' tempi di
Carlo Magno fi attaccò un gran fuoco in quelle parti , per la
difcordia de' Greci co i Franchi a cagion dell' Imperio trasfe-
rito in quefli ultimi, e molto più per l'ambizione di Pippino
Figlio di elfo Carlo, coftituito Re d'Italia nell'Anno 'j^i.
Intorno a quella guerra non fon meno in guerra gli Scrittori
moderni con gli antichi . Per quanto pare , non fi dovrebbe
mettere indubbio, che dopo l'Anno 800. i Franchi fignoreg-
gianti l'Italia colla forza dell'armi ftendefiero il loro dominio
neir Iftria e Dalmazia , e in alcune dell' Ifole polfedute da i
B 2 Ve-
J2 Dissertazione
Veneti'. Ne gli antichi Annali de'Franciii prefìfo il Du-Cbefne
Tom. II. pag. 43. fi legge all'Anno Sod. Venermn Villeri Ò'
Bentus Duces Veìiet'ta , nec non & Paulus Dux Jnciera , ^rque
Donatus ejusdem C'roìtatìs Ep'tfcopus , Legati Dnlmatiarinn , ad
prafenfiam Imperatorts cum magnh donis . Et faHa e/i ibi or-
binario ab Imperatore de Ducsbus Ò^ Popidis tayyi Veneti<s , quam
Dalmatica, Niceforo Imperador de' Greci mandò pofcia un' Ar-
mata navale ad recuperandam Dalmatiam : adunque la Dalma-
zia era fiata occupata da' Franchi . Nell'Anno ìeguente 'èo'j'
Niceta Ammiraglio de' Greci , qui cum clajje fedebat in Ve-
7ìetia , (labili pace col Re Pippino , e fé ne tornò a Coftan-
tinopoli. Adunque Venezia allora non fu moleftata da i Fran-
chi , e i Greci dovettero ricuperar la Dalmazia , perchè nel!'
Anno 805). ClaJJis deConJìantinopoli rììijfa ^ primo Dalmatiam ^
deinde Venettam appulit , Inutile riufci lo sforzo de' Greci per
togliere Comacchio a i Franchi, e per far pace con loro. Per-
ciò nell'Anno appreffo 810. il Re Pippino, perfidia Ducum
Veneticorum incitatus , Venetiam bello terraque marique jujftt
/tppetere ; fubjeHaque Venetia , ac Ducibus ejus in dedipionem
acceptis^ eamdem Clajfiem ad Dalmatica litora njnfìanda mifit ,
Di quefto tenore parlano anche tutti gli altri antichi Annali
de' Franchi . Vero è , che il Dandolo , feguitato da gli altri
fuffeguenti Storici Veneziani , niega quefla vittoria de' Fran-
chi, e potrebbe effere, che in Rialto , componente allora prin-
cipalmente la Citta di Venezia , non entraflero l'armi Franze-
fi ; ma per altro coli' autorità di Storici tanto antichi e con-
temporanei non può ftare a fronte quella de' moderni. Quel
che è certo, non reftò l'inclita Citta di Venezia a i Franchi .
Per teflimonianza d'efli Annali, Carlo Magno Niciforo Venetiam
reddidit ; ma ritenne in fuo potere Hijìriam ^ & Libumiam ^
^tque Dalmatiam ^ exceptis maritimis Civitatibus^ quns ab ami-
citiam & /unóium cum eo fcedus , Cofi/ìantinopolitanum Impe-
ratorem habere permiftt . Eginardo ne gli Annali annovera la
Citta di Grado fra le Metropolitane fottopofte a Carlo M. Au-
gufìo. Che anche P0//7 Citta dell'Iftria ubbidire allofìefib Impe-
radore, fi può raccogliere dalla Lettera XI. di Papa Leone III.
Sicché continuò il Ducato Veneto ad effere fuori del Regno
Italiano , e ciò maggiormente apparifce dal precitato Diplo-
ma di Ottone II. Auguflo, in cui è fcritto : Ut funt e>c noftro
fciliceP jurcy Paptenfes^ Mediolanenfes Ù'c. & cun^i in noftro
ha-
Seconda. ij
Italico Repì70 . £x prcediBo ijero Ducatu Vencticc funi E.i'val-
denfes ( oggidì Rialto ) Methamaucenfes^ Clugie/ifes , Caputar-
gelcnfes^c. Lodovico II. Imperadore Ieri vendo nell'anno 871.
( come s'ha dal Cardinal Baronie) a Bafilio Imperador de' Gre-
ci , fi lamenta per ejfere Jlatì mefjati in i [chi avi tu t Popoli
della nojlra Schiavonia . Con queflo nome non laprei dire ,
s'eoli intendefie la Dalmazia. E da gli Annali Bertiniani s'ha,
che nell'anno 820. i Popoh della Camiola e Carinthia fi die-
dero a Buldrico Marchete o Duca del Friuli.
Seguitando la fpiaggia dell'Adriatico, arrivava il domi-
nio de' Longobardi fino a' confini di Ravenna, dove rifedendo
gli Efarchi , cioè i Minifiri o fia i Governatori , pollivi da i
Greci Augufii, davano il nome di Efarcato a parte dell'Emi-
lia, e a tutta la Flaminia , tuttavia iuddite del Greco Impe-
rio . Non è mancato ai nofiri di, chi ha voluto ampliare l'Eiar-
cato, comprendendovi Piacenza, Parma, Reggio, e Modena ,
ma contro la verità. Di quelle quattro Citta, e fino d'Imo-
la fui principio s'impadronirono i Longobardi . Maurizio Im-
peradore nell'anno -5po. collegato co' Franchi , ricuperò Mo-
dena, Mantova, Aitino, Cremona, ed altri Luoghi, come cofta
da alcune Lettere rapportate dal Du-Chefiie Tom. I. Script»
Frane. Il Re Agilulfo ricuperò tutto , e il confine de gh Sta-
ti tornò ad efiere fra Modena e Bologna . Prefero poi altri Re
Longobardi X Efarcato , e refta tuttavia in Bologna un monu-
mento del dominio del Re Liutprando in quella Citta. Pippi-
no Re de' Franchi fece un dono di eflb Efarcato al Romano
Pontefice; e perchè il Re Defiderio tornò ad occuparlo. Car-
io M. lo ricuperò alla Chiefa Romana, e conquiftò per sé il
Regno d'Itaha. Abbiamo il Tefiamento di Carlo Magno, che
chiaramente accenna , fin dove arrivaffe il Regno d' Italia ,
cioè : Ah ingreffu laalias per Auguflam Civitatem , Eboréjam ,
Vercellas^ Papiam ^ & deinde per Padum fluvium termino cur-
ventc ufque ad jìnes Regienjtum , & ipfum Kegium , & Civi-
tatem Novam (di cui appena refiano poche vefiigia) atqueMu'
tinam ufque ad termi nos SanSli Petri . Aggiungafi il Capitola-
re di Lottario 1. Imperadore, dame dato alla luce nella Par-
te li. del Tom. I. Rer. Ital. dove quell'Augufto deputò Scuo-
le per Regni Italici Urbes, Fra quefie Citta fi contano Piacen-
•:^^, Parrna^ Reggio^ e Modena» Né Adriano L Papa nel!' Epi-
flola LIV. del Codice Carolino , né Agnello Autore del Seco-
lo IX.
14 Dissertazione
Io IX. nelle Vite de gli Arcivefcovi di Ravenna , annoverando
le Città dell' Efarcato , parlano punto delle fuddette quattro
Città , le quali air incontro per tanti Atti e Documenti de i
fulTeguenti Re d'Italia ed Imperadori manifeftamente fi truo-
vano coftitaite fotto T immediato loro Dominio r
Lasciato dunque da parte T Efarcato di Ravenna, giugne-
va il Regno al Ducato di Spolsù . Forfè ne' primi tempi non
poffederono i Longobardi fé non l' Umbria , di cui fecero ca-
po Spolet't , Ma andando innanzi, s'impadronirono anche del
di qua dall' Apennino, con occupar Camerino, Fermo, ed al-
tre Città, di maniera che poi fi formarono due Ducati, l'uno
di Spoleti , e l'^altro di Camerino . Da Anaftafio Bibliotecario
nella Vita di Papa Zacheria fembra ricavarfi , che Marfico ,,
Forcona, Balva , e Penna foffero del Ducato di Spoleti ; per-
ciocché Trasmondo , Duca di quelle contrade , ribellatofi al
Re Liutprando , e confederato co' Romani , nelf anno 742.
penetrò in Fines Ducatus Spohtini , e fé gli arrenderono Mar-
jficani , & Forconini , atque Balvenfes , jeu Penn^nfes . Anche
Cìvitas Inter amìienfium ( non so fé Teramo o Terni ) pofta era
in quel Ducato ; ed avendo il Re Liutprando confermati a Pa-
pa Zacheria i Patrimonj della Sabina , di Narni , O/imo , ^n^
€ona , Numana , e della Valle Grande funata nel territorio dì
Sutrij fi comprende , che di quelle Città egli era il Sovrano,
e ch'effe appartenevano al Ducato di Spoleti . Sembra ezian-^
dio, che Rieti ^ Am i terno y ed Afcoli vi foifero comprefi . E
che almeno una parte della Sabina efifteffe in quel Ducato ,
poflìamo raccoglierlo dalla Cronica Farfenie da me pubblica-
ta nella Part. II. del Tom. IL Rer. Ital. giacché l'infigneMo-
niftero di Farfa in un Diploma di Carlo Magno fi dice fonda-
to in D tic atti Spai etano ijel in territorio Sabinenji . E in un Pla-
cito tenuto da Guinigifo Duca di Spoleti un certo Goderifio fa
querela contra di quei Monaci per avergli occupato alcuni be-
ni in Spoleto^ & Inter amni^ Jeu Fulginea : laonde Terni e Fo'
Ugno doveano elfere fotto la giurisdizione di quel Duca . Col
tempo fembra, che il Ducato Spoletino fi ftendeffe più oltre,
ed abbracciaffe anche la Pentapoli , che pure dal Re Pippino
fu donata a San Pietro . Rapporta l' Ughelli nel Tomo IL dell'
Italia Sacra parlando de i Vefcovi di Fermo , uno Strumento
dell'Anno 887. fcritto per ordine di Teodofio Vefcovo di quel-
la Città , confenfu conjilioque omnium venerabilium Epifcoporum
ifì
Seconda! 15
in DUCATU SPOLETANO dege?ittum . E quali erano que-
lli Vefcovi? Johannes Efculanus Epifcopus^ Benolergius Ancontta-
nm ^ CelfusCamavtnenJis^ Benevenfus ( five Benevenutus ) 5*^-
nopaUienJts , Americus Spoletanus , Komanus Fanenfts , Lauren-
s'tus Pifaurienfìs^ Koberpus Numanenjìs , Debaldus Perujtnus^ Pe-
trus Auxìmanus ^ Rkardus Keatintis , Adelardus Call'tenfts , AU
bertus Lodonenjìs ( forfè è nome corrotto ) Albertus Urbinenjts ,
Severhìus Nucertenjls ^ Bartholomcsus Forolivienjis .^ RugeriusTe^
ramnenjìs . Vi mancano i Vefcovi di Rimini , Foffombrone ,
ed altri . Puoffi anche dubitare di quel Vefcovo di Forlì. Co-
me poi s'accordino le fin qui addotte notizie col tefto di Ana-
fìafio Bibliotecario nella Vita di Adriano I. Papa , non è facile
ad intendere . Scrive egli donati da Pippino Re alla Chiefa i
feguenti paefi . A Lunis cum Infila Corjica ; deinde in Suria-
710 ; deinde in Monte Bardonis y deinde in Verceto j deinde itt
Parma; deinde in Regio; & exinde in Mantua ^ atque Monte
Silicis ; Jìmulque Ò' univerfim Exarcbatum Ravennatium , Ji'
cut anticjjuitus erat ; atque Provinci as Veneti arum , Ù" Hijlriamj
nec non & cun&um Ducatum Spoletinum & Beneventanum . Giu-
fto motivo c'è di fofpetrar qualche interpolazione nella nar-
rativa di elfo Scrittore , da che ad una s'i magnifica Donazio-
ne, che abbraccia la maggior parte d'Italia, contradicono di
troppo le Storie e i monumenti dell'antichità.
A cAGioN delle guerre , che tanto tempo durarono fra i
Longobardi , e i Greci dominanti nell' Efarcato e Ducato Ro-
mano, furono riabiliti i confini noumeno del Ducato di Spo-
leti di Ik dall' Apennino , che della Tofcana de Longobardi ,
Abbiamo da Paolo Diacono nel Lib. IV. Gap. 8. della Storia
Longobardica , che Patricio Efarco di Ravenna ricuperò alcu-
ne delle Citta , quce a La?igobardis tenebantur , quarum funt no-
mina^ Sutriunjy Polimartium y Horta^ Tudertum^ Ameri a ^ Pe-
rujta , Lueeolis , & alias quasdam Civitates . Ma poco flette il
Re Agilulfo a ricuperar Perugia ; e un Secolo dappoi il Re
Liutprando rkhheSmriy benché appreffo Io reftituifie ai Ro-
mani. Racconta il Bibliotecario nella Vita di Papa Zacheria ,
che dal medefimo Re ablata fi?it a Romano Ducatu Civitates
quatuor , idejì Ameria , Horta , Polimartium , & Blera . Alle
preghiere poi del Papa furono reftituite quelle Citta. Ricavali
ancora dalla Vita di elfo Zacheria, che la Citth di Viterbo era
comprefa nella Tofcana Longobardica : il che fa conofcere ,
qtiant'
i^ Dissertazione
quant' oltre aveflero (telo i Longobardi il loro dominio con
danno del Ducato Romano. Ne' monumenti ancora della Cro-
nica Farfenfe troviamo, che Cornerò era in potere dei Duchi
di Tofcana , Principi anch' eflì del Regno Italico . L' infigne
Ducato Beìieventano terminava effb Regno dalla parte del Le-
vante , ftendendofi da i confini di Spoleti per la Puglia, Bari,
e Brindifi , fino a Taranto . Gran parte della Calabria vi era
comprefa. Napoli, Gaeta, Sorrento, ed altre Piazze maritti-
me falvatefi dall'unghie de' Longobardi , continuarono a rico-
nofcere il Greco Imperio . Terra dì Lavoro colla nobil Citta
di Capoa , cominciando da Aquino fino a Nola, e da un'altra
parte Salerno, e il tratto di paefe continuato finoaCofenza,
entravano parimente in quel Ducato . Inforfero dipoi guerre
civili, e per terminarle Lodovico II. Augufto nell'anno 851.
fiaccò da Benevento il Prhictpato dì Salerno ; e da quefto an-
cora , andando innanzi , fi divife il Principato dì Capoa . Né
fi dee tacere , che al Regno Italico talvolta fu dato il nome
di Longohardìa , come colla dal Continuatore di Fredegario all'
^anno 754. E Carlo Magno nel fuo Teftamento nomina Italìam
qu ce ^Longohardìa die ttur , Ma ne' tempi lufTeguenti col nome
di Lombardia fu difegnato il tratto di paefe, eh' è chiufo dall'
Alpi , e dall' Apennino , e va fino a i confini tra Modena e
Bologna . Nella Cronica Farfenfe Carlo il Calvo , e Carlo il
Groflb Augufti confermano al Moniftero di Farfa tutti i be-
ni ad elfo fpettanti tam in Longohardìa , quam in Romania ,
feu in Tu/eia^ & in Ducatu Spoletano . Ebbero in ufo i Greci
di chiamar Longohardìa quella porzione del Ducato Beneventa-
no, che ne' Secoli X. e XI. occuparono a i Principi Longobar-
di . Ne fa teflimonianza Leone Oftienie nella Cronica Lib. I.
Cap. 4p. per tralafciarne altre pruove . Segui anche un'altra
divifione del Regno Italico fotto gli fteffi Re Longobardi, cioè
Auflria fu chiamato il Ducato del Friuli, perchè all'Oriente
di Pavia; QNeuftrìa il refto della Lombardia firettamente pre-
fa, che giugneva a i confini del Regno di Francia. Cosi i Re
di Francia divifero in due parti il Reame loro , appellando
Neujìria la parte Occidentale , ed Auftrìa la Settentrionale o
pure l'Orientale. Per la fi-efla ragione l'Auftria di oggidì fu
COSI appellata per effere alf Oriente della Baviera o Germania.
Fra le Leggi Longobardiche preffo il Lindenbrogio la Vigefima-
quarta di Liutprando era così conceputa : Sì in IJìrìa^ aut i?z
Ali'
Seconda, 17
AuJÌYttt fuertt , amhtat tpfa pignora . Cos'i in una Legge di
Pippino Re d'Italia fra i Capitolari del Baluzio fi legge tam
in Aujìria^ quam in Iftria . Ma in vece d' Iftria s' ha ivi da
leggere Neujìria. Scrive Paolo Diacono de Geft. Langob. Lib. V,
Cap. 3p. che Alachis Duca di Trento ribellatofi al Re Cuni-
berto, Per Piacenti am in Auflriam reditt , Perciò Aquileia fu
una volta appellata Città dell' Aufìria ; e il Foro dì Giulio ,
oggidì Cividal del Friuli , fi truova anch' effo chiamato Ci'
vitas AuJlrìóS,
Deir Elezione de gì' Imper adori Romani , e de i Re d' Italia ,
DISSERTAZIONE TERZA,
NELL' Anno 774. col mezzo dell' armi Carlo Magno in-
clito Re de i Franchi acquiftò il Regno Longobardico ;
nell'Anno 800. la Corona e il Titolo d'Imperador de i Roma-
ni . Han creduto alcuni Eruditi , che Carlo non altro allora
acquiftaffe , che un nudo nome fenz' alcun dominio fopra i
Romani, de i quali nondimeno s'intitolava Imperadore . Altri
fono (lati di parere, ch'egli con quella nuova Dignità fi pro-
cacciaflTe non folo il diritto di ritenere il Regno Longobardico ,
glk ufurpato ai Greci, ma anche di legittimamente occupar
le Provincie, quce ad Impcrium Occidentis pertinebant ^ a Gracis
aut ab altis pojfejfce, Erant autem Apulia^ Calabria , Sicilia ,
Neapolis^ llliricum^ Candia^ Dalmati a ^ Cyclades Infula . Cosi
feri ve un Autore de'noftri tempi . Quanto al primo punto ho
io abbaftanza efprelTo negli Annali d'Italia ciò, che credo con-
forme alla veritk . E quanto al fecondo , un' ingiufta preten-
fione quella farebbe ftata. Potè ben Papa Leone III. e il Popo-
lo Romano aver giufti motivi di fottrarre Roma e sé fteffi al
dominio de' Greci Augufti . Ma non già conferire ad alcuno il
diritto di occupar tante altre Provincie , legittimamente e da
antichifllmi tempi poffedute per li Greci Criiiiani Augufli , e
nulla pertinenti al Ducato Romano. Infatti Carlo Magno ei
fuoi Succeflbri altro non pretefero , fé non ciò ch'era del Re-
gno d'Itaha, e ciò come Re d'Italia, e non contitelo di So-
vranità Imperiale. Né pure fembra, che il Regno d'Italia di-
pendeiTe punto dall'autorità Imperiale. L'avea acquiftato Car-
Tomo I, C lo
ì8 Dissertazione
io Magno, e ne invertì Pippino fuo Figlio, ma con ritenerne
la Sovranità prima di eflere Imperadore . Altrettanto fece Lo-
dovico Pio nel creare Re d' Italia Bernardo . Qiiel che è cer-
to , ninna autorità competè mai a i Re d'Italia fopra Roma.
Da Lottario I. Aiigufto fu creato Re d'Italia Lodovico IL fuo
Figlio , ed inviato a Roma , acciocché per maggior onore ne
ificevefìTe la Corona dalle mani del Romano Pontefice Sersio F^
Coronato che fu quello Principe , pretefe , che i Romani gli
giuraflero fedeltà . Ecco ciò , che ne riferifce Anadafio . Tunc
petìeru?it Fr^nc't , up omnes Primapes Roma?2Ì fidclìtatem ipji
Hludo^j'tco Regi per facrame?2tum promitterem : quod pntdennjjimus
Tonùfex fieri nequaqiiam concejftt , Per efTere divenuto Re u'Ita-
lia il giovane Lodovico , certamente niun diritto avea confegui-
to fopra di Roma; laonde il faggio Pontefice perni ite folamente,
che fi preftalTe , o confermaffe quel Giuramento Zv^j^/^^r/o ^^^w-
y?o, cioè a fuo Padre . Il Giuramento di fedeltà non fi prelTa,
fé non a chi è mediatamente, o immediatamente Sovrano.
Resta ora da cercare , fé per elezione o fucceffione palfaf-
fero r Imperio e il Regno d' Italia ne i Difcendenti o altri
Succefì'ori di Carlo Magno. Per quello che riguarda il Regno
Itahano , giacché 1' avea conquiflato elio Carlo colf armi , e
fenza dipendenza da alcuno, l'avea perciò fecondo il diritto
delle Genti renduto Ereditario nella fua Famiglia ; e in fatti
pervenne liberamente a i fuoi Figli e Nipoti . Per conto poi
del Romano Imperio, han creduto Ermanno Conringio ed al-
cuni altri, che ancor quello paffalTe per eredità. Ha biiogno
di correzióne e limitazione una tal Sentenza . Nello (lelfo Re-
gno di FVancia doveano fuccedere i Difcendenti dal Re Pippi-
ViO ; e pure non fuccedeano quelli fine eleHìone & conj'enfu
PopuU Franaci: Molto più ciò dovea praticare per l'Impe-
rio, il quale per Elezione era entrato nella Cafa di Carlo Ma-
gno . Pare veramente , che i di lui Difcendenti vi acquilìaffe-
ro qualche diritto ; ciò non oftante vi fi richiedeva il confen-
fo degustati, e maflimamente del Romano Pontefice. Allor-
ché elfo Carlo volle trasmettere F Imperio in Lodovico Pio fuo
Figlio , per atteflato della Cronica Moiffiacenfe , convocò la
Dieta de omni Regno ^ ^vel Imperio fuo. Et con'venerunt Epif co-
pi , Abhates , & Comites , (D' Senatus Francorum ad Imperatorem .
In quell'occafione il faggio Monarca hahuit confilium cum pra:-
fatis Epifcopis , & Abbatibus , & Comitibus , Ò' Majoribus nata
Vran-
Terza* ip
Francorum , ut co}ìJìituerie?it filluìn fuum Ludc'-jtcum Regem &
Imperatorcm, Altrettanto s' ha da Tegano Storico, le cui paro-
le fon quelle : Cum omni esercitila Eplfcopis^ Ahhmbus ^ Da-
cibus ^ Comitìbiis^ Locopofttis^ hnbuit gra-ndecolloquìum cum eis
j^quisgra?ìo Palatio , ìnterrogans omnes a ìnax'mio ufque ad mi~
nhnum^ fi eh placmjfet^ ut ?iomen Jtmm .^ ideft Imperatorìs ^ fi-
l'to fio Lude'wko tradidìjfet , Dello fteflb tenore parla Eginar-
do nella Vita di Carlo Magno. Che a quella Dieta intervenijC-
fé qualche Inviato del Papa, è affatto verifimile, dante l'ave-
re quelf Augufto invitati cola i Primati ds oìmii Regno vel Im-
perio^ e l'occorrere più il confenlo del Romano Pontefice, che
de gli altri Principi . In /atti Lodovico Pio non credette com-
piuta l'efaltazione fua all'Imperio , finché non ne ricevette la
Corona dall\; mani di elio Pontefice : al qual fine chiamato in
Francia Papa Stefano IV. da cui fu coronato con quella fo-
lennita, che vien riferita da gli Storici contemporanei, e par-
ticolarmente Ermoldo Nigello nel Poema da me dato alla lu-
ce. Parimente Lodovico Pio nel voler creare fuo Collega il fi-
glio Lottario , imitò l'efempio del Padre , Nella Vita di Wal-
la Abbate prelfo il Mabillone ne gli Atti de' Santi Benedetti-
ni, elfo Lottano così parla all'Auguro fuo Padre: Me Coti"
forte'm tot'tus Imperli Celfttudo 'vejìra una cum Voluntate Popu-
li conflituit . Lo ripete con dire di eflere ftato colfituito Sue-
cejforem totius Monarchice cum Voluntate & ConJe?ifu omnium .
E che l'aflenfo del Romano Pontefice fi richiedelfe fopra tutto ,
apparifce dal vedere, ch'egli non alfunfe il titolo d'Impera-
dore , fé non dopo la Coronazione Romana : il che fi dee cre-
dere offervato anche da Lodovico II. di lui Figlio.
Passato che in a miglior vita queiìo Augulto fenza lafciar
prole maichile, allora il Romano Pontefice, e i Principi Italia-
ni pretcfero, che folo ad efli apparteneffe l'elezione dell' Im-
peradore e del Re d'Italia . Cario Calvo fu quegli, che a for-
za d'oro e di regali riportò il pallio . Nel Concilio tenuto in
Pavia l'anno 875. moiri Velcovi e l^rincipi fecoiari d'Italia ,
narrata prima 1' elezione di lui in Imperadore fatta da Papa
Giovanni Vili, anch'efli per la parte loro l'eleggono e confer-
mano colle feguenti parole : Nos unanimiter njos Proteóìorem ,
Dominum ^ ne Defenforem omnimn noftrum elipìmus. Dopo elfo
Carlo Calvo , e Carlomanno , allorché fi trattò di una nuo-
va elezione , inlorfero dilpareri fra elfo Papa Giovanni , ed
C 2 An-
2Ò Dissertazione
Anfperto Arcivefcovo di Milano . Pretendeva l'Arclvefcovo ,
che a lui fpezial mente, come primario Principe del Regno d'
Italia, appartenefle di eleggere eflb Re. All' incontro infifteva
il Papa, che fenza l'afìTenio fuo non fi potelTe eleggere un Re,
che iecondo la confuetudine di allora avea poi da effere Im-
peradore . De nevi Regìs elezione (cosi fcriveva efib Pontefi-
ce nell'Anno 87^. ad Anfperto neli'Epifl:. 155. ) ut oìmies pa-
riter co?ìJìderemus , vos prcedi&o tempore ^dejfe 'valide oportet ;
& ideo antea nullum absque nojìro Confenfu Regem debetis veci-
pere, Nam ipfe ^ qui a 7ìobis ejì ordÌ77ar2dus in Imperium ^ a nobis
primum atque potijjtmum debet effe 'vocatus atque ele6lus . Fu
poi eletto Re d'Italia nell'Anno iuddetto Carlo Graffo , o fia
il Groffo , che tardò poi non poco a riportare dal Pontefice la
Corona Imperiale. Dopo la morte di lui gran guerra fu in Ita-
lia fra due gaghardi Competitori. Secondo gli Annali di Metz
preffo il Du-Chefne , ^udsdam pars Italici Populi Berengarium
jìlium Eberhardi , qui Ducatum Foro/ulianorum tenebat , Kegcrit
ftbi ftatuunt . Fu eletto da un' altra fazione Guido Duca di
Spoleti , ed effendo reftate fuperiori l'armi di lui, in una Die-
ta di Pavia fu egli folennemente eletto Re . Leggonfi quegli
Atti nella mia Differt. III. Tom. I. Antiquit. Ital. medii svi ,
probabilmente fpettanti all'Anno 78^. Ivi dicono que' Vefco-
vi : Decrevimus uno animo ^ eademque jententia^ prcdfatum ma-
gnanimum Principem Widonem ad protegendum & regaliter gu-
bernandum nos^ in Regem &' Seniorem (Signore) nobis eligere^
& in Regni fajìigium Deo miferante prdejicere &c. Arrivò poi
Guido alTrono e alla Corona Imperiale folamente nell'Anno 8^1,
Che Lodovico II. Re di Provenza fofie anch'egli eletto Re d'Italia
da i Magnati di quello Regno , ne fiam certificati da un fuo
Diploma e da me dato alla luce , e conceduto a Pietro Ve-
fcovo di Arezzo IV, Idus Oólobris Anno Incarn. Domini DCCCC,
dove egli ufa quelle parole : Venientibus nobis Papiam in/acro
Palatip^ ibique Elezione ^ Omnipotentis Dei difpojitione ^ inno-
bis ab omnibus Epifcopisj Marcbionibus^ cunólisque item majoris
inferiorisque perfona ordinibus faóla &c. Sembra da gli Atti fud-
detti , che i Principi d'Italia eleggeflero allora il Re, fenza
voler dipendere dairaffenfo del Romano Pontefice . Che anche
Rodolfo Re di Borgogna, ed Ugo Duca di Provenza nella ftefia
maniera fodero portati nel Secolo X. al Regno d'Italia, feni-
bra ben verifimile . Anzi di Ugo così fcrive Liutprando Sto-
rico :
Terza. 21
rico : Perei f US venh- Papìam , cunBisque connlventthus Kegnum
fufceptP ; cioè neli'Anno p25. Lo lìeiTo fegui di Lottano ino
Figlio . Di Berengario IL e Adalberto cosi fta Icritto in una
Cronichetta da me Rampata ne gli Anecdoti, e nel Tomo IV.
Antiquit. Ital. Die Dotniritco XV. die Decembris in Bafdica San^
Hi Mic/jaelis , qu^e dicitur Major ( in Pavia ) fuerum EleBi &
Coronati Berefigarius & ^dnlbertus filius ejus in Regibus,
Passo' poi la Corona d' Italia in Ottone il Grande , eletto
anch' eflb a queflo Regno , e pofcia decorato anche di quella
dell' Imperio . Odafi Landolfo feniore , che nel luddetto To-
mo IV. alLib.II. COSI ne favella: WalpertusMediolanenfts Ar-
cbiepifcopus 5 convocatis Epifcopis , Ducibus , omnibusque Italia-
Primatibus , de fupcrbia Alberti ( cioè del Re Adalberto ) con-
quejìus efl . Igttur fpreta Alberti ac totius fine genti s fuperbia ,
qui Italiam quaji ancillam dominabantur , Otto ab Omnibus in
Regem magnis cum triumphis Eleóius & jublimatus efl . Che
anche Ottone IL fuo Figlio fofle promolfo al Regno Itahco
per elezione de' Principi Italiani, fi può arguire dall' efiere di-
verfe le Epoche da lui ufate del Regno Germanico, e dell'Ita-
liano. Secondo Sigiberto , e per atreftato del Continuatore di
Reginone nel di di Pentecofte dell' Anno p^r. egli fu eletto Re
di Germania. Confenfu & unanimitate Regni Procerum , totius-
quePopuli^ Filius ejus Otto Rex eligitur , Ma ficeome ho io
ofìervato nel Cap.XVI. della Parte I. delle Antichità Eftenfi,
l'Epoca del Regno d'Italia per lui ebbe principio circa fette
mefi dappoi: il che fa conofcere, che non era peranche uni-
to quefto Regno col Germanico. Altrettanto pofiìam credere,
che feguifTe di Ottone IH. figlio del Secondo, perchè la San-
ta Imperadrice Adelaide Avola fua trattava i fuoi affari in
Italia; e fappiamo, che Giovanni Arcivefcovo di Ravenna con
Viligiio Arcivefcovo di Magonza il coronò in Aquisgrana .
Mancò fenza figli Ottone III. nell'Anno 1002. e faltò su Ar-
doino Marchefe d'Ivrea, che fi fece eleggere Re dalla fua fa-
zione. Odafi Arnolfo Storico Milanefe di quel Secolo nel Lib.I.
Cap. 12. Tunc Ardoinus quidam , nobilis Hipporegice Marchio ,
n Langobardis Papice eligitur. Ma poco durò quefto Fenomeno;,
perciocché Arrigo Re di Germania calato con grandi forze in
Italia, gli diede una rotta , e per tefiimonianza d'efib Storico,
Rex flatim eleElus^ fuoque pofl tempore Imperator effeólus efl-
Fu egli il Primo tra gflmperadori di quello nome,, e Princi»
21 Dissertazione
pe Santo . Parla deli' elezione di ini in Re fatta in Roncaglia
da Arnolfo Arcivefcovo di Milano, e da i Primati del Regno ,
anche Landolfo feniore altro Storico xMilanefe di quel Secolo;
e con lui va d'accordo anche Ditmaro nelLib. IV\ della fua
Cronica .
Sicché fino a quelli tempi fi vide confervato ne' Principi
d'Italia il diritto di eleggere il proprio Re . Né lo perderono
effi nell'elezione di Corrado il Salico fucceduta neh* anno 1024.
Wippone Storico di que' tempi fcrive , che furono invitati a
quella Dieta non folamente i Principi della Germania, ma an-
che d'Italia. Itali am tranfeo <^ die' egli, cnjus Prìnctpes ì?i bre^
*vi convenire ad Reg'tam Eleólionem nequiventnt . ^u't pojìmo-
dum hi Urbe Conjìatip'tetjji cum Arcb'tepifcopo Mediolane7jJì 0"
yeliquis Fr'tmtpibus occurrentes Regi ^ fui effeHi funf^ & ei ji-
àelitcttem l ih enti animo juranjerunt: , Criftoforo Geroldo, che nel
fuo Trattato de EleHcratu fi sforzò di provare iftituito fotto
Ottone IIL Augnilo il Collegio de i fette Elettori , dovea far
iiientv: a quetio pafib affai chiaro di Wippone contrario a i di
lui f-ntinicnti. Che i Principi d'Italia concorreiTero all'Elezio-
ne del Re anche ne' tempi fuffeguenti , fi può conofcere da
quello di Federigo I. Barbaroffa. Ottone Vefcovo di Frifinga,
e nobile Storico, riferendo gli atti di effo Federigo fuo Nipote
Lib. IL Cap.I. de Geft. Frider. fcrive cos\ : In Oppido Franco-
nofurti de tam immenj a Tranf alpini Regni latitudine ^ waiverfum
{^yyìirum diHu^ Principum robw y non Jine quibusdam ex Italia
Baronibus , tamquam in unum corpus coadtmari potuit . Ubi quum
de Eligendo Primates co?7Jiiltarent : nam id/uris Romani Imperli
itpex , vi delie et non per janguinis propaginem defcendere , fed
per Principum- EleHionem Reges creare , fibi tamquam ex Jin-
gulari prerogativa &c, Veggafi ancora ciò , che iafciò f^ritto
Amando Segretario di elfo Federigo nel Libro de' primi Atti
d'efib Re, rapportato dal fuddetto Geroklo . Anno MCLIL
( die' egli ) multi illujìres Heroes ex Lombardia , Tufcia , Ja^
nuenG y <& aliis Italia dominiis j ac major & potior pars Prin-
cipum in Tranf alpino Regìia y convenerunt i?2 Urbe Fra ncofurtenjì ,
Polcia aspiusne, che con voti concordi conientirono tutti nelL'
Elezione di Federigo fuddetto. Il perche con pm riguardo >po-
tea (crivere Ermanno Conringio de Fmib, Impera Germ. Li-
bro li. Cap. ip. §.28. Huc facit^ qund Italia omnem p(Sne pò-
tejlatcm Cafaris aut Regis conjìituendi y adeoque ejus y qui Ò'
Ita-
Terza. 23
halls omti'tbus imperandi jus habcat , unì Germania cifra otmiem
controverftam numquam non conceffer'tt , ex quo ah Ottone futt
devila. Cosi è oggidì, ma non cosi fu ne' vecchi Secoli. Ef-
fendo crefciuta in Italia la potenza delle Citta, abbattuti i Ve-
fcovi ed altri Potenti , non fi pensò piìà a concorrere all'elezio-
ne del Re* ma quel che fu coftituito in Germania, fu anche
ricevuto da gl'Italiani. Cosi col tempo, per ifchivar le dif-
fenfioni di tanti Principi, fu rimeflb a i fette principali Princi-
pi della Germania il diritto di eleggere il Re d'effa Germania,
e infieme dell'Italia. Né fi dee onimettere, che concorrendo
una volta i Vefcovi ed altri Principi alla Dieta di Pavia per
quivi trattare de gli affari del Regno, ognun di elfi pofTedeva
ivi Cafa e Chiefa propria . L'Aulico Ticinefe nel fuo Opufcolo
ile Laudib. T apice circa l'Anno 1330. fcriveva : Temporibus
hongobardorum^ Jicut fertur y ìllic omnium partium ìllarum Ept-
[copi congregabantur ad Sj/nodum : unde & ad bue funt ibi Ca-
pelli quamplures 'uocatts muharum Civitatum Longobardics no-
minibus . Fra 1' altre Chiefe ivi era quella di San Geminiano
Vefcovo e Patron© di Modena ; e però' s'intende 5 eh' effa do-'
vea appartenere al Vefcovo di quella Citta.
Per conto della Dignità Imperiale, e del titolo d'Impera-
dor de' Romani , chiara cofa fi truova in tanti Secoli addietro,
che apparteneva al folo Romano Pontefice di conferirlo ; e fic-
come abbiam detto di fopra, niun Re di Germania o d'Italia
anticamente prefe il nome d' Imperadore, fé non da che ve-
niva non folamente approvato, ma anche coronato da i Papi ,
Non è già , che chiunque arrivava alla Corona del Regno d'
Italia, non pretendelTe di ricevere quella ancora dell'Imperio;
ma ci fa vedere laS^^ria, che feppero vigorofamente i Papi
confervare in ciò la propria autorità e diritto, di modo che fi
truovano Re d'Italia, che mai non furono Imperadori ; ed
altri , che dopo aver confeguito quello Regno dovettero afpet-
tar non poco a confeguire l'altra più luminofa Dignità, per-
chè non vi fi arrivava , fé non fi guadagnava l'affetto e con-
lenfo del Pontefice Romano , a cui toccava il dare la Corona ;
e fenza di quella niuno fi attribuiva il titolo d' Imperadore .
Coli' andare degli Anni fi fon bene mutati i coflumi e gli affa-
ri . Ancorché foffero diverfi una volta i titoli de i Regni Ger-
manico ed Italico , pure dal primo miriamo afforbito il fecon-
do. Tempi vi furono, ne' quali fenza l'approvazione de' Papi
né
24- Dissertazione
né pure un eletto Re di Germania fembrava ficuramente alza-
to a quel Trono . Vennero altri tempi , e con più franchezza
i Tedefchi fecero quefto pafìfo . S' introdufle il chiamare Re
de' Romani , anzi Komanorum Kex Ù' femper Augujìus^ chi né
pure avea ottenuta la Corona Imperiale Romana ; e finalmen-
te Maffimiliano Primo introduce il titolo ài Romanorumlmpe-
rator eleóius , che dura tuttavia . Ha più di duecento anni ,
che niun de gl'Imperadori s'è voluto incomodare per prende-
re le Corone Longobardica e Romana, perfuafi forfè, che que-
fto difpendiofo onore corti troppo caro ad efll , e a i Popoli ,
ed altro non frutti che frondi e foglie. Ben diverfo era il fen-
timento de' vecchi tempi . L'ordine con cui fi coronavano una
volta i Re d'Italia , fu da me dato alla luce nel Tomo II. de*
miei Anecdoti Latini . Similmente l'ordine adoperato nella Co-
ronazione de gì' Imperadori , è flato da me pubblicato nella
Dilfert.III. Antiquit. Ital.
De gli Ufi tJ della Corfe de i Re antichi d' Itali a y
e de gì Imperadori,
DISSERTAZIONE Q^UARTA.
AGHI tratta delle Antichità Romane, e de gli Ufizj ufati
nella Corte degli antichi Romani Imperadori, non man-
cano buone miniere d'Erudizione per la copia di Libri di que*
remoti tempi, e per le tante Memorie in marmo, che reftano
di que'coftumi . Tali delizie non pruova , chi pafTeggia perle
troppo fterili campagne dell' Erudizione de' Secoli barbarici
dell'Italia : si fcarfi fono i Libri Storici e i Poeti a noi rimarti
di que' tempi d'ignoranza , e reftando poche Scrizioni d'allo-
ra. Contuttociò convien cercare quel lume , che fi può , per
conofcere qual forte lo fplendore delle Corti Regali ne' vecchi
tempi. Querto certamente non mancava, ed altri erano colo-
ro, che fervivano a dirittura la perfona de' Regnanti nella lor
Corte ; ed altri quei che fi adoperavano per governare i Po-
poli , e la Milizia. Parleremo altrove partitamente dei Duchi,
Marchefi , Conti del Sacro Palazzo , Conti ordinar; , Varti o
Vartalli , ed altri fimili pubblici Minirtri o Servi del Principe.
Miriftringo ora alia fola Corte , In quella de i Re Longobardi
la
Q^ U A R T A . 25^
la prima figura , per quanto fi piiò credere , la faceva il Mag-
giordomo 5 ficcome colui , che prefedeva alla famiglia , e all'
economia della Cafa del Re. Preflb TUghelli nel Tomo I. dell'
Italia (aera, nel Catalogo de'Vefcovi di Arezzo , fi legge un
pubblico Giudizio di Ambrojio^ lllujìns Majordoynus del Re Liut-
prando , tenuto nell' Anno Terzo dieffoRe, correndo l'Indi-
zione XIII. cioè nell'Anno DCCXV. Come fmifurata foffe l'au-
toritk de i Maggiordomi nella Corte de i Re di Francia della
Schiatta Merovingica, più Storie ce l'infegnano. Giunfe a tan-
to, che detronizò gli fi elfi Re , ed ufurpò lo fcettro Regale.
La condizione de' Maggiordomi Longobardici, benché riguar-
devole alTaiflimo, era ben diverfa dall'altra. Truovafi nel Pa-
lazzo de i Re Longobardi lo Stratove , che oggidì chiamiamo
Cavallerizzo , il cui miniftero confifteva in afTifiere , allorché
il Re volea falire a cavallo , con tenergli la ftafFa , o ajutarlo
in altra maniera: giacché non so, fé l* ufo delle flaffe (certa-
mente incognito a gU antichi Romani e Greci ) fi foffe peran-
che introdotto fra i Longobardi . Non pochi de gflmperadori
e Re de' Secoli fuifeguenti ( tanta era la loro riverenza a San
Pietro ) non isdegnarono di tenere la flaffa a i Romani Ponte-
fici, e la briglia nelle folenni funzioni. Talmente s''era riabi-
lito quell'atto di offequio verfo i Vicarj di Crifto, che avendo
Federigo I. allorché nell'Anno 11 55. venne verfo Roma per
prendere la Corona Imperiale , ricufato di predarlo a Papa
Adriano IV. non fu ammeffo al bacio dello ftefib Papa , come
s'ha dalle Memorie di Cencio Camerario , e da altre Storie,
e s' imbrogharono forte gli affari per quefta contefa . Ma co-
tanto fi adoperarono i più vecchi ed autorevoli de' Principi con
allegare 1' antica confuetudine , che fu ftabilito quod Donnus
Imperator prò Apoflolorum Prìncìpis & Sedis Apojìolkcs revereU'
ti a exhtberet Spratorìs officìum , & Jìreugam Donno Papds tenerep„
In lingua Longobardica o fia Germanica lo Stratore era chia-
mato Marpahis; e che foffe quello un Ufizio fplendido, fi può
dedurre da Paolo Diacono , il quale nelLib.II. Gap. p. feri ve,
effere flato Gifolfo Nipote del Re Alboino Vir per omnia ido-
neus , qui eidem Strator erat , quem Lingua propria Marpahis
appellane . Nella Corte de' Principi di Benevento pare che vi
foffe più d'uno di quefli Marpahis^ trovandofene memoria nel-
la Cronica delMoniftero di Volturno, e nelle Carte degli Ar-
Tomo L D cive-
i6 Dissertazione
cìvefcovi di Benevento, e nella Cronica di Santa Sofia Tom.VIIL
dell'Italia Sacra.
Truovansi ancora nella Corte de i Longobardi Pìncerna ,
e Veflìnrtì^ o Veftararn . I primi fon da noi chiamati Coppie-
ri. Potrebbefi conietturare, che coli' altro nome fofle difegna-
to chi oggidì porta il nome di Guardarobiere . Le parole non-
dimeno di Paolo Diacono Lib. V. Cap. 2. indicano colui, che
porgea le velli , ed ajutava il Principe a veflirfi ; e potrebbe
effere l'ufizio di chi oggidì è appellato Aiutante dì Camera^
o Cameriere ^ o Paggio da Cappa . De' Coppieri di Corte s' ha
memoria ne' Paralipomeni dell' Anonimo Salernitano nella Par-
te II. del Tomo II. Rer. Ital. Son parole di quell' Autore le
feguenti : ^uum Pincerna Imperatorìs ( cioè di Lodovico IL
Augufto ) cum aureo poculo vinum dedijfet ( a Landolfo Vefco-
vo di Capoa ) is exiguum fumjìt^ & ftatim Piìicernas poculum
reddere 'uoluit . At Jmperator adjecit : Vejìro famulo poculum
reddite , Jitque njobis donatum . Più Coppieri fi contavano allo-
ra nella Corte . V'era il Capo o principale fra elfi, nominato
perciò Pincerna primus . In un Placito diSpoleti, tenuto nelL'
Anno Sdo. ( come s' ha dalle Giunte da me pubblicate alla
Cronica di Cafauria ) fra i Cortigiani del fuddetto Imperado-
re Lodovico II. s'incontra Hecbideus Comes & Pincerna primus.
Nel Palazzo de gli Augnili Franchi , e de i Principi di Bene-
vento noi olTerviamo il grado riguardevole di Comes Stabuli ,
che noi diciamo Conte/labile , cioè Prefetto alle Stalle o Scu-
derie del Principe . Stranamente fu poi trasferito in Francia
quello impiego a chi era Condottiere di Armata . Nelle fud-
dette Giunte alla Cronica Cafaurienfe , e in Placito dell' An-
no 8<5o. tenuto dal fopra enunziato Lodovico II. Augufto, noi
troviamo fra i Cortigiani Adelbertum Coynitern Stabuli . E TAno-
nimo Salernitano ne' Paralipomeni pag. 5? 2 8. fcrive , che Gri-
moaldo Storefeyz Principe di Benevento difle ad uno di quei
Cittadini : Stabulum noflrum pete , & qualcm voluerìs equum
esinde folle . At ille ad Comitcm Stabuli properavit &c. Non
è ben chiaro, qual foffe 1' Ufizio di Referendario nel Palazzo
de i Re Longobardi , Abbiamo nella Cronica Farfenfe un Di-
ploma di Aftolfo Re fcritto neh* Anno 'j<^6. ex dióio Domni
Kegis per Theopertum illius Referendarium . Cioè non fappia-
jno , fé coftui fo^Q Segretario de* Memoriali y 0 ]^uì:q Cancellie^
re
Q_ U A R T A . 27
re e Notaio Regio ^ a cui appartenefìfe lo fcrivere i Diplomi e
Privilegi .
Che fi rrovafle anche l'Ufizio di Mari/calco nella Corte de
gli Augufti e de i Re , fembra verifimile , le pure non fu lo
fìelTo che quello di Comes Stabuli . Coloro , che ferravano i
Cavalli non meno anticamente che oggidì erano appellati Ma-
rifialcbi y e da' Fiorentini Manifcaìchi^ e fé ne truova memo-
ria nelle Leggi Salica ed Alamannica . Ma che in grado lubli-
me avellerò 1 Re uno o piìi Mariicalchi, fi può dedurre dalla
Corte di Francia , dove anche quello nome pafsò in chi ora
viene appellato Mare/dallo di Francia . Rapporta il Goldafto
Tom. I. Conftit. Imper. un Diploma della Ipcdizione di Carlo
il GroiTo Re verfo Roma per prendere la Corona Imperiale ,
dove fon quefte parole : Singuli 'vero Pri?icipes fuos babeant of-
jicionarios fpeciales , Marfcalcum , Dapiferum , Pi?icernatn , Ù*
Kamerariutn . Onde abbia prelo il Goldallo quello Documen-
to, non apparilce. Si corrotte ion le Note Cronologiche , che
fi può dubitar d' impoftura : del qual vizio anche da altri è
flato accufato quel Collettore . Neil' Anno DCCCXC. in cui
elfo fi dice fcritto, né pure era più vivo Carlo CrafTo. El'intito-
larfi egli Rex Francorum & Romanorum non conviene al rito
di que' tempi . Però il Freero , e il Du-Cange doveano cam-
minar con più riguardo, allorché prefero per legittima quella
Goldaftina mercatanzia. Peraltro òq ì Dapiferi portanti le vi-
vande alla Menfa Regale, e Sopraintendenti ad efta, fi fa men-
zione in un Diploma del Re Carlomanno, dove troviamo f^/-
nolfum Dapiferum nojìrum . Nella Legge Alamannica , e nelle
memorie de gli antichi Re Franchi , vien rammentato l'Ufizio
di Senifcalco, a cui fi crede che fpettafie la cura della Cala e
Famiglia de' Cortigiani, quafi che egli foffe il Maejìro di Cafa,
In un Diploma di Lodovico Pio Augufto dell' Anno 817. rap-
portato dal P. Martena Tom. I. Vet. Script, incontriamo AdaU
bertum Senifcalcum nojìrum . E in un altro del Re Pippino fuo
Figlio è nominato Erlaldus Genitoris nojìri Senifcalcus . E più
d'uno di elfi ne doveano avere i Re Franchi, giacché preiTo
Marcolfo Lib.I. Cap. 25. fi dice federe il Re in giudizio cum
Referendariis , Domefticis , Senifcalchis , Cubiculariis &c. Per
altro dottamente offervò il Bignon , che l'Ufizio del Sinifcalco
non era diverfo dalY Arcbitriclinus de gli antichi , e da i Dapi-
feri j e dal Prefetto de Cuochi ^ appellato Princeps Coqmrum ,
D 2 Ne
28 Dissertazione
Ne gli Annali de' Franchi pag. i6, Tom. IL del Du-Chefne
all'Anno 785. dove fi paria della ribellion de' Brettoni : Miji^
Exeràtum fuum Rex p^rtibus Brhannìce una cum Mìffo fuo
Auciulfo Stnejcalco . Tale fpedizione è narrata da Eginardo ne
gli Annali con qiiefle parole : Mijfus ìlìuc Regìa Me?7fce Fros-
pojìtus Auduìfus 5 perfidae gentts contumaci am mira celeritate com*
prejfit. Ne Icrive anche Reginone con dire fpedito l'efercito
una cum Mijfo fuo Odulpho Principe Cacorum . Si ha da feri-
vere Principe Coquoru?n, E che non altro fofTe l'impiego del
Senifcalco, fi ricava dalla Lingua Italiana , perchè quelTa pa-
rola fu mutata in SefcaJchus^ e pofcia in Italia divenne Scalco^
di cui ognun sa qua! fia il miniflero , cioè di trinciare alla ta-
vola del Principe , e di fare il faggio . Alla Corte de gli anti-
chi Re Franchi non mancò il grado ài Silen:^ario ^ prefo dai
Greci , perchè tale fu Santo Angilberto , pofcia Abbate Cen-
tulenfe. Forfè cosi venne chiamato chi era Con/ìglier Segreto
de' Monarchi, o ftando alla porta del Conciftoro imponeva fi-
lenzio a i Cortigiani .
Abbiam veduto nella Corte di Francia il Principe , o fia il
Soprintendente 2i,ì Cuochi. V'era eziandio ì\ Principe ^ o vo-
gliaui dire il Prefetto fopra i Fornai, Dell'uno e dell'altro s'ha
inenzione nel Lib. IV. del Poema di Ermoldo Nigello, che fio-
rì fotto Lodovico Pio Augnilo.
Pijìorum Petrus bine princeps^ bine Gunto Coquorum
Accelerant ^ menfas ordirle more parant*
Eranvi parimente gli OJliarj , Per atteftato dell' Agronomo nel-
la Vita di elfo Lodovico Pio , nell' Anno 822. quell' Augnfto
mandò in Italia il Figlio Lottarlo , e con elfo lui Geruntium
Ofliarium^ il quale da Eginardo vien chiamato Ofliariorum Ma^
gijìer* De gli Oftiarj , ch'erano nella Corte di Pavia fa men-
zione il Re Ratchis nella fua Legge NoHa fra le Longobardi-
che . Se crediamo all' UghelU , nel Palazzo de gli Augufli fi
contavano anche i Tronarj ; rapportando egli ne' Vclcovi di
Arezzo un Diploma dato in Roma da Carlo Magno, dove fi
legge : Notum Jìt omnibus Epifcopis^ Abbatibus , Duci bus , Co-
witibus^ Guafialdisy feu reliquis Tronariisy & cunóiis Fidelibus
noftris Ò'c, In vece di Tronariis fi può foipettare, che fofle ivi
fcritto Vicariisj Cemenariis^ o altra fimil parola ufata nel For-
molario di allora ; perciocché à^ Tronarj non s'incontra me-
moria altrove. IlDu-Gange, fidandofi di quello Documento,
in fé-
Q_ U A R T A * 2p
inferi nel ilio GlofTario i Tronarj ; quando convien dubitare ,
anzi fupporre, ch'effe Documento fia un' Importura ; perchè
Carlo Magno è ivi intitolato Re:< Francorum ^ Ò' Romafìomm^
(itque Langohardorum ; e poi vi fi legge Signum Karuli Ma-
gni Imperatoris ; ed anche datum Tri gè fimo tenìo <& Trtgefiyyio
quarto Anno Imperli noflri : che tutte fono enunziative Ipro-
pofitate . Truovafi bens\ nelle Corti di allora Cofjftliarii , og-
gidì ConfigHeri , ficcome ancora i Vajfi ^ onde è venuto il no-
me àiVajfalli ^ de'quaU tratteremo nel Cap. X. Né fola ni en-
te i Re teneano gran Corte, ma anche i Duchi ed altri Prin-
cipi d' Itaha . In quella de' Duchi o Principi Beneventani fi
contavano allora varjUfizj, parte prefi da i Latini , e parte
da i Greci , come Comitis Palatii , Protofpatarii , Gaftaldiì ,
Topoteviti 5 Portarti , Thefaurarii , Referendarii , A^iionarii ,
Veftiariì o Veftararii^ Vicedomini ^ Pincerme , Ba filici , Candi-
dati^ Strettigli ed altri. Racconta Liutprando nel Lib.II. Cap.io.
della fua Storia , che Lodovico IIL Imperadore circa P An-
no ^oo, cxiens Papia proficij'citur Lucam , ul^i decenter miroque
paratu ab Adelberto ( che era Duca e Marchefe della Tofcana )
fufcipitur . ^iiumque Ludovicus in doyno Adelberti tot militum
elegantes adejfe copias cernerete tantayn etiam dignitatem^ tot-
que impcfifas profpiceret^ invidile -zelo ta^lus juis clanculum in->
fit : Hi e Rex potius quam Marchio poter at appetì ari . ht nullo
quippe mibi efl inferior , nifi folummodo nomine .
Nelle memorie antiche .s' incontrano aHCora i Gafindii .
Significava quefto nome i Cortigiani , o vogliam dire gli Uo-
mini della Famiglia de i Re, Duchi, Conti, ed altri Magnati
de' vecchi Secoli . Ugon Grozio, e l'Eccardo nelle Annotazio-
ni alla Legge Salica faggiamente avvifarono , tale effere il fuo
fìgnificato , e tuttavia in Germania Gefinde vuol dire lo iìef-
fo . Odafi una Legge del Re Liutprando intorno alle pene de
gli omicidi . De Gafitndiis vero Jtofiris volumus , ut quicumqus
ini?iimus fit , & in tali ordine occifus fuerit , prò eo quod no-
bis defervire njidetur^ CC, folidis fiat compofiaus . De majoribus
fctundum qualis fuerit . Da quella Legge fi comprende che i
Gafindii erano Uomini Liberi ^ perchè ivi fi parla dell'omici-
dio di perfone Libere; e che tanto i Cortigiani di alto grado,
quanto i Famigli dell'infimo, erano dipinti col fuddetto titolo
o nome . E però vegniam ad intendere la Legge VL del Re
Ratchis conceputa con quelle parole : Si Judex neglexerit Jpt-
dica-
30 Dissertazione
d'tc/tre , rìut forfan attender'it ad Gnfind'tum , vd ad IParentes ,
(tut Am'tcum fuum , aut pramium , & legem non judicaverit :
tunc qui lojjum fé fent'tP , njeìùat ad Palnttum &€. li Bignon
nelle Note a Marcolfo, ed anche il VolTio iembrano aver cre-
duto, che i Gafìndj foffero Servi, cioè Schiavi , fondandofi 'v\
una Forinola di quell'antico Scrittore , fcritta cosi : Sì nl'tquts
Servo fuo Gafindìofuo nlìquid concedere voluerh . Maqueltefto e
fcorretto . PreiTo il Lindenbrogio, e nelì' edizion del Baluzio
fi legge : Si quis Servo fuo ^ vel Gajìndio fuo &c. il che fa co-
noicere la differenza de' Servi da i Gafmdj . Più chiaramente
fi fcorge, che anche i Cortigiani più cofpicui erano chiamati
Gafìndj , da un Placito tenuto in Cremona da Berengario T.
Re d'Italia nell'Anno pio. e confervato nell'Archivio del Ve-
Icovato di quella Cittk . Ivi fi legge : Diim Domnus Berenga-
rius glori ojijfimus Rex ab Kegali Dignitate in Civitate Cremo-
na ndvenijfet ^ & domum Epifcopii ^ & matris Cremonenjìs Ec-
clejlce in caminata dormitorio ipjius domui , uhi ipfe Princeps
cum fuis Gajindiis ^ & Judicibus^ ceterisque fuis Fidelibus ad-
ejfet &c, E ciò a noi porge lume per intendere ciò, che Adria-
no I. Papa nell' Epifl:. _94. del Codice Carolino fcriffe a Carlo
Magno intorno ad una iniquità da lui fcoperta nel Regno d'
Italia, con dire : Pro hoc fcepius ammonuimus Guntjridum , &
aliis Gaftndis vefìris Epifìolas dirigentes Raginaldo & Ragin-
baldo , uf tam detefìabile ftuprum devitarent Ù'c. Cosi in uno
Strumento da m^ veduto nell'Archivio dell' Arcivefcovato di
Lucca fpettante all' Anno 72^. tre Gafmdj del Re Liutprando,
dimoranti in Pavia, fondano prefib a Lucca uno Spedale per li
Poveri Pellegrini , e fi veggono onorati col titolo di Magnifici
affai raro in que' tempi : Theupert , & Ratpert , & Godepert
W, MM. Gnfindi Regis,
DiCHiAMo anche due parole àt [Delizio fi ^ de' quali fi truo-
va alle volte menzione nelle memorie de' tempi barbarici .
Forfè lo fteffo volea fignificar quello nome , che i Delicati de'
Romani . Si difputa fra gli Eruditi intorno ali' effere di que'
Delicati , ed alcuni li credono Fanciulli di poco buon nome
tenuti in lor cafa da i Grandi . Sembra più verifimiie , che
foffero Fanciulli Spiritofi , che per onetio divertimento , o in
qualità di Paggi , (lavano al fervigio de' gran Signori . Plutar-
co nella Vita di Marco Antonio parla di un Sarmento Fanciul-
letto (^iroci'yvm) nella Corte di Cefare y uno di quei ^ che i Ro-
mani
Q^ U A R T A . 151
mani chiamano Delkie, Nelle Ifcrizioni del Grutero e Fabretti
fi da il titolo di Delicati sl perfone non volgari . Nel Gap. XV.
di Eflher fi legge, che quella Regina AjfumJtP duas famulas^
& fuper unam quldem tnnltebatur quafi pra Deliclls , Penano
gl'Interpreti ad intendere quefto paflb . Ma odafi Santo Ago-
flino nel Lib. de Gratia & Lib. Arb. Gap. 21. che parlando
d' Eflher cosi fcrive fecondo la verfione de i Settanta : Ef in-
cllnavlt fé fuper caput Delicata fua^ quce pra;cedebat eam . For-
fè dalla voce nvxlyviov o pure da T^olig nacque l'Itahana parola
Paggio . Ne' tempi barbarici noi incontriamo nelle Gorti de'
Principi ì Del Iclojl y -parola, che a mio credere denota i favori-
ti o gì' intimi familiari de' Monarchi. Veggafi la Legge IX. di
Ratchis Re de' Longobardi , dove è propofta la perdita della
teda : Si quando pravi hoìnlnes fuhmlttant In Palatlum ad nO"
flrum fecretum dtfcendum ^ ut per Dell clofos ^ aut per Ofìlarlos^
vel per allos homlnes captlofe aut abjconfe In'ueftlgare pojfinp
qulcquld nos aglmus . Pm manifeflamente fi comprende , chi
folTero i Deliciofi di allora dalla Lettera XVIL di Niccolò L
Papa , che fcrive cosi : SanHlJ/tmos Eplfcopos Dellclofos nofìroi
prò eo vefìrdc Carltati dlrcxlmus . Di quefta voce fi fervi anche
Papa Giovanni VIIL nelle Lettere yi, 21^, e 277. E però eb-
be a dire Sigeberto nel Lib. de Script. Ecclef che Alcuino o fìa
Albino Abbate celebre, tanta f amili arltate Imperatori Carolo ac-
ceptus fult , ut appellaretur Imperatore Dellclofus . Anche nell*
antica Legge de' Bavarefi troviamo de' Servi , che portarono
quello dirtintivo . Slne figno numquam enjadat , quam^uls Dell-
clofus ftt apud Domlnum fuum . In una parola Dellclofus e De»
llcatus non altro fignificarono una volta che Caro^ e Diletto in
fenlo onefto .
Ma che era.no Junlores Ducum Ò' Comltmn ^ de' quali refla-
no memorie in più Leggi Longobardiche ? Garlo Magno in una
Lettera a Pippino Re d' Itaha fuo Figlio , che fi legge nella
Par. II. del Tomo I. Rer. Ital. fcrive d' avere intefo , ^uod
/illqul Duces , & eorum Junlores , Gaftaldll , Vlcarlt , & Cente-
7ìarll , feu r eli qui Falconarli , Venator es Ù'c. manfionatlca &
paravereda ( di qu>'^n:i aggravj fi parlerà nel Gap. de' Tributi )
^cclplant non folum de llberls homlnlbus , fed etlam de Ecclejils
Dei &c. Il Du- Gange 5 che ne parla molto nel fuo Glolfario
Latino , penfa , che fotto quello nome di Junlori venilfero ,
qui officio Judkam 5 feit pedaneorum j fun^l fuere y o vogliam
dire
p Dissertazione
tlire i Giudici d'ordine inferiore, fottopofìi a i Giudici maggio-
ri . Deduce egli quefto fuo fentimento da un Capitolare di
Carlo Magno dell'Anno 802. Cap. 25. dove fi leg^e ordinato:
L/> Com'ites Ò' Centcnarì't omnes ad jujìmam faciendam compel-
lant , Et Juiììores tales in minìjìerih fuìs habeant , iìi quihus
fecurf có?ijìdant , quia legem & juftitiam fideliter ohfer'veììt ,
pauperes nequaquam opprimant . Si figurò il Du - Cange , che
juftitiam faccre qui fignifichi il profferire fentenze giufte ne*
Giudicj . Ma dopo Centenarii fi dee mettere una virgola , e fi
dee leggere, che i Conti e i Centenarj, cioè i Giudici, compel-
lant omnes facere juftitiam : il che vuol dire sforzare ognuno
a far cofe giufle, sì in se fteffo , che in riguardo al ProfTimo .
Ed a quefto erano obbligati anche Juniores Comitum ^ cioè quei
che componevano la Corte de' Conti e d'altri Potenti . Nella
Legge Vili, di Pippino Re d'Italia leggiamo : Si forjìtan Fran-
cus aut Longobardus hahens Be?ieficium , juftitiam facere nolue-
rit : ille Judex in cujus minifterio fuerit^ contradicat UH Bene-
ficium &c* Cioè : fé qualche perfona , che gode Benefizj del
Principe, non vorrà oflervar le Leggi , e far quel ch'ègiufto
Verfo d'altri, il Giudice gli fofpenda il godimento del Benefi-
zio. La frafe ài Juftitiam facere vien dalle Divine Scritture.
Beati qui cuftodiunt judiàum , & faciiint juftitiam in omni
tempore^ Pfal. CV. 3. Scio^ quod prcecepturus fit filiis fuis, ^ &
domui fucs poft fé , ut faciant judicium & juftitiam , Gen. X Vili.
15?. Così in altri luoghi . Ora col nome di funtori reputo io
difegnati gli Ufiziali e Familiari de i Duchi, Conti, e d'altri
eludici , che abufandofi della lor potenza ed impiego , com-
metteano delle infolenze in danno del profilmo con aggravare
indebitamente il Popolo con efigere ciò , che non fi dovea , e
col non voler emendare i torti fatti ad altrui . A quello difor-
dine fi cercò di provvedere con quelle Leggi, e colle feguenti.
Cioè nella 121. Longobardica di Carlo M. abbiamo : Audivi-
mus , quod Juniores Comitum , vel aliqui Miniftri Reipublic^ ,
five etiam nonnulli fortiores Vajft Comitum , aliquam redhibitio-
nem ( oggidì contribuzione ) vel colle^iones , quida-m per pa-
flum , quidam etiam fine pafto , quafi deprecando , a Populo esi-
gere foleant, Riferifce poi altri aggravj, e vuole, che tutti fie-
no proibiti . Nella Legge 22. di Pippmo Re d'Italia : Stetit no-
bis de omnibus Libellariis , ut nullus Comes , vel Juniores eorum
€05 amplius diftringant ( cioè aggravino ) nec inquietent &c.
Seri-
Q_ U A R T A . jj
Scrive Gregorio Turonenfe all' Anno 578. Libro V. Gap. 27.
della Storia . Chilpericus Rex de pauperibus & Junioribus Ec-
clefi<ie bannos jujjìt exigi , prò eo quod i?i exerchu non ambulaf-
fent . Crede il Dn-Cange con quello nome indicati i Cherici
piovani . Io li tengo per Secolari che fervivano alla Chiefa .
Non s'era peranche introdotto l'abuib di forzar gli Ecclefia-
ftici a militare . E fi ofiervi la Leg^e X. Lib. X. Tit. 2. del
Codice Teodofiano , in cui Cìerìch & Juvenibus prabetur im-
munitas-^ ut Ecclejìarum coetus concurfu populorum frequeìitentur *
Da i Cherici fon dillinti i Giovani, e che quelli follerò Seco-
lari 5 fembrano indicarlo le feguenti parole : ^od & corìjugt-
bus 5 & libcr'ts eorum , Ò' miì2ÌJìer't'is , & maribus partner ne femi-
nis indulgemus . Ma ciò che decifivamente ci fa intendere ,
ciuai foffero i Juìi'tores d' allora , è quanto vien prefcritto da
Carlo M. nel fuo Capitolare delle Ville Tom. I. pag. 33^. del
Baluzio. Quando^ die' egli , catelli ?7oJlri Jud'tcibus coyyimenda'
dati fuerhit^ de fuo eos nutrì ant^ aut Junioribus fuis ^ ideft Ma-
JoribuSj Decanis^ 'vel Celi ari is eos commendare faci antÒ'c, Non
erano dunque i Juniori ne i FigH de'Giudici, né i Giudici mi-
nori, come taluno fi figurò.
Compariscono ancora ne' monumenti barbarici gli S'cmoA?/,
e ne fa menzione la Legge XIL del Re Adolfo . Fu di opinio-
ne il Da-Cange, che follerò cos\ appellati gliO/?/^*/, perchè
nella Vita di Carlo M. icritta dal Monaco di San Gallo Lib. L
Cap. 20. è fc ritto di un certo Vefcovo : Dixit ad Ofìiarium ,
^el Scarionem fuum &c. Ma quivi lo Scarione è dillinto dal
Portinaro . Aggiugne eHb Du-Cange , che più lovente fon
prefì gli Scarioni prò Miniflris Judicum ^ 'vel certe prò minoribus
Judicibus. Cita a quello propofito la Cronica del Moniftero di
V^olturno , dove Carlo M. concede a que' Monaci , ut liceat
eis fé defendere per Scariones ejusdem Mofiajìerii j cioè prefta-
re il giuramento nelle liti per mezzo de i loro Scarioni, per-
chè in que' Secoli era vietato a gli Ecclefiallici il farlo . Ma
quindi nulla fi può dedurre per 1' opinione fuddetta . Strana
cofa è poi, che Ugone Gl'ozio, uomo infigne, abbia fcritto :
Obfcariones^ Carcerum cujìcdes^ iidemque Carnifices^ qui & Sca-
riones a Scaren ex Obfcaren , quod eft abfcindere . Ma a me
fembra, altro non eifere (lati gli Scarioni , fé non i Soprinten-
denti a qualche i'c/?/'^ di Servi, o {\di Schiera^ giacché dal Ger-
manico Scara è nato Schiera . Nella Cronica Volturnenfe noi
Tomo h E tre-
34- Dissertazione
troviamo in propofito di Servi : Decanta de Cerqueto de Sca-
riatu Gaudioji , ed altre fimili . Ivi ancora fi legge : ^uomodo
i/le Urfepertus in primis fuit Scario per Servo fuper alios Servos
Sa?ì6li Vi?ìcentti ,
Con gran decoro anche ne gli antichi Secoli fi trattavano
i Romani Pontefici , e teneano bella Corte , come conveniva
al coipicLio lor grado Ecclefiaftico , e a quello ancora di Princi-
pi temporali . Chiunque fcorrera le memorie , che relìano
fpettanti a quella facra Corte , vi troverà gran copia e varietà
di Ufizj , riguardanti l'uno e l'altro Miniflero , come Oftiarj
e Deliciojì poco fa da noi veduti, Cubicularii ^ Mappularii^Ad-
dextratores^ & Serviemes nigri de famllia Domi/ii Pap^e ; Ar*
chidiaconus^ Camernrius^ Bìbliothecarius ^ Superifta ^ Clerici Ca-
mera , Archic ariceli arius , Frotonotarius , "Notarti , Cancellarti ,
Scriniarii , Chartularii , ( forfè con due nomi fi accennava il
inedefimo Ufizio ) Frimicerius Notariorum , Primifcrinius , 5"^-
cundicerius , AHtonarìi , VicedomÌ7ius ( lo (lefìo che Oeconomus)
Nomenclator ^ Sacellarìus^ Arcariusy o fia Thejaurariusy Capei-
lani , Buticul arius , Pincerna , Marefcalcus , Panet arius , Dapi-
feri , Curfores , Judex Camera; Domni Papce , Familiares , Ser-
n^ùentes y Campfores Dom?ii Papcs , Scriptores Camera , Cantores ,
la Scuola de' quali celebre fu anche ne gli antichi tempi , Vir-
gariiy Sellariiy Magtjìri militum . Alla rinfufa, e come la me-
moria mi ha fuggerito, ho accennato quelli Ufizj, ficcome da
me olTervati ne' vecchi Documenti ; ma altri di più ne fcopri-
ra, chi con più attenzione vi farà mente .
De i Duchi 5 e Principi antichi d' Italia ,
DISSERTAZIONE Q^UINTA.
DO p o r Imperiale e Regal Dignità , anche una volta
fommamente riguardevole fu quella òqì Duci o Duchi,
Non v'ha dubbio, che quella , al pari di quella de gflmpe-
radori, ebbe l'origine fua dalla Milizia : perchè tal nome fi
dava ai Generali di Armata. Anche fotto flmperio Romano
noi troviamo i Duchi, e di molti fa menzione la Notizia deli'
uno e dell'altro Imperio , illuflrata da Guido Panciroli, e que-
lli comparifcono come Governatori di qualche Provincia , e
Co-
Quinta. 35
Comandanti dell'armi in que' Governi . Ma nel Codice Teodo-
fiano al Lib. VI. Tu. 26, merita d' effere confiderata la Leg-
ge XIII. di Teodofio jimiore Augufto data nell'Anno 407. do-
ve fon quefte parole . Immu?ìitatem tribuìmus hìs , quos pojl
emerìtam in armis tniìitiam , ad honorem Ducatus nojìr^e Sere-
?iìta{is provexit judkium. Pare, che da quefta Legge, e da al-
tre dello Iteffo Codice , fi pofla dedurre, effere flato in ufo il
decorare del titolo di Duca chi lungo tempo s' era efercitato
nella milizia, e che quelli tali pafTaffero a goderfi in pace que-
lla Dignità nella Corte Imperatoria . San Fulgenzio nell'Omi-
lia 5(5. fcrive : A}ite carrucam Imperatori s pra;cedu?it Metatores ,
Palatini , Proteóiores , Tribuni , Duces , & Comites . Io nulla
intorno a ciò determino , e mi riftringo a dire , che in elfo
Codice un'altra Legge dell'Anno fuddetto , cioè la LXVL
Lib. Vili. Tit. ó". ci fa vedere Duces Provinciarum ^ e che que-
llo ufo, e tal Dignità fi continuò fotto i Re Longobardi, Fran-
chi , e Tedelchi . Siccome accennai nelle Antichità Eftenfi
Cap. V. v'erano in que' tempi de' Duchi Minori, e de' xMaggio-
ri . Comandavano i primi ad una Citta, gli altri ad una Pro-
vincia . Paolo Diacono Lib. IV. Cap. 3. rammenta Minulfo
Ducem de Infula SanBi Julii ; ci fa vedere alcuni Duchi dt
Trento; Zangrulfo Ducem Verone nfem ; Gaidolfo Duca di Ber-
gamo , il quale in Civitate fna Pergamo , rebellans contra Re-
gem , fé coìTìmunivit . Sotto il Re Liutprando ci comparifce
Guidoaldus Brixiafms Dux , e Peredeus Vincentinus Dux . Ribel-
latofi anche al Re Dux Ulfari apud Tarvijìum . Finalmente
per teftimonianza di eflb Storico, Romani^ habentes in capite
jigathonem Perujìnorum Ducem , venerunt ut Ponomam compre-
henderent . Secondo le apparenze quello Duca era (lato poilo
in Perugia da i Greci Augufti per difenderla da i Longobardi -.
Notifhma cofa è , che dopo d' efTere flati uccifi Alboino , e
Clefo Regi , la Nazion Longobarda iflitui trenta Duci , che
governaffero il Regno . Per dieci anni durò il loro governo .
Ma conofciuta la neceffua di avere un Re , che manteneffe
l'unione fra tante tede, fu nell'iVnno 576". eletto Re Autari;
ed allora f u , che Duces omnes fubfìantiarum Juarum ( cioè de'
loro proventi ) medietatem Regalibus ufibus tribuerunt ^ ut ejfe
P^JT^^') unde Rex ipfe^ ftve qui ei adhererent^ ejusque obfequiis
per diverfa officia dediti^ alerentur . E però fembra , che fe-
guitaffero tuttavia i Duchi a governare una fola Citta . S' io
E 2. non
^6 Dissertazione
non m'inganno, dall'abitazione e Palazzo di quelli Duchi, ap-
pellato allora Cor/'^ , provenne la denominazione àìCurtisDu-
cis , che le antiche memorie ci fan vedere in alcune Cittk .
Uno Strumento Veronefe dell'Anno p2i. rapportato dall' Ugbel-
li nel Tom. V. dell' Italia facra , ò mentovata Cafa hrfra Ci-
n^itatem Veronam prope Curtem Ducis , In un altro della Citta di
AfU dell'Anno 880. che fi legge nel Tomo IV. d'effa Italia
facra , leggiamo : Dum reftderet Buderico Vicecomes hi Niello
( s'ha da feri vere Mallo ) publico in Cune Ducatus Ct'vìrate A-
fienfe , Anche in Lucca fi truova Curtis Ducis ^ come fi vedrà
nel Gap. IX. de i Meffi . Il perchè durando in Milano il nome
dì Cord ufo y che io nelle Antich. Eftenfi credei derivato da C^^-
ria Ducis , per aver cre^^uto a Galvano Fiamma , il quale nel
Manip. Fior, fcrive : uhi ufque hodie Curia Ducis , fi-ve vulp'o
Cordujium dicitur ; ora credo più tofto nato quel nome da
Curtis Ducis . Anche il Palazzo del Re era appellato Ctrais
Regis y come cofia dalle antiche memorie. Che anche nella
Francia i Duchi efercitaffero 1' Ufizio di Giudici , e infieme
quello dell'armi, lo fa conofcere Venanzio Fortunato, dove
Icrive di Lupo Duce :
Bella tnoves armisy jura quiete repis,
Fultus utrisque èo??is , i?i^2c armis , Legibus iUinc .
La menzione fatta di fopra di Minulfo Duca del P If ola di
San Giulioy ci conduce a ravvifare , che anticamente vi furo-
no anche de i Duchi , che comandavano a Luoghi non infì-
gniti col nome di Citta. Siccome apparirà dal Cap. «57. anche
nel Secolo VIII. fi truova un Gio'va?2?ri Duca^ il quale nell'An-
no 772. vendè alcuni poderi ad Anielberga , Badefìa di Santa
Giulia di Brelcia, come apparifce da uno Strumento cfiltentc
nell'Archivio de' Monaci Benedettini di Reggio . Da chi fece
l'Indice delle pergamene del celebre Moniltero Nonantolano ,
fituato nel territorio Modenefe , egli è chiamato Dux Pevjìcepi
& Pontis Ducis : non so per qual ragione . Certo è , che in
Ravenna fi contavano una volta varj perionaggi, decorati col
titolo di Duca . Neil' Archivio Elìenfe fi truova copia della
Donazione fatta nell'Anno 8pó^. ò.2i Ingel arda Conte jf a ^ Figlia
dì Apaldo Conte del Fala^x^ a Pietro Diaoono della Chiefa di
Ravenna . Fa elfa menzione quondam Martini glorio jo Duci ,
Ò' foa'vifftmi 'Viri mei ; e parimente quondam bon<s memoria
Gregorio Soccro meo. Parla di beni poiti /// Paventino Territo-
t a
Quinta. 57
rio Ò'Ducatu ; e d'altri in Territorio Livienfc Plebe SanBi Fau-
lt Ducati TraverfariiS ; ovvero in Comitatu Comiaclo , & in
Territorio & Docato ejus . Si fottofcrivono Nataiis Dei pietate
Dux^ Petrus divino nutu Dux Ò^ Judex , Girolamo Roffi nella
Storia di Ravenna fa menzione d'altri Duchi efiftenti in quel-
la Citt'a , e San Romualdo fisa, che fu Figlio òì Sergio Duca.
E che folle ereditario in quella Cafa il titolo di Duca , aliai
lo dimoerà San Pier Damiano, effendo quel Santo Abbate da
lui appellato K.avennce Civitatis oriundus ex illujìrijjìma Ducum
fiirpe progenitus . La Villa di Traveriara quella era, onde pren-
devano il titolo iuddetto que' perlbnaggi ; perciocché da due
pergamene del poco fa nominato Archivio Ellenfe fi fcorge ,
che anche neh' Anno iip/. Traverfara riteneva il nome di
Ducato^ di cui era padrona la celebre Famiglia Ravennana di
Traverfara. Fra i fuddetti Duchi niinori fono da annoverare
quei della Citta, e Territorio Romano, che s'incontrano prefib
Anaftafio Bibliotecario, e ne gli Strumenti de' Secoli Vili. IX.
X. e XI. Ad uno d'effi del Moniftero di Subbiaco fcritto a' tem-
pi di Papa Giovanni X. intervennero come telHmonj Leone ,
Romano^ Silvefiro., Nicolao^ q Bofone ^ diftinti ciaicuno col ti-
tolo (WDuca^ e chiamati a quell'atto à^ Sergio Duca . Nella
Cronica Farfenfe abbiamo un Placito dell'Anno 1015. dove
Romano , Fratello di Papa Benedetto Vili, è intitolato Ro-
manus Conful & Dux ^ & omnium Koma?ioruì7ì Senator. In al-
tri due Documenti della Badia di Subbiaco da me dati alla
luce, e pertinenti agli Anni ^52. e 5? 56^. £1 truovano nomina-
ti , Grati anus in Dei nomine Ccnful & Dux , Georgius CopjJuI
& Dux : titolo dato anche a Silveftro, che ivi è teltimonio.
Tralascio altri fimili Duchi della Citta e de' contorni dì
Roma, che s'incontrano nella Cronica Farfenfe, e in altri Do-
cumenti . Chi s'applicafTe in Roma a coniultar tante Carte,
che ivi nafcofte fi confervano ne gli Archivi , ci potrebbe pro-
babilmente iftruire, fé que' Duchi governaffero qualche Citta
del Ducato Romano , o pure fé efercitaffero folamente qual-
che Miniflero di Spada o Toga. Non altro dirò io, fé non che
in uno Strumento dell' Anno ^c?o. riferito nell'Opera Mita, de
Sacroi. Sudario da Jacopo Grimaldi, comparifce Guido vir no-
hilis , 7ìeptus Pofitificis , & Dux Aricienfts , cioè s' io iTial non
mi appongo della Riccia . Cosi nella Vita di San Nilo Cala-
brefe Tom. VI. Vet. Script, del P. Marlene fi truova Grcgorius
Dux
38 Dissertazione
Vuy: Domlnus Titfculam , Furono anche foliti gli Augudi Greci
di mettere nelle Citta e Provincie Italiane, che s'erano fai va-
te dai furore de' Longobardi , un Governatore con titolo di
Duca . La Lettera L del Lib.I. di San Gregorio Magno è fcrit-
ta Godìfcalco Duci Campante^ . La cinquantefinia ottava d'effe
Libro è indirizzata Arftc'tno ( o piìi tolto Urjicino ) Duci , Cle-
ro , & Plebi Arimimnjìs Civitatis ; e la Decima del Lib. XIV".
Goduino Duci Neapolis . Vedemmo anche prefTo Analìafio Bi-
bliotecario Agatone Duca della Città di Perugia ; e da lui me-
defimamente vien commemorato circa l'Anno 730. Tato Dux
Nepeftme Civitatis ^ cioè di Nepi . Sicché in Italia v'erano al-
lora Duchi di Provincia , e Duchi di una fola Citta . Nella
Francia in que' tempi pare che folamente fi ul'affero i Duchi
Provinciali. E quello fia detto de' Duchi Alinori.
Vegniamo a i Duchi Maggiori de' tempi Longobardici, l'au-
torità de' quali fi ftendeva lopra un' intera Provincia . Di tali
Duchi non più che due credo io che fi contaffero allora nel
Regno d'Italia, cioè quei di Benevento e Spoleti . Perchè fi
trovavano que' paefi circondati dalie Citta e Fortezze de' Gre-
ci, che tuttavia fignoreggiavano nel Littorale dei Regno ora
di Napoli , e nel Ducato Romano , e nell'Elarcato di Raven-
na, laonde quafi continue erano le guerre fra' Greci e Longo-
bardi : perciò a i Duchi di Benevento e Spoleti, tuttoché iot-
topofti alla Sovranità del Re della Longobardia, fu conceduta
più ampia autorità e balm , per potere refiftere a i nemici .
E però que' due nobilifilmi Ducati fi folcano conferire a gli
fìeffi Parenti de iRe. Maggiore nondimeno dell'altro, e di più
potenza fu il Beneventano. Ho io altre volte creduto, che coi
due Ducati fuddetti aveffe origine fui principio ancor quel del
Friuli^ a ciò indotto da Paolo Diacono, che ci dk la ierie di
que' Duchi continuata fotto i Longobardi al pari di quei di
Benevento e Spoleti . Ma fatti meglio i conti, ora tengo, che
cffi Duchi non altra fignoria godefiero, che quella del Foro di
Giulio^ Citta che oggidì fi chiama Cividal di Friuli , e delle
Terre e Caflella da effa dipendenti; e che ninna autorità a lui
competeffe su le Citta di Trivigi , Padova , Vicenza ec. per-
chè a quelle comandava il loro proprio Duca. Solamente dap-
poiché Carlo M. conquido il Regno d'Italia, fu da lui illitui-
ta la Marca del Friuli , e al Governatore di effa conferito il
titolo di Duca e poi di Marchefe . Abbracciava quella Marca
le
Q^ U I N T A . jp
le circonvicine Citt'a , acciocché colle loro forze unite potefTe
quel Principe rcfiftere ai Greci, Sciavi, ed Avari , confinanti
al Friuli . Fu poi ella col tempo appellata anche Marca di Tri-
'vigi , e Marca di Verona , perchè in quelle Citta fiflarono i
Marchefi la loro refidenza. Anzi per accrefcere la forza dVfTì
Ivlarchefi fi coflumò di fottoporre ad elfi anche il Ducato del-
la Carintia, Come s' ha dagli Annali de'FVanchi all'Anno 8ipi
fotto Lodovico Pio 5 cvim Baldricus Dux ( del Friuli ) ifi Carabi-
tanorum regionem , qu(S ad ipfius curam pertinebat , ft^^Jf^f in-
freJTus , Ho io pubblicato un Placito dell'Annoici/, ricava-
to dal Regiftro del nobiliffimo Moniftero di San Zacheria di
Venezia , dove fi legge : Dmn in Dei nomine in Ccmitatu Ter-
njifanienfe ^ in Villa Axi Ilo defubtus^ -per ejus data licenzia ^ in
judicio re fiderei Do?ius Adelpeyro Dux iftius Marchici Carentafìo-
rum Ù'c, S'ha da leggere ijìius Marchici & Carentanorum ^ ef-
fendo certo, che Adelberone governò l'una e 1' altra Marca ,
o fia Ducato . Berengario I. che fu pofcia Re d'Italia , ed
Imperador de' Romani , ficcome ancora Eberardo fuo Padre ,
ed Unroco fuo Fratello , reffero il Ducato del Friuli , ed ufa-
rono il titolo di Duchi , ficcome vedremo al Cap. 22. E que-
flo a noi badi per ora del Ducato o fia Marca del Friuli .
Torniamo ora al Ducato di Spoleti , fomraamente riguar-
devole nel Regno d'Italia, talmente che nell'Anno 851. quel
Duca era chiamato con titolo magnifico gloriofus & Jummus
Dux gentis Langobardorum in Spoletis ^ come colla da un Placi-
to rapportato dal P. Mabillone ne gli Annali Benedettini . Di
eflb Ducato hanno ampiamente trattato il Conte Bernardino
Campelli nella Storia di Spoleti, e Pompeo Compagnoni nella
Regia Picena . E* da offervare , che Carlomanno Re in un Pri-
vilegio conceduto a i Monaci di Calauria , e riferito nella Par-
te II. del Tomo II. Rer. Italie, pag. 812. ed 817. nomina ali'
Anno ^'JJ. ambos Spoletanos Ducatus . E ciò perchè s'era divi-
fo quel Ducato nel di qua e nel di la dell' A pennino, e vi co-
mandavano allora Guido e Lamberto amendue Duchi di Spo-
leti . Il di qua divenne poi Ducato di Camerino^ e pofcia Mar-
ca di Fermo ^ e Marca di Ancona . Il Fiorentini nella Vita del-
la ContefTa Matilda giudicò , che quella Principelfa fignoreg-
giaffe il Ducato di Spoleti, e infieme la Marca Suddetta, ma
fenza poterne addurre pruova . Ho io tratta dal Regi(tro di
Cencio Camerario e pubblicata una Bolla di Onorio 111. Papa
deli'
4.0 Dissertazione
dell'Anno 1221. che tratta della ricupera delle Terre e Ca-
fìella di efla Contefla; da cui apparifce, aver ella poffeduto Spo-
leti, Narni , Terni, Todi, Foligno, Perugia, A (Ti fi , Noce-
ra, ed altre Citta e Luoghi di quella Contrada, e della Mar-
ca di Ancona.
P I u^ riguardevole del Ducato di Spoleti dicemmo efìfere (la-
to il Beneve7ìta?io^ sì per la fua grande eftenfione, intorno alla
quale è da vedere un Trattato delFingegnofo Camillo Pellegri-
ni; come per alcune altre particolari prerogative fue. Certo è,
che i Duchi di Benevento riconofcevano per loro Signore il
Re de' Longobardi. Ma da che Dcfiderio ultimo Re di quella
Nazione cadde infieme col Regno fctto la potenza di Carlo
Magno, Arichis, o fia Arigifo Duca di Benevento, non cre-
dendofi obbligato a ricevere per fuo Sovrano , chi ninna ra-
gione avea fopra di lui, alzò la tefta, e prefe il titolo di Prin-
cipe, cioè di Re fenza ufare il nome di Re , come e' infegna
Erchemperto Storico di quelle parti . Ma non poteano le for-
ze fue competere con quelle di un Carlo Padrone della Fran-
cia, di gran parte della Germania, ed anche della Lombardia.
Gli convenne dunque di accordarfi col Re novello, confervan-
do nondimeno i iuoi diritti, legati danna lieve lervitù . Gri-
moaldo fuo Figlio non volle flare a' patti , e ne nacque gran
ouerra , a cui diede fine col renderfi iolamente tributario al Re
d'Italia, e promettere di pagargli annualmente fette mila Ioi-
di d'oro. Non fi può perciò negare, che quel Ducato conti-
nuane ad effere porzione del Regno Italico; ed Eginardo nella
Vita di Carlo Magno , e gli Editti di quel grande Imperado-
re , attefiano , che anche i Principi di Benevento entravano
fra le conquifte de' Franchi. Riconobbero efii quefta medefima
Sovranità in Lodovico II. Augnilo; allorché nell'Anno 851.
e^li parti il Ducato Beneventano fra due contendenti , cioè fra
Radelchi , e Siconolfo . Per altro larga mifura di Signoria , e
una quafi indipendenza fu lafciata a que' Principi, affinchè non
fi gittafiero in braccio a i Greci confinanti , ficcome talvolta
avvenne, allorché non poterono dimeno, o gli Augufti di Oc-
cidente troppo vollero efigere da elfi . Soflennero i medefimi
anche lungamente il decoro della Nazion Longobarda con in-
titolarfi Gentis Langobardorum Prhicipes . Nella Cronica del
Moniftero di Volturno noi abbiamo un Diploma di Landolfo
ed Ate7iolfo Fri/icipi di Bc}ieve?no 5 i quali s' intitolano Anty-
pati
Q_ u 1 N T A ; 4T
pati Ò' Patrìàl nomi fignificanti due delle principali Dignità ,
che fi conferivano da i Greci Imperadori a chi li riconofceva
per Sovrani . Nella ftefia maniera anche Guahnario L Prìncipe
(liSaler7Jo^ come colia da un fuo Diploma efillente nell'Archivio
del Moniftero della Cava, e fcritto nell'Anno 8pp. s'intitola fVai-
ììiartus Princeps Ò' Imperialis Patrìtius . Portava il titolo di Pa-
(rÌT^o , e da chi conferitogli ? Lo die' egU colle feguenti paro-
le : ^ia co?7ceJfum eft mibì a SanB'tJftm'ts & p'tijjìm'ts Jmpe-
peratoribus Leone & Alexandre per berhum & firmi JJimum Prce-
ccptttm Bulla aurea Jigillatum integra)?} fortem Beneventana: Pro-
vincite^ ftcut divifum eft inter Sichenolfum & Kadelchifum Prin-
eipem^ ut liceat me exiiìde facere quod voluero ^ Jìcut Antecejfto-
res mei omnes Principes fccerunt . Degne fon di ofTervazione
quefte pregnanti parole per intendere cofa fofìTero una volta i
Principi Patrizj . A riferva del fupremo Dominio , ch'eflì ri-
conofcevano nell'Imperadore, godevano e(fi tutte le Regalie,
con ritenere tutto l'efercizio dell'autorità Principefca , talmen-
te che diveniva una fpecie di Sovranità , fottopofta nondimeno
alla maggiore de gli Augnili : del che abbiamo anche oggidì
tanti eiempli in Germania , ed anche in Italia . Il perchè gì'
Imperadori di Occidente, e i Re d'Italia ne' loro Editti ordi-
nariamente non vi comprendevano i Principati di Benevento e
Salerno ; e que' Principati pafTavano per iuccelTione , e non
per elezione , ne' Figli ; ed ufo loro fu di nominare Sacro Pa-
la-z^ la Corte loro ad imitazion de i Monarchi , come appa-
rifce da i loro Diplomi, anche da me dati alla luce . Stile an-
cora fu de i Veicovi ed Abbati di farfi confermare da que'
Principi i loro Beni, nella ftefia guifa che nel reflo del Regno
Italico gli altri ciò impetravano dai Re o da gli Augufli figno-
reggianti. Ma da che prevalfero le forze de gf Imperadori Ger-
manici nel Regno chiamato oggidì di Napoli, noi troviamo,
che gU Ecclefiadici anche da eflì cercavano la conferma de i
loro diritti e poderi : il che coffa da i Diplomi di Ottone II.
ed Arrigo I. fra gli Augnili , per tacere de gli altri . E quello
fia detto de' Principati di Benevento e Salerno^ dell'ultimo de'
quali divifo fi formò col tempo quello di Capoa , i cui Principi
per lo più s* intitolavano Conti,
Celebre parimente fu in quelle parti W Ducato di Napoli.
Mai non riufci a i Re e Principi Longobardi , né a gliAugufli
Franchi , né a i primi Imperadori Tedefchi di fottomettere al
Tomo L F loro
42 Dissertazione
Ipro dominio quella nobilifTì ma ed antica Citta. Era ivi eletto
dal Popolo il luo Duca, dipendente perlopiù dalla Sovranità
de' Greci Augufti. Truovanfi i Rettori di Napoli appellati an-
che Magijìri Militi^ o pure intitolati Coìjfoli ; e talvolta s'uni-
vano in loro tutti quefti Titoli . Fin dopo il mille durò la Si-
gnoria de i Duchi di Napoli . I Normanni fecero poi mutare
faccia al fillema di quelle contrade. In oltre fu affai rinomato
ne' vecchi tempi iX Ducato di Amalfi ^ del quale ho io pubbli-
cata una Cronichetta. La Mercatura e il Commerzio per mare
renderono affai doviziofo quel Popolo. Anche Sorrento e Gaeta
ebbero i loro Principi , chiamati Duchi; ma fi videro talvolta
forzati a cedere alla fortuna de' piìi potenti . Perciò nelF hn-
no 105 1. come fi ricava da un Diploma del Moniftcro della
Cava, Guaimario IV. Principe di Salerno s'intitola ancora Dux^
AmalpBis & Stirrenti . Ma tutti que' Principati rimafero infi-
ne aflbrbiti dalle forze de' Normanni : del che parlano le Sto-
rie, ed alcune memorie da me date alla luce . Erano bensi
coloro Duchi di una folaCittk, ma con autorità Principefca la
governavano, riconofcendo folam.ente per loro Sovrani gì' In>
peradori di Oriente .
Ci chiama ora il Ducato della Tofeana , Francefco Maria
Fiorentini, e Cofimo dalla Rena giudiziofi Scrittori furono di
opinione, che al pari di Benevento e Spoleti anche la Tofea-
na diveniffe Ducato fotto i Re Longobardi. Non so io concor-
rere nel loro parere . Perchè Fredegario nella Cronica ci fa ve-
dere nel Secolo VII. Tafonem Ducem Provincia TufcamSy non
fi può inferire con certezza, che cofiui comandaffe a tutta la
Tolcana, potendo fignificar quelle parole , ch'egli era uno de
i Duchi della Provincia della Tofeana , e non gi'a Governatore
di tutta la Tolcana. Ci fan quegli Autori vedere in eiTa y^//o-
Tiiftmo , IValperto , Oberto , Alberto , e Tachiperto , che prima
dell'Anno 800. erano fregiati col titolo Ducale, e pofcia ^//o-.
ne^ Wicheraìv.o^ Bonifa-zio L e Bonif^T^o IL fuo Figlio parimen-
te chiamati Duchi in quelle contrade, con credere perciò, che
tutta la Tofeana foffe alloro governo fottopofta. Ma da che ab-
biam veduto, che anticamente v'erano Duchi non d'altro Go-
vernatori , che di una fola Citta, nulla fi può conchiudere da
quella enunziativa; e refia verifimile, che coloro reggeffero la
loia Citta di Lucca, perchè iolamente negh Strumenti di quel-
la Citta fi truova il loro nome. In uno ch'io ho riferito, pre»
- lo
Q_ U I N T A . '^ 4J
fo dall' infigne Archivio dell' Arcivefcovo di Lucca, è fatta nell'
Anno 713. menzione Domni IValpertt Duci noftro Cìvttatts ?io-
ftns . Non è coftui chiamato Duca della Tolbana , ma bensì
Duca della nofìrn Chtà , cioè di Lucca . Né giova il dire col
Fiorentini, clie Lucca era Capo della Tofcana ;, e chi dicea
Duca di Lucca veniva a dire Duca di quella Provincia , ficco-
•me fi ufava per li Duchi di Benevento e Spoleti . Imperciocché
gli antichi chiamarono bensì la Provincia di-Benevento e di Spo-
leti, ma non mai la Provincia di Lucca . Conietturò il Fioren-
tini fuddctto, e tennero per certo Cofimo della Rena, e il Pa-
dre Pagi , che Defiderio ultimo Re de' Longobardi , prima di
giugnere nelf Anno 75^. al Trono , foffe Duca della Tofca-
na ; ma fenza addurre buone pruove . Secondo la Cronica del
Dandolo, DeGderio , qui Dus Iftv'tx erat ^ auiàlio Papa; fa6lus
ejl Rex Longob/irdorum . Certamente fé anche la Tolcana fu
anticamente eretta in Ducato , non fi sa intendere , perchè
Paolo Diacono si efatto in riferire la ferie de i Duchi di Be-
nevento , Spoleti , e Friuli , nulla mai parlafle di quei della
Tofcana, anch' efla si riguardevole Provincia.. Ma fiaggiugne,
che nella Lettera feffantefiraa del Codice Carolina fcritta da
Papa Adriano L circa l'Anno 776". vien nominato Reginaldo
( noi ora diciamo Rinaldo ) qui nunc in Clujina Civitate Dux
ejfe 'uìdetur. Chiufi, come ognun sa, è in Tolcana . E nella
iettantefima quarta Gundibra?idus Dux Civitatis Florefitincd .
Adunque non uno, ma più Duchi avea la Tolcana nel Seco-
lo VIIL Ma che nel fuffeguente foffe formato di quella Pro-
vincia un Ducato , non fé ne può dubitare . Forfè n'ebbe di
tutta il Governo Bonifacio IL perché nella fpedizione da lui
fatta contro i Coriari d' Affrica , narrata da gli Annali de i
Franchi, fembra aver comandato Tufcide Comitibus ..'E il ve-
dere chiamati allora Conti gli altri Governatori di quella Pro-
vincia, e non più Duchi , porge anch' effo qualche indizio di
mutazione in quelle parti ieguita . Egli è poi certo, che gli
Adalberti Primo e Secondo, da' :quaii "fecondo le conietture da
me recate nella Par.I. delle Antich. Eftenfi pare difcefa laSe-
reniffima Cala d'Effe, che poi fi diramò nella Regale di Brun-
fuich , furono Duchi .e March efi di tutta la Tolcana , e così
i lor Succeffori . Truovafi ne gli antichi Documenti da me ae-
cennati il fuddetto Adalberto IL ora nominato Conte , perché
Governatore di Lucca , ed ora Duca , ora Marchefe , perchè
E 2 So-
44- Dissertazione
Soprintendente alla Tofcana tutta . Che Lucca fofTe tenuta
per Capo di quella Provincia , l'ho ofìfervato in uno Strumen-
to delle luddette Antichità Eflenfi . Ma Liutprando Storico nel
Lib. III. Cap. 4. nomina P'tfam , quce efl Tnfctcs Provincia^ Ca-
^put : E ciò perchè i Duchi rifiedevano ora in Lucca , ed ora
in Fifa.
Resta, che facciamo memoria anche àt\ Ducato di Vene*
'2^a , antichiflimo al pari d' ogni altro in Italia , ma non del
Regno d'Italia, perchè non mai lottopofto a quefti Re , né
a gl'Imperadori Franchi e Germanici . Ciò appariice da i Patti
ftabiliti fra efTì Monarchi, e i Duchi, appellati ora Dogi di Ve-
nezia, come di fopra accennammo nel Cap. II. Andrea Dan-
dolo, riferendo la Pace feguita fra Carlo M. Augu (lo, e l'Im-
perador de' Greci , con ragione fcriffe : Per hoc quippe Decre-
tum Carolus approhans , quod cum Nicephoro aBum fuerar^ No-
'vam Veneùam a fé ahàicany'tt , permittens Venefos amodo per
totum Occidentale Imperium terras fuas pojjidere^ & illis immu-
Tjitatibus gaudere ^ quibus fub Grcccorum univerfali Imperio pan-
dere filiti erant . Che poi qualche dipendenza , almeno di pro-
tezione , avefìfcro i Dogi -di Venezia da i Greci Augufti, trop-
po è verifimile ; perchè trovandofi i Veneti in mezzo a due
Potenze, cioè de' Greci dall'una parte, e de i Re Longobardi,
e poi de gì' Imperadori Franchi dall' altra , tutte fempre vo-
gliofe d'ingoiare i vicini^ o di ricuperare il perduto, non avreb-
be potuto foftenerfi un picciolo Popolo in una intiera Libertà .
Allorché nell'Anno 72^. Ravenna fu occupata da i Longobar-
di, Gregorio II. Papa in una Lettera, rapportata dal Dandolo
e dal Cardinale Baronio, comandò Urfi Duci Venetiarum ài ac-
correre con tutte le fue forze per levar di mano a i nemici quel-
la Città . Non con altro titolo potè quel Pontefice inviare tal
ordine , fé non per bal'ia a lui data dal Greco Augnilo per fo-
flentare gli Stati dell' Imperio in Italia . Per qualche tempo
cefsò in Venezia il titolo di Doge , e il Rettore di quella Re-
pubblica fu nominato Magijìer Militum ^ cioè Generale d'Ar-
mata, o Comandante dell'armi. Uno di quefti fu Giuliano nell'
Anno 740. di cui COSI fcrive il Dandolo Lib. VII. Cap. 7. della
fua Cvonica . Hic ex ìnmiificenti a Imperiali Hfpntus^ idejì Co7ì-
' fui Imperi alis jam faBus^ hunc honorem promeruit obtinere . Co-
s'i Deusdedit dopo pochi Anni Imperialis Hfpati honore funge -
batur . Lo fteffo è narrato di Maurizio j e d' altri SuccelTori .
Altro
Q^ U I N T A . 45
Altro Auguflo non v' era allora che il Grece , e il nome di
Hj'pntus lenza dubbio era da lui conferito . A quello convien
riferire ciò, che ha Francefco Sanfovino nella Venezia illuflra-
ta, ftampata in efla Citih nel i<5o4. Racconta e^Ii di aver avu-
to fotte gli occhi r Elame de'teftimonj, fatto per ordine dell'
Imperador Carlo M. nell'Anno 804. da Izzone (forfè Azzone)
Cadaioo, e Aione Conti, mandati in Iftria a cagion delle eftor-
fioni , delle quali era acculato Giovanni Duca di quella Pro.
vincia . Ab antiquo tempore ( diceano quegl' Iftriani ) dum fui-
mus fub potevate Gracorum Imperli ( erano elfi paflati fotto il
dominio di Carlo ) habuerunt parentes nojìri confuetudinem ha-
bendi aVms Tribunati , Domejìicos , feu Vicarios , necnon hocifer-
njatores ; & per ipfos honores ambulabant ad commuìiionem ^ &
fedebafìt in co7ifeJfu unusquisque prò fuo honore . Kt qui ^uole-
bat meliorem honorem h abere de Tribuno^ ambulabat ad IMPE-
RIUM ( cioè ali' Imperador de' Greci ) qui illum ordinabat
HrPATUM . Tunc ille qui Imperialis erat Hfpatus , in omni
loco fecimdum illum , Magijìratum Militum prcccedebat .
Da tali parole fi può prendere lume per intendere, qual
foife l'antico fiftema di Venezia. Infatti fcrive il Dandolo nel
Lib. VII. Cap. 23. Nicephorus Orientale Imperium fufcepit Anno
Dom, DGCC 1 1 1. Hic Nuntios Carolo mijit , & cum eo foedus
ìniit . In hoc feeder e , feu decreto , 7iominatim firmatum ejì ,
quod Venetide Urbes^ & maritimi^ Dalmatice , qu<je in Devotione
Imperii illibata perftiterunt , ab Imperio Occidentali nequaquam
debeant molefìari^ in-vadi ^ 'uel minorari . Sotto i Greci Augu-
Iti era al certo la Dalmazia : adunque anche l'altre Citta. E
tuttoché Pippino Re d'Italia ne gh Anni 805?. e 810. fciceffe
iin*invafione cola, pure per atteftato de gli Annali de' Franchi
Niciforo Venetiam reddidit ; non già la Provincia anticamente
chiamata Venezia, perchè quella reflò fempre all' Imperador
òi Occidente; ma bensì la Citth . Per conleguente, fecondo il
fuddetto Dandolo, Niceta Patrizio, e Generale della Flotta de'
Greci, Veneti as accedens^ Obelerio Duci Spatarii titidum ea Im-
periali largitione gratiofe concejftt . E il iucceffore Angelo Do-
ge mandò a Collanrinopoli uno de' fuoi Figli, qui ab Impera-
tore Leone honorem Hypati , feu Imùerialis Confulis , obtinuit .
Cosi nell'Anno 840. venuto a Venezia Teodoro Patrizio Gre-
co, Imperiali nomine Petrum Ducem Spatarium Imperii coìifti-
tutt ^ & Venetos requiftvit. up contra Saracenos apparatum belli-
cum
+(5 Dissertazione
cum mìrtere 'vdocher procurarem , E nell'Anno 880. UrfusDu^
Venetorum per Aprocrìfarìos Bafiltt Imperatoris Protojpatarius ef'
feSlus 5 magni ponderk campanas Imperatori delegavit . Grande
al certo in que' Secoli ancora fu 1' autorità de 1 Dogi Veneti ,
ed una fpezie di Autocrazia in eflì , perchè formavano Patti
co i Re d'Italia e con gì' Imperadori di Occidente; mantene-
vano Armata navale ; facevano guerre a loro arbitrio ; ebbero
il nome di Pala^z2^ e di Camera : indizj di Sovranità . Ed ef-
fendo poi calata la potenza de' Greci , più non ebbe Venezia
dipendenza alcuna da quegli Augufli . Ahzì fui fine del Seco-
lo Decimo, per atteftato di San Pier Damiano nella Vita di San
Romoaldo al Gap. V. Pietro Orfeolo Doge di Venezia Dalmati-
ti Regni adeptus eft Frmcipatum . In uno Strumento , da me
dato alla luce , nell' Anno 1017. Ottone Orfeolo , parimente
Doge, fi vede intitolato Dux Veneticorum ac Dalmaticorum, E
in un altro del 1074. s'incontra Domtnicus Sfl^lus per mi/eri-
cordi am Dei Veneti ce & Dalmatica Dux . Era egli Doge non per
concefljone di alcun Sovrano, ma per fola grazia di Dio, e pe-
rò Sovrano . E ciò fa a noi intendere , perchè trovandofi Ar-
rigo IV. fra gl'Imperadori nell'Anno 1116. in Venezia, e con-
cedendo un Privilegio alle Monache di San Zacheria, quel Di-
ploma fi dice fcritto in Regno Ve?ieciarum in Palatio Ducis ,
come apparifce dal medefimo pubblicato da me nella Parte I.
Gap. 2p. delle Antich. Eftenfi. E ciò bafti dell' i,nclita Gitta di
Venelzia , il cui fenno e valore per tanti Secoli ha faputo fo-
flenere la fua Sovranità e Liberta : il che non fi legge d'alcu-^
na altra Citta dell'Occidente e dell' Oriente ►
De gli antic/ji Marche fi d^ Italia .,
DISSERTAZIONE SESTA.
DA che è venuto a si buon mercato il titolo di Marche-
fé, fpezialmente in Italia , Francia, e Spagna, che lo
godono i privati Gentiluomini per piccioli Feudi di Terre e
Gaftella , e talvolta anche fenza Feudo alcuno : s' è perduta
l'Idea de gli antichi Marchefi d'Italia, i quali erano Principi
grandi, e Governatori perpetui di qualche Provincia . Marcha
^Marchia parola Tedelca , fignificava il confine di uno Srata.
Foris
Sesta. 4.7
Foris Mciych^m ?!emo -mancìpi a vcndat: fi legge in un Capito--
lare di Carlo M. dell' Anno 775?. preflb il Baluzio . Però que'
Duchi o Conti , che fotto gì' Imperadori Franchi e Germani-
ci erano deputati alla difefa de' confini del Regno , fi comin-
ciarono a chiamare Marcbìoìies ^ Marchenfes^ Marchi fi. In un
altro Capitolare d'eflo Carlo M. Toni. I. pag. 52^. viene or-
dinata la ricerca: ^u^omodo Marcha noftr a ftt ordinata^ & quas
p^y fg fecerunt. conjintales noflri &c. Leggefi di fotto : De illis
hominibus non recipiefidis a Marchio?ìibus , qui Seniores fuos fu»
gtunt&c. cioè de gU Schiavi, che fuggivano da i lor Signori .
Anche Lodovico Pio AuguRo in. un Editto dell'Anno 815. per
oli- Spaonuoli , parla de ea portione Hifpanicd , qU(S a nojìris
Marchionibus in folitudinem vedala fuit . Quefta forfè è la più
antica memoria de'Marchefi . Però non ho io difficulta a cre-
dere impoftura un Diploma attribuito a Carlo Magno , che fi
leoge nel Tomo I. dellTralia facra dell' Ughelli fra i Vefcovir
d'Afcoli, dove comparilce Vinigifus Dux & Marchio , Si dice
fcritto Regnante Domino Carolo Ù" Pippino filio ejus excellen»
tiflìmis Regibus Francorum & hongobardorum , [eu Ò' Fatritiii
Romanorum in Chrifti nomine in balia XXVL & XVIII. 6V.
perlndiól. FI. cioè nell'Anno 7p8. Se vuol quella Carta dire ,
che anche Pippino fu Re de' Franchi, ciò non cammina. E
molto meno è da ammettere , che anche Pippino s' intitolale
Patrizio de' Romani . "E iottofcritto il Diploma da effi , cioè
da Carlo e Pippino : il che non fi praticava . Né Carlo nell'
Anno fuddetto potea intitolare /m/?^r^^ore*. Contra lo ftile an-
cora è il vederfi ivi lòttoicritti elfo Vinigifo , e Rodolantus &
Ajìolfus ., cioè due Paladmi de' Romanzi. QjLiivi anche è nota-
to Annus ab Incarnatione DCCCLXXIV. errore il più groffo de
gli altri, conofciuto anche dalf Ughelli. lS\h. T /inno Ottavo del
Ducato di Vinigifo va d'accordo coli' altre Note, elfendo egli
flato creato Duca nell'Anno 7^9.
• Chiederà' qui alcuno : che differenza pafiava una volta
ha ì Duchi j Marchefi^ q Conti? Già dicemmo quale fra i Du-
chi e Conti ; ma. in che confilleffe quella fra i Duchi e Mar-
chefi , dante l'aver tanto gli uni che gli altri governata una
Provincia, e il trovarli la medefima perlona col nome ora di
Duca , ed ora di Marchefe , ficcome abbiamo offervato nel
Cap. precedente : non è facile il loddisfare a sì fatta dimanda
per mancanza di lumi . Sotto i Re Longobardi noi troviamo
nelle
48 Dissertazione
nelle lor Leggi Duchi , i quali fembrano così appellati a ca-
gion della Milizia ; q Giudici ^ che amminiftravano la Giuftizia
in una Citta . Quefti ultimi furono poi chiamati Conti da i
Franchi . I Mnrcheft torno a dire , che prefero quello nome
dall' effere Prefetti de' confini di qualche Provincia . Pare , che
gli fteffi Romani ufafìfero queft'Ufizio, ma non gik queflo no-
me, giacché preflb Lampridio nella Vita di Severo Aleffandro
Augufto abbiamo Duces limit^neos . E nella Vita di Aureliano
compilata da Vopifco s* incontrano Saturninus Sc^ythici Itmitis
Duxy &Ty)'pho Orientalis limitis Dux . CafTiodoro nel Secolo
Seflo Lib. VII. Gap. 4. Variar, fcrive : Ducatum tibi credimus
Rhcetiarum ^ ut ìndites in pace re gas ^ Ò' cum eis fines ?7oJìros
folemni alacritate circumeas . Imitarono i Franchi quello ufo
col deputare un corpo di Milizie, e un Comandante d'effe a
i confini con facoltà di comandare ad un'intera Provincia per
tutti i bifogni contro i confinanti nemici . Di qui nafceva il
nome di Marchefe a quel Comandante, foffe egli Duca o C072-
te , Ne gli Annali di Reginone all'Anno ypp. fi truova IVido
Comes ^ qui in Marca Britanice pra:ftdebat^ cioè Conte che eler-
citava r Ufizio di Marchefe . Così ne gli Annali de' Franchi
noi miriamo Cadolaum Comitem^ & Marchcjc Forojulienfis Prce-
fe&um . Pofcia è fcritto : Cadolach Dux Forojulienjis febre cor-
veptus in ipfa Marchia decejjit . Nella Tofcana que' Principi ,
tuttoché Duchi ^ fi truovano fovente col folo nome diM/7rc/^^y/.
Altri poi per l'Itaha furono folamente M/r7rc^^y? , né mai eb-
bero o ufarono il titolo di Duchi . Si può conietturare , che
Duchi que' foli folfero chiamati , che fotto di sé aveano più
Conti, cioè più Citta, quali certamente furono quei della To-
fcana, diSpoleti, e del Friuli . O pure che Duchi fi nominaf-
fero que' foli , ch'erano decorati ddìs. Corona Ducale^ come fi
legge di Bofone Cognato di Carlo Calvo Auguffo , dichiarato
Duca, e coronato in Pavia .
Fu, come dicemmo , iflituita dopo l'Anno 800. dagl'Im-
peradori Franchi la Dignità de*Marchefi in varie parti d'Ita-
lia per cuflodirne i confini . Finché durò la fchiatta e Signoria
de i difcendenti da Carlo Magno, Marche non furono verfo
la Francia e Germania , perché tutti quefti Regni ubbidivano
a quella Real profapia. Ma da che la medefima venne meno,
e r Italia cominciò ad avere i fuoi particolari Re , allora fi
cominciarono anche a formar varie Marche a i confini della
Fran-
Sesta. ^p
Francia e della Germania. Da che nel Secolo X. cominciarono
orimperadori a dimorar fuori d'Italia, ed aveano da tenere
in Milano o Pavia un Governatore , che comandafTc a quella
Citta e alle circonvicine : ho io fofpettato nella P. l. Gap. VI.
delle Antich. Eflenfi, che il Co;?^^ del Sacro Pai a^^ efercitaf-
fe rUfizio di Marchefe in quelle parti, benché non portafle
tal nome , come anche fi coftuma in Germania , dove il Con-
te Palatino del Reno, uno de' primi Principi della Germania,
non è nominato Marchefe . Chiamavafi allora Litus Italicum
il paefe oggid'i fottopofto alla Repubblica di Genova . Non è
improbabile, che nel Secolo X. quella parte coiìituifTe una Mar-
ca . Nell'Archivio de' Canonici di Arezzo efifte un Privilegio
di Ugo Re d'Italia dell' Anno ^28. che fi (lende a tutti i Be-
ni, qt4(e effe 'vìdetitur in tevreterium Balneenfis , feu in Comi-
tatù Montefeltro , Bohìo , Cefena , atque Arimhio , & et'tam Ca-
Jlello Felichatis , feu Aritio , ^uel per ceteras locas tam in om-
-aibus finibus Komanìae ^ quam in cun6lis finibus TuJJìo; Jìve Ita-
lice , tam in omnibus finibus Spoletini , quam & circa Maris
Littoribus eft vel fuerit conquijita . Indizio di Provincia porta
qui feco \\ Litus Italicum^ al vederlo da per se , cioè feparato
dalle Provincie à^Aìdi. Romagna^ Tofcana^ Italia (nome deno-
tante la Provincia di Milano ) q Spoleti , Parimente nella fpe-
dizione di Lodovico II. Augulto contra de' Saraceni , fatta n eli'
Anno 266. che fi legge nel Tomo IL Rer. Italie, pag. 26'4. fi
truova diftinta menzione del Lido del Mare dalle altre Provin-
cie. E però dall' Anonimo Ravennate vien commendata Pro-
vincia maritima Italorum , qucs dicitur hunenjis , & quce confi'
nalis exiftit de fuprafcripta Provincia , cioè dalla Citta di Luni
fi ftende fino a i confini della Provenza. Ho io rapportato nel-
la Par. I. Cap. 5. delle Antich. Eftenfi la Carta, con cui Fede-
rigo I. Augufto nell'Anno 11 84. inveiHice Obizzo Marchefe
d'Erte de Marchia Genuds & de Marchia Mediol ani ^ come era
in ufo co i Maggiori di elfo Marchefe . Erano allora Citta libe-
re Milano e Genova : ciò non ofiante fi confermava dagli Au-
gufti per titolo di onore a i Difcendenti quel dominio , che
aveano goduto i loro Antenati . Anche Verona era neh' An-
no ii<5'5. Cittk libera , né luggetta a Conte alcuno ; e pure
lo fteffo Federigo confermò in quell'Anno Comitatum Veronen-
fem , & omnia qu<K ad Comitatum pertinent (iXc. a Bonifazio
Conte di San Bonifazio , figlio del Conte Malregolato , come
Tomo I, G coda
50 Dissertazione
cofta da autentico Privilegio da me veduto, contermpto neIii7S.
a Sauro Conte di San Bonifa-:?jo , e poicia da Federigo II. Au-
gufto a i peiionaggi di quella nobil Cala. Così i Conti di Col-
pito continuarono un pezzo ad efìere inveititi di Trevigi ; e
verifìmilmente anche la nobil Famiglia Padovana de' Co??/-/ del
Comitato di Padova , tuttoché quefte Citta godelTero allora
una piena Libert^a.
Andarono poi di mano in mano nafcendo delle nuove Mar-
che , fecondochè piaceva a gì' Imperadori , per elercitare la
loro liberalità verio i Nobili coipicui , o per cogliere danaro
dae^i. La Marca del Monferrato non ben fi prova, che foffe
eretta nell'Anno p^/, in favore di Aledramo Conte. Il Diplo-
ma recato da alcuni parla folamente di beni Allodiali. Queda
poi fece gran figura in Italia . Nell'Anno 1014. fi truova la
Marca di Savona . E fé vogliam credere a Galvano Fiamma
nel Manip. Fior, dove racconta le vittorie de' Milanefi , nell'
Anno lióy. Ducatus Burgari^e ^ Marchio?tatus Marte/ance , Co-
mitatus Seprii , & Comitatus Turigics & Parabiagi &c. fa&i
funt fubjeSli & fervi perpetui Civìtatis Medìolani . Trillano Cal-
co ilimò, che Vicomercato foffe il Capo della Martefana. Ma
noi incontriamo anche nel Secolo Nono e Decimo , e più nell'
Undecime, deiMarchefi, fenza che fi dica qual Marca deffe
loro quello titolo. Nell'Archivio de' Canonici di Reggio fi con-
ferva una Donazion di due Corti fatta nell'Anno 8po. da Be-
rengario I. Re d'Italia ad Unrcco^ il quale è chiamato Confa?!-
guineus ììojìer ^ filius quondam Supponis ìncliti Marc hionis^ in-
terventu VJaltfredi illujìris Marchionis . Q_uefto Gualfredo lap-
piamo da gli Annali di Fulda , che fu Marchete del Friuli .
Ma quel Suppone di qual Marca fu egli Governatore ? Ne gli
Annali Bertiniani all'Anno 822. fi truova Suppo fenior Dux Spo-
leti , Nipote di lui dovette effere l'altro Suppone Juniore men-
tovato da Berengario ; e quefti ancora tengo io che folTe Du-
ca di Spoleti . Ciò pana diffìcile a credere , perchè regnando
Lodovico II. Auguflo per Marchefi di quella contrada appari-
fcono folamente Lamberto e Guido . Ma per le pruove da me
addotte vegniamo in chiaro , che Lamberto nell' Anno 871.
perde la grazia di elfo Imperadore , e infieme quel Ducato ,
che in tal congiuntura fu dato a Suppone juniore. Le Carte
a noi confervate nella Cronica Cafaurienfe ci fan vedere dall'
Anno luddetto 871. Duca di Spoleti queflo Suppone fino ali'
Anno
Sesta. 51
Anno ^"jó. in cui 0 fu egli rapito dalla morte , o cacciato di
la eflendo tornati in poffeilb di quel Ducato Lamberto e Gui-
do. Altre memorie ricavate dalla Cronica Cafaurienfe ci fan-
no vedere lldeberto e Berengario Conti , che dall' Anno 844.
almen fino all' 8<5o. governavano la Marca di Camerino, o fia
di Fermo. Cos\ circa l'Anno ^33. per atteftato di Liutprando
Storico fi truova Teobaldo feniore Cameritiorum & Spoktano-
rum Marchio. EfTendo coftui mancato di vita circa rAnnop37.
a lui fuccederono in quel ^ovQmo An f cario ^oìSarlione^ e po-
fcia Uberto il Salico Figlio di Ugo Re d'Italia . E* ftato cre-
duto, che ad elfo Uberto immediatamente fuccedelTe Ugo fuo
Figlio ; ma certa cofa è , che nell' Anno ^54. fi truova Teo-
baìdo )uniore Duca di Spoleti e Marchete di Camerino , e che
anche Bonifazio Padre di effo Teobaìdo avea prima goduto
l'uno e l'altro Governo. Pofcia nella Cronica del Moniftero di
Volturno, ed anche nella Farfen fé, vien commemorato Tn/;?^-
mundusDiix & Marchio ^ che probabilmente circa l'Anno pd'o.
forfè fino 2X967. tenne quel Ducato e Marca. Ebbe egh per
Succeffore Pandolfo Capo di ferro , di cui reftano alcune me-
morie nella Cronica Cafaurienfe. Ad Ugo Duca diTofcana, e
Figlio di Uberto il Salico, fu poi dato anche il Ducato di Spo-
leti, e la Marca di Camerino ; e dopo lui fi truova nominato
nella Cronica Farfenle un Giovanni Duca e Marchefe , il quale
non lappiamo fé prendefle quello titolo da que' Governi. Fuor
di dubbio è bensì, che nell'Anno 1028. un altro Ugo appellato
Dux & Marchio ne fu in poffeffo . Coftui probabilmente eb-
be per Padre Bojiifazio Marchefe di Legge Ripuaria, mentova-
to prcfTo r Ughelii nel Tomo 3. dell' Italia facra ne' Vefcovi
di Firenze . Serviranno le notizie fin qui accennate per cor-
reggere o fupplire le Storie di Spoleti e Camerino del Conte
Campelli , e del Gigli.
S'incontrano pofcia nelle antiche memorie varj/Kf^iT^^,
ma fenza alcuna ìpecificazione della loro Marca; e l'indovi-
nar quefta è troppo difficile. Nel Moniftero Arabrofiano ài Mi-
lano fi conlerva un'antichi^ìlma copia di un Diploma di Guido
e Lamberto Imperadori dell'Anno 8^2. in cui efli donano la
Corte Lemenne a Corrado ^ ch'effi intitolano dileHum Patruum
ac Patruelem nojìrum illujìrem Marchionem , e ad Ermengarda
iiia Moglie. Di qual contrada fu egli Marchete? In un Capi-
tolare di Carlo Calvo Augufto dell'Anno 877. è nominato un
G z Cor-
C.2 Dissertazione
Corrado Conte con altri illuflri perfonaggi , cioè Bofone , Ber-
fiardo^ Q Guido ^ che probabilmente fu poi Imperadore . Fer-
ie ivi fi parla di quello Corrado . Cos\ preflb Liutprando , e
nella Cronica di Cafauria all'Anno pio. noi troviamo ^//'mca
Marcbefe^ che fu Padre à\ Alberico Principe di Roma ^ ma fen-
za che fi conofca , in qual Marca egli comandale. Erano ben
trafciiratì in quello i Notai d'allora, ne penfavano di foddis-
fare alla curiofita de' Polleri . In uno Strumento dell'Archivio
Archiepifcopale di Lucca dell'Anno 1081. fi leggono quelle
parole : Hugo Comes filio bone memorie Rodulji , qui fuit fi-
militer Comes y & JuleBa jugales ^ fili a b,m. Wilelmi^ qui fui i
Marchio, Parimente in uno Strumento fcritto in Bologna Anno
Primo Poìitificatus Johannis Papa , Ù' Imperii Ottonis ^uiiito
die V. Me-nfts Junii Indizione IX. cioè nell'Anno p66. fi legge
che Pietro e Lamberto Fratelli , filii Johannis , & ìiepoti bone
memorie P etroni "Ducis atque Marchioìiis . Q_uello Petronio Mar-
chefe chi mi dira in qual Marca efercitalfe il fuo dominio ?
Nella Parte I. delle Antichit'a Ellenfi io mollrai, che tutti gli
Afcendenti della Serenilfima Cafa d' Elle , fia che provenilfe-
ro da gii Adaiberti Duchi e Marchefi della Tofcana, come por-
tano gravi conietture, o che fcendelfero da altro fangue, ufa-
vano fempre il titolo di Marchefe. Noi troviamo in una Car-
ta dell'Archivio Archiepifcopale diPifa fpettante all'Anno 1061,
Albert wm Marchionem filiuyn quondam Opitioni Marchionis , del
qual Obizzo io ho rapportato varie memorie in effe Antichi-
tà . Egli è folamente detto de loco & Reg-no Langob ardile .
Nel tello vien chiamato Alberto , e nella lottofcrizione Adal-
berto : il che ci fa chiaramente comprendere , che Alberto e
Adalberto erano lo ftelfo nome. Ma non fappiamo da che elll
Marchefi allora prendeiTero quello titolo, cioè dal governo di
qualche Marca , o pure da Privilegio de gì' Imperadori , che
loro concedelfe il continuare tal titolo ereditato da' Maggiori,
giacché folamente nel Secolo XIL cominciarono ad ufar quello
di Marc he ft d Efte .
Dopo Ugo Duca di Tofcana , che dicemmo aver anche fi-
gnoreggiato nel Ducato di Spoleti , e nella Marca di Cameri-
no, come attefta San Pier Damiano neU'Opufcolo 57. credet-
te il P. Pagi nella Crit. Baron. che nel dominio di elfa Toica-
na fuccedelfe nell' Anno 1002. Tedaldo Padre di Bonifazio
Marchefe , ed Avolo della celebre ConteiTa Matilda. Gli Scrit-
tori
Sesta. 53
tori della Vita di effa Matilda anch' eglino ciò fcriiTero con ag-
giugnere, che Tedaldo fui fine della vita ( la terminò egU cir-
ca l'Anno 1007.) dichiarò fuo Succeflbre in effa Tofcana il
Figlio Bonifazio , benché infieme confeihno ., che per qualche
contratempo quivi dominarono akri Principi fin quafi al 1037.
in cui e^li veramente fi truova in poffeffo di quella Provincia .
Ma fecondo me fogni fon quefti . Non fu Signor della Tofca-
fcana Tedaldo , e per confeguente non potè lafciarla al Figlio.
Certamente apparifce da più di un Documento, aver egli ufa-
to il titolo di Marchefe ; e Donizone nella Vita di Matilda cosi
fcrive di lui :
- - - Poft hccc pntceph , m^jor ut ejfet
'Natm dthólus Bo?2Ìfacius ^tque modejìus ;
Cui juravere , Pntre tunc vìvente , fìdeles
Servi , prudentes Proceres , Comites pariterque .
Se a Bonifazio non folo i Nobili , ma anche i Conti giuraro-
no fedeltà : adunque fuo Padre ed egli poffederono una Mar-
ca , cioè un paeie, dov'era piìi d'una Citta, perchè ogni Cit-
ta avea il fuo Governatore appellato Conte. Ma quefto paefe
non può edere (lato la Tofcana. Nella Storia del Moniflero di
Polirone noi abbiamo una donazione fatta nel 1004. dal fud-
detto Bonifazio, intitolato Marchefe, e fenza che il Padre gli
predi l'affenfo : dal che vegniamo in cognizione eh' egU era
già emancipato. Un altro documento del medefimo Anno 1004.
ho io rapportato, dove umilmente fi vede nominato ux\ Mar-
chefe Bonifazio, fenza che chiaramente fi conofca , eh' egli fia
il Padre di Matilda, o pure Bonifazio Marchefe di Nazion Ri-
puaria, di cui parlammo di lopra . Grande era ben la trafcu-
raggine di taluno di que' Notai . In quefta Carta è folamente
appellato Bonifacìus glori ofus Marchio ; né fi accenna di qual
Marca, né di qual Nazione o Legge : il che ci avrebbe fervi-
to a diflinguere quelli due Bonifazj . In un altro Strumento
deli' Anno 1019. da me dato alla luce fi legge : Nos Boni/a-
cius Marchio , Filius quondam Teotaldi itemque Marchio &c»
Ma egli era Marchefe , né per quefto la fua Marca era la To-
fcana in que' tempi. Francefco Maria Fiorentini, e Cofimo dal-
la Rena itirnarono , che il luddetto Bonifa^o Ripuario Figlio
di Alberto Marchefe , e pofcia Adalberto Marchefe , Figlio di
Oberto y e Nipote di Adalberto Marchefe ^ cioè uno degli Anre-
tenati de Principi Ellenfi ^ come dimoerai nelle Antich. Elh
figno-
54 Dissertazione
fìgnoreggiaflero la Tofcana nell'Anno loop, e loii. Ma per-
chè fi truovi in qualche paefe un Contratto di un Marchefe,
non s'ha toflo da inferire , eh' egli fofTe Marchete di quella
Provincia ; perciocché i Principi e Signori grandi pofTedeano
de' Beni in varie parti d' Italia . Contuttociò vidi io preflb il
celebre Senator Buonaroti uno Strumento del 1037. dove com-
pariva Roja inclita C orniti ffa , Fili a Domni Ad allerti Dux &
Marchio^ & quce fuit relióia Domni Uh aldi Comitis bon<v mC'
morice , Non farebbe perciò inverifimile , che c[uq[\o Adalber-
to Progenitor de gli Eftejifi avelTe nell'Anno loii. poffeduto
il Ducato ò^\ Tolcana, come difcendente da i vecchi Adaiberti
Signori di efìa Provincia , e che ne fofle poi decaduto nell'An-
no 1014. per la condanna pubblicata da Arrigo Primo tra gli
Augnili contro i Principi di effa Famigha 5 che io rapportai
nel Gap. i 3. delle Antìch. Eftenfi .
Q_UEL eh' è certo , da un Placito tenuto in Arezzo neir
Anno loid*. a noi fi prefenta un indubitato Signore della To-
fcana , cioè Raginerius (Rinicri diciamo oggidì) Marchio &
Dux Tufcanus . Di lui fa anche menzione San Pier Damiano.
Ermanno Contratto nella Cronica ci fa fofpettare all'Anno 1027.
che quello Rinieri per effe rfi oppofto co i Lucchefi al Re Cor-
rado, perdeffe quel Ducato. Ebbe un Figlio, cioè Uguccione^
che fi truova fregiato col titolo di Duca e Marchefe , ficcome
ancora con quello vien contrafegnato R/«/m /'««/W Figlio di
effo Uguccione. Han creduto olì Scrittori delle gella della Con-
teffa Matilda , che fuo Padre Bonifa-zio Marchese nel 1037.
cominci a comparire Duca e Marchefe di Tofcana . Io con uno
Strumento dell'Archivio Eftenfe ho provato che nel 1034. ta-
le egli era . Ora fapendo noi, che dopo la morte di Tedaldo
Marchefe fuo P^dre non fi fminui , ma crebbe la potenza di
Bonifazio , e che effo Tedaldo , anche allorché Ugo il Sahco
governava la Tofcana, portò il titolo di Marchefe, non fi può
credere eh' effo prendeffe quello titolo dal governo e dominio
di quella Provincia, ma bensì da altro paefe , di cui m.edefima-
mente Alberto A'2:^ fuo Padre era flato Signore, perchè anch'
egli fi truova appellato M/7rr>^^/^. Probabile a me fembra, che
di Modena, Reggio, Parma, Mantova, e forfè di qualche al-
tra Citta fi foffe formata una Marca, di cui godeffero gli An-
tenati della Conteffa Matilda fenza farli volare al dominio an-
che della Tofcana prima del tempo . A tal coniettura da mo-
tivo
Sesta, 55
tivo uno Strumento deli' Anno p 85?. doveTeodaldo Marcì?efe e
Conte del Comifafo di Modena manda i fuoi Eftimatori per una
permuta di beni ; ficcome ancora un Placito dell'Anno ^^4.
da me dato alla luce , dove nel territorio di Reggio o di Par-
ma è rammentata pars Marc hi ce . L'Imperadrice Adelaide Mo-
ojie di Ottone I. Augufto troppo obbligata ad Alberto Azzo
Padre di Tedaldo per averla difeia contro la prepotenza del
Re Berengario II. fi può credere, che gli ottenere il dominio
delle Itiddette ed altre vicine Citta col titolo di Marchefe. Cer-
tamente in quefte parti molto fignorcggiarono Tedaldo Mar-
chefe fi.o Figlio , e Bonifazio Nipote, e in fine la ContelTa Ma-
tilda. Truovafi adunque nell'Anno 1034. Signore della Tofca-
na Bonifa7:jo Padre della fuddetta Conteila con titolo ora di
Marchefe^ ed ora di Duca , Dopo la morte di elfo Marchefe
Bonifazio ci afficurano le Storie , e i documenti, c\\q Beatrice
di lui Moglie alfunfe le redini della Tof:ana, e quefla in un
Placito dell'Anno 1072. pubblicato da me viene intitolata Dom-
na Beatrix Ducìrix & Marc òioniJfaT ufi i<f : cafo ben raro, per-
chè non era in ufo, che le Donne comandafiero a' Popoli. Co-
municò eifa Beatrice quello titolo anche a Gotifredo Duca di
Lorena , fuo fecondo Marito ; e dopo la morte di effi ognun
sa , con che vigore la Co?iteJfia Matilda fìgnoreggiaffe la To-
fcana oltre ad a(fai(fim.i altri paefi , e come divenne ino Con-
forte Guelfo VI. della nobiliffima Cafa Eftenfe-Guelfa di Brun-
fuich, il quale perciò Tufiia Marchio fi truova nomato. Effen-
do mancata di vita la celebre fuddetta Conteffa , fuccedette
nel dominio della Tofcana Rahodo chiamato Marchio Tufiia
in un fuo Diploma dell'Anno 117. da me pubblicato. In un
altro documento del ii2c?. ci fi prefenta davanti Conradus di.
'viìia grafia Kavefinatum Dux , & Tufcicc Prefis ac Marchio .
E quello badi intorno alla Tofcana , appellata da fi innanzi
Marca .
Oltre alle Marche infigni , delle quali abbiam finora par-
lato , fé ne introduiTero a poco a poco dell' altre minori nel
Monferrato, Piemonte , Milanefe , Genovefe , e Lunigiana .
Anche verfo Roma in ^mo Strumento dell'Anno 1012. com-
parifce Johannes Marchio & Duxy Figlio di Benedetto Conte ,
e Fratello di Crefcenzio Conte . Ordinariamente le Mogli de'
Marcheh fi chiamavano Contese , ma in quello Strumento è
mentovato Crefientius Comes cum fua Conjuge Hitta lllufirijji'
ma
5<5 Dissertazione
maDucatrice. Degno è ben di attenzione un Diploma dell'an-
no 11^7. pubblicato da me , in cui Federigo I. Augufto con-
cede l'inveftitura àt\\2i Marca di Guido a.à Enrico ^ o da, Arri-
go Marci?efi^ e a'iuoi Eredi mafchi : dal che intendiamo, che
già era introdotta la conluetudine, che nelle Marche, Duca-
ti, ed altri Feudi Imperiali fuccedeano i Difcendenti mafchi,
ed anche i trasverlah ; perciocché ivi è anche inveflito Ugo-
linus Marchio Fratello di efìfo Arrigo . Oltre a ciò in quel Di-
ploma fon da avvertire fra i Teftimonj Marchio Wilelmus de
Monteferrato , Marchio Majjfredus de Wa/ìo , Hugo magnus Mar-
chio , Marchio He?2ricus Wercius , Albertus Marchio de hicija .
Di quefto Marchefe Arrigo fopranominato il Guercio parleremo
al Gap. 48. Alcuni di quefti Marchefi appartenevano alle no-
bili Famiglie de'Marchcfi òìSalu:?^^ del Carretto^ di Ce'ua ^
di Craveja?ia ec. Famofa altresì nel Secolo XI. riufcì in Pie-
monte Adelaide Marche/a di Sufa. Della Marca di Fermo par-
la Leone Odienfe nel Lib. 2. Gap. <5. della Gronica Gafmenfe ,
e San Pier Damiano nella Vita di San Romualdo Gap. 30. Non
altro fembra effere ftata , che quella di Cayyierino , appellata
anche dipoi Marca di Ancona ; e ciò perchè i Marchefi rife-
devano ora in quefta , ed ora in quella Gitta : cofa avvenuta
anche alla Marca del Friuli. Portò la medefima Provincia an-
che il nom.e di Marca di Guarnieri ; perciocché due Tedefchi
Guarnieri la poflederono, e veggonfi due Strumenti, l'uno del
Hip. e l'altro del 11^4. ne' quali è fatta menzione di loro.
Fu poi conceduta in Feudo efia Marca di Ancona da i Roma-
ni Pontefici fui principio del Secolo XIII. ad A'Z7:oVL Marche-
fe di Elie , ad Aldrovandino fuo Fratello , e ad Az^'^ VII. Fi-
glio del Serto, come colia da varie Lettere dique'Papi, e da
altri Atti da m.e prodotti nelle Antichità Eftenfi Par. I. e nel-
le Antichità Ital. Differt. VI.
Nella parte Orientale d'Italia , oggidì Regno di Napoli ,
non fu in ufo ne' vecchi Secoli la Dignità e il nome de' Mar-
chefi, Principi, Duchi, e Gonti folamente s'intitolavano i gran
Signori di quelle contrade, e reftrignevafi a pochifiimi il nu-
mero de' primi, come abbiam veduto«nel precedente Gapito-
lo . Quel pezzo d'elfo Regno, che reftava in potere de' Gre-
ci Imperadori, era governato da un loro Miniltro , appellato
Protojpatario^ o Stratego,^ o Catapano : dal quale ultimo nome
pretendono alcuni che fia venuto il nome Italiano di Capita-
no :
Sesta. 57
ììo : cofa che non fufTifte , efTendo più antico il nome di Ca-
pìtaneus . Dopo la morte de gì' Imperadori della fchiatta di
Carlo MagiiO 5 avendo le guerre lacerata l'Italia, i Greci Au-
sarti , che fé la videro bella , lielero non poco le loro con-
quide coir impadronirfi nell' Anno ppo. di Benevento ftelTo .
Per atteftato di Leone Oftienfe Lib. 1. Cap. 4p. della Cronica
Cafin. Simbaticio , o Sabbaticio , Generale di quell'imprefa ,
s' intitolava Iniperinlis Protofpatarius , & Sfrango Macedon'ue ,
Thracids , Cephalon'tds , atque La?igobardics . Col nome di Lan-
gobardia diiegnavano quel folo tratto di paefe , eh' elfi avea-
no ritolto a i Principi di Nazion Longobarda nel Regno fud-
detto . Abbiam un Privilegio dato neli' Anno 10.00. al Moni-
llero di Monte Cafino dal Greco Ufiziale , il quale s' intitola
Gregorius Imperiai is Protofpatar'ius^ & Katepanus Italia; . Lo ftef-
Ib lignificava ì\ nome à Italia^ che T altro di Lombardia. All'
incontro nella parte Occidentale dell' Italia con trinciamento
de i dominj s' andarono formando delle Marche minori e mi-
nime, onde prendeano i Signori il titolo di Marchefi . Ne ab-
biamo accennati alcuni di fopra . Aggiungo ora i Marchefi
à' Ivrea ^ di Savona^ gli antichi Marchefi Malafpina e Pela-
"vicmi . Spezialmente fra gli altri fi diflinfero quei di Monfer-
rato. Oggidì s'è con tanta prodigalità difFufo per Italia il ti-
tolo òli Marchefe^ che non rella idea alcuna di quel che fof-
fero i Marchefi de' vecchi Secoli.
De" Conti del [acro PalaT:^^ •
DISSERTAZIONE SETTIMA.
REsTA tuttavia in Germania in fommo onore e potenza
il Conte Palatino del R.eno, e q uè fio titolo ne gli anti-
chi Secoli denotò una delle più illuftri Dignità, che foife an-
che nel Regno d'Italia. GÌ' Imperadori poi de' baffi tempi ,
fpezialmente nel Secolo XV. e ne' feguenti , per far moneta
profiituirono sì fattamente il nome di Conte Palatino , che lo
troviamo ridotto ad un miferabil fumo comperato con pochi
foldi da chi fi diletta di carte pecore. Sembra, che f origine
Òq' Conti del Pala:^y o fìa del /acro Pai aT:^-^ s'abbia a pren-
dere da i Re Franchi, nella Corte de'quah fino dal Secolo VL
Tomo I, H fu
58 Dissertazione
fn qucfia Dignità in ufo , e che di la poi paflafTe in Italia ^
allorché Carlo IVIagno fi fu impadronito di quello Regno. Qual
fofTe il riguardevole impiego di tal Minillero, cel dira Hinc-
maro Arcivefcovo di Rems, Traél. de Ordin. & Offic. Palar.
Gap. 21. Comhis Palati't ^ die' egli, ìnter cetera paefie intìumera-
bìlia^ in hoc maxime Jolecitudo erat , ut omnes Legales C auf-
fa; ^ qucc alibi ortcs propter cequitatis judicium Palatium aggre-
(ìiebamur , jufìe ac raùonabiliter determinaret , feu perverfi Ju-
dicata ad csquitatis tramitem traduceret. Ampia per quello era
l'autorità di lui , perchè non folamente giudicava di tutte le
caufe del Regno, che per appellazione fofìTero portate al Tri-
bunale del Re, ma conofceva anche tutte l'altre, che riguar-
davano i diritti del Re , e la quiete del Regno ; né alcuna
caufa era portata al Re , che prima non pafTafTe per le fue
mani , a fin di oflervare , fé meritaffe o non meritaffe di dare
occupazione alle orecchie e penfieri del Sovrano. S'odano queft'
altre parole d'FIincmaro. De omnibus Scecularibus caujjts 'vel
judiciis fifcipiendi curam inftanter habebat , itaut Sdeculares prius
Domnum Regem absque ejus confulm inquietare neceffe non ha-
berent , quoufque ille pravideret , fi neceffitas ejfet , ut cauffa
ante Regem merito ventre deberet . Si njero fecreta efjet cauj-
fa^ quam prius congrueret Regi , quam cuiquam alteri dicere ,
eumdem dtcendt locum eidem ipjì preparar et , introduco prius
R^ege , ut hoc juxta modum perfoncs vel honorabditer , vel pa-
tienter , vel ctiam mifericorditer fufciperet. Grado altresì iom-
mamente cofpicuo era quello dell' ^'frc/r/7^£'//^;7o di Corte, che
precedeva i Vefcovi ed Arcivefcovi . Anch' egli riferiva al Re
le caule de gli Ecclefiaftici. E mirate la favia condotta di que'
Regnanti e tempi , che noi trattiamo da barbarici. Senza un
ordine di efii Re non poteva il Conte del Palazzo terminar le
caule de' Potenti , come s'ha dalla Legge 43. di Carlo M. fra
le Longobardiche . Nullus Comes Palatii nofìri Potentiorum cauj-
fas fine ?2ofìra Jujfione finire prafumat. La ragione di tal divie-
to era , acciocché il Conte Palatino non fi perdeffe- dierro alle
caule de' Grandi, trafcurando intanto quelle de' Poveri , e de
i meno Potenti , per le quali aveano maggior premura i buoni
Principi. Ne propter hoc Pauperum & minus Potentum jufliti^
remaneant . E lecondo il Tello della Biblioteca Ellenle : Sed
tantum Pauperum & minus Potentium ad jufìitias faciendas fciant
ftbi effe vacandum, Verifimilmente ancora fu prelcritto , che
- - nelle
Settima. 5P
nelle Caufe de' Potenti non fi veniire alla rifoluzione fenza in-
formarne prima il Principe , vegliante che non fofle fatta fo-
perchieria a chi litigava con loro.
P liato creduto, che nella Corte de i Re Franchi non fi tro-
vafle fé non un Conte del lacro Palazzo . Ma tempi furono ,
ne' quali due fé ne contarono. Nell'Epill. XI. di Eginardo iet-
to Lodovico Pio fono mentovati Gebu'mus & Kuodbertus Comi-
tes Palatii ^ e d'effi è anche memoria ne gli AnnaU de' Fran-
chi, regnante Lodovico Pio. Altri eiempli ha addotto di que-
fìo il P. Mabillone contro il Conringio nel Lib. 2. Cap. 11. n. 14.
de Re Diplom. Il bifogno de' Popoli , e le divifioni de' Regni
cagion furono d'introdurre più Conti del Palazzo. Ebbero il
fuo r Aquitania e la Borgogna, ne'quali Regni fi divife l'Im-
perio de' Franchi . Fu parimente in ufo qùefla Dignità ne' Re-
gni di Germania , Inghilterra , Polonia , ed Ungheria , e da-
pertutto tenuta fu in lommo onore. Però anche al Regno d'
Italia, da che padroni ne divennero i Re Franchi , dato fu il
fuo Conte Palatino, si perche perlopiù qui dimorò il partico-
lare fuo Re , e si per rilparmjar a quefti Popoli l'aggravio di
portar le Caufe al centro lenta niffimo della Francia . E qual
fofie l'autorità di effo Conte , fi riconofce da quello , che il
Popolo di tutto il Regno poteva appellare a lui da i Duchi ,
Marchefi, e Conti; e in qualunque parte del Regno, dov'egli
fi trovaffe con facoltà ordinaria potea giudicar ài tutte le cau-
fe . Grande fu, ficcome vedremo , l'autoritk de' Meffi Regali ;
ma quefta era delegata e temporanea , e da efli ancora fu le-
cito l'appellare al Conte Palatino . Però infigne Privilegio fu
il conceduto da Carlo il GrolTo Re a Wibodo Véfcovo di Par-
ma, come s'ha f^ll'Ughelli Tom. 2. Ital. Sac. Habeat ( ivi fi
legge) tpfius Ecclefids Eftj'copus Itceiìtìam d'tjìrhìgendt ^ defiri'teti-
dì , njel deltberandi tar/iquam nojìr't Comes Falatt't , omìies res Ò^
jamìltas tam omnium QlerìcoYum ^ quamque omnium habttantìum,
infra prced't6iam Ci^jitatem Parm<s , Cos'i Ottone I. Augufto
nell'Anno 5?^2. concedette ad Uberto Vefcovo della medefima
Citta, ut jIp nojìer M'ijfus^ & habeat potefiatem deliberandi&c.
tamquam nojlri Comes Palatii . Un fimile Privilegio impetra-
rono i Vefcovi di Afli , Lodi, ed altri. Paffiamo ora ad in-
vefiigare , per quanto fi potrà , la ferie de i Conti Palatini
d' Italia .
In uno Strumento di Piftoia fpettante all'Anno 812. viene
H 2 enun-
Co Dissertazione
enunziato un richiamo, lungo tempo prima fatto tempore Dom-
ni Pipp'mi R.egis (d'Italia) ad F nid'tnuyyì F an'iarcham ^ Anionem
Archìep'tjcopum , Fardulfurn Abbatem , Ò^ Echerigum Com'item
Palatìì , njcl relìquos loco eoruyn , qui tunc h'ic i?i Italia MiJJi
fuerunt &c\ Ecco il primo Conte del Palazzo, ch'io abbia tro-
vato in Italia, fé pur egli efercitava qui untale Ufizio. Sot-
to lo fielTo Carlo M. la Cronica di Farfa ci fa vedere Hebroar-
do Conte del Pala:?^ , e in Placito tenuto nella Citta di Spo-
leti nell'Anno 814. comparifce Suppone Conte del Fala'z^ >
che precede Guinigifo ed Eccideo Duc/jì , Fors'egli lo ileffoè,
che nell'Anno 822. fa da Lodovico Pio creato Duca di Spo-
leti . Siccome abbiamo da Eginardo negli Annali all'anno 823.
effendofi portato Lottarlo Figlio di efìo Augufto a vifitare il Pa-
dre, quum hnperatori de Jujìitia in Italia a fé partim faBa ,
partim iìichoata feciffet indicium : mijfus ejì in Italiam Ada-
Ihardus Comes F alatti jujfumque eft , ut Mauringum Brixics Co-
mitem fecum ajfumeret ^ & inchoatas jufiitias perficere cmaret.
Non è chiaro , fé Adalardo efercitadb in Italia la Carica di
Conte del Palazzo; ma è ben verifimile, che avendo Lodovico
Pio ceduto ai Figlio Lottarlo il governo del Regno d' Italia ,
il provvedefìTe anche di chi foftcnelTe quel grado . Fu poi nelT
Anno feguente 824. per la morte di Suppone conferito a que-
llo Adalardo il Ducato di Spoleti , dominio di corta durata ,
perchè egli nelf Anno ftcfìo cefsò di vivere quaggiù. Truovafi
poi in un Placito tenuto in Lucca , e da me riferito nella Cro-
nica di Cafauria, che nell'Anno 840. Maurino era Conte del
Palazzo. Altre memorie di lui ho io rapportato altrove , e lo
reputo lo (leffo che Mauvi/igo poco fa da noi veduto Conte di
Brefcia , il cui nome fia alquanto icorretto ne gli Annali. Sot-
to Lodovico IL Augufio abbiamo un Placito tenuto neh' anno
Sdo. fra ] e fi e Camerino per ordine d'elfo Imperadore, in cui
Hucpoldo Conte del Fala:^^ fa la principal figura in giudicare.
Ma molto prima di quel!' Anno Hucpoldo fotteneva quell'illu-
flre Carica ; perciocché in un altro Placito tenuto in Pavia
nell'Anno 851. o pure 852. ch'io ho pubblicato , egli decide
una lite, ed è intitolato Hucpaldus Comes Sacri Falatii. Come
ho io altrove oflervato, fi truova anche ^r;^^/r//^y, ScArnoldus ;
Erme?ioldus Ò^ Ermenaldus ; e cosi d'altri fimili. In un Docu-
mento di Rodingo Vefcovo di Firenze , Ipettante al fuddetto
Anno 852. e rapportato daU'Ughelli nel Tomo III. dell'Italia
facra
Settima. ~ 6i
facra vien coftituira Badefla del iMoniftero di Santo Andrea Ber-
ta Deo devota , filia Huepoldi ( leggo Hucpoidì ) Comìtis Pala-
tii . V era preiente , e iottolcrifle quella Carta lo fleflb Huc-
pokio . Né vo' tacere un fatto riferito nei Compendio delle
Croniche Cafinenfi , da me dato alla luce nella Par. I. del To-
mo II. Rer. Ita), pag. 370. Uxor Ludovici IL Imperatoris (cioè
Angilberga) iti Tuchalduìn Palatii Comitem pojì Lmperatoris di-
fccjjum oculos iììjecit. Trovatolo refidente alle lue voglie, l'ac-
cusò al Marito Augufto, che troppo credulo corfe a far leva-
re di vita il mifero Ucpoldo^ perchè certo di lui fi conta que-
fta favola . Ma Andahena Moglie dell' eftinto per comprovare
l'innocenza di lui alla prefenza del medefimo Augullo /^/?^r
duodecim vomeres ii^nitos ?iudis pedibus ill<:efa deambulavit , Per-
ciò rimperadore a gli Eredi di elfo Conte Ducatum Ligurice Ò'
Tufcice^ Ò' i?i perpetuitm Comitatum Mutinenfem cu?n aliis cólo
Comitatihiis concefjìt. Favole tutte, fapendofi, che Angilberga
fu Principefla di molta Pietà, e cara a Lodovico II. finché ef^li
vifTe. Una fimile Storia o Favola vien raccontata da Gotifredo
da Viterbo di Maria Moglie di OttoìiellL tentatrice di un Con-
te di Modena ( il che ha qualche relazione col Contado di Mo-
dena conceduto a gli Eredi di Hucpoldo ) e fatto morire inno-
cente : tanto erano proclivi i Letterati antichi a bere e fpacciar
delle Favole .
Da un Placito Lucchefe dell' Anno 8(^5. di cui farò men-
zione al Cap. X. apparifce , chi foffe allora Conte del Sacro
Palazzo, cioè un Giovaìtni^ che in compagnia di Pietro Vefco-
vo di Arezzo preledette a quel Giudizio. Nell'Anno poi 873.
e nel feguente , da due Placiti vien commemorato Heribaldus
Comes facri Palatii . Qiieflo medefimo Perfonaggio nell' Anno
avanti è intitolato Vicecomes Palatii : dal che e da altri Atti
ancora, fifcorge, che il Conte del Palazzo aveva un Vicario,
appellato perciò Vicecomes , oggidì Vifcoiite . Nel Concilio te-
nuto in Pavia l'Anno %']6, per l'elezione di Carlo Calvo , fra
i Principi d'Italia fi vede regiltrato Boderadus^ o puvQ Bodra-
dus Comes Palatii; e prefTo il Campi nella Storia Ecclefiaftica
di Piacenza in una Donazione dell' Anno Spp. è menzionato
Everardus Comes filius bo, me: Boderadi ^ qui fuit Corniti Pala-
tino . Solpetto io , eh' ivi fia fcritto Palatii , perché non era
allora in ufo il Comes Palatinus. In fatti più di fotto fi fa men-
zione animce quondam bo. me: Boderadi Corniti Palatio. Un bel
Pia-
6i Dissertazione
Placito tenuto nell'SSo. da eflb Boderado nella Citta di Pavia
alla prefenza di Cnrlo il GrojJ'o Re , e di Aicardo Vefcovo di
Vken-z^ non conofciuto dall' Ughelli , ho io dato alla luce ,
dove troviamo memoria Curtis Didcnti nella Citta di Torino ,
perchè ivi una volta era la refidenza di un Duca . Ma onde
viene , che in un Diploma di efib Re Carlo del precedente an-
no 87^. efidente nell'Archivio de' Canonici di Reggio, Pertol-
dus lllujìris Ccmes Pai atti è nominato, quando e prima e dopo
fu in poffeflb di quella Carica Boderado ? Altro non so penfar
io, fé nonché quello Bertoldo fofìTe Conte del Palazzo per gli
Stati di Germania di Carlo il GrofTo , e venuto con lui in Ita-
lia; o pure che due in quefti tempi foflero in Italia i Conti del
facro Palazzo . Regnando poi Guido Imperadore , in un Privi-
legio da lui conceduto a Leodoino Vefcovo di Modena nell'An-
no 85?!. fi vide xì^Qnto Maìmfredus Co'fTìcs facri Pai atti . Sicco-
me ancora fotto Lamberto Augufto di lui Figlio all'Anno Se?/,
in un Placito tenuto in Firenze comparifce Aìnedsus Comes Pa-
latii. Due Diplomi di Lodovico III. Imperadore rapportati dal
P. Celeilino nella Storia di Bergomo ci fanno vedere Sìpefredo
Conte del PalaT^o . Ho io pubblicato un bel Placito dell' An-
no pò 3. tenuto davanti Berengario I. Re d'Italia , da cui fi
fcorge , che Irmetigarda Monaca Figlia di Lodovico IL Augufìo
avea donato a Scambur."ia Badefia del Moniflero di San Siilo
le Corti di Guajìalla e Ln-z^ra a lei laiciate da Angelberga
Lnperadrice fua Madre . Prefiede a quell' Atto Sigefredus Co-
mes Palacii ^ & Comes ipjius Comitatus Piacentini . Fra' teflimo-
nj s'incontra ivi Ad elm anno Vefcovo di Concordia^ che l'Ughelli
non conobbe .
Ho io parimente prodotto un Diploma del fuddetto Beren-
gario divenuto Imperadore , con cui neh' Anno pi/, conferma
a Berta fua Figlia ^ BadefTa nel Moniftero Piacentino di San Si-
ilo , il governo e i Beni di quel facro Luogo , avendo di ciò
pregato Oldericus illufìer Marchio , facrique Palatii noftri Co-
mes, Di lui pure fi trova menzione in un Diploma del 5?2o.
per la Chiefa di Monza nel Tomo IV. dell'Italia facra. Pari-
mente Liutprando nel Lib. II. Cap. 15. della Ina Storia parla
di quefto Olderico con dire , che Suevorum fanguine duxerat
origine-m , e che fu di poi ucciio da gli Ungheri . Da che fu
creato Ugo Re d'Italia, la Carica di Conte del Palazzo per-
venne aGifelberto, come apparifce da un Dioloma di eflb Re
dell'
Settima. 6^
dell' Anno 5?2<^. conceduto a Guido Vefcovo di Piacenza , e ri-
ferito dal Campi Tom.I. della Storia Ecclef. di quella Cittk.
Viene egli nominato dallo Storico Liutprando Gilebertus pra-
d'ives Comes & Jìrenuus ^ e da lui ancora Tappiamo, che Gual-
berto potente Giudice di Pavia Raz^m natam funm Giliberto
Corniti Palntii fociaverat. V'ha qualche memoria, che a collui
in queir illudre Miniikro fuccedefle Savliofìe di Nazion Borgo-
gnona , che divenne poi Duca di Spoleti per atteftato del me-
dcfirao Liutprando . Dopo lui il luddetto Re Ugo follevò al
grado di Conte del facro Palazzo Uberto Mnrchefe luo Figlio
baluardo , che «ia vedemmo anche Sis^nore della Tofcana. Sot-
to Ottone il Grande Impcradore della luddetta Dignità fu in-
vertito Oberto Marchefe illu'dre Progenitore delle due Eftenfi
Linee , cioè della Reale di Brunfuich , e delia Ducale di Mo-
dena , come con varj Documenti ho dimoftrato nella Parte i.
delle Antich. Ellenfi. In un Diploma di eflo Augnilo dato alia
Chiefa d'Adi nell'Anno p52. prefTo l'Ughelli Tom. IV. dell'
Italia facra egli è chiamato Objertus facri Palat't't Comes» Ma fi
deve ivi fcrivere Obertus . A me (omminillrò il Chiarifiimo
P. Abbate D. Guido Grandi un bel Documento dell' Anno ^75.
tratto dall' Archivio Archiepilcopale di Pifa. Aveva io ben pro-
vato nelle Antichità Ellenfi , che Obeno IL & Adalberto Mar-
chefi^ da' quali difcende la luddetta Sereniis. Cafa d'Elie, avea-
no avuto per Padre Oberto I. Marchefe ; ma non m'era riufci-
to di trovar Documento comprovante , che quello Oberto I.
foffe il Conte del iacro Palazzo, Principe, che tanta figura fe-
ce a' tempi di Ottone I. Augufto. Nello Strumento Pilano dell'
Anno 5?75. Adalbertus & Oherttis germani Marchìont ^ filii b. m:
Obertì Marchionis & Comitis Palatto ricevono a livello una sran
copia di Beni podi m varie Ville del Territorio di Pifa , da
Alberico Vefcovo Piiano . Beni tali poi lotto nome di Terra
Obertenga nel Secolo ieguente fi veggono confermati da Arri-
go III. fra gli Augufli a'fuddetti Eftenfi . Ecco dunque rifchia-
rato quello punto . Per uno Strumento di Luca accennato dal
Fiorentini nella Vira di Matilda, e da Cofimo dalla Rena nel-
la Serie de' Duchi diTolcana, Documento, ch'io poi diedi al-
la luce, fappiamo che il fuddetto Marchefe Oberto I. ebbe per
Padre un Adalberto Marchefe , il quale certamente fiori circa
l'Anno di Grillo DCCCC. giacché Oberto I. fuo Figlio affai
vecchio mancò di vita prima dell'Anno P75. come colla dal
fud-
64 Dissertazione
fuddetto Strumento Pifano. Adunque il Padre di efTo Marche-
ie Oberto I. potè effere Adalberto IL Marchefe dt Tojcana io-
pranominato il Ricco ( il quale fini i fuoi giorni nell'Anno pi 5.
o c?i7. ) del che altre gagliarde conietture io ho addotto nelle
luddette Antichità Efìenfi. Forfè un di qualche altro Documen-
to potrk meglio chiarire quefto punto.
Ci fa uno Strumento dell' Anno p7p. conofcere GìfeUerto
Conte del Palaz^ a' tempi di Ottone II. Auguflo . Noi fap-
piamo da Donizone, che Richilda, prima Moglie di Bonifazio
Marchefe Padre della Contefla Matilda , fu Figlia di un Gifel-
berto Principe.
Marchio Richildam pr^^taxatus ComhlJJ^am
^ua G'jfelberti de fanguìne Princlpis ex'tt^
Duxit in tixorem ,
Il Fiorentini 5 e il P. Bacchini (limarono, che quefto Gifelber-
to foffe Conte di Lucemburgo . Ma in uno Strumento dell'Ar-
chivio Eftenfe efia Richilda è chiamata Filia bonce memori(Z
Gifelberti Comes Palatii ; e però Figlia di un Principe Italiano.
Cosi Laììfranco Fratello della medefima Richilda in un Docu-
mento dell'Anno 1017. fi truova fregiato col titolo di Conte
del Pala^^, Un infigne Placito tenuto in Roma neirAnno5)83.
da me dato alla luce , che belle notizie contiene di Perfonag-
gi di quel tempo , fa anche menzione di un Sergio Conte del
Pala'Z7:o . Ma fecondo le apparenze quefto fu un Magiftrato
della Corte Pontifizia. Anche in quella de i Principi di Bene-
vento fi truova un particolar Conte del Palazzo : del che ho io
addotte le pruove . Ora fra i Conti del facro Palazzo d'Italia
s' ha da annoverare yìrdoinus Comes Pai acii -^ da cui tenuto fu
un Placito nel territorio di Brefcia l'Anno 9^6. Parimente all'
Anno IODI, da un Diploma di Ottone III. Imperadore , e da
un Placito, dame dati alla luce , fi ricava, che allora godea
la Carica di Conte del Palazzo un Ottone Nipote di Pietro Ve-
fcovo di Como . E eh' egli continuaffe ad effere tale anche
neir Anno 1017. fi pruova con uno Strumento dell' Archivio
de' Canonici di Modena, da lui fottofcritto . Più oltre non fon
io paffato nella ricerca de' Conti del Palazzo. Miniflri tali or-
dinariamente faceano la loro refidenza in Pavia , dov' era il
Palazzo de i Re d' Italia . Fors' anche reggevano quella Pro-
vincia coir autorità, che altri Duchi o Marchefi governavano
il paefe loro aisegnato. Pietro Diacono nella Cronica Cafinen-
fe
Settima. 6<^
fé Lib.IV. Cap. i8. fa menzione di una Berta ^^\\2iCompalatii
Tichienfts : e però il Du-Cange introduffe quefto vocabolo nel
fuo Glolfario . Ma intendiamo, che quello Storico dovette fcri-
vere F'dia Com. Piatii ^ q'\qc Comitis Palntii Tìci?ienjìs. Non
fi ufava oia di aggiugnervi quel Ticinejjjìs . Ma perchè anche
i Principi Beneventani, ficcome teftè accennammo, aveano il
loro Conte del Palazzo, perciò (limò Pietro Diacono di dover
identificare quello del Palazzo de i Re d'Italia.
Passiamo ora a confiderar le umane vicende. Da che dopo
il Mille cominciarono , ficcome diremo a fuo tempo , le Citta
di Lombardia , e d'altre parti d'Italia ad alzare il capo per
metterfi in liberta ; a poco a poco andò calando l'autorit^a de'
Miniftri Imperiali , e toccò appunto quefta difavventura a i
Conti del Palazzo . Riiedevano elfi nel Palazzo Regale di Pa-
via . Furono cacciati di la da i Pavefi, e fi ricoverarono a Lo-
mello , Terra riguardevole , onde preie il nome la Provincia
fommamente fertile di grani appellata Lomelliìia , che dovea
elTere di lor particolare dominio. Ma creicendo ne' Pavefi l'ani-
mofita e la voglia di slargare le fimbrie , occuparono quella
Provincia , fmantellarono la Terra , e coftrinfero il Conte a
dismettere il fuo Miniftero , e fecondo l' ufo di allora a farfi
Cittadino e fuddito della loro Citta . Odafi Guntcro , Poeta
molto commendabile , che fiori ne gli ultimi anni di Federi-
go LAugufto, e nelLib. III. del fuo Poema fa menzione del
Conte Pai athio già refidente nella Terra di Lomello, con dire :
Afpice , quam turpi Lunellt nobile Cajìrum ,
Atque Palatini Sedem , jidosque penates
Verter at dia (Pavia) dolo Comitem Cfvesque vocahat &c,
S' ha da fcrivere Lmnelli . Q_ual fofie la giurisdizione di eflb
Conte in addietro, s'ha da i leguenti verfi :
Et nunc ijìe Comes , confors & confcius Aul<$
Ille potens Princeps , fui; quo Romana fecuris
Italia; punire reos de more ve tufi o
Debuit , injujìa vibrici cogitur Urbi
Ut modicus fervìre cliens^ 7iulloque reliSlo
Jure fibi ^ Domince ynetuit mandata [uperbce ,
Aggiugniamo qu\ le parole di un nobiliflimo Storico del Seco-
lo XII. cioè di Ottone Vefcovo di Frifinga , da cui Guntero
prefe buona parte del fuo Capitale. Introduce egli nel Lib. 2.
Cap. I 8. de Geft. Friderici I. Tortona , che fi lagna delle fo-
Tomo L I per-
'66 Dissertazione
perchierie di Pavia con quefie parole : Te .ìpjam non refptcis ,
qua Lunellum ( ferivi Lumellum ) Imperiale Oppidum magna &
rohujìa equitU77ì manu Jttpatum , Palattìù Con? hi s fui habipatio"
fie incl^tum Ù'c. ad folum ujque projìernere non timueris . Fa^
ausefiille INTER IT ALI JE PROCERES NOBILISSIMUS
jnquilinus tuus ^ qui debuipejje DOMINUS , Reddit tihi nunc
nje^igal ^ cui tu Principis 'uicem gerenti veBigal Jolvere Jnlebas*
Videat Princeps^ & animadvertat qua honejìate fui ^ Imperiique
honore ipfius lattri judictum de ITALIS laturus ajjtdeat . Ci
fanno parole tali intendere , che infigne Carica foire una vol-
ta il Conte del Palazzo, Vicario in Italia de gl'Imperadori, e
che dimorando nel Palazzo di Pavia fìendea la Tua giuri.^di.zio-
ne fopra tutte quelle parti dell'Italia, che dipendevano dall*
Imperio . Cefsò tal Dignità , e foriero in tua vece Conti Pa-
latini delle particolari Provincie. Nel Regno di Napoli fotto i
Principi Normanni furono in molto credito i Conti di Lauretel-
10 , i quali fi truovano intitolati Comites Palatii . Anche la
Toicana ebbe il iuo Conte Palatino nel Secolo XIII. PrefTo
rUphelli nel Tomo III. dell'Italia facra fi fa menzione ^/(^ro-
bandini de Soana , Dei provi dentia in Tujcta Comitis Palatini .
11 iuo titolo era quello : Ego lldebrandinus Comes Dei gratia
Palatinus filius quondam bo. me: Comitis fVillelmi Tufcice Co-
mitis Palatini . Àvolo Iuo probabilmente fu Ildebrando Conte
Palatino^ una conceflione del quale, fpettante all'Anno 121 3.
ho io rapportato . Reda ancora un' Invelìitura della Citta di
Grofleto da Federigo lì. Imperadore nell'Anno 1221. Pari-
mente ebbero il titolo di Conti Palatini i potenti una volta
Conti Guidi , e i Conti Alberti di Prata , e i Conti Venerofi .
Ho io rapportato , e rimeflo all'altrui eiame un Diploma di
Arrigo VI. Augnilo dell'Anno 11P5. in cui invertifce Venero-
fum Filium Brandalixi Comitis Palatini de Venerojis de Ripa
hijuloe SuT^ria & Bardino; , & quartce partis tottus Cinjitatis
Veronce , Strana cola è il vedere invertito quello Conte della
quarta parte di Verona . Per altro non fi può negare , che ne'
vecchi tempi i Conti Venerofi godeffero il titolo di Conti Pa-
latini , e almeno il Privilegio faciendi Jilios legitimos^ & filios
adoptivos , & Judices ordinarios ( cioè Dottori ai Leggi ) & No-
tarios. In una Carta dell'Anno i2c?o. ho io veduto, che Bar-
tolofo de' Venerofi filius quondam Domini Petri Verierofì Comi-
tis Palatini de Ripa ^ creò un Notajo. Qj-iedo medefinio titolo
ed
Settima. 67
ed autorità conferirono pofcia i fuiTeguentilmperadori ad alfaif-
fime perlone ; ed altrettanto fecero anche i Romani Pontefici,
di maniera che oggid'i come avvihto fi trnova in troppo baffa
fcrciina . Può recare meraviglia il vedere , eh' effi Auguftì in
crear tali Conti gì' intitolavano Sacri Lateranenjts FalatVi Co-
mi PCS , anzi Sacri noflri Latcranenfn Fala^ii , & Aulcs noffrce.
Rcm.yfiis Comires. E Cailruccio Duca di Lucca nell'Anno 1328.
da Lodovico il Bavaro fu creato Comes Palatii Lateraìienfn .
Niun diritto rellava più a i Cefari in que' tempi Ibpra Roma,
onde poteffero far valere si fatti Titoli . E ciò fia detto degli
antichi Conti dei Palazzo , de' quali appena refta un' ombra
ne' Conti Palatini de'noftri d'i , quantunque alcuni di elfi pol-
fano per un profciutto concedere la Laurea Dottorale , e crea-
re dei Notai, dove loro è perm efib.
T)e i Conti e Viceconti de Secoli barbarici .
DISSERTAZIONE OTTAVA.
CH1UNQ.UE ha letto la Notizia dell'uno e l'altrolmperio,
cioè dell' Occidentale ed Orientale , fcritta nel Secolo
Qj-iinto , ed illuflrata dal celebre Guido Panciroli; ovvero ha
pratica del Codice Teodofiano, e dell'altro di Giuiliniano : non
avrà biiogno di eflere iftruito da me , che mentre ancora fio-
riva il Romano Imperio , il titolo e la Dignità di Conte fu
molto in ufo tanto nella Corte de gli Augufti , che ne' gover-
ni delle Provincie . Perciò le Nazioni Barbare , allorché occu-
parono r Italia , la Francia , e la Spagna , trovarono già da
gran tempo introdotto il nome de' Conti . Ma non apparilce ,
che lotto i Romani fi appellafTero Conti i Governatori di una
Citta. Da i Popoli Settentrionali , e malfimamente dai Goti,
divenuti padroni di quelli paefi , fembra che aveife principio
queft' ufo , come olTervò il Cluverio Lib. I. Cap. 48. Germ.
antiqu. Cioè in Latino elfi chiamavano Comitem il Prefidente
della Citta , e nella loro Teutonica Lingua Gravionem ^ o Graf-
fi ojiem : nome, che s'incontra anche nelle antiche Leggi ài
que' Popoli . L'appellazione di Comes ( oggidì Conte ) fi può
credere derivata negli Ufiziali primarj Compagni del Re, o del
Duce dell' eiercito alla guerra ; e perciocché ad ogni Citta fi
I 2 do-
68 Dissertazione
dovette deputare un Ufizial militare col comando dell' armi ,
perciò il nome di Comes fotto i Re Franchi divenne proprio
de' Governatori delle Citta , a' quali s' aggiunfe ancora il Go-
verno civile , e la facoltà giudiciaria . Due in fatti erano al-
lora gì' impieghi del Conte , cioè il comandare alla milizia ;
e il decidere le liti del Popolo , fé erano portate da i minori
Tribunali al tuo. Qiianto all' autorità Giudiciaria , efli l'eier-
citavano col tenere di tanto intanto i Malli j cioè i pubblici
Giudizj, e i Placiti per qualche lite particolare , coirafìTillen-
za de gli Scabìni , e de gli altri minori Giudici , col configlio
de' quali proferivano poi la fentenza , e non già unicamente
come loro parea. E per queflo venivano anche appellati G/w-
dici . Cafliodorio nel Lib. VII. Variar, attefta, che al iuo tem-
po ancora fotto i Goti, ufizio de' Conti era il giudicar le Cau-
le . E Gregorio Turor;enfe nella Vita di San Nicezio Cap. 8.
Vit. Patr. COSI fcrive : Vidi ego Bafiltum Presbyterum mtj[um
ah eo ad Armentarimn Comitem , qui Lugdunenfem Urbem ha
diebus potè fiate Jud'tctarìa gubemabat . Narra egli fimilmente
nel Lib. VI. Cap. 8. della Storia de' Franchi, qualmente circa
l'Anno 5ó'o. avendo intefo Santo Eparchio , che fi conduceva
alla forca un Ladro o Affafhno , toilo mijìt Moiiachum [uum
ad deprecnndum Judicem , ut fcHiceP culpabilis ille vitce conce-
deretUT , Pel gran rumore ed oppofizion del Popolo, non fu
permeifo al Giudice il mutar fentenza . Si falvò poi come pro-
digiolamente quel malvivente . Allora Eparchio Comitem nr-
cejjtri jubet^ d'tcens : Cur hodie hiduratus hominem , prò cu/us
vita voganjerayn , noìi laxajìi ? Da queRe parole intendiamo ,
lo lìeflo effere flato il Conte, che il Giudice fupremo di una
Citta, e che molta era la di lui autorità, da che potea donar
la vita a i condennati alla morte. Perciò nelle Leggi Ripuarie
pubblicate dal Re Dagoberto circa l'Anno 6^o. fi legge: Si
quis Judicem Fijcalem ^ quem Comitem vocant^ i/Jterfccerit fes'
centis folidis multetur . E ne' Capitolari de i Re Franchi è or-
dinato, che Comites Legem teneant^ fappiano le Leggi , fecon-
do le quali s' ha da giudicare . Erano allora ben poche . E
che ament juftitiam^ e fieno fpediti in farla ; e che ogni Me-
fe Placita peragant^ cioè pubblicamente Giudizio, avvertendo
di aver a cuore fopra tutto gli affari de' Poveri , Pupilli , Or-
fani , e Vedove . V'era in oltre comandamento , che non fi
poteffero tenere i Giudizj le non da i Giudici digiuni^ cioè pri-
ma
Ottava, 6q
ma del pranzo : perchè anche allora doveano efTere in credito
i frequenti bicchieri divino, che poteano tramandar fumi al-
la teda . Sì può chiedere , perchè nelle Leggi Longobardiche
riuna menzione mai fi truovi de' Conti, benché si fpeflb vi fi
parli de' Miniftri diGiufiizia. Né pur Paolo Diacono fuol di
lor far parola. Non era forfè in ufo il nome de' Conti preiTo
i Longobardi, come preffo i Franchi ? Certamente foliti furo-
no pili todo a vàlerfi del nome di Giudice , che di quello di
Conte. Contutrociò non fi può negare, che adoperaffero l'uno
e l'altro . Il Santo Pontefice Gregorio il Grande nel Lib. IV.
Ind.i2. Epid. 47. fcrivendo a Sabiniano fuo Apocrifario alla
Corte del Greco Augudo, dide quede celebri parole: Si ego in
morte Langobardorum me mifcere 'voluijfem , hodie hangobardo-
Yum geììs neque Reges^ nec Duces ^ nec Comites haheret ^ atquo
ejjet i7i fumma confufione dinjifa . E dal fuddetto Paolo Dia-
cono nel Lib. HI. Cap. p. vien r3.xnmtn\.2.Xo Comes La7jgob ardo-
rum de Lagare ^ Ragilo nomine. Oltre diche ne' Diplomi de
i Re Longobardi, riferiti dall' Ughelli , Margarino, e Campi,
fi truova queda Formola : Pvdscipientes omnibus Ducibus , Co-
mi tibus , Gajìaldiis , 'vel A8ionariis nofìris &c. O pure qued'
altra : Ut nullus Dux , Comes , Gajìaldius &c. Qui il nome ài
Conte fignifica lo dedb che il Giudice in altri luoghi.
L'altro Ufizio de' mededmi Conti confideva nel governo
della Milizia sì in tempo di pace, che di guerra. Nell'Editto
di Lodovico Pio Imperadore dell'Anno 815. predo il Baluzio
fi comanda, che gli Spagnuoli, ficut ceteri liberi homines (per-
chè i Servi non erano ammedi a militare) cum Comite juo Ì7i
exercitum pergant . In un Capitolare di Carlo M. dell'Anno 812.
è ordinato , che i Conti andando all'A^rmata non lafcino alcu-
no efente dalla milizia , alla riferva di due o di quattro perfo-
ne . E perciò s'intende, perchè Bonifazio II. probabilmente
Duca di Tofcana nella fpedizione, ch'egli fece nell'Anno 828.
contro i Mori di Affrica , ajjumto fecum fratre Berethm-io , Ò'
tiliis qutbusdam Comitibus de Tu/eia &c, in Africam trajecit ,
Cosi nella Legge Longobardica LVI. di Lottarlo I. Imperadore
leggiamo quede parole : Poftquam Comes & pagenfes de qua^
lib et expedttioìie re'verji fueriut^ ex ili a die per XL. f2o6ies JÌP
bannum vefcijfum . Dalla voce Comes fignificante Governatore
delia Citta, fi formò poicia Comitatus ^ parola indicante tutto
il Territorio con Terre , Cadeila, e Ville Ibttopodo al coman-
do
70 Dissertazione
^.o e alla giurisdizione del Conte. Imperciocché non ^ìa i Con-
ti preiero il nome loro da Com'natus^ come alcuni hanno im-
maginato, ma bens\ Comìpatus è venuto da Comes, Egidio Me-
nagio nelle Origini della Lingua Italiana, cercando onde fia na-
ta la voce Contado y COSÌ feri ve : Co-ntado^ Cambaqìia ttitorno la
Città ^ nella qu al fi coìiteìigono i Villaggi^ e le PoJfeJJton't . Da
ContraElus fotttntendendo Pagus , locus , o qualche cotal cofa •
ContraHus , Cofìtratus , Contradus ( onde Contrada ) Contrada ,
Contado . Meraviglia è , che uomo di tanta Erudizione, e co-
tanto verfato neh' Etimologie , non ifcorgeOe ciò , che facil-
mente ognun può [coprire. Siccome ho detto Co<'///7//o fi formò
da Conttatu^ Comitato^ Contato^ Contado., ficcome da Comite
ufci WComte Franzefe, e W Conte Italiano. Nella lìefla guifa
dal Latino Co w^z^^/^i- abbreviato venne Cow^«/o, Comto^ Conto,
PrefTo l'antico Marcolfo , pubblicato dal Baluzio Tom. IL Ca-
pitular. fi legge al Lib. I. Gap. 8. la Formola de Ducatu , P^-
trit/atu ., 'vel Comitatu ; cioè come fi creava un Duca, un Pa-
trizio, un Conte. Edera bene illuflre la Dignità e condizione
de' Conti . Nella Par. L Cap. V, delle Antich.Edenfi ho io di-
moftrato, che anche i Conti entravano nei ruolo de' Principi.
Hincmaro Arcivefcovo di Rems nell'Opufc. de Ordin. Pai atti
Cap. 35. Similiter ( così fcrive ) Comites , vel hujusyyìodi Prin-
c'tpes hojjorijì cabli Iter a cetera moltitudine primo mane pg'i'^g^--
bantur , quoufque fiie prceje-nte , ftve abfente Rege , occurrerent Ò'c,
Perciò intervenivano anch'elfi co i Duchi, Marchefì, e Vefco-
vi all'elezione del Re d'Italia.
Qltello nondimeno, che rendeva più rilevante la Dignità
de i Conti, era che quantunque non aveffero in Feudo, come
oggidì, qualche Citta , ma folamente in Governo, dipendente
dall'arbitrio del Principe : pure tal Governo fole va elfere (la-
bile , e durava tutta la vita loro. Chi una volta era Conte,
non deponeva quel nobile impiego fé non per falire a gradi
maggiori . Anzi a poco a poco s' introduffe la conluetadine ,
che i Figli o per li meriti del Padre , o coli* ajuto della pecu-
nia , fuccedevano nella Carica ftefìa . Se s'incontra alcuno di
que' tempi , che ceiTaffe dì effere Conte , ciò fi dee credere
avvenuto per qualche fuo demerito, come anche oggidì fuc-
cede ne' Feudi e ValTalli . In uno Strumento di Ambrofio Ve-
fcovo di Lucca dell'Anno 845. fi truova : Manifejìus Jum ego
Aganus olim Comes ^ filius quondam Gunterami , Era (lato, ma
non
Ottava. 71
non era più Conte . Francefco Maria Fiorentini, e Cofimo dal-
la Rena giudicarono , che quello Agano Conte dì Lucca fofTc
ancora Manhefe della Tofcana , rapportando alcune memorie
di lui deli' 838. ed 840. Ma ivi e lolamente detto per ^^z^^-
num Comitem ipfius Civhat'ts , cioè di Lucca . Ne per eflTere
uno Conte o fia Governatore di Lucca, e^li comandava a tutta
la Tolcana . S'incontra all'Anno 857. Hildeprandus Lucce Co-
mes ' e pure Adalberto I. Marcheje reggeva la (lefla Tolcana .
Peraltro, come difli , Ibleva paìiar ne*Figli la llefìa Dignità.
Fra «'li Antenati della Contefla Matilda fi truova in uno Stru-
mento dell* Anno pd/. riferito dal P. Bacchini nella Cronica
di Polirone Adnlbertus qui & Atto gratta Dei Comes Muthien-
fts Ò'c. In un Diploma di Ottone L Augullo dell' Anno 8ó'4.
prefTo rUghelli nell'Append. del Tomo V. Irai. Sac. fi legge
conceduto quel Privilegio, hiterventu & petìtìone Adelherti in-
cliti Comitis Kegienjìs ffve Motinenfis . Ho io prodotto un Pla-
cito tenuto nel Calvello di Carpi l'Anno looi. dà Tedaldo fuo
Figlio , il quale s intitola Teiidaldus Marchio Ò' Comes ijìius
Regen/ts Comitatus. Verifimilmente era anche Conte di Mode-
na, ma parla lolo di Reggio, perchè fu quell'Atto nel terri-
torio Reesiano . Se Bonifazio Marchete Padre della Contelfa
Matilda continuafTe ad elTere Conte di Reggio e di Modena ,
noi so dire . Verifimile è , che ciò iuccedeflTe , e che anche la
Figlia^ governaffe quefte due Citta.
E* ANCHE da avvertire, che gli fte^i Duchi e Marchefi proc-
curavano il reggimento particolare di qualche Citta , e perciò
fi truovano contralegnati ancora col titolo di Conti . Pratica-
vafi lo ftenb anche in Francia. In uno Strumento dell'Anno ^p 8,
prefTo il Baluzio nelle Note a i Capitolari face. 1255?. fi legge:
Ego in Dei nomine Guillelmus Comes Marchio , atque Dux . Cos*i
Adalberto L Marchete di Tolcana , ficcome ofl'ervò il Fioren-
tini nella Vita di Matilda, ora è intitolato D^x, or3. Marchio^
ed ora Comes perchè Governatore di Lucca . Cos'i il celebre
Progenitore de' Principi di Brunluich ed Elfenfi Alberto At;^ IL
in uno Strumento del 1050. è Marchefe , ed infieme Comes Lu-
ne?ìfis Comitatus . Parimente Alberto At^ L tuo Padre fi vede
appellato Marchio itemque Comes. E da un Placito efiftente nel
Moniftero di San Salvatore di Pavia dell'Anno 1014. imparia-
mo, cht Otto Comes Palacii era nello lleflb tempo Co w^-^ hu-
JHs Comitatus Ticinenjis , Fu ancora in ulo, che le lieffe Mo-
gì'
"ji Dissertazione
f,li de* Duchi e Marchefi s'intitolafTero Comejfe . Ugo Re d'
Italia in un Privilegio conceduto alle Monache di San Sifto di
Piacenza nell'Anno p2d. nomina Ermengardam glor'toftjftmam
domiti jfam , KariJJimamque Sororsm rwftram . Fu queita Er-
mengarda MogKc à^i Adalberto Marchile d* Ivrea . Del pari
Berta Madre di lei e del iuddctto Re Ugo, e Moglie di Adal-
berto II. Marcheie di Tofcana , nel ino Epitaffio altro titolo
non porta , che di Conteffa j tuttoché Figlia di Lottarlo Re
della Lorena.
Hoc tegttUY tumulo ComtttJJ^(S corpus humatuyn
Inclyta progen'ies Berta benigna , pia &c.
Qualche elempio nondimeno fi truova in contrario ; AdelaU
de hiftgne'Marchejaìia dtSiifa Tempre s'intitolava Co/;/*?^/?. San
Pier Damiano le da il titolo di Ducbejfa. Anche Beatrice Ma-
dre della Conteffa Matilda, perchè Ducheffa di Tofcana , per
tale s' intitolava . Per lo più Matilda fua Figlia fi chiamava
ComitiJJa ; pure talvolta fi truova col nome di March'tfia ; e
in un Documento delfAnno lo^p. da me dato alla luce, fi fa efla
parlare cosi : Ego Dom?ja Mathilda Ducatrke &c.
Passiamo ora a cercare, onde naiceffe la decadenza de' Con-
ti . Più di una cagione v'intervenne . La prima fu , che na-
fcevano non dirado controverfie fra iVelcovi, e i Conti Go-
vernatori delle Citta e del fuo Contado . Giudicarono perciò
comoda cola i facri Paftori l'ottenere da i Re ed Imperadori
anche il temporal Governo delle loro Citta . Né fu loro diffi-
cile. Abbifognavano i Re di Germania de' Vefcovi per falire lui
Trono d'Italia; ed anche eletti che erano, cercavano di tenerfeli
amici e fedeli. Ma quel che più importa, qualfivoglia Regnante
profetava gran devozione alla Regina Pecunia ; e i Veicovi po-
teano, e fapeano fpendere . Perciò fin prima del Mille otten-
nero alcuni V^efcovi anche la Signoria temporale delle loro
Citta coir ellerne creati Conti . Di ciò ex profeffo parleremo
alCap. 71. Intanto fervira al prefente argomento un Diploma
di Rodolfo Re di Borgogna , che nell* Anno 5?^^. donò il Co-
mitato di Tarantafia a quell'Arcivcfcovo Amizone . Altri Ve-
fcovi non impetrarono la giurisdizione di Conte fopra tutto il
Contado , ma folamente nella Citta e in tre o cinque miglia
all'intorno. Ottone III. Imperadore nello fteffo Anno 5?p5. con-
cedette a Odelrico Vefcovo di Cremona DiJìriHionem Ctvitatis
infra & extra quinque Miliariorum fpatia , Dijìringere volea
dir
Ottava. jj
dir Gafligare , e di Ik nacque la parola Dijiretto , fignificante
tutto quel Territorio di una Citta , dove fi ftendeva la baFia
e podeila del Conte . Fu confermato queflo Privilegio nell'An-
no 103 1. da Corrado Primo fra gl'Imperadori ad Ubaldo Ve-
fcovo di Cremona. Un' altra cagione della depre^jone de' Con-
ti delle Citta , fu l'efìTerfi a poco a poco introdotti ìCo7ìti ru-
rali ^ che dominando in qualche Terra o Cadello, ottenevano
da gli Augnili il titolo e la giurisdizione di Conte in quel Luo-
go , fenza rimaner più fuggetti ali' autorità del Conte , che
governava la Citta . Perciò anticamente fi truovano nel Ge-
novelato i Conti di Lavagna ; e ne' tempi della gran Conteffa
Matilda s'incontrano in Tolcana Comes Guido Guewa , Alber-
tus Comes de Prata^ ed altri fimih. Cosi nel Difìretto di Mo-
dena fi contavano una volta Comites Gommolce . In uno Stru-
mento Lucchele deli' Anno 10^8. un certo Rolando dona al
Moniftero di San Salvatore alcune terre prò remedio animcje ho,
me, LJghicionìs magni Comitis , Ò' Cilict Comitijfcc uxoris fuor ,
Quefti ancora fembra' effere [tato uno de' Conti rurali. E air
Anno 1088. quello Uguccione è chì^m^to Filius quondam Bui-
garelli Comitis, Troviamo ancora all'Anno 1106. Huponem
Comitem jilium quondam Uguiciouis magni Comitis, Ho io in
oltre pubblicato un Documento dell'Anno lopi. efiflente pref-
fo i Benedettini di Reggio, in cui compariice Hucho Comes fi-
lius quondam Bojoni Jìmiliter Comitis de loco , qui dicitur Sa-
bloneda : picciola Citta e Fortezza oggid'i , i cui Signori gode-
vano il titolo di Duchi. Parimente s incontra. Alberto Conte di
Sabbioneta nelle memorie della Conteffa Matilda , e in uno
Strumento del 10^8. fon quelle parole : Albertus Comes , &
Ubertus frater ejus , Comes quoque V^alfredus & Berta uxm^ ejus ,
Matilda etiam Cofijux bo, me: Ugonis Comitis , Né fi dee tace-
re, che nel Bollarlo Cafinenfe Tom. 2. Conftitur. 122. quella
Matilda s'intitola cos'i : Ego Matilda Comitijfa , filia quondam
Regibaldi Comitis de Comitatu Tawifti , & Conjux Uchoni Co-
mitis,, qucE prof e j] a fum ego ipfa Matilda ex Natione me a Le-
go i:ivere Langobardorum , Jed nunc prò ipjo Viro meo Lege vi-
vere Alamannoruyn ,
Campo qui s'apre per indagare, cofa s'abbia da intendere,
allorché nelle vecchie Carte s' incontra la formola Comes de
Comitatu^ reftando incerto, fé fignifichi il Conte o fia Gover-
natore o Signore della Citta , o pure un Conte, che pofìedef-
Tomo L K fé
7+ Dissertazione
fé uno o più Caflella in quel Contado e Diflretto . In uno'
Strumento dell'Anno iodi, fi legge Garm-do filius quo?2dam Mo-
ratìdo^ qui juit filìus ho. ine, Domni Girardi Comitis de Comi'
tatù Imolenfts. Siofìervi, che prefTo il P. Bacchini nella Sto-
ria del Moniftero di Polironc è nominato Ubertus filìus quon^
dam Arduiìit Comitis Pnrmenfìs ^ ne gli Anni i05?o. e 10^5. E
pure in due Strumenti di Reggio da me pubb.icati , e Ipet-
tanti a gli Anni 1054. e iod2. {mxwom^l Arduinus Comes de Co-
mitatu TaYrnetìfie . E prefìo il Margarino Tom. 2. Conflit. 115?.
del Bollarlo Cafinenfe 5 è "iXì^mo^zio Ubertus C omes ^ fili us quon-
dam Ar duini ^ itemque Comitis de Comitatu Parmenjì ^ nell'An-
no 10^5. Adunque lembra che tal Formola veramente figni-
fìcalTe chi era Conte della Citta, le non che in que' tempi noi
troviamo , che i Vefcovi di Parma ottennero da gli Augufli
Parmefìfem Comitatum tam infra Urbem ^ quam extra ^ come co-
fta da i Documenti pubblicati dal Bordoni nel Tef. della Chie-
fa di Parma. Incerto è parimente , fé la Formola deComitatu
fenza la giunta ò'\ Comes fignificafTe un Conte di elfo Contado,
o pure lolamente il Luogo, dove quel Signore abitava. In uno
Strumento del iop2. fi vede Adelaxe filia Ugoni Comes , &
relióla quo/idam Widonis de Comitatu Farmenfts . In un altro
del iiii. Berta Filia quondam Gerardi , Ò' reliBa quondam
Walfredi de Comitatu Trivixino , fa una donazione . Abbiam
veduto poco fa nominato in uno Strumento del 105)8. Comes
quoque Walfredus^ & Berta uxorejus. Adunque parrebbe, che
il medefimo foife (lato il dire Comes Tarvi/inus^ e deComita-
tu Tarvifmo, Due Strumenti pubblicò il Bacchini nella Storia
di Poìirone . Nel primo dell'Anno 1045. è menzionata Gisla
filia Arduini filium quondam Attonis de Comitatu Parmenfi .
Se qui fi parla di Arduino mentovato di lopra , egli era Co-
mes Parmenfis , o pure Comes de Comitatu Parmense . Nel fe-
condo fpettante all'Anno 5^5 8. fi legge Atto filio quondam At-
toni de Comitatu Parmenfe , il quale confeffa di avere ricevuto
leflanra lire di denari ab Adalberto qui & Atto Confobrino tneo ^
filio quondam Sigefredi de Comitatu Lue enfi , Qiielio Adalberto
Azzo è il Bifavolo della Conted'a Matilda . Di Sigefredo iuo
Padre ecco ciò , che dice Donizone nel Libro L Cap. 2. della
Vita di Matilda.
Atto fuit primus Priticeps , a flatus ut hidrus ,
Nobiliter vero fuit ortus de Sigefredo
Principe preclaro Lucenft de Comitatu*
Ottava. 75
S'ha egli da dire , che Sigefredo fofle Conte di Lucca , mafli-
mamente confiderando , che Donizone l'intitola Prìncipe^ di-
flinzione in que' tempi conveniente a i Ioli Vefcovi , Duchi ,
Marchefi , e Conti ? Io non olo aiTerirlo , perchè in niuno de
oh Strumenti di Adalberto Azzo fuo Figho egU ha il titolo
di Conte .
Torniamo ora a i Conti rurali. QLiefti fi truovano anche
prima del Mille. Nella Cronica del Moniflero del Volturno in
uno Strumento dell'Anno ^88. abbiamo Lande?ìolfo Conte del
Cajìello di Lalinulo. E in un Diploma di Ugo e Lottario Re-
gi d'Italia del 554^. fi parla di beni pofTeduti a Gropardo Ko-
ìyiìte de Cajìro Fo7itaneto . Tanto a poco a poco andarono cre-
fcendo si tatti Conti , fmembrando ora quella, ed ora quell'
ahra Terra , Caftello , e Villa dal Diilretto delle Citta, che
qu^eile fi ridalle ro ad aver poco territorio; e i Conti Secolari,
e pofcia i Vefcovi creati Conti per quella ragione non iften-
devano molto lungi la loro giurisdizione. Svanirono finalmen-
te i Conti delle Citta , allorché quelle ripigliarono la Libert'a
e divennero Repubbliche, ficcome diremo al iuo luogo. Oltre
a i Corni furono anticamente in ufo i Vicecotiti , Dignità mol-
to filmata . Se col nome di Vicarj nominati nelle antiche Leg-
gi s'abbiano ad intendere i Viceconti, fi può mettere in difpu-
ta. Pare nondimeno che fofie cosi; perciocché dandofi in tut-
ti quafi i pubblici Ufizj un Vicario , di quefto abbifognavano
più de gli altri i Conti Governatori delle Citta , ficcome per-
fonaggi , che o per malattie, o per dover paflare alla guerra,
o perchè chiamati alla Corte, non poteano fempre afliftere al
governo: laonde conveniva, che aveffero un Luogotenente o
fia Vicario , appellato perciò Vicecoynes o fia Viceconte ^ nome
che poi pafsò in quello di Fi/conte. Menzione di quefti fi truo-
va fino ne'tem.pi di San Gregorio il Grande. Neil' Epift. 18.
del Lib. 8. Ind. i. feri vendo ad Agnello Vefcovo diTerracina,
dice : Scripftmus autem & Mauro Vicecomiti , ut Fraternitati
vejìrce iìi hac re debeat adhibere folatia. Nel Corpo delle Leg-
gi Longobardiche al Lib. 2. Tit. 30. Legge 2. Carlo Magno or-
dina, che non fi pollano vendere Schiavi fé non alla prefenza
del Veicovo ec. De ma?icipiis^ qua venduntur^ ut in pr<£fentia
Epifcopi , 'vel Comitis fmt 'vendita , aut Archidiaconi , & Ce/i-
tenarii^ aut Vie e domini ^ aut Vicejudicis^ njel Vicecomitis, Il Ba-
luzio tralaicia la voce Vicecomitis , e legge Vicedomini , auì
K z Judi^
7^ DlSSCRTAZIONE
Jv.dkis Comttts. Ma nel Mfto. ERenfe veramente fi legge Vt-
cecomitis . In im Capitolare di Carlo Calvo Re de' Franchi all'
Anno 8(^4. fi legge : Habcnt unusqv.hque Comes ^ tn cujus Comì-
tntu Moììctam ( la Zecca ) effe jujjìmus , V'tcecomìtem jumn ,
qui cum duobus &c. Ed Agobardo nel Trattato dell' infolenza
de' Giudei , fcrive : Veìitcìites Judcci dcdermjt m'thì Lid'tculum
ey: nomine njeftro ^ Ù* alterum et , qui Pagum Lugdunenfem Vi-
ce Comttts regit . La voce Fagus non fignifìca qualche Cartel-
lo o Villa , ma bens'i un Paele, e qui vuol dire tanto la Cit-
ta , che il territorio di Lione . Molto piti antica nondimeno
fi fcorgera la Carica de' Viceconti, quando veramente la Vita
di San Mauro Abbate fia fattura di Faufto Monaco fuo contem-
poraneo, che fi legge ne gli Atti Benedettini del P. Mabillone,
effendo ivi fcritto : PnsdiHus dsnique njìr Florus^ quum Ì7Z om-
ni Reg?ìo Theoàshenì Kegis fummam ohtineret poteftatem , ac
Vice Comitis in Andecavenfi eo tempore fungeretur Pago . Non
so io dire, fé più d'un Viceconte una volta avefiero i Conti;
certo è folamente , che con quello nome s' intendeva il Luo-
gotenente del Conte sì nella Citta , che nel Territorio . Un
belliffimo Placito dell'Anno 880. efiftente nell'Archivio di San
Zenone di Verona, ho io pubblicato, in cui (ì truova y^^'n^^-
]^ari Vicecomes Ci'vitatis Verone?iJts in 'vice Walifrit Comitis .
Che Carlo il Grofìo Re non folle coronato Imperadore in Ro-
ma nel Natale del fuddetto Anno 880. come ftimò il P. Pagi
fi deduce da quefto Documento. Parimente in uno Strumento
dell' Archivio Ambrofiano , forfè ipettante alF Anno 870. fi
vede Amalricus Vicecomes Civitatis Mediolanenjìs^ Filius quon-
dam 'W al devici , qui fuit Vicecomes ipjius Civitatis , per pampa-
num njitis ^ Ù' cidtelluyn ^ feo fejìugmn nodatum &c. parole in-
dicanti, che cofrui era di Nazione Salica o fia Franzefe . Fi-
nalmente ho io pubblicato un Diploma dell' Archivio della
Cattedrale di Reggio , in cui Lamberto Imperadore nell'An-
no 85? 5. dona una Corticella Ingelberto nomine^ fcilicet Viceco-
miti Parmenji ,
Che apparteneffe a i Conti l'eleggerfi il Viceconte , retta-
mente Io argomentò il Baluzio da una Epiftola di Agobardo
a Manfredi , dove parlando di Bertmondo Conte, o fia Gover-
natore di Lione, cosi fcrive : ^ui bcìie fatis habeat ovdinatum
de juftttiis Comitatum Juum : eo quod Virum Pro fé confiituc-
rit ad base per agenda^ qui non jolum propter amorem & timo-
rem
Ottava. 77
rem Seniorh fui td flrenue gerat &c. Ed allorché erano aifenti
i Conti , Ufizio era de' Viceconti i'afliftere alle liti. Dal Du-
Cange è fatta menzione di un Placito tenuto in Vienna del
Delfinato nell'Anno 8^3. in cui fono quelle parole : Veniem
Witfridus Ecclefi'X Sant'i Maurìcn Advocatus puhlice hi Vtennam
Ctvitatem in prccfcntia Dom?ii Ardoìnì ejusdem EccUft(S 'venera-
bilis Jvcìjìepijcopi , & Erluini Vkecomìtis MiJJi Illujìris Bofonìs
&c, Eflendo nondimeno coftui Melfo , la (uà autorità fu in tal
cafo delegata. Efembra, che da i Viceconti non fi decideffe-
ro fé non le Caufe lievi criminali, perciocché nella Legge dp.
di Carlo M. fra le Longobardiche viene ordinato, Up ante Vi-
cayios nulla crimìnalis aHìo definìatur , n'tft tantum leviores
cauffce^ quce facile pojfunt judkari . Ma forfè fotto nome di
Vtcarj venivano i Giudici Rurali. Varia fu poi la fortuna de'
Viceconti . Colf eifere celTati in tante Citta d' Italia i Conti
Governatori delle medefime, ceffarono anche i Viceconti. Ma
o fia che i Conti Rurali aveffero o deftinaffero de i loro Luo-
gotenenti con titolo di Viceconti ; o pure che gli antichi Vice-
conti poffedeifero qualche Caflello o Villa di lor Patrimonio
o Feudo : certo è , che da li innanzi ancora durò il titolo de'
Viceconti ^ appellati Vifconti . La meta Vicecomitatus de Valle
Tellina fu nell'Anno 1006. donato dal Santo Imperadore Ar-
rigo ad Eberardo Vefcovo di Como. In Francia furono cofpi-
cui i Vilconti di Segur^ di Alhujfon^ di Comboin ^ dellaTorre ^
oggidì di Turena ^ diVentadur ec. perciocché quello Titolo,
con qualche Feudo, paffava ne' loro Figli e Difcendenti.
Quanto all'Italia, affatto è venuto meno F Ufizio de' Vis-
conti; che una volta era molto cofpicuo. Donizone nel Lib. L
Cap. 13. della Vita di Matilda racconta, fé pure è da credere,
che venuto in Italia nell'Anno 1046'. Arrigo II. tra gl'Impe-
radori, Alberto Viiconte , fervo del Duca e Marchefe Bonifa-
zio^ gli donò cento Cavalli, e ducento Aflorri .
Tunc Comes Albertus Vice , dives maxime , Sewus
Prcvdióiique Ducis , habitator & ipfius Urbis ,
Qornipedes centum &c. Jimul obtulit ultro.
Stupì a s\ magnifico regalo l'Augufto Principe, e diffe :
^uis 'uir habet Ser'vos , quales Bonifacius ?
Dovea eifere quefto Alberto Valfallo del Marchefe Bonifazio ,
e per lui Governatore di Mantova. Anche in Italia paffava in
Eredita il titolo di Viiconte , attaccato a qualche Feudo . In
Pia-
••■A.
V
78 Dissertazione
Piacenza fu fommamente riguardevole quella de' Vifconti ,
onde fcele il Beato Gregorio X. Papa , che terminò i fuoi gior-
ni in Arezzo nell'Anno 127^. Era quella Famiglia diverla dall'
altra infigne de' Vifconti di Milano. O fia che quelli Vifconti
una volta foflero Vicarj e Luogotenenti del Conte di Milano ,
o pure governaffero con tal titolo qualche tratto di paefe, di
cui fofTe Conte l'Arcivefcovo di Milano : Certo è , che Nobili
di molto erano prima ancora del loro dominio in efla Citta
di Milano . Landolfo feniore Storico fa menzione di un Eri-
prando Vifconte ; e Galvano Fiamma nel Manip. Fior, di un Ot-
tone Vijconte . Giorgio Merula, Trillano Calchi, Paolo Giovio,
ed altri annoverarono quelli due perfonaggi fra gli Antenati
de' Vifconti Milanefi, fé con fondamento, noi so dire. Chigran-
de diventa oggi , facilmente truova chi il fa tale anche ne'
precedenti Secoh . Circa il 1263. fotto l'Arcivefcovo Ottone
cominciò la potenza di quella Cafa , albero maeftofo , di cui
in fine fi feccarono le radici . Ottone Morena nella Storia di
Lodi all'Anno II 55. ài im Ugo Vi (e otite ^ che co i Milaneli an-
dò al foccorfo di Tortona ; ma fenza poter noi dire, qual fof-
fe la Famiglia fua . Davad una volta il titolo di Vifconte ai
Governatori di qualche Caflello . In uno Strum.ento del iipS.
Petro?2Ìanus Vicecomes governava un paefe, di cui era Conte il
Vefcovo di Viterbo . Solevano particolarmente i vecchi Mar-
chefi Eilenlì chiamar Vifconti i Podefìa o Governatori delle lor
Terre e Caftella. Perciò in una Donazione fatta daAzzoVIL
Marchefe d'Elle nel 1235. fi truova Dominus Fulco Graffus de
Lendenaria Viceconies illius Marchionis . E in uno Strumento
del 1252. Dominus Ecelinus Vicecomes Domini A^ipnis Efìenjis &
Anconitani Marchionis in Figheruolo.
Finalmente fi vuol offervare , che nel governo delle Citta
erano una volta dellinati i fuoi proventi al Conte Governato-
re. Nella Legge Longobardica 127. di Carlo M, pare , che fi
lafci al Conte la terza parte delle condanne Criminali ; ed è
poi ciò eiprelfo nella Legge fegnente 128. Heribanmim (cioè
la pena di chi non andava all' Armata ) Comes exaHare tion
pYdefumat : nifi Mijfus nofìer prius Heribannum ad partem ìio-
fìram recipiat ^ & ei [ cioè al Conte ) fuam tertia?n partem
exinde per jujftonem nofìram donet , Sappiamo da Ottone Fri-
fingenfe Lib. I. Cap. 31. de Geli. Frider. che fi praticava la
ilelfa regola in Ungheria, elfendo divifo quel Regno in fettan-
ta
Ottava. jg
ta Comitati ; & de omm juflma ad Fifctim Regìum duas lucri
partes cedere , tertìam taìitum Corniti remanere . Era in oltre
aflegnato ai Conti, e Viceconti il godimento di alcuni pode-
ri . Neir Invellitnra della Contea di Verona data da Federi-
go I. Auguilo a Bonifazio Conte di San Bonifazio, fi legge, cum
ftiis J uri bus & prove?! fiùus . E Corrado I. tra gli Augufti nel
creare Conte di Modena Ingone Velcovo della ftefla Citta, gli
concede atmiia , quce vocnta junt Public a , Fife ali a , Gomita-
lia^ aut Viceconùpalia ^ come cofta dal fuo Diploma dell'An-
no 1038. da me dato alla luce. E quello bafti de' Conti, il
titolo de* quali fi truova oggidì s'i moltiplicato in tante Citta
d'Italia, che ognun fel procaccia per far intendere, ch'egli è
Nobile. Chi nondimeno lo gode con Feudo nobile unito, ri-
tiene gran parte del pregio de gli antichi Conti.
De i MeJJi Regali , 0 fta de Giudici Jìraordinarj .
DISSERTAZIONE NONA.
NON badò a i Regnanti di que' Secoli, che noi chiamia-
mo barbarici , per mantenere la Giuflizia fra i lor Po-
poli, l'avere \Gonti del Pai a^^ -^ 1 Duci , Marchefi, Conti,
ed altri inferiori Giudici, deltinati a quello importante impie-
go. Non badò l'intervenire fovente anche gli lìefli Re ed Im-
peradori ( ficcome moftreremo al Cap. 31. ) a i Placiti in com-
pagnia di efli Giudici . Peniarono effi ancora a deputar Giudi-
ci (Iraordinarj, o prefi dalla Corte , o icelii nelle Provincie,
i quali provveduti di un'ampia autorità Icorrefiero per tutto il
Regno per conolcere, fé era fatta Giuftizia , o fé alcuno fi do-
lelfe di non averla ottenuta , e con facoltà di correggere tutti
i difetti ed ecceffi degli fteffi Conti , e d'ogni altro Miniilro
della Giuflizia . Si chiamavano quefli tali MiJJi Regii ^ ^^^Jfi
àijcurrcntes^ MiJJl Dominici ^ Regii Legati^ per tacere altri no-
mi. Iliitutore d'effi nella Francia fembra effere (lato l'mfigne
Re ed Imperadore Carlo Magno, Principe di gran mente, e
di buon cuore , che tanti altri Riti e nuove Leogi formò tutte
commendabili ed utili a i Popoli fuoi , e eh' egli introduccfle
queft'ufo anche all' Italia. Veramente , ficcome vedremo al
Cap. 74. anche nell'Anno 715. regnante il Re Liutprando ,
temi-
8o Dissertazione
tenuto fu un Placito, o fia Giudizio in Toicana, dove quattro
Vefcovi una cum M'iJfoExcellentiJJimi Dcmni Liutprandi Regis ^
nomine Gumer'iafìo Notarlo^ fu dibattuta una controveiTia fra i
Vefcovi di i\rezzo e di Siena . Ma quel Meffo non pare che
abbia che fare con quelli, de' quali fiam per parlare, perchè
egli era delegato folamente per quella Caufa , e non per tutte
le Giuftizie : laddove gì' inilituti da Carlo M. aveano facoltà
per ogni controverfia criminale e civile . Conofceva quel fag-
gio Monarca, a quanti incomodi, a quante male arti fofle fotto-
podo il governo de' Popoli. Ancorché mai non manchino Giu-
dici dotti e timorati di Dio, pure ve n'ha fempre alcuno di
tempra diveria, che non fi fanno fcrupolo di vendere la Giu-
flizia , che fon tratti fuori di ftrada dalle predilezioni , dagli
odj , e da altre paffioni . Si mirano anche talvolta le Caufe
de' Poveri , delle Vedove, e de i Pupilli in malo (iato, ed op-
preffi i men potenti da i più potenti. Forfè anche più s'incon-
trava quello dilordine a' tempi di Carlo M. Il perchè determi-
nò egli , che di tanto intanto alcuni de' più fa vj e dabbene fi.
portaiTero per le Provincie, a fin di cercare , fé v'erano fcon-
certi nella GiuRizia , e colla lor prudenza ed autorità vi rime-
diafl'ero . Q_ualche ufo di quello falutevol rimedio talvolta fi.
truova prefio gli antichi Romani, e lo vediam tuttavia in cer-
ta guiia olfervato dalla prudentiffnna Repubblica di Venezia
con gran vantaggio de' Sudditi Tuoi.
Portavano dunque feco gli antichi Meffi , o vogliam dire
Giudici ftraordinarj, un'autorità luperiore a quella dei Duchi,
Marchefi , e Conti ; e perciocché eifendofi lui principio con-
ceduto quefl' impiego a Vafli o fia Cortigiani , che pativano
il male della povertà , fi trovò , che talora Medici tali atten-
devano più al guadagno proprio , che alla cura de' pubblici
mali : il faggio Imperadore cominciò a valerfi per quella fun-
zione di perfonaggi maggiori di ogni eccezione, e non bifognofi
di fucciare l'altrui fangue. All' Anno 802. negli Annali Lambe-
ciani {{ legge di effo Auguflo : Kecordafus m'tfericordi(S fu^ de
pduper'ìbus , qui in Regno juo erant , & juft'ttìas fuas plenìter
habere non poter ant , nolu'tt de hifra Falatìo pauperiores Vajfos
ftios transmmere ad jujì'ttias fac'tendum propter munera ; fedele-
gtt in Regno fuo Archiepifcopos , (IT reliquos Epifcopos , & Abha-
tes , cuyn Ditctbus & Comitibus , qui jam opus non habebant fu-
per innocentes munera accipere ; & ipj'os mifit per univerfurn
Re-
Nona. gr
Regnuyn fuum^ ut Ecclefiis^ Viduìs^ & Orphams ^ & pauperì-
bus ^ & cu?7Bo F apulo juftttiam facerent . L'autorità di eli era
ordinariamente riftretta ad una o pure a più Provincie, e que-
lla fi appellava iVf/^/7r/Vf/w. Cola giunti che erano, fpiegava-
no le lor Patenti, ed invitavano chiunque ne avefìfe biiogno a
ricorrere al loro Tribunale per ottener Giuftizia , intitolandofi
MiJJt ad fi?2gulcrum hom'inum juftìùas fac'tandas & del'tberan-
das. In un Placito dell'Anno looo. tenuto nel territorio di Lo-
di fi vede , che Benzone MelTo di Ottone IIL Augufto fa leg-
gere prima la fua Patente , che foleva chiamarfi Tra6ioria .
E perciocché Miniflri tali non fi fermavano ordinariamente
nelle Citta, ma fcorrevano pel paefe , tenendo Giudizio , do-
vunque occorreva, perciò furono appellati M/^ difcurrentes ,
Confervafi nel Moniiìero Ambrofiano un Placito tenuto in Mi-
lano nell'Anno pi 8. il cui principio è quello: Dum in Dei
7iom'tne , Cìvifarc Mediolani , Cune Ducati , in laubia ejusdem
Curtisy ifi /u die io rejìderet Berengarius Nepus & Mijfus Domni
& glorio fi JJi mi Berengarii ScreniJJìmi Imper atavi s ^ Avio Ò' Se-
nior ejus , qui in Comitatu Mediolanetije ab ipfo Imperatore ef-
fet conjìitutus tamquam Comes & Mijfus difcurrens &c, edam
Epiftola figtllata ab anulo idem Domni Imperatoris hic in ipfo
Judicio oftenfa fuit & releBa , i'a qua continebatur , ut Beren-
garius Nepus idem Domni Imperatoris Mifjus ejfet con flit utus &e,
Truovafi qui Curte Ducati , nome xhe fembra durar tuttavia
nel Luogo appellato il Cordufo in m.ezzo alla Citta di Milano,
formato dall'abbreviato di Cortis Ducis . Qjiel Berengario che
qui nomato viene Nipote di Berengario L Augufto , quel me-
defimo è, che dopo Ugo e Lottarlo fu poi Re d' Italia . Adal-
berto Marchefe d'Ivrea fuo Padre avea , per atteftato di Liut-
prando, in Moghe Gisla Figlia dell' Imperador fuddetto . Non
intervenne a quel Placito il Conte di Milano , forfè perchè
malato o lontano, ma bensì vi fu prelènte Rotgerius Vicecomes
ejusdem Mediolanenjts Civitatis . Per altro , allorché i Melfi te-
neano Giudizio , anche i Conti o per onore o per neceffita vi
doveano afiifiere . In un Placito tenuto in Padova da i Mefll
di Arrigo IV. Re fi truovano ancora Domnus Oldericus Epifro-
pus , & Albertus Comes hujus Civitatis Patavienfs . Alle volte
né pure i Melfi Regii poteano terminare una Caufa , e quefla
veniva portata all'Udienza dello fiefib Re odimperadore, che
non fi efentava dall' udirla e deciderla: del che abbiamo la te-
Tomo I, L filmo-
?>z Dissertazione
flimonianza in un Diploma di Lottarlo I. Augudo dell'anno 833.
dove lo ftefTo Augufio da la fentenza in favore del Moniftero
Veronele di San Zenone contra Garardo Conte, non so fé di
Verona o di Mantova. Quefto Documento, in cui è fatta men-
zione di Rntaldo Vefconjo di Verona^ ferve a carreggere alcuni
sbagli deirUghelIi nella ferie de' Velcovi di quella Citta. Era
la lite per la Selva OJìiglìa , Terra oggidì del Mantovano ,
ma fpettante allora al Contado di Verona. Parte di effa Selva
apparteneva al Moniftero Nonantolano, pervenuta ad eflb per
eredita del Conte Anfelmo^ e que' Monaci pretendevano ingiu-
ftamente tolta loro quella porzione dal Conte di V^erona . Huc-
poldus Comis ipjìus Civitatis egli è nommato . Ora fi tenne un
Placito nell'Anno 820. prefTo il Fiume Mincio, dove Kataldus
Epifcopus Mijfo Domni Jmperator'ts ad fingulorum hom'tnum de^
liverandas ìnteììt'tones , fece la prima figura , e feco ledevano
Andreas Ep'tjcopus Vicentinus ( ommeffo dall' Ughelli nell'Italia
facra ) C!^ ipje Hucpoldus Comis , Sevodo Comis de Mantua &€*
Furono in quel litigio vincitori i Monaci Nonantolani.
AvvEGNACCHE^ tanta foffe l'autorità de i Melfi Regali, pu-
re tenendo elfi Giudizio fuori del Regio Palazzo , e in Caia
altrui, come fovente accadeva, erano tenuti a chiedere licen-
za dal padrone della medefima per poter quivi alzar tribuna-
le ; e quefta licenza fi elprimeva nella fentenza , affinchè in
avvenire non foffe quell'edifizio tenuto per Luogo pubblico .
Lo fieffo praticavano ancora i Marchefi e Conti . Prefi dall'
tArchivio di San Salvatore di Pavia un Placito dell'Anno P45.
il cui principio è tale ; Du77ì in Dei ?ìomine , in Civitate Re-
ggio , infra claujìva & domum SanHa Maria Mater Ecclejìcv , &
Epifcopio ijìius Regie?jjis , i?i Sala , que e fi in latere ipftus Ec-
clejìe ^ & in Lanhia (Loggia) que e fi ante Carni nata 'Dormito-
vii ipfius Sale , in judicio rejideret lldoinus Vajfus Donni Aribal-
di Epifcopi ipjìus Sedis , per data licentia , & Mijfius Domni
Ugonis gloriofijftmi Regis , es ne cauja ab eo confiitutus . Cos\
in un altro Placito Veronefe dell'Anno 1023. leggiamo : Dum
in Dei nomÌ7ie , C ivi tate Verona in domo Epifcopi i SanBe Sedis
Veroncnjts Ecclejie , in Laubia majore , que efiat fuper flumen
Athefi ^ per data licentia Domni Job anni Epijcopi ipfius SanBe
Verone'nfis Ecclefie , i?i judicio reftderet Domnus Tado Comes ifiius
Comitatus Verone?ifts ad jufiitias facieìidas bac deliberandas &c,
Bilognava anche far tale dichiarazione 5 ancorché fi teneffe il
giù-
Nona. &|
giudizio in Cafa di private perfone , ficcome apparifce da un
Documento dell' Archivio Aìiibrofiano fpettante all'Anno 1035.
dove abbiamo quelle parole : Dum in Dei nomine , Civipatc
Mediolani , in maìifione Petri Negotiatoris , filii quondam Jo-
banni^ pev ejus data licentia^ insudicio adejfct Arialdus Judex
(y MijTus Domni Chtmradi Imperatoris ex ac caufa ab eo con-
Jiitutus &c. Aveano poi i Meffi Regii facoltà di Ibttodelegare
altri Giudici per aiTiflere a i Placiti, e decidere le controverfìe.
Come coda da un altro Placito deli' Archivio medefirno tenuto
ncir Anno 844. dove fi legge : Dum in Dei nomine per admo-
nicionem Domni Angelberti Archicpifcopo Ò' Miffo Domni Impe»
raforis . . . cum rejedifemus nos Johnnnes Comis^ Gun^ Vicedo^
mino in claufura Sanóli Amhrofti foris Ci'vipate Mediolano &c^
Sceglievanfi dunque , ficcome dirti , a quefto nobile impiego
perlbne ricche e riguardevoli , nelle quali non cadeffe iolpetto
di tradir la Giuftizia, come Conti, Vefcovi, ed Abbati : il che
fi truova confermato dalla Cronica Moiffìacenfe prefTo il D11-.
Chefne . E a quefli MeOTi erano obbligate le Provincie di foni-
miniftrar cavalli ed alimenti fecondo la tafla delle Leggi, una
delle quali è attribuita a Lodovico Pio Auguflo . Con/eólum fi
appellava quella contribuzione, ed ognuno pagava a rata del
fuo avere . Ma non la poteano efigere i Melfi , qualora efer-.
citavano il fuddetto Ufìzio entro il fuo Contado o Diocefi ,'^^
aut prope fuum Beneficium confiflebant ; e però folamente era
loro dovuta, fé giudicavano lungi di la, come apparifce dal-
la Legge LIV. fra le Longobardiche di Lodovico Pio . Tutta-
via tale era l'utile , che ne proveniva ai PopoU , che lieve
dovea lor parere l'aggravio.
Pertanto fi proccurava di commettere si fatto Miniftero
a perfone pie, dotte, ed incorrotte. Neil' Anno 858. i Veicovi
congregati in Carifiaco Palatio cosi fcrivevano al Re Lodovico
nel Cap. 14. della loro Lettera: MiJJos etiam tales perRegnum
conjìituite ^ qui [ciant ^ qualiter Comites '& ceteri Minijìri jufti-
tiam & judicimn Populo facianf ; qui Jicut Coynitibus praeponun--
tur ^ ita fcientia ^ jujìitia ^ ac veritate eis pra-emineant , Sopra
tutto poi s' incaricava a quelli Giudici Itraordinarj e fuperiori
a i Conti Giudici ordinar;, ut Eccleftarum Dei jufiitias^ vidua-
rum quoque , & orphanorum , jed & ceterorum hominum in-
quirerent Ù" perficerent ; Ò" quodcumque emendandum ejfet ,
cmcìidare Jìudcrtnt^ in quantum melius pojfent ; & quod emen^
L 2 dare
84* Dissertazione
dnre per fé nequ'ìvtffent , iti prafentia Imperatorìs adduci face-
rent , Son querte parole di Frodoardo nel Libro 2. Gap. 18.
della Storia di Rems, coerenti alle ulate da Lodovico II. Au-
guro nel Capitolare di Pavia . Incumbenza loro eziandio fu
li fare ridorare i Pomi pubblici , come s' ha dalla Legge 36".
di Lodovico Pio , e i PalaT:^ Regali per decente albergo de
gli Augufti, ogni volta che occorreva il bifogno. Era parimen-
te ordinato loro di deporre i cattivi Se abini ^ e i Giudici mal-
vagi con foftituirne de' buoni . Che fé taluno ricufava di efe-
guire il determinato da loro per giufiizia, in cafa di lui fi fer-
mavano, e dalle di lui facoltà prendevano il vitto. Saggiamen-
te ancora ordinò Lodovico Pio nella Legge cinquantefima del-
le Longobarde , ut in illius Comitts ?niniJlerio , qui bene ju-
fìitias faólas habet , Miffi ?iofìri diutius non morentur ; fed ibi
moras faciant , ubi j ufi trias njel minus 'uel negligenter fa6las in-
menerint . Similmente lor cura avea da effere, che non corref-
fe Moneta falfa ; che fi puniffero i Ladri ; che fi provedefTe
alle nemicizie private ; che fi toglieflero le Gabelle ingiufte y
e le Confuetudini inique e i Tributi iflituiti di nuovo , ed altri
fimili aggravj indebiti del Pubblico. E caio che non potefiero
rimediarvi , lo riferiffero all'Imperadore , come abbiamo dalla
Legge 35. di Lodovico Pio Augnilo. Intorno a che fpezialmen-
te è da vedere il Poema di Ermolao Nigello Scrittore di quei
tempi, dame dato alla luce.
Ne' folamente doveano i Melfi emendare le corruttele dei
Secolari , ma eziandio fi ordinava loro di efammar la condot-
ta de gli Ecclefiaflici . Cioè fé i Vcicovi ed Abbati efercitava-
no a dovere il lor Minilìero , e fé aggravavano in qualche
maniera il loro gregge ; fé alcuno de' Sacri Minillri dilapidale
i beni de gh Spedali , Monilìerj , e Chiefe , o iniquamente li
concedeffe a livello. Se i Canonici, fpezialmente allora iftitui-
ti, offervaifero elattamente la loro Regola, e viveifero fotto il
medefimo tetto con buoni coftumi e concordia fraterna. Mo-
nafteria Monachorum ^ & puellarum ^ & Senodochia circumeant.
Si unde adminifìrentur , debita obfequia habeant^ & concordi-
ter degant ^ iuquirant, ^uidquid inordmatum repererint ^ regu-
lariter corrigant . Cosi ordinò Lodovico IL Auguilo nell' An-
no 855. come s' ha dal fuo Capitolare da me pubblicato fra
le Leggi Longobardiche . A quello fine ufo fu de gli Augudi
Franzefi di deputar Vefcovi ed Abbati , come piì^i proprj per
cono-
Nona. 85
conofcere ciò, che conveniva all'uno e l'altro Clero, e allelacre
Vergini per corree;gere qualunque abulo e diiordine . E per-
ciò Pippino Re d'Italia nella Legge 21. Longobardica , dice
di avere inviati per Mefli vitium Monachum , & alium Cappe!-
lanum infra Rcgnum noflnim , provici e ?ì cium n)el inquirendum
per Monajìeria Virorum ac Puellannn , quomodo efl eorum ha-
bitatio , aut cotiverjatio eorum , Ò^ quomodo quodque Monaftc-
rium debeat hahere unde 'vivere pojjlt . Era perciò ordinato ,
che anche il Vefcovo della Citta intervenire co i MefTì per
proccurar la correzione e il bene del Clero e de i Monifterj .
Ed ecco quai belli e faggi regolamenti pei pubblico bene avef-
fero gli antichi Re^^nanti . Comunemente fi crede , che quei
foflero tempi pieni di barbarie e di mali umori; ed alcuni de'
noftri LegilH chiamano afinine le Leggi di allora . Potrà il
Lettore con tali notizie giudicar meglio dello flato de' vecchi
Secoli .
Ne vo' lafciar di dire, anche anticamente avere ufato al-
cuno de'Vefcovi, Duchi, Marchefi, e Conti ( che quedi era-
no i Principi di allora ) di fare la lor fottofcrizione in lettere
majufcole , per diftinguerfi da gli altri inferiori . In un Placito
Lncchefe dell'Anno 1055. che ha quello principio : Dum in
Dei nomine , in Palatio Domini Imperatori s , qui eft prope Mu-
ris de Civitate Lucae ( perchè, ficcome fi dira a ino luogo , i
Popoli non volevano Palazzo dell' Imperadore in Citta) in ju-
dicio refcdijfet Domnus Eberardus Epijcopus , Miffus Domni Im-
peratoris ad caufas audicndas &c. La lua fottofcrizione è que-
lla , diverfa da quella d'altri: EGO EBERHARDUS EPS
MISSUS IMPERATORIS SUBSCRIPSI. Né folamente gran
Signori venivano deftinati per MefTì , ma anche talvolta per-
fone di minor conto , benché folamente per alcune determina-
te Caufe . Nell'Archivio de' Canonici di Cremona vidi un Pla-
cito dell' Anno 5)75. con queflo principio: Dum in Dei nomi-
ne^ Civitate Papia in Curte propria Adami qui & Amfzo Ju-
dex , per data licentia , in judicio reftderet Waltarius Judcx Ò*
Mijfus Domni Impcratoris ad jujìitiasfaciendas ac deliberandas Ù'c,
Altri fimili eiempli fi truovano. Allorché poi tenevano i più
riguardevoli Meffi qualche Placito , o fia pubbhco Giudizio ,
erano tenuti i Vefcovi e Conti , purché legittimamente non
foflero impediti, ad intervenirvi . Parimente a tenor delle Leg-
gi vi aflidevano ì Giudici q o^ì Scavini^ oltre a molti teftiino-
8(5 Dissertazione
nj per onorar que' Magnati . In un bellifTuno Giudizio o Pla-
cito dell'Anno 827. tenuto nella Citta di Torino fon da leg-
gere quelle parole : In Dei nomine . Nomia Judicaù qualìter
/lòia vel definirà e fi caufa^ cium Bofo Comes ^ vel Mifif^o Domnì
Imperatoris refidijfiet infra Ci'vitate Taurinenjts Curtis Ducati ,
in Placito publico , ad ftngidorum hominum Caufifas audiendo
vel deliberandum ; ibidem cum eo aderant Claudius Epifiopus
SanBde Taurinenjis Eccleficc ( quel medefimo, che fi dichiarò
contro le facre Immagini ) Ratperto Comes ( o fia il Governa-
tore di Torino ) IValfertus Ò'c, Judicibus Domni hnperatoris. An-
fulfo , & Leo , Graufo , Scavinis Bofoni Comitis . Johanne Ù'c.
Scavinis T aurinenfis . Turengo &c. Vajfis eidem Katperto Co-
mitis . Ecco quanti intervenivano a que' Giudizj : tutto ben
penfato , affinchè non entraffe frode , non prevaleifero le par-
zialità : giacché ad ognuno era permeffo di dire il fuo fenti-
mento .
Fino a quanto duraffe l'ufo de' Meffi Regali fé a me vien
chiedo , dirò , parermi , che nel Secolo XI. cominciarono ad
eflere rari i Melfi deputati alla correzione dell' intiere Provin-
cie 5 fufllflendo nondimeno i delegati per Caufe particolari .
Sul principio ancora del Secolo XII. noi li troviamo , e a po-
co a poco calando , fvanirono in fine a' tempi di Federigo I.
Augufto per le guerre inforte fra lui e i Popoli della Lombar-
dia . Nell'Anno 1038. fi vede un Placito tenuto in Lucca da
Cadaloo Cancelliere Imperiale intus Cime Donni Bonifatii Mar'
co io Dux^ per data licentia Domni Imperatoris . E non dice per
licenza del Marchefe , perchè in Lucca nello ftefib tempo di-
morava Corrado I. Imperadore, e alni come fupremo Signo-
re apparteneva l'alto dominio fopra tutti i beni de'fuoi Vaf-
falli . Quel Cadaloo il medefimo è, che nell'Anno loó"!. di-
venuto Antipapa, fi vide poi abbattuto. Cosi nell'Anno 1055.
Domnus Guntherius Cancellarius & Mijfus Domni Imperatoris ,
tenne un Placito in Firenze ; e fu un altro tenuto in Monfeli-
ce nell'Anno 1 100. da Guarnieri ^ il quale è intitolato M/j^?/5
Domni Imperatoris , atque Delegatus ab ipfo Principe . Da lì in-
nanzi fi cominciò ad udire il nome di Vicaritns Imperialis , o
■puxQ Imperialis Aula Comes ^ ovvero Legatus . Nell'Anno 11 0"^.
Domnus Garfendonius Dei grafia SanBe Mantuanenjis Ecclefie
Epijcopus^ & Imperialis Aule Comes , decide nella lua Sala una
hte fra l'Abbate di San Zenone di Verona , ed alcuni altri .
Cos\
Nona. 87^
Così nel medeiìmo Anno in P^jlacio Mutinenji fu decifa una
lite apv.d Domtìum Herma?i?ìnm Verdenfem Ep'tjcopum , & Impe-
vatorìs Vkarium & Legatum , Nella ftefla Citta di Modena nell'
Anno Llój. DomnusGìrardus Kangonus Imperatorie Majefiaùs,
per Mutine Epijcopatum & Comitatum Legatus , & Confules Mu-
tine , danno licenza al MafLiro della Cattedrale di San Gemi-
niano di cavar marmi tanto nella Città , che fuori per termi-
nare il Duomo . Mutarono poi faccia gli affari , ficcome an-
dremo vedendo.
Ve i Minijìri minori della Giujìizi^ -^ cioè de' Giudici ^ Scabini^
Sculdafci 5 Gaftaldi , Decani , Silvani &c.
DISSERTAZIONE DECIMA.
GIÀ' s' è veduto , eflere flati una volta i Conti , cioè i
Governatori delle Città , anche Giudici ed Amminiftra-
tori della Giuftizia . Ma perciocché tal Dignità fi conferiva per
lo più a i più cofpicui Nobili, che poco folevano faticare nel-
lo lludio delle Leggi , e in oltre doveano attendere alla Mili-
zia : forge tofto un fofpetto , che portate quelle caufè davanti
a perfonaggi di sì corto fapere , patiflero bene (peffo de i deli-
quj . Ora a quefto pericolo provvidero molto bene gli antichi
Regnanti con ordinare, che avendo i Conti a decidere qualche
Controverfia , o dar fentenze criminali , noi poteffero lenza
l'afllftenza e il configlio de i Jurisperiti , appellati allora Giu-
dici minori , ed oggidì Dottori di Leggi . Preffo i Tedefchi
portavano il nome di Graphiones anch' effi ; e preffo i Salici
di Rac/jimburgii ^ tTungini . Hincmaro Arcivefcovo di Rems
nelCap. X. de Ord. Palar, fcrive: Tales etiam Comites ^ & fub
fé Judices conftituere dehet , qui nnjaritiam oderint , & jufli-
tiam diliga7ìt . La fcienza di tali Giudici luppliva al biiogno
de' Conti ; e ad effi apparteneva F elame dd Gius e del fatto
con quella follicitudine , che predo una volta sbrigava le liti,
e che a' noftri tempi cotanto fi defidera. Si offervino i Placi-
ti, e i Giudizj di allora. Non v'era Conte, Marchefe , o Mei-
fo Regio , che decideffe una caula fenza .aver prima udito il
parere di quelli Giudici affilienti , atteftandolo polcia il Notaio
con dire : Reóìum & fecundum Legem Jupra memoratis Judici-
bus
88 Dissertazione
bus & Audiiorìbus pnruit ejje ^ & judka^enmt ; e il Decreto fi
fcriveva ^x jujjione Com'ms^ o pure Marchionis^ ovvero Judi-
cum ad^nonìpiotìc . Oltre a tanti altri Placiti , ne abbiani qui
due teftimonj d'efla verità . Il primo tratto dall'Archivio Ar-
chiepifcopale di Lucca, ha quefte parole : Dmn Doìmius Beren-
^nr'ìi'.s Seren'tJJimus Rex prò timore Dei , & ftatuyn omniumque
Saìì^arum Dei Ecclejìarum eleólorum , Populo hic Italicis Abi'
tantibiis^ animeque Jue mercedem juftitiam adimplendam^ dum
partibus Romarn iret ; Cumque pervenijj'et ifjjra Tu/eia , foris
hanc Urbem Luca , iiitus manftonem Idebeni , premifit fuum Le-
gatum Lex faciendum , ideji Odelricus fuoque VaJJus & Mijfus
conjìitutus &c. In fine il Notaio dice di avere fcritta la fenten-
za ex jujjìone fupra /cripto Mijfo , & amonitìonem prcediBorum
Judicum . Stimò il Cardinal Baronio , che Berengario I. fofle
coronato Imperadore nell'Anno ^15. Ma eflendo egli tuttavia
Re nel Novembre di eiTo Anno, come s' ha dal fuddetto Do-
cumento, e rapendo noi dal Poeta Anonimo delle Lodi di efTo
Berengario, che la Corona Imperiale gli fu data folamente nel
giorno fanto di Pafqua, ne viene per confeguenza, che la Co-
ronazione Tua legni nel di 24. di Marzo dell' Anno pid". L'al-
tra teftimonianza s'ha da uno Strumento dell'Anno 1073. di
cui tale è il principio : Dum i?i Dei nomine ejìra muras Lu-
cenfis Civitcìtis^ in Burgo qui vocatur Sancii Fridiani , i'a e afa
foleriata Fandolfi filius bo: me: Hugheri , per illius datam li-
centiàm , in judicio refedijjfet Domna MaHilda Marchionijfa hac
Ducatrix^ filia bo: me: Bonefatii Marc/jionis ^ una cum Flaiper-
\to Judice ^ & Mijfus Domni Imperatoris ad caujas audiendas ac
deliberandas &c. Nel fine il Notajo icrive : ex jujjìone fupra-
fcripte Domne Maólilde , & predici Flaiperti Judicis , & Mif-
fus Domni Imperatoris , feu Judicum amonitione , Jcripji . No-
tifi come cola rara , che Flaiperto Giudice s' intitola Mejfo
dell' Imperadore ; e pure allora Arrigo IV. non era che Re ;
ficcome ancora, che Matilda facea da Padrona , tuttoché fol-
fero vivi tuttavia Beatrice Duchejfa fua Madre , e Godefredo
Duca Marito di effa Matilda .
Essendo dunque cotanto necelTarj al corfo retto della Giu-
flizia quelli Giudici minori, o vogliam dire Giurifconfulti, e
Dottori , abbiamo perciò molte Leggi Longobardiche , nelle
quali fi preferi ve di fcegliere a quello miniftero perfone di mol-
to fapere nelle Leggi di allora , e timorate di Dio . Ecco le
paro-
Decima. 8p
parole di Carlo M. nella Legge 22. /w^/V«, Adiscati ^ Prapo-
fìù , Ccfitcnarti , Scabìni , quales mcliows hivenìri poJJ'unp , Ò'
Deum timentes , conflituantur ad Jua ìmmfler'ta exsrcenda . Se
mai trafcurafTero i Principi o Minillri d' oggidì , allorché fon
per difpenlar le cariche della Giaftizia , le concorra ne i Giu-
rirconTulti la Dote de' buoni coftunii : non poco mancherebbero
al loro dovere. Lodovico Pio nella Legge <^6. cos\ anch'egli par-
la : De Judìcibus autem , vel Centenari' is , afque Trìbutiis , ^el
Vie ari is , dignum effe cenjuimus , Tr^t fi mali fuerint reperti ,
de mimjìerio fuo abjciantur , Abbiam veduto, che l' efame di
coftoro era fpezialmente raccomandato a i MefTì Regali , che
feco portavano la facoltà di rimuovere da gli Ufizj le perfone
indegne. Né minor premura in ciò fu quella di Lottarlo L Au-
gufto, il quale ordinò, che per quanto fi potefle foffero aifun-
ti i Nobili a s'i fatto miniftero , per la perfuaflone , che que-
lli facciano conto dell'onore, piti che le perfone vili. Dj Ju-
dicibusj die' egli, inquiratur ^ fi Nobiles ^ & Sapieìites^ &Deum
ttmenres^ coìjflituti fint ^ & jurent ^ ut juxta eorum intelligen-
tiam re6imn judicent ; & prò yyiuneribus , njel humaììa grafia ,
juftitiam non pervertant , nec differant ; & quod judicaverint ,
jua fubfcriptione co7ìfirmare non dijjtmulent . Ubi autem tales
non fiunt ^ a Mijfis noflris conftituantur ^ & idem Sacramentum
facere cogantur . ^uod fi viles per/once , & minus idonea ad
hoc conflitutce ]u?it ejiciantur. Noi efaltiamo i nodri tempi, e
con ragione ; e pure Dio sa, che in qualche parte i barbarici
da noi tanto fprezzati, non ci fuperaffero in alcuni regolamen-
ti pel pubblico bene. Trovavano allora alcuni, che giudicava-
no a capriccio, o fia jure cervellotico ^ come pareva alle loro
gran menti ( come talvolta accade anche a' giorni noftri ) , e
però Lodovico IL Augufto in una Legge da me data alla luce,
fece quella ordinazione : De Juditio autem Judicis tam frequen»
ter rememoramiis ^ quia omnino confuetudinem /udicandi injujìs
auferre volumus. Sed tantum fecundum fcripturam judicent ^ &
nullatenus fecundum arbitrium fuum : Sed difcant pleniter Le-
gem Jcriptam . De quo autem non efl fcriptum , hoc nojìrum
conftlium habeatur in quibusdam . Talvolta ancora gì' Impera-
dori di allora chiamavano alla loro udienza i Giudici , e con
paterna ed imperiofa infieme ammonizione loro ricordavano i
doveri disi importante Ufizio : Del che abbiamo un efempio
in Lottarlo L il quale nella Legge 2^. fatta in Roma intimò
Tomo L M a tut'
pò DlSSFRTAZIONE
a tutti que' Giudici di comparire davanti a lui per ben avver-
tirli de mhììjìeno fihì credito , Negli Strumenti antichi di Ro-
ma, e di Ravenna ^'' inconira.no Judices D^tiri . Altro io non
so per ora intendere con quello nome , che i Giudici Delegati
per qualche caufa particolare. Nell'Anno 1217. Jacopa , già
Moglie del Sig. Graziano Frangipane , /;/ prc^fentta Domini Pe-
fri Stepha?ìi Ciceronis , Datiri Judicis , fa la remi^jone di un
debito . E in un Placito , che Dominus Oldaricus Subdiaconus ,
& Miffus Domni Ottonis Imperntoris , tenne in Imola neli' An-
no 5>p8. infieme con Erardo Coinè , rifederono ancora Tetrm
Dea annuente Datirus^ & Andreas Dntirus . Da quello Atto ap-
parifce chi foiTe allora il Padrone d'Imola.
Oltre a quelli Giudici, già dicemmo che internenivano ai
Giudizj anche ^\ Scabini ^ o fia gli ^'c^'z;/;?/ , il nome de' quali
dura tuttavia nella Germania , in Francia, e in altre contrade
di Europa. Velligio alcuno lotto i Re Longobardi non ne truo-
vo in Italia, ma bensì fotto il Re ed Iinperadori Franchi , i
quali verifimilmente v'introduiTero il nome, ed ufizio d'efTi.
Che aveflero facoltà di giudicare, fi può dedurre da uno Stru-
mento dell'Anno Siò". accennato dal Bignon nelle Annotazio-
ni a Marcolfo, dove noniinati vengono Judices^ quos Scabinos
vocant . Parimente nella Legge Longobardica 45. di Carlo Ma-
gno , dove fi tratta di quegli uomini , qui propter eorum cul-
pam ad mortem fuerint judicati , & pojìea vita eis concejfa fue-
rit : noi abbiamo quelle altre parole : Sed in T eflimonium ?2on
recipiantur^ nec inter Scabinos ad Legem judicandum locum te-
ne ant . L'Efordio della fuffeguente Legge 4(5. ha quelle paro-
le : Si alicui homini pojì judicium Scabinoru??! fuerit vita con-
cejfa &c. Dal che apparifce , appoggiato anche a gli Scabini
r ufizio di giudicare , e che la lor balia fi Rendeva fino a dar
fentenze di morte. Ma che divario paffava fra i Giudici fopra
da noi defcritti, e gli Scabini ? Se crediamo ad uomini dottifli-
mi, cioè al Bignon, Du-Cange, Eccardo, ed altri, gli Scabi-
ni furono AjfeJforesComitum^ Auditores Comitum^ e però non
diverfì da i luddetti Giudici . Per teflimonianza del Piteo nelle
Annotazioni a i Capitolari fi legge in un' antica Chiofa : A?ìte
lllujìrem Virum Hildegariurn Comitem ^ feu Judices y quos Scabi-
nos vocant . In oltre , fecondo la Legge Longobardica CXVI.
di Carlo Magno, ninno fi dee chiamare al Placito, fé non chi
v'ha caufa, qui caufam fuam quaritj esceptis Scabinis feptem^
qui
Decima. pi
auf ad om7ìta Plactta ejfe dchcnt . Gontuttociò a me fembra,
che fra i Giudici e gli Scabini paiTafle della differenza, perdi'
effi diverfificati comparifcono ne' Placiti gi'a da noi mentova-
ti , e che s'andranno vedendo . In imo delf Anno 8^5. leg-
gia'mo: Dum Donmus Hludo-w'tcus SerenlJJìmus Auguflus parttbus
Tufcìe MìJJt direni fuijfemus ?ios Petrus wtierabilts Epìjcopus
Sa?jHe Araine Ecclefie , feti Joaniies Sacri FaUcVt ,,. & Angela-
rius & Winigifum Comes ^ Jingulorum /jominum /u/ìhias facie?!-
dasy & deliberandas ; & cum venljfemus Civifaftm Lucam ^ ref-
fedeme ego Petrus Epìfcopus in judìcio in Doìno ipfius Epifcopt
( né fi dice per data licenT^ ) in Caminata unaftmul cum Gere-
mia Epìjcopus ipfius Civitatis , rejfedentibus nobijcum Adema-
rius , & Eriprandus Vajfos Domni imperatoris ; Alpertus &c, Ju-
dicibus Sacri Palatii ; Filoardus , & Teofredus Scavinis Lucen-
fis &c. Noi miriamo qui in primo luogo i Giudici del Sacro
PalaT^^ e pof:ia li Scabini . Però abbiam luogo di credere,
che j primi erano eletti dal Re od Imperadore, e gli altri dal
Popolo di qualfi voglia Citta, come tuttavia fi pratica oltra mon-
ti . In alcuni Placiti della Cronica del Volturno noi troviamo
Anfaricum Sclabum , Jofephum Sclabum &c. Tali perfone non
erano Servi , che da molti fecoli preiero il nome di Sciavi ,
o Schiavi , nome forfè venuto da i Popoli Slavi condotti in
ifchiavitù. Notifi ora un altro infigne Placito dell' Anno 85?/.
tratto dall' Archivio Archiepifcopale di Lucca. Dum ad preda-
ram pote/ìatem Domni Lamberti piijfìmi hnperaforis Mijfus di-
reóìus fuijfet in Finibus Tufcie Amedeus Comes Palatii , & cum
veniffet Civitate Florentia in Domum Epifcopii ipfius Civitatis
(nò pur qui s' ode per data liceii-^^ ) in Atrio ante Baflica
SanHi Johannis Baptife ,, inivi refideret una fimul cum Adelber-
tus Marchio^ fmgulorum hominum Jujìitias faciendas^ ac delibe-
vandas^ refidentibus cum eis Helbingus San6ie Parmenfis .^ Lupus
Sande Senenfs , Hedelbertus Sancìe Lunefifs , Geojulfus ipfius
Civitatis Venerabilibus Epìfcopus ; Johannes^ Eri te n^ Adelbertus^
Judices Domni Imperatore ; ^inecheldus &c, Vajfalli Suprafcri-
pto Adel berti Marc/jioni Tcudifrafciu Comes ipfius Civitatis ; Ro-
tavi (T Petrus Scavinis ipfius Civitatis &c. Neil' Italia Sacra
deirUghelli il Velcovo di Parma d'allora è appellato £/^«r^/^y
o Helbringus. In quello Documento ha il nome di Helbingus.
Il Velcovo di Luni è da lui chiamato Odelbertus , qui è He-
delbertus . QLiel di Firenze vien preflb lui detto. Grajolfus , e
M 2 qui
(^'1 Dissertazione
qui Geofiilfus . All' Anno Sp/. egli non riferifce Lupo Vcfcovo
di Siena come qui . Fa bensì menzione di un Lupo Vefcovo di
Siena all'Anno 6" (5p. Probabilmente fuor diriga, efTendo for-
le quel medefìmo, eh' è mentovato qui. Ora noi abbiani po-
tuto oiTervare in quefto Placito Rotavi , e Pietro Scavini della
Citta di Firenze , diftinti da i Giudici dell' Imperadore : il che
ci fa intendere , che gli Scavini furono un particolar Magiftra-
to di qualfi voglia Citta.
In fatti air elezion d' efli fi e fi gè va il confenfo di tutto il
Popolo. Abbiali! qui in pronto la Legge 48. di Lottario I. Im-
peradore , dov^ fon quefte parole : Ut Mijfi ìiojìri ^ ubicumque
malos Scabinos invenerint , ejiciaìit ; & cum totius Populi co?ì~
fenfu in eorum locum bonos eliga?2t . Et cum elefli fuerint ^ /ura-
re faciant^ ut fcienter injufte judicare ìion habeant : Qiiegli all'
incontro, che fi chiamavano Judices Sacri Pai aiti ^ dal lolo Re
od Imperadore riconofcevano la loro elezione ed autorità. Per-
ciò s'intitolavano //i!rt^/V<?i' Domni Regis ^ o Dom/ii Imperatoris .
Talvolta ancora fi veggono appellati Judices Palati?2Ì . Stimò
il Du-Cange , che i Palatini portafiero quello nome , perchè
affiftevano a i GiudizJ del Conte del Palazzo . Ma affi (levano
a i loro Giudizj anche i chiamati Giudici del Re o dell' Impe-
radore , che per confeguenza non erano differenti da i Palati-
ni. Un Placito dell'Anno 5)41 . ha quefte parole : Dum in Dei
nomine Ci vi tate Luca ad Cune Domni Hugoni Regis in Salaria
ipjius Curtis , ubi Domnus Hugo , & Lotharius filio ejus , glorio-
JiJJìmis Regibus prceejfent , in capite laubie longa?ie .... locu»
prope Lcchiftam SanHt Benedigli &c. in Judicio rejìderet Huber-
tus Marchio , & Comes Pai atti (^c, fedentibus cum co Adelbertus
Lunenfts San6ie Dei Ecclejìe Venerabilis Epifcopus j Walpertus &c,
Judices Dom?2orum Repum . Ecco affiftere al Placito i Giudici
^^ Regali^ bench'elfo fia tenuto dal Conte del Palazzo. Lo ftef-
io fi può offervare in tanti altri Giudizj . Truovanfi ancora
mentovati nelle antiche Carte Judices Publici. Il Bignon nelle
Note a Marcolfo, li reputò Giudici Secolari^ cosi chiamati per
diftinguerli da gli Ecclefiaftici . Vera è la di lui fentenza , e
non già quella del Du-Cange , a cui parve dato loro quefto
titolo , quod con/ìituerentur per coìiventionem public am , come
ha una delle Leggi Alamanniche . Ma ficcorae diremo al Cap.i 8.
anticamente lo ftelTo tììJudexPublicus^ ejudex Regis^ ovvero
Imperatoris .-Qiianto a gli Scabini Lottano I. Imperadore nel-
Decima. pj
la Le^"c 4p. ordinò, che fi doveflero eleggere, ficcome adju-
tores Comhum^ qui mdiores^ & veraciores ìnvs?im poJfmK , Nel-
la feguente Legge vien comandato , che fia inviato a rendere
conto al Re del Ino operato , quicumque de Scabints deprehen-
fus fuerìp propter munera , aut proptcr amichi am injufte judic af-
fé ; e che s'intimi a gli altri Scabini di guardarfi da s\ iniquo
ouad.\sno . Volle ancora il medefimo Imperadore nella Les-
gè 12. che i Cancellieri^ o fia i Notai, per maggiore auten-
ticità de' loro Atti li ferivano ante Comitem , & Scabinos , &
Vicarios ejiis. Che fé taluno privo di Figli voleva dichiarar ino
Erede un eflraneo , fecondo la Legge ^4. di Carlo M. dovca
efporre l'ultima fua Volontà Coram Rege ^ vel Cornice ^ vel Sca-
binoy vel Mijfo publico ; e ciò per impedir le frodi, e i Tefta-
menti falfi. Ho anche offervato più Contratti fra le perfone
private, a' quali intervenne qualche Scabino , quafichè eferci-
taOTero ancora quell'Ufizio, che oggidì efercitano i Giudici di
Autorità^ eletti dalla Comunità di Modena . Uno di tali Con-
tratti neir Archivio di San Zenone di Verona, a cui a[h!l-e Lopo
Scavinus Civitatis Brixiancs ha quelle Note : Regnantes D. N.N.
( cioè Domnis No/ìris ) Carolo^ & Pippi?io Filio e/us , Viris ex-
cellentijjimis Regibus Langobardorum in Italia , Anno eorum
XXXIII. Ò' XXV. die quinto decimo infrante Menfe Januario
IndiH.XIK cioè neUWnno 806". Il che è da ofTervare , perchè
non fi da a Carlo M. fé non il titolo di Re, quand'egli era al-
lora Imperadore. Altri fimili Strumenti con quefta ommifTione
ho io veduto nell'Archivio de' Canonici di Modena , in Pillola,
e Milano.
Di fopra vedemmo, cIiq fette Scabini aveano da interve-
nire ad ogni Placito. Anzi Lodovico Pio in uno de' fuoi Capito-
lari di Francia ne volle dodici^ purché tanti ne trovalTe il Con-
te nella Citta : altrimenti s'aveffe a fupplire queflo numero co'
migliori del Contado. Ma o fia che Legge tale poco efattaraen-
ie fi olfervafTe, o che s'opponeifero altre cagioni, troppo dirado
s'incontrano fette Scabini in elTi Placiti . Talvolta né pur uno
v'intervenne. Ofifervifi un Placito Lucchefe dell'Anno 840.
il cui principio è tale : Dum in Dei riamine ., Civitate Luca^ in
Curte que dicitur Regine^ in /udicio rejìderimus nos Rodinirm
Epifcopus , & Mauritius Comes Pnlatii , MiJJi Domni Hlotharii
perpetui Augufti , cum Agano Cernite rejldentibus nobifcum Pau-
lo , Martino Judicibus ; & Prando , &c. VaJJis Domai Im-
pera-
'P4- Dissertazione
peratovìs ; Johnnne Ò' Adalberto Scavinìs &c. Qu'i non abbiamo
le non due Scavini ; e quel Giovanni fi lottoicrive cosi : Ego
Johnnn'ts Cler'icus ScavÌ7ìu ivi fui » Notifi , che quello Scavino
era Cherko . N'ho veduto altri eiempli. Un altro Placito Luc-
cheie dell'Anno 872. comincia con quelle parole : Dum Adal-
hertus Dux refedtjfet in judìcio hic Civitate Luca ^ in e sminata
de Cune Ducalis una cum Ghifelfri , & Johannes Scabinis ad
fingulorum &c. Ma quello , che maggiormente da a conofce-
re , qual fofle l'Autorità de gli Scavini, fi è l'aver eglino avu-
to un Tribunale per decidere alcune Ipecie di Caule . Nella
Legge 6^. di Lottario I. Imperadore , fi tratta de' Caufìd'ici ,
da noi ora chiamati Dottori di Legge , Avvocati o Proccura-
tori , qui nec ad juditium Scabi?iorum acquiefcere , 7ìec blafphe-
tnare volunr , cioè appellare , come interpreta il Du - Gange .
Parimente nella Legge pi. di Carlo M. fi legge : Si quis Cauf
fam judicatam repetere in mallo prafumferip , duodecim ióìus a
Scabinisy qui caujfam ipfam prius judicanjerint ^ accipiat * Sic-
ché in prima iftanza la lite era portata a gli Scabini , poicia
a i Malli o fia a i pubblici Giudizj tenuti dal Conte , o da i
Medi Regj. Anzi poteano anche gli Scabini tener de' Placiti:
il che fempre più rilieva la loro Dignità . Due eiempli di ciò
ho veduto. L'uno in un Placito Lucchele dell'Anno 847. Dum
Tjos ( è ivi fcritto ) in Dei nomine Ardo ^ Adelperto , & Gheri-
mundo Scabini adrefedentes in lucho hic Civitate Lucana , cum
Vivo njenerabilis Avfibvofis Epifcopus diHe Civitatis , refede-atibus
nobifcum Heriprandus &c. L'altro dell'Anno 855. efiilente nelP
Archivio dell' infigne Monirtero di Santa Giulia di Brelcia, che
comincia cosi : Dum refedtjfet Gifulfus Scabinus de Vico Lace-
fes , per jujfionem Bernardi Corniti , ad Ecclejìam Sanali Marii
in Vico Gujfilingi , ubi cum ipfo aderat Anfprand & Audibert
Scavinis &c. Altri efempli ho io recato di Placiti tenuti dagli
Scabini, e in quella occafione ho elaminato le Epoche di Lot-
tario L Imperadore , e di Bernardo Re d'Italia, la cui Ilcri-
zion Sepolcrale , che in Milano fi legge , patilce non poche
difficulta.
A GLI Scavini s'aggiungano ora gli Sculdafci ^ de i quali
fpciTo memoria fi trova nelle Leggi Longobardiche , e ne
•gli Antichi Documenti . Cosi furono appellati i Giudici del-
le Terre , e Caitella pofle nel Contado . PrefTo Paolo Dia-
cono Lib. ^. cap. 24. de Geli. Langobard. è mentovato i^6'c^(?r
loci
Decima. ^5
loci ìllìus^ qtiem Sculdahìs lingua propria dicujit , Truovafi an-
cora Scult ahis ^ Sci'.ldaixjs Sculdahus^ Scuhetus Ò'c, Nelle an-
tiche Chioìe del Codice Ellenle lo Sculdalcio vien chiamato
Pedaneusjudex , Diiìl, che tali Giudici erano Rurali , ed in-
feriori a i Giudici della Citta, cioè a i Conti . Odafi ciò, che
ha il Re Liurprando nella Legge Vili, del Lib. IV. Si h ornine s
de fiib uno Judice , de duobus tamen Sculdais , caujfam hnhue-
rint , ille qui pulfnt , vadat cum Mijfo feu Epijìola de fuo Seul-
dafcio ad illum alium Sculdaen , fub quo ipfe ejì , cum quo cauf-
fam hahet. Dalle rteffe Leggi apparilce , che dagli Sculdalci fi
appellava al Conte : e nella Legge 7. Lib. 4. di efio Re Liut-
prando im polla la pena di dodici Ioidi a quegli Sculdalci , qui
juflitiam intra quatuor dies faccre neglexerint . Sicché tre era-
no i Tribunali, a' quali riportavano le liti. Prima agli Scabi-
ni nella Cittk , o a gli Sculdafci nelle Ville . Da quelli fi ap-
pellava al Giudice , o fia Conte della Citta . E finalmente al
Sacro Palazzo, a cui prefedeva il Conte del Palazzo ; o pure
a i Medi Re^j. Raterio Vefcovo di Verona nell'Opulcolo inti-
tolato ^alitatis cojijeBura , cos'i fcrive : ^aererem quoque ,
ut quod Antecejfores illius ^ ( cioè deli' Imperadore ) praceptis
fuis Ecclejia; no/ìrcs contulerunt ^ vel fìrmaverunty defenders fio-
bis contra ComiteSy Vicecomites^ Scoldafcios dignaretur. llChia-
rifiìmo P. Dachery , acni dobbiamo l'edizion delle Opere di
Raterio, (limò fcorretta la. vocq Scoldafcios y e che ivi s'avef-
fe a leggere S'o/r/^r/w . Ma come ognun vede, biiogno non vi
era di tal correzione . Appartenendo adunque anche agliScul-
dalci il governo della Giultizia, Pippino Re d'Iralia nella Leg-
ge 8. ordina , ut Populus jujlitiam fufcipiat tam a Comitibus
fuis y quam etiam a Gajìaldiisy feu Sculdafciis , 'vel loci Prcspo-
fttis . Pofcia aggiugne : Et fi Gafìaldius , aut Sculdais vel lo-
ci Pr^epojitus de qualibet Judiciaria y tam ad fuosPagenfes ^ quam
ad aliosy qui juflitiam qudcjìerifìt , ?ion f eceri t , componat Jìcut
Lex ipforurn efì . Ofiervifi la parola Judiciaria fignifìcanre il
Territorio, dove s' edendeva l'Autorità del Giudice Rurale .
In un Diploma del Monillero di Santa Maria dell'Organo Ipet-
tante all'Anno pi 8. Berengario I. Imperadore dona Pratum
juris imperii nofìri pertinens de Comitatu Veronenft , de Sculda-
fcia videlicety que Fluvium dicitur . Così prefTo l'Ugheliinel
Tom. V. ove fi tratta de' Vefcovi di Belluno , fi trova Sculda-
fcia B.dluni .
Sotto
f)6 Dissertazione
Sotto gli Sculdafci ftavano ì Decani^ e i S alt ari ; il che fi
ricava dalla Legge 15. Lib. V. di Liutprando . De Servo fuga-
ce y & advena homìne , ft in alia Judiciaria tjiverims fuertp ^
tiific Decaìiiis^ aut Saharius ^ qui in loco ordinatus fuerip ^ com»
prebendere eum debeat , & ad Sculdafcium fuum perducat , &
ipfe Sculdafcius Judici fuo coìiftgnet , Sicché tale era l'Ordine,
Primieramente il Giudice Rettore della Citta , che i Franchi
chiamarono Conte ; poi gli Sculdafci Giudici nelle Cartella di
quel Contado; e finalmente [Decani^ q S alt ari (otto gli Scul-
dafci. Percento de i Saltari il loro nome può difegnar l'ufizio
d'efìì ; cioè lui principio furono Cu (lo di deiBoichi; pofcia la
loro Autorità fi 9ìq^^ alla cuftodia de i Confini della lor Giudi-
ciaria . Nella Cronica Fontanellenfe alCap. I. è commemorato
Teugìslus Cujlos Saltuum^ Villarumque Regalium . Cos'i nelMo-
denele abbiamo i Majfari delle Ville , che han qualche co-
rnando iopra gli uomini delle medefime. E prelTo iFerrarefi,
come apparifce da i loro Statuti , erano molto nominati una
volta C av ar geli ani Vili arum , Cosi pare, che i S altari ne' vec-
chi tempi tolTero come Guardacampagne . Eranvi fimilmente i
Silvani^ a' quali era commella la cura, e cuftodia delle Selve
Regali. In un Decreto di Rachis Re de' Longobardi , efiften-
te nel Monifterio infigne di Bobbio , e appartenente all' An-
no 747. comparifcono Silvani ììoflri Oto , Rachis , & P afe ha-
Jìus, Succedono ì Decani ^ eCentenarii^ che efercita vano qual-
che Giurisdizione, i primi fopra dieci, e i fecondi fopra cen-
to Famiglie, per quanto fi può conietturare . Walafrido Stra-
bene nel Trattato de Reb. Ecclef. Cap. 31. cosi feri ve : Decu-
riones^ vel Decani ^ qui fuh ipjis Vicariis ( delle Ville ) quidam
minora judicia exercent^ miììoribus Presbfteris titulorum pojfunt
comparari^ cioè a i Preti Rettori di qualche Chiefa non Batte-
fimale. Centenarii ^ qui & Cetituriones^ & Vicarii ^ qui per P a-
gas fìatuti funt , Presbfteris Plebium ( oggidì Piovani ) quiBa-
ptifmales Ecclejìas tenent , & minoribus Presbfteris pra;funt ,
conferri queunt , Dal che fcorgiamo , che il Popolo delle Ville
fu divifo in Centene o Centurie di Famiglie , e che le Dece-
ne , o Decurie , o Decanie fi formavano di dieci Famiglie .
A quelle comandava un Centenario^ a quelle un Deca?Jo, Ta-
le è il fentimento del Wendelino nelle Note alla Legge Sali-
ca , e di Gian Jacopo Chiffìezio nel Glofìfario Salico . Lo Spel-
mannoj che (limò U Centena un paefe compoilo di cento Vii.
le,
Decima. ^7
le, non è da afcokare . Nella Vita di Sant' Ugo di Roano io
trovo tnFngoOfismenfiCentenamAlanàoncìij'eìn^ Ò^Centenam
Sap'tenfem, Un Pago abbracciava molte Cartella e Ville. Fino
ne' tempi di Cornelio Tacito, come s'ha dal Tuo Trattato de
morib. «German. fi u lava in Germania quella ferie diMiniftri.
Elipunfur , die' egli , i?i tisdem conciliis & prìncipes , qui jura
per Papos Vicosque reddunt , Ccìuenì fmgults ex Plebe Comìtes^
confiUum fimul , & au^oritas adfunp . Qj-iefto tefto forfè è
guado . Nelle Leggi Alamanniche fi legge : Cofivetitus autem
fiat in omni Centena coram Comite , aup ftto Mijfo , & coram
Cet2tenario ipfum Placitum fiat, Veggafi il Du-Cange . do-
tarlo II. Re de' Franchi circa TAnno 55)5. fembra edere dato
il primo, che dividede il territorio di una Citta in Centene e
Decanie . Neil' Archivio de' Canonici di Modena fi conferva
un'autentica conce^ion di Livello, fatta nelf Anno 813. dal
Vefcovo Deusdedit , dove fi legge Decanta quondam R.ujlicia-
wi, Decania Gaujperti , Decanta Lupuni , Decanta Lumper Ò'c.
V'ha tuttavia nel Diftretto di Modena un certo luogo appel-
lato la. Degagna , come io penfo, da, Decania , Probabilmente
gli Sculdajci di fopra nominati non furono diverd da i Cente-
nari . In uno Strumento Lucchefe deli' Anno 74^. Lucenio Pre-
te confeffa d' edere dato creato Rettore della Chiefa di San
Pietro di Mofciano da Walprando Vefcovo cum co7ifenfo Kat-
peni & Barbuta Centinarits , vel de tota Plenjem coìigrecata
me in ipfa Sanala Dei Ecclejia, Perchè quella Pieve compren-
deva non una fola Villa, mapiìi, due dovevano edere i Cen-
tenarj, o fia Giudici minori, in elfa. Quel eh' è certo i Cen-
tenarj amminidravano laGiudizia, e tenevano dei Placiti; e
però tanto più mi fifa veridmile, che fodero una deda cofa
che gli Sculdafci . Carlo M. nella Legge Longobardica ^6. co-
si parla : Ut nullus homo in Placito Centenarii ncque ad mor-
tem , ncque ad libertatem fuam amìttcìidam , aut res reddendas
n)el mancipia judicetur . Sed ea omnia in prajentia Comitum ,
'vel Mijfiorum nojìrorum , judicentur . Ecco le Caufe , che ec-
cedevano la facoltà de'Centenarj . Nella Legge 41. di Lodovi-
co Pio fono accennati Placita , qudc Centenarii tenent . Nelle
ludeguenti Leggi fi ordina , ut Comites ^ Vicarii ^ & Centenarii
de conjìitutione Legis ammoneantur^ qua jubetur ^ ut propter ju-
Jìitiam pervertendam munera nullus accipiat. Si parla qui de'
Conti ^ fi parla de'F/V^r/', che probabilmente erano iVicecon-
Tomo L N ti ;
p8 Dissertazione
ti ; e de' Ce?2fen/irJ , fenza dir parola de gli Sculdafci . Sem-
bra perciò 5 che c^uefli ultimi folTero non differenti perfone ,
ed Ufizj .
Vengo a i Gajìaldl , i quali anche fi trovano chiamati Ca-
pddii 5 e Gajìaldiones . Al vedere le antiche Leggi , tofto fi
conofce, qual folle f impiego loro. Cioè furono Miniflri, Proc-
curatori , ed Economi delle Corti , poderi , ed altri effetti pa-
trimoniali del Regnante . Liutprando Re nella Legge VI. del
Lib. VL così parla : Si quis Gnjìaldius , aut ABor Kcgis ( nel
Codice Oflenfe è f:ritto AHor publicus^ fignificante lo fteffo )
Curtem Regiam hahens ad gubevfìandum ^ & ex ipfa Cune ali-
eni fine jujjione Regis , cafam tributari am , 'vel terram , Jìlve-
ta 5 'vel prata aujus fuerit desiare &c. in duplum componat .
Anche il Re Rotari nella Legge 378. ci da la medefima nozio-
ne de' Gaftaldi . E Lottarlo I. Augufto nelle Legge 73. dice:
Concedimus Gaftaldiis ?ioJìris , Curtes noftrns provi dentibus &c.
Ecco r Ufìzio de'Gaflaldi , e però non colpì nel fegno il Vof-
fio nelLib. 2. Cap. 8. de Vitiis Sermonis , allorché Icriife : Ga-
ftaldius fuerit , qui Re di vel Principi inferivi t in curandis bof-
pitibus . J^c hujusmodi propria efl ftgnificatio , ut idem fuerit
ac Architriclinus , vel Oeconomus , & in Palatio Occidentnlis Im-
perai oris^ jam ab Othonis Magni tefnporibus^ Dapifer . E' affat-
to fenza fondamento un tale fignificato , come cofra dal con-
fronto delle Leggi. Dura tuttavia in alcuni Luoghi d'Italia il
nome, ed Ufìzio ÒQ'GaJìaldi non già preffo i Principi grandi,
ma preffo i Ricchi nobili, che fi chiamano Gaflaldi quei, che
ora da i Modenefi fono appellati Fattori . In molte Leggi del
Re Rotari fi fa menzione Curtis Regia per denotare il Palaz-
zo, e il Fifco del Re. Ora nella Legge 222. del medeflmo Ro-
tari è determinato , che qualora i Parenti non facciano ven-
detta di una Donna libera , che fi mariti ad un Servo , tunc
liceat Gajìaldio Regis , aut Aólori , aut Sculdafcio ipfam in Cur-
tcm Regis ducere , & intra penftles conjìituere . Sicché i Ga-
flaldi entravano ancora fra i Miniftri Elicali . Tenevano inol-
tre Giufcizia per le Caule Camerali : il che fi può dedurre dal-
la Legge 8. di Pippino Re d'Italia, dove comanda, che fia fat-
ta GiulHzia tam a Comitibus fuis , quam etiam a Gajìaldiis ,
eu Sculdafciis . Et fi Gaftaldius , vel Sculdajcius 7ìon fecerit ,
mulBetur, Abbiam veduto altrove , che i Conti erano obbli-
gati a condurre il Popolo all' Armata , quando occorreva la
dife-
Decima. P9
difefa de' Confini, o qualche altra fpedizion militare. Né pur
da queft' obbligo erano eienti gli Sculdafci e Saltari , come fi
ricava dalla Legge 2^. Lib. d. del Re Liutprando . Che anche
i Galìaldi fodero tenuti alla milizia per condurvi , a mio cre-
dere , gli Uomini abitanti nelle Corti Regali , parmi di rico-
nofcerlo nella Legge 24. del Re Rotari , che dice : Si Ga/ìal-
dtus exeràfalcm Juum coyitra rattonem moleftavem , Dux eum
■foìctur . Lodovico IL Augufto nella Coilituzione promotioms
exercìtus ^ comanda, ut nullum ab exped'ttione aiit Comes ^ aut
Gaftalà^ vel Minìftrl eorum excufatum habeant. Avevano adun-
que i Gaftaldi de i Minitlri fotto di loro» Corta ancora da un
Documento Brelciano deli' Anno J69, che le Regine avevano
il loro Gaftaldo . Similmente fi ofTerva in un Placito Lucche-
le , tenuto da Adalberto L Duca di Tofcana nell' Anno 847.
che i Gaftaldi precedevano a gli Scavini . Ma nulla piì!i ci può
far intendere , qual folfe la Dignità , ed onorcvolezza de' me-
defimi, quanto il vedere , che il Governo delle Citta era loro
talvolta raccomandato. Nel Cap. 74. delle Parrochie noi tro-
veremo fVamefrldo Giudice dì Siena ^ il qual poi porta anche
il titolo di Gaflaldim Senas . E nella Vita di Papa Zacheria
preflb Anaftafio abbiamo Kamingum Cajìaldium Tufcanenfem ,
cioè di Tofcanella . Può effere , che ciafcuna Citta avelTe il
fuo Giudice , o fia Conte , ed infieme il Gaftaldo ; ma fpezial-
mente nel Ducato, una volta vaftifhmo di Benevento, lo ftef-
fo fu r effere Conte che Gaftaldo . Racconta Paolo Diacono,
che venuto in Italia AÌT^cons Duca de'' Bulgari con affai Sol-
datefche , fu accolto da Grimoaldo Duca di Benevento , che
gli diede ad habitandum alcuni Luoghi incolti intorno ad ef-
la Citta di Benevento , cioè Sepianum , Bovianum , & Ifer-
' niam , & alias cmn fuis Territoriis Civitates ; ipfmyjque Al-
'Zeconem , mutato dignitatis nomine , de Duce Gajìaldium voca-
ri pracepit , E nella Carta di divifione , fatta nell'Anno 851.
fra i Principi di Benevento, e di Salerno , fi veggono integra
Ga/ìaldata^ feu Mtnijieria^ Tarantum^ Latmianum ^ Cufentia^
■ Lucania , Salernum , Capua &c,
PoTREBBESi Credere, che anche gli Antichi VaJJl ^ o Va[-
falli de i Re, ed Imperadori" goJeffero qualche diritto ad am-
miniftrar la Giuftizia ; perciocché nella Legge XVIII. di Car-
lo M. abbiamo quefte parole : Si Vajfus nofler juflitiam non
N 2 fece-
100 Dissertazione
fecerh , tunc Comes , & Mijfus 710 [ter ad tpfìus Cafam fede ani: ^
& de fuo 'Vivant , quonfque jujìmam fecer'tt . Parie re aio de i
VafTì nel Capitolo leguente . In tanto è da dire , che qui il
Juftìtìayn facere altro non vuoi dire, fecondo lo ftile delle Di-
vine Scritture , che l'operar cole giuftc, e non già Tarn mini-
fìrar Giuftizia. Qj-iefloUfizio, e tal prerogativa noi la fcopria-
mo bensì in quei, che l'antichità chiamava Loci Servatores ,
Ma che impiego fu quello ? Io non ofo determinare , le fol-
fero TJfiziali eletti da i Cittadini , o pure i Vicarj del Conte,
o del Duca cosi appellati, perchè tenea il Luogo di lui , co-
me Luogotenenti, o Loco pojiti ^ nome che non dirado s'in-
contra in que' tempi . Nella Legge Longobardica 88. di Carlo
Magno è fc ritto : Si quis fure-m vel latronem comprehenderìt ,
(!T eum indemnem dlm'tferit^ ne que illum ad prcefenùam Ducis
aut Com'ttts , qui in loco prceejì , vel loci Servatoris , qui Mif-
fus Comitis eft^ adduxerip Ù'c, Effe n do ftato il Confervafore del
Luogo Medo del Conte, o fia del Prefidente della Citta, pare
che fotto queflo nome veniiTe il Vicario del Conte o del Du-
ca , a cui apparteneile la cura della Giuflizia, allorché i prin-
cipali fi trovavano alfenti . Che anche i Loci Servatores giudi-
calTero le liti del Popolo lo vedremo fra poco . E pure nella
Cronica del Volturno all'Anno ^48. in un Privilegio di Mari-
no Duca di Napoli , elfi compariicono diftinti da i Vicarj. Pa-
re anche verifimile , che non foffero diverfi da i Viceconit ,
perchè anch' efli tenevano dei Placiti. Ma fembra opporfi a
tale opinione il non apparire , che vi folle più di un Vicecon-
te in una Citta ; laddove compariicono nella Citta medefima
più Loci Servatores , Q_uel eh' è certo, affai illuflre fu la Di-
gnità di quelli Coniervatori . Paolo Diacono nel Lib. ^. Cap. 3.
fcrive cosi : Forojulianorum Ducatum pojì hd£c Ado Frater Ro-
dualdi : ( antecedentemente Duca ) Loci Servatoris nomine per
annum , & Me7i[es feptem guhernabit . Adunque per Luogo Ser-
vatore fi dee credere fignificato, chi teneva le veci del Duca
o del Conte ; e probabil cola può parere , che fi fceglieflèro
dal Re , o dal Conte queiH Ufiziali dal Corpo de' Cittadini ,
affinchè fé il Conte, e Viceconte avelTero da andare alla Cor-
te o all' Armata , efli Luogo - Servatovi fuppliilèro al bilogno
del Governo , e della Giultizia . Neil' Archiepifcopale Archivio
di Lucca efide un Giudicato dell'Anno 78^. con quelle paro-
le:
Decima. ioi
le : Adftante nos J acobo Diacono , (!T Aujìrìfonfo Loci Scrbato-
rìbus in Domo SanHs Ecclefie ante 'venerabile Domnus Johamic
Epijcopo , ubi fwbiscum adevant Sacerdotes , & Aremannos hu-
jus Lucane Civifatis , idejl Aujìripertus Loci Sewator , Kacbi-
prandus Presbitcr &c. Da quell'Atro apparilce, che i due pri-
mi Luogo-Servatori cra.no Diaco}ii . Il terzo, cioè Aujìriperro^
fi può credere, che fofle Laico . Potrebbefi dubitare, che que'
primi foflero Ufiziali del Veicovo , perchè ivi fi trattava di
una Caufa Benificiale . Ma in altra Carta Lucchefe dell' An-
no 802. Rajpertus Presbiter , Agiprandus , & OJlrofonfo Diaco-
no Loci Servatores giudicano à\ un'altra Caufa Benefiziale, ma
con dire d' efler ivi ad Singulorum hominum Caufas audiendas
& deLfuerandas : il che fii intendere, che la loro Autorità {i
fiendeva iopra tutto il Popolo . Lo (ìefTo fi offerva con la for-
mola medefima in altro Placito tenuto nell'Anno 807. dal io-
pradetto Aujìrifonjo Diacono Loci Servapor . Finalmente in un
Placito parimente Luccheie dell'Anno 815. compariicono T/z/-
to , & Ai pò Loci Servatores in Judit io ad fingulas Caufas au-
diendum^ & deliverandum^ i quali benché Laici decidono una
Lite tra l'Avvocato della Chiefa Cattedrale di San Martino ,
e un Suave uomo Secolare . Per conleguente si fatti Ufiziali
fi prendevano non meno dal Clero, che dal Corpo de'Laici .
Notifi ancora , che in una Lettera del Clero Romano pref-
fo Beda Libro 2. Cap. ip. della Storia Ecclefiaftica , fcritta
neir Anno ^35?. o pure ^40. i primarj Preti di efl'a Chiefa Ro-
mana s' intitolavano , eflendo vacante il Pontificato , Servan-
tes Locum San^ice Sedis Apojìolicce . Perciò s' intende , che il
dire Loci Servatores fignificava i Luogotenenti del Governo del-
la Citta .
De"
102 Dissertazione
De Beni Allodiali , de' VaJJl , Vajfalli , BenepT^ ,
Feudi 5 Cajìellani &€,
DISSERTAZIONE UNDECIMA.
CO ME a' noftri tempi, cosi anche a quei de' Romani v'
erano i Beni Patrimoiìiali , che il Padrone godeva come
cole fue proprie , acquiftate o per Eredita , o per compra ,
o per Donazione , o per altri titoli . Gli ftelTi Imperadori non
ne erano aprivi , e deputavano al maneggio d' effi Procuratoves
rei privat(£ , o fia proprii Patrimonii . Per altri Miniflri fi go-
vernavano i Beni Fi/cali , o fia del Principato . Coltivavano i
Romani le loro Terre , o per mezzo de' loro Servi , appellati
perciò Servi Glebce , o per Uomini Liberi . Molto ancora fu
allora in ufo la locazione de' Beni , per cui il Conduttore fi
obbligava a pagare ogni Anno la riabilita penfione . Il Salma-
fio a Solino 5 e il Du-Cange nel Glofario fiimarono , che la
voce Italiana Fitto prendefiè origine dal promettere i Condut-
tori di pagare Fixum Cenfum dal verbo Figo . Ma i Secoli
barbarici da Figo formarono il Supino fìBum^ e ne venne poi
Cenjo ^ Fitto ^ o fia dare ad FiBum Cenfum , Cosi in fatti av-
venne. Tuttavia la noftra Lingua àìzQ Co?ìfitto ^ q Trafitto in
vece di Confixus^ Transfixus . In unoStrumento Ferrareie di Li-
vello dell'Anno 1085. fi legge : Nihil aliud prò Fixa PenfioJìe
dilieo modo reputemus . Cosi nella Par. I. Cap. 7. delle Antich.
Eflenfi rapportai .l'Invefiitura della Corte di Lufia data neh'
Anno 1075?. ad Ugo , e Folco Figli del Marchele Azzo II.
Eftenfe ad Fióìum Cenjum reddendum Ftóli nomine ufque ad
Annos viginti & o&o expletos . Parimente antichifiimo è 1' ufo
delle Enfiteufi , o fia de' Livelli . Cerchiamo ora , qual cola
fofiero gli Antichi Benefizj , Feudi , & Allodj , de' quali si
fpeflb fi truova memoria nelle vecchie carte . V'ha non pochi
dotti uomini, che prendono per una fteiTa co{à Beneficium ^ e
Feudumy tirandone l'origine fin da ì tempi de' Romani : e cer-
tamente con buone ragioni . Cioè cominciarono gì' Imperado-
ri Romani ( e forfè anche prima dell' Imperio s'introdulfe tal
ufo ) a concedere a i loro Fedeli de i Poderi o devoluti al Fi-
fco, 0 guadagnati in guerra. A quefto coilume pare che allu-
de 0 e
Undecima. io j
defle Hy,^ino nel Lib. de Limitib. dove fcrive : Sì qua Benefi-
cio concejfa auf ajjì guata Colonìcs fuerhn tn loco Benejicìorum
adfcrìbemus . Anche Dolabella , altro huìQXQGromattco (e non
Gramatico , come gli Stampatori delle mie Antiqu. Ital. han
voluto fare di lor capriccio ) ha quefte parole : ^.aris , Jl in
Libro Benejiciorum regiouis iìlius Benejicìum alicui Auguflus de-
àerit . Perciò nella Corte de gì' Imperadori fi tenevano Libri
maeftri ; dov'erano regiftrati tutti i BwMiefizj , e a chi erano
flati conceduti. PrefTo il Grutero pag. 1078. num.i. Phedimo
Liberto di Traiano è intitolato A COMMENT. ( cioè Prefi-
dcnte a i Commentar) ) BENEFICIORVM . Lo fteffo Cicero-
ne neir Orazione prò Archia fembra aver fatta menzione di
quelli Benefi'zJ . Son poi chiare le parole di Lampridio nella
Vita di Alefiandro Severo Augnilo. Sola ^ qua de hojìibus ca-
pta junt , limitanets Ducibus , C^ Militibus donarvit , ita ut eo-
rum ifta ejfent^ fi heredes illorum ìnilitareut . Ecco una fem-
bianza de'noftri Feudi , dati con tacito o paleie patto di fervi-
re coir armi al Signore del Feudo . Qj.ie' Beni erano donati ,
ma per goderne, finché gli Eredi militalTero. Tuttavia perchè
que'Benefizj niuna giurisdizione feco portavano, come i Feudi
nobili de' Secoli fuiTeguenti , e non vi fi ravvifano altre con-
dizioni : non ci danno effi una vera idea di e^j Feudi ; e tan-
to pili perchè ne' Codici di Teodofio, e Giuftiniano niuna men-
zione fi truova di Beni, che avelfero faccia di Feudi.
Sembra perciò meglio fondata 1' opinione d' altri Eruditi ,
che t rafie ro da i Popoli della Germania l'origine de' Feudi, fé
nonché forfè non è cosi grande l'antichità d'elfi, come talu-
no ha penlato . Perciocché fi figurano portato in Italia queft'
ufo da i Longobardi ; e pure nulla s' incontra nelle Leggi , e
memorie di quella Nazione , onde s'argumentino ufati fra lo-
ro i Feudi . Altri con piiì ragione han giudicato , che i Fran-
chi, gente Germanica , anche prima de' Longobardi introdu-
ceffe nelle Gallie i Feudi. Per teflimonianza di Aimoino Lib. i.
Cap. 14. il Re Clodoveo Milidunum Cajìrum eidem Aurelia?io^
cum totius Ducatu regionis , jure Bsncficii concejjìt . Anche il
dottifiimo Bignon nelle Annotazioni a Marcolfo , dovunque fi
fa menzione de' Vajjì e à€ Benefi-zj Regali , ivi truova i no-
fìri Feudi. Ho io qualche difficuha a concorrere in quella opi-
nione . Imperciocché comunemente s'è creduto finqu\, che i
VaJJi de' Franchi quei fofiero , che godevano qualche podere
jure
104. Dissertazione
jure Beneficiario , cioè a titolo di Feudo : laddove a ine fem-
ibra , che per efTere Vfijfo non fi efigefTe il godimento di qual-
che Benefìzio. Per quanto ofTervarono il Du-Cange , il Boxor-
nio , e l'Eccardo, Vajfiis in linguaggio Cambrico fignificò F^-
WAilus^ e Mìmfler: di modo che parmi di vedere, che il nome
di Vafib fi dava a chiunque ferviva nelle Corti Regie anche
lenza pofTeder Benefizj . Forfè Vajjalli ( fé pur non era affatto
lo fteffo che Valfi ) fi diffe di quei, che fèrvivano a Signori in-
feriori , e quantunque in un Capitolare dell' Anno 823. fotto
Lodovico Pio fieno nominati VaJJl , & Vafifallt Regts ; pure
più frequentemente portavano il nome di Vaffalli que' Nobili,
che lervivano ai Duchi, Marchefi, Conti, Vefcovi , ed an-
che Abbati per luftro della lor Corte , e Famiglia . A quelli
tali per ragion della Carica , o pure dopo lungo fervigio in ri-
compenfa fi concedeva il godimento di qualche podere con ti-
tolo di B-jnefi'zjo, Aimoino è Autore de' Secoli baffi . Gli An-
tichi Annalilli de' Franchi parlano di Meltdutìo (oggidì Mc"/w?;)
dato da Clodoveo a quell' Aureltano , ma fenza dire Jure Be-
fìefic'ìi, E fé v'ha chi fcrive, che Childeberto Re diede dei
Feudi al Moniftero di San Germano de' Prati, non dee aver let-
to dihgentemente i Diplomi, ne' quali fi donava alle Chiefe ,
e non già fi concedeva in Feudo.
Diventava dunque allora Vajfio , o Vajfiallo , chiunque fi
metteva , come oggi diciamo, al fervigio di qualche Re o gran
Signore, e quello fi chiamava Commendare fé in Vajfaticiim ^
ma lenza che per quello fi ottenefTe immediatamente un Be-
nefìzio. Nel Privilegio conceduto da Lodovico Pio Augnilo prei-
fo il Baluzio air Anno 815. fi legge : Et fi Beìiificium aliqmd
quisquam eorum ab eo , cui fé commendaverit , fuerìp confequu-
tuséxc. Adunque molti erano creati VaJJi ^ cioè s'erano meffi
al fervigio de' Conti, o d'altri gran Signori, lenza avere per-
anche confeguito alcun Benefìzio . Ricavafi ancora da un Ca-
pitolare di Carlo M. dell'Anno 812. che V affi Dominici ^ cioè
Regii, aveano Vaffallos fuos Cafatos ^ cioè al loro fervigio del-
le perfone Civili , ed onorate . Ne' Placiti finora addotti ab-
biam uovdiioVaJJi de'Duchi, Marchefi, eConti. Ne aveano
anche i Vefcovi . Nel Sinodo celebrato da Gaushno Vefcovo
di Padova nell' Anno 5^78. come coffa da Documento da me
dato alla luce, fi truovano fottofcritti alcuni , che s'intitolano
Vajft ejusdem Domni Gauslini Epifcopì , Differenza dunque c'è
fra
105
Undecima.
fra i VaPii o VafTalli de' Secoli antichi , e quei de' pofteriori .
Da alcuni Secoli in qua niuno è coftituito Vaffallo , le non a
titolo e per cagione di qualche Feudo a lui conceduto; ma an-
ticamente per efiere tale altro non fi ricercava fé nonfelTere
ammefio ai fervigio del Re , Duca, Conte &c. O.hfi ciò che
viene fcritto dal Monaco di S. Gallo de Geft. Caroli M. Lib.I.
Cap. 2 2. dove fi parla di un certo Vefcovo : Hic hahu'n unum
Vajjallum non ignobilem civium fuorum , vnlde Jìrenuum , &
hidujìrium : cui tamen ille , ne d'icnm BENEFICIVM ali-
quod , jed ne ullum quidem nlìquando blandum fermonem im-
pendìt . Ecco che l'efTere una volta Vajfo , o VajJ'allo , altro
non fìgnificava , che X effere al fervigio di qualche Regnante
o Signor Grande. Era ben poi vigoroia la confuetudine di con-
ferire a quelli Cortigiani qualche Beneficio da godere , forfè
folamente durante la fua vita . E pel lolo Vajfat'ico o fia fer-
vigio fembra che fi giuralTe Fedeltà al Signore. Negli Annali
de' Franchi all'Anno 757. Tafiìlone 'Di\c^ Fidelitatem promifip
Regi Pippino , ftcut Vajfus &c. E all' Anno 787. Confri/ìatus
Tajftlo venit per [emetipfum , tradetis fé manibus Domni Re-
gis Caroli in Vajfaticum , Ò' reddens Ducatum fibi commiffum
a Domno Pippino Rege . Perciò i Vafii erano appellati Fedeli ,
e nel linguaggio delle Leggi Saliche , e Wifigotiche Leudes ,
perchè giuravano Fedeltà al Signore . Nel Libro IV. Cap. V.
di efie Leggi de' Wifigoti fi ofìervino quelle parole : ^lod fi
ìnter Leudes quicumque nec Regis Bsnejiciis alìquid confequu-
tus &c.
Osserviamo ora i Benefii:j ufati fotto gli antichi Re , ed
Imperadori . Giudicò il Du-Cange , che fodero anche appel-
lati Honores ; né mancano efempli, che paiono proprj per ta-
le fentenza . Per lo più nondimeno tengo io , che col nome
ò^\ Onori fofTero difegnate le Dignità, e le Cariche onorevoli,
come di Duca, Marchefe , Conte &c. Nella Legge Longobar-
dica 24. di Lodovico Pio abbiamo : Si liber homo aut minifte-
rialis Comitis hoc fecerit ^ Honorem qunlemcuynque habuerit^ five
Beìieficium amittat . Qui fi diftingue 1' Onore dal Bensfi-^o .
E Carlo M. nella Legge IX. parlando de' Giudici, e de gli Av-
vocati , COSI dice : Et qui hoc non fecerint , Beneficium , &
Honorem perdant . Similiter & fi Bafit ( lo fieffo che Vajfi )
hoc non adimplcoerint Beneficium , & Honorem perdant . Et qui
Bentf^ciuìn nojìrum babuerit , bannum tioflrum folvat . Afcol-
Tomo I, O tiamo
io6 Dissertazione
tiamo ora il Bignon nelle Annotazioni a Marcolfo , la dove
Ieri ve : Beneficii nomhìe ea pr<£dia dióla ^ c]U(S profervì^iomilì^
tari a Rege , Ji'ue et'tam ah al'tìs , concedehantur , qudd Fenda
■pojìerìtas disìt . Porto io all'incontro primieramente opinione,
che fotto i Re Carolini la voce Beneficium abbracciava non
folo i fondi dati a godere pel fervigio militare , ma anche per
l'onorevole fervigio de' Cortigiani, ed altri Miniilri del Palaz-
zo, o della Giuftizia . Secondariamente fi concedevano quelli
perlopiù da goderfi folamente durante la vita de' Beneficiati.
Si oflerva tuttavia quello rito n^ Bmefi-zj Uccie fi aflìci goduti
finché vive il Beneficiato , e che non gli fi pedono levare, fé
r.on per fuo delitto , e colpa . E quando fia cos'i fi vengono a
ravviiare diverfi da i Feudi . Nel Tom. I. Veter. Script, de'
PP. Martene , e Durand abbiamo un Diploma di Lottario 1.
Augnilo dell'Anno 847. dov'egli concede ad un Ruggieri Lai-
co , Mr/j'tjìerìali Matfridi illujìris Cotnifìs in Pago Riborienfe ,
i?ì C orni t atu Juliac enfi , Capellam juris noflris &c. quatenus dis^
bus 'vita fu<s feneat , Aggiugne ancora: De jure noftro in jus^
Ù' dominationem ipfius cunólis vita fucs diebus transfundimtts .
Cosi nel Tomo III. dello Spicil. Dacheriano dell'ultima edizio-
ne , i Monaci di Vienna nel 1025. concedono alcune terre
Wagoìii & uxori ejus Eldelcs quamdiu Eldela njixerit , ut ejus
'vir , & ipfa nomine Bsneficii Jerviant Deo , Sanalo Andrece , &
Monachis , Nel Tomo medefimo all'Anno 887. il Vefcovo di
Vienna concede a Teuberto Conte la Villa Mantula jure Bene-
ficiario , ut quamdiu ipfe Comes ^ & Uxor ejus carne vixerint ,
eamdem Villatn lege Be?2ejiciaria ufuque frucluario teneant. Ol-
tre a ciò in que' tempi i Benefizj fi confondevano colle Preca-
rie o Prefiarie y oggid'i Livelli; le non che quefii fi concedeva-
no per Anni 25?. o fino alla terza generazione, o ad altri tem-
pi, ed uopo era di rinovarli ad ogni quinto Anno, o più tardi:
Laddove i Benefizj fi concedeano per tutta la vita del Benefi-
ciato , né occorreva la rinovazione . Veggafi Marcolfo nel Li-
bro II. Formola V. cioè Precaria de Villa , fatta a Marito , e
Moglie . Ivi fi legge : Ut ipfa Villa , dum advivimus , aut qui
pari fuo ex nofiris fuppreflis ( in vece di Superfìes ) fuerit dum
ad'vi'uit , nobis ad BENEFICIUM ufufruóiuario ordine excolen-
dum tenere permififiis . Cosi nell'Appendice del Baluzio ad ef-
fo Marcolfo Cap. 28. fi legge una Prefiaria con tali parole :
ut ipfas res ad prccfiitum Beneficium ti hi prafiare dehcremus ,
^od
Undecima. 107
^od ita & fecimiis , Jic talìter ut tempore Vuce tuoi ipfas.
res prò noflro Beneficio habere debeas . Truovanfi altri fimili-
elempii .
Aggiungasi , che gli antichi Benefizj Ti concedevano anche
alle Donne : il che fempre più fa intendere la differenza d'edi
da i Feudi , i quali regolarmente fi doveano concedere a gli
Uomini pel fervigio militare. Ne abbiam poco fa veduti due
elempii. Nelle Forinole pubblicate dal Lindenbrogio Gap. 22.
s'ha \\x\2i Precaria ^ in cui una Donna uta quelle parole : Ex-
petti a vobis , ut ipfas res , quamdiu advivo , Jub ufu Beneficia
'veflri tenere & ufuare debeam . Maggiormente ancora tal dif-
ferenza fi riconoice , perchè i Benefizj di Beni di Chiefe con-
ceduti a' Secolari 5 pagavano cenlo annuo, o le Decime, o le
None : il che non s'accorda colla natura de' Feudi. Nelle Mi-
fcellanee dd Baluzio Tom. III. v'ha un Diploma di Lodovico
Pio, che cosi parla : Baro Vajfallus 7ioJìer nobis innotuit^ quod
quamdam Villam fttam inPagoCenoma?2Ìco ^ ?iomineTridentem ^
de jure Cenoma'nica matris Ecclefiae per nojìrum BENEFICIFM
pojfideret^ de qua per fingulos Annos Nonas^ &Decimas , &le^
gitimos cenfus prdofatcs Matris Eccleftce ReBoribus perfolveret .
Un altro fimile Diploma di efib Auguflo fi legge alla pag. 104.
Pofcia alla pag. 158. fi notifica , che il Re Pippino neh' An-
no 752. aveva reftituito alcune Ville alla Chiela Cenomanen-
fe . Ma Vulfingo le chiede con dire : Dum ego advivo , prò
vjejìro Beneficio mihi ipfa loca liceat tenere , & dominare , Et
fpondimus vobis a?ims fingulis hibernaticam argento Libra una Ò'c.
Tali memorie badanti dovrebbero parere per conchiudere, che
i Benefi-^i de gli Antichi furono per più d'un riguardo diverft
da i Feudi , che s'introduffero ne'fufleguenti Secoh. Conviene
ora olfervare, avere i Vaffalli de i Re , ed Imperadori goduto
più d'un Privilegio. Imperciocché nonera permeffo al Conte,
e a' pubbhci Miniftri di tirarli al loro Foro , e di gaftigarli .
Le Caufe d'effi, e le lor perfone erano lottopolle lolaaiente al
Giudizio del Re, od Imperadore, ovvero del Conte del Palaz-
zo. Anzi allorché Carlo Magno nella Legge 43. comandò, ut
Comes Palatii nofiri Potentiorum caujfias fine nofìra jujjione fi-
nire 7wn prcsfumat^ fotto quello nome fi può conietturare , che
follerò comprefi anche i Vajfalli . Ma effendo che alcuni di
effi Potenti (prezzavano talvolta le Scomuniche de' Vefcovi ,
Lottarlo I. Augufto nella Legge 15. ordinò, che unito il Con-
O 2 te
io8 Dissertazione
te col Vefcovo forzafTe cofloro all' ubbidienza : Sì autem Vaf
fus nofter in hac culpa fuerìt lapjm , ficut fupra a Co-mite di_
Jlri?7gantr , ^uod fi eiim non audierit , nobis enu?2tietur ante-
quam in vinculis mittatur , Da tali parole fi può ricavare, che
non folamente nella Corte , ma anche per le Provincie , eb-
bero i Re , e gì' Iinperadori de i Valli o VaiTalli . Perciò ab-
biam^ veduto intervenire a i Placiti per onore anche i Vr^JJl
Regii , Anzi erano quefti talvolta fcdti per efercitar l'ufizio
di Mefli Regali . Lodovico Pio nella Legge 54, ha quede pa-
role : FriJP vero noftri , & Minijìri alii , qui MiJJl femt, uhi-
cumque n^eneritit conjeHum accipiant : cioè la contribuzione pel
vitto loro . Ne ho io dato un eiempio con un Placito dell'An-
no 857. ricavato dall'Archivio Archiepifcopale di Lucca , il
cui principio è quello : Dum ad poteftate Domni Hludovvici
perpetui Augufti partibus Tufcics Mijfi direni fuijfemus 7ios
Johannes Ù' Heribrandus VaJJi Imperiales , finguloruyn hominum
jujìitiam faciendam , cum vcììiffemus Civìtate Lucca , reftden-
tes nos in juditio Curte Ducale cmn Hieremiam Epifcopum ,
& Hildebrandum Comitem &c. Qiiefto Ildebrando vien appel-
lato Conte ^ cioè Governatore della Citta di Lucca . Cofimo
della Rena l' inferi nel Catalogo de i Duchi di Tofcana ; ma
fenza ragione. Era in que' tempi Duca, e Marchefe di quel-
la Provincia Adalberto L '^i vuol anche oifervare , che do-
pò avere i ValTi giurata fedeltà a i lor Signori , non poteva-
no fine commeatu ^ cioè lenza commiato, e licenza di elfo
Signore , paifare al fervigio d' altri . E intorno a ciò abbia-
ino la Legge 47. di Pippino Re d' Italia . Dubitò il Du-Can-
gè, fé VaJJi Comitum fi diftingueffero da gh altri appellati
Mijp Dominici . A me pare indubitato , che i primi foffero
i Familiari nobili de i Conti , e gli altri del Re , od Impe-
radore . Che fé alcun Vaffallo de i Conti , Vefcovi , Abbati ,
e BadelTe ( che alcune di quede ancora ebbero de' VaiTalli )
commetteva delitto contro il Re, perdeva il Benefizio. Simil-
mente neir Editto di Lodovico IL Imperadore per la ipedi-
zione di Benevento , viene ordinato , che fé il Conte , o i
Vaffalli Regj non andranno ali' Armata , e fé gli Abbati , e
le Badeffe non vi manderanno i lor Uomini , ipjì fuos Nono-
res perdant , cioè le loro Dignità . De Epijcopis autem cujus-
cumque Bajfallus rematiferit^ & Proprium y Ò' Bene fi cium per-
dant .
Que-
Undecima. icp
Queste ultime parole ci ricordano la differenza, che pafla-
va tra i Be?ù Allodiali , e i Benefizj , Feudi , e Livelli . De'
primi talmente era il Dominio preflb chi li godeva, che po-
teva lafciarli per Eredita, donarli, venderli, permutarli a iuo
talento . De gli altri il pofledente ne godeva il folo uiufrutto ,
reftandone il diretto dominio preffo il Padrone . Non parlo io
de' Fideicommiffi, perchè non truovo, che folTero allora in ufo.
In un Privilegio di Carlo il Groffo Re d'Italia, tratto dall'Ar-
chivio de' Monaci Cafinenfi di S. Siilo di Piacenza , fi vede eh'
eoli nell'Anno 880. conferma tutti ì fuoi Beni ad An^elbert^a
Imperadrice, Vedova di Lodovico IL Auguro , ttt haheat^ re-
tine nt ^ atque dominetur ^ qu<x:dam 'videlicet^ quoad vixerit , tifu-
fruendo , & potejìatt've ordinando ( ecco i Benefizj ) qucedam
vero perpetualiter pojjìdendo^ & cui voluerit dtmittendo . Hanno
cercato il Bouchet, e i Sammartani di chi foife Figlia la (ad-
detta Imperadrice Angelberga, e ci han dato de' fogni. Il Cara-
pi nella Storia Ecclefiaftica di Piacenza la fa Figliuola di Lodo-
vico I. Re di Germania, perchè fi truova appellata Sorella da
Carlomanno, e Carlo il Groflo Figli d'effo Re Lodovico, come
colia da' Diplomi da me rapportati. Ma da che ho io prodotto
un Privilegio d'efìb Lodovico I. dove Angelberga è da lui ap-
pellata DileBa ac Spiripalis Fllia nojìra Engilpirga^ denotante,
effer ella ftata Figlioccia, e non già Figiia di quel Re , niuno fi
quetera luU'opinione del Campi. In un altro Diploma del me-
defimo Carlo ilGroffo, già divenuto Imperadore, e fpedito nelL'
Anno 887. quella Principeffi è chiamata dile6ìijjima ^ & aman-
fijjima Soror no/ira Angilberga Imperarrix quondam Augufta . Ivi
di nuovo le fon confermaci i ilioi Beni : eo videlicet ordine ^ qude
proprietario Jur e illi corroborata jìmt ^ perpetualiter poJ]tdeat ^ fa-
ciatque ex ipfis libere quidquid elegerit tam in Dlvinis cuhibus ,
quam in humanis commoditatibus . Et qua; ei Jure Beneficiario col-
lata funt^ fecundum fuorum feriem Praceptorum ^ absque alicujus
refragatione ^ vel diminoratione pojjideat . Trovando noi fempre
più, che gli antichi Benefizj fi concedevano anche alle Donne,
e ne durava il godimento iolo durante la vita di chi gli aveva
ricevuti : iempre pii^i vegniamo a Icorgere il divario che palla va
fraeffi, e i Feudi de' Secoli fuffeguenti. S'ha dunque da offervare,
le nelle antiche Donazioni e concefhoni fi concedeva: Proprieta-
rio Jure ovvero ad proprium -^ perchè allora divenivano Allodiali
que'Beni. Altre Formole denotavanlofteffo. Ottone HI. A^uguito
neir
no Dissertazione
reir Anno ^p/. conferma con fuo Diploma Rogerio fideli nojtro^
fuisque fuccejfortbus , tutti i fuoi Beni, annoverati un per uno,
ut factant e:^ìnde qmdqu'tà eorum animus decrenjertt . Ecco Beni
Allodiali . E noti fi , che ivi fi confermano omnia Freddi a five
Caftclla cum Vìllh ^ & pertinenùh fuìs * Imperciocché antica-
mente anche le Corti , Terre , e Caftella non di rado erano
Allodi, e non Benefizj , né Feudi . Curtes o Cortes ^ come ho
anche provato nelle Antichità Eftenfi , una volta fignificavano
un aggregato di poderi, che formava un'intera Villa con Ghie-
fa, dove fi amminiftravano Sacramenti al Popolo. Sovente in
cfle Corti fi trovava anche il Cartello. Nel Tomo V. dell'Ita-
lia facra Carlomanno Re dona ai iMoniftero di San Zenone di
Verona Curtem nojìram nomine Defentianum juxta Ri pam La-
cus , cioè di Garda . Più lotto dice di concedere Cajìrum cum
CtiTte^ & Plebe ^ Deferiti anum nomine . Cosi predo il Fiorenti-
ni nella Vita di Matilda, quella Principeffa conferma allaChie-
fa Pi Tana Curtes cum Cajìromm inibì habentes. Il Sirmondo per-
fona di fingolar giudizio ed erudizione, ftimò che tutte le Corti
foifcro Allodi . Io non oferei fortoicrivere francamente una tal
fentenza . Certamente per l'ordinario fu così . In un Diploma
di Lodovico II. Augnilo dell' Anno 8<5i. vien detto, che Rut-
cherus quondam fidelis Vaffus & Mini Jì eri alis Jìojìer avea dona-
to alla Chiefa di Cremona Curtem fu<^ proprietatis^ nomine Ru-
berino , acciocché la teneffe jure proprietario prò Anima fu^ re-
medio . Con altro Diploma deli' Anno 8^3. efiflente neh' Ar-
chivio de' Canonici di Reggio , lo ftelTo Augufto dona Supponi
Strenuo Vajfo , dileHoque Conjìliario nojìro , quasdam Cortes ju-
ris Regni 72oftri , fitas in Comitatu Parmenfe , in Gajlaldatu Bis-
mantino , cioè Felina , e Malliaco , concedendole ad proprietà-
tem tanto a lui , quanto a' ùioi Eredi , e proeredi , /;/ perpe-
tuum habendas^ & pojpdendas . Equi fi offe r vi un'altra diffe-
renza, che paffa fra 1 noitri , e i vecchi tempi. Oggidì le Ter-
re , e Cartella poffedute da i Nobili perlopiù fon Feudali,
laddove anticamente moltiffime d'effe erano Allodiali. E per-
ciocché fecondo le Le^gi Longobardiche tanto i Figli , che le
Figlie legittime fuccedevano egualmente al Padre , ne avven-
ne , che i Beni individui , come le Chiefe , Cartella , Corti ,
Cafe , Selve ec. aveano più d'un Padrone; e crefceva la Di-
visone ne' Figli de' Figli, in tal maniera che fi truovano pode-
ri , e Cartella si divifi , che ne toccava ad uno la ventefima 5
-^ ad
Undecima. tu
e ad un altro la trentefìma parte . In uno Strumento del Mo-
nidero della Cava nell'Anno iop/\.. Gifolfo figlio del fu Gìo-
'va'/ìtìt Conte offerì a quel facro Luogo de duodtxim partibus in-
tcgras duas partes de'iuoi Beni. Altri elempli di Callella e Cor-
ti Allodiali ho io recato. Furono anche loliti gli antichi Re ed
Imperadori di concedere in Allodio e Proprietà de' Beni prima
dati in Benefizio, dichiarandoli da li innanzi liberi da ogni le-
oanie. Berengario I. Augnilo nell' Anno p20. concede Fiddl
72oJìro BcvBelo Curteni , quce Breoni dichur , gi^ polTedura da
Teutelmo fuo Padre con dire : De nojlro jure , & Domìnio in
ejus jus&Dominium omnino transjtmdimus^ & delegamus , For-
fè quella Corte era dianzi Beneficiaria o piìi todo perchè era
ftata donata da Lottarlo AuguRo a fuo Padre, quello fuo Figlio
per maggior ficurezza ne proccurò la conferma da Lodovico IL
èglio di elfo Lottarlo .
Vegniamo ora a i Feudi , de' quali han trattato i Legidi
con più , e più volumi . S' è dilputato non poco intorno all'
origine di quella voce , tirandola alcuni da Fcgdere , altri da
Fide o Fidelit^te , ed altri da voci Germaniche , o Danefì ,
con polcia determinare , che il Feudo fia un Gius di ufufrutta-
re un podere ahrtii conceduto con quejìa Legge , che chi riceve tal
Benefi-zio , Jia obbligato alla milizj^ pel Signore , o a prejìargll
qualche altro fervigio con buona fede . V'ha chi ha creduto, che
&à.\vQxho hi f educi are ^ trovato nelle più antiche Carte, fia pro-
venuto quello d' Infeudare , e cosi il nome di Feudo . Ho io
con varie pruove dimofirato , che Infiduciare prelTo gli antichi
altro non fignificò it non impegnare ^ o fia dare in pegno . Tut-
tocchè poi fi fia moilrato, qual differenza pafiaife fra gli anti-
chi Benefizj , e i chiamati veri Feudi, pure la frafe dare in Be-
neficium fi adoperò anche dipoi per fignificar f hifeudare . Se
prima del Mille fi truovi la voce Feudo , noi so io dire . Cer-
to è , che r abbiamo nel Secolo XI. Landolfo Seniore Storico
d' allora , parlando di Landolfo Arcivelcovo di Milano circa
l'Anno 1085. Ieri ve : Propinquis , quos in Carcanenfl Oppido
habebat , de Beati Ambrojti Archiepifcopatus bonis quadraginta
millia modios terree fruHuum ^ ut illos omnes dttaret vicinos , per
Feudum dedit. Cosi in unoStrumento, flipulato nell'Anno lopi.
in San Celarlo territorio di Modena, Landolfo Velcovo di Fer-
rara conferma nomine Feodi a Nordilo da Caftello vetere ( og-
gidì Caftelvetro ) i Beni , eh' egli riconofceva dalla Chiefa di
Ferra-
112 Dissertazione
Ferrara : ita taynen ut few'iat Domne Matilde dlebtds 'vite frs ,
& pojl ejus deceffum Ep'tjcopo , & fui Succejfores . Chi fi figura
di trovare prima del Mille la parola Feudo ^ vegga di non va-
lerfi di Documenti apocrifi . Il Goldailo rapporta una Coiiitu-
zione di Carlo il Groflo deli' Anno 882. dove comparifce il
Feudo. Altrove ho avvertito, quello effere un Diploma fallo.
Nel Bollarlo Cafinenfe, e nei Tomo IV. dell'Italia facra fi veg-
gono Diplomi di Lottarlo I. e del fijddetto Carlo il Groflo Au-
gnilo , dove l'A^bbate di Bobbio è invefrito del Comitato di
quella Terra , oggidì Citta, /W^ boìiorabilis Feudi ^ e dichiara-
to Conftìiarius jioflrcs Sig72atura ; ma corali forinole non fon
conformi a que' Secoli. Ne folamente fi diedero poderi in Feu-
do; s'introdufìTe ancora il concedere con quello titolo le Caftel-
la , le Marche , e i Ducati . Cosi ali' eiempio de i Re anche
i Duchi, Marchcfi, Conti, Vefcovi , ed Abbati fi procaccia-
vano de' V'affilili col dare ad elfi in Feudo Terre o Cartella .
Fiomo e Miles alicujus fignificava lo fi:efìb che Vajfallus^ e co-
me taìun dice Feudetario . Corrado I. Imperadore in un fuo
Diploma dell' Anno 1033. conferma al Monifi:ero di S. Pietro
in Calo Aureo di Pavia omnes illas Cortes^ quas quisque ufque
modo Beneficiali ordiìie deti?ìuit ^ Ù' qua Vajfallorum dicebantur.
Erano poi tenuti i Vafialli non folamente a militare in favor
del loro Signore , ma anche ad affiftere ad elfi per onore in
certi tempi , o come fogham dire , far loro la Corte . Ne gli
antichi Statuti MSti di Ferrara dell'Anno 1288. fi legge: VaJ-
falli non teneantur facere Curiam Dominis fuis in Pafchate , &
Nativitate, In molti Documenti della Contelfa Matilda noi tro-
viamo lotrofcritti i fuoi Nobili Vaffaiìi, come Corrado da Gon-
zaga , quei da Bibianello , da Bailo , e da Palù Reggiani ; da
Nonantola , da Vignola , da Calìel Vetere , da Gombola , da
Savignano occ. Modeneft. Ed allorché Arrigo fra gl'Imperado-
ri Quarto nel i nò", calò in Italia per impofTeffarfi deU'Eredi-
t^a della celebre Contelfa Matilda, tutti i VafiaUi della medefi-
ma corfero a fargli Corte , e quelli fi truovano da fi innanzi
appellati Vajfalli de Domo Corniti jj^cs Mathildis , come appari-
fce da un Diploma di Federigo I. Augnilo del 1178.
Gran copia di Vafialli ebbero gli antichi Marchefi d'Elle;
perciocché, come s'ha dalla vecchia Cronica picciola di Fer-
rara plurimam partem pojfejjionutn , quce fuerat de patrimonio
Marchefellce ^ cui ( nel Secolo XII.) fucceffìrant ^ jure Feudi in
clìeìì-
Undecima. iij
diemes Juos dìjlraxerunt . Però in certi tempi folevano elTi te-
nere Cur'i^m Vajj nlloYum , cioè la Corte , dove compariva la
oran folla de' loro Vaflalli per riconofcere da efìTi i Feudi , e
preliare occorrendo il giuramento di Fedeltà. Reflano tuttavia
gli antichi Regiilri d'efiì Feudi, e i giuramenti da loro prefta-
ti tn ple?ìa Curia VaJJ^allorum Manh'tormm EJìe?7jtum , Chi prin-
cipalmente cominciafTe a dar regola a i Feudi de gli ultimi Se-
coli, fu Corrado I. Iraperadore, il quale venuto in Italia a ca-
2Ìon della fiera diflenfione , che bolliva fra i Nobili, e il Po-
polo di Milano, pubblicò nell'Anno 1037. una Legge, da me
data alla luce , mentre egli aflediava la ftefla Citta di Milano .
Anche nel ii^ó. fi legge un Placito tenuto in Reggio da Re-
genza, o fia Richcnza Imperadrice , dove è decila una lite di
Feudo fra Ildebrando Abbate di Nonantola , ed alcuni pretefi
Vaflalh . Davafi poi l'Inveftitura de' Feudi con varj Simboli,
cioè colla tradizione ^ì un Baftone , di una Coppa d' oro , di
un ramo di albero , o altra fimil cofa , che fi metteva nelle
mani del nuovo V^aflallo . Il Du Cange nel Gloflario alla voce
Invejìitura ne rapporta varj elempli. Altri ne ho anch'io rap-
portato. Ma allorché ritrattava de' maggiori Feudi, fi dava
PInveftitura per Lanceam , & Confnnoìium ^ come apparifce da
quella , che Arrigo fra gì' Imperadori Quinto diede al Popolo
di Cremona per la loro Citta nell'Anno 1 1^5. nella qual con-
giuntura il VafTallo preftava il giuramento, che tuttavia fi pra-
tica di Fedeltà. Fu ancora in ufo, che i Vaffalli dei Re, Du-
chi, Marchefi, Vefcovi , Conti &c. avelfero de' Vaifalli mino-
ri, che perciò erano appellati Val'vaJJores . I ValTi poi de i Re
ed Imperadori, e i loro Feudi erano fottopolH folamente alla
Regia, e Cefarea Maefta , né dipendevano dalla Citta , o dal
fuo Governatore. Quand' elfi non godevano il titolo di Duchi,
Marchefi, o Conti, per Io più erano ìmìtoìa.n Capitanei^ del-
la qual voce mutata in Captaneo^ fi formò Cattaneo . Furono
anche chiamati Caftellanì , perchè fignoreggiavano qualche
Cartello . Nel Vocabolario della Crufca Caflellano è detto un
Abitante diCaftello. Ma le parole ivi addotte dal Boccaccio
nella Novella VII. della 2, Giorn. non fignifica quefto, ma ben-
s'i il Signore di un Cartello , Sembra nondimeno , che ne gli
Atti antichi del Comune di Modena fi deffe tal nome agli abi-
tanti nelle Cartella'. Dall' Inveftitura data da Federigo II. Au-
Tomo 1, P gufto
iiif Dissertazione
gufto a i Nobili della Garfagnana nell' Anno 1242. fi vede,
ch'eglino erano ch.id.mz.nVal'vaJfores de Garfagnana. Ma quel-
lo che fpecialniente merita olTervazione , fi è, che anticamen-
te i gran Signori tanto Ecclefiaftici , che Secolari aveano fot-
to di sé Vaffalli Nobili , che pel fervigio militare godevano
qualche Caftello, Corte, o Villa ; ma, ficcome già oflervam-
mo , tutti gh Unzj della lor Corte folevano godere con tito-
lo di Feudo qualche podere , o qualche determinata rendita
afìfegnata a quell' Ufizio , Perciò i Fornai , i Fabri , i Porti-
nari 5 i Marelcalchi , i Cuochi , i Cantinieri , i Sartori , e gli
altri della Famiglia de gli Arctvefcovi di Milano ( Principi una
volta ricchiflimi ) tutti a proporzione del grado loro ufufrut-
tuavano qualche Feudo , come cofta da una memoria da me
data alla luce . Che un egual coftume fi oflervafTe nella Cor-
te della rinomata Contejfa Matilda , fi può intendere dal fuo
Teftamento riferito dal Padre Bacchini nella Storia del Mo-
niftero di Politone . Ma fopra gli altri in quella magnificen-
za fi diftinfero una volta i Patriarchi di Aquileia , ficcome
Prelati , e Principi , che , dopo il Romano Pontefice , ebbe-
ro maggior potenza in Italia . Bell' Opufcolo ho io pubblica-
to , dove comparifcono tre forte di Feudi da loro conferiti ,
cioè K.etti o Legali , di Abitanx^ , e Minijìeriali . Fra gli ul-
timi 5 tutti fpettanti alla Famiglia di elfo Patriarca , fi con-
tano i Fornai , gli Scudellari , i Facchini , i Corrieri , i Sar-
tori , i Muratori , i Lettighieri , i Conduttori de' Bagagli , i
Falegnami , i Manganatori &c. Eranvi ancora i Minifleriali
Nobih , come Confalonieri , Camerieri, Coppieri, Scalchi &c.
Tali erano i coftumi de' vecchi tempi.
De
Duodecima. 115
De t Notai , 0 Notavi .
DISSERTAZIONE DUODECIMA.
CH1UNQ.UE è alquanto infarinato dell' Erudizione antica ,
sa onde fia nato il nome di Notaio , o Notarius . Cioè
da alcune Note , o Cifre, delle quali i Romani fi fervivano per
ifcrivere in poco i ragionamenti altrui . Una Cifra fignificava
una parola , come anche oggidì fi ula da i Letterati Cinefi .
Autore di molte d'effe anticamente fu creduto Tirone Liberto
di Cicerone . Altri pofcia , e fpezialmente Seneca ( non fi sa ,
fé il Vecchio, o ilFilofofo) ne accrebbero il numero fino a cin-
que mila . Chi teneva ben fitte in mente cotali Cifre , e ne
facea profeffione , capace era di copiar velocemente , e ridurre
in ifcrittura un Orazione , allorché fi recitava , e cosi gli At-
ti del Senato , e de' Concilj , le Difpute , ed altri fimili ragio-
namenti . Truovanfi ftampate quefte Note da Giano Grutero
nei Teforo delle lue Ifcrizioni . Più di un Codice ho io vedu-
to nella celebre Biblioteca Ambrofiana icritto con tali Cifre ^
e le ho trovate corrifpondenti alle Gruteriane . Notarti perciò
furono appellati cofloro , e tanta era la loro prefl:ezza , per
atteftato di Seneca nell'Epift. pò. ut quarnvis citata excipiatur
Oratio , & celeritatem lingua ma}jus fequatur . Coloro , che
mettevano anticamente in iicritto i Teltamenti, i Contratti,
ed altri pubblici Atti, fi chiamavano T/7i^é'//io»^j- , Tabularii ^
Scribce , AHuarii , Longographi , Cancellarli , Chartularii &c.
Ma perciocché i fuddetti Notai raccoglievano, e regifhravano
colle Note ciò, che in voce era profferito nel Senato, e in al-
tre pubbliche Congregazioni facre , e profane , e talvolta an-
cora le ultime volontà : perciò pafsò anche il titolo di Nota-
rius in chiunque elercita V ufizio di mettere in ifcritto ogni
determinazione fpettante alla fede pubblica ; e quefto divenne
poi familiare fra noi coli' andare de' tempi. Peraltro il nome
di Scriba fotto i Re Longobardi fignificava quefto pubblico
Ufizio; e fotto gli Imperadori Franchi fi truova quello àiCan-
cellariusy e infieme quello di Notarius. Nel Lib.IV. Legge 4,
del Re Liutprando viene ordinato , che volendo una Donna
vendere qualche fuo Stabile y non poffa farlo fé non coli' in-
P z ter-
ii6 Dissertazione
tervenro di due, o tre Parenti fuoi , e alla prefenza del Giu-
dice , cioè del Governatore della Citta , o del Prefidente di
quel Luogo . Scriba nutem , qui Chartam ipj'am fcripferir non
iiliter praefumat facere , nifi cum notitia Fareìitum , njel Judi-
cis ^ & Jì al iter fecerit , Jìt ipja 'uenditio vacua , & prcefafus
Scriba culpabilis , ftcut qui Chartam faljam fcripferit . Qj-ieilo
bel regolamento Longobardico tuttavia fi ofìerva in Lombar-
dia, ed altrove.
In que' tempi ancora, e molto più che a i noftri , faltava-
no talvolta fuori Strumenti battuti alla macchia ; il perchè
fu dal Re Rotari nella Legge 247. contra quello delitto fta-
tuita la pena del taglio della mano . Si quis Chartam falfam
fcripferit^ aut quoàlibet membranum ^ manus ejus incidatur. In
oltre per maggior ficurezza della pubblica fede Lottano I. Au-
guro nella Legge 12. determinò, che gli Strumenti s'aveffero
a Icrivere davanti al Conte , cioè al Governatore , o pure alla
prelenza de' luci Vicarj, o degli Scabini. Ut Cancellarii^ (cioè
i Notai ) eleóìi boni , & veraces , Cbartas publicas co-nfcribant
ante Comitem ^ & Scabinos^ & Vicarios ejus . Né potendofi que-
llo facilmente praticare ne'Teftamenti , efib Imperadore nella
Legge 13. fuffeguente , comandò, che dopo avere il Notaio
fcritta l'ultima volontà de i malati , fìatim Charta oftendatur
*vel ante Comitem , Judices , 'vel Vicarios , aut in Plebe , ut 've-
ra^ agnofcatur effe . Ecco i lodevoli ripieghi di allora per pre-
venire nel miglior modo polTibiìe i tentativi de' Falfarj . Il
creare i Notai, come oggidì, anche ne' vecchi Secoli apparte-
neva a i Re, ed Imperadori, o a chi era fatto partecipe de i
diritti Regj. Fin fotto i primi Imperadori Criftiani , e ne' tempi
fuffeguenti fu conceduto aiVeicovi di avere il proprio Notaio,
ed anche due, o tre : la qual prerogativa appreffo fi fteie an-
che a gli Abbati de'Monifterj. Carlo M. in uno de'luoi Capi-
tolari prefTo il Baluzio , cosi parla : Ut unusquisque Epijcopus ^
ér Abba^ & fmguli Comites fuum Notarium habeant . Lo lleifo
rito fi olfervò in Italia , E di qui intendiamo , che anche i
Conti aveano facoltà di eleggerfi il proprio Notaio. Non do-
vettero al certo effere da meno i Duchi. Nella Par. I. delle An-
tich. Eftenf. io produfTì Strumenti Icritti da Draffolfo, Ubaldo,
ed altri Notariis \^elphonis Ducis , o pure Marchionis Tujcids .
Nell'Archivio di San Zenone di Verona v'ha uno Strumento
del II 78. fcritto, mentre Gri??ìerio Vifconte Piacentino era Po-
defta
Duodecima. 117
defla di quella Città. Ivi fi leggono quefle parole : Ante ipfum
( Grimerium ) Domnus Gerardus Abbas SanBì Zenonh oftendh
Chartam qunnàam , tn qua contìnehatur , Dom?ìum R.atoldum
quondam Venerab'tlem Epifcopum Veronenfem , coynmutat'tonts no-
mine acceptffe ab ExcellenriJJtmo Pipino Lombardorum Kege ,
ex jure Regio , Curtem imam in finibus Verone?iJìs ^ que appel-
latur Manti e US &c. Ego Fantolinus Notar ius Domini W e! finis
Ducis , & ab Imperatore Frederico confirmatus pojìea Ò'c. Stru-
menti parimente ho veduto de gli Anni 116'^. iióp. q iiop.
fcritti da Notai Palatini Comitis : col qual nome credo io
difegnato il Conte di Lomello , che già vedemmo efiere fia-
to Conte del PalaT^ . Un Documento Reggiano del i2'^6,
è fc ritto a Johann e Notar io Domini Marchi Comitis de Lomel-
lo . Solevano nondimeno anche i Vefcovi chiedere, ed ottene-
re da i Re , ed Imperadori quefto Privilegio. Ugo , e Lotta-
rio Regi d'Italia nell'Anno ^42. in un loro Diploma concede-
rono tale facoltà ad Aribaldo Vefcovo di Reggio , con dire :
Concedimus denique eidem Adnjocatos finje Notarios , quantos aiit
quales Pontifices vel Minijìri Eccleftce elegerint tam de fuis ^
quamque de alìenis liberis Hominibus , qui ejusdem Epifcopii njel
Canonica , feu omnium Clericorum fuorum rerum utìlitates exer-
cere nofcuntur . Di qu\ abbiamo , che alle fole perfone Libe-
re, e non già ai Servi , fi conferiva quello Ufizio ; anzi in
tanto onore fu effo ne' tempi lufleguenti tenuto, che in alcu-
ne Contrade fi efercitava lolamente da perionc Nobili . Nelle
Antich. Eftenfi fi pofibno vedere Judices Sacri Palatii^ i quali
s'intitolano ancora Notarii . E in uno Strumento Lucchefe dell*
Anno 71^. mi comparve davanti Ultianus Notarius^ & Mijfus
Domni Regisy ( cioè Liutprando ) eletto per conofcere e rilol-
vere una controverfia.
A TALE Ufìzio erano anche ammefli i Cherici, Suddiaconi,
Diaconi, e Preti . Ad uno Strumento Lucchefe dell'Anno 740.
è fottofcritto : Gaudentius quamvis indignus Presbyter fcri'vere
rogavi. In un altro del 783. Giovanni Vefcovo di Lucca i^/7-
ehiprandum Presbiterum 7ioJìrum fcribere commonui . Et in uno
dell'Anno 893. fi legge : Ego Gumbertus Presbiter pofì traditam
compievi^ & dedi , Per la (teffa ragione fi truovano molti Dia-
coni, Suddiaconi, e Cherici efercitare il Notariato. Carlo M.
nondimeno nella Le2;ge Longobardica ^6. decretò , Ut nullus
Presbj/ter Chartam Jcribat ,, ncque conduHor exiftat fuis Seniori bus .
Le
ii8 Dissertazione
Le antiche memorie ci fan vedere poco ofTervata quefta Leg-
ge, perchè s'incontrano dipoi molti Preti Notai, forfè a tale
Ufizio eletti da i Vefcovi per gli affari delle Chiefe . Forfè
Csirìo }d. stkro^ìonvoWe ^ fé non vietare a i Preti il rogarfi de'
Contratti de' Secolari . Offervifi nondimeno , che i più de' Di-
plomi di Lodovico Pio IL Imperadore furono fcritti da Gìfel-
berto Prete ^ e Notato . In una Donazione fatta i' Anno ^74. da
Pietro Vefcovo di Volterra a i Canonici della fua Chiefa , fi.
legge infine: Ego que fuper Johannes Presbitero ^ & Kanonicus
fcrìpji , & compievi feliciter . Ma Innocenzo HI. Papa , come
corta dall' Epiitola iip. lib. 14. proibì Preslyteris ^ Diaconis ^
& Subdiaconis il Notariato , perchè proflituivano 1' onore dell'
Ordine Ecclefiaftico , fervendo alla Curia Secolare , e troppo
mifchiandofi ne gli affari profani . Per altro il P. Tomma^mi
Part. L Lib. 2. Cap. io5. de Ecclef. Difcipl. foftiene non vieta-
to a i femplici Chetici il Notariato : che che ne dicano i. Ca-
nonici . Anzi né pure a i Preti, qualora fi tratti di cofe fpet-
tanti al Foro Epifcopale, e di ciò fi truovano efempli recenti,
e vivi in Italia . Chi poi confiderà i Rogiti de* Notai de' Se-
coli prima del Mille, non può non eiclamare al vedere, come
foffe da' medefimi maltrattata la Lingua Latina : tanti fono i
lor Solecismi , e Barbarismi . Tal confufione talvolta compa-
rifce nel Linguaggio d'effi, che non fi può capire qual fia il
fentimento delle parole , e l' intenzione de' Contraenti . Con-
tuttociò ficcome noi ora abbiamo non pochi Libri , che trat-
tano dell' Arte del Notariato , e ci danno li efempli di qual-
fivogha contratto, cos\ non mancarono Formolarj a gli antichi
Notai per facilitar loro quell'Arte. Il più antico fra gli altri
ce r ha confervato la Francia ne' Libri di Marcolfo illuftrati
dal Bignon , e accrefciuti con altre Formole dal Sirmondo ,
Lindenbrogio, e Baluzio . Alcuno fimile, e forte più d'uno ne
dovette avere anche l'Italia; ma quefti cederono la mano, e
fparirono , da che nel Secolo XI IL comparve alle Luce vS'z/w??^
Art is Notarla ^ compofta Òì2ì Kol andino nell'Anno 1255. Il Du-
Cange e l'Oudin confufero quefto Autore con Rolandino Pa-
dovano ^ fcrittore della Storia, che fi legge anche nel Tomo VIII.
della mia Raccolta Rer. Ital. Certo è , che Rolandino Autore
d'effa Somma fu di Patria Bolognele . Loda egli a conofcere
in varie Formole di Strumenti . E nell'Edizion d'efla fatta in
Torino nell'Anno 1523. fi legge Sununa Domini Rolaudini Paf-
fagcril ,
Duodecima, i p
Cnf^evìi per Dotvìnum Petvum de Bonteria ipfiv.s Kolandìni Con-
civem Bo?ionienfem facili brevtque Commento declarata . Con-
fcfìaeoli, che non mancarono ne* precedenti Secoli Formolarj
dell'Ade del Notariato, madie a' Tuoi tempi non erano adat-
tabili al Foro, perchè effendofi rinovata l'antica Giurilpruden-
za, avrebbero introdotto in eflb troppe cautele e fottigliezze.
Anttquh temporibus , ( cos\ egli fcrifle nel Proemio ) fuper Con-
traBuum , & Inftrumentorum formas , & Ordines fuerunt per
quQsdam prudentes viros^ igìiaros fortajfts^ ex corìjciemics punta-
fe ^ fagacitatum fuhtilium modernorum , quidam Compii ationes ,
& Summce juxta tunc viventium mores & confuetudines adin-
'ventce &c. In quegli fteffi antichi Formolarj il povero Prifciano
fi dovea trovar bene fpeflb ftaffilato : il che apparifce da i Ro-
giti di allora , ne' quali fpezialmente inciampavano i Notai ,
iubito che la narrativa del Negozio li faceva dipartire dalFor-
molario fteflo . Però tale era alle volte l' ignoranza d' elfi , che
i Giudici , tuttoché né pur eglino gran Dottori di Gramatica,
erano corretti a dettar loro lo Strumento . In un Diploma di
Grimaldo Duca di Benevento , confervato a noi dalla Croni-
ca del Volturno, fi legge in fine : ^am vero membr/tnnm con-
ce JJlonis diólavi Ego Wifo Subdiaconus ex jujjione fupradiHa
Potejìatis tibi Pergoaldo Notario fcrìbendum . Che fé il Notaio
dettava egli lo Strumento ad altra perfona , f autenticava poi
colla fua fottofcrizione , come oggidì fi pratica . Ne abbiamo
refempio in uno Strumento Brefciano delf Anno 7^0.
Truovansi poi tre forte di Strumenti de' vecchi Secoli .
Sono i primi gli Autografi , o fia gli Originali , o Protocoli ,
che il Notaio Icriveva , e poi confignava a i Contraenti . Né
è ben chiaro , fé altra fimile pergamena reftalfe in mano di lui,
per ricavarne, occorrendo, altre Copie autentiche. Si ricono-
fcono quefti dalla varietà della mano de'Teftimonj, che fi fot-
tofcrivevano . Certo è bens'i , che due Copie fé ne davano ,
cioè tanto all'uno che all'altro Contraente, quando ad amen-
due importava d'averle . Secondariamente abbiamo altre per-
gamene, dove comparifcono i Teftimonj fjttolcritti , ma len-
za diverfita di caratteri . Se il Notajo , che fece la prima Co-
pia, fi fottofcrive : fegno è, aver egli fomminidrato a chi oc-
correva quelle Copie autentiche ricavate dall' Origmale . A
riconofcere poi, le copie tali vengano da quel medefimo No-
taio, conferitce non poco la conofcenza de' caratteri di ciaicun
Se-
120 Dissertazione
Secolo. La terza fpecie di Strumenti confide in Copie fatte da
fuiTeguenti Notai , e ricavate dal precedente Originale: nel che
fi dee ftar bene attento per non elfere ingannato . Solevano si
fatti Notai proteftare d'avere ricavata quella Copia dall' Ori-
ginale: del che abbiamo molti efempli , ch'io tralafcio . Ma
non vo' tacere , che in una di tali Copie pofleriori ricavate
dall' autentico Lucchefe s'incontra Vsfkht^ramus Comes nell'An-
no 8 IO. Quefti ha il titolo di Duca in un altro Documento
dell' Anno 800. accennato dal giudiciofo Fiorentini nelle me-
morie della ContefìTa Matilda . Amendue quefti Scrittori porta-
rono opinione, che Wicheramo foffe Duca di tutta la Tofca-
na . Ma a me fa difficult^ il trovarfi in que'medefimi tempi
anche il Governator di Firenze con titolo di Duca . Per altro
ne' barbarici Secoli non mancavano fabbricatori di Strumenti
falfi . E cafo che fofl'e meffo in dubbio, che un d' effi tale fof-
fe, d'uopo era, che il Notaio produceffe non folamente colo-
ro, che furono Teftimonj, ma ancora dodici perfone onorate,
che attedaifero con giuramento la fedeltà del Notaio , e la ve-
rità della Scrittura. Se non potea farlo, remiflione non v'era:
fé gli tagliava la mano ; e chi avea prodotta quella Carta , era
condennato alla perdita della lite , e ad una pena pecuniaria .
L'abbiamo da una Legge di Guido Imperadore. Polcia da Ot-
tone II. Auguflo con altra Legge , veramente affatto barbari-
ca , che a colui il quale pretendefìfe falfo qualche Strumento
foffe permeffo di provarlo per pugnam^ cioè col Duello. Vedi,
che ftrana immaginazione s'era allora intraverfata ne' cervel-
li Settentrionali . Talvolta poi venivano prodotti Diplomi , o
Strumenti abfque die , & die Me?ifts . Lodovico Pio Augufto
nella Legge 75?. dichiarò, che niun vigore aveffero, come ezian-
dio era fiatuito nelle Leggi Romane. Provvidero ancora gli an-
tichi Imperadori alla foverchia ingordigia de' Notai con iftabi-
lire una taffa delle mercedi loro dovute per gli Strumenti. Ec-
co ciò , che fu prefcritto da Lottario I. Augurio nella Legge 69.
cioè , che prò uno Judicato aut Scripto foffe loro pagata dimi-
dia libra argenti de majoribus Scriptis ; de mtnoribus infra di-
mi diam libram , quantum res ajjimilari pojjìt , & Judicibus re-
Bum 'videatur . Confiderando egli in oltre il bifogno de' Pove-
relli, aggiunfe : De Orphanis autem^ 'vel ceteris Pauperibus^ qui
ex/olvere hoc 7ionpojfunt^ in pro'videntia Comitis ftt ^ ut nequa-
■ quam inde aliquid accipiant . Ne gli Statuti fatti dal Popolo
Duodecima. 121
Modenefe nel 1327. fi vede ordinato, che ogni Anno s' ab-
biano da eleggere alcuni Notai, obbligo de' quali fofìfe il fare
gratis gli Strumenti della povera gente ; e che fimilmente fi
Icelgano due Giudici, che decidano le Caufe de' Poveri lenza
emolumento veruno.
Quei, che ora noi appelliamo Notai ^ ne' vecchi Atti pub-
blici di Roma fi truovano lovente chiamati Scriniarìi^ come
apparifce dal Codice MSto. di Cencio Camerario , da cui tra-
fcelti molti Strumenti fono fiati da me dati alla luce . In un
d'effi dell'Anno ii55>. per eiempio fi legge : Andreas Scrinia.
rius SanBa; Romatiie Ecclejice , & Sacri Lateranenjìs Palatìi
complenji ^ & abfolvi , In un altro del 1204. Ego Johannes Leo-
nis ^ SanB(^ R-omanin Ecclejìa; Scriniartus ^ hahens poteftatem dan-
ài tutorem & curatorem , einanctpandt , Ù" Decretum interponen-
///, & alimenta dee erìtendì^ compievi^ & abfol'vi , Mi è più vol-
te nato foipetto , che gli Scriniarj foflero divcrfi da i Notai
ordinar), e che portaffero quello nome per efler fì:ati yfrc/^/'ui-
Jìi della Chiefa Romana , benché facefiero ancora de i Rogi-
ti . Tale in fatti fu il fen ti mento del Du-Cange nel Gloffario
Latino ; e certo fembra , che vi fofie della differenza , per-
chè in que' medefimi tempi s'incontrano alcuni appellati non
gìk Scrini ari i y ma bensì SanBa Romamc Eccleji<e Notarii, Nel
Codice Teodofiano chiara cola è , che Scriniarii erano i Pre-
fidenti a gli Archivi de' Magilirati ; e di loro fi parla ancora
nel Codice di Giuftiniano . Contuttociò ne' Secoli pofteriori ,
perchè anch' efiì fi rogavano de' pubblici Contratti , pare che
non fi difterenziaffero da i Notai de' nolìri tempi . In fatti la
Gloffa , o Chiofa al Cap. ad Audientiam Lib. 2. Decretai. De
prcefcript. cosi feri ve : Scriniarii appellantur Tabelliones , & efl
imlgare Romanorum , Si può confermare tal notizia col trovarfi
in que' medefimi tempi, e Luoghi più d'uno, che s'intitola
Imperialis Aula Scriniarius , perchè creato Notaio con Privile-
gio Imperiale ; laddove ^\ Scritìiarj della Chiefa Romana era-
no abilitati ali' Ufizio del Notariato da Privilegio del Pontefi-
ce. Ad uno Strumento fatto in Anagni da Ottone dcColumna
nell'Anno 1232. fi truova fottofcritto Ego Ricardus Imperialis
Aul(S Scriniarius de co?2fen]u partium fcripjì^ & compievi roga-
tus . In uno Strumento ancora dell' Anno feguente , fatto in
Roma , fi legge : Ego Romanus SanHce Romana Ecchfia Seri-
iùariiis , (y Scriba Senatus , & Forencium Juflitiarius , rogatus
Tomo L Q. fr'^"
122 Dissertazione
fcrìpfi ^ & compievi . Coflui al fi e uro non potè effere Archivi-
ila delia Chiela Romana. Finalmente ho veduto uno Strumen-
to fcritto da Giovanni Mele nel 1221. che ^''mmo\2i Scrini arìm
Anagjìidc- , Perciò fi deve credere baftevolmente provato, che
Scriniario , e Notàio era lo (teflb . E ciò poi chiaramente fi.
deduce dalla maniera , con cui fi creavano in Roma i Giudi-
ci , e i Scriniarii . Ce l'ha conlervata Cencio Camerario ne'
fuoi MSti 5 ed eccola :
Qualiter Judex , & Scriniarius a Romano
Pontifice inftituitur .
^uum pYxfeììtntiìY Domno Papce tlle , qui Judex ejì exami-
fìa?ìduS') examinatuY prius a Càrdinalibus , qualiter fé in Legum
DoHrina iyitelligat , & ft legitime natus fuerit , & laudabili-
ter converfatus . ^ui Jl idoneus repertus fuerit^ hominium & fi-
deli tatem fecuridum co?2fuetudinem Romanorum Domno Papde hu-
militer cxhibet . Sed in ejus jur amento hoc additur . Caufas ,
quas judicandas fufcepero, poft plenam cognitionem malitiofe
non protraham , fed lecundum Leges , & bonos mores , ficut
melius cognovero , judicabo . Inflrumentum quoque fallum ,
fi in Placito ad manus meas forte devenerit , nifi exinde pe-
riculum mihi immineat, cancellabo . Tunc Pontifes Codicem
legis ejus manibus porrigens dicat : Accipe Poteftatem Judican-
di fecundum Leges , & bonos mores.
De Scriniario eodem modo jìt , Jìcut de Judice . Sed jura'
mento ejus hoc additur: Chartas publicas nifi ex utriusque par-
tis confenfu non faciam . Et fi forte ad manus meas Inftru-
mentum falfimi devenerit, nifi exinde mihi periculum immi-
neat , cancellabo . Tunc Pontifex dat et Pennam cum Calama-
rio^ Jìc dicens : Accipe poteftatem condendi Chartas publicas
fecundum Leges, & bonos mores.
Nulla fi parla qui d'Archivi , ma folamente di far pub-
blici Rogiti, e Strumenti , cioè di efercitare il mero Ufizio del
Notariato . Di qui ancora s' intende , che gli Strumenti falfi
non erano cofe forertiere in que' tempi . Trovanfi poi nel Se-
colo Xin. in Roma , e per gli Stati della Chiefa Romana
gran copia di Notai , ciafcuno de' quali s'intitola SacroJanRa
Ecclcjìie Komance auSloritate Notarius . E tali Notai creati Au-
Boritate Apojìolica -y non folamente in Roma, e nello Staro Ec-
clefia-
Duodecima. 123
clefiadico , ma anche ne gli altri paefi della Criftianita Occi-
dentale , etìam in Francia^ n)el Angli a ^ feu Hifpania^ faceva-
no de gli Strumenti, come attefta Gulielmo Durante chiamato
lo Speculatore , Tit. de fide Inftrumentorum : della qual verit^a
reliano molti efempli . Ali' incontro fi contavano anche più
frequentemente i Notai creati con Autorità Imperiale, a' qua-
li era permeflb di rogarfi de gli Strumenti in Roma fleffa , e
per tutta i'Itaha, a riierva di Venezia , e per qualche tem-
po ne' Regni di Napoli, e Sicilia . Erano coftoro appellati 5'^-
cri Fai aiti ^ o pure S acri Imperli . Notarii-y o pure Notarii Domai
Imperatoris^ Notarii F alatini , Regalis Curiae Notarii , Imperia-
lis Aulce Scriniarii &c. Ne ho io rapportato varie pruove , fic-
come ancora il regolamento fatto in Roma nell'Anno 1220.
per la Cancellarla Pontifìcia , cioè per coloro, che fcrivevano
le Bolle, e i Brevi de' Pontefici.
De gli Uomini Liberi , ed Arimanni
DISSERTAZIONE DEGIMATERZA.
FRA l'altre cofc , che diverfificano i tempi noflri da i vec-
chi Secoli , forfè la principale è il vederfi oggidì Liberi
tutti i Popoli deli' Italia , e-tanti altri della Criftianita Occi-
dentale : laddove una volta fu di due forte la condizione de
gli Uomini, cioè di Liberi^ e ài Servi. Qj-iefto coftume non
iolamente fi olfervò da i Goti , Longobardi , Franchi , e Ger-
mani , ma eziandio ne' più remoti Secoli da gli Ebrei, Greci,
Romani , ed altri Popoli dell'Oriente. Chiunque legge alquan-
to gli antichi Libri di quelle Nazioni , tofto fé ne avvede. E
perciò importa molto ilconoicere, in che confi fteffe il divario,
che paffava fra quefti due ordini di perfone anche ne' tempi
barbarici . Primieramente Liberi venivano appellati coloro ,
che a ninno erano lottopofti, fecondo l'iftituto delle Genti ,
fuorché al Re, o all' Imperadore, o alla Repubblica; percioc-
ché quanto a i Figliuoli , eh' erano fotto la patria potefta , e
alle Donne, che erano m Mundio ^ cioè fotto la tutela o po-
defta del Marito, o del Sacro Palazzo , non laf:iavano elfi di
godere la prerogativa di perione Libere , fembra nondimeno ,
che chi nalceva Libero , partecipalfe in qualche guifa della
Q^ 2 No-
124- Dissertazione
Nobiltà 5 fé non che le ricchezze veramente efaltavano i Ric-
chi fopra i Poveri, e le cariche pubbliche accrefcevano l'ono-
re , e la Nobiltà di chi le eiercitava . Siccome al tempo de'
Romani , cosi ancora ne' fufieguenti Barbarici , fi divideva' il
corpo de' Liberi in due ClafTì , cioè in Ingenui nati Liberi , e
in Liberti , a' quali dopo la fervitù era (lata conceduta la Li-
berta dal loro Signore . Godevano i primi una fpezie di No-
biltà innata ; non cosi i fecondi , che acquiflavano bensì la
Liberta, ma non già alcuna Nobiltà. I loro pofteri nondime-
no, perduta la memoria della fervitìi , poteano confeguire il
pregio della Nobiltà . Vero è avere fcritto Tegano de Geft.
Ludovici Pii Gap. 44. Fecit te Liberum ?ion Nobilem : quod im*
pojjibile eft pojì Libertatem . Ma quefto fu detto di Ebone Ar-
civefcovo di Rems , il quale non gik nato, ma fatto Libero,
niuna forta di Nobiltà poteva attribuire a se fleffo . Ma que-
fìo pregio non pare negato a i Difcendenti de' Liberi . Nel
Concilio di Aquisgrana dell'Anno 81^. Gap. iip. vien ripro-
vato il coRum& di promuovere a gli Ordini Ecclefiaftici i Ser-
'vi : il che nondimeno mai non fi faceva , le non col conce-
dere loro la Liberta ; ed ivi è detto : Nullus Prcelatorum , fe-
clufts Nobilibus , viles tantum in fua Congvegatione admittat
perfonas . Vili perfone fon chiamati coloro , che erano flati
Servi ; ed opponendofi quelli a i Nobili , parrebbe perciò ,
che gì' Ingenui , nati Liberi , fodero in qualche maniera ri-
putati Nobili . Per atteftato nondimeno di Nitardo Storico nel
Libro IV. tre Ordini d'uomini fi trovavano fra i SafToni .
Gens Saxonum omnis in tribus Ordinibus divi/a conjijìit . Sunt
enim intev illos Edelengi y funt qui Frilingi ; funt qui LaJJl
eoruìn Li?igua dicuntur . Latina vero Lingua hoc Junt Nobiles ,
Ingenui j & Sewiles, Adunque non baftava eifere Ingenuo per
pretendere la Nobiltà . Pure Camillo Pellegrini uomo dottilTi-
mo nella Prefazione alla Storia dell' Anonimo Salernitano por-
tò opinione , che niun Longobardo foffe in Italia , che non
godefle della Nobiltà . Fir Langobardus^ die' egli , ideoque No-
bili s . E tal fuo detto fpiega egli con dire : Langobardi omnes
fordidis ab artibus femper abfìinuere , dum rebus potiti funt prof-
peris , ac primce'va in dignitate permanfere • nullusque in tota
gente habebatur , qui Sublimis , & Illujìris , hoc eft Patritius ,
non cenferetur »
CoNTUTTOCio^ fi può dubitare , fé fopra lodi fondamenti
polì
D E e I M A T E R Z A . Il)
pofi qiiefla fentenza . Chi ha afiicurato il Pellegrini , che a
niun'Arte fordida fi applicale alcuno de' Longobardi ? V'era-
no Ancille, o fra Serve Longobarde, come riiuita dalla Leg-
oe 1574. di Rotari . Anche de' Longobardi vi faranno Rati al-
cuni Servi, e qiiefti al certo erano elclufi dalla condizione de'
Nobili . Però più ficuro il credere , che anche fra Longobar-
di fi trovaffe il triplicato ordine òq Nobili^ àt 2^1 Ingenui ^ e
òt Servi. Noi vedremo, che anche molti de gf Ingegnili Lon-
gobardi per la loro povertà coltivavano le Terre altrui. Odali
poi Paolo Diacono Lib. V. Gap. 3(5. de -Geft. Longobard. che
cosi fcrive : Bre^^ana Civitas magnam femper Nobilium Lan-
gobardoriiìn multitudinem habuit . Se ciafcun Longobardo era
afcritto al ruolo àc Nobili ^ non occorreva, ch'egli aggiugnef-
fe Nobilium. L'aggiunte egli per denotar quelli , che ne' fuf-
feguenti Secoli furono appellati Milites . E qu\ lotto al Ca-
pir. XVIIL vedremo fcritte Lettere Clero , Nobilibus^ & Ple-
bi delle Citta . Adunque la Plebe era differenziata dall' Ordi-
ne de' Nobili , tuttocchè quello foffe comporto da perlone Li-
bere con efclufione de' Servi. Diffi, che gli Uomini Liberi co-
si furono appellati , perchè non fottopofti al dominio di al-
cuno , fuorché al Politico del Principe . Ma qu\ ci viene in-
contro il Du-Cange alla voce Liberi nel Glofìfario Latino, con
dire : Liberi homines fub patrocinio ^licujus effe debebant^ nec
omnino fui juris erant : in pruova di ciò egli cita il Cap. 8.
della divifion dell' Imperio fatta da Carlo Magno , dove fon
quelle parole : Prcecipimus , up quemlibet Liberum hominem ,
qui Dominum fuum cantra 'voluntatem ejus dimijerif ^ & de uno
Regno in nliud profeHus fuerit , neque ipfe Rex Jujcipiat , ne-
que hominibus fuis co?ifi'}ì!:iat , ut talem hominem recipiant &c.
Hoc non folirm de Liberis , fed etiaìn de Servis fugitivis flatui-
mus objervandum , ut ?2ulla dijcordiis relinquatur occajìo . Ma
qui Carlo Magno altro non vuol fignificare , fé non che do-
po aver egli divifo l' Imperio Tuo in tre Regni , e affegnata-
ne a i fuoi tre Figli una parte per ciafcuno , non dovea effe-
re permefib a i fudditi dell' uno il palfare nel Dominio dell'
altro contra voluntatem Domini fui , cioè del proprio Re , e
andare ad abitare altrove ; perchè poteano quindi nafcere di-
fcordie tra i Fratelli . Anche il Re Rotari nella Legge 177»
cos\ decretò: Libero h omini li cent migrare quo njoluerit -^ attamsn
intra DomÌ?tiirm Regni noflri . Qiielto diritto dei Sovrano non
toghe.
125 DlSSERTAZI O N E
toglie , che 1' Uomo Libero fia fui juris . Né col fuddetto
Gap. 8. della Divifion dell'Imperio s'ha da confondere il ie-
guente Capitolo , dove fi legge : U?ìMsquisque L'ther homo pojì
7nortem Domini fui licemiam hnheat fé commetida?ìdi intra hcec
trìa Regna ad quemcumque njoluerit . Siiniliter Ù' ille , qui non-
dum alieni commendatus ejì . Lo (lefTo vien prefcritto nella
Divifion dell'Imperio fatta da Lodovico Pio , rapportata fra i
Capitolari . Né pur da quefto fi può inferire , che niun Uo-
mo Libero fofie fuis juris . Commendare fé vuol dire metterfi
al fervigio d' alcun gran Signore , e divenir fuo Vaflb . Chi
ciò facea , giurava fedeltà al Signore , e fenza licenza di lui
non potea pafTare all'altrui fervigio. Mancato di vita il Signo-
re , allora poteva egli imprendere il fervigio d'altro Potente,
purché ciò feguifle in uno de i tre Regni . E chi de' Liberi
non avea mai prefo fervigio , potea farlo anche paflfando fuo-
ri d'uno d' efll Regni nell'altro. Non lafciavano per quefto
i VafTì , e Cortigiani d'effere Liberi , tuttoché fpontaneamente
aveflero eletto di fervire a qualche Principe.
Sovente fi truovano mentovati nelle vecchie Carte Arìman-
ni^ o T^UYQ Herimanni , Se talun chiede, qual forta d'Uomini
fofiero cofioro , il Bignon nelle Note a MarcoUo Lib.2. Cap.i 8.
gli rifpondera : Ari mania heic prò F amili a ufurpatur. Sane eo
nomine Servorum feu Colonorum fpeciem ftgnificari ^ manifefìum
efl multis ex Inflrumentis . Ma che gii Arimanni foffero Ser-
vi, o Coloni, pofliamo negarlo, e fra poco apparirà, che quel
dotto Scrittore non colfe nel punto . Si dee pertanto dire ,
che gli Arimanni furono perfone Libere , e che tal nome fi
dava a si' Ingenui, che in Francia con altro nome ancora fu-
rono chiamati Franchi . Ridicola è 1' origine di quefto nome
preflb chi la tira dal Greco Ares , quafi fignifichi un Uomo
Marziale o Militare . L' Eccardo la deduce da Herhm^nner ,
qui bona hereditaria pojjidet^ Ò^ efl Dominus minor* Il Voflio
da Heer & Mann ^ quafi fia Cliens Domini per qualche pode-
re a lui dato dal Signore a titolo di Benefizio. L'Aventino e
il Goldafto da Here ^ e Mann , quaji Vir exercifuum , Homo mi-
litaris. Niuna di quefte Etimologie é inverifimile, e tutte con-
corrono a farci conoicere di onorevol condizione gli Ariman-
ni . E giacché é permefib il far qui da indovino , chieggo ,
perché tal voce non poteffe difcendere da Ehre , che fignifica
Onore ^ q Manu Uomo ^ per fignificare unaperlona di grado ono-
re vo-
D E e I M A T E R Z A ; llj
revole . Tali certamente furono gli Arimanni, e non già con-
finati nella feccia del Popolo, cioè fra i Servi . Anzi godeva-
no efTì qualche prerogativa di Nobiltà, ed erano afcritti alla
Milizia , ed alcun d'e^i fu Vaffallo de i Re , o d'altri Potenti
Signori . Primieramente nella Legge 2. di Rachis Re de' Lon-
oobardi è ordinato , ne cujuscumque Scrvus Arìmannam ducat
Uxorem . Ecco ciò che tanto prima avea prefcritto il Re Ro-
tari nella Legge 222. con dire : Si Ser'uus Liberam mulierem
ttut puellam aujus fucrtt ftbì conjugìo fociare , anìmcs fucs in-
curr/it periculum . Anche fecondo le Leggi Romane delitto era ,
fé un Servo aveffe fpofata una Donna Libera. Il Re Liutpran-
do nella Legge 6, del Lib. 4. temperò poi la feverita di quel-
la di Rotari . Ecco dunque che Arimanna Mulier vuol fignifi-
care lo fieffo che Libera . Il che vien confermato dalle parole
ÒX un Diploma di Lodovico Pio , conceduto al Moniftero di Ve-
rona, e rapportato dall' Ughelli nell'Italia facra ; e tali fono:
Etiam placuit nofìrce Sevenitati de Farnulis ejusdem Monajìerii
dejinitiones facere , 'videlicet feminis Liberis , quas Itali Heri-
mannas vocant , quoe fé famtdis ipftus Ecclejtce , & Monajlerii
copulaverint &c. fecundhm prdsdecejfonmi Jìatuta Imperatorum
Ù'c. fupradi^lum San6ium Locum inviolabiliter pojjideat , L'Edit-
to di Liutprando portava , che la Femmina Libera fpofando
un Servo , fé i Parenti non ne faceano vendetta , diverrebbe
Anelila , cioè Serva del Palazzo . Qlii fi concede , che Donne
tali maritandofi con Servi di San Zenone, diventino Anelile di
quel Moniftero . Cosi preffo il Campi nel Tomo I. della Sto-
ria Ecclef. di Piacenza Lodovico IL Augufto concede a quel
Vefcovo Sofredo Gifebergam nativitate Liberam , fed prò con-
junHione , qua fé Ifembaldo Servo nofìro conjunxit , ad partem
nofìram legaliter , & per judicium publicum pojì acquijìtam .
Altri fimili efempli fi truovano nel Catalogo de' Vefcovi Bene-
ventani Tom. 8. dell' Italia Sacra , e nella Cronica Farfenfe
Part. II. del Tom. II. Rer. Ita!, pag. 3^5. e 37^.
Acciocché nondimeno piìi chiaramente apparifca quefla
verità, fi offervi un bel Placito tenuto in Milano nell'Anno por.
da Sigefredo Conte del Palazzo , e Conte di Milano . Alcuni
abitatori di Vico Rainerio fon chiamati in Giudizio dal mede-
fimo Conte, pretendente, che i medefimi io^txJà Aldii o Al-
dioni ( che gente foffe quella , lo moftreremo al Cap. XV. )
della Corte di Palazzuolo fpettante al Conte di Milano . Ali'
incon-
128 Dissertazione
incontro foflenevano quegli Uomini d'efìere yfw>M?;;7/ , e non
Alda 5 e dicono : Et nos eì dedimus refpo?2fiim , quod de nojìris
Perjonìs non Aldn , fed Uberi bom'tnes ejfe deùeremus , & pa-
rcnpìbus nojìrì Liberi homincs fiàffeììt . F.t ìios in eadem Liber-
iate de Libero patre , & Libera matre iiati ejjemus . Aggiun-
gono di coltivare bensì alcune Terre di quella Corte, ma len-
za pregiudizio della loro Liberta : da che conofciamo, che non
mancavano perlone Libere , che lavoravano le Terre altrui .
•Adducono polcia varj Teftimonj intorno allo ftatoloro; laon-
de vincono la lite . Una eziandio delle pruove da loro addot-
te in favore della Liberta , fi è quella di pofTedere alcuni Sta-
bili di loro ragione : il che non potea competere a chi foiTe
Servo. Anche nella Dieta di Pavia dell'Anno 855. de Liberis
hominibus qui' fuper Aherius res rejìdent , co?ìJìitutum efl , ut
fecundum Legem Patroni eorum eos ad Placitum adducant , Per-
ciò Tempre più intendiamo , che non foli Servi , ma anche
perfone Libere erano lavoratori della Campagna . E ciò pari-
mente fi raccoglie da uno Strumento di Walperto Vefcovo di
Modena^ il quale nell'Anno 8<5^. da a coltivare alcuni Campi
ad un Gicvanni uomo Libero , ad laborandum , colendum , Ca-
nai es adificandum^ t'itis pone?idum ^ paflenandum , propaginan-
dum ^ & excolendum , jìnes ad defenfandum , Ò^c. & exinde
annue temporibus reddttum , atque tributum perfol'Vere , ide/ì
grano gyojjo modio quarto , minuto autem modio quinto , lirio
manna quinta , vino medietatem ^ & in Domini Natale pullos
duos.^ cvasdecem^ operas n;ero per Annos facere dies quatuor ma-
ìiualis cum Domnica annona; inter curte ^ Ò' Orto faciendumfe-
Jìavia quatuor &€. & in omnibus fuprafcriptis rebus , & Tegia
palliaticia meliorentur^ & non pejorentur &c, QueRoW a Ipcrto
Vefcovo di Modena non fu conolciuto dal Sillingardi, ne dall'
Ughelli : e fi olTervi qui h vocq Tegia fignificante il Fenile.
I noftri Notai ora dicono Teges Tegetis^ parola, che punto
non fignifica quello , che intendono di dire . Il noflro Mode-
yìg[q Tegia ^ o HàTeggia^ viene dalla Lingua Latina. Attegia
TeguUtia fi legge in una Ifcrizion del Grutero . E Giuvenale
rammenta nella Satira 14. Maurorum attegjas^ cioè i Tugurj,
e le Capanne. Il Du-Cang^ alla voce T^^/^ fcrive: Fides eoo-
pertura, Papias MS. & editus . O fedizion del Du-Cange , o
i Godici di Papia , fon gualH in quello luogo , e fi deve fcri-
vere Fosni coopertum , il Fenile . Notifi ancora Lino manna
quin-
Decimaterza. 12p
quhita. Noi ufiamo oggidì Matiella , ed è lo fteflb che il Ma-
7ìtpulus de'Latini. L'antico Interprete di Giù venale fpiegaM/^-
7iipulas con dire Manrifis Fxni , In molti antichiffimi Affitti di
quello Paele prima del Mille fi parla fempre di Lino femina-
to , ed anche ne gh Statuti del Popolo di Modena dell' An-
no 1327. è ordinato de femlnando quol'thet Anno unam mtnam
Lini per quemlihet habentem unum par boum feu Vaccarum a
Serra de Ligorz^no ìnferius , Ma oggidì fi attende Iblamente
a, kmiuciY Canape^ forfè perchè rende più frutto, o efige meii
fatica. S'è anche veduta la maniera d'allora in affittar Terre-
ni , e che non meno allora , che a' noftri tempi erano in ufo
tanto il grano , o fia Frumento groffo , che il minuto . Altre
Carte abbiamo , dalle quali cofla , che v' erano Contadini la-
voratori Liberi . E prelTo 1' Ughelli fi truovano Majfarii , &
Coloni Liberi. Né fi dee tralafciare la Legge 62, di Lodovico Pio
AuguRo , che tratta de Liberis hominibus , qui proprium non
hahent . E la Legge 66. parla de opprejjione pauperum Libero-
rum^ ut non jiant a pote7itioribus per aliquod malum ingenìum con-
tra jujìittam opprejjì . Coloro eziandio, che nelle vecchie Car-
te nomati fono Re/tdentes , furono Contadini Liberi lavoranti
le Terre altrui , come cofta da uno Strumento dall'Anno yj'j.
fatto da Peredeo Vefcovo di Siena.
Sappiamo poi, che gli Arimanni erano obbligati alla Mili-
zia, quando occorreva il bifogno : il che forfè non piaceva a
molti, ma era onorevole per tutti; perciocché né folto i Ro-
mani, né regnando in ItaliaC i Longobardi, e Franchi , fì per-
metteva di militare a i Servi . Nella Legge 4. di Guido Impe-
radore abbiamo : 5'/ ex pracepfo Imperiali Comes loci ad defen»
ftonem patrioe fua Herìm atmos hojìiliter properare monuerat . E
tutta la Gente Libera dovea prendere l'armi , né reftava al-
cun d'elTi acafa, fuorché pochi per fervigio del Conte, Scul-
dafcio, o Saltare , come s'ha dalla Legge 25?. Lib. V. del Re
Liutprando; dalla quale anche impariamo, eflervi flati uomi-
ni Liberi , qui nec Cafas , nec terras habent , e pure non an-
davano efenti dalla Milizia . Veggafi ancora la Legge 71. di
Lottarlo I. Augufto . Refta dunque conchiufo, non altro effere
ftati gli Arimaìini , che la Gente Libera dipinta da i Servi .
Conviene ora cercare, qual cofa io^^t YArimannia^ di cui tro-
viamo menzione nelle memorie dopo il Mille . In un efame di
Tedimonj fatto nel 11 82. in favore del Vefcovo di Ferrara il
Tonio L R legge :
ijo Dissertazione
legge: de Gla^nno ìntenogatus d'tc'tt .^ quia partim eft An'tmnìu
ma 5 & partim Empheteujìs . Pro Arrìmannta debent recìpers
Comttem bis in anno , & unaquaque 'vice dare duos pajìos , Ep
ibi debet tenere Pi acitum generale tribus diebus , Et Jl ArrtmaU'
nus dijìulerit venire ad Placitum , debet Jolvere prò banno cen-
tum & cólo Blancos , V'erano adunque Ville, i cui campi par-
te erano pofTeduti da gli Abitanti con titolo di Arimannia , e
parte a titolo di Livello, Qiiefti pagavano cenlo al diretto Pa-
drone ; quelli con pelo più nobile doveano fervirlo alla Mili-
zia, ed afliftere per onore a lui, o a'Miniftri fuoi, quando te-
nevano Placiti, o vogliam dire pubblici Giudizj . Forfè quelli
tali ne'fuddetti tempi erano Vaflalli. Anzi potrebbe talun pen-
sare , che non tutte le perfone Libere pafTalTero fotto nome
d' Arimanni , ma quelle folamente , che abitavano in Terre
del Principe obbligate al fervigio militare , e ad altri pefi .
Guido Imperadore nella Legge 3. flabili , che il Miniftro Re-
gio ab Ariìnannis fuis nihil per vim exigat , prater quod con-
ftitutum legibus ejì ^ [ed neque per forti am in manftonem Herì'
manni applicete aut Placitum teneat. Perciò allorché gl'Impe-
radori concederono ad alcuno le Regalie, furono foliti di men-
zionare V Arimannia, Nella Part.L Gap. 8. delle Antich. Eftenfi
Arrigo fra i Re di Germania Quarto nell'Anno 1077. confer-
mò ad Ugo , e Folco Principi Eflenfi Rhodìgium in Comitati
Gavelli &c. Comitatum , & Arimaìmiam ; ed altre molte Ter-
re, Cartella, e Corti, Ù' omnes Arimanni as^ quce ad iJìasCur-
tes pertinent * In un Privilegio dato nel 1133. ai Cittadini Man-
tovani Lottario IL Augufto conferma ad efli Arimanniam cum
rebus communibus ad Mantuanam Civitatem pertinentibus ex utra-
que parte fluminis Mincii , & Tartari . A i medefìmi Manto-
vani con altro Diploma Federigo I. Augnilo nel 11 59. Privt^
legia , Cunóios Arimanos in Civttate Ma?ituce , Jìve in Cajìro ,
quod dicitur Portus , Jive in Villis , qu<s nominantur Sanóius
Georgius , Cepada , Formigofa , feu in Comitatu Mantuano ha-
hitantesòc. Era in que' tempi Mantova Repubbhca governata
da gli Arimanni , cioè dalla gente Libera , eflTendofi dopo la
morte della Contefla Matilda quel Popolo meffo in Libertà .
In uno Strumento del Moniftero di Polirone ftipulato nel 1120".
quella Comunità litigava coi Monaci. Sono ivi nominati pri-
ma i Con foli della Città, pofcia gli Arimanni, col qual nome
fembrano difegnati i Nobili, prefifo i quali era allora il Governo.
ToR-
Decimaterza. iji
Torniamo 2.Vì Arimannìa , Baldo, l'Alvarotto, il Cuiacio ,
il Gotot'redo , ed altri Interpreti delle Leggi , ci dicono delle
inezie in volendo interpretarla , trovata nelle Leggi Feudali .
Federigo L nel Lib. 2. Tit. 5^. fra le Regalie annovera ^rw/?;/-
dtam , vias publkas &c. Sognarono efli difegnata con queftà.-
voce r Armerìa pubblica , 0 il Gius di fabrìcar Armi , 0 la Gay
bella , chs fi ricava da gli Armenti &c. Ma s'ingannarono -
perchè quella voce è Icorretta , e vi fi dee fcrivere Ariman^
niam^ o Herimanniam, Conta vafi in fatti fra le Regalie l'Ari*
mannia. Lo fteffo Federigo L nell'Anno 1 177. a petizione de.
Marchefi Eftenfi confermò tutti i Beni al Moniftero delle Car^
ceri d'Efte in bannis fodris ^ Placitis ^ Dt/ìriHìs ^ Arimanniìs s
& cum om ni h onore , L' Arimannia dunque fignificava il Giù.
di efigere il lervigio , o altro provento da gli uomini Liberi .
L'Ughelli ne'Vef^ovi di Verona della prima Edizione rappor.
ta alcuni Atti di una Controverfìa vertente fra il VefcovoNo.
randino, e il Comune à\ Vono fuper JurisdiEiione ^ honore^ di.
JìriHu , & aduhuYo , quod vulgo Plebania nuncupatur ^ & Eri
maria , & fodro Porti &c. Ognun vede che ivi farà ftato Eri-
mannia . Scorretto è ancora quel che feguita. E molto più un
Diploma di Ottone il Grande dell' Anno ^^7. da lui umilmen-
te rapportato , dove fi legge Cajìellum quod vocatur Romania-
77um^ cum Liberis hominibus^ qui vulgo Heremit ani dicuntur&c.
La Carta lenza fallo avrà Herimanni . Tralaicio gli altri erro-
ri , e folamente olfervo , che in vece di Aduhuro ne gli Atti
fuddetti s'ha da fcrivere Adulterio ^ cioè il Gius di punire gli
adulteri , che in molti Luoghi apparteneva al Foro de' Vefco-
vi : il che fi praticava anche in Francia , ma da che calò la
potenza de'Vefcovi, redo in potere del Foro fecola re . Diffi ,
che gli Arimanni erano obbligati non al lolo fervigio milita-
re, come pensò il Du - Cange , ma anche ad. altri fervigi in
tempo di pace . Vien rapportata dall* Ughelli ne' Vefcovi di
Parma una Carta della ContclTa Matilda dell' Anno 1 1 14. do-
ve il Velcovo promette , quod 7ioflris Arimannis de Monticulo
nullos alios ufus , vel faHiones deinceps requifierit , nifi quos
ejus Anttxejfores &c. folummodo in pace ^ & non in guerra^ ha-
buerant ♦ Adunque anche in tempo di pace doveano gli Ari-
manni preftare qualche fervigio, come di dare ofpizio ai Mi-
nidri del Principe . In un Giudicato della medefima ContelTa
Ipettanie all' Anno 11 08. Dodone Vefcovo di Modena fi la-
R 2 mento,
1^2 Dissertazione
mento , perchè Mtnijìerinhs Comitis ojpit ab antur injujìe homi-
nes Curùs Roche San6ls Marie de Cajìello . Interrogati quegli
Uomini 5 rifpofero di non effere tenuti ad alcuna Albergheria ,
e Fazione , fé non ad efla Rocca . Kt fi quls Hlorum aliquid ds
Arìrnanmis hahcret^ aut de Arìmann'tts refpondsre deheret , fe~
cundmn quod ejfet , aut ipfam Arimanntam d'tmhteret . Di qui
lembra rifultare, che ìq Arimannie follerò poderi dati, dal Fi-
ico diretto padrone ad uomini Liberi : ma con qual titolo, le
di Feudo o d'ufo, con obbligo di qualche fervigio, noi so di-
re. Se erano Feudi 5 perchè mai non fono chiamati ValTalli ?
Il nome di Artmc^tmìa non V ho trovato fé non nelle Carte
fcritte dopo il Mille, benché quello à^ ^i Arìmajim fia anti-
chiffnno . E forfè fu un diritto de' Conti fopra quei , che go-
devano que' terreni, né quello fi ftendeva a tutti gli altri Li-
beri del Popolo . Arrigo fra i Re Germanici il Qiiarto in un fuo
Diploma del 1070. concede a Gregorio Vefcovo di Vercelli ,
e iuo Cancelliere Cafale cum Arimatintay & cum fervhio quod
pertinet ad Comifafum y Odaliìigo cum om?2Ìbus Artmannis , Ò'
quod pertinet ad Comttatmn ; e cosi altri Luoghi colla me-
defima efpreffione. Lo fteffo Re nel 1084. concede al Monifte-
ro di San Zenone di Verona Ltberos homines , quos vulgo Ari-
'inannos vocant , habit^ntes in Cajìello SanBi Viti , & in ejus
Territorio ; 7iec non & Herimannos (pare che fi faccia differen-
za fra Arimanni, ed Herimanni ) habitantes in Vico San^i Ze-
nonis cum om?7Ì debito , di/iriBu , aHione , atque Flacitu . Che
poi gli Uomini Liberi foflero tenuti a qualche pagamento, lo
raccolgo da un Privilegio di Berengario L Re concedente al
predetto Moniftero Corticellam in Lacefe cum omnibus pertinen-
tiis fuis , C^ reditu Liberorum hotyjinum . Haffi anche da offer-
vare , che Carlo M. in un fuo Diploma dell' Anno 808. pub-
blicato dal Campi nella Storia Ecclef. di Piacenza , concede a
Giuliano Vefcovo di quella Citta omnem Judiciariam , vel om-
ne teloneum de Curte Gufi ano ^ tarn de Arimannis^ quam dealiis
Liberis hominibus per memoratas fines omnia , quae a Publico
( cioè dal Fifco ) exigebantur . Vegniamo qui a conofcere ,
che non tutti gli Uomini Liberi erano Ariman?ù , e che tal
nome dovea convenire ad una fpecie di perfone obbligate a
qualche determinato fervigio per cagion de' poderi da loro go-
duti, o coltivati, ovvero per altro titolo.
Sembra poi, che fi poifa intendere in che confiflefle V Ari-
man-
DeCIMATERZA, Ijj
mannia^ oflervando uno Strumento Veronefe fcrìtto circa l'An-
no 1 1 54. dove fon quefte parole : Duos ttem mfttcos ArimAti-
nos de Morite Auro prò accepta pecmiia alienavìt j trigi?ita ìtem^
& feptem rujìicos &€» Alti omnes prò accepta pecunia nec 'vadìmo-
fììum de bando , necfodrum , nec albergar'tas , nec colleóìam Epi-
fcopatui debent amplius facere . Ecco quai pefi avefTero gli Ari-
manni , e di qui apparifce , che ve n' erano de i Ruftici , e
poveri . Ugone Grozio cercando 1' origine della voce Artman-
ni j la deduce da Henman , e poi foggiugne : Arìmannus mi"
les gregalìs^ qui puhllcum munus non habet ; poflea prò paupe-
Tg fmnpta vo^, Hìnc jus Armandlce InFeudls, E il Du-Cange
preteie, eh' e (Ti Arimanni follerò IpfarumVlllarum Incoi ce pror-
fus dlverft a Servi s , Ma che anche nella CI affé de' Nobili, e
Ricchi fi contafTero de gli Arimanni ; fi può riconofcere da un.
Placito tenuto in Lucca nell'Anno 785. da Giovanni Vefcovo
di quella Citta , al quale intervennero per onore Sacerdotes ,
vel Aremannl , nominati ivi uno per uno . E in una Bolla
dell'Anno 8ip. con cui Pietro Vefcovo di Lucca concede la
Chiefa di San Donato ad Andriperto Prete , e gli protefta di
far ciò una cum confenfu Sacerdotum ^ & Aremannos hujus Lu-
cane Clvltatls . Si Icorge qui , che gli Arimanni allora gode-
vano diftinzione d' onore , e fembrano eflere flati Nobili Se-
colari . $€ Vaffalli del Vefcovo , noi so dire . In quefta ofcu-
ra materia per le memorie finqui accennate , credo io alme-
no di poter francamente conchiudere, eifere affatto infuffiflen-
te ciò che fcriffe Monfignor Fontanini nella fua Operetta del-
le Mafnade, con dire , eifere flati gli Arimanni Servorum ge-
nuS'y Jed plurls quarti ceterai Servorum fpscles csftlmatum -^ Immo
fupra vulgarem conditionem fervilem*
De
IJ4 Dissertazione
«^*^«v4>l<^*^e^*/lC^*^J«i9>^ ii*/»cv*/sc<*^<Mfe>:evA^«*AA (V<|!/ic\£>}C\«lMc\d!!^cvft/i
De i Servì , ^ Liberti Antichi
DISSERTAZIONE DECIMx^ (QUARTA.
CIO' che foflero i Servi antichi , ufati una volta da gli
Ebrei, Greci, e Romani , anzi da tutte ancora le bar-
bare Nazioni , ben lo fanno gli Eruditi , ma non gi'a chi
nulla (India i coftumi de' vecchi Secoli . Refta tuttavia fra noi
il nome di Servo , e Servitore ; ma gran divario palla fra i
Servi d'allora, e quei di oggidì . Un Servo de gli Antichi (1-
gnificava perfona lottopolta al comando , e dominio d'un Pa-
drone preflo a poco come fono i cavalli, e buoi; e in fatti fi
vendevano i Servi in que* tempi, come fi ufava anche de' Giu-
menti. E quefto vuol dire, che col nome di Servo s'intende-
va allora, chi da noi viene ora appeilato Schiavo^ fé non che
gli Schiavi de' tem.pi noftri , che fi truovano in alcune Piazze
marittime, portano catena : dal qual pefo erano efenti i Servi,
o vogliam dire gli Schiavi de gli antichi tempi . Quando , e
come s'introduceflTe in Europa il nome ài Schiavo in vece di
Servo ^ è tuttavia ignoto. Motivo abbiam di credere, che
gran copia di Schiavoni, appellati anticamente 5'c/^'u/, o per-
chè fatta prigioniera di guerra perdefl'e , o perchè fpinta da
qualche dilgrazia fuori del fuo paefe vendelfe la fua liberta ,
di modo che lo fiefTo divenne il dire Schiavo, che Servo. San-
no i LcgilH, e l'altra gente dotta, che i Servi nulla pò (Tedea-
no di proprio , nulla guadagnavano per sé : tutto era de' lor
Padroni , che folamente permettevano loro qualche ritaglio
de' guadagni , e de' frutti della loro induftria, chiamato P^rw-
lio . Che non poreano far Telf amento ; che i lor Figli, e Di-
fcendenti recavano anch' eiu mvolti nella Servitù , e fuggetti
come il Padre al medefimo Sj^nort- ; che non erano per la lor
viltà, e per altri risuardi, ammefTì alla milizia, e firn ili altre
notizie, ch'io traialcio. Ora da che Tltalia fi trovò trinciata
nei Secolo fpezialmence fuddetto in tante Citta Libere, Princi-
pi, e Sigtiorctti, che l'uno non dipendeva dall'altro, troppa
facilita provavano i Servi per loctrarfi colla fuga ai Padroni;
troppo difficile era a quefti il ricuperarli . Si aggiunfe ancora
il biiogno di gente per le tante guerre di que' tempi; e chi era
afcnt^
DeCIMAQ.UARTA: IJ5'
afcritto alla milizia confeguiva la Liberth . Finalmente s' ha
contezza, che ne' tempi di Roma Libera , e fotto gl'Impera-
dori , fi contavano Padroni , ciafcun de' quali avea in Tuo Do-
minio non dirò più centinaia, ma più migliaia di Servi. Chi
più ne pofTedeva , fi riputava più ricco , come chi oggidì ha
maggior copia di cavalli , di pecore , e buoi . Fruttava tutta
quella povera gente al fuo Signore.
Ma quah erano le Arti, e gli Ufizj de' Servi? Lorenzo Pi-
«noria , uomo di gran grido fra i Letterati , ne compofe un
Trattato apporta col titolo de Sevvis , & eorum apud veteres
Minijìeriis . Quivi ci fa egli vedere un lungo , ed erudito Ca-
talogo, di quanti impeghi una volta foflero capaci i Servi, co-
minciando da i più baffi, e falendo a tant' altri, che noi oggidì
riputiamo molto cofpicui . Chi nondimeno attentamente legge-
ra quel Libro avrà occafionfe di maravigliarfi, come quel dot-
to uomo si ftranamcnte confondeffe le cole. Sapeva egli (echi
noi sa de i Letterati? ) la differenza , che paffa fra i Servi ^ e
i Liberti ; e pure in effa fua opera non badò ad attribuire a i
Servi non pochi Ufìzj , eh' erano proprj de' Liberti ; e dopo
aver moftrata compaffionevole la condizion dei Servi, li folle-
va pofcia ad una invidiabile, per la qualità de gli onorevoli lor
minifteri . Ora qui convien offervare un ufo de gli antichi Ro-
mani ben diverfo da quei de' noftri tempi . Sono i Servi , o
Servitori d' oggidì gente Libera , che fpontaneamente prefla
fervigio ad altrui ; che può ritirarfene , e può effere cacciata ,
godendo tutti i Popoli d' Italia , e le minime perfone al pari
de' grandi il privilegio della Liberta. Ma Roma antica fi divi-
deva in due Popolazioni , Tuna di Servi, o vogliam dire Schia-
vi , privi della Liberta , il numero de' quali era prodigiofo in
quella Regina delle Citta ; e l'altra di gente Libera divifa in
molte ^Tribù , che comprendeva immenfa copia di ArtifH ,
Mercatanti , ed altri anche poveri , anche rullici uomini , a i
quali tutti competeva il nome di Cittadini Romani, ed aveano
anch'elfi una volta la lor parte nel governo della Repubblica .
Sommamente fi filmava anche da i Poveri la Liberta , e Cit-
tadinanza Romana per li privilegi, ed utili, che feco portava .
E non è gi^a, che foffe disdetto ad effa Povera gente il paffare
al fervigio de' beneftanti , e de' grandi; ma volendo ciò fare,
perdeva la Liberta, e ceffa va d' effere Cittadino Romano, per-
chè erano incompatibili colla fervitù que' due pregj : di modo
che
1^6 Dissertazione
che propriam-cfite i Ricchi non erano ferviti da gente Inge-
nua , e Libera , ma folamenre da Servi , e, ficcome diremo,
anche da i Liberti , i quali erano una fpecie di perfone fra i
Servi, e gl'Ingenui nati da Padre Libero.
Notissima cofa è, che i Servi colla Manomiflione acquifla-
vano la Liberta , o comperandola con cedere il lor Pecuho a
i Padroni, o confeguendola pel merito d'aver ben fervito per
un tempo difcreto, o per le raccomandazioni de gli Amici, o
pel Tellamento de' lor Padroni , o per altre cagioni, ed occor-
renze . Allora prendevano il nome di Liberti , diventavano
gente Libera , e Cittadini Romani , poteano far Teftamento ,
elTere aggregati alle Tribù , e godevano altri vantaggi . Chi
prima li teneva in fuo dominio , e fi chiamava Dominus , o
pure Herus , da li innanzi in riguardo a quei Liberti veniva
appellato Fatroiius^ voce da noi mutata in Padrone , divenen-
do egli come Padre ^ e non più Signore del Liberto . Ritene-
va perciò il Patrone fopra quel Liberto il Giuspatronato, cioè
non dominio , ma diritto di fuccedergli ah iììteftato , fé man-
cavano Figli ; e fé il Liberto aveffe peccato d'ingratitudine
verfo chi gli aveva compartita la Liberta , tornava per gafti-
go ad eflere Servo come prima , per tacere altre cole . Pari-
mente altro coftume fu de' Romani , che bene fpeflb i Liber-
ti continuavano a fervire nelle Cafe de' loro Patroni , o per-
chè tornava loro il conto , o perchè non confeguivano un'in-
tera Liberta , e fi obbligavano per patto a qualche impiego
nella Famiglia d'elfo Patrono , E quelli impieghi non erano
più i balli e vili de' Servi , ma bensì decorofi, quali conveni-
vano a chi godeva -il pregio della ^Cittadinanza Romana : di
maniera che ficcome oggidì la Famiglia de' gran Signori fi di-
vide in Servitù baffa , come Palafrenieri, Cuochi , Carrozzie-
ri, Cantinieri, e fimili : e ne gli uomini di Cappa nera , co-
me Braccieri, Segretarj, Coppieri, ed altri : cosi gli Ufizj baffi
anticamente appartenevano a i Servi , e gli onorevoli a i Li-
berti. E tanto più quedo fi praticava, perchè i Liberti in cer-
ta maniera entravano nella Famiglia propria de' lor Patroni .
Imponevafi dal Signore un folo nome al Servo . Qiialora poi
coftui veniva manomeflb , acquidava il Prenome, e Nome del
medefimo Signore , come farebbe il dire a' noftri tempi , che
gli era conferito il Nome, e Cognome di chi prima il fignoreg-
giava. Bella Ifcrizione fi legge nella mia Raccolta pag. mdxxxvi,
num.É^,
DECIMAQ.UARTA. IjJ
Dum.Ó. poRa ad un Fanciullo appellato Fefto, che caduto in
un pozzo perde la vita, QV! SI VIXISSET, DOMINI lAM
NOMINA FERRET . Se il Signore fofTe ftato per efempio
M/^rco Labirìo Ferace ^ il Fanciullo manomefìo fi farebbe da lì
innanzi nominato Marco Lab irto ^ Liberto di Marco ^ ^^fto^ ri-
tenendo il nome del tempo fervile c\oh Fejìo^ nell'ultimo luo-
oo . Talmente era confiderabile quefto efìfere aggregato alla
Famiglia , che Patroni aflaifìTimi folevano far comune il pro-
prio Sepolcro a i loro Liberti , e Liberte , come cofta da i
Marmi antichi : Privilegio di cui non erano partecipi i Servi .
Molta induftria perciò ufavano allora elTi miieri Servi per abi-
litarfi in qualche profefTione a miiura del loro talento. I Servi
flefli faceano imparar Lettere a i lor Figli, e di quello fi pren-
deano cura anche i lor Padroni . Con ciò fi meritavano effj di
ufcire dalla vile lor greggia, e condizione, per fervire come Li-
berti in Ufizj di onore, e di lucro.
Noi non fappiamo fé con patti , e con quai patti una vol-
ta fi manomettefiero que' Servi , che poi continuavano come
Liberti a fervire in Cafa de' loro Patroni , con efiere alzati a
più onorati impieghi . Sappiamo bensì dal Tit. de Operis Li-
bertorum ^ e dall'altro de bonis Libertorum ne'Digefti, che mol-
tiffimi acquilìavano la Liberta con obbligarfi di fare ai Patro-
ni dei Regali, o delle Fatture, fé erano Artefici, Operas^ vel
Donum, QLiefto fi praticava verifimilmente da i foli Mercatan-
ti, ed altri Signori dati all' interelTe , ma non già dalle Nobi-
li Cafe . Per conto di quelle, le antiche Ifcrizioni ci fanno ve-
dere, che moltiffimi furono coloro, che anche dopo la confe-
guita Liberta feguitavano a convivere , e fervire in quelle me-
-defime Cafe , non più come Servi , ma come Liberti , perchè
probabilmente tornava il conto a gli uni' , e a gli altri . I Pa-
troni fi fervivano di Perfone loro confidenti , e già innellate
nella propria Famiglia ; e i Liberti crelciuti di onore , e di
guadagno poteano accumulare robba per sé , e per li Figli .
Non ho io potuto fcoprire fé i Romani teneffero Servi Mer-
cenari come oggidì . O di veri Servi , o di Liberti allora fi
fervivano. Ciò po(to, maraviglia è, che il Pignoria in trattan-
do de gli Ufizj de' Servi antichi , imbrogliafle tanto le carte ,
lenza diftinguerc i Servi da i Liberti , e con attribuir molti
impieghi a i primi, che pure erano riferbati agli ultimi. E
più del (tu pi re è, citarfi da lui Marmi, che parlano di Liber-
Tomo L S ti ,
138 Dissertazione
ti, e pure fono prefì da eflb , come fé parlafìTero di Servi .
Sulle prime viene egli abbaifando la nobil profeffione de' Me-
dici alla vii condizione de' Servi . E con quale autorità ? Col-
le parole di Paolo Orofio , che nel Lib. VII. Gap. 3. cosi fc ri-
ve : j^deo dira Komanos fames fequuta eft , ut Ccefar Lanijìa-
Yum f amili as^ omnesque Peregrinasi Servorum quoque maxima^
copias , exceptis Medicis , C^ Praceptoribus , trudi Urbe pr^cepe-
rh , Ma quella eccezione fi dee riferire all' om?2es Peregrinasi
a tutti i Foreftieri, e non già a i Servi, de' quali tuttavia do-
vette reftare gran copia nelle Cafe de' Nobili . Aggiugne il
Pignoria la feguente Ifcrizione :
CHRESTAE CONSERVAE ET CONIVGI
CELADVS ANTINOVS DRVSI
MEDICVS CHIRVRG.
Non Antinaus , ma bensì Antonia cioè della Moglie del Prin-
cipe Drufo ^ s'ha ivi da fcrivere. Ora (\i\^)ìo Cclado fu Liber-
to , e non Servo della Cafa Augufta , come apparifce da Giu-
feppe Ebreo Lib. 23. Gap. 14. e da un' Ifcrizione rapportata
dal Boiffardo, e dal Grutero pag. mxxxiv. i. che fu polla
OCTAVIAE P. F. CATVLLIAE
GEL ADI DIVI AVGVSTI L.
VXORI
Riferifce il medefimo Pignoria un' altra Ifcrizione di TI.LYRIVS
(probabilmente il Marmo avrà TLIVLIVS) TI. AVG. L.
SER. CELADIANVS . Coftui era (lato prima Servo di Ce-
lado ^ egli fu data la liberta da Tiberio Augudo . Ancor que-
fl:o fa conofcere Celado Liberto , perchè i Servi non poteano
aver de i Servi . Né dia failidio, che Celado^ e Chrefta fua
Moglie portano un folo nome, come ufavano i Servi; perchè
troppi efempli fi truovano di Liberti, che ne' tempi de' primi
Celari fi fervivano del folo lor nome Servile, con cui comu-
nemente erano chiamati nelle pubbliche Ifcrizioni , come co-
fìa dalla Glaffe XII. e XXI. della mia Raccolta. Qjiel si, che
può parere flrano, fi è, che Cbrejìa Moglie à\ Celado Medi-
co vien àtUdi Co?iferva ^ il che ci fa vedere nonmen.lui, che
la Moglie Servi. Ma è daofiervare, che ne' tempi d'efli pri-
mi
DECIMAQ.UARTA. Ijp
mi Imperadori , que' Liberti che fervivano nella Cafa , e Fa-
miglia Augufta , erano anche appellati Servi , o ciò faceflero
per adulazione , o pure perchè fervendo a chi era Signore di
tutti, rifpetto a s\ fatti Padroni , tenevano fefteffi per Servi.
Comunque ciò folTe , certo è , che que' medefimi portanti il
nome di Servo , non lafciavano d' aver già confeguita la Li-
bertà , e d' effere Liberti . Per tralafciar altri efempi , nella
mia Raccolta alla pag. dcccxcii. fi legge :
DAPHNVS
CAESARIS N
SER. DISP. FISCI
CASTRENSIS
VERNIS SVIS F.
Se quefto Dafno avea de' Servi ( Ferna fignifica Servo nata
in Cafa del Signore ) adunque era Liberto di condizione ; e
contuttociò viene appellato Servo del ttojìro C efare , Dovea an-
che avere il Prenome, e Nome della Famiglia dell' Imperado-
re, che l'avea manomeffo , benché non ufi che il folo nome
a lui dato nella Servitù . Sicché per conto òq' Medici non fuf-
fifle, che i medefimi fodero della feccia del Popolo, cioè Ser-
vi ; e l'onorata lor condizione fi può ricavare da varie altre
memorie dell'Antichità. A me folo baderà di dire, avere l'an-
tico Giurisconfulto Julian© nella /. Patronus ff. de Operis Lil^er-
torum , fcritto cosi : Plerumque Medici , Servos ejusder}7 Artis
Libertos producunt , quorum operis perpetuo ufi non ali ter pof-
funty quam ut eas locent &c. Se i Medici tenevano de i Servi,
adunque tali non erano effi . E fé infognavano a i proprj Servi
l'Arte loro, conveniva poi conceder ad elfi la Liberta , affin-
ché la potelTero efercitare .
Andando innanzi, noi troviamo , che il Pignoria attribui-
fce a i Servi i piià onorati , e principali impieghi della Cafa >
e Famiglia Augufta , quando é affai noto , che quelli non fi
concedevano fé non a i Liberti , i quali , come colta dalla Vi-
ta di alcuni de' primi Imperadori, o corti di mente, e depra-
vati dai vizi , divenivano gli Arbitri della Corte , ed erano
riveriti , e temuti quafi al pari del Principe dal Popolo, e dal-
la Nobiltà Romana. Pallante, Narcifo, Epaphrodito, fono ce-
lebri per quello nella Storia Romana . Quali dunque oggidì
S 2 fono
14.0 Dissertazione
fono tanti onorati Cortigiani , che fervono alla lor Camera ,
Anticamera, Menfa , e ad altre funzioni di confidenza pref-
fo i Principi, e le Principefle , tali erano allora i Liberti. Sa-
peva pur anche leggere il Pignoria , e intendere le antiche
Ifcrizioni , anzi le recava in pruova delle fue offervazioni ;
ma quelle ftefle parlano di Liberti , e non già di Servi . Era
nella Corte Imperatoria l'Ufizio di chi invitava i Senatori, ed
altri Nobili a i Conviti dei Principe. Ecco l'Ifcrizione riferita
da lui fteffo »
AGATHOPVS
AVGG. LIB.
INVITATOR
Coftui è chiamato Liberto de gli Augujìi , ed era a lui ap-
poggiato quel onorevole impiego . Godevano anche varj Cor-
tigiani un Ufizio di fomma confidenza , cioè quello di far il
faggio alia Menfa de gli Augufti , ed aveano un Procuratore
fopra di loro . Di coftoro paria il feguente Marmo rapporta-
to dal medefmio Pignoria.
TI. CLAVDIO. AVG. LIB.
ZOSIMO PROCVRAT
PRAEGVSTATORVM
Ognun vede , che ancor qui ci comparifce davanti un Liber«
to. V'era chi avea cura de'Vafi d'oro, che fervivano perla
Menfa de gli Augufti , ficcome fa vedere effo Pignoria con
queft' altra Ilcrizione :
GAMVS AVG. L. PRAEP. AVRI
ESCARI. FECIT SIBI ET.
FLAVIAE TYCHE CONiVGL
Chi non vede, che tale incumbenza nella Corte dell'Impera-
dorè apparteneva ad un Liberto, e non già ad un vile Servo?
Ed ancorché foffe ftato manomeflb , pure, ficcome fu di iò-
pra avvertito, ufa il folo nome Servile : il che ripeto, affin-
chè trovandofi fimili Nomi foli nelle antiche Memorie de' pri-
mi Augufti , non fi corra tofto a fpacciarli per Servi . E che
quefto Gnmo non folle Servo 5 ma Liberto , fi può anche rac-
coglie-
Decimaq.uarta: i^t
cogliere dalla Moglie , che è Flavia Nìce . Cortei dovea efìfe-
re fìata dianzi Serva di Vefpafiano Augufto , o di uno de i
fuoi Figliuoli . Nel ricevere il dono della Liberta , fu inferi-
ta nella Famiglia Flavia propria di effi Augufii . E notifi ,
che a diilinguere i Liberti da i Servi, giova l'offervare le Mo-
gli ; perciocché era vietato a i Servi lo Ipofar Donne Libere ,
nel ruolo delle quali erano parimente comprefe le Liberte.
Se vogliam credere al Pignoria , nella Corte Imperiale vi
era un Maeftro de'Servi, e lo pruova colla feguentelicrizione.
TL CLAVDIO. AVG. LIB.
HERMETI
M. PVEROR.VM DOM. AVGVST,
Ne aggiugne un' altra --^
FLAVI STEPHANI
PAEDAG. PVEROR.
IMP. TITI
CAES ARIS.
Ma quefti Maeftri , o Governatori non erano già Servi , ma
bensì Liberti , come chiaramente ivi fi legge . Oltre di che
parlandofi ò.q Fanciulli della Corte Imperatoria , s'ha con tal
nome ad intendere i Paggi del Principe . Nella mia Raccolta
pag. DcccLxxxiv. 4. fi truova un Publio Aelio Epaphrodito Li-
berto di Augullo Magijìer J atrolipta Puerorum emincntium Cce-
faris nojìri . Certamente un Pedagogo , che conducefl'e a fpalfo
gì' innumerabili Servi della Corte Augufta , non è da immagi-
nare . E que' Paggi, ficcome adoperati al lervigio immediato
de gli Augufti, fi dee credere, che folfero Liberti, e non Servi.
Secondo il Pignoria entravano anche nel ruolo de' Servi i Bi-
bliotecarj della Corte Augufta . Si truovano, die' egli, ne' Mar-
mi antichi C. IVLIVS C. L. PHRONIMVS A. BIBLIOTHE-
CA. GRAECA. C. IVLIVS. FALYX. A. BIBLIOTHECA
GRAECA. PALAT. TL CLAVDIVS. AVG. L. HYME-
NAEVS. MEDICVS. A. BIBLIOTHECIS. L. VIBIVS AVG.
SER. PAMPHILVS. SCRIBA. LIB. ET. A.BIBLIOTHECA.
LATINA. APOLLINiS. Ma i Prenomi , e Nomi di quelli Bi-
biiotecarj, cioè felTere aicritti alla Famiglia G/////'^, QClaudia^ li
fa
14-2 Dissertazione
fa conofcere per Liberti , e non mai per femplici , e vili Ser-
vi . Qtiello flefib Lucio Vib'to Panfilo , benché appellato Servo
d'i Auguflo^ non lafciava d'eflere Liberto, come ne fan fede i
fuoi Nomi. . r
D 1 quello pafTo va il Pignoria profeguendo il Catalogo de
gli Ufizj 5 e Minifterj de gli Antichi Servi , confondendo infie-
me quei ch'erano proprj d'effi con gli altri , che competeva-
no a i foli Liberti . Ma i Liberti , e malfimamente quei della
Corte Imperiale , calcavano podi di grande onore , non fola-
mente in efla Corte , ma anche nelle Provincie , come appa-
rifce da tutti i Raccoglitori de gli antichi Marmi . E febbene
alcuni di elfi fi truovano chiamati Séti;/ de gli Augufti, abba-
fìanza fi conofce, che per qualche ragione particolare porta-
vano queflo nome , e non già perchè foffero della vii condizio-
ne de' Servi volgari . Forfè anche pochi erano i Liberti appel-
lati Servi , air olTervare , che per la maggior parte gli altri fi
nominano folamente Liberti de gli Augujìi ^ e non già Servi.
E fé il Pignoria defiderava, che ci folte alcuno , che prendelTe
poi a trattare òi€ Miniflerj de Liberti ^ com'egli avea fatto di
quei ò.t' Servi ^ dovea procedere con efattezza maggiore, e non
entrare nella giurisdizion de' Liberti fle^j. Ma non più de' tem-
pi Romani.
Vegniamo a i Secoli barbarici dell' Italia . Siccome già ac-
cennai 5 P ufo de' Servi era familiare antichilBmamente tanto
in Occidente , che in Oriente . Gli ftelfi Popoh Settentrionali ,
conquilìatori dell'Italia , non ebbero bifogno d'impararlo qui.
Lo praticavano molto prima anch'elfi; e però qua venuti con-
tinuarono lo flelfo coftume . Erano i Servi , o perfone prefe
in guerra, forzate a fervire il Popolo vincitore, e di quefti ta-
li principalmente fi formava la gran turba d'elfi al tempo de'
Romani. Altri per qualche delitto, o a cagion de'd^biti incor-
revano nella fchia^vitù, ed altri infine per cagione della pover-
tà vendevano la loro Liberta , e quella ancora de' Figli . Ve-
ramente Diocleziano, e Maffimiano Augufli vietarono il far de
i Servi folamente a cagion de'debiri contratti, come colla dalla
/. ob as dienum . Cod. JuHin. ut nBiones . Ma lotto i Re Lon-
gobardi, e Franchi, né pii^i né meno furono fuggetti i debito-
ri impotenti a pagare i debiti colla perdita della Liberta. Fra
le Formole antiche, dame date alla luce per illullrare la Leg-
ge L di Lottario I. Augnilo, fi legge : Pro Martino yneo Servo ^
qui
Decimaq_uarta. 145
qui miùi fuìt tradhiìs per crime?! , vel per debhtim . E nelli
Legge ^"J' del medefimo Lottarlo fono mentovati Liberi homi-
nes , qui propter aliquod crirnen , aut debitum , ;'// fervi fio alte-
rius fé fubdu?jf. Qiianto a i misfatti, ho prodotto io unDiplo-
ma di Guaimario L Principe di Salerno, con cui egli nell'An-
no 'SSp, dona alla Chiefa di San Maffimo Servum Sacri nojìrì
Palatii Lupum flium Ragimperti cum u>core fua^ & filiis^ fi-
liabus y fiugris ^ ne nepotibus fdis ^ cum omnibus rebus fubflanti(S
illorum &c. Il delitto da lui contratro era quello : Pro quo ip-
fé Lupus cum Saracenis ambulavit , & paóluefes fuit , quando
ipfe fìorus (cioè l'Armata navale d' efli Infedeli) fuper hanc
ipfam Civitatem refedit. Aveano i fuddetti Imperadori Diocle-
ziano , e Maffimiano proibito il vendere i Figliuoli colla /. /./'-
beros . Cod. juftin. de Patribus ^ qui Filios &c. Ma Coflantino
Magno con altra Legge rimife in ufo quefto crudele mercato,
e fembra eh' eflb duraiTe fino al buono Imperadore Lodovico ,
che lo levò colla Legge V. fra le fue . Uf charmla; , die' egli ,
obligationis de fmgulis hominibus faHdS , qui fé aut uxores co-
rum ^ aut Filios ^ vel Filias in fervitio tradiderint^ ubi inventce
fuerint^ frangantur ; Ò' Jint liberi ^ Jtcut primitus fuerint. Lot-
tarlo I. luo fucceifore nella Legge I. non confermò affatto quell'
Editto , perciocché dice : Liber homo fé ipfum ad fervitium
implicare prò aliquibus caujìs Jinitur ; ma per conto della Mo-
glie, e de' Figli prolbifce , ed annulla la vendita d'effi . Tut-
tavia tempi calamltofi talvolta avvenivano , e mailunamente
occorrendo careftie , che la povera gente , per non potere di
meno, fi vendeva a i ricchi . Gaufrido Alalaterra nel Libro L
Gap. 27. della Storia Normanica, defcrivendo la lagrimevol fa-
me , che neir Anno 1058. afflifie la Calabria , fcrive , che i
Padri fuos Li beros ex irigenuitate procreatos vili pretio in fervi-
tutem venumdabant.
Allorché* i Romani, ed altri Popoli della Terra giacevano
nelle tenebre della Gentilità , tale autorità , e balia godevano
fopra i loro Servi, che non Iblamente era permelTo di batter-
li, ma impunemente poteano anche levar loro la vita fecondo
il lor capriccio. Ho veduto un Giurisconfulto, che fi sforza di
giuiìificare si barbaro coftume , contrario a i dettami della (lef-
la Natura . Tenevano coloro come beflie i loro Schiavi; e tut-
toché li rtimaifero piì^i de' buoi, e delle pecore, perchè ne ri-
cavavano maggior fervigio , pure un cgual diritto di vita , e
di
144- Dissertazione
òì morte era loro conceduro fopra efìl Servi, che fopra il bue,
e il cavallo. Miie poi freno Antonino Pio Augnilo a quefto ec-
ceflìvo poter de' Padroni, come s'ha da Caio nella /. i. j^-. ds
his^ qui fui ^ vel alieni jurisfunt^ dove fon quefte parole: Hoc
tempore jìuIIÌs homimbus , qui fub hnperio Komano funt , liceP
jupra rnodum , & Jine caujja he gibus cognita in Ser^uos fuos fa-
njire , Nam ex Confi itutione Divi Antotiini ^ qvii fine cauffaSer-
vum fuum occiderit^ non minus punivi jubetur^ quam qui alie-
?7um Sevvum occiderit . Più efficacemente ancora a quella cru-
deltà rimediò il primo ImperadoreCrifìiano, cioè ColtantinoM.
il quale in una Legge riferita nel Lib. IX. Tit. 12. del Codice
Teodofiano dichiarò reo di omicidio chiunque volontariamen-
te uccideffe un fuo Servo. Fra le Leggi de gli Ateniefì rappor-
tate da Samuele Petit nel fuo Comment. v' ha quella : Servis
/US efìo Dominos iniquos adigere , ut fé njendant humanioribus .
Anche nelle Leggi Romane del Codice di Giultiniano , e fpe-
zialmente alla /. Si Dominus jf. de his qui fui &€, il Padroii
crudele viene obbligato a vendere il Servo . Contuttociò fi sa,
che i Greci più che i Romani efercitavano maggiore umanità
verfo i loro Schiavi : il che non è di molto onore a i Romani
antichi . Succederono ad effi nel dominio d' Italia le Nazioni
moffe dal più freddo Settentrione . Erano gente barbara , non
fi può negare ; pure per quel che riguarda i Servi , erano elfi
trattati con più umanità da i Padroni . Verberare Sewum , ac
vinculis y & opere ( forle compede ) coercere , rarum . Occidere
folent 5 77on difciplina , & fe'veritate , fed impetu , Ù' ira ut ini'
ìnicum j nifi quod impune . Cos'i fcriveva Tacito de' Germani
del fuo tempo. Ma da che la Religion Criftiana venne ad am-
manfar gli uomini, e a predicare la Divina Legge della Carità ,
più manfuetudine fi cominciò ad efercitar verio i Servi. In più
Concilj fi truova decretato, Excommunicatiojzi .^ vel pce,7iitenti(S
biennii effe fubjiciendum , qui Servurn proprium fine ronfienti a
Judicis occiderit , Ne era permelfo , fé un Servo fi rifugiava
nellaChiefa, feftraerlo fubito per forza , come ordinò il Re
Liutprando nel Lib. VI. Legge pò. In tal cafo o i Preti, o i Mi-
niftri della Giuffcizia s'interponevano per ottener perdono e pa-
ce al miiero preffo il Padrone . E le uno Schiavo, o fia Servo
fé ne fuggiffe , & eum Dominus fequutus invitajfet in pace , ut
redderetur in gratia , & pofìea Dominus prò ipfa culpa in eum
fvindi6lam dedijfet : era condennato alla pena di venti Iòidi d'oro.
Per
D E e I M A Q. U A R T A . 1^5
Per altro come al tempo de' Romani , cos\ a quello dei
barbari, rivendevano i Servi, e le Serve a guifa de' buoi , e
de' cavalli; e nella fteffa guifa che il venditore del Cavallo lo
mantiene non difettofo per certi mali , altrettanto facevano i
venditori de gli Uomini . Cioè diceano di coniegnargli quel
Servo 7ion fu^^itinjum ^ ìion ladlvum (cioè non iuggetto al mal
caduco ) nec ullum njìttum in fé hahentem , finje mente , Ò'
corpore fanum , Secondo la Legge 16. q 72. di Carlo M. fu pre-
fcritto, 7ìe mancìpi a 'venderentur^ n'tjì in pra:JenfiaEpifcopt^ vel
Comitis , aut Archidiaconi , & Centenarii , aut Vicecomitis &c.
mit ante bene ìizta tejìiynonia . Saggio Editto , primieramente
affinchè non fi vendeflero Servi a perfone flraniere , perchè
v'era divieto il condurli fuori del R.egno ; fecondariamente ac-
ciocché ninno poteffe vendere il Servo proprio , reo di qualche
misfatto per non pagare la pena, a cui erano tenuti i Padroni
per li Servi . E finalmente per impedire , che alcuno vendeiTe
il Servo altrui . Ne gli antichi tempi de' Greci, e Romani, al-
lorché fi vendeva un Servo , o Serva , con pubblico Strumento
il Compratore fé ne afficurava l'acquiflo . Altrettanto fi pra-
ticò fotto i Longobardi e Franchi dominanti in Italia . Ho io
pubblicato uno di si fatti Rogiti , fcritto più òi\ mille anni fo-
no, cioè nell'Anno 73(5. Vige fimo Quarto del Regno di Liut-
prando « Ivi 'Mancipio nomine Scholaflica^ & ipfo Mancipi oUr-
Jìo fihi conjuge^ fono venduti auri jolidos numero duos ^ & fe-
mijje ; e il venditore cede \\ Mundio^ cioè il potere a lui com-
petente fopra que' Servi . Che fé gli Ecclefiallici aveano da
far qualche permuta, vendita, o compra di Servi, conveniva
adoperar le medefime cautele, che fi u fava no per gli Stabili,
affinchè apparifle, che maggiore utilità provveniva allaChiefa
da quel Contratto. Da uno Strumento Lucchefe dell'Anno P75.
apparifce , che volendo Adalongo Vefcovo di Lucca fare un
cambio di Servi con Anfualdo Prete , inviò i fuoi Meffi a ben
efaminare quella faccenda ; e queiti rapportarono, qualiter me-
lìorata commutatione dedi ad pars fuprajcriptce Ecclejìa , Notif-
fimo è poi, che non fu vietato a i Servi il prendere Moghe di
egual condizione. Similmente fi sa, che i Padroni poteano fpo-
iare una Serva ; ma fi richiedeva, che innanzi la dichiaraffero
Libera. Rotari nella Legge 223. concede tal facoltà alla per-
fona Libera, con dir pofcia tamen debeat eam Liberam thinga-
re (cioè manometterla ) & Legifimam facere per garimbix ,
Tomo L T Timc
1^6 Dissertazione
T«;/c hiteUl^^mr ejf e Libera^ Ù' Legìttma Uxor ; & F 1111 ^ qui
ex e a nati fuerìnt , legtùme heredes Patri ejflciimtur , Altret-
tanto veniva prefcritto dalle Leggi Romane. Volendo poi pren-
der per Moglie una Serva altrui , dovea comperarla dal Pa-
drone d'elfa. Era all'incontro propofla la pena della Vita ad
un Servo , che avefTe ardito di Ipoiare una Donna Libera ; e
per conto della femmina, era permeffo a' luoi Parenti di ucci-
derla , o di venderla fuori della Provincia; e noi facendo efTì,
quella rellava Serva del Filco, cioè del Re . Crudele probabil-
mente parrà si fatta Legge a taluno . Ma fi dee offervare ,
che viliffima era la condizion de' Servi, e ftando eglino al fer-
vigio nelle Cale delle Donne Nobili, o d'altre perfone Libere,
ciafcuna delle quali per quello titolo partici pa va alquanto del-
la Nobiltà : le non aveife il terrore , e la pena delle Leggi
tenuto in dovere l'uno, e l'altro leffo , facilmente farebbe av-
venuto, che le pazze Donne fi lalciafTero condurre amaritarfl
co'Servi : il che farebbe ridondato in foramo difonore delle no-
bili Famiglie . E i Longobardi forfè più dell'altre Nazioni fa-
ceano gran capitale dell'Onore, e della Nobiltà. Benché a dir
vero , anche i Romani con pene feverifTime vietarono fomi-
glianti maritaggi, come fi può vedere nel Lib. IV. Tit.p. Cod.
Theod. ad Senatusconfultum Claudianum ^ e nel Lib. IX. Tit. p.
de Mulieribus. E Paolo Giurisconfulto nel Lib. 2. Sent. 21. fcri-
ve , che tal Donna maritata ad un Servo perdeva la fua Li-
berta, e diveniva Serva anch' effa del Padrone del Servo. Ab-
biamo lo fteffo da Tacito Lib. 12. Annal. Diffi lecito ad un Pa-
drone il prendere in Moglie una fua Serva , 'con manometter-
la prima. Aggiungo ora, che Matrimonj tali fatti da Uomini
Nobili eran allora, come anche oggidì , malveduti, ebiafimati
non poco da i Romani , e dagli lleffi Barbari, per la premura
di ognuno, ne infigniumF amili arum clava Nobilitas indigni con-
forta foditate vilejcerent , come dice Antemio Augufto nella
Novella Prima . Tuttavia abbiam troppi efempli di tali Noz-
ze nelle Ifcrizioni Romane , dove s'incontrano Donne , chia-
mare Lìbsrte^ e infieme Mogli de' loro Padroni . Di rado anco-
ra dovcM iuccedere , che i Parenti uccideflero le loro Donne
Libere,^ che fi accafaffero con Servi; perciocché fi veggono
molte d'effe , che divenivano Serve del Palazzo, ed erano poi
donate a i Monilleri . Grimoaldo Principe di Benevento, come
fcrive Leone Oitienfe nel Lib. i. Gap. 18. pra;cepto fuo firmavit
omncs
Decimaq_uàrta. 147
omnes Femlnas Ltberas , quoe Servis hujus Monajìertt fucranf co-
pulata . E in un Diploma di Landolfo , e Atenolfo Principi di
Benevento preflb l'Ughelli Tom. Vili. Ital. Sac. ne' Velcovi
di Benevento, fono donate al Moniftero di San Salvatore due
Femmine Libere , che s' erano maritate con due Servi . Alle
volte ancora i Padroni per motivo di Carità Criftiana permet-
tevano, che i Figli di taliMatrimonj reftaffero Liberi : del che
fi faceva Carta pubblica , che fi può vedere preffo Marcolfo
Lib. 2. Cap. p. Né fi dee tacere, avere fcritto Andrea Dandolo
nella fua Cronica , che follecitato Carlo M. dal Patriarca di
Gerufalemme di liberar da i Saraceni la fanta Citta , pubblicò
un Editto, ordinando, che tutti prendefiero l'armi in Italia;
& qui eum non fequeretur , cum quatuor lìbrts nummorum jìc-
rep Servus , Aggiugne , che fi formò un potente Efercito, con
cui Carlo toHe Gerufalemme a gì' Infedeli . Tutte favole : nin-
na fpedizione fu fatta allora per andare in Paleftina. Non col-
la forza , ma con amichevol trattato ottenne quel Monarca
i Luoghi Santi.
Parimente è palefe , che i Figli nati da i Servi , al pari
del Padre reftavano anch' effi privi della Liberia , e fotto il
dominio del Signore , non differenti anche per quello conto
da i cavalli , e dalle vacche . Perciò anche ne'Secoli barbarici
fra le ricchezze fi contava l'abbondare di Servi, come di mer-
catanzia , che fruttava , effendo che i Padroni fi valevano di
efli per coltivar le campagne, e per altre arti, e fervigi. Quan-
ta gran copia ne avelie il Moniftero di Farfa, fi può leggere
nella Cronica di quel facro Luogo da me data alla luce; e fi-
milmente nella Cronica del Moniftero di Volturno fi truova il
Catalogo di que' Servi , ficcome ancora un Placito dell' An-
no 872. in cui dopo aver contefo alcuni d'effere perfone Li-
bere, finalmente fi danno vinti con quefle parole : Vere de no-
/ira Ltbertate mìnime probare pojfumus^ quia Patres noftri ^ &
Matres nojìrix Servi & Ancillcd fuerunt de pnsfato Monajìerio .
Talvolta infatti luccedeva, che fi metteva in difouta davan-
ti ai Giudici, fé le perfone foffero di condizion fervile o Li-
bera. Anche nel 1080. in un Placito tenuto da CoftantinoVe-
Icovo di Arezzo, un certo Giovanni , proferens fé Liberum ho-
minem ejfe^ nulloque ji^go Servitù fis inne^um^ mancando pò-
Icia nelle pruove , e convinto da i Teftimonj in contrario ,
Z^^'^A^"^ ^fi P /^w^^/.V/?? ejfe jam di6ii Monajìerii , ac ijìfuper
T 2. J un Bis
1^8 Dissertazione
ju7i6iis manthus je ipfum tn ìnanus jam dì&i Gmdo?ìis Ahbatls ad
famulatum trad'id'tt . PrefTo i Monaci Benedettini della fteffa
Citta di Arezzo in alcune pergamene vidi una curiofa fatica
de' vecchi Secoli, cioè la Genealogia di molti Servi di quel Mo-
niflero, dove erano annoverati i lor Padri, Avoli, Bifavoli&c.
i loro Figli, Difcendenti , e Collaterali , il loro avere, le fu-
ghe, le traslazioni con idudio non minore di quel che adoperi-
no i Nobili per teffere le loro Genealogie. E ciò fatto, perchè
intervenendo talvolta le liti fuddette, necefiaria cofa era il pro-
vare, che i maggiori erano Servi : il che provato, fi conchiu-
deva, che anche i Figli erano fottopofti a quel giogo? qualo-
ra concludentemente non provafTero di avere confeguita la Li-
berta . Vegganfi le Croniche ài Monte Cafino , Farfa , e Vol-
turno, e fi troverà, che fé a que'Monifteri erano donate Cor-
ti, e poderi, regolarmente fiefprimeva, che quel dono com-
prendeva anche i Servi . E Leone Oftienfe nel Lib.L Cap- iy«
della Cronica Cafinenfe fcrive , che da un Daniele Tarentino
furono dati in dono alcuni Servi circa l'Anno 817. i Difcen.
denti de' quali tuttavia erano Servi del Moniflero di Monte Ca-
fmo circa l'Anno 11 00. U7ide ( cosi egli fcrive ) ììonnuUt 7io-
flrum nmic ufquequaque putnnt , de prccdi^is ejusdem Datiiel Ser-
'vts eos , quos hod'teque habemus , Famulos propapatos .
In quali Arti , ed impieghi fi efercitaflero i Servi al tempo
de' Romani, l'abbiam.o già avvertito di fopra. Sotto i Longo-
bardi, e Franchi gran copia eziandio v'era di Servi, ma non
apparifce, che gli adoperafiero in tanti meftieri. I Padroni ne
tenevano in Cafa gli occorrenti al loro fervigio appellati Servi
Minijìeriahsy e regolarmente impiegavano gli altri alla coltu-
ra de' loro poderi. Siccome fu offe r va to di fopra , eranvi anche
de gli uomini Liberi , che fi guadagnavano il pane colle rufti-
cali fatiche ; tuttavia maggiore fenza paragone fu il numero
de' Servi, e quefti applicati all'Agricoltura, con quelle leggi,
che piacevano a i Padroni ; giacché tutto quanto guadagnava
quella povera gente, era d'effi Padroni, detratto il neceffa-
rio alimento . Anche regnando i Romani , non mancavano
contadini perfone Libere , che coltivavano i terreni, come fi
raccoglie da Columella ; forie anche allora più furono i Servi
agricoltori . Ma ninna delle Nazioni trattò si afpramente i
fuoi Servi , che non lafciafiè loro qualche ritaglio dei guada-
gno, da effi fatto nell'Arti, nella mercatura , e in lavorar le
cam-
DECIMAQ.UARTA. I4.P
canìpagVie . Queda porzione fi chiamava da' Romani Pecu-
lìum^ ed iincX'ìQ Peculiare ^ voce poi ufata da' Longobardi , e
Franchi, e probabilmente originata dall'avere il Padrone co-
minciato a permettere, che i Servi ruftici tenciTero qualche pe-
cora per conto, e guadagno loro ; e poi ftefa a fignihcare altri
guadagni . Ciò fi ufava per incitar quella gente a divenire in-
duftriofa. Godevano i Servi l'ufo, ed ulufrutto del loro Peculio,
ma non già un pieno dominio; imperciocché non poteano vch-
derlo , né lafciarlo ad altri fenza licenza del Padrone : il che
viene ordinato da alcune Leggi de' Codici Teodofiano, e Giulìi-
nianeo. Né avendo i Servi facoltà di farTeftamento, per con-
feguente il Padrone ereditava quanto efìi aveano adunato : il
qual rigore nondimeno non fi foleva efercitare, ogniqualvolta
mancava il Servo di vita con lafciare de' Figli, perchè a que-
fìi fi permetteva di goder la roba del Padre. Si sa, che molti
di coftoro, anche a' tempi de' Romani, cotanto s'induftriavano
col proprio Peculio , che divenivano facoltofi , in maniera da
potere col pagamento redimere la propria Liberta. Bene pecu-
ììatl^ & Pecul'wji furono dimandati coftoro; e lo ftefTo fi prati-
cò a' tempi de' Longobardi, Franchi, e Tedefchi in Italia. Ve-
defi una Donazione fatta nell'Anno 10P5. da Alberto Servo di
Alberto Co?2te a Pacifico Abbate di S.Prolpero di Reggio di una
pezza di Terra , ipfo namque Domnino tneo mihi confentiente ,
& hic fiiptus coìijirmante ,
Per tanto chiunque metteva i Servi a lavorare qualche fua
Corte, Maffa, o podere, poteva rifcuoterne tutte le rendite,
con provveder folamente quegli uomini di vitto, e veitito, e
lafciar loro il Peculio . Solevano altri Padroni più indulgenti
tafiare quanto di grano , e d'altri frutti dovea pagarfi alni dal
Servo Agricoltore . Se ve n'era di più, tornava in utile e van-
taggio d'efib Servo; e buon per chi aveva più induftria, per-
ché in tal guifa accrefceva il fuo Capitale . Somiglianti patti
anche oggidì fi praticano fecondo i diverfi Paefi d' Italia , fé
non che ora tutti i Contadini Italiani fon gente Libera . Né
pure ne' Secoli di mezzo era permefib di aggravare più ài
quel che portavano i patti, e la confuetudine, i Servi lavora-
tori delie Terre. Nella Legge X. di Lodovico Pio fono ram.raen-
X2X\%ernji Benéficiarii . Più fovente ancora s'incontrano C^/^fi,
creduti dal Du- Gange, qui intra cafam ^ hoc e fi in ruralibus
pojfiejjionibus fervwbant. Ma che vi fofiero de' Calati Liberi fi.
può
150 Dissertazione
può provare. Parimente s'incontrano Sewì Majjfarìl deflinati
alla coltura di qualche Maffa , come fignificante 1' unione di
molti poderi . Che nondimeno vi fofiero MaJJnrì Liberi non
mancano Documenti, che lo pruovano . Nelle Leggi Longo-
bardiche abbiamo Servum Kujikanum , qui fub Majfario ejì .
Quefto Maffaro , come anche oggidì , preledeva alla cura di
qualche Mafia, e comandava ai Servi, ma egli fembra efiere
lìato perfona Libera . Truovanfi ancora FJfcales^ o Fifcalìm y
che fervivano alFifco, cioè al Re. Nella Storia della Trasla-
zione di San Germano Vefcovo di Parigi circa 1' Anno 7^0. fi
legge : In hoc P^go Parijiaco ipji Fifcalìni ve/ìr't ob fortìtudi'
nem Celjitudìnis 'vejìrce valde funt infolentes^ & temerarii^ (T
multa mala cantra hunc locum perpetrante Pensò il Padre Ma-
bilione difegnati con quello nome Procuratores Fifcorum . A
me fembra più probabile , che fofiero Servi , o più tofio Al-
dti del Re, de' quali fi parlerà al Gap. feguente. Vengono an-
che menzionati Servi Eccleftajìkt ^ cioè coloro, che appartene-
vano alle Chicle.
Siccome accennammo, in vigore delle Leggi delReRotari,
non era lecito ad alcun Servo Jìne permijfu Domi?ìi fui neque
terram ^ neque quamcumque rem vendere . Contuttociò Servus
Majfarius licentiam hahebat de Peculio fuo ^ idejì bovem^vac-
cam^ Caballum Ù'c, in focio dare . Noi tuttavia dimandiamo
dare a focida^ cioè confegnare pecore, vacche , e buoi, ad
altri con titolo di Società, per partirne pofcia con lui il frutto ^
e guadagno. In una piacevol Canzone, attribuita da alcuni ai
Petrarca, fi legge :
Ma dar le Capre a Socio ^ è pur il meglio.
Il Sillingardi nel Catalogo de' Vefcovi di Modena rapporta un
Diploma di Lodovico Pio Augufto , dato a Deusdedit Vefcovo,
e copiato poi dall' Ughelli, in cui è confermata la Donazione
quam Cunibertus Rex fcàt ad Ecelejtam Sancii Gemini ani de
Villa Purcili ( nell'Originale v'è Put^oIo ) Jive tributum , fub-
Jidiales , atque Anp^arias , quas Servi ejusdvm SanBi Geminianì
ad ipfum Cafalem laborandum & excolendum Babuerunt . Di
qua preiè il Du-Cange , ed inneftò nel fuo Glofiario la voce
Subftdiales , Ma nell'Originale è devino /uccidi alesy parola be-
ne icura , non fapendo io dire , fé mai fignificafie le rendite
^e gU Armenti dati a focida ; o pure fé tratta foffe da ficcl-
denda
Decimacluarta. 151
dendo , o fia dal Roncare le Selve , cioè dal coltivare terreni
prima incolti ; o s' abbia altro i'enfo . Diffi , che fi davano a
lavorar le Terre a i Servi con varj patti. Nell'Anno 5?o5. na-
ta quiftione , le moltiffimi nomini della Corte Lemonta preffo
il Lago di Como foffero Servi del Moniftero di Santo Ambro-
fio di Milano, Andrea Arcivelcovo di Milano tenne nella Vii-
la di Belano , come Mijjus Donifìì ImperaPorìs (il che è fegno,
ficcome dirò appreffo, che tuttavia regnava in Italia Lodonjico
III. Aitgiifto ) un Placito . Quivi proteftano quegli uomini ,
quìa nos vernctter de noflrts perfon'ts Servi Jìmus ejusdem Cur-
tìsLemontas^ & Mo?i after ìi San6li Ambrojiì ^ eo quod Ge?2Ìtores ^
& Genìtrìces nojìri &€, Servi fuerunt^ & nos fumus &c, Pofcia
aggiungono gli oneri loro importi , cioè Colligere debemus oli-
vas de Olive fas Curtis ipjius , & premere , Ò' exinde oleum , &
traere Ulne Monajìerium Sanali Ambrojti . Atque ei vedere debe-
mus annue a parte ejusdem Monajìerii argemum denarios bonos
Solidos feptuaginta . Et per Lacum Comenfem Abbatem ejusdem
Monajìerii ^ vel fui MiJJi ^ navigare debemus ; atque ei prò om-
ni anno reddere debemus ferrum Libras centum , & Pullos tri-
gtnta ^ atque Ovas tresce?itum . Se poi avveniva, che il Padro-
ne volefle col tempo, e contro i patti, accrefcere gli aggravj
a i Servi , coftoro reclamavano a i Giudici . Truovafi un altro
Placito, tenuto nell'Anno po5. Tegnente dallo flelTo Arcivefco-
vo di Milano , dove non so le i Servi fuddetti fi lamentano ,
quod ex parte Gadulf, , qui jam diólo Monafìerio pnserat , ma^
ximam paterentur Superimpofltam . In che confiftelTe quella giun-
ta di aggravj , lo fpiegano , dicendo : Supra id quod debet ,
Cenfum a nobis , atque Navigium exquirit . Animalia nofìra
Prepofitus ejus Pedelbertus injufte aufert ; & olivas contra con-
fuetudinem colligere^ & premere Jìve cale arium facere precipit ;
ad Clepiatis quoque volentes nolentesque ire , & vites illic am-
putare contra confuetudinem jubet, JLt quod pejus efì ^ multotiens.
nos grana flagellare , & Capillos noflros aufert , Jìcut in prefentì
cernitisi, precipit . E perciocché l'Abbate infilteva, che coflo-
ro da gl'Imperadori erano ftati donati al Moniftero ^tx Servi ^
e poter egli perciò comandar loro ciò che voleva : rifpondeva-
noefli, che fotto gl'Imperadori altra obbligazione non aveano
i loro Padri, ed elìl , fé non la feguente : Nos annue foliti fui-
mus folvere , nifi tantum denariarum Libras III, cum folidos X,
Frumentum fextaria XII. Cafeum Libras XXX, Pullos pares XXX,
Ovas
152 Dissertazione
Ovtis ecc. tnjitper oì'was ejusdem Curtis hemonts cum 'Piegali
dìfpend'io coUigere^ & premere , Efaminati i teftimonj, fu data
la ientenza in favore de' Servi , e qui fi dee ofìfervare , efTere
fìati di due forte i Servi . I primi erano forzati, cioè prefi in
guerra, o condennati cornerei, o venduti &c. A coftoro potea
il Padrone comandare a fuo capriccio . Gli altri erano fponta-
nei, cioè fi facevano Servi per coltivare i Campi, ma con cer-
ti patti, a' quali dovea ftare anche il Padrone. Però la vinfero
i Servi di quella Corte.
Dicemmo, che correndo l'Anno 5)05. vien fatta nel primo
Placito menzione dell'Imperadore , e per confeguente di Lo-
dovico III. Imperadore , il quale vien anche efpreffamente no-
minato nelle Note Cronologiche . Ora tal notizia fi oppone a
quanto hanno fcritto il Sigonio, il Pagi, ilLeibnizio, ed altri
Storici, fecondo i quaU elfo Lodovico Augufto nell'Anno ^02.
fu forprefo, ed acciecato da Berengario Re, ed obbligato a ri-
tornariene in Provenza . Ho io in fatti veduto Diplomi dati
in Pavia dallo fteflb Imperadore ne' primi Mefi dell'Anno c?o2.
e ne ho prodotto uno di Berengario dato nella medefima Cit-
ila in queir Anno XV I. KaL Augufii : fegno , che Lodovico .
avea ceduto il campo . In molte tenebre veramente fi truo- 1
va la Storia di que' tempi , e noi non abbiamo fé non Liut-
prando, che tratti di que' fatti , e lenza affegnare gli Anni . |
Tuttavia fembra a me affai probabile, che Lodovico III. Au-
guro nel 5?02. folle cacciato fuor d'Italia per la prima volta,
e che ritornato a ripigliarne il Dominio colf abbattere Beren-
gario , ne ftefìfe in poffelfo fino all' Anno ^05. in cui pofcia
perde gli occhi e il Regno . Accenna il RofìTi nella Storia di
Ravenna uno Strumento ftipulato in quella Citta . Sergii Fon-
tijicis Anno Secundo , Hludovici deferis Quarto , Indizione OBa-
'va ^ Id'tbus Julii . Appartiene tal Documento all'Anno 5)05. e
fi dee fcrivere Anno ^u'm^o di Lodovico. Né ferve il dirfi dal
Pagi, che nell'Efarcato tuttavia era onorato il nome di quel!'
Imperadore , benché atterrato ; perciocché quella Provincia
dipendeva allora dal Re d'Italia, e fi truovano Diplomi dati
in Ravenna dal Re Berengario . Aggiungafi , rapportato dal
Campi uno Strumento dell'Elezione di Guido Vefcovo di Piacen-
za, ic ritto Anno ab Incarn, Dom. rioflrt Jefu Chrifti DCCCCIIIL
Jndi6l, Géìava , imperante Domno Hludcvko Serenifs. Imperatore ,
Non v'ha il Mefe . Forfè ivi fu fcritto Anno DCCCCIIIII,
Ho
Decimaquarta, I5j
Ho io prodotto in oltre un Diploma di Donazione fatta da
elfo Lodovico Auguflo alle Monache della Porteria di Pavia ,
le cui Note lon qneilc : Datum Pridie 'Noìias Junìas , Anno In-
carnationh Dominicce DCCCCV. Indì6l, Vili. Anno V, Imperante
Domno Hludo'vico glorio/ij/tmo Imperatore in Italia . ABum Ti-
cinenjis. Un altro limile , cioè colle fteire Note , fi conferva
nell'Archivio delle fuddette Religiofe , parimente da me dato
alla luce. Tali notizie ci conducono a credere , che folameii-
te nell'Anno ^05. reftafle privo de gli occhi , e del Regno .
Aggiungafi, che la disgrazia d'eflb Lodovico vi^n riferita dall'
AnnaliftaSaflbne, pubblicato dall'Eccardo, all'Anno ftelfoc^o 5.
Reginone nella Cronica ne parla all' Anno ^04. ma fi può cre-
dere, che ne' fuoi buoni tcfU fia fcritto c?o5. perchè l'Anna-
lifta fuddetto copiò Reginone, ed anche la Cronica F_eichers-
pergenfe, mette quel fatto all' Anno ^05. Tralafcio altre me-
morie , ed offervazioni intorno a que' tempi di tanti imbrogli
per la Lombardia.
Passiamo ora a cercare, che s'abbia ad intendere colla vo-
ce Condurne , o Condom^ , la quale non rade volte s' incontra
nelle antiche Carte . Il Du-Cange nel Gloffario Latino alla vo-
ce Condamina , fu di parere , eh' effa fignificaffe un' unione o
Mafia di poderi. Vien da lui citato il Gramatico Papia, che
fcrive : Conduma y Domus cum Curia ^ & ceteris necejfariis. La
Cerda in Adverf Sac. Cap. 42. num.io. laiciò fc ritto : Condu-
ma locus efl laxationi corporis ajjìgnatus , dióìus a dumetis * E
i Fratelli Magri nell'Hierolex. giudicarono, t{{txt Prjedium du^
mìs repletum. Ve' quanti fogni ! Non altro fu una Condama,
fé non una Famiglia, o fia Cafata di Servi abitanti nei'''me-
defima Cafa , e coltivatori di una Pofieflione . Citano quegli
Eruditi San Gregorio Magno, il quale cosi fcrive nell' Epiilo-
la XX. Lib. XL (dianzi Lib. IX. Epift. XIV. ) Experientide tua:
nos pr^ecipijfe recolimus , ut quia ReverendiJJimus Frater , &
Coepifcopus nofler C alumniojus necejjttatem fé de jolatiis ajferuit
fuftinere , U7iam illi de jure Ecclejìa; deputare Condumam de-
bt^ijjes . I Padri Benedettini nelle Annotazioni fcrivono : Con-
duma efl Majfa feu prcediu?n Ecclejice . In dote Oratorii feu Ec-
clejice Monaflerii ponitur Conduma Jupra LikX. Epifl. XVI IL
infra Lib, XII. Epifl. XI. Condumam Ecclejice Piemenfis , cui no-
men Tudiniacus , memorat Hincmarus in Vita Beati Remigii .
Né pur efii colpirono nel fcgno . Seguita il Pontefice a dire :
Tomo L V Ssd
154- Dissertazione
Scd quia Condtima ìpfa inneolam parvam jurìs eji'.sdem Ecclcjt<s
noftrce tenere dicitur , & ìpfam fibi parher vineolam petit de-
bere locari &c. QLiel tenere vuol dir qui lavorare^ e fi parla
di una Famiglia fervile , e non già che la Mafia abbracci una
Vignola , Lo fteffo San Gregorio neli' Epiftola XI. Lib. XII.
mette per dote di un Oratorio Fundos campulos cum Conduma
una , boves donutos parium unmn . Ecco eh' egli diftingiie le
Terre dalla Conduma, e vuol dire un podere con Famiglia di
Servi lavoratori . Ma quello, che mette in chiaro ciò che fof-
fero le Condome , fi è la Cronica del Moniil:ero del Volturno
dame poftainluce. Ivi all'Anno 778. Arichis Duca di Bene-
vento dona a quel Sacro Luogo Condomas^ idejì Barciolus cimi
germanos fuos , ftmul & nepotes , cum uxores , noras , filios , &
jìltCS : N?c non Ù* Condomas nomine Ronciolus tam Jìmul cum
juos germanos &c. E Liutprando Duca anch' egli di Benevento
nell'Anno 747. fa menzione di un Condoma nomine Dodone cum
tixore ^ filios ^ 0* fili as Juos Ù'c, & Condoma nomine Candolus&c,
Altre teftimonianze fimili efiftono in elfa Cronica , che non oc-
corre riferire . E poreano avvederfì di quella verità i PP. Be-
nedettini leggendo il Teftamento di Berticranno Vefcovo del
Maine , riferito dal P. Mabillone ne gli Analetti , e dal P. Pa-
pebrochio al di 6. di Giugno . Leggefi quivi : Ut Jtngulos Con-
domas ( nota che Condoma era di genere maf:olino ) de una-
quaque Villa ^ qui nitidiores ejfie nofi:untur , & ?20S vel Bafili-
cce SanBa fideliter deferviunt , volumus , &c. ut integro rela-
xentur a Servitio &c. Et Ingenuitas fiatus illorum jub defenfio-
ne ipjìus Abbatis debeat perpetualiter perdurare . Qui fi tratta
di manomettere le Condome, con liberarle dalla Servitù. Pro-
babilmente con quello nome erano difegnati i Ser'vi Cajati ,
de' quali è fatta menzione ne' Capitolari di Carlo Magno.
Si vuol ora olfervare , che un bel comodo , e guadagno era
una volta l'ufo de' Servi, o fia de gli Schiavi. I Famigli de'
noflri tempi, che fogliamo nominar Servi, per effe re gente Li-
bera, tutto quel che guadagnano, lofanfuo, e lo trasmetto-
no a i loro Figli ; e fé ne viene lor talento, abbandonano un
Padrone , e paffano al fervigio di un altro. Se i Padroni voglio-
no trattarli colle brufche, eglino ne cercano uno più paziente
e difcreto ; e Ilrapazzano talvolta il fervigio , appunto perchè
godono la Libertà . Non così era ne' vecchi tempi . Tutto quello ,
che acquietava un Servo» ficcome di fopra accennammo, era
del
DECIMAQ.UARTA. 1^5
del Padrone. Se merteva al Mondo de' Figli , non ne poteva
egli dilporre, perchè il Padrone era anche d'elTi Signore. Non
veniva a lui permefTo, fé era deputato a qualche meftiere, Tab-
bandonarlo ; fé alTegnato a qualche podere per coltivarlo , il
dipartirfene per fervire ad altro Padrone . Se era difettofo , {1
potea vendere . Mancando al fuoUfizio, o commettendo qual-
che cattiva azione , e fuggendo 5 poteva il Padrone gaftigarlo .
Perciò ordinariamente col maggior poffibile ftudio proccurava-
no i Servi di rendere un buon fervigio a chi ne era Signore ,
e maffimamente per la fperanza di efler ricompenfati col dono
della Liberta . Tutti riflelTi , che potrebbero far defiderare og-
gidì, che fi rinovaffe Tufo de gli antichi Servi. Ma non anda-
va efente da molte penfioni, e faftidj il coftume d'allora. Im-
perciocché bifognava comperare i Servi , e a caro prezzo , e
quefto fi perdeva, mancando effi di vita , o contraendo mala
fanita, o fuggendo . Se commettevano qualche capital delitto
toccava al Padrone di farne la penitenza , cioè di pagar la pe-
na importa a quel misfatto. Allorché coftoro fuggivano, gran
briga era il cercarli , e ridurli , ed occorrevano molte fpefe ,
eliti. Talvolta ancora bifognava litigare davanti ai Giudici,
fé coloro negavano d'elTere Servi . Oltre a ciò feguivano Ma-
trimonj fra i Servi di diverfi Padroni : il che era uno non he-
ve imbroglio , perchè non fi potevano fciogliere, e conveniva
ciò nonoliante, che feguitaffero a fervire i loro Padroni. Que-
fìi , ed altri incomodi , ch'io tralafcio , quei furono in fine y
che fecero decadere l'ufo de' Servi . Principalmente nondime-
no contribuirono a ciò le mutazioni feguite in Italia dopo il
iioo. per efferfi tante Citta erette in Repubbliche , e perle
tante guerre fufcitate fra loro . Allorché fiori T Imperio Ro-
mano, e il Regno Longobardico, e Franco, fé un Servo fuggi-
va da una in altra Citta , non riufciva tanto difficile il ricupe-
rarlo , perché v' erano più Leggi ordinanti , che niuno rico-
veraiTe, occultafle, o traghettaffe i Servi fuggitivi. Ma da che
l'Italia fi parti in tanti Dominj , e guerra bene fpeffo bolli-
va, più non fu facile il tenere in freno i Servi, e fé fuggivana
il ricuperarli. Si aggiunfe il bifogno della guerra. Sotto i Ro-
mani furono efclufi dalla Milizia i Servi, si perchè riguardati
come gente viliffima , e s'i ancora per timore , che avvezza-
ti all'armi non facelTero fedizioni , e fi riv^oltaflero contro i Pa-
droni , e contro la ftefifa Repubblica . Solamente a' tempi di
V z Anni-
Ì<y6 D ISSERTAZIONE
Annibale pel gran bifogno fi arrolarono i Servi, ma con dichia-
rarli prima perlone Libere . Altrettanto fi praticò lotto i Lon-
gobardi , e Franchi. Ma effendo divenute si frequenti le guer-
re in Italia fra le fìelTe Citta nel Secolo Dodicefimo, troppo fi
farebbe fcarfeggiato di Soldati, ove non fi fofle permeilo a i Ser-
vi di militare . Però andò in difufo F antico rigore , e fu loro
conceduta la Liberta, affinchè prendeflero Tarmi per la Patria,
e per difendere i confini . Avea Giufìiniano nell' Autent. ^ic-
quìd Novella 8i. Codic. de Emancip. ordinato, ut fi quisServus-^
fetente Domino ^ mereatur m'tlìtìam^ repente in ipfam rapi atur in-
genuitatem . Nella Storia Milcella di Bologna da me pubblicata
nel Tomo XVIIL Rer. Ital. fi legge all'Anno 125^. Furono li-
berati i Kuftici del Contado di Bologna , cIj erano Fedeli ( cioè
probabilmente Servi di Mafnada , come dirò appreflb ) di cen-
to uomini della Città , e furotw comperati per danari dal Popolo
di Bologna -^ e fu ftatuito , e haìtdito alla pena del Capo , che
7iiuno ardifca di riputarfi per Fedele . Così il Comune di Bologna
compero ogni Serrjo , e ogni Serva del Contado , e diedero della
perfona da quattordici anni in su lire dieci , e da quattordici an-
7ti in gili lire otto. Cominciò dunque in Italia nel Secolo XII.
e XIII. a diventare rara la condizion de' Servi, e fvani affatto
nel XIV. Sul fine di quel Secolo viife il Vergerlo , di cui fono
le feguenti parole nella Vita di Ubertino da Carrara : Lo?jget-
tus erat hereditarius Servus^ & femper unanutritus; nam ufqus
ad e a tempora propagandorum Servorum mos in Italia manferat ,
qui nunc prorfus abolevit .
Ho rifervato fin qui di parlare di que' Servi , che dopo il
Secolo X. i noflri Maggiori furono foliti di chiamare Homines
de Mafnada. In una Inveftitura data da i Canonici di Pila l'An-
no 1135. fi legge : Et fìmiliter Juravitj quod bomines^ & mu-
lieres de Mafnada de pradióìo Scansilo non habent vendere , 72ec
donare , ncque alienare , ncque aliquo modo dirigere ad damni-
tate pr^ediólce Ecclefia- . A prima vifta parrà , che qu\ fi tratti
di veri Servi, al vedere vietato il venderli^ donarli^ ^à alienar-
li : il che fi fuppone fi potrebbe fare fenza quel Divieto , e
conviene a i veri Servi . In oltre nel Teifamento di Tancredi
Marchefe da me riferito nella P.I. Cap. 33. delle Antich. Eften-
iì, leggiamo : Univerfa Mafnata me a libera fit , jure patronatus
penitus remiffo , Feculiis uniuscujusque ftbi concejfis . Segno di
Ser-
Degimaq.uar ta. 157
Servi è la menzione del Peculio . Ma non s'ha qui da precipi-
tar lafentenza, e maflìmamente confiderando quQ\JurcP^r,'0'
n^tus penitus remtJ[o ^ perchè quefto non s'accorda colla con-
dizione de' veri Servi. Noi lappiamo, che anche a' tempi de'
Romani vi furono de' Coloni in gran copia affatto Servi ; altri
erano Liberi; ed altri Liberti, ma fuggetti per alcuni patti a i
loro Patroni : intorno a che è da vedere Jacopo Gotifredo aljLi-
bro V. Tu. p. del Cod. Teodof. ÒQ/ughivis Colonis . E qui fi
pon-^a mente ad uno Strumento Lucchefe dell'Anno 7^8. dove
due Uomini proteflano, quìa nos^ & parentes ìiojìrt bone memorts
"SMalpeytoDuci^ & fil'tis ejus^ fewvias facere folemus ^ & fervìtìitm
tier conàtùonem , traendo cum navs tam granum quam Ò' jalem .
Pofcia fof^oiungono : ISiunc 'vero trad'tmus^ & conjirmamus omnes
ves tiojìras in Domo SanHe Lucenjis Ecclejie ; & ab hac die omnì
tn tempore tam mobtl'ta quam ìmmobilta.^ omnes res noflras tam
de jure parentorum ìioflrorum , quamque & de adquìfttì noftro
in tntegrum confirmamus in poteflate Ecclejie Sanóìi Martini ,
& nullum tempore ex re a nobis poffejfa abeamus licentiam fub-
trae?idi de dominio ipfeus Ecclefte . Promettono in fine a Peri-
deo Vefcovo di far tutto quanto faceano in fervigio di Walper-
to Duca ; ftc tamen falnja Jujìitia noftra , quìa pc fuìt ante a
confuetudo. Ecco perfone, che paiono per un conto Servi, e
per un altro no, ftante l'aver effi de' Mobili , e Stabili di lor
ragione , e il fottoporre bensì i loro beni alla Chiefa , ma non
giS le loro perfone. Sicché la lor condizione viene ad eflcre un
mirto di Servitù , e Liberta , e fembra fimile a quella de gli
Uomini di Mafnada . Monfignor Fontanini in una iua Operetta
delle Mafnade credette originata la voce Ma/nata da Mas figni-
fìcante Manfum , o fia un podere , e <^a Nata , ficchè volelfe
dire gente nata ne i Ma-nfi . Il Du- Gange all' incontro crede
formata ìtlvqqq Mafnada dàManfata^ per additar perfone ob-
bligate a qualche Manfo, o fia a coltivar qualche podere. Re-
ca in pruova di ciò le parole di Guglielmo Durando appella-
ta lo Speculatore Lib. IV. particul. 3. deFeudis. ?Aanfataeft^
quando Dominus dat alicui Manfum cum diverfts poJfeJJlo?2ÌbuSy
& propter hoc ìlle facit fé Hominem Domini , & ad certum
Servitium tenetur , Et talis homo dicitur de Manfata ^ quia e fi
Homo ratìone poffejftonum ^ Perfona tamen ejus Libera ejì je-
eundum confuetudinem Regni Franciie , Ji dimijfa Manfata
alio
158 Dissertazione
jiìio fé transferat . At Itali fecundum quosdam 'uocant bomlnes
de Manfata quaji de Familia , & illi quaji prò Servis haben-
tur , Fu di parere il Fontanini , che palTafle gran differenza
fra gli uomini di Mafnada deferirti dallo Speculatore , e quei
che furono in ufo nel Friuli ; perchè quelli ultimi fecondo lui
erano di condizione veramente Servile. In pruova di che egli
produce uno Strumento del i3<5p. o pure 13(^8. in cui Nobilis
'Dir Anton'uis Gnllus de Civtpate Aujìrta manumtftt Domtnam So-
ph'tam filiam Tifa72ti de Premanaco , ejus Arictllnm propriam ,
JiveMulisrem de Mafnata curn omnibus fil'tis^ peculio^ bonh &c*
Certamente il chiamare ^^-^r////^ quella Donna, l'aver ella P^-
culio ^ e l'eflere maìiomeffa ^ fon tutti indizj di vera Servitù .
E pure che tali alTolutamente non folfero , ma bensì quafi
Servi , come dice lo Speculatore , affai lo dimollra il titolo
di Domina^ che in que' tempi lontani dall'adulazione de' no-
flri fignificava una perfona, non della vii condizione de' Ser-
vi , ma bensì o nobile , o molto civile . Lo fteffo Fontanini
rapporta un altro Strumento , dove Ricciardo Conte di Prata
mette in Liberta Sapientem Virum Domi?mm Marinum Juris-
co?2fuhum .
Nel rivedere io le antiche pergamene dell' Archiviò Eften-
fe, ho avuto fotto gli occhi gran copia di Strumenti, da' qua-
li appariice , che non folamente nel Friuli,, ma anche nel Fer-
rarefe , e Poienne di Rovigo erano familiari le Mafnade , e
che moltiffimi venivano chiamati^ homines de Maxinata ^ o pu-
re de Macinata . Quelli tali fi rieonofcono come Vaffalli del-
ia Cafa d'Efte, ricevendo Feudi, cioè Terreni, da effa ad njum
Regni , e giurando fedeltà ai pari de gli altri Nobili Vaffalli .
Poffederono cofioro gran copia, di Beni, non folo Feudali, ma
anche Allodiali , e venivano diftinti col titola di Domini , e
Domina, Eccone un efempio : Neil' i\nno i2 8(5'. Ferrarmo No-
taio come Proccuratore di Pietro Tìglio Domina Vene^^cs-, con-
fefsò, diBum Petrum effe Vajfallum^ Ò' hominem de Maxinata
Domini Obi:^nis Marchionis Eftenfìs , & h abere ab eo i?2 Feudum
ad ufum Regni res infrafiriptas &c. e qui annovera molti Sta-
bili. Nell'Anno medefimo Dominus Sicherius deFrata ^ Ò'Do-
minus Zeoefius &c, fuenmt confejjt ^ fé ejfe Vajfallos , & Homi-
nes de Maxinata di Hi Domini Marchionis , & h abere ab eo in
Fetidttm res Ì7ìfrafcriptas , Una gran copia di Beni vien quivi
legiftrata, uìÙioÌ^lÙ JurisdiBiones^ Segnoria ^ & Ve f con tari a & e.
im
DECIMAQ.UARTA. I5P
in qu'ihus Terrts habent JitrisdiH'ion'im cognofcendt , & determl-
nandi qncs^flìones Ci'vihs , & Crtminales , & jus collige?idi da-
cium ^d cnteriam Frata ; & jus portus LtùgdH 5 & Domus S viva-
ti c<£ ; Ò' jurìsdiB'tonem fupcr bomìncs Ar quo a die , Conieù , &
Gregnanì , quia facìehant hom'ines dt^aruìn Vìllanìm ne cum
eis ad phivigum ( cioè alle Funzioni pubbliche ) & in exerci-
tum quociens opus erat , rnaximj de mandato Domini Marchio-
7iis, Si noti quell'andare in exercitum ^ che è la ptincipale ob-
bligazione di quefti VaiTalli , che pure vciigono appellati bo-
mines de Maxinata , Vedefi poi in uno Strumento del 1252.
che Bonifazio Padre de' due iuddetti VaflTalli prella il giura-
mento di Fedeltà col principale obbhgo di prendere l'armi ad
ogni cenno del Marchefe , giurando contra omnem ho-minem ,
eccettuando anteriores homines , ft quos habet , Ecco dunque ,
che cortoro erano Nobili Vafifalii , né qui fi truova alcun ve-
ftigio di vile fervil condizione. E pure in un altro Strumento
del 12^2. Pietro figho del medefimo Bonifazio , comparendo
alla Corte, àovQDominusAzo^ Dei^ & Apoftolica gratiaEften-
jìs^ & Anconitanus Marchio fecerat congregari omnes VaJJallos^
Ò* Maxinatas Ci'vitaùs Ferraris , fi protefta fuum Hominem de
Maxinata , ed è invertito de fuo juflo , & re&o Feudo &c. Et
dióius Petrus Homo de Maxinata , Jìcut Servus Domino , juravit
Fidelitatem dióio Domino Marchioni , cujus Homo de Maxinata
eft , Si foggiugne dipoi: Hoc intelleHo expreffe ^ quod 'vivente
ipfo Domino , di6lus Dominus Marchio hnbeat , Ù' habere debeat
merum , & ple?zum Dominium dióli fui Ho/ninis , ita quod ipfe
pojjit facere ^ & difponere de diHo fuo Homine ad fuce beneplaci-
tum voluntatis .
Ora noi troviamo una (Irana difparita fra gli antichi Servi,
e i Servi di Mafnada , Vilififima era la condizion de' primi ;
nulla poffedevano , che non foffe del loro Signore ; né erano
ammeffi alla Milizia . Ma i fecondi erano annoverati fra i
VaiTalli; godevano Feudi ad ufum Regni ; predavano il giura-
mento come i più nobili Vaffal li ; poteano militare, anzi era-
no a ciò tenuti ad ogni ordine del loro Signore . E che perfo-
ne Nobili , e potenti fi contaffero fra loro , 1' abbiamo offer-
vato . Quefta mutazion di collumi non altronde credo io na-
ta , fé non perché dopo il Mille cangiò non poco di faccia
r Italia . Sorfero innumerabili Signori e Signorotti, s\ Ecclefia-
lìici che Secolari 5 cialcun de' quali era in,dipendente, e fola-
mente
l6o DlSSERTAZIOME
mente riconofceva per fuo Sovrano i'Imperadore . Anche fot-
to i Longobardi furono in ufo le nemicizie, e guerre private,
appellate F^/V^. Ma crebbero quefle a diimifura dopo il Mil-
le fra tanti Signori l'uno all'altro confinanti . Lo (leflb avven-
ne in Francia : del che una bella Difiertazione lafciò il Du-
Cange nella Storia del Re San Lodovico . Pertanto i gran Si-
gnori di allora o per voglia di far guerra , o per neceflita di
difefa, e tanto Ecclefiaflici , che Secolari, fi ftudiarono di fard
de' VaiTalli , con dar loro Cailella o poderi in Feudo , ufizio ,
ed obbligo de' quali era di prendere l'armi, e farle prendere
a' loro uomini, in fervigio del diretto Padrone . Stelero anche
quefla Liberalità alla gente bafla , concedendole qualche ter-
reno da godere : il che cagione era , che ninno fuggifie per
non perdere quel bene ; ed obbligo d' ognuno era di accorrere
coir armi, ovunque il Signore comandafìTe. Chìàm3.Ci Mafaada
quefta unione di perfone dipendenti da cfì'o Signore , e pren-
dev^ano perciò il titolo di Sewi . Di qua venne il nome di
Mafnadìeri , perchè formando Efercito la pe vano far anche il
meftiere di faccheggiare al pari de gli altri Soldati. Tale era
il legame, con cui fi obbligavano , e fottomettevano al vole-
re del Signore , che in certa maniera uguagliava quello de i
Servi antichi , tuttoché fodero riputati per nobili , e civili
perfone , e certamente non contraeffero macchia alcuna per
quella Servitù, come non la contraggono i Vaffalli con obbli-
garfi al fervigio de' Padroni. E in fatti fé voleano ricuperare
la Liberta, ci voleva un Atto fimile alla Manomefhone : del
che s'è recato di fopra efempio . Nelle Giunte alla Cronica
de' Cortufi Lib. IX. Gap. V. della Citta diTrivigi, è fcritto:
^hice pojì excidium illorum de Bramano , omnes illorum Mafna-
tas & Servos em^ncipa'vit: , & Ltbertati , & itigenuitarì condo^
na'vh . Vedi qui diilinte le Mafnade da i Servi , quantunque
fi ufafTe la ManomefFione tanto per quelle , che per quefti .
Abbiamo oflervato una tal balia del Signore fopra gli uomini
di Maihada, che potea difporne come a lui piaceva , e fem-
brava quello un Diritto di Dominio , come lopra i veri Ser-
vi. E pure abbiamo oifervato, che Tancredi Marchefe ordi-
nò, che Unì'verfa M^friata me a Libera fit Jure Tatronatus pe-
nitus rem'tffo, Dominus fi appellava chi tene^ al hio fervigio
Servi . Se q-uefti confeguivano la Liberta , lui poicia appel-
lavano FatYono , come olfervamnio di fopra , Dal che con-
viene
DECIMAQ.UART.A. l6l
viene inferire , che gli uomini di Mafnada foffero fimili a i
Liberti .
Ne folamente nel Friuli, e Ferrarefe furono in ufo le Maf-
nade , ma n' ebbero anche varj Principi e Signori si Ecclefia-
ftici che Secolari. Il Cardinale Baronio rapporta all'Anno ii 88.
un Diploma del Senato Romano, dove fi legge : Res eìs ablata%
per Mafnadam Romani Ponti ficìs & ForifaHores ^ cioè Malandri-
ni. Vedemmo di fopra nel Pifano Homines de Mafnada ^ che
aveano fervito alla ContefTa Matilda . E nel Regiftro antico
della Repubblica di Modena abbiamo il Giuramento predato
alla Citta da alcuni Nobili del Frignano , dove fon quefte pa-
role : Et hoc de Boaria ( era un tributo per ogni paio di buoi)
obfewaho^ nifi fuevoCajì eli anus^ vel RochexaJìus^njelMiles ^ aut
Homo de Macinata . Odafi anche Rolandino nel Lib. i. Cap. 2.
che fcrive di Cecilia Moglie di Eccelino il Monaco : Per Pa-
duanunì di/lriciutn magnas Majnadas , Vaff alias multos , & am-
plas pojfejjlofies habebat . E in una Bolla di Gregorio IX. Papa
del 1231. preflb l'Ughelli ne'Vefcovi d'Anagni abbiamo: Si
contigerit eos exercitum , vel Mafnadam facere ultra Urbem :
dove è diftinto il fare efercito^ cioè allorché tutti i Cittadini
davano di piglio all'armi, e \\ fare Mafnada^ perchè vi con-
correvano i foli uomini di Mafnada . Preffo Giovanni Villani la
milizia a cavallo è chiamata C/^W/m^, e i Pedoni la Mafna-
da. Fin dopo l'Anno 1300. fi truova memoria delle Mafnade.
S'incontrano poi negli Antichi Documenti Manentes ^ Tribu-
tarti^ Manfionarii ^ Alloderii ^ Adfcriptitii ^ Servi glebcv . Non
è facile il ben diftinguere tutte le qualità, e differenze ditali
perfone, cioè Te foffero Liberi, o Servi, o Liberti, e con quali
obbligazioni effi ferviffero. Ne ho parlato qualche poco nel-
le Antich. Ital. Qlù non occorre dirne di più . Finirò colla
menzione della Formola , con cui un certo Leone nell'Anno 1 01 8.
fi da per Servo a Giorgio Suddiacono Ferrarefe. Prefencialitery
die' egli , atque corporali ter meam perfonam trado tibi ^ ad fer-
viendum tibi omnibus diebus i-ita meds , tantum prò predo de-
7iariorum folidos treginta Ò'c. propterea placet mthi a predenti
die ^ & bora bona & fine era me a voluntate dejer'vire^ & obfe-
quiare^ five fupplicare tibi jam diSio Georgia omnibus diebus vi-
te ìnee , cuyn vera fide Ò' humilitate &c. ad qualemcumque la-
borem vel obfcquium noBurnum rei licite , vel diurnum mihi
imperaveris Òr. Mibi facere debeas omnibus diebus vite mes
Tomo L X vs^
lóz Dissertazione
vejlire ^ & calciare ^ nutrire ^ & p afe ere ^ & gubernare ; & per
Jìngulos afinos finitos duodecim denarios debeas mihi &c. Nec
fugam tne arripere prefumo per ullam occafionem vel ingefiium »
^iod Ji forte lateraer & furtive cum vcftris rebus furatis de
vejìro Sernjicio exire nifus fuero^ aut fugam in quamlibet Ter-
ra ... partes arripere prefumpfero : liceat tibi Georgia Subdiaco-
■no , Domino , benefaólori meo y vel per tuum Mijfum me inquì-
fere y & perfecuitare ^ & me iibicumque inveneritis fugitivu la-
tronem apprehendere , & difciplinare , & me in vefìrum Servi--
cium revocare ad ferviendum tibi omnibus diebus vite mee &c*
c\Jltn«v*^<*^5>^cV*>^cvfc^ev*>: {\jfc>jcVìSy^.<\*/jcVgt^cVfitncV*A (V4^hcv«S^c\*/:c«j|^cV«fe/:
Delle ManumiJJicni de'' Servi , e de' Liberti ,
ubidii y & Aldiane.
DISSERTAZIONE DECIM AQ^UINTA.
REsTA ora da dire qualche altra cofa de' Liberti , de*
quali abbiam favellato non poco nei Gap. precedente»
Non era cotanto infelice una volta la condizione de' Servi, che
non reftaffe loro la fperanza di confeguire o riacquilìare la Li-
berta. Anzi la dolce immagine di quello premio (lava fempre
davanti a' loro occhi, e perciò nulla tralafciavano di pazienza,
fedeltà, e premura in ben fervine i Padroni, aiiinchè un di fi
moveffero a ricompenfar le loro fatiche con liberarli dall' ob-
brobriofo titolo , e giogo della Servitù : In fatti , o fia che i
Padroni abbondaffero di umanità, o pure che i Servi con quan-
te arti poteffero fi guadagnaffero la loro grazia *ed affetto , fo-
vcnte avveniva, che que'miferi reftavano nelle lor brame con-
folati . E ciò fi effettuava coWà Manumijfione ^ per cui veniva-
no dichiarati Liberi , e non più Servi , ma Liberti erano ap-
pellati da li innanzi. Ciò che praticaffero i Greci, i Romani,
ed altri Popoli in quello propofito, non occorre che io lo ri-
cordi. Ne han trattato uomini dottilTimi, e celebri Giurifcon-
fulti . Avendo i Longobardi , e Franchi trovato que(V ufo in
Italia , lo continuarono con qualche differenza nondimeno ,
fìccome andremo accennando. Non v'era anticamente Signor
Secolare, Vei'covo, Abbate, Capitolo di Canonici, e Monifle-
ro, che non avefle al fuo fervigio molti Servi. Molto frequen-
temente folevano i Secolari manometterli . Non così le Chie-
fe.
DECIMAQ.UINTA. j5j
fé , e i Monifteri, non per altra cagione a mio credere, fé non
perchè la ManuiTìifTione è una fpezie di Alienazione , ed era
<ia i Canoni proibito l'alienare i Beni delle Chiefe. Vedi il Can.
Abbati^ Dift. 54. t Cdi^. Epifcopt .) & da rebusEccUf, non al te -
nandìs. Nella Cronica delMoniftero Beneventano prcfìfo l'Ughel-
li, s'incontrano alcuni richiamati alla Servitù, perchè l'Abbi-
te lenza permiffione del Principe avea loro donata la Liberta.
Ufanza familiare fu , che fé i Figli de' Servi imparavano al-
quanto di Lettere, facilmente venivano promoffi a gli Ordini
Ecclefiaftici . Ma perchè, ficcome abbiamo dal Concilio Cal-
cedonenie Can. IV. cura fajìig'io Sacerdote non bene componitur
fer'vilis vilifas ^ necelTaria cola fu, che i Signori li manomet-
teffero prima, edanzi rinonziaffcro alGiuspatronato, checom-
peteva ad ogni manomettente lopra i fuoi Liberti. Che fé tal-
uno lenza faputa e licenza del Padrone veniva ammelTo alla
milizia Ecclefiaftica, era dalle Leggi forzato a tornare alla Ser-
vitù. Perciò fra le fpecie dell'Irregolarità fu poi effa Servitù
annoverata. Nel Decreto e nelle Decretali molto fé ne parla.
Si fofleneva nondimeno la lor promozione , quando fi prova-
va, la fcienza del Padrone , e ch'egli non aveOe contradetto.
Praticavafi lo fteifo anche preflb i Greci , come dimoftrò il
Papadopoli Prajnot. Myftag. Refp. 2. Se61:. 5. La prima fpecie
adunque, per cosi dire, di ManumilTione fu l'entrare nel Che-
ricato, benché ordinariamente precedelTe la vera ManumilTio-
ne fecondo le Leggi, di cui diedi io una Formola nel Tomoli,
de'miei Anecdoti . Per quella via gran copia di Servi paffava
una volta a i facri Minilierj ; e vi confentivano con facilita i
Vefcovi , i Monaci, e gli lieiri Laici, perchè avendo Chiefe ,
od Oratorj di loro Giuspatronato , Itimavano meglio di conle-
gnarli a perfone loro ben affette , ed obbligate , che a gente
efrranea . Andò tanto innanzi la folla de' Servi promoiTi al
Clero, che Carlo M. in una delle Leggi Longobardiche dame
date alla luce, ordinò, che de propri is Servi s^ vel AncilUs non
amplius tondantur ( in vece di tondeantur ) vel njelentur , ììifi
fecundum menfuram , ut & ibi fatisjìat , Ù* Villa non Jint defo-
lata. Significa il tondere il Chericato ; e il velare riguarda le
Serve, che fi faceano Monache . Di qui ancora s'intende, di
che perfone foflero principalmente allora compofle le Ville .
In oltre elfo Augnilo nella Legge 138. ordinò : Ut Servum al-
terius nemo folicitet ad Clericalem vel Monachalem ajcendere
X 2 Ordì'
j6^ Dissertazione
Orcihtem Jtne lke?itia^ & njohmtate Domìni fui , E molto prima
il Re Liurprando Lib. V. Gap. 24. pubblicò quello Editto : Si
quis Servum alienum Jtne 'volutitatc Domini fui clericaverit , com-
ponat Domi?7o fuo prò illicita prafumptione Solidos XX, & ipfe
Servus revertntur ad proprium Dominmn ; & ipfe Dominus ejus
haheat eum , ficut 'voluerit . Anche Lodovico Pio parla di ciò
nella Legge 30. e da' fuoi Capitolari fi Icorge , che v'erano la-
menti a cagion de' Servi qui pajjim ad gradus Ecclejìaflicos in-
difcrete promonjebantur .
I N altre guife ancora fi liberavano i Servi dal dominio de
gli Ecclefiaftici . Trovavano talvolta pur troppo Vefcovi , ed
Abbati di guafla cofcienza , che nulla curando, o paventando
le minacele de' Canoni, e l'ira di Dio , ad altro non attende-
vano , che ad impoverir le Chiefe , e i Monifterj profonden-
do gli Stabili , gli ornamenti delle Chiefe , e le Famighe de'
Servi, per arricchirne ilor Parenti, ed Amici . Nella Cronica
di Farfa fé ne veggono parecchi eiempli. E in quella delMo-
niftero di Volturno fi vede, che quegli Abbati concedevano i
lor Servi in Livello a i Laici . Accadeva eziandio , che i Servi
delle Chiefe fi accafavano con donne Libere; e benché i Figli ,
che ne nafcevano, fofiero anch' effi regolarmente Servi , pure
in qualche Luogo godevano il privilegio della Liberta , e fé
l'attribuivano con pretendere di non efiere (lati Servi, da che
aveano preia per Moglie una Donna Libera . Tal notizia ri-
fulta da un Diploma di Arrigo V. appellato anche VL conce-
duto nel iip4. al Moniftero di San Salvatore ad Leones di
Brefcia , il quale era flato fondato dal Re Defiderio. Il P. Ma-
biìlone (limò diflrutto quel facro Luogo a' tempi di Corrado IL
Imperadore ; ma dal privilegio fuddetto colla , che i fuoi Ab-
bati continuarono lun^o tempo ancora dipoi . Ivi ila fcritto :
De\Sernjis 'vero^ & Ancillis ip fi loco a fuo conditors in ferviti um
Monac/jorum Deo fervientiu)n inibi traditis ^ qui fuos filios y vel
filias occafione alienandi eos , vel eorum filios a fervitio , Libe-
ris conjugio tradu?ìt , aut e co-atra fufcipiunt : coìiflitufmus , ut
five de paterni a , feu de materna generatione defcendunt , nulla-
tenus a famulatu difcedant , fed in perpetua Servitute perma-
neant , (y in fuorum parentum , Servorum fcilicet , conditione
permane ant .
Vengo a i Riti delle Manumiifioni , che furono diverlì da
quei de'Roniani. La prima fpecie di quelle viene elprefia dal
Re
Decimaquinta. 1^5
Re Rotarì nella Legge 225. e fi chiamava MaìiunùJJio per
quartati! manmn , cosi detta , perchè volendo un Padrone con-
cedere la LibertU ad un Servo , il dava in mano ad un Uo-
mo Libero ; e quelli ad un altro; e cosi a quattro diverfe per-
fone . L'ultima conduceva il Servo in luogo, dov'erano quat-
tro vie , e in prefenza di teftimonj gli diceva , che da lì in-
nanzi era Libero, potendo andare per qualunque delle vie fud-
dette , che a lui piacefie . Ecco le parole della Legge : (^ì
ftilfreal ( cioè Libero ) & a fé ex^raficum ^ ideji Amund ( cioè
Ibiolto dal fuo potere ) facere voltierit , ftc àebet facere . Tra-
dap eum prius tn manus altenus hom'tnìs Lìberi , & per garan-
tii ( dicendo : Ve ne fo un dono ) ipfmn confirmet ; Ò^ Uh
Jecundus tradat eum i?i ma?iu tertìi hommìs eodem modo ; &
tertius tradat eum in quarti . Et tpfe quartus ducat eum in
quadrubio , Ò" thingat eum in guadia ( cioè gli faccia dono
della Liberta , conltituendofl malevadore di quell' Atto ) Et
giftles ( cioè i teftirnonj ) ibi ftnt ; & ftc dicat : De quatuor
'uiis , ubi volueris ambulare , liberam habeas potejìatem . Si ftc
jaHum fuerit , tunc erit Amund ^ & ei manebit certa Libertas ,
In queita maniera il Servo era detto Mi Jfus a manu^ cioè li-
cenziato dal potere del Padrone . L' altra Ipecie di Manumif-
fione confilleva nell' Autorità del Re , a cui veniva prefenta-
to il Servo, acciocché gli donaffe la Liberta . Appellavafi qne-
fìa M.anumiffio per imt>ans , cioè in njoto Regis j né altro oc-
correva , le non che il Re diceffe in prelenza di teftimonj :
Coftui è Libero . Ciò s'ha dalla fuddetta Legge . La Legge
Salica, o fia Franzefe , e laRipuaria, aggiugnevano un par-
ticolar Rito a quella Manuniiflìone ; perchè il Re fcuoteva
dalla mano del Servo una moneta d' oro , o d' argento , o di
rame : quafichè il Servo pagaffe il fuo rifcatto . 1 Servi pa-
gavano per l'ordinario qualche cofa al loro Padrone nell'At-
to di ricevere la Liberta, forfè per quella ragione, che fecon-
do l'ufo de' Longobardi Donationes fne Launigild^ aut ftne com-
mutationibusy cioè lenza qualche ricompenia, non erano legit-
time. Di tal Rito fon da vedere il Bignon , il Du- Gange, e
ilBaluzio. Nell'Archivio de'Canonici di Arezzo efifle la Ma-
numilfione d'un fuo Servo fatta per Privilegio da Lottarlo L Im-
peradore nell'Anno 844. Le fue parole fon quelle: Servum no-
f rum Adalbiddum nomine y manu propria excutientes emanu ejus de-
narium fecundiinì Legem Salicam^ Liberum fecimus ^ & abomni JU'
i66 Dissertazione
go Servituiis ah/olvìmus . S\ fatti Liberti fi chiamavano Homi-
nes denarìales , come colta dalla Legge XIIL di Pippino Re
d' Italia . Un altro fimile efempio di ManumifTione fatta dal
medefimo Augufto d' una Serva , vien rapportata nel Tomo I.
Veter. Scriptor. dal P. Marlene . E che anche in Italia foffe
portato da i Re Franchi , e fi praticafle queftoRito, fi pruo-
va con un Diploma di Berengario I. Re d'Italia dell' Annopi2.
efiflente preffo i Monaci Olivetani di Santa Maria alP Organo
di Verona, dove cosi egli parla : Servum nojìrum^ nomine Are^
g'tfum 5 cum Uxore fua Adelinda , & Filìo fuo Adelardo , & Fi'
Ha ejus nomine Ingez^ ah omni Sewitutis ligamitie liberajfe ,
& Ingenuos diynififfe , C^ a manibus eorum jecundum R.egiam
confuefudinem publicce monefce de?iarium excujjiffe , eisque per
quatmr angulos Orbis liberam facultatem eundi , ne redeundi
concejjijfe , quatenus potejìative & libere incednnt quocumque
njoluerint^ tamqunm Miles publicus^ Ci'visque Komanus. Gli do-
na ancora omnem Jubjìaniinm ^ & fupelleBilem fuam mobilem ^
& immobile?}! . La formola di poter andare a fuo piacimento ,
veniva da i Romani, fcrivendo Plauto in Menoechm.
Liber ejìoj ritque abito ^ quovoles.
Fu prefo ancora da gli Antichi il dichiarare Cittaditio Roma-
no il Liberto , coftando ciò dalle Manumiffìoni de' tempi Ro-
mani, e da una Legge di Coftantino Magno . In una Formola
pubblicata dal Sirmondo è detto, che il Manumeffo y^cw^ alii
Cives Romani njitam ducat ingenuam .
Fu parimente in gran credito, mafTunamente ne' Secoli pò-
fìeriori , la Manumiflione fatta in Chiefa davanti al Vefcovo,
Sacerdoti , e Popolo , i\ per maggiore pubblicità e ficurezza ,
come per gloria della Carità Criftiana . Imperciocché quafi
fempre i Signori concedevano ai Servi quella grazia prò reme-
dio o fia prò mercede animce [uos . Era condotto il Servo circa
Altare , o pure ante facri Altaris cornu , tenendo una candela
in mano , e quivi era dichiarato Libero con chiare parole dal
Padrone. Da Roma Criftiana difcele quell'ufo , come s'ha da
due Leggi del Codice di Giulliniano Tir. de his ^ qui in Eccle-
fia maìiumitt. Notò Jacopo Gotofredo, che anche i Gentili ufa-
rono di dar laLiberta ai loro Servi ne'Templi, e ne'Comizj
del Popolo . E che nell'Affrica fi ufaffe quello Rito, loattella
Santo Agoflino nel Serm. XXXI. dell'Edizione Benedettina con
dire:
D E e I M A Q. U I N T A , lój
dire: Servum tuum manumittendum manuducis hi EccUJìam, Fìt
ftlenùum . Lthellus tuus recìtatur , aut fit dejìdcrii tui profecut'to .
Più lotto impariamo da lui , che fi itracciava lo Strumento ,
con cui fu comperato il Servo, e fé ne formava un nuovo del-
la data Liberta, colla fottofcrizione de'teftimonj . Coloro, che
ne' Capitolari fi veggono chiamati Charmlarii , e Chartulatt ,
crede il Du-Cange, che fo (fero Servi manumeffi /?6T C/^/?r^^w ,
cioè collo Strumento. Sebbene niun Servo a mio credere folfe
manumeffo lenza che fé ne formafìe un Atto pubblico per fi-
curezza di lui. E quefti Cartulati fi truovano poi ne' Privilegi
dei-Re, ed Imperadori *in{ìeme coi Servi, Coloni, e Livella-
r] . Truovanfi ancora i Comme^idati nelle antiche Carte ; ma
non furono Servi , né manumeffi , perchè gente Libera , che
fi metteva al fervigio altrui . In una Formola del Sirmondo
leggiamo quefte parole dette di un Libero, ed Ingenuo : Mini-
me hahens , unde fé pafcere 'vel ve/ìirc debecit , ideo petti pietà-
ti vejìne , ut me in njejìrum Mundiburdum ( patrocinio , o pro-
tezione ) tradere -vel commendare deberem • Eo videlicet modo ,
ut me tam de vióìu , quam & de 'vejìimento , juxtn quod vobis
fervire , & promerevi potuero , adjwvare , "uel confolare debeas ;
& dum ego in caput advixero , Ingenuili ordine tibi fervitium vel
obj'equium impendere debeam. Et me de vejìrapotejiate ^ velMu?i-
diburdo , tempore vitce mea potejìateyn non habeayn fubtrahendi ,
niji fub njejìra poteflate vel defenjtone diebus vita; mcce debeam
permanere . Di qua s'intende , che anche ì Commendati ^ an-
corché ingenuili ordine , cioè con ritenere il pregio d' efìfere
Liberi, entravano al fervigio altrui, e non ne poreano ufcire
fenza licenza del Signore. Furono anche appellati Coww(?W/V/,
e Commendatarii , il che da luce ad una Legge di Carlo Ma-
gno , cioè alla Centefima fra le Longobardiche , dove dice :
Ceteri vero homines Liberi qui vel Commendationem , vel Benefi-
cwm Eccleftaflicum habent , ficut reliqui homines juflitiam fa-
ciant . E perciò troviamo cofloro , benché Liberi , a cagione
dell'obbligo fuddetto annoverati colle perlone, fuUe quali avea-
no autorità i Padroni . Ugo Re d'Itaha nelf Anno 926. con-
ferma al Moniftero Veronefe di San Zenone tutti i fuoi Beni
cum F amili isy & Servis utriusque Sexus ^ Mancipi is^ Colonis^ Li-
bellariis^ Cartolatis , Comendatis Ò'c, E che i Commendati non
foflero di condizion Servile fi raccoglie ancora da un Placito
dell'Anno 854. efiftente nella Cronica del Volturno, dove al-
cuni
1^8 Dissertazione
cuni Uomini litigando co' Monaci elicono : Nos & parentes no-
Jln fimper Liberi fuimus y 7iam ììos per dcfenfioììis caufam fui-
mus Liberi homi?ies Comme?idatt in ipfo Monajìerio , non prò Ser-
"St . Il Rito fuddetto della Manimiiflione davanti all'Altare fi
truova fra gli Alamanni, Franchi, Wifigoti, e Ripuarj . Un
eiempio dell'Italia comparifce in un barbaro Strumento del io<^6,
in cui Votila Coììtejfa^ già Moglie d'Ugo Duca^ e Marchefe tro-
vandofi in Bologna , concede la Liberta a Cleriza fua Serva ,
con dire : mano mito te Be 727:0 Presbiter da Plebem Sancii Adria-
«/, ut vadat tecum in Ecclcjìa SanHi Bartbolomci jlpojìoli^ traad
te tribv.s vicibus circa Altare ipfius Eccìefte cum cereo apprehen-
fum in manibus fuis . Deinde e:xite^ & ambulate in 'via quadru-
bio ^ ubi quatuor 'vie fé di'vi duntur ^ Ò" date eam licentiam. Dif-
ie pofcia il Prete : Ecce quatuor vie : ite^ & ambulate in qua-
cunque partem tibi placuerit tan tu jupradtBa Cleri^^a , quatt of-
que tui bcredes &c, Abeatis nias apertas portas Paradìjt , portas
Civitatis , portas Cajìellis in placitis , (iX in co?iventis locis am-
bulare , & ftare , 6^ Wadia prò te dare &c. Di Ugo Duca e
Marchefe poco fa nominato, feci menzione nel Gap. VI. de'
Marchefi . Forfè figlio fu di Bonifazio Marchefe di Nazione
Ripuaria , e memorie di lui fi truovano nella Cronica del
Moniftero di Caiauria . Altri efempli di Manumiffioni ho io
recato, che non importa rammentare, badando il già detto.
- Da quanto s'è finqu'i veduto po^iam conoicere , che ne*
tempi Crifliani, cioè regnando la Religione maeflra della Ca-
rità, non dovea eflere molto infshce la condizione de' Servi,
perchè loro era permefTo d'indufìriarfi , e di accrefcere il Ca-
pitale del Peculio, purché ben ferviflero nel medefimo tempo
a' Padroni . Giugnevano alcuni a mettere infieme tanto dana-
ro, che potevanfi rifcattare dalla Servitù . Rolandino Bologne-
fe nellaSomma dell'Arte Notariale, compofla circa rAnnoi255.
ci prefenta una Formola, in cui un Padrone manumettendo un
Servo co' Figli , concede loro totum eorum peculium a rationi-
bus Domini feparatum . E ciò fa , prò pretto centum librarum
Bononienftum : quod pretium diHus Dominus confejfus fuit , Ò'
coutentus , fé ab ipfo Antonio dante , & folcente &c, babuiffe ,
& recepijf^e. Aggiungafi ora, che pio , e frequente coftume fu,
che i Padroni prima di morire laiciail'ero a i loro Servi la Li-
berta . Coftantino M. quegli fu , che introduce quefla manie-
ra di Manumiffjone , concedendola a i Cherici ; e paisò poi una
sì pia
DECIMAQ.UINTA. l6p
s\ pia Liberalità anche a i Laici . Tuttavia dalla Legge 3. del
Re Adolfo fi ricava , che lucceduta la morte del Telìatore ,
per efeguire la di lui volontà , fi manumettevano attualmente
i Servi nella Chiefa . Perchè poi lembrava andare all' ecceflb
quefta generofita de' Padroni , Pippino Re d'Italia nella Leg-
ge 34. naette il cafo , che avendo il Padre una Figlia , laici
nell'ultima lua volontà a tutti i fuoi Servi la Liberta. Et quia^
foggiugne , cantra legem ejfe vìdetur , ìnjìittiimus , ut ipfa filia
in tertUm portìo?iem de pr<tjatis rebus iterum introìre pojjit , Cioè
vuole , che un terzo di quegli Uomini continui ad eflere Ser-
vo di quella Figlia . Nò fi dee credere, che leguita la Manu-
mifiione, paflaffero fempre i Servi aduna piena, e totale Li-
berta; perciocché, come fu di fopra accennato , i Patroni ri-
tenevano qualche diritto fopra de' medefimi , appellato Gius-
patronato. E poi perlopiù fi faceva loro quefta grazia , ma
con varj patti ed obbligazioni o di qualche fervigio perfonale ,
o di pagare qualche cenfo ogni anno. Che fé il Tefì:atore vo-
lea Libero da ogni legame il Servo , era d'uopo, che fpecifi-
cafìTe quefia fua intenzione con chiare parole. Nell'Appendice
a Marcolfo Gap. 48. fi legge Kedemptìonde ^ cioè la Manumif-
fione , che il Padrone per danari concede al Servo con dire :
Ut talìter fias tngenus^ tamquam Jl ab itìgenuis parentìbus fuijfes
procreatus vel 7ìatus , cum omni Peculiare tuo ; & nec m'thì , nec
nlli Heredum meorum 7iullum impendas Servitium ^ nec Homi ?i'tum^
nec Libertaticum , ?iec idium Obfequium , 7ìec Patronaticum Ù'c,
Ecco varj nomi efprimenti gli obblighi , che fovente s'impo-
nevano a i Liberti , o competevano al Padrone fopra di loro.
Notifllmo è pofcia , che fé i Liberti divenivano ingrati a chi
avea ufata con loro tanta generofitk e benefizio , dalle Leggi ,
che fi truovano ne' Codici di Teodofio e diGiuftiniano, erano
condennati a perdere la Liberta , e tornavano ad eflere Servi ,
né pii^i poteano far Teftamento. Ma che in quella pena incor-
reflero i Liberti ingrati fotto i Re Longobardi e Franchi, non
1' ho trovato . Siccome non veggo , che allora fi facefle cafo
della qualità di fangue Libertino, come fi usò al tempo de' Ro-
mani, i quali riputavano ben inferiore agl'Ingenui chi difcen-
deva da Genitori Liberti, e ci volea del tempo a purgar quel-
la macchia . Tuttavia preflb 1' Ughelli nel Tomo I V. dove
tratta de' Vefcovi di Vercelli , fi legge un Decreto di Leone
Velcovo di quella Citta, fatto fui fine del Secolo X. prafentin
Temo L Y /w-
170 Dissertazione
Judicum^ Civ'ium affluenti a refi dente & Mtlìtum ^ appojì ti sEv an-
gelus , & Lthrìs Legum , Chartis contra Legem faólis (^Ji quas
erant ) legaltter incijìs , nobìltter acclamante Populo , furono di
nuovo rimeflì in Servitù tutti coloro , che elTendo già Servi
della Chiefa di Vercelli , per negligenza o vizio de' precedenti
Vefcovi a jugo Sernjttuth in Libertatis Nobilitatem ( notifi que-
fìa parola ) tranfierant^ & ipfam Ecclejìam in derifu ^ & defpe-
Bu haheba'/it . ConfefTa il Veicovo , ab ejusmodi Libertis , quod
aliqi'.ibus dfvitiis ijìflati ejfent , inquinari Nobiles . Certamen-
te fi può credere , che anche allora abborriffero i Nobili di
mifchiare il loro fangue con de' Liberti, come oggidì ancora
fogliono adenerfi da' maritaggi con chi poco fa o per fortuna,
o per induftria è ulcito del fango. Preflb Marcolfo Lib. 2. Ca-
pir. 33. un Padrone dona ad un fuo Servo la Liberta , ea con-
dittane ut dum advixero^ mi hi defervias j pojì obitum njero meum
fi mihi fuperfies fueris fis Ingenuus <&c, peculiare conce jfo , quod
hnbes^ aut elaborare poteris . A quefla maniera d'impegnare per
tempo la Liberta a i Servi, ebbe riguardo Aftolfo Re de' Lon-
gobardi nella Legge 2. Si quis Langobardus ^ die' egli , pertinen-
tes fuos ( cosi ancora fi appellavano i Servi ) thingare voluerit
( cioè manomettere ) in quartam ma?2um dandos , & chartulam
ipfis fecerit , & fibi refervaverit fervitium ipforum , dum advi-
xeritj & decreverit^ ut pofl obitum ejus Liberi fint , fi abile de-
beat permanere fecundum textum Chartce , quam ei fecit , &c.
Finalmente fi dee aggiugnere , che fé il Liberto era piena-
mente manomelfo con avere il Padrone rinunziato al Giuspa-
tronato , allora potea teftare , e far ciò che gli piacea della
fua roba. Ma durando il Giuspatronato, e non avendo Figli?
la fua roba tornava al Patrono.
CoNviEN ora parlare ò.ti g\ì Aldii ^ d<, Al diane ^ de' quali si
fovente fi truova memoria nelle Leggi Longobardiche, e nelle
vecchie Carte d'Italia, ma non già prefTo i Franchi , ed altre
Nazioni. Furono dunque gli^/^/i, detti anche ^/^/W^i, una
forta d'uomini fra i Servi , e Liberti . Non erano Servi , per-
chè manomeffi ; né veri Liberti , perchè tuttavia obbligati a
fervire il Padrone e i fuoi Eredi . Il Du-Cange nel GlofTario ci-
tando le Chiofe del Lindembrogio, riconofce l' Aldio y?^/« Z./-
berum , & Libertum cum impofitione operum . Pofcia come di-
mentico di quello , foggiugne , che gli Aldii erano ex genere
Servorum , tametfi peculiaris & propria fuit Seruorum fpecies ,
ab
DECIMAQ.WINTA. IJI
ab al'its n'miìrum Serv'ts divtfa . In pruova di ciò egli cita la
Legge 84. Longobardica di Carlo M. dove fon quefte parole :
Aìdiones , vel Ald'tancd ea Lege vl'vafit in Italia in Scr'uttute
Dominorum [uorum^ qua Fìfcalini^ 'uel Lidi vìvunt in Francia,
Egli parimente chiama i Lidi Servos glabre. Del medefimo pa-
rere fn il Baliizio nelle Note ad un Capitolare di Carlo Ma-
gno dell' Anno 7P3. dicendo de Majicipiis ^ idejl Aldiis , All'
incontro tengo io per fermo , non doverfi annoverar gli Aldii
fra' Servi, ma si bene fra i Liberti, privi nondimeno di una
totale Liberta . /;; Servi tute Dominorum juorum altro a mio cre-
dere non vuol dire, che l'obbligo loro importo di fervire ai
Padroni, ma fenza l'obbrobriofo titolo di Servi . Primieramen-
te ne gli antichi Diplomi quafi fempre noi troviamo diftinti
gli Aldii da i Servi in quella Formola : Cum Servis^ & AnciU
lis^ Aldiis y & Aldianis : il che indica la differente lor condi-
zione . Secondariamente il Re Rotati nella Legge 227. ci fa
fapere , che chi vuole far divenire Aldio un fuo Servo , dee
manometterlo, ma che non illi det quatuor vias ^ perchè cef-
fava ben d' eflere Servo , ma non acquiftava una piena Liber-
t'a , rimanendo tuttavia con legami di obbligazione verfo il
Patrono , né potea fenza licenza paffare al fervigio altrui .
E il Re Liutprando nella Legge V. Lib. IV. infegna , che per
manomettere un Servo, la funzione s'avea da celebrare alfa-
ero Altare . Ma per fare d' un Servo un Aldio , tal funzione
non s'avea da efeguire in Chiefa . Nam qui Aldium facere vo-
luerit y dovrà manometterlo, ma no?i eum ducat in Ecclejia :
7ìifi alio modo faciat^ qualiter voluerity Jive per Chartam^ Ji-
*ve qualiter ei placuerit . Qjiiello nondimeno che mette in chiaro
la fentenza mia, è la Legge 218. di Rotari, parlante in que-
fli termini : Si Aldia aut Libera in Caja aliena ad maritum
intraverity Libertatem fuam amittat , Adunque la Liberta, ben-
ché non piena, era un pregio òq gli Aldii ^ né s'han da ripor-
re fra i Servi .
Torniamo ora alla Legge di Carlo M. aflbmij^liante gli Al-
dii Italiani a i Fifcalini , e Lidi di Francia . Giovan - Gerardo
Vcffio Lib. 2. de Vitiis Serm. decretò, elTere flati i Liddi, o
Liti coloro , qui ingenuitatem fuam pretio mancipajfent . Non
e da afcoltare , ficcome né pure il Du-Cange su quello pun-
to . Poteano veramente elfi allegare per tale opinione ciò che
Y 2 fi leg-
172 Dissertazione
fi legge nella Vita di San Meinwerco Vefcovo di Paderbona
pubblicata dal Leibnizio , da i Bollandifti , e da altri , dove è
Icritto : Duram antiquds Servitupìs L'ttonum jujìitiam per novam
patern^e pk'tatis relevav'it gratìnm , conjì'ttucns , a V'dlicis admi-
nkulari eis in cibi , potusque ncceffams ( quod antea 7ìon jiehat)
tempore mejjìs . E pure quefto medefimo paflb pruova , che i
Liti non erano Servi . Se tali follerò (lati 5 non folamente al
tempo della meffe , ma per tutto l'Anno avrebbono dovuto i
Padroni fomminirtrar loro il vitto . Odafi ora un Capitolare
di Carlo Magno dell'Anno 78^. dove fi comanda, che ad ogni
Chiefa debbano i Parrochiani donare Curtem^ & duos maìifos ,
Et inter centum & 'v'tgtntt Nobiles , Ù^ higenuos , ftrnìl'tter &
Litos ( ciafcuno a rata del fuo avere ) Servum , & Anctllam
e'fdem EcclefiéS tribuant , Inoltre alCap. 15. comanda, ut ora-
nes Decimam partem fnbfta?Jtt<£ , C^ laborh fui Ecclejtìs , & Sa-
cerdotibus donent , tam Nobiles , quam Ingenui , Jìmiliter &
Liti ; juxt a quod Deus unicuique dederit Chrijìiano^ partem Deo
reddaìit . Adunque anche i Liti doveano pofledere Stabili , e
far fuoi i frutti delle loro fatiche : il che non competeva a i
Servi . In un altro Capitolare dell' Anno 'J^J^ è ordinato , ut
ubicumque Franci fecundum Legem Solidos XIL folvere debentj
ibi Nobiliores Saxones Solidos XIL Ingenui V» Liti IV, compa-
nant . Ecco i Liti obbligati a pagar le pene come l'altre per-
fone Libere . Per li Servi , fé faceano delitti , il Padrone pa-
gava la pena . Per la ftefla ragione dobbiam credere , che i
Fifcalini non folfero diverfi da i Liti , ed Aldii . E ricavali
ancora da un Capitolare di Carlo Magno dell' Anno 805. in
cui è permelfo a gli uomini Ingenui di prendere in moglie
Donne Fifcaline , ficcome ancora feminis Liberis bomiìies Fi-
fcalinos Jtbi fociare conjugió . Ma anche fecondo i franchi (ì
gaftigava la Donna Libera , che fpofava un Servo ; né Uomo
Ingenuo potea accafarfi con Serva altrui . Conviene perciò
conchiudere , che gli Aldii per mezzo della Manumiffione
erano ufciti dalla vii condizione de i Servi , ma con patto
di dover coltivare qualche terra del manumittente , o pure
di pagargli cenfo , o di far altro loro fervigio . Una fpecie
di Liberti vi furono , che non godevano un' intiera Liberta ,
continuando a vivere con fuggezione , e dipendenza dal Pa-
trono . Per ricuperare affatto U Liberta v'era d'uopo un al-
tro
DecimasestaI J7J
tro Atto pubblico , con cui fofìfe dichiarato totalmente Libe-
ro . Quedo ftato di totale Liberta era difegnato da i Longo-
bardi colla parola Fulfreal . Dura elTa prelTo gì' Inglefi , che
chiamano Fulfraee , chi è pienamente Lìbero . Pertanto anti-
camente tre Itati di Perione fi contavano lavoratori di cam-
pagna , cioè Liberty AldVt ^ e Servi . l Liberi erano fimili ai
Contadini de' noftri tempi . La condizion òq Servi l'abbiamo
già offervata . Participavano gh Aldii dell' uno , e dell' altro
llato . Qj-iefte tre furte d'uomini fono chiaramente dipinte in
un bel Decreto di Carlo il Grofìb Auguilo , efiftente nell' Ar-
chivio de'Canonici di Arezzo, fpettante all'Anno 883. o pu-
re 882. dov'egli detefta la prepotenza de' Conti, ed altri Giu-
dici Secolari , i quali faceano ciiJìriBiones in Liberos Manarios ,
fuper Ecclejlafìicas res refideìites , & Servos , & Aldiones faciunf ,
tributa ab eis exigunt Ù'c.
PRETtNDEANO ncU' Anno 844. alcuni lavoratori d'effere af-
fatto Liberi ; ma convinti, finalmente con pubblico Strumento
del Moniilero Ambrofiano confefìTarono d' elfere ftati lafciati
per Teftamento da un Totone ; & poflea nos ingeniofe ^ & fua-
fione de malis hominibus fubtrahere quaejlviìnus , fed nullatenus,
potutmus ^ eo quod certius Aldiones ejusdem M.onafterii Sanóii Ani'
brofii effe debemus &c, Jub poteflatem , Ù' defenjtonem , adque.
tuicionis prefati Monajìerii . Non erano gli Aidii jub dominio ,
ma lolamente fub tuitione de' loro Patroni . Però il Voffio fud-
detto ebbe ragion di Icrivere , che Aldius videtur , qui antea
Servus , Jtc Libertatem conjequutus , ut interim veteri Domino
foret obnoxius. E cos\ intendiamo, che voglia dire Leone Oflien-
fe Lib. I. Cap. 14. della Cron. Cafin. dove Icrive : Servos au-
tem fuos , Ò' Ancillas omnes Libertate donavit , fub ditione ta-
men y & tutela Monafìerii hujus , ita ut per Jìngulos Jlngulas ope'
ras annualiter ubi nojìri Ordinari pnsciperent , exerccrent . Cioè di
Servi eh' erano, divennero Aldii . Né iecondo la Legge loo. di
Lottano L Luperadore era lecito novam conditionem Aldioni im-
ponere ^ cioè alcun aggravio oltre a' patti primieri. Truovanfi poi
Partiarii Coloni , ne'Digefli alla L. y^ merces . Tit. Locati y cos\
appellati, perchè davano al Padrone la meta delle rendite de'
poderi da loro coltivati. Ne fa menzione anche ReginoneLib.I.
Cap. 43. de Ecclef. Diicipl. e ne* Capitolari preflo il Baluzio
fi legge : ^ui tale benejìcium habent ^ & ad medietatem laborant .
Son
17+ Dissertazione
Son coftoro chiamati in varie antiche Carte M^^/Vz-^m accen-
nate dal Du- Gange, e non so come quel grand' uomo li fti-
ma Servi , qui duobus Dominh obnoxti erant , allegando in
pruova di ciò le feguenti parole d' uno Strumento : ConceJJit
Deo 5 & SanBo Job anni BciptiJì(S Cavili am , quaa erat fua Villa-
na , uP ejfet Medietaria Sanali Johannis ipfa , & Jilii fui in
fempìternum , & totum Servitium , quod johbat perfolvere Co'
miti 5 de cererò perfolveret SanHo Johanni . Ma qui fi tratta
non di una Serva , ma di una Aldiana ; ed efl'a è chiamata
Medietaria , non perchè ferviffe a due Padroni , ma perchè
lavorava a meta la Terra di San Giovanni . In quefìe parti
dura il nome di Mezzadro , fignificante Contadino lavoratore
di Campagna, che rende al Padrone la meta del grano, e de i
frutti . Finalmente s' ha da olfervare , che molte furono le
cagioni, per le quali era conceduta la Liberta a i Servi, e la
piena Liberta a gli Aldii ; e le così non fi folle fatto , farebbe
tanta crefciuta la lor popolazione , che avrebbero fatta paura
al refto del Popolo Libero . Cioè il lungo lervigio, la fedeltà,
Fabilitk, con cui fi comperava quella povera gente l'affetto
de' Padroni, faceva o predo o tardi fciogliere le loro catene.
I Re Franchi folevano donare la Liberta a i proprj Servi prò
nativitate filiiy o per altre occafioni di allegrezza . Lo attefta
Marcolfo nel Lib. 2» Cap. 52. ma era la Pietà e Carità de i
Criftiani, che più fovente li moveva a recar quefto benefizio
a i Servi, e maffimamente ne'Teftamenti ne' quali ognun prov-
vede all'anima fua . Di fimili ultime volontà ne gli antichi Se-
coli ne ho io accennato più d^una . E ciò badi intorno a i Lt-
•berti de' tempi barbarici .
De'
Decimasesta. 175
De Prejìatori /ìd Ufura Giudei^
Compagfiie di Soldati , Mafnadieri , Lebbrojl , &c*
de vecchi tempi.
DISSERTAZIONE DECIMx^SESTA.
VErisimilmente tempo non c'è flato , da che è in ufo
l'umano commerzio col danaro , in cui non fi fia preda-
to eflb danaro , e che da elfo non abbiano cercato gli uomini
di ricavar frutto, chiamato ZT/i/jw. L'innata cupidigia de'mor-
tali non ebbe gran bifogno di Maeflri per imparare a far traf-
fico del danaro . Quella mercatanzia da alcuni Popoli fi vide
approvata , da altri avuta in abbominazione . L' antichilfimo
Legislatore Mosè la proibì fra i Giudei , ma permife di farla
con chi era d'altra fchiatta , e Nazione . Platone , Ariftotele ,
Plutarco , ed altri Antichi , han difapprovata , e condennata
r Ufura . Ma prefib gh Ateniefi fu ella lecita, e molto ufata,
come pruova Samuele Petito nel Lib. V. Gap. 4. delle Leggi
Attiche . Preffo i Romani fi truova fempre in ufo , anzi bene
fpefib aU'ecceffo, cagione poi di fedizioni e rivolte nel Popolo*
Comparifce nelle Ifcrizioni Romane, e in altre memorie il no-
me di Avgentarius , che fignificava non folamente gli Orefici ,
ed Argentieri de' tempi nollri , ma eziandio i predatori di da-
naro * Argentarids menpe exercitores fono chiamati nella Leg-
ge 4. ff. de Edendo . Abbiamo il loro nome in altre Leggi , e
nella Novella 131. di Giufliniano è detto, Argeiìtarios mutuam
pecuniam dare . Il Reinefio credette , che gU Argentarti folfe-
ro folamente fabbricatori di vafi d'argento. S'ingannò ancora
il Gutherio Lib. 3. Gap. 22. de Offic. Dom. Aug. allorché tro-
vando nella L. 27. God. de pignorib. Argenti dtftra^ores ^ pen-
sò che foffero Artefici , che riducelfero f Argento in lamine,
e fih fottili . Ma ivi fi parla èii Predatori di moneta . E che
elfi Argentarli foffero Negozianti, e non lavoratori di vafi d'ar-
gento, fi raccoglie dalla Legge unica God. ne Negotiatores^ fra'
quali fi veggono anche regidrati gli Argentarti . Ora qnedi
Predatori di danaro , che col tempo furono chiamati in Ita-
lia Campjores ^ ed oggidì Banchieri^ e in Francia Changeurs^
davano danaro ad ulura . Egli è poi notifìlmo , che il l^ivino
nodro
1^6 Dissertazione
noftro Legislatore nel Vangelo prefcrifTe, non fi ricavafTe frut-
to dal Mutuo , affinchè i Fedeli fi avvezzafTero ad efercitare
la Caritk , si fplendida , ed importante Virtù della fanta nolka
Religione . Ma perciocché V umano commerzio fenza un elor-
bitante incomodo non può iuffillere, qualora non fi prelli dana-
ro, e la gente avida del guadagno non ne prederebbe , fé non
ne ricavale qualche vantaggio : fi fono ftudiati i Crifiiani di
domefticare l'odiofo nome àìFcenus^ e di Vfura^ t àiMutuum
con altri titoli per potere cavar frutto dal danaro , confegnato
ad altri affinchè fé ne vaglia o per Mercatura, o per Cambio,
o per altri fuoi bifogni , fpezialmente valendofi della ragione
del Lucro cejfaìite , e del Danno emergente . Perciò non manca-
rono mai Fceneratores appreflb gli antichi Crilfiani , ma parte
permeffi, e parte riprovati; e correva il nome di Ujura tanto
in buon fenfo, che in cattivo . Cioè v'erano Predatori troppo
ingordi e inumani, che all' eccefìfo efigevano frutto dal danaro,
e contra di quefli noi troviamo che fi fcàldano i Santi Padri ,
cioè Ambrofio, Agoftino, il Grifoflomo, ed altri. Ma che vi
foffero Argeììtartì , 'NuynmularVt , e fimil forta di gente per tut-
te le Citta Romane , pofcia chiamati Prejìatort , Cambiatori ,
Banchieri , e queiii una volta permeffì , affai fi raccoglie dal
Codice di GiuRiniano , e da gli antichi Libri . Anzi era allora
decretato , qual frutto del danaro potelfe pretenderfi , e non
più. Coftantino il Grande nell'Anno 325. come s'ha dal Co-
dice Teodofiano Lib. 2. Tit. 33. 1. 1. de Ufur. dopo aver vieta-
to l'efigere frutto dal grano predato, foggiugne poi : Nam prò
pecunia ultra Centejimas Creditor 'vetatur accipere . Nella fuffe-
guente Legge pubblicata daglilmperadori Valentiniano , Teo-
dofio , ed Arcadio nell'Anno 3 85. fu parimente decretato nel-
la Tegnente forma : ^uicumque ultra Centeftmam Jure permif-
fam , aliquid fub occajioiie 7ìeceJJitatis eruerit , quadrupli pcena
obligatione conJìriBus ^ fine cefifatione ^ fine requie proti?ìus ablata
redhibebit . La Ce?7tefima Ujura in qne' tempi permeffa , confi-
fìeva nel pagamento di Uno per Cento il Mefe , o fia di un
Dodici per Cento l'Anno : pelo , che ragionevolmente parrà
ben greve a i tempi noflri, ne' quali con moderazione fon trat-
tati i debitori. Giudiniano Augudo dipoi nella Legge 26. Cod.
deUfuris regolò in altra maniera il commerzio, comandando,
che alle perfone illujìri foffe permeffo 1' efigere ultra tertiam
partem Conte fima 5 Ufurarum nomine in quocumque ContraBu 'vili
,vcl
D li e I M A S E S T A. 177
fvel maxtmo , Cioè il terzo d'Uno per Cento il Mefe. A' Mer-
catanti perniile tifquc ad beffem Ce-ntcfim(S Ufuvarum 72omi?ìe^
in quGcmnque ContraHii fuamStipulat'io/ìsm moderari : cioè l'Ot-
to per Cento l'Anno. A coloro, che predavano grano, ©al-
tre Ipecie , ufque nd Ce?iteftmam tajjtummodo liceat jììpulnrì :
cioè il Dodici percento l'Anno. Ordinò finalmente, che gli
altri nomini poteflero pretendere d'imtd'tam tantuynmodo Cciìts-
Jimce UJuranim : cioè il Sei per Cento 1' Anno . li Concilio I.
di Nicea vietò a i Cherici qnairivo;^lia Ufura ; ma non parlò
de'Laici. Ora quello argomento delle Ulure, e di ciò che fia
lecito , ed illecito ne' Contratti del danaro , ne' due profiimi
palfati Secoli è fiato ventilato con diverfi pareri , e poco fa an-
cora ha dato motivo a nuove Liti , a nuovi Libri su quella fca-
brola materia, con aver anche il Santiflìnìo Regnante Pontefice
Benedetto XIV. piibbhcata una Decretale , a cui dee ricorrere
il Lettore. Ora l'alTunto mio non è di entrare in s\ fatte con-
tefe , e folamente prendo a trattare de' Pveflator't , chiamati
Ufurai^ che dopo il Secolo X. o XL fi acquillarono un obbro-
briolo & odiolo nome per f Europa, non fapendo noi bene co-
me paifafTe il commerzio ne' cinque Secoli precedenti.
Da che dopo il iioo. buona parte delle Citta d'Italia, e
mafllmamente nella Lombardia , Tolcana , e Genovefato co-
minciarono ad alzare la telia , e ad erigerfi in Repubbliche ,
fi diedero i Cittadini ad aumentare non lolamente la Potenza
della lor Patria , ma anche le loftanze proprie . Però s' intro-
dulTero molte Arti fommamente utili , gran commerzio per
mare fi fece, gran mercatura per terra. I Veneziani, \ Geno-
vefi, i Pifani lopra gli altri fi dilHnlero in quello; e chiunque
maggiore induilria , e ìagacita di mente vantava, non perdeva
il tempo a procacciarfi ogni poffibil guadagno. A ninno certa-
mente la cedono i Tolcani , e principalmente i Fiorentini, in
acutezza d'ingegno, e in lopportar le fatiche utili; il perchè
quella gente per voglia di arricchire , non contenta di guada-
gnare in Cala coli' Arti, cominciò anche a paffar fuori d'Ita-
lia a mercantare . Un bel negozio parve loro quello di prellar
danaro ad ulura , e quello a poco a poco diventò il principa-
le, e piì^i guilof^ loro impiego, perchè fruttava afiaiffimo. Né
forfè m'ingannerò in credendo, che maffimamente all'elorbi-
tante lucro, che poi colava nella Citth di Firenze, fi dee at-
tribuire r eiTere giunto quel Popolo a tal potenza nel Seco-
Tomo L Zi lo
178 Dissertazione
lo Xil. e XIII. che cominciò, e feguitò fempre pia a dar Les;-
ge, ed imporre il giogo alle altre circonvicine Citta . Tornan-
do cola carichi d'oro i Cittadini , fabbricavano funtuofi Pala-
gi , aumentavano 1' Arti , e dai buon regolamento di quefle
procedeva poi l'aumento del Popolo, e la necefljta di slargare
la Citta, e la forza del danaro per fare, o foflenere le guer-
re . Quelle Compagnie , che da Giovanni Villani lon dette de
^ììScalfy de' PtT/^:^:^/ , Accìaiuoli ^ Bardi ^ Ammanati &c, tut-
te fotto nome di Banchieri fpezialmente fi applicavano al traf-
fico del danaro , cioè ali'Uiura. Atteihi il medefimo Villani ,
ch'efle Compagnie fallirono, perchè avendo preflato ad Odoar-
do III. Re d'Inghilterra un' immenfa quantità d'oro, né po-
tendo egli foddisfare a cagion delle fue ^uerre, toccò a i Pre-
flatori andare colie gambe all' aria . Ma finita una Compa-
gnia , ne fahava su un'altra ; laonde il Conte Tegrimo , co-
me s' ha dal medefimo Storico Lib. 7. Cap. 135). udendo il
Conte di Poppi , che fi gloriava delle lue ricchezze , e di
aver nella fua Armeria le Baleflre grofie de' Fiorentini , in-
gegnofamente giirifpoie: Farmene bene ^ fé no?i eh' io intendo^
che i Fiorei-ttini fono grandi Prefìatori ad ufura.
A L vedere gii altri Popoli , che fruttuofa mercatura foffe
quella dei preftare, a quella fi ri voi fero anch' effi, fpargendofi
principaùnente per la Francia ed Inghilterra, dove correa più
danaro. Varie merci portavano cola, ma il traffico primario
confiiieva nel guadagno ufurario . Ogcrio Alfieri nella Croni-
ca d'Aiti Tom. XI. Rer.Ital. cosi feri ve: Anno Dom.MCCXXFI,
Ci^ues Afìenjes coeperunt pnxfìare , & facete Ufuras in Francia ,
(y tdtramontanis partibus , ubi ìnultam pecuniam lucrati funt .
Anche Benvenuto da Imola nel Commento MSto di Dante af-
ferifce, che gli Artigiani anche al fuo tempo erano i più ric-
chi di Lombardia. Cola ancora concorfero da altre parti d'Ita-
lia a rodere chi abbifognava di danaro, accolti favorevolmen-
te col nome di Mercatanti , ma venuti per ismugnere affatto
le borie altrui . E perciocché fra effi faceano la prima figura
^\'> AJìigiani ^ Milanejì^ Piacentini ec. e {Fiorentini ^ Sanefl^
Lufchcft ec. perciò tanto in Francia che in Inghilterra fi chia-
n)av:;i"o Mere atores Lombardi ^ e Tufci^ o pure F afe ani. Di co-
iaio joi fi lerviva anche la Corte di Roma per ritirare da
que' Paefi le rendite fue . Nel Codice di Cencio Camerario fi
vede una Lettera di Papa Gregorio IX. nell'Anno 12^3. con
cui
Decimasesta, 17P
cui quieta Angclcrium Solafìcm77 quondam Campforem nojìrum^
& e/US Soc/os Mercatoì'c's Senenfes de oniìiìbus vatton'ibus , qucis
in Anglìn^ Francia , & Curia Komana^ 'vel ctiarn alibi ^ tìojìro
npel Ecilefta; Komaìioi nomine v^ceperunt , Rapporta il Du-Canpe
a quefto propofito nel Gloffario Latino un pezzo di Convenzio-
ne itdbilira nel 1278. dal Re di Francia cum Fulcone Ci^us Pia-
centino , Capitaneo Uni'verfttatis Mcrcaporuìn Lombardorum , &
Tufcanorum ( ecco come quelle fansailughe s'univano inficine )
habente etiam potejìatem , & [pedale mandatum a Confidihus
Mere atoruyn Rem anorum ^ Janua^ Veneti arum ^ Pi acentide ^ Lucue^
Bononia: , Pijìorii , Jljìetijiv.yn , Alh(S , FlorenticS , Senarum ,
Ù' Mediolani , tramandi cum Domino Rege Francia; fuper trans-
latione facienda ad Civitatem Nemaujenjem Ù^c, laddove prima
que' Mercatanti aveano polla la loto Itanza in A4onpelieri .
Rapporta elfo Du- Gange alla voce Longobardi i Pnvilegj loro
conceduti dal Re. Polcia vien dicendo Mercatores Italicos prò-
pter fcenerationem ujurariam famojos furono chiamati Caorcint
dalla Citta di Cahors in Francia . Ma s' incanna . Non i foli
Italiani eiercitavano quello brutto meftiere . Lo ftelTo , e forfè
peggio , facevano anche i Franzefi , e maflimamente quei di
Cahors; ed eglino perciò, e non gl'Italiani, furono appella-
ti C/7orcm/. Similmente han prelo abbaglio prefTo di lui colo-
ro, che fi figurarono derivato dalla Nobil Cafa de' Corfini Fio-
rentini quel Sopranome , quafichè Corftno fi fofle mutato in
Caorfino . Certo è , che anche i Corfini al pari dell'altre No-
bili Famiglie di Firenze attefero alla Mercatura , e fi sa , che
nell'Anno 1342. fecero Banco fallito . Ma perchè mai da efli
foli, e non da tanti altri Fiorentini, anche più ricchi , e rino-
mati avrebbero tratto quefto nome per difegnare tutti i Mer-
catanti Predatori della Tofcana e Lombardia , anzi di tutta
ritaha, e Francia ? La verità fi è, che Caorcini furono chia-
mati i Cittadini Mercatanti di Cahors , perchè quivi più che
altrove fi preltava a uiura , e l'abbiamo da Dante , il quale
nel Canto XL dell'Inferno, inveendo contro li Ulurai , fra
l'altre cole, le rive :
E però lo minor giron fuggella
Del fegno fuo e Sodoma^ e Caorfa»
Cahors da gf Italiani era nomata Caorfa . Odi Benvenuto da
Imola nel Commento MSto di elfo Poema , che circa 1' An-
Z 2 no
i8o Dissertazione
no 1380. così feri ve va : CaorJiU IdcftUfurartos. Caturgìum enìm
Cfvnas In Gnll'ta , tn qua quafi omnes funi: Fceneratores . E di-
ce , che fono , perchè durava quella pelle anche a' fiioi di .
Lo ftelTo Dr.~Cange rapporta un Editto di Carlo IL Re di Na-
poli, Conte di Provenza, e d'Angiò , con cai nell'Anno 12 8p,
cacciò Caturcincs Ufurarios da tutto il luo Dominio. E Filippo
Re di Francia nel 1220. in un fuo Privilegio fa conofcere, che
anche i Cittadini di Caen in Normandia attendevano a quella
infame mercaranzia , con dire : Concejfl'mus Burgenfibus ìioftrh
de Cadorna^ refi ds}2t} bus in Villa Cadami^ quod nec eos^ nec uxo-
res 5 nec hsredes eomm capiemus nd occaftonem de Ufura in mor-
te eormn . Però non i foli Italiani profittavano del bilogno , o
della balordaggine altrui .
Non è per quedo , che non conofcelTe la gente , quanto
difcordaffe dalla Legge di Dio , e Cn qual pregiudizio folle al
Pubblico, e a i privati un' Arte tale . Erano dapertutto in ab-
bominazione gli Ufurai , e contra di elfi piìi volte i Principi del
Secolo , non che quei della Chiefi , diedero di piglio a i ful-
mini. Nel? A^nno 1106. Odoardo piifTimo Re d'Inghilterra,
come s'ha dalle fue Leggi, Ufurarios defendit ^ (cioè vietò)
ne remanerent ifi Kegno , Matteo Pari fio nella Storia d'Inghil-
terra all'Anno 1235. cosi Icrive : Invaluit antem bis diebus
adeo Caurfiorum ( cioè de gli Ufurai Franzefi ) pefìis abominan-
da , ut vix ejfet aliquis in tota Angli a , qui retibus illorum jam
non illaquearetur , Etiam ipfe Rex debito inafiifnabili eis tene-
batur obligatus , Polcia riferifce, in qual forma cotloro coflrin-
geflero i debitori al pagamento delle ufure ; e che il Vefcovo
di Londra li (comunicò ; ma avendo effi impetrata la protezio-
ne della Corte di Roma , non folamente fi burlarono del fuo
Editto, ma il citarono ancora ^ fuper tali injuria Mevcatoribus
Papalibus irrogata refponfurum . Scrive in oltre lo ftelfo Storica
all'Anno 1240. che Arrigo IH. Re d'Inghilterra Caurfinis y
precipue Senonenfibus ( adunque erano Franzefi quegli Uiurai )
terram fuam interdixit , Ipft autem ynolefte jerentes^ & dolentes^
tales fé pafcuas amiffuros , data pecunia , qucv nimis jolet impios
jufìificare , adbuc prò magna parte latuerunt . Furono elfi di
nuovo banditi, ed appreifo richiamati, perchè anche i Re pro-
fittavano del loro bottino . Particolarmente allorché a i Monar-
chi veniva il bifogno di pecunia, faltava fuori un bando con-
tro gli Uiurai, acciocché Qolioro s'induceiTero con una confide-
rà bil
Decimasesta; i8r
rabil offerta e contribuzione a placare il loro sdegno . In lor
favore ancora fi moveva la Corte di Roma , non già perchè
approvaffe le loro Uiure, ma perchè, ficcome dicemmo, per
via d'effi riceveva le rimefie del danaro a lei proveniente da
tutta la Criftianita d'Occidente. Altrettanto avvenne in Francia.
Sotto Filippo Figlio del Santo Re Lodovico, fu pubblicato un Pro-
clama, che intimava a gli Uiuraì Lombardi^ e Caorjìnl di ufci-
re del Regno , con proibir loro di far da li innanzi commerzio
ufurario in quelle contrade , permettendo nondimeno Mercato-
ribtis Loyiìbardts , & Caorfin'ta di quivi fare la Mercatura ap-
provata daile Leggi . Parimente Carlo IL Re di Napoli, e
Conte di Provenza cacciò da i fuoi Dominj di Francia Lom-
bardos^ Caturcinos ^ aliasquc pcrfonas nlienìgenas Ufuras publìce
exercentes. Ma non mancavano maniere a quella pedifera gen-
te di rendere vani quegli Editti , di modo che fempre erano
odiati e riprovati, e pur fempre fuiTiitevano addolfo a' Popoli,
lina volta da loro afferrati colf unghie.
Molto più fi affaticarono in que' tempi i Romani Pontefi-
ci per atterrare un s'i ingiuiio, e perniciolo abufo . Nel Conci-
lio Generale IH. Lateranenfe del 11^9- Aleffandro III. Papa,
e i Padri nel Can. XXV. cos'i parlarono : ^41 a in om?ìibus fe-
re locis crimen Uftdravum ita itìolevit , ut multi s aliis negati is
pratermijjìs^ qunjì licite Ufuras e:>cevcea}7t &c. Ideo conflituimus^
■utUjurarii manifejìi nec ad Coìnmunionem admittantttr Altarisy
7iec Chriftianam , fi in hoc peccato decejjerint , accipiant fepol-
turam. Fu confermato quefto Decreto nel Concilio Generale IL
di Lione l'Anno 1274. e pofcia in altri Concilj , che non oc-
corre rammentare . E di qui s'intende , perchè il Boccaccio
rapprefenti in tanto affinno i Fiorentini amici di Ser Ciappel-
letto da Prato, il più infame tra gli Uiurai in Borgogna, per-
chè il vedevano fui termine della vita, temendo una gran com-
mozione di quel Popolo, fé fi iapea la fua morte. Ma perqua-
lunque divieto e pena si della Chiefa , che de i Principi Seco-
lari contra di quelli divoratori delle foilanze altrui, non celsò
la razza loro, e noi li troviamo anche nel Secolo XiV. vigoro lì,
tanto in Francia , che in Italia. Nell'Anno 1250". fu ricuperata
Padova dalle mani del crudel Tiranno Eccelino. Per attefìato ài
Rolandino Storico Lib.IX. Cap. l. quafi ninno de' Cittadini vi fa
in qneìla congiuntura uccilo . Sed Tufcus quidam nomine Job nn-
nìs de Scanta , juam volens tueri pecuniam , quam ad pignora
182 Dissertazione
mutuabat ^ dejejidendo pecttniam efl occifus , Nell'Anno 1305.
non mancavano nel Contado , e nella Citta di Modena di que-
fti avvoltoi Tofcani , che predavano anche al Pubblico lìefTo .
Ne gli Atti di quefto Popolo nel di 6. di Giugno fu prefo parti-
to, u( mtttatuT prò Tufca?2Ìs forenjibus , & rogentur , quod mu-
tuare deheant Communì Mutince quìngeìitas Itbras Mutìnenfes .
S^iod Jì facere noluerint^ compdlantur per Dominum Capita?2eum
ìpjam quaììtitatcm pecuììiae mutuare Ò' e. Più altre lonime furo-
no richiede a coloro nel medefuTio Anno ; e lono ivi rammen-
tati om7ies Tu/cani mutuafoves , qui morantur i?i C'ivìpate Mu-
tìna: . Dal che fi vede , che particolarmente i Tofcani erano
accanniti dietro a queito abboniincvol guadagno . Anche il
-Veicovo di Silva Alvaro Pelagio Scrittore del Secolo XIV. nel
iuo Trattato de Planclu Ecclejìis Lib. II. Cap. 7. cos\ Icriveva:
F amili ares , Secret arii , fiegoitorum geflores precipui ali quorum
Pralatoruììì Ecclcfide , Mercatores fum , maxime Floreìitini , &
Senenfes , & alii de Tujcia , & de aliis Provinciis . Et de pe^
cuniis Eccìcfiarum Fx72us cotitifiue aliqui exercentes , & Prcsla-
tis quibusdam de certa parte refpondentes ìiomme partis , 'vel
mercantice^ 'oel jocietatis &c, E che continuaflero in varie Cit-
ta a vederfi pubblici Preiiatoii . Certamente in Siena , come
cofta dalle Croniche di efia Citta da me date alla luce , nel
1335?. quel Popolo fece il feguente Statuto: Che fi ejf un a per-
fona in Siena , 0 nel Contado potcjfe prejìare a Ufura per ?JeJ-
fun modo ^ J e prima non fi jacejf^; jcrivere ìiel Libro detto Ufuraio
di Bifcherna , a ciò deputato .
Chi brama di conofcere , fin dove arrivalTe la rapacità dì
quella gente , oda le feguenti notizie . Chi predava ad uiura ,
iacea il preflito folamente per fei Mefi, e chi riceveva il dana-
ro, contribuiva un Dono 3.ÌÌ Ufuraio ; cioè pagava tofto il frut-
to de' fei Mefi, e quello poi accreiceva il Capitale del Credi-
to . Terminati i lei Mefi , fé il Debitore non foddisfaceva ,
allora prò damno^ ò" interefjl^ fecondo i patti era tenuto a pa-
gare quatuor denari 05 prò qualibet libra fingulismeiifibus.^ o pu-
re ( e forle fu lo li elio ) quatuor Impenales prò qualibet libra
groffa Jtngulis 'menfibus : qui jolidi 7ion computentur in forte .
Eccone un efempio : Adi V. di Aprile dell'Anno iz6à^, Jacopo
Fafanini Bolognefe, abitante in Modena, prele a frutto lireXX.
e denari fei moneta di Modena , da reifituirfì dopo lei mefi,
computato Dono in bis in forte fecundum jormam Statuti Com-
munis
D E e I M A S E S T A . l8j
munts Mumci; , Avendo egli mancato al pagamento nel tempo
prelcritto, fu portato l'affare a' Giudici, i quali AnnoMCCLXX,
die Mercuria XI. exeuìJte Medio ^ decifero, ch'egli dovefTe paga-
re lire XLIV. moneta di Modena , cioè XX. lire e lei denari
per la forte ; & XXJV. libras Mutiti, prò legitimis nccejftonibus
di^d& Jortis^ dampno^ & intere Jf e ipfius ad nnionem IV. denario-
rum prò qualibet libra ^ fecundum formaryj Statuti Cor/imunis Mu-
tince ' & XI L libras prò experifis fatlìs diBa occajlone Ò^c. S'io
so far bene il conto, venti lire e Ioidi lei per Anni lei, e gior-
ni 16. renderono di Ulura lire XXIV. e però una lomma di
lire Cento , rendeva ogni Anno il frutto di lire XX. e quello
veniva accordato dallo Statuto . E pure di peggio fi praticava
in Inghilterra da quegli Ufurai . Racconta Matteo Paris all'An-
no 1235. che fé il Debitore al determinato tempo non refti-
tuiva il danaro , veniva obbligato a pagare d' Ufura per fin-
fulos Menfes duos^ prò fmgulis decem Marcis tiìiam Marcam prò
recompenfatione damnorum : qucv damna & expenfas ipji Merca-
tores ex hoc poJfetJt incurrere : ita quod damna , & expenfa; , &
fors cum effeólu peti pojfmt , & espenfoe unius Mercatoris cum
uno equo & fervi ente , ubicumque fuerit Mere at or , ufque ad ple-
nam folutionem omnium prcedióiorurn . Di più non occorre per
conoicere, che languifughe fofTero quelle, e pure anch'ivi lo
permettevano le Leggi . Ne gli Statuti di Verona deli' An. 1 228.
al Gap. 2(5. fu decretato : Ut de Ufuris futuri temporis fiat ra-
tio ufque ad quantitatem XI I. librarum & dimidice prò Cente-
nario. Et Creditores dare te?ifatjtur dìlationem unius Anni De-
bitoribus jolventibus Ufuras illius Anni futuri &c. Et ft ultra
di^am quantitatem XII. librarmyi.^ & d imi diaeCr editor cs jub ali-
quo modo feu ingenio acceperint ^ id totum in font m computetur .
Cefl'ato pofcia il bifogno , noi troviamo , che non fi loffcriva
Sì deteftabil abufo, e fi faceano altri Statuti , come accadde in
Modena nell'Anno 1327. in cui fu formato il leguente : Om-
nia proecepta & inflrumenta faHa a duodecim Annis citra de dan-
do aliquam quantitatem alicui ex aliqua cauffa : intelligatur
tantum quartam partem ipfius quantitatis effe veram Sortem ,
fi Creditor tempore di&i prcccepti , Ò^ infìrumenti erat Ujura-
rius , fii probabitur contra ipfum per quatuor tefìes Cìves , &
habitatores Mutino; fide dignos , qni dixerint tefìificando per
public am vocem ^ & famam ^ ipfum talem fuijfe Ufurarium&c.
Finalmente con tante pene e maledizioni fecero guerra
i Sa-
184. Dissertazione
i Sacri Conci] j, i Re, i Principi a qiiefla Torta di Ladri , che
fé non li levarono affatto, almeno ne i'minuirono il numero,
e certamente cefsò la loro pubblicità. Perciò né pur oggi man-
ca la loro razza ; ma fegretamente , e fotto finti titoli , cofto-
ro efercitano il loro meftiere per paura di perdere tutto .
Poiché quanto alle Leggi divine , gli Avari le flirano come
vogliono, le interpretano, ed ammoUifcono in guilataie, che
le credono in fine non contrarie alla loro ingordigia . Che fé
noi ci maravigliamo del perverfo regolamento de' Secoli anda-
ti : che diremo de' noftri , ne' quali in qualche paefe fi per-
mette a i Giudei di predare pubblicamente ad ufura fopra pe-
gni, con ricavarne troppo eforbitante frutto? Ed appunto in
alcuni Luofifhi d'Italia fon fucceduti ^li Ebrei a i vecchi traf-
fìcanti Uiurai di danaro . Di quella Nazione non difpiacera a
i Lettori , eh' io dia qui qualche notizia appartenente a' Se-
coli barbarici . Anticamente ancora i Giudei , ficcome gente
indudriofa , erano fparfi per gran parte delle Provincie Orien-
tali , e in Roma (leifa Pagana . Crebbe maggiormente la lor
difperfione dopo la rovina della Santa Citta , di maniera che
non nel lolo Oriente, ma anche in Occidente, fi trovava da-
pertutto qualche almen picciola Colonia del Popolo circonci-
ib . Ebbe perciò a fcrivere Rutilio Numaziano , Poeta del Se-<
colo Qj.nnto, nel fuo Itinerario :
Lattu-s excifa pejìis contagia ferpu7ìt! ,
V'tHoresque fuos Natio 'vi6ia premit .
Leggonfi ne' Codici di Teodofio e di Giudiniano molte Leggi
concernenti quetla Nazione. Che buon numero d'elfi abitafle
in Bologna a' tempi di Santo Ambrofio, lo Icrive egli nel Lib.
de exhort. Virgin. Che anche Milano , ed altre non poche
Citta d'Italia ne rìcoveraffero non pochi, l'abbiamo dal me-
defimo Santo Vefcovo nell'Epilf. XL. a Teodofio Augufto. Sap-
piamo, che nel Secolo VII. la Spagna, la Sardegna, e la Cal-
ila ne nutriva una gran copia, e tutti applicati alla Mercatu-
ra. Per attediato del Monaco di San Gallo, Lib. I. Cap. 18. de
Ged. Caroli M. molta domedichezza aveva con queJl' infigne
Monarca un Giudeo , qui Terram repromijjionis Jd'pius adire ,
& inde ad Cijmarinas Frovincins multa pretiofa , & incognita
folitus erat adferre. Anzi lotto Lodovico Pio Augudo in Lione,
dove gran copia d'elfi abitava , divennero codoro sì temerari
per
Decimasesta. 185
per gli appoggi , che avevano alla Corte , che Agobardo Ve-
Icovo di quella Citta fu obbligato a fcrivere , ed inviare allo
{ìdTo Iniperadore un'Operetta intitolata ae Ì7ifole72tiaJucìceori{m.
Contra de' medefimi anche Amolone Velcovo, fuccelTore d'ef-
io Agobardo, impugnò la penna , e pubblico un altro Tratta-
to . Qjianto effi foiTero in Francia intenti al traffico , appari-
Ice da un Capitolare del Re Carlo Calvo , preOb il Sirmondo
e Baluzio , intitolato de Negotiatoribus ^ dove i Giudei fon taf-
fati a pagare il Dieci per cento , Ò^ Negotintores Chrijìiani
U?7decimnm . Qjiivi tuttavia loggiornavano efli nel 12^0. nel
qiiai tempo , come fcrive Giovanni Villani nel Lib. VII. Ca-
pir. 142. della lua Storia , anch' effi in Parigi predavano ad
uiura . Parimente nell'Inghilterra, e Germania abbondava la
gente Ebraica , ed allorché i Crocefegnati diedero principio
alle Crociate , in pafìando per ella Germania , ufarono mille
violenze contro quella Nazione . E in Francia nella folleva-
zione de i Paftorelli l'Anno 1320. ne fu fatto un deteftabil
inacello.
Quanto all'Italia, anche dopo la venuta de' Barbari, ab-
bondarono dapertutto i Giudei . Caffiodoro , allorché regnava
Teoderico, fa menzione di quelli, che abitavano in Milano,
Genova, ed altri Luoghi, a' quali elfo Re confermò i Privile-
gi. Leggafi l'Epiflola 37. del Lib. V. In Sicilia fin da gli an-
tichi tempi erano coftoro bene riabiliti , né fi moffero punto
di la , allorché i Saraceni fecero per circa due Secoli i Padro-
ni in queir Ifola. Moltiffimi fé ne contavano in Napoli, Ter-
racina, e Luni a' ten^pi di Gregorio VII. Papa. Antichiffima,
e non lieve Colonia d'effi fi è mantenuta fino a' di noftri in
Roma; e ne parla anche il fuddetto Cafliodoro. Allorché Ar-
rigo V. Re de'Romani nell' Anno 1 1 1 1. entrò in Roma , mi-
te Porpam a Judc^is , in Porta a Grcecis cantando exceptus fuìt ,
come fcrive Pietro Diacono nel Lib. ÌV. Cap. 37. della Croni-
ca Cafinenfe ; e gh ftefìTi Giudei nell'Anno 11Ó5. tornando a
Roma Papa Aleffandro III. cum Signiferis , Scrinjariis , Judi-
cibus , Clero &c, de more Legem fuam deferentes in brachi is , gli
andarono incontro. Non dubito io, che altre molte Citta def-
lero ricetto ad efli Ebrei. In uno Strumento d'Ingone Velcovo
di Modena nell' Anno 1025. veggo rammentata Decimam il-
lam^ quam tenuit Ardingus Judd^us in Saliceto , Nello fi effo Se-
colo XI. pafTando per Lucca San Simeone Romito , come ab-
Toino L A a bia-
i85 Dissertazione
biaiTiO dalla Tua Vita , plures Jud<xonim mnc co/vveneruìit ^ Ò^c,
& exhortante tllos Cbrifli viro Simeo?ie iu Chr'iftum Dei Filium
crediderunp. E nell'Anno 1282. allorché Pietro Re di Arago-
na fece la fua entrata in Meflina, gli andarono incontro Sj/-
nagogce Juddeorum Legem aperientes ^ come racconta Bartolomeo
da Neocaftro nel Gap. 53. della fua Storia. In Ferrara nell'An-
no 1275. erano talmente protetti da quel Pubblico, che fu
confermato un Decreto loro favorevole di tal forza , ut prò
ubjolutione ^ liberat'ioTie ^ Ù'immunitate faólis Judccis Ferraris &c*
de hoc Foteftas Ferrar ice qui ejì vel erit &c. non pojjìnt abfol-
nji per Dominum Papam , feu per Dominum Ohizonsm Marchio-
nem FJìenfem ^ nec per aliquam aliam perfonam . E chi dubi-
tafie, fé gli Ebrei d'allora preftafTero danari fopra pegni, leg-
ga Leone Odienfe nelLib. 2. Gap. 43. della fua Cronica, do-
ve fra gli altri Doni lafciati da Arrigo Santo Imperadore al
Moniflero di Monte Gafino, annovera anche ilfeguente. Re-
coJlegit praeterea a Judceis 'veflem unam de Ahario Sanóii Bene-
dici , quce quondam juerat Caroli Regis , quam iidem Judcet
retinehant in pignore prò quingentis aureis. E nella Vita di San
Nilo Galabrefe Itampata dal P. Martene, fi narra, z\vt Hebr<sus
rediens a negotiatione fu uccifo. Prefo l'uccilore, traditur Ju-
dais^ ut prò interfeóio hornine crucijigatur . San Nilo gli falvò
la vita. Se una volta i Giudei portaflero qualche diQintivo efte-
riore da i Crifliani, noi so dire. Solamente ho offervato , che
nell'Anno 1221. per tefìimonianza di Riccardo daS.Germano,
-Federigo II. Imperadore decretò contra Judcvos ^ ut in differen-
zia 'uejìium , Ò' geflorum a Chrijìianis difcernantur . E nel Sino-
do di Ravenna dei 1311. fu determinato per li Giudei certum
ftgnum , ut a Chrijìianis pojjìnt di j cerni ; ?iec rccipiantur ali-
cubi ultra menjem ad habitandum ^ nifi inlocis^ in quibus ha-
buerint Synagogam . Or da quefta , or da quella Citta fu la
Nazion Giudaica ne' tempi addietro cacciata ; e la Storia di
Bologna ci aHicura, che non pochi d'effi una volta ivi abita-
vano ; ma poi convenne loro partirfene . Strepitofo avveni-
mento in Europa fu quello dell'Anno 14^2. in cui per ordine
di Ferdinando il Cattolico Re, e della Regina Ilabella furono
cacciati , e banditi tutti gli Ebrei da i loro Regni . Per atte-
ftato del Mariana Lib. 2^. de Reb. Hifpan. Centum & Jeptua-
ginta familiarum Millia fé n'andarono j quidam W oHingenta
millia capita Jecejfi (fé a/tmt. Partiti di Spagna, Ajricam^ Ita-
li am ,
Decimasesta. 187
li/im , & Orìentìs oras tenuerunt , ad quas copìarum Hifpanìae
magnam partem , aurum , nrgentum , gemmas , 'veftemque pre-
t'tofam detulere , Con quanta inumanità fofle trattata quell'in-
felice gente, fi può intendere da una delle Operette di Trifta-
no Caracciolo , da me data alla luce . Gran lalafTo di popola-
zione per la Spagna fu querta cacciata de gli Ebrei , e la fuf-
feguente de' Mori . Se ne rifente tuttavia quel Regno . Dall'
eiempio della Spagna moffo Emmanuele Re di Portogallo ^
anch' egli fcaricò dal pefo de i Giudei i fuoi Dominj nell'An-
no 1^96,
Ora una s'i terminata moltitudine di quefla Nazione, por-
tando feco quel piii che poterono d'oro, e di arredi preziofi^
venne a ftabilirfi in varie parti d'Italia, trovando buon acco-
glimento prefTo chi ebbe caro di participare de* lor tefori , e
promettendo gran guadagno ai Principi, prcflb i quali fifTafTero
il piede . Se ne ridondi utilità a i paefi, laicerò che altri l'cfa-
mini e decida . Certamente dove poflbno , ingordamente ri-
fcuotono le U Iure, e fanno i Banchieri . E un bel fervigio fe-
cero a queQa Nazione le pene , e maledizioni fulminate dalia
Chiefa Cattolica contro gliUiurai; perchè non potendo i Cri-
(liani predare , il mercato delle Ufure per la maggior parte
andò a cadere in mano de'Giudei, che non paventano le Sco-
muniche . Nel Concilio Generale di Lione Qi-iarto , celebrato
l'Anno 121 5. il Canone d8. ha le leguenti parole: ^anto
aìnplius Chrijìiana Kelipio ab exaBìone compejcitur Ufurarum ,
tanto gra'u'tus fuper bis Judcsorum perfidia inolejcit , ha quod bre-
vi tempore Chr'ijìianoniyn exhaurìimt facuìtates * Però fu ordina-
to , che fi poteffe ritogliere a coftoro ciò , che aveano elatto
di Ulure , e comandato a i Principi , ut a tanto grn'v amine Ju-
d(Sos ftudeant cohibere . Non fé ne cavò gran frutto . Lor me-
fìiere fu ancora , ed è di fare i Pubblicani , cioè i Conduttori
de' Pubblici Dazj e Gabelle : del che ne abbiamo anche un eiem-
pio nel Secolo IX. x^molone Arcivefcovo di Lione nelCap.42.
contro i Giudei IcriflTe : Quidam ipforum ^ qui in nonnullis Ci-
l'itatibus inlicite conjìituuntur , folent in remotioribus locisChri-
Jìianos paupsres & ignaros prò eodem teloneo acriter conjìringe-
re ^ deinde ut Chrifium negent perfuadere . Miriamo ancora a'
dì noftri , che quefta gente fi caccia per le Cale de' Criiliani
per mezzani de i lor negozj. Anche anticamente ciò fuccedea.
Al fervigio di Chilperico Re di Francia nell'Anno 581. (lava
A a 2 Jii-
t88 Dissertazione
Judaus Pr'tfcus ?iomi»^ , qui ei ad fpecìes coemendas familia-
vis erat , come attelia Gregorio Turonenfe Lib. IV. Gap. 5.
Hift. Frane. Né fi vuol ommettere , che il Luogo , concedu-
to a i Giudei per loro abitazione nelle Citta, da noi ora ap-
pellato Ghetto^ anticamente lì chiamava/^/^^^^, Judaica^ Ju-
d(£aYÌa^ Ò'c. Di qua è nato il nome di Giudecca conlervato
fin qu\ in Venezia , come anche in Ferrara , dove ha il no-
me di Zuecca . Di quelli nomi s' ha rifcontro in un ]3iplo-
ma di Ruggieri Duca di Puglia , Figho di Roberto Guifcardo
Duca 5 il quale neir Anno lo^o. dona all' Arciveicovo di Sa-
lerno totani Judceam hujus riojìra; Salernitani ce Civitatis cum o'm-
nibus Jtidais , qui in hac eadem modo habitaiites funt , &^
fuerint &e. con tutte le rendite , che fi cavavano da quella
gente . La Giudeca di Venezia fi truova nominata in un Di-
ploma di Vitale Faletro Doge di Venezia e Dalmazia nell'An-
no lopo.
Richiede un' altra forta di Uomini di aver qualche luogo
in quelle mie carte ; e fono le Compagnie de' Soldati , Ladri j
ed Ajjajfmi ^ che nel Secolo XIV. fieramente infellarono l'Ita-
lia . Compagne erano quel'e chiamate da gli Scrittori Fiorenti-
ni . Allorché qualche Principe e Citta per cagion della Pace
calTava i luoi Soldati , coPcoro trovandoli fenza paga comin-
ciarono a icegliere un Capo, e a formare una Società con al-
cune leggi. La maniera di loflentarfi per loro, confilleva in
pafiare or qua, or la, mettendo in contribuzione tutto il pae-
ìe . Seco menavano quante Donne rapivano , che loro piacef-
fero ; e prendendo gli Uomini , gli obbligavano al pagamen-
to , le volevano ricuperare la Liberta . Fermandofi in qual-
che Terra , o Cartello , vi portavano la rovina . Tremavano
le -fteffe Citta all'avvicinamento di sì barbariche fchiere : gen-
te tutta come difperata , vogliola di prede , e priva affatto
di cofcienza . Per falvarfi dalla violenza , e ferocia loro , al-
tro ripiego ordinariamente non v'era, che di ipedir Deputa-
ti per efibire gran lomma di danari , atlincbè fi levaffero dal
Contado, e paifaifero in altro paeie a far io ftelTo giuoco, fic-
come nemici di ognuno. A molte e molte migliaja di fanti,
e cavalli alcendeva per lo più la Società di quefta armata e
fcapellrata gente ; e cola traeva la feccia di tutti i banditi e
malviventi, per avidità della preda , e per l'impunita d'ogni
fcelleratezza, oltre alla gran quantità di meretrici, famigli ed
altre
D £ e I M A S E S T A . '. l8p
altre vili perfone . Onde avefiero principio quefte nefande So-
cietà , lo Icrifle Odorico Rinaldi ne gli Annali Ecclei. all' An-
no 1353. col chiamare: Mo}ireaJcm ( Cavaliere di Rodi ) prì^
r?7um Socutl'ium fur?ijarum , qucc po/ìea ìtal'tam uni^erj'am &
Gnllias diutljfnne afflìxenmt , ìnfdìcìjjìmum Du6lorem . Ma
es^li s'ingannò, degno peraltro di Icnla , perchè feguitò Gio-
vanni Villani , il quale nel Lib. 3. Gap. 8p. ipacciò quefta al-
ferzione . Io tralalcio quella Società di Soldati mafnadieri coni-
pofla d' Italiani e Catalani , che per atteftato del medefimo
Villani nel 1302. lommamente afflifTe la Grecia ; ficcome un'
altra, che nel 1322. diede il guailo al Contado di Siena, e
faceajl chiamare la Compagna , come ha lo (iefTo Villani . E
dico , che fatta pace nell'Anno 1339. fra i Veneziani e gli
Scaligeri, Lodrifto Vìjcoute formò un Efercito de' Soldati, fpe-
cialmente Tedeichi , licenziati da Mattino dalla Scala , e con
quelli portò la guerra ad Azzo Vifconte Signor di Milano. Et
ha'c f'iif priììia Societas in balia , come fi legge nelle Giunte
alla Storia de'Cortufi Lib.IX. Gap. 181. Soggiugne quell'Au-
tore : Proh Italia dolor Ò' infamia! SanHum autem ?ìomen Socie-
tatis a proditoribus y raptoribus ^ adulterisi & furibus hodte occupa-
tur , Non erubefcuìit tam facrum 7ìomen antiqitis 'venerabile profU-
tuere? Il fatto di Lodrifio infegnò pofcia ad altri a formar disi
diaboliche mafnade. Guar^iieri Duca ( non so le di folo nome )
venuto da gran tempo dalla Germania, allorché i Fiorentini, e
Piiani nel 1342. congedarono le loro Soldatelche , ne raunò
quante potè, mettendo infieme un formidabil Elercito nell'An-
no 1342. come s'ha dalle Croniche dell'Anonimo di Piftoia .
Galvano Fiamma Storico di que' tempi nel Manipul. Fior, cosi
ne parla all'Aiuno 1341. Congregati Juut viri Jcelerati ^ & pe-
Jìiferi eìc partibus Alnmmannide ^ Italtce .^ Ttifcia ^ qui diBi jitnt
Societas, Et fuerunt homines fine jugo , absque Rege^ absque le-
gè viventes de rapinis , nulli parcentes retati . Hi fuerurit 'viri
inftabiles^ do6li ab omne jcelus^ Cfuitates^ & Cajìra ohfid-jntjs ,
Anche nell-i Cronica di Modena Tom. XI. Rer. Italie. all'Anno
1342. fi legge : Magna Societas Germanoì-^m fa^a e fi trium mil-
liumy Ò' quingentorum equitum ^ & plurium j ac mille puerorum ^
meretricumquc ^ & inutilium aliortim cajìra fequentium . Nella
Cronica Eitenie, e in quella di Bologna fé ne parla, e lecondo
queiK ultima, i primi Caporali d'eifa furono Ettore daPavico e
MaT^nrollo daCu'2:ano y e pofcia il DucaGuarnieri . Andò poi Imi-
lura-
1^0 Dissertazione
foratamente crefcendo quefta deteftabile Armata , di maniera
che fi chiamò la Gran Compagnia^ che immenfi travagli, e dan-
ni recò a'Sanefi, Perugini, Arretini, Riminefi, Cefenati, Mo-
denefi , Reggiani, Mantovani, ed altri Popoh.
A COSTORO fuccederono ahre non meno numerofe e fcelle-
rate mafnade , Condottieri delle quali furono il fuddetto Moìi-
reale nato in Francia, e pofcia il Cotne Larido , il Co7ìte Lucio ^
Ankhìno , ed altri , tutti di Nazione Tedclca . Anche dalla
Bretagna minore calò in Italia al foldo del Papa una fimile
Compagnia , che lafciò in Cefena , ed altri Luoghi memorie
d'in udita crudelt'a . Dalla gran Bretagna in oltre venne un'al-
tra Società a piombare in Italia lotto Giovanni Aucud celebre
Capitano , ma piti rinomato per le tante vefTazioni , eh' egli
XQCo a non poche contrade Italiane . Ci mancava l'Ungheria,
che inviafle anch' ella migliaia di manigoldi a divorar quefti
paefi . Vennero parimente di la ditali alTaflini , che gareggia-
rono co' precedenti nelle ellorfioni , ne' tradimenti , e in ogni
forta d' iniquità . Quel Secolo in fomma fu de' più infelici ,
che abbia mai fofferto l'infelice Italia. Però Benvenuto da Imo-
la Scrittore d'allora ebbe verfo il fine di quel Secolo ad cfcla-
mare : Proh dolor ! in haec tempora infelicitas ynea me deàiixit ,
m 'viderem hodie rniferam Italiam plenam Barharis , & Sociali-
bus omnium rationum . Heic enim funt Anglici ^ Alemanni fu-
rioji , Hungari immundi . ^ui omnes currunt in perniciem Ita-
lide^ non tam ^virihus ^ quam fraudihus ^ Ò' proditionihus ^ Pro-
"jincias "vajìando^ Ò' Urbes nobili JJimas [poli andò, E perciocché
gli eiempli del Male più facilmente Ivegliano imitatori , che
quei del Bene, non fi fermò quella pefle in Italia , ma pafsò
anche in Francia . Ivi dunque fi formò nel 1357. una terri-
bil Società di mafnadieri di ciiverfe nazioni , che un mondo di
mali inferi a que' Popoli, e arditamente penetrò fino in Ifpa-
gna » Odafi Tom maio Walfingamo , che cosi ne parla a queir
Anno nella fua Storia . Sub bis diebus furrexit in Francia illa
famofa Societas , quce Gens fine Capite vocabatur . ^ce primo
parva , poflea magna ^ggrejfa , magnam Francice partem occu-
pans , expuljìs vel fubaóìis locorum Dominis , Jub/ugavit ; erant-
que non tantum de una gente vel nationc , [ed de pluribus natio-
nibus congregati , Famofe ancora divennero prefTo i Franzefì
là Società bianca^ e la, Società della Fortuna ^ fìccome in Italia
la Società della Stella^ la Società bianca^ la Società di San Gior-
gio
D E e I M A S E S T A . ipi
gto ec. Chi ha creduto, che ìCotereUi^ appellati anche Br /r-
bariTom^ e /^///?//^/7r// da gli Scrittori, cioè Contadini attruppati,
i quali nel Secolo XII. e nel XIII. un'incredibile inquietudine,
e danno recarono in Francia , Fiandra , ed altri circonvicini
paefi , ferviflero di efempio alle Compagnie de'malnadieri fin
qu\ accennate d'Italia . Non hanno ben offervata la notabil
differenza, che pafsò fra que'fediziofi Villani, e i feroci iolda-
ti, onde le Provincie nofìre rimafero simalconcie. Ma quello
nei Secolo medefimo , in cui ebbe origine, anche terminò. Le
Leghe delle Citta , e de' Principi, o pur l'oro applicato a que'
ladroni, milero fine al loro non mai fazio furore. Non manca-
no i tuoi guai air Italia oggidì ; ma certo abbiam da rendere
grazie alla Divina Clemenza, che non conoiciamo, né provia-
mo certi mali, che cagionarono tante lagrime ne' Secoli bar-
barici .
Tale è anche da dire un altro di diverfa fpecie , ma affai
familiare una volta . Parlo della Lebbra , morbo il più defor-
me, e fchifolo de gli altri, da cui, fé vogliam credere ad Ar-
chigene Medico antichiffimo, fi poteva elentare, chiunque non
avea difficultk a farfi Eunuco . La {tò.t propria di quefto male
fembra effere fiata 1' Egitto , la Paleftina , la Soria , ed altre
Provincie d'Oriente , o perchè Paria , o l'acqua , o gli ali-
menti lo producano; o pure perchè introdotto in un paefe lo
nudrifca la negligenza e poca cautela de' Popoli , attaccandoli
e propagandofi col contatto come la Rogna , e la Pelle. Cre-
defi, che regnando Teodofio Magno Augnilo, fiorifle Marcello
Empirico . Quefti nel Cap. ip. della lua Opera fcrive : Ele-
pharjtiajts morbus ejl ^gyptiorum populis jiotus , 7ìec tamen in
'vidgus estremum , fed etìam in Reges ipfos frcquenter hrepftt .
Non v' ha perfona alquanto infarinata delle Lettere , che non
lappia, che fino ne' tempi di Mosè, ed allorché il Signor nd-
ftro Gesì^i Crifto foggiornò vifibile in Terra , moltilfmii fra*
Giudei era<no sformati da queflo morbo . A' tempi di Gregorio
Turonenfe era effo frequente in Paleftina ; perciocché defcri-
vendo egli il Fiume Giordano nel Cap. 17. de Gloria Martyr.
accenna un fito, uhi Lcprojì mundantur . Ede'Lebbrofi Tcrive
più fotto : De publ'tco , dum ibi commoraù fuerinf , viclum acci"
piunt : Sanati autem ad propria dijcedu?it . Allorché i Criftiani
Occidentali fui fine del Secolo XI. tollero a i Saraceni la Santa
Città diGerufalemme, trovarono affai viva in quelle parti que-
fta
Ip2 D I S S E R T A Z i O iS E
fta inrermltk , e ne fa prefo dipoi anche uno de i Re Crill-iahi
di Gerufalemme. Che ne' vecchi Secoli anche l'Italia, la Ger-
mania , la Francia , e l'Inghilterra non follerò prive di Leb-
brofi 5 non occorre provarlo . Bada leggere le Vite de' Santi
raccolte da i PP. della Compagnia di Gesì^i in Anveria , dove
fé ne incontrano efempli in ogni paefe , e quafi in ogni tem-
po. Coftume perciò era de' Fedeli, si per motivo di Carità,
che per buon politico Governo, di formare Spedali per quella
infelice gente, affinchè viveife affatto feparata dai iani . Per
tacer altri , in Germania Santo Otmaro Abbate , e in Fran-
cia Niccolò Abbate di Corbeia , fabbricarono fomiglianti edi-
fizj . Xenodoch'ium Leproforum fi truova menzionato dal lud-
detto Gregorio Turonenle Cap. 85. de Gloria Confefibr. In Ita-
lia forfè Citta non ci fu , dove non efiftelTe qualche Luogo
desinato al ricovero de'Lebbrofi , ch'erano mantenuti con li-
mofine dal Pubblico. Di qui ebbe origine il nome ào* La":?^-
retti.) cos\ appellati da S. Lazzaro Protettore di quegf infelici;
perchè quei Spedali furono prima inltituiti per li Lebbrofi, e
poicia lervirono a gli Appellati . In Modena fuori della Por-
ta di Bologna tuttavia fi vede lo Spedale di San Lazzaro. Ne
gli Statuti di quella Citta dell'Anno 1327. fi legge : Hofpitalìs
Sa?2Óii L(t7;ari Jìt fub potè fiate Commimis Muttnae &c. & fi /ili-
qpia perfona de Dijìri^lu Muthice efficeretur Leprofa , & propter
paupertatem non pojfiet habcre pecuniam &c. Commune illius Pie-
batus , de quo ejfiet ili a perfona recìpienda , deheat folvere &c.
Talmente in Napoli invaile il nome dello Spedale diSanLaz-
zaro, che anche gli fiefli Lebbrofi ne riportarono il titolo di
LaT^ri . Ed è ben vecchia qucfta denominazione per denotare
la feccia del Popolo, e de' Poveri . Pietro Suddiacono Napole-
tano nella Vita di Santo Atanafio Vefcovo di quella Citta, fra'
l'altre lodi, che da alla Citta di Napoli, vi mette anche la
feguente : Et juxta praceptum Dominieum prcsdiBa Urbis acco-
Ice potius L^r-z^aros quaritant , & exhibent largius , quibus indi-
gent , quam inopes affluentum i?iquirant opes . Efigeva poi la
cura della pubblica Sanità e pulizia, che non poteflero 1 Leb-
brofi abitiìre, ed entrare nelle Città, affinchè non infettaflero
i fani. E ciò fu anche determinato nella Legge lyó. daRotari
Re de' Longobardi ; e però i Papi permifero , eh' eglino avef-
fero il proprio Parroco . Che le abbiiognando di pane erano
forzati a mendicare j non s'accodavano ad alcun fano, ma con
un
D E e I M A S E S T A . ipj .
UH certo legno , che iacea rumore , rapprefentavano da lungi
la loro necelTita . Preffo l'Autore del Mamotre6to è menziona-
to Injìrumefìtum lìgìieum cum duabus vel trìbus tabellis^ quas con-
cuth Leprojus quaerendo panem . E perciocché il rimedio allora
ulato per guarir quello male, era il bagnarfi ne' Fiumi, in un
Privilegio dato da i Re d'Italia Berengario II. & Adalberto neh'
Anno 5)52. al Moniflero di Santa Maria d'Adi , non mentova-
to dal P. Mabillone , noi troviamo Rivutn Le proforum ,
Motivo di meraviglia è il iapere , che in Francia nell'An-
no 1321. fi Icopri una congiura ( almen fu cosi o creduto o di-
volgato ) de' Lebbrofi co' Giudei di avvelenare i Pozzi , e le
Fontane per ilpargere la morte o la Lebbra fra i Criftiani .
Ciò è raccontato da Bernardo di Guidone nella Vita di Papa
Giovanni XXII. Altri ancora ne fanno menzione ; e però mol-
ti ne furono bruciati, e gli altri chiufi in Leprofartts , Onde ve-
nifle quella Torta di Contagio, e fi mantenelfe in Europa, le
a me folTe chi elio, proporrei quella coniettura . Cioè ne' vec-
chi Secoli o per vifitare il Santo Sepolcro di Grillo, o per e fé r-
cizio à\ mercatura , e per tirarne gli Aromati , fovente i Cri-
ftiani Europei pafìavano in Soria, nell'Egitto, e aGerulalem-
me, e non avendo affai riguardo portavano a cafa la Lebbra,
che agevolmente poi fi comunicava ad altri . Elfendo da quali
tre Secoli in qua troppo fminuito quel co^nmerzio , e celiato
quel pellegrinaggio , è anche fvanita in Occidente la Lebbra ,
talmente che oggi rariffimi fono gli afflitti da queflo malore .
Dalle Contrade Orientali ne' Secoli addietro , ficcome accennai
nel mio Trattato della Pelle, era portata in Europa la veraPe-
ftilenza, che tanta ftrage facea de' viventi. Anche oggid'i non
verrà altronde, che dall'Imperio Turchelco ; ma non metterà
mai piede fra noi, fé fi uleran le precauzioni e diligenze , che
fon preicritte da i faggi Tribunali , maflimamente ne' Porti di
Mare. Diverfo una volta dalla Lebbra fu lì Fuoco Sacro ^ ma-
le, che per tanti Secoli fi provò nell'Italia, e in altre Occiden-
tah Provincie. Molta è ben la fua antichità , da che ne fanno
menzione Lucrezio, Vergili©, e Seneca il Tragedo. Per foUie-
vo di chi n' era attaccato , in Vienna del Dellìnato fu cretto
uno Spedale lotto il nome di Santo Antonio Abbate nel Seco-
lo XII. e quivi ebbe origine l'Ordine de' Frati di Santo Anto-
nio : inflituto, che fi propagò poi per la Francia , Italia, ed
altri paefi, dove fi trovavano perfone colpite da quefto male,
Tomo L Bb giac-
1^4- Dissertazione
giacché ad eiTe caritativamente iervivano que' Religiofi . Ve-
defi tuttavia in Milano, in Bologna , in Modena , e altrove la
Chiefa di Santo Antonio Abbate , deftinata ad edi Frati ed
Infermi . E dura anche a' di noliri non già que fio morbo ,
ma il nome d'effo morbo ; e chi vuol augurare ad altrui un
male terribile , gli defidera // Fuoco di Santo Antonio. Afcoltiil
ora Sigeberto, che nella fua Cronica all'Anno 1085?. cosi fc ri-
ve : An?ìus pejìilens ^ maxime in Occidentali parte Lotharingia y
ubi multi Sacro Igne interiora confumente computrefcentes , exe-
Jìs membris injìar Carbonum nigrejcentibus , aut tnijerabiliter mO'
riuntur^ aut manibus & pedibus putrefaóiis truncati ^ miferabilio-
ri n)ita rejerva?2tur y multi 'vero nernjorum contrazione dijìorti
torment antur , In Francia, che fpecialmente ne fu afflitta nel
Secolo XII. fi chiamavano Ardenti , perchè fi fentivano come
prefi da un fuoco fcorrente per le loro membra . Nella Vita
di Santa Dimpna Vergine appreffo i Bollandifti fi legge: Habep
Ignis ili e apud Archi atros plura ?iomina : Dici tur quippe fgnis
Sacer^ Ignis Perjicus^ & Ignis Infernalis . Et efl qui EJìher di-
citur Graco njocabulo: cioè Ti^^ne, E che fofle diverio il ma-
le di San Lazzaro dal morbo di Santo Antonio , lo fa conofce-
re la Storia Mifcella Bolognefe da me data alla luce , mentre
nota puniti da Dio coloro, che tante iniquità Gommifero nel
facco di Piacenza l'Anno 1447. con dire : Ad alcuni Soldati
'venne il male di Santo Antonio , ad alcuni il male di Sa7i La:?^-
-Z^.ro. Fiatanti benefizj , che la fomma Bontk di Dio ha com-
partito a' noltri tempi , fi dee ben aggiu^nere quello ancora
d'aver fatto ceflare affatto quefti due orribili e fporchi malo-
ri : poiché qualche cafo raro a nulla monta . Vero è , che a
quelli n'è fucceduto un altro, cioè il morbo Gallico, ma que-
fìo è pila mite , e non vi mancano rimedj ; e quel che è più ,
fel guadagna folamente , chi fcapeftrato fi d'a in preda a i
Vizj .
Del
D E e I M A S E T T I M A. ip5
cVi^iVi|t^cvS^:<^i^(:<4^cVj|!» (Vi!t»;fVife/5CV*/»cv*A.ev*/ic*j!/' t%dt^.c\±^^A^tMt^isjl!^
Del Fi/co e della Camera de i Re , Vefcovì , Duchi ,
e Marche fi del Regno d' Italia.
DISSERTAZIONE DECIMx\SETTIM A .
DA che cominciarono fopra la Terra ad eflerci de i Re,
(aitò fuori anche il Fijco , ed è Tempre durato dipoi .
Ai tempo degli Imperadori antichi Romani fi chiamava Sac-
cus^ cioè Borfa, o Teforeria del Principe, perdiftinguerlo dall'
altro della Repubblica appellato jFlrarium . Saccus in quefto
fenfo fi truova adoperato da Santo Agoftino, e da altri. Eb-
bero non meno il loro Filco i Re Longobardi, Franchi, e Te-
delchi in Italia; e colavano cola i tributi, si per mantenere
la Corte, come per la difeia del Re^no, e per altre occorren-
ti guerre . Sotto i Longobardi fpefib è fatta menzione Curtis
Regia, : con quefto nome dilegnavano il Fifco . Nella Leg-
ge 157. di Rotari s' ha : 5^/ inte7ifio fuerif coìitra Corteyn Re-
gis , Nella 158. Curtis Regia ipfas duas uncias fufcipiat , Nel-
la 185. componat prò culpa in Curte Regis Solidos centum . Lo
ftelTo fignificava la voce Palatium , e di quefta lovente fi fer-
virono gì' Imperadori Franzefi. In un Privilegio conceduto nel!'
Anno 83P. alle Monache della Porteria di Pavia da Lottarlo I.
Imperadore è intimata a i trasgreflbri la pena di feifanta Lib-
bre d'oro ottimo, da applicarfi medietatem Palatio jzojìro ^ <&
med'tetatem parti ejusdem Monajìerii . Lo fteflb abbiamo in va-
rj Diplomi di Carlo il GrolTo , di Guido e Lamberto , e di
altri Augurti . Del pari uiavano elfi la parola Fifcus , e mar-
inamente nelle Donazioni fatte aiMonifterj, ed altri Luoghi
facri colla tegnente Formola , che fi legge in un Diploma di
Lodovico II. Imperadore, con cui nell'Anno 854. conferma
a Dodone Velcovo di Novara tutti i fuoi beni e diritti . Et
quidquid de prafata Ecclcji<g rebus jus Fifci exigere poterat &c.
in integrum pra:fatcc concedimus Ecclefi^e . Senza di quello Pri-
vilegio allora 1 Beni delie Chicle avrcbbono pagato tributo al
Elico . Perciò di tal Formola , & Indulto abbondano tanto in
Italia, che in Francia , e Germania i Privilegi conceduti alle
Chicle . Finalmente anche ne' vecchi Secoli per fi^nifìcare il
Filco fu adoperata h vozq Camera , Vien riferito da Eginardo
Bb 2 il
1^6 DlSSER TAZIO NE
il Teftamento di Carlo Magno , in cui quel piiilimo Monarca
ordinò , che le Chiefe , e i Poveri fi compartifTero thej'auros
fuos^ & pecujììam ^ quce fa ili a die in C timer a e jus inventa efl ,
Et omnem fubjìantiam , atque fupelleHilem Juam , qu<c in au-
ro 5 & argento , gemmisque , & ovjiatu Regio in Camera e/tis
inveniri poterai, 11 Du-Cange nel Gloffario Latino fcrive, ufa-
ta qui la parola Camera prò Fifco Imperiali . Qiù a me fem-
bra effa ofcura , perchè vi fi parla della Guardaroba , della
Cantina , e dell' altre officine del Palazzo . Certamente non
ho io finora trovato Diploma autentico di efib Carlo Magno ^
e di Lodovico Pio , in cui comparilca la Camera per fignifi-
care il Fifco . Diffi autentico , 'perchè nel Tomo IL del Boi-
lario Cafiiienfe , e nella Cronica del Volturno , alcun fé ne
legge 5 della cui fincerita fi può dubitare , ficcome ho dimo-
ilrato altrove, né qu"i importa di rammentare. Pertanto cre-
do io più probabile , che non prima di Lodovico IL Impera-
dore fi comincialTe ad ufare la parola Camera in vect di Fi-
fco . In un Privilegio ài queflo Augudo , col quale nell' An-
no 874, concede ad Angilberga Irnperadrice Lia Conlorte la
facoltà di difporre di tutti i luoi Beni , fi vede preicritta la
pena di Cento Libbre d' oro puro a i tralgrefibri da pagarfi
777edietatem hnperiali Camara , & medietatem fuprataxata An-
gilberga . Cosi ancora m altri Diplomi del medefimo Augu-
Ito . E in quei di Berengario I. parimente Imperadore leggia-
mo medietatem Camera Palatii ?2ofìri , ficcome frequentemen-
te ne i Privilegj conceduti da i Re , ed Imperadori , che fuc»
cederono . •
Andiamo ora a vedere, fé oltre a quedi Monarchi godelTe-
ro altri una volta il diritto del Fifco , o per dir meglio della
Camera^ perchè quefla parola fembra avere avuto un fignifi-
eato più largo . Certamente dappoiché i Re , e gì' Imperado-
ri donarono e trafportarono ne' Vefcovi ed Abbati tanta copia
di Regalie , non è da maravigliarfi , fé anch' efli giunfero ad
avere la propria Camera, a cui {{ pagaflero iCenfi, i Tribu-
ti, e le condanne , dovute prima al Fifco Regale . E primie-
ramente da che i Romani Pontefici ottennero da Pippino , e
da Carlo Magno il dominio non folamente dell' Efarcato, ma
anche di Roma , e del fuo Ducato , non è da dubitare , che
cominciafTero ad aver la Camera , o fia il Fifco per li paefi
fugsetti . Non ho io trovato finqu'i menzione di quello nel-
le
Decimaset-iima. ^g-j
le antiche memorie , perchè troppa ftrage ne ha fatto ii tem-
po . Porle Vefìiarium fu il nome fignificante una volta la Ca-
mera Ponrificia ; perciocché Adriano I. m una Bolla data nell'
Anno 772. a 1 Monaci di Farfa , e rapportata nella Cronica
di' quei Momftero , ordina, che in avvenire Priores Vejììarìi
Sa?26i^ Romaiice EccUfias (ìano Giudici nelle Caule del iMoni-
fiero Farfenle . Witccto ( ivi fi legge ) Frìor Vefttnnt , n^el om-
nes , qui Pro tempore pojì ejus decsjfum Friores Vejì'tarii exti-
terint^ l'ice-itiaìn kabeant potefl.aù'vc dìflr'mgsnàt tam Ecclsfia-
fi'icam perjoììam , quamque ex milnia exìflentem , njel etìnm
famulum Ecclcftdd Ò^c. Ecco quanta autorità avelTero una vol-
ta quelli Priori . Ne' Secoli iuffegnenti 1' Archidiacono della
Santa Chiefa Romana fi offerva Prefidente della Camera Pon-
tificia . Nata una controverfia fra edb Monillero di Farfa ,
e quello di Mica Aurea a' tempi di Alefìandro II. Papa, Do-
mnus HìJdebrandus V'mer^bil'ìs j^rch'tdìnconus ^ l'alcoltò , e àt-
dx^z.p- AHores & A^tonant erano una volta appellati quei,,
che ora fon detti Chcr'ici di Camera . E perciocché abbiam
detto , che il nome di Pai attimi ne' vecchi tempi fignificava
il Fiico , di quello fi fervirono ancora i Sommi Pontefici . In
una Bolla di Papa Benedetto Vili, rapportata nella Cronica
Farfenle fi legge : hzjuper & compnfttunim [e fcìat atirì opti-
mi Llbras 'Centum , medietatcm in SacrofanHo Lateraìienfi Pa-
latio , & medietatem in frprafcripto Moti aft erto . Altra Bolla
del medefimo Papa , fpettante ali' Anno 1017. ha efpreifa
menzione della Camera Pontificia . ^)ul facere hoc prafumfe-
rit &c. fclat fé compofiturum centum Aurcos Ma?2cojos^ medie-
iatem Camera nojìrce , & medletatem &c. Per altro abbonda-
no le Carte , nelle quali i Romani Pontefici anticamente in-
timavano non già pene pecuniarie , ma bens\ la Scomunica
contro a i trasgreflbri de* loro Decreti , Donazioni , e Privile-
gi . Fu di parere Onofrio Panvinio , fic'come accennammo ,
che fino a' tempi di Papa Gregorio VII. f Archidiacono del-
la Santa Romana Chiela prelcdeife a quella Camera ; e che
da il innanzi foOfe ifiituito \ Ufizio di Camerario , chiamato
ogoidi Camevle7ìgo , il quale dura tuttavia . Truovafi in uno
Strumento dell'Anno 1 1 55>. Dominus Bofo VenerabilisCardina-
lis Dlaconus SanBorum Cojmce & Damiani Domini Papcv Ca-
merarlus .
Che anche alcuni Vefcovi ed Abbati una volta ave Aero la lor
Ca-
ip8 Dissertazione
Camera , pare che fi poffa provare colle antiche memorie.
Parlo di quelli, che aveano ottenuto il Comitato delle Citta,
ed altre Regalie, in vigor delle quali poteano efigere tributi ,
ed altri pubblici diritti . Rechiamone unefempio. PrefTo i U-
ghelli , e Bordoni Corrado I. Augufto nell'Anno 1027. conce-
dette al Vefcovo di Parma omne jus publicum , Ù' teloneum ,
atque dìjìrl^ium ejusdem Urbis .^ ne de'mde totum Parmenfcm Co-
mitatum . E in uno Strumento del 1032. di Jacopo Velcovo di
Fiefole, rapportato dal mcdefimo Ughelli ( le pure non v' ha
errore ) noi le2,giamo : Si quis nutcm hi-jus 7ìojìr<£ Ordinationis
violator extitsrit , Jciat fé compojìturum auri optimi Librns Cen-
tum Imperatoria^ Camerae^ & No/ìr^ . Per tali notizie par bene,
che certi Vefcovi godcfTero il diritto della Camera, dove fi por-
talTero le rendite, dianzi dovute al Conte , o pure al Donato-
re. Se anche i Duchi, Marchefi, e Conti avefTero tal prero-
gativa , non apparifce chiaro . Narra bensì Paolo Diacono
Lib. III. Cap. 2(5. che fu eletto Autari Re de'Longobardi , ai
cui tempi ob re/} aurati ori em R.egni Duces , qui tunc erant , ow-
nem fubjìantiarum fuarum medietatem Regalibus uftbus tribuunt ^
un de Rex ipfe , /t've qui ei adharerent^ ejusque obfequiis per di-
verfa officia dediti ^ alerentur , Ciò avvenne, perchè ienza Re
era flato il Regno per dieci Anni , C^' unusquisque Ducumfuam
Ci'uitatem obtineret^ come Principe . E fenza tallo allora ogni
Duca efigeva i tributi della Tua Citta. Ma non fappiamo, co-
me pafTaffe la faccenda da lì innanzi . Tuttavia nel BoUario
Cafm. Tom.II. num. 8. compariice un Diploma di Defiderio
Re de' Longobardi, in cui egli dona al MoniQero Breiciano di
Santa Giuba Infulam , quce Ciconaria dicitur , pertinentem ad
Curtem nojìram , & ad Curtem Ducalem . Tanto in quella Cit-
ta, che in Milano, Torino, Verona, ed altri Luoghi, fi tro-
vava il Palazzo, o fia Curtis Ducisi come abbiam già offerva-
to altrove . Tuttavia non abbiamo per quedo fufficiente luce
finora. Quel che è certo, non mancò il diritto delia Camera,
o fia del Filco , a i Principi di Benevento, i quali , fé fi eccet-
tua il titolo di Re , godevano f autorità de i Re > ma non il
nome. Altrettanto fecero dipoi anche i Principi di Salerno, e
i Conti diCapoa, che fìgnoreggiavano una parte imembrata del
vado Ducato di Benevento. Abbiam di iopra oifervato, ch'elfi
applicavano le pene «t>/?ro Palatio ; e quefta formola fi truova
anche in un Diploma di Roberto Principe di Capoa nelfAn.iiop.
QUAN-
Decimàsettima^ ipp
Quanto a i Duchi, e Marchefi della Tofcana, prima d'ora
Fràucelco Maria Fiorentini oflervò nel Lib. III. della Vita di
Matilda, ch'elTi avevano la lor particolar Camera e Fifco, re-
candone in pruova una Carta di Adalberto Marchefe , dove
fon le leguenti parole : Si quìs hoec non obfewaverit^ fciat fs e:<-
commun'tcatum , & 'tnfiiper componere Aurì oht'tmì B'ijanteos mil-
le , med'tetatem Camera nojìrce , &' medietatem ÒV. Con altri
Documenti ho io confermata quella verità . In un Placito di
Uberto Marchefe di Tofcana , e Conte del Palazzo nell' An-
no ^41- egli decide una Controverfia in favore del Vefcovo di
Luni, con apporre in fine la pena . ^i hoc fecerìt^ prcedìóìos
duo mille Mancofos auri fé agnofcat ej] e compojtturus^ medieta-
tem parti C amara noflrde , (7 medietatem ipjius Epifcopio . Pari-
mente Bonifazio Marchefe di Tofcana , Padre della ContefTa
Matilda, in un fuo Diploma, con cui l'Anno 1048. conferma
i Beni al Moniftero di San Bartolomeo di Pidoja, dice : 5^/ quis
&€, fiad fé compojìturum Auri optimi Libras centum , medieta-
tem K amara noflra , Ò" medietatem prafato Monafìerio . Un fo-
migliante parlare fi truova in un altro Diploma di Gotifredo
Duca e Marchefe di Tofcana , e della DuchenTa Beatrice fua
Moglie , e pofcia ne gii altri Atti della Conteffa Matilda , di
Corrado Duca e Marchefe, e di Ram pretto Marchefe, che fi-
gnoreggiarono in Tofcana. Apparifce eziandio, che non man-
cò a i Duchi di Spoleti la Camera. Veggafi una Carta diGuar-
nieri Duca del iio5. nella Cronica Farfenfe . Quello che non
fi sa ben intendere, fi è , che qualora i Duchi e Marchefi di
Tofcana tenevano de' Placiti, e decidevano liti, allora impo-
nevano la pena pecuniaria da pagarfi , non alla fua , ma alla
Camera dell' Imperadore . Un Placito tenuto in Lucca nel 1058.
dal fuddetto Duca Gotifredo, ci fa veder quelle parole : Q^i
'vero fecerit , pradióia duo mtllia Mancufos aureos compojìturos
fé agnofcat^ medietatem pars Camare Domni Imperatoris^ & yne-
dietatem prediBo Anfelmo . In un altro fuo Placito del 105^.
^ut vero contra hoc facere prefumpferit ^ componat duo millialMan-
cujos optimi auri ^ medietatem Camere Regis Ò'c, Similmente la
Conteffa Matilda in un fuo Placito del 1105. cos'i parla : Si
quis vero fecerit , predillo duo millia Bifanteos aureos ( fegno
che i Bifanti d'oro non doveano effere divtrfi daiMancufi d'oro)
compojtturo fé cognofcat pars C amara Domini Regis ^ & jam di6ie
Domine Matilde , & me die tate &c. Qui troviamo in uno fleffo
tem-
200 Dissertazione
tempo la Ca-mera del Re , e quelia di Matilda come Duchel-
fa . Cioè a mio credere perchè i tributi , le gabelle , le con-
danne, ed altre rendite del Principato appartenevano al Sovra-
iio diretto, fia Re o Imperadore . Ma gli ftefli Sovrani ne àf-
legnavano la lua parte ?\ Marcheie oDuca, Prendente di rat*
ta la Provincia , e al Conce Governatore della Citta , affinchè
con ciò manteneffero la loro famiglia e dignità. Ma perchè ne'
Diplomi fopr' accennati le pene s' aveffero a ,pagare alla Ca-
mera del Marchefe , e ne i Placiti alla Camera del Re : lafce-
rò, ch'altri lo Ipieghi . E tanto più perchè quello rito non
era ftabile . Nelle Antich. Eitenf. Part. I. Cap. ip. pubblicai
un Placito tenuto nell'Anno 1043. in Rapallo adi Alberto ^ ed
Alberto A'Z2:p Marc he fi ^ da'quali diicende la Sereniffima Cafa
d'Elle. Ivi milero que' Marchefi il bando con quelle parole :
^ui vero jecerit ( in vece di contrafecertt ) centum Libras argefi'
ti fé compofiturus agtìojcat , medietatem eorum Marchiofies , &
medietatem eidem Abbati.
Truovasi ancora un altro nodo . Cioè talvolta i Duchi o
Marchefi, le erano devoluti al Fiico Regio i Beni altrui, ne
dilponevano a loro arbitrio , come di cola propria , e li dona-
vano" alle Chiele . Nella Cronica Farfenle fi può oflervare ,
che avendo una Alerona Monaca fpoiato un certo Rabennone,
fecundum Legem omnis fubjìantia ipftus nd Publicum devoluta
ejì, Sulfeguentemente per aver elfo Rabennone uccilo un uo-
mo, medietas omfiis illius fubjìantine ad Publicum devoluta eJì ,
Poicia Hildeprando Duca di Spoìeti nell' Anno 787. donò, oììì-
nem pradi^lam illorum fubjìantiam , qualiter jecundum Legem
jujìe & rationabilìter ad Publicum devoluta ejì ^ al Monillero
di Farfa prò mercede Domììorum nojìrorum Regum , & yioflra ,
cioè per bene dell'anima de i Re , e della propria. Erami na-
to fof petto, che ìd. VOQQ Publicum (^\o {kt^o h ch.Q Pars Public a)
fignificaffe la Camera propria de i Duchi e Marchefi, che cer-
tamente erano Minijìri Reipublicde , Ma dopo aver io conchiu-
fo , come fi vedrà nel Capitolo feguente , che voce tale indi-
ca il Re , o fia il Regno o \' Imperio]^ cioè la Camera del Re
od Imperadore , mi fon fermato dubbiofo . Tuttavia in qual-
che luogo pare, che veramente elfa riguardi i Minilfri del Pub-
blico. Nella Legge 2. di Guido Imperadore abbiamo: ^^icum-
que a proprio Comite , vel a publica parte , idejì ab eis , qui
Rempublicaìn agunt , ammonitus fuerit (ìTc* Pubblicò in oltre
il
X
D E e 1 M A S E T T I M A . 201
il Campì nella Storia F^cclefiafl-. di Piacenza un Diploma di
Lodovico IL Aiigufio, ove fi efpone , avere Tlmperadrice An-
j^ilberga Tua Moglie fatto quasdam cum Fané Publica de rebus
fhts Commutatlo?ies , quas Jìbi petit nofiva nuHoYttate flabìlm .
In altri Diplomi poi fovente s'incontra quefla Formola: Otn-
m 710 firn , nojìrommqt'.e SucceJJomm , & Pubika partis cantra-
dìclìo?ìe remota . E in un Diploma di Ugo e Lottarlo Regi
evvi qu^d' altra : Et quìdquid exinde Fifcus fiojìer , 'uel Pars
publtca fperare potuerit &c. Adunque lenìbra , che il Regio
Fijco diverta cofa fofTe dalla Parte Pubblica . li che fia det-
to per maniera di dubitare ; perciocché nel Capitolo leguen-
te ex profejfo fi tratterà quefto argomento . Intanto è da (lu-
pire , come Hildcprando Duca di Spoleti potefie cosi libera-
mente donar que' Beni devoluti al Regio Liico , quando ve-
ramente la parola Publicum denoti eflb Fiico , le pure non
vogliamo conietturare, che quel Duca avelie ottenuta dal Re
la facoltà di donarli ; o pure che coftume vi foffe di donare
a i Luoghi pii i Beni confifcati per qualche delitto , dichia-
rando ài farlo a titolo di Limofina del Re: prò mercede Dom-
77orum Regum . In due Placiti, l'uno tenuto da Beatrice Du-
chefla di Tolcana, e da Matilda lua Figlia nel 1075. e l'altro
da effa Contefia Matilda nel 11 07. noi abbiamo , che la pena
s'ha da pagare medietatem Pars Publice . Giacché abbiam ve-
duto in altri Placiti dovuta la pena Camercc Regis , o Impera-
torìs. Che qin Pars publica figninchi lo fteflb , par ben proba-
bile ; ma non è certo .
Aggiungasi ora, tralparire da qualche notizia, che anche
i Conti , cioè i Governatori delle Citta , aveffero una fpezie
ài Camera . Nella Legge 34. di Lodovico Pio xAugullo è co-
mandato, che i pertinaci in non pagare le Decime fieno chia-
mati in Giudizio , uti ibi fecundum Legem ad Comitem , vel
ad Partem Publicam componant : cioè paghino la pena . Q_u'ì
certamente veggiamo diilinta la Parte del Conte dalla Parte
Pubblica . Siccome offervatnmo al Cap. Vili, la terza parte
delle Condanne perveniente al Filco , apparteneva a i Conti ;
di modo che parca , che il Filco foffe del Re od Imperado-
re , ma in certa maniera anche del Conte . Nulla ho detto
di (opra de i Dogi di Vene^^a . Si vuol ora ricordare , eflere
fuor di dubbio , eh' effi anche ne' vecchi Secoli godevano il
Tomo L Ce dirit-
20 2 DsSSERT AZIONE
diritto delia Camera e del Fifco . Son perite molte antiche
memorie di quefta Inclita Repubblica . Tuttavia abbiamo nel
Tomo V. dell' Ughelli Ital. Sac. un Decreto di Tribuno Do-
ge di Venezia , ipettante all' x'\nno 5? 8 2. dove è determinata
la pena pagabile Camerce ?joJìri Falatìi . Del pari in un Pri-
vilegio conceduto nell'Anno 1 1 id". da Ordelafo Faletro fi leg-
ge , che il trasgreffore pagherà per pena omnia quce pojfidep
Fifco Ducali , & Regali . Come cola diflinta è detto qui il
^ifco Regale^ perchè già quella Repubblica avea conquiftata
la Dalmazia e Croazia , che portavano la denominazione di
Regno . Erano poi molti i Miniftri del Fifco, deputati a rac-
cogliere i tributi , e gli altri proventi della Camera Regia ,
o Imperiale , che fi chiamavano AHionarii , Exaóìores tributo-
rum^ Eica6Ìores Reìpublicde ^ o'^uxt ExaEìores rerum publicarum^
AHores Fifci Re gii , AHores Patrimonii Re gii , ovvero Curtis
K.egi<e^ i quali ultimi, ficcome anche fotto i primi Imperado-
ri , attendevano lolamente a i Beni Patrimoniali del Principe ,
€ ne rifcuotevano le Rendite. Alla Regia Camera pare, che
foffero Prefidenti iGaflaldi^ de' quali s'è trattato nel Cap.X.
Né mancavano Advocati Curtis Regis , cioè Avvocati Fifcali ,
che nafcendo controverfìe , foftenevano i diritti della Came-
ra Regia . In un Placito tenuto nell' Anno 80^. da Guillcrado
Vefcovo di Pifloia , da unoScabino, e da un Vafìb Dow/^/'-R^-
gis , fi difputava il pofìTeffo di una Chiefa fra la Corte del Re,
€ il Moniftero di San Bartolomeo di quella Citta . Gifilari fi-
glio del fu Gifone , qui Caufam Curtis Dom/ii Regis perage-
hat , produffe le ragioni affilienti al Fifco ; ma fu giiidicato
centra di lui .
Bella
DeCIMAOTTAVA. 20J
Della R ^pubblica , e parte Pubblica , e defuoi Mtntjìri ;
e Je la Città d' Italia aveJJ'ero amicamsnte
Comunità , come oggidì .
DISSERTAZIONE DECIM AOTTAVA.
VEnga or-a meco il Lettore per ricercare , fé ne* vecchi
Secoli le Citta d'IuJia coniervalfero qualche forma di
Repubblica , oggidì chiamata Comunità o Comune , ancorché
foffero governate da i Magiilrati de i Re ed Imperadori . Noi
appelliamo Cow^?2/>^? il corpo de'Cittadim , che ha Ufiziali e
rendite proprie . Allorché molt.fTime Citta Italiane godevano
la liberta, lolamente iuggette all' alto dominio de gli Impera-
dori , ulavano il nome di Comune e Comunità ; e quantunque
poi fi deffero a i Principi , continuò nondimeno in effe il no-
me 5 il corpo , il pofTefìb di Beni , e Gabelle ; e tuttavia per
eiempio dura la Comunità di Modena^ Reggio &c. Ordinaria-
mente i Nobili lon quei, che regolano il Comune a nome di
tutto il Popolo , colla giunta di alcuni Giurisconlulti , che col
loro fapere dieno pefo alle lor determinazioni . Evidente cola
è, che anticamente le Citta d'Italia non iblamcnte erano fud-
dite de' Romani Imperadori , ma venivano anche governate
da i loro Magilirati , Proconioli, Pretori , Prefidenti &c. Con-
tuttociò anche allora conlervavano una Ipecie di Repubblica >
varia bens'i, eifendo alcune Municipj , altre Colonie , ed altre
Collegate , e perciò ancora diverfificate ne' Privilegj . Ognun
sa, che la Dignità e Podcfta de gf Imperadori non impediva ,
che Roma riteneiTe il tuo Senato, i iuoi Ulìziali , le lue rendi-
te, e Gabelle . Altrettanto iuccedeva nelle Citta iubordinate,
perchè cialcuna avea il luo Senato, i Duumviri , gli Edili, i
Queltori , Centori , Curatori , Fra;feHi juri dicundo , ed altri
Ufiziali , e ritenevano anche il titolo di Repubblica , impie-
gando poi le loro entrate nel riiarcimento delle mura, ponti,
Ferme, Teatri, Acquedotti, Templi , ed altri pubblici Edifi-
cj. Sotto i medefimi AugulH Cnltiani durò queita polizia, le
non che v'intervenne talvolta qualche mutazione . Abbiamo
nel'Lib.X. Tit. 3. del Codice Teodofiano la Legge I. data nell'
Anno 3^2. in cui Giuliano Augnilo comanda , pojjejjiones pu-
C e 2 blicas
204
Dissertazione
hlìcas Cì'vitmbus rcjìttui . Anche Ammiano Marcellino nel Li-
bro 25. Gap. 4. della Storia fcrive, da efib Giuliano FeBigaiia
Cìnjitatìbus Ycjììtuta cum fimd'is : le quali parole indicano , che
le Cina godeflcro rendite, per eiempio, di Porti, Ponti, e fi-
mili altre Gabelle, o d'antico loro diritto, o aifegnate dal Prin-
cipe , affinchè poteffero foddisfare al bifogno delle pubbliche
fabbriche. Per teftimonianza di Lampridio, anche AleiTandro
Severo Auguro , nella ftefia forma fu liberale verfo le Citta .
Veggafi ancora Capitolino nella Vita di Gordiano . Leggiamo
in oltre nelfuddetto Codice Teodofiano la Legge IL del Tir. pre-
detto , in cui Valentiniano Lnperadore nell'Anno 372. Cur'ta-
libus omnibus cojiduceridoniyn Reipublicce prtsdiorum rtc fahuum
hìhihet facuhatem . Nella feguente Legge V. Arcadio ed Ono-
rio Augnili nell'Anno 400. comandano, ut ad'tficia^ horti ^ at-
que nreas adium public arum^ & ea Reipublicce loca ^ ^ucc auP i/j-
chidu7ìtur mcenibus Ci'vitatum ^ aup pomosriis junt connexa ^ dati
legittimamente in affitto ad uno , non fi pollano torre loro per
darli ad altri. Anche nella Legge 1 8. Lib. XV. Tit.I. fi trat-
ta di rifare l'opere pubbliche, e a ciò vengono follecitati i Go-
vernatori delle Provincie . ^.odfi Civitapis ejus Kespublica tan-
tum in tenia penfionis pane non h sbeat ^ quantum cceptce fabri-
ca pofcat impendium ^ ex aliarum Civitatum Reipublicce canone
pFcefumant . E nella Legge 32. fi veggono elpreffi reditus fun-
dorum juris Reipubblicce, Altre fimili Leggi nel Codice di Giu-
fliniano fi truovano ; e ne' DigelH il tit. 8. Lib.L. tratta ds
tìdminiflratione rerum ad Civitates pertinentium . Vegganfi il
Sigonio , il Gotofredo, il Campiani, ed altri, che di ciò hanna
Icritto. Preffo il Grutero pag. 1^4. n.i. fi truova un Decreto
di VefpafianoAugvifto, che fcrive fra l'altre cole ai Decurioni
della Citta di Savom : VECTIG ALI A , QU AE A D. A VG VSTO
ACCEPISSE (la voftraCittk) DICITVR, CVSTODIO &c.
Impadronito che fi fu d'Italia Teoderico Re de' Goti, po-
co mutò de' riti e codumi del Governo de' Popoli, ficcomePrin^
cipe di gran mente , ed allevato in Goihntinopoli , ben cono-
fcendo con quanta prudenza avellerò i Romani regolate le pub-
bliche cofe. Ma non cosi fecero i Longobardi, allorché calava-
no in Italia . Gente ignorante, e fiera glia ilo quell'ordine, e
v'introdulfe la maniera del Governo , eh' effi portarono ieco .
Deputarono dunque al pubblico Miniflero Duchi ^ ^Giudici ap-
pellati pofcia Co?7^/ , Viceconti ^ Ga/ìaldi j Sculdafct ^ A'zionar}^
e fi-
D E e I M A O T T A V A . 2O5
c fimili altri Ufizj ; e quella forma del pubblico con poca mu-
tazione fu poi confermata, dopo la caduta dei Re Longobardi ,
da ol'lmperadori Franchi , e Germani. QLiefti Ufizj li conferiva
il Re odimperadore ; e però chi gli godeva era appellato Mini-
ftro del Re 0 dell' Imperadore. Ora dunque s'ha da cercare,
fé in que' barbarici tempi fi truovi veftigio alcuno di quella ,
che o"PÌd\ chiamiamo Cornimità^ ed anticamente era detta Kes-
publicn. Non può negarfi, nelle memorie di que' Secoli noi fo-
vente ve^s^iamo fatta menzione à^W^i Repubblica ^ àt Mhiijìri
della Repubblica , della Parte Pubblica , de' Giudici Pubblici . Per
efempio, in un Diploma di Berengario I. Re d'Italia nell'An-
no Spp. fi legge : Ut tiuUus Judiciarice potejìatis Duk^ Marchio^
Comes , Vicecomes , Sculdajcius , Locopof.tus , aut qutslibet Rei-
publicce Procurator &c. In un altro Diploma d'elfo Berengario
dell' Anno 8c)2. v'ha ut nullus Dux ^ Comes ^ vcl Mi^iijìer Rei-
public^ Scc. Che vuol dire Procuratore, e Miniftro della Repub-
blica ? Preoccupò quella mia dimanda Monfig. Fontanini nella
fua Storia del Dominio della Santa Sede fopra Parma, e Pia-
cenza; perciocché nel §. 12. Parr. 27. cita un Diploma di Car-
lo Ma^i^no pubblicato dal Campi nella Storia Ecclef. di Piacen-
za, dove fon quelle parole : Ut 7iullus Dux , Gajìaldius ^ njel
A^ionarius , 7iec quilibet ex Minijìvis Reipubliccs de jam diHa
Judiciaria aliquid Jumere audeat . Pensò quel Prelato , che col
nome à\ Repubblica folfe qui difegnato '\\ Ducato di Roma ^ e
XEja)'cato di Ravenna uniti infieme; e che non altro folfero
i Minijìri della Repubblica , fé non i Minijìvi della Sede Apo-
flolica . Cita egli in oltre un Diploma del fuddetto Augnilo ,
rapportato nella Cronica del Volturno, dove fono nominati Rc?/-
publicce Exacìores, E in uno di Lodovico II. Imperadore Reipu-
bliccs^ Mini/ìri ; e una Bolla di Stefano VI. Papa dell'Anno 8pi.
Reipublicce Exaóiores , Secondo lui nel fenfo fuddetto s'ha da
intendere il nome di Repubblica. Adduce ancora una Lettera
di Romano Elarco a Chiideberto IL Re de' Franchi , dove di-
ce, che Dio avea tolto a i Longobardi Aitino , Modena^ Man-
tova^ PiacenT^t ^ e rimelìe in Dominio San^a^ R.omanc£ Reipu-
blis:ce , Finalmente Gregorio II. Papa con fua Lettera fcritta ad
Orlo Doge di Venezia gli fa fapere di prendere l'armi per ricu-
perareRavenna prefa da' Longobardi per ritornarla ad prijìinum
flatum SanH'sReipublica; , E S. Gregorio Magno Papa fi lamen-
ta de' Reipubitccs Judicibus »
Ma
2o6 Dissertazione
M A ecco quanto fia facile 1' accomodar le cofe a i noflri
defiderj. Certo è da ftupire, come im perfonaggio di tanta eru-
dizione giugnefie a fpacciar tali cofe , che non poflbno venire
ie non da chi quafi difTì vuole apporta eflere cieco . Primiera-
mente ad evidenza fi pruova 5 cìiq Modena^ Pìace?i7:^^ Parmay
RefTgio^ Mantova^ ed Aitino non furono mai donare da alcun
Re od Imperadore a San Pietro . Baila leggere il Teftamento
di Carlo M. e poi tanre memorie, che fan conofcere qucdle Cit-
ta del Regno -d'Italia. Veggafi di lopra il Cap. II. Qiie' me-
defimi Diplomi, ch'egli cita di Cario M. e di Lodovico IL Au-
gufti compruova.no quella veriia . ( arlo M. concede al Velco-
vo di Piacenza omnem Judtctarìnm , 'vel omnsm Teloneum de
Cune Gli' JJi ano ^ Lodovico 1 1. gli dona parrem mmt Publici y
& Vice ùub lira ^ e gli conferma Mercata & reltqua^ qua a reli-
qiiis Antecejjorihus. nojìris (Imperadori) collata funt jam fapc
(itola Ecclejia . Ma rifponde Monfig. Fontanini, tali cole facea-
Ho quegli Augufti tamquam Advocati Romana Ecdejta . Né
bada, ch'egli ci rappreienta que' piifìimi Imperadori, non già
come Avvocati della Santa Romana Chiefa , ma come lacrile-
ghi ufurpatori de i Beni , e diritti della medefima , fé cola fi
foffe ftefo il dominio delia ilefla . Da quando in qua farebbe
ftato lecito ad Avvocati di donare la roba altrui, e maflima-
mente fenza una menoma parola di farlo col titolo di Avvo-
cati, e donando chiaramente in vigore della lor propria auto-
rità ? Però da que' Documenti non fi può ricavare , che il no-
me di Repubblica importi il Dominio della Chiefa Romana .
E molto meno dal Privilegio dato al Monirtero di Volturno ,
fapendofi , che quella Bidia era fiiuata nel Ducato Beneventa-
no , cioè in Luogo lotropolfo a i Duchi o Principi di quelle
contrade, e alla Sovranità del Re d'Italia , e che la Sede Apo-
llolica non v'ebbe diritto temporale y fé non dopo la venuta e
conquida de'Normanni.
Ma che dunque volea dire il nome di Repubblica in que'
reinpi ? Significava il Principato , il Regno , f Imperio , e il
Fifco, de i Re d'Italia, o de gf Imperadori. Né altro era jRa-
mana Respuhlica^ che il dominio de' Romani Imperadori; non
altro Minijìri Exaóluresy o pure Procuratoves Reipublica ^ fé no a
i Miniftri pubblici del Principe,. ìo'Xq Re o Imperadore, e noti
^^i^ il Ducato Romano, né l'Efarcato. Gli fteffi paffi, cheMon-
ììgnor Fontanini recò per accreditare il fuo fogno, lo diftruggo-
no.
Deci xM a o t t .. va. 2^7
no 5 purché fi aggiunga ciò , ch'egli credette ben di tacere.
Gre'^orio II. Papa elorta Orlo Doge di Venezia ad ulcire in
mare contra <le i Longobardi , u4 ad prijìinum ftatiim Sa;-26ix
Reipublica in Imperiali fevvitio Dominorum fJiorumqtie nojìro'
rvim Leofiis , & Confìantiui m^g?iorMm Imperatorum ipfa reijoce-
tur RavenrtarÌHm Civitas , uf zelo , & amore fi dei 72ofir(e in
flatu Reipiiblicoi & Imperiali fervitio firme perfiftcre , Domi?ìo
cooperante n^aleamus . Qjii veggiamo , che Respablica è ulato
in vece del Romano In4>erio . Et è da (hipire , che il fuddetto
Scrittore vogha tirar qua alcuni paffi di San Gregorio il Gran-
de, dove fi ferve della Parola -R^j/?«^/.t/7, quafichè quefta fof-
fe riilretta al Ducato Romano e ali' Efarcato . Viene efia fpi.e-
gata da altri fuoi detti. Nella Epillola XI. Lib. V. parla della
Pace da lui trattata co' Longobardi . j^riulpbus ^ dic'egh , toto
€orde njenire ad Rempublicam paratus juit Ò'c. Pìifftmo Dcmino
figgerò , ut de utilipate Reipubliae , & caufa ereptionis Iralia; ,
?jon quibuslibet aures prtxbeat &c. Ante CoììJì antinum Pagani in
Republica Principes fiere &c. Pacem cum Longobardis in Tu-
fiia pofttis fine ullo Reìpublicx difpendio ficeram , Nel Lib. VI.
Epi(i. \6, allo fteflb Imperadore : Deus heic de'vi^iis hoflibus ^
pacata vos imperare faci at Reipublica , Epid. 25. a Maffimo
ufurpatore della Chiela di Salona: ^od 'vero indie as^ Sereni f
ftmos Dominosy ut Ulte debeat effe cognitio^ prx e epifite : ?ìos qui-
dem nullas eorum hac de re , nifi ut ad nos venire debeas , juf
fiones accepimus . Sed etft firfitan prò Rei public ne fuse utilitate ,
qux Di'vina fibi largitione concejfa eft , multa cogitantibus , eo-
yum e fi ju {fio per obreptionem elicita. Cosi nel Lib. V. Epift. 41.
parlando della Corfica , "ExaHionum gravamine opprefi^a^ dice:
Unde fit , ut derelióla pia Republica poffeJJ'ores ejusdem Infila:
ad nefandiffimam Langobnrdorum gcntem cogantur effugere .
Nel Lib. I. Epift.75. loda Gennadio Efarco , dell'Affrica, per-
chè faccia guerra , non defiderio fi:ndendi finguinisy fod dila-
tandce caujfa Reipublìca , in qua Deum coli confiicimus . Nel
Lib. V. Epift. 30. a Maurizio Augufto : Deus Unga nobis & quie-
ta tempora tribuat^ & pietatis 'oejìrae fobolem diu in Romana Re-
publica florere concedat . Finalmente fcrive a i Milanefi nel
Lib. XI. Epifl:. 4. Unde pojfunt alimenta SanBo Ambrofio fir-
'vientibus Clerìcis minifirari^ nil?il in hoftium locis^ fid in Sici-
lia., & in aliis Reipiiblica partibus confiftit . Tralafcio altri paf-
iì, badando quelli per intendere , che il noaie di Repubblica
(igni-
2c8 Dissertazione
fignificava r Imperio Romano . Nei feiifo mcdefimo la prefe
CafTiodoro nel Lib. 4. Epi(t. <5. ed altrove; ficcome ancora Pao-
lo Diacono Lib. 4. Gap. 37. de Geilis Langob. con dire : Rem-
publicam Roman am Eraclhts fufceph regendam .
Recano tali offervazioni luce a ciò , che fcriffe Anaftafio
Bibliotecario nella Vita di Stefano II. Papa , dove racconta,
che l'Efarcato di Ravenna non era (lato occupato da Adolfo
Re de' Longobardi , ed efTerfi proccurato, ut Reipublicce loca^
diabolico ab eo ufurpata ingenio , proprio rsflituerst Domiìio ; e
che eiTo Papa avea raccomandato a Pippino Re di Francia
caujjam Bsati Retri , & Reipublicce Romanorum redderet jura .
Ecco diftnta la Chiefa Romana dall'Imperio Romano. E chia-
ramente fpiega altrove eflb Anaftafio nella Vita di Papa Za-
cheria cola egli iatendefie di dire nominando la Repubblica .
Imperocché fcrive, che Goftantino Augufto donò duas Majfas ^
qua Nymphas & Nor?2Ìas appella/itur , /uris exijìemes Reipubli-
f^, eidem SanHiJJimo Papce , San6l<£que Romana E-cclefia jure
perpetuo pojfidendas . Se quelle Maffe appartenevano alla Re-
pubblica^ ed elle furono donate dall' Imperadore al Papa, adun-
que fotto nome di ì?.c:'/jw/'^//V<;! veniva il Romano Imperio. Per
la fleffa ragione anche Gregorio Turonenfe Lib. 2. Hill, fcriffe,
che Gelisn'iere Re de' Vandali in Affrica fu fuperato a Repu-
blica. Laonde con ragione ebbe a dire il Valefia nelle Annot.
al Lib. 16, Gap. 12. di Ammiano Marcellino: Imperium Roma-
norum Ammiano aliisque Hijloricis fape Rempubhcam abjolute
nuncupari, E il fopradetto Anaftafio nella Vita di Vigilio Papa
difle di Belifario : Veniens in fines Africce fub dolo pacis inter-
fecit Gundarum Regem Guandalorum ^ & redaHa ejì Africa fub
Rempnblicam . 0_uefl:e fon cofe chiare ; laonde mi dilpenfo
dal riferire altri pafTì di Mario Aventicenfe , di Giovanni Ab-
bate Biclarenie , di Procopio, e d'altri tedimonj, che concor-
demente afferifcono quella verità . Tale dunque eifendo (lato
l'ufo di adoperar la voce Re s public a per denotare l'Imperio,
e il Regno : non è da maravi^iiarfi, fé Carlo Magno , e i fuoi
SuccelTori , trovato in Italia quefto modo di parlare , lo riten-
nero, ed ufarono , e non folo qui , ma anche ne gli altri Re-
gni loro. Ed elTendo che troppo fpeflb s'incontra nelle memo-
rie d'allora la voce Publicus ^ come publici Judices ^ Palatia
publica^ Miniflri Reipublicce ^ ed altre fimili m.aniere di dire,
gioverà il ricercarne il vero fenfo, per poter intendere i Docu-
menti
Deci m a o t t a va. log
menti di que' Secoli . Il fuddetto Carlo Augnfto nella Legge
Longooardica 121. dice d'avere intefo, quod Jii?ìiovesCom'num^
'vel alhwi Mìnt/ìri Keipublk^s ^ aliquam redb'tbinonem ^ quajì de-
precando^ aPopulo exigcrc j'olea?ìt . In un fuo Capitolare Icrive
omnibus Ducibus^ Comitibus ^ C^Jìaldiis ^ fcu cunfiis Reipublìcce
per Prov'tnciam hnliii^ a nojìra 7nanfuerudine prgpojitis . Queile
fon Leooi fatte pel Regno d'Italia, e che fan toccare con ma-
no , che non conveniva ad un perfonaggio erudito lo fpaccia-
re, che altro col nome di Repubblica non fi voleva difegnare 5
che il Ducato Romano, e l'Efarcato.
Erano dunque allora i M/?z//?ri della Repubblica quei, che
altrove fon chiamati Minijìri Regis , cioè i Miniftri del Prin-
cipato . Ecco la Legge Longobardica 34. di Lodovico Pio Im-
peradore , il quale comanda , che le Decime a Mini/Iris Rei-
publicdc exigantur . Più fotto : Negligentes , a Minijìris Reipu-
blicce di/ìriHi , Jinsuli fex Solidos Ecclejice componant . Aggiu-
one in fine , che fé coftoro fi oftineranno in negarle , a Mini-
Jìris Regis in cujìodiam mittantur . Ci lono altre Leggi Lon-
gobardiche , dove ioxì rammentati Miniflri , C^ AHores Rei-
publicce ; e van d' accordo con efie tanti Diplomi de gli anti-
chi Imperadori , dati fuori deli' Efarcato , e del Ducato Ro-
mano ; come anche il Concilio IL di Aquisgrana tenuto nell'
Anno 83 <5. ed alcuni Capitolari di Carlo Calvo , ne' quali tut-
ti s'incontrano- i Mi?z//?r/ della Repubblica^ cioè i Miniftri del
Principe , fia Re od Imperadore . Talmente è certa quefta
fpiegazione , che anche i Principi di Benevento e di Salerno
fé ne fervivano ne' loro Dominj . In un fuo Diploma dell' An-
no 5?5p. Gifolfo I. Principe di Salerno parla de Aquario antiquo
(cioè di un Canale ) nojìns Reipublica pertinente^ ch'egli con-
cede ad una Chiefa . In un Capitolare di Sicardo Principe di
Benevento è ordinato , che ninna Gabella a parte Reipublica
ìmponatur. E preffo l'Ughelli ne'Vefcovi di Benevento, Pan-
dolfo e Landolfo Principi Beneventani in un loro Diploma ufa-
no quelle parole : Absque tdlius Comitis , Gajìaldei , feu Judi-
cum Reipublicce inquietudine . Chiaramente poi fi fcorge la
forza della parola Respublica in un Diploma di Arrigo il Santo
Re d'Italia nell'Anno 1007. in cui prende fotto la fua prote-
zione Landolfo Velcovo di Cremona colla pena a i Contraven-
tori di pagare Cento Libbre di argento puro , medietatem ?io-
Jìrfi Reipublicce Ò' medietatem &c, E Guaimario IV. Principe
To:7?o I. Dd di
2IO Dissertazione
di Salerno in un Diploma del 1035. dichiara, che il Moniflc-
ro di Santa Trinità, è de Dominio & dcfetifione nof^ra ^ nojìrjs-
que Reipublica . Notizie tutte , che difhpavano affatto il fo-
gno fabbricato fulla parola Respublica , appolta per foftenere
altri fogni.
Truovansi poi ne gli antichi Diplomi Reipublica ExaBores,
Il Du-Cange nei Gloflario crede fignificati con ciò 1 Publicatìi
vili efattori delle rendite del Principe . E non fi può dubita-
re, che fon comprefi lotto quefta voce. A me nondimeno iem-
bra verifimile , di' ella abbracciaffe anche tutti i Miniftri del
Fifco , e Patrimonio Regale , cioè Aóìores , Agentes , ABiona-
rios y Procuratores Kàpublicce , ed altri fimili Ufizj Fifcali . Ma
quello, che non si totio alle volte s'intende, fi è la menzione
Partis publica , fembrando , che quefta fia cofa diftinta dal
Fifco Regio . In un Privilegio deli' Annop78. in cui Ottone IL
Auguilo conferma i fuoi Beni al Vefcovato di Cremona , fi
legge : Ut mdlus publiae , ai'it Regine Partis Procurafor &c. Se
fecondo noi la Parte Pubblica fignifica il Fifco Regio , perchè
fi mette qui la diftinzione Public<^^ aut Regine Partis Procura-
tor? Ma per fola maggior dichiarazione tengo io per aggiun-
ta la ^2iX (Ad. Regine . In fatti nello fleffo Documento fi legge:
pertinentem ad no flram Public am partem , E più lotto: ^uid-
quid ad Publicam partem pertinens , Imperiali largitate ejusdem
Ecclejìne ejì contraditum Pontificio . Donavano gì' Imperadori
i Beni fuoi, e non li altrui. Finalmente viene ivi determina-
to, 7ìemo Comes ^ Vicecomes^ Sculdajcio^ Gajìaldius ^ Decanus ^
Publiae ^ & Imperialis^ aut Regine partis^ tenga Placiti in que'
Beni . Con tre diverfe parole viene fignificata la medefima
cofa . OiTervifi la Legge 24. del Re Liutprando Lib. VI. Trat-
tafi quivi de poffejjione ^ quam aliquis de Publìco habet. Che
vuol dire quello Pubblico ? Non altro che il Fifco del Re .
Imperocché a confermar quel poffefTo dee giurare il poflefib-
re , aut de [e , aut de patre , aut de avo , quod ipfa res per
Principem data fuijfet . E più di fotto : Si aliquid de Servo ^
aut Aldione Regis comparaverit (Hyc, relaxet ipfam in Publico ,
cioè al Fifco Regio. PrelTo l'Ughelli ne'Vefcovi di Parma Ro-
dolfo Re d' Italia nell' Anno ^24. dona al Vcfcovo di quella
Citta quamdam Curtem juris Regni ììojìri , cioè Sabbioneta ,
qune femper ìioflrne Regine , & Publicne parti pertinuit , & de
nojìra potejìate & Dominio inejus potejìatem & Dominium om-
nino
Decimaottava. 211
jjho transfundìmus . Ecco dunque chiaramente efpreffo , che
Parte Publlica , era appellato il Filco de i Re ed Imperado-.
ri- e tanto più perchè in varj Diplomi di Carlo Magno s'in-
contra Nullus Jtid'jx Publkus Fifa 7ìoflrt &c. Tralalcio altri
Documenti 5 tutti coerenti a quello fignificato, perchè di più
non occorre .
Parimente s' incontra ne gli antichi Documenti Judìtiarìa
Poteflas, In uno Strumento dell'Anno 774. il quale ha dato
anta a me di cercare il principio deli' Epoca Longobardica di
Carlo Maj^no , fi le^ge : Ut ?jiillus qutslibet e>c Judiciarìa Po-
tè fiate &c. inquietare ^ aut calum7iiam generare prafumat , Ab-
braccia quella parola tanto i Conti , che tutti gli altri Mini-
fìri della Giuftizia . Non ho in tanto ritrovato finqui nionu-
inento alcuno, onde fi pofla inferire, che ne' Secoli barbari-
ci le Cittk d'ItaHa godefiero il privilegio, ulato ne' tempi di
Roma Dominante, cioè di far Corpo, Comunità, o Comune,
e di elespere Ma^iftrati . Contuttociò non lalcio io di fofpet-
tare , che nelle medefime i Cittadini aveuero qualche forma
di s\ fatto rito . E i motivi fon quefli . Comanda Lottario I.
Augufto nella Legge 48. che i Mefiì Regj depongano gliSca-
bini cattivi , & cum totius Popuìi confenfu in eorum loco bonos
eligsnt. Adunque all'elezion de gli Scabini concorreva il con-
fenfo del Popolo , ed elTendo eglino flati un Magiflrato parti-
colare del medefimo Popolo , lembra pure , che quefto rite-
nefle qualche fpecie di autorità. E come potea il Popolo eleg-
gerli, fé non v'era qualche Ordine, Collegio, od Univerfita,
dove prefedeflero Magiftrati- , che regolaffero quefta faccenda?
Apparteneva anche al Popolo il rifacimento viarum ^ portuunjy
Ù^pontium^ e talvolta dd Pai a7^ Regio ^ come appanfce dal-
la Legge 41. del medefimo Lottario. Sotto la Signoria de'Ro-
mani lo fteflb pefo era addoffato alle Citta, le quali per que-
fto poffedevano Stabili e gabelle . Sembra ben giudo l'opina-
re, che ufanza tale continuaffe anche fotto i Re Longobardi ,
e fotto gl'Imperadori Franchi. Aggiungafi, che da' primi tem-
pi della Chiefa fino al Secolo XllL anche il Popolo concorre-
va col Clero all'elezione de' Vefcovi . Abbondano le mem.orie
comprovanti , quella effere lìata elezion Canonica del Vefco-
vo, che con voti concordi fi facea dal C/^ra , e dàìh Plebe y
cioè dal Popolo . E San Gregorio M. nell' Epift. 58. ( era una
volta la 55. ) fcriffe : Arjìcino Duci ( cioè al Governatore del-
Dd 2 la
5
2T2 Dissertazione
la Citta) Clero ^ Ordhìi ^ & Plebi Cl'uhat'ts Arìmmenjls ^ afiìn-
chè eleggeffero per loro Vefcovo il più degno . Nel Lib. 2.
Epift. (5. nei medefimo fenfo fc ri fie C/^ro , 'Noh'tlthus ^ Ordini
& Plebi conjìftenttbus Neapoli^ come ancora altrove C/^ro, 0/
dìfìi 5 & Plebi co7ififlenti Croton^e , Panarmi , 'Nej)(js , ^fn , Ter-
racini &€. Qiiefta era la formoLi uTuale delia Cancelleria Apo-
fìolica. Pare che i nomi Ordinis & Plebis coftituifTero due come
Corpi e Collegi della Cittadinanza, l'uno à^ Nobili ^ appellati
pofcia Milipesj e l'altro del Popolo inferiore . Notano i Padri
Benedettini, che il titolo della fuddetta Epiftola VI. ne'MSti
ha folamente Clero .^ Nobilibus^ & Plebi ^ conjìjìentibus Neapo-
li ; e però quel Nobilibus fembra lo fteilp che Ordini . Tutta-
via farli lecito ad altri F intendere colla voce Orda i Magiftra-
ti ed il Senato ( fé pur v'era ) delle Citta. Quella parola fot-
te i Romani fi^nificava i Decurioni e il Senato . Per altro col
folo nome di Populus , fovente fi truovano comprefi tanto i
Nobili , che la Plebe . Veggafi la Lettera 32. di San Grego-
rio Magno , e il Concilio Romano fotto Niccolò I. Papa , in
cui fu decretato , che 1' Arcivefcovo di Ravenna non confe-
craffe Epifcopos per j^miliam , nijì pojì EleHionem Ducis^ Cle-
ri^ &PopuH,
NiUNA difficulta ho io a credere, che nelle Citta poco fa
mentovate, ficcome tuttavia ubbidienti all'Imperio ne' tempi
del Santo Pontefice Gregorio , né occupate da i Longobardi ,
duraife quella forma di Comunità , o fpezie di Repubblica ,
che dicemmo ufata ne' precedenti Secoli. Spezialmente in Ro-
ma Senatus Pcpulusque ILomanus concorreva col Clero all' Ele-
zione del Romano Pontefice. Ma delle Citta fottopofte a' fud-
detti Longobardi che è da dire ? Noi troviamo , che San Gre-
gorio fcrive r Epiflola IV. del Lib. XI. Populo , Presbyteris ,
Diaconis^ & Clero Mediolanenji ^ compiagnendo la morte dell*
Arcivefcovo Conflanzo , ed un'altra a i medefimi collo fteffo
titolo. Se non v'era allora nelle Citta figura alcuna di Comu-
nità e di Ordine , fotto qualche Magiftrato : chi del Popolo
avrebbe ricevuto e letto le Lettere Pontificie, e date le rifpoile?
Anche Giovanni Vili. Papa nell'Epiftola IV. fcriffe Clero ^ Or-
dini^ & Plebi Valvenfts Eccleft^e, Quella Citta era allora fotto
il Dominio de i Principi Longobardi . Ed eflb Pontefice nelf
Epifl. 260. fcritta ad i^nfperto Arcivefcovo di Milano , parla
di ordinare il Vefcovo d'Adi poft eleóiionem Cleyi , & expetio-
ncm
Decimaottava. 2rj
nem Poptili . E nelT antico MSto Pontificale Romano fi legge
Epiftola Fopuli , & Cleri ad Dom?ium Apofloltcum , qua petimt
confacrat'wìu-m ElcHi . E in un riguardevole Strumento di con-
cordia fra il Velcovo di Alife, e Landone Longobardo , Ipet-
tante all'Anno 1020. fi legge : avere Alfa?2us Archiepijcopus
fcritta una Lettera Clero ^ Órdini^ & Plebi conftftemi in Alifs»
Potrebbono quefte poche notizie inf nuare , che anche ne' Se-
coli prima del Mille anche il Popolo formafìe un Corpo, non
privo di qualche regolamento e Magiftrato . Preflb il Campi
nel Tomo L della Storia Ecclef. di Piacenza noi troviamo il
Decreto Cleri & Populi Piacentini dell'elezione di Guido Ve-
fcovo, in cui per ordme fi ibttolcrivono \ Preti ^Diaconi ^Sud-
di acorii ^ ^à. Acoliti ^ e finalmente ventilei e Populo , Forfè que-
lli furono i Caporioni , e Rettori d'elfo Popolo . E Giovanni
Velcovo di Modena facendo una Donazione nelf Anno ^p8. al
Moniìtero di S. Pietro da lui fondato, fi efori me di far quefio
cum Confenfu & notitia omnium ejusdem SanBof Mutinenfts Ec-
clefice Canonicorum y ejusdemque Ci'vitatis Militum acPopulorum ,
Qv^tiio intervenire e confentire non iolo il Clero , ma anche i
Militi^ cioè i Nobili, e il Popolo ai gravi affari della Citta ,
non è lieve indizio , che anche allora il Popolo godelie qual-
che autorità , e riteneffe alcuna forma di Comune . Così noi
vedremo nel Capitolo XLV. che il Popolo di Modena godeva
Bona Communalia nell' Anno 1 014. Noi ora fiamo allo Icuro
de gli antichi affari particolari delle Citta prima del Mille y
perchè fon periti tutti gli Archivj vecchi delle medefime. Ma
il poco, che refta, da molti indizj , che anche allora la Citta-
dinanza fi poteffe raunare, aveffc Ordine , eMagidrati, e pof-
fedelfe Beni (labili in Comune. Ne' Veicovi di Cremona fUghel-
li rapporta una Lettera icritta neU'Anno 1048. cunHo Populo
Crcmoncnji, Infatti, vivente ancora Corrado L Augufto, an-
zi fotto Arrigo L Imperadore fui principio del Secolo XL quel
Popolo avea cacciato Landolfo Velcovo di quella Citta, perchè
creato Conte, cioè Governatore della medefima , con troppa
l'uperbia efercitava quel minillero . De i Cremonefi così par-
la il iuddetto Corrado L Imperadore in un Diploma, pubbli-
cato dal medefimo Ughelli : Cìvttatem 'veterem a fundamen-
tis ohrucrant , f^ aliam majorem contra Imperialis honoris Jìa-
tum (sdificarant , ut ipfi Auguflo rejijìerent . Anche il Popo-
lo di Milano ( ficcome noi vedremo al Cap. XLV. ) fi ri-
voltò
214- Dissertazione
voltò ne gli ftefTì tempi centra del loro Arcivefcovo Eriberto .
Né voglio tacere, leggerfi nelle memorie della Bafilicai^mbro-
fiana del Puricelli un Diploma di Carlo il Groffo, pretefo deli'
Anno 88 1. dove fon quelle parole : Nullus fc'dicep Epijcopus ^
Are hi e pi fc opus , Dux , Marchio , "jel Communitas , nliquam mo-
Icjìiam et Moìiafterio infcrat . Se fofìfe legittimo queito Docu-
mento, noi avremmo anche nel Secolo IX. ciò, che finqui
abbiam cercato. Ma in que' tempi non fi foleva ufar quello
nome; e verifimilmente in vece ò^i Comimmit as ^ ivi s'ha da
leggere Comes . Oltre di che in effo Diploma s' incontrano fe-
gnali di merce illegittima , perchè vi s'intima la Scomunica:
il che è contro dell' ufo ; e vi comparilce Signum Anfprandi
Cancellava y & Gnidonis Epifcopi ^ & Bofonis in una loia riga.
Sottofcrivono ancora altri Veicovi , e Rifus Cardinalis^ & Pe-
trus Viceco-mes : tutte cofe nulla conformi ai Riti dell'Impe-
riale Cancellaria . Né gli Scrittori Pavefi conobbero in que'
tempi un Guido Vcfcovo di Pavia. Tralafcio altri fimili nei .
Merita anche menzione laFormolaVII. preffo Marcolfo Scrit-
tore del Secolo Settimo , conceputa con quelli termini : Dom-
710 ilio Regi Commurie illius , cioè Civitatis . Domanda ivi il
Popolo un SuccefTore del Vefcovo defunto . Ma ivi quella pa-
rola altro non fignifica , fé non Ordo , & Plebs Civitatis , co-
me fi codumava da tanti altri ; e fi può anche dubitare, che
il tede di Marcolfo non fia ivi affai corretto . Ma quando cosi
abbia fcritto quel!' antico Autore , fi viene a fcorgere più di
quel che pareva antico il nome di Comune , o Comunità delle
Citta; e quello poi porterebbe feco qualche autorità del Popo-
lo nel Governo Civile. Qiianto poi s'è finora offervato , s' ha
da unire con quello che diremo al Cap. XLV» della forma di
Repubblica prefa dalle Citta d'Italia.
Ds
D E e I M A N O N A , 215
t\j^(K^^<sja!^c*J3^c\^!t^t\jSt*i jVjfe/»cvìfe/:cV!Si/»cV!fe^.c«J8>jc<jfc^ <M!^tv.!l^cV£><cMi^e\dt^
De Tributi , delle Gabelle , e di altri oneri pubblici'
de' Secoli barbm'ici ,
DISSERTAZIONE DECIM ANONA .
ìErchiamo ora, diche fi nutrifTe una volta il Regio Fi-
fco. Ninno de' Principi ebbe mai biiogno di Maeftri o
di Libri per imparare a raccogliere danaro , tributi , o fufTidj
dal Popolo, per ibftenere la propria Dignità , e per le neceffi-
ta della guerra, e per altre pubbliche occorrenze. Qj-iefto è un
meftier facile per chiunque ha Popoh fudditi , ubbidienti , ed
avvezzi a portar il giogo . Però anche ne' tempi de' Longobar-
di, Franchi, e Germani fignoreggianti in Italia, furono in ufo
i Tributi, che fi pagavano dal Popolo , o in danaro contante,
o in naturali. Sembra ancora, che vi foffcro D/?:^/, o Gabelle^
che fi rifcuotevano per introduzion delle merci, e d'altre cofc
venali o alle porte, o a i porti, o nelle vie, ne' ponti, e paffi
de' Fiumi , che fi chiamavano Porteria . In oltre non lieve era
il provento , che fi ricavava dalle frequenti Condanne e pene
pecuniarie. Ag^iungafi , che non mancavano C^;?/? q Fondi ^
Spettanti al pubblico o privato Erario de i Re , come Corti ,
Selve, Sahne, Miniere, Laghi, e Fiumi fecondi per la pefca-
gione . Finalmente v'erano altri Oneri pubblici ^ che nulla frut-
tavano alla boria del Principe , ma coftavano molto danaro ed
incomodo al Popolo. Qj.iali fodero le Gabelle, e i Tributi fot-
to gli antichi Romani, fi può vedere in un Libro di queflo ar-
gomento già pubblicato dal Chiarifs. Pietro Burmanno. Qiian-
to alla Capita:s:joney o fia Tejìatico^ o Cenfo perfonale, da pa-
garfi da ogni uomo , fu quella talvolta in ufo preiTo i Romani.
Non è ignoto quefto pelante Tributo preffo qualche Nazione
né pure a' di noflri . La loia Plebe una volta lo pagava . Ma
che al fuo tempo vi foffero obbligati anche i Nobili, pare che
fi poffa ricavare da Apollinare Sidonio . Se poi ne' Secoli fulTe-
guenti l'Italia fottopoiia a i Barbari lo pagalfe, mancano a me
lumi per afierirlo o negarlo . Non ne parlano le Leggi Longo-
bardiche , e reftano troppo poche memorie di que' tempi per
chiarire varj punti del Governo di allora . Sappiamo bens'i ,
che i Greci Augufti praticarono talora fra tanti altri infoifribili
aggra-
2]6 Dissertazione
aggravj anche il TeRatico . Anaflafio nella Vita di Papa Vi-
taliano , fcrive di Coflantino o fia Collante Augnfto all'An-
no 66S, Habìtavh in Cl'vìtate Syracnjana^^ & tnlem affligli onem
pofii'tt in Fopulo , jeu hahttatorihus Calabrics , Sicili<^ , Afridc ,
Sm'diniae , per Diagvnpha^ jeu Capita , atque nauticationes per
an7ìos plurimos ^ quales a Scectdo 7ìo7ì fuerunt , Truovafi nel Li-
bro IV. Epid. 217. di Bonifazio VII L Papa T^/T^mw pratica-
to in Cipri, ed è lo fteiTo , che la Capitazione.
Ne^ pure so io francamente dire , fé fotto i Re Longobardi,
ed Imperadori Franchi fi pagafle Tributo per le terre in Italia.
Abbiamo bensì la Legge 31, di Lodovico Pio Augufto con que-
lle parole : ^uicwjìque Tributariam terram , unde Tributum ad
partem ììojìram exire folebat: , 'vel ad Ecclejiam , 'vel cutlibet
alteri tradiderit : is qui eam fufcepit , Tributum , quod inde
folebat Jolvere j omìitmodts ad partem nojìram fol'uat : ?iijì forte
talem fìrmitatem habeat de parte Jiofìra , per quam ipfum Tri-
butum Jibi perdoììatum poffit offendere . Ma qui la Terra Tri-
butaria , altro non vuol dire , che Terra Cenfualis , di cui fi
parla nella fuRlgiiente Legge , cioè quella , che fi donava o
concedeva a Livello ad alcuno con obbligo di pagare l'annuo
Cenfo . Di queda confuetudine abbiamo varj elempli preffo
gli antichi . Nella Legge Salica Tit. 83. de Honiicid. Ingenuor.
Cap. 8. leggiamo : Si quis Romanum Tributarium occiderit ,
mille oBingentìs Denariis culpabilis judicetur . Di qua inferi il
Pitheo nei Gloffario della Legge Salica, che i Romani ioli era-
no Tributar; in Francia ; nec enim Tranci ingenui pendebant
Tributum . In pruova di ciò adduce un paffo di Gregorio Tu-
ronenfe , il quale nel Lib. VII. Cap. 15. della Storia Franzefe
fcrive : Ipfe multos de Francis , qui tempore Chil deberti Kegis
Senioris Ingenui fuerant ^ publico Tributo fubegit . Di tal parere
fu anche il Du-Cange. Ma non è ben chiaro, fé i ioli Roma-
?//", cioè i difcendenti da coloro , che prima della venuta de'
Franchi abitavano nelle Gallie, pagaffero Tributo, da cui foi-
fero eienti tutti i Franchi Ingenui , cioè nati Liberi . Il dire
Romanus Tributarius^ verifimil cola è, che Ggnifichi uomo pro-
feflante la Legge Romana, e poffidente qualche podere, obbli-
gato a pagar Cenio., o fia Tributo al Padrone. Qiieiii tali era-
no chiamati a.nchc Benéficiarii ^ né s'hanno da confondere co
i Romani Ingenui e Liberi , poilefTori di Beni proprj . Si offer-
vi ivi un'altra Legge , Per l'uccifione di un Romano Tributa-
no
D E e I M A N O N A . IIJ
rio la pena è taffata quadragifita quìnque Solidìs . Si vero Ro-
mrì?7iis honw pojj'ejfor ^ hoc eft qui res propri as pojjt dui; ( cioè No-
bile ed Ingenuo J uccidere alcuno, Soìidis centum culpnb'dìs ju-
dicetur . Due forte adunque v'erano di Romani , né è da in-
ferire, che tutti i Romani follerò Tr//'//^/7r/; , ma si bene che
alcuni o molti di effi pofledevano Terre Tributarie , cioè fug-
hette a pagar Cenfo, ne proprie di loro. In un Placito tenuto
in Cremona nell'Anno pio. da Gaufone Vaffo e Meifo del Re
Berengario I. Landò Veicovo di quella Citta fi lamenta , per-
chè l'Avvocato Curtis Dom?ii Kegis Auce^ que dicirur Magiore^
qiierit nobis Cenfurn Solidoruyn feptem , Ò' dimidio prò Silvis ,
& Terris a parte ipftus Curtis &c. che era ftata donata al fuo
Vefcovato . Ivi dunque fi tratta di Terra Tributaria . Alcuni
errori dell' Ughelli ne' Vefcovi di Cremona fi poifono corregge-
re coli'ajato di quello Placito.
Truovasi poi nelle vecchie Carte menzione Glandatici^ ner-
batici , Efcatici Ù'c. cioè di un Cenfo , e non di un Tributo ,
che fi pagava pel godimento della facoltà di poter pafcere i
Porci nelle Selve del Fifco chiamate Pubbliche . Nel Capito-
lare di Sicardo Principe di Benevento , rapportato da Camillo
Pellegrini, ilCap. XXIX. è intitolato : Ut -non tollatur a Ter-
tiatoribus Excufaticum & Porcos . Penfano alcuni , che quivi
s'abbia a. ìcggQYQ Excujfaticum ^ Siìtn Exclufaticum : conietture
infulfiftenti . Vi fi dee riporre Efcaticum forfè ob Porcos . Per-
ciocché fi ufava Efca anticamente per fignificar la Ghianda ,
o fia il cibo de' Porci . In uno Strumento della Cronica del Vol-
turno , fpettante all'Anno pyi. fi legge : ^i vero porcos ha-
huerint , ex eis dent Efcaticum de undecim porcos unum . Da
quello Cenfo per poter pafcere i maiali ne' bofchi Regj furono
efentati i Monaci di Farfa da Lodovico Pio Augufto , come
s'ha dalla Cronica di quel Moniftero , dicendo lo Storico: Om-
elìa ammalia hujus Moriaflerii in jinibus Ducatus Spoletani per
pafcua Publica omni tempore pabulare debeant vel nutriri fine
Datico , Herbatico , Efcatico , vel Glandatico . Cosi da un Di-
ploma di Ottone il Grande in favore di que' Monaci , è con-
ceduta il i^s pabulandi fine omni Datione ( ora Dazio ) Ca-
ftaldatico ( regalo , che efigevano i Gaftaldi Regj ) Efcatico y
Erbatico^ Glandatico: nomi diverfi per fignificar lo lìelfo.
Parimente abbiamo un Privilegio conceduto nell'Anno ppS.
&d Antonino Vefcovo di Piltoia da Ottone III. Imperadore ,
Tomo L E e in
2i8 Dissertazione
in cui è ordinato , che niuno fupra Terram ejusdem Eccleftce ve-
ftàent'ihus Fodrum , au( Toloncum , 'uel Ripat'icum , njel Alpati-
cum tollera prcefumat. La voce Alpapìcum probabilmente figni-
fìcò il Genio, che fi pagava alla Regia Camera per poter pa-
Icolare le pecore nell'Alpi. Terratico anche appellato il Gen-
io, che ripagava da' Villani coltivanti le terre altrui, con da-
re per elempio tante (laia di grano , miglio , orzo ec. Alle
volte nondimeno fi Icorge effere flato in qualche Luogo una
forta di pubblico Tributo . Gome atteda Falcone Beneventano
all'Anno 1137. Ruggieri Gonte di Ariano promiie di non efi-
gere in avvenire da 1 Beneventani de ctmH'ts eorum hereditati-
bus fidantìas ^ angaì'tas ^ Terrat'tcum , olinjas , 'v'tnum , falutss ,
nec v.llam Dationcm jcilicet de Vme'ts , terrts afpr'ts , Jìlvis , ca-
Jìnneth^ & Ecclejìis , Et lìberam facultatem tribuit in bere dì-
tat'tbus Beneventanorum 'venandì ^ aucupand't &c. Mira quante
maniere aveva coftui di pelare i Ridditi fuoi. Sotto i Re Lon-
gobardi e Franchi non appariice, che i Popoli rifen ti fiero tan-
ta quantità di aggravj . Se vi foffero (lati, ne i Privilegj da lo-
ro conceduti, ne apparirebbe qualche veftigio . Ma perciocché
il Mondo va inclinando al peggio , andarono creicendo anche
in Italia i pubblici pefi . Gita il fuddetto Falcone un Privilegio
conceduto nel 11 37. dal Re Ruggieri al Popolo di Benevento,
con rilafciare ad efii F'idanttas , videlket de?7ariorum reditus
(forfè aggravio importo [opra i Danari dati ad ufura) Salu-
fesy angariasi Terrattcum ^ Hcrbattcum ^ Carnaticum ^ Kaleìjda-
tìcum^ njinum^ olìnjas^ rele'uum &€. Gosi nell' Anno io2(?. Cor-
rado L Augufto , come s' ha dal Torno V. delf Italia facra ,
conferma al Vefcovo di Emora , oggid'i Città nuova , Villana
SanHi Lnurentii cum Plncitis^ Ù' DiJìriBibus^ Colleclis^ ÌT An-
gariis , Foro , Suffragio , Herbatico , Efcatico , omnibusque publi-
cis fruBuationibus ( s'ha probabilmente òa^ìcggere fu?2Óiionibus )
& pertinentiis. In un Privilegio di Federigo I. Augnilo fi vede,
che gh Arimanni o fia Milites , cioè i Nobili , pagavano la
quarta delle loro Terre . Il Plateatico ^ che fi truova in alcuni
Documenti era un Tributo pagabile da chi volea vendere in
Piazza , ancorché tal voce ioffe poi trasferita ad altre fpecie
di Tributi . Odafi quali aggravj avellerò quei della Terra di
Ninfa, oggidì Santa Ninfa ^ lungi da Roma alquante migUa,
circa l'Anno II 08. come s'ha dal Codice MSto di Cencio Ca-
merario . Cioè doveano elfi fare Hojìem &' Pnrhmentum , cum
Cu-
D E e I M A N O N A . lIp
Curia praicepertP . Seynjitium^ quod nffuetì junt facere ^ (yPla-
àtum ," & Bannum factant Beato Petro & Papis . ^artam ,
quam recìdere debent , deinceps reddant ad menjuram Romani
mod'ti ; & fi Mtnifler praecìpn ^ conducant eam ujqueTìherìam^
vel C'tjìcrnam . Glandaticum folvant in fejìo Sanali Martini :
Bradonss bonos bonos in feJìo S. Tboyn^s , De carico uniuscujusque
Sandali folvant denarios fex , Fidantiam in unoquoque anno .
In menfe Madio Libras triginta de Papi a bonorum , Platiaticum^
quod estranei di,'bent folvere Curile , Jolvatur . Foderum^ quod
dc'buerant Domno Papce uno die , dent duobus &c. Meglio anco-
ra s'intenderà ciò , che fofTe il Plateatico da una Donazione
fatta neir Anno 1058. da Gifolfo II. Principe di Salerno ad
Alfano I. Arcivefcovo di quella Citta. Gli concede di poter te-
nere in ipfa Platea plancas , & fecus eas ponere faciatis , &
habere quantas volueritis , Ò' in ea ligamina vigere , & habe-
ve ^ & fuper eas edifìci a quali ter volueritis &c. & Car?ies ^ &
alia mercimonia in eis mercimoniare ^ & vendere^ & emere &c,
ncque Portaticum , feu Plateaticum in hac nojìra Civitate &
foris per totum nojìrum Principatum Salerni hominesueflri de}ìt *
Sed omne Tributum , & Ce}ìfum , Ò^ Servitium , Portaticum , &
Plateaticum , & Penjtonem , quod per anrium pars ipfius noftrì
Sagri Pai atii illi ^ qui in eis ^ ut diHum ejì ^ mercimoni averint ^
& vendiderint , & emerint , facere & perfolvere debuerint , tibi
tuisqueSucceJforibus facianty & perfolvant . Cosi nell'Anno 1080.
Domnus Marinus SebaJìusDux Amnlphita?2orum coìic e JJìt Sergio &c,
totum Plateaticum de omnibus pifcibus , Ò' feptem loca prò con-
Jìruendis Planchis just a locum , ubi Carnes , & pifces vendunt i?z
Amalfia^ &c.
Veggonsi ancora nominate ne' vecchi Documenti Forfatu-
ra^ che più ufualmente furono Forisfaóìura , cioè le pene pe-
cuniarie 5 che fi pagavano per li delitti criminah al Fifco .
Siccome ancora Scadentice peregrinorum & extraneorum . IlDu-
Cange interpreta Ì2l vocq Excadenti a ^ cos'i: Bona caduca^ qux
in Fifcum cadunt^ feu ex commiffo , feu alia quavis ratione .
Quanto a me credo, fignificar quella voce le Eredita de' Pel-
legrini, e ForeRieri , che mancavano di vita fenza far Tefta-
mento , e fenza Eredi chiamati dalla Legge , le quali erano
prefe dal Fifco. Nella Cronica del Moniftero Beneventano pref-
fo rUghelli Tom. Vili, fi truovano varj efempli di Beni oc-
cupati dal Fifco , perchè i poffeffori foreftieri non aveano con
E e 2 atto
2 20 Dissertazione
atto legittimo nominato Erede alcuno . Si fa ben peggio in'
alcuni paefi oggicFi, ne' quali i Foreftieri non fono a mmefTì al-
le Eredita, benché Agnati o Cognati , e benché chiamati ne'
Teftamenti; e tutto lei divora il Fifco. InSutri nell'An. 1220.
fu ordinato , che non valefle l'ultima difpofizione de' Pellegri-
ni, fé non v'interveniva il Prete col Gaflaldo della Curia, o
pure con due VaiTalli della Chiefa Romana . Ma fopra modo
crudel confuetudine e barbara Legge era ne' pafTati Secoli quel-
la, che il r ileo occupava i beni di coloro, che aveano fatto
naufragio . Lngan o Laga?ìum fi appellava quella iniquiffima
ufanza, alla qual voce è da vedere il Du-Cange, che erudi-
tamente fa vedere , quefla elTere ftata in ufo anche prefTo i
Greci e Romani antichi, e familiare preffo quafi tutte l'altre
Nazioni. Ne truovo anch'io efempj in Italia , ancorché qui
fi procedelle con minor rigore che altrove. In una Donazio-
ne delia Citta diGaudia, fatta neli' Anno 1045. al Moniliero
di Tremiti da TefTelpardo Conte di Larino , fi leggono le fe-
guenti parole : Etft naufragìum patiatur qualìbet navìs in ip^
fo mm'e^ quantum pevùnst hi 77oJìrds ojfertionis , obl'tgo me ego
TaJJ^elgiirdus , ut nullam exìnde tollam , feci tuce ftt potè flati ,
tuisque fuccejforihus^ Itberos eos dimittere absque omni Idjione^
Ne gli antichi Annali di Genova da me dati alla luce nel To-
mo VI. Rer.Ital. all'Anno 1270. circa dieci mila Genovefi con
potente Flotta andarono in ajuto del Santo Re di Francia Lo-
dovico all'imprefa di Tunefi . Nel ritorno furono da fiera rem-
pefta fpinte in Sicilia, e fracaffate le loro Navi, e gran copia
d'uomini vi peri . Porro Re>i Carolus (Fratello del Santo Re ,
e Compagno in quella fpedizione ) naufragio affliBis affli^io^
nem accumulans extorfit ab omnibus quidquid ex diHo naufra-
^Jo extitit recuperatum , pofl triduum dicens , quod ex Regis
Guillelmi Conflitutione , & longa co?2fuetudine hoc dcbebat Juis
fcriniis applicari ; defenjiones Januenfium allegantium conven-
tionem cum ipfo initam ^ per quam fani^ & 7iaufragi in perfo-
?ìis Ù' rebus , & fecuri in foto Regno haberi debebant , penitus
non admittens. Dimenticò ben queflo Re d'efìere Criftiano, e
peggio che i Turchi operò contra de' Genovefi Collegati. Cosi
inumana confuetudine talmente fu defedata dipoi da i Somma
Pontefici, e da'Concilj, che fulminata da piìi Scomuniche,
e polla nel ruolo de i delitti condennati nella Bolla CQ?;/^Da-
mini^ finalmente è ceffata ne'paefi CiUtolici.
Ma
e)
D E e 1 M A N O N A . 221
Ma ritornando alle Rendite, che una volta giuftamente ri-
cavavano i Principi, noi troviamo in uno Strumento del iipS.
che il Popolo di Rieti promiftt de cererò reddere Domipio Papce
(^ Ecclefic^ Roman(je medietatem de Plachisi &Ban?2is^ & Fo-
risfaBìs , & de Sanguine , & de Fla'2^ , & Scorto , & P^Jfa-
aio , & Ponte Rentinae Civitatìs . Col nome di Pnff aggio non
so le fofle d¬ato iltranfito delle merci, o pur qualcheGa-
bella impolla per le fpedizioni de Crilìiani in Terra Santa .
E* ivi anche parlato de Pln-z^ : lo credo Plateatkum^ di cui
s'è parlato dilbpra. Vegniamo ora a quei, che anticamente
erano chiamati VeHìgalìa^ Portoria^ e in altre guife, che og-
oidi portano il nome ài Pedaggi^ Gabelle^ J^^xJ -> ^c. Furo-
no anche anticamente di varie fpecie, e pare che Teloneum
folle voce generale, che fignificafte il VeBtgalia de' Latini, e
le Gabelle fra noi . La voce Pedagìuìn , ulata da gli antichi ,
fignificava il Tributo , che fi pagava da i Palfaggieri a qual-
che Ponte , Fiume, o Via pubblica; ma propriamente Pc?/?/^-
t'tcum ai Ponti, Portaticum alle Porte fi appellava. Truovafi
Pedattcum^ ed è lo fteffo che Pedagio. Nella Vita di San Gre-
gorio VIL Papa preffo il Cardinale di Aragona e Icritto óì
Cencio Romano : H'ic fupra Pontcm SanBì Petri co?ìJlruxerap
exceljam Turrtm , Ò^ a tra7ìfeu7Jttbus de novo Pedattcum esìge-
bat . In un Diploma di Ottone IL Augufto dell'Anno ^83.
in favore del Moniftero del Volturno , leggiamo : Neque Pia-
ciattcum ( per la Piazza ) Portaticum ( per le Porte ) Pomati-
cum ( per li Ponti ) Cafaticum ( per le Cafe ) cjuisqua-m homo^
aut publica rei exa^ìor tollere aut esigere pr^efumarit . Strani
nomi Ibn quelli , che fi truoyano ne i L>iplomi de i Re , ed
Augudi Franchi dati in Francia, come Rotaticum^ Pulverati-
cum , Cefpitaticum , Eclufaticum , Nautaticum , Roliaticum ,
Modiaticum ^ Viaticum^ Salutaticum^ Tranaticurn ^ Cocnaticum^
Foraticum^ Mutaticum^ Laudaticum ^ ed altri fimili aggravj ,
ch'io tralaf:io , perchè non li truovo nelle Memorie d'Italia,
la quale verifimilmente era meglio trattata, che la Francia ,
da que' Monarchi , ed anche da i precedenti Re Longobardi ,
S'incontra bens'i Pafcuarium ^ Dazio da pagarfi al Filco , ma
quello non fembra diverfo da Efcaticum^ o ^uvq Herbaticum da
noi già veduti. Bravi ancora Agrarium tributo o Cenfo importo
a i Pallori, che menavano al palcolo le lor Pecore per i poderi
Regali. Con fuo Decreto Carlomanno Re de' Franchi, Fratello
di
222 Dissertazione
di Carlo Magno nell' Anno yóS. o yóp. ordina a i Miniftri
Regi di non far pagare Gabella o Dazio alcuno a gli Uomini
del Moniftero della Novalefa . Nullo ^ dice, Teloneo^ necPon-
tatko , ffve Portatico , aut quod in Saumas ( le fome ) 'vel in
dorja comportare v'tdsntur^ requircre nec exaól/tre non fnciatìs ;
Tiec de ecrum evi bus prò Pafcuis difcurrentibus Pontatito ^ nec Agra-
rio ììon exaEletts &€,
Per le Barche o Navi fi pagava Kipaticum , PalifiBura ,
Tranjìtura^ o fia Trajìura^ Portonaticum, Vi fono altri nomi,
probabilmente fignifìcanti lo fteffo , come Navium ligatura .
Tali Gabelle fi pagavano da i Nocchieri , e padroni di Barche
in certi Luoghi , per dove paffavano, o dove fi fermavano con
legar effe Barche a i pali . In un Diploma di Berengario I. Re
d'Italia, dato in favore di Rigoldo Vefcovo di Ceneda , non
gik nell'Anno pc?5. come ha i'Ughelli nel Tomo V. dell'Ita-
lia Sacra , ma bensì nel 906, vediamo donato Portum in flit' ,
vio Liquentia , & de ambabus partibus ripa: per quindecim pe- '^
des palis JìHarum ( leggi PalifiBurnm ) ILipaticum , Teloneum
&c. Del Ripatico s'ha menzione m un altro Privilegio , con-
ceduto da Carlo M. a i Monaci di Santa Maria all' Organo di
Verona, rapportato poco correttamente dal prefato Ughelli,
dove fon quelle parole : Neque Navalia Telonia , quce Ripati-
cos vocant , atque terrejìria , neque in tranfitibus Portarum ,
vel Pontis Urbis Verotzce (^c. perjolvere cogantur . Confervafi nel
Vefcovato di Cremona l'infigne Regiftro di tutti i Privilegi di
quella Chiefa , raccolti nel 1220. da Sicardo celebre Velcovo
della fieffa Citta . Da efìb tra^j io la taffa di quello, che do-
veano pagare in varj fiti i Comacchiefi nel condurre il loro
Sale per li Fiumi della Lombardia. Il Decreto fu fatto dal Re
Liutprando nell'Anno 715. o pure 730. e queflo venne confer-
mato da Carlo Magno neii' Anno yoy. Cioè doveano pagare
Ripaticum Porto Mantuano , Campo Marcio , Porto Brixiano ,
Porto qui vocatur Cremona , Porto Parmifnìio , Porto qui dicttur
Addua^ Porto qui dicitur Lambro ^ & Piacenti a , A tutti quelli
fiti, appellati Porti , pagavano i Comacchiefi il Dazio ivi prc-
fcritto , e di quello Decreto è fatta menzione in un Diploma
di Lodovico IL Auguflo dell'Armo 850. preiTo I'Ughelli , e in
altri da me rapportati, da^quali rifulta, che i Veicovi di Cre-
mona erano Padroni di quel Porto . Viene anche menzionata
nelle antiche Carte Curatura , cioè una Gabella , che fi ricava-
va
Deci m a n o n a . 22j
va cici i Mercati . In un Diploma di Berengario I. conceduto a
Giovanni Vefcovo di Cremona, e pubblicato dal luddettoUghel-
11 , è fcritto curatam puhlicitcr exigere ; ma s'iia da fcrivere
Curaturam publiciter exigere . Pili lotto ivi fi legge quidquid
Creatura; ^ teloriei ^ aut portatici ; ma vi farà (tato quidquid Cu-
raturd'. Nelle Memorie della Bafilica Ambrofiana illuftrate dal
Puricelli, abbiamo alla pag. 515?. Colonen. quod vulgo Turadia
dicitur^ ftve Portenaticum , Ma probabilmente fi dee ivi ù^ox-
Y^Teloneum^ quod Curadiriy o più tofto Curatuva dicitur . Noh
so dire , (e Portenaticum la Gabella de' Porti ., 0 delle Porte ,
il qual ultimo era chiamato Portaticum . Di quella Curatura
non so fé diverfa dal Teloneo e Ripatico , è parlato in un Pla-
cito Cremonefe dell' Anno 5?p 8. da Ceffone Mefib di Ottone III.
Imperadore. Habemus^ dice ivi Odelrico Vefcovo di quella Cit-
ta, & dctiìiemus a parte ipjitts Epifcopii proprietatem Jìwvio Pa-
di da caput flwuio Addua ufque ad Vulpariolo , feu Ripa juxta
ipfo fiwuio , ?7on longe ad ijìam Civìtatem Cremonae , ubi in ip-
fa Ripa antiquo Mercato ejfe videtur cum Teloneo ^ & Cur atu-
ra , feu Ripaticum de ìpfà Ripa , tam de navis , & omnibus
aliis negotiis &c. Nelf Archivio Eftcnfe abbiamo la Concordia
riabilita nell'Anno 1228. fra il Comune di Ferrara, e molte
Citta d'Italia, intorno ^ì Ripatico da pagarfi nel Po dai Mer-
catanti foreftieri . Ivi fono diverfamente taffati Francigenae ,
Tòeotonici y Januenjes ^ Pifani ^ Piacentini ^ Mediolanenfes ^ Cre-
monenfes^ Parmenjes ^ Bjrgamafchi ^ Regienfes^ Brixienfes ^ Ve-
ronenjes ^ Bononienfes ., Imole7ifes ^ Faventini ^ Ariminenfes -^ to-
ta Tujcana^ tota Marciai a Ancon<ff ^ tota Apuli a ^ Veneti^ Roma-
ni . Per quefto Ripatico era ftata controverfia fra i Modene-
fi, e Ferrarefi , e fu comporta nell'Anno 11 75?. dove i pri-
mi furono efentaii a Toloneo & Ripatico Bondeni^ ed obbli-
gati andando a Ferrara di pagare tres Imperiales Communi
Ferraris .
A raccogliere i Tributi , Dazj , e Gabelle erano desinati
Telonearj ^ così chiamati nelle vecchie Memorie . Per vegliare
a queRo Ufizio furono depurati Aóiionarii. Gran rendita dovea
effere quella delle pene pecuniarie , cioè Multa , o Mul6la; ,
che Preda fono anche appellare nelle antiche Leggi , ficcome
Leudis ^ o Leudum fu detta la compofizione preicritta per gli
Omicidj . Imperciocché s'ha da ofiervare ( e fé ne flupira piià
d'uno) quanto fieno diverfi i collumi e le Leggi de'noftri tempi
da
2 2+ Dissertazione
dfi quelli (11' Secoli barbarici . Allora pochi misfatti erano ca-
pitali, cioè puniti colla morte. A riferva de i commefìfi contro
jlRe, .0 contro la Repubblica , che fi chiamano delitti di le-
fa Maefta , le i Servi uccidevano il Padrone , o la Moglie il
Marito : era permelTo il comporre ogni altra iniquità , cioè ri-
fcattarfi e liberarfi con pagare la fomma di danarQ taffata dal-
le Leggi 5 di maniera che chi uccideva un Prete, pagando DC.
Ioidi ; e chi ammazzava un Vefcovo, sborfando DCCCC. fol-
di al Fifco , fé n' andava cantando , affoluto da ogni altro ag-
gravio, come s'ha dalla Legge Longobardica loi. di Carlo M.
e da altre di Lodovico Pio . Perciò 1' uccifore d' una perfona
Nobile, della Moglie innocente, d' uno Sculdafcio , ed Ufizia-
le ec. e parimente un Incendiario, un Ladro , un AfTaffmo da
flrada, erano' ammeffi alla compofizione, e il Fifco occupava
tutti i Beni di chi non pagava. Né quefta ufanza era propria
de' foli Longobardi . Quafi tutti ancora gli altri Popoli Setten-
trionali praticavano lofleflb. Vedi le Leggi Salica, Ripuaria,
Bavarica &c. Anzi anche ne' Secoli pofteriori fi veggono pre-
fcritte pene molto lievi al Furto, ed Omicidio. In una Bolla
di Papa Gregorio IX. dell' Anno 1230. indirizzata a gli Uomi-
ni di Caflello Serrone , fi leggono le feguenti parole : Si ali-
qu'ts coynryiitth Omìcìdium ^ 'vel f^cit alicujus membri hicìjìonem ^
debet folvere Curia XX. folidos Provenienfes . Et ille qui eft fpe-
cialis Dominus ejus^ debep facere itide juflitiam & 'vindiBam *
De fanguine vero debet fol'vere Curice X. folidos . Item fi ali qui s
tommittit Furtum intra Cajìrum de die , debet folvere Curia V.
Jolidos ; fi de fioHe X. folidos . Item fi quis furatur uvas 'vel
confitmilia , debet folvere Curia XII. denarios . Effendo ftate
COSI leggieri uua volta le pene , e cotanto inferociti e turbo-
lenti i Coftumi de gli uomini , fi può ben conietturare , che
frequenti foffero i delitti, con ingraflarfi poi delle fpoglie de'
rei il Regio Fifco, e maflìmamente fé fi trattava di ribellio-
ne. Con fuo Diploma Arrigo I. tra gì' Imperadori nell'Anno
1016. donò a Richilda Conteffa medietatem CurtisTrecentula ^
cum ììiedietate Caftelli , & Capella , & Campi Ducis &c. fitcut
a Berengario , & Hugone filiis Sigefredi Comi ti s , nojìro Imperio
rebellantibus haHenus njifa funr pojjideri . Quefta Richilda fu
poi Moglie di Bonifazio Duca , e Marchele di Tolcana. Co-
si nell'Anno ^do. Berengario IL Re d'Italia donò a Willa Re-
gina fua Moglie Cortem Ubiani , con dire di voler noto ad
ognU'
D E e I xM A N O N A . 2 2 ^
ognuno, hunc Koguifi ^ cvijus Jjccc hereditas legalìter vifa fuit ^
. in ììoJÌyÌ fidt'lttatem omntno dectdijfc , quodque ftatum Regni
no/iriy nofirasque Perfonas ^ traviando penttus confenfit in yiibi-
Jii?n redigere^ 7ioflrìsqiie fc copulavìp inimicis &c. Oltre a ciò
pervenivano al Vìko Regale molte Eredita per mancanza di
Eredi. Nella Legge i 58. del Re Rotari è decretato, che fé
alcuno muore laiciando folamente Figlie legittime, e Figli ba-
flardi, ì Parenti projjlmi^ cioè gli Agnati , prenderebbero due
oncie del ài lui affé . Et fi Parentes non fuerint , Curtis Regta
ipfas dtias uncias fiifcipiat. Che le uao moriva /ine /jerediòus^
res ipftus ad Curtsm Regts fcadevano : il che va intefo , pur-
ché egli non aveffe teltato . Gli Eredi legittimi fi computa-
vano nfque ad feptimum gcnìcidum^ o fia grado. Dura anche
oggid'i in molti Luoghi quello colìume o più duro , o più mi-
te fecondo gli Statuti . Guaimario L Principe di Salerno (co-
me coda da un fuo Diploma dell'Anno 88(^. ) donò alla Chiefa
di San Maffinio fondata da Guaiferio Principe fuo Padre in Sa-
lerno, integras res Benennti & Adsmariì Ù'c. eo quod Jine be-
re dibus mortiti Junt ^ (T Sacri noflri Palatii pertinent . E di qui
s'intende , come si fovente gli antichi Re ed Lnperadori do-
naffero alle Chicle tanti poderi e Corti, come cofta dai loro
Diplomi 5 i quali quafi foli fi fono falvati dalle ingiurie del
tempo, e però tuttavia efiflenti ne gli Archivj Sacri. Col no-
me poi di Cor// fignificavano gli antichi l'unione di molti po-
deri, anzi un Caftcllo, dimodoché molte Terre e Caftella de'
noftri tempi erano allora appellate Corti. Ancorché quella ve-
rità fi ricavi da tanti Documenti da me dati alla luce, e mag-
giormente comparifca nel Cap. XL dove s'è trattato de gli
Allodj : pure ne vo' recar qui un efempio . Rodolfo Re d'Ita-
lia nell'Anno ^24. Prid. Idus Novembr. confermò al Regio Mo-
niftero di San Silfo di Piacenza quasdam Curtes^ ^ ardaflallam
videlicet , Lws^riam , Leólora Paludana , Villulde , Piguniarias .
Oggidì Guaftalla è Citta , e Lu:2^7^raj e Pigognaga Terre di
riguardo.
Vengo ora a certi aggravj del Pubblico , appellati Ottera
public a ^ Angari iti ^ P er angari ae ^ FaBiones public^ ^ e firn ili co-
Iciuti, e praticati anche ne' Secoli barbarici. Primieramente
di gran pelo dovette effere quello di tutte le Perfone Libere
atte all'armi, forzate a concorrere all'Armata, e a militare,
qualor veniva voglia o bifogno a i Regnanti di far guerra. Sic-
Tomo L Ff come
Ilo DlSSER TAZIO NE
come vedremo al Gap. XXVI. citf/la MìlÌT^ia , pochi erano efen-
tati dal prendere l'armi, e dall' andare in campagna, con gra-
ve difcapito de' loro interefli . Per chi non andava era deter-
minata la pena, appellata Hm/^//«??ww . La Legge 23. di Carlo
Magno ordina a i Meflì Regj di amodo exa6iare fidelher Heri-
bannum absque ullarum perfonarum grafia , 'uel hlandìtta , jeu
terrore» E che tal pena folte ben dura, fi riconoice, perchè fi.
pagava a proporzione delle facoltà d' ognuno . Chi aveva fei
Libre tn auro , & argento , bruneis^ ( cioè armi ) ferramento ,
pajin'ts^ cahall'ts^ bobus^ 'uaccts^ aut peculìis , dovea pagar tre
Libre, con aggiugnere nondimeno, ita ut uxores aut infantes
7ìon fiant espoliati prò hac re de eorum 'vejiimentis , Da tale
agj^ravio è da credere , che molti cercaffero o comperalTero
l'eienzione . Avea l'Imperadrice Ermingarda, Moglie di Lot-
tario L Auguflo, fondato il Moniftero di San Salvatore in Ali-
na. Ottenne efla dall'Augufto Conforte nell'Anno 848. ai due
Avvocati , a i due Cancellieri , & duodecim Ltberis homìnibus
d'elfo Monidero om?ìem exercitalem expeditionem^ feu publica-
rum rerum funólionem , quatinus deiticeps immunes exercitali ex-
pedi tione &c, Aggiungafi ora Heribergum , onde è nata la vo-
ce Italiana Albergo^ cioè l'obbligo di dare ofpizio a tutti i Mi-
niftri Regj e della Giuflizia , o pure a i foldati, quando lo ri-
chiedeva l'occafione . Aggravio pur troppo conofciuto anche
a' di noftri . Albergaria fi chiamava una volta . Chi ricufava
l'Albergo, cadeva in pena, cioè dovea pagare YHeribafmum.
Nella Legge Longobardica 128. di Carlo M. viene, ut ?ìec prò
Vsfaita &c, nec prò Heribergce , ?ìec prò alio banno , Heribannum
Comes exaclare prcejumat , nifi Mijfus ìiojìer prius ad partem
noftram Heribannum recipiat . Erano chiamate Parattca e Pa"
rata: ^ Manjionatica & Manjiones ^ opure Eveólio^ le Ipefe, che
fi faceano per ricevere il Re , e i luoi Metfi , ed altri Mini-
ftri. La prima parola indica l'ordine inviato di preparar l'al-
loggio ; e l'altra l'Alloggio fteffo intitolato M^^//?o. Fu anche
in ufo nel fignificato medefimo Hofpitatio . Preffo i Romani
( giacché antichidimo è queft' ufo ) (ì chiamava Metatum , e
Statava . Allorché venivano i Mefli Regj , per fare giuftizìa
nelle Citta o nel Contado , uno dava loro f alloggio ; gli al-
tri Cittadini , o pure abitatori di un Luogo , facevano Conje-
Hum , cioè una Colletta^ taflfando ciafcuno per la fua rata a
proporzion delle facoltà , a fin di pagar quelle fpefe . Intorno
aque-
Decimanona. 227
a quefto abbiamo la Legge 54. di Lodovico Pio Augufto, dove
è detto, che ogniqualvolta i MelTi, fieno Veicovi , Abbati, o
Conti, infra fuam J udì ti ari am 'vel termitium fuerint ^ 7iihil de
aliorum CoìijeHu accipiant . Pojìquam 'vero i?ìde longe recejfe-
rint ( cioè fuori di quel Diftretto o Diocefi ) tu7ìc accipiant ,
fccimdum quod in fua Traóìoria continetur . Fa/p vero nojìri ,
& Mini [ìri alti ^ qui MiJJi junt ^ uhicumque venerint ^ inde Con-
jcBum accipiant . Quella , che qui è chiamata TraBoria , og-
gidì ha il nome dì Patente. Anche prefTo i Romani fi truova
ufata in quefto fignificato Tr^(^(?r/^. In effa era prefcritto tut-
to quel che fi doveva contribuire a i Melfi . Non difpiacerà
a i Lettori di leggere la Formola di tali Trattorie , efibita a
noi da Marcolfo nelLib. L che fembra più torto convenire a'
tempi Carolini, che a i Merovingici . Eccola. IlleRex (N.N.)
omnibus agetitibus . Dum & nos in Dei nomine Apoftolico viro ilio
{N.N.) ne e non & Inluftre viro ilio ( iV. A/". ) perchè fi fole vano
inviare due Melfi, funo Ecclefiaftico, e f altro Secolare) par-
tibus Legationis caufa direximus : ideo jubemus , ut locis conve-
nie?ìtibus , eisdem a vobis Eveólio Jìmul & humanitas minijìre-
tur . Hoc eJìVeredos fiveParaveredos tantos ; Pane nitida modios
tantos ; Vino modios tantosj Cervifa &c, lardo &c. Carne ^ Por-
C05, porcellosy vervices ^ agncllos^ aucas ^ fajìanos^ pullos^ ova^
oleoj garo^ mei le ^ aceto ^ camino ^ pi pere ^ (^ojìoy gariofìle ^ fpi-
cOj cinamo^ granomajiice^ daólilas^ pìjìacias , amandolas ^ Ce-
reos libralesy cafeo ^ falis^ olerà ^ legumi na • Ugna Carra tanta ;
faculas tantas ; itemque vi&um ad caballos eorum , foeno Carra
tanta ^ juffuro modios tantos. Hccc omnia diebus fingulis tam ad
ambulandum , quam ad nos in Dei ìiomine revertendo , unusquis-
que vejìrum per loca conjuetudinaria eisdem miniflrare , Ù' adim-
plere procuretis : quali ter nec moram habeant ^ nec in/uri am per-
ferant , fi grati am noftram optatis h abere .
Non fi figuri alcuno, che tutte quelle fpecie fi contribuiffe-
ro a i Melfi . Marcolfo le annovera tutte ; ma i Re ne deter-
minavano quel che era conveniente al loro bifogno e Dignità .
Dilfi io bene, che tale fpedizione di Miniftri [traordinarj tor-
nava in vantaggio de' Popoli per l'amminiflrazion della Giu-
ftizia ; ma riufciva ben loro pcfante a cagion delle fpefe ; e
però non mancava , chi talvolta ricalcitrava di pagare e fom-
minidrar quanto era prefcritto . "Fu perciò obbligato Lodovico
Pio a far la feguente Legge 24. fra le fue : Si quis Literas no-
F f 2 Jlras
228 Dissertazione
Jlras dcfpeser'tP ^ tdefl TraHorias^ quas propter Mìjfoi tiojlros veci'
piendos dingimus , aiit Honorem , quem hahet ( cioè il Benefìzio
o Miniftero ) am'tttat ; aut in eo loco , ubi pnediólos Mijfos reci-
pere debuitj tamdm [edeat ^ & de fuis^ rebus Legatos illuc venien-
tes fufcipiat ^ qucufque anìmum noftrum [aùsfaHum hnbeat . Ma
i Vefcovi ed Abbati', che fapevano il lor conto, non trafcura-
vano mezzi per eiTe re efentati dal pefo fuddetto, cioè a Man-
Jionìbus & Paratk, In un Privilegio conceduto da Lodovico IL
Imperadore a Rovigo Veicovo di Padova nell' Anno 855. è
fatto comando, che niuno ^ut freda ex'tgenda^ auf Manjìonesy
*vel Paratas faciendas &c. exigere, Qiielto Diploma ferve a cor-
reggere qualche errore preio dall' Ughelli nella lerie de' Ve-
fcovi Padovani . Cosi in un Diploma di Ugo e Lottarlo Regi
d'Italia nell' Anno P31. dato in favore delle Sacre Vergini del-
la Porteria di Pavia , fi legge vietato a i pubblici Miniftri d'in-
quietare quel Moniftero , 'vel loca ad caufas audiendas , freda
exige-nda , aup tributa , aut Manjtonat'tcum faciendurn , vel Pa-
ratas faciendas &c, E la Con telfa Matilda, come apparilce da
un fuo Strumento, nell'Anno 11 07. concedette a Dodone Ve-
fcovo di Modena, che ììcque per [g ^ ìieque per ali quem ab ea
mijfum^ Albergarias inferret a gli abitanti nella Corte di Mai-
fa . Poco fa è firata fatta menzione de' Veredi e Paraveredi »
Ancor quefto fu uno de' pubblici aggravj . Cioè erano tenuti
gli uomini delle Provincie iomminiQrar cavalli tanto da caval-
care , che da foma per condurre le bagaghe , allorché il Re ,
e la fua Corte, eiMefliRegj, o Conti, od altri pubbhci Mi-
niftri panavano per paeie . Lodovico IL Auguflo ne gli ordini
dati a i Melfi, vuole che s'informino : Ubi quum iter dt^ave^
rit ^ Dominus Imperator recipi debeat per Jìngula Mi/i'tjieria'i Ubp
ab eo direni Legati . Unde eis amyniniflrentur obfequia ( cioè le-
fpeie ) . Unde Par avere da; . Di quefto aggravio fpello fi parla
ne' Capitolari de i Re Franchi . Nell'Anno 835. omnes Presbi-
teri & Parochi Cremonenfis ^ tam de Plebibus ^ (cioè i Parrochi
Piovani ) quamque & de Oraculisy ( cioè degli Qratorj, e del-
le Chicle non Battefimali ) fecero ricorfo a Lottarlo I. Impera-
dore, laraentandofi , quod Parafreda ^ & Carra ad nojìram Ca-
meram deportandam injujìe dedijfent . Fu ventilata la lor que-
rela, ed elfo Imperadore dichiarò, ch'elfi non erano tenuti a
quell'aggravio; aggravio, diffi, praticato anche fotto gli an-
tichi Imperadori, e in maniera ben piìi afpra . Chiamavafi al-
lora
Decimanona. 2lp
\ox:^.CiirfusVehkulnrius^ e da altri fu appellato F//c/7//i , o^w-
rePtiblicus^ cioè erano difpofli ad ogni determinato fito di al-
quante miglia Cavalli e Carrette , per portare con diligenza
le Lettere del Principe, e condurre follecitamente i Miniftri ed
Uomini della Corte . Aurelio Vittore cos\ parla di Traiano :
Nofcr/idis ocius , quce e Kepuhbl'ica gerebanpur^ admota -media pu-
blici curfiis . Di quella Angaria è fatta più volte menzione ne'
Codici di Teodofio e Giufiiniano , ed era lo fteffo, che la Po-
Jìa oggidì, fé non che toccava allora al paefe di fomminiflra-
re e mantenere i Cavalli e le Carrette . Alcuni buoni Impera-
dori, ne sgravarono il Pubblico, appoggiandone la cura al Fi-
ico. Sotto i Re Goti, Longobardi, e Franchi durò queft'ulo,
e alle fpefe de' Sudditi . Non era permefTo ne gli antichi tem-
pi, come oggidì fi pratica, alle perfone private di fervirfi del-
la diligenza Veh'iculartt curfus^ o fia della Pofta, fé non per An-
golare Privilegio, e conceflione del Principe . V'ha una Legge
di Onorio Augufto con quelle parole : Ne qu'ts fibi deincepsCur-
fum publìcitm prìvatus ufurpet , 7JtJi quum aut a nobìs enjocatur ,
aut a Clementine 'nojìroi vcneratìo?ìe d'ijcedit. Ne qui fi fermava
l'Angheria. Conveniva anche tener Barche pronte, chiamate
Dromones y e Naves curforice^ delle quali fa menzione Apollina-
re Sidonio neir Epift. V. a fin di condurre per Fiumi e Laghi
i Corrieri, Cortigiani, e Magiftrati Regj . LJlpiano nella /. F/-
dekomm'tjfum ff, dejuditiìs chiama quelli ìnexci^fabilia onera.
E nelle Formole del Lindenbrogio Cap. 12. è conceduta ad un
Vefcovo l'elenzione a Narvali , ^el Carrali Eveólione : legno ,
che anche ne' Secoli barbarici il Pubblico ne era gravato.
U N altro aggravio era allora Fodnim , o Foderum , cioè
l'obbligo di alimentare i Soldati, e fin lo fteflb Imperadore, e
tutta la fua Corte in pafiando pel Paefe . Nella Vita del buon
Imperadore Lodovico Pio fi legge : Inhìbuk a plebeits uherius
annonas mtl'ttares , quas vulgo Foderum vocant , dar't . Abbrac-
ciava il Fodro anche Foraggio e Biada per li cavalli . Nella
celebre Pace di Coflanza , nell'Anno 1183. {labilità fra l'Im-
peradore Federigo L e le Citta della Lombardia , egli dice :
Nobis intra'rittbus in Lombardi am , Fodrum coìjfuepum , &' Rega-
le qui folent & debent^ prcejìabunp . Non indarno è. ivi detto qui
folent & debem , porche non pochi v' erano , che fé n' erano
procacciata l'efenzione co i mezzi foliti nel Mondo, con inco-
modo grave de i non privilegiati . E a pagare il Fodro erano
te» a-
2p . Dissertazione
tenuti non r^ieno gli Ecclefiaiìici , che i Secolari . Abbiamo da
Raderico Lib. 2. Gap. 30. de Geft. Frid. efTerfi fra l'altre fue
doglianze lamentato Adriano IV. Papa del fuddetto Imperado-
re, perchè pretendeva il Fodro anche dai Beni proprj del me-
defimo Papa. De Dommicalibus ApofioUcì Fodrum non cjje col"
ligendum , 7ì'ift tempore fufcipìend^ Corona . Strano è bene che
non fi concedefTe ad un Romano Pontefice quell' efenzione ,
che era accordata a tanti Vefcovi ed Abbati . Nel 1014. Ar-
rigo I. fra gli Augufti donò al Moniftero Veronefe di Santa
Maria all' Organo omne Fodrum , & Plachum , reddibicìonem ,
angitrtam , feu quamcumque public am fimBìonem , quam famuli
ejus baBenus noflrcs Keipublicce perfolvere 'v'tjl funt . E Federi-
go II. Imperadore neir Anno 1223. privilegiando il Moniftero
di Santa Maria nel Porto di Ravenna, difle : Ipfa Ecclefta cum
fuis Obedienttts ab omni tnfejìatione feu moleftia hnmunìs ex't-
Jìens y nec C'tv'ttati , nec alku't Poteflatì CollcHas^ Fodrum ^ Al-
bergarìam perfolvaf &c. Cosi in un aggiuftamento feguito l'An-
no ii5?o. fra i Legati di Arrigo VI. Re de'Romani, e Gerar-
do Vefcovo di Padova, fu conchiulo : Neque de terris^ qucs 'm
Domfi'tcam Epifcopatus evant^ Fodrum prajìare debeat &c. Pare
eziandio , che i Vefcovi elentati raccoglieffero poi effo Fodro
,Ò3i ì Sudditi , e fé l'appropriafìTero . Efifte un Privilegio conce-
duto nell'Anno 1031. da Corrado I. Augufto ad Ubaldo Vefco-
vo di Cremona, dove fon quefte parole : Alias conjuetudines ^
quas fui Antecejfores ad illam poteflatem peritnentes , Ù* Anga^
rtas quondam habuerunt , Ò' Fotrum de ipfa Civitate , quod ad
nofìrum fervitium colligi ufus fuit , & porcos Arimannorum , Ò*
Albergar las &c. exlgant , Era poi talfato quanto ogni Citta e
Cartello dovea pagare per effo Fodro . Arrigo IV. Re di Ger-
mania ed Italia nel lo/p. confermando tutti i Beni e Privile-
gj al Vefcovo di Padova, fra l'altre cofe annovera ancor que-
lla : Infuper feptem Llbras monetoe Vcnetiarum , quas iìi nofìro
adventu in Regnum Italuum Sacenfes U7ia caufa , quia Epifco-
pus Paduce efì Comes Sacenfis , Ò' Prcvcepto Patris nofìri dicunt
fé 7ìobis debere,
NiuN tempo c'è flato efente da aggravj, e pare che que-
fti andando innanzi fempre più crefcefìero . Ogni età conobbe
\q Angari e y Q Perangarle^ ficcome ancora \c Collette ^ chiama-
te ancora Collatce , e in un Editto di Teoderico Re de i Goti
Collationes , che oggidì portano il nome di Colte . Antico è
pari-
Decimanona. 2n
parimente il nome (liD/7:^'o, truovandofi nelle vecchie Carte
Data^ Datia^ Dadea^ t Dariones , Anzi v'erano tributi ed ag-
gravj, de'quali troviamo il nome fenza fapere ciò, che fiani-
ficaffero . In un Diploma di Adelgilo Re de' Longobardi dell'
Anno 773. ( fé pure è Documento ficuro ) rapportato nel Bol-
lano Cafinenle Tom. 2. Conflit. 20. fi legge : Concedimus per
ipfa Monajìeria omnes Scufias publicas^ & Angarias^ atque Ope-
rasi & Dattones^ vel Collc6las^ feu Teloneo^ & S'dìquatico de
ftngulas Mercaturas & Portoras &c. Che razza di aggravio fof-
fero \q Sciifie ^ non ho chi meloinfegni. Abbiamo anche un
Diploma di Arrigo II. fra gl'Imperadori , con cui neh' Anno
1055. conferma i lor Beni a i Canonici di Cremona, cum dì-
Jìr'tHu , cum porcis & njervecibus , cum Operibus , & omtììbui
Scuffiis . Offervifi poi quali Regalie e tributi pretendefTe Fe-
derigo I. Imperadore dal Popolo di Crema perl'Ifola di Ful-
cherio nell'Anno ii88. In hts locìs (così ha il Decreto con-
fervato nell'Archivio della Citta di Cremona ) habuit & tenmt
Dommus Imperator per Juos med'ietatem totius Vini ( veggafl che
eiorbitante Tributo ) & de terris Militum quartum ; de ceferis
*vero tertium ; & plenam jurisdi6iionem , honorem plenum , & di-
JìriHum : fcilicet Fodrum , Banna , Erbaticum , Efcaticum , T en-
fasi MalgaSy Cajcias^ Pijcationes^ Venationes^ Silvas om?iesÒ'c,
Non faprei dire, cola foffero \q Malghe. Per conto delle T^«-
fe pare lo {\qRo che le Tajfe . Nella Storia Veneta del Sanuto
fono mentovate ÌQTanfe de' Notai ^ leTaìife de Giudici . Ma
in uno Strumento del Comune di Modena dell'Anno 1281. fi
legge : Commune Finalis Mutinenjts debeat dare prò eorum ( cioè
de' Mercatanti Lucchefi ) fecuritate Ta7ifam a Finali uJqueBon-
denum cum hominibus armatis . Qui fembra un2i Scorta, Preflb
rUghelli ne' Velcovi Salernitani fi truova Audieyitia per una
fpecie di tributo . E ne' Vefcovi di Canne fine calzao ( forfè
calcario ) & ajjp datura^ & omni jure tributario . Non so dire,
fé fignificaffe tributo pel diritto di far calce . Ne' Vefcovi di
Caferta è parlato de Calcariis terrarum . E nel Capitolare di
Sicardo Principe di Benevento è comandato. Ut nulla fjova con-
juetudo imponatur , excepta antiqua , hoc eft KefpotìJ aticum , &
Angarias^ & Cale ari as , In uno Strumento di Verona dell'An-
no II 40. dato alla luce dal Campagnola, fta fcritto : Commu-
ne de Soavo vemifit omnia fervida , fcilicet Plobegum , ù' Da-
ciam^ & Waitas , Il nome di W aita fignifìca il fare lamenti'
nella
232 Dissertazione
nella o ila la Guardia . Il Ferrari nelle Orig. Ita!, credette ,
-che la voce Aguato veniffe dai Latino Accubu- atus ; e il Mena-
gio deriva la parola Guatare dal Latino barbaro cattare , ed
Aguato da. Guatare. All'incontro il Ferrari lìvà Gualcare divi-
dere ^ Vifttare . Tutti logni . Chiara cola è , che Aguato viene
dal Tedeico Waìta , che noi , fecondo 1' ufo di mutare il W
in GV diciamo Guaita . Stare ad Guaitam dilTero i vecchi ; e
in Italiano ftare a Guato . E di qua venne Aguato , e Guatare .
I Francefi dicono Guet , ejìre au Guet . Per la voce Veronefe
Flobsgum è da vedere, fé mai fignificaffe l'Aratro , che i no-
ilri Contadini tuttavia chiamano Piod ^ o Pioeu . Pflug dicono
iTedefchi; o ^uxq Plough ^ oPlo'W^ altri di que' Popoli. Ro-
berto Guifcardo Duca di Puglia nell'Anno 105^. promife di
pagare alla Chieia Romana prò unoquoque jugo boum penjìonem
duodecim denartorumPapienfis moìietce . Cerchino altri di meglio
indovinare.
Tralascio altre rendite Feudali, che i Marchefi d'Elle nell*
AnnoiipS. ricavavano dall' Ifola d'Ariano, e l'altre, che nel
11^6. appartenevano a i Duchi di Tofcana nel Caftello di Pre-
ceno. Difli parere , che fotto i Re Longobardi e Franchi non
folle in ulo tanta copia ediverfita di aggravj ; ma né pure man-
cavano allora Ufiziali del Principe , che introducevano delle
-cj^ttive ufanze in pregiudizio de' Popoli , e fpezialmente tali
angherie inferivano ai Servi ed Aldioni non lolo de' Secolari,
ma anche de gli Ecclefiaftici, che difperati abbandonavano le
Campagne fuggendoìene altrove. Riferito quello disordine all'
infigne e piiffimo Augufto Carlo Magno , cagion fu , eh' egli
pubblicane la Legge 121. fra le Longobardiche . Audivimus ^
'die' egli , quod Jufjiores ( quei della Famiglia ) Comitum , vel
ali qui Minìfìri Reipublicce , fìve etiam nonnulli fortiores Vajji
Comitum^ aliquam redhibitionem (Contribuzione) velColleóiio-
nem ( oggidì Colta ) quidam per paflum , quidam etiam fine
■pafìo , quajì deprecando , a Populo exigere foleant • Similiter
quoque opera ^ Colleóiiones frugutn y arare ^ fé min are ^ rune are ^
carrucare , vel cetera bis fimilia a Populo per easdem , 'vel alias
machinationes exigere confueverunt ^ ?ìon tantum ab Ecclefiafìicis^
fed a reliquo Populo exigebant . Ordina pertanto , che fieno le-
vati sì fatti abufi . ^ia ^ foggiugne egli , in quibusdam locis
in tantum inde Populus opprejfus ejì , ut multi ferre non valen-
tesj per fugam a Dominis ^ vel a Patronis fuis lapfi [unt , C'^
terrae
D E e I M A N O N A .'' 2 j j
tencs 'fhf(S i?ì fornudi72em redaBcv funt . Leggefi ancora una Let-
tera da efib Augufto icritta al Re d'Italia Pippino iuo Figlio,
incaricandogli di provvedere a quefle ed altre concuITioni fatte
al Popolo da i pubblici Miniftri . Non dovette finire queRa fu-
perchieria e cupidigia, perchè abbiamo la Legge 32. di Lodo-
vico IL Imperadore , dove anch'egli proibifce corali Angherie.
Parimente Guido Imperadore nell'Anno 5?22. nella Legge 3. le
condennò, volendo, che ^ì Ari marmi ^ cioè le Perfone Libere
non paghino , prater quod conjìimtv.m Legthus ejì . Licofifuctjs
cccaftoncs fono appellati quefti aggravj in un Diploma di Cor-
rado IL fra gì' Imperadori dell' Anno 1027. dato in favore
delle Monache di San Salvatore di Lucca . Tolte e mali ufus
fi truovano alle volte appellati fimili aggravj ; e in un fuo Di-
ploma del Secolo IX. Berengario I. Re d'Italia vietò, che nia-
no potcffe efigere dal Moniftero Trevilano de' Santi Pietro e
Teonelio , fuggetto al Veronefe di San Zenone, Umas ^ atqus
Mutasy vel ullas Collc5ias, Del Dazio delle Urne è da vedere
ilDii-Cange. Le Mpife nella Diocefi di Salisburgo fignificava-
no la milura delle cole liquide.
NE'Secoli più baffi, allorché le Citt^a preiero forma di Re-
pubblica, fottomettendo al loro Dominio le varie Terre e Ca-
Iftella, che dianzi non ubbidivano, il coflume era , che obbli-
gavano que' Popoli a pagare la Boa-zia^ cioè un tanto per ogni
paio di Buoi . Kugadicum è appellato quefto Tributo in uno
Strumento della Citta di Tortona dell'Anno 1 183. riferito dall'
Ughelli con quelle parole : Rugadicum ( credo più rodo Buga-
dicum , o Bucadicum ) ejl duo foldi de unoquoque pari Boum .
Della luddetta Boaria è fatta menzione in uno Strumento deli'
Anno 1173. in cui gli uomini della Badia di Frafìinoro fulle
montagne fi fottopongono ai Comune di Modena, prometten-
do ornili Anrìo dare Boatiam IS^utiri'js fex Denarios Lucanos prò
unoquoque pari Boum , Dopo il Mille ancora s'introduffero va-
rj itraordinarj aggravj, a' quali fpezialmentc erano fottopofti i
ValTalli, chicLvmù Auxilia y Dona gratuita ^ ^ Mutua ^ cioè Pre-
ftanze di danaro, che mai più non fi rellituiva. Venendo adun-
que occafion di guerre, o maritandofi il Principe, o accafando
egli le Figlie, o dovendofi conferire a lui , ovvero a i Figli il
cingolo della Milizia, appellata Cavalleria; o fortificar la Cit-
ta o qualche Cartello : Si efigevano Auxilia da tutto il Popolo,
ma più fovente da i Vaflalli, Da i Cortu/i fono menzionati Mu-
To?m L G^ tua^
234* Dissertazione
tua^ &Daciey che affliggevano il Popolo di Padova; eMatteo
Villani fa menzione delle varie Pre/ìajj';^ impofie a i Fiorenti-
ni . Nella Par. I. delle Antich. Eli. ho io ricordato, che il ce-
lebre Roberto Guilcardo Duca di Puglia e Calabria, maritando
nell'Anno lo/d. una ina Figlia ad Ugo Figlio di AzzoII. Mar-
chefe , cioè del Progenitore della Cafa d'Efte , mandò Rega-
li ^ o fia Doni a tutti i fuoi Baroni;
- - La fi qui bus & vir &^ uxor ab ir e
Donati njaleajip : ?iec enim prius Impsriales
Altera cum Proles thalamos Mìchaelis adtjfet ^
^uodlibeP Ai4?àlium ciederant . , . .
Così fcrive Guglielmo Pugliefe nel fuo Poema. Che fé due o
tre volte fi pagava dal Popolo qualche Aiuto o in danari , o
in naturali , fotto nome di Confuetudi?je feguitava poi quefto
pefo . Da tali Confuetudini , che non aveano mai fine , niuna
Citta probabilmente andò efente , e fé ne troverà anche a i
dinoftri. Né tali nomi e pefi furono ignoti agli antichi. Nel-
la Legge 2, Cod. deOffic.Prajf. Prjet. Afr. fi truova Notitia Con-
fuetudinurn , quas in Sacro laterculo Ò' i?ì Pretorio prò tempore
Dux prcsbere debet. Né fu efente una volta da sì fatte Confue-
tudini la Repubblica Ecclefiaftica . Eccone un eiempio in un
Diploma di Lodovico II. Augufto dell'Anno 873. rapportato
dal Puricelli ne'Monum. della Bafil. Ambrof Qj-iivi fi legge :
Nullus Pontifex itllas Pr<^flatÌQnes , lìel annuas Donationes , feit
quasi ibet Angari as , & fuperimpojitas Exaóliones , cantra morem
Canoììicum , Jive Regularem Conjìitutionem fuperimponere aut
exigere audeat. Per tali avanìe fcreditatiifimo fu nel Secolo ftef-
fo IX, Giovanni Arcivefcovo di Ravenna , citato perciò al Con-
cilio Romano , tenuto nell' Anno IV. di Papa Niccolò , e XL
del fuddetto Imperadore . Diceano i querelanti , eumdem Ar-
chiepifcopum per binos annos femel Epifcopia nojlra circuere , &
tamdìu per ftngula rejìdere , quoufque ipfa &c, cum fuis homi-
nibus conjumat ^ & non a?2tea inde recedere , quam ab Epifcopo
loci illius ad Archiepifcopum , Ò' familiares ejus , quce non de-
bentur , dona non modica tribuantur . Infuper omni anno ( quod
in toto mucido minime invenitur ) colonico more , berbices , &
oblatas , 'vìnum , & pullos , & Ova Archiepifcopo , & ad Juum
Archipresbfterum ftmiliter , & ad Archidiaconum , & ad Vicedo-
minum , & ad Arcarium ^ & ad Majorem cubiculi , & ad Cartu-
larium ,
Deci M ANO NA. 2^5
larìum , & adScrtntarium , & ad Defs?2fores , & ad Cuhtculartum ,
Ù' ad Majorem Domus , fribus prò om7i'tbus bis fupradiHis omne
/imiaalifer Jìtie intermìjjione ad unumquemque rcdditum , ftcut
Tributariì facere . Era anche quefto Arciveicovo un pallone
di iiiperbia, e cozzò col Sommo Pontefice, ma in fine egli ne
redo fcornato . Quefte inique ufanze fi chiamavano ancora Oc-
cafiones^ e tal voce s'incontra nelle antiche Memorie . Ballerà
qui la Legj^e 37. di Lodovico Pio Imperadore, dove s'ha : De
hi'jidflts Occafionìbus^ & Confuetudìnìbus iionjtter injì'ttutìs , ficut
Tributa junt ^ Ò'Tolofiea m media vi a ^ ubi nec aqua ^ nec pa-
lus , nec po?2s , ??ec aliquid tale fuerit , unde jujìe Cenfus exigi
pojjit , ut auferafitur &c. E queRo fia detto de i Tributi , ed
Aggravj de' Secoli barbarici , non pretendendo io per quefto
d'averli mentovati tutti ; perciocché quefto è un campo molto
fecondo , e la dilgrazia porta , che introdotto un nuovo Dazio
o Gabella , ha la fortuna di confeguire il privilegio dell' im-
mortalità. Niuno forfè eie de'Popoh, che fentendo i proprj
pefi, non fé ne lagni, ma lenza conoicere quelli ancora d'al-
tri paefi, che talvolta fono molto più grevi . Finirò con dire,
udirfi da noi con orrore i nomi de' Goti , Unni , e Longobar-
di : oh genti nefandiffime, gridava una volta chi non era loro
Suddito. Ma odafi Salviano Lib. V. de Gubern. Dei, dove (cri-
ve 5 eflcre ftati si eforbitanti al fuo tempo gli aggravj de' Po-
poli del Romano Imperio, che ne (lavano fenza paragone me-
glio i Barbari , e i Romani divenuti loro Sudditi non fi cura-
vano di mutar Padrone. Franci hoc fcelus nefciunt . Chuìiìii ah
bis fceleribus immunes funt . Nihil horum ejl apud ^ andalos^
nihil horum apud Gothos . Tarn lorige enim efl , ut hoc inter
Gothos Barbari tolerent , ut ne Romani quidem , qui inter eos
vi'uunt^ ifta patiaritur , Itaque unum illis Komanorum omnium
njotum ejì ^ ne umquam eos necejfe fu in jus tranjire Koma-
norum .
Gg 2 De
2^6
Dissertazione
De gli Atti delle Donne .
DISSERTAZIONE VENTESIMA.
LAmenterebbonsi le Donne, ove nulla dicefii di loro,
né facefli punto conofcere i riti del loro leiTo ne' Secoli
barbarici . Primieramente fi vuole avvertire , che le Fanciulle
a' tempi de' Longobardi nudrivano il crine , né lo toiavano .
"Nelle Leggi del Re Liutprando noi troviamo fovente Filias
in capillo in cafa reliólas . E per atteftato di Paolo Diacono
Lib. V. Gap. 37. De Gefì:. Langobard. il Re Cuniberto, aven-
do intefo lodare Theodotem puellam eleganti corpore , & Jìa-
WS prolixisque capillis pcene ufque ad pedes decoratam , tofla
fé ne invaghì . Le quali parole fembrano indicare , che le
Vergini allora andaifero col crine fciolto fulle fpalle, ma ve-
riiìmiimente con qualche naRro legate nel calare dal capo .
In Milano e Bologna , e fors' anche altrove i Fanciulli e le
Fanciulle fi chiamano Tojt^ T^^fi •> Tofane^ Tofani ^ e Tofet-
te : il che quantunque paia dire il contrario di quello che pra-
ticarono i Longobardi , pure il Ferrari nel Tratt. dell' Orig.
-della Lingua noitra giudicò, che Intonjì ed Intonje de'Longo-
èardi fi fia convertito in quefte altre voci . Che fé non fi to-
favano le Fanciulle , feml3ra che fé ne poiTa inferire , che
quando poi paflavano a Marito , allora fi tagliaflero , o , per
dir meglio, fi accorciaflero la chioma. Il Du-Cange nel Glof-
fario fu d' altro parere alla parola Capilli , fcrivendo : Pro-
■mijfos crines innuptce ferebant , nec eos i?i nodos retorquebant ,
quod nuptarum erat apud Langobardos . Ma quando non fi re-
chino teftimonianze di tal uio , non fiam tenuti a feguitar s'i
fatta opinione ; perciocché non fi diQinguevano le Zitelle dal-
le Maritate , perché le prime portaffero il crine fciolto , e F
altre aggruppato ; ma perchè quelle erano in capillo , e per
conleguente f altre doveano andare in qualche maniera tofa-
te . Preffo gli antichi Franchi , ficcome atteiìa Gregorio Tu-
ronenfe Lib. III. Gap. 18. della Storia, i mafchi portavano
Cisfariem incifam , e i primi Re la lafciavano cader giì^i dalle
fpalle , ma i Re Carohni al pari del Popolo adoperavano un
onefta tofatura de' capelli • oc é da credere , clic le Donne
d'Ita-
Ventesima. 2j7
d' Italia , da che vennero a comandar qui i Franchi , fi acco-
modaflero a i lor codnmi , ed ufafTero treccie e ricci per orna-
mento del capo.
• Uso ancora fu delle Fanciulle il portar Camtcchwle eret-
te alla vita . Paolo Diacono nel compendio di Fefto , fcriffe :
Supperus 'veflimentum puellnruyn lineum , quod & Subucida y
id eft Camifia d'tcttur . Vien derilo Paolo da Giufeppe Scali-
gero con quefte parole : Cami/lam ufurpat Paullus verbum
fuce cctatìs , ac fuorum cUgant'ta d'tgnvim . Troppo è da dire
precipitofa quella fentenza . Vittore Vitenfe nel Libro I. de
Perfecur. Vandalor. tanto prima, cioè nell'Anno 487. conob-
be Camìjìas & Femoralia . Anzi abbiamo da San Girolamo ,
che a' Tuoi tempi era ufatiflima quella voce , feri vendo egli
neir Epift. a Fabiola : Volo prò legenfts facilitate ahut't ferma-
ne vulgato , Solent -milìtantes bah ere lìneas ( cioè vedi di te-
la bianca ) quas Carni fi as njncant^ Jicaptas memhrìsy & adflri-
Has corporibus , ut expedttì Jìnt njel ad cmfum , vel ad pr ce-
lta . Perciò quella voce una volta fignificava non la Camicia
de i noli ri tempi , ma s\ bene una Camicciuola . E veggaG ,
che Y Alba veliimento facro , da noi appellato oggidì Cami-
ce^ da San Gregorio Magno Lib. VI. Epiiì. 27. e da Anaftafio
Bibliotecario nella Vita di Benedetto ìli. fu chiamata Cami-
Jìum e Camifia . I Greci per figniiicare quella , che oggid'i
Camicia fi appella , e fi uia portare fotto tutte le vedi , di-
cevano ììypocamifum ^ cioè Sottocamicia : parola anche ado-
perata dal fuddetto Anaftafio nella Vita di San Giovanni Li-
mofiniere .
Quanto a gli Sponfali , coflume una volta fu , almeno nel
Secolo Nono , che volendo un uomo obbligar la Tua fede di
prendere per Moglie una femmina , le metteva 1' anello in
dito : il che oggi fi ferba per la benedizione del Matrimo-
nio . E quando fi celebrava davanti il Sacerdote elfo Matri-
monio 5 fi ilendeva un Velo benedetto tanto fopra l' uomo ,
che fopra la donna in fegno di verecondia , e della pudici-
zia 5 che aveano da coniervarc . Per chi palla va alle fecon-
de Nozze non fi ufava pia qiiedo Velo . Ci vien quePto Ri-
to infegnato da Papa Niccolò I. nelle Ri polle a i Confulti de
1 Bulgari Capitolo terzo , dove interrogato , qual conluetu-
drae fi avefie da oflervare nelle Nozze , cosi egli rilponde :
ISlofìra-
2j8 Dissertazione
Nojìrates tam mares quam femìnce nullam lìgaturam auream
iiut argo nt Cam ^ aut ey: quolthet metallo compojìtam^ quando Nu^
ptìalia fcedera contrabtmt ^ in capitìbus deferunt. Sed pojì Spon-
falìa , qiitff fitiuraruìn fu?2t Nupftarum promijja feeder a , qudcque
coTìjenfu eovum^ qui Ìmc coiìtrahunt , & eorum y in quorum pò-
teftate flint ^ celehrantur ^ Ò' poftquam arhis Sponjam Jtbi Spon-
fus per digitum fido'i a fé Annido infignitum defpondet^ dotem-
que litrique placitam Sponfiis ei , cum fcripto paHum hoc conti-
nefite^ coram invitatis ab utraque parte tradtderit Ù'c. ambo ad
Nuptialia fonderà perducu-ntur . Et primum quidem in Ucclefict
Domìni cum oblationibus , quas off erre Deo debent per Sacerdo"
tis manum y Jìatinmtur ; ftcque demum Benedi6iionem , & Vela-
-me?! cccìefìe fufcipiunt , Veruni amenVelayyjen illud non fufcipit<^
qui ad fecundas Nuptias migrat . Pofl h<xc autem de Ecclejia
egrejji Coronas in Capite geflant , qu(^ femper in Ecclejta ipfa
folitce funt refervari &c. Antichifilmo era il Rito di dar l'Anel-
lo ne gli Sponfali , e quefto vien chiamato Anulus pronubus da
Tertulliano nel Lib. de Cultu femin. Anche gli antichi Roma-
ni ufavano di dare allora l'Anello. Così da Santo Ambrofio
nel Libro de Virginitate Gap, XV. è mentovato Flammeum nu-
ptiale nuptarum , cioè quei Velo , di cui parla Papa Niccolò .
Lo (ìcfib Santo Arcivelcovo nell'Epifì:. XIX. dice: ^um ip-
fum Conjugium Velamine Sacerdotali , & Benedizione fan^ìiji'
cari oporteat &c, Qiiattro uomini tenevano gii angoli di elTo
Velo, chiamato anche Pallium^ fopra le tefte de' nuovi con-
iugati . In oltre per mano de' Sacerdoti fi mettevano in Capo
ad elTi le Corone , e folevan quefte eiTere rilevata; a guifa ài
torre, e compofte di fiori . QLieflo Rito, come ofiferva il Pa-
Icalio Lib. 2. Gap. i6. de Coronis ^ lo prefero i Crilliani da i
Greci e Romani , e come innocente lo ritennero . Nella fun-
zione ancora del Matrimonio allora fi coflumò, come oggidì,
che l'uomo e la donna fidavano la m.an deftra per fegno del
poffefib, che l'uno prendeva dell'altro, e della fedeltà e con-
cordia, che avea da eiTere fra loro. Fanno di ciò fede Tertul-
liano , e San Gregorio Nazianzeno . Erano poi amendue avvi-
fati di aliene rfi per quel giorno e nciia notte feguente da ogni
commerzio carnale per riverenza al Sacramento. Anzi v'erano
di quelii , che per due o tre giorni fé ne ailenevano : il che
duro parrebbe a gli uomini carnali de' nofiri tempi. Allorché
le nuove maritate erano condotte alia cafa del Marito, con tri-
pudio
Ven TESIMA. 2 j9
pudio e pompa maggiore che oggidì fi facea queflo padaggio .
Nella Legge VI. di Adolfo Re de' Longobardi fon le feguenti
parole : Peì-^entt /rd ??os^ quod dum quidam homines nd fufci-
ptendam Sponfam cujusdnm Sponft cum Paranympha Ò' Tro6Ìi?i.
gis aynbularent , perverji homines aquam [ordidam & Jìevcora
ftiper ipfam ja6iaj]hn &c. A quello delitto s'impone ivi una
grave pena ; perciocché pare, che i Longobardi offervafiero il
coiiume anche oggidì oflervato in Inghilterra , cioè di fare
una Legge nuova , qualora qualche misfatto fi commetteva ,
per cui dianzi non folle ftata determinata la pena . Qjjei ,
che TroHingi fon detti in effa Legge , dalGramatico Papia fon
chiamati /onJ^ror^^., qui faltnrs ?wverurìt. Di coftorò tornerk
occafion di parlare nel Gap. XXIX. degli Spettacoli,
Con che pompa i Re e Principi folennizzafTero le loro Noz-
ze fcicile flirebbe il dimoftrarlo. Qj-ialche cofa ne diremo nel-
lo lleffo Gap. 2^. Anche i privati con funtuofita corrifponden-
ti alle loro forze, e alla lor Dignità faceano rifplendere quella
funzione . Nel Secolo XIV. e nel feguente ufo fu in Lombar-
dia , che ne gli Sponfali o nel Matrimonio de' Nobili un elo-
quente Oratore , alla prefenza de' Parenti e Cittadini amici ,
recitava l'Epitalamio, cioè un'Orazione in lode de gli Spofi ,
e delle lor Gafe illuftri . Grande sfarzo era allora nelle vedi ,
e ne gli addobbi delle Gafe, e ne' conviti per molti giorni. Il
bello era , che i Parenti non andavano efenti da una contri-
buzione; cioè coflume era, che tutti regalaflfero lo Spofo o la
Spola; e quefti regali nelle Nozze mafiìmamente de' Principi
e gran Signori erano magnifici . Ne tratteremo meglio nel Ca-
pir. 2p. Qj.li folamente fi vuole avvertire, che eoceni a Nuptia-
lia furono in ufo anche a' tempi del Re Rotari, e ne reflava
padrone il Marito, tuttoché follerò fatti allaSpofa. Cosi ab-
biamo nella Legge 184. di quel Re Longobardo. Si quando pa-
ter jìHam^ aut frater jororetn fuam alii ad uxorem tradiderit ^ &
aliquis ex Amicis accepto Exenio ipjì Mulieri aliquid dederìt ,
in ipjtus Jìt potejìate qui mundium de e a fecit. Ma allora fi.
dovea camminar con molta moderazione. Perchè dovette an-
dare all'ecceffo quella difpendiofa ufanza, fu poi effa proibita
dallo Statuto di Milano Part. IL Gap. 455. colle feguenti pa-
role : ^um Midier fuerit Sponfa , ^vel Matrimo?iio copulata ,
fiulliis^ excepto Marito njel Sponfo^ debeat eidem muuus nec mu-
nera ojfcrre in publico nec occulto fub poena Ù'c, Che dote ie-
condo
240 Dissertazione
^ -conciò le Leggi Remane (1 doveffe dare alle Donne , s' ha da-
dimandare a'noflrì Giurisconlulti, e vedere i fulTegucnti Stata-
ti delle Citta . Per quei che riguarda i Longobardi, colie Leg-
gi de^quali fin verio il 1200. fi governò la maggior parte d'
Italia, non era determinato quanta aveiTe da edere la Dote.
I Padri alle Figlie, i Fratelli alle Sorelle facevano un Dono o
Regalo , chiamato Phadcrphìum , quafichè in elTo confiftefle
V Eredità paterna : che cosi luona quella parola. E qualunque
fofìfe quefto Pvegaìo, ferviva perle Figlie di lor porzione nelF
Eredita del Padre. Odafi la Legge 181. del Re Rotari . Si
qua?ìdo pater fUtam fuam , aut frater fororem fuam Icgìt't mam alti
marttmn deder'tt ^ in hoc fit ftb't contenta de patris aut fratris jub'
flantia^ quantum ei pater aut frater in- die traditionis nuptiarum
dederit , (T amplius non requirat . Anticamente le Doti delle
Figlie non aicendevano a molto , come anche oggidì fi prati-
ca in Germania . In Italia i facitori de gli Statuti più compaf-
fìone regolarmente ebbero in quefto propofito al feflb femmineo;
ed oggid\ non poche fon le Caie , che rifentono grave inco-
modo dal dovere sboriar tanto di Dote per accalare le lor Fi-
glie : dal che nalce poi un altro diiordine , cioè che per aìle-
gerirfi da quello pelo , le conf^gnano a i Monifterj , e voglia
Dio , che icmpre con vera vocazione delle medefime Fan-
ciulle .
All' incontro coda va allora non poco agli Uomini il pren-
dere Moglie; imperciocché bifo^nava in certa maniera , che
le' compradero: il che per teitimonianza di Tucidide nella Sto-
ria, e di Ariflotele nella Politica, praticavano una volta anche
i Greci . Parimente Tacito nelfOpuic. de Germ. rnorib. fcrive:
Dotem 7ion uxor marito , fed maritus uxori offert . In fatti fuUe
prime doveva il Marito p^lq^slvq Metam ^ oMet/jium ^ oMepbium
( cosi vana fi truova ne gli antichi MSti ) e quefto per otte-
nere, e far fua la Donna . Oltre a ciò foleva coilituire ad efla
il Morgincap , o fia Morgingab , o pure Morgangeba , come fla
parimente icritto ne' vecchi Libri. Dell'una e dell'altra Dona-
zione è fatta menzione nella Legge 45?. Lib. VI. del Re Liut-
prando . Nulli Jìt licentia Conjugi [uce de rebus fuis dare am-
plius per aualecuyjque ins^enium^ nifi quod ei in die njotorum in
Mephio & Morgincas dederit . Spiegiiiamo 1' una e l'altra voce.
R)fletrt."ndo anche i Longobardi, qual (ia l'ordinaria debolezza
dei lefib femminile non meno del corpo , che della mente , e
come
. Ventesima. 241
come lieve la fua fperienza nelle cofe del Mondo , e a quanti
inganni fia elpofia la credulità delle Donne : determinarono ,
che niuna vi fofie delle medefime , che non iftefie fatto la tu-
tela, protezione, e podelia, per così dire , di qualche Uomo :
di maniera che nulli erano tutti i contratti loro , che riguar-
daffero alcuna alienazione di cofe . Qiiefta tutela fi chiamava
Mu'ddìum dalla voce Safibnica Mimd ; e quell'Uomo, a cui ap-
parteneva la difefa e patrocinio della lemmina , fi appellava
MunduaUiis . V erano Mmìdualdi naturali , cioè il Padre ri-
fpetto alle Figlie , o il Fratello per conto delie Sorelle , e in
mancanza di efTì gli Agnati . Talvolta ancora i Figli mafchi
erano Mundualdi della ^4adre. Altri poi furono coftituiti Mur-
dualdi dalle Leggi. Tale lempre era il Marito difuaMoglie.
Che fé mancava ogni Parente , a cui apparteneile quella di-
fefa e balìa , Ctirtis Regìa ^ cioè il Fifco, o fia il Re , aflume-
va quello pelo o diritto . Ecco come parli la Legge 205. del
Re Rotari . Nulli , die' egli , Mulieri liberi£ fub Keg?ìi nojìri
di f ione , Lege Langobardorum viventi , liceaf in Jua poteftatis
arbitrio , ideft fine Mundio vivere , ìiift femper fub potcftate vì-
rorum y aut certe Regis ( altri Codici hanno aut potejìate Curtis
Kegis ) debeat permanere . ISJec aJiquid de rebus mobilibus aut
immobilibus fine voluntate ipfius , in cujus Mundio fuerit , /?a-
beat poteflatem donandi aut alien andi . Di quella conluetudine
Longobarda ne durano ancora le veftigia ne gli Statuti di al-
cune Citta d'Italia, e particolarmente nel Regno di Napoli ,
dove più lungamente che altrove furono ofiervate le Leggi
Longobardiche . Giovanni Villani nelle Giunte alla fua Storia
da me date alla luce Lib. 2. Cap.p. €os\ fcrilfe : E feciono la
Legge y che ancora fi chiama Longobarda y e tengono ancora e*
Pupliefi , e gli altri Italiani in quella parte , dove danno Mo-
7ìualdo , overo il volgare Monovaldo alle Donne , quando s ob-
bligano in alcun contratto ; e fu buo?ia e gtufìa Legge . Allor-
ché dunque fi maritava una Donna , non ne feguiva , che il
Marito acquiftaffe \\ Mundio o tutela della medefima; ma ne-
celTario era, che lo comperaffe, per cosi dire, dal Padre, Fra-
tello, o altro Parente d'elTa , mediante il prezzo, che fi ac-
cordava fra loro . Queflo prezzo fi appellava M^/-/^, Mephium^
Methium nelle Leggi d'effi Longobardi, voce che i Chiofatori
interpretano con chiamarla donationem Sponfalitiam vel Nu-
ptialem . La (limo io più tofto Spofali:^a , perchè fecondo U
Tomo L Hh Leg-
2^1 Dissertazione
Leg^e 178. e feguente del Re Rotari, nel giorrio, che fi cele-
bravano gli Sponfali , fi loleva anche coftituire , e per lo più
pagare la Mc(a . Veramente era chiamata Donazione : pure
non disdice il dirla una Ipecie di Compera ; perchè , ficcome
hanno oflervato il Martinio e il Voffio , la voce Me;^a o Me»
tb'mm è formata dal Salfonico Meden fignificante mercede con-
ducere . Che fé moriva il Marito , feguitava la Donna ad ef-
fere lotto il Mundio , o fia lotto la podella di chi era Erede
di eflb Marito . Che s'ella voleva paflare alle feconde Nozze,
fé il nuovo Marito intendeva di acquiftare il Mundio di effa,
come .s' ha dalla Legge 182. del Re Rotari, de fu'ts propriìs re-
bus medium pretti , qua?Jtum fuerif diólum , quando eam pri-
mus Maritus fponfa'uip ^ prò ipfaMeta^ dare debeat ei ^ qui heres
proximus mariti priori s ejje i?ivefiiebatur .
Si maravigliera taluno all'udire, che i Mariti doveano pa-
gare per conleguir la tutela e podefta fopra le Mogli. Ma cef-
fera la meraviglia in riflettendo , eflere anche oggidì familiare
in molti Luoghi la Donazione propter nuptias , che fanno gli
Uomini alle Donne . Aggiungafi , che preflb gli antichilfimi
Popoli m ufo fu , che i Mariti coftituiffero la Dote alle Mo-
gli, o almen loro faceffero un dono conveniente al loro flato,
come fi ricava dai Libri dell'antico Teftamento, edagliScrit-
tori profani Omero , Diodoro , ed altri , che non occorre ri-
cordare. Quefto Rito fi ofierva tuttavia fra i Turchi. Perciò
fembrava, che il Marito per una forma di compera acquiftafle
la Moghe. Vero è nondimeno, che vantaggio ne potea prov-
venire al Marito . Mancando di vita le Mogli fenza Figli , i
Mariti fecondo le Leggi ne erano Eredi . Veggafì la Legge 2.
Lib. VIIL del Re Liutprando ; e in una Longobardica di Ar-
rigo L tra gli Augufli fu parimente decifo , che uxori Jine fi-
liis amborum decedenti il Marito fuccedeffe nella piena eredi-
ta . Anche i Fratelli fé godevano il Mundio delle Sorelle ne
guadagnavano la loro porzione . Che fé per avventura alcu-
no uccideva, o offendeva, ©calunniava, o faceva giurare una
Donna, la pena importa al Reo , fi pagava a coloro, ad quos
Mundium de ea pertinebat , Tralaicio altri vantaggj . Manno
merita d'efì^ere riferito. Cioè, le una Fanciulla o Vedova Li-
bera , promefla con ^li Sponfali ad alcuno , fpontaneamente
b'cnsì, ma fine voluntate patrisy vel fratris^ vele/us^ ad quem
Mundium perimebai: j contraeva Matrimonio con altro Uomo ^
libe-
Ventesima. 24]
libero: allora il Marito, che l'avea prefa , era condennato
dalle Leggi a pagare venti Soldi d'oro a chi teneva il Mun-
dio delia Donna , e quefto prò anngrtp , cioè per la fiia info-
lenza ; e venti altri Soldi propter Faìdayn , affinchè i Parenti
non nudrifTero nemicizia contro di lui , e non ne faceffero ven-
detta . Ciò coffa da alcune Leggi de i Re Rotari e Liutpran-
do . Era delitto anche il prendere in Moglie una Figlia altrui
fenza confentimento del Padre, o de'Fratelli, o de gli Agna-
ti , tuttoché eifa non avelie contratti gli Sponfali con altra
perfona ; e il Marito era fottopofto alla pena fuddetta . Ma
lecondo la Legge 182. di Rotari era permeffo alle Vedove il
prendere a loro arbitrio un altro Conforte , purché Libero . E
perciocché non mancavano uomini , che ubbriacati dalla paf-
fione, o fedotti dalle carezze delle femmine , cadevano in ec-
cefTì, coftituendo fmoderate Mete alle medefime : vi provvide
il Re Liutprando colla feguentc Legi^e 35. del Lib. VL S'tquts^
die' egli, Conjugt Jucc Metam darevoluerh^ ita nobh jujìum ef-
fe comparuìt^ ut qui efì Jadex ( cioè Conte, o del numero de'
Magnati) dare debeat ^ Ji voluerit ^ SolidosCCCC. ampliusjìnn.
E-t reliquì Nob'iles homìnes dare debeant Soltdos CCC» amplius
7ìon . Et fi quiscu?ìque alter homo m'inus dare 'voluerìt , det quo-
modo conve?2erit. Non ha bifogno di fpiegazione una tal Legge.
E PURE quello non era anticamente creduto baftante per
le Donne. Si aggiunfe \\ Margine ap mentovato di fopra , che
la maggior parte de' Mariti donava alle nuove Mogli . Qj.iefla
parola Tedefca fignifica Dono della mattina . Cioè a poco a
poco s'introduffe l'ufanza, che dopo la prima notte della loro
unione , o per ricompenla delle fatiche tollerate dalle Giovi-
nette, o per premio di averle trovate vergini, i Mariti facef-
fero loro un altro dono , confidente non già in una gioia , in
una verte, o altro fimile ornamento, ma bensì in obbligare ad
t^z una parte de'proprj beni. E che quefto donativo, chia-
mato MorgÌ7icap foffe diverto dalla precedente Meta , chiara-
mente fi raccoglie dalla Legge V. del Re Adolfo . Ancor qui
giudicò bene ii Re Liutprando di mettere freno alla pazzia de
gli uomini . Cioè nella Legge L Lib.IL ordinò, che tal Dono
fofle confermato da pubblico Strumento con aesiugnere : Ta-
men tpjuryj Margine ap volumus ^ ut non fit amplius^ nifi quarta
pars de ejus fubjìantia , qui ipjum Morgincap dederit . Il dar
meno era a tutti pcrmeffo . Per quanto fi può immaginare ,
H h 2 que-
2^.4 Dissertazione
quefta fperanza di raccogliere un confiderabile Morglncap, do-
vea eflere in que' tempi un polTente motivo di conlervare con
gelofia la loro virginità , acciocché le il Marito fi foffe avve-
duto , che non l'aveano ben cuflodira , negafie loro il Dono
della mattina. Perciocché quello non fi dava, comedicemmo,
le non dopo la prima notte del commerzio maritale . Che an-
che tra i Franchi , ficcome Nazione Germanica , foffe in ufo
\\ Morgiticap^ l'offervò il Gallaude nel Trattato ck Frafìco- Aio-
dìo , e il Baluzio nelle Note a i Capitolari . Celebre è a que-
llo propofito un paffo di Gregorio Turonenfe , il quale riferen-
do i patti flabiliti nell'Anno 588. fra Childeberto e Guntran-
no Regi, cosi fcrive : De Civ'ttatibus 'vero , hoc eft Bv.rdìgnla ,
Lemov'ica Ù'c, quas Guilefuindam germanam Doìnnce Brunechil-
dh tam in Dote , quam t?2 Morganegìba , hoc eft 'matuùnalì do-
no ( quello forfè è una giunta ) in Fraìic'tam 'ven'ientem ccrtum
eft adqmftjfte Ò'c, Abbiamo Strumenti rapportati dal Baluzio ,
dove ! Mariti donano quartam port'tonem de' loro beni d'ìlcBcc
Conjiigì ftióc ; e quivi chiaramente è detto, che fi foleva cofH-
tuire il Morgincap alia die poft noóiem nuptialem , qui eft dies
'votorum noftrorum . Diffi permeffo a gli Uomini di donare alle
Mogli la quarta parte delle loro foftanze ( il che oggidì parreb»
be una pazzia ) e non piìi ; ma v' erano perfone s'i perdute
neir amore femmineo , che al difpetto delle Leggi donavano
loro anche la ter'za parte . Ne rella una pruova ì\\ uno Stru-
mento dell'Anno 873. da me aggiunto alla Cronica del Moni-
fiero di Cafaurea , in cui è confegnato a que' Monaci , quid-
quid eidem Gundi uxori quondam Jtiftonis pertinehat a parte vi-
ri fui , videlicet Tertiam portionem de omnibus rebus Juprafcri-
ptis^ qua et in die votorum Vir fuus dederat , Oggid'i nel Re-
gno di Napoli , fecondo le Leggi della Prammatica , fé inten-
de una Donna dopo la morte di godere il Lucro dorale , ap-
pellato Antefatto , dee tagliarfi i capelli , e metterli lopra il
cataletto del Defunto . Di tal coftume non ho trovato fegno
preffo gli antichi . Ma perciocché non di rado accadeva , che
gli Uomini promettevano il Morgincap^ e poi non attendeva-
no la parola : le Donne più caute cominciarono ad efigere ,
che prima di llrignere l' indiffolubile nodo effi le affjcuraffero
di quefta donazione. Di ciò ho veduto più efempli nell'Archi-
vio de' Canonici di Modena, ma folamente uno ne citerò dell'
Anno II 85. cioè uno Strumento di Matrimonio, in cui loSpo-
lo
Ventesima. 245
fo dice : Mnnìjefta caufa efl mi hi , quoniam die ilio , qu arida
te fpG/ifavi , promiferam tibi dare juftitiam tuam fecu?idum Le-
peni yneam in Margine ap ^ id ejì quartam portionem omtiium re-
rum mobilium Ò' immobilium , quas tìunc habeo , aut in an-
tea hnbuero . Nunc autem , fi Cbrifio aiixiliante , te mihi in
Conjugio fociavero , fupr aferi ptam quartam , Ù'e. tux dileB,ionì
do , cedo , confero , Ò' per praefentem Cartaìn Morgiticap in te
habe'ndum confirmo , ut facias exinde a praefenti die tu ^ &
heredes tui , aut cui vos dederitis , quicquid 'uolueritis ex mea
plenijftma largitate . Si ofìfervi , come il Morgincap , che fu
una volta dono arbitrario e gratuito , era divenuto di obbli-
go , interpretando io cosi juftitiam fecundum Legem ; e che
tal donazione era non riflretta alla vita delle Mogli , ma pie-
na ed affolura . Sicché coftava ben caro il procacciarfi una
compagnia ne i tempi antichi, e molti fi rideranno della gof-
faggine di allora . Tuttavia fi vuol ricordare , che prima de
i Longobardi 5 a tenore dell' Authent. Prceterea ^ C. Unde vir
Ò' uxor , fi doveva alla Moglie non dotata la Qj-iarta ne' be-
ni del Marito ricco . Son qu'i da udire i Giurisconfulti , che
fecondo l'ufo loro amplificano o limitano quella Legge. Non
lieve divario ancora paffa fra gli antichi tempi e inoltri; per-
chè allora il Morgincap fi confervava per lo più in cafa del
Marito, cioè qualora eifa premoriva , o lafciava de' Figli : ma
oggidì non rade volte la Dote fi coniuma nelfecceffivo luflTo,
e ne reità pofcia il debito. Niun Secolo è eiente da qualche,
pazzia .
Oltre al Morgincap folevano i Franchi , ed anche gli ftef-
fì Re ed Imperadori , coflituire la Dote alle loro Spofe , che
veniva ad eflere la Meta o Me:?:jo de' Longobardi . Ho io da-
to alia luce lo Strumento, in cui Lodovico IL Augufto nell'
Anno 850. coftituilce in dote ad Angilberga lua Spola Curtem
juris nofìri , quce dicitur Campomiliacio , quce fita eft in Comi'
tatù Mutinenfi , & Curtem , qua; dicitur Curtis Nova , quce efl
in territorio Regenfi . Affinchè i Mariti non fi lafciaffero av-
viluppare dall' arti donnelche , il Re Liutprando nella Leg-
ge 4p. Lib. YL ordinò, che non fofle lecito il donare ad ef-
le , nifi quod eis in die votorum in Mephio & Morgincap dede-
rint . Forfè altre Leggi aveano i Franchi . Certo è almeno ,
che le Regine ed Imperadrici, perchè fi credevano non legate
dalle ordinarie Leggi, non celfavano di carpir nuovi doni da'lor
Con-
24-5 Dissertazione
Conforti . Sopra V altre fu eccellente in quello meftiere la
poco fa nominata Angilberga Imperadrice . Più Documenti ho
io pubblicato di Donazioni a lei fatte dalF Auguiìo fuo Con-
forte Lodovico II. Ne citerò qui una fola. Nell'Anno 870.
come colta da un fuo Diploma, le donò Sextum Cortem 7ioflram
m Comìtatu Cremonenji ^ [ed & Cortem nojìram heocarnì ìnCo^
m'ttatu Statìonenfi ( cioè nei Contado d' Anghiera fui Lago
Maggiore, che abbracciava Locamo ) Jìmulque At liei a fzum Cor-
tem ììojìram in Comìtatu Dìanenfi . Non meno moftrofTì libe-
rale verlo Teotberga Regina lua Conforte Lottario Re di Lo-
rena, Fratello del fuddetto Augufto Lodovico II. Principe fa-
mofo nella Storia Ecclefiaftica per le fue pazzie in favore di al-
tra Donna . Imperciocché , ficcome apparifce da un fuo Di-
ploma efìftente in San Sifto di Piacenza , nell' Anno %6'], le
diede in Pago Gracianapolitano Bellinfua , in Mauriacenfe , Ja-
nuenjt ^ Laufonenfì ^ Aìiaufetìft ^ Scudenfi^ 7iec non (^ in Pago
Lugdunenfe Villas , quorum junt hccc 'vocabula : Cavurgum , Le-
nìningumy Novclicium^ Mariacum ^ Aquis ^ Ariacum^ Sugena-
dum , Primi acum , & ]VLo7ifem San Hi Martini , Anerftacum ,
Belmontem ^ Talgurium ^ Duc:?iadum ^ Marlindum ^ Vtrilgum ^
Durerium y Toducium ^ Columnam ^ Haltingum ^ Montiniacum y
& quidquid ex ipjìs rebus in Grofona Jìta; funt , quatenus eas.
perenni jure ad proprium pertineap . Tali notizie ferviranno an-
che a far conofcere , fin dove fi ftendeffero gli Stati d'eflb Re
Lottario , da che parti coi Fratello Imperadore 1' Eredita di
Carlo Re di Provenza , lor comune Fratello. Parimente Beren-
gario I. Imperadore nell'Anno 5)20. con fuo Diploma donò C^r-
tem noflróe proprietatis de Prato Plano finihus Pi acentinis all'Au-
gufta Anna luaConlorte.
Dicemmo , che fcnza afienfo o licenza del fuo Mundualdo
jiulla poteano le Donne vendere o alienare . Ma ritrovandoft
talvolta de' Mundualdi, che dimentichi del loro uhzio, e pre-
valendofì della debolezza del felfo femminile , in danno loro
convertivano la propria autorità : il Re Liurprando ordinò ,
che volendo una Femmina , anche col confenio dt:l Marito iuo
Mundualdo , vendere alcuno de'beni fuoi, doveffero, interveni-
re al Contratto anche due o tre Parenti del fuo langue , accioc-
ché offe r va (fero 5 fé da qualche frode ^ inganno, o violenza fof-
fe tratta ad alienare il fuo . Qiieilo rito fi offerva tuttavia in
Modena^ ove poffano reftar lete le Donne. In una Donazione
di
Ventesima. 2-1.7
di molti (labili fatta neli' Anno 1017. da Bonifacio Marchcfc
Figlio ad iw Tedaldo parimente Marchefe, e da. Ric^ilda fua
Moglie , Figlia del già Conte del Palazzo Gifelherto al Regio
Monidero di Nonantola fui Modenefe ^ effa Richilda prótefta
di far ciò una cum fioficia de propinquiorìbus parentibus mets ,
quorum tìomina eorum Lanfra}ìcus& Maginfredus germams meìs.
Quello Lanfranco era anch' egli Conte del Palazzo, e fuo Fra-
tello Conte di qualche Luogo . Negli Stati eziandio della Ghie-
fa Romana fi vede , che le Donne maritate non poteano do-
nare né pure alleChkie fenza il confenfo del Marito. Vedelì
fatta nell Anno p(57. airantichiffiino Moniftero di Subiaco una
donazione da Koja Nobile Donna , confent'te?ne mih't Benedico
Manfionartum njiro ìneo . Ma rimafte Vedove poteano lenza
tal lolennita donare . Allo lìefTo Moniliero nell' Anno 1052.
Dorìina hyìilia nobdijjtma Comitijfa.^ qu<e olim Domnus Dona-
deus Conjugem fuit , babhatrtce in Palejìrina , fece una dona-
zione di molti Beni, e ciò fenza T affluenza di alcun de' Pa-
renti .
Già s'è ofìfervato nel Gap. XV. che maritandoli una Dolina
Libera con un Servo, era permefib a' fuoi Parenti di darle quel
gaftigo , che più loro piaceva . Non facendolo elfi , la medefi-
ma diveniva Serva del Re , ed era pofta nel , per cosr dire ,
Serraglio Regio a filare, e non già a diionelli impieghi. Io non
vuò qu\ lafciar di dire qual folfe la pena ilatuita dalla Legge
Ripuaria Tit. 59. §. 18. a quello delitto . 5"/ ingenua Kipuaria
Servum Kipuarium fecuta fuevip^ & Farentes ejus hoc contradì-
cere njoluerint , ojferatur ei a Kege , feu a Comi te , Spatha &
Conucola ( onde viene Co?2occhia , o fia Rocca in Italiano ) .
^uod fi Spatham acceperit , Servum interficiap . 5"/ autem Co-
7iuculam ^ i?i fervitio perftnjerct , Era ben dura la condizion del-
la Spada; ma s'intende di trafiggere un uomo già imprigiona-
to e legato. Quali poi folfero i coftumi, le virtù , e i vizj del-
le Donne in que' tempi , non poffiam ben conofcerli . Proba-
bilmente poco diverfi furono da quei d'adeffo. V'erano Don-
ne pie, prudenti, cade ; non ne mancavano delie fcellerate ed
impudiche . La Libidine anche allora faceva le fue parti , e
non erano cole rare gli adulterj . Se l'Adultero e 1' Adultera fi
trovavano convinti , erano condennaii alla Servitù, e il Filco
Regio ne diveniva padrone . A i Conti , cioè a i Governatori
apparteneva l'incumbenza di cercare e punire quelli delitti.
Che
24-8 Dissertazione
Che anche alcuni Vefcovi una volta conofceìTero tali caufe ,
l'abbiamo accennato nel Gap. 13. Colta una Donna, che con-
fentiffe a roccamenti impudici, era permefib al Marito 'm eam
vhìdi^am dare ^ Jìve hi difciplìtia^ ffve in venditione ( cioè po-
tea venderla per Serva ) veruntame?t non occìdatur ^ nec et fcc-
matto corporis fat . Se l'impudico non potea pagare la pena,
era confegnato al Marito anch' egli hi d'tfciplina^ vel vendnio^
ne . Cosi il Re Liutprando ; poiché prima fecondo le Leggi
del Re Rotari , era lecito al Marito di uccidere la Moghe e T
Adultero colti in quel misfatto : la qual Legge dura tuttavia
in Modena ed altri Luoghi. Si fcatenarono poi i vizj nel Seco-
lo X. ed allora la difonefla fu fenza briglia . Fino i Preti per
quello- vizio divennero diffamati , e nel feguente Secolo gran
difficulta fi provò a diftorli dalle Concubine , eh' effi diceano
di tenere per Mogli, dicendo , che non dovea negarfi loro ciò
che fi concedeva a i Greci. Ma né pure allora mancarono Don-
ne e PrincipelTe di gran Pietà, Prudenza, e ilUbatezza di vita.
Celebri fpczialmente fi renderono Matilda ContejJ'a DuchefTa
diTofcana, e Signora d'altre Citta, ^ Adelafia ^ o {\2i Adelai-
de Marchefana di Suja ; avendo anche amendue dati fegni ài
molto valore. Né fi dee tacere, che in que' tempi due iorte di
Matrimonio furono in ufo, cioè il Solenne fatto con pubblico
Rogito, e benedetto dal Sacerdote ; e l'altro Clandefìino, cioè
fatto in fegreto, e fenza teftimonj; e contuttociò ancor quefto
era permefiTo o tollerato. Fu poi abolito nel lacro ConciHo di
Trento. Mancato di vita il primo Marito, poteano le Vedove
pafTare ad un Secondo ; né ciò fu mai vietato dalla Chiefa La-
tina. Abborrivano all'incontro i Greci la Bigamia, e peniten-
ziavano chi due volte fi maritava : onde poi nacque l'LTipedi-
mento della Irregolarità per chi voleva afcendere a gli Ordini
Sacri. Però in que' tempi pila rare che oggidì erano le fecondf
Nozze. Ne parleremo di nuovo al Cap. 33.
Dello
V E N T E S I M A P R I M A . 2+fl
Dello Jìnto dell' Italia , dell' ahhondaìi'z^ d' abitatori , della
coltura delle campagne , muta'zione delle Città ,
felicità e infelicità de Secoli barbarici .
DISSERTAZIONE VENTESIM APRIMA.
FUoRi deir iftituto mio farebbe il ricercare , come abbon-
dalFe eli Popoli l'Italia, allorché fioriva la Repubblica e
l'Imperio Romano . S' ha da fare quefta ricerca per li tempi,
ne' quali fletterò le noftrc contrade fottopofte alle Nazioni Set-
tentrionali, per formarne un paragone co' tempi prefenti. Al-
lorché i Longobardi calarono in Italia , trovarono indebolito
jion poco quello felicifìlmo paefe per disgrazie frefcamente pa-
tite. Nell'Anno 56'5. tal guado avea fatto in quelle Provincie
la Pefte , che afiaifiime migliaia di perfone erano perite, eve-
devanfi Citta e Ville ridotte all' infelicita de i deferti . Ap-
pena tre anni dopo tanta calamita erano paffati , che quella
ferociflìma Nazione piombò addoffo a i poveri Italiani , alle
miferie de' quali s' era anche aggiunto una terribil Careftia .
Paolo Diacono Lib. 2. Gap. zd. de Geih Langob. è quegli che
parla: lslo7i erat tunc 'virtus Knmanis (cioè ai Sudditi del Ro-
mano Imperio ) ut rejìjiere pojfent : quia & p e fidenti a ^ qu<z>
fuh Narfete fa^a efì , plurimos in Liguria & Venetia exfìinxe-
rat ; & poj} aìinum , quem diximus fuiffe ubertatis^ fames «/-
ini a ingruens unfuerfam Italiam devaftabat . Poco flette a cre-
fcere il flagello; imperciocché Clefo Secondo Re de' Longobar-
di, uomo crudele, multos Komanorurn 'viros potentes^ aliasela-
dio exfìinxit , alias ab Italia exturbavit . Peggio avvenne lotto
i Duchi nel tempo che governavano il Regno , fcrivendo il
iuddetto Storico , che fpoliatis Ecclejiis , Sacerdotihus interfe-
Bis , Ci'vuatibus fubrutis , Populisque , qui no7i more fegetum
excrenjerant ^ extinólis (^ exceptis bis req^ionibus^ quas Albuin ce-
ferat ) Italia ex magna parte capta , & a La?igobardis fub/Mga-
ta efì , Fra tante difavventure patite da que' Popoli, che rica-
lavano di ricevere per padrona quella beftial gente, fi può cre-
dere, che l'Italia cangiafle faccia, con reftar deiolate moltif-
fime Citta, e ridotta incolta non poca parte delle campagne.
Ad accreicere i mali concorfero nell' Anno <^^o, le guerre mof-
Tomo L li fé
250 Dissertazione
fé da due parti contro i Longobardi , cioè da i Franchi, e
i Greci , che riempierono di ftragi e d'incendj il paefe , e ri-
cuperarono Modena, Mantova, ed Aitino . Da lì a non molto
fcaricarono efTì Longobardi il loro furore fopra le Citta tut-
tavia ubbidienti all' Imperio Romano , o fia de' Greci. Pado-
va prefa fu data alle fiamme, e d'ordine del Re Agilulfo fpia-
nata. Cremona, Brefcello, ed altri Luoghi provarono lo Ile f-
fo barbarico trattamento. Reflavano in potere de gli Augufti
il Ducato Romano , l'Efarcato di Ravenna , Napoli con altre
Citta marittime , ma non v' era anno che non foflfero i loro
territorj infeftati da gl'inquieti Longobardi . La fìeffa Regina
delle Citta Roma, finché durò il Regno dicoftoro, per gl'in-
finiti difaflri che patì , a poco a poco andò Icadendo dall'an-
tica fua dignità e bellezza. Fa dell'infelice fuo flato menzio-
ne un Epigramma del Secolo VII. o pure Vili, ch'io ho dato
alla luce . In elfo è difegnata la retrograda fortuna di quella
Citta, con quel verfo, che anche era flato citato da Apollinare
Sidonio nelLib. IX. Epift. 14. cioè
Roma^ tibì fub'tto motibus ibif amor^
il quale riletto al rovefcio dice lo flelTo , e dovette una volta
parere qualche maravigliofa cofa .
Da queflo poco fi può comprendere, in che deplorabile fla-
to fitrovafle una parte d'Italia, prima che i Franchi le ne
impadronilTero . L'altra nondimeno, che ubbidiva a i Longo-
bardi, non avea di che lagnarfi della propria fortuna . S' am-
mansò a poco a poco quella fiera gente , fi accomodò a i co-
fìumi civili dell'JItalia ; e i Popoli godendo nel cuore del Re-
gno la pace, non conofcevano altra guerra fé non quella, che
fi faceva fuori de' confini contra de' fuoi nemici. Buona giufti-
zia era fatta , fi potea portar T oro in palma viaggiando ; e
per confeguente tornò la popolazione nelle Citta e Ville , e la
fertilità nelle coltivate campagne . Depofero i Longobardi gli
errori d'Ario, s'imparentarono co i Romani, cioè con gU an-
tichi abitatori d' Italia ; e laddove ne' primi tempi di quefio
nuovo Regno elfi Romani, per attefiato di Paolo Diacono, do-
veano tertiam partem fuarum frugum hangobnrdts perfolvere ,
nel progreffo de' tempi tolta fu quella diverfita di trattamen-
to, e divenuti Romani e Longobardi un Popolo folo , la fleffa
iTìifura di tributi fu importa ad ognuno . -Sotto i Re ed Impe-
ra dori
V E N T E S I M A P R I M A . 25T
madori Franchi miglior fortuna e quiete lunga fi godè in Ita-
lia, laonde fi può credere , che maggiormente allora crefceffc
qui la copia de gli abitatori , efìTendo quefto un frutto ordina-
rio della Pace. Ma appena colla morte di Carlo il GrolTo Im-
peradore cefsò di fignoreggiare in Italia la Schiatta di Carlo
Magno 5 che la difcordia iniorta fra i pretendenti a quefto
Regno 5 cioè fra Guido e Berengario , tutto lo fconvolfe e ri-
empiè di guai , con facihtar anche alla barbarica Nazione de
gli Ungheri la via per venire a faccheggiar buona parte d'Ita-
lia per anni parecchi. Sino ad Ottone il Grande, primo fra gì*
Imperadori Tedeichi, durò quefta malattia nelle contrade Ita-
liane . Ora quand'anche fupponeffimo , che prima del Mille
folfe ben popolata l'Italia, tuttavia è da dire, che il prefente
fuo ftato è fenza paragone troppo fuperiore a quello d'allora.
Non può efiere in primo luogo , che que' tempi abbondaifero
di tante famiglie contadinefche , come oggidì, perchè non fo-
lamente ne' monti, ma anche nel piano, troppo frequenti era-
no le Selve . Per fignificare una Selva , i Longobardi fovente
fi fervirono della voce Ga/um^ Ga's^tum., Gapium^ Walcìum^ e
Gualdn?n^ che viene dal Germanico W/^ld^ denotante un Bo-
fco . Nel Tomo Vili, dell' Itaha facra dell' Ughelli , ove fi
parla de' Vefcovi Beneventani , Arichis Principe dona al Mo-
niftero di Santa Sofia nell'Anno 774. Eccleftam SanBì Petri j
quis (sdijicata efl hi Gaio .... Ecclejìam Sanali Ahund't , qu<s
Jita ejì in Gaio &c. & ex ìpfo Gala circa ipfam Ecclefiam lar-
giti jumiis in Monajìerio SanBdS Sopbice territori nm longitudine
milliaria duo^ latitudiìze u?ium &c, Son quivi altri fimili paf-
n ; ma dapertutto lembra che folfe fcritto Gajo. In un Diplo-
ma di Carlo M. dato alla Chiefa di Reggio , e prodotto dall'
Ughelli 5 vien mentovato Gajum nojìrum , 'quod in Luciaria
conjacet^ & nunc noviter excolitur , Perdifegnare una Selva ,
parimente fi fervirono gli antichi della voce For^y?^, che mol-
ti derivano dalla Lingua Germanica, ficcome ancora dalla vo-
ce Bofco , indubitatamente d' origine Tedesca , e che perciò
pafsò anche nella Franzefe . Sembra raedefimamente, che ufaf-
lero Brolium , o Broilum per una Selva cinta di muro per te-
nervi Fiere e animali da caccia, oggidì Parco . Ne' Capitolari
di Carlo M. all'Anno 800. abbiamo Lucos nojiros ^ quos Brogi-
ìos vulgm vocat. Ma appreifo i Milanefi Brolium fu adopera-
to per fignificare un Giardino , 0 pure un luogo cinto di mura
I i 2 o fie-
252 Dissertazione
o Tiepe , e piantato di pomi e d'altri Alberi fruttiferi . Broìlo
lo chiamano i Modenefi , Nell'Italia facra Tom. IV. uno Stru-
mento di Adalberto Vefcovo di Bergamo dell'Anno P15. s'in-
contra Cnfa cum Brolio uno tenente , cum muro chrumcìata y
feu arborìbus. San Girolamo nel Gap. IH. d'Ezechiele interpre-
ta viv/irium^ o conclufum locum quello, che ivi hPer'tboìon^
da cui pretendono alcuni nato il noftro Broglio . Ottavio Fer-
rari fu di parere , che il Luogo , in cui fi raunano i Nobili
Veneti per trattare della diRribuzion delle cariche pubbliche,
foffe chiamato Bro^/io, perchè fo (Te un recinto con alberi. Ma
non fi confa con quefto il far Broglio : però vedi qui fotto il
Gap. XXXIII. 2\\2i ^2iXo\2i. Imbrogliare , Sogliono anche i Napo-
letani e Romani chiamar Macchia una Selva minore . Il Me-
nagio ò.-d. Dumus àQx'ìy2L Macchia : è cofa da ridere. Viene da
Macula. Nella Cronica del Volturno airi\nnop88. fi legge
ufque ad Macula Job annis Atiffani, Probabilmente con meta-
forico nome chiamarono gli antichi Macchie ne' campi quei
cefpugli efpineti, che faìtano su qua e la, ove non fon colti-
vati . Macchie e Macchio?ìi fono appellati da i Modenefi ; e i
Napoletani dovettero traiportar queflo nome ad una Selva di
non molta eftenfione . V'erano una volta paefi piantati di de-
terminati Alberi , i nomi de' quali durano tuttavia , come Cót-
reto.y Laureto^ Rovereto^ Saliceto ^ AlbaretOy Perjiceto^ Frafft-
■ììeto Ò'c.
Ora anticamente abbondava l'Italia di Selve e Bofchi, cà
anche imifurati, che col tempo fi andarono riducendo alla col-
tura : il che fenza dubbio è avvenuto alla Germania, dove più
non fi mira quella eforbitante copia di Selve, delle quali parla-
no gli antichi . Vegganfi le vecchie Carte Italiane , vi fi tro-
veranno innumerabiii Selve, delle quali non rimane vedigio .
Adolfo Re de' Longobardi circa 1' Anno 752. come appari ice
da un fuo Diploma , donò a Lopecino Veicovo di Modena Ctir-
tem nojlram , qu(^ dicitur Ze?2a , territorio Mutinenfi , Sylva ju-
gis numero qumgentis ^ coherentes ibi a tri bus partibus Gajo ;;o-
Jlro , qui pertinere 'videtur de ipfa Curte Zena , de quarta ve-
ro parte percurrcnte fluvio , qui nominatur Sculten?2a . Dura
tuttavia nel Territorio di Bologna la Villa di Cazzo, o Gaggio,
formato del Ga/o o Bofco Regio , che era in quelle parti , da
che fu elfo ridotto a coltura . Apparteneva quefta una volta
al diftretto di Modena , e fi vede un Decreto di quello Popo-
lo
Ventesimaprima. 25j
lo dell'Anno 1255. ut fodìa?2tur Dogana SanHi Ccsfareì ^Zen(£^
Panariìf Ga^j^ Faìi^anì ^ 'Nonantulcs . Ivi ancora fu ftabilito
di far l'Eftimo delle terre de SanBo Amhrofio , de Villa Ron-
chi , Ga^^o , Pan7:a7io , Zena , Sanalo Cafarto , BaT^ano , Cajìro
Crefcente ^ Ravarì?2o^ Nonaììtula (D'c. 11 Bofco chiamato oggi-
dì diNonantola, non so fé foffe parte della Selva, o del Gap
mentovati nel Diploma fuddetto . Quante altre Selve aveiTe
r infigne Moniftero Nonantolano , lo vedremo più abbafTo .
Che fooiiglianti Selve una volta fi trovaffero alle rive de i
Fiumi, roffervò anche ne'fuoi tempi Apollinare Sidonio nell'
Epift. V. Lib. I. dove fcrive d'aver mirato ul-vofum Lambrum ^
C(£rulet'.m Addiiam , velocem Athefìm , ptgrum Mìncìum , &€,
quorum rìp(S torique pajjtm qucrnis accr^iìsque Nemorìbus vc-
flìsbantur , Que' Bofchi ora indarno li cercano. Né folamen-
te gran copia v'era ^\ Selve, abbondavano anche le Paludi
circa i Fiumi del Resno Lons^obardico, e maffimamente do-
ve il Po e r Adige mettono in Mare . Ora noi troviamo bei-
le e feconde campagne in que' fiti , da che fi cominciò da-
pertutto con argini a tenere in briglia i Fiumi . Ma fé pò-
teffimo avere una mappa de gli antichi Secoli , fcorgerebbefi
una gran differenza fra il paefe à^i allora , e quello di oggi-
dì . Né folamente fu quella una difavventura de' tempi bar-
bari . Anche regnando i Romani , 1' Emilia , la Flaminia ,
e la Venezia erano occupate da Paludi , Laghi , e Bofchi in
gran quantiia . Per teftimonianza di Vitruvio Libro L Ca-
pir. 4. reftava oppreffo da molte Paludi tutto quel tratto di
paefe , che è tra Aitino , Aquileja , e Ravenna . Sappiamo
anche da Strabene Lib. V. che omnis Rcg'to h^c majorcm par-
tem Paludtbiis abundav . Avanti aveva egli detto , parlando
di Brefcia , Mantova , Reggio , e Como : Hccc Urbes loyige
fupra Paludes jaccnt , E ài molte Citta della Venezia egli
Icrifle : quarum alias infularum more cinguntur aquis^ alia; al-
luufìtur mari altqua ex parte , quds in Mediterraneis fupra Pa-
ludes [unt , Attelta anche Erodiano, [lagna & Paludes imer
Altinum & Ravennam enavip^ata fuijfe . Pertanto quel fertile
paele, che forma oggidì il territorio di Ferrara, altri abitatori
non avea ne' vecchi Secoli, che pefci e rane , e non peranche
era nata quella nobil Citta . Come ftefle Ravenna , ce lo dira
Apollinare Sidonio, che vi palsò L. L Epift. 8. adCandidianum.
Te mumcipalìum ranarum loquax turba circuryìjilip , hi qua Pa-
lude
354 Dissertazione
lucìe inclejlnenter rerum omnium lego perverfa^ muri cadunt nt-
que ftant^ turres fluuiìt ^ ?iaves fedent ^ (egri deambulante Me-
dici jaceìtt Ù'c. Tu vide qualis ftt Civipas , qua facilius ferri-
torium potuit hnbere , quam terram . Cioè ftende ben lungi il
fuo territorio e diftretto,. ma ha poche terre arabiU. Bologna
parimente e Modena gravi incomodi pativano dalle acque ba-
gnanti . Fino da' tempi della Romana Repubblica fra quefte
due Città, e nella Via Emilia , s'incontravano Bofchi e Palu-
di , che riflrignevano molto il paifaggio . Veggafi ciò , che
fcrive Galba a Cicerone fra le lue Famil. Lib. X. e Appiano
Lib. 3. Bellor. Civil. Di peggior condizione ancora fu Modena
ne' Secoli fufleguenti. Truovafi ella bensì ne' tempi delle guer-
re civili di Roma appellata da efTo Appiano Vrhs feliàjjima ,
da Cicerone firmijjìma Ù" [plendidijjima Populi Romani Colo-
ma , e per la fua ricchezza da Pomponio Mela adomigliata
Patavio & Bononia: . Ma s\ ella , che non poche altre Citta
nel Secolo IV. loggiacquero ad orrende calamità.
Odasi Santo Ambrofio , che circa l'Anno 388. cos'i fcrifìfe
nell'Epiiì. 3p. a Fauftino . De Bono?2ÌejiJi veniens Urbe ^ a ter-
go Clater7ìam , ipfam Bononiam , Mutinayn , Regium derelinque-
bas ; in dextera erat Briiàllum ; a fronte occurrebat Piacenti a Ù'c.
Te igitur femirutarum Urbiuyn cadavera , terrarumque fub eo-
dem confpeBu e>cpoJìta funera non te admonent &c. Ecco in che
miferabile fìato fi trovaffero allora quefte Città , non fappia-
nio fé per le guerre di Collantino il Grande, o per le recenti
di MalTimo Tiranno . Che Modena non riforgeife da li innan-
zi, cagione ne fu la lunga izza, cominciata fra i Longobardi,
e i Greci padroni dell' Elarcato . Era quella Città da quella
parte il confine del Regno Longobardico, e però iottopofta al-
le continue incurfioni e molcftie de'nemici. Allora i Fium.i e
torrenti fenza freno alcuno fcorrevano per le campagne , con
giugnere ad alzare il terreno fopra l'antico fnolo di Modena
parecchie braccia . E o fia per quefla delolazione , o perchè
il Re Liutprando fondò all'Occidente di effa Modena fulIaVia
Emilia ( appellata Claudia nelle vecchie Carte ) Città nuova :
ia m.aggior parte del Popolo pafsò ad abitare in effa Città nuo-
va. Cosi lagrimevole era tuttavia l'afpetto di Modena nel Se-
colo X. come s' ha dallo Scrittore della Vita di S. Geminiano
Vefcovo, che fiori in que' tempi, laddove cerca , perchè foffs
cotanto decaduta quefta Città olim inclita Inter jErnilia Ur-
besy
V E N T E S I M A P R I M A ^ 255
bes^ loaiples^ & fertilijfima^ cedifictis murorum & furrìum pyo-
pu^nactilts admìranda &c, E rifponde : ^uod comprobatur effe
fuerìffimum , ut affidue cermtUY , fupradi^ice Urbis Jolum 7ihnia
/jnuarum infoienti a enormiter occupatum ^ rivis circumfluentibusy
(^ Jìagnis ex paludibus excrefcentibus , itìcolìs quoque aufugien-
tibiis nofcitur effe dcfertum , Unde itfque HO DIE multimoda
lapidum monfìratur congeries , faxa quoque ingentia prxceljì^
quondam adificiìs aptìjjima , aquaruìn crebra , ut diximus , in-
undatione fuhmerfa . Che la flefTa Citta nuova non fofle efente
da Paludi, fi fcorgera da un Diploma di Carlo Magno in favo-
re del Velcovo di Reggio , che accennerò alCap.XXXV. do-
ve fi truovano enunziate Paludes anjitatis Nova; . Così in uno
Strumento efiftente nell'Archivio de' Canonici di Modena dell*
Anno ii2p. fi legge : Domnus Dodo gratta Dei Epifcopus Muti-
7ìenfis coììcedit exphyteutico jure res ili as territori is^ &vineatis ^
& Bofcalivas , & Paludofas juris Ecclejìae Sanali Geminiani i?i
loco Albareto Ù'c. E Giovanni Vefcovo parimente di Modena ,
come s' ha dal Sillingardi e dall'Ughelli , neh' Anno c?p8. dona
a i Monaci di San Pietro Molendinum unum fupra Civitatcm
Mutinam i?i loco qui dicitur Carolinusj cum decem jugeribus de
terra inter Paludes & Silvas. Aggiungafi un Diploma di Cor-
rado I. Re de'Roniani dell'Anno 102(5". in cui concede a Wa-
rino Velcovo Civitatem Mutinam a tribus tiìiliaribus in circuì-
tu &c, videlicet ^ Paludes^ Sflvas^ Aquas (^c. Ma a poco a
poco l'indurtria de gh uomini rendè abitabili e coltivabili quel-
le campagne ; e però nell' antichiffimo Statuto MSto di Mo-
dena Libro II. Cap. 55. leggiamo : Ut quicumque habet ter-
ram juxta Stratam Claudiam inter Sanólum Leonardum & Ci-
tanovam ad minus oóìo bibulcarum , ibi debeat facere unam
domum , quce valeat ad minus fex Libras Mutinenfes , & eam
habitare^ "jel h abitari facere . Diche valore fofie allora la Li-
bra Modenefe, fi può alquanto conietturare da tali parole.
Se non foffero perite afl'aiffime antiche memorie della Cittk
di Bologna , apparirebbe , che anche il baffo paefe della me-
defima ne' vecchi tempi reflava deformato da varie Paludi fra
effa e il Po. Rapporta il Ghirardacci Lib. II. della Storia Bo-
lognefe una Bolla di Papa Gregorio VII. confermante nell' An-
no 1073. a Lamberto Vefcovo di Bologna Portum , qui cogno-
minatur Galli ana ( oggidì Gaiana ) cum Ripatico &teloneo^ &
Paludibus^ & Pifcariis^ & Silvis &c. Monajìerium Sanali Ann-
flaftì
2^6 Dissertazione
y?^y// fundatiim in fundo Petrkulo cum Ponu , & teloneo , Ò-
Ripatico^ cuìn Silvis & 'venationibus^ cum Paludibus &c. Cur-
tem Milonh cum Portu & Ripatico , cum Sil'vis , Ò^ cum Palu-
dibus & pifcatioìiibus &c. Da quello poco fi può immaginare il
re ilo . Che altre Paludi e Valli pefcareccie s'incontraffero ali'
Occidente di Bologna , ce ne alTicura im Privilegio dato nell'
Anno 8(?p. da Berengario I. Re d'Italia al Monifterio Nonan-
tolano del Modenefe , in cui compariice gran copia di Paludi
e Selve tanto fui Bolognefe , che ne i Diftretti d'altre Citta .
Ivi dunque è mentovata Sil'va ex Cune nojlra , quce dicituv
Cena Ù'c, a quarta vero parte Silvas & Paludes una cum Baji-
tic a SanHi Martini &c. Silva Comitis . Silva de Lupoleto , jea
Silva Murianenfe , Et Paludes Grumulenfes. Silva una inCayo
Lamefe . In oltre gli conferma Medietatem de Pijcariis nojìris
in territorio Mantuano in loco S armata & Bondeno . Atque alias.
Pijcarias in fifiibus nojìris Regijtanis &Flexianis » Tarn SilvaSj
quam pajcua^ & limites , & Paludes , unde qualefcunque pifca"
tiones fiunt ^ exeuntes vel intrantes a Trepontio in jojum ufque in
Fo/fam latam , & Gambarionem . CunBas Fojjfas & Paludes ,
quds fiunt de jìuvio Bondeno &c. & Lacum de Fulgino ponentem
caput in Bondeno . Lacum fatuum . Lacum de Vulpino . Lacum
de Duracino Buctneto . Nec ?ion Virginiana cum omnibus locis ac
fojjis^ & quibuscu??quePifcariis &c. Ci fan tali notizie compren-
dere , quanta foffe una volta l'eftenfion delle Paludi e Selve
nel Bolognefe , Modenefe , Reggiano , Mantovano &c. In tali
fiti , remoti dal comnierzio de' mortali furono piantati una
volta i principali Monifierj, come il Cafinenfe, Farfenle, Sub-
biacenle, Volturnenle, Bobienle, Pompofiano, Novalicienfe 5cc.
con aver poi que' Monaci , e i loro uomini ridotta a coltura
quelle Selve e Paludi . Altrettanto avvenne ali' infigne Moni-
fiero di San Benedetto di Poiirone nel di qua del Mantovano.
Fu effo fondato in un' Ifola tra il Po e il Larione , dov' erano
Silvie Ò" Bufcalia juges ( cioè Jugeri) fexaginta . Adalberto Az-
ze Biiavolo della Contefla Matilda gli proccurò pofcia Caflrum
cum area terree arabilis modia quadragirita . Silvis & Bufcalibus
modia mille Jexaginta^ con aver dato in cambio al Propolio di
S. Michele di Reggio fra glialtri beni vicini ad efla Citta 5*//-
vas & Bujc alias modia mille triginta, E Tedaldo Marchefe fa
menzione de Palude de Saltu , & Palude de Saliceto , con do-
nargli Paludem unam ex integro^ quoe vocatur Rotunda cum
Pijca-
Ventesimaprima. 257
Ptjcatorìhus &c. E la ContefTa Matilda nell' Anno 11 15. gli
conferma terras cum Piiludibus & Pìjcationibus &' Silvis pojfi-
tis in Curte ^iiflellì . Contavanfi anche nel bafTo Parmigiano
Laghi e Paludi , come apparilce da un Diploma di Arnolfo
Re di Germania dell'Anno 8^4. in cui conferma a Wibodo Ve-
fcovo di Parma i fuoi Beni, dove fi vede enunziata Cordicel-
la una cum Silva & prato uno tenente , qua; eft capite uno in
Syjìeriore , alio in Lacu qui dicitur Ma/ore , Pecics duce de
Silvis 5 quarum una efi pofita in Infula , qude dicitur Sacca
cum terris , Paludibus , atque Pijcariis , cui cohceret e:>c uno
latere Budrio , ex alio latere Silva Sanóii Petri , Ù'c. y^lte-
ra Pecia de Silva ejì Jtta in Gajo de Soranca &c, & F^Jf^
Guittaldi ujque ad Lacum Sancii Sccundi ufque in Silvam de
Stagno .
D I più non aggiungo . Chiunque fcorrera gli antichi Docu-
menti dell'altre Citta di Lombardia , daperturto ritroverà fo-
miglianti efempli o diBofchi, odi Paludi. Una bella defcri-
zione delle Paludi Adriache già ci diede il Conte Silveftri No-
bile di Rovigo . Ma non è perciò da credere , che tanti fiti
fofTero affatto fprovveduti di abitatori. Molti erano i Fiumi,
che fcendendo dalle montagne andavano a deporre f acque
torbide in quelle Paludi, e folevano ivi formar delle Ifole, e
de' piccioli colli. Ciò fatto, non mancavano pefcatori e Villa-
ni, che correvano a piantar cola delle capanne, operpefcare,
o per arar la terra , fé n'era capace . Rara cofa compariva al-
lora il veder fimili cafuccie coperte di tegole, da noi chiamate
Coppi , Il Du- Gange avendo trovato nella Storia del Ghirar-
dacci all'Anno I3 5«5< cupatam domum^ (limò quella effere una
caia in modum cupa; feu cupellce teótam. Ma altro non vuol di-
re fé non una cala coperta di Coppi. Nelle Itole ed efcrefcen-
2e iuddette que'tugurj fi coprivano con canne palultri, o con
paglia, da noi chiamata Paviera dall'antico Papyrus , come
anche oggidì fi offerva nel Ferrarefe , e nelle Valli del Bolo-
gne fé . Anzi ne' Secoli barbarici non mancavano in fui civili
cale coperte di paglia. Perciò avendo i Milanefi nel Secolo XIL
tumultuariamente rifabbricata la diltrutta loro Cittk , non vi
fi videro allora fé non tetti di paglia . Ed allorché in onore
di Alefiandro Ili. Papa fi edificò la CirtH di Aleflandria , per-
chè le caie erano di terra meichiata colla paglia , o pài toifo
coperte di paglia 5 riportò il nome dii Alexandria della Paglia*
Tomo L K k Àl^
258 Dissertazione
Altrettanto avvenne a Ni:?^ della Paglia nel Marchefato eli
Monferrato . Ebbero anche in ufo i Secoli barbarici di coprire
i lor tetti con òqììq Scwdule^ cioè con afficelle di legno, l'una
appoggiata all'altra, e conficcate con chiodi. Lo fteffo ReRo-
tari COSI fcriife nella Legge 287. Si quìs de cafa eresia lìgnum
quodlibet , aut Scandulam ( o fia Scìndulam ) furatus fuerit ,
coyyipoììat folìdos fex . Si ferve tuttavia la Lingua Germanica
della voce Schifidel in quello fenfo . E Plinio atteila, che Ro-
ma per alcuni Secoli ebbe nella ftelTa guifa le fue cafe coperte.
Che gran tempo duraffe una tale ufanza , lo raccolgo da uno
Strumento dell' Anno 1201. riferito dal Puricelli ne' Monum.
Bafil. Ambrof. Trattafi ivi di certa Lobia ( che ora diciamo
Loggia ) de Scandolis cooperta , & pojlea fuit cooperta de Pa-
lea^ qua combujìa fuit ab igne defuper Ecclejiam 'veniente^ fic-
come pofta juxta murmn Ecclejìcje beati Ambrofti . Vedi come
tuttavia foifero rozzi i coilumi di que' tempi. Non so attribui-
re ad altro che a quello tanti incendj , che fpezialmente nei
Secoli XL e XiL diftrufiero quafi le intiere Citta, fra le quali
nominerò folamente Milano , Piacenza , Bologna , Brefcia , e
Modena, per tacere di tant' altre . Appena fi attaccava il fuo-
co, che quello mattamente fi llendeva pel refto della Citta .
In una Cronica ò^\ Padova da me data alla luce fi legge : Anno
MCLXXIV, incendium ortum fuit in Padua , per quod combu-
Jìce fuerunt 261^. domus , quae tunc erant ligneas jr agile s , &
non Cuppis , fed Paleis & Scandolis conte&a. Nella Vita di San-
to Aniegilo Abbate di Fontanella nel Tomo V. Luglio de' Bol-
landoti fi legge : Porticum de novo fecit , & eam cooperiens ,
Scindulas ejus ferrei s clavis affixit. Truovanfi ancora ne' vec-
chi tempi cafe di paglia . In uno Strumento dell' Anno ^ó'8.
Guido Vefcovo di Modena concede a livello Dominico qui &
Franco , camporas pecias tres cimi una Cafa Palliaricia &c. Co-
si nel Tomo II. del Bollarlo Cafmenfe Conflit. X. Cunimondo
Longobardo nell'Anno 7(55. dona Cafam domocultilem^ &omnes
teHoras infra ipfam terminationem Scatìdolicias vel Pallearicias,
Anche il Turrigio Par. 2. de Crypt. Vatic. riferifce uno Stru-
mento del 1030. in cui Leo Datibus Judex affìtta Gr(?^^ono, qui
njocatur de Gi:^/ , medietatem integram de domo folarata Sca?i-
dalicia , con quella condizione , ud fi Domnum Imperatorem
in iflam Civitatem exitam^ & in ipfam domum ftare nca po-
^^uerisy aud ipfam domum fregerinp ^ tam per Imperatorem^ quam^
que
V E N T E S 1 M A P R I M A . 259
que ettam infra ijìo confùtuto anni de ipfam domum lignamen-
tum fortìorem freger'mf , omnia conciare , & de ipfo psrditum
rejìaurare promiffo . Un buon nome doveano aver lalciato in
Roma tre anni prima i Tedelchi , allorché Corrado I. pafsò
cóIH a prendere la Corona . Ofìferva la voce Conciare Italiana,
Viene non da Concinnare , come pensò il Ferrari , ma bensì
da Co/?2o , Corntus^ Comtiare come fcrifle il Menagio. In Ger-
mania anticamente coprivano i tetti con canne, fecondo l'af-
ferzione di Plinio Lib. XVI. Cap. 30. E Plauto nel Rudente
fa conolcere, che anche in Italia le ne vedevano efempli. Per-
ciò non è da ftu pi re fé cosi frequenti e dilatati foffero una vol-
ta gì' incendj in Italia. Galvano Fiamma nel Cap. 15^. Manip.
Fior, dopo aver narrato il terribil fuoco di Milano del 1105.
foggiugne : EJì fciendum , qiiod Civitas Mediolani propter muU
tas defìriiBiones non erat interius ynuratis domibus edificata ^ fed
€>: cratibus Ù'Paleis quamplurimum compojìta , Unde Ji ignis
in una domo fuccendebatur , tota Civitas comburebatur . Unde
fuit Jìatutum^ quod flante ^ento ^ ?2uIIhs in doyno ignem faccende-
ret , Creda chi vuole tanto abbaflamento di quella nobiliffi ma
Citta. Quanto a me fon d'avvifo, che vi abbondafTero le ca-
fe fabbricate di calce e di mattoni ; ma perchè molte erano
coperte di Scindule, o vogliam dire alTicelle, ovvero di paglia,
perciò facilmente il fuoco fi comunicava dall' una all' altra .
Per provvedere a tal diiordine, e proccurare il maggior decoro
alle Citta , comandarono pofcia i Saggi , che non fi poteffero
più coprire di paglia . Lo Statuto MSto di Ferrara dell' Anno
1288. Rub. 223. Lib. II. ha quelle parole : Ad officium pradi-
Horum ( cioè de gli Eftimatori ) pertinente ne domus aliqua Fa-
lcata , five de Stori is cooperi a Jìt in Civitate Ferraris a terra-
leis infra . Sed omnes cooperiantur de Copis . ^li cantra fecerit ,
puniatur in XX. Solidis Ferrarienfibus , & teneatur tollere Cooper^
torium de Falca vel de Storiis . Vedemmo di fopra la voce Fo-
bia tuttavia ufata da' Milancfi . Loggia dicono i Tofcani . Il
Ferrari , e il Monofini traifero Loggia dal Greco Logejon . li
Menagio dubitò fé veniffe da Focus : il che non ha garbo .
Credo io , che venga da qualche antichifllma parola de i Po-
poli Settentrionali , perchè effa s' incontra nelle vecchie me-
morie dell'Italia, Francia, e Germania . Anche oggidì i Te-
defchi appellano Laube ciò che in Milano è Fobia , e Loggia
in Firenze ,
lek 2 Si
26o Dissertazione
Si {tendevano ne gli antichi Secoli , ficcome dicemmo , le
Paludi e Valli pefcareccie da Ravenna fino ad Aitino. Ma co-
me oggidì Venezia, e l'Ifole adiacenti , e Comacchio fono at-
torniate dall'acque, e pure abitate : cosi né pure allora le Pa-
ludi impedivano lo abitare in Kavenna , Spina Citta , Butrìo
diverfo a mio credere dal Bolognefe, e in altre Citta e Cartel-
la, delle quali ora niun veftigio rimane . Perciocché appena
per le torbide de' Fiumi refiava fecca qualche eminenza nelle
Paludi, che vi fi miravano piantate capanne dalla gente vici-
na. Qiiefte eminenze erano chiamate iìorft o DoJJì ^ e il per-
chè fé n'intende; o ^uvq Polejinì ^ ovvero Correggi ^ benché fi
truovi anche Corrigia in femminino. Da una parola Greca traf-
fe Gafparo Sardi Poh fine . Il Menagio la derivò àd^Peninfula ;
ma né i Polefini fon Penifole , e l'una parola non fi confk coli'
altra . In un Diploma di Lodovico II. Auguflo dell'Anno 871.
rapportato dall' Ughelli neh' Append. al Tomo V. è conferma-
ta al Veicovo di Reggio hiftila Su:^ria Inter Padum & Zaram
cum fundìs &c. qui ab hominibus Pagi ipfius Pidlicini nominan-
tur, Niuna coerenza ha PuUicinus con Peninfula . In un altro
Diploma di Lodovico III. pofcia Imperadore dell'Anno ^00.
fi legge cum aliis hifulis , qua vulgo PuUicini vocantur. Adun-
que i Polefmi erano I fole, e non Penifole. L' Ughelli corrotta-
mente leiTe ivi Pulcini. Era a mio credere appellato Polefine
quel tratto di Palude, che reflava in fecco, grande o picciolo
che foffe . Nello Statuto MSto di Ferrara dell'Anno 1288. il
Podefìa cosi giura : Et dabo operam^ quod Policini divifi agge-
ventur ^ ita quod per ipfos aggeres quilibet eques vel pedes poj/tt
libere ire. Erano probabilmente appellati Corrigium o Corrigia j
que' Luoghi, dove recavano diseccate llrifce di Terra , fomi-
glianti alle correggie di cuoio . Oggid'i Cuora in que' paefi è
nominata la terra paludofa, che comincia a produrre cannette,
e indurandofi a poco a poco fi fende atta a ricevere capanne.
Credo prefa tal voce da' Greci, che per tanto tempo fignoreg-
giarono in Ravenna, chiamando effi Ci?ora ciò che a noi è Suo-
lo , Campo , Terreno . Molte di quefte Cuore o Core unite
infieme forfè diedero il nome a Correggio . Sebbene potè que-
fla voce venire dagli antichi Latini. Fra i vecchi Scrittori Rei
agraria Innocenzo fcrive cosi : Vallis de fondo fuprafcripto eft ,
Etiam montcm in medio ì^fque in jugalem Corrigiam permittit.
Qui fembra flrifcia del giogo, fchiena 0 ferra della Montagna.
Così
V E N T E S I M A P R I M A . 261
Cosi nelle Paludi s'alzavano flrifcie e fchiene di terra. E ben
molti di tali Correggi fi truovano nelle memorie dell' antica
bafìa Lombardia . Pellegrino Prifciano ne' ftioi MSti cita una
fentenza data nel 1 1 80. da Garfendonio Vefcovo di Mantova
in una lite de pifcattonlbus , ca?ìalibus , & Lach in Curte Ser-
mitìs a Seda Jupya adftantìbus &c. & in hoc fimt diverfa no-
mina , fcilicet Laciis Taurus , Corrigium Gamineta , Corrigium
Trebatii , Corrigium de Langufculo , Et Seda dividi f unum Cor-
rii^ittm ab alio . Ep flumen Arconinde , & Lacus Taurus dividit
eilia Cnrrigia . Cos'i in una Donazione fatta nell' Anno ^pp.
dalla Santa Imperadrice Adelaide, Avola di Ottone III. Augu-
fto al Moniftero di San Salvatore di Pavia , troviamo Dojfum
Fra>canaria , Corrigia in Tengala , Corrigia BoniverPi . Altri
Correggi fi truovano nel Teltam.ento di Almerico Marchefe
dell' i\nno (?48. Ci conducono poi tali notizie a comprendere,
che la Citta di Correggio , da cui prefe il cognome la celebre
Cala de' Signori di Correggio , oggidì fottopofta al dominio
della Serenigli ma Cafa d' Elle , dovette forgere ne gli antichi
tempi dalle Paludi, che erano in quelle parti. S'incontra ezian-
dio nelle vecchie memorie la parola Me:?^:?^no , con cui erano
difegnate alcune Ville , particolarmente lìtuate in vicinanza
del Po ne'Diftretti di Parma, Lodi, ed altri Luoghi. Furono
una volta Itole formate da efib Po, e cosi denominate, perchè
in mezzo all'acque. Ora fon Ville nel continente. Ottone Mo-
rena nell'antica Storia Rer. Laudenf. feri ve : Piacentini redu-
xerunt naves ufque ad ripam Padi , quce efl verfus Placentiam .
Sed Laudenfes in quodam Me'4:a?io , qui Infula dicitur , prxlium
cum Placentinis incipientes &c. Fino a' tempi di Federigo I. Im-
peradore fcorgiamo effere flato il territorio di Ferrara pieno
di Paludi . Radevico de gefl. Frid.I. all'Anno 11 58. racconta
per cola mirabile , che farmi di elfo Federigo Augufto folfero
giunte a quella Citta. Ea res ^ die' egli , incredibilis vifa ejì ^
eo quod Ferrari a ^ Pado ibidem inflagnante ^ Ò' Paludes imper-
meabiles faciente^ munimento locorurn fidens >, omnem viciniam
fuam. intrepida & fuperba rideret . Grande obbligo ha quella
Citta a' Principi Edenfi pera^^ere ridotto in si buono flato le
campagne in quelle parti.
Tante Paludi per le torbide de gli sfrenati Fiumi alzandofi
e feccandofi, giunfero poi a renderfi arabili , ma con reftare in
molti Luoghi per mohilTime braccia coperto fantichiffimo pia-
no
2<?2 Dissertazione
no e fuolo delie Citta . Ciò Ipezialmente fi ofTerva in Mode-
na , le cui antiche rovine fi ollervano feppellite ben profonda-
mente a'noftridi. Scrive Strabone nel Lib. V. della Geografìa .
Lanam mollem & omnium longe opt'imam producmit loca circa
MutÌ7ìam & Scutnnnm (^ÌQ^giScuhennam) flumen. Molto cer-
tamente è in pregio anche oggidì la lana Modenefe ; ma non
fembra corrilpondente all'elogio di Strabone, forfè perchè mu-
tata con tante alluvioni la faccia del terreno , e la bontà de i
pafcoli. Effendo pertanto fiata ne' vecchi tempi mafluiiamen-
re la Lombardia occupata da tante Selve e Paludi , ne vien
per confeguenza, che di gran lunga fo ile minore allora il nu-
mero de gli abitatori , che oggidì . Ma da che tornò la Pace
in quelle contrade, e crebbe la cupidigia e induliria delle per-
fone, appiicoffi la gente ad arginare gli sregolati Fiumi, a lec-
car le Paludi , a sradicare i Boichi . In uno Strumento delia
ContefTa Matilda dell'Anno 1112. preffo il Bacchini Storia di
Polirone leggiamo Terram quamdam ^ qucs 7ìu}2c extirpatur ^ ex
pane Jìirpatnm , ex parte cum Silva , qude ejì pojìta in Curia
Majfcje infra Coìnitatum Ferrarice in fundo , quod dicitur Mar-
garino j a Jecundo capite Palus ^ quds dicitur Albolini ^ ab alte-'
ro latere Kunchus de job amie Anaflafii . Nel Veronefe una gran
Selva occupava il territorio di Nogara. In un Breve di Papa
Innocenzo II. fcritto a quel Popolo circa l'Anno 113^. fi legge :
Perlatum eJì ad aures noflras^ quod ì^ogarienJemSil'vamy quam
ComitiJJa Matildis a Monafterio Nonantulano fub annuali pen-
Jìone tenuit&c. extirpaveritis^ eamque vejìris ufibus excolatis&c,
Chiamavanfi Ronchi e Roncona dall'antica parola Latina Run-
care ^ i luoghi che dopo sradicate le Selve fi riducevano a col-
tura . In uno Strumento Ferrarefe del 1 1 1 3. abbiamo: Terram
autem illam , quam roncaho , frui debeo per annos tres ; pojlea
reddam Terraticum . Ecco la ricompenla di chi fchiantava i
Boichi per farne de' campi più utili . In altro Strumento da me
prodotto nella Par. I. delle Antich. Eftenfi è fatta menzione
de Samplis & Amplis . Ho ftentato un pezzo a trovarne il fi-
gnificato. Ora dico, eflere flati la medefima cola Xampla , e i
Ronchi, In tale fenib, come notò il Du-Cange fi t ruo va Tófr-
ra exemplata , Exemplatio , ed Exemplum , che è lo lìtico con
Xamphiìn, Forfè vengono tali voci corrotte dal Latino Exam-
pliare ; e di la non inverifimilmente è nata la parola Scempio.
Erano appellati Novales i campi ridotti capaci deli' aratro .
Da
V E N T E S 1 M A P R I M A. . 2^ j
Da qneRo Roncare , o fia da quello abbattimento dì Selve ,
fon poi venuti i nomi di Ville , portanti il nome di Ronca-
plia . Due ne ha il Contado di Modena . Ne hanno altre Gir-
ta della Lombardia , ficcome ancora con altri nomi di Ronco-
'vetere , Ronchi , Ronc aglio , Ronca . Celebratiffima fu fopra
l'altre la Roncaglia de' Piacentini preflb al Po, Luogo vaftilli-
mo, e fenza alberi, dove anticamente fi tenea una mirabil Cor-
te di Principi e Baroni d' Italia , maflimamente allorché per
la prima volta venivano gl'Imperadori Tedefchi a prenderle
Corone del Regno d'Italia , e dell'Imperio. Arnolfo Storico
Milanefe all'Anno 1047. Y\omm2i Prat a Ronc balta ^ dove Ar-
rigo II. fra gli Augufti tenne una Iplendida Dieta.
Quello che conferì non poco ad accrefcere le popolazioni
in Italia, fu l'eforbitante liberalità de i Re verfo le Chiefe, e
verlo i VafìTalli , col concedere loro non folamente le Ville e
Caftella , ma anche le Regalie , con reftare perciò fmunti
quafi affatto i Diftretti e Contadi delle Citta ; di modo che
quel paefe , che una volta ubbidiva ad una loia Citta, e al fuo
Conte, venne a dividerfi in molti, per cosi dire. Regoli. Ognun
pofcia di quefti formava delle Caftella , tirandofi quanti abita-
tori poteva per nobilitare ed accreicere il luo dominio. Ma da
che dopo il Secolo XI. le Citta d'Italia alzato il capo fi milero
in liberta , atteiero ancora a foggiogare tutti quclii Signori o
Signorotti, obbligandoli a tener cala nella ilefia Citta, e a di-
ventarne Cittadini . Cos\ andarono da li innanzi crelcendo le
Citta, e a riferva di poche, furono tutte forzate ad accrefcere
il giro delle loro mura. In Napoli, Milano, Firenze, Pavia,
Verona, Cremona, Padova, Bologna, Ferrara, einaltreCit-
ta non v' ha informato delle cole della Patria fua , che non
moftri l'accrefcimento delle mura ivi fatto , e quante Chiefe
una volta erano fuori della Citta , ed oggidì fon comprele nel
fuo recinto . Mirando noi pofcia lo flato prelente d' Italia ,
troveremo , che eccettuate alcune poche Citta , le quali o
non fon calate , o lon creiciute in Popolo , e in fabbriche ,
perchè quivi abita il Principe , e a riferva ancor di Livorno ,
l'altre tutte notabilmente fnìinuita mofì:rano la lor popolazione.
Ne è cagione f eifere paflate in altri paefi quell'Arti, Ipezial-
mente della Seta e Lana, onde cotanto profittavano una volta
gl'Italiani ; perchè la potenza in mare, e il commerzio in Le-
vante e all'Indie Orientali, fi è ridotto in altre Nazioni; e per-
chè
2(?4 Disserta zione
che da gran tempo non poca parte dell'Italia è fiata fottopo-
fìa a Regnanti, che hanno la lor fede Oltramonti. Potrebbefi.
nondimeno opporre all'aver noi detto , che le contrade Italia-
ne prima del Mille cedeffero di molto alla popolazione de'no-
fì ri tempi , ciò che ha T Anonimo Ravennate ; perciocché fe-
condo lui , quidam Philofopb't Ital'iam ampltus quam feptingen'
tas C'fvh^tes habuijfc dixerufU. Egli llefìo molte ne annovera ,
delle quaU non reità veRigio , anzi né pur fi truova menzione
prefib gli antichi . Ma quell'Anonimo, creduto dal P. Beretti
Guido Prete di Ravenna mentovato dal Biondo e dal Galateo,
ci ha data una Geografia troppo difettofa e confufa, mifchian-
do infieme lo flato felice de' tempi Romani con lo fcaduto de'
Secoli barbarici ; e dando nome di Citta a' Luoghi , eh' erano
femplici Caftella o Ville ; e tralafciando poi varie Citta , che
dopo la declinazione del Romano Imperio fecero buona figura.
Per efempio, dopo Piacenza fono da lui annoverate /«///rC^rf-
fopolis^ qua ejì Parma ; Becillum ^ cioè Brixellum ^ certo anti-
chiffima Citta al tempo de' Romani , ma che atterrata fotto i
Longobardi, da tanti Secoli nulla ritiene dell'antico fplendore.
Seguita Tanetuìn , che fu folamente un Borgo ne' Secoli anti-
chi; e quand*anche aveffe goduto la prerogativa di Citta, tut-
to fvani , né di lui s'incontra più alcuna memoria . Succede
Lepìdum R.egium ^ Mutina^ Forum Gal lor um , Ma quefto Foro
fu folamente conofciuto da i Romani, e non già dai Longobar-
di e Franchi . Dopo Bologna prefTo l' Anonimo fuccede Clater-
na^ che da tanti Secoli ha perduto ogni nome. Tralaicio al-
tri Luoghi . All'incontro ninna menzione fa egli di C/V^^' M/o-
n)a delModenele, che a'tempi di Carlo Magno era in fiore;
e né pure di Afolo^ nobil Terra o Citta, mentovata in un Ca-
pitolare di Lottarlo I. Augufto da me dato alla luce. Equi mi
fia lecito di far offervare una particolarità , che fi legge in una
Bolla di Guiberto Arcivefcovo di Ravenna , ed Antipapa fotto
nome di Clemente III. con cui nell'Anno 10^2. conferma ai^
Canonici della Chiefa di Reggio i loro Beni . Scrive egli cosi :
Et Deàmam in Civitat^ , qua njocatur Kegium &c. Et omnes
rcs , qua Junt in circuitu Civitatis ^ qua vocatur Emilia * Ecco
due Citta, fenza apparire, le follerò disgiunte o unite. Berme
le credo congiunte , cioè l'antica appellata Reggio ^ e la nuova
chiamata Emilia; ficcome in Modena fi vede la Citta Ercu-
lea 5 che é un accreiciinento della vecchia Citta fatto da Er-
cole
Ventesimaprima, 26^
cole II. Duca di Ferrara ; e ficcome anticamente la Citta Leo-
nina fu aggiunta a Roma . In una Donazione fatta nell'Anno
^4(5. da Adelardo Vefcovo di Reggio fi legge pecia una de ter-
ra arativa in Ctvkate Vetere * Ed Eribaldo Velbovo Tuo Prede-
ceiTore in un altro Strumento del P43. nomina Ecclejiam Beati
Thomic Apojloli , qu<e fita efl Regio Civitate vetere . Quefta
Città vecchia ne chiama una nuova , cioè una parte aggiunta
da i Reggiani all'antica loro Citta.
Ma troppe fon lecofe, che per mancanza di memorie, re-
flano tenebrofe nell'antichità. Non folamente i Luoghi perle
guerre, per gi'incendj, per le inondazioni, e per altre umane
vicende, cangiarono alpetto , ma fin mutarono i nomi. Mene
fomminirtra efempj Modena polla fra due non ignobili Fiumi ,
chiamati da Romani Scultenna e Gabellus , ma non conofciuti
dall' Anonimo Ravennate . Ma Scultetma ritiene bensì nelle
montagne l'antico ilio nome, ma giunto al piano, da piìi Se-
coli ha il nome dì Panaro, Altrettanto è avvenuto a. Gabellus ^
chiamato oggidì Secchia * Onde mai quefta mutazione di nome?
Ho 10 pubblicata una bella Ifcrizione, efiftente una volta aSan
Faulìino di Rubiera , poco lungi da Secchia , da cui apparifce,
che nell'Anno 255?. Valeriano Auf^ufto e i fuoiFigli PONTEM
SECVL. VI IGNIS CONSVMPT. INDVLG. SVA RESTI-
TVI CVRAVERUNT. Sicché fino allora dovea quel Fiume
ììomìrìàvCi Secula -poi Seda ^ e finalmente i'^cc/^/// . Come poi in
SI poco tempo dopo Plinio fi cangiaffe quel nome , chi mei sa
dire? Per altro ne' vecchi tempi, per teftimonianza di Pelle-
grino Prifciano, correva Secchia fra. Burana e la Villa di Gabel-
lo , e dura tuttavia nel Mirandolefe un Gavcllo Villa . O que-
lla diede, o prele il nome da Gabellus. Abbiam fatta menzione
di Città Nuova fabbricata da i Modenefi quattro miglia lungi
dalla loro Citta all'Occidente fuUa Via Emilia , chiamata Clau-
dia nelle vecchie Carte . Di efla oggidì dura tuttavia il nome
e la fola Parrochiale in quello ftelfo fito : il rimanente è fotter-
ra. Mi fia lecito i'illultrar qui il Te (la mento di Carlo Magno,
in cui fi leggono le tegnenti parole: Per Padum fluvium termi-
no currente ujque ad fi?ies Regiefijium , & Civitatem Novam^
atque Mutinam ufque ad terminos SanóiiPetri, Che Liutpran-
do fofTe il primo londatore di quel Luogo, non ce ne lafcia du-
bitare un Marmo tuttavia efiftente nella Parrochiale fuddetta
colla feguente Ilcrizione in Lettere Romane.
Tomo l Li HAEG
206 Dissertazione
HAEC XPS FVNDAMINA POSVIT FVNDATORE
REGE FELICISSIMO LIVTPRAND PER... VMCEB...
HIC VBX INSIDIAE PRIVS PARABANTVR
FAGTA EST SECVRITAS VT PAX SERVETVR
SIC VIRTVS ALTISSIMI FECIT LONCIBARD.
TEMPORE TRANQVILLO ET FLORENTISS.
OMNES VT VNANIMES... PLE.... IS PRINC...
Circa l'anno 71 5. fu porta quella Ifcrizione . Ho io co' miei
occhi veduto ed esaminato quel Marmo, e letto ivi Loncibard,
Veramente ne gli autentici Diplomi di Carlo Magno , e de'fuoi
Diicendenti fi truova fcritto Langohardorum^ e in un Marmo
tuttavia confervato in Ravenna fi legge... OL. REGI.FRAN-
COR. ET LANGVBARDOR. HAC PATRICIO RO . . .
Ma che anche fi icriveffe Longobardorum bada bene a provar-
lo rifcrizione di Cittk Nuova; e però trovandofi Monumenti,
ne' quali fia fcritto, non s'ha fubito a gridare, che v'ha qual-
che frode od impoftura.
Come poi crefceffe in breve la popolazione in quella C/V/-^
Nuova ^ concorrendovi ad abitare il Popolo Modenele , cel fan-
no intendere le Memorie luJJeguenti. Fra quelle del RegalMo-
nifìero di Nonantola fui Modenele fi confervava Prìvilepium
ClementiJJtmì Karoli Imperatorìs ( cioè del Magno ) i?ì Ajìjelmo
Abbate conjirmans quavndam fentenùam^ qucs lata fu'it i??ter tp-
fum Abbatem , & Inter B^aynaldum Cajìald'tojiem Civitat'ts Nov(S ,
& Populum ejusdem Civitat'ts , & Poptdum Sorbarie?2fem , Alba-
return , & Colegariam , de Infida & Silva , qu(je ejfe videtur in-
ter Pantìrio & Fojfa , qua dicitur Munda . Sicché quel Luogo
era già divenuto Citta , e vi foggiornava il Gaftaldo Regio ,
Ufizio , che , ficcome abbiam veduto nel Cap. X. era uguale
a quello de' Conti . Il Campi nella Storia della Chiefa Piacen-
tina riferifce un Decreto del Re Bertarido per una controv^er-
fìa di confini fra DaWtbertum Galìaldum Placentincs Urbis , &
Imonem Gaftaldum Parmenfts . Che ivi ancora dimoralle un
Conte, cioè un Regio Governatore, lo deduco da uno Strumen-
to di Rataldo Vefcovo di Verona nell' i\nno 813. perchè vi è
fottofcritto Riempertus Comes Civitatis Novce . Non era peran-
che nata in Ilìria Citta Nuova dalle rovine d' Emona, e pero
quel Conte dovea appartenere a Citta Nuova del Modenefe .
Abbiamo anche pruove , che quel Luogo foffe murato . In
uno
Ventesimaprìma. ^6'J
uno Strumento dell'Archivio de' Canonici di Modena dell'An-
no 855. dove fon quefte parole: Placuit cttque corinjemt tntev
DomntiS Jonas Dei gratta Epìfcopus Sa/ióle Ecclcjis Motinenjis ,
nec 71072 & ex alia parte inter Garùuifw de Curolo ( oggidì Corlo )
livero homi?ie , ut in Dei Jiomine ego qui fupra Garboino , 'vel
meis heredis laborare & excolere dcheam rem juris Jacre Sanali
Apojìoli 5 que ejì conJìruEia & edificata intra Muras Civitatis
Nova, Àggiungafi un altro Documento del medefimo Archivio,
spettante all'Anno pii. Qliìvì Gotifredo Vefcovo di Modena
concede a livello alcune terre, pojìtas infra Cafirum noflrumy
quod ejì edificatùm prope Muras Civitatis Nova . In altro Stru-
mento dell' Anno p 14. fi legge una Donazione fatta al mede-
fimo Gotejredo E.p'tjcopo de peciola una de terra , que vajacet lon-
go muro de Cajìello^ quod ejì edificaturn prope Muras Civitatis
Nove. Sicché non folamente Citta Nuova era guernita di mu-
ra, ma s'era anche fabbricato un CaHello o Fortezza in fua
vicinanza . E nota longo ?nuro de Cajìello , come frafe della
Lingua Italiana, cioè lu?2go il muro del Cajìello . Truovafi an-
cora un frammento di Diploma con cui Lottario I. AuguRo
neir Anno 827. o pure 842. fa una Donazione di molti beni
al Moniftero Nonantolano , dove fi legge in noftro territorio
'Emilianenfir , vel ad partem Motinenfem infra cofifines Civita-
tis Geminiana. Chiama egli l'Emilia 'Territorio nofiro^ non so
fé la Provincia, o pure il diftretto di Reggio. Chiama anche
Citta Geminiana la liefla Citta nuova; e lo fteffo apparifce da
un Diploma dell' Imperador Lodovico Pio fuo Padre, pubblica-
to dal Sillingardi e dall' Ughelli. Più fot to è mentovata Civi-
tas Geminiana ^ que vocatur Flexiana . Da San Geminiano Ve-
fcovo prefe Città Nuova quella denominazione ; ma perchè
foffe anche appellata Flexiana non l'ho potuto finora com-
prendere. Vedemmo di fopra in un Diploma del Re Berenga-
rio I. dell' Anno 8pp. fatta menzione de finibus noflris Regi-
fianis & Flèxianis,
Quanto ancora il tempo abbia alterati e cangiati i confini
de gli antichi Contadi , poffo comprovarlo colle vecchie Me-
morie di Modena . Fra i pochi Documenti , che reftano nel
già ricchifllmo , ed ora fvaligiato Moniilero di Nonantola , fi
conferva una Donazione fatta nell' Anno 'j'jó, a quel facro
Luogo e a Santo Anfelmo Abbate f:!o Fondatore da Giovanni
Duca Figlio dì Orlò Duca , e da Orfa fua Sorella Monaca .
L 1 2 Leg-
2^8 Dissertazione
Leggefi quivi : Domino fatiBo Ò' venerabili Monajìerlo SanElo-
rum Apojìolorum ^ & Chrijìi ConfeJJ^ovis Silvejìri fttu Nofjantula^
Pago Perficeta , Territorio Motinenfi , Ó^ . . . . tegente njir beatif
ftmus Anfelmus Abbas preejfe videtur . Quefto Giovanili Duca
verifimilinente fu uno de gli Afcendenti de i Ducili diRaven-
rja, che fovente fi truovano ne i Monumenti de' Secoli fuife-
guenti. Oflervifi qui, che l'infìgne Moniftero di San Silveftro
fi dice Jltum Nonantula , P^go Perftceto , territorio Motirienfe .
Cioè il Moniilero era fituato nel Pago di Perficeto , e quefto
Pago era nel territorio , cioè nel Contado e diflretto di Mo-
dena . Allorché s'incontra nelle antiche Carte la parola P^^wj,
inavvertenteraente alcuni credono , eh' effa fignifichi qualche
Villa o Caftello . Significa un tratto di paefe , che abbraccia
molte Ville, Cartella , e Terre . Predo il Campi nella Storia
Ecclefiaftica di Piacenza abbiamo un Diploma di Lodovico Pio,
che rammenta Monajìerium Gravacum^ in Pago Placentitìo co?!-
JìruHtrm j cioè nel Diftretto di Piacenza. L'Ughelli ne'Vefco-
vi di Verona rapporta un Privilegio di Lodovico IL Augufto ,
dove troviamo res pojìtas in Pago Veroìienft ^ in Pago Tarviji-
no . Potrebbefi provare la forza di quella voce con pafTì di
Cefare, Plinio, Tacito, ed altri . Potrà il Lettore conlultare
fopra ciò, ilFreero, ilSalmafio, il Vo^io, il Bignon , il Du-
Cange , ed altri Eruditi . Anche in un Diploma à^'i Lodovico
Pio dell'Anno 814. efillente nell'Archivio Nonantulano, fi ve-
de confermata da eflb Augnilo una permuta fatta fra Pietro
Abbate diNonantola, e Ridolfo Rettore del Moniflero, quoà
efl conJìrii6ium intra mnros Civitatis Brixice in honore Domini
Salvatoris nojìri Jefu Cbrijìi , quod vulgo appellatur Monajìe-
rium novum ^ parole, che s' hanno da intendere del nobiliffi-
mo Moniftero delle Monache di Santa Giulia , Economo del
quale dovea efiere quel Ridolfo . Ora quefti diede al Moni-
ftero di Nonantola Villam ?jimcupantem Redudum^ quce dici-
tur fuper nomen Corticclla , in Pago Perjìceta . Chiamad tut-
tavia Reddh quella Villa , ornata di Chiefa Parrochiale , e
fottopofta al Duca di Modena come Padrone della Terra di
Nonantola. L'ampiezza ancora del tratto della Perficeta fi ri-
cava da Leone Oitienfe Lib. I. Cap. 54, della Cron. Cafin.
dove cosi è fcritto di Giovanni Abbate : Hic fecit libellum
Adelberto fiUo Rainerii de Rnflello ( oggidì fi chiama RaJìeU
lino Villa fottopofta alla Diocefi Nonantolana ) de aliquot
Cur-
Ventesimaprima. 26 g
Curithus hujus Mo?iaJlerti m Comitctm Mutine n fi , fundo qui
dìcttur Perjìceta . Anche Pietro Diacono nel Libro I V. Ca-
pii. 18. delia niedefima fua Cronica, attefta , che alla Ba-
dia Cafinenfe era lottopollo Motiajìerhim Sa?i6li Benedici ,
Territorio Muti?ienji intra fities flwvii Fufculi ^ Ò' limiti s Mal-
meniliaci . Oggidì ancora fi mira la nobil Terra appellata
San Giovanni in Perjiceto , poRa nel Contado di Bologna .
Come s'ha dall' UgheUi, Federigo II. Imperadore confermò
al Vefcovo di Bologna Cajìrum Sanali Johannis iti Perficetc .
Sicché intendiamo , che una volta il Perficeto , o fia la Per-
ficeta era parte del Contado di Modena , e per confeguen-
te almeno il Fiume Samoggia divideva effo Contado da quel-
lo di Bologna , con reftar anche a i Modenefi Bazzane ; e
quePio Periìceto abbracciava Nonantola colle fue Ville , la
Corte di Zena , San Cefario , Panzano , Cartello San Gio-
vanni , ed altre Ville e Caiiella , che la potenza de i Bolo-
gnefi a poco a poco iottraffe non folo al Contado , ma an-
che alla flefìfa Diocefi di Modena . Però una volta erano ben
compartiti i confini fra quelle due Citta , che oggidì fono
cotanto fproporzionati . Allorché i Longobardi tollero la Cit-
ta di Modena a i Greci Signori dell' Efarcato, non ebbero tut-
to il tuo territorio. Ma pofcia per teftimonianza di Paolo Dia-
cono Libro VI. Cap. 4p. de Ged. Langobard. il Re Liutpran-
do tolte loro Cafìra j^milice Foronianum ( fi dee leggere Fe-
roììianum ) & Monte Bellium , Buxeta , & Pcrjiceta . Q_ui
Feronianum é oggidì appellato il Frignano o Fregnano , pic-
ciola Provincia del Ducato di Modena nelle montagne , che
comprende Seftola capo di efia Provincia , la grofia Terra di
Fanano , con affai altre Cartella e Ville . I Friniati Liguri ,
mentovati da Livio , fon più torto da cercar ivi , che dove
immaginò il Cluverio . Mons Bdlius , chiamato oggidì Mon-
te Veglio 5 o fia Monte Vio , fu per alcun tempo fottoporto
alla giurisdizione di Modena . Di Buxetum fi è perduto il no-
me 5 non potendofi qui intendere Bujfeto porto fra Parma e
Piacenza . Anartafio nella Vita di Gregorio II. Papa icrive :
Langobardis j^rmlide Cajìra , Feronianus , Montsbelli , Vera-
blum cum fuis oppidis , Buxo , & Perjìceta , Pentapolis quo-
que , & Auximana Civitas fé tradiderunt . Troppa parte del
Perficeto oggidì ubbidiice a Bologna.
E que-
270 Dissertazione
E queflo fia degli antichi confini di Modena. Ma forfè nin-
na Citta (1 moftrera , nel cui dillretto o anticamente , o ne'
tempi delle guerre de' Guelfi e Ghibellini , non fieno accaduti
cangiamenti ora in bene ed ora in male . Nella Par. I. delle
Antich. Eft. Gap. Vili, feci vedere, che al Contado di Brefcia
appartenevano una volta Cafale Majus , VidelìaTza , Pompone-
fcum^ & Siiz^rt a, /Dì CIO parlaremo ancora al feguente Capi-
tolo XXII. facendo conofcere, che quella Città comandava ad
altre Terre oggidì fottopofte a Cremona . Qlii mi fìa permef-
fo di far menzione di una Donazione fatta nell'Anno 883. da
Carlo il GroiTo Imperadore ad un Giovanni Gaftaldo di una
MafTarizia in loco Fontane , Comttatu Br'iìàenji , Parochia Cre-
ìnonenfi : dal che fcorgiarno che il Dillretto di Brefcia fi Ren-
deva nella Diocefì di Cremona . Cosi Felina e Malliacm^ co-
me vedemmo nel Cap. VI. erano Corti o Cartella di Parma ,
e oggidì appartengono aReggio. Una volta ancora il Contado
di Reggio fi ftendeva fino a i confini del Ferrarefe . Da gran
tempo non è cosi . Comandava anche a '^ardiftallum , oggi-
di Guaftalla , alzata all'onore di Città e Ducato ; ma quella
ne fu fmembrata . In un Di'ploma di Lodovico III. Re d'Ita-
lia neir Anno por. noi troviamo confermata al Moniftero di
San Siilo di Piacenza Cunem jur'ts Pegni nojìri , que dicìtur
'Wardijìalle , conjìjìentem in Comitatu Pegtfinno ìion longe a
jluvio Pado , Qliìvì è nominato Adalmano Vefcovo di Concor-
dia non conofciuto dall' Ughelli . Cosi in un Diploma di Lot-
tario I. Imperadore, rapportato da elfo Ughelli ne' Vefcovi di
Como noi miriamo Vallem Tellinam in Ducatu Mediolanenji .
Forfè era fcritto in Comìfatu Mediolanenji ^ come apparifce da
altro Documento, che accennerò nel feguente Capitolo. Sima-
raviglierà taluno all' olfervare tanta eiìenfione una volta del
Contado di Milano ; ma cefferà lo flupore, allorché vedrà nel
Cap.LXX. rammentato uno Strumento dell'Anno 880. da cui
rifulta, che la Città di Como era allora fottopofta Co-miti Me-
diai anenfi. O per qualche delitto doveano i Comafchi avere
perduta la lor prerogativa , o qualche Imperadore dovea ave-
re accrefciuto l'onore dell' infigne Città di Milano colla giunta
ài quel Contado . Per altro anticamente v' erano Terre grolle
governate dal fuo Conte , e dipendenti folamente dal Re o
Imperadore . Ma da che Milano fi erefìe in Repubblica , fug-
gettò alcuni di que' Contadi: laonde Galvano Fiamma nel Ma-
ni p.
Ventesima PRIMA. 271
nip. Fior, ebbe a fcrivere ampliata nel iióy. la potenza de i
Miìanefi colle feguenti parole : Dtdcatus Burgitrice ^ Marchìonatus
Martefancs , Comltatus Seprii , & Comhatus Turigics , C^ P^ra-
hingt 5 & Comttatm Leucì , qui omnes quafi domefl'tcì inimici
Terram iftctm femper invaferant , fa6ii funt fubjtHi & fervi
perpetui Civìtatis Mediola?ii &c, Civitas Anglertds , & Civitas
BrianT^cs i?i 7ioftraOppida rediguntur. Alcuni di queili Contadi
nacquero folamente dopo il Mille ; altri erano più antichi .
Nel Teftamento di Angilberga Imperadrice dell' Anno ^'jy.
pubblicato dal Campi nella Storia della Chiefa Piacenr. fi truo-
vano Curtes in Comitatu Burgare72fe : id fum Bni?jago &Treca-
te. Perchè il Fiamma chmnvdì^Q Ducato di Bulgaria quello che
era Comitato non ne so dir la raeione . La menzione di Tre-
cate farebbe da vedere , le indicalle , che il Co?ìtado di Bur-
garia lo (lefTo foffe che quel ài Vigevano de' noftri tempi. Ot-
tone I. Augufto, come s'ha da un luo Diploma del p^^^. rife-
rito dall' Ughelli ne'Vefcovi ó^ì Parma , conferma tutto ciò ,
che Ingone nobil uomo poffiede in Comìtatibus Bulgarietifi ,
haumellenft , Piombi enfi , Mediolanenfi. (iXc. Fa menzione di
Plombia anche l'Anonimo Ravennate , e il fuo Contado era
confinante con quello di Novara. Nell'Anno 1028. Corrado L
Augufto concede o conferma a Pietro Vefcovo di Novara Co-
?nitatum de Plurnbia , & alium de Oxula . Sicché anche Do-
modojfola avea allora il fuo particolar Contado, che fi truova
confermato nel io 14. al medefimo Vefcovo da Arrigo Primo
fra gì' Imperadori , nominandolo quemdnm Comitatulum , qui
in Valle Aufula juxta ipfius Epifcopatus Parochiam adjacere di-
gnofcitur.
Vediamo ancora nominato in un Diploma di Lodovico UT.
Augufto dato al Vefcovo d' Adi nell' Anno por. Comitatum
Bredolenfem inter Tanagrum & Sturi am . Antichiffimo poi fu
Comitatus Seprienfis mentovato di (opra . In uno Strumento
dell'Anno 844. accennato già al Cap. IX. fi truova Johamìes
Comes Seprienfis . Più antica è la memoria di elfo in uno Stru-
mento del 804. confervato nell'infigne Archivio de'Monacidi
Santo i^mbrofio di Milano , dove fi parla di un Oratorio di
San Zenone Confejfore , quod fondato effe videtur in loco Cam-
pellione prope Riha ( del Lago di Lugano ) ji?iibus Civitatis Se-
brieiifis . Ecco che Seprio fi contava allora fra le Citta . Ne
reRaiiO ora appena le velligia 5 dove è Cajìel Seprio non lun-
gi
^'J^ Dissertazione
gì dalla groffa Terra di Gallarate. Leggefi in un altro Strumen-
to del med^rmio Archivio ali* Anno 857. Conftat , me AngeU
berpus de Vico Canobto fifiibus Sebrtenjìs . Nobile Terra è og-
gidì Canobio alla riva del Lago Maggiore , fottopoiia alla no-
bil Gafa Borromea . Né alla dignità per particolar Contado del
Seprio nuoce punto il trovarfi in altro Documento dell' An-
no 8(5'5. mentovata una Corte hz loco & fundo Balerne ^ ubi
dkhur Oblino^ Judìctaria Sebrìenje , Vedremo anche nel Gap.
feguente Vaheliniim Judtctariam Mediolananfem . Ma fecondo
le Leggi del Re Liutprando Judìciaria fignifica il Diftretto di
qualche Citta . Poco fa Galvano Fiamma nominò Anghlera ,
robil Terra pofTediita da i luddetti Conti Borromei nel Lago
Maggiore. Anticamente era elTa nominata 5'/'/7//ow^, e non già
Se attoria^ come ha l'Anonimo Ravennate , e fi (lendeva la ìua
giurisdizione alla maggior parte de' Luoghi fìtuati alle rive di
effo lunghiflimo Lago. Nel fopra accennato Teftamento d' An-
giiberga Augufta fono porte in Comitatu St^tionenfe Curtes Ca^
broy & Mafinum^ nel cui ultimo Luogo ufc\ alla luce Matteo
Magno Vilconte . Cosi in uno Strumento dell'Anno 808. com-
parifce Draco filius quondam R.odelmu?2do , il quale accenna ,
qu(S pojftders njiueor Ì7i territorio Civitatis Sebrienfe &€. feu &
In fi nibus Statone njis ^ locus Leocarni , Adunque la nobii Terra
di Locamo apparteneva al Contado d'Anghiera, fenza faperiì
intendere, come poi C^7;oZ'^'o fofle del Contado di Seprio. Pref-
fo il Puricelli in un Privilegio dell'Anno 8^4. dato dal Re Be-
rengario I. a i Canonici della Bafilica Ambrofiana troviamo no-
minato Manfum illud ^ quod efi: in Cornalede pertinens ex Coyni-
tatù Fra7^nienft, Io iruovo Cornale alla finifìra della Terra di
Pizzighittone ; e però farebbe da vedere , fé quel che oggidì
è territorio della Citta di Crema , foflTe allora il Contado Fra-
zonienfe . Coftume in fatti fa di que' Secoli di compartire in
tal guifa i territorj , che i Luoghi frapponi fra le Citta , e
troppo diftanti da effe, avefìero il loro Conte , o fia Governa-
tore per maggior comodo degli abitanti. Però motivo abbiamo
di folpettare, cìiq CaJìelloArquato pofto fra Piacenza e Parma,
godeife allora il Privilegio del proprio Contado . In una Dona-
zione , fatta nell'Anno 833. da Aliberto Prete al Moniftero
Nonantulano, fono enunziati h^nì finibus Cafiro Arquenfisy vel
finibus Flaceìitina , niel in finibus Rege^ifis , loco Arcete . Due
tdlimonj dicono A^q^q^q finibus Brixiane, Colla ^^roh finibus
le ai-
V E N T E S I M A P R I M A ;; 2/ j
fembrano difegnati i diverfi Contadi . In uno Strumento da me
rapportato nella Par. I. Gap. 14. Antiqu. Eli. fpettante all'An-
no 1012. fi truova Lanfranciis Comes hujus Comitatu Auàenfe ,
Credo d' averne trovato il fito . Cioè cosi era denominato il
tratto di paefe , che è fra il baflo Parmegiano e Piacentino ,
oggidì appellato lo Stato Pallavicino . Ora ne è capo Buffeto ;
anticamente dovea eflere Auce^ di cui non truovo ora velìigio.
Forfè dalle fue rovine crebbe Borgo San Donnino , oggidì Città
Epilcopale . Si figurò il P. Beretti nella IbaDifTert. Chorograph.
d'aver trovata menzione di quello Borgo in un Placito tenuto
in Parma l'Anno 830. e dato in luce dal Campi Piacentino.
Qiiivi fi tratta una lite fra Grimoaldum Avocatum da pars Mo-
•7iaflerii SanHì Florentii in FlorenT^ola^ & Vrjonem Preshfterufn
tam de beneficium » . . da pars . . . SanHi Domnini . Ma s'iia
da leggere Ecclejìce , o Oratorii , o Monajìerii , o Plebis , 0 al-
tra fi mil parola , e non g\\i Biirgi , Di lotto v'ha qui ad pars
Sanóli Domnini res fuas prò animam fuam dedit . Adunque vi fi
parla d'una Chieia. Odafi ora ciò, che è fcritto in un Diplo-
ma di Lodovico Re di Germania dell'Anno 875. in cui conce-
de ad Hirmingarda fua Nipote Lemin Curtem in Comitatu Per-
gama^ & Curtem Majorem in Piacentino Comitatu^ & inAucia,
Vedefi tuttavia la Terra di Corte Maggiore nel paefe già fpet-
tante a i Marchefi Pallavicini. In un Placito dell'Annoilo, te-
nuto in Cremona fi truova Advocatus Curtis Dormii Regis Auce ^
quce dicitur Majore .
Del pari la bella Terra ài Garda fui Lago Benaco, il qua-
le da elfa oggidì è chiamato Lago di Garda , pare che godelfe
ne gli antichi Secoli il decoro di un particolar Contado . Un
Diploma di Berengario I. Re d'Italia dell'Anno 8^3. in favo-
re del Moniftero di San Zenone di Verona , parla de Corte no-
Jìra Meleto Jìtas in Garda , e più fotto jugera o&o ftta in f-
nibus Garda, In uno Strumento da me rapportato nelCap.XIV.
Garda è diftinta col nome di Citta , ed ogni Citta avea il fuo
Conte e Contado. Così Comitatus Montejìlicanusy oggidì Mo»-
felice , nobil Terra del Padovano fi truova in uno Strumento
dell'Anno ^28. e ne' Diplomi di Arrigo I. e Corrado I. preiTo
rUghelli ne'Vefcovi di Verona . Altri fimili Contadi ritrove-
rà chi maneggia le antiche pergamene . Ma fpezialmente vo'
io qui ricordare una Donazione , di cui tornerà occafion di fa-
Tomo I. Mni velia-
27+ DlSSET? T AZIONE
veliare nel Gap. LXVII. fcritta prima dell' Anno 800. Ivi è
nominato Co?nìtraus Litcardus , nome Urano . Ma che quefto
fofTe in Tofcana fra Arezzo, Firenze, Siena, Volterra, e Fifa,
fi raccoglie dal trovarfi ivi tuttavia il Caltello iLwcWo , e daìl'
annoverare fra i Luoghi di quel Contado P etroni aco , Monte
Bonici ^ Monte Domenic/jì ^ San Donato^ Santa Maria ^ Meleto^
San Pietro &c. Angulto era una volta il Contado di Siena ,
come vederemo al Cap. LXXIV. e però none da ftupire , fé
fra effa e Firenze fi trovafle il Conrado Lucardo . Dall'Anoni-
mo Ravennate fra le Citta delia Tofcana viene annoverata
Lugaria, Forfè ivi è da leggere Lucarda , Avvertimmo di fo.
pra, che nelle Montagne il Fregnano è una picciola Provincia
del Ducato di Modena . Verifimilmente anch' elfo una voka
ebbe il tuo proprio Conte e Contado. Paolo Diacono nel Lib.II.
Cap. 18. trattando delle Alpi Apennine dice che ivi fono Ci-
njitates Feronianus , Montepellium Ù'c, Ivi fi parla del Fregna-
nò. Nell'Anno 7^7. come corta da uno Strumento di donazio-
ne fatta ad Anlelperga BadeiTa di Santa Giulia di Brefcia, fono
fpecificati Beni pofti in loco ubi ììuncupatur Rio Torto , Terre-
turio Peroni an enfi . In un'altra Donazione fatta l'Anno 1034,
ad Ingone Vefcovo di Modena troviamo nominato Comitatum
Ferengnienfe , Cosi in uno Strumento del 1035. s'incontra
Ubertus filius ho: yne: Daiberti de Comi tatù Peroni ano , e nell'
Anno 1 01 7. Albi':?;o filius Daiberti de Comitatu Peroniano. Lun-
go fiudio poi richiederebbe il volere raccogliere tutte le Citta
dell'Italia tanto de' tempi Romani , che de' Secoli barbarici ,
le quali o hanno pcduto affatto il nome , o fon decadute af-
faiflimo, o hanno cangiato fito . Pereiempio Antemna fu Cit-
th non ignobile de i Latini non molto lungi dalla fonte dell'
Aniene , oggid'i Teverone . Ne parlano Varrone , Fello , Ser-
vio , Livio, Silio, ed altri rammentati dal Cluverio e Cella-
rio . Tuttavia porta il nome di Città di Antina , ma ridotta
a troppo baffa condizione . E* nominata ne' vecchi Documenti
la Citta di Bobio , non quella , che giace fopra Piacenza alle
rive della Trebbia , ma un'altra dello Stato Ecclefiallico orna-
ta una volta di Cattedra Vefcovile . Neil' affegnare il fito di
quefta Citta fi fono ingannati Leandro Alberti , il Cluverio ,
Carlo da San Paolo , il Font-anini ed altri . L' Ughelli nel To-
mo 2. dell'Italia Sacra ci vorrebbe perfuadere , che Sarfina e
Bobio
1
Ventesimaprima. 275
Boù/0 foflero la Cte^a. coia . Ma non badò egli , che nel 1232.
v'era tuttavia la Dioceft dì Bobio , e che molto prima di quel
tempo fi triiova S^Jfe?iatenJìs Epifcopus^ come colla dai Docu-
menti prodotti dal medefimo Ughelli . E in un Diploma di
Corrado I. Augufto del 1028. lono alla Chiefa di Sarfina con-
fermati tutti i beni, che ad efla appartengono in territorio Saf-
fenatenfi &c. & ijifra Comitatum Bobienfem , in territorio Fere-
trnyio^ in Coifenati Comitatu &c. Chi è pratico de' molti Luoghi
enunziati in uno Strumento dell'Anno 1232. da me dato alla
luce, potrà forfè individuare dove precifamente foife la Diocefi
Bobienie ; perciocché ivi fi legge : Vel mihi pertinet in Dìce-
ceft Caflellana , Feretrana , & Bohienfi ; fcilicet Cajìrum Alfa-
ri , & ejtis Curtem^ Cajìrum Corneti &c. Se Bobio era in confi-
ne di Sarfina, potrebbe effere (lato aggiunto al Vefcovato della
medefima Sarfina . Ma di ciò finora non fi fon vedute pruove
concludenti . Incontrafi anche memoria della Citta Anfedona
nelle vecchie Carte, e fi pretende, che dalle rovine fue forge i-
fe la riguardevol Terra di Orbiteli! . L'UgheUi ne' Veicovi di
Oftia , e il Margarino nel Tomoli. Conftit. 25. rapportano un
Diploma di Leone III. Papa, e di Carlo Magno, per cui amen-
due donano Monajìerìo SanBi Anaftafti , quod efl pofitum ad
Aquam Salviam ( entro Roma ) integram Civitatem , qua ab
omnibus vocatur Anjidonia. E il Turrigio Par. 2. de Crypr. Va-
tic. ne rapporta de' pezzi, ch'egli dice ferirti nella parete di
eflb Moniftero . Ma quel Diploma non ci vuol molto a ricono-
fcerlo per un' impoftura . Di una miracolula vittoria , che ivi
fi dice riportata , ninno de gli antichi Storici ha mai fatta
menzione . Né mai fu coftume , che il Papa e 1' Imperadore
con unione di autorità e di iottofcrizione faceffero fimili dona-
zioni. Carlo M. è ivi appellato magnificus & prcejens Rex ^ e
poi fi fottofcrive con dire : Ego Carolus Imperator Augujìus .
Sottofcritto anche fi mira Hugo Dux Luxovienjis^ ovvero Lug-
dunenjìs : cofe tutte contrarie ai Rituale di que' tempi, ficco-
me anche la pena da pagarfi Romano Imperio . Tralafcio l'An-
no dell'Era volgare ivi appolto, ed altre offervazioni conclu-
denti , quello effere un Documento fallo . E' anche da vedere
la Cronica Volturnenfe, nella cui figura VI. comparifce Urbs An-
fedona , e appreflb Monajìerium Sancii Petri : il che può far du-
bitare, che nel Regno di Napoli folfe quella Citta; e tanto più
M m 2 per-
2^6 Dissertazione
perchè Falcone Beneventano all'Anno 1153. feri ve, che il Re
Ruggieri dopo Matera occupò Civitatem nl'tam nomine An-
fani . Di più non Soggiungo con replicare , che lunga naviga-
zione intraprenderebbe , chiunque volefTe trattare di tutte
le antiche Citta o annientate, o ridotte in balTiffimo flato.
Delle Leggi dell' Italia 7ié' Secoli barbarici 5
e dell' origine de gli Statuti ..
DISSERTAZIONE VENTESIMA SECONDA,
ALL' Erudizione de' Secoli , ne' quali giacque l'Italia fot-
to il dominio de' Barbari, appartiene anche la conofcen-
za delle Leggi allora nfate ; e tuttoché nella Prefazione alle
Leggi Longobardiche nella Parte II. del Tomo I. Rer. Italie,
io abbia trattato quello argomento : pure a me conviene l'i-
ftruirne qui i Lettori . Allorché i Goti fotto il Re Teodorico
s'impadronirono d'Italia, trovarono qui in voga e dominan-
ti le Leggi Romane^ particolarmente comprefe nel Codice Teo-
dofiano , oltre a non poche Opere de gli antichi Giuriscon-
fulti . Teodorico Principe di gran fenno nulla volle cangia-
re di quelle Leggi , anzi alle medefime fi fottomifero i Goti
fleifi. Riulci poicia a Giudiniano I. AuguRo di ricuperar que-
lle contrade , e a lui dobbiamo l'iniìgne Corpo delle Leggi Ro-
mane, che anche oggidì regola i noltri Tribunali . Durò po-
co il trionfo di quelle Leggi, perché da Fi a non molto fopra-
vennero in Italia i Longobardi, i quali o fia per l'odio , che
portavano a i Greci perpetui loro nemici , e per l'amore , che
profelTavano a i riti e alle confuetudini della lor Nazione, giu-
dicarono meglio di mettere in ifcritto le Leg,^i ed ufanze pro-
prie, che di regolarfi colle Greco-Romane . Vero è , che per-
mifero agli antichi abitatori d'Italia di feguitar, fé voleano, le
Leggi di Giulliniano ; né quello fu loro mai vietato . Rotari
Re di elfi Longobardi prima formò una Raccolta di Leggi ,
con darle il titolo di Editto , e a quella di mano in mano fe-
condo le occorrenze i Re iuccelTori ne andarono agsiugnendo
dell' altre ; ed avendo fatto altrettanto i Re ed Imperadori
Fran-
VentesimasecondxV. 277
branchi e Tedefchi*, venne in fine a formarfl il corpo inte-
ro delle I^eggi Longobardiche , colle quali per pii:i Secoli s' è
governata la maggior parte d'Italia . Ma da che Carlo Ma-
gno unì quefto Regno alla vafta potenza fua , che allora fi.
flendeva per tutta la Francia , e per tutta quafi la Germa-
nia , famiglie intere di quegli altri paefi o per intereffe , o
per bilogno , o per impiego vennero a fiffare il piede in Ita-
lia . Avvezzi quefti Oltramontani alle Leggi del loro paefe,
ottennero poi licenza di potere con efTe regolarfi , e vivere
anche in mezzo a gl'Italiani . V'erano Salici , Ripuarii , Ba-
varefi , ed Alamanni ; vennero perciò in Italia le Leggi di
tutte quelle Nazioni , e bifognò , che i Giudici ed Avvoca-
ti foflero bene informati di cadauna di effe , perchè fecondo
il tenore della Legge , che ognuno profeffava , dovea effere
giudicato . Né vi credefte già , che i Dottori di allora avef-
fero a faticar molto , e a logorar la loro fanita , per impa-
rar le tante Lessi di Giuftiniano . Rariffimi , a mio crede-
re , in que' Secoli erano i volumi delle Pandette , o fia de i
Digedi , e il Codice di e(fo Giuftiniano colf Kiituta , e colle
Novelle . Gran lomma di danaro farebbe colfato quello Ar-
fenale di Leggi Romane , perchè non fi trovavano in que'
tempi Libri le non iicritti a penna , e nelle pergamene . Ve-
rifimilmente poche erano le Citta , che pofl'edelfero un Vo-
lume folo , nonché tutti i Volumi del Gius Giuftinianeo. Ma
come giudicar le caule de i Romani fenza aver tutta quel!a
gran Raccolta ? Ularono in que' Secoli i Giudici e i Legilli
un breve breviffimo compendio delle fterminate Leggi Ro-
mane 5 con aver fcelto folamente quel poco , che baftava a
rifolvere le più uiuali controverfie di Giuflizia : giacché al-
lora non aveano luogo ne' Tribunali tante ibttigliezze, e cau-
tele d' oggidì , né fi ulavano gli eterni Fideicommiffi , Pri-
mogeniture , e Maggiorafchi ; e però a pochi punti fi vede
ridotto allora ne i Manulcritti la Giurisprudenza Romana .
Il refto dipendeva dal fenno e dall'Equità de i Giudici, e un
gran bene fi godeva allora , cioè quello di sbrigar preflo le
liti, fenza vederle incamminate all'eternità.
Ora noi abbiamo Letterati, che han dato al pubblico bel-
le edizioni delle iuddette diverte Leggi , praticate in que' tem-
pi in Italia . Mi fon io Itudiato di darne una ben eiatta e
più
278 Dissertazione
più copiofa delie Leggi Longobardiche nella fuddetta Par. IL
del Tomo L Rer. Ital. mercè di due antichi Codici MSti, l'uno
della Biblioteca Eflenfe, e l'altro dell'Archivio de' Canonici di
Modena. Qi,ie(l' ultimo abbracciava le fuddette Leggi in com-
pendio, e il tempo, in cui fu fatta quella Raccolta ed unione,
iì può raccogliere da i verfi, che lervono di Prefazione, da me
rapportati altrove. I primi fon quelH :
Himc Hsros Lihrum Legum confcrthere fectt
Eurardiis prudem^ prudentibus omnia ^exìt ,
^uìsqtits amat cunBas Legum cog?ìofcere caufas &c.
Aveva io conietturato, che quell'Eroe chiamato &rWo fofTe
Everardo^ o fia Eberardo^ Duca o Marchefe del Friuli, padre
di Berengario I. cioè di chi fu fuo lucceiTore in quel Ducato ,
pofcia Re, e finalmente Imperador de'Romani. Ho poi trova-
to, con che afibdar si fatta coniettura. Rapporta Auberto Mi-
reo nel Cod. Donat. piar. Cap. 15. il Teftamento fatto da elfo
Everardo Conte e Duca, non già, com'egli fi figurò, nell'An-
no 837. ma bensì nell'Anno Sd"/. in cui quel Principe cosi par-
la : Volumus^ ntUnroch ( era quefti il fuo Primogenito ) habent
Librum de Lege Francorum ^ & Kipuariorutyi^ & Langobardorutn ^
& Alaman'/ìorum , & Ba^unrìomm . Ecco qual conto egli faceiTe
di quella Raccolta di Leggi , e con che buon fondamento a lui
fi debba attribuire . S'intende ancora , che i Libri MSti erano
gioie in que' tempi. E che effa Raccolta foffe fatta a' tuoi giorni,
apparifce da'leguenti verfi del Codice Modeneie iuddetto.
^Xuam pulchras poteris ^ Jt "vslis^ forte videre
Effigies^ Leóior y Francorum fchema per avum ,
En Cm'olus cum Pippino quam fulget in njulm
En Hludo'wicus Ccejar , quam que Hlotarius Heros*
Ipforum quantum & Leges per cun6la tonantes .
Nell'originale, lafciato ad Unroco, vi doveano effere i Ritrat-
ti di que' quattro Re d'Italia ben formati e miniati , che non
fono, o fconciature fono nell'antichiffi ma copia, confervata in
Modena. Da ciò s'intende compilata quella Raccolta a' tempi
di Lottarlo I. Imperadore , quando appunto fiori il fuddetto
Everardo . Diffi , che quelli fu Duca 0 Marchefe del Friuli .
Per provar ciò , il Valefio nelle Annotazioni al Panegirico ài
Berengario , e il P. Beretti nella Differt. Chorograph. han re-
cato
Ventesimaseconda. 279
cato delle conietture. Aggiugnerò io, cIiq E'ver^rcìo vien chia-
mato Marchete nel Lib. IV. Hift. Remenf. E il P.Dachery nel
Tomo II. dello Spicilegio dell' ultima edizione rapporta quelli
verfi in onore di lui .
Regìbus tmynenfis Euv^rcìus Cifojùenfìs
Creditur aqualis , ut att Lì ber Hìjìorìalis ,
^uì de nobilìum defcendetis Jììvpe Vìrorum ^
Dicìtur Italiae quondam tenui ff e Ducatum .
Abbiamo dunque Everardo, chiamato Cz/òw/V;?/^, perchè fon-
datore di quel Moniftero , Marcbefe e Duca in Italia . E Fro-
doardo nel Lib. 3. Gap. 2(5. regiilrando le Lettere fcritte da
Hincmaro Arciveicovo di Rems, una ne dk inviata Viro Illu-
JìrìJJtmo Eberardo ex Prìncìpìbus Lothnrii , parole che fi debbo-
no intendere del Padre di Berengario, Principe in Italia, per-
chè qui foggiornava allora Lottario Augnilo . Può compren-
derfi ancora , che Everardo abitafle in Italia , e che il luo
Ducato fofle quello del Friuli , dal vedere fatto il Tuo Tefta-
mento neh' Anno 'èóy. In Comitatu Tarvìfìano ì?i Corte 7ioJha
Mufteftro , Aggiungafi , che prima deli' Anno 848. Gotefcalco
famofo Monaco per le Tue controverfie intorno alla Predeflina-
zione, tornando da Roma in Francia, cominciò a feminar la
fua dottrina per le Citta della Venezia : dei che avvertito Ra-
bano Mauro Arcivefcovo di Magonza daNotingo Vefcovo, non
gi^ Veronefe , ma Brefciano , mandò una fua Operetta ad efib
Vefcovo, rapportata dall' Ughelli ne'Velcovi di Chiufi , con
Lettera ìndìrìzz3.\:^ ad Heberardum Ducew . Che s'egli altrove,
come anche nel fuo Tedamento fi truova appellato Comes :
quefto era un ufo di que' tempi , ne' quali chi era Duca o
Marchefe, governava anche qualche Citta con titolo di Conte.
Venga ora avanti Alberico Monaco de i tre Fonti , il quale
nella lua Cronica all'Anno 854. fcrive cos'i : Hoc Anno Comes,
Everhardus cognomento Radulfus^ Dux Forojuliì a Lot bario con^
Jìitutus , Corpus Callifìì Papce ab Epijcopo Brixìcs Notingo im-
petravi t , & in predio fuo apud Ti^onium ( ferivi Cifonium }
Tornacenfts Dioccejìs attulit. Dovrebbero badar tali notizie per
aificurarci, che il governo del Friuli fu una volta appoggiato
a quedo Everardo Duca ; ma per compimento s'oda ciò , che
lalciò fcritto Andrea Prete Italiano di que' tempi in una Cro-
nichetta , data alla luce da Giovanni Burcardo Menchenio .
Ecco
280 Dissertazione
Ecco le fuc parole : Mtdtam fnngaùonem hangoharàt Ò" oppvef-
fìonem a Sclavorum gente fujìinuerum , ufque dum Imperato^
( cioè Lottarlo I. ) ForojuHanGrum Eberhardum Prificipem conjìi-
tuif * ^hio defu?iBo , Unroch jìlius ejus in Principatum fuccejjit*
Sicché fino ali' Anno 86^7. Everardo tenne il Ducato del Friu-
li; ebbe per fucceiTore Unroco figlio mag.^iore, e mancato que-
flo di vita , fu conferito il governo medefimo a Berengario ,
pofcia Re ed Imperadore , di cui non increfcera a i Lettori di
aver imparato a meglio conofcere il Padre , Principe di grande
affare nei Secolo IX. e a cui dobbiamo la Raccolta delle Leggi
fuddette .
Il Rito di formare e pubblicar le Leggi neVecchi tempi ,
non fu già lo (leflo , che oggidì fi olTerva dalla maggior parte
de i Regnanti . Imperciocché allora non dipendevano dal folo
arbitrio e provvidenza del Principe e del fuo Conciftoro le Leg-
gi, che doveano obbligar tutto il Regno ; ma vi fi richiedeva
il Confilio e CofìfenPÌme'/ìto de gli Ordini e de' Primati del Re-
gno. Perciò forte ogni anno folevano i Re d'Itaha raunare la
Dieta generale del Regno , per lo più in Pavia , e nel primo
giorno di Marzo . Cola folevano concorrere i Grandi del Re-
gno, cioè ì Duchi , Q ì Giudici , riconofciuti poi col titolo di
Conti da gli Augafti Franchi , e i principali Ufiziali della mi-
lizia . Principalmente poi lotto efli Franchi, e fotto gl'Impe-
ladori Tedefchi, v'intervenivano i Veicovi , ficcome Principi ,
che godevano molte Regalie del Regno . In quelle Diete fi di-
battevano tutte le Leggi , che venivano propofte da pubblicar-
fi, e fi cercava l'approvazion d'ognuno. Vedi le Prefazioni al-
le Leggi Longobardiche . Nel fine dell' Editt© pubbUcato dal
Re Rotati fi legge : Leges patrum nojìrorum ^ quds fcriptcs non
erant , literis tradidimus , partemque earu-m Confilio , parique
Confenfu Primatum , Judicum , cunSìique felicijjimi Exercitus no-
Jìri , augentes conflituimus . Anche il Re Gnmoaldo nel Proe-
mio alle fue Leggi, confelfa di averle ftabilite per fuggejìionem
Judicum^ omnium que Cotjfenjum . Né diverfamente operò il Re
Liutprando, il quale nel Lib. I. delle lue Leggi confeffa di aver-
le approvate ima cum omfìibus Judicibus d^ Aujìrics & Neujìritjs
partibus , & de Tujcict finibus , cum reliquis Fidelibus meis
Langobardis^ Ò' cunóìo Populo ajjifleme , Lo ftefìfo Rito fi vede
praticato da Ratchis ed Adolfo luoi Succeffori . Quielle Leggi
eziandio, che Carlo M. preferire da oflervarfi nel Regno d'Ita-
ha,
Ventesimasecon da. 281
lia , ficcome egli attefta nella Prefazione , vennero fìabilite ,
tonare gat'ts in u?ium Epìjcopis^ Abbatibits , vtris Illuftnbus, Ad
imitazione di lui anche Pippino Re d' Italia fuo Figlio formò
varie Leggi , quum adefj^ent nobìscum fingulì Epìjcopi , Abba-
tes 5 & Com'nes^ feu rcliqui Fideles ìioflrì Franci & Langobar-
dì . Benché fieno perite le Prefazioni delle Leggi di Lodovico
Pio, Lottarlo L Lodovico IL e Guido Imperadori : tuttavia è
da credere, che procedelfero colla llefTa regola di governo , of-
fervata anche da Ottone IL Augufto , il quale nella Dieta di
Verona dell'Anno 5)83. fece alcuni pochi Decreti, omnibus Ita-
lice Proceribus con'venic'nfibus & confejjtientibus . Così Arrigo IL
Auonlio trovandofi Turegi in univerfali Cotzventu Langobardo-
rum dice d'avere formata una Legge, Epifcoporum ^ Marcbio-
nuruy Comitum ^ aliorumque multorum yiofìrorum Fidelium Con-
fenfu & auBoritate probatam , Altrettanto praticò Lottarlo IL
Imperadore , e pofcia Federigo I. Augufto nelle Diete tenute
in Roncaglia , con effere intervenuto il Configlio ed Afìenfo
de' Magnati alle loro Leggi . Né differente era in que' tempi
il Rito di pubblicar nuove Leggi ne i Regni di Francia , Ale-
magna, e prelfo altri Popoli , come fi raccoglie dalle antiche
memorie , e lo Schiltero , ed altri Scrittori del Gius pubblico
Germanico hanno dimoilrato . Qual potere , e quai limiti ab-
biano gì' Imperadori d'oggidì in far nuove Leggi , non l'ha da
chiedere a me il Lettore , ma dee dimandarlo a tanti Erudi-
ti Tedelchi , i quali ampiamente han trattato de' pubblici lo-
ro affari .
Ora due forte di Leggi furono in Italia , allorché qui fi-
gnorcggiarono gì' Imperadori Franchi , cioè le Particolari di
ogni Nazione , che riguardavano le Succeffioni , i Contratti ,
le pene de' delitti, e limili altri punti , che come aveano cre-
duto il meglio , i Legislatori aveano ftabiiito . L'altre erano
Leggi Generali , alle quali indifferentemente fi trovavano Ibt-
topolti tutti gli abitatori del Regno d'Italia. Veggafi la Leg-
ge Nona di Pippino Re d'Italia, dove fono le feguenti paro-
le : De ceteris vero cnujjis Communi Lege -oivamus , quam Dom-
7JUS Karolus excellentijjimus Rex Francorum citque hangobardo-
rum in Edilio adjunxit . Ecco come i Capitolari aggiunti da
Carlo M. all'Editto, cioè alla Legge Longobardica , s' aveano
da oifervare da tutte le Nazioni allora dimoranti in Italia .
Delle Leggi Particolari parla nella medefima Legge lo fteflb
Tomo L N n Pip»
282 Dissertazione
Pippino con dire : Si lasrocifìia , vel furta , aut pYxàa inventa
fuertìU 5 emcndentur juxpa ut ejus Lex ejì , cut malum ipfum
perpetrapum fuerìt . Sicché le Pene dei delitti fi pagavano non
fecondo la taffa della Legge profeflata dai delinquente, ma fe-
condo quella di chi avea ricevuto il danno o roffefa . QLian-
to alle Succeffioni fi noti la Legge 46". del medefimo Re Pippi-
no . S'tcut co?ìJuetudo noflra eJì ^ die' egli, Komanus vcl Lango»
bardus fi enjener'tt quod caujfam ifìter fé habeant , objervamus ,
ut Komanus SucceJJtonem eorum juxta Juam Legem habeat . 5"/-
militer & omnes fcript'tones juxta Legem Jliam fac'tant . Et alti
homtnes ad altos fimditer . Et quando componunt ( cioè voglio-
no pagar la pena in danaro ) juxta Legem ipfius , cui malum
fecerint compo?iant . Et Langobardus illi fimiliter convenit com-
ponere . Perchè Pippino foiamente qui parli de' Longobardi e
Romani, cioè de i diicendenti da gli antichi abitatori d'Italia,
a' quali era permeffo di feguitar la Legge Romana : forfè ciò
avvenne, perchè queRi erano i due principali Popoli del Re-
gno Italico . Poiché per altro anche altre Nazioni lotto quel
Re vennero ad abitare in Itaha ; e lo confelfa egli nella Leg-
ge 28. dove cosi parla : De diverfis generationibus bominum ,
qua in Italia commanent , volumus , ut ubicunque culpa conti-
gerit , un de fa/ da ( nemici ti a ) crefcere poteri t , prò jatisfaHio^
ne hominis illius , quem culpaverint , fecundum Legem ipfius ,
cui negligetìtiam commijcriìu , emendent . Adunque acciocché
appariife , a quale delle varie Leggi ciafcuna perfona allora
aderifìe, per regolare fecondo quella i contratti , i giudizj, le
eredita , ed altri pubblici atti , né foffe in poter della gente
l'ingannare il Proflìmo colla mutazion della Legge, era tenuto
ciafcuno a pubblicamente profefìTare in ogni occafione la Leg-
ge lua propria . Non ho potuto finora fcorgere, fé al tempo
de' Longobardi regnanti alcuno profelTafìe la lua Legge propria:
giacché oltre alla Nazione flefìa Longobardica v'era l'altra co-
piofiflima de i chiamati Romani . Sembra convenevole o necef-
fario , che cosi fi praticafle anche allora . Ma s' è ridotto a
poco il capitale delle Carte allora fcritte. Nelle vedute da me
non ho offervato quello Rito ; ma probabilmente fi potrebbe
trovare. Solamente ollervo riferita dal P. Mabillone nell'Ap-
pend. al Tomo 2. de gli Annali Bened. una copia d'antico Stru-
mento , in cui Manigundis vejìe Monialium induta , qU(^ vifa
fum vivens Lege Langobardorum ^ fonda il Moniltero diCairate
in
Ve N TESI M ASECONDA. 28 j
in Comhatu SepYienfi , Ma ho io qualche lofpetto dell' autenti-
c/ta di quel Documento , appunto per quefta efpreirione della
Legge; e poi per le Note Cronologiche, cioè: Regnante Dom-
no nojìro Ltutprando Ò' Heldeprando 7ioJÌYts excellenùjjìm'is Regi-
bus ^ Anno eorum V'tgefiyno tert'to^ Me?7fs Julii ^ Indióiione^in-
ta . V ha de gli errori ; non andavano d' accordo infieme gli
anni del Regno di Liutprando ed Hildeprando ; né l' Indizia-
rie V. conviene all' Anno 23. del Re Liutprando . Aggiungafi,
che Manegonde dona a quel Moniftero , qucecunque infra ipfum
Regnum Ipalicum h abere vi/a fum , S'io mal non m'appongo,
fi truova bensì ne' Secoli fufifeguenti menzione del Regno Italico ^
ma non già regnando i Longobardi.
Egli è ben fuor di dubbio, che fotto gì' Imperadori Fran-
chi la pubblica, profe^jone della Legge propria fu non fola-
niente in ufo , ma di obbligazione . Lottano L Auguflo neh'
Anno 824. trovandofi in Roma pubblicò la feguente Legge :
Volumus , ut cunBiis Popuhts Romanus interrogetur , quali Lege
*uulf vivere^ ut tali , quali pvofejji fuerint vivere velie , vi-
vant . ^lod Ji ojfef7jto?iem coìitra eamdem Legem fecerint , ei-
dem Legi quam profitebuntur^ fubjacebunt . Con qual diligenza
folTe offervata queiia Legge a' tempi dello (lefìTo LottarioL Im-
peradore , noi so ben dire , fé non che ho oifervato in molti
Strumenti di quella età , che nulla fi dice della Legge de' con-
traenti . Penfo io , che fi foddisfacefle a quella obbligazione
con efprimere almeno la Nazione , perchè indicata quefla ,
s'intendeva lofio anche la Legge da elfi profeffata . Per efem-
pio, in uno Strumento Luccheie dell' Anno 855. fi legge : Ma-
nifejìu firn ego Baldericho homo Francifcho , filio ho, me, Aide-
richi , quia convenit mibi una tecum Hieremias , gratin Dei
hujus San^e Lucane Ecclejie bumilis Epifcopus &c. Fanno una
permuta di beni , e a vifitare i poderi furono inviati alcini
da parte Adalberti Comis^ cioè Comitis» Era quelli Adalberto L
Marchefe o Duca di Tofcana , Conte di Lucca . Ho io pub-
blicato uno Strumento efiflenre nell' Archivio della Comunità
di Cremona , fpettante all'Anno 8(^4. da cui colia, che Gual-
berto Vefcovo di Modena, Meifo di Lodovico IL Imperadore ,
mette in pofTenfo della Corte di ^ardeftalla , oggidì Guajlalla
Citta, fLnperadrice Angeiberga . Profetano ivi alcuni de' te-
di monj , qual fofle la loro Nazione , cioè Amie ho ex genere
^rancorum , Tueperto ex genere Francorum , Fulcherius ex gè-
N n 2 fiere
i7„
284 Dissertazione
77erc Alnmanorum &€, Presbiteri es; genere Francorum&c, Ingìe-
r'ms ev: p enere Alamnnorum . Tal Documento fu a me ben ca-
ro , perchè mi diede a conofcere Gualberto Vefcovo di Mode-
na , non avvertito dal per altro diligentiffimo Sillingardi nel
Catalogo de' Vefcovi di Modena , e molto meno dall' Ughel-
li copiatore del Sillingardi . Ad Ernido Velcovo di quefta Cit-
ta dovette fuccedere il fuddetto Gualberto circa 1' Anno 8^4.
All'attenzione nondimeno d'effo Sillingardi fcappò una perga-
mena, tuttavia efiftente nell'Archivio infigne de' Canonici di
Modena , e Icritta Anno XXVL Ludo'vici Magni Imperatoris ,
cioè neir Anno ^6^. in cui Gualpertus Epijcopus Mutinenjis
concede a livello ad un certo Giovanni terre polle in Coliega-
ra. Succeflbre di Gualberto fuLeodoino^ chiamato dall' Ughel-
li Leodoindo , di cui abbiamo uno Strumento dell' Anno ^yó.
dove fon le leguenti parole : Placuit atque convenit inter Dom-
nus Leudoinus grati a Dei Mutinenjis Epijcopus^ necnon [ed etiam
& inter Adelburga Dei Ancilla , qui fuit Con/ux Auterami Co-
mite ex genere Francorum . Probabilmente fu quello Autera-
mo Conte di Modena . Altri Documenti ho io veduto , ne i
quali i teftimonj efprimono la propria Nazione , intitolandoli
ex genere Allamannorum , ovvero ex genere Francorum , For-
fè in Roma più accuratamente che altrove fu eleguita la Leg-
ge di fopra accennata di Lottarlo L Augufto , fatta apporta
pel Popolo Romano . Nella Cronica di Cafiuria in uno Stru-
mento dell' Anno 8(58. fi fottofcrivono cos'i i teftimonj . Ego
Gregorius filius Leonis de avvitate Koma , Legem vivens Ro-
manam (ìXc. Signum manus Johannis Ducis de Cavitate Roma ,
Legem vivens Romanam &€* Teubaldus Legem vivens Romanam
fubfcripji. Signum manus Landerici ex genere Romanorum . Qtie-
fto è il più antico Strumento , in cui abbia trovato io efprelTa
menzione della Legge profeflata. In un' altra Carta della me-
defima Cronica all'Anno 871. s'incontra Sifenandus ex genere
Francorum . Nulla dice coftui della Legge , ma dopo avere
identificata la fua Nazione , s' intendeva tofto , qual foffe la
fua Legge ; e cosi ho olfervato , che fi praticò in molti Docu-
menti del Secolo fufleguente . Nell'Archivio del Moniftero No-
nantolano fi vede una Donazione , che fa a Liutefredo Abba-
te ^arti Vajfus Domni Imperatoris , Legiòus vivens Allaman-
norum,
Coloro eh' erano di Nazione Salica , 0 fia Fran^efe , ov-
vero
Ventesimaseconda. 285
vero Alamannica , fi riconofcono per tali da i Riti , che ufa-
va la loro Nazione nelle Donazioni e vendite . Imperciocché
in fegno del conlegnato dominio e pofleflìone, levando di ter-
ra feflucum noàatum , "^ afone m terra , o ramum arboris , o
pergame/ìam , o calamum cum ntramcntarìo , o cultellum , ^r.
lo porgevano al compratore o donatario . In uno Strumento
Ferrarefe di non so qual Anno , fi legge : Petrus Vajfo & Mif-
fo Domni Bulgam Comes de Comiato Cumiaclenfts apprehetidh
gua7:one de terra , & yn'tftt m mani bus R.omaldelli , dicens :
Ecce trado ad per tnrjejì'tturayn a te per te , ad permanenduyn
in te , & hi ve [ìris heredìbus & proeredìbus in perpetuum . Co-
me colia da uno Strumento deli' Anno 5)1 1. Anfelmo Conte
di Verona donò ali' infigne Moniftero di Nonantola alcuni be-
ni podi in loco Ò' fundo^ qui vocatur Cajìro de Nogaria , Egli
s intitola Anfelmus grati a Dei Comes Comitatu Verojienfe , Ò' fi-
lius bo.me: VJaldorienJis Fra?7Corum genere. A tenore adunque
de i Riti della Tua Nazione dice poi : Et quia ego ipfe fupra-
fcriptus Anfelmus Comes buie ynembraua injìmul cum calamo ,
feo & atramentario , Ò' pi?zna , & Wafo-ne terre , ramo poni-
mis 5 f.Jìucum notatum , atque & cultellum , & Wantos , to-
tum iìiftmul jnjìa Legem meam Francorum de terra levavi , &
Martino Notario tradidi Ò'c. Ho anche pubblicato il Diploma
di Berengario I. Re d'Italia, che nel medefimo Anno confer-
mò la Donazione fuddetta a i Monaci Nonantolani . Qiiello
eh' è più degno di oflervazione , non folamente ne i Contrat-
ti , ma anche ne' Teftamenti , lolevano i Franchi praticare
il poco fa mentovato Rito , ciò apparendo dall'ultima volon-
tà dello n-effo Anfelmo Conte , efpreifa con pubbhco Ko^i-
to nel precedente Anno pio. La profeffion polcia della Leg-
ge 5 e particolarmente della Nazione , ferve non poco a tro-
var r origine , e la difcendenza delle antiche Nobili Fami-
glie . A me non poco ha giovato tale oflervazione in tefle-
re con (ìcuri Documenti la Genealogia della Sereniflima Ca-
fa d'Ette nelle mie Antichità Efienfi , e della Real Cafa di
Brunsvich procedente dalla medefima . Cosi Gerardo Mauri-
zio , de Reb, gcft, Eccelini , le ri ve della Fami^ia di Hona-
ra , o fia da Romano ^ xla cui ufcirono quattro Eccellini, fa-
mofi nella M.irca di Verona , Trivigi , e Padova : ^idam
Dominus Eccelliuus fuit pater cujusdam Domini Alberici . ^d
Albericus fuit pater Domini Eccelini ( iopranominato il Balbo j
0 fia
iSó Dissertazione
o fia lo Scilinguato) & hic Eccelinus pater futt ah erlus Domini
Eccelìni ( fopranominato il Monaco ) patris prcefentìum Do-uii-
norum Eccelim ( crudeliflìmo Tiranno di Padova e Verona ) &
Alberici ( Tiranno di Trivigi ) fratrum de Romano . Il primo
Alberico in uno Strumento efifiente nel Moniftero di San Be-
nedetto di Mantova, e fcritto nell'Anno 1125. profefla d'effe-
re di Nazione e Legge Salica. Adunque veniva quella Famiglia
o dalla Germania inferiore, o dalla Francia . Coftume ordinario
ancora fu, che ne' contratti richiamavano, fé era poffibile , te-
liiinonj dtrlla fteffa Nazione , di cui erano i contraenti . Neil'
infigne Moniftero delle Monache di San Zacheria di Venezia fi.
conlerva una Donazione fatta neh' Anno pod. da Adelardo Ve-
fcovo di Verona DilcHìJJimo atque amanùjjimo m'tchì jemper
hìgelfredus ex gente Alainannorum^ qui habitaturus in fine Fo-
rijulianenfe &c. Fra' teftimonj fi contano i feguenti : SinibaU
dus eac Almannorum genere Jilius bo. ine. Tobaldo de Saltus .
Ingoni filio ex Almannorum .... IMilo ex genere Fraìicorum .
Altekeno filìus Dominìco ex Comitatu CeneT^^ cioè di Ceneda.
Q^ueflo Mìlone di Nazione Franzefe potrebbe effere flato quello
fteffo valentuomo , che per relazione di Liutprando Storico
Lib. II. Gap. 20. vendicò la morte di Berengario I. Augufto ,
Forfè ancora da lui difcefe Milo Marchio ( probabilmente della
Marca Veronefe ) filius boms recordationis Mafjfredi , qui Legs
Salica vivere vifus fitm , come fi legge nel fuo Teitamento
dell'Anno ^55. dato alia luce dall'Ughelli nella ferie deiVe-
fcovi di Verona. Et è da fapere, che il fopramentovato IngeU
fredo dovea cotanto godere della grazia del fuddetto Berenga-
rio Re, pofcia Imperadore, che da lui fu creato Conte della
fua diletta Citta Verona . Nell'Archivio delle Monache di San
Zacheria di Venezia fi legge il fuo Teitamento, fatto nell'An-
no 5^14. dov'egli cosi s'intitola: Ego quidem in Dei omnipoten-
tis nomine Ingelfrcdus gratia Dei Comes Comitatu Veronettje , &
jilius bo* me. Grimal do ex Alemannorum genere &c. Ritornan-
do poi alla Donazione di Adelardo Vefcovo dellAnno ^06. coli'
appoggio fuo fi dee raddrizzare la Cronologia de' Veicovi di
Verona preffo TUghelli. Se crediamo a lui, Adelardo circa
l'Anno 8pi. cefsò di vivere, ed ebbe per Succeffore Adelber-
to., a cui tenne dietro Notherio IL Ma dallo Strumento fuddetto
noi abbiamo, che il Vefcovo Adelardo era tuttavia vivente nell'
Anno pod. e però, finché non fi adducano buone pruove, quell'
Adal-
Ventesimaseconda. 287
jidalberto s'ha da caiTare dal Catalogo de i VeCcovi di Verona,
e credere, che ad Adelardo fuccedefle A/b/^mo. Quefti s'ha più
tofto da appellare Notcchevto^ o Notcherio ; e verifìmilmente fu
non già il Secondo, ma l'unico fra quei Vefcovi ; perciocché
il Primo fi mette dall' Ughelli all'Anno 85^^. ma fenza addur-
ne pruova alcuna. Di quello Notecherio nel luddetto Archivio
di San Zacheria vidi uno Strumento dell' Anno 5?28. colle fe-
ouenti parole : Ego in Dei omnipotentìs fìomìns NotekerìusEpi-
jcopus SanBe Verone njis Ec ci e fi e , e filius bone pie recordationis
j^delmari ex Longohardorum genere , do trado atque offero prò
remedio nnime tnee , 'vel ho. me, Jngelfredo Comes in Jupradi6lo
Monnfterio &c.
Dissi, che ne' Contratti fi praticava di prendere teflimonj
della medefima Nazione . Uberto Marchefe di Tolcana, come
apparifcc da un luo Strumento dell'Anno 5?25. fece ad unTcu-
dimondo la vendita di molte Cafe e Campi con dire : Secundo
Lepem meam atramentario ^ pinna ^ & pergamena de terra leva-
vi , & Arnifridi Notario ad fcribendum tradidi , per V\f afone ter-
re ^ Ò' fijlucum nodatum ^ feo ramum arboribus ^ adque per cui-
tellum Ó" Wanto?ìem , feu anddanc ; & fic per hanc Cartula
jufla Legem meam S aliga vindo &c, I telHmonj fon quefti :
Signum manus Atenulfi , & Bernardi , atque Gu. . . . Lege vi-
ventem Saliga tejìis , & pretio dante viderunt . Signum ma-
nuum Saligi , Ingelberti , feo Inghehlmi Legem viventes Sali-
ga teflis Ù'c, Convien dire due parole anche della Legge Ki-
puaria^ profeffata una volta da i Popoli abitanti al baffo Reno.
Troppo rara menzione di e(fa fi truova nelle Carte d' Italia .
Tuttavia nelCap. VI, fu da noi mentovato Bonifacius Marchio
filius Alberti Comitis , qui profeff^us eft Legem vivere Ribuario-
rum ^ di cui s'ha memoria in uno Strumento dell'Anno 1005?.
Fu di parere il Cardinal Baronio , che quefto Bonifazio dopo
la morte di Ugo il Grande divenifìfe Marchefe di Tofcana ,
anzi il credette di lui Fratello : il che non può iufliftere, per-
chè Ugo Duca e Marchete fu di Nazione Salica , e quello
Bonifazio di Nazione Ripuaria . Ma cerchiamo , chi fofle il
Padre di elfo Bonifazio, cioè Alberto Conte . Ho io pubblicata
una Donazione fatta nell' Anno ^81. da Adelberto Conte (Io
fleffo è che Alberto ) e da Bertilla Conteffa fu a Moglie al Mo-
nillero de' Santi Bartolomeo e Savino fui Bolognefe. Fanno effi
quella Donazione prò Domna Gualdrada , que fuit gloriofa Co-
ìnitif
iSo Dissertazione
mttij] a^ Ò" prò Donino Theobaldo^ qui fui t Dux & Marchio^ ge-
nitore & genitrice ìneis ; Jicque prò aniryiabus & Bonifacii , &
'SRalfredi , & Addherti filiorum noftrorum &c, con proteftar po-
Icia di far quefto fecundum ììoflram Legem Ribuariam, Da un
tal Documento fi viene ad illuftrare ciò, che fcrive Liutprando
Storico nel Lib. IV. e V. dove ci da a conofcere Theobaldum
Camerinorum & Spoletinorum Marchionem Ù^ Ducem , atteftan-
dolo anche affinitare conjun6lum Hugotii Italia Regi , e chia-
mandolo in altro luogo Nepotem del medefinio. Scorgiamo ora,
ch'eflb Teobaldo fu Padre òì Adelberto Conte ^ e che fua Mo-
glie Gualdrada Contejfa , forfè nata da Bonifazio , chiamato
Marchio & Comes potenti Jftmus da Liutprando Lib. III. Cap.i8.
il quale prima del luddetto Teobaldo fu Duca di Spoleti , e
Marchefe di Camerino , ed ebbe per Moglie Gualdradam So-
rorem Rodulfi Burgundionum Regis . Che Bonifa':^o FigHo del
fuddetto Adelberto Conte fia lo ItefTo, che poi nell'Anno j 005?.
fi truova intitolato Marchefe 'vivente fecondo la Legge Ripua-
ria^ non le ne può dubitare . Ma perciocché fu permefTo a gì'
Italiani di feguitar la Legge, che più loro gradiva , non fi cre-
dette badante col tempo d'enunziare la propria Nazione , per
determinar la Legge, che fi leguitava, e parve neceflario fag-
giugnere alla Na'zjone anche la Legge , o pure il dichiarar la
lòia Legge . In uno Strumento dell' Anno So"/, efiftente nelF
Archivio infigne del Moniftero Ambrofiano de' Monaci Ciller-
cienfì , fi legge : ^ualiter prefentia bonorum hominum Francos
& Langobardos &c. tradedit Gifulfus Minifterialis Domni Impe-
ratoris , qui profitebatur Salica vivere Lege , per cultellum (yc. in
manus Retri quondam P aulici^ feu Ercembaldi , Vafallo fuo &c*
rebus mobilibus & immobilibus tam in Valtelina Judiciaria Medio-
lanenfìs^ & in Caf ale Judiciaria Planluenfe ^ vel ubi ubi &c. Of-
fervifi ancor qui, che la Valtellina, f.ccome dicemmo nel Cap.
precedente, era allora Judiciaria Mediolanen/is^ cioè fottopo-
fta al Conte di Milano. Dove foffe hjudiaaria Planluenjts ^
lalcerò che altri melodica. Cosi in uno Strumento conlerva-
to neh' Archivio Eflenfe , e fcritto Regnante Berengario Rex
Augufìus ic in Italia Indizione Setima , cioè nell' Anno pip.
fi truova Luvo flio Gowzolino de Civitate^ que vocatur Verona^
vivente Lege Longobardorum . Ma ne' tempi pofteriori, e maf-
fimamcnte nel Secolo XI. per lo piìi fi foleva efprimere tanto
la Nazione^ che la Legge ^ come per elempio : Ego Adelbertus,
fJius
Ventesimaseconda^ 289
film &c, qui profejfus fum ex Natione me a Lege v'avere Lango-
b^rdorum: del che molti eiempli ho io recato nella Par. I. delle
Antich. Eftenfi.
Per altro la fola profefTion della Legge non era una volta
ficuro indizio della Nazione . Imperciocché coftume fu , che
gH Ecclcfiadici s'i Secolari che Monaci, di qualunque Nazione
ìbffero, profeifaflero la Legge Romana , Truovafi ciò decretato
da Lodovico Pio Auguflo nella Legge Longobardica LV. colle
feguenti parole : Ut om/ììs Ordo Ecclejìarum jecundum Legem
R.oma?7am vivat ; & Jìc i?iquira?Jtur & defendatitur res Ecclejìa-
Jìicce , Perciò fi traevano nelle vecchie Carte Preti , i quali di-
chiarano d'effere àìì^^zionQ Lo?igobarda o Francefca ^ ma nel-
lo fteffo tempo proteflano di vivere propter honorem Sacerdotn
Romana Lege . Si può credere conceduto ciò con titolo di
privilegio a gli Ecclefiaftici, e non già importo per obbligazio-
ne, da che noi talora c'incontriamo in Vefcovi e Sacerdoti pro-
feffanti Legge diverfa dalla Romana . Nella Storia della Chie-
fa Piacentina del Campi all' Anno ^32. fi truova Andreas umi-
lis SanHa: Dertonenfis Ecclejì^ Epijcopus & fil'tus ho. me, Art-
prandi de loco Racle ^ Lege vivens Longobardorum ^ che fa il fuo
Teftamento. Anche Azzo, o fia Attone Vefcovo di Bergamo
nel 1072. come s' ha dall' Ughelli , protefta ex Nazione Jua
Lege 'vivere Longobardontm . Ho 10 data alla luce la Fondazione
del Moniftero di San Lorenzo ne' borghi di Cremona , fatta
neir Anno 5?po. da Odelrico Vefcovo di quella Citta, dov'egli
s'intitola Ego Odelricus Epijcopus San6le Cremoneìifis Ecclefte ,
filius bobine. Nantelmi Comitis ex genere Francorum , Ch'egli
ancora fi regolaffe colla Legge Salica , fi comprende dal far
egli la Donazione de' beni per cultellum ^ fejlucam nodatam&c.
Parlerò nel Cap. LVL -di Rorio Vefcovo di Padova : anch' egli
fi regolava eolla Legge Salica . Sotto gli occhi ho avuto uno
Strumento dell'Archivio del Capitolo de' Canonici di Modena
fpettante all'Anno 1007. dove fanno una permuta Guido Ve-
fcovo di Pavia, nec non Ò' Johannes Presbiter ^ filius quondam
Andree qui profejfus ex Nacio}ie fua Legem vivere Langobardo-
rum, PrefTo il Campi fuddetto in un Documento dell'Anno P4p.
fi truova Adelprandus Diaco?ius de ordine Sanale Piacentine Ec-
clefie , qui profiteor me ex Natione mea Lege vivere Lotigobardo-
rum . E in uno Strumento del ^88. è nominato Sip^tdfus Epifco-
pus SanEie Piacentine Ecclefie ^ qui prof e Jfo fum ex Natione mea
Tomo L Oo Lege
2po Dissertazione
Lege vi'vere Salica . Cosi l' infigne Moniftero di Farfa , come
colta dalla fna Cronica , foftenne fempre di voler effere gover-
nato Caphul'ts Langobardorum Legis ^ e non giìi Romana. Ol-
tre a ciò è da ofìTervare , che i Liberti erano tenuti a feguitar
laLegge de' loro Patroni, effendo cosi prefcritto dalla Legge 22p.
delReRotari. 11 Sigonio, il Chifflezio, il Fiorentini , ed altri
aveano già notato , che per un Decreto del Re Liutprando le
Donne doveano profefTar la Legge del Marito : del che più
elempli ne ho anch' io recato nelle Antich. Ellenfi . Tuttavia
fia a me permefib di maggiormente confermare quefl'ulo . Bea-
trice Moglie di Bonifazio Duca e Marchefe diTofcana, e Ma-
dre della celebre Contefia Matilda , non trafle già il fuo fan-
gue da i Longobardi , perchè Figlia di Federigo Duca di Lo-
rena, ed elTa certamente effendo Vedova profeffava la Legge
Salica . Ma vivente il Marito Bonifazio , Principe di Nazion
Longobardica, fi vede in uno Strumento del 1041. chiamata
ìi-go Beatrice Cornetijfa , jìlia quoìidam Frederìci , & Co?ijus
Bonefacii Marchio , que profejfa fum Lege 'vivere Langobardo-
rum . In una Donazione fatta da Rambaldo Conte di Trevigi
dell'Anno 1081. fi legge: Nos Kambaldus Comes ^ filius Ram-
baldi Comitis de Civitate Tarvijìi , & Magthilda filia Burgun-
di Marc hionis ^ conjugales^ qui profejfum Jum ego quidem Ram-
baldus Comes ex Natiotie mea Lege vivere Longobardorum • &
ego Magthilda ex Natione mea Lege videre videor Saltca , fcd
?iunc prò Viro 7neo Lege vivere videor Lo7ìgobardorum , Neil'
Archivio de' Monaci Benedettini di Reggio uno Strumento del
lopi. ci fa vedere ulia Figlia d' effo Conte Rambaldo cos\ in-
titolata : Ego Matilda Comitijfa , jilia quofldam Regibaldi Co-
mitis de Comitatu Terviji , Ò^ Conjus Uchoni Comitis , qui pro-
fejfa fum ego ipfa Matilda ex Nacione mea Lege vivere Lango-
bardorum , fet ììuyic prò ipfo Viro meo Lege vivere Alamanorum .
Aggiungafi una permuta di beni , che fecero nel 1034. con
Rodolfo Abbate di Nonantola Adelbertus Comes , fìlius quon-
dam IJ berti , qui fuit item Comes , Ò" Suphia jugalibus , filia
Pachleurandi ^ qui fuit Jtmiliter Comes ^ que profìtebatur feipfa
Suphia ex Natione Jua Lege fervire Lan^obardorum , fed nunc
per eundem Viro meo Legem vivere videtur Salicha, Quefla co-
la fa efìa Sofia una cum ?20titia Domni VJidoni item hujus Comi-
tatù Plumbienfe, Del Contado ài Plumbia s'è parlato nell'an-
tecedente Capitolo .
Allor-
V E N T E S 1 M A S E e O N D A . 2. 'T
Allorché per la morte del Marito recavano libere le Don-
ne, era loro permeilo di ripigliar la propria Legge in vigore
della Legge 14. di Lottario L Aiigufto , dove è ordinato : Ut
mul'teres 'R.omands , qu<x 'vtros hahtierutit Langohardos^ e'ts defun-
Bìs ^ a he gè Viri fui fint ahfoltit^s ^ & ad junm re'uertantur Le-
gem . Et hoc flatuìmus , ut fim'ilt modo fervetur in ceterarum
Natione feminarum. Ne addurrò un efempio . In una Donazio-
ne fatta al Moniftero di San Profpero ( oggidì San Pietro ) di
Reggio l'Anno mi. fi legge : Nos Berta fili a quo7idam Gerar-
diy &' reli&a qiio?7dam Walfredi de ComitatuTrivixijio^ (^.Al-
bertus filiiìs ejusdem W al f redi , Ò' meus , que fupradióìa Berte :
qui profeffi fumus ego que fupra Berta ex Naciotie mea Lege
vivere Salica ; & ego ipfe Albertus Lege vivere Langobardorum .
Il Figlio Alberto fa conolcere , che il Padre viveva fecondo
la Legge Longobardica ; e pure la Vedova fua Madre profefla
la Salica . Ma o che non erano offervate le Leggi , o la con-
fuetudine derogava ad effe ; perciocché fi truovano Donne ,
che anche vivente il Conforte , pure non feguitavano la fua
Lesse. Nell'Archivio de'Canonici di Cremona efiile unoStru-
mento del 1066. in cui comparilcono quefte parole : Co?iJìat
nos Garibaldusy & Bado^ feu Ribaldus^ germa?7Ìs filiis quondam
ìtem Ribaldi y qui fuit Vicecomes de Comitatu Bergomenfe &c.
& Berta Conjus jam diBi Ribaldi &c. qui profejji fumus omnes
Lege vivere Langobardorum ; & ego ipfa Berta profejfa fum ex
Natio/ie mea Lege vivere Allamanorum . Le parole che fegui-
tano , fanno conofcere , che Grumello , benché diftante fola-
mente otto miglia da Cremona, apparteneva allora al Conta-
do di Bergamo. Lo fteffo era à\ Juvenalta (^Genevoltaooo\^\^
avendo io veduto uno Strumento dell' Anno ^gp5?. il cui princi-
pio è quello : Dum in Dei nomine Co-mitatu Pergomenfe , Ca-
flro que dicitur Juvenalta , per data licentia Odelrici Epifcopi
Epifcopio SanBe Cretnonetjjìs Ecclefie ^ in judicio rejtderet Cejfio
Dei gratia Diaconus & Mijfus Domni Ottoni Imperatoris èXc,
Che altre Donne, benché maritate , non feguiffero la Legge
del Marito , 1' ho io offervato nelle pergamene dell' Archivio
de'Canonici di Modena. Una di effe dell'Anno 1003. ha le
feguenti parole : "Nos quidem in Dei nomine Petrus filius quon-
dam item Petroni , qui profejfus fum Lege vivere Romana , Né
vo' lafciar di dire, che ne' Contratti anticamente fatti in Mo-
Oo 2 dena
2^2 Dissertazione
dena per Io più le perfone profeffano Legge Romana. Tutto il
contrario fi ofTerva in molte altre Citta . Seguita il tefto di
an.elìa Carta . Ep Koz2^ jugftlibus , filia Everardì , qui fumus
hab'ttatores tn Pago Perjiceta , qui profejfa fum ego Rot^ Le-
gem 'vivere Longobnrdoruìn &c. Ecco il Marito di Legge Koma-
na j e h Moglie della Longobardica . In un' altra pergamena
dell'Archivio Ellenie , fcritta l'Anno loip. fi legge : Nos Ge-
:^o jìlio q, Johannis , & TeuT^ jugalibus , jìlia q, Aliprandi ,
qui prof ejf US fum ego ipfe Ge":^ ex Nazione mea Lege vivere Ro-
ma?ia , & ego ipfa Teuzj P^'^f^JT^ fi^^ ^^ Nat ione me a Le gè
vivere Langobardorum , Gran varietà anche fi truova ne gli At-
ti pubblici della celebre Contefia Matilda . In uno Strumento
efla protefla ex Natio?ie mea Lege vivere La7igobardorum . In
parecchi altri Strumenti , forte per uniformarfi alla Madre ,
dice di vivere Lege Salica . E tali Strumenti tutti Icritti do-
po la morte di Gotifredo Duca fuo primo Marito , eh' era di
Salica Nazione. QlicI eh' è più flrano , in una Donazione da lei
fatta nell'Anno 1080. al Moniftero di San Profpero ( ora San
Pietro ) di Reggio , efla è intitolata cosi : Ego quidem in Dei
Tiomine Matelda Co7nitiJfa , jìHa quondam Bonefacii Marchio 5
qu<e profeffa fum ex Natio?je mea Lege vivere Saìicha, Certo è,
che Matilda difcendeva da Progenitori Longobardi ; e pure qui
efTa fi fa di Nazione Salica . Ma noi non fappiamo tutti i Riti
dell'Antichità , come già oflervai nella Parte I. Cap. 23. delle
Antich. Eli-, e forfè fu allora lecito il poter mutare come la
I^egge^ cos\ \2l Na'2:ione ^ con adottar quella della Madre . Ne
diedi io quivi un elempio , ^
In qual tempo cominciaffe a cefiare la profeffion della Leg-
ge e Nazione , lo riconofcera chi prende a maneggiar le vec-
chie pergamene . Si dismiie a poco a poco quell'ufo nel Seco-
lo XIII. non per altro a mio credere , le non perchè le Leggi
Romane , che tornarono nel precedente Secolo a trionfare in
Italia , occuparono le Scuole e il Foro . Ne ho io nondimeno
trovato un efempio anche nell' Anno 121 2. in uno Strumen-
to di vendita di Caftello Gualtieri , che fecero Maladobatus
Prandorum , & Prandus e/us filius , profitentes fé Lege Lum-
barda vivere , ad Obizzo Vefcovo di Parma . Prendendo poi
fempre maggior piede in Itaha la preminenza e lo ifudio del-
ie Leggi Romane y a poco a poco le Lo?2gobarde , fenza che lo--^
ro
V E N T E S I M A S E e O N D A . 2p j
ro fofìTe intimato 1' efilio , andarono da se fteiTc in difulo , ce-
dendo il luogo alle più degne . Cominciarono nello fteffo tem-
po a faltar fuori gli Statuti , cioè le Leggi Municipali delle
Citta, e in tanta abbondanza, che poffono formare una Selva-
perciocché come fi vede nel dominio della Serenifs. Cafa d'Efte,
non folamente le Citta, ma anche le Terre e Cartella fepara-
te dal loro diftretto , vollero i particolari loro Statuti : ulanza
praticata anche in altri paefi d'Itaha, Germania, e Francia :
il che non è lieve incomodo a gli ftudiofi della Giurisprudenza .
A mio credere s ha principalmente da mettere l' introduzio-
ne di efll Statuti dopo la Pace di Coftanza dell' Anno 1183.
{labilità fra 1' Imperador Federigo I. e le Citta della Società
de' Lombardi . Anche prima , non fi può negare , v' erano
Confuetudini, che teneano forza di Legge , anche per decre-
to di Carlo M. come corta dalla Legge 148. del medefimo Au-
gufto, dà me trovata nel Codice Eftenfe colle ièguenti parole:
Uf longa Confiietudo , qua ut'tlìtatem publicam non ìmped'tt ,
prò Lege fervctur . In oltre appena le Citta Italiane col met-
terfi in Liberta, ed eleggere i loro Conibli ed altri Magirtrati,
non poterono efentarfi dal formare nuovi regolamenti e decre-
ti, riguardanti le novità di querto governo. Il P. Abbate Gran-
di nella fua Epirt. de Pandeólfs citò alcune Leggi o Decreti fat-
ti dalla Repubblica Pilana ne gli Anni 114^. e 115^. Tuttavia
non fi giunfe a formare un Corpo di tali particolari Leggi della
Citta, fé non dopo la fuddetta Pace di Cortanza; perchè aven-
do effe ottenuta la Liberta, e le Regalie, allora godendo tutte
della Pace attefero a concertar la maniera di governarfi per lav-
venire. Si fatte Leggi fi appellarono Statuti^ che fui principio
erano pochi di numero, ma di mano in mano andarono crefcen-
do, ficcome efigeva o la nece^jta o l'utilità del Pubblico. Che
prima dell'Anno 1208. foffe formato un Corpo degli Statuti di
Ferrara, l'ho io provato nella Par. I. Cap. 3p. delle Antich.Ert.
perciocché nel Decreto dell' elezione in Signore di Ferrara di
Azzo VI. Marchete d'Erte feguita in quell'Anno, fi legge : Adji-
c'ientes^ quod de Anno in Annum hoc Statutum firmetw ^ & cete-
ra fupradi^a , Ò' Jcrìbantur in Corpore Spatutorum &c, & feri-
hi facere in volumi ne Statutorum Communi s Civitafis Ferra'
rice . Non fu men pigro il Popolo di Modena a formare il
Libro dei fuoi Statuti prima dell'Anno 1213. Nell'Archi-
vio
2P4- Dissertazione
vìo d'efTa Citta fi conferva la Concordia feguita in eflb Art-
no fra Quello Comune , e Salingiierra dominante allora in
Ferrara , per diftruggere il Cartello cid Ponte del Duca .
Quivi è detto: ipem dehet promktere Commune Mut'mce ^ quod
faciet ponere in Statuto Cwìtatìs , quod Jì al'tqua partium Fer-
raris .^ Marchio^ 'vel Sallinguerra Ò^c,
Ne' primi tempi niente altro contenevano gli Statuti del-
le Citta e de i Luoghi , fé non Decreti della maniera, con cui
i Podeila e gli altri Uhziali doveano governare la Repubblica.
Dirado nel re (io fi allontanavano dalle Leggi Romane, o Lon-
gobarde , offervate da i loro Antenati . Ma nel progrefTo dei
tempo fi cominciarono a riformar varie Leggi di Giuftiniano
o de' Longobardi , regolando con altro ordine le Succeffioni ,
i Contratti , le pene de i delitti , ed altri affari civili e crimi-
nali , fecondochè ciafcuna delle Citta giudicò più fpediente
alla pofitura del proprio governo . Preflb i Veneti il prinno a
raccogliere gli Statuti antichi , e a dar loro buon ordine fu
Jacopo Tiepolo Doge nell'Anno 1242. del che fa fede nella
lua Cronica Andrea Dandolo con dire : Reperiens enim Statu-
ta ab eo & Prc^decejforiòus edita tantds confuftoni fubmijfa , up
in eorum ohfcrvatione Judices frequentici me vacillarent : prò eo-
rum reformatione elegit viros doólos , qui antiqua corrigentes ,
& nova /ìatuentes , Duci in uno volumine redaóìa obtulerunt &c.
Nello ftefib Secolo forfè niuna Citta mancò di fare altrettan-
to . Veggafi il volume de gli Statuti della Citta di Verona ,
formato nell'Anno 1228. dato alla luce dall'amico mio Bar-
tolomeo Campagnola Arciprete di Santa Cecilia in quella Cit-
ta . Anch' io reputai utile all' Erudizione de' Secoli barbarici
il pubblicare nella Difiert. L. de Civit» hai. Libert, gli antichi
Sratuti della Citta di Piftoia . Né fi dee tralafciare , che i
noftri Maggiori , prima che tornaffero a fignoreggiare per tut-
ta Italia le Leggi Romane , fi sbrigavano le liti con facilita
e preftezza , perchè fenza tante Citazioni , Protefic, Eccezio-
ni, Iftanze y Contradittorj , ed altre eterne filaterie del Foro.
Ma appena la Romana Giurisprudenza mife il piede nelle Scuo-
le , e s'impadronì di tutti i Tribunali d'Italia, fi fpalancaro-
no le porte a mille fofifticherie ed arti per tirare in lungo
la Giultizia , e per difficultare talvolta la cognizione del Giu-
ito 5 pili tofto che per ajutarla. Me ne fono avveduto in leg-
gere
Ventesimaseconda, 2p5
sere una Protefta fatta l'Anno iipo, da Aicha nobil Donna
della'Cafa di Camino in una fua lite centra di Obizzo Prima
Marchefe d' Efte , dove il fuo Proccuratore Proteftatur , de-
nuncuit , & dicit , ;;o;/ njjemiendo , prcedi^atìì Dominam Ay-
cbam & Domifjum Tifolinum , 7iec co?ifitefido , heredes effe pra:-
dìBorum Domhìorum Alberti & Davi tje ^ J alvi s om?iibus alits Ju-
rìbus , Excepttonibus communibus , & defenjìombus Dominìs Ay-
chds , & Ttfolino pradiólis . Credo io poi di avere abbaftanza
provato nella Prefazione alle Leggi Longobardiche , non fui-
fillere 1' opinion di coloro , che hanno fcritto approvate le
Leggi Romane , e abrogate le Longobardiche da un Decre-
to di Lottarlo L Augufto dell' Anno ii3(^. che ninno ha mai
veduto. Aggiungo ora di aver veduto più d'uno Strumento
fcritto fui principio del Secolo XI IL cioè tanto tempo dopo
l'Imperio di eflb Lottarlo , in cui fi fa profeffione delle Leg-
gi Longobardiche. E Federigo 1 1. Imperadore nel Libro I.
Cap. 5p. delle Coftituzioni della Sicilia Icrive : Secundum con-
fuetudi/ies approbatas , ne demum fecundum jura Communia ,
Lanpobarda vìdelicet & Koma?7a . Adunque anche dopo l'An-
no 1200. erano tuttavia in vigore le Leggi Longobardiche. E
in due Diplomi di Ottone IV. Auguro dell'Anno 121 2. da me
rapportati nella Parte I. Cap. 40. delle Antich. Eftenfi v' ha
quefte parole : Nulla Lege Romana^ vel Lombarda ^ feu Confue-
tudine , vel Statuto gentis cujuslibet obviare valente . Però in
quella maniera che ceflarono in Italia le Leggi Saliche , Ri-
puarie e Bavarefi , e i Capitolari de gì' Imperadori Franchi ,
anche la Longobarda andò in difufo , facendo i Popoli a gara
per reggerli colle Romane.
Dei
2^6 Dissertazione
Ve i Cojìumi de gì' Italtant ^ dappoiché cadde in potere
de' Barbari /' Italia.
DISSERTAZIONE VENTESIMA TERZA.
ANCORCHÉ' anticamente i Greci e i Romani denotaffero
col nome dì Bari; ari tutte l'altre Nazioni, quafichè la
Civiltà foffe un pregio della fola Roma e della Grecia , di cui
non participaflero gli altri Popoli : nondimeno più ipeflb, e pii!i
precilamente fi conferiva quella denominazione a quelle genti,
che ne'coilumi comparivano rozze, incolte, e talvolta dimen-
tiche dell'Umanità, e che o per abito, o per incHnazione pro-
feffavano la ferocia . La maniera bensì del veftire, e la foggia
diverfa delle vefti può distinguere una Nazione dall'altra. Ma
quefta diffomiglian^a efteriore non è quella , che porti effenzial
diiferenza fra i Popoli , perchè fotto la diverfith de' veftimenti
fi può racchiudere un'eguale pulizia di Coftumi. Ciò, che fa
veramente Barbaro , e rullico l'un Popolo , civile ed elegante
un altro, confifte neiCoftumi, e ne gli abiti dell' animo, che
tuttavia miriamo diverfi , e varj nelle tante popolazioni della
Terra, e che rendono gli uomini degni di biafimo o di lode .
Non parlo qui di tanti Barbari , che varie volte infeftarono il
Romano Imperio, e nel Secolo V. giunterò anche a taccheggiar
due volte la Regina deHe Citta Roma , giacché coloro non Af-
farono qui il piede. Parlo di Odoacre Condottiere de'Turcilin-
gi edEruli, che nell'Anno 47^. veramente alzò il fuo trono
Ibpra i Popoli d'Italia; e di Teoderico Re de' Goti, che nelP
Anno 4P 3. dopo aver tolto di vita elfo Odoacre^ fece luo, e
piantò veramente il Regno d'Italia . Furono abbattuti i Goti
da Giuftiniano I. Augufto; ma nell'Anno 5<58. eccoti i Longo-
bardi impadronirfi della maggior parte d'Italia con durare il
dominio loro fino all'Anno 774. in cui i Franchi fotto Carlo
Magno cominciarono ad efercitar qui la loro Signoria. Final-
mente neir Anno ^ó"!. cadde in mano dQ'Germani^ o vogliam
dire Tedefchi, l'Imperio Romano, e in elfi tuttavia fi confer-
va . Allorché una Nazione arriva a foggiogarne un' altra , e
quivi fi mette ad abitare, come accadde in Italia agUEruIi,
Goti, e Longobardi, ed avvenne a i Vifigoti, e pofcia a i Mori
in
V E N T E S 1 M A T E R Z A . ^pT
in Ifpagna ; a i Franchi, e Borgognoni nelle Gallie ; e a i Saf-
foni e Normanni nella Bretagna maggiore , accade alle volte ,
che il Popolo vittorioio introduce i Tuoi coftumi nel vinto pae-
fe, uniformandofi ordinariamente la gente a i coftumi del Re-
gnante. Ma altresì avviene, che trovando i vincitori un'aria
migliore di Coftumi nel Popolo foggiogato , depofta la fierez-
za e rozzezza, impari da eflb il vivere manfueto e civile.
Gran Flagello de gì' infelici Italiani fu il breve Regno di
Odoacre, avendo egli condotto leco quafi dall'ultimo Setten-
trione , e dal Mare Baltico tante razze d' uomini , nel volto
e nel cuore de' quali non fi trovava che alprezza e crudeltà .
Se più lungo tempo durava il loro dominio, forfè l'Italia fi tras-
formava in una Norvegia , o Rufiia antica . Ma fopravenne il
Re Teoderico , che co' fuoi Oftrogoti tolfe loro lo Scettro di
mano, e qui piantò il Regno de' Goti . All'udir noi ora il no-
]pe di Goti , benché fiam tanto lontani da i loro tempi , ci
par di vedere Popoli piii feroci de gli antichi Turchi , venuti
a calpeftare i poveri Italiani . Vediamo Caratteri delle ftampe
affai groffblani , li chiamiamo Gotici ; miriamo Bafiìiche di roz-
za e fproporzionata architettura , gridiam tofto, che è fattura
Gotica . Tutte immaginazioni vane . Non uguaglierò io certa-
mente, i Goti a gli antichi Romani : contuttociò fi può dire ,
che Teoderico Re de' Goti , e d' Italia iuperò ben moltiflìmi
de' Romani Imperadori nella gloria, nella fortezza, nel buon
governo, e nella civiltà de' Coftumi . Non portò egli qui la
Barbarie, fé n'era gran tempo prima Ipogliato . Al dire di
Ennodio nel di lui Panegirico , e d'altri Scrittori, eum educa-
njerat in gremìo cìvilitatìs Grcecia . Anche Pietro il Grande Im-
perador della Rulha , venuto alle Corti più nobili e gentili
dell'Europa, depole ivi tutta la nativa rufticita, e fé co por-
tò la civiltà per farne parte anche al luo vaftiftlmo Imperio.
Ora l'Italia in Teoderico ricevette non un fiero Tiranno, ma
un giuftifiìmo Re , e quantunque non fofie privo di vizj, pu-
re abbondò di tante virtù , che il luo nome pieno dj. gloria ,
e la fua potenza fi ftefe fino a gli ultimi confini delle Spagne.
Si sa , eh' egli nella manluetudine , nella magnificenza , nella
Giuftizia e liberalità ripoie il più bel pregio della fua Corona;
e che le Lettere , e l'Arti lotto di lui fiorirono ; ne mutazio-
ne alcuna fu fatta del Governo, e de'Magiftrati Romani . Gli
flefil Goti tion s' erano allora fiaccati dalla Tartaria , né da
Tomo L P p qual-
29S DlSSERTAZIOKE
qualche altro orrido Cielo, ma converfando co i Greci , avea
molto prima conolciuto, quanto fia da anteporre la civiltà e
pulizia alle barbariche ufanze . Odafi Giordano Storico Cap.V.
eie Reb. Get'ic, Nec defuerunt , qui eos fnpìenttam erudirent ,
Unde & pcene omnibus Barbaris Gothi Japientiores femper extite"
Yunt ^ Gracisque pa?7e confimìhs^ ut refertDio, Però da mara-
vigliare non è , lecondo 1' Anonimo Valefiano , fé Teoderico
non Italicam ta?ìtummodo , fed Ò^ 'uici?ìas obleBavit geines , ut
Jb illi Jub fcedus darent , fibi eum Regem fperantes. Negotian-
tes n)ero de dinjerjis Provinciis ad ipfum concurrebam . Tantt^
enim Difcipliri^ fuìt ^ ut fi quis 'uoluit ifi agro fuo arpe?ìfum
njel aurmn dimittere , ^c Jì intra muros Civitatis ejfet , ita exi-
Jlimaretur . Et hoc per totam Italiam augurium habehat , ut nul-
li Civitati portas faceret , nec in Civitate porta claudebantur :
quis quod opus habebnt ^ faciebat^ qua bora pellet -^ ac fi in die .
Molto di più fcrive Ennodio , molto più CafTiodoro de i meriti
di Teoderico; e mafiìmamente è da vedere l'Orazione, che Pro-
copio mette in bocca agli Ambafciatori Goti fpediti a Belifario
nclLib. II. Cap. <5. de Bello Gothico , Il perchè né pure in que'
tempi fi dee credere decaduta l'Itaha dall'antica Tua Dignità],
ancorché dianzi non poco iminuita , ne ch'ella precipitale in
un lagrimevole (lato di depreffione . Non furono né cacciati ,
né trucidati i Popoli d'Italia da i Goti . Quel folo , che pati-
rono confiflé per teftimonianza d' Ennodio e di Procopio nell'
avere Teoderico affegnata a i fuoi Soldati una parte de' Campi
degl'Italiani: gravezza già impoda da Odoacre , e praticata
anche una volta da i Romani , come abbiamo da Livio e da
Siculo Fiacco .
Per quanto dunque fi può giudicare , cominciarono i prin-
cipali guai dell' Italia dalla lunga , e più che barbara guerra
fatta da i Greci per ricuperare i' Italia, dalle mani de' Goti, e
maggiormente poi fi moltiplicarono per la calata de' Longo-
bardi , e il loro flabilimenj:o in quello Regno , con procedere
da effi gran mutazioni di coftumi in tutta 1' Italia . Allorché
Alboino con tutti i fuoi , dato l' addio alla Pannonia , oggidì
Ungheria, s'inviò verlò quefte parti, feco trafle intere briga-
te d'altre Nazioni Germaniche, tutte aniànti di bottino , cru-
deli e beftiah . Che iniquità commetteffero genti cotanto sfre-
nate ed inumane su i principj, fi può intendere da chi fu della
loro fleffa Nazione , cioè da Paolo Diacono , il quale nel Li-
bro
V E N T E S I M A T E R Z A . 2pp
broli. Cap. 32. de Gefl, Langoh, fcrive , avere i Longobardi
talmente elercitata la lor fiQVQzzcL contro gli antichi abitatori
d' Italia 5 che fpoliatis Ecclefùs , Sacerdotibm i?7ferfe6lis , Civi-
tatìbus fubrutis^ Populisque ^ qui more fegetum e>ccreverant ^ ex-
tìnH'ts ( exceptis bis regìon'tbus , quas Alboiìi ceperat ) balìa ex
maxima parte capta Jìt^ & a hongobardìs fubjugapa . Eccettua
Paolo i Popoli , che fui principio fi arrenderono ad Alboino ,
come il Friuli, la Venezia , l'Infubria, ed altri paefi, do\^e fi
tornò a godere la Pace. Si fcaricò dunque il furore de' Longo-
bardi fopra gli altri Popoli , che ofarono fare refiftenza , e
m affi in a mente fopra il Ducato Romano, giacché Roma fempre
leale a i Greci Augufti , più tofio infinite calamita foftenne ,
che mai fottometterfi al giogo de gli odiati Longobardi. Odafi
S.Gregorio Magno, che fui fine del medefimo Secolo VI. fpet-
tatore fu di quella Tragedia , nel Lib. III. Cap. 38. de* Dialo-
ghi, parlante cosV. Mox ejfera Langobardorum gens de ^vagina
fua habitat'to?iis eduBa , in iìojìram cervicem grajfata ejì ; at-
que hominum genus^ quod in Hac Terra prce lììmia multitudins
quaji fpijfcs fegetis more furrexerat , fuccifum aruit . Nam de-
popiilatcc Urbes , everfa Cajìra , concrematts Ecclejtde , dejìru6la
Mo7iaJìeria Vìrorum , & Eeminarum , defolata ab homtnibus prae-
dia^ atque ab omni cultore defìituta iìi [olitudiìie vacat Terra ;
nullus hanc pojjejfor inhabitat ; occuparunt bejìice loca , qiice
prius ìnultitudo hominum tenebat . Cos\ parla del Ducato Ro-
mano , e d'altri paefi il Santo Pontefice. La pefte ancora e
la careflia avanti l'arrivo de i Longobardi gran guaflo di gen-
te avea fatto in quella, che oggidì fi chiama Lombardia, fic-
chè non fu difficile a que' Barbari di dilatare la lor potenza ,
la razza loro, ed anche i coflumi in quefle parti.
Dissi \ Coflumi ; perciocché fcemati cotanto i vecchi abi-
tatori d'Italia , e la maggior parte d' effi ridotta alla povertà ,
né forze, né efempio ebbero per condurre i nuovi ofpiti e Pa-
droni ad una maniera di vivere più civile e leggiadra . Perciò
non poco tempo continuarono i Longobardi a vivere colla con-
fueta loro fierezza e rufiicita , fpirando nel volto e nelle vefli
orridezza, finché a poco a poco il piace voi chma d'Italia, e
i'efempio de' confinanti Greci e Romani li conduffe ad ingenti-
lire in qualche maniera , o almeno a deporre la nativa interna
ed eflerna loro rozzezza . Noi apprendiamo da Paolo Diacono
Lib. IV, Cap. 23. de Geft, Langob, che dalla Regina Teodelinda
Pp 2 fu
300 Dissertazione
fu fabbricata in Monza la Bafilica di San Giovanni Batiila, do-
ve ancora furono dipinte le prodezze de' Longobardi da pen-
nelli, come fi può credere, fé non di rifo, certo di compaffione
degni. In qua p'tBura (veduta da lui) manìfejìe oflendìtur^ quo^
modo Larigobardl eo tempore comam Capìtis tondehant , ^el qua-
lis illius vejiìtus^ qualisve habitus erat , S ì qui dem cervie em ttf'
que ad occipitimn radentes nudabant , capillos a facie ufque ad
OS dimijfos hahentes , quos in utramque partem in frontis di/cri-
mine dinjidebant . Vejìimenta vero eis erant laxa & linea ^ qua-
Ha Anglofaxones habere folent , ornata inftitis latioribus vario
colore contextis ( doveano parer livree ) Calcei vero eis erant uf-
que ad fmnmum polHcem p^ne aperti , & alternatim laqueis cor-
ri^iarum retenti , Pojìea vero cceperunt Hojìs uti ^ Juper quas equi'
tantes Tybritgos byrreos mittebant , Sed hoc de Komanorum con-
fuetudine traxerunt , Cos'i egli , affai indicando, che a' iuoi di
ufavano altra maniera di veftirfi ed ornarfì . Hofa: , ed Ofa (ì
crede effere flati Stivali o Stivaletti , come oggidì ufano gli
Ungheri , o pure i Soldati a cavallo . Di efiì parlano il Voffio
e il Du-Cange . I Tedelchi nondimeno oggidì chiamano Hofen
quello, che è a noi Brache e Calzoni ; ma preffo gl'Inglefi dall'
antico Saffone Ho/é" fignifica il veftito delle gambe. Matteo Vil-
lani nel Lib. Vili. Gap. 74. delle Storie fcrive : Dove gli Un-
gheri inVofa^ e gravi delle lor armi e giubboni non pot e ano fa-
lire , Truovafi uTara quefta voce anche dal Boccaccio. Chela
voce Stivale venga dal Tedefco Stiefel , T avvertirono già il
Ferrari, e il Menagio; ma il primo aggiugne, che la Refì'a pa-
rola Tedef:a fu formata dal Latino jÈJìivaHa , fottintendendo
cerea, Veggafi anche il Du-Cange alla voce Mftivalia. La cre-
do una vana immaginazione. QLiegl' ignoranti Scrittori de'SecoH
•baffi, che in Latino fcriflero y^/?/-!;,?//^, ciò fecero perchè non
fapeano la voce Latina Ocrecs ^ ne quella s'accorda con JEJìtva-
Ha, E perchè chiamar gli S'^w^/i cofe da State ^ quafichè non
fé ne ferviffero gli uomini anche il Verno , e non ne foffe allo-
ra anche maggiore il bifogno ? Non s' ha poi da mettere in
dubbio, che i Longobardi nutriffero la barba. Anzi fu di pare-
re Paolo Diacono , che Longobarbi , e non Longobardi foffero
appellati ab inta&de ferro barba longitudine : la qual opinione
è derifa da alcuni moderni, i quali altronde deducono la deno-
minazione do* Langobardi , Io li lafcierò disputare su quello.
Fra le Leggi del Re Rotari una v'ha contra colui, il quale
fur-
Ventesimaterza. jOI
fur^eììte rixa per barbam , aut per captllos hominem Itberum tra-
xerìf. In Ravenna , per atteftato di Paolo Diacono, e di Gi-
rolamo RofTì, davanti alla Chiefa di San Vitale fi leggeva l'In-
fcrizion Sepolcrale polU a Drottulfo vaiorolb Longobardo. Ivi
fra l'altre cofe era detto :
Terrìh'd'is v'tju facies , fed corda benigna ,
Longaque robujìo corporc barba fuif.
Paolo fcrilTe fed mente benignus . Egli ancora notò, che il Re
Grimoaldo portava prominentem barbam . Cofa decorofa e da
Uomo fembrava a quella gente l'avere una bella barba. Fors*
anche altri la portavano difpofla in maniera da comparir più
terribili , come oggidì s'nfa da alcuni con certi maiufcoli Mu-
flacchi. Talmente ciò è certo, che grande affronto fi riputava
allora il tc^gliare la barba ad alcuno , forfè perchè era proprio
de' foli Servi l'andare fenza barba e capelli . Di Ariberto Re
fcrive il fuddetto Paolo Lib. VI. Gap. 6. Compre henfumque Ro-
tharit pfetido-Kegem ejus capitt barbamque radens , Taurinis in
exjìlium retruflt . Sicché allora principalmente alla barba era
conferito il privilegio di diflinguere un uomo Libero daunS^r-
'vo . Non cosi praticarono i Romani. Per antica loro confuetu-
dine o radevano, o accorciavano la barba. Con ragionevol ton-
fura eziandio teneano corta la chioma , e falennita non manca-
va , aUorchè per la prima volta i Giovani fi faceano tagliare
o radere la barba. Certamente al tempo de' Longobardi diverla
era la tofatura de' Romani. Si oda Anaftafio Bibliotecario nella
Vita di Adriano I. Papa, dove fcrive, che que' Longobardi , i
quali promifero fedeltà e fervigio a San Pietro, eY3.no more Ro-
manorum tonjuratos . Per lo contrario preffo lo fl:eifo Scrittore
nella Vita di Gregorio IH. Papa , il Re Liutprando multos No-
biles de Romanis more Longobnrdoruìn totondit & njefìivit . In
che confiiteffe quefta differenza, fi potrebbe conoicere, fé re-
fìaflero pitture di que' tempi.
Quel eh' è certo, i Franchi non portavano barba, contenti de*
foli Muftacchi , o pur corra l'ufavano . Agnello Ravennate Scritto-
re del Secolo IX. fa predire a Graziole Arcivefcovo, ohe njenient
ex Occiduis partibus raft barbas^ e volea difegnar la Nazione Fran-
cefca . Per atteftato di Eginardo , i Re di Francia della prima fchiat-
ta andavano crine profufo , barba fubmijfa . Ma fotto Carlo M.
che volea farfi merito co' Romani, fi mutòufanza. Allorché volle
che
302 Dissertazione
che comparine al pubblico d'aver egli invertito del Principato di
Benevento Grimoaldo, falva la fua Sovranità, ordinò fra l'altre
cole 5 ut Longob^rdorum mentum tonderi faceret , come lafciò
fcritto rAnonimo Salernitano, o pure Erchemperto nel Cap.IV.
Perciò TeiTere tofato more Romanorum^ fìgnificava la totatiira
di tutta la barba, ©almeno l'accorciatura. E pure il fuddetto
Agnello, parlando nella Vita di Damiano Arcivefcovo de i Ra-
vennati, che non erano fudditi de' Longobardi, ce li rappre-
fenta Cr.pillos^ & harhas extrahentes , Omjtes Nobiles^ &igtìobi-
les fqualida barba mxrefido tncedebnnt . Probabilmente quei ài
Ravenna leguitavano il Rito de' Greci , foliti a portare una
bella barba . Ne perchè il Regno de' Longobardi pafiafle ne i
Franchi, cefsò in Lombardia l'ufo delle barbe lunghe . Lan-
dolfo Seniore Storico Milanefe nel Lib. IIL Gap. 12. fcrive di
Landolfo Capitano di quel Popolo circa l'Anno 1059. Barbam^
utUfusAnt'tquus exigebaf^ quajt purpuream gere?2s, E Bonifazio
Duca e Marchefe dìTofcana, padre della chiariffima Contef-
fa Matilda , elTendo in collera centra di alcuni Borgognoni ,
barbam quatteiìdo mìnatur ^ come s'ha da Donizone nella Vita
di Matilda Lib. L Cap. 11. Per varie ragioni ancora fi accomo-
davano oh antichi Veneziani alle ufanze de' Greci . Pietro Or-
feolo Doge nel Secolo X. di quell'inclita Repubblica, fuggen-
do coir Abbate Marino a fin di abbracciare la Vita Monaftica,
diffe al medefimo Abbate, ^.atnocius accìpe novaculam.^ &de»
pone m'thl barba-m , jtcque colobìum indue Motiajìicum . Legged
COSI nella di lui Vita . E dalla Cronica del Volturno all' An-
no 1028. abbiamo, che un certo lldecardo dimandando di ef-
fere ammeifo in quel Moniftero, usò le feguenti parole : Infpi-
ravk me Omtììpotens Deus ^ ut hunc Mmidum derelinquam -^ &
tundam ( in vece di tonde am ) caput & barbam meam , Ù* ve-
flem fanÈìam Monachilem induam . Per lo contrario in Occiden-
te, e maiìlmamente in Roma, il Clero procedeva fenza barba,
e lenza capelli; a mio credere perchè la barba fi prendeva per
fegno di Nobiha, laddove i Servi per indizio della lor baflezza
non portavano né barba né capelli ; e i Cherici al pari de' Mo-
naci , confiderandofi per Servi dei Signore , e per addellrarfi
all'Umiltà, imitavano la condizion Servile. San Gregorio VIL
Papa nel Lib. VIIL Epill. io. fcriveva : ^emadmodum totius
Occidentale Ecclejide Clerus ab ipfts fidei Chrìflìanae primordth
barbam radendi morem tenutt &c. Ma non è tanto certo , che
ne'
V E N T E S 1 M A T E R Z À . 30]
ne' Secoli più antichi fi offervafTe queflo Rito . Nel Can. 44.
del Concilio IV. Cartagineie noi leggiamo : Clerkus nec comam
nutrì ut f nec barbam radati o ^urc tondeat^ come hanno altri
tcfti. Ed Apollinare Sidonio nel Lib. IV. Epi(1.24. chiaramen-
te d^a a conoicere, che gli Ecclefiaftici di Francia al Ino tem-
po confervavano la barba . Che nondimeno , ficcome dicem-
mo, i Cherici Latini tenefìTero altro ftile nel Secolo XI. ne ab-
biamo la teliimionianza anche di San Pier Damiano , di cui
fono nel Lib. I. Epift. 15. le parole leguenti : Ecclejtarum pia-
ne ReHores tanto 'vertighiis quoti die rota?nur impuljti^ ut eos ci
Siscularihus Barbirajimn qiiidem dividat , fed aBio non difcer-
nat* Vuol anche elTere afcoltato Ditmaro fui principio dei Li-
bro VII. dove defcrivendo la Coronazione Romana di Arrigo I.
nel 1014. cel rapprefenta a Senatoribus duodecim *vallatum ,
cjuontm fe>: rajì Barba , alti prolixa myflice inceàehnnt cum ba^
culis , Dalia Vita del fuddetto Papa Gregorio VII. da me data
alla luce, s'ha ch'egli cacciò fexaginta Man/ionarios Beati Pe-
tri . Erant enim Cives Romani uxorati , feit concubinarii , barba
raji ^ & mitbrati^ aj] erentes fé Cardinales Presbfteros ej]e, E
per atteftato del Dandolo nella Cronica , circa l' Anno 940".
33omenico Uomo Laico, dal Popolo Veneto expetitus Epifcopus^
abfcijfa barba Jtbi , invìtus Epìfcopatum accepit . Perciò nelle
antiche Pitture e Libri , i Cherici e Monaci d'Occidente fi fo-
gliono offervare sbarbati . Da occafion di ridere illapere,che
nel Secolo IX. e ne'ieguenti venivano come proceflati gli Ec-
clefiallici Latini da i Greci , perchè non ufavano la barba ,
quafichè da quefta dipendeffe la bontà e fantità de' Collumi .
Ratranno Monaco di Corbeia nel Lib. IV. Cap. V. nella fua
Rifpofta- alle calunnie de' Greci, deride quella loro oppoGzio-
ne, lafciando anche intendere, che né pure prefìTo tutti i Che-
fici Latini fi ufava l'andare lenza barba . Certamente i Mo-
naci comparivano ben rafi . E pure Angelo della Noce nelle
Annotazioni al Cap. 24. della Vita di San Benedetto fa vedere
un' antichiffima pittura, in cui quei Patriarca, e Giovanni Ab-
bate portano barbam rotundam , ed anche i Muftacchi . E il
Goldaflo nelle Annotazioni alla Vita di Carlo Mapno fcrive :
Rartjjtmcs namque funt de njetujìis Monacborum infaginibus ^
quas ego quamplurimas vidi ^ qu^ barbam non prccf erant . Adun-
que fecondo la varietà de' Luoghi e de' tempi varia fu la for-
tuna della Barba . Noi lappiamo, che anche dopo il 1500.
ella
304- Dissertazione
cfifa era in gran venerazione in Italia non folo preflb i Laici,
ma anche fra gli Ecclefiaftici . Dopo il 1600. cominciò effa a
contentarfi di efìere in varie ^uiie addottrinata dalle forbici ;
e finalmente nel prelente Secolo ha perduto fra noi affatto il
credito. A' tempi di Carlo M. doveano i Greci portare la lor
capigliatura toiata in forma diverta da i Longobardi , e te ne
faceva gran calo ne' pubblici affari . Adriano I. Papa nell'Epi-
flola 88. ad eflb Re Carlo fcrive, avere Arigiio Duca o Princi-
pe di Benevento chiedo al Greco Imperadore auxilìum ^ & ho^
riorem Patricìatus una cum Ducatu NeapoUtano fub intef vitate »
Pro qua re pollici tus ejl tam in tonfura , quam in 'oefiibus ufu
Gracorum perfrui , fub ejusdem Imperatoris ditione , Pofcia ioO'
giugne : Hcsc audiens autem Imperatore emifit illi fuos Legatos
&€, ferentes fecum njejìes auro textas^ Jìmul Ù' fpatam ^ njel pe-
6linem , & forcipes , Jicut illi pradiHus Arichijus indui Ù^ ton-
deri polUcitus ejì . Ecco quanto una volta fodero gelofe le Na-
zioni della lor propria maniera di veftire , e di portare la chio-
_ma per dilfinguerfi dall'altre. Come fi ufi oggidì, lalcerò che
altri lo dica.
Torniamo a i Longobardi . Da che coftoro abiurato TAria-
nismo fi unirono colla Chieia Cattolica , allora più che mai
depofero l'antica loro felvatichezza , e gareggiarono colf altre
Nazioni Cattoliche nella piacevolezza, nella Pietà, nella Cle-
menza , e nella Giuftizia , di modo che fotto il loro governo
non mancavano le rugiade della contentezza. Tali non li pro-
varono già i Greci e Romani, ma bensì intollerabili e crude-
li : fpettacolo nondimeno, che anche ne' due Secoli a noi prof-
fimi, per nulla dire del prelente, s'è fatto vedere. Intenti era-
no fempre i Greci , per quanto comportavano le lor forze ,
alla rovina de' Longobardi , odiandoli a morte ficcome ufur-
patori del loro dominio. Rendevano ben loro la pariglia i Lon-
gobardi , fempre meditando di fpogliarli-'"anche dell' Efarcato
di Ravenna, del Ducato di Roma, di Napoli , e d'altre Citta
marittime , tuttavia ubbidienti al Trono di Coftantinopoli .
Continui incentivi erano quefti di guerre, d'incendj e di flra-
gi. Ma i Greci Augufti, oltre a gl'indegni e mali trattamen-
ti ufati co' Romani Pontefici , fi lafciarono anche trafporrare
aU'Erefìa de gì' Iconoclafti : il che animò i Longobardi d'in-
vadere l' Efarcato, e a tentare anche facquifto di Roma. Di
qua venne la loro rovina. Sotto il giogo di queda gente trop-
po
V E N T E S 1 M A T E R Z A • jO 5
po abborrivano di cadere i Pontefici e il Popolo Romano; per-
ciò contra d' efii ivegliarono la potenza di Pippino e di Car-
lo M. Re^ì di Francia, e riufci loro in fine non loio di abbat-
tere i Longobardi, ma anche di lottrarfi alla Signoria de' Gre-
ci, con finalmente partire l'Italia fraefli, e i Franchi. Erano
anche i Franchi una Nazione Germanica , giunta a foggiogar
le Gallie ed altri Popoli . Sotto di Carlo M. e de'luoi Succefib-
li, fi può credere , che s'inciviiifìTero maggiormente gl'infelva-
tichiti Popoli d'Italia. Imperciocché i Franchi , anche prima
d'infignorirfi delle Gallie , nella leggiadria de'cofiumi dilunga
mano luperavano l'altre Nazioni dell'Occidente, eccettuatane
la Romana , le vogliam credere ad Agatia Storico, che fioriva
jieli' Anno 560. e cosi ne parla nel Libro I. Sunf enim Fradici
non campejìres , ut fere pler'tque Barharorum ; [ed (ìT politia ut
pluriniuin utuntur Homaììa , & legtbus usdem y camdcm etiam
contra^uum & nuptiarum rationem , & divini Nurninis cultum
tenente Cbrijìiani enim omnes funt ^ reHtJJìmeque de Deo [en-
ti un t , Habent Ù' Magifìratus in Vrbibus ^ & Sacerdotes , Tefta
etiam perinde atqvte nos celebrant , & prò barbara Natione , val-
de mihi vidcntur civiles & urbani , fìihilque a nobis dijferre ,
quam tantummodo barbarico vefiitu , & lingule proprietate , Ego
certe eos cum ab alia , quibus pr<£d!ti [unt , bona , tum vero ab
mutuam inter [e ju[ìitiam & concordiam [ummopere miror &c. Se
quefto elogio ben concordi colla Storia di Gregorio Turonenfe;
non importa ora il cercarlo . Certo è , che la gran mente di
Carlo M. Tempre piii fcppe pulire i coftumi della ina Nazione,
e comunicati queftì anche alia vinta Italia , ne profittarono
cjuefti Popoli , i quali lotto il governo de' Franchi migliora-
rono non poco con goder della pace nel cuore del Regno, ed
cfercitare l' armi e la fortezza lolamente contro le Nazioni
ilraniere.
Mettevano appunto i Longobardi e Franchi la lor gloria
nell'ulb dell'armi e della bravura, ficcome ancora la principal
loro ricreazione e folazzo nella caccia . Si forte era quella in-
clinazione in que' Popoli , che né pur fé ne fapevano aftcnere
i Cherici e i Velcovi ftefli . Perciò troviamo in molti Concilj
vietata quefta ulanza alle perfone facre . Ma i Re allora erano
SI perduti in tale efercizio e piacere , che anche in tempo di
guerra attendevano a cacciare . Non ne furono privi al certo
i Romani ftefìTi, e fi veggono Medaglie con tefte di Cignali.
Tomo 1, ^ Qji Anzi
30(5 Dissertazione
Anzi Plinio il giovane nel Panegirico Gap. Si, loda Traiano
Augufto, perchè in tempo di pace o d'ozio Lujìraret fahus ^
escuteret cubilibus feras , con foggiugnere : H'is an'thus futuri
Duces Imhiiebantur -^ certare cum fugaàbus ferìs curfu , cum aU'
dac'ibus robore ^ cum callidis ajìu, Contuttociò non apparilce,
che i Romani foffero ipafimati dietro alla caccia, e pare che
più torto r efercitafTero per mezzo de' loro Servi . Da taluno
ancora fi crede , che T nfo de' Falconi folle portato in Italia
nel Secolo IV. dell' Era Criftiana . Ma gli altri Popoli si dell'
Afia , che deli' Europa , e principalmente i Settentrionali ,
per antico loro ufo ed inftituto teneano il cacciare pel piìi ca-
ro e nobile lor divertimento ; ne iolamente i Re e i Grandi ,
ma lo fteffo vjolgo ancora de gli uomini Liberi. Pafla va per Ere-
diti! ne'Eigli e nipoti quefla applicazione, di modo che più to-
fto da i Barbari , che da i Romani , lembra venuto lo ftudio
della caccia tuttavia vigorofo in molti de' Principi e Nobili
del noliro tempo, ma vie più fuori d'Italia. Truovafi per
quella ragione non di rado fatta menzione d'effa caccia nelle
Leggi de' Longobardi , Franchi , Ripuarii &c. A queflo fine
teneano gli antichi Re boichi e felve , dove fi chiudeano le fie-
re , parte circondate di muro , parte di pali o foffe . Gajum ,
Parcus^ Brol'tum fi chiamavano quefti Luoghi, e Zofimo nel
Lib. III, della fua Storia fcrive , che fpezialmente erano ufati
da i Re di Perfia. Abbiamo la defcrizione di un'infigne caccia
fatta da Carlo M. nel Poema di un Anonimo pubblicato dalCa-
nifio nelle antiche Lezioni . Vien delcritta un'altra parimente
magnifica fatta da Lodovico Pio Augufto nel Lib. IV. del Poema
di Ermoldo Nigello da me dato alla luce. Di tale ftudio maf-
fimamente fi dilettava il giovane Lamberto Imperadore : male
per lui, perchè in quello efercizio nell'Anno 8p8. fu uccifo
nel Bolco di Marengo . Anche Leone Odiente nel Lib. IL Ca-
pit. 60. parla di Sergio Duca di Napoli si trafportato dall'
amore della caccia , che njenatum in ìpjo San^i Fault Snbbato
■psrgens ^ Jilvam [uis cumpuerìs^ ut apros eaperet ^ ejì ìngreffus^
tenftsque retibus ad infequendos eos fé fé cum cantbus huc illuc-
quG vtìianimiter omnes per fìlvam dijfundunt , Ma nulla fa co-
tanto comprendere come fofie in credito ne gli antichi Secoli
il collume di cacciare , quanto ciò , che fcrive di Carlo M.
Eginardo nella di lui Vita . Ajftdue ( fogo fue parole ) eserce-
batur eqmtando ac svenando : quod illi ge?uilitìum erat . ^la
Ventesimaterza. J07
«y/V uìla ttt tm-ts Natio hi^enìtur^ qua in hac arte Francis pò Jfit
cequari. Poco prima avea detto del medefimo Monarca : Filios
more Francorum equitare , & armis^ ac 'venationibus exerceri fe-
cif . Suo Figlio Lodovico Pio AuguRo confiderando quanto ca-
ra e prezioia cofa fofle a i Longobardi , o fia a gl'Italiani di
allora il portare la Spada in fegno di nobiltà e valore, e l'an-
dare a caccia perfolazzo, ordinò nella Legge i(^. Longobardi-
ca , che trattandofi di levare i pegni ad alcuno per qualche
pena, non fi toccafle la Spada e lo Sparviere . In compojìtione
g^uadrigild ut e a dentur^ qua in Le gè continentur ^ excepto An-
cipitre & Spata, E ne recala ragione ibggiugnendo : ^lia pro-
pter ili a duo aliquotiens perjurium commitpitur ^ quando majoris
prefii f quam illaftnt^ effe jurantur ,
Gran tempo dovette durare l'amor della caccia, e l'ufo
in efla de gli Uccelli da rapina, perchè ne gli Statuti della Cit-
ta di Modena , Icritti quattrocento anni fono , per togliere le
diflenfioni , che inforgevano a cagione di si fatti Uccelli , fi
truova formato quello Decreto . Si quis invenerit Falconem ,
AJìurem ^ FerTiolum^ & Sparaverium alferius^ & ipfum ceperit y
falvum faciat ipfum , & deferat ea ad domum Majfarii Commu-
nis ; & prafenPare teneatur Majfario^ 'vel Potè fiati ^ vel Judici-
bus fuis . Et Majfarius teneatur eum falcare , donec fciat , cu-
jusjìt^ & eidem reddatur . EtPoteJìas faciet dari de avere Com-
munis tres foldos Ferrarienjìs ei , qui ceperit Sparaverium ; &
ei , qui ceperit Falco?2em vel Ajìurem , éX prcefent averit , decem
foldos Ferrarienjìs . Si aggiugne la pena a chi contraverrh . Di
tal momento era allora quello affare , che i Maffari venivano
obbligati a fare un pubblico Proclama , ut Dominus inveniretur.
Anche ne gli Statuti d' altre Citta, e fpezialmente di Milano^,
fi truova un regolamento lopra i fuddeiti Uccelli . Anzi nel
Milanefe è degno di oflfervazione ciò , che è ordinato nella
Par. IL Cap. 444. con quefte parole. Ut nullus capiatCiconiaSy
nec Hiru?idines , fub pxna Librarum quinque Imperialium . Se-
condo il Carpano , fatta fu cotal proibizione , eo quod nullum
dnmnum afferunt publico , Non per quella ragione , perchè vi
fon tanti Uccelli, che niun danno recano al Pubblico; ma per-
chè le Cicogne, e le P^ondani giovano al medcfimo coli' ucci-
dere i Serpenti , e col nettare l'aria dai molelìi infecti , ol-
tre all'amicizia, ch'effe hanno coli' Uomo, nelle cui Caie for-
mano i nidi. Altre cole fi contano o favolofe, o vere , della
Q_q 2 lor
.1
o
8 Dissertazione
lor pietà, prudenza, e predizioni . Mi {{jn io maravigliato pia
volte , perchè a' dì noftri in Italia non fi veggano , e né pur
fieno conoiciute le Cicogne, quando è fuor di dubbio, che anti-
camente eiìe ci abitavano. Non altra cagione so io immaginare
fé non l'invenzione de gli archibugi, co' quali abbiano i ribaldi
fatta guerra a quegf innocenti ed utili uccelli con ifchiantarne
prelTo di noi la razza , quando in più Luoghi della Germania
fi pregiano tutti i ruftici di albergare ne' loro tetti qualcheCi-
cogna, e guai a chi ne uccidefTe alcuna , tenendola ognuno per
Uccello di buon augurio . Nelle Storie di Padova troviamo ,
che anche nel Secolo XIV. le Cicogne pacificamente abitavano
in quel paefe ; e l'Aulico Ticinenfe , che in quello fteffo Secolo
circa l'Anno 1330. fcriveva la fua Operetta de Laudib.Papta ^
ha le Tegnenti parole : Mundatur autem tota 'Regio ìlla a vene-
7ìofis anìmal'ihus^ & mnxhne ferpemibus ^ per Cleoni as^ quiS illw
tota tempore Veris , & ^ftatìs morantur . Sicché non farebbe
ingiurio l'adirarci contro di chi fterminò ne' tempi addietro
quefti volatili dal Cielo d'Italia . Che l'amore ed efercizio
della Caccia lungamente duraffe fra i Principi d' Italia fi po-
trebbe provare con varj eiempli . Baderà dire, che Bernabò
Vifconte pefanti aggravj aggiunfe allo Stato di Milano per
quella cagione ; e Giovanni e Luchino di lui Succe(fori, fecon-
do r atteftato di Galvano Fiamma , canìbm 'venaticis ^ falconi-
bus , ajìiirìhus , ncetp'ttrthus m maxima qiiantitate abundaru?ìt .
Né è da fiupire , le Giovanni Vifconte , tuttoché anche Ar-
civefcovo di Milano , fi dilettafle cotanto della caccia . Trop-
po invafati di tal divertimento erano allora anche i Cheri-
ci , al difpetto di tanti Concilj , che loro vietano il nudri-
le Cani da Caccia e Falconi , e i' intervenire alle caccie Cre-
pito fé .
ì\bbiam veduto, che là Spada era un facrofanto arnefe per
li Longobardi , perchè mettevano la lor maggior gloria nei va-
lore, amando ciatcuno d'effere bravo, o almeno di goderne il
concetto. Cosi alto andava allora quefta pretenfione, che niu-
na più fcottante ingiuria fi potea fcaricare contra d'uno, che
chiamandolo Arga , lo lìefib che oggidì Poltrone , e codardo .
Nella Legge 3 84. di Rotari abbiamo : Si quis alium Arga per
jurorem clama'verit ^ era obbligato a disdire injuriofum verbum y
ed a pagare la pena di dodici Soldi ; o pure dovea foiienere il
fuo detto per pugnam . Però Paolo Diacono Lib, VI. Cap. 24.
raccon-
Ventesimaterza. jop
l'acconta, che un certo Argaklo nobil Uomo, perchè JaFreckjI-
fo Duca fu chiamato Arga , non potendo lofferir tale affronto,
con lo ipignerfi in mezzo a' nemici andò a cancellarlo laiclan-
do ivi coraggioiamente la Vita. Parimente fra i Popoli Franchi
infoffribil villania era il chiamar Lepre alcuno . In que' tem-
pi adunque il più favorito ftudio de' Popoli venuti dal Setten-
trione a fignoreggiar le Provincie del Mezzodì, confifteva nel-
la Scherma, e nel maneggio dell' Armi , in Cavalcare , fca-
gìjar Afte, Dardi, e Saette, opporre Io feudo a i colpi nemi-
ci , ed aflliefarfi ad ogni afìalto , che poteffe o nelle private
tenzoni , o nelle pubbliche guerre accadere . Parlo de gli Uo-
mini Liberi , perchè a i Servi non era permeifo di militare .
'Fu appunto il Re de' Goti Teoderico encomiato da Ennodio
per la iua cura di allevare la gioventi^i fra 1' Armi anche in
^empo di pace . Acì/^uc^ die' egli, mnfieììp hi folid'ttate 'viólri-
cia agmi7ia , & alta jam crenjeTwit . Durantur lacerti mtjftlt-
hus , & implent a&wfiem fortìum , dum jocantur . Agitur vice
jpeBaculi ^ quod fequenù tempore poterit jatis ejfe virtuti . Dum
ameutis puertlihus hojìilta lenta torquentur y dum Arcus quoti-
dianae capitum neces dìrìgunt ^ Urbis omne pomoerium fimulacro
congrejjtonìs atteritur . Agit figura certaminum , tie cum pericu-
lo vero nafcantur . Lo fteffo fi può raccogliere da Cafiiodoro .
Né fecero di meno gli antichi Romani , per avvezzar colle fin-
te battaglie alle vere la lor milizia : del che fiamo accertati da
Vergilio, Silio, Plinio, Vegezio , ed altri. Simulacra bellorum
agere fu chiamato un tale Studio da Giulio Capitolino nella Vita
di Maifimino . Ma vedi qu\ lotto il Cap. XXIX. dove fi parle-
rà de gli Spettacoli. La grande ignoranza , che per più Secoli
occupò l'Italia, s'ha principalmente da attribuire all'avere una
volta i Barbari, e i loro Sudditi collocato il più bel pregio della
Nobiltà, dell'Onore , e della Gloria neh' amore dell'Armi , e
neir applicare all'arte della Guerra . Credevafi allora , che lo
ftudio delle Lettere folTe un cibo proprio de'Cherici e Monaci,
e non de' Secolari; e che la Letteratura ammollile di troppo il
coraggio de gli uomini, con torgli queirafpro e felvaggio, che
fembra efigerfi dalla fortezza guerriera. Il {opra lodato Teoderi-
co Re de' Goti e d'Italia, ficcorae infegna l'Anonimo Valefiano,
inliteratus erat^ & ftc obruto fenfu ^ ut in decem annos Regni fui
quatuor Literas fubfcriptionis edióìi fui difcere nullatenus potuijfef ,
De qua re laminam auream jujjit interrafilem fieri j quatuair
lite-
jio Dissertazione
ìiteras Regìs habetìtem THEOD. ut fi fubfcrtbere volulJJ'et^ pò-
fita lamina fuper Chartam , per eam penna duceretur , & fub-
fcriptio ejus tantum videretur , Vedi quanto antico fofle l'ufo
dàìe Stampiglie ^ benché alquanto diverfe da quelle d'oggidì.
Ma Amalafunta Regina di lui Figlia giudicò di dover dare una
diverfa educazione ad Atalarico fuo Figlio, come abbiamo da
Procopio nel Lib. L Gap. 2. de Bello Got/p. Cioè ad imitazione
de' Principi Romani volle che fofTe iftruiro nelle Lettere . Se
l'ebbero amale i Caporioni de' Goti, e fecero udire la feguen-
te fmfonia ad Amalafunta. Literas a fortitudine longe ejfe dis^
junBas^ traditamque a fenibus inftitutionem in timiditatem &
animi humilitatem plerumque verti . Itaque oportere , ut in re
■bellica futurus animofus^ glori aque injignis^ amotoDoBorum me'^
tu , armis exerceatur, Theodericum allegaìit^ numquam pajfum
Gothorum liberos ad Ludimagijlros mitti , quum diceret omnibus
eos numquam haflam aut gladium defpeBuros mente intrepida^
fi fcuticam timuijfent « Ogni perfona ftudiofa ben sa , quanti
furono gran Capitani infieme e Letterati . Ma i Goti l'inten-
devano a modo loro, e bafti faper l'opinione, percui non folo
trafcuravano , ma anche abborrivano la Letteratura ► Stefefi
perciò in tutta 1' Italia quella avverfione alle Lettere , e la
predilezione del Libero, per non dire Libertino rnertiere delT
armi, durò per piìi Secoli con tale ecceffo , che non pochi del
Clero trovavano le lor delizie più in elfo , che nello fludio di
ciò che conveniva allo ftato loro .
Finche' durò fui Trono d'Italia la fchiatta di Carlo M. cioè
fino all'Anno 888. goderono quefti Popoli un buono flato , e
tollerabili furono i lor coftumi . Ma eflendofi allora meiTo in
difputa il Regno fra Berengario Duca del Friuli , e Guido Du-
ca di Spoleti, fi fcatenarono le guerre, e fiapr'i la porta a tutti
i vizj, talmente che nel Secolo fuffeguente orrida fu la faccia
dell'Italia per le flragi , rapine, frodi e lafcivia , talmente che
fin lo fleffo Clero , per teflimonianza di San Pier Damiano , fi
abbandonò a varie forte d'iniquità, e ma^bmamente alla diiTo-
lutezza della vita, Neil' Anno ^^2. fotto Ottone il Grande co-
«linciò la Nazione Germanica a fignoreggiar neh' Italia . Era-
no in que' tempi tuttavia ricordevoli d'elTere itali Sudditi dei
Re Franchi, e ritenevano parte di que' regolati coftumi , che
aveva introdotto Carlo Magno , anzi allora la Germania ab-
bondava di Santi più che Taltre Contrade . Servi la potenza
de
Ventesima TERZA. jir
de gli Ottoni Augufti a tenere per qualche tempo in freno la
diiordinata vita de gli Italiani ; fé ifpirafìfe loro anche miglior
forma di vivere, noi so dire . Forfè anche la ruvidezza, e qual-
che altro difetto non mai dismeffo da quella Nazione, rendè
pili afpri e feroci gli abitatori d'Italia. Certamente avvenne,
che fecondo 1' efempio , anzi fecondo le Leggi Tedefche la
pazzia del Duello, già ufato anche da i Longobardi, maggior-
mente qui fi accreditò e dilatò , come apparifce dalle Leggi
Longobardiche di Ottone II. e di Arrigo I. Imperadori . Pro-
fefiavano in oltre gU Alemanni gran divozione al Vino e a i
maiufcoli bicchieri , e fra loro l' ubbriachezza fi contava per
una galanteria , di cui parlano le Storie di que' tempi . Né
gli fteflì Franzefi dimenticarono d'effere di Nazione Germanica
per quel che riguarda Bacco. Ne' Tuoi Capitolari, e nella Leg-
ge 42. fra le Longobardiche Carlo Magno ordinò, t;i^ Judices
jejuni caujfas aud'trent & difcsrnerenP . Il perchè io rimetto a
i Lettori . Sappiamo in oltre , che nello ^t^o Secolo X. e nel
fuffeguente certi vizj più de gli altri fiflarono il piede in que-
fìe Contrade , come la Simonia , 1' Incontinenza nel Clero ,
l'occupazione de'Beni di Chiefa, l'oppreffione de'poveri e de'
Pellegrini, e le Nemicizie private, talmente che, fevogliam
credere a Ditmaro nel Lib. VII. della Storia , era allora in
gran difcredito l'Italia . Mult^ fimt ^ die' egli , pvoh dolor ! in
Romania atque in Longobardia infidias . CunBis bue adventen-
tthus exigua patet carìtas. Qmne quod ibi hofpites exigunt 've-
nale eft (non c'era più ofpitalita ) Ù' hoc cum dolo ; inulti-
que toxicati cibo pereunt . Accennai le Nemicizie private . Si
chiamavano Faidce, Se uno era uccifo, fé bruciata la fua ca-
fa, fé da qualche grave ingiuria ofil^fo , efigeva bene il Prin-
cipe la pena importa a quel misfatto, che per lo più era pe-
cuniaria , ma reftava all' offelo o a' fuoi parenti il defiderio
di farne vendetta , ed anche il farla pareva in certa guifa per-
meffo. Nelle Leggi Longobardiche, Inglefi, Saffoniche, e ne'
Capitolari de i Re di Francia , fi truova ufitatiffimo una volta
l'ufo delle Faide , Anzi lo ftelTo Tacito affai manifeftamente
ci fa lapere , che anche a fuoi di sì fatte Nemicizie erano fa-
miliari in Germania . Erano elfc nondimeno vietate, allorché
le offeie ed ingiurie non poteano chiamarfi gravi . Per mette-
re freno a quelle picciole guerre , i Principi ordinarono , che
il Reo potelfe rifcattarfi dall'ira de'nemici con efibir loro da-
naro,
pi Dissertazione
naro, e queflo era tafiato . Ma Ji quìs prò Faida pvetlum re-
cìpere7ioluiJfet^ allora come s'ha dalle Leggi io. e 20. di Carlo M.
e dalla 21. di Lodovico Pio , il Re s'interponeva , affinchè la
difcordia non precipitafie in ecceffi . Ed all'incontro le il Reo
ricufava di qu.etar la conteia coli' offerire il prezzo a gli of-
fefi, folevano i Principi adoperar buoni e forti Ufiz), per vin-
cere la di lui oftinazione . Perciò gì' Imperadori Lodovico Pio,
e Lottano fuo Figlio , nelle lor Leggi fanno gran premura a
i Miniftri de Faìdìs pr.gandis , o fia pacandìs , e de Faidis
coerce?idh .
Ando' tanto avanti ne'SecoIiX. e XL quefta frenefia di guer-
re private, onde ufcivano poi frequenti omicidj , faccheggi , in-
cendj , ed altri malanni , che ne reftava fconvolto il Pubblico
tutto . Accrefcevano la dola di quefte calamita i Nobili , che
fignoreggiando in qualche Cartello indipendentemente dal go-
verno delle Citta , mantenevano nemicizia e guerra dichiara-
ta contro de' vicini, né guardavano milura in far loro danno.
Un ritratto di quefle maledette riffe e vendette l'abbiamo da
Pier Damiano nelLib. IV. Epiil. 17. V'tr quidam^ fcrive egli,
potent'torem fé hominem ifiterfecit , a cujus etiam filio more Sce-
culiy non Legibus Evangelti ^ ìnultas bellorum molefltas pertultt ^
Paterni fcilicet tihor interitus & Jìrages anhelahat hominum ,
Ù' frequentìum reportabat manubias rapinarum &c. Gran tempo
è durata quell'empia coniuetudine prefTo la feroce Nazion de'
Corfi. E' anche da vedere lo fteffo Pier Damiano neirOpurc.34.
Gap. 4. dove defcrive la guerra e le zuffe accadute fra unChe-
rico del Regno di Borgogna , e un Potente , litiganti fra loro
per pretenfioni lopra la Chiela di San Maurizio . Certamente
pili che altrove in Francia fra que' Signorotti e Gentiluomini
erano in voga le nemicizie e guerre private. Ma quivi ancora
circa l'Anno 1031. ne fu inventato un temperamento e follie-
vo. Imperocché i Sacri Miniftri di Dio inftituirono ìs. Tregua
di Dio iotto pena di fcomunica contra chiunque non 1' ofier-
vaffe. In che confifteffe tal Tregua, ce lo dirà Landolfo Senio-
re Storico Milanefe di quel Secolo nel Lib. II. Cap. 30. della
fua Storia , cioè: Quatenus omties homines ab bora prima Jovis
iifque ad primam horam die hunae , cujuscumque culpce forent ,
fua 7iegotia agentes permanerei . Et quicumque hanc Legem of-
fenderei , njtdelicet Treguam Dei , in Exjìlio damnatus per ali-
qua tempora poenam patiatur corpoream , ^t qui eamdem ferva-
vcrit 5
VeNTESIMATERZA. 3 21
Fiorenza dentro della cerchia antica^
Oìid' ella toglie ancora e TerT^a e No7ia^
Si Jìnva in pace ^ fobria^ e pudica,
l^on aurea catenella^ ne corona^
Non gonne contigtate , no7i cintura^
Che fojfe a 'veder più che la perfona,
Non faceva nafcendo ancor paura
La figlia al Padre , che 7 tempo ^ e la dote
Non Ji^ggian quinci e quindi la ìnifura»
Non anjea e afe di famiglie njote ;
Non 'V era giunto ancor Sardanapalo
A mofìrar cw^ che 'n camera ft puote Scc,
B^llincinn B.rtt vtd io andar cinto
Di cuoio e dojjo^ e 'venir dallo fpecchio
La Donna jua jen'z^ Y 'vijo dipinto,
E 'vidi quel de' Nerli , e quel del Vecchio
LJfer contenti alla pelle fco'verta^
jE fue Donne al jujo Ò' al pennecchio &C.
Tralaicio altre parole di Dante, balìevoli a confermar in par-
te la lentenza di Ricobaldo. Per tanto nel corto di pochi an-
ni e nel ludderto Secolo XIII. crebbe in Italia il Luffo , gran
divoratore delie lollanze di chi ftoltamente vi fi abbandona .
Però i laggi regolatori delle Citta , cominciando per tempo
a conoicerne le perniciole conleguenze, accorlero al rimedio.
Per acteftato di Ricord mo Malaipina Gap. ipp. della lua Sto-
ria il Beato Gregorio X. Papa nel Concilio II. di Lione dell*
Anno 1274. fra Taitre Coltituzioni utili airUniverfitk de' Fe-
deli , pmtbì gli fmoderati ornamenti delle Donne per tutta la
Crtjìianità . Da queilo ancora, che la Repubblica di Modena
nell'Anno 1327. orJ.inò , fi può comprendere la Riforma de'
collumi d'altre Cirta . Ne gli Statuti dunque MSti di quell'
Anno Lib. IV'. Rubr. 162. fi legge : Pedifequ<s & alice fer'vien^
tes (delle Donne nobili ), & qucecumque mulieres parvce condì-
tionis ^ non deheant portai aliquas 'veftes^ quae tangant terram *
Et ipfae pedifequx no?i portent in capite aliquod intre'Z^torium
de feda. Molto più fi oflervi il decretato nelLib. IV. Rubr.i 77.
che ci fa vedere parte dell'apparato femminile d'allora. Nul*
la mulier nupta , 'vel non nupta pojjìt , nec debeat de cetero por-
tare e>ctra domum , 'vel in domo y aliquam gonellam 5 njel guarna-
Tomo L Ss chiamy
322 Dissertazione
chìnm , peìlem , 'vel vcjletn altquarn , qu(S haheat caudam , quam
portet per terram , & tangat terram ultra unum bracb'tum ad bra»
cbìumCommufiìs, Nec altquarn Coronam^ c'trcellum , vel filum ,
vel girl and am de perlis , auro , vel argento , vel gemmis , vel al-
ter'tus cujuscumque generis & ma?ieriei ; nec aliquem intre'^^ato-
rium platum , vel deauratum , vel arientatum , nec aliquam cen-
turam , vel coregiam , quae centura , vel coregia valeat ultra de-
certi Libras Muttnenjìs , vel burjam , qii<je valeat ultra quinqua-
ginta foldos Mutinenjìs . Nec aliquem cave'2;^um ad gonellam vel
guarnachiam , vel ad aliquam vejìem de auro , argento , gem-
mis , vel de perlis , quod Cave:?^um ftt valoris ultra tres Librasi
lìiutinenfis prò qualiket vefle Jeu cavezo . £r nullus Sartor vel
Aurifere pojjit , vel debeat talem Coronam , vel CaveT^turam y
vel Caudam facere ^ vel ponere &c. In altro luogo lon proibite
da quegli Statuti ie pompe de' Funerali. Ed ecco come, piti
di quattrocento anni lono , i Modcnefi fi lludiavano di mette-
re freno alla Ioga delLuiTo. Ma coliui cacciato per una porta
entrava per l'altra , nò lervirono punto le Leggi e Prammati-
che per impedir gli abufi ed eccefìì, che di mano in mano an-
darono creicendo.
Diedi la colpa di si fatti mali alla Nazion Francefca , av-
vezza da lungo tempo alla novità delle mode , e delle fempre
nuove foggie di vefti, parendo ch'efTa infettaffe co'fuoi riti la
moderazione Italiana . Ne venga in pruova anche Giovanni
Villani, che nel Lib. XII. Gap. 4. della Storia all'Anno 1342.
cosi fcrive : E non è da lafciare di far menzione d'una sfoggiata
'mutazione d' abito , che ci recarono di nuovo i Franceschi , che
vennono al Duca in Firenze . Che colà dove anticamente il lo-
ro veftire era il più bello , nobile , e onefto , che niun altra Na-
i^jone^ al modo de' togati Romani^ sì fi veflivano i Giovani u?2a
cotta , 0 vero gonella corta e Jìretta , che non fi potè a veftire
jen\a ajuto d' altri , e una correggia , come cinghia di cavallo
con isfoggiata Fibbia , e puntale , e co?i isfoggiata fcarfella alla
Tedejca fopra il pettignone , e il capuccio veftito a modo di
fcocobrini col battolo fino alla cintola ; e più che era capuccio
e mantello con molti fresi e intagli ; il becchetto del capuccio
lungo fino a terra , per avolgere al capo per lo freddo ; e colle
barbe lunghe , per moftrarf pili fieri in arme . / Cavalieri vefli-
vano uno forcotto , 0 vero guarnacca flretta , ivi fufo cinti , e
le punte de' manicottoli lunghi in fino in terra , foderati di Vaio
e Er
VeNTESIMATERZA. j2j
^€ Ermellhii * ^efta hiflrantan'x^ d' abito non bello ne onejìo fu
àii prefente prefo per U Giovani diFiren7:e^ e per le Doline gio-
vani di difordinati manicottoli , come per natura ftamo difpofìi
-noi vani Cittadini alla mutaT^ione de nuovi abiti ^ e i flrani con"
trafare , oltre al modo dell' altre 'Na'zioni , fcmpre al difonejìo e
vanitade, Ag^iungafi ciò, che fi legge in un MSro. contenen-
te un Trattato de Generatioìie aliquorum Civium Urbis Pttducc
tamNobilium^ quam Ignobili um , QiieU' Autore Anonimo pare
che fiorifle prima del 1400. La dilcorre egli dunque cos'i de'
Coftumi de' Padovani : Aìite dominium R-zerini de Komano^Ù*
poft aliquod tempus , ufque duyn Paduani attingebant annos vi-
giriti , incedebant cum capite difcooperto. Ho io intefo, che vec-
chiamente fi praticava anche in Milano quello rito fino all'
anno dodicefimo de' Fanciulli, affinchè s'induriflero le lor te-
Re alle inj^iurie delle ftagioni . Seguita a parlare quell'Anoni-
mo : At ilio finito tempore ifjfulas & Galeros Forojuliano more
incipiebant portare , aut Capucia cum rojìris , ante ?iaxonem plus
in altitudinem , quam ad dcprejjlonem tendentibus . Interulas a
lateribus fcindi faciebant , & diploides ex anteriori parte ^ tuni-
cas etiam a lateribus fcijjas , & a parte anteriori . Omnes porta-
bant Epitogia . Pannos vefìium emebant , quorum brachium ad
plus vigìuti conjìabat Solidis. F amili am pidcram ^ bonos equos^
& arma tenebant co?ìtinuo . Societates filiorum Nobilium Padua-
nce Urbis i?i e erti s feflorum diebus a viris Nobili bus hanc inter-
dum pstebant gratiam , ut fui s convivia facerent Dominabus : qudS
a nullo valenti hnmins 7iegnbantur facienda , Atque in die ifìorum
Jic ordinatorum Conviviorum ^ Nobiles juvenes^ caujfa ferviendi ^
fuis adhd^rebant DoymnnhiiS in prandio ^ aut in ccena ^ ad domum
unius eorum ob prandtum V'4 ccsnandum veniebant , ut ordinave-
rant inter fé . Et cum prandi derant , vel ccenavcrant , ibant cho-
refzjitum cumeisdem ^ autHafliludia exercebant , Nobiles illi Viri
Urbis PaduancB in fuis Villis ubi jurisdiHionem habebant ^ Curias
pulcherrimas faciebant . In diebus fejìivis fuper campos Paduanos^
propinquos Civitati , dacentos , aut trecentos Nobiles juvenes Equi-
ria facientes inveniffes , qui propter cafum ab equis , aut ....
fé Idodebant multoties . Et quia amxna loca pojjidebant ^ ^ P^JP'
dent , di^a eft Marchia Amorofa . Quali poi foilero 1' uianze
Donnefche , cel fa egli fapere con quelle altre parole : Urbis
PadudS mulieres , antcquam de potentia E^erini de Romano au-
ferrstur^ & forte per quindecim annos poft , fuis interulis Jingulis
Ss 2 giro-
^24 Dissertazione
gìroìies f^cìebaìit. Earum tunias ^ & hominum par'tter ^ fupev fpa*
tulas crifpabantur ^ qu'tbus Jìngulis girofies faciebant ante & re-
tro . Sua quoque Epitogia cum Jìngulis ordinabafitur gironibus
ante & retro , per ante os flomachì , & aliquantulum 'infra poji-
tis. Chalaynldes tam nupt<e ^ qunmVìduata ^ cum crìfph amplh
v.nius fem'tjjls pojì illarum fcapulas erant ordì flatus . Et hai Chla-
vn'ides gv<^jf^ dicebantur ^ quas et'tam hom'tnes atatis maturce por-
tabant . Tempore riom'tnato Domince loco pìgnolatorum Cottam de
tela lini fubtilijjima portabant . . . Crijpata^ quarum Jtngula quin-
quaginta /vel Jexagi^ita brachi a contineba^u ^ ut requirebant homi-
7jum facultntes . Nobiliores infuper muli ere s , Jì choream aliquam
faciebant ante dominium Ezerini , 7ion fuijfet aufus aliquis Po-
pularis illam intrare , quia jwvenes Jilii Nobilium fuper ipforum
mas:illas quam citius alapas apponebant . Et Jì aliquis Nobi-
lium aliquam Popularem dtlex'tjfet , non duxijjet illam in Do-
minarum choream absque gratia ab illis pojìulata . Cosi quell'
Anonimo .
Chiede ora udienza Frate Francefco Pippino dell' Ordine
de' Predicatori, il quale nella fua Cronica da me pubblicata, e
fcritta circa l'Anno 131 3. dopo avere rapportato tutto il paflb
di Ricobaldo , forma il leguente ritratto de' tempi iuoi . INunc
*vero prcefenti lafciviente estate multa inhonejìa funt indurla rebus
prifcis : verum plurima ad perniciem animarum . Mutata ejì enim
parjìmonia in lautitiam . Vejìimenta quoque ynateria & artifìcio
exquijìto , nimioque ornatu cernuntur . Illic arpeìitum , aurum ,
m ar garitte y mire fabricata phrjgia latijjtma , fulciment a njefìium
ferie a , 'vel Varia , pellibus exoticis , idefì peregrinis , idejì pre-
tiojìs. Irrit ameni a guide non defunt . Vina peregri fia habentur. Fe-
re omnes funt potatores in publico . Obfonia fumtuofa , Forum ma-
gifìri coquinarii habentur in pretio rnagno . Omnia ad Guidi irri-
t amenta & ambitionìs quceruntur . Ut his fuppeditari pojjit , ava-
riti a militat, Hinc ufur<e ^ fraudes^ rapina: ^ expil ationes ^ prtsdiS ^
rontentiones Ì7i Kepublica, Feóìigalia illicita ^ innocentum oppref-
fiones , exterminia Civium , relegationes locupletum . Verus Deus
ììojìer efì njcnter nofìer . Pompis , quibus renuntintnmus iìi Bapùf-
mo^ injìjìimus ^ faBi adeo transfugne ad hoflem generis noflri , Be-
ne autem Seneca morum cultor^ Libro Declamationum Jìofìra tem-
pora detejìatur his 'verbis: „ In deterius quotidie res dataelt; om-
„ ne enim certamen ad turpia. Torpent ecce ingenia defidiofa;
,5 jiiventutis, nec in alicujus rei honeftse labore vigilatur. Som-
,, nus
Ventesimaterza; j25
„ nns Sclangnor, ac fomno & languore turpior malamm rerum
5, indultria invafit animos. Canrandi, faltandi quoque obfcoena
„ ftudia eifeminatos tenent . Capillum frangere , ad muliebres
„ blanditias exrenuare vocem , mollitie Corporis cenare cuni
5, Feminis , & immundiffimis fé excolere monditiis, noftroruiii
„ adolelcentum fpecimen eli " . Cos'i il Pippino dell' età lua
fcriveva. Niun Secolo fu mai fenza Vizj, e né pure fark. Ognun
sa, quale fia il noftro . Ma più abbondano i Vizj , dove è più
LufTo e Ricchezza . Giovanni Muffo, che circa l'Anno 1388.
compilò la Storia di Piacenza da me data alla luce , tenea d'
avanti a gli occhi le parole di Ricobaldo , e le giunte del Pip-
pino . Ora anch' egli fi prefe la cura di defcrivere , fin dove
foffe giunto il Luffo a'fuoi tempi, e quanta mutazione foffe fe-
guita ne'coftumi, fpezialmente dipignendo quei de' Piacentini
d'allora . Non difpiacera a i Lettori di ricevere tutto il fuo
benché lungo Ragionamento.
De MoYÌbus Cinjium Piacenti^?.
„ Nunc vero in pra^fenti tempore , fcilicet Anno Chrifli
MCCCLXXXVIII. fiunt per homines & Dominas Placentia^
fumtuofiffimsB expenffs in vi61u 8c velìitu, 8c in omnibus plus-
quam fieri folet. Nam Domina portant indumenta longa &
larga de veluto ferico, de grana, & eie panno ferico deaurato,
& de panno de auro, & de panno ferico tantum, & de panno
de lana fcarlata de grana, & depaonatio de grana, &dealiis
nobililTimis drappis de lana. Qui drappi de grana, vel de ve-
luto, vel de auro, vel de aurato , vel de ferico , conftant prò
uno Cabano , vel Barillotto , vel Pellarda , a Florenis XXV.
auri , ufque in Florenos five Ducatos LX. auri . Qjiìe indu-
menta fiunt cum manicis largis pertotum, tamdefubtus,quaiTi
defupra, italongai, qi^od diól^ manicai cooperiunt mediani
manum , & aliqus pendunt uique in terram aperta exteriori
tantum, acuta; de iubtus ad modum fcutiCatellani longi, qui
fcutus efl: largus defuper 8c ll:ri6lus & acutus de Iubtus. Et fu-
per aliquibus ex di6ì;is indumentis ponuntur a tribus ufque in
quinque unciis ptrrlarum, valentibus ufque in Florenos X. prò
qualibet uncia . Et luper aliquibus ponuntur frifia magna &
larga auri circum circa collare gul^ in modum maniferri, quod
ponitur Canibus circa coUum eorum. Et etiam circum circa in
,, ex-
^5
V
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^20 Disserta zione
„ extremitate manicarum , & circa manicas , qux funt fubtus
„ diéla indumenta. Et portant capucios parvos cum frigiis lar-
,5 gis de auro, vel de perlis circum circa di6lum capucium. Et
„ vadunt cìnEìx in medio pulcris cinéloriis de argento deaurato,
„ & de perlis valentibus florenos XXV. auri prò qualibet cin-
5, élura, & plus & minus; & aliquando vadunt non cinfljE. Et
55 quìfilibet Domina communiter habet tot annulos & varetas
5, cum lapidibus pretiofis , quaj valent a Florenis XXX. auri
5, ufqae in L. Tamen talia indumenta funthonefla, quia cum
55 dièsis indumentis non oftendunt mamillas . Sed habent alia
55 indumenta inhonefta , qua vocantur CiprianzE , qua funt
55 largiffima verfus pedes, & a medio fupra funt ftrifta cum
35 manicis longis Se largis, lìcut alia pr2di£la indumenta 5 &
55 fimilis valoris ; & fuper quibus ponunt fimilia jocalia , &
55 fimilis valoris. Et funt impomelata de antea a gula ufque
55 in terram pomellis argenti deaurati , vel de perlis . Qua
55 Cipriano habent gulam tam magnam , quod ollendunt ma-
55 millas ; & videtur quod di6ìx mamilla velint exire de fmu
55 earum. Quii habitus eifet pulcher 5 fi non ollenderent ma-
55 millas, 8c gula effent fic decenter flrióla, quod ad minus
55 mamilla ab aliquibus non poiTent videri . Et etiam òìEìx
55 Domina portant in capitibus earum jocalia maximi valoris.
55 Videlicet ahqua portant Coronas de argento aureatq, vel de
55 auro puro cum perlis & lapidibus pretiofis , valoris a Flore-
55 nis LXX. auri ufque in C. Et aliqua portant terzoUas de
55 perlis grofiis valoris Florenorum C. auri ufque in CXXV.
55 Et aliqua portant fagiotas de perlis valoris Florenorum L.
55 ufque in C. Q_ua terzolla vocantur terzoUa, quia exCCC.
35 perlis grofiis lunt faéla, & quia in tribus fìlzis iunt conllru-
55 6ìx & ordinata . Et etiam dìEìx Domina prò majori parte
,5 loco trezarum de auro vel de ferico , quas portare folebant
55 contextas, feu interzatas in capiìlis-capitis earum , nunc por-
55 tant bugulos, cum aflalonis, fi ve cordibus fericis vel deau-
55 ratis5 vel cum aftalonis fericis cocpertis perlarum . Et ali-
„ qua Domina utuntur manteills , fve chlamidibus curris ,
55 qua cooperiunt manus tantum 5 foJratis de Zendalo, vel de
55 vainis. Et etiam utuntur pulcris fiizis Pater noder de Corallo
5, rubeo , vel de Lambro . Matrona , five Domina antiqua
55 portant nobile mantum , five mantellum largum & longum
55 ufque in terram, & rotundum verfus terram, & crifpum per
w to.
Ventesimaterza. ^27
„ totum , Se apertum de antea ufqiie in terram . Tamen efl:
5, poniellatum verfus gulam pomellis argenti deaurati, vel de
,, perlis per unam Ipanam . Et fìunt prò majori parte cum co-
„ lare . Et quslibet Domina habet uique in tnbus mantcliis
„ ad plus ; unum de biavo , unum de paonacia de grana , &
„ alium de Zamelloto undato , fodratos de zendali cum frixiis
5, aureis ; 8c aliqui funt fodrati de Variis , & aliquiE quando-
„ que portant Capucium , & aliqua: non . Et aliqus quando-
5, que portant Capucium , & quandoque non ; fed portant vel-
„ los de feta, vel de bambaxio pulcros, fubtiles, & albos. Do-
„ miniE Vidus portant lìmilia guarnimenta : tamen omnia de
„ bruna , & fine auro 8c perlis , led folum cum pomellis di-
„ Sii panni de bruna tantum . Et utuntur Capuciis de bru-
„ na , vel vellis albis de bambaxio , vel de lino , iubtilibus
,, & albis.
5, Similiter juvenes homines portant Cabanos , Barillotos ,
^, & Pellardas , longos & largos , longas & largas per totum
^, ufque in terram , & cum puichris foraturis peliarum dome-
^, (licarum 8c falvaticarum ; omnes de panno tantum , Se ali-
^j quos de ferico &: veluto. Qiise indù menta coniUnt a Flore-
^, nis XX. auri ufque in XXX. Et etiam utuntur mantellis
5, magnis & longis ufque in terram ; & etiam utuntur de man-
j, tellis curtis, qui tantum cooperiunt manuseorum. Homines
,, antiqui portant fimilia indumenta , 8c Capucios duplos de
„ panno , & defuper dictos Capucios portant Birettas pulcras
,, de grana, non textas, non futas, led fa6las ad acum . Iteni
„ difli juvenes portant alia indumenta curta & larga , & alia
„ curta & ftrifta, & (ìc curta, quod oftendunt medias nates ,
„ fi ve naticas, Se membrum Se genitalia : falvo quod portant
„ caligas de panno ligatas in quinque partibus ad Zuparellos
„ curtos & ftriclos , quos portant de lubtus alia indumenta ,
„ qucE cooperiunt totas nates , membrum & genitalia cum di-
„ Ùìs caligis . Et etiam de fubtus habent Zarabulas lineas ftri-
„ étiffimas. Nihilominus oftendunt formam naticarum, genita-
„ lium & membri . Qux indumenta fic ftrié^a , aliqua funt de
„ panno lineo, five aliud fupra ; & fupra aliqua ex eis ponunt
„ brodaturas de argento , & ferico ; & aliqui cum perlis , Se
„ aliqui plus , Se aliqui minus . Et aliqua ex di6lis indumentis
„ funt de veluto , vel de ferico de grana , vel de alio colore ,
5, vel de zamellotto . Et dièta indumenta fic curta aliquantu-
ium
jzS Dissertazione
lum funt longa de retro, & de antea, quatn agalono. Et
aliquando cin61i in medio luper omnibus di61is indumentis ,
& aliquando non . Et prò majori parte non portanr Capu-
cium , falvo quod in hyeme ipfum portant . Qui Capucii
funt parviffimi cumbecho, quali ufque in terram, ita quod
omnes videntur effe in foza , fic lunt parvi dióti Capucii ,
& iìri6li circum circa apud iplos. Tamen non lunt in foza.
Caliga portantur folata cum Icarpis albis , de lubtus diftas
caligas folatas, & in xilate Se in hyeme ; & aliquando por-
tant fcarpas & caligas folatas cum punflis Jongis unciarumi
trium ultra pedem lubtilibus. Omnes ahi Cives Piacenti^ tani
feminiE quani maiculi, ficut lolebant portare Icarpas & cali-
gas folatas fine punta, nunc portant cum puntis parvis: qua;
puntje tam long.^ , quam parvjE , lunt piens pilorum , five
hiux bovis. Item funt plures DominjE, Se homines juvenes,
qui portant ad collum torques , fi ve circlos argenteos , fi ve
deauratos, vel de perlis, vci^de corallis rubeis. Et ctiam di-
£li juvenes portant barbam ralam , Se collum a mediis auri-
culis infra, Se ab inde iupra portant Zazzaram , fivecslaneni
capillorum magnam & rotundam . Et aliqui eorum tenent
unum roncinum, ve! equum; & al qui tenent uique in quin-
que equos fecundum poife eorum ; & aliqui nuUum tenent .
Et illi , qui tenent ab uno ronzino fupra , tenent famuluni
five famulos , qui famuli lucrantur omni anno prò quolibet
eorum prò eorum falario ulque in Florenos Xll. aun . Pe-
dilequaj lucrantur uique in Florenos VII. auri quolibet an-
„ no prò qualibct earurn , & habent vi61um , led vellitum
„ non*"'. Si oflervi , che quedo Autore non dice una paro-
la di Carrozze : fegno , che non fi doveano per anche ulare
in Piacenza.
Lungo è quedo racconto , ma curiofo per la tanta diffe-
renza de' cofìumi di allora da i noftri , che a niuno increlcerk
di leggerlo, fuorché a chi non intende il Latino. Anzi né pu-
re dilpiacera d'mtendere ciò, che Ci praticava in que' tempi
rilpetto al Vitto. Si può anche credere, che i'ufanza de' Pia-
centini fi (tendcffe a molte altre Citta d'allora. Cosi dunque
Icrive il Mufio : „ De vi6ì:u omnes Cives Piacentine faciunt
5, mirabilia, & maxime in nuptiis, & conviviis, quia prò ma-
5, Jori parte dant, ut infra continetur. Et primo dant bona vi-
5j na alba&rubea, beante omnia dant confe6ì;um zuchari. Et
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V E N 1 E S I M A T E R Z A . 51?
'verìt ^ nh omiitum peccai ontm v'mculis abfol'vatur . Varia fu m
alcuni Luoghi la tafTa de' giorni deftinati a quelle corte Paci .
PiiiConcilj, e Romani Pontefici, come Urbano li. Palqualell.
Innocenzo 1 1. ed altri confermarono eifa Tregua , e con pub-
blico profitto , perchè almeno in que' giorni la matta difcordia
taceva, potevano quetamente lavorare gli Artifti e contadini,
e per li viandanti e pellegrini erano ficure le ftrade . Ma in
Italia dopo la meta del Secolo XI. inforte le' guerre fra il Sa-
cerdozio e l'Imperio, per cagion d'effe pare che peggiorafieio
gli affari e i Collumi. Non è qui luogo di parlarne. Succedet-
te pofcia in afìai Provincie Italiane una nuova forma di Go-
verno , perchè buona parte delle Citta fi ereffero in Repub-
blica , né Iblamente i Nobili , ma anche i Plebei furono am-
meffi al pubblico Reggimento . Ciò avvenne nel Secolo XII.
e molto più nel fuffeguente . Ognun crederebbe, che allora gì'
Italiani col benefizio della Liberta, e coli'uio di trattar gran-
di affari , introduceffero coftumi più regolati e più civili manie-
re di vivere ; tanto più perchè cominciarono in que' tempi ad
alzare il capo le Lettere , le quali han forza di condurre gli
uomini a i doveri deli' umanità . E fenza fallo fi levò allora
non poco della ruggine de' Secoli barbarici . Tuttavia perchè
faltò fuori la ftrana ubbriachezza delle Fazioni Guelfa e Ghi-
bellina , che orride fcene fecero nell'Italico Teatro : non è da
fìupire, ie la fierezza e barbarie continuarono a fguazzare in
quella amena parte del Mondo . In qual concetto foffero nel
Secolo XII. i Lombardi preffo San Bernardo fi fcuopre dall'
Epiff. 155. dove prega Innocenzo II. Papa circa l'Anno 11 35.
di non creare Vefcovo in Italia un Bernardo Defportes Franze-
fe . Infolenùa ( cosi egli fcrive ) Lombardorum , & tnqu'tetudo
eorum cui non efl nota ? nut cut mapjs quam 'vobis ? ^ùd pU'
tnmus ejfe faHurum juvenem , 'viribus Corporis frnBum , C^
quieti eremi ajfuctum , i?i Poptilo barbaro , tumultuojo , procello-
fo? Nulla meno che la barbarie attribuilce a' Lombardi il San-
to Abbate , fenza aver avuto bifogno dell' informazione altrui
per conofcerli. Emerita ben egli più credenza , che un altro
Scrittore , il quale fiori alquanto piìi tardi nel Secolo medefi-
mo , cioè Giovanni Sarisberienfe , uomo lepido e iatirico , IH
dove narra derifa da'Franzefi la gente Italiana, quafichefof-
lero tanti conigli . Ecco le fue parole nel Lib. I. Cap. 4. de
Nug. Curial. Jtmilianos , & Ligures Calli derident , dicentes ,
Tomo L R r eos
y^ Dissertazione
eos tejì amenta coJificere^ lùàniam convocare^ armorum implora^
re prdsfidìa , ft jìn'ibus eorum tejludo immtueai: , quam oponeat
oppugnart . E pure in quello (leffo Secolo fecero vedere , fé
erano si o no figli della paura nell' aver loftenuta con tanto
vigore la guerra contra di Federigo I. Augufto , potentiffimo
loro nemico . Altrove lo fteffo Sarisberienfe chiama i Lombar-
di pavctjjimos^ ne avaros dìcam . In oltre fecondo lui nel lÀr
bro IV. Gap. ii. un Nobile Piacentino, uomo di fenno, e pra-
tico del Mondo , predo il quale effo Scrittore era (lato allog-
giato, parlava nella feguente maniera : Hoc in Ctvitatibus Ita-
licv ufu frequenti celeberrimum ejfe^ quod dum pacem diligunt^
& jujìitiam colunt , & perjuriis ahflinent , tantce libertatis &
pacis gaudio perfruuntur ^ quod ni h il eft omnino ^ quod vel mim-
ino quietem eorum concutiat . ,^uum njero prolabuntur ad frau-
des , & per njarias injujìitice femitas fcinduntur in femetipjìs ,
Jìatim vel fajìum Romanum , vel furorem Teutonicum , aliudve
flagelluìn inducit Domiuus fupcr eos. Ma di parer differente fu
ben Jacopo di Vitry , che nell' Anno 1220. fcriveva la Storia
di Gerufalemme . Ora egli nel Gap. 66, dopo aver lodato i
Genove/i , Veneziani , e Pi/ani , come gente la più valorofa
dell'altre nelle battaglie di mare, feguita a parlare cosi : Ho-
ìmnes Jiquidem Italici graviores , & maturi , & prudentes , &
compojtti , i}2 cibo parci , in potu fobrii , in 'verbis ornati , & pro-
lixi j in confiliis circuynfpeSli , in re fua pubi te a procuranda dì-
ligentes & fludioft ; tenaces , & fibi in poflerum providentes ,
£iliis Jubjici renue?2tes^ ante omnia libertatem ftbi defendentes ,
fub uno , quem eligunt , Capitaneo Communitatis fud- jura , &
injlituta CtiBantes^ Ò' firmi ter obfervantes. Terr^^ Sanóìa; valde
funt necej] arii non folum in proci iando ^ fed in navali exercitio ,
in mercimoniis , & peregrinis , & vióiualibus deportandis . Et
quoniam in potu , & cibo modefii funt , diutius in Orientali re-
gione vìvunt , quam aliiS Occidentales regtones .
Per altro elfendo llati nel Secolo XII. e XIII. per lo più gì'
Italiani in guerre, ed allevati nell'armi , nelle fedizioni, e nel-
le dii'cordie civili, non farebbe da maravigliarfi , perchè ne'lor
coi [unii fi foffe tuttavia confervato del fiero e del felvaggio .
Ma non mi fento oja voglia di accordarmi con Ricobaldo Sto-
rico Ferrarefe del Secolo XIII. che fui fine della fua Storia ci
rapprefenta una ftrana ruftichezza de'coftumi de gl'Italiani del
fuo fìeflb Secolo si neh' abitare , che nel vitto e veflito. Furo-
no
V £ N T E S I M A T E R Z A . jt5
no le Tue parole prefe per un Oracolo , e le ho vedute ripetute
in varie Storie MSte di chi vifle dopo di lui. Tratta egli de
rurìibus in Itoli a , e parlando di Federigo II. Imperadore circa
l'Anno 1234. fa la leguente relazione, lunga si , ma che non
dilpiaceia a i Lettori di udirla intera. Per hujus^ die' egli, Im-
peratorìs tempora rudes eraut tu ItnVta rttus Ò' mores . Nam vi-
ri i'iifuhs de jquanìis ferreis capite geflahant , infutas biretis ,
quas appeìlahaììt Mnjatas . /;/ Ccenis njir & uxor ujia manduca-
barn par op fide . Ufusinciforiorum ligneorum (Taglieri) nonerant
in menfis ; unus vcl duo fcyphi in f amili a erant , No6ie ccenan-
tes lucernis vel facibus illuminabant menfas , facem tenente uno
puerorum ve l fervo : nam candelarum de febo ^ vel de cera iifus
9W?i erat. Viri chlamydibus pelliceis ftne operimento , vel laneis
ft'fie pellibus^ & infulis de Mignolato utebantur, Mulieres tunicis
de Pignolato : etiam quando veniebant ad nuptias viris fuislcon-
Jugatce. Viles tunc erant cultus virorum ^ & mulierum . y^urum
& argentum rarum vel nullum erat in veftibus ; parcus quoque
erat viHus . Plebeii homines ter in feptimana car?iibus recentibus
vefcebantur . Tunc prandio edebant olerà coHa carnibm . Coenam
autem ducebant ipjìs carnibus frigidis refervatis. Non omnibus erat
lifus vini ceftate ; modica denariorum fumma fé locupletes habebant ,
Parvoi tunc erant cellae vinaria . Horrea non ampia ^ promptuariis
contenti . Modica dote nubebant femina , quod earum cultus erat
parcijjtmus . Virgines in domibus patrum tunica de Pignolato ,
qua appellatur Sotanum , & paludamento lineo , quod dicebant
'K.occam , erant contenta . Ornatus capitis non pretiofus erat Virgi-
nibus , atque Nuptis . Conjugata latis vittis tempora , & genas
vittabant, Virorum tunc gloria effe in armis & equis commodos.
Nobilium locupletum erat gloria Turres habere : quo tempore Ur-
bes Italia Jtngula multis Turribus inclita vifebantur . Cosi Ri-
cobaldo, al quale, fé defcrive i Contadini del Ferrarefe, fi può
dar ragione , ma non già s'egli intende di favellare delle perio-
ne civili e nobili di quel tempo, perchè narra cole incredibili.
Prima di quel tempo vien riprovato da San Pier Damiano il
Luflb ne gli Ecclefiaftici : vogliamo noi credere, che ne foffero
fenza i Secolari? Sono due parole le feguenti, tratte dall' Opu-
fc. 31. Cap.d. dove parla de' Cardinali e Veicovi del fuo tem-
po . Ditari cupiunt , ut turrita dapihus lances Indica pigmenta
redole ant ; ut in chryfiallinis vafculis adulterata mille vina flave-
fcant ; ut quocumque deveniunt ^ praflo cubiculum operojìs & mtra-
R r 2 bili ter
^i6 Dissertazione
hiltter textìs cortìnarum phaleris , ìnduatit . Sìcqus partetes do-
ìnus ah oculis intue/ìtium tamquam fepclie?idum cadaver obvol-
vant . Mox etìam tnpeth prodi gtojctsìmagtnes praeferentìbus [edi-
li a flernu-iìt ; per'ipetafmata laquearìhus , ne quid occlduum de-
lahatUT , oppo7ìu?2t , Dónde clìentum turba dìvidìtur . Aìù Ji-
quidem Domino fuo rcvereìiter aj]tjìi>nt ^ nutf.mque e/us^ Ji quid
forte juheatur , curioja nimis , njelut rimatores Jìderum , obfer"
'uatione cuflodiunt . Aggiugne più altre cofe , tra le quali Icel-
go folamente le feguenti : Non dijjimilis & illa creditur effe
dementia , durn leBidus tam operojìs decujfatur impendiis , ift
ornamentum facrofanHi cujuslibct , njel etiam ipjlus Apoflolict ,
pracedat Jlltaris &c. Hoc ergo modo quum fohrietas foleat com-
mendare Pontijices^ ^ff^^f^^ nuìic opibus faóìi Junt helluones. Ke-
galis itaque purpura^ quia uni col or e ft ^ njilipenditur ; pallia "je-
ro diverjis fucata niioribus ad fublimis IcHuli dsputantur orna'
tum . Et quum domejìici murices ììojìris afpeHibus fordeant , trans-
mariììorum pelles ^ quia magno pretio coemuntur ^ oùleùìant, Ovium
itaque Jimul & agnorimi dejptciuntur exwvice . Ermelini , Ge-
bellini^ Martorss exquiruntur^ & Vulpes &c* Toedet cet era va-
nitati s attexere y 7ìon ridcnda ^ fed gemenda ridicula. Fafìidium
ejì , tot ambittonis ac prodigiofce vefaniiS dinumerare portenta .
Papales fcilicet infulas^ gemmis micantibus^ aureisque braBeolis
per diverfa loca corruptas . Imperiales equos , qui dum pernices
grejfus arcuatis cervicibus glomerant , fejforis fui manus loris in-
77exas^ indonnita ferocitate fatigant . Omitto anulos enormibus ad'
hibitos margaritis . Pratereo virgas ?ion jam amo gemmisque
confpicuas , fed fepultas . Numquam certe vidijfe me memini
Pontifìcales baculos tam continuo radiantis m.etalli nitore conte-
Bos , ftcut erant qui ab Efculano atque Xranenjì gejìabantitr
Epifcopis .
Ora fé i Prelati Ecclefiaftici sì forte sfoggiavano nel LufTo,
vogliamo noi credere, che fofìfero da meno i Principi e Gran-
di del Secolo ? Veggafi ciò che fcrive Donizone nel Libro I.
Gap. p. delie Nozze di Bonifazio Marcheie, e di Beatrice, po-
fcia Genitori della Conteffa Matilda . Anzi fui principio del
Secolo X. in cui da un Anonimo fu com polio il Panegirico di
Berengario I. Augufto , noi troviamo gi' Italiani anche allora
vaghi àtì LulTo e della buona tavola . Introduce egli un Fran-
zefe, che fi fa beffe degl'Italiani colle feguenti parole :
§uid
Ventesim a terza.; JI7
. - - - ^uid hiertta bello
Pepiera , Ubertus ah , durìs prcstendhìs armis 3
O Itiili ? Potius njobis facra poetila cordi ^
Sapius & flomachum nìtìdn laxarc faginìsj
Elatasque Domos rutilo fulcire metallo.
Ecco gì' Italiani di que' tempi dilettanti delle gozzoviglie , e
fnpi^rbi per la magnificenza e ricchezza delle lor Gaie . All'
incontro cos'i dipigne i Franzefi
Non eadem G/illos Jimtlis njel cura remordet ^
Vici?iiis quibus eft Jìudium de'vincere terras^
DeprffJJumque larem fpoliis hmc inde coaHis
Sujìcntare - - - -
La bella gloria de' Franzefi di allora confifteva in tempre voler
ingoiare i vicini, in aver cafe balle , e qiiefte folamente adob-
bate coir armi tolte a i nemici . Odafi ora ciò, che laiciò Icrit-
to il fopramentovato Giovanni Sarisberienfe nel Lib.VIII. Cap.7.
nel defcrivere il convito dato da una ricca periona di Puglia ,
al quale anch' elTo intervenne . H(sc , die' egli , Coena ab bora
dici 7io7ìa fere ufque ad duodecima?n noólis , & hoc quidem tem-
pore (Sque diali , protrala efì . In hanc Qanujinus hojpes Qonjìan"
timpolitanas , Babj/lonicas , Alexandrinas , Paleftinas , Tripoli-
tanas &c, congejjit delictas ; ac fi Sicilia , Calabria , Apulia ,
Campani aque 7ìon juffìciant convivturn injìruere delicatum . Co-
pi am rerum , fedulitatem obfequti , minijìerii dijciplinam , urba-
nitatem hojpitis plenius Ò' melius referet Johannes Thefaurarius
Eboraci ; nam & ipfe interfuit . Non in Roma , non da un Prin-
cipe fatto fu quel Convito, ma da una privata perfona , e in
Canola. Voglio, che il Sarisberienle fecondo il fuo (lile abbia
efaggerato; ma certamente fi dee credere luntuofà quella Cena.
Come dunque Ricobaldo ci vien contando tanta mefchinita e
rozzezza de gl'Italiani d'allora ? Né so io , a chi egli fperi di
persuadere, che prima de' tempi di Federigo II. gl'Italiani ce-
naflero al lume delle lucerne, o di fiaccole acceie, facem tenente
uno puerorum vel jernjo ; nam candelnbrum de febo vel de cera ufus
non erat . Appreflb F antico Columella noi troviamo Candelai
Sebare ^ e Sevare ; preifo Ammiano Marcellino all' Anno 3557.
Jebalem facem . Apuleio nel Lib. IV. M'Jtamorph. Tadis y dice,
lucernis j cereis^ febaceis-^ Ù' ceteris noHurni luminis ifijìrumentis^
cld'
318 Dissertazione
cìarefcunt tenebrie , Che l'ufo di tali candele fi fofie perduto,
non fi può credere ; e certamente non mancavano mai alleChie-
fe quelle di cera. Laonde non di perfone civili, ma della. ciur-
ma del volgo dovette parlare Ricobaldo in raccontando quelle
ufanze di tanta povertà . Veggafi poi qui fotto il Gap. XXV.
dove tratteremo della maniera divenire de gli Antichi. Furo-
no anche allora in ufo le nobili e preziofe vefti . Baftera qui
di rapportare ciò , che ha Landolfo juniore Storico Milanefe ,
in parlando di GrolTolano Vicario Generale dell' Arcivefcovo di
Milano nell' Anno if 00. Affettava cofl ni afperttnttm 'vejìttus&
ahi; ma il Prete Liprando l'andava configliando, ut borrì dam
coppam exuerep , & coìivenìenteììì tanto Vicario indueret . Non
volea intendere GrOiTolano , replicando fempre , che s'avea a
fprezzare il Mondo . E Liprando : ^uum fpsrnts Mundum , ri-
ipondeva , cur venifii hi Mundum ? En Cìnjitas ijla fuo more
utitur pelltbus ^aviis , Grixis , Marturìnis , & ceteris Pretiojìs
Orna'ment'ts , (ìT Clb'is . Turpe quidem crtt nobìs , quum ad'ven<s
& persgr'tm vìderìnt te hìfpidum & pannofum . Or dica quanto
vuole Ricobaldo dell' eftrema parfimonia e rozzezza degl'Ita-
liani del Secolo XIII. quando noi troviamo ben differente il vi-
vere nel Secolo precedente . Né vo' che mi fcappi dalle mani
una contro verfia agitata nell'Anno 114^. fra i Monaci e Cano-
nici di Santo Ambrofio di Milano, il cui Documento è rappor-
tato dal Puricelli ne'Monum. Bafil. Ambrof. pag.702. Preten-
devano i Canonici , che andando e(Il a defmar coli' Abbate ,
dovea avere nove diverfe vivande ( vedete che belle liti di
que' tempi) in tre portate . In prima appofizione Pullos frìgi-
dos^ Gambas de vino ( che manicaretto foffe quefto noi so dire,
potrebbe effere lo Zambaione Milanefe ) & Carnem porcinam
frìgi dam. In fecunda^ Puìlos plenos^ Carnem vaccinam cum Pi-
perata^ &Turtellam de Lave-^^lo . In tertiaPullos rojììdos-^ Lom-
holos cum Panìtio , & Porcellos plenos . Il Pontefice Pafquale II.
nel Sinodo di Benevento dell'Anno 1 108. Veftimenta Stxcularia ,
& Preciofa in Clericis reprobavit , & talibus uti interdixìt , co-
me s'ha da Pietro Diacono nel Lib. IV, Cap. 33. dellaCronica
Cafmenfe.
NuLLADiMENo affinchè non vada affatto per terra l'autori-
tà di Ricobaldo, s'ha da fupporre , ch'egli unicamente par-
laffe della Plebe, o del baffo Popolo , il quale conferva va i fuoi
ufi, e fi regolava a tenore della propria povertà. Le Citta an-
cora
Ventesima TERZA. 5ip
Cora e i Popoli , che non fentivano odore di Corte , probabil-
mente non conofcevano quel ladro del Luflb . Anche ovoidi
parlate co i Vecchioni , e con chi ha udito parlare i luoi Vec-
chi, vi diranno effere fiata al tempo de' nollri Avoli altra fo-
brieta e moderazione di cortami, divelli, di carrozze, di ban-
chetti, e di fìmili cofe, che oggidì. Al tempo anche di Rico-
baldo dovette feguire non lieve mutazione di vivere . Ne ri-
parleremo ai Gap. XXV. Intanto merita d' efìfere faputo , co-
me fé la paiTaiTe il Popolo Romano nell'Anno I2d8. in cui fu
da elfi fatto un folenne accoglimento a Corradino Principe, in-
camminato contra di Carlo I. Re di SiciHa. E^ defcritta quel-
la feda da Saba Malafpina Lib.IV. Hill, nella forma feguente:
Tripudi antlum milimm agmina vejlium pretiofrirum , diverforum-
que colormn defuper arma njarius habitus dijìinguebat ( cioè la fo-
pravefle ) . ^uodqve magnum ejì , & auditu mirabile , mulie-
rum choreiS ludernium intra Urbem in Cfmbalis^ Ò^ Tfmpanis^
Lituis & Violis , & in omjii mujtcorum genere conànunt , Vo-
lentesque jucirum pretiofarum rerum abundantiam ^ quam plerum-
que fequitur 'voluptas , oflendere , de domo in domum iìi oppoji-
tum confifìcritem , jaHatis ad modum arcus aut pontis , chordis
&funibus^ 'vias medias dejuper^ non lauro ^ non ramis arboreisy
jed caris 'vejìibus^ Ò' pellibus 'variis ( cioè preziofe, onde il no-
me Va/o ) velavsrunt , fufpenfts ad chordas Jìrophceis , jìeBis ,
dextrocheriis^ prifcelidibus ^ arbitris^ grammatis ( credo qui gua-
lli i nomi ) armillis^ frijtis ^ & d ili er forum ac pretioforum annw
lorum appenjìone , diadematum etiam^ & fibularum ^ feu moni-
lium^ in quibus gemmts fulgenttjjìmdd rclucebant ^ burjìs jericis^
cultris teBis de fiancavo , famito , byjfo , & purpura , cortinis ,
tovaliis , & linteaminibus contextis auro , Jìricoque per totum ,
ju7t6ìis 'oelis^ & palliis deauratis y qucc doHi/s opifex citra & ul-
tra mare de diverfa & operofa materia , caraque fìruxerat . Non
era già s\ grande apparato di ornamenti entrato di frefco in
Roma; da molti Secoli quivi albergava l'opulenza, cioè la ma-
dre del LufTo . Ma in altre Citta d'Italia, condennate aduna
baila fortuna, fomiglianti pompe fi cercavano indarno. Intan-
to non pare lontano dal verifimile l'immaginare , che contri-
buide non poco al cambiamento de' coftiimi in Italia , e all'
introduzione del LufTo, la venuta de' Franzefì nel Regno di Na-
poli e Sicilia col fuddetto Re Carlo I. Conte di Provenza. Traffe
egli feco migliaia affaiflime de'iuoi Nazionali; molto maggior
nume-
320 Dissertazione
numero ne tirò por la fua fortuna . Anche allora più galanti
e dediti al Lu(To i Franzefi . Fino Strabone nel Lib. IV. appel-
lò quella Nazione amante de gli ornamenti^ e Ammiano Mar-
cellino nel Secolo IV. fcriveva de' Popoli della Gallia : Terjl
pari diligenti a cu?i6li & mucidi ; nec in traftibus illis y ìnaxime-
que cipud Aquitanos , poterit aliquis 'videri , n:el jemina , licet
perquam panper^ ut alibi , frujìis fqualere pannorum . A tutta
prima i buoni Italiani con iftupore miravano que' si puliti e
leggiadri ftranieri ; e poi ( cola ben facile ) fi rivoirero ad imi-
tarli : giacché i vizj dolci incantano , né v'Habilogno di gran-
di efortazioni per guadagnarfi la grazia delle perfone . Certa-
inente allorché il Re Carlo e la Regina Beatrice fua Moglie 5
fecero nel 1266. la loro entrata in Napoli , per ientimento
dell'Autore di un Giornale da me dato alla luce, quel Popolo
andò come in eftafi, mirando quattrocento uomini d' arme Fran-
"^fì ^JI^^ /'^^2<? addobbati di fopravejìe e pennacchi , e una bella
Compagnia di Frefoni pure con belle divife . Poi pih di fejjanta
Signori FrauT^fi con grojfe catene d' oro al collo • e la Reina co?t
la carretta coperta di 'veluto celeftro , e tutta di Jopra e dentro fat-
ta con Gigli d' oro , tale che a vita mia non vidi la più bella vi-
fta. Penfo io 5 che rare prima foffero le Carrozze per le Don-
ne, più rare per gli Uomini : fi andava allora a cavallo. Ro-
landino nel Libro IV. Cap.p. della Cronica notò, che venuto
a Padova nell'Anno 123^. Federigo IL Imperadore , tutto il
Popolo gli andò incontro ; ed altrettanto fecero multce Domi-
n^ , pulchritudine & pretiojts veftibus refulgentes , fedentes in
phaleratis & aynbulantibus palajredis .
Certamente prima de' tempi d' effo Federigo fi didingue-
vano i Nobili dell'uno e dell'altro fello dal baffo Popolo nel
trattamento della Tavola, delle velli , de' fervi, de' cavalli , e
in altre guife ; ma non perciò conofcevano, e molto men pra-
ticavano il Luffo , che poi fu introdotto da i Franzefi ; Occo-
me è' a' miei dì avvenuto, perché la lor venuta in Italia ha
qui lafciato delle ufanze, le quali bene farebbe, che non avei-
fimo mai conofciuto. Ora in ajuto di Ricobaldo io vo' far ve-
nire un Campione de' medefimi tempi, che quafi tiene il me-
defimo linguaggio . Egli è Dante Alighieri , da cui nel Canto XV,
del Paradilò fi fa parlare Cacciaguida uno de'fuoi Antenati col-
le parole feguenti :
Fio-
Ventesimaterza^ J29
prò prima imbanditione dant duos cappones, vel unum cap-
pontm, & unam magnam petiam carnis prò quolibet tajore
ad lumeriam fabiani de amandolis & zucharo , & aliis bonis
Ipecicbus & rebus. Pollea dant carnes aflatas in magna quan-
tirate, Icilicet capponum, puUorum, taxianorum, perdricum,
leporum, zengialorum, Sccapriolorum , & aliarum carnium ,
lecundum quod tempore anni currunt. Pollea dant turtas, &
zoncatas cum trazea zuchari de lupra . Poltea dant fluges .
Poliea, lotis prius manibus, antequam tabulai leventur, dant
bibere, & confc6ìum de zucharo , & poltea bibere . Et ali-
qui loco rurtarum & zoncarum dant in principio prandii tur-
tas, quas appellant tartas, faétas de ovibus, & caxeo, & la-
Re , & zucharo iuper diflas tartas in bona quantitate . In coenis
dant inhyeme zelatinam ialvatizinarum , & capponum, & gal-
linarum, & vitelli, vel zelatinam pilcium . Et poli: affatum de
capponibus, & vitello. Etpolt, fìuges. Et po(t lotismanibus,
antequam tabulai leventar, dant bibere, & con fé 61: luti zuchari-
&po(t:, bibere. In geliate m coenis dant zelariam deoallinis &
capponibus, vitelli & capredi, & carnium porci & pullorrm,
vel zelariam pilcium. Et poli: , alTàtum pullorum, capredrm,
vitelli, vclpaveri, velanctris, vel aliarum rerum , lecundum
quod tempora currunt; &:pofl:, bibere. Secundadie innuptiis
dant primo longotos de palla cum caxeo & croco , 8c zibibo &
Ipeciebus. Et poli, carnes vituli afiatas; 8c poft, fluges; & poft,
lotis manibus , antequam tabuL'E leventur, dant b; bere, &con-
fe6lum zuchari; Scpoft, dant bibere. In coenis omnes va kint
addomos eorum , quianuptis fimtje lunt. Tempore Q_u ad raoe-
fimsdant primo b; bere, & conte6ì:um zuchari ;& polì:, bibere ;&
poli ficus cum amygdalis pelatis; 8c poli piicesgroflosad pipera-
tam ; & poli meneftram nfi cum Ia6le amygdalarum , & zucharo,
& Ipeciebus, &cum anguillislalfis. Et poit prisdi6ia dant pilces
Lucios affatos cum ialia de aceto, vel lenapi cum vino co6ìo,
&fpeciebus; & poli , dant nuces; & polt , dant alias fluges. Et
poli, lotis prius manibus, antequam tabula leventur, dantbi-
„ bere , & confeclum zuchari , 8c poli bibere . Homines PlacenticG
„ ad prsfens vivunt fplendide, & ordinate, & nitide in domibus
„ eorum pulcrioribus , & melioribus arnixiis & vaiellamentis ,
„ quam folebant afeptuaginta annis retro, Icilicet abAnnoChri-
„ iti MCCCXX. retro. Et habent pulcriores habitationes, quam
5) rune habebant, quia in didis eorum domibus iunt pulcrx camerae
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5]o Dissertazione
&c ca minata 5 bora, curtaricia, putei, hortuli, jardini , &
folaria prò majori parte . Et funt plures camini ab igne &
fumo in una domo , in quibus domibus di6lo tempore nullum
folebat effe caminum ; quia tunc faciebant unum ignem tan-
tum in medio domus lub cupis te61:i , & omnes de di<^ì:a do-
mo ftabant circum circa diólum ignem , & ibi fiebat coqui-
na . Et vidi meo tempore in pluribus domibus ; & non ha-
bebant puteos in òìEiìs eorum domibus , vel quafi nullos ,
& panca folaria & curtaricia . Et utuntur communiter om-
nes Cives Piacentice vinis melioribus , quam antiqui non
faciebant.
„ Modus edendi prò majori parte hominum Piacenti^ eli,
quod ad primam tabulam comedit Dominus domus cum Uxo-
re & filiis in caminata , vel in camera ad unum ignem ; &
familia comedit pofl eos in alia parte ad alium ignem , vel
in coquina prò majori parte . Et duo comedunt fupcr uno ta-
jore. Et quilibet habet menedram fuam, & unum majoluni
vel duos vitri prò fé , unum prò vino , Se alium prò aqua .
Et plures iunt , qui fé faciunt fervire a famulis fuis , cum
cultellis magnis a tabula , 8c cum eis incidere carnes , & alia
coram eis ad di6ì:am tabulam . Et antequam di6ì:i Domini fint
alTetati ad tabulam , dant eis aquam cum bacino & bronzi-
no ; & pofl: prandium & poft coenam iterum antequam tabu-
la levetur dant eis aquam , & iterum lavant manus eorum -
Arnixia, quibus nunc utuntur in domibus di6ì:oruni Civium
Placentiaj, quaj a paucisfolebant uri adi6ì:o AnnoMCCCXXX.
retro, funt nunc prò uno duodecim . Et hoc e ventura eft
a Mercatoribus Piacenti^, qui utuntur vel utebantur in Fran-
cia, in Flandria, ac etiam in Hifpania. Et primo commu-
niter utuntur tabulis largis unciarum XVIII. qux non fo-
„ lebant effe larghe nifi uncia^ XII. Et utuntur guardenapis ,
„ qux a paucis utebantur . Et utuntur taciis , cugiariis , Se
„ forcellis argenti; & utuntur fcudellis & fcudellinis de petra,
„ & curtellis magnis a tabula, & bronzinis, & bacinis, & far-
„ ziis magnis & parvis a le61:is, & cortinis de tela circum circa
5, di6la le6la ; & etiam banderiis de araffa , & candileriis de
„ bronzo , vel de ferro , 8c torciis fi ve brandonis , & candelis
„ de cera , & etiam candelis de febo, & aliis pulcris arnixiis 8c
5, vafellis & vafellamcntis. Et multi faciunt duos ignes, unum
,5 in caminata , & alium in coquina , vel in camera loco ca-
mina-
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V E N T E S I M A T E R Z A . j jl
„ minatje. Et multi tenent bonas confe6liones in domibus eo-
„ rum de zucharo & de melle . Quae omnia funt magnarum
expenlarum . Qiia de cauflTa magns dotes nunc oportent
ciari. Etcommuniter nunc dantur in Dotem Floreni CCCC.
Se F'oreni D. & Floreni DC. auri , & plus ; qui omnes ex-
ceiKluntur per Iponfum in addobbando fponiam , & in nu-
ptiis, & aliquando plus. Et illc qui maritat di6lam fponfam,
expendit ultra Dotem Florenos C. auri vel circa in faciendo
„ de novo, aliqua indumenta fponfe , & in donis , 8c nuptiis .
,, Qiia de caufla fi debent poiTe fieri tales expenfaj , ut lupra
5, di61:um eil , oportet , quod lucra indebita fiant . Et piures
55 funt, qui talibus de caulTis lunt conlumpti, qui volunt face-
55 re 5 five oportet facere plus quam polTunt . Certe ad prxfens
55 fi unus habet in lua familia novem buccas, & duos roncinos,
55 expendit omni anno ultra Florenos CCC. auri , valentes Li-
55 bras CCCCLXXX. Imperialium. Et fic prò rata buccarum,
55 videlicet in vi6ì:u, veftitu, lalariis famulorum5 gabellis, ta-
55 leis, & aliis expenfis extraordinariis 5 qua^ quotidie eveniunt,
55 qux non pofTunt evitari : certe pauci lunt , qui talibus ex-
55 penfis poflint componete ; & ideo multi funt , quos tali de
55 caufla oportet delerere patriam eorum5 & ire ad ttipendium;
55 vel prò famulis5 vel prò mercatoribus5 & in ufuris &c. Noti
55 credat aliquis, quod in (apradi6lis contineantur medianici ,
55 fed iolum Nobiles5 & Mercatores5 & alii boni & antiqui Ci-
55 ves Piacenti^, qui non faciunt aliquam artem . Qui etiani
55 mechanici faciunt fumtuolas expenfas plusquam foiet 5 &
55 maxime in indumentis circa eos & uxores . Tamen ars iem-
35 per & quocumque tempore fufiinct omnes 5 qui volunt cum
55 honore vivere . Ad praslens gentes non poffunt vivere fme
55 vino 5 fic lunt omnes ufi bibere vinum .
Potrà* ora il Lettore confrontare gli antichi riti 5 e coRumi
con quei dell'era noilra 5 e tirati i conti determinare 5 fé v' ab-
biano guadagnato o perduto i noftri tempi. PafTiamo ora ad al-
cune altre ulanze di qualità diverfa. E primieramente l'Aulico
Ticinenfe 5 che fcriveva circa l'Anno 1330. e delcriffe molti
coftumi de' Pavefi 5 fra l'altre cole al Gap. 4. ha le feguenti
parole: In crepìdine Pontis vciteris aliquando ereBa e Jì Pertica^
qu(S potejì mdinari deorfum ^ in cujus cacumine ligatum eji vas
vimìneum magnum . Ef Ji quis Kibaldus compertus fuerit Dsum
aut Beafam Virginem blajphsmare^ fiati m 'u afe ilio impojitus fub-
Tt 2 mer-
3j2 Dissertazione
merghur in Ticinum , C^ exnahitur madefa6lus . Forfè una fo-
migliante pena fu in ufo preffo gli antichi Germani. Costipar-
la Tacito de Morib.German. Gap. 12. Jgna'vos ^ & tmhellss^ &
€orpore infamesy cceno ac palude inje^los fupercrate mergunt . Dice
che li tujfano , e non già che gli anneghino , cioè per corre-
zione, e non per levar loro la vita. Afcoltiamo anche Suetonio
nella vita di Caligola Cap. 20. dove defcrive uno fpettacolo di
Lione. Eos autem^ qui maxime difplicuijfent:^ fcripta fua fpon-
già linguave delere jujfos^ 7iifi fevulis objurgari , auf Flumìne
proximo mergi maluijfent . Tanto è vero , che nulla di nuovo
occorre fotto il Sole . Quefta iorta di mortificazione o pena
in Franzefe fi chiama Cale^ della qual parola è da vedere il
Furetiere . I Fiorentini ulano la voce Colla per fignificare il
tormento della Corda, e di la fi formò il verbo Collare, Sentite
che bella Etimologia ci rechi il Menagio . Colla ^ dic'egli,y?-
gnijìcante Corda , 'viene dal Collo , che vai propriamente laccio ,
che Ji mette al Collo . Ma col laccio fi rompe il Collo a i rei;
col tormento della Corda non fi fa male al Collo . Sarebbe più
tofto da vedere, {q Colla venifle òa Calare^ cioè abbaffare, ufan-
do anche i Tofcani in vece di Calare il verbo Collare , Son pa-
iole del Boccaccio. Dilibararono di legarlo alla fune ^ e di Collar-
lo nel po'z^ . Torniamo al rito de' Pavefi . Fu eflb praticato
anche da altre Citta pofte al lido del Mare , o di qualche
groflb Fiume. Qiiei di Mar-figlia, per attedato del DuCange,
lo chiamavano AccabuJ] are . Ecco il loro Statuto contra chi
nel Giuoco prorompeva in beftemmie contra di Dio. Etftduo-
decimDenarios dare^ Ò' folvere non poterit ^ Accabujfetur penitus^
hidutiis cum njejìibus , qiias tane detulerit , & in Portu Majftlia:
tot vici bus ^ quot juraverit . Una parola Germanica lì truova in
AccabuJ] are ^ compòfto da Acha e Buffe ^ cioè a dire Pena dell'
Acqua, Un egual gaftigo era prelcritro dalla Citta di Bourdeau
ai Ruffiani, alle meretrici, e ai beftemmiatori. Anche lo Sta-
tuto di Ferrara Icritto a penna nell'Anno 1288. ed efiflente
nella Biblioteca Eftenfe, al Lib. IV. Rubr. <58. determina: ^od
Potejìas tene atur facere {ieri imam Corbellam in Centrata S.Pault
in Padoj in quam poni faci at^ & plurics fubmergi in aquam blaj-
phemantes Deum & Beatam Virginem , & ceteros SanBos , fi non
pojfent jolvere centum Soldos Ferrarie?jfts. Et Jì folvere pojfent ^
non ponantur ad Corbellam , Pofcia allaRubr.78. v'ha quell'altro
Statuto . ^od fcutiferi non currant equos per Civitatem , quum
vadunt
Ventestmaterza; 5 j j
vadunt ad aquam Ù'redeunt, ^'t cantra fecerh , folvnt prò hanno
njiginti SoldosFerrarinos. Effe jolvere no?i poteri f^ pon^tur ad Cor-
bellam . In Italia è andato in diiufo quefto gaftigo , ma in Vienna
d'Aiilìria dura tuttavia per punire i Fornai, Beccai, ed altri
pubblici ladri. In Inghilterra una volta le Donne rifTofe fi git-
tavano nell'acqua, cavandole ben bagnate di dentro, e di fuori.
Ma giacché fiamo entrati nelle Pene de gli antichi, dichiamone
qualche altra parola. Siccome altrove accennai, pochiffimi erano
i misfatti, che fi puniflero colla morte . Il cofpirare contra del
Re, il muover fedizione contra del Generale darmi, l'uccidere
il Padrone o Marito , il dilertare dall' Efercito , il fuggire dal
Regno, erano delitti vietati fotto pena della Vita. A chi giura-
va il fallo s'avea da mozzare la mano. Quafi tutti gli altri {i
poteano rifcattare pagando danaro. Che tal pratica fofie anche
prefTo i Greci, fembrano indicarlo varjelempli. Fra le Pene fi
contava il divenir Servo. Spezialmente i Popoli Settentrionali ri-
putavano gran vergogna e gaftigo, allorché ad un Uomo Libero
il tagliavano i capelli, e molto piìi le la barba. Era anche in ufo
il Frujìare. Liurprando Re de'Longobardi nel Lib.VI. Legge 88.
contra le Donne, che aveano moffa fedizione cosi ordinò. Publkus
(cioè il Giudice) qui ejì in loco ^ ubi faclum fuerit -^ comprehendat
ipfas muliereSj &faciat eas decnlvnri^ Ù'frujìari pervicos vicina?j-
pes ipfts locis. Anticamente gli uomini Liberi erano battuti con
baffoni, i Servi col flagello o fia colla sferza . Però da Fujìe ft
crede originata la voce Frufta e Frujìare : ma io ne dubito. Un
uomo Libero o Servo convinto di ladroneccio, ie il furto arrivava
ad d'jcenì Siliquas ami ^ oltre alla reftituzione della roba rubata, era
condennato a pagare ottanta Soldi d'oro. Senonpotea, v'andava
la fuavita. Cos'i determinò il Re Rotari nella Legge 258. €259.
Quanto a gli altri Ladri, con vienoiTervare la Legge 2(5. del Lib.VI.
del fuddetto ReLiutprando. Dj furonibus^ die' egli, unusquisque
Judex in fu a Civitate faciat Carcerem fub terra . Et quum inventus
fuerit fur curn ipfo furto , ipjum furtum componat . Et compre-
hendat ipfum furonem , & m'ittat in ipfo carcere ufque ad au-
7I0S duos vel tres j & po/ìea dimittat eum fanum . Et fi talis per-
fona fuerit , ut non habeat , unde ipfum furtum componere pof
fit , debeat eum Judex dare in manu ipjìus , cui ipfum furtum
fecit ; & ipfe de eo faciat qiiod voluerit . Et fi pofìea ipfe ite-
rum in furto tentus fuerit^ decalvet eum ^ & ccedat per difciplt-
w^w, ficut decet furonem ^ & ponat fignum in f'o?ne ^ &infacie.
Et
33if Dissertazione
Ei: Jì Jlc non emendaverh , Ù' pojì ìpfas diftrìBìones in furto ten-
nis fuerit , vendat eum Judex for'ts Provìnciam ( cioè fuori del
Regno ) Ò' habsat fihi prettum tpfius . Ma Carlo Magno nella
Legge Longobardica 44. determinò per conto de' Ladri, ut prò
prima culpa non moriantur , fed oculum perdant ; de j'ecunda
7iafus ipjìus Latronìs eapelletur ^ Jive abfcindatur ; de t erti a ve-
ro ^ fi /e non emendaverit ^ rnoriatur. La pena importa agli uo-
mini lediziofi dalia Legge ^5. di Lottario I. Aiigufto , era la
feguente : Au6ìores faóli interficiantur , Adjutores vero e or um fìn-
gali alter ah altero flagellentur ^ & capillos fuos viciffim & nares
fuas invicem prcecidant^
Del reito , come altrove ofTervammo , all'omicidio non
era importa la pena delia Vita , ma s\ bene una condanna pe-
cuniaria ; e quel che bene ftrano fembrera , anche uccidendo
un Vefcovo. Anzi pare, che preflb i Longobardi o niuna pena
determinata forte, o non forte dirtinta la pena di chi uccideva
Ecclefiatlici, da quella de gli uccilori d'altre perfone. Si afcol-
ti Arigifo Principe di Benevento di fchiatta Longobardica , il
quale circa l'Anno 780. formò un Capitolare, pubblicato da
Camillo Pellegrini . Haóìenus ( così egli parla ) Religioforum
bomicidia^ eo quod aut inerme genus^ aut in omnibus venerandum
haberetur , 7ìullius compofttionis aperta lex judiciali calculo cla-
ruit. Et fi quondam forfìtan contigìffet ^ aut fub ofìenfu legalis
negligentice ^ vel obltt^e rationis omittebatur ; aut illud ^ ut cuique
libitum erat ^ decernebatur . Pertanto egli ordina , che fé in av-
venire alcuno occiderit Monachum^ vel Presbyterum^ autDìaco-
num primatum tenentem ^ componat (cioè paghi al Fiico ) Du-
centos folidos^ o pure, fé cosi piacerà al Principe, ufque ad tre-
centos. Per conto de gli altri Écclefiaftìci viventi fuon del Pa-
lazzo, l'uccifore è condennato a pagare centocinquanta Soldi,
ficut de Laicis , qui exercitalibus mditant armis . Ecco una lieve
pena per si qualificato delitto . Accrebbe di poi quefta condan-
na pecuniaria Carlo Magno, come appariice dalla Ina Legge i or.
e durava anche la medefima talTa nell'Anno 1055. perciocché
in un Diploma di protezione conceduto a i Canonici di Parma
da Arrigo fra gì' Imperadori Secondo, fi leggono querte parole:
Si quis igitur eos Archiepijcopus , Epifcopus , Marchio , Comes ,
Vicecomcs , vel qui fub bis funt , Clerici vel Laici , aff altre ,
vulnerare , vel Decidere qucefìerit &c. prò morte vita fuce poenam
prò ceteris fé centum Libras auri ex cequo partiendas ìiobis ftbique ,
com-
V E N T E S i M A T E R Z A . j j 5
compofiturum agnofcat . Se il reo non pagava , ftendeva il Filco
le lue griife fopra i di lui Beni ; né appariice , fé tali omicidj
patiflero lunga prigionia. "DqWtì Cofifijc^zjone abbiamo la pruo-
va in un Decreto di Corrado I. tra gli Auguri, per effere (la-
to uccilo Arrigo Diacono Cardhiale della Chiefa di Cremona da
un certo Adamo, nell'Anno 1037. Quivi in compenfazione
del grave danno per tal cagione patito dalla Chiefa , viene or-
dinato , che omnia prtjsdia , quce pnefatus Adam infra Civitatem
Cremona}}?^ & extra per totìus Epifcopatus fpatia hahere 'videtur ^
& omnem rem ìnobilem & immobilem , quam pofjederat , pr deli-
bata SapMce Crernonenji 'Ecdefioe , per hujus nofln Pra:cepti pagi-
nam^ proprietario jure h abenda & detincnda concedimus . E per-
ciocché nel Secolo XL invaile l'efecrabil ufo de' Veleni , o di
altri mezzi per levare fegretamente la vita ad altrui , fu da
Arrigo II. Augudo intimata a queiìo misfatto la pena delia
morte, come colla dalle Leggi Longobardiche . Ma negli an-
tichi Secoli un curiofo coftume merita d'eflere ofiervato . Chi
dopo avere uccifo un Parente fi rifugiava in Chiefa, potea fot-
trarfi al gafligo, con fare la feguente Penitenza , che gli veni-
va impolla da i Preti. Cioè cinto di legami di ferro , e mez-
zo nudo, o pure in altro abito di Penitente , dovea andare in
pellegrinaggio a i Luoghi Santi, cioè dove pofavano i Corpi de'
più rinomati Santi . Badava quello per foddisfare alla Chiefa
e al Re . Nell'Appendice alle Formole di Marcolfo prelTo il
Baluzio fi vede Traóìoria prò itinere peragendo. In efla é racco-
mandato a tutti i Vefcovi il Pellegrino , ^ui injìigante adver-
far io ^ peccatis facientibus y proprio filio Juo^ 'vel fratri fuo , fi've
fiepoti interfecit j & nos prò hac caujfa jccundum Confuctudinem
l'el Canonicam Ì7iJìiti4tionem dijudicavimus^ ut i}ì Leg^e Pcregri-
?iori4m ipfe pnefatus vir annis tot in peregrinatione ambulare de-
beret &€. Perciò Dauferio Nobile Beneventano per la morte
data a Grimoaldo Principe di Benevento , pocnitentia du6ius ,
Jine mora in Hiero/olftnam ejì profeBus mirum in modum ^ &re
fcilicet inaudita . Il lue enim iens , & inde Beneventum redie?7Sy
7ìon 'valde exiguum lapidem inore gejiavit ^ & tantummodo.^ quo-
ties cibum potumque Jumebaty ilio carebat . Sono parole dell'Ano-
nimo Salernitano ne' Paralipomeni da me dati alla luce . Così
Radelchifo Conte , per atteftato di Archemperto Cap. p. reo
di un fimile misfatto , catena cewice tenus 'vinBus , Ccenobium
Beati Benedici ^ Chrifio militaturusy adiit. Raccontanfi ancora
varj
^]6 Dissertazione
varj Miracoli delle catene di cofloro prodigiofamente fpezzatefì
da per sé ai Sepolcri de' Santi. Ne addurrò qualche eie m pio . Nel
Lib. III. de GeJì.SanSlor. Rotho7ìe?ìf. un Diacono nel Monitoro
di Spoleti avea uccifo un altro Monaco nelF Anno 850. An-
doflTene coftui a Roma a prendere la Penitenza , e gli fu or-
dinato ferro ligart per collum^ & brachi a ^ ftcut in Lege parri-
cidarum cenfetur^ e di portarfi a i Luoghi di maggior divozio-
ne, finché ottenefTe il perdono da Dio. Capitato nella Breta-
gna minore al Moniftero Rotonenfe, e protrato al Sepolcro di
San Marcellino , ecco da sé romperfi le catene : perloche li-
bero ed aflbiuto fé ne andò . Un altro lomigliante prodigio (ì
racconta all'Anno 856". Parimente nella vita di Santo Appiano
Monaco di Pavia, feppellito nella Citta di Comacchio preflb i
Bollandifti, fi legge, che ^)u(zdam f emina 'venit de Francia ad
Ecclejìam BeaPce Virginis Jujìmce quae portahat tn Jìnijìro hrac-
chio circulum ferreum prò pdsnitentta ab Epifcopo Jìbi mditum y
C^ caro brachii in tantum jam fupercrejcebat , quod Circulus
pdene totus carne erat coopertus . Venuto che fu alla tomba di
Santo Appiano , Jìatim ferreus confraHus ejì circulus , Ò' bra-
chium ita janatum^ quod tiumquam melius fuit . Così nel Lib.
Miracul. di S. Bononio Abbate di Lucedio nel Vercellele, cor-
rendo il Secolo XI. Homo quidarn Fratricida pcenitens^ qui habe-
hat mucronem , cum quo peremerat fratrem , jìxum iti circulo
ferreo circum dextrum brachium firiBius poftto , cute & carne
jam fuper Ì7nmi?2ente ^ prelentatofi al Sepolcro di San Bononio,
vide crepare quel cerchio di ferro. Veggafi ancora la Vita di
San Teobaldo Romito , morto nel Territorio di Vicenza negli
Annali Bened. del P. Mabillonc.
Ma Carlo M. Principe di mirabil fenno , come fi raccoglie
da un luo Capitolare prefTo il Sirmondo e Baluzio , riprovò si
fatto coliume con dire : Ut ifli mangones & cotioncs , qui va-
gabundt njadunt per ijìam terram ?ion Jìtiantur njapari , ac dece-
ptiones hominum agere . "Nec ijìi nudi cum ferro , qui dicunt , Je
data pcenitentia tre njagantes . Melius 'videtur , ut fi ali quod ifi'
conjuetum & Capitale Crimen commiferint ^ i?t uno loco permane ant
laborantes^ & fer'vientes -^ & poenitentiam agentes ^ fecundum quod
Canonice Jìbi impofitum ftt . Fa intendere quella Legge, che in
quefia iorte di pellegrinaggio e penitenza doveano efìfere in-
tervenute frodi edimpofture, ed elle r fi fcoperto, che talvolta
per arte , e non per miracolo , s'erano fciclte quelle catene .
Ciò
V E N 1 E S 1 M A T E R Z A . 3 jj
Ciò non oftante, per alcuni Secoli ancora continuò quella ufan-
za , malli ma mente in Francia . ElTendo mancato di vita San
Leone IX. Papa nell'Anno 1054. e luccedendo varj Miracoli al
luo Sepolcro , Ventt qmdam njtr de Fraììc'ta , qui hahebat cor-
pus Juum ferreo ctrìgulo coarólarum , uà ut per g^rum corporis
fan'tes mulva decurreret iti terram . ^iod "oìdcìites qui aderam ,
nares ftht prce ntmio pandore & foetore obtura'veraìit ^ deprecames
Dominum , uf per San6iì Leonis inerita mijero UH juccurrere di-
gnaretur , Res mira ! Jìatim ferrum creputt , & yìndta fuja fa-
nie homo rcàditus e fi penitus janitati . Leggoiifi di lotto due
fimili prodigiole avventure . Tralalcio altri cali di quefta for-
te . Sarebbe temerità il dubitare di tutti ; ma potrebbe elTere
anche talvolta occorio qualche inganno , perchè allora ancora
abbondavano i furbi, e più la gente poco malizioia , ed accor-
ta. Nella Cronichetta di Subbiaco da me Itampata fi legge la
Vita di Giovanni Abbate trentefimo fecondo. Sotto di lui ^wo-
àam tempore 'venerunt tn LtaUam ex Francia homines injani ,
qui dicebantur Confujl , qui circumquaque pergentes , per Cam-
paniam & .reliquas Prcvinctas calamttatts tantae iìicutiebant tì-
morem . Contigtt , ut tres ex ipjìs ad'venertnt Sublacum , agitan-
do fine tnrermtjfiune caput ^ tnjana fa6ia agendo, ^uumque ibi
-per dtes .aliquot mornrentur ^ prtmus eorum i?i pncfata efì fana-
tus^ Domino jwvante y Ecclejia . Poflea 'vero rei i qui duo ibidem
ìadduóii. gratia Dei Jane capite exierunt ^ laudatites ^ & benedi-
centes Dominum . ^hiihus jam dt6ius Domnus Abbas Joban?jes plu-
rima beneficia largitus efì ; & ftc ad fua remifìt cum gaudio .
Ma voglia Dio, che (\ut Confufi non confondcrlfero la pruden-
za dell'Abbate. Oggidì non lì larebbe tanto corrivo ; ma allo-
ra troppo felice fi riputava , chi nelle lue Chiefe vedea farfi
delle prodigiole cofe, lenza badare fé tutto era Miracolo . Ba-
date a quel plurima beneficia largitus efì , Di quelli andava a
caccia la gente furba.
Torniamo alle Pene una volta ufate . Da' Franzefi e Suevi
fu portato in Italia un Rito di pena militare , impoila a i No-
bili delinquenti, e defcritta da Ottone Frifingenfe Lib.2.Cap.2 8.
de Gefì. Frider. I, ficcome ancora da Guntero . Anche Arnolfo
Storico Mi'.anele Lib. i. Gap. 19. Icrive, eflere flati ilMarchefe
Manfredi, e Odelrico Vefcovo d'Afti, obbligati achiedere pace ad
Arnolfo Arcivefcovo di Milano; e l'ottennero colle feguenti con-
dizioni . ^iod veniemes Mediolanum tertio ab Urbe miUiario , 7ìudìs
Tcìììo L V V ince-
35? Dissertazione
hìcede'/ìdo pedibus , Epijcopus codtcem , Marchio canem hnjulans , '
ante fores Ecclcfi^ Beati Ambrojti reatus proprios devottjjime con^
Jìterentur, Il lignificato di taJi Rui laictiò indovinarlo ai Ler-
tori . Di un altro fa menzione lo Storico Wippone nella Vita
di Corrado il Salico. Aveano i Romani commoffa una Icdizio-
ne contra d'efio Augudo ; ma pentiti e impauriti, /?o/?^r/? die
ante Imperatorem njenientes^ nudatts pedthus , Uberi cum nudis
gladiis , Sewi cum torquibus "oimtneis circa collum , qua fi ad
Jufpenjionem priVparati^ ut Imperator ji'jjtt jatisfaciebant . Cioè
portavano i Liberi la Spada nuda , con cui le avefTe voluto
i'Imperadore , poteano edere puniti, perchè il taglio della te-
fta conveniva alle persone Nobili. All'incontro i Servi fi mo-
ftravano degni d'eficre impiccati per ia gola : che quefto era
il loro ga Rigo . E di qui poi nacque la formola tuttavia ufa-
ta di chiedere perdono colla corda , o Jta col capejìro al collo ^
per modrarfi desno di morte pel delitto commefìTo . Perciò i
Cremoncfi , che s'erano ribe'lati nell'Anno 13 ri. ad Arrigo VII.
Augufto, laqueis ad collum pofttis gli andarono incontro implo-
rando mifericordia, come s'ha daBonincont5oMorigiaLib.il.
Cap. 8. della Cronica . E per teltimonianza di Leone Oftienfe
Lib. II. Cap. 2. Adenolfo Galtaldo di Capoa, afiediato dal Prin-
cipe d'efìfaCapoa, videns ^ fé ywn pojfe Prifìcipis manus enjade-
re , fvtnem in collum fuum mijit , & per manus conjugis ju(S ad
principis pedes fé trahi pracepit , Anche i Milanefi forzati nel
II 58. a renderli a Federigo I. Augufto , abjcHa 'vefìe , pedtbus
nudis , exertos fuper cewices gladios habentes , jefe Imperatore
fìiterunt ^ come lafciò fcritto Radevico Lib.I. Cap. 42. E Ot-
tone da San Biagio aggiugne, che anche la plebe a lui fi pre-
fentò torque collo innexo. Per implorar milericordia, ed ajuta
andarono ad elfo Impcradore in altro tempo gli (lelTi Milanefi ,
portando Croci in mano, o nelle Ipalle. Ma che anche i No-
bili talvolta chiedelfero colla corda al collo pietà , non man-
cano efempli . Da un Documento del 1158. apparifce , che
Adenulfus de Aqua putrida , poft longam , Ù' diutinam obfidio-
7ìem Capitaneorum & Romanorum peditum , quam Domnus Papa
fuper Cafìrum prceceperat fieri (fTc. nudis pedibus , ligatus per
collum , profìravit fé ad pedes Domni Papa &c. Per maggiore
obbrobrio contra de i rei s'introdulTe di menarli fopra un Afi-
no colla faccia rivolta all' indietro, e col tenerne la coda in
mano. Tale fpettacolo vide Roma l'Anno 1121. in Burdino
Anti-
Ventesimaterza. 3 jp
Antipapa prefo da Papa Callifto II. E il Popolo dì Nepi nel
II 21. fece intagliare in marmo un Decreto contra di chi vo-
lefle rompere la Societèi (labilità fra loro : Sujìineat mortem ut
Cylo , qui fuos tradldit Socios ; non ejus ftt memoria ; jet in
Jjella retrorfum fedeat^ & cnudam in manu teneat , Divenne
ancora comune per Italia un immaginario gaftigo dato a i
traditori della Patria, che n'erano fuggiti, cioè di far impic-
care la loro Statua , e di far dipignere in luogo pubblico la
fioura di elfi impiccata : del che è da credere che que' rei fi
ridefìero . Vegganfi le Storie di Firenze , la Cronica Romana
di Antonio di Pietro, e le Croniche di Bologna.
Per conto de' Funerali v'erano i fuoi regolamenti, e va-
rie Confuetudini . L'Aulico Ticinenle nel Cap. 13. de Laud.
P apice COSI ne parlava circa l'Anno 1330. Coì^fuctudo omnium
funcralium talis eft . ^ia quicumque tnoriatur , penfata tarnen
conditione jui flatus^ poJìCntces^ quarum nliqunndo multas por-
tante fé quuntur Laici bini^ illic per praconem jkpe 'vocati : de-
inde Clerici e & Sacerdotes^ quos tame?i ReligioJÌ prcecedunt ^ fi
^dfunt vacati . Poftea fcquitur funus in leHo cmn culcitra , Ù*
linteaminibus , & coopertorio , fnb quo pofitum eft indutum ve-
ftibus fui ftattis vel ordinis , ut ab omnibus videatur . Poftrem.o
fequuntur Mulieres , ex quibus propinquiores defunHo a duobus
viris bine inde fuftentantur. Et ita procedunt adEcclefiam cum
luminaribus Ò' foni tu Campanarum . Laici vero entrante^ Eccle-
fiam recedunt , remanentibus cum funere in Ecclefia , & ufque
ad fepulcrum procedentibus Clericis^ Sacerdotibus^ Ò' Mulierìbus\
Nunc audivi ab hujusmodi procejfionibus Feminas interdióìas. In
q'aalche Luogo i Cadaveri de gli uccifi fi folevano feppellire
lenza lavarli . Per altro come fi fa oggid'i , anche ne gli anti-
chi Secoli fi lavavano 1 Cadaveri ; e ne abbiamo li efempj de'
Greci in Omero, e de'Giudei , e de'Romani prelTo altri Au-
tori . Particolarmente i Corpi de' gran Signori , e Martiri , e
d'altri Santi , ufo era di fcppelhrli con unsuenti odoriferi ed
aromi . Però i Secoli rozzi , allorché fi coprivano le lor iacre
offa per trasportarle , fentendo Ipirar da effe un (bave odore,
l'attribuivano a miracolo fenza peniare all'antico iuddetto ri-
to . Si coftumò ancora di condurre al iepolcro i Cadaveri de'
Ricchi defunti, veltiti à\ vefti pre^iofe : ufo che fu riprovato
da i Santi Padri . Ma ne' Secoli più antichi , allorché celsò il
bruciare i Cadaveri (cola Ipezialmence proccurata da'Criftia-
Vv 2 "0
34>o Dissertazione
ni) folevano quei de' più Ricchi eflere feppelliti non folamen-
-te con preziofe velli , ma ancora con anelli, collane, ed altri
ornamenti d'oro e d'argento . Vedi la Legge ultima, ff. de au-
ro & argento^ dove è quefta parte diTeftamento . Funerari ms
arbìtrio 'viri me s volo j & inferri mi hi qucecurnque fepohura: meo;
caujfa feram ex crnamentìs ^ lineas duas ex margaritis^ & virio-
las esfmaragdis. Più non fi badava alle Leggi delle dodici Ta-
vole . Di qua poi venne , che tanti e tanti nel Secolo I V. fi.
diedero a rompere i Sepolcri per cercar que' veri o fognati Te-
fori , contra de' quali ufcirono varie Leggi de gl'Lnperadori ,
e fi sfogò San Gregorio Nazianzeno con affai verfi da me dati
alla luce. Né i foli Gentili, ma i Crilliani fteffi , tanto Roma-
ni, che Barbari , ufarono di chiudere ne' lor Sepolcri dei ricchi
ornamenti. Nell'Anno 17 17. in un Sepolcro di Perugia fi trovò
un piatto à' argento^ U7i a fibbia^ orecchini ^ ed anelli d' oro. In-
darno pretefe Monfignor Fontanini, non effer ivi feppeìlita al-
tra perfona, che un Goto, perchè i Goti, e gli altri Popoli della
Germania folevano cum thefauris Ò' opibus Juis cadavera bum are ,
Ma torno a dire, che cos'i praticarono anche Romani e Greci,
come fi ricava da QLiintiliano, Fedro, Santo Zenone, Sinefio,
Gregorio M. ed altri. Pare , che ceffaffe cotal frenefia a' tempi
d'effo San Gregorio . Ma noi troviamo Gregorio Turonenfe ,
che fioriva allora , e che nel Lib. VIIL Gap. 21. della Storia all'
Anno 55)0. fcrive , come una parente della Regina Brunichilde
mortua Jìne filiis^ in BafilicnUrbis Metenjìs fepulta efl cum gran-
dibus ornamentis & multo auro ^ che da lì a pochi di rallegrò gli
affaffini de'fepolcri. Che duraffe quella perfecuzione anche a*
tempi de' Re Longobardi , fi deduce da qualche loro Legge
contra di chi commetteva quello delitto.
Andavano alla Sepoltura le perfone di baffa sfera , veflite
co i lor fohti abiti, come anche oggidì fi pratica da' poveri in
Italia, e forfè ancora fi praticava da altri di più alto flato a i
tempi di Durando^ il quale nel Lib.VIL Cap.33. n.4. del Ra-
zionai, fcriffe : Nec debent indui vcftibus communibus^ prout in
Italia fit , Fors' egli parlò così , perchè fra alcuni Popoli della
Francia fi usò d'involgere in un lenzuolo i Corpi morti , fecon-
do il coilume de' Giudei , e coU'efcmpio del Signor noflro. Anzi
aggiugne lo fleffo Durando : Et ^ ut quidam dicunt ^ debcìit ba-
lere e ali gas circa tibias^ &fotulares in pedibus^ ut per hoc ipfos ejfe
paratos ad judicìum reprcefentetur : quafichè fenza fcarpe in piedi
non
VeNTESIMATERZA." J4.I
non fi andaife al Giudizio di Dio. Oflervò il Du-Cange nel Glof-
fario , che lopra i Sepolcri tanto de' Santi , che dV NobiU fi
metteva un tapeto, o altra fimil coperta : in pruova di che cita
il Tit. 17. Gap. 4. della Legge Sahca, dove fi legge: 5"/ quisArt-
(ìntonem fuper hominem mm'tuum capula'vcr'tP , fexcentis Dcnariis
culpabilis jadicctur^ pretendendo, c\\q V Ari Jì atono folTe una co-
perta di panno o di (età. Ho io addotto qualche ragione indi-
cante, che più tolto ivi fi parli di un edificio o fia coperchio di
lesno. Del redo è da oflervare, che il coflume noftro di ferrar
gli occhi a i defanti, e di metterli velliti co' piedi volti verfo la
porta della cala , è iopramodo antico. Odafi Perfio Satira III.
tandemque hcatulus alto
Compojìtus Lc&o^ crajfisque lutntus amomis
hi port.^m rigidos calces extendit - - -
L'ufo del Letto l'abbiam veduto di fopra. E^ fucceduta laB^-
ra^ o fia {{Cataletto: la qual ultima voce, come dirò al Cap.33,
pare derivata da efib Letto. Al Funerale de' gran Signori , in-
figniti dell'Ordine della Milizia, interveniva una mano di per-
fone vefiite a lutto, cavalli a mano con gualdrappe fino a ter-
ra, Iniegne, Scudi colf arme del Defunto. Fra le Lettere del
vecchio Vergerlo da me pubblicate fi vede il magnifico Fune-
rale di Francefco I. da Carrara Signore di Padova. Ma fopra
tutto ammirabile fu quello di Gian Galeazzo Vifconte prima
Duca di Milano, fatto nel 1402. di cui ho data alla luce la
Deicrizione . Ma perciocché la vanita e la gara avea intro-
dotto l'ufo delle Orazioni funebri , non folo per li Principi ,
ma anche per le perlone private, venne quello vietato in al-
cune Citta . Ne gli Statuti MSti della Repubblica di Modena
dell'Anno 1327. Lib. IL Rub. 4(5. intitolata de 7ìon concionando
prò Mortuis ( occafion di fpacciare una frotta di bugie ) è de-
cretato , che nullus debeat refpondere concionando ad Mortuos ,
Jive adDomum^Jìve ad Ecclejlam ^ quivi anche fi aggiugne :
Ut 7ìullus debeat ire ad Septimasy nec de fu a parentela ^ nec ds
aliena . Alle perlone inclinate al Luflb non badava la gran
pompa, il confumo di copiofa cera , e Tinvito di tanta gente
nel giorno del Funerale : fi voleva anche rinovar tutta la lee-
na nel giorno Settimo e Trentefimo con grave diipendio de gli
uni, ed incomodo de gli altri. (>a^^ ^h' è da ridere, gli Eredi del
Defunto nello fteffo giorno del Funerale, acciocché la triflezza
non
34-2 Dissertazione
non nocefle allo ftomaco di tanti Parenti ed amici , che v'era-
no intervenuti , gì' invitavano ad un lauto banchetto , o co'
bicchieri alla mano facevano tornare in cafa l'allegrezza. Vi
fu mefTo del temperamento nello Statuto di Milano Parte IL
Gap. 471. con dire : Poft mortem alicujus ad Exequiasy vel Se-
pttmum , 'vel Trigejìmum , in Cìnj'ttate nec Ducatu Mcdiolatii ,
no?i ftt lìc'ttum altcuì flave ad comedendum cum famtlta defun-
gi ni d defungi OS ^ n'tftfuer'it agnatus vd cognatus ujque ad quar-
tum gradum induftve , PreicrilTcro ancora alcuni Statuti il nu-
mero delle Croci , o fia de' Religiofi , e delle torcie di cera
ne' funerali. Dal luddetto Statuto Milaneie Gap. 447. fiordi-
nò, che i Gadaveri tolTero coperti tanto in Gala, che in Ghie-
fa : rito riprovato in altre Gitta , le quali vollero, che di tut-
ti folTe fcoperto il volto , per ovviare a qualche frode , che
potelTe occorrere.
K cofa notiffima l'ufo AqWq Prefiche ne'Funerali prefTo gli
antichi Romani , cioè di Donne pagate , che con efclamazio-
ni, con finte lagrime, col moilrare di (Irapparfi i capeUi , e
con lamentevole canto accompagnato dalle Tibie , o al letto
de' morti, o al portarli al Rogo, formavano un lugubre fpet-
tacolo. Son parole di Lucilio prelTo Nonio Marcello :
Mercede quds
CotiduBiS fieni alteìio tn fimere Prixfitcae^
Multo & cap'tllos fctndu7Jt: , & clamaììt magh.
Che anche i Giudei teneffero quella ufanza , pare che fi ri-
cavi da Geremia Gap. p. dove fon chiamate Lamentafrices ,
A me par credibile , che gì' Italiani per piiì Secoli confervaf-
fero quello ridevole fpettacolo. Anche Omero ne fa conofce-
re la pratica al fuo tempo. .Per atreltato di Falcone Beneven-
tano nella Cronica, avendo terminato i fuoi dì Guglielmo Du-
ca di Puglia, nipote di Ruberto Guifcardo, Contìnuo ejus uxor
crhies fuoSj quos pulcrcs & fu anjes nutrì erat ^ coram omnibus ^ qui
aderant , totcndìt , & lacrfmìs manentìbus , 'uocìbusque ad aftra
le'vatìs^fuper Ducìs defungi pcHus projecìt ( quello Plito s'è fatta
menzione al Gap. XX. ) Populus quoque crinibus genisque evuljts^
Patrem eorurn & Domìnum mirabUiter ìnvocabant . Ne' Secoli baffi
fi chiamavano Cantatrici quelle Donne. Ma parendo a' nollri
Maggiori luperftiziofa una tal pratica ; e movendo , per quan-
to io credo ^ il rifo le loro fmorfie, e falfi urli ; evenendolo-
dati
Ventesimaterza. j^?
dati tanto i degni, che gl'indegni : giudicarono meglio di proi-
birla . Ne' luddetti Statuti di Modena del 1327. Lib.IV, Ru-
br. 172. fi legge : Nulla perfona audeat extra domum ^ in qua fue-
rìt aliqtiis mortuus ^ plorare forther vel piane ; nec palmas Jìve ma^
nus ad invicem percurerey njel di/cariare^ nec in Ecclejia ^ nec per
njìam^ cundo adEccleJiam. Lo Statuto MSto di Ferrara del I2(5p.
determma : ^uod nemini de Ci^uitate F errar i <s ^ feu Burgis ^ fi-
cea f levare corruptum ( -dura tuttavia fra noi fare il Corrotto ,
lo fi elio che lo Scoruccio ) feu Piangere alta voce , propter ali-
quod corpus mortuum , poflquam ipjum extraóìum fuit de domo ,
& portahitur , feu portatum fuerit ad EccLJìam . Et quod aliquce
IViulieres Jio?2 pojftnt nec deheant jequi aliqtwd corpus^ nec ire ad
Eccleftam ^ quando portahitur ^ jeu portatunì juerit ad Ecchjtam»
^ii levare corruptum , lembra più tolto fignifi^are il far voci
lamentevoli e Ichiamazzi di dolore, come fi u la va ne'Funera-
\\ . Anche in Milano nell'Anno I2p2. per atteflato di Galva-
no Fiamma nel Manip. Fior. Gap. 331. fuit ordinatum , quod
Mulieres funera non [equerentur . Ma perchè chiamar Canta-
trici SI fatte Donne? Perchè con alcuni verfi rimati imparati
a memoria cantavano le lodi del morto, e co'medefimi appa-
gavano l'ambizion d'ognuno, attribuendo a'morti quelle Vir-
tù, che mai non aveano praticato, e fors' anche aveano con-
culcato con Vizj contrarj. Predo il Du-Canoe fi truova un bel
pezzo tratto da' MSti di Boncompagno Fiorentino , pubblico
Lettore in Bologna nel 121 3. Ducuntur^ die' egli, Roma qui-
dam femin^ pretto nuyn erario ad plnngendum fupcr cor por a de-
funóiorum , qucv Computatrices vocantur , ex eo quod fub fperie
Khythmica nobilitates , divittas , formas , fortunas , & omnes.
laudahiles mortuorum a6lus computant feriatim . Sed't namque
Computatrix ^ aut interdum n-óla^ vel interdum prorlivis fiat fu-
per genua crinihus dijfolutis^ & incipit preconi a voce variabi-
li juxta corpus defunóii narrare y' & jemper in fine claufula oh
vel ih promit voce plangentts . Et tunc omnes adflautes cum
^pl^ flebiles voces emittunt. Scd Computatrix producit lanymas
pretii , non doloris . Sembrano indicar tali parole , che quelle
Femmine fi appellaflcro Contatrici , e non Cantatrici ^ dal Con-
tare i fatti del Defunto . Vedemmo proibito il luddetto pia-
gnidero nelle (Irade e Chicle lolamente : I Reggiani nel loro
Statuto Lib. VIL Gap. 21. lo vietarono anche nelle caie: ne
per aliquam pcrfonam in domo defungi vel in via Ù^c. fieret
pla?ì-
344- Dissertazione
planBus , vel ululafus altquis cum clamore , & alta voce , n)eì
fort'tper percutere cum palmis ele'vafis &c. Inoltre decretarono,
che non fofiTe permefìTo a gli Eredi o parenti del Defunto fie-
ri facere per Civitatem aliquod prxcont'T^amcntum de eundo ad
ipjum mortuum^ feu ad jepohuram tpfius mortu't . Non so, che
in Lombardia réftì più velligio deh'ulanza luddetta. Solamen-
te mi vien detto, che nella Carniola tuttavia s'ufi il pianto
e lamento delle Fanciulle al funerale de' fuoi , che poi lo ri-
petono nel giorno ottavo , e in queit' arte lono ben animae-
ftrate per farlo con garbo. Fra' Turchi dura l'antico coliume
di pagar Donne , che accompagnano i Cadaveri con urli orrendi
e lagrime , framifciando le lodi del morto con tale ftrepito ,
che infadidifcono chiunque le alcolta. Me ne afTicura Cornelio
Bruyn ne' fuoi Viaggi.
Chiunque è pratico della Erudizione Ecclefiaflica, sa quan-
to ne' primi Secoli dtlla Chiefa foffe abborrita la Bigamia ,
cioè il pafìfare alle feconde Nozze , quafichò quefto folle in-
dizio d' intemperanza ; e tuttoché non foife veramente pec-
cato , pure veniva biafimata, e da efia è poi provvenuta , e
tuttavia fi mantiene l'irregolarità, o fia un impedimento agli
Ordini iacri . Forfè di quello rimane qualche veliigio in al-
cun luogo d'Italia, come in Modena, dove le un Vedovo del-
la plebe fpofa una Vedova , non gli manca un folenne com-
plimento delie perfone delia fua contrada, che loro fan plau-
io ftrepitofo con fifchi , motti pungenti , e vafi rotti gittati
dalle finellre . Anzi da gran tempo è in ufo un aggravio in
danari importo alle Doti d'e^j Vedovi, da pagarfi a i Palafre-
nieri del Principe ; tanto è vero , che alcune ufanze invete-
rate ne' Popoli fi mantengono vive al diipetto de gli anni .
Che anche in Francia fufiìfieffe quefto coftume , lo moftrano
alcuni Atti, pubblicati nel Tom. IV. i\necdot. de' PP. Marte-
ile e Durand . Charinaris fi appellava da' Franzefi lo ftrepito
popolare contra di tali Nozze ; e dura tuttavia que^o voca-
bolo . Aggiungo altre cofette , come la memoria mi detta .
Familiariffimi furono i Bagni al tempo de' Greci e Romani,
e fra' Popoli Orientali fi adopera con frequenza il Bagnarfi ;
anzi fra' Turchi è obbligo di cofcienza. Anche ne' Secoli bar-
barici lappiamo, che l'Italia, ed altri Popoli di Europa riten-
nero quelto colfume , che oggidì fra noi è andato in difufo;
e forfè con diicapito della faniia, potendofi provare, che dalle
Ventesima TERZA, 34.5
Bagnature fi pofTono ritrarre molti benefizj . Secondo le Leg-
gi Longobardiche , morendo il Padre , egualmente fuccedeva-^
no nell'Eredità i Figli; perciocché allora non v' erano Primo-
geniture, Maggioraichi , e Fideicommi^j , che si gran pafco-
\o danno oggidì al Foro , effendo quefti mercatanzia de' Se-
coli pofteriori . Dicefi , che i Franzefi o Salici fi regolaflero
diveriamente : non so fé con ficuro fondamento . Però fucce-
deva , che ne' Feudi , Cartella, e fiabili indivifibili, uno pof-
fedeva la mefJ , o pure la fer':^a , o quarta parte ; e i figli
fuoi per altra divifione ne godeffero la decima , ed anche la
'uigeftma parte . E quefta appunto fa la principai cagione ,
per cui i gran poderi e boichi fi andarono dividendo, e di ma-
no in mano fempre più trinciandofi , arrivarono a minute par-
ticelle ; e ciò con grave danno del Pubblico : malamente po-
tendofi lavorare quelle minutaglie di campi pofieduti da varj
Padroni . Per rimediarvi ecco il ripiego prefo dal Popolo di
Modena, come coda da un fuo Decreto dell'Anno 1225. Fu-
rono eletti EJììmatorì , incumbenza de' quali era di obbligar
tutti i pofTidenti a vendere i lor campi minori al vicino pof-
feflbre ò\ campi maggiori , o di permutarli , di maniera che
fi venifiero a formar de i giudi , e forti poderi , e con facol-
tà ancora di raddirizzare i campi e i fofii , come tornava il
meglio . Non farebbe iz non bene il rinovar quefto Recipe
anche per li tempi correnti , giacché il Ben pubblico ha da
prevalere al privato . Sarebbe ancora da parlare de'T/Vo// ufa-
ti ne' vecchi Secoli , molto ben diverfi da i noftri ; ma perchè
troppo in lungo menerebbe quello argomento , ne lafcerò ad
altri la cura.
Tomo ì. X >i Velie
^j^6 Dissertazione
Delle Arti de gV Italiani dopo la declina7:ione
dell' Imperio ILomano.
DISSERTAZIONE VENTESIMA (QUARTA.
IN quale flato foffero l'Arti in Italia , allorché qui regnò
la barbarie, s'ha ora a vedere . Altre lon l'Arti necelTa-
jie all'Uomo; altre che fervono al comodo fuo ; ed altre in-
ventate per ino piacere . Per conto delle prime , e di buona
parte ancora dell' altre s'ha da tener per fermo , ch'effe non
ceffarono mai in Italia; e le non ci fodero [late, feco le avreb-
Jjero portate i conquiltatori , tuttoché barbari , di quefle Pro-
vincie . Perciocché non v' era allora paefe alquanto colto in
Europa, che ignoraffe e non praticalTe i meftieri, de' quali ab-
Lifo^na la vita de gli uomini , e che non amaffe le comodità
e i piaceri del corpo e deh' animo . Di quefte Arti non verrà
mai meno l'elercizio, finché durerà la Terra. Ne' tempi bar-
barici adunque non è da dimandare fé qu\ fi trovafTero For-
-nai , TefTitori , Calzolai , Fabriferrari , Muratori , Barbieri ,
Orefici , Sartori , Vafai , e fimili . Particolarmente fi ofTervi ,
che i Muratori al tempo de' Longobardi erano particolarmen-
te appellati Magijìri Comacini^ come appariice dalla Legge 144,
^ feguente delReRotari. Non merita attenzione UgonGrozio,
che deduce la parola Comacinus , fignificante a luo credere
Architetto dal Tedefco Gé'w^c/' , che vuol dir. C/t/zz . Il Linden-
brogio, e ilDu-Cange con ragione traffero tal voce, dal Luogo, a
Comacina forte In fui a inRomanula^ ubi Langobardorum avo peri-
ti Architeili fuerint. Senza fallo fu prefa quella denominazio-
ne da un Luogo , non già da Luogo poQo m Komanula^ o fìa
Romandiola^ oggidì Romagna^ e anticamente Flaminia j ma
bensì dalla Citta e Contado di Como . Q.uel Lago ne' Secoli
di mezzo era appellato Lacus Comacinus , Infula Comacina .
Perché maffimamente da quella contrada fi prendevano una
volta i Muratori più abili ( e ne vengono anche oggidì ) però
venivano chiamati Magifìri Comacini . Noi tuttavia diamo
loro r onorevol titolo di Mafìri , o Maefìri . Parole fono di
Matteo Villani Lib. Vili. Cap. 58. della Storia. Tutti m afe hi
e fem-
V
.'»-
VENTESIMAQ.UARTA V 347
e femmine , piccoli e grandi vi furo?w per Maeflù , Manovali &c*
Per la fìefla ragione di proccurare il vitto a gli uomini non
mancò mai l'Arte neceflaria dell'Agricoltura, né fi defidera-
rono contadini e ortolani pratici del loro meniere, né gli Stru-
menti necefTarj a tal profeiTione . Nella Cronica del Volturno
all' Anno 775?. anche i Rullici vengano regalati del titolo di
Maeftri , leggendofi così in un Documento : Nane & Magi^
ftros , hoc eft Vtllayios , qui cum mannarias fuas foliti fueranp
in fuprafcripta Cune Magifterium facere , idejì Lupari &c. Da
Map'tjìerium ^ o d^ Minijìerium ^ è venuto il noih'o Mejiiere .
E qui a me lia lecito di ofiervare, che noi abbiam ricevuto
da i più antichi Secoli , e ritenerfi tuttavia dai coltivatori della
campagna varie forte di grani e legumi, che confervano l'an-
tico nome, ed altre, che l'hanno mutato , fino a trovarfi dif-
ficulta in ben combinarle colle mentovate da gli antichi Latini.
Fors' anche abbiam grano non conofciuto dai più remoti Seco-
li, quale appunto fi crede il chiamato da noi Frumentone^ da
i Milanefi Melgone^ e da altri Grano Turco ^ o Frumento Indiano ,
Maiz^ lo chiamano gì' Indiani . Imperciocché noi abbiamo del
Frumento g^offo e minuto , di cui anche fi truova menzione nel-
le vecchie Carte . Parimente abbiamo le Ipecie di varj grani
conlervanti l'antico lor nome , come i'Or:^o, Miglio^ Panico^
Fava^ Farro ^ Ceci di varie forte, Veccia^ oVe'Z7:a; del Kifo
appellato Orixa da i Latini ; la Cifercia chiamata anticamente
Cicercula ; i Fagiuoli di molte Ipecie * la Lente ^ la Segala chia-
mata da gli Antichi Siligo , fé s' ha da credere al Mattiolo ,
ripugnandovi lo Scaligero ; i Lupini , la Vena , e i Pifelli , co-
me fi chiamano in Roma àà Pifis della Lingua Latina. I Mo-
denefi appellano quefto legume Rudea^ di cui abbiamo un'al-
tra fpecie appellata da i noftri Villani e da gli SpagnuoU Ar-
veia , e da' Fiorentini Ruhigìia , voce che il Menagio mala-
mente trafie da Lupino ^ perchè probabilmente viene dall' £r-
villa di Varrone. Il Monaco di Bobbio, che circa l'Anno 5? 30.
fcriveva i Miracoli di San Colombano prefTo il Mabillone ne*
Secoli Bened. fcrive cosi : Legamen Pis ( leggo Pift ) quod Ru-
ft'tci Herbiliam vocant > Da Herbilia venne Ruhigìia j e i Mode-
nefi ne formarono Erw^//^, ^oicìa, Ervei a ^ o Arveia , Inoltre
noi abbiamo la Spelta^ chiamata da i Latini Zea . Altre forte
ancora poffediamo di Frumento , che fi pofiono credere note a
gli antichi Latini , giacché Columella e Plinio fcrivono efierci
Xx 2 fiati
^4^ Dissertazione
flati Tritici genera complurla . Ma non so dire, fé efil conobbe-
ro znchQ idi S e and eli a ^ h Melile a ^ '\\ Moco ( forfè £ri;;;'w antica-
mente) e il Sorgo , che fi femina nelle campagne di Verona e
Vicenza , ed altre fpecie da me non vedute , e che mi vien det-
to efiflere. S'incontrano preflb i Latini certi altri nomi di Legu-
mi, co'quali non è inverifimile che fieno difegnare quefle altre
fpecie . Trovò il Du-Cange in uno Strumento di Papa AlefTan-
dro III. prò Scandela Comltls XÌII. Solldos , ficcome altrove il
nome di Scandella , ma fenza intendere , di che fi parlaffe . E^
dunque la Scandella una forta di grano come la Vena, l'Orzo,
la Spelta, vcftito di una buccia terminante in due punte. Chia-
mafi anche da i Modenefi M/7r;^^/o//7, perchè fi femina nel Me-
fé di Marzo. Nel Libro di Agricoltura del Crefcenzio tradotto
in Italiano, fi leggeva : L Qr-zo MarTuolo ^ che a Bologna Jt chi a-
ma Marzolla , fi femina per tutto II Me/e di Marzo, Sentite la
bella fcala adoperata dal Menagio nelle Orig. della Lingua Ita-
liana MarSy Martls^ Marti t4S ^ Martlolus ^ Mardlolus ^ Marcio-
lus ^ Margolus^ Marcela ^ Margolla. Ma non c'è mai (lato M^r-
golla. Nella Traduzion del Crefcenzio fi avea da fcrivere Mar-
zola^ o Mar^uola ^ come tuttavia i Bolognefi e Modenefi chia-
mano quefto grano , che forfè è Hordeum Cantherlnimi , men-
tovato da gli antichi Scrittori Kel ru/ìica . Trovò in oltre ii
Du-Cange in una Carta di Papa Innocenzo IV. quefie parole :
In Frumento^ Hordeo ^ Faba ^ Mille a ^ Ò' alla Biava (noi col
nome di Biada abbracciamo ogni forta di grani e Legumi) Ò*
Legumlnlùus. Dubitò elfo valentuomo della voce 7kZ/7/c/7, e fog-
giunfe an Mlllum? Mas' ha ivi da leggere Milka ^ e non già
Mlllum ^ avendo egli dimenticato di avere fcritto altrove M/7/-
cam grani fpecìem ^ de qua pajjtm veteres Chartds Italica . II Mat-
tiolo (limò 5 effe re la Meli Ica Mlllum Indlcum , e pare che in
quella opinione concorrano le parole di Plinio . Chiamafi in
/ Tofcana Saggina. Certamente s'ingannò il Bauliino con altri ,
che immaginarono effere una (ieffa cofa hMelllca^ e il Sorgo.
Troppo diverfi fono ài forma e colore quefti due grani. Il Sorgo
forma i fuoi a guifa de'Ceci. Raterio Vefcovo di Verona circa
ottocento Anni fa nell'Opufc. de Monachls a^nar^datls preffo il
Dachery c'infegna, che il S'orbo era latinamente detto vS'j/r/cww
con dire : Mlllum tnodla decem ; de Surlco modi a decem ; de Vino
modla duodeclm . Effo dal Mattioli , le non m'inganno, vien
chiamato Frumentum Saracenlcum,
AVEK-
Ventesima q_u akt a ì 5^^^
Avendo parimente il fuddetto Du -Gange trovato in una
Carta del Re Defiderio rapportata dal Margarino , e in un'al-
tra ddla ContefTa Matilda la parola Oplum Albero , ftimò che
quello volefTe dire un Pioppo ; ma Oplus a gì' Italiani è Oppio ,
Albero al pari dell'Olmo adoperato per loflener leviti, e ben
diverfo da Populus . Ne fanno anche menzione Columella e
Plinio . Sono anche parole di V^arrone Libro I. Gap. 8. Ut Me-
diolanenft'S faciu?Jt in arboribus , quas vocant Opulos , Ghe poi
il Jonftono , il Bacchino , il Menagio ed altri Icrivano , eflere
y Oppio una fpecie di C^n-o , e lo regiftrino fra gli Alberi Nu-
ciferi 5 fanno ben conofcere di non aver mai veduto Oppj in
Italia. Dell'Agricoltura de' Secoli barbarici reflano molte me-
morie nelle pergamene di allora , dove fi affittano o fi conce-
dono a Livello terre . In uno Strumento Ferrarefe dell' An-
no 1083. fi l'^ge , doverfi pagare al Moniftero delle Mona-
che di San Silveftro : de Grano Ò' Sica ( vuol dire Sicala ) /";/
campo Capa quarta trahenda de area & tritolatum . Faba in area
Modio quarto . Ordeata in area Modio omnem alio tna/ori men-
fe a -minuto ( in altre Carte ho letto de omni alio ma/orimi-
7ie & minuto ) atque Legumina in area Modio fexto . Lino
wanna Jexta . Vino Amphora quarta . Duabus vi ci bus arbore pe-
éìo ponendo , Ò' dejìorcendo Ò'c. & Ji vineam plantaverim , da
ufquequo plantaverimus , ujque ad annis quinque , Ò' pofìea
rendere debeamus "oinum . Nelle Carte di Ravenna , alTaiffime
delle quali fi confervano nel!' Archivio Eftenfe , fovente (i
truovano tafìate quelle penfioni di frutti naturali . In una del
1 1 84. leggo cosi : Et reddere debeamus Terraticum de pradióìa
terra . De Grano & Segale quartam partem . Faba , & Tritico
quintam . Viiio tertiam partem : totum redditum tritulatum &
reóium per nos in Cajlro veflro Argenteo . In altra del 1123.
F>e Grano Jìarium unum , Ù' Gallinam unam , & de Lino gra-
mulato lefineo triginta fignum , & alia fervida vobis faccre
debeamus. In altra del 1174. fi veggono triginta brancata^ Li-
ni grammulati . E in una Carta di Landolfo Vefcovo di Fer-
rara, fcritta nel 11 od", debbono i Livellar) pagare 02.ni anno
Terraticum de Grano in campo Capam quartam . De Sic ale in campo
Capam quintam ^ trahendas ad aream & trituratas per vos peti-
torcs. De Faba in area medium quintum. De Mixtura ingranata y
& de Trijico , Mileo , & Panico , atque Lesu?nina in area modium
festum .
3^0 D l'S S E R T A Z I O N E
fextum , De Lino mn7ina . . . De Vino ampboram terttam» Duahus
vìcibus Arbore pe&o ponendo &€. Et prò vejìro Cafale dabitis an*
nualtter exjentum Pullum unum , & cva qu'mque , & operas tres
cum bovi bus ^ & operas tres cum mnnibus.
Quello che s' è detto de gli Agricoltori , dee anche dird
d'altre Arti neceffarie al vitto e comodo de' viventi, e d'altre
ancora fpettanti al loro diletto. Carlo M. in un (no Capitolare
dell'Anno 800. prefTo il Baluzio comanda, Ut unusquisque Ju-
dex ( cioè il Governatore delia Citta ) /;/ fuo mìnijìerio bonos
habeat Artìfices^ ìdejì Fabros Ferrarios^ & Aurìfices^ 'ucl Argen-
tm'ios^ SutDres^ Tornatores^ Carpentariosy Sci/jatores^Precatores^
AccipìtoreSy tdejì AuceUatores ^ Saponarios ^ Siceratos ^ ìdeji qui
cervijtam , vel pomarium , five pirr^tium &c. facere fcìant , Pi-
Jìores , Ket'iatores Ò'c. Ciò , che folamente mancava a molte
dell'Arti efercitate in que' Secoli ignoranti , era la leggiadria
e perfezione tifata da'Greci eRom.ani, e rinovata in quefti ul-
timi Secoli . Perefempio, fi fabbricarono facri Templi e cafe
in ogni tempo ; ma dappoiché cadde l'Italia in mano de' Bar-
bari, la loro barbarie pafsò anche nelle Fabbriche. Parche le
cafe baflaffero a contenere chi v'avea da abitare, foflero lavo-
rate con forte muro , fcala , e tetto , colle neceffarie camere,
il Maeftro avea fatto il fuo dovere . Ma quivi di rado fi of-
fervava quella proporzione diparti, quegli ornamenti , como-
di , ed altre prerogative , che fi truovano o^^gid'ì in tanti Pa-
lazzi e cafe s'i delle Citta , che delle Cafìella e Ville . A for-
mare edifizj fedi , ogni perfona alquanto addottrinata in quella
profeffione è atra ; ma a farli con fmimetria, con vaghezza, e
bel comparto di comodi, vi bifogna un'altra Arte, cioè quella
de gli Architetti. f-^Aa quefta s'era infiacchita di troppo in que*
rozzi tempi , né curavano punto i Barbari di ftudiare la nobil
Architettura Greca e Romana ; e però in vece di quefta fé ne
introduffe un'altra affai rozza e groffolana , che durò per più
Secoli non folo in Italia, ma anche in Germania, Francia, ed
altri nobili Regni d'Europa. Tale Architettura, ficcome ac-
cennai nel Cap. precedente, noi fiam foliti a chiamarla Go^/V/r,
ma fenza buon fondamento , perchè non apparifce , che dopo
la venuta de' Goti in Italia nel Secolo Serto fcadefìfe l'Architet-
tura in quefte contrade , né eh' ella foife allora diverfa dalla
Romana . Abbiamo anzi una buona teftimonianza del contra-
rio in Caffiodoro , il quale nel Lib. IV. Epift. 30. induce il Re
Teo-
Ventesimaq,uakta. 351
Tecderìco, che fcrive nella leguente forma ad Albino Patricio,
Ufide nos^ qui Urbem nitore cupimus fiibricarum furgentium com-
porli , facuhntem concedimus pojìulatam : ita tamen fi %-es aut
utilitati puhliccs non officit aut decori . ^apropter rebus fperatis
feciirus innitere , ut dignus KOMANIS fabricis habitator appa-
veat^ perfeHumque opus fuum laudet au6iorem . Nulla enim res
eft^ per quam melius pojjit ag?2ofci & prudentis ingenium , &
laraitatis ejfeBus. Ma più ditfulamente colla fiorita prodigalità
"del Ilio ftilc fi sfoga efib Caffiodoro nel Lib. VII. su quefto ar-
gomento , cola dove ci porge la Formola della cura del Pa-
lazzo alnum.V. e fcorre nelle lodi dell'Architettonica condi-
re fra l'altre cofe: ^uapropter quicquid ad te pertinet ^ ita de-
■^center ^ ita firmiter 'volinnus explicari ^ ut ab opere veterum fola
dtftet novitas fabricarum . In fatti non poche fabbriche , cioè
Templi ed opere pubbliche per ordine di Teoderico furono
fatte in Ravenna admirabili JìruBura^ come fcrive il RofTì nel-
la Storia di quella Citta, e lo conferma anche l'antico Scritto-
re Agnello nel Lib. Pontific. Altrettanto fece egli in Pavia. E
perciò con ragione l'Anonimo Valefiano il chiamò /imatorem
^fabricarum^ reJìauratoremCi'vitatum ^ coli' accennare i Palazzi-,
le Terme, gli Acquedotti, e gli Anfiteatri da lui fabbricati in
Ravenna, Verona, e Pavia. QjJelta medefima lode a lui fu da-
ta da Ennodio nel di lui Panegirico. Da che vien dunque, che
da noi fi attribuifce a i foli Goti la rozza Architettura per più
Secoli ufata in Italia?
Per tanto è da dire, che per inganno, e per altro abufo co-
minciarono i noftri Maggiori a chiamar Gotico tutto che avea
colore di barbarie e rozzezza , fìa tal difetto proceduto da i
Longobardi , o pure da i Franchi , o Germani . E veramente
regnando i Longobardi, gente mitica, e allevata lenza coltura
d'ingegno , l'Arti desinare al comodo e diletto de' mortali ,
patirono una non lieve Eclifli , né più fi vide quella leggiadria
e vaghezza , che compariva ne' cottumi , nelle Fabbriche , e
nelle azioni de' Romani dominanti. Non fi tralafciò già ne lot-
to i Longobardi , né lotto i Franchi di fare in Italia delle gran-
diofe fabbriche di Templi , Palazzi, e caie; ma non compa-
riva in effe quel buon gufto , e quella perfezione , che fi mi-
rava nelle antiche Romane e Greche . Avrei nondimeno vedu-
to io volontieri alcuni lor magnifici edifizj, fé il tempo non fé
gli aveffe ingoiati . Scrive Paolo Diacono Lib. V. -Gap. 34. che
Rode-
j52 Dissertazione
Rodclinda Regina , Moglie di Bertarido Re de' Longobardi ,
Baftlìcam Sanila Dei Genitricis extra muros Cì'vitatis Tkinenfts^
quce ad Perticas appellatur , Opere Mirabili condidip , ornamen'
thque mirijicis decoranti! . Anche il Re Liutprando , come rac-
conta il medefimo Storico Lib. VI. Cap. 58. In Olonna Juo prò-
hajìio , Miro Opere in honorem SanHi Anaflafti Martyris , Chri»
fio domicilium Jìatuit ^ in quo & Monajìerium fecit , Oh, dire-
te , a gli occhi di Paolo Longobardo dovettero parer mirabili
quelle fabbriche, tuttoché formate con goffa Architettura. Ma
Paolo Diacono, che avea veduto tante infigni antichità, tutta-
via confervate a'fuoitempi in Roma, potea ben giudicare, fé
foflero o non foffero maravigliole e lodevoli quelle de' Longo-
bardi. Fors' anche non mancava qualche Architetto, che pro-
fittaffe delle magnifiche e belle memorie di Roma. Lo Scritto-
re della Cronica del Volturno , defcrivendo la Bafilica fabbri-
cata dall' Abbate Giosuè, l'ammira colle feguenti parole : Cer-
te nos^ qui nu?2C 'videmus^ vel qui tunc illìs 'uidere temporibus ,,
fatis mirari non pojfumus illius Ecclejico magnitudiìiem vel pul-
critudinem in bis regionibus . Col tempo nondmieno prevalen-
do l'ignoranza anche in Roma , quivi fi fcemò di molto la
perizia della migliore Architettura, dimodoché volendo Defì-
dcrio infigne Abbate di Monte Cafino , che fu poi promoffo
al Pontificato Romano , fiibbricare nell'Anno 1066. una fun-
tuola Bafilica in elfo Monte Cafino, non prefe da Roma gli Ar-
chitetti e Maeftri; ma condu6lis protinus peritijjimis j^rtificibus
tam Amalphitnnis ^ quam & Lambardis^ àx jaHis inChriJìi no-
mine fundamentis , coepit ejusdem Bafilicóe fabricam. Così Leo-
ne Oftienie Lib.IIL Cap. 28. Chron. Cafin. il quale poi ci dk
la defcrizion di quel magnifico edifizio. Altre fabbriche in quei
medefimo Secolo XL e ne' fufleguenti , furono fatte sì profane
che facre con incredibili fpefe, gran fodezza , e copia ancora di
marmi. Sopra tutto fon da vedere certe Rocche, e Torri fab-
bricate dopo il Mille , e che fi fon falvate finora dalle ingiurie
de' tempi, nelle quali fi ammira l'altezza, lavadita, elagrof-
fezza de' muri ; ma nan gi'a la nobil delicatezza delle antiche
Fabbriche Romane. Gran magnificenza è quella del Duomo di
Milano , di San Marco di Venezia , della Certofa di Pavia , e
d'altri edifizj de' Secoli rozzi, e ne fiupifce l'occhio del volgo;
ma gli ftudiofi della migliore Architettura non truovano ivi
l'ordine , e la bellezza , che converrebbe , e fembrano loro
■ quelle
Ventesimaq.uarta. 355
quelle gran moli più torto caricate, che ornate d'ornamenti.
Lo fteflb è da dire del? Architettura della Germania , Francia ,
Inghilterra, e d'altri paefi della Criftianita d'Occidente, che
dapertutto leppe di barbaro. Però abbiamo a rallegrarci, che
da circa tre Secoli in qua col riforgimento delle Lettere è an-
che riforta la più lodevole Architettura, per opera maffimamen-
te de gì' ingegnofi Fiorentini, e di Giacomo Barocci da Vignola
mia Patria. Solamente farebbe da defiderare , che né pure fi
fprezzaflero varie nobili memorie de' Secoli rozzi, che reftano
in piedi : manca ad efle, è vero , la finezza Greca e Romana ;
ma non laiciano di fpirare una veneranda maeftìi e magnifi-
cenza .
Similmente fi vuole aggiugnere, che mai non perì la Mu-
fica in Italia. Il grave Canto Ecclefiaftico non folo a' tempi di
San Gregorio Magno, ma anche ne'precedenti Secoli fu adope-
rato dal Popolo Criftiano . Che anche fi ufafle qualche parte
della Mufica Cromatica ed Enharmonica , l'hanno provato uo-
mini eruditi. D'erta, oltre a i Greci, ci lafciarono precetti an-
che i Latini, cioè Santo Agoftino, Marziano Capella , Boezio ,
Cartiodoro , e Beda . Fu anche illuftrata la Mufica da Guido
Aretino circa il 1022. come fi oflervera al Cap. 43. a cui fi dee
aggiugnere Ermanno Contratto , che fiori circa l'Anno 1054.
e Conrtantmo Monaco Cafinenle perito d'erta Arte nel Secolo
medefimo . Né pure venne malmeno l'ufo delleCetere, del-
le tibie o pive, e d'altri Muficali Strumenti o di fiato o di cor-
de . Credefi , che lolamente nel Secolo Vili, e IX. veniflero
gl'Iraliani, e Franchi in cognizione de gli Organi dafiato, co-
me fi può dedurne dalla maraviglia che ne fecero, allorché fi-
mili ordigni furono portati in Francia a' tempi di Pippino, Car-
lo M. e Lodovico Pio , del che ho parlato nelle Annotazioni al
Poema di Ermoldo Nigello. E pure CalTiodoro e Santo Ifidoro
fanno menzione àt^iOrgnnì , Anzi Venanzio Fortunato , Poe-
ta Italiano paflato in Francia, nel Lib. II. Carm. io. ad CU-
rum Far'tftacum ^ pare che conofcerte gli Organi nella rtefifa Fran-
cia circa l'Anno 580. cioè tanto tempo prima del Re Pippino.
Scrive egli così :
Urne puer exiguis attemperata Organa camiis^
Inde Senex largam ruólat ab ore Tubaryj,
Cj/mbalic(£ voces calamis mtjcentur acut'ts ,
Dìfpar'tbusque tropi s Fijìnla àule e fonat &c*
Tomo L Yy E Gio-
354- Dissertazione
E Giona Italiano, Monaco di Bobbio, che fiorì nel Secolo me-
defimo di Venanzio lortiinaro , ntlla Prefazione alla Vita di
San Colombano , Ieri ve : Plerosque Organi fcilicep , Pjnherii ,
Cythara melos nures opplttas , mollìs Ja^pe Anjenx modulamini
aud'itum accoymnodare . Ecco i Muiicali Strunriend di quc' tem-
pi . Ma noi non lappiam bene , c^ual cola fodero gli Organi
accennati da Fortunato e Giona . Forie erano picciole Filtule
o Siringhe , compofte Cannìs exiguis^ come ularono i Greci ,
fonate colla bocca, eperòdiverfi da gli Organi portati in Fran-
cia da i Greci. In fatti fi Icorge che il fabbricarli non fi fape-
va fé non da elfi Greci nel Secolo Vili, e eh' effi cuftodivano
con gelofia quefto fegreto. Ma Giorgio Prete Veneziano, aven-
dolo ad efli rubato, lo portò all'lmperadore Lodovico Pio , co-
me notarono gli Annali de' Franchi all' Anno 82^. Ma che
prima di quel tempo lapefiTero i Romani fonar gli Organi, pa-
re, che fi polfa inferire dal Monaco Engolismenle nella Vita di
Carlo M. all' Anno 787. preffo il Du-Chefne . Vo' rapportar
tutto quel paflb, affinchè s'intenda quanto allora follerò eccel-
lenti nella facra Mufica i Romani. Era in quell'Anno ito a
Roma quel rinomato Monarca , e in tale occafione Orfa eft
co?itentio inter Cantores Komanorum & Gallorum . D'icebant Je
Galli meltus catitare Ù' pulcrius quam Romani . Dìcebant je Ro-
mani doBiJJìme cantihnas Ecclejiajìicas prof erre &c. Galli Ro-
manis exprobrabant : hi cantra appellabant eos Jìultos , rujìicos ,
Ù' indoóios ; i>eluf bruta animali a affìrmabant y & do6ìrinam
Sanali Gregorii prcefereb ant rujìicitati eorum . Più lotto aggiugne :
Omnes Francia Cantores didicerunt Notarn Romanam ^ quam nunc
K)oca7ìt Notam Francifcam~ excepto quod tremulas ( vuol dire i
Trilli ) vel tinnulas , Jive collijibiles , 'vel fecabiles njoces (, forfè
vuol fignificare il Diefis e il B. molle ) in cantu non poterant
perfeóle exprìmere Pratici naturali voce barbarica^ frangentes in
gutture voces porius quam exprifnentes &c. Finalmente aggiu-
gne : Similiter erudierunt Romani Cantores fupradiHi Cantores
Fra?icorum in arte Organandi . Se s*ha da attendere l'autorità
di quefto Monaco , e le le lue parole indicano il faper lonare
l'Organo, non iiìara falda l'opinione del P. Mabillone, che ne
gli Annali Bened. all' Anno 757. fcrive : Organorum ufum fub
jìnem Seculi IX, apud Italos ex Germania Primum acceptum fuif-
fc colligimus ex Epijìola Johannis Papce Vili, ad Atmonem Epi-
fcopum Friftngenjem, Le parole di quello Papa prelfo il Baluzio
Mi-
VENTESIMAQ.UARTA. j55
Mircellan. Lib. V. Precamur ^utem , ut optimum Orga?ium cum
Artifice , qui hoc mocìerari , & facere ad omnem modulat'ton'ts ef'
jicaciam pojfit ^ ad i?iJìru6lionem Mujìcce Dìfciprm<je^ ìiobis ^ut de-
feraSy a ut mittas.
M A effendo paffata tanta famigliarità e pratica fra i Roma-
ni e i Greci dominanti per tanto tempo in Roma , appena fi
può credere, che si tardi folfe introdotto ne' Templi Romani
l'ufo de gli Organi. Perchè i migliori Artefici di tali Macchi-
ne fi trovavano allora in Germania , come avviene anche og-
gidì, e che meglio fapeano fonar d'Oigano, però il Pontefice
ne defiderò uno : dal che non fi può con ficurezza inferire, che
prima non avefle Roma adoperati gli Organi. Ho anche offer-
vato, che Publio Optaziano Porfirio, che fiori fotto Coiiantino
Magno circa l'Anno 322. nel fuo Panegirico in verfi dati in
luce dal Veliero , fi fa chiaramente menzione de gli Organi ,
che fi fonavano co' mantici . Né fi dee tacere aver creduto il
Du- Gange, avere avuto la Chiefa di Verona l'ufo de gli Or-
gani , vivente Carlo M. perchè in due Strumenti di quel tem-
po fi truova Porta Orga?n . Ma che una Porta avefle tal de-
nominazione, e fi può anche ap,giugnere, che ivi appreffo fof-
fe fabbricato il Moniftero Sanìlcs Marid; ad Ovganum : nulla ha
quello che fare con gli Organi delle Chiefe . Oltre di che gli
antichi fotto nome d'Or^^;?/ comprefero tutti gli ftrumentìMu-
ficali . Anzi alcune Macchine da Guerra venivano chiamate
Organi ^ per atteftato di Vitruvio, che fcrive nel Lib.X. Gap. i.
Inter Mac hìnas & Organa id videtur ejfe difcrimen^ quodMa-
cbince ò'c. Organa vero unius ope ^ itti fcorpiones verfantur. Fi-
nalmente , lecondo la tellimonianza di Golumella , Organi fi.
chiamavano alcuni Strumenti da mifurare . Vedi Lib. lìl. Ga-
pit. 13. E però non lappiamo , perchè quella foffe appellata
Porta Organi, Se poi la Mufica di molte voci nella fteffa difcor-
dia confonanti , che chiamiamo Contrapunto , coltivata oggidì
con grande fludio , foffe praticata da gli antichi , lafcerò diipii-
tarne al Meibomio , allo Zarlino, all'Angelini, e ad altri. Fu
di parere il Kirchero Geluita nella Mulurgia Tom. I. Lib. V.
che Guido Areti?7us autor etiam fuit Inflrumentoruyyi polyplcBo-
rum^ uti Ju?itClavicfmbala ^ clavichordia ^ ftmiliaque : quod&
ipja Dedicatoria innuit , dum ad catituni adhibuit Monochordum
quoddam harmonice conJìruMum , Ex quibus concludo^ Guidonem
e^titijje Inventar em polyphonce Mufica; , quum ante ejus tem-
Y y 2 pora
356 Dissertazione
por a ex nulJ'is Veterum monur/ientis pojjit colltgi ^ id ^enusMuJtcce
apud Veteres fidijfe in ufu . Anche l'Angelini Perugino adottò
qiiefta opinione . A me non tocca di giudicarne . Solamente ag-
gingnerò una particolarità, cioè che Giovanni Sarisberienfe circa
l'Anno 1170. nel Lib. I. Gap. ^. Pohcrat. fi duole della Mufica
de' fuoi tempi come molle e lufTureggiante, che fi ufava nelle
Chiefe. Ipfum (die' egli) cultum Keligionis incejìat ^ quod ante
confpeBum Domini in ipfis penetralibus SnnHuarii , lafcivientis
'vocis luxu ^ quadam oJìe7itatione Jui ^ muliebribus modis^ nofarum
anicolorumque cafuris Jìupe?2tes animulas emollire nifunfur. ^umn
pracinentium ^ & fuccine?itium ^ canentium^ & decinenrium ^ in-
tercinentium , &" occinentium prde}yìolles Modulationes audieris:
Sirenarum concenms credas ejfe &c. Ea ftquidem ejì afcendendi
defcendendique facilìtaSy eajeóìio^ njel geminatio notularum ^ e a
replica fio articulorum , ftngulorumque cojijolidatio , Jìc acuta , njel
/tcutijjima gravibus & Jubgravibus temperantur ^ ut auribus fui ju-
diciiftibtrabanfrau6loritas&c. Se tali parole fignifichino, come
pare, la Mufica figurata , ne rimetto la decifione a chi s'inten-
de di SI fatti (ludj, ed ama l'Erudizione . Ma che av^rebbe det-
to il Sarisberienfe, fé aveife udita la Mufica de' noflri rem. pi ?
Per qualche Secolo dopo Guido Aretino fu ben lontana la Mu-
fica dalla Scienza e perfezione d'oggid'i, tanto nel Canto, che
re' Suoni. Nel Secolo XV. cominciò effa ad effere coltivata , e
fempre più crefcendo è giunta allo fiato prefente, in cui ammi-
riamo con iftupore e diletto il mirabil concerto di tante voci e
Strumenti. Ma forfè non è tanto da rallegrarfi di taleacquiflo.
Abbiam lafciata la Mufica virile e grave de gli antichi, e fofti-
tuitane un'altra, che afpira la mollezza, l'effemminatezza, e
la corrutela de'coftumi. Non mi occorre dirne di più.
Vengo alla Pittura. La perizia infigne de' Greci in ella è efal-
tata da gli antichi, e da loro palsò a'Romani. Poco ne re f la a
noi per poter ben giudicare di tante lodi e miracoli de i quali
parla il Giunio de Pi6ÌMra veferum. Recano nuliadimeno tante
Statue, Medaglie, Cammei, baffi Rilievi, ed altri pezzi di anti-
chità con tale fquifitezza di lavoro formati, che dilìi fi può con
fondamento argomentare, qual foffe anche la loro eccellenza
nel dipignere : giacché pafia tanta fratellanza fra la Pittura e
Scoltura. Ma da che fi fcaricò la piena delle Nazioni barbariche
in Italia, quell'Arte, e infieme la Statuaria , diedero un fiero
crollo, pochi efercitandole, e auefti perlopiù anche sgraziata-
mente .
^^
Ventesima q.u art à ", 357
mente . Per altro niun tempo ci fu fenza Pittori . Teodelinda
Regina de'Longobardi circa l'Anno 5^2. ìnMonzs. fuumPala-
fium co7ìdidìf^ in quo aliqutd & de Lnngobardorum geftis depìngi
fecif. Ermoldo Nigello nel Poema de Ge/i. Ludov. Pn Lib. IV.
delcrive il Palazzo e Tempio d'Inghelheim fabbricati da Car-
lo M. e le cofe ivi dipinte , fecondo lui, pi6ÌMra tnftgìi't,
Inclyta gefta Dei , jeries memora?ida Virorum
PiBura inftgtn quo relegenda patent *
Cosi Giovanni VII. Papa per atteftato di Anaftafio circa l'An-
no 'J06, Fecit Imagtnes per diverfas Ecclejias , quas quicumque
nojje defidcrat , in eìs ejus njultum depi6ium reperìet . Enfilicam
ìtemque SrtnHdC Dct Genitricìs ^ qu^e antiqua njocatur^ pittura de-
coravit. Anche il Pontefice Gregorio III. ìqcq dipigncre la Chie-
fa di Santa Maria d'Aquiro . E Papa Zacheria in Lateranenfi
Patriarchio fecìt triclinium ^ quod &c. & piHura ornarvi t. Tra-
lafcio altri pafii , e ripeto, che in ogni Secolo fi trovarono Pit-
tori e Scultori; ma quali, Dio ve lo dica. Né già fi perde VAr-
te del Difegno. Si truovano Monete e Sigilli de' Secoli barbarici,
dove miriamo -ben efpreffe le telte de gi' Imperadori . Cosi vi
erano bajfi Rilievi , Immagini formate d'oro e d'argento , e
ne parla iovente il fuddetto Anaftafio Bibliotecario, Si vede an-
che menzionato Opus interrajile ^ che non so fé voglia fignificare
l'incidere figure, come ne' Sigilli. OiTerviamo ancora che fino al
Mille durò in molti Luoghi ìàCaligrafia^ o vopliam dire la buona
e viRola Scrittura, come fi può vedere in molti Diplomi , Bolle,
e Codici allora ferini. Dopo il Mille peggiorò la maniera di fcri-
vere : del che fan fede molti marmi e Libri fcritti a penna con
abbreviature, e caratteri sformati, che fenza ragione chiamia-
mo Gotici. Statue e baffi Rilievi in alcune Citta, e particolar-
mente in Roma, furono fatti con tollerabili lavori; in altri Luo-
ghi muovono arilo. La conclufione è, che folamente nel Se-
colo XIV. cominciarono quelle Arti ad alzare alquanto la te-
ila , e crefcendo fempre più ne' luiTeguenti , fon pervenute a
quella perfezione, che oggi miriamo.
Non fi dee perquefto negare a' Secoli rozzi, di aver coltivata
FArte di:' Miifaici . Un pezzo ha, che quella non è conoiciuta, e
molto men praticata, le ne eccettui Roma e Venezia, che a'nc-
llri tempi l'hanno rifufcitata, e con tal vantaggio , che i lor la*
vori fi laiciano di molto indietro quei de s,li Antichi. Si fegnalò
anche per quella cura il Pontefice Clemente XI. imitato poi
da'
:558 Dissertazione
da'Succeflbri, mirandofi ora con iftupore gì' infigni nuovi Mu-
laici della Baiìlica Vaticana . Ma ne' vecchi Secoli in Roma ,
Ravenna, Milano, Monte Cafino , e in altri Luoghi fi trova-
vano Maeftri di quelt' Arte , che lafciarono varie memorie ,
tuttavia confervate ed efi (tenti . Dlverjìs colorìbus 7ni?2utisque
"ohreislapHlis^ fulvo auro JtipeneBìs ^ opere Maufoleo ( leggi Mu-
feo^ o Mtiftleo ) fu ornata la Chiefa di San Giovanni Batiita in
Siponto da San Lorenzo Vefcovo di quella Citta , come s' ha
dalla (uà Vita prefTo il Bollando al dì 7. di Febbraio . Nota
quel vttrets lapillh ^ perchè v'ha Mufaici compofti con pezzi
minutifflmi di vetro colorato, come i luddetti moderni di Ro-
ma ; ed altri formati con piccioliffimi pezzi di marmo di varj
colori. Ora con gran diligenza fu elercitata quei'F Arte da gli
antichi Romani. PrtlTo il Propoflo Gori Lib. i. Gap. 8. fi leg-
ge un' Ifcrizione in cui è nominata Camera OPERE MVSEO
exornata. Se ne fa menzione da gli Scrittori della Storia Augu-
ra , e molto più da Anaftafio nelle Vite de i Papi . Cos'i nel
Secolo VL Papa Simmaco Canthanim Beati Petrì cum quadrt-
port'icu marmoriùus or/iavit^ & ex Mufeo agnos & cruces & pai-
mas 0Y7ìai:'tt. Nel Secolo VII. Onorio Primo Papa fecìt Ahfidam
Bajllicdo Bf^atds Aguetìs ex Miifiho . Severino fuo Succefibre re-
72ov^vit Ahfidam Beati Petri Apoftolt ex Mujìvo, Sergio I. Mw-
finji.m , qnod ex parte \n fronte Atrtt BajiliCde Salvator is fuerat
diYutum , i?7novavìt . Giovanni VII. nel Secolo ottavo fabbricò
un Oratorio , cujus parietes Muftvo dt'p'mx'jt . Perciocché fotto
nome di Pittura venivano anche i Mufaici , e con ragione .
Ma qui mi ferma Leone Oilienfe, che iembra negare a que'
Secoli la gloria diqueft'Arte, con direLib. HI. Gap. 25?. del-
la Cronica , che Defiderio Abbate di Monte Cailno volendo
ornare di Mufaici la nuova fua Bafìlica , ne chiamò Artefici ,
non da Roma , ma bens'i da Coilantinopoli nell' Anno 1070.
Ecco le lue parole: Legatos interea Confi a7ìtinopoHm ad Iccandos
Artiflces defìinat^ peritos p.tique Ì7i Arte Muffo aria ^ & ^iadra-
taria . Ex quibus videlicet alti Ahfidam , & arcum , atque ve-
fììbulum majoris Bafilicce Mufivo comerent &c. Più fotto aggiu-
gne • ^^arum Artium tunc ei deftinati Magifri , cujus perfe^lio-
}iis fiert7Jt^ in eorum efì operihus exifcimari ; quum Ù* in Miifivo
animatas feras autumet quisque Figuratas , & quaque virentia
cernere , Ò' in marmoribus omìjtgeììum colorum flores pulcra pH-
tet dìverfitate vernare. Ecco Opere di que' tempi degne anche
delle
Ventesima q.u a r t a . 559
delle nodre lodi. Vien commendato ancora l'Abbate Defide-
rio , perchè j^rtium ijìarum ìnge?ìium a ^uingenris 6" ultra
jam Anriis magijìra Lat'mitas intermiferap , & Jìudio hujus , hi-
fpjranpe Ò' cooperante Deo iiojìro , hoc tempore recuperare prome-
ruity ne Jane tei ultra Italia; deperirety Jluduit vir totius pruden-
za , plerosque de Mona/ìerìi pueris dtl'tgenter etsdem Artibus
erudiri . Ma come , o buon Leone , da cinquecento e più Anni
perduta in Italia l'Arte de' Mulaici ? Una frotta di teftimonj
ho io in pronto da opporti . Prima di farlo , lentiamo come
r Abbate Angelo dalla Noce iilultri nelle Annotazioni quello
paffo. Scite ^ die' egli, a ^ingentis & ultra ^ nempe a tempo-
re Theoderici , qui omnes bonas Artes eliminavit ab Italia , qua-
rum ipfa Magi/ira fuerat : Goffamente in vero ; perciocché ,
come abbiam gi^ fatto toccar con mano , Teoderico a tutto
potere conferve e fomentò le buone Arti in Italia; né occorre
iopra ciò aggiugnere altro.
Che poi per molti Secoli dopo Teoderico durafTe in quefte
Provincie la profefiion dc'Mufaici, oltre a gli efempli accenna-
ti lo confermeranno i feguenti. MalTimiano Arcivelcovo di Ra-
venna dopo Teoderico, ficcome abbiamo da Agnello nella fua
Vita , Ecclejìam adificavit beati Stephani a fundamentis mira
jnagnitudine &c. Ad latera ipjius Baftlicce Monafleria parva Jub-
/unxity qua omnia ncuis Tejfellis auratis^ Jìmulque promifcuìs
aliis calci infixis mirabiliter apparefjt . Con egual cura Agnello
Arcivelcovo di quella Citta riltorò la Chiela di San Martino ,
qua vocatur Ccelum aureum , & parietes de imaginibus Martp'um
Virginumque TeJJellis decoravit , & pavimentum Lithofiratis
mire compofuit . Ecco i Muiaici di vetro e di marmo. Gli ul-
timi erano chiamati Lithojìrata . Quello Tempio l'avea fab-
bricato da' fondamenti il Re Teoderico , come il medefimo
Agnello atterta, il quale anche nella Vita dell* Arci vefcovo Pie-
tro feniore feri ve d'aver veduto in Pavia Palatium Thederici^
& Tribunalis Cameras Tejfellis ornatas . Colla in oltre , che
nella {leffa Citta di Ravenna , imperando Giulliniano Primo ,
e il Secondo , i Templi di Santo Apollinare, vtrcchio e nuovo,
e di Santa Maria in Cofmedin furono ornati di Mufaici, eque-
fli fi mantengono ancora oggidì . D' altri parla Agnello , ed
aliai pili Roma ne conferva, la maggior parte de' quali fu rac-
colta, e illullrata da Monfig.Ciampini . Anzi fipuòdire, che
in ninno di que' Secoli Roma fu priva di tal Arte ; e fpezial-
mente
jó'o Dissertazione
mente fi mirano tuttavia i lavori fatti per ordine di Adriano I.
Leone III. e Palquale I. Circa poi l'Anno 848. Papa Leone IV.
intra BaftVtcam beati Petri Apojìol't Oraculum mìrce pulcrìtudin'ts
jummique decoris conjìruxìp , quod pulcris marmoribus circmn-
dans fple?jdide comftt ; abftdamque ejus ex Mujivo , auveo /uper-
Ì7ìdu8o colore^ glorifice decoravh . Del pari Benedetto III. Pa-
pa circa l'Anno 85^. abjìdam majorem Ecclejics Beata: Dei Ge-
fiitricis trans Tiberini erexit ad meliorem Jìatum : fenejìras 'vero
'vitreis coloribus , & piólura Mufivi decoravif . Se reltafiero le
Vite de' luffeguenti Pontefici, forle ne troveremmo altri elem-
pii. Di iopra vedemmo eretta da Liutprando Re de' Longobar-
di la Bafilica di Santo Anaftafio indonna circa l'Anno 725.
o più tardi, miro opere , Ma ivi ancora Ipiccavano gli ornamen-
ti di Mutaico , come apparifce da un' licrizione del Grutero
pag. 11^8. ch'è la feguente :
Ecce domus Domini perpulcbro condita textu
Emicat^ & vario fulget diJìinBa metallo^
Marmerà cui pretioja dedit , Mufeumque , Columnas &c.
Ci fon Letterati , che riferifcono tale Ifcrizione alla Chiefa
di Santo Anaftafio di Roma, e fra gli altri il Du-Cange alla
voce Mufeum : con errore manifefto ; perchè fabbricatore di
quel Tempio è chiaramente appellato LE VTBR AND VS, fic-
come ancor vide il Cardinal Baronio. Anche in Milano la Ba-
filica Ambrofiana ci fa vedere un Mulaico fatto circa 1' An-
no 83^. nel luo Coro. Ne moftra parimente la Cattedrale di
Capoa un altro, compiuto circa l'Anno 5?oo. Leggefiivi: Vi-
treum dedit Ugo decorem . Penìa il Du-Cange , chetali parole
indichino le vetriate delle jinejìre . Non farebbe (lata cofa de-
gna di menzione. Vo' credendo 10, che vi fi parli di Muiaico,
formato con pezzolini di vetro di varj colori . Da Pietro Man-
lio, che circa l'Anno 11 70. trattava della Bafilica Vaticana,
vien mentovata Baftl ic a SanBi Angeli mirifico Mujtbo laqueata
Auro & Vitro, E di qua vien luce ad Apollinare Sidonio, che
nel Lib. IL Epift. io. deicrive lo Scuruolo della Bafiiica di Lione
€on dire :
Et fub njerjìcolorihus figuris
Vernans herbida crufla^ faphyratos
Ele^iìp per prajinum Vitrum laptllos,
'-. . Ange»
Ventesìmaq^uarta^ 35r
Angelo dalla Noce, commentando l'Odienfe, ci fa fapere,M^
fi'vuìn opus ex jeBilihv.s parvisque ^uarii coloris cruftis Ò" lapìHh
compaHum & tejjdlatum , omne genus imagtnum repraeft-ntare .
Sembra, ch'egli non conofcefle il Mufaico di vetro. Di quello
parla Agnello nella Vita di MafTimiano Arciveicovo di Raven-
na con lodare la Chiefa di Santo Stefano da lui fabbricata, e
ornata in gyro ìnirificc Opere Vitreo . Truovanfi ancora in Aquis-
grana, e in altri Luoghi della Francia Mufaici fatti prima del
Mille . Abbiam fatta menzione de' Lhboflraù , cioè de' pavi-
menti fatti a Mufaico con pezzolini di marmo di varj colori.
In Roma in quelli ultimi tempi le n' è trovato un pezzo , che
mi vien fuppofto di mirabil delicatezza e perfezione. Per quan-
to racconta Tangmaro nella Vita di Berwardo Vefcovo d' Hil-
desheim Gap. V. egli Mujìvum in pavimentis ornmidis ftudium
propria indujìria , nullo mo?zJìrante , coynpcjuit . E l'Anonimo
Salernitano, che fioriva circa l'Anno 855. n^' Paralipom. da
me dati alla luce di Bernardo Vefcovo di Salerno , racconta ,
che Ecclejtnm inibì mir^e pulchrttudinis conjìrui fecìt , & pa-
'vimenrum par'vulis TeJJ^ellis tn 'vario colore componi jujpp . An-
che l'Aulico Ticinenie Gap. 11. de Land. Papice le ri ve : Plures
Ecclejtds pavitnentum habent minufis Lapillis Jìratum .^ es quibus
per diverjos colores HiJIoriales imagines & Litera funt jormatce .
Probabilmente quell'Arte non venne mai meno in Italia ne*
Secoli barbarici , e però molti vaghi Lithoftrati fi mirano in
Ruma e Venezia . Il pavimento del Goro della Cattedrale di
Tnvijii ha q ledo ornamento, e una licrizione poco fa fcoper-
ta lo djce compiuto neh' Anno 1 141.
Plana pavimenti Jic ars variavit Liberti
Impenfas ( Cives ) reddebant T ar'vijì^ni .
Sarforium opus fu chiamato quello lavoro da gli Antichi. Ne
parlano CalTiodoro , Gregorio Turoncnfe , ed altri. Leggiadri
fon due verfì di Ennodio Lib. II. Carm.^^i.
Unam de variis fpeciem componere frujìis
^mÌ potuity faxutn duxit in obfequium ,
Ecco dunque, fé avefle ragione fOllienfe di fcrivere, che da
cinque cento anni e più fino al 1070. in Occidente fifolfe fmar-
rita l'Arte de' Mufaici . Noi per i'infigne progreffo, che haii
fatto l'Arti in quelli ultimi Secoli j ci figuriamo 5 che i Secoli
Tomo L Zz bar-
352 Dissertazione
barbarici giacelTero in un' eftrema ftupidita ed ignoranza , e
fofìero privi d'ogni nobile ornamento. Ma né pure allora man-
cò 1* ingegno, e molte Arti fi coltivavano affai bene. Fors' an-
che aveano qualche Segreto , che a noi manca oggidì . A que-
llo propofito ho io pubblicato un curiofo pezzo dell'Antichità
barbarica, tratto da un Codice deli' infigne Capitolo de' Cano-
nici di Lucca , che il P. Mabiilone tanto per la forma de' ca-
ratteri , che per le Vite de' Papi terminate in Adriano I. giu-
dicò appartenere a i tempi di Carlo M. Quel Latino è fcurif-
fimo per tante voci ftraniere, forfè accrelciute dall'ignoranza
dello Scrittore ; e vi fi lente in molti luoghi anche la Lingua
Volgare d'allora. Trattafi ivi della tintura de*Mufaici, delle
Pelli Sic, della maniera d'indorare il Ferro ed altri Metalli;
di fcrivere con oro ; di varie Decozioni , e di fimili altri ufi e
Segreti di que' tempi. Io metterò qu'i Iblamente alcuni pochi
di que' Titoli. De finito omnium Mujlvorum , De inorattone Mu^
fiborum , De Mojìbum de Argento» De Smurettas tabuJas, Deco-
tto Plumbì . De Pelle altthina tìnguere . De ùn^iio Pellis Prajt-
nis , TinBio oJJ^uorum ., & omnium cornoriim ^ & omnium ligìio-
rum . De Petalo auri . De Ferrum deaurare . De Jila aurea fa-
cere. Chrffographia. Jnauratio Pellis . ^Juomod eramen in colo'
re auri transmv.tetur . De Crifocollon . De compojìtione auri - pie-
menti . De Littargirium . De tióìio petalorum . De compojttio Cin-
nabarim &c. Non ho io veduta Icrittura de' Secoli remoti ove
fi fenta più l'andamento della nollra Lingua Italiana . E di
qui poi ricaviamo , che i Secoli barbarici ebbero più docu-
menti dell' Arti di quel che crediamo . Non lappiamo , fin
dove fi flendeffe il loro fapere ed indufiria , perchè o fon pe-
rite le loro Memorie, o poche ne fcriffero per l'ignoranza del-
le Lettere . Il fuddetto celebre Abbate di Monte Cafino Defi-
derio non folamente proccurò di rimettere in Italia l' Arte de*
Mufaici, come fcrive l'Odienfe Lib. III. Cap. 25?. Sed & de
omnibus artificiis^ quacumque ex auro^ vel argento^ cere ^ ferro y
'vitro y ebore y ligno^ gipfo-^ 'vel lapide patrari pojfunt ^ JìudioJìJ-
Jimos prorfus Artifìces de fuis Jìbi paravit . Si può credere, che
in cialcuna di tali Arti anche anticamente non mancaffero Ar-
tefici valenti e di buon gufio. Leone III. Papa, fecondochè s'ha
da Anadafio , circa l'Anno 802. Juxta Ecclejiam Beati Petrt
Apojìoli fecit in Triclinio majori Mira' Pulcritudinis decoritam
Apfidem de Muftvo ornatam ; & Abftdas duas destra hvaque
fuper
VeNTESIMAQ_UARTA. j'^j
fupev marmore & pi5lura [plendentes , Il meclefimo Pontefice
feneftr^s Eccleftós Beati Apoflolì Fault M'iva: Pulcritudints ex me-
tallo cypftno decoravit &c, Fecit C^yborium cum Columnis fuis
fuper Altare Mirce Magììitudinis & Fulcrhud'wis decoratum , ex
Ar pento purijjimo , penjans Libras duo m'tlla & quindecim . • E
a propofiro di Orefici ed Argentieri, che in que' Secoli ancora
ve ne tblTero de gli eccellenti, che nobili fatture formavano di
que' metalli , po^jam provarlo coli' autorità di Lupo Abbate
Ferrarienle in Francia nel Secolo Nono. Cosi egli icrive nell'
Epifl. 2 2. Veftram op'tnatijjìmam flagtto liberaìttatem^ vt duos
nojìros famulos a vcftris F abris^ quos PentiJJimos vos h abere lon-
gè late que Fama vulgavit , Auri & Argenti operibus erudivi
jubeatis .
Chiunque legge le Vite de' Romani Pontefici nella Raccolta
di Anaftafio , vi truova innumerabili lavorieri d'Oro e d'Ar-
gento cosi lodati, chealmen fi può credere, che aveflero qual-
che pregio d'eccellenza , come Immagini di Santi , Lampadi ,
Calici, Corone, ed altri Vafi delcritti come opere di mirabil
artificio. Per efempio itca Leone III. fabbricare l'Immagine
di San Pietro Apojìolorum Prtncipis in Porta Virorum , ex Auro
purijjimo , & gemmis PretioJtJJimis Mira Magnitudims & Ful-
cri tudinis^ penjantem Libras decem & novem & uncias tres. In
oltre In Baftltca Salvatoris^ qua: appellatur Confìantiniana , fe-
cit Cyborium cum columnellis juis quatuor ex Argento purijjimo ^
dtverfts depióìum Hijìoriis ^ cum cancellis & columnellis fuis Mi-
ra Magnitudmis & Pulcritudinis decoratum , qua penfabaut jì-
mul Libras mille ducentas viginti feptem . Altrettanto fi legge
di Papa Palquale L e d'altri Sommi Pontefici , ch'io tralaicio .
Ma non fi vuol già ommettere ciò, che Icrive Eginardo in fine
della Vita di Carlo M. colle feguenti parole : Inter ceteros the-
fauros atque pecuniam tres Menjas argenteas , & auream unam
pracipua Magnitudinisy & ponderi s ejje conjìat , De quibusjìa-
tuit atque decrcvit ^ ut una ex eis y qua forma quadranpula de-
fcriptiofiem Urbis Con/ìantinopolitana continet , in^er cetera do-
narla , qua ad hoc deputata funt , Komam ad Bajìlicam boati
Petri Apofioli deferatur . Et altera , qua forma rotunda , Ro-
mana Urbis effigie inftgnita cft , Epifcopo Ravennatis Ecchjta
co?2feratur. Tertiam^ qua ceferis & operis Pulchritudijte ^ & pon-
deris gravitate multum excelltt , qua ex tribus orbibus connexa ^
totius Mundi dejcriptionem jubttli ac. minuta jiguratione comple-
Z. z 2 ^itur ,
3^4. Dissertazione
H/Vw , Ò' dure^m ìllam , qucs quarta effe d't^a eft ^ hi ten'tce il-
lius ^ & inter heredes fuos^ atque hi eleemofynam dtvìdetìdce par-
tìs ej]e confthii'tt , La preziofita del metallo fece guerra a que-
fìi lavori 5 né li lafciò pervenire a i polìeri . Varrebbono una
Citta, fé avelTero potuto confervarfi fino a' di noftri; e noi pro-
babilmente troveremmo di che ammirare l'indufìria di quegli
-Artefici, oltre al piacere di mirare in s\ bel pezzo d'antichità
la Topografia di quelle Imperiali Citta , e delle parti del Mon-
do d'allora. So che fi dira, efìfere fembrati maravigliofi qne'la-
vorieri a gli occhi di que' tempi, avvezzi ad un gallo barba-
rico ; né io intendo di foftenere , che in eifi comparifTe quel
vago dilegno, ordine e finezza, per cui furono s'i commendate
1' opere de' Greci e Romani antichi . Ma né tu pure potrai
pretendere , che non potelTero anche allora ufcir delle mani
di quegli Artefici delle fatture eccellenti, e maffimamente in
Roma, dove prima del Mille efiftevano tanti più monumenti
che oggidì, della bella antichità ne' Templi , nelle Cafe , ne'
Sepolcri , ne' vafi , fiatue , pitture , Mulaici , vetri , marmi ,
colonne , ed altre opere di fquifito lavoro , le quali poteano
fervir di modello agl'induliriofi Artidi d'allora. Nella maggior
parte dell'altre Citta fi può ben temere, che foiTe perita l'idea
della vera maefta , leggiadria , e bellezza . Si può anche ag-
giugnere , che alcune Arti mantenute con onore fino al Mil-
le, andaffero da li innanzi fcadendo per cagione delle tante ri-
voluzioni e guerre civili, che iconvoHero l'Italia. Noi trovia-
mo molta rozzezza ne' marmi , nelle Fabbriche , e nelle mo-
nete dopo il Secolo X. Dell' Arte di teflere , e delle opere di
lana e (età parleremo nel Cap. leguente.
In tanto merita rifleffione , che anche ne' Secoli barbarici fio-
rirono ingegni tali capaci di trovar nuove invenzioni . Ne ac-
cennerò io alcune poche , potendofi anche foipettare , che di
altre o fia perito l'ufo, o per difetto di Scrittori fé ne ignori
l'origine . Riferirò io nel Cap. XLIII. l'Epitaffio di l^acifico
Arcidiacono di Verona , mancato di Vita nell'Anno 84(5. Fra
gli altri luoi meriti fi legge il feguente.
Horologtum noBurnum ?iullus aripe njlderaf,
En invenit argumentwm ^ Ù' primus jundaverat ,
ìiorologioque carme?! jpera Cxlt optimum ,
Plura alia Grajìaque prudens mvenìut ,
Pare
Ventesima q.u art a . 355
Pare ftrano, che l'Autore di quella Ifcrizione affermi non ef-
fe rfi prima di quel tempo veduto Orologio notturno ; perciocché
quafi un Secolo prima, cioè circa l'Anno di Criflo 758. Paolo
Romano Pontefice, come fi raccoglie dall' Epi(h 25. del Codice
Carolino, aveva inviato a Pippino Re di Francia Horologium
7w6iurnum . Forfè il Veronefe fu di altra forma , e di maggior
perfezione; ma non per quedo l'invenzione era affatto nuo-
va, ed ignota a i tempi precedenti. Cola poi fignificafiero al-
lora col nome di Orologio da notte , non ardirei io di determi-
narlo. Se qui fi voleffero indicar gli Orologi, che con ruote di
ferro moffe da contrapefi , battendo una Campana indicaiTero
l'ore: perchè chiamarli A7b^/-wrw/, quando fanno lo fteffo ufizio
anche di giorno ? Ne gli Annah di Bologna dame dati alla lu-
ce troviamo, che nell'Anno 135(5. fu pofto nella Torre pub-
blica di quella Citta un Orologio , la cui campana battuta an-
nunziava l'Ore; e quejìo fu il primo Orologio ^ che comi?iciaJfe
inni a fonare per lo Comun di Bologna. Predo le private perfone
molto prima fi ufavano fomiglianti Orinoli. Dante nelCap. 24.
àt\ Paradiib accenna quei ch'erano moifi da ruote . Se cosi an-
tico ne foffe fiato l'uio, non fi sa intendere , perchè si tardi ne
aveffero profittato leCittk. Creder forfè fi potrebbe , che il Ve-
ronefe foffe Orologio da polve o da acqua , da cui l'ore della
notte fi moftraffero o col lume della lucerna, o col tocco di qual-
che cainpanella. Ma fé gli attribuivano il battere, di nuovo fi
chiede, perchè fi appellaffe Notturno, quando avca da battere
anche di giorno ? Ne gli Annali de' Franchi all' Anno %oy, fi leg-
ge, che Aaron Re di Perfia inviò in dono a Carlo M. Horologium
ex Auricalcho arte mechanica co?jfc6lum , in quo duodecim horarum
curfus ad Clepfydram vertebatur^ cum totidem areis pilulis ^ quds
ad co7nple6lionem horarum decidebant ^ & cafu fio fub/e^um fi-
hi cymbalum tinnire faciehant. Se fu una Clepjìdra ^ pare che
foffe Orologio da acqua , o pure da polve ; ma non fu certo
da mettere con gli Orologi da noi ora ufati . Per atteftato del
P. Mabillone l'Anonimo Autore del Libro intitolato KegulaMa-
giftri fiori prima dell'Anno 700. In quel Lib. Cap. 54. fi leg-
ge : Cum ad'vcnìffe divinam horam percujfus in Oratorio Indes
monfra'verit . Cap. 55. Cum fonuerit Index . Parole tali tembra-
no denotare Oiolon,io, che batteva l'ore. Che l'invenzione
della Buffola nautica colla calamita fia da attribuire più to-
(lo ad un Giovanni da Amalfi , che ad Inglefi o fiammin-
^66 Dissertazione
ghi , l'infegnano Scrittori eruditi, cioè Flavio Biondo, il Paler-
mitano, rOrtellio, ed altri . Penfano alcuni ciò accaduto nel
1302. ma non mancano motivi di credere, che verfo la me-
ta del Secolo precedente , ed anche prima , folle noto quefto
mirabile ed utiliflimo arcano della Natura. Non iftarò io a ram-
mentare la celebratifTmia Invenzione della Stampa , e T altra
maravigliofa infieme e diabolica della Polve da fuoco , perchè
fcoperte de gli ultimi Secoli, e nate fuori d'Italia.
Quanto all'Arte di far il Vetro , non (olamente gl'Italia-
ni, ma anche i Franzefi anticamente la conobbero e pratica-
rono. Abbiamo la teftimonianza di Beda , che il Santo Abbate
Benedetto Bifcopo circa l'Anno (58o. miftt Legatarìos Galliam^
qui 'vitr'f fa6lores , ^rtifices 'vldehcet Brìpannis eatenus incognì-
tos^ ad cancellandas Ecclejìas ^ porticuumque & coenaculorum ejus
feneflras addv.cerent . Fa6lumque eft , & vcfierunt . Nec folum
-pojìulatum opus comphverunt , fed Ò' AngJorum ex eo gcntem
hvjusmod't Artific'ium nojje ac dijcere fecerunt . Della maniera
di far il Vetro vien parlato ancora nel lopraccennato antichif-
fimo Codice Luccheie, dove fi contengono varj Segreti del Se-
colo VIII. Pier Damiano Icrive nella Vita di Sant'Odilone, che
gli fu donato da Arrigo Primo fra gì' Imperadori Vas holonjL
treum rjalde pret'tOjfum , & Ahxnndrtn't operis arte compojitum ,
Più di fotto egli rammenta Vitrea njafcula analypha fvfilitate
ccelata . Dilettaronfi gli antichi Romani , e fopra tutto i Cri-
fliani de i Vetri dipinti , il quale argomento chi defidera di
vederlo dottamente trattato, vegga un Libro del Senator Fio-
rentino Filippo Bonaroti , che raccolfe molti bei frammenti
dell'antichità Criftiana. Son anche da vedere gli altri Scrittori,
che hanno illudrate le Catacombe Romane. Per moltiilìmi Se-
coli fi continuò il dipignere i Vetri delle fineftre delle Chiefe,
e tuttavia in alcune d'effe antiche fi truovano confervati. Og-
gidì non fi mira praticato un tale ornamento. Dì quelli parla
Anaflafio Bibliotecario con dire , che Leone III. Papa circa
l'Anno 802 e Feneflras de ahfida Brifilica; Conflaì2tÌ7iian(S e s Vi-
tro di'uerjis colori bus conclujit atque decoravit . Oltre a i Vetri
fu ne gli antichi tempi ancora lodato 1' ulo de gli Speculari ,
col mezzo de' quali, come fi fa oggidì con ladre quadre o ro-
tonde di vetro, era tramandata la luce, e difefi i Templi dall'
aria eflerna e dal freddo . Lapis Specularis troviamo appellata
quella pietra da Plinio Lib. 35. Cap. 22. dove fcrive : FacHio-
re
Ventesima QUARTA. 357
re multo natura findìtur vi quamlibet tenuem cruflam . Da' Mo-
denefi è chiamata Scatola j Talco ^ ed è lo fleflb che il GefTo,
di cui né pure mancano a noi le miniere . Perciò quelle fine-
fìre, che prefib gli Scrittori de* Secoli rozzi iono appellate G/-
»yè.'^, confirtevano \-\t'Ìuààttx.ì Speculari ^ de' quali ha parlato a
lungo il Salmafio fopra Solino . Leone Oftienie nel Libro III.
Gap. 33. OlTervò Feneftras 'vitro tam g}'pfo ^ quam plumho in-
fignitcr laboratas . E nel Gap. 34. Fencjìras^ qucs in porti cibm
junt ^ gypf^^^ quidem ^ pari vero decore cofijìruxit . Preffo i PP.
Gapuccini profeirori della povertà le ne truovano efempli .
Sappiamo che la più remota antichità ebbe in ufo gli Spec-
chi , e quell'Arte non è mai venuta meno . Ma la fabbrica
d'eflì forie per più Secoli in Italia non la praticò fé non l'in-
clita Citta di Venezia . S'è poi in queiri ultimi tempi dilata-
ta per altri paefi. Siamo anche tenuti ad un Gentiluomo Vene-
to, cioè a Marco Polo, per effere flato il primo a darci raggua-
glio del vallo e fioritiffimo Imperio della Cina , ficcome al Co-
lombo, e ad Americo Velpucci per la fcoperta deli' Indie Occi-
dentali, o fia dell'America.
Dell' induflria ancora de'Secoli barbarici ci può effere buon
teflimonio Galvano Fiamma Milanefe dell'Ordine de' Predica-
tori , il quale fiorì nel 1340. Scrive egH cosi in un Opufcolo
da me dato alla luce . Anno MCCCXLf. Ò'c. fub Dominio duo-
rum Fratrum ex Vtcecomitibus^ 'ue77erabilis Johannis Epifcopi No-
njarienfts , & nobilis Militis Luchini de Vicecomitibus . In Civi-
tate per Domiìios duce no'vitates funt inchoatce. Prima e fi ^ quod
adinvenerunt facere Molendiìia , qucs non aqua aut vento cir-
cumferuntur , fed per pondera contra pondera , ftcut folet fieri
in Horologiis ( il che fa conofcere, che era triviale l'ufo degli
Orologi da ruote ) & funt ibi rotce multa; , & artificia fubti-
lia multum . Et non ejì opus , 72ÌJÌ unius pueri . Et moliunt con-
tinue quatuor modios tritici molitura optima ntmis . Nec um-
quam in Italia tale opus fuit adinventum , licet per multos an-
nos exquijìtum . Secunda rìovitas fuit , quod adinvenerunt face-
re in Ticinello navigium . Et fuerunt ilice naves diBde Gan^er-
Y(je . Et portat una navis qutngentos , vel fexcentos hommes Ar-
matos. Et junt nimis utiles prò Cornmunitate Mediai ani , quia
pojfunt ire ufque Venetias^ & vifitare Civitates pofttas fuperTi-
cinum^ &Padum^ & in Lacu Majori . Pojfunt etiam hojlibus
inferre damna plurima , C^ vi6lualia deferre aìnicis . Sunt ijìce
Gan^
3^8 Dissertazione
Gan:^rrce naves magnce , habentes prò qualìhet quhìquaginta rei
mos vel circher. Et fuiìt communitce ajjer'tbus incircuitu cum bath-
fred'is^ &machims^ cum maxìmis velis, Nec potuitTicinellus ip-
fas transducere , quantumcumque ingurgttatus ; fed cum cnmellis
& altìs ìnftrumentts oportutt ipfas conduci ufque ad Lacum Majc^
rem . In un altro Capitolo cosi icrive il fuddetto Fiamma. Itcm
alias nobiles & laudabiles confuefudines adinvenerunt pradiHi Do-
mini Civitatis ; & aliquas jnm inchoatas per [uos praedecejfores re-
pererunf . Videlicet quod equos emtjfarios equabus magnis commi-
jcuerunt ; & procreati funt in Jiojìro territorio Dextrarii nobiles^
qui in magno pretio habentur . Item canes Alanos altee flaturde
& mirabilis fortitudinis nutrire Jìuduerunt . Et cuniculis Cajìra^
& Civitates repleverunt , Item racemi verìi acini truncis inferti
'uinum vernacinum infertum producunt . Panni de ferico & de au-
ro fubtili artificio texuntur. Et plura alia mirabilia opera &novi-
tates laudabiles introduólce ejfe dignofcuntur *
Giuste conietture ancora ci iono per credere dovuta a i Se-
coli barbarici 1' invenzion de gli Occhiali di vetro . Non fono
certamente mancati Eruditi , a' quali è fembrato di trovare
preflb gii antichi Romani uno Strumento tale da aiutare la vi-
fìa ; ma a dubbiofi o rovinofi fondamenti s' appoggia la loro
opinione. Il Reinefio, il Pitifco , ed altri , per avere offervata
nel Grutero un' Ifcrizione , dove è nominato un Faber Orula-
riarius^ o più tofto Orw//?;;;/^, s'avvitarono, che quelli foffe un
fabbricator d'Occhiali. Ma è fcura quella voce ; e per me ten-
go, non altro fignifìcar eiTa che chi formava de gli Occhi da
appendere ne' Templi per la ricuperata fanita de gli Occhi ;
o pure da mettere nelle Statue de gli Dii . Gli Egizziani in
oltre, come riferifce Clemente Alelfandrino Lib. IV. Stromar.
mettevano in elfi Templi de gli Occhi d'oro e d'argento per
fignificare Deum omnia videre . Preffo il Propofto Gori Tom.I.
Inlcript. Florent. pag. 40^. in un marmo fi legge
M. RAPILIVS OCVLOS
REPOSVIT STATVIS
Giovanni Sarisberienfe in pruova di tale ufanza cita Cècilio
Balbo Scrittore dell'antica Roma . Altri per aver trovato Con-
jpicillum in Plauto, hanno tofto immaginato, che vi fi parli
d'Occhiali, lenza badare, che il medefimo Poeta ne' Fram-
menti
Ventesima Q.UARTA. ^6p
menti elice: Jn Confpicillo adfervabam^ cioè nella Specula. Ro-
berto Stefano cita quell'altro verfo come di Plauto.
Vitrum cedo : necejje ejì Confpicillo mi .
Ma nell'Opere di Plauto io non trova quefto verfo . Il Furc>
tiere , e il Menagio adducono un Verlo Greco di Autore viven-
te nel II 50. Cioè parlando de' Medici:
Intuentur autem excrementa per Vitrum,
Ma non badarono eflì , che il Du-Cange citando quefto verfo
nel GlofiTario Greco, lo tradulTe cosi : Infpiciunp excrementa cum
Urints . Sicché non v* ha prova alcuna de gli Occhiali prelTo.
^li antichi ; e quando pure ne aveflero avuto Tufo, è impoffì-
bile, che nelle Commedie, in Marziale, nelle Satire, o in altri
Libri non le ne foffe fatta parola, o fi fofle Icherzato lopra tal
ufo. Per confeguente dee prevalere la fentenza di Francefco Re-
di Medico dottilTimo , che ne attribuifce l'Invenzione al fine
del Secolo XIII. Ne' Sermoni MSti di Fra Giordano da Rivalto,
morto nel 1311. fi iegge : Non è ancora vent anni , che fi tra-
l'ò rArte di fare gli Occhiali , che fanno 'veder bene : che è una
delle migliori Arti , e delle più necejfarie , che '/ Mondo abbia .
E in una Cronica Pifana di Fra Domenico Peccioli fi parla ài
un Fra Alelfandro Spina, il quale terminò i fuoi giorni nel 1313.
Frater Alexander Spina Pifanus manibus Juis quidqiiid 'ooluijfet
operabatur , ac caritate vióius aliis communicabat . Unde cum
tempore ilio Quidam Vitrea Specilla , quae Oculari a 'vulgus ap-
pellat , primus adinvenìjfet , pulcro fané ^ utili , ac novo inven-
to^ neminique vellet Artem ipfam confciendi communtcare : hic
bonus vir & Artifex , illis vijis , Jìatim nullo docente didicit , ac
alias , qui fcire voluerunt docuit Ù'c. ìiullam prorfus manualium
Artium ignoravit . Ma un altro Letterato , cioè Domenico Ma-
ria Manni Fiorentino, avendo prefo a trattar quefto Argomen-
to con efattezza maggiore, pretende dovuta l'invenzion degli
Occhiali a Salvino Figlio di Armato de gli Armati Fiorentino ,
il quale nel 1317. fece fine al tuo vivere.
Tomo L A a a Dell*
y]o Dissertazione
Dell' Arte del Tejfere , e delle Vejì't de Secoli ro":^ .
DISSERTAZIONE VENTESIMA QUINTA.
i j i
NUlla. s'è detto finqui dell'Arte del Teffere dopo la de-
clinazione del Romano Imperio , e iolo in fuggire s'è
parlato di alcune Vefli de gli antichi. Conviene ora loddisfare
in qualche maniera a tale argomento , Ancor queft' Arte è di
quelle, che ficcome necefiarie al genere umano, nonfipoffono
far perdere da alcuna calamita , e iempre dureranno . Dopo
l'infanzia del Mondo fempre furono in ufo le tele di Bamba-
gia e di Lino ; non so dire fé anche fatte di canape, come og-
gidì fi pratica in parecchie parti d'Italia. Parimente quelle di
Lana non mancarono mai . Ulpiano nella /. Ve/ìis ff, de auro
Argento Icrive : Vejìimerìtonim Junt omnia latzea^ lineaque^vel
[erica ^ vel bombucina. E^ ora da vedere, le ne' Secoli barbarici
follerò ulate le tele di ieta , che oggidì chiamiamo Drappi",
Qjìeria Voce fi truova anche preffo gli Scrittori della Latinità
di mezzo , come ofiervò il Du-Cange . Ora non è da mettere
in dubbio , fé i Greci e Romani ben conofceffero la vaghezza
delle tele di feta , e fé i Nobili Romani, e fopra tutto le ric-
che Matrone fé ne addobbalfero. Una quiftione lolamente s'in-
contra, cioè feVergilio Lib. 2. Georgicor. v. 121. collo fcrivere
Velleraque defaliis depe&anf tenui a Scres ;
e Plinio Seniore parlando nella fiefìfa guifa , abbiano colla vo-
ce SérÌ€mn voluto folamente difegnare la tela di Bambagia ; o
quel eh' è più verifimile, fi fieno ingannati, almeno Vergilio,
in credere , che W Sericum fi traefle dalla lanugine di alcuni
Alberi o Piante ( quale in fatti fi cava il Cottone^ o fia ìì Bam-
bagia ) e fi filaife poi in fottiliifimi fili . Intorno a ciò è da ve-
dere la Cerda fopra Vergilio, il Salmafio lopra Solino, per ta-
cer altri Valentuomini. Ho eccettuato Plinio , perchè a lui non
furono ignoti i Bachi o Vermi da Seta, del lavoro de' quali fi
formavano tele di gran prezzo . Stabile fentenza è poi , che
mentre fiori l'Imperio Romano, l'Arte di produrre e tefiere
la Seta, fu propria e rilerbata dell'Indie Orientali, dove tut-
tavia ha gran voga, ed anche de'Cinefi , come periuaclono le
con-
VENTESIMAQ.UINTA. ^y l
conietture . Però qualunque Drappo o vefte di Seta era in ufo
prefTo i Greci e Romani , dalle Iole contrade luddette per via
della Perfia e dell'Egitto veniva portata . Celebre è la manie-
ra, e il tempo, in cui fu traiportata per la prima volta queft'
Arte in Grecia ; e l'abbiamo da Procopio Lib. IV. Cap.17. ^/^
Bello Gothko. Cioè venuti dall'Indie poco fa accennate alcu-
ni Monaci a Coftantinopoli , vi portarono uova di Vermi da
Seta , e infegnarono come s' aveano a covare , come da nu-
trire i Vermi , e tirar la Seta da i lor Bozzoli , o fia FoUicel-
li . Sicché dopo l'Anno 550. fi piantò in Grecia l'Arte della
Seta , e dilatori poi felicemente per que' paefi . Ma in qual
tempo paffalTe la medefima in Italia , niun monumento finora
m'ò caduto fotto gli occhi , che ce ne avvifi . Truovo io bensì
in un Capitolare di Carlo M. dove tratta delle Ville Regali, e
nel Breviario delle cofe Fifcali del medefimo Augullo mentova-
ti Mormvoj, cioè gli Alberi da noi appellati Mori , e da' Fran-
zefi Meuriers , ma fenza faper dire , fé della lor foglia fi nun
trifTero Bachi .
QjJEL che ora s'ha da ricordare, è l'avere Ricobaldo , co-
me abbiam veduto nel Cap. precedente , fatto fapere , che i
noftri Italiani fino alla meta del Secolo XIII. viffero con tal
parfimonia, per non dire mefchinita, che contenti di veftire
p;inni e tele triviali, abborrivano ogni Lufib , anzi né pur fa-
peano cofa egli fofle . Parole tali lem brano dire, che in Italia
fino a que' tempi o non fi conofcevano velli di Seta , ed altre
preziofe tele , o pure che gì' Italiani le lafciavano volentieri
ad altre Nazioni amanti dello sfarzo e delle delizie . Ma non
per quefto s' hanno a credere cos\ rozzi e nemici del LufTo que*
Secoli. A buon conto anche in Italia chi non era cieco, foven-
te potea mirare i piì^ delicati lavori di Seta, che fervivano di
ornamento alle Chiefe e alle facre funzioni. PrefTo il folpiAna-
ftafio nelle Vite de' Romani Pontefici ne fon frequenti gli efeni-
pli , e truovanfi ancora nomi tali di que' Drappi, che difficil-
mente ora fi pofibno ipiegare. Vegganfi per efempio le azioni
di Papa Paiquale I. che lafi fulla Cattedra di San Pietro neh'
Anno 817. Egli donò alla Chieia de' Santi Procefib e Martinia-
no vela de fundato cum per'tclyji de blatt'tn c'trcuynjutn . Q_ue-
fta Per'tclyfts de hlattin è un orlo o contorno di tela cremefi
o porpurea. Perciocché in que' Secoli era molto in ufo il Ver-
miglio chiamato B/^/^^. Similmente il medefimo Pontefice fe-
A a a 2 eh
J72 Dissertazione
cif ve/lem de Cbrffocìnvo cum di'uerfis hijlorih mlrce magnhudl-
nis & pulcrttudi?i'ts , Più fot to obtulit alìamveflem cbryfoclavam
ex auro gemmisque confeBam , habentem hijìoriam Virginum
cum facibus acceyifn mirifice comtam . Con egual munificenza
fecit veflem de Jìaurnce habentem pavones ; & "jeflem auro tex-
tnm ; & coopertorium rubeum de ferko . Aggiugne quello Sto-
rico : Fecif 'uela de quadruplo qu'tnque , & vela Tj/ria duo ,
OfFen parimente ad un altro Tempio Vejìem de Blatt'm By-
:z^ntea y & vejìem de fundato alith'mo , habentem tn c'trcu'ttu
perìclyjin de olovero , & vejìem de fundato porphfretico . Al-
trove ricorda vejìem de fundato Prajtno j vela holoferica , &
pannimi Alexandrinum mirifice decoratum . Cosi nella Vita di
Papa Leone I V. rammenta tria vela de Spanifco &c, Velum
acupiólile ^ hahens hominis effigie m fedentis fuper pavonem unum
Ù'c. Vela ex auro texta , bah enti a hijìoriam beati Petri Apojìo-
li . Anche Stefano V. Papa verfo il fine del Secolo IX. fece
vela quatuor in circuitu Altaris majoris , quorum duo funt de
ferico Pigacio , tertium pavonatile , quartum de Alexandrino ,
crnatum totum in circuitu de olovero Ù'c. Parimente donò vela
ferica de Blattin Byz^antea quattuor , duo ex bis aquitata , &
duo de b a fili f ci . Si può con ragione credere, e maffimamen-
te indicandolo varj nomi , che la maggior parte di quefti
Drappi veniffe dall* Egitto , dalla Soria , e da Coftantinopo-
li ; ma non è improbabile, che alcuni ancora folTero fabbri-
cati in Italia.
Di qui eziandio apparifce , che allora fi tefievano tele è\
Seta con fili d' oro framifchiati , che ora chiamiamo Braca-
ti * Abbiam veduto preffo Anaflafio pallium aurotextile , Quei
che fono da lui appellati Cbryfoclava ed Auroclava non ardi-
rei chiamarli con Papia Purpuras auratas . Furono probabil-
mente pezzi di tela d'oro , che a guifa di bottoncini , rofet-
te , cerchietti , fi cucivano fopra altra tela . Sono altrove no-
minati vela linea auroclava . Particolarmente quefti Clavi fi.
mettevano ne i lembi delle vefti . Intorno al fignificato di que-
fta voce fi truova difputa fra gli Eruditi . Lalciamo loro la
cura di deciderla . S' incontrano ancpra piBa vejìes , e fi fi-
gurerà todo il Lettore , che fi parli di velli , dove il pennel-
lo aveffe con varj colori dipinte varie (torie , e figure ; né io
oferei foflenere , che non vi foffero anche difimilitele. Ben-
sì aggiungo , che ordinariamente al pi^i^e fi fottintende acu ,
cioè
Ventesima Q.UINTA. 373
cioè vefti 'PJcamafe . Imperciocché anche ne' Secoli barbarici
fu praticato di molto il Ricamo .
- - - - Babilonica pi&a fnperbe
Testa Semiramidis qu(S varia?ifur acu :
Sono parole di Marziale . Abbiamo veduto di fopra Velum
acupiMc , ed altrove s* incontra la medefima voce . Nella
Cronica di Farfa fi fa menzione della Corte di San Benedet-
to in Selvapiana , tibi fuip antiquitus Congregano Aìicillarum ,
qua Opere Plumario ornamenta Ecclejiarum laborabant . Nel-
le Annotazioni io peniai, che non folamente ^o^q qui accen-
nato il Ricamo , ma anche ornamenti da Chiefa formati con
Piume di uccelli di diverfi colori . In fatti Prudenzio in Ha-
marr. num. 2c?3. ha i feguenti verfi.
Hunc videas lafcivas prapete curftt
Venantem tunicas : avium quoque verjìcolorum
Indumeuta novis testentem plumea telis»
Aggiungafi Seneca, che nell'EpirtoIa pi. fcrive : Avium più-
mce in ujum 'uejìis conferuntur . Ma fi dee ftabihre, che Più-
marium Opus propriamente fignifica il Ricamo , ficcomc av-
vertii il Turnebo Adverlar. Lib. XI. Cap. 25. con dire : Plu-
mandi ^ texendi a quibusdam ^ ab aliis acu pingendi exponitur .
Et Jane videri poteft prò acu pingere interdum accipi , ut ab
Hieronfmo . Species tamen quondam proprie efl acu pingendi , cum
davi , aut patagja , aut Jegmenta , aut fcutulce , aut teJfell(S ,
Jic alióè aliis ajJuimtUY , ut plumam avium referatit . Ampia-
mente ancora tratta di qued' Arte il Salmafio fopra Vopi-
fco 5 e penCa , Plumia effe omne id , quod in vejìibus Piuma-
ria arte intextum erat , Jive ejfent tabulds , five ejfent Orbi-
culi , vel Rotae . Prefìb Petronio s' incontra Plumatum Babf-
lonicum ^ e poco fa abbiam veduto, che ornamenti tali fi fa-
cevano coir ago . Da Procopio Lib. de JEdific. è menziona-
ta Tunica ferie a aureis ornamentis undique dijìin6la , qua Plu-
mia dicere jolent . E in una Carta del loip. fi legge Altaria
linea opere Plumnrio tria . Contuttociò pare , che diverte Ar-
ti fofiero Opus Phrygtum , cioè il Ricamo^ dappoiché nella Re-
gola di S. Ceiario fi legge: Plumaria^Ù' Acupi6iura^&omne po^
lymi-
374 Dissertazione
Jymitum &c\ fìumquam in Monajìerio flant. Ma in favore del
Ricamo ferve un paffo di Pietro Comeftore , il quale fiori nel
1172. e fopra il Gap. 2<5. dell' Elodo cos'i fcrive dell'Opera
Plumaria. Piuma ^ die' egli , Lingua quadam Acus dicitur^ fci-
licet j^gfptiorum , quorum funt diverfa Lingua , Jicu^ Gracco-
rum . Hoc genus veli vulgo Dijìratum dtcttur , quaji bis /ira-
tum » Prima enim fip tela^ cut cum acu opere manuali fuhfter-
nuntur piHuraiiones . Sunf qui dicunt Opus Plumarium a fimi-
litudine avium , quibus Juperaddua plumnrum varietas . Idem
Opus dicitur etiam Polf-mitum , Forle quclf ulrirno non fuffiile,
perchè Polymita verilimilmente prelcro dalla teifitura la va-
rietà de' colori.
Merita qui d'entrare in campo un paffo di Aldhelmo Ve-
fcovo de'Saflbni Occidentali della Bretagna nel Lib. de Laud.
Virgin, Gap. 6, fioriva quello Autore circa fAnno <58o. e T
Opera fua è inferita nella Biblioth. Patrum . Siquidem ( cosi
egli parla ) cortinartmi Jìve Jìragidarum testura , 7ìijì pannicu-
la purpureis , immo diverjìs colorum varietatibus fucafa , inter
dejifa filorum Jìamifia ultro citroque decurrant ^ Ù' Arte Piuma-
ria omne testrinum Opus diverjìs imaginum tboracibus perornenf^
fed uniformi coloris fuco Jlgillatim confeHa fherit : liquet pro-
feto,, quomodo nec oculorum ohtutibus jucunda , nec pulcherimce
venujìati formofa videbitur . Non fi dee qui tralaiciare , che
Monfig. Fontanini Gomment. ad Dijcum Chriftianum Gap. 17.
loda quello palfo con dire: SanHus Aldhelmus morem fua ceta-
tis in hujusmodi orbiculatis vejìibus contexendis fugillat , Jiequs
vllo paóio in Virgìnibus probat . Polcia vien recando le parole
d'elfo Aldhelmo iecondo la nuova edizione, da lui creduta più
purgata, fatta da Arrigo Wharton, nella leguente forma: Cor-
tinarum five fìragularum testura non paucula purpureis , immo
diverfis colorum varietatibus fucata , inter detija filorum /lami-
na ultro citroque decurrant.^ & Arte Plumaria omne Textrinum
opus diverfts Imaginibus Thoraciculis perornent . Ma il Fontani-
ni vide tutto Toppofto di quello, che Aldhelmo intele di di-
re ; e il Wharton non emendò, ma guadò la vera di lui fcrit-
tura. Ghiaramente fi fcorge la mente di Aldhelmo , dove di-
ce , folam Virginitatis prarogativam fine ceterarum adjumento
Virtutum non juffìcere ad perfeBionem ; ma effere neceffario ,
ut muhimoda mandatorum Varietate decenter decoretur. Reca di
poi l'clempio della tela, con cui fi formavano i cortinaggi ed
altri
Ve N T ES l M A Q,U 1 N T A. 375
altri addobbi de' facri Templi, dicendo ch'effa tela nonlolo fi
fa per mezzo di varj licci dai teffuori colla vaghezza didiver-
fi colori, ma eziandio coVi Arts Pi um aria ^ o fia del Ricamo,
viene ornata ài Scudetti (Cl/peos li chiamavano anche gli an-
tichi ) rapprefentanti varie Immagini ♦ Perciocché le la tela
fi forma (Te uniformi colore^ non farebbe tanto ftimata, né tanto
piacere recherebbe a gli occhi di chi la mira. Un ìogno è dun-
que del Fontanini il dire, che Aldhelmo biafima l'Arte di tef-
iere , e dovea anche dire di Ricamar quelle velli, e ladilap-
prova affatto nelle Vergini . Ebbe quel Santo Vefcovo davanti
a oli occhi San Girolamo, che in non so quale Epift. deCaJìit,
fcì-njanda Icrive : Afìitit Regina a dextris ejus circumdata Va-
vietate : qua 'vejìe Polfrnita ( cioè di varj colori ) & multarum
Virtutum njarietate contenta indutus fiùt & Jofeph ^ & Regum
quondam utebantur filice , Né dovea iiWarthon invece, di nijì
panniculcs leggere nel teflo d'Aldhelmo non pauculce ^ mutando a
fuo capriccio quelle parole. Perciocché Panicula^ o più tofto Pa-
nucula , fignifica la Spuola ( Rhadius preflb i Latini ) che ca-
rica del filo teflitore Iborre per l'orditura della tela . Santolfi-
doro Lib. i^. Gap. 25?. Panucla ( cosi fcrive ) diófce ^ quod ev;
iis panni texantur j ipfce enim difcurrunt pertelam. Perciò dal-
le parole di Aldhelmo iembra apparire , che l'Arte Plumaria
confiikffe nelf ornare colf ago la tela, aggiugnendovi figure di
varie forte lavorate con diverfi colori . Tale il Gramarico Pa-
pia crede che foffe la 5'^r/7^w/^. Stragulum^ die e^ìì^ ^ejìis dif-
color Plumario opere faóìa , Ma forie Stragula anche fi appellò
la tela di varj colori , benché non Ricamata. Ne' Codici anti-
chi fi truovano talvolta dipinte le Immagini de' Principi , co-
me è una Bibbia infìgne conlervata da i Monaci Benedettini in
Roma. Miranfi ivi le figure di Carlo Re de' Franchi (non fi
sa fé del Magno o del Calvo ) e della Regina con vefti orna-
te di Ricamo. Che nel Secolo VI. non fi laicialfero gl'Italiani
torre la mano da alcuno in quelf^a profeffione, può comprovarfi
coir autorità di Agnello nella Vita di Maffimiano Arcivefcovo
di Ravenna , il quale efalta Endothin byjjìnam pretioftjftmam
illius jujfu fa6lam . ^uis ftmilem njidere potutt ? Non poteji
aliter aftimare ipfas imagines^ aut beflias ^ aut voliicres ^ qua ibi
jn6la; funt , ntjì quod in carne omnes 'viva Jìnt . Qiial foffe an-
cora anticamente la perizia degl'Ingiefi in si fatte manifattu-
re, ce lo dira l'Autore Gejlor, Cuilielmi Regis ^ cioè del Con-
quida-
^yó Dissertazione
quiftatore . Anglica nationis ( fono fue parole ) femlna muhum
acu & ami textura ^ egregie viri in omni njalent artificio. Però
fu rinomato Opus Anglicum ^ come s'ha da Leone Oltienfe Ljb.2.
Gap. 35. della Cronica Cafinenle.
Ebbero parimente gli antichi s\ Greci che Romani le Ta-
peT^i^erie o Cia i Tapeti ^ adoperati Ipezialmente ne* Templi , e
ne' Palazzi Regali. Non faprei dire, le in Italia, o in Europa,
fé ne fabbricaflero , cioè teflcfTero con figure d'uomini, beltie ,
alberi, e fimili cofe . Efamini chi vuole quel verlo di Vergilio
Lib.III. verf. 25. Geòrgie.
Purpurea intesti tollant Auleta Britanni,
Certamente preflb i Popoli dell' Afia ve n'erano, come anche
oggidì, numerofe le officine. Noi li domandiamo ^r^:^:^/ dal-
la Citta di ArafTo in Fiandra, dove ne\Secoli addietro con gran
felicità fé ne facea la fabbrica . Così Duagio fi appellava una
tela o panno fabbricato nell' altra Citta Belgica di Douay ; e
noi abbiam dato il nome di Dama/co ad una tela di feta , per-
chè ne' vecchi tempi era portata dalla Città di Damafco. Né
per altra cagione noi appelliamo Renfa certa tela fottile di li-
no, fé non perchè vecchiamente fi tefieva nella Citta di Rems,
chiamata Rens da gì' Italiani . Ora celebri furono una volta
le Tapezzerie di Babilonia , Periftromnta Babilonica , come
ancora Attalica , e Campauica . E fi chiamano PiBa , ancor-
ché le figure e i colori folTero telTuti , perchè imitavano la
Pittura. Servio al Lib. I. Mneid. verf. 701. così fcrive : Au-
l(sis , velis piBis : qudd ideo aulaa dióìa funt , quod primum in
Aula Attali Regìs Ajìce inventa funt . O più todo perchè fervi-
vano di ornamento alle Aule , o fia ai Palazzi de i Re. Plinio
nel Lib. Vili. Gap. 48. attefta , che Colores diverjos piBurce in-
texere Babylon maxime celebravit ^ & nomen impojuit . Per que-
llo belluata tapetia chiamò Plauto i Tapeti , dove erano be(He
intelTute . Ora trovando noi nelle Vite de' Romani Pontefici
vela piSla^ o pure vejìes pi6ias , fi può chiedere , le quella va-
rietà di colori e di figure venifle dalla tedi tura , o dal pennel-
lo , o dall'ago . In Adriano I. noi troviamo ve/lem de ChrffD-
clabo.^ habentem Hìjìoriam Nativitatis Ò'c, Fecit ve/lem Cbrffo-
clabam^ pretiojis gemmis ornatam , habentem hifloriam Salvato-
vis &c. Pare credibile, che tali Storie fodero formate, non gih
da' Pittori , ma bensì dalla te (Tu ura, o dal Ricamo. Impercioc»
che
V E K T E S 1 M A Q,U I N T A . 577
che gran tempo durò di chiamar Pittura anche gì' ingegnofi
lavori dei telaio . Nella Vita di Onorio III. Papa , creato nel
121(5". leggiamo : Aureis^ argenteisque platea d'tfl'tnguttuv , T a-
petis pióiis m JEgj'pto projìrata ( meglio /irata ) & tinóiis In-
dine , Gallìdsque coloribus ordinate compofita . Sicché v' erano
Tapezzerie preie dall'Egitto, dall'India, ed anche dalla Fran-
cia . (ZhQ fé aveano gì' Italiani tele contenenti facre Iflorie ,
troppo verifimile è, che quefte o fodero teffute, o piìi torto fab-
bricate nella ftefla Italia , o pure in Europa : al riflettere, che
non poteano venire dalla Soria , Perfia , ed Egitto , dove gli
Arabi Maomettani padroni abborrivano troppo le Immagini
facre , e le cofe fpettanti alia noilra fanta Religione . Anche
Ammiano Lib. 24. della Storia fembra accennare, che i So-
riani nelle Tapezzerie non mettevano fé non battaglie , befiie,
e paefi . Nelle Chiofe alla Vita di San Pietro Celerino Papa
è Icritto : In Pluviali Papis erant Imagmes Sa7j6lorum Patrum-
de feri co & auro lahoratx acu , operi s Cyprenfts , jeu Anglicani .
Egli è ora da avvertire il quando e come una copia di la-
vori Al feta s' introduce in Italia. Ce lo dira Ottone Frifmgen-
fe nel Lib. I. Cap.33. de Gefi. Friderici ^ dove icrive, che Rug-
gieri Re di Sicilia nel 1148. avendo fpedita la fua Flotta con-
tra de' Greci, prefe Corinto , Tebe, ed Atene . Maxima ^{og-
giugne egli, praeda direpta^ opifices etiam qui Sericos pannos te-
xere jolent , oh io^tìomimam Imperatoris illius , fuique Principia
gloriam , captivos deducunt . ^hios Rogerius in Palermo Sictlice
Metropoli collocans , Artem illam texendi fuos edocere pnecepit .
P.t exhinc praedi^ia Ars illa prius a Grcecis ta7ìtum inter Chrijlia-
7Ì0S habita , Romanis ccepit patere ingeniis . Troppo a mio cre-
dere dice il Frifingenfe, quafichè niun' altra Nazione Europea
che i Greci , lapeffero allora teflere tele di feta . Forfè di là
venne qualche particolar maniera di fabbricarne delle figurate,
e di vago comparto di colori . Ma intenderemo meglio quefta
importante avventura da Ugo Faìcardo Scrittore di quel mede-
fimo Secolo, che nella Prefazione alla fua Storia , defcrivendo
la nobilifiima Citta di Palermo , cosi parla : Nec vero illas Pa-
Intio adhcereìites filentio prdeteriri convenit Officili as , ubi in fi-
ha variis difti?ìEia coloribus Serum veliera tenuantur^ & Jibi in-
vicem Multiplici texendi genere coaptantur . tlinc enim videas
Amttay Dimitaque ^ Ò^ Trimita 7ninori peritia fwmtuque perfici
(cioè tele di feta volgari , perchè fabbricate con uno, due, o
Tomo L Bbb tre
37? Dissertazione
tre Licci) Hìnc examìta uberioris maperice copia e onde nf ari (chia-
marono gli antichi quefta tela Sciamito , perchè lavorata con
fei Licci ) Heic Diarhodon igneo fulgwe 'vifum re'uerberat ( cioè
tela di color di Rota ) Heic Diapifti color fubviridis intuentimn
oculis grato blanditur afpe6lu , ( preffo Anaitafio fovente è nomi-
nato quello Drappo , ed ora impariamo , eh' era di color ver-
de). Hinc Exarentajmata circulorum vartetatibt^s injìgnita^ ma*
jorem quidem Artificttm indujìriam , C^ materice ubertatem defi-
derant , majori nihilominus pretto diftrahenda . Crede il Caru-
fio , doverfi qui leggere Esanthtmata^ onde foflero tele Ipar-
fe di fiori . Ma è ivi icritto Circulorum , cioè Scudetti e bol-
le rotonde . Seguita a dire il Falcando . Multa quidem , &
alia videas ibi varii coloris , ac diverfi generis ornamenta ,
in quibus ex Sericis aurum intexitur & multtjormts Pi6lur<£ va-
rietas gemmis interlucentibus tllujìratur . Margarita; quoque aut
integroe cijìulis aureis includuntur , aut pcrforatce filo tenui
conneóiuntur , & eleganti quadam difpojìtionis tnduflria Pióiu-
rati Jubentur formam operis exhibere . Ecco le belle fatture di
Seta, che circa l'Anno 1169. fi lavoravano in Palermo coli'
Arte portata cola dalla Grecia . Noi , che ammiriamo , e
con ragione , la beltà e varietà di tante Drapperie de i noftri
tempi, abbiam nondimeno da confeflare un obbligo non lieve
a gli antichi , che ci hanno prima Ipianata la via , e fenza i
lumi loro non potremmo oggidì vantare un si gran progreflb
neir Arti . Se abbiamo da preftar fede a Niccolò Tegrimo nel-
la Vita di Caftruccio , per lungo tempo il lavoro delle tele di
Seta fi mantenne preflb i folo induflriofi Lucchefi ; ma dopo
il lacco dato nel 13 14. a quella Citta da Uguccione dalla Fag-
giola quegU Artefici fi dilperfeto per tutta l'Italia, in modo
che altre Citta ne divennero anch'effe maeftre. jìlii , die' egli,
Venetias , Florentiam , alii Mediolamim , Bononiam quidam ,
partim in Germani am ^ & ad Gnllos^ Bvitannosque dilapji Jtint »
Sericorum pannorum Ars^ qua foli Lucenfes in Italia & divittis
affluebant , & gloria fiorebant , ubique exerceri ccepta . Gli Ol-
tramontani oggidì vendono a noi ciò, che impararono da noi.
Erano fpezialmente i più preziofi lavorieri di Seta, o di Lana,
o di Ricamo , adoperati ne gli antichi Secoli per ornamento
delle Chiefe, cioè in Pianete, Piviali, Pallii, Padiglioni di Al-
tari, Spalliere, e Cortinaggi per le colonne . Di queftl ultimi
fa menzione Giovanni Diacono nella Vita di Santo Anaftafio
Ve-
Ventesima q_u i n t a . jjp
Vefcovo di Napoli del Secolo I X. 7« Ecclefm Stephania , cosi
esli , tredecim pamios fecit , Evnngelicam in iis dipingens Hi/io-
rìam , quos jujjit de columnarum capìtibus adornamentum pari'
deve .
Non mancava in que' tempi quella forte di velame di Seta,
che noi appelliamo Sendale , Zendale , Zendado . Rolandino
nella Cronica Lib. IV. Gap. 5?. ne parla . Tunc accejjlt unus ds
PopulartbviS ad Ccndatum pendens de fublim't antena Carrocci ,
Anche il Boccaccio ne fa menzione nelle Novelle . Parimente
fi truova memoria predo i vecchi Scrittori del Taffetà , forfè
non diverfo dallo Zendale ; ficcome ancora della Saia panno di
lana • e del Carnei otto ^ o Camelato^ o Camelino^ cioè di panno
di lana inteffuto di peli' di Camello o di certe Capre . Da Mar-
co Polo ne' fuoi Viaggi fu chiamato Z/zw/'^/o/o , preflb i Mode-
nefi è Cambelloto , e preflb i Tofcani Ciambcllotto . Quefto fi.
fabbrica tuttavia. Ma nelle vecchie memorie s'incontrano tele
e panni con tali nomi, che fcuri affatto rieicono oggid'i; come
nelle Vite de' Romani Pontefici Vela de minilo -^ o imi-^lo^ Pia-
netae Diafpra , Diapi/ì<f , de Fundato &c. In uno Strumento
Brefciano dell' Anno 7^1. fi truovano Pallio uno de Blatta me'
Iella ^ alio Pallio de Blatta lufca. Urbano III. Papa, come ha
un Codice MSto Milanefe, nel 1186^. donò a quella Metropoli-
tana Planetam de coca , & toaliam cum frixio . Certo è , che
ne' più vecchi tempi que' panni e tele venivano trafportati in
'Italia dalla Grecia, dalla Scria, Perfia, ed Egitto, e lo fanno
conolcere i nomi loro Greci , come Cbryjocìava ^ velum holofe-
vicum ^ de Bafelifci ^ Fundatum alithinum ^ e fimili. La fabbri-
ca d'altri fi raccoglie dal Luogo , come Vela T/ria , Byz^n-
tea , pannus Alexandrinus &c. Vedemmo prefìb Anaftafio Vela
de Spani/co , cioè che fi lavoravano in Ilpagna , dove tanto
paele era occupato dagli Arabi, gente lommamente induflrio-
fa . Ottone Vefcovo di Frifinga Lib. IL Cap. 13. de GeJì.Fri-
der, fcrive, che nell'Anno 1154. vennero alla Corte dell' Im-
peradore gli Ambafciatori de' Genovefi , ^i non longe ante
h(Xc ipfa tempora^.captis in Htfpanta inclytis Civitatibus , & in
Sericorum pannorum opifìcio prdsnobilijjtmis Almaria , & Ulixi-
bona , Saracenorum fpoliis onujìi redierant . Per atteftato del
Monaco di San Gallo Lib. IL Cap. 14. Carlo M. Regi Perfa-
rum direxit Nuntios , qui deferrent equos & mvJos Hifpanos , Pai-
liaque FriJÌ07ìica alba^ cana^ vermiculata ^ vel Japhj/rina ^ quce
Bbb 2 in
:^8o Dissertazione
in tllis parptbus rara & muhum cara comper'tt . Il che fa vedere,
che non -il folo Oriente , ma anche 1' Occidente avea fabbri-
che di rari panni e telerie . E San Bonifazio Martire ed Arci-
vefcovo di Magonza nel Secolo Vili, mandò a Daniello Ve-
icovo capjhlàm non holofcrìcam , fed caprina lanugrne inìxtam
&'vìlIofam. Gran tempo ancora dm'arono tali officine in Con-
llantinopoU . Tebaldo Abbate di San Liberatore di Chieti nelL'
Anno 101 p. annovera fra i lacri paramenti diw Ceràtoria ,
C^ Coopertorìa tria Serica Conflanùnopol'ttaììa . Eravi ancora la
Scaramanga , cioè una fpecie di panno (Iraniero , di cui fi
facevano Pianete facre . Secondochè attera Leone Marficano
Lib. III. Gap. 58. della Cron. Cafin. Roberto Guiicardo Duca
di Puglia donò al Monifrero Cafmenfc Tunkam unam de panno
Perfoy duas cortìnas Arabicas ;. e il Vefcovo di Marfi Planetam
Scaramangmarn . Altrove abbiamo nmuam d'iap'ijììn , e pannos
tr'thlattos. Avrei defiderata maggior provvifione di Erudizione
nell'Abbate Angelo della Noce, allorché nel Comment. al Li-
bro III. Gap. 20. della Gron. Cafin, fc riffe : £/? ìgttur Blatta
njermiculus , Libros & veftes erodens , & quia Blatta apprehenfa
hìficit manum hominis rubro colore , bine Blatta dióium exqtii^
Jìtae Purpuree gentts. Gioè la Tigniuola. Egli ha dato lontano al
berfaglio cento miglia. Ora noi lappiamo, che la vera Porpora
fi faceva con fangue di- certe Gonchiglie di mare. Il coìoreBlat-
teo , tuttoché talvolta appellato Purpureo , col proprio nome
nondimeno era chiamato Cocc/Vz^'^/y , oggidì Ckemihì ^ q Creme'
fino , Falfo é affatto, 'che la Blatta^ col cui fangue fi tingevano
una volta i panni, e tuttavia fi tingono, fia lo fteffo che laT/-
gnuola^ Olì Tarlo. S'ingannarono ancora coloro, che vermicu-
lum Bombfcem intellexerunt ycujus textu vejìes ferìccs conjiciuntur ,
Roberto Stefano, il Voffio , ed altri feco traffero in errore An-
gelo della Noce. Oggidì fanno gli Eruditi, che idi Blatta è una
fpecie d'Infetti chiamati C/^^rw^-i da gli Arabi, che nafcono da
i grani, ghiande o cerchi di certeElci, col fangue de' quali fi.
tinge la lana . Qj-iindi è nata la voce Vermìglio , e tintura in
Grana . Vermiculatus fignificava io ffeffo prellb gh Scrittori
d'ella baffa Latinità. Il Gonte Ferdinando Marfilìi Bolo^nefe in-
torno a ciò fcriffe una bella Differtazione . Poco fa trovammo
Triblattum : bifogna ora udirne l' interpretazione da San Pier
Damiano, che cosi fcrive nel Lib. IV. Epifr. 7. ^idam Ro-
dulpbus mi hi Pallrum reverenter obtulit^ quod Triblat.bon juxta
Jìii
Ventesima q_u i n t a '. 381
fui generis fpc^chm nuntupatur . Trium quippe colm-um eft , Ò"
Blathon Pnlltum d'tcttur : unde Tr'tblatoìi Palltum dìcttur , quoà
trtum cernitur ejfe colorum . Ho quafi dubitato , che qui fia
qualche giunta al tetto di Damiano : perchè come intendere ,
che colla Blatta fi pofTano far tre diverfi colori ? Dovrebbe ef-
fere lo (tefib che della Porpora , di cui egli medefimo feri ve
quelle parole neirOpulc.31. Cap. ò". Regalìs haque Purptira ^
quia unkolor ejì ^ 'uìlipendhur . Pallia vero diverfis fucata tutori-
bus^ ad Jhhlimis lc6luH deputantur orìiatum . Gualfredo Poeta In-
gleie, che circa il 1202. fcrifìTe un'Ironia lulla Corte di Roma,
Icrive : Cocco bis tinHo Urbi dat Grcccia pamios. Sembra che il
Triblattum fofl'e una triplicata tintura.
Tele e panni di tanta prefiziofita, ficcome abbiamo avver-
tito, formavano fplendidi addobbi a i facri Templi, e trovava-
no buon albergo ne' Palazzi de' Principi e de' Re , i quali fpe-
zialmente ulavano vefti di molta magnificenza. Contuttociò fon
io per fu a lo, che molti ancora de' Nobili ricchi ufaffero vefti-
menti pompoO, e di panni e tele ftraniere, acaro prezzo certa-
mente pagate. Il Monaco di San Gallo de Reb. bellic. Caroli M,
Lib.2.Cap.27. racconta un piacevole avvenimento, di cui non.
mi fo io mallevadore . Trovavafi in Italia quel gran Monarca,
ed efìTendo venuto ad Urbem Fujolanam , quam qui Jibi fcioli vi-
dentur^ Forum Julienne nuncupant ( cioè Cividal di Friuli ) invitò
all' im provilo alla caccia i fuoi Cortigiani in eodem hahitu , quo
ìnduti erant . Frat àutem imbrifera dies & frigida. Ftipfe quidem
Carolus hnhebat pellicium bcrbicinum ^ cioè era vellito con pelle o
pelliccia di caftrato . Eginardo nella fua Vita Icrive , che in
tempo di verno efìfo Imperadore fi copriva il petto e lafchiena,
con pelli di Lontra. Seguita a dire il Monaco: Ceterivero, ut-
potè feriatis diebus ( cioè in di di fella , ne' quali fi collumava
l'andar più nobilmente veftito) & qui modo de Papia veniffent ^
ad quam ?iuper Vefieticì de transmarinis partibus omnes Orientalium
divitias adveHajfent , Pho&nicum pellibus avium , ferico cìrcumda-
tisy & pavonum Collis cum tergo ^ & clavis mox Jlorefcere incipic?ì-
tihus , Tj^ria Purpura , vel diacedrina litra ( lo (leflb è che Lijìa )
ala de lodicibus , quidam de gliribus circumamióii procedebarit .
Coperta da letto è fpiegata da i fabbricatori de' Leffici Lodi^
Lodicis. QiH pare la pelle di qualche beftiola, di cui fi formaf-
fero le nobili coperte contro il freddo. San Pier Damiano nell'
Opufcolo poco fa accennato fcrive : Refpuit animalia Redemtoy
Mun-
382 Dissertazione
Mundi voeahulo decorata , Sic divites ifli non mediocri percel-
luntur objìaculo ; quia dum phaleratis atque depi^is fé Lodici-
bus contegunt , apertìs oculis dormire non pojfunt . Qiianto a
Gliresy fignificava quella parola le pelli d'Ermellino o Zebelli-
710 y cavate da i lorci Pontici , o da altre beftiole , delle quali
maggior ufo fi faceva ne gli antichi tempi , che ne'noftri. Se-
guita a raccontare il Monaco , che le velli e pelli preziofe di
que' Cortigiani, parte perchè lacerate dalle fpine , parte per-
chè bagnate dalla pioggia , e poi feccate al fuoco , andarono
tutte in malora , lagnandofi que' Signori , fé tantum pecuniae
fuce fub una die per di di ff e . Allora il favio Imperadore , fattili
tutti chiamare a sé, lorodiife: O fìolidijftmi mortalium ^ quod
pellicium modo pretiofius & utilius efì ? Ifiudne meum uno Soli-
do , an illa vefra non folum Libris , fed Ù' multis coemta Ta-
ientis? Anche Anfprando Re de' Longobardi per teftimonianza
di Paola Diacono Lib. VI. Gap. 35. Advenie?itibus ad fé exte-
rarum gentium Legatisy njilibus coram eis vefìibus^ feu Pelliciis
utebatur ; atque minus Italia; i?7fidiarentur ^ nunquam eis pretiofa
vina^ vel ceterarum rerum delicias miniflrabat»
Torniamo al Monaco di San Gallo , da cui abbiamo appre-
fo , che i mercatanti Veneziani portavano di tanto in tanto a
Pavia de transmarinis partibus omnes Orientalium divitias : pa-
role indicanti non meno panni , drappi , e tapeti , che tutte
l'altre galanterie ed invenzioni più rare del LufTo Orientale y
che ora i poco faggi Italiani prendono dalla Francia , Inghil-
terra , ed Ollanda » Sicché intendiamo , che né pure in que*
tempi fu r Italia fenza Lulfo ; ed edere venuta dall' Oriente
la maggior parte degli arredi per fomentarlo , e che non i foli
Re, ma anche i Nobili facoltofi venivano velli preziofe- Que-
ilo collume fi lludiò Lodovico Re di Germania , e Nipote di
Carlo Magno di bandire almeno dalla Milizia , lodando a'fol-
dati iolamente le fatture di lana e di lino » ^wd ft quisqunm
inferiorum difciplina illius ignarus , de ferie 0 , auro i)el argento
circa fé babens , eum forte incurri ff et , non la fcappava lenza
una lonora riprenfione . Quali foHero gli ornamenti delle Don-
ne fui fine del Secolo VII. dalla Vita di Damiano Arcivefcovo
di Ravenna fc ritta da Agnello fi può comprendere . Abftule-
mnt y cosi egli parla , afe mutatorias vefìes & pallia ; projece-
mnt a fé inaures , & anulos , & dextralia , & perfelidas , &
monili a y & oìfa^oria y & acusy & fpecuUy & Lumulas (oLfi-
nulas )
V E N T E S 1 M A Q. U I N T A • 38 3
mhs ) & Lilio/a praftdia , & laudoftas &c, Abbìam veduto ,
che un Carlo M. portava la Pelliccia nel verno. Haflì ora da
ofìfervare, quanto folTero una volta in ufo le Pelli anche in Ita-
lia. Arnolfo Arcivefcovo di Milano , come racconta Landolfo
Seniore Lib. 2. Gap. i 8. della Storia, mandato nell'Anno looi.
da Ottone III. Auguito per fuo Ambafciatore alla Corte di Co-
flantinopoli, fi preientò alTImperador Greco m^gno ducatu mì-
Itnim ( cioè di Nobili o fia Cavalieri ) fiìpatus , qms Pellibus
Martullinis^ aut C'tbelltms , aiit Khcnon'tbus Varits ( cioè di una
foggia di vedi chiamate Rhenoni , fatte ài'i pelli di Vaio ) &
Hermellirj'ts orn^vcrat , Galvano dalla Fiamma nel Man ìp. Fior.
Gap. 135. COSI defcrive quel fatto: Fueruntque cum Archtepi-
fcopo Mediolan't Duces duo , Prelati multi diverforum graduum ^
hiduti aureis & Jericeìs 'veflthus , cum pellibus nrmell'm'is , aut tì-
bell'tms , 'vel darjibus ( un altro Codice ha foderis ) Variis 'vel
Marturinis , Aggmngafi Donizone Lib. I. Cap. 12. della Vita
di Matilda , la dove parla di Arrigo IL Auguflo venuto a
Mantova.
Kex Jìb't Ma/ìrucas pofl efcam maxime pulcras
Donnnjit : florent pariter quoque Pelliciones .
Erano le Majìruche una forta di velli formate da pelli preziofe
di animali felvatici, e nota anche a i Romani , Quello che ha
Prudenzio Lib. 2. contra Symmach.
JVlaflrucis proceres vejìire togatos ,
affai fa conofcere , quanto foflero in pregio . Anche San Pier
Damiano nell'Opufc. 3 i. tratta dello fpaccio , in cui erano al
luo tempo fimili foreftiere pelli, con dire: Ovium itaque ftmul
& agnorum defpiciuntur exfuvi^ , Ermellini , Gebellini , Marta-
res exquiruntur ^ & Vulpes . Dipigne il medefimo Scrittore qnai
foifero i coftumi del fno tempo , fpezialmente pungendo i Pre-
lati d' allora Lib. 2. Epifl. i. colle feguenti parole : Non ergo
conjìat Epifcopatus in turritis Gebellinorum transmarinarumque fé-
rarum pileis ( o pellibus ) non in flammantibus Martorum fub-
onentaltbus rojis^ no?i in braólearum circumjluentibus phaleris &c.
Ed ecco qual folfe una volta il Luffo anche in Italia di quelle
pelli preziofe . *
Qua le portarono le genti Settentrionali nel divenir padro-
ne di quelle Provincie, ficcome da' primi Secoli avvezze a vin-
cere il Ireddo con tali velli, loro provvedute dalla natura. Per*
ciò
38+ Dissertazione
ciò Pellìti Reges furono anticamente appellati i Re Goti, Fran-
chi , Unni 5 e Vandali . E nel Poema de Provideììtia inferito
neir Opere di San Profpero leggiamo :
- - - - Regesque Get^rum
Refpice^ quets oftvo contemto & 'veliere Serum^
Eximìus decor eft tergis horrere ferarum»
Mi fa ciò fofpettare , che non fia tanto da credere a Gau-
iredo Priore Vofìenfe , Storico dei Secolo XII. la dove fcrive :
Barones fempore prifco mutìijici Inrgitores njìl'thus utebantur pari'
nis , adeout Eujìorgius Lemovicenjis Vicecomes^ & VicecomesCom-
hornenjis , ar'tetìnts & rjulpìn'ts pellìbus aliquoùes uterentur , qua$
pojì illos , mediocres deferre erubefcu?ìp . Certamente anche pref-
fo il volgo fon io d' avvilo , che fofle allora familiare 1' ulo
delle pelli , ma di pecore, agnelli, caftrati, e volpi. Tuttavia
ritengono i Modenefi la parola 5^//^, allorché dicono : Piglia
le tue Belfe ^ e 'va con Dio , Cioè piglia le tue Pellicie ^ e vat'
tene. Voce Tedefca è Beltz^ fignificante Pelliccia^ lo ftefifo che
PeltXj E voleano dire : Preìidi i tuoi panni . Ma i Ricchi fi
diftinguevano con Pelli ftraniere, più fine , e di maggior prez-
zo . Q_uella ftrada in Modena , che oggidì fi chiama il Met-
cato della Legna ^ ne' vecchi tempi era appellata la Pelliccie-
ria . Né fervira il rilpondere , che Gaufredo Vofìenfe parla
de' Franzefi , che più de gì' Italiani doveano elfere moderati
nel veftire . Perciocché io gli opporrò Alberto Aquenfe , il
quale nelLib. 2. Cap. ló". Hift. Hierofol, narrando l'arrivo de'
Principi e Baroni Franzefi nella prima Crociata dell'Anno 10^6.
alla Corte di Aleffio Greco Imperadore , altri coftumi loro at-
tribuifce dicendo : Imperator Godefrido ta?n magnifico Duce vi-
fa , e/usque fequacibus , in Jplendore & ovnatu pretiofarum ve-
Jìium^ tam exojìro^ quam Auriphìygio ^ & in nfveo opere Har-
melino , éT ex mandrino , grijìoque , & 'vario , quibus Gallorum
Principes precipue utuntur , njehementer admirans &c. In vece
dì Mandrino s'ha probabilmente da, leggere Marturino ^ o Mar-
trina ; perciocché le pelli di Marrorello erano allora in gran-
de (lima : il che notato fu anche da Helmoldo nella Cronica
Slavica Lib. I. Cap. i. e da Adamo Bremenfe Cap. 227. il
qual ultimo Icrive : Ad Marturinam 'vejìem anhelamus , quafi
ad Jumynam beatitudineìn . Annovera lo fteffo Adamo nel Ca-
pit. 22^. fra gli flrumenti della vanita ^ àWoxdL pellesCaftorum
C7 Mar-
Ventesima Q.UINTA ., 585
& Mm'torum , quds nos /idmtrai:io7ie [ut dementes factum . Però
Bernardo Silveiko buon Poeta prefTo Gervafio Tilberienfe in
Otits Imperiai, dice
Cijimus obrepjìt , & vejìhura potentum
Marfuris , Ò' fpolto non lei)iore Bever .
Cioè le pelli diCaftore. Che poi eflb Gervafio feriva , efler-
eli flato moftrato Beverem animai juxta Caflrum Secujium in
Taurinenjt Epifcopatu^ quoad anteriorem pavtem grejjibile ,, fed
ad fubtiliorem medietatem in pifcem deftnens : non (1 crederà
a' noftri tempi, fé non che il Mattioli attefta , che in Lama-
gna , Auilria , ed Ungheria al Ilio tempo fi trovavano molti
Caftori. Marmotta fi chiama nell'Alpi Cozie un animale ftu-
pido , portato per Italia quafi ridicola rarità . Ma non potè
prenderfi per Caftore una tal beftia, perchè i Caftori lono i più
i"ag<ici Animali della terra, e di maggior mole; e né quefti , né
le Marmotte terminano in Pefce. Landolfo da San Paolo Stori-
co Milanefe Cap. X. Hifl, Mediai, fcrive , che il Prete Lipran-
do avea Lupicervinam pellcm , Aggiugne nel Cap. XIV. che
viaggiando effo Prete fopra una Mula, il fuo famiglio menava
ftium Ajinum oneratum pellibus Stambucinis, Che pelli fon que-
lle ? Solpetto io, che vi fia errore, e s'abbia a leggere Scam-
bucinis. Noi chiamiamo ora Camoccie gli animali appellati da
i Latini Rupicapra, Erano, e fon tuttavia molto apprezzate le
lor pelli. Ó;jefte furono forfè appellate Scambucie^ e di la pa-
re venuto il Cognome di Vincen-zo Scamoi;^ celebre Architet-
to, levatone il B. come in Camminare , le è vero , come vo-
gliono alcuni, che venga òi^. Gamba,
Eranvi, ficcome abbiam veduto, Felles grifece^ & Varice y
che i nobili e ricchi adoperavano ne' loro velHti , e a caro
prezzo fi comperavano. Truovafi fpezialmente fatta menzione
preffo gli antichi noftri Scrittori del Vaio^ o de Vai, Pare, che
foffero di Vario Colore , non so fé perchè pelli cosi nate , o
perchè ajutate dall'iurte. V'erano anche pelli Cocr/;?*?^ , cioè
di roflb colore, e fenza dubbio tinte . Col nome di Grigie pen-
fo che foifero difegnate quelle di color cenerino , come gli Ze-
bellini , Di candido colore erano gli Armellini . Ma non fi.
può con ficurezza decidere, di quali befiie parlino in molti pafli
gli antichi . Un ufo si grande di Pelli cagion fu , che in una
Concordia del 1208. fra i Mantovani e Ferrarefi venifle ftabi-
lito , che i Ferrarefi nelle Fiere debeant dare & deftgnare
TomoL Geo Peìli-
3^5 Dissertazione
Pelliparih Manpuanis Statìoiies eìs /uffici e fites in fromibus Pel-
liparionim . La parola Stationes ufata anche da CafTiodoro , e
da i vecchi Latini , fignificava un' Officina o Bottega da Mer-
catante . Li una Carta d'Amalfi del ii6^. pubblicata dall'
Ughelli fi legge : Concedo prcenomin^tce Ecclefice trcs eflacones
in Civitate Laodicite , Vuol dire Srntiones. Ne' Secoli rozzi Pel-
liparii furono appellati i Pellicciai y cioè in Latino Pelliones .
Convien pertanto conchiudere , che ne' vecchi tempi anche
in Italia fu in gran voga l'ulo delle Pelli per vedirfi nel ver-
no, e che ancor qui sMntrule il Lullo, penlando la gente di
comparir più nobile e beneliante ., quanto più preziofe e di
caro prezzo follerò effe Pelli. Fin le Monache fi diedero a ga-
reggiar co' Secolari . Perciò nelCan.XlL del Concilio di Lon-
dra dell'Anno 1127. fu decretato, tip nulla Abbatijfa 'velSan-
£lÌ?nonialts cariortbus utatur indumefitis ^ quam ag7ìinis ^ njel cai'
tinjis^ cioè pelli di gatto. Nella Regola de'Templarj Cap. 23.
nella Raccolta de'Concilj del Labbe fi legge: Ut 7wllus rema-
nens ^ Pelles perenniter^ aut Pelliciam ^ vel aliquid tale ^ quod
ad ufum corporis perfine at^ etiamque coopertorium nijì agnorum ^
'vel arietum habeat. Anche nell' Anno 1225. Romano Cardina-
le di Sant' Angelo pubblicò un Regolamento pel Moniftero Jo-
trenfe, rapportato dal Baluzio Lib. V. Mifcell. dove fon que-
fle parole : Quaelibet Monialis habeat in anno tres camijias ,
Singulis duobus a?2nis unam Pelliciam , de ijulpibus , lepori bus ,
n)el etiam ag?2Ìs . Si aliqua voluerit altiori devotione agninis pel-
libus uti , habeat etiam quolibet anno duo fuperpellicea &c. Che
gli fteffi Cherici fi dilettaffero di pelli preziofe, ne dura ancora
un fegno nelle Cappe de' Canonici, ed altri Ecclefiaftici , e nel-
la voce Superpellicium ^ che oggidì chiamiamo Co//^/7. Non per
altro fu introdotto queflo nome , fé non perchè , come fcrive
Durando nel Rational. Lib. IIL Cap. L ^ntiquitus fuper tuni'
cas Pellicias , de pellibus mortuorum Animalium faóias , indueba-
tur, Confeffa Giovanni Villani, che circa l'Anno i2<^o. Molti
portavano le pelli /coperte fenT^ panno. Andò in dilufo quefto
coftume, e Importarono poi le pelli fotto panni; e però v'era
in Genova una contrada , dove Pelles fub 'vejìibm latcc vendun-
pury come s'ha da gli Annali di Giovanni Stella.
Dalle quali notizie oramai fi comprende , che fino al Se-
colo XIIL almeno i Nobili magnificamente veftivano al pari
d'oggidì : laonde non è da maravigliarfi , cheErlembaldo, uno
de'
VENTESIMAQ.IJ1NTA. jSj
de' Magnati di Milano nel Secolo XI. coram Populo hi veftìhus
preùofts amhulahat &c. Cosi è fcritto nella Vita di Santo Arial-
do Gap. 17. Ne voleano in Milano eflere da meno i Cherici :
ficchè lo fleiTo Arialdo nell'Anno 1075. ebbe adire al Popolo
Milanefe : Vejìrì Sacerdotes^ qui offici poffiunt àmores in terre-
nis rebus , excelftores in csdificandis turribus & domibus , fuper-
biores in honoribus ^ in Mollibus Delicatisque Vejìibus pulcriores^
ipfi putayitur bentiores. Che diirafTe anche il Ricamo, l'abbia-
mo dalla Vita della Santa Imperadrice Cunegonda , la quale
divenuta Monaca, operabatur mantbus fuìs . Nulli enim in di-
flinguendis auro gemmisque vejìibus plurimum , aut in flolis ,
aut in ctngulis aftimabatur inferior . Dal LufTo poi del Clero
prete motivo iVrnoldo da Brcf^ia Erefiarca di declamare nel
Secolo XII. centra degli Ecclefiaftici : del che fa menzione
Guntero nelLib. III. Ligur. Il povero Popolo fé la paifava al-
lora con pelli di Agnello, e di Montoni . Rhenones^ vefti co-
nofciute da gli antichi Latini , fi formavano con pelli di pecora.
Andromeda le fatte con pelli di montone . Ecco due verfi di
Giovanni da Garlandia ne' Sinonimi .
Vefles , qu<£ jiunt de folis Pellibusy hdsc fnnt:
Fellicium^ Kheno^ quibus Andromeda fociatur,
Ulavafi ancora Fufianeum , cioè panno di Bambagia; e truo-
vafi anche preiTo i vecchi Latini Fuftanum ^ come hanno of-
fervato il Meurfio , il Voffjo , ed altri . Particolarmente ebbe
credito ne' tempi barbarici il panno di lana tinto diroifo, che
oggid'i fi chiama Scarlatto^ nome da molti Secoli alato. Tiii-
gevafi allora col fanone ddÌ2i Blana^ o fia de' vermicelli fopra
defcritti , conolciuti anche da Gervafio Tilberienfe nel 121 5.
dove dice : Vermiculus hic ejì ^ quo ting^untur pretioftjjìmi Ke-
gum panni y Jtve fericiy & E>cami(i , Jive lanet y ut Scharlata,
Ma il dir egli, che queiti Infetti fi raccoglievano in Arelaten-
Jì Regno ex arbore y tengo io, che fia errore odi lui, odiltam-
pa. Edera ben in gran pregio lo Scarlatto. Matteo Paris nel-
la Storia all'Anno 1248. fcnve : Dcdit eis veftes pretioftjjitnas^
quas Kobas njulgariter apptjllaynus de Efcarleto pra:ele6lo , cum
penulisy & fururtis ( Fodere) de Pellibus Variis . Poco fa ab-
biani veduto , che Examttum era panno di leta. Sciamito lo
chiamarono i vecchi Scrittori Italiani . Era forfè quello , che
oggidì fi chiama Velluto . 1 Tedeichi danno il nome di Sam^
C e e 2. met
388 Dissertazione
mef al Velluto ; e Giovanni Villani Lib. I. Gap. 60. della Sto-
ria fcrive : In quel dì fi correa un pallio dì Scìamìto Velluto
^vermiglio . Ma quello Velluto nel buon tefto , di cui mi fon
fervito nella mia edizione, non fi legge. Ditali panni fi truo-
va menzione ne' vecchi Scrittori, che fiorirono prima di Ri-
cobaldo. Non citerò io fé non Rolandino Padovano, il quale
nel Lib. I. Gap. I 3. della lua Cronica , defcrivendo un Giuoco
pubblico fatto in Trivigi nell'Anno 1214. cos\ fcriflfe : In eo
Qaflro pofit£ fvtnt Domina (cioè nobih Donne) cum "jtrgìntbus ^
feu dom'tcellabm , & fer'vitrìc'ibus earumdem , qux fine al'tcujus
'Otri auxilia Cafirum prudenti fftme defenderunt . Fuit etiam Ca-
firum talibus munitionibus undique pramunitum , fcilicet Variis ,
&Grifeis^ & Cendatis^ Purpurìs^ Samitis^ & Ricelis^ Se arieti s^
Baldachinis , & Armerinis . Appreffo deicri ve Rolandino le Gioie ,
onde erano ornate quelle Donne. Il panno Baldachino qui men-
tovato prefe il nome da Baldach^ o fia da Babilonia , dov'era,
fabbricato; preziofiffimo, perchè tefTuto di fera e filo d'oro. E
perciocché di queflo panno fi adornavano le Ombrelle de' Prin-
cipi e Re, da ciò è nàta la voce Italiana Baldacchino , Gli Ar-
merini fenza dubbio lo fteffo furono, che gW Ermellini^ ed ^r-
mellini. Il medefimo Rolandino Lib. II. Gap. 14. introduce Ec-
Cellino da Romano a parlare cosi : Montatura patris mei fuit d^
Armerinis ; fed aliar um fuit de pretto fis Varis Scla'voìiids , Ma aven-
do noi tanta copia di panni, tele, e pelli di gran prezza, . ufate
anche lui principio del Secolo XIII. non fi sa intendere, come
Ricobaldo dipingefle cosi rozzi i cofiumi de gl'Italiani d'allora,
e si modefto, per non dire si vile il loro veflire .
E PURE Fra Francefco Pipino, che fiori pochi anni dopo eflb
Ricobsldo , approvò i di lui fentimenti ; e fi vuol ora aggiugne-
re, che anche Giovanni Villani fu dello (tefìTo parere, perchè de-
fcrivendo i coflumi del Popolo Fiorentino, ce li rapprefenta pri-
ma del i2do. troppo diverfi dal LulTo de' fuoi giorni . Allora y
die' egli , i Cittadini di Firen^:^ vive ano fobri , e di g/ojfie vi-
vande , e con picciole fpefe , e di molti cofiumi grojfi e rudi , e di
grojfi panni vefi ivano loro e le loro Donne . £ molti portavano le
Pelli [coperte fen-za panno , con berrette in capo , e tutti con ufatti
(fti valerti) in piede» E le Donne Fiorentine co cal':^ri fe?i7^a or-
n amenti j e pajfavanfi le maggiori d una goiìella ajjaì flretta di
gyojfio Scarlato di Pro , 0 di Camo , ci?ìta ivi su d' uno fchegiale
air antica 5 e uno mantello foderato di Vaio col tajftllo fopra , e
por-
VENTES1MAQ.UINTA. jSp
pDYtavar.lo in capo . £ le comuni Donne anda'uano 'Defìtte ct un
srolfo verde di cabragio per lo fìmile modo . £ libre cento era
comune dota di Moglie , e Libre dugento e trecento era a que' tem-
pi tenuto sfolgorata . E le pih delle pulcelle ave ano venti e pik
anni , an^i che andajfero a marito . E di così fatto abito ^ e co-
fiume , e groffo modo erano allora i Eiorentini y ma erano dì
buona fede ^ e leali tra loro ^ e al loro Comune ; e colla lorogrojfa
vita e povertà fecieno maggiori e più virtudiofe cofe , che non fo-
no fatte a' tempi noflri con più morbi de^^a e con più ncchez^ *
Troviamo qui Scarlatto di Pro a di Camo . Se voglia ni credere
ad Egklio Menagio , quefta forta di panno viene da Camus La-
tino , che fi dij]e a Rupie apra , cioè a quella Capra falvatica ,
che fa in luoghi montuofi . Erano tali Capre, come già oiTervam-
mo, chiamate C/7wo:^:^f , Camofcie . Né il Menagio reca paffo
d'alcun Latino, che le chiami Capre di Camo, Erano veramente
in molto credito le peHi di Camofcia anche anticamente . Se
panni fi lavoraffero col loro pelo, noi so dire. Credo io cofa cer-
ta, o almen più verifimile, indiearfi dal Villani Scarlatto fabbri-
cato una volta nella Citta di Caen in Francia , che i Tofcani
chiamavano Camo. Lo (iefìb Villani Lib. XIL Cap. <^2. fcrive
dei Re d'Inghilterra, che metteva a lacco la Francia: La Ter-
ra di Camo ( in Normandia ) gli fece refiflenz^ per lo Cafìello ^
che V era forte. Però d'un panno ivi fabbricato fi parla : il che
eziandio fi comprilo va colla parola precedente , non dovendoiì
ivi leggere di Pro , ma bensì d' Ipro^ come hanno altri tedi .
Ognun sa , che Citta fia quella. A gli Autori che trattano del-
la mutazion de'coftumi in Italia, fi vuol ora aggiugnere Galva-
no Fiamma , che fioriva nel 1340. Nella Cronica Maggiore
tuttavia inedita Lib. 18. Cap. 6. così defcrive le ufanze de'luoi
tempi . Ifìo tempore juvenes de Mcdiolano relinquentes fuorum ve-
fìi(ria patrumyfeipjos in alien as fi guras Ù'fpecies transformaverunt .
Jpjl enim ceeperunt fìri6lis & muncatis vefìibus more Hifpanico
uti j tondere caput more Gallico j barbam nutrire more Barbarico ^
furiofis calcaribus equitare more Teutonico , variis linguis la-
qui more Tartarico . Mulieres fimiliter in pejus fuas confuetu-
dines immutaverunt . Ipfce namque ftrangulatis vefìibus.^ fcopa-
to gutture & collo y redimitce jibtdis aureis g^yrovagantur . Seri-
cis 5 & interdum aureis indumemis vefliuntur . Crinibus crifpatis
more alienigenarum capite perfìringuntur . Zonis aureis juper
cin^icV Ama7:ones ejje videntur. Calceis rofìratis progrediuntur ,
Alca-
3po Dissertazione
AhaTum & tejfens lujìbus eccupantm . Et ut brevi ter me e^pc-
dìnm^ equi militares^ arma fui genti a ^ & quod pejus ejì ^ corda
virilia j animorum libertas in Mulierum ornamenta , univerfa
juvenum Jìudia^ & antiquorum fudores confumuntur ,
Rapporta dipoi Galvano la folita cantilena di Ricobaldo
colle fue proprie parole, aggiugnendo le feguenti : Non erant
per domos camini ad ignem y aut ulla caminata. Ma quell'ul-
timo è uno fpropofito , apparendo da troppe antiche memo-
rie, che fi ulavano le Caminate ne' vecchi precedenti Secoli.
Molte atteftazioni di qiielt' ufo ho io recato ; e neli' antichilTi-
mo Sacramentario Gregoriano da me dato alla luce fi truova
BenediBio ad Caminatam, Altro è poi il dire, che non v'era-
no Camini. Mi fa quello detto fovvenire ciò, che fu fcritto
da Andrea Gataro nella Storia di Padova da me pubblicata ,
dove narra l'andata a Roma di Francefco vecchio da Carrara
nel I3<58. Ejfendo ( cosi Ieri ve ) il Signore giunto per alberga-
re nell /albergo della Luna ^ & in quella flan^a non trovando
alcun Camino per fare fuoco ^ perchè nella Città di Roma allo-
ra non fi ufavano Camini y a?i7:i tutti facevano fuoco in me-z^^p
delle cafe in terra , e tali facevaiìo ne i cajfoni pieni di terra
f loro fuochi . E non parendo al Signore Mejfer Francefco di /la-
re con fuo comodo in quel modo^ avea menati con lui Muratori e
Marangoni y ed ogni altra fort a d'Artefici, E fubito fece fare due
nappe di Camino , e le arcuole in volto al coflume di Padova .
E dopo quelle da altri a i tempi indietro ne furono fatte ajfai .
E lafcih quefìa memoria di se a Roma, Noi abbiamo Ottavio
Ferrari, ed altri, i quali pretendono elTere flati in ufo anche
de' Romani e Lombardi antichi i noftri Camini, eciòpertro-
varfi Caminata in que' tempi ancora . Certo è, che Caininata
luogo fu , dove s'accendeva il fuoco , e fi fcaldava ; ma non
lappiamo, fé Tufcita del fumo fi faceffe per un'apertura nelle
pareti, o fé fotto i coppi fi fcaricafle il fumo . Apollinare Si-
donio Lib. 2. Epifl. i. defcrivendo la fua Villa, cosìparLr: In
hyemale^ triclinium venitur , quod arcuatili Camino fa^pe ignts
animatus pulla fultgine infecit. Non potè efiere quel Camino
come i noftri, da che anneriva col fumo la Camera . Che fé
Suetonio fcrive nella Vita di Vitellio Cap. 8. Nec ante in Fra-
torium rediity quam flagrante triclinio ex conceptu Camini . Ma
chi cialficura, che quel Camino fofìfe fomigliante a i nodri ,
1 quaU per una canna conducono il fumo fopra il tetto? Pari-
mente
Ventesima q.u i n t a , jai
mente il Gramatico Papia circa il 105 1. Icriveva : Fumarium^
Cam'tnus per quem exit fumus. E* da rirpondere lo lìeffo . Pref-
fo oli amichi iempre furono cucine , fempre qualche camera ,
dove fi accendeva il fuoco , e maniera da far ulcire il fumo ;
ma non per quefto fi può inferire, che fapelTero o ufaflero la
forma di Ipignere per una canna il fumo fopra del tetto. Che
non foflero ignote le Stptfe , tanto adoperate in Germania , a
gli antichi Romani, cene fa figurta Seneca Epift.po. oltre a
Plinio juniore Lib. 2. Epift. 17. Ne parla anche il fuddetto
Apollinare Sidonio Carm. 22. Potrebbefi fofpettare , che le
Camìnate de gli antichi foiTero Stufe , Ma qualunque cofa fof-
fero, può fempre (lare, che que' tempi non conofceflero la for-
ma de' Camini moderni . Giovanni de' Muffi Piacentino nella
iua Cronica , ficcome abbiam veduto al Cap. XXIIl. attefta
anch' egli , che anticamente non v'era Camino nelle cafe , e
che il fumo fcappava fotto i coppi, con aggiugnere : Et vidi
meo tempore in plurimis domibus . Il che bada per giuflificar
l'alTerzione di Ricobaldo, del Cataro, e del Muffo, che al Se-
colo XIV". attribuifcono l'invenzione de'noftri Camini. Il Ca-
taro ne dice introdotta allora la foggia in Roma ; quefta non-
dimeno era già triviale in Padova. Finiamo la defcrizion de i
coftumi fatta da Galvano Fiamma , il quale feguita a dire :
Nu?jc vero Ì7ì prcsjenti aitate prifcis moribus fuperaddita funt 7nuU
ta ad perniciem antmarum irritamenta . Nam vejìis eft pretto-
fa , C^ artificio eycquifito , & ornatu fuperfluo circumteBa per to-
tum . In ipjìs vefiibus tam virorum quam mulierum , aurum ^
argeyitum , perl(S inferuntur . Frisa latijjima vejìibus fuperindu-
cuntur . Pina peregrina ^ & de partibus ultramarinis bibuntur •
Cibaria o?nnia funt fumtuofa . Magijìri coquina in magno pre-
tio habeyitur. Avaritia militat . Hinc ufura ^ bine fraudes &€,
Sarebbe a me facile il rapportare i nomi di molte Vefti
ufate ne gli antichi tempi, ma fenza ch*io né altri ne fapefTi-
mo individuare la forma ; perchè anche in que' rozzi Secoli
alla bizzaria della Novità , o fìa della Moda , era fuggetto il
veftire, talmente che anche allora noi troviamo Vefles cultel-
latas , cioè tagli apporta e artificiofamente fatti nelle Velli .
Qualche poco nondimeno ne dirò. Erano adunque anticamen-
te in ufo pel tempo di verno Vefles Sci avince di lana, chiama-
te anche oggidì Schiavine^ perchè fabbricate in Ilchiavonia;
ma ora fervono folamente per coperte da letto, o per man-
tello
jpj Dissertazione
tello della povera gente . I Greci le chiamavano AmphhnaìU
voce uiata anche da i Latini. Preffo San Gregorio M. Lib. 12.
Epili. 47. troviamo Amphimalum tunicam. Cosi erano chiama-
te , perchè pelote nel diritto e nel rovetcio . Curioio è il Me-
nagio, che ad. Amphimallum vuol dedurre la ipstr ola. Zimarra^
da gli Spagnuoli appellata Zamarra. Né pur cento corde tirate
da cento paia di buoi potrebbero tirar s\ da lontano la voce
Zimarra o Zamarra, Viene elTa da Gammurra parola ufara ne'
Secoli barbari; e quelta potrebbe forte ellere formata da Gam-
bay da' Napoletani detta Gamma ^ perchè leGammurre copri-
vano le Gambe . O pure dalia Lingua Arabica o Spagnuola è
pallata a noi quella voce . Incontranfi poi le vedi appellate
B'trrhiy di colore roiTo, talvolta di panno preziofo , per lo piìi
di panno vile . Si fole va attacccare il Cappuccio al Birro .
De'Cherici Milanefi feri veva Landolfo leniore Storico Milanefe
circa l'Anno 1085. Nullus fine candida toga ( oggidì Cotta )
Qhorum intrare audehat ; nullus fine Caputi 0 Birrhi capite 've-
lato intrare Chorum audehat. San Bernardo , e Pietro il Vene-
rabile fanno menzione à^\ Barracano ,, che riteniamo tuttavia;
non so fé cos'i detto , perchè formato allora di Barre o li(le
di diverfo colore , o pure perchè fia parola Arabica. Giovan-
ni Villani , il Boccaccio , ed altri antichi fanno menzione del
Bucherarne y forta di tela di bambagia, lottile, e preziofa, che
per atteftato di Marco Polo era portata dall'Oriente in Italia.
Nelle Carte antiche s'incontra una Vefte appellata Crofina o
Crofna . Nella Concordia feguita l'Anno 1095. fra Folco ed
Ugo Marchefi d'Elle, e da me rapportata nelle Antich. Efl-enfi
Par. L Cap. 27. fé ne fa menzione. E in una Carta Cremonefe
dell'Anno 1004. fi legge : Accepi ego qui j'upra Ubertus a vos
fuprafcriptus Domnus Hubaldus Epifcopus exÌ7ide Launehilt Crofna
una. Come fa vedere il Du-Cange, la Crofna fu mantello for-
mato per lo più di pelli. Alle fue pruove aggiungo io uno Stru-
mento Ferrarefe del 1078. dove Buonafiglia Badefla di San Sil-
veftro praedium emit , cujus pretium cjl Crofina una i)ulpinea
per exfìimacione ex 'valientibus de Denariorum Veronefifium Soli'
dis trigtnta & duos. Colta va ben molto un si fatto mantello .
Tutte le VelH poi fi chiamavano anticamente Rauba & Roba
tanto in Italia, che in Francia ; anzi fu efìTa voce trafportata
a tutte le fupellettili . Gli Spagnuoli tuttavia fé ne fervono
per ogni torta di Vedi. Cita il Du-Cange gli Statuti de' Bene-
dettini
V E N T E S I M A Q_ a I N T A . ^p j
lettini ài Linguadoca del 1226. Gap. lò". dove fono le feguenti
parole . Jll^s quidem Vcjìes , quas vulgo Balandr^-va , & Super-
toU 'vocantur^ penìtus amputamus . In vece di Balandrnva dubi-
to io che s'abbia a leggere Balandvana , perchè dura in Ita-
lia il nome di Pala}ìdra?io , fignificante un Gabbano , cioè il
Mantello colle maniche . Pallìnm era chiamato da gli antichi
Romani quello, che era Mantello lenza maniche , e ritien tut-
tavia il nome di Matitello e à\T abarro. Nelle Coftituzioni MSte
di Guido Velcovo di Ferrara del 1332. fi leg^e : Si Converfus
fit Ecclejics Saecular'ts , fuperiorem ve/ìem , fcilicep Tabardum cum
Caputto appenfo cidem , vel fcapidari honejìì coloris , teneatur
portare . Di quefta voce ancora è fatta menzione ne i Sinodi
di Ravenna dell' Anno 1 314. Non ci farà tefta d'uomo, che
fottofcriva al Menagio, che colle fue llrane gradazioni vuol tira-
re la voce Tabarro da Manu o Mantelli,, o pure di Capa. Ula-
rono anche gì'Inglefi la (k-fla voce . Enrico da Knygthon all'
Anno 12^5. fcrive : Dederantque Jtg72um mterfe ,, ut Jìc fuos mu-
tuo cognojcerent i?i congrejjfu cum Anglicis , ut Scotus diceret An-
glice Tabart^ alter refponderet Surcote^ Ù" e converfo . Fra le an-
tiche voci Celtiche raccolte dal Boxhornio nel GloiTario fi truo-
va anche Tabar^ Tunica longa ; ed egli in oltre oflerva , tut-
tavia dirfi da i Popoli della SafTonia inferiore ein groot Debbert ,,
il qual D. pronunciato erettamente diventa T. Quelle Vefti,
che da gli antichi furono appellate Giubbe,, Giubboni^ Giubet-
ri , Giubberelli , erano vedi corte , portate fotto la Tonaca .
Pare a noi venuto da gli i\rabi queRo nome, allorché eflj fre-
quentavano l'Italia, perchè, fecondo il GoUio nel Leffico Ara-
bico, hanno gli Arabi Giubbaton^ fignificante Tufficam e pan-
710 gojjipino , cui Pallium ffue Toga imponitur . Per atteftato
ancora del Giggeo nel fuo Leflico , nella Lingua di coloro fi
truova Al'Giubbato , vejìis ex lana crajjìore , aud alio colore
infera , quam quem a natura habet . V erano eziandio FeU
larda,, cosi chiamate dalle Pelli ; e Cabani ,, oggidì Gabbarli;
e Barilloti : parole , che s'incontrano nella Storia Piacentina
del Muffo.
E CLUi* fi ofTervi la varietà delle Lingue . Sottano , ovvero
Sottana,, pare che a tutta prima folfero chiamate le Camicciuo-
le , che fi portano fotto la Tonaca , o come diciamo oggidì ,
Gìuflacuore . Imperocché vecchiamente in vece di Sub adope-
rarono Subtus ; e di qua venne poi Subtanum , o Subtana ,
Tomo L Ddd vede
jP4- Dissertazione
vede propria delle Donne . Né fi dee ricevere la coniettura
del Du-Cange , che llimò , Subtaneum dici , quod forte Subta-
nonim ^ feu Turcovum vejììs propria fuerit . Dalla voce Subtana
a mio credere nacque l' altra ài Tana , quafi Subtana njia o
domus. Cosi diciamo Cava^ lottintendendo via^ f^Jf^-y ^ altra
funil parola. Sotano chiamano gli Spagnuoli la C^^/-//?^. In una
Carta del Monillero della Cava deli' Anno 874. fi truova: Re-
gia^ qucs in ipfa Ecclejìa efl adificata^ in ipja jubdita Subta-
na de ipfa Ecclejìa . forie cos'i dà Longe formato fu Longita-
nus ^ onde poi venne Lontano &€. Odafi ora Ricobaldo , che
circa l'Anno izpo. delcriveva le ufanze de gl'Italiani . Virgi-
nes^ die' egli, in domibus patrum Tuìùca de Mignolato , quce ap-
petì atur Sotanum , & paludamento lineo , quod dicebant Xoccam ,
erant coììtentce , Dunque Sottana fi chiamava una vefte , che
fi portava iopra l'altre vefti , e vifibile ad ognuno; né quefta
copriva le gambe, ma dalle fpalle icendeva fino ai fianchi, o
fino al ginocchio. La Socca poi da' fianchi arrivava fino ai pie-
di. Nelle Novelle antiche Cap. 83. abbiamo: E feceli mettere
un bel Sottano y il quale le dava a ginocchio . Ma oggidì Sotta-
na^ o Sottanino chiamiamo la vefì:e donnefca, la quale da' fian-
chi cala fino a' piedi, appellata da Ricobaldo Paludamentum ^
feu Xocca , GÌ' Inglefi la chiamano C^^^òc^ , forfè formata da
Socca ^ per fignificar quella vefi:e , che noi e i Franzcfi appel-
liamo Oy^cr^ C^/^ccy^/;?o / il che fa vedere la diverfita de'len-
timenti nelle Lingue. I Milanefi tuttavia chiamano Socca per
individuare la velie, che i Tolcani ed altri nommàno Sottana,
"La, dicono Stanell a i Modonefi , da, Sottanella abbreviata. For-
fè fu detta Subtana y non perché fi portafie fotto altre vefl^i ,
ma perché copriva la parte di fotto del corpo. Né vo' laiciar
di riferire ciò, che* fi legge ne gli Statuti MSti di Ferrara dell'
Anno I27p. Lib. 2. Rubr. 345. intorno al pagamento de' Sar-
tori . Statuimus & ordinamus^ quod Sartores prò folutione de ce-
tero recipiant in hunc modum . Videlicet prò Guarnello hominis
o6Ìo Imperiales . Pro Sotano mulieris cum gironibus crefpis tres
Solidos Ferrarienfes . De 'ueftito Bidelli , idefì mez^lance , tutta-
lana , fi anf Ortis , & cujuslibet alti panni , fine tri bus cujìturis
tres Solidos Ferrarienfes : cum tribus cujìturis & crifpis , quatuor
Solidos Ferrarienfes ; & fi fuerìnt fodrati , quinque Solidos Fer-
rarienfes . Idem intelligimus de Guarna'2^7ìibus fodratis , fi fue-
irint fodrati de Pelle ; fi autem de Zcndali , fex Solidos Ferra-
rien-
Ventesima q.u i n t a . 395
rtenfes. De Pellibus 'vero ah homìne ^ tres Sol'idos F errarteli fes .
Ve Gaufappls & Cappettis cum tàbus cufiturìs quìnque Solidos
Ferrarienjes . De Gofiellis Domlfiarum jrexatis cum gironihus ,
& crejpis , Ù' buton'ts , oHo Solidos Ferrarienfes , fal'vo quod de
pironato ante Ò^ pò fi- ^ decem Solidos Ferrarienfes , DeGuarnacchia
fodrata , five de Pelle , Jlve de Zen d ali , cum frexaturis , oHo
Solidos Ferrarienfes veteres . Et in Gonella de Montatura fodra-
ta de Pellibus , Jex Solidos Ferrarienfes ; fodrata de Zendali , Je-
ptem Solidos Ferraric?7fes . Et hoc intelligimus de 'uefìibus faBis
prò Hominibus & Dominabus magnis. Pro aliis autem njefìimen-
tis fatìis prò pueris ^ 'uel juvenibus medit temporis , fatisfiat eis-
dem fecundum quod conveniens efì , habitu refpeóiu ad fupradi'
61 a preti a , Dichum dipafìTaggio, che lotto nome ^ì Frexatu-
re venivano Lifìe ^ Orlature^ Guerni-:?^oni ^ o Frange ^ aggiun-
te alle eitrernith de gli abiti . Aurifrygia furono Frangie d'oro^
molto nominate da gli antichi, maflimamcnte negli ornamenti
delle Chicle . Di là a noi vennero Fregio , Frifo , Fregiatura ,
Fregatura ^ e fìmili.
Torniamo al Decreto Ferrarefe. Molta moderazione coni-
parilce nelle vedi -d' allora . Ma il Luflb andò poi crefcendo
al difpetto de gli Statuti , che i laggi di mano in mano oppo-
nevano al torrente della vanita , fra' quali lon da annoverare
i Modenefi , allorché nell'Anno 1420. nella Riforma decloro
Statuti MSti formarono la ieguente Legge . Statuimus , quod
aliquce Mulieres^ cujuscunque conditionis exijìant^ non pojjint de-
ferre aliquas Vejìes^ quce terram tangant ^ taliter quod per ter-
ram trahantur aliquo modo ; nec aliquas Vefìes latitudinis ultra
duodecim brachia ^ & a latere inferiori y nec aliquas Veftes fodra-
tas aliqua Pelle in aliqua parte ipfarum Vefìium . Nulla Mu-
lier pojjit habere ultra quam imam njeflem Serici , cum quali-
tati bus tamen antedi6lis ; nec ali quam Veflem Brocati aurei , vel
al iter deaurati y 'vel contenti de auro , nec aliquam Veflem Keca-
mandam in futurum aliqua fpecie Kecamnturce . Nec pojjìnt de^
ferre Argentum vel Aurum fuper aliqua 'ujfìe ultra decem uncias
argenti in totum . Nec poJJint deferre ultra tres anulos valoris
ad plus Ducatorum duodecim, Nec pnjjlnt deferre ultra [ex- uncias
Perlarum , valoris Librarum Jex Mutinenjìum prò qualihet uncia
ad plus, Nec aliquas gemmas^ feu 'z^jellos ultra fpecifi rata , fub
pxna folidorum quadraginta Mut:nc?ijium &c. Et prdedttìa fihì
locum non ven dicent (^ pncterquam in longitudine ) in uxori bus
Ddd z Mili-
ogó Dissertazione
Militum , Doclorum , & Nobtlium , ne et'tam Civium artem me-
chanjcam non exevcentium , & njiventìum more ?iQbili &c. Tale
iìrepito e ichiamazzo fu dipoi fatto dal Popolo per l'eccezione
fuddetta , che fi trovarono come forzati i Leoislarori a iren-
dere anche alle Donne nobiU la medefima Praìnmatka , che
cosi noi aDDC-lliamo le Riforme del Ludo fante e belle , ma
fempre condennate a non vivere piìi de' Fiori . Merita anche
menzione l'ufo àt Cappucci ^ che per più Secoli onorato in Ita-
lia , finalmente fi trovò come bandito da altre piìi fortunate
mode , e folamente in quelli ultimi tempi lo veggo alquanto
riforgere per difefa de' fanciulli , ed anche del feffo femmineo
ne' rigori del freddo, e maflimamente di notte. Tuttavia ancora
i Cardinali, i Canonici , e non pochi de' vecchi Ordini Reìigiofi
ne ritengono l'ufo, con avervi anche aggiunto molti d'effi il
Cappello, feudo di maggior confidenza contro il Soie e la piog-
gia. Non la loia Italia, ma anche la Germania, Francia, ed
Inghilterra fi tenea caro il Cappuccio ne' Secoli addietro, e non
meno i Nobili, che i Plebei . Tolomeo da Lucca ne gli Annali
brevi raccontando all' Anno 1 1 85. la prigionia diRiccardoRe
d'Inghilterra prefo in Germania, cosi fcrive : Rex aurem Jìmu-
lanjlt hahttum , & in effigie coqui fé tranflidit . Scd cum 'venijfet
T)us Aujìri'i cum fu a comitiva^ ut 'viderent , qui ejfent; inventi
Regem ajfantem anferes^ & n^eru 'vol'uentem ^ claufum inCapufioy
Gallico more. Non v'ha dubbio, che anche gli antichi Roma-
ni conolcelfero quefta maniera di coprire il capo e le fpalle ,
per guardarfi avento ^ frigore^ pluviaque ^ come notò Columella
Lib. I. Cap. 8. Il loro Cucullus altro non era che il noftro Cap-
puccio, Principalmente era effo adoperato dai Servi, e perchè
i Monaci prefero ad imitare la lor balfezza e viltà, perciò non
folamente (ì rafero il capo , e la barba , ma anche elefiero il
Cappuccio , come già offervò nel Secolo V. Giovanni Caffiano
de Habitu Monach. Cap. 4. Finché durò la potenza Romana ,
rade volte le perfone nobili ed ingenue fi fervivano del Cappuc-
cio, le pur non volevano andar di notte Iconofciuti : il che era
praticato anche dalle Donne poco curanti dell'onera.
Il detto finquì del Cappuccio non vuol già dire, che reftaf-
fe affatto elclufo Tufo del Cappello j che fin da' Secoli più anti-
chi fempre fi confervò, quantunque nel Vocabolario della Cru-
fca fia Icritto , avere i noilri Maggiori adoperato il Cappuccio
in cambio di Cappello. Perciocché anche allora l'una e l'altra
foggia
V E H T E S 1 M A Q,U I N T A . jpj
fooaia di coprire il capo fi mantenne. Giovanni Sarisberienfe
Lib. III. Cap. 6. Potter at, ha quefte parole : Memhii ma au-
dilTe Romn-fìum Po?7tificem fol'ttum deridere Lumbardos , dice?:s ,
eos Pileur/i omnibus colloquentibus facere ( cavarfì il Cappello )
eo qiiod in exnrdio dióìionis benevolentiam captent , Che anche
nel Secolo XV. i Preti portaffero il Cappuccio, almeno in Cor-
fica, fi deduce da Pietro Cirneo, il quale nel Lib.IV. di quella
Storia icrive, che mentre una mattina ufciva di cafa per andar
a celebrar Meflii , fu affalito da un Sicario ; ma ch'egli Capuceo
( habitus e fi , queììì Sacerdotes juper humenim ferunt ) circum Iccvum
brachium intorto ^ ut eo prò fcuto uteretur ^ il ripulsò. Degno è an-
che di oiTervazione, che nel Secolo IX. i Preti ufcendo in pub-
blico Tempre portavano la Stola al collo ; anzi nclCan. 28. del
Concilio diMagonza dell'Anno 8 13. fu loro vietato l'andarne fen-
za . Presbiteri fine ijitermiJJio?ie utantur Orarìis ( così chiamavano
la Stola) propter differentinm Sacerdotii dignitntis . E Reginone
Cap. 333. deEcclef.DiJcipL porta un Canone del Sinodo Tribu-
rienie con quefte parole : Ut Presbiteri non •vadnnt nifi Stola n^el
Orario induti . xAlT incontro nel Secolo XIV. in pubblico portavano
il Mantello col Cappuccio fulle fpalle , e la Berretta in tefta in ve-
ce diCappello. Q,ual fofte l'abito de' Preti nel 1330. l'abbiamo
daiTAulicoTicinenfe de Laud, P apice » Incedunt ( così egli) omnes
Sacerdotes i?i habitu honeflo , fcilicet Ecclefiarum Praelati^ Ò' Ca-
nonici Cathedralis , nec non quidam alii Canonici , &Capellani non-
nulli Paroc hi arum (cioè iParrochi) cmn chlamideclaufa-^'oel an-
terius aperta^ cumCaputio magno pendente pofl jcapulas ^ Ò'Bireto
in capite , & honefta foci e tate . ^hti vero prce paupevtate ?ton pof-
funt hoc facere ^ vadunt faltem cum T abardo decenti ^ & Caputio
in capite per modum diverfum a Laicis , immo a ceteris Clericìs ,
vel etiam cumBiretto, Nec unquam fine T abardo procedunt^ nifi
forfait intra terminos Parochice fua; ^ cum alba Cotta inhumerisj quod
fnGallia ftiperpelliceum dicitur. E' reftato queft'ufo ne' Canonici
Regolari . Aggiugne ancora elfo Scrittore : Nullus , nifi fi t i?i
dignitate confìitutus ^ 'Uel aliqui Canonici Cathedralis^ de fert al te-
rius coloris njeflimenta , quam biavi , vel nigri , aut alicujus hone^
fli misti ^ feu alicujus coloris obfcuri . Ma per conto della Cotta,
che anche anticamente portavano i Preti in pubblico fu ordinato
da Ricolfo Velcovo diSoiffons nell'Anno 88p. Cap.7. Conftit. nel-
la ieguente forma. Prohibemus^ ut nemo illaAlba utatur infacris
m^fìeriis^ qua in quotidiano vel esteriori ufìt induitur»
qi
Co-
39^ Dissertazione
Conobbero ed ufarono gli antichi Romani Calceos , Sanda-
li a , Crepi das , Caligas , Cothurnos , Soleas , ( oggidì Pianelle )
ed altre coperture de' piedi , de'quali ampiamente ha trattato
il Baldovino» Erano adoperati anche allora 5'orc/, forta di Cal-
zare , che per atteftato d'Ifidoro Lib. XIX. Cap. 14. ^(?0r/^/;;.
facilmente fi calzava , e fi deponeva . Quelìa voce è pafTata
lino a' tempi nolì:ri per dilegnare una lorta di fcarpe ufate da
i Poveri , perchè fatta di legno . Noi li chiamiamo Zoccoli .
Plinio Lib. IX. Cap. 35. ed altrove nomina Socculos ^ a' quali
le femmine date al lulTo aggiugnevano delle pietre prezioie .
Subpalares ^ o Subtulares^ o Sotelares non dirado s'incontrano
ne gli Scrittori de'Secoli bafTis che erano o gliileffi, oaimen
poco diverfi da gli Zoccoli , Nelle Chioie MSte fono menzio-
nate Calopodes lignei Suhalares . Contuttociò come differenti
cole, per olTervazione fatta dal Du-Cange , fi truovano prelfo
gli antichi Calceamenta , idejì Caligas , Sacci , & Subtalares .
Alvaro Pelagio Velcovo di Silva def:rivendo circa rAnnoi34o.
il LulTo de'Portoghefi nel Lib. II. Cap. 7^5. fi elprime co i ie-
guenti termini . Ali qui ex lajcivia caìnifiis no?i utentes : Sotu-
iares deaurntos cum rojìris loìjgis & recurvis hahentes : fodevatu-
ras Mantellatorum Jive de Vario , Jive de pellibus albis Cu?iicii-
lorum^fupra latus Jinijìrum cubiti hominis ojìendentes : caudas
retro in capillis^ & barbis^ & manicis habentes , capillos barba-
fum di'vi dente s & comphHentes . Anche fra noi da qualche an-
no la Moda ha riiufcitate le fcarpe, che colla punta guarda-
no in su . Si ufavano in Francia sì sfoggiate punte o becchi di
fcarpe, che fino i Concil} di Parigi del 1212. e quei d'Angers
del 13(55. e I3ó'8. arrivarono a condennarli come contrarj all'
ordine della Natura. Perchè nel Secolo XI \^. e XV. la povera
gente, malfimamente di Villa, uiavano gli Zoccoli, come tut-
tavia coftumano in qualche parte del Milanele le Contadine ,
perciò i Frati- Minori OlTervanti per umilia £1 accomodarono a
quella ulanza , e fi guadagnarono la denominazione di Zocco-
lanti , Pure in que' tempi la riputazione e fortuna degli Zoc-
coli andò tanto avanti, forfè perchè meglio che altro calzare
difendono i piedi dall'umido, che anche i Nobili non isdegna-
rono di portarli. Pietro Azario nella Cron.Novar. all'Anno 1356'.
fcrive , che Guglielmo Capitano di Novara , fentendo preia la
Citta da i nemici , in Caftrum fugit in Zocholis . Ne dirò una
piùmaeftofa. Lo Itelfo Federigo III. Imperadore nell'Anno 1452.
fi di-
Ventesima q.u i n t a\ j^p
fi dilettava di quefte fcarpe di legno . Refta tuttavìa nel Pa-
lazzo Eftenfe una Pittura di queir Anno, dove fi mira effo Au-
guro ledente con gli Zoccoli in piedi. Gli fta vicino in piedi
Borfo Duca di Ferrara, e inginocchiato davanti Giovanni Bian-
chini Bolognefe, 7nagnus Tabularum Ajìronom'tcarum fupputator y
che cos\ è chiamato dal Riccioli , e a lui porge l' Imperadore
uno feudo coir Aquila per Anne di Tua Cafa . Ma fono iti in
difufo gli Zoccoli , e quafi dapertutto fi adoperano oggidì le
Scarpe . Predo Vopifco nella Vita di Aureliano fi truova Car-
piJcuIiiSy fignificante una forta di Calceamento , dalla qual pa-
rola corrotta forfè potrebbe eflerfi formata la voce i'c/zr/?/?. Le
Scarpe vecchie noi le appelliamo Ciabatte ; i Franzefi Saboti
e Sa'vates ; gli Spagnuoli Zapatas. Stranamente il Menagio vel-
ie trarre Ciabatta dal Latino Saba , la quale altro non fu an-
ticamente le non quello che è oggidì , cioè Morto cotto . Né
da Sapa venne Suppa , Zuppa , come fi figurò il Ferrari , ma
dall' antica voce Supp tuttavia ufata in Germania , e portata
da i Safibni in Inghilterra, dov'è chiamata Sopp^ e in Francia,
dove fi dice Soupe : il che vien confermato dall' Hickefio nella
Gramatica Franco-Theoftica.
Oltre a ciò abbiamo nel Codice Teodofiano Lib. XIV. Le-
ge 2. de Habitu , quo iiti oportet intra Urbem , Quivi Arcadio
ed Onorio Augufti proibifcono ufum TT^ingarum ^ atque Bracha-
rum intra Urbem njenerabilem . Di que(l:e TT^nche molto haii
parlato il Salmafio , il Vofifio , il Gotofredo , e il Du- Gange ,
concludendo, che fo (fero una vii foggia di Stivaletti o Scarpe.
Confermerò io il loro parere. Nella Vita del Beato Pietro Or-
feolo Doge di Venezia pubblicata dal Mabillone negli Atti de'
Bened. Scec. V, fi leg^e : Feftinanter a cruribus extrahit Zangas
cum calcaribus , reftdens in nudo dejeHus cefpite . Adunque le
Zanghe coprivano tanto il piede che la gamba , ed erano an-
che adoperate dalle perfone nobili . Nel Libro de Coronat. Bo-
7iif adi Vili. Papós s'ha, che Pojì Dominum Pnpam inceditPra-
feHusUvbis^ in dut US Manto pretiojo ^ Ù" calceatus una Zanca au-
rea , altera rubea , Nel Poema di Jacopo Cardinale fi elprime
quel Rito co' feguenti verfi .
- - - - Manto , quod fplendidus , una
Auri fpfccintus caliga^ Juccintus & una
Scarletti , ponendus erat PrafeHus &c.
Sic-
^OO UISSERTAZIONE
Sicché col nome ài Zanche fi veggono qui difegnate Calzétte,
o Stivaletti, o Borzacchini, che coprivano le gambe , l'una di
un colore, e l'altra d'un altro. Ma v'erano anche Stivali groffi,
leggendofi di MafTimiano Arcivefcovo di Ravenna preflb Agnel-
lo, che chiamati a sé Sutorìbus calceamemorum^ prcecepit illts ^
m magnas Zanchas e>c hìrcorum pell'tbus operarent , qui & ipfas
ex Solidìs aureis replevh . Sidee ora aggiugnere, che preflb i
Contadini di Modena , e d'altri Popoli , il nome di Zanchi è
paflato in quelle , che gli antichi Latini appellarono Grulle ,
Sefto Pompeo Fedo cosi fcrive : Grallatores uppellabantur Pan-
tomimi ^ qui ut in faltatione imitarentur ^gtpanas^ adjeBis per-
ticis furculas habentibus , atque in bis fuperjìantes , ad fimilìtu-
dinem crurum ejus generis gradiebantur , utique propter dtjjjculta-
tem conjìjìendi . Nonio Marcello anch' egli dice : Grallce funt
fujìes^ queis inni tuntur Grallatores f qui gradiuntur Grallis ^ qucc
funt pertica ligneae, Plauto nel Poenulo A61. 3. Scen. i.
Cervum curfu vinceres , (^ Grallatorum gradu ,
che cos'i s'Iia da leggere , e non clavatorum , come hanno i
Libri ftampati . I Fiorentini chiamano Trampoli quei , che in
Lombardia fon àtnìZancf/t ; e forfè niun Popolo d'Europa ne
ignora l'ufo. \^2LQQxà2i Adverfar. Sacr, Gap. 112. num.18. fti-
mò , che Zanca , o Zanga , o TT^anga folle e alce amenti genus ,
Aggiugne le parole del Codice Teodofiano, e poi conchiude con
dire : Hcec nos ducunt ad rujìicum calceamentum ; nec dijjlmile
apud Hifpanos ejl , quod nunc Zancas dkitur . EJì autem a Palo
/ipud noftrates» Ma s'ingannò, né feppe le ufanze del fuopaefe.
Altre furono le Ti^nghe vietate da gli antichi Augufti, ed al-
tro Zancas de'fuoi Spagnuoli, le quali non erano una foggia di
Calzari, ma i Trampoli de' Fiorentini, e gli Zanchi de' Lom-
bardi . Odi il Covaruvia nel Teforo della Lingua Caftigliana .
Zanco unPalo (Legno) alto con una horquilla^ donde ha-z^ fuer-
za al pie . D' eftos ufan en las aldeas , por donde pajfa algun ar-
rogo pequenno , por las partes , por donde no tienen puentex^clas (D'c*
Però anche preflb gli Spagnuoli Z/7«C/^/ fi chiamano quelle due
Pertiche, crura lignea^ su cui pofano i piedi , ed alzano l'uo-
mo, che vuol paffare un Rufcello fenza bagnarfi , Ne' Carne-
vali di Modena vidi alcuni giovani pafleggiare pel corfo coneflì
Zanchi. Il Meurfio nel Gloffario Greco-Barbaro Ieri ve T:^<^«^w,
Italicum Zango^ Sinijìer , Credette egli, che ^'/'/^«co (come ma-
no
V E N T E S I M A Q, U I N T A ; 4OI
no Stanca per mano finiftra ) fofTe il medeiìmo che Zanco .
Meno avvertitamente ancora parlò il Menagio nell'Orig. della
Lingua Irai, con dire: Trampani^ Pianelle^ come quando fe di-
ce : Voi fiete pojìo su i Trampa?n , per dire : Voi v ingannate ,
facendovi del grande . Non fi dice Trampani , ma Trampoli ,
NèiTrampani, o Trampoli iono Pianelle, E noi diciamo an-
dar su i Trampoli 0 su i Zanchi , ma per indicare un uomo ,
che in iftrana maniera opera, con pericolo fempre di cadere.
Non rincrefcera intanto ad alcuno di udire , qual iorta di
fcarpe o calzari ulafle una volta Bernardo Red'Itaha, Nipo-
te di Carlo Magno. Il lepolcro fuo efilbnte nella Bafilica Am-
brofiana di Milano fu aperto nell'Anno 1(538. e il Puricelli
teftimonio di vifta ne' Monum. Bafil. Ambrol. fra l'altre cofe
fcrive cos\ : Superjlites adhuc e corio rubeo calcei utrumque pe-
dem conte gebant ; iidemque LIGNEAM quisque SOLEAM ^
hinc inde coriaceis injutam , habebam . T am ^uero apte prejfeque
ad fuum quisque pedem juxta ordtnem digitorum congruebant ,
in acutum njerfus primorem digitum deftdentes ^ ut calceus dexter
non nifi destro pedi , quamdiu integer ille erat , Jtnijìerque Jt-
nijìro aptari potuijfet . Ceterum quisque calceus duabus tantum
corii partibus conjutis , pedem ita contegebat , ut anterior corii
pars Ì7t fuprema verfus crura extremitate aliquantulum fiijf^ in
longum ejjet^ illicque pedi lignamine ( o lignmine ) adfìringe-
retur^ ad eum prorfus modum^ quo rujìicana hodte calceame?ìta
fa6litari folent. Mancò di vita il Re Bernardo nell'Anno 818.
Se con Suole di legno foffe comodo il camminare, non vel so
dire . Certamente Suole tali furono anticamente in ufo , e il
nome d'effe tuttavia fi conferva in Italia, Francia, e Germa-
nia, cioè Pantoffole^ derivato dal Germanico P/^/Vz-To/^/ , che
vuol dire Tavole de' piedi. Ma come a' tempi noftri, cosi ne
gli antichi s'andò mutando la foggia delle Scarpe . Forfè mo-
verà arilo l'intendere, qual foffe nell'Anno 13(55. Ecco ciò ,
che ne riferifce a quell'Anno il Continuatore delNangio. So^
tulares habebam , in quibus rojìra longijjtma in parte anteriori
ad modum unius cornu in longum ^ alti in obliquum ^ ut Grijfo-
fies habent retro ^ & naturai iter prò unguibus^ ipft deportabant *
Cosi deforme comparve quella capricciofa forma di fcarpe ,
che Carlo Re di Francia in Parigi , e Urbano V. Papa nella
Corte Romana ne vietarono l'ufo. Pure anche prima s'erano
vedute (carpe di quafi egual moda; perciocché San Pier Danila-
Tomo L Eee no
402 Dissertazione
no nell' Opufc. 42. Gap. 7. cosi dipigne un Cherico dato al
LufiTo . Hìc ìt^que n'ttidulus ^ & fcmper ornatus ^ ^tque confpicuus
incedebat^ ita ut caput ejus nunquam ntfi G'tbell'mìca peUis ob-
tegeret ; indumenta carbajtna atque nì'vent'ta Jtlig'to per artem
fullonìs inficeret ; calceus poftrema ad aquilini rojìri fpsciem
non falleret . E notifi qui la mutabilità delle Lingue. La voce
Calceus , come ognun sa , fignifìcava ciò , che oggi è Calcare
o Scarpa . Ne dura ancora il veftigio nella parola Calxolajo
da Calc€olarius ; in Calcare il pie da Calceare . Noi da' piedi
abbiam portato alle gambe quefto vocabolo, appellando Cai-
ze e Calcetti ciò, che cuopre elTe gambe; e s'è andato an-
che più innanzi col chiamare i Modeneiì le Brache Cal-zoni.
E PER conto del coprimento delle gambe , che Cal-^^etti e
Calzette appelliamo , in Lombardia dal baflb Popolo fono an-
cora chiamati ScojJ^owi . E non è già moderna quefla voce. Il
Du-Cange in una Lettera di Papa Innocenzo IIL fcritta, ha
più di quattrocento anni , trovò Scafones ftmiliter habeant du-
plicatos. E in un' altra óiì Alellandro IV. Papa del 1161, qua-
tuor Scujfones^ & duo Subtellares. Aggiugne il Du-Cange: Heic
Scajfones , 'vel Scujfones pedes fpeóiare 'uidentur . E veramente
fembra, che una volta cotal parola indicafTe una forta di fcar-
pe; perciocché Jacopo Cardinale nella Vita di Celeftino V. Pa-
pa Lib. IL Cap. 2. parlando de' Cardinali che furono i primi
ad inchinare quel fanto Romito, dice : ^^
lllico fubmijji Chiffonibus ojcula figunt
Villojts . - - -
Pare, che fi tratti del bacio de' piedi, ma quel Villojts forfè
indica delle rutlicane Calzette , fé non che una Chiofa antica
dice: Nam habebat Chijfones inpedibus. Può e fiere , che una
volta fervifiero a' piedi, ma che poi pafiafiero a coprir anche ■
le gambe. E qui mi fia permefib di dire , portar io opinione , H
per non dire di più, che i Secoli remoti ignorafiero l'Arte di
fabbricar Calzette con fili di ferro , o ài telTerli con una mac-
china ingegnofa , come fi fa a' noftri dì o di ieta , o di lino ,
o di canape . Certo è , che i Romani antichi portavano bensì
de' Calzari in piedi , ma lafciavano nude le gambe , ed anche
le cofcia , abborrendo le Brache come cofa da Barbari . La To-
ga, o altra verte copriva la nudit^a . Chi voleva coprir le gam-
be, ufava perones^ ocreas^ udones ^ cothmnos ^ chiamati da noi
Sii-
VeNTES1ìMAQ.UINTA. 40 j
Stivali 5 St'ivaletù , Bor'2:acchtm , alcuni de quali giugnevano
fino al piede , ed altri coprivano la meta della gamba . Ma
non mancavano alcuni meno fcrupolofi , che adoperavano le
Brache fcendenti fino al piede. Particolarmente i Popoli Orien-
tali, e i Barbari del Settentrione', gli Ungheri , ed altri fi ier-
vivano di Brache . Ma i Longobardi , per atteftato di Paolo
Diacono Lib. IV. Gap. 23. Cceperu?u Hojis (Stivali) uti ^ fuper
auas equitantcs Tubrugos ( o Tubrucos ) birreos vn'ittebant : fed
hoc de Romanorum confuetudìne traxerunt * Penfa il Du-Cange ,
che ìTubrugi ufati prima da i Romani foflero flivaletti di la-
na tirati lopra gli IHvali di cuoio. Sant'lfidoro IHmò che fof-
fero appellati Tubnict^ quod tìb'tas braccasque tegant ; opure,
come notò il Voffio , Tubract , quod a braccis ad t'tbias ufqus
pervenìant . Nella Colonna Traiana lì veggono Barbari colle
Brache, che arrivano fino a i taloni . E per verità tutto ciò,
che prelTo gli antichi fi truova di coprimento delle gambe ,
confiiteva in pelli , panno , o tela , che fi cuciva , ma fenza
che fi adattafle alla figura delle gambe , come fijccede oggidì.
Tanto più Ionio tratto a quefia opinione, dall'avere ofiervato,
che fé anticamente fi volevan coprire le gambe, o per guardarle
dal freddo, o per Lufib, o per infermità, furono fola mente in
ulò le Fafcie ^ che artificiofamente fi aggiravano intorno ad ef-
fe gambe. Erano quefie di lana, odi lino, fors'anche difeta:
il qual coflume nondimeno veniva riprovato da gli aufieri Ro-
mani . Sono parole di Quintiliano nel Lib. XI. Gap. 3. Pallio-
lum & Fafcias ^ qu'tbus crura 'vefiluntur ^ & focali a ^ & aurium
Itgamenta , fola excufare potefì valetudo , Anche Orazio nella
Satira IL nomina
ijìjtgnia morbi
Fafclolas , cubital , focali a - - -
Ma a poco a poco que' Cappuccini Pagani, cioè i Romani im-
pararono da Augufto Cefare a coprir le gambe con Fafcie , e
a non ifprezzar le Brache . AH' antica ufanza prevalfe 1' elo-
quenza del Freddo • Siccome avvertì Suetonio Gap. 82. Au-
gufto hyeme quatevnis cum pingui toga tunicis , Ù" fubuculde
tbovace laneo^ & feminalibus^ & tibialibus muniebatur. Sidee
fottintendere Fafciis tibialibus^ &Fafciis 0 Braccis feminalibus,
NuUadimeno ftettero un pezzo 1 Romani a valerfi del fegreto
delle Brache > parendo loro vergogna l' adattarfi a i riti bar-
Ece 2 bari-
404. Dissertazione
barici. D'effe ora è da udire San Girolamo in Gap. 3. Danìe-
lis . Pro Braccis , qu/7s Symmacus A?iaxyr'idns ititerpretatus efl ,
Aquila & Theoàoùo Saraballa dixerunt y & jion , ut corrupte le-
pjtur^ Sarabara , Li fi gu a autem Chat dctorum Saraballa Crur a bo'
mìnum 'vocantur ^ (y T'tbìce j & homoìiymos ettam Braccai eorum ^
quibus Crura tegu/ntur (ÌT T'ib'm : quajì Crurales & Tibiales ap-
pellat<£ funt , V'erano F afille crurales per le gambe ; v'erano
anche Fafcice pedules ^ che fi avvolgevano a i piedi . Ulpiano
nella /. argumeìito jf. de Auro argento nomina Fafc'tas Crura-
les, Paisò ne' Soldati Romani Tulo delle Brache , e ne fa fede
Lampridio nella Vita di Alefìandro Severo con dire : Donavh
& ocreas , & brace as , & e alce amenta inter 'vejìimenta militaria ,
Lo ftefio Alefìandro Augufto Fajciis femper ufus ejì . Brace as
albas habuìt^ fjon coccineas^ ut prius Jolebant ,
Lungamente poi durò l'ulanza del falciare le gambe , ed
anche i piedi preffo coloro, che miravano di mal occhio il fred-
do, o volevano far pompa della nativa bellezza delle lor gam-
be, la quale da gli Stivali o dalle Brache troppo lunghe veni-
va tolta. Anzi che i Barbari talvolta fi fervi vano delle Fafcie,
aderendo Paolo Diacono Lib. L Gap. 24. che i Longobardi ,
prima di calare in Italia , funs hifertus candid'ts mebantur Fa-
fciolis. Nella Golonna Traiana , e in altri antichi monumenti,
pare che le gambe de' Romani abbiano qualche copertura .
Noi poicia troviamo ulate le Fafcie anche a' tempi di Gar-
lo M. il quale, per atteiìato di Eginardo , Fafciolis crura ^ &
pedes caletamentis conjìringebat . Vedi preHo il Baluzio Tora.H.
Capituiar. l'effigie di Carlo Galvo Nipote di elfo Carlo M. cor-
teggiato da'fjoi Magnati, dove compariicono le Fafcie luddet-
te intorno alle gambe. Ma introduffero i Franchi un'altra fog-
gia. Cioè venivano le gambe con tela di lino, chiamata Ti-
biale, Sopra effa tela aggiravano le Fafcie , poi con picciole
eorreggie tirate di fopra ferravano la tela e le Faicie . Odaft
il Monaco di San Gallo Lib. L Gap. 35. de Keb. gejì. Caroli M,
dove defcrive l'abbigliamento de gli antichi Franchi. Erat ^
die' egli, antiquorum ornatus 'vel paratura Francorum^ calciamen-
ta fori?ifecus aurata , corrigiis tricubitalibus infignita . F ajcioloe
crurales vermiculatce , & fubtus eas tibial'ta , ac coxaha linea ,
quamvis ex eodem colore , tamen artificiojijjimo opere 'variata :
fuper qua & Fajciolas in crucis modum intrinjecus & extrinfe-
cus y ante & retro 5 longtjjim^ iìh (orrigia tendebantur . Deinde
carni-
V E N T E S 1 M A Q_U I N T A . 405
cnryìtfta glìx3^na . Pojì hac hnltheus fpatce colligntus . ^os fpnta
primo 'vagina fagea^ fecundo corto qualicunque , tertìo Uri te amine
candidijjimo cera lucidijjima roborato , ita cingcbatur , ut per me-
dium Cruciculis emitìCììtibus ad peretntionem Ge?uilium auraretur ,
Ultimum habitus ecrum erat pallium canum ^ 'velfaphyrinum^ qua-
drangulum ^ dupley: ^ ftc formatum ^ ut ^ quum imponeretur ìmme-
vis , nììte & retro pedes tangeret , de lateribus 'vero vixge?iua conte-
geret , Tum baculus de arbore malo^ ?iodis paribus admirabilis , ri-
^idus , & terribilis cufpide , manuali ex auro 'vel argento , cum C(S-
laturis ifjjtgnibus pr<]efixo^ portabatur in dcxtern . Cosi egli, il cui
lungo paflb non lara increfciuto a i Lettori . Anche Apollinare
Sidonio tanto nel Lib. Vili. Epift. II. quanto nel Poema II. ri-
corda Vincula ^ co' quali fi firignevano le Fafcie delle gambe .
Nel Concilio Cloveshovenfe dell'Anno 747. Cap. 38. è decretato
de' Monaci : Nec imitentur Sceculares in'veflitu crurium per Fafcio-
las. Che duraiTe l'ufo delle Fafcie anche nel Secolo X. e XI. fi ri-
cava dalle Confuetudini delMonifleroCluniacenie, raccolte circa^
l'Anno 1070. da Uldarico Monaco, dove fon permeffe ai Monaci
Fafciolcs propter tibìas i-njirmantes , Sembra in oltre, che né pure
inelTo Secolo XI. aveflero i Popoli d'Occidente trovata miglior ma-
niera di coprire le gambe. Perciocché San Simeone Romito, che
paisò a miglior vita nell'Anno loid. come s'ha dalla fua Vita ne'
Secoli Benedettini del Mabillone , mentre andava a trovare il
Marchefe Bonifazio , veduto un Povero , che di mezzo inver-
no portava le gambe nude , gli donò Caligas fuas . Pare, che
voglia dire le calze per coprir effe gambe , giacché il Marche-
fé, ammirata la carità del fanto uomo, confejìim duas hircorum
pelles afferri^ inde /ibi alias confui fecit . Refta dunque, che fia
dovuta a i Secoli fuffeguenti l'invenzion delle Calzette , che
ufiamo oggic]^ Sembra ora un'Arte di niun conto, perchè la
fanno le piìa delle Donne; rna il trovarla a mio credere fu mi-
rabil cofa. Altre invenzioni ci fono , le quali a guifa dell'uovo,
che il Colombo infegnò a ftare ritto in una tavola, noi ora mi-
riamo, ma punto non ammiriamo; ma né pur noi faremmo fia-
ti da tanto da trovarle. Che cofa più triviale c'è delle Staffe^
coU'ajuto delle quali facilmente fi fale a cavallo , e fi tengono
cavalcando in ripofo i piedi ? E pure non le feppero inventare
i Romani . Bifognava allora o faltare a cavallo , o valerfi di
qualche fito alto , o avere uno Stratore , cioè chi colle mani
aju-
4o5 Dissertazione
ajutafìfe a montare a cavallo . Dolevanfi poi le gambe , e con-
traevano anche delle malattie per quello ftar cotanto penzoloni.
Rimediofli a tutti coll'ufo sì comodo d'effeSìaffe,
Della MiltT^a de Secoli ro:?^ hi Italia ,
DISSERTAZIONE VENTESIMA SESTA.
OUanto fofìTe eccellente la Milizia de'Greci e Romani an-
tichi, come efatta la lor Dilciplina, l'hanno affai dimo-
ftrato varj eruditi Scrittori . Tale certamente fu, che anche la
moderna ha di che imparare da loro , tuttoché tanto mutata
fia la forma di offendere, e difendere nel meftier della guerra.
Allorché i Barbari vennero a fottomettere le contrade Italiane
nel Secolo V. portarono feco, non v'ha dubbio, i coffumi della
lor propria Milizia , e qui li dilatarono . Cacciati i Goti fatto
Giuftiniano L tornò per alcuni pochi Anni a rimettere la di-
fciplina militare Romana in Italia; ma effendo fucceduti in que-
llo dominio i Longobardi, Franchi, e Tedefchi, l'Arte milita-
re prefe le lezioni dall'ufo di quelle Nazioni . Era non poco
fcaduto in Italia il buon regolamento della Milizia fotto gli ul-
timi Imperadori Romani : contuttociò i Barbari ci trovarono
tanti veftigi delle vecchie ordinanze tanto de' Romani, che de'
Greci dominanti nelI'Efarcato di Ravenna , che poterono im-
parar molto nella profeffion militare . Però anch' effi ebbero
fpade, fciable, fionde, dardi, mazze, lancie, archi , e faette,
feudi, elmi, corazze, flivali , e il redo dell'Armatura, che
anticamente fi usò. Carlo M. nella Legge 17. fra le Longobar-
diche ordinò , uf nullus extra Kegnum nojìrum Brune as ( cioè
le armature, o Corazze ) vendere prafumat . In oltre nella Leg-
ge i^^. vietò il vendere fuori dei Regno Arma & Brunias, E
nella Legge 20. parla de Armis extra patri am noti portandis ,
idejìfcutis^ & loricis, Ulavano ancora, tende, e padiglioni ,
e quafi tutti gli ftrumenti da efpugnare Citta e Fortezze , già
adoperati da i Greci e Romani . Ermoldo Nigcllo de feri vendo
l'affedio di Barcellona fatto da Lodovico Pio Lib. I. de Reb.gejì.
Ludov. così fcrive :
Ariete claujlra terunt : undique Mars refonap.
Machina nulla 'ualet murorum frangere pojìes.
Vili
Ventesima SESTA. 407
Più fotto dice
Mac hi fi rt doìfa fonat : puljafjtur & tifidique muri;
Crebra j'agitta cadìt , 'vt funda retorta fatigat .
L'Autore delia Vita d' effo Lodovico Augufio racconta all' An-
no 808. i'afledio della Citta di Tortofa . ^0 perventens Lu-
dovicus Rex , adeo illarn arìet'tbus , mangotiihus , 'vineis , & ce-
teris injìrume?7tis lacejpv'tt (T protrìvit muralibus , ut Cives il-
li US a Jpe decìderem , ìnfraHosqv.e fuos adverfo Marte cernentes ^
claves Chitatis traderent . Probabilmente s' ha ivi da leggere
coiìfrnBos e Mangants in vece di Mangoìiihus . Perciocché que-
fìa è la voce pii!i tifata per denotar le Macchine , colle quali fi
gittavano TafTì nelle afTediate Citta . Vero è, che anche l'Au-
tore della Mifcella Lib. 21. fcrive , eflere flato fchiacciato il
capo ad un Uomo empio a lapide transm'tjfo ex Mangone ; ma
anch' ivi penfo , che s abbia a leggere es Mangano , perchè
Teofane nella Cronografia, fatta Latina dall'Autore della Mi-
fcella , fcrive ex Manganico ( fottintendi tormento ) e forfè i
migliori tedi avranno ex Mangano , Lo fteflb Teofane all' An-
no XIIL di Coflanzo Auguflo nomina Mangana omnis generis.
Se ne lervivano anche i Longobardi, fcrivendo Paolo Diacono
Lib. VL Cap. 20. che il Re Ariperto Bergamum cbfedìt ^ eam-
que arietibus , & diverjis belli Machinis oppugnans , mox cepit -
Cosi pure Lodovico IL Augnilo ( come attefta l'Anonimo Saler-
nitano ne' Paralip. Cap. ^2.) Civitatem Barim 'variis Machinis
expugnare ccepit . Defcrivendo poicia al Cap. 114. l'alfedio di
Salerno , narra , che i Saraceni Machinam , quam Petrariam
nuncupamus , conflruxerunt mirce magnitudinis , ut turrim unam
attererent ; e che fotto i Criftiani alzarono in quella medefi-
ma torre un'altra Macchina.
Conservarono le Nazioni Settentrionali dominanti in Ita-
lia le loro antiche ordinanze nella Milizia. Non fi udivano gik
ne'Ioro eierciti i nomi di Legioni , Turme , Manipoli, Coor-
ti , e fimili ; pure non mancava ordine nelle loro truppe , e
v'erano Ufiziali primarj, e fubalterni . Anch' effi avevano un
Generale Comandante , e fotto di lui varj Duci con fubordi-
nazione de' minori a' maggiori. 1 Centenarj furono come i Cen-
turioni ; i Millenari come i noflri Colonnelli . I Conti Gover-
natori delle Citta menavano in campo il loro Popolo ; o pure
tale impiego era raccomandato a i Gaftaldi . Anche allora ^^
contavano nell' ode Vexillifcri , o Signiferi , cioè gli Alfier ^ ^
Agnel-^ *
4c8 Dissertazione
Agnello nelle Vite degli Arcivefcovi di Ravenna trattando di
Felice Arcivefcovo , fcrive , che fui principio del Secolo Vili,
fu fcelto per fuo Generale dal Popolo Ravegnano Giorgio figlio
di Giovanniccio in una fedizione contro i Greci ; e quefti per le
guardie dì'vijtt Populum in undecìm partes. Duodecima 'vero pars
Eccleftae eft rcfervata . Ufiusquisque miles fecujidum fuam mili-
tiam , & Numerum incedat , Idejì R avenna , Bandus prìmus ,
Bandus fecundus^ Bandus Novus^ Inviflus ^ Coììfiantinopclitanus^
Firmansy Lcetus^ Mediolanenfis^ Veronenjis^ Clafferjfts^ Partes
Pomijicis cum Clericisy cum honore dignis^ & familia^ & Stra-
toribus , n)el aliis [ubjacentibus Eccleftis . Et bene ordinatio per-
manet ufque in prcefentem diem , Cos'i Agnello circa l'Anno 840.
Adunque in dodici turme, o Legioni , o Coorti, appellate iVi<-
meri y fu divi(b il fuo Popolo in Ravenna. Come oggidì ogni
Reggimento ha il fuo titolo proprio, cosi anche allora ogni Le-
gione, chiamata Bando dal VefTillo, che poi fu chiamato da
i Tedefchi F anone ^ Standardo ^ Guntfanone ^ cioè Italianamen-
te Conf alano j Gonfalone ^ Go?7falone ; e dall' Oltienle Inftgne ^
onde il noflro Injegna ; come anche Pennone , voce Franzefe
ed Inglefe . Paolo Diacono Lib. L Cap. 20. così fcrive : Tato
Rodulji Vexillum , quod Bandum appellant , ejusque galeam ,
quam in bello gejìare conjue'uerat , abflulit . Da Bando nacque
V ItSLÌìsino Bandiera ; e Bande una volta fi chiamavano le briga-
te di Soldati . Ed è ben antico il nome di Bando per Infegna ;
perciocché Procopio Lib. IL Cap. 2. de Bello Vandal. rammen-
ta Vesillum y quod Romani Bandum appellant . Però non fi può
abbracciar l'opinione delDu-Cange, che deriva Bandum da
Panno y voce introdotta in Italia molto piìi tardi; e non è cer-
ta l'altra del Salmafio , che lo trae à^iPandum» Era dunque
anticamente compartita un'Armata in varie fezioni, appella-
te Agrnina^ Se arce (onde il noflro 5'r>^/^r^) Cunei ^ Coorti^ ed
altre divHìoni minori, ciafcuna regolata dal fuoUfiziale. I Mag-
giori neir andar de gli anni furono poi chiamati Capitanei ,
voce tratta , non dai Catapani de' Greci , ma dall' effere Capi
delle Truppe. Tal voce s'incontra ne gli antichi Annali de' Fran-
chi, e in altre memorie de' Secoli barbarici . Abbreviata quefla
voce, fé ne formò Cattaneo ^ o Cataneo,
Ebbero, a mio credere, gli antichi Re e Principi un nume-
ro di foldatefche dipendiate, per fervirfene alla guardia loro e
del Palazzo , e per li prefidj delle Fortezze , Ma s' ha ora da
avver-
Ventesima SESTA. ^og
avvertire, che qualora s'avea a far guerra odioffera, o di di-
fefa , coftume fu di chiamare all'armi quafi tutto il Popolo .
Ciò fi appellava //■; Esercìtum , o pure Hojìem bannire ; per-
ciocché lo fleflb eràHo/ìisj che Exercinis. Quanto rigorolamen-
le (1 procedefìTe in tale occafione, l'impariamo dalla Legge 29.
Lib. VI. del Re Liutprando , in cui fi vede comandato, che
niun uomo deuinato alla milizia, refti eiente dalla fpedizione,
allorché fi dee andare alla guerra . Eccettua foiamente lei no-
mini mmm Caballum habentes^ con che riCndimeno i lor caval-
li fervano a i Giudici , o fia Prefidenti della Citta ad fnumas
fuas^ per le fue fome , o fia bagaglie . De mtfioribus etiam ho-
minibus^ qui 77 ec e afas ìiec terras habeììt ^ ne eccettua dieci, i
quali fieno tenuti a fervire in cafa del Giudice per tre di della
iettimana, finché egli fia ritornato dall'Armata. Agli Sculda-
yci, cioè a i Giudici minori, fi lafciano tre uomini mantenenti
Cavallo, e cinque de' minori . 1 Saltavi poteano ritener perse
un uomo da Cavallo, e un altro de' minimi. Se alcuno oltre a
i fuddetti foffe flato dentato, era condennato il Giudice a pa-
gare il Widrigild^ pena pecuniaria , al Sacro Palazzo. Ma qui
vien chiedendo taluno , come può (lare , che tanta gente an-
dalTe alla guerra. Non v'era prudenza il lafciar le Citta e For-
tezze fenza prefidio ; ed empia cofa farebbe fembrata il lafciar
tante Mogli con piccioli figli abbandonate, e fenza veruno aju-
to dalla parte del Marito . E poi chi avea da coltivar le cam-
pagne ? Che fé l'Italia allora foffe (tata al pari d'oggidì popo-
lata , il menar tanta gente al campo, più danno e confufione
avrebbe recato che utilità. Rifleffioni tali pare, che perfuada-
310, non poterfi credere tanta moffa d'uomini, e che v'inter-
veniffe poi qualche (celta e moderazione . Offervifi la Coflitu-
':(ione della promoTion delT Ejercito fatta da Lodovico II. Au-
guro circa l'Anno 8(5 (^. per andare a Benevento contrade' Sa-
raceni, già pubblicata da Camillo Pellegrini . Quivi fi coman-
da, che vada all'Armata, ^uicumque de mobilibus Widrigild
fuum habere potefl , cioè chi ha tanti mobili da poter pagare
la pena della difubbidienza . ^i 'vero medium Widrigild ha-
bet , duo Jun6Ìi in unum qualitatem injìruant ut bene ire pof-
fmt . Dubito qu'i di tefto guaito . Pare che due di quefti fi
debbano intendere infieme , e che un folo d'effi vada. Paupe-
res vero perjonte ad cujìodiam maritimam ^ vel patria perganf^j
fi plus quam decem Solidos habet de mobilibus <. Ecco che i Po-
Tomo h Fff veri
410 Dissertazione
veri reftavano al loro paefe . ^i non plus quam decem Soli-
dos habet de mob'il'thus^ mi eì requìratu? , Quefli né pur erano
tenuti alle guardie. 5"/ Pater wmm filium habuertt^ & tpfe p-
lius milior patre e/i , injìru6lus a pane pergat . Nam fi pater
uttlioT eft , ìpfe pergat . Vedete qui un' altra efenzione . Ne
feguita una maggiore, ^t duos filios habuerit^ q^icmtzCfue eie
eis utilior fuerit, ipfe pergat; afius autem r-m patre remaneat .
Quod fi plures fJìos habuerit.^ T/ntores omnes pergant ; tantum
unui ", chiane at , qui inuttlìor fuerit . De Fratr'tbus hidivifis , fi
duo fuerhìt , ambo pergant . Si tres fuerìnt , unus , qui inutilior
apparuerity remaneat . Ceteri pergant. Aggiugne l'Imperadore,
che niuno farà fcufato, fé non che Comes in unoquoque Gomita-
tu unum relinquat , qui eumdem locum cufiodiat , & duos cum
axorefua . Finalmente è ordinato a' Vefcovi di non efentare al-
cun Laico da quella fpedizione . Ecco la forma tenuta allora
per l'Armata d'Italia.
Si dee ora riflettere, che oltre alle perfone fuddette non
obbligate a prendere l'Armi, non andavano i Servi sl milita-
re, come accennammo al Cap. XIV. Meftier d'onore era al-
lora , più che oggidì , la Milizia . Ne erano perciò efclufi i
Servi come gente vile , e v'erano ammefle folamente le per-
fone Libere . Ne' tempi noflri vi fi prendono gli avanzi del re-
mo e del capeftro . Gli antichi Greci e Romani abborrirono
anch' efTì il valerfi di Servi per la Milizia , per non rendere
eguali a sé perfone di s\ bafla condizione . Oltre di che sì eior-
bitante era il numero de'Servi, che fi poteva temere, oche
armati prorompeflero in qualche fedizione, o che delertaffero
all'ode nemica . Sanno gli Eruditi , che diede molto da fare
a i Romani Bellum Servile, E i Sarmati, oggidì Polacchi , fic-
come abbiamo da Idazio ne'Fafi:i, e dalla Cronica Eufebiana,
trovandofi nell'Anno 334. molto alle (Irette perla guerra lo-
ro mofla da gli Sciti , o fia da i Tartari , diedero l'armi a i
loro Servi . Dappoiché rimafero fconfitti i Tartari, que' Servi
rivolfero l'armi contra de' loro Signori, e li coflrinfsro ad ab-
bandonare il paefe, talmente che circa trecento mila Sarmati,
comprefe le Donne e i figli, fi rifugiarono a Coftantino il Gran-
de , da cui furono accolti, e compartiti per la Tracia, Mace-
donia, ed Italia. Una fimile avventura de'Servi Sciti vien rac-
contata da Giuftino . Perciò conducevano ben feco i Padroni
quel numero di Servi 5 che occorreva al loro lervigio, ma non
li
Ventesimasesta. 411
li mettevano in ruolo di Soldati . Perciò gli uomini Liberi co-
fìumarono di lafciare a cafa la maggior parte de' loro Servi ,
perchè accudifTero alla coltura delle Campagne, e alla cuftodia
e comodo della lor famiglia . La necefTitk nondimeno perfuafe
talvolta il concedere l'arme ai Servi, ed allora bifognava ma-
nometterli, e dar loro la liberta. Ciò fecero i Romani in con-
giunture molto fcabrofe . Che anche i Longobardi ricorreffero
a quello ripiego, lo avverti Paolo Diacono Lib. i. Cap. 13. de
Gejì. Langob. con dire : Ut bellatorum pojjìnt ampliare nume-
rum^ plures a ferv'tl't jugo ereptos ad L'tbertatls flatum perducunt *
Non erano sì delicati i Wifigoti , che foggiogarouo una volta
le Spagne, e parte delle Galiie. Nelle loro Leggi Lib.lX.Tit.2.
1. p. abbiamo: Nunc vero quia degenerali omnium progrejjione
pra^diximus , reflat ut de progrejforum virtù te vel copiis tnftituta
ponamus . Et ideo id decreto f pedali decernimus , ut quisquis ille
efl y five Jit Duxy Jìve Comes ^ atque Gardtngus , feu Jit Gothus^
Jtve Romanus , nec no?ì Ingenuus quisque , vel etiam manumif-
jus , Jeu etiam quilibet e Servis Fifcalibus , quisquis horum ejì
in exercitum progrejfurus , decimam partem Servorum fuorum in
expeditioìiem belltcam duHurus accedat : ita ut hcecipfa pars de-
cima Servorum non in armis ( leggo inermis ) exijìat ^ fed vario
armorum genere injìru^ìa appareat . Sic quoque ut unusquisque
de bis , quos fecum in exercitum adduxerint , pattern aliquam
Zavis ( Giacco noi appelliano ora un giuppone comporto di
catenelle di ferro . Truovafi anche prefTo i Greci Zaba figni-
ficante Lorica ) vel Loricis munitam ; plerosque vero fcutis , fpa-
tis^ fcramis ( fpade più larghe ) lanceis , fagittisque inJìru6los ;
quosdam etiam fundarum infìrumentis , vel ceteris armis , ^w<^
7ioviter forfan unusquisque a Seniore vel Domino fuo in/unóla
habuerit^ Principi^ Duci ^ vel Gomiti fuo pnvfentare Jìuduerit .
Se i Franchi fi ierviflero anch'eglino di Servi nelle guerre (co-
me pretele il P. Daniello Lib. L della Milizia de' Franchi, de-
ducendolo dalla Legge iuddetta) io ne dubiterò, finché miglior
pruova fé ne rechi . Certamcmte ne' Capitolari de' Franchi fi
vede una Coftituzione di Carlo M. ad exercitum promovendum^
dove è prefcritto, quali perCone debbano militare; cioè qui prò-
pr'mm hahent^ e perciò gente Libera ; & cafati Comitum^ cioè
i Domeflici de' Conti; & homines^ cioè i Valili Ili, Regis^Epi-
fcoporum y & Abbatum , qui vel Beneficia , vel propria habent *
Parola non v'ha de' Servi. Né Lodovico Pio nel Capitolare dell'
Fff 2 An-
412 Dissertazione
Anno 825?. parla fé non d'uomini Liberi, dicendo : Jubemus up
Mijp no fin diligenter ìnquìrant , quanti Lìberi h ornine s in ftn-
gulis Civitattbus maneant , ut 'ueraciter illos defcribant , qui in
exercitalem ire pojfunt expeditionem . Lo fteffo ancora rifulta
da un Capitolare di Carlo Calvo dell'Anno 854. Si può nondi-
meno credere, che talvolta alcun Servo trapellafTe nella mili-
zia contro il volere de'fuoi Padroni , i quai polcia poteano ri-
chiamarlo . In una Bolla di Pafquale L Papa per V Arcivefco-
vo di Ravenna fi legge : Colonos^ aut Partiartos^ & Servos fub-
jncentes parti SanHds Vejìrce E.cclejt<e , ad militafidum fubtrahcre
non liceat . Sed fi militati juerint , eos difcingi , & dismilita-
ri Jubemus.
Finalmente efenti dalla milizia Secolare erano coloro, che
entrati nella milizia Ecclefiaftica per fervirDio, non era di do-
vere , che fi miichiafìfero nel fanguinofo meftier delle guerre .
Ma che non fa il genio de' Principi ambiziofi e Conquiiìatori ?
Vorrebbono, che ognun foffe Soldato, e che tutti correffero ad
efporre per effi le loro vite. Perciò ne' vecchi Secoli s'introduf-
fe, e durava a' tempi di Carlo M. 1' abufo di obbligare anche i
Cherici , e fino i V'efcovL a comparir coli' armi in occafion di
guerra, pretendendo ciò, perchè ^odeano Beni Regali, ed era-
no fottopoRi al pefo de' Vafìalli. Né pur ^odeano efenzione gii
Abbati. Da un Documento di Piftoia dell'Anno 812. ricavia-
mo , che Ildepeno Abbate fovente era forzato ire in hofte ,
cioè andare alla guerra . Porta il P. Tomaifini Parte 3. Lib. L
Gap. 40. de Benefic. molte Leggi e Canoni , vietanti una tal
deformità. Spezialmente è da vedere nel Tomo VIIL de'Con-
cilji^dei Labbe una Supplica del Popolo a Carlo M. NeEpifcopl
deinceps , Jìcut haBenus , 'vexentur hojìibus j fed quando nos i?i
hojìem pergimus ^ ipjl propri is reftdeant in Parochiis . Seguita ap-
preffo il Decreto d'elfo Augufto, il quale, particolarmente ^0-
Jìolica Sedis hortatu efenta tutti i Preti dall' obbligo di concor-
xere alle Armate, dicendo fra l'altre cofe: Hacvero Galliarum^
Spaniarum ^ Langobardorum ^ nonnullasque alias gentes^ & Reges
earum fecijfe cognovimus , qui propter pradióìum nefandijjimuin
fcelus nec 'vi6ìor£s extiterunt^ nec patrias retinuerunt , Leggefi an-
cora una Lettera di San Paolino Patriarca d'Aquileja allo rteflb
Carlo M. Lib. VIL Mifcell. Baiuz. in cui il iupplica, ut liceat
Domini Sacerdotibus militare in folis cafìris Dominicis , annove-
rando poi gl'immenfi fcandali e mali, che rilukavano ai Cle-
ro
Ventesimasesta. 41 j
ro da quefla troppo indecente ufanza. E pure non cefsò efìfa con
tutti i bei decreti di Cario M. perchè la troviam tuttavia vigo-
rola lotto Lodovico Pio tuo Figlio , e fotto i luoi Nipoti . Er-
iTìoldo Nigello Abbate d' Aniana nel Lib. IV. de geJì.Ludo'u.P't't^
Poema da me dato alla luce nella Raccolta Rer. hai. racconta
d'efler e^li IlefTo intervenuto alla guerra mofTa da Lodovico Pio
contro i Popoli della Bretagna minore, e che il Re Pippino gli
diede la burla perquefto.
Huc es^omet fcutum humerts^ enfemque revm&um
GeJJi : [ed nemo me fertente dolet,
Ptpptn^ hoc afpiciens^ rijit^ miratur ^ & infit:
Cede armìs^ Frater ; Lttteram amato mag'ts»
Ripigliamo ora la Coftituzione di Lodovico IL Auguflo intor-
no alla Ipedizione di Benevento . Ivi è determinato , che gli
Abbati, e le Badeffe phnìjjime hom'tnes fuos mandino all'efer-
cito. Qual foiTe la forte de' Veicovi, fi ha dalle Tegnenti parole:
5"/ Epijcopus abfque man'tfefìa infirmieate remanferit , prò tali
negl'igem'ta ita emendetur Ò'c. Mirate , che deteftabil aggravio
era quefto a i Pallori della ChieTa di D,o. E pure anche nel fuf-
ieguente Secolo troviamo lo (IcIIo abulo , apparendo ciò da un
Diploma di Ottone I. Auguflo, fpedito neirAnno5?<55. in favore
di Annone Vefcovo di Vormazia, e da me pubblicato, dove fi
legge : Nec ab homitiihus ipjìus Eccleftce hojì'dh Expeditìo requi-
ratur^ ntjì quando necejjitas uttlìtari Regum fuer'it ^ Jimul cum
fuo Epifcopo pergaììt , Un'altra pruova abbiamo, che in efìb
Secolo X. forzati foflero a militare Veicovi e Cherici in Italia,
cioè le parole di Raterio Vefcovo di Verona , la dove fcrive :
Ego ipfe quondam , quum Imperiali pracepto urgeremur Gardam
ohjidere Cajìrum , & Epifcopi , ac Clerici iflius Pro'uincice , non
quidem Religionis amore ^ fcd laboris obtendevent odio^ fui hoc
Ordinis minime fore : petulanti^ ut Jape ^ refpondi fermane : Up
non permittunt Qanones Clerico pugnare ^ Jìc non fìuprare . Al-
trove lo (ieflb Raterio confeffa, che gliEcclefiallici andavano alla
guerra, e riprova quello abbomine voi coftume . Anche dopo il
Mille fé ne truovano frequenti efempli nella Storia. Ballerà qui
riferir le doglianze di Guido Abbate di Chiara valle nel Tomoli.
Mifcell. delBaluzio. Olim^ die' egli, non habebant Cajìella &
Arces Ecclejics Cathedralis ; non incedebnnt Ponti fices loricati .
Scd nunc propter abnndantiam temporalimn rerum , fiamma ,
C(sde^
414 Dissertazione
Cttde , pojfejpones Ecclejtarum Pralafi defendunt , quas deberem
pauperibus erogare. Ma andiamo innanzi.
Se taluno mancato avefTe di portarfi all'Armata, ad una
orave pena pecuniaria veniva condennato . Ecco un'Editto di
Carlo M. nella Legge Longobardica 35. ^uicumque Liber homo
in hoflem bannitm fuerh , Ù' ventre contemfertt , plenum Hert-
hannum componat Jecundum Legem Francorum : ìdefl fexaginta
Solìdosy folvnp. C Ili era impotente a pagar tanta fomma, tan-
to tempo a guifa di Servo dovea lavorare al Principe , che
avefTe Icontata la pena . Ma nella Legge 23. fi ofTerva mode-
rato un tal rigore colle parole feguenti : De Heribanno volumus^
ut Mijft noflr't hoc anno exaEiare fidelìter debeant ; idejl de bo-
mtne habe?ìte jex Lìbras in auro & argento , bruneis , dernmen-
to^ pannis^ cnballis^ bobus^ vaccis , aut peculiis , recipiant pie-
num Hertbannum , idejl Libras tres , ita ut uxores aut infantes
non fiant exfpoliati prò hac re de eorum vejìimentis . SuiTeguen-
temente prelcrive, quanto abbia a pagare chi ha un Capitale
di fole tre libre &c. Ma Lodovico IL Imperadore nella Coflitu-
zione fopr'accennata caricò forte la mano coli' ordinare , che
i difubbidienti, fé aveano Beni Allodiali, li perdeflero ; fé era-
no VafTalli, foflero fpogliati de'Benefizi; fé Me (Ti o Conti, re-
fìaffero privi delle lor Dignità . Aggiunte di piiì un aggravio ,
che ben ci parrà infoffribile , comandando , Ut omnes omnem
hoflilem apparatum fecum deferant &c, Vejìimenta autem ha-
heant ad annum unum j Vi^ualtavero ^ quoufquc 720vum fru6lum
ipf a Patria h abere potuerit. Se doveva ogni perfona alimentarfl
anche del fuo , era ben la mihzia d'allora un gran gaftigo de'
poveri Popoli . Non mancano guai a' di noflri per cagion de i
Soldati ; ma in fine fon meglio regolate le cofe. E che anche
i Franchi poco meno tenefìfero la regola fuddetta, s'ha dai loro
Capitolari Lib. IIL Cap. 74. dove Carlo M. ordina, Ut fecun-
dum Confuetudinem ad hoflem faciendam i'ndicetur & ob/er^ve-
tur : idejl 'uiBualia de Marcha ( cioè della Provincia ) ad tres
menfes^ & arma atque'uejlimenta ad dimidium annum , Ma per-
chè i Soldati efigevano la vettovaglia dal paefe , dove fi tro-
vavano , Lodovico Pio ( come s'ha dalla fua Vita fcritta dall'
Aftronomo all' Anno 75?^. ) elTendo folamente Re , Inhibiùt ,
a plebeiis ulterius annonas militares^ quas vulgo Foderumvoc ani ^
dari . Ft licet hoc viri militares cvgre tulerint , tamen ille vir
mifericordiiS ^ conftderans & prabentium penuriam^ & exigentium
crii'
4^5
V E N T E S 1 M A S E S T A ,
iriiàelh^tem , prhis jucììcavit de few fetbminìjìrare fe^ts , qu/2m
(te perm'itteyìdo copiam rei fe^umentartce , fuos irretivi periculis .
Penfa il Du-Cange, che il nome ^{Foderi imporri folamente
il Foraggio per li Cavalli . Ma fi Rendeva più oltre quefto pe-
lo, facendofi qui menzione rei fi-umetitaria , Certo ne* Secoli
fiiffegnenti , ne' quali fu maggiormente in ufo la parola Fode-
rmn o Fodrum ^ s'intendeva il Vitto per li Soldati. Truovafi ,
che Lottario nella Legge 71. impofe la pena di morte a chi
de' Liberi uomini non accorreva coli' armi , allorché qualche
nemico efercito venifle ad ijìius Regni njajiationem ^ njel ad con-
trarietatem fidclium noflrorum . Ma in un' altra Legge fua da
me aggiunta alle Longobardiche fi determina una pena più mi-
te, e niuna fé ne impone a coloro, qui propter niminrn pauper-
tatem n eque per fé hoflem facere ^ neque adjutorium pv^eflare pof-
fmn : il che fa vedere , che fi poteva mandare anche un furti-
tuto alla guerra.
Vengo ora alle Fortificazioni delle Citta e Cartella . Anche
ne' Secoli barbarici fi mantenne l'ufo di cingerle di buone ed
alte mura, formate di marmo, o di mattoni cotti. Vi fi aggiu-
gnevano Torri , con determinato ordine e intervallo inferite
nelle mura , per battere non men da fronte, che da' fianchi il
nemico , che ofaife dar la fcalata . Nelle pianure per lo più fi
circondava la Citta con profonda , e larga fofla . Se in quefta
introducertero acqua, noi so dire . Vegezio non ne parla. Nel-
la def:rizione della Citta di Milano, fpettante al Secolo IX. fi
legge: Celfas hahet ^ opertasque Turres in circuitu , Duodecim Im-
tttudo ( del muro ) pedibus cfl ; immenfeimque deorfeum efl qua-
drar a rupibus ( marmi ) perfeBaque eriguntur Jurfetm . Erga mu-
rum pretiofas novem habet Januas^ njtnclis ferrets ^ & claves cir-
cumfpeBas navirer^ ante quas cataraólarum Jtjìunt propugnacula ,
Ho anch'io data alla luce la defcrizion di Verona probabilmen-
te circa l'Anno 'jpo. e fé ne parla nella feguente forma : Per
quadrurn ejì compaginata , murijìcata jirmiter^ ^)uadraginta &
06I0 Turres prafulgent per circuitum : ex quibus o6io funt excel-
fce^ qu^e eminent omnibus. Più fot to fi dice, che ha ancora C/?-
Jìrum magnum & escelfum , probabilmente fulla montagna ,
dove è tuttavia . Ma che circa i fuddetti tempi quella Citta
forte maggiormente fortificata , fi raccoglie da un Documento
riferito nella Storia Veronefe del Corte, eVirtampato dall'Ughel-
li. Ivi fi legge : Tempore Regis Pippini ^ quum adhuc ipfe puer
4.i5 Dissertazione
elìet^ gens Humiorum ^ alias Avare s citala ^ Italtam cum txeycttu
hivajit . ^uum de eorum adveiitu Carolus Rex Francorum certior
faBus ejfer , Veronam Tunc Ma/ori ex parte Dirutam reparare
Jìuduit^ Murosque ^ &Turres^ fojfasque per Urbis gyrum fecit ;
adjeHisque palis fixis a folo ufque munivi t , ibique Pippinum fi-
liuìn reliquit . Il che non fi sa ben combinare con quello , che
fi legge nella Vira di Papa Adriano I. preffo Anaftafio, perchè
pochi anni prima Adclgifo Figlio di Defiderio ultimo Re de i
Longobardi fi rifugiò a Verona , prò eo quod forti Jfi ma prce om-
?2Ìbus Civitatibus Langobardorum ejfe videretur , Qual dunque
fofle il tempo, in cui furono accrelciute le fortificazioni a quel-
la Citta, Fabbiam veduto, e fra effe quella, che oggidì fi chia-
ma Paliz^ta^ e anticamente fi appellava P alane atum : parola
che fcappò alla diligenza del Du-Cange. Era il Palancato com-
pofto di Pali fitti in terra , e d'afle . Ne gii Statuti di Modena
del 1327. fi leggono le leguenti parole : ^tod nullus audeat toU
lere vel accipere de lignis Butifredorum^ vel Palancati ^ qui funt
fuper foveas Civitatis ^ & Circarum Communis Mutinae , In un al-
tro fi comanda. Ut quilibet de Cinquantina teneatur reficere fuam
partem Palancati in fu a Porta , & illud cuftodire , Qj.iando que-
lla voce non fia formata da i Pali^ farebbe da attribuirne l'ori-
gine a Planca^ fìgnificante Tavola^ ^Jf^ con efferfi detto P//7«-
catum^ e poi P alane atum . Nell'Anno 11 00. pare, che la Città
di Mantova d'altro non fofle circondata, che di Pali . Stipiti-
bus , dice Donizone nella Vita di Matilda . Per teftimonianza
ancora d'Agnello nella Vita di Pietro Seniore Arcivefcovo di
Ravenna, Juxta Kavennam a Longino Pnefeóìo palocopia in mo-
dum muri propter metmn Langobardorum exfìruHaeft. Per cono-
fcere poi , qual fofle la fortificazione delle Città nel Secolo IX.
fi oflervi, quanto ha un Diploma di Lodovico II. Augufto, fpe-
dito nell'Anno 814. in favore dell' Imperadrice Angiiberga fua
Conforte . Avea quefta Principefla fondato preflb le mura àX
Piacenza un infigne Moniftero di Monache, che poi circa l'An-
no II 12. palsò in ufo de' Monaci Benedettini. Defiderando ef-
fa, che quella porzione ancora à.\ pubblico muro fi aggiugnefle
al Moniftero, l'ottenne per via d'efìfo Diploma , in cui quel!'
Imperadore dice: Adjungcììtes ipft esNofìro^ & in perpetuum
largientes cmnem tnuri ipfìus Civitatis intrinfecus & extrinfecus
valium a fondamenti s ufque ad pinnas murorum , quantum prò-
tendit a Porta Medìolanenjt ufque ad Pojìerulam fubfcque?7tem :
fcd
V E N T E S I M A S E S T A ." 417
feci & UTìiverfas in circuhu murorum^ & antemuralìum^Turrium
quoque^ & Portarum , ac Pojìendarmn macerias . Noti il Letto-
re, chi foffe allora il dilpotico Signore di Piacenza , e poi de-
termini 5 che fia da dire di chi ha fognato a i di nodri , che
Piacenza fofle nell'Elarcato conceduto da i Re Pippino e Car-
lo Magno alla Chiela Romana . Sicché le Citta erano guernite
òiBa/ìio?2t^ Muroy Antemurale ^ Torri ^ Porte ^ QPoJìerle^ cioè
di picciole Porte ; e ài Catarntte alle Porte , compofte di una
Ferrata, che potea alzarfi ed abbaiTarfi . Noi ora le chiamia-
mo Saracinefche . Qiianto alle Torri , convien udire Guntero
nel Ligur. Lib. 2. dove deicrive l'affedio di Tortona fatto nel
II 55. da Federigo I.
ìieic pnriter 'validas Turres , quibus undique fedes
Tura 'videbatur , rubeo nitidi jjim a ìnmo ,
Pro faico Inter em celeberrima Turris habebat,
Hanc ibi T arquinium quondam fundajfe Superbum
Rumor erat y nomenque loco retinente ^ Superba
Illa njocabatur longo jam tempore T urris .
Huic JubjeHa jugo^ •valido jirmijjima muro ^
Turribus & celjts confurgunt mcenia pin?iisy
Exornantque fuam teHis fublimibus Urbem,
Vedemmo fatta menzione deìV Antemurale , Alberto Aquen-
fé fpicga quefla fcura voce con un' altra non meno fcura nel
iJb. Ili, Cap. 32. della Storia Gerofol. con dire: Inter muros
& Antemurale y quod 'vulgo Barbacanas vocant. Adunque lo llef-
fo [\i Y Antemurale y e il Barbacane . Anche Alefiandro Abbate
di Teleia nel Libro II. Cap. io. della fua Storia feri ve : Cum
longijjima pertica , in cujus fummo tmcinus ferreus erat , An-
temurale , quod vulgo Barbacanus , toto dinjellitur conamine .
Nella Storia dell' eipugnazione di Maiorica , fatta nell' An-
no III 4. da i Pifani , s'incontrano quefte parole : Chrijìia-
ììus exercitus exjultans , & Deum laudans , Cajiella duo , &
Mangana conducit ad Caffarum ( cioè alla Rocca ) Justa quod
erant Barbacance 'magn<s latitudini s & profonda altitudinìs ,
quas lignis ( i CrKìiani ) impleverunt , & Cajiella fuperindu-
xerunt . Sembra dunque , che gli Antemurali , o i Barbacani
foffero mura piiÀ baffe , che coprifTero le mura maeftre del-
le Citta , affmchè non fi poteffero gli Arieti , e 1' altre Mac-
chine de i nemici accodare , fé non dopo molta fatica , alle
Tomo /, G g g Por-
4.i8 Dissertazione
Porte e mura fuperiori . Negli Annali Piiani all'Anno ii'^ó,
è fcritto , che i Pilani fecero Barbacanas circa Ctvhatem . Se
queiio fuflifte , una fpecie di Antemurale fi potea chiamare
quella corona di baffo muro , che girava nel Secolo proifuiio
paffato intorno alle Fortezze, e fi chiamava F alfa Braga, Fu
anche in uio di coprir le Porte con muro tortuofo , talmente
che non appariva la loro entratura, ed ancor queito portava
il nome di Antemurale . Ne' Paralipom. dell' Anonimo Saler-
nitano Cap. I20. vien raccontato, che nel Secolo IX. un Sa-
raceno avvisò Guaiferio Principe di Salerno , Ut undique Urbem
fuam recedificari faàat , & Atitemuralem illum , qui eft juxpa
mare , Jtne mora in ahum elcvet , ut imam Turrim in uno ca-
pite ^ & aliam in alto &c. Sicché due ordini di mura guerni-
vano le Citta e Fortezze, cioè il Muro alto delle medefime ,
e l'Antemurale : il che fi praticò ancora ne gli antichiffimi
tempi. Udite San Girolamo al Gap. 25. d'Ifaia. Et ponetur in
ea Murus & Antemurale Fidei , ut duplici ftt fepta munimento ,
Hic Murus & hoc Antemurale , de vivis lapidtbus exjìruitur .
Pro eo ^ qucd nos vertimus Antemurale , Symmachus Firmamen-
tum interpretatus efl : ut ipjì Muri munitionibus cinóii Jìnt ,
& Vallo , FoJJaque , & alits Muris , quos in adificatione Ca-
Jìrorum folent Loriculas dicere . In alcuni Luoghi in vece di An-
temurale fi faceva un doppio muro intorno alle Fortezze . Ho
Autore, che icrive, vcderfi tuttavia in qualche fito, cheCo-
fìantinopoli era cinta di doppio muro . E Radevico Libro 2.
Cap. 40. ci rappreienta Crema duplici muro exceljo circumda-
tam, E Ottone da San Biagio alf Anno 1x^4. Icrive, che Ge-
ruialemme da i Saraceni duplici muro ^ Antemurali oppofìto., ac
j(^Jf^tis profundijjimis cinBam fuijje . Continuò poi tempre l'ufo
de gli Antemurali o vogliam dire Barbacani . Ecco ciò , che
fcrive Giovanni Villani Lib.IX, Cap. 135. S'ordinò^ che fi cO'
minci afferò i Barbacani ^ ovvero CojifoJJi y di cofla alle mura da
jojji per piufortez;^ , e bellcT:^ della Città . E al Libro IX.
Cap. 257. Le Mura di qua dall' Arno grojfe braccia tre e me^^
Zo , fe?z:?ut i Barbacani , & alte braccia venti co merli C^c. E che
i Barbacani non foffero molto dilbolli dal muro delle Città ,
polliamo dedurlo da un pezzo di Storia nelle Note del Benvo-
glienti alla Cronica Sanele , dove fi favella di un Ghinozzo
prigione in una Fortezza, il quale nell'Anno i 325). falitoundì
scavallo, gli diede difproni, e fé [altare il cavallo^ el rivel-
lino
V £ N T E S ì M A S E S T A . 4 1 p
Uno della Rocca ; e gmnfe fui Barbacane , e falth in terra ; e
tocca da /peroni il cavallo ; e per la via correndo fé n andò a Saf-
foforte. Sicché i Barbacani fervivano per impedire o difficulta-
re l'acceilb delie Torri, ed altre Macchine di guerra, e Scale
alle mura delle Citta e Fortezze . Altrove fi veggono fabbri-
cati avanti alle Foffe. Porcellio Lib. IX. Comment. deicri ven-
do refpugnazione di Caftiglione Mantovano , cos'i parla : Vtn-
cunt hiìic Antemurale Bracciani , prxtereunt inde fojfas , & jam
valium afcendt'hant . Fra le fortificazioni delle Citta, pare che
s'abbiano a contare anche \q Carbonarie , Faffi menzion d'effe
nelle vecchie Carte , e preffo Falcone Beneventano , la dove
fcrive : Keverft funt ufque ad Carbonari am foris Civitatem^ ubi
Jìagnum luteum putridumque erat . Altri elempli lon da vedere
preilo il Du-Cange, il quale non f^-ppe determinare, cofa fof-
fero le Carbonarie ; e né pur io lo so . Le parole di Falcone
fembrano indicar foffe piene d' acqua . Nel Vocabolario delia
Crufca è detto : Carbonaria^ fijf^ lungo le mura . Ma meglio
è fofpendere il giudizio . Tolomeo da Lucca ne gli Annali bre-
vi ali' Anno 11 84. notò , che fuit Conjul Alcherius , qui adifi-
cavit Carbona/tas. Adunque pare, che fo (fero piìi tofto edifizj.
Cum fojjis ^ & Carhonnriis^ &muris^ & turre : fi legge in una
Carta della Conteffa Matilda, rapportata dal Fiorentini: il che
ci fa conofcere , effere ilate le Carbonarie cofa diverfa dalle
foffe. Ma nella Cronica di Foligno all'Anno 1283. fono le fe-
guenti parole : Statim , quum viderunt Vexillum , apparuit eis
maxima Carbonaria inter eos , Ò^ Fulgtttates . Et Jic bojtes terga
verterunt ^ credentes in Carbonariam precipitare , Adunque furo-
no le Carbonarie Luoghi prolondi e a guila di Foffe . Preffo le
Mura di Napoli qysl Ecclejia San6ìt Johannis in Carbonaria ; e
per quella parte clandeltinamente entrato il Re Alfonlo L s' im-
padronì della Citta.
Da che cominciarono fuUa Terra a comparir le guerre ,
s'introduffe anche l'ulo de' CaftcUi , Fortezze , e Rocche; e
molte n'ebbe l'Italia al Secolo IX. tutte l'pettanti al iolo R.e
od Imperadore, poiché a i privati non era permcffo d'averne;
e fé alcuno n'ebbe, fu con licenza dei Principe Sovrano . Pa-
pa Leone IV". o perfezionò la Citta Leonina cominciata prima
da Leone III. o pure interamente per le efortazioni e preghie-
re di Lottarlo I. Augufto la fabbricò. Vi fu alzata un' I ieri.
G g g 3 zio-
420 Disserta zione
zione, che l'Aringhi dice T^o{k2i fupra Portam Cajìrl SanBl An-
gelì^ qu(S Fona ^nea dkebatur ^ & San6ium Petrum refpiàebat,
11 Turrigio la dice collocata fupra Portam oltm nppellatam San-
&f Petri^ ftve Leontanam . In un MSto dell' Eminentifs. Cardi-
nale Domenico PafTionei fi legge pofta ad Portam Vmdariam .
Eccola, quale è prelTo l'Aringhi e il Turrigio.
Qui venh ac vadh^ decus hoc adtende njtator ^
Quod Quartus flrumt 7ìunc Leo Papa lìhcns,
Marmare pracifo radia?7t hac culmina pulchra^
Qu<£ manthus homìnum faHa decora placent ,
Cafaris invióìi , quod ijìhic cernis , honefium .
Prisftd tantum^ quod tempore gejjtt ^ opus.
Credo mal'tgnorum fua numquam bella nocebunt y
Ncque triumphus erit hojì'tbus idtra fuis,
R.oma caput Orbis ^ fplendor ^ Jpes ^ aurea Roma^
Prcefulis , ut monjìrat , e?i labor alma tu': .
Cfuitas hcec a Conditoris fui nomine
heoniaììa njocatur»
Nel Codice Paffioneo fi leggono cosi alcuni verfi :
Quds manibus hominum auBa decore placenta
Ccsfarìs invìBi , quod cemis ijìe HLOTARI^
Tantum Praful ovans tempore gejjìt opus*
Credo malignorum ttbi numquam Ò'^c^
Un' altra Ifcrizione riferita dall' Aringhi , e Turrigio , che in
elfo Codice fi dice porta ad Portam Urbis ^ Juxta Molem Hadria-
niy ha le feguenti parole :
Romanus , Francus , Bardusque vtator , & omnis
Hoc qui intendit opus , cantica digna ca?tat .
Quod bonus Antiftes Quartus Leo vite novavit
Pro Fatrice ac Plebis ecce f aiuta fuce .
Principe cum fummo gaudens Hlotharius Heros
Perfecity cujus ernie at altus honor,
Quod 'vejieranda fides nimio deduxit amore ^^
Hoc Deus omnipotens praeferat arce Poli ^
Civitas Leoniana vocatur^
.-.- .--.. Gli
Ventesimasesta. 421
Gli ultimi verfi nel MSto PafTionco fi leggono cos'i :
Principe cum fummo gaudens haec cun6la Johannes
Perfecit , cujus emicat /iltus honor
Wuos veneranda Jides fìimio devinxif amore ,
Hos Deus omfìipotens perferat arce Poli,
Civitas baec a Conditoris fui noynine
Leonina vocatur.
Se fufTifle qiiefta lezione, intendiamo di qui, che anche Papa
Giovanni Vili, fi adoperò per compiere la Citta Leonina. In
tal calo quel Principe cum fumano denoterebbe Lodovico II.
o Carlo Calvo, o Carlo il GrofFo , a' tempi de' quali tenne ef-
fo Pontefice la Sedia di San Pietro . Ove noi aveffimo una più
ampia Vita di quefio Papa, apparirebbe, fé fuffilla la fuddetta
lezione . Nel Secolo medefimo , un folo non fu il Romano
Pontefice , che atpirafTe alla gloria di Fabbricator di Citta .
Anche Gregorio IV. Papa avendo riedificata la Citta d'Oftia,
per teftimonianza di Anaftafio , ordinò , che fofTe chiamata
Gregoriepoli . A quefta fi dee aggiugnere Giovannipoli , fab-
bricata dal fiiddetto Papa Giovanni Vili. La pruova di ciò
efifte nella fsguente Ifcrizione , da me trovata nel prefato
Codice Paffioneo .
In Porta Burgi BaJìUcce San Eli Pauli .
Hic murus falvator adefì , invióiaque Porta ^
^ua reprobos arcet , fufcipiatque pios .
Hanc proceres intrate fenes , j uveite sque togati 5
Plebsque f aerata Dei , limina fannia petens .
^iam Prddful Domini patravit rite Johannes ,
^ui nitidis fulxit moribus ac meritis,
Pra/ulis OHavi de nomine faóia Johannis
Ecce Johannipolis Urbs veneranda eluit »
Angelus hanc Domini Pauli cum Principe SanElus
Cujìodiat Portam femper ab hofìe nequam»
Infìgnem jiimium , muro quam conflruit ampio
Sedis Apojìolicce Papa Johannes ovans .
Ut fibi poft obitum celejìis janua Regni
Pandatar , Cbrifìo fat miferante Deo .
Avea
4-22 Dissertazione
Avea Papa Leone IV. per afficurare la facrofanta Bafilica Vati-
cana dalle irruzioni de' Saraceni , fabbricata la nuova Citta
Leonina con buone mura ed altre fortificazioni . Ma recando
a i loro infulti efpoiia l'altra infigne Bafiiica di San Paolo fuo-
ri di Roina^ Giovanni VIILPapa, moflb da una lodevoi gara,
la cinfe di mura, baftioni e porte, ordinando, che quella nuo-
va Citta fi chiamafle Giovanfiipoli . D'efTa non ho trovato altro-
ve menzione alcuna . Cos'i nello fteffo Secolo IX. Sicone Prin-
cipe di Benevento fabbricò una Citta, chiamata dal fuo nome
SJcopoli. Tutto per tmiore de' Saraceni che infeftavano tutte
le Citta della Puglia, anzi minacciavano l'ultimo eccidio a Ro-
ma (leda . Odafi ciò , che fcriffe il medefimo Papa Giovanni
Vili, ai Re Carlo , cioè ai GrofTo , che fu poi Imperadore ,
nell'Anno 875?. o nei feguente . Sed ?ios tam ipjì dìH't Ifìnaelita^
quam alti concives tiojìrt ìmpugnant eie perfeqmmtur , ut extra
Muros Urbis nullateniis , vel qui labore manuum fuarum vivere
valeant , vel qui ( ut ita dixerim ) Chrijìianitatem Junra , ficut
decet^ obfervent ^ egredi libere pojfmt , L'efempio del Romano
Pontefice fervir dovette di ftimolo ad altri Veicovi per fortifi-
care le loro Citta . Anfperto Arcivefcovo di Milano, che nell'
Anno 882. pafsò all' altra vita , come apparifce dal fuo Epi-
taffio preiTo ilPuricelli,
Moenia follicitus commiffoe reddidit Urbi
Diruta . -
E Leodoino Vefcovo di Modena , come coda dalla memoria
già riferita nel Cap. I. cioè circa l'Anno 8^3. mentre bolliva-
no le guerre fra Guido e Lamberto Imperadori, e Berengario
Re, fortificò la fua Citta , fwn contra Dominos , ma per difen-
dere i Cittadini in que' s\ fcabrofi tempi. Nel Diploma di que*
due Augufti preffo il Sillingardi ed Ughelli è permefib a Leo-
doino fojfata cavare , Portas erigere , Ò^ juper unum milliarium
in circuitu Ecclejìcs Civitatis circumquaque firmare , ad Jalvati-
dam ^ & munte7idam ipjam Santìam Ecclejhim . Trovavafi allo-
ra l'Italia efpoiia a molti pericoli , anzi agitata da non pochi
guai. Durava la fanguinofa gara fra i luddetti emuli Re, che
ne difputavano fra loro la Signoria. Era preceduta la fiera in-
vaiìone de' Saraceni nella Calabria e in altre confinanti Provhi-
€ie 5 per cui moltiplicavano a dilmiiura le calamita in quelle
par-
Ventesimasesta. ^iJ
parti per parecchi anni, e ne provò le lue la ftefTa Citta di Ro-
ma. Un'altra gran brigata di coftoro , avendo fiiTato il piede
in Frafìineto tra l'Italia e la Provenza, metteva a facco i Po.
poli circonvicini. Ma ciò, che maggiormente mife il cervello
a partito a gì' Italiani , fu l'incredibil crudeltà de gli Ungri ,
gente barbara e fpietata , che fui principio del Secolo X. co-
minciarono a fcorrere dalla Pannonia, 'detta poi dal nome loro
Ungheria, nell'Italia devadandola con incendj, firagi, e rapi-
ne . Quefte furono le principali cagioni , che fecero in cert$
guifa mutar faccia all'Italia.
Poche erano prima di que' tempi le Citta e Cartella prov-
vedute di buone mura , e d'altre fortificazioni . Gran tempo
s'era goduta la pace fotto gì' Imperadori Franchi, né da moi-
tifTimi anni s'era provata incurfione alcuna di Barbari ; e per-
ciò quafi dapertutto fi viveva alla Spartana , e non che la'
campagna , le Citta iftefie fi trovavano prive di ogni difela .
QfTei che fi chiamavano Borghi^ per atteftato di Santo Ifidoro,
furono domorum congregationes , quce muro non claudebnntur .
Allorché diedero legge all' Italia i Romani , e i Goti , qui fi
contavano afiaiffime Fortezze ; ma per le guerre pofcia fucce-
dute , e per la lunga pace , andarono la maggior parte in ro-
vina . Però fopravenute le varie turbolenze fuddette , e mafii-
mamente le tanto deplorabili irruzioni degli Ungri, fi diedero
i Popoli a rifar le antiche Fortezze , e a fabbricarne delle nuo-
ve, per refiftere a i nemici , e per mettere in falvo le lor vite
ed averi alle occafioni . Quefto medefim.o ripiego fi cominciò
a praticare in Francia nel Secolo IX, a cagion delle tante la-
grimevoli fcorrerie de'Normanni. Pertanto chiunque potè, ot-
tenuta licenza da i Re od Augufti , opure da i Principi Longo-
bardi ne' Ducati di Benevento e Salerno , s'applicò a fabbricar
Rocche, Fortezze, e Catella, e a ben provvedere le Citta di
mura, e a fortificarfi anche ne' iuoi Feudi, e fino ne'beni Allo-
diali . Per una fimile occafione , come attefta Ennodio Lib. 2.
Carni. Onorato Velcovo di Novara fui fine del Secolo V. fab-
bricò e fortificò un Cartello . L'Autore della Cronica del V^ol-
turno , trattando de' tempi di Lodovico Pio , cos'i feri ve nel
Lib. 2. £0 ftquidcm tempore rara in bis regiombus Cajiella ha-
hcbantur , jed om?jia Villis , & Ecclejt'ts piena erant . Nec erat
jorm'tdo aut metus bellorum^ quon'tam alta pace omnes gaudebant
vfque ad tempora Saracenorum , Cejjfante quoque devajìatione ,
Ù'per'
42-ì. Dissertazione
& perjecuttonc illorum^ qui tunc evadere potueru?ìt ^ 'uel fua hive-
'/ìire potuerunt , Regis judìcio & precartis poJJ^edermjt , ufquequo
Norman?n in Italiani pervefierunp . ^hii Jìbi omnia dirìpientes y
Cajìella ex Villis edificare cceperunt^ quibus ex locorum njocabu-
lis nomina indiderc* Ma molto gli altri Popoli delia Lombardia,
anzi dell' Italia impararono a provvederli di buoni ripari ed
afili, e malTmiamente contro la diabolica razza degli Ungri .
Come coda dalla Storia Ecclefiaftica di Piacenza, Eurardo Ve-
Icovo di quella Cittk nell'Anno 8^8. comperò ab Andrea habi-
tatore Bardi montane a Piacentina medietatem de petra , quod eft
faxum , in loco Bardi , ubi Cajìrum adificatum ejfe videtur mo-
derno tempore , Rapporta l'Ughelli una Carta de' Canonici di
Verona, fcritta forie nell'Anno pop. dove effi concedono a gli
abitanti nel Caflello di Cereta di fabbricar ivi una Torre prò
perfecutione Ungarorum , Anche la Citta di Bergamo fi trovava
in gran pericolo , maxima f<gvorum Ungarorum incurjione , co-
me apparifce dal Diploma di Berengario I. Re conceduto^ad
Adalberto Vefcovo , e a' Cittadini di quella Citta , nel quale
diede loro licenza , che poteflero Turres & muros ipjius Civi-
tatis readificare. Parimente Gauslino Velcovo di Padova impe-
trò da Ottone I. Augulio nell'Anno p6^. Cajìella cumTurribus
& Propugnaculis erigere , come abbiam dall' Ug belli . Diffi ,
che a ciò occorreva la licenza del Sovrano , e lo fteffo fi pra-
ticava anche in Francia . E però Carlo Calvo Re circa l'An-
no 8(54. ne' Capitolari prellb il Baluzio pubblicò il leguente
Editto : Exprejfe mandamus , ut quicumque ijìis temporibus Ca-
jìella , & Jirmitates ^ & hajas fine nojìro verbo fecerunt ^ Kalen-
dis Augujìi omnes tales Jirmitates disJaBas habeant. Che fé alcuno
in Italia fenza licenza del Principe olava piantar delle Fortez-
ze, correva pericolo di edificarle non per le ft elfo, ma pel iuo
Sovrano . Paolo Abbate del Moniftero del Volturno nell'An-
no ^6'j, impetrò da Pandolfo e Landolfo Principi di Beneven-
to , ut ubicumque ille , vel fuccejjores iti hereditnte vel Ì7i perti-
7ientia ejusdem Monajìerii Turrem aut Cajìellum Jecerint , Jemper
in potejìatem , & dominationem ejusdem Monajìerii , & ejus Ab-
batibus & Re&oribus eJfe debeant , & nullam dominationem ibi'
dem babeat Pars nojìra Publica , cioè il Filco d'efli Principi.
Così Rozone Vefcovo d'Arti nell'iVnno p<^p. per facoltà concef-
fagli da Ottone il Grande preflb 1' Ughelli , potè Cajìella ,
Turres y Merulos , Mumtiones , Valla , Fojfas , Fojfata , cum
Pro-
Ventesima SESTA. 4.25
Propagn/tcuUs flrueve & codificare . Di quefte fortificazioni era
ouerntta la Citta di Torino ne' vecchi tempi ; ma ne relìò pri-
va per iniquità di Amolone Vefcovo d'elTa, ch'era Rato Arci-
cancelhere di Lamberto Imperadore , fui fine del Secolo IX.
Ecco ciò che ne Icrive l'Autore della Cronica Novalicienfe ,
dove fa menzione Ammuli Epijcopi Taurinenfts , qui ejusdem
Ci'vitatis Turres & Muros pewerfitate fua dejìruxip , Fuerat
h(ec /ìquidem Civitas condeìifijfimisTuYvihus hcm redimita^ Ò'
ayrus in circuitu per totv.m dcnynhulatorios cum Propugnaculis dc-
fuper , atque Antemuralibus &c. Che la facoltà di fabbricar
Fortezze foife conceduta anche alle perfone private , appari-
rà da un Diploma di Berengario I. Re dato in favore di Ri-
fmda BadefTa del Moniftero Pavefe di Santa Maria Teodora ,
opoidi della Porteria nell'Anno 012. Ivi dice il Re di conce-
derle ccdificandi Cafiella i?t opportii?jìs locis licefìtiam ^ ufìacum
Bcrtifcis^ Meruloru'in Propugnaculis ^ Aggeribus , atque Fojfiatis^
omnique argumento ad F aganorum infidias^ cioè degli Unghe-
ri, gente venuta dalla Tai tarla, e tuttavia Idolatra.
v Quelle, che fon qui appellate Benefche ^ e Baltrefche ^ fi
truovano menzionate da gli antichi Autori della Lingua Italia-
na. Erano, fé mal non mi appongo, cafotti o torricelle di le-
gno con picciole fineftre , dando ivi le fentinelle pronte a fca-
gliar faette contro i nemici . Vi fon anche nominati Meml't ,
oggidì Tkffr/; , parola che non veggo mentovata dal Du- Gan-
ge . Il Menagio la tira dal Latino Mirice con quefta bella fca-
la : Mina^ Minum^ minulum ^ menulum ^ merulum ^ Merlum ,
Chi può crederlo? Ferie adi Mirare {\ iormo Mirul a ^ che de-
generò m Merlila^ cMerulus. Lo fi: elfo furono ikf^r;///, q Pin-
na murorum^ e dalle loro aperture fi laettava, e gittavano faffi.
In un Diploma di Lottarlo IL Re d'Italia dell' Anno ^48. è
data licenza ad un certo Waremondo di edificare Turres , &
Cajìella cum Meruliis , & Propugnaculis , & cum omni bellico
apparatu . In un altro Diploma di Berengario I. Re nell* An-
no pii. vien conceduta a Pietro Vefcovo di Reggio licentia
coyìfiruendi Cafirum in fua Plebe ftta in Vicolongo. Per tal ma-
niera a poco a poco e Vefcovi , e Abbati , Conti , V^afll , ed
altri Potenti del Secolo fabbricarono tanta copia di Rocche ,
Torri, e Fortezze, che nel Secolo X. e viepiù nell'XI. fé ne
mirava, per cos'i dire , una felva , fpezialmente in Lombardia.
Pianta vanfi tali Fortezze nel piano, ma incomparabilmente più
Tomo L Hhh nel-
^i6 Dissertazione
nelle colline e montagne , e nelle cime d'efi'e , acciocché il fì-
to rtelTo accrefcefle forza a quelle fortificazioni . A' tempi an-
cora de' Romani le Caflella per la maggior parte fi folevano
fondare in edìtts locis . Avrefte veduto allora nelle colline e
montagne del Modenefe e Reggiano una corona di Rocche e
Torri, quafi tutte pofledute dalla ContelTa Matilda , non so fé
con titolo di Feudo , o Allodio , o perchè ella foife , come è
molto probabile , Governatrice ancora di quelle Citta . Altre
Fortezze in que' fiti , anzi nel refto della Lombardia , appar-
tenevano a i Conti minori , cioè Rurali, a i ValvafTori , Capi-
tanei, Caftellani (che così ne* Secoli rozzi richiamavano an-
che i Signori di un Caftello ) ed altri Potenti . Eranvi ancora
Comunità forenfi , che avendo prefa la forma di Repubblica ,
formavano Rocche e Fortezze per loro difela. Ciò , che in un
paefe fi faceva , trovava tofto de gì' imitatori in altre parti :
il che non so dire, fé recaffe più vantaggio o danno all'Italia,
perchè tanta abbondanza di Luoghi forti cagionava difcordie ,
guerre, edaffedj. Facilmente allora avveniva, che queQi Si-
gnorotti iniultaflero i vicini, o fi ribellaffero alle Città, e agli
Iteffi Regnanti. Fin rAnno^4<^. Guido Vefcovo di Modena,
gran faccendiere, fece tefla ad Ugo Re d'Italia; e però, come
fcrifle Liutprando nel Lib. V. Cap. 12. della Storia , elfo Re,
congregath cop'tis ad ejus Cajìrum Vìneolnm ( e non ÌSÌ'tveolayn )
'veìitt ^ idque 'virili ter , fed in ut il iter , oppugnavit . E' fi t nata la
Terra di Vignola nel Modenefe preflTo il Fiume Panaro ; ed ivi
io, qualunque mi fia, nacqui nell'Anno 1^72. Cosi molto fa-
mofa riufci la Rocca di Canofla , piantata in un faflTo ifolato
del Contado di Reggio, con avere fofferto un lungo ed inutile
alfedio da Berengario II. Re d'Italia dopo l'Anno 950. De-
fcrivendola Donizone nel Libro I. Cap. 2. della Vita di Ma-
tilda 5 COSI parla
Non Aries^ Vulpis^ neque Machina prcevalet ullìs
I6iibus excel fis nojìris pertingere te Bis,
Del pari , per atteflato del Continuatore di efTo Liutprando ,
Mons Feretranus , oggidì Montefeltro , qmd Oppidum SanHi
Leonis dicitur , fervi di ricovero al fuddetto Berengario per
gran tempo, finché vinto dalla fame, venne in potere dell*
Elercito di Ottone il Grands Imperadore nell' Anno p6^, o
nel feguente.
Quel
Ventesimasesta. 427
Quel che ora conviene offervare, fi è, che dopo il Mille ,
e malTimamente nel Secolo XII. fi diedero piìi di prima gl'Ita-
liani all' arte della guerra . Buona parte oramai delle Citta di
Lombardia, Genoveiato, e Tofcana avea pigliata forma diRc-
pubbhca , e a confervarla abbifognavano di danaro e d'indu-
ftria. Perciò preiero a ricuperare tutto l'antico loro diflretto,
troppo dianzi fmembrato e trinciato, con fottomettere i No-
bili, che più non ubbidivano alla Citta . Poi fi trattò di fare
refilienza a gì' Imperadori , che non mantenevano i privilegi
e le antiche confuetudini , ed imponevano aggravj oltre il do-
vere . Primi furono i Normanni a dare efempli di mirabil for-
tezza e difciplina militare nel Regno di Napoli e di Sicilia nel
Secolo XI. Probabil cofa è, che da elfi palTaiTe ne gli altri Po-
poli d'Italia l'amor della gloria , e l'applicazione al meftiere
dell'Armi . Ciò , che avvenne nella lunga guerra tra Federi-
go I. Augufto, e le Citta della Lega Lombarda , fi può veder
nelle Storie di quc' tempi. Gli ftefli Tedefchi ebbero allora di
che imparare dai Lombardi. Arnaldo da Lubeca nella Cron.
Slavica Cap. p2. narrando 1' affedio fatto nell'Anno 11^3. di
una Citta da Arrigo Lione celebre Duca di Baviera e Saffonia,
cos'i fcrive : Et ftat'tm prcecepit ex abundanti ìiemore Ugna con-
duci , & aptarì bellica infìnimenta , quali a viderap faBa in
Lombardia , id eft Cremds , five Mediolani . Fecitque Machinas
efficacijjlmas , unam tabulatis compa6iam ad perfringendos Mu-
Yos ; alreram njero ^ qucs exceljìor erat^ & in turris modum ere^
Ba , fiiperexaltata Cajìro ad dirigendas Jagittas , & ad abigen-
dos eos , qui Jìabant in propugn acuii s . Era antico l'ufo di que-
fte Torri mobili fopra le ruote in Italia, ed alcuni le chiama-
rono Phalas . Ora ne*fopradettì Secoli gran perfezione acqui-
ftarono le Macchine militari , e maffimamente quelle , onde fi.
gittavano fafll , chiamate Bricola , Mangana , Petraria , Pre-
derìce , Tonorellce , Trabuchetti , Trabuchelli , Trabuchi , Man-
ganellds &c. Ne' Paralipomeni dell' Anonimo Salernitano da me
pubblicati è nominata Machina , quam nos Patriam nuncupa-
mus . E^ un errore dello Stampatore . Si dee leggere : ^uam
nos Petrariam nuncupamus , Tali ancora furono i Trabocchetti ^
la qual voce nel Vocabolario della Crufca è fpiegata cosi: Luo-
go fabbricato con injidie ^ dentro al quale Jì precipita. Cos'i in
fatti noi intendiamo oggidì Ma una volta Trabucheta o Tre-
buchete lo fteflb erano, che i Trabuchi ^ cioè Macchine milita-
H h h 2 ri ,
428 Dissertazione
ri, onde fi fcagliavano farfi, come apparifce dagli efempH reca-
ti nel medefìmo Vocabolario . In una Lettera dell'Anno 1220.
che fi legge nel Tomoli. Milcell.Baluz. vien detto: Supermiam-
quamque Turrim unus Trabuchellus fuit ere6lus . Peraltro è vero,
che ne' Secoli addietro, allorché godevano buon vento i Tiran-
netti nelle gare de' Guelfi e Ghibellini, fi usò di forare il pavi-
mento delle Camere , e coprirle con tavola di legno chiamata
Ribalta^ fopra cui chi incautamente metteva il piede, precipi-
tava al baffo. In certa Rocca a me fu moftrata una di quelle
detelìabili invenzioni . Trabocchello ^ vien dall'Italiano Traboc-
care^ e dura per dilegnar le Trappole per prendere forci , uc-
celli, e fiere. I Franzefi àìcorìo Trebuchet ,
Torniamo alle Macchine , che traboccavano faffi e pietre ,
chiamate da gli antichi higema^ Tormenta ^ Artìfic'ta^ ^d'tfi-
ciay e Dìfici da i Fiorentini. Chiamaronfi perciò higeniarii ed
Ingemofi i fabbricatori d'effe , perchè certo fi richiedeva non
poco d'Ingegno a formarle e maneggiarle. Dura tuttavia pref-
io di noi quella voce, e s'è ftefa anche ad altri Architetti» Bar-
tolomeo da Neocaftro nella Storia di Sicilia più volte nomina
Ingenias. E dice : Lapides Ingefiìarum volvuntur . Altrove dice:
JVlagiJler Ingenia Admiratì , qucs 'vocabatur Cajìellionum , ere^a
diametro^ adeo fubtiliter ìngenìo temperavh Ingenìam , quod quo-
tìens ex ipfa lapìdes tmm'tttebat in Cajìrum , Jìngulos lap'tdes ini-
mtjìt in Puteum , qui vocatur Baftlius . Nel Memoriale Poteft.
Regienf fi legge : Et habeb^m Manganellas inplauflris^ &ma7J-
ganabant eas per Carrocium Parmce & homines illius partis. Altro
non erano le Manganelle ie non piccioli Mangani , che gittava-
fio pietre. D'effe ancora è fatta menzione negli Annali di Caf-
faro all'Anno 1227. Praticolfi inoltre di applicare un nome
proprio a quelle Macchine, e maffimamente àiLupo^ (t^Afino^
e n'è ben antichiflìmo il coflume. Ammiano Marcellino Lib.23,
Gap. 4. all' Anno 3^3. defcrive una di quelle Macchine , quds
faxum contorquet ^ quidquid incurrerit collifurum . Cui etiam Ona-
gri 'vocabtilum indidit atas novella e a re , quod A/ini feri ^ quunt
noenatibus agitantur , ita eminus lapides pò fi terga calcitrando emit-
tunt , ut perforent pepiera fequetnium , aut perfraElis ojjibus ca-
pita ipja dtfplodant. Lo creda chi vuole . Ne gli Annali Geno-
vefi dello Stella all'Anno 1372. fono riferite Machina plures ^
magni ponderis lapides jacientes ; & pra aliis Machina una ^ qu<e
Troja ( cioè Porca ) 'vocata , jaciens lapidem ponderis , quod
Can-
VentesimasestaI 429
Cantarlorum XIL lifque in XVIIL vocatur . Se è vero , che. il
Cantaro in Genova pefi cento cinquanta Libre , mirabil cofa
dovea efTere una Macchina potente a lanciar per aria un s\gran
pelo. PrefTo il Du-Cange fi veggono elempli d'altre fimili Mac-
chine portanti il nome àìTro/a. Ne gli Atti della Repubblica
di Modena dell'Anno 130^. fi vede nominato BaUiJìum^ quod
appdlatur la Lova ( cioè la Lupa ) valoris & extìmationis tre-
ceììtarum Ltbrarum Mut'menjtum . Aggiungafi Henrico Rosla Saf-
fone, che per teftimonianza delMeibomio Icriveva circa il 1287.
Scrive egli :
Non he'ìc un'tgena fabrìcatur Machina. Nomen
Hccc Librili a tenet y quaft fase a pondera librans,
Obtiner ili a Suis ; fed Hirundinìs hosc ; fìat yljelli
Illa Giocata ?70ta.
Cosi Abbone nel Lib. 2. de objìd. Parif. ricorda Arietes , vulga
Carcamufas refonatosy cioè appellati. Nella Vita di Cola di Rien-
zo è fcritto , che all' afledio di Vetralla i Romani fecero una
Afinella de Leno ^ e co?inuJferla fi' alla Porta della Kocca . La
?iotte fé fece , Quelli della Kocca mejìicaro Zoifo^ Pece .^ Voglio ^
Trementina , Lena , & aitre cofe , e j ettaro quejìa mejìura fopra
lo deficio. La Aftnella fo in quella notte ar'za ; la domane fo
trovata cenere. Macchine tali fi truovano anche appellate Ar-
resa & Artifici a , onde forfè ulci il nome di Artiglieria . Ap-
preso Guntero Lib. IIL Ligur. Mangano vien chiamato Balea-
rie a Machina in que' ver fi :
Exjìruìtur mira Balearica Machina molisy
^hta valido lotigum transverberat aera ja6lu,
Jacopo Spiegelio nelle Note a quefto pafTo , fcrive : Balearica
Machina y idefl funda^ qua primum inventa efl apud Baleares
Infulas. Non l'ha intefo . Qui fi deferi ve non ìd, fionda vol-
gare, ma bens'i uno fmiiurato Mangano . Vero è, che in alcu-
ne di tali Macchine fi lanciavano colla fionda gran faffi , come
avvertii Giufto Lipfio Lib. IH. Dial. 3. Poliorcet. Ma Guntero
parla di una Macchma gittante pietre, e la diftingue dalla fion-
da ordinaria con dire :
Lapides agitata minores
Funda rotat : Magnos Balearica Machina muros
Incutiti Ò' duro munimina verberat iUu,
Truo-
4.30 Dissertazione
Truovafi preflb gli antichi Balea , Baleare , Balearius per gìt-
tar pietre , piombo , laette . Di qua venne Baltjìa , e Baie-
Jìra dciì greco Ball em * Odi ora ciò, che dall'Anonimo Bene-
ventano all'Anno 1042. fu fcritto . Maniaci perrexh in Tra-
ns ; per mare & terra obfedit eam . Fecìp ibi Tunem excelfam
lig?ìeam , & fragore as ma?ìculas , C^ Berbices , ut compreheìideret
- eam. Abbiamo ancor qui una Torre ambulatoria . Invece di
Manculas , leggo Machinas tra&orias , o pure Maticanas , cioè
Mangani tiranti faffi, e Berbices ^ cioè Arieti,
E Q.UI* fi ofìfervi, come i noftri Etimologici fi fon lambicato
il cervello per trovare , onde fia venuta la parola Magagna .
Gosi ne parla Egidio Menagio nelle Orig. della Lingua Italiana:
Magagna^ difetto ,^ Mancamento, Credo da Mancare ^ Manca-
nus , Mancana , Macana , Magana , Magagna . Da Machana
Dorico lo cavano il Caninio , e il MonoJtJii , Voleva il Quieto ,
che derivajfe da Magus. Magus^ MaganeuSy Maganea^ Maga-
gna, AMangonibuSy Mangonium^ Mangonia^ Magagna ^ il Si-
gnor Ferrari, Tutti fogni. Fuor di dubbio è, che da M^;;^^;?;/^»
venne la parola Magagna , Allorché i Mangani lanciavano e
spargevano una pioggia di fa^j , ne recavano morti o feriti
Uomini e Cavalli, per nulla dir delle cafe. Perciò gli Uomini
o Cavalli percoffi dalle pietre de' Mangani fi dicevano Manga-
nati , e Manganiatl , Di qua invalfe Magagnati , e Magagnare
fignificante il ferire col Mangano ; e Magagne le percoife o fe-
rite cagionate da i Mangani , Si fatino mura , che /' uomo 7ion
puote Magagnare per Difici né per Mangani , Cosi nell' antica
Spofizione del Pater Nojier preffo gli Accademici della Crufca.
Anche Matteo Villani Lib. I. Gap. 22. fcrive : E i loro Cavalli
erano pili fianchi , e Magagnati dalle Jaette de gì' In gì e Jì , La
Lingua Tedefca tuttavia chiama Mangel la Magagna , e il
Mangano, Anche gl'Inglefi di la trafiero il loro verbo Manghy
che fignifica percuotere, ferire, ftorpiare. Par cofa incredibile
il trovar nelle vecchie Storie, di quanto gran pefo fi gittaffero
pietre da i Mangani, o fia dalle Petriere, e da altre fimiU Mac-
chine, e che gran danno inferiffero alle cafe e a' nemici. Tal-
volta le llefTe Torri più forti foccombevano sfondandofi i tetti
e i tavolati , né reftava luogo ficuro di quiete a gli affediati .
Ciò che ora fi fa con tanto maggior fucceifo e frequenza delle
Bombe, fludiavanfi allora di far gli Uomini con quegli ordigni.
Né il dee tacere un ripiego e riparo inventato in que' tempi ,
cioè
Ventesimasesta.' 4.jt
cioè nell'Anno 1118. per infiacchire o rendere vanì i colpi de'
faffi, cioè (tendendo una rete di corda davanti alluogo infefta-
to dalle Ferriere. Pandolfo Filano nella Vita di PapaGelafioH.
così fcrive : FachtìP contra Machinas , njtneas , balìjìas , ty ar-
cus . Inde primum Refe cantra Petrartas ad Tunes aperiendas
ab aflvto ilio Tf ranno ( Arrigo I V. fra gli Augufti ) in dam-
num plurìmorum , & proficuum multis Ingenium exquijitum in-
'ventum efl . Che invenzione trovafTero i Saraceni di Erizza
per impedire il danno , che avrebbero recato i Mangani de'
Pifani nell'Anno 1 1 14. ce lo fa fapere Lorenzo Vernefe o Vero-
nefe Lib. IV. Belli Balear. con dire:
Protegitur murus paunis , latisque tapetis ,
Et Turres habuerc Jui mu7iimìna njejìes^
Fulcraque collatae luferu7ìt jcspius iólus
Molis , Ò' appojìfa texerunt e etera crates .
Caffaro nel Lib. L Annal, Genuen. lafciò fcritto , che nell' alfe-
dio di Tortola dell'Anno 1148. perchè i Saraceni lanciavano
lopra il Caiiello di Legno de'Criltiani petras ducentarum libra-
rum ponderis^ i Genovefi l?oc cito emendaverunt^ atque Ketia cbor-
darum juxta parietes Cajìelli tanta pofuerunt , quod i6ius petrarum
Saracenorum nullo modo timuerunt .
UsARONsr anche allora nell'efpugnazione delle Citta e For-
tezze Vineód o Crates di molte forme , alle quali la Lingua vol-
gare diede il nome di Gatti , fotto le quali graticcie i foldati
paffavano fotto le mura per ismantellarle . Nel Vocabolario
della Crufca il Gatto è definito cos\ : Inflrumeìito bellico da
percuoter muraglie ^ il quale ha il capo informa di Gatta, La-
fine Aries , Tefludo . Non han colto a fegno . Lo fteffo Ber-
nia citato da loro fcrive :
Gatti teffuti di vinchi e di leg^no .
Ecco le Graticcie , chiamate Vineoe da i Latini . Rolandino
Lib. VIIL Cap. 13. della Cronica meglio c'iftruira feri vendo:
JEdificium quoddam conftruxere , quod njulgo Vinca dici tur y
ideft Gattus , Più fotto : ^i fub Gatto erant . Anche il Dan-
dolo ci fa fapere , cum Gatto fuppojitum fuijfe ignem Portce AU
tinati di Padova. Parimenti i Cortufi Lib. V^IL Cap. 7. hanno
le feguenti parole: Fiunt Vinece ; five Gatti ^ pontes ^Ò [calce &c,
E Niccolò Speciale nella Storia di Sicilia Libro L Cap. i 5. fa
menzione de trahìbus ligneis , quas vulgo Gattas appellatJt . E
Bar-
452 Dissertazione
Bartolomeo da Neocaftro nella Cronica Siciliana nomina Gat-
tum eximium extrabibus» Più chiaramente ne parla Guglielmo
Britone Lib. VII. Philipp.
Huc facìufit reptare Catum^ te6lique fub ìlio
Sujfodiuiìt murum, - - -
Son citate dal Da-Cange quefte parole di Vegezio : Vineas dì-
serimt njeteres^ quas nunc militari barbaricoque ufu Cattos 'vocant ,
Lipfio elegantemente defcrive le Vinee ; ma non s' ha da dif-
fmiLilare, in vece àìi Cattos^ altri tefti di Vegezio hanno Cau-
cias^ e Cautias . Ma per meglio intendere ciò che fofìTero i Gat-
ti, s'oda Ottone Morena, il quale deferi vendo Gatum ingentis
molisj fabbricato per ordine di Federigo I. Augnilo, fra faltre
cofe dice : In ipfo enim Gafo quidam Trnbs ferrata , quam Ber-
cellum appellabant , conflabat , quam ìpji , qui itifra ipfum Ga-
tum fuerant^ fori s plus de vi gin ti brachiis projictentes^ in murum
ipjìus Caftri mirabiliter feriebant . L'edizione dell' Ofio in luogo
dì Bere eli um ha, Barbi:?^llum . Meglio, perchè formato da Eér-
bix Berbicìs^ fignificante Ariete^ Montone. Dal che s'intende,
che fotto i Gatti fi menava V Ariete per rompere le muraghe,
e che per confeguenza furono Macchine compofte di legnami
e graticci , delle quali anche fi fervivano per ripararfi dalle
pietre e faette de' nemici. Di qua venne, che anche certe Na-
vi coperte , fotto le quali fi afcondevano i Soldati , riportaro-
no il nome dì Gatte, Bartolomeo Platina Lib. IV. HiJl.Mant,
fcrive : ^)uatuor naviculas fubmijjit undique coopertas^ quasGat-
tas tncolcs vocant , relióiis ab uno latere fenejìris quibusdam ,
unde tuto fecuribus ac dolabrìs exfcindere pontem liceret . Mu-
fculus & Murilegus talvolta ancora fu appellata quella Mac-
china .
Del refto nota cofaè, che anche a' tempi de' Greci e Ro-
mani furono in ufo le Macchine per gìttar fafli , e di quefte fi
fervivano tuttavia i Romani del Secolo IX. Si àkoh'i Anaflafio
nella Vita di Gregorio I V. Papa , che cosi fcrive circa 1' An-
no 825?. In Civitate Oftienfl Civitatem aliam a folo valde forti f
Jìmam^ muris quoque altioribus^ ac ferìs y & cataraóìis eam undi-
que permunivit^ & defuper ad inimicos ( cioè Saraceni) Ji vene-
rint , expugnandos Petrarias nobili arte compofuit ; & a foris no?i
longe ab eisdem muris ipfam Civitatem altiori fojfato prcecinxit ,
ìie faciliu^ muros contingere ijìi valercnt , Ecco la maniera tenuta
allo-
V E N T E S 1 M A SE S T A I ^.jj
allora per fortificar le Piazze . Non vi mancavano mai le Fe-
rriere • e quefte s' andarono tanto perfezionando , che nel Se-
colo XII. e XIII. fi icagliavano per aria fa^ di fmifurato pefo,
che fracaflavano Uomini e cafe . Se s ha credere a Rolandino
Lib. VI. Gap. ^. allorché Eccelino da Romano nell'Anno 124^.
aflediò la Rocca d'ERe , adoperò XJK j^dìficia trahuccantta
iind'tque tpjnm Koccham . Et rotabant ^dìficia qucedam lapìdes
ad iplum Cajìrum ponderis Lihyarum Mille ducetitarum & ultra.
Gli AnnaH vecchi di Modena all'Anno 1255. notano: Trabu-
tum Mutinenfium , qui fa6lus fuerat iti Platea Communis Muti-
7ide cu/US pertica erat quantum jes paria boum ducere poterant .
Gran rottura di cafe faceano quelle si pefanti gragnuole. Ful-
vio Azzari nella Storia MSta di Reggio fcrive, vederfi tuttavia
fopra 1^ Porta di Santa Croce un' Ifcrizione , che ben merita
d'^effere rapportata , perchè vi fi fa menzione d'uno de gli Ante-
nati del Santiffimo regnante Pontefice Benedetto XIV.
Amw M. C. No?2ageJfmo Vili,
Hoc opus ejì aHum ^ Guidonìs tempore fa&um j
,^ui Lambertini Cognomen gejìat ylnjini
Hunc hominem cautum tribuit Bononia lautum
Urbi Regine Re&orem celibe fide .
Befmantum cepit ^ Pul^anum grandine fregit,
Hanc Portam Crucis ce7ìfemus jubare lucis.
Quelle parole Pulganum grandine fregit vogliono fìgnifica-
re, che le Petriere del Podeffa di Reggio lafciarono una lagri-
mevol memoria nelle Cafe del Calleìlo di Pulgano , o fia Pu-
gHano . Ma , come avvertì Domenico da Gravina nella fua
Cronica , gran danno bensì recavano quelle Macchine , ma di
rado obbligavano una Citta alla refa . Capitanei ( così egli fcrive )
di6ii exercitus ab esteriori parte Trabuccos quatuor erexerunt , per
quos continuo noóle , dieque lapides jaciuntur . Sed^ ut tunc 'vidi ,
exijìimo , numquam per Trabuccum Terram pojfe acquiri : quO'
72Ìam Trabuccus non ad aliud bonus ejì , nijì in acquijìtione Ca-
Jìrorum ^ licet ex iHibus Trabuccorum ipforum ^ & fraSiionibus la-
pidum , quos jaciebant , plurimi perii [fent homines in Berdefcts ,
& Berdefcas plurimas infregijfent , Giacché abbiam per le ma-
ni quefto Scrittore, fioifervi, ch'egli fa menzione d'un altro
ordigno militare, cioè Aq Mantelli all'Anno 1350. con dire:
Tomo I, I i i Fece-
434- Dissertazione
Fecarunt etìam Caphanei ipjì divcrfa higenìa lìgnea pra^pavarì ,
Tontes y Cajìra (cioè Gattelli di legno) Scalas ^ Gattos ^ &
Maìipellos , Fundas plurimas , & Balijìas ; & tigna plurima ,
feu frafcas hicidere , ut cum eis Ò' es eis fojfatis adhcereant , Ò*
fojfatos faciam onerare . Anche in Ifpagna per eiempio recato
dal Du- Gange fi vede, ch.^ Mantellets & Gates erano Macchi-
ne da guerra . De' Gatti abbiam parlato, ma qual cofa folTero
i Mantelli , noi so dire . Credo metaforicamente detto Sman-
tellare una Torre o Rocca, cioè cavarle il Mantello con atter-
rar le mura . Pietro Azario nella Cronica icrive del Conte di
Urbino : qui fuper Circhis ipfius Terree Scarpariae Mantellos fir-
mos tenens^ defcnfores graviter offendebat . Forte furono ripari
ficuri per iflarvi al coperto. Da Bartolomeo da Neocaftro fono
ancora menzionate Ciconids bipennes. Forte furono Macchine a
guiia del Latino Toilenone , atte anch'effe a gittar groffe Pie-
tre. Talvolta in vece di iaffi venivano fpinte immondezze nelle
Citta affediate per difp rezzo, e fcorno de' Cittadini. Nel 1249.
ebbero i Modenefi una gran rotta da i Bolognefi, e vi rtiib pri-
gione Enzo Re di Sardegna . Allora fu, come fcrive l'Autore
de gli Annali Bolognefi da me dati alla luce , che del Mefe di
Settembre i BologneJÌ C072 grande ojìe ajfediarono Modena per
cinque Settimane , e fecero vie coperte , e con Trabucchi butta-
ro?io molte pietre tìella Città , e nji gittarono un Aftno . Ma do-
vea aggiugnere queRo Ktorico ciò, che il Sigonio , il Ghirar-
dacci, ed altri fcriffero , cioè che il generolo Popolo di Mo-
dena irritato da quedo infulto , sboccò tofto dalla Citta con
tal empito , che prefa la Briccola , con cui era flato lanciato
r Afino , la conduffero a man falva con allegri Viva nella Cit-
ta . Per atteftato ancora di Ricordano Malafpina Gap. 120. i
Fiorentini nel 1232. Ajfediarono Siena dalle tre parti , e con
molto edifìcio vi gittarono dentro pietre affai ^ e per più dijpet'
to vi Mang^anarono entro Aftni , e molta bruttura , Vedemmo di
Ibpra dato il nome d'i Afìno^ e Troja a i Mangani. Altri prefi
parimente dalle Beftie fi davano a gli altri ordigni per forar le
mura , o per altro bifogno . Ottone da San Biagio defcrivendo
l'affedio di Aleffandria fatto nel 117 1. da Federigo I. Auguflo,
fcrive, ch'egli Talpas ^ Vulpeculas ^ Ericios j Cattos^ (^talibus
enim cenfentur 7ìomi?iibus ) exuri prcecepit .
Le Torri di legno , che allora fi ufavano , chiamate anche
Caftellij pofle fopra ruote, da che era fpianata o riempiuta la
foffa,
Ventesimasesta. 4j5
fofìfa, fi accodavano alle muraglie delle Citta, e dalla fommitk
d'effe i Soldati combattevano con quei di dentro; e fé la vede-
vano bella , calato un Ponte , faltavano Tulle mura . Dardi
eziandio infocati fi fcagliavano nelle Cafe per bruciarle : coftu-
me, che gl'Italiani apprefero da'Greci, preflb i quali celebre
fu una forta di Fuoco terribile, che né pure coli' acqua fi eftin-
gueva . Noi vediamo anche menzionati da Ottone Morena
Mamyanos^ Preteriasque , & Scrimalias , feu Machinas , cetera-
que defenftonts Cremoe tnjìrumenta . Furono a mio credere le
Scrtmal'te cafelle di legno per iliarvi al coperto dall' armi ne-
miche fulle mura. Lo fieffo i\utore avea detto di fopra : Fe-
re nullus e Cremcnjìbus ibi ad Scrimalias , feu Machinas ìpjìus
Cajìri apparere potcrat , quod Balijìrerii , qui infra ipfum Ca-
fìrum fuerant ^ flatim non interfìcerent illos , Perciò le Scrimalie
io fteflb fignificavano che Difefe dal Tedefco Schirm e Schir-
men^ onde il noRro Scherma^ fchermirji &c. Quegli ordigni an-
cora, che Cavallo di Frifta fi appellano nella milizia, non fo-
no invenzione de'noftri tempi . Niccolò da Janifilla nella Cro-
nica da me pofta nel Tom. Vili. Rer, Italie, mentre deferivo
le guerre di Manfredi polcia Re di Sicilia , cosi fcrive : Fa&a
flint de Ingenio lUarchionis Berthnldi qu<gdam lignea inftrumen-
ta triangulata^ fìc artifìcioje compofìta^ quod de loco ad locum
leviter ducebantur , & quocumque modo revolveretitur , fuper ex
uno capite eresia confìabant . His ergo ligneis ìnflrumentis P apa-
lis exercitus ex illa parte ^ qua erat exercitus Principalis afpeHus^
fé circumcinxit ; & ftc fé ipforum compojttione vallavit^ ut non
de facili ex illa parte pojfct irrumpi . Truovo ancora adoperati
triangoli di ferro fparfi per la campagna, per impedir l'accef-
fo o la fcorreria de' Cavalli nemici . Badiamo ora al Ghirar-
dacci nella Storia di Bologna , il quale fcrive , che i Bolognefl
nell'Anno 13 14. mandarono quaranta Graffii all' e fere ito del
Frignano, Credette il Du-Cange incitar quelle parole , effere
iìsilo il Graffio fpeciem Machina bellica;. Ma. ììGraffio^ appellato
da'Franzefi Croc ^ altro none che uno (tramento con più un-
cini di ferro , che ii ufava nella difefa delle Piazze . Gli Har-
pagones de' Latini o furono lo (ledo , o erano poco differenti.
Si calavano dalle mura 1 Graffi contra coloro , che volevano
falire , o rompere elle mura ; e fé con gli uncini alcun veni-
va colto, fé gli faceva far un bel volo, tirato su torto per aria.
Dion Caflio nella Vita di Severo, e Tacito nei Lib.IV. Hiitor.
lii 2 fan
4^5 Dissertazione
fan vedere non ignoto a' fuoi dì queflo coftume ; e fi truo-
va anche dopo il Mille, come apparilce da varie Storie nella
mia Raccolta. Fra gli altri Storici Galvano Fiamma Gap. 143.
Manip. Fior, deicrivendo l'afledio di Milano fatto da Corra-
do I. Auguflo , dice : Armis fulgebat terra . Uncinìs ferreìs at-
trahìtuY hoflis.
Da che dopo il Mille e cento tante Citta, e Luoghi fi eref-
fero in Repubblica per l'Italia, ogniqualvolta s'avea da far
ode contro i nemici, tutto il Popolo atto all'armi dovea pren-
derle, e ufcire in Campagna . Se fi faceva l'affedio di qualche
Cailello , ora una parte, ed ora un'altra d'effo Popolo ( fi di-
mandavano Quartieri) vi andava a campo. Credo, che non rin-
creicera ad alcuno d'intendere, come la Repubblica di Modena
fi regolaffe nell'Anno 1^06, Efiffce nel di lei Archivio la rifolu-
zione, ch'efla prefe in un brutto frangente. Providerunt Domìni
Toteflas , Capitaneus , & decem Sap'tentes per quamlìhet Portam
deputati . Primo y quo d fiat una elenio centum Militum inter Ci-
'ues Mutince y & quod cavalcata eorum debeat durare per unum Ari-
num ; Ò' quod quilibet ex ipjìs Militibus hahere debeat a Commu-
7ìi Wlutin(R trigtnta libras M.utinenjtum prò equo in toto ditìo An-
no. Secundoy quod quilibet equus Jìt valoris quadraginta Librarum
jMutinefìJium . Tertio , Jl equitabunt in fervitium Communis &
Populi Mutinenjìs , extra Mutinam pernottando , habere debeanp
a Communi Mutince illud foldum^ quod videbitur Defenfori & Con-
Jìlio Populi Mutinenjìs . ^hiarto^ quod eligantur duo millia pedi-
tum de Civitate Mutince , de quibm ejfe debeant ducenti Balijìe'
rif , Ò' ducenti Pavefarii . ^uÌ7ito , quod eli^yantur de Villis &
Communibus Villarum dijìrióius Mutince mille pedites , trecenti
quorum Jint Guajiatores de Zapis , Vanghis , fecuribus , & ro7tzi'
leis . Sexto , quod eligantur unus Dominus , & unus Notarius pr»
qualibet Porta , qui faciant par ari Trabuchos , Jìve Manganos y
Balijìas grojfasy Sagittamenta ^ Trulos y Ò' alia necejf aria . Se-
ptìmo , item providerunt de eligendo mille pedites , qui appellen-
tur Societas Sanali Geminiani j & de uno Vexìllo facìeìtdo , quod
vocetur Vexillum Jujììtide . ElTendochè nel primo Capitolo fi par-
la de Militibus , convien qui ilìruire i Lettori poco periti del
fignificato di quefta voce. Da i Latini furono appellati M/Z/Vé-^,
tanto i pedoni che i cavaUeri, e lungo tempo durò tal ufo. Nel-
le Leggi Longobardiche Exercitales fi veggono appellati gli uni
e gli altri . Ma in un Capitolare di Sicaido Principe ài Bene-
vento
V E N r E S I M A S E S T A .■ 4J7
vento nel Secolo IX. al Gap. 20. fi It^gge : Ut 7ìo?2 prcefumat ali-
quis Tertiatoreyyj Exercttalem aut Milusm facere . Gap. 21. Si
Teni^tor ab[co?ìje Exerchalis faHus fuerif ^ aut Miles . Qtai tro-
viamo differenza uà Exercitalem&Militem, lì Miles non può
fi^niftcar Vajjfallo o Nobile^ come ne' Secoli iuffcguenti fu co-
tal voce ulata , perchè Tertìatores pare che non altro follerò
che oente vile , come i Famigli dell'Armata o i Servi. E pe-
rò foricr fin allora colla parola Miles fi cominciò a diftinguere
il Soldato a Cavallo per differenziarlo dai Fanti : il che diven-
ne poi cofa familiare preffo gli Storici de' Secoli fuffeguenti ,
come apparifcc da infiniti elempli. Lo fapeva certo il Du-Gan-
ge, ma non so perchè noi notaffc nel iuo Gloffario. Senza tale
avvertenza fi maravigliano alcuni, in leggere le Storie , dello
fcario numero de' Soldati d' allora , perchè prendono Milites
femplicemente per uomo di guerra. Ne gli Statuti del Popolo
Ferrarele dell' Anno 126^. fi legge Jurame?itum omnium Ct-
'vium Ferrarienjìum Domino Marchiani Ohi':i^ni . Quivi fon le
fe^uenti parole . Rt ad manutenendurn Civitatem FerrariiS^ Ù*
Di/ìrióiwm , & ipjius Domini Marchionis honores , & jurisdicìto-
nem conjuetam ^ & operam bona fide dabo per Milites ^ Pedites ^
Balijìrerios^ CT Navigium ad totam ipjius Domini Marchionis njo-
luntatem &c. Polcia nel Secolo XIII. e XIV. Milites a duobus
equisy o pure a tribus equis. In uno Strumento di Lega del Po-
polo Brefciano, fitta nell'Anno 1252. fu (labilito : Ut de qua-
dringentis Militibus quilibet ipforum habere debeat tres equos , In-
ter quos imum bonum & idoneum equum armigerum habere debeat
& coopertum . Ft alii duce?ìti duos equos prò quolibet habere de-
beante inter quos unus bonus armigerus debeat ejfe equus , Però
Fra Giacopone da Todi Lib. III. Ganz. 25. diffe nel Secolo XIII.
Non vuol nullo Cavalieri
Che non ferva a tre deftriert.
Cioè ogni Uomo d' armi ( che cosi li chiamavano ) o fia il Ga-
valiere , o Soldato a cavallo , avea da avere un gagliardo de-
ftriere per foftener l'uomo armato * E quello menava leco uno
o due Scudieri, che a cavallo portavano lo Scudo, e la lancia
del Padrone, e combattevano poi anch' effi all'occafiene , per
nulla dire di un famiglio per lor fervigio .
FoRs' anche tal coliume fi offervò fino ne' tempi de' Longobar-
di. Imperocché per afferzione di Procopio Lib. IV. Gap.2(5. ^^
Bello
4]8 Disse Ps-TAzioNE
Bello Gothko , Audulnus Langobardorum Rex a Jujl'mlano Augu-
Jìo multa pecunia ^ & foederis Jan6ììone iriduóius^ deleóiu fuorum
habito , bis mille ducentos ( fé pure non s'ha da leggere ^in-
gentos^ bellatores egregics auxilio miferaf^ hisque in faynulatum
fiddiderat amplius tri a pugnatorum millia , Anche Liutprando
Storico Lib. IL Gap. (^. Icrive, che Adalberto Marchefe d'Ivrea
sbaragliato da gli Ungheri, coU'aftuzia feguente fi falvò. Cioè
'vilibus fé Militis induit 'vejìimentis ; captusque , & fcifcitatus
quis ejfet , Militis cujusdam je Militem ejje vefpondit . Però
non conoiciuto, e menato a Calcinala, 'uiltffimo pretio compa'
ratur . Emit nutem illum fuus ipjius Miles nomine Leo . Dal
che apparilce , che gli Uomini d'armi aveano fotto di sé aiu-
tanti a combattere. Offervate gli Annali di Genova di Caffaro
all'Anno 1225. dove s'incontrano le ieguenti parole: Comes
Thomas de Sabaudi a per injlrumentum ^ & pa6ium inde faóium j
cum ducentis Militibus ufque ad menfes duos Jìare in exercitti
ad fer'vitium Communis Januce tenebatur . Et inde habere de-
heat ^ & habuit Libras XXVI. prò Milite cum Dowzello arma-
tis , & duobus Scutiferis omni menje ; & prò fua perfona cen-
tum Marchas argenti ; & prò Capitaneis tribus prò quolibet Li'
bras quinquaginta , & emendationem damni equorum pradióio"
rum ^ & magnatorum nihilominus ^ & armatorum » In vece del-
le ultime parole s'ha da {cÙv^yq Magagnatorum ^ & armorum.
Più fotto fi legge : I?7 ipfo exercitu fuerunt njiri tiohiles Lotberin-
gus de Martinengo Civis Brixienjìs cum Militibus quinquaginta y
quorum quisque erat cum duobus equis , & cum tribus Scutif erti
& Don'zellis bene armatis &c. Dice ben armati, perchè anche |
gli Scudieri menavano le mani al bilogno . Qiiivi in oltre è
fcritto, che il Podefta di Genova mandò in foccorfo de gli Adi-
giani Milites trecentos optime armatos , quemlibet cum Salvine-
rio ^ Ù" duobus Scutiferis , Va corretto quel 5'/7i;/;?mo, e icritto
Saumerio^ o Saumario^ cioè un giumento portante il bagaglio,
onde la voce Italiana Somaro^ che i Modenefi hanno riftretta
agli Afini. I Cavalieri, o fia ^[Uomini d armi ^ andavano in
guerra tutti armati'; lo Scudo, la Lancia, e forfè l'Elmo fuo-
ri delle battaglie erano portati da gli Scudieri ; e fi fervivano
di Cavalli grofli e gagliardi , coperti anch' effi ài qualche for-
la di maglia, Chiamavanfi Defirieri ; ricchi e grò j]ì Cavalli fon
chiamati da Giovanni Villani . Cavalcavano li Scudieri fopra
Cavalli minori, appellati Ro«c/w/ , Radolfo Milaneie de Reb.
gcft-
V E N T E S I M A S E S T A . ^ jp
peft. Fr'td, I. neir Operetta da me pubblicata nel Tomo VI.
Rew hai. parla in quella forma. Interea Mìlttes Medtolam egre-
d'tehnntur de Ctv'itatc , Ò' auferehant Scutiferis exerchus Ronci-
710S • & tantos ahfliìleru7ìt , quod Roncìnus quatuor Soldis Tertio-
lorum tfi Civitate vcìidehatitr . V erano ancora Palafredi , o
Palafreni , onde venne la voce Italica Palajreno . Io fon di pa-
rere , che fé ne ferviifero i Cavalieri fuori de' combattimenti .
Rolandino Lib. II. Gap. V. Chron. defcrivendo una Zuffa tra
i Padovani e Tedefchi, così parla : De Theutonìcts ettam al'tquì
puanaveruut prudenter , ut quosdam de Paduanis proJìernerenP ,
dum Dexrrariis per campum errantibus ^ Paduanì quidam in P a-
ìafredos afcendevent ^ & nl'iquì m Roncìnos , Il medefimo aveva
Icritto nel Lib. X. Gap. 15. ICunc di6lum fuh ^ Eccelinum de
Vextrario fuijje proflyatum ; fed tn flrep'ttu tanto non cognìtus ^
ajcendit in Palafedmm . A i Cavalli nobili e ammaeftrati per
Je battaglie fu dato il nome di Dextrarii^ perchè fi conduce va-
ro fenza alcuno fopra da gli Scudieri alla lor mano dcftra ,
per darli poi al Cavaliere , allorché s' avea a far battaglia ;
perciocché effi Cavalieri in viaggiando fi fervivano di Palafredi
o Roncini, per aver più frefchi e non ftanchi i Cavalli da guer-
ra. Niccolò di Jamfilla lo compruova dicendo: Aliqui de comi-
tiva Pvincipis Manfredi , qui ad tant<s ultionem injurice locum Ji-
bi videbant., & tempus oblatum^ defcenderunt de Ronce?iis ^ quos
equitabant^ & Dejìrerios afcenderunt , Più fotto parla del Mar-
chefe Oddone, il quale udito, che il Principe Manfredi era en-
trato in Nocera , Miratus nimis atque turbatus , de Roncino ,
quem equitabat , dejcetidit , & Dextrarium fuum , qui [ibi a
d extris ducebatur ^ afcendit ^ & verfus Fogiam retrocedebat , Si
ferva tuttavia il coftume, che nelle folenni comparle de' Prin-
cipi dietro loro fi menano uno o più Dedrieri bardati. Nella
Cronica di Parma all'Anno 1302. fi legge : Centum Soldati
cum Equo & Roncino quilibet , condurli fuerunt per Commune
Parma . E quello ci fa ftrada ad intendere , che voleffe dire
Federigo I. Augufto in formar le Leggi militari, rapportate da
Radevico Lib. I. Gap. 2(5. allorché diffe : Si extraneus Mtles
(cioè uomo d'armi) pacifice ad Caftra accejjferit ^ fedens in
Palafrcdo , fine fiuto & armis , Ji quis eum lafirit^ pacis 'vìo'
lator judicabitur , Aggiugne pofcia : Si autem ffJens inDextra-
rio , & habens fiutum in manu , ad Caftra accejfierit , fi quis eum
hfirit pacem non vìolavit . Ma nulla può maggiormente far co-
nofce-
4.40 Dissertazione
noicere , che gran copia di Scudieri concorrefle anticamente
alle Armate . Ne' Patti ^abiliti l'Annoi 201. fra i Veneziani
e Franchi per la fpedizione in Levante, come s' ha nelle Giun-
te al Dandolo, chiedevano i Franchi, che i Veneti conducef-
fero nelle loro Navi quatuor mille quingentos Milhes ( cioè Uo-
mini d'arme) bene armatos ^ & totidem equos^ & 7ìovem mìl-
Ita Scufiferosy & viginti mille Fedites . Nella Cronica de' Cor-
tufi Lib. IL Cap. 2. è fcritto , che Scmiferi bene armts fulciti
furono mandati innanzi, prima de' Cavalieri, ad affalir le fchie-
rc de' Fiorentini.
L' ARMI , onde erano allora guerniti i Cavalieri in tempo
di battaglia , annoverate fi truovano in uno de gli Statuti
MSti della Repubblica di Modena dell'Anno 1328. Libro I.
Rub. 24. ^iilibet Miles teneatur & debeat h abere in qualibet
Ca'ualcata , & exercitn Panceriam , Jtve Cajfettum , Gamberi as ,
Jt'ue Schinerias , Collare , Ciroteca ferri , Capelli nam , vel Ca-
pellum ferri , Elmum , & Lance am , Scutum , & Spatam , ftve
Sp07ìtonem , & Cultellum , & boìtam Sellam ad equum ab ar-
mis ^ & bonam Cirvileriam . Quella , che qui vien chiamata
Cirvileria , o fia Cewelliera era un ordigno di ferro , che fi
portava fotto l'Elmo per difendere il Capo, o fia il Cervello;
e forfè lo fteifo fu che la Celata . Nello Statuto MSto di Fer-
rara dell'Anno 1279. Lib. II. Rubr. 59. abbiamo le feguenti
parole : Quod quilibet ChJtos deputatus ad aliquam cufladiam
ùlicvjus Caflri 'vel Loci Civitatis Ferrarice , vel Di/ìriBus^ tenea-
tur , C^ debeat toto tempore cujlodids h abere Ziponem ( cioè un
Ciacco) Collarium de ferro ^ Capellam ferream vsl Baciìielh.m ^
ftve bonam Cervelleriam , Spatam , Lanceam , Tallavacium ,
Jìve bonam Targetam , & CultelltAm a ferire . Inventore della
Cervelliera fi dice , che fu Michele Scoto, famoso Strologo a'
tempi di Federigo IL Imperadore, cioè circa il 1235. Ferhaec
tempora Michael Scotus Afìrologus , Federici Imperatoris f amili a-
ris agnofcitur y qui innjenit njum armatura Capi tis^ quce dicitur
Cervellerium , Hic quum vidijfet^ fé moriturum i6lu lapidts biun-
cis caput Icefuri , ex lamina ferrea Jìbi fieri fecit capitis infulam ,
quam gefìabat &c. Parte fon quefte parole nella Cronica di
Ricobaldo, e tutte in quella di FraFrancefco Pippino. Segui-
ta nello Statuto fuddetto di Modena un' altra Legge militare
d' allora . Itcm quod nullus Miles in Cavalcata Communis Mu-
itina 5 cum fuerit extra Civitatem vel Burgos , eundo vel re demi-
do
Ventesimasesta. 4.4.1
do aude^t ve! prdsfmvat praire Vesilla M'ditìa , rìd Banderias
Domini Poteflatis & Communis Mutina . Ifem fi coìitingeret ,
quod M'ilttia Miiùnenfis cum inimici s perveniref ad proci ium ,
nulhs Confa?ìo?ìerius ( Alfiere ) debeat recedere de prcslio , 7iec
in fucram fé ponere ^ nec declinare Vesillum . Et Gonfanonerius
qui contra fecerit , capite puniatur ; & equus & ejus arma com-
buratitur ; nec hi perpetuum heredes fui , 'vel ejus defcendentes ,
pofììnt effe in ali quo Offitio 'vel honore Communis &c. In altra
Rubrica fi legge : ^hiod quilibet de Populo Mutinenji atatis de-
cem & o&o annorum ufque ad feptuaginta a?mos^ tene atur ire in
esercitibus & andatis Communis ^ quotiens fo?ìuerit Campana Com-
munis, Per le fedizioni di guerra fi conducevano quei, che i
Latini chiamarono TÉ';?ror/^ e Tabernacula ^ e gl'Italiani Tr^-
h acche ^ Tende ^ t Padiglioni abbattuti dal 'vento ^ come ha Gio-
vanni Villani Lib. VII, Gap. iip. Papiliones^ Paviliones^ tPa~
njiones erano voci fignificanti lo ftefìTo. Tenda e Tenfa furono
sncora chiamati , ficcome ancora Baracche . Si formavano di
tela odi panno. Abbiamo nel Memoriale de' Podefta di Reggio
il feguente pafTo : Et i?2venerunt Chriftiani in di5io campo Papi-
liones Ò' Travaclas rarijfimas . E il luddetto Villani Lib. III.
Gap. 75?. fcrive : In tre fettimane dopo la fconfitta detta hebbo-
no rifatti Padiglioni e Trabacche ; e chi non ebbe panno lino ,
5/ le fece di buona bianca di Prò ^ e di Guanto . Leggo d' Jpro ,
e di Guanto . Gome è noto a gii Eruditi , ufavano gli antichi
Romani di formare i lor Padiglioni di pelli . Ne' Secoli barba-
rici tal coftume non fi truova. Magnifici erano quei de' Gran Si-
gnori, e più quei de i Principi e Monarchi. Se s'ha a predar
fede ad Albertino Muffato Lib. V. Rub.V. Hill. Aug. i Pifani
nell'Anno 1311. permezzo de'loro Ambafciatori fpedirono ad
Arrigo VII. pofcia Imperadore Tentorìi fupcradniirabilis ese-
nium , decem millium capacis milìtum cum fìativis . Per me ho
pena a crederlo, benché fappia , che i Vifiri Turchefchi ufino
de'vafti Padiglioni, compofti di più Gamere.
Merita qui fpecialmente d'eiTere rammentato l'ufo de' Car-
rocci in guerra, introdotto folamente dopo il Mille . Abbiamo
da Galvano Fiamma, dalGorio, e da altri Scrittori , che l'in-
ventore del Carroccio fu Eriberto x^rcivefcovo di Milano nel Se-
colo XI. E con ragione Arnolfo Storico Milanefe , che fioriva
nell'Anno 1080. Lib.II. Gap. id. cosHcrive d'effo Arcivelco-
vo , Signum autem , quod dimicaturos fuos debebat precedere ,
Tomo L Kkk tale
44-2 Dissertazione
trJt' conjlitii'tt » Procera trahs^ hijìar mali ìiavìs ^ rohujlo confi-
xa Plaiijlro , erigifur in fublìme , aureum geflans in cacumine
pomum cum pendentibus duobus candidijjìmis 'veli limbis . jìd
'medium veneranda Crux depi6ìa Salvatoris imagine ^ extenjìs la-
te brachiis fuperfpeBabaf circumjufa agmina , up qualiscumque fo-
ret belli eventus^ hoc Jigno conjortarentuT infpeHo . Ecco la in-
dubitata origine del Carroccio , ad imitazicn del quale anche
l'altre Citta più poderoie ne formarono da li innanzi con po-
ca diverfita per lervirfene ne' fatti di guerra . Chi ne defide-
ra la defcrizione , oda ciò che ha Ricordano Malafpina Ca-
pit. id4. della Storia, parlando à^ì Carroccio de' Fiorentini. E
nota^ die' egli 5 che il Carroccio era un Carro insù qu atro ruote ^
tutto dipinto vermiglio y ed eravi fufo due grandi antenne ver-
ini glie ^ insù le quali flava ^ e ventolava un grande Stendar-
do deir Arme del Comune di Firenze , che era dime-z^ta bian-
ca e vermiglia ^ e ancora Jì moflra a San Giovanni , E traina-
vaio un gran paio di buoi coperti di panno vermiglio , che fola-
mente erano diputati a ciò , ed erano dello Spedale de' Preti .
E il guidatore era franco nel Comune , E quel Carroccio uf ava-
na gli antichi per trionfo e dignitade . E quando 5' andava in
ofle , / Conti vicini e Cavalieri il traevatio dell'Opera di San-
to Giovanni , e conducevanlo in fulla Pia-z^ di Mercato Nuo-
vo &c. e sì r accomodavano al Popolo , e i Popolari il guidava-
no in ofle . E a ciò erano diputati in guardia i più perfetti e più
forti e virtudiofl Popolari della Città ; e a quello fi amm affa-
va tutta la forz^ del Popolo &c. Dovea elTere più pefante il
Carroccio de'Milanefi , perchè tirato da quattro paia di grofli
Buoi. Altri ci fono , che a noi Jafciarono la dipintura d'effi
Carrocci, e per conolcere quello de'Pavefi , convien alcoltare
l'AnonimoTicinenfe , il quale circa l'Anno 1330. cos\lcriveva
nell'Opulcolo fuo . ^uum ad folemnem & generalem exercitum
procedunt^ fecum ducunt Plauflrum ^ trahentibus pluribus paribus
boum rubro panno coopertorum : quod Plauflrum Carochium dici-
tura In quoTabernaculum efl ligneum , capiens aliquam homi-
num quantitatem : in cujus medio fublimis efl pertica furfunl
ere^a cum pomo csreo deaurato , in qua inter alia infignia re-
gium Tentorium ponitur ^ & Vexillu-m longi/Jimum r.ubeum cum
Cruce alba , & defuper ramus Oliva^ , Et ita celebratis in ilio
Mi Ifarum folemniis ^ ordinate proceditur. Galvano Fiamma Ma-
nip. Fior, Cap. 144. defcrivendo il Carroccio de' Milanefi ,
feri ve
Ventesima SESTA. 4^ j
fcrive deputato un Cappellano, c^ui justa Carrocerum ( cos\
fuol egli appellare il Carroccio ) jemper M'tjfam celebret , &
vulnercith det Pxnttenttaìn . Servironfi del Carroccio anche i
Bolognefi , Padovani , Veronefi , Brelciani , Cremonefi , Pia-
centini, Parmigiani &c. Alla guardia del Carro marciavano una
brigata de'più valorofi e prodi guerrieri. Dalla vifta dell' Infe-
gna ivi porta e fventolante acquiftavano coraggio i combat-
tenti. Prefo o retto il Carroccio, per lo più era perduta la pu-
gna . Burcardo nella Lettera de excidio Urbis MedioL fcrive ,
che neir Anno 1162. il loggiogato Popolo di Milano andò a
prelentarfi a Federigo I. Auguflo cum Curru , /;z quo tubictìies
ftantes tubis dereh fortius tntonaba?ìt , Poicia lo delcrive colle Te-
gnenti parole : Staba^ aiitcm Currus multìpl'tci robore conjeptus ,
ad pugnandum dejuper jntìs aptatus , ferro fortijjime ligatus .
De cujus medio Jurrexit arbor procera , ab imo ujque adjummum
ferro ^ nervis & funibus tenncijpme circumteHa , In hujus funìmi-
fafe fuperemifiebat Crucis ejfìgies , in cujus anteriori parte beatus
depingebatur Ambroftus ante profpicicns , & benediHionem inten-
de ns^ quocumque Currus 'uerteretur .
E QUI* fi ofl'ervi , che nel Secolo XIII. nell'ufo di tali Car-
rocci fi credeva ripoRo un pregio fmgolare d'onore, e un ra-
ro ajuto per vincere i nemici , quafi, per dir cos'i, come il Po-
polo Giudaico anticamente fece nel menare alle battaglie FAr-
ca del Signore . Ci fa fapere il Padoano Storico Rolandino Li-
bro IX. Cap. 2. che tolta ad Eccelino la Citta di Padova , fu
ritrovato il Carroccio marcito erotto. Del che interrogato un
Padre da ino Figlio rifpofe : Fili mi , /joc ejì Carrocium Padua-
num , quod eft quaji prò Cafìro quodam , quod duci tur cum la-
titia & bonore , quando Civitas vult prodire in hojìes . Et fu-
per ipfum in quadam excelienti antenna defertur igneum & trium-
phale Vexillum^ ad quod totus fpeóìat exercitus. Ne e eft aliquod
Caftrum in Paduano diftri6lu in montibus njel in plano , prò quo
defendendo totus Populus Paduanus adeo pupnaret 'virili ter , &
exponeret juam vitam & animnm omni periculo & fortunds . In
/joc enim pendet honor^ vigor, Ò' gloria Paduani Communis . In
-fatti inefplicabil dilonore veniva riputato il perdere il iuo Car-
roccio, immenfa gloria il prendere quello de' nemici. Aven-
do Federigo IL Imperadore nell'Anno 1237. tolto in un fatto
d'armi il Carroccio loro a i Miianefi, forte fé ne pavoneggiò,
e come un trofeo di pregio ineflimabile lo mandò in dono al
K k k 2 Popò-
44.4- Dissertazione
Popolo Romano co'feguenti verfi , riferiti da Ricobaldo , e da
Prancefco Pippino nelle loro Cronache .
Vrbs decus Orbìs ave. Vi Bus tìbt defltnor^ AvCy
Currus ab Auguflo Friderìco Ccsfare jujìo»
Fle Medìolanum , jaìn fetìtis fpernere 'vammi
Imperi't Vires , propri as tìbt tollere vires .
Ergo trìumphorum potes Urbs memor ejfe priorum^
^uos t'tbì mitteba?it Reges^ qui bella gerebam.
Ne fi dee tacere, che nell'Anno 1727. una copia defib Carroc-
cio in marmo, dianzi ignoto, fi fcopri nel Campidoglio, preffo
alle Carceri di quel luogo, dove vSiftoV. Tavea fatto rinchiude-
re. Stava eflb pollo fopra quattro Colonne di marmo fino colla,
feguente Ifcrizione :
Cafaris Augufli Friderici^ Roma^ Secundl
Do?7a tene Currum^ perpes in Urbe decus,,
Hic Mediolani captus de ftrage Triumphos
Cdefaris ut referat ^ inclita pra:da venit,
Hojlis in opprobrium pendebit ^ in Urbis honorem
Mióìitur : hunc Urbis misere jujjit amor.
Allorché venivano in Italia i Re od Imperadori, non fi potea
far loro maggior onore , che l'andarli ad incontrare col Car-
roccio. E nell'Anno 1233. volendo Fra Giovanni da Vicenza
dell'Ordine de' Predicatori, Miffionario infigne rimettere la Pa-
ce nella Marca di Trivigi , per atteftato di Rolandino e di Ri-
cobaldo, fece raunare nella Pianura di Verona tutti que' Popo-
li, i quali per maggior pompa vi comparvero co i loro Carroc-
ci. AtteRa il medefimo Rolandino , che il Carroccio de' Pado-
vani fi chiamava Berta dal nome di Berta Regina Moglie del Re
Corrado, la quale impetrò ai Padovani la grazia di poter rifab-
bricare il loro Carroccio diftrutto da Attila. Sapeva poco della
vecchia Storia il buon Rolandino, e però qui prende più d'un
farfallone. La verità nondimeno è, che da altre Citta ancora
fu dato un nome proprio al loro Carroccio . L' Autore della
Cronica di Parma all'Anno 1281. racconta lareftituzione fcam-
bievole fatta. Carrocii Parmenjis^ quod vocabatur RegoliumPar-
mae ^ & Cremonenjis quod 'uocabatur Gajardus . Quelto medefi-
mo fatto vien delcritto dall' Autore della Cronica Eftenfe al
fud detto Anno 5 con dire : Cambium & permutatio faHa ejl cum
ma-
i
Ventesimasesta. 4^5
yyì/tano gaudio de Carrociis acceptìs , inter Commune Parmce e>c
ima parte , & Commmie Cremore ex alia : quia pax fa6la in-
ter eos erat . Propter hoc diSium Commune Cremarla incepit be-
ne facere , quia ipjì fecerunt valde bene preparare Carrocium
Parmae , & pingere de novo ; & fecit fieri Vcxillum de novo :
qui Carrocius vocabatur Blancardus . Et dióii Cremonenfes di^um
Carrocium conduxerunt Juper Difirióium Parma in loco ubi di-
citur Arcinoldum , cum tribus pariìs bobum , coopertis purpura &
Zendali ; & ibi diHum Carrocium cum bobus prcedi^is fic coo-
pertis dederunt & rejìituerunt di&o Communi Parma . Et die
Dominico fequenti diBi Parmenjes di&um Carrocium Parmam
conduxerunt cum magno gaudio & latitia . Ma per meglio in-
tendere , quanto fi iHmafTe la perdita , e la ricuperazione di
un Carroccio , meglio s' intenderà dalle feguenti parole : Et
Poteftas Civitatis Mutiiece cum magna quantitate Magnatum di-
Ba Civitatis y & etiam multi de Civitate Regii , iverunt Par-
mam & ibi gaudium demonjìraverunt de diólo Carrocio , Seguita
poi lo Storico adire, che da' Parmigiani fu reftituiro a' Gre-
monefi il loro Carroccio con tre paia di buoi coperti di Scar-
latto e di bianco : qui Carrocius vocabatur Berta . Non fisa in-
tendere, come vadano cos\ difcordi i due fuddetti Storici neil'
affegnare il nome a que' Carrocci . Dal Parmigiano vien dato
al fuo quello di Regolium , a quel de' Cremonefi il nome di
Ga/ardus ; ali* incontro FEftenfe chiama il Parmigiano Bla?ìc ar-
do , e Berta il Cremonefe . Solamente io poffo dire atteftarfi
anche da Antonio Campi nella Storia di Cremona , che il Car-
roccio della fua Patria portava il nome di Berta e Bertax;2:ola .
Dall'Italia pafsò l'ufo del Carroccio anche in Germania, Fian-
dra, ed Ungheria, ed altri paefi, come offervò il Du-Cange .
Ma nel Secolo XIV. perchè s'introduffe altra maniera di guer-
reggiare, e fi trovò edere più toflo d'imbroglio e pefo , che di
utile i Carrocci, ne venne meno Tufanza.
Oltre alle Tonv, che fi fabbricavano ne' vecchi tempi nel
giro delle mura delle Citta e Fortezze per maggior difela e guar-
dia delle medefime, s'introduffe nelle Citta più potenti anche il
coftume, che i Nobili privati fabbricavano nelle lor Cafe , e a
loro fpefe, delle Torri. Indizio di chiara Nobiltà era tenuto al-
lora il poter alzare ed avere fomiglianti Torri, perchè effi fo-
li godevano il privilegio e la poffanza di edificarle. Contavanfi
nelle medefinae Citta ancora i Campanili delle Cbiefe, talmente
e he
4^5 Dissertazione
che una vaga e nobil vifla rapprefentavano tante Torri a chi
veniva cola . In qual tempo fi cominciafTe a fabbricar quelle
Torri private da i Potenti , non fi può determinare con cer-
tezza . Vo' io immaginando , che nel Secolo X. alcuna fé ne
aizaffe ; che ne crefcefTe il numero nel XI. e maggiormente
poi fi moltiplicadero , da che le Citta fi mifero in Liberta,
ed inforlero le gare de' Guelfi e Ghibellini . Perciò Turrita Pa-
pta^ Turrita Cremo7ia fi veggono anticamente appellate , e lo
fteffo fu detto d'altre Citta. Santo Arialdo , come s'ha dalla
fiia Vita fcritta da un Monaco contemporaneo , parlando al
Popolo Mila nefe nelfAnno ioy6. cos'i diceva: Veftri Sacerdo-
tes , qui effici pojfunt ditiores in terrenis rebus , exceljiores in
ésdijicandis Turribus & Dortiibus &c, ipji putantur beatiores ,
Della Citta di Pavia cosi Icriveva circa l'Anno 1300. l'Aulico
Ticinenfe . ^^uajì omnes Ecclejlce habent Turres excel[a propter
Campanai Ùc. Ceterarum autem Turrium fuper Laicorum Domi-
bus excelfarum mirabiliter maximus ejì numerus^ ex quibusmul-
tce tam ex 'vetujìate quam Jìudio Civium fé invicem perfequcn-
tium ^ ceciderunt . Più curiofo ancora il vedere lo ftrano guRo
di que' tempi , che giunfe a fabbricar Torri non diritte , ma
inchinate e pendenti : fé pure è vero , che ciò fi faceffe a bel-
lo [indio . Ne refta l'efempio nel bello Campanile di Pifa, e
nella Torre Garifenda di Bologna , la quale era anche più al-
ta, ma per tcftimonianza di Benvenuto da Imola fu alquanto
caftrata da Giovanni dadeggio. Fu di parere il P. ;Mont-
faucon , che il cafo , e non f Arte , facelTe inchinar quelle
Torri, e veramente in falire la Pifana anch'io ne dubitai . In
Roma fleffa non mancavano una volta le Torri de' Potenti .
In un folo Borgo di effa Citta a' tempi di Martino V. Papa
quarantaquattro Torri co i loro Merli fi trovavano in piedi ,
come infegna il Turrigio de Cr/pt. Vatic, Non metto in conto
la Torre di Crefcen^^o ^ perdi' efta era Torre del Pubblico, cioè
ora Callello Sant'Angelo. AlelTandro III. Papa nel 11^7. per
atteQato di Romoaido Salernitano, fi ritirò nella Torre Cartula-
ria. Cosi nella defcrizion di Roma nel Codice di-Cencio Ca-
merario è nominata Turris Ccntii Frajapanis , oggid\ Frangi-
pani ; e Turris Ccntii de Orrigo . Ne gli Annali di Bologna da
me dati alla luce fi legge all'Anno iiiy. terminata la fab-
brica dell' altifiima Torr^ degli Aftnelli ^ tuttavia fuperiore al-
le ingiurie de* tempi, fatta dalla famiglia Afinella . E all'An-
na
V E N T E S I M A S E S T A . 4^7
no II 20. è fcritto , che Fu compita i?i Bologna la Torre de
Rampuni^ che è nel Mercato di mez^ . E i?i quel tempo furono
fimilmente compite alcune altre Torri nella Città di Bologna .
Altrettanto avvenne o prima o dipoi in altre Citta , e mafll-
mamente in Firenze . Alcoltiamo il vecchio Ricordano Mala-
fpina, che costiparla all'Anno 11 54. nel Gap. 80. di fua Sto-
ria . Di quefle Torri era grande numero nella Città , alte qua-
li cento , e quali cento 'venti braccia . E tutti i Nobili , 0 la
ma opior parte aveano in quello tempo Torri. Di quefii forti edi-
fizf ìpezialmente poi fi fervirono le diaboliche Fazioni de' Guelfi
e Ghibellini, allorché nel cuore della ftelTa lor Patria faceano
tra loro guerra gì' impazziti Cittadini . Leggi le Croniche da
me pubblicate di Genova , e vedrai qual ufo fi faceffe delle
Torri in cjue' tempi s'i turbolenti. Credo io uno fpropofìto, o
una guada Traduzione il dirfi nell'Itinerario di Beniamino Giu-
deo Tudelenfe della Citta di Pila : Ingens Civitas , in cujus do-
mibus fere decem mille Turres numerantur ad pugnandum apt(S
& i?7jìru6Ìce , Ma riconofciuto col tempo , che danno proveni-
va al Pubblico da s\ fatte Torri fomentatrici di guerra, fi co-
minciò a vietarle . Ne gli Statuti di Verona dell'Anno 1228.
pubblicati dall' Arciprete Campagnola è ordinato al Cap. 6^.
Ut non flati t Turres de novo,, ?ìequeCafaturis^ neque Belfredum y
aut Bcrtcfca , ncque aliud (xdijicium , qnod ad muììitionem perti-
neat . Sed neque fuper antiquis Turribus vel aliis cedificiisfuper-
adificetur aliquid^ quod ad munitionem pertineat , E negli anti-
chi Statuti di Pilìoia da me dati alla luce fi legge al Paragra-
fo pp. che il Podefta giura di non permettere , in Civitate Pi^
Jìoria aliquam Turrim murari , nec in fuis Burcis , ultra menfu-
ram Turris fi li or wm quondam Jl di prandi Vandini , & ultra mo-
dum determinatum ^ ut Turres defuper ofquales fiant.
Che fé dimandate , cofa fia avvenuto di tante Torri una
volta efilienti, delle quali ora non rimane veftigio , è da rif-
pondere, che per due cagioni andarono in rovina. La prima è,
che le medefime per ingiuria de' tempi, o per la vecchiezza,
o per difattenzion de' padroni, fpontaneamente fi diruparono,
e caddero per terra . Racconta il Tronci nella Storia di Pifa
all'Anno 1335. che da un furiofo vento fu atterrata la Tor-
re de' Giudici di Gallura pofla nella Piai^. de' Porci , e che
Jotto le fue rovine in perirono circa cinquanta perfone . Tolomeo
da Lucca ne gli Annali all' Anno 11 8(5. fcrive : Eodem Atino
ceci-
4^8 Dissertazione
ceciderufìt dua Turres Luca , vìddìctt filiorum Hefpiafame , Ò*
jiliorum Cari , quce multos homines opprejferunt . Poicia all' An-
no 1217. aggiugne, che cadde pars Turris Pagani Bo?ìfmi ^ &
muhos oppre£lt . Ed anche all'Anno 1230. Capellus Turris filio-
rum Sismundi corruit Luca ^ & interfecit ultra homines ducentos,
Aliri fimili cafi ci fono lomminiflrati dalla Storia di Bologna.
La feconda cagione della diftruzion delle Torri fu il furore
delle guerre civili, che infertò buona parte delle Citta Italiane.
OfTervate preflb Ottone Frifmgenfe Lib.I.Cap.28. deGcJì,Frid,
una Lettera de' Romani al Re Corrado IL nel 1145. dove dico-
no : Fortitudines , idefl Turres , & Domos potentuìn Urbis , qui
'vejìro Imperio una cum Siculo & Papa refiflere parabant ^ cepmms ;
CX quasdam in vejìr a fi delirate tenemus^ quasdam vero /ub^vertefi-
tes folo coaquavimus, E tali erano le prodezze de' Guelfi e Ghi-
bellini, gente infuriata F una contro dell'altra. Chi prevaleva,
sfogava la fua rabbia addoffo alle Torri e cafe degli enioli cac-
ciati o abbattuti . L'Autore della Cronica picciola di Ferrara
fui fine del Secolo XIIL cosi fcriveva : Collìft funt itaque Cives
Ferraris alterutrum , nunc rebus male fecundis , nunc adverjìs .
Audivi a ma/ori bus natu^ quod in quadraginta aiiìiorum curriculo
altera pars alteram decies e Civitate extruferat &c. Accepi puer
a Genitore meo , hiberiio tempore confabulante in lare , quod ejus
tempore vi derat in Civitate Ferraris Turres altas triginta duas^
quas mox vidit profierni & dirui. Lo fteflb avvenne in altre Cit-
th, e maffimamente allorché o per elezione, o per ufurpazione
alcuno vi fu affunto al Principato, per levare a i privati Citta-
dini la tentazione di rivoltarli. Negli Annali di Genova all'An-
no iipò". troviamo, che Drudo Marcellino Podefta fuperfluita-
tes Turrium , quas prò velie fuo quidam Cives cantra licitum Ò*
confiitutionem Communitatis confiruxerant , demoliri , & ad cer-
tum modum pedum oSioginta redigi fecit , Cosi nell'Anno 1225.
Potefias Mutine fecit dirui Turres in Civitate Mutine , come s'ha
da gli Annali antichi di effa Citta. Anche in Lucca Cadruecio
fece abballare ed uguagliare alle Cafe trecento Torri ^ come s'ha
dal Tegrimo nella di lui Vita . La ftefla fpontanea caduta delle
Torri preftò giudo motivo di demolire o abballar l'altre, che
recavano in piedi. Ciò fu praticato anche in Firenze per tefti-
monianza di Ricordano. L di vero ne' tempi di guerra veniva
confiderata una buona Torre per una Rocca e Fortezza, e lap-
piamo, che più e piìi giorni un efercito fi perdeva dietro a una
Torre ,
Veniesimasestà.' 4^P
Torre , purché quella foffe ben provveduta di combattenti ,
viveri ed armi . Perciò nelle Terre e Caftelia Iblevano gli an-
tichi alzare almeno una Torre, pofiente a refiftere per qual-
che tempo a i nemici . Cosi nel 1180. Gherardo RangonePo-
de(ta di Modena co i Conlbli ordinò, che maggiormente fi for-
tificafTe nel Cartello di Razzano , ch'era allora de' Modenefi ,
la Torre di Paffavanti da Carandolo , ed un' altra eguale vi fi
fabbricafle alle fpefe del Comune , come cofta da uno Stru-
mento dell'Archivio della Citta . Cosi nella Terra di Carpi-
neta del Diftretto di Reggio gran conto fi facea d'una Torre,
di cui è parlato in altro Rogito dell'Archivio Ellenfe.
La maniera di prendere le Citta e Fortezze confifteva nel-
la Scalata , o nell' accodar le Torri mobili alle mura per fal-
larvi dentro . Ma piti fovente fi otteneva col mezzo de gli
Arieti, Tefluggini, ed altre macchine diroccanti le muraglie,
con aprir la Breccia , e venir pofcia all' alTalto . Coperti dalle
V'tnee^ chiamate poi Gatti , fi appreffavano alle mura , le fo-
ravano, e formavano delle cave al di fotto . Sotto il muro fu-
periore, affinchè non cadeffe, s'andavano mettendo pontelli di
legno, finche foffe formata una grande apertura, per cui po-
teffe cadere un'ampia porzione di muro. Ciò fatto , fole vano
perlopiù invitare gli alfediati alla refa con far loro conofce-
re l'imminente pericolo . Riculando efli di arrenderfi , dato
fuoco a i puntelli , fi lalciava precipitare il muro . Di ciò fi
truovano frequenti gli elempj nelle Storie d'allora. Erano an-
che in ufo le Mine , appellate Cuniculi da i Latini . Non da
Minavi , ma bensì dal Latino Minare , fignificante Condurre ,
che noi tuttavia ufiamo dicendo Menare , credo io derivato il
noftro Mina^ Minare^ t Minatore ^ per far intendere chi gui-
da una (Irada fotterranea , ficcome ancora fu chiamata Mi-
niera la Fodina de gli antichi , perchè con fotterranee vie fi
conducono gli uomini alle viicere della terra . Pietrq Azario
Storico del Secolo XIV. cosi fcrive : Aggrejfores vid<ejtfes pne-
dióia non njalere , coeperunt potìere in Civitate Tapponum val-
de occultum prò ipfo Cajìro obtine?ido , & cavando . Et quayn-
vis aliquando per contrariam cavaturam ipjìs Tapponatoribus
male fuccejfiffet &€. Qin Tapponum fignifìca una Mina , e
forte fu fcritto Talponurrr-^ nome prefo dalle Talpe ^ che fan-
no il melliere di far vie fotterranee . Né fi dee tralafcia-
re , truovarfi preflo gli antichi un' altra forta di Fortezza ,
Tomo L Lll chia-
450 r3lSSERTAZIONE
chiamata Do77gione , nome a noi venuto di Francia , dove du-
ra tuttavia . Cosi chiamavano il luogo più alto delle Fortezze
fabbricate nelle Colline , come olTervarono il Du - Cange e il
Fnretiere . In fatti Dun è voce Celtica fignificante Colle o
Monte, Di quelli Dongioni uno ve n'era nella Rocca d'Elle,
come feci vedere nella Par. I. Cap. 35. delle Antich. Eftenfi .
Nel Caftello d' Albinea Diftretto di Reggio tuttavia fi legge
la feguente Ifcrizione.
ANNO DOMINI MCCLXXVII. IND. V.
HOC OPVS FVIT FACTVM
TEMPORE VENERABILIS PATRIS
D. GVLIELMI DE FOLIANO EPISCOPI REGII
SCILICET PALATIVM CVM DVJONO
ET PVTEVM , ET TVRRIS , ET DOM VS EXTRA DVJONVM
ET MVRVS DICTI CASTRI DE ALBINETA.
In uno Strumento di concordia fra Guglielmo Vefcovo di Luc-
ca, ed Ugo Conte di Lavagna dell'Anno 1179. fi parla de Jutn'
mit^te Cajìr't'veteris de Garfagnana , quce Dongtonem ^ppellatur .
Truovanfi ancora Cajfara o Cajfera , altra torta di Fortezze ,
che fembra diverfa da i Dongioni . Cajìrum , quod CaJ] arum
njocam , fon parole di Niccolò Speciale Lib. V. Cap. 8. della
Storia di Sicilia . Da gU Arabi prefero gl'Italiani il nome eia
forma di tali Rocche ; e però fi truova fpeilo nelle memorie
de' Sicihani , Napoletani , e Tofcani , che converfavano con
quella gente . E tuttoché tal nome deffero ad ogni iorta di
Fortezze , pure fembra che pafìaffe qualche differenza fra i
Cafferi e gli altri Luoghi fortificati . In una lentenza de' Giudi-
ci Imperiali ordinanti la reftituzione della Citta di Malfa in
Tofcana a Martino Vefcovo di effa, non conolciuto dalf Ughel-
li, profferita neh' Anno 1 1^4. fi fa menzione Cajìrl^ & Tur-
ris y & Cajfari di quella Citta . Neil' liola di Maiorica poffe-
duta dai Saraceni, o fia da i fuddetti Arabi , trovarono i Pi-
fani nel II 14. alcuni di tali Cafferi. E tuttavia il Cartello fu-
periore nella Poppa delle Navi è chiamato Cdjfero ne' Mari di
Sicilia . Fu anche adoperato il nome di Murata per lignificare
una fpecie di Fortezza e Cittadella . Ne gli Annali di Cefena
fi fa menzione della Murata di quella Citta, e quella negli An-
nali di Rimini è chiamata Cajfaro. Sofpetto io, che il nome
di
Ventesima SESTA. 451
ài Rocca , per fignificar Luogo forte , fia venuto dalle Rupi ,
che erano chiamate Rocc/V. O diedero a noi Franzefi, o prefe-
ro da noi quefta voce. Per lo più anticamente le Rocche fi fab-
bricavano ne' ciglioni de' Monti , e ne' fiti alti, anche per la
fituazione forti ,
Parimente nelle vecchie Memorie s'incontrano Mota, Il
Somnero nel Gloifario a gli Scrittori Inglefi fcrive cosi: Mota ^
Fo/fa^ FoJTatum ^ quoCafìrum^ aut aliud propugnaculum ct-ngì-
tur & munitur . A Moìtè forte ^ quod Gallis humidus^ madidus .
Va lontano dal vero. Le Mote ^ a mio credere , altro non fu-
rono, che alzate di terra fatte in pianura dalla mano e fatica
degli Uomini, poi cinte di fofìfa e baftioni con una Torre oCa-
ftello in cima, a guifa dell'altre Fortezze. Cosi vennero chia-
mate à^ terra mota ^ con cui s'era formato un picciolo colle;
e non già da Meta , come lenza ragione alcuna immaginò il
Menagio. Veggono tuttavia molte di quefte Mote , appellate
^Xìcht Motte ^ nella gran Bretagna, e ritengono l'antico nome.
Ne eHilono anche in Francia. PreiTo i Modenefì dura una Vil-
la di quefto nome, vecchiamente nomìna.t3i Mota Papa:^^f7um.
Anche Rolandino Lib. IIL Cap. 6. della Cronica rammenta
Cajìrum , five Mottam de Antale , E Albertino Mudato Lib.VL
Rubr. 3. de geft. Henrici VIL racconta effervi ftata Motam jux~
ta Mofitem Gnrdnyn, Altre di quelie Mote fi truovano per l'Ita-
lia , e principalmente nella Calabria , che ritengono qualche
veftigio dell'antica fortificazione. Ne gli Annali di Padova da
me pubblicati nel Tomo V^III. Rer.ltal. fi legge : Iverunt Jum-
mo mane per viam PontisCornjt 'verjus quamdam Motam mngnam^
quam faciehat facere Domtnm Can'ts cum multis fojjis & raja-
tis , volendo ibidem fuper di6iam Motam (edificare Cajìrum . Ec-
co affai chiaramente (piegato quel che foffero le Mote. Eran-
vi ancora i Gironi o Zironi ne'( alleili e nelle Rocche, fpezial-
mente in quelle, ch'erano fulle montai^ne , cioè un muro, che
cingeva una parte interiore della fieffa Rocca o Fortezza per
poterfi ritirare cola, fé la Rocca era prefa . Giovanni da Baz-
zane nella Cronica di Modena ah' i\nno 1331. icrive : Di6io
tempore faHum fuit Gironum in CaflroMnrani de Campilio, Nic-
colò Speciale Lib. IL Cap. 12. della Stona di Sicilia nomina
Cajìrum Ifclce ^ quod Gironum vocant , E il Morano nella Croni-
ca di Modena all' Anno 1320. cosi parla : Pajfiarinus potitus
Carpi Cajìro , fortijjimam tunc Turriyn illam pojuit , quam Zi-
L 1 1 2 ronum
4.^2 Dissertazione
ro?2mn dixere . Il Camello di Santa xMaria a Monte, come fcri-
ve Giovanni Villani Lib. X. Gap. 28. era molto forte di treGi-
ronì di mura con la Rocca. Efpugnato il primo, fi riduceva il
prefidio alla difefa del fecondo, eh' era più riftretto. Abbiamo
dal (udderto Giovanni da Razzano, che il Caftello diSavignano,
dianzi ribellato al Marchele d'Elle, gli fu reftituito aruflìcts^
je regente 'girone per cujìodes foreiijes ibidem prò Domino Are hi e-
pifcopo Mediolani exijìentes . Pietro Manlio antico Scrittore Hi/ì.
Bafil.V^tic. Gap. 7. ha le feguenti parole: C a fi ellum Adriani
Imperatoris ^ quod cedificitim rotundum fun cum duoùusGeronibus^
Jive CafteUis, S' ha ivi da fcrivere Gironibtìs . In uno Strumen-
to dell'Anno 1235. troviamo chi vende al Miniftro di Papa
Gregorio IX. ynedietatem Gironis ^ ftve Arcis ipjius Cajìri de Gual-
do , njidelicet a Carbonariis ipjius Gironis intus cum ipjis Garbo-
nariis nel Ducato diSpoleti.
Sovente ancora nelle vecchie Storie s'incontrano ^/Vz/ré-tì^/,
appellati anche Belfredi^ Berfredi^ Bilfredi^ Bertefrediy Buti'
fredi &c. Fu di parere il Du-Gange, che foffero Torri mobili
di legno per combattere le mura delle Gitta e Fortezze . In
fatti defcrivendo Rolandino Lib. IV. Gap. <5. l'adedio di Mon-
tagnana fatto nel 1238. da Eccelino, nota che i difenfori Ip-
Jius Bilfredu-m unum die qv.adam in meridie combuxeruìit ^ Ecce-
lino invito , qui tunc fub lUis faBo quodam operimento erat ,
jed non cognitus vix cffugit . In oltre Lib. VI. Gap. 6. le ri ve ,
che il Gaitello della Terra d'Eile Ribattuto (sdijiciis multis ^
fcilicet Bilfredisy Prederiis^ & Trabucchis, Gontuttociò furono
ancora chiamati Bitifredi le Torri (labili di legno , che gli an-
tichi fabbricavano per guardia di qualche fito, tenendovi lopra
fentinelie , che airaccoftarfi de' nemici davano il fegno colla
campanella. Dallo ftefìo Rolandino fu fcritto Libro I. Gap. 8.
Turres quoque^ Jive Bilfrcdi fixi a defc/iforibus corruerunt , Ec-
co ciò, che fi legge negli Statuti MSti Modenefi dell'Anno 1^06.
Cum Via^ qua venitur a Vaciliis verf'us Portayn Kedelocham ^ in-
tem ambo canali a jlt inhabitat a & deferta , & per ipfam tam de
die quam de noB:e poffent venire gentes occulte ad Civitatem Muti-
na ufque fuper foveas Civitatis , qua maximum poffent diBce Ctvi-
tati damnum Ò' prde/udicium inferre : providerunt Domini Defenfo-
res , quod unus bonus Bitifredus cum uno bono ponte levatorio fiat
& fieri debeat fuper pontem Circhcc Civitatis juxta pratum Mona-
Jìerii SanHi Petri . Super quo Bitifredo deb^ant manere & fi are
CO?I'
Ventesima SESTA* 40
co?itìnue tam de die quam denoBe duo boni cujìodes^ 'uel plures&c.
Cioè i Modenefi, avendo tirati canali e fofìè intorno alla Citta,
pillanti mezzo nìigiio e pili dalle fofTe e mura delle Citta (du-
ra tutta il nome ài Cerche ààCirc are ^ Circondare) proccurava-
no di fermar ivi a tutta prima i pafTì de' loro nemici. Vedem-
mo di lopra conceduto da Guido e Lamberto Augufti a Leodino
Veicovo di Modena fuper unum mdliare in circuitu Ecclejia: Ci-
vipatis circumquaque firmare . Ne gli Statuti MSti di Ferrara dell'
Anno I2 7p. fi fa menzione de' Bitifredi colle feguenti parole :
Oiiod quotiescumque mutabuntur Cnpitanei Ò^Cuftodes Cajìrorum^
Turrium , & Bitifredorum , Ò' aliorum locorum , qude cuflodiuntur
prò Communi Ferrari (S .^ Potcjìas Pcneatur mi f fere ad prcsdióla loca
U7ìum bonum Notarium ^ Ò' plures^ Jt ipfi Potè flati 'videbitur^ qui
jcrihat flatum cujuslihet loci , fcribendo Jolaria , ajftdes , gradus^
oflia ^ jcneflras^ a?2zopertos ^ cooperturas ^ fcalas ^ hendegarios^fu-
nes ^ baliflas^ ptllotos ^ turnos^ Ò' prifarolas^ marìganos^ & turtu-
relas^ &catenas^ & vidualia ^ qucs ibi erimt &c. In uno degli
Statuti di Modena del 1327. fi vede il feguente Decreto : Ut ho-
mines de Nonantula compellantur per Poteflatem , facere unam
bonam Motam cum Palancato , Ò' pontibus levatoriis ab utroqus
latere Pontis de Navi^cellis &c. • Vedefi ancora , che per maggior
fortificazione della Citta di Modena e de'fuoi Borghi, v'erano
dt Butifredi ne' Borghi appellati d'Albareto, Ganazeto , e Ba-
zovara. Dimandano qui udienza anche le jB^y?/V, appellateB.f-
flidcv e Baftit(£ ^ delle qnali s'incontra fovente il nome, fpezial-
mente nelle Storie del Secolo XIV. Crede il Du-Cange paflato
dall'Italia in Francia quefto nome, e il Menagio ridicolofamen-
te lo tira da B/7/?;/w, Bafli ^ Baflita^ Baflia^ Baftilia. Mi ma-
raviglio , che non abbiano offervato , venir elfo dalia lor voce
Baflir ^ Fabbricare ^ on<ÌQ Bafliment ^ Bafìì ^ q B^^flie ^ c'ioh Fab-
bricato &c. Né fi può concedere al Du-Cange , che dalle Baftie
fia nato il verbo Franzefe Baftir^ perchè le Baliie cominciarono
iolamenre nel Secolo XIIL e prima d'allora fi può credere ufato
da efll il verbo Baflir, Ma che tanto elio Du-Cange che il Me-
nagio abbiano fcritto, eifere (late le Baflie Steccati^ fon da com-
patire , perchè prima di loro nel Vocabolario delia Crufca fu
detto eifere la Baflia Steccato , riparo fatto intorno alle Città o
Ej creiti y compo fio di legname ^ fnjft ^ terra ^ ojìmil materia. Poco
avvertitamente queito fu fcritto . Nuli' altro furono le Ballie ,
le non una iorta di Cartello , Rocca , o Fortezza , formata
nel
454- Dissertazione
nel piano con travi e tavole ben congegnate , per lo più intor-
no a qualche cafa o cafe , o pure intorno ad una Torre , che
fi cingeva di fofia, co'fuoi baftioni di terra e baloardi . Si fab-
bricavano ivi ancora cafe di legno , fé mancavano quelle di
mattoni , occorrenti per difendere i Soldati , le vettovaglie , e
l'armi dall'intuito delle ftagioni . Certo, ch'elfendo di legno ,
fi poteano anche chiamare Steccati; e infatti nella Storia dell*
affedio di Zara prefib il Lucio fi legge : ^uam Italici & Longo-
bardi Bajìidam , Dalmatini & Chroati Sticatnm appellare conjue-
'verunt . Ma in fine Steccato altro non vuol dire che Fali'2^-
ta^ laddove le Baftie aveano veramente la forma di Fortezze.
Nella Storia Padovana de' Catari fi legge, che volendo France-
fco da Carrara il vecchio piantare una Baftia , fece lavorare
nella Citta tutti i legnami occorrenti , e in un determinato dì
caricata la Baftia [opra i carri , andò improvvifamente a fiflTarla
dove bramava , foltenendo l'efercito fuo gli Artefici a ciò de-
sinati . Nella Cronica di Parma del 12^5. è detto, che i Mi-
lane fi fabbricarono quoddayn Caftrum de lignamifie in Laude
Vecchio cantra voluntatem Laudenftum & Cremoneììjlum , njalde
magnum & mirahiliter fabricatum . Quefie parole fignificano
una Baftia^ lavoro che cominciava in que' tempi ad efiere in
voga . Porcellio nel Lib. IX. Comment. ci fa vedere Caftella
ex bitUìTìine & ajferihus fabricata , qU(S Lombardi Baftitas vo-
cant . Quando in quefie Fortezze di legno v'erano de' bravi
combattenti , e non mancavano le provvifioni, non era si faci-
le il fuperare o cofiringere alla refa una Baftia . Come abbia-
mo dalle Storie di Modena e Bologna , Bernabò Vilconte , ne-
mico de'Bolognefi, due Baftie piantò nel Diftretto di Modena.
Tentarono più volte i Bolognefi armati di prenderle, aia fem-
pre indarno. Ritien tuttavia uno di que'fiti il nome à\ Baftia^
e dura la medefima denominazione in alcuni Luoghi della To-
Icana, Corfica, ed altri paefi.
Da gli Storici Tolcani vediamo menzionati \ Battifolli . Il
Menagio e il Du-Cange li credev-ano lo flefib che i lopra dauci
riferiti Bitifredi , Non è cos'i. O erano Badie, o molto s'aiTomi-
gliavano ad effe. Prefero probabilmente quedo nome per tene-
re in freno i Folli , che non fi ribellaffero , o non noceffero .
Niccolò Tegrimi nella Vita di Caftruccio fcrive: Primusfupra
Sergianum Caftellum Arcem adijicavit ( quam Sarz^anellum ap-
pellamus ) in formamBattifollis ( illius <ctatis vocabulo ) cum ag-
gere
Ventesimasesta. 4.5^
geve & lignh terraque congeflo ; adverfus fubttos ineuvfus locum
illum munivtt ; pojìmodum & calce lateribi'.squs tutìorem re d di di t.
Certamente Giovanni Villani fa poca differenza tra Baltie e
Battifolli, Icrivendo nel Lib. V. Gap. 2. che fu fabbricata da
i Lombardi Aleffandria quaji per una Bajìita e Battifolle incon-
tro alla Città di Pa'via . E nel Lib. VI. Gap. 4. È per Batti-
folle ovvero Bajìita "vi pofo?20 i Fiorentini il Cajìello d'Ancij'a .
E nel Lib. X. Gap. 171. Feciono una Bajìita ovvero Battifolle ,^
giicrnito di genite d'armi . Da uno Strumento Bolognele del 1 3 2d.
fi vede, che alla cuftodia d'un Battifolle ftavano tre Gentiluo-
mini , ciaicun de' quali haheat & bahere debeat ad Jlipendium
Communis Bononia^ quatuor equos armigeros^ quatuor equitatores^
& diios roncenos . Adunque i Battifolli furono picciole Fortezze
i capaci di cavalleria . Si truovano anche le Stellate e Palate ,
I fortificazioni fatte con pali a qualche fito . E fi facevano tal-
volta a gU fteffi Monilterj e Ghiele, e fi chiamava Incajìellare^
cioè ridurre un Luogo a guifa di Rocca e Fortezza. Nel Gon-
cilio Lateranenfe deli' Anno 11 23. Gan. 14. fi legge : Eccleftas
a Laicis incajìellari , aut in fervi tutem redigi , auBoritate Àpo-
fìolica prohibemus . E pure da lì a pochi Anni una delle più ve-
nerande Bafiliche della Griftianita , cioè la Vaticana , dovette
fofferire queito detefiabil aggravio, come apparifce da gli Atti
di Federigo L Augufto , ed atteftò Geroo Propofto Reichersper-
genfe , Scrittore di que' tempi , con dire : Unde non immerito
dolemus^ quod adhuc in domo Beati Petri Principis Apofìolorum
defolatioìiis abominationem fìare vidimus , pofìtis etiam propu-
gnaculisy & aliis Bellorum injìrume?itis in altitudine SanBu arti
jupra corpus Beati Petri , Da gli Arabi impararono i noftri l'ufo
delle ferrate, che appefe ad una fune fi mettono fopra le Por-
te delle Fortezze o Citta , e al biiogno fi fanno calare , cafo
che la Porta foffe prefa da' nemici . Abbiamo nella Storia de'
Gortufi Lib. VL Gap. V. all'Anno 1337. Calata Porta; levatu-
ra ^ feu Saracinefca. E nel Lib. VIL Gap. i5. ^idam intrave-
runtCivitatem^ fed propter Portam Civitatis ^ qua; erat levatura^
non fuerunt aufe entrare fuccejftve . Un altro Codice ha : Sed
propter Saracinefcas portas trabtbus inhare?ìtes . Ma che i Roma-
ni non ignorafiero quefto fegreto , fi raccoglie da Livio Lib.27.
Gap. 30. Ne fa menzione anche Vegezio .
Ma troppo in quefti ultimi Secoli s'è mutato il fiftema del-
la Milizia per l'invenzione della Polve da fuoco , e delle Bom-
^ barde
45^ Dissertazione
barde grofie e minori, e de' fucili, e d'altri fìmili diabolici fru-
menti. Fama è, che Archidamo figlio di Agefilao avendo ve-
duto un dardo, che gitta va fuoco, portato dalla Sicilia, efcla-
maffe : Perììp vìrorum 'virtus- Non so dire, fé fia vero; ma
certamente noi pofTiam dirlo de' noftri tempi , da che ugual-
mente fono efpofti e forti e dappoco alle pioggie delle mici-
diali palle. Dopo il 1300. fi crede accidentalmente trovata
la Polve fuddetta; contuttociò per buona parte del Secolo XIV.
poco cambiamento fi fece nell' Arte della Guerra , perchè il
fufleguente trovato de' Cannoni era lontano dalla perfezione,
né s\ predo pafsò a tutte le Nazioni Europee. Comune opi-
nione è, che la prima pruova d'effe Bombarde o Cannoni fi
facelfe alla Guerra di Ciiioza , fatta fra loro da i Veneziani e
Genovefi nel 1378. e ne'due fuffeguenti. Tengo io, che mol-
to prima ne foffe conofciuto l'ufo. Certamente non pochi an-
ni avanti, cioè nell'Anno 134(5". nella fanguinofa battaolia di
Creci in Francia , gì' Inglefi fi fervirono di Bombarde , che
faetta'vano pallottole dì ferro co?i fuoco , per impaurire e cìifer-
tare i Cavalli de' Fran':i:efi ^ come fcrive Giovanni Villani Li-
bro XII. Cap. «55. della Storia . Nel Cap. feguente egli aggiu-
gne : San-za i colpi delle Bombarde , che facieno sì gravide tre-
muoto e romore , che parea che Iddio tonajfe con graìide uccijìo-
7ie di gente , e sfondamento di Cavalli : parole che altro non
poflbno indicare che i noftri Cannoni . Il Continuatore del
Nangio all'Anno 135^. fcrive: Munienres turres balUfìis^ gar-
rottisj canonihus^ & machÌ7ìis , Ma non è ben certo, fé que'
Cannoni, chiamati dagli Scrittori Inglefi Gw;???^, foffero le no-
flre Bombarde. Ma un bel paffo v'ha di Francefco Petrarca ,
non avvertito da Polidoro Virgilio , né dal Panciroli , né dal
Du-Cange, che può decidere tal controverfia. Cosi egli par-
la nelLib. I. De Remed. utriusque Fort. Dialogo pp. intitolato
de Machinis & Balifìis . Quivi egli fcrive : G. Habeo Machi-
nas & Balifìas, R. Mirum ^ nifi Ò^ glandes ceneas^ qude flam-
niis inje6ìis horrifo?io fono jaciumur . Non erat Jatis de Ccelo
fonantis ira Dei immortalis , 72ÌJÌ homimcio ( 0 crudelitas /unBa
' ftiperbice ) de terra etiam tonutjfet . Non imitabile fidmen , ut
Maro ait ^ humana rabtcs imitata efl ; & quod e nubibus mitti
jolet , igneo quidem , Jed tartareo mittitur itifìrumento . ^od
ab Archimede i?iventum quidam putaìit eo tempore , quo Mar-
cellus Syracufas obfdebat . Ver^.m ille hor , ut fuormn Civium
li ber-
V E N T ES I M A SE S T A . 457
l'thenatem tueretm , excogita'vtt , patriceque excìdlum voi aver-
teret , 'vel differrep : quo vos , tif Itberos Populos 'vel jugo vel ex-
ciato prematis , utìmini . 'Erat h^c pejìis NUP E R rara , uf
cum tnpenti mtraculo cerneretur . NUNC ^ ut rerum pejjimarum
dociles fum animi , ita COMMUNIO eji , ut quocUtbet genus
/irmorum . Convien qui notare , che quel Trattato fu manda-
to dal Petrarca ad fplcndiduìn ^ natalihusque clarum 'virum Axo-
nem Ccrrigium , Principem Parmenjcm . Fini Azzo da Correg-
gio di fignoreggiare in Parma l'Anno i 344. perchè allora ven-
dè quella Citta ad Obizzo Marchefe d' Efte . Adunque prima
di tal Anno era già Comune in Italia l'ufo de'Cannoni. Ab-
bianìo poi da Andrea Redufio nella Cronica di Trivigi le Te-
gnenti parole all' Anno I37<5'. Illa bora Bombardella parva ^
quas Prima fuit vifa & audita in partibus Italia , conduca per
gentes Veìietorum , caju percujjtt Ri'2:olinum de Axojìibus nobi"
lem Tarvijinum cum debilitatione brachii . Ma il medefimo
Autore avea di fopra all'Anno 1373. fcritto , ch^ÌQ Bombar-
de erano (late ufate da Francefco da Carrara contro i Vene-
ziani, di modo che pare, che ìt Bombardelle bensì, ma non
le già note Bombarde , cominciarono ad ufarfi nella Guerra di
Chioza . Che gli Schioppi o Fucili fodero una cola nuova in
Toicana anche nell'Anno 1432. lo fcrive Francefco Tommali
nella Storia di Siena , dicendo : Habebat (^ milites quingentos
ad fui cujìodiam , Scloppos ( id genus armorum vocant ^ invifum
apud nos antea ) deferentes , totidemque Hmigaros equites arcum
gejìames . Che nel 137^. in uno Spettacolo della Citta di Vi-
cenza foffe adoperata la Polve da fuoco, s'ha da Conforto Pul-
ce nella Storia di quella Citta.
Continuarono adunque per tutto il Secolo XIV. i Cava-
lieri a valerfi delle feguenti armi, cioè Lancia, Spada, ©Maz-
za; e i Pedoni della Spada , Saette, Dardi, Manarini, Scuri,
Fionde, Coltelli, Pugnali, ed altre armi da ofFefa, e dello Scu-
do per di fé fa . Altre forte d'Armi fi poffono intendere dagli
Statuti MSti Ferrarefi dell'Anno 1268. Ecco le parole di ef-
fi : Arma vetita in Civitate Ferrarics &' Dijìri6lu intelligimus
Bordonem , Lnni^nem , Transferium , Scimpum , Cultella':^um ,
Cultellum cum punSia habentem ferrum majus femijfe , Konco-
nem , Lanceam , Spatam . Lanceam vero concedimus Militibus ,
quum equitant ; Spatam Pediti , quum vadit de una Terra /?/
aliam ; & domi dimittat . 5"/ quis de no6ie inventus fuerit portare
Tomo L Mmm. Fah
458 Dissertazione
F f.lzonem ad Caverò , Bordojiem , Lan-zonem , Transferlum , vél
Ax^m^ condemnetur Ò'c. Vemmtamen l'tc'ttum fit cuìlibet àeCU
lutate Ferraris portare impune , eundo & redeu7ìdo ad Vtllas ,
Spatam^ Cu! teli um de ferire^ Lance am^ finjie Lan-zonem ^ Mac-
c'tam , & Kojiconcm . Molte furono le Ipecie delle Freccie e
de gli Scudi . PreiTo gì' Italiani (ì truovano Scudo , Rotella ,
Brocchiere^ Targa ^ Pavefe, Q_ue(li Scudi li diftingueva la dif-
ferenza della materia , o delia forma ; perchè altri era.no di
ferro, orarne, o legno, o cuoio ; alcuni di forma rotonda, ai-
tri di bislunga, ©quadrata. Percento àQ\ Paveje ^ loStigliani
dal Latino Pavia ^ e il Menagio da P^rw^ , ne trafl'ero il no-
me. S'ingannarono . Sofpettò Ottavio Ferrarini , che venilfe
dal Popolo di Pavia, e quefta è la vera opinione. Ecco le pa-
role dell'Aulico Ticinenle de Laud, Papia: nel Gap. 13. Tici-
nenjìs militile fama (^ cosi egli) per totam Itali am divulgata e/I :
& ab ipjìs adhuc quidam clypei magni tam in fuperiori capite
quadri , quaìn in inferiori.^ Papienfes fere vocantur ubique. Al-
tro dunque non furono i Paveft che Scudi fatti alla maniera
di Pavia . E tal voce colla figura d'effi pafsò in Francia , In-
ghilterra, e Spagna, come fi può vedere preffo il Du - Gange
alla voce Pavifarii , Pavifatores &c. Ebbero i Pavefi un* altra
forta di Scudi, de' quali fi fervivano nelle finte battaglie. Odafi
il medefimo Aulico, che defcrivcndo quelle Zuffe da burla, di-
ce : Ha ben t in [capi ti bus galeas ligneas , fcilicet viminibus tex-
tas^ quas Ciftas 'uocant^ pannis & moUibits interius exteriusque
partitas &c, tenentes omnes Scuta radicibus texta , & ligneos fa'
fies . Sembra , che i Pavefi teneffero davanti a gli occhi ciò ,
che fu fcritto da Vesezio . Scuta decimine in modumcratium
coorotundata tenebant . Perchè altri Scudi follerò appellati Ko-
telle , credo che procedefle dalla lor figura rotonda come le
Ruote . Rondelle tuttavia dura nella lingua Franzefe . Broc-
chiere ^ s'io non m'inganno , fu chiamata quella fpecie di Scu-
di , che nel mezzo teneva uno Spuntone o Chiodo acuto di
ferro ed eminente , con cui anche fi potea ferire il nemico ,
fé troppo fi avvicinava. Braccare voce andata in diiufo fignifi-
cava pungere il cavallo colle Brocche , cioè colle punte de gli
Speroni, T^crchè Brocca volea dire un ferro acuto. Noi appel-
liamo tuttavia Brocchette alcuni piccioli chiodi . Credefi an-
cora, che Talavacii foffe una forta di Scudo . Rolandino Li-
bro Vili. Gap. IO. all'Anno I25<^. fcrive ; Circa ducentos pedi-
tes
Ventesimasesta. 4.5^
tei de Vtncentia Ò' Vìceìittno diJìrìHu , cum Talavaciis ftatu'it
fupertuntm^ & porfam^ & fp^ldum de Pomecorbo,
Dardi ^ e Giavellotti vecchiamente fi ufavano con ifcagliarli
centra de' nemici . Non so dire con certezza , fé le Giavnrine
o Chia'varine follerò , come mi vo' figurando , mezze picche,
le quali fi folevano anche fcagliare contro 1' A vverfario. Non
v'ha pcrfona tinta di Lettere, che non fappia , qual fofle una
volta l'ufo degli ^/T/^/, e delle Fr^criV o Saette . Gran tempo
elfo durò . Succederono poi le Ballilie manuali , che fi chia-
marono Bnleflre , cioè fi:rumenti di legno con arco di ferro ,
che con più forza fcagliavano le Freccie o fia gli Strali. Chia-
mavanfi Are ari i ^ Arcatores^ e Italianamente Arcieri^ coloro,
che fi iervivano de' primi; t Balijìarii ^ e Balejìrieri i pedo-
ni, che ufavano le Baleftre : benché fi truovino a.ncoi'^ E q 14 i-
tes Balijìarii . V'erano \t Balejìre grojfe ^ Macchine Icaglianti
più Freccie in un colpo. Nelle Giunte alle Croniche de'Cortuii
abbiamo la battaglia dell'Anno 131 5. in cui furono da Uguc»
cione della Faggiuola fconfitti i Fiorentini . Ivi fi legge : ^/^
'videns Ugutto mijit prò Balijìertis Pifanis , qui erant numero
quatuor mille , tT eos fagaciter ordinanit in hunc modum : ^uod
eorum tertia pars fagittet in Lanci feros diSii Principis ; alia ter-
tia pars immediate ponderet Balijìas fuas cum Mufchettis , &
quod telis etiam Jagittet , alia vero tertia pars poflmodum jam
poxderatis Balijìis recuti at^ & frequentando fagittare non cejjet^
& omnes infpiciant primo in Lanci feros Jagittare , & pojìea in
equos rnilitum Principis . Si chiamavano Mojchette le Freccie
fcagliate dalle Baleftre . Marino Sannto il vecchio nella fua
Storia icriffe : Hcec eadem Balifloe tela poJfe?ìt trahere , quae
Mufchetta vulgariter appellantur . Nella Cronica Eftenfe ali*
Annoi 3 op. fi legge : Propter magnam multitudinem Mufchet'
tarum , quas fagittabant , Sopra gli altri Baleftrieri furono in
gran credito i Genovcfi . Cinque o lei mila di elfi fi trovarono
alla fopr' accennata battaglia di Greci per loro diigrazia. L'Au-
tore della Vita di Cola di Rienzo racconta , che era fiata un
poco di pioverella . La Terra era infufa e molle, ^hianno vole-
'va?to caricare la Valejìra^ mettevano pede nella flajfa. Lo pede
sfuiva . Non potevano ficcare lo pede in terra , Sofpettando 1 Fran-
zefi nella lor lentezza un tradimento, fecero un macello di quel-
la povera gente con barbarica crudeltà . Dio ne fece vendetta.
Sconfitti cffi Franzefi dagllnglcfi iafciarono parecchie migliara
M m m 2 de'
4(5o Dissertazione
de' tuoi fui campo . La maniera di caricar col piede la Baleflra
è mentovata da Guglielmo Britone Lib, VII. Philipp, in quel
verfo :
Bnlìfta duplici tenf'a pede mìjfa Sagìtta,
L' Arco de di Arcieri fi tendeva colla mano . Altrove dice
quello Storico :
JSJec tamen i fi ter e a cejfat Ballifla njel Arcus :
Quadre II OS h(jec multipli e at , plu'it ili e Sagittas .
Furono anche i ^^drelli una fpecie di Saetta , cosi appellati
o dalla lor forma , o da quattro Ale . Poco diverfi pare che
foffero ì Boi "2:077 i ^ nome venuto dal Tedelco BoltT^e fignifican-
\Q Saetta, Celebri m oltre comparifcono iVervettoìii ^ forta di
Freccie fcagliate dalle Baleftre . Chi tenne tal parola origi-
nata da Verutum Latino, non riflettè, che i Feruti era.noDa.r-
di fcagliati colla mano. Né pur viene, come pensò il P.Da-
niello Gefuita , dal Franzefe Firer , cioè Girare : perchè fi fa-
rebbe detto lo (leffo di ogni Dardo e Saetta . Potrebbe cfTere,
che veniffe dalla Lingua Tedefca , giacche troviamo Werreto-
^ìes , e Guerretto?ii .
Osservisi ora ciò, che da FraFrancefco Pippino nelLib.IIL
Cap. 45. della fua Storia fu fcritto , cioè : Anno Domini MCC-
LXVI. Italici exeryìplo Francorum Pugionibus ufi coeperunt^ Enfi-
bus obfoletis» A mio credere non fi parla qui àe Pugnali e 5^//-
ìetti , ma bensì delle Spade da Punta , e che ferifcono con ef-
fa Punta . Dianzi Enfes , Gladii , Spatha doveano effere quel-
le , che oggidì chiamiamo Spade da due tagli ^ o da un folo ,
come le Sciable . Vegezio parla d'ambe le Spade da punta e
da taglio, e preferifce l'ufo della prima a quello dell'altra Li-
brai. Cap. 12. Apollinare Sidonio Lib. III. Epin-.3. narrando
una vittoria riportata contro i Goti , fcrive : Alii hehetatorum
ccede Gladiorum Intera dentata pernumera?2t . Adunque i Fran-
zefi combattevano colle Spade taglienti . Soggiugne : Alii ca-
Jlm atque punBim foramina^tos circulos loricarum metiuntur .
Adunque l'Armi de' Goti ferivano di punta e di taglio . Gu-
glielmo Pugliefe deferi vendo i Suevi menati in Italia dal Santo
Pontefice Leone IX. nell'Anno 1055. racconta, che coloro va-
levano poco colla Lancia»
^ - - Prd^'
Ventesimasesta. 4^1
- - - - Pracmhiet "Enfis ;
Sii7it etenìm loìigt fpec'ialìter & per acuti
Illorum Gì adii, Percujfum a vertice corpus
ScÌ7ìdere Jcepe folent , Et firmo Jìa?ìt pede ^ poflquam
Deponuntur equis . Potius certando perire ,
Ghiam dare terga njolujìt , Magis hoc fu?ìt Marte timendo ^
^)uam dimì fu?ìt equites.
Io prendo quel peracutos per ùer? agu:?^^:] ed affilati^ perchè ap-
parilce, che le Spade loro erano da taglio. Dovettero imitarli
gl'Italiani lungo tempo, finché i Franzefi inlegnarono loro ad
ular quelle da taglio, come più commendate da Vegezio. Il che
fu conoiciuto anche da Benvenuto da Imola, il quale al Gap. 31.
del Purgatorio di Dante fa la feguente olfervazione . Melms &
tutius ejì pugnaììti ferire pmi^lim ^ quam cccjim . Primo , quia fc'
riens pun6iim , habet incidere minus de armis . Secundo , quia ad-
verfarius rioìi ita bene vitat i6lum . Tertlo , quia invenìt minorerà
refiflentiam in e or por e , ^htavto^ quia feriens minus laborat. Quin-
to ^ quia miìius fé detegit . Però i Franzefi con quelle Spade acu-
te lapeano vantaggioiamente combattere con gli Uomini d'armi,
tuttoché vediti a ferro. Guglielmo Nangio de gejì. Sancii Lud.
ce lo infegna fcrivendo : Franci mucronibus gracilibus & acutisy
fub humeris ipjorum , ubi inermis patebat aditus , dum levarenp
bracbia^ transforantes^ per latebras vifcerum gladios capulo tenus
immergebant, Leggonfi ancora nella defcrizione della Vittoria di
Cario I. Re di Sicilia quelle parole : Sed nojìri Gallici ex brevi-
bus Spathis fuis eorum latera perfodiebant^ ut vitam demerent cor-
de taóìo . Lo fleflb Re Carlo gridava ad alta voce : PunBim in-
fi gite y militesChrifii j punBim transfigìte . Però non Pugnali,
ma Spade corte da tagho erano quelle de' Franzefi. Stocchi fo-
no chiamate da Giovanni Villani ; e in fatti nella lor Lingua
Frapper d'Eftoc h Ferire di punta ; e di la è venuto l'Italiano
Stoccata , Che anche nel Secolo VIII. in Italia fi conofcefTero le
Spade da punta, fi può provar colle parole dell'Anonimo Saler-
nitano, dove parla di Liutprando Duca di Benevento, e del tuo
Succeflbre i^richis . Dum in eadem Ecclejia , Langobardorum Jì-
cuti mos efl , cum Pugionibus accincli altrinfecus introijfent &c.
Del redo gli antichi Franchi oltre alla Spada lunga ularono an-
che delle mezze Spade; e V'egezio ne nomina una , che pare il
r\o?i^o Pugnai e y di cui fi fervivano, quando erano alle ftrette.
Meri-
^ 4^2 D I S S E R T A Z I O N,E
M'E^^^TA ora d'.eflere qui rammentato il Canone 2p. del
Concilio Lateranenfe IL tenuto fotto Innocenzo IL Papa neir
Anno ii3p. di cui fono le feguenti parole : Artem autem tllam
ìnortìferam & Deo od'tb'tlem Ball'tjì artorum & Sagittariorum ad-
verfus Chrijìianos & Catholicos , exerceri de cetero fub anatheyna-
te prohibeì72us. Chi non fi llupira di veder quello fulmine con-
tra Tufo dell'Arco e delle Saette, che fi truova in tutti i Se-
coli precedenti. Ci llupiremmo ancor noi, fé venilTe ora vieta-
to quel de' Cannoni e Archibugi fra i Cridiani. Alcune guade
edizioni hanno Bnllt Jìadtorum , e però afiai ridicolofamente il
Baile nella Somma de'Concilj da Arnobio e dalla Cerda prende a
fpiegare la voce Balli , dicendo : ^uod baiare d'tcuntur Arietes^
quum cornibus fé mvicem impetunt» Senza fallo ivi fi legge Bal-
lìjìarìorum^ o, come volle il Cardinal Baronio , Balìjìaliorum ,
cioè de' Baledrieri . Gli Autori della Chiola, il Palermitano, ed
altri Interpreti trovarono colle lor gran tede il fenfo di quefto
Canone, con dire : hitellìge de bello tnjuflo ; fecus de juflo. Bel-
la (cappata, ma perchè non proibir anche le Spade e le Lancie
nella guerra ingiuRa ? Anche il Baluzio fi credette d'aver trova-
to il perchè fi formaile il Canone fuddetto , cioè per efferfi ri-
meffo in ufo a que' tempi ii valerfi Balijìh Ù'Sagttt'is nelle guer-
re fra Criftiani : il che dianzi non {\ praticava . In fatti nelle
prime Crociate fappiamo, che i Criftiani adoperavano folamen-
te Lancie e Spade; laddove i Turchi da lungi ufavano Archi e
Saette , e da vicino le Spade . Avendo poi Franzefi e Itahani
portato feco l'arte difaettare, s\ perniciofa, perchè ammazza
i lontani, e non diftingue i forti da i deboli; perciò lembra ve-
rifimile , che foile proibita a' Criftiani, che facean guerra ad al-
tri Criftiani Artem Balliftarioruìn & Sagìttariorum . Ma né pur
quefta fembra buona ragione. Anche ne' Secoli precedenti noi
troviamo Arcieri e Saette in guerra . Non occorre , eh' io ne
rechi le pruove . E fé fi dicefte , che almeno erano nuove in
Occidente le Balejìre , riipondo , che certamente in Francia
molto ancora dopo Innocenzo IL ne fu ignoto l'ufo. L'abbia-
mo da Guglielmo Britone Lib.IL Phihpp. che all'Annoi 184.
cos\ feri ve :
Francigenis nojìris illis ìpjiota diebus
Kes erat omnìno^ quid Balijìarius Arcus^
^uid Balijìa foret ; nec habebat in agmine tota
Ke>c armis quemquamy fciret qui talibm vti .
Rie-
'Ventesima SESTA. ^6j
Riccardo Re d'Inghilterra quegli fu, che portò di Levante le
Baleftre , tanto tempo dopo il Canone fuddetto . Potrebbefi
dunque pii^i tofto ioipettare, che in effo Canone mancaffe qual-
che parola, e che vi fo (fero lolamente vietate h Saene ^we-
le?iate . Pandolfo Pifano nella Vita di Papa Gelafio II. all' An-
no 1 1 1 8. COSI parla : Sava tnjuper jam per ripam Alemannorum
barhartes tela contra nos mixtaToxico jaciebat , Quel ch'è certo,
o fia che veramente non folTe proibito in generale 1' ufo de gli
Archi e delle Balellre, o pure che i Principi non voleffero £r
conto di quel divieto : fi continuò univerlalmente fra' Criiliani
a praticare gli Arcieri e Baleflrieri in Italia . Nelle guerre di
Federigo I. Imperadore contro i Lombardi, Sire Raul e Ottone
Morena affermano effere intervenuti Arcatores atqueBaliJìnrtos ,
Da Ottone da Frifinga Lib. IL Cap. i/. de geft.Frìd. è detto,
che ali'alfedio di Tortona Sagittarii^ Bnlijìarìi ^ Fundtbular'iì
tìrcem cìrcumfeptam obfervabant , I Pilani parimente e i Geno-
vefi ufarono Archi e Balellre nelle lor guerre; e Innocenzo III.
Papa, come s'ha dalla iua Vita , nell'Anno iipp. cemum Ar-
Carlos conduxit adfolidos^ cioè al luo foldo .
Per quel che riguarda la Milizia marittima, le Flotte, eie
battaglie di mare , poco vi penfarono i Re Longobardi, Fran-
chi , e Tedefchi fino al Secolo X I. Solamente abbiamo , che
nell'x^nno 8io. per atteftato degli Annali de' Franchi, Pippino
Re d'Itaha Venet'tam bello terra mar'ique appettiti fubaBaque Ve-
neti a , ne Ductbus ejus in dedttionem acceptis , eamdem clajfem ad
Dalmatice litora -vafianda accejjìt . Ala i Greci, che Tempre con-
fervarono l'arte di far guerra in mare, vi fpedirono una Flotta,
e il fecero ritirare in fretta . Anche nell' Anno 828. Bonifa-
zio Conte o (ìaMarchefe di Tofcana parva clajfe circumveóius
navigò in Affrica, e fece gran danno e paura a que* Saraceni .
Ma quefte non fon prodezze di gran conto; e meno ne fecero
dipoi i Criftiani di Occidente , quando all' incontro i nemici
del nome Cridiano in que' tempi conducevano groffe Flotte ad
infeftare la Francia e l'Italia. Cioè daU'un canto i Norman-
ni, gente rannata dalle parti del Baltico e della Norvegia, con
ifmifurata copia di varie navi sbarcando di tanto in tanto or
qua orla ne' lidi di Francia , e ne' circonvicini paefi , e fino
in Italia, laiciarono dapertutto lacrimevoli memorie diiiragi,
incendj , e faccheggi ne' Secoli IX. e X. Dall'altra parte an-
che i Saraceni, menando belle Armate per mare in Ifpagna,
Sici-
i^óq. Dissertazione
Sicilia, Calabria, e Fraflineto, s'impadronirono dique'paefi,
ed infeflarono il refto d' Italia , fenza che alcuno s^avvifafle di
far loro contrailo per mare. E da colloro in prima i Siciliani ,
poicia gli altri Popoli Occidentali, prelero la. ip^roh Amiralius^
Amìraldus , Admirallus , Adm'iratus , oggidì Ammiraglio , per-
chè cos'i era chiamato da' Saraceni il Comandante fu premo
delle loro Flotte , effendo voce Arabica Am'tr , e lo (leffo che
Emir, Da effi Arabi a noi ancora venne la voce Arianna ^ come
fa. anche detto da Dante Canto 21. dell' Inferno , da noi mu-
tata in Arfenale.
^uale neW Avz^ììà de Vcne-zianì
Bolle V inverno la tenace pece»
Penfa il Du-Cange , che Arfenale fignifichi Armamentarium ,
cioè Armeria, Ma vuol dire Navale, cioè Luogo dove fi fab-
bricano e fi tengono le Navi . Crede eziandio , che venga da
Ars^ qu(e fequioribiis Latifìis Machinam denota'vit. E* inluffi (len-
te immaginazione. Viene dall'Arabico Darcenaa^ lo fteflb che
Arfenale. E refta più chiaro elfo nome prelfo di noi nella pa-
rola Darfena . Da Rafaino Carefino nella Storia Veneta è no-
minata Arfena ; e da Bartolomeo da Neocaftro nella Storia Si-
ciliana Tarfana^ e Tarfanatus Regius Mejfanae . Probabile è al-
tresì, che da quella lingua abbiamo tratto la voce Do^^;?/? , e
non gih dal Greco, da dove con gli argani volle tirarla il Me-
nagio. Certamente alla Lingua Arabica fiam debitori delle pa-
role MagaT^^no e Fondaco , e delle Cifre numeriche , da noi
oggidì ulate. In que' tempi ancora i Greci non fi laiciavano fu-
perchiare da alcuno nella perizia e potenza della Marina, per-
chè tenevano buone Flotte , e fapeano far belle battaglie per
mare. Perciò, fecondo la teftimonianza di Liutprando Storico,
Niceforo Imperador de' Greci fé ne pavoneggiava con riderfi
anche di Ottone il Grande Imperadore privo di Armate nava-
li. Diceva egli al medefimo Liutprando Ambafciatore: Nec ejl
in mari Domino tuo clajftum numerus . Nanjigantiitm fortitudo
mi hi foli ineft ^ qui eum claffihus aggrediar ; bello maritiynas ejus
Civitates demoliar , & qua fìumi?iibus funt 'vicifìa , redigam in
favillam . I primi ad eifere potenti per mare in Itaha furono
i Veneziani, gloria, che tuttavia ritengono fra noi. Ecco ciò,
che circa l'Anno lopo. fcriffe dell'inclita loro Citta e Nazione
Guglielmo Pugliefe nei fuo Poema Lib. IV.
Non
V E N T E S 1 M A S E S T A , ^6^
Norf ìgyiara qiùdeyn belli 'navalìs & audax
Gens erat hcsc : illam populofa Veneti a mijìp
Imperli prece ^ dives opum^ divesque 'utrorum ^
Qua Jìnus Adriacìs i^ìterlitus ultimtds undis
Subjacet ArBuro . Sunt hujus mcenia gentis
Circumfepta mari j nec ab adi bus alter ad cedes
Alteri US tran/ire potejì ^ 7iijì lintre njehatur.
Semper aquis habitant . Gens nulla valentior i/la
^quoreis bellis^ ratiumque per cequora duóìu .
Prima ancora del Secolo XI. e fin quando regnavano i Longo-
bardi, certo è, che fu rinomato il valore per mare del Popolo
Veneto. Leggi le Croniche del Dandolo. Divennero poi famofi.
per le loro Flotte marittime i Normanni lotto Roberto Guifcar-
do Duca di Puglia, e fotto i fuoi SuccelTori, e parimente i Pifa-
ni , e molto più i Genovefi , delle grandi azioni de 'quali , non
meno che de' Veneziani, fon piene le noflre Iflorie . Né fola-
mente ufarono quelli Popoli per mare i Legni minori , ma an-
che i maggiori , e col nome di Ligna , Barchiae , Vaja &c, di-
fegnavano tutte le Navi ò^i giuda grandezza ; e fé ne formò poi
quella di Vafcello^ che dura tuttavia . V'erano Galecd^ Taridce ^
Chelandriay Sagencjs ^ Sagitte<s ^ BarchdS ^ Brigantini ^ Carabi^ onde
Carabella^ e Caravella ^ con altri nomi disuiati oggidì. Furono
anche rinomate le Cocche . Che forta di Legni fode queda, non
l'intefe il Du-Cange. Concha^ die' egli, 7i avi gii [peci e s inConch<t
formam effigi a ^ ut funt Gondola Veneticce . Cocha^ e nonConcha^
doveva egli dire , ne quelle fomighavano le Barchette chiamate
Gondole; anzi furono de'pii^i grolìi Legni, che allora folcalfero i
noftri due Mari . Vedi le Storie Venete e Genovefi nella mia Rac-
colta . Per atteftato di Giovanni Villani Lib.VIlL Cap. 77. folo
dopo il 1304. fi cominciarono ad ufar le Cocche dagl'Italiani.
Ne' vo' lafciar di dire, che le Citta d'Italia, da che pre fero
colla Liberta forma di Repubblica, e molto tempo ancora dipoi,
folite furono di far guerra o per difefa o per offefa co i loro
proprj Cittadini . Sì Nobili che Artefici , dato di piglio all'ar-
mi, volavano all'ofte, e l'elferfi poi così addeftrati i Popola-
ri, cagion fu , che talvolta depreffero i Nobili , e fecero egli-
no da Signori. Molte di effe Citta ufarono di dividerfi in ^/7r-
tieri oppure Sejìieri ( come ne' vecchi tempi i Romani divi-
fero la gran Citta 'mRegiones^ pofcia Rioni ) che prendeva-
Toyno L N n n no
^66 Dissertazione
no il nome da qualche Tempio, o Porta della Citta, o da al-
tro fegno. Ognun di efTì portava la propria Bandiera, e davanfi
la muta ne gli afledj . Il nome Italiano di Soldato nacque dall'
introduzione di combattenti ftranieri, a' quali fi afTegnava una
quantità di Soldi per ogni Mefe . Solidarìi , Soldarit , e Solda-
nerii fi truovano appellati . Nella Cronica di Orvieto fi legge:
Furo intorno a Ferrano pur fola Cittadini d Orvieto cento tren-
ta Cavalieri ^ e tre mila Pedoni : che non ve ne fu nullo Soldato,
Che incomodo foffe quello degli Artiftì e Contadini di dover si
fovente lafciar i lor lavori percorrere all'armi, ognun fel può
figurare . Perciò fi conobbe tornar il conto in iftipendiar com-
battenti da pagarfi co' tributi del Popolo, e lalciare eflb Popo-
lo in pace , fé pur non avvenivano edremi bifogni . Galvano
Fiamma de Keb, gefl. A^onis Vicecom. trattando de' buoni ufi
introdotti da i Viiconti prima dell' Anno 1340. cosi parla:
Quinta lex efl , quod Populus ad arma non procedat , fed domi
vacet fuis operi bus . ^uia omni anno^ & Jpecialiter tempore mej-
Jìum & vendemiarum^ quo folent Reges ad bella procedere , Po-
pulus reliólts propriis artijiciis , cum multo di/crimine & multis
e'^penfis Jìabat JupraCivitatum objidiones ^ Ù' innumerabilia dam-
na incurrehant , C^ prc£cipue quia inulto tempore in talibus bello-
rum exercitiis occupabantur . Oltre a i Soldati , che in militare
ordinanza combattevano , anticamente furono in ufo anche i
Ribaldi^ ch'erano come gli Ufleri de' tempi noftri, perchè qua
e la (correndo fpiavano gli andamenti de' nemici, fpecialmente
bottinavano, e intervenivano anche a i fatti d'armi. Giovanni
Villani Lib. IL Cap. 138. attefta : Che Jolo i Ribaldi e Ra-
E^"^^ ^(?//' O/le avrebbono vinto colle pietre il Battifolle e '/ Pon-
te, Abbiamo anche da Saba Malafpina Lib. III. Cap. io. del-
la Storia la feguente notiizia . His occurrunt primo Ribaldi , qui
gregatim de Francia venerant &'c. Verum Saraceni de more , prius-
quam [e jungant ^ manualiter hojìibus ex pharetris tela promunty
& fagittantes fubito Ribaldos fine numero fauciant &c, Veggonfi
anche nelle vecchie memorie nominati Garciones , ora in buo-
no , ed ora in cattivo fenfo . Cosi talvolta furono appellati gli
Scudieri , e alle volte ancora i Famigli più vili . Prelfo i To-
fcani fi da il nome di Garzone a i Fanciulli e Giovanetti anche
nobili ; in Lombardia fi applica folamente a perfone di baffifli-
ma sfera , come Gar-^oni da Stalla , Garzoni de' Muratori , de'
Sartori &c» Né quefto nome fu molto diverfo da quello di Ra-
Ventesimasesta. 4.57
ga-z^^ che dura tuttavia per fignificare i figli del baflb Popo-
lo. Ne gli Annali di Padova all'Anno 1324. il Duca diCarintia
venne a Padova cww magna 77ìuhitudine miUtum & pedltum^ &
R/7^a:^orum quaji nudorum , qui exifl'tmahaììtur quaft 'vìginti
millìa inter bonos & malos . Erano anche chiamati Famigli .
Aggiuganfi i Saccomanì , che fanno fovente comparfa nelle
Storie del Secolo XIV. Coftoro col Sacco correvano a far botti-
no. Il nome loro, fecondo il Menagio, venne daW Italiano Sac-
co,, e dal Tedefco Man?: ^ che vale uomo , come fé Jì dicejfe Uoìno
di Sacco. Anche Lodrifio Crivello nella Vita di Sforza fcrive ài
certo Luogo, cui propter foli ubertatem mixtum ex Latina .^ &
Germana Lingua Saccomannorum Silva nomeneft. Ma doveano
olTervare, che anche i Tedefchi ufano la vocq facco^ comune a
gli Ebrei, Greci, Latini, Franzefi, Inglefi , e ad altre Nazio-
ni. Di qui vennero Saccheggiare ^ dare il Sacco <^ mettere a SaC'
co. In che tempo nafceffe la parola Saccomanno^ da Pietro Aza-
rio Storico del Secolo XIV. polfiamo impararlo, fcrivendo egli
nel Gap. XI. che fcorrendo i Soldati di Giovanni Vifconti nell'
Anno I35I. fino alle Porte di Firenze , multas pulcras domus&
palatia invaferunt , faccomanando & comburendo . Et ibi etiam
per gentes illas di&um fuit de Saccomanno : quod vocabulum ufque
ad prdefentem diem in Lombardia perduravit . Porcellio nel Lib.IX.
Comment. delcrivendo la prefa di Cailiglion delle Stiviere, cos'i
parla : Vincunt hinc antemurale Bracci ani , pratereunt inde fo-
veas^ & jam valium afcendebant ^ non armati folum j Jed inermes^
& quod incredibile e fi , folo Sacculo circumcinóii .
Fa menzione Giovanni Villani Lib.IX. Gap. 70. de Gial-
donieriy dicendo: I Gialdonieri lafciarono cadere le loro Gi al de
fopra i nofìri Cavalieri . Offervate, conche grazia il Menagio,
avendo letto nel Vocabolario Gialda , fpe'2:ie / arme antica ,
della quale sé perduto l ufo e la cogni'zjone^ trafle poi quefta
voce dàjaculumy dicendo: Jaculum^ Jacula^ Jaculadum^ Ja*
culada ^ Jalda,, Gialda . Credo 10 che le Gialde foffero una
forta di Lancie o Picche . Nell'edizione del Villani fatta da i
Giunti , in vece di Gialde fi truova Lancie ; e lo ftefib è nel
MSto infigne Recanati, di cui mi fon io fervito alla mia edi-
zione. Ma che razza d'uommi furono \ Gialdonieri^ rammen-
tati anche da Tolomeo da Luca a gli Anni 1285;. e 1293.?
Forfè non furono diverfi da coloro, che altri chiamarono Ber-
roerioSj e i Veneziani Zaffanes, Odafi Rolandino Lib.XI.Gap.3.
Nnn 2 air
4(58 Dissertazione
air Anno 1258. Sed quidam ped'ites^ & Zajfones illi ,, quos njulgo
'^ aidanam dicìmus , procedentes tnordìnatc ante Militum acies
qua fi per m'dliare & amplius^ ammoft plusquam oporteret ^ & ni-
ynìum trrucntes ^mufiitiones & barrasTamJJtì m'tnus pro'vide ^ immo
iufelìcher^ itìtraverunt . Notifi la W/?/^^;?//, che in Italiano do-
vette dirfi Gualdana . Sog^iugne al Gap. V. Repente fupcrvene'
rnnt Berroarii , Jì-ve Zajfones quidam , qui lucrandt caujfa circa
Paduanum conjlnium pojtti perPotejlatem P adita njigiìabant ^ no?i
curantes penitus ^ quid pietas ^ quid bone ftas ; credentes immo pò-
tius ibi fas , ubi ynaxima ynerces . Nel V^ocabolario delia Cruica
Gualdana vien detta Schiera^ truppa di gente armata con troppo
largo fignificato. Fu efla un aggregato di canaglia e gente vile,
e probabilmente lo (leilo che i topr' accennati Ribaldi ^ il cui
principal melliere era in bottinare, e che lenza ordine andava-
no alle battaglie, precorrendo le brigate de' veri Soldati. Eque-
fìa è l'origine di quei, che ora chiamiamo Birri ^ e Zaffi fi chia-
mano da' Veneziani. Rolandino nel Lib. XII. icrive, che colo-
ro andavano a cavallo, e ufavanoLancie. Ma fi truovano anche
Fedites B^ruarii preflb l'Ughelli ne' Veicovi di Tortona; e prefTo
Guglielmo Ventura Gap. 21. della Gronica d' Aiìì Pedites cum
Lanceis lo?2gis ^ che polcia furono nominati Picchieri.
DiCHiAMo ancora qualche cofa delle confuetiKlini della Mili-
zia de' Secoli baffi, fu rimeflo allora in ufo il rito de' Romani,
cioè di non muovere guerra ad alcuno, fé non precedeva la sfida;
credendo allora gl'Italiani, Tedeichi, Franzefi, ed altri Popoli
im' iniquità il muovere l'armi all'altrui offefa, fenza fargli fapere
le ragioni di quefia nemicizia . Vedefi ordinato quefì:o rito frale
Leggi militari di Federigo I. e IL Augufii. Anzi fi praticò di far
lapere al nemico, che fi voleva venire a battaglia campale , ac-
ciocché fi determinane il dì e il campo, e fi partiffe il Soìcy
come poi fi offervò ne'Duelli. A quefto fine s'inviava uno Sfida-
tore, che faceva l'intimazione, e fole va per fegno gittare in
terra ì\ guanto j angui nofo della battaglia , Truovafi menzionala
dagli antichi Guerra guerriat a ^ q Guerra guerreggiata , Se cre-
diamo al Du-Cange, così fu nominata quella che fi faceva a^?/^
disfida. Noi pruova. Tengo io così chianiato il far guerra con
badalucchi ^ fcaramuccie ^ infefiar le vettovaglie, e far fi mili al-
tri infulti al nimico dichiarato, fenza azzardar battaglia . Ba-
difi a ciò, che ha Giovanai Villani Lib. IX. Gap. 181. Per li
Saneji furono contrajìati di Guerra guerrtata 3 non ajjicurandojì
d' ab-
ì
V E N T E S I M A S E S T A . ^6 ()
d' ahboccarft a b^nyiglta ^ come a gente difperata , Tralafcio altri
efempii. Per cola rarififima fi contava in que' tempi il far guer-
ra dai fine di Ottobre fino alla Primavera adulta . Aveano da
gli antichi imparato i noflri Tempus quo Reges ad bella profi-
cifci folcnt . Era il Maggio quel Mefe , in cui a quel brutto
giuoco fi ufciva in campagna, e di cui fcriffe Guglielmo Puglie-
le Lib. I. Poem.
Hoc ad bolla folent procedere tempore Reges ,
Che fé ne gl'incontri, battaglie, e prefa di Piazze fi faceano
de' prigioni, foifero pedoni ©cavalieri, purché non fi voi effe ro
arrolare all'Armata vincitrice, fpogliati d'armi e cavallo, (i
lanciavano ire in liberta : il che fcambievolmente facevano an-
che i nemici : fé non che nella refa delle Fortezze talora i
vinti erano obbh'gati con giuramento a non portare l'armi con-
tra del vincitore per lei mefi , per un anno , o per maggior
tempo. Coftume tale fpezialmente nel Secolo XI V. fi offervò
dagl'Italiani e Tedefchi . Vegganfi le Croniche di Domenica
Gravina , e de'Cortufi . Allorché fi avea da menar le mani
nelle giornate campali, filceglievano i più bravi Cavalieri, che
fofìfero i primi a ferire ; perchè fé ri n lei va loro di rompere la
prima fchiera , fi accreiceva il coraggio e la fperanza di vin-,
cere il refto dell'Armata. Guerrieri tali erano chiamati i^m-
tori. Da Giovanni e Matteo Villani nomati fono Feditori: paro-
la, che ingarbugliò il dottiffimo Du-Cange nel Gloffario , men-
tre la fpiegò dicendo : Videntur e jf e Con foderati fide aflri6lt ^ a
Fide ; vel di6li quaji Faiditi ^ idejì Inimici. Ma preffo iTolca-
ni Ferire e Fedire la ftefia cola è , come anche Raro e Rado ,
Contrariare t Contradiare . Il Calici vetro ftimò" derivata la vo-
ce Pro e Prode dal Greco Protos fignificante Primo ^ perché tali
guerrieri erano i primi ad a.^alire i nemici. Ma viene da Pro-
bus , nel qual fenio prelTo gli antichi fovente fi legge Miles
Probus y cioè coraggiolo, valente, bravo Cavaliere; o pure dal
Franzele jPr^«x, e dall' Inglefe Pro/^^, voce forle antica della
Germania . Per lo contrario Codardi fi chiamarono i foldati
timidi, o perchè rtelfero alla coda dell' efercito, o perchè imi-
tavano i Cani paurofi , che raccolgono la coda fra le gambe -
Ma potrebbe anche elTere venuta dall' Inglele Coiv^ fignificante
intimidire^ da cui pare formato il loro Ccward , ufato anche
da'Franzefi, e da gli Spagnuoli, che dicono Covardo *
Legge-
470 Dissertazione
Leccesi nelle Storie Padovane, che non lolamente i Caval-
li, ma anche le Cavalle fi adoperavano in guerra , colie lo-
ro fchiere nondimeno feparate da i Cavalli . Pochi imitatori
ebbe tal coftume, ma pure n'ebbe. Albertino Muffato Lib. VI.
Rub. 13. H'tfi. Aug. annoverando l'Armata Padovana dell'An-
no 13 12. ha le leguenti parole : In esercitu Paduano fuijfe coji'
fìat ex confcriptis Civihus Paduanìs equites milh duce7ìtos ^ ha-
ftato% 'vero ex Nobilium locuplePumque comiti'vis fepfingentos •
Scutiferos [excentos ; Equas rurnlìum haflatorum ^ qua^fiertolotas
J^angobardì 'vocant , c'trc'iter mille ; mercenarios milites ( cioè
Soldati pagati ) trecemos ; pedttum confcriptorum ex Urbe Sub-
arbiisque quìnque m'tllìa quadrìngentos . Allorché fi dava il fe-
gno della battaglia , prorompeva l'elercito in altiflime grida
o per metter terrore a' nemici , o per animarfi maggiormente
l'un l'altro alla zuffa. Nell'Anno 12^8. prima di dar princi-
pio al terribil fatto d' armi fra Carlo I. Re di Sicilia , e il
Re Corradino , per teftimonianza di Saba Malafpina Lib. IV,
Cap. I o» Hi(i, Cohortibus ad bella d'tfpojìtis , tubce wctjjim fo-
Tìttum dant terrìbilem , concvepaìit cymbala , caelum remugh cla-
moribus tomtruìs » Cosi nel precedente conflitto fra eflb Re
Carlo e Manfredi , fcrive Niccolò da Jamfilla , che Clamor
mthere tnntus tnfonult^ quod ^ Jicut fertur ^ ufque ad Altfum veti^
tus impiilit vocum murmura . E i Saraceni clamant de more y
& quaft cadentes hofles coìitererent , 'uocibus clamare continuo
invalefcunt , Oggidì quefto non s'ufa .• Ma cofta da Lampri-
dio, da Venezia, da Tacito, da Ammiano, e da altri , che fi
alzava allora il grido ► Paolo Diacono lo chiama Bellkum da.
morem . Intorno a ciò è da vedere il Du-Cange nella Difler-
taz. Xr» a Joinvilla , e il P. Daniello della Milizia Franzefe «
Dal fuono de i Tamburi e delle Trombe erano incoraggiti i
combattenti. Quei, che ora chiamiamo T^w/'/^rr , gliabbiam
prefi dalla milizia de gli Arabi , ed è Arabico quefto nome .
Uiarono anche i Romani certi Tamburetti nelle Fefte decloro
Dii ; ma non già de' grandi in guerra. Ne' fatti d'armi diflì-
cil cofa era il ferire i Cavalieri tutti veftiti à\ ferro . Si co-
flumava dunque di percuoterli con mazze di ferro , o pure
di far guerra a i poveri Cavalli ; perchè atterrati quefti , il
Cavahere cadendo era preio , o pel pefo deir armi più non
facea grandi prodezze, eccettochè ne' Romanzi. Perciò fi ftu-
diavano colle picche, fpade, Ipuntoni , ed altre armi di sven-
trare
Ve N T E S I M A SE S T A . ^Jt
trare cfTì Cavalli . AlkChighìe^ alle Cìnghie gridavano i Ca-
pitani. Guglielmo Britone Philipp. Libro XI. all'Anno 1214.
COSI ferivi
- - - equorum 'vtfcera rumpunf
Dem'tfjls gladì'ts , dominorum corpora quando
Non patitur ferro contingi ferrea 'vejìis ,
Labuntur veóìi lapjis 've^oribus : & Jic
Vìncibiles magis exijìunt in pulvere Jìratì»
Vegganfi le Storie di Giovanni Villani , e le Padovane de' Ca-
tari . Di quefto ripiego fi fervirono anche i Romani , ed altre
antiche Nazioni : laonde Tolomeo da Lucca all'Anno 1255.
narrando la rotta data al Re Manfredi, cosi fcrive di lui : Sed
?7on potuit reftflere potcntice Gallicana , qui antìquorum Romano-
rum more percutientes , omnes equos perforabant , nullaque arma
contra hoc protegere poter aìit .
Del redo quanta foffe negl'Italiani dopo il Secolo X. la
fortezza e perizia ne gli affari di guerra , e quante azioni di
prodezza faceflero , non è qui luogo da parlarne. Ma nel Seco-
lo XIII. e XIV. pare che i medefimi fi dimenticaffero alquanto
di sé fteifi , perchè fi diedero ad asoldar Tedefchi , Inglefi ,
Fiamminghi 5 Ungheri, ed altri Oltramontani , ne' quali con-
fifteva il maggior nerbo delle loro Armate. Lo ftelTo pratica-
rono anche una volta gì' Imperadori Romani , e ne provenne
poi la rovina dell'Imperio . Che fcellerata gente foffe quel-
la, fenza fede, unicamente data al bottino, a' faccheggi , e
ad ogni empietà , fi può leggere nelle Storie . Con che patti
coftoro fi prendeflero al loro foldo da i Principi d' Italia , fi
raccoglie da uno Strumento del 1370. che ho dato alla luce.
Ma fui fine dello fleffo Secolo XIV. tornati in sé gl'Italiani,
cominciarono a far da sé , e nel fufìeguente Secolo ebbero in-
figni Capitani, ed Armate, che in valor militare non cedeva-
no a Nazione alcuna . Molto prima avea conofciuto Caftruc-
cio Signor di Lucca , quanto giovaffe piÌA la propria , che la
fìraniera milizia. Così di lui fcriffe Niccolò Tegrimi : ^um-
que utilius /udicaret fuos armis erudire , quam alienos mercede
conducere , quum in Urbe erat , aut Sagittantibus prcemia propo-
7ìebat , aut telo , paleflra , concurfu Armatorum in equis , imagì-
nariis Caflellorum expugnationibus , Jimulataque pugna jwventu-
tem esercebat ; ipfeque inter illos primus , Et quum collocata fi-
gnay
472 Dissertazione ec,
gna 5 nut manus coìtfertas videbat , tiunc hos jurgi'ts , nunc illos
exhortationibus antmahat^ efficiebapque prdsfentia Jua ^ ut quisquc
'vel timore Principis audacior effet, V't^orìbus honoris gratta [em»
per altquid dahat . E^ da vedere Gian- Antonio Campano Lib.V.
H'ijì, Brach, dove fi tratta del valore , e della militar difcipli-
na de^gl' Italiani nel Secolo XIV. Ho io additato, quali anti-
chi Scrittori Greci fi truovino nella Biblioteca Ambrofiana di
Milano 5 che trattano dell' Arte militare de i vecchi tempi ,
con recarne qualche notizia . Qui folamente dirò leggerfi ivi :
TaBìca M^uricii . Ta6iica Onofandrì . Ta6iica Urbicii . AnonV'
mi Tanica» Conciones ad Poptdum. Stratagemata 'veterum . Leo-
nis Imperatoris TaHica , & Naumachica . Alia Naumachica ,
cioè de Certamine Nasali : Naumachica ordinata a Bajilio Pa-
tricia & Cubiculario . Tanica Conjìantini Porpbyrogefiiti . E/'uS"
dem de Naumachia & Piratica Stratagematis, Onojandri Strate-
gica , Polcia fi leggono l'Opere di Ateneo, Bitone, Herone,
Apollodoro, Filone, ed Affricano , che furono date alla luce
in Parigi nell'Anno i6^-^. Parimente in un Codice Ambrofia-
na una Raccolta di ordinanze e precetti militari con altri pezzi
fpettanti all' antica milizia . Veramente per conto di quella
s'è mutato il Mondo ; ma fempre s'impara dal conofcere ciò
che han praticato ed operato gli antichi.
V E N T E S I M A S E T T I M A . 47J
Della Zecca , e del diritto 0 privilegio di battere Moneta .
DISSERTAZIONE VENTESIMA SETTIMA.
ANDIAMO ora a cercare , come palTafìTe l'affare delle Mo-
nete , da che in Italia declinò il Romano Imperio , e
qua pofero o fidarono il piede le Nazioni ftraniere . E primie-
ramente s'ha a vedere , a quali Citta competeffe il privilegio
d'avere Zecca , o fia diritto di battere Moneta. Certo è, che
la Regina delle Citta Roma , tuttoché foife trasferita in Grecia
la fedia dell'Imperio, conf<ervò quella prerogativa , almen fino
a i tempi d'Eraclio Imperadore. Truovanfi Denari degl'Impe-
radori dopo Coftantino, ed anche de i Re Goti con fegni d' ef-
fere flati battuti m Roma, leggendofi ivi R. P. cioè Romce per-
cujfa , cioè Pecu7iia , o pure R. M. ovvero ROM , ed anche
ROPS. cioè Rom<g pecunia ftgnata . Ho veduto una picciola Mo-
neta d'argento, battuta lotto Giuflino minore circa l'Anno 570.
nel cui diritto fi mira il capo di un Augnilo con Diadema tem-
peftato di perle o gemme, e colle lettere D. N. IVSTINVS PP.
AVG. cioè Domintis nofler Jujìinus perpetuus Augii flus . Nel ro-
vefcio v'ha un Monogramma colle lettere RAOSD. le quali
coU'autorita, che fi attribuilcono gl'Interpreti delle antiche Ci-
fre , poffono fignificare Roma o Roma , Objigtiatus Denarius .
Incontranfi ancora in que' tempi Monetarii Romaici ^ cioè Prefi-
denti alla Zecca di Roma. Di queflo nomeZ^cc^ fi parlerà nel-
la Dilfert. XXXIII. Preffo il Grutero pag. 1054. num. 8. in una
Ifcrizione fatta Confale FL. Herculano , cioè nell'Anno 452. fi
truova Porphyrus Primicerius Monetar iorum . Se dopo i tempi di
Eraclio Augnilo , cioè dall'Anno 540. continuafìTe in Roma la
fabbrica della Moneta fino a i tempi di Carlo Magno, noi so
io dire. Quel eh' è certo, da che fu a i Romani Pontefici confe-
rito il temperai Dominio fopra Roma e fuo Ducato, comincia-
rono efli a battere Denari, e continuarono un pezzo mettendovi il
proprio Nome, e quello del regnante Imperadore. Hanno credu-
to gli Eruditi Romani a'noftri di , che in que' Denari entraffe il
nome de gl'Imperadori , per effer eglino Avvocati della Chiefa
Romana . Di lunga mano è più fondata l'opinione d'altri , che
ciò fi faceffe per denotare f alto Dominio tuttavia conler-
Tomo L Ooo vato
474- Dissertazione
varo da efTì Augulli in Roma. Ne abbiamo un^chiaro efempio in
Grimoaldo Principe di Benevento. Gli concedette Carlo M. quell'
infigne Principato o Ducato, ma con ritenerne la Sovranità: in
fegno di che, l'obbligò a mettere in tutti i pubblici Atti o Stru-
menti, e nelle Monete, ch'egli battefìTe, anche il Nome di effo
Carlo M. Ut Chartas^ Nummosque fui Nomìnis ( cioè di Carlo )
chara^lerìhus fuperfcrib't fempsr juberet , come s' ha da Erchemper-
to. Altrettanto fi fece anche in Roma ne gli Strumenti e De-
nari. Intorno alle Monete de' Sommi Pontefici hanno faticato
alcuni Letterati del Secolo prefente , cioè Monfignor Giovanni
Vignoli , il Sig. le Blanc Franzefe, il P. Filippo Bonanni della
Compagnia di Gesù , Saverio Siila , e l'Abbate Benedetto Fio-
ravanti. Profitterò io delle loro ricerche per rapprefentare a*
Lettori le Monete Pontificie di molti Secoli , fenza toccare al-
cuna delle nioltifTmie de' Secoli recenti .
Roma e i Romani Pontefici .
I L Primo Denaro Pontifizio lo dobbiamo al fuddetto Abba-
te Fioravanti . Nel diritto fi vede il buflo d'un Pontefice con
lettere nel contorno HADRIANVS PAPA. Di qua e di la fo-
no L B. Nel mezzo del rovefcio una Croce con R. M. Stanno
all'intorno quefte altre VICTORIA DNN. di fotto CONOB.
Che il Denaro fìa battuto in Roma, s'ha dalle Sigle R. M.
E quando tal Moneta appartenga ad Adriano I. creato Papa
nell'Anno 772. (intorno a che lafcerò giudicarne ad altri) con-
verrà dire , che i Romani Pontefici ottcnelTero da i Greci Au-
gufti il gius di battere Moneta , come poi tanti altri Vefcovi
l'impetrarono dai Franchi. Ma chi tuttavia fofie il Sovrano
di Roma , è indicato dalle Sigle DNN. fignificanti Domini no-
Jìyì , o Dominorum nojlrorum . Che vogliano dire le Lettere I.B.
farà cura d'altri lo ftrologare . Difputano tuttavia gli Eruditi
intorno al fignificato della parola o fia delle Sigle CONOB.
né io mi fento d'entrare in quefta lite. Male è, che un iolo di
quelli Denari fia venuto allaìuce . Punto non fomiglia a quei
de'fulfeguenti Papi.
Il Secondo Denaro dal Vignoli fu creduto appartenere ad
elfo Papa Adriano!, ma con lupplire le Lettere. Hanno tenuto
la Cattedra di San Pietro Adriano IL e ///. Potrebbe quivi par-
larfi dell'uno di elfi.
Il
V E N T E S I M A S E T T I M A . 475
Il Terzo prodotto dal Vignoli ci fa conofcere Leone IH.
Papa col Monogramma, da cui fi ricava LEO. e colle lettere
SCS. PETRVS. Nell'altra facciata fi legge CARLVS , e nel
Monogramma IPAT. cioè Impsrator . Egli è Carlo Magno ,
circa l'Anno Sor. tempo, nel quale è fuor di dubbio , che i
Papi , divenuti Signori anche nel temporale ài Roma , batte-
vano Moneta.
I L Qiiarto pubblicato dal Sig. le Blanc ha le Lettere gua-
fìe . Il Vignoli volle a fuo capriccio fupplirle . Quel che vi
ha di certo, è il nome di Carlo Magno, e nel rovefcio SCS
PETRVS ROMA.
I L Quinto Denaro pubblicato dal Vignoli vien da lui cre-
duto di Papa Stefano IV. Dal Monogramma rifulta STEFANVS.
e nel contorno SCS. PAVLVS. Leggcfi nel rovefcio SCS. PE-
TRVS. ROMA. Ma fé talun te ne (Te , che ivi fi parlafie di
Stefano VL o VIL o Vili, non so come fi potefTe abbattere tal
coniettura.
Dal Sig. le Blanc fu prodotto il Sedo , dove una facciata
ha LVDOVVICVS IMP. ROMA, cioè Lodovico Pio Augullo.
Nell'altra fi legge PSCAL. cioè Fajquale L Papa circa l'An-
no 818.
I Denari vii. viii. e ix. preffo le Blanc e Vignoli appar-
tengono 2, Gregorio IV, Papa, e portano anche il nome ò^\ Lo-
dovico Pio Augudo . Ne' due primi dall' un de' lati v'ha PP.
GREH. SCS PETRVS; dall'altro LVDOVVICVS IMP.PP.
cioè Perpetuo ^ come ipiega il Vignoli, o 'pure Perpetuus ^ come
credo io, fecondo varie Ifcrizioni predo il Grutero e Reinefio.
Vi s'aggiugne ancora PIVS. titolo dato a Lodovico vivente :
il che fu negato dal Mabillone. Nel nono Denaro , che ha il
nome di Papa Gregorio , fi truova anche HLOTARIVS IMP.
e in mezzo PIVS : dal che fi fcorgc , che la denominazion di
Pio non fu data per fingolar fregio a Lodovico, Principe per
altro piiffimo, quando ne fu partecipe anche Lottario fuo Fi-
glio, Principe cattivo.
II Decimo Denaro pubblicato dal Fioravanti appartiene a
Sergio li. Papa. Nel mézzo v'è SER , nel contorno SCS PE-
TRVS . Nel rovefcio HLOTHARIS IP. cioè Imperavor nel
contorno , e PIVS nel mezzo . Neh' Anno 844. fu eletto, e
confecratio Sergio li.
L' Undccimo Denaro prèfTo Scilla e Fioravanti è di Papa
O o o 2 Leo-
47^ Dissertazione
Leone IV» circa l'Anno 848. Nel Monogramma comparifce LEO
PAPA, e nel contorno SCS.PETRVS. Neil' altra parte HLO-
TARIVS. IMPR. Quale in quelli Denari fia il diritto, e qua-
le il rovefcio, chi può deciderlo?
I Denari xii. e xiii. pubblicati dal Vignoli , riguardano Be-
nedetto IH. Papa , e Lodovico IL Augnilo circa l'Anno 85(5.
Ivi fi legge BENEDICT. P. cioè Papa S. P. cioè SanHus Pe-
trus, Nell'altra LVDOVVICVS IMP. e nel mezzo una Ma-
no con lettere RO , che vengono a formare RO-MANVS .
"V^edi, come anche in que' tempi Roma fi dilettafle di quelli
giocoloni . Nel fecondo aggiugne PIVS al nome di Lodovi-
co IL
I Denari xiv. e xv. prefib il Vignoli furono battuti da Papa
"Niccolò L circa rAnno8^o. Ivi è nel Monogramma NICOLAVS.
SCSPETRVS; e nell'altra parte LVDOVVICVS IMP.RO-
MA . Nel fecondo fi legge folamente ROMA .
II XVI. prodotto dal Blanc fotto Lodovico Pio , e reftituito
al fuo luogo dal Vignoli , appartiene ad Adriano IL Papa , il
cui nome è quivi ADRIANVS fenza afpirazione con SCS PE-
TRVS. Nell'altro campo LVDOVVICVS IMP. ROMA, cioè
Lodovico IL circa l'Anno 870.
I Denari xvii. xviir. xix. e xx. dati dal Vignoli, fono diG/V
vamiiVIIL Papa . Ne' primi fi legge lOHANNES SCS. PE-
TRVS. LVDOVVICVS IMP. ROMA. Nel terzo fi vede il no-
me d'elfo Papa,' e nel contorno CAROLVS IMP. cioè ilCalvo,
oilGrolfo, amendue coronati Imperadori»
II XXI. da me dato alla luce , ed efiftente preifo l'Arciprete
della Cattedrale di Verona Gian-Francefco Mufelli , fi riferifce
a Mari?io L Papa eletto nel!' i^nno 882. Nel Monogramma
è MARINVS , nel contorno SCS PETRVS. Nell'altra
facciata CAROLVS IPAR , cioè Imperator . Egli è Carlo il
Groffo .
Il XXII. prodotto dal Vignoli ha MARINI PP. cioèPapcc
Denarius, ROMA. Poi KAROLVS. SCS PETRVS circa l'An-
no 883. Quq9ìo Marino fi converti preifo gl'ignoranti Scrittori
m Martino y e cagion fu, che poi fi nomalle M^r/i^-^o «^;;^/^,
che folamente era da dirli Martino T er:^ .
I l XXIII. lo dobbiamo al Fioravanti , e fi riferifce a Papa
Adriano IIL eletto nell' 884. Quivi fi leg^e HADRIANI
SCS PETRVS. e CAROLVS IMP. ROM A.\ioè il Grolfo.
I XXIV.
Ventesimasettima. 477
I XXIV. e XXV. furono battuti circa l'Anno 885. ^^P/ipaStc-
fano K Vi fi legge nel Monogramma STEPHANVS SCS PE-
TRVS , e CAROLVS IMP. Nell'altro v'ha ROMA SCS
PAVLVS.
II XXVI. preflb il Fioravanti è fimile ai due precedenti,
fé non che è fcritto SEPANVS e CAROLVS IPA.
Il XXVII. preflb il medefimo ha STEPHANVS SCS PE-
TRVS. CAROLVS IMP. ROMA.
Nel XXVIII. e xix. troviamo Papa Formo/o circa l'Anno Spi,
Vi fi lepge il iuo Nome , e VVIDO IMP. ROMA con S. P.
cioè SanHus Fetrus,
Il XXX. rapportato dal Fioravanti, e battuto da G/o^jz/ww/ /X.
Papa circa l'Anno 8p8. ha nel Monogramma lOHAN. nel con-
torno LANTVERT. IMP. Vedi come era appellato i/7W^i?r-
to Impera dorè* V'ha eziandio SCS PETRVS.
I Denari xxxi. xxxii. e xxxiii. divulgati dal Vignoli appara
tengono a Papa Beìjedetto IV, eletto nell'Anno poo. Il nome del
Papa è chiuio nel Monogramma. Poi vi fi legge LVVDOìCVS
IMP. ROMA, cioè Lodonjìco IlL Auguflo,
II XXXIV. e XXX V. prodotti dal Fioravanti fono di 5'^rg/o ///.
Papa eletto nel ^04. e che tenne la Sedia di S. Pietro fino al p 11 .
Nel primo compariice una Croce e ROMA, nel contorno SER-
GIVS. PP. Nel rovefcio SCS PETRVS. coll'immagine fua, o
dello ftelTo Papa. Non v'è il nome di Lodovico III. Impcradore,
perchè acciecato gli convenne abbandonar l'Italia.
Il XXXVI. fi crede che appartenga a P/z/>/7^;^7/7/?^yFo, paren-
do che dal Monogramma fi ricavi il Iuo nome. Quando ciò
fia, faiìi flato battuto quel Denaro nell'Anno 5? 12. in cui era
vacante l'Imperio.
Il XXXVII. rapprefenta Gto'va7ìn't X.Papa^ affunto al Pontifi-
cato neir Anno5?i4. Parimente ivi fi legge : BERNEGARIV,
( cioè Berengarius ) IMP. ROMA, il quale nell'Anno pid. ri-
cevette in Roma la Corona Imperiale.
A Leotìe VI. Papa è da riferire, per quanto io conietturo,
il Trentefimo ottavo Denaro, dove fi legge LEO PAPA. SCS
PETRVS . Nel rovefcio ila il medefimo Monogramma colle
lettere SCS PAVLVS. Nell'Anno ^2^. e ne'feguenti, ne' qua-
li fiori anche Leone VII, Papa , ninno Imperadore fu in
Italia .
Il Denaro xxxix. fi può rapportare a Gìovan?ìiXI Papa ^
che
478 Dissertazione
che fall fui Trono Pontifizio nd p^i. vacante l'Imperio. Qiii-
vi fi legge DOMnus IOANnES, e nel mezzo PAPA. Neil'
altra facciata SCS. PETRVS.
I Denari xl. e xli. furono battuti in Roma fotto Agapi-
to IL Papa^ confecrato nell' Annop4^. Nel contorno del primo
fi legge ALBERICVS, cioè Aiberico Figlio di un altro Marche-
fc Alberico, Conlole de' Romani , che tirannicamente ufurpò
il Dominio di Roma . Nell'altro v'ha AGAPITVS PApa ,
ALBERICVS, e SCS PETRVS.
I Denari xlii. e xliii. pubblicati dal Vignoli , fono da lui
riferiti a Giova?ì?2Ì XII. Papa . Il primo battuto nella vacanza
dell' Imperio , ha folamente DOMNVS lOHAnnes PAPA.
SCS PETRVS. ROMA. L'altro battuto nell' Anno p(^2. in
cui fu creato Imperadore Ottone I. ha nell'una parte DOM.
IOANES PAPA , neir altra OTTO IMP. Ma forfè quefto
appartiene a Giovanni XIII. eletto nel ^^5. perchè il volto dell'
Imperadore è da giovane, e non da vecchio , quale era Otto-
re il Grande.
I Denari xliv. e xlv. gì fanno conofcere Leone Vili, elet-
to Papa nel 96^. Ha il primo LEONI PAP. OTTO. Nel ro-
vefcio il bufto d'un uomo colle lettere P. S. che il Vignoli in-
terpreta Petrus SanBtis. Nell'altro folamente fi leggeDN. LEO-
NI PAPE. SCS PETRVS.
II Denaro xlvi. dal Vignoli è creduto fpettante 2i Benedet-
to V. Papa nell'Anno 96^. Ma non fé ne può giudicare, eflendo
corrofe le Lettere.
Il Denaro xlvii. efi(le«te in Verona preflb l'Arciprete Mu-
felli, ci fa vedere l'effigie ài Benedetto ^into^ oSeJìo^ o Set-
ùmo, colle lettere BENE. PP. Nell'altra faccia ROMA. SCS
PETR. OTTO, cioè il Primo o Secondo degli Ottoni.
Il Denaro xlviii. dal Fioravanti è riferito a. Giovanni XIIL
Papa eletto nel p6^. Ivi fi legge DOM. lOHA. PAPA . In
mezzo OTTO. Nel rovefcio una Mano, e SCS. PETRVS.
I L XLix, pare che poffa appartenere a Benedetto VI. Papa
confecrato nel ^72. Quivi fi legge nel mezzo D. BE. P. cioè
Dommis Benedi6lus Papa . Nel contorno OTTO IMPE. ROM.
Il rovefcio ha l'effigie del Papa, o del Principe de gh Apoitoli
colle lettere SCS PETRVS.
I L Denaro L. vien creduto di Benedetto VII. Papa , eletto
nel ^75. Nel Monogramma comparilce BENEDICTVS ; all'
intor-
VentesimasE'Ttima, 47^^
intorno SCS PETRVS. Nel rovefeio OTTO IMP. P.OM. cioè
il Secondo.
Il Denaro LI. appartiene 3. Sergio IF» eletto Papa nell' An-
no 1008. elTendo allora vacante l'Imperio. V'ha il fuo Mo-
nogramma colle Lettere SALVS PATRIAE . Nel rovefeio
ROMA. SCS PETRVS.
Il Denaro lii. fi riferifce a Sa?7 Leone IX. eletto nel 1049.
In mezzo fi legge LEO P. nel contorno SCS PETRVS . Leg-
gefi nell'altra facciata HENRICVS IMP. ROMANORV.
cioè il Secondo fra gli Augufti.
Il Denaro lui. è òìPapa Fafquale IL eletto nel ioc?p. Q^uivi
fi legge PASCHALIS. PP. II. e lo (leffo nel rovefeio.
FiNQ.ui^ i Denari de gli antichi Romani Pontefici . Perchè
poi quafi per tre Secoli defiitelTero i lor Succeflbri dal battere
Moneta, fé ne può attribuir la cagione alle turbolenze inforte
fra i fuffeguenti Pontefici , e il Senato e Popolo Romano . Se-
dotti nell'Anno 1142. i Romani da Arnaldo da Brefcia erefiar-
ca 5 fi follevarono contro i Succefibri di San Pietro , e vollero
rimettere in piedi il Senato e l'antica Repubblica. Gran tempo
durò quefto loro entufiasmo , e feguirono accordi , ma ò.'i corta
durata . Allora fu, che elfo Senato e Popolo occupò la Zecca ,
e fi cominciò ad ufare i Soldi o Denari , chiamati Affortiaft
nelle vecchie Carte, ed anche Infovtim , battuti a mio crede-
re da effi Romani . Nella Concordia, leguita l'Anno 1 188. fra
Clemente IH. Papa., e il Senato e Popolo Romano, dicono elfi
Romani : Ad prcefens reddìmus vobis Senatum , & Urbem , &
Monefam , cioè la Zecca . Tameti de Moneta habebimus tertiam
partem. Ma quefto prurito di battere Moneta poco (lette a ri-
forgere. Que' Denari appellati negli Strumenti Romani Previ-
fini fi truovano ancora chiamati Pecunia Senatus ^ come pro-
veremo nella DifTcrtazione feguente. Truovanfi perciò Mone-
te d'oro ed argento battute nel Secolo XIII. dove comparifce
il nome del Senato o del Senatore di Roma . Neil' Anno 1252.
fu la Dignità di Senatore foflenuta da Raimondo Capizj^cchi ,
e da lui fi crede battuta una Moneta d'oro, nel cui diritto ila
Crifto, che colla finiftra tiene un Libro colle feguenti Lettere
VOT. S.P.Q.R. ROMACAPVTM. cìoh Mundi . Nel rove-
fcio San Pietro porge la bandiera ad un uomo inginocchiato
con verte Senatoria e berretta in capo. Nel fondo dello Scudo
apparifce l'arme della Cafa Capizucchi . Si aggiugne rifcri-
zione
4^0 Dissertazione
zione S. PETRVS. SENATOR VRBIS. La feconda ^foneta
ci fa vedere Roma in foggia di Donna, che colla deftra tie-
ne il pomo, colla finiftra una palma , e nel contorno ROMA
CAPVT MVNDI. Nel rovefcio fi vede un Lione con quefte
Lettere: BRANCALEO. S.P.Q.R. Ne gli Annali di Genova
fi truova Podefla di quella Citta nell'Anno 1225. vir Nobìlis
Brmìcaleo de Boììonia filhis Andalon'ts ; ma perchè fi dice man-
cato di vita in quell'Anno , egli non può edere flato il Sena-
tore di Roma, ma bensì l'Avolo fuo . Siccome offervò Fran-
cefco Valefio uomo dottifTimo, Brancaleone juniore fuSenator
di Roma nell'Anno 1253. Matteo Paris Storico Inglefe di que'
tempi feri ve , che fui fine dell' Anno IZ53. che fecondo noi
viene ad effere il 1252. fu riferito al Re, che Menfe Augufti
Romani elegerunf fthì novum Senatorem , Civem BonoTiìerifem ,
'virum juftum & Ytgtàum^ Jiirisque peritum ^ qui ncluit elezio-
ni de fé farine quomodolibet confentire , nìjì fecurum eum face-
rem , quod tribus Annis cantra Statutum Urbis Jìaret in ipfius
Senatus potentia . L' Autore della Mifcella Bolognefe fcrive all'
Anno 1252. In quello Anno Mejfer Branc aliane di Andalo da
Bologna fu eletto Senatore di Roma , e partijp con una bella
compagnia^ e andò al fuo 'viaggio , Anche l'Autore della Vita
di Papa Innocenzo IV. fa menzione d'elTo Brancalione. Cinque
altre Monete battute in Roma da altri Senatori , come appa-
rifce dalle loro arme, ho io prodotto, comunicate a me dalF
Arciprete di Verona Mufelli, già raccolte dal Chiariffìmo Mon-
fig. Francefco Bianchini.
In Roma parimente furono in corfo nel medefimo Secolo
XIII. / Paparini , Moneta battuta dal Senato , come apparifce
da uno Strumento del 12^1. Probabilmente furono appellati
cos\ o dall'arme d'un Senatore, o pure dal fuo nome . PrefTo
il Ciampini in un Mufaico Romano fi truova Paparone uomo
nobile. Sino al principio del Secolo XIV. non fi truovano Mo-
nete Pontifizie ; e pare Urano, che Papa Bonifazio VIII. perfo-
naggio di grande animo non ne abbia battuta alcuna ; da che
fi truova, che Benedetto XI. fuo Succefibre efercitò quefio fuo
diritto. Ma da che da Clemente V. fu trafportata in Francia
ed Avignone la Corte Pontifizia, allora da' Papi fi ripigliò l'ufo
della Zecca con vigore, né mai più fu interrotto . Molte di
quelle Monete , per quanto porta l'ifiituto mio , ho raccolto
io dalle Vite de' Papi di Avignone del Baluzio , dal Libro di
Save-
V E N T E S 1 M A S E T T 1 M A . 481
Saverio Scilla , e dal piìi copiofo di Benedetto Fioravanti , fic-
come da alcuni Mufei de' miei Amici. Alcune d'oro, altre d'ar-
gento, o pure di rame.
La Prmia ha quelle parole PP. BENEDICT. VN. cioè Bs-
7iedettu XL Papa^ uomo Santo, che nel 1303. fu alzato al Tro-
no Pontifìzio. Nel mezzo è una Croce , nel rovefcio due Chia-
vi, S.PETR. PATRIlMONIVM.
La Seconda appartiene 2l PnpaClememe V. che porta la Tia-
ra , colla deftra benedice , colla finillra tiene la Croce . V è
fcritto CLEMENS PAPA QVINTVS, eletto nel 1305. Neil'
altra facciata una Croce (la nel mezzo, contornata da COMIT.
VENASINL cioè del Contado Venayfhno , di cui già era pa-
drona la Chiefa Romana in Provenza. Il contorno più largo ha
AGIM: TiBi: GRA: OMNIPOTENS DE. Di fopra fon due
Chiavi, inicgna della Chiefa di Roma.
La Terza è di Giovanni XXII. Papa eletto nel 1^16. Vi fi
vede il bulto di Donna , cioè di Roma , che fiede iopra due
Leoni ( fé pure quella figura non difegna Ealdirtorio o Sedia )
coll'Ifcrizione iOHES PAPA. XXIL COMIT. VENASINL
Nel rovefcio una Croce, ed AGIM. &c.
La Quarta è un Fiorino d'oro, fatto ad imitazione de' Fio-
rentini : del che fece doglianza Giovanni Villani . Vi fi mira
l'effigie di San Giovanni Batilta con lunghi capelli e barba; nei
di iopra la Mitra Pontifizia colle lettere S. lOHANNES. B.
Nel rovefcio un Giglio, e nel contorno due Chiavi con SANT.
PETRV.
La Quinta ci fa vedere lo fteffo Papa fedente colle lette-
re Pi\ lOHANNES . Nel roveicio una Croce con SALVE
SCA CRVX.
La Sella ha una Croce in mezzo; all' intorno PP. lOHAN-
NES. Nel roveicio VIGESIMVS SEC. VDS. cìoh Secundus.
La Settima porta due Chiavi colle lettere lOES. PAPA XXII.
Nell'altra parte una Croce con PATRI M' DIV PE', cioè Pa-
trimonìum Di'vi Petri .
L'Ottava ha l'effigie del Pontefice , portante due Chiavi
nella deftra, nella finiitra la Croce, con PP. IOHES XXIL Nel
rovefcio due Chiavi , e S. ECCLÌE ROME , cioè SanHce Ec-
clefics R-omance .
La Nona appartiene a. Bene ci e no XII. Papa ^ eletto nel 1334.
Siede il Pontefice nella Cattedra ^ tenendo in mano iibaftonPafto-
Tomo I. Ppp raie,
4.82 Dissertazione
rale, col motto BENEDICTVS. Nell'altra facciata una Cro-
ce, e intorno ad cffa PP. DVODECIMO.
La Decima ha una Croce con PP. BENEDICTVS XII. e
nel rovefcio PATRIM. S. PETRI.
L'Undecima riguarda Clemente FI. Papa y eletto nel 1342.
Vi fi mira la fua effigie con CLEMS PP. SEST. e le due Chia-
vi . Nel rovefcio la Croce con COMES VENESI . Nel giro
più largo AGIMVS TÌBI GRx^S OMNIPOTES DEVS.
La XII. ha il Papa ledente, e CLEMENS PP. SEXTVS. Il
rovefcio ha due Chiavi , e SANCTVS PETRVS E PAL. cioè
& Paulus .
La XIII. moRra il Pontefice fedente con CLEMS PP.SEXTS.
Nel rovefcio una Croce cum SANST PETRVS.
La XIV. fu battuta ò.2i.FapalnnQce7ìz^VL confecrato nel 1352.
Siede il Pontefice fopra due Lioni , o piìi tofto nel Faldiilono o
Sedia, col motto INNOCENTI VS PP. SEXTVS. Nel rovefcio
una Croce con quattro paia di Chiavi, e SANTVS PETRVS.
La XV. ha l'immagine di San Pietro fedente nella Cattedra
col manto Pontifizio , e le Chiavi in mano . V'è fcritto SAN-
TVS PETRVS. Nell'altro lato la Tiara Papale con tre Corone.
Di fotto due Chiavi, ed INNOCENTI VS PP. SEXTVS.
La XVI. appartiene ad UrhanoV, Papa^ eletto nel 13^2. Sie-
de nella Sedia, o fopra i Lioni con VRBANVS PP. (^VNTS o
Neiroveicio due Chiavi, e SANCTVS PETRVS.
La XVII. ha 1' effigie del Papa colle lettere VRBA. V. PP,
Nel mezzo del rovefcio V. R. B. I. ed intorno IN ROMA , do-
ve egli venne nel 13^8.
La XVIII. Siede ivi il Pontefice individuato dalle lettere VR-
BANVS PP. Q_VNTS. Nel rovefcio due Chiavi , e FACTA
IN ROMA.
La XIX. ci fa vedere fedente il Papa col motto VRBAN.
PAPA QVNTS. Nell'altro lato una Croce con quattro paia
di Chiavi, e SANTVS PETRVS.
La XX. moftra nel mezzo una Mitra, all'intorno un paio di
Chiavi, ed VRB. PP. Q^NTS. Il rovefcio ha due paia di Chia-
vi, ed intorno S. M.T.PET'. E PAS.
La XXI. hailbufto del Papa con VRE.PP. Q^VITS. Nel ro-
vefcio S. PET. EPAL. e in oltre nel mezzo V.R.B.I.
La XXII. ha nel mezzo la Mitra con URBAN QVNTS, e
di fotto V. PP. cioè Ufjherfalis , 0 pure Urùis Papa . Miranfi
neir
Ventesimasettima^ 48 j
nell'alira facciata due Mitre con due paia di Chiavi , e nel con-
torno SANCTVS PETRVS.
La XXIII. ci rapprefenta Gregorio XI. eletto Papa nel i 371.
Ivi è ilmottoGREGORSPP.VNDEC. Nel rovelcio due Chia-
vi eSANTVS PETRVS.
La XXIV. ha il bufto del Papa con due rofette , e GG. PP.
VND. Nell'altro lato il mezzo haV.R. B.L e IN ROMA.
La XXV. è fimile alla precedente , fé non che nel contorno
v'ha una Corona Regale.
La XXVI. fi crede ipettante allo ftefTo 'Pa.^2i Gregorio. Vi fi mira
il bufto d'un Pontefice con picciola Chiave , due rofette , e S.
PETRVS. Nel rovefcio DE ROMA colle lettere V.R.B.L
La XXVII. appartiene aPapa Urbano FI. eletto nell'Anno 1378.
Siede ivi il Papa col motto VRBANVS PP. SEXTVS . Veg-
gonfi nel roveicio una Croce, quattro paia di Chiavi, e SAN-
CTVS PETRVS.
La XXVIII. è à\ Clemente VII. Antipapa^ eletto nel 1378. Vi
fi mira la fua effigie colle lettere CLEMENS PP. SEPTIVS .
Nell'altro lato le Chiavi, e SANCTVS PETRVS.
La XXIX. fimile ha SEPTIMVS , o pure SEPTIVS, e nel ro-
vefcio SANCTVS PETRVS ETPAVLVS.
La XXX. ci rapprefenta la Tiara Pontifizia coli' arme dell'An-
tipapa , e CLEMENS PP. SEPTIVS . Neil' altra parte San
Pietro colle lettere S. PETRVS APOSTOLVS.
La XXXI. ha la Tiara con due paia di Chiavi, e il nome di
Clemente VII. Nell'altro lato due Chiavi incrociate", e SAN-
CTVS PETRVS ETPAVLVS.
La xxxii. appartiene 3, BonifaT^jo IX. Papa^ eletto nel 1384.
Vi fi vede il Papa fedente col motto BONIFA. PP. NONVS.
Nel rovefcio le Chiavi, e SANCTVS PETRVS.
La xxxiii. altro di diverfita non ha, che la tefta d'un Moro
nel contorno del rovefcio, e BONIFATI.
La XXXIV. ha il buflo del Pontefice, e le lettere BONIFAT.
PP. N. Il rovefcio ha IN ROMA , e lettere compartite
V. R. B. I.
La XXXV. Col bufto d'eflb Papa ha PP. B. NONVS . Nel
rovefcio DE MACERATA.
La XXXVI. raoftra il Triregno, e nel contorno B.PP. NONVS.
Mirafi la Croce nel rovefcio col motto DE FIRMO.
La XXXVII. fi nkx'ìizQ 2iBetìedettoXIIL Antipapa eletto nel 1 3^4.
Ppp 2 V'ha
484. Dissertazione
V ha la fua effigie , e BENEDICT. PP. TRDEM . Nel rovefcio
le Chiavi e le lettere SANTVS PETRVS ET PAVLVS.
La XXXVIII. riguarda Innocenzo V IL Papa ^ eletto nel 1404.
Siede il Pontefice coli' ifcrizione INNOCENTI VS PP. VII.
Nel rovefcio le Chiavi, e SANCTVS PETRVS.
La XXXIX. ha il medefimo diritto. Il rovefcio moftra le Chia-
vi con SANCTVS PETRVS. S.P.Q.R.
La XL. appartiene a Gregorio XII. Papa^ eletto nel 140Ó'. Il
Papa fiede colle lettere GREGORIVS PP. XII. Nel rovefcio le
Chiavi col capo d'un Moro.
La XLi. rapprefenta Giovamii XXIIL Papn^ eletto nel 1410.
V'ha la figura del Papa fedente, e lOVANNES PP. XXIIL
Nel rovefcio le Chiavi , e SANCTVS PETRVS. C'è un'al-
tra fomigliante col capo d'un Moro. E un'altra colla Co/c//7,
Arme di elfo Papa.
La xLii. ha nel diritto il Triregno , e lOHES PP. VIGESI-
MVS III. Nel rovefcio le Chiavi , e SANTVS PETRVS ET
PAVLVS, colla lettera R. fra le Chiavi -
La xLiii. ha l'arme di efib Papa colla Tiara, e lOHES PP.
VIGEXIMVS III. Nel rovefcio San Pietro colla Chiave nella
detira, e il Libro nella finiflra , e SANCTVS PETRVS APO-
STOLVS .
Chiunque brama le Monete de' Papi da Martino V. fino ad
Innocenzo XI. vegga il Libro del Molinet Franzefe , del Padre
Filippo Bonanni della Compagnia di Gesù, e del Fioravanti.
Ravenna .
Passiamo a Kavenna . Nell'Anno 402. quefla nobil Cittk
divenne Sedia dell'Imperio Occidentale, perchè vi fi portò ad
abitare Onorio Augufto, e almeno da quel tempo effa cominciò
a godere il privilegio della Zecca . Vedefi una Moneta d'efTo
Onorio predo ilDu-Cange colle lettere R. V. P.S. cioè fé credia-
mo 2i^\xiX.QX'^xti\ KaVenrKs PecumaStgnata. Un'altra battuta
fotto Giovanni Tiranno ha le medefime lettere. Non ho io dub-
bio, che fotto i Re Odoacre, Teoderico, Atalarico, Teodato ,
Witige, e Baduila Regi, ritenelTe Ravenna la prerogativa fud-
detta dall' Anno 47 6". fino al 540. Ninna Moneta ho io veduto
di Odoacre, una bensì di Teoderico battuta in Roma. Sotto gli
©echi ancora ho avuto un curiofo pezzo di antichità , fpettante
ad
VeNTESIMASF. TTIMA. 485
ad efib Teoderico , che ilGhiarifs. Apoftolo Zeno trafportò da
Modena al fuoMufeo. Confifie in un picciolo quadrato di bron-
zo della fottigliezza de' Medaglioni . In una facciata fi leg^e
DN. THEODERICI; nell'altra fi vede la fola figura diunT.
che forfè è l'iniziale del nome di Teoderico, intorno a cui gi-
ra una Corona di lauro o di quercia. Nella cofta di elfo bronzo
fi leggono quefte lettere : CATVLINVS V. C. ET I... L...
P. .. V. fono d'argento i nomi dell'uno e dell'altro con lette-
re cavate nei bronzo , e riempiute d' argeHto , le quali reftano
quafi tutte illefe nel nome di Teoderico ; Icaduta è la maggior
parte di quelle di Catulino , ma ne recano chiari i fegni nella
cavita del bronzo. Di nobiliflTima ed illuftre Famiglia fu quello
CatulÌ7iO^ come quella , che nell'Anno 34^. ebbe per Confole
Aconio CiituUino^ credendo io, che non fieno diverfì nomi quei
òiCatullino Q Catulifìo. Ebbe de' Prefetti di Roma , de' Procon-
foli , ed altri faliti alle più cofpicue Dignità , come appariice
dal Codice Teodofiano , e da altre memorie deli' Antichità .
Apollinare Sidonio Lib. I. Epifl. 11. racconta, che circa l'An-
no 4^0. fu fparfa in Arles una Carta Satirica. Acc'tdit cafu ut
Catullifìus lllujìris tunc ah Arsemi s ilio 'venire &c. Anche il
Poema XII. d'elfo Sidonio è indirizzato ad Virum Clarìjftmum
Catullinum . Mancò di Vita Sidonio nell'Anno 482. Sicché a
que' tempi fioriva un Catulino Uomo ChiariJJtmo ed lllujìre :
titolo che fi dava al Prefetto di Roma . Neil' Ifcrizione fud-
detta abbaftanza fi fcorge , che vi fi leggeva ancora INLVSTRIS
PRAEF. VRB. Per confeguente quello Catuhno vivente nell'
Anno 494. fi può credere lo fteflfo , che il nominato da Sido-
nio, o almeno farà flato fuo Figlio . S'ha da riporre quel pez-
zo d'anticaglia fra le Teffere, o fra i Donativi , che in onore
de' Principi per qualche folennitk fi difpenfavano a gh amici.
Ottavio Strada, e il Du-Cange hanno pubblicato Monete degli
altri Re Goti, probabilmente battute in Ravenna loro danza \.
Rapporterò io le da me vedute nel Mufeo Piacentino del Re-
verendifs. P. D. Aleffandro Chiappini Generale de i Canonici
Regolari . In effe particolarmente merita attenzione il trovar-
vifi ancora l'effiaie e il nome àìGiuftiniano 1. Augufto , e col
folo nome de i Re Goti, ma fenza la loro immagine. Ufo tale
vien confermato dalle parole di Procopio Lib. III. Cap. 33. de
Bello Coth Nummos^ die' egli parlando de' Re Franchi , cudunt
ex:
4-8(5 Dissertazione
ex auro Gallico , ?2on Imperntoris , Ut Fieri Solep , fed fu a imprcf-
fos effigia' Menetam quidem ar gente am Perjarum Rex arbitra-
tu juo cudere confuevit ; auream 'vero neque ipji , neque alti
cttipiam Barbarorum Regi-) quamvis ami Domino^ 'vultu propri»
/ignare non licet . Non per altra ragione i Goti ritenevano il
nome di Giufliniano Imperadore nelle loro Monete , fé non
perchè tuttavia riconoicevano in lui l'alto dominio fopra l'Ita-
lia : il che fu praticato anche da i Romani Pontefici, come s'è
oflervato di fopra.
Vedefi dunque un Denaro d' argento , che ci rapprefenta
GìuJÌ i-ai ano I. Imperadore col Diadema , e colle lettere D. N
IVSTINIANV'S P F AVG. cioè Dominus nofler luftinianusPius
Felix Auguftus, Nel rovefcio fi legge D. N ATHALARICVS.
REX. con Cor,ona d'alloro all'intorno. Circa l'Anno 527. fu
battuta quella Moneta.
Il Secondo Denaro ci fa vedere 1' effigie del fuddetto Giufli-
niano Imperadore ; e nel rovefcio D N. THEODAHATVS
REX. circa l'Anno 535. Lo Strada e il Du-Cange hanno un'
altra Moneta di eflb Re , dove non fi mira memoria alcu-
na dell' Imperadore , ma la fola effigie di elTo Re Teodato 5
e nel rovefcio VICTORIA PRINCIPVM . Credefi, cheque-
fio Re per qualche tempo moflraffe poca (lima dell' autorità
Imperiale .
Il Terzo Denaro battuto circa l'Anno 537. nel diritto ha il
buQo di Giufliniano col fuo nome 5 e nel rovefcio D. N VVI-
TIGES REX.
Il Quarto nulla ha di Giufliniano ; ma folamente il buflo
del Re colle lettere D. N. BADVILA REX. Son ripetute nel
rovefcio le medefime parole. Quelli fu l'ultimo de i Re Goti ,
prefo da Belifario nell'Anno 539.
Benché fi battefle Moneta allora in Roma, pure anche Ra-
venna godeva il diritto di battere in que' tempi. In un Papi-
ro , di cui fi parlerà nella Differt. XXXII. fcritto in Ravenna
nell'Anno 540. fi truova Vitalis Vir ClariJJimus Monitarius ,
cioè MiniJÌYo o Prefidente della Zecca . Nel Mufeo di Aleffan-
dro Bertacchini in Modena fi vede un Denaro d'argento, che
moflra il buflo di Giufliniano I. col motto D. N. IVSTINIA-
NVS P. AVG. Nel rovefcio il feguente Monogramma con Co-
rona all' intorno «n Ir ^ / KT • Veggo sii Eruditi far da in-
^r^^ dovi.
Ventesimasettima. 487
dovini nello Ipiegar le Sigle e Cifre de gli antichi. Sia anche
a me permeflb di iofpettare in quelle lettere D N RATS De-
nartus Ravennaùs , cioè Urbis . Comunque fia , certo è , che
v' ha Monete battute da Eraclio , e da Eraclio Cofiantino Au-
gudi in Ravenna . Due ne produrrò , perchè non rapportate
dal Du-Cange.
Il Serto Denaro del Mufeo Bertacchini ci fa veder tre Figu-
re, portanti Corona incapo colia Croce, e un Globo nella de-
fìra. Credo quivi difegnati Eraclio Augufto, Martina fua Mo-
«jlie, ed Eraclio Coftantino Augufto loro Figlio dopo l'Anno 61 3.
le pure in vece di Martina non foife ivi Flavio Eracleona al-
tro lor Figlio dichiarato Cefare nell'Anno ót^o. Nel rovefcio
comparifce il Monogramma diCrifto. Sotto v'ha M. a i fian-
chi ANNOXXIIII. RAV. cioè nell'Anno diCrifto^33.
Il Settimo fa vedere i budi di due Imperadori ; l'uno è ap-
poggiato ad un'alta; l'altro con un Globo in mano. Vedcfi nei
rovefcio il Monodramma di Crifto col M. fotto, e a i lati AN-
NO XXVI. RAV. cioè nell'Anno 535.
L'Ottavo rapprefenta il bufto di un Imperadore o Re coro-
nato. Nel contorno v'ha FELIX RAVENNA. Nel rovefcio
un'Aquila con due ftellette.
Ma dappoiché Ravenna fu prefa da i Longobardi, e poi do-
nata alla Chiefa Romana , per lungo tempo reftò priva quel-
la nobil Citta della prerogativa della Zecca . Che poi queda
foffe conferita da Arrigo IV. Re di Germania e d'Itaha nelF
Anno 10^3. a gli Arcivefcovi di Ravenna, l'abbiamo da Gi-
rolamo RolTi . Tuttavia fi conierva nel Mufeo Mufelli di Ve-
rona , e in quello dell' Accademia di Cortona una pruova di
quello, cioè un Denaro d'argento, che nel diritto ha ARCI-
EPISCOPVS, e nel rovefcio DE R A VENA.
Pavia .
Da che i Re Goti s'innamorarono ài Pavia ^ e comincia-
rono a beneficarla ed ampliarla , quivi ancora ebbe pirincipio
il Gius di battere Moneta . Ne ho rapportata la pruova con
un Denaro , efiitente in quella Citth prefTo il nobile Sign. Si-
ro Rhò . Nel diritto fi vede il capo ài un Re col motto FE-
LIX TICINVS. Leggefi nel rovefcio D.N BADVILA REX.
Mol-
4-88 Disserta zione
Molto più godè Pavia di quefto ornamento fotto i Re Lon-
gobardi, che quivi fiflTarono la Sedia del Regno d'Italia. Ma
qui è da avvertire , che regnando i Longobardi , non fola-
mente Pavia , ma anche Milano , Lucca , e Trivigi ebbero
Zecca . Se non quelle quattro Citta ho io potuto trovar fin-
ora , che in que' tempi avellerò facoltà di battere Moneta ;
e in effe la medefima durò anche fotto gli Augufli Franchi
eTedefchi. Son io perfuafo, che in niun' altra Citta del Regno
Italico foffe allora permeffo quello pregio, eccettuatone lem-
pre il Ducato Beìieventatio , e quello ancora di Spoleti , nel
qual ultimo è credibile che non mancaffe un tal onore. De-
fiderava io di poter dare Monete battute da i Re Longobar-
di 5 pure, a rilerva d'una, non n'e venuta altra alle mie ma-
ni . Ne ha bene Angelo Beneventano prodotta una ài Agilul-
fo , ma ci vuol poco a riconolcere , che è merce falfa . Efi-
bifco dunque una Moneta d' oro , efiftente in Milano preffo
il Marchefe Aleffandro Trivulzio digniffimo Cavaliere . Mira-
fi nel diritto d' effa 1' effigie di un Re , con quelle lettere
LIVTPRN. R. cioè Liutprandux Rex , Già è (labilito fra gli
Eruditi , che il nome di quello infigne Re fu Liutpraììdo^ e
non Luitprando , come colla da i Marmi , e Documenti , da
ine prodotti , e da altri . Nel rovelcio fi vede f immagine
di San Michele Arcangelo colle lettere SCS. MAHEL , cioè
SanHus Michael . Gran venerazione profellarono i Longobar-
di a quello Arcangelo , e il prefero per Protettore della loro
Nazione : il che fu praticato anche da i Principi di Beneven-
to . Efifle tuttavia nella Citta di Pavia una cofpicua Bafilj-
ca , infignita del di lui nome . Senza pruova alcuna 1' han-
no creduta gli Scrittori Pavefi fabbricata da Coilantino Ma-
gno ; ma fi dee tenere per fattura de i Re Longobardi . Di
effa fa menzione Paolo Diacono , ed ivi talvolta furono co-
ronati i Re d' Italia . Un' altra affai riguardevol Bafihca di
San Michele rella nella Citta di Lucca , la cui fabbrica fi
dee riferire a i tempi fuddetti . Grande era in fatti una vol-
ta la divozion de i Popoli a quello Arcangelo. Liutprando Sto-
rico Libro I. Capir. 2. Icrive , che da Bafilio Augufto fabbri-
cata fu in Collantinopoli una Bafiiica preticfo ne mirabili ope-
pere in honore Jummi & cctleflts militia Principis Archangeli
Michaelis . Sembra eziandio , che i Franchi il prendeffero per
Tute-
Ventesimasettima. 48p
Tutelare della loro Nazione. Inoltre attefta il fuddetto Paolo
Diacono, in parlando del Re Cuniberto, che nella bandiera de
i Re Longobardi era dipinta 1' effigie di S. Michele . Del luo
patrocinio ancora pare che favelli la Storia dell' Ignoto Mo-
naco Cafincnfe predo il Pellegrini, dove è detto dei Longobar-
di : Poft hécc dommantes Ital'tam , Bsììcventum ìntroiemm ad
hahttandum . Horum autem .... Pr't?iceps militìcs ccelejìis exerci-
tus Michael exjìhit Arcangelus , V'era fcritto , a mio parere,
Patrontis , o PvoteHor . Andiamo ora a veder i' altre Mone-
te battute in Pavia , alcune poche delle quali furono pub-
blicate dal Signor le Bla?ic Franzefe , il refto viene fpezial-
mente dal Mufeo del iopra lodato Signor Siro Rhò Patrizio
Pavefe .
La Prima fu battuta in Pavia , dappoiché Carlo M. nell'
Anno 774. s'impadronì dei Regno Longobardico . Nel diritto
v'ha una Croce con quefte lettere intorno CARLVS. REX.
FR. Nel rovefcio il Monogramma d'eiìoRe, e nel contorno
PAPIA. Fu dato alla luce dal Dottore Antonio Gatti nel Li-
bro de Gymjiafio Ticìn. un Medaglione , dove fi legge DE-
VICTO DESIDERIO ET PAPIA RECEPTA DCCLXXIIIL
e nel rovefcio CARLVS REX FRANCIAE , e nel mezzo
TRSF. Lo tengo per un'impoftura.
La Seconda viene dal Mufeo dell'Abbate Benedetto Fiora-
vanti. Benché fia corrola, pure baflevolmente lafcia conofce-
re i fegni delle feguenti lettere KARLVS IN^ATOR.
Chiaramente fi ravvila nel rovef::io PAPIA. Fu battuta do-
po l'Anno 800.
La Terza pare che fi poffa riferire a Lodovico Pio AugU"
fio circa l'Anno 815. EfiRe ivi la Croce colle lettere HLV-
DOVVICVS IMP. Il rovefcio ha PAPIA . Ma può anche
appartenere a Lodovico IL Imperadore fuo Nipote.
La Quarta è ài Lattario L Augu fio circa l'Anno 840. Truo-
vafi nel MuleoRhò. V'ha la Croce e HLOTHARIVS IMP.
e nel rovefcio PAPIA.
La Qiiinta mi fu comunicata dal Signor Uberto Benvoglien-
ti Patrizio e Letterato riguardevole Sanele . Vi fi vede il Mo-
nogramma di Crillo colle lettere berengarivs inP. Nel
mezzo del rovefcio PAPIA Clvitas ^ e nel contorno KPi-
s T I A N A R E L I G/'o . Fu battuta quella Moneta dopo 1' An-
no c>i5.
Tomo 1, Q.^1 ^^
45;o Dissertazione
La Sefìa nel Mufeo Rhò non so a chi attribuirla . Ivi una
Croce, e all'intorno FI PAPIA, cioè Fidelhy fé pure non fol-
le FL. PAPIA , cioè Flavia . L'altra facciata ha P.R.CL e
intorno INPERATOR . Finché altri meglio indovini , leggo
qui alla Tedelca PeRenCarlus, o PRenCarlus, cioè Ber e figa-
rio I. creato ìmperadore nell'Anno pi5.
La Settima è fimile alla precedente , e pare del medefimo
Pre?2carÌGy o fia Berengario I. ìmperadore.
L'Ottava efidente nel Mufeo Rhò riguarda Rodolfo Re di
Borgogna^ che nell'Anno ^22. venne ad ingoiare il Regno d'
Italia. Intorno al Monogramma di Crifto fi legge RODVLPO
nVS RX. Nel rovefcio PAPIA CI. cioè Civitas^ e nel con-
torno CHRISTIANA RELIG.
La Nona dello fteflb Mufeo appartiene ad Ottone I. Augii-
/lo dopo l'Anno pél. fé pure non s'ha da riferire a i due fe-
guenti Ottoni . In mezzo fi leg^e OTTO , e intorno IMPE-
RATOR. Nel rovefcio PAPIa' INCLIT. CIVIT. DellaZec-
ca Pavefe in que' tempi s'ha menzione in uno Strumento dell'
Anno 5?8p. menzionato di fopra nella Differt. VI. Cioè in Ci-
vitate Ticinenji Gundefredus qui & Azo Magi fter Moneta (del-
la Zecca ) fa una permuta con Giovanni Arcivefcovo di Pia-
cen:^ , ( che cos'i egli fi facea chiamare ) ed Abbate Nonan-
tolano .
La Decima nel Mufeo Bertacchini di Modena appartiene
ad uno de i tre Ottoni Imperadori . Vi fi legge OTTO IMPE-
RATOR, e nel rovefcio AVGVSTVS PAPIA.
L'Undecima è poco o nulla diverfa dalla precedente.
La XII. efiftenre prelTo Giufeppe Maria Cattaneo Modonefe ,
nel diritto ha OTTO SEMPER AVGVSTVS . Nel rovefcio
IMPERATOR PAPIA. Ne' Diplomi de i tre Ottoni fi legge
Romanorum Imperator Augujìus , e non mai Semper Augujlus .
Però quefta Moneta fi dee pii^i tofto riferire ad Ottone IV, che
nel I20p. ricevette la Corona Imperiale in Roma. Ma ne' Di-
plomi egli è intitolato Romanorum Imperatore & Semper Au-
gujìus 5 e il Popolo di Pavia fempre il contrariò , di modo che
non è probabile, che vi fi parli di lui. Ma fé appartiene ad
uno de' primi Ottoni, quel Semper Augujìus è cola ben rara.
La XIII. nel Mufeo Rhò può appartenere ad Arrigo fra gì'
Imperadori Pn'wo, coronato nel 1014. o più toftf^ -ASecondo^
perchè il Primo fece bruciar Pavia, febbene vi polTono preten-
dere
V E N T E S I M A S E T T I M A .' Ù.QL
dere anche i tre altri Arrighi pofteriori . Nel mezzo fi legge
HRICV, e nel contorno AVGVSTVS. Nel rovefcio IMPE-
RATOR PAPIA CI.
La XIV. efidente preffo il Sign. Domenico Vandelli Lettor
pubblico neirUniverfita di Modena, ha poco diverio il dirit-
to ; e nel roveicio ha LMPERATOR, e nel mezzo PAPIA.
La XV. delMufeoRhò ha la Croce con HENRICVS INP.
e neir altra parte PAPIA.
La xvr. Nel Muleo Chiappini di Piacenza ha nell'uno de'
Lati HENRICVS AVGVSTVS, e nell'altro IMPERATOR
PAPIA.
La XVII. è folo diverfa pel Comparto de' titoli, leggendofi.
nel diritto HENRICVS IMPERATOR, e nel rovefcio AV-
GVSTVS PAPIA.
La XVIII. prefTo Bartolomeo Soliani Modenefe, Libraio rino-
mato, appartiene aduno de' due -F^^m^^/ Imperadori, amati
non poco da i Pavefi . Nel diritto è FEDICV. AVGVSTVS,
nel rovefcio IMPEPvATOR PAPIA.
La XIX. nel Mufeo del P. Generale Chiappini ha FÉ. AV-
GVSTVS ROMAN, e nel rovefcio IMPERATOR PAPIA.
La XX. nel Mufeo Rhò ha nel diritto l'effigie di un Vefco-
vo colle lettere SANTV. SYRVS , Protettor di Pavia . Nel
rovefcio INPERATOR PAPIA.
La XXI. nel Mufeo Bertacchini ha FREID. ROM. AVGV-
STVS. e nel rovefcio IMPERATOR PAPIA.
La XXII. d'oro prcffo il Marchefe Giufeppe Beccar'ia, la cui
nobil Cafa fu Padrona di Pavia , ha nei diritto MVS BEC-
CAR. PAP. PRIN. La fua Arme è nel rovefcio.
La XXIII. prelfo il Conte Coftanzo Dadda Patrizio Milane-
fe nel diritto ha SANCTVS SYRVS PAPIA . Nel rovefcio
un Serpente, che divora un Fanciullo, e le lettere GALEAZ
VICECOMES. D. MEDIOLANI.
Scrive l'Aulico TicincHle, che h Moneta di Pavia era an-
tichiffìma . ^ae Moneta per totam olim haliam njalore ^ & pori'
deve approbata^ ufque nu?ic fola inter alUs^ quas 'viderim>, Gra-
eh l'tteris deformatur. Moneta di Pavia con lettere Greche non
mi è avvenuto di vederla.
Qj\ q 2 Mi-
4P 2 Dissertazione
Milano .
Fino da gli antichiffimi tempi cominciò la nobiliffima Cit-
Ù, di Milano a godere il pregio della Zecca, e del battere Mo-
neta. Vicina era veramente Pavia; tanta nondimeno fempre
fu la dignità e lo fplendore di Milano Metropoli dell' Infubria,
che non meno i Re Longobardi, che gl'Imperadori Franchi e
Tedefchi, a riferva di Federigo I. vollero fempre in efìa con-
fervato quell' onore ; perchè ivi fovente i Re ed Imperadori
pofero la lor Sede, e vi prefero talvolta la Corona , comedimo-
flrai nella mia Differt. de Cororia ferrea . Anzi anche fotto gì*
Imperadori Criftiani nel Secolo IV. troviamo Moneta battuta
in Milano, come apparilce dalle Monete di Mafhmo, Vittore,
Arcadio, ed Onorio, rapportate dall' Occone e dal Conte Mez-
zabarba. Ivi fi truovano le Sigle MDPS. che fecondo Tinterpre-
tazione de gli Eruditi fignificano Mediolanì Pecunia Sìgtìata , Che
parimente a' tempi de i Re Goti continuale ivi la fuddetta pre-
rogativa, fembra molto credibile. Certamente non fi può dubi-
tarne, allorché regnarono i Longobardi, giacché ilFranzefele
Blanc poifedeva la terza parte d'uno Scudo d'oro col nome di
Befiderio Re de' Longobardi col motto FLAVIA MEDIOLA-
NVM. Scrive Paolo Diacono Lib. III. Cap.id. de Geft,Langob,
che fu eletto Re da i Longobardi Autari , quem etiam ab digjiita-
temFlavium appetì avcnmt : quo praenomine omnes^ qui pojìea fu^-
Yunt ^ Langobardorum Keges jeliciter ufi funt , Quello fuo titolo la
Trasfufero poi quei Re nelle piìi riguardevoli Citta del Regno lo*
ro, e fpezialmente in quella di Milano, che fopra l'altre era emi-
nente. Sotto i Monarchi Franzefi e Tedefchi diffi continuato que-
fto diritto, come faran fede le Monete battute fotto i medcfimi,
ch'io ho potuto vedere : alle quali aggiugnerò l'altre delie due
potentiffime Cafe Vifconte e Sforza, che quivi fignoreggiarono.
La Prima preflb il Blanc battuta circa l'Anno 775. appartie-
ne a Carlo Magno . Qluvì è una Croce colle X^n^xt CARLVS
REX FR. che non avea peranche confeguita la Dignità Impe-
riale. Nell'altra parte è il Monogramma efprimente il nome di
elfo Monarca, e all'intorno MEDIOL.
La Seconda vien creduto che appartenga a Lodovico Pio Au-
guro circa l'Anno 815. Vi fi vede f effigie d'un Imperadore
colle lettere HLVDOVVICVS IMP. AVG. e nel rovefcio la
facciata di un Tempio, e MEDIOL ANVM,
La
Ventesimasettima. 4P j
La Terza ha nel diritto HLVDOVVIGVS IMP. e nel ro-
vefcio MEDIOLANVM. Ancor quella è attribuita dal Blane
a Lodovico Pio; ma forfè amendue lon da riferire a Lodovico IL
jìugiiflo fuo Nipote, che tanto tempo dimorò, ed anche mori
i.i Italia .
La Q_uarta è di Lottarlo L Imperatore circa l'Anno 841. Ivi
fi legge LHOTHARIVS IMP. enei rovefcioMEDIOLANViM.
La Quinta prelTo il Marchefe Teodoro Trivulzio Patrizio Mi-
lanele, riguarda U^o Re d' Italia neirAnnop25. V'ha il mot-
to HVGÓ PIYSSIM. REX. Nel mezzo queite Sigle IHXL
che credo indicare IHeJus Qhrljìus . Nel rovefcio CRISTIA-
NA RELIGIO ; e nel mezzo MEDIOLA.
La Sella preiTo il medefimo, battuta circa il P30. riguarda
anche Lottarlo fuo Figlio eletto dal Padre per Collega . Vi fi
leggono le fuddette Sigle, ed VGO LOTHARIO RÈGES. Il
rovefcio è lo (lelTo, che il precedente.
Anche fotto gl'Imperadori Germanici continuò Milano a go-
dere il privilegio della Zecca. Ne ho per teflimonio l' Annahfta
SafTone pubblicato dall' Eccardo, il quale trattando di Ottone il
Grande all'Anno ^51. cosi feri ve : Medlolanenfes fubjugans ^ Mo-
7ìetam iis mnovavlt , qui Nummi ufque hodle Ottolint dicuntur .
Il Goldaflo de Re Moriet. Tir. 48. cita un Decreto d'elfo Otto-
ne I. che ha le feguenti parole : Medio! anenjibus , qui fai ft fica'
njerunt nojìram Monetam auream & argenteam , mandamus & in-'
jungimus bac hnperlalis ìiojìrce fententia coìidemìiatlone , ut nulla
Moneta^ nifi de corio faHa^ In pofterum utantur , Cita egli Witi-
chindo Storico, nella cui Cronica non ho faputo rinvenir parola
di quello. Tengo io per finto affatto un tal Decreto, e maflìma-
mente perchè il Goldaflo non fi facea fcrupolo di fabbricar fi-
mih Documenti, fé l'argomento l'efigeva : con che ingannò molti
Eruditi. Avrebbe potuto più tofto adoperare la teftimonianza ài.
Gobcllino, Perfona, che nel Cofmedrom A61.V^I. Cap. 48. fcri-
ve di elfo Ottone : Delude cepit Medlolamtm . Sed Rege Ottone
recedente^ Medio! anenfes Mo-netam ejusrefpuerunt ^ Ù' afideUtate
ejus receperunt . ^uare Rex Medlo!anum regrejfus , coeglt Me-
dio! anenfes de corio antiquo Incidere Nummos , & lHos ab els recipe
mandavlt. Altrettanto ha Teodorico diNiem nel Lib. dePrlvil,
& Jur.Imper. Ma finché non fi rechino Autori di maggiore anti-
chità ( giacche quelli due non hanno la barba affai canuta )
è a noi permeffo di credere una ridicolofa favola quella Mone-
ta
454' Dissertazione
ta di cuoio , ficcome ancora la ribellion de' Milanefi , di cui
nulla fcrivono gli antichi Storici . All' incontro noi abbiimo
il vecchio Annalifta SalTone, che mihta incontrario; e fé fino
a'fuoidi i Nummi battuti in Milano fi chiamavano Oftoleni^
convien credere, che fofiero di buon metallo, e col nome ài
Ottone . Ma cotale impoiiura fi può annientare con produrre
una Moneta già efiftente nel Muleo del Chiarifs. Sig. Apoltolo
Zeno , e battuta probabilmente lotto il luddetto Ottone Ma-
gno, di CUI egli gcneroiamente me ne fece un dono.
Pertanto la Settima è un Denaro di lamina lottile e con-
cava , nel cui mezzo fi mira il Monodramma , onde riluita
OTTO, e all'intorno IMPERATOR.^e nel rovefcio AVG.
*J+ MEDIOLANIV. Altrove ho molìrato, che ne' Secoli bar-
barici , ed anche prima , fu in ufo MEDIOLANIVìVI , nato
dalla favola , che nel fabbricar Milano fi trovafle la figura
d'un Porco, mezzo fettololo , e mezzo lanuto : fé pure la pa-
rola Mediola7iium quella non fu , che diede motivo col tem-
po a i ridicoli ingegni d'inventare quel fogno . Due altre fi-
snili Monete ho poi veduto. Chiamai Concavi si fatti Denari;
e non era già nuova una tal figura e forma di Moneta . Fu-
rono in ufo anche preiTo i Greci , e fi chiamavano Caucii\
perchè fimili a una Coppa. Se ne truova menzione nella Novel-
la cv. Cap. 2. di Giullmiano Augufto. Penfa il Du-Cange, che
tali foiTero anche gii Sciphati d'oro, de' quali parleremo nella
DifTert, feguente.
L'Ottava efiftente in Modena non fi sa a quale de gli ^m-
gy^f Imperadori appartenga. Quivi comparifce HENRIC. IN-
PERATOR, e nel rovefcio MEDIOLANV^M.
La IX. nei Muleo Bertacchini di Modena , ha intorno alla
Croce HENRICVS REX; e nell'altra facciata MEDIOLA-
NVM. Forfè è da riferire ad Arrigo Quarto fra i Re.
La X. m mio potere, ha il diritto precedente. Nel rovefcio
fi mira l'effigie di Santo Ambrofio fedente nella Cattedra col-
le lettere MEDIOLANVM, Forfè è da riferire àdAyrigoVIL
circa l'Anno 131 1,
L'xi. preflb il Marchefe Trivulzio moflra FRIDERICVS,
e nel mezzo IPRT. cioè Imperator , Nel rovefcio MEDIO-
LANVM . Sa chiunque è alquanto infarinato della Storia ,
quanto fdegno & odio concepilTe Federico L appena afiunto
al Regno centra del Popolo di Milano 5 come colia dalle Sto-
rie
VentesimasettimaT 4P5
rie ^i Ottone Morena, Ottone da Frifmga, ed altre non poche;
e quante guerre egli faceffe per metterlo fotto il giogo . Fra
gli altri mali , che loro inferi prima dell'eccidio di quella no-
bil Citth, vi fu ancor quello di privarli del privilegio di batte-
re Moneta con trasferire quefto diritto nel Popolo di Cremona.
Nel fuo Diploma, da me pubblicato, ed efiftente nell'Archivio
d'efla Citta di Cremona , fotto l'Anno 1155. fi legge : Jus fa-
àefìdcs Monetcs , (juo Mediolafìenjcs privavimus , Cremonenftbus
donavimus » Ma fatta nell'Anno 11 83. la Pace di Coftanza
fra tiìo Federigo Augufto e i Lombardi , fu relìituito a' Mila-
nefi l'antico diritto ; e preflb il Puricelli in un Diploma dell'
Anno II 85. fi veggono confermate a quel Popolo tutte le i^^-
galie^ fra le quali s'intende anche la fuddetta . Allora fu bat-
tuta la poco fa accennata Moneta.
La XII. ha FREDERICVS IPRT. e nel rovefcio AVG.
MEDIOLANIV. Un'altra ha FRDIC IP. AVGVSTVS; e
nel rovefcio una Croce e MEDIOLANVM.
La XIII. ha un' Aquila nel mezzo contornata dalle lettere
HENRICVS REX ; e nel rovefcio la Croce con SEMPER
AVGVSTVS . Probabilmente è ài Arrigo VI L che nell'Anno
13 II. abbattuti iTorriani, afllinfe il Dominio di Milano. Ma
potrebbe anche attribuirfi ad Arrigo VI, il quale prima che fof-
fe Imperadore, usò il titolo di Semper Auguflus ^ credendo io ,
che s'inganni chi crede inventato più tardi si fatto titolo . Se
poi quefto Denaro appartenga a Milano , non pollo con fran-
chezza afferirlo.
La XIV. sembra battuta daiMilanefi circa TAnno i2<5'o. in
cui era vacante l'Imperio. Vi fi mira l'effigie di Sant*Ambro-
fio colle lettere S. ANBROSIVS ; e nel rovefcio la Croce , e
MEDIOLANVM.
La XV. appartiene ad Ai:i:o Vifco?ite Signor di Milano circa
il 1330. giacché pare che Matteo Magno Avolo fuo, eGaleaz-
zo fuo Padre non batteflero Moneta. Vi fi mira la Croce colle
lettere AZO VICECOMES. MEDIOLANVM. Nel rovefcio
è l'effigie di Santo Ambrofio col fuo nome .
La XVI. ha nel diritto AZ. VICECOMES . Nel rovefcio
la Croce , e nel contorno CVMANVS. Neli335. AzzoVif-
conte s' impadronì di Como , e fé ne fece memoria in que-
fto Denaro.
La
49^ Dissertazione
La XVII. ha l'effigie di due Santi colle lettere S.PROTASL
S. GERVASI, e lOHS VICECOMES, c'ioh Giovanni Vtfcon^
te^ Signore, ed Arcivefcovo di Milano nel 134P. Nel rovelcio
l'effigie di Santo Ambrofio, eMEDIOLANVM.
La XVIII. ha un Elmo con Serpente che divora un Fanciul-
lo , Arme de' Vifconti , e nel rovelcio l' Immagine di Santo
Ambrofio . In amendue le facciate fi mira D. B. cioè Dominus
Bernabos^ Signore di Milano nel 1354.
La XIX. ha l'Arme fuddetta colle lettere B.G. che indicano
Berfiabhy q Galea-z^ FratelH Vifconti, Signori di Milano circa
il i3<^o. Nel contorno BERNABOS ETGALEAZ VICECO-
MITES. Nel rovefcio S. ANBROSIVS MEDIOLANI .
La XX. ha nel mezzo D. B. all'intorno VICECOMES ME.
DIOL. Nell'altro lato l'Arme de' Vifconti, e le lettere DO-
MINVS BERNABOS.
La XXI. ha un Elmo con un Drago, e uno Scudo col Ser-
pente , e le lettere G. Z. Nel contorno fi legge GALEAZ
VICECOMES . Ha il rovefcio un tronco nodofo colle fiamme
fotto, e due fecchie con acqua pendenti dal tronco . Vi fi leg-
ge DNS MEDIOLANI PAPIÉ ETC. F del fuddetto Galeaz-
zo IL Vifconte .
La XXII. appartiene almedefimo. V'ha l'Arme de' Vifcon-
ti , e GALEAZ VICECOMES MEDIOLANI PPQ. cioè
Papi<fque , fottintendendo Dominus . Anche vi fi mirano due
rami d'Albero colle fecchie . Nel rovelcio l'effigie di un Ve-
fcovo colle lettere S. SIRVS PAPIA . Egli è Protettore di
Pavia, Citta prefa nell'Anno 1359. da Galeazzo II. Vifconte.
La XXIII. riguarda Gnlea'z^ III. Vifconte , fopranominato
Comes Virtunim^ Figlio di Galeazzo II. Comparifce ivi la Cro-
ce colle lettere GALEAZ COMES VIRTVTVM . Nel ro-
vefcio GZ. cioè Gaha-z^^ DOMINVS MEDIOLANI. Fu
battuta circa il 1385.
La XXIV. ha la Croce , e nel contorno COMES VIRTV-
TVM. D. MEDIOLAN.
La XXV. ha nel mezzo G. Z. e intorno D. MEDIOLANI;
e nel rovefcio la Croce, e COMES VIRTVTVM.
La XXVI. ha I. G. VICECOMITIS , cioè Iohan?ìis Galea-
tii . Così era egU appellato, vivente il Padre , e ne' primi anni
del fuo pieno Dominio; pofcia fu folamente chiamato Galeazzo .
La
V E N T E S I M A S E T T I M A . ^(^J
La xxvir. appartiene ad Eftore Vìjcome . Vi fi vede l'Arme
de'Vifconti con HE. da un lato, e in oltre HESTOR D....
VICECOMES K. Nel rovefcio l'effigie di Santo Ambrofio col
filo nome. CoiUii fu baftardo di Bernabò, ed occupò nel 141 2.
il Dominio di Milano , ma ebbe la vita de' funghi. EfTendo af-
fediato da Filippo iMaria Duca di Milano in 'Monza , da una
pietra fcagliata da un mangano ebbe fracaffata una gamba , e
affai giovane di fpafimo fi mori . Nell'Anno i(5p8. effeado io
ito alla nobil Terra di Monza , trovai che poco prima era Ra-
to difleppellito in occafion di fabbrica il di lui corpo , gik
chiufo invile caffa di legno. Era incorrotto quel corpo, cioè
colia pelle intatta , e fi vedeva rotto l' oflb della gamba .
Appoggiato coir altra gamba alla Caffa aperta , ftava diritto
in piedi quel Corpo ; ne certo era di un Santo , ma bensì di
uno fcell erato.
La XX vili, appartiene z Filippo Maria Vi [conte ^ terzo Duca
di Milano . V'ha l'Arme gentilizia , e all'intorno FILIPPVS
MARIA DVX MEDIOL. Nel rovefcio l'efii-ie di Santo Am-
brofio colle lettere S. AMBROSI VS EP. MEDÌOLANI.
La XXIX. è fimile alla precedente, fé non che in vece dell'Ar-
me ha un uomo a cavallo corrente colla lancia in mano.
La XXX. ha il Serpente , e PKILIPPVS MARIA ; e nel ro-
vefcio MEDÌOLANI. Si fottintende Dmx.
La XXXI. ha l'Arme de'Vifconti, e PHILIPVS MARIA...
D. M. cioè Vicecomes Dux Mediolani . Nel rovefcio Santo
Ambrofio .
La XXXII. ha l'Arme fuddetta , e FR. SF. DVX MDLANI ,
cioè Francefco Sfor^^a^ infigne Capitano de' fuoi tempi , che da
balla fortuna fall al Ducato di Milano. Santo Ambrofio fi mi-
ra nel rovefcio.
La XXXIII. è un Medaglione. Ivi il bullo ò.\FrancefcoSfor7:a^
e di qua e di Ik V. F. probabilmente Vi'vat: Frnncifcus, Nel con-
torno FR. SFORTIA VICECOxMES. MLI DVX IV. BELLI
PATER ET PACIS AVTOR. MCCCCLVI. Nel rovefcio
\m Cane prefTo un Albero col motto : IO. FR ENZOLE PAR-
MENSIS OPVS.
La xxxiv. ha un Elmo coli' Arme de' Vifconti , e nel con-
torno FR. SF. DVX MLI. Nel rovefcio FR. S. con Corona di
lopra , e nel contorno PAPIÉ. ANGLEQ. (cioè Angleri^et^fue)
QOmes .
Tomo L Rrr La
4>'8 Dissertazione
La XXXV. ha l'effigie di elfo Duca colle lettere FRANCI-
SCHVS SPORTI A VlCecoynes, Nelroveicio un Cavaliere colla
lancia, e DVX MEDIOLANI. AG lANVE. Fu battuta do-
pò l'Anno 14(^4.
La XXXVI. ha le feguenti lettere G. S. DVX MEDIOLA.
D. PP. cioè Galea^:^^ o fia Gnleatius Sforttn , e pofcia Domi-
fuis Pap'h-e^ circa l'Anno 1^66. Nelroveicio la Croce e CON-
RAD REX ROMANO IL da cui i Milanefi riconofcevano
li Gius di battere Moneta.
La XXXVII. ha l'Arme Vifconte e Sforzefca e GZ. MA.
SF. VICECO. DVX MLI V. PP. ANGLEQ. CO. AC lA-
NVE D.
La XXXVIII. ha Tlmprefa di tre rami d'Albero , da' quali
pendono due Secchie . All'intorno GZ. M. SF. V. VICECO.
DVX. MLI. V. Nel rovefcio il Serpente colle lettere G. M.
e nel contorno PP. ANGLEQVE CO. AC lANVE D. cioè
P apice Anglericeque Comes , ac Ja?iuce Dominus .
La XXXIX. ha F effigie di eiTo Gaha':^ Maria , e nel redo
fomigliante alla precedente.
La XL. ha G. M. con fopra la Corona, e intorno DVX. MLI.
AC. L^NVE D. Il rovefcio ha nel mezzo B. M. con Corona
di fopra , cioè Bianca Maria Vifconte , già Moglie di France-
l'co Sforza, e Madre di Galeazzo Maria , il quale fui principio
del Governo moftrò fonimo rifpetto alla Madre . Nel contorno
fi legge DVCISA. MLI. AC CR. D. &c. cioè Ducijfa Medio-
lani^ ac Cremo?ia Domi?ìa.
La xLi. ha l'Elmo col Serpente . Delle lettere corrofe non
refia fé non MLI. Nel rovefcio G. M. colla Corona di fopra.
La xLii. xLiii. e xliv. appartengono a Gionjan7ii Galea-z^^
SfoTi^^ che nell'Anno 1477. fuccedette a Galeazzo Maria ino
Padre uccifo da i congiurati . Vi fi vede la fua effigie , e IO.
GZ. SF. VICECOMES DVX MLI SX. cioè Se^tus, Nel rove-
fcio PArmi fue , e LVDQVICO PATRVO GVBNANTE,
cioè Gubername ,
La xLv. è poco diverfa, fé non che v'ha l'effigie di Santo
Ambrofio .
La XLvi. ha l'effigie giovanile di Gian Gale a:?;7^y e la virile
dì Lodovico il Moro,, Tutore e pofcia alfaffino di quell'infelice
Principe. Il redo è fimile alla precedente.
La XLVii. ha l'effigie di Lodovico il Moro , che nel 14P4.
fu
V E N T E S I M A S E T T I M A . 4pp
fu dichiarato Duca di Milano . V'ha qiiefta Ilcrizione LVDO-
VICVS. M. SF. ANGLVS DVX MLI, e nel rovelcio ANGLE-
QVE CO. AC lANVE D.
La xLviii. è fimile alla precedente.
. La XLix. ha l'effigie dì Lodovico d'Orleans^ che poi fu Lo-
dovico XII. Re di Francia conquifìatore di Milano . Ha le fe-
ouenti lettere LVDOVICVS AVRELIANE;2SIS . Nel rove-
fcio l'Arme Tua, e MEDIOLANL AC. AST. DN. cioè Sì-
gnore d' Ajìi .
La L. e LI. appartengono ad elfo Lodovico, già divenuto Re
-di Francia. V'ha un'Klrice coronata coli' Ilcrizione LVDOVI-
CVS DE. G.FRANCOKVM REX. Nel rovelcio MLI. DVX.
ASTENSISQVE V. DNS.
La Lir. ha nel rovelcio un Cavaliere corrente a Cavallo
coir Arme di Francia, e le lettere MEDIOLANI DVX.
La LUI. e Liv. fono d'edb Re, nel rovefcio d'una di effe è
l'effigie di Santo Ambrofio colle lettere S. A. e nel contorno
MEDIOLANI DVX.
Altre quarantadue Monete fpettanti a i Principi di Milano
con giugnere fino a Carlo V. Imperadore , e a Francelco II.
Sforza , ultimo di quella nobile e Principelca Famiglia , furo-
no aggiunte in Milano alla mia Raccolta dalla diligenza de'Socii
Palatini. Io per non affaticare maggiormente i Lettori , le trala-
fcio. Chi le defiderafle, vegga la DilTert. XXVII. Antìq.ltd,
^■
Lucca.
Siccome provai nella Part.I. delle Antich. Eff* Cap.XVII.
la Citta di Lucca fu ne' vecchi Secoli Capo della Tofcana^ e pe-
rò ivi fotto i Re Longobardi , ed Imperadori Franchi e Tede-
fchi efilleva il privilegio della Zecca , e la pecunia Lucchefe
non era in minor credito per l'Italia che la Pavele. In uno Stru-
mento fpettante all'Anno 74(5. nominari fi veggono auri Soli-
di boni Lucani tiumero centum . In un altro [ermo Anno primo
Aifiulp, viro 'ExcdlentiJJimo Kege Indizione IIL cioè neif An-
no 750. promette un Preic di ben lervire alla Chiefa di San
Regolo jub poena CC. Solidomm honorum Luccnjium . Allorché
io fui in Lucca , mi fu moli rato un Soldo o Denaro , nel cui
diritto fi leggeva DN. AlST. KEX. cioè Domnus o Domtnus
Nnjìer Aijìulfus Rex, Nei rovelcio era FLAVIA LVCA, tito-
Rrr 2 lo.
^co Dissertazione
lo, di cui vedemmo onorata da i Re Longobardi anche la Cit-
ÙL di Milano. Parimente attefta il Signor le Blanc di averpof-
leduta una Moneta di Defiderio Re de' Longobardi , dove £
leggeva FLAVIA LVCA . La credo fimile ad un'altra, che
Angelo Beneventano pubblicò, e di cui fi farli qui al num. 2,
menzione .
Pertanto la prima Moneta fpettante a Lucca, ed efiftente
già in Siena prelTo il Sig. Uberto Benvoghenti , non so a quale
dei Re appartenga . Nel davanti ha la Croce con quella troppo
flrana Ifcrizione VIV^IVIVIVIVIV^ Lafcerò io ad altri il far qui
da indovino. Se vi folfe il nome dei Re, potremmo immagina-
re, che foflero piìi e più VIVAT . Non parrebbe cosi proprio
il dir quello della Croce. Si potrebbe immaginare battuta , al-
lorché il Monaco Ratchis, già Re, tentò di ripigliar la Corona,
Fra le monete Piiane , come fi diia , andando innanzi , una fi-
mile ifcrizione fi truova : laonde amendue fi pofibno credere
battute nello (leiTo da me non laputo Secolo . Nel rovefcio fi.
vede una Stella , e FLAVIA LVCA . Si oifervi , che anche
nella feguenre comparifce la Croce , e una fomigliante Stella,
ficcome anche nella Quarta Moneta.
La Seconda rapportata dal Brevcntano ha nel mezzo la Cro-
ce, e all'intorno DN. DESIDER. REX. circa rAnno757. Nel
Diezzo del rovefcio la Stella, e nel contorno FLAVIA LVCA.
La Terza preOfo il Blanc ha nel diritto CARLVS REX FR. e
però battuta prima dell'Anno 800. Nel rovefcio ha il Mono-
gramma d'cflo Re, cioè CARLVS oCAROLVS. Nel contorno
LVCA.
La Qiiarta pubblicata dal Blanc ha la Croce nel mezzo , e
le lettere DN. CARVLVS REX, Nel rovefcio è la Stella coli
FLAVIA LVCA,
Sino a' tempi di Ottone il Grande non ho potuto rinvenire
alcun altro Denaro di Lucca . Nel Mufeo Bertacchini efifte la
Quinta Moneta. Ivi nel mezzo fi legge LVCA , e all'intorno
OTTO LMPERATOR . Nel rovefcio l'effigie di San Pietro
colle lettere S. PETRVS. A quale dei tre Ottoni Augufli ap-
partenga, noi so dire.
La Sefta, a me comunicata dal fuddctto Sig. Uberto Benvo-
ghenti, ha nel mezzo il Monogramma deU'Imperadore, cioè
ÒTTO, e nel contorno IMPERATOR. Nel rovefcio è LVCA ,
edintorno OTTO PIVS REX.
La
V E N T E S I M A S E T T 1 M A . 50!
La Settima efiftente in mio potere , ha nel mezzo LVCA ,
e all' intorno EINRICVS, e nel rovelcio IMPERATOR, con
delle Sigle, delle quali parleremo fra poco. A quale de ilei Ar-
righi Imperadori appartenga tal Moneta, non iì può determinare.
L'Ottava e la Nona lon ben fomiglianti alla precedente, ina
non fon quella. Qlù non fi dee tralaiciare, avere Tolomeo An-
tico Storico Lucchefe negli Annali brevi fcritto all'Anno 11 55.
Frider'tcus Impsmtor cona^jjit Jìve conjìrmav'tt Luccnfihv.s Mone-
tam^ eh concejfam per juos A}iteceJJon's Impcratores. Pofcia all'
Anno II 80. racconta , che i Bolognefi fi obbligarono de Mo-
neta Luceiìfi tencnda , & expe-ndenda per Civitapem Bonon'ics Ò'
top am fu am forti a-m , Al feguente Anno aggiugne : Lucius Papa
7iatione Lv.ccnfts ( per quanto egli pretende) concejjìt Lucenftbus
Morietam cudendam : quam dvitatem fumme commeiìdans^ om-
nibus TvfctiS ^ Mnreh'ioe , Campaìùcs & Komagtiola , Ò' Apulicc
in Moneta pr<spoìì'tt . Unde dìHa Mo'rieta ab ìlio tempore in prce-
diHls partibus magis furt ufualìs. Offcrva inoltre lo (leffo Ida-
rico, duas Monetas antìquis temporibus magis cucurrijf e . la Ita-
lia Paptenfem (cioè nelia Lombardia per favore di Federigo L
Augudo). Ijiicenfem^ ubi Ecclejìa magts dominabatur ; eo quod
dìBa Civitas Romance Ecclejicv Jemperfuit fubjecìa . Tutto ciò (i
può credere del corlo della Moneta Lucchefe; ma non già, che
Papa Lucio concedeffe a i Lucchefi il privilegio di batterla ;
perchè ciò non apparteneva a i Romani Pontefici, ma bens'i a
gì' Imperadori , i quali tanto prima ( e lo attelta egli ftefib )
aveano conceduta cotal facoltà ai Lucchefi. Ch'egli poi dica,
cffere Itata la Citta di Lucca Romana Eccleftcv femper fubjeHa^
s*ha da intendere nello Spirituale; perchè nel Temporale feni-
pre fu inchiufa nei Regno d'Italia.
La X. ha in mezzo le Sigle, delle quali parleremo fra poco,
e all'intorno OTTOREX. Nel rovelcio il Volto diunUomo
colle parole S.VVLTVS DE LVCA . Cioè confervano i Luc-
chefi nella lor Cattedrale la Statua di Legno del Signor noftro
pendente dalla Croce con Corona Regale mCapo. Grande ne è
la venerazione, antica la fama, credendofi, che quella rappre-
fenti la vera effigie del Divino Salvator noftro, fatta da S. Nico-
demo, e miracoloiamente pervenuta a Lucca. Q_uefte Leggende
e Traslazioni miracolofe facile fu ne'tempi dell'ignoranza l'inven-
tarle, più facile il crederle. Per quanto racconta Franco Sacchet-
ti Autore del i 300. nella Novella 73. Fra Nicolao Siciliano deli'
Ordì»
502 Dissertazione
Ordine de' Minori 5 dottiffimoMaeflro di Teologia, in una pub-
blica Predica parlando della Faccia di Grido , diceva : Non è
f^tra come la Faccia del Volto S aìito ^ che è colà: che ben ci ve-
gno a crepare , [e Criflo fu così fatto . Difll nondnneno antica
la fama e il credito di quella lacra Immagine. Anche nel Seco-
lo Undecime Guglielmo IL Re d'Inghilterra, come s'ha da
Guglielmo Malmesburienfe nel Lib. IV. Hifl, e da Eadmero
Lib. I. e II. Hijì. (bleva giurare Per SanBum Vultum de Luca .
L'Autore Franzele del Libro intitolato LesAmenitez^de la Cri-
tique , penfa che quel Re giurafle pel fanto Volto del Stg^nore
dipinto da San Luca . Ma penfo che s'inganni. Ebbero dunque
in ufo i Lucchefi di mettere quello Volto Santo nelle loro Mo-
nete . Quando cominciadero a farlo , mi è ignoto . L' Ottone
Ke qui menzionato potrebbe efiere Ottone IIL che per molti
Anni col folo titolo di Re tenne il Regno d'Italia, e fu poi
coronato Imperadore nell'Anno ppd. Ma potrebbe anche effere
Ottone IV, che circa il 1205?. molti privilegi, e grazie compar-
ti al Popolo di Lucca . Certamente il Volto Santo fi truova
frequente ne gli antichi Denari di quella Citta . Ho anche ve-
duto le lor picciole Monete di rame , cioè Sefini , battute in
quefti ultimi tempi , ne' quali fi legge LIBERTAS , e all'in-
torno OTTO REX : fegno, che riguardavano uno de gli Otto-
ni, e probabilmente il Quarto, per loro Benefattore, e per chi
loro avea confermato il Gius di battere Moneta, tolto forfè ad
elfi da alcun altro . Anche i Genovefi ripetevano una volta
nelle lor Monete Corrado Ke per quella cagione .
L'xi. ha le Sigle trovate anche nelle precedenti, che paio-
no due TT. o pur due Colonne , legate con una traverla nel
mezzo. Pare che f eno il Monogramma di OTTO, e che ne
faceffero feinpre memoria per la ragione poco fa accennata .
Leggefi qui nel contorno OTTO REX, e nel roveicio l'effigie
fuddetta colle lettere S. VVLTVS DE LVCA.
La XII. ha nei mezzo LVCA, e nel contorno OTTO LM-
PERATOR . Nel rovefcio l'Immagme luddetta colle lettere
SANTVS VVLTVS. Può quella appartenere ad uno de gli an-
tichi Ottoni, ma anche al Q_uarto, lupponendola battuta, da
che egli fu dichiarato Imperadore.
La XIII. ha i due TT. o le due Colonne legate infieme ,
con OTTO REX nel contorno . E nel roveicio S. VVLT.
D. LVCA.
La
VentesimasettimaT 50 j
La xrv. è fimile alla precedente, fé non che fopra il Mono-
gramma v'ha un'Aquila.
La XV. moftra un Aquila , e ali* intorno OTTO REX .
Neil' altra facciata fi mira nei mezzo un L. e nel contorno
LVCA LMPERIALIS.
La xvr. moftra in uno Scudo l'Arme della Repubblica Luc-
chefe, cioè la parola LIBERTAS, eneirintorno OTTO LM-
PERATOR . Nel rovefcio l'effigie di un Vefcovo con le let-
tere SANCTVS PAVLINVS, Vefcovo, e Protettore di Lucca.
E quelle fon le Monete Lucchefi da me vedute. Perchè fo-
vente fi legge in effe il nome di Ottone Ke o Imperaàore ^ non
fi figurafìe alcuno , che fofiero tutte battute ne' tempi di efio
Ottone. Torno a dire ripetuto il fuo nome anche ne' tempi fuC-
feguenti, perchè Principe benefattor de' Lucchefi.
La XVII. XVIII. e xix. fon da riferire a Carlo IV. Impevndove ^
da cui nel Secolo XIV. quel Popolo ricuperò la fua Libertìi .
Non hanno bifogno di fpiegazione . Allorché io fui in Lucca,
mi diffe un Amico mio di aver veduta Moneta di quella Citta,
nel cui contorno fi leggeva il feguente verfo
LVCA POTENS STERNLL
SIBI QVAE CONTRARIA CERNIT.
Temo io, ch'egli prendefTe per Moneta il Sigillo di quella Cit-
ta, perchè ufo fu delle Citta Libere, fpezialmente nel Secolo
XIII. di aggiugnere a i lor Sigilli un verfo Leonino , come ap-
parirà qu'i lotto nella Differtazione àt' Sigilli*
Principi di Benevento e Salerno .
Oltre alle tre fuddette Citta del Regno Italico fi truova,
che anche i Duchi o Principi di Benevento battevano una vol-
ta Moneta . Fu ben luminofa ne' Secoli barbarici la dignità,
l'ampiezza , e la potenza di quel Ducato , ficcome quello,
che abbracciava la maggior parte del Regno, chiamato oggidì
di Napoli. Finché durò il Regno de' Longobardi , non fapeva
i io credere, che fofìTe loro permeflb di fabbricar denari. Ma An-
gelo Breventano pruova quella loro prerogativa coli' addurre
una Moneta , da me prodotta nel num.I. Vi fi vede l'effigie di
un uomo colla Croce e due Stelle ; e nel rovefcio un Mono-
gramma contenente le lettere OGRÉ, o per dir meglio GREO,
ch'ef-
504. D I S S E Pv T A Z I O N" É
ch'eflb Beneventano interpreta GREGORIVS . E veramente
regnando il Re Liutprando , cioè circa l'Anno 731. fi truova
I^Lica di Benevento un Gregorio . Da quel Monogramma né
pur io so fpremere le non quello Nome, contuttoché mi fem-
bri poi difficile a credere tanta autorità ne i Duchi di quella
Provincia , che riconofcendo eflì per loro Sovrano il Re de i
Longobardi, batteflero poi Moneta folamente colla propria Im-
magine, lenza inferirvi il nome del Regnante. Fuor di dubbio
e bensì, che dopo avere Carlo M. nell'Anno 774. occupato il
Regno Longobardico , Arie bis , o Arichifo Duca di Benevento
pretefe di reflar libero Signore di quel Ducato , e con quante
Ibrze potè itCQ refiftenza al Re de' Franchi . Però a riferva
del nome di Re , prele tutti gli ornamenti e diritti Regali ,
fra' quali anche la facoltà di battere Moneta, intitolandofi noa
più Duca^ ma htrìsi Principe : titolo fignificante allora Sovra-
nità . Non inferior coraggio ereditò alla morte del Padre Gri-
ììiualdo IIL fuo Figlio. Trovandofi egli in Francia per ortaggio
della fedeltà paterna , ottenne d' edere meffo in polTeiro del
Dominio, con patto v.tChartas Nummosque fui nominis (cioè
di Carlo M. ) charaHerihus fuperfcribi j'emper juheret , come s'ha
da Erchemperto, e dall'Anonimo Salernitano. Ma dimenticò
egli in breve la fatta promeffa. In fuis ^ureis ejus 7ìomen (di
Carlo ) aVt quando f.gurnri pl/?cuit ; mox paBa prò ni b ilo duxit
oòfervanda .
Vedesi dunque la Seconda Moneta pubblicata dal Blanc ,
rapprefentante l'effigie di elfo Grimoaldo colla Croce iopra il
Capo, e nel contorno GRIMVALD. Nel rovefcio la Croce,
e G. o pure S. dali'un de i lati , e V\ dall'altro, edifottoVIL
All'intorno fi legge DOMS. CARLVS R. cioè Domnus Car-
Itis Rex . Ma non affai efattamente fu letto ed cipreffo quel
Denaro dal Blanc. Da altri Muiei ho io ricevuto altra Mo-
neta del medefimo Principe , la quale fervira di correzione
a quella.
La Terza dunque battuta circa l'Anno ySy. ci fa vedere
l'effigie di Grimoaldo col Diadema , e con globo in mano ,
fopra cui la Croce , e col fuo nome . Nel rovefcio DOMS.
CAR. R. di qua e di la della Croce S-R. che io interpreto
Sacra Religio ^ opure S alus Regni . In fondo non VII. maVIC.
fi le^ge, cioè PlBoria.
Poco flette, come diffi, Grimoaldo a dinienticarfi i patti,
anzi
V E K T E S I M A S K T T I M A . 505
anzi Rehellionìs jurium miti avi t^ come s' ha da Erchemper-
to Gap. 4. Hijì. Però fi olfervi la Quarta Moneta , già data
dal Breventano , ed efiftente anche in Roma nel Muleo Sab-
batini . Il diritto è quafi fimile al precedente . Nel rovefcio
la Croce con S. R. ed intorno VICToR. PRINCI , cioè Vi.
Boria Principisi 0 Principi ^ 'ed in fondo CONOB. formola
tanto frequentata nelle Monete de' Greci Augufti Crifliani , e
non peranche ben intefa.
La Qiiinta Moneta d'oro nel Mufeo Sabbatini appartiene a
Sicone Principe di Benevento^ che nell'Anno 817. fuccedette a
Grimoaldo IV. Vi fi mira l'Immagine fua, che tiene in mano
il globo colla Grocc fopra, ed all'intorno fi legge SICO PRIN-
CES. Nel rovefcio è l'effigie di San Michele, Protettore, co-
me diffi, de' Longobardi . Nel contorno MIHAEL ARHAN-
GELV. ONO, o più torto CONOB.
La Seda d'argento nel Mufeo Bertacchini di Modena , mo-
flra l'effigie del Principe col Diadema di perle incapo, fopra
cui è la Croce . All' intorno le lettere SICO PRINCE . Nel
rovefcio la Croce con doppia traverfa, e di qua, e di la 2.C.
cioè a mio credere Salus Chri/ìianorum . Nel contorno S. MI-
CHAEL APvHANGELV.
La Settima nel Mufeo Sabbatini ci fa vedere Sicardo Princi-
pe di Benevento ^ che nell'Anno 833. fuccedette a Sicone fuo
Padre. Si vede l'effigie fua colle lettere SICARDV. Nell'ai-
tra facciata è la Croce ufata nelle Monete Greche colle lette-
re S.I. forfè fignifican ti 5'/7/^/^ /w^m/. Nel contorno VICTOR.
PRINCIP. e CONOB.
A me fcrilfe il P. de Vitry della Compagnia di Gesti , rac-
coglitore ài un infigne Mufeo in Roma , di poffedere una Mo-
neta di rame indorata, ch'egli incautamente avea pagata co-
me d'oro. Ivi era il diritto fimile al precedente colle lettere
SICONOLFVS; e nel rovefcio la Croce con S. L e VICTOR
PRINCIP. CONO. Egli è Siconolfo primo Principe di Saler-
no, fra cui e Radelchifo Principe di Benevento nell'Anno 840.
fi acce fé lun^a ouerra.
L'Ottava fu pubblicata dal Blanc. Ivi è la Croce colle lettere
HLVDOVICVS IMPR. c\oh Lodovico IL Augujìo , che circal'An-
no 871. dimorava in Benevento. Nel rovefcio fi legge BENE-
VENTVM . Di qui può apparire , non effere mancati ad Ari-
gifo, allora Principe di Benevento , giudi motivi di muovere
Tomo L Sss una
<^o6 Dissertazione
Lilia [edizione centra del medefinio Augufto, e di cacciarlo da
Benevento , giacché egli facea cotanto il Padrone di quella
Citta e Principato, che ne pareva efclufo effo Arigifo . Ne è
teftimonio quefto fteffo Denaro. Tralafcio l'altre iniolenze ufa-
te da i Franzefi a' Beneventani.
La Nona nel Mufeo Chiappini di Piacenza appartiene a G/-
folfo Prìncipe di Salerno, Vi II vede l'effigie fua colle lettere
GISVLF. PRIN. SAL. Nel rovefcio la facciata d'una Citta in
Collina colle lettere CIVITAS SAL. Non so, fé fia da rife-
rire al Primo o al Secondo Giiolfo,
I Principi di Napoli .
La fplendidifTima Citta di Napoli, tanto commendabile per
la fua antichità, ampiezza, e vaghezza, ora Capo d'un Regno
nobilifTimo, al cui Dominio non poterono mai giugnere le for-
ze e i tentativi de i Re Longobardi , e de i Duchi di Beneven-
to, fin da gli antichi Secoli gode il pregio della Zecca ; e pe-
rò truovanli Denari battuti ne' vecchi Secoli dai Duchi di quel-
la Citta , appellati anche Magijìri Milimm ^ de' quali s'è par-
lato nella Diflertazione V. Alcuni di effi li debbo alla diligen-
za di D. Ignazio Maria Como Patrizio Napoletano , mio An-
golare Amico .
La Prima Moneta è incerto in qual tempo folTe battuta .
Comparifce ivi 1' effigie di San Gennaro Martire , e celebre
Protettore di Napoli , colle lettere SCS. lAN. Nel rovefcio
la Croce con S. T. cioè Salutis Trophaum . Di quella Moneta
hanno fatta menzione molti Scrittori Napoletani.
La Seconda né pur fi sa a qual tempo fia da riferire . Vi fi
mira l'effigie del fuddetto Santo colle lettere SCIA. Nel ro-
vefcio è la Croce con Neapoli: fcritto con lettere Greche.
La Terza efibifce l'Immagine di elfo Santo , dal cui collo
pende la Stola . Nel petto ha SIS , forfè fignificanti SanShs
lanuariiis. Nel contorno in lettere Greche corfive fi legge ^o-
fto, lanuarìus . Perchè abbiano i Napoletani conferito il titolo
di Apojìolo a quel Santo Vefcovo e Martire, lafcerò che ce l'in-
fegnino effi . Nel rovefcio l'Ifcrizione è Greca con caratteri
corfivi e rozzi 5 che denotano la liberazione dall' incendio del
Vefuvio . Ha tutta la ciera di non effere fattura di molta an-
tichità .
La
V E N T E S I M A S E T T I ìM A . 507
La Quarta ha l'effigie del Santo fimile alla precedente, e
nel contorno SANCTVS lANVARIVS. Nel rovefcio fi leg-
ge con lettere Greche Neopolitan in vece di Neopolìton , cioè
de' Napoletani.
La Quinta fa vedere la fteHa effigie, e di qua edilaSCS.
lANV. Il rovefcio ha la Figura d'uomo, che tiene colla fi-
niftra un globo, fopra cui è la Croce. Nel contorno ila fcrit-
to SERGI V D VX. Cinque furono ì Sergii Duchi di Napoli.
Credono alcuni, che quefto Denaro appartenga a Sergio Padre
di Santo Atanafio Velcovo di Napoli ; ma Monfignor Niccolò
Carminio Falcone Arcivelcovo di Santa Severina nella Vita di
San Gennaro fu di parere , che riguardaffe Sergio IH. il quale
fi procacciò da i Greci Augufti il titolo ò.ì Protojebajìo,
La Sella nel Muieo Chiappini è fimile alla precedente , fé
nonché Sergio Duca tien colla delira una Croce.
La Settima ha f effigie del Santo Martire colle lettere SCS.
lAN. Mirafi nel rovelcio quella di un Vefcovo coU'Iicrizione
ATHA EPS. cioè Atnnafto Vefccvo^ cioè il Giovane , Velco-
vo infieme e Duca di Napoli , famofo per li fuoi vizj nell'
Anno 880.
L' Ottava preiTo il P. Domenico Putignani Gefuita è poco
diverfa dalla precedente.
Queste fole poche Monete antiche di Napoli ho io potuto
raccogliere . Facile farà a i Letterati di quella infigne Metro-
poli di accrefcerne il Catalogo . Altre ancora fi troveranno
battute da gli antichi Pr/;7c/p/ di Salerno q di Capoa^ e da' Du-
chi di Amalfi e di Sorrento . Francclco Pan'a nella Storia di
Amalfi attefta di aver veduto Tareni d'oro de gli Amalfitani,
nel diritto de' quali fi mirava un Lione colle lettere GLOR.IA.
ROMANORVM , e nel rovelcio un Rinocerote con QVIES
REIPVBLICAE . Ma qu'i legno alcuno non v'ha , che tal
Moneta appartenga ad Amalfi. Aggiugne ancora d'aver vedu-
to altra Moneta colle lettere MANSÒ DVX ETPATRICIVS.
Quefli fu Duca di Amci:fi nell'Anno Sp2,
Normanni Principi e Re di Sicilia e di Napoli .
Nel Doaiinio dell 1 Puglia, Calabria, e Sicilia fuccederono
poi nel Secolo XI. i Njnnanni , gente , che con maravigliofì
avvenimenti di valore ed indultria toUe a' Greci, e a varj al-
Sss 2 tri
5c8 Dissertazione
tri Principi Criftiani le Contrade , oggidì appellate Regno di
Napoli, e a' Saraceni il Regno di Sicilia. Celare Antonio Ver-
gara raccolfe e flampò molte loro Monete . Profitterò io della
fua fatica colla giunta d'altre da lui non oflervate.
La Prima molto rozza ci fa vedere un Principe a cavallo ,
tenente falla fpalla un' alia , da cui pende la Bandiera , colle
lettere ROGERIVS COMES. Sta nei rovefcio ilaimai^ine del-
la Beata Vergine fedente in una cattedra, e tenente nelle brac-
cia il Signor noiìro ; e nel contorno MAIRA MATER i3ML
cioè Domifii .
La Seconda confervata in Piacenza nel Mufeo del P. Gene-
rale Chiappini, ha il medefimo Principe a cavallo, e le lette-
re ROGER! COM. Nell'altra facciata è la Vergine col divi-
no Infante Si rozzamente formata, che nulla più . Vi fi legge
iV[ARL'\ MATER D.
La Terza è poco diverfa dalla Prima . Chi abbia battuto
quelle tre grolTolane Monete, cioè fé Rugieri I. Fratello del Va-
lorofo Roberto Guifcardo Duca , dappoiché nel 1071. fi fu im-
padronito di Palermo ; o fé il di lui Figlio Rugieri IL il quale
per molti anni usò il titolo di Conte ^ prima di aflumere il tito-
lo di Re dì Sicilia e Puglia nel 1 1 30. Le feguenti Monete fem»
brano djlegnare due diverfi Principi.
La Quarta e la Quinta moflrano una Croce gemmata colle
lettere ROGE COME. NelF altra facciata v'ha un JL. da cui
forfè è indicata Trinacria^ cioè la forma della Sicilia . Verifi-
milmente quelle appartengono a Rugieri IL fucceduto al Pa-
dre nel Dominio di quell'liola.
La Sefta fu battuta da elfo Rugieri , da che fu divenuto Re,
Ivi fi legge ROGERIVS REX. Nel rovefcio l' Ifcrizione
Arabica è Malech Sarir , cioè Regis thronus , o perchè quel-
la Lingua dopo tanti Anni di Dominio de i Saraceni divenne
ufuale in Sicilia; o perchè Rugieri s'impadronì di Tripoli neli*
Affrica »
La Settima ha ROGEPvIVS DVX, e nel rovefcio l'Imma-
gine della Madre di Dio colle lettere S. M. cioè Sa?i&a Maria,
Crede il Vergara ipettanre coral Moneta al medefimo Ragie-
ri IL che depoito il titolo di Conte ^ prefe quello di Duca. A
me fembra più probabile , che appartenga a Rugieri Duca di
Puglia e Calabria ^ Figlio di Roberto Guifcardo, che nell'An-
no mi. diede fine al fuo vivere >
';.jSl3^'^ Al-
Ventesimasettima. 50p
Altre Monete furono battute da tÌ^o Re Rugieri . Falcone
Beneventano all' i^nno 1 140. cos'i fcrive di lui : Edixlt^ up ne-
7no in tota ejus Regno vìvemium Komefi7ìas accìpìat , mei in mer-
catibus diflrihuat . Et mortali confilio accepto Moiietam fuam in-
troduciti imam 'vero , cui Ducatum 7iomm impofuit ^ oSlo Rorncjì-
nas valentem , qu(£ magts magtsque cerea quam argeìitea probaba-
tur. Induxit etiam tres Follnres appretiatos^ de quibus horribiltbus
Moneti s tot US Italicus Populas ( cioè di Puglia e Calabria ) pau-
pertati & mifericc pofitus eft & opprejfus,
Guglielmo I. Guplielmo IL e Tancredi ,
o , ^ . . . .
Regi di Sicilia.
La Prima colle lettere corrofe fa folamente vedere REX W.
cioè Rex Willelmus . L'altra facciata ha l'Immagine di due
Sante Donne , forfè della Madre del Signore vifitanre Elifa-
betta .
La Seconda nel mezzo tiene W. cioè Willelmus . Seguitano
due lettere credute dal Vergara P. V. o pure P. R. A me paio-
no RX. cioèR^x. All'intorno DVCAT APVL PRINCIPA-
TVS CA. cioè C^^w^. Nel roveicio altro non s'è confervato
che APVLIE. H....
La Terza ha la Croce colle lettere Greche IC XC NIKA5
cioè Jefus Chrijìus 'vicit . Nel contorno vi fon lettere. Arabi-
che , forle indicanti il nome del Re , ma fmarrite . Anche
il rovefcio ha 1' Ifcrizione Arabica , ma con lettere che cor-
rofe non fi poffono leggere . Non fi sa , a quale de i due Re
Guglielmi appartengano quelle Monete , cioè fé al Primo ,
che neh' Anno 1 1 54. iuccedette a Rugieri fuo Padre nel Re-
gno , o al Secondo, che nel 1166. fuccedette a. Guglielmo L
fuo Genitore.
La Qjiarta pare che fìa da riferire a Guglielmo IL perchè
ivi fi legge W. REX. IL Tuttavia da me piùtofto vien creduta
fpettante al Primo, perchè fra i Re di Sicilia Secondo. Nel ro-
velcio companicono tre Torri colie lettere SA, dalle quali il
Vergara foipettò dileguato il nome di Santo Andronico . Io le
credo indicanti Salerno,
La Quinta fa vedere un Albero da me tenuto per Palma «
Le due lettere W. R. indicano Willelmus Rex. L' Ifcrizione del
rovefcio, e la Latina nel contorno lono perite.
La
5IO Dissertazione
La Seda ha nel mezzo ia Croce, e intorno W» DEI GRA
REX. L'altra facciata rapprefenta una Rocca quadrata, cioè
la Citta di Gaeta, leggendofi ivi CIVITAS CAIETA.
La Settima tiene nel mezzo una Croce gioiellata colle let-
tere TANCRE, cioè Tancredi^ eletto Re di Sicilia nel ii8p.
nel rovefcio è un T. con Corona di fopra , cioè il nome del
medefimo, e nel contorno REX SICILIE.
L' Ottava nel mezzo ha TACD. REX SICIL. Nel contor-
no DEXTERA DOM/wi EXALTAVIT ME . V'è nel rove-
fcio un'Iicrizione Arabica.
La Nona ha folamente nel diritto TANCREDVS REX
SICIL. e nel roveicio delle lettere Arabiche.
Arrigo V. fra gli Augufti , Federigo If. Impera-
dore, Corrado Re de' Romani ^ e Manfredi
Regi di Sicilia .
Nel L'Anno iip3. e 11P4. Arrigo VI. fra i Re di Germa-
nia , e V. fra gì' Imperadori , barbaricamente s' infignorì dei
Regni di Sicilia, e di Napoli , facendo valere i diritti di Co-
flanza fua Moglie . Però a lui appartiene la prima Moneta .
Nel diritto com.parifce la Croce con E. INPERATOR , cioè
Enricus, Nel rovefcio un'Aquila colle lettere C IMPERATRIX,
cioè Conflantìa .
Il loro Figlio Federigo IL fanciullo fuccedette in que' Re-
gni nel f ipp. e coniegu'i pofcia la Dignità Imperiale. A lui,
e a Coftanza fua Madre appartiene la Seconda. L'una facciata
ha la Croce, e CONSTANCIA R. cìoh Regina, L'altra un*
Aquila e FREDERICVS. R.
La Terza , battuta dopo la morte della Madre , moftra la
Croce circondata dalle lettere F. DEI. G. REX. SICIL. Nel
rovefcio fi mira, fé crediamo al Vergara, un manipola di fpi-
che 5 o pure un fiore , con DVCAT. APV. PR. CAE. cioè
Duca f US Apulia , Prìnclpatus Capu^ . Fu battuta prima deli'
Anno 1220.
La Qiiarta, battuta dopo l'Anno 1223. in cui affunfe il tito-
lo di Re di Gerufalemme , ha nel mezzo FR. cioè Fredericus ,
e nel contorno ROM. IMPERATOR . Nel roveicio la Croce ,
e lESA ET SICIE. R. cioè Hierufalem & Stctlia Rex .
La
V E N T E S I M A S E T T I M A J 5!^
LaQLiinta ha il bullo di effo Federigo, e all'intorno F.PvOM.
IPR. SER. AVG. cioè Fredcrìcus Romanorum Imperator femper
Augujìus, Nel rovefcio un'Aquila, e R. lERSL. ET SICIL.
che non han biibgno di fpiegazione.
La Sefta nel Muleo Chiappini ha il Capo d'efib Augufto col
Diadema, e con FRIDERICVS II. Nell'altra parte la Croce,
e ROM. IMP. AVG. Non efiendo qui menzione diGerufalemme
e Sicilia, forfè fu battuta prima dell'Anno 1223.
La Settima ha la Croce nel mezzo con F I;7jPERATOR ,
nell'altro lato il bado di lui coronato con REX lERL. ET. SIC.
L'Ottava e Nona fi m ili, {quo Augujìales ^ o Agojìart ^ cioè
denari d'oro, formati alla foggia delle antiche Monete Roma-
ne . Pefavano la quarta parte di un' oncia d'oro , cioè eguali
ad una Dobla d'Italia meno 25?. grani, ficcome alcuni fcrivo-
no. Ma Giovanni V^illani , come ricorderò nella feguente Dif-
ferì attribuifce minor pelo ad effi. Vi fi mira l'effigie di Ce-
fare Augufto giovane , portante in capo Corona co i Raggi .
Nella Nona v'ha la medefma effigie, ma col Diadema in ca-
po. Ivi filenge CESAR AVG. IMP. ROM. Nel rovefcio un
Aquila, e FRIDERICVS.
Manco^ di vita nel 1250. Federigo Secondo , ed ebbe per
Succeflbre Corrado fuo Figlio , che nel 1252. divenne Padrone
del Regno di Sicilia e Napoli ; ma da li a due Anni terminò
i fuoi giorni . A lui fi dee riferire la Decima Moneta , nel
di cui mezzo comparifce COR. cioè Conradus^ e nel contor-
no lERVSALEM. Nel rovefcio una Croce, e all'intorno ET
SICIL. REX.
La XI. appartiene al medefimo Corrado . Mirafi nel mezzo
la Croce, eCONRADVS. Il rovefcio ha lER. ET. SICIL. e
nel mezzo REX.
Terminato che ebbe i fuoi giorni Corrado, tuttoché vivef-
le il giovinetto Corrado fuo legittimo Figlio, Manfredi baftar-
do di Federigo II. finta la di lui morte, nell'Anno 1255. fi fe-
ce coronare Re dell'una e dell' altra Sicilia. A lui appartiene
la Moneta xii. Nel diritto fi legge MAYNTR REX . Una
Croce è nel rovefcio colle lettere SICIL.
Al medefimo fi crede fpettante la xiii. in cui efifle l'effi-
gie di un Principe, e nel rovefcio due fole lettere, cioèR.M.
le quali fi coniettura che dicano Rex Ma7ifredus *
Car-
512 Dissertazione
Carlo I. Conte di Provenza , e Re di Sicilia .
Abbattuto ed uccifo Manfredi , pervenne il Regno di Si-
cilia e Napoli a Carlo J. Conte di Pro'uen'za , e Fratello di San
Lodovico Re di Francia nel 1266. Nell'Anno precedente era
egli (lato creato anche Senatore di Roma . La Prima e Secon-
da delle fue '^Monete fanno vedere la figura d' una Donna or-
nata di Corona, che ^itàQ lopra cufcini, o fedia, fé pur non fi.
voleffe , fopra due Lioni col globo nella deflra, e ramo di ulivo
nella finiftra . Carlo Molinet pensò, che quella fo (Te l'Immagi-
ne del medefimo Re Cario. Io per me la ftimo l'effigie di Ro-
ma, ancorché paiano ripugnanti a tale opinione alcuni Denari
de i Re Carlo II. e Roberto fuffeguenti. Il leggerfi ivi ROMA
CAP. MVNDI porge troppo vigore al mio fentimento , e/Ten-
do ornato elfo Re Carlo della Dignità Senatoria di Roma , ed
avendo noi trovato di fopra lo fìefTo motto nelle Monete del
Senato e Popolo Romano . Nel rovefcio v' ha la figura di un
Lione con fopra uno Scudo portante il Gilio , Arme della Real
Cafa di Francia . Sopra il Gilio v'ha un raflello , che oggidì
fi ufa da i non legittimi Figli di Francia nella lor Arme , ed
allora dovea ufarfi per diftinguere i Cadetti dalla Primogenita
Linea Reale. Nel contorno KAROLVS S. P.Q.R. Furono bat-
tute quefte due Monete nel 1255. cioè prima che Carlo affu-
melfe il titolo di Re.
Nella Terza fi vede la flelTa figura di Donna colle lettere
KAROLVS. REX SENATOR VRBIS. Nel rovefcio ROMA
CAPVD MVNDI S.P.Q:R.
La Qiiarta e la Qiiinta fon poco diverfe dalla precedente .
Nella Q_uarta fotto il Lione fi vede un F. Furono tali Monete
battute prima dell'Anno 1278. in cui Niccolò III. Papa tolfe al
Re Carlo la Dignità Senatoria -
La Seda, battuta dopo quell'Anno, ha nel mezzo i Gigli
con KAROL. DEI GRATIA . Nell'altra parte la Croce, e
lERVSAL. ET SICILIE REX.
La Settima ha KAR DEI GRACIA; e nel rovefcio REX
SICILIE colla Croce nel mezzo .
L'Ottava porta quefle lettere KA DEI GRA REX SICIE.
Neil' altra facciata DVCAT APVL. PRIN. CA. cioè Duca-
pus j^ùulìa Pr'tncipntus Capua»
La
VentesimasettimaT 513
La Nona ha nel mezzo K. e nel contorno AROLV. DEI
GRACI. nel rovefcio REX SIGILI.
La Decima ha i Gigli nel mezzo, e intorno KAROL. DEI
GRA. nel rovefcio REX. SICILIE.
La XI. è poco diverta dalla precedente.
La XII. nel MufeoBertacchini di Modena ha lo Scudo co' Gigli,
e la Croce, Arme del Regno di Gerufalemme. All'intorno KA-
ROL. lERL. ETSICIL. REX. Nel rovefcio l'Annunciazione
della Vergine, e nel contorno AVE GRA PLENA DNS TE-
CVM. llVergara attribuifce a Carlo I. quella Moneta; dubi-
to io, che s'abbia da riferire al Secondo , nelle cui Monete fi
truova la Vergine Annunziata . Non so , fé dal Primo , o dal
Secondo fia difcefo il coilume tuttavia mantenuto nel Regno di
Napoli di chiamar Carlini fomiglianti Denari . In una Bolla
di Benedetto XII. del 1342. fi legge : Una Uncta ^uri ad pondus
Kegni 'valet ultra Ducatos quatuor de Carlenis . E in una Ifcri-
zione Napoletana del 1370. A quo recepit Sanala Rejìifuta Ca-
rolenos ducetìtos o6luagi?na quatuor,
Carlo li. Re di Puglia , o fia di Napoli .
Passato che fu all'altra vita nel 1285. il Re Carlo I. a
lui luccedette nel Regno di Puglia , o fia di Napoli Carlo IL
luo Figlio , allora prigione in Ifpagna, che poi fu coronato in
Roma nel 128^. da Papa Martino IV.
La Prima Moneta a lui Ipettante è fimile nel diritto alle
prime di fuo Padre. Cioè ci fa vedere una Donna fedente con un
Globo in mano. Nel contorno ha CAP^OL. SED. cìohSecwadus^
DEI GRA lERL ET SICIL REX . Nel rovefcio la Croce
Gigliata, come nelle Monete Franzefi di que' tempi, e il motto
HONOR REGIS IVDICIVM DILIGIT. Indovinar nonso,
perchè Carlo IL il quale non fu mai Senatore di Roma , niet-
teffe qui una tal Figura, rapprefentante Roma a mio credere, e
non già io (lefìb Carlo IL come fu di avvifo il Vergara . Somi-
gliante Moneta fu ritrovata in Benevento dal P. Domenico Viva
della Compagnia di Gesù nell'Anno i(5p8. Ma quivi non eleg-
geva il SED. cioè Secundus ; e però a Carlo I. la medefima
apparteneva.
La Seconda ha uno Scudo , dove comparifce l'Arme del
Regno di Gerufalemme, e la Regale di Francia , coll'Ifcrizione
Tomo L Ttt KA-
5T4 Dissertazione
KAROL. SED. lEPX. ET SICIL. REX. Nel rovefcio 1' An-
nunziazione della Vergine colle lettere AVE GRACIA PLENA
DNS TECVM . Una fingolar divozione profclsò quello Princi-
pe alla Vergine Annunziata, e fotto il di lui nome fece fabbri-
care in Napoli una nuova Cattedrale.
La Terza ha il bufto d'eflb Re colle parole KAROL. SED.
REX. Nel rovefcio la Croce , e lERL. ET SICIL.
La Qj-iarta è fimile alla precedente, ma più picciola.
La Qj-iinta ha l'effigie d'elfo Re col manto , in cui tre Gi-
gli colla traverfa di fopra, e colle lettere K.S. cioè CarolusSe-
cundtis lER. SICIL. REX. Il rovefcio ha la Croce, e COME
( cioè Comes ) PROVINCIE .
Roberto j e Giovanna I. Regi di Puglia.
NELL'Anno 130^. Roberto fuccedette a Carlo IL fuo Padre.
La Prima, e Terza delle fue Monete hanno la Donna fedente
in una Sedia, o iopra due Lioni, da noi veduta nelle preceden-
ti, e da me creduta Roma . V ha quefta Ifcrizione : ROBERT.
DEL GR. lERL. ET SICIL. R. Nel rovefcio HONOR
REGIS Scc. Non fu Roberto Senatore di Roma , e pure fi
fervi di quella Figura.
La Seconda è fimile alla precedente nel diritto , diverfa nel
rovefcio , perchè ha COMES. PROVINCIE ET FORCAL-
QERII .
La Qiiarta appartiene a Giovanna I. Nipote di Roberto de-
funto nel 1343. Ivi fi mira una Corona Regale, fotto cui tre
Gigli col Raftello. Alf intorno lOHAN. FÌIER. ET SICIL.
REG. Il rovefcio ha la Croce, infegna del Regno di Gerufa-
lemme, e i Gigli col Raftello, e le lettere COMITSA PVICE.
E FORCAL. cioè Comitijfa Provìncia; & Forcalquerìi ,
La Quinta moftra la medefima Corona fenza Gigli, ed AVE
MARIA GRACIA. PL. Nel rovefcio la Croce Gigliata , ed
AVE M.
La Sefta è attribuita dal Vergara a Giovanna I. Io la rife-
rifco alla Seconda . Vi fi vede un' Aquila con IVHANNA
REGINA. Nel rovefcio l'effigie di un Romano Pontefice, e
S. PETRVS PP. cioè Papa, Vedi le Monete di Giovanna IL
La Settima ci fa vedere la Corona, e le lettere lOVA. D. G.
SCI-
I
V £ N T E S I M A S E T T I !vl A . 315
SCICIL. fottintendi Regina . La Croce co i Gigli è nei rove-
fcio, eCOMISA PRO
L'Ottava ha nel diritto quattro lettere , cioè G. V. A. R,
che lafcio interpretare ad altri . Nel contorno IVHANNA
REGINA. Nell'altra facciata l'effigie d'un Pontefice Romano
colle lettere S. LEO PAPA . Il Vergara la riferifce a Giovan-
na I. Forfè appartiene alla Seconda.
La Nona ha l'effigie d'una Regina coronata, e IVH. RE-
GINA. Vtrdefi nel rovefcio la Croce, e lER. SICIL. Secondo il
Vergara è di Giovanna J. A me lembra più tofto della Seconda.
Carlo III. Lodovico d' Angiò , e Ladislao
Regi di Napoli .
Carlo III. Nipote del Duca diDurazzo, fopranoniinato ^^Z-
laPace^ eflendofi impadronito del Regno di Napoli neli38i.
levò nel Tegnente di vita la Regma Giovanna L A lui appar-
tiene la Prima Moneta , conlervata nel Mufeo Bertacchini di
Modena. Ivi nel diritto quelle Sigle S. T. P. E. Le (pieghi chi
vuole. Nel contorno REX KROLVS. T. cioè Tenius , Nel
rovelcio l'Immagine di un Papa colle lettere S. PETRVS P.
Nella Seconda fi vede la Croce Gerofolomitana , e tre Gi-
gli . Nel rovelcio un'altra Croce. E perchè ivi comparifcono
quattro Faicie, inlegna del Regno d'Ungheria , appartiene tal
Denaro a Lodovico Re d Ungheria preteniore del Regno di Na-
poli, o Carlo III. preteniore di quello d'Ungheria.
La Terza è da attribuire a Luigi Come , o fia Duca d'An-
gio.^ il quale adottato dalla Regina Giovanna L nell'Anno 1382.
dichiarato Re di Napoli dall'Antipapa Clemente VII. infelice-
mente mori nel 13574. Nel mezzo fi vede una Corona co i Gi-
gli, e ilRaikllo, chiamato da'Franzcfi L^w^é-/ . Nel contor-
no fi legge LVDOV. HIER. ET SICIL. REX. Mirafi nel
rovefcio l'Arme Regale di Francia coi Raftello , e colla Croce
delReono di Geruialemme; e all'intorno COMES PROVICE.
ET. VOKCkLquerii,
La Qjjarta ha nel mezzo quefle lettere LI.Q.L. nel con-
torno LVDOVICVS REX. Nel rovelcio l'effigie di un Papa
colle lettere S. PETRVS CONFES. cioè Confejfor, Credu io qui
difegnato S.Fier CeleJìinoPapa^ come nella Prima di Cario ìli.
Ttt 2 Appar-
^i6 Dissertazione
Appartiene la Quinta Moneta a XW/j/^<j Re di Napotf , che
da alcuni Winceslao , e da altri Lancisl.ao fi truova nominato ,
Figlio di Carlo IIL che nel i3po. cominciò a fignoreggiare nel
Regno di Napoli . Nel mezzo comparifce AQ^LA, cioè la
Città dell'Aquila, a cui dicono conceduto di poter battere Mo-
neta. Nel contorno fi legge LADISLAVS REX . Nell'altra
parte l'Immagine di un Romano Pontefice colle lettere S. PE-
TRVS PP. CÒNFES. creduto San Pietro Apofiolo dal Vergara,
da me San Pier Cele/tino.
La Sefta ha quattro Sigle S. M.P.E. all'intorno LADIS-
LAVS R. E^ fimile al precedente il rovefcio.
Nella Settima comparifcono le quattro lettere da noi vedute
nell'Ottavo Denaro di Giovanna I. cioè GVAR. e all' intorno
LADISLAVS R. Nel rovefcio l'Immagine d'un Pontefice Ro-
33iano coU'Ifcrizione S. LEO PP. c'ioh Papa,
L'Ottava ha le Arme di Francia, e del Regno di Gerufalem-
me , e le quattro Fafcie cioè l'infegna del Regno d'Ungheria,
pretefo da efib Re Ladislao, Nel contorno LADISLAVS REX
ET DV. Nel rovefcio due Chiavi colle lettere SANCTVS PE-
TRVS. Forfè battuta in Roma, dove Ladislao fece da Padrone ,
Giovanna II. e Renato d'Angiò Regi di Napoli .
Nel L'Anno 1414. fuccedette Giovanna IL nel Regno di
Napoli a Ladislao fuo Fratello . La Prima Moneta a lei Ipet-
tante ha nel mezzo un' Aquila colf ale aperte , e all' intorno
REGINA lOVA . Nel rovefcio l'effigie d'un Pontefice Ro-
mano, e S.PETRVS PAPA.
La Seconda nel MufeoBertacchini ha la medefima Aquila, e
REGINA IVI-IANNA. Il rovefcio è fimile al precedente.
La Terza ha quattro Sigle , cioè AQ_LA. denotanti la Ci'tth
dell'Aquila, e alì'mtornolV^HANNA REGINA. Nel rovefcio
l'immagine di un Romano Pontefice, e S.PETRVS PP. .
La Quarta appartiene a Renato Duca d'Angiò, che nel 143^.
fu proclamato in Napoli Re . Nella prima Moneta comparifce
la Donna coronata, ledente iopra la fedia, e fopra i Lioni, con
lo Scettro e Globo, di cui s'è più volte parlato di fopra . In un
lato fi vede una picciola Aquila . Nel contorno RENATVS
DEI GRE IRVLE SIC R. Nel rovefcio la Croce , e il motto
HONOR REGIS IVDICIV, DILIGIT,
La
Ventesimasettima. 517
La Q.ninta ha nel mezzo una Corona , e le lettere R. lER.
ET SICIL. REX. Il rovefcio ha la Croce co'GigU ns^U an-
goli, e COMES PVINCIE. ""
La Sefta ci fa vedere un'Aquila con Corona di fopra, e nel
contorno REX. RENATVS . Nel rovefcio l'Immagine di un
Papa fedente coli' Ifcrizione S. PETRVS E. cioè Eremita : il
che conferma quanto ho detto difopra, che in quefte Mone-
te fi parla di San Pier Celejì'mo.
La Settima ha un'Aquila, e RENATVS. REX. DEI. G.
Nel rovelcio l'effigie d'un Pontefice, e S. PETRVS PP.
L'Ottava (blamente è diverfa dalla precedente per la picciolezza.
La Nona ha uno Scudo coll'Arme di Francia, Gerufalemme,
e Lorena . L' Ifcrizione rapportata dal Vergara e quefla RE-
NATVS D. G. REX. SIC lER. ARLIOTI D. Strana pa-
rola Arlìotì D. Per me credo, che ivi fi legga AC LOTH. D.
cioè Lotharìns^ice Dux . Nel rovefcio un braccio armato, e le
parole EECIT POTENCIAM IN BRACHIO SVO.
-Alfonfo ]. d'Aragona, e Ferdinando I.
Regi di Napoli .
NELL'Anno 1442. s'impadronì di Napoli, e di tutto il Re-
gno ^//o;/yc> /. infigne Re d'Aragona e Sicilia, e ne fu fpoglia-
to dalla morte nel 1458. La Prima Moneta appartenente alai
moftra il bufto di un Re coronato con ALFONSVS. DEL
GRACIA. REX. Il rovefcio ha delle Fafcie pendenti , infc-
gna d'Aragona; le orizzontali, infegna d'Ungheria; i Gigli
e la Croce, infegna di Francia e Gerufalemme . Nel contorno
CICILIE. CITRA ET VLTRA.
Sa Seconda ha le fuddette Arme o Infegne, ed ALFONSVS
( o pure ALHONSVS ) D. G. R. ARAG. S. C. V. H. cioè Dei
gratta Kex j^ragonum ^ Sicilia Cifra Ultra y Hierujaletn ^ o Hti.'i-
garice. Ovvero in vece di H. fi dee leggere F. cioè Citra Ultra
Farum. Nei rovefcio la Donna coronata coi Globo e Scettro,
e l'ifcrizione: DNS M. ALFO. AIVT. E. D. I. M. cioè Do-
minus mihi Alfonfo adjutor. Ego defpiciam i}iimicos meos.
La Terza è poco diverla dalla precedente. Chiaramente vi (1
legge l'ifcrizione da me recata difopra ALFONSVS 8cc. laddove
il Vergara leggeva D. G. R. AR. S. E. VN. Nel rovefcio è aggiun-
to un S. alla Figura di Donna, quafi denotante la Sicilia,
Nella
5i8 Dissertazione
Nella QLiarta è la ftefTa Ifcrizione .
La Quinta 'di forma picciola ha il bufto del Re colle let-
tere ALFONSVS D. G. Nel roveicio fon le Armi Regali eoa
R.AR. S.C.V.F.
La Sella rapprefenta l'effigie del Re , e nel contorno AL*
FONSVS REX ARAGONVM . Nel rovefcio fi mira la Vit-
toria tirata da correnti Cavalli , e il contorno ha VICTOR
SICILIE PRECI, cioè Vincitore del Regno di Napoli per le
preghiere della Sicilia.
La Settima appartiene z Ferdwancio^ oFer?7a?ido I. che neh'
Anno 1458. luccedette al Padre nel Regno di Napoli . Nella
prima Moneta fi vede l'Immagine di eflb Re coronato con una
picciola Aquila, e il motto CORONATVS QA {doh ^ìa)
LEGITIME CERTA VI . Nei roveicio è la Croce , e FER-
DINAND VS D. G. R. SICIE. lER. V. cioè UngarU, Denari
tali fi nomavano Coro}inti.
L' Ottava fa vedere le fopra riferite Arme od Infegne , e
FERDINANDVS D.G. R.SI.I.V. Nel rovefcio è la Donna
coronata col Globo e Scettro , e il motto DNS. M. AIVT.
ET EGO D. I. M.
La Nona è fimile alla Settima nel diritto . Vi fi legge chia-
ramente R. SIC. lER. VNG. Nel roveicio fi vede l'effigie del
Re fedente, a cui un Cardinale impone la Corona, e un Ve-
fcovo tiene il Libro Rituale. V'ha il motto CORONATVS. &c.
La Decima moiìra reffic;ie di elfo Re con FERRANDVS
D. G. R. SICILIE. lE. Nel roveicio è f Immagine di San
Michele fotto i cui piedi ila il Drago . Il motto è IVSTA
TVENDA.
L'Undecima ha le Infegne di Aragona, Sicilia, Gerufalem-
me, ed Ungheria, e FERDINANDVS D.G.R.S.I.V. Nel
rovefcio fi vede l'effigie del Re coronato con un M. e nel
contorno RECORDaTVS MISERICORDIE SVE.
La XII. fa vedere il Re coronato con FERRANDVS REX.
Nel roveicio fi mira un Cavallo che marcia fenza briglia, Ar-
me di Napoli . V ha ancora un' Aquila picciola , e nel fon-
do un T. con Rote di qua e diiìi. Nel contorno fi legge EQVI-
TAS REGNI,
La XHI. e le tre fep^uenti dogo diverfe mofirano l'effigie di
elfo Re, e FERRANDVS /o pure FERDINANDVS REX.
Nel roveicio fi vede un Cavallo , e un L. ovvero A. o pu-
re
Ventesimasettima; 5Tp
re BR. Qiiefti Denari di rame tuttavia in ulb fon chiamati
Cavalli .
La XVII. ha la Figura della Donna fedente col Globo e Scet-
tro , eFERDINANDVS D.G. Nel rovefcio la Croce, e SI-
CILIE lEUVS. VN.
La xviii. è fimile alla Settima, ma di minor mole.
La XIX. ha l'effigie del Re con FERDINANDVS. D. G.
REX; e nel rovelcio la Vittoria tirata da Cavalli, e nel con-
torno SICILIE VICTOR.
La XX. del Mufeo Chiappini fu battuta dagli Aquilani, allor-
ché nel 148^. ribellati al Re Ferdinando fi diedero a Papa
Innocenzo VIII. Quivi fi mirano le Chiavi colla Tiara Ponti-
fizia, e all'intorno INNOCENTI VS PP.VIII. Nel rovefcio
un'Aquila, e nel contorno AQ^VILANA LIBERTAS.
La XXI. fu battuta da Niccolò Conte dì Cnmpohaffo , che con
altri Magnati nel 1455?. ribellato a Ferdinando , feguitò Gio-
vanni d'Angiò figlio di Renato. Nel diritto fi mirano i cep-
j)i, che (i veggono nelle Monete di San Lodovico Re di Fran-
cia , colle lettere NICOLA COM^^ . Nel rovefcio una Cro-
ce , e CAMPIBASSI .
Alfonfo IL Re di Napoli .
Nell' Anno 1494. fini i fuoi giorni Ferdinando I. a cui fuc-
cedette Alfonfo 11, fuo Figlio , che abbattuto da Carlo VIIL
Re di Francia , nel feguente Anno terminò il fuo vivere. La
prima Moneta appartenente a lui ha San Michele, che feriffe
il Drago colle lettere ALFONSVS D. G. SIC. lE. V. Nel ro-
vefcio è l'effigie fedente d'elfo Re, a cui im Cardinale mette
la Corona in capo. L'Ifcrizione è quella : CORONA VIT E
VNXIT ME MANVS T.D. cioè TunDom'ine.
La Seconda ha l'Arme di Aragona e di Napoli con ALFON-
SVS IL D. G. R. S. cioè Dei gratin Res SicHìde , Nel rovefcio
fi mira Donna fedente con Scettro nell' una mano , e Croce
nell'altra colle feguenti parole: SVB DEXTERA TVA SALVS
M. D. cioè Mea^ Deus,
La Terza ha nel mezzo un Ermellino ; dal di fopra pende
una fafcia , in cui è fcritto DECORVM . Intorno v'ha AL-
FONSVS IL D. G. R. SICIL. lER. V. Nel rovefcio fi mira
un
520 Dissertazione
un Altare, fopra cui arde fiamma colle parole IN DEXTE-
RA TVA SALVS MEA.
Ferdinando II. e Carlo Vili. Regi di Napoli .
Figlio di Alfonfo II. fu Ferdhiando IL che nel 14P5. ricu-
però il Regno . La fua prima Moneta è firn ile alla prece-
dente , fé non che ha quefta Ifcrizione : FERRANDVS II.
D. G. R. SIC.
La Seconda ha le infegne d'Aragona e di Napoli colle pa-
role: FERDINANDVS IL D.G.R.SL Nel rovefcio l'Ermel-
lino, o Donnola con fovrapofto un'E. e la parolaDECORVM;
e nel contorno OMNIA SERENA. Infondo LIGI.
La Terza è quafi la ftefla che la precedente.
La Quarta appartiene a C^rlo Vili. Re d't Frana a ^ che nel
14P4. s'impadronì del Regno di Napoli. Fu battuta nell'Aqui-
la , Citta delle prime ad entrare nel fuo partito , e fi fece
confermare da Ini il privilegio della Zecca . Vi fi mira in uno
Scudo l'Arme Regale de' Gigli , e lopra d'effi la Corona, col-
le parole CHARLES e un K. al rovefcio, e ROl. D. FRE.
Nel rovefcio è un'Aquila, infegna di quella Citta, e nel con-
torno CITE DE LEIGLE, cioè Città dell' Aquila.
LaQiiinta, parimente battuta dagli Aquilani, ha il fuddet-
to Scudo, e CAROLVS REX FRA. Nel rovefcio la Croce,
una picciola Aquila, e le lettere AQVILANA CIVITAS.
La Selta ha il medefimo Scudo , e KROLVS D. ;s. G.
REX FRA. Il rovefcio fimile al precedente.
La Settima comparifce co' Gigli , e colle lettere KROLVS D.G.
R.FR.SI. Nel rovefcio la Croce, e TEATINA CIVITAS.
L' Ottava prefenta il medcfimo Scudo , e di qua e di Ta
K. L. e K AROLVS D.G. R. FR ANCORV. SIC. lER. Nel rove-
fcio la Croce, eXPS. VINCIT.XPSREGNAT.XPS.IMP^rAT.
La Nona è poco diverfa dalla precedente.
La Decima allo Scudo aggiugne CAROLVS D. G. FRAC-
COR V. IHEM. ET. S. R. Si mira nel rovelcio la Croce di
Gerufalemme colle lettere PER LIGNV S. CRVCIS LIBE-
RET N. D- N. cioè nos Deus rìojìer,
L'Undecima ha tre Gigli colla Corona di fopra, e nel baffo
S.M.P.E. Nel contorno KROLVS. D.G. R.FR.SI. I. Nelro-
vefcio la Croce con quattro Crocette, e XPS VINC. &c.
Fede-
V E N T E S I M A S E T T I M A . 5 21
Federigo II. Re di Napoli .
A Ferdinando II. iuccedette nel i^pó. Federigo II. fLio Zio
paterno. La Prima fra le fue Monete ha il bullo di lui coronato
con un T. nel mezzo , e FEDERICVS DEI GR SIHI. e le
lettere RECEDANT VETERA, indicanti, che dimenticai
torti a lui fatti dal Popolo.
La Seconda ha l'Arme d'Aragona e Sicilia , e FEDERICVS
DEI GRA REX SI.I. V. In una di rame REX SLHIER. Due
Cornucopie nel rovefcio, e VICTORIE FRVCTVS.
La Terza ha un'Aquila, e FRIDERIC. T. D. GRA. REX.
SICIL. E* chiamato T^ri^o in riguardo a Federigo II. Augufto ;
ma egli non fu che Primo fra i Re di Sicilia. Nel rovefcio l'inlegna
degli Aragonefi, e DVC APVL. PRINCIPAT. CAPVE.
La Quarta ha l'effigie del Re coronato, e FEDERICVS D. G.
R.SI. e nel contorno la Croce , e SIT NOMEN DNI BENE-
DI C/f/w .
La Quinta ha la fteffa effigie , e FEDERICVS REX . Nel
rovefcio un Cavallo fenza freno, e il motto EQV^ITAS REGNI.
E ejueflobafti, non paffando Taffunto mio oltra al 1500.
I Do.oi di Venezia .
o
Non lafcia d'eflere antichiffima la Zecca dell'inclita Citta di
Vef7e:?^a^ ancorché non fé nefappia bene l'origine. Andrea Dan-
dolo, il più dotto e antico de gli Storici Veneti , fcriffe che tal
diritto era dato conceduto a Venezia fin da i più antichi tempi ;
perciocché parlando di Rodolfo Re dltalia circa l'Anno ^21. cosi
Ieri ve : Hic Roduljus Reg?7t fui An?jo Quarto , P apice folium te-
7ìens^ immuìiitatesVenetorum in Regno Italico ab ami quis Impera-
toribus & Regibus concejjas^ per Privilegi um renovavif . Et in eo-
dem deci ar avi t , Ducem Venetiaruryì poteftatem h abere fabricandi
Monetam^ quia ei conjìitit^ antiquosDuces hoc continuatis tempori-
bus perfecijf e . Ma Marino Sanuto iuniore, ilSanfovino, ed altri
han preteio, che a Pietro Candiano III. Doge circa l'Anno 5)50.
foflfe conceduta la facoltà di battere Monéta da Berengario II. Re
d'Italia: in fegno diche fotto l'immagine di quel Doge pofe-
ro il leguente Diflico:
Multa Berengarius mi hi Privilegia fecit,
Is quoque Monetam cudere pojfe dedit»
Tomo L Vvv Ma
5Z2 iJ 1 S S E R T A Z I O N E
Ma non può fulliftere si fatta opinione , e dee dirfi , che Be-
rengario II. folamente confermò quel diritto. L'Anonimo Scrit-
tore delle Vite MSte de i Dogi Veneti, che fi confervano nel-
la Biblioteca Eftenfe , e giungono fino a Bartolomeo Gradenigo
eletto nel 133^. cos\ parla di Pietro Candiano Terzo , Doge
circa l'Anno P42. IJìe Dux fuh fil'tus fnpvafcrìpti Petr't Canata-
7i't Diic'ts . Cu/US tempore Berengar'tus Rex , Venetorum antiqua
juva confirmav'tt ^ &' denuo conce jjit Ò'c. & cudendì Monetam
àuri & argenti , ut fui? Imperio Gr<,fCorum habuerant , poteflatem
deàit : parole chiaramente indicanti , che anche prima fotto
i Greci Imperadori ebbero i Dogi di Venezia il Gius delia Zec-
ca. Scrive il fopra lodato Dandolo all'Anno 1031. diOttoOr-
feolo Patriarca : Hic Monetam parvam fub ejus jiomine , ut vi-
dimus^ excudifecit. E all' Anno 1 1^4. di Arrigo Dandolo Do-
ge Icrive : Hic arge^iteam Monetam , vulgariter di6ìam Groilì
Veneziani, 1;^/ Mata pani , cum imagine Jefu Chrijìi in throno
£ib uno Intere , Ò' ab alio cum figura Sancii Marci , & Ducis ,
i?aloris viginti fex Parvulorum ^ primo fieri decrevit , E che la
Moneta Veneziana nel Secolo XI. fofie in corfo per l' Italia ,
lo pruova uno Strumento del 1054. efiliente nell'Archivio de'
Canonici di Modena , dove è fatta menzione Denariorum Ve-
veticorum. Ma ciò che maggiormente accredita la Moneta Ve-
neziana , è un paffo di Raterio Veicovo di Verona , che fiorì
ne' tempi del fuddetto Re Berengario II. perciocché nell' Opu-
fcolo intitolato ^ualitatis conjcBura nomina fex Libras Dena-
riorum Veneticorum : dal che fi può inferire, che non afpettaf-
fero i Dogi Veneti le Grazie d'elfo Berengario per battere De-
nari , cioè per efercitare una prerogativa , di cui folamente
goderono in que' tempi i Duchi di Benevento e Napoli. Poiché
quanto alPorcacchi, il quale nelLib. IV. della Famiglia Mala-
fpina fcrive di aver veduto una Moneta con capo virile, e col-
le lettere ADALBERTVS THVSCIAE MARCHIO , che
fioriva nell'Anno 005. non falleremo credendo, quella effere
una delle favole, che quello Scrittore francamente usò di fpac-
ciare a'tempifuoi. Parimente penfo , che s'inganni, chi vuol
battuti Denari da Bonifacio Marchefe diTofcana, Padre della
Conteffa Matilda . Né pure il Fiorentini giudicò fuffiftente s\
fatta opinione. Anzi v'ha chi crede, che anche allorché figno-
reggiarono in Italia i Re Goti, ufafTero di battere Moneta, ma
di
V E N T E S I xM A S E T 1 I M A . 32 j
di baffo metallo, ricavandolo daCaffiodoro, il quale nel Lib.XiI.
EpilK 24. parlando delle loro Ilble , cosi Icrive : Mo?2efa illic
quodammodo percuthur vìBualis , Ma altro a mio credere fu il
Icntimento di Caffiodoro . Col ino fiorito flile egli loda le Sa-
line Venete : Inde ( cosi egli parla ) vobis fmóìus omnh enafci-
tur^ quando In tpfts & qude non facitìs ^ pojjidetis , Moneta illic
quodammodo percutitur njiHuitUs . Notili quel quodammodo^ cioè
per così dire. Le vollre Salme per voi fono una Zecca , perchè
il Sale ivi formato vi provvede di tutto quanto fi richiede al
vollro vitto . Il Sale vi è in luogo di Moneta . Sommamente
defiderava io di poter rinvenire uno di que' Denari Venefici ,
che abbiam veduto fpefi nel Secolo Decimo , e grandi ricerche
ne feci. A quefta mia voglia infine ioddisfece rEccellentiffimo
Sig. Domenico Palqualigo del quondam Vincenzo Senator Vene-
to, con aver egli trovato tre antichi Denari fimili, che fommi-
niftrarono alni occafione anche d' iikiiìrarli con una erudita
Differtazione Campata . Io ne ho prodotto un iolo . Qliìvì fi
mira la Croce , e nel contorno CHRISTVS IMPERAT . li
rovefcio rapprelenta una figura di Tempio colle lettere VE-
NECI, e un' A. più baffo. Punto non dubito io, che tal Mo-
neta appartenga alia nobililfima Citta di Venezia , grande or-
namento d'Italia, e non già alla picciola di Francia. Equefli
Denari fi doveano battere ivi ne' vecchi Secoli . Già li abbiam
trovati in ufo nel Secolo X. e quefto vien confermato dal Chia-
rilfimo P. Bernardo de Rubeis dell' Ordine de' Predicatori , da
cui furono lette in uno Strumento del Friuli dell' Anno P72.
le feguenti parole : Ep perfolvere exinde debea7it Jingulis annis
per om?2em Mijfam Sanali Martini^ Argenteo^ honos Mediai an ai'
jes Jolum quinque y aut de Venecia Jolum decem , A que' tempi
adunque credo io , che' s'abbia a riferire il Denaro luddetto ,
nel quale non comparendo nome di alcun Imperadore Greco o
Latino, indizio può effe re fin d'allora della Sovranità di quella
infigne Repubblica. Andiamo ora a vedere, quali altre Monete
Venete ho io potuto raccogliere.
La Seconda appartiene ad £?zr/Vo , o C13, Arrigo Dandolo^ Do-
ge di Venezia nel iipi. che lafciò gran memoria delle lue il-
lullri azioni. Siccome accennammo, fu egli il primo a mettere
ne' Denari il ino nome: cola non praticata in addietro. Nei
diritto companlce f Immagine di Cnllo con lettere Greche IC.
Vvv 2 XC.
524- Dissertazione
XC. cioè Jcfus Chrìfius . Nel rovefcio San Marco confegna ai
Doge la bandiera colle lettere H. DANDOLVS, zìohHem'tcus ;
e S. M. VENETI , cioè SanBus Marcus . Veneùa , o Venetia-
rum , o Venet'tcorum . Denari tali furono appellati GroJJi , o
Mat apani .
La Terza preffo il fu Padre Catterino Zeno , Fratello del ri-
nomato Sig. Apodolo , riguarda Pietro Zi ani , eletto Doge nel
1205. Q_uivi fi vede Crirto fedente col Vangelo, e le lettere
IC. XC. Il rovefcio è fimile al precedente, fuorché nelfifcri-
zione, cioè P. ZI ANI, e S. M. VENETI .
La Quarta nel Mufeo Bertacchini, appartiene al fuo Succef-
fore Jacopo Tiepolo ^ eletto nel 122^. E* fimile a' precedenti ,
fé non che ha l'ifcrizione lA. TEVPL. DVX.
La Quinta parimente in Modena preflb il Sign. Domenico
Vandelli, Pubblico Lettore, nonèdiverfa. Ha le lettere R A.
CENO. DVX. cioè Ra_y?ìerius Zeno Dux nel 1252.
La Seda preffo il Sig. Giufeppe Cattaneo in Modena, fimile
all'altre, ha quefte lettere Li^. TEVPL. DVX. cìoh Laure n-
tiusTeupulus Dux^ eletto nel i2ó'8.
La Settima preffo il Dottore e Parroco Padovano Adamo
Pivati , ha IO. DANDVL. DVX. cioè Giovanni Dandolo ,
eletto nel 1280.
L'Ottava nel Mufeo Bertacchini, e preffo altri in Modena, ha
k lettere PE.GR A CONICO DVX, cioè P^m/j, eletto nel 128^.
In una di quelle fi legge fola mente XPVS, cioè Chriftus.
La Nona efilfente preffo il Sig. Pietro Gradenigo di Jacopo,
Patrizio Veneto, è d'oro con figura diverla dalle precedenti .
Quivi San Marco in piedi porge la bandiera al Doge inginoc-
chiato colle lettere PET. GRADO. DV^X. aoh Petrus Grado-
nico Dux ^ mentovato nella precedente. Nell'altra facciata fi.
vede l'effigie del Salvatore in piedi, ornato di varie Stellette.
Nel contorno fi legge : SIT T. XPE. DAT. Q. TV REGIS
ISTE r3VCA. cioè, s'io mal non m'appongo
Sit tibi , Chrifte , àatus , quem tu regis , ijie Ducatus .
I precedenti Denari fono d'argento; quello è d'oro. Gio-
vanni Dandolo PredecefTore di Pietro (jradenigo , fu quegli che
cominciò a battere Moneta d'oro. Mi lui Ieri ve Rafaino Ca-
riflno Continuatore del Dandolo : ^i etiam Ducatos aureos pri-
mi tus
V E N T E S I ìM A S E T T I M A . 525
mìms fieri juj]it , Quel Denaro fu poi appellato Zecchino àd}.-
hì Zecca ^ da cui ricevette la forma .
La Decima in Modena preflb il Sig. Giufeppe Maria Catta-
neo , fu battuta dal celebre Doge e Storico Andrea Dandolo^
eletto nel 1342. Vi fi vede San Marco, che da la bandiera al
Doge colle lettere S.M. VENETI, e AN. DANDVL. DVX.
Nel rovefcio l'effigie di Grido Signore , che forge dal Sepol-
cro colle lettere XPS RESVRESIT.
L'ya. nel Muleo Bertacchini è fimile alla precedente, ma
con quella Ifcrizione alquanto diverla, cioè S. M. VENETI
ANDR. DANDVLO DVX. L'altra facciata ha Crirto , che
fla in piedi col Vangelo in mano, e benedice col verfo fopra
riferito SIT. T. XPÉ &c.
La XII. ha l'effigie del Doge colle lettere ANDR. DAN-
DVLO D. Nel roveicio è un Lione, infegna della Repubblica Ve-
neta, che tiene la bandiera, colle lettere S. MARCVS VENETI.
La XIII. preffo l'Abbate Domenico Vandelli, in altro non è di-
verla dalla precederne che neir Ifcrizione, leggendofi ivi lOH.
DELPHYNO DVX, che nell'Anno 135^. ottenne tal Dignità.
La XIV. nel Muleo Bertacchini è un Zecchino, e però ha fola-
mente di di verfo da gli altri il nome, cioèlO. DELPHINO DVX.
La XV. nello ftelfo Muleo, è fimile alla precedente fuorché
nel nome, eh' è ANOR. CTAR DVX, cioè Andreas Conta-
re no eletto nel I 3^7.
La XVI. nel medefimo Mufeo ha quefla Ifcrizione : FR. FO-
SCARI DVX. cioè Francifcus Fofcari^ creato Doge nel 1423.
Nel roveicio fi vede l'effigie del Salvatore col motto GLORIA
TIBI XPE, cioè C bri fi e.
La XVII. nello iteffo Mufeo ha il buflo del Doge colle lette-
re NICOLA VS TRONV^S DVx. eletto nel 1471. Nel roveicio
il Lione tenente la bandiera, e SANCTVS MARCVS.
La XVIII. ha quelle parole AND. VENDRAMIN. DVX.
e le lettere M. P. Fu egli eletto Doge nel 147^. Nel rove-
fcio l'immagine del Salvatore, e le lettere lESVS CHRISTVS
GLORIA TIBI SOLI. Non so le fia di quelle Monete, che
in Venezia fi chiamano Gialle.
La XIX. prefib il Come Giovanni Bellincini di Modena ha
IO. MOCÈNICO. DVX. e le lettere A. M. Fu promoifo
alla Dignità Ducale nei 1478.
La
^i6 Dissertazione
La XX. Nel Mufeo Berracchini appartiene allo liefìTo . Vi fi
mira la effigie , che tiene in mano la bandiera colle lettere
F. F. e nel contorno IOANES MICENICO, o fia MOCE-
NIGO . Nel roveicio mirafi il Lione Veneto alato col Libro
de' Vangeli.
La XXI. nel medefimo Mufeo fa vedere Grido, che fiede e
benedice coli' ilcnzione GLORIA TIBI SOLI IG XG • Nel
rovefcio S. M. VENETL MARC.BARBADICO DV^X. Z.M.
Fu eletto nel 1485.
La XXII. nello liefìTo Mufeo. Vi fi mira la Croce, e all'intor-
no AVO. BARBADICO DVX. cioè Agofiim Barbar igo eletto
nel 1485. Nel rovefcio il Lione con due lettere M.B. e nel con-
torno SANCTVS MARCVS VENETL
La XXIII. fi dovea riferir molto prima , ma per non effere
Moneta, l'ho riferbata a quefto fito. Efla è un Medaglione, o
fia, come dicono in Venezia, un' Ofelia , battuta per onore .
Vi fi vede l'effigie del Doge , che porta in capo la berretta
Ducale colle lettere CRISTOFORVS. MAVRO. DVX. Nel
rovefcio una Corona, che contiene quella licrizione RELIGIO*
NIS. ET-IVSTICIAECVLTOR. Fu promoilb alia Digmta
Ducale nel 14(52.
E FiNQ.uf delle più antiche officine Monetarie d^Italia. Ven-
nero poi tempi in Italia, che non poco cangiarono il fiiìema
e i'afpetto delle cofe. Perciocché i Velcovi , e non poche Cit-
ta , volendo accrefcere il loro decoro , andarono ottenendo da
gli Augufti le Regalie, fra le quali il Gius di battere Moneta.
Ciò principalmente cominciò ad introdurfi nel Secolo XI. ben-
ché non manchino eiempli diVefcovi, che anche molto prima
ebbero temporal Dominio , e batterono Denari . Intorno a ciò
fon da vedere il Tomafmo eilBlanc. E certamente ad alcuni
Velcovi, ed anche Abbati in Francia fi truova conferita prima
del Mille una tal facoltà. Mi fia nondimeno permelfo di djre ,
che tante cole dette di effi Vefcovi non s' hanno da ricevere
fenza efame. Se vogliam credere al Biowero Lib. IX. Annal.
Trever. Lodovico Re di Germania nel!' Anno po2. conterà a
Rabodo Arcivefcovo di Treveri Trevericce C'inj'nntìs Monetam .
Ma fi può dubitare di quel Diploma, conceduto da un Re giun-
to appena aU'eta d'undici Anni, particolarmente perchè tal
pre-
V E N T E S I M A S E T T I M A ; 527
prerogativa fi dice non conceduta , ma reftituita a Rabooo .
^uce quondam tempore Wemod't cjusdem Urbis Archiepifcopi de
Eptfcop^tu objìrìóia^ & in Comkatum converfa nofcutJtur , Neil'
Anno 773. fu creato Velcovo di Treveri Weomodo. Creda chi
vuole, elle fino allora, e forfè prima, appartenere aque'Ve-
fcovi la fabbrica de i Denari. Ma non fono mai mancati colo-
ro , che han cercato di dedurre da i più vecchi Secoli la pre-
fente loro Nobiltà e Potenza, e ciò che l'antichità ignorò , fi
vide con finti Strumenti afferito. Lo fteffo Browero avendo tro-
vato air Anno ^02. il Conte in Treveri , immaginò , Comites
prò Archiepifcopo in Urbe jus dixijjfe ; e che fii con quel Diplo-
ma reftituito jus Treverenjìs Urbis Archiepifcopo . Ma Miniftri
de i Re ed Imperadori, e non già de'Vefcovi, anticamente fu-
rono i Conti . Ma lalciando andar quello , dichiamo , che in
Iralia nel Secolo XI. e XII. oltre alle Citta di fopra riferite ,
cominciarono altre a godere il Privilegio di battere Moneta ,
con obbligo nondimeno di mettere in efia il nome del Re od
Imperadore in fegno del fupremo loro dominio . Il qual rito
andò a poco a poco cotanto crefcendo, che ninna Citta libera
o Principe vi reflò , a cui non foife permcfTo di battere Dena-
ri d'argento, e infine anche d'oro. Anche allora fi ottene-
va tutto coli' oro. Io dunque, fecondo l'ordine dell'Alfabeto,
andrò notando tutte quante le Monete de' Principi e delle Cit-
tà, che ho potute finora raccogliere.
Ancona .
Parecchi Denan della Citta d'Ancona ho io trovato in Mo-
dena , perchè andando per divozione i Pellegrini ad Aflìfi , o
alla Santa Cafa di Loreto, riportavano fovente da Ancona di
quelle Monete, (limando, che San Ciriaco o Q_uiriaco ivi im-
prelfo, particolar virtù aveffe per impetrar da Dio qualche de-
terminata grazia.
La Prima Moneta nel Mufeo Chiappini, e in Roma preflb il
Cavaliere Francefco Vettori , ha quella Ifcrizione nel diritto
♦Jf PP. S. QVIRIACVS, con prendere le tre ultime lettere dal
centro. Nel rovefcio è una Croce , e all'intorno DE ANCO-
NA. L'Ughelli Tom.I. Ital. Sac. ne rapporta una fimile.
La Seconda, confervata da molti in Modena, benché di va-
rie
528 Dissertazione
rie forme , rapprefenta l'immagine di un Veicovo colle paro-
le PP. S. QVIRIACVS, e in altre PP. S. CIRIACVS. L'al-
tra facciata ha la Croce, e nel contorno DE ANCONA.
La Terza nel Mufeo Bertacchini è finiile alle precedenti, fé
non che ha le Chiavi per indizio del Dominio delia Chiefa Ro-
mana. Protettore di Ancona è da lunghiffmio tempo Sciti Ci-
riaco; ma chi egli fia flato, s'è difputato afTaifhmo fra gli Eru-
diti, e tuttavia refla quello affare nelle tenebre . Chi l'ha giu-
dicato un Veicovo di Geruialemme e Martire ; vogliono altri ,
che fia flato un Veicovo di Ancona . Spezialmente fi vegga
rUghelli ne'Vefcovi di Ancona , e il Padre Papebrochio nella
Prefazione a gli Atti di San Ciriaco nel di 4. di Maggio. Han-
no qua cacciato il capo non poche favole , e non mancano At-
ti Apocrifi . Se non mi aveffe trattenuto una Moneta di Rimi-
no, di cui fi farà menzione qu'i fotto , avrei fofpettato , che
gli Anconitani avcffero tenuto San Ciriaco, non per un Vefcovo
di Gerufalemme, o della loro Citta , ma per un Pontefice Ro-
mano . Perciocché quando a i Santi fi aggiugne il doppio P.
queflo non fiiol fignificare le non PAPA, come coda da innu-
merabili prnove . In fatti nell' antica e favolofa Leggenda di
Santa Or/ola ^ e di ( quafi non mi attento a dirlo ) Undici mi-
la Vergini e Martiri fue Compagne , fi truova Papa Ciriaco ^
Pontefice fabbricato da gl'impodori, fé pure non è con tal no-
me indicato San Siricio Papa , come ha immaginato taluno
per foftenere quella filaftrocca di favole . Ma a tal folpetto non
refta luogo, da che anche il PP. fi truova nella Moneta di Ri-
mino, oltre diche qui elfo fi mette innanzi al nome del Santo,
laddove per fignificare un Papa fuole pofporfi . Potrebbe effe-
re , che avvertiti gli Anconitani , non poter quello efTere un
Patriarca di Geruialemme fi riduceffero a intitolarlo di Anco-
na . Nel Mufeo Bertacchini fi veggono Denari Anconitani coli'
effigie di un Vefcovo, e fenza.il PP. ma folamente S. QVIRLA-
CVS EPS, cioè Epifcopus,
La Qj-iarta nel Mufeo Mufelli di Verona ha un Uomo , che
corre a cavallo colle lettere DE ANCONA . Nel rovefcio
un' A. nel mezzo, e nell'intorno S. Q^VIRIACVS PP. Qlù
veramente è pofpofto il PP. contuttociò non credo che fignifi-
chi Papa.
Lai Quinta nel Mufeo Bertacchini ha le Arme di Papa Pao-
lo IL
I
Ventesimasettima. 52p
lo IL e fovrapofte le Chiavi e il Triregno , e nel contorno
PAVLVS PAFA IL Nel rovefcio ò l'effigie di un Santo, pro-
babilmente San Ciriaco , e nel contorno MARCHIA ANCO-
NE. Fra le Monete di quello Pontefice pubblicate dal P. Bo-
nanni non ho trovata la prelente.
La Città dell'Aquila.
Già* s'è veduto nel Catalogo delle Monete del Regno di
Napoli , quante ne fieno (late battute in quella Citta . Il tro-
varfi inerte così Ipefìb l'Aquila, può fervire d'indizio , ch'ef-
fa veramente godefle un particolar Privilegio della Zecca.
Aquileia^ e fuoi Patriarchi.
Lungo tempo fu una delle più nobili e riguardevoli Citta
d'Italia quella à\ AquHeia ^ finché il furibondo Re de gliHun-
ni Attila s\ fattamente l'atterrò , che mai più non alzò dipoi
la teda . Veggonfi molte Monete ivi battute fotto i primi Im-
peradori Cridiani . Ma dopo il luo lagrimevol eccidio per più
Secoli niun vcftigio ivi fi truova di officina Monetaria. Final-
mente a i Patriarchi diAquileia, perchè fignoreggianti all'am-
pia, e nobil Provincia del Friuli , fu da Federico IL Auguflo
conceduta la facoltà di battere Moneta . Se prima que' Patriar-
chi efercitaflero quello diritto , noi so dire . Almeno da quei
tempo fi veggono Denari della loro Zecca . L' effigie di molti
di effi cavata dal Mufeo Padovano del Conte Giovanni da Laz-
zara, fu a me trasmelfa dal Dottore Adamo Pivati , mio ango-
lare Amico . Maggior copia ancora me ne fomminiftrò il Sign.
Gian-Francef:o Mulelli, Arciprete della Cattedrale di Verona,
già raunate dal Chiarifs. Monfig. Francefco Bianchini.
La Prima nel Mufeo Mufelii ci prelenta l'effigie del Patriar-
ca, che tien colla delira la Croce, un Libro colla finillra colle
lettere VOLFKER. EP. QÌohVolfkerius Epìjcopus. Nel rovefbio
un'Aquila coronata, e nel contorno CI VITAS AQ.VILEGIA.
Fu battuta circa l'Anno 1220.
La Seconda nello ìtelTo Mufeo ha una fomigliante effigie, e
BERTOLDVS P. cioh Patri archa , Nel rovefcio la figura di un
Uomo colle mani alzate, e CIVITAS AQVILEGIA . All'An-
no 1234. o circa fi dee riferire.
Tomo L Xxx La
530 Dissertazione
La Terza nel Mufeo Lazzara è del medefimo Patriarca , fì-
niile alla precedente , le non che nel rovefcio di elTa v' ha
un'Aquila.
La Quarta nel Mufeo Mufelli ha un fomigliante diritto .
Nel rovefcio una Porta con tre Torri , e CIVITAS AQVI-
LEGIA.
La QLiinta nello fteflTo Mufeo ha la feguente Ifcrizione GRE-
GORL/5 ELECTVS. Nell'altra facciata l'Arcivefcovo , a cui
un Santo ( probabilmente Hermagora ) porge la Croce, e CI-
VITAS AC^VILEGIA . EgU è Gregorio da Montelongo eletto
Patriarca nel 1252.
La Sefta. nel Mufeo Lazzara appartiene allo fleffo Gregorio
sia confecrato . Nel diritto GREGOr/W PATRI/7rc/6^ . Nel ro-
vefcio un'Aquila, e nel contorno AQUILEGIA.
La Settima , Ottava , e Nona nel Mufeo Mufelli apparten-
gono al medeCmo Gregorio, Mirafi un Giglio nelle due priaie,
una Croce nella terza.
La X. xr. e xii. nello ?it^o Mufeo hanno quefla Ifcrizione :
RAIMVNDVS Vkmarcha^ e nel rovefcio AQVILEGENSIS .
Egli è B^a'imondo dalla Torre eletto nel 1272. la à\ cui Arme ,
cioè la Torre, fi mira nella Decima; e l'Aquila , o i Gigli coli*
immagine della Beata Vergine nell'altre due.
La XIII. nel Mufeo Lazzara appartiene al medefimo Patriar-
ca, & ha due Chiavi denotanti l'autorità fpirituale e tempora-
le; e due Torri, infegne della fua Cafa.
La XIV. nello flelTo Mufeo ha la feguente Ifcrizione : PE-
TRVS PATRIARKA, eletto circa l'Anno i2pp. Nel rove-
fcio un'Aquila coli' Arme del Patriarca, e le lettere AQVI-
LEGENSIS .
La XV. nel Mufeo Mufelli è poco diverfa dalla precedente.
Nella XVI. del Mufeo Lazzara comparifce 1' effigie del Pa-
triarca colle lettere OTOBONVS Vhmarcha . Nel rovefcio
le fue Arme, ed AQVILEGENSIS. Fu eletto nel 1301.
Nella XVII. del Mufeo medefimo fi legge VAGAnus PA-
TKiarcha eletto circa il 13 15?. Il rovefcio ha una Torre, ed
AQVILEGIA.
La xviii. nello fìeffo ha l'Immagine della Madre di Dio,
che ha in braccio il Divino Infante , e BERTRANDVS P.
z\oh Patriarcha^ eletto nel 1335. Nell'altro lato un'Aquila ed
AQ^VILEGENSIS.
La
V E N T E S I M A S E T T I M A . 5JI
La XIX. nel Mufeo Mufelli ha nel diritto una Croce e DEVS.
All'intorno BERTRANDVS PATr;>cHA. Nel rovelcio l'ef-
fioie d'un Santo coli' ifcrizione S. HERMACHOR^s AQVI-
LEGI^-NSIS.
La XX. è poco diverfa dalla precedente.
La XX r. nel Mufeo Lazzara ha un Lione coronato rampan-
te colle lettere MONETA NICOLAI . Nel rovelcio (ia la
Croce, e all'intorno PATRi/rrc^AE AQVILEG^Ay^i . Fu que-
lli eletto nel 1350.
La XXII. ivi pure fi truova. Nel diritto ha MONETA LV-
DOVICI. Di qua e di la due Scettri colle lettere LV. Nel ro-
velcio è l'Aquila, ePATRL^RCHA AQyiLeGEN/is, elet-
to nel 1358.
La XXIII. nel Mufeo Mufelli è del medefimo Lodovico. Sie-
de egli nella Cattedra o Faldifìoro colle lettere LVDOVICVS
VhtYtarcha , Nell'altra facciata una Torre, Arme fua, da cui
efcono due Scettri Gighati, e di qua e di la LV. Nel contorno
AQ^VILEGIA.
La XXIV. del Mufeo Lazzara fa vedere un'Aquila. Nel con-
torno fi legge MONETA MARQ\^ARDI PATr/'^rc/^^E ,
eletto nel i3<^4. Nei rovelcio l'Immagine di un Santo colle
lettere S. HERMACORA, che fu il primo Vefcovo di Aqui-
leia .
La XXV. nel Mufeo Mufelli ha un Globo fopra un guanciale,
fotto cui fta un M. e all'intorno MARQ\^ARDVS PATR. Nel
rovefcio la Croce con AQVILEGENSIS.
La XXVI. nel Mufeo Lazzara ha l'Arme Regia di Francia ,
cioè tre Gigli colle lettere FILIPPVS COMINARIS . Neil'
altra parte un' Aquila con PATRIARCHA AQ^VILEGEN-
SIS. Era quefli del Sangue Reale di Francia, e de' Conti di
Alenzon, ornato della Porpora Cardinalizia , e deftinato circa
l'Anno 1382. a reggere la Chiefa d'Aqiiileia. Ma che è quel
Cominaris ? Forfè fon corrole le lettere . Il mio fofpetto è ,
che fia un' abbreviatura di COMwEN^A/^^RI^/S , cioè Com-
mendatarius ; perchè a cagion di quello Titolo , che facea di-
ventare quella ricchiffima Chiela , per cosi dire , un Benefizio
femplicc, fi rivoltò la Patria del Friuli, e ne nacque una lun-
ga guerra.
La xxvii. nel Mufeo Mufelli ha nel diritto un' Aquila fca-
vata, e le lettere IOANES PATRIARCA AQyi. Nel ro-
Xxx 2 vefcio
532 Dissertazione
vefcio un Vefcovo fedente nel Faldiftorio coll'ifcrizione S. HER-
MACHORAS. QuQfìo Giov anni y durante lo Scifma , fu eletto
circa l'Anno 138^.
La XXVIII. nel medefirao Mufeo ha un Elmo colle penne fo-
pra l'Arme dello flefTo Patriarca, colle lettere IOANES PA-
TRIHA. Il r^ovefcio poco diverto dal precedente.
La XXIX. nel fuddetto Mufeo ha lo Scudo coli' Arme della
Gala Gaetana con due fafcie o vipere trafitte da uno fpiedo ,
Nel contorno ANTONIVS PATRIARCHA , eletto nel 13^5.
Ilrovefcio ha la Croce, ed AQVILEGENSIS.
La XXX. in elfo Mufeo è poco diveria dalla precedente . Ha
nel rovefcio un'Aquila.
La XXXI. nello ftelTo Mufeo. Ha uno Scudo coli' Arme diffe-
renti dalle precedenti , e le lettere ANTONIVS PATRIAR-
CHA. Nel rovefcio un'Aquila, ed AQVILEGENSIS. Appar-
tiene ad Antonio da Portogruaro^ eletto nel 1402.
La XXXII. nello fteffo Muieo, ha uno Scudo con Arme a fcacchi ^
e le lettere LV DOVICVS D VX DE TECH , eletto nel i 3 1 8. Nel
rovefcio l'Immagine della Beatils. Vergine, ePATRA AQViLE.
La XXXIII. parimente nel Muleo Mulelli è un Medaglione .
V'ha la figura di un Ecclcfiaflico colla Corona Chericale, e all'
intorno LVDO... AQ\'ILEGIENSIVM PATRIARCHA EC-
CLESÌAM RESTITVIT . Nel rovefoo loldari in moto coli'
ifcrizione ECCLESIAM RESTIT«/V EX ALTO. Appartie»
ne a Lodovico Scarampo Cardinale , che nel 1440. eletto Pa*
triarca, venne ad un accordo colia Repubblica Veneta.
Ariminuin , cioè Rimino .
Piu^ Monete di Rimino ho io veduto di differente mole 5
ina quafi tutte col medefimo afpetto. Vi fi mira l'effigie di un
Vefcovo colle lettere PP. S. GAVDECIVS , cioè SanGauden-
zjo Vefcovo e Piotettore di quella Citta. Nell'altra facciata una
Croce, e DE ARIMINO. Come ne' Denari dì Ancona, cos\ qui
comparifcono iduePP. iquali quantunque altrove fogliano fignifi-
careP/7^/7, qn'i nondimeno pare che altro lenfo non abbiano, fuor-
ché quello ài Perpctuus Patronus ^ oPatriceProtetìor ^ o altro firn. ile.
La Seconda in Roma preffo l'Abbate Benedetto Fioravanti .
Quivi fi legge SANT. IVLIANVS, Nel rovefcio la Croce , e
DE ARIMINO.
Aggiun-
Ventesimasettima. 5jj
Ags^iungafi un Medaglione del Mufeo Bertacchini. Ivi T effi-
gie Si un Principe laureato coli' ifcrizione SIGISMVNDVS
PANDVLFVS MALATESTAPAN^;^//F/7/^^5. Nel ro vele io
la facciata del Tempio di SanFrancefco, da lui fabbricato, col-
le lettere ^KECLArum ARI MINI TEMPLVM AN. GRA-
TI AE V. F. ( cioè Vivensfech ) MCCCCL. Vedi (juì fotto al-
la voce Malatejìa altre Monete di lui ,
Arezzo .
Un' antica Moneta à' Are-z^ fece a me vedere il Cavalie-
re Gregorio Redi , figlio del celebre Francefco , e Patricio di
Arezzo. Nell'una parte fi vede l'effigie di un Santo Vefcovo
colle lettere S. DONATVS. Protettore della Citt^ . Nell'altra
una Croce, e DE ARITIO.
La Seconda poco diverfa ha quella Ifcrizione PP. S. DO-
NATVS : da cui fempre più fi fcorge , che PP. nelle Monete
è adoperato non ^QtPapa^ ma ^^tv Patronus. Nel rovefcio fla
DE ARITIO.
La Terza è fimile alla precedente, fuorché nel rovefcio.
La Quarta nel Muleo Mulelli è poco differente dalla prece-
dente. Leggefi anch'ivi DE ARITIO. Cosi fi feri veva allora.
Gorello nella Cronica da me data alia luce ne fa fede fcrivendo:
Il 'vero nome mìo fu fempre Art^jo
Per le moli Are ^ cIj eran nel mìo centro -^
Dove a gli Dei Ji face a facrìJÌ7:io .
Ma nelle picciole Monete di rame di effa Citta fi vede DE
ARRETIO.
Afcoli .
Anche ad Afcoli Citta della Marca Anconitana appar-
tenne una volta il pregio di poter battere Moneta . Dal Pa-
dre Filippo Camerini Prefidente dell'Oratorio di Camerino mi
fu inviata una Moneta di rame, dove compariice la facciata
di una Porta , o Poate , o altro edifizio con Torri . Nel con-
torno le lettere DE ASCHOLO . Il rovelcio ha la Croce con
de' Gigli ne gli angoli.
La SecoiLcia nel Mufeo Bertacchini ha l'Arme gentilizie di
un
534- Dissertazione
un Papa , probabilmente Alejf andrò VI, con fopra le Chiavi e
il Triregno 5 e nel contorno ALE.... P. M. nel rovefcio una
Porta con due Stellette, e DE ASCVLO.
La Terza più antica ha le lettere MARTIN. PAPA , e le
Chiavi di fopra. Sara Martino V, nel rovefcio fi legge S. EMI^-
DIVS (Protettore della Citta) ESCVLO.
La Quarta preffo l'Abbate Fioravanti ha R. SPORTI A ,
cioè Roberto Sfor^ Signore d'Alcoli. Nel rovefcio S. EN4I-
DIVS DE ESCVLO. Un altro fimile preffo il CavalierFran-
celco Vittorio ha PP. S. EMIDIVS. 8cc. E in altro fi legge
EVGENIV. PAPA. S. EMMID. D. ESCVLO.
Afti.
Gran figura fece una volta in Lombardia la Citta à'A/ìL
Una delle lue Monete efiftente nel Mufeo Chiappini di Piacen-
za ha nel contorno CVNRADVS II. e nel mezzo REX .
Nel rovefcio la Croce colle lettere ASTENSIS. Da e fio Cor-
rado II. ebbe quel Popolo licenza di battere Denari , jus fa-
ctend<ie Moneta^ nell'Anno 1140. come apparifce dal fuo Di-
ploma nel Tom. IV. dell'Italia Sacra. Un'altra fimile Moneta
fi conferva in Modena nel Mufeo Bertacchini.
Bergamo .
Tre Denari di Bergamo ho io veduto. Ne poffeggo io uno 5
dove fi vede la figura di un Imperadore laureato colle lettere
IMPRT. { cioh Imperator ) FREDERICVS, da me creduto il
Primo. Nel rovefcio la figura di una Citta con Torri polla fo-
pra un Monte , come appunto Ila Bergamo . V ha le lettere
PERGi\MVM : che cosi ne' Secoli barbarici fi nomava quella
Citta. Rapporta l'Ughelli nell'Italia Sacra Tom. IV. un Di-
ploma di elfo Federigo I. dato nell'Anno 11 5<5. in cui concede
a Gherardo Vefcovo di Bergamo, ut liceat ei in Civitatefua Mo-
netam publicam cudere , per omnsm Comitatum & Epifcopatum
ejus Dativam. I Denari da me veduti li credo battuti dalla Re-
pubblica di Bergamo , avendo effa continuato anche ne' tempi
fuffeguenti a mettere in effi il nome di Federigo conceditgre di
quel Privilegio, come ufarono anche altre Città.
Boi»-
V E N T E S I MA SETTIMA. 5j5
Bologna .
Già' fu avvertito da Carlo Sfgonio nelLib.IV. Hìjì, Bonort,
e pofcia dal Ghirardacci 5 che l'infigne Cittk di ^o/o^/?^ otten-
ne nell'Anno ii(?i. da Arrigo V. fra gli Augufti, e Sedo fra'i
Re, la facoltà di fabbricar Denari . Ho io pubblicato Io fìefTo
Diploma dato in Bologna Id'tbus Februariì del fuddetto Arrigo,
non peranche coronato Imperadore , in cui concedè a i Bolo-
gnefi licentiam hi Cìvttate Bonotùce cudentii Monetam . Non fi
dee tacere , aggiugnere eflb Sigonio ( fé pur non è quella una
giunta fatta da altri a quella poftuma Storia di lui ) che non
mancò a Bologna il Gius di battere Moneta Langobardorum tem*
por i bus ^ queìnadmodum ex Privilegio Dejiderii Regis Vit^erbienji-
bus dato cognofcitur. Il Privilegio qu'i citato, altro none, che
il famolo Editto , tuttavia incifo in Tavola di marmo, ed efi-
flente in Viterbo, che lo fleffo Sigonio rammentò nel Lib.IIL
de Regno hai, e il Grutero inferi come una gioia nel Teforo
delle Ilcrizioni, per tacere altri fuoi Panegerifli . Non è da ftu-
pire, fé non feppero ben guardarfi da qiieflo finto Editto i vec-
chi, perchè non abbondava in tifi la Critica . Abbiamo bensì
da maravigliarci, come l'Olftenio Uomo certamente da mette-
re fra i primi Letterati , e bene fperto in effa Critica , dopo
tanta luce data in quelli ultimi tempi all' Erudizione Ecclefia-
fìica e profana , giugneife non folo ad approvare , ma anche
a difendere ( come non ha molto ha tentato anche un Lette-
rato da Viterbo) un si fcreditato monumento, riconofciuto per
un'impollura dal coro de gli altri uomini Dotti . Bafla vedere
il folo fopr' accennato paflb perconofcere la falfita della mer-
ce. Ivi fi legge : Permittimi4s ( cioè al Popolo di Viterbo ) Pe-
cuntis imprimi F. A. L. L fed amoveri Hercitlem , & poni Saìi-
Hum Lauremium eorum patronum ^ itt facit Roma & Bonomia. La-
fcio andare quella frafe Pecuniis imprimi ; e dico, trovarfi qui
non una favola. Si dee tenere per falfo , che foffe conceduto il
Gius della Zecca ad un Cartello o Fortezza, come era Viterbo,
detto da Anaftafio Bibliotecario Viterbie?ìfe Caftrum^ quando ne
erano prive quafi tutte l'altre più illuflri Citta d'Italia. Falfo
è parimente, che allora fi battefìfe Moneta in Bologna; e molto
più il dire, che la Pecunia Romana e Bolognefe portaffe l'effi-
gie di San Lorenzo. Niuna di tali Monete fi è mai veduta, né (ì
ve-
53^ Dissertazione
vedrà. Qiiello che in fine (Irozza qiiefto fpurio Editto , fi è il
dir ivi Defiderio d'aver egli edificata PETRAìM SANCTAM,
OLIM FArVVM FERONIAE. Ma quella fabbrica non gli
corto un quattrino. G'Ùl Rafaello Voiaterrano fcrifTe, che Pietra
Santa fu fabbricata da i Lucchefì , allorché erano in appren-
fion di guerra co i Genovefi. Petr^m San6lam Lucenftum adifi-
cium^ quo tempore de jìn'tbus tilt cum Genueììfihus Itt'tgnhant .
Ivla più precilamente dell'origine di quella Terra parlò uno Sto-
rico più antico , cioè Tolomeo da Lucca ne gU Annali brevi
fcritfi da lui nell'Anno 1303. Ecco le fue parole all'Anno 1255.
Dom'mus Guifcardus de Petra Sa-aBa (Milanefe) /f^/V hìc Pote-
jìas ( di Lucca ) qui de Verftl'ta duos Burgos , unum ex SUO
NOMINE nomina'vit y aherum vero Campum Ma/orem . Hunc
rujìkis^ feu hom't?iibus Cattaneorum ; alium vero de Petra Santla
replevh hominìbus de Corvaria & de Vallecchìa &c* Ci vuol egli
di più per riconofcere sfacciatamente finto tutto quell'Editto?
Per conleguente va anche a terra il dirfi , che Bologna a' tem-
pi de' Longobardi battelfe Moneta.
La Prima Moneta de'Bolognefi, da me, e da moltifllmi altri
poffeduta, ha nel diritto ENRICVS, e nel mezzo IPRT. cioè
le lettere iniziali delle Sillabe, che formano la parola Ym^e^a-
Tor . Egli è Arrigo ^tìito fra gli Augnili , il quale , ficcome
vedemmo, nel iipi. concedette un tal Privilegio ai Bolognefi.
Nel contorno del rovefcio fi legge BONONL con un' A nel
mezzo, che compie la parola jBowow/^ .
La Seconda nel Mufeo Bertacchini , e prefTo altri Modenefi
nell'una parte ha BONONIA , e nell'altra MATER STV-
DIORVM. il qual gloriofo titolo quella illuftre Citta non fen-
za ragione fé l' attribuì, e per gran tempo ritenne nelle fue
Monete.
La Terza a me comunicata dal riguardevole Cavaliere di
Bologna Marcheie Gian Paolo Pepoli, ha nel diritto la Croce,
e TADEVS DE PEPOLIS, cioè quegli, che nel 1337- ^^etto
Signore di Bologna , nobilmente la governò con trasmettere
anche a' fuoi Figli quella Signoria. Nel rovefcio fi mira l'ef-
fìgie di San Pietro col Libro nella fìniftra , e le Chiavi nella
delira. Stanno all'intorno le lettere S. P. (cioè Sanóius Petrus^
in riconofcimento della Sovranità Pontificia ) DE BONONL^.
Attefta il Ghirardacci, che tali Denari furono da lui battuti
nell'Anno iuddetto; e ciò vien confermato dall'Autore della
Mi-
Ventesima SETTIMA. 517
Mìfcella da me data alla luce, con aggingnere 5 ch'efìTa Moneta
valeva due Soldi d'argento.
La Quarta efiflente in Modena nel MufeoBertacchini. Nel
diritto lì legge lA. ET. IO. DE PPLIS , e nel mezzo FRES ,
cioè J acohus , & Joha?ines de Pepolìs Fr^tres , i quali dopo la
morte di Taddeo loro Padre nell'Anno 1347. cominciarono
a fignoreggiare in Bologna. Nell'altra facciata v'ha BONO-
NIA.
La Qiiinta in Modena ha le lettere lOHES VICECOMES,
cioè Giov^innl P'ìfcoììte Arcivefcovo e Signor di Milano , che
nell^Anno 1350. comperò da i Pepoli il dominio di Bologna.
Nel rovefcio BONONIA.
Nella Sella fi vede l'effigie di un Pontefice Romano colle let-
tere VRBAN.PP. V. e nel rovefcio BONONIA colf Arme odel
Legato Pontifizio, o del Gonfaloniere. Fu battuta nel 1358.
La Settima nel Muleo Bertacchini è molto più reeente. Qui-
vi è l'effigie di San Petronio Velcovo e Protettore di Bologna
colle lettere S. PETRONIVS. Nel rovefcio un Lione rampan-
te, che tiene una bandiera, colle lettere BONONIA. DOCET,
del quale elogio tuttavia fi ferve quella Citta per denotare l'an-
tica fua prerogativa.
L'Ottava nello ftefìfo Mufeo ha la Croce con tre Stelle, Arme
di non so chi; e all'intorno BONONIA . Nel rovefcio è il fud-
detto Lione, e DO. CET.
La Nona nel Mufeo Mufelli di Verona è molto fomigliante al-
la Settima . Ivicomparifce l'effigie del Santo Protettore colle let-
tere S. PETRONIVS DE BONONIA.
La Decima nel Mufeo Chiappini di Piacenza ha le Chiavi ,
cioè l'Arme della Chiefa Romana , che nel 17,60. e più altre vol-
te ricuperò il dominio di Bologna . Nel contorno fi legge DE
BONONIA. Nell'altra facciata il Protettore portante in mano
la Citta colle lettere S. PETRONIVS.
L'Undecima d'oro ha l'immagine di San Pietro colf ifcrì-
zione S. PETRVS APOSTOLVS . Nel rovefcio BONONIA
DOCET . Il Sigonio Libro III. de Epifc. Bonon. parlando di
Filippo Carrafa Napoletano fcrive , che i Bolognefi nell' An-
no 1380. Nummum aureum percufferunt in quo ah hìio Intere
Leonem Vexillum Libertatis tenentem cum ìherts BONONIA
DOCET y ab altero imaginem cum -aomìne Sant'i Petri finse-
runt .
Tomo L ^ Yyy Si
5j8 Dissertazione
S I può aggiugnere qui una Medaglia di Giovatint li. Be7nU
'voglio^ efiftente nel Mufeo Bertacchini . Fu egli come Padrone
di Bologna. Un'altra più tolto Medaglia, che Moneta, mi fu
comunicata dal Dottore Giam-Batifla Bianconi pubblico Lettore
di Bologna. Ivi l'Arme Bentivogiia , e le lettere IOANNI II.
BENTIVOLO. Nel rovefcio l'Aquila Imperiale, e CONCES-
SIO MAXIMÌLIANI, cioè Imperadore.
Brefcia •
Per quanto fcrive il Caprioli nel Lib. V. della Storia Brc-
fciana, nell'Anno ii6z. Brixìanis a Federico (cioè il Primo )
Imperarore ^ Brixice diebus oóió manente^ conce jjum efl eorum Jt-
gnis Monetarii cudere. Il Canonico Paolo Gagliardi una di tali
Monete mi additò, efifiente in Brefcia prelfo il Conte Giovan-
ni da Martinengo . Una fimile fi conlerva in Padova nel Mu-
feo Lazzara. Quivi è la Croce colle lettere BRISIA ; e nel ro*
vefcio le Immagini de' Santi Protettori della Citta, cioè S. FAV-
STINV. S. IO VITA,
La Seconda nel Mufeo Bertacchini. Ivi la Croce, eBRISIA.
Nel rovefcio reftano le fole lettere ATOR . Verifimilmente
v'era fcritto FEDERIC. IMPERATOR. Qiiefta è più antica
della precedente .
La Terza comunicatami dal fuddetto Canonico Gagliardi ha
la Croce colle lettere I. II. P.P. compartite ne gli angoli . Nel
contorno BRISI A; e nel rovefcio l'effigie de' Santi Prorettori.
Era quel dottiffmio uomo di parere, che tal Moneta foffe bat-
tuta da i Brefciani in onore di Papa hinoceii-zo IL il quale, fe-
condo il Malvezzi nella Cronica di Brefcia nell'Anno 1132. o
pure nel feguentc, come pretendeva elfo Canonico , fi portò a
Brefcia. Mancano Scrittori contemporanei, che c'inftruifcano
meglio di quello fatto . Ma pollo anche l'arrivo di elfo Papa
colà, non fi sa intendere, come il Popolo di Brefcia battelfe
allora Moneta, dappoiché tanto dopo ne impetrarono il Gius
da Federigo I. Né certamente in quella Citta ebbe o pretefe
temporal dominio il Pontefice fuddetto . Sarebbe da veder me-
glio , fé da quelle lettere rifultafie più tolto INPR , cioè
Imperator ♦
Carne-
Ventesimasettima, 5 jp
Camerino.
Celebre fu ne' Secoli barbarici la Cittk dì Camerino ^ per-
chè Capo di una Marca , diftinta dal Ducato di Spoleti , an-
corché talvoka un lolo Principe ad amendue comandale . An-
ch'efla dipoi fi mife in hberta , e battè Monete , alcune delle
quali poffeggo, e l'altre le debbo al P. Fihppo Camerini Prete
dell'Oratorio. La Prima è nel Mufeo Bertacchini di Modena.
Nel luo contorno fi legge VRBS CAME, e nel mezzo RI-
NA. Nel roveicio l'Immagine del Vefcovo colle lettere S. AN-
SO VINVS .
La Seconda è in mio potere . Nel mezzo fi mira la Croce,
e all'intorno DE CAMMERENO. Somigliante al preceden-
te è il rovefcio.
La Terza per la grandezza è alquanto diverfa, fimile nel re-
flo , fé non che ha in cima l'Arme di quella Città , cioè tre
Torri o Cafe .
La Quarta preifo il P. Camerini ha VR. CAMERIN. e nel
mezzo A. cioè Urhs Camcr'ma . Neil' altra facciata SANTVS
VENA, e nel mezzo TI VS 5 cioè SanVenan7:o^ altro Protet-
tore di quella Citta.
La Qiiinta ha l'Arme della Citta colle lettere D. CAMER.
cioè deCamer'nìo^ le pur non foffe Domitìus Camerini » Nell'al-
tra parte la Croce, e S. VENANTIVS.
La Seda, Settima , ed Ottava nel Muieo Mufelli fon fimili
alle precedenti, e pur v'ha fra loro qualche diverfità.
La Nona da me poflfeduta moi'ira l'effigie di un Principe coli'
Ifcrizione: IO. MARIA VARANVS CAMERINI D. cioè Gio-
vanni Maria Varano Signore o Duca di Camerino . Lungamente
fignoreggiò in quella Citta la Nobil Cala Varana . Gian-Maria
verfo il fine del Secolo XV. prele il titolo di Duca . Nel ro-
veicio l'Arme gentilizia col motto DISTINGVE ET CON-
CORDABIS. Altre Monete di lui , e di Giulia lua Figlia, ho
veduto, ma le tralafcio.
La Decima ha l'effigie di San Venanzo , che tien la ban-
diera colle lettere VENAN. Nei roveicio l' Arme della Ca-
fa Varana, e nel contorno CAMARINEN. VR. cioè Urbis.
L'xi. nel Mufeo Mulelli ha quella iicrizione IOANNA M.
ET. IO. MARIA VAR. CAM. cioè Giovanna de' Malatefti
Yyy 2 Ma-
54.0 Dissertazione
Madre, q Gian Maria Vm-nno^S'ignoxi à.'\.Camerhìo. Nelrovefcio
S. VENA;^TIVS, DE CAMERINO»
Como •
Truovasi nel Mufeo Bertacchini di Modena una Moneta di
Como. Moftra l'effigie di un Imperadorc , tenente colla delira
lo Scettro , e colla finiftra accoftante una Rofa al naio. Si leg-
ge FREDERICVS IMPERT. Se il primo , o il Secondo , noi
so dire. Nel rovefcio pare un'Aquila, ornata di perle o gem-
me, e nel contorno CIVITAS CVMANA : che cosi una vol-
ta i Comafchi confondevano la loro Citta con quella di Cu-
ma. Alche non avendo fatto mente il P. Pagi , contro il dove-
re ceniurò il Sigonio.
La Seconda parimente in Modena ha il diritto fimile. Nel
rovefcio l'Aquila è diverfa . Solamente vi fi legge CVMANVS,
cioè Populus . Vedi nel Tom. V. Rer. Ital. il Poema intitolato
Cumanus .
Non so fé la Terza appartenga a Como . Vi fi veggono
le lettere CO. R. o pure B. VICECOMES . Nel rovefcio
VB...MANA. Tutto qui è fcuro.
Cortona .
Debbo all'xAbbate Rodolfino Venuti Patrizio di Cortona la
Tegnente Moneta, efilìente nel Mufeo di quell'Accademia. Vi
fi legge CORTONA, e nelrovefcio S. VINCENTI VS,
Cremona .
Di fopra vedemmo, che Federigo I. Auguflo nel 1155. tol-
fe a' Milanefi , e trasferì ne'Cremonefi il Gius di battere Mo-
neta. Tal verità vien confermata da una Moneta efiftentc nel
Mufeo Bertacchini di Modena . Nel diritto fi legge FREDE-
RICVS , nel mezzo P. R. I. non so fé Imperator , o Primus
Komanorum Imperator, Nell'altro lato la Croce , e DE CRE-
MONA .
La Seconda in Modena ha nel mezzo F. cioè Frederkus- ;
nel contorno IMPERATOR , La Croce (la nel rovefcio con
CREMONA.
La
V E N T E S I M A S E T T r M A . 5^1
La Terza nel Mufeo Bertacchini è poco diverfa dalla pre-
cedente.
La Quarta nel Muieo Chiappini . Qiiivi nel contorno fi leg-
ge FREDERICVS, e nel mezzo IPR. come fopra . Il rove-
l'cio è fimile al precedente.
La Quinta nello itefib Mufeo . La Croce è nel mezzo coli'
ifcrizione AZO. VlCECO.VlES . Nel roveicio CREMONA.
Di quella Citta s' impadronì nell'Anno 1335. Azzo Vilconte
Signor di Milano.
La Sefta inviatami dal Chiarirs.FrancefcoArifiCremonefe, ha
nel diritto un braccio armato colle lettere FORTITVDO ME A
INBRACHIO. Nel roveicio S. HIMERIVS EPISCOPVS5
Protettore di Cremona.
La Settima è di Francefco IL Sforza Vifconte,
Deciana.
Famosa, è nella Storia di Vercelli la Cafa de'Tizzoni , che
anche fignoreggiò talvolta quella Citta . Deciana , oggidì Be-
fana ^ è Caiì:ello di quel dillretto, che Lodovico Tizzone co-
minciò nell'Anno 141 1. a godere con titolo di Conte. Vedi
la Storia di Benvenuto da San Giorgio . Efifte la fua Moneta
in Piacenza nel Muieo Chiappini.
Dertona , cioè Tortona •
Anche alla Citt^a di Tortona fu conceduto da Federigo L
Auguflo il Privilegio della Zecca , come appariice dal iuo Di-
ploma da me dato alla luce. Nel Muieo Bertacchini fi conierva
una Moneta di quella Citta. Si legge nel mezzo FR. e nel contor-
no IMPERATOR . Nel rovelcio'"è la Croce colle lettere TER-
DONA .
Euguòmnij oggidì Gubbio.
Gubbio Citta del Ducato di Urbino richiede anch' efla luogo
in quello Teatro. Ivi lembra battuta una Moneta, che nel di-
ritto ha COMES FEDERICVS . V'ha di fopra una picciola
Aquila. Nel contorno dei rov^^lcio fi legge DE. EV. GV. BIA.
Può appartenere a Federigo III. da Montefeltro , che neh'
Anno 1444. ricuperò Urbino, e nell' Anno 1471. da Papa
Siilo
542 Disserta zione
Sìiìo IV. fu dichiarato Duca di quella , e di altre Citta . Po-
trebbe nondimeno riferirfi a Federigo 7. Conte di Montefeltro ,
che nel 1322. fu tagliato a pezzi dagli Urbinati.
L'altra efifìente nel Mufeo Chiappini ha 4+ FEDERICVS
&c. Nel mezzo l'Arme Tua . Nell'altra parte ^ EV. GV. BI.
VM.' e l'Arme verifimilmente della Citta.
Ferrara ^ e i Marchefl d' Efte .
NoiNi ho dubbio alcuno, che Federigo I. Imperadore con-
cedefle a Ferrara Citta libera il Gius di battere Denari, giac-
ché, come vedremo nella DifTcTt. XL Vili. quell'Augufto^nelF
Anno 11(54. ^^ concedette molti Privilegj , ed altri pare che
ne concedefle dipoi, fra' quali la facoltà fuddetta. Qj.ianto ho
detto, vien confermato dalle vecchie Monete . Una d'efie con-
fervata nel Muieo Bcrtacchini di Modena , ha quefte lettere
nel mezzo F. D.R.C, c'xoh Fredericus^ e nel contorno IMPE-
RATOR . Nel rovefcio la Croce colle lettere FERARIA .
Ne fi credefie alcuno , che qui fi parlafle di Federigo II. per-
chè prima del di lui tempo fi truova Ferrarienjìs Moneta , Ciò
apparifce dallo Strumento de' Patti ftabiliti nell'Anno 1205.
fra i Bolognefi e F'errarefi fuperfa&o Motjet^e Borioni e n fi s & F cr-
rartenjis^ allorché Azzo Marchefe d'Elle era Podefla di Ferra-
ra. In un altro Strumento del 120^. dove fi legge, che s'era-
no obbligati Ferrarìenfes & Bononienfes fuper faHo Monetce in
ano & eodem flatu tenere , CT facere , & fabbricare ; & nulla
illarum Civitatum fine licentia Ò" parabola data in Confilio
venerali a ReBore 'vel Reóioribus alterius Civitatis^ Monetas il'
las pojfe facere diminuere . A me inviò quante Monete potè
raccogliere di Ferrara il Canonico Giufeppe Scalabrini, fpezial-
mente ricavate dal Mufeo del Chiarifs. Arciprete di Cento Gi-
rolamo BaruiTaldi .
La Seconda forfè battuta circa il 1340. ha l'Immagine di
un Vefcovo colle lettere S. MAVRELIVS P. cioè ProteHor .
Nell'altra facciata TArme della Città di Ferrara, e DE FER-
RARIA.
La Terza nel Mufeo BaruiTaldi , ed anche in Modena , non
è molto diverfa dalla precedente, né abbilogna di Ipiegazione.
La Q_uarta poffeduta da molti in Modena, ha un' Aquila Ar-
me de gli Elienfi , colle lettere NlQUOLaus MARCHIO ,
Cloe
V E N T E S I M A S E T T I M A . 54. j
cioè Ejlenjìs , Signore di Ferrara Scc. Nel rovefcio l'Arme
della Citta , e DE FERRARIA . Non so dire , fé apparten-
ga a Niccolò IL Marchefe , che nel 1^62. fignoreggiava iti
Ferrara, o pure a Niccolò 111, che cominciò la fua Signoria
nel I3P3- . . -
La Qiiinta nel Mufeo Bertacchini ha un Elmo , fopra cui
fìa il capo d'Aquila coronata colle lettere N. I. cioè Nicol aus»
Nel contorno fi legge NlCHOLaus MARCHIO . Nel rove-
fcio un Monocerore , e nel contorno DE FERRARIA . Pro-
babilmente è Moneta del Marchefe Niccolò 111,
La Seda nel Mufeo Baruffaldi mofira nell'una parte l'Arme
della Citta di Ferrara, e all'intorno LEONELVS MARCHIO.
Nell'altra l'effigie d'un Vefcovo colle lettere S.MAVRELIVS
"Eì^lScopus. Nel 1441. cominciò Lionello Marchefe a fignoreg-
giare in Ferrara.
La Settim-a nelMufeo Bertacchini , appartenente al me-
defimo Marchefe , è poco diverfa dalla precedente , le non
che qui fi legge S. MAV. ( cioè San6ius Maurelius ) FERA-
RIENSIS .
L'Ottava nel Mufeo Baruffaldi mofira San Giorgio, che por-
ge la bandiera a Borfo Marchefe d'Efìe^ come ne ^li Zecchini .
Nel contorno S. GEORGIVS. BORSIV. Z)//x, cioè nel 1452.
dichiarato Duca di Modena, Reggio, Cornacchie &c. e nel 1 471.
da Papa Paolo IL creato Duca à\ Ferrara.
La Nona nel Mufeo Bertacchini fa vedere l'Aquila con due
tede coronata, e BORSIVSDVX. Nel rovefcio l'Arme della
Citta, e nel contorno DE FERRARIA.
La Decima nello ftelTo Mufeo, appartiene al predetto Borfo
Duca^ e fomigliante alla precedente, fé non che moftra l'Arme
più antica della Citta di Ferrara.
L'Undecima nel Mufeo medefimo, ha nel diritto il Mono»
cerote colle lettere FERARIE D. CORNIGER , Nel rove-
fcio l'Aquila da due tede coronata, e CLAR COMITAT.
INSIGE. forfè la prima Ifcrizione vuol dire F<?rRARIAE
DECVS CORNIGER, cioè il Mo7ioc erote . La Seconda forfè
vuol dire : Clarum Comitatus hijtgne^ o Ci ari Comitatv.s Infi-
gtte^ cioè di Rovigo e Comacchio eretti in Comitato da Fe-
derigo III. Augudo.
La xir. in Modena ha l'effigie di un Prìncipe , e le lettere
HERCVLES DVX FERRARIE, cioè Ercole lEJÌenfe , che
neir
54^ Dissertazione
nell'Anno 1471. fuccedette nel Ducato. Nel rovefcio l'imma-
gine di San Giorgio Protettore de' Ferrarefi , e DEVS FOR-
TITVDO ME A.
La xiir. ha l'Aquila da due tede coronata , Arme gentilizia
de' Principi Eftenfi , e nel contorno HERCVLES DVX 8cc.
cioè lo ftefib Ercole Primo . Nel rovefcio il Monocerote , e
DE FERRARIA.
Nella XIV. fi mira SanMaureìio in piedi, che benedice il Du-
ca inginocchiato ; e all'intorno : S. MAVRELIVS HERO//^^
DVX FERR. Mirafi nell'altro lato l'immagine del Salvatore
colle lettere lESVS 5 e nel contorno il motto : SALVSINTE
SPERANTIVM.
La XV. ha l'Aquila da due tefte, ed HERCVLES. DVX. Nel
rovefcio un Cavallo, e DE FERRARIA .
Il diritto della XVI. è firn ile al precedente. Nel rovefcio fon
le Arme della Citta di Ferrara.
La XVII. moftra l'effigie di un Vcfcovo, e SANTVS MAV-
RELIVS . Nel rovefcio un Fiore , inferito in un Anello , che
moftra un Diamante acuto col motto DEXTERA DNI EXAL-
TAVITME.
La XVIII. ha il bullo ài q{^o Ercole I. Due a\ colla capigliatura
all'ufo di que' tempi . Nel rovefcio un uomo nudo a cavallo.
Le Monete de' iulTeguenti Duchi le lafcio alla cura d'altri,
perchè battute dopo i confini dell' afiunto mio . Vegganfi an-
cora le Monete di Modena e Reggio qui fotto . Ma percioc-
ché nel Secolo XV. fi cominciò a formar de i Mediiplio?ìi in
onore de'Principi, ed alcuni ne ho io veduto fpettanti a'Prin-
cipi della nobilifTima Cafa d'Efte, voglio aggiugnerli qui.
Il Primo ci fa vedere l'effigie di Niccolo III. Mnrchefe , Si-
gnor di Ferrara &c. coli' ifcrizione NICOLAI MARCHIOw'i
ESTENSIS. Nel rovefcio l'Arme della Serenifs. Cafa d'Efte.
Fu battuto circa il 141 5.
Il Secondo nel Mufeo Eftenfe . V ha 1' effigie ài Lionello
Marchefe coli' ifcrizione LEONELLVS. MARCHIO ESTEN-
SIS. Nel rovefcio la teda di un uomo, che ha tre faccie pue-
rih. Nel contorno OPVS. PISANI. PICTORIS.
Il Terzo nello flefTo Mufeo ha la fteffa effigie , e le me-
defime ifcrizioni . Ma differente è il rovefcio , niirandofi ivi
due uomini nudi, portanti fopra il capo due caneftri di fiori,
forfè indicanti il felice flato di Ferrara fotto quel Principe.
Il
VentesimasettimaT 5 4.5
Il Qiiarto nel medefimo Edenfe Mufeo, ha il bufto di elfo
Lionello colle lettere LEONELLVS. MARCHIO. ESTENSIS.
D.FERRARIE. REGIE ET. MVTINE. Vedefi nel rovefcio la
fioura di un uomo nudo , forfè un Fiume . Di fopra un fiafco ,
da cui cleono due rami d'alberi.
Il Quinto nel Mufeo Bertacchini . Nel diritto è l'effigie di
L'to7ìello 5 e una pari ilcrizione . Sopra il capo le lettere : GÈ.
R. AR. Nel rovefcio un Eione, e davanti a luì un Cupido
o Gemo alato . Si aggiugne OPVS PISANI PICTORIS . E
in una Colonna , dove fi mira una nave , è fcritto l' Anno
MCCCCXLIV.
Il Sefto nel Mufeo Eftenfe . Ivi è f effigie di Borfo , ottimo
Principe, colie lettere: BORSIVS... MARCHIO... ESTEN-
SIS... DOMINVS. Corroie fon l'altre.
Il Settimo nello fhffo Mufeo appartiene al poco fa lodato
Borfo creato Duca. Vi fi vede il fuo bullo, e BORSIVS. DVX.
MVTINE. ET. REGIE MARCHIO. ESTENSIS. RODIGII.
COMES ETC. Nel rovefcio un Monte ; di fopra un Globo So-
lare , o Lunare , che fparge i fuoi raggi fopra il Monte . Nel
contorno OPVS lACOBVS LIXIGNOLO MCCCCLX.
L'Ottavo nel Mufeo Bertacchini ha quafi la fteffa effigie ed
ifcrizione. Nel rovefcio un Monte, nel quale un'Arca con delle
Croci . Di fopra v'è il Sole , che fparge i raggi , e le lettere
OPVS PETRECINI DE FLORETIA MCCCCLX.
11 Nono nel Mufeo Eftenfe ci fa vedere Alfonjo I. tuttavia
fanciullo, e poi Duca, nato nel i47<5. da Ercole I. e da Leo-
nora d'Aragona . Vi fi vede la fua effigie colle lettere ALFON-
SVS MARCHIO ESTENSIS. Nel rovefcio Ercole, che nella
cuna flrozza i Serpenti . Di fopra alcuni rozzi caratteri Greci ,
de' quali non ho potuto intendere il fenfo .
Fermo .
Alla Citta ài Fermo ^ capo una volta della Marca, peratte-
fìato del Rinaldi negli Annali Ecclefialìici, Onorio III. Papa con-
cedette il Gius di battere Moneta nell'Anno 1220. il che mi pare
cofa rara. Fra le Monete Pontifizie la XXXIV. di Bonifacio IX.
Papa fu battuta in quella Citta.
Ne produco una piìi antica , comunicatami dall'Abbate Gio-
vacchini Avvocato di Foffombrone . Vi fi veggono le Chiavi
Tomo L Zzz Pon-
54^ Dissertazione
Fontiirzie colle lettere M. PAPA Q^VARTVS . Nel rovefcio
VB. cioè Urhs^ FIRMANA . Fu battuta circa il 1282. iotio
Martino IV. Papa.
Nel Mufeo Chiappini altra Moneta fi vede coli' ifcrizione :
D. L. DE MELÌORATIS. Nel rovelcio VB. FIRMANA. cioè
Domhnis Ludovicus ds Melioratis ^ Nipote di Papa Innocenzo VII.
che neir Anno 1405. cagionò un grande fconvolgimento in
Roma. In que' tempi (concertati fu egli inveitito della Citta
di Fermo .
La Terza in Roma preflb l'Abbate Francefco Valcfio. Ap-
partiene alla fuddetta Citta, perchè nel roveicio fi legge : VB.
FIRMANA. Ma chi foiTe allora Signore d'tfìfa , lo diranno
i pili pratici che io della Citta. Le lettere CO VICECO-
MES coir Arme del Serpente forie dcvoìsiuó Fraficefco SfGy;^7^
che fu poi Duca di Milano.
La Qiiarta ha le Chiavi iniegna della Chiefa Romana , ed
EVG. PP. Q^VARTVS, cioè Papa Eugenio IK Nd rovefcio le
fteffe Chiavi , ed VB. FIRMANA. Una fimile fi vede in Ro-
ma nel Mufeo del Cav. Francefco Vittori con altre lettere, cioè
M. PAPAQ_ViNTVS. E* di M^m;?o K
La Quinta nel Mufto Bertacchini moftra l'effigie di un Ve-
frovo colle lettere S. SAVINVS. Celebre fu una volta il Mo-
nillero di San Savino nel Territorio di Fermo . Nel rovefcio
è uno Scudo, k cui Arme fono fmarrite ; e di fopra fi legge
URBIS FIRMI.
La Sefta nel medefimo Mufeo ha nel contorno SANTVS.
SAVIN. e nel mezzo VS. Vi fon due lettere fcadute, forfè PR.
cioè Prote6ior , quale probabilmente fu quel Santo . Nel rove-
fcio la Croce, e DE FIRMO.
Firenze .
Delle Monete Fiorentine ha trattato badevolmente il Bor-
ghini ne' fuoi Libri delle memorie Fiorentine . Gloria e cer-
tamente di quella si riguarde voi Citta, l' efiere fiata la prima
a battere i Fiorini d'oro^ Moneta , che ficcome dirò nella fe-
guente Difiertazione, divenne celebre per tutta l'Europa, e fi-
no per l'Afia e per l'Afirica . Si mantenne iempre la llefia fi-
gura di tali Monete, fé non che vi fi cominciò ad aggiugnere
in uno Scudetto l'Arme del Gonfaloniere . Chi concfce taU Ar-
::V^;.lne,
V E N T E S I M A S E T T I M A . 54.7
me, sa eziandio , di che tempo furono battute . Farò io qui
menzione iblamente di lei Monete Fiorentine.
La Prima d'argento nel Muieo Bertacchini rapprefenta l'Im-
magine di San Giovanni Batifta , Protettore di Firenze , colle
lettere S. lOHANNES B. Nel roveicio il Giulio , Arme del
Popolo fiorentino, e nel contorno FLORENTIA.
La Seconda è di rame con argento della figura fuddetta .
Taleèrilbrizione S. IOANNES FLORENTIA.
La Terza d'argento ha la medefima forma, ma con un pic-
cioloScudo. VifikggeS.IOHANNES B. DE FLORENTIA.
La Quarta d'argento ne' Mufei Bertacchini e Chiappini fa
vedere lì Batifla ledente, che tien colla fi ni lira un'alta, ncl^
la cui cima è la Croce , e colla delira una fafcia. Vi fi leoge
SANCTVS lOHANNES BAPTHISTA PR. Qioh Prete aor-.
Nel rovclcio un Giglio, e all'intorno il leguente verlo : DET,
TIBI. FLORERE.' XPS. FLORENTIA. VERE. Forfè que-
fta è delle più antiche.
La Seda d'oro nel Mufeo Bertacchini è un Fiorino de i più
vecchi, alla cui fomiglianza e pefo oggidì fi battono in Firen-
ze i Gigliati o Rufpi. Vi fi mira il Batiiìa colla pelliccia , e all'
intorno S. lOHANNES B. Nel roveicio il Giglio , e FLO-
RENTIA. Nella Notizia delle Citta , che MSta vien citata
dal Pignoria nelle Annotazioni alla Stona del Muffato , è fc rit-
to Civitas tfla cudtt Monetam ^ cum qua fere totus Mundus tun-
ditur , imo per illam peccata hodie fiunt mirabilia &c. Hodie
Cfvitas ipfa aureis , quos fabricat , ah ipja Floreyttia nominatis
Tlorenis^ major a longe ^ quam clava Herculis^ domata & domi-
fìatur in Orbe . Guglielmo Ventura nel Cap. 4(5. della Cronica
d'Adi fcrive, che Raimondo da Terzago Capitano del Popolo
Adigiano fu corrotto e»c multa quantitate terree rubeae Floren-
tince. Vuol dire àt Fiorini, Ma mtorno a quella celebre Mo-
neta , tornata oggidì in ulo per l'Italia , è da vedere una Dif-
fertazione del Cavaliere Francelco Vettori, che diligentemente
ha illuftrato tutto quanto appartiene alla medefima.
Forlì .
Dal fu Conte Fabrizio Monfignani fui aflicurato, e lo at-
tefta anche 1' Autore dcrlla Storia di Forlì nel Lib. X. che 1 For-
livefi da Federii^o II. Imperadore ottennero il Privilegio di bat-
Zzz 2 tere
54-8 Dissertazione
tere Denari. Ma niim di eflì m'è riufcito di trovare finquK Ho
bensì veduto un Medaglione fatto in onore diC^rco, cioèFr^^;-
cefco de gli Ordelaffi^ Signore di quella Citta. Nel contorno fi
leoge CICCVS IH. ORDELAPHVS FORLIVIY. P.P. ET
PRINCEPS . Nel mezzo un V. ( forie Vi^at ) MCCCCVIT.
Nel rovefcio T effigie di Curzio Romano a cavallo , che per la
falute della Patria fi precipita in una voragine, con queiìo verfo
SIC MEA VITALI PATRIA EST MIHI CARIOR AVRÀ.
Sotto il Cavallo fi legge : IO. EP. PAPITIVS . Sembra quefti
il fabbricatore del Medaglione . Ma le taluno pretenderli, che
qu'i fi nomini il Veicovo di Forlì allora vivente, non mi oppor-
rò , purché fi fpieghi quel P^phius . A i dotti Forlivefi pari-
mente rimetto l' inlegnarci , perche chiamino Cecco o France-
fco de gl'i Ordelajfi il Figlio di Antonio, e di Catterina Rango-
ni da Modena, nato nel 1435. quando qui comparilce Cecco
Ter'zo Principe di Forlì nell'Anno 1407.
Efifiono pofcia in quella Citta Monete , battute dal Conte
Ottaviano Riarioy e da Cattarìna Sfori^^a Vtjconti y che ivi domi-
navano fui fine dei Secolo XV. Nel roveicio delle quali fi vo-
de l'effigie di San Mercuriale colle lettere S. MERCVRIA-
LIS FORL/'u/i ^KOT eBor.
Genova . v^;
L'antico Cronifia Genovefe Caffaro così feri ve nel Tom. VL
Rer. Jtal. In i/lo Confulatu Moneta data fuit J anuenfibus a Conrada
Tbeutonìco Kege ; & Privilegia inde faóla^ & figlilo auro ftgnata
Cane eli nrius Kegls Januarn duxlt^ & Conjullbus dedlt Anno MC-
XXXIX. Perciò fino a quelli ultimi tempi ufarono i Genovefi di
mettere nelle loro Monete il nome di elfo Corrad-o IL Re di Ger-
mania e d'Italia. Anche Agoftino Giufi:iniano ne gli Annali di
Genova fcrive, che mettevano il nome d'eflo Re nel diritto, e
nel rovefcio formam Arcis Jìve Cajlri cum trihus turribus.
Tre Monete Genovefi efiftenti nel fuo Mufeo di Piacenza mi
ha fomminifirato il P. Don Aleflandro Chiappini Generale de i
Canonici R.egolari. La Prima d'oro ha la Croce, e CONRA-
DV. REX. Nel rovefcio DVX lANVE.
La Seconda d'argento con lettere corrofe C... S. IL RO.
REX. M. Nel rovefcio DVX. GÈ.,.»
La
V E N T E S I M A S E T T I M A T 54p
La Terza d'argento ha CONRADVS. REX. R. Nel rove-
fcio DVX. lANVENSIVM. PRIMVS. Fu eletto per la prima
volta Doge di Genova nel 1339. Simo-ae Boccanegra,
La (Quarta d'oro ha CONRADV: REX: ROMANORVM.
Nel rovelcio la figura d'una Porta o Rocca turrita colle lette-
re DVX: lANVENSIVM: QVARTV: cioè o Giovanni Vi jcon^
te Arcivelcovo e Signor di Milano; o piùtofto lo ftefTo Boccane-
gra^ che nell'Anno 1^61, tornò ad effe re Doge.
La Qj-iinta appartiene a Lodovico XIL Re di Francia , che
nel 14PP. s'impadronì di Genova. Nel diritto CONRAD. REX.
ROMANOR. ET. B. L forfè Benefaóior Janu^e . Nel rovelcio
LVDOVICVS REX FRANC. lAN. D. cìohjami^ DuxoDo'
mi'fìus .
I Conti di Lavagna,
La nobil Cafa à^ Fi efebi , che nel Secolo XIIL diede due
Papi alla Chiela Romana, e tanti altri infigni perfonaggi pro-
duife , lungo tempo fignoreggiò il Comitato à\ Lavagna cova^
Feudo Lnperiale. La Prima Moneta da me veduta ha un Scudo
puro fenza fegno d'Arme, e l'Aquila di fopra , che pofa fopra
una Corona. All'intorno MONETA FELISC. in vece diF//-
fcomm . Nel rovefcio la Croce , e SANCTVS TEONETVS
MART. in vece di Theoìiejìus,
Due Monete del Mufeo Veronefe Mufelli ci afTicurano , che
la Moneta fuddetta appartiene a i Conti di Lavagna . Nella
prima fi vede l'effigie di un uomo, e nell'altra un' Aquila coli'
ifcrizione: PETRVS. LVCAS. FLISCVS. LAVANIE CO>7ies,
Nel rovefcio d'amendue l'effigie di un Martire , eS. TEONE-
STVS MARTIR.
Anche nel Mufeo del Cav. Francefco Vettori in Roma efifte
Moneta colle lettere LVDOVIC^/j FLISC«5 LAVANIE &c.
DOminus. Nel rovefcio S.THEONEST«5 MARTIR.
Macerata .
Di fopra abbiam veduto fraleMonetePapalilaxxxiii.bat-
t\ita m Macerata ad onore di Papa Bonifazio IX. Nel Mufeo Pa-
dovano del Conte Giovanni Lazzara fi truova una Moneta ,
probabilmente più antica. Ivi fi legge S. IVLIANVS, Protet-
tore della Città. Nell'altra parte DE MACERATA.
La
550 Dissertazione
La Seconda ha l'effigie d'un Santo, che colla finiflra tiene
unafpada, e colla deftra unbaftone, e le lettere S.IVLIANVS.
Nel rovefcio la Croce, e nel contorno DE MACERATA.
I Malatefti.
De'' tanti Mala fejìi^ Principi valorofi ed illuflri di Rimino,
e d'altre Citta , non ho veduto fé non due Medaglioni , fpet-
tanti a Sigifmondo Figlio di Patidolfo. Il Primo prelTo l'Aibbate
Domenico Vandelli, pubblico Lettore neirUniverfuk di Mode-
na, ha l'effigie di efib Principe coli' ifcrizione : SIGISMON-
DVS P. D. ( cioè Pandiilfus De ) MALATESTIS S. R. E. C.
(^c\oh San^ceKomanceEccleftdsCapitaneus^ GENERxALIS. Nel
rovefcio unLambequin^ come dicono i Franzefi , colle lettere
SI. cioè Sigifmu?idus^ e di fotto MCCCCXLVI.
L'Altro prefTo il Sig. Bernardino Abbati Modenefe, in cui (I
mira il bullo del medefimo colle lettere SIGISMVNDVS PAN-
DVLFVS MALATESTA. PAN. F. cioè Pandidfi Filius .
Nell'altra parte Fimmagine di un Cartello turrito coli' ifcrizione:
CASTELLVM SISMVNDVM ARIMINENSE. MCCCC-
XLVI.
Mi fia permeffb di aggiugnere un altro Medaglione , pof-
feduto dal Sig. Bartolomeo Soliani , rinomato Libraio di Mode-
na. Nel diritto è l'immagine di una Donna colle lettere Do-
mina ISOTTAE ARIMINENSI . Nel rovefcio fi mira , fé
non fallo , un Libro chiufo con quattro fibbie , e le lettere
ELEGIA. Celebre a' luci tempi fu Ifona da Rimini , la qua-
le per le fue Doti dì corpo e d'ingegno piacque fommamen-
te al luddetto Sigismondo . V'ha chi la dice Ipofata da lui;
altri la pretendono folamente concubina . Quel che è certo
nel fuo Sepolcro in San Francefco di Rimini fu efla chiamata
DIVA ISOTTA , titolo ben Gentilelco .
Mantova.
Non avrei mai creduto , che la nobil Citta di Mantova
avefìfe goduto il Privilegio della Zecca prima del Mille, fé non
aveffi veduto, ed anche pubblic^ato un Diploma di Ottone IH.
Imperadore, a noi confervato da Pellegrino PrilcianoFerrareie,
che fioriva nel 14^0. ne' fuoi MSti efillentl nella Biblioteca
Eden-
VeNTESIxM A SETTIMA. 5^1
Eftenfe . Fu cfCo dato nell'Anno c?5)7. in favore della Chiefa
di Mantova , e di Giovanni Vefcovo di quella Citta . Qiiivi fi
leoge : Mo?7etam publìcrtm ipjius Mantuance Civìtatis noflro Im^
teriali dono ihi perpetualhev habendam concedimus & Jìab'ili-
mus . Ma non so dire , fé mi iìa avvenuto di trovar alcuna
delle antiche Monete di Mantova. Regidrerò quelle, che mi
fon venute alla mano.
La Prima d'argento è in mio potere, e fi truova anche nel
Mufeo Chiappini. Mirafi nel diritto un'Aquila colf ali tefe ,
e nel contorno VIRGILI VS. Ognun sa, quanto vada glorio-
fa Mantova, per aver dato alla luce il Principe de'Poeti La-
tini. Perciò ne volle perpetuato il nome anche nelle fue Mo-
nete. Eravi in oltre la fua Statua, che Carlo Malatefta fece
abbattere , come coda da una mordente Orazione contra di
lui del vecchio Vergerio , da me data alla luce . Vedefi nel
rovelcio la Croce , e nel contorno DE MANTVi^ . Forfè
ben antica è tal Moneta, folamente ne dubito, perchè s'è ve-
duto, che l'altre Citta mettevano nelle lor Monete il nome
del Re o dell' Imperadore.
La Seconda nel Mufeo Bertacchini è molto fimile alla pre-
cedente .
La Terza nello fteffo Mufeo, ha la Croce colle lettere VIR-
GILIVS. Nel contorno dell'altro lato MANTVE. E nel mez-
zo tre lettere E. S. R. Se quelle fignificaflfero EncricuS Rex , la
Moneta farebbe delle più antiche.
La Quarta nel Mufeo Mufelli moftra Virgilio fedente in una
Cattedra colle lettere VIRGILIVS MANTVE. Nel rovefcio
r immagine di San Pietro Apoftolo , e di un Vefcovo , e S. PETR.
EPS, cioè Sa?ì6ìus Petrus Epifcopus.
La Quinta nel Mufeo Bertacchini rapprefenta l'Arme della
nobiliffima Cala Gonzaga , ben diverfa da quelle , che fi ula«
vano ne' tempi addietro. Nel contorno LO. D. ( cioè Lodo-
njìcus de) GONZAGA , che nel 13^5. fu creato Vicario Im^
periale di Mantova da Carlo IV. Imperadore. Nel rovefcio
il di lui bullo colle lettere V. D. MANTVA , cioè Vkarius
de Ma?7tua,
La Seda preffo l'Abbate Domenico Vandelli, ha nel contorno
e nel mezzo FRAN.CIS.CHVS, cioè Francefco Gon2:aga^ quegli
a mio credere, che nel 1382. fuccedette nel dominio di Mantova,
e s'acquiftò gran nome nell'armi. Nel rovefcio V. D. MANTVA.
La
552 Dissertazione
La Settima prefìfo il Soliani in Modena moflra un buHo di
un Principe colle lettere FRANCISCVS MR. {óohMarcìno)
MANTVE mi. Egli luccedette neìi' Anno 1444. a Federi-
go fuo Padre . Nel rovefcio fi mira un Crociuolo attorniato
da fiamme con tre lamine d'oro o d'argento , che ne cleo-
no fuori, e il motto: D. PROSASTI ME ET COGNO. M.
Sono parole del Salmo 138. Domine prob^Jìi me^ & cognow/li
mei Allude alle difgrazie patite.
L' Ottava nel Mufeo Bertacchini ha il bufio di q{^o Prin-
cipe colle lettere FRANC .... e nel roveicio un oftenlorio
facro coir ifcrizione SANGVINIS XPI lESV, che da più Se-
coli fi venera in Mantova.
I Marchefi di Monferrato .
Tengo per fermo, che gli antichi nobiliffimi Marchefi di
Mo7tferrnto avran battuto molti Denari ; ma non più che quat-
tro mi fon venuti lotto gli occhi. Il Primo nel Mufeo Chiap-
pini porta l'Arme del Marchefe colle lettere GVTL. MA. MO.
FÉ. cioè Gutllelmus Marchio Mo?Jtis Ferrati , forfè quegli , che
ne 1^60. fu Marchefe . Nel roveicio un Soldato , che colla
lancia corre addoffo ad un ferpente di tre tede colle lettere
S. THEODORVS CVSTOS.
Il Secondo nel Mufeo Bertacchini. V'ha la fua effigie, e
GVLIELMVS MAR. MONT. FER. Nell'altra parte la fua
Arme , e nel contorno SACRI RO. IMP. PRIN. VIC. PP.
cioè Perpetuus .
Il Terzo nel Mufeo Mufelli . Quivi fi legge GV. MAR.
MON. PRINC. VICARIVS PP. SAC. RO. IMP. Più Boni-
facj fignoreggiarono il Monferrato: non so, a qual d' effi fia
da attribuire quella Moneta.
Il Quarto in Bologna preffo il Marchefe Gian - Paolo Pe-
poli , ha coir Arme la fuddetta ifcrizione. E* differente il ro-
vefcio .
Anche in Roma il Cav. Francefco Vettori ne ha una col-
le lettere IO. GEORGIVS. M. MONTIS. FERRATI. IM-
PERATO. VICARIVS.
Mode-
V E N T E S I M A S E T T I M A • 5 $ j
Modena .
Pare, che non prima dell'Anno 1242. la Repubblica di
Modetìa batteffe Moneta , leggendofi ne gli antichi Annali di
quefta Citta a quell'Anno: Primo ca^ptum fuit cudere Nummos
in Civitate Mut'nice , Contuttociò ho io dato alla luce il Diplo-
ma di Federigo II. Imperadore, Ipedito in Borgo San Donnino
nell'Anno 122^. dove ad e (Ta Citta fi veggono confermati tut-
ti gli antichi Privilegj. Fra l'altre grazie fi legge : Ex abundan-
t'ton quoque gratin Celfttud'inh jìoJìr<e concedìmus praedt^ice Civi-
tatis Communi , tit licitum ftt eis Monetam fub chara6ìere nomi-
nis nojìri prò 'voluntate & commodo fuo cudere facere , & habe-
re ^ magnnm , 'vel parvam , qua; ubique terrarum Imperii nojìri
expendatur^ & currat , & ei debeant nomen prò fua imponere vo-
luntate Ò'c, Di quello Federigo , più torto che del Primo , fi
truova pofcia ripetuto il nome nelle antiche Monete di Modena.
La Prima di effe d'argento nel Mufeo Chiappini ha nel con-
torno FEDERICVS, e nel mezzo I. P. R.T. cioè Imperatore Nel
rovelcio D. MVTINA, cioè deMutina,
La Seconda la tengo io , ed anche il Mufeo Bertacchini .
Nel mezzo fi veggono tre lettere F.D.C, cioè Fredericus ^ e
nel contorno Jmperator, Nel rovefcio M. DE MVTINA , cioè
^Moneta de Mutina,
La Terza polTeduta dal Marchefe Gian-Paolo Pepoli , e dal
Dottore Gian-Francefco Soli mio Nipote, ha nel diritto AZO
MARCHIO, e nella fommita un'Aquila, Arme della Serc-
niifima Cafa d'Efte. Il rovefcio è fìm-Je al precedente. Neil'
Anno i2c?3. Azi^VIIl. Marcheje d'Efte^ fuccedette ad Obiz-
zo fuo Padre nel Dominio di Ferrara, Modena, Reggio, Ro-
vigo, Comacchio occ.
La QLiarta prefìb il Marchefe Bonifazio Rangone in Mode-
na , ha l'eifigie di San Geminiano Vefcovo e Protettore della
Citta colle lettere S. GEMINIA. MVTINAE EPS. Nel rove-
fcio uno feudo colla Croce, Arme della Citta; e nel contorno
RESP VELICA MVTINAE.
La Quinta d'argento coli' effigie e nome di effo Santo, ha
nel rovefcio la Croce colle lettere COMVNITATIS MVTINE.
Toìno L Aaaa Nova-
55+ Dissertazione
Novara .
Una fola Moneta di Novara ^ efiftente nel Mufeo Bertacchi-
ni, ho io trovato. Ivi comparifce la Croce, e all'intorno le
lettere NOVARIA . Nel mezzo del rovefcio fi veggono tre
Iole lettere S.T.C. Qiielle del contorno fon corrofe . Che fi-
gnifichino tali Sigle, noi so dire. SalvinusTurrlanusCapitaneus
fi potrebbe dire , che figlio di Pagano dalla Torre ivi figno-
reggiò nel Secolo XIII. Ma farebbe forfè un fogno .
Parma .
Nell' Anno 1037. Corrado I. Augufto fu in Parma . Forfè
anche pafsò percola nel 1027. tornando dalla Coronazione Ro-
mana ; e potè in uno di quefti due Anni concedere al Popolo di
Parma il Gius dell'Officina Monetaria. Quel eh' è certo , egli
lo concedette , colando ciò dalia Prima Moneta , poffeduta in
Modena dal Conte Giam-Bati(ia Scalabrini. Qliìvì fi mira la Cro-
ce colle lettere CONRADVS A VGVSm. Nel rovefcio fi vede
un abbozzo del Ponte del Fiume Parma con torri , e v'ha le
lettere CI VITAS PARMA.
La Seconda fi truova in Modena e Piacenza . Nel diritto fi
legge FRE. D. RI. C. IP. cioè Frederkus Imperatore da me
creduto il Primo. Nel rovefcio la forma del Ponte fuddetto,
colle lettere PARMA.
La Terza nel Mufeo Bertacchini. Nell'una parte ha FILIP,
e nel mezzo REX. cioè Filippo L Figlio minore di Federigo I.
eletto Re nel iip8. da cui i Parmigiani ottennero la conferma
de' lor Privilegi • Nell'altra parte fi legge P. A. R. M. A.
La Quarta nello fteflo Mufeo fa vedere un Montone, e nel
contorno CI VITAS . Nel rovefcio la Croce , e P. A. R. M. A.
La Quinta in Modena ha la Croce , e F. S. VICECOMES,
cioè Francefco Sforma Duca di Milano, e Signore di Parma. Nel
rovefcio l'effigie di un Santo Vefcovo colle lettere nel contorno
S. ILARIVS (Protettore) PARME.
La Sefta parimente in Modena. V'ha l'immagine di un San-
to , e all'intorno SANCTVS HILARIVS . Nel rovefcio la
Croce, e nel contorno COMVNITAS PARME.
Pado-
V E N T E S I M A S E T T I M A . 555
Padova , e i Signori da Carrara .
QiiANDO fia fincero e indubitato il Diploma di Arrigo Se-
condo fra gl'Imperadori, dato nel 1045?. in favore di Bernar-
do Vefcovo di Padova , già pubblicato da Sertorio Orfato Lib.III.
Hift, Patav. e pofcia da me più corretto , dicendo nell' Anno
fuddetto efTo Auguflo a quel Vefcovo Itcentiam & poteflatem
Mo'tietnm fac'tendi in Cìvitate Patavie?ìjì^ fecundwm pondus Ve-
ronenfis Mofieta: ^ fib't , fuceque EccleJìiS perpetualiter concedimus
atque permìtdmus &c. Piìi fotto : In una fuperficie Denariorum
fiojìri fiominis^ & imaginis ìmprejfionem ; in aiterà 'vero ejusdem
Ctvipatis figuram imprimi jujjìmus. Finora non ho potuto fco-
prire che i Vefcovi di Padova , come in tante altre Citta av-
venne, otteneflero da gl'Imperadori il Comitato o fia la Signo-
ria di quella nobililTima Citta ; e pure a Bernardo Vefcovo è
conceduta la facoltà di battere Moneta, e dimettervi la figu-
ra della Gitt'a , come s'egli vi fignoreggiaffe . E^ forfè dadi-
re, che il Vefcovo foffe allora Capo di quella Comunità, alla
quale egli proccurafTe quel pregio, conche nondimeno i pro-
venti appartenefiero alla Menfa Epifcopale. Certamente in efìTi
Denari non fi dice, che abbia a comparire alcun fegno di Do-
minio Epifcopale. Vedi quaggiù le Monete di Reggio. Quelle di
Padova fpezialmente furono raccolte dal Conte Giovanni Lazza-
ra Patrizio di quella Citta .
La Prima Moneta in effo Mufeo ha la Croce colle lettere CI-
VITAS. Nell'altra parte PADVA .
La Seconda , che fi truova anche nel Mufeo Bertacchini di
Modena, ha nel diritto un'Aquila, e all'intorno PADVA RE-
GIA. Nel rovefcio la Croce , e CIVITAS . Vi fi vede anche
uno Scudetto coli' arme di non so chi.
La Terza , da me trovata anche in Modena, moftra la Cro-
ce nel diritto colle lettere CIVIT. PAD. Ne gli angoli della
Croce le due lettere I. A. Sarebbe da veder meglio, fefoffero V. A.
per compimento della parola PADVA. Nell'altra facciata l'im-
magine d'un Santo Vefcovo , e le lettere S. PROSDOCIMVS ,
Protettore della Citta di Padova .
La Quarta fu creduta dal Conte Lazzara fpettante ad effa
Citta. Ma non v'ha che un P. nel diritto, fenza altre let-
tere , e fenza altro fegno indicante Padova . Però è fiata
Aaaa 2 meffa
55<^ Dissertazione
meifa in dubbio . Nel rovefcio fi vede uno Scudo con arme a
me ignota.
La Qijinta in effo Mufeo ha nel mezzo un' A. nel contorno
CIVITAS. Nel rovefcio una Stella, e le lettere PADVA.
E finquì le Monete battute dalla Repubblica Padovana. Suc-
cedono altre imprefe da. ìCarr^reJt Signori di quella Citta, fra'
quali nondimeno pare, che folamente i due -Fr^/^c^yc/^i Seniore
e Juniore batteffero Moneta . Può eiTere , che anche gli altri
non faceflero di meno. Il Carro fu l'Arme ed Infegna di que'
Principi , però quafi fempre ne comparilce un Abbozzo ne'
loro Denari. E queiU a quali de' due Franceichi appartengano,
noi so io difcernere.
La Sefla dunque- nel Mufeo Lazzara fa vedere nel diritto il
Carro colle lettere FRAN. DE CARRAIA . Nei rovefcio la
Croce , e le lettere D. I. P. AD. VA , cioè Domhius in Padua,
La Settima ha il Carro colle lettere R.R. di qua e di la ,
e nel contorno FRANCiSCI DE CARARIA. Nel rovefcio
l'effigie di un Vefcovo colle lettere B. Z. dai lati, e all'intor-
no S. PROSDOCIMVS.
L'Ottava è fimile alla precedente, fé non che nel rovefcio
Ila CIVITAS PADVA.
La Nona fa vedere il Carro con quefta ifcrizione : F. D.
KRARIA PADVE ECETERA ; fottintendi Dominus . Nei
rovefcio la figura di un Santo, che tiene nella delira una Cit-
ta , colla finiiira una bandiera, e le lettere S. DANIEL
MARTIR N.
La Decima nel fuddetto Mufeo , ed anche in Roma prefTo
l'Abbate Francefco Valefio , molira il Carro , e all' intorno
FRANCISCHVS DE CARARIA. Nel rovefcio la figura di
una Sfinge con due A A da i lati, e nel contorno SEPTIMVS
DVS (cioè Domifii4s) PADVE. Altre fimili Monete colla Sfin-
ge ho veduto , fenza ifcrizione , e folamente colle lettere F. F.
o pure R.R. ed altre col Carro dall' una parte, e dall'altra il
Giglio (Arme di Lodovico Re d'Ungheria Protettore di Fran-
cefco Seniore ) ed altre in fine col Carro neh' un canto, e un
Elmo nell'altro. Ma per non infafiidire i Lettori, le tralafcio.
Finalmente l'Undecima nel fuddctto Mufeo ha la Croce ra-
diata, e all'intorno FRANCISCI DE CARARIA. Nel'ro-
vefcio la Croce colle lettere CIVITAS. PADVE.
Perù-
V E N T E S I M A S E T T I M A . 557
Perugia .
Cinque Monete della Citta di Perugia fon venute a mia
notizia . La Prima nel Mufeo Chiappini di Piacenza ha nel
mezzo un P. cioè Pcrujia , le pur non foiTe Pecunia ; e all' in-
torno DE PERVSIA . Il rovefcio ha la Croce colle lettere
S. ERCVLANVS, Protettore di qucha Citta. Ma pare, che
quello fia più tofto il diritto, e che neh' altra parte il P. fi-
gnifichi Profeóior .
La Seconda nel Mufeo Bertacchini porta la Croce , e nel
contorno DE PERVSIA. Nel rovelcio fi mira l'effigie d'un
Santo Veicovo colle lettere S. ERCVLANVS.
La Terza in Ruma nel Mufeo del Cav. Francefco Vettori
ha nel diritto S. ERCVLANVS, e nel mezzo P. cioè Proteóior
o Patronus . Nel rovelcio un Ippogriffb coronato colle lettere
AVGVSTA PERVSIA. Truovafi cosi nominata quella sì ri-
guardevol Citta ne' Marmi antichi.
La Obliar ta preffo il Padre Filippo Camerini Prete dell'Ora-
torio ài Camerino. Vi fi mira l'effigie di un Santo colle lettere
S. ERCVLANVS. E nell'altra parte nel contorno DE PER V-
SI. e nel mezzo un' A. che compie la parola PERVSIA , All'
intorno quattro Stellette.
La Quinta poffeduta dal Dottore Dionifio Andrea Sancaflani
da Scandiano , Medico rinomato , ha il Griffo alato , Infegna
de' Perugini . Nel rovefcio le Chiavi : fegno del Dominio Pon-
tifizio . Altre fimili di differente modello ho veduto ; ma ài
più non ne reco, baftando le accennate.
Fifa.
In che tempo cominciaffe la già potente Citta di Pìfa a
fabbricar Moneta, non fi può fufficientemente conoicere. Cer-
tamente quel Popolo avea Zecca nel i 175. fcnvendo Tolomeo
da Lucca a quell'Anno, jc?jte?Jt'tam fuijfe latam per Impera-
torem Fredericum cantra Pifanos de Moneta non cudenda in ea
forma & cuneo , qua & quo Lucenfes cudere poffunt, Vien ciò
confermato dall'antico Carfaro negli Annali di Genova, cheicnve
d'elfo Federigo I. Augufto : Pifanis Monetam Lucenfem , quain ma-
Ut iofe cudebant-) &falfijicabant ^jubjur amento debito in ter disi t . Ma
for
558 Dissertazione
forfè né pure ne' più vecchi Secoli di quefio pregio fu priva
quella nobil Citta. Imperocché in uno Strumento dell'Anno 7 8 2.
da me accennato nella Di (Ter 1. 1. noi trovammo menzionati 5'o-
lidos feptìnìentos Lucani , & P'tfani . Certo è , che allora in
Lucca fi batteva Moneta : perchè non anche in Pila? S'è ve-
duto , che non folamente Pavia , ma anche la vicina Cittk di
Milano ne' vecchi Secoli goderono un pari Privilegio. Il P. D.
Virginio Valfecchi nell' Epiftola de veterìbus Fìfaììcs Civitath
Conjì'itutis rapporta uno Strumento di concordia fra i Piiani e
Lucchefi intorno alle Monete , fcritto nel 1181. dove è liipu-
lato, che nella Lucchefe nomen Luc<s^ ^el Henrìgì fvgnandum
effe ; e in quella , quam Pifani fahricare dehent , nomen Fri-
devici^ feu Currad't , & nome?i Pijcs 5 s' abbia da feri vere : fe-
gno, che Corrado II. Re d'Italia, e Federigo I. AuguRo avea-
no confermata quella facoltà a i Pifani. Ricavafi anche da quel-
la Carta , che in Lucca folamente avea da elfere la Zecca , e
quivi fi doveano battere anche i Denari diPifa, con partire poi
fra loro il guadagno .
La Prima Moneta efifiente prefTo il fu Sign. Uberto Benvo-
glienti in Siena , avea la Croce colle lettere intorno GLORIOSA
PISA . Nel rovefcio la Croce colle lettere VI VI VI VI VI VI VI .
Eccoti una Sfinge. Si può fofpettare fette volte ripetuto VIVAT,
Torna a mirare il primo Denaro Lucchefe. Chi sa che quefto an-
cora non fia fattura del Secolo Ottavo ?
La Seconda preffo il medefimo ha nel mezzo F. cioè Prede-
ricus^ e nel contorno IMPERATOR. Il rovefcio ha nelmezzo
PISA, e all'intorno CIVITAS.
La Terza in Pila prefib il fu Sig. Angelo Pogefì, ha un'Aqui-
la coronata colle lettere FEDERICVS IMPERATOR. Nel ro-
vefcio l'Immagine della Beatiis. Vergine col Bambino in brac-
cio col motto: PROTEGE VIRGO VlSas.
La Quarta in Roma prefib il fu Abbate Valefio , e la pof-
feggo anch'io. Vi fi vede un' Aquila, eFR. IMPATOR, cioè
Fredericus Imperator , Nel rovefcio la fuddetra Immagine , e
PISE.
La Quinta nel Mufeo Bertacchini di Modena , e Vettori di
Roma. V'ha un'Aquila, e all'intorno FR. IMPTOR . Ve-
defi nell'altra parte la ftelfa Immagine , e con lettere Greche
MP. 0Y. ciohMaterDei, e fotto PISE.
La Seda nel Mufeo Bertacchini j in Pifa e Siena, ha la Croce
nel
Ve N T E S I M A SF. T T I M A . 559
nel diritto colle lettere POPVLI PISANI. Nel rovefcio la f ad-
detta effigie, e PROTEGE VIRGO PISAj.
La Settima ha nel diritto la Croce, e PISANI COMMV-
NIS , e nel rovefcio l' Immagine con PROTEGE VIRGO
PISAS .
L'Ottava in Modena preflb il Sig. Lodovico Parma , ed al-
trove , ha nel mezzo KL. cioè Karolus . Nel contorno : KA-
ROLVS : REX : PISANORVM : LIB: cioè L'tberator . Egli è
Carlo VIII. Re di Francia , che nel 145)4. fottrafìTe Pifa al do-
minio de' Fiorentini . Nel mezzo del rovefcio 1' effigie della
Vergine colla luddetta Ifcrizione , e al fuo lato un' A colla
Croce.
La Nona in Modena preflb il Sig. Bartolomeo Soliani . Vi fi
vede l'Arme Regia di Francia , e KAROLVS REX. Nel rove-
fcio un P. nel mezzo : non so fé P//^, o ProteBor. E all'intor-
no CIVITAS PISANA.
Finalmente in Roma nel Mufeo Vettori un Denaro ha nel
diritto POPVLI PISANI ; nel rovefcio PROTECTRIX. PI-
SANORVM . Un altro ha F. IMPERATOR , e nel rove-
fcio S. MAR. D. PISIS.
Pefaro .
Nell' Anno di Crifto MCCCCXLIV. cominciò a fignoreg-
giare in Pefaro Aleff andrò Sfori:^ Fratello del celebre France-
fco Sforza I. Duca di Milano . A lui appartiene la Prima Mo-
neta , efiftente prefTo l'Avvocato Giovacchini di Foflbmbrone.
Vi rilegge ALEX. SFORTI. e DOMINVS PISAVRI.
La Seconda di Coftanzo fuo Figlio, che nell'Anno 1473. fu
Signore di Pefaro, efifte nel Mufeo Bertacchini . Ivi la Croce
colle lettere CONSTAN. SE. PISAVRI ; fottintendi Domìnus .
Nel rovefcio l'Immagine di un Martire , e S. TERENTIVS ,
eh' è Protettore di Pefaro.
La Terza prelTo il fu Abbate Valefio ha nel diritto CON-
STANTIVS. S. cioè Sforna; e nel rovefcio DOMINVS PI-
SAVRI. con uno Scudetto, che ha le fue Arme.
La Quarta nel Mufeo Bertacchini ha un Leone rampante ,
che tiene un ramo fiorito, e all'intorno CONSTANTI VS SE.
P. cioè Pifauri Dominus, Nel rovefcio PISAVR.
La Quinta in Bologna, v'ha la Vergine inginocchiata, che
ado-
5^0 Dissertazione
adora il divino Infante col motto HìCTEADORAT. Neil'
altra facciata CONSTANTIVS SFORTIA DE ARAGO-
NI A PISA, cioè Pifauri Dominus,
La Sefta nel Mufeo Bertacchini ha l'effigie del Principe col-
le lettere : CONSTANTIVS SF. DE ARAGO. PÌSAV. Nel
rovelcio il Camello da lui fabbricato in Pefaro. Vi fi legge § A-
LVTI ET MEMORI AE CONDIDIT.
La Settima nello fteffo Mufeo, ed altrove, ha l'Arme della
Cafa Sforza coU'lfcrizione IO. S.DE ARA. CO. COTI. PISAV.
cioè Gìonjannl SforT^ ( Figlio di Coftanzo ) da Aragona , Conte
dì Cotignola^ Signor di Pefaro^ che nel 1483. cominciò la iua
Signoria . Nel rovefcio l'Immagine della Madre di Dio con
ORA PRO NOBIS.
L'Ottava nel medefimo ha il buflo del Principe colle let-
tere IOANNES SFORTIA PISAVR. P. Nel rovefcio PV-
BLICAE COMMODITATI.
Mi fia lecito di aggiugnere un Medaglione da me veduto
in Modena preflb il Conte Niccolò Gradetti . Quivi è l'effigie
d'una Donna coU'lfcrizione: CAMILLA. SFOR. DE ARA-
GONIA. MATRONAR. PVDICISSIMA. PISAVRL DO-
MINA. Nel rovefcio Donna che fiede lopra un Unicorno , e
una Pecorella, che colla deftra tiene un dardo , colla finiftra
un Serpente col motto: SIC ITVR AD ASTRA. Nel fon-
do fi legge SIC. SPERANDEI . Fu queda Camilla Moglie
del fuddetto Collanzo.
Ad efla ancora appartiene la Decima Moneta, efiftente nel
Mufeo Mufelli di Verona . Qliìvì lon l'Arme di Cafa Sforza
coir Ifcrizione CAMILLA D. GZ. IO. S. PISAVRI D. Reftò
erede del Marito effa Camilla con Giovanni Sforza fuo Figlio.
Quel D. GZ. non so fé dica Domini Galeax^Johannis^ cioè Ma-
ter ^ o pure Dei Grafia^ o fé quel fìa il fuo Cognome. Nel rove-
fcio la Vergine coli' ORA PRO NOBIS.
Piacenza .
Da Corrado IL Re di Germania ed Italia ottennero nel 1140.
i Piacentini l'ornamento della Zecca. Lo atte (la a quell'Anno
l'Autore della Cronica Piacentina , da me data alla luce con
dire : Eodem Anno Rex Conradus Secundus fecitPrivilegiumPla-
centinis faciendi Monetam ; & eodem Anno dióia Moneta fuit
incce-
Ventesìmasettima. ^6i
ìncoeptafieit . Fu pubblicato dal Locati nella Storia di Piacen-
za, da cui apparilce , che tal prerogativa era ftata conceduta
anche da Arrigo Qtiarto e Qiiinto a i Piacentini.
La Prima Moneta coniervata nel Mufeo Chiappini di quella
Cittk, ha nel diritto CONRADI, e nel contorno REGIS SE-
CVNDI. Nel roveicio DEPLACENTIA.
La Seconda nello ftefìb Mufeo ha uno Scudo con un' Ar-
me, o con una Figura 5 e all'intorno PLACENTIA AVGV-
STA . Nel rovefcio la Croce , e le lettere NOSTRA RE-
DEMPTIO.
La Terza nello ftelTo Mufeo. Nel contorno fi legge lOAN-
NES DE VIGNATE , e m'è fembrato di leggere nel mez-
zo P. D. cioè Placenttce Domtnus . Coftui Padrone , o fia Ti-
ranno di Lodi, prefe anche la Signoria di Piacenza, e la per-
de poi nel 141 3. Nel rovefcio la Croce colle lettere PLACEN-
TIA ....
La Qiiarra in Modena ha l'effigie di Donna , che tiene un
fanciullo nudo, che fembra porgere un baftone. Nel contorno
fi legge FIDA PLACENTIA. Il rovefcio raoftra il buffo di
un Santo colle lettere SA. ANTONìNVS.
Recanati .
Godeva anticannente anche la Citta di Recanatl il Gius
della Zecca . Nel Mufeo Bertacchini v' ha una fua Moneta ,
dove fi mira un Lione rampante , e nel contorno fi legge :
DE RECANETO. Il roveicio ha la Croce nel mezzo , e all'
intorno S. FLAVI ANVS, Protettore di quella Citta. In Roma
il Cavalier Vettori ne poffiede un'altra, che ha nei diritto DE
RECANETO, e nel rovefcio S. MARIA.
Reggio di Lombardia.
NiuNA Moneta della Citta di Reggio ho potuto io vedere
battuta prima del 1233. In fatti a quell'Anno fcrive il Cro-
ni (fa Reggiano da me pubblicato : Eo Afino primo hicepta fu'tp
Moneta Reginorum, E il Panciroli nella Storia MSta d' eifa Cit-
ta , così parla de' Reggiani . Primum Nicolai Maltraverfti An-
tijìitis nomine , penes quem hoc jus reftdebnt , cudere Monetam
Tomo L Bbbb caspe-
5^2 , 1) ì S S. E R' T A Z t ONE
c^ceperu/if. Unde nl'tqua et'tam hodiQ Numijmata cum hnc mfcri-
fttone vìjuntm : NICOLAVS EPISCOPUS . Ah altera -vero
' parte legnar FRIDERICVS IMPERAOR : quod jEnobnrhi
hé?jefic'ìo ìd Ant'tflìii riojìvo jus olrm concejjum juijfe ftgnìpcat ,
Non da Federigo Barbaroflìi 5 ma da Federigo II. è da credere ,
che venifTe a Reggio quel Privilegio. Se tanto prima l'aveffero
impetrato, non par credibile , che aveffero differito il valerle-
ne folaniente a' tempi del Velcovo Niccolo^ che fiorì lotto Fe-
derigo II. Fulvio Azzari nella Cronica iVISta de' Ve (covi di Reg-
gio, icrive ài non aver vedute Monete di quel Vefcovo , in cui
il legga il nome di Federigo. Né pure a me è avvenuto di
trovarne . Contuttociò tengo per certo quanto dice il Panci-
roli . Il Velcovo Niccolò lui prmcipio dovette mettere il no-
me di queir Imperadore nelle lue Monete; ma da che le Sco-
muniche fi affollarono lopra di lui , il V^clcovo defitte dal no-
minarlo.
La Prima Moneta efillente in Reggio e Modena , ha nel mez-
zo un N. cioè Nicol aus ; e nel roveicio EPISCOPVS . Nel ro-
veicio fi mira un ramo con foglie, e le lettere DE REGIO,
In altra fimile quell' N. pare un' H. che taluno potrebbe at-
tribuire Tìà Henri co Vefcovo nel 1301. Ma in que' tempi Azzo
VIII. Marchele d'Elle era padrone di Reggio.
La Seconda, preilo Bartolomeo SoHani ha l'effigie del Vefco-
vo Santo , Protettore di Reggio y colle lettere S. PROSPER .
Nel rovefcio uno Scudo colla Croce, e REGiVM .
La Terza nel Muleo Bertacchini . Vi fi vede il capo d'un
Principe colle lettere DIVO HERC. DVCI . Egli è Ercole IL
Duca di Ferrara , che nel 1471. cominciò a portare quel ti-
tolo . Il roveicio ha la Croce colle lettere COMVNITAS
REGII.
La Quarta poffeduta in Modena dall' Abbate Domenico Van-
delli ha un' Aquilla , che (la lopra una non so qual Macchi-
na, e le lettere HERCVLES DVX. Nel rovefcio l'Immagi-
ne d'un Velcovo, e le lettere S. PROSPER. EPS. REGII.
■ La Qj-iinta nel Muieo Bertacchini ha il Capo d' efib Duca,
colle lettere HERCVLES DVX . Nell'altra parte REGIVM
OLIM AEMILIA . Di quefla denominazione vedi lopra la
Differt.XXI.
La Sella è fimile, fé non che con licenza del Prifciano vi fi
legge REGIVM EMILIA VETERES.
La
V E N^ T E S I M A S E T T I M A. . 5(5 j
La Settima nello fteffo Mnfeo ha l'effigie del Vefcovo , e
S. PROSPER. Nclrovelcio REGII LEPIDI.
Conti e Duchi di Savoia.
Della nobiliflìma Real Cafa di Sn'vota , che da tanti Secoli
fiorifce in Italia, iiluftre per titoU di potenza, di valore, e di
gloria non men di qua, che di la da' Monti, e a'noftri giorni
maggiormente rilplende per la loftanzial Corona del Regno di
Sardegna, e per l'accrelcimento di tanti altri Stati, ampiamen-
te, oltre ad altri Autori, ha trattato Samuele Guichenon con
teflerne la Storia Genealogica in tre Tomi . Avendo egli rap-
portato quante Monete leppe egli trovare , Ipetranti a que'
generofi Principi , io profitterò ora della lua fatica . Convien
lolo avvertire , che contandoli in efla Real Cala molti Umber-
ti ^ ed affai ^^\ì\ Amedei ^ non fi può indovinare, a quai preci-
famente di effi s'abbiano ad afiegnare le antiche loro Monete.
Volentieri ancora io tralafcierò un Denaro, attribuito dal me-
defimo Guichenon a Beroldo , primo ira i Principi a noi noti
della fiirpe di Savoia, che circa il 1015. fioriva: s\ perchè
non fembra Denaro, mancandovi il rovefcio , e si perchè non
leggiamo, che in que' tempi i Conti e Marchefi pò te (Te ro bat-
tere Moneta , ed era allora la Savoia parte del Regno di Bor-
gogna , e Beroldo iolamente Conte di Morienna , era Vaflallo
de i Re d'efTa Borgogna. Andiamo dunque alle più certe no-
v-7je .
• 1-^ Prima Moneta è attribuita dal Guichenon ad Umberto
Conte di Morienna, che fi crede morto nel 1048. Nel dirit-
to comparile^ ja Croce ; una Stella nel -r^veicio colle lettere
VMBERTVS COMES. Ma attribuendone egU una fimile ad
Umberto IL più toflo a lui, che al Primo, pare che quella fia
da riferire .
La Seconda ha un'Aquila nel mezzo colle lettere AMEDS
COMES SAB. cioè Amedeus Comes S^baudi<f^ . Nel rovefcio la
Croce, e ne gli angoli A. M. E. D. efprimenti lo ileflb nome.
Nel contorno" l^EDEMONTENSIS . F attribuito quello De-
naro dal Guichenon ad Amedeo 11. Conte di Savoia , che cir-
ca l'Anno 1080. fi crede defunto . A tal parere non mi poffo
lottofcrivere ; s\ perchè molto più tardi fu inventata l'x^qui-
la con due tede , e perchè non potea peranche competere a
Bbbb 2 quel
5^4 Dissertazione
quel Principe il titolo à\ Pedemotnenfts . E però s'ha efib da
riferire aduno de' fufTeguenti Amedei.
La Terza ha la Croce colle lettere AM. COMES. Nel ro-
vefcio una Stella, e SABAVDIE. Di quale Amedeo fi tratti,
noi so.
La Quarta ha la Croce , e ne gli angoli d' efia A.M. E. D.
e nel contorno AMEDEVS . Nel roveicio una Stella , e CO-
MES SABAVB. Amendue fono dal Guichenon attribuite ad
Amedeo II. folamente indovinando , potendo appartenere a i
polleriori .
La Quinta fi dice battuta adi Umberto IL defunto nel 1 103.
Nel diritto la Croce, ed VMBERTVS COMES. Nel rovefcio
una Stella colle lettere SECVSIA, oggidì 5*^/7.
La Seda vien creduta fpettante ad Amedeo III. che fini i fuoi
di nel 114P. Nel mezzo un'A. {ìgm^cd^mt Amedeus ., e all'intor-
no COMES DE SABAVD. Il roveicio ha uno Scudo colla Cro-
ce, e le lettere IN ITALL^ MARCHIO.
La Settima è attribuita al medefimo. Mirafi quivi una Cro-
ce con due palle . Tre altre ne ha il rovefcio coUe lettere
AMEDEVS COMES. SECVSIA.
L'Ottava appartiene ad Umberto III. che cefsò di vivere nel
1188. Nel mezzo fi mira un'H. lettera iniziale dìHumbertus ;
e nel contorno COMES DESABAVDI. Nel rm^eicio la Cro-
ce in uno Scudo, Arme di quella Real Famiglia ; e all'intorno
IN. ITALIA. MARCHIO,
La Nona vien creduta appartenere a Tommafo I, che te*"-
minò il fuo vivere nel 1233. Vi fi mira lo Scudo coIIp '^1^0-
ce , ed un Cimiere , e le lettere TS. HT. che il Caichenon
pretende fignificare Thomas Humberti , giocando ad indovina-
re . Nel rovefcio due lacci, e nel mezzo F. E.R.T. le qua-
li lettere elfo Storico crede eflere fiate Ai Divifa di quel Prin-
cipe , e d' altri luoi SuccelTori . Co/e curiofe immaginarono
intorno a tal Divifi gli Scrittori Fiemontefi . Il Du-Cange
offervò nel Capit. 55. de Pfyfmwmia di Michele Scoto Stro-
logo , che Fert e Confert erano credute buoni o cattivi au-
gurj . Furono anche Fertones una Torta di Moneta , la quale
,non so fé poteffe fervire a riichiarar quelle tenebre.
La Decima indovinando è attribuita ad Amedeo IV. che
neU'Anno 1253. pafsò all'altra vita. Vi fi mira l'Aquila,
t AMD. COMES SABAVD. La Croce nel rovefcio, colle-
lette-
V E N T E S I M A S E T T I M A '. 5(^5
lettere IN ITi\LIA MARCCHO , in vece di Marchio.
L'Undecima del Muieo Chiappini pare che fìa da riferire
allo Iteflb Amedeo IV, o pure ad Amedeo V. Nel diritto l'A-
quila colle due tefte colle lettere AMEDS SAB. Nel rove-
fcio la Croce , e ne' iuoi angoli A. M. E. D. e all'intorno SA-
BAVDIESIS. Simile è alla Seconda, e forfè ancor quella s'ha
da riferire a quello Principe.
La xir. è attribuita 2i Boni fi7:ìo Conte ^ che nell'Anno I2(5'3.
cefsò di vivere. V'ha nel mezzo un B. indicante il fuo no-
me. Nel contorno COMES SARAVD. Il rovefcio haloScu-
do colla Croce, e all'intorno MARCH. IN. ITALIA.
La XIII. nel Mufeo Bertacchini di Modena appartiene a Pie-
tro Conte. Nel mezzo comparifce la Diviia FER.T. colle let-
tere PETRVS COMES SABA. Nel rovefcio la Croce genti-
lizia, e IN ITALIA xMARCH. Quelli nell'Anno 1 258. §iun-
fe al fine di fua vita.
La XIV. è creduta dal Guichenon fpettante a Filippo Con-
te del Piemonte .^ e Principe d' Achaia ^ che nel 1334. com-
piè la carriera del fuo vivere . Nel mezzo un P. può fignifi-
care Philippus . Leggefi nel contorno PRINC. MARCO.
(cioè Marchio) ITAL. Nell'altra parte l'Arme della Cala
con COMES SABAVDIE . Forfè appartiene al precedente
Pietro .
La XV. è fenza fallo del fuddetto Filippo . Ivi comparifce
la Croce con tre palle negli angoli, e PHILIP. PRIN-
CEPS . Nel rovefcio una Stella con cinque palle intorno,
e colle lettere TORINVS CI VIS , cioè Civitas . Quella pa-
re che foffe allora l'Arme della Citta di Torino , la quale
oggi ufa lolamente tre Stelle . Vedi iopra le Monete attri-
buite ad Umberto I. eli. Q_Liando mai que' Principi non fof-
fero (lati Signori di Torino , s' avrebbero eife da riferire a^i
Umberto III.
La XVI. ha l'Aquila da due tefìe . Veggafi ciò che varj Let-
terati, e maffimamente il Du-Cange nella Diflert. de Nunmis
infer* avi ^ e dall' Heineccio nel Lib. de Sigillis hanno d'ilpu-
tato intorno all'origine di quello Simbolo . Certamente Aqui-
la tale era in ulo nel Secolo XIV. e ne fa menzione Giovan-
ni Villani . Credefi , che i Greci Imperadori fofiero t primi a
valertene . Probabilmente o del loro efempio , o di Pri^''-"'^
gio ottenuto da elll , Filippo di Savoia le ne IcrvJ anc'i^^eg.i.
h
Na
^66 Dissertazione
Nel contorno fi le^ge PHILIPVS DE SAB. Nel rovefcio la
Croce, ne' cui angoli P. H. I.L. lettere iniziali del fuo nome ;
e all'intorno PEDEMONTENSIS.
La XVII. è un Fiorino d'oro ad imitazione de' Fiorentini .
Vi fi mira la Croce , Arme delia Cala con Cimiere iopra , e
wn Lione rampante, con le lettere PRINCEPS ACCHAYE.
Nell'altra facciata l'immagine del Precurfore , e le lettere S.
JOHANNES. B.
La XVIII. fi attribuifce ad Amedeo V, che nel 1323. fu rapi-
to dalla morte . Ha un Giglio colle lettere AM. COMES. Il
rovefcio è fimile al precedente . Quefto ancora è un Fiorino
d'oro, che tanto egli, come dirò a fuo tempo , che altri Prin-
cipi, batterono al difpetto de' Fiorentini.
La XIX. fpettante 2i\ mtà^^imo Amedeo V. ha l'Arme genti-
lizia coir Elmo e Cimiere fuddetti . Vi fi legge AMEDEVS
D. GRA. COMES. La Croce è nel rovefcio con quattro Rofe
ne gli angoli, e le lettere SABAVD. IN ITALIA MARCHIO.
La XX. pare che riguardi lo fteffo Amedeo V. e crede il Gui-
chenon d'aver letto ivi FER.T : il che a me non è avvenuto .
Vi fon le lettere AMEDEVS COMES. Nel rovefcio la Croce,
eSABAVDìE.
La XXI. fi crede fpettante al medefimo Principe . Sta un* A
nel mezzo, e nel contorno MED COMES SABA VDIE. Nel
rovefcio la Croce, e MARCH. IN ITALIA.
La XXII. è di Amedeo VI. che nel 1383. mancò di vita. Nel
diritto è la Croce gentilizia colle lettere AMEDEVS COMES
SABADIE DVX . Nel rovefcio la Croce , e CHABLII ET
AVGTE ( cioè Augujìa ) ITALÌAE MARCHIO ET PRE.
cioè Prhìceps ^ o PrafeBus . La parola Dux va riferita non alla
Savoia, m2i. 2l Chablaìs eel Aojìa.
La XXIII. moflra l'effigie del Principe medefimo, che porta
al colio iniegna dell'Ordine Cavalerefco da lui iftituiio , tiene
colla deflra la fpada, e colla fmiiira lo fendo coU'Arme gentili-
zia. Vi fi legge AMEDEVS COMES SABAV. Nelrovelcio la
Croce attorniata da quattro FERT , uniti con lacci . E nel
eontoi-Lo DVX CHABLAS IL IN ITALIA MARCFI.
♦ La xxw. fi crede fpettante ad Amedeo VII. chiamato ivi DVX
CHABLIS AVGTE IN ITALIA MARCH.
^^ xx^. è ài Amedeo VIIL che nel 1^16. fu per la prima
volta dich'urato D/^c^ di Savoia ^ e nel 1435?. creato Papa, o
fia
V E N T E S I M A S r. T T i M A . ^6"^
fia Antipapa , e poi nell'Anno 1441. terminò i fuoi giorni.
Nel diritto fi vede l'effigie di San Maurizio, e a' fuoi piedi il
Duca colle lettere AMEDEVS DVX SABAVD. P. cioè Fri-
mus , o Priìjceps , o Pcdemoììtis . Nel rovelcio lo Scudo colla
Croce con Lacci di qua e di la indicanti 1' Ordme Cavalere-
fco, e un ceffo di Lione con lettere AMEDEVS DVX SA-
BAVDIE.
La xxvr. appartiene al medefimo. Ha l'ultima ifcrizione ,
e quell'altre nel rovefcio : IN ITALIA MARCHIO PRIN.
P. cioè Pcdeynontis,
La XXVII. fu batiuta da Lodovico Duca, rapito dalla morte
nel 14(55. V'ha l'Arme gentilizia coiLacci, la Divila FERT,
e le lettere LVDOVICVS D. SABAVDIE PRINCEPS . Nel
rovefcio la Croce col motto : DEVS IN ADIVTORIVM
MEVM INTENDE.
La XXVIII. ha l'effigie del medefimo Principe a cavallo colle
confuete Ilcrizioni, e la Divifa FERT.
• La XXIX. ha l'effigie e i titoli del medefimo Principe . Nel
rovefcio fi vede la iacra Sindone di Torino colle lettere SAN-
CTA SYNDON DOMINI NOSTRI lESV CHRISTI.
La XXX. è alquanto fimile alla precedente. V'ha l'Anno 1453.
cfpreflb COSI Milli. LUI.
La XXXI. fu battuta dal Bsato Amedeo , che nel 1472. fu
chiamato a miglior vita. V'ha AMEDEVS DVX SAB. enei
rovefcio IN ITALIA MARCH.
La XXXII. appartiene a Filiberto I. Duca, che morì nel 1482.
V'ha le lettere PHILIBERTVS DVX SABAVDIE IV. Nel
rovefcio è San Maurizio colle lettere SANCTVS MAVRL
TIVS.
La XXXIII. appartiene a Carlo I. Duca, che nel 1490. fece
fine a i tuoi giorni. V'ha la lua effigie a cavallo, e all'intorno
KAROLVS DVX SABAVD. Nel rovefcio l'Arme gentilizia
FERT. e MARCHIO IN ITALIA PRINC.
La XXXIV. i'pertante al menefiaio Principe , ha nel rovefcio
il motto : SIT NOMEN DOMINI BENEDICTVM.
' La XXXV. delio (leffo Principe ha nel rovelcio la Divifa
FERT, e XPS VINCITy XPS REGNAT, XPS IMPERAT,
prelo dalle Monete di Francia.
La XXXVI. ha nel rovefcio il Laccio dell'Ordine Cavalerefco,
e IN ITALIA MARCHIO.
La
5^8 Dissertazione
La XXXVII. ha il motto XPS KESunexh. VENIT IN PACE
DEVS.
La XXXVIII. è poco differente.
La xxxix. nel Mufeo Bertacchini , per quanto io credo , ap-
partiene al medefimo Carlo I. V'ha l'Arme gentilizia , e CA-
ROLVS DVX SABAVDIE. Nel rovefcio la Croce, e PRIN-
CEPS ETiVIAR. IN ITALIA.
La XL. ha l'Arme fuddetta , e KAROLVS IL DVX SA-
BAVD. La Croce dell' Ordine di San Maurizio colle lettere
S. MAVRICIVS. S. M. Se crediamo al Guichenon, quefta eie
tre feguenti fon da riferire a Carlo L tuttoché fia qui chiama-
to Secundus^ e ciò per effer egU appellato DVX. V. Non ne
fon convinto.
La XLI. ha l'Arme della Cafa di Savoia, e del Regno di Ci-
pri colie lettere KROLVS SECVNDVX SABAVDIE V. Nel
rovelcio l'effigie di San Maurizio, e il motto DNS ILLVMI-
NACIO ET SALVS M^^.
La xLii. ha l'Arme del Ducato di Savoia, di Chablais, Ao-
rta , Principato dell' Imperio , colle lettere KROLVS SEC.
DVX SABAVD. V. e nel rovefcio KBLAS ET AVG. S.
ROM. IMP. P.
La XLiii. nel Mufeo Bertacchini . V ha l'Arme gentilizia ,
e KROLVS SECONDVS. Nel rovefcio DVX SABAVDVS
R. e in mezzo R.
La XLiv. appartiene a, Filippo Duca ^ il quale nel 1497. die-
de fine a' fuoi giorni . Vi fi mira l'effigie d'efìb Principe colle
lettere PHILIPVS DVX SABAVDIE VII. Nd rovefcio l'in-
fegna dell' Ordine , la Divifa FERT , e il motto : A DNO
EACTVM EST ISTVD.
La XLV. ha PHILIPVS DVX SABAVDIE , e nel rovefcio
PRINCEPS MARCHIO IN ITALIA.
La XLVi. xLvii. e XLviii. appartengono a Filiberto IL Duca,
il quale nel 1504. da morte immatura fu rapito. Tale è la
fua ifcrizione : PHILIBERTVS DVX SABAVDIE VI IL
Nel rovefcio l'Arme gentilizia, la Divifa FERT. con un Lac-
cio, e il feguente motto : IN TE DOMINE CONFIDO. T.
Non reco altri Denari di quella Real Cala, perchè ecceden-
ti l'iftituto mio.
Mar-
V E N TESI M A S E T T I M A . 5^^
I Marchefi di Saluzzo .
Due Danari d' argento fpettanti a i Marchefi dt Salu:^^^
mi lon venuti alle mani. 11 Primo nel Muleo Chiappini. Qlù-
vi comparilce l'effigie di un Principe colle lettere LVDOVI-
CVS M. ( cioè Marchio ) SALVTIAP.VM . Egli è Lodavi^
co, che nell'Anno 1475. terminò il fuo vivere; o pure Lo-
dovico II. che in quell'Anno fuccedette al Padre. Nei rove-
fcio r immagine di un Santo a cavallo , e le lettere SAN-
CTVS CONSTANTIVS . In un' altra Moneta fi vede un
Santo a cavallo, che tiene colla mano una bandiera, e SAN-
CTVS CON Nel rovefcio l'Arme gentilizia con Elmo di
fopra , e colle lettere SALYTIARVM .
Siena .
Nella Difìert. L. fi produrra il Privilegio, in cui Arrigo VI.
Re de' Romani nel 11 8(5. concedette alla Repubblica di Sie-
na il Gius di battere Moneta colle fcguenti parole : Ifcm ex
tiberiori gratta betiignitatis ttojìrce , Regia , qua fungimtìr , au-
Horitate concedimus ipjis Setìenjtbus potejìatem cudendds & fa-
ciendoe Monetae in Civitate Se?ìenfi . Ma che prima ancora di
quel tempo godelTero i Sanefi cotal prerogativa , apparifcc
da uno Strumento del n8o. da me dato alla luce nella Difler-
taz. L. in cui Criiiiano Arcivelcovo diMagonza, Legato Impe-
riale per Italia, fa quefta promefla a quel Popolo. Citius quam
poterò , Sereni ffimo Imperatori noftro Frederigo Privilegium confir-
mationis njejìrae Moneta; , ad laudem & totius Civitatis honorem
faciam fine fravide componere . In oltre quattro Mefi prima nella
Forma compofitionis , per quam Senenfes veniunt ad gratiam Do-
mini Imperatoris& Regis He?2rigi^ fi legge flabilito, che i Sanefi
airimperadore e Re refiituent ac refignent omnia Regalia ^jura.,
Ù' jurisdi6iiones , qucc pertinent ad Imperium infra Ctvitatem &
extra ^ & nominatim Monetam & pedagium ^five teloneum ^ quam
facere confueverunt vel faciunt . Ecco le Monete, che mi è av-
venuto divedere fpettanti a Siena.
La Prima da me pofleduta ha nel mezzo un S. indican-
te il nome dì Siena . Nel contorno SENA VETVS. Il rove-
Tomo 1. Ce ce fcio
570 D I S S E R T A Z 1 O M E
Icio ha la Croce colle lettere ALFA ET CID. cioè Omjga.
La Seconda prefìfo il Sig. Uberto Benvoglienti Patrizio Sane-
fe, è quafi la fleffa, fé non che in vece ^oiì' Omega ha unOw/-
cron^ ed ha un ED in vece di ET.
La- Terza in Modena ha nel mezzo 1' S. e all' intorno CI-
VITA5 VIRGO SENA VETVS. Nel rovefcio la Croce con
ALPHA ET O. ( in vece dell' Omega ) PRINCIPI^^w ET
FIN/V. In altre, in vece di Ctvìt^s Virgo , fi legge Civitas Vir-
gtnis^ come volevano appunto dire iSanefi.
In fatti la Quarta efi(tente in Modena ha 1' S. nel mezzo ,
e nel contorno SENA VETVS CIVITAS VIRGINIS. Simile
al precedente è il rovefcio.
La Quinta nel Mufeo Bertacchini ha il folito S. ofFufcato da
fettoni talmente , che appena fi didingue . V ha SENA VE-
TVS, e nel rovefcio ALPHA ET O.
La Seda nello (le (To Mufeo è fomigliante alla Quarta.
La Settima nel Mufeo Mufelli di Verona ha SENA VETVS
C. VIRGINIS.
L'Ottava ha la medefima ifcrizione , e nel rovefcio uno fcu-
detto coir Arme di non so chi . E di fopra un G.
Sinigaglia •
Una fola Moneta fpettante alla Citta di S"/;?/^^^////, mi ha
fomminiftrato dal fuo Mufeo Romano il Cav. Francefco Vetto-
ri . Vi fi mira l'effigie di un Vefcovo colle lettere S. PAVLI-
NVS. SENOGA. Protettore della Citta dovea eOere San Pao-
lino; ma non ve n'ha parola nell'Ughelli. Nel rovefcio l'ef-
fìgie di non so qual quadrupede.
Spoleti .
Di quella illuftre Cittìi, che per più Secoli fu Capo di un
ampio Ducato, una fola Moneta mi procacciò il Dottore Dio-
niso SancaflTani . Nel diritto fi vede la Croce , e all' intorno
DE SPOLETO . Nel rovefcio S. PONTIANVS P. cioè Pro-
fe6ior^ o Patronus , Altre Monete di quella Citta fi potranno
fcoprire. Anzi affai verifimile a me fembra, che anche fotto i
Re Longobardi ed Imperadori Franchi godefle Spoleti il pregio
della
Ventesima SETTI MA. 571
della Zecca. Perciocché avendolo noi trovato nelle Regie Cit-
ila di Pavia e Milano, e in Lucca come Capo d'altro più infi-
gne Ducato , e lo vedremo anche in Trivigi come Capo del
Ducato del Friuli : ftrana cofa farebbe, che il riguardevol Du-
cato di Spoleti fi 1 afe i affé fenza tal prerogativa.
Aggiungasi un'altra Moneta a me fomminiftrata dall'Ab-
bate Francefco Maria Giovacchini , Avvocato da Foffombrone.
Quivi comparifce un Vefcovo col Piviale colle lettere lOHES
... A . . . C. Nel rovefcio SPOLETANVS.
1 rivigi .
Il Chiariffimo Marchefe Scipione Maffei nella fua Verona
illuflrata alla pag. 377. pubblicò unoStrumento dell'Anno 773.
fcritto nella medeCma Citta di Trivigi, dove è fatta menzione
Monetarii^ anzi è menzionata \^ {{t^2i Moneta pubblica^ cioè la
Zecca ivi efiQente . Feci perciò iftanza al dottiffimo Canoni-
co e Patrizio Trivifano Antonio Scotti, acciocché ufaffe diligen-
za per ifcoprire alcuna Moneta di que' remoti Secoli . Final-
mente mi rifpofe d'averne trovata una, anzi me la inviò. La
ravvifai torto de' tempi Carolini. Comparifce ivi il Monogram-
ma di Carlo Magno, cioè KAROLVS , e nel rovefcio TAR-
VISIO. Perciò non re da più dubbio, che per quafi mille anni
a quella Citta competeffe il Gius di battere Moneta , che fer-
viffe pel Ducato del Friuli. Se poi quello contmuaffe fotto gì'
Imperadori Tedefchi, noi so dire . Ben so , che ne' fuffeguenti
Secoli non folamente il diritto della Zecca , e la Citta medefi-
ma fu conceduta a que' Vefcovi , come atteftano le antiche
Memorie .
Aggiungo un' altra fimile Moneta , folamente di differente
modello, che s'è trovata dipoi colle Lettere fuddette.
Torino .
Allorché* quefla nobil Citta godeva il privilegio di Repub-
blica, né ubbidiva i Principi di Savoia , fu battuta una Mone-
ta d'argento, da me veduta preffo il Sig. Giufeppe Maria Cat-
taneo Modenefe. Dopo la morte di Federigo II. Augufto , ac-
caduta nel 1250. Tommafo Conte di Morienna s'impadronì
della Citta di Torino , Ma nel 1255. o più toflo nel feguente ,
Ce e e 2 infoi'-
572 Dissertazione
inforta una fedizione , fu effo Conte imprigionato da i Torine-
fi, e poi confegnato a gli Artigiani di lui nemici . Pare che a
que' tempi s'abbia da riferire effa Moneta, nel cui diritto fi
veggono l'Arme, probabilmente della ftefìfa Citta con tre Stel-
le di qua e di la , e le lettere MONETA TAVPvINENSIS .
Nel rovefcio è un'Aquila colf ali aperte , e nel contorno CI-
VITATIS IMPERIALIS.
Verona . _
Fra le Citta del Regno d'Italia, che dopo le privilegiate
ne' più vecchi Secoli, cioè Milano, Pavia, Lucca, Benevento
e Trivigi , cominciarono a godere la facoltà di fabbricar Mo-
neta , fi dee contare i'illuftre Citta dì Verona , Della Pecunia
Veronefe noi troviamo memoria nelle antiche Carte . In una
Ferrarefe del 1113. io leggo : Ef in onmì fejììvitate SanBi
Martini annualtter daturus fum voùis in njejìro arbitrio porcurn
unum de pretto Solidorum otlo denariorum Veronenfium Ò'c. In
im' altra parimente Ferrarefe del 1078. fi legge : Det pars
parti pene ?ìomìne Denariorum Veronenjium Sohdos triginta &
fes . Così in una Carta di Beatrice ContefTa , di cui fu fatta
menzione nella Differtaz. XI. fi veggono nominate ventimi Li-
bra; denariorum Veronenjium , E giìi vedemmo, che Arrigo II.
AuouRo nel concedere il Privilegio della Zecca al Vefcovo di
Padova nell'Anno 1045?. comandò, che i Denari fi fabbricaf-
fero [ecundum pondus Veronenjìs Moneta. Ecco dunque le Mo-
nete Veronefi da me vedute , con defiderJo di trovarne af-
fai più .
La Prima efiftente in Verona nel Mufeo Mufelli , e in Pa-
dova in quello del Conte Lazzara , ha due contorni . Nei
mezzo è la Croce , attorniata dalle lettere Verona . Nel con-
torno più largo d'ambe le parti CI4+ EV4+ CI4+ IV.
delle quali lettere ne attenderò la fpiegazione da i Letterati
Veronefi .
La Seconda nel fuddetto Mufeo Mufelli , e nel Bertacchini
di Modena, ha nel mezzo un'Aquila colf ali ilefe , e le lettere
CIVITAS. Nel rovefcio la Croce con VERONA. A. M. cioè
Alberto t Majìino dalla Scala ^ che nel 1325?. fuccederono nel
dominio di Verona. Fra FA. & M. fi vede la Scala, Arme
di quella rinomata Cafa.
La
V E N T E S 1 M A S E T T I M A ; 57 j
La Terza in Verona e Padova ha nel diritto l'Aquila, nel
rovelcio la Scala, lenza lettere.
La Q}iarta nel Mufeo Muielli moiira nell'un de' lati la Sca-
la , e neir altro un uomo tenente un bafione nella dcftra , e
toccante colla fmilìra un capo d'un Lione.
La Q_uii^^^ nel medefimo Muleo fa vedere l'Aquila colle let-
tere BTHS. ANTNS , cioè Bnrtholomccus ed Antoìiìnus dalla
Scala, che nel 1374. fignoreggiarono in Verona . Nel rove-
lcio l'effigie di un Velcovo colie lettere SANCTVS ZENO,
e in cima una Scala,
La Sefta nel iaddetto Mufeo . Neil' una facciata la Scala
colle lettere BARTOLOMEVS . Nell'altra la Croce ed AN-
TONIVS.
La Settima efiflente in Modena ha la Croce , e nel con-
torno COMES VIRTVTVM D. MLI zioh Dom'mus Me^
diolani^ e forfè Veronx . EgU è Gian Galeazzo Vifconte, che nel
1387. avendo cacciato Antonio Scaligero , s'impadronì di Ve-
rona . Nel rovefcio l'immagine di un Vefcovo coli' ifcrizione
S. ZENO DE VERONA .
L'Ottava nel Mufeo Mufelli* Quivi è l'Aquila colle due te-
fte, e all'intorno DVX AVSTRIAE. Nel rovefcio l'Immagi-
ne di un Vefcovo, e nel contorno S.ZENO PROTEC. VERO-
NAL. Qiiando quella Moneta non foffe battuta nelle vicende
della Lega di Cambrai , cura farà de gli Eruditi Veronefi lo
ipiegarne il fignificato .
Vicenza .
Una fola Moneta battuta v^Vtcen'za^ ed efiftente nel Mu-
feo Lazzara , pofTo io produrre . Quivi fi vede 1' Aquila nel
mezzo ; all' intorno CIVITAS ; e uno Scudetto con i\rme a
me ignota. Nel rovefcio la Croce colle lettere VICIENCIE/.
Vigevano .
L'insigne Terra di Vigevano^ oggidì Citta Epifcopale , fu
conceduta in Feudo da Lodovico XI L Re di Francia all' in-
figne Marefciallo Gta?i - Giacomo Trìvul-zjo con titolo di Mar-
chejs . Molte Monete di lui fi truovano prelfo il Marchefe
Teodoro Aleflandro Trivulzio , riguardevole Patrizio Milanefe,
dif:en-
574 Dissertazione
difcendente per linea mafcolina da Gian-Fermo Fratello primoge-
nito del medefimo Gian-Giacomo . Io ne riporterò folamente due .
La Prima è un Medaglione efiftente in Modena nel Mufeo
Bertacchini 5 nel cui diritto fi vede il bufto d'uomo laureato,
coir ifcrizione : IO. lA. TRI. MAR. VIG. FRAN. MARE ,
cioè Johannes Jacobus Trivulftus Marchio Viglevani , Francie^
Marefchalcus , Nell'altra parte il buflo d'uomo laureato, col
motto NEC CEDIT VMBRA SOLI.
L'altra preflb il fuddetto Marchefe ha lo Scudo contenente
l'Arme gentilizia della CafaTrivulzia colle lettere IO. lA.TRI-
VLT. MAR. VIGLE. ET. F. MA. Nel rovelcio l'Immagine di
San Giorgio, e nel contorno SANCTVS GEORGI VS.
Volterra .
NiUNA moneta ho potuto trovare ò^ìVolterra. Che tuttavia
quella Citta godefle la facoltà dibatterne, riiulta da uno Stru-
mento dell'Anno 1231. da me dato alla luce, e fcritto in Rieti,
in cui Papa Gregorio IX. invelHlce del Comitato d'Alcoli il
Vefcovo di quella Citta Jub annuo Cenfu cenpum Librarum Vul~
teranenjìs Monetcs : il che fa intendere , che anche in Volterra
£ dovea allora fabbricar Moneta.
Urbino .
Un Medaglione confervato in Urbino dal Conte Lodovico
Palma, fa vedere l'effigie di un Principe colla ieguente ifcri-
zione : DIVI. FE= VRB. DVClS. MONTE AC DR.COM.
REG. CAR GÈ. AC. S. R. ECCLE. CON. INV. Cioè Divi
Federici Urbini Ducìs^ Monti^feretri ac Durnntis Comitis ^ Regii
Capitanei General is , ac Sanéì<^ Romana; Ecclejia Cojifanonerii
inviai. Nel rovefcio la figura d'elfo Principe armato a caval-
lo colie lettere OPVS SPERANDEI, fonditore d'elfo Meda-
glione . Egli è Federigo Cojìte di Montefeltro , dichiarato Duca
di Urbino nel 1471. cel^^bre Condottier d'armi.
Due aUri Denari pofleago io. Nel diritto è F Immagine
di un Principe coije lettere GVIDVS VB. VRB. DVX . Nel
rovefcio l' Arme fua , e CO. MON. FÉ. AG DVRANT.
Egli h GuidubaldoDuca d'Urbino^ e Conte di Mont efeltro -^ che
nel 1482. fuccedette a Federigo fuo Padre.
Il
V E N T E S I M A S r. T T I M A . 575
Il Terzo nel Mufeo Bcrtaccliini nel diritto ha T ifcrizione
GVIDVS. VB. VRBINI DVX. Nel rovefcio l'Arme lua col
motto FIDES SPES CARITAS.
Il Qiiarto, efiflente in Pefaro , preffo l'Abbate Annibale de
gli Abbati Olivieri , ha il diritto quafi lo fteffo . Nel rovefcio Ci
mira l'effigie di San Giorgio colle lettere ORA. PRO. N. S.
GRI. cioè prò nobis Safi&s Georgi,
E finqm le Monete Italiane de'Secoli barbarici, che mi è
riufcito di vedere , battute prima del Mille e cinquecento .
Affai più faran quelle, che non fon venute a mia cognizione.
Corrono già tre Secoli, che lo fi ud io de' noftri Letterati va a
raccogliere tutte le ^^Medaglic o Monete de' Greci , Romani ,
Soriani, ed altri Popoli d'Oriente . Quefle fon gioie; di quefle
fi gloriano effi. All'incontro nulla curano, fors'anche hanno a
fchifo le Monete de' Secoli inferiori , perchè rozze , quafichè
non ferviffero ancor quefle all'Erudizione Italiana, e alla cogni-
zione de gli antichi Re ed Augufti, e delle Citta libere di que-
^o paefe . Un tale fprezzo cagione è fiato , che ne' tempi ad-
dietro gran copia ( e più di quel che fi crede ) di tali Monete è
fiata disfatta e fufa dalle Zecche, e dagli Orefici ed Argentie-
ri. Ma forfè più conto fé ne farà da qu\ innanzi . Intanto non
vo' tacere la maniera da me tenuta per ifcoprir quelle barbari-
che merci. In Modena e fuo Diftretto ( verifimilmente lo ftef-
fo avverrà in altre Citta ) fogliono le Donne appendere al coU
io de'lor fìgliolini le Monete di San Lodovico Re di Francia per
la divozione, che profefTano a quel Santo Principe : rito confer-
vato non men dalla Nobiltà che dalla Plebe . Ma effcndochè
di pochi è il conofcere, quali fieno le vere Monete di lui, fpef-
fimo accade , che i fanciulli portano non quelle , ma altre af-
fatto diverfe, battute da varie Citta, e in varj tempi. Percioc-
ché appena s'incontrano in alcuna di effe , che fappia d'anti-
co, o porti la figura di qualche Santo o la Croce, che fi figu-
rano d'aver trovata una Moneta di San Lodovico , atta a di-
fendere da qnalfifia malore i lor Figli . Di qua è proceduto
l'aver potuto io raccogliere, e fare ch'altri raccogheffe buona
parte di s'i fatte Monete, come fpezialment- ha fatto in Pia-
cenza il Reverendifs. P. Abbate e Generale de' Canonici Regola-
ri Aleffandro Chiappini, e in Modena il Sig. Aleffandro Bertac-
chini . E perciocché in tal ricerca ho fcoperto varie altre Mo-
nete,
57<^ Dissertazione
mete, fpettanti a Principi e Citta fuori d'Italia; non dii piace-
rà , credo io , a i Lettori di ricevere ancor di quelle qualche
notizia. E primieramente
Re d* Inghilterra e Scozia .
In Roma nel Mufeo Sabbatini fi vede Moneta fpettante
ad uno de gli antichi Re Anglo-SafToni . Nel diritto fi legge
COENVVLF. REX. Nel rovefcio le ieguenti lettere T.A.E.A.
L'opinione mia è, che qui 11 tratti di Coenvulfo Re , il qua-
le neir Anno 7^(5. cominciò a regnare in una parte dell'In-
ghilterra, di cui così parla Simeone Dunelmenfe de GeJì.Reg.
AngU a queir Anno . Coenulf quoque , pater Sancii Kenelmi
M/7rtfns^ de bine diadema Regni Mercìorum fufcepìt gloriofeÙ'c.
Fu egli il XV". fra i Re di quel paeie. Preflb l'Hickefio Par.IIT.
TheJ'auì\ Linguai-, Septemtriofi. fra le Monete battute da quello
Coenvulfo ne rapporta una molto fimile alla prefente, ma con
lettere molto diverfe.
Due altre Monete fpettanti a ^li antichi Re Anolo-Saf-
foni , fi confervano in Roma nel Mufeo del Cav. Francelco
Vettori . Nella Prima fi legge COENVVLF REX . Il rove-
fcio ha quefte lettere A w. E A. Nell'altra comparilce OF-
TA REX ; e il rovefcio ha EDELVAL. Ma da che il Foun-
taine prefTo il fuddetto Hickefio ha illuftrato le antiche Mo-
nete Inglefi , a me non conviene di aggiugner altro intorno
ad effe .
La Quarta efifteva in Pavia preflb il P. D. Gafparo Beretti
dottiffimo Benedettino . Ivi il bufto di un Re , e le lettere
HENRICVS D. G. AGL. FRA. ET HIB. REX. Nel rove-
Icio l'Arme de i Re Inglefi col motto POSVI DEVM ADIV-
TOREM MEVM. A quale de i Re Arrighi s'abbia da rife-
rire, gli Eruditi Inglefi cel fapran dire.
La Quinta preifo il medefimo , ha il buflo d' un Re , e
lACOBVS. DEI. GRA. REX SCOTORVM. Nel rovefcio
la Croce, e il motto DEVS PROTECTOR MEVS ET
LIBERATOR . Più d' un Re Giacomo ebbe la Scozia nel
Secolo XV.
Ara-
V E N T E S I M A S E T T 1 M A . 577
Aragona e Navarra .
D
Nel Mufeo Chiappini fi vede Moneta col capo di un Re,
e le lettere FERDINANDVS Nel rovelcio CIVITAS
BARCHINONA.
Altra Moneta nel Mufeo Bertacchini ha 1' Arme gentili-
zia , e FERNANDVS AVAR. cioè Rex Navarro . Ve-
rifimilmente appartiene a Ferdinando V. Cattolico Re di Ar,a-
gona, come anche il precedente.
Boemia .
Giovanni Re di Boemia Primo, Figlio di Arrigo VII. Au-
guro, e Padre di Carlo IV. Imperadore , dovette battere una
Moneta polTeduta in Bologna dal Marchcfe Gian-Paolo Pepoli .
Nel diritto fi vede una Corona, e nel cerchio minore fi legge
JOHANNES: PRIMVS : nella fuperiore DEI: GRA:REX:
BOEMIE. Nel rovefcio un Lione e PRAGENSIS: GROSSI.
Chio j cioè Scio Ifola .
Posseggo io un Denaro, creduto da me affai raro. In mezzo
fta la Croce, e nel contorno CONRAD VS REX R. Nel rovefcio
fi vede la figura di una Citta turrita, fopra cui è un'Aquila coro-
nata coir ali (lefe, e le lettere CIVITAS CHII. Ma come potè
Corrado Re aver diritto nell' Ifola di Scio? Lo credo io battuto,
allorché quel Re nell'Anno 1147. con efercito numeroio s\, ma
infelice, pafsò alla volta di Terra Santa , come s'ha da Ottone
Frifingenfe, e da altri Storici . Allora Scio dovette efiere tolta
a i Greci : o quel Popolo per fua ficurezza a lui fi diede.
Chiarenza .
Nel Mufeo Chiappini due Monete fpettanti a Chtarenzn fi
confervano. Nella Prima fi vede quella figura, che compariice
ne' Denari di San Lodovico Re di Francia . Credette Giovanni
Villani, che denotafle i ceppi del Santo Re. Altri hanno penfato,
che rapprefenti la forma d'un Calfello turrito . Il Sig. le Blanc
non feppe decidere . Sembra a me , che non fuffifta la feconda
Tomo L Dddd opi-
578 Dissertazione
opinione. Certo è, che i Denari Turonenfi, chiamati in Itah'a
Tornefi , ritennero molto dipoi quella medefima figura . Nel
contorno Ti legge DECLARENTIA. Il rovefcio ha laCroce,
e all'intorno S. S AB ACCIO. .. . EPS. cioè Epifcopus,
L'altra ha il diritto fimiie. Nel rovefcio (ta CIV/V/75 FLO-
RENS. T>uQ Chiaren-ze fi truovano . L'una in Inghilterra nel
paeie di Sufiblc. Celebre in Italia fu Lionello o Lionetto Duca
diChiarenza, Figlio del Re d'Inghilterra, che nell'Anno 13Ó8.
i'posò Violante Figlia di Galeazzo IL Vilconte . L' altra Chia-
renza era nella Morea, infignita con titolo di Ducato. Proba-
bilmente a queir ultima fon da riferire le fuddette Monete ,
perchè ivi ebbero Signoria alcuni Principi, fé non erro, Fran-
zefi . Nel Mufeo Bertacchini altra Moneta fi truova della for-
ma de' Tornefi colla fola parola CLARENTIA nei diritto ,
efiendo corrofa i'ifcrizione del rovefcio.
Re di Francia.
Abbiamo la Storia Monetaria di Francia egregiamente trat-
tata dal Du-Cange, e più efattamente ancora dal Sig. leBlanc.
Ecco le poche Monete da me trovate in tal congiuntura . Nel
Mufeo Vettori di Roma una fé ne conferva, che io credo fper-
tante a Carlo M. Tanto più volentieri ne fo menzione, perchè
non fu conofciuta da elfo Blanc . Neil' una parte fi legge CA-
ROLVS ; nell'altra DNS , cioè Dominus . Non so, fé battuta
in Italia, o in Francia , né in qual tempo.
La Seconda nel Mufeo Chiappini, molto fimile aduna rap-
portata dal Blanc . Nel diritto fi legge CAROLVS . Nel ro-
vefcio ReX VrancorVM.^ di maniera che fembra battuta, pri-
ma dell'Anno 774. in cui Carlo M. conquido il Regno d'Italia.
La Terza è in mio potere. Vi fi mira il Monogramma CRLS.
cioè C/irohiSy oC^rlus, Nel contorno ME-TVLLO . Scrive il
Blanc , trovarfi Metullum nelle Monete di Carlo M. Lodovico
Pio , e Carlo Calvo , e feguendo l'opinione del Sirmondo , e
di Arrigo Valefio , crede fìgnificato ivi Mellum , Terra o Bor-
go della Provincia Pi£lavienfe . Io in quella Moneta ho olfer-
vato una linea interpola irà Me ^ e Tulio. Però farebbe da ve-
dere , fé quivi fi parla fie della Citta àiTullum ^ oùa. Toul, e
quel ME. diceffe per qualche ragione Metefifium Tullum . Nel
rovefcio la Croce colle lettere CARLVS REX lEKa?Jcomm.
La
Ventesima SETTI MA. 379
La Quarta in Milano preffo il Marchefe Teodoro Aleflandro
TrivLiIzio, ha nel diritto la Croce, e all'intorno HCAROLVS
IMPER^^or . Nel rovefcio la facciata di un Tempio , e XPI-
STIANA RELIGIO . Di quello motto fi fon ferviti Carlo
il Grande, il Calvo, e il Groflfo ; e però non fi può dir di cer-
to, a qual d'effi appartenga quefta, e la precedente. Rara co-
fa lì trovar Carol US coll'H avanti.
La Quinta è in Modena preflb il Sig. Maffimiliano Capelli.
Vi fi vede la Croce , e all' intorno HLVDOVVICVS IMP.
Nel rovefcio la Croce, e VENEcIAS. Il Blanc ne ha una fi-
mile . Si crede battuta in Francia nella Citta di Vmìnes fotto
Lodovico Pio.
La Seda è un Denaro Turonenfe, chiamato in Italia Tome-
fe^ fpetrante al Santo Re di Francia Lodovico IX. Più di uno
ve n'ha in Modena. Nel diritto fi legge doppia ifcrizione col-
la Croce. CioèLVDOVICVSREX inuna, e nell'altra BNDI-
CTVm SIT. NOME?; DNI NRI DEI lEV XPI . Nel ro-
vefcio TVRONVS CIVIS, cioè Croìtas . Nel mezzo fi vede
la figura, che alcuni Scrittori Franzefi hanno creduto difegno
di un Cartello turrito. Giovanni Villani Lib. VI. Cap. 3(5. del-
la Storia , parlando della prigionia del Santo Re Lodovico ,
feri ve : Per Yicordan-z^ della detta prefura^ acciocché 'vendetta
ne fojfe fatta o per lui , o per li fuoi B.ironi , // detto Ke Luis
fece fare nella Moneta del Tornefe graffo , da lato della Pila ,
le bove da prigione , cioè Compedes , o fia i Ceppi . Non è ap-
provata dal Blanc cosi fatta opinione. Né vo' lafciar di dire,
che in quella ricerca ho trovato molti Tornefi , battuti fotto
nome di S.Lodovico, falfi e di niun valore, prevalendofi una volta
gl'impoftori della divozion de' Criftiani per fare il loro negozio.
La Settima appunto è unTmpoftura , dove nel rovefcio lì
legge POPVLE MEVS QVID FECI TIBl?
L'Ottava è un Tornefe groffo , che preffo molti in Mode-
na, nel diritto e rovefcio è fimile a quei di San Lodovico , fé
non che in fua vece vi fi legge PHILIPPVS REX . Il Blanc
l'attribuifce 2i Filippo il Bello ^ che nell'Anno 1285. cominciò
a regnare. A me iembra più verifimile, che appartenga a Filippo
T Audace^ Figlio dello fteffo S. Lodovico . Di tali Tornefi n'ho
veduto molti al collo de' fanciulli , perchè in tutto fomiglianti a
quei di San Lodovico , non iapendo il volgo diftinguerli per la
difficulta de' caratteri.
Dddd 2 La
^go Dissertazione
La Nona è parimente un Tornefe. Ha nel mezzo un'Aqui-
la coir ali aperte, e MONETA NOVA. Nel rovefcio è la
Croce '. Delle lettere corrofe non refta fé non TVRONVS
. . . SIT NOM Non ne ho veduto un fimile preiTo il
Blanc .
La Decima in Modena ha la Croce con due Gigli negli an-
goh, e PHILIPPVS REX FRANCO, e BNDICtv. SIT &c.
Nel rovefcio una Corona, e di fotto FRANCO. PHL e PA-
RISIVS CIVIS ARGENTI . Appartiene a Filippo di Valois^
che nel 1327. cominciò a regnare . Quefti Soldi fi chiamavano
les Parijis d' argent .
L'Undecima d'oro in Modena preffo il Sig. Bartolomeo So-
liani ha l'Arme Regia di Francia con due Uìrici di qua e di la,
e LVDOVICVS. DEI. GRACIA. REX FRANCORVM.
Nel rovefcio XPVS. VINClt. XPVS. REGNAT . XPVS.
IMPERAT . Dal Blanc è attribuita a Lodovico XII. Re . Ma
anche l'Undecimo fi fervi di quefta ifcrizione.
Ungh
eria .
Una fola Moneta d'oro fpettante all' Ungheria ho veduta
nel Mufeo Bertacchini . Di h venne in Italia il coflume di
chiamar U^igòeri i Ducati d'oro . Ivi fi mira la Vergine con.
Crifio fanciullo in braccio, e MATHIAS. D. G. R. VNGA^
RIE . Egli è il celebre Mania Corvino , Re celebre fui fi-
ne del Secolo XV. in Ungheria. Il rovefcio ha l'Immagine
di un Santo , che tiene un'alabarda, e all'intorno S. LADIS-
LAVS REX.
Ra^ufi .
Nel Mufeo Bertacchini fi confervano due Denari, battuti
dalla Repubblica di Raguiì . Vi fi vede l'effigie di un Vefcov&
Santo colle lettere S. BLASIVS RAGVSI . Nel rovefcio l'im-
magine del Salvatore, fotto cui (la la figura d'un Vefcovo col-
le lettera Greche IG. XG. cioè Jefus Chrijìus .
Re
Ventesimasettima. 581
Re di Schiavonia .
Due Monete d'argento confervate nel iuo Mufeo dal Chia-
rifs. Apoltolo Zeno ho io veduto . Nella Prima apparifce un
Cane da caccia , fé pur non è una Volpe , e di lopra due Stel-
le . Nel contorno MONETA REGIS ^ SCLAVONIA . Nel
rovelcio una doppia Croce , di qua una Stella , di la una Lu-
na . Di lotto due tefte coronate . Sopra l'una (la R. lopra
l'altra L.
Nell' altra Moneta fi vede lo frelTo diritto colle lettere REX
SCLAVONIE . Simile è anche il rovefcio , ma fenza lette-
re . Scrivono che gli Schiavoni cefTarono di avere i Re loro
fui principio del Secolo XIII. Non ho Libri per chiarire ta-
le opinione , né per indagare da chi , e quando furono bat-
tute fallili Monete.
Re della Servia.
In Modena fi truova una Moneta d'argento, fomiglian-
te alla Veneta . Q_uivi è 1' Immagine di un Santo , che por-
ge la bandiera al Re, colle lettere VROSIVS REX. S. STE-
FAN. Nel rovefcio l'effigie del Salvatore fedente colle lette-
re I C. X C. cioè Jefus Chr'iftus . Due Urofii Re della Servia
vi furono . E* probabile , che qui fi parli di Urojlo cognomi-
nato il Santo , detto volgarmente Miltumo , che mancò di vi-
ta nell' Anno 1321.
Conti del Tirolo.
Due Monete confimili d'argento poffeggo io, ed anche al-
tri in Modena , ed altrove . La Croce è nei mezzo , e all'in-
torno MEINARDVS . Nel rovelcio l'Aquila con ali aperte,
e COMES TIKOLI. Fior'i quello Meinardo, Figlio d'un al-
tro MeÌ7iardo , Co?ìte del Tirolo , verio il fine del Secolo XIII.
una cui Figlia Liiabetta maritata con Alberto Duca di Auftria,
e poi Imperadore, gU apprcftò nel Secolo feguente ragioni per
acquiftare il Tirolo.
La Seconda nel Mufeo Bertacchini appartiene allo (leffo .
Vi fi legge COMES TìROLI . Nei rovefcio reftano lolamente
que-
582 Dissertazione
quefte lettere: M... DVX . . . ILLVSTRIS , che credo s'ab-
biano a fupplire òìc^nào Meìnardus DuxCarinthia ; perciocché
il medefimo fu anche Duca di Carintia.
La Terza prefib più d'uno in Modena , ha l'Aquila , e CO-
MES TIROLI . Nel rovefcio la Croce colle lettere DE MA-
RANO. Era quefta Terra della Contea delTiroIo.
La QiLiarta nel Mufeo Chiappini ha la Croce , e le lettere
SIGISMVNDVS. Nel rovefcio l'Aquila, e COMES TIRO-
LI . EgU è S'igifmondo à' Aufirta , che nel 1475. era padrone
del Tirolo .
La QLìinta nel Mufeo Bertacchini con lettere corrofe . Refta
folamente ARCHI DVX AVSTRIE . Nel rovefcio la Croce
con quattro diverfe Arme , e le lettere GROS^;/^ COMITIS
TIROLI .
Triefte .
Nel Mufeo Mufelli di Verona fi truovano varie Monete
di Trìefle , Citta e Colonia una volta de i Romani . La Pri-
ma rapprefenta una Citta, e all'intorno CIVITAS TERGE-
STVM . Nel rovefcio SANCTVS IVSTVS , cioè Martire ,
Protettore della Cittk.
La Seconda nello 'ò.t^.o Mufeo ha 1' effigie di un Vefcovo ,
colle lettere CIVARDVS EP. cioè Epifcopus . Per lungo tem-
po furono Signori di Triefie que'Velcovi, e ad efh apparte-
neva il battere Monete : però in quefle fi truova il loro no-
me . Nel rovefcio un Agnello con due Croci , e CIVITAS
TERGESTVM. Non ebbe l'Ughelli nell'Italia Sacra cogni-
zione di quello Vefcovo, né io so dire in che tempo fioriife.
La Terza ha quefta ifcrizionc : CONRADVS EP. che fe-
condo l'Ughelli fiori nel 1223. Nel roveìcio l'Immagine pro-
babilmente di S, Giudo, e CIVITAS TERGESTVM.
La Quarta è anche nel Mufeo Lazzara di Padova. Vi (ì leg-
ge VOLRICVSEP. Quefto Vefcovo, chiamato dall' Ughcllf
Odelricus^ fioriva nel 1253. Nel rovefcio l'abbozzo di una Citt^
colla folita ifcrizione.
La Quinta appartiene al medefimo Vefcovo Volrico , ed è
folamente diverfa nel rovefcio , dove fi mira l'effigie di San
Giufto .
La Sefta ha quefte parole LEONARDVS EPISCOPVS .
Quelli fembra quel medefimo , che dall' Ughelli è appellato
Leo-
-
Ventesimasettima. 583
Leonìclis, Non feppe egli, in che tempo viveffe quefto Prelato;
molto meno Io so io. Il rovefcio fimile a' precedenti.
La VII. vili. IX. nel fuddetto Mufeo Mufelli portano quefto
nome ARLONGVS EP. Se crediamo all' Ughelli , fu eletto
Arlongo nel 1254. e nel fufìfeguente deporto da Papa Aleffandro
Quarto ; ma la diverfitk di quefìi Denari fa fofpettare , che
durafle molto più il di lui governo. •
Treveri .
Nel Mufeo Chiappini di Piacenza fi conferva Moneta d'oro
con un Giglio nel diritto, e le parole CONO AREPS. T. cioè
Cono (lo llelTo è che Conradus) Archìepìjcopus Treverenjis . Nel
rovefcio fi vede l'effigie di Giovanni Precurfore colle lettere
S. JOHANNES B. Fu eletto Arcivefcovo di Treveri quefto
Corrado nel i^ói. S'ha qu'i da avvertire, eflere tal Moneta
un Fiorino d'oro battuto a fomiglianza de' Fiorentini . In tal
credito falì la fabbrica de' Fiorini , cominciata in Firenze nel
1252. che non pochi Principi per gara e guadagno cominciaro-
no anch'elfi a batterne de'fimili, come dirò nella Differtazio-
ne feguente, ritenendo il modello e le figure fteffe dei Fiorenti-
ni, mutato folamente il nome del Principe o del Luogo. Gio-
vanni Villani Lib. IX. Cap. i^p. Iftor. fi lamenta di Papa Gio-
vanni XXII. perchè nel 1322. fece battere di quefti Fiorini.
Ma avendo voluto far lo (leffo i Marchefi di Monferrato , gli
Spinoli Genovefi, ed altri Principi d'Italia, il raedefimo Ponte-
fice con intimar la Scomunica nel 1324. li fece defiftere . Per
non fapere quefto fatto il Guichenon rapportando un Fiorino
d'oro, battuto da Amedeo V. Conte di Savoia, e da noi men-
zionato di fopra , formò il feguente fogno con dire : La pre-
miere forte de Monnoye de ce Prìnce d^ or , du poids de la P'tjìo-
le d'Italie ( il che non fuffille ) ou laFleur de Lys de Floren-
ce , fait croire , qu elle /7ft ejìb frappée en memoire de quelque
confederation avec la Republique de Florence,
Un altro Fiorino o Ducato d'oro fi conferva in Modena nel
Mufeo Rertacchini, il quale non so dire, a chi appartenga. Ivi
è l'effigie del Precurfore colle lettere S.IOHANNESB. Neil'
altra parte un Giglio , e R. DI. G. P. AVRÀ . Ma chi è
quefto Principe ? Finché altri meglio m'iftruifca, fofpettoio,
che tal Moneta appartenga a qualche Principe di Oranges ,
Per-
58^. Dissertazione
Perciocché Araujìo ne' Secoli barbarici , fu anche appellata C/-
'uìfas Aurafica^ oggid'i detta da' fuoi Cittadini Auranges ^ e da'
Ff anzefi Or^;?^^^ . Due Raimondt han goduto (juel Principato.
Gran Maftro de' Cavalieri Gerofolimitani .
Da molti Secoli gode il Gran Maftro di quedo nobilifTimo
Ordine Cavalerefco il pregio del Zecca . Una loia Moneta non-
dimeno d' elTi ho io veduto , confervata in Bologna dal Mar-
chefe Gian - Paolo Pepoli . Ivi comparifce l'Arme dell'Ordine
colle lettere F. FABRICII DE CARRETTO M. MGR. R.
cioè Fratrìs Fabricii de dirretto Magni Magijlri R.bodìorum:
così perchè Cavalieri di Rodi erano una volta appellati que
Cavalieri . Nel rovefcio fta l'effigie di San Giovanni Batifta
Protettore, e all'intorno: ECCE. AGNVS. DEI. Q^VI
TOLLIS P, M. cioè Peccata Mucidi,
Moneta incerta .
Il fu Canonico Antonio Scotti Patrizio di Trivigi , mio fi n-
oolare Amico, mi comunicò una Moneta, nel cui diritto com-
pariva un' Aquila , e nel contorno NOBILITAS COMVN.
Nell'altra parte era una Corona Regale, colle lettere FÉ. di
fotto. Vi fi vede anche non so fé un R. o L. o pure una Stel-
letta , elfendo logora la forma de i caratteri , e nel contorno
LONBARDORVM . Qui non so che mi dire . E' da vedere ,
fé mai vi fi parlalfe à^ìComufie diFehre; o fequelJF-V figni-
ficaffe Federicus Rex. Forfè un migliore impronto darebbe più
lume .
E fin qui le Monete, ch'io ho potuto raccogliere de' vecchi
Princìpi e Citta d'Italia . Vi faranno fi:ate altre Citta libere ,
e Signorotti , che una volta goderono il privilegio di fabbricar
Moneta, i cui Denari fono fcappati alle mie ricerche. A quel
che manca fupplira la diligenza e fortuna altrui . Solamente
aggiugnerò, non effervi mai fiato tempo, in cui non fi fieno ve-
duti impofiori e tofatori delle Monete . Di ciò fi parlerà nella
feguente Differtazione . Per quefto anche ne gli antichi Secoli
erano deputate peribne perite, che elaminavano la buona e falfa
Moneta , e il fuo giufi:o pefo . Noi li appelliamo Saggiatori , e
l'eiame Saggio, L'origine di quella voce non l'ha trovata Egi-
dio
V E N T E S I M A O T 1 A V A • 585
dio Menagio dottifTirno Scrittore Franzefe , a cui peraltro noi
fiam -enuti per avere icritto in Italiano le Origini della no-
ftra Lingua. JJJaggtare^ die' egli, 'viene dalla particella Ad ^
e dal nome SapQY , Sapor^ Sapos^ Sapus^ Sapa^ Sapagium ^ Sa-
pagiare^ Sapgiare^ Sagiare^ Ajf aggi are . Uno ftrano lavoro di
Fantafia è quefto. Noi abbiamo Ajjaporare ^ nato da Sapor ;
e nulla ha che fare con Sapor la parola e fignificato di AjJ^ag-
gìare . Pertanto altronde non viene il noftro Saggio , fignifi-
cante efame ^ che dà Exagium antica voce Latina . Per la ftef-
fa ragione Examen apum s' è convertito Sciame . In un De-
naro di Onorio Augufto preiTo il Du-Cange fi legge EXAGIVM
SOLIDI colla Dea Moneta , e le bilance . Noi diremmo Sag-
gio del Soldo. Teodofio iuniore Augufto nella Novella de Pre^
rio Solidi cos'i parla : De ponderibus quoque , ut fraus penitus
a-mputetur ^ n ?iobis aguntur EX AGI A ^ qua fine fraude deheant
zuftodiri. Noi diciamo y^r^ il Saggio di qualche Moneta^ anzi
1' abbiamo trasferito ad altre cole , come fare il Saggio del
Finoy o d'altri liquori, per indagare la forza, fapore, puri-
tà &c. Della voce Exagium fi fono ferviti Santo Zenone nei
Serm. VI. a i Neofiti , Caffiano nella Collazione I. Gap. 22.
l'Editto di Aproniano preffo il Grutero pag. ^47. num.6^. per
tacer d'altri. Noto è pofcia , che Exagium viene adi Exigo .
Però i Latini àì^QxoExigere ad normam^ Exigere ad 'veritatem^
cioè pefare, indagare, efaminare, fé una cola fia vera , o ret-
tamente compofta. E ciò bafti intorno alle Zecche, o fia of-
ficine Monetarie de' Secoli dimezzo.
Tomo I. E e e e Delle
58(5
DlSSERTAZION
Delle varie forfè di Denari , che anticamente furono
in ufo in Italia*
DISSERTAZIONE VENTESIMA OTTAVA.
L'Argomento, ch'io ora propongo, leggiermente ( lo con-
feflb ) verrU trattato da me, eflendo così vado, che in ma-
no di chi maggiormente abbondaffe d'ozio, baderebbe per far-
ne mi groflb Libro. Ne dirò io quel poco , che mi andrà fov-
venendo, e che mi s'è affacciato nello ftudio delle antiche me-
morie, affinchè i Lettori abbiano qualche notizia delle Mone-
te ufate ne' Secoli barbarici. Come preflb i Romani , così fot-
to i Re Goti, Longobardi, Franchi, e Tedeichi , il pubblico
commerzio fi face a con tre forte di Monete , cioè d'oro, d'ar-
gento , e di rame . Nelle licrizioni Romane fi truovano le fe-
guenti lettere applicate a qualche Magiftrato, cioè A. A. A.F. F.
le quali fono interpretate da gli Eruditi j^uro^ Argento^ Aere ^
Flando^ Feriundo, Odafi Caffiodoro , che nel Lib. VII. Variar.
num. 32. fotto nome di Teodorico Re de' Goti in Italia efpone
laFormola, qua Moneta committitur^ cioè fi commette ad al-
cuno la cura della Zecca. Ami fi ani ma nulla in/uria permixtio-
Tìis albefcat . Argenti coler grati a candoris arri de at . ÀE.ris rubor
in nativa qualitate permane at &c* Pondus quin etiam confìitutum
Denariis pracipimus debere jervari . Che vi foffero anche Dena-
ri, come noi diciamo, Erofì ^ cioè d'argento, e di rame mi-
fchiato, pare che non fé ne poffa dubitare. E trovando noi in
tanti Diplomi e Contratti ordinato , che fi paghi con oro , il
qual fia obri'ziim , obrÌ7:atum , optimum , purum , probatum &c*
fa fofpettare, che vi folfero Denari d'oro, dove entraffe qual-
che lega d'argento. Ora anticamente non vi fu Moneta più
rinomata ed ufata , che i Soldi . A tutta prima , fé mal non
mi appongo , furono folamente d' oro ; pofcia ve ne furono
anche d'argento. Il nome e la fabbrica de' primi fi truova
prima de' tempi di Coftantino il Grande . Veggafi il Codice
Teodofiano , dove in più leggi vien fatta menzione de' Soldi ;
e che foflero d'oro, lo atteftano le chiare parole di que' tedi .
Però chi diceva allora un Soldo ^ fignilicava una Moneta d'oro
di
Ventesimaottava. 587
di pefo determinato dalle Leggi. Nel Libricciuolo de Me n furi s
di antico Scrittore Anonimo prelTo il Goefio de Re Agrnria , fi
Iqqoq : Duodecim uncia L'tbram , digititi Solidos contìnentem , ef-
■Rchint. Sed veteres Solidum., qui ?ìunc Aureus dichur ^ nuncupa-
ba?ìt. Gran tempo durò in Italia il nome e l'ufo de' Soldi d'
oro- ma non so dire di certo, fé i Re Lombardi, i quali taffa-
vano in Soldi il pagamento delle pene impofte a i trasgrefTori
delle Leggi, intendelTero di Soldi d'oro. Sembra verifimile che
s'i, eflTendo fuor di dubbio, che anche ai lor tempi correva per
l'Italia quella Moneta d'oro. Di ciò tengo l'aeteflato in uno
Strumento dell' Anno 73<5. originale , per quanto mi parve ,
( cofa ben rara ) che fi conferva nell'Archivio dell' Arcivefco-
vato di Lucca, contenente la vendita di una cafa fatta Domno
\<J (ilpen glori ofo Duci di Lucca , prctiuìn pUcitum Ò' defifìitum
Auri Solidos vigenti . Atteda anche il Grimaldi nell' Opufc.
MSto de Sudario^ che in un antichiffimo Papiro Egizziano del-
la Vaticana Biblioteca fi veggono nominati Aurei Solidi , Do-
'/ìitnici ^ probati^ ohrÌ7^iì ^ optimi^ pe72fantes ^ integri ponderis y
Jìngulares numero , juper vendicione fex unciarum , fundi Geni-
ciani . ABum Ravemìce per Julianum Forum Civitatis Ravenna:
Script orem . Tejìes Eufebius Admjcutarius Florentinus ex Prafeóiis
( fé pure non dice ExprafeBus ) Piftorum , Oderifcus Probus ex
Primiceriis (fé pure non v' ha. Exprimicerius ) Petrus Colliùlar.
ante cujìodiam carcerum. Cosi in altri Papiri pubblicati dalChia-
rifs. Marchefe Scipione MafFei.
Chieggo io ora : fé non v' erano allora Soldi d' argento ,
perchè nel nominare ì Soldi ^ vi fi aggiugneva d'oro? Badava
dir Soldi, come oggidì fi fa nominando Doble ^ Zecchini ^ Un-
gheri , i quali non occorre chiamarli d oro , perchè non ve
n'ha fé non d'oro. Certamente allorché non fi ufava fé non
Soldi d'oro, s'intendeva lenz' altro aggiunto, diche metallo
era quella Moneta. Omnes Solidi ^ in quibus Nojìri Vultus ac ve-
neratio una eft ^ dice Coftantino M. nella Legge I. Tit. 22. Li-
bro 9, del Codice Teodofiano . Cosi nella Legge XIII. Tit. 6.
Lib. 12. del medefimo Codice è fcritto : ^otiescunque Solidi ad
largitionum fubjidia perferendi funt &c. Cosi in altre Leggi , e
in varj paffi di San Gregorio M. Cache vien dunque, che ne'
Secoli luilegnenti non badava il dire Soldi , ma codume fu di
aggiugnere d' oro ? Eccone una nuova tedimonianza in altra
Eeee 2 per-
^88 Dissertazione
pergamena dell' Archivio Arcivefcovile di Lucca dell'Anno 74(5.
in cui Walprando Vefcovo di quella Citta concede ad ufo o
livello una Cafa . Dice il Livellarlo , che le non manterrà il
pattuito , cumponamus tivi Domno V^ alprando Epìfcopus , vel ad
tuos erides /luri Soledus numero fex.igent a , Io nulla determino-
e folamente paflb ad avvertire, che almeno nel Secolo lufle-
guente v'erano Soldi d' argento , Nell'Archivio poco fa accen-
nato altro Strumento efifte dell' Anno 847. in cui Ambrofio
Vefcovo di Lucca concede ad Uberto Diacono una Pievania ,
il quale promette cenfum dare & perfoi'vere debenm j^rgentum
Solidos n^iginti , bonos denarìos expendiviles . ^,ando circaras.
ad conftgnationes de Pieve in Pleves ve/ìras feccvitis &c. Gol
nome di Circata fon difegnate le Vifite , che anche allora fi
facevano da i Vefcovi per le Chiefe rurali, a fin di miniftrare
il Sacramento della Crefima , ivi appellata Conftgnntio . E fi
vede , che anche allora i Parrochi erano tenuti a dare allog-
gio e palio al Prelato, e alla lua famiglia. Cosi in altra perga-
mena dell'Anno 807. di cui fi parlerà qui fotto, noi troveremo
Solidos Argenteos . Qiial foife il valore e pefo de' Soldi d'oro,
lo cercò Jacopo Gotofredo, Letterato infigne , alla Legge uni-
ca Tit. 24. de oblat. votormn Lib. 7. del Codice Teodoi. Penfa
egli , che ai tempi di Coftantino ottantaquattro Soldi d'oro
formalTcro la Libra d'oro , e però 1' oncia foffe com polla di
fette Soldi. Cotal fentenza fu impugnata dai Gronovio . Q_uel
eh' è certo , Valentiniano Seniore volle che fettanta due Soldi
coftituiffero la Libra, con accrefcere il valore efìrinfeco di quel-
le Monete. Quanti Denari di rame occorrefìero allora per ugua-
gliare il prezzo di un Soldo d'oro, ce l'infegna CalTiodcro Lib.L
Epift. IO. feri vendo : Sex millia Denariorum Solidum effe vo-
luerunt: il che fi può anche confermare con alcuni tedi del Co-
dice Teodofiano . Truovanfi ancora nominate predo gli antichi
le Silique ^ e ne abbiamo menzione nella Legge 258. di Rotari
Re de' Longobardi . E San Gregorio M. lafciò fcritto , che il
Soldo d* oro prefìo i Romani valeva viginriquatuor Siliquis .
Santo Ifidoro all'incontro notò, che folamente venti Silique co-
ilituivano il Soldo d'oro. Né maraviglia è, perchè non meno
in que' tempi , che ne i noftri , i Principi e i Popoli faceano
guerra aU'Oro e all'Agento, fludiandofi ognuno di valutar iem-
pre più, ed oltre al dovere, le loro Monete.
Gran
V E N T E S I M A O T T A V A . 58^
Gran mutazione al certo in effe di prezzo dovette introdur-
re il tempo , e la cupidigia sfrenata della gente . Impercioc-
ché pare, che la Libra d'oro fbfTc ridotta a foU venti Soldi d'oro.
Lo accenna Carlo M. nella Legge Longobardica 23. DeHeriban-
«O5 con dire : S^ì vero non hnbuennt nmpltus in Jnpr aferì pto pre-
rio , njalcnte ntfi Libras IlL Solidi XXX. ab eo exigarur^ id e fi
Libra una & dtmidia. Di iopra ancora abbiam veduto 1' Anoni-
mo atteftante, che a'fuoi di con 'venti Soldi fi aveva un^ Libra
d' oro ^ ma Libra a mio credere ideale . Impariamo parimente
da un'altra Legge del medefimo Auguro Carlo , cioè dalla y6.
de omnib. dcbit. con quanti Denari fi comperaiTe un Soldo, cioè
con quaranta ; e in altri tempi e Luoghi con foli XII. Denari.
De omnibus debitis folvendis ( die' egli parlando delle pene )
ficut antiquitus fuit corifuetudo ^ per Duodecim Denarìos Solidi fol-
'vanfur per totam Salicam Legem , excepfo fi Leudes , idejì Saxo
tìut Frixo Salicum occìderìt , per XL, Denarios Solidi folvantur .
Qiii fi parla di Soldi d'argento , come apparirà fra poco . E*
anche da avvertire ciò, che ha il Sinodo di Francoforte dell'An-
no 7^4. dove concorfero anche i Vefcovi d'Italia, e vi fi trovò
anche lo fìeffo Carlo M. Fu ivi flabilito, che le biade non fi ven-
deffero di più in tempo dicareftia, che di abbondanza, e che
fi mifuraffero col Moggio pubblico , nuovamente flabilito . De
Modio de avena ^ Denarius unus, Modio hordei^ Denarii duo. Mo-
dioSigali ^ Denarii tres . Modio fruryienpi ^Denarii quatuor . Situerà
in pane vendere voluerit ^ duodecim panes de frumento ^ habentes
Jìngulos libras duas proDenario dare debeat j Sigalacios quindecim
aquo pondere prò Denario ; Ordeaceos viginti Jìmiliter penfantes ,
Nel Can. V. chiaramente fi vede efpreffb, che quei Denari erano
ex mero argento. Nella Legge Salica Tit.57.Cap.V. SexcentiDena-
vii danno Solidos ^lindecim . E nel Tit.2.Cap.i. Centumviginti
Denarii faciunt Solidostres , di maniera che ogni Soldo coftava Qj-i^-
ranta Denari . Né tal mutazione del prezzo de' Soldi fegui folamen-
te per le pene de' delitti, che fi pagavano in Soldi, con isminuire
il valore eftrinfeco de' Soldi, ma pafsò anche nel pubblico com*
merzio. Aquefto propofitofar^, quanto fi legge in uno Strumen-
to autentico dell'Archivio Arcivefcovile di Lucca, fcritto nell'An-
no 807. in cui Alberto Cherico cede a Walprando Prete una
Chiefa, col confenfo di Jacopo Vefcovo, riferbandofi unapenfione
colle feguenti parole: Tumihi reddere debeas decemSolidos Argento
de
5^0 Dissertazione
de bonos Denar'tos mundos , S^^'^^Jfo^ -> expe?2diviles , u^a duodecìm
Denarios prò Solido tantum , Ecco dunque come s' ha da inten-
dere la fopra riferita Legge di Carlo M. cioè dodici Denari
formavano un Soldo d'Argento. E però qu\ mi naice gagliar-
do dubbio , che i Soldi , tante volte menzionati nelle Leggi
Longobardiche, fodero d'Argento, e non d'Oro; e maffima-
mente perchè vi s'incontrano pene, che troppo grevi lareb-
bero ftate, fé d'oro; e miti all'incontro, fé di Soldi d'argen-
to. Nulla nondimeno ofo io di determinare.
Egli è certamente credibile, che il Soldo d'oro, non idea-
le , ma vero a' tempi di Carlo M. fuperaffe di poco le Mone-
te , che noi ora chiamiamo Me:?;^ Doble , e Scudi d' oro ^ o
Ducati di Camera . Contuttociò v'ha chi pretende , che efil
Soldi d'oro, folTero folamente di un quarto minori delle Do-
ble d'oro j GÒeLuigiy battuti dal Re Lodovico XIV. E il Wen-
delino nel Gloffario Salico credette, che i Soldi mentovati nel-
le Leggi Saliche fodero nel valore lomiglianti a i Fiorini del
Reno . Intanto dal poco finora oflervato nalce fofpetto , che
anche anticamente vi fodero Monete ideali, come oggidì è in
Inghilterra la Lira Sterlina , che ne' Secoli precedenti fu fpe-
cie di effettiva Moneta . Anche in Modena il Soldo , da noi
appellato Bolognino^ fi divide in dodici Denari, che una volta
erano in ufo , ed ora vivono folamente nell' opinione del Po-
polo. Che fé tal un defidera di fapere, quanti Denari occorref-
lero ne' vecchi tempi per una Libra d'Argento, io ne recherò
ciò, che fi truova in unoStrum.ento dell' Annop58. a noi con-
fervato da Fulvio Azzari nella Storia Ecclefiaflica di Reggio .
Qiiivi Azzo Figlio del fu xAzzo, o fia Attone deComitatu Par-
me n fi ^ cioè un perfonaggio di Linea diverla fra i Maggiori del-
la Conteda Matilda, vende ad Adalberto Azzo Conte, Bifavo-
lo della medefima Conteffa, alcune terre; e il prezzo è tale:
Argentum per Denarios bonos Libras fesagima^ habentes ducenti
quadraginta Denarii Libra . Si potrebbe penfare, che tale ioi-
fé anche in altri paefi il corio de i Denari ; ma non fi può
aderir con franchezza per la diverfita delle Zecche allora efi-
lienti . Perciocché ficcome a' tempi di San Gregorio M. meno
valevano i Soldi di Francia, che i Romani, cosi ne' iudeguen-
ti Secoli, e madimair.ente da che fi moltiplicarono cotanto le
Officine Monetarie , fi può credere, che non fode per l'Italia
uni-
Ventesimacttava. 5pi
uniforme il valore de' Soldi e de i Denari . Nella Cronica del
Volturno all' Anno 870. noi troviamo SoUdos 7iumero ceìitum
qutìiqui^giì'itn Sìculos ; e di fotto Solidos o^loginta Stculorum ^ fic-
come ancora Auri Libram u?iam Bstzeventanam . Le quali Mo-
nete per confeguente pare che indicaflero una differente va-
luta. Cosi noi troviamo Denarios Paptcnfes ^ tò. Argetitum De-
narios bonosLucenfium L'tbras centum in uno Strumento del lopd".
E parimente in altra Carta del 11 04. Denar'tos Venectcs Libras
mule. Ogni Zecca, come oggidì, anche anticamente taffava il
valore delle fue Monete . Ma perciocché nelle Carte vecchie,
e maffimamente ne' Contratti dopo il Mille , fi truova gran
copia di Monete di differenti paefi , delle quali non fi sa il va-
lore, grata cofa credo io che farò ai Lettori, producendo un'
antica memoria , a me fomminidrata da Jacopo Grimaldi ,
Cherico Beneficiato della Bafilica Vaticana, che nel i6ii, fcrif-
fe un Trattato tuttavia MSto ds Sudario Veronica . Cioè rap-
porta egli una Relazione fatta , quattrocento anni fono , da
un Giovanni Cabrofpini , Nunzio della Sede Apoflolica in Po-
lonia ed Ungheria, del valore delle Monete allora correnti , e
che anche prima di quel tempo fi trovavano mentovate ne i
Libri e ne i pubblici Strumenti . Di non poche d'effe fi trove-
rà anche menzione nel Trattato de i Cenfi della Chiefa Ro-
mana , compofto da Cencio Cardinale , e Camerlengo di effa
Romana Chiefa neliipi. che rapporterò nella Diflert.LXIX.
qui fotto. Ecco la Memoria del Cabrofpini , fcritta in Latino,
e da me tradotta in Volgare.
Nota
5P2 Dissertazione
Nota delle antiche Monete.
Il Fiorino di debito cenfnale vale X. Soldi, e un Denaro di
Denari turpizj antichi.
Un Grojfo vale XII. Denari turpizj.
La Libra d'oro vale XCVI. Fiorini.
La Marca d'oro LIX. Fiorini.
ÌJ Oncia d'oro inoro Vili, Fiorini.
L' Oncia d' oro in argento V. Fiorini .
La Marca doro vale due parti di una Libra d'oro.
La Marca d argento vale due parti di una Libra d'argento.
La Libra d argento vale LXXV. GrofTi.
La Marca d argeìtto per convenzione antica in Inghilterra va-
le IV. Fiorini.
La Marca d argento in altre parti vale quel prezzo , che co-
munemente corre al tempo del pagamento.
La Libra d argento puro , o fia due Marche d' argento vale
Vili. Fiorini.
La Libra d argento d' Inghilterra .... IV. Grofìi ; e della
Curia Romana VII. Fiorini, X. GrofTì, e mezzo Groffo.
La Libra d argento di Aragona^ Tojcana^ Sardegna -^ e fimili ,
vale VII. Fiorini e mezzo.
U Oncia d argento vale VII. GrofTì e mezzo.
Il Marabotino d argento vale un Fiorino meno dodici Denari
Tornefi .
Dodici Malgurienji vagliono unGroflb.
Un Obolo d oro vale un Fiorino
Un Ma(fatra7;jo doro vale due parti di un Fiorino.
Dodici Denari de' Sipioni un Malachino .
Un Malachino vale Vili. Grofh .
Un Bijuntino vaie XV. GrofTì e mezzo.
Un Tulleno Vili, Soldi, e IV. Denari vagliono un Fiorino.
Un Mantejino^ e X. Soldi vagliono un Fiorino.
Un Mantefino^ IX. Soldi, e V. Denari vagliono un Fiorino.
Un Friguento^ e XII. Denari vagliono un GrofTo e mezzo an-
tico .
Un Marabizio d'oro vale XXIV. Marabizj d'argento, o pure
un Fiorino meno XII. Denari.
Nei
V E N T E S I M A O T T A V A .' 5p j
Nel Regno di Sicilia , fpezialmente di c^ua dal Faro , 1' Oncia
vaie LX. Carlini Gigliati.
Un T^reno vale due Carlini.
Il Carlsno vale X. Grani.
Il Gratìo vale VI. Denari .
L'altre Monete, come i Fiorini, fono valutate al prezzo di quc-
fta Moneta.
La Cojtna^ o Salma del grano è di IV. Tumoli.
Parimente nel Reono di Caftiplia e Leone vi fon le Monete
ufuali, cioè ì Coronati di valore di V. Oboli.
l\ Marahi:^o di X. Denari . E VI. Coronati vagliono un Marabi-
zio . E XXV. Marabizj vagliono una Dobla di Maracco;
E XXII. Marabizj uno Sciliato vecchio .... un Montone ,
una Cattedra. E XXV. Marabizj vagliono un Agnello. E
XXVIII. Marabizj vagliono un Reale. E XXIV. Marabizj
vagliono una Dobla di Cartiglia. E parimente XXX. Doble
vagliono una Dobla grande e larga de' Saraceni.
Et è da fapere , che la Marca de' GrofTì d' argento di Boemia
vale comunemente XLVIIL Groffi di Praga, o XXIV. Scoti.
In oltre in qualfifia Marca fono IV. Fertoni.
E VI. Scoti vagliono un Fertone.
E uno Scoto vale due GrofTì di Praga.
E un GroJJo di Praga vale XVI. Denari.
Parimente è da fapere, che nella predetta Marca vi fono XVI.
Lothoni, E un Lothone vale uno Scudo e mezzo, o fia tre
GrofTì : che è lo fteflb.
QLialfi voglia Fertone colia di quattro Lothoni.
Un Bifan-zio^ o fia Bifante^ vale due parti d'un Fiorino d'oro.
Medefimamente lo fleflb valore fi truova e pratica nel Maf-
famutino .
Vale il Marabotino un Fiorino d'oro, meno X. Denari.
Un Malachino cofta otto groffi d'argento.
Finqui il Cabrofpino in quel foglio MSto . Furono alcune di
quefte Monete d'Oro, ed altre d'Argento. E primieramente per
quel che concerne i Marabotini ^ gik battuti inlfpagna, e Monete
di gran credito, certo è, ch'erano Monete d'oro. Negli antichi
Secoli r Oro fi traeva dalle Miniere di quello Metallo in Ifpa-
gna ; oggidì non fi vuol durare fatica a ricavarne , perchè
Tomo 1. F f f f uni-
5P4- Dissertazione
unicamente fi bada a quelle deli' America Spagnuola , tanto
più abbondanti, che Je Europee . Il prezzo d'effi Marabotini ,
una volta aflai celebri, fi truova indicato da Girolamo RofìTi nel
Lib. I, della Storia di Ravenna all'Anno loyó. Diluì fono le
feguenti parole : Gerardus quotann'ts penjionem folveref duodc-
c'im MarahofinoYUìn ( pare che s' abbia a feri vere Marabotìno-
rum) [ ha in 'vetujììs tabulis hujus locatìonis^ quas n9s legimus in
Bibliotheca Urftana , fcribitur ] ^ui ejus ejjent ponderis , ut Je-
pteni unciam confi arem , cioè d'oro . Truovanfi altre antiche
Memorie, concorrenti ad afficurarci, che fo(fero doro i Mara-
botini. Tuttavia ficcome è avvenuto d'altre Monete, le quali
quantunque portaflTero il medefimo nome, pure parte erano d'
oro, e parte d'argento, cosi pare, che fieno fiati in ufo anche
de i Marabotini d'argento, fcrivendo il fopra lodato Grimaldi :
In Libro Magiftri Marini de Ebulo , centum quadraginta Marabo-
tini funt decem Marchce argenti . Ma quefio pafib non balìa a
fondare tale opinione . Si può vedere il P. Giovanni Mariana
Spagnuolo nel fuo Trattato de Ponderib. & Menfur. che molto
parla de* Maravedini , i quali temporibus Regum Legionis , fed
& Gotthorum tempore ex auro Jignabantur . Vo' io credendo, che
il nome di Marabotino fi convertifie in Maravotino ^ e finalmen-
te in Maravedino . Secondo eflb Autore , Inter Solidum Koma-
num , & Maravedinum aureum Gotthorum exiguum erat in va-
lore difcrimen: il che conviene col foglio fopra riferito del Ca-
brofpino. In uno Strumento del 1247. da me dato alla luce,
in cui è talfato il Cenfo da pagar Ji alla Camera del Papa pelCa-
Jìello di Agantico nella Diocejì Magalonefe ^ troviamo nominati
tres Marabotinos aureos Anfujinos , cioè dal Re A?ìfus , che noi
oggidì chiamiamo -^//o^if/ò.
Torniamo alle fopra riferite Note del Cabrofpino . Ivi è
detto, che XXII. Marabitii valent Sciliatum veterem . Moneta
diverfa da i Marabotini è da credere , che foflero quefìi Ma-
rabitii, Che Moneta foflero gli Sciliati^ noi so dire , né fé tal
nome fofle porto in vece di Lìliatum^ o pure Sc^^phatum^ ov-
vero Schifatum . Di quefie ultime Monete fovente s' incontra
menzione nella Cronica Cafinenfe di Leone Ofiienfe, e in altre
antiche Carte . Il corfo de gli Schifati fu fpezialmente nella
Puglia e Calabria , e di quella Moneta abbiamo menzione in
uno Strumento del 11 12. da me dato alla luce , comunicatomi
dal
Ventesimaottava. 5P5
dal P. Sebaftiano Pauli della Congregazione della Madide di Dio,
Letterato chiarifTimo, contenente la vendita del Cafale dì Santo
Apollinare fatta a Crijìadoro Ammiraglio di Guglielmo Duca di
Santa Maria del Patirò. ConfefTa il venditore di aver ricevuto da
eflb Ammiraglio quingento Schifatosi, & tres Dejìrìeros, Opinio-
ne fu del Du-Cange , che cosi fofiero appellate quefte Mone-
te , perchè formate colla figura di uno Scipho ^ e perciò non
diverfe da i Cauci mentovati ed ufati da' Greci : giacché Cau-
cum nella lor Lingua fignifica lo flelTo, che il Latino 5'r/^^r^j- ,
o fia vafo da bere . Se così foffe , noi so io determinare . Con
franchezza bensì dico, che Nummi tali, o Greci o Latini, imi-
tavano più tofto una Scodella, e furono fimili alle Monete d'ar-
gento, battute in Milano a' tempi di Ottone Auguro il Grande,
le quali erano alquanto cave nel mezzo, e prominenti nel con-
torno : del che s'è parlato nella precedente Didèrtazione . Che
poi gli Schifati foffero Denari d'oro, l'ha fatto conofcere il fud-
detto Du-Cange, e dopo di lui il fopralodato P. Pauli nelle Giun-
te al Beverino de Ponderibus. Anche il Doerdelino nel iuo Trat-
tato de Nummis Germanica medite parla delle Monete cave bat-
tute in quel paefe. Rinomati ancora furono gli Augujìali^ Mo-
neta d'oro, che Federigo IL Imperadore fece battere in Sicilia,
nel qual paefe, ficcome anche nel Regno di Napoli, fu molto
in ulo. Comunemente fi crede , che fofiero così nomati dallo
fteflb Augudo Federigo. Ma il Sig. Apofì:oio Zeno, egregio Rac-
coglitore, e intendente di tali merci , miafficura, che prefero
il nome da Cefare Augufi:o, il cui volto è ivi effigiato, e perciò
appellati Auguflarii^ Augujìales , & Aguftales , Ecco ciò , che
ne ha Giovanni Villani Lib. VL Cap. 21. delle fue Croniche .
VAgoJì aro d'oro (così fcrive egli) valea l'uno la valuta d' uno
Fiorino e quarto d' oro ^ e dall' uno lato dell Agojì aro era impron-
tato el vifo dello Imperadore ^ e dall' altro un Aquila^ al modo
de Ce fari antichi , e era groJJ^o di carati venti di fine oro a pa-
vagone. Di quefl:a Moneta è fatta menzione in una Carta, che
io ricavai dal Regifiro di Cencio Camerario , che contiene la
concejfione in Feudo del Cajìello d'Arfa fatta da Innocenzo IV.
Papa al Vejcovo dtCafìro nell'Anno 1253. fub annuo Cenfu duo-
rum Augujìarìorum auri ^ vel viginti Solidorum denariorum Sena-
tus: notizia, che ci fa anche intendere , qual fofle il valore della
Moneta Romana battuta da quel Senato. Riccardo da San Ger-
Ffff 2 mano
5^5 Dissertazione
mano ci fcuopre il tempo, in cui fi fece la battuta d'effi Ago-
ilari , con ifcrivere alf Anno MCCXXXI, Nummi aurei , qui
Auguftahs 'vocantur , de mandato Imperatoris in utraque Sicilia
Brundufti & Mejfance cuduntur . Ma dalla Giunta fatta alla
Cronica di effo Riccardo, e data alla luce da Cefare Vergara
jìci Libro de Numm. Regni Neapol. impariamo il pefo e valore
di tali Monete, e parimente , che molto prima ne fu fatta la
fabbrica . Qiiivi ila fcritto : MCCXXIJ. Menfe Junii ^ quidam
Thomas de Ba7ìdo Civis Scalenjts , novam Monetam auri , qucs,
jìugujìalis dicittiv , ad SanBum Germanum detulip , de/ìribuen-
dam per totam Ahbatiam , Ò' per Sanórum Germanum , uf ipfa
Moneta utantur borni nes in emtionibut & vendi tionibus fuis jux-
ta valorem ei ab Imperatore coììflitutum , ut quilibet Nummus
aureus recipiatur & expendatur prò quarta uncice , fub poena per-
jonarum & rerum iti Imperialibus Literis , quasidem Thomas de-
tulit , annotata . Figura Augujìalis erat ab uno latere caput homi-
7ìis cuììì media f^cie ; & ab alio Aquila . Ma nella Vita di Pa-
pa Gregorio IX. nel Tomo III. Par. L Rer. hai. pag. 584. fi
legge , eh' effo Federigo II. fabbricò altra Moneta di peggior
condizione, anzi falla. Di lui iva è fcritto : ìsJo^vv.s Monetasi fai -
JariuSy dum ara cudit diverfo charaóìere , argenti tenui Juperin-
duta cuticula .
In fomma, riputazione ed ufo anticamente furono anche i
Nummi chiamati B)''z^ntii ^ o Byfantti ^ Moneta d'oro de gf
Imperadori Greci, fabbricata in Coilantinopoli , e poco diverfa
da i Ducati d'oro di Venezia , da gli Ungheri ed altri Ducati
d'oro della Nazione Germanica , e da i Fiorini d'oro di Firenze.
Nelle vecchie Carte, e fpezialmente in quelle del Regno di Na-
poli, e delle vicine Provincie, noi trovianìo iemplicemente men-
tovati Solidos BfT^^antios^ e alle volte auri Solidos Bifanteos. Fre-
quente menzione fé n'incontra nella Cronica del Volturno Par.II.
del Tomo I. Rer. ItaL Ivi eziandio miriamo mentovati in uno
Strumento deU'Anno 882. centum auri Solidos Confi antinianos^
i quali fi poffono credere gli fteffi, che i Bifanz; . Nel Cata-
logo de'Vef:ovi di Salerno preflb l'Ughelii talvolta fi veggo-
no Solidi Confi antini ; ma probabilmente fi dovea Icrivere Co;/-
fiantiniani ., o pure Confiantinopolitani . In una Carta del Mo-
iiiftero della Cava, da me pubblicata, che contiene la Dona-
-zione della Chiefa di San Felice in Lucania 5 fatta da Guaima-
rio
i V E N T E S^l M A O T T A V A . 5^7
rio 1^. Principe di Snlerno nell'Anno 1051. noi troviamo dn-
centos auri Soli dos Confi nntinntos ^ probabilmente per errore dei
Copifla . Talmente poi invaile l'ufo e il credito àt BifanT^ti-i
che anche nel Secolo XIV. era quel nome familiare in Ita-
lia ; ed allorché uno fi augurava d' nver buoni Bifanti , niuno
almeno in Tofcana ignorava ciò , che quefta voce (ìgnificaiTe.
Per la (IclTa ragione in bocca e negli atti de gì' Italiani fpeflb
fi faceva anticamente udire ì:^ voce Tornefe ^ denotante la Mo-
neta Turonenfe , o fia battuta in Tours . Dubbio alcuno non
reiìa , che i Bifanzj fodero d'oro : il che eziandio fi legge in
un Giudicato autentico, efiftente in Arezzo prefìTo i Benedetti-
ni di Santa Flora , e da me pubblicato , dove Coflautino Ve-
fco^uo , ed Ugo Conte in un Placito attribuifcono a Guido Abbate
di quel Monifiero la Corte di Sefìo^ imponendo per pena a'tras-
greffori duo milita Bifancios auri nell'Anno 107^. Col tempo
nondimeno fi videro anche Bifati^J bianchi^ cioè d'argento,
come pruova il Du-Cange ; e quelli valevano uno Scudo Ro-
mano da dicci Giuli.
Truovansi in oltre nelle vecchie Carte nominati fovente
i Mancuji , o Mancofì , e quefti ora chiamati MancuJÌ auri ,
Qà ora Mancoji argenti . Nelle Chiofe Fiorentine pubblicate dall'
Eccardo leggiamo : Philippos ( nummos ) Maneufa . Si dee ìtP-
gQXQ Mancufa , Preffo gl'Inglefi, come dimollra il Du-Cange,
la voce Maneufa fignificava Marca ; e però fecondo tale opinio-
ne, propofta anche dal Voffio e dall' Hickefio, allorché noi tro-
viamo nelle vecchie Carte nominati ì MancuJì ^ s'ha da inten-
dere wù^. Marca d'oro o d'argento. Per conto dell'Italia, ho
qualche difiiculta ad abbracciar si fatta opinione, flante l'oifer-
varfi ne gli antichi Strumenti tanta copia di Mancuji^ coftituita
per pena a i trasgreiTori : il che non fi Iblea praticare parlando
dell'oro. Alcuni efempli ne darò. L'uno d'effi è tratto dall'info
gne Archivio del Moniltero Ambrofiano di Milano, edam^e pub-
blico renduto. Cioè in un Diploma dall'Anno 857. Lodovico IL
Lmperadore conferma ad Affperto Diacono Milanefe alcuni Beni
da lui evinti in giudi:^o ^ imponendo per pena a chi contra-
venifle Mille Mancufos auri . Cos'i un riguardevol Placito deli'
Anno 5?p8. ho dato alla luce, ricavato dalRegiflro del Vefcovato
di Cremona. Quivi Ottone Duca ^ e Mejfo di Ottone IIL lmpera-
dore-^ alla prejenx^ del medejìmo Augufio ^ riconojce per vero e legit-
timo
598 Dissertazione
timo un Diploma Imperiale^ prodotto da OldericoVefcovo di Cre-
mona contro i Cittadini della ftejfa Città , con decretare per
pena a'contrafaeienti duo Millia Mancofos ami . Un altro Placi-
to dell'Anno 1055. ho io prodotto, efiftentc nell'Archivio del
Capitolo de' Canonici di Padova . Tenuto fu eflb Placito in
Mantova da Guntero Cancelliere e Meffo di Arrigo IL Imperado-
re^ il quale confermò a i Canonici di Padova il Gius delle De-
cime, co\ì\iutn^o "^^Y ^tn2L duo Mille Mancofos aureos , Cosi Mi-
lone Vefcovo di Padova in un altro Placito tenuto in effa Pado-
va davanti a Liutaldo Duca nell'Anno 1085. vince una lite cen-
tra di alcuni uiurpatori de' Beni della lua Chiela . Troviamo
ivi ancora importi per pena duo Mille Mancofos aureos , Se vo-
gliamo col nome àìMancufi^ o Mancofi fignifìcata una. Marca
doro^ poffono fembrar eccedenti quelle pene. Quel eh' è più,
truovo io difegnati con quefta voce una lotta di Soldi d'oro o
d'argento . PrefTo Anaftafio Bibliotecario nella Vita di Adria-
no I. Papa poffiamo oflervare in auro Solidos Mancujfos ducen-
tos . E nella Vita di Papa Leone IV. Multos ei in argento Man-
cofos pnebuit. Da Ifone Maeftro Philippei fon chiamati Mane ufi ;
e Papia Grammatico , e le Chiofe MSte atteflano , che il Fi-
ìippeo era un Soldo, Anche in un antichiffimo Papiro Ravenna-
te, fcritto allorché i Franchi regnavano in Italia , dato alla lu-
ce dal celebratiffimo Marchefe Scipione MafFei pag. 175. della
fua Diplomatica , noi troviamo fcripto pretio Solidos Mancofos tre-
centos. Né io diffimulerò di aver prodotto un Diploma dell' An-
no 1014. confervato nell'Archivio del Moniftero Veronefe di
San Zenone, in cui Arrigo I. fra gl'Imperadorì conferma a Ro-
zo, o Rozone Abbate tutti i Beni di quel facto Luogo , obbli-
gandolo a pagare al Vefcovo folamente Mancufos viginti , ov-
vero Solidos quinquaginta , Forle i Ma^icufi erano d'oro, i Sol-
di d'argento. Il finqui detto mi fa fovvenire di un Diploma
di Carlo il Groifo Imperadore , fcritto nel!' Anno 883. che fi
legge nel Tom. IV. dell'Italia Sacra nel Catalogo de* Vefcovi
di Bergamo . Ivi è flatuito , che i trasgreffori pagheranno per
pena triginta Millia Mancoforum aureorum , come ha anche il
P. Geieltino Cappuccino, copiato dall' Ugheili . Ma fimili ec-
ecffive, e non mai pagabili pene , non fi fole vano imporre , e
perciò è da credere guado quel paffo . Chiuderò il racconto
de' Mancuji colle parole dell' Hickefio nella Diifert. Epidolare
Tom.
Ventesimaottava." 5PP
Tom. II. Linguar, veter. Septe}imonal. Moneta percuffdd argen-
tea ufiumy ut wdetur^ apud Anglo-Saxo7ìcs genus fu'tt : nempe
(lYgenteus ille Nummus^ quem Pemiing^ Fenntg ^ Penninc ^ &
cum Jtmplki N. PeJiing &c. 'vocnhant. Pennìng autem ^ quia
noh'ts Penningus Latino - barbare ìiuncupatur , cujum 7tummulum
argenteum , quem dtctmus hod'te a three pence , tdeft tres dena-
rios EJlerlìngos^ quod trutina probap ^ pondere Ò" 'valore cequabaf,
^ùnque Penningt pecunia argentea fummulam , qua Anglo-
Saxonice^ a enne Scfling^ idefl unum Scyllingum ; Ù* trigtnta
Penningi fummulam pecunia argentea^ quam a enne Mancus ,
^vel gnne Mancs^ unam Mancufam conjìituebant (^vel unam Mar-
cam) Me are enim ^ ftve Marc apud Anglo-Saxones idem argenti
pondus ac Mancus Jìgnijicabat &c. Maticufa pariter argentea ,
qua triginta Penningos tales continebat ^ ?ìQnaginta nojìros 'vale-
bat Penningos^ feu tres excufos patria ìiojìra nummos argenteos^
quos 'vocamus Halfero'Wns . Mancuja 'vero , 'vel Marca auri , de-
cies valebat Mancufam argenti , fecundum valorem , quo aurum
mgentum fuperabat apud Gracos & Romanos. Gosi rHickefio.
CoNviEN ora dir due parole de i Felli , antichiflìma forta
di Moneta, Folles prefìfo i Latini, t Pholles prefTo i Greci , che
<liedero l'origine ad eflì. Furono Moneta bafTa. Il Salnriafio nel-
le Annotazioni al Libro di Tertulliano de Pallio alla pag.ii2.
notò, ritrovarfi nella Real Biblioteca di Parigi un Libro Greco
da Conti , da cui fi ricava la proporzione , che correva fra le
Monete Greche de gli antichi. Nummus^ die' egli, Aureus tum
duodecim Miliiarenjibus argenteis 'valebat , Milliarenfe (di que-
fli Soldi menzione fi ritruova nella Cronica del Volturno da me
pubblicata nella Par. II. del Tom. I. Ker. hai, ) 'viginti quatuor
areis Follibus . /-'/ bejfem nummi aurei , Dicerati ?jomine , pofìu-
labant Esa6iores Folles fexdecim prò Hexaphollo ; fex Folles bes
aurei cum Dieerato & Hefaphollo , Milli arenfìa cBo coUigit , Ò*
Folles duo & 'viginti . Abbiamo da Suida , non eflere ftato il
Folle che un Obolo» La maggior parte di eflì fu di materia [ero-
fa, quantunque fi pofTa forfè moftrare , che talvolta fé ne bat-
teflero d'argento . Solamente per Moneta d'oro li riconobbe
il Gutherio de Offic. Dom. Aug. Lib. IH. Gap. 17. Penfo , eh'
egli s'ingannaflfe all'ingrolTo . Marcellino Conte nella fua Cro-
nica all'Anno di Crifto 498. cosi fcrive di Anaftafio Impera-
dore : Nummis , quos Romani Terentian&s voca?ìt ( il Sirmondo
ha
èco Dissertazione
lia ragion di ibfpettare, ch'egli icrivefre Teruntios^ oTeru^itia-
nos ) Grcec'i Follares (altri Codici hanno Fo//^^) AnaftafiusPrin'
ceps fuo nomine jigurat'ts , phicibilem Plebi commutationem di-
Jìraxit , Diflì antichiflimo l'ufo e nome di quella Greca pecu-
nia', trovandolene menzione preffo Lampridio, nel Codice Teo-
dofiano , nei Lib. XXII. Cap. 8. de Ctvit, Dei di S. AgoRino ,
ficcome ancora prelTo Evodio Velcovo Uzalenfe nel Lib.I. Ca-
pii. 14. deMiraculis San6li Stephani. Ne fa anche commemora-
zione un' Ifcrizione rapportata dal Gruferò pag. 810. num.io.
dove fon minacciati pce77ce nomine Folles Mille , Ne parla an-
che un'altra Ifcrizione del mio Teforo pag. 375. num. 5. Il
Commentatore dt'Libri Bafilici nell'Eciog. 23. parla di quelli
e di altri Nummi Greci , feri vendo : NoJJ'e oportep , Ceratium
unutn Follibiis valere duodecim , Jive Mtliarifto dimìdio . Valent
itaque Cerati a duodecinì Nomifmatis dimidio^ nam integrimi No-
mi jm a continet Miliarifta duodecim^ feu Cerati a XXIV, Da tut-
tociò apparifce , efìfere {lati i Folli Moneta infima . Chi più
ne defidera y veda una DilTertazione del Padre Petavio , mi-
rabile ingegno, fopra ropufcolo di Santo Epifanio òq Menfur,
& Ponderibus .
Parimente fra le Monete Greche in ufo furono i Michela-
ti^ Soldi battuti da Michele Imperador di Coilantinopoli ; e i
Romanati , a' quali diede il nome Romano Greco Aupulìo .
Truovanfi ancora gii Efìnerati in una Carta confervata nell'
Archivio del Moniftero di Subbiaco , dove Leone Abbate nell'
Annop3<^. compra alcuni Beni , il prezzo de' quali è sborfato
in argento bono Efmeratos Libram , jufloque penjantem . Ma que-
lli non li tengo io per forta di Moneta particolare, credendoli
più toQo COSI chiamati , i Soldi fabbricati es mero argento , e
ben purgato. In un Capitolare di Carlo Calvo Re preffo il Ba-
luzio Tom. II. pag. 178. fi legge : Ojj^orum argentum ad pur-
gnndum acceperint , ipfum ^rgentwm Exmerent . Qiii Exmerare
fignifica purgar bene. Una fpecie bens\ di Nummi proprj nel-
la Grecia furono i Perperi , de' quali fovente vien fatta men-
zione nella Cronica Veneta del Dandolo, e ne' monumenti de'
Popoli Orientali . Per teflimonianza di Marino Sanuto iuniore
nella Storia Veneta Tom. XXII. Rer. hai, due Perperi valeva-
no un Ducato d' oro Veneto. Truovanfi anche nominati J^/J^r-
periy oHfperpera, Di elfi, dopo ilDu-Cange, ha trattato il
fopra
V E N T E S I M A O T T A V A . 6oi
fopra lodato P. Pauli nelle Giunte al Beverino . jlfprì , ovve-
ro yìll/i furono chiamati i Nummi Greci d' argento ; del no-
me e valor di efli è da vedere il luddetto Du-Cange nella Dif-
fertaz. delle Monete de' Greci . Ma il poco fa mentovato Sa-
nuto fembra indicare , che gli j^IJjpri non fofTero diverfi da i
Perperi^ mentre fcrive , che un Ducato d'oro Veneto, oggidì
Zecchino^ era valutato ^wq AJpri . Forle furono cosi chiamati
come a' tempi noftri s'ufa in Firenze il nome di Rufpì . Di
fopra vedemmo mentovati dal Cabrolpino i Melach'mt^ che va-
levano otto GrofTì . Cencio Camerario nel fuo Cerimoniale Ro-
mano li chiama Meloqu'inos ; e quelli ion creduti dal Du-Can^e
Moneta Italiana. Sembra a me più probabile, che follerò d'ori-
gine Arabica , cos'i detti da Mchch fignificante Re , ficcome
battuti da i Re Saraceni, che gran commerzio ebbero inltalia.
Tali ancora furono ì Marabotini , I Tare7n fi fabbricavano nel
Regno di Napoli e Sicilia. Tuttavia da Leone Oliienle fon an-
che mentovati T^ren't j^fr'tcani . De i Denari o Soldi Imperiali
fi cominciò ad udire il nome in Italia nel Secolo XII. e fors'
anche piii antica fu la loro origine; cosi chiamati o perchè bat-
tuti nell'Imperiale Zecca di Pavia, o perchè inventati da Fe-
derigo I. gran propagatore del nome Ceiareo in Italia . In una
Carta di Gerardo Arcivefcovo di Ravenna dell'Anno iiyó, un
Livellario promette di pagare Imperiahm unum . Da Riccar-
do da San Germano all'Anno 123^. fu fcritto , che Federi-
go I. Imperadore fece battere no'vos Imperiales , Quanto fi ap-
prezzale la Libra o Lira luìperiale , lo accenna Matteo Pa-
ris all' Anno 1 249. fcrivendo : OHodecim Millia Librarum de
IVLoneta Imperialium , qua; tantum fere valet , quantum EJìer-
lingorum , dette oggidi Lire Sterline . E celebri anche furo-
no una volta i Denari Sterlingi , de' quali varia fu la ma-
niera di formarne la Lira preifo i Franzefi ed Inglefi . Su
quefto è da confultare il Du - Cange . Altro io qui non ac-
cennerò , fé non quanto ha uno Strumento della Raccolta di
Cencio Camerario, fpettante all'Anno 1232. in cui Giovan-
ili dalla Colonna Cardinale confelTa di avere ricevuto una fom-
ma di danaro da Papa Gregorio JX. colle feguenti parole :
Septuagint'a Marcas honorum novorum & Legalium Sterlingo-
rum , fcilicet XIIL Solidis , & quatuor Sterlingis prò Mar-
ca qualibet computatis . Item , & 'viginti Uncias boni & le-
Tomo L ^b&§ ^^//J
6o2 Dissertazione •
gaìis alivi Tarenorum Reg?ù Sic'dtde età pondus Romnnum ,
Itsm & ducentas Ò' ^'tginit Libras honorum Pro'uenienjìum Sena-
tm . Item & o6lo uncìas & unam quanam auri pulvtris ad pon-
dus Koma?ìum .
Ho fcritto Pronjenìenfium ^ per effere abbreviata quella pa-
rola nel Tefto ; ma probabilmente fi dee leggere Frovinen-
ftum , o più tofto Provijinomm Senatus . Di quefla Moneta ,
battuta allora per ordine del Senato Romano , frequente Me-
moria s'incontra in altri Documenti da me dati alla luce nel-
la prefente Opera . Il Sig. le Bianc nel fuo Trattato delle Mo-
nete di Francia , accenna molti Nummi battuti a' tempi di
Carlo il Calvo Re , e poi Imperadore , e fra l'altre cofe fcri-
ve in Franzefe : Caflis PKVVINIS , id eft Provins en Erte .
B,jus ager in Capttularibus Caroli Calvi appellatur Pagus Provi-
tììfus & Provinenjìs , Apud Au6iores , atque i?i Chartis fub ter-
tia Regum Fraticorum Stirpe , f<epe jit menno Solidorum ac Li-
braYwm Provinenjìum . Ego de iis fujius loquar in Traólatu de
Monetis Pralatorum ac Baronum : Libro , eh' io non so fé mai
fia (lato da lui melfo alla luce. Il Du-Cangc penfa, che Pro-
"ji/ini folTe appellata la Moneta de i Duchi di Sciampagna .
Quanto a me , in troppi Contratti fcritti in Roma nel Seco-
lo XII. e molto pili nel XIII. truovo effere ivi fiate in ufo
Libras Provifmorum Senatus , cioè Lire di Denari o Soldi battu-
ti in Roma per ordine e regolamento del Senato Romano, che
godeva il diritto della Zecca . Pietro Manlio , che nelì' Anno
II 57. fioriva, nella Storia della Bafìlica Vaticana, data alla
iuce dal Chiarifs. P. Gianningo della Compagnia di Gesù nel
Tomo VII. de gli Atti de' Santi del Mefe di Giugno , Icrive ,
effere flati dati a i Canonici tres Solidos Provìnienjes prò dare-
to , E preffo il Turrigio Par. II. Cap. 3. delle Grotte Vatica-
ne in una pergamena fì ^^gge ' X/^/. Kalejidas Auguflas obiit
felicis recordationis Innocentius Papa IH. relinquens Bajilica fio-
Jìroe Jex Libras Provifmorum prò Anniverfario fuo . Potrà al cer-
to parere ftrano a i Lettori, che i Romani prendeffero in pre-
ftito il nome della lor Moneta o Lira dal Villaggio o Terra di
Provins di Francia . E quantunque quella Terra non fia mol-
to diflante da Parigi , e forfè da qualche Re quivi dimorante
potefle emanare qualche Editto, coftituente il prezzo della Li-
bra corrente ; o pure pofla ivi la Zecca potefle dar la deno-
mina-
Ventesima OTTAVA. ^o j
minazione alla Moneta, che poi fi fparfe per l'Italia : contut-
tociò la coniettura del Blanc , in cui concorre anche il Du-
Cange , né pure fu approvata dai fuddetto P. Gianningo , il
parere di cui fu , che più tofio i Soldi o Denari Romani pren-
deffero quel nome dalle Provijtonì , o rendite delle Chiefe .
Truovo io nondimeno, che la Terra di Pvovins in Francia fu
rinomata per una gran Fiera, che ivi fi teneva; e prefibRo-
landino Bolognefe nella Somma dell' Arte Notariale fcritta nel
Secolo XIII. veggo mentovate decem brachia pa?ini de Pru_yn :
il che fa vedere molto dilatata la fama di quel Luogo . In-
tanto i Documenti del Codice MSto del fuddetto Cencio Ca-
merario, da me dati alla luce, potran giovare per intendere,
di che valore fofle una volta la Libra o Lira àt Pro'viftnì , o
Proijctiienfi ^ o Provenienti . In uno dell' Anno 11P5. dove G«/-
cio Prete Cardinale , e Giovanni di Guido del Papa &c. Fratel-
li , e Figli del quondam Cencio del Papa rinu?i7:iano a i loro di-
ritti /opra Civita C a/lei lana , fi leggono le leguenti parole :
Datis & perfolvitis prò due enti s fex Li bri s Provenie nftum ( o fia
Provi Jtnorum ) Senatus , Ù' quinque Solidis , eo quod Denarius
Papienjis fecundum for?nam Jìatutam a Judicibus & Mercatori-
bus Urbis ^ duodeci'm Denarti prò viginti Provenienjibus veteribus
nuììc computaritur ; Ò' h abita proportione Provenienjium veterum
ad Prove ynenfes Senatus^ qui duodecim Provenienfes veteres nunc
prò [ex Provenienjibus & dimidio Senatus cambiantur, Unde uf-
que ad pradióìam fummam argenti extenduntur dióìce dua par-
tes praelibatce dotis, Quefta dote era ftata coftituita nella iom-
tna centum Librarmn Denariorum Papienftum . In un altro Stru-
mento del medefimo Anno, fpettante allo ft elfo affare , fi par-
la di una porzione centum aliarum Librarum Proveniefijìum ,
vel biforci atorum , In un altro del 1232. Giovanni dalla Colon-
na Cardinale confefia di avere ricevuto dalla Camera Pontificia
centum & oóìo uncias auri Regis & dimidiam ad pondus Roma-
num , & centum feptuagtnta quatuor Libras & quatuor Solidos
honorum Provenienfium Senatus ,
Della Pecunia Proviftna ha anche parlato il Grimaldi fo-
pra nominato uomo accuratjffimo, alcune di cui oflervazioni ,
che fcorrono fopra altre fpecie di Moneta , meritano di aver
luogo qui . Libra Proveniens è da lui appellata quefta Mone-
ta . Ma a me 5 in confiderare i vecchi MSti , nacque dubbio,
Gggg 2 fé
6oi\. Dissertazione
fé fi avefie più toflo a leggere Provìftenfium ^ o Provtforum^
fenza poter io determinare quefta voce , per edere abbrevia-
ta , e capace di piìi d'una interpretazione. Cosi dunque fcri-
ve il Grimaldi : Libra Proveniens Senatu% 'valor'ts erat ... 2. 50.
Libra parva Provi/inorum Senatus njaloris erat Boi. 15. Et 20,
Solidi Provijìnorum conjicisbant Libram . Solidus Provenie^itium
Senatus argenteus valoris erat Boi. 1 2. fetnis . Solidus Provijì'
norum Senatus valoris erat quatuor quadrantum . De dijjeren'
ti a Solidorurn Provenienttuyn & Pronjifinorum extat msmoria in
hjjìrumento Anni MCCKCV. in Archivio San6ii Petri fafci-
cul. 3 5^. capfula 66. De Libra vero Provijinorurn Senatus do-
cent Libri cenfuales diB(S Bajiliccs ab Anno MCCC LXXVIII.
ufque ad MCCCCL. Florenus aureus valoris erat Scuti unius
Boi. 2"^. Hic namque aureus erat ^ & ponderabatur ^ ut liquct
ex Injìrumento venditionis bSìo petiarum vinche in cojìis Montis
Mali Anno MCCCXIX. pretio XLIX. Florenorum boni &
puri auri , & jujìi ponderis , e>: dióìo Archivo capfula 66. fa-
fciculo I 8p. Et in Libro Tranfumptcrutn /o/. 253. Anno MCCC-
LXXVII. quinquagiìita Florenì boni auri & reBi ponderis^ prac-
ter alia esempla brevi t a ti s cauJJ a omijfa . Florenus Rom^e cur-
rens tempore Eugenii IV. molto etiam ante Ù' poft , <7X L^tbr^
Injìrument. Lalii Petronii in di&o Archivo , & in Libris Cen-
fualibus ^ valebat Boi. '^<^. Ù' quadrante m unum . Et a^']. Solidi
Florenum cofiflciebant . Tempore In?2ocentii IH. uti ex e;us vi-
ta habetur , valida fames invaluit , ut rubium frumenti a 20*
/id 30. Solidos venderetur , hoc efì ad 24. & ^^6. Julios afcen-
dit frumenti rubium . Ex Caremoniali Gregorii X. in BibUothe^
ca Vaticana foL^j. In Coronatione Pontificis proceflio a Sanalo
Petro ad Lateranum . Fiunt Domino Papse arcus ; & Clerici
B^omani occurrunt eidem via facra, ubicumque poffunt, cuin
thuribulis & incenfo . Et in remuneratione dantur Romanis
LibriE XXXV. Provenientium. Et Clericis prò thuribulis XIV.
Librce & dimidia Provenientium. Item fol.62. de Mundato fa-
ciendo . Mifìa igitur folemniter pera61a , afcendit Palatium ,
comitantibus eum tam Epiicopis , quam Presbyteris & Dia-
conibus , omnibus paratis fecundum ordinem iuum . Pontifex
vero ingreditur Bafilicam San£1:i Laurentii de Palatio, vel Ca-
peìlam SantTti Martini , fi eft ad San6ì:um Petrum , & exuit
planeram , & affumit fibi mantuni in fcapulis , impofito fu-
per
V E N T E S i M A O T T A V A ; (5o 5
per caput ejus fanone cum mitra , Se facit Mundatuni , XII.
Subdiaconis roquetum cum iuperpelliceo portantibus ( Hodie
junt duodecim Pauperes , quibus Papa lavat pedes ) Cubiculari!
ponunt concham ante eum, iple vero prxcin6ì:us linteo, ha-
bens ante ie linteum mundum , quo unus Diaconus ei ler-
vit , lecundum Dominum JacobumGaytani iplum Papam pn^-
cingit , bracheolam ad hoc paratam habens in brachiis , &
linteum mundum ante fé tenens . Qli^ omnia debent parari
per Thefaurarium , vel Fratres de Pagnotta ( Fratres de Pa-
gnotta Ordin'ts Sanóli BetiediBi Ecclejìam Sa?ì6ii Blajti tn vìa
Julia hìcolebant ; curabant etìam corpus Pofitificis defungi . Ma-
die hujiismodi curam habet Sacrijìa Papa: Ordi?7Ìs SanHi Au-
gi'.flini ) . Et duodecim Subdiaconi manent foris Bafilicam ò,\-
Icalciati . Duo vero Oftiarii accipiunt Priorem in ulnis , &
portant eum ante Pontificem . Pontifex cum aqua calida , qua ni
infundere debent Cubicularii , lavat pedes ejus , & tergit lin-
teo , & deolculatur pedem ejus dextrum , & dar ei duos So-
lidos Provenientes . Et fic facit unicuique Subdiaconorum, &
dat eis XII. denarios &:c.
Bene ancora farà l'aggiugnere quello , che ha il fuddet-
to Papa Innocenzo III. nella Coftituzione fua al Rettore ed
a i Frati dello Spedale di Santo Spirito , che fra 1' Ope-
re fue ftampata fi ritruova . Cosi adunque egli parla : Jnbe-
miìs^ ut prò mille Paupenbus extrinfecus adveììtantibus^ & tre-
cemis perfonìs intus degentibus , decem feptem Librae nfualis
Moneta ( ut finguli accipiant tres Denarios , unum prò pane ,
alterum prò vino , alimnque prò carne ) ab Eleemofynario Sum-
mi Pontifìcts a7inuatim vobis in perpstuum tribuantur . Co-
manda parimente il medefimo Innocenzo III. Pontefice , che
a i Canonici , qui ejfigiem Salvatoris procefftonaliter deporta-
bunt , Jtngulis duodecim Nummi s de oblationibus ConfeJJionis
Beati Petri prcsjìetuur . Il Grimaldi , prendendo ad illuftrar
quefii paffi , vien poi foggiungendo le feguenti parole : Sa-
prà di6l:c decem & feptem Libr<s ufualis Moneta eranP Sen-
ta auri in auro triginta quatuor , ut e olii gi tur ex pluribus ob-
fervationibus a me faólis ex Scripturis Archivi prdediB^e Bajt-
lica . Solidi , de quibus infra , valoris erant Bononenorum ,
five Obolorum duodecim femis prò quolibeP . Decem Solidi ar-
gentei
6o6 Dissertazione
gentei confic'tehaìit Nummum aureum Juliorum decem , CT Bo-
non,2'^. ^uatuor Nummi m-gentei erant utins Soltdiis . Nummus
valorìs erat tr'ium Obolorum , feu Denariorum . Triginta Solidi
valebnnt Marcham unam argenti puri : funt Scuta tria , Bo-
fion.y^. ha babetur foL'jl, in Libro antiqui jjimo M.Sto in mem-
branis Callijìi IL Papié . Ex Vita ejusdem Innocentii III. col-
ligitur , Marcham majorem effe Scutorum trium BoL 75. atque
etiam Scutorum quinque , BoL'j'^, Libras XXXV. Provenientium
Senatus funt Scuta auri in auro LXX. Idem etiam Innocentius
prò Jubjìdio Terne Sap.Hce fecit tionjam nanem , in qua cum ar-
mamentariis fuis Mille trecentas Ubras expettdit . Sunt Scuta
in auro 2600. Hinc col ligitur , Libram hanc ejfe magni 'valo^
vis , Pro Mille i gì tur Ò' trecenti s perjonis , largiemio Jingulis
tres Denarios , Jeu Obolos , conjiriebant Summam Scutorum 3p.
Monetcs . Et fupradióìa Librce XVIL funt auri in auro Scuta 34,
ad Julios duodecim prò Scuto . Sic Jatis fuperque erat hujusmo-
di eleemo/jyna y & Ji^jficiebant illis temporibus diUi tres Denarii
feu Oboli ad panem ., 'uinum ^ & carnem pnediflas emendas. In
Cceremoniali Greporii X. in Bibliotheca Vaticana de elezione no'
•vi Pontiflcis haec leguntur : Recipit Papa de manu Camerarii
Denarios Argenteos valentes decem Solidos Provenientes , &
projicit fuper Pepulum , dicens fingulis vicibus : Difperftt., de'
dit pauperibus &c. S'incontrano ancora nelle Carré antiche del-
la Citta di Roma Librce ^jfortiatorum^ delle quali s'è parlato
nella precedente DifTertazione. Il fuo prezzo ragguagliato col-
la Libra Lucenfts Moneta , forfè fi potrebbe ricavare da uno
Strumento dell'Anno 1159. da me Rampato , in cui la Rocca
di Santo Stefano con altri Luoghi è data in pegno a Papa Adria-
fio IV. Nel tefto è detto prò centum quadraginta Libris Lucen-
ftum & quinque Solidis ; e nella Rubrica prò centum Libris
yljfortiatorum , & quinque Solidis .
Finalmente mi refta da dire qualche cofa de Fiorini^ Mo-
neta fopra tutto celebratiifima d'Italia. Per teflimonianza di
Ricordano Malafpina Cap. 152. e di Giovanni Villani Lib. VI.
Cap. 53. delie Storie, nell'Anno 1252. cominciò il Popolo Fio-
rentino a battere quefta Moneta d'oro , chiamata da erti Fio-
rino ^ e Ducato d'oro da altri, perchè nell'una parte era im-
preifo un G;^//o, e nell'altra l'Immagine di San Giovanni Ba-
ri Ila . Quella è l'origine del Fiorino d'oro; però fembra fcu-
ra
V E N T E S I M A O T T A V A . 607
ra là fentenza del Borghini nel Libro delle Monete Fiorentine,
dove icrive : ^^cflo nome d'i Fiorino fu tnnnn'zt alcuni Secoli
( cioè prima che Carlo I. di Angiò conquifbfle il Regno dì
Napoli e Sicilia ) e tutta la cofa della Moneta nojìra era pri-
ma ferma , che quefìo Carlo avejfe che far nulla , 0 pur pe?t-
fajfe al Regno di Napoli. Qiiel che è certo, nell'Anno di Gri-
llo 1 2(5(5. Carlo I. s' impadronì di quel Regno ; e il Fiorino fu
la prima volta battuto nell'Anno 1252. Dove dunque fono que'
Secoli , che il Borghini fpacciò ? Fors' egli proferì queflo con
prenderlo da'proprj luoi giorni. Ora il nome e pregio ditali
Fiorini fi dilatò si fattamente per tutta l'Europa , che quafi
tutti gli altri Principi a gara cominciarono a batterne anche
effi con ritenerne lo ftelfo nome . Come fa fede il fuddetto
Villani nel Lib. IX. Cap, 48. Arrigo Vlf. Auguflo contra de'
Fiorentini adirato fentenziò : Che i Fiorentini non poteffono
battere moneta d' oro nv d* argento • e confentì per privilegio a
Mejfer Uhi-^^ino Spinoli da Genova , & al Marche/e di Monfer-
rato , che potejfero battere in loro Terre Fiorini d' oro contrafat-
ti fotto il fegno di quegli di Firen7:e , Ciò parimente fecero
altri Principi o per proprio diritto , o per privilegio . Fra gli
altri , fecondo la teftimonianza del medefimo Storico Lib. IX.
Gap. 16^, Giovanni XXII. Papa nell'Anno 1322. fece fare in
Avignone una nuova Moneta d' oro , fatta del pefo e lega e co-
22 io di Firen:?^e , fan-^a altra infegna , fé ?ton che dal lato del
Giglio diceano le lettere il nome di Papa Giovanni . Aggiugne
nel Gap. 278. Per intrafegna di cofta a San Giovanni vi avea
una Mitra Papale , e dal lato del Giglio diceano le lettere San-
ólus Petrus y SanHus Paulus . Scrive inoltre, che il medefimo
Papa fulminò la Scomunica contro chiunque battelfe Fiorini
d*oro ad imitazione de' Fiorentini , quando egli fteffo non eb-
be fcrupolo di fabbricarne per sé . Maravigliaronfi forfè allora
i Fedeli , che faltaffe fuori la Scomunica per foftenere la Mo-
neta de' Fiorentini . Ma anche i Re di Francia col nome di
Fiorini batterono Moneta , non però in quel tempo , che im-
maginò il Sig. le Blanc . Attribuifce egli i Fiorini Franzefi a
Filippo Auguflo, Lodovico Serto , Settimo , ed Ottavo Regi ,
fenza badare, che quefti fiorirono prima del 1252. in cui eb-
bero principio e nome i Fiorini di Firenze . Il perchè è da
credere, ch'effi furono battuti da Lodovico Nono o Decimo,
e da
6o8 Dissertazione
e da Filippo il Bello . Né s' hanno da confondere co' Fiorigli i
Gigliati^ Moneta d'oro di Carlo I. Re di Napoli e Sicilia, e
COSI appellati, perchè anch' efli portavano il Giglio , infegna
de i Re di Francia . Non è però certo , che anche i Fiorini di
Firenze preflb alcuni non lortilTero lo (ledo nome di Gigliati ,
come oggidì vengono anche chiamati in Firenze i battuti a
iomiglianza de gli antichi, ed hanno parimente il nome di Rti-
fpi . Qual fofle il valore del Fiorino ragguagliato colla Libra
Romana di Provenienti , o Provifini , fi può ricavare da uno
Strumento, ch'io ricavai dal Codice MSto di Cencio Camer-
lengo , fcritto nel 12^5. dove troviamo o&ingentos fexagi?ita
fex Florenos , & duas partes ufiius Floreni auri prò Sexcemis
^imquaginta Libris Provijìnorum ( o Provenientium) pagati da
gli uomini di Frofinone . Otto Fiorini della Zecca Fiorentina
davano il pefo di un'oncia d'oro, e ciafcun di efli valeva XX.
Soldi . Per atteftato ancora di Guglielmo Ventura nella Croni-
ca di Adi, i Fiorini d'oro nell'Anno i2po. valebam SolidosXX.
Aflenfes , Così Giovanni Villani nel Lib. VII. Cap. 8p. fcrive,
che Cento mila Libre di Gieno'vini ( Moneta di Genova ) erano
più di Cento 'venticinque migliaia di Fiorini d' oro . PrefTo i
Brefciani , per quanto fcrive Jacopo Malvezzi nella Cronica di
quella Citta circa l'Anno 1270. Mille aurei fexcentis Libris <squi-
'valebant . 'Nam tunc in Civitate hac Brixia duodecim Soldi tan-
tum prò Floreno aureo dabantur. Ora cosi crebbe nel Secolo XIV.
la fama e il nome de' Fiorini, che fopra l'altre Monete d'oro
efli erano in corfo per tutta l'Itaha , ed anche fuori . Nel Li-
bro MSto de i Decreti e Privilegj , efi (lente nell'Archivio del
Comune di Modena , fi leggono tre Diplomi di Giovanni Re
di Boemia, dati nel 1331. in cui egli fece tanti progrefli in
Italia , Nobili 'viro Andrece de la MoIt^^ in un de' quali gli do-
na Callello Leone, dopo aver tenuto al facro Fonte Gherardino
di lui Figlio . In un altro il coilituifce Domus lìoflrae Doynicel-
lum , & f amili arem domejìicum . Ivi ancora fi legge una Me-
moria prefentata dallo flefib Andrea a Carlo IV. Augufto , Fi-
glio di eflb Re Giovanni, per pregarlo di eflere foddisfatto del-
le fomme di danaro predate al medefimo Imperadore, ealRe
fuo Padre. Imprima^ die' egli, prejìà eo Andrea al meo Signore
Mijfer lo Re di Boemia , Jiando in Modena , //' quae elio gè fé
dare a Mijfer Fu film aro Todefco , //" quae elio gè donò , e foe
a dì
VeNTESIMAOTTAVaI ÓQa
a dì X, d'Aprile MCCCXXXI. in prefemia di Mejer Lofxe ds
Snvota^ e de MiJTer Zim da Caftìoiie ^ e de MiJJer Rannero da
Monte Tulxano Joe Cancellerò , Fiorini CCC. d'oro, hem prejìà
eo Andrea al deto meo Signore , ftando in Bologna in caja del
deto Andrea ; e recevelli Mij[er Niccolo , che era allora Joe Can-
cellerò ^ e da poi foe Vefcovo de Trento ; Ò' h aneli per pagare
V albergo là^ ove era Jìae molti Cavaleri^ e Famia del deto Re ^
e per vari drapi , che comprò lo deto MijJ^er Nicolò , per ve/li-
re lo deto Mijfer lo Re , e li Conti de Namurco Joe Cuxini ; e
foe a dì XV, d' Aprile MCCC. XXXIIL in prefentia di Mijfer
Guido de' Scali da Fiorenza Faóìore e Do?7:?^llo di Mijfer lo Le-
gato Cardinale de Hoftia e Signore di Bologna &c. Fiorini DCC,
d' oro . Jtem preftà eo Andrea al di fio Mijfer /' Imperatore a dì
XXIII, d' Aprile MCCCXXXIII. ftando lo deto Re a Modena
in cafa di Fra Predicatori ; e ricevelli Mijfer Nicolò alora foe
Cancellerò per pagare fpefe , che havea faóìo Mijfer lo Re in
Modena , non pojfendone bavere nefuno da Mijfer Manfrè de'
Piiy né in Comune ; e quejìo in prefentia deMiJJer Guido de'
Pii da Modena , e de Fra lacomo da Collegarola Priore di Fra
Predicatori di Modena Ù'c. Fiorini MDC. d' oro . di quai da lo
deto Imperatore ìie ricevè Cartha ftando in Modena Ì7i cafa di
Fra Predicatori, Oltre a quello , che s'è detto de' Fiorini nel-
la precedente Difìfertazione , diede alla luce una Differtazione
su quefto argomento il dottiflìmo Francefco Vettori , Cavaliere
di Santo Stefano , che abitante in Roma, si per la iua Erudizio-
ne, che pel fuo Mufeo gran nome fi è acquiftato.
E^ ORA da avvertire , che dopo elfere ftata conceduta alle
Citta Italiane da gli Augufti tanto la Liberta , quanto il Gius
di battere Moneta d'oro e d'argento , allora non poche di effe
regolarono il corlo della propria Moneta a tenore de' Soldi o
Denari, che le medefime fabbricavano, di modo che non dirado
altro era in una, e diverfo in altra l'ordine e nome della Pecu-
nia . In una Carta efiftente nell'Archivio de' Canonici di Mode-
na, fcritta nell'Anno 121 2. HQ?iefìus Dei gratia Abbas Monafterii
Sancii Benedici de Lene ( cioè ad Leones ) in DioecefBrixia^ ex
praecepto Domini Sicardi Cremonetifs Epijcopi , & Apofìolicae Se-
dis Legati (era a me ignota quefta prerogativa di Sicardo, al-
lorché pubblicai la di lui Cronica nel Tomo VII. Rer. bai.)
vende alcuni poderi 5 e particolarmente Curtem San^i Vincen-
Tomo L H h h h tii .
(5io Dissertazione
tii 5 quie efl pojìta prope Caftrum de Bad'tano ( nuncB.azz:{r,o )
predo CCCLI. Ltbrarum Impertaltum tn Boi ogni nh , 'vel Ferr/?ri-
jtis^ 'Del Farmefian'ts ^ tr'tbus Solidis per unum Imperi al em , Il P,
Mabillone ne gli Annali Benedettini all'Anno DCGLIX. fa
menzione dei Monidero Leonenfe Brefciano , e lo chiama a
Coììrado II. Imperatore foto cequatum^ Eccolo tuttavia in efìTere
nell'Anno 121 2. In un'altra Carta del 117P. mi fi affaccia Do;/-
nus 'Erìzo Monachtis 'uencrabilts Monaflerii SanBi Benedigli de
Leune , Prtor de Pan-z^ìio , cioè di un Monafteruolo efiftente
nel Luogo di Panzano , allora territorio di Modena , ed ora di
Bologna. Abbiam dunque veduto Soìdi Bologne/i ^ F err ave/I ^ e
Parmigiani , e tuttavia dura il nome di Bolognini non folo in
Bologna , ma anche in Modena , e in altri Luoghi , ma con
gran mutazione di Moneta e valore . Nell'antichifTimo Codice
de gli Statuti MSti di Ferrara Lib. IL Rub. 341. v'ha untite-
lo de valore Bagafi?2orMm , cioè quod quilibet teneatur recipere
quatuor Bagatinos prò tribus Ferrarinis . Era Moneta bafla : an-
che oggidì diciamo : lo non ti jìimo u?i Bagatino . PrefTo i Pa-
vefi due diverfe Libre fi uiavano , Iscrivendo Galvano Fiamma
dell' Ordine de' Predicatori nella fua Cronica Maggiore MSta
al Cap. 2 8d. Ex hoc poftca Communitas Papienjìs Jolvit decemÒ*
oóio mille Libras illius grojjcs Monetce , cujus Libra valebat Flore-
7ium. Cosi fcriveva Galvano circa il 1330. tempo, in cui fo-
pra l'altre monete era celebre il Fiorino. Afcoltifi anche l'Ano-
nimo Autore di una Cronica Milanefe tuttavia MSta , parte di
cui pubblicai nel Tomo XVI. Rer,ItaL cosi egli parla nella par-
te da me tralafciata : De Moneta^ ab Archiepifcopis Mcdiolanen-
Jìbuscufa. Prima Moneta dicebatur Marca auri ^ & valebat XIV,
Florenos ( cioè d'oro ) . Alia fuit Marca argenti , qt4<s valuie
quatuor Florenos ciim dìmidio . Tertia Moneta dicebatur yflugu-
Jìa y habens Imperatoris Imaginem & fupr a f cripti onem , & erat de
argento purijjimo . Decem Solidi l'mperialium valebant unum Flo-
renum , ^hjinta Moneta dicebatur Tertiolus^ quia ejus tertia pars
erat tantum argeììtea , & XX. Solidi valebant unum Florenum ,
Né fi dee tralalciare la memoria de gli Zecchini Veneti, chiamati
una volta Ducati aurei Veneti. Abbiamo da Marino Sanuto nella
Storia Veneta Tom.XXIL F^er.Ital. che quella Moneta fi comin-
ciò a battere in Venezia l'Anno 1285. Furono dello ftefib pefo e
forma, che i Ducati d'oro Germanici ed Ungarici, e degli antichi
e moderni Fiorini. Pas-
V E N T E S I M A O T T A V A". 6 II
Passiamo ora ai noftri tempi. Non v'ha Provincia , non
v'ha Citta in Itaha, che non riconofca una lomma differenza
fra le Libre e i Soldi dell'antica e della prclente età. Una vol-
ta con poche , ed ora con molte Libre fi cambiano le Monete
d'oro e d'argento; anticamente poche Libre comperavano un
campo, ora parecchie fé ne efigono . All' offervare gli antichi
Contratti , fi viene a poco a poco fcorgendo qnefla mutazion
di valore nella pecunia, che anche oggidì miriamo accadere. O
fia che tale iftabilita fi debba attribuire alla non mai fazia ava-
rizia de gli nomini, che fempre fi (Indiano di valutar piìi caro
il prezzo dell'oro e dell'argento nel vendere e fpendere; opur
fa, come io vo' credendo , eh' effa provenga dalla condizione
della Moneta baffa ed erofa , che fempre va peggiorando nel-
le nolire Zecche , al valor della quale fi adatta quello de' Me-
talli preziofi ( giacché non fi può attribuire quefla metamorfofi
alla rarità di elfi Metalli ) certo è, che un gran divario palfa
fra l'antica e recente pecunia . Ne' vecchi Secoli la Moneta fi
foleva fare di Soldi d'argento buono per lo più . Nell'Archi-
vio della Comunità di Modena ho offervato, quanto vai effe il
pane e il vino prefTo i noftri Antenati . ylnfio MCCXLIX. In-
diai. VII. die Martìs X. hìtrants Menfe Auguftì , Regnante Do-
mino Imperatore Frederico . H(£c ejì rntio , qualiter 'vtnum vendi
de beat ad minutum . Vinuyyi , quod confi at X. Solidos Mutinetìfes
quartarium , debet fieri menfura de XXX ili. unciis , & una dra-
ma . Item menfura vini de XI. Solidis Mutinenjìbus , debet effe
de XXX. unciis & una dram a &c. Nota^ quod quartarium vini efi
in fumma CCCXXXIII. Libras. piando Sextarium frumenti va-
let XX. Solidos Mutinenfes , debet effe pnnis co6lus Vili, uncias
Ù' me7^ prò duo bus Denariis Mutinenjìbus . Item ad rationem XIX,
Soldorum , debet effe IX. uncias , minus una drama &C'. Per la
fteffa ragione nell'Anno 1283. eifendo Podeftk Guidotto deì^li
Arcidiaconi, e Capitano del Comune e Popolo di Modena Gui-
do da Correggio, panis venalis bene coHus^ qui fiet de Sextaria
frumenti , qui valuit XX. Solidos Mutinenfes , vel ultra , fieri
debeat tribus denariis Mutinenjìbus XIV. unciarum , & trium tra-
marum minus quarta parte unius tramae &c. In Ferrara , come fi
legge ne gli Statuti di quella Citta compilati l'Anno I2<58.
Fornaxarii tenebantur dare Milliarium lapidum ( cioè di matto-
ni } prQ XX. Soltdis Ferrarinfs j & Milliarium tavellarum (cioè
H h h h 2 di
6iz Disserta zione
di mattoni più fottili ) prò XV. Solidìs Ferrarinis ; & modìum
ealciriiS -pro XVIII, Solidis Ferrarinis ; & MtUim'ium cupborum
prò XXIV. Solidis Ferrarinis . Qiiantò ai prezzo delle terre ,
neir Anno 1221. Ubertì?jus Campetia de Spilamberto 'vetididip
per alodium duas petias terra pojitas i?i Curte Spilamberti .
Prima petia eft duodecim Bubulccs . Secimda efl VI, Bubulca
prò XL. & o&o Libris . Nell'Anno 1228. Guglielmo Vefcovo
di Modena comperò nella Villa di Porcile una pezza di ter»
ra di Biolche XIV. con pagare XLIX. Libras Imperiales ad ra-
tionem trium Librarum Imperi alium prò qualibet bubidca . E nel
niedefimo Anno un' altra ne comperò ad rationem qui?idicim
Librarum Parmenfium quamlibef bubulcam , Nell'Anno l2(5o.
Guido da Suzara , molto rinomato Gmrisconlulto de'luoi tem-
pi , creato Cittadino di Modena , di cui parlerò nella Difler-
tazione XLIV. della fortuna delle Lettere , comperò due pezze
di terra, pofte nel Boico della Lama, di Biolche XCVì. ad
rationem XI IL Librarum Mtttiìtenfium prò qualibet bubulca .
Correndo il medefimo Anno , dal Comune di Modena fu com-
perata una pezza di terra poda nel diflretto di Fiorano per
Lire Secento ventuna, ad rationem no^uem Librarum & feptem
Solidorum Wlutinenftum prò qualibet bubulca , qu(je petia terree
debet effe feptuaginta feptem bubulcas minus decem tabulis .
Oggidì preiTo di noi una Biolca di terra fi luol vendere cin-
quecento , ed alle volte anche mille e più Lire di Denari
correnti .
Si può riconofcere quefta eccefTiva mutazion delle Mone-
te , crelcente quafi ogni anno , da i tempi fufleguenti . Ne i
Libri deli' Archivio de' Benedettini di San Pietro di Modena
ho fatto le leguenti ofiervazioni . Nel 1470. un migliaio di
mattoni cotti n pagava Bolognini cinquanta, cioè due Libre e
mezzo di Soldi . Ora fi paga 40. e più Libre. Nell'Anno 1471.
Lire ^6, Bolognini lò". e un Denaro di Moneta Fiorentina vale-
vano Lire 48. Bolognini 12. e Denari 3. di Moneia di Modena.
In quell'Anno ancora ad un Copifta delle Omelie di Beda per
ciaicun giorno fi davano 4. Bolognini . Nel 1482. un Fiorino
d'oro valeva Soldi 5)8. di Moneta Modenefe. E nell'Anno 1487.
il Fiorino largo d oro correva in Modena per tre Lire e due Bo-
lognini. Nei 1508. \[ Ducato d' oro fi valutava Soldi 71. ^Scu-
di 2(5. doro fi prezzavano Lire ^3. Modenefi. Parimente io Scu-
do
V E N T E S 1 M A O T T A V A i (5l j
do d'oro nel 15^0. fi pagava Lire quattro e mezzo. La Dobla
d'oro di Spagfuf' nel 15^7. valeva Lire 12. e mezzo di Moneta
di Modena. La. Dobla d'oro d Italia Lire 12. e Bolognini tre;
lo Zecchino d oro di Venei:ia Lire 7. e Bolognini 6, iJUnghero
d oro Lire 7. e Bolognini cinque . Tralafcio il redo delle mu-
tazioni luifeguenti , per folatnente dire , che in Modena giunfe
a' dì nofh'i la. Dobla doro di Spagna ^ e il Luigi doro battuto
da Lodovico XIV. a valere Lire 50. di Bolognini, e pofcia con
un maravigliofo lalto giunte fino a Lire ^5. Una pari incoftan-
za nelle Monete fi truova anche ne' paefi vicini . Ognun sa ,
quanto oro ed argento, da che furono fcoperte le Indie Occi-
dentali , fia paiTato in Europa . Dovremmo nuotare in que'
preziofi Metalli . Ma il Luffo infaziabile ne confuma non po-
co . Di troppo abbonda la Moneta erofa , laonde conviene
impiegarne molta quantità per comperar oro ed argento. Ci
è in oltre un' ampia voragine di quefti Metalli , molto più
grave dell'altre, e men conofciuta : cioè il portarfi dagl'in-
gordi Mercatanti un' indicibil copia d'oro e d'argento alle con-
trade de' Turchi, del Gran Mogole , della Cina, ed altri pae-
fi di Levante, per trarne le loro merci da vendere in Euro-
pa, giacché i Popoli Orientali contenti del proprio, poco cu-
rano le manifatture e merci Europee. Tal coftume né pur fu
ignoto a i precedenti Secoli . Atteiia Giovanni Villani Lib. XIL
Cap. p6. della Storia , parlando dell' argento de' Fiorentini ,
che i Mercatanti per guadagnare il raccoglievano , e portava?io
oltre Mare , dove era molto richiefto . Crebbe polcia il Lufifo ,
ed allora s' andavano a prendere da gli Orientali a furia più
merci con dilcapito più greve de i Telon dTralia . Vedi le
Note del Benevoglienti alla Cronica Sanefe nel Tomo X V,
Ker, hai, all' Anno 1337. quante diverfe merci trafle dalla
Soria con effufione di gran danaro la fola Famiglia de i Sa-
li mbeni .
Del reflo , mai non fono mancati fabbricatori di Moneta
falfa e adulterata, e tofatori della buona. Nei Codice Teodofiano
abbiamo molte Leggi Lib. IX. Tir. 2. efegu. contra di quefra ab-
bominevol razza di Ladri . Anche l'Imperador Tacito, come
avverti Vopifco, cavit^ ut fi qui s argento puìAice privatimque ces
mijcuijfet ; ft quis auro argentum ; fi quis <zri pi umbum ; capital ef-
fet cum honorum profcriptione . Aiiche ne' tempi de i Longobardi
e Fran-
(5i4 Dissertazione
e Franchi regnava quefta iniquità . Perciò il Re R®tari nella
Legge 24^. pubblicò quella Legge . Si quis firn jujftond Regts
/lurum Jtgn averi t , aut mo?ìet:am confinxerit , manti s ejus ificì-
datuY , Le quali parole ci fanno conofcere, che già i Re Lon-
gobardi battevano Moneta col loro nome , benché io non ab-
bia potuto trovar de i loro Denari più antichi. Carlo Magno,
acciocché non fi potefTe fare falfa Mo?ieta^ comandò che la fo-
la Real Zecca ne aveffe da battere . Anche Lodovico Pio nella
Legge 27. fra le Longobardiche rinovò la Coftituzione di Ro-
tari, imponendo anch' egli il taglio della mano . Et: qui hoc con-
fenferit fi Liber efl , LK. Solidos componat ; fi fervus eft , LK,
iHus accipiat , Ma che anche ne' Secoli barbarici, oltre a 1 Sol-
di e Denari d'oro e d'argento, fi ufafiero Nummi ài rame, o
di argento mifchiato col rame , fi può con fondamento afferi-
re. Erano nondimeno più rari, che preffo i Romani, da^quali
fì truova battuta tanta copia di Monete di rame; laddove mol-
to di rado fi fcuopre Moneta erofa dopo la decUnazione del
Romano Imperio ; ed effa quafi tutta battuta fotto ^\ì Augu-
fìi Germanici, e dalle Citta Libere. Né altrimenti fi pò tea fa-
re, richiedendolo la neceffira del commerzio umano . Percioc-
ché , (ìccome fcriffe Niccolò Orefmio nel Secolo XIV. nel Lib.
de Mutat. Monetae Cap. 3. Quoniam portiuncula argenti , qu<je
jujìe davi deberet prò libra panis , vel aliquo tali , eJJ^t minus
bene palpabilis propter nimiam parvitatem : ideo f nòia fuit mixt io
de minus bona materia curn argento y C^ inde ortum habuit JV"/-
gr a Moneta ^ quae efl congrua prò minutis mercaturis . Veramen-
te nulla ho io potuto trovare di quella Moneta erofa ne'tem-
pi de i Longobardi , ed Augnili Franchi . Né pure il Blanc ,
nel fuo Trattato della Moneta di Francia, ha olato di alferire,
fé fotto la prima e feconda ftirpe de i Re di Francia folfe in
ufo la Moneta oc' Bigi ioni ^ cioè fabbricata di fchietto Rame,
o di Argento miichiato di Rame. Tuttavia la ragione addotta
dall' Orefmio fembra alTat perfuadere, che né pur que' tempi
folTero privi di balfa Moneta per li loro bilogni, perché non fi
sa capire, come la povera plebe fi potefie procacciar tante mi-
nute cofe alla giornata, quando non vi foffe fiata qualche Ipe-
cie di vile pecunia. Nella Puglia e Calabria, correndo il Seco-
lo XIL fu in ufo la Moneta Romefina di balìa lega . Falcone
Beneventano parlando dell' affedio di Bari fatto nelii3p. dal
Re
Ventesima OTTAVA. 6i^
Re Ruggieri , fcrive, che quel Popolo comprava panem unum
fex Romefifìis, Fu anche battuto da euo Re nel 1140. un Du-
cato , che vahsva oHo Komefmas . Vedi il Du - Gange , dove
tratta di quefta Moneta. Abbiani veduto di fopra che i Folli
furono moneta bafla ; e il medefimo Ruggieri battè dipoi Fol-
lares areos ^ KomeJl?ìam imam appret'tatos : moneta s'i cattiva,
che per teftimonianza dello Storico fuddetto, accrebbe lomma-
mente la calamita e la povertà di quel Regno : tanto è vero,
che i vizj del Secolo noftro, né pur furono incogniti a gli anti-
chi tempi. Trattano del valore delle vecchie Monete il P.Gio-
'vanni Mariana nell' Opufc. de Ponderib. & Menjuris , che fi
truova ftampato in fine dei fuo Trattato de Rege , & Regis
Injìttut. Antonio Sola in fondo al fuo Commentano fopra i De-
creti de i Duchi di Savoia , (lampato in Torino nel 1^07. e
Amonto Gobio Mantovano nel fuo Trattato de Monetis , Ram-
pato nel i(jpp. fra i fuoi varj Trattati Legali . Delle più anti-
che ha anche trattato il Padre Beverini nel fuo Libro de pon-
deri bus &€*
Fine del Tomo Primo ,
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N TME CUSTODY OF TME
BOSTON PUBLIC LIBRARY.
5HELF N°
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