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Full text of "Dissertazioni sopra le antichità italiane : già composte e pubblicate in latino del proposto Lodovico Antonio Muratori e da esso poscia compendiate e trasportate nell' italiana favella"

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DISSE  RTA  Z IO  NI 

SOPRA     LE 

ANTICHITÀ  ITALIANE, 

Cui  compofle  e  pubblicate  in  Latino 
DALPROPOSTO 

LODOVICO  ANTONIO  MURATORI, 

E    DA  ESSO   POSCIA   COMPENDIATE   E  TRASPORTATE 

NE ll' Italiana  Favella. 

OPERA     POSTUMA 

Data  in  luce  dal  Propofto 

GIAN -FRANCESCO  SOLI  MURATORI 

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suo   NIPOTE. 
TOMO     PRIMO, 


IN    MILANO,    M  D  C  C  L  L 

A     SPESE     DI     Già  M  BATISTA     PASQUALI. 
CON  LICENZA  DE'  SUPERIORI 


ADAMS 


A  SUA  ECCELLENZA  IL  SIGNOR 

D-  GAETANO  BONCOMPAGNO 

L  U  D  O  V  I  S  I 

PRINCIPE  DI  PIOMBINO  ,  MARCHESE  DI  POPULONIA  ,  SIGNORE 
DELLE  TERRE  DI  SCARLINO  ,  SUVERETO  ,  E  BURIANO  ,  DELL' 
ISOLE  MARITTIME,  DELL'ELBA,  DI  MONTE  CRISTO,  E  PIANOSA, 
PRINCIPE  DI  VENOSA,  CONTE  DI  CONZA  ,  DUCA  DI  SORA,  ED 
ARCE  ,  MARCHESE  DI  VIGNOLA  ,  SIGNORE  DELLE  CITTA'  DI 
AQUINO,  DI  ARPINO,  DELLA  TERRA  DI  ROCCASECCA  ,  E  LORO 
STATI,  CAVALIERE  DELL'INSIGNE  ORDINE  DEL  TOSON  D'ORO, 
E  DELL'ALTRO  DI  S.GENNARO,  GENTILUOMO  DI  CAMERA  CON 
ESERCIZIO,  E  MAGGIORDOMO  MAGGIORE  DELLA  MAESTÀ'  DEL 
RE  DELLE  DUE  SICILIE. 


HiuNQUE  sa ,  che  il  fu  Propofto  Lo- 
dovico Antonio  Muratori  mio 
Zio  era  nato  nella  Terra  di  Vignola ,  Feu- 
do di  Vostra  Eccellenza  ,  e  eh'  io  pure  ho 
fortita  la  Patria  medefima ,  crederà  tofto , 
che  quefti  flati  fieno  i  motivi ,  per  cui  mi 

a  fon 


fon  dato  V  onore  di  dedicarle  il  prefentc 
Compendio  delle  di  lui  Difjerta'xjoni  [opra 
le  Antichità  Italiane .  Ma ,  oltre  ad  effi ,  un 
altro  più  gagliardo  impullb  ho  io  avuto , 
ed  è  {tato  il  fapere ,  che  intenzion  era  delF 
Autore  di  f  arlene  la  Dedica  ^  le  la  morte 
gli  aveffe  lalciato  il  tempo  da  pubblicar- 
lo .  Ragion  dunque  volea ,  che  io  in  man- 
canza di  lui  non  lafciaffi  ufcir  dalle  ftam- 
pe  queft'  Opera ,  fenza  porle  in  fronte  il 
veneratiffimo  nome  di  Vostra  Eccellen- 
za: e  ben  mi  giova  fperare ,  che,  attefala 
llima  diftintiifima ,  colla  quale  fono  mai 
fempre  fiate  da  Lei  onorate  l'altre  Opere 
di  lui,  fia  per  efferle grata  anche  quefta, 
che  dir  fi  può  fultima  produzione  delfuo 
felice  Ingegno .  E  chi  ne  può  dubitare  ?  ef- 
fendo  r Eccellenza  Vostra  un  Principe, 
che  alla  Nobiltà  del  lignaggio  accoppia  il 
bel  genio  per  le  Lettere  e  buone  Arti,  ac- 
compagnato da  una  fomma  Benignità  e 
Gentilezza  •  Ma  quefli  non  fono  i  foli 
pregi  luiiiinofi,  de' quali  va  adorno  l'ani- 
mo di  Lei  generofo .  Altre  doti  più  fubli- 
mi ,  permettetemi  che  il  dica ,  Eccellen- 
tissimo Principe,  fi  ammirano  in  Voi,  le 

quali 


quali  vi  rendono  degno  di  eterni  eiicomj , 
e  venerato  da  ognuno .  M' intendo  delia 
voftra  Angolare  Pietà  verfo  Dio,  della 
grande  voltra  Carità  verfo  i  Poveri  ,  le 
cui  beneficenze  fperimentano  iovente 
anche  quei  della  mia  Patria  :  parlo  dell' 
Amor  5  che  portate  alla  Giultizia ,  ma  non 
disgiunto  dalla  Clemenza;  dell' Affabili- 
tà eCortefia,  con  cui  liete  lolito  di  acco- 
gliere e  trattare  anche  ipiii  infimi  fra'vo- 
fhi  fudditi  ;  e  finalmente  della  rara  voltra 
Prudenza  e  deftrezza  nel  maneggiare  gli 
affari  Politici  della  maggiore  importan- 
za .  L'effere  Voi  llato  innalzato  dalla 
Maeltà  del  Re  delle  due  Sicilie  alla  Cari- 
ca riguardevolilTima  di  fno  Maggiordo- 
mo Maggiore ,  e  l'avervi  eglifpedito  per 
luo  primo  Ambafciadore  Itraordinario  ai 
Re  Cattolico  Filippo  V.  fuo  Padre^  e  pofcia 
alFoggidi  regnante  Monarca  delle  Spagne 
Ferdinando  VI.  fuo  Fratello ,  fono  incon- 
tr  alla  bili  argomenti  del  veltro  gran  me- 
rito; ficcome  gli  atti  di  bontà  e  diftiraa 
particolarillima  5  co' quali  folle  accolto  e 
iempre  trattato  da  que'  graziofiffimi  Mo- 
narchi y  e  da  tutti  i  Sereniffimi  Infanti , 

a      2  hanno 


hanno  chiaramente  dato  a  conofcere  , 
quanto  fia  fiata  da  elfi  gradita  amendue  le 
volte  la  voftra  fpedizione,  e  in  quanta  con- 
fiderazione  fofte  preffo  tutta  quella  Rea! 
Corte,  nella  quale  avete  infine  lafciata 
un'  indelebii  memoria  del  voftro  Nome . 
Molto  più  ancora  di  eftimazione  ha  di- 
moftrato  verfodi  Voi  il  Re  voftro  Signo- 
re, con  avervi  nell'Anno  1738.  prelcelto 
all'alto  onore  di  andare  a  ricevere  su  i  con- 
fini dell'  Italia  la  Regina  fua  Spofa,  ed  a 
ferviria  nel  viaggio  fino  a  quei  del  Regno 
di  Napoli,  dov'egli  fi  portò  ad  incontrar- 
la. Tralafi:io  di  accennar  gli  altri  onori 
e  finezze  compartitevi  dalla  MaeftàSua 
e  dalla  Reale  luaConforte,  per  dire  3  che 
fé  grande  è  ia  gloria  a  Voi  prò v venuta  da 
tanti  Perfonaggi  illuftri  per  la  Pietà,  pel 
Valore,  e  per  le  primarie  Dignità  Eccle- 
fiaftiche ,  uiciti  dalla  voftra  Proiapia ,  tra 
quali  fi  conta  l' infigne  Pontefice  GRE- 
GORIO XIII.  la  cui  memoria  farà  Tem- 
pre in  benedizione  nella  Chiefa  di  Dio 
per  le  molte  fue  Virtù  ed  Eroiche  gefta , 
e  per  averla  con  tanta  Sapienza  governa- 
ta: non  minore  faràillultro,  che  da  Voi 


rice- 


riceveranno  i  voftri  Pofteri  per  tanti  ono- 
revoliffimi  impieghi ,  che  avete  foftenu- 
to ,  e  per  le  eccelfe  doti  ^  che  l'animo  vo- 
ftro  adornano . 

Ora  nelprefentare,  ch'iofo,  a  Vostra 
Eccellenza  l' Opera  del  Zio ,  mi  avanzo 
a  fupplicarla  di  voler  non  folo  gradirne 
FofFerta ,  ma  eziandio  permettermi ,  ch'io 
pofTa  da  qui  innanzi  gloriarmi  d'  effere , 
quale  ora  col  maggiore  ofTequio  mi  con- 
fermo 

Di  Vostra  Eccellenza 

Modena   i.  Aprile   175 1» 


UmìUfs.^"  Dtvot.^"  e  Riverent.^'  Servidore 
Gian-Francefco  Soli  Muratori. 


A     I     L  E  T  T  O  11  I 

GIAN-FRANCESCO   SOLI   MURATORI. 

Allorché'  per  ordine  del  ScreniiTimo  Signor  Duca  di  Modena 
Rinaldo  I.  fuo  clementifTimo  Padrone  il  Propofto  Lodovico 
Antonio  Muratori  mio  Zio  di  chiara  e  per  me  fempre  grata 
memoria,  intraprefe  la  vifita  di  molti  Archivj  d'Italia  negli  An- 
ni 1714.  171 5.  e  iyi6.  a  fin  di  raccogliere  notizie  per  teffere  la 
Genealogia  dell' antichiflima  e  nobilifTima  Caia  d'Efte,  gli  riufc'i 
di  far  anche  una  copiofa  mefle  d'altri  antichi  Documenti,  che  po- 
tevano dar  molto  lume  alle  cofe  d' Italia  de  i  tempi  di  mezzo  , 
Nudriva  egli  da  lungo  tempo  1'  idea  d' illuftrare  i'  Erudizione  di 
que'  Secoli  cotanto  Icuri  per  mancanza  di  Storie  e  di  altri  monu- 
menti ;  quindi,  mefla  eh' ebbe  infieme  si  fatta  raccolta,  s'invogliò 
toflo  di  dar  efecuzione  al  fuo  difegno  .  Si  pofe  pertanto  a  trattare 
con  varie  Diflertazioni  in  Lingua  Italiana  de  i  Riti  e  Coftumi  dell' 
Italia,  de  i  Magiftrati,  delle  Leggi,  della  Milizia,  de  gli  Studj  del- 
le Lettere  ,  delle  Arti  ,  e  di  tanti  altri  punti  di  Storia  e  di  Erudi- 
zione, per  far  vedere,  qual  folTe  l'afpetto  d'effa  Italia  dopo  la  de- 
clinazione del  Romano  Imperio,  cioè  dal  Secolo  V.  fino  all'An- 
no MD.  dell' Era  volgare,  con  animo  di  farle  pofcia  fuccedere  al 
primo  Tomo  delle  Antichità  Eftenfi  ,  da  lui  pubblicato  nell'  An- 
no 171 7.  che  per  queQo  motivo  intitolò  c^ellj  Antichità  Eflenfi 
ed  Italiane*  Ma  avendo  egli  frattanto  unito  buon  numero  di  Cro- 
niche e  Storie  inedite,  riguardanti  l'Italia,  meffe  in  difparte  le 
DilTertazioni,  tutto  fi  rivolfe  a  difporre  la  grande  Raccolta  degli 
Scrittori  Kcrum  Italicarum  ,  che  fu  polcia  magnificamente  ftam- 
pata  in  Milano  per  cura  ed  alle  fpefe  de'  Nobili  Socj  Palatini  in 
ventifette  grofTì  Volumi  in  foglio,  ed  anche  accolta  con  plaufo  da 
tutti  i  Letterati .  Siccome  poi  quella  infigne  Raccolta  di  Storie  e 
d'altri  Documenti  fornì  al  Muratori  altre  non  poche  notizie  da 
impinguare  le  da  lui  intermefle  DilTertazioni  ;  così  £gli  ne  ripigliò 
il  lavoro  ,  ma  in  altro  Idioma  .  Imperciocché  avendo  fatta  rifief- 
fione,  che  fcrivendole  in  Lingua  Italiana,  non  farebbero  ftate  gra- 
dite da  tanti  Letterati  Oltramontani,  cangiò  penfiero,  e  fi  miie  a 
rifarle  in  Latino  ,  con  averle  eziandio  pubblicate  nella  medefima 
Citta,  per  opera  pure  della  Società  Palatina  in  lei  Tomi  in  foglio, 
col  titolo  di  Antiquitates  Italice  med'it  jEvì .  Prefe  egli  dipoi  a  feri- 
vere  gli  Annali  Civili  d Italia  dal  principio  dell'Era  volgare  fino 

air 


all'Anno  1500.  e.pofcia  fino  all'Anno  174P.  che  in  dodici  Tornì 
in  quarto  iiicirono. 

Credeva  il  Muratori  di  aver  colle  fuddette  tre  Opere  abbaftan- 
za  provveduto  al  biibgno  dell'Italia  per  conto  della  Storia  e  dell' 
Erudizione  de  i  Secoli  di  mezzo;  ma  non  cosi  parve  a  varj  Lette- 
rati fuoi  Amici ,  i  quali  perciò  cominciarono  a  limolarlo  forte- 
mente, perchè  riduceiTe  in  Compendio,  e  trafportafre  nella  noftra 
Lingua  le  fue  Diflertazioni  fopra  le  Antichità  Italtans ,  Gli  rappre- 
Tentavano  efTì  ,  che  quelle  in  Latino  fervevano  folamente  per  la 
gente  dotta  :  laddove  fé  fofsero  Rate  tradotte  in  Italiano  ,  avreb- 
bero potuto  participare  dell'Erudizione  in  else  contenuta  eziandio 
i  men  dotti,  anzi  taluno  de  i  dotti  medefimi,  cui  mancava  il  polfo 
di  provvederfele  ne  i  fei  Volumi  in  foglio  .  In  oltre  efserfi  egli  in- 
tefo,  componendole  in  Lingua  Latina,  di  far  come  un'Appendice 
agli  Scrittori  Rerum  Italic^rum  ;  e  perchè  dovean  reflar  fenza  que- 
lla dote  gli  Annali  d'Italia?  A  quelle  ragioni  non  feppe  ridire  il 
Muratori,  e  trovandofi  fenz' altro  argomento  da  trattare,  pofe  ma- 
no all'Opera  verfo  la  meta  dell'Anno  1748.  e  l' avrebbe  certa- 
mente condotta  al  fuo  termine  ,  le  una  molcHa  flufliohe  non  lo 
avefse  per  alcuni  mefi  dell' Anno  fufseguente  privato  dell'ufo  della 
mano  per  ifcrivere.  Non  gli  rellava  piìà  che  la  Diisertazione  LXX. 
con  parte  delia  precedente  da  finire ,  allorché  gli  fopraggiunfero  i 
primi  incomodi  nella  villa  ;  ed  avendogli  allora  vietata  i  Medici 
qualunque  fotta  di  applicazione  ,  gli  fi  efibi  cortefemente  il  Sig. 
Abbate  Pistr  Ercole  Gherardi  Vice  -  Bibliotecario  Eilenfe  ,  e  Pro- 
fefsore  di  Lingua  Greca  ed  Ebraica  nell'Univerfita  di  Modena,  di 
farne  la  traduzione,  ficcome  puntualmente  efeguì .  Ecco  ciò,  di 
cui  ho  creduto  necefsario  avviiare  i  Lettori  intorno  al  Cow/?e«^/o, 
che  loro  preiento  ,  delle  Difsertazioni  Muratoriane  fopra  le  Anti- 
chità d'Italia  .  Non  s' afpettino  elfi,  ch'io  dia  loro  altro  conto 
di  quell'Opera  ;  perchè  a  quello  ha  foddisfatto  l'Autore  nella  fua 
Prefazione  alle  Difsertazioni  Latine  ,  che  qui  apprefso  fegue  tra- 
dotta ;  e  l'incontro  felice  delle  medefime  prefso  i  Letterati  fervi- 
ra  di  una  (incera  tellimonianza  del  pregio  loro.  Aggiugnerò  fola- 
mente,  ch'efsendofi  prefifso  il  Muratori,  nel  compendiarle  in  Ita- 
liano, di  renderle  intelligibili  e  meno  difpendiofe  a  chi  non  fapcva 
la  Lingua  Latina,  ha  egli  perciò  lafciata  fuori  la  maggior  parte  de' 
Documenti  Latini,  e  tutte  leCronichette,  che  nella  prima  Edizione 
fi  leggevano,  con  ritenerne  però  i  palTi  occorrenti  al  fuo  propofito. 
Debbo  eziandio  avvertire,  che  quantunque  egli  abbia  pretefo  di  fa- 
re 


re  foltanto  un  Compendio  delie  prime  fue Diflertazioni ,  cofìtuttociò 
non  ha  lafciato  di  fare  in  qua  e  in  la  delle  Aggiunte  ,  delle  muta- 
zioni o  correzioni,  fecondochè  gli  è  paruto  bene  o  neceflTario;  quin- 
di molte  cofe  s'incontrano  in  quefte,  che  non  fi  fcorgono  nell'altre 
Didertazioni .  Per  darne  unefempio,  fi  olTervi  la  DilTertazione  XI V* 
de  t  Servi  e  Liberti  antichi^  e  fi  troverà,  ch'egli  l'ha  accrefciuta  fui 
principio  colla  Differtazione  da  lui  comporta  fopra  lo  fteffo  argomen- 
to, e  Itampata  nel  primoTomo  delle  Memorie  della  Società  Colom- 
baria diTiren'ze  nell'Anno  1747.  Mi  difpenfo  io  dall' indicar  l'altre 
Aggiunte*  o  mutazioni  di  minor  conto  ,  perchè  cola  troppo  lunga 
farebbe  ;  e  per  lo  fteflb  motivo  tralafcio  di  accennar  tant' altre  cofe, 
omeflfe  dall'Autore,  perchè  da  elio  credute  non  convenire  ad  un  Com- 
pendio. Ma  prima  di  chiudere  quello  difcorfo  convien,  ch'io  rifpon- 
da  ad  un'iftanza  ,  che  mi  potrebbe  eifer  fatta  da  taluno,  con  dire: 
Come  non  reftava  al  Muratori  da  compendiare,  che  la  DilTertazio- 
ne LXX.  con  parte  della  precedente;  mentre  leDiiTertazioni  tue  fo- 
pra le  Antichità  Italiane  fono  Settantacinque?  Per  intendere,  come 
ciò  poilk  ftare,  balla  fapere,  che  avendo  egU  intraprefa  quella  fati- 
ca in  tempo,  chenonavea,  ficcome  accennai  di  fopra,  alcun  altro 
argomento  per  le  mani,  ebbe  agio  perciò  di  lavorare  intorno  a  due 
Tomi  alla  volta,  cioè  ad  uno  in  cala,  ed  all'altro  nella  Ducale  Bi- 
blioteca; ma  perchè  maggior  era  il  tempo,  che  in  quella  fi  tratteneva, 
più  preflo  ancora  sbrigava  i  Tomi  ,  ne' quali  ivi  fi  applicava;  e  per 
quella  ragione  gli  reflarono  da  finire  le  fuddette  due  Diflertazioni,  che 
chiudono  il  Tomo  V.  ultimo  Tomo,  cheprefe  a  compendiare  in  caia. 
Terminata  poi  che  farà  la  prefente  Edizione,  faranno  dame  pub- 
blicate l'altre  cofe  poftume  del  Zio,  con  inferirle  nella  ridampa  ma- 
gnifica, che  ha  rifoluto  di  fare  in  foglio  il  Sig.  Giam-Batifta  Palquali 
di  tutte  l'Opere  di.lui  minori  :  alcune  delle  quali  fono  oramai  dive- 
nute rariffime  ,  ed  altre  per  efiere  flampate  fra  i  Libri  altrui ,  rie- 
fcono  troppo  difficili,  o  almen  troppo  difpendiofe  da  proccurarfi . 
Mi  riferberò  lolamente  da  produrre  nella  Vita^  che  di  lui  (lo  com- 
pilando (  ma  che  mio  malgrado  ho  dovuto  per  alcuni  mefi  interrom- 
pere a  cagion  d'altre  indifpenfabili  occupazioni)  diverle  Pillole  ine- 
dite, da  efib  fcritte  in  difefa  di  alcune  fue  Opinioni.  Avrei  eziandio 
in  animo  di  dar  fuori  una  Raccolta  delle  Lettere  di  lui  Scientifiche  & 
Erudite;  e  perciò  avanzo  ora  le  mie  pii^i  calde  premure  a  tutti  i Let- 
terati ,  che  hanno  avuta  corrifpondenza  con  elfo  lui  ,  acciocché  ab- 
biano la  bontà  di  comunicarmi  quelle  ,  che  giudicheranno  degne  di 
veder  la  luce,  per  onor  del  loro  Autore,  e  per  utile  della  Repubblica 
Letteraria.  AL' 


ALLE   ANTICHITÀ'  ITALIANE 

PREFAZIONE 

DI  LODOVICO  ANTONIO  MURATORI. 


H 


O  gPa  dato  i  Scrittori  delle  cofe  d'Italia.  Sbrigatomi  da 

un'opera  cotanto  laboriofa  ,  ora  ne  prefento  un'altra, 

cioè  \q  Antichità  Italiane  de  i  Secoli  di  trìe^^*  Non  mancaro- 
no chi  con  preghiere  e  ragioni  di  qualche  pefo  mi  (limolava- 
no,  giacché  tanti  aiuti  io  aveva  procurato  all' Iftpria  Italiana 
de  i  tempi  barbarici  ,  a  rivolgermi  finalmente  a  teiTere  un'Ifto- 
ria  univerlale  d'Italia  dopo  il  decadimento  del  Romano  Im- 
perio ;  come  fé  io  folo  ,  verfato  per  tanto  tempo  in  cotefti  ftu- 
clj,  e  più  accuratamente  di  altri  molti,  e  più  facilmente  di  chic- 
cheffia,  ad  un  tal  lavoro  accudire,  e  con  un  durevole  benefizio 
s'i  i  prefenti  che  i  poderi  obbligarmi  poteffi.  Ma  me  già  fat- 
to vecchio  atterri  una  sì  grande  intraprefa  ,  cui  pure  inceflan- 
temente  defidero,  che  da  alcun  altro  abbracciata  fia;  poiché  già 
tra  noi  non  manca  chi  egualmente  bene  ,  anzi  con  maggior 
felicita  di  quel  che  a  me  riulciffe,  a  quell'opera  polla  applicarfi, 
qualora  fia  ben  provifto  di  libri,  ed  alla  lua  copiofa  erudizio- 
ne la  lettura  de  gli  antichi  monumenti  unir  voglia  .  Frattanto 
ricordandomi  ,  in  quel  tempo  ,  in  cui  pubblicai  le  Antichità 
EJìenfe^  cioè  nell'anno  1717.  di  aver  anche  promelTo  \q  Anti- 
chità Italiane  ;  eccomi  finalmente  riioìto  a  mantener  la  paro- 
la. Dalla  qual  Opera,  avvegnacchè  io  non  abbia  avuto  animo 
di  fcrivere  l'Iftoria  Italiana  della  mezzana  età  ,  lufingomi  però 
che  non  poco  lume  ed  aiuto  venir  ne  polTa  a  chi  voglia  fcrive- 
re la  detta  Storia,  o  leggere  le  Klorie  già  meffe  infieme  .  Ma 
perchè  il  Lettore  di  buon'ora  informato  fia  di  quel  che  io  con 
quelle  mie  fatiche  abbia  fatto  ,  e  di  quel  ch'ei,  volendone  far 
ufo  ,  fperar  ne  polTa  ,  mi  convien  premettere  poche  parole  . 
Dappoiché  le  lettere  umane,  riforte,  per  così  dire,  negli  ul- 
timi Secoli  decorfi  ,  la  primiera  dignità  riacquiftarono  ,  e  le 
barbariche  fpoglie  depofero  (  il  che  certamente  é  avvenuto  per 
l'induftriofa  opera  della  gente  Italiana  ,  del  cui  efempio  le  al- 
tre più  colte  nazioni  di  Europa  dipoi  profittarono)  gl'ingegnofi 
Tórno  L  b  nolìri 


PREFAZIONE. 

noftri  Maggiori  con  fomma  attenzione  e  premura  attefero  in 
prima  a  ripulire  la  Lingua  Latina  dal  commerzio  de'  Barbari 
refa  omai  troppo  deforme  ,  indi  ad  introdurne  la  Greca  per 
lunghiflimo  tempo  innanzi  non  conofciuta  e  negletta .  In  legui- 
to  fi  fecero  a  richiamare,  ad  ampliare,  a  perfezionare  gli  Ora- 
torj  e  Poetici  ftudj,  laFilofofia,  lalftoria,  la  Erudizione,  eie 
altre  Scienze  ed  Arti ,  con  tal  fucceflb ,  che  tra  le  tante  cagio- 
ni, onde  congratularci  dobbiamo  della  felicita  de' tempi  noftri, 
l'ultimo  luogo  non  deefi  alla  coltivazione  delle  buone  lettere 
nel  fuo  fplendore  rimefle  .  E  per  quello  fpetta  all'  ErudÌTjone  , 
non  men  la  Sacra  che  la  Profana  con  particola riflì ma  cura  è 
fiata  trattata  .  Senonchè  quei  che  diedero  mano  alla  Profana , 
quafi  a  quei  foli  tempi  fi  riftrinfero,  ne'quai  Roma  a  tanti  po- 
poli in  Europa,  in  Afia,  e  in  Africa  fignoreggiò;  e  la  Grecia 
fu  per  la  gloria  delle  lettere  egualmente  che  delle  armi  chiara 
e  famofa  .  Ad  illuftrare  i  fatti  dell'  una  e  dell'  altra  Nazione  , 
a  diflbtrerrarne  i  monumenti ,  a  fpiegarne  icoftumi,  iriti,  la 
religione,  il  governo,  le  leggi,  e  le  altre  cofe  agli  antichi  Ro- 
mani e  Greci  attinenti ,  erano  dirette  le  mire  degli  Eruditi . 
Qj.ia  tendevano  i  loro  sforzi  ,  quelle  erano  le  loro  delizie  .  E 
cotanto  crebbe  l'ardore  di  quello  (Indio  negli  uomini  letterati, 
che  già  da  Gronovio  e  da  Grevio  ci  è  flato  dato  un  Teforo  di 
Antichità  Greche  e  Romane  in  venticinque  groflì  volumi  coni- 
prefo  ;  cioè  una  grande  ferie  di  varj  Autori,  che  di  quelle  trat- 
tarono. Indi  di  altri  Scrittori  ,  che  fcriflero  fopra  lo  flelTo  ar- 
gomento ,  infieme  raccolti ,  tre  altri  Tomi  formati  furono  da 
Sallengre,  dei  quali,  unitamente  agli  altri  primi,  una  feconda 
edizione  fi  è  fatta  in  Venezia.  In  quefli  però  non  confifte  tutto 
l'erario  dell' Erudizion  Greca  e  Romana;  altri  più  ve  ne  fono, 
e  fpezialmente  di  cofe  Romane  ;  a  i  quah  fé  unir  fi  voglia  gli 
altri  moltiffimi,  ne'quai  fi  riportano  le  antiche  Ifcrizioni,  i  Fa- 
fli,  le  Medaglie  ,  le  Gemme  ,  gli  Anfiteatri ,  la  Geografia  ,  la 
Cronologia  ,  e  le  altre  parti ,  o  frammenti  di  Erudizione  Ro- 
mana ,  un  numero  n'  efce  ,  quafi  ho  detto  ,  da  fpaventarne  . 
Quello  pertanto  era  allora  il  felice  ubertofo  campo  prefo  uni- 
camente a  coltivare  dagl'ingegni  Italiani,  e  da  cui  grande  mef- 
fe  ricoglievano  di  lode  e  di  gloria  ;  e  neflim  conto  intanto  face- 
vafi  di  ciò  che  riguardava  i  tempi  pofteriori  alla  venuta  de' 
Barbari  in  Italia.  Se  alcuna  carta  diqueiSecoh,  o  libri  fcritti 

da 


PREFAZIONE. 

da  Autori  di  quel  tempo,  o  di  Poefie  latine  ,  o  di  Leggi,  o  d* 
Ifcrizioni  venivano  alle  mani ,  il  minor  male  era  che  foiTero 
fenza  difprezzo  deporti ,  o  mefiTi  in  un  canto  ;  giacché  non  po- 
chi eran  quelli,  che  quai  fetidi  efcrementi  in  orrore  gli  ave- 
vano :  fpezialmente  i  Grammatici ,  i  quai  pel  contrario  ogni 
mifero  avanzo  di  Ennio,  dì  Catone,  di  Plauto,  e  degli  altri  più 
antichi  Latini ,  come  gemme  apprezzavano,  e  fino  alle  ftelle 
innalzavano.  Io  per  verità  difapprovare  non  so  quello  smodera- 
to amor  de  i  Grammatici  verio  qualunque  monumento  dell' 
antichità  più  rimota,  e  fo  loro  anche  buona  la  grande  avverfio- 
ne  che  hanno  per  i  libri  de  i  Secoli  barbari  ;  perciocché  in  eflt 
l'oro  Latino  inutilmente  fi  cerchi,  e  grande  abbondanza  vi  fia 
di  ruggine  e  fcoria  Tedefca  .  Ma  per  quello  riguarda  gli  altri 
Letterati  cotanto  nemici  dell'  Erudizione  della  mezzana  età  , 
mi  fia  lecito  chiamargli  non  diffomiglianti  da  quelli  ,  che  nati 
nel  feliciffimo  fiiolo  d'Italia,  datale  ecceffo  di  amore  e  di  am- 
mirazione fono  trafportati  pereflTa,  che  ogni  altro  paefe  pollo 
di  la  dall'Alpi,  o  di  la  dal  mare  ,  non  curano,  e  fors' anche 
difprezzano  .  Ciafcuna  regione  però  ha  le  fue  buone  qualità  ed 
i  fuoi  comodi,  e  non  le  mancano  prerogative  di  natura  e  di  ar- 
te .  Di  più  ,  in  molte  di  effe  non  fia  malagevole  rinvenire  una 
bellezza  e  magnificenza  invidiabile.  Benché  che  dico?  quafichè 
l'Italia,  noflra  Madre  ,  non  fia  (lata,  e  non  fia  Tempre  la  fleffa 
tanto  fotto  i  Romani  padroni  del  Mondo  ,  quanto  fotto  i  Lon- 
gobardi, Franchi,  Germani.  Comecché  non  fenza  dolor  fi  ram- 
menti, che  Roma,  dopo  aver  dominato  a  tante  nazioni ,  abbia 
anch' efla  imparato  a  fervire  ;  comecché  non  fenza  difpetto  ri- 
membrifi  la  un  tempo  fioritiflima  Itaha  per  la  trasmigrazione 
dei  Barbari  squallida  refa  e  deforme;  quello  noftro  paefe  non- 
pertanto non  è  divenuto  un  deferto  di  Libia,  né  ha  perduto  i 
naturali  fuoi  pregi .  Abbondavano  anche  allora  i  popoli  provi- 
ni di  Rettori  e  di  Leggi;  non  era  malagevole  trovare  anche  al- 
lora degl'ingegni  felici  ;  fi  coltivavano  i  campi;  vi  erano  com- 
merzj,  pace,  ricchezze.  E  benché,  a  dir  vero,  nella  Patria  de- 
gì'  Italiani  fotto  i  Longobardi  quali'  afpetto  di  felicita  non  vi 
fofle,  quella  civiltk  di  coitumi ,  quell'ornamento  di  lettere,  che 
vi  era  prima  fotto  i  Romani  ;  ni-^rue  però  di  manco  la  maella, 
la  fortezza  ,  la  opulenza  di  qucito  Regno  non  era  neppur  allo- 
ra punto  inferiore  a  quella  di  ogni  altro  Regno  vicino.  E  quale 

b  '  2  di 


P  R^E  FAZIONE. 

di  grazia  faftidiofaggine  e  dilicatezza  d'uomini  è  mai  cotefta, 
che  i' Italia  lor  Madre  ,  folranto  mentre  fu  felice  e  Signora, 
vogliano  intimamente  conofcere  ;  balzata  poi  dal  trono  ,  ben- 
ché l'antica  fua  nobiltà  e  fplendore  ritenga,  a  vile  la  tengano, 
e  sdegnino  di  vederla  ?  Né  la  Francia  ,  né  la  Spagna  ,  né  la 
Brettagna  hanno  avuto  un  miglior  deftino,  conculcate  anch'ef- 
fe da  i  Barbari ,  ed  a  fervire  coftrette .  Nefifuno  però  per  quefto 
ha  in  orrore  la  Patria  fua  di  quei  tempi  ;  quafichè  non  abbia 
cuore  di  rimirarla  berfagliata  da  fciagure  e  infortunj.  Per  altro 
anche  in  tempo  dell'  ampio  dominio  de  i  Romani  non  manca- 
rono guerre  civili,  ed  ellerne,  fovverfioni  di  Citta,  Imperato- 
ri più  moftri  che  Principi ,  e  inondazioni  di  vizj  :  perché  dun- 
que tanta  riverenza  ed  affetto  per  i  tempi  di  allora  ,  neffuno 
per  quei  che  venner  dipoi? 

Ma  il  Modenefe  Sigonio,  cui  tanto  debbono  le  Antichità  Ro- 
mane, che  fé  non  è  il  primo,  certamente  é  fuperiore  a  quanti 
prima  di  lui  delle  c'ofe  d'Italia  de  i  baffi  tempi  fcritto  aveano  , 
degno  di  sé  riputando  un  tale  Audio,  a  quefta  imprefa  fi  accin- 
fe,  e  coi  fuoi  libri  dell' Impero  Occidentale  ^  e  del  Regno  d' Itali  a  ^ 
eccellentemente  quefta  parte  di  erudizione  trattò,  e  largo  cam- 
po ai  poderi  aperfe ,  per  cui  quegli  dipoi  liberamente  fcorrefìfe- 
ro.  Cosi  a  poco  a  poco  gli  uomini  grandi  cominciarono  ad  il- 
luftrare  i  Secoli  Barbarici  ;  e  i  foreftieri  in  maggior  numero,  e 
con  maggior  premura  degl'Italiani.  Per  tacer  di  Salmafio  ,  le 
cui  fatiche  non  oltrepalfano  la  decadenza  del  Romano  Imperio, 
Jacopo  Sirmofido  ,  Filippo  Lahbe  ,  Jacopo  Gr et/ero  ,  Giovarmi 
Bolla?2do  ,  e  i  fucceiTori  di  lui  ,  ed  altri  egregj  e  dottiffimi  uo- 
mini della  Compagnia  di  Gesù',  diffotterrati  moltiffimi  monu- 
menti barbarici,  induffero  gii  uomini  di  lettere  a  meglio  cono- 
fcere le  ricchezze  di  quella  età  non  curata.  Né  io  qui,  fé  non 
incidentemente  ,  faccio  parola  della  Erudizione  Sacra  ;  imper- 
ciccché  a  quella  attefero  tutte  a  gara  le  Nazioni  Criftiane,  e 
fopra  tutte  la  Italiana.  Parlo  principalmente  della  profana,  cui 
molta  luce  recarono  Enrico  Canijio  ,  Gerardo  Giovanni  VoJJlo  ^ 
Bignoìi^  Bavzio^  Conringio^  Du-Che[ne  ^  Goldajìo  ^  Meihomio  ^ 
Adriano  Vale  fio  ,  Lindenbrogio  ,  BaluT^o  ,  Dacherio  ,  Ruinarf  , 
Martene  ,  Montfaucon  ,  ed  altri  chiarii'fimi  ed  eruditiffimi  Mo- 
naci della  Congregazion  di  San  Mauro,  Lambecio^  ^^§}  lénio- 
re,  LeihnÌ7Ìo  ^  Mencherùo  ^  Eccardo  ^  ed  altri  di  Francia  e  di 

Ger- 


PREFAZIOPsTE. 

Germania  Scrittori  celcbratilTimi  ;  a  i  quali  fon  pur  da  aggiun- 
gere quegli  Spagnuoli,  e  Britanni,  che  con  molta  lode  per  il- 
luftrare  le  cole  deila  lor  patria  fi  adoperarono  .  Tra  gì'  Italiani 
poi  mi  fi  prelentano  Guido  Pancirolo  di  Reggio  ,  il  Cardi?ials 
Bnronio^  Niccolò  Alewanrii^  Odorico  Rinaldi  ^  Borghini  ^  /Immì' 
rato  Seniore  ,  Ugbelli  ,  Pignorio  ,  Ottavio  Ferrari  ,  Ciampini  , 
Torrigio^  Fratìcefco  Bianchini^  Arringhioy  Bacchini^  BoJìo^Be- 
retti  ;  ed  i  viventi  Scipione  Maffei  Marche  fé  ^  Guido  Grandi  Ab- 
bate Camaldolefe,  Giufeppe  Bianchini  ,  Giufeppe  Antonio  SaJJt^ 
ed  altri  per  erudizione  ilìullri  uomini,  che,  giufta  la  loro  polla, 
a  coltivare  alcuna  parte  di  quello  campo  fi  polero  .  Chiedi  ora 
ai  giudi  ellimatori  delle  cofe  ,  fé  agli  sforzi  di  tali  Scrittori  ab- 
bia tenuto  dietro  la  gloria  .  Certamente  lor  tenne  dietro  ,  e 
niente  minore  di  quella,  che  un  tempo  ai  coltivatori  delle  An- 
tichità Romane  fi  dava  .  Imperciocché  fia  che  noi  dilcendia- 
mo  dagli  antichilTimi  Itali  ,  o  da  i  Romani,  o  da  i  Goti,  Lon- 
gobardi ,  Franchi  ,  e  Germani  ,  fempre  feguitiamo  la  noftra 
Iftoria  ,  qualora  rintracciamo  le  gefta  ,  e  i  coftumi  de  i  tempi 
barbarici;  ed  è  un  egual  piacere  l'avere  dinanzi  agli  occhi  la 
continuata  genealogia  de  i  noltri  Maggiori  .  A  tutto  quePco  ag- 
giungi due  ragioni  ,  dalle  quali ,  come  da  due  fproni  gli  Eru- 
diti del  noftro  tempo  ponno  effer  mofli  ed  eccitati  a  ripefcare 
ed  illullrare  i  monumenti  de  i  tempi  di  mezzo ^,  La  prima  fi  è, 
che  nell'Erudizione  Romana,  dacché  intorno  ad  efla  fono  ufci- 
ti  tanti  volumi ,  appena  ci  reila  alcun  nuovo  argomento  ,  fé 
nuovi  frammenti  di  antichità  cavati  di  fotterra  non  vengano 
a  luce  .  Poiché  fé  v'ha  alcuno,  cui  piaccia  di  trafportare  dal 
papiro  alla  carta  i  fatti  e  i  riti  de  i  Romani ,  coftui  certamen- 
te non  fi  dee  afpettare  gran  lode  .  Pel  contrario  i  barbarici 
Secoli  in  denfiflime  tenebre  fono  peranche  involti  ;  e  queRo 
campo,  fino  adora  coltivato  da  pochi,  da  grandi  fperanze  di 
ubertofa  raccolta.  Il  campo  dell' Erudizione  Romana  é  già  quali 
tutto  occupato  ;  ma  di  quefto  non  poca  parte  rimane  tuttavia 
efpofta  a  chi  voglia  il  primo  occuparla.  Se  dalla  novità  fpe- 
2Ìalmente  nafce  la  gloria  ,  da  chi  batte  quefto  fentiero  più 
certamente  fi  acquifta  .  Né  di  minor  pefo  è  l'altra  ragione  . 
Imperciocché  tanti  non  folo  facri,  ma  famigliari  e  politici  riti 
fono  in  ufo  preflTo  di  noi,  l'origine  dei  quali  non  ai  Romani, 
ma  a  i  barbarici  tempi  dee  riferirfi  .  Dunque  non  folo  ad  og- 
Tomo  L  b     3  getto 


PREFAZIONE. 

g€tto  di  ampliare  la  erudizione  ,  ma  colla  fperanza  ancora  di 
ritrarne  piacere,  farà  bene  illuftrare,  per  quanto  fi  pofla,  que' 
Secoli  ofcuri ,  e  con  ogni  accuratezza  informarfì  di  quel  che 
abbiano  fatto  i  noftri  Maggiori,  per  fapere  nel  tempo  fteflb  , 
e  con  diletto  ,  le  fonti ,  e  le  caufe  delle  cofe  che  oggidì  cor- 
rono . 

Quefte  furono  le  confiderazìoni,  che  imprendere  mi  fecero 
la  prefente  Opera,  ed  a  compierla  mi  animarono.  Della  qual 
fatica  quale  ne  fia  lo  fcopo,  brevemente  dirò  .  Mi  fono  pre- 
fiffo,  il  meglio  che  potefTì,  di  far  vedere  qual  fu  l'afpetto  del- 
la Gente  Italiana  dal  Secolo Qj-iinto  dell'Era  di  Grillo  fino  all' 
anno  millefìmo  e  quafi  cinquecentefimo.  Per  ciò  fare,  mi  fo- 
no mefTo  davanti  agli  occhi  varj  profpetti  dell'Italia  e  Nazio- 
ne Italiana,  in  quella  guifa  appunto  che  fanno  quei  che  pren- 
dono a  defcrivere  qualche  grande  Citta ,  o  alcun  fplendido  re- 
gio Palazzo  .  Ci  moftrano  elfi  in  primo  luogo  il  difegno  dell' 
intero  edilìzio,  indi  i  membri  di  elfo  partitamente  ci  addita- 
no ;  la  fala  ,  le  ftanze  ,  gli  atrj  ,  le  fcale  ,  il  cortile  ,  le 
loggie  ,  la  galleria  ,  la  chiefuola  ,  le  pitture,  le  ftatue  ,  la  Ral- 
la ,  il  giardino  ,  il  circuito ,  e  gli  altri  membri ,  ed  ornamenti 
della  gran  mole  ,  dall'  afpetto  de  i  quali  fi  forma  l'immagine 
di  quella  magnifica  per  cosi  dir  Cittadella.  Lo  fieiTo  ho  fatto  io. 
Volendo  condurre  il  Lettore  alla  conofcenza  di  quale  fiato  fia 
per  più  Secoli  l'afpetto  di  quefio  Regno  dopo  la  fcefa  de' Bar- 
bari in  Italia  ,  ho  fcelto  e  trattato  varj  principali  argomenti 
fpettanti  all'  Italia  dell'  età  media  ,  da  i  quali  infieme  uniti 
arguir  fi  potefie  ,  e  in  qualche  modo  fi  dimofiraffe  la  condi- 
zione e  lo  fiato  di  quella  età. .  Ho  detto  ,  in  qualche  modo  fi 
dimoflrafle  :  perciocché  tra  quegli  argomenti  che  ho  prefo  a 
trattare  ,  ve  ne  fon  molti ,  che  ad  un  uomo  erudito  porger  po- 
trebbero materia,  onde  farne  un  competente  volume.  Più  an- 
cora fono  quegli  altri,  de  i  quali  non  ho  fatto  motto,  o  che 
fol  di  pafl'aggio  ho  accennati  ;  a  dilucidare  i  quali  fé  alcuno  , 
facendo  prova  di  fue  forze  ,  badar  volefie  ,  un  grande  benefi- 
zio farebbe  alla  Repubblica  Letteraria ,  ed  a  sé  un  grande  ono- 
re. Pertanto  in  prima  ho  trattato  dei  Re,  Duchi,  Marchefi, 
Conti  ,  ed  altri  Magiftrati  del  Regno  Italiano  ;  indi  ho  cerca- 
to i  var;  riti  del  governo  politico  ,  ed  i  coftumi  de  i  cittadini 
privati  .  La  Libertà  e  Servitù  degli  uomini  ,  i  Giudizj ,  la  Mi- 
lizia, 


PREFAZIONE. 

lizia  ,  le  Leggi ,  le  Monete  ,  le  Arti ,  gli  Studj  delle  Lettere  , 
l'origine  della  Lingua  Italiana  ,  la  Mercatura,  ed  altre  cofe  a 
quefte  fomiglianti  l'oggetto  furono  di  mie  ricerche  .  E  perchè 
dopo  l'anno  di  Crifto  millefimo  cangiò  di  afpetto  l'Italia,  ef- 
fendofi  moltifTime  Città  meffe  in  liberta,  e  governandofi  con 
una  certa  fpezie  di  Autocrazia  ,  alla  qual  forma  di  governo 
fuccedette  dipoi  quella  de  i  Principi ,  o  fia  Regoli  :  anche  da 
quella  parte  di  erudizione  Italiana,  colla  giunta  di  alcune  Dif- 
fertazioni,  sbrigato  mi  fcno.  Finalmente  la  Religione ,  cui  tra 
gli  affetti  e  coltumi  di  ciafcun  Popolo  il  primo  luogo  fi  dee  , 
la  Religione  dico  Criftiana  ,  la  quale  ,  non  men  che  prima 
ed  ora  ,  fiori  in  Italia  ne  i  tempi  barbarici  ,  largo  campo  di 
difputare  mi  avrebbe  dato  .  Ma  quefta  materia,  oltreché  mi 
avrebbe  portato  di  la  de  i  confini  del  mio  aflunto ,  ed  effa  fo- 
la avrebbe  potuto  crefcere  a  più  Tomi,  è  già  fiata  occupata 
quafi  tutta  da  uomini  dottiffimi;  ed  il  copiare  i  libri  di  quelli, 
come  ognun  sa,  neffun  piacere  a  i  Lettori,  neffuna  lode  avreb- 
be recato  a  me  .  Perlochè  contentandomi  di  toccar  leggier- 
mente piuttofto  che_di  trattare  compiutamente  alcuni  argo- 
menti di  cofe  facre  ,  cui  mi  è  fembrato  di  poter  rifchiarare 
alcun  poco  ;  lalciai  gli  altri  fenza  toccargli .  In  quefte  poche 
parole  eccoti  refo  conto  di  quel  che  io  abbia  fatto  ,  perchè 
più  noto  di  quel  eh'  era  prima  fi  faceffe  lo  (lato  dell'Italia  de  i 
tempi  di  mezzo. 

Ora  poi  fcoprire  io  debbo,  ne  fenza  dolore,  lapalmar  differenza 
che  paffa  tra  i  coltivatori  delle  Antichità  Romane,  e  gli  fludiofi 
delle  Antichità  dei  tempi  barbarici .  Per  raccogliere  ed  illuflrare 
i  riti  de  i  Romani,  i  coftumi,  i  regolamenti ,  le  gefla  ,  fono  in 
pronto  fuffidj  fenza  numero;  voglio  dire  moltiffimi,  per  non  dire 
innumerabili  libri  latini  di  ogni  genere.  I  Greci  Scrittori  eziandio 
in  quefto  ci  ponno  effer  utili .  Nei  Poeti  fpezialmente  Comici , 
Satirici,  Eroici  fi  rinviene  un  copiofìffimo  erario  de  i  coflumi  e 
riti  di  quel  tempo  .  A  ciò  pure  contribuifcono  innumerabili 
Marmi  ,  Baffirilievi  ,  Medaglie  ,  ed  altri  Monumenti  degli  an- 
tichi ,  de  i  quali  tutti  una  maravigliofa  fupellettile  di  erudi- 
zione Romana  fi  lorma  .  All'  incontro  chi  fi  propone  la  de- 
fcrizione  dei  Secoli  barbarici  d' Italia  ^  entra  in  un  paefe  da 
tenebre  e  denfa  caligine  da  ogni  parte  attorniato  .  Cercanfi 
Iftorie  delle  cofe  d'Italia  Icritte  da  Italiani  fino  all'Anno  di 

Cri- 


P  R  E  F  A  Z  I  O  r^J  E. 

CriRo  millefimo  ,  e  più  oltre?  Pochiflime  ve  ne  fono,  e  que- 
lle non  difFuiamente  fcritte,  quali  fon  quelle  che  verfano  in- 
torno all'Erudizione  Romana;  ma  brevi  e  luccinte  eipofizio- 
ni ,  e  quafi  fterili  e  lecchi  compendj.  Vi  furono  bene  in  quei 
tempi  alcuni  Poeti  facri  ,  utili  per  la  cognizione  delle  cofe 
Ecclefiaftiche  ;  ma  tra  quelli  appena  uno  ne  troverai  ,  che 
deferiva  i  collumi  profani  e  politici.  Anzi  quafi  tutto  l'appa- 
rato di  Libri  ,  che  quella  età  produfTe  ,  tenue  in  vero  ,  le  fi 
paragoni  coi  Libri  fcritti  nei  cinque  primi  Secoli  dell'Era  Cri- 
Itiana  ,  ha  per  oggetto  le  cofe  lacre  :  dalle  quali  rara  cofaè, 
che  fpremer  fi  poflano  gli  affari  civili  ,  od  altra  cofa  attinen- 
te alle  Arti  e  coftumi  civili  di  allora  .  Rare  eziandio  di  quei 
Secoli  fono  le  Ifcrizioni  ,  rare  le  Monete  ,  e  quelle  diflbmi- 
gliantiffime  da  quelle  de  i  Romani  e  de  i  Greci  ,  nelle  quali 
tanta  copia  di  erudizione  rinchiudefi  .  Per  la  qual  cofa  for- 
za è  ,  che  mettendoti  a  folcare  le  acque  di  quei  tempi,  ogni 
qual  tratto  tu  vada  a  rompere  in  qualche  fecca  ,  per  man- 
canza di  aiuti  di  Lettere  in  affai  fcarfo  numero  lafciateci  dal- 
la comune  allora  ignoranza  ,  o  dalla  poca  dottrina  .  A  qual 
dunque  partito  appigliarfi  i  ghiotti  di  Erudizione  ?  Elfi  final- 
mente ularono  due  mezzi ,  a  fine  di  rimediare  ,  per  quanto 
potelfero  ,  a  cos\  grande  penuria  .  Cioè  meffi  folfopra  gli  ar- 
madj  delle  Biblioteche  ,  quante  in  elfi  vi  trovarono  naicofle 
Operette  non  difprezzabili  dei  Secoli  rozzi,  Trattati,  Lettere , 
Scritti  eflemporanei,  Frammenti,  dai  quali  credibil  era  che  qual- 
che luce  venir  potelfe  alla  Ifloria  od  erudizione  di  quella  igno- 
rante età  ,  tutte  quante  mai  furono  fi  avvifarono  di  pubbli- 
carle ;  con  che  i  prefenti  ed  i  poderi  fi  obbligarono  ,  giacche 
oggimai  torna  a  comodo  di  tutti  una  tale  pubblicazione.  In- 
di cercarono  per  entro  gli  antichi  Archivj  delle  Cattedrali  , 
de  i  Monafter; ,  e  di  altri  luoghi  ;  e  di  la  cavati  i  Diplomi , 
le  Bolle,  le  Carte  non  per  anche  Campate,  diedero  in  luce. 
Ivi  certamente  è  gran  copia  di  Erudizione  Barbarica  ,  e  con 
tai  monumenti  non  fi  può  dire  qual  giovamento  apportar  fi. 
polfa  alla  povertà  de  i  Secoli  rozzi  ;  quando  però  una  fcelta 
fi  faccia  di  quei  che  qualche  novità  od  erudizione  contengo- 
no, e  tutte  le  Scritture  degli  Archivj  non  fi  cavino  fuori  in- 
diftintamente  .  Imperciocché  quelle  ,  che  d'ogni  novità  sfor- 
nite,  cofe  trite,  e  volgari,  e  le  bagattelle  della  privata  gen- 
te 


PREFAZIONE. 

te  foltanto  ci  recano,  e  che  unicamente  fervirebbono  a  cari- 
care, non  ad  erudire  i  Letterati  :  fon  da  lalciare  nelle  fue  te- 
nebre. Il  che  io  intendo  fia  detto  anche  delle  altre  opere  del- 
la mezzana  Età;  moltiflìme  delle  quali  ne  troverai  cosi  piene 
zeppe  di  inezie  ,  o  di  favole  ,  o  di  cofe  tolte  dal  volgo  ,  che 
mal  ufo  della  flampa  farebbe  ,  e  demeriterebbe  col  pubblico, 
chi  Camparle  voleiTe. 

Pertanto  veggendo  anch'  io ,  che  per  chi  vuol  far  viaggio 
per  i  campi  di  cotefta  Erudizione  non  fempre  amena  ,  i  mag- 
giori aiuti  attender  fi  deono  dalle  antiche  Carte  ;  di  quante 
Cittk  Italiane  ho  potuto  ,  mi  fono  meflb  a  rivoltare  gli  Ar- 
chivj,  cola  portatomi  con  quefto  folo  difegno  ;  e  quante  Car- 
te mi  fi  pararon  dinanzi  ,  colle  quali  alcuna  parte  di  erudizio- 
ne rifchiarar  fi  poteffe  ,  copiai,  e  di  elfe  mi  fon  fervito  nel- 
la coftruzione  di  quello  edifizio  .  Moire  ancora  ne  impetrai 
dagli  amici  .  In  oltre  ho  qui  raccolto  quanto  ne  i  Codici  Ma- 
nofcritti  ho  trovato  di  confacente  o  di  utile  a  quefto  vaftilfi- 
mo  argomento  ;  mofib  da  non  lieve  fperanza  ,  che  i  Lettori 
me  ne  fappian  buongrado,  avendo,  anche  per  loro  ufo,  ca- 
vati .dalie  antiche  membrane  ,  difficiliOlime  a  leggerfi  ,  tanti 
pezzi  di  antichità  non  ancor  pubblicati  ,  a  i  quali  ho  accu- 
rato per  r  avvenire  una  vita  più  lunga  .  Finalmente  ho  ag- 
giunto alcuni  Opufcoli  fino  ad  ora  privi  di  luce  ;  come  pu- 
re un  numero  grande  di  Monete  de  i  tempi  di  mezzo  .  Le 
quali  cofe  tutte  ,  quando  F  amor  proprio  non  m'  inganni  , 
fé  non  interamente  rapprefentare  ,  ponno  almeno  leggier- 
mente abbozzare  la  condizione  e  lo  ftato  dell'  Italia  ,  mentre 
ebbero  voga  queicoftumi,  che  da  noi  fogliono  chiamarli  Bar- 
barici ,  perchè  paragonati  colf  eleganza  e  dottrina  de  i  tre  ul- 
timi fcorfi  Secoli  ,  pare  a  noi  che  incolti  fiano  ,  e  la  barbarie 
dinioftrino. 

E  qui  molte  grazie  rendere  da  me  fi  debbono  ai  Nobili  Socj 
Palatini  di  Milano,  i  quali  di  nuovi  benefizj  colmarono  il  loro 
amore  verfodime.  Imperciocché  appena  udirono elferfi  dame 
terminata  queft' Opera,  che  di  farne  fi  efibirono  una  magnifica  e 
corretta  edizione,  nulla  temendo  la  fpefa  di  far  incidere  in  rame 
tante  Monete,  Sigilli,  ed  altri  frammenti  di  Antichità,  e  tante 
Carte ,  per  la  cui  barbarie  uno  maggiore  ftudio  ed  attenzione  ri- 
cercai che  per  i  monumenti  della  elegante  Lingua  Latina;  poi- 
ché 


PREFAZIONE. 

che  in  effe  confervar  con  ogni  premura  fi  debbono  i  Barba- 
rismi ed  i  Solecismi j  e  nulla  s'ha  a  mutar  della  ruggine  di 
que* rozzi  Secoli .  Non  è  quefla  l'ultima  ragione  che  abbiamo 
di  rallegrarci  de  i  noftri  tempi,  ne  i  quali  anche  le  perfone  No- 
bili fi  degnano  di  patrocinare  i  Libri  da  pubblicarfi;  dimodo- 
ché refta  foltanto  a  defiderare  ,  che  la  di  prefente  infingarda 
e  quafì  fonnacchiofa  Italia  di  fue  forze  ornai  faccia  moftra  , 
e  ftampando  buoni  libri  in  maggior  copia  ,  degli  offerti  aiuti 
con  pubblica  e  privata  lode  fi  valga . 


IN- 


INDICE 

DELLE    DISSERTAZIONI 

contenute  in  queflo  Tomo  primo. 

DISSERTAZIONE  PRIMA. 

Delle  smentì  Barbare ,  che  ajfuggettarono  l  Itdta  .  pag.  i 

DISSERTAZIONE   IL 
Del  Regno  d'Italia^  e  de' fuoi  confini,  io 

DISSERTAZIONE    III. 
DellEle^jone  deprimperadori  Romani ,  e  dei  Re  d'Italia .         1 7 

DISSERTAZIONE    IV. 

De  oli  Ujizj  della  Corte  dei  Re  antichi  d'Italia^  e  de  gV  Impera- 

dori .  24 

DISSERTAZIONE   V. 

De  i  Duchi ^  e  Principi  antichi  d' Italia,  34 

DISSERTAZIONE    VI. 
De  gli  antichi  Marchejì  d' Italia .  ^6 

DISSERTAZIONE    VIL 
De  Conti  del  f acro  Pai a-;!:^,  57 

DISSERTAZIONE   Vili. 
De  i  Conti  e  Viceconti  de'  Secoli  barbarici .  ój 

DISSERTAZIONE   IX. 
De  i  MeJJl  Regali ,  0  Jìa  de' Giudici  flraordinarj  •  75? 

DISSERTAZIONE    X. 

De  i  Minijlri  minori  della  Giujìfs^a  ^  cioè  de^  Giudici  ,  Scabini^ 

Seul  da/ci  ^  Ga/ìaldiy  Decani^  Silvani  &c,  87 

DISSERTAZIONE    XI. 

De^  Beni  Allodiali  ,  de'  VaJJì ,  Vajfalli ,  BenefizJ  >  Feudi ,  Ca- 

Jìella7ii  &c,  lOi 

DISSERTAZIONE   XIL 

De  i  Notai  ,  0  Notari .  115 

DISSERTAZIONE   XIII. 
De  gli  Uomini  Liberi ^  ed  Arimanni ,  123 

DISSERTAZIONE   XIV. 
Dei  Servi  y  e  Liberti  antichi*  134 

DIS- 


DISSERTAZIONE   XV. 
Delle  ManumtJJioìù  de  Servi ,  e  de  Liberti ,  Aldii ,  &  Aldiane .  1 61 

DISSERTAZIONE    XVI. 
De*  Giudei  Prefìatori  ad  Ufura ,  Compagnie  di  Soldati ,  Mafnadie- 
ri ,  Lebbroji  &€.   de'  'vecchi  tempi .  175 

DISSERTAZIONE    XVII. 
Del  Fi/co  e  della  Camera  de  i  Re  ^  Vefcovi ,  Duchi ,  e  Marc  he  fi 
del  Regno  d'Italia,  ip^ 

DISSERTAZIONE    XVIII. 
Della  Repubblica^  e  parte  Pubblica  ,  e  de'fuoi  Minijìri  ;  e  fé  le 
Città  d'Italia  avejf ero  anttcamenteComunità  ^  come  oggidì,   203 
DISSERTAZIONE    XIX. 
De^  Tributi ,  delle  Gabelle ,  e  di  altri  oneri  pubblici  de'  Secoli  bar- 
barici .  215 
DISSERTAZIONE    XX. 
De  gli  Atti  delle  Donne,                                                               2^6 

DISSERTAZIONE    XXI. 
Dello  flato  dell'  Italia^  dell'  abboìidaìi^a  di  abitatori^  della  coltura 
delle  campagìie ,  mutaT^one  delle  Città  5  felicità  e  i?if elici tà  de' 
Secoli  barbarici .  249 

DISSERTAZIONE   XXII. 
Delle  Leggi  dell'  Italia  ne'  Secoli  barbarici  ,  e  dell'  origine  de  gli 
Statuti,  270" 

DISSERTAZIONE   XXIII. 
De  i  Cofìumi  de  gì'  Italiani  ^  dappoiché  cadde  in  potere  de*  Barbari 
P  Italia,  2p6 

DISSERTAZIONE    XXIV. 
Delle  Arti  de  gì'  Italiani  dopo  la  declinandone  dell'  Imperio  Ro- 
mano,  346^ 
DISSERTAZIONE    XXV. 
Deir  Arte  del  Teff  ere  y  e  delle  F^efìi  de'  Secoli  ro:^,                 370 

DISSERTAZIONE    XXVI. 
Della  MilÌ7:ia  de'  Secoli  roT^  in  Italia .  40(5" 

DISSERTAZIONE    XXVII. 
Della  Zecca ,  0  del  diritto  0  privilegio  di  batter  Moneta ,        47  3 

DISSERTAZIONE    XXVIII. 
Delle  varie  forte  di  Denari  ,  che  anticamente  furono  in  ufo  in  Ita- 
lia, 58^ 

DÌS- 


DISSERTAZIONI  DI 

LODOVICO  ANTONIO  MURATORI 

SOPRA    LE  ANTICHITÀ'    ITALIANE. 


Delle  genti  Barbare  ,    che  ajfuggett (trono  V Italia, 
DISSERTAZIONE    PRIMA. 

OGGETTO  di  ammirazione  fu  ne  gli  antichi  tempi  Roma , 
quella  Roma,  che  ftefe  l'imperio  fuo,  non  già  fopra  tut- 
ta la  Terra,  come  alcuni  Scrittori  adulatoriamente  Icriffero  una 
volta  ;  ma  si  bene  lopra  gran  parte  delle  tre  parti  allora  cono- 
fciute  della  Terra.  A  tanta  potenza  niuna  era  mai  giunta  del- 
le precedenti  Monarchie  .  Sommo  valore  nell'  armi ,  Prudenza 
non  minore  di  Governo  ,  coftanza  nelle  avverfita,  amor  della 
Gloria,  furono  quelle  cagioni,  che  portarono  a  tanta  efaltazio- 
ne  il  Popolo  Romano.  UnifTì  con  loro  ancor  quella,  che  nomi- 
niamo Fortuna  ,  avendo  trovati  tanti  Popoli  difuniti  fra  loro  , 
difuguali  nel  vigore  e  nella  diiciplina  della  milizia  ,  e  facili  a 
fottometterfi   colla  forza,  o  ad  accettare  la  fervitù  fotto  lo  fpe- 
ciofonome  di  Socii  e  Confederati.  Cangiò  poi  faccia  la  Romana 
Repubblica  con  divenire  Monarchia  ,    e  ciò  non  oftante  gran 
tempo  durò  la  fua  grandezza  pel  fenno  e  pel  valore  di  alcuni 
celebri  Imperadori  ,  che  confervarono  ,  ed  anche  dilatarono  i 
confini  del  Romano  Imperio  .    Ma  in  fine  ,  fecondo  le  umane 
vicende  ,  sì  fmiiurato  Corpo  politico  ,  a  guifa  de'  corpi  femo- 
venti,  rifenti  varie  infermità ,  e  dopo  molte  cadute  e  ricadute 
arrivò  in  fine  a  sfafciarfi  tutto  .  Sul  fine  del  Secolo  Terzo  dell' 
Era  Criftiana  fi  videro  nello  (leiTo  tempo  più  Augufli  e  Cefari 
partir  fra  loro  le  Provincie  Romane  ,  per  eiferfi  creduto  ,  che 
un  Capo  folo  non  baftafie  alla  difefa  e  confervazione  di  tanti 
Stati ,  e  di  sì  lontani  confini  :  quafi  che  una  lunga  concordia 
folTe  un  bene  fperabile  fra  molti  Regnanti  .  Coftantino  il  Gran- 
de ,  primo  fra'  Cridiani  Augulli  ,  fece  conofcere  ,  che  un  folo 
può  tutto,  quando  in  lui  concorrano  tutte  le  prerogative,  che 
formano  un  Eroe.  Però  fotto  il  folo  di  lui  fcettro  fi  vide  riunito 
tutto  l'Imperio  Romano,  ben  regolato  nell'interno,  e  riverito 
Tomo  I.  A  e  te- 


2  Dissertazione 

e  temuto  da  ogni  Barbaro  confìnaate  .  Ma  lo  ì\q(£q  Coftantino 
col  trafportare  a  Bjlanzio,  poi  chiamato  Coftantinopoli,  la  Se- 
dia dell'  Imperio  ,  e  col  partire  tra  i  Figli  il  medefimo  Impe- 
rio, fulla  credenza  òì  fortificarlo  ,  comirK:iò  a  dilporlo  alla  ro- 
vina coir  elempio  Ilio  ,  che  fu  iiiiitato  da'  Succeilori  .  Quefìa 
divifion  di  Stati  feco  portò  ancor  quella  de  gì' in  te  re  (Ti,  e  però 
arrivarono  filialmente  i  Barbari  a  mettere  in  catene  qoafi  tuttty 
l'Imperio  di  Occidente  colle  Provincie  ancQra^^dell' Affrica  . 

Col  nome  di  Barbari  ularono  i  Romani  di  chiamare  "chiun- 
que non  era  fuddito  del  loro  Imperio,  a  riferva  de'Greci,  che 
per  la  loro  Letteratura  e  pulizia  furono  onorati  fempre  da  ogni 
altra  Nazione  .  Che  efii  Barbari  fofiero  anfiofi  di  conquiltare 
l'Italia,  none  da  maravigliarlene.  Anche  oggidì  l'Ambizione, 
cioè  il  prurito  d'ingrandirfi ,  è  un  mantice  continuo,  che  fofìia 
in  cuor  de' Potenti  incitandoli  a  divorare  i  vicini  ,  e  a  llendere 
l'ali  anche  in  lontane  contrade  .  Se  noi  £mno  ,  è  perchè  li  tie- 
ne in  freno  qualche  maggior  Potenza,  o  le  Leghe,  o  la  gelofia 
di  chi  mira  qual  depreffione  fua  l'innalzamento  altrui  .  Viderfi 
i  GaUi  alla  vigilia  di  piantare  fui  Campidoglio  le  loro  infegne; 
ma  ritrovarono  nel  tenue  allora  Popolo  Romano  un  coraggio  , 
che  nelle  perdite  fapea  riforgere  ,  e  ributtare  i  nemici  .  Mag- 
giori fenza  paragone  furono  i  tentativi  de'Cartaginefi  per  ab- 
battere la  già  molto  crefciuta  potenza  Romana  .  Un  Annibale  , 
gran  Capitano,  feco  conducendo  dapertiitto  la  vittoria ,  quegli 
parca,  che  foffe  deflinato  a  metterla  in  ceppi.  Ma  né  egli  fep- 
pe  valerfi  della  fua  fortuna ,  né  i  Romani  giammai  avvilirfi  ;  e 
però  in  fine  andarono  a  finire  i  di  lui  trionfi  nella  fchiavitù  del- 
la propria  fua  Patria  .  Singolarmente  nondimeno  erano  trattati 
una  volta  col  nome  di  Barbari  i  Popoh  Settentrionali  ,  gente 
bellicoia  ,  gente  fiera  .^  Tale  era  il  concetto  delia  bravura  delle 
Nazioni  Germaniche,  che  i  Romani  non  trovavano  il  lor  conto 
afluzzicarle  coli' armi  ,  e  più  in  quelle  parti  attendevano  alla 
difefa,  che  all'offefa.  Perchè  le  Nazioni  Afiatiche,  l'Egitto, 
l'Affrica,  la  Spagna,  e  la  Gallia  godeano  un  Cielo  più  dolce , 
né  la  ferocità  era  toccata  loro  in  retaggio,  più  facile  riufci  al 
Popolo  Romano  di  ftendere  cola  le  fue  conquide  .  Ma  fé  con 
gran  riguardo  e  rifpetto  procedevano  i  Romani  verfo  le  Nazio- 
ni dell'  Aquilone  ,  quefte  all'  incontro  nulla  più  fofpiravano  , 
xhe  di  penetrar  nelle  Provincie  Romane .  Ne  gli  antichi  Secoli 
non  fi  coltivavano  cotanto  le  Arti  e  il  Commerzio  nelle  contra- 
de 


Prima,  3 

de  Settentrionali,  come  poi  cominciò  a  praticarfi  nel  Secolo  VlT. 
e  maggiormente  fi  pratica  oggidì  .  Adocchiavano  que'  Popoli 
le  ricchezze  ,  le  grandioie  fabbriche,  le  delizie  degl'Italiani, 
de' Galli,  e  degli  altri  confinanti  Romani  :  motivi  tutti  d'invi», 
dia,  e  fproni  continui  per  defiderar  di  cambiare  il  proprio  mcn 
felice  pacie  col  più  felice  de'  Popoli  MeridionaH  .  Però  circa 
cent'anni  prima  dell'Epoca  di  Grillo  fi  videro  i  Cimbri,  i  Teu- 
toni, gli  Ambroni  ,  ed  altri  Popoli  Germanici  in  numero  ,  per 
quanto  dicono,  di  trecento  mila,  fenza  contar  le  donne  e  i  fan- 
ciulli, piombare  in  Italia,  e  commettere  in  effa  infinite  ftragi  e 
rapine.  Trovarono  coiì-oro  ciò  che  non  penfavano,  cioè  Mario 
e  Catulo,  Generali  di  i^rmate  di  gran  ienno  e  valore  ,  e  i  fol- 
dati  Romani  fuperiori  in  diiciplina,  e  non  inferiori  incoraggio 
a  qualfifia  Nazione  Barbarica.  Però  quel  gran  nuvolo  di  gente, 
fconfitto  in  più  battaglie  ,  o  colla  morte ,  o  colla  fuga  laiciò  li- 
bera l'Italia  come  prima.  Scatcnaronfi  poi  fotto  gl'Imperadori 
nel  Terzo  Secolo  contro  il  Romano  Imperio  le  Nazioni  Setten- 
trionali,  Franchi,  Goti,  Peucini,  Trutungi  ,  Virtinghi ,  Cel- 
ti, Eruli,  Sucvi,  Sarmati,  Marcomanni,  ed  altri  Popoli  della 
Germania  e  Scitia ,  o  fia  Tartaria .  Buona  fortuna  fu  dell'Im- 
perio, che  regnaffero  allora  Claudio  ed  Aureliano  fortiffi mi  Au- 
gnili. Il  loro  fenno  e  valore  rilpinfe  o  dilTipò  tanti  Barbari;  e 
Probo  lor  Succefibre,  fé  vogliam  credere  a  Vopifco,  fiele  anche 
per  la  Germania  il  dominio  Romano  .  Altri  infulti  fecero  nel 
Qiiarto  Secolo  alle  contrade  Romane  i  Barbari  ;  ma  con  poco 
profitto  e  molto  loro  danno. 

Il  Secolo  Qiùnto  fu  quello,  in  cui  finalmente  cominciò  a 
prevaler  1'  ardire  e  la  fortuna  delle  Barbare  Nazioni  .  Cadde 
l'Imperio  in  mano  di  Principi  timidi  e  diluniti  .  Le  cabbale, 
le  fazioni,  le  prepotenze  fi  accrebbero  nelle  Corti  e  nel  Gover- 
no. Erafi  di  troppo  rilafciata  l'antica  Diiciplina  Romana  ,  ed 
avvezzi  i  Popoli  all'  ozio  ,  e  al  godimento  de'  lor  comodi  ,  ab- 
borrivano  il  duro  melHer  della  guerra  .  Perciò  fu  creduto  ben 
fatto  il  valerfi  de' Barbari  flefu  nelle  Armate  Romane  ;  e  cofto- 
ro  divenuti  pratici  de'paefi  ,  e  fcorta  la  debolezza  de' Romani 
d'allora,  conobbero  non  difficile  il  Taccheggiare,  anzi  il  figno- 
reggiare  le  Provincie  dell'Imperio,  coli' animare  perciò  fegre- 
tamente  1  lontani  lor  Nazionali  a  s\  ricca  preda.  Però  nelfan- 
110405.  ecco  calare  in  Italia  Radagailb  Re  de' Goti  (diedero! 
noitri  nome  di  Goti  a  varie  Nazioni  ,  mafrimamente  alle  prd- 

A     2  ceden- 


^  Dissertazione 

cedenti  dalla  Tartarici  )  con  dugento  mila  armati  ,    che  infera 
immenfi  danni  all'Italia.  Codui  in  Toibana  reflò  Iconfitto  da 
Stilicene;  gran  macello  e  prigionia  fu  fatta  di  fu  a  gente  .  Ma 
non  iflette  molto  a  cangiarfi  fcena  .  Sopravenne  in  Italia  con 
grandi  forze  Alarico  altro  Re  de' Goti  ,  o  fia  delle  Nazioni  Bo- 
reali, che  non  trovando  fé  non  lieve  oppofizione,  prefe  Roma, 
e  le  diede  un  orrido  facco  neU'Anno  40^.    I  Gentili  Romani  , 
che  tuttavia  in  gran  copia,  e  malfmiamente  della  Nobiltà,  abi- 
tavano in  Roma,  fpacciavano ,  provvenir  tanti  mali  dalla  in- 
trodotta ReligionCriiliana,  o  perchè  piìi  non  fi  adoravano  que' 
Dii  ,  che  foltamente  venivano  tenuti   per  difpenfieri  delle  vit- 
torie ;  o  perchè  fi  credea,  che  una  Religione,  ifpirante  l'Umil- 
tà, la  Moderazione,  e  la  Carità,  ammaliafie  l'ardire,  e  toglief- 
fe  quella  ferocia  e  brutalità  ,  che  fuol  rendere  vincitori  i  guer- 
rieri .    Ridicola  immaginazione  ,  fmentita  da  tanti  efempli  di 
ogni  Secolo  polleriore ,  ne'  quali  fi  è  veduto  e  fi  vede ,  fé  le  Ar- 
mate Criftiane  fappiano  trionfare  de  i  lor  nemici  .    Non  dalla 
Religione,  ma  da  altri  poco  fa  accennati  principj  fcaturirono  le 
disgrazie  ,  che  inondarono  in  quel  Secolo  il  Romano  Imperio  . 
Si  aggiunfe  il  gran  diluvio  di  Barbari ,  che  parvero  camminar 
d'intelligenza  per  muoverfi  quafi  tutti  ad  ingojar  le  Romane 
Provincie  :  laonde  non  potè  l'una  parte  dell'  Imperio  porgere 
foccorfo  all'altra  .  Si  videro  terminati  eferciti  di  Goti  ,  Van- 
dali, Alani,  Suevi,  Borgognoni,  fcorrere  ed  anche  filfare  il  pie- 
de per  la  Gallia ,  Spagna  ,  ed  Affrica  .  Attila  con  ifchiere  in- 
nmnerabili  moffo    dalle  contrade  più  remote    del  Settentrione 
portò  un  grave  eccidio  alf  Italia  ,  e  mife  foffopra  le  Gallìe  . 
Genferico  Re  de'  Vandali  ,    cioè  di  una  Nazion  Settentrionale 
giunta  a  divenir  padrona  dell'Affrica  Romana,  tornò  neU' An- 
TiO  455.  a  dare  il  facco  a  Roma.  In  iomma  troppo  terribil  fu 
k  fovverfione  delle  Provincie  ,   di  modo  che  i  Popoli  fpolpati 
da  amici  e  nemici ,  ed  affatto  inviliti ,  offerivano  il  piede  alle 
catene  di  chiunque  veniva  a  conquiftarli. 

Tuttavia  fra  tanti  turbini  fi  foftenne  1'  Italia  anche  per 
qualche  tempo  fenza  foggiacere  al  giogo  de'  Barbari  ,  e  coli' 
avere  i  fuoi  Imperadori,  ma  deboli  ed  incapaci  di  metter  argi- 
ne alla  minacciata  rovina;  finché  nell'Anno  ^y6.  Odoacre  con 
potente  Armata  di  Turcilingi  ,  Eruli ,  ed  altre  Barbare  Nazio- 
ni, s'impadronì  di  Roma  e  di  quafi  tutta  l'Italia,  e  il  primo  fu, 
che  alfumelfe  il  titolo  di  Re  ,  e  formaffe  il  Regno  Italico  ,  con 

filfa- 


Prima.  5 

fiflarc  la  fua  refidenza  in  Ravenna  ,  Citta  per  la  fLia  fituazione 
la  più  forte  allora  di  tutte  l'altre  Italiane  .  Poco  nondimeno 
durò  la  fortuna  di  Odoacre  .  Teodorico  mfigne  Re  de  i  Goti  , 
ottenutane  la  permiffione  da  Zenone  Augu(to  ,  corfe  a  quella 
preda  nell'Anno  48^.  e  in  poco  più  di  tre  anni  di  guerra  bal- 
zò l'emulo  Odoacre  dal  Trono  ,  ed  impadronitofi  dell'  Italia  , 
ftefe  anche  fuori  dell'Alpi  la  iua  fignoria  e  potenza,  e  un  fag- 
gio governo  mantenne  .  Di  quefto  Regno  Gotico  non  erano 
malcontenti  i  Popoli  ,  quando  nelf  Anno  535.  Giuftiniano  L 
Augnilo,  che  già  avea  ritolte  a  i  Vandali  le  Provincie  d'Af- 
frica, fi  avvisò  di  ricuperare  anche  l'Italia .  Non  gli  foffe  mai 
venuta  quefta  voglia  ;  perchè  s'accefe  una  si  afpra  guerra,  che 
durò  fino  all'anno  552.  con  io  fterminio  di  tante  Terre  e  Cit- 
ta, e  coll'aver  fofferto  i  poveri  Popoli  indicibili  angarie  ,  af- 
fanni, e  morti.  Peggio  forfè  fletterò  dipoi  fottoi  Greci,  che 
fotto  i  Goti,  fé  non  che  tornò  tal  mutazione  in  profitto  della 
Rehgion  Cattolica  .  Peggiorarono  da  lì  a  non  molto  le  cofe 
per  l'arrivo  de' Longobardi .  Invogliatafi  quefla  Nazione  del 
felice  paefe  e  Cielo  dell'Italia,  abbandonò  laPannonia,  oggi- 
dì appellata  Ungheria,  e  nell'Anno  5^8.  condotta  dal  Re  Al- 
boino venne  ad  impadronirfi  della  maggior  parte  d'eifaltaha. 
Nacque  allora  il  Regno  Longobardico,  e  Sede  primaria  dei  Re 
divenne  Pavia  .  Non  riufcì  difficile  a  quelli  Barbari  la  conqui- 
lla  di  tanto  paefe,  perchè  preceduta  un'orribil  Pede  ,  ed  una 
crudel  Carefìia  ,  aveano  fpopolate  le  Citta  e  le  Campagne  . 
Troppo  lontani  i  Greci  Augnili  poco  poterono  accudire  a  re- 
primere quello  torrente  .  Vittoriofl  perciò  fcorfero  coiloro  per 
le  Provincie  Italiane  ,  e  chiosò  di  refiflere,  rellò  vittima  del- 
le loro  fpade.  Allora  fu  che  l'Italia  veramente  mutò  faccia. 
Andarono  a  terra  le  bell'Arti;  le  Lettere  più  non  fi  coltiva- 
rono; l'Ignoranza  flefe  l'ali  dapertutto.  Il  folo  mellier  della 
Guerra  quello  era,  di  cui  fi  compiaceva  al  pari  dell'altre  lue 
fimili  quella  Nazione  .  La  rapacità  e  la  crudeltà  accompagna- 
rono quefla  gente  nella  lor  venuta,  e  ne'  primi  tempi  del  loro 
governo.  Ma  da  che  videro  ubbidienti  i  iottomeffi  Popoli  Ro- 
mani, ed  incominciarono  ad  incivilirfi  quelle  barbariche  tefte, 
fuccedette  qui  come  nella  Cina  conquiflata  da  i  Tartari  (fon 
già  più  di  cento  anni  )  cioè  s'introduITe  un  dolce  governo  ,  la 
Giuftizia  tornò  ne' Tribunali,  e  nell'interno  del  Regno  fi  pro- 
vò per  lo  più  un  invidiabil  quiete  .   Quel  folo  ,  che  turbò  la 

tran- 


6  Dissertazione 

tranquillità  di  quefto  Pregno  ,  venne  dal  di  fuori  ,  cioè  dalla 
guerra,  che  per  tanti  anni  durò  fra  effi  Longobardi,  e  il  Gre- 
co Imperio  ,  in  potere  di  cui  erano  rimarti  l'Efarcato  di  Ra- 
venna, il  Ducato  Romano,  e  varie  Citta  marittime  nella  par- 
te ora  chiamata  Regno  di  Napoli.  Né  fi  dee  tacere,  che  fpar- 
fafi  per  la  Germania    la  voce  della  trasmigrazion  de'  Longo- 
bardi ,  fi   molfe  per  atteflato  di  Paolo  Diacono  gran  gente  di 
altri  paefi  ad  accompagnarli  fulla  fperanza  di  participar  della 
preda,  cioè  Gepidi  ^  Bulgari^  S armati^  Pannonìi^  Sueviy  No^ 
r'tciy  ed  altri  di  nomidiverfi.  A  colìcro  toccarono  in  lor  par- 
te per  abitazione  Terre  e  Ville  ,  che  prefero  il  nome  da  effi. 
Popoli  .  Tre  miglia  lungi  da  Modena  abbiamo  la  Villa  di  Ba- 
-zovara^  in  cui  ne' vecchi  Secoli  era  Cartello  .  Bajoaria  vien  no- 
minata ne  gli  antichi  Strumenti  ,  nome  che  denotava  quello  , 
che  oggidì  fi  chiania  Ducato  della  Baviera  .  Da  uno  Strumen- 
to, efirtente  nell'Archivio  del  Capitolo  de' Canonici  di  Mode- 
na, fi  ricava,  che  nell'Anno  1033.   Ligone  Vefcovo  di  Modena 
diede  a  Livello  a  Bonifa^jo  Duca  e  Marchefe  di  Tofcana  Padre 
poi  della  celebre  Conteffa  Matilda  ,  e  a  Rìchtlda  fua  Moglie 
Cortes  duas  jmìs  ipftus  Ep'tfcopio  ,  quibus  fu?ìp  poftie  una  in  lo- 
co^ ubi  dicltur  Clagnano  ^   quod  ejl  Roca  cum  Cajìro  inibì  aben- 
te ,  &  Turrem  cum  Capei! a  inibi  nbente  Ù'c.  Alia  namque  Cur- 
ie Abana  in  loco  ,  ubi  dicitur  Saviìiiano  ,  ftmiliter  cum  Caftro 
hìibi  abente  &c.  All'incontro  erti  Giugali  donano  al  Vefcovato 
di  San  Geminiano  due  Corti,  unam  in  loco  ,  ubi  dicitur  Bajoa- 
ria ^  alia  in  loco  ^  ubi  dicitur  Fojfato  Regi  ^  cum  Cajìro  aduna- 
quaque  Corte  fuper  fé  abetite  ,    &  Capellis  infra  ecdem   Cajlris 
'vel  Cortis  &c.   ma  con  ritenerne  il  Poflertb  a  titolo  di  Livello. 
Sotto  la  Citta  di  Milano,  come  apparifce  dalle  antiche  Memo- 
rie, fi  contava  Ducatus  o  pure  Comitatus  Burgari^.  Qiiivi  pro- 
babilmente abitarono  i  Bulgari  venuti  con  Alboino  ,   giacché 
Burgari  fi  truovano  anche  appellati  .  E  non  è  inverifimile  che 
a  Soave  Terra  del  Veronefe  deifero  il  nome  i  Suevi  chiamati 
Suavi  da  gli  antichi  Scrittori  Italiani  .  Allorché  Odoacre  s'im- 
poHefsò  dell'  Italia  ,  artegnò  la  terza  parte  de  gli  rtabili  Italiani 
a'fuoi  foldati  .  Loro  non  tollero  i  Longobardi  le  terre,  ma  gli 
obbligarono  a  pagare   per  tributo  la  terza  parte  de' frutti,,  che 
fi  ricavavano  dalle  terre.   Ut  tertiam  partem  fuarum  frugum  Lan- 
gobardis  perfolverent  ,    fcrive  Paolo  Diacono  Lib.  IL  Cap.  32. 
Per  tale  aggravio  importo  da  i  Longobardi  a  i  lor  nuovi  fuddi- 

ti, 


Prima.  7 

ti,  è  fembrato,  che  uno  Scrittore  moderno  abbia  voluto  pro- 
ceffarli  di  barbarie  ,  lenza  far  caCo  di  ciò ,  che  io  avea  avver- 
tito ne  gU  Annali  :  cioè  che  i  tanto  lodati  Romani  toglievano 
tante  terre  a  i  Popoli  vinti,  ed  anche  fudditi,  o  per  premiare 
i  foldati,  o  per  fondar  Colonie  ;  e  che  fi  poiTono  mollrar  Po- 
poh  anche  oggidì,  che  pagano  un  uguale  ,  fé  non  anche  fu- 
periore  tributo  ailorPrmcipi. 

Fino  all' Anno  774.  lui  Trono  d'Italia  fi  mantennero  i  Re 
di  Nazion  Longobarda  ;  furono  pofcia  abbattuti,  e  pafsò  la  lor. 
Corona  in  un  capo  più  degno,  cioè  in  Carlo  Magno  Re  de' Fran- 
chi .  Tirava  anche  la  Nazion  de'  Franchi  1'  origine  fua  dalla 
Germania,  e  dopo  effe r fi  impadronita  alcuni  Secoli  prima  delle 
Gallie,  arrivò  in  quelli  tempi  a  fignoreggiar  anche  nell'Italia 
con  fenfibil  vantaggio  de' Popoli,  perchè  governati  con  amore , 
giuflizia,  e  prudenza  da  elfo  Re  Carlo ,  divenuto  pofcia  Impe- 
radure,  e  da' Difcendenti  fuoi  per  piìi  di  un  Secolo.  E  percio- 
chè  quefto  fempre  memorabil  Augnilo  avea  non  le  fole  Gal- 
lie ,  ma  gran  parte  ancora  della  Germania  ubbidiente  al  fuo 
fcettro  ;  però  cominciarono  allora  o  per  cagion  della  milizia  , 
o  per  li  governi  ,  a  praticare  e  fifìfar  le  loro  famiglie  in  Itaha 
non  fola  mente  i  Franchi  ,  ma  eziandio  i  Norici  ,  Turingi  , 
SalToni ,  Alamanni  ,  Suevi  ,  ed  altre  Nazioni  .  Due  Strumenti 
dell'Archivio  Archiepifcopale  di  Lucca  ci  fan  vedere  nell'An- 
no 782.  Adeltruda  Saffoììe  ^  nìicella  dì  Dio  ^  (cioè  Monaca  in 
quella  Cittk  )  Figlia  diAdelvaldo^  che  fu  Re  de'  Sajfoni  Oltra- 
marini  ,  cioè  uno  de'  potenti  Principi  della  gran  Bretagna  ,  o 
fia  dell'Inghilterra,  che  reftò  uccifo  ,  e  cagion  fu  che  la  Fi- 
glia fi  ricove  ralle  in  Italia.  Tempo  venne,  che  anche  il  Mez- 
zo giorno  in  viò  altri  Barbari  a  calpeltare  le  nollre  contrade .  Que- 
fti  furono  gli  Arabi ,  appellati  anche  Saraceni ,  i  quali  dopo 
avere  Uefa  la  lor  dominazione  per  le  Provincie  marittime  dell' 
Affrica,  e  per  la  maggior  parte  della  Spagna  ,  nel  Secolo  IX. 
s'impadronirono  della  Sicilia,  e  giunfero  a  poffedere  molte  Cit- 
ta nella  Puglia  e  Calabria  .  Gran  fatica  fi  durò  a  cacciarli  da 
que'  nidi  ;  e  folamente  nel  Secolo  XI.  tolta  fu  loro  da  i  Nor- 
manni la  Sicilia  fuddetta  .  Sul  principio  del  Secolo  medefimo , 
e  ne'fuITeguenti  anni  ,  provò  la  mifera  Italia  inhniti  guai  per 
le  incurfioni  di  un'altra  Nazione  piìi  fiera  e  barbara  dell'altre, 
cioè  deghUngri,  oUnni,  gente  Tartarica ,  che  avendo  colla 
forza  fottomelìa  la  Pannonia  ,  e  datole  il  nome  di  Ungheria , 

fui 


8r  Dissertazione 

fui  principio  del  Secolo  X.  qiiafi  ogni  anno  calavano  in  Italia, 
per  dare  non  folamente  il  facco  dovunque  giugnevano  ,  ma 
per  mettere  tutto  a  ferro  e  fuoco  .  Grande  e  lunga  calamita 
che  fu  quella ,  maffimamente  nella  Lombardia,  in  cui  fino  la 
Regal  Citta  di  Pavia  reftò  da  que' terribili  mafnadieri  cangiata 
col  fuoco  in  un  mucchio  di  pietre.  Leggefi  in  un  Codice  anti- 
chiffimo  della  Cattedrale  di  Modena  la  leguente  preghiera  a 
San  Geminiano  Veicovo  e  Protettore  delia  Citta  in  teftimoni» 
di  quella  gran  turbolenza. 
--  Confejfor  Chrtjìi  ^  pie  Dei  famuh^ 

O  Gemini ane  ^  exorando  fupplica^ 
Ut  hoc  flagellum ,  quod  meremur  miferi , 
Cc^lorum   Regis  enjadamus  grafia. 
Nam  do6lus  evas  Attila  temporibus 
Portas  pandsndo  liberare  fubditos, 
Nmic  te  rogamus^  licèt  fervi  pejjlmi^ 
Ab  VNGERORUM  nos  defendas  jaculis. 
Patroni  jummi   exorate  jugiter 
Servis  puris  implorante!  Dominum» 
Allora    r  infigne   Moiiiftero  Nonantolano  ,    fondato    nel  Seco- 
lo Vili,  nel  territorio  di  Modena,  da  que' Barbari  venne  dato 
alle  fiamme . 

M  A  in  fine  furono  pafTaggiere  le  fcorrerie  di  coftoro  in  Ita- 
lia ,  né  alcun  di  effi  fifsò  qui  il  piede  .  Neil'  Anno  ^6i.  ebbe 
uno  (labile  principio  la  tuttavia  vigorosi  Signoria  della  Nazioii 
Germanica  ,  in  Italia  ,  mercè  della  Corona  Imperiale  ,  che  il 
Romano  Pontefice  conferì  ad  Ottone  il  Grande,  Re  della  Ger- 
mania :  Di  quefto  governo,  che  fervi  anch'elfo  a  piantar  mol- 
te Famiglie  Tedefche  nelle  contrade  d'Italia,  e  delle  mutazio- 
ni poicia  fopravenute  ,  non  è  qui  luogo  da  trattare  .  Merita 
bensì,  che  fi  rammenti  un'altra  Nazione  parimente  Settentrio- 
nale, che  nel  Secolo  XI.  venne  ad  impoileifarfi  di  una  delle  più 
belle  parti  d'Italia.  Parlo  de'Normanni,  cioè  di  un  milcuglio 
di  gente  ,  ufcito  dal  più  remoto  Settentrione  di  Europa  ,  cioè 
da  que'paefi,  che  ora  chiamiamo  Svezia,  Danimarca,  Norve- 
gia, Littuania,  e  Ruflia  :  tutti  uomini  beftiali,  che  fin  regnan- 
te Carlo  Magno  fi  diedero  ad  efercitar  la  Pirateria  nell'  Ocea- 
no. Che  danni,  che  flragi  inferiffero  quelli  inumani Corfari  nel 
Secolo  IX.  all'Inghilterra,  alla  Frifia  ,  e  più  fenza  paragone 
alla  GaUia,  noo  fi  può  abbaftanza  efprimere.  Penetrarono  an- 
.  .  che 


Prima.  p 

che  nel  Mediterraneo  .  A  loro  fi  attribuifce  la  rovina  della 
Citta  di  Luni,  di  cui  appena  reftano  le  veftigia  ,  e  il  faccheg- 
gio  di  Fifa  ,  e  di  altre  Citta  Italiane  .  Si  quetò  la  rabbia  di 
coftoro  ,  da  che  fui  principio  del  feguente  Secolo  fu  loro  cedu- 
ta nelle  Gallie  quella  Provincia  ,  che  cominciò  ad  appellare 
Normandia .  Guglielmo  il  Conquiftatore  ,  Duca  di  quella  va- 
lorofa  Nazione  ,  fottomife  poi  nel  Secolo  XL  a' fuoi  voleri  l'In- 
ghilterra. Ma  ftupenda  cofa  fu  in  elfo  Secolo  il  vedere  un  pu- 
gno di  que' Normanni,  che  per  accidente  capitato  in  Puglia 
cominciò  ivi  a  far  delle  grandi  prodezze,  e  de  gli  acquifti;  e 
chiamati  cola  dalla  Normandia  altri  compagni ,  giunfe  in  fi- 
ne per  valore  di  Roberto  Guifcardo  ,  e  di  Ruggieri  fuo  Fratel- 
lo ,  a  conquiftar  quafi  tutto  il  Regno  appellato  oggi  di  Na- 
poli, e  tutta  anche  la  Sicilia  .  Un  curiofo  pezzo  di  Storia  Ita- 
liana fon  le  imprefe  de' Normanni  in  quelle  parti  .  Da  quan- 
to poi  fi  è  detto  finora,  fi  può  comprendere,  che  anticamen- 
te lembravano  deftinati  i  Popoli  del  Settentrione  a  foggiogare 
i  Meridionali  .  Gente  feroce  di  animo,  e  robufta  di  corpo ,  che 
a  capo  baffo  andava  contro  chi  gli  fi  opponeva ,  trovava  gran 
facilita  a  fconfiogere  gli  abitanti  del  Mezzo  giorno  ,  parte  ef- 
feminati ,  e  marciti  neli'  ozio  ,  e  tutti  dimentichi  dell'  antica 
militar  Difciplina  .  Ciò,  che  fecero  in  Italia  ,  fi  è  già  veduto» 
Paflarono  a  fignoreggiar  nelle  Gallie  i  Franchi ,  e  i  Borgogno- 
ni; nelle  Spagne  i  Vifigoti  ,  e  Svevi  ;  nell'Affrica  i  Vandali; 
nella  Tracia  ed  lUirico  i  Bulgari  ;  nella  Pannonia  gU  Unni ,  i 
Gepidi ,  i  Longobardi  ,  gli  Ungri.  Erano  i  Turchi  di  Nazione 
Tartara ,  ed  ognun  sa  e  vede ,  dove  fia  arrivata  la  lor  poten- 
za, e  Io  fpirito  conquiflatore.  A  i  Tartari  ancora  riufci  di  con- 
quiflar  l'India  Orientale  con  fondare  l'Imperio  del  Gran  Mo- 
gol ;  e  fuileguentemente  un'  altra  Nazion  di  Tartari  fog^iogò 
e  tien  tuttavia  il  celebre  e  maeflofo  Imperio  della  Cina  .  S'è 
veramente  da  alquanti  Secoli  mutata  la  faccia  delle  cofe  in 
Europa;  pochi  ci  fono,  che  non  facciano  profeffione  dell'ar- 
mi ;  le  Fortezze  fi  mirano  frequenti  :  laonde  gran  tempo  è  , 
che  non  fi  veggono  trasmigrazioni  di  Popoli  ,  né  i  Settentrio- 
nali tentano  di  fcavalcare  i  Meridionali  ;  o  le  tentano  ,  non 
fogliono  durar  le  loro  conquide.  Se  n'ha  da  eccettuare  la  Ruf- 
fia  ,  il  cui  Imperio  per  cura  fpezialmente  dell'immortale  Pie- 
tro il  Grande  è  arrivato  ad  un  auge  di  tanto  credito  e  gran- 
dezza di  dominio  .  E  certamente  le  un  di  fecondo  le  umane 
Tomo  l  B  vicen- 


IO  Dissertazione 

vicende  avrà  da  sfafciarfi  la  vafta  Monarchia  de  i  Turchi,  na- 
ta per  iafciar  andare  in  malora  tanti  bei  Paefl  e  Citta ,  che 
ne' Secoli  antichi  cotanto  fiorirono  :  pare  che  fìa  riferbato  ai- 
la  Potenza  Ruffiana  di  darle  il  crollo . 

Del  Regno  d' Balia  ^  e  de' fuoi  con  finì, 
DISSERTAZIONE    SECONDA. 

COnvien  ora  cercare,  in  che  confifteffe ,  e  fin  dove  ar- 
rivaffe  il  Regno  Longobardico ,  o  fia  Italico .  Riguarde- 
voliffimo  fenza  dubbio  fu  eflb  .  Pavia  ne  era  la  Regia  e  il  cen- 
tro. Dalla  parte  del  Settentrione  fappiam  di  certo ,  chelaCit- 
ù.  di  Trento  colle  fue  adiacenze  era  parte  di  queflo  Regno,  e 
col  tempo  ebbe  il  titolo  di  Marca,  cioè  di  confine  alla  Germa- 
nia. Anche  le  Cittk  di  Bergamo  ,  Brefcia,  Verona,  Vicenza, 
Padova,  Trivigi,  e  Aquileia  benché  diftrutta,  ed  altre  minori 
infien  e  con  tutto  il  Friuli  ,  appartenevano  al  Regno  Itahano, 
e  i  territorj  d'  alcune  fcorrevano  fino  alle  Terre  Germaniche  . 
Verfo  l'Occidente  la  gran  barriera  dell'Alpi  divideva  la  Lom- 
bardia dalla  Francia  e  Borgogna  ,  fé  non  che  Aojìa  (  Augufia 
Pr^e feria  )  in  alcun  tempo  fu  fottopofta  al  dominio  de'  Borgo- 
gnoni :  laddove  il  Tefiamento  di  Carlo  Magno  la  fa  dipenden- 
te dal  Regno  d'Italia.  Verfo  il  Mezzo  giorno  dalla  parte  Oc- 
cidentale il  Fiume  Varo,  come  oggid'i  ,  cosi  anche  anticamen- 
te, divideva  la  Gallia  dall'Italia,  la  cui  prima  Citta  era  Niz- 
za .  Indi  poi  procedeva  il  Regno  per  la  Provincia  oggidì  chia- 
mata le  Ri'viere  di  Genova^  e  una  volta  Li ttus Italie um  ,  Suc- 
cedeva il  Ducato  della  Toicana ,  che  fcorreva  fino  a  i  confini 
del  Ducato  Romano,  cioè  ad  un  tratto  di  paefe,  che  con  Ro- 
ma fempre  fi  mantenne  fedele  a  i  Greci  Augufti  .  Ma  per 
conto  dell'  Oriente  non  furono  gik  cosi  ftabiii  i  confini  del 
Regno  Longobardico  .  Da  quefto  Regno  era  efclufa  Venezia 
colle  fue  Ifole  ,  e  col  territorio  a  lei  fpettante  in  Terra  fer- 
ma. Da  un  Diploma  de' Patti  ftabiliti  nell'Anno  p  8  3.  fra  Ot- 
tone IL  Augufto,  e  Tribuno  Doge  di  Venezia,  da  me  pubbli- 
cato nella  Piena  Efpofizione,  fi  raccoglie,  che  a'tempidelRe 
Liutprando  s'erano  fiffati  i  confini  fra  quel  Ducato  e  il  Regno 
d' Italia  .  De  finibus  (ivi  fi  legge  )  Civitatis  Nova  Jìantimus , 

ut 


Seconda.  ii 

uP  termìrjatiO'^  ^w^  ^  tempore  Llufpraj^di  Regls  faSla  ejl  iute^f 
T nuluctonem  Ducem^  Ò'  Marcellum  Magtjìrum  militum  ^  dein- 
ceps  manere  debeat  ^  tdejì  de  Piavi  ma/ori  ufque  mPlavimJìc' 
Cam*  Però  Andrea  Dandolo ,  che  fu  poi  Doge  di  Venezia  nel 
1342.  nella  fua  Cronica,  da  me  ftampata  nel  Tomo  XII. 
Rer.  Ital.  ne  parla  così  al  Lib.  VII.  Cap.I.  Hk  Paulucius  Dux 
umìàtiam  cum  L'tutprando  Rege  contramt ,  &  paSia  tnter  Ve- 
netos  &  Langobardos  fecit^  per  qua  fibì  &  Populo  fuo  immuni' 
tates  plurimas  acquiji'vìp ,  &  fines  Heraclice  (  dalle  cui  rovine 
forfè  dipoi  Città  nuova^  cum  Marcello  Magijìro  Mtlitum  termi^ 
navit^  videlicet  a  Piave  ma  Jori  ad  Plav'fjellam.  In  un  Diplo^ 
ma  di  Berengario  e  Adelberto  Re  d'Italia,  fpettanre  alla  Ca- 
fa  de' Conti  diCollalto,  troviamo  nell'Anno  p6o.  Cortem  unamy 
qua  fjuncupatur  Lwadift/t ,  jacentem  in  Comitatu  Tarv'tfino  non 
longe  a  Flumine  y  quod  nuncupatur  Piave ,  Il  Du-Cange  nell' 
Appendice  al  GlofTario  Latino  interpreta  Plavim  per  Planitiemy 
citando  in  pruova  di  ciò  la  Cronica  del  Dandolo.  Quell'accu- 
rati (Timo  Scrittore  non  ofTervò,  che  v'era  un  Fiume  di  quefta 
nome.  Di  un'altra  partizìon  di  confini  è  fatta  memoria  in  un 
Diploma  di  Federigo  I.  Imperadore,  conceduto  nell'Anno  1 177. 
a  Leonardo  Vefcovo  di  Torcello ,  con  quelle  parole  :  Cum  Fof- 
fato  ,  quo  flatutus  efl  terminus  tempore  Caroli  inter  Veneticos 
Ù'  Langobardos  ,  unum  caput  exiens  in  fluvio  Siclce  ,  Ù*  aliud 
in  fluvio  Tarfo  .  Abbracciava  la  Diocefi  di  Torcello  Aitino  5 
Citta  ne' vecchi  tempi  smantellata  da  i  Longobardi. 

Da  i  confini  deli'Iftria  venendo  pel  hdo  del  Mare  fino  a 
quei  di  Ravenna  ,  comprefo  anche  Comacchio  ,  a  riferva  di 
alcuni  Luoghi  polli  fra  le  paludi ,  e  appartenenti  al  Ducat» 
di  Venezia,  tutto  quel  paefe  ubbidiva  a  i  Re  Longobardi,  né 
fisa,  chequefli,  eccettochè  con  qualche  icorrena,  penetraf- 
fero  mai  nella  giurisdizione  de'  Veneziani  .  Ma  ne'  tempi  di 
Carlo  Magno  fi  attaccò  un  gran  fuoco  in  quelle  parti ,  per  la 
difcordia  de'  Greci  co  i  Franchi  a  cagion  dell'  Imperio  trasfe- 
rito in  quefli  ultimi,  e  molto  più  per  l'ambizione  di  Pippino 
Figlio  di  elfo  Carlo,  coftituito  Re  d'Italia  nell'Anno  'j^i. 
Intorno  a  quella  guerra  non  fon  meno  in  guerra  gli  Scrittori 
moderni  con  gli  antichi .  Per  quanto  pare  ,  non  fi  dovrebbe 
mettere  indubbio,  che  dopo  l'Anno  800.  i  Franchi  fignoreg- 
gianti  l'Italia  colla  forza  dell'armi  ftendefiero  il  loro  dominio 
neir  Iftria  e  Dalmazia  ,  e  in  alcune  dell'  Ifole  polfedute  da  i 

B    2  Ve- 


J2  Dissertazione 

Veneti'.  Ne  gli  antichi  Annali  de'Franciii  prefìfo  il  Du-Cbefne 
Tom.  II.   pag.  43.  fi  legge  all'Anno  Sod.  Venermn  Villeri  Ò' 
Bentus  Duces  Veìiet'ta  ,    nec  non  &  Paulus  Dux  Jnciera  ,    ^rque 
Donatus  ejusdem  C'roìtatìs  Ep'tfcopus  ,  Legati  Dnlmatiarinn  ,   ad 
prafenfiam  Imperatorts  cum  magnh  donis  .  Et  faHa  e/i  ibi  or- 
binario  ab  Imperatore  de  Ducsbus  Ò^  Popidis  tayyi  Veneti<s ,   quam 
Dalmatica,  Niceforo  Imperador  de' Greci  mandò  pofcia  un' Ar- 
mata navale  ad  recuperandam  Dalmatiam  :  adunque  la  Dalma- 
zia era  fiata  occupata  da' Franchi  .  Nell'Anno  ìeguente  'èo'j' 
Niceta  Ammiraglio  de'  Greci  ,  qui  cum  clajje  fedebat  in  Ve- 
7ìetia  ,  (labili  pace  col  Re  Pippino  ,  e  fé  ne  tornò  a  Coftan- 
tinopoli.  Adunque  Venezia  allora  non  fu  moleftata  da  i  Fran- 
chi ,  e  i  Greci  dovettero  ricuperar  la  Dalmazia  ,  perchè  nel!' 
Anno  805).   ClaJJis  deConJìantinopoli   rììijfa  ^  primo  Dalmatiam  ^ 
deinde  Venettam  appulit ,  Inutile  riufci  lo  sforzo  de' Greci  per 
togliere  Comacchio  a  i  Franchi,  e  per  far  pace  con  loro.  Per- 
ciò nell'Anno  appreffo  810.    il  Re  Pippino,  perfidia  Ducum 
Veneticorum  incitatus  ,    Venetiam  bello    terraque  marique  jujftt 
/tppetere  ;  fubjeHaque  Venetia  ,    ac  Ducibus  ejus  in  dedipionem 
acceptis^  eamdem  Clajfiem  ad  Dalmatica  litora  njnfìanda  mifit , 
Di  quefto  tenore  parlano  anche  tutti  gli  altri  antichi  Annali 
de'  Franchi  .    Vero  è  ,  che  il  Dandolo ,  feguitato  da  gli  altri 
fuffeguenti  Storici  Veneziani ,   niega  quefla  vittoria  de'  Fran- 
chi, e  potrebbe  effere,  che  in  Rialto  ,  componente  allora  prin- 
cipalmente la  Citta  di  Venezia  ,  non  entraflero  l'armi  Franze- 
fi  ;  ma  per  altro  coli'  autorità  di  Storici  tanto  antichi  e  con- 
temporanei non  può  ftare  a  fronte  quella  de' moderni.  Quel 
che  è  certo,  non  reftò  l'inclita  Citta  di  Venezia  a  i  Franchi . 
Per  teflimonianza  d'efli  Annali,  Carlo  Magno  Niciforo  Venetiam 
reddidit  ;  ma  ritenne  in  fuo  potere  Hijìriam  ^  &  Libumiam  ^ 
^tque  Dalmatiam  ^  exceptis  maritimis  Civitatibus^  quns  ab  ami- 
citiam  &  /unóium  cum  eo  fcedus  ,    Cofi/ìantinopolitanum  Impe- 
ratorem  habere  permiftt  .    Eginardo  ne  gli  Annali  annovera  la 
Citta  di  Grado  fra  le  Metropolitane  fottopofte  a  Carlo  M.  Au- 
gufìo.  Che  anche P0//7  Citta  dell'Iftria  ubbidire  allofìefib  Impe- 
radore,  fi  può  raccogliere  dalla  Lettera  XI.  di  Papa  Leone  III. 
Sicché  continuò  il  Ducato  Veneto   ad  effere  fuori  del  Regno 
Italiano  ,  e  ciò  maggiormente  apparifce  dal  precitato  Diplo- 
ma di  Ottone  II.  Auguflo,  in  cui  è  fcritto  :  Ut  funt  e>c  noftro 
fciliceP  jurcy  Paptenfes^  Mediolanenfes  Ù'c.  &  cun^i  in  noftro 

ha- 


Seconda.  ij 

Italico  Repì70  .  £x  prcediBo  ijero  Ducatu  Vencticc  funi  E.i'val- 
denfes  (  oggidì  Rialto  )  Methamaucenfes^  Clugie/ifes  ,  Caputar- 
gelcnfes^c.  Lodovico  II.  Imperadore  Ieri  vendo  nell'anno  871. 
(  come  s'ha  dal  Cardinal  Baronie)  a  Bafilio  Imperador  de'  Gre- 
ci ,  fi  lamenta  per  ejfere  Jlatì  mefjati  in  i [chi  avi  tu  t  Popoli 
della  nojlra  Schiavonia  .  Con  queflo  nome  non  laprei  dire  , 
s'eoli  intendefie  la  Dalmazia.  E  da  gli  Annali  Bertiniani  s'ha, 
che  nell'anno  820.  i  Popoh  della  Camiola  e  Carinthia  fi  die- 
dero a  Buldrico  Marchete  o  Duca  del  Friuli. 

Seguitando  la  fpiaggia  dell'Adriatico,  arrivava  il  domi- 
nio de' Longobardi  fino  a' confini  di  Ravenna,  dove  rifedendo 
gli  Efarchi ,  cioè  i  Minifiri  o  fia  i  Governatori ,  pollivi  da  i 
Greci  Augufii,  davano  il  nome  di  Efarcato  a  parte  dell'Emi- 
lia, e  a  tutta  la  Flaminia  ,  tuttavia  iuddite  del  Greco  Impe- 
rio .  Non  è  mancato  ai  nofiri  di,  chi  ha  voluto  ampliare  l'Eiar- 
cato,  comprendendovi  Piacenza,  Parma,  Reggio,  e  Modena  , 
ma  contro  la  verità.  Di  quelle  quattro  Citta,  e  fino  d'Imo- 
la fui  principio  s'impadronirono  i  Longobardi  .  Maurizio  Im- 
peradore nell'anno  -5po.  collegato  co'  Franchi  ,  ricuperò  Mo- 
dena, Mantova,  Aitino,  Cremona,  ed  altri  Luoghi,  come  cofta 
da  alcune  Lettere  rapportate  dal  Du-Chefiie  Tom.  I.  Script» 
Frane.  Il  Re  Agilulfo  ricuperò  tutto  ,  e  il  confine  de  gh  Sta- 
ti tornò  ad  efiere  fra  Modena  e  Bologna .  Prefero  poi  altri  Re 
Longobardi  X  Efarcato ,  e  refta  tuttavia  in  Bologna  un  monu- 
mento del  dominio  del  Re  Liutprando  in  quella  Citta.  Pippi- 
no  Re  de'  Franchi  fece  un  dono  di  eflb  Efarcato  al  Romano 
Pontefice;  e  perchè  il  Re  Defiderio  tornò  ad  occuparlo.  Car- 
io M.  lo  ricuperò  alla  Chiefa  Romana,  e  conquiftò  per  sé  il 
Regno  d'Itaha.  Abbiamo  il  Tefiamento  di  Carlo  Magno,  che 
chiaramente  accenna  ,  fin  dove  arrivaffe  il  Regno  d' Italia  , 
cioè  :  Ah  ingreffu  laalias  per  Auguflam  Civitatem  ,  Eboréjam  , 
Vercellas^  Papiam  ^  &  deinde  per  Padum  fluvium  termino  cur- 
ventc  ufque  ad  jìnes  Regienjtum  ,  &  ipfum  Kegium  ,  &  Civi- 
tatem Novam  (di  cui  appena  refiano  poche  vefiigia)  atqueMu' 
tinam  ufque  ad  termi nos  SanSli  Petri  .  Aggiungafi  il  Capitola- 
re di  Lottario  1.  Imperadore,  dame  dato  alla  luce  nella  Par- 
te li.  del  Tom.  I.  Rer.  Ital.  dove  quell'Augufto  deputò  Scuo- 
le per  Regni  Italici  Urbes,  Fra  quefie  Citta  fi  contano  Piacen- 
•:^^,  Parrna^  Reggio^  e  Modena»  Né  Adriano  L  Papa  nel!' Epi- 
flola  LIV.  del  Codice  Carolino  ,  né  Agnello  Autore  del  Seco- 
lo IX. 


14  Dissertazione 

Io  IX.  nelle  Vite  de  gli  Arcivefcovi  di  Ravenna ,  annoverando 
le  Città  dell'  Efarcato  ,  parlano  punto  delle  fuddette  quattro 
Città  ,  le  quali  air  incontro  per  tanti  Atti  e  Documenti  de  i 
fulTeguenti  Re  d'Italia  ed  Imperadori  manifeftamente  fi  truo- 
vano  coftitaite  fotto  T  immediato  loro  Dominio  r 

Lasciato  dunque  da  parte  T Efarcato  di  Ravenna,  giugne- 
va  il  Regno  al  Ducato  di  Spolsù  .  Forfè  ne'  primi  tempi  non 
poffederono  i  Longobardi  fé  non  l' Umbria  ,  di  cui  fecero  ca- 
po Spolet't ,  Ma  andando  innanzi,  s'impadronirono  anche  del 
di  qua  dall' Apennino,  con  occupar  Camerino,  Fermo,  ed  al- 
tre Città,  di  maniera  che  poi  fi  formarono  due  Ducati,  l'uno 
di  Spoleti  ,  e  l'^altro  di  Camerino  .  Da  Anaftafio  Bibliotecario 
nella  Vita  di  Papa  Zacheria  fembra  ricavarfi  ,  che  Marfico  ,, 
Forcona,  Balva  ,  e  Penna  foffero  del  Ducato  di  Spoleti  ;  per- 
ciocché Trasmondo  ,  Duca  di  quelle  contrade  ,  ribellatofi  al 
Re  Liutprando  ,  e  confederato  co'  Romani ,  nelf  anno  742. 
penetrò  in  Fines  Ducatus  Spohtini ,  e  fé  gli  arrenderono  Mar- 
jficani ,  &  Forconini  ,  atque  Balvenfes  ,  jeu  Penn^nfes  .  Anche 
Cìvitas  Inter amìienfium  (  non  so  fé  Teramo  o  Terni  )  pofta  era 
in  quel  Ducato  ;  ed  avendo  il  Re  Liutprando  confermati  a  Pa- 
pa Zacheria  i  Patrimonj  della  Sabina  ,  di  Narni  ,  O/imo ,  ^n^ 
€ona  ,  Numana  ,  e  della  Valle  Grande  funata  nel  territorio  dì 
Sutrij  fi  comprende ,  che  di  quelle  Città  egli  era  il  Sovrano, 
e  ch'effe  appartenevano  al  Ducato  di  Spoleti .  Sembra  ezian-^ 
dio,  che  Rieti  ^  Am  i  terno  y  ed  Afcoli  vi  foifero  comprefi  .  E 
che  almeno  una  parte  della  Sabina  efifteffe  in  quel  Ducato  , 
poflìamo  raccoglierlo  dalla  Cronica  Farfenie  da  me  pubblica- 
ta nella  Part.  II.  del  Tom.  IL  Rer.  Ital.  giacché  l'infigneMo- 
niftero  di  Farfa  in  un  Diploma  di  Carlo  Magno  fi  dice  fonda- 
to in  D  tic  atti  Spai  etano  ijel  in  territorio  Sabinenji  .  E  in  un  Pla- 
cito tenuto  da  Guinigifo  Duca  di  Spoleti  un  certo  Goderifio  fa 
querela  contra  di  quei  Monaci  per  avergli  occupato  alcuni  be- 
ni in  Spoleto^  &  Inter amni^  Jeu  Fulginea  :  laonde  Terni  e  Fo' 
Ugno  doveano  elfere  fotto  la  giurisdizione  di  quel  Duca .  Col 
tempo  fembra,  che  il  Ducato  Spoletino  fi  ftendeffe  più  oltre, 
ed  abbracciaffe  anche  la  Pentapoli ,  che  pure  dal  Re  Pippino 
fu  donata  a  San  Pietro .  Rapporta  l' Ughelli  nel  Tomo  IL  dell' 
Italia  Sacra  parlando  de  i  Vefcovi  di  Fermo  ,  uno  Strumento 
dell'Anno  887.  fcritto  per  ordine  di  Teodofio  Vefcovo  di  quel- 
la Città ,  confenfu  conjilioque  omnium  venerabilium  Epifcoporum 

ifì 


Seconda!  15 

in  DUCATU  SPOLETANO  dege?ittum  .  E  quali  erano  que- 
lli Vefcovi?  Johannes  Efculanus  Epifcopus^  Benolergius  Ancontta- 
nm  ^  CelfusCamavtnenJis^  Benevenfus  (  five  Benevenutus  )  5*^- 
nopaUienJts ,  Americus  Spoletanus  ,  Komanus  Fanenfts  ,  Lauren- 
s'tus  Pifaurienfìs^  Koberpus  Numanenjìs  ,  Debaldus  Perujtnus^  Pe- 
trus Auxìmanus ^  Rkardus  Keatintis  ,  Adelardus  Call'tenfts  ,  AU 
bertus  Lodonenjìs  (  forfè  è  nome  corrotto  )  Albertus  Urbinenjts  , 
Severhìus  Nucertenjls  ^  Bartholomcsus  Forolivienjis  .^  RugeriusTe^ 
ramnenjìs  .  Vi  mancano  i  Vefcovi  di  Rimini ,  Foffombrone  , 
ed  altri .  Puoffi  anche  dubitare  di  quel  Vefcovo  di  Forlì.  Co- 
me poi  s'accordino  le  fin  qui  addotte  notizie  col  tefto  di  Ana- 
fìafio  Bibliotecario  nella  Vita  di  Adriano  I.  Papa ,  non  è  facile 
ad  intendere  .  Scrive  egli  donati  da  Pippino  Re  alla  Chiefa  i 
feguenti  paefi  .  A  Lunis  cum  Infila  Corjica  ;  deinde  in  Suria- 
710  ;  deinde  in  Monte  Bardonis  y  deinde  in  Verceto  j  deinde  itt 
Parma;  deinde  in  Regio;  &  exinde  in  Mantua  ^  atque  Monte 
Silicis  ;  Jìmulque  Ò'  univerfim  Exarcbatum  Ravennatium  ,  Ji' 
cut  anticjjuitus  erat  ;  atque  Provinci as  Veneti arum  ,  Ù"  Hijlriamj 
nec  non  &  cun&um  Ducatum  Spoletinum  &  Beneventanum .  Giu- 
fto  motivo  c'è  di  fofpetrar  qualche  interpolazione  nella  nar- 
rativa di  elfo  Scrittore  ,  da  che  ad  una  s'i  magnifica  Donazio- 
ne, che  abbraccia  la  maggior  parte  d'Italia,  contradicono  di 
troppo  le  Storie  e  i  monumenti  dell'antichità. 

A  cAGioN  delle  guerre  ,  che  tanto  tempo  durarono  fra  i 
Longobardi ,  e  i  Greci  dominanti  nell'  Efarcato  e  Ducato  Ro- 
mano, furono  riabiliti  i  confini  noumeno  del  Ducato  di  Spo- 
leti  di  Ik  dall'  Apennino  ,  che  della  Tofcana  de  Longobardi  , 
Abbiamo  da  Paolo  Diacono  nel  Lib.  IV.  Gap.  8.  della  Storia 
Longobardica  ,  che  Patricio  Efarco  di  Ravenna  ricuperò  alcu- 
ne delle  Citta  ,  quce  a  La?igobardis  tenebantur ,  quarum  funt  no- 
mina^ Sutriunjy  Polimartium  y  Horta^  Tudertum^  Ameri  a  ^  Pe- 
rujta  ,  Lueeolis  ,  &  alias  quasdam  Civitates  .  Ma  poco  flette  il 
Re  Agilulfo  a  ricuperar  Perugia  ;  e  un  Secolo  dappoi  il  Re 
Liutprando  rkhheSmriy  benché  appreffo  Io  reftituifie  ai  Ro- 
mani. Racconta  il  Bibliotecario  nella  Vita  di  Papa  Zacheria  , 
che  dal  medefimo  Re  ablata  fi?it  a  Romano  Ducatu  Civitates 
quatuor  ,  idejì  Ameria  ,  Horta  ,  Polimartium  ,  &  Blera  .  Alle 
preghiere  poi  del  Papa  furono  reftituite  quelle  Citta.  Ricavali 
ancora  dalla  Vita  di  elfo  Zacheria,  che  la  Citth  di  Viterbo  era 
comprefa  nella  Tofcana  Longobardica  :   il  che  fa  conofcere  , 

qtiant' 


i^  Dissertazione 

quant'  oltre  aveflero  (telo  i  Longobardi  il  loro  dominio  con 
danno  del  Ducato  Romano.  Ne' monumenti  ancora  della  Cro- 
nica Farfenfe  troviamo,  che  Cornerò  era  in  potere  dei  Duchi 
di  Tofcana  ,  Principi  anch'  eflì  del  Regno  Italico  .  L' infigne 
Ducato  Beìieventano  terminava  effb  Regno  dalla  parte  del  Le- 
vante ,  ftendendofi  da  i  confini  di  Spoleti  per  la  Puglia,  Bari, 
e  Brindifi  ,  fino  a  Taranto  .  Gran  parte  della  Calabria  vi  era 
comprefa.  Napoli,  Gaeta,  Sorrento,  ed  altre  Piazze  maritti- 
me falvatefi  dall'unghie  de' Longobardi ,  continuarono  a  rico- 
nofcere  il  Greco  Imperio  .  Terra  dì  Lavoro  colla  nobil  Citta 
di  Capoa  ,  cominciando  da  Aquino  fino  a  Nola,  e  da  un'altra 
parte  Salerno,  e  il  tratto  di  paefe  continuato  finoaCofenza, 
entravano  parimente  in  quel  Ducato  .  Inforfero  dipoi  guerre 
civili,  e  per  terminarle  Lodovico  II.  Augufto  nell'anno  851. 
fiaccò  da  Benevento  il  Prhictpato  dì  Salerno  ;  e  da  quefto  an- 
cora ,  andando  innanzi ,  fi  divife  il  Principato  dì  Capoa  .  Né 
fi  dee  tacere  ,  che  al  Regno  Italico  talvolta  fu  dato  il  nome 
di  Longohardìa  ,  come  colla  dal  Continuatore  di  Fredegario  all' 
^anno  754.  E  Carlo  Magno  nel  fuo  Teftamento  nomina  Italìam 
qu  ce  ^Longohardìa  die  ttur ,  Ma  ne' tempi  lufTeguenti  col  nome 
di  Lombardia  fu  difegnato  il  tratto  di  paefe,  eh' è  chiufo  dall' 
Alpi ,  e  dall'  Apennino  ,  e  va  fino  a  i  confini  tra  Modena  e 
Bologna  .  Nella  Cronica  Farfenfe  Carlo  il  Calvo  ,  e  Carlo  il 
Groflb  Augufti  confermano  al  Moniftero  di  Farfa  tutti  i  be- 
ni ad  elfo  fpettanti  tam  in  Longohardìa  ,  quam  in  Romania  , 
feu  in  Tu/eia^  &  in  Ducatu  Spoletano  .  Ebbero  in  ufo  i  Greci 
di  chiamar  Longohardìa  quella  porzione  del  Ducato  Beneventa- 
no, che  ne' Secoli  X.  e  XI.  occuparono  a  i  Principi  Longobar- 
di .  Ne  fa  teflimonianza  Leone  Oftienie  nella  Cronica  Lib.  I. 
Cap. 4p.  per  tralafciarne  altre  pruove .  Segui  anche  un'altra 
divifione  del  Regno  Italico  fotto  gli  fteffi  Re  Longobardi,  cioè 
Auflria  fu  chiamato  il  Ducato  del  Friuli,  perchè  all'Oriente 
di  Pavia;  QNeuftrìa  il  refto  della  Lombardia  firettamente  pre- 
fa,  che  giugneva  a  i  confini  del  Regno  di  Francia.  Cosi  i  Re 
di  Francia  divifero  in  due  parti  il  Reame  loro  ,  appellando 
Neujìria  la  parte  Occidentale  ,  ed  Auftrìa  la  Settentrionale  o 
pure  l'Orientale.  Per  la  fi-efla  ragione  l'Auftria  di  oggidì  fu 
COSI  appellata  per  effere  alf  Oriente  della  Baviera  o  Germania. 
Fra  le  Leggi  Longobardiche  preffo  il  Lindenbrogio  la  Vigefima- 
quarta  di  Liutprando  era  così  conceputa  :  Sì  in  IJìrìa^  aut  i?z 

Ali' 


Seconda,  17 

AuJÌYttt  fuertt ,  amhtat  tpfa  pignora  .  Cos'i  in  una  Legge  di 
Pippino  Re  d'Italia  fra  i  Capitolari  del  Baluzio  fi  legge  tam 
in  Aujìria^  quam  in  Iftria  .  Ma  in  vece  d'  Iftria  s'  ha  ivi  da 
leggere  Neujìria.  Scrive  Paolo  Diacono  de  Geft.  Langob.  Lib.  V, 
Cap.  3p.  che  Alachis  Duca  di  Trento  ribellatofi  al  Re  Cuni- 
berto, Per  Piacenti am  in  Auflriam  reditt ,  Perciò  Aquileia  fu 
una  volta  appellata  Città  dell'  Aufìria  ;  e  il  Foro  dì  Giulio  , 
oggidì  Cividal  del  Friuli ,  fi  truova  anch'  effo  chiamato  Ci' 
vitas  AuJlrìóS, 

Deir  Elezione  de  gì'  Imper adori  Romani ,  e  de  i  Re  d' Italia , 
DISSERTAZIONE  TERZA, 

NELL'  Anno  774.  col  mezzo  dell'  armi  Carlo  Magno  in- 
clito Re  de  i  Franchi  acquiftò  il  Regno  Longobardico  ; 
nell'Anno  800.  la  Corona  e  il  Titolo  d'Imperador  de  i  Roma- 
ni .  Han  creduto  alcuni  Eruditi  ,  che  Carlo  non  altro  allora 
acquiftaffe  ,  che  un  nudo  nome  fenz'  alcun  dominio  fopra  i 
Romani,  de  i  quali  nondimeno  s'intitolava  Imperadore  .  Altri 
fono  (lati  di  parere,  ch'egli  con  quella  nuova  Dignità  fi  pro- 
cacciaflTe  non  folo  il  diritto  di  ritenere  il  Regno  Longobardico , 
glk  ufurpato  ai  Greci,  ma  anche  di  legittimamente  occupar 
le  Provincie,  quce  ad  Impcrium  Occidentis  pertinebant ^  a  Gracis 
aut  ab  altis  pojfejfce,  Erant  autem  Apulia^  Calabria  ,  Sicilia  , 
Neapolis^  llliricum^  Candia^  Dalmati  a  ^  Cyclades  Infula .  Cosi 
feri  ve  un  Autore  de'noftri  tempi  .  Quanto  al  primo  punto  ho 
io  abbaftanza  efprelTo  negli  Annali  d'Italia  ciò,  che  credo  con- 
forme alla  veritk  .  E  quanto  al  fecondo ,  un'  ingiufta  preten- 
fione  quella  farebbe  ftata.  Potè  ben  Papa  Leone  III.  e  il  Popo- 
lo Romano  aver  giufti  motivi  di  fottrarre  Roma  e  sé  fteffi  al 
dominio  de'  Greci  Augufti .  Ma  non  già  conferire  ad  alcuno  il 
diritto  di  occupar  tante  altre  Provincie  ,  legittimamente  e  da 
antichifllmi  tempi  poffedute  per  li  Greci  Criiiiani  Augufli  ,  e 
nulla  pertinenti  al  Ducato  Romano.  Infatti  Carlo  Magno  ei 
fuoi  Succeflbri  altro  non  pretefero  ,  fé  non  ciò  ch'era  del  Re- 
gno d'Itaha,  e  ciò  come  Re  d'Italia,  e  non  contitelo  di  So- 
vranità Imperiale.  Né  pure  fembra,  che  il  Regno  d'Italia  di- 
pendeiTe  punto  dall'autorità  Imperiale.  L'avea  acquiftato  Car- 
Tomo  I,  C  lo 


ì8  Dissertazione 

io  Magno,  e  ne  invertì  Pippino  fuo  Figlio,  ma  con  ritenerne 
la  Sovranità  prima  di  eflere  Imperadore .  Altrettanto  fece  Lo- 
dovico Pio  nel  creare  Re  d'  Italia  Bernardo  .  Qiiel  che  è  cer- 
to ,  ninna  autorità  competè  mai  a  i  Re  d'Italia  fopra  Roma. 
Da  Lottario  I.  Aiigufto  fu  creato  Re  d'Italia  Lodovico  IL  fuo 
Figlio  ,  ed  inviato  a  Roma  ,  acciocché  per  maggior  onore  ne 
ificevefìTe  la  Corona  dalle  mani  del  Romano  Pontefice  Sersio  F^ 
Coronato  che  fu  quello  Principe  ,  pretefe  ,  che  i  Romani  gli 
giuraflero  fedeltà  .  Ecco  ciò ,  che  ne  riferifce  Anadafio  .  Tunc 
petìeru?it  Fr^nc't  ,  up  omnes  Primapes  Roma?2Ì  fidclìtatem  ipji 
Hludo^j'tco  Regi  per facrame?2tum promitterem :  quod pntdennjjimus 
Tonùfex  fieri  nequaqiiam  concejftt ,  Per  efTere  divenuto  Re  u'Ita- 
lia  il  giovane  Lodovico  ,  certamente  niun  diritto  avea  confegui- 
to  fopra  di  Roma;  laonde  il  faggio  Pontefice  perni  ite  folamente, 
che  fi  preftalTe  ,  o  confermaffe  quel  Giuramento Zv^j^/^^r/o  ^^^w- 
y?o,  cioè  a  fuo  Padre  .  Il  Giuramento  di  fedeltà  non  fi  prelTa, 
fé  non  a  chi  è  mediatamente,  o  immediatamente  Sovrano. 

Resta  ora  da  cercare ,  fé  per  elezione  o  fucceffione  palfaf- 
fero  r  Imperio  e  il  Regno  d'  Italia  ne  i  Difcendenti  o  altri 
Succefì'ori  di  Carlo  Magno.  Per  quello  che  riguarda  il  Regno 
Itahano  ,  giacché  1'  avea  conquiflato  elio  Carlo  colf  armi  ,  e 
fenza  dipendenza  da  alcuno,  l'avea  perciò  fecondo  il  diritto 
delle  Genti  renduto  Ereditario  nella  fua  Famiglia  ;  e  in  fatti 
pervenne  liberamente  a  i  fuoi  Figli  e  Nipoti  .  Per  conto  poi 
del  Romano  Imperio,  han  creduto  Ermanno  Conringio  ed  al- 
cuni altri,  che  ancor  quello  paffalTe  per  eredità.  Ha  biiogno 
di  correzióne  e  limitazione  una  tal  Sentenza  .  Nello  (lelfo  Re- 
gno di  FVancia  doveano  fuccedere  i  Difcendenti  dal  Re  Pippi- 
ViO  ;  e  pure  non  fuccedeano  quelli  fine  eleHìone  &  conj'enfu 
PopuU  Franaci:  Molto  più  ciò  dovea  praticare  per  l'Impe- 
rio, il  quale  per  Elezione  era  entrato  nella  Cafa  di  Carlo  Ma- 
gno .  Pare  veramente ,  che  i  di  lui  Difcendenti  vi  acquilìaffe- 
ro  qualche  diritto  ;  ciò  non  oftante  vi  fi  richiedeva  il  confen- 
fo  degustati,  e  maflimamente  del  Romano  Pontefice.  Allor- 
ché elfo  Carlo  volle  trasmettere  F  Imperio  in  Lodovico  Pio  fuo 
Figlio  ,  per  atteflato  della  Cronica  Moiffiacenfe  ,  convocò  la 
Dieta  de  omni  Regno ^  ^vel  Imperio  fuo.  Et  con'venerunt  Epif co- 
pi ,  Abhates ,  &  Comites ,  (D'  Senatus  Francorum  ad  Imperatorem . 
In  quell'occafione  il  faggio  Monarca  hahuit  confilium  cum pra:- 
fatis  Epifcopis  ,  &  Abbatibus  ,  &  Comitibus ,  Ò'  Majoribus  nata 

Vran- 


Terza*  ip 

Francorum  ,  ut  co}ìJìituerie?it  filluìn  fuum  Ludc'-jtcum  Regem  & 
Imperatorcm,  Altrettanto  s' ha  da  Tegano  Storico,  le  cui  paro- 
le fon  quelle  :  Cum  omni  esercitila  Eplfcopis^  Ahhmbus  ^  Da- 
cibus  ^  Comitìbiis^  Locopofttis^  hnbuit  gra-ndecolloquìum  cum  eis 
j^quisgra?ìo  Palatio  ,  ìnterrogans  omnes  a  ìnax'mio  ufque  ad  mi~ 
nhnum^  fi  eh  placmjfet^  ut  ?iomen  Jtmm  .^  ideft  Imperatorìs  ^  fi- 
l'to  fio  Lude'wko  tradidìjfet ,  Dello  fteflb  tenore  parla  Eginar- 
do  nella  Vita  di  Carlo  Magno.  Che  a  quella  Dieta  intervenijC- 
fé  qualche  Inviato  del  Papa,  è  affatto  verifimile,  dante  l'ave- 
re quelf  Augufto  invitati  cola  i  Primati  ds  oìmii  Regno  vel  Im- 
perio^ e  l'occorrere  più  il  confenlo  del  Romano  Pontefice,  che 
de  gli  altri  Principi  .  In /atti  Lodovico  Pio  non  credette  com- 
piuta l'efaltazione  fua  all'Imperio ,  finché  non  ne  ricevette  la 
Corona  dall\;  mani  di  elio  Pontefice  :  al  qual  fine  chiamato  in 
Francia  Papa  Stefano  IV.  da  cui  fu  coronato  con  quella  fo- 
lennita,  che  vien  riferita  da  gli  Storici  contemporanei,  e  par- 
ticolarmente Ermoldo  Nigello  nel  Poema  da  me  dato  alla  lu- 
ce. Parimente  Lodovico  Pio  nel  voler  creare  fuo  Collega  il  fi- 
glio Lottario  ,  imitò  l'efempio  del  Padre  ,  Nella  Vita  di  Wal- 
la  Abbate  prelfo  il  Mabillone  ne  gli  Atti  de' Santi  Benedetti- 
ni, elfo  Lottano  così  parla  all'Auguro  fuo  Padre:  Me  Coti" 
forte'm  tot'tus  Imperli  Celfttudo  'vejìra  una  cum  Voluntate  Popu- 
li  conflituit  .  Lo  ripete  con  dire  di  eflere  ftato  colfituito  Sue- 
cejforem  totius  Monarchice  cum  Voluntate  &  ConJe?ifu  omnium  . 
E  che  l'aflenfo  del  Romano  Pontefice  fi  richiedelfe  fopra  tutto , 
apparifce  dal  vedere,  ch'egli  non  alfunfe  il  titolo  d'Impera- 
dore  ,  fé  non  dopo  la  Coronazione  Romana  :  il  che  fi  dee  cre- 
dere offervato  anche  da  Lodovico  II.  di  lui  Figlio. 

Passato  che  in  a  miglior  vita  queiìo  Augulto  fenza  lafciar 
prole  maichile,  allora  il  Romano  Pontefice,  e  i  Principi  Italia- 
ni pretcfero,  che  folo  ad  efli  apparteneffe  l'elezione  dell' Im- 
peradore  e  del  Re  d'Italia  .  Cario  Calvo  fu  quegli,  che  a  for- 
za d'oro  e  di  regali  riportò  il  pallio .  Nel  Concilio  tenuto  in 
Pavia  l'anno  875.  moiri  Velcovi  e  l^rincipi  fecoiari  d'Italia  , 
narrata  prima  1'  elezione  di  lui  in  Imperadore  fatta  da  Papa 
Giovanni  Vili,  anch'efli  per  la  parte  loro  l'eleggono  e  confer- 
mano colle  feguenti  parole  :  Nos  unanimiter  njos  Proteóìorem  , 
Dominum  ^  ne  Defenforem  omnimn  noftrum  elipìmus.  Dopo  elfo 
Carlo  Calvo  ,  e  Carlomanno  ,  allorché  fi  trattò  di  una  nuo- 
va elezione  ,   inlorfero  dilpareri   fra  elfo  Papa  Giovanni ,   ed 

C     2  An- 


2Ò  Dissertazione 

Anfperto  Arcivefcovo  di  Milano  .  Pretendeva  l'Arclvefcovo  , 
che  a  lui  fpezial mente,  come  primario  Principe  del  Regno  d' 
Italia,  appartenefle  di  eleggere  eflb  Re.  All' incontro  infifteva 
il  Papa,  che  fenza  l'afìTenio  fuo  non  fi  potelTe  eleggere  un  Re, 
che  iecondo  la  confuetudine  di  allora  avea  poi  da  effere  Im- 
peradore  .  De  nevi  Regìs  elezione  (cosi  fcriveva  efib  Pontefi- 
ce nell'Anno  87^.  ad  Anfperto  neli'Epifl:.  155.  )  ut  oìmies  pa- 
riter  co?ìJìderemus  ,  vos  prcedi&o  tempore  ^dejfe  'valide  oportet  ; 
&  ideo  antea  nullum  absque  nojìro  Confenfu  Regem  debetis  veci- 
pere,  Nam  ipfe ^  qui  a  7ìobis  ejì  ordÌ77ar2dus  in  Imperium  ^  a  nobis 
primum  atque  potijjtmum  debet  effe  'vocatus  atque  ele6lus  .  Fu 
poi  eletto  Re  d'Italia  nell'Anno  iuddetto  Carlo  Graffo ,  o  fia 
il  Groffo ,  che  tardò  poi  non  poco  a  riportare  dal  Pontefice  la 
Corona  Imperiale.  Dopo  la  morte  di  lui  gran  guerra  fu  in  Ita- 
lia fra  due  gaghardi  Competitori.  Secondo  gli  Annali  di  Metz 
preffo  il  Du-Chefne  ,  ^udsdam  pars  Italici  Populi  Berengarium 
jìlium  Eberhardi ,  qui  Ducatum  Foro/ulianorum  tenebat ,  Kegcrit 
ftbi  ftatuunt  .  Fu  eletto  da  un'  altra  fazione  Guido  Duca  di 
Spoleti ,  ed  effendo  reftate  fuperiori  l'armi  di  lui,  in  una  Die- 
ta di  Pavia  fu  egli  folennemente  eletto  Re  .  Leggonfi  quegli 
Atti  nella  mia  Differt.  III.  Tom.  I.  Antiquit.  Ital.  medii  svi  , 
probabilmente  fpettanti  all'Anno  78^.  Ivi  dicono  que' Vefco- 
vi  :  Decrevimus  uno  animo  ^  eademque  jententia^  prcdfatum  ma- 
gnanimum  Principem  Widonem  ad  protegendum  &  regaliter  gu- 
bernandum  nos^  in  Regem  &' Seniorem  (Signore)  nobis  eligere^ 
&  in  Regni  fajìigium  Deo  miferante  prdejicere  &c.  Arrivò  poi 
Guido  alTrono  e  alla  Corona  Imperiale  folamente  nell'Anno  8^1, 
Che  Lodovico  II.  Re  di  Provenza  fofie  anch'egli  eletto  Re  d'Italia 
da  i  Magnati  di  quello  Regno  ,  ne  fiam  certificati  da  un  fuo 
Diploma  e  da  me  dato  alla  luce  ,  e  conceduto  a  Pietro  Ve- 
fcovo  di  Arezzo  IV,  Idus  Oólobris  Anno  Incarn.  Domini  DCCCC, 
dove  egli  ufa  quelle  parole  :  Venientibus  nobis  Papiam  in/acro 
Palatip^  ibique  Elezione  ^  Omnipotentis  Dei  difpojitione  ^  inno- 
bis  ab  omnibus  Epifcopisj  Marcbionibus^  cunólisque  item  majoris 
inferiorisque  perfona  ordinibus  faóla  &c.  Sembra  da  gli  Atti  fud- 
detti  ,  che  i  Principi  d'Italia  eleggeflero  allora  il  Re,  fenza 
voler  dipendere  dairaffenfo  del  Romano  Pontefice  .  Che  anche 
Rodolfo  Re  di  Borgogna,  ed  Ugo  Duca  di  Provenza  nella  ftefia 
maniera  fodero  portati  nel  Secolo  X.  al  Regno  d'Italia,  feni- 
bra  ben  verifimile  .  Anzi  di  Ugo  così  fcrive  Liutprando  Sto- 
rico : 


Terza.  21 

rico  :  Perei f US  venh-  Papìam  ,  cunBisque  connlventthus  Kegnum 
fufceptP  ;  cioè  neli'Anno  p25.  Lo  lìeiTo  fegui  di  Lottano  ino 
Figlio  .  Di  Berengario  IL  e  Adalberto  cosi  fta  Icritto  in  una 
Cronichetta  da  me  Rampata  ne  gli  Anecdoti,  e  nel  Tomo  IV. 
Antiquit.  Ital.  Die  Dotniritco  XV.  die  Decembris  in  Bafdica  San^ 
Hi  Mic/jaelis  ,  qu^e  dicitur  Major  (  in  Pavia  )  fuerum  EleBi  & 
Coronati  Berefigarius  &  ^dnlbertus  filius  ejus  in  Regibus, 

Passo'  poi  la  Corona  d' Italia  in  Ottone  il  Grande  ,  eletto 
anch'  eflb  a  queflo  Regno  ,  e  pofcia  decorato  anche  di  quella 
dell'  Imperio  .  Odafi  Landolfo  feniore  ,  che  nel  luddetto  To- 
mo IV.  alLib.II.  COSI  ne  favella:  WalpertusMediolanenfts  Ar- 
cbiepifcopus  5  convocatis  Epifcopis  ,  Ducibus  ,  omnibusque  Italia- 
Primatibus  ,  de  fupcrbia  Alberti  (  cioè  del  Re  Adalberto  )  con- 
quejìus  efl  .  Igttur  fpreta  Alberti  ac  totius  fine  genti s  fuperbia  , 
qui  Italiam  quaji  ancillam  dominabantur ,  Otto  ab  Omnibus  in 
Regem  magnis  cum  triumphis  Eleóius  &  jublimatus  efl  .  Che 
anche  Ottone  IL  fuo  Figlio  fofle  promolfo  al  Regno  Itahco 
per  elezione  de' Principi  Italiani,  fi  può  arguire  dall' efiere  di- 
verfe  le  Epoche  da  lui  ufate  del  Regno  Germanico,  e  dell'Ita- 
liano. Secondo  Sigiberto  ,  e  per  atreftato  del  Continuatore  di 
Reginone  nel  di  di  Pentecofte  dell' Anno  p^r.  egli  fu  eletto  Re 
di  Germania.  Confenfu  &  unanimitate  Regni  Procerum  ,  totius- 
quePopuli^  Filius  ejus  Otto  Rex  eligitur ,  Ma  ficeome  ho  io 
ofìervato  nel  Cap.XVI.  della  Parte  I.  delle  Antichità  Eftenfi, 
l'Epoca  del  Regno  d'Italia  per  lui  ebbe  principio  circa  fette 
mefi  dappoi:  il  che  fa  conofcere,  che  non  era  peranche  uni- 
to quefto  Regno  col  Germanico.  Altrettanto  pofiìam  credere, 
che  feguifTe  di  Ottone  IH.  figlio  del  Secondo,  perchè  la  San- 
ta Imperadrice  Adelaide  Avola  fua  trattava  i  fuoi  affari  in 
Italia;  e  fappiamo,  che  Giovanni  Arcivefcovo  di  Ravenna  con 
Viligiio  Arcivefcovo  di  Magonza  il  coronò  in  Aquisgrana  . 
Mancò  fenza  figli  Ottone  III.  nell'Anno  1002.  e  faltò  su  Ar- 
doino  Marchefe  d'Ivrea,  che  fi  fece  eleggere  Re  dalla  fua  fa- 
zione. Odafi  Arnolfo  Storico  Milanefe  di  quel  Secolo  nel  Lib.I. 
Cap.  12.  Tunc  Ardoinus  quidam  ,  nobilis  Hipporegice  Marchio  , 
n  Langobardis  Papice  eligitur.  Ma  poco  durò  quefto  Fenomeno;, 
perciocché  Arrigo  Re  di  Germania  calato  con  grandi  forze  in 
Italia,  gli  diede  una  rotta ,  e  per  tefiimonianza  d'efib Storico, 
Rex  flatim  eleElus^  fuoque  pofl  tempore  Imperator  effeólus  efl- 
Fu  egli  il  Primo  tra  gflmperadori  di  quello  nome,,  e  Princi» 


21  Dissertazione 

pe  Santo  .  Parla  deli'  elezione  di  ini  in  Re  fatta  in  Roncaglia 
da  Arnolfo  Arcivefcovo  di  Milano,  e  da  i  Primati  del  Regno  , 
anche  Landolfo  feniore  altro  Storico  xMilanefe  di  quel  Secolo; 
e  con  lui  va  d'accordo  anche  Ditmaro  nelLib. IV\  della  fua 
Cronica . 

Sicché  fino  a  quelli  tempi  fi  vide  confervato  ne'  Principi 
d'Italia  il  diritto  di  eleggere  il  proprio  Re  .  Né  lo  perderono 
effi  nell'elezione  di  Corrado  il  Salico  fucceduta  neh* anno  1024. 
Wippone  Storico  di  que'  tempi  fcrive  ,  che  furono  invitati  a 
quella  Dieta  non  folamente  i  Principi  della  Germania,  ma  an- 
che d'Italia.  Itali  am  tranfeo  <^  die' egli,  cnjus  Prìnctpes  ì?i  bre^ 
*vi  convenire  ad  Reg'tam  Eleólionem  nequiventnt  .  ^u't  pojìmo- 
dum  hi  Urbe  Conjìatip'tetjji  cum  Arcb'tepifcopo  Mediolane7jJì  0" 
yeliquis  Fr'tmtpibus  occurrentes  Regi ^  fui  effeHi  funf^  &  ei  ji- 
àelitcttem  l  ih  enti  animo  juranjerunt: ,  Criftoforo  Geroldo,  che  nel 
fuo  Trattato  de  EleHcratu  fi  sforzò  di  provare  iftituito  fotto 
Ottone  IIL  Augnilo  il  Collegio  de  i  fette  Elettori  ,  dovea  far 
iiientv:  a  quetio  pafib  affai  chiaro  di  Wippone  contrario  a  i  di 
lui  f-ntinicnti.  Che  i  Principi  d'Italia  concorreiTero  all'Elezio- 
ne del  Re  anche  ne'  tempi  fuffeguenti ,  fi  può  conofcere  da 
quello  di  Federigo  I.  Barbaroffa.  Ottone  Vefcovo  di  Frifinga, 
e  nobile  Storico,  riferendo  gli  atti  di  effo  Federigo  fuo  Nipote 
Lib.  IL  Cap.I.  de  Geft.  Frider.  fcrive  cos\  :  In  Oppido  Franco- 
nofurti  de  tam  immenj a  Tranf alpini  Regni  latitudine  ^  waiverfum 
{^yyìirum  diHu^  Principum  robw  y  non  Jine  quibusdam  ex  Italia 
Baronibus ,  tamquam  in  unum  corpus  coadtmari  potuit .  Ubi  quum 
de  Eligendo  Primates  co?7Jiiltarent  :  nam  id/uris  Romani  Imperli 
itpex  ,  vi  delie  et  non  per  janguinis  propaginem  defcendere  ,  fed 
per  Principum-  EleHionem  Reges  creare ,  fibi  tamquam  ex  Jin- 
gulari  prerogativa  &c,  Veggafi  ancora  ciò  ,  che  iafciò  f^ritto 
Amando  Segretario  di  elfo  Federigo  nel  Libro  de'  primi  Atti 
d'efib  Re,  rapportato  dal  fuddetto  Geroklo  .  Anno  MCLIL 
(  die'  egli  )  multi  illujìres  Heroes  ex  Lombardia  ,  Tufcia  ,  Ja^ 
nuenG  y  <&  aliis  Italia  dominiis  j  ac  major  &  potior  pars  Prin- 
cipum in  Tranf  alpino  Regìia  y  convenerunt  i?2  Urbe  Fra  ncofurtenjì , 
Polcia  aspiusne,  che  con  voti  concordi  conientirono  tutti  nelL' 
Elezione  di  Federigo  fuddetto.  Il  perche  con  pm  riguardo >po- 
tea  (crivere  Ermanno  Conringio  de  Fmib,  Impera  Germ.  Li- 
bro li.  Cap.  ip.  §.28.  Huc  facit^  qund  Italia  omnem  p(Sne  pò- 
tejlatcm  Cafaris  aut  Regis  conjìituendi  y    adeoque  ejus  y   qui  Ò' 

Ita- 


Terza.  23 

halls  omti'tbus  imperandi  jus  habcat ,  unì  Germania  cifra  otmiem 
controverftam  numquam  non  conceffer'tt ,  ex  quo  ah  Ottone  futt 
devila.  Cosi  è  oggidì,  ma  non  cosi  fu  ne' vecchi  Secoli.  Ef- 
fendo  crefciuta  in  Italia  la  potenza  delle  Citta,  abbattuti  i  Ve- 
fcovi  ed  altri  Potenti ,  non  fi  pensò  piìà  a  concorrere  all'elezio- 
ne del  Re*  ma  quel  che  fu  coftituito  in  Germania,  fu  anche 
ricevuto  da  gl'Italiani.  Cosi  col  tempo,  per  ifchivar  le  dif- 
fenfioni  di  tanti  Principi,  fu  rimeflb  a  i  fette  principali  Princi- 
pi della  Germania  il  diritto  di  eleggere  il  Re  d'effa  Germania, 
e  infieme  dell'Italia.  Né  fi  dee  onimettere,  che  concorrendo 
una  volta  i  Vefcovi  ed  altri  Principi  alla  Dieta  di  Pavia  per 
quivi  trattare  de  gli  affari  del  Regno,  ognun  di  elfi  pofTedeva 
ivi  Cafa  e  Chiefa  propria  .  L'Aulico  Ticinefe  nel  fuo  Opufcolo 
ile  Laudib.  T apice  circa  l'Anno  1330.  fcriveva  :  Temporibus 
hongobardorum^  Jicut  fertur  y  ìllic  omnium  partium  ìllarum  Ept- 
[copi  congregabantur  ad  Sj/nodum  :  unde  &  ad  bue  funt  ibi  Ca- 
pelli quamplures  'uocatts  muharum  Civitatum  Longobardics  no- 
minibus  .  Fra  1'  altre  Chiefe  ivi  era  quella  di  San  Geminiano 
Vefcovo  e  Patron©  di  Modena  ;  e  però'  s'intende 5  eh' effa  do-' 
vea  appartenere  al  Vefcovo  di  quella  Citta. 

Per  conto  della  Dignità  Imperiale,  e  del  titolo  d'Impera- 
dor  de' Romani ,  chiara  cofa  fi  truova  in  tanti  Secoli  addietro, 
che  apparteneva  al  folo  Romano  Pontefice  di  conferirlo  ;  e  fic- 
come  abbiam  detto  di  fopra,  niun  Re  di  Germania  o  d'Italia 
anticamente  prefe  il  nome  d' Imperadore,  fé  non  da  che  ve- 
niva non  folamente  approvato,  ma  anche  coronato  da  i  Papi , 
Non  è  già  ,  che  chiunque  arrivava  alla  Corona  del  Regno  d' 
Italia,  non  pretendelTe  di  ricevere  quella  ancora  dell'Imperio; 
ma  ci  fa  vedere  laS^^ria,  che  feppero  vigorofamente  i  Papi 
confervare  in  ciò  la  propria  autorità  e  diritto,  di  modo  che  fi 
truovano  Re  d'Italia,  che  mai  non  furono  Imperadori  ;  ed 
altri ,  che  dopo  aver  confeguito  quello  Regno  dovettero  afpet- 
tar  non  poco  a  confeguire  l'altra  più  luminofa  Dignità,  per- 
chè non  vi  fi  arrivava ,  fé  non  fi  guadagnava  l'affetto  e  con- 
lenfo  del  Pontefice  Romano  ,  a  cui  toccava  il  dare  la  Corona  ; 
e  fenza  di  quella  niuno  fi  attribuiva  il  titolo  d' Imperadore  . 
Coli' andare  degli  Anni  fi  fon  bene  mutati  i  coflumi  e  gli  affa- 
ri .  Ancorché  foffero  diverfi  una  volta  i  titoli  de  i  Regni  Ger- 
manico ed  Italico ,  pure  dal  primo  miriamo  afforbito  il  fecon- 
do. Tempi  vi  furono,  ne' quali  fenza  l'approvazione  de' Papi 


né 


24-  Dissertazione 

né  pure  un  eletto  Re  di  Germania  fembrava  ficuramente  alza- 
to a  quel  Trono .  Vennero  altri  tempi ,  e  con  più  franchezza 
i  Tedefchi  fecero  quefto  pafìfo  .  S' introdufle  il  chiamare  Re 
de'  Romani ,  anzi  Komanorum  Kex  Ù'  femper  Augujìus^  chi  né 
pure  avea  ottenuta  la  Corona  Imperiale  Romana  ;  e  finalmen- 
te Maffimiliano  Primo  introduce  il  titolo  ài  Romanorumlmpe- 
rator  eleóius ,  che  dura  tuttavia  .  Ha  più  di  duecento  anni , 
che  niun  de  gl'Imperadori  s'è  voluto  incomodare  per  prende- 
re le  Corone  Longobardica  e  Romana,  perfuafi  forfè,  che  que- 
fto difpendiofo  onore  corti  troppo  caro  ad  efll  ,  e  a  i  Popoli  , 
ed  altro  non  frutti  che  frondi  e  foglie.  Ben  diverfo  era  il  fen- 
timento  de' vecchi  tempi  .  L'ordine  con  cui  fi  coronavano  una 
volta  i  Re  d'Italia  ,  fu  da  me  dato  alla  luce  nel  Tomo  II.  de* 
miei  Anecdoti  Latini .  Similmente  l'ordine  adoperato  nella  Co- 
ronazione de  gì'  Imperadori ,  è  flato  da  me  pubblicato  nella 
Dilfert.III.  Antiquit.  Ital. 

De  gli  Ufi  tJ  della  Corfe  de  i  Re  antichi  d' Itali  a  y 

e  de  gì  Imperadori, 

DISSERTAZIONE    Q^UARTA. 

AGHI  tratta  delle  Antichità  Romane,  e  de  gli  Ufizj  ufati 
nella  Corte  degli  antichi  Romani  Imperadori,  non  man- 
cano buone  miniere  d'Erudizione  per  la  copia  di  Libri  di  que* 
remoti  tempi,  e  per  le  tante  Memorie  in  marmo,  che  reftano 
di  que'coftumi  .  Tali  delizie  non  pruova ,  chi  pafTeggia  perle 
troppo  fterili  campagne  dell'  Erudizione  de'  Secoli  barbarici 
dell'Italia  :  si  fcarfi  fono  i  Libri  Storici  e  i  Poeti  a  noi  rimarti 
di  que' tempi  d'ignoranza  ,  e  reftando  poche  Scrizioni  d'allo- 
ra. Contuttociò  convien  cercare  quel  lume  ,  che  fi  può  ,  per 
conofcere  qual  forte  lo  fplendore  delle  Corti  Regali  ne'  vecchi 
tempi.  Querto  certamente  non  mancava,  ed  altri  erano  colo- 
ro, che  fervivano  a  dirittura  la  perfona  de' Regnanti  nella  lor 
Corte  ;  ed  altri  quei  che  fi  adoperavano  per  governare  i  Po- 
poli ,  e  la  Milizia.  Parleremo  altrove  partitamente  dei  Duchi, 
Marchefi ,  Conti  del  Sacro  Palazzo  ,  Conti  ordinar; ,  Varti  o 
Vartalli ,  ed  altri  fimili  pubblici  Minirtri  o  Servi  del  Principe. 
Miriftringo  ora  alia  fola  Corte ,  In  quella  de  i  Re  Longobardi 

la 


Q^    U      A      R      T      A  .  25^ 

la  prima  figura  ,  per  quanto  fi  piiò  credere  ,  la  faceva  il  Mag- 
giordomo 5  ficcome  colui  ,  che  prefedeva  alla  famiglia  ,  e  all' 
economia  della  Cafa  del  Re.  Preflb  TUghelli  nel  Tomo I.  dell' 
Italia  (aera,  nel  Catalogo  de'Vefcovi  di  Arezzo  ,  fi  legge  un 
pubblico  Giudizio  di  Ambrojio^  lllujìns  Majordoynus  del  Re  Liut- 
prando  ,  tenuto  nell' Anno  Terzo  dieffoRe,  correndo  l'Indi- 
zione XIII.  cioè  nell'Anno  DCCXV.  Come  fmifurata  foffe  l'au- 
toritk  de  i  Maggiordomi  nella  Corte  de  i  Re  di  Francia  della 
Schiatta  Merovingica,  più  Storie  ce  l'infegnano.  Giunfe  a  tan- 
to, che  detronizò  gli  fi  elfi  Re  ,  ed  ufurpò  lo  fcettro  Regale. 
La  condizione  de' Maggiordomi  Longobardici,  benché  riguar- 
devole alTaiflimo,  era  ben  diverfa  dall'altra.  Truovafi  nel  Pa- 
lazzo de  i  Re  Longobardi  lo  Stratove  ,  che  oggidì  chiamiamo 
Cavallerizzo  ,  il  cui  miniftero  confifteva  in  afTifiere  ,  allorché 
il  Re  volea  falire  a  cavallo  ,  con  tenergli  la  ftafFa  ,  o  ajutarlo 
in  altra  maniera:  giacché  non  so,  fé  l*  ufo  delle  flaffe  (certa- 
mente incognito  a  gU  antichi  Romani  e  Greci  )  fi  foffe  peran- 
che  introdotto  fra  i  Longobardi  .  Non  pochi  de  gflmperadori 
e  Re  de'  Secoli  fuifeguenti  (  tanta  era  la  loro  riverenza  a  San 
Pietro  )  non  isdegnarono  di  tenere  la  flaffa  a  i  Romani  Ponte- 
fici, e  la  briglia  nelle  folenni  funzioni.  Talmente  s''era  riabi- 
lito quell'atto  di  offequio  verfo  i  Vicarj  di  Crifto,  che  avendo 
Federigo  I.  allorché  nell'Anno  11 55.  venne  verfo  Roma  per 
prendere  la  Corona  Imperiale  ,  ricufato  di  predarlo  a  Papa 
Adriano  IV.  non  fu  ammeffo  al  bacio  dello  ftefib  Papa  ,  come 
s'ha  dalle  Memorie  di  Cencio  Camerario  ,  e  da  altre  Storie, 
e  s' imbrogharono  forte  gli  affari  per  quefta  contefa  .  Ma  co- 
tanto fi  adoperarono  i  più  vecchi  ed  autorevoli  de' Principi  con 
allegare  1'  antica  confuetudine  ,  che  fu  ftabilito  quod  Donnus 
Imperator  prò  Apoflolorum  Prìncìpis  &  Sedis  Apojìolkcs  revereU' 
ti  a  exhtberet  Spratorìs  officìum  ,  &  Jìreugam  Donno  Papds  tenerep„ 
In  lingua  Longobardica  o  fia  Germanica  lo  Stratore  era  chia- 
mato Marpahis;  e  che  foffe  quello  un  Ufizio  fplendido,  fi  può 
dedurre  da  Paolo  Diacono ,  il  quale  nelLib.II.  Gap.  p.  feri  ve, 
effere  flato  Gifolfo  Nipote  del  Re  Alboino  Vir  per  omnia  ido- 
neus  ,  qui  eidem  Strator  erat ,  quem  Lingua  propria  Marpahis 
appellane .  Nella  Corte  de'  Principi  di  Benevento  pare  che  vi 
foffe  più  d'uno  di  quefli  Marpahis^  trovandofene  memoria  nel- 
la Cronica  delMoniftero  di  Volturno,  e  nelle  Carte  degli  Ar- 
Tomo  L  D  cive- 


i6  Dissertazione 

cìvefcovi  di  Benevento,  e  nella  Cronica  di  Santa  Sofia  Tom.VIIL 
dell'Italia  Sacra. 

Truovansi  ancora  nella  Corte  de  i  Longobardi  Pìncerna  , 
e  Veflìnrtì^  o  Veftararn  .  I  primi  fon  da  noi  chiamati  Coppie- 
ri. Potrebbefi  conietturare,  che  coli' altro  nome  fofle  difegna- 
to  chi  oggidì  porta  il  nome  di  Guardarobiere  .  Le  parole  non- 
dimeno di  Paolo  Diacono  Lib.  V.  Cap.  2.  indicano  colui,  che 
porgea  le  velli  ,  ed  ajutava  il  Principe  a  veflirfi  ;  e  potrebbe 
effere  l'ufizio  di  chi  oggidì  è  appellato  Aiutante  dì  Camera^ 
o  Cameriere ^  o  Paggio  da  Cappa  .  De'  Coppieri  di  Corte  s'  ha 
memoria  ne' Paralipomeni  dell' Anonimo  Salernitano  nella  Par- 
te II.  del  Tomo  II.  Rer.  Ital.  Son  parole  di  quell'  Autore  le 
feguenti  :  ^uum  Pincerna  Imperatorìs  (  cioè  di  Lodovico  IL 
Augufto  )  cum  aureo  poculo  vinum  dedijfet  (  a  Landolfo  Vefco- 
vo  di  Capoa  )  is  exiguum  fumjìt^  &  ftatim  Piìicernas  poculum 
reddere  'uoluit  .  At  Jmperator  adjecit  :  Vejìro  famulo  poculum 
reddite ,  Jitque  njobis  donatum .  Più  Coppieri  fi  contavano  allo- 
ra nella  Corte .  V'era  il  Capo  o  principale  fra  elfi,  nominato 
perciò  Pincerna  primus .  In  un  Placito  diSpoleti,  tenuto  nelL' 
Anno  Sdo.  (  come  s'  ha  dalle  Giunte  da  me  pubblicate  alla 
Cronica  di  Cafauria  )  fra  i  Cortigiani  del  fuddetto  Imperado- 
re  Lodovico  II.  s'incontra  Hecbideus  Comes  &  Pincerna  primus. 
Nel  Palazzo  de  gli  Augnili  Franchi  ,  e  de  i  Principi  di  Bene- 
vento noi  olTerviamo  il  grado  riguardevole  di  Comes  Stabuli , 
che  noi  diciamo  Conte/labile  ,  cioè  Prefetto  alle  Stalle  o  Scu- 
derie del  Principe  .  Stranamente  fu  poi  trasferito  in  Francia 
quello  impiego  a  chi  era  Condottiere  di  Armata  .  Nelle  fud- 
dette  Giunte  alla  Cronica  Cafaurienfe  ,  e  in  Placito  dell'  An- 
no 8<5o.  tenuto  dal  fopra  enunziato  Lodovico  II.  Augufto,  noi 
troviamo  fra  i  Cortigiani  Adelbertum  Coynitern  Stabuli .  E  TAno- 
nimo  Salernitano  ne'  Paralipomeni  pag.  5? 2 8.  fcrive  ,  che  Gri- 
moaldo  Storefeyz  Principe  di  Benevento  difle  ad  uno  di  quei 
Cittadini  :  Stabulum  noflrum  pete  ,  &  qualcm  voluerìs  equum 
esinde  folle .  At  ille  ad  Comitcm  Stabuli  properavit  &c.  Non 
è  ben  chiaro,  qual  foffe  1'  Ufizio  di  Referendario  nel  Palazzo 
de  i  Re  Longobardi ,  Abbiamo  nella  Cronica  Farfenfe  un  Di- 
ploma di  Aftolfo  Re  fcritto  neh*  Anno  'j<^6.  ex  dióio  Domni 
Kegis  per  Theopertum  illius  Referendarium .  Cioè  non  fappia- 
jno ,  fé  coftui  fo^Q  Segretario  de* Memoriali  y  0  ]^uì:q  Cancellie^ 

re 


Q_    U      A      R      T      A  .  27 

re  e  Notaio  Regio ^  a  cui  appartenefìfe  lo  fcrivere  i  Diplomi  e 

Privilegi . 

Che  fi  rrovafle  anche  l'Ufizio  di  Mari/calco  nella  Corte  de 
gli  Augufti  e  de  i  Re  ,  fembra  verifimile  ,  le  pure  non  fu  lo 
fìelTo  che  quello  di  Comes  Stabuli  .  Coloro  ,  che  ferravano  i 
Cavalli  non  meno  anticamente  che  oggidì  erano  appellati  Ma- 
rifialcbi  y  e  da' Fiorentini  Manifcaìchi^  e  fé  ne  truova  memo- 
ria nelle  Leggi  Salica  ed  Alamannica  .  Ma  che  in  grado  lubli- 
me  avellerò  1  Re  uno  o  piìi  Mariicalchi,  fi  può  dedurre  dalla 
Corte  di  Francia  ,  dove  anche  quello  nome  pafsò  in  chi  ora 
viene  appellato  Mare/dallo  di  Francia  .  Rapporta  il  Goldafto 
Tom.  I.  Conftit.  Imper.  un  Diploma  della  Ipcdizione  di  Carlo 
il  GroiTo  Re  verfo  Roma  per  prendere  la  Corona  Imperiale  , 
dove  fon  quefte  parole  :  Singuli  'vero  Pri?icipes  fuos  babeant  of- 
jicionarios  fpeciales  ,  Marfcalcum  ,  Dapiferum  ,  Pi?icernatn  ,  Ù* 
Kamerariutn  .  Onde  abbia  prelo  il  Goldallo  quello  Documen- 
to, non  apparilce.  Si  corrotte  ion  le  Note  Cronologiche ,  che 
fi  può  dubitar  d'  impoftura  :  del  qual  vizio  anche  da  altri  è 
flato  accufato  quel  Collettore  .  Neil'  Anno  DCCCXC.  in  cui 
elfo  fi  dice  fcritto,  né  pure  era  più  vivo  Carlo  CrafTo.  El'intito- 
larfi  egli  Rex  Francorum  &  Romanorum  non  conviene  al  rito 
di  que'  tempi  .  Però  il  Freero  ,  e  il  Du-Cange  doveano  cam- 
minar con  più  riguardo,  allorché  prefero  per  legittima  quella 
Goldaftina  mercatanzia.  Peraltro  òq  ì  Dapiferi  portanti  le  vi- 
vande alla  Menfa  Regale,  e  Sopraintendenti  ad  efta,  fi  fa  men- 
zione in  un  Diploma  del  Re  Carlomanno,  dove  troviamo  f^/- 
nolfum  Dapiferum  nojìrum  .  Nella  Legge  Alamannica  ,  e  nelle 
memorie  de  gli  antichi  Re  Franchi  ,  vien  rammentato  l'Ufizio 
di  Senifcalco,  a  cui  fi  crede  che  fpettafie  la  cura  della  Cala  e 
Famiglia  de' Cortigiani,  quafi  che  egli  foffe  il  Maejìro  di  Cafa, 
In  un  Diploma  di  Lodovico  Pio  Augufto  dell'  Anno  817.  rap- 
portato dal  P.  Martena  Tom.  I.  Vet.  Script,  incontriamo  AdaU 
bertum  Senifcalcum  nojìrum  .  E  in  un  altro  del  Re  Pippino  fuo 
Figlio  è  nominato  Erlaldus  Genitoris  nojìri  Senifcalcus  .  E  più 
d'uno  di  elfi  ne  doveano  avere  i  Re  Franchi,  giacché  preiTo 
Marcolfo  Lib.I.  Cap.  25.  fi  dice  federe  il  Re  in  giudizio  cum 
Referendariis  ,  Domefticis  ,  Senifcalchis  ,  Cubiculariis  &c.  Per 
altro  dottamente  offervò  il  Bignon ,  che  l'Ufizio  del  Sinifcalco 
non  era  diverfo  dalY  Arcbitriclinus  de  gli  antichi  ,  e  da  i  Dapi- 
feri j  e  dal  Prefetto  de  Cuochi  ^  appellato  Princeps  Coqmrum  , 

D     2  Ne 


28  Dissertazione 

Ne  gli  Annali  de'  Franchi  pag.  i6,  Tom.  IL  del  Du-Chefne 
all'Anno  785.  dove  fi  paria  della  ribellion  de' Brettoni  :  Miji^ 
Exeràtum  fuum  Rex  p^rtibus  Brhannìce  una  cum  Mìffo  fuo 
Auciulfo  Stnejcalco .  Tale  fpedizione  è  narrata  da  Eginardo  ne 
gli  Annali  con  qiiefle  parole  :  Mijfus  ìlìuc  Regìa  Me?7fce  Fros- 
pojìtus  Auduìfus  5  perfidae  gentts  contumaci am  mira  celeritate  com* 
prejfit.  Ne  Icrive  anche  Reginone  con  dire  fpedito  l'efercito 
una  cum  Mijfo  fuo  Odulpho  Principe  Cacorum  .  Si  ha  da  feri- 
vere  Principe  Coquoru?n,  E  che  non  altro  fofTe  l'impiego  del 
Senifcalco,  fi  ricava  dalla  Lingua  Italiana  ,  perchè  quelTa  pa- 
rola fu  mutata  in  SefcaJchus^  e  pofcia  in  Italia  divenne  Scalco^ 
di  cui  ognun  sa  qua!  fia  il  miniflero  ,  cioè  di  trinciare  alla  ta- 
vola del  Principe  ,  e  di  fare  il  faggio  .  Alla  Corte  de  gli  anti- 
chi Re  Franchi  non  mancò  il  grado  ài  Silen:^ario  ^  prefo  dai 
Greci ,  perchè  tale  fu  Santo  Angilberto  ,  pofcia  Abbate  Cen- 
tulenfe.  Forfè  cosi  venne  chiamato  chi  era  Con/ìglier  Segreto 
de' Monarchi,  o  ftando  alla  porta  del  Conciftoro  imponeva  fi- 
lenzio  a  i  Cortigiani . 

Abbiam  veduto  nella  Corte  di  Francia  il  Principe ,  o  fia  il 
Soprintendente  2i,ì  Cuochi.  V'era  eziandio  ì\  Principe  ^  o  vo- 
gliaui  dire  il  Prefetto  fopra  i  Fornai,  Dell'uno  e  dell'altro  s'ha 
inenzione  nel  Lib.  IV.  del  Poema  di  Ermoldo  Nigello,  che  fio- 
rì fotto  Lodovico  Pio  Augnilo. 

Pijìorum  Petrus  bine  princeps^  bine  Gunto  Coquorum 
Accelerant  ^  menfas  ordirle  more  parant* 
Eranvi  parimente  gli  OJliarj ,  Per  atteftato  dell' Agronomo  nel- 
la Vita  di  elfo  Lodovico  Pio  ,  nell'  Anno  822.  quell'  Augnfto 
mandò  in  Italia  il  Figlio  Lottarlo  ,  e  con  elfo  lui  Geruntium 
Ofliarium^  il  quale  da  Eginardo  vien  chiamato  Ofliariorum  Ma^ 
gijìer*  De  gli  Oftiarj ,  ch'erano  nella  Corte  di  Pavia  fa  men- 
zione il  Re  Ratchis  nella  fua  Legge  NoHa  fra  le  Longobardi- 
che .  Se  crediamo  all'  UghelU  ,  nel  Palazzo  de  gli  Augufli  fi 
contavano  anche  i  Tronarj  ;  rapportando  egli  ne'  Vclcovi  di 
Arezzo  un  Diploma  dato  in  Roma  da  Carlo  Magno,  dove  fi 
legge  :  Notum  Jìt  omnibus  Epifcopis^  Abbatibus  ,  Duci  bus  ,  Co- 
witibus^  Guafialdisy  feu  reliquis  Tronariisy  &  cunóiis  Fidelibus 
noftris  Ò'c,  In  vece  di  Tronariis  fi  può  foipettare,  che  fofle  ivi 
fcritto  Vicariisj  Cemenariis^  o  altra  fimil  parola  ufata  nel  For- 
molario  di  allora  ;  perciocché  à^  Tronarj  non  s'incontra  me- 
moria altrove.  IlDu-Gange,  fidandofi  di  quello  Documento, 

in  fé- 


Q_    U      A      R      T      A  *  2p 

inferi  nel  ilio  GlofTario  i  Tronarj  ;  quando  convien  dubitare  , 
anzi  fupporre,  ch'effe  Documento  fia  un' Importura  ;  perchè 
Carlo  Magno  è  ivi  intitolato  Re:<  Francorum  ^  Ò'  Romafìomm^ 
(itque  Langohardorum  ;  e  poi  vi  fi  legge  Signum  Karuli  Ma- 
gni Imperatoris  ;  ed  anche  datum  Tri  gè  fimo  tenìo  <&  Trtgefiyyio 
quarto  Anno  Imperli  noflri  :  che  tutte  fono  enunziative  Ipro- 
pofitate  .  Truovafi  bens\  nelle  Corti  di  allora  Cofjftliarii  ,  og- 
gidì ConfigHeri  ,  ficcome  ancora  i  Vajfi  ^  onde  è  venuto  il  no- 
me àiVajfalli  ^  de'quaU  tratteremo  nel  Cap.  X.  Né  fola  ni  en- 
te i  Re  teneano  gran  Corte,  ma  anche  i  Duchi  ed  altri  Prin- 
cipi d'  Itaha  .  In  quella  de'  Duchi  o  Principi  Beneventani  fi 
contavano  allora  varjUfizj,  parte  prefi  da  i  Latini  ,  e  parte 
da  i  Greci  ,  come  Comitis  Palatii  ,  Protofpatarii  ,  Gaftaldiì  , 
Topoteviti  5  Portarti  ,  Thefaurarii  ,  Referendarii  ,  A^iionarii  , 
Veftiariì  o  Veftararii^  Vicedomini  ^  Pincerme  ,  Ba filici  ,  Candi- 
dati^ Strettigli  ed  altri.  Racconta Liutprando  nel  Lib.II.  Cap.io. 
della  fua  Storia  ,  che  Lodovico  IIL  Imperadore  circa  P  An- 
no ^oo,  cxiens  Papia  proficij'citur  Lucam  ,  ul^i  decenter  miroque 
paratu  ab  Adelberto  (  che  era  Duca  e  Marchefe  della  Tofcana  ) 
fufcipitur  .  ^iiumque  Ludovicus  in  doyno  Adelberti  tot  militum 
elegantes  adejfe  copias  cernerete  tantayn  etiam  dignitatem^  tot- 
que  impcfifas  profpiceret^  invidile  -zelo  ta^lus  juis  clanculum  in-> 
fit  :  Hi  e  Rex  potius  quam  Marchio  poter  at  appetì  ari  .  ht  nullo 
quippe  mibi  efl  inferior ,  nifi  folummodo  nomine  . 

Nelle  memorie  antiche  .s' incontrano  aHCora  i  Gafindii  . 
Significava  quefto  nome  i  Cortigiani ,  o  vogliam  dire  gli  Uo- 
mini della  Famiglia  de  i  Re,  Duchi,  Conti,  ed  altri  Magnati 
de' vecchi  Secoli  .  Ugon  Grozio,  e  l'Eccardo  nelle  Annotazio- 
ni alla  Legge  Salica  faggiamente  avvifarono ,  tale  effere  il  fuo 
fìgnificato  ,  e  tuttavia  in  Germania  Gefinde  vuol  dire  lo  iìef- 
fo .  Odafi  una  Legge  del  Re  Liutprando  intorno  alle  pene  de 
gli  omicidi  .  De  Gafitndiis  vero  Jtofiris  volumus  ,  ut  quicumqus 
ini?iimus  fit ,  &  in  tali  ordine  occifus  fuerit ,  prò  eo  quod  no- 
bis  defervire  njidetur^  CC,  folidis  fiat  compofiaus  .  De  majoribus 
fctundum  qualis  fuerit  .  Da  quella  Legge  fi  comprende  che  i 
Gafindii  erano  Uomini  Liberi ^  perchè  ivi  fi  parla  dell'omici- 
dio di  perfone  Libere;  e  che  tanto  i  Cortigiani  di  alto  grado, 
quanto  i  Famigli  dell'infimo,  erano  dipinti  col  fuddetto  titolo 
o  nome  .  E  però  vegniam  ad  intendere  la  Legge  VL  del  Re 
Ratchis  conceputa  con  quelle  parole  :  Si  Judex  neglexerit  Jpt- 

dica- 


30  Dissertazione 

d'tc/tre  ,  rìut  forfan  attender'it  ad  Gnfind'tum  ,  vd  ad  IParentes , 
(tut  Am'tcum  fuum  ,   aut  pramium  ,  &  legem  non  judicaverit  : 
tunc   qui  lojjum  fé  fent'tP  ,  njeìùat  ad  Palnttum  &€.   li   Bignon 
nelle  Note  a  Marcolfo,  ed  anche  il  VolTio  iembrano  aver  cre- 
duto, che  i  Gafìndj  foffero  Servi,  cioè  Schiavi ,  fondandofi  'v\ 
una  Forinola  di  quell'antico  Scrittore  ,  fcritta  cosi  :  Sì  nl'tquts 
Servo  fuo  Gafindìofuo  nlìquid  concedere  voluerh .   Maqueltefto  e 
fcorretto  .    PreiTo  il  Lindenbrogio,  e  nelì'  edizion  del  Baluzio 
fi  legge  :   Si  quis  Servo  fuo  ^  vel  Gajìndio  fuo  &c.   il  che  fa  co- 
noicere  la  differenza  de'  Servi  da  i  Gafmdj .    Più  chiaramente 
fi  fcorge,  che  anche  i  Cortigiani  più  cofpicui  erano  chiamati 
Gafìndj  ,    da  un  Placito  tenuto    in  Cremona    da  Berengario  T. 
Re  d'Italia  nell'Anno  pio.   e  confervato  nell'Archivio  del  Ve- 
Icovato   di  quella  Cittk  .   Ivi   fi  legge  :  Diim  Domnus  Berenga- 
rius  glori ojijfimus  Rex  ab  Kegali  Dignitate  in  Civitate  Cremo- 
na ndvenijfet  ^   &  domum  Epifcopii  ^  &  matris  Cremonenjìs  Ec- 
clejlce  in  caminata   dormitorio   ipjius  domui  ,    uhi   ipfe  Princeps 
cum  fuis  Gajindiis  ^   &  Judicibus^  ceterisque  fuis  Fidelibus  ad- 
ejfet  &c,  E  ciò  a  noi  porge  lume  per  intendere  ciò,  che  Adria- 
no I.  Papa  nell'  Epifl:.  _94.  del  Codice  Carolino  fcriffe  a  Carlo 
Magno  intorno  ad  una  iniquità  da  lui  fcoperta  nel  Regno  d' 
Italia,   con  dire  :   Pro  hoc  fcepius  ammonuimus  Guntjridum  ,  & 
aliis  Gaftndis  vefìris  Epifìolas  dirigentes  Raginaldo  &  Ragin- 
baldo  ,  uf  tam  detefìabile  ftuprum  devitarent  Ù'c.  Cosi  in  uno 
Strumento  da  m^  veduto  nell'Archivio  dell' Arcivefcovato  di 
Lucca  fpettante  all'  Anno  72^.   tre  Gafmdj  del  Re  Liutprando, 
dimoranti  in  Pavia,  fondano  prefib  a  Lucca  uno  Spedale  per  li 
Poveri  Pellegrini  ,  e  fi  veggono  onorati  col  titolo  di  Magnifici 
affai   raro  in  que'  tempi  :    Theupert ,  &  Ratpert ,  &  Godepert 
W,  MM.  Gnfindi  Regis, 

DiCHiAMo  anche  due  parole  àt  [Delizio fi ^  de' quali  fi  truo- 
va  alle  volte  menzione  nelle  memorie  de'  tempi  barbarici  . 
Forfè  lo  fteffo  volea  fignificar  quello  nome ,  che  i  Delicati  de' 
Romani  .  Si  difputa  fra  gli  Eruditi  intorno  ali'  effere  di  que' 
Delicati  ,  ed  alcuni  li  credono  Fanciulli  di  poco  buon  nome 
tenuti  in  lor  cafa  da  i  Grandi  .  Sembra  più  verifimiie  ,  che 
foffero  Fanciulli  Spiritofi  ,  che  per  onetio  divertimento  ,  o  in 
qualità  di  Paggi  ,  (lavano  al  fervigio  de' gran  Signori  .  Plutar- 
co nella  Vita  di  Marco  Antonio  parla  di  un  Sarmento  Fanciul- 
letto  (^iroci'yvm)  nella  Corte  di  Cefare  y  uno  di  quei  ^  che  i  Ro- 
mani 


Q^     U      A      R      T      A  .  151 

mani  chiamano  Delkie,  Nelle  Ifcrizioni  del  Grutero  e  Fabretti 
fi  da  il  titolo  di  Delicati  sl  perfone  non  volgari  .  Nel  Gap.  XV. 
di  Eflher  fi  legge,  che  quella  Regina  AjfumJtP  duas  famulas^ 
&  fuper  unam   quldem  tnnltebatur  quafi  pra  Deliclls  ,   Penano 
gl'Interpreti  ad  intendere  quefto  paflb  .   Ma  odafi  Santo  Ago- 
flino  nel  Lib.  de  Gratia  &  Lib.  Arb.  Gap.  21.  che  parlando 
d'  Eflher  cosi  fcrive  fecondo  la  verfione  de  i  Settanta  :  Ef  in- 
cllnavlt  fé  fuper  caput  Delicata  fua^  quce  pra;cedebat  eam  .   For- 
fè dalla  voce  nvxlyviov  o  pure  da  T^olig  nacque  l'Itahana  parola 
Paggio  .    Ne'  tempi  barbarici  noi  incontriamo  nelle  Gorti  de' 
Principi  ì  Del Iclojl y -parola,  che  a  mio  credere  denota  i  favori- 
ti o  gì' intimi  familiari  de' Monarchi.  Veggafi  la  Legge  IX.  di 
Ratchis  Re  de' Longobardi  ,  dove  è   propofta  la   perdita  della 
teda  :   Si  quando  pravi  hoìnlnes  fuhmlttant  In  Palatlum   ad  nO" 
flrum  fecretum  dtfcendum  ^  ut  per  Dell clofos  ^   aut  per  Ofìlarlos^ 
vel  per  allos  homlnes    captlofe    aut    abjconfe    In'ueftlgare  pojfinp 
qulcquld  nos  aglmus  .  Pm  manifeflamente  fi  comprende  ,  chi 
folTero  i  Deliciofi  di  allora  dalla  Lettera  XVIL  di  Niccolò  L 
Papa  ,  che  fcrive  cosi  :  SanHlJ/tmos  Eplfcopos  Dellclofos  nofìroi 
prò  eo  vefìrdc  Carltati  dlrcxlmus  .  Di  quefta  voce  fi  fervi  anche 
Papa  Giovanni  VIIL  nelle  Lettere  yi,  21^,  e  277.  E  però  eb- 
be a  dire  Sigeberto  nel  Lib.  de  Script.  Ecclef  che  Alcuino  o  fìa 
Albino  Abbate   celebre,  tanta  f amili arltate  Imperatori  Carolo  ac- 
ceptus  fult  ,  ut  appellaretur  Imperatore  Dellclofus  .  Anche  nell* 
antica  Legge  de'  Bavarefi  troviamo  de'  Servi ,    che  portarono 
quello  dirtintivo  .   Slne  figno  numquam  enjadat  ,   quam^uls  Dell- 
clofus ftt  apud  Domlnum  fuum  .   In   una  parola  Dellclofus  e  De» 
llcatus  non  altro  fignificarono  una  volta  che  Caro^  e  Diletto  in 
fenlo  onefto . 

Ma  che  era.no  Junlores  Ducum  Ò' Comltmn ^  de' quali  refla- 
no  memorie  in  più  Leggi  Longobardiche  ?  Garlo  Magno  in  una 
Lettera  a  Pippino  Re  d' Itaha  fuo  Figlio  ,  che  fi  legge  nella 
Par.  II.  del  Tomo  I.  Rer.  Ital.  fcrive  d'  avere  intefo  ,  ^uod 
/illqul  Duces ,  &  eorum  Junlores ,  Gaftaldll  ,  Vlcarlt  ,  &  Cente- 
7ìarll  ,  feu  r  eli  qui  Falconarli  ,  Venator  es  Ù'c.  manfionatlca  & 
paravereda  (  di  qu>'^n:i  aggravj  fi  parlerà  nel  Gap.  de'  Tributi  ) 
^cclplant  non  folum  de  llberls  homlnlbus ,  fed  etlam  de  Ecclejils 
Dei  &c.  Il  Du- Gange  5  che  ne  parla  molto  nel  fuo  Glolfario 
Latino  ,  penfa  ,  che  fotto  quello  nome  di  Junlori  venilfero  , 
qui  officio  Judkam  5  feit  pedaneorum  j  fun^l  fuere  y  o  vogliam 

dire 


p  Dissertazione 

tlire  i  Giudici  d'ordine  inferiore,  fottopofìi  a  i  Giudici  maggio- 
ri .  Deduce  egli  quefto  fuo  fentimento  da  un  Capitolare  di 
Carlo  Magno  dell'Anno  802.  Cap.  25.  dove  fi  leg^e  ordinato: 
L/>  Com'ites  Ò'  Centcnarì't  omnes  ad  jujìmam  faciendam  compel- 
lant  ,  Et  Juiììores  tales  in  minìjìerih  fuìs  habeant  ,  iìi  quihus 
fecurf  có?ijìdant ,  quia  legem  &  juftitiam  fideliter  ohfer'veììt  , 
pauperes  nequaquam  opprimant  .  Si  figurò  il  Du  -  Cange  ,  che 
juftitiam  faccre  qui  fignifichi  il  profferire  fentenze  giufte  ne* 
Giudicj  .  Ma  dopo  Centenarii  fi  dee  mettere  una  virgola  ,  e  fi 
dee  leggere,  che  i  Conti  e  i  Centenarj,  cioè  i  Giudici,  compel- 
lant  omnes  facere  juftitiam  :  il  che  vuol  dire  sforzare  ognuno 
a  far  cofe  giufle,  sì  in  se  fteffo  ,  che  in  riguardo  al  ProfTimo  . 
Ed  a  quefto  erano  obbligati  anche  Juniores  Comitum  ^  cioè  quei 
che  componevano  la  Corte  de'  Conti  e  d'altri  Potenti  .  Nella 
Legge  Vili,  di  Pippino  Re  d'Italia  leggiamo  :  Si  forjìtan  Fran- 
cus  aut  Longobardus  hahens  Be?ieficium  ,  juftitiam  facere  nolue- 
rit  :  ille  Judex  in  cujus  minifterio  fuerit^  contradicat  UH  Bene- 
ficium  &c*  Cioè  :  fé  qualche  perfona  ,  che  gode  Benefizj  del 
Principe,  non  vorrà  oflervar  le  Leggi  ,  e  far  quel  ch'ègiufto 
Verfo  d'altri,  il  Giudice  gli  fofpenda  il  godimento  del  Benefi- 
zio. La  frafe  ài  Juftitiam  facere  vien  dalle  Divine  Scritture. 
Beati  qui  cuftodiunt  judiàum  ,  &  faciiint  juftitiam  in  omni 
tempore^  Pfal.  CV.  3.  Scio^  quod  prcecepturus  fit  filiis  fuis,  ^  & 
domui  fucs  poft  fé ,  ut  faciant  judicium  &  juftitiam ,  Gen.  X  Vili. 
15?.  Così  in  altri  luoghi  .  Ora  col  nome  di  funtori  reputo  io 
difegnati  gli  Ufiziali  e  Familiari  de  i  Duchi,  Conti,  e  d'altri 
eludici ,  che  abufandofi  della  lor  potenza  ed  impiego  ,  com- 
metteano  delle  infolenze  in  danno  del  profilmo  con  aggravare 
indebitamente  il  Popolo  con  efigere  ciò  ,  che  non  fi  dovea  ,  e 
col  non  voler  emendare  i  torti  fatti  ad  altrui .  A  quello  difor- 
dine  fi  cercò  di  provvedere  con  quelle  Leggi,  e  colle  feguenti. 
Cioè  nella  121.  Longobardica  di  Carlo  M.  abbiamo  :  Audivi- 
mus  ,  quod  Juniores  Comitum  ,  vel  aliqui  Miniftri  Reipublic^  , 
five  etiam  nonnulli  fortiores  Vajft  Comitum  ,  aliquam  redhibitio- 
nem  (  oggidì  contribuzione  )  vel  colle^iones  ,  quida-m  per  pa- 
flum ,  quidam  etiam  fine  pafto ,  quafi  deprecando ,  a  Populo  esi- 
gere foleant,  Riferifce  poi  altri  aggravj,  e  vuole,  che  tutti  fie- 
no proibiti  .  Nella  Legge  22.  di  Pippmo  Re  d'Italia  :  Stetit  no- 
bis  de  omnibus  Libellariis  ,  ut  nullus  Comes  ,  vel  Juniores  eorum 
€05  amplius  diftringant   (  cioè  aggravino  )   nec  inquietent   &c. 

Seri- 


Q_     U      A      R      T     A  .  jj 

Scrive  Gregorio  Turonenfe    all'  Anno  578.  Libro  V.  Gap.  27. 
della  Storia  .    Chilpericus  Rex  de  pauperibus  &  Junioribus  Ec- 
clefi<ie  bannos  jujjìt  exigi  ,  prò  eo  quod  i?i  exerchu  non  ambulaf- 
fent .  Crede  il  Dn-Cange  con  quello  nome  indicati  i  Cherici 
piovani  .  Io  li  tengo  per  Secolari  che  fervivano  alla  Chiefa  . 
Non  s'era  peranche  introdotto  l'abuib  di  forzar  gli  Ecclefia- 
ftici  a  militare  .    E  fi  ofiervi  la  Leg^e  X.  Lib.  X.  Tit.  2.  del 
Codice  Teodofiano  ,    in  cui  Cìerìch  &  Juvenibus  prabetur  im- 
munitas-^  ut  Ecclejìarum  coetus  concurfu  populorum  frequeìitentur  * 
Da  i  Cherici  fon  dillinti  i  Giovani,  e  che  quelli  follerò  Seco- 
lari 5  fembrano  indicarlo  le  feguenti  parole  :  ^od  &  corìjugt- 
bus 5  &  libcr'ts  eorum ,   Ò'  miì2ÌJìer't'is ,   &  maribus partner  ne  femi- 
nis  indulgemus  .    Ma  ciò  che  decifivamente  ci  fa  intendere  , 
ciuai  foffero  i  Juìi'tores  d'  allora  ,    è  quanto  vien  prefcritto   da 
Carlo  M.  nel  fuo  Capitolare  delle  Ville  Tom.  I.  pag.  33^.  del 
Baluzio.  Quando^  die' egli  ,  catelli  ?7oJlri Jud'tcibus  coyyimenda' 
dati  fuerhit^   de  fuo  eos  nutrì ant^  aut  Junioribus  fuis  ^  ideft  Ma- 
JoribuSj  Decanis^  'vel  Celi  ari  is  eos  commendare  faci  antÒ'c,  Non 
erano  dunque  i  Juniori  ne  i  FigH  de'Giudici,  né  i  Giudici  mi- 
nori, come  taluno  fi  figurò. 

Compariscono  ancora  ne' monumenti  barbarici  gli  S'cmoA?/, 
e  ne  fa  menzione  la  Legge  XIL  del  Re  Adolfo  .  Fu  di  opinio- 
ne il  Da-Cange,  che  follerò  cos\  appellati  gliO/?/^*/,  perchè 
nella  Vita  di  Carlo  M.  icritta  dal  Monaco  di  San  Gallo  Lib.  L 
Cap.  20.  è  fc ritto  di  un  certo  Vefcovo  :  Dixit  ad  Ofìiarium  , 
^el  Scarionem  fuum  &c.  Ma  quivi  lo  Scarione  è  dillinto  dal 
Portinaro  .  Aggiugne  eHb  Du-Cange  ,  che  più  lovente  fon 
prefì  gli  Scarioni  prò  Miniflris  Judicum  ^  'vel  certe  prò  minoribus 
Judicibus.  Cita  a  quello  propofito  la  Cronica  del  Moniftero  di 
V^olturno  ,  dove  Carlo  M.  concede  a  que'  Monaci  ,  ut  liceat 
eis  fé  defendere  per  Scariones  ejusdem  Mofiajìerii  j  cioè  prefta- 
re  il  giuramento  nelle  liti  per  mezzo  de  i  loro  Scarioni,  per- 
chè in  que'  Secoli  era  vietato  a  gli  Ecclefiallici  il  farlo  .  Ma 
quindi  nulla  fi  può  dedurre  per  1'  opinione  fuddetta  .  Strana 
cofa  è  poi,  che  Ugone  Gl'ozio,  uomo  infigne,  abbia  fcritto  : 
Obfcariones^  Carcerum  cujìcdes^  iidemque  Carnifices^  qui  &  Sca- 
riones a  Scaren  ex  Obfcaren  ,  quod  eft  abfcindere  .  Ma  a  me 
fembra,  altro  non  eifere  (lati  gli  Scarioni  ,  fé  non  i  Soprinten- 
denti a  qualche  i'c/?/'^  di  Servi,  o  {\di  Schiera^  giacché  dal  Ger- 
manico Scara  è  nato  Schiera  .  Nella  Cronica  Volturnenfe  noi 
Tomo  h  E  tre- 


34-  Dissertazione 

troviamo  in  propofito  di  Servi  :  Decanta  de  Cerqueto  de  Sca- 
riatu  Gaudioji  ,  ed  altre  fimili  .  Ivi  ancora  fi  legge  :  ^uomodo 
i/le  Urfepertus  in  primis  fuit  Scario  per  Servo  fuper  alios  Servos 
Sa?ì6li  Vi?ìcentti , 

Con  gran  decoro  anche  ne  gli  antichi  Secoli  fi  trattavano 
i  Romani  Pontefici  ,  e  teneano   bella  Corte  ,    come  conveniva 
al  coipicLio  lor  grado  Ecclefiaftico  ,  e  a  quello  ancora  di  Princi- 
pi temporali  .    Chiunque  fcorrera    le  memorie  ,    che    relìano 
fpettanti  a  quella  facra  Corte ,  vi  troverà  gran  copia  e  varietà 
di  Ufizj  ,  riguardanti  l'uno  e  l'altro  Miniflero  ,  come  Oftiarj 
e  Deliciojì  poco  fa   da  noi  veduti,  Cubicularii ^  Mappularii^Ad- 
dextratores^   &  Serviemes  nigri  de  famllia  Domi/ii  Pap^e  ;  Ar* 
chidiaconus^  Camernrius^  Bìbliothecarius  ^   Superifta  ^  Clerici  Ca- 
mera ,  Archic ariceli arius  ,  Frotonotarius  ,    "Notarti  ,  Cancellarti  , 
Scriniarii  ,  Chartularii  ,  (  forfè   con  due  nomi  fi  accennava  il 
inedefimo  Ufizio  )    Frimicerius  Notariorum  ,  Primifcrinius  ,  5"^- 
cundicerius  ,  AHtonarìi  ,   VicedomÌ7ius  (  lo  (lefìo  che  Oeconomus) 
Nomenclator  ^  Sacellarìus^  Arcariusy  o   fia  Thejaurariusy  Capei- 
lani ,  Buticul arius ,  Pincerna  ,  Marefcalcus  ,  Panet arius  ,  Dapi- 
feri ,  Curfores  ,  Judex  Camera;  Domni  Papce  ,  Familiares  ,   Ser- 
n^ùentes  y  Campfores  Dom?ii  Papcs  ,  Scriptores  Camera  ,   Cantores  , 
la  Scuola  de' quali  celebre  fu  anche  ne  gli  antichi  tempi ,  Vir- 
gariiy  Sellariiy  Magtjìri  militum  .   Alla  rinfufa,  e  come  la  me- 
moria mi  ha  fuggerito,  ho  accennato  quelli  Ufizj,  ficcome  da 
me  olTervati  ne'  vecchi  Documenti  ;  ma  altri  di  più  ne  fcopri- 
ra,  chi  con  più  attenzione  vi  farà  mente  . 

De  i  Duchi  5  e  Principi  antichi  d' Italia  , 
DISSERTAZIONE    Q^UINTA. 

DO  p  o  r  Imperiale  e  Regal  Dignità  ,  anche  una  volta 
fommamente  riguardevole  fu  quella  òqì  Duci  o  Duchi, 
Non  v'ha  dubbio,  che  quella  ,  al  pari  di  quella  de  gflmpe- 
radori,  ebbe  l'origine  fua  dalla  Milizia  :  perchè  tal  nome  fi 
dava  ai  Generali  di  Armata.  Anche  fotto  flmperio  Romano 
noi  troviamo  i  Duchi,  e  di  molti  fa  menzione  la  Notizia  deli' 
uno  e  dell'altro  Imperio ,  illuflrata  da  Guido  Panciroli,  e  que- 
lli comparifcono  come  Governatori   di  qualche  Provincia  ,   e 

Co- 


Quinta.  35 

Comandanti  dell'armi  in  que' Governi .  Ma  nel  Codice  Teodo- 
fiano  al  Lib.  VI.  Tu.  26,  merita  d'  effere  confiderata  la  Leg- 
ge XIII.  di  Teodofio  jimiore  Augufto  data  nell'Anno  407.  do- 
ve  fon  quefte  parole  .    Immu?ìitatem  tribuìmus  hìs  ,    quos  pojl 
emerìtam  in  armis  tniìitiam  ,  ad  honorem  Ducatus  nojìr^e  Sere- 
?iìta{is  provexit  judkium.  Pare,  che  da  quefta  Legge,  e  da  al- 
tre dello  Iteffo  Codice ,  fi  pofla  dedurre,  effere  flato  in  ufo  il 
decorare  del  titolo  di  Duca  chi  lungo  tempo  s'  era  efercitato 
nella  milizia,  e  che  quelli  tali  pafTaffero  a  goderfi  in  pace  que- 
lla Dignità  nella  Corte  Imperatoria  .  San  Fulgenzio  nell'Omi- 
lia  5(5.   fcrive  :   A}ite  carrucam  Imperatori s  pra;cedu?it  Metatores  , 
Palatini  ,  Proteóiores  ,  Tribuni  ,  Duces  ,  &  Comites  .    Io   nulla 
intorno  a  ciò  determino  ,  e  mi  riftringo  a  dire  ,  che  in  elfo 
Codice  un'altra  Legge  dell'Anno  fuddetto  ,  cioè  la  LXVL 
Lib.  Vili.  Tit.  ó".  ci  fa  vedere  Duces  Provinciarum  ^  e  che  que- 
llo ufo,  e  tal  Dignità  fi  continuò  fotto  i  Re  Longobardi,  Fran- 
chi ,    e  Tedelchi  .    Siccome  accennai    nelle  Antichità  Eftenfi 
Cap.  V.   v'erano  in  que' tempi  de' Duchi  Minori,  e  de' xMaggio- 
ri  .  Comandavano  i  primi  ad  una  Citta,  gli  altri  ad  una  Pro- 
vincia .   Paolo  Diacono   Lib.  IV.  Cap.  3.    rammenta  Minulfo 
Ducem  de  Infula  SanBi  Julii  ;    ci  fa  vedere  alcuni  Duchi  dt 
Trento;  Zangrulfo  Ducem  Verone nfem  ;  Gaidolfo  Duca  di  Ber- 
gamo ,  il  quale   in  Civitate  fna  Pergamo  ,  rebellans  contra  Re- 
gem  ,  fé  coìTìmunivit  .    Sotto  il  Re  Liutprando  ci  comparifce 
Guidoaldus  Brixiafms  Dux  ,  e  Peredeus  Vincentinus  Dux  .  Ribel- 
latofi  anche  al  Re  Dux  Ulfari  apud  Tarvijìum  .    Finalmente 
per  teftimonianza  di  eflb  Storico,  Romani^  habentes  in  capite 
jigathonem  Perujìnorum  Ducem  ,  venerunt  ut  Ponomam  compre- 
henderent .  Secondo  le  apparenze  quello  Duca  era  (lato  poilo 
in  Perugia  da  i  Greci  Augufti  per  difenderla  da  i  Longobardi  -. 
Notifhma  cofa  è  ,  che  dopo  d'  efTere  flati  uccifi  Alboino  ,    e 
Clefo  Regi  ,   la  Nazion  Longobarda  iflitui  trenta  Duci  ,  che 
governaffero  il  Regno  .  Per  dieci  anni  durò  il  loro  governo  . 
Ma  conofciuta  la  neceffua   di  avere  un  Re  ,    che  manteneffe 
l'unione  fra  tante  tede,  fu  nell'iVnno  576".  eletto  Re  Autari; 
ed  allora  f u  ,  che  Duces  omnes  fubfìantiarum  Juarum  (  cioè  de' 
loro  proventi  )   medietatem  Regalibus  ufibus  tribuerunt ^  ut  ejfe 
P^JT^^')  unde  Rex  ipfe^  ftve  qui  ei  adhererent^  ejusque  obfequiis 
per  diverfa  officia  dediti^  alerentur  .   E  però  fembra  ,  che  fe- 
guitaffero  tuttavia  i  Duchi  a  governare  una  fola  Citta  .  S'  io 

E     2.  non 


^6  Dissertazione 

non  m'inganno,  dall'abitazione  e  Palazzo  di  quelli  Duchi,  ap- 
pellato allora  Cor/'^ ,  provenne  la  denominazione  àìCurtisDu- 
cis  ,  che  le  antiche  memorie  ci  fan  vedere  in  alcune  Cittk  . 
Uno  Strumento  Veronefe  dell'Anno  p2i.  rapportato  dall' Ugbel- 
li  nel  Tom.  V.  dell'  Italia  facra  ,  ò  mentovata  Cafa  hrfra  Ci- 
n^itatem  Veronam  prope  Curtem  Ducis  ,  In  un  altro  della  Citta  di 
AfU  dell'Anno  880.  che  fi  legge  nel  Tomo  IV.  d'effa  Italia 
facra  ,  leggiamo  :  Dum  reftderet  Buderico  Vicecomes  hi  Niello 
(  s'ha  da  feri  vere  Mallo  )  publico  in  Cune  Ducatus  Ct'vìrate  A- 
fienfe ,  Anche  in  Lucca  fi  truova  Curtis  Ducis  ^  come  fi  vedrà 
nel  Gap.  IX.  de  i  Meffi .  Il  perchè  durando  in  Milano  il  nome 
dì  Cord  ufo  y  che  io  nelle  Antich.  Eftenfi  credei  derivato  da  C^^- 
ria  Ducis  ,  per  aver  cre^^uto  a  Galvano  Fiamma  ,  il  quale  nel 
Manip.  Fior,  fcrive  :  uhi  ufque  hodie  Curia  Ducis  ,  fi-ve  vulp'o 
Cordujium  dicitur  ;  ora  credo  più  tofto  nato  quel  nome  da 
Curtis  Ducis  .  Anche  il  Palazzo  del  Re  era  appellato  Ctrais 
Regis  y  come  cofia  dalle  antiche  memorie.  Che  anche  nella 
Francia  i  Duchi  efercitaffero  1'  Ufizio  di  Giudici  ,  e  infieme 
quello  dell'armi,  lo  fa  conofcere  Venanzio  Fortunato,  dove 
Icrive  di  Lupo  Duce  : 

Bella  tnoves  armisy  jura  quiete  repis, 

Fultus  utrisque  èo??is  ,  i?i^2c  armis ,  Legibus  iUinc . 
La  menzione  fatta  di  fopra  di  Minulfo  Duca  del P If ola  di 
San  Giulioy  ci  conduce  a  ravvifare  ,  che  anticamente  vi  furo- 
no anche  de  i  Duchi  ,  che  comandavano  a  Luoghi  non  infì- 
gniti  col  nome  di  Citta.  Siccome  apparirà  dal  Cap. «57.  anche 
nel  Secolo  VIII.  fi  truova  un  Gio'va?2?ri  Duca^  il  quale  nell'An- 
no 772.  vendè  alcuni  poderi  ad  Anielberga  ,  Badefìa  di  Santa 
Giulia  di  Brelcia,  come  apparifce  da  uno  Strumento  cfiltentc 
nell'Archivio  de' Monaci  Benedettini  di  Reggio  .  Da  chi  fece 
l'Indice  delle  pergamene  del  celebre  Moniltero  Nonantolano  , 
fituato  nel  territorio  Modenefe  ,  egli  è  chiamato  Dux  Pevjìcepi 
&  Pontis  Ducis  :  non  so  per  qual  ragione  .  Certo  è  ,  che  in 
Ravenna  fi  contavano  una  volta  varj  perionaggi,  decorati  col 
titolo  di  Duca  .  Neil'  Archivio  Elìenfe  fi  truova  copia  della 
Donazione  fatta  nell'Anno  8pó^.  ò.2i  Ingel  arda  Conte jf a  ^  Figlia 
dì  Apaldo  Conte  del  Fala^x^  a  Pietro  Diaoono  della  Chiefa  di 
Ravenna  .  Fa  elfa  menzione  quondam  Martini  glorio jo  Duci  , 
Ò'  foa'vifftmi  'Viri  mei  ;  e  parimente  quondam  bon<s  memoria 
Gregorio  Soccro  meo.  Parla  di  beni  poiti  ///  Paventino  Territo- 


t  a 


Quinta.  57 

rio  Ò'Ducatu ;  e  d'altri  in  Territorio  Livienfc  Plebe  SanBi  Fau- 
lt Ducati  TraverfariiS  ;  ovvero  in  Comitatu  Comiaclo  ,  &  in 
Territorio  &  Docato  ejus  .  Si  fottofcrivono  Nataiis  Dei  pietate 
Dux^  Petrus  divino  nutu  Dux  Ò^  Judex  ,  Girolamo  Roffi  nella 
Storia  di  Ravenna  fa  menzione  d'altri  Duchi  efiftenti  in  quel- 
la Citt'a  ,  e  San  Romualdo  fisa,  che  fu  Figlio  òì  Sergio  Duca. 
E  che  folle  ereditario  in  quella  Cafa  il  titolo  di  Duca  ,  aliai 
lo  dimoerà  San  Pier  Damiano,  effendo  quel  Santo  Abbate  da 
lui  appellato  K.avennce  Civitatis  oriundus  ex  illujìrijjìma  Ducum 
fiirpe progenitus .  La  Villa  di  Traveriara  quella  era,  onde  pren- 
devano il  titolo  iuddetto  que'  perlbnaggi  ;  perciocché  da  due 
pergamene  del  poco  fa  nominato  Archivio  Ellenfe  fi  fcorge  , 
che  anche  neh'  Anno  iip/.  Traverfara  riteneva  il  nome  di 
Ducato^  di  cui  era  padrona  la  celebre  Famiglia  Ravennana  di 
Traverfara.  Fra  i  fuddetti  Duchi  niinori  fono  da  annoverare 
quei  della  Citta,  e  Territorio  Romano,  che  s'incontrano  prefib 
Anaftafio  Bibliotecario,  e  ne  gli  Strumenti  de' Secoli  Vili.  IX. 
X.  e  XI.  Ad  uno  d'effi  del  Moniftero  di  Subbiaco  fcritto  a' tem- 
pi di  Papa  Giovanni  X.  intervennero  come  telHmonj  Leone  , 
Romano^  Silvefiro.,  Nicolao^  q  Bofone ^  diftinti  ciaicuno  col  ti- 
tolo (WDuca^  e  chiamati  a  quell'atto  à^  Sergio  Duca  .  Nella 
Cronica  Farfenfe  abbiamo  un  Placito  dell'Anno  1015.  dove 
Romano  ,  Fratello  di  Papa  Benedetto  Vili,  è  intitolato  Ro- 
manus  Conful  &  Dux  ^  &  omnium  Koma?ioruì7ì  Senator.  In  al- 
tri due  Documenti  della  Badia  di  Subbiaco  da  me  dati  alla 
luce,  e  pertinenti  agli  Anni  ^52.  e  5? 56^.  £1  truovano  nomina- 
ti ,  Grati anus  in  Dei  nomine  Ccnful  &  Dux  ,  Georgius  CopjJuI 
&  Dux  :  titolo  dato  anche  a  Silveftro,  che  ivi  è  teltimonio. 

Tralascio  altri  fimili  Duchi  della  Citta  e  de'  contorni  dì 
Roma,  che  s'incontrano  nella  Cronica  Farfenfe,  e  in  altri  Do- 
cumenti .  Chi  s'applicafTe  in  Roma  a  coniultar  tante  Carte, 
che  ivi  nafcofte  fi  confervano  ne  gli  Archivi ,  ci  potrebbe  pro- 
babilmente iftruire,  fé  que' Duchi  governaffero  qualche  Citta 
del  Ducato  Romano  ,  o  pure  fé  efercitaffero  folamente  qual- 
che Miniflero  di  Spada  o  Toga.  Non  altro  dirò  io,  fé  non  che 
in  uno  Strumento  dell' Anno  ^c?o.  riferito  nell'Opera  Mita,  de 
Sacroi.  Sudario  da  Jacopo  Grimaldi,  comparifce  Guido  vir  no- 
hilis ,  7ìeptus  Pofitificis  ,  &  Dux  Aricienfts  ,  cioè  s'  io  iTial  non 
mi  appongo  della  Riccia  .  Cosi  nella  Vita  di  San  Nilo  Cala- 
brefe  Tom.  VI.  Vet.  Script,  del  P.  Marlene  fi  truova  Grcgorius 

Dux 


38  Dissertazione 

Vuy:  Domlnus  Titfculam ,  Furono  anche  foliti  gli  Augudi  Greci 
di  mettere  nelle  Citta  e  Provincie  Italiane,  che  s'erano  fai  va- 
te dai  furore  de'  Longobardi  ,  un  Governatore  con  titolo  di 
Duca  .  La  Lettera  L  del  Lib.I.  di  San  Gregorio  Magno  è  fcrit- 
ta  Godìfcalco  Duci  Campante^  .  La  cinquantefinia  ottava  d'effe 
Libro  è  indirizzata  Arftc'tno  (  o  piìi  tolto  Urjicino  )  Duci ,  Cle- 
ro ,  &  Plebi  Arimimnjìs  Civitatis  ;  e  la  Decima  del  Lib.  XIV". 
Goduino  Duci  Neapolis .  Vedemmo  anche  prefTo  Analìafio  Bi- 
bliotecario Agatone  Duca  della  Città  di  Perugia  ;  e  da  lui  me- 
defimamente  vien  commemorato  circa  l'Anno  730.  Tato  Dux 
Nepeftme  Civitatis ^  cioè  di  Nepi .  Sicché  in  Italia  v'erano  al- 
lora Duchi  di  Provincia  ,  e  Duchi  di  una  fola  Citta  .  Nella 
Francia  in  que' tempi  pare  che  folamente  fi  ul'affero  i  Duchi 
Provinciali.  E  quello  fia  detto  de' Duchi  Alinori. 

Vegniamo  a  i  Duchi  Maggiori  de' tempi  Longobardici,  l'au- 
torità de' quali  fi  ftendeva  lopra  un' intera  Provincia  .  Di  tali 
Duchi  non  più  che  due  credo  io  che  fi  contaffero  allora  nel 
Regno  d'Italia,  cioè  quei  di  Benevento  e  Spoleti  .  Perchè  fi 
trovavano  que' paefi  circondati  dalie  Citta  e  Fortezze  de' Gre- 
ci, che  tuttavia  fignoreggiavano  nel  Littorale  dei  Regno  ora 
di  Napoli  ,  e  nel  Ducato  Romano  ,  e  nell'Elarcato  di  Raven- 
na, laonde  quafi  continue  erano  le  guerre  fra' Greci  e  Longo- 
bardi :  perciò  a  i  Duchi  di  Benevento  e  Spoleti,  tuttoché  iot- 
topofti  alla  Sovranità  del  Re  della  Longobardia,  fu  conceduta 
più  ampia  autorità  e  balm  ,  per  potere  refiftere  a  i  nemici . 
E  però  que'  due  nobilifilmi  Ducati  fi  folcano  conferire  a  gli 
fìeffi  Parenti  de  iRe.  Maggiore  nondimeno  dell'altro,  e  di  più 
potenza  fu  il  Beneventano.  Ho  io  altre  volte  creduto,  che  coi 
due  Ducati  fuddetti  aveffe  origine  fui  principio  ancor  quel  del 
Friuli^  a  ciò  indotto  da  Paolo  Diacono,  che  ci  dk  la  ierie  di 
que'  Duchi  continuata  fotto  i  Longobardi  al  pari  di  quei  di 
Benevento  e  Spoleti  .  Ma  fatti  meglio  i  conti,  ora  tengo,  che 
cffi  Duchi  non  altra  fignoria  godefiero,  che  quella  del  Foro  di 
Giulio^  Citta  che  oggidì  fi  chiama  Cividal  di  Friuli  ,  e  delle 
Terre  e  Caflella  da  effa  dipendenti;  e  che  ninna  autorità  a  lui 
competeffe  su  le  Citta  di  Trivigi ,  Padova  ,  Vicenza  ec.  per- 
chè a  quelle  comandava  il  loro  proprio  Duca.  Solamente  dap- 
poiché Carlo  M.  conquido  il  Regno  d'Italia,  fu  da  lui  illitui- 
ta  la  Marca  del  Friuli  ,  e  al  Governatore  di  effa  conferito  il 
titolo  di  Duca  e  poi  di  Marchefe  .  Abbracciava  quella  Marca 

le 


Q^     U      I      N      T      A  .  jp 

le  circonvicine  Citt'a  ,  acciocché  colle  loro  forze  unite  potefTe 
quel  Principe  rcfiftere  ai  Greci,  Sciavi,  ed  Avari ,  confinanti 
al  Friuli .  Fu  poi  ella  col  tempo  appellata  anche  Marca  di  Tri- 
'vigi  ,  e  Marca  di  Verona  ,  perchè  in  quelle  Citta  fiflarono  i 
Marchefi  la  loro  refidenza.  Anzi  per  accrefcere  la  forza  dVfTì 
Ivlarchefi  fi  coflumò  di  fottoporre  ad  elfi  anche  il  Ducato  del- 
la Carintia,  Come  s' ha  dagli  Annali  de'FVanchi  all'Anno  8ipi 
fotto  Lodovico  Pio  5  cvim  Baldricus  Dux  (  del  Friuli  )  ifi  Carabi- 
tanorum  regionem  ,  qu(S  ad  ipfius  curam  pertinebat  ,  ft^^Jf^f  in- 
freJTus ,  Ho  io  pubblicato  un  Placito  dell'Annoici/,  ricava- 
to dal  Regiftro  del  nobiliffimo  Moniftero  di  San  Zacheria  di 
Venezia  ,  dove  fi  legge  :  Dmn  in  Dei  nomine  in  Ccmitatu  Ter- 
njifanienfe  ^  in  Villa  Axi Ilo  defubtus^  -per  ejus  data  licenzia  ^  in 
judicio  re  fiderei  Do?ius  Adelpeyro  Dux  iftius  Marchici  Carentafìo- 
rum  Ù'c,  S'ha  da  leggere  ijìius  Marchici  &  Carentanorum  ^  ef- 
fendo  certo,  che  Adelberone  governò  l'una  e  1' altra  Marca  , 
o  fia  Ducato  .  Berengario  I.  che  fu  pofcia  Re  d'Italia  ,  ed 
Imperador  de'  Romani  ,  ficcome  ancora  Eberardo  fuo  Padre  , 
ed  Unroco  fuo  Fratello  ,  reffero  il  Ducato  del  Friuli ,  ed  ufa- 
rono  il  titolo  di  Duchi ,  ficcome  vedremo  al  Cap.  22.  E  que- 
flo  a  noi  badi  per  ora  del  Ducato  o  fia  Marca  del  Friuli . 

Torniamo  ora  al  Ducato  di  Spoleti  ,  fomraamente  riguar- 
devole nel  Regno  d'Italia,  talmente  che  nell'Anno  851.   quel 
Duca  era  chiamato    con  titolo  magnifico   gloriofus  &  Jummus 
Dux  gentis  Langobardorum   in  Spoletis ^  come  colla   da  un  Placi- 
to rapportato  dal  P.  Mabillone  ne  gli  Annali  Benedettini  .   Di 
eflb  Ducato  hanno  ampiamente  trattato  il  Conte  Bernardino 
Campelli  nella  Storia  di  Spoleti,  e  Pompeo  Compagnoni   nella 
Regia  Picena  .  E*  da  offervare  ,  che  Carlomanno  Re  in  un  Pri- 
vilegio conceduto  a  i  Monaci  di  Calauria  ,  e  riferito  nella  Par- 
te II.  del  Tomo  II.  Rer.  Italie,   pag.  812.  ed  817.   nomina  ali' 
Anno  ^'JJ.   ambos  Spoletanos  Ducatus  .   E  ciò   perchè  s'era  divi- 
fo  quel  Ducato  nel  di  qua  e  nel  di  la  dell' A  pennino,  e  vi  co- 
mandavano allora  Guido  e  Lamberto  amendue  Duchi  di  Spo- 
leti .  Il  di  qua  divenne   poi  Ducato  di  Camerino^  e  pofcia  Mar- 
ca di  Fermo ^  e  Marca  di  Ancona  .   Il  Fiorentini  nella  Vita  del- 
la ContefTa  Matilda   giudicò  ,  che  quella  Principelfa  fignoreg- 
giaffe  il  Ducato  di  Spoleti,  e  infieme  la  Marca   Suddetta,  ma 
fenza   poterne  addurre  pruova  .   Ho  io  tratta   dal  Regi(tro  di 
Cencio  Camerario  e  pubblicata  una  Bolla  di  Onorio  111.  Papa 

deli' 


4.0  Dissertazione 

dell'Anno  1221.  che  tratta  della  ricupera  delle  Terre  e  Ca- 
fìella  di  efla  Contefla;  da  cui  apparifce,  aver  ella  poffeduto  Spo- 
leti,  Narni ,  Terni,  Todi,  Foligno,  Perugia,  A  (Ti  fi ,  Noce- 
ra,  ed  altre  Citta  e  Luoghi  di  quella  Contrada,  e  della  Mar- 
ca di  Ancona. 

P I  u^  riguardevole  del  Ducato  di  Spoleti  dicemmo  efìfere  (la- 
to il  Beneve7ìta?io^  sì  per  la  fua  grande  eftenfione,  intorno  alla 
quale  è  da  vedere  un  Trattato  delFingegnofo  Camillo  Pellegri- 
ni; come  per  alcune  altre  particolari  prerogative  fue.  Certo  è, 
che  i  Duchi  di  Benevento  riconofcevano  per  loro  Signore  il 
Re  de' Longobardi.  Ma  da  che  Dcfiderio  ultimo  Re  di  quella 
Nazione  cadde  infieme  col  Regno  fctto  la  potenza  di  Carlo 
Magno,  Arichis,  o  fia  Arigifo  Duca  di  Benevento,  non  cre- 
dendofi  obbligato  a  ricevere  per  fuo  Sovrano  ,  chi  ninna  ra- 
gione avea  fopra  di  lui,  alzò  la  tefta,  e  prefe  il  titolo  di  Prin- 
cipe, cioè  di  Re  fenza  ufare  il  nome  di  Re  ,  come  e' infegna 
Erchemperto  Storico  di  quelle  parti  .   Ma  non  poteano  le  for- 
ze fue  competere  con  quelle  di  un  Carlo  Padrone  della  Fran- 
cia, di  gran  parte  della  Germania,  ed  anche  della  Lombardia. 
Gli  convenne  dunque  di  accordarfi  col  Re  novello,  confervan- 
do  nondimeno  i  iuoi  diritti,  legati  danna  lieve  lervitù .  Gri- 
moaldo  fuo  Figlio  non  volle  flare  a'  patti  ,  e  ne  nacque  gran 
ouerra  ,  a  cui  diede  fine  col  renderfi  iolamente  tributario  al  Re 
d'Italia,  e  promettere  di  pagargli   annualmente  fette  mila  Ioi- 
di d'oro.  Non  fi  può  perciò  negare,  che  quel  Ducato  conti- 
nuane ad  effere  porzione  del  Regno  Italico;  ed  Eginardo  nella 
Vita  di  Carlo  Magno  ,  e  gli  Editti  di  quel  grande  Imperado- 
re  ,  attefiano  ,  che  anche  i   Principi   di  Benevento  entravano 
fra  le  conquifte  de' Franchi.  Riconobbero  efii  quefta  medefima 
Sovranità  in  Lodovico  II.   Augnilo;    allorché  nell'Anno   851. 
e^li  parti  il  Ducato  Beneventano  fra  due  contendenti ,  cioè  fra 
Radelchi ,  e  Siconolfo  .  Per  altro  larga  mifura  di  Signoria  ,  e 
una  quafi  indipendenza  fu  lafciata  a  que'  Principi,  affinchè  non 
fi  gittafiero  in  braccio  a  i  Greci  confinanti  ,    ficcome  talvolta 
avvenne,  allorché  non  poterono  dimeno,  o  gli  Augufti  di  Oc- 
cidente troppo  vollero  efigere  da  elfi  .  Soflennero  i  medefimi 
anche  lungamente  il  decoro  della  Nazion  Longobarda  con  in- 
titolarfi    Gentis  Langobardorum  Prhicipes  .    Nella  Cronica    del 
Moniftero  di  Volturno  noi  abbiamo  un  Diploma  di  Landolfo 
ed  Ate7iolfo  Fri/icipi  di  Bc}ieve?no  5   i  quali  s' intitolano  Anty- 

pati 


Q_  u    1    N    T    A  ;  4T 

pati  Ò'  Patrìàl  nomi  fignificanti  due  delle  principali  Dignità  , 
che  fi  conferivano  da  i  Greci  Imperadori  a  chi    li  riconofceva 
per  Sovrani  .  Nella  ftefia  maniera  anche  Guahnario  L  Prìncipe 
(liSaler7Jo^  come  colia  da  un  fuo  Diploma  efillente  nell'Archivio 
del  Moniftero  della  Cava,  e  fcritto  nell'Anno  8pp.  s'intitola  fVai- 
ììiartus  Princeps  Ò'  Imperialis  Patrìtius  .   Portava  il  titolo  di  Pa- 
(rÌT^o  ,  e  da  chi  conferitogli  ?  Lo  die'  egU  colle  feguenti  paro- 
le :  ^ia  co?7ceJfum   eft  mibì   a  SanB'tJftm'ts  &  p'tijjìm'ts  Jmpe- 
peratoribus  Leone  &  Alexandre  per  berhum   &  firmi JJimum  Prce- 
ccptttm  Bulla  aurea  Jigillatum  integra)?}  fortem  Beneventana:  Pro- 
vincite^  ftcut  divifum  eft  inter  Sichenolfum  &  Kadelchifum  Prin- 
eipem^  ut  liceat  me  exiiìde  facere  quod  voluero  ^  Jìcut  Antecejfto- 
res  mei   omnes  Principes  fccerunt  .    Degne   fon    di  ofTervazione 
quefte   pregnanti  parole  per  intendere   cofa  fofìTero  una  volta  i 
Principi  Patrizj  .    A  riferva  del  fupremo  Dominio  ,  ch'eflì  ri- 
conofcevano  nell'Imperadore,  godevano  e(fi  tutte  le  Regalie, 
con  ritenere  tutto  l'efercizio  dell'autorità  Principefca ,  talmen- 
te che  diveniva  una  fpecie  di  Sovranità  ,  fottopofta  nondimeno 
alla  maggiore  de  gli  Augnili  :    del  che  abbiamo  anche  oggidì 
tanti  eiempli  in  Germania  ,  ed  anche  in  Italia  .  Il  perchè  gì' 
Imperadori  di  Occidente,  e  i  Re  d'Italia  ne' loro  Editti  ordi- 
nariamente non  vi  comprendevano  i  Principati  di  Benevento  e 
Salerno  ;    e  que'  Principati  pafTavano  per  iuccelTione  ,    e  non 
per  elezione ,  ne'  Figli  ;  ed  ufo  loro  fu  di  nominare  Sacro  Pa- 
la-z^  la  Corte  loro  ad  imitazion  de  i  Monarchi  ,  come  appa- 
rifce  da  i  loro  Diplomi,  anche  da  me  dati  alla  luce  .  Stile  an- 
cora fu  de  i  Veicovi  ed  Abbati    di  farfi  confermare    da  que' 
Principi  i  loro  Beni,  nella  ftefia  guifa  che  nel  reflo  del  Regno 
Italico  gli  altri  ciò  impetravano  dai  Re  o  da  gli  Augufli  figno- 
reggianti.  Ma  da  che  prevalfero  le  forze  de gf  Imperadori  Ger- 
manici nel  Regno  chiamato  oggidì  di  Napoli,  noi  troviamo, 
che  gU  Ecclefiadici  anche  da  eflì  cercavano  la  conferma  de  i 
loro  diritti  e  poderi  :  il  che  coffa  da  i  Diplomi  di  Ottone  II. 
ed  Arrigo  I.  fra  gli  Augnili ,  per  tacere  de  gli  altri  .   E  quello 
fia  detto  de' Principati  di  Benevento  e  Salerno^  dell'ultimo  de' 
quali  divifo  fi  formò  col  tempo  quello  di  Capoa  ,  i  cui  Principi 
per  lo  più  s* intitolavano  Conti, 

Celebre   parimente  fu  in  quelle  parti  W  Ducato  di  Napoli. 
Mai  non  riufci  a  i  Re  e  Principi  Longobardi  ,  né  a  gliAugufli 
Franchi ,  né  a  i  primi  Imperadori  Tedefchi  di  fottomettere  al 
Tomo  L  F  loro 


42  Dissertazione 

Ipro  dominio  quella nobilifTì ma  ed  antica  Citta.  Era  ivi  eletto 
dal  Popolo  il  luo  Duca,  dipendente  perlopiù  dalla  Sovranità 
de' Greci  Augufti.  Truovanfi  i  Rettori  di  Napoli  appellati  an- 
che Magijìri  Militi^  o  pure  intitolati  Coìjfoli  ;  e  talvolta  s'uni- 
vano in  loro  tutti  quefti  Titoli .  Fin  dopo  il  mille  durò  la  Si- 
gnoria de  i  Duchi  di  Napoli  .  I  Normanni  fecero  poi  mutare 
faccia  al  fillema  di  quelle  contrade.  In  oltre  fu  affai  rinomato 
ne' vecchi  tempi  iX  Ducato  di  Amalfi  ^  del  quale  ho  io  pubbli- 
cata una  Cronichetta.  La  Mercatura  e  il  Commerzio  per  mare 
renderono  affai  doviziofo  quel  Popolo.  Anche  Sorrento  e  Gaeta 
ebbero  i  loro  Principi ,  chiamati  Duchi;  ma  fi  videro  talvolta 
forzati  a  cedere  alla  fortuna  de'  piìi  potenti  .  Perciò  nelF  hn- 
no  105 1.  come  fi  ricava  da  un  Diploma  del  Moniftcro  della 
Cava,  Guaimario  IV.  Principe  di  Salerno  s'intitola  ancora  Dux^ 
AmalpBis  &  Stirrenti .  Ma  tutti  que' Principati  rimafero  infi- 
ne aflbrbiti  dalle  forze  de' Normanni  :  del  che  parlano  le  Sto- 
rie, ed  alcune  memorie  da  me  date  alla  luce  .  Erano  bensi 
coloro  Duchi  di  una  folaCittk,  ma  con  autorità  Principefca  la 
governavano,  riconofcendo  folam.ente  per  loro  Sovrani  gì' In> 
peradori  di  Oriente . 

Ci  chiama  ora  il  Ducato  della  Tofeana  ,  Francefco  Maria 
Fiorentini,  e  Cofimo  dalla  Rena  giudiziofi  Scrittori  furono  di 
opinione,  che  al  pari  di  Benevento  e  Spoleti  anche  la  Tofea- 
na diveniffe  Ducato  fotto  i  Re  Longobardi.  Non  so  io  concor- 
rere nel  loro  parere  .  Perchè  Fredegario  nella  Cronica  ci  fa  ve- 
dere nel  Secolo  VII.   Tafonem  Ducem  Provincia  TufcamSy  non 
fi  può  inferire  con  certezza,  che  cofiui  comandaffe  a  tutta  la 
Tolcana,  potendo  fignificar  quelle  parole  ,  ch'egli  era  uno  de 
i  Duchi  della  Provincia  della  Tofeana ,  e  non  gi'a  Governatore 
di  tutta  la  Tolcana.  Ci  fan  quegli  Autori  vedere  in  eiTa  y^//o- 
Tiiftmo  ,  IValperto  ,  Oberto  ,  Alberto  ,  e  Tachiperto  ,  che   prima 
dell'Anno  800.  erano  fregiati  col  titolo  Ducale,  e  pofcia  ^//o-. 
ne^  Wicheraìv.o^  Bonifa-zio  L  e  Bonif^T^o  IL  fuo  Figlio  parimen- 
te chiamati  Duchi  in  quelle  contrade,  con  credere  perciò,  che 
tutta  la  Tofeana  foffe  alloro  governo  fottopofta.  Ma  da  che  ab- 
biam  veduto,  che  anticamente  v'erano  Duchi  non  d'altro  Go- 
vernatori ,  che  di  una  fola  Citta,  nulla  fi  può  conchiudere  da 
quella  enunziativa;  e  refia  verifimile,  che  coloro  reggeffero  la 
loia  Citta  di  Lucca,  perchè  iolamente  negh  Strumenti  di  quel- 
la Citta  fi  truova  il  loro  nome.  In  uno  ch'io  ho  riferito,  pre» 

-  lo 


Q_    U      I      N      T      A  .       '^  4J 

fo  dall' infigne  Archivio  dell' Arcivefcovo  di  Lucca,  è  fatta  nell' 
Anno  713.  menzione  Domni  IValpertt  Duci  noftro  Cìvttatts  ?io- 
ftns  .  Non  è  coftui  chiamato  Duca  della  Tolbana  ,  ma  bensì 
Duca  della  nofìrn  Chtà  ,  cioè  di  Lucca  .  Né  giova  il  dire  col 
Fiorentini,  clie  Lucca  era  Capo  della  Tofcana  ;,  e  chi  dicea 
Duca  di  Lucca  veniva  a  dire  Duca  di  quella  Provincia ,  ficco- 
•me  fi  ufava  per  li  Duchi  di  Benevento  e  Spoleti .  Imperciocché 
gli  antichi  chiamarono  bensì  la  Provincia  di-Benevento  e  di  Spo- 
leti, ma  non  mai  la  Provincia  di  Lucca  .  Conietturò  il  Fioren- 
tini fuddctto,  e  tennero  per  certo  Cofimo  della  Rena,  e  il  Pa- 
dre Pagi  ,  che  Defiderio  ultimo  Re  de' Longobardi  ,  prima  di 
giugnere  nelf  Anno  75^.  al  Trono  ,  foffe  Duca  della  Tofca- 
na ;  ma  fenza  addurre  buone  pruove .  Secondo  la  Cronica  del 
Dandolo,  DeGderio  ,  qui  Dus  Iftv'tx  erat  ^  auiàlio  Papa;  fa6lus 
ejl  Rex  Longob/irdorum  .  Certamente  fé  anche  la  Tolcana  fu 
anticamente  eretta  in  Ducato  ,  non  fi  sa  intendere  ,  perchè 
Paolo  Diacono  si  efatto  in  riferire  la  ferie  de  i  Duchi  di  Be- 
nevento ,  Spoleti ,  e  Friuli ,  nulla  mai  parlafle  di  quei  della 
Tofcana,  anch' efla  si  riguardevole  Provincia..  Ma  fiaggiugne, 
che  nella  Lettera  feffantefiraa  del  Codice  Carolina  fcritta  da 
Papa  Adriano  L  circa  l'Anno  776".  vien  nominato  Reginaldo 
(  noi  ora  diciamo  Rinaldo  )  qui  nunc  in  Clujina  Civitate  Dux 
ejfe  'uìdetur.  Chiufi,  come  ognun  sa,  è  in  Tolcana .  E  nella 
iettantefima  quarta  Gundibra?idus  Dux  Civitatis  Florefitincd  . 
Adunque  non  uno,  ma  più  Duchi  avea  la  Tolcana  nel  Seco- 
lo VIIL  Ma  che  nel  fuffeguente  foffe  formato  di  quella  Pro- 
vincia un  Ducato  ,  non  fé  ne  può  dubitare  .  Forfè  n'ebbe  di 
tutta  il  Governo  Bonifacio  IL  perché  nella  fpedizione  da  lui 
fatta  contro  i  Coriari  d'  Affrica  ,  narrata  da  gli  Annali  de  i 
Franchi,  fembra  aver  comandato  Tufcide  Comitibus  ..'E  il  ve- 
dere chiamati  allora  Conti  gli  altri  Governatori  di  quella  Pro- 
vincia, e  non  più  Duchi ,  porge  anch' effo  qualche  indizio  di 
mutazione  in  quelle  parti  ieguita  .  Egli  è  poi  certo,  che  gli 
Adalberti  Primo  e  Secondo,  da' :quaii  "fecondo  le  conietture  da 
me  recate  nella  Par.I.  delle  Antich.  Eftenfi  pare  difcefa  laSe- 
reniffima  Cala  d'Effe,  che  poi  fi  diramò  nella  Regale  di  Brun- 
fuich  ,  furono  Duchi  .e  March efi  di  tutta  la  Tolcana  ,  e  così 
i  lor  Succeffori .  Truovafi  ne  gli  antichi  Documenti  da  me  ae- 
cennati  il  fuddetto  Adalberto  IL  ora  nominato  Conte  ,  perché 
Governatore  di  Lucca  ,  ed  ora  Duca  ,  ora  Marchefe  ,    perchè 

E     2  So- 


44-  Dissertazione 

Soprintendente  alla  Tofcana  tutta  .  Che  Lucca  fofTe  tenuta 
per  Capo  di  quella  Provincia  ,  l'ho  ofìfervato  in  uno  Strumen- 
to delle  luddette  Antichità  Eflenfi  .  Ma  Liutprando  Storico  nel 
Lib.  III.  Cap.  4.  nomina  P'tfam ,  quce  efl  Tnfctcs  Provincia^  Ca- 
^put  :  E  ciò  perchè  i  Duchi  rifiedevano  ora  in  Lucca  ,  ed  ora 
in  Fifa. 

Resta,  che  facciamo  memoria  anche  àt\  Ducato  di  Vene* 
'2^a  ,  antichiflimo  al  pari  d'  ogni  altro  in  Italia  ,  ma  non  del 
Regno  d'Italia,  perchè  non  mai  lottopofto  a  quefti  Re  ,  né 
a  gl'Imperadori  Franchi  e  Germanici  .  Ciò  appariice  da  i  Patti 
ftabiliti  fra  efTì  Monarchi,  e  i  Duchi,  appellati  ora  Dogi  di  Ve- 
nezia, come  di  fopra  accennammo  nel  Cap.  II.  Andrea  Dan- 
dolo, riferendo  la  Pace  feguita  fra  Carlo  M.  Augu (lo,  e  l'Im- 
perador  de'  Greci  ,  con  ragione  fcriffe  :  Per  hoc  quippe  Decre- 
tum  Carolus  approhans  ,  quod  cum  Nicephoro  aBum  fuerar^  No- 
'vam  Veneùam  a  fé  ahàicany'tt  ,  permittens  Venefos  amodo  per 
totum  Occidentale  Imperium  terras  fuas  pojjidere^  &  illis  immu- 
Tjitatibus  gaudere  ^  quibus  fub  Grcccorum  univerfali  Imperio  pan- 
dere  filiti  erant .  Che  poi  qualche  dipendenza  ,  almeno  di  pro- 
tezione ,  avefìfcro  i  Dogi  -di  Venezia  da  i  Greci  Augufti,  trop- 
po è  verifimile  ;  perchè  trovandofi  i  Veneti  in  mezzo  a  due 
Potenze,  cioè  de' Greci  dall'una  parte,  e  de  i  Re  Longobardi, 
e  poi  de  gì'  Imperadori  Franchi  dall'  altra  ,  tutte  fempre  vo- 
gliofe  d'ingoiare  i  vicini^  o  di  ricuperare  il  perduto,  non  avreb- 
be potuto  foftenerfi  un  picciolo  Popolo  in  una  intiera  Libertà  . 
Allorché  nell'Anno  72^.  Ravenna  fu  occupata  da  i  Longobar- 
di, Gregorio  II.  Papa  in  una  Lettera,  rapportata  dal  Dandolo 
e  dal  Cardinale  Baronio,  comandò  Urfi  Duci  Venetiarum  ài  ac- 
correre con  tutte  le  fue  forze  per  levar  di  mano  a  i  nemici  quel- 
la Città  .  Non  con  altro  titolo  potè  quel  Pontefice  inviare  tal 
ordine ,  fé  non  per  bal'ia  a  lui  data  dal  Greco  Augnilo  per  fo- 
flentare  gli  Stati  dell'  Imperio  in  Italia  .  Per  qualche  tempo 
cefsò  in  Venezia  il  titolo  di  Doge  ,  e  il  Rettore  di  quella  Re- 
pubblica fu  nominato  Magijìer  Militum  ^  cioè  Generale  d'Ar- 
mata, o  Comandante  dell'armi.  Uno  di  quefti  fu  Giuliano  nell' 
Anno  740.  di  cui  COSI  fcrive  il  Dandolo  Lib.  VII.  Cap.  7.  della 
fua  Cvonica  .  Hic  ex  ìnmiificenti a  Imperiali  Hfpntus^  idejì  Co7ì- 
' fui  Imperi alis  jam  faBus^  hunc  honorem  promeruit  obtinere .  Co- 
s'i Deusdedit  dopo  pochi  Anni  Imperialis  Hfpati  honore  funge - 
batur  .  Lo  fteffo  è  narrato  di  Maurizio  j    e  d'  altri  SuccelTori  . 

Altro 


Q^    U      I      N      T     A  .  45 

Altro  Auguflo  non  v'  era  allora  che  il  Grece  ,  e  il  nome  di 
Hj'pntus  lenza  dubbio  era  da  lui  conferito  .  A  quello  convien 
riferire  ciò,  che  ha  Francefco  Sanfovino  nella  Venezia  illuflra- 
ta,  ftampata  in  efla  Citih  nel  i<5o4.  Racconta  e^Ii  di  aver  avu- 
to fotte  gli  occhi  r  Elame  de'teftimonj,  fatto  per  ordine  dell' 
Imperador  Carlo  M.  nell'Anno  804.  da  Izzone  (forfè  Azzone) 
Cadaioo,  e  Aione  Conti,  mandati  in  Iftria  a  cagion  delle  eftor- 
fioni  ,  delle  quali  era  acculato  Giovanni  Duca  di  quella  Pro. 
vincia  .  Ab  antiquo  tempore  (  diceano  quegl' Iftriani  )  dum  fui- 
mus  fub  potevate  Gracorum  Imperli  (  erano  elfi  paflati  fotto  il 
dominio  di  Carlo  )  habuerunt  parentes  nojìri  confuetudinem  ha- 
bendi  aVms  Tribunati ,  Domejìicos  ,  feu  Vicarios ,  necnon  hocifer- 
njatores  ;  &  per  ipfos  honores  ambulabant  ad  commuìiionem  ^  & 
fedebafìt  in  co7ifeJfu  unusquisque  prò  fuo  honore  .  Kt  qui  ^uole- 
bat  meliorem  honorem  h abere  de  Tribuno^  ambulabat  ad  IMPE- 
RIUM  (  cioè  ali'  Imperador  de'  Greci  )  qui  illum  ordinabat 
HrPATUM .  Tunc  ille  qui  Imperialis  erat  Hfpatus  ,  in  omni 
loco  fecimdum  illum ,  Magijìratum  Militum  prcccedebat . 

Da  tali  parole  fi  può  prendere  lume  per  intendere,  qual 
foife  l'antico  fiftema  di  Venezia.  Infatti  fcrive  il  Dandolo  nel 
Lib.  VII.  Cap.  23.  Nicephorus  Orientale  Imperium  fufcepit  Anno 
Dom,  DGCC 1 1 1.  Hic  Nuntios  Carolo  mijit  ,  &  cum  eo  foedus 
ìniit .  In  hoc  feeder  e  ,  feu  decreto  ,  7iominatim  firmatum  ejì  , 
quod  Venetide  Urbes^  &  maritimi^  Dalmatice  ,  qu<je  in  Devotione 
Imperii  illibata  perftiterunt  ,  ab  Imperio  Occidentali  nequaquam 
debeant  molefìari^  in-vadi  ^  'uel  minorari  .  Sotto  i  Greci  Augu- 
Iti  era  al  certo  la  Dalmazia  :  adunque  anche  l'altre  Citta.  E 
tuttoché  Pippino  Re  d'Italia  ne  gh  Anni  805?.  e  810.  fciceffe 
iin*invafione  cola,  pure  per  atteftato  de  gli  Annali  de' Franchi 
Niciforo  Venetiam  reddidit  ;  non  già  la  Provincia  anticamente 
chiamata  Venezia,  perchè  quella  reflò  fempre  all' Imperador 
òi  Occidente;  ma  bensì  la  Citth  .  Per  conleguente,  fecondo  il 
fuddetto  Dandolo,  Niceta  Patrizio,  e  Generale  della  Flotta  de' 
Greci,  Veneti as  accedens^  Obelerio  Duci  Spatarii  titidum  ea  Im- 
periali  largitione  gratiofe  concejftt  .  E  il  iucceffore  Angelo  Do- 
ge mandò  a  Collanrinopoli  uno  de' fuoi  Figli,  qui  ab  Impera- 
tore Leone  honorem  Hypati  ,  feu  Imùerialis  Confulis  ,  obtinuit . 
Cosi  nell'Anno  840.  venuto  a  Venezia  Teodoro  Patrizio  Gre- 
co, Imperiali  nomine  Petrum  Ducem  Spatarium  Imperii  coìifti- 
tutt  ^  &  Venetos  requiftvit.  up  contra  Saracenos  apparatum  belli- 

cum 


+(5  Dissertazione 

cum  mìrtere  'vdocher  procurarem ,  E  nell'Anno  880.  UrfusDu^ 
Venetorum  per  Aprocrìfarìos  Bafiltt  Imperatoris  Protojpatarius  ef' 
feSlus  5  magni  ponderk  campanas  Imperatori  delegavit .  Grande 
al  certo  in  que'  Secoli  ancora  fu  1'  autorità  de  1  Dogi  Veneti  , 
ed  una  fpezie  di  Autocrazia  in  eflì ,  perchè  formavano  Patti 
co  i  Re  d'Italia  e  con  gì' Imperadori  di  Occidente;  mantene- 
vano Armata  navale  ;  facevano  guerre  a  loro  arbitrio  ;  ebbero 
il  nome  di  Pala^z2^  e  di  Camera  :  indizj  di  Sovranità .  Ed  ef- 
fendo  poi  calata  la  potenza  de'  Greci ,  più  non  ebbe  Venezia 
dipendenza  alcuna  da  quegli  Augufli  .  Ahzì  fui  fine  del  Seco- 
lo Decimo,  per  atteftato  di  San  Pier  Damiano  nella  Vita  di  San 
Romoaldo  al  Gap.  V.  Pietro  Orfeolo  Doge  di  Venezia  Dalmati- 
ti  Regni  adeptus  eft  Frmcipatum  .  In  uno  Strumento  ,  da  me 
dato  alla  luce  ,  nell'  Anno  1017.  Ottone  Orfeolo  ,  parimente 
Doge,  fi  vede  intitolato  Dux  Veneticorum  ac  Dalmaticorum,  E 
in  un  altro  del  1074.  s'incontra  Domtnicus  Sfl^lus  per  mi/eri- 
cordi  am  Dei  Veneti  ce  &  Dalmatica  Dux .  Era  egli  Doge  non  per 
concefljone  di  alcun  Sovrano,  ma  per  fola  grazia  di  Dio,  e  pe- 
rò Sovrano  .  E  ciò  fa  a  noi  intendere  ,  perchè  trovandofi  Ar- 
rigo IV.  fra  gl'Imperadori  nell'Anno  1116.  in  Venezia,  e  con- 
cedendo un  Privilegio  alle  Monache  di  San  Zacheria,  quel  Di- 
ploma fi  dice  fcritto  in  Regno  Ve?ieciarum  in  Palatio  Ducis  , 
come  apparifce  dal  medefimo  pubblicato  da  me  nella  Parte  I. 
Gap.  2p.  delle  Antich.  Eftenfi.  E  ciò  bafti  dell' i,nclita  Gitta  di 
Venelzia  ,  il  cui  fenno  e  valore  per  tanti  Secoli  ha  faputo  fo- 
flenere  la  fua  Sovranità  e  Liberta  :  il  che  non  fi  legge  d'alcu-^ 
na  altra  Citta  dell'Occidente  e  dell' Oriente  ► 

De  gli  antic/ji  Marche  fi  d^  Italia ., 

DISSERTAZIONE    SESTA. 

DA  che  è  venuto  a  si  buon  mercato  il  titolo  di  Marche- 
fé,  fpezialmente  in  Italia  ,  Francia,  e  Spagna,  che  lo 
godono  i  privati  Gentiluomini  per  piccioli  Feudi  di  Terre  e 
Gaftella  ,  e  talvolta  anche  fenza  Feudo  alcuno  :  s'  è  perduta 
l'Idea  de  gli  antichi  Marchefi  d'Italia,  i  quali  erano  Principi 
grandi,  e  Governatori  perpetui  di  qualche  Provincia .  Marcha 
^Marchia  parola  Tedelca ,  fignificava  il  confine  di  uno  Srata. 

Foris 


Sesta.  4.7 

Foris  Mciych^m  ?!emo  -mancìpi a  vcndat:  fi  legge  in  un  Capito-- 
lare  di  Carlo  M.  dell'  Anno  775?.  preflb  il  Baluzio  .  Però  que' 
Duchi  o  Conti  ,  che  fotto  gì' Imperadori  Franchi  e  Germani- 
ci erano  deputati  alla  difefa  de'  confini  del  Regno  ,  fi  comin- 
ciarono a  chiamare  Marcbìoìies  ^  Marchenfes^  Marchi  fi.  In  un 
altro  Capitolare  d'eflo  Carlo  M.  Toni.  I.  pag.  52^.  viene  or- 
dinata  la  ricerca:  ^u^omodo  Marcha  noftr a  ftt  ordinata^  &  quas 
p^y  fg  fecerunt.  conjintales  noflri  &c.  Leggefi  di  fotto  :  De  illis 
hominibus  non  recipiefidis  a  Marchio?ìibus  ,  qui  Seniores  fuos  fu» 
gtunt&c.  cioè  de  gU  Schiavi,  che  fuggivano  da  i  lor  Signori . 
Anche  Lodovico  Pio  AuguRo  in. un  Editto  dell'Anno  815.  per 
oli-  Spaonuoli  ,    parla  de  ea   portione  Hifpanicd  ,    qU(S  a  nojìris 
Marchionibus  in  folitudinem  vedala  fuit .  Quefta  forfè  è  la  più 
antica  memoria  de'Marchefi  .  Però  non  ho  io  difficulta  a  cre- 
dere impoftura  un  Diploma  attribuito  a  Carlo  Magno  ,  che  fi 
leoge  nel  Tomo  I.  dellTralia  facra  dell' Ughelli  fra  i  Vefcovir 
d'Afcoli,  dove   comparilce  Vinigifus  Dux  &  Marchio  ,  Si  dice 
fcritto  Regnante  Domino  Carolo  Ù"  Pippino  filio  ejus  excellen» 
tiflìmis  Regibus  Francorum   &  hongobardorum  ,  [eu  Ò'  Fatritiii 
Romanorum   in  Chrifti  nomine   in  balia  XXVL   &  XVIII.   6V. 
perlndiól.  FI.  cioè  nell'Anno  7p8.   Se  vuol  quella  Carta  dire  , 
che  anche  Pippino  fu  Re  de' Franchi,  ciò  non  cammina.  E 
molto  meno  è  da  ammettere  ,  che  anche  Pippino  s'  intitolale 
Patrizio  de'  Romani  .  "E  iottofcritto  il  Diploma  da  effi  ,    cioè 
da  Carlo  e  Pippino  :  il  che  non  fi  praticava  .    Né  Carlo  nell' 
Anno  fuddetto   potea  intitolare /m/?^r^^ore*.   Contra  lo  ftile  an- 
cora è  il  vederfi   ivi  lòttoicritti  elfo  Vinigifo  ,  e  Rodolantus  & 
Ajìolfus .,  cioè  due  Paladmi  de' Romanzi.  QjLiivi  anche  è  nota- 
to Annus  ab  Incarnatione  DCCCLXXIV.   errore   il  più  groffo  de 
gli  altri,  conofciuto  anche  dalf  Ughelli.  lS\h.  T /inno  Ottavo  del 
Ducato  di  Vinigifo  va  d'accordo  coli' altre  Note,  elfendo  egli 
flato  creato  Duca  nell'Anno  7^9. 

•  Chiederà'  qui  alcuno  :  che  differenza  pafiava  una  volta 
ha  ì  Duchi  j  Marchefi^  q  Conti?  Già  dicemmo  quale  fra  i  Du- 
chi e  Conti  ;  ma.  in  che  confilleffe  quella  fra  i  Duchi  e  Mar- 
chefi  ,  dante  l'aver  tanto  gli  uni  che  gli  altri  governata  una 
Provincia,  e  il  trovarli  la  medefima  perlona  col  nome  ora  di 
Duca  ,  ed  ora  di  Marchefe  ,  ficcome  abbiamo  offervato  nel 
Cap.  precedente  :  non  è  facile  il  loddisfare  a  sì  fatta  dimanda 
per  mancanza  di  lumi .    Sotto  i  Re  Longobardi  noi  troviamo 

nelle 


48  Dissertazione 

nelle  lor  Leggi  Duchi  ,  i  quali  fembrano  così  appellati  a  ca- 
gion  della  Milizia  ;  q  Giudici  ^  che  amminiftravano  la  Giuftizia 
in  una  Citta  .  Quefti  ultimi  furono  poi  chiamati  Conti  da  i 
Franchi  .  I  Mnrcheft  torno  a  dire  ,  che  prefero  quello  nome 
dall' effere  Prefetti  de' confini  di  qualche  Provincia  .  Pare  ,  che 
gli  fteffi  Romani  ufafìfero  queft'Ufizio,  ma  non  gik  queflo  no- 
me, giacché  preflb  Lampridio  nella  Vita  di  Severo  Aleffandro 
Augufto  abbiamo  Duces  limit^neos .  E  nella  Vita  di  Aureliano 
compilata  da  Vopifco  s*  incontrano  Saturninus  Sc^ythici  Itmitis 
Duxy  &Ty)'pho  Orientalis  limitis  Dux  .  CafTiodoro  nel  Secolo 
Seflo  Lib.  VII.  Gap.  4.  Variar,  fcrive  :  Ducatum  tibi  credimus 
Rhcetiarum  ^  ut  ìndites  in  pace  re  gas  ^  Ò'  cum  eis  fines  ?7oJìros 
folemni  alacritate  circumeas  .  Imitarono  i  Franchi  quello  ufo 
col  deputare  un  corpo  di  Milizie,  e  un  Comandante  d'effe  a 
i  confini  con  facoltà  di  comandare  ad  un'intera  Provincia  per 
tutti  i  bifogni  contro  i  confinanti  nemici  .  Di  qui  nafceva  il 
nome  di  Marchefe  a  quel  Comandante,  foffe  egli  Duca  o  C072- 
te  ,  Ne  gli  Annali  di  Reginone  all'Anno  ypp.  fi  truova  IVido 
Comes ^  qui  in  Marca  Britanice  pra:ftdebat^  cioè  Conte  che  eler- 
citava  r  Ufizio  di  Marchefe  .  Così  ne  gli  Annali  de'  Franchi 
noi  miriamo  Cadolaum  Comitem^  &  Marchcjc  Forojulienfis  Prce- 
fe&um  .  Pofcia  è  fcritto  :  Cadolach  Dux  Forojulienjis  febre  cor- 
veptus  in  ipfa  Marchia  decejjit  .  Nella  Tofcana  que'  Principi  , 
tuttoché  Duchi  ^  fi  truovano  fovente  col  folo  nome  diM/7rc/^^y/. 
Altri  poi  per  l'Itaha  furono  folamente  M/r7rc^^y? ,  né  mai  eb- 
bero o  ufarono  il  titolo  di  Duchi  .  Si  può  conietturare  ,  che 
Duchi  que'  foli  folfero  chiamati  ,  che  fotto  di  sé  aveano  più 
Conti,  cioè  più  Citta,  quali  certamente  furono  quei  della  To- 
fcana, diSpoleti,  e  del  Friuli .  O  pure  che  Duchi  fi  nominaf- 
fero  que' foli  ,  ch'erano  decorati  ddìs.  Corona  Ducale^  come  fi 
legge  di  Bofone  Cognato  di  Carlo  Calvo  Auguffo  ,  dichiarato 
Duca,  e  coronato  in  Pavia . 

Fu,  come  dicemmo  ,  iflituita  dopo  l'Anno  800.  dagl'Im- 
peradori  Franchi  la  Dignità  de*Marchefi  in  varie  parti  d'Ita- 
lia per  cuflodirne  i  confini .  Finché  durò  la  fchiatta  e  Signoria 
de  i  difcendenti  da  Carlo  Magno,  Marche  non  furono  verfo 
la  Francia  e  Germania ,  perché  tutti  quefti  Regni  ubbidivano 
a  quella  Real  profapia.  Ma  da  che  la  medefima  venne  meno, 
e  r  Italia  cominciò  ad  avere  i  fuoi  particolari  Re  ,  allora  fi 
cominciarono  anche  a  formar  varie  Marche  a  i  confini  della 

Fran- 


Sesta.  ^p 

Francia  e  della  Germania.  Da  che  nel  Secolo  X.  cominciarono 
orimperadori  a  dimorar  fuori  d'Italia,  ed  aveano  da  tenere 
in  Milano  o  Pavia  un  Governatore  ,  che  comandafTc  a  quella 
Citta  e  alle  circonvicine  :  ho  io  fofpettato  nella  P.  l.  Gap.  VI. 
delle  Antich.  Eflenfi,  che  il  Co;?^^  del  Sacro  Pai a^^  efercitaf- 
fe  rUfizio  di  Marchefe  in  quelle  parti,  benché  non  portafle 
tal  nome  ,  come  anche  fi  coftuma  in  Germania  ,  dove  il  Con- 
te Palatino  del  Reno,  uno  de'  primi  Principi  della  Germania, 
non  è  nominato  Marchefe  .  Chiamavafi  allora  Litus  Italicum 
il  paefe  oggid'i  fottopofto  alla  Repubblica  di  Genova  .  Non  è 
improbabile,  che  nel  Secolo  X.  quella  parte  coiìituifTe  una  Mar- 
ca .  Nell'Archivio  de' Canonici  di  Arezzo  efifte  un  Privilegio 
di  Ugo  Re  d'Italia  dell' Anno  ^28.  che  fi  (lende  a  tutti  i  Be- 
ni, qt4(e  effe  'vìdetitur  in  tevreterium  Balneenfis  ,  feu  in  Comi- 
tatù  Montefeltro  ,  Bohìo  ,  Cefena  ,  atque  Arimhio  ,  &  et'tam  Ca- 
Jlello  Felichatis  ,  feu  Aritio  ,  ^uel  per  ceteras  locas  tam  in  om- 
-aibus  finibus  Komanìae  ^  quam  in  cun6lis  finibus  TuJJìo;  Jìve  Ita- 
lice  ,  tam  in  omnibus  finibus  Spoletini  ,  quam  &  circa  Maris 
Littoribus  eft  vel  fuerit  conquijita  .  Indizio  di  Provincia  porta 
qui  feco  \\  Litus  Italicum^  al  vederlo  da  per  se ,  cioè  feparato 
dalle  Provincie  à^Aìdi.  Romagna^  Tofcana^  Italia  (nome  deno- 
tante la  Provincia  di  Milano  )  q  Spoleti ,  Parimente  nella  fpe- 
dizione  di  Lodovico  II.  Augulto  contra  de' Saraceni ,  fatta  n eli' 
Anno  266.  che  fi  legge  nel  Tomo  IL  Rer.  Italie,  pag.  26'4.  fi 
truova  diftinta  menzione  del  Lido  del  Mare  dalle  altre  Provin- 
cie.  E  però  dall' Anonimo  Ravennate  vien  commendata  Pro- 
vincia maritima  Italorum ,  qucs  dicitur  hunenjis  ,  &  quce  confi' 
nalis  exiftit  de  fuprafcripta  Provincia  ,  cioè  dalla  Citta  di  Luni 
fi  ftende  fino  a  i  confini  della  Provenza.  Ho  io  rapportato  nel- 
la Par. I.  Cap.  5.  delle  Antich.  Eftenfi  la  Carta,  con  cui  Fede- 
rigo I.  Augufto  nell'Anno  11 84.  inveiHice  Obizzo  Marchefe 
d'Erte  de  Marchia  Genuds  &  de  Marchia  Mediol ani  ^  come  era 
in  ufo  co  i  Maggiori  di  elfo  Marchefe .  Erano  allora  Citta  libe- 
re Milano  e  Genova  :  ciò  non  ofiante  fi  confermava  dagli  Au- 
gufti  per  titolo  di  onore  a  i  Difcendenti  quel  dominio  ,  che 
aveano  goduto  i  loro  Antenati  .  Anche  Verona  era  neh'  An- 
no  ii<5'5.  Cittk  libera  ,  né  luggetta  a  Conte  alcuno  ;  e  pure 
lo  fteffo  Federigo  confermò  in  quell'Anno  Comitatum  Veronen- 
fem  ,  &  omnia  qu<K  ad  Comitatum  pertinent  (iXc.  a  Bonifazio 
Conte  di  San  Bonifazio  ,  figlio  del  Conte  Malregolato  ,  come 
Tomo  I,  G  coda 


50  Dissertazione 

cofta  da  autentico  Privilegio  da  me  veduto,  contermpto  neIii7S. 
a  Sauro  Conte  di  San  Bonifa-:?jo  ,  e  poicia  da  Federigo  II.  Au- 
gufto  a  i  peiionaggi  di  quella  nobil  Cala.  Così  i  Conti  di  Col- 
pito continuarono  un  pezzo  ad  efìere  inveititi  di  Trevigi  ;  e 
verifìmilmente  anche  la  nobil  Famiglia  Padovana  de' Co??/-/ del 
Comitato  di  Padova  ,  tuttoché  quefte  Citta  godelTero  allora 
una  piena  Libert^a. 

Andarono  poi  di  mano  in  mano  nafcendo  delle  nuove  Mar- 
che ,    fecondochè  piaceva  a  gì' Imperadori ,    per  elercitare  la 
loro  liberalità  verio  i  Nobili  coipicui  ,  o  per  cogliere  danaro 
dae^i.  La  Marca  del  Monferrato  non  ben  fi  prova,  che  foffe 
eretta  nell'Anno  p^/,  in  favore  di  Aledramo  Conte.  Il  Diplo- 
ma recato  da  alcuni  parla  folamente  di  beni  Allodiali.  Queda 
poi  fece  gran  figura  in  Italia  .  Nell'Anno  1014.  fi  truova  la 
Marca  di  Savona  .    E  fé  vogliam  credere  a  Galvano  Fiamma 
nel  Manip.  Fior,  dove  racconta  le  vittorie  de'  Milanefi  ,  nell' 
Anno  lióy.  Ducatus  Burgari^e  ^  Marchio?tatus  Marte/ance  ,  Co- 
mitatus  Seprii  ,    &  Comitatus  Turigics    &  Parabiagi  &c.   fa&i 
funt  fubjeSli  &  fervi  perpetui  Civìtatis  Medìolani .  Trillano  Cal- 
co ilimò,  che  Vicomercato  foffe  il  Capo  della  Martefana.   Ma 
noi  incontriamo  anche  nel  Secolo  Nono  e  Decimo  ,  e  più  nell' 
Undecime,  deiMarchefi,  fenza  che  fi  dica  qual  Marca  deffe 
loro  quello  titolo.  Nell'Archivio  de' Canonici  di  Reggio  fi  con- 
ferva una  Donazion  di  due  Corti  fatta  nell'Anno  8po.  da  Be- 
rengario I.  Re  d'Italia  ad  Unrcco^  il  quale  è  chiamato  Confa?!- 
guineus  ììojìer  ^  filius  quondam  Supponis  ìncliti  Marc hionis^   in- 
terventu  VJaltfredi  illujìris  Marchionis  .  Q_uefto  Gualfredo  lap- 
piamo da  gli  Annali  di  Fulda  ,  che  fu  Marchete  del  Friuli  . 
Ma  quel  Suppone  di  qual  Marca  fu  egli  Governatore  ?  Ne  gli 
Annali  Bertiniani  all'Anno  822.  fi  truova  Suppo  fenior  Dux  Spo- 
leti  ,  Nipote  di  lui  dovette  effere  l'altro  Suppone  Juniore  men- 
tovato da  Berengario  ;  e  quefti  ancora  tengo  io  che  folTe  Du- 
ca di  Spoleti  .  Ciò  pana  diffìcile  a  credere  ,  perchè  regnando 
Lodovico  II.  Auguflo  per  Marchefi  di  quella  contrada  appari- 
fcono  folamente  Lamberto  e  Guido  .   Ma  per  le  pruove  da  me 
addotte  vegniamo  in  chiaro  ,  che  Lamberto  nell'  Anno   871. 
perde  la  grazia  di  elfo  Imperadore  ,  e  infieme  quel  Ducato  , 
che  in  tal  congiuntura  fu  dato  a  Suppone  juniore.  Le  Carte 
a  noi  confervate  nella  Cronica  Cafaurienfe  ci  fan  vedere  dall' 
Anno  luddetto  871.  Duca  di  Spoleti  queflo  Suppone  fino  ali' 

Anno 


Sesta.  51 

Anno  ^"jó.  in  cui  0  fu  egli  rapito  dalla  morte  ,  o  cacciato  di 
la  eflendo  tornati  in  poffeilb  di  quel  Ducato  Lamberto  e  Gui- 
do. Altre  memorie  ricavate  dalla  Cronica  Cafaurienfe  ci  fan- 
no vedere  lldeberto  e  Berengario  Conti  ,  che  dall'  Anno  844. 
almen  fino  all'  8<5o.  governavano  la  Marca  di  Camerino,  o  fia 
di  Fermo.  Cos\  circa  l'Anno  ^33.  per  atteftato  di  Liutprando 
Storico  fi  truova  Teobaldo  feniore  Cameritiorum  &  Spoktano- 
rum  Marchio.  EfTendo  coftui  mancato  di  vita  circa  rAnnop37. 
a  lui  fuccederono  in  quel  ^ovQmo  An f cario  ^oìSarlione^  e  po- 
fcia  Uberto  il  Salico  Figlio  di  Ugo  Re  d'Italia  .  E*  ftato  cre- 
duto, che  ad  elfo  Uberto  immediatamente  fuccedelTe  Ugo  fuo 
Figlio  ;  ma  certa  cofa  è  ,  che  nell'  Anno  ^54.  fi  truova  Teo- 
baìdo  )uniore  Duca  di  Spoleti  e  Marchete  di  Camerino ,  e  che 
anche  Bonifazio  Padre  di  effo  Teobaìdo  avea  prima  goduto 
l'uno  e  l'altro  Governo.  Pofcia  nella  Cronica  del  Moniftero  di 
Volturno,  ed  anche  nella  Farfen fé,  vien  commemorato  Tn/;?^- 
mundusDiix  &  Marchio  ^  che  probabilmente  circa  l'Anno  pd'o. 
forfè  fino  2X967.  tenne  quel  Ducato  e  Marca.  Ebbe  egh  per 
Succeffore  Pandolfo  Capo  di  ferro  ,  di  cui  reftano  alcune  me- 
morie nella  Cronica  Cafaurienfe.  Ad  Ugo  Duca  diTofcana,  e 
Figlio  di  Uberto  il  Salico,  fu  poi  dato  anche  il  Ducato  di  Spo- 
leti, e  la  Marca  di  Camerino  ;  e  dopo  lui  fi  truova  nominato 
nella  Cronica  Farfenle  un  Giovanni  Duca  e  Marchefe  ,  il  quale 
non  lappiamo  fé  prendefle  quello  titolo  da  que' Governi.  Fuor 
di  dubbio  è  bensì,  che  nell'Anno  1028.  un  altro  Ugo  appellato 
Dux  &  Marchio  ne  fu  in  poffeffo  .  Coftui  probabilmente  eb- 
be per  Padre  Bojiifazio  Marchefe  di  Legge  Ripuaria,  mentova- 
to prcfTo  r  Ughelii  nel  Tomo  3.  dell'  Italia  facra  ne'  Vefcovi 
di  Firenze  .  Serviranno  le  notizie  fin  qui  accennate  per  cor- 
reggere o  fupplire  le  Storie  di  Spoleti  e  Camerino  del  Conte 
Campelli  ,  e  del  Gigli. 

S'incontrano  pofcia  nelle  antiche  memorie  varj/Kf^iT^^, 
ma  fenza  alcuna  ìpecificazione  della  loro  Marca;  e  l'indovi- 
nar quefta  è  troppo  difficile.  Nel  Moniftero  Arabrofiano  ài  Mi- 
lano fi  conlerva  un'antichi^ìlma  copia  di  un  Diploma  di  Guido 
e  Lamberto  Imperadori  dell'Anno  8^2.  in  cui  efli  donano  la 
Corte  Lemenne  a  Corrado ^  ch'effi  intitolano  dileHum  Patruum 
ac  Patruelem  nojìrum  illujìrem  Marchionem  ,  e  ad  Ermengarda 
iiia  Moglie.  Di  qual  contrada  fu  egli  Marchete?  In  un  Capi- 
tolare di  Carlo  Calvo  Augufto  dell'Anno  877.  è  nominato  un 

G     z  Cor- 


C.2  Dissertazione 

Corrado  Conte  con  altri  illuflri  perfonaggi  ,  cioè  Bofone  ,  Ber- 
fiardo^  Q  Guido  ^  che  probabilmente  fu   poi  Imperadore  .  Fer- 
ie ivi  fi  parla  di  quello  Corrado  .    Cos\  preflb  Liutprando  ,  e 
nella  Cronica  di  Cafauria  all'Anno  pio.  noi  troviamo  ^//'mca 
Marcbefe^  che   fu  Padre  à\  Alberico  Principe  di  Roma  ^  ma  fen- 
za  che  fi  conofca  ,  in  qual  Marca  egli  comandale.  Erano  ben 
trafciiratì  in  quello  i  Notai  d'allora,  ne  penfavano  di  foddis- 
fare  alla  curiofita  de'  Polleri  .  In  uno  Strumento  dell'Archivio 
Archiepifcopale  di  Lucca  dell'Anno  1081.    fi  leggono  quelle 
parole  :    Hugo  Comes  filio  bone  memorie  Rodulji  ,   qui  fuit  fi- 
militer  Comes  y  &  JuleBa  jugales  ^  fili  a  b,m.  Wilelmi^   qui  fui  i 
Marchio,  Parimente  in  uno  Strumento  fcritto  in  Bologna  Anno 
Primo  Poìitificatus  Johannis  Papa  ,    Ù'  Imperii  Ottonis  ^uiiito 
die  V.  Me-nfts Junii  Indizione  IX.  cioè  nell'Anno  p66.  fi  legge 
che  Pietro  e  Lamberto  Fratelli  ,  filii  Johannis  ,  &  ìiepoti  bone 
memorie  P etroni  "Ducis  atque  Marchioìiis .   Q_uello  Petronio   Mar- 
chefe  chi  mi  dira  in  qual  Marca  efercitalfe    il  fuo  dominio  ? 
Nella  Parte  I.  delle  Antichit'a  Ellenfi  io  mollrai,  che  tutti  gli 
Afcendenti  della  Serenilfima  Cafa  d' Elle  ,  fia  che  provenilfe- 
ro  da  gii  Adaiberti  Duchi  e  Marchefi  della Tofcana,  come  por- 
tano gravi  conietture,  o  che  fcendelfero  da  altro  fangue,  ufa- 
vano  fempre  il  titolo  di  Marchefe.  Noi  troviamo  in  una  Car- 
ta dell'Archivio  Archiepifcopale  diPifa  fpettante  all'Anno  1061, 
Albert wm  Marchionem  filiuyn  quondam  Opitioni  Marchionis  ,  del 
qual  Obizzo  io  ho  rapportato  varie   memorie  in  effe  Antichi- 
tà .    Egli   è   folamente  detto  de  loco  &  Reg-no  Langob ardile  . 
Nel  tello   vien  chiamato  Alberto  ,  e   nella  lottofcrizione  Adal- 
berto :  il  che  ci  fa  chiaramente  comprendere  ,    che  Alberto  e 
Adalberto  erano  lo  ftelfo  nome.   Ma  non  fappiamo  da  che  elll 
Marchefi  allora   prendeiTero  quello  titolo,  cioè  dal  governo  di 
qualche  Marca  ,  o  pure  da  Privilegio  de  gì'  Imperadori  ,    che 
loro  concedelfe   il  continuare   tal  titolo  ereditato  da'  Maggiori, 
giacché  folamente  nel  Secolo  XIL  cominciarono  ad  ufar  quello 
di  Marc  he ft   d  Efte . 

Dopo  Ugo  Duca  di  Tofcana  ,  che  dicemmo  aver  anche  fi- 
gnoreggiato  nel  Ducato  di  Spoleti ,  e  nella  Marca  di  Cameri- 
no, come  attefta  San  Pier  Damiano  neU'Opufcolo  57.  credet- 
te il  P.  Pagi  nella  Crit.  Baron.  che  nel  dominio  di  elfa  Toica- 
na  fuccedelfe  nell'  Anno  1002.  Tedaldo  Padre  di  Bonifazio 
Marchefe  ,  ed  Avolo  della  celebre  ConteiTa  Matilda.  Gli  Scrit- 
tori 


Sesta.  53 

tori  della  Vita  di  effa  Matilda  anch' eglino  ciò  fcriiTero  con  ag- 
giugnere,  che  Tedaldo  fui  fine  della  vita  (  la  terminò  egU  cir- 
ca  l'Anno  1007.)  dichiarò  fuo  Succeflbre  in  effa  Tofcana  il 
Figlio  Bonifazio  ,  benché  infieme  confeihno .,  che  per  qualche 
contratempo  quivi  dominarono  akri  Principi  fin  quafi  al  1037. 
in  cui  e^li  veramente  fi  truova  in  poffeffo  di  quella  Provincia . 
Ma  fecondo  me  fogni  fon  quefti  .  Non  fu  Signor  della  Tofca- 
fcana  Tedaldo  ,  e  per  confeguente  non  potè  lafciarla  al  Figlio. 
Certamente  apparifce  da  più  di  un  Documento,  aver  egli  ufa- 
to  il  titolo  di  Marchefe ;  e  Donizone  nella  Vita  di  Matilda  cosi 

fcrive  di  lui  : 

-     -     -     Poft  hccc  pntceph  ,  m^jor  ut  ejfet 

'Natm  dthólus  Bo?2Ìfacius   ^tque  modejìus  ; 

Cui  juravere  ,  Pntre  tunc  vìvente ,  fìdeles 

Servi ,  prudentes  Proceres  ,  Comites  pariterque  . 
Se  a  Bonifazio  non  folo  i  Nobili ,  ma  anche  i  Conti  giuraro- 
no fedeltà  :  adunque  fuo  Padre  ed  egli  poffederono  una  Mar- 
ca ,  cioè  un  paeie,  dov'era  piìi  d'una  Citta,  perchè  ogni  Cit- 
ta avea  il  fuo  Governatore  appellato  Conte.  Ma  quefto  paefe 
non  può  edere  (lato  la  Tofcana.  Nella  Storia  del  Moniflero  di 
Polirone  noi  abbiamo  una  donazione  fatta  nel  1004.  dal  fud- 
detto  Bonifazio,  intitolato  Marchefe,  e  fenza  che  il  Padre  gli 
predi  l'affenfo  :  dal  che  vegniamo  in  cognizione  eh'  egU  era 
già  emancipato.  Un  altro  documento  del  medefimo  Anno  1004. 
ho  io  rapportato,  dove  umilmente  fi  vede  nominato  ux\ Mar- 
chefe Bonifazio,  fenza  che  chiaramente  fi  conofca  ,  eh'  egli  fia 
il  Padre  di  Matilda,  o  pure  Bonifazio  Marchefe  di  Nazion  Ri- 
puaria,  di  cui  parlammo  di  lopra  .  Grande  era  ben  la  trafcu- 
raggine  di  taluno  di  que' Notai  .  In  quefta  Carta  è  folamente 
appellato  Bonifacìus  glori ofus  Marchio  ;  né  fi  accenna  di  qual 
Marca,  né  di  qual  Nazione  o  Legge  :  il  che  ci  avrebbe  fervi- 
to  a  diflinguere  quelli  due  Bonifazj  .  In  un  altro  Strumento 
deli'  Anno  1019.  da  me  dato  alla  luce  fi  legge  :  Nos  Boni/a- 
cius  Marchio  ,  Filius  quondam  Teotaldi  itemque  Marchio  &c» 
Ma  egli  era  Marchefe  ,  né  per  quefto  la  fua  Marca  era  la  To- 
fcana in  que' tempi.  Francefco  Maria  Fiorentini,  e  Cofimo  dal- 
la Rena  itirnarono  ,  che  il  luddetto  Bonifa^o  Ripuario  Figlio 
di  Alberto  Marchefe  ,  e  pofcia  Adalberto  Marchefe  ,  Figlio  di 
Oberto  y  e  Nipote  di  Adalberto  Marchefe ^  cioè  uno  degli  Anre- 
tenati  de  Principi  Ellenfi  ^  come  dimoerai  nelle  Antich.  Elh 


figno- 


54  Dissertazione 

fìgnoreggiaflero  la  Tofcana  nell'Anno  loop,  e  loii.  Ma  per- 
chè fi  truovi  in  qualche  paefe  un  Contratto  di  un  Marchefe, 
non  s'ha  toflo  da  inferire  ,  eh'  egli  fofTe  Marchete  di  quella 
Provincia  ;  perciocché  i  Principi  e  Signori  grandi  pofTedeano 
de'  Beni  in  varie  parti  d' Italia  .  Contuttociò  vidi  io  preflb  il 
celebre  Senator  Buonaroti  uno  Strumento  del  1037.  dove  com- 
pariva Roja  inclita  C  orniti ffa  ,  Fili  a  Domni  Ad  allerti  Dux  & 
Marchio^  &  quce  fuit  relióia  Domni  Uh  aldi  Comitis  bon<v  mC' 
morice ,  Non  farebbe  perciò  inverifimile  ,  che  c[uq[\o  Adalber- 
to Progenitor  de  gli  Eftejifi  avelTe  nell'Anno  loii.  poffeduto 
il  Ducato  ò^\  Tolcana,  come  difcendente  da  i  vecchi  Adaiberti 
Signori  di  efìa  Provincia  ,  e  che  ne  fofle  poi  decaduto  nell'An- 
no 1014.  per  la  condanna  pubblicata  da  Arrigo  Primo  tra  gli 
Augnili  contro  i  Principi  di  effa  Famigha  5  che  io  rapportai 
nel  Gap.  i  3.  delle  Antìch.  Eftenfi . 

Q_UEL  eh' è  certo  ,  da  un  Placito  tenuto  in  Arezzo  neir 
Anno  loid*.  a  noi  fi  prefenta  un  indubitato  Signore  della  To- 
fcana ,  cioè  Raginerius  (Rinicri  diciamo  oggidì)  Marchio  & 
Dux  Tufcanus .  Di  lui  fa  anche  menzione  San  Pier  Damiano. 
Ermanno  Contratto  nella  Cronica  ci  fa  fofpettare  all'Anno  1027. 
che  quello  Rinieri  per  effe rfi  oppofto  co  i  Lucchefi  al  Re  Cor- 
rado, perdeffe  quel  Ducato.  Ebbe  un  Figlio,  cioè  Uguccione^ 
che  fi  truova  fregiato  col  titolo  di  Duca  e  Marchefe ,  ficcome 
ancora  con  quello  vien  contrafegnato  R/«/m /'««/W  Figlio  di 
effo  Uguccione.  Han  creduto  olì  Scrittori  delle  gella  della  Con- 
teffa  Matilda  ,  che  fuo  Padre  Bonifa-zio  Marchese  nel  1037. 
cominci  a  comparire  Duca  e  Marchefe  di  Tofcana  .  Io  con  uno 
Strumento  dell'Archivio  Eftenfe  ho  provato  che  nel  1034.  ta- 
le egli  era  .  Ora  fapendo  noi,  che  dopo  la  morte  di  Tedaldo 
Marchefe  fuo  P^dre  non  fi  fminui  ,  ma  crebbe  la  potenza  di 
Bonifazio  ,  e  che  effo  Tedaldo  ,  anche  allorché  Ugo  il  Sahco 
governava  la  Tofcana,  portò  il  titolo  di  Marchefe,  non  fi  può 
credere  eh'  effo  prendeffe  quello  titolo  dal  governo  e  dominio 
di  quella  Provincia,  ma  bensì  da  altro  paefe  ,  di  cui  m.edefima- 
mente  Alberto  A'2:^  fuo  Padre  era  flato  Signore,  perchè  anch' 
egli  fi  truova  appellato  M/7rr>^^/^.  Probabile  a  me  fembra,  che 
di  Modena,  Reggio,  Parma,  Mantova,  e  forfè  di  qualche  al- 
tra Citta  fi  foffe  formata  una  Marca,  di  cui  godeffero  gli  An- 
tenati della  Conteffa  Matilda  fenza  farli  volare  al  dominio  an- 
che della  Tofcana  prima  del  tempo  .  A  tal  coniettura  da  mo- 
tivo 


Sesta,  55 

tivo  uno  Strumento  deli' Anno  p 85?.  doveTeodaldo  Marcì?efe  e 
Conte  del  Comifafo  di  Modena  manda  i  fuoi  Eftimatori  per  una 
permuta  di  beni  ;    ficcome  ancora  un  Placito  dell'Anno  ^^4. 
da  me  dato  alla  luce  ,  dove  nel  territorio  di  Reggio  o  di  Par- 
ma è  rammentata  pars  Marc  hi  ce .  L'Imperadrice  Adelaide  Mo- 
ojie  di  Ottone  I.  Augufto    troppo  obbligata  ad  Alberto  Azzo 
Padre  di  Tedaldo  per  averla  difeia  contro  la  prepotenza  del 
Re  Berengario  II.  fi  può  credere,  che  gli  ottenere  il  dominio 
delle  Itiddette  ed  altre  vicine  Citta  col  titolo  di  Marchefe.  Cer- 
tamente in  quefte  parti  molto  fignorcggiarono  Tedaldo  Mar- 
chefe fi.o  Figlio  ,  e  Bonifazio  Nipote,  e  in  fine  la ContelTa  Ma- 
tilda. Truovafi  adunque  nell'Anno  1034.   Signore  della Tofca- 
na  Bonifa7:jo  Padre  della  fuddetta  Conteila  con   titolo  ora  di 
Marchefe^  ed  ora  di  Duca  ,   Dopo  la  morte  di  elfo  Marchefe 
Bonifazio  ci  afficurano  le  Storie  ,  e  i  documenti,  c\\q  Beatrice 
di  lui  Moglie  alfunfe  le  redini  della  Tof:ana,  e  quefla  in  un 
Placito  dell'Anno  1072.   pubblicato  da  me  viene  intitolata  Dom- 
na  Beatrix  Ducìrix  &  Marc òioniJfaT ufi i<f  :  cafo  ben  raro,  per- 
chè non  era  in  ufo,  che  le  Donne  comandafiero  a' Popoli.  Co- 
municò eifa  Beatrice  quello  titolo  anche  a  Gotifredo  Duca  di 
Lorena  ,  fuo  fecondo  Marito  ;  e  dopo  la  morte  di  effi  ognun 
sa ,  con   che  vigore  la  Co?iteJfia  Matilda  fìgnoreggiaffe  la  To- 
fcana  oltre  ad  a(fai(fim.i  altri  paefi  ,  e  come  divenne  ino  Con- 
forte Guelfo  VI.  della  nobiliffima  Cafa  Eftenfe-Guelfa  di  Brun- 
fuich,  il  quale  perciò  Tufiia  Marchio  fi  truova  nomato.   Effen- 
do  mancata  di  vita  la  celebre  fuddetta  Conteffa  ,    fuccedette 
nel  dominio  della  Tofcana  Rahodo    chiamato  Marchio  Tufiia 
in  un   fuo  Diploma  dell'Anno  117.  da   me   pubblicato.   In  un 
altro  documento  del  ii2c?.  ci  fi  prefenta  davanti  Conradus  di. 
'viìia  grafia  Kavefinatum  Dux  ,   &  Tufcicc  Prefis   ac  Marchio  . 
E  quello  badi  intorno  alla  Tofcana  ,  appellata  da  fi  innanzi 
Marca . 

Oltre  alle  Marche  infigni  ,  delle  quali  abbiam  finora  par- 
lato ,  fé  ne  introduiTero  a  poco  a  poco  dell'  altre  minori  nel 
Monferrato,  Piemonte  ,  Milanefe  ,  Genovefe  ,  e  Lunigiana  . 
Anche  verfo  Roma  in  ^mo  Strumento  dell'Anno  1012.  com- 
parifce  Johannes  Marchio  &  Duxy  Figlio  di  Benedetto  Conte  , 
e  Fratello  di  Crefcenzio  Conte  .  Ordinariamente  le  Mogli  de' 
Marcheh  fi  chiamavano  Contese  ,  ma  in  quello  Strumento  è 
mentovato  Crefientius  Comes  cum  fua  Conjuge  Hitta  lllufirijji' 


ma 


5<5  Dissertazione 

maDucatrice.  Degno  è  ben  di  attenzione  un  Diploma  dell'an- 
no 11^7.  pubblicato  da  me  ,  in  cui  Federigo  I.  Augufto  con- 
cede l'inveftitura  àt\\2i  Marca  di  Guido  a.à  Enrico  ^  o  da,  Arri- 
go Marci?efi^  e  a'iuoi  Eredi  mafchi  :  dal  che  intendiamo,  che 
già  era  introdotta  la  conluetudine,  che  nelle  Marche,  Duca- 
ti, ed  altri  Feudi  Imperiali  fuccedeano  i  Difcendenti  mafchi, 
ed  anche  i  trasverlah  ;  perciocché  ivi  è  anche  inveflito  Ugo- 
linus  Marchio  Fratello  di  efìfo  Arrigo .  Oltre  a  ciò  in  quel  Di- 
ploma fon  da  avvertire  fra  i  Teftimonj  Marchio  Wilelmus  de 
Monteferrato ,  Marchio  Majjfredus  de  Wa/ìo  ,  Hugo  magnus  Mar- 
chio ,  Marchio  He?2ricus  Wercius  ,  Albertus  Marchio  de  hicija  . 
Di  quefto  Marchefe  Arrigo  fopranominato  il  Guercio  parleremo 
al  Gap.  48.  Alcuni  di  quefti  Marchefi  appartenevano  alle  no- 
bili Famiglie  de'Marchcfi  òìSalu:?^^  del  Carretto^  di  Ce'ua  ^ 
di  Craveja?ia  ec.  Famofa  altresì  nel  Secolo  XI.  riufcì  in  Pie- 
monte Adelaide  Marche/a  di  Sufa.  Della  Marca  di  Fermo  par- 
la Leone  Odienfe  nel  Lib.  2.  Gap.  <5.  della  Gronica  Gafmenfe  , 
e  San  Pier  Damiano  nella  Vita  di  San  Romualdo  Gap.  30.  Non 
altro  fembra  effere  ftata  ,  che  quella  di  Cayyierino  ,  appellata 
anche  dipoi  Marca  di  Ancona  ;  e  ciò  perchè  i  Marchefi  rife- 
devano  ora  in  quefta  ,  ed  ora  in  quella  Gitta  :  cofa  avvenuta 
anche  alla  Marca  del  Friuli.  Portò  la  medefima  Provincia  an- 
che il  nom.e  di  Marca  di  Guarnieri ;  perciocché  due  Tedefchi 
Guarnieri  la  poflederono,  e  veggonfi  due  Strumenti,  l'uno  del 
Hip.  e  l'altro  del  11^4.  ne' quali  è  fatta  menzione  di  loro. 
Fu  poi  conceduta  in  Feudo  efia  Marca  di  Ancona  da  i  Roma- 
ni Pontefici  fui  principio  del  Secolo  XIII.  ad  A'Z7:oVL  Marche- 
fe di  Elie  ,  ad  Aldrovandino  fuo  Fratello  ,  e  ad  Az^'^  VII.  Fi- 
glio del  Serto,  come  colia  da  varie  Lettere  dique'Papi,  e  da 
altri  Atti  da  m.e  prodotti  nelle  Antichità  Eftenfi  Par.  I.  e  nel- 
le Antichità  Ital.  Differt.  VI. 

Nella  parte  Orientale  d'Italia  ,  oggidì  Regno  di  Napoli , 
non  fu  in  ufo  ne'  vecchi  Secoli  la  Dignità  e  il  nome  de' Mar- 
chefi, Principi,  Duchi,  e  Gonti  folamente  s'intitolavano  i  gran 
Signori  di  quelle  contrade,  e  reftrignevafi  a  pochifiimi  il  nu- 
mero de' primi,  come  abbiam  veduto«nel  precedente  Gapito- 
lo  .  Quel  pezzo  d'elfo  Regno,  che  reftava  in  potere  de' Gre- 
ci Imperadori,  era  governato  da  un  loro  Miniltro  ,  appellato 
Protojpatario^  o  Stratego,^  o  Catapano  :  dal  quale  ultimo  nome 
pretendono  alcuni  che  fia  venuto  il  nome  Italiano  di  Capita- 
no : 


Sesta.  57 

ììo  :  cofa  che  non  fufTifte  ,  efTendo  più  antico  il  nome  di  Ca- 
pìtaneus .  Dopo  la  morte  de  gì'  Imperadori  della  fchiatta  di 
Carlo  MagiiO  5  avendo  le  guerre  lacerata  l'Italia,  i  Greci  Au- 
sarti ,  che  fé  la  videro  bella  ,  lielero  non  poco  le  loro  con- 
quide coir  impadronirfi  nell'  Anno  ppo.  di  Benevento  ftelTo  . 
Per  atteftato  di  Leone  Oftienfe  Lib.  1.  Cap.  4p.  della  Cronica 
Cafin.  Simbaticio  ,  o  Sabbaticio  ,  Generale  di  quell'imprefa  , 
s'  intitolava  Iniperinlis  Protofpatarius  ,  &  Sfrango  Macedon'ue  , 
Thracids  ,  Cephalon'tds  ,  atque  La?igobardics  .  Col  nome  di  Lan- 
gobardia  diiegnavano  quel  folo  tratto  di  paefe  ,  eh'  elfi  avea- 
no  ritolto  a  i  Principi  di  Nazion  Longobarda  nel  Regno  fud- 
detto  .  Abbiam  un  Privilegio  dato  neli'  Anno  10.00.  al  Moni- 
llero  di  Monte  Cafino  dal  Greco  Ufiziale  ,  il  quale  s'  intitola 
Gregorius  Imperiai is  Protofpatar'ius^  &  Katepanus  Italia; .  Lo  ftef- 
Ib  lignificava  ì\  nome  à  Italia^  che  T altro  di  Lombardia.  All' 
incontro  nella  parte  Occidentale  dell'  Italia  con  trinciamento 
de  i  dominj  s'  andarono  formando  delle  Marche  minori  e  mi- 
nime, onde  prendeano  i  Signori  il  titolo  di  Marchefi .  Ne  ab- 
biamo accennati  alcuni  di  fopra  .  Aggiungo  ora  i  Marchefi 
à' Ivrea  ^  di  Savona^  gli  antichi  Marchefi  Malafpina  e  Pela- 
"vicmi  .  Spezialmente  fra  gli  altri  fi  diflinfero  quei  di  Monfer- 
rato. Oggidì  s'è  con  tanta  prodigalità  difFufo  per  Italia  il  ti- 
tolo òli  Marchefe^  che  non  rella  idea  alcuna  di  quel  che  fof- 
fero  i  Marchefi  de' vecchi  Secoli. 

De"  Conti   del  [acro  PalaT:^^  • 
DISSERTAZIONE    SETTIMA. 

REsTA  tuttavia  in  Germania  in  fommo  onore  e  potenza 
il  Conte  Palatino  del  R.eno,  e  q  uè  fio  titolo  ne  gli  anti- 
chi Secoli  denotò  una  delle  più  illuftri  Dignità,  che  foife  an- 
che nel  Regno  d'Italia.  GÌ' Imperadori  poi  de' baffi  tempi  , 
fpezialmente  nel  Secolo  XV.  e  ne'  feguenti  ,  per  far  moneta 
profiituirono  sì  fattamente  il  nome  di  Conte  Palatino ,  che  lo 
troviamo  ridotto  ad  un  miferabil  fumo  comperato  con  pochi 
foldi  da  chi  fi  diletta  di  carte  pecore.  Sembra,  che  f  origine 
Òq' Conti  del  Pala:^y  o  fìa  del  /acro  Pai  aT:^-^  s'abbia  a  pren- 
dere da  i  Re  Franchi,  nella  Corte  de'quah  fino  dal  Secolo VL 
Tomo  I,  H  fu 


58  Dissertazione 

fn  qucfia  Dignità  in  ufo  ,  e  che  di  la  poi  paflafTe  in  Italia  ^ 
allorché  Carlo  IVIagno  fi  fu  impadronito  di  quello  Regno.  Qual 
fofTe  il  riguardevole  impiego  di  tal  Minillero,  cel  dira  Hinc- 
maro  Arcivefcovo  di  Rems,  Traél.  de  Ordin.  &  Offic.  Palar. 
Gap.  21.  Comhis  Palati't  ^  die' egli,  ìnter  cetera  paefie  intìumera- 
bìlia^  in  hoc  maxime  Jolecitudo  erat  ,  ut  omnes  Legales  C auf- 
fa; ^  qucc  alibi  ortcs  propter  cequitatis  judicium  Palatium  aggre- 
(ìiebamur  ,  jufìe  ac  raùonabiliter  determinaret ,  feu  perverfi  Ju- 
dicata  ad  csquitatis  tramitem  traduceret.  Ampia  per  quello  era 
l'autorità  di  lui  ,  perchè  non  folamente  giudicava  di  tutte  le 
caufe  del  Regno,  che  per  appellazione  fofìTero  portate  al  Tri- 
bunale del  Re,  ma  conofceva  anche  tutte  l'altre,  che  riguar- 
davano i  diritti  del  Re  ,  e  la  quiete  del  Regno  ;  né  alcuna 
caufa  era  portata  al  Re  ,  che  prima  non  pafTafTe  per  le  fue 
mani  ,  a  fin  di  oflervare  ,  fé  meritaffe  o  non  meritaffe  di  dare 
occupazione  alle  orecchie  e  penfieri  del  Sovrano.  S'odano  queft' 
altre  parole  d'FIincmaro.  De  omnibus  Scecularibus  caujjts  'vel 
judiciis  fifcipiendi  curam  inftanter  habebat ,  itaut  Sdeculares  prius 
Domnum  Regem  absque  ejus  confulm  inquietare  neceffe  non  ha- 
berent  ,  quoufque  ille  pravideret  ,  fi  neceffitas  ejfet  ,  ut  cauffa 
ante  Regem  merito  ventre  deberet  .  Si  njero  fecreta  efjet  cauj- 
fa^  quam  prius  congrueret  Regi  ,  quam  cuiquam  alteri  dicere  , 
eumdem  dtcendt  locum  eidem  ipjì  preparar  et  ,  introduco  prius 
R^ege  ,  ut  hoc  juxta  modum  perfoncs  vel  honorabditer  ,  vel  pa- 
tienter  ,  vel  ctiam  mifericorditer  fufciperet.  Grado  altresì  iom- 
mamente  cofpicuo  era  quello  dell' ^'frc/r/7^£'//^;7o  di  Corte,  che 
precedeva  i  Vefcovi  ed  Arcivefcovi  .  Anch'  egli  riferiva  al  Re 
le  caule  de  gli  Ecclefiaftici.  E  mirate  la  favia  condotta  di  que' 
Regnanti  e  tempi  ,  che  noi  trattiamo  da  barbarici.  Senza  un 
ordine  di  efii  Re  non  poteva  il  Conte  del  Palazzo  terminar  le 
caule  de' Potenti  ,  come  s'ha  dalla  Legge  43.  di  Carlo  M.  fra 
le  Longobardiche .  Nullus  Comes  Palatii  nofìri  Potentiorum  cauj- 
fas  fine  ?2ofìra  Jujfione  finire  prafumat.  La  ragione  di  tal  divie- 
to era  ,  acciocché  il  Conte  Palatino  non  fi  perdeffe- dierro  alle 
caule  de' Grandi,  trafcurando  intanto  quelle  de' Poveri  ,  e  de 
i  meno  Potenti  ,  per  le  quali  aveano  maggior  premura  i  buoni 
Principi.  Ne  propter  hoc  Pauperum  &  minus  Potentum  jufliti^ 
remaneant  .  E  lecondo  il  Tello  della  Biblioteca  Ellenle  :  Sed 
tantum  Pauperum  &  minus  Potentium  ad  jufìitias  faciendas  fciant 
ftbi  effe  vacandum,  Verifimilmente  ancora  fu  prelcritto ,  che 

-  -  nelle 


Settima.  5P 

nelle  Caufe  de'  Potenti  non  fi  veniire  alla  rifoluzione  fenza  in- 
formarne prima  il  Principe  ,  vegliante  che  non  fofle  fatta  fo- 
perchieria  a  chi  litigava  con  loro. 

P  liato  creduto,  che  nella  Corte  de  i  Re  Franchi  non  fi  tro- 
vafle  fé  non  un  Conte  del  lacro  Palazzo  .  Ma  tempi  furono  , 
ne' quali  due  fé  ne  contarono.  Nell'Epill. XI.  di  Eginardo  iet- 
to Lodovico  Pio  fono  mentovati  Gebu'mus  &  Kuodbertus  Comi- 
tes  Palatii  ^  e  d'effi  è  anche  memoria  ne  gli  AnnaU  de' Fran- 
chi, regnante  Lodovico  Pio.  Altri  eiempli  ha  addotto  di  que- 
fìo  il  P.  Mabillone  contro  il  Conringio  nel  Lib.  2.  Cap.  11.  n.  14. 
de  Re  Diplom.  Il  bifogno  de'  Popoli  ,  e  le  divifioni  de'  Regni 
cagion  furono  d'introdurre  più  Conti  del  Palazzo.  Ebbero  il 
fuo  r  Aquitania  e  la  Borgogna,  ne'quali  Regni  fi  divife  l'Im- 
perio de' Franchi  .  Fu  parimente  in  ufo  qùefla  Dignità  ne' Re- 
gni di  Germania  ,  Inghilterra  ,  Polonia  ,  ed  Ungheria  ,  e  da- 
pertutto  tenuta  fu  in  lommo  onore.  Però  anche  al  Regno  d' 
Italia,  da  che  padroni  ne  divennero  i  Re  Franchi ,  dato  fu  il 
fuo  Conte  Palatino,  si  perche  perlopiù  qui  dimorò  il  partico- 
lare fuo  Re  ,  e  si  per  rilparmjar  a  quefti  Popoli  l'aggravio  di 
portar  le  Caufe  al  centro  lenta niffimo  della  Francia  .  E  qual 
fofie  l'autorità  di  effo  Conte  ,  fi  riconofce  da  quello  ,  che  il 
Popolo  di  tutto  il  Regno  poteva  appellare  a  lui  da  i  Duchi , 
Marchefi,  e  Conti;  e  in  qualunque  parte  del  Regno,  dov'egli 
fi  trovaffe  con  facoltà  ordinaria  potea  giudicar  ài  tutte  le  cau- 
fe .  Grande  fu,  ficcome  vedremo  ,  l'autoritk  de' Meffi  Regali  ; 
ma  quefta  era  delegata  e  temporanea  ,  e  da  efli  ancora  fu  le- 
cito l'appellare  al  Conte  Palatino  .  Però  infigne  Privilegio  fu 
il  conceduto  da  Carlo  il  GrolTo  Re  a  Wibodo  Véfcovo  di  Par- 
ma, come  s'ha  f^ll'Ughelli  Tom.  2.  Ital.  Sac.  Habeat  (  ivi  fi 
legge)  tpfius  Ecclefids  Eftj'copus  Itceiìtìam  d'tjìrhìgendt ^  defiri'teti- 
dì ,  njel  deltberandi  tar/iquam  nojìr't  Comes  Falatt't ,  omìies  res  Ò^ 
jamìltas  tam  omnium  QlerìcoYum  ^  quamque  omnium  habttantìum, 
infra  prced't6iam  Ci^jitatem  Parm<s  ,  Cos'i  Ottone  I.  Augufto 
nell'Anno  5?^2.  concedette  ad  Uberto  Vefcovo  della  medefima 
Citta,  ut jIp  nojìer  M'ijfus^  &  habeat  potefiatem  deliberandi&c. 
tamquam  nojlri  Comes  Palatii  .  Un  fimile  Privilegio  impetra- 
rono i  Vefcovi  di  Afli  ,  Lodi,  ed  altri.  Paffiamo  ora  ad  in- 
vefiigare  ,  per  quanto  fi  potrà  ,  la  ferie  de  i  Conti  Palatini 
d' Italia . 

In  uno  Strumento  di  Piftoia  fpettante  all'Anno  812.  viene 

H     2  enun- 


Co  Dissertazione 

enunziato  un  richiamo,  lungo  tempo  prima  fatto  tempore  Dom- 
ni  Pipp'mi  R.egis  (d'Italia)  ad F nid'tnuyyì  F an'iarcham ^  Anionem 
Archìep'tjcopum  ,  Fardulfurn  Abbatem  ,  Ò^  Echerigum  Com'item 
Palatìì  ,  njcl  relìquos  loco  eoruyn ,  qui  tunc  h'ic  i?i  Italia  MiJJi 
fuerunt  &c\  Ecco  il  primo  Conte  del  Palazzo,  ch'io  abbia  tro- 
vato in  Italia,  fé  pur  egli  efercitava  qui  untale  Ufizio.  Sot- 
to lo  fielTo  Carlo  M.  la  Cronica  di  Farfa  ci  fa  vedere  Hebroar- 
do  Conte  del  Pala:?^  ,  e  in  Placito  tenuto  nella  Citta  di  Spo- 
leti  nell'Anno  814.  comparifce  Suppone  Conte  del  Fala'z^  > 
che  precede  Guinigifo  ed  Eccideo  Duc/jì  ,  Fors'egli  lo  ileffoè, 
che  nell'Anno  822.  fa  da  Lodovico  Pio  creato  Duca  di  Spo- 
leti  .  Siccome  abbiamo  da  Eginardo  negli  Annali  all'anno  823. 
effendofi  portato  Lottarlo  Figlio  di  efìo  Augufto  a  vifitare  il  Pa- 
dre, quum  hnperatori  de  Jujìitia  in  Italia  a  fé  partim  faBa  , 
partim  iìichoata  feciffet  indicium  :  mijfus  ejì  in  Italiam  Ada- 
Ihardus  Comes  F alatti  jujfumque  eft  ,  ut  Mauringum  Brixics  Co- 
mitem  fecum  ajfumeret  ^  &  inchoatas  jufiitias  perficere  cmaret. 
Non  è  chiaro  ,  fé  Adalardo  efercitadb  in  Italia  la  Carica  di 
Conte  del  Palazzo;  ma  è  ben  verifimile,  che  avendo  Lodovico 
Pio  ceduto  ai  Figlio  Lottarlo  il  governo  del  Regno  d'  Italia  , 
il  provvedefìTe  anche  di  chi  foftcnelTe  quel  grado  .  Fu  poi  nelT 
Anno  feguente  824.  per  la  morte  di  Suppone  conferito  a  que- 
llo Adalardo  il  Ducato  di  Spoleti  ,  dominio  di  corta  durata  , 
perchè  egli  nelf  Anno  ftcfìo  cefsò  di  vivere  quaggiù.  Truovafi 
poi  in  un  Placito  tenuto  in  Lucca ,  e  da  me  riferito  nella  Cro- 
nica di  Cafauria,  che  nell'Anno  840.  Maurino  era  Conte  del 
Palazzo.  Altre  memorie  di  lui  ho  io  rapportato  altrove  ,  e  lo 
reputo  lo  (leffo  che  Mauvi/igo  poco  fa  da  noi  veduto  Conte  di 
Brefcia  ,  il  cui  nome  fia  alquanto  icorretto  ne  gli  Annali.  Sot- 
to Lodovico  IL  Augufio  abbiamo  un  Placito  tenuto  neh'  anno 
Sdo.  fra  ]  e  fi  e  Camerino  per  ordine  d'elfo  Imperadore,  in  cui 
Hucpoldo  Conte  del  Fala:^^  fa  la  principal  figura  in  giudicare. 
Ma  molto  prima  di  quel!' Anno  Hucpoldo  fotteneva  quell'illu- 
flre  Carica  ;  perciocché  in  un  altro  Placito  tenuto  in  Pavia 
nell'Anno  851.  o  pure  852.  ch'io  ho  pubblicato  ,  egli  decide 
una  lite,  ed  è  intitolato  Hucpaldus  Comes  Sacri  Falatii.  Come 
ho  io  altrove  oflervato,  fi  truova  anche  ^r;^^/r//^y,  ScArnoldus ; 
Erme?ioldus  Ò^  Ermenaldus ;  e  cosi  d'altri  fimili.  In  un  Docu- 
mento di  Rodingo  Vefcovo  di  Firenze  ,  Ipettante  al  fuddetto 
Anno  852.  e  rapportato  daU'Ughelli  nel  Tomo  III.  dell'Italia 

facra 


Settima.        ~  6i 

facra  vien  coftituira  Badefla  del  iMoniftero  di  Santo  Andrea  Ber- 
ta Deo  devota  ,  filia  Huepoldi  (  leggo  Hucpoidì  )  Comìtis  Pala- 
tii  .  V  era  preiente  ,  e  iottolcrifle  quella  Carta  lo  fleflb  Huc- 
pokio  .  Né  vo'  tacere  un  fatto  riferito  nei  Compendio  delle 
Croniche  Cafinenfi  ,  da  me  dato  alla  luce  nella  Par.  I.  del  To- 
mo II.  Rer.  Ita),  pag.  370.  Uxor  Ludovici  IL  Imperatoris  (cioè 
Angilberga)  iti  Tuchalduìn  Palatii  Comitem  pojì  Lmperatoris  di- 
fccjjum  oculos  iììjecit.  Trovatolo  refidente  alle  lue  voglie,  l'ac- 
cusò al  Marito  Augufto,  che  troppo  credulo  corfe  a  far  leva- 
re di  vita  il  mifero  Ucpoldo^  perchè  certo  di  lui  fi  conta  que- 
fta  favola  .  Ma  Andahena  Moglie  dell'  eftinto  per  comprovare 
l'innocenza  di  lui  alla  prefenza  del  medefimo  Augullo /^/?^r 
duodecim  vomeres  ii^nitos  ?iudis  pedibus  ill<:efa  deambulavit  ,  Per- 
ciò rimperadore  a  gli  Eredi  di  elfo  Conte  Ducatum  Ligurice  Ò' 
Tufcice^  Ò'  i?i  perpetuitm  Comitatum  Mutinenfem  cu?n  aliis  cólo 
Comitatihiis  concefjìt.  Favole  tutte,  fapendofi,  che  Angilberga 
fu  Principefla  di  molta  Pietà,  e  cara  a  Lodovico  II.  finché  ef^li 
vifTe.  Una  fimile  Storia  o  Favola  vien  raccontata  da  Gotifredo 
da  Viterbo  di  Maria  Moglie  di  OttoìiellL  tentatrice  di  un  Con- 
te di  Modena  (  il  che  ha  qualche  relazione  col  Contado  di  Mo- 
dena conceduto  a  gli  Eredi  di  Hucpoldo  )  e  fatto  morire  inno- 
cente :  tanto  erano  proclivi  i  Letterati  antichi  a  bere  e  fpacciar 
delle  Favole . 

Da  un  Placito  Lucchefe  dell' Anno  8(^5.  di  cui  farò  men- 
zione al  Cap.  X.  apparifce  ,  chi  foffe  allora  Conte  del  Sacro 
Palazzo,  cioè  un  Giovaìtni^  che  in  compagnia  di  Pietro  Vefco- 
vo  di  Arezzo  preledette  a  quel  Giudizio.  Nell'Anno  poi  873. 
e  nel  feguente  ,  da  due  Placiti  vien  commemorato  Heribaldus 
Comes  facri  Palatii  .  Qiieflo  medefimo  Perfonaggio  nell'  Anno 
avanti  è  intitolato  Vicecomes  Palatii  :  dal  che  e  da  altri  Atti 
ancora,  fifcorge,  che  il  Conte  del  Palazzo  aveva  un  Vicario, 
appellato  perciò  Vicecomes  ,  oggidì  Vifcoiite  .  Nel  Concilio  te- 
nuto in  Pavia  l'Anno  %']6,  per  l'elezione  di  Carlo  Calvo ,  fra 
i  Principi  d'Italia  fi  vede  regiltrato  Boderadus^  o  puvQ  Bodra- 
dus  Comes  Palatii;  e  prefTo  il  Campi  nella  Storia  Ecclefiaftica 
di  Piacenza  in  una  Donazione  dell'  Anno  Spp.  è  menzionato 
Everardus  Comes  filius  bo,  me:  Boderadi  ^  qui  fuit  Corniti  Pala- 
tino .  Solpetto  io  ,  eh'  ivi  fia  fcritto  Palatii  ,  perché  non  era 
allora  in  ufo  il  Comes  Palatinus.  In  fatti  più  di  fotto  fi  fa  men- 
zione animce  quondam  bo.  me:  Boderadi  Corniti  Palatio.   Un  bel 

Pia- 


6i  Dissertazione 

Placito  tenuto  nell'SSo.  da  eflb  Boderado  nella  Citta  di  Pavia 
alla  prefenza  di  Cnrlo  il  GrojJ'o  Re  ,  e  di  Aicardo  Vefcovo  di 
Vken-z^  non  conofciuto  dall'  Ughelli  ,  ho  io  dato  alla  luce  , 
dove  troviamo  memoria  Curtis  Didcnti  nella  Citta  di  Torino  , 
perchè  ivi  una  volta  era  la  refidenza  di  un  Duca  .  Ma  onde 
viene  ,  che  in  un  Diploma  di  efib  Re  Carlo  del  precedente  an- 
no 87^.  efidente  nell'Archivio  de' Canonici  di  Reggio,  Pertol- 
dus  lllujìris  Ccmes  Pai  atti  è  nominato,  quando  e  prima  e  dopo 
fu  in  poffeflb  di  quella  Carica  Boderado  ?  Altro  non  so  penfar 
io,  fé  nonché  quello  Bertoldo  fofìTe  Conte  del  Palazzo  per  gli 
Stati  di  Germania  di  Carlo  il  GrofTo  ,  e  venuto  con  lui  in  Ita- 
lia; o  pure  che  due  in  quefti  tempi  foflero  in  Italia  i  Conti  del 
facro  Palazzo  .  Regnando  poi  Guido  Imperadore  ,  in  un  Privi- 
legio da  lui  conceduto  a  Leodoino  Vefcovo  di  Modena  nell'An- 
no 85?!.  fi  vide  xì^Qnto  Maìmfredus  Co'fTìcs  facri  Pai  atti .  Sicco- 
me ancora  fotto  Lamberto  Augufto  di  lui  Figlio  all'Anno  Se?/, 
in  un  Placito  tenuto  in  Firenze  comparifce  Aìnedsus  Comes  Pa- 
latii.  Due  Diplomi  di  Lodovico  III.  Imperadore  rapportati  dal 
P.  Celeilino  nella  Storia  di  Bergomo  ci  fanno  vedere  Sìpefredo 
Conte  del  PalaT^o  .  Ho  io  pubblicato  un  bel  Placito  dell'  An- 
no pò  3.  tenuto  davanti  Berengario  I.  Re  d'Italia  ,  da  cui  fi 
fcorge  ,  che  Irmetigarda  Monaca  Figlia  di  Lodovico  IL  Augufìo 
avea  donato  a  Scambur."ia  Badefia  del  Moniflero  di  San  Siilo 
le  Corti  di  Guajìalla  e  Ln-z^ra  a  lei  laiciate  da  Angelberga 
Lnperadrice  fua  Madre  .  Prefiede  a  quell'  Atto  Sigefredus  Co- 
mes Palacii  ^  &  Comes  ipjius  Comitatus  Piacentini .  Fra' teflimo- 
nj  s'incontra  ivi  Ad  elm  anno  Vefcovo  di  Concordia^  che  l'Ughelli 
non  conobbe . 

Ho  io  parimente  prodotto  un  Diploma  del  fuddetto  Beren- 
gario divenuto  Imperadore  ,  con  cui  neh' Anno  pi/,  conferma 
a  Berta  fua  Figlia  ^  BadefTa  nel  Moniftero  Piacentino  di  San  Si- 
ilo ,  il  governo  e  i  Beni  di  quel  facro  Luogo  ,  avendo  di  ciò 
pregato  Oldericus  illufìer  Marchio  ,  facrique  Palatii  noftri  Co- 
mes,  Di  lui  pure  fi  trova  menzione  in  un  Diploma  del  5?2o. 
per  la  Chiefa  di  Monza  nel  Tomo  IV.  dell'Italia  facra.  Pari- 
mente Liutprando  nel  Lib.  II.  Cap.  15.  della  Ina  Storia  parla 
di  quefto  Olderico  con  dire  ,  che  Suevorum  fanguine  duxerat 
origine-m  ,  e  che  fu  di  poi  ucciio  da  gli  Ungheri .  Da  che  fu 
creato  Ugo  Re  d'Italia,  la  Carica  di  Conte  del  Palazzo  per- 
venne aGifelberto,  come  apparifce  da  un  Dioloma  di  eflb  Re 

dell' 


Settima.  6^ 

dell' Anno  5?2<^.  conceduto  a  Guido  Vefcovo  di  Piacenza  ,  e  ri- 
ferito dal  Campi  Tom.I.  della  Storia  Ecclef.  di  quella  Cittk. 
Viene  egli  nominato  dallo  Storico  Liutprando  Gilebertus  pra- 
d'ives  Comes  &  Jìrenuus  ^  e  da  lui  ancora  Tappiamo,  che  Gual- 
berto potente  Giudice  di  Pavia  Raz^m  natam  funm  Giliberto 
Corniti  Palntii  fociaverat.  V'ha  qualche  memoria,  che  a  collui 
in  queir  illudre  Miniikro  fuccedefle  Savliofìe  di  Nazion  Borgo- 
gnona  ,  che  divenne  poi  Duca  di  Spoleti  per  atteftato  del  me- 
dcfirao  Liutprando  .  Dopo  lui  il  luddetto  Re  Ugo  follevò  al 
grado  di  Conte  del  facro  Palazzo  Uberto  Mnrchefe  luo  Figlio 
baluardo ,  che  «ia  vedemmo  anche  Sis^nore  della  Tofcana.  Sot- 
to  Ottone  il  Grande  Impcradore  della  luddetta  Dignità  fu  in- 
vertito Oberto  Marchefe  illu'dre  Progenitore  delle  due  Eftenfi 
Linee  ,  cioè  della  Reale  di  Brunfuich  ,  e  delia  Ducale  di  Mo- 
dena ,  come  con  varj  Documenti  ho  dimoftrato  nella  Parte  i. 
delle  Antich.  Ellenfi.  In  un  Diploma  di  eflo  Augnilo  dato  alia 
Chiefa  d'Adi  nell'Anno  p52.  prefTo  l'Ughelli  Tom.  IV.  dell' 
Italia  facra  egli  è  chiamato  Objertus  facri  Palat't't  Comes»  Ma  fi 
deve  ivi  fcrivere  Obertus  .  A  me  (omminillrò  il  Chiarifiimo 
P.  Abbate  D.  Guido  Grandi  un  bel  Documento  dell' Anno  ^75. 
tratto  dall'  Archivio  Archiepilcopale  di  Pifa.  Aveva  io  ben  pro- 
vato nelle  Antichità  Ellenfi  ,  che  Obeno  IL  &  Adalberto  Mar- 
chefi^  da' quali  difcende  la  luddetta  Sereniis.  Cafa  d'Elie,  avea- 
no  avuto  per  Padre  Oberto  I.  Marchefe  ;  ma  non  m'era  riufci- 
to  di  trovar  Documento  comprovante  ,  che  quello  Oberto  I. 
foffe  il  Conte  del  iacro  Palazzo,  Principe,  che  tanta  figura  fe- 
ce a'  tempi  di  Ottone  I.  Augufto.  Nello  Strumento  Pilano  dell' 
Anno  5?75.  Adalbertus  &  Oherttis  germani  Marchìont  ^  filii  b.  m: 
Obertì  Marchionis  &  Comitis  Palatto  ricevono  a  livello  una  sran 
copia  di  Beni  podi  m  varie  Ville  del  Territorio  di  Pifa  ,  da 
Alberico  Vefcovo  Piiano  .  Beni  tali  poi  lotto  nome  di  Terra 
Obertenga  nel  Secolo  ieguente  fi  veggono  confermati  da  Arri- 
go III.  fra  gli  Augufli  a'fuddetti  Eftenfi  .  Ecco  dunque  rifchia- 
rato  quello  punto  .  Per  uno  Strumento  di  Luca  accennato  dal 
Fiorentini  nella  Vira  di  Matilda,  e  da  Cofimo  dalla  Rena  nel- 
la Serie  de' Duchi  diTolcana,  Documento,  ch'io  poi  diedi  al- 
la luce,  fappiamo  che  il  fuddetto  Marchefe  Oberto I.  ebbe  per 
Padre  un  Adalberto  Marchefe  ,  il  quale  certamente  fiori  circa 
l'Anno  di  Grillo  DCCCC.  giacché  Oberto  I.  fuo  Figlio  affai 
vecchio  mancò  di  vita  prima  dell'Anno  P75.  come  colla  dal 

fud- 


64  Dissertazione 

fuddetto  Strumento  Pifano.  Adunque  il  Padre  di  efTo  Marche- 
ie  Oberto  I.  potè  effere  Adalberto  IL  Marchefe  dt  Tojcana  io- 
pranominato  il  Ricco  (  il  quale  fini  i  fuoi  giorni  nell'Anno  pi  5. 
o  c?i7.  )  del  che  altre  gagliarde  conietture  io  ho  addotto  nelle 
luddette  Antichità  Efìenfi.  Forfè  un  di  qualche  altro  Documen- 
to potrk  meglio  chiarire  quefto  punto. 

Ci  fa  uno  Strumento  dell'  Anno  p7p.  conofcere  GìfeUerto 
Conte  del  Palaz^  a'  tempi  di  Ottone  II.  Auguflo  .  Noi  fap- 
piamo  da  Donizone,  che  Richilda,  prima  Moglie  di  Bonifazio 
Marchefe  Padre  della  Contefla  Matilda  ,  fu  Figlia  di  un  Gifel- 
berto  Principe. 

Marchio  Richildam  pr^^taxatus  ComhlJJ^am 

^ua  G'jfelberti  de  fanguìne  Princlpis  ex'tt^ 

Duxit  in  tixorem , 
Il  Fiorentini  5  e  il  P.  Bacchini  (limarono,  che  quefto  Gifelber- 
to  foffe  Conte  di  Lucemburgo  .  Ma  in  uno  Strumento  dell'Ar- 
chivio Eftenfe  efia  Richilda  è  chiamata  Filia  bonce  memori(Z 
Gifelberti  Comes  Palatii  ;  e  però  Figlia  di  un  Principe  Italiano. 
Cosi  Laììfranco  Fratello  della  medefima  Richilda  in  un  Docu- 
mento dell'Anno  1017.  fi  truova  fregiato  col  titolo  di  Conte 
del  Pala^^,  Un  infigne  Placito  tenuto  in  Roma  neirAnno5)83. 
da  me  dato  alla  luce  ,  che  belle  notizie  contiene  di  Perfonag- 
gi  di  quel  tempo  ,  fa  anche  menzione  di  un  Sergio  Conte  del 
Pala'Z7:o  .  Ma  fecondo  le  apparenze  quefto  fu  un  Magiftrato 
della  Corte  Pontifizia.  Anche  in  quella  de  i  Principi  di  Bene- 
vento fi  truova  un  particolar  Conte  del  Palazzo  :  del  che  ho  io 
addotte  le  pruove  .  Ora  fra  i  Conti  del  facro  Palazzo  d'Italia 
s' ha  da  annoverare  yìrdoinus  Comes  Pai acii  -^  da  cui  tenuto  fu 
un  Placito  nel  territorio  di  Brefcia  l'Anno  9^6.  Parimente  all' 
Anno  IODI,  da  un  Diploma  di  Ottone  III.  Imperadore  ,  e  da 
un  Placito,  dame  dati  alla  luce  ,  fi  ricava,  che  allora  godea 
la  Carica  di  Conte  del  Palazzo  un  Ottone  Nipote  di  Pietro  Ve- 
fcovo  di  Como  .  E  eh'  egli  continuaffe  ad  effere  tale  anche 
neir  Anno  1017.  fi  pruova  con  uno  Strumento  dell'  Archivio 
de' Canonici  di  Modena,  da  lui  fottofcritto  .  Più  oltre  non  fon 
io  paffato  nella  ricerca  de' Conti  del  Palazzo.  Miniflri  tali  or- 
dinariamente faceano  la  loro  refidenza  in  Pavia  ,  dov'  era  il 
Palazzo  de  i  Re  d' Italia  .  Fors'  anche  reggevano  quella  Pro- 
vincia coir  autorità,  che  altri  Duchi  o  Marchefi  governavano 
il  paefe  loro  aisegnato.  Pietro  Diacono  nella  Cronica  Cafinen- 

fe 


Settima.  6<^ 

fé  Lib.IV.  Cap.  i8.  fa  menzione  di  una  Berta  ^^\\2iCompalatii 
Tichienfts  :  e  però  il  Du-Cange  introduffe  quefto  vocabolo  nel 
fuo  Glolfario  .  Ma  intendiamo,  che  quello  Storico  dovette  fcri- 
vere  F'dia  Com.  Piatii ^  q'\qc  Comitis  Palntii  Tìci?ienjìs.  Non 
fi  ufava  oia  di  aggiugnervi  quel  Ticinejjjìs  .  Ma  perchè  anche 
i  Principi  Beneventani,  ficcome  teftè  accennammo,  aveano  il 
loro  Conte  del  Palazzo,  perciò  (limò  Pietro  Diacono  di  dover 
identificare  quello  del  Palazzo  de  i  Re  d'Italia. 

Passiamo  ora  a  confiderar  le  umane  vicende.  Da  che  dopo 
il  Mille  cominciarono  ,  ficcome  diremo  a  fuo  tempo ,  le  Citta 
di  Lombardia  ,  e  d'altre  parti  d'Italia  ad  alzare  il  capo  per 
metterfi  in  liberta  ;  a  poco  a  poco  andò  calando  l'autorit^a  de' 
Miniftri  Imperiali  ,  e  toccò  appunto  quefta  difavventura  a  i 
Conti  del  Palazzo  .  Riiedevano  elfi  nel  Palazzo  Regale  di  Pa- 
via .  Furono  cacciati  di  la  da  i  Pavefi,  e  fi  ricoverarono  a  Lo- 
mello  ,  Terra  riguardevole  ,  onde  preie  il  nome  la  Provincia 
fommamente  fertile  di  grani  appellata  Lomelliìia  ,  che  dovea 
elTere  di  lor  particolare  dominio.  Ma  creicendo  ne' Pavefi  l'ani- 
mofita  e  la  voglia  di  slargare  le  fimbrie  ,  occuparono  quella 
Provincia  ,  fmantellarono  la  Terra  ,  e  coftrinfero  il  Conte  a 
dismettere  il  fuo  Miniftero  ,  e  fecondo  l' ufo  di  allora  a  farfi 
Cittadino  e  fuddito  della  loro  Citta  .  Odafi  Guntcro  ,  Poeta 
molto  commendabile  ,  che  fiori  ne  gli  ultimi  anni  di  Federi- 
go LAugufto,  e  nelLib.  III.  del  fuo  Poema  fa  menzione  del 
Conte  Pai athio  già  refidente  nella  Terra  di  Lomello,  con  dire  : 

Afpice ,   quam   turpi  Lunellt   nobile  Cajìrum , 

Atque  Palatini  Sedem ,  jidosque  penates 

Verter at  dia   (Pavia)  dolo  Comitem  Cfvesque  vocahat  &c, 
S'  ha  da  fcrivere  Lmnelli  .    Q_ual  fofie  la  giurisdizione  di  eflb 
Conte  in  addietro,  s'ha  da  i  leguenti  verfi  : 

Et  nunc  ijìe  Comes  ,  confors  &  confcius  Aul<$ 

Ille  potens  Princeps ,  fui;  quo  Romana  fecuris 

Italia;  punire  reos  de  more  ve  tufi  o 

Debuit ,   injujìa  vibrici  cogitur  Urbi 

Ut  modicus  fervìre  cliens^   7iulloque  reliSlo 

Jure  fibi  ^  Domince   ynetuit  mandata  [uperbce , 
Aggiugniamo  qu\  le  parole  di  un  nobiliflimo  Storico  del  Seco- 
lo XII.  cioè  di  Ottone  Vefcovo  di  Frifinga  ,    da  cui  Guntero 
prefe  buona  parte  del  fuo  Capitale.  Introduce  egli  nel  Lib.  2. 
Cap.  I  8.  de  Geft.  Friderici  I.    Tortona  ,  che  fi  lagna  delle  fo- 

Tomo  L  I  per- 


'66  Dissertazione 

perchierie  di  Pavia  con  quefie  parole  :  Te  .ìpjam  non  refptcis  , 
qua  Lunellum  (  ferivi  Lumellum  )  Imperiale  Oppidum  magna  & 
rohujìa  equitU77ì  manu  Jttpatum  ,  Palattìù  Con? hi s  fui  habipatio" 
fie  incl^tum  Ù'c.  ad  folum  ujque  projìernere  non  timueris .  Fa^ 
ausefiille  INTER  IT  ALI  JE  PROCERES  NOBILISSIMUS 
jnquilinus  tuus  ^  qui  debuipejje  DOMINUS  ,  Reddit  tihi  nunc 
nje^igal  ^  cui  tu  Principis  'uicem  gerenti  veBigal  Jolvere  Jnlebas* 
Videat  Princeps^  &  animadvertat  qua  honejìate  fui  ^  Imperiique 
honore  ipfius  lattri  judictum  de  ITALIS  laturus  ajjtdeat  .  Ci 
fanno  parole  tali  intendere  ,  che  infigne  Carica  foire  una  vol- 
ta il  Conte  del  Palazzo,  Vicario  in  Italia  de  gl'Imperadori,  e 
che  dimorando  nel  Palazzo  di  Pavia  fìendea  la  Tua  giuri.^di.zio- 
ne  fopra  tutte  quelle  parti  dell'Italia,  che  dipendevano  dall* 
Imperio  .  Cefsò  tal  Dignità  ,  e  foriero  in  tua  vece  Conti  Pa- 
latini delle  particolari  Provincie.  Nel  Regno  di  Napoli  fotto  i 
Principi  Normanni  furono  in  molto  credito   i  Conti  di  Lauretel- 

10  ,  i  quali  fi  truovano  intitolati  Comites  Palatii  .  Anche  la 
Toicana  ebbe  il  iuo  Conte  Palatino  nel  Secolo  XIII.  PrefTo 
rUphelli  nel  Tomo  III.  dell'Italia  facra  fi  fa  menzione  ^/(^ro- 
bandini   de  Soana ,  Dei  provi dentia   in  Tujcta   Comitis  Palatini . 

11  iuo  titolo  era  quello  :  Ego  lldebrandinus  Comes  Dei  gratia 
Palatinus  filius  quondam  bo.  me:  Comitis  fVillelmi  Tufcice  Co- 
mitis Palatini  .  Àvolo  Iuo  probabilmente  fu  Ildebrando  Conte 
Palatino^  una  conceflione  del  quale,  fpettante  all'Anno  121  3. 
ho  io  rapportato  .  Reda  ancora  un'  Invelìitura  della  Citta  di 
Grofleto  da  Federigo  lì.  Imperadore  nell'Anno  1221.  Pari- 
mente ebbero  il  titolo  di  Conti  Palatini  i  potenti  una  volta 
Conti  Guidi  ,  e  i  Conti  Alberti  di  Prata  ,  e  i  Conti  Venerofi  . 
Ho  io  rapportato  ,  e  rimeflo  all'altrui  eiame  un  Diploma  di 
Arrigo  VI.  Augnilo  dell'Anno  11P5.  in  cui  invertifce  Venero- 
fum  Filium  Brandalixi  Comitis  Palatini  de  Venerojis  de  Ripa 
hijuloe  SuT^ria  &  Bardino;  ,  &  quartce  partis  tottus  Cinjitatis 
Veronce  ,  Strana  cola  è  il  vedere  invertito  quello  Conte  della 
quarta  parte  di  Verona  .  Per  altro  non  fi  può  negare  ,  che  ne' 
vecchi  tempi  i  Conti  Venerofi  godeffero  il  titolo  di  Conti  Pa- 
latini ,  e  almeno  il  Privilegio  faciendi  Jilios  legitimos^  &  filios 
adoptivos  ,  &  Judices  ordinarios  (  cioè  Dottori  ai  Leggi  )  &  No- 
tarios.  In  una  Carta  dell'Anno  i2c?o.  ho  io  veduto,  che  Bar- 
tolofo  de'  Venerofi  filius  quondam  Domini  Petri  Verierofì  Comi- 
tis Palatini  de  Ripa  ^  creò  un  Notajo.  Qj-iedo  medefinio  titolo 

ed 


Settima.  67 

ed  autorità  conferirono  pofcia  i  fuiTeguentilmperadori  ad  alfaif- 
fime  perlone  ;  ed  altrettanto  fecero  anche  i  Romani  Pontefici, 
di  maniera  che  oggid'i  come  avvihto  fi  trnova  in  troppo  baffa 
fcrciina  .  Può  recare  meraviglia  il  vedere  ,  eh'  effi  Auguftì  in 
crear  tali  Conti  gì'  intitolavano  Sacri  Lateranenjts  FalatVi  Co- 
mi  PCS  ,  anzi  Sacri  noflri  Latcranenfn  Fala^ii  ,  &  Aulcs  noffrce. 
Rcm.yfiis  Comires.  E  Cailruccio  Duca  di  Lucca  nell'Anno  1328. 
da  Lodovico  il  Bavaro  fu  creato  Comes  Palatii  Lateraìienfn  . 
Niun  diritto  rellava  più  a  i  Cefari  in  que' tempi  Ibpra Roma, 
onde  poteffero  far  valere  si  fatti  Titoli .  E  ciò  fia  detto  degli 
antichi  Conti  dei  Palazzo  ,  de'  quali  appena  refta  un'  ombra 
ne' Conti  Palatini  de'noftri  d'i  ,  quantunque  alcuni  di  elfi  pol- 
fano  per  un  profciutto  concedere  la  Laurea  Dottorale ,  e  crea- 
re dei  Notai,  dove  loro  è  perm  efib. 

T)e  i  Conti  e  Viceconti  de  Secoli  barbarici . 
DISSERTAZIONE    OTTAVA. 

CH1UNQ.UE  ha  letto  la  Notizia  dell'uno  e  l'altrolmperio, 
cioè  dell'  Occidentale  ed  Orientale  ,  fcritta  nel  Secolo 
Qj-iinto  ,  ed  illuflrata  dal  celebre  Guido  Panciroli;  ovvero  ha 
pratica  del  Codice  Teodofiano,  e  dell'altro  di Giuiliniano  :  non 
avrà  biiogno  di  eflere  iftruito  da  me  ,  che  mentre  ancora  fio- 
riva il  Romano  Imperio  ,  il  titolo  e  la  Dignità  di  Conte  fu 
molto  in  ufo  tanto  nella  Corte  de  gli  Augufti  ,  che  ne' gover- 
ni delle  Provincie  .  Perciò  le  Nazioni  Barbare  ,  allorché  occu- 
parono r  Italia  ,  la  Francia  ,  e  la  Spagna  ,  trovarono  già  da 
gran  tempo  introdotto  il  nome  de'  Conti  .  Ma  non  apparilce  , 
che  lotto  i  Romani  fi  appellafTero  Conti  i  Governatori  di  una 
Citta.  Da  i  Popoli  Settentrionali ,  e  malfimamente  dai  Goti, 
divenuti  padroni  di  quelli  paefi  ,  fembra  che  aveife  principio 
queft'  ufo  ,  come  olTervò  il  Cluverio  Lib.  I.  Cap.  48.  Germ. 
antiqu.  Cioè  in  Latino  elfi  chiamavano  Comitem  il  Prefidente 
della  Citta  ,  e  nella  loro  Teutonica  Lingua  Gravionem  ^  o  Graf- 
fi ojiem  :  nome,  che  s'incontra  anche  nelle  antiche  Leggi  ài 
que' Popoli  .  L'appellazione  di  Comes  (  oggidì  Conte  )  fi  può 
credere  derivata  negli  Ufiziali  primarj  Compagni  del  Re,  o  del 
Duce  dell'  eiercito  alla  guerra  ;  e  perciocché  ad  ogni  Citta  fi 

I      2  do- 


68  Dissertazione 

dovette  deputare  un  Ufizial  militare  col  comando  dell'  armi  , 
perciò  il  nome  di  Comes  fotto  i  Re  Franchi  divenne  proprio 
de' Governatori  delle  Citta  ,  a' quali  s' aggiunfe  ancora  il  Go- 
verno civile  ,  e  la  facoltà  giudiciaria  .  Due  in  fatti  erano  al- 
lora gì'  impieghi  del  Conte  ,  cioè  il  comandare  alla  milizia  ; 
e  il  decidere  le  liti  del  Popolo  ,  fé  erano  portate  da  i  minori 
Tribunali  al  tuo.  Qiianto  all' autorità  Giudiciaria  ,  efli  l'eier- 
citavano  col  tenere  di  tanto  intanto  i  Malli  j  cioè  i   pubblici 
Giudizj,  e  i  Placiti  per  qualche  lite  particolare  ,  coirafìTillen- 
za  de  gli  Scabìni  ,  e  de  gli  altri  minori  Giudici  ,  col   configlio 
de'  quali  proferivano  poi  la  fentenza  ,  e  non  già  unicamente 
come  loro  parea.  E  per  queflo  venivano  anche  appellati  G/w- 
dici .  Cafliodorio  nel  Lib.  VII.  Variar,  attefta,  che  al  iuo  tem- 
po ancora  fotto  i  Goti,  ufizio  de' Conti  era  il  giudicar  le  Cau- 
le .  E  Gregorio  Turor;enfe  nella  Vita  di  San  Nicezio  Cap.  8. 
Vit.  Patr.   COSI   fcrive  :   Vidi  ego  Bafiltum  Presbyterum  mtj[um 
ah  eo  ad  Armentarimn  Comitem  ,  qui  Lugdunenfem  Urbem  ha 
diebus  potè  fiate  Jud'tctarìa  gubemabat .    Narra  egli  fimilmente 
nel  Lib.  VI.  Cap.  8.  della  Storia  de' Franchi,  qualmente  circa 
l'Anno  5ó'o.   avendo  intefo  Santo  Eparchio ,  che   fi  conduceva 
alla  forca   un  Ladro  o  Affafhno  ,    toilo  mijìt  Moiiachum  [uum 
ad  deprecnndum  Judicem ,   ut  fcHiceP  culpabilis  ille  vitce  conce- 
deretUT  ,   Pel  gran   rumore  ed  oppofizion  del  Popolo,  non   fu 
permeifo  al  Giudice  il  mutar  fentenza  .  Si  falvò  poi  come  pro- 
digiolamente  quel  malvivente  .   Allora   Eparchio  Comitem  nr- 
cejjtri  jubet^  d'tcens  :  Cur  hodie  hiduratus  hominem  ,  prò  cu/us 
vita  voganjerayn  ,  noìi  laxajìi  ?  Da  queRe   parole  intendiamo  , 
lo  lìeflo  effere   flato   il  Conte,  che  il  Giudice  fupremo  di  una 
Citta,  e  che   molta  era  la  di  lui  autorità,  da  che  potea  donar 
la  vita  a  i  condennati  alla  morte.   Perciò  nelle  Leggi  Ripuarie 
pubblicate  dal  Re  Dagoberto  circa  l'Anno  6^o.  fi  legge:  Si 
quis  Judicem  Fijcalem  ^   quem  Comitem  vocant^   i/Jterfccerit  fes' 
centis  folidis  multetur  .   E  ne'  Capitolari  de  i  Re  Franchi  è  or- 
dinato, che  Comites  Legem  teneant^  fappiano  le  Leggi ,   fecon- 
do le  quali  s'  ha  da  giudicare  .   Erano  allora  ben  poche  .    E 
che   ament  juftitiam^  e  fieno  fpediti  in  farla  ;  e  che  ogni  Me- 
fe  Placita  peragant^  cioè   pubblicamente  Giudizio,  avvertendo 
di  aver  a  cuore  fopra  tutto  gli  affari  de'  Poveri  ,  Pupilli  ,  Or- 
fani ,  e  Vedove  .   V'era  in  oltre  comandamento  ,  che  non  fi 
poteffero  tenere  i  Giudizj  le  non  da  i  Giudici  digiuni^  cioè  pri- 
ma 


Ottava,  6q 

ma  del  pranzo  :  perchè  anche  allora  doveano  efTere  in  credito 
i  frequenti  bicchieri  divino,  che  poteano  tramandar  fumi  al- 
la teda  .  Sì  può  chiedere  ,  perchè  nelle  Leggi  Longobardiche 
riuna  menzione  mai  fi  truovi  de' Conti,  benché  si  fpeflb  vi  fi 
parli  de' Miniftri  diGiufiizia.  Né  pur  Paolo  Diacono  fuol  di 
lor  far  parola.  Non  era  forfè  in  ufo  il  nome  de' Conti  preiTo 
i  Longobardi,  come  preffo  i  Franchi  ?  Certamente  foliti  furo- 
no pili  todo  a  vàlerfi  del  nome  di  Giudice  ,  che  di  quello  di 
Conte.  Contutrociò  non  fi  può  negare,  che  adoperaffero  l'uno 
e  l'altro  .  Il  Santo  Pontefice  Gregorio  il  Grande  nel  Lib.  IV. 
Ind.i2.  Epid.  47.  fcrivendo  a  Sabiniano  fuo  Apocrifario  alla 
Corte  del  Greco  Augudo,  dide  quede  celebri  parole:  Si  ego  in 
morte  Langobardorum  me  mifcere  'voluijfem  ,  hodie  hangobardo- 
Yum  geììs  neque  Reges^  nec  Duces  ^  nec  Comites  haheret  ^  atquo 
ejjet  i7i  fumma  confufione  dinjifa .  E  dal  fuddetto  Paolo  Dia- 
cono nel  Lib.  HI.  Cap.  p.  vien  r3.xnmtn\.2.Xo  Comes  La7jgob ardo- 
rum  de  Lagare  ^  Ragilo  nomine.  Oltre  diche  ne' Diplomi  de 
i  Re  Longobardi,  riferiti  dall' Ughelli  ,  Margarino,  e  Campi, 
fi  truova  queda  Formola  :  Pvdscipientes  omnibus  Ducibus  ,  Co- 
mi tibus  ,  Gajìaldiis  ,  'vel  A8ionariis  nofìris  &c.  O  pure  qued' 
altra  :  Ut  nullus  Dux  ,  Comes  ,  Gajìaldius  &c.  Qui  il  nome  ài 
Conte  fignifica   lo  dedb  che   il  Giudice  in  altri  luoghi. 

L'altro  Ufizio  de' mededmi  Conti  confideva  nel  governo 
della  Milizia  sì  in  tempo  di  pace,  che  di  guerra.  Nell'Editto 
di  Lodovico  Pio  Imperadore  dell'Anno  815.  predo  il  Baluzio 
fi  comanda,  che  gli  Spagnuoli,  ficut  ceteri  liberi  homines  (per- 
chè i  Servi  non  erano  ammedi  a  militare)  cum  Comite  juo  Ì7i 
exercitum  pergant .  In  un  Capitolare  di  Carlo  M.  dell'Anno  812. 
è  ordinato  ,  che  i  Conti  andando  all'A^rmata  non  lafcino  alcu- 
no efente  dalla  milizia  ,  alla  riferva  di  due  o  di  quattro  perfo- 
ne  .  E  perciò  s'intende,  perchè  Bonifazio  II.  probabilmente 
Duca  di  Tofcana  nella  fpedizione,  ch'egli  fece  nell'Anno  828. 
contro  i  Mori  di  Affrica  ,  ajjumto  fecum  fratre  Berethm-io  ,  Ò' 
tiliis  qutbusdam  Comitibus  de  Tu/eia  &c,  in  Africam  trajecit  , 
Cosi  nella  Legge  Longobardica  LVI.  di  Lottarlo  I.  Imperadore 
leggiamo  quede  parole  :  Poftquam  Comes  &  pagenfes  de  qua^ 
lib  et  expedttioìie  re'verji  fueriut^  ex  ili  a  die  per  XL.  f2o6ies  JÌP 
bannum  vefcijfum  .  Dalla  voce  Comes  fignificante  Governatore 
delia  Citta,  fi  formò  poicia  Comitatus ^  parola  indicante  tutto 
il  Territorio  con  Terre ,  Cadeila,  e  Ville  Ibttopodo  al  coman- 
do 


70  Dissertazione 

^.o  e  alla  giurisdizione  del  Conte.  Imperciocché  non  ^ìa  i  Con- 
ti  preiero  il  nome  loro  da  Com'natus^  come  alcuni  hanno  im- 
maginato, ma  bens\  Comìpatus  è  venuto  da  Comes,  Egidio  Me- 
nagio  nelle  Origini  della  Lingua  Italiana,  cercando  onde  fia  na- 
ta la  voce  Contado  y  COSÌ  feri  ve  :  Co-ntado^  Cambaqìia  ttitorno  la 
Città ^  nella  qu al  fi  coìiteìigono  i  Villaggi^  e  le PoJfeJJton't .  Da 
ContraElus  fotttntendendo  Pagus  ,  locus  ,  o  qualche  cotal  cofa  • 
ContraHus  ,  Cofìtratus  ,  Contradus  (  onde  Contrada  )  Contrada  , 
Contado  .  Meraviglia  è  ,  che  uomo  di  tanta  Erudizione,  e  co- 
tanto verfato  neh'  Etimologie  ,  non  ifcorgeOe  ciò  ,  che  facil- 
mente ognun  può  [coprire.  Siccome  ho  detto  Co<'///7//o  fi  formò 
da  Conttatu^  Comitato^  Contato^  Contado.,  ficcome  da  Comite 
ufci  WComte  Franzefe,  e  W  Conte  Italiano.  Nella  lìefla  guifa 
dal  Latino  Co w^z^^/^i-  abbreviato  venne  Cow^«/o,  Comto^  Conto, 
PrefTo  l'antico  Marcolfo  ,  pubblicato  dal  Baluzio  Tom. IL  Ca- 
pitular.  fi  legge  al  Lib.  I.  Gap.  8.  la  Formola  de  Ducatu  ,  P^- 
trit/atu  .,  'vel  Comitatu ;  cioè  come  fi  creava  un  Duca,  un  Pa- 
trizio, un  Conte.  Edera  bene  illuflre  la  Dignità  e  condizione 
de' Conti .  Nella  Par.  L  Cap.  V,  delle  Antich.Edenfi  ho  io  di- 
moftrato,  che  anche  i  Conti  entravano  nei  ruolo  de' Principi. 
Hincmaro  Arcivefcovo  di  Rems  nell'Opufc.  de  Ordin.  Pai  atti 
Cap.  35.  Similiter  (  così  fcrive  )  Comites  ,  vel  hujusyyìodi  Prin- 
c'tpes  hojjorijì  cabli  Iter  a  cetera  moltitudine  primo  mane  pg'i'^g^-- 
bantur ,  quoufque  fiie  prceje-nte ,  ftve  abfente  Rege ,  occurrerent  Ò'c, 
Perciò  intervenivano  anch'elfi  co  i  Duchi,  Marchefì,  e  Vefco- 
vi  all'elezione  del  Re  d'Italia. 

Qltello  nondimeno,  che  rendeva  più  rilevante  la  Dignità 
de  i  Conti,  era  che  quantunque  non  aveffero  in  Feudo,  come 
oggidì,  qualche  Citta  ,  ma  folamente  in  Governo,  dipendente 
dall'arbitrio  del  Principe  :  pure  tal  Governo  fole  va  elfere  (la- 
bile ,  e  durava  tutta  la  vita  loro.  Chi  una  volta  era  Conte, 
non  deponeva  quel  nobile  impiego  fé  non  per  falire  a  gradi 
maggiori  .  Anzi  a  poco  a  poco  s'  introduffe  la  conluetadine  , 
che  i  Figli  o  per  li  meriti  del  Padre  ,  o  coli*  ajuto  della  pecu- 
nia ,  fuccedevano  nella  Carica  ftefìa  .  Se  s'incontra  alcuno  di 
que'  tempi  ,  che  ceiTaffe  dì  effere  Conte  ,  ciò  fi  dee  credere 
avvenuto  per  qualche  fuo  demerito,  come  anche  oggidì  fuc- 
cede  ne'  Feudi  e  ValTalli .  In  uno  Strumento  di  Ambrofio  Ve- 
fcovo  di  Lucca  dell'Anno  845.  fi  truova  :  Manifejìus  Jum  ego 
Aganus  olim  Comes ^  filius  quondam  Gunterami ,   Era  (lato,  ma 

non 


Ottava.  71 

non  era  più  Conte  .  Francefco  Maria  Fiorentini,  e  Cofimo  dal- 
la Rena  giudicarono  ,  che   quello  Agano  Conte  dì  Lucca  fofTc 
ancora  Manhefe  della  Tofcana  ,  rapportando  alcune  memorie 
di  lui  deli' 838.  ed  840.  Ma  ivi  e  lolamente  detto   per  ^^z^^- 
num  Comitem  ipfius  Civhat'ts  ,  cioè  di  Lucca  .    Ne   per  eflTere 
uno  Conte  o  fia  Governatore  di  Lucca,  e^li  comandava  a  tutta 
la  Tolcana  .  S'incontra  all'Anno  857.  Hildeprandus  Lucce  Co- 
mes  '  e  pure  Adalberto  I.  Marcheje  reggeva  la  (lefla  Tolcana  . 
Peraltro,  come  difli ,  Ibleva   paìiar  ne*Figli  la  llefìa  Dignità. 
Fra  «'li  Antenati  della  Contefla  Matilda  fi   truova  in  uno  Stru- 
mento dell*  Anno  pd/.   riferito  dal  P.  Bacchini  nella  Cronica 
di  Polirone  Adnlbertus  qui  &  Atto  gratta  Dei  Comes  Muthien- 
fts  Ò'c.  In  un  Diploma  di  Ottone  L  Augullo  dell'  Anno   8ó'4. 
prefTo  rUghelli  nell'Append.  del  Tomo  V.   Irai.  Sac.  fi  legge 
conceduto  quel  Privilegio,   hiterventu  &  petìtìone  Adelherti   in- 
cliti Comitis  Kegienjìs  ffve  Motinenfis  .   Ho  io  prodotto  un  Pla- 
cito tenuto  nel  Calvello  di  Carpi  l'Anno  looi.   dà  Tedaldo  fuo 
Figlio  ,    il  quale  s  intitola  Teiidaldus  Marchio  Ò'  Comes  ijìius 
Regen/ts  Comitatus.    Verifimilmente  era  anche  Conte  di  Mode- 
na,  ma  parla  lolo  di  Reggio,  perchè  fu  quell'Atto  nel  terri- 
torio Reesiano  .  Se   Bonifazio  Marchete  Padre  della  Contelfa 
Matilda  continuafTe  ad  elTere  Conte  di  Reggio  e  di  Modena  , 
noi  so  dire  .  Verifimile  è  ,  che  ciò  iuccedeflTe  ,  e  che  anche  la 
Figlia^  governaffe  quefte  due  Citta. 

E*  ANCHE  da  avvertire,  che  gli  fte^i  Duchi  e  Marchefi  proc- 
curavano  il  reggimento  particolare  di  qualche  Citta  ,  e  perciò 
fi  truovano  contralegnati  ancora  col  titolo  di  Conti  .  Pratica- 
vafi  lo  ftenb  anche  in  Francia.  In  uno  Strumento  dell'Anno  ^p  8, 
prefTo  il  Baluzio  nelle  Note  a  i  Capitolari  face.  1255?.  fi  legge: 
Ego  in  Dei  nomine  Guillelmus  Comes  Marchio ,  atque  Dux .  Cos*i 
Adalberto  L  Marchete  di  Tolcana  ,  ficcome  ofl'ervò  il  Fioren- 
tini nella  Vita  di  Matilda,  ora  è  intitolato  D^x,  or3.  Marchio^ 
ed  ora  Comes  perchè  Governatore  di  Lucca  .  Cos'i  il  celebre 
Progenitore  de' Principi  di  Brunluich  ed  Elfenfi  Alberto  At;^  IL 
in  uno  Strumento  del  1050.  è  Marchefe  ,  ed  infieme  Comes  Lu- 
ne?ìfis  Comitatus .  Parimente  Alberto  At^  L  tuo  Padre  fi  vede 
appellato  Marchio  itemque  Comes.  E  da  un  Placito  efiftente  nel 
Moniftero  di  San  Salvatore  di  Pavia  dell'Anno  1014.  imparia- 
mo, cht  Otto  Comes  Palacii  era  nello  lleflb  tempo  Co w^-^  hu- 
JHs  Comitatus  Ticinenjis ,  Fu  ancora  in  ulo,  che  le  lieffe  Mo- 


gì' 


"ji  Dissertazione 

f,li  de*  Duchi  e  Marchefi  s'intitolafTero  Comejfe  .  Ugo  Re  d' 
Italia  in  un  Privilegio  conceduto  alle  Monache  di  San  Sifto  di 
Piacenza  nell'Anno  p2d.  nomina  Ermengardam  glor'toftjftmam 
domiti jfam  ,  KariJJimamque  Sororsm  rwftram  .  Fu  queita  Er- 
mengarda  MogKc  à^i  Adalberto  Marchile  d*  Ivrea  .  Del  pari 
Berta  Madre  di  lei  e  del  iuddctto  Re  Ugo,  e  Moglie  di  Adal- 
berto II.  Marcheie  di  Tofcana  ,  nel  ino  Epitaffio  altro  titolo 
non  porta  ,  che  di  Conteffa  j  tuttoché  Figlia  di  Lottarlo  Re 
della  Lorena. 

Hoc  tegttUY  tumulo  ComtttJJ^(S  corpus  humatuyn 
Inclyta  progen'ies  Berta  benigna  ,  pia  &c. 
Qualche  elempio  nondimeno  fi  truova  in  contrario  ;  AdelaU 
de  hiftgne'Marchejaìia  dtSiifa  Tempre  s'intitolava Co/;/*?^/?.  San 
Pier  Damiano  le  da  il  titolo  di  Ducbejfa.  Anche  Beatrice  Ma- 
dre della  Conteffa  Matilda,  perchè  Ducheffa  di  Tofcana  ,  per 
tale  s' intitolava  .  Per  lo  più  Matilda  fua  Figlia  fi  chiamava 
ComitiJJa ;  pure  talvolta  fi  truova  col  nome  di  March'tfia ;  e 
in  un  Documento  delfAnno  lo^p.  da  me  dato  alla  luce,  fi  fa  efla 
parlare  cosi  :  Ego  Dom?ja  Mathilda  Ducatrke  &c. 

Passiamo  ora  a  cercare,  onde  naiceffe  la  decadenza  de' Con- 
ti .  Più  di  una  cagione  v'intervenne  .  La  prima  fu  ,  che  na- 
fcevano  non  dirado  controverfie  fra  iVelcovi,  e  i  Conti  Go- 
vernatori delle  Citta  e  del  fuo  Contado  .  Giudicarono  perciò 
comoda  cola  i  facri  Paftori  l'ottenere  da  i  Re  ed  Imperadori 
anche  il  temporal  Governo  delle  loro  Citta  .  Né  fu  loro  diffi- 
cile. Abbifognavano  i  Re  di  Germania  de' Vefcovi  per  falire  lui 
Trono  d'Italia;  ed  anche  eletti  che  erano,  cercavano  di  tenerfeli 
amici  e  fedeli.  Ma  quel  che  più  importa,  qualfivoglia  Regnante 
profetava  gran  devozione  alla  Regina  Pecunia  ;  e  i  Veicovi  po- 
teano,  e  fapeano  fpendere .  Perciò  fin  prima  del  Mille  otten- 
nero alcuni  V^efcovi  anche  la  Signoria  temporale  delle  loro 
Citta  coir  ellerne  creati  Conti  .  Di  ciò  ex  profeffo  parleremo 
alCap.  71.  Intanto  fervira  al  prefente  argomento  un  Diploma 
di  Rodolfo  Re  di  Borgogna  ,  che  nell*  Anno  5?^^.  donò  il  Co- 
mitato  di  Tarantafia  a  quell'Arcivcfcovo  Amizone  .  Altri  Ve- 
fcovi non  impetrarono  la  giurisdizione  di  Conte  fopra  tutto  il 
Contado  ,  ma  folamente  nella  Citta  e  in  tre  o  cinque  miglia 
all'intorno.  Ottone  III.  Imperadore  nello  fteffo  Anno  5?p5.  con- 
cedette a  Odelrico  Vefcovo  di  Cremona  DiJìriHionem  Ctvitatis 
infra  &  extra  quinque  Miliariorum  fpatia  ,    Dijìringere  volea 

dir 


Ottava.  jj 

dir  Gafligare  ,  e  di  Ik  nacque  la  parola  Dijiretto  ,  fignificante 
tutto  quel  Territorio  di  una  Citta  ,  dove  fi  ftendeva  la  baFia 
e  podeila  del  Conte  .  Fu  confermato  queflo  Privilegio  nell'An- 
no 103 1.  da  Corrado  Primo  fra  gl'Imperadori  ad  Ubaldo  Ve- 
fcovo  di  Cremona.  Un' altra  cagione  della  depre^jone  de' Con- 
ti delle  Citta  ,  fu  l'efìTerfi  a  poco  a  poco  introdotti  ìCo7ìti  ru- 
rali ^  che  dominando  in  qualche  Terra  o  Cadello,  ottenevano 
da  gli  Augnili  il  titolo  e  la  giurisdizione  di  Conte  in  quel  Luo- 
go ,  fenza  rimaner  più  fuggetti  ali'  autorità  del  Conte  ,  che 
governava  la  Citta  .  Perciò  anticamente  fi  truovano  nel  Ge- 
novelato  i  Conti  di  Lavagna  ;  e  ne' tempi  della  gran  Conteffa 
Matilda  s'incontrano  in  Tolcana  Comes  Guido  Guewa  ,  Alber- 
tus Comes  de  Prata^  ed  altri  fimih.  Cosi  nel  Difìretto  di  Mo- 
dena fi  contavano  una  volta  Comites  Gommolce  .  In  uno  Stru- 
mento Lucchele  deli'  Anno  10^8.  un  certo  Rolando  dona  al 
Moniftero  di  San  Salvatore  alcune  terre  prò  remedio  animcje  ho, 
me,  LJghicionìs  magni  Comitis  ,  Ò'  Cilict  Comitijfcc  uxoris  fuor  , 
Quefti  ancora  fembra' effere  [tato  uno  de' Conti  rurali.  E  air 
Anno  1088.  quello  Uguccione  è  chì^m^to  Filius  quondam  Bui- 
garelli  Comitis,  Troviamo  ancora  all'Anno  1106.  Huponem 
Comitem  jilium  quondam  Uguiciouis  magni  Comitis,  Ho  io  in 
oltre  pubblicato  un  Documento  dell'Anno  lopi.  efiflente  pref- 
fo  i  Benedettini  di  Reggio,  in  cui  compariice  Hucho  Comes  fi- 
lius  quondam  Bojoni  Jìmiliter  Comitis  de  loco ,  qui  dicitur  Sa- 
bloneda  :  picciola  Citta  e  Fortezza  oggid'i  ,  i  cui  Signori  gode- 
vano il  titolo  di  Duchi.  Parimente  s  incontra.  Alberto  Conte  di 
Sabbioneta  nelle  memorie  della  Conteffa  Matilda  ,  e  in  uno 
Strumento  del  10^8.  fon  quelle  parole  :  Albertus  Comes  ,  & 
Ubertus  frater  ejus ,  Comes  quoque  V^alfredus  &  Berta  uxm^  ejus , 
Matilda  etiam  Cofijux  bo,  me:  Ugonis  Comitis  ,  Né  fi  dee  tace- 
re, che  nel  Bollarlo  Cafinenfe  Tom.  2.  Conftitur.  122.  quella 
Matilda  s'intitola  cos'i  :  Ego  Matilda  Comitijfa  ,  filia  quondam 
Regibaldi  Comitis  de  Comitatu  Tawifti  ,  &  Conjux  Uchoni  Co- 
mitis,, qucE  prof  e j]  a  fum  ego  ipfa  Matilda  ex  Natione  me  a  Le- 
go i:ivere  Langobardorum  ,  Jed  nunc  prò  ipjo  Viro  meo  Lege  vi- 
vere Alamannoruyn , 

Campo  qui  s'apre  per  indagare,  cofa  s'abbia  da  intendere, 
allorché  nelle  vecchie  Carte  s'  incontra  la  formola    Comes  de 
Comitatu^  reftando  incerto,  fé  fignifichi  il  Conte  o  fia  Gover- 
natore o  Signore  della  Citta  ,  o  pure  un  Conte,  che  pofìedef- 
Tomo  L  K  fé 


7+  Dissertazione 

fé  uno  o  più  Caflella  in  quel  Contado  e  Diflretto  .  In  uno' 
Strumento  dell'Anno  iodi,  fi  legge  Garm-do  filius  quo?2dam  Mo- 
ratìdo^  qui  juit  filìus  ho.  ine,  Domni  Girardi  Comitis  de  Comi' 
tatù  Imolenfts.  Siofìervi,  che  prefTo  il  P.  Bacchini  nella  Sto- 
ria del  Moniftero  di  Polironc  è  nominato  Ubertus  filìus  quon^ 
dam  Arduiìit  Comitis  Pnrmenfìs  ^  ne  gli  Anni  i05?o.  e  10^5.  E 
pure  in  due  Strumenti  di  Reggio  da  me  pubb.icati  ,  e  Ipet- 
tanti  a  gli  Anni  1054.  e  iod2.  {mxwom^l  Arduinus  Comes  de Co- 
mitatu  TaYrnetìfie  .  E  prefìo  il  Margarino  Tom.  2.  Conflit.  115?. 
del  Bollarlo  Cafinenfe  5  è  "iXì^mo^zio  Ubertus  C omes  ^  fili us  quon- 
dam Ar  duini  ^  itemque  Comitis  de  Comitatu  Parmenjì ^  nell'An- 
no 10^5.  Adunque  lembra  che  tal  Formola  veramente  figni- 
fìcalTe  chi  era  Conte  della  Citta,  le  non  che  in  que' tempi  noi 
troviamo  ,  che  i  Vefcovi  di  Parma  ottennero  da  gli  Augufli 
Parmefìfem  Comitatum  tam  infra  Urbem  ^  quam  extra  ^  come  co- 
fta  da  i  Documenti  pubblicati  dal  Bordoni  nel  Tef.  della  Chie- 
fa  di  Parma.  Incerto  è  parimente  ,  fé  la  Formola  deComitatu 
fenza  la  giunta  ò'\  Comes  fignificafTe  un  Conte  di  elfo  Contado, 
o  pure  lolamente  il  Luogo,  dove  quel  Signore  abitava.  In  uno 
Strumento  del  iop2.  fi  vede  Adelaxe  filia  Ugoni  Comes  ,  & 
relióla  quo/idam  Widonis  de  Comitatu  Farmenfts  .  In  un  altro 
del  iiii.  Berta  Filia  quondam  Gerardi  ,  Ò'  reliBa  quondam 
Walfredi  de  Comitatu  Trivixino  ,  fa  una  donazione  .  Abbiam 
veduto  poco  fa  nominato  in  uno  Strumento  del  105)8.  Comes 
quoque  Walfredus^  &  Berta  uxorejus.  Adunque  parrebbe,  che 
il  medefimo  foife  (lato  il  dire  Comes  Tarvi/inus^  e  deComita- 
tu Tarvifmo,  Due  Strumenti  pubblicò  il  Bacchini  nella  Storia 
di  Poìirone  .  Nel  primo  dell'Anno  1045.  è  menzionata  Gisla 
filia  Arduini  filium  quondam  Attonis  de  Comitatu  Parmenfi  . 
Se  qui  fi  parla  di  Arduino  mentovato  di  lopra  ,  egli  era  Co- 
mes Parmenfis ,  o  pure  Comes  de  Comitatu  Parmense  .  Nel  fe- 
condo fpettante  all'Anno  5^5 8.  fi  legge  Atto  filio  quondam  At- 
toni  de  Comitatu  Parmenfe  ,  il  quale  confeffa  di  avere  ricevuto 
leflanra  lire  di  denari  ab  Adalberto  qui  &  Atto  Confobrino  tneo  ^ 
filio  quondam  Sigefredi  de  Comitatu  Lue  enfi ,  Qiielio  Adalberto 
Azzo  è  il  Bifavolo  della  Conted'a  Matilda  .  Di  Sigefredo  iuo 
Padre  ecco  ciò  ,  che  dice  Donizone  nel  Libro  L  Cap.  2.  della 
Vita  di  Matilda. 

Atto  fuit  primus  Priticeps  ,  a  flatus  ut  hidrus , 

Nobiliter  vero  fuit  ortus  de  Sigefredo 

Principe  preclaro  Lucenft   de  Comitatu* 


Ottava.  75 

S'ha  egli  da  dire  ,  che  Sigefredo  fofle  Conte  di  Lucca ,  mafli- 
mamente  confiderando  ,  che  Donizone  l'intitola  Prìncipe^  di- 
flinzione  in  que'  tempi  conveniente  a  i  Ioli  Vefcovi  ,  Duchi  , 
Marchefi  ,  e  Conti  ?  Io  non  olo  aiTerirlo ,  perchè  in  niuno  de 
oh  Strumenti  di  Adalberto   Azzo  fuo  Figho  egU  ha  il  titolo 

di  Conte  . 

Torniamo  ora  a  i  Conti  rurali.  QLiefti  fi  truovano  anche 
prima  del  Mille.  Nella  Cronica  del  Moniflero  del  Volturno  in 
uno  Strumento  dell'Anno  ^88.  abbiamo  Lande?ìolfo  Conte  del 
Cajìello  di  Lalinulo.  E  in  un  Diploma  di  Ugo  e  Lottario  Re- 
gi d'Italia  del  554^.  fi  parla  di  beni  pofTeduti  a  Gropardo  Ko- 
ìyiìte  de  Cajìro  Fo7itaneto  .  Tanto  a  poco  a  poco  andarono  cre- 
fcendo  si  tatti  Conti  ,  fmembrando  ora  quella,  ed  ora  quell' 
ahra  Terra  ,  Caftello ,  e  Villa  dal  Diilretto  delle  Citta,    che 
qu^eile  fi  ridalle  ro  ad  aver  poco  territorio;  e  i  Conti  Secolari, 
e  pofcia  i  Vefcovi  creati  Conti  per  quella  ragione  non  iften- 
devano  molto  lungi  la  loro  giurisdizione.  Svanirono  finalmen- 
te i  Conti  delle  Citta  ,  allorché  quelle  ripigliarono  la  Libert'a 
e  divennero  Repubbliche,  ficcome  diremo  al  iuo  luogo.  Oltre 
a  i  Corni  furono  anticamente  in  ufo  i  Vicecotiti  ,  Dignità  mol- 
to filmata  .  Se  col  nome  di  Vicarj  nominati  nelle  antiche  Leg- 
gi s'abbiano  ad  intendere  i  Viceconti,  fi  può  mettere  in  difpu- 
ta.  Pare  nondimeno  che  fofie  cosi;  perciocché  dandofi  in  tut- 
ti quafi  i  pubblici  Ufizj  un  Vicario  ,  di  quefto  abbifognavano 
più  de  gli  altri  i  Conti  Governatori  delle  Citta  ,  ficcome  per- 
fonaggi ,  che  o  per  malattie,  o  per  dover  paflare  alla  guerra, 
o  perchè  chiamati  alla  Corte,  non  poteano  fempre  afliftere  al 
governo:  laonde  conveniva,  che  aveffero  un  Luogotenente  o 
fia  Vicario  ,  appellato   perciò  Vicecoynes  o  fia  Viceconte ^  nome 
che  poi   pafsò  in  quello  di  Fi/conte.  Menzione  di  quefti  fi  truo- 
va  fino  ne'tem.pi  di  San  Gregorio  il  Grande.  Neil' Epift.  18. 
del  Lib.  8.  Ind.  i.  feri  vendo  ad  Agnello  Vefcovo  diTerracina, 
dice  :    Scripftmus  autem  &  Mauro  Vicecomiti  ,  ut  Fraternitati 
vejìrce  iìi  hac  re  debeat  adhibere  folatia.  Nel  Corpo  delle  Leg- 
gi Longobardiche  al  Lib.  2.  Tit.  30.  Legge  2.  Carlo  Magno  or- 
dina, che  non  fi  pollano  vendere  Schiavi  fé  non  alla  prefenza 
del  Veicovo  ec.    De  ma?icipiis^  qua  venduntur^  ut  in  pr<£fentia 
Epifcopi ,  'vel  Comitis  fmt  'vendita  ,   aut  Archidiaconi  ,  &  Ce/i- 
tenarii^  aut  Vie  e  domini  ^  aut  Vicejudicis^  njel  Vicecomitis,   Il  Ba- 
luzio    tralaicia  la  voce  Vicecomitis  ,    e  legge  Vicedomini  ,    auì 

K     z  Judi^ 


7^  DlSSCRTAZIONE 

Jv.dkis  Comttts.  Ma  nel  Mfto.  ERenfe  veramente  fi  legge  Vt- 
cecomitis  .  In  im  Capitolare  di  Carlo  Calvo  Re  de' Franchi  all' 
Anno  8(^4.   fi  legge  :  Habcnt  unusqv.hque  Comes ^  tn  cujus  Comì- 
tntu  Moììctam   (  la  Zecca  )   effe  jujjìmus  ,  V'tcecomìtem  jumn  , 
qui  cum  duobus  &c.   Ed  Agobardo  nel  Trattato  dell'  infolenza 
de'  Giudei  ,   fcrive  :    Veìitcìites  Judcci  dcdermjt  m'thì  Lid'tculum 
ey:  nomine  njeftro  ^   Ù*  alterum   et  ,  qui  Pagum  Lugdunenfem  Vi- 
ce Comttts  regit .  La  voce  Fagus  non  fignifìca  qualche  Cartel- 
lo o  Villa ,  ma  bens'i  un  Paele,  e  qui  vuol  dire  tanto  la  Cit- 
ta ,  che  il  territorio  di  Lione  .  Molto  piti  antica  nondimeno 
fi  fcorgera  la  Carica  de' Viceconti,  quando   veramente  la  Vita 
di  San  Mauro  Abbate  fia  fattura  di  Faufto  Monaco  fuo  contem- 
poraneo, che  fi  legge  ne  gli  Atti  Benedettini  del  P.  Mabillone, 
effendo  ivi  fcritto  :  PnsdiHus  dsnique  njìr  Florus^  quum  Ì7Z  om- 
ni  Reg?ìo  Theoàshenì  Kegis  fummam  ohtineret  poteftatem  ,    ac 
Vice  Comitis  in  Andecavenfi  eo  tempore  fungeretur  Pago  .    Non 
so  io  dire,  fé  più  d'un  Viceconte  una  volta  avefiero  i  Conti; 
certo  è  folamente  ,  che  con  quello  nome  s' intendeva  il  Luo- 
gotenente del  Conte  sì  nella  Citta  ,  che  nel  Territorio  .  Un 
belliffimo  Placito  dell'Anno  880.  efiftente  nell'Archivio  di  San 
Zenone  di  Verona,  ho  io  pubblicato,  in  cui  (ì   truova  y^^'n^^- 
]^ari  Vicecomes  Ci'vitatis  Verone?iJts    in  'vice   Walifrit  Comitis  . 
Che  Carlo  il  Grofìo  Re  non  folle  coronato  Imperadore  in  Ro- 
ma nel  Natale  del  fuddetto  Anno  880.  come  ftimò  il  P.  Pagi 
fi  deduce  da  quefto  Documento.   Parimente  in  uno  Strumento 
dell'  Archivio   Ambrofiano  ,    forfè  ipettante  alF  Anno   870.  fi 
vede  Amalricus  Vicecomes  Civitatis  Mediolanenjìs^  Filius  quon- 
dam 'W  al  devici ,   qui  fuit  Vicecomes  ipjius  Civitatis ,  per  pampa- 
num  njitis  ^  Ù'  cidtelluyn  ^  feo  fejìugmn  nodatum  &c.   parole  in- 
dicanti, che  cofrui  era  di  Nazione  Salica  o  fia  Franzefe  .  Fi- 
nalmente   ho  io  pubblicato  un  Diploma    dell'  Archivio  della 
Cattedrale  di  Reggio  ,  in  cui  Lamberto  Imperadore  nell'An- 
no 85? 5.  dona  una  Corticella  Ingelberto  nomine^  fcilicet  Viceco- 
miti  Parmenji , 

Che  apparteneffe  a  i  Conti  l'eleggerfi  il  Viceconte ,  retta- 
mente Io  argomentò  il  Baluzio  da  una  Epiftola  di  Agobardo 
a  Manfredi  ,  dove  parlando  di  Bertmondo  Conte,  o  fia  Gover- 
natore di  Lione,  cosi  fcrive  :  ^ui  bcìie  fatis  habeat  ovdinatum 
de  juftttiis  Comitatum  Juum  :  eo  quod  Virum  Pro  fé  confiituc- 
rit  ad  base  per  agenda^  qui  non  jolum  propter  amorem  &  timo- 
rem 


Ottava.  77 

rem  Seniorh  fui  td  flrenue  gerat  &c.  Ed  allorché  erano  aifenti 
i  Conti  ,  Ufizio  era  de' Viceconti  i'afliftere  alle  liti.  Dal  Du- 
Cange  è  fatta  menzione  di  un  Placito  tenuto  in  Vienna  del 
Delfinato  nell'Anno  8^3.  in  cui  fono  quelle  parole  :  Veniem 
Witfridus  Ecclefi'X  Sant'i  Maurìcn  Advocatus  puhlice  hi  Vtennam 
Ctvitatem  in  prccfcntia  Dom?ii  Ardoìnì  ejusdem  EccUft(S  'venera- 
bilis  Jvcìjìepijcopi  ,  &  Erluini  Vkecomìtis  MiJJi  Illujìris  Bofonìs 
&c,  Eflendo  nondimeno  coftui  Melfo  ,  la  (uà  autorità  fu  in  tal 
cafo  delegata.  Efembra,  che  da  i  Viceconti  non  fi  decideffe- 
ro  fé  non  le  Caufe  lievi  criminali,  perciocché  nella  Legge  dp. 
di  Carlo  M.  fra  le  Longobardiche  viene  ordinato,  Up  ante  Vi- 
cayios  nulla  crimìnalis  aHìo  definìatur  ,  n'tft  tantum  leviores 
cauffce^  quce  facile  pojfunt  judkari  .  Ma  forfè  fotto  nome  di 
Vtcarj  venivano  i  Giudici  Rurali.  Varia  fu  poi  la  fortuna  de' 
Viceconti  .  Colf  eifere  celTati  in  tante  Citta  d'  Italia  i  Conti 
Governatori  delle  medefime,  ceffarono  anche  i  Viceconti.  Ma 
o  fia  che  i  Conti  Rurali  aveffero  o  deftinaffero  de  i  loro  Luo- 
gotenenti con  titolo  di  Viceconti  ;  o  pure  che  gli  antichi  Vice- 
conti poffedeifero  qualche  Caflello  o  Villa  di  lor  Patrimonio 
o  Feudo  :  certo  è  ,  che  da  li  innanzi  ancora  durò  il  titolo  de' 
Viceconti  ^  appellati  Vifconti .  La  meta  Vicecomitatus  de  Valle 
Tellina  fu  nell'Anno  1006.  donato  dal  Santo  Imperadore  Ar- 
rigo ad  Eberardo  Vefcovo  di  Como.  In  Francia  furono  cofpi- 
cui  i  Vilconti  di  Segur^  di  Alhujfon^  di  Comboin ^  dellaTorre ^ 
oggidì  di  Turena  ^  diVentadur  ec.  perciocché  quello  Titolo, 
con   qualche  Feudo,  paffava  ne' loro  Figli  e  Difcendenti. 

Quanto  all'Italia,  affatto  è  venuto  meno  F  Ufizio  de' Vis- 
conti; che  una  volta  era  molto  cofpicuo.  Donizone  nel  Lib.  L 
Cap.  13.  della  Vita  di  Matilda  racconta,  fé  pure  è  da  credere, 
che  venuto  in  Italia  nell'Anno  1046'.  Arrigo  II.  tra  gl'Impe- 
radori,  Alberto  Viiconte  ,  fervo  del  Duca  e  Marchefe  Bonifa- 
zio^ gli  donò  cento  Cavalli,  e  ducento  Aflorri . 

Tunc  Comes  Albertus  Vice  ,  dives  maxime ,  Sewus 
Prcvdióiique  Ducis ,   habitator  &  ipfius  Urbis , 
Qornipedes  centum  &c.  Jimul  obtulit  ultro. 
Stupì  a  s\  magnifico  regalo  l'Augufto  Principe,  e  diffe  : 

^uis  'uir  habet   Ser'vos ,   quales  Bonifacius  ? 
Dovea  eifere  quefto   Alberto  Valfallo  del  Marchefe  Bonifazio  , 
e   per  lui  Governatore  di  Mantova.  Anche  in  Italia  paffava  in 
Eredita  il  titolo  di  Viiconte  ,  attaccato  a  qualche  Feudo  .  In 

Pia- 


••■A. 

V 


78  Dissertazione 

Piacenza  fu  fommamente  riguardevole  quella  de'  Vifconti  , 
onde  fcele  il  Beato  Gregorio  X.  Papa  ,  che  terminò  i  fuoi  gior- 
ni in  Arezzo  nell'Anno  127^.  Era  quella  Famiglia  diverla  dall' 
altra  infigne  de' Vifconti  di  Milano.  O  fia  che  quelli  Vifconti 
una  volta  foflero  Vicarj  e  Luogotenenti  del  Conte  di  Milano  , 
o  pure  governaffero  con  tal  titolo  qualche  tratto  di  paefe,  di 
cui  fofTe  Conte  l'Arcivefcovo  di  Milano  :  Certo  è ,  che  Nobili 
di  molto  erano  prima  ancora  del  loro  dominio  in  efla  Citta 
di  Milano  .  Landolfo  feniore  Storico  fa  menzione  di  un  Eri- 
prando  Vifconte ;  e  Galvano  Fiamma  nel  Manip.  Fior,  di  un  Ot- 
tone Vijconte .  Giorgio  Merula,  Trillano  Calchi,  Paolo  Giovio, 
ed  altri  annoverarono  quelli  due  perfonaggi  fra  gli  Antenati 
de' Vifconti  Milanefi,  fé  con  fondamento,  noi  so  dire.  Chigran- 
de  diventa  oggi  ,  facilmente  truova  chi  il  fa  tale  anche  ne' 
precedenti  Secoh  .  Circa  il  1263.  fotto  l'Arcivefcovo  Ottone 
cominciò  la  potenza  di  quella  Cafa  ,  albero  maeftofo  ,  di  cui 
in  fine  fi  feccarono  le  radici .  Ottone  Morena  nella  Storia  di 
Lodi  all'Anno  II 55.  ài  im  Ugo  Vi  (e  otite  ^  che  co  i  Milaneli  an- 
dò al  foccorfo  di  Tortona  ;  ma  fenza  poter  noi  dire,  qual  fof- 
fe  la  Famiglia  fua .  Davad  una  volta  il  titolo  di  Vifconte  ai 
Governatori  di  qualche  Caflello .  In  uno  Strum.ento  del  iipS. 
Petro?2Ìanus  Vicecomes  governava  un  paefe,  di  cui  era  Conte  il 
Vefcovo  di  Viterbo  .  Solevano  particolarmente  i  vecchi  Mar- 
chefi  Eilenlì  chiamar  Vifconti  i  Podefìa  o  Governatori  delle  lor 
Terre  e  Caftella.  Perciò  in  una  Donazione  fatta  daAzzoVIL 
Marchefe  d'Elle  nel  1235.  fi  truova  Dominus  Fulco  Graffus  de 
Lendenaria  Viceconies  illius  Marchionis  .  E  in  uno  Strumento 
del  1252.  Dominus  Ecelinus  Vicecomes  Domini  A^ipnis  Efìenjis  & 
Anconitani  Marchionis  in  Figheruolo. 

Finalmente  fi  vuol  offervare  ,  che  nel  governo  delle  Citta 
erano  una  volta  dellinati  i  fuoi  proventi  al  Conte  Governato- 
re. Nella  Legge  Longobardica  127.  di  Carlo  M,  pare  ,  che  fi 
lafci  al  Conte  la  terza  parte  delle  condanne  Criminali  ;  ed  è 
poi  ciò  eiprelfo  nella  Legge  fegnente  128.  Heribanmim  (cioè 
la  pena  di  chi  non  andava  all'  Armata  )  Comes  exaHare  tion 
pYdefumat  :  nifi  Mijfus  nofìer  prius  Heribannum  ad  partem  ìio- 
fìram  recipiat  ^  &  ei  [  cioè  al  Conte  )  fuam  tertia?n  partem 
exinde  per  jujftonem  nofìram  donet ,  Sappiamo  da  Ottone  Fri- 
fingenfe  Lib.  I.  Cap.  31.  de  Geli.  Frider.  che  fi  praticava  la 
ilelfa  regola  in  Ungheria,  elfendo  divifo  quel  Regno  in  fettan- 

ta 


Ottava.  jg 

ta  Comitati  ;  &  de  omm  juflma  ad  Fifctim  Regìum  duas  lucri 
partes  cedere  ,  tertìam  taìitum  Corniti  remanere  .  Era  in  oltre 
aflegnato  ai  Conti,  e  Viceconti  il  godimento  di  alcuni  pode- 
ri .  Neir  Invellitnra  della  Contea  di  Verona  data  da  Federi- 
go I.  Auguilo  a  Bonifazio  Conte  di  San  Bonifazio,  fi  legge,  cum 
ftiis  J  uri  bus  &  prove?!  fiùus  .  E  Corrado  I.  tra  gli  Augufti  nel 
creare  Conte  di  Modena  Ingone  Velcovo  della  ftefla Citta,  gli 
concede  atmiia  ,  quce  vocnta  junt  Public  a  ,  Fife  ali  a  ,  Gomita- 
lia^  aut  Viceconùpalia  ^  come  cofta  dal  fuo  Diploma  dell'An- 
no 1038.  da  me  dato  alla  luce.  E  quello  bafti  de' Conti,  il 
titolo  de*  quali  fi  truova  oggidì  s'i  moltiplicato  in  tante  Citta 
d'Italia,  che  ognun  fel  procaccia  per  far  intendere,  ch'egli  è 
Nobile.  Chi  nondimeno  lo  gode  con  Feudo  nobile  unito,  ri- 
tiene gran  parte  del  pregio  de  gli  antichi  Conti. 

De  i  MeJJi  Regali ,  0  fta  de  Giudici  Jìraordinarj . 
DISSERTAZIONE    NONA. 

NON  badò  a  i  Regnanti  di  que' Secoli,  che  noi  chiamia- 
mo barbarici  ,  per  mantenere  la  Giuflizia  fra  i  lor  Po- 
poli,  l'avere  \Gonti  del  Pai  a^^ -^  1  Duci ,  Marchefi,  Conti, 
ed  altri  inferiori  Giudici,  deltinati  a  quello  importante  impie- 
go. Non  badò  l'intervenire  fovente  anche  gli  lìefli  Re  ed  Im- 
peradori  (  ficcome  moftreremo  al  Cap.  31.  )  a  i  Placiti  in  com- 
pagnia di  efli  Giudici  .  Peniarono  effi  ancora  a  deputar  Giudi- 
ci (Iraordinarj,  o  prefi  dalla  Corte  ,  o  icelii  nelle  Provincie, 
i  quali  provveduti  di  un'ampia  autorità  Icorrefiero  per  tutto  il 
Regno  per  conolcere,  fé  era  fatta  Giuftizia  ,  o  fé  alcuno  fi  do- 
lelfe  di  non  averla  ottenuta  ,  e  con  facoltà  di  correggere  tutti 
i  difetti  ed  ecceffi  degli  fteffi  Conti  ,  e  d'ogni  altro  Miniilro 
della  Giuflizia  .  Si  chiamavano  quefli  tali  MiJJi  Regii  ^  ^^^Jfi 
àijcurrcntes^  MiJJl  Dominici ^  Regii  Legati^  per  tacere  altri  no- 
mi. Iliitutore  d'effi  nella  Francia  fembra  effere  (lato  l'mfigne 
Re  ed  Imperadore  Carlo  Magno,  Principe  di  gran  mente,  e 
di  buon  cuore  ,  che  tanti  altri  Riti  e  nuove  Leogi  formò  tutte 
commendabili  ed  utili  a  i  Popoli  fuoi  ,  e  eh'  egli  introduccfle 
queft'ufo  anche  all'  Italia.  Veramente  ,  ficcome  vedremo  al 
Cap.  74.  anche  nell'Anno  715.   regnante  il  Re  Liutprando  , 

temi- 


8o  Dissertazione 

tenuto  fu  un  Placito,  o  fia  Giudizio  in  Toicana,  dove  quattro 
Vefcovi  una  cum  M'iJfoExcellentiJJimi  Dcmni  Liutprandi  Regis ^ 
nomine  Gumer'iafìo  Notarlo^  fu  dibattuta  una  controveiTia  fra  i 
Vefcovi  di  i\rezzo  e  di  Siena  .  Ma  quel  Meffo  non  pare  che 
abbia  che  fare  con  quelli,  de' quali  fiam  per  parlare,  perchè 
egli  era  delegato  folamente  per  quella  Caufa ,  e  non  per  tutte 
le  Giuftizie  :  laddove  gì'  inilituti  da  Carlo  M.  aveano  facoltà 
per  ogni  controverfia  criminale  e  civile  .  Conofceva  quel  fag- 
gio Monarca,  a  quanti  incomodi,  a  quante  male  arti  fofle  fotto- 
podo  il  governo  de' Popoli.  Ancorché  mai  non  manchino  Giu- 
dici dotti  e  timorati  di  Dio,  pure  ve  n'ha  fempre  alcuno  di 
tempra  diveria,  che  non  fi  fanno  fcrupolo  di  vendere  la  Giu- 
flizia  ,  che  fon  tratti  fuori  di  ftrada  dalle  predilezioni  ,  dagli 
odj ,  e  da  altre  paffioni  .  Si  mirano  anche  talvolta  le  Caufe 
de'  Poveri  ,  delle  Vedove,  e  de  i  Pupilli  in  malo  (iato,  ed  op- 
preffi  i  men  potenti  da  i  più  potenti.  Forfè  anche  più  s'incon- 
trava quello  dilordine  a' tempi  di  Carlo  M.  Il  perchè  determi- 
nò egli ,  che  di  tanto  intanto  alcuni  de' più  fa  vj  e  dabbene  fi. 
portaiTero  per  le  Provincie,  a  fin  di  cercare  ,  fé  v'erano  fcon- 
certi  nella  GiuRizia  ,  e  colla  lor  prudenza  ed  autorità  vi  rime- 
diafl'ero  .  Q_ualche  ufo  di  quello  falutevol  rimedio  talvolta  fi. 
truova  prefio  gli  antichi  Romani,  e  lo  vediam  tuttavia  in  cer- 
ta guiia  olfervato  dalla  prudentiffnna  Repubblica  di  Venezia 
con  gran  vantaggio  de' Sudditi  Tuoi. 

Portavano  dunque  feco  gli  antichi  Meffi  ,  o  vogliam  dire 
Giudici  ftraordinarj,  un'autorità  luperiore  a  quella  dei  Duchi, 
Marchefi  ,  e  Conti  ;  e  perciocché  eifendofi  lui  principio  con- 
ceduto quefl'  impiego  a  Vafli  o  fia  Cortigiani  ,  che  pativano 
il  male  della  povertà  ,  fi  trovò  ,  che  talora  Medici  tali  atten- 
devano più  al  guadagno  proprio  ,  che  alla  cura  de'  pubblici 
mali  :  il  faggio  Imperadore  cominciò  a  valerfi  per  quella  fun- 
zione di  perfonaggi  maggiori  di  ogni  eccezione,  e  non  bifognofi 
di  fucciare  l'altrui  fangue.  All' Anno  802.  negli  Annali  Lambe- 
ciani  {{  legge  di  effo  Auguflo  :  Kecordafus  m'tfericordi(S  fu^  de 
pduper'ìbus  ,  qui  in  Regno  juo  erant  ,  &  juft'ttìas  fuas  plenìter 
habere  non  poter ant  ,  nolu'tt  de  hifra  Falatìo  pauperiores  Vajfos 
ftios  transmmere  ad  jujì'ttias  fac'tendum  propter  munera  ;  fedele- 
gtt  in  Regno  fuo  Archiepifcopos  ,  (IT  reliquos  Epifcopos ,  &  Abha- 
tes  ,  cuyn  Ditctbus  &  Comitibus  ,  qui  jam  opus  non  habebant  fu- 
per  innocentes   munera    accipere  ;    &   ipj'os  mifit  per  univerfurn 

Re- 


Nona.  gr 

Regnuyn  fuum^  ut  Ecclefiis^  Viduìs^  &  Orphams  ^  &  pauperì- 
bus  ^  &  cu?7Bo  F apulo  juftttiam  facerent .  L'autorità  di  eli  era 
ordinariamente  riftretta  ad  una  o  pure  a  più  Provincie,  e  que- 
lla fi  appellava  iVf/^/7r/Vf/w.  Cola  giunti  che  erano,  fpiegava- 
no  le  lor  Patenti,  ed  invitavano  chiunque  ne  avefìfe  biiogno  a 
ricorrere  al  loro  Tribunale  per  ottener  Giuftizia  ,  intitolandofi 
MiJJt  ad  fi?2gulcrum  hom'inum  juftìùas  fac'tandas  &  del'tberan- 
das.  In  un  Placito  dell'Anno  looo.  tenuto  nel  territorio  di  Lo- 
di fi  vede  ,  che  Benzone  MelTo  di  Ottone  IIL  Augufto  fa  leg- 
gere prima  la  fua  Patente  ,  che  foleva  chiamarfi  Tra6ioria  . 
E  perciocché  Miniflri  tali  non  fi  fermavano  ordinariamente 
nelle  Citta,  ma  fcorrevano  pel  paefe  ,  tenendo  Giudizio  ,  do- 
vunque occorreva,  perciò  furono  appellati  M/^  difcurrentes , 
Confervafi  nel  Moniiìero  Ambrofiano  un  Placito  tenuto  in  Mi- 
lano nell'Anno  pi  8.  il  cui  principio  è  quello:  Dum  in  Dei 
7iom'tne  ,  Cìvifarc  Mediolani  ,  Cune  Ducati  ,  in  laubia  ejusdem 
Curtisy  ifi  /u  die  io  rejìderet  Berengarius  Nepus  &  Mijfus  Domni 
&  glorio  fi JJi  mi  Berengarii  ScreniJJìmi  Imper  atavi  s  ^  Avio  Ò'  Se- 
nior ejus ,  qui  in  Comitatu  Mediolanetije  ab  ipfo  Imperatore  ef- 
fet  conjìitutus  tamquam  Comes  &  Mijfus  difcurrens  &c,  edam 
Epiftola  figtllata  ab  anulo  idem  Domni  Imperatoris  hic  in  ipfo 
Judicio  oftenfa  fuit  &  releBa  ,  i'a  qua  continebatur  ,  ut  Beren- 
garius Nepus  idem  Domni  Imperatoris  Mifjus  ejfet  con  flit  utus  &e, 
Truovafi  qui  Curte  Ducati  ,  nome  xhe  fembra  durar  tuttavia 
nel  Luogo  appellato  il  Cordufo  in  m.ezzo  alla  Citta  di  Milano, 
formato  dall'abbreviato  di  Cortis  Ducis  .  Qjiel  Berengario  che 
qui  nomato  viene  Nipote  di  Berengario  L  Augufto ,  quel  me- 
defimo  è,  che  dopo  Ugo  e  Lottarlo  fu  poi  Re  d' Italia .  Adal- 
berto Marchefe  d'Ivrea  fuo  Padre  avea ,  per  atteftato  di  Liut- 
prando,  in  Moghe  Gisla  Figlia  dell' Imperador  fuddetto  .  Non 
intervenne  a  quel  Placito  il  Conte  di  Milano  ,  forfè  perchè 
malato  o  lontano,  ma  bensì  vi  fu  prelènte  Rotgerius  Vicecomes 
ejusdem  Mediolanenjts  Civitatis .  Per  altro  ,  allorché  i  Melfi  te- 
neano  Giudizio  ,  anche  i  Conti  o  per  onore  o  per  neceffita  vi 
doveano  afiifiere  .  In  un  Placito  tenuto  in  Padova  da  i  Mefll 
di  Arrigo  IV.  Re  fi  truovano  ancora  Domnus  Oldericus  Epifro- 
pus  ,  &  Albertus  Comes  hujus  Civitatis  Patavienfs  .  Alle  volte 
né  pure  i  Melfi  Regii  poteano  terminare  una  Caufa  ,  e  quefla 
veniva  portata  all'Udienza  dello  fiefib  Re  odimperadore,  che 
non  fi  efentava  dall' udirla  e  deciderla:  del  che  abbiamo  la  te- 
Tomo  I,  L  filmo- 


?>z  Dissertazione 

flimonianza  in  un  Diploma  di  Lottarlo  I.  Augudo  dell'anno  833. 
dove  lo  ftefTo  Augufio  da  la  fentenza  in  favore  del  Moniftero 
Veronele  di  San  Zenone  contra  Garardo  Conte,  non  so  fé  di 
Verona  o  di  Mantova.  Quefto  Documento,  in  cui  è  fatta  men- 
zione di  Rntaldo  Vefconjo  di  Verona^  ferve  a  carreggere  alcuni 
sbagli  deirUghelIi  nella  ferie  de' Velcovi  di  quella  Citta.  Era 
la  lite  per  la  Selva  OJìiglìa  ,  Terra  oggidì  del  Mantovano  , 
ma  fpettante  allora  al  Contado  di  Verona.  Parte  di  effa  Selva 
apparteneva  al  Moniftero  Nonantolano,  pervenuta  ad  eflb  per 
eredita  del  Conte  Anfelmo^  e  que' Monaci  pretendevano  ingiu- 
ftamente  tolta  loro  quella  porzione  dal  Conte  di  V^erona .  Huc- 
poldus  Comis  ipjìus  Civitatis  egli  è  nommato  .  Ora  fi  tenne  un 
Placito  nell'Anno  820.  prefTo  il  Fiume  Mincio,  dove  Kataldus 
Epifcopus  Mijfo  Domni  Jmperator'ts  ad  fingulorum  hom'tnum  de^ 
liverandas  ìnteììt'tones  ,  fece  la  prima  figura  ,  e  feco  ledevano 
Andreas  Ep'tjcopus  Vicentinus  (  ommeffo  dall' Ughelli  nell'Italia 
facra  )  C!^  ipje  Hucpoldus  Comis ,  Sevodo  Comis  de  Mantua  &€* 
Furono  in  quel  litigio  vincitori  i  Monaci  Nonantolani. 

AvvEGNACCHE^  tanta  foffe  l'autorità  de  i  Melfi  Regali,  pu- 
re tenendo  elfi  Giudizio  fuori  del  Regio  Palazzo  ,  e  in  Caia 
altrui,  come  fovente  accadeva,  erano  tenuti  a  chiedere  licen- 
za dal  padrone  della  medefima  per  poter  quivi  alzar  tribuna- 
le ;  e  quefta  licenza  fi  elprimeva  nella  fentenza  ,  affinchè  in 
avvenire  non  foffe  quell'edifizio  tenuto  per  Luogo  pubblico  . 
Lo  fieffo  praticavano  ancora  i  Marchefi  e  Conti  .  Prefi  dall' 
tArchivio  di  San  Salvatore  di  Pavia  un  Placito  dell'Anno  P45. 
il  cui  principio  è  tale  ;  Du77ì  in  Dei  ?ìomine  ,  in  Civitate  Re- 
ggio ,  infra  claujìva  &  domum  SanHa  Maria  Mater  Ecclejìcv ,  & 
Epifcopio  ijìius  Regie?jjis  ,  i?i  Sala  ,  que  e  fi  in  latere  ipftus  Ec- 
clejìe  ^  &  in  Lanhia  (Loggia)  que  e  fi  ante  Carni  nata  'Dormito- 
vii  ipfius  Sale  ,  in  judicio  rejideret  lldoinus  Vajfus  Donni  Aribal- 
di Epifcopi  ipjìus  Sedis  ,  per  data  licentia  ,  &  Mijfius  Domni 
Ugonis  gloriofijftmi  Regis  ,  es  ne  cauja  ab  eo  confiitutus  .  Cos\ 
in  un  altro  Placito  Veronefe  dell'Anno  1023.  leggiamo  :  Dum 
in  Dei  nomÌ7ie ,  C  ivi  tate  Verona  in  domo  Epifcopi  i  SanBe  Sedis 
Veroncnjts  Ecclejie  ,  in  Laubia  majore  ,  que  efiat  fuper  flumen 
Athefi  ^  per  data  licentia  Domni  Job  anni  Epijcopi  ipfius  SanBe 
Verone'nfis  Ecclefie ,  i?i  judicio  reftderet  Domnus  Tado  Comes  ifiius 
Comitatus  Verone?ifts  ad  jufiitias  facieìidas  bac  deliberandas  &c, 
Bilognava  anche  far  tale  dichiarazione  5  ancorché  fi  teneffe  il 


giù- 


Nona.  &| 

giudizio  in  Cafa  di  private  perfone  ,  ficcome  apparifce  da  un 
Documento  dell' Archivio  Aìiibrofiano  fpettante  all'Anno  1035. 
dove  abbiamo  quelle  parole  :  Dum  in  Dei  nomine  ,  Civipatc 
Mediolani  ,  in  maìifione  Petri  Negotiatoris  ,  filii  quondam  Jo- 
banni^  pev  ejus  data  licentia^  insudicio  adejfct  Arialdus  Judex 
(y  MijTus  Domni  Chtmradi  Imperatoris  ex  ac  caufa  ab  eo  con- 
Jiitutus  &c.  Aveano  poi  i  Meffi  Regii  facoltà  di  Ibttodelegare 
altri  Giudici  per  aiTiflere  a  i  Placiti,  e  decidere  le  controverfìe. 
Come  coda  da  un  altro  Placito  deli' Archivio  medefirno  tenuto 
ncir  Anno  844.  dove  fi  legge  :  Dum  in  Dei  nomine  per  admo- 
nicionem  Domni  Angelberti  Archicpifcopo  Ò'  Miffo  Domni  Impe» 
raforis  .  .  .  cum  rejedifemus  nos  Johnnnes  Comis^  Gun^  Vicedo^ 
mino  in  claufura  Sanóli  Amhrofti  foris  Ci'vipate  Mediolano  &c^ 
Sceglievanfi  dunque  ,  ficcome  dirti  ,  a  quefto  nobile  impiego 
perlbne  ricche  e  riguardevoli ,  nelle  quali  non  cadeffe  iolpetto 
di  tradir  la  Giuftizia,  come  Conti,  Vefcovi,  ed  Abbati  :  il  che 
fi  truova  confermato  dalla  Cronica  Moiffìacenfe  prefTo  il  D11-. 
Chefne  .  E  a  quefli  MeOTi  erano  obbligate  le  Provincie  di  foni- 
miniftrar  cavalli  ed  alimenti  fecondo  la  tafla  delle  Leggi,  una 
delle  quali  è  attribuita  a  Lodovico  Pio  Auguflo  .  Con/eólum  fi 
appellava  quella  contribuzione,  ed  ognuno  pagava  a  rata  del 
fuo  avere  .  Ma  non  la  poteano  efigere  i  Melfi  ,  qualora  efer-. 
citavano  il  fuddetto  Ufìzio  entro  il  fuo  Contado  o  Diocefi  ,'^^ 
aut  prope  fuum  Beneficium  confiflebant  ;  e  però  folamente  era 
loro  dovuta,  fé  giudicavano  lungi  di  la,  come  apparifce  dal- 
la Legge  LIV.  fra  le  Longobardiche  di  Lodovico  Pio  .  Tutta- 
via tale  era  l'utile  ,  che  ne  proveniva  ai  PopoU  ,  che  lieve 
dovea  lor  parere  l'aggravio. 

Pertanto  fi  proccurava  di  commettere  si  fatto  Miniftero 
a  perfone  pie,  dotte,  ed  incorrotte.  Neil' Anno  858.  i  Veicovi 
congregati  in  Carifiaco  Palatio  cosi  fcrivevano  al  Re  Lodovico 
nel  Cap.  14.  della  loro  Lettera:  MiJJos  etiam  tales  perRegnum 
conjìituite  ^  qui  [ciant  ^  qualiter  Comites  '&  ceteri  Minijìri  jufti- 
tiam  &  judicimn  Populo  facianf  ;  qui  Jicut  Coynitibus  praeponun-- 
tur  ^  ita  fcientia  ^  jujìitia  ^  ac  veritate  eis  pra-emineant ,  Sopra 
tutto  poi  s' incaricava  a  quelli  Giudici  Itraordinarj  e  fuperiori 
a  i  Conti  Giudici  ordinar;,  ut  Eccleftarum  Dei  jufiitias^  vidua- 
rum  quoque  ,  &  orphanorum  ,  jed  &  ceterorum  hominum  in- 
quirerent  Ù"  perficerent  ;  Ò"  quodcumque  emendandum  ejfet  , 
cmcìidare  Jìudcrtnt^  in  quantum   melius  pojfent  ;  &  quod  emen^ 

L     2  dare 


84*  Dissertazione 

dnre  per  fé  nequ'ìvtffent  ,  iti  prafentia  Imperatorìs  adduci  face- 
rent  ,  Son  querte  parole  di  Frodoardo  nel  Libro  2.  Gap.  18. 
della  Storia  di  Rems,  coerenti  alle  ulate  da  Lodovico  II.  Au- 
guro nel  Capitolare  di  Pavia  .  Incumbenza  loro  eziandio  fu 
li  fare  ridorare  i  Pomi  pubblici ,  come  s'  ha  dalla  Legge  36". 
di  Lodovico  Pio  ,  e  i  PalaT:^  Regali  per  decente  albergo  de 
gli  Augufti,  ogni  volta  che  occorreva  il  bifogno.  Era  parimen- 
te ordinato  loro  di  deporre  i  cattivi  Se  abini  ^  e  i  Giudici  mal- 
vagi con  foftituirne  de'  buoni  .  Che  fé  taluno  ricufava  di  efe- 
guire  il  determinato  da  loro  per  giufiizia,  in  cafa  di  lui  fi  fer- 
mavano, e  dalle  di  lui  facoltà  prendevano  il  vitto.  Saggiamen- 
te ancora  ordinò  Lodovico  Pio  nella  Legge  cinquantefima  del- 
le Longobarde  ,  ut  in  illius  Comitts  ?niniJlerio  ,  qui  bene  ju- 
fìitias  faólas  habet ,  Miffi  ?iofìri  diutius  non  morentur  ;  fed  ibi 
moras  faciant  ,  ubi  j  ufi  trias  njel  minus  'uel  negligenter  fa6las  in- 
menerint .  Similmente  lor  cura  avea  da  effere,  che  non  corref- 
fe  Moneta  falfa  ;  che  fi  puniffero  i  Ladri  ;  che  fi  provedefTe 
alle  nemicizie  private  ;  che  fi  toglieflero  le  Gabelle  ingiufte  y 
e  le  Confuetudini  inique  e  i  Tributi  iflituiti  di  nuovo ,  ed  altri 
fimili  aggravj  indebiti  del  Pubblico.  E  caio  che  non  potefiero 
rimediarvi  ,  lo  riferiffero  all'Imperadore  ,  come  abbiamo  dalla 
Legge  35.  di  Lodovico  Pio  Augnilo.  Intorno  a  che  fpezialmen- 
te  è  da  vedere  il  Poema  di  Ermolao  Nigello  Scrittore  di  quei 
tempi,  dame  dato  alla  luce. 

Ne'  folamente  doveano  i  Melfi  emendare  le  corruttele  dei 
Secolari  ,  ma  eziandio  fi  ordinava  loro  di  efammar  la  condot- 
ta de  gli  Ecclefiaflici .  Cioè  fé  i  Vcicovi  ed  Abbati  efercitava- 
no  a  dovere    il  lor  Minilìero  ,    e  fé  aggravavano    in  qualche 
maniera  il  loro  gregge  ;  fé  alcuno  de'  Sacri  Minillri  dilapidale 
i  beni  de  gh  Spedali  ,  Monilìerj  ,  e  Chiefe  ,  o  iniquamente  li 
concedeffe  a  livello.  Se  i  Canonici,  fpezialmente  allora  iftitui- 
ti,  offervaifero  elattamente  la  loro  Regola,  e  viveifero  fotto  il 
medefimo  tetto  con  buoni  coftumi  e  concordia  fraterna.  Mo- 
nafteria  Monachorum  ^  &  puellarum  ^  &  Senodochia  circumeant. 
Si  unde  adminifìrentur  ,  debita  obfequia  habeant^  &  concordi- 
ter  degant  ^   iuquirant,  ^uidquid  inordmatum   repererint  ^  regu- 
lariter  corrigant  .    Cosi  ordinò  Lodovico  IL  Auguilo  nell'  An- 
no 855.  come  s' ha  dal  fuo  Capitolare  da  me  pubblicato  fra 
le  Leggi  Longobardiche  .    A  quello  fine  ufo  fu  de  gli  Augudi 
Franzefi  di  deputar  Vefcovi  ed  Abbati  ,  come  piì^i  proprj  per 

cono- 


Nona.  85 

conofcere  ciò,  che  conveniva  all'uno  e  l'altro  Clero,  e  allelacre 
Vergini  per  corree;gere  qualunque  abulo  e  diiordine  .  E  per- 
ciò Pippino  Re  d'Italia  nella  Legge  21.  Longobardica  ,  dice 
di  avere  inviati  per  Mefli  vitium  Monachum  ,  &  alium  Cappe!- 
lanum  infra  Rcgnum  noflnim  ,  provici  e  ?ì  cium  n)el  inquirendum 
per  Monajìeria  Virorum  ac  Puellannn  ,  quomodo  efl  eorum  ha- 
bitatio  ,  aut  cotiverjatio  eorum  ,  Ò^  quomodo  quodque  Monaftc- 
rium  debeat  hahere  unde  'vivere  pojjlt  .  Era  perciò  ordinato  , 
che  anche  il  Vefcovo  della  Citta  intervenire  co  i  MefTì  per 
proccurar  la  correzione  e  il  bene  del  Clero  e  de  i  Monifterj . 
Ed  ecco  quai  belli  e  faggi  regolamenti  pei  pubblico  bene  avef- 
fero  gli  antichi  Re^^nanti  .  Comunemente  fi  crede  ,  che  quei 
foflero  tempi  pieni  di  barbarie  e  di  mali  umori;  ed  alcuni  de' 
noftri  LegilH  chiamano  afinine  le  Leggi  di  allora  .  Potrà  il 
Lettore  con  tali  notizie  giudicar  meglio  dello  flato  de'  vecchi 
Secoli  . 

Ne  vo'  lafciar  di  dire,  anche  anticamente  avere  ufato  al- 
cuno de'Vefcovi,  Duchi,  Marchefi,  e  Conti  (  che  quedi  era- 
no i  Principi  di  allora  )  di  fare  la  lor  fottofcrizione  in  lettere 
majufcole  ,  per  diftinguerfi  da  gli  altri  inferiori  .  In  un  Placito 
Lncchefe  dell'Anno  1055.  che  ha  quello  principio  :  Dum  in 
Dei  nomine  ,  in  Palatio  Domini  Imperatori s  ,  qui  eft  prope  Mu- 
ris  de  Civitate  Lucae  (  perchè,  ficcome  fi  dira  a  ino  luogo  ,  i 
Popoli  non  volevano  Palazzo  dell' Imperadore  in  Citta)  in  ju- 
dicio  refcdijfet  Domnus  Eberardus  Epijcopus ,  Miffus  Domni  Im- 
peratoris  ad  caufas  audicndas  &c.  La  lua  fottofcrizione  è  que- 
lla ,  diverfa  da  quella  d'altri:  EGO  EBERHARDUS  EPS 
MISSUS  IMPERATORIS  SUBSCRIPSI.  Né  folamente  gran 
Signori  venivano  deftinati  per  MefTì  ,  ma  anche  talvolta  per- 
fone  di  minor  conto ,  benché  folamente  per  alcune  determina- 
te Caufe  .  Nell'Archivio  de'  Canonici  di  Cremona  vidi  un  Pla- 
cito dell' Anno  5)75.  con  queflo  principio:  Dum  in  Dei  nomi- 
ne^ Civitate  Papia  in  Curte  propria  Adami  qui  &  Amfzo  Ju- 
dex  ,  per  data  licentia ,  in  judicio  reftderet  Waltarius  Judcx  Ò* 
Mijfus  Domni  Impcratoris  ad  jujìitiasfaciendas  ac  deliberandas  Ù'c, 
Altri  fimili  eiempli  fi  truovano.  Allorché  poi  tenevano  i  più 
riguardevoli  Meffi  qualche  Placito  ,  o  fia  pubbhco  Giudizio  , 
erano  tenuti  i  Vefcovi  e  Conti  ,  purché  legittimamente  non 
foflero  impediti,  ad  intervenirvi .  Parimente  a  tenor  delle  Leg- 
gi vi  aflidevano  ì  Giudici  q  o^ì  Scavini^  oltre  a  molti  teftiino- 


8(5  Dissertazione 

nj  per  onorar  que' Magnati  .  In  un  bellifTuno  Giudizio  o  Pla- 
cito dell'Anno  827.  tenuto  nella  Citta  di  Torino  fon  da  leg- 
gere quelle  parole  :  In  Dei  nomine  .  Nomia  Judicaù  qualìter 
/lòia  vel  definirà  e fi  caufa^  cium  Bofo  Comes  ^  vel  Mifif^o  Domnì 
Imperatoris  refidijfiet  infra  Ci'vitate  Taurinenjts  Curtis  Ducati  , 
in  Placito  publico  ,  ad  ftngidorum  hominum  Caufifas  audiendo 
vel  deliberandum  ;  ibidem  cum  eo  aderant  Claudius  Epifiopus 
SanBde  Taurinenjis  Eccleficc  (  quel  medefimo,  che  fi  dichiarò 
contro  le  facre  Immagini  )  Ratperto  Comes  (  o  fia  il  Governa- 
tore di  Torino  )  IValfertus  Ò'c,  Judicibus  Domni  hnperatoris.  An- 
fulfo  ,  &  Leo  ,  Graufo  ,  Scavinis  Bofoni  Comitis  .  Johanne  Ù'c. 
Scavinis  T aurinenfis  .  Turengo  &c.  Vajfis  eidem  Katperto  Co- 
mitis .  Ecco  quanti  intervenivano  a  que'  Giudizj  :  tutto  ben 
penfato  ,  affinchè  non  entraffe  frode  ,  non  prevaleifero  le  par- 
zialità :  giacché  ad  ognuno  era  permeffo  di  dire  il  fuo  fenti- 
mento . 

Fino  a  quanto  duraffe  l'ufo  de' Meffi  Regali  fé  a  me  vien 
chiedo  ,  dirò  ,  parermi  ,  che  nel  Secolo  XI.  cominciarono  ad 
eflere  rari  i  Melfi  deputati  alla  correzione  dell'  intiere  Provin- 
cie 5  fufllflendo  nondimeno  i  delegati  per  Caufe  particolari  . 
Sul  principio  ancora  del  Secolo  XII.  noi  li  troviamo ,  e  a  po- 
co a  poco  calando  ,  fvanirono  in  fine  a'  tempi  di  Federigo  I. 
Augufto  per  le  guerre  inforte  fra  lui  e  i  Popoli  della  Lombar- 
dia .  Nell'Anno  1038.  fi  vede  un  Placito  tenuto  in  Lucca  da 
Cadaloo  Cancelliere  Imperiale  intus  Cime  Donni  Bonifatii  Mar' 
co  io  Dux^  per  data  licentia  Domni  Imperatoris  .  E  non  dice  per 
licenza  del  Marchefe  ,  perchè  in  Lucca  nello  ftefib  tempo  di- 
morava Corrado  I.  Imperadore,  e  alni  come  fupremo  Signo- 
re apparteneva  l'alto  dominio  fopra  tutti  i  beni  de'fuoi  Vaf- 
falli .  Quel  Cadaloo  il  medefimo  è,  che  nell'Anno  loó"!.  di- 
venuto Antipapa,  fi  vide  poi  abbattuto.  Cosi  nell'Anno  1055. 
Domnus  Guntherius  Cancellarius  &  Mijfus  Domni  Imperatoris  , 
tenne  un  Placito  in  Firenze  ;  e  fu  un  altro  tenuto  in  Monfeli- 
ce  nell'Anno  1 100.  da  Guarnieri  ^  il  quale  è  intitolato  M/j^?/5 
Domni  Imperatoris  ,  atque  Delegatus  ab  ipfo  Principe  .  Da  lì  in- 
nanzi fi  cominciò  ad  udire  il  nome  di  Vicaritns  Imperialis  ,  o 
■puxQ  Imperialis  Aula  Comes  ^  ovvero  Legatus .  Nell'Anno  11 0"^. 
Domnus  Garfendonius  Dei  grafia  SanBe  Mantuanenjis  Ecclefie 
Epijcopus^  &  Imperialis  Aule  Comes  ,  decide  nella  lua  Sala  una 
hte  fra  l'Abbate  di  San  Zenone  di  Verona  ,  ed  alcuni  altri  . 

Cos\ 


Nona.  87^ 

Così  nel  medeiìmo  Anno  in  P^jlacio  Mutinenji  fu  decifa  una 
lite  apv.d  Domtìum  Herma?i?ìnm  Verdenfem  Ep'tjcopum  ,  &  Impe- 
vatorìs  Vkarium  &  Legatum ,  Nella  ftefla  Citta  di  Modena  nell' 
Anno  Llój.  DomnusGìrardus  Kangonus  Imperatorie  Majefiaùs, 
per  Mutine  Epijcopatum  &  Comitatum  Legatus ,  &  Confules  Mu- 
tine ,  danno  licenza  al  MafLiro  della  Cattedrale  di  San  Gemi- 
niano  di  cavar  marmi  tanto  nella  Città ,  che  fuori  per  termi- 
nare il  Duomo  .  Mutarono  poi  faccia  gli  affari  ,  ficcome  an- 
dremo vedendo. 

Ve  i  Minijìri   minori  della  Giujìizi^ -^  cioè  de' Giudici  ^   Scabini^ 
Sculdafci  5  Gaftaldi ,  Decani ,  Silvani  &c. 

DISSERTAZIONE     DECIMA. 

GIÀ'  s' è  veduto  ,  eflere  flati  una  volta  i  Conti  ,  cioè  i 
Governatori  delle  Città  ,  anche  Giudici  ed  Amminiftra- 
tori  della  Giuftizia  .  Ma  perciocché  tal  Dignità  fi  conferiva  per 
lo  più  a  i  più  cofpicui  Nobili,  che  poco  folevano  faticare  nel- 
lo lludio  delle  Leggi ,  e  in  oltre  doveano  attendere  alla  Mili- 
zia :  forge  tofto  un  fofpetto  ,  che  portate  quelle  caufè  davanti 
a  perfonaggi  di  sì  corto  fapere  ,  patiflero  bene  (peffo  de  i  deli- 
quj  .  Ora  a  quefto  pericolo  provvidero  molto  bene  gli  antichi 
Regnanti  con  ordinare,  che  avendo  i  Conti  a  decidere  qualche 
Controverfia  ,  o  dar  fentenze  criminali  ,  noi  poteffero  lenza 
l'afllftenza  e  il  configlio  de  i  Jurisperiti  ,  appellati  allora  Giu- 
dici minori  ,  ed  oggidì  Dottori  di  Leggi  .  Preffo  i  Tedefchi 
portavano  il  nome  di  Graphiones  anch'  effi  ;  e  preffo  i  Salici 
di  Rac/jimburgii ^  tTungini  .  Hincmaro  Arcivefcovo  di  Rems 
nelCap.  X.  de  Ord.  Palar,  fcrive:  Tales  etiam  Comites  ^  &  fub 
fé  Judices  conftituere  dehet  ,  qui  nnjaritiam  oderint  ,  &  jufli- 
tiam  diliga7ìt  .  La  fcienza  di  tali  Giudici  luppliva  al  biiogno 
de' Conti  ;  e  ad  effi  apparteneva  F  elame  dd  Gius  e  del  fatto 
con  quella  follicitudine  ,  che  predo  una  volta  sbrigava  le  liti, 
e  che  a' noftri  tempi  cotanto  fi  defidera.  Si  offervino  i  Placi- 
ti, e  i  Giudizj  di  allora.  Non  v'era  Conte,  Marchefe  ,  o  Mei- 
fo  Regio  ,  che  decideffe  una  caula  fenza  .aver  prima  udito  il 
parere  di  quelli  Giudici  affilienti ,  atteftandolo  polcia  il  Notaio 
con  dire  :  Reóìum  &  fecundum  Legem  Jupra  memoratis  Judici- 

bus 


88  Dissertazione 

bus  &  Audiiorìbus  pnruit  ejje  ^  &  judka^enmt ;  e  il  Decreto  fi 
fcriveva  ^x  jujjione  Com'ms^  o  pure  Marchionis^  ovvero  Judi- 
cum  ad^nonìpiotìc  .  Oltre  a  tanti  altri  Placiti  ,  ne  abbiani  qui 
due  teftimonj  d'efla  verità  .  Il  primo  tratto  dall'Archivio  Ar- 
chiepifcopale  di  Lucca,  ha  quefte  parole  :  Dmn  Doìmius  Beren- 
^nr'ìi'.s  Seren'tJJimus  Rex  prò  timore  Dei  ,  &  ftatuyn  omniumque 
Saìì^arum  Dei  Ecclejìarum  eleólorum  ,  Populo  hic  Italicis  Abi' 
tantibiis^  animeque  Jue  mercedem  juftitiam  adimplendam^  dum 
partibus  Romarn  iret  ;  Cumque  pervenijj'et  ifjjra  Tu/eia  ,  foris 
hanc  Urbem  Luca ,  iiitus  manftonem  Idebeni ,  premifit  fuum  Le- 
gatum  Lex  faciendum  ,  ideji  Odelricus  fuoque  VaJJus  &  Mijfus 
conjìitutus  &c.  In  fine  il  Notaio  dice  di  avere  fcritta  la  fenten- 
za  ex  jujjìone  fupra  /cripto  Mijfo ,  &  amonitìonem  prcediBorum 
Judicum  .  Stimò  il  Cardinal  Baronio  ,  che  Berengario  I.  fofle 
coronato  Imperadore  nell'Anno  ^15.  Ma  eflendo  egli  tuttavia 
Re  nel  Novembre  di  eiTo  Anno,  come  s' ha  dal  fuddetto  Do- 
cumento, e  rapendo  noi  dal  Poeta  Anonimo  delle  Lodi  di  efTo 
Berengario,  che  la  Corona  Imperiale  gli  fu  data  folamente  nel 
giorno  fanto  di  Pafqua,  ne  viene  per  confeguenza,  che  la  Co- 
ronazione Tua  legni  nel  di  24.  di  Marzo  dell' Anno  pid".  L'al- 
tra teftimonianza  s'ha  da  uno  Strumento  dell'Anno  1073.  di 
cui  tale  è  il  principio  :  Dum  i?i  Dei  nomine  ejìra  muras  Lu- 
cenfis  Civitcìtis^  in  Burgo  qui  vocatur  Sancii  Fridiani  ,  i'a  e  afa 
foleriata  Fandolfi  filius  bo:  me:  Hugheri  ,  per  illius  datam  li- 
centiàm ,  in  judicio  refedijjfet  Domna  MaHilda  Marchionijfa  hac 
Ducatrix^  filia  bo:  me:  Bonefatii  Marc/jionis  ^  una  cum  Flaiper- 
\to  Judice  ^  &  Mijfus  Domni  Imperatoris  ad  caujas  audiendas  ac 
deliberandas  &c.  Nel  fine  il  Notajo  icrive  :  ex  jujjìone  fupra- 
fcripte  Domne  Maólilde  ,  &  predici  Flaiperti  Judicis ,  &  Mif- 
fus  Domni  Imperatoris  ,  feu  Judicum  amonitione  ,  Jcripji  .  No- 
tifi  come  cola  rara  ,  che  Flaiperto  Giudice  s' intitola  Mejfo 
dell'  Imperadore  ;  e  pure  allora  Arrigo  IV.  non  era  che  Re  ; 
ficcome  ancora,  che  Matilda  facea  da  Padrona  ,  tuttoché  fol- 
fero  vivi  tuttavia  Beatrice  Duchejfa  fua  Madre  ,  e  Godefredo 
Duca  Marito  di  effa  Matilda  . 

Essendo  dunque  cotanto  necelTarj  al  corfo  retto  della  Giu- 
flizia  quelli  Giudici  minori,  o  vogliam  dire  Giurifconfulti,  e 
Dottori  ,  abbiamo  perciò  molte  Leggi  Longobardiche  ,  nelle 
quali  fi  preferi  ve  di  fcegliere  a  quello  miniftero  perfone  di  mol- 
to fapere  nelle  Leggi  di  allora  ,  e  timorate  di  Dio  .    Ecco  le 

paro- 


Decima.  8p 

parole  di  Carlo  M.  nella  Legge  22.  /w^/V«,  Adiscati ^  Prapo- 
fìù ,  Ccfitcnarti ,  Scabìni ,  quales  mcliows  hivenìri  poJJ'unp  ,  Ò' 
Deum  timentes  ,  conflituantur  ad  Jua  ìmmfler'ta  exsrcenda  .  Se 
mai  trafcurafTero  i  Principi  o  Minillri  d'  oggidì  ,  allorché  fon 
per  difpenlar  le  cariche  della  Giaftizia  ,  le  concorra  ne  i  Giu- 
rirconTulti  la  Dote  de' buoni  coftunii  :  non  poco  mancherebbero 
al  loro  dovere.  Lodovico  Pio  nella  Legge  <^6.  cos\  anch'egli  par- 
la :  De  Judìcibus  autem ,  vel  Centenari' is  ,  afque  Trìbutiis  ,  ^el 
Vie  ari  is  ,  dignum  effe  cenjuimus  ,  Tr^t  fi  mali  fuerint  reperti  , 
de  mimjìerio  fuo  abjciantur  ,  Abbiam  veduto,  che  l' efame  di 
coftoro  era  fpezialmente  raccomandato  a  i  MefTì  Regali  ,  che 
feco  portavano  la  facoltà  di  rimuovere  da  gli  Ufizj  le  perfone 
indegne.  Né  minor  premura  in  ciò  fu  quella  di  Lottarlo  L  Au- 
gufto,  il  quale  ordinò,  che  per  quanto  fi  potefle  foffero  aifun- 
ti  i  Nobili  a  s'i  fatto  miniftero  ,  per  la  perfuaflone  ,  che  que- 
lli facciano  conto  dell'onore,  piti  che  le  perfone  vili.  Dj  Ju- 
dicibusj  die' egli,  inquiratur ^  fi  Nobiles ^  &  Sapieìites^  &Deum 
ttmenres^  coìjflituti  fint  ^  &  jurent  ^  ut  juxta  eorum  intelligen- 
tiam  re6imn  judicent  ;  &  prò  yyiuneribus  ,  njel  humaììa  grafia  , 
juftitiam  non  pervertant  ,  nec  differant  ;  &  quod  judicaverint  , 
jua  fubfcriptione  co7ìfirmare  non  dijjtmulent  .  Ubi  autem  tales 
non  fiunt  ^  a  Mijfis  noflris  conftituantur  ^  &  idem  Sacramentum 
facere  cogantur  .  ^uod  fi  viles  per/once  ,  &  minus  idonea  ad 
hoc  conflitutce  ]u?it  ejiciantur.  Noi  efaltiamo  i  nodri  tempi,  e 
con  ragione  ;  e  pure  Dio  sa,  che  in  qualche  parte  i  barbarici 
da  noi  tanto  fprezzati,  non  ci  fuperaffero  in  alcuni  regolamen- 
ti pel  pubblico  bene.  Trovavano  allora  alcuni,  che  giudicava- 
no a  capriccio,  o  fia  jure  cervellotico  ^  come  pareva  alle  loro 
gran  menti  (  come  talvolta  accade  anche  a'  giorni  noftri  )  ,  e 
però  Lodovico  IL  Augufto  in  una  Legge  da  me  data  alla  luce, 
fece  quella  ordinazione  :  De  Juditio  autem  Judicis  tam  frequen» 
ter  rememoramiis  ^  quia  omnino  confuetudinem  /udicandi  injujìs 
auferre  volumus.  Sed  tantum  fecundum  fcripturam  judicent  ^  & 
nullatenus  fecundum  arbitrium  fuum  :  Sed  difcant  pleniter  Le- 
gem  Jcriptam  .  De  quo  autem  non  efl  fcriptum  ,  hoc  nojìrum 
conftlium  habeatur  in  quibusdam  .  Talvolta  ancora  gì'  Impera- 
dori  di  allora  chiamavano  alla  loro  udienza  i  Giudici  ,  e  con 
paterna  ed  imperiofa  infieme  ammonizione  loro  ricordavano  i 
doveri  disi  importante  Ufizio  :  Del  che  abbiamo  un  efempio 
in  Lottarlo  L  il  quale  nella  Legge  2^.  fatta  in  Roma  intimò 
Tomo  L  M  a  tut' 


pò  DlSSFRTAZIONE 

a  tutti  que'  Giudici  di  comparire  davanti  a  lui  per  ben  avver- 
tirli de  mhììjìeno  fihì  credito  ,  Negli  Strumenti  antichi  di  Ro- 
ma, e  di  Ravenna  ^'' inconira.no  Judices  D^tiri .  Altro  io  non 
so  per  ora  intendere  con  quello  nome  ,  che  i  Giudici  Delegati 
per  qualche  caufa  particolare.  Nell'Anno  1217.  Jacopa  ,  già 
Moglie  del  Sig.  Graziano  Frangipane  ,  /;/  prc^fentta  Domini  Pe- 
fri  Stepha?ìi  Ciceronis  ,  Datiri  Judicis  ,  fa  la  remi^jone  di  un 
debito .  E  in  un  Placito  ,  che  Dominus  Oldaricus  Subdiaconus  , 
&  Miffus  Domni  Ottonis  Imperntoris  ,  tenne  in  Imola  neli'  An- 
no 5>p8.  infieme  con  Erardo  Coinè  ,  rifederono  ancora  Tetrm 
Dea  annuente  Datirus^  &  Andreas  Dntirus  .  Da  quello  Atto  ap- 
parifce  chi  foiTe  allora  il  Padrone  d'Imola. 

Oltre  a  quelli  Giudici,  già  dicemmo  che  internenivano  ai 
Giudizj  anche  ^\  Scabini  ^  o  fia  gli  ^'c^'z;/;?/ ,  il  nome  de' quali 
dura  tuttavia  nella  Germania ,  in  Francia,  e  in  altre  contrade 
di  Europa.  Velligio  alcuno  lotto  i  Re  Longobardi  non  ne  truo- 
vo  in  Italia,  ma  bensì  fotto  il  Re  ed  Iinperadori  Franchi ,  i 
quali  verifimilmente  v'introduiTero  il  nome,  ed  ufizio  d'efTi. 
Che  aveflero  facoltà  di  giudicare,  fi  può  dedurre  da  uno  Stru- 
mento dell'Anno  Siò".  accennato  dal  Bignon  nelle  Annotazio- 
ni a  Marcolfo,  dove  noniinati  vengono  Judices^  quos  Scabinos 
vocant .  Parimente  nella  Legge  Longobardica  45.  di  Carlo  Ma- 
gno ,  dove  fi  tratta  di  quegli  uomini  ,  qui  propter  eorum  cul- 
pam  ad  mortem  fuerint  judicati ,  &  pojìea  vita  eis  concejfa  fue- 
rit  :  noi  abbiamo  quelle  altre  parole  :  Sed  in  T eflimonium  ?2on 
recipiantur^  nec  inter  Scabinos  ad  Legem  judicandum  locum  te- 
ne ant .  L'Efordio  della  fuffeguente  Legge  4(5.  ha  quelle  paro- 
le :  Si  alicui  homini  pojì  judicium  Scabinoru??!  fuerit  vita  con- 
cejfa &c.  Dal  che  apparifce  ,  appoggiato  anche  a  gli  Scabini 
r  ufizio  di  giudicare  ,  e  che  la  lor  balia  fi  Rendeva  fino  a  dar 
fentenze  di  morte.  Ma  che  divario  paffava  fra  i  Giudici  fopra 
da  noi  defcritti,  e  gli  Scabini  ?  Se  crediamo  ad  uomini  dottifli- 
mi,  cioè  al  Bignon,  Du-Cange,  Eccardo,  ed  altri,  gli  Scabi- 
ni furono  AjfeJforesComitum^  Auditores  Comitum^  e  però  non 
diverfì  da  i  luddetti  Giudici .  Per  teflimonianza  del  Piteo  nelle 
Annotazioni  a  i  Capitolari  fi  legge  in  un' antica  Chiofa  :  A?ìte 
lllujìrem  Virum  Hildegariurn  Comitem  ^  feu  Judices y  quos  Scabi- 
nos vocant .  In  oltre  ,  fecondo  la  Legge  Longobardica  CXVI. 
di  Carlo  Magno,  ninno  fi  dee  chiamare  al  Placito,  fé  non  chi 
v'ha  caufa,  qui  caufam  fuam  quaritj  esceptis  Scabinis  feptem^ 

qui 


Decima.  pi 

auf  ad  om7ìta  Plactta  ejfe  dchcnt .  Gontuttociò  a  me  fembra, 
che  fra  i  Giudici  e  gli  Scabini  paiTafle  della  differenza,  perdi' 
effi  diverfificati  comparifcono  ne'  Placiti  gi'a  da  noi  mentova- 
ti ,  e  che  s'andranno  vedendo  .  In  imo  delf  Anno  8^5.  leg- 
gia'mo:  Dum  Donmus  Hludo-w'tcus  SerenlJJìmus  Auguflus  parttbus 
Tufcìe  MìJJt  direni  fuijfemus  ?ios  Petrus  wtierabilts  Epìjcopus 
Sa?jHe  Araine  Ecclefie ,  feti  Joaniies  Sacri  FaUcVt ,,.  &  Angela- 
rius  &  Winigifum  Comes  ^  Jingulorum  /jominum  /u/ìhias  facie?!- 
dasy  &  deliberandas ;  &  cum  venljfemus  Civifaftm  Lucam  ^  ref- 
fedeme  ego  Petrus  Epìfcopus  in  judìcio  in  Doìno  ipfius  Epifcopt 
(  né  fi  dice  per  data  licenT^  )  in  Caminata  unaftmul  cum  Gere- 
mia Epìjcopus  ipfius  Civitatis  ,  rejfedentibus  nobijcum  Adema- 
rius  ,  &  Eriprandus  Vajfos  Domni  imperatoris  ;  Alpertus  &c,  Ju- 
dicibus  Sacri  Palatii  ;  Filoardus  ,  &  Teofredus  Scavinis  Lucen- 
fis  &c.  Noi  miriamo  qui  in  primo  luogo  i  Giudici  del  Sacro 
PalaT^^  e  pof:ia  li  Scabini  .  Però  abbiam  luogo  di  credere, 
che  j  primi  erano  eletti  dal  Re  od  Imperadore,  e  gli  altri  dal 
Popolo  di  qualfi voglia  Citta,  come  tuttavia  fi  pratica  oltra  mon- 
ti .  In  alcuni  Placiti  della  Cronica  del  Volturno  noi  troviamo 
Anfaricum  Sclabum  ,  Jofephum  Sclabum  &c.  Tali  perfone  non 
erano  Servi  ,  che  da  molti  fecoli  preiero  il  nome  di  Sciavi  , 
o  Schiavi  ,  nome  forfè  venuto  da  i  Popoli  Slavi  condotti  in 
ifchiavitù.  Notifi  ora  un  altro  infigne  Placito  dell'  Anno  85?/. 
tratto  dall' Archivio  Archiepifcopale  di  Lucca.  Dum  ad  preda- 
ram  pote/ìatem  Domni  Lamberti  piijfìmi  hnperaforis  Mijfus  di- 
reóìus  fuijfet  in  Finibus  Tufcie  Amedeus  Comes  Palatii ,  &  cum 
veniffet  Civitate  Florentia  in  Domum  Epifcopii  ipfius  Civitatis 
(nò  pur  qui  s'  ode  per  data  liceii-^^  )  in  Atrio  ante  Baflica 
SanHi  Johannis  Baptife  ,,  inivi  refideret  una  fimul  cum  Adelber- 
tus  Marchio^  fmgulorum  hominum  Jujìitias  faciendas^  ac  delibe- 
vandas^  refidentibus  cum  eis  Helbingus  San6ie  Parmenfis  .^  Lupus 
Sande  Senenfs  ,  Hedelbertus  Sancìe  Lunefifs  ,  Geojulfus  ipfius 
Civitatis  Venerabilibus  Epìfcopus  ;  Johannes^  Eri  te  n^  Adelbertus^ 
Judices  Domni  Imperatore  ;  ^inecheldus  &c,  Vajfalli  Suprafcri- 
pto  Adel berti  Marc/jioni  Tcudifrafciu  Comes  ipfius  Civitatis  ;  Ro- 
tavi (T  Petrus  Scavinis  ipfius  Civitatis  &c.  Neil'  Italia  Sacra 
deirUghelli  il  Velcovo  di  Parma  d'allora  è  appellato  £/^«r^/^y 
o  Helbringus.  In  quello  Documento  ha  il  nome  di  Helbingus. 
Il  Velcovo  di  Luni  è  da  lui  chiamato  Odelbertus  ,  qui  è  He- 
delbertus .  QLiel  di  Firenze  vien  preflb  lui   detto.  Grajolfus  ,  e 

M      2  qui 


(^'1  Dissertazione 

qui  Geofiilfus .  All'  Anno  Sp/.  egli  non  riferifce  Lupo  Vcfcovo 
di  Siena  come  qui  .  Fa  bensì  menzione  di  un  Lupo  Vefcovo  di 
Siena  all'Anno  6" (5p.  Probabilmente  fuor  diriga,  efTendo  for- 
le  quel  medefìmo,  eh' è  mentovato  qui.  Ora  noi  abbiani  po- 
tuto oiTervare  in  quefto  Placito  Rotavi  ,  e  Pietro  Scavini  della 
Citta  di  Firenze  ,  diftinti  da  i  Giudici  dell'  Imperadore  :  il  che 
ci  fa  intendere  ,  che  gli  Scavini  furono  un  particolar  Magiftra- 
to  di  qualfi voglia  Citta. 

In  fatti  air  elezion  d' efli  fi  e  fi  gè  va  il  confenfo  di  tutto  il 
Popolo.  Abbiali!  qui  in  pronto  la  Legge 48.  di  Lottario  I.  Im- 
peradore ,  dov^  fon  quefte  parole  :  Ut  Mijfi  ìiojìri  ^  ubicumque 
malos  Scabinos  invenerint  ,  ejiciaìit  ;  &  cum  totius  Populi  co?ì~ 
fenfu  in  eorum  locum  bonos  eliga?2t .  Et  cum  elefli  fuerint  ^  /ura- 
re  faciant^  ut  fcienter  injufte  judicare  ìion  habeant  :  Qiiegli  all' 
incontro,  che  fi  chiamavano  Judices  Sacri  Pai  aiti  ^  dal  lolo  Re 
od  Imperadore  riconofcevano  la  loro  elezione  ed  autorità.  Per- 
ciò s'intitolavano  //i!rt^/V<?i'  Domni  Regis  ^  o  Dom/ii  Imperatoris  . 
Talvolta  ancora  fi  veggono  appellati  Judices  Palati?2Ì  .  Stimò 
il  Du-Cange  ,  che  i  Palatini  portafiero  quello  nome  ,  perchè 
affiftevano  a  i  GiudizJ  del  Conte  del  Palazzo  .  Ma  affi  (levano 
a  i  loro  Giudizj  anche  i  chiamati  Giudici  del  Re  o  dell' Impe- 
radore ,  che  per  confeguenza  non  erano  differenti  da  i  Palati- 
ni. Un  Placito  dell'Anno  5)41 .  ha  quefte  parole  :  Dum  in  Dei 
nomine  Ci  vi  tate  Luca  ad  Cune  Domni  Hugoni  Regis  in  Salaria 
ipjius  Curtis  ,  ubi  Domnus  Hugo  ,  &  Lotharius  filio  ejus  ,  glorio- 
JiJJìmis  Regibus  prceejfent  ,  in  capite  laubie  longa?ie  ....  locu» 
prope  Lcchiftam  SanHt  Benedigli  &c.  in  Judicio  rejìderet  Huber- 
tus Marchio ,  &  Comes  Pai  atti  (^c,  fedentibus  cum  co  Adelbertus 
Lunenfts  San6ie  Dei  Ecclejìe  Venerabilis  Epifcopus  j  Walpertus  &c, 
Judices  Dom?2orum  Repum  .  Ecco  affiftere  al  Placito  i  Giudici 
^^  Regali^  bench'elfo  fia  tenuto  dal  Conte  del  Palazzo.  Lo  ftef- 

io  fi  può  offervare  in  tanti  altri  Giudizj  .  Truovanfi  ancora 
mentovati  nelle  antiche  Carte  Judices  Publici.  Il  Bignon  nelle 
Note  a  Marcolfo,  li  reputò  Giudici  Secolari^  cosi  chiamati  per 
diftinguerli  da  gli  Ecclefiaftici .  Vera  è  la  di  lui  fentenza  ,  e 
non  già  quella  del  Du-Cange  ,  a  cui  parve  dato  loro  quefto 
titolo  ,  quod  con/ìituerentur  per  coìiventionem  public am  ,  come 
ha  una  delle  Leggi  Alamanniche .  Ma  ficcorae  diremo  al  Cap.i  8. 
anticamente  lo  ftelTo  tììJudexPublicus^  ejudex  Regis^  ovvero 
Imperatoris  .-Qiianto  a  gli  Scabini  Lottano  I.  Imperadore  nel- 


Decima.  pj 

la  Le^"c  4p.  ordinò,  che  fi  doveflero  eleggere,  ficcome  adju- 
tores  Comhum^  qui  mdiores^  &  veraciores  ìnvs?im  poJfmK ,  Nel- 
la feguente  Legge  vien  comandato  ,  che  fia  inviato  a  rendere 
conto  al  Re  del  Ino  operato  ,  quicumque  de  Scabints  deprehen- 
fus  fuerìp  propter  munera  ,  aut  proptcr  amichi am  injufte  judic af- 
fé ;  e  che  s'intimi  a  gli  altri  Scabini  di  guardarfi  da  s\  iniquo 
ouad.\sno  .  Volle  ancora  il  medefimo  Imperadore  nella  Les- 
gè  12.  che  i  Cancellieri^  o  fia  i  Notai,  per  maggiore  auten- 
ticità de'  loro  Atti  li  ferivano  ante  Comitem  ,  &  Scabinos  ,  & 
Vicarios  ejiis.  Che  fé  taluno  privo  di  Figli  voleva  dichiarar  ino 
Erede  un  eflraneo  ,  fecondo  la  Legge  ^4.  di  Carlo  M.  dovca 
efporre  l'ultima  fua  Volontà  Coram Rege ^  vel  Cornice ^  vel  Sca- 
binoy  vel  Mijfo  publico ;  e  ciò  per  impedir  le  frodi,  e  i  Tefta- 
menti  falfi.  Ho  anche  offervato  più  Contratti  fra  le  perfone 
private,  a' quali  intervenne  qualche  Scabino ,  quafichè  eferci- 
taOTero  ancora  quell'Ufizio,  che  oggidì  efercitano  i  Giudici  di 
Autorità^  eletti  dalla  Comunità  di  Modena  .  Uno  di  tali  Con- 
tratti neir  Archivio  di  San  Zenone  di  Verona,  a  cui  a[h!l-e  Lopo 
Scavinus  Civitatis  Brixiancs  ha  quelle  Note  :  Regnantes  D.  N.N. 
(  cioè  Domnis  No/ìris  )  Carolo^  &  Pippi?io  Filio  e/us  ,  Viris  ex- 
cellentijjimis  Regibus  Langobardorum  in  Italia  ,  Anno  eorum 
XXXIII.  Ò'  XXV.  die  quinto  decimo  infrante  Menfe  Januario 
IndiH.XIK  cioè  neUWnno  806".  Il  che  è  da  ofTervare  ,  perchè 
non  fi  da  a  Carlo  M.  fé  non  il  titolo  di  Re,  quand'egli  era  al- 
lora Imperadore.  Altri  fimili  Strumenti  con  quefta  ommifTione 
ho  io  veduto  nell'Archivio  de' Canonici  di  Modena  ,  in  Pillola, 
e  Milano. 

Di  fopra  vedemmo,  cIiq  fette  Scabini  aveano  da  interve- 
nire ad  ogni  Placito.  Anzi  Lodovico  Pio  in  uno  de' fuoi  Capito- 
lari di  Francia  ne  volle  dodici^  purché  tanti  ne  trovalTe  il  Con- 
te nella  Citta  :  altrimenti  s'aveffe  a  fupplire  queflo  numero  co' 
migliori  del  Contado.  Ma  o  fia  che  Legge  tale  poco  efattaraen- 
ie  fi  olfervafTe,  o  che  s'opponeifero  altre  cagioni,  troppo  dirado 
s'incontrano  fette  Scabini  in  elTi  Placiti  .  Talvolta  né  pur  uno 
v'intervenne.  Ofifervifi  un  Placito  Lucchefe  dell'Anno  840. 
il  cui  principio  è  tale  :  Dum  in  Dei  riamine .,  Civitate  Luca^  in 
Curte  que  dicitur  Regine^  in  /udicio  rejìderimus  nos  Rodinirm 
Epifcopus  ,  &  Mauritius  Comes  Pnlatii  ,  MiJJi  Domni  Hlotharii 
perpetui  Augufti  ,  cum  Agano  Cernite  rejldentibus  nobifcum  Pau- 
lo ,    Martino  Judicibus  ;    &  Prando  ,  &c.    VaJJis   Domai  Im- 

pera- 


'P4-  Dissertazione 

peratovìs ;  Johnnne  Ò'  Adalberto  Scavinìs  &c.   Qu'i  non  abbiamo 
le  non  due  Scavini  ;    e  quel  Giovanni  fi  lottoicrive  cosi  :  Ego 
Johnnn'ts  Cler'icus  ScavÌ7ìu  ivi  fui  »  Notifi  ,  che   quello  Scavino 
era  Cherko  .   N'ho  veduto  altri  eiempli.   Un  altro  Placito  Luc- 
cheie  dell'Anno  872.   comincia  con   quelle  parole  :  Dum  Adal- 
hertus  Dux  refedtjfet  in  judìcio  hic  Civitate  Luca  ^   in   e  sminata 
de  Cune  Ducalis    una  cum   Ghifelfri  ,    &  Johannes  Scabinis  ad 
fingulorum  &c.  Ma  quello  ,  che   maggiormente  da  a  conofce- 
re ,  qual  fofle  l'Autorità  de  gli  Scavini,  fi  è  l'aver  eglino  avu- 
to un  Tribunale  per  decidere  alcune  Ipecie  di  Caule  .    Nella 
Legge  6^.  di  Lottario  I.   Imperadore  ,   fi  tratta  de'  Caufìd'ici  , 
da  noi  ora  chiamati  Dottori  di  Legge  ,   Avvocati  o  Proccura- 
tori  ,   qui   nec   ad  juditium  Scabi?iorum   acquiefcere  ,   7ìec  blafphe- 
tnare  volunr  ,  cioè  appellare  ,  come   interpreta  il  Du  -  Gange  . 
Parimente  nella  Legge  pi.  di  Carlo  M.  fi  legge  :  Si  quis  Cauf 
fam  judicatam  repetere   in  mallo  prafumferip  ,   duodecim   ióìus  a 
Scabinisy  qui   caujfam   ipfam  prius  judicanjerint  ^  accipiat  *   Sic- 
ché in  prima  iftanza  la  lite  era  portata  a  gli  Scabini  ,    poicia 
a  i  Malli  o  fia  a  i  pubblici  Giudizj  tenuti  dal  Conte  ,  o  da  i 
Medi  Regj.   Anzi   poteano  anche  gli  Scabini   tener  de' Placiti: 
il  che  fempre   più  rilieva  la  loro  Dignità  .  Due  eiempli  di  ciò 
ho  veduto.   L'uno  in  un  Placito  Lucchele  dell'Anno  847.  Dum 
Tjos   (  è  ivi  fcritto  )   in  Dei   nomine  Ardo  ^  Adelperto  ,   &  Gheri- 
mundo  Scabini   adrefedentes  in  lucho  hic  Civitate  Lucana  ,  cum 
Vivo  njenerabilis  Avfibvofis  Epifcopus  diHe  Civitatis  ,  refede-atibus 
nobifcum  Heriprandus  &c.  L'altro  dell'Anno  855.   efiilente  nelP 
Archivio  dell' infigne  Monirtero  di  Santa  Giulia  di  Brelcia,  che 
comincia  cosi  :  Dum  refedtjfet  Gifulfus  Scabinus  de  Vico  Lace- 
fes  ,  per  jujfionem  Bernardi  Corniti  ,   ad  Ecclejìam  Sanali  Marii 
in  Vico  Gujfilingi  ,   ubi   cum   ipfo   aderat  Anfprand  &  Audibert 
Scavinis  &c.   Altri  efempli  ho  io  recato  di  Placiti  tenuti  dagli 
Scabini,  e  in  quella  occafione  ho  elaminato  le  Epoche  di  Lot- 
tario L   Imperadore  ,  e  di  Bernardo  Re  d'Italia,  la  cui  Ilcri- 
zion  Sepolcrale  ,  che  in  Milano  fi  legge  ,  patilce  non  poche 
difficulta. 

A  GLI  Scavini  s'aggiungano  ora  gli  Sculdafci  ^  de  i  quali 
fpciTo  memoria  fi  trova  nelle  Leggi  Longobardiche  ,  e  ne 
•gli  Antichi  Documenti  .  Cosi  furono  appellati  i  Giudici  del- 
le Terre  ,  e  Caitella  pofle  nel  Contado  .  PrefTo  Paolo  Dia- 
cono Lib.  ^.  cap.  24.  de  Geli.  Langobard.  è  mentovato  i^6'c^(?r 

loci 


Decima.  ^5 

loci  ìllìus^  qtiem  Sculdahìs  lingua  propria  dicujit ,  Truovafi  an- 
cora Scult ahis  ^  Sci'.ldaixjs  Sculdahus^  Scuhetus  Ò'c,  Nelle  an- 
tiche Chioìe  del  Codice  Ellenle  lo  Sculdalcio  vien  chiamato 
Pedaneusjudex  ,  Diiìl,  che  tali  Giudici  erano  Rurali  ,  ed  in- 
feriori a  i  Giudici  della  Citta,  cioè  a  i  Conti  .  Odafi  ciò,  che 
ha  il  Re  Liurprando  nella  Legge  Vili,  del  Lib.  IV.  Si  h ornine s 
de  fiib  uno  Judice  ,  de  duobus  tamen  Sculdais  ,  caujfam  hnhue- 
rint ,  ille  qui  pulfnt ,  vadat  cum  Mijfo  feu  Epijìola  de  fuo  Seul- 
dafcio  ad  illum  alium  Sculdaen ,  fub  quo  ipfe  ejì  ,  cum  quo  cauf- 
fam  hahet.  Dalle  rteffe  Leggi  apparilce  ,  che  dagli  Sculdalci  fi 
appellava  al  Conte  :  e  nella  Legge  7.  Lib.  4.  di  efio  Re  Liut- 
prando  im polla  la  pena  di  dodici  Ioidi  a  quegli  Sculdalci  ,  qui 
juflitiam  intra  quatuor  dies  faccre  neglexerint .  Sicché  tre  era- 
no i  Tribunali,  a' quali  riportavano  le  liti.  Prima  agli  Scabi- 
ni  nella  Cittk  ,  o  a  gli  Sculdafci  nelle  Ville  .  Da  quelli  fi  ap- 
pellava al  Giudice  ,  o  fia  Conte  della  Citta  .  E  finalmente  al 
Sacro  Palazzo,  a  cui  prefedeva  il  Conte  del  Palazzo  ;  o  pure 
a  i  Medi  Re^j.  Raterio  Vefcovo  di  Verona  nell'Opulcolo  inti- 
tolato ^alitatis  cojijeBura  ,  cos'i  fcrive  :  ^aererem  quoque  , 
ut  quod  Antecejfores  illius  ^  (  cioè  deli'  Imperadore  )  praceptis 
fuis  Ecclejia;  no/ìrcs  contulerunt  ^  vel  fìrmaverunty  defenders  fio- 
bis  contra  ComiteSy  Vicecomites^  Scoldafcios  dignaretur.  llChia- 
rifiìmo  P.  Dachery ,  acni  dobbiamo  l'edizion  delle  Opere  di 
Raterio,  (limò  fcorretta  la.  vocq  Scoldafcios  y  e  che  ivi  s'avef- 
fe  a  leggere  S'o/r/^r/w  .  Ma  come  ognun  vede,  biiogno  non  vi 
era  di  tal  correzione  .  Appartenendo  adunque  anche  agliScul- 
dalci  il  governo  della  Giultizia,  Pippino  Re  d'Iralia  nella  Leg- 
ge 8.  ordina  ,  ut  Populus  jujlitiam  fufcipiat  tam  a  Comitibus 
fuis  y  quam  etiam  a  Gajìaldiisy  feu  Sculdafciis  ,  'vel  loci  Prcspo- 
fttis  .  Pofcia  aggiugne  :  Et  fi  Gafìaldius  ,  aut  Sculdais  vel  lo- 
ci Pr^epojitus  de  qualibet  Judiciaria  y  tam  ad  fuosPagenfes  ^  quam 
ad  aliosy  qui  juflitiam  qudcjìerifìt  ,  ?ion  f eceri t ,  componat  Jìcut 
Lex  ipforurn  efì  .  Ofiervifi  la  parola  Judiciaria  fignifìcanre  il 
Territorio,  dove  s' edendeva  l'Autorità  del  Giudice  Rurale  . 
In  un  Diploma  del  Monillero  di  Santa  Maria  dell'Organo  Ipet- 
tante  all'Anno  pi  8.  Berengario  I.  Imperadore  dona  Pratum 
juris  imperii  nofìri  pertinens  de  Comitatu  Veronenft  ,  de  Sculda- 
fcia  videlicety  que  Fluvium  dicitur  .  Così  prefTo  l'Ugheliinel 
Tom.  V.  ove  fi  tratta  de'  Vefcovi  di  Belluno  ,  fi  trova  Sculda- 
fcia  B.dluni . 

Sotto 


f)6  Dissertazione 

Sotto  gli  Sculdafci  ftavano  ì  Decani^  e  i  S  alt  ari  ;  il  che  fi 
ricava  dalla  Legge  15.  Lib.  V.  di  Liutprando  .  De  Servo  fuga- 
ce  y  &  advena  homìne  ,  ft  in  alia  Judiciaria  tjiverims  fuertp  ^ 
tiific  Decaìiiis^  aut  Saharius  ^  qui  in  loco  ordinatus  fuerip  ^  com» 
prebendere  eum  debeat  ,  &  ad  Sculdafcium  fuum  perducat  ,  & 
ipfe  Sculdafcius  Judici  fuo  coìiftgnet ,  Sicché  tale  era  l'Ordine, 
Primieramente  il  Giudice  Rettore  della  Citta  ,  che  i  Franchi 
chiamarono  Conte  ;  poi  gli  Sculdafci  Giudici  nelle  Cartella  di 
quel  Contado;  e  finalmente  [Decani^  q  S  alt  ari  (otto  gli  Scul- 
dafci.  Percento  de  i  Saltari  il  loro  nome  può  difegnar  l'ufizio 
d'efìì  ;  cioè  lui  principio  furono  Cu  (lo  di  deiBoichi;  pofcia  la 
loro  Autorità  fi  9ìq^^  alla  cuftodia  de  i  Confini  della  lor  Giudi- 
ciaria  .  Nella  Cronica  Fontanellenfe  alCap.  I.  è  commemorato 
Teugìslus  Cujlos  Saltuum^  Villarumque  Regalium .  Cos'i  nelMo- 
denele  abbiamo  i  Majfari  delle  Ville  ,  che  han  qualche  co- 
rnando iopra  gli  uomini  delle  medefime.  E  prelTo  iFerrarefi, 
come  apparifce  da  i  loro  Statuti  ,  erano  molto  nominati  una 
volta  C  av  ar geli  ani  Vili  arum  ,  Cosi  pare,  che  i  S  altari  ne' vec- 
chi tempi  tolTero  come  Guardacampagne  .  Eranvi  fimilmente  i 
Silvani^  a' quali  era  commella  la  cura,  e  cuftodia  delle  Selve 
Regali.  In  un  Decreto  di  Rachis  Re  de' Longobardi ,  efiften- 
te  nel  Monifterio  infigne  di  Bobbio  ,  e  appartenente  all'  An- 
no 747.  comparifcono  Silvani  ììoflri  Oto  ,  Rachis  ,  &  P  afe  ha- 
Jìus,  Succedono  ì  Decani  ^  eCentenarii^  che  efercita vano  qual- 
che Giurisdizione,  i  primi  fopra  dieci,  e  i  fecondi  fopra  cen- 
to Famiglie,  per  quanto  fi  può  conietturare  .  Walafrido  Stra- 
bene nel  Trattato  de  Reb.  Ecclef.  Cap.  31.  cosi  feri  ve  :  Decu- 
riones^  vel  Decani  ^  qui  fuh  ipjis  Vicariis  (  delle  Ville  )  quidam 
minora  judicia  exercent^  miììoribus  Presbfteris  titulorum  pojfunt 
comparari^  cioè  a  i  Preti  Rettori  di  qualche  Chiefa  non  Batte- 
fimale.  Centenarii  ^  qui  &  Cetituriones^  &  Vicarii  ^  qui  per  P a- 
gas  fìatuti  funt  ,  Presbfteris  Plebium  (  oggidì  Piovani  )  quiBa- 
ptifmales  Ecclejìas  tenent  ,  &  minoribus  Presbfteris  pra;funt  , 
conferri  queunt ,  Dal  che  fcorgiamo  ,  che  il  Popolo  delle  Ville 
fu  divifo  in  Centene  o  Centurie  di  Famiglie  ,  e  che  le  Dece- 
ne ,  o  Decurie  ,  o  Decanie  fi  formavano  di  dieci  Famiglie  . 
A  quelle  comandava  un  Centenario^  a  quelle  un  Deca?Jo,  Ta- 
le è  il  fentimento  del  Wendelino  nelle  Note  alla  Legge  Sali- 
ca ,  e  di  Gian  Jacopo  Chiffìezio  nel  Glofìfario  Salico  .  Lo  Spel- 
mannoj  che  (limò  U  Centena  un  paefe  compoilo  di  cento  Vii. 

le, 


Decima.  ^7 

le,  non  è  da  afcokare  .  Nella  Vita  di  Sant' Ugo  di  Roano  io 
trovo  tnFngoOfismenfiCentenamAlanàoncìij'eìn^  Ò^Centenam 
Sap'tenfem,  Un  Pago  abbracciava  molte  Cartella  e  Ville.  Fino 
ne' tempi  di  Cornelio  Tacito,  come  s'ha  dal  Tuo  Trattato  de 
morib.  «German.  fi  u lava  in  Germania  quella  ferie  diMiniftri. 
Elipunfur ,  die'  egli  ,  i?i  tisdem  conciliis  &  prìncipes  ,  qui  jura 
per  Papos  Vicosque  reddunt ,  Ccìuenì  fmgults  ex  Plebe  Comìtes^ 
confiUum  fimul  ,  &  au^oritas  adfunp  .  Qj-iefto  tefto  forfè  è 
guado  .  Nelle  Leggi  Alamanniche  fi  legge  :  Cofivetitus  autem 
fiat  in  omni  Centena  coram  Comite  ,  aup  ftto  Mijfo  ,  &  coram 
Cet2tenario  ipfum  Placitum  fiat,  Veggafi  il  Du-Cange  .  do- 
tarlo II.  Re  de' Franchi  circa  TAnno  55)5.  fembra  edere  dato 
il  primo,  che  dividede  il  territorio  di  una  Citta  in  Centene  e 
Decanie  .  Neil'  Archivio  de'  Canonici  di  Modena  fi  conferva 
un'autentica  conce^ion  di  Livello,  fatta  nelf  Anno  813.  dal 
Vefcovo  Deusdedit  ,  dove  fi  legge  Decanta  quondam  R.ujlicia- 
wi,  Decania  Gaujperti  ,  Decanta  Lupuni  ,  Decanta  Lumper  Ò'c. 
V'ha  tuttavia  nel  Diftretto  di  Modena  un  certo  luogo  appel- 
lato la.  Degagna ,  come  io  penfo,  da,  Decania  ,  Probabilmente 
gli  Sculdajci  di  fopra  nominati  non  furono  diverd  da  i  Cente- 
nari .  In  uno  Strumento  Lucchefe  deli' Anno  74^.  Lucenio  Pre- 
te confeffa  d'  edere  dato  creato  Rettore  della  Chiefa  di  San 
Pietro  di  Mofciano  da  Walprando  Vefcovo  cum  co7ifenfo  Kat- 
peni  &  Barbuta  Centinarits  ,  vel  de  tota  Plenjem  coìigrecata 
me  in  ipfa  Sanala  Dei  Ecclejia,  Perchè  quella  Pieve  compren- 
deva non  una  fola  Villa,  mapiìi,  due  dovevano  edere  i  Cen- 
tenarj,  o  fia  Giudici  minori,  in  elfa.  Quel  eh' è  certo  i  Cen- 
tenarj  amminidravano  laGiudizia,  e  tenevano  dei  Placiti;  e 
però  tanto  più  mi  fifa  veridmile,  che  fodero  una  deda  cofa 
che  gli  Sculdafci  .  Carlo  M.  nella  Legge  Longobardica  ^6.  co- 
si parla  :  Ut  nullus  homo  in  Placito  Centenarii  ncque  ad  mor- 
tem ,  ncque  ad  libertatem  fuam  amìttcìidam  ,  aut  res  reddendas 
n)el  mancipia  judicetur  .  Sed  ea  omnia  in  prajentia  Comitum  , 
'vel  Mijfiorum  nojìrorum  ,  judicentur  .  Ecco  le  Caufe  ,  che  ec- 
cedevano la  facoltà  de'Centenarj .  Nella  Legge  41.  di  Lodovi- 
co Pio  fono  accennati  Placita  ,  qudc  Centenarii  tenent  .  Nelle 
ludeguenti  Leggi  fi  ordina  ,  ut  Comites  ^  Vicarii  ^  &  Centenarii 
de  conjìitutione  Legis  ammoneantur^  qua  jubetur  ^  ut  propter  ju- 
Jìitiam  pervertendam  munera  nullus  accipiat.  Si  parla  qui  de' 
Conti  ^  fi  parla  de'F/V^r/',  che  probabilmente  erano  iVicecon- 
Tomo  L  N  ti  ; 


p8  Dissertazione 

ti  ;  e  de'  Ce?2fen/irJ  ,  fenza  dir  parola  de  gli  Sculdafci  .  Sem- 
bra perciò  5  che  c^uefli  ultimi  folTero  non  differenti  perfone  , 
ed  Ufizj . 

Vengo  a  i  Gajìaldl ,  i  quali  anche  fi  trovano  chiamati  Ca- 
pddii  5  e  Gajìaldiones  .    Al   vedere  le  antiche  Leggi  ,  tofto  fi 
conofce,  qual  folle  f  impiego  loro.  Cioè  furono  Miniflri,  Proc- 
curatori ,  ed  Economi  delle  Corti ,  poderi  ,  ed  altri  effetti  pa- 
trimoniali del  Regnante  .  Liutprando  Re  nella  Legge  VI.  del 
Lib.  VL   così  parla  :  Si  quis  Gnjìaldius  ,  aut  ABor  Kcgis  (  nel 
Codice  Oflenfe  è  f:ritto  AHor  publicus^  fignificante  lo  fteffo  ) 
Curtem  Regiam  hahens  ad  gubevfìandum ^   &  ex   ipfa  Cune  ali- 
eni fine  jujjione  Regis  ,  cafam  tributari am  ,  'vel  terram  ,  Jìlve- 
ta  5    'vel  prata  aujus  fuerit  desiare  &c.    in  duplum    componat  . 
Anche  il  Re  Rotari  nella  Legge  378.  ci  da  la  medefima  nozio- 
ne de' Gaftaldi  .    E  Lottarlo  I.  Augufto  nelle  Legge  73.  dice: 
Concedimus  Gaftaldiis  ?ioJìris  ,  Curtes  noftrns  provi dentibus  &c. 
Ecco  r  Ufìzio  de'Gaflaldi ,  e  però  non  colpì  nel  fegno  il  Vof- 
fio  nelLib.  2.  Cap.  8.  de  Vitiis  Sermonis  ,  allorché  Icriife  :  Ga- 
ftaldius  fuerit  ,  qui  Re  di  vel  Principi  inferivi  t  in  curandis  bof- 
pitibus  .    J^c  hujusmodi  propria  efl  ftgnificatio  ,    ut  idem  fuerit 
ac  Architriclinus  ,  vel  Oeconomus ,  &  in  Palatio  Occidentnlis  Im- 
perai oris^  jam  ab  Othonis  Magni  tefnporibus^  Dapifer  .   E' affat- 
to fenza  fondamento  un  tale  fignificato  ,  come  cofra  dal  con- 
fronto delle  Leggi.  Dura  tuttavia  in  alcuni  Luoghi  d'Italia  il 
nome,  ed  Ufìzio  ÒQ'GaJìaldi  non  già  preffo  i  Principi  grandi, 
ma  preffo  i  Ricchi  nobili,  che  fi  chiamano  Gaflaldi  quei,  che 
ora  da  i  Modenefi  fono  appellati  Fattori  .   In   molte  Leggi  del 
Re  Rotari  fi  fa  menzione  Curtis  Regia  per  denotare  il  Palaz- 
zo, e  il  Fifco  del  Re.  Ora  nella  Legge  222.  del  medeflmo Ro- 
tari è  determinato  ,  che  qualora  i  Parenti  non  facciano  ven- 
detta di  una  Donna  libera  ,  che   fi  mariti  ad   un  Servo  ,    tunc 
liceat  Gajìaldio  Regis  ,   aut  Aólori ,  aut  Sculdafcio  ipfam   in  Cur- 
tcm  Regis  ducere  ,  &  intra  penftles  conjìituere  .    Sicché   i  Ga- 
flaldi  entravano  ancora  fra  i  Miniftri  Elicali  .  Tenevano  inol- 
tre Giufcizia  per  le  Caule  Camerali  :  il  che  fi  può  dedurre  dal- 
la Legge  8.  di  Pippino  Re  d'Italia,  dove  comanda,  che  fia  fat- 
ta GiulHzia  tam   a  Comitibus  fuis  ,    quam  etiam   a  Gajìaldiis  , 
eu  Sculdafciis  .  Et  fi  Gaftaldius  ,  vel  Sculdajcius  7ìon  fecerit  , 
mulBetur,  Abbiam  veduto  altrove  ,  che  i  Conti  erano  obbli- 
gati a  condurre  il  Popolo  all'  Armata  ,    quando  occorreva  la 

dife- 


Decima.  P9 

difefa  de' Confini,  o  qualche  altra  fpedizion  militare.  Né  pur 
da  queft' obbligo  erano  eienti  gli  Sculdafci  e  Saltari  ,  come  fi 
ricava  dalla  Legge  2^.  Lib.  d.  del  Re  Liutprando  .  Che  anche 
i  Galìaldi  fodero  tenuti  alla  milizia  per  condurvi  ,  a  mio  cre- 
dere ,  gli  Uomini  abitanti  nelle  Corti  Regali  ,  parmi  di  rico- 
nofcerlo  nella  Legge  24.  del  Re  Rotari  ,  che  dice  :  Si  Ga/ìal- 
dtus  exeràfalcm  Juum  coyitra  rattonem  moleftavem  ,  Dux  eum 
■foìctur  .  Lodovico  IL  Augufto  nella  Coilituzione  promotioms 
exercìtus ^  comanda,  ut  nullum  ab  exped'ttione  aiit  Comes  ^  aut 
Gaftalà^  vel  Minìftrl  eorum  excufatum  habeant.  Avevano  adun- 
que i  Gaftaldi  de  i  Minitlri  fotto  di  loro»  Corta  ancora  da  un 
Documento  Brelciano  deli'  Anno  J69,  che  le  Regine  avevano 
il  loro  Gaftaldo  .  Similmente  fi  ofTerva  in  un  Placito  Lucche- 
le  ,  tenuto  da  Adalberto  L  Duca  di  Tofcana  nell'  Anno  847. 
che  i  Gaftaldi  precedevano  a  gli  Scavini .  Ma  nulla  piì!i  ci  può 
far  intendere  ,  qual  folfe  la  Dignità  ,  ed  onorcvolezza  de'  me- 
defimi,  quanto  il  vedere  ,  che  il  Governo  delle  Citta  era  loro 
talvolta  raccomandato.  Nel  Cap.  74.  delle  Parrochie  noi  tro- 
veremo fVamefrldo  Giudice  dì  Siena  ^  il  qual  poi  porta  anche 
il  titolo  di  Gaflaldim  Senas  .  E  nella  Vita  di  Papa  Zacheria 
preflb  Anaftafio  abbiamo  Kamingum  Cajìaldium  Tufcanenfem  , 
cioè  di  Tofcanella  .  Può  effere  ,  che  ciafcuna  Citta  avelTe  il 
fuo  Giudice  ,  o  fia  Conte  ,  ed  infieme  il  Gaftaldo  ;  ma  fpezial- 
mente  nel  Ducato,  una  volta  vaftifhmo  di  Benevento,  lo  ftef- 
fo  fu  r  effere  Conte  che  Gaftaldo  .  Racconta  Paolo  Diacono, 
che  venuto  in  Italia  AÌT^cons  Duca  de'' Bulgari  con  affai  Sol- 
datefche  ,  fu  accolto  da  Grimoaldo  Duca  di  Benevento  ,  che 
gli  diede  ad  habitandum  alcuni  Luoghi  incolti  intorno  ad  ef- 
la  Citta  di  Benevento  ,  cioè  Sepianum  ,  Bovianum  ,  &  Ifer- 
'  niam  ,  &  alias  cmn  fuis  Territoriis  Civitates  ;  ipfmyjque  Al- 
'Zeconem ,  mutato  dignitatis  nomine ,  de  Duce  Gajìaldium  voca- 
ri  pracepit ,  E  nella  Carta  di  divifione ,  fatta  nell'Anno  851. 
fra  i  Principi  di  Benevento,  e  di  Salerno  ,  fi  veggono  integra 
Ga/ìaldata^  feu  Mtnijieria^  Tarantum^  Latmianum  ^  Cufentia^ 
■  Lucania ,   Salernum ,  Capua  &c, 

PoTREBBESi  Credere,  che  anche  gli  Antichi  VaJJl  ^  o  Va[- 
falli  de  i  Re,  ed  Imperadori"  goJeffero  qualche  diritto  ad  am- 
miniftrar  la  Giuftizia  ;  perciocché  nella  Legge  XVIII.  di  Car- 
lo M.  abbiamo  quefte   parole  :    Si  Vajfus  nofler  juflitiam  non 

N     2  fece- 


100  Dissertazione 

fecerh  ,  tunc  Comes  ,  &  Mijfus  710  [ter  ad  tpfìus  Cafam  fede  ani:  ^ 
&  de  fuo  'Vivant ,  quonfque  jujìmam  fecer'tt .  Parie  re  aio  de  i 
VafTì  nel  Capitolo  leguente  .  In  tanto  è  da  dire  ,  che  qui  il 
Juftìtìayn  facere  altro  non  vuoi  dire,  fecondo  lo  ftile  delle  Di- 
vine Scritture  ,  che  l'operar  cole  giuftc,  e  non  già  Tarn mini- 
fìrar  Giuftizia.  Qj-iefloUfizio,  e  tal  prerogativa  noi  la  fcopria- 
mo  bensì  in  quei,  che  l'antichità  chiamava  Loci  Servatores , 
Ma  che  impiego  fu  quello  ?  Io  non  ofo  determinare  ,  le  fol- 
fero  TJfiziali  eletti  da  i  Cittadini ,  o  pure  i  Vicarj  del  Conte, 
o  del  Duca  cosi  appellati,  perchè  tenea  il  Luogo  di  lui  ,  co- 
me Luogotenenti,  o  Loco  pojiti  ^  nome  che  non  dirado  s'in- 
contra in  que' tempi  .  Nella  Legge  Longobardica  88.  di  Carlo 
Magno  è  fc ritto  :  Si  quis  fure-m  vel  latronem  comprehenderìt  , 
(!T  eum  indemnem  dlm'tferit^  ne  que  illum  ad  prcefenùam  Ducis 
aut  Com'ttts  ,  qui  in  loco  prceejì  ,  vel  loci  Servatoris  ,  qui  Mif- 
fus  Comitis  eft^  adduxerip  Ù'c,  Effe n do  ftato  il  Confervafore  del 
Luogo  Medo  del  Conte,  o  fia  del  Prefidente  della  Citta,  pare 
che  fotto  queflo  nome  veniiTe  il  Vicario  del  Conte  o  del  Du- 
ca ,  a  cui  apparteneile  la  cura  della  Giuflizia,  allorché  i  prin- 
cipali fi  trovavano  alfenti  .  Che  anche  i  Loci  Servatores  giudi- 
calTero  le  liti  del  Popolo  lo  vedremo  fra  poco  .  E  pure  nella 
Cronica  del  Volturno  all'Anno  ^48.  in  un  Privilegio  di  Mari- 
no Duca  di  Napoli ,  elfi  compariicono  diftinti  da  i  Vicarj.  Pa- 
re anche  verifimile  ,  che  non  foffero  diverfi  da  i  Viceconit  , 
perchè  anch' efli  tenevano  dei  Placiti.  Ma  fembra  opporfi  a 
tale  opinione  il  non  apparire  ,  che  vi  folle  più  di  un  Vicecon- 
te in  una  Citta  ;  laddove  compariicono  nella  Citta  medefima 
più  Loci  Servatores  ,  Q_uel  eh' è  certo,  affai  illuflre  fu  la  Di- 
gnità di  quelli  Coniervatori  .  Paolo  Diacono  nel  Lib.  ^.  Cap.  3. 
fcrive  cosi  :  Forojulianorum  Ducatum  pojì  hd£c  Ado  Frater  Ro- 
dualdi  :  (  antecedentemente  Duca  )  Loci  Servatoris  nomine  per 
annum  ,  &  Me7i[es  feptem  guhernabit  .  Adunque  per  Luogo  Ser- 
vatore  fi  dee  credere  fignificato,  chi  teneva  le  veci  del  Duca 
o  del  Conte  ;  e  probabil  cola  può  parere  ,  che  fi  fceglieflèro 
dal  Re  ,  o  dal  Conte  queiH  Ufiziali  dal  Corpo  de' Cittadini  , 
affinchè  fé  il  Conte,  e  Viceconte  avelTero  da  andare  alla  Cor- 
te  o  all'  Armata  ,  efli  Luogo  -  Servatovi  fuppliilèro  al  bilogno 
del  Governo  ,  e  della  Giultizia  .  Neil' Archiepifcopale  Archivio 
di  Lucca  efide  un  Giudicato  dell'Anno  78^.  con  quelle  paro- 
le: 


Decima.  ioi 

le  :  Adftante  nos  J acobo  Diacono  ,  (!T  Aujìrìfonfo  Loci  Scrbato- 
rìbus  in  Domo  SanHs  Ecclefie  ante  'venerabile  Domnus  Johamic 
Epijcopo  ,  ubi  fwbiscum  adevant  Sacerdotes  ,  &  Aremannos  hu- 
jus  Lucane  Civifatis  ,  idejl  Aujìripertus  Loci  Sewator  ,  Kacbi- 
prandus  Presbitcr  &c.  Da  quell'Atro  apparilce,  che  i  due  pri- 
mi Luogo-Servatori  cra.no  Diaco}ii  .  Il  terzo,  cioè  Aujìriperro^ 
fi  può  credere,  che  fofle  Laico  .  Potrebbefi  dubitare,  che  que' 
primi  foflero  Ufiziali  del  Veicovo  ,  perchè  ivi  fi  trattava  di 
una  Caufa  Benificiale  .  Ma  in  altra  Carta  Lucchefe  dell'  An- 
no 802.  Rajpertus  Presbiter  ,  Agiprandus  ,  &  OJlrofonfo  Diaco- 
no Loci  Servatores  giudicano  à\  un'altra  Caufa  Benefiziale,  ma 
con  dire  d' efler  ivi  ad  Singulorum  hominum  Caufas  audiendas 
&  deLfuerandas  :  il  che  fii  intendere,  che  la  loro  Autorità  {i 
fiendeva  iopra  tutto  il  Popolo  .  Lo  (ìefTo  fi  offerva  con  la  for- 
mola  medefima  in  altro  Placito  tenuto  nell'Anno  807.  dal  io- 
pradetto  Aujìrifonjo  Diacono  Loci  Servapor  .  Finalmente  in  un 
Placito  parimente  Luccheie  dell'Anno  815.  compariicono  T/z/- 
to  ,  &  Ai  pò  Loci  Servatores  in  Judit  io  ad  fingulas  Caufas  au- 
diendum^  &  deliverandum^  i  quali  benché  Laici  decidono  una 
Lite  tra  l'Avvocato  della  Chiefa  Cattedrale  di  San  Martino  , 
e  un  Suave  uomo  Secolare  .  Per  conleguente  si  fatti  Ufiziali 
fi  prendevano  non  meno  dal  Clero,  che  dal  Corpo  de'Laici  . 
Notifi  ancora  ,  che  in  una  Lettera  del  Clero  Romano  pref- 
fo  Beda  Libro  2.  Cap.  ip.  della  Storia  Ecclefiaftica  ,  fcritta 
neir  Anno  ^35?.  o  pure  ^40.  i  primarj  Preti  di  efl'a  Chiefa  Ro- 
mana s'  intitolavano  ,  eflendo  vacante  il  Pontificato  ,  Servan- 
tes  Locum  San^ice  Sedis  Apojìolicce  .  Perciò  s'  intende  ,  che  il 
dire  Loci  Servatores  fignificava  i  Luogotenenti  del  Governo  del- 
la Citta . 


De" 


102  Dissertazione 

De  Beni  Allodiali  ,  de'  VaJJl  ,  Vajfalli  ,  BenepT^  , 

Feudi  5  Cajìellani  &€, 

DISSERTAZIONE    UNDECIMA. 

CO  ME  a' noftri  tempi,  cosi  anche  a  quei  de' Romani  v' 
erano  i  Beni  Patrimoiìiali  ,  che  il  Padrone  godeva  come 
cole  fue  proprie  ,  acquiftate  o  per  Eredita  ,  o  per  compra  , 
o  per  Donazione  ,  o  per  altri  titoli  .  Gli  ftelTi  Imperadori  non 
ne  erano  aprivi  ,  e  deputavano  al  maneggio  d'  effi  Procuratoves 
rei  privat(£  ,  o  fia  proprii  Patrimonii  .  Per  altri  Miniflri  fi  go- 
vernavano  i  Beni  Fi/cali  ,  o  fia  del  Principato  .  Coltivavano  i 
Romani  le  loro  Terre  ,  o  per  mezzo  de'  loro  Servi ,  appellati 
perciò  Servi  Glebce  ,  o  per  Uomini  Liberi  .  Molto  ancora  fu 
allora  in  ufo  la  locazione  de'  Beni  ,  per  cui  il  Conduttore  fi 
obbligava  a  pagare  ogni  Anno  la  riabilita  penfione  .  Il  Salma- 
fio  a  Solino  5  e  il  Du-Cange  nel  Glofario  fiimarono  ,  che  la 
voce  Italiana  Fitto  prendefiè  origine  dal  promettere  i  Condut- 
tori di  pagare  Fixum  Cenfum  dal  verbo  Figo  .  Ma  i  Secoli 
barbarici  da  Figo  formarono  il  Supino  fìBum^  e  ne  venne  poi 
Cenjo  ^  Fitto  ^  o  fia  dare  ad  FiBum  Cenfum  ,  Cosi  in  fatti  av- 
venne. Tuttavia  la  noftra  Lingua  àìzQ  Co?ìfitto  ^  q  Trafitto  in 
vece  di  Confixus^  Transfixus .  In  unoStrumento  Ferrareie  di  Li- 
vello dell'Anno  1085.  fi  legge  :  Nihil  aliud  prò  Fixa  PenfioJìe 
dilieo  modo  reputemus  .  Cosi  nella  Par.  I.  Cap.  7.  delle  Antich. 
Eflenfi  rapportai  .l'Invefiitura  della  Corte  di  Lufia  data  neh' 
Anno  1075?.  ad  Ugo  ,  e  Folco  Figli  del  Marchele  Azzo  II. 
Eftenfe  ad  Fióìum  Cenjum  reddendum  Ftóli  nomine  ufque  ad 
Annos  viginti  &  o&o  expletos .  Parimente  antichifiimo  è  1'  ufo 
delle  Enfiteufi  ,  o  fia  de'  Livelli  .  Cerchiamo  ora  ,  qual  cola 
fofiero  gli  Antichi  Benefizj  ,  Feudi  ,  &  Allodj  ,  de'  quali  si 
fpeflb  fi  truova  memoria  nelle  vecchie  carte  .  V'ha  non  pochi 
dotti  uomini,  che  prendono  per  una  fteiTa  co{à  Beneficium  ^  e 
Feudumy  tirandone  l'origine  fin  da  ì  tempi  de' Romani  :  e  cer- 
tamente con  buone  ragioni  .  Cioè  cominciarono  gì'  Imperado- 
ri Romani  (  e  forfè  anche  prima  dell'  Imperio  s'introdulfe  tal 
ufo  )  a  concedere  a  i  loro  Fedeli  de  i  Poderi  o  devoluti  al  Fi- 
fco,  0  guadagnati  in  guerra.  A  quefto  coilume  pare  che  allu- 
de 0  e 


Undecima.  io  j 

defle  Hy,^ino  nel  Lib.  de  Limitib.  dove  fcrive  :  Sì  qua  Benefi- 
cio concejfa  auf  ajjì guata  Colonìcs  fuerhn  tn  loco  Benejicìorum 
adfcrìbemus  .  Anche  Dolabella  ,  altro  huìQXQGromattco  (e  non 
Gramatico  ,  come  gli  Stampatori  delle  mie  Antiqu.  Ital.  han 
voluto  fare  di  lor  capriccio  )  ha  quefte  parole  :  ^.aris  ,  Jl  in 
Libro  Benejiciorum  regiouis  iìlius  Benejicìum  alicui  Auguflus  de- 
àerit .  Perciò  nella  Corte  de  gì'  Imperadori  fi  tenevano  Libri 
maeftri  ;  dov'erano  regiftrati  tutti  i  BwMiefizj ,  e  a  chi  erano 
flati  conceduti.  PrefTo  il  Grutero  pag.  1078.  num.i.  Phedimo 
Liberto  di  Traiano  è  intitolato  A  COMMENT.  (  cioè  Prefi- 
dcnte  a  i  Commentar)  )  BENEFICIORVM  .  Lo  fteffo  Cicero- 
ne neir  Orazione  prò  Archia  fembra  aver  fatta  menzione  di 
quelli  Benefi'zJ  .  Son  poi  chiare  le  parole  di  Lampridio  nella 
Vita  di  Alefiandro  Severo  Augnilo.  Sola  ^  qua  de  hojìibus  ca- 
pta junt ,  limitanets  Ducibus  ,  C^  Militibus  donarvit  ,  ita  ut  eo- 
rum  ifta  ejfent^  fi  heredes  illorum  ìnilitareut  .  Ecco  una  fem- 
bianza  de'noftri  Feudi  ,  dati  con  tacito  o  paleie  patto  di  fervi- 
re  coir  armi  al  Signore  del  Feudo  .  Qj.ie'  Beni  erano  donati  , 
ma  per  goderne,  finché  gli  Eredi  militalTero.  Tuttavia  perchè 
que'Benefizj  niuna  giurisdizione  feco  portavano,  come  i  Feudi 
nobili  de'  Secoli  fuiTeguenti  ,  e  non  vi  fi  ravvifano  altre  con- 
dizioni :  non  ci  danno  effi  una  vera  idea  di  e^j  Feudi  ;  e  tan- 
to pili  perchè  ne' Codici  di  Teodofio,  e  Giuftiniano  niuna  men- 
zione fi  truova  di  Beni,  che  avelfero  faccia  di  Feudi. 

Sembra  perciò  meglio  fondata  1'  opinione  d' altri  Eruditi  , 
che  t  rafie  ro  da  i  Popoli  della  Germania  l'origine  de' Feudi,  fé 
nonché  forfè  non  è  cosi  grande  l'antichità  d'elfi,  come  talu- 
no ha  penlato  .  Perciocché  fi  figurano  portato  in  Italia  queft' 
ufo  da  i  Longobardi  ;  e  pure  nulla  s'  incontra  nelle  Leggi  ,  e 
memorie  di  quella  Nazione ,  onde  s'argumentino  ufati  fra  lo- 
ro i  Feudi  .  Altri  con  piiì  ragione  han  giudicato  ,  che  i  Fran- 
chi, gente  Germanica  ,  anche  prima  de'  Longobardi  introdu- 
ceffe  nelle  Gallie  i  Feudi.  Per  teflimonianza  di  Aimoino  Lib.  i. 
Cap.  14.  il  Re  Clodoveo  Milidunum  Cajìrum  eidem  Aurelia?io^ 
cum  totius  Ducatu  regionis  ,  jure  Bsncficii  concejjìt  .  Anche  il 
dottifiimo  Bignon  nelle  Annotazioni  a  Marcolfo  ,  dovunque  fi 
fa  menzione  de'  Vajjì  e  à€ Benefi-zj  Regali  ,  ivi  truova  i  no- 
fìri  Feudi.  Ho  io  qualche  difficuha  a  concorrere  in  quella  opi- 
nione .  Imperciocché  comunemente  s'è  creduto  finqu\,  che  i 
VaJJi  de'  Franchi  quei  fofiero  ,  che  godevano  qualche  podere 

jure 


104.  Dissertazione 

jure  Beneficiario  ,  cioè  a  titolo  di  Feudo  :  laddove  a  ine  fem- 
ibra  ,  che  per  efTere  Vfijfo  non  fi  efigefTe  il  godimento  di  qual- 
che Benefìzio.  Per  quanto  ofTervarono  il  Du-Cange  ,  il  Boxor- 
nio ,  e  l'Eccardo,  Vajfiis  in  linguaggio  Cambrico  fignificò  F^- 
WAilus^  e  Mìmfler:  di  modo  che  parmi  di  vedere,  che  il  nome 
di  Vafib  fi  dava  a  chiunque  ferviva  nelle  Corti  Regie  anche 
lenza  pofTeder  Benefizj .  Forfè  Vajjalli  (  fé  pur  non  era  affatto 
lo  fteffo  che  Valfi  )  fi  diffe  di  quei,  che  fèrvivano  a  Signori  in- 
feriori ,  e  quantunque  in  un  Capitolare  dell'  Anno  823.  fotto 
Lodovico  Pio  fieno  nominati  VaJJl  ,  &  Vafifallt  Regts  ;  pure 
più  frequentemente  portavano  il  nome  di  Vaffalli  que' Nobili, 
che  lervivano  ai  Duchi,  Marchefi,  Conti,  Vefcovi  ,  ed  an- 
che Abbati  per  luftro  della  lor  Corte  ,  e  Famiglia  .  A  quelli 
tali  per  ragion  della  Carica ,  o  pure  dopo  lungo  fervigio  in  ri- 
compenfa  fi  concedeva  il  godimento  di  qualche  podere  con  ti- 
tolo di  B-jnefi'zjo,  Aimoino  è  Autore  de' Secoli  baffi .  Gli  An- 
tichi Annalilli  de' Franchi  parlano  di  Meltdutìo  (oggidì  Mc"/w?;) 
dato  da  Clodoveo  a  quell'  Aureltano ,  ma  fenza  dire  Jure  Be- 
fìefic'ìi,  E  fé  v'ha  chi  fcrive,  che  Childeberto  Re  diede  dei 
Feudi  al  Moniftero  di  San  Germano  de' Prati,  non  dee  aver  let- 
to dihgentemente  i  Diplomi,  ne' quali  fi  donava  alle  Chiefe  , 
e  non  già  fi  concedeva  in  Feudo. 

Diventava  dunque  allora  Vajfio  ,  o  Vajfiallo  ,  chiunque  fi 
metteva  ,  come  oggi  diciamo,  al  fervigio  di  qualche  Re  o  gran 
Signore,  e  quello  fi  chiamava  Commendare  fé  in  Vajfaticiim  ^ 
ma  lenza  che  per  quello  fi  ottenefTe  immediatamente  un  Be- 
nefìzio. Nel  Privilegio  conceduto  da  Lodovico  Pio  Augnilo  prei- 
fo  il  Baluzio  air  Anno  815.  fi  legge  :  Et  fi  Beìiificium  aliqmd 
quisquam  eorum  ab  eo  ,  cui  fé  commendaverit  ,  fuerìp  confequu- 
tuséxc.  Adunque  molti  erano  creati  VaJJi ^  cioè  s'erano  meffi 
al  fervigio  de' Conti,  o  d'altri  gran  Signori,  lenza  avere  per- 
anche  confeguito  alcun  Benefìzio  .  Ricavafi  ancora  da  un  Ca- 
pitolare di  Carlo  M.  dell'Anno  812.  che  V affi  Dominici  ^  cioè 
Regii,  aveano  Vaffallos  fuos  Cafatos  ^  cioè  al  loro  fervigio  del- 
le perfone  Civili  ,  ed  onorate  .  Ne'  Placiti  finora  addotti  ab- 
biam  uovdiioVaJJi  de'Duchi,  Marchefi,  eConti.  Ne  aveano 
anche  i  Vefcovi .  Nel  Sinodo  celebrato  da  Gaushno  Vefcovo 
di  Padova  nell' Anno  5^78.  come  coffa  da  Documento  da  me 
dato  alla  luce,  fi  truovano  fottofcritti  alcuni ,  che  s'intitolano 
Vajft  ejusdem  Domni  Gauslini  Epifcopì ,  Differenza  dunque  c'è 

fra 


105 


Undecima. 

fra  i  VaPii  o  VafTalli  de'  Secoli  antichi ,  e  quei  de'  pofteriori  . 
Da  alcuni  Secoli  in  qua  niuno  è  coftituito  Vaffallo  ,  le  non  a 
titolo  e  per  cagione  di  qualche  Feudo  a  lui  conceduto;  ma  an- 
ticamente  per  efiere  tale  altro  non  fi  ricercava  fé  nonfelTere 
ammefio  ai  fervigio  del  Re ,  Duca,  Conte  &c.  O.hfi  ciò  che 
viene   fcritto  dal  Monaco  di  S.  Gallo  de  Geft.  Caroli  M.  Lib.I. 
Cap.  2  2.  dove  fi  parla  di  un  certo  Vefcovo  :  Hic  hahu'n  unum 
Vajjallum  non   ignobilem  civium  fuorum  ,  vnlde  Jìrenuum  ,    & 
hidujìrium  :    cui  tamen  ille  ,    ne    d'icnm  BENEFICIVM   ali- 
quod  ,  jed  ne  ullum   quidem   nlìquando  blandum  fermonem   im- 
pendìt  .    Ecco  che  l'efTere  una  volta  Vajfo  ,  o  VajJ'allo  ,  altro 
non  fìgnificava  ,  che  X  effere  al  fervigio  di  qualche  Regnante 
o  Signor  Grande.   Era  ben  poi   vigoroia  la  confuetudine  di  con- 
ferire a   quelli  Cortigiani  qualche  Beneficio  da  godere  ,    forfè 
folamente  durante  la  fua  vita  .   E  pel  lolo  Vajfat'ico  o  fia  fer- 
vigio fembra  che  fi  giuralTe  Fedeltà  al  Signore.  Negli  Annali 
de' Franchi  all'Anno  757.  Tafiìlone  'Di\c^  Fidelitatem  promifip 
Regi  Pippino  ,  ftcut  Vajfus  &c.    E   all'  Anno  787.   Confri/ìatus 
Tajftlo  venit  per  [emetipfum  ,    tradetis  fé  manibus  Domni  Re- 
gis  Caroli   in  Vajfaticum  ,  Ò'  reddens  Ducatum  fibi  commiffum 
a  Domno  Pippino  Rege  .   Perciò  i  Vafii  erano  appellati  Fedeli  , 
e  nel  linguaggio  delle  Leggi  Saliche  ,    e  Wifigotiche  Leudes  , 
perchè  giuravano  Fedeltà  al  Signore  .  Nel   Libro  IV.   Cap.  V. 
di  efie  Leggi  de'  Wifigoti  fi   ofìervino  quelle  parole  :  ^lod  fi 
ìnter  Leudes  quicumque  nec  Regis  Bsnejiciis    alìquid  confequu- 
tus  &c. 

Osserviamo  ora  i  Benefii:j  ufati  fotto  gli  antichi  Re  ,  ed 
Imperadori  .  Giudicò  il  Du-Cange  ,  che  fodero  anche  appel- 
lati Honores ;  né  mancano  efempli,  che  paiono  proprj  per  ta- 
le fentenza  .  Per  lo  più  nondimeno  tengo  io  ,  che  col  nome 
ò^\  Onori  fofTero  difegnate  le  Dignità,  e  le  Cariche  onorevoli, 
come  di  Duca,  Marchefe  ,  Conte  &c.  Nella  Legge  Longobar- 
dica 24.  di  Lodovico  Pio  abbiamo  :  Si  liber  homo  aut  minifte- 
rialis  Comitis  hoc  fecerit  ^  Honorem  qunlemcuynque  habuerit^  five 
Beìieficium  amittat .  Qui  fi  diftingue  1'  Onore  dal  Bensfi-^o  . 
E  Carlo  M.  nella  Legge  IX.  parlando  de' Giudici,  e  de  gli  Av- 
vocati ,  COSI  dice  :  Et  qui  hoc  non  fecerint  ,  Beneficium  ,  & 
Honorem  perdant  .  Similiter  &  fi  Bafit  (  lo  fieffo  che  Vajfi  ) 
hoc  non  adimplcoerint  Beneficium  ,  &  Honorem  perdant .  Et  qui 
Bentf^ciuìn  nojìrum  babuerit  ,  bannum  tioflrum  folvat  .  Afcol- 
Tomo  I,  O  tiamo 


io6  Dissertazione 

tiamo  ora  il  Bignon  nelle  Annotazioni  a  Marcolfo  ,  la  dove 
Ieri  ve  :  Beneficii  nomhìe  ea  pr<£dia  dióla  ^  c]U(S  profervì^iomilì^ 
tari  a  Rege  ,  Ji'ue  et'tam  ah  al'tìs  ,  concedehantur  ,  qudd  Fenda 
■pojìerìtas  disìt .  Porto  io  all'incontro  primieramente  opinione, 
che  fotto  i  Re  Carolini  la  voce  Beneficium  abbracciava  non 
folo  i  fondi  dati  a  godere  pel  fervigio  militare  ,  ma  anche  per 
l'onorevole  fervigio  de' Cortigiani,  ed  altri  Miniilri  del  Palaz- 
zo, o  della  Giuftizia  .  Secondariamente  fi  concedevano  quelli 
perlopiù  da  goderfi  folamente  durante  la  vita  de' Beneficiati. 
Si  oflerva  tuttavia  quello  rito  n^  Bmefi-zj  Uccie  fi  aflìci  goduti 
finché  vive  il  Beneficiato  ,  e  che  non  gli  fi  pedono  levare,  fé 
r.on  per  fuo  delitto ,  e  colpa  .  E  quando  fia  cos'i  fi  vengono  a 
ravviiare  diverfi  da  i  Feudi  .  Nel  Tom.  I.  Veter.  Script,  de' 
PP.  Martene  ,  e  Durand  abbiamo  un  Diploma  di  Lottario  1. 
Augnilo  dell'Anno  847.  dov'egli  concede  ad  un  Ruggieri  Lai- 
co ,  Mr/j'tjìerìali  Matfridi  illujìris  Cotnifìs  in  Pago  Riborienfe  , 
i?ì  C orni t atu  Juliac enfi  ,  Capellam  juris  noflris  &c.  quatenus  dis^ 
bus 'vita  fu<s  feneat  ,  Aggiugne  ancora:  De  jure  noftro  in  jus^ 
Ù'  dominationem  ipfius  cunólis  vita  fucs  diebus  transfundimtts  . 
Cosi  nel  Tomo  III.  dello Spicil.  Dacheriano  dell'ultima  edizio- 
ne ,  i  Monaci  di  Vienna  nel  1025.  concedono  alcune  terre 
Wagoìii  &  uxori  ejus  Eldelcs  quamdiu  Eldela  njixerit  ,  ut  ejus 
'vir ,  &  ipfa  nomine  Bsneficii  Jerviant  Deo  ,  Sanalo  Andrece ,  & 
Monachis  ,  Nel  Tomo  medefimo  all'Anno  887.  il  Vefcovo  di 
Vienna  concede  a  Teuberto  Conte  la  Villa  Mantula  jure  Bene- 
ficiario ,  ut  quamdiu  ipfe  Comes  ^  &  Uxor  ejus  carne  vixerint  , 
eamdem  Villatn  lege  Be?2ejiciaria  ufuque  frucluario  teneant.  Ol- 
tre a  ciò  in  que'  tempi  i  Benefizj  fi  confondevano  colle  Preca- 
rie o  Prefiarie y  oggid'i  Livelli;  le  non  che  quefii  fi  concedeva- 
no per  Anni  25?.  o  fino  alla  terza  generazione,  o  ad  altri  tem- 
pi, ed  uopo  era  di  rinovarli  ad  ogni  quinto  Anno,  o  più  tardi: 
Laddove  i  Benefizj  fi  concedeano  per  tutta  la  vita  del  Benefi- 
ciato ,  né  occorreva  la  rinovazione  .  Veggafi  Marcolfo  nel  Li- 
bro II.  Formola  V.  cioè  Precaria  de  Villa  ,  fatta  a  Marito  ,  e 
Moglie  .  Ivi  fi  legge  :  Ut  ipfa  Villa  ,  dum  advivimus  ,  aut  qui 
pari  fuo  ex  nofiris  fuppreflis  (  in  vece  di  Superfìes  )  fuerit  dum 
ad'vi'uit ,  nobis  ad  BENEFICIUM  ufufruóiuario  ordine  excolen- 
dum  tenere  permififiis  .  Cosi  nell'Appendice  del  Baluzio  ad  ef- 
fo  Marcolfo  Cap.  28.  fi  legge  una  Prefiaria  con  tali  parole  : 
ut  ipfas  res    ad  prccfiitum  Beneficium  ti  hi  prafiare  dehcremus  , 

^od 


Undecima.  107 

^od    ita    &  fecimiis  ,   Jic  talìter    ut  tempore    Vuce  tuoi    ipfas. 
res  prò  noflro  Beneficio  habere  debeas  .    Truovanfi    altri    fimili- 

elempii . 

Aggiungasi  ,  che  gli  antichi  Benefizj  Ti  concedevano  anche 
alle  Donne  :  il  che  fempre  più  fa  intendere  la  differenza  d'edi 
da  i  Feudi  ,  i  quali  regolarmente  fi  doveano  concedere  a  gli 
Uomini  pel  fervigio  militare.  Ne  abbiam  poco  fa  veduti  due 
elempii.  Nelle  Forinole  pubblicate  dal  Lindenbrogio  Gap.  22. 
s'ha  \\x\2i  Precaria  ^  in  cui  una  Donna  uta  quelle  parole  :  Ex- 
petti  a  vobis  ,  ut  ipfas  res  ,  quamdiu  advivo  ,  Jub  ufu  Beneficia 
'veflri  tenere  &  ufuare  debeam  .  Maggiormente  ancora  tal  dif- 
ferenza fi  riconoice ,  perchè  i  Benefizj  di  Beni  di  Chiefe  con- 
ceduti a' Secolari  5  pagavano  cenlo  annuo,  o  le  Decime,  o  le 
None  :  il  che  non  s'accorda  colla  natura  de'  Feudi.  Nelle  Mi- 
fcellanee  dd  Baluzio  Tom.  III.  v'ha  un  Diploma  di  Lodovico 
Pio,  che  cosi  parla  :  Baro  Vajfallus  7ioJìer  nobis  innotuit^  quod 
quamdam  Villam  fttam  inPagoCenoma?2Ìco ^  ?iomineTridentem ^ 
de  jure  Cenoma'nica  matris  Ecclefiae  per  nojìrum  BENEFICIFM 
pojfideret^  de  qua  per  fingulos  Annos  Nonas^  &Decimas  ,  &le^ 
gitimos  cenfus  prdofatcs  Matris  Eccleftce  ReBoribus  perfolveret  . 
Un  altro  fimile  Diploma  di  efib  Auguflo  fi  legge  alla  pag.  104. 
Pofcia  alla  pag.  158.  fi  notifica  ,  che  il  Re  Pippino  neh' An- 
no 752.  aveva  reftituito  alcune  Ville  alla  Chiela  Cenomanen- 
fe  .  Ma  Vulfingo  le  chiede  con  dire  :  Dum  ego  advivo  ,  prò 
vjejìro  Beneficio  mihi  ipfa  loca  liceat  tenere  ,  &  dominare  ,  Et 
fpondimus  vobis  a?ims  fingulis  hibernaticam  argento  Libra  una  Ò'c. 
Tali  memorie  badanti  dovrebbero  parere  per  conchiudere,  che 
i  Benefi-^i  de  gli  Antichi  furono  per  più  d'un  riguardo  diverft 
da  i  Feudi  ,  che  s'introduffero  ne'fufleguenti  Secoh.  Conviene 
ora  olfervare,  avere  i  Vaffalli  de  i  Re ,  ed  Imperadori  goduto 
più  d'un  Privilegio.  Imperciocché  nonera  permeffo  al  Conte, 
e  a'  pubbhci  Miniftri  di  tirarli  al  loro  Foro  ,  e  di  gaftigarli  . 
Le  Caufe  d'effi,  e  le  lor  perfone  erano  lottopolle  lolaaiente  al 
Giudizio  del  Re,  od  Imperadore,  ovvero  del  Conte  del  Palaz- 
zo. Anzi  allorché  Carlo  Magno  nella  Legge  43.  comandò,  ut 
Comes  Palatii  nofiri  Potentiorum  caujfias  fine  nofìra  jujjione  fi- 
nire 7wn  prcsfumat^  fotto  quello  nome  fi  può  conietturare  ,  che 
follerò  comprefi  anche  i  Vajfalli  .  Ma  effendo  che  alcuni  di 
effi  Potenti  (prezzavano  talvolta  le  Scomuniche  de'  Vefcovi  , 
Lottarlo  I.  Augufto  nella  Legge  15.  ordinò,  che  unito  il  Con- 

O     2  te 


io8  Dissertazione 

te    col  Vefcovo  forzafTe  cofloro  all'  ubbidienza  :  Sì  autem  Vaf 
fus  nofter  in  hac  culpa  fuerìt  lapjm  ,   ficut  fupra  a  Co-mite   di_ 
Jlri?7gantr  ,    ^uod  fi  eiim   non  audierit  ,    nobis  enu?2tietur  ante- 
quam  in  vinculis  mittatur ,   Da  tali  parole  fi  può  ricavare,  che 
non  folamente   nella  Corte  ,  ma  anche  per  le  Provincie  ,  eb- 
bero i  Re  ,  e   gì'  Iinperadori  de  i  Valli  o  VaiTalli  .   Perciò  ab- 
biam^  veduto    intervenire  a  i  Placiti    per  onore  anche  i  Vr^JJl 
Regii  ,  Anzi  erano  quefti  talvolta  fcdti  per  efercitar  l'ufizio 
di  Mefli  Regali  .  Lodovico  Pio  nella  Legge  54,  ha  quede  pa- 
role :   FriJP  vero  noftri  ,   &  Minijìri   alii  ,  qui  MiJJl  femt,  uhi- 
cumque  n^eneritit  conjeHum  accipiant  :  cioè  la  contribuzione  pel 
vitto  loro  .   Ne  ho  io  dato  un  eiempio  con  un  Placito  dell'An- 
no 857.    ricavato    dall'Archivio  Archiepifcopale  di  Lucca  ,  il 
cui   principio  è  quello  :    Dum    ad  poteftate  Domni  Hludovvici 
perpetui    Augufti   partibus    Tufcics  Mijfi    direni  fuijfemus    7ios 
Johannes  Ù'  Heribrandus  VaJJi  Imperiales ,  finguloruyn  hominum 
jujìitiam  faciendam  ,  cum  vcììiffemus  Civìtate  Lucca  ,  reftden- 
tes    nos    in  juditio    Curte  Ducale    cmn  Hieremiam  Epifcopum  , 
&  Hildebrandum  Comitem   &c.   Qiiefto   Ildebrando   vien   appel- 
lato Conte  ^  cioè  Governatore  della  Citta  di  Lucca  .    Cofimo 
della  Rena  l' inferi  nel  Catalogo  de  i  Duchi  di  Tofcana  ;  ma 
fenza  ragione.  Era  in  que' tempi  Duca,  e  Marchefe  di  quel- 
la Provincia    Adalberto  L    '^i  vuol  anche    oifervare  ,    che  do- 
pò  avere  i  ValTi  giurata  fedeltà  a  i  lor  Signori  ,    non  poteva- 
no fine  commeatu  ^    cioè  lenza  commiato,    e  licenza  di  elfo 
Signore  ,    paifare  al  fervigio  d'  altri  .   E  intorno  a  ciò  abbia- 
ino  la  Legge  47.  di  Pippino  Re  d'  Italia  .   Dubitò  il  Du-Can- 
gè,    fé   VaJJi   Comitum    fi  diftingueffero    da  gh  altri  appellati 
Mijp  Dominici  .    A   me   pare  indubitato  ,    che  i  primi  foffero 
i  Familiari   nobili  de  i  Conti  ,    e  gli  altri  del  Re  ,  od   Impe- 
radore  .  Che  fé  alcun  Vaffallo  de  i  Conti  ,  Vefcovi  ,  Abbati  , 
e  BadelTe  (  che  alcune  di  quede  ancora   ebbero    de'  VaiTalli  ) 
commetteva  delitto  contro  il  Re,   perdeva  il  Benefizio.  Simil- 
mente neir  Editto    di  Lodovico  IL   Imperadore  per  la  ipedi- 
zione  di  Benevento  ,    viene  ordinato  ,    che  fé  il  Conte  ,    o  i 
Vaffalli  Regj  non  andranno  ali'  Armata  ,    e  fé  gli  Abbati  ,  e 
le  Badeffe   non  vi  manderanno  i  lor  Uomini  ,    ipjì  fuos  Nono- 
res  perdant  ,    cioè  le   loro  Dignità  .    De  Epijcopis    autem  cujus- 
cumque  Bajfallus  rematiferit^  &  Proprium  y  Ò'  Bene  fi  cium  per- 
dant . 

Que- 


Undecima.  icp 

Queste  ultime  parole  ci  ricordano  la  differenza,  che  pafla- 
va  tra  i  Be?ù  Allodiali  ,  e  i  Benefizj  ,  Feudi  ,  e  Livelli  .  De' 
primi  talmente  era  il  Dominio  preflb  chi  li  godeva,  che  po- 
teva lafciarli  per  Eredita,  donarli,  venderli,  permutarli  a  iuo 
talento  .  De  gli  altri  il  pofledente  ne  godeva  il  folo  uiufrutto  , 
reftandone  il  diretto  dominio  preffo  il  Padrone  .  Non  parlo  io 
de' Fideicommiffi,  perchè  non  truovo,  che  folTero  allora  in  ufo. 
In  un  Privilegio  di  Carlo  il  Groffo  Re  d'Italia,  tratto  dall'Ar- 
chivio de'  Monaci  Cafinenfi  di  S.  Siilo  di  Piacenza  ,  fi  vede  eh' 
eoli  nell'Anno  880.  conferma  tutti  ì  fuoi  Beni  ad  An^elbert^a 
Imperadrice,  Vedova  di  Lodovico  IL  Auguro  ,  ttt  haheat^  re- 
tine nt  ^  atque  dominetur  ^  qu<x:dam  'videlicet^  quoad  vixerit ,  tifu- 
fruendo  ,  &  potejìatt've  ordinando  (  ecco  i  Benefizj  )  qucedam 
vero  perpetualiter  pojjìdendo^  &  cui  voluerit  dtmittendo  .  Hanno 
cercato  il  Bouchet,  e  i  Sammartani  di  chi  foife  Figlia  la  (ad- 
detta Imperadrice  Angelberga,  e  ci  han  dato  de' fogni.  Il  Cara- 
pi  nella  Storia  Ecclefiaftica  di  Piacenza  la  fa  Figliuola  di  Lodo- 
vico I.  Re  di  Germania,  perchè  fi  truova  appellata  Sorella  da 
Carlomanno,  e  Carlo  il  Groflo  Figli  d'effo  Re  Lodovico,  come 
colia  da' Diplomi  da  me  rapportati.  Ma  da  che  ho  io  prodotto 
un  Privilegio  d'efìb  Lodovico  I.  dove  Angelberga  è  da  lui  ap- 
pellata DileBa  ac  Spiripalis  Fllia  nojìra  Engilpirga^  denotante, 
effer  ella  ftata  Figlioccia,  e  non  già  Figiia  di  quel  Re  ,  niuno  fi 
quetera  luU'opinione  del  Campi.  In  un  altro  Diploma  del  me- 
defimo  Carlo  ilGroffo,  già  divenuto  Imperadore,  e  fpedito  nelL' 
Anno  887.  quella  Principeffi  è  chiamata  dile6ìijjima ^  &  aman- 
fijjima  Soror  no/ira  Angilberga  Imperarrix  quondam  Augufta  .  Ivi 
di  nuovo  le  fon  confermaci  i  ilioi  Beni  :  eo  videlicet  ordine  ^  qude 
proprietario  Jur e  illi  corroborata  jìmt  ^  perpetualiter  poJ]tdeat  ^  fa- 
ciatque  ex  ipfis  libere  quidquid  elegerit  tam  in  Dlvinis  cuhibus  , 
quam  in  humanis  commoditatibus .  Et  qua;  ei  Jure  Beneficiario  col- 
lata funt^  fecundum  fuorum  feriem  Praceptorum  ^  absque  alicujus 
refragatione ^  vel  diminoratione  pojjideat .  Trovando  noi  fempre 
più,  che  gli  antichi  Benefizj  fi  concedevano  anche  alle  Donne, 
e  ne  durava  il  godimento  iolo  durante  la  vita  di  chi  gli  aveva 
ricevuti  :  iempre  pii^i  vegniamo  a  Icorgere  il  divario  che  palla  va 
fraeffi,  e  i Feudi  de' Secoli  fuffeguenti.  S'ha  dunque  da offervare, 
le  nelle  antiche  Donazioni  e  concefhoni  fi  concedeva:  Proprieta- 
rio Jure  ovvero  ad  proprium -^  perchè  allora  divenivano  Allodiali 
que'Beni.  Altre  Formole  denotavanlofteffo.  Ottone  HI.  A^uguito 

neir 


no  Dissertazione 

reir  Anno  ^p/.  conferma  con  fuo  Diploma  Rogerio  fideli  nojtro^ 
fuisque  fuccejfortbus ,  tutti  i  fuoi  Beni,  annoverati  un  per  uno, 
ut  factant  e:^ìnde  qmdqu'tà  eorum  animus  decrenjertt .  Ecco  Beni 
Allodiali  .  E  noti  fi  ,  che  ivi  fi  confermano  omnia  Freddi  a  five 
Caftclla  cum  Vìllh  ^  &  pertinenùh  fuìs  *  Imperciocché  antica- 
mente anche  le  Corti  ,  Terre  ,  e  Caftella  non  di  rado  erano 
Allodi,  e  non  Benefizj  ,  né  Feudi  .  Curtes  o  Cortes  ^  come  ho 
anche  provato  nelle  Antichità  Eftenfi ,  una  volta  fignificavano 
un  aggregato  di  poderi,  che  formava  un'intera  Villa  con  Ghie- 
fa,  dove  fi  amminiftravano  Sacramenti  al  Popolo.  Sovente  in 
cfle  Corti  fi  trovava  anche  il  Cartello.  Nel  Tomo  V.  dell'Ita- 
lia facra  Carlomanno  Re  dona  ai  iMoniftero  di  San  Zenone  di 
Verona  Curtem  nojìram  nomine  Defentianum  juxta  Ri  pam  La- 
cus  ,  cioè  di  Garda  .  Più  lotto  dice  di  concedere  Cajìrum  cum 
CtiTte^  &  Plebe  ^  Deferiti anum  nomine .  Cosi  predo  il  Fiorenti- 
ni nella  Vita  di  Matilda,  quella  Principeffa  conferma  allaChie- 
fa  Pi  Tana  Curtes  cum  Cajìromm  inibì  habentes.  Il  Sirmondo  per- 
fona  di  fingolar  giudizio  ed  erudizione,  ftimò  che  tutte  le  Corti 
foifcro  Allodi  .  Io  non  oferei  fortoicrivere  francamente  una  tal 
fentenza .  Certamente  per  l'ordinario  fu  così  .  In  un  Diploma 
di  Lodovico  II.  Augnilo  dell' Anno  8<5i.  vien  detto,  che  Rut- 
cherus  quondam  fidelis  Vaffus  &  Mini Jì eri alis  Jìojìer  avea  dona- 
to alla  Chiefa  di  Cremona  Curtem  fu<^  proprietatis^  nomine  Ru- 
berino  ,  acciocché  la  teneffe  jure  proprietario  prò  Anima  fu^  re- 
medio  .  Con  altro  Diploma  deli'  Anno  8^3.  efiflente  neh'  Ar- 
chivio de'  Canonici  di  Reggio  ,  lo  ftelTo  Augufto  dona  Supponi 
Strenuo  Vajfo  ,  dileHoque  Conjìliario  nojìro  ,  quasdam  Cortes  ju- 
ris  Regni  72oftri ,  fitas  in  Comitatu  Parmenfe ,  in  Gajlaldatu  Bis- 
mantino  ,  cioè  Felina  ,  e  Malliaco  ,  concedendole  ad  proprietà- 
tem  tanto  a  lui  ,  quanto  a'  ùioi  Eredi  ,  e  proeredi  ,  /;/  perpe- 
tuum  habendas^  &  pojpdendas .  Equi  fi  offe  r  vi  un'altra  diffe- 
renza, che  paffa  fra  1  noitri  ,  e  i  vecchi  tempi.  Oggidì  le  Ter- 
re ,  e  Cartella  poffedute  da  i  Nobili  perlopiù  fon  Feudali, 
laddove  anticamente  moltiffime  d'effe  erano  Allodiali.  E  per- 
ciocché fecondo  le  Le^gi  Longobardiche  tanto  i  Figli ,  che  le 
Figlie  legittime  fuccedevano  egualmente  al  Padre  ,  ne  avven- 
ne ,  che  i  Beni  individui  ,  come  le  Chiefe  ,  Cartella  ,  Corti  , 
Cafe ,  Selve  ec.  aveano  più  d'un  Padrone;  e  crefceva  la  Di- 
visone ne' Figli  de' Figli,  in  tal  maniera  che  fi  truovano  pode- 
ri ,  e  Cartella  si  divifi  ,  che  ne  toccava  ad  uno  la  ventefima  5 

-^  ad 


Undecima.  tu 

e  ad  un  altro  la  trentefìma  parte  .  In  uno  Strumento  del  Mo- 
nidero  della  Cava  nell'Anno  iop/\..  Gifolfo  figlio  del  fu  Gìo- 
'va'/ìtìt  Conte  offerì  a  quel  facro  Luogo  de  duodtxim  partibus  in- 
tcgras  duas  partes  de'iuoi  Beni.  Altri  elempli  di  Callella  e  Cor- 
ti Allodiali  ho  io  recato.  Furono  anche  loliti  gli  antichi  Re  ed 
Imperadori  di  concedere  in  Allodio  e  Proprietà  de' Beni  prima 
dati  in  Benefizio,  dichiarandoli  da  li  innanzi  liberi  da  ogni  le- 
oanie.   Berengario  I.  Augnilo  nell'  Anno  p20.   concede   Fiddl 
72oJìro  BcvBelo  Curteni  ,    quce  Breoni  dichur  ,    gi^   polTedura  da 
Teutelmo  fuo  Padre  con  dire  :  De  nojlro  jure  ,  &  Domìnio  in 
ejus  jus&Dominium   omnino  transjtmdimus^  & delegamus ,   For- 
fè quella  Corte  era  dianzi  Beneficiaria  o  piìi  todo  perchè  era 
ftata  donata  da  Lottarlo  AuguRo  a  fuo  Padre,  quello  fuo  Figlio 
per  maggior  ficurezza  ne  proccurò  la  conferma  da  Lodovico  IL 
èglio  di  elfo  Lottarlo  . 

Vegniamo  ora  a  i  Feudi  ,   de'  quali  han  trattato  i  Legidi 
con  più  ,  e  più  volumi  .  S'  è  dilputato  non  poco  intorno  all' 
origine  di  quella  voce  ,    tirandola  alcuni  da  Fcgdere  ,  altri  da 
Fide  o  Fidelit^te  ,  ed  altri  da  voci  Germaniche  ,  o  Danefì  , 
con  polcia  determinare  ,  che  il  Feudo  fia  un  Gius  di  ufufrutta- 
re  un  podere  ahrtii  conceduto  con  quejìa  Legge ,  che  chi  riceve  tal 
Benefi-zio ,  Jia  obbligato  alla  milizj^  pel  Signore  ,  o  a  prejìargll 
qualche  altro  fervigio  con  buona  fede .   V'ha  chi  ha  creduto,  che 
&à.\vQxho  hi f educi  are  ^  trovato  nelle  più  antiche  Carte,  fia  pro- 
venuto quello  d'  Infeudare  ,  e  cosi  il  nome  di  Feudo  .   Ho  io 
con  varie  pruove  dimofirato  ,  che  Infiduciare  prelTo  gli  antichi 
altro   non  fignificò   it  non  impegnare ^  o  fia   dare  in  pegno .   Tut- 
tocchè   poi  fi  fia  moilrato,  qual  differenza   pafiaife   fra  gli  anti- 
chi Benefizj  ,  e  i  chiamati  veri  Feudi,   pure  la  frafe  dare  in  Be- 
neficium  fi  adoperò  anche  dipoi   per  fignificar  f  hifeudare  .  Se 
prima  del  Mille   fi  truovi  la  voce  Feudo  ,  noi  so  io  dire  .  Cer- 
to è  ,  che  r  abbiamo  nel  Secolo  XI.  Landolfo  Seniore  Storico 
d'  allora  ,    parlando    di  Landolfo  Arcivelcovo  di  Milano  circa 
l'Anno   1085.   Ieri  ve  :   Propinquis  ,   quos  in  Carcanenfl  Oppido 
habebat  ,    de  Beati  Ambrojti  Archiepifcopatus  bonis  quadraginta 
millia  modios  terree  fruHuum  ^  ut  illos  omnes  dttaret  vicinos  ,  per 
Feudum  dedit.  Cosi  in  unoStrumento,  flipulato  nell'Anno  lopi. 
in  San  Celarlo  territorio  di  Modena,  Landolfo  Velcovo  di  Fer- 
rara conferma  nomine  Feodi  a  Nordilo  da  Caftello  vetere  (  og- 
gidì Caftelvetro  )  i  Beni ,  eh'  egli  riconofceva  dalla  Chiefa  di 

Ferra- 


112  Dissertazione 

Ferrara  :  ita  taynen  ut  few'iat  Domne  Matilde  dlebtds  'vite  frs  , 
&  pojl  ejus  deceffum  Ep'tjcopo  ,  &  fui  Succejfores  .   Chi  fi  figura 
di  trovare   prima  del  Mille  la  parola  Feudo ^  vegga  di  non  va- 
lerfi  di  Documenti  apocrifi  .  Il  Goldailo  rapporta  una  Coiiitu- 
zione  di  Carlo  il  Groflo  deli'  Anno   882.    dove  comparifce  il 
Feudo.  Altrove  ho  avvertito,  quello  effere  un  Diploma  fallo. 
Nel  Bollarlo  Cafinenfe,  e  nei  Tomo  IV.  dell'Italia  facra  fi  veg- 
gono Diplomi  di  Lottarlo  I.  e  del  fijddetto  Carlo  il  Groflo  Au- 
gnilo ,    dove  l'A^bbate  di  Bobbio  è  invefrito    del  Comitato  di 
quella  Terra  ,  oggidì  Citta,  /W^  boìiorabilis  Feudi ^  e  dichiara- 
to Conftìiarius  jioflrcs  Sig72atura  ;    ma  corali  forinole  non   fon 
conformi  a  que' Secoli.   Ne  folamente  fi  diedero  poderi  in  Feu- 
do; s'introdufìTe  ancora  il  concedere  con  quello  titolo  le  Caftel- 
la  ,  le  Marche  ,  e  i  Ducati  .    Cosi  ali'  eiempio  de  i  Re  anche 
i  Duchi,  Marchcfi,  Conti,  Vefcovi  ,  ed  Abbati  fi  procaccia- 
vano de'  V'affilili  col  dare  ad  elfi  in  Feudo  Terre  o  Cartella  . 
Fiomo  e  Miles  alicujus  fignificava  lo  fi:efìb  che  Vajfallus^  e  co- 
me taìun  dice  Feudetario  .  Corrado  I.  Imperadore  in  un  fuo 
Diploma  dell' Anno  1033.   conferma  al  Monifi:ero  di  S.  Pietro 
in  Calo  Aureo  di  Pavia   omnes  illas  Cortes^  quas  quisque   ufque 
modo  Beneficiali   ordiìie  deti?ìuit  ^  Ù'  qua  Vajfallorum  dicebantur. 
Erano  poi  tenuti  i  Vafialli  non  folamente  a  militare  in  favor 
del  loro  Signore  ,    ma  anche  ad  affiftere  ad  elfi  per  onore  in 
certi  tempi  ,  o  come  fogham  dire  ,  far  loro  la  Corte  .  Ne  gli 
antichi  Statuti  MSti  di  Ferrara   dell'Anno  1288.  fi  legge:  VaJ- 
falli  non  teneantur  facere  Curiam  Dominis  fuis  in  Pafchate ,   & 
Nativitate,  In  molti  Documenti  della  Contelfa  Matilda  noi  tro- 
viamo lotrofcritti  i  fuoi  Nobili  Vaffaiìi,  come  Corrado  da  Gon- 
zaga ,  quei  da  Bibianello  ,  da  Bailo  ,  e  da  Palù  Reggiani  ;  da 
Nonantola  ,  da  Vignola  ,  da  Calìel  Vetere  ,  da  Gombola  ,  da 
Savignano  occ.  Modeneft.  Ed  allorché  Arrigo  fra  gl'Imperado- 
ri  Quarto  nel  i nò",  calò  in  Italia  per  impofTeffarfi  deU'Eredi- 
t^a  della  celebre  Contelfa  Matilda,  tutti  i  VafiaUi  della  medefi- 
ma  corfero  a  fargli  Corte  ,  e  quelli  fi  truovano  da  fi  innanzi 
appellati  Vajfalli  de  Domo  Corniti jj^cs  Mathildis  ,  come  appari- 
fce  da  un  Diploma  di  Federigo  I.  Augnilo  del  1178. 

Gran  copia  di  Vafialli  ebbero  gli  antichi  Marchefi  d'Elle; 
perciocché,  come  s'ha  dalla  vecchia  Cronica  picciola  di  Fer- 
rara plurimam  partem  pojfejjionutn  ,  quce  fuerat  de  patrimonio 
Marchefellce  ^  cui  (  nel  Secolo  XII.)  fucceffìrant  ^  jure  Feudi  in 

clìeìì- 


Undecima.  iij 

diemes  Juos  dìjlraxerunt .  Però  in  certi  tempi  folevano  elTi  te- 
nere Cur'i^m  Vajj nlloYum  ,  cioè  la  Corte  ,  dove  compariva  la 
oran  folla  de'  loro  Vaflalli  per  riconofcere  da  efìTi  i  Feudi  ,  e 
preliare  occorrendo  il  giuramento  di  Fedeltà.  Reflano  tuttavia 
gli  antichi  Regiilri  d'efiì  Feudi,  e  i  giuramenti  da  loro  prefta- 
ti  tn  ple?ìa  Curia  VaJJ^allorum  Manh'tormm  EJìe?7jtum ,  Chi  prin- 
cipalmente cominciafTe  a  dar  regola  a  i  Feudi  de  gli  ultimi  Se- 
coli, fu  Corrado  I.  Iraperadore,  il  quale  venuto  in  Italia  a  ca- 
2Ìon  della  fiera  diflenfione  ,  che  bolliva  fra  i  Nobili,  e  il  Po- 
polo  di  Milano,  pubblicò  nell'Anno  1037.  una  Legge,  da  me 
data  alla  luce  ,  mentre  egli  aflediava  la  ftefla  Citta  di  Milano . 
Anche  nel  ii^ó.  fi  legge  un  Placito  tenuto  in  Reggio  da  Re- 
genza,  o  fia  Richcnza  Imperadrice  ,  dove  è  decila  una  lite  di 
Feudo  fra  Ildebrando  Abbate  di  Nonantola  ,  ed  alcuni  pretefi 
Vaflalh  .  Davafi  poi  l'Inveftitura  de' Feudi  con  varj  Simboli, 
cioè  colla  tradizione  ^ì  un  Baftone  ,  di  una  Coppa  d'  oro  ,  di 
un  ramo  di  albero  ,  o  altra  fimil  cofa  ,  che  fi  metteva  nelle 
mani  del  nuovo  V^aflallo  .  Il  Du  Cange  nel  Gloflario  alla  voce 
Invejìitura  ne  rapporta  varj  elempli.  Altri  ne  ho  anch'io  rap- 
portato. Ma  allorché  ritrattava  de' maggiori  Feudi,  fi  dava 
PInveftitura  per  Lanceam  ,  &  Confnnoìium  ^  come  apparifce  da 
quella  ,  che  Arrigo  fra  gì'  Imperadori  Quinto  diede  al  Popolo 
di  Cremona  per  la  loro  Citta  nell'Anno  1 1^5.  nella  qual  con- 
giuntura il  VafTallo  preftava  il  giuramento,  che  tuttavia  fi  pra- 
tica di  Fedeltà.  Fu  ancora  in  ufo,  che  i  Vaffalli  dei  Re,  Du- 
chi, Marchefi,  Vefcovi ,  Conti  &c.  avelfero  de' Vaifalli  mino- 
ri, che  perciò  erano  appellati  Val'vaJJores  .  I  ValTi  poi  de  i  Re 
ed  Imperadori,  e  i  loro  Feudi  erano  fottopolH  folamente  alla 
Regia,  e  Cefarea  Maefta  ,  né  dipendevano  dalla  Citta  ,  o  dal 
fuo  Governatore.  Quand' elfi  non  godevano  il  titolo  di  Duchi, 
Marchefi,  o  Conti,  per  Io  più  erano  ìmìtoìa.n  Capitanei^  del- 
la qual  voce  mutata  in  Captaneo^  fi  formò  Cattaneo  .  Furono 
anche  chiamati  Caftellanì  ,  perchè  fignoreggiavano  qualche 
Cartello  .  Nel  Vocabolario  della  Crufca  Caflellano  è  detto  un 
Abitante  diCaftello.  Ma  le  parole  ivi  addotte  dal  Boccaccio 
nella  Novella  VII.  della  2,  Giorn.  non  fignifica  quefto,  ma  ben- 
s'i  il  Signore  di  un  Cartello  ,  Sembra  nondimeno  ,  che  ne  gli 
Atti  antichi  del  Comune  di  Modena  fi  deffe  tal  nome  agli  abi- 
tanti nelle  Cartella'.  Dall' Inveftitura  data  da  Federigo  II.  Au- 
Tomo  1,  P  gufto 


iiif  Dissertazione 

gufto  a  i  Nobili  della  Garfagnana  nell'  Anno  1242.  fi  vede, 
ch'eglino  erano  ch.id.mz.nVal'vaJfores  de  Garfagnana.  Ma  quel- 
lo che  fpecialniente  merita  olTervazione ,  fi  è,  che  anticamen- 
te i  gran  Signori  tanto  Ecclefiaftici  ,  che  Secolari  aveano  fot- 
to  di  sé  Vaffalli  Nobili  ,  che  pel  fervigio  militare  godevano 
qualche  Caftello,  Corte,  o  Villa  ;  ma,  ficcome  già  oflervam- 
mo  ,  tutti  gh  Unzj  della  lor  Corte  folevano  godere  con  tito- 
lo di  Feudo  qualche  podere  ,  o  qualche  determinata  rendita 
afìfegnata  a  quell'  Ufizio  ,  Perciò  i  Fornai  ,  i  Fabri ,  i  Porti- 
nari  5  i  Marelcalchi  ,  i  Cuochi ,  i  Cantinieri  ,  i  Sartori ,  e  gli 
altri  della  Famiglia  de  gli  Arctvefcovi  di  Milano  (  Principi  una 
volta  ricchiflimi  )  tutti  a  proporzione  del  grado  loro  ufufrut- 
tuavano  qualche  Feudo  ,  come  cofta  da  una  memoria  da  me 
data  alla  luce  .  Che  un  egual  coftume  fi  oflervafTe  nella  Cor- 
te della  rinomata  Contejfa  Matilda ,  fi  può  intendere  dal  fuo 
Teftamento  riferito  dal  Padre  Bacchini  nella  Storia  del  Mo- 
niftero  di  Politone .  Ma  fopra  gli  altri  in  quella  magnificen- 
za fi  diftinfero  una  volta  i  Patriarchi  di  Aquileia  ,  ficcome 
Prelati  ,  e  Principi ,  che  ,  dopo  il  Romano  Pontefice  ,  ebbe- 
ro maggior  potenza  in  Italia  .  Bell'  Opufcolo  ho  io  pubblica- 
to ,  dove  comparifcono  tre  forte  di  Feudi  da  loro  conferiti  , 
cioè  K.etti  o  Legali ,  di  Abitanx^  ,  e  Minijìeriali  .  Fra  gli  ul- 
timi 5  tutti  fpettanti  alla  Famiglia  di  elfo  Patriarca  ,  fi  con- 
tano i  Fornai ,  gli  Scudellari  ,  i  Facchini ,  i  Corrieri  ,  i  Sar- 
tori ,  i  Muratori ,  i  Lettighieri ,  i  Conduttori  de'  Bagagli  ,  i 
Falegnami ,  i  Manganatori  &c.  Eranvi  ancora  i  Minifleriali 
Nobih  ,  come  Confalonieri ,  Camerieri,  Coppieri,  Scalchi &c. 
Tali  erano  i  coftumi  de' vecchi  tempi. 


De 


Duodecima.  115 

De  t  Notai  ,  0  Notavi . 
DISSERTAZIONE    DUODECIMA. 

CH1UNQ.UE  è  alquanto  infarinato  dell'  Erudizione  antica  , 
sa  onde  fia  nato  il  nome  di  Notaio  ,  o  Notarius  .  Cioè 
da  alcune  Note  ,  o  Cifre,  delle  quali  i  Romani  fi  fervivano  per 
ifcrivere  in  poco  i  ragionamenti  altrui  .  Una  Cifra  fignificava 
una  parola  ,  come  anche  oggidì  fi  ula  da  i  Letterati  Cinefi . 
Autore  di  molte  d'effe  anticamente  fu  creduto  Tirone  Liberto 
di  Cicerone  .  Altri  pofcia  ,  e  fpezialmente  Seneca  (  non  fi  sa  , 
fé  il  Vecchio,  o  ilFilofofo)  ne  accrebbero  il  numero  fino  a  cin- 
que mila  .  Chi  teneva  ben  fitte  in  mente  cotali  Cifre  ,  e  ne 
facea  profeffione ,  capace  era  di  copiar  velocemente ,  e  ridurre 
in  ifcrittura  un  Orazione  ,  allorché  fi  recitava ,  e  cosi  gli  At- 
ti del  Senato ,  e  de'  Concilj ,  le  Difpute  ,  ed  altri  fimili  ragio- 
namenti .  Truovanfi  ftampate  quefte  Note  da  Giano  Grutero 
nei  Teforo  delle  lue  Ifcrizioni  .  Più  di  un  Codice  ho  io  vedu- 
to nella  celebre  Biblioteca  Ambrofiana  icritto  con  tali  Cifre  ^ 
e  le  ho  trovate  corrifpondenti  alle  Gruteriane  .  Notarti  perciò 
furono  appellati  cofloro  ,  e  tanta  era  la  loro  prefl:ezza  ,  per 
atteftato  di  Seneca  nell'Epift.  pò.  ut  quarnvis  citata  excipiatur 
Oratio  ,  &  celeritatem  lingua  ma}jus  fequatur  .  Coloro  ,  che 
mettevano  anticamente  in  iicritto  i  Teltamenti,  i  Contratti, 
ed  altri  pubblici  Atti,  fi  chiamavano  T/7i^é'//io»^j- ,  Tabularii  ^ 
Scribce  ,  AHuarii  ,  Longographi  ,  Cancellarli  ,  Chartularii  &c. 
Ma  perciocché  i  fuddetti  Notai  raccoglievano,  e  regifhravano 
colle  Note  ciò,  che  in  voce  era  profferito  nel  Senato,  e  in  al- 
tre pubbliche  Congregazioni  facre  ,  e  profane ,  e  talvolta  an- 
cora le  ultime  volontà  :  perciò  pafsò  anche  il  titolo  di  Nota- 
rius in  chiunque  elercita  V  ufizio  di  mettere  in  ifcritto  ogni 
determinazione  fpettante  alla  fede  pubblica  ;  e  quefto  divenne 
poi  familiare  fra  noi  coli' andare  de' tempi.  Peraltro  il  nome 
di  Scriba  fotto  i  Re  Longobardi  fignificava  quefto  pubblico 
Ufizio;  e  fotto  gli  Imperadori  Franchi  fi  truova  quello  àiCan- 
cellariusy  e  infieme  quello  di  Notarius.  Nel  Lib.IV.  Legge  4, 
del  Re  Liutprando  viene  ordinato  ,  che  volendo  una  Donna 
vendere  qualche  fuo  Stabile  y  non  poffa  farlo  fé  non  coli'  in- 

P     z  ter- 


ii6  Dissertazione 

tervenro  di  due,  o  tre  Parenti  fuoi  ,  e  alla  prefenza  del  Giu- 
dice ,  cioè  del  Governatore  della  Citta  ,  o  del  Prefidente  di 
quel  Luogo  .  Scriba  nutem  ,  qui  Chartam  ipj'am  fcripferir  non 
iiliter  praefumat  facere  ,  nifi  cum  notitia  Fareìitum  ,  njel  Judi- 
cis  ^  &  Jì  al  iter  fecerit  ,  Jìt  ipja  'uenditio  vacua  ,  &  prcefafus 
Scriba  culpabilis  ,  ftcut  qui  Chartam  faljam  fcripferit .  Qj-ieilo 
bel  regolamento  Longobardico  tuttavia  fi  ofìerva  in  Lombar- 
dia, ed  altrove. 

In  que' tempi  ancora,  e  molto  più  che  a  i  noftri ,  faltava- 
no  talvolta  fuori  Strumenti    battuti  alla  macchia  ;    il  perchè 
fu  dal  Re  Rotari  nella  Legge  247.    contra  quello  delitto  fta- 
tuita  la  pena  del  taglio  della  mano  .    Si  quis  Chartam  falfam 
fcripferit^   aut  quoàlibet  membranum  ^  manus  ejus  incidatur.   In 
oltre  per  maggior  ficurezza  della  pubblica  fede  Lottano  I.  Au- 
guro nella  Legge  12.  determinò,  che  gli  Strumenti  s'aveffero 
a  Icrivere  davanti  al  Conte  ,  cioè  al  Governatore  ,  o  pure  alla 
prelenza  de' luci  Vicarj,  o  degli  Scabini.  Ut  Cancellarii^  (cioè 
i  Notai  )   eleóìi  boni  ,  &  veraces  ,   Cbartas  publicas  co-nfcribant 
ante  Comitem  ^  &  Scabinos^   &  Vicarios  ejus  .   Né  potendofi  que- 
llo facilmente  praticare  ne'Teftamenti  ,  efib  Imperadore  nella 
Legge  13.  fuffeguente  ,  comandò,    che  dopo  avere  il  Notaio 
fcritta  l'ultima  volontà  de  i  malati  ,  fìatim  Charta  oftendatur 
*vel  ante  Comitem  ,  Judices  ,  'vel  Vicarios  ,   aut  in  Plebe  ,  ut  've- 
ra^ agnofcatur  effe .  Ecco  i  lodevoli  ripieghi  di  allora  per  pre- 
venire   nel  miglior  modo  polTibiìe    i  tentativi    de'  Falfarj  .    Il 
creare  i  Notai,  come  oggidì,  anche  ne' vecchi  Secoli  apparte- 
neva a  i  Re,  ed  Imperadori,  o  a  chi  era  fatto  partecipe  de  i 
diritti  Regj.  Fin  fotto  i  primi  Imperadori  Criftiani ,  e  ne' tempi 
fuffeguenti  fu  conceduto  aiVeicovi  di  avere  il  proprio  Notaio, 
ed  anche  due,  o  tre  :  la  qual  prerogativa  appreffo  fi  fteie  an- 
che a  gli  Abbati  de'Monifterj.  Carlo  M.  in  uno  de'luoi  Capi- 
tolari prefTo  il  Baluzio ,  cosi  parla  :  Ut  unusquisque  Epijcopus  ^ 
ér  Abba^  &  fmguli  Comites  fuum  Notarium  habeant  .  Lo  lleifo 
rito  fi  olfervò  in  Italia  ,  E  di  qui  intendiamo  ,  che  anche  i 
Conti  aveano  facoltà  di  eleggerfi  il  proprio  Notaio.  Non  do- 
vettero al  certo  effere  da  meno  i  Duchi.  Nella  Par. I.  delle  An- 
tich.  Eftenf.  io  produfTì  Strumenti  Icritti  da  Draffolfo,  Ubaldo, 
ed  altri  Notariis  \^elphonis  Ducis  ,    o  pure  Marchionis  Tujcids  . 
Nell'Archivio  di  San  Zenone  di  Verona  v'ha  uno  Strumento 
del  II 78.   fcritto,  mentre  Gri??ìerio  Vifconte  Piacentino  era  Po- 

defta 


Duodecima.  117 

defla  di  quella  Città.  Ivi  fi  leggono  quefle  parole  :  Ante  ipfum 
(  Grimerium  )  Domnus  Gerardus  Abbas  SanBì  Zenonh  oftendh 
Chartam  qunnàam  ,  tn  qua  contìnehatur  ,  Dom?ìum  R.atoldum 
quondam  Venerab'tlem  Epifcopum  Veronenfem ,  coynmutat'tonts  no- 
mine acceptffe  ab  ExcellenriJJtmo  Pipino  Lombardorum  Kege  , 
ex  jure  Regio  ,  Curtem  imam  in  finibus  Verone?iJìs  ^  que  appel- 
latur  Manti  e  US  &c.  Ego  Fantolinus  Notar  ius  Domini  W  e! finis 
Ducis  ,  &  ab  Imperatore  Frederico  confirmatus  pojìea  Ò'c.  Stru- 
menti parimente  ho  veduto  de  gli  Anni  116'^.  iióp.  q  iiop. 
fcritti  da  Notai  Palatini  Comitis  :  col  qual  nome  credo  io 
difegnato  il  Conte  di  Lomello  ,  che  già  vedemmo  efiere  fia- 
to Conte  del  PalaT^  .  Un  Documento  Reggiano  del  i2'^6, 
è  fc  ritto  a  Johann  e  Notar  io  Domini  Marchi  Comitis  de  Lomel- 
lo .  Solevano  nondimeno  anche  i  Vefcovi  chiedere,  ed  ottene- 
re da  i  Re  ,  ed  Imperadori  quefto  Privilegio.  Ugo  ,  e  Lotta- 
rio  Regi  d'Italia  nell'Anno  ^42.  in  un  loro  Diploma  concede- 
rono tale  facoltà  ad  Aribaldo  Vefcovo  di  Reggio  ,  con  dire  : 
Concedimus  denique  eidem  Adnjocatos  finje  Notarios ,  quantos  aiit 
quales  Pontifices  vel  Minijìri  Eccleftce  elegerint  tam  de  fuis  ^ 
quamque  de  alìenis  liberis  Hominibus ,  qui  ejusdem  Epifcopii  njel 
Canonica ,  feu  omnium  Clericorum  fuorum  rerum  utìlitates  exer- 
cere  nofcuntur  .  Di  qu\  abbiamo  ,  che  alle  fole  perfone  Libe- 
re, e  non  già  ai  Servi  ,  fi  conferiva  quello  Ufizio  ;  anzi  in 
tanto  onore  fu  effo  ne' tempi  lufleguenti  tenuto,  che  in  alcu- 
ne Contrade  fi  efercitava  lolamente  da  perionc  Nobili  .  Nelle 
Antich.  Eftenfi  fi  pofibno  vedere  Judices  Sacri  Palatii^  i  quali 
s'intitolano  ancora  Notarii  .  E  in  uno  Strumento  Lucchefe  dell* 
Anno  71^.  mi  comparve  davanti  Ultianus  Notarius^  & Mijfus 
Domni  Regisy  (  cioè  Liutprando  )  eletto  per  conofcere  e  rilol- 
vere  una  controverfia. 

A  TALE  Ufìzio  erano  anche  ammefli  i  Cherici,  Suddiaconi, 
Diaconi,  e  Preti  .  Ad  uno  Strumento  Lucchefe  dell'Anno  740. 
è  fottofcritto  :  Gaudentius  quamvis  indignus  Presbyter  fcri'vere 
rogavi.  In  un  altro  del  783.  Giovanni  Vefcovo  di  Lucca  i^/7- 
ehiprandum  Presbiterum  7ioJìrum  fcribere  commonui .  Et  in  uno 
dell'Anno  893.  fi  legge  :  Ego  Gumbertus  Presbiter  pofì  traditam 
compievi^  &  dedi  ,  Per  la  (teffa  ragione  fi  truovano  molti  Dia- 
coni, Suddiaconi,  e  Cherici  efercitare  il  Notariato.  Carlo  M. 
nondimeno  nella  Le2;ge  Longobardica  ^6.  decretò  ,  Ut  nullus 
Presbj/ter  Chartam  Jcribat ,,  ncque  conduHor  exiftat  fuis  Seniori  bus . 

Le 


ii8  Dissertazione 

Le  antiche  memorie  ci  fan  vedere  poco  ofTervata  quefta  Leg- 
ge, perchè  s'incontrano  dipoi  molti  Preti  Notai,  forfè  a  tale 
Ufizio  eletti  da  i  Vefcovi  per  gli  affari  delle  Chiefe  .  Forfè 
Csirìo  }d.  stkro^ìonvoWe  ^  fé  non  vietare  a  i  Preti  il  rogarfi  de' 
Contratti  de'  Secolari .  Offervifi  nondimeno  ,  che  i  più  de'  Di- 
plomi di  Lodovico  Pio  IL  Imperadore  furono  fcritti  da  Gìfel- 
berto  Prete  ^  e  Notato  .  In  una  Donazione  fatta  i'  Anno  ^74.  da 
Pietro  Vefcovo  di  Volterra  a  i  Canonici  della  fua  Chiefa  ,  fi. 
legge  infine:  Ego  que  fuper  Johannes  Presbitero  ^  &  Kanonicus 
fcrìpji  ,  &  compievi  feliciter  .  Ma  Innocenzo  HI.  Papa  ,  come 
corta  dall' Epiitola  iip.  lib.  14.  proibì  Preslyteris  ^  Diaconis  ^ 
&  Subdiaconis  il  Notariato ,  perchè  proflituivano  1'  onore  dell' 
Ordine  Ecclefiaftico  ,  fervendo  alla  Curia  Secolare  ,  e  troppo 
mifchiandofi  ne  gli  affari  profani .  Per  altro  il  P.  Tomma^mi 
Part.  L  Lib.  2.  Cap.  io5.  de  Ecclef.  Difcipl.  foftiene  non  vieta- 
to a  i  femplici  Chetici  il  Notariato  :  che  che  ne  dicano  i. Ca- 
nonici .  Anzi  né  pure  a  i  Preti,  qualora  fi  tratti  di  cofe  fpet- 
tanti  al  Foro  Epifcopale,  e  di  ciò  fi  truovano  efempli  recenti, 
e  vivi  in  Italia  .  Chi  poi  confiderà  i  Rogiti  de*  Notai  de'  Se- 
coli prima  del  Mille,  non  può  non  eiclamare  al  vedere,  come 
foffe  da'  medefimi  maltrattata  la  Lingua  Latina  :  tanti  fono  i 
lor  Solecismi ,  e  Barbarismi  .  Tal  confufione  talvolta  compa- 
rifce  nel  Linguaggio  d'effi,  che  non  fi  può  capire  qual  fia  il 
fentimento  delle  parole  ,  e  l' intenzione  de'  Contraenti  .  Con- 
tuttociò  ficcome  noi  ora  abbiamo  non  pochi  Libri ,  che  trat- 
tano dell'  Arte  del  Notariato  ,  e  ci  danno  li  efempli  di  qual- 
fivogha  contratto,  cos\  non  mancarono  Formolarj  a  gli  antichi 
Notai  per  facilitar  loro  quell'Arte.  Il  più  antico  fra  gli  altri 
ce  r  ha  confervato  la  Francia  ne'  Libri  di  Marcolfo  illuftrati 
dal  Bignon  ,  e  accrefciuti  con  altre  Formole  dal  Sirmondo  , 
Lindenbrogio,  e  Baluzio  .  Alcuno  fimile,  e  forte  più  d'uno  ne 
dovette  avere  anche  l'Italia;  ma  quefti  cederono  la  mano,  e 
fparirono  ,  da  che  nel  Secolo XI IL  comparve  alle  Luce  vS'z/w??^ 
Art  is  Notarla  ^  compofta  Òì2ì  Kol  andino  nell'Anno  1255.  Il  Du- 
Cange  e  l'Oudin  confufero  quefto  Autore  con  Rolandino  Pa- 
dovano ^  fcrittore  della  Storia,  che  fi  legge  anche  nel  Tomo  VIII. 
della  mia  Raccolta  Rer.  Ital.  Certo  è  ,  che  Rolandino  Autore 
d'effa  Somma  fu  di  Patria  Bolognele  .  Loda  egli  a  conofcere 
in  varie  Formole  di  Strumenti  .  E  nell'Edizion  d'efla  fatta  in 
Torino  nell'Anno  1523.   fi  legge  Sununa  Domini  Rolaudini  Paf- 

fagcril , 


Duodecima,  i  p 

Cnf^evìi  per  Dotvìnum  Petvum  de  Bonteria  ipfiv.s  Kolandìni  Con- 
civem  Bo?ionienfem  facili  brevtque  Commento  declarata  .  Con- 
fcfìaeoli,  che  non  mancarono  ne*  precedenti  Secoli  Formolarj 
dell'Ade  del  Notariato,  madie  a' Tuoi  tempi  non  erano  adat- 
tabili al  Foro,  perchè  effendofi  rinovata  l'antica  Giurilpruden- 
za,  avrebbero  introdotto  in  eflb  troppe  cautele  e  fottigliezze. 
Anttquh  temporibus  ,  (  cos\  egli  fcrifle  nel  Proemio  )  fuper  Con- 
traBuum  ,  &  Inftrumentorum  formas  ,  &  Ordines  fuerunt  per 
quQsdam  prudentes  viros^  igìiaros  fortajfts^  ex  corìjciemics  punta- 
fe  ^  fagacitatum  fuhtilium  modernorum ,  quidam  Compii ationes , 
&  Summce  juxta  tunc  viventium  mores  &  confuetudines  adin- 
'ventce  &c.  In  quegli  fteffi  antichi  Formolarj  il  povero  Prifciano 
fi  dovea  trovar  bene  fpeflb  ftaffilato  :  il  che  apparifce  da  i  Ro- 
giti di  allora  ,  ne'  quali  fpezialmente  inciampavano  i  Notai  , 
iubito  che  la  narrativa  del  Negozio  li  faceva  dipartire  dalFor- 
molario  fteflo  .  Però  tale  era  alle  volte  l' ignoranza  d' elfi ,  che 
i  Giudici  ,  tuttoché  né  pur  eglino  gran  Dottori  di  Gramatica, 
erano  corretti  a  dettar  loro  lo  Strumento  .  In  un  Diploma  di 
Grimaldo  Duca  di  Benevento  ,  confervato  a  noi  dalla  Croni- 
ca del  Volturno,  fi  legge  in  fine  :  ^am  vero  membr/tnnm  con- 
ce JJlonis  diólavi  Ego  Wifo  Subdiaconus  ex  jujjione  fupradiHa 
Potejìatis  tibi  Pergoaldo  Notario  fcrìbendum  .  Che  fé  il  Notaio 
dettava  egli  lo  Strumento  ad  altra  perfona  ,  f  autenticava  poi 
colla  fua  fottofcrizione  ,  come  oggidì  fi  pratica  .  Ne  abbiamo 
refempio  in  uno  Strumento  Brefciano  delf  Anno  7^0. 

Truovansi  poi  tre  forte  di  Strumenti  de'  vecchi  Secoli  . 
Sono  i  primi  gli  Autografi  ,  o  fia  gli  Originali  ,  o  Protocoli  , 
che  il  Notaio  Icriveva ,  e  poi  confignava  a  i  Contraenti  .  Né 
è  ben  chiaro  ,  fé  altra  fimile  pergamena  reftalfe  in  mano  di  lui, 
per  ricavarne,  occorrendo,  altre  Copie  autentiche.  Si  ricono- 
fcono  quefti  dalla  varietà  della  mano  de'Teftimonj,  che  fi  fot- 
tofcrivevano  .  Certo  è  bens'i  ,  che  due  Copie  fé  ne  davano  , 
cioè  tanto  all'uno  che  all'altro  Contraente,  quando  ad  amen- 
due  importava  d'averle  .  Secondariamente  abbiamo  altre  per- 
gamene, dove  comparifcono  i  Teftimonj  fjttolcritti  ,  ma  len- 
za diverfita  di  caratteri .  Se  il  Notajo  ,  che  fece  la  prima  Co- 
pia, fi  fottofcrive  :  fegno  è,  aver  egli  fomminidrato  a  chi  oc- 
correva quelle  Copie  autentiche  ricavate  dall'  Origmale  .  A 
riconofcere  poi,  le  copie  tali  vengano  da  quel  medefimo  No- 
taio, conferitce  non  poco  la  conofcenza  de' caratteri  di  ciaicun 

Se- 


120  Dissertazione 

Secolo.  La  terza  fpecie  di  Strumenti  confide  in  Copie  fatte  da 
fuiTeguenti  Notai ,  e  ricavate  dal  precedente  Originale:  nel  che 
fi  dee  ftar  bene  attento  per  non  elfere  ingannato  .  Solevano  si 
fatti  Notai  proteftare  d'avere  ricavata  quella  Copia  dall'  Ori- 
ginale: del  che  abbiamo  molti  efempli  ,  ch'io  tralafcio  .  Ma 
non  vo'  tacere  ,  che  in  una  di  tali  Copie  pofleriori  ricavate 
dall' autentico  Lucchefe  s'incontra  Vsfkht^ramus  Comes  nell'An- 
no 8 IO.  Quefti  ha  il  titolo  di  Duca  in  un  altro  Documento 
dell'  Anno  800.  accennato  dal  giudiciofo  Fiorentini  nelle  me- 
morie della  ContefìTa  Matilda  .  Amendue  quefti  Scrittori  porta- 
rono opinione,  che  Wicheramo  foffe  Duca  di  tutta  la  Tofca- 
na  .  Ma  a  me  fa  difficult^  il  trovarfi  in  que'medefimi  tempi 
anche  il  Governator  di  Firenze  con  titolo  di  Duca  .  Per  altro 
ne'  barbarici  Secoli  non  mancavano  fabbricatori  di  Strumenti 
falfi  .  E  cafo  che  fofl'e  meffo  in  dubbio,  che  un  d' effi  tale  fof- 
fe, d'uopo  era,  che  il  Notaio  produceffe  non  folamente  colo- 
ro, che  furono  Teftimonj,  ma  ancora  dodici  perfone  onorate, 
che  attedaifero  con  giuramento  la  fedeltà  del  Notaio  ,  e  la  ve- 
rità della  Scrittura.  Se  non  potea  farlo,  remiflione  non  v'era: 
fé  gli  tagliava  la  mano  ;  e  chi  avea  prodotta  quella  Carta ,  era 
condennato  alla  perdita  della  lite  ,  e  ad  una  pena  pecuniaria  . 
L'abbiamo  da  una  Legge  di  Guido  Imperadore.  Polcia  da  Ot- 
tone II.  Auguflo  con  altra  Legge ,  veramente  affatto  barbari- 
ca ,  che  a  colui  il  quale  pretendefìfe  falfo  qualche  Strumento 
foffe  permeffo  di  provarlo  per pugnam^  cioè  col  Duello.  Vedi, 
che  ftrana  immaginazione  s'era  allora  intraverfata  ne' cervel- 
li Settentrionali  .  Talvolta  poi  venivano  prodotti  Diplomi  ,  o 
Strumenti  abfque  die  ,  &  die  Me?ifts  .  Lodovico  Pio  Augufto 
nella  Legge 75?.  dichiarò,  che  niun  vigore  aveffero,  come  ezian- 
dio era  fiatuito  nelle  Leggi  Romane.  Provvidero  ancora  gli  an- 
tichi Imperadori  alla  foverchia  ingordigia  de' Notai  con  iftabi- 
lire  una  taffa  delle  mercedi  loro  dovute  per  gli  Strumenti.  Ec- 
co ciò  ,  che  fu  prefcritto  da  Lottario  I.  Augurio  nella  Legge  69. 
cioè  ,  che  prò  uno  Judicato  aut  Scripto  foffe  loro  pagata  dimi- 
dia  libra  argenti  de  majoribus  Scriptis  ;  de  mtnoribus  infra  di- 
mi  diam  libram ,  quantum  res  ajjimilari  pojjìt  ,  &  Judicibus  re- 
Bum  'videatur  .  Confiderando  egli  in  oltre  il  bifogno  de'  Pove- 
relli, aggiunfe  :  De  Orphanis  autem^  'vel  ceteris  Pauperibus^  qui 
ex/olvere  hoc  7ionpojfunt^  in  pro'videntia  Comitis  ftt  ^  ut  nequa- 
■  quam  inde  aliquid  accipiant  .    Ne  gli  Statuti  fatti  dal  Popolo 


Duodecima.  121 

Modenefe  nel  1327.  fi  vede  ordinato,  che  ogni  Anno  s'  ab- 
biano da  eleggere  alcuni  Notai,  obbligo  de' quali  fofìfe  il  fare 
gratis  gli  Strumenti  della  povera  gente  ;  e  che  fimilmente  fi 
Icelgano  due  Giudici,  che  decidano  le  Caufe  de' Poveri  lenza 
emolumento  veruno. 

Quei,  che  ora  noi  appelliamo  Notai  ^  ne'  vecchi  Atti  pub- 
blici di  Roma  fi  truovano  lovente  chiamati  Scriniarìi^  come 
apparifce  dal  Codice  MSto.  di  Cencio  Camerario  ,  da  cui  tra- 
fcelti  molti  Strumenti  fono  fiati  da  me  dati  alla  luce  .  In  un 
d'effi  dell'Anno  ii55>.  per  eiempio  fi  legge  :  Andreas  Scrinia. 
rius  SanBa;  Romatiie  Ecclejice  ,  &  Sacri  Lateranenjìs  Palatìi 
complenji  ^  &  abfolvi ,  In  un  altro  del  1204.  Ego  Johannes  Leo- 
nis  ^  SanB(^  R-omanin  Ecclejìa;  Scriniartus  ^  hahens  poteftatem  dan- 
ài tutorem  &  curatorem ,  einanctpandt ,  Ù"  Decretum  interponen- 
///,  &  alimenta  dee erìtendì^  compievi^  & abfol'vi ,  Mi  è  più  vol- 
te nato  foipetto  ,  che  gli  Scriniarj  foflero  divcrfi  da  i  Notai 
ordinar),  e  che  portaffero  quello  nome  per  efler  fì:ati  yfrc/^/'ui- 
Jìi  della  Chiefa  Romana  ,  benché  facefiero  ancora  de  i  Rogi- 
ti .  Tale  in  fatti  fu  il  fen ti  mento  del  Du-Cange  nel  Gloffario 
Latino  ;  e  certo  fembra  ,  che  vi  fofie  della  differenza  ,  per- 
chè in  que' medefimi  tempi  s'incontrano  alcuni  appellati  non 
gìk  Scrini  ari  i  y  ma  bensì  SanBa  Romamc  Eccleji<e  Notarii,  Nel 
Codice  Teodofiano  chiara  cola  è  ,  che  Scriniarii  erano  i  Pre- 
fidenti  a  gli  Archivi  de'  Magilirati  ;  e  di  loro  fi  parla  ancora 
nel  Codice  di  Giuftiniano  .  Contuttociò  ne'  Secoli  pofteriori  , 
perchè  anch'  efiì  fi  rogavano  de'  pubblici  Contratti ,  pare  che 
non  fi  difterenziaffero  da  i  Notai  de'  nolìri  tempi  .  In  fatti  la 
Gloffa  ,  o  Chiofa  al  Cap.  ad  Audientiam  Lib.  2.  Decretai.  De 
prcefcript.  cosi  feri  ve  :  Scriniarii  appellantur  Tabelliones  ,  &  efl 
imlgare  Romanorum ,  Si  può  confermare  tal  notizia  col  trovarfi 
in  que' medefimi  tempi,  e  Luoghi  più  d'uno,  che  s'intitola 
Imperialis  Aula  Scriniarius ,  perchè  creato  Notaio  con  Privile- 
gio Imperiale  ;  laddove  ^\  Scritìiarj  della  Chiefa  Romana  era- 
no abilitati  ali'  Ufizio  del  Notariato  da  Privilegio  del  Pontefi- 
ce. Ad  uno  Strumento  fatto  in  Anagni  da  Ottone  dcColumna 
nell'Anno  1232.  fi  truova  fottofcritto  Ego  Ricardus  Imperialis 
Aul(S  Scriniarius  de  co?2fen]u  partium  fcripjì^  &  compievi  roga- 
tus .  In  uno  Strumento  ancora  dell'  Anno  feguente  ,  fatto  in 
Roma  ,  fi  legge  :  Ego  Romanus  SanHce  Romana  Ecchfia  Seri- 
iùariiis  ,  (y  Scriba  Senatus  ,  &  Forencium  Juflitiarius ,  rogatus 
Tomo  L  Q.  fr'^" 


122  Dissertazione 

fcrìpfi  ^  &  compievi  .  Coflui  al  fi  e  uro  non  potè  effere  Archivi- 
ila  delia  Chiela  Romana.  Finalmente  ho  veduto  uno  Strumen- 
to fcritto  da  Giovanni  Mele  nel  1221.  che  ^''mmo\2i Scrini arìm 
Anagjìidc- ,  Perciò  fi  deve  credere  baftevolmente  provato,  che 
Scriniario  ,  e  Notàio  era  lo  (teflb  .  E  ciò  poi  chiaramente  fi. 
deduce  dalla  maniera  ,  con  cui  fi  creavano  in  Roma  i  Giudi- 
ci ,  e  i  Scriniarii .  Ce  l'ha  conlervata  Cencio  Camerario  ne' 
fuoi  MSti  5  ed  eccola  : 

Qualiter  Judex  ,  &  Scriniarius  a  Romano 
Pontifice  inftituitur . 

^uum  pYxfeììtntiìY  Domno  Papce  tlle  ,  qui  Judex  ejì  exami- 
fìa?ìduS')  examinatuY  prius  a  Càrdinalibus  ,  qualiter  fé  in  Legum 
DoHrina  iyitelligat ,  &  ft  legitime  natus  fuerit ,  &  laudabili- 
ter  converfatus .  ^ui  Jl  idoneus  repertus  fuerit^  hominium  &  fi- 
deli  tatem  fecuridum  co?2fuetudinem  Romanorum  Domno  Papde  hu- 
militer  cxhibet  .  Sed  in  ejus  jur amento  hoc  additur  .  Caufas  , 
quas  judicandas  fufcepero,  poft  plenam  cognitionem  malitiofe 
non  protraham ,  fed  lecundum  Leges  ,  &  bonos  mores  ,  ficut 
melius  cognovero  ,  judicabo  .  Inflrumentum  quoque  fallum  , 
fi  in  Placito  ad  manus  meas  forte  devenerit  ,  nifi  exinde  pe- 
riculum  mihi  immineat,  cancellabo  .  Tunc  Pontifes  Codicem 
legis  ejus  manibus  porrigens  dicat  :  Accipe  Poteftatem  Judican- 
di  fecundum  Leges ,  &  bonos  mores. 

De  Scriniario  eodem  modo  jìt  ,  Jìcut  de  Judice  .  Sed  jura' 
mento  ejus  hoc  additur:  Chartas  publicas  nifi  ex  utriusque  par- 
tis  confenfu  non  faciam  .  Et  fi  forte  ad  manus  meas  Inftru- 
mentum  falfimi  devenerit,  nifi  exinde  mihi  periculum  immi- 
neat ,  cancellabo  .  Tunc  Pontifex  dat  et  Pennam  cum  Calama- 
rio^  Jìc  dicens  :  Accipe  poteftatem  condendi  Chartas  publicas 
fecundum  Leges,  &  bonos  mores. 

Nulla  fi  parla  qui  d'Archivi  ,  ma  folamente  di  far  pub- 
blici Rogiti,  e  Strumenti  ,  cioè  di  efercitare  il  mero  Ufizio  del 
Notariato  .  Di  qui  ancora  s' intende  ,  che  gli  Strumenti  falfi 
non  erano  cofe  forertiere  in  que'  tempi  .  Trovanfi  poi  nel  Se- 
colo Xin.  in  Roma  ,  e  per  gli  Stati  della  Chiefa  Romana 
gran  copia  di  Notai  ,  ciafcuno  de'  quali  s'intitola  SacroJanRa 
Ecclcjìie  Komance  auSloritate  Notarius  .  E  tali  Notai  creati  Au- 
Boritate  Apojìolica -y  non  folamente  in  Roma,  e  nello  Staro  Ec- 

clefia- 


Duodecima.  123 

clefiadico  ,  ma  anche  ne  gli  altri  paefi  della  Criftianita  Occi- 
dentale ,  etìam  in  Francia^  n)el  Angli  a  ^  feu  Hifpania^  faceva- 
no de  gli  Strumenti,  come  attefta  Gulielmo  Durante  chiamato 
lo  Speculatore  ,  Tit.  de  fide  Inftrumentorum  :  della  qual  verit^a 
reliano  molti  efempli  .  Ali'  incontro  fi  contavano  anche  più 
frequentemente  i  Notai  creati  con  Autorità  Imperiale,  a' qua- 
li era  permeflb  di  rogarfi  de  gli  Strumenti  in  Roma  fleffa  ,  e 
per  tutta  i'Itaha,  a  riierva  di  Venezia  ,  e  per  qualche  tem- 
po ne' Regni  di  Napoli,  e  Sicilia  .  Erano  coftoro  appellati  5'^- 
cri  Fai  aiti  ^  o  pure  S  acri  Imperli .  Notarii-y  o  pure  Notarii  Domai 
Imperatoris^  Notarii  F alatini  ,  Regalis  Curiae  Notarii  ,  Imperia- 
lis  Aulce  Scriniarii  &c.  Ne  ho  io  rapportato  varie  pruove ,  fic- 
come  ancora  il  regolamento  fatto  in  Roma  nell'Anno  1220. 
per  la  Cancellarla  Pontifìcia  ,  cioè  per  coloro,  che  fcrivevano 
le  Bolle,  e  i  Brevi  de'  Pontefici. 

De  gli  Uomini  Liberi  ,  ed  Arimanni 
DISSERTAZIONE  DEGIMATERZA. 

FRA  l'altre  cofc  ,  che  diverfificano  i  tempi  noflri  da  i  vec- 
chi Secoli ,  forfè  la  principale  è  il  vederfi  oggidì  Liberi 
tutti  i  Popoli  deli'  Italia  ,  e-tanti  altri  della  Criftianita  Occi- 
dentale :  laddove  una  volta  fu  di  due  forte  la  condizione  de 
gli  Uomini,  cioè  di  Liberi^  e  ài  Servi.  Qj-iefto  coftume  non 
iolamente  fi  olfervò  da  i  Goti  ,  Longobardi  ,  Franchi  ,  e  Ger- 
mani ,  ma  eziandio  ne'  più  remoti  Secoli  da  gli  Ebrei,  Greci, 
Romani ,  ed  altri  Popoli  dell'Oriente.  Chiunque  legge  alquan- 
to gli  antichi  Libri  di  quelle  Nazioni  ,  tofto  fé  ne  avvede.  E 
perciò  importa  molto  ilconoicere,  in  che  confi fteffe  il  divario, 
che  paffava  fra  quefti  due  ordini  di  perfone  anche  ne'  tempi 
barbarici  .  Primieramente  Liberi  venivano  appellati  coloro  , 
che  a  ninno  erano  lottopofti,  fecondo  l'iftituto  delle  Genti  , 
fuorché  al  Re,  o  all' Imperadore,  o  alla  Repubblica;  percioc- 
ché quanto  a  i  Figliuoli ,  eh'  erano  fotto  la  patria  potefta  ,  e 
alle  Donne,  che  erano  m  Mundio  ^  cioè  fotto  la  tutela  o  po- 
defta  del  Marito,  o  del  Sacro  Palazzo  ,  non  laf:iavano  elfi  di 
godere  la  prerogativa  di  perione  Libere  ,  fembra  nondimeno  , 
che  chi  nalceva  Libero  ,   partecipalfe   in  qualche  guifa  della 

Q^    2  No- 


124-  Dissertazione 

Nobiltà  5  fé  non  che  le  ricchezze  veramente  efaltavano  i  Ric- 
chi fopra  i  Poveri,  e  le  cariche  pubbliche  accrefcevano  l'ono- 
re ,  e  la  Nobiltà  di  chi  le  eiercitava  .  Siccome  al  tempo  de' 
Romani ,  cosi  ancora  ne'  fufieguenti  Barbarici  ,  fi  divideva'  il 
corpo  de'  Liberi  in  due  ClafTì ,  cioè  in  Ingenui  nati  Liberi  ,  e 
in  Liberti  ,  a'  quali  dopo  la  fervitù  era  (lata  conceduta  la  Li- 
berta dal  loro  Signore  .  Godevano  i  primi  una  fpezie  di  No- 
biltà innata  ;  non  cosi  i  fecondi  ,  che  acquiflavano  bensì  la 
Liberta,  ma  non  già  alcuna  Nobiltà.  I  loro  pofteri  nondime- 
no, perduta  la  memoria  della  fervitìi  ,  poteano  confeguire  il 
pregio  della  Nobiltà  .  Vero  è  avere  fcritto  Tegano  de  Geft. 
Ludovici  Pii  Gap.  44.  Fecit  te  Liberum  ?ion  Nobilem  :  quod  im* 
pojjibile  eft  pojì  Libertatem .  Ma  quefto  fu  detto  di  Ebone  Ar- 
civefcovo  di  Rems  ,  il  quale  non  gik  nato,  ma  fatto  Libero, 
niuna  forta  di  Nobiltà  poteva  attribuire  a  se  fleffo  .  Ma  que- 
fìo  pregio  non  pare  negato  a  i  Difcendenti  de'  Liberi  .  Nel 
Concilio  di  Aquisgrana  dell'Anno  81^.  Gap.  iip.  vien  ripro- 
vato il  coRum&  di  promuovere  a  gli  Ordini  Ecclefiaftici  i  Ser- 
'vi  :  il  che  nondimeno  mai  non  fi  faceva  ,  le  non  col  conce- 
dere loro  la  Liberta  ;  ed  ivi  è  detto  :  Nullus  Prcelatorum  ,  fe- 
clufts  Nobilibus  ,  viles  tantum  in  fua  Congvegatione  admittat 
perfonas .  Vili  perfone  fon  chiamati  coloro  ,  che  erano  flati 
Servi  ;  ed  opponendofi  quelli  a  i  Nobili  ,  parrebbe  perciò  , 
che  gì'  Ingenui  ,  nati  Liberi  ,  fodero  in  qualche  maniera  ri- 
putati Nobili  .  Per  atteftato  nondimeno  di  Nitardo  Storico  nel 
Libro  IV.  tre  Ordini  d'uomini  fi  trovavano  fra  i  SafToni  . 
Gens  Saxonum  omnis  in  tribus  Ordinibus  divi/a  conjijìit  .  Sunt 
enim  intev  illos  Edelengi  y  funt  qui  Frilingi  ;  funt  qui  LaJJl 
eoruìn  Li?igua  dicuntur .  Latina  vero  Lingua  hoc  Junt  Nobiles  , 
Ingenui  j  &  Sewiles,  Adunque  non  baftava  eifere  Ingenuo  per 
pretendere  la  Nobiltà  .  Pure  Camillo  Pellegrini  uomo  dottilTi- 
mo  nella  Prefazione  alla  Storia  dell' Anonimo  Salernitano  por- 
tò opinione  ,  che  niun  Longobardo  foffe  in  Italia  ,  che  non 
godefle  della  Nobiltà  .  Fir  Langobardus^  die' egli  ,  ideoque  No- 
bili s  .  E  tal  fuo  detto  fpiega  egli  con  dire  :  Langobardi  omnes 
fordidis  ab  artibus  femper  abfìinuere  ,  dum  rebus  potiti  funt  prof- 
peris  ,  ac  primce'va  in  dignitate  permanfere  •  nullusque  in  tota 
gente  habebatur  ,  qui  Sublimis  ,  &  Illujìris  ,  hoc  eft  Patritius  , 
non  cenferetur  » 

CoNTUTTOCio^  fi  può  dubitare  ,   fé  fopra  lodi  fondamenti 

polì 


D    E  e    I    M    A    T   E   R   Z    A  .  Il) 

pofi  qiiefla  fentenza  .  Chi  ha  afiicurato  il  Pellegrini  ,  che  a 
niun'Arte  fordida  fi  applicale  alcuno  de' Longobardi  ?  V'era- 
no Ancille,  o  fra  Serve  Longobarde,  come  riiuita  dalla  Leg- 
oe  1574.  di  Rotari  .  Anche  de'  Longobardi  vi  faranno  Rati  al- 
cuni Servi,  e  qiiefti  al  certo  erano  elclufi  dalla  condizione  de' 
Nobili  .  Però  più  ficuro  il  credere  ,  che  anche  fra  Longobar- 
di fi  trovaffe  il  triplicato  ordine  òq  Nobili^  àt  2^1  Ingenui  ^  e 
òt  Servi.  Noi  vedremo,  che  anche  molti  de  gf  Ingegnili  Lon- 
gobardi per  la  loro  povertà  coltivavano  le  Terre  altrui.  Odali 
poi  Paolo  Diacono  Lib.  V.  Gap.  3(5.  de  -Geft.  Longobard.  che 
cosi  fcrive  :  Bre^^ana  Civitas  magnam  femper  Nobilium  Lan- 
gobardoriiìn  multitudinem  habuit  .  Se  ciafcun  Longobardo  era 
afcritto  al  ruolo  àc  Nobili  ^  non  occorreva,  ch'egli  aggiugnef- 
fe  Nobilium.  L'aggiunte  egli  per  denotar  quelli ,  che  ne' fuf- 
feguenti  Secoli  furono  appellati  Milites  .  E  qu\  lotto  al  Ca- 
pir. XVIIL  vedremo  fcritte  Lettere  Clero  ,  Nobilibus^  &  Ple- 
bi delle  Citta  .  Adunque  la  Plebe  era  differenziata  dall'  Ordi- 
ne de' Nobili  ,  tuttocchè  quello  foffe  comporto  da  perlone  Li- 
bere con  efclufione  de' Servi.  Diffi,  che  gli  Uomini  Liberi  co- 
si furono  appellati  ,  perchè  non  fottopofti  al  dominio  di  al- 
cuno ,  fuorché  al  Politico  del  Principe  .  Ma  qu\  ci  viene  in- 
contro il  Du-Cange  alla  voce  Liberi  nel  Glofìfario  Latino,  con 
dire  :  Liberi  homines  fub  patrocinio  ^licujus  effe  debebant^  nec 
omnino  fui  juris  erant  :  in  pruova  di  ciò  egli  cita  il  Cap.  8. 
della  divifion  dell'  Imperio  fatta  da  Carlo  Magno  ,  dove  fon 
quelle  parole  :  Prcecipimus  ,  up  quemlibet  Liberum  hominem  , 
qui  Dominum  fuum  cantra  'voluntatem  ejus  dimijerif  ^  &  de  uno 
Regno  in  nliud  profeHus  fuerit  ,  neque  ipfe  Rex  Jujcipiat  ,  ne- 
que  hominibus  fuis  co?ifi'}ì!:iat ,  ut  talem  hominem  recipiant  &c. 
Hoc  non  folirm  de  Liberis  ,  fed  etiaìn  de  Servis  fugitivis  flatui- 
mus  objervandum  ,  ut  ?2ulla  dijcordiis  relinquatur  occajìo  .  Ma 
qui  Carlo  Magno  altro  non  vuol  fignificare  ,  fé  non  che  do- 
po aver  egli  divifo  l' Imperio  Tuo  in  tre  Regni  ,  e  affegnata- 
ne  a  i  fuoi  tre  Figli  una  parte  per  ciafcuno  ,  non  dovea  effe- 
re  permefib  a  i  fudditi  dell'  uno  il  palfare  nel  Dominio  dell' 
altro  contra  voluntatem  Domini  fui  ,  cioè  del  proprio  Re  ,  e 
andare  ad  abitare  altrove  ;  perchè  poteano  quindi  nafcere  di- 
fcordie  tra  i  Fratelli  .  Anche  il  Re  Rotari  nella  Legge  177» 
cos\  decretò:  Libero  h  omini  li  cent  migrare  quo  njoluerit -^  attamsn 
intra  DomÌ?tiirm  Regni  noflri .  Qiielto  diritto  dei  Sovrano  non 

toghe. 


125  DlSSERTAZI   O   N    E 

toglie  ,  che  1'  Uomo  Libero  fia  fui  juris  .  Né  col  fuddetto 
Gap.  8.  della  Divifion  dell'Imperio  s'ha  da  confondere  il  ie- 
guente  Capitolo  ,  dove  fi  legge  :  U?ìMsquisque  L'ther  homo  pojì 
7nortem  Domini  fui  licemiam  hnheat  fé  commetida?ìdi  intra  hcec 
trìa  Regna  ad  quemcumque  njoluerit .  Siiniliter  Ù'  ille ,  qui  non- 
dum  alieni  commendatus  ejì  .  Lo  (lefTo  vien  prefcritto  nella 
Divifion  dell'Imperio  fatta  da  Lodovico  Pio ,  rapportata  fra  i 
Capitolari  .  Né  pur  da  quefto  fi  può  inferire  ,  che  niun  Uo- 
mo Libero  fofie  fuis  juris  .  Commendare  fé  vuol  dire  metterfi 
al  fervigio  d'  alcun  gran  Signore  ,  e  divenir  fuo  Vaflb  .  Chi 
ciò  facea  ,  giurava  fedeltà  al  Signore  ,  e  fenza  licenza  di  lui 
non  potea  pafTare  all'altrui  fervigio.  Mancato  di  vita  il  Signo- 
re ,  allora  poteva  egli  imprendere  il  fervigio  d'altro  Potente, 
purché  ciò  feguifle  in  uno  de  i  tre  Regni  .  E  chi  de'  Liberi 
non  avea  mai  prefo  fervigio  ,  potea  farlo  anche  paflfando  fuo- 
ri  d'uno  d' efll  Regni  nell'altro.  Non  lafciavano  per  quefto 
i  VafTì  ,  e  Cortigiani  d'effere  Liberi  ,  tuttoché  fpontaneamente 
aveflero  eletto  di  fervire  a  qualche  Principe. 

Sovente  fi  truovano  mentovati  nelle  vecchie  Carte  Arìman- 
ni^  o  T^UYQ  Herimanni ,  Se  talun  chiede,  qual  forta  d'Uomini 
fofiero  cofioro  ,  il  Bignon  nelle  Note  a  MarcoUo  Lib.2.  Cap.i  8. 
gli  rifpondera  :  Ari  mania  heic  prò  F  amili  a  ufurpatur.  Sane  eo 
nomine  Servorum  feu  Colonorum  fpeciem  ftgnificari  ^  manifefìum 
efl  multis  ex  Inflrumentis  .  Ma  che  gii  Arimanni  foffero  Ser- 
vi, o  Coloni,  pofliamo  negarlo,  e  fra  poco  apparirà,  che  quel 
dotto  Scrittore  non  colfe  nel  punto  .  Si  dee  pertanto  dire  , 
che  gli  Arimanni  furono  perfone  Libere  ,  e  che  tal  nome  fi 
dava  a  si' Ingenui,  che  in  Francia  con  altro  nome  ancora  fu- 
rono  chiamati  Franchi  .  Ridicola  è  1'  origine  di  quefto  nome 
preflb  chi  la  tira  dal  Greco  Ares  ,  quafi  fignifichi  un  Uomo 
Marziale  o  Militare  .  L'  Eccardo  la  deduce  da  Herhm^nner  , 
qui  bona  hereditaria  pojjidet^  Ò^  efl  Dominus  minor*  Il  Voflio 
da  Heer  &  Mann  ^  quafi  fia  Cliens  Domini  per  qualche  pode- 
re a  lui  dato  dal  Signore  a  titolo  di  Benefizio.  L'Aventino  e 
il  Goldafto  da  Here  ^  e  Mann  ,  quaji  Vir  exercifuum  ,  Homo  mi- 
litaris.  Niuna  di  quefte  Etimologie  é  inverifimile,  e  tutte  con- 
corrono a  farci  conoicere  di  onorevol  condizione  gli  Ariman- 
ni .  E  giacché  é  permefib  il  far  qui  da  indovino  ,  chieggo  , 
perché  tal  voce  non  poteffe  difcendere  da  Ehre  ,  che  fignifica 
Onore  ^  q  Manu  Uomo ^  per  fignificare  unaperlona  di  grado  ono- 
re vo- 


D   E   e    I    M    A   T    E    R    Z    A  ;  llj 

revole  .  Tali  certamente  furono  gli  Arimanni,  e  non  già  con- 
finati nella  feccia  del  Popolo,  cioè  fra  i  Servi  .  Anzi  godeva- 
no efTì  qualche  prerogativa  di  Nobiltà,  ed  erano  afcritti  alla 
Milizia  ,  ed  alcun  d'e^i  fu  Vaffallo  de  i  Re ,  o  d'altri  Potenti 
Signori  .  Primieramente  nella  Legge  2.  di  Rachis  Re  de'  Lon- 
oobardi  è  ordinato  ,  ne  cujuscumque  Scrvus  Arìmannam  ducat 
Uxorem .  Ecco  ciò  che  tanto  prima  avea  prefcritto  il  Re  Ro- 
tari  nella  Legge  222.  con  dire  :  Si  Ser'uus  Liberam  mulierem 
ttut  puellam  aujus  fucrtt  ftbì  conjugìo  fociare  ,  anìmcs  fucs  in- 
curr/it  periculum  .  Anche  fecondo  le  Leggi  Romane  delitto  era , 
fé  un  Servo  aveffe  fpofata  una  Donna  Libera.  Il  Re  Liutpran- 
do  nella  Legge  6,  del  Lib.  4.  temperò  poi  la  feverita  di  quel- 
la di  Rotari  .  Ecco  dunque  che  Arimanna  Mulier  vuol  fignifi- 
care  lo  fieffo  che  Libera  .  Il  che  vien  confermato  dalle  parole 
ÒX  un  Diploma  di  Lodovico  Pio  ,  conceduto  al  Moniftero  di  Ve- 
rona, e  rapportato  dall' Ughelli  nell'Italia  facra  ;  e  tali  fono: 
Etiam  placuit  nofìrce  Sevenitati  de  Farnulis  ejusdem  Monajìerii 
dejinitiones  facere  ,  'videlicet  feminis  Liberis  ,  quas  Itali  Heri- 
mannas  vocant  ,  quoe  fé  famtdis  ipftus  Ecclejtce  ,  &  Monajlerii 
copulaverint  &c.  fecundhm  prdsdecejfonmi  Jìatuta  Imperatorum 
Ù'c.  fupradi^lum  San6ium  Locum  inviolabiliter pojjideat ,  L'Edit- 
to di  Liutprando  portava  ,  che  la  Femmina  Libera  fpofando 
un  Servo  ,  fé  i  Parenti  non  ne  faceano  vendetta  ,  diverrebbe 
Anelila ,  cioè  Serva  del  Palazzo .  Qlii  fi  concede ,  che  Donne 
tali  maritandofi  con  Servi  di  San  Zenone,  diventino  Anelile  di 
quel  Moniftero  .  Cosi  preffo  il  Campi  nel  Tomo  I.  della  Sto- 
ria Ecclef.  di  Piacenza  Lodovico  IL  Augufto  concede  a  quel 
Vefcovo  Sofredo  Gifebergam  nativitate  Liberam  ,  fed  prò  con- 
junHione ,  qua  fé  Ifembaldo  Servo  nofìro  conjunxit  ,  ad  partem 
nofìram  legaliter  ,  &  per  judicium  publicum  pojì  acquijìtam  . 
Altri  fimili  efempli  fi  truovano  nel  Catalogo  de' Vefcovi  Bene- 
ventani Tom.  8.  dell'  Italia  Sacra  ,  e  nella  Cronica  Farfenfe 
Part.  II.  del  Tom.  II.  Rer.  Ita!,  pag.  3^5.  e  37^. 

Acciocché  nondimeno  piìi  chiaramente  apparifca  quefla 
verità,  fi  offervi  un  bel  Placito  tenuto  in  Milano  nell'Anno  por. 
da  Sigefredo  Conte  del  Palazzo  ,  e  Conte  di  Milano  .  Alcuni 
abitatori  di  Vico  Rainerio  fon  chiamati  in  Giudizio  dal  mede- 
fimo  Conte,  pretendente,  che  i  medefimi  io^txJà  Aldii  o  Al- 
dioni  (  che  gente  foffe  quella  ,  lo  moftreremo  al  Cap.  XV.  ) 
della  Corte  di  Palazzuolo  fpettante  al  Conte  di  Milano .  Ali' 

incon- 


128  Dissertazione 

incontro  foflenevano  quegli  Uomini  d'efìere  yfw>M?;;7/ ,  e  non 
Alda  5  e  dicono  :  Et  nos  eì  dedimus  refpo?2fiim ,  quod  de  nojìris 
Perjonìs  non  Aldn  ,  fed  Uberi  bom'tnes  ejfe  deùeremus  ,  &  pa- 
rcnpìbus  nojìrì  Liberi  homincs  fiàffeììt .  F.t  ìios  in  eadem  Liber- 
iate de  Libero  patre  ,  &  Libera  matre  iiati  ejjemus  .  Aggiun- 
gono di  coltivare  bensì  alcune  Terre  di  quella  Corte,  ma  len- 
za pregiudizio  della  loro  Liberta  :  da  che  conofciamo,  che  non 
mancavano  perlone  Libere  ,  che  lavoravano  le  Terre  altrui  . 
•Adducono  polcia  varj  Teftimonj  intorno  allo  ftatoloro;  laon- 
de vincono  la  lite .  Una  eziandio  delle  pruove  da  loro  addot- 
te in  favore  della  Liberta ,  fi  è  quella  di  pofTedere  alcuni  Sta- 
bili di  loro  ragione  :  il  che  non  potea  competere  a  chi  foiTe 
Servo.  Anche  nella  Dieta  di  Pavia  dell'Anno  855.  de  Liberis 
hominibus  qui'  fuper  Aherius  res  rejìdent  ,  co?ìJìitutum  efl  ,  ut 
fecundum  Legem  Patroni  eorum  eos  ad  Placitum  adducant ,  Per- 
ciò Tempre  più  intendiamo  ,  che  non  foli  Servi  ,  ma  anche 
perfone  Libere  erano  lavoratori  della  Campagna  .  E  ciò  pari- 
mente fi  raccoglie  da  uno  Strumento  di  Walperto  Vefcovo  di 
Modena^  il  quale  nell'Anno  8<5^.  da  a  coltivare  alcuni  Campi 
ad  un  Gicvanni  uomo  Libero  ,  ad  laborandum  ,  colendum  ,  Ca- 
nai es  adificandum^  t'itis  pone?idum  ^  paflenandum  ,  propaginan- 
dum  ^  &  excolendum  ,  jìnes  ad  defenfandum  ,  Ò^c.  &  exinde 
annue  temporibus  reddttum  ,  atque  tributum  perfol'Vere  ,  ide/ì 
grano  gyojjo  modio  quarto  ,  minuto  autem  modio  quinto  ,  lirio 
manna  quinta  ,  vino  medietatem  ^  &  in  Domini  Natale  pullos 
duos.^  cvasdecem^  operas  n;ero  per  Annos  facere  dies  quatuor  ma- 
ìiualis  cum  Domnica  annona;  inter  curte ^  Ò' Orto  faciendumfe- 
Jìavia  quatuor  &€.  &  in  omnibus  fuprafcriptis  rebus  ,  &  Tegia 
palliaticia  meliorentur^  &  non  pejorentur  &c,  QueRoW a Ipcrto 
Vefcovo  di  Modena  non  fu  conolciuto  dal  Sillingardi,  ne  dall' 
Ughelli  :  e  fi  olTervi  qui  h  vocq  Tegia  fignificante  il  Fenile. 
I  noftri  Notai  ora  dicono  Teges  Tegetis^  parola,  che  punto 
non  fignifica  quello  ,  che  intendono  di  dire  .  Il  noflro  Mode- 
yìg[q  Tegia ^  o  HàTeggia^  viene  dalla  Lingua  Latina.  Attegia 
TeguUtia  fi  legge  in  una  Ifcrizion  del  Grutero  .  E  Giuvenale 
rammenta  nella  Satira  14.  Maurorum  attegjas^  cioè  i  Tugurj, 
e  le  Capanne.  Il  Du-Cang^  alla  voce  T^^/^  fcrive:  Fides  eoo- 
pertura,  Papias  MS.  &  editus  .  O  fedizion  del  Du-Cange  ,  o 
i  Godici  di  Papia  ,  fon  gualH  in  quello  luogo  ,  e  fi  deve  fcri- 
vere  Fosni  coopertum  ,    il  Fenile  .    Notifi  ancora  Lino  manna 

quin- 


Decimaterza.  12p 

quhita.  Noi  ufiamo  oggidì  Matiella  ,  ed  è  lo  fteflb  che  il  Ma- 
7ìtpulus  de'Latini.  L'antico  Interprete  di  Giù  venale  fpiegaM/^- 
7iipulas  con  dire  Manrifis  Fxni ,  In  molti  antichiffimi  Affitti  di 
quello  Paele  prima  del  Mille  fi  parla  fempre  di  Lino  femina- 
to  ,  ed  anche  ne  gh  Statuti  del  Popolo  di  Modena  dell'  An- 
no 1327.  è  ordinato  de  femlnando  quol'thet  Anno  unam  mtnam 
Lini  per  quemlihet  habentem  unum  par  boum  feu  Vaccarum  a 
Serra  de  Ligorz^no  ìnferius  ,  Ma  oggidì  fi  attende  Iblamente 
a,  kmiuciY  Canape^  forfè  perchè  rende  più  frutto,  o  efige  meii 
fatica.  S'è  anche  veduta  la  maniera  d'allora  in  affittar  Terre- 
ni ,  e  che  non  meno  allora ,  che  a'  noftri  tempi  erano  in  ufo 
tanto  il  grano  ,  o  fia  Frumento  groffo  ,  che  il  minuto  .  Altre 
Carte  abbiamo  ,  dalle  quali  cofla  ,  che  v'  erano  Contadini  la- 
voratori Liberi  .  E  prelTo  1'  Ughelli  fi  truovano  Majfarii  ,  & 
Coloni  Liberi.  Né  fi  dee  tralafciare  la  Legge  62,  di  Lodovico  Pio 
AuguRo  ,  che  tratta  de  Liberis  hominibus ,  qui  proprium  non 
hahent  .  E  la  Legge  66.  parla  de  opprejjione  pauperum  Libero- 
rum^  ut  non  jiant  a  pote7itioribus  per  aliquod  malum  ingenìum  con- 
tra  jujìittam  opprejjì .  Coloro  eziandio,  che  nelle  vecchie  Car- 
te nomati  fono  Re/tdentes  ,  furono  Contadini  Liberi  lavoranti 
le  Terre  altrui ,  come  cofta  da  uno  Strumento  dall'Anno  yj'j. 
fatto  da  Peredeo  Vefcovo  di  Siena. 

Sappiamo  poi,  che  gli  Arimanni  erano  obbligati  alla  Mili- 
zia, quando  occorreva  il  bifogno  :  il  che  forfè  non  piaceva  a 
molti,  ma  era  onorevole  per  tutti;  perciocché  né  folto  i  Ro- 
mani, né  regnando  in  ItaliaC  i  Longobardi,  e  Franchi  ,  fì  per- 
metteva di  militare  a  i  Servi  .  Nella  Legge  4.  di  Guido  Impe- 
radore  abbiamo  :  5'/  ex  pracepfo  Imperiali  Comes  loci  ad  defen» 
ftonem  patrioe  fua  Herìm atmos  hojìiliter  properare  monuerat .    E 
tutta  la  Gente  Libera  dovea  prendere  l'armi  ,    né  reftava  al- 
cun d'elTi  acafa,  fuorché  pochi  per  fervigio  del  Conte,  Scul- 
dafcio,  o  Saltare ,  come  s'ha  dalla  Legge  25?.  Lib.  V.  del  Re 
Liutprando;  dalla  quale  anche  impariamo,  eflervi  flati  uomi- 
ni Liberi ,  qui  nec  Cafas  ,  nec  terras  habent ,  e  pure  non  an- 
davano efenti  dalla  Milizia  .    Veggafi  ancora  la  Legge  71.   di 
Lottarlo  I.  Augufto  .  Refta  dunque  conchiufo,  non  altro  effere 
ftati  gli  Arimaìini ,  che  la  Gente  Libera  dipinta  da  i  Servi  . 
Conviene  ora  cercare,  qual  cofa  io^^t  YArimannia^  di  cui  tro- 
viamo menzione  nelle  memorie  dopo  il  Mille  .  In  un  efame  di 
Tedimonj  fatto  nel  11  82.  in  favore  del  Vefcovo  di  Ferrara  il 
Tonio  L  R  legge  : 


ijo  Dissertazione 

legge:  de  Gla^nno  ìntenogatus  d'tc'tt  .^  quia  partim  eft  An'tmnìu 
ma  5  &  partim  Empheteujìs  .  Pro  Arrìmannta  debent  recìpers 
Comttem  bis  in  anno ,  &  unaquaque  'vice  dare  duos  pajìos  ,  Ep 
ibi  debet  tenere  Pi acitum  generale  tribus  diebus ,  Et  Jl  ArrtmaU' 
nus  dijìulerit  venire  ad  Placitum  ,  debet  Jolvere  prò  banno  cen- 
tum  &  cólo  Blancos ,  V'erano  adunque  Ville,  i  cui  campi  par- 
te erano  pofTeduti  da  gli  Abitanti  con  titolo  di  Arimannia  ,  e 
parte  a  titolo  di  Livello,  Qiiefti  pagavano  cenlo  al  diretto  Pa- 
drone ;  quelli  con  pelo  più  nobile  doveano  fervirlo  alla  Mili- 
zia, ed  afliftere  per  onore  a  lui,  o  a'Miniftri  fuoi,  quando  te- 
nevano Placiti,  o  vogliam  dire  pubblici  Giudizj .  Forfè  quelli 
tali  ne'fuddetti  tempi  erano  Vaflalli.  Anzi  potrebbe  talun  pen- 
sare ,  che  non  tutte  le  perfone  Libere  pafTalTero  fotto  nome 
d'  Arimanni ,  ma  quelle  folamente  ,  che  abitavano  in  Terre 
del  Principe  obbligate  al  fervigio  militare  ,  e  ad  altri  pefi  . 
Guido  Imperadore  nella  Legge  3.  flabili  ,  che  il  Miniftro  Re- 
gio ab  Ariìnannis  fuis  nihil  per  vim  exigat ,  prater  quod  con- 
ftitutum  legibus  ejì  ^  [ed  neque  per  forti am  in  manftonem  Herì' 
manni  applicete  aut  Placitum  teneat.  Perciò  allorché  gl'Impe- 
radori  concederono  ad  alcuno  le  Regalie,  furono  foliti  di  men- 
zionare V Arimannia,  Nella  Part.L  Gap.  8.  delle  Antich.  Eftenfi 
Arrigo  fra  i  Re  di  Germania  Quarto  nell'Anno  1077.  confer- 
mò ad  Ugo  ,  e  Folco  Principi  Eflenfi  Rhodìgium  in  Comitati 
Gavelli  &c.  Comitatum  ,  &  Arimaìmiam ;  ed  altre  molte  Ter- 
re, Cartella,  e  Corti,  Ù'  omnes  Arimanni as^  quce  ad  iJìasCur- 
tes pertinent *  In  un  Privilegio  dato  nel  1133.  ai  Cittadini  Man- 
tovani Lottario  IL  Augufto  conferma  ad  efli  Arimanniam  cum 
rebus  communibus  ad  Mantuanam  Civitatem  pertinentibus  ex  utra- 
que  parte  fluminis  Mincii ,  &  Tartari  .  A  i  medefìmi  Manto- 
vani con  altro  Diploma  Federigo  I.  Augnilo  nel  11  59.  Privt^ 
legia  ,  Cunóios  Arimanos  in  Civttate  Ma?ituce  ,  Jìve  in  Cajìro  , 
quod  dicitur  Portus  ,  Jive  in  Villis  ,  qu<s  nominantur  Sanóius 
Georgius  ,  Cepada  ,  Formigofa  ,  feu  in  Comitatu  Mantuano  ha- 
hitantesòc.  Era  in  que' tempi  Mantova  Repubbhca  governata 
da  gli  Arimanni ,  cioè  dalla  gente  Libera  ,  eflTendofi  dopo  la 
morte  della  Contefla  Matilda  quel  Popolo  meffo  in  Libertà  . 
In  uno  Strumento  del  Moniftero  di  Polirone  ftipulato  nel  1120". 
quella  Comunità  litigava  coi  Monaci.  Sono  ivi  nominati  pri- 
ma i  Con  foli  della  Città,  pofcia  gli  Arimanni,  col  qual  nome 
fembrano  difegnati  i  Nobili,  prefifo  i  quali  era  allora  il  Governo. 

ToR- 


Decimaterza.  iji 

Torniamo  2.Vì  Arimannìa ,  Baldo,  l'Alvarotto,  il  Cuiacio  , 
il  Gotot'redo  ,  ed  altri  Interpreti  delle  Leggi  ,  ci  dicono  delle 
inezie  in  volendo  interpretarla  ,  trovata  nelle  Leggi  Feudali  . 
Federigo  L  nel  Lib.  2.  Tit.  5^.  fra  le  Regalie  annovera  ^rw/?;/- 
dtam  ,  vias  publkas  &c.  Sognarono  efli  difegnata  con  queftà.- 
voce  r  Armerìa  pubblica ,  0  il  Gius  di  fabrìcar  Armi  ,  0  la  Gay 
bella  ,  chs  fi  ricava  da  gli  Armenti  &c.  Ma  s'ingannarono  - 
perchè  quella  voce  è  Icorretta  ,  e  vi  fi  dee  fcrivere  Ariman^ 
niam^  o  Herimanniam,  Conta vafi  in  fatti  fra  le  Regalie  l'Ari* 
mannia.  Lo  fteffo  Federigo  L  nell'Anno  1 177.  a  petizione  de. 
Marchefi  Eftenfi  confermò  tutti  i  Beni  al  Moniftero  delle  Car^ 
ceri  d'Efte  in  bannis  fodris  ^  Placitis  ^  Dt/ìriHìs  ^  Arimanniìs  s 
&  cum  om ni  h onore  ,  L' Arimannia  dunque  fignificava  il  Giù. 
di  efigere  il  lervigio ,  o  altro  provento  da  gli  uomini  Liberi  . 
L'Ughelli  ne'Vef^ovi  di  Verona  della  prima  Edizione  rappor. 
ta  alcuni  Atti  di  una  Controverfìa  vertente  fra  il  VefcovoNo. 
randino,  e  il  Comune  à\  Vono  fuper  JurisdiEiione  ^  honore^  di. 
JìriHu  ,  &  aduhuYo  ,  quod  vulgo  Plebania  nuncupatur  ^  &  Eri 
maria  ,  &  fodro  Porti  &c.  Ognun  vede  che  ivi  farà  ftato  Eri- 
mannia  .  Scorretto  è  ancora  quel  che  feguita.  E  molto  più  un 
Diploma  di  Ottone  il  Grande  dell' Anno  ^^7.  da  lui  umilmen- 
te rapportato  ,  dove  fi  legge  Cajìellum  quod  vocatur  Romania- 
77um^  cum  Liberis  hominibus^  qui  vulgo  Heremit ani  dicuntur&c. 
La  Carta  lenza  fallo  avrà  Herimanni  .  Tralaicio  gli  altri  erro- 
ri ,  e  folamente  olfervo  ,  che  in  vece  di  Aduhuro  ne  gli  Atti 
fuddetti  s'ha  da  fcrivere  Adulterio  ^  cioè  il  Gius  di  punire  gli 
adulteri  ,  che  in  molti  Luoghi  apparteneva  al  Foro  de'  Vefco- 
vi  :  il  che  fi  praticava  anche  in  Francia  ,  ma  da  che  calò  la 
potenza  de'Vefcovi,  redo  in  potere  del  Foro  fecola  re  .  Diffi  , 
che  gli  Arimanni  erano  obbligati  non  al  lolo  fervigio  milita- 
re,  come  pensò  il  Du  -  Cange  ,  ma  anche  ad.  altri  fervigi  in 
tempo  di  pace  .  Vien  rapportata  dall*  Ughelli  ne'  Vefcovi  di 
Parma  una  Carta  della  ContclTa  Matilda  dell' Anno  1 1 14.  do- 
ve il  Velcovo  promette  ,  quod  7ioflris  Arimannis  de  Monticulo 
nullos  alios  ufus ,  vel  faHiones  deinceps  requifierit ,  nifi  quos 
ejus  Anttxejfores  &c.  folummodo  in  pace  ^  &  non  in  guerra^  ha- 
buerant  ♦  Adunque  anche  in  tempo  di  pace  doveano  gli  Ari- 
manni preftare  qualche  fervigio,  come  di  dare  ofpizio  ai  Mi- 
nidri  del  Principe  .  In  un  Giudicato  della  medefima  ContelTa 
Ipettanie  all'  Anno  11 08.  Dodone  Vefcovo  di  Modena  fi  la- 

R     2  mento, 


1^2  Dissertazione 

mento  ,  perchè  Mtnijìerinhs  Comitis  ojpit ab antur  injujìe  homi- 
nes  Curùs  Roche  San6ls  Marie  de  Cajìello  .    Interrogati  quegli 
Uomini  5  rifpofero  di  non  effere  tenuti  ad  alcuna  Albergheria  , 
e  Fazione  ,  fé  non  ad  efla  Rocca  .  Kt  fi  quls  Hlorum  aliquid  ds 
Arìrnanmis  hahcret^  aut  de  Arìmann'tts  refpondsre  deheret  ,  fe~ 
cundmn  quod  ejfet  ,  aut  ipfam  Arimanntam  d'tmhteret  .   Di  qui 
lembra  rifultare,  che  ìq  Arimannie  follerò  poderi  dati,  dal  Fi- 
ico  diretto  padrone  ad  uomini  Liberi  :  ma  con  qual  titolo,  le 
di  Feudo  o  d'ufo,  con  obbligo  di  qualche  fervigio,  noi  so  di- 
re. Se  erano  Feudi  5  perchè  mai  non  fono  chiamati  ValTalli  ? 
Il  nome  di  Artmc^tmìa    non  V  ho  trovato    fé  non  nelle  Carte 
fcritte  dopo  il  Mille,  benché  quello  à^  ^i  Arìmajim  fia  anti- 
chiffnno  .  E  forfè  fu  un  diritto  de' Conti  fopra  quei ,  che  go- 
devano que' terreni,  né  quello  fi  ftendeva  a  tutti  gli  altri  Li- 
beri del  Popolo  .  Arrigo  fra  i  Re  Germanici  il  Qiiarto  in  un  fuo 
Diploma  del  1070.  concede  a  Gregorio  Vefcovo  di  Vercelli  , 
e  iuo  Cancelliere  Cafale  cum  Arimatintay  &  cum  fervhio  quod 
pertinet  ad  Comifafum  y  Odaliìigo  cum  om?2Ìbus  Artmannis  ,  Ò' 
quod  pertinet  ad  Comttatmn  ;    e  cosi  altri    Luoghi  colla  me- 
defima  efpreffione.  Lo  fteffo  Re  nel  1084.  concede  al  Monifte- 
ro  di  San  Zenone  di  Verona  Ltberos  homines ,  quos  vulgo  Ari- 
'inannos  vocant  ,    habit^ntes  in  Cajìello  SanBi  Viti  ,  &  in  ejus 
Territorio  ;  7iec  non  &  Herimannos  (pare  che  fi  faccia  differen- 
za fra  Arimanni,  ed  Herimanni  )  habitantes  in  Vico  San^i  Ze- 
nonis  cum  om?7Ì  debito ,  di/iriBu ,  aHione ,  atque  Flacitu  .  Che 
poi  gli  Uomini  Liberi  foflero  tenuti  a  qualche  pagamento,  lo 
raccolgo    da  un  Privilegio  di  Berengario  L  Re    concedente  al 
predetto  Moniftero  Corticellam  in  Lacefe  cum  omnibus  pertinen- 
tiis  fuis ,  C^  reditu  Liberorum  hotyjinum .  Haffi  anche  da  offer- 
vare  ,  che  Carlo  M.  in  un  fuo  Diploma  dell'  Anno  808.  pub- 
blicato dal  Campi  nella  Storia  Ecclef.  di  Piacenza ,  concede  a 
Giuliano  Vefcovo  di  quella  Citta  omnem  Judiciariam  ,  vel  om- 
ne  teloneum  de  Curte  Gufi  ano  ^  tarn  de  Arimannis^  quam  dealiis 
Liberis  hominibus  per  memoratas   fines  omnia  ,    quae    a  Publico 
(  cioè  dal  Fifco  )    exigebantur  .    Vegniamo  qui   a  conofcere  , 
che  non  tutti  gli  Uomini  Liberi  erano  Ariman?ù  ,    e  che  tal 
nome  dovea  convenire    ad  una  fpecie    di  perfone  obbligate  a 
qualche  determinato  fervigio  per  cagion  de' poderi  da  loro  go- 
duti, o  coltivati,  ovvero  per  altro  titolo. 

Sembra  poi,  che  fi  poifa  intendere  in  che  confiflefle  V Ari- 
man- 


DeCIMATERZA,  Ijj 

mannia^  oflervando  uno  Strumento  Veronefe  fcrìtto  circa  l'An- 
no 1 1 54.  dove  fon  quefte  parole  :  Duos  ttem  mfttcos  ArimAti- 
nos  de  Morite  Auro  prò  accepta  pecmiia  alienavìt  j  trigi?ita  ìtem^ 
&  feptem  rujìicos  &€»  Alti  omnes  prò  accepta  pecunia  nec  'vadìmo- 
fììum  de  bando  ,  necfodrum  ,  nec  albergar'tas  ,  nec  colleóìam  Epi- 
fcopatui  debent  amplius  facere .  Ecco  quai  pefi  avefTero  gli  Ari- 
manni  ,  e  di  qui  apparifce  ,  che  ve  n'  erano  de  i  Ruftici ,  e 
poveri  .  Ugone  Grozio  cercando  1'  origine  della  voce  Artman- 
ni  j  la  deduce  da  Henman  ,  e  poi  foggiugne  :  Arìmannus  mi" 
les  gregalìs^  qui  puhllcum  munus  non  habet  ;  poflea  prò  paupe- 
Tg  fmnpta  vo^,  Hìnc  jus  Armandlce  InFeudls,  E  il  Du-Cange 
preteie,  eh' e  (Ti  Arimanni  follerò  IpfarumVlllarum  Incoi  ce  pror- 
fus  dlverft  a  Servi  s ,  Ma  che  anche  nella  CI  affé  de' Nobili,  e 
Ricchi  fi  contafTero  de  gli  Arimanni  ;  fi  può  riconofcere  da  un. 
Placito  tenuto  in  Lucca  nell'Anno  785.  da  Giovanni  Vefcovo 
di  quella  Citta  ,  al  quale  intervennero  per  onore  Sacerdotes  , 
vel  Aremannl  ,  nominati  ivi  uno  per  uno  .  E  in  una  Bolla 
dell'Anno  8ip.  con  cui  Pietro  Vefcovo  di  Lucca  concede  la 
Chiefa  di  San  Donato  ad  Andriperto  Prete  ,  e  gli  protefta  di 
far  ciò  una  cum  confenfu  Sacerdotum  ^  &  Aremannos  hujus  Lu- 
cane Clvltatls  .  Si  Icorge  qui  ,  che  gli  Arimanni  allora  gode- 
vano diftinzione  d'  onore  ,  e  fembrano  eflere  flati  Nobili  Se- 
colari .  $€  Vaffalli  del  Vefcovo  ,  noi  so  dire .  In  quefta  ofcu- 
ra  materia  per  le  memorie  finqui  accennate  ,  credo  io  alme- 
no di  poter  francamente  conchiudere,  eifere  affatto  infuffiflen- 
te  ciò  che  fcriffe  Monfignor  Fontanini  nella  fua  Operetta  del- 
le Mafnade,  con  dire  ,  eifere  flati  gli  Arimanni  Servorum  ge- 
nuS'y  Jed  plurls  quarti  ceterai  Servorum  fpscles  csftlmatum  -^  Immo 
fupra  vulgarem  conditionem  fervilem* 


De 


IJ4  Dissertazione 

«^*^«v4>l<^*^e^*/lC^*^J«i9>^  ii*/»cv*/sc<*^<Mfe>:evA^«*AA  (V<|!/ic\£>}C\«lMc\d!!^cvft/i 

De  i  Servì  ,  ^  Liberti  Antichi 

DISSERTAZIONE  DECIMx^ (QUARTA. 

CIO'  che  foflero  i  Servi  antichi  ,  ufati  una  volta  da  gli 
Ebrei,  Greci,  e  Romani  ,  anzi  da  tutte  ancora  le  bar- 
bare Nazioni  ,  ben  lo  fanno  gli  Eruditi  ,  ma  non  gi'a  chi 
nulla  (India  i  coftumi  de'  vecchi  Secoli  .  Refta  tuttavia  fra  noi 
il  nome  di  Servo  ,  e  Servitore  ;  ma  gran  divario  palla  fra  i 
Servi  d'allora,  e  quei  di  oggidì  .  Un  Servo  de  gli  Antichi  (1- 
gnificava  perfona  lottopolta  al  comando  ,  e  dominio  d'un  Pa- 
drone preflo  a  poco  come  fono  i  cavalli,  e  buoi;  e  in  fatti  fi 
vendevano  i  Servi  in  que* tempi,  come  fi  ufava  anche  de' Giu- 
menti.  E  quefto  vuol  dire,  che  col  nome  di  Servo  s'intende- 
va allora,  chi  da  noi  viene  ora  appeilato  Schiavo^  fé  non  che 
gli  Schiavi  de'  tem.pi  noftri  ,  che  fi  truovano  in  alcune  Piazze 
marittime,  portano  catena  :  dal  qual  pefo  erano  efenti  i  Servi, 
o  vogliam  dire  gli  Schiavi  de  gli  antichi  tempi  .  Quando  ,  e 
come  s'introduceflTe  in  Europa  il  nome  ài  Schiavo  in  vece  di 
Servo  ^  è  tuttavia  ignoto.  Motivo  abbiam  di  credere,  che 
gran  copia  di  Schiavoni,  appellati  anticamente  5'c/^'u/,  o  per- 
chè fatta  prigioniera  di  guerra  perdefl'e  ,  o  perchè  fpinta  da 
qualche  dilgrazia  fuori  del  fuo  paefe  vendelfe  la  fua  liberta , 
di  modo  che  lo  fiefTo  divenne  il  dire  Schiavo,  che  Servo.  San- 
no i  LcgilH,  e  l'altra  gente  dotta,  che  i  Servi  nulla  pò (Tedea- 
no  di  proprio  ,  nulla  guadagnavano  per  sé  :  tutto  era  de'  lor 
Padroni  ,  che  folamente  permettevano  loro  qualche  ritaglio 
de' guadagni  ,  e  de' frutti  della  loro  induftria,  chiamato  P^rw- 
lio  .  Che  non  poreano  far  Telf amento  ;  che  i  lor  Figli,  e  Di- 
fcendenti  recavano  anch'  eiu  mvolti  nella  Servitù  ,  e  fuggetti 
come  il  Padre  al  medefimo  Sj^nort-  ;  che  non  erano  per  la  lor 
viltà,  e  per  altri  risuardi,  ammefTì  alla  milizia,  e  firn  ili  altre 
notizie,  ch'io  traialcio.  Ora  da  che  Tltalia  fi  trovò  trinciata 
nei  Secolo  fpezialmence  fuddetto  in  tante  Citta  Libere,  Princi- 
pi, e  Sigtiorctti,  che  l'uno  non  dipendeva  dall'altro,  troppa 
facilita  provavano  i  Servi  per  loctrarfi  colla  fuga  ai  Padroni; 
troppo  difficile  era  a  quefti  il  ricuperarli  .  Si  aggiunfe  ancora 
il  biiogno  di  gente  per  le  tante  guerre  di  que'  tempi;  e  chi  era 

afcnt^ 


DeCIMAQ.UARTA:  IJ5' 

afcritto  alla  milizia  confeguiva  la  Liberth  .  Finalmente  s'  ha 
contezza,  che  ne' tempi  di  Roma  Libera  ,  e  fotto  gl'Impera- 
dori  ,  fi  contavano  Padroni  ,  ciafcun  de' quali  avea  in  Tuo  Do- 
minio non  dirò  più  centinaia,  ma  più  migliaia  di  Servi.  Chi 
più  ne  pofTedeva  ,  fi  riputava  più  ricco  ,  come  chi  oggidì  ha 
maggior  copia  di  cavalli  ,  di  pecore  ,  e  buoi  .  Fruttava  tutta 
quella  povera  gente  al  fuo  Signore. 

Ma  quah  erano  le  Arti,  e  gli  Ufizj  de' Servi?  Lorenzo  Pi- 
«noria  ,  uomo  di  gran  grido  fra  i  Letterati  ,  ne  compofe  un 
Trattato  apporta  col  titolo  de  Sevvis  ,  &  eorum  apud  veteres 
Minijìeriis  .  Quivi  ci  fa  egli  vedere  un  lungo  ,  ed  erudito  Ca- 
talogo, di  quanti  impeghi  una  volta  foflero  capaci  i  Servi,  co- 
minciando da  i  più  baffi,  e  falendo  a  tant' altri,  che  noi  oggidì 
riputiamo  molto  cofpicui .  Chi  nondimeno  attentamente  legge- 
ra quel  Libro  avrà  occafionfe  di  maravigliarfi,  come  quel  dot- 
to uomo  si  ftranamcnte  confondeffe  le  cole.  Sapeva  egli  (echi 
noi  sa  de  i  Letterati?  )  la  differenza ,  che  paffa  fra  i  Servi  ^  e 
i  Liberti  ;  e  pure  in  effa  fua  opera  non  badò  ad  attribuire  a  i 
Servi  non  pochi  Ufìzj ,  eh'  erano  proprj  de'  Liberti  ;  e  dopo 
aver  moftrata  compaffionevole  la  condizion  dei  Servi,  li  folle- 
va  pofcia  ad  una  invidiabile,  per  la  qualità  de  gli  onorevoli  lor 
minifteri  .  Ora  qui  convien  offervare  un  ufo  de  gli  antichi  Ro- 
mani ben  diverfo  da  quei  de'  noftri  tempi  .  Sono  i  Servi ,  o 
Servitori  d'  oggidì  gente  Libera  ,  che  fpontaneamente  prefla 
fervigio  ad  altrui  ;  che  può  ritirarfene  ,  e  può  effere  cacciata  , 
godendo  tutti  i  Popoli  d'  Italia  ,  e  le  minime  perfone  al  pari 
de' grandi  il  privilegio  della  Liberta.  Ma  Roma  antica  fi  divi- 
deva in  due  Popolazioni ,  Tuna  di  Servi,  o  vogliam  dire  Schia- 
vi ,  privi  della  Liberta  ,  il  numero  de' quali  era  prodigiofo  in 
quella  Regina  delle  Citta  ;  e  l'altra  di  gente  Libera  divifa  in 
molte  ^Tribù  ,  che  comprendeva  immenfa  copia  di  ArtifH  , 
Mercatanti ,  ed  altri  anche  poveri ,  anche  rullici  uomini  ,  a  i 
quali  tutti  competeva  il  nome  di  Cittadini  Romani,  ed  aveano 
anch'elfi  una  volta  la  lor  parte  nel  governo  della  Repubblica  . 
Sommamente  fi  filmava  anche  da  i  Poveri  la  Liberta  ,  e  Cit- 
tadinanza Romana  per  li  privilegi,  ed  utili,  che  feco  portava  . 
E  non  è  gi^a,  che  foffe  disdetto  ad  effa  Povera  gente  il  paffare 
al  fervigio  de' beneftanti ,  e  de' grandi;  ma  volendo  ciò  fare, 
perdeva  la  Liberta,  e  ceffa va  d' effere  Cittadino  Romano,  per- 
chè erano  incompatibili  colla  fervitù  que' due  pregj  :  di  modo 

che 


1^6  Dissertazione 

che  propriam-cfite  i  Ricchi  non  erano  ferviti  da  gente  Inge- 
nua ,  e  Libera  ,  ma  folamenre  da  Servi ,  e,  ficcome  diremo, 
anche  da  i  Liberti ,  i  quali  erano  una  fpecie  di  perfone  fra  i 
Servi,  e  gl'Ingenui  nati  da  Padre  Libero. 

Notissima  cofa  è,  che  i  Servi  colla  Manomiflione  acquifla- 
vano  la  Liberta  ,  o  comperandola  con  cedere  il  lor  Pecuho  a 
i  Padroni,  o  confeguendola  pel  merito  d'aver  ben  fervito  per 
un  tempo  difcreto,  o  per  le  raccomandazioni  de  gli  Amici,  o 
pel  Tellamento  de'  lor  Padroni ,  o  per  altre  cagioni,  ed  occor- 
renze .  Allora  prendevano  il  nome  di  Liberti  ,  diventavano 
gente  Libera  ,  e  Cittadini  Romani  ,  poteano  far  Teftamento  , 
elTere  aggregati  alle  Tribù  ,  e  godevano  altri  vantaggi  .  Chi 
prima  li  teneva  in  fuo  dominio  ,  e  fi  chiamava  Dominus  ,  o 
pure  Herus  ,  da  li  innanzi  in  riguardo  a  quei  Liberti  veniva 
appellato  Fatroiius^  voce  da  noi  mutata  in  Padrone  ,  divenen- 
do egli  come  Padre ^  e  non  più  Signore  del  Liberto  .  Ritene- 
va perciò  il  Patrone  fopra  quel  Liberto  il  Giuspatronato,  cioè 
non  dominio  ,  ma  diritto  di  fuccedergli  ah  iììteftato  ,  fé  man- 
cavano Figli  ;  e  fé  il  Liberto  aveffe  peccato  d'ingratitudine 
verfo  chi  gli  aveva  compartita  la  Liberta ,  tornava  per  gafti- 
go  ad  eflere  Servo  come  prima  ,  per  tacere  altre  cole  .  Pari- 
mente altro  coftume  fu  de'  Romani ,  che  bene  fpeflb  i  Liber- 
ti continuavano  a  fervire  nelle  Cafe  de'  loro  Patroni ,  o  per- 
chè tornava  loro  il  conto  ,  o  perchè  non  confeguivano  un'in- 
tera Liberta  ,  e  fi  obbligavano  per  patto  a  qualche  impiego 
nella  Famiglia  d'elfo  Patrono  ,  E  quelli  impieghi  non  erano 
più  i  balli  e  vili  de' Servi ,  ma  bensì  decorofi,  quali  conveni- 
vano a  chi  godeva -il  pregio  della  ^Cittadinanza  Romana  :  di 
maniera  che  ficcome  oggidì  la  Famiglia  de' gran  Signori  fi  di- 
vide in  Servitù  baffa  ,  come  Palafrenieri,  Cuochi ,  Carrozzie- 
ri, Cantinieri,  e  fimili  :  e  ne  gli  uomini  di  Cappa  nera  ,  co- 
me Braccieri,  Segretarj,  Coppieri,  ed  altri  :  cosi  gli Ufizj  baffi 
anticamente  appartenevano  a  i  Servi ,  e  gli  onorevoli  a  i  Li- 
berti. E  tanto  più  quedo  fi  praticava,  perchè  i  Liberti  in  cer- 
ta maniera  entravano  nella  Famiglia  propria  de'  lor  Patroni . 
Imponevafi  dal  Signore  un  folo  nome  al  Servo  .  Qiialora  poi 
coftui  veniva  manomeflb  ,  acquidava  il  Prenome,  e  Nome  del 
medefimo  Signore  ,  come  farebbe  il  dire  a'  noftri  tempi ,  che 
gli  era  conferito  il  Nome,  e  Cognome  di  chi  prima  il  fignoreg- 
giava.  Bella  Ifcrizione  fi  legge  nella  mia  Raccolta  pag.  mdxxxvi, 

num.É^, 


DECIMAQ.UARTA.  IjJ 

Dum.Ó.  poRa  ad  un  Fanciullo  appellato  Fefto,  che  caduto  in 
un  pozzo  perde  la  vita,  QV!  SI  VIXISSET,  DOMINI  lAM 
NOMINA  FERRET  .  Se  il  Signore  fofTe  ftato  per  efempio 
M/^rco  Labirìo  Ferace  ^  il  Fanciullo  manomefìo  fi  farebbe  da  lì 
innanzi  nominato  Marco  Lab  irto  ^  Liberto  di  Marco  ^  ^^fto^  ri- 
tenendo il  nome  del  tempo  fervile  c\oh  Fejìo^  nell'ultimo  luo- 
oo  .  Talmente  era  confiderabile  quefto  efìfere  aggregato  alla 
Famiglia  ,  che  Patroni  aflaifìTimi  folevano  far  comune  il  pro- 
prio Sepolcro  a  i  loro  Liberti  ,  e  Liberte  ,  come  cofta  da  i 
Marmi  antichi  :  Privilegio  di  cui  non  erano  partecipi  i  Servi . 
Molta  induftria  perciò  ufavano  allora  elTi  miieri  Servi  per  abi- 
litarfi  in  qualche  profefTione  a  miiura  del  loro  talento.  I  Servi 
flefli  faceano  imparar  Lettere  a  i  lor  Figli,  e  di  quello  fi  pren- 
deano  cura  anche  i  lor  Padroni  .  Con  ciò  fi  meritavano  effj  di 
ufcire  dalla  vile  lor  greggia,  e  condizione,  per  fervire  come  Li- 
berti in  Ufizj  di  onore,  e  di  lucro. 

Noi  non  fappiamo  fé  con  patti  ,  e  con  quai  patti  una  vol- 
ta fi  manomettefiero  que'  Servi  ,  che  poi  continuavano  come 
Liberti  a  fervire  in  Cafa  de'  loro  Patroni  ,  con  efiere  alzati  a 
più  onorati  impieghi  .    Sappiamo  bensì  dal  Tit.  de  Operis  Li- 
bertorum ^  e  dall'altro  de  bonis  Libertorum  ne'Digefti,  che  mol- 
tiffimi  acquilìavano  la  Liberta  con  obbligarfi  di  fare  ai  Patro- 
ni dei  Regali,  o  delle  Fatture,  fé  erano  Artefici,  Operas^  vel 
Donum,  QLiefto  fi  praticava  verifimilmente  da  i  foli  Mercatan- 
ti, ed  altri  Signori  dati  all' interelTe ,   ma  non   già  dalle  Nobi- 
li Cafe  .  Per  conto  di  quelle,  le  antiche  Ifcrizioni  ci  fanno  ve- 
dere, che  moltiffimi  furono  coloro,  che  anche  dopo  la  confe- 
guita  Liberta  feguitavano  a  convivere  ,  e  fervire  in  quelle  me- 
-defime  Cafe  ,  non  più  come  Servi  ,  ma  come  Liberti  ,   perchè 
probabilmente  tornava  il  conto  a  gli  uni' ,  e  a  gli  altri  .  I  Pa- 
troni fi  fervivano  di  Perfone  loro  confidenti  ,  e  già  innellate 
nella  propria  Famiglia  ;    e  i  Liberti  crelciuti  di  onore  ,  e  di 
guadagno  poteano  accumulare  robba   per  sé  ,  e  per  li  Figli  . 
Non  ho  io  potuto  fcoprire  fé  i  Romani  teneffero  Servi  Mer- 
cenari come  oggidì  .    O  di  veri  Servi  ,  o  di  Liberti  allora  fi 
fervivano.  Ciò  po(to,  maraviglia  è,  che  il  Pignoria  in  trattan- 
do de  gli  Ufizj  de'  Servi  antichi  ,  imbrogliafle  tanto  le  carte  , 
lenza  diftinguerc  i  Servi  da  i  Liberti  ,    e  con  attribuir  molti 
impieghi  a  i  primi,  che   pure  erano  riferbati  agli  ultimi.   E 
più  del  (tu  pi  re  è,  citarfi  da  lui  Marmi,  che  parlano  di  Liber- 
Tomo  L  S  ti , 


138  Dissertazione 

ti,  e  pure  fono  prefì  da  eflb  ,  come  fé  parlafìTero  di  Servi  . 
Sulle  prime  viene  egli  abbaifando  la  nobil  profeffione  de' Me- 
dici alla  vii  condizione  de'  Servi .  E  con  quale  autorità  ?  Col- 
le parole  di  Paolo  Orofio  ,  che  nel  Lib.  VII.  Gap.  3.  cosi  fc ri- 
ve :  j^deo  dira  Komanos  fames  fequuta  eft  ,  ut  Ccefar  Lanijìa- 
Yum  f amili as^  omnesque  Peregrinasi  Servorum  quoque  maxima^ 
copias  ,  exceptis  Medicis ,  C^  Praceptoribus  ,  trudi  Urbe  pr^cepe- 
rh ,  Ma  quella  eccezione  fi  dee  riferire  all' om?2es  Peregrinasi 
a  tutti  i  Foreftieri,  e  non  già  a  i  Servi,  de'  quali  tuttavia  do- 
vette reftare  gran  copia  nelle  Cafe  de'  Nobili  .  Aggiugne  il 
Pignoria  la  feguente  Ifcrizione  : 

CHRESTAE  CONSERVAE  ET  CONIVGI 

CELADVS  ANTINOVS  DRVSI 

MEDICVS  CHIRVRG. 

Non  Antinaus  ,  ma  bensì  Antonia  cioè  della  Moglie  del  Prin- 
cipe Drufo  ^  s'ha  ivi  da  fcrivere.  Ora  (\i\^)ìo  Cclado  fu  Liber- 
to ,  e  non  Servo  della  Cafa  Augufta ,  come  apparifce  da  Giu- 
feppe  Ebreo  Lib.  23.  Gap.  14.  e  da  un' Ifcrizione  rapportata 
dal  Boiffardo,  e  dal  Grutero  pag. mxxxiv.  i.  che  fu  polla 

OCTAVIAE  P.  F.  CATVLLIAE 

GEL  ADI  DIVI  AVGVSTI   L. 

VXORI 

Riferifce  il  medefimo  Pignoria  un' altra  Ifcrizione  di  TI.LYRIVS 
(probabilmente  il  Marmo  avrà  TLIVLIVS)  TI.  AVG.  L. 
SER.  CELADIANVS  .  Coftui  era  (lato  prima  Servo  di  Ce- 
lado  ^  egli  fu  data  la  liberta  da  Tiberio  Augudo  .  Ancor  que- 
fl:o  fa  conofcere  Celado  Liberto ,  perchè  i  Servi  non  poteano 
aver  de  i  Servi  .  Né  dia  failidio,  che  Celado^  e  Chrefta  fua 
Moglie  portano  un  folo  nome,  come  ufavano  i  Servi;  perchè 
troppi  efempli  fi  truovano  di  Liberti,  che  ne' tempi  de' primi 
Celari  fi  fervivano  del  folo  lor  nome  Servile,  con  cui  comu- 
nemente erano  chiamati  nelle  pubbliche  Ifcrizioni  ,  come  co- 
fìa  dalla  Glaffe  XII.  e  XXI.  della  mia  Raccolta.  Qjiel  si,  che 
può  parere  flrano,  fi  è,  che  Cbrejìa  Moglie  à\  Celado  Medi- 
co vien  àtUdi  Co?iferva ^  il  che  ci  fa  vedere  nonmen.lui,  che 
la  Moglie  Servi.  Ma  è  daofiervare,  che  ne' tempi  d'efli  pri- 
mi 


DECIMAQ.UARTA.  Ijp 

mi  Imperadori ,  que'  Liberti  che  fervivano  nella  Cafa  ,  e  Fa- 
miglia Augufta  ,  erano  anche  appellati  Servi ,  o  ciò  faceflero 
per  adulazione  ,  o  pure  perchè  fervendo  a  chi  era  Signore  di 
tutti,  rifpetto  a  s\  fatti  Padroni  ,  tenevano  fefteffi  per  Servi. 
Comunque  ciò  folTe  ,  certo  è  ,  che  que'  medefimi  portanti  il 
nome  di  Servo  ,  non  lafciavano  d'  aver  già  confeguita  la  Li- 
bertà ,  e  d'  effere  Liberti  .  Per  tralafciar  altri  efempi  ,  nella 
mia  Raccolta  alla  pag.  dcccxcii.  fi  legge  : 

DAPHNVS 

CAESARIS   N 

SER.  DISP.    FISCI 

CASTRENSIS 
VERNIS   SVIS   F. 

Se  quefto  Dafno  avea  de'  Servi  (  Ferna  fignifica  Servo  nata 
in  Cafa  del  Signore  )  adunque  era  Liberto  di  condizione  ;  e 
contuttociò  viene  appellato  Servo  del  ttojìro  C efare ,  Dovea  an- 
che avere  il  Prenome,  e  Nome  della  Famiglia  dell' Imperado- 
re,  che  l'avea  manomeffo  ,  benché  non  ufi  che  il  folo  nome 
a  lui  dato  nella  Servitù  .  Sicché  per  conto  òq' Medici  non  fuf- 
fifle,  che  i  medefimi  fodero  della  feccia  del  Popolo,  cioè  Ser- 
vi ;  e  l'onorata  lor  condizione  fi  può  ricavare  da  varie  altre 
memorie  dell'Antichità.  A  me  folo  baderà  di  dire,  avere  l'an- 
tico Giurisconfulto  Julian©  nella  /.  Patronus  ff.  de  Operis  Lil^er- 
torum  ,  fcritto  cosi  :  Plerumque  Medici  ,  Servos  ejusder}7  Artis 
Libertos  producunt  ,  quorum  operis  perpetuo  ufi  non  ali  ter  pof- 
funty  quam  ut  eas  locent  &c.  Se  i  Medici  tenevano  de  i  Servi, 
adunque  tali  non  erano  effi .  E  fé  infognavano  a  i  proprj  Servi 
l'Arte  loro,  conveniva  poi  conceder  ad  elfi  la  Liberta  ,  affin- 
ché la  potelTero  efercitare . 

Andando  innanzi,  noi  troviamo  ,  che  il  Pignoria  attribui- 
fce  a  i  Servi  i  piià  onorati  ,  e  principali  impieghi  della  Cafa  > 
e  Famiglia  Augufta  ,  quando  é  affai  noto  ,  che  quelli  non  fi 
concedevano  fé  non  a  i  Liberti ,  i  quali ,  come  colta  dalla  Vi- 
ta di  alcuni  de'  primi  Imperadori,  o  corti  di  mente,  e  depra- 
vati dai  vizi ,  divenivano  gli  Arbitri  della  Corte  ,  ed  erano 
riveriti  ,  e  temuti  quafi  al  pari  del  Principe  dal  Popolo,  e  dal- 
la Nobiltà  Romana.  Pallante,  Narcifo,  Epaphrodito,  fono  ce- 
lebri per  quello   nella  Storia  Romana  .    Quali  dunque  oggidì 

S     2  fono 


14.0  Dissertazione 

fono  tanti  onorati  Cortigiani ,  che  fervono  alla  lor  Camera  , 
Anticamera,  Menfa  ,  e  ad  altre  funzioni  di  confidenza  pref- 
fo  i  Principi,  e  le  Principefle ,  tali  erano  allora  i  Liberti.  Sa- 
peva pur  anche  leggere  il  Pignoria  ,  e  intendere  le  antiche 
Ifcrizioni ,  anzi  le  recava  in  pruova  delle  fue  offervazioni  ; 
ma  quelle  ftefle  parlano  di  Liberti  ,  e  non  già  di  Servi  .  Era 
nella  Corte  Imperatoria  l'Ufizio  di  chi  invitava  i  Senatori,  ed 
altri  Nobili  a  i  Conviti  dei  Principe.  Ecco  l'Ifcrizione  riferita 
da  lui  fteffo  » 

AGATHOPVS 
AVGG.  LIB. 

INVITATOR 

Coftui  è  chiamato  Liberto  de  gli  Augujìi ,  ed  era  a  lui  ap- 
poggiato quel  onorevole  impiego  .  Godevano  anche  varj  Cor- 
tigiani  un  Ufizio  di  fomma  confidenza  ,  cioè  quello  di  far  il 
faggio  alia  Menfa  de  gli  Augufti  ,  ed  aveano  un  Procuratore 
fopra  di  loro  .  Di  coftoro  paria  il  feguente  Marmo  rapporta- 
to dal  medefmio  Pignoria. 

TI.  CLAVDIO.  AVG.  LIB. 

ZOSIMO  PROCVRAT 

PRAEGVSTATORVM 

Ognun  vede  ,  che  ancor  qui  ci  comparifce  davanti  un  Liber« 
to.  V'era  chi  avea  cura  de'Vafi  d'oro,  che  fervivano  perla 
Menfa  de  gli  Augufti  ,  ficcome  fa  vedere  effo  Pignoria  con 
queft'  altra  Ilcrizione  : 

GAMVS  AVG.  L.  PRAEP.  AVRI 

ESCARI.  FECIT  SIBI  ET. 

FLAVIAE  TYCHE  CONiVGL 

Chi  non  vede,  che  tale  incumbenza  nella  Corte  dell'Impera- 
dorè  apparteneva  ad  un  Liberto,  e  non  già  ad  un  vile  Servo? 
Ed  ancorché  foffe  ftato  manomeflb  ,  pure,  ficcome  fu  di  iò- 
pra  avvertito,  ufa  il  folo  nome  Servile  :  il  che  ripeto,  affin- 
chè trovandofi  fimili  Nomi  foli  nelle  antiche  Memorie  de' pri- 
mi Augufti  ,  non  fi  corra  tofto  a  fpacciarli  per  Servi  .  E  che 
quefto  Gnmo  non  folle  Servo  5  ma  Liberto ,  fi  può  anche  rac- 
coglie- 


Decimaq.uarta:  i^t 

cogliere  dalla  Moglie  ,  che  è  Flavia  Nìce .  Cortei  dovea  efìfe- 
re  fìata  dianzi  Serva  di  Vefpafiano  Augufto  ,  o  di  uno  de  i 
fuoi  Figliuoli  .  Nel  ricevere  il  dono  della  Liberta  ,  fu  inferi- 
ta nella  Famiglia  Flavia  propria  di  effi  Augufii  .  E  notifi  , 
che  a  diilinguere  i  Liberti  da  i  Servi,  giova  l'offervare  le  Mo- 
gli ;  perciocché  era  vietato  a  i  Servi  lo  Ipofar  Donne  Libere  , 
nel  ruolo  delle  quali  erano  parimente  comprefe  le  Liberte. 

Se  vogliam  credere  al  Pignoria  ,  nella  Corte  Imperiale  vi 
era  un  Maeftro  de'Servi,  e  lo  pruova  colla  feguentelicrizione. 

TL  CLAVDIO.  AVG.  LIB. 

HERMETI 

M.  PVEROR.VM  DOM.  AVGVST, 

Ne  aggiugne  un'  altra  --^ 

FLAVI    STEPHANI 

PAEDAG.  PVEROR. 

IMP.  TITI 

CAES  ARIS. 

Ma  quefti  Maeftri ,  o  Governatori  non  erano  già  Servi ,  ma 
bensì  Liberti  ,  come  chiaramente  ivi  fi  legge  .  Oltre  di  che 
parlandofi  ò.q  Fanciulli  della  Corte  Imperatoria  ,  s'ha  con  tal 
nome  ad  intendere  i  Paggi  del  Principe  .  Nella  mia  Raccolta 
pag.  DcccLxxxiv.  4.  fi  truova  un  Publio  Aelio  Epaphrodito  Li- 
berto di  Augullo  Magijìer  J atrolipta  Puerorum  emincntium  Cce- 
faris  nojìri .  Certamente  un  Pedagogo  ,  che  conducefl'e  a  fpalfo 
gì'  innumerabili  Servi  della  Corte  Augufta  ,  non  è  da  immagi- 
nare .  E  que'  Paggi,  ficcome  adoperati  al  lervigio  immediato 
de  gli  Augufti,  fi  dee  credere,  che  folfero  Liberti,  e  non  Servi. 
Secondo  il  Pignoria  entravano  anche  nel  ruolo  de'  Servi  i  Bi- 
bliotecarj  della  Corte  Augufta .  Si  truovano,  die' egli,  ne' Mar- 
mi antichi  C.  IVLIVS  C.  L.  PHRONIMVS  A.  BIBLIOTHE- 
CA.  GRAECA.  C.  IVLIVS.  FALYX.  A.  BIBLIOTHECA 
GRAECA.  PALAT.  TL  CLAVDIVS.  AVG.  L.  HYME- 
NAEVS.  MEDICVS.  A.  BIBLIOTHECIS.  L.  VIBIVS  AVG. 
SER.  PAMPHILVS.  SCRIBA.  LIB.  ET.  A.BIBLIOTHECA. 
LATINA.  APOLLINiS.  Ma  i  Prenomi ,  e  Nomi  di  quelli  Bi- 
biiotecarj,  cioè  felTere  aicritti  alla  Famiglia G/////'^,  QClaudia^  li 

fa 


14-2  Dissertazione 

fa  conofcere  per  Liberti  ,  e  non  mai  per  femplici ,  e  vili  Ser- 
vi .  Qtiello  flefib  Lucio  Vib'to  Panfilo ,  benché  appellato  Servo 
d'i  Auguflo^  non  lafciava  d'eflere  Liberto,  come  ne  fan  fede  i 
fuoi  Nomi.  .  r 

D 1  quello  pafTo  va  il  Pignoria  profeguendo  il  Catalogo  de 
gli  Ufizj  5  e  Minifterj  de  gli  Antichi  Servi ,  confondendo  infie- 
me  quei  ch'erano  proprj  d'effi  con  gli  altri ,  che  competeva- 
no a  i  foli  Liberti .  Ma  i  Liberti  ,  e  malfimamente  quei  della 
Corte  Imperiale  ,  calcavano  podi  di  grande  onore  ,  non  fola- 
mente  in  efla  Corte  ,  ma  anche  nelle  Provincie  ,  come  appa- 
rifce  da  tutti  i  Raccoglitori  de  gli  antichi  Marmi .  E  febbene 
alcuni  di  elfi  fi  truovano  chiamati  Séti;/  de  gli  Augufti,  abba- 
fìanza  fi  conofce,  che  per  qualche  ragione  particolare  porta- 
vano queflo  nome  ,  e  non  già  perchè  foffero  della  vii  condizio- 
ne de' Servi  volgari  .  Forfè  anche  pochi  erano  i  Liberti  appel- 
lati Servi ,  air  olTervare ,  che  per  la  maggior  parte  gli  altri  fi 
nominano  folamente  Liberti  de  gli  Augujìi  ^  e  non  già  Servi. 
E  fé  il  Pignoria  defiderava,  che  ci  folte  alcuno ,  che  prendelTe 
poi  a  trattare  òi€ Miniflerj  de  Liberti  ^  com'egli  avea  fatto  di 
quei  ò.t' Servi  ^  dovea  procedere  con  efattezza  maggiore,  e  non 
entrare  nella  giurisdizion  de' Liberti  fle^j.  Ma  non  più  de' tem- 
pi Romani. 

Vegniamo  a  i  Secoli  barbarici  dell'  Italia  .  Siccome  già  ac- 
cennai 5  P  ufo  de'  Servi  era  familiare  antichilBmamente  tanto 
in  Occidente  ,  che  in  Oriente  .  Gli  ftelfi  Popoh  Settentrionali , 
conquilìatori  dell'Italia  ,  non  ebbero  bifogno  d'impararlo  qui. 
Lo  praticavano  molto  prima  anch'elfi;  e  però  qua  venuti  con- 
tinuarono lo  flelfo  coftume  .  Erano  i  Servi ,  o  perfone  prefe 
in  guerra,  forzate  a  fervire  il  Popolo  vincitore,  e  di  quefti  ta- 
li principalmente  fi  formava  la  gran  turba  d'elfi  al  tempo  de' 
Romani.  Altri  per  qualche  delitto,  o  a  cagion  de'd^biti  incor- 
revano nella  fchia^vitù,  ed  altri  infine  per  cagione  della  pover- 
tà vendevano  la  loro  Liberta  ,  e  quella  ancora  de'  Figli  .  Ve- 
ramente Diocleziano,  e  Maffimiano  Augufli  vietarono  il  far  de 
i  Servi  folamente  a  cagion  de'debiri  contratti,  come  colla  dalla 
/.  ob  as  dienum  .  Cod.  JuHin.  ut  nBiones  .  Ma  lotto  i  Re  Lon- 
gobardi, e  Franchi,  né  pii^i  né  meno  furono  fuggetti  i  debito- 
ri impotenti  a  pagare  i  debiti  colla  perdita  della  Liberta.  Fra 
le  Formole  antiche,  dame  date  alla  luce  per  illullrare  la  Leg- 
ge L  di  Lottario  I.  Augnilo,  fi  legge  :  Pro  Martino  yneo  Servo ^ 

qui 


Decimaq_uarta.  145 

qui  miùi  fuìt  tradhiìs  per  crime?!  ,  vel  per  debhtim  .  E  nelli 
Legge  ^"J'  del  medefimo  Lottarlo  fono  mentovati  Liberi  homi- 
nes ,  qui  propter  aliquod  crirnen ,  aut  debitum ,  ;'//  fervi  fio  alte- 
rius  fé  fubdu?jf.  Qiianto  a  i  misfatti,  ho  prodotto  io  unDiplo- 
ma  di  Guaimario  L  Principe  di  Salerno,  con  cui  egli  nell'An- 
no 'SSp,  dona  alla  Chiefa  di  San  Maffimo  Servum  Sacri  nojìrì 
Palatii  Lupum  flium  Ragimperti  cum  u>core  fua^  &  filiis^  fi- 
liabus  y  fiugris  ^  ne  nepotibus  fdis  ^  cum  omnibus  rebus  fubflanti(S 
illorum  &c.  Il  delitto  da  lui  contratro  era  quello  :  Pro  quo  ip- 
fé  Lupus  cum  Saracenis  ambulavit  ,  &  paóluefes  fuit  ,  quando 
ipfe  fìorus  (cioè  l'Armata  navale  d' efli  Infedeli)  fuper  hanc 
ipfam  Civitatem  refedit.  Aveano  i  fuddetti  Imperadori  Diocle- 
ziano ,  e  Maffimiano  proibito  il  vendere  i  Figliuoli  colla /. /./'- 
beros  .  Cod.  juftin.  de  Patribus  ^  qui  Filios  &c.  Ma  Coflantino 
Magno  con  altra  Legge  rimife  in  ufo  quefto  crudele  mercato, 
e  fembra  eh'  eflb  duraiTe  fino  al  buono  Imperadore  Lodovico  , 
che  lo  levò  colla  Legge  V.  fra  le  fue  .  Uf  charmla; ,  die'  egli , 
obligationis  de  fmgulis  hominibus  faHdS  ,  qui  fé  aut  uxores  co- 
rum  ^  aut  Filios  ^  vel  Filias  in  fervitio  tradiderint^  ubi  inventce 
fuerint^  frangantur  ;  Ò' Jint  liberi  ^  Jtcut  primitus  fuerint.  Lot- 
tarlo I.  luo  fucceifore  nella  Legge  I.  non  confermò  affatto  quell' 
Editto  ,  perciocché  dice  :  Liber  homo  fé  ipfum  ad  fervitium 
implicare  prò  aliquibus  caujìs  Jinitur  ;  ma  per  conto  della  Mo- 
glie, e  de' Figli  prolbifce  ,  ed  annulla  la  vendita  d'effi  .  Tut- 
tavia tempi  calamltofi  talvolta  avvenivano  ,  e  mailunamente 
occorrendo  careftie  ,  che  la  povera  gente  ,  per  non  potere  di 
meno,  fi  vendeva  a  i  ricchi  .  Gaufrido  Alalaterra  nel  Libro  L 
Gap.  27.  della  Storia  Normanica,  defcrivendo  la  lagrimevol  fa- 
me ,  che  neir  Anno  1058.  afflifie  la  Calabria  ,  fcrive  ,  che  i 
Padri  fuos  Li  beros  ex  irigenuitate  procreatos  vili  pretio  in  fervi- 
tutem  venumdabant. 

Allorché*  i  Romani,  ed  altri  Popoli  della  Terra  giacevano 
nelle  tenebre  della  Gentilità  ,  tale  autorità  ,  e  balia  godevano 
fopra  i  loro  Servi,  che  non  Iblamente  era  permelTo  di  batter- 
li, ma  impunemente  poteano  anche  levar  loro  la  vita  fecondo 
il  lor  capriccio.  Ho  veduto  un  Giurisconfulto,  che  fi  sforza  di 
giuiìificare  si  barbaro  coftume  ,  contrario  a  i  dettami  della  (lef- 
la  Natura  .  Tenevano  coloro  come  beflie  i  loro  Schiavi;  e  tut- 
toché li  rtimaifero  piì^i  de' buoi,  e  delle  pecore,  perchè  ne  ri- 
cavavano maggior  fervigio  ,  pure  un  cgual  diritto  di  vita  ,  e 

di 


144-  Dissertazione 

òì  morte  era  loro  conceduro  fopra  efìl  Servi,  che  fopra  il  bue, 
e  il  cavallo.  Miie  poi  freno  Antonino  Pio  Augnilo  a  quefto  ec- 
ceflìvo  poter  de' Padroni,  come  s'ha  da  Caio  nella /.  i.  j^-.  ds 
his^  qui  fui  ^  vel  alieni  jurisfunt^  dove  fon  quefte  parole:  Hoc 
tempore  jìuIIÌs  homimbus  ,  qui  fub  hnperio  Komano  funt  ,  liceP 
jupra  rnodum  ,  &  Jine  caujja  he  gibus  cognita  in  Ser^uos  fuos  fa- 
njire ,  Nam  ex  Confi itutione  Divi  Antotiini  ^  qvii  fine  cauffaSer- 
vum  fuum  occiderit^  non  minus  punivi  jubetur^  quam  qui  alie- 
?7um  Sevvum  occiderit .  Più  efficacemente  ancora  a  quella  cru- 
deltà rimediò  il  primo  ImperadoreCrifìiano,  cioè  ColtantinoM. 
il  quale  in  una  Legge  riferita  nel  Lib.  IX.  Tit.  12.  del  Codice 
Teodofiano  dichiarò  reo  di  omicidio  chiunque  volontariamen- 
te uccideffe  un  fuo  Servo.  Fra  le  Leggi  de  gli  Ateniefì  rappor- 
tate da  Samuele  Petit  nel  fuo  Comment.  v'  ha  quella  :  Servis 
/US  efìo  Dominos  iniquos  adigere  ,  ut  fé  njendant  humanioribus  . 
Anche  nelle  Leggi  Romane  del  Codice  di  Giultiniano  ,  e  fpe- 
zialmente  alla  /.  Si  Dominus  jf.  de  his  qui  fui  &€,  il  Padroii 
crudele  viene  obbligato  a  vendere  il  Servo  .  Contuttociò  fi  sa, 
che  i  Greci  più  che  i  Romani  efercitavano  maggiore  umanità 
verfo  i  loro  Schiavi  :  il  che  non  è  di  molto  onore  a  i  Romani 
antichi  .  Succederono  ad  effi  nel  dominio  d' Italia  le  Nazioni 
moffe  dal  più  freddo  Settentrione  .  Erano  gente  barbara  ,  non 
fi  può  negare  ;  pure  per  quel  che  riguarda  i  Servi  ,  erano  elfi 
trattati  con  più  umanità  da  i  Padroni  .  Verberare  Sewum  ,  ac 
vinculis  y  &  opere  (  forle  compede  )  coercere  ,  rarum  .  Occidere 
folent  5  77on  difciplina  ,  &  fe'veritate  ,  fed  impetu  ,  Ù'  ira  ut  ini' 
ìnicum  j  nifi  quod  impune  .  Cos'i  fcriveva  Tacito  de'  Germani 
del  fuo  tempo.  Ma  da  che  la  Religion  Criftiana  venne  ad  am- 
manfar  gli  uomini,  e  a  predicare  la  Divina  Legge  della  Carità  , 
più  manfuetudine  fi  cominciò  ad  efercitar  verio  i  Servi.  In  più 
Concilj  fi  truova  decretato,  Excommunicatiojzi  .^  vel  pce,7iitenti(S 
biennii  effe  fubjiciendum ,  qui  Servurn  proprium  fine  ronfienti  a 
Judicis  occiderit ,  Ne  era  permelfo  ,  fé  un  Servo  fi  rifugiava 
nellaChiefa,  feftraerlo  fubito  per  forza  ,  come  ordinò  il  Re 
Liutprando  nel  Lib.  VI.  Legge  pò.  In  tal  cafo  o  i  Preti,  o  i  Mi- 
niftri  della  Giuffcizia  s'interponevano  per  ottener  perdono  e  pa- 
ce al  miiero  preffo  il  Padrone  .  E  le  uno  Schiavo,  o  fia  Servo 
fé  ne  fuggiffe ,  &  eum  Dominus  fequutus  invitajfet  in  pace  ,  ut 
redderetur  in  gratia  ,  &  pofìea  Dominus  prò  ipfa  culpa  in  eum 
fvindi6lam  dedijfet :  era  condennato  alla  pena  di  venti  Iòidi  d'oro. 

Per 


D    E   e    I    M    A    Q.  U    A    R    T    A  .  1^5 

Per  altro  come  al  tempo  de' Romani  ,  cos\  a  quello  dei 
barbari,  rivendevano  i  Servi,  e  le  Serve  a  guifa  de' buoi ,  e 
de' cavalli;  e  nella  fteffa  guifa  che  il  venditore  del  Cavallo  lo 
mantiene  non  difettofo  per  certi  mali  ,  altrettanto  facevano  i 
venditori  de  gli  Uomini  .    Cioè  diceano  di  coniegnargli    quel 
Servo  7ion  fu^^itinjum  ^  ìion  ladlvum  (cioè  non  iuggetto  al  mal 
caduco  )    nec  ullum  njìttum    in  fé  hahentem  ,  finje  mente  ,    Ò' 
corpore  fanum  ,  Secondo  la  Legge  16.  q  72.  di  Carlo  M.  fu  pre- 
fcritto,  7ìe  mancìpi  a  'venderentur^  n'tjì  in  pra:JenfiaEpifcopt^  vel 
Comitis  ,  aut  Archidiaconi  ,  &  Centenarii  ,   aut  Vicecomitis  &c. 
mit  ante  bene  ìizta  tejìiynonia  .  Saggio  Editto  ,  primieramente 
affinchè  non  fi  vendeflero  Servi  a   perfone  flraniere  ,    perchè 
v'era  divieto  il  condurli  fuori  del  R.egno  ;  fecondariamente  ac- 
ciocché ninno  poteffe  vendere  il  Servo  proprio ,  reo  di  qualche 
misfatto  per  non  pagare  la  pena,  a  cui  erano  tenuti  i  Padroni 
per  li  Servi .  E  finalmente   per  impedire  ,  che  alcuno  vendeiTe 
il  Servo  altrui  .  Ne  gli  antichi  tempi  de' Greci,  e  Romani,  al- 
lorché fi  vendeva  un  Servo  ,  o  Serva  ,  con  pubblico  Strumento 
il  Compratore  fé  ne  afficurava  l'acquiflo  .  Altrettanto  fi   pra- 
ticò fotto  i  Longobardi  e  Franchi  dominanti  in  Italia .  Ho  io 
pubblicato  uno  di  si  fatti  Rogiti  ,  fcritto  più  òi\  mille  anni  fo- 
no, cioè  nell'Anno  73(5.   Vige  fimo  Quarto  del  Regno  di  Liut- 
prando  «  Ivi  'Mancipio  nomine  Scholaflica^  &  ipfo  Mancipi oUr- 
Jìo  fihi  conjuge^  fono  venduti  auri  jolidos  numero  duos  ^  &  fe- 
mijje  ;  e  il  venditore  cede  \\  Mundio^  cioè  il  potere  a  lui  com- 
petente fopra  que'  Servi  .    Che  fé  gli  Ecclefiallici  aveano  da 
far  qualche  permuta,  vendita,  o  compra  di  Servi,  conveniva 
adoperar  le  medefime  cautele,  che  fi  u  fava  no  per  gli  Stabili, 
affinchè  apparifle,  che  maggiore  utilità  provveniva  allaChiefa 
da  quel  Contratto.   Da  uno  Strumento  Lucchefe  dell'Anno P75. 
apparifce  ,  che  volendo   Adalongo  Vefcovo  di  Lucca  fare   un 
cambio  di  Servi  con  Anfualdo  Prete  ,  inviò  i  fuoi  Meffi  a  ben 
efaminare  quella  faccenda  ;  e  queiti  rapportarono,  qualiter  me- 
lìorata  commutatione  dedi   ad  pars  fuprajcriptce  Ecclejìa ,   Notif- 
fimo  è  poi,  che  non  fu  vietato  a  i  Servi  il  prendere  Moghe  di 
egual  condizione.  Similmente  fi  sa,  che  i  Padroni  poteano  fpo- 
iare  una  Serva  ;  ma  fi  richiedeva,  che  innanzi  la  dichiaraffero 
Libera.  Rotari  nella  Legge  223.  concede  tal  facoltà  alla  per- 
fona  Libera,  con  dir  pofcia  tamen   debeat  eam  Liberam  thinga- 
re  (cioè  manometterla  )  &  Legifimam  facere  per  garimbix  , 
Tomo  L  T  Timc 


1^6  Dissertazione 

T«;/c  hiteUl^^mr  ejf e  Libera^  Ù' Legìttma  Uxor ;  &  F 1111  ^  qui 
ex  e  a  nati  fuerìnt  ,  legtùme  heredes  Patri  ejflciimtur  ,  Altret- 
tanto veniva  prefcritto  dalle  Leggi  Romane.  Volendo  poi  pren- 
der per  Moglie  una  Serva  altrui  ,  dovea  comperarla  dal  Pa- 
drone d'elfa.  Era  all'incontro  propofla  la  pena  della  Vita  ad 
un  Servo ,  che  avefTe  ardito  di  Ipoiare  una  Donna  Libera  ;  e 
per  conto  della  femmina,  era  permeffo  a'  luoi  Parenti  di  ucci- 
derla ,  o  di  venderla  fuori  della  Provincia;  e  noi  facendo  efTì, 
quella  rellava  Serva  del  Filco,  cioè  del  Re .  Crudele  probabil- 
mente parrà  si  fatta  Legge  a  taluno  .  Ma  fi  dee  offervare  , 
che  viliffima  era  la  condizion  de' Servi,  e  ftando  eglino  al  fer- 
vigio  nelle  Cale  delle  Donne  Nobili,  o  d'altre  perfone  Libere, 
ciafcuna  delle  quali  per  quello  titolo  partici pa va  alquanto  del- 
la Nobiltà  :  le  non  aveife  il  terrore  ,  e  la  pena  delle  Leggi 
tenuto  in  dovere  l'uno,  e  l'altro  leffo  ,  facilmente  farebbe  av- 
venuto, che  le  pazze  Donne  fi  lalciafTero  condurre  amaritarfl 
co'Servi  :  il  che  farebbe  ridondato  in  foramo  difonore  delle  no- 
bili Famiglie  .  E  i  Longobardi  forfè  più  dell'altre  Nazioni  fa- 
ceano  gran  capitale  dell'Onore,  e  della  Nobiltà.  Benché  a  dir 
vero  ,  anche  i  Romani  con  pene  feverifTime  vietarono  fomi- 
glianti  maritaggi,  come  fi  può  vedere  nel  Lib.  IV.  Tit.p.  Cod. 
Theod.  ad  Senatusconfultum  Claudianum  ^  e  nel  Lib.  IX.  Tit.  p. 
de  Mulieribus.  E  Paolo  Giurisconfulto  nel  Lib.  2.  Sent.  21.  fcri- 
ve  ,  che  tal  Donna  maritata  ad  un  Servo  perdeva  la  fua  Li- 
berta, e  diveniva  Serva  anch' effa  del  Padrone  del  Servo.  Ab- 
biamo lo  fteffo  da  Tacito  Lib.  12.  Annal.  Diffi  lecito  ad  un  Pa- 
drone il  prendere  in  Moglie  una  fua  Serva  ,  'con  manometter- 
la prima.  Aggiungo  ora,  che  Matrimonj  tali  fatti  da  Uomini 
Nobili  eran  allora,  come  anche  oggidì ,  malveduti,  ebiafimati 
non  poco  da  i  Romani ,  e  dagli  lleffi  Barbari,  per  la  premura 
di  ognuno,  ne  infigniumF amili arum  clava  Nobilitas  indigni  con- 
forta foditate  vilejcerent  ,  come  dice  Antemio  Augufto  nella 
Novella  Prima  .  Tuttavia  abbiam  troppi  efempli  di  tali  Noz- 
ze nelle  Ifcrizioni  Romane  ,  dove  s'incontrano  Donne  ,  chia- 
mare Lìbsrte^  e  infieme  Mogli  de' loro  Padroni  .  Di  rado  anco- 
ra dovcM  iuccedere  ,  che  i  Parenti  uccideflero  le  loro  Donne 
Libere,^  che  fi  accafaffero  con  Servi;  perciocché  fi  veggono 
molte  d'effe  ,  che  divenivano  Serve  del  Palazzo,  ed  erano  poi 
donate  a  i  Monilleri  .  Grimoaldo  Principe  di  Benevento,  come 
fcrive  Leone  Oitienfe  nel  Lib.  i.  Gap.  18.  pra;cepto  fuo  firmavit 

omncs 


Decimaq_uàrta.  147 

omnes  Femlnas  Ltberas ,  quoe  Servis  hujus  Monajìertt  fucranf  co- 
pulata .  E  in  un  Diploma  di  Landolfo  ,  e  Atenolfo  Principi  di 
Benevento  preflb  l'Ughelli  Tom.  Vili.  Ital.  Sac.  ne' Velcovi 
di  Benevento,  fono  donate  al  Moniftero  di  San  Salvatore  due 
Femmine  Libere  ,  che  s'  erano  maritate  con  due  Servi  .  Alle 
volte  ancora  i  Padroni  per  motivo  di  Carità  Criftiana  permet- 
tevano, che  i  Figli  di  taliMatrimonj  reftaffero  Liberi  :  del  che 
fi  faceva  Carta  pubblica  ,  che  fi  può  vedere  preffo  Marcolfo 
Lib.  2.  Cap. p.  Né  fi  dee  tacere,  avere  fcritto  Andrea  Dandolo 
nella  fua  Cronica  ,  che  follecitato  Carlo  M.  dal  Patriarca  di 
Gerufalemme  di  liberar  da  i  Saraceni  la  fanta  Citta  ,  pubblicò 
un  Editto,  ordinando,  che  tutti  prendefiero  l'armi  in  Italia; 
&  qui  eum  non  fequeretur  ,  cum  quatuor  lìbrts  nummorum  jìc- 
rep  Servus  ,  Aggiugne  ,  che  fi  formò  un  potente  Efercito,  con 
cui  Carlo  toHe  Gerufalemme  a  gì' Infedeli  .  Tutte  favole  :  nin- 
na fpedizione  fu  fatta  allora  per  andare  in  Paleftina.  Non  col- 
la forza  ,  ma  con  amichevol  trattato  ottenne  quel  Monarca 
i  Luoghi  Santi. 

Parimente  è  palefe  ,  che  i  Figli  nati  da  i  Servi  ,  al  pari 
del  Padre  reftavano  anch'  effi  privi  della  Liberia  ,  e  fotto  il 
dominio  del  Signore  ,  non  differenti  anche  per  quello  conto 
da  i  cavalli ,  e  dalle  vacche  .  Perciò  anche  ne'Secoli  barbarici 
fra  le  ricchezze  fi  contava  l'abbondare  di  Servi,  come  di  mer- 
catanzia  ,  che  fruttava  ,  effendo  che  i  Padroni  fi  valevano  di 
efli  per  coltivar  le  campagne,  e  per  altre  arti,  e  fervigi.  Quan- 
ta gran  copia  ne  avelie  il  Moniftero  di  Farfa,  fi  può  leggere 
nella  Cronica  di  quel  facro  Luogo  da  me  data  alla  luce;  e  fi- 
milmente  nella  Cronica  del  Moniftero  di  Volturno  fi  truova  il 
Catalogo  di  que'  Servi  ,  ficcome  ancora  un  Placito  dell'  An- 
no 872.  in  cui  dopo  aver  contefo  alcuni  d'effere  perfone  Li- 
bere, finalmente  fi  danno  vinti  con  quefle  parole  :  Vere  de  no- 
/ira  Ltbertate  mìnime  probare  pojfumus^  quia  Patres  noftri  ^  & 
Matres  nojìrix  Servi  &  Ancillcd  fuerunt  de  pnsfato  Monajìerio  . 
Talvolta  infatti  luccedeva,  che  fi  metteva  in  difouta  davan- 
ti  ai  Giudici,  fé  le  perfone  foffero  di  condizion  fervile  o  Li- 
bera. Anche  nel  1080.  in  un  Placito  tenuto  da  CoftantinoVe- 
Icovo  di  Arezzo,  un  certo  Giovanni  ,  proferens  fé  Liberum  ho- 
minem ejfe^  nulloque  ji^go  Servitù fis  inne^um^  mancando  pò- 
Icia  nelle  pruove  ,  e  convinto  da  i  Teftimonj  in  contrario  , 
Z^^'^A^"^  ^fi  P  /^w^^/.V/??  ejfe  jam  di6ii  Monajìerii  ,   ac  ijìfuper 

T     2.  J un  Bis 


1^8         Dissertazione 

ju7i6iis  manthus  je  ipfum  tn  ìnanus  jam  dì&i  Gmdo?ìis  Ahbatls  ad 
famulatum  trad'id'tt  .  PrefTo  i  Monaci  Benedettini  della  fteffa 
Citta  di  Arezzo  in  alcune  pergamene  vidi  una  curiofa  fatica 
de' vecchi  Secoli,  cioè  la  Genealogia  di  molti  Servi  di  quel  Mo- 
niflero,  dove  erano  annoverati  i  lor  Padri,  Avoli,  Bifavoli&c. 
i  loro  Figli,  Difcendenti  ,  e  Collaterali  ,  il  loro  avere,  le  fu- 
ghe, le  traslazioni  con  idudio  non  minore  di  quel  che  adoperi- 
no i  Nobili  per  teffere  le  loro  Genealogie.  E  ciò  fatto,  perchè 
intervenendo  talvolta  le  liti  fuddette,  necefiaria  cofa  era  il  pro- 
vare, che  i  maggiori  erano  Servi  :  il  che  provato,  fi  conchiu- 
deva, che  anche  i  Figli  erano  fottopofti  a  quel  giogo?  qualo- 
ra concludentemente  non  provafTero  di  avere  confeguita  la  Li- 
berta .  Vegganfi  le  Croniche  ài  Monte  Cafino  ,  Farfa  ,  e  Vol- 
turno, e  fi  troverà,  che  fé  a  que'Monifteri  erano  donate  Cor- 
ti, e  poderi,  regolarmente  fiefprimeva,  che  quel  dono  com- 
prendeva anche  i  Servi  .  E  Leone  Oftienfe  nel  Lib.L  Cap-  iy« 
della  Cronica  Cafinenfe  fcrive  ,  che  da  un  Daniele  Tarentino 
furono  dati  in  dono  alcuni  Servi  circa  l'Anno  817.  i  Difcen. 
denti  de' quali  tuttavia  erano  Servi  del  Moniflero  di  Monte  Ca- 
fmo  circa  l'Anno  11 00.  U7ide  (  cosi  egli  fcrive  )  ììonnuUt  7io- 
flrum  nmic  ufquequaque  putnnt ,  de  prccdi^is  ejusdem  Datiiel  Ser- 
'vts  eos ,   quos  hod'teque  habemus ,  Famulos  propapatos . 

In  quali  Arti ,  ed  impieghi  fi  efercitaflero  i  Servi  al  tempo 
de' Romani,  l'abbiam.o  già  avvertito  di  fopra.  Sotto  i  Longo- 
bardi,  e  Franchi  gran  copia  eziandio  v'era  di  Servi,  ma  non 
apparifce,  che  gli  adoperafiero  in  tanti  meftieri.  I  Padroni  ne 
tenevano  in  Cafa  gli  occorrenti  al  loro  fervigio  appellati  Servi 
Minijìeriahsy  e  regolarmente  impiegavano  gli  altri  alla  coltu- 
ra de' loro  poderi.  Siccome  fu  offe r va to  di  fopra ,  eranvi  anche 
de  gli  uomini  Liberi  ,  che  fi  guadagnavano  il  pane  colle  rufti- 
cali  fatiche  ;  tuttavia  maggiore  fenza  paragone  fu  il  numero 
de' Servi,  e  quefti  applicati  all'Agricoltura,  con  quelle  leggi, 
che  piacevano  a  i  Padroni  ;  giacché  tutto  quanto  guadagnava 
quella  povera  gente,  era  d'effi  Padroni,  detratto  il  neceffa- 
rio  alimento  .  Anche  regnando  i  Romani ,  non  mancavano 
contadini  perfone  Libere  ,  che  coltivavano  i  terreni,  come  fi 
raccoglie  da  Columella  ;  forie  anche  allora  più  furono  i  Servi 
agricoltori  .  Ma  ninna  delle  Nazioni  trattò  si  afpramente  i 
fuoi  Servi  ,  che  non  lafciafiè  loro  qualche  ritaglio  dei  guada- 
gno, da  effi  fatto  nell'Arti,  nella  mercatura ,  e  in  lavorar  le 

cam- 


DECIMAQ.UARTA.  I4.P 

canìpagVie  .  Queda  porzione  fi  chiamava  da'  Romani  Pecu- 
lìum^  ed  iincX'ìQ  Peculiare  ^  voce  poi  ufata  da' Longobardi  ,  e 
Franchi,  e  probabilmente  originata  dall'avere  il  Padrone  co- 
minciato a  permettere,  che  i  Servi  ruftici  tenciTero  qualche  pe- 
cora per  conto,  e  guadagno  loro  ;  e  poi  ftefa  a  fignihcare  altri 
guadagni  .  Ciò  fi  ufava  per  incitar  quella  gente  a  divenire  in- 
duftriofa.  Godevano  i  Servi  l'ufo,  ed  ulufrutto  del  loro  Peculio, 
ma  non  già  un  pieno  dominio;  imperciocché  non  poteano  vch- 
derlo  ,  né  lafciarlo  ad  altri  fenza  licenza  del  Padrone  :  il  che 
viene  ordinato  da  alcune  Leggi  de' Codici  Teodofiano,  e  Giulìi- 
nianeo.  Né  avendo  i  Servi  facoltà  di  farTeftamento,  per  con- 
feguente  il  Padrone  ereditava  quanto  efìi  aveano  adunato  :  il 
qual  rigore  nondimeno  non  fi  foleva  efercitare,  ogniqualvolta 
mancava  il  Servo  di  vita  con  lafciare  de' Figli,  perchè  a  que- 
fìi  fi  permetteva  di  goder  la  roba  del  Padre.  Si  sa,  che  molti 
di  coftoro,  anche  a' tempi  de' Romani,  cotanto  s'induftriavano 
col  proprio  Peculio  ,  che  divenivano  facoltofi  ,  in  maniera  da 
potere  col  pagamento  redimere  la  propria  Liberta.  Bene pecu- 
ììatl^  &  Pecul'wji  furono  dimandati  coftoro;  e  lo  ftefTo  fi  prati- 
cò a' tempi  de' Longobardi,  Franchi,  e  Tedefchi  in  Italia.  Ve- 
defi  una  Donazione  fatta  nell'Anno  10P5.  da  Alberto  Servo  di 
Alberto  Co?2te  a  Pacifico  Abbate  di  S.Prolpero  di  Reggio  di  una 
pezza  di  Terra  ,  ipfo  namque  Domnino  tneo  mihi  confentiente  , 
&  hic  fiiptus  coìijirmante , 

Per  tanto  chiunque  metteva  i  Servi  a  lavorare  qualche  fua 
Corte,  Maffa,  o  podere,  poteva  rifcuoterne  tutte  le  rendite, 
con  provveder  folamente  quegli  uomini  di  vitto,  e  veitito,  e 
lafciar  loro  il  Peculio  .  Solevano  altri  Padroni  più  indulgenti 
tafiare  quanto  di  grano  ,  e  d'altri  frutti  dovea  pagarfi  alni  dal 
Servo  Agricoltore  .  Se  ve  n'era  di  più,  tornava  in  utile  e  van- 
taggio d'efib  Servo;  e  buon  per  chi  aveva  più  induftria,  per- 
ché in  tal  guifa  accrefceva  il  fuo  Capitale  .  Somiglianti  patti 
anche  oggidì  fi  praticano  fecondo  i  diverfi  Paefi  d' Italia  ,  fé 
non  che  ora  tutti  i  Contadini  Italiani  fon  gente  Libera  .  Né 
pure  ne'  Secoli  di  mezzo  era  permefib  di  aggravare  più  ài 
quel  che  portavano  i  patti,  e  la  confuetudine,  i  Servi  lavora- 
tori delie  Terre.  Nella  Legge  X.  di  Lodovico  Pio  fono  ram.raen- 
X2X\%ernji  Benéficiarii .  Più  fovente  ancora  s'incontrano  C^/^fi, 
creduti  dal  Du- Gange,  qui  intra  cafam  ^  hoc  e  fi  in  ruralibus 
pojfiejjionibus  fervwbant.  Ma  che  vi  fofiero  de' Calati  Liberi  fi. 

può 


150  Dissertazione 

può  provare.  Parimente  s'incontrano  Sewì  Majjfarìl  deflinati 
alla  coltura  di  qualche  Maffa  ,  come  fignificante  1'  unione  di 
molti  poderi  .  Che  nondimeno  vi  fofiero  MaJJnrì  Liberi  non 
mancano  Documenti,  che  lo  pruovano .  Nelle  Leggi  Longo- 
bardiche abbiamo  Servum  Kujikanum  ,  qui  fub  Majfario  ejì  . 
Quefto  Maffaro  ,  come  anche  oggidì ,  preledeva  alla  cura  di 
qualche  Mafia,  e  comandava  ai  Servi,  ma  egli  fembra  efiere 
lìato  perfona  Libera .  Truovanfi  ancora  FJfcales^  o  Fifcalìm  y 
che  fervivano  alFifco,  cioè  al  Re.  Nella  Storia  della  Trasla- 
zione di  San  Germano  Vefcovo  di  Parigi  circa  1'  Anno  7^0.  fi 
legge  :  In  hoc  P^go  Parijiaco  ipji  Fifcalìni  ve/ìr't  ob  fortìtudi' 
nem  Celjitudìnis  'vejìrce  valde  funt  infolentes^  &  temerarii^  (T 
multa  mala  cantra  hunc  locum  perpetrante  Pensò  il  Padre  Ma- 
bilione  difegnati  con  quello  nome  Procuratores  Fifcorum  .  A 
me  fembra  più  probabile  ,  che  fofiero  Servi  ,  o  più  tofio  Al- 
dti  del  Re,  de' quali  fi  parlerà  al  Gap.  feguente.  Vengono  an- 
che menzionati  Servi Eccleftajìkt  ^  cioè  coloro,  che  appartene- 
vano alle  Chicle. 

Siccome  accennammo,  in  vigore  delle  Leggi  delReRotari, 
non  era  lecito  ad  alcun  Servo  Jìne  permijfu  Domi?ìi  fui  neque 
terram  ^  neque  quamcumque  rem  vendere  .  Contuttociò  Servus 
Majfarius  licentiam  hahebat  de  Peculio  fuo  ^  idejì  bovem^vac- 
cam^  Caballum  Ù'c,  in  focio  dare  .  Noi  tuttavia  dimandiamo 
dare  a  focida^  cioè  confegnare  pecore,  vacche  ,  e  buoi,  ad 
altri  con  titolo  di  Società,  per  partirne  pofcia  con  lui  il  frutto ^ 
e  guadagno.  In  una  piacevol  Canzone,  attribuita  da  alcuni  ai 
Petrarca,  fi  legge  : 

Ma  dar  le  Capre  a  Socio ^  è  pur  il  meglio. 

Il  Sillingardi  nel  Catalogo  de'  Vefcovi  di  Modena  rapporta  un 
Diploma  di  Lodovico  Pio  Augufto ,  dato  a  Deusdedit  Vefcovo, 
e  copiato  poi  dall' Ughelli,  in  cui  è  confermata  la  Donazione 
quam  Cunibertus  Rex  fcàt  ad  Ecelejtam  Sancii  Gemini  ani  de 
Villa  Purcili  (  nell'Originale  v'è  Put^oIo  )  Jive  tributum  ,  fub- 
Jidiales  ,  atque  Anp^arias  ,  quas  Servi  ejusdvm  SanBi  Geminianì 
ad  ipfum  Cafalem  laborandum  &  excolendum  Babuerunt  .  Di 
qua  preiè  il  Du-Cange  ,  ed  inneftò  nel  fuo  Glofiario  la  voce 
Subftdiales  ,  Ma  nell'Originale  è  devino  /uccidi  alesy  parola  be- 
ne icura  ,  non  fapendo  io  dire  ,  fé  mai  fignificafie  le  rendite 
^e  gU  Armenti  dati  a  focida  ;  o  pure  fé  tratta  foffe  da  ficcl- 

denda 


Decimacluarta.  151 

dendo  ,  o  fia  dal  Roncare  le  Selve  ,  cioè  dal  coltivare  terreni 
prima  incolti  ;  o  s'  abbia  altro  i'enfo  .  Diffi  ,  che  fi  davano  a 
lavorar  le  Terre  a  i  Servi  con  varj  patti.  Nell'Anno  5?o5.  na- 
ta quiftione  ,  le  moltiffimi  nomini  della  Corte  Lemonta  preffo 
il  Lago  di  Como  foffero  Servi  del  Moniftero  di  Santo  Ambro- 
fio  di  Milano,  Andrea  Arcivelcovo  di  Milano  tenne  nella  Vii- 
la  di  Belano  ,  come  Mijjus  Donifìì  ImperaPorìs  (il  che  è  fegno, 
ficcome  dirò  appreffo,  che  tuttavia  regnava  in  Italia  Lodonjico 
III.  Aitgiifto  )  un  Placito  .  Quivi  proteftano  quegli  uomini  , 
quìa  nos  vernctter  de  noflrts  perfon'ts  Servi  Jìmus  ejusdem  Cur- 
tìsLemontas^  &  Mo?i after ìi  San6li  Ambrojiì  ^  eo  quod  Ge?2Ìtores  ^ 
&  Genìtrìces  nojìri  &€,  Servi  fuerunt^  &  nos  fumus  &c,  Pofcia 
aggiungono  gli  oneri  loro  importi  ,  cioè  Colligere  debemus  oli- 
vas  de  Olive fas  Curtis  ipjius  ,  &  premere  ,  Ò'  exinde  oleum  ,  & 
traere  Ulne  Monajìerium  Sanali  Ambrojti  .  Atque  ei  vedere  debe- 
mus annue  a  parte  ejusdem  Monajìerii  argemum  denarios  bonos 
Solidos  feptuaginta  .  Et  per  Lacum  Comenfem  Abbatem  ejusdem 
Monajìerii  ^  vel  fui  MiJJi  ^  navigare  debemus  ;  atque  ei  prò  om- 
ni  anno  reddere  debemus  ferrum  Libras  centum  ,  &  Pullos  tri- 
gtnta  ^  atque  Ovas  tresce?itum  .  Se  poi  avveniva,  che  il  Padro- 
ne volefle  col  tempo,  e  contro  i  patti,  accrefcere  gli  aggravj 
a  i  Servi ,  coftoro  reclamavano  a  i  Giudici .  Truovafi  un  altro 
Placito,  tenuto  nell'Anno  po5.  Tegnente  dallo  flelTo Arcivefco- 
vo  di  Milano  ,  dove  non  so  le  i  Servi  fuddetti  fi  lamentano  , 
quod  ex  parte  Gadulf,  ,  qui  jam  diólo  Monafìerio  pnserat  ,  ma^ 
ximam  paterentur  Superimpofltam .  In  che  confiftelTe  quella  giun- 
ta di  aggravj  ,  lo  fpiegano  ,  dicendo  :  Supra  id  quod  debet  , 
Cenfum  a  nobis  ,  atque  Navigium  exquirit  .  Animalia  nofìra 
Prepofitus  ejus  Pedelbertus  injufte  aufert  ;  &  olivas  contra  con- 
fuetudinem  colligere^  &  premere  Jìve  cale  arium  facere  precipit  ; 
ad  Clepiatis  quoque  volentes  nolentesque  ire  ,  &  vites  illic  am- 
putare contra  confuetudinem  jubet,  JLt  quod  pejus  efì  ^  multotiens. 
nos  grana  flagellare  ,  &  Capillos  noflros  aufert ,  Jìcut  in  prefentì 
cernitisi,  precipit  .  E  perciocché  l'Abbate  infilteva,  che  coflo- 
ro  da  gl'Imperadori  erano  ftati  donati  al  Moniftero  ^tx Servi ^ 
e  poter  egli  perciò  comandar  loro  ciò  che  voleva  :  rifpondeva- 
noefli,  che  fotto  gl'Imperadori  altra  obbligazione  non  aveano 
i  loro  Padri,  ed  elìl  ,  fé  non  la  feguente  :  Nos  annue  foliti  fui- 
mus  folvere  ,  nifi  tantum  denariarum  Libras  III,  cum  folidos  X, 
Frumentum  fextaria  XII.  Cafeum  Libras  XXX,  Pullos  pares  XXX, 

Ovas 


152  Dissertazione 

Ovtis  ecc.  tnjitper  oì'was  ejusdem  Curtis  hemonts  cum  'Piegali 
dìfpend'io  coUigere^  &  premere ,  Efaminati  i  teftimonj,  fu  data 
la  ientenza  in  favore  de'  Servi ,  e  qui  fi  dee  ofìfervare ,  efTere 
fìati  di  due  forte  i  Servi  .  I  primi  erano  forzati,  cioè  prefi  in 
guerra,  o  condennati  cornerei,  o  venduti  &c.  A  coftoro  potea 
il  Padrone  comandare  a  fuo  capriccio  .  Gli  altri  erano  fponta- 
nei,  cioè  fi  facevano  Servi  per  coltivare  i  Campi,  ma  con  cer- 
ti patti,  a' quali  dovea  ftare  anche  il  Padrone.  Però  la  vinfero 
i  Servi  di  quella  Corte. 

Dicemmo,  che  correndo  l'Anno  5)05.  vien  fatta  nel  primo 
Placito  menzione  dell'Imperadore  ,  e  per  confeguente  di  Lo- 
dovico III.  Imperadore  ,  il  quale  vien  anche  efpreffamente  no- 
minato nelle  Note  Cronologiche .  Ora  tal  notizia  fi  oppone  a 
quanto  hanno  fcritto  il  Sigonio,  il  Pagi,  ilLeibnizio,  ed  altri 
Storici,  fecondo  i  quaU  elfo  Lodovico  Augufto  nell'Anno ^02. 
fu  forprefo,  ed  acciecato  da  Berengario  Re,  ed  obbligato  a  ri- 
tornariene  in  Provenza  .  Ho  io  in  fatti  veduto  Diplomi  dati 
in  Pavia  dallo  fteflb  Imperadore  ne' primi  Mefi  dell'Anno  c?o2. 
e  ne  ho  prodotto  uno  di  Berengario  dato  nella  medefima  Cit- 
ila in  queir  Anno  XV I.  KaL  Augufii  :  fegno  ,  che  Lodovico  . 
avea  ceduto  il  campo  .  In  molte  tenebre  veramente  fi  truo-  1 
va  la  Storia  di  que'  tempi  ,  e  noi  non  abbiamo  fé  non  Liut- 
prando,  che  tratti  di  que' fatti ,  e  lenza  affegnare  gli  Anni  .  | 
Tuttavia  fembra  a  me  affai  probabile,  che  Lodovico  III.  Au- 
guro nel  5?02.  folle  cacciato  fuor  d'Italia  per  la  prima  volta, 
e  che  ritornato  a  ripigliarne  il  Dominio  colf  abbattere  Beren- 
gario ,  ne  ftefìfe  in  poffelfo  fino  all'  Anno  ^05.  in  cui  pofcia 
perde  gli  occhi  e  il  Regno  .  Accenna  il  RofìTi  nella  Storia  di 
Ravenna  uno  Strumento  ftipulato  in  quella  Citta .  Sergii  Fon- 
tijicis  Anno  Secundo  ,  Hludovici  deferis  Quarto ,  Indizione  OBa- 
'va  ^  Id'tbus  Julii .  Appartiene  tal  Documento  all'Anno  5)05.  e 
fi  dee  fcrivere  Anno  ^u'm^o  di  Lodovico.  Né  ferve  il  dirfi  dal 
Pagi,  che  nell'Efarcato  tuttavia  era  onorato  il  nome  di  quel!' 
Imperadore  ,  benché  atterrato  ;  perciocché  quella  Provincia 
dipendeva  allora  dal  Re  d'Italia,  e  fi  truovano  Diplomi  dati 
in  Ravenna  dal  Re  Berengario  .  Aggiungafi  ,  rapportato  dal 
Campi  uno  Strumento  dell'Elezione  di  Guido  Vefcovo  di  Piacen- 
za, ic ritto  Anno  ab  Incarn,  Dom.  rioflrt  Jefu  Chrifti  DCCCCIIIL 
Jndi6l,  Géìava  ,  imperante  Domno  Hludcvko  Serenifs.  Imperatore , 
Non  v'ha  il  Mefe  .   Forfè  ivi  fu  fcritto  Anno  DCCCCIIIII, 

Ho 


Decimaquarta,  I5j 

Ho  io  prodotto  in  oltre  un  Diploma  di  Donazione  fatta  da 
elfo  Lodovico  Auguflo  alle  Monache  della  Porteria  di  Pavia  , 
le  cui  Note  lon  qneilc  :  Datum  Pridie  'Noìias  Junìas  ,  Anno  In- 
carnationh  Dominicce  DCCCCV.  Indì6l,  Vili.  Anno  V,  Imperante 
Domno  Hludo'vico  glorio/ij/tmo  Imperatore  in  Italia  .  ABum  Ti- 
cinenjis.  Un  altro  limile  ,  cioè  colle  fteire  Note  ,  fi  conferva 
nell'Archivio  delle  fuddette  Religiofe  ,  parimente  da  me  dato 
alla  luce.  Tali  notizie  ci  conducono  a  credere  ,  che  folameii- 
te  nell'Anno  ^05.  reftafle  privo  de  gli  occhi  ,  e  del  Regno  . 
Aggiungafi,  che  la  disgrazia  d'eflb  Lodovico  vi^n  riferita  dall' 
AnnaliftaSaflbne,  pubblicato  dall'Eccardo,  all'Anno  ftelfoc^o 5. 
Reginone  nella  Cronica  ne  parla  all' Anno  ^04.  ma  fi  può  cre- 
dere, che  ne' fuoi  buoni  tcfU  fia  fcritto  c?o5.  perchè  l'Anna- 
lifta  fuddetto  copiò  Reginone,  ed  anche  la  Cronica  F_eichers- 
pergenfe,  mette  quel  fatto  all' Anno  ^05.  Tralafcio  altre  me- 
morie ,  ed  offervazioni  intorno  a  que'  tempi  di  tanti  imbrogli 
per  la  Lombardia. 

Passiamo  ora  a  cercare,  che  s'abbia  ad  intendere  colla  vo- 
ce Condurne  ,  o  Condom^  ,  la  quale  non  rade  volte  s'  incontra 
nelle  antiche  Carte  .  Il  Du-Cange  nel  Gloffario  Latino  alla  vo- 
ce Condamina  ,  fu  di  parere  ,  eh'  effa  fignificaffe  un'  unione  o 
Mafia  di  poderi.  Vien  da  lui  citato  il  Gramatico  Papia,  che 
fcrive  :  Conduma  y  Domus  cum  Curia  ^  &  ceteris  necejfariis.  La 
Cerda  in  Adverf  Sac.  Cap.  42.  num.io.  laiciò  fc ritto  :  Condu- 
ma locus  efl  laxationi  corporis  ajjìgnatus  ,  dióìus  a  dumetis  *  E 
i  Fratelli  Magri  nell'Hierolex.  giudicarono,  t{{txt  Prjedium  du^ 
mìs  repletum.  Ve' quanti  fogni  !  Non  altro  fu  una  Condama, 
fé  non  una  Famiglia,  o  fia  Cafata  di  Servi  abitanti  nei'''me- 
defima  Cafa  ,  e  coltivatori  di  una  Pofieflione  .  Citano  quegli 
Eruditi  San  Gregorio  Magno,  il  quale  cosi  fcrive  nell' Epiilo- 
la  XX.  Lib. XL  (dianzi  Lib.  IX.  Epift. XIV.  )  Experientide  tua: 
nos  pr^ecipijfe  recolimus  ,  ut  quia  ReverendiJJimus  Frater  ,  & 
Coepifcopus  nofler  C alumniojus  necejjttatem  fé  de  jolatiis  ajferuit 
fuftinere  ,  U7iam  illi  de  jure  Ecclejìa;  deputare  Condumam  de- 
bt^ijjes .  I  Padri  Benedettini  nelle  Annotazioni  fcrivono  :  Con- 
duma efl  Majfa  feu  prcediu?n  Ecclejice  .  In  dote  Oratorii  feu  Ec- 
clejice  Monaflerii  ponitur  Conduma  Jupra  LikX.  Epifl.  XVI IL 
infra  Lib,  XII.  Epifl.  XI.  Condumam  Ecclejice  Piemenfis ,  cui  no- 
men  Tudiniacus  ,  memorat  Hincmarus  in  Vita  Beati  Remigii  . 
Né  pur  efii  colpirono  nel  fcgno  .  Seguita  il  Pontefice  a  dire  : 
Tomo  L  V  Ssd 


154-  Dissertazione 

Scd  quia  Condtima  ìpfa  inneolam  parvam  jurìs  eji'.sdem  Ecclcjt<s 
noftrce  tenere  dicitur  ,  &  ìpfam  fibi  parher  vineolam  petit  de- 
bere  locari  &c.  QLiel  tenere  vuol  dir  qui  lavorare^  e  fi  parla 
di  una  Famiglia  fervile  ,  e  non  già  che  la  Mafia  abbracci  una 
Vignola  ,  Lo  fteffo  San  Gregorio  neli' Epiftola  XI.  Lib.  XII. 
mette  per  dote  di  un  Oratorio  Fundos  campulos  cum  Conduma 
una  ,  boves  donutos  parium  unmn  .  Ecco  eh'  egli  diftingiie  le 
Terre  dalla  Conduma,  e  vuol  dire  un  podere  con  Famiglia  di 
Servi  lavoratori  .  Ma  quello,  che  mette  in  chiaro  ciò  che  fof- 
fero  le  Condome  ,  fi  è  la  Cronica  del  Moniil:ero  del  Volturno 
dame  poftainluce.  Ivi  all'Anno  778.  Arichis  Duca  di  Bene- 
vento dona  a  quel  Sacro  Luogo  Condomas^  idejì  Barciolus  cimi 
germanos  fuos  ,  ftmul  &  nepotes  ,  cum  uxores ,  noras ,  filios ,  & 
jìltCS  :  N?c  non  Ù*  Condomas  nomine  Ronciolus  tam  Jìmul  cum 
juos  germanos  &c.  E  Liutprando  Duca  anch' egli  di  Benevento 
nell'Anno  747.  fa  menzione  di  un  Condoma  nomine  Dodone  cum 
tixore  ^  filios  ^  0*  fili as  Juos  Ù'c,  &  Condoma  nomine  Candolus&c, 
Altre  teftimonianze  fimili  efiftono  in  elfa  Cronica ,  che  non  oc- 
corre riferire  .  E  poreano  avvederfì  di  quella  verità  i  PP.  Be- 
nedettini leggendo  il  Teftamento  di  Berticranno  Vefcovo  del 
Maine  ,  riferito  dal  P.  Mabillone  ne  gli  Analetti ,  e  dal  P.  Pa- 
pebrochio  al  di  6.  di  Giugno  .  Leggefi  quivi  :  Ut  Jtngulos Con- 
domas (  nota  che  Condoma  era  di  genere  maf:olino  )  de  una- 
quaque  Villa  ^  qui  nitidiores  ejfie  nofi:untur  ,  &  ?20S  vel  Bafili- 
cce  SanBa  fideliter  deferviunt  ,  volumus ,  &c.  ut  integro  rela- 
xentur  a  Servitio  &c.  Et  Ingenuitas  fiatus  illorum  jub  defenfio- 
ne  ipjìus  Abbatis  debeat  perpetualiter  perdurare  .  Qui  fi  tratta 
di  manomettere  le  Condome,  con  liberarle  dalla  Servitù.  Pro- 
babilmente con  quello  nome  erano  difegnati  i  Ser'vi  Cajati  , 
de'  quali  è  fatta  menzione  ne' Capitolari  di  Carlo  Magno. 

Si  vuol  ora  olfervare ,  che  un  bel  comodo  ,  e  guadagno  era 
una  volta  l'ufo  de' Servi,  o  fia  de  gli  Schiavi.  I  Famigli  de' 
noflri  tempi,  che  fogliamo  nominar  Servi,  per  effe  re  gente  Li- 
bera, tutto  quel  che  guadagnano,  lofanfuo,  e  lo  trasmetto- 
no a  i  loro  Figli  ;  e  fé  ne  viene  lor  talento,  abbandonano  un 
Padrone  ,  e  paffano  al  fervigio  di  un  altro.  Se  i  Padroni  voglio- 
no trattarli  colle  brufche,  eglino  ne  cercano  uno  più  paziente 
e  difcreto  ;  e  Ilrapazzano  talvolta  il  fervigio  ,  appunto  perchè 
godono  la  Libertà .  Non  così  era  ne'  vecchi  tempi .  Tutto  quello , 
che  acquietava  un  Servo»  ficcome  di  fopra  accennammo,  era 

del 


DECIMAQ.UARTA.  1^5 

del  Padrone.  Se  merteva  al  Mondo  de' Figli ,  non  ne  poteva 
egli  dilporre,  perchè  il  Padrone  era  anche  d'elTi  Signore.  Non 
veniva  a  lui  permefTo,  fé  era  deputato  a  qualche  meftiere,  Tab- 
bandonarlo  ;  fé  alTegnato  a  qualche  podere  per  coltivarlo  ,  il 
dipartirfene  per  fervire  ad  altro  Padrone  .  Se  era  difettofo  ,  {1 
potea  vendere  .  Mancando  al  fuoUfizio,  o  commettendo  qual- 
che cattiva  azione ,  e  fuggendo  5  poteva  il  Padrone  gaftigarlo  . 
Perciò  ordinariamente  col  maggior  poffibile  ftudio  proccurava- 
no  i  Servi  di  rendere  un  buon  fervigio  a  chi  ne  era  Signore , 
e  maffimamente  per  la  fperanza  di  efler  ricompenfati  col  dono 
della  Liberta  .  Tutti  riflelTi  ,  che  potrebbero  far  defiderare  og- 
gidì, che  fi  rinovaffe  Tufo  de  gli  antichi  Servi.  Ma  non  anda- 
va efente  da  molte  penfioni,  e  faftidj  il  coftume  d'allora.  Im- 
perciocché bifognava  comperare  i  Servi  ,  e  a  caro  prezzo  ,  e 
quefto  fi  perdeva,  mancando  effi  di  vita  ,  o  contraendo  mala 
fanita,  o  fuggendo  .  Se  commettevano  qualche  capital  delitto 
toccava  al  Padrone  di  farne  la  penitenza  ,  cioè  di  pagar  la  pe- 
na importa  a  quel  misfatto.  Allorché  coftoro  fuggivano,  gran 
briga  era  il  cercarli  ,  e  ridurli  ,  ed  occorrevano  molte  fpefe  , 
eliti.  Talvolta  ancora  bifognava  litigare  davanti  ai  Giudici, 
fé  coloro  negavano  d'elTere  Servi .  Oltre  a  ciò  feguivano  Ma- 
trimonj  fra  i  Servi  di  diverfi  Padroni  :  il  che  era  uno  non  he- 
ve  imbroglio  ,  perchè  non  fi  potevano  fciogliere,  e  conveniva 
ciò  nonoliante,  che  feguitaffero  a  fervire  i  loro  Padroni.  Que- 
fìi ,  ed  altri  incomodi  ,  ch'io  tralafcio  ,  quei  furono  in  fine  y 
che  fecero  decadere  l'ufo  de' Servi  .  Principalmente  nondime- 
no contribuirono  a  ciò  le  mutazioni  feguite  in  Italia  dopo  il 
iioo.  per  efferfi  tante  Citta  erette  in  Repubbliche  ,  e  perle 
tante  guerre  fufcitate  fra  loro  .  Allorché  fiori  T  Imperio  Ro- 
mano, e  il  Regno  Longobardico,  e  Franco,  fé  un  Servo  fuggi- 
va da  una  in  altra  Citta  ,  non  riufciva  tanto  difficile  il  ricupe- 
rarlo ,  perché  v'  erano  più  Leggi  ordinanti ,  che  niuno  rico- 
veraiTe,  occultafle,  o  traghettaffe  i  Servi  fuggitivi.  Ma  da  che 
l'Italia  fi  parti  in  tanti  Dominj  ,  e  guerra  bene  fpeffo  bolli- 
va, più  non  fu  facile  il  tenere  in  freno  i Servi,  e  fé  fuggivana 
il  ricuperarli.  Si  aggiunfe  il  bifogno  della  guerra.  Sotto  i  Ro- 
mani furono  efclufi  dalla  Milizia  i  Servi,  si  perchè  riguardati 
come  gente  viliffima  ,  e  s'i  ancora  per  timore  ,  che  avvezza- 
ti all'armi  non  facelTero  fedizioni  ,  e  fi  riv^oltaflero  contro  i  Pa- 
droni ,  e  contro  la  ftefifa  Repubblica  .    Solamente  a'  tempi  di 

V     z  Anni- 


Ì<y6  D      ISSERTAZIONE 

Annibale  pel  gran  bifogno  fi  arrolarono  i  Servi,  ma  con  dichia- 
rarli prima  perlone  Libere  .  Altrettanto  fi  praticò  lotto  i  Lon- 
gobardi ,  e  Franchi.  Ma  effendo  divenute  si  frequenti  le  guer- 
re in  Italia  fra  le  fìelTe  Citta  nel  Secolo  Dodicefimo,  troppo  fi 
farebbe  fcarfeggiato  di  Soldati,  ove  non  fi  fofle  permeilo  a  i  Ser- 
vi di  militare  .  Però  andò  in  difufo  F  antico  rigore  ,  e  fu  loro 
conceduta  la  Liberta,  affinchè  prendeflero  Tarmi  per  la  Patria, 
e  per  difendere  i  confini .  Avea  Giufìiniano  nell'  Autent.  ^ic- 
quìd  Novella  8i.  Codic.  de  Emancip.  ordinato,  ut  fi  quisServus-^ 
fetente  Domino ^  mereatur  m'tlìtìam^  repente  in  ipfam  rapi atur  in- 
genuitatem .  Nella  Storia  Milcella  di  Bologna  da  me  pubblicata 
nel  Tomo  XVIIL  Rer.  Ital.  fi  legge  all'Anno  125^.  Furono  li- 
berati i  Kuftici  del  Contado  di  Bologna  ,  cIj  erano  Fedeli  (  cioè 
probabilmente  Servi  di  Mafnada  ,  come  dirò  appreflb  )  di  cen- 
to uomini  della  Città ,  e  furotw  comperati  per  danari  dal  Popolo 
di  Bologna  -^  e  fu  ftatuito  ,  e  haìtdito  alla  pena  del  Capo  ,  che 
7iiuno  ardifca  di  riputarfi  per  Fedele .  Così  il  Comune  di  Bologna 
compero  ogni  Serrjo  ,  e  ogni  Serva  del  Contado  ,  e  diedero  della 
perfona  da  quattordici  anni  in  su  lire  dieci ,  e  da  quattordici  an- 
7ti  in  gili  lire  otto.  Cominciò  dunque  in  Italia  nel  Secolo  XII. 
e  XIII.  a  diventare  rara  la  condizion  de'  Servi,  e  fvani  affatto 
nel  XIV.  Sul  fine  di  quel  Secolo  viife  il  Vergerlo  ,  di  cui  fono 
le  feguenti  parole  nella  Vita  di  Ubertino  da  Carrara  :  Lo?jget- 
tus  erat  hereditarius  Servus^  &  femper  unanutritus;  nam  ufqus 
ad  e  a  tempora  propagandorum  Servorum  mos  in  Italia  manferat  , 
qui  nunc  prorfus  abolevit . 

Ho  rifervato  fin  qui  di  parlare  di  que' Servi  ,  che  dopo  il 
Secolo  X.  i  noflri  Maggiori  furono  foliti  di  chiamare  Homines 
de  Mafnada.  In  una  Inveftitura  data  da  i  Canonici  di  Pila  l'An- 
no 1135.  fi  legge  :  Et  fìmiliter  Juravitj  quod  bomines^  &  mu- 
lieres  de  Mafnada  de  pradióìo  Scansilo  non  habent  vendere ,  72ec 
donare  ,  ncque  alienare  ,  ncque  aliquo  modo  dirigere  ad  damni- 
tate  pr^ediólce  Ecclefia-  .  A  prima  vifta  parrà  ,  che  qu\  fi  tratti 
di  veri  Servi,  al  vedere  vietato  il  venderli^  donarli^  ^à  alienar- 
li :  il  che  fi  fuppone  fi  potrebbe  fare  fenza  quel  Divieto  ,  e 
conviene  a  i  veri  Servi  .  In  oltre  nel  Teifamento  di  Tancredi 
Marchefe  da  me  riferito  nella  P.I.  Cap.  33.  delle  Antich.  Eften- 
iì,  leggiamo  :  Univerfa  Mafnata  me  a  libera  fit  ,  jure  patronatus 
penitus  remiffo  ,  Feculiis  uniuscujusque  ftbi  concejfis  .   Segno  di 

Ser- 


Degimaq.uar  ta.  157 

Servi  è  la  menzione  del  Peculio  .  Ma  non  s'ha  qui  da  precipi- 
tar lafentenza,  e  maflìmamente  confiderando  quQ\JurcP^r,'0' 
n^tus  penitus  remtJ[o  ^  perchè  quefto  non  s'accorda  colla  con- 
dizione de' veri  Servi.  Noi  lappiamo,  che  anche  a' tempi  de' 
Romani  vi  furono  de' Coloni  in  gran  copia  affatto  Servi  ;  altri 
erano  Liberi;  ed  altri  Liberti,  ma  fuggetti  per  alcuni  patti  a  i 
loro  Patroni  :  intorno  a  che  è  da  vedere  Jacopo  Gotifredo  aljLi- 
bro  V.  Tu.  p.  del  Cod.  Teodof.  ÒQ/ughivis  Colonis  .  E  qui  fi 
pon-^a  mente  ad  uno  Strumento  Lucchefe  dell'Anno  7^8.  dove 
due  Uomini  proteflano,  quìa  nos^  & parentes  ìiojìrt  bone  memorts 
"SMalpeytoDuci^  &  fil'tis  ejus^  fewvias  facere  folemus ^  & fervìtìitm 
tier  conàtùonem ,  traendo  cum  navs  tam  granum  quam  Ò'  jalem . 
Pofcia  fof^oiungono  :  ISiunc  'vero  trad'tmus^  &  conjirmamus  omnes 
ves  tiojìras  in  Domo  SanHe  Lucenjis  Ecclejie  ;  &  ab  hac  die  omnì 
tn  tempore  tam  mobtl'ta  quam  ìmmobilta.^  omnes  res  noflras  tam 
de  jure  parentorum  ìioflrorum  ,  quamque  &  de  adquìfttì  noftro 
in  tntegrum  confirmamus  in  poteflate  Ecclejie  Sanóìi  Martini  , 
&  nullum  tempore  ex  re  a  nobis  poffejfa  abeamus  licentiam  fub- 
trae?idi  de  dominio  ipfeus  Ecclefte  .  Promettono  in  fine  a  Peri- 
deo  Vefcovo  di  far  tutto  quanto  faceano  in  fervigio  di  Walper- 
to  Duca  ;  ftc  tamen  falnja  Jujìitia  noftra  ,  quìa  pc  fuìt  ante  a 
confuetudo.  Ecco  perfone,  che  paiono  per  un  conto  Servi,  e 
per  un  altro  no,  ftante  l'aver  effi  de'  Mobili  ,  e  Stabili  di  lor 
ragione ,  e  il  fottoporre  bensì  i  loro  beni  alla  Chiefa  ,  ma  non 
giS  le  loro  perfone.  Sicché  la  lor  condizione  viene  ad  eflcre  un 
mirto  di  Servitù  ,  e  Liberta  ,  e  fembra  fimile  a  quella  de  gli 
Uomini  di  Mafnada  .  Monfignor  Fontanini  in  una  iua  Operetta 
delle  Mafnade  credette  originata  la  voce  Ma/nata  da  Mas  figni- 
fìcante  Manfum  ,  o  fia  un  podere  ,  e  <^a  Nata  ,  ficchè  volelfe 
dire  gente  nata  ne  i  Ma-nfi  .  Il  Du- Gange  all'  incontro  crede 
formata  ìtlvqqq  Mafnada  dàManfata^  per  additar  perfone  ob- 
bligate a  qualche  Manfo,  o  fia  a  coltivar  qualche  podere.  Re- 
ca in  pruova  di  ciò  le  parole  di  Guglielmo  Durando  appella- 
ta lo  Speculatore  Lib.  IV.  particul.  3.  deFeudis.  ?Aanfataeft^ 
quando  Dominus  dat  alicui  Manfum  cum  diverfts  poJfeJJlo?2ÌbuSy 
&  propter  hoc  ìlle  facit  fé  Hominem  Domini  ,  &  ad  certum 
Servitium  tenetur ,  Et  talis  homo  dicitur  de  Manfata  ^  quia  e  fi 
Homo  ratìone  poffejftonum  ^  Perfona  tamen  ejus  Libera  ejì  je- 
eundum    confuetudinem    Regni  Franciie  ,    Ji  dimijfa    Manfata 

alio 


158  Dissertazione 

jiìio  fé  transferat  .  At  Itali  fecundum  quosdam  'uocant  bomlnes 
de  Manfata  quaji  de  Familia  ,  &  illi  quaji  prò  Servis  haben- 
tur ,  Fu  di  parere  il  Fontanini  ,  che  palTafle  gran  differenza 
fra  gli  uomini  di  Mafnada  deferirti  dallo  Speculatore  ,  e  quei 
che  furono  in  ufo  nel  Friuli  ;  perchè  quelli  ultimi  fecondo  lui 
erano  di  condizione  veramente  Servile.  In  pruova  di  che  egli 
produce  uno  Strumento  del  i3<5p.  o  pure  13(^8.  in  cui  Nobilis 
'Dir  Anton'uis  Gnllus  de  Civtpate  Aujìrta  manumtftt  Domtnam  So- 
ph'tam  filiam  Tifa72ti  de  Premanaco  ,  ejus  Arictllnm  propriam  , 
JiveMulisrem  de  Mafnata  curn  omnibus  fil'tis^  peculio^  bonh  &c* 
Certamente  il  chiamare  ^^-^r////^  quella  Donna,  l'aver  ella  P^- 
culio  ^  e  l'eflere  maìiomeffa  ^  fon  tutti  indizj  di  vera  Servitù  . 
E  pure  che  tali  alTolutamente  non  folfero  ,  ma  bensì  quafi 
Servi  ,  come  dice  lo  Speculatore  ,  affai  lo  dimollra  il  titolo 
di  Domina^  che  in  que' tempi  lontani  dall'adulazione  de' no- 
flri  fignificava  una  perfona,  non  della  vii  condizione  de' Ser- 
vi ,  ma  bensì  o  nobile  ,  o  molto  civile  .  Lo  fteffo  Fontanini 
rapporta  un  altro  Strumento  ,  dove  Ricciardo  Conte  di  Prata 
mette  in  Liberta  Sapientem  Virum  Domi?mm  Marinum  Juris- 
co?2fuhum  . 

Nel  rivedere  io  le  antiche  pergamene  dell' Archiviò  Eften- 
fe,  ho  avuto  fotto  gli  occhi  gran  copia  di  Strumenti,  da' qua- 
li appariice  ,  che  non  folamente  nel  Friuli,,  ma  anche  nel  Fer- 
rarefe  ,  e  Poienne  di  Rovigo  erano  familiari  le  Mafnade  ,  e 
che  moltiffimi  venivano  chiamati^  homines  de  Maxinata ^  o  pu- 
re de  Macinata  .  Quelli  tali  fi  rieonofcono  come  Vaffalli  del- 
ia Cafa  d'Efte,  ricevendo  Feudi,  cioè  Terreni,  da  effa  ad  njum 
Regni  ,  e  giurando  fedeltà  ai  pari  de  gli  altri  Nobili  Vaffalli  . 
Poffederono  cofioro  gran  copia,  di  Beni,  non  folo  Feudali,  ma 
anche  Allodiali  ,  e  venivano  diftinti  col  titola  di  Domini  ,  e 
Domina,  Eccone  un  efempio  :  Neil' i\nno  i2  8(5'.  Ferrarmo No- 
taio come  Proccuratore  di  Pietro  Tìglio  Domina  Vene^^cs-,  con- 
fefsò,  diBum  Petrum  effe  Vajfallum^  Ò' hominem  de  Maxinata 
Domini  Obi:^nis  Marchionis  Eftenfìs ,  &  h abere  ab  eo  i?2  Feudum 
ad  ufum  Regni  res  infrafiriptas  &c.  e  qui  annovera  molti  Sta- 
bili.  Nell'Anno  medefimo  Dominus  Sicherius  deFrata  ^  Ò'Do- 
minus  Zeoefius  &c,  fuenmt  confejjt  ^  fé  ejfe  Vajfallos  ,  &  Homi- 
nes de  Maxinata  di  Hi  Domini  Marchionis  ,  &  h abere  ab  eo  in 
Fetidttm  res  Ì7ìfrafcriptas  ,  Una  gran  copia  di  Beni  vien  quivi 
legiftrata,  uìÙioÌ^lÙ  JurisdiBiones^  Segnoria  ^  &  Ve f con  tari  a  &  e. 

im 


DECIMAQ.UARTA.  I5P 

in  qu'ihus  Terrts  habent  JitrisdiH'ion'im  cognofcendt  ,  &  determl- 
nandi  qncs^flìones  Ci'vihs  ,  &  Crtminales  ,  &  jus  collige?idi  da- 
cium  ^d  cnteriam  Frata  ;  &  jus  portus  LtùgdH  5  &  Domus  S viva- 
ti c<£  ;  Ò'  jurìsdiB'tonem  fupcr  bomìncs  Ar  quo  a  die  ,  Conieù  ,  & 
Gregnanì  ,  quia  facìehant  hom'ines  dt^aruìn  Vìllanìm  ne  cum 
eis  ad  phivigum  (  cioè  alle  Funzioni  pubbliche  )  &  in  exerci- 
tum  quociens  opus  erat ,  rnaximj  de  mandato  Domini  Marchio- 
7iis,  Si  noti  quell'andare  in  exercitum  ^  che  è  la  ptincipale  ob- 
bligazione di  quefti  VaiTalli ,  che  pure  vciigono  appellati  bo- 
mines  de  Maxinata  ,  Vedefi  poi  in  uno  Strumento  del  1252. 
che  Bonifazio  Padre  de'  due  iuddetti  VaflTalli  prella  il  giura- 
mento di  Fedeltà  col  principale  obbhgo  di  prendere  l'armi  ad 
ogni  cenno  del  Marchefe  ,  giurando  contra  omnem  ho-minem  , 
eccettuando  anteriores  homines  ,  ft  quos  habet ,  Ecco  dunque  , 
che  cortoro  erano  Nobili  Vafifalii  ,  né  qui  fi  truova  alcun  ve- 
ftigio  di  vile  fervil  condizione.  E  pure  in  un  altro  Strumento 
del  12^2.  Pietro  figho  del  medefimo  Bonifazio  ,  comparendo 
alla  Corte,  àovQDominusAzo^  Dei^  &  Apoftolica  gratiaEften- 
jìs^  &  Anconitanus  Marchio  fecerat  congregari  omnes  VaJJallos^ 
Ò*  Maxinatas  Ci'vitaùs  Ferraris  ,  fi  protefta  fuum  Hominem  de 
Maxinata  ,  ed  è  invertito  de  fuo  juflo  ,  &  re&o  Feudo  &c.  Et 
dióius  Petrus  Homo  de  Maxinata  ,  Jìcut  Servus  Domino ,  juravit 
Fidelitatem  dióio  Domino  Marchioni  ,  cujus  Homo  de  Maxinata 
eft  ,  Si  foggiugne  dipoi:  Hoc  intelleHo  expreffe  ^  quod 'vivente 
ipfo  Domino  ,  di6lus  Dominus  Marchio  hnbeat ,  Ù'  habere  debeat 
merum ,  &  ple?zum  Dominium  dióli  fui  Ho/ninis  ,  ita  quod  ipfe 
pojjit  facere  ^  &  difponere  de  diHo  fuo  Homine  ad  fuce  beneplaci- 
tum  voluntatis . 

Ora  noi  troviamo  una  (Irana  difparita  fra  gli  antichi  Servi, 
e  i  Servi  di  Mafnada  ,  Vilififima  era  la  condizion  de'  primi  ; 
nulla  poffedevano  ,  che  non  foffe  del  loro  Signore  ;  né  erano 
ammeffi  alla  Milizia  .  Ma  i  fecondi  erano  annoverati  fra  i 
VaiTalli;  godevano  Feudi  ad  ufum  Regni  ;  predavano  il  giura- 
mento come  i  più  nobili  Vaffal li  ;  poteano  militare,  anzi  era- 
no a  ciò  tenuti  ad  ogni  ordine  del  loro  Signore  .  E  che  perfo- 
ne  Nobili  ,  e  potenti  fi  contaffero  fra  loro  ,  1'  abbiamo  offer- 
vato  .  Quefta  mutazion  di  collumi  non  altronde  credo  io  na- 
ta ,  fé  non  perché  dopo  il  Mille  cangiò  non  poco  di  faccia 
r  Italia  .  Sorfero  innumerabili  Signori  e  Signorotti,  s\  Ecclefia- 
lìici  che  Secolari  5  cialcun  de' quali  era  in,dipendente,  e  fola- 
mente 


l6o  DlSSERTAZIOME 

mente  riconofceva  per  fuo  Sovrano  i'Imperadore  .  Anche  fot- 
to  i  Longobardi  furono  in  ufo  le  nemicizie,  e  guerre  private, 
appellate  F^/V^.  Ma  crebbero  quefle  a  diimifura  dopo  il  Mil- 
le fra  tanti  Signori  l'uno  all'altro  confinanti .  Lo  (leflb  avven- 
ne in  Francia  :  del  che  una  bella  Difiertazione  lafciò  il  Du- 
Cange  nella  Storia  del  Re  San  Lodovico  .  Pertanto  i  gran  Si- 
gnori di  allora  o  per  voglia  di  far  guerra  ,  o  per  neceflita  di 
difefa,  e  tanto  Ecclefiaflici ,  che  Secolari,  fi  ftudiarono  di  fard 
de'  VaiTalli ,  con  dar  loro  Cailella  o  poderi  in  Feudo  ,  ufizio  , 
ed  obbligo  de' quali  era  di  prendere  l'armi,  e  farle  prendere 
a' loro  uomini,  in  fervigio  del  diretto  Padrone  .  Stelero  anche 
quefla  Liberalità  alla  gente  bafla  ,  concedendole  qualche  ter- 
reno da  godere  :  il  che  cagione  era  ,  che  ninno  fuggifie  per 
non  perdere  quel  bene  ;  ed  obbligo  d' ognuno  era  di  accorrere 
coir  armi,  ovunque  il  Signore  comandafìTe.  Chìàm3.Ci  Mafaada 
quefta  unione  di  perfone  dipendenti  da  cfì'o  Signore  ,  e  pren- 
dev^ano  perciò  il  titolo  di  Sewi  .  Di  qua  venne  il  nome  di 
Mafnadìeri  ,  perchè  formando  Efercito  la pe vano  far  anche  il 
meftiere  di  faccheggiare  al  pari  de  gli  altri  Soldati.  Tale  era 
il  legame,  con  cui  fi  obbligavano  ,  e  fottomettevano  al  vole- 
re del  Signore  ,  che  in  certa  maniera  uguagliava  quello  de  i 
Servi  antichi  ,  tuttoché  fodero  riputati  per  nobili  ,  e  civili 
perfone  ,  e  certamente  non  contraeffero  macchia  alcuna  per 
quella  Servitù,  come  non  la  contraggono  i  Vaffalli  con  obbli- 
garfi  al  fervigio  de' Padroni.  E  in  fatti  fé  voleano  ricuperare 
la  Liberta,  ci  voleva  un  Atto  fimile  alla  Manomefhone  :  del 
che  s'è  recato  di  fopra  efempio  .  Nelle  Giunte  alla  Cronica 
de' Cortufi  Lib.  IX.  Gap.  V.  della  Citta  diTrivigi,  è  fcritto: 
^hice  pojì  excidium  illorum  de  Bramano  ,  omnes  illorum  Mafna- 
tas  &  Servos  em^ncipa'vit:  ,  &  Ltbertati  ,  &  itigenuitarì  condo^ 
na'vh  .  Vedi  qui  diilinte  le  Mafnade  da  i  Servi  ,  quantunque 
fi  ufafTe  la  ManomefFione  tanto  per  quelle  ,  che  per  quefti  . 
Abbiamo  oflervato  una  tal  balia  del  Signore  fopra  gli  uomini 
di  Maihada,  che  potea  difporne  come  a  lui  piaceva  ,  e  fem- 
brava  quello  un  Diritto  di  Dominio  ,  come  lopra  i  veri  Ser- 
vi. E  pure  abbiamo  oifervato,  che  Tancredi  Marchefe  ordi- 
nò, che  Unì'verfa  M^friata  me  a  Libera  fit  Jure  Tatronatus  pe- 
nitus  rem'tffo,  Dominus  fi  appellava  chi  tene^  al  hio  fervigio 
Servi  .  Se  q-uefti  confeguivano  la  Liberta  ,  lui  poicia  appel- 
lavano FatYono  ,  come  olfervamnio  di  fopra  ,  Dal  che  con- 
viene 


DECIMAQ.UART.A.  l6l 

viene  inferire  ,   che  gli  uomini  di  Mafnada  foffero  fimili  a  i 

Liberti . 

Ne  folamente  nel  Friuli,  e  Ferrarefe  furono  in  ufo  le  Maf- 
nade  ,  ma  n'  ebbero  anche  varj  Principi  e  Signori  si  Ecclefia- 
ftici  che  Secolari.  Il  Cardinale  Baronio  rapporta  all'Anno  ii 88. 
un  Diploma  del  Senato  Romano,  dove  fi  legge  :  Res  eìs  ablata% 
per  Mafnadam  Romani  Ponti ficìs  &  ForifaHores  ^  cioè  Malandri- 
ni. Vedemmo  di  fopra  nel  Pifano  Homines  de  Mafnada  ^  che 
aveano  fervito  alla  ContefTa  Matilda  .  E  nel  Regiftro  antico 
della  Repubblica  di  Modena  abbiamo  il  Giuramento  predato 
alla  Citta  da  alcuni  Nobili  del  Frignano ,  dove  fon  quefte  pa- 
role :  Et  hoc  de  Boaria  (  era  un  tributo  per  ogni  paio  di  buoi) 
obfewaho^  nifi  fuevoCajì eli anus^  vel  RochexaJìus^njelMiles  ^  aut 
Homo  de  Macinata  .  Odafi  anche  Rolandino  nel  Lib.  i.  Cap.  2. 
che  fcrive  di  Cecilia  Moglie  di  Eccelino  il  Monaco  :  Per  Pa- 
duanunì  di/lriciutn  magnas  Majnadas  ,  Vaff alias  multos ,  &  am- 
plas  pojfejjlofies  habebat  .  E  in  una  Bolla  di  Gregorio  IX.  Papa 
del  1231.  preflb  l'Ughelli  ne'Vefcovi  d'Anagni  abbiamo:  Si 
contigerit  eos  exercitum  ,  vel  Mafnadam  facere  ultra  Urbem  : 
dove  è  diftinto  il  fare  efercito^  cioè  allorché  tutti  i  Cittadini 
davano  di  piglio  all'armi,  e  \\  fare  Mafnada^  perchè  vi  con- 
correvano i  foli  uomini  di  Mafnada  .  Preffo  Giovanni  Villani  la 
milizia  a  cavallo  è  chiamata  C/^W/m^,  e  i  Pedoni  la  Mafna- 
da. Fin  dopo  l'Anno  1300.  fi  truova  memoria  delle  Mafnade. 
S'incontrano  poi  negli  Antichi  Documenti  Manentes  ^  Tribu- 
tarti^ Manfionarii  ^  Alloderii  ^  Adfcriptitii  ^  Servi  glebcv  .  Non 
è  facile  il  ben  diftinguere  tutte  le  qualità,  e  differenze  ditali 
perfone,  cioè  Te  foffero  Liberi,  o  Servi,  o  Liberti,  e  con  quali 
obbligazioni  effi  ferviffero.  Ne  ho  parlato  qualche  poco  nel- 
le Antich.  Ital.  Qlù  non  occorre  dirne  di  più  .  Finirò  colla 
menzione  della  Formola ,  con  cui  un  certo  Leone  nell'Anno  1 01 8. 
fi  da  per  Servo  a  Giorgio  Suddiacono  Ferrarefe.  Prefencialitery 
die' egli  ,  atque  corporali  ter  meam  perfonam  trado  tibi  ^  ad  fer- 
viendum  tibi  omnibus  diebus  i-ita  meds  ,  tantum  prò  predo  de- 
7iariorum  folidos  treginta  Ò'c.  propterea  placet  mthi  a  predenti 
die  ^  &  bora  bona  &  fine  era  me  a  voluntate  dejer'vire^  &  obfe- 
quiare^  five  fupplicare  tibi  jam  diSio  Georgia  omnibus  diebus  vi- 
te ìnee  ,  cuyn  vera  fide  Ò'  humilitate  &c.  ad  qualemcumque  la- 
borem  vel  obfcquium  noBurnum  rei  licite  ,  vel  diurnum  mihi 
imperaveris  Òr.  Mibi  facere  debeas  omnibus  diebus  vite  mes 
Tomo  L  X  vs^ 


lóz  Dissertazione 

vejlire  ^  &  calciare  ^  nutrire  ^  &  p  afe  ere  ^  &  gubernare  ;  &  per 
Jìngulos  afinos  finitos  duodecim  denarios  debeas  mihi  &c.  Nec 
fugam  tne  arripere  prefumo  per  ullam  occafionem  vel  ingefiium  » 
^iod  Ji  forte  lateraer  &  furtive  cum  vcftris  rebus  furatis  de 
vejìro  Sernjicio  exire  nifus  fuero^  aut  fugam  in  quamlibet  Ter- 
ra  ...  partes  arripere  prefumpfero  :  liceat  tibi  Georgia  Subdiaco- 
■no  ,  Domino ,  benefaólori  meo  y  vel  per  tuum  Mijfum  me  inquì- 
fere  y  &  perfecuitare  ^  &  me  iibicumque  inveneritis  fugitivu  la- 
tronem  apprehendere  ,  &  difciplinare  ,  &  me  in  vefìrum  Servi-- 
cium  revocare  ad  ferviendum  tibi  omnibus  diebus  vite  mee  &c* 

c\Jltn«v*^<*^5>^cV*>^cvfc^ev*>:  {\jfc>jcVìSy^.<\*/jcVgt^cVfitncV*A  (V4^hcv«S^c\*/:c«j|^cV«fe/: 

Delle  ManumiJJicni  de''  Servi  ,  e  de'  Liberti , 
ubidii  y  &  Aldiane. 

DISSERTAZIONE  DECIM AQ^UINTA. 

REsTA  ora  da  dire  qualche  altra  cofa  de' Liberti  ,  de* 
quali  abbiam  favellato  non  poco  nei  Gap.  precedente» 
Non  era  cotanto  infelice  una  volta  la  condizione  de' Servi,  che 
non  reftaffe  loro  la  fperanza  di  confeguire  o  riacquilìare  la  Li- 
berta. Anzi  la  dolce  immagine  di  quello  premio  (lava  fempre 
davanti  a' loro  occhi,  e  perciò  nulla  tralafciavano  di  pazienza, 
fedeltà,  e  premura  in  ben  fervine  i  Padroni,  aiiinchè  un  di  fi 
moveffero  a  ricompenfar  le  loro  fatiche  con  liberarli  dall' ob- 
brobriofo  titolo  ,  e  giogo  della  Servitù  :  In  fatti  ,  o  fia  che  i 
Padroni  abbondaffero  di  umanità,  o  pure  che  i  Servi  con  quan- 
te arti  poteffero  fi  guadagnaffero  la  loro  grazia  *ed  affetto  ,  fo- 
vcnte  avveniva,  che  que'miferi  reftavano  nelle  lor  brame  con- 
folati  .  E  ciò  fi  effettuava  coWà  Manumijfione  ^  per  cui  veniva- 
no dichiarati  Liberi  ,  e  non  più  Servi  ,  ma  Liberti  erano  ap- 
pellati da  li  innanzi.  Ciò  che  praticaffero  i  Greci,  i  Romani, 
ed  altri  Popoli  in  quello  propofito,  non  occorre  che  io  lo  ri- 
cordi. Ne  han  trattato  uomini  dottilTimi,  e  celebri  Giurifcon- 
fulti  .  Avendo  i  Longobardi  ,  e  Franchi  trovato  que(V  ufo  in 
Italia  ,  lo  continuarono  con  qualche  differenza  nondimeno  , 
fìccome  andremo  accennando.  Non  v'era  anticamente  Signor 
Secolare,  Vei'covo,  Abbate,  Capitolo  di  Canonici,  e  Monifle- 
ro,  che  non  avefle  al  fuo  fervigio  molti  Servi.  Molto  frequen- 
temente folevano  i  Secolari  manometterli  .  Non  così  le  Chie- 

fe. 


DECIMAQ.UINTA.  j5j 

fé  ,  e  i  Monifteri,  non  per  altra  cagione  a  mio  credere,  fé  non 
perchè  la  ManuiTìifTione  è  una  fpezie  di  Alienazione  ,  ed  era 
<ia  i  Canoni  proibito  l'alienare  i  Beni  delle Chiefe.  Vedi  il  Can. 
Abbati^  Dift.  54.  t  Cdi^.  Epifcopt .)  &  da  rebusEccUf,  non  al  te - 
nandìs.  Nella  Cronica  delMoniftero  Beneventano  prcfìfo  l'Ughel- 
li,  s'incontrano  alcuni  richiamati  alla  Servitù,  perchè  l'Abbi- 
te  lenza  permiffione  del  Principe  avea  loro  donata  la  Liberta. 
Ufanza  familiare  fu  ,  che  fé  i  Figli  de' Servi  imparavano  al- 
quanto di  Lettere,  facilmente  venivano  promoffi  a  gli  Ordini 
Ecclefiaftici .  Ma  perchè,  ficcome  abbiamo  dal  Concilio  Cal- 
cedonenie  Can.  IV.  cura  fajìig'io  Sacerdote  non  bene  componitur 
fer'vilis  vilifas  ^  necelTaria  cola  fu,  che  i  Signori  li  manomet- 
teffero  prima,  edanzi  rinonziaffcro  alGiuspatronato,  checom- 
peteva  ad  ogni  manomettente  lopra  i  fuoi  Liberti.  Che  fé  tal- 
uno lenza  faputa  e  licenza  del  Padrone  veniva  ammelTo  alla 
milizia  Ecclefiaftica,  era  dalle  Leggi  forzato  a  tornare  alla  Ser- 
vitù. Perciò  fra  le  fpecie  dell'Irregolarità  fu  poi  effa  Servitù 
annoverata.  Nel  Decreto  e  nelle  Decretali  molto  fé  ne  parla. 
Si  fofleneva  nondimeno  la  lor  promozione ,  quando  fi  prova- 
va, la  fcienza  del  Padrone  ,  e  ch'egli  non  aveOe  contradetto. 
Praticavafi  lo  fteifo  anche  preflb  i  Greci  ,  come  dimoftrò  il 
Papadopoli  Prajnot.  Myftag.  Refp.  2.  Se61:.  5.  La  prima  fpecie 
adunque,  per  cosi  dire,  di  ManumilTione  fu  l'entrare  nel  Che- 
ricato,  benché  ordinariamente  precedelTe  la  vera  ManumilTio- 
ne  fecondo  le  Leggi,  di  cui  diedi  io  una  Formola  nel  Tomoli, 
de'miei  Anecdoti  .  Per  quella  via  gran  copia  di  Servi  paffava 
una  volta  a  i  facri  Minilierj  ;  e  vi  confentivano  con  facilita  i 
Vefcovi  ,  i  Monaci,  e  gli  lieiri  Laici,  perchè  avendo  Chiefe  , 
od  Oratorj  di  loro  Giuspatronato  ,  Itimavano  meglio  di  conle- 
gnarli a  perfone  loro  ben  affette  ,  ed  obbligate  ,  che  a  gente 
efrranea  .  Andò  tanto  innanzi  la  folla  de'  Servi  promoiTi  al 
Clero,  che  Carlo  M.  in  una  delle  Leggi  Longobardiche  dame 
date  alla  luce,  ordinò,  che  de  propri is  Servi s^  vel  AncilUs  non 
amplius  tondantur  (  in  vece  di  tondeantur  )  vel  njelentur  ,  ììifi 
fecundum  menfuram ,  ut  &  ibi  fatisjìat ,  Ù*  Villa  non  Jint  defo- 
lata.  Significa  il  tondere  il  Chericato  ;  e  il  velare  riguarda  le 
Serve,  che  fi  faceano  Monache  .  Di  qui  ancora  s'intende,  di 
che  perfone  foflero  principalmente  allora  compofle  le  Ville  . 
In  oltre  elfo  Augnilo  nella  Legge  138.  ordinò  :  Ut  Servum  al- 
terius  nemo  folicitet    ad  Clericalem    vel  Monachalem    ajcendere 

X     2  Ordì' 


j6^  Dissertazione 

Orcihtem  Jtne  lke?itia^  &  njohmtate  Domìni  fui ,  E  molto  prima 
il  Re  Liurprando  Lib.  V.  Gap.  24.  pubblicò  quello  Editto  :  Si 
quis  Servum  alienum  Jtne  'volutitatc  Domini  fui  clericaverit ,  com- 
ponat  Domi?7o  fuo  prò  illicita  prafumptione  Solidos  XX,  &  ipfe 
Servus  revertntur  ad  proprium  Dominmn  ;  &  ipfe  Dominus  ejus 
haheat  eum  ,  ficut  'voluerit  .  Anche  Lodovico  Pio  parla  di  ciò 
nella  Legge  30.  e  da' fuoi  Capitolari  fi  Icorge  ,  che  v'erano  la- 
menti a  cagion  de' Servi  qui  pajjim  ad  gradus  Ecclejìaflicos  in- 
difcrete  promonjebantur . 

I N  altre  guife  ancora  fi  liberavano  i  Servi  dal  dominio  de 
gli  Ecclefiaftici  .  Trovavano  talvolta  pur  troppo  Vefcovi ,  ed 
Abbati  di  guafla  cofcienza  ,  che  nulla  curando,  o  paventando 
le  minacele  de' Canoni,  e  l'ira  di  Dio ,  ad  altro  non  attende- 
vano ,  che  ad  impoverir  le  Chiefe  ,  e  i  Monifterj  profonden- 
do gli  Stabili  ,  gli  ornamenti  delle  Chiefe  ,  e  le  Famighe  de' 
Servi,  per  arricchirne  ilor  Parenti,  ed  Amici .  Nella  Cronica 
di  Farfa  fé  ne  veggono  parecchi  eiempli.  E  in  quella  delMo- 
niftero  di  Volturno  fi  vede,  che  quegli  Abbati  concedevano  i 
lor  Servi  in  Livello  a  i  Laici  .  Accadeva  eziandio  ,  che  i  Servi 
delle  Chiefe  fi  accafavano  con  donne  Libere;  e  benché  i  Figli , 
che  ne  nafcevano,  fofiero  anch' effi  regolarmente  Servi ,  pure 
in  qualche  Luogo  godevano  il  privilegio  della  Liberta  ,  e  fé 
l'attribuivano  con  pretendere  di  non  efiere  (lati  Servi,  da  che 
aveano  preia  per  Moglie  una  Donna  Libera  .  Tal  notizia  ri- 
fulta  da  un  Diploma  di  Arrigo  V.  appellato  anche  VL  conce- 
duto nel  iip4.  al  Moniftero  di  San  Salvatore  ad  Leones  di 
Brefcia  ,  il  quale  era  flato  fondato  dal  Re  Defiderio.  Il  P.  Ma- 
biìlone  (limò  diflrutto  quel  facro  Luogo  a' tempi  di  Corrado  IL 
Imperadore  ;  ma  dal  privilegio  fuddetto  colla  ,  che  i  fuoi  Ab- 
bati continuarono  lun^o  tempo  ancora  dipoi  .  Ivi  ila  fcritto  : 
De\Sernjis  'vero^  &  Ancillis  ip fi  loco  a  fuo  conditors  in  ferviti  um 
Monac/jorum  Deo  fervientiu)n  inibi  traditis  ^  qui  fuos  filios  y  vel 
filias  occafione  alienandi  eos  ,  vel  eorum  filios  a  fervitio  ,  Libe- 
ris  conjugio  tradu?ìt  ,  aut  e  co-atra  fufcipiunt  :  coìiflitufmus  ,  ut 
five  de  paterni  a ,  feu  de  materna  generatione  defcendunt ,  nulla- 
tenus  a  famulatu  difcedant ,  fed  in  perpetua  Servitute  perma- 
neant ,  (y  in  fuorum  parentum  ,  Servorum  fcilicet  ,  conditione 
permane  ant . 

Vengo  a  i  Riti  delle  Manumiifioni ,  che  furono  diverlì  da 
quei  de'Roniani.  La  prima  fpecie  di  quelle  viene  elprefia  dal 

Re 


Decimaquinta.  1^5 

Re  Rotarì  nella  Legge  225.  e  fi  chiamava  MaìiunùJJio  per 
quartati!  manmn  ,  cosi  detta  ,  perchè  volendo  un  Padrone  con- 
cedere la  LibertU  ad  un  Servo  ,  il  dava  in  mano  ad  un  Uo- 
mo Libero  ;  e  quelli  ad  un  altro;  e  cosi  a  quattro  diverfe  per- 
fone  .  L'ultima  conduceva  il  Servo  in  luogo,  dov'erano  quat- 
tro vie  ,  e  in  prefenza  di  teftimonj  gli  diceva  ,  che  da  lì  in- 
nanzi era  Libero,  potendo  andare  per  qualunque  delle  vie  fud- 
dette  ,  che  a  lui  piacefie .  Ecco  le  parole  della  Legge  :  (^ì 
ftilfreal  (  cioè  Libero  )  &  a  fé  ex^raficum  ^  ideji  Amund  (  cioè 
Ibiolto  dal  fuo  potere  )  facere  voltierit  ,  ftc  àebet  facere  .  Tra- 
dap  eum  prius  tn  manus  altenus  hom'tnìs  Lìberi  ,  &  per  garan- 
tii (  dicendo  :  Ve  ne  fo  un  dono  )  ipfmn  confirmet  ;  Ò^  Uh 
Jecundus  tradat  eum  i?i  ma?iu  tertìi  hommìs  eodem  modo  ;  & 
tertius  tradat  eum  in  quarti  .  Et  tpfe  quartus  ducat  eum  in 
quadrubio  ,  Ò"  thingat  eum  in  guadia  (  cioè  gli  faccia  dono 
della  Liberta  ,  conltituendofl  malevadore  di  quell'  Atto  )  Et 
giftles  (  cioè  i  teftirnonj  )  ibi  ftnt  ;  &  ftc  dicat  :  De  quatuor 
'uiis  ,  ubi  volueris  ambulare ,  liberam  habeas  potejìatem .  Si  ftc 
jaHum  fuerit ,  tunc  erit  Amund  ^  &  ei  manebit  certa  Libertas  , 
In  queita  maniera  il  Servo  era  detto  Mi Jfus  a  manu^  cioè  li- 
cenziato dal  potere  del  Padrone  .  L'  altra  Ipecie  di  Manumif- 
fione  confilleva  nell'  Autorità  del  Re  ,  a  cui  veniva  prefenta- 
to  il  Servo,  acciocché  gli  donaffe  la  Liberta .  Appellavafi  qne- 
fìa  M.anumiffio  per  imt>ans  ,  cioè  in  njoto  Regis  j  né  altro  oc- 
correva ,  le  non  che  il  Re  diceffe  in  prelenza  di  teftimonj  : 
Coftui  è  Libero  .  Ciò  s'ha  dalla  fuddetta  Legge  .  La  Legge 
Salica,  o  fia  Franzefe  ,  e  laRipuaria,  aggiugnevano  un  par- 
ticolar  Rito  a  quella  Manuniiflìone  ;  perchè  il  Re  fcuoteva 
dalla  mano  del  Servo  una  moneta  d' oro  ,  o  d' argento ,  o  di 
rame  :  quafichè  il  Servo  pagaffe  il  fuo  rifcatto  .  1  Servi  pa- 
gavano per  l'ordinario  qualche  cofa  al  loro  Padrone  nell'At- 
to di  ricevere  la  Liberta,  forfè  per  quella  ragione,  che  fecon- 
do l'ufo  de' Longobardi  Donationes  fne  Launigild^  aut  ftne  com- 
mutationibusy  cioè  lenza  qualche  ricompenia,  non  erano  legit- 
time. Di  tal  Rito  fon  da  vedere  il  Bignon  ,  il  Du- Gange,  e 
ilBaluzio.  Nell'Archivio  de'Canonici  di  Arezzo  efifle  la  Ma- 
numilfione  d'un  fuo  Servo  fatta  per  Privilegio  da  Lottarlo  L  Im- 
peradore  nell'Anno  844.  Le  fue  parole  fon  quelle:  Servum  no- 
f  rum  Adalbiddum  nomine  y  manu propria  excutientes  emanu  ejus  de- 
narium  fecundiinì  Legem  Salicam^  Liberum  fecimus  ^  &  abomni  JU' 


i66  Dissertazione 

go  Servituiis  ah/olvìmus  .  S\  fatti  Liberti  fi  chiamavano  Homi- 
nes  denarìales  ,  come  colta  dalla  Legge  XIIL  di  Pippino  Re 
d'  Italia  .  Un  altro  fimile  efempio  di  ManumifTione  fatta  dal 
medefimo  Augufto  d'  una  Serva  ,  vien  rapportata  nel  Tomo  I. 
Veter.  Scriptor.  dal  P.  Marlene  .  E  che  anche  in  Italia  foffe 
portato  da  i  Re  Franchi  ,  e  fi  praticafle  queftoRito,  fi  pruo- 
va  con  un  Diploma  di  Berengario  I.  Re  d'Italia  dell' Annopi2. 
efiflente  preffo  i  Monaci  Olivetani  di  Santa  Maria  alP  Organo 
di  Verona,  dove  cosi  egli  parla  :  Servum  nojìrum^  nomine  Are^ 
g'tfum 5  cum  Uxore  fua  Adelinda ,  &  Filìo  fuo  Adelardo ,  &  Fi' 
Ha  ejus  nomine  Ingez^  ah  omni  Sewitutis  ligamitie  liberajfe  , 
&  Ingenuos  diynififfe  ,  C^  a  manibus  eorum  jecundum  R.egiam 
confuefudinem  publicce  monefce  de?iarium  excujjiffe  ,  eisque  per 
quatmr  angulos  Orbis  liberam  facultatem  eundi  ,  ne  redeundi 
concejjijfe  ,  quatenus  potejìative  &  libere  incednnt  quocumque 
njoluerint^  tamqunm  Miles  publicus^  Ci'visque  Komanus.  Gli  do- 
na ancora  omnem  Jubjìaniinm  ^  &  fupelleBilem  fuam  mobilem  ^ 
&  immobile?}!  .  La  formola  di  poter  andare  a  fuo  piacimento  , 
veniva  da  i  Romani,  fcrivendo  Plauto  in  Menoechm. 

Liber  ejìoj  ritque  abito  ^  quovoles. 

Fu  prefo  ancora  da  gli  Antichi  il  dichiarare  Cittaditio  Roma- 
no il  Liberto  ,  coftando  ciò  dalle  Manumiffìoni  de'  tempi  Ro- 
mani, e  da  una  Legge  di  Coftantino  Magno  .  In  una  Formola 
pubblicata  dal  Sirmondo  è  detto,  che  il  Manumeffo  y^cw^  alii 
Cives  Romani  njitam  ducat  ingenuam . 

Fu  parimente  in  gran  credito,  mafTunamente  ne' Secoli  pò- 
fìeriori ,  la  Manumiflione  fatta  in  Chiefa  davanti  al  Vefcovo, 
Sacerdoti ,  e  Popolo  ,  i\  per  maggiore  pubblicità  e  ficurezza  , 
come  per  gloria  della  Carità  Criftiana  .  Imperciocché  quafi 
fempre  i  Signori  concedevano  ai  Servi  quella  grazia  prò  reme- 
dio  o  fia  prò  mercede  animce  [uos  .  Era  condotto  il  Servo  circa 
Altare  ,  o  pure  ante  facri  Altaris  cornu  ,  tenendo  una  candela 
in  mano  ,  e  quivi  era  dichiarato  Libero  con  chiare  parole  dal 
Padrone.  Da  Roma  Criftiana  difcele  quell'ufo  ,  come  s'ha  da 
due  Leggi  del  Codice  di  Giulliniano  Tir.  de  his  ^  qui  in  Eccle- 
fia  maìiumitt.  Notò  Jacopo  Gotofredo,  che  anche  i  Gentili  ufa- 
rono  di  dar  laLiberta  ai  loro  Servi  ne'Templi,  e  ne'Comizj 
del  Popolo .  E  che  nell'Affrica  fi  ufaffe  quello  Rito,  loattella 
Santo  Agoflino  nel  Serm. XXXI.  dell'Edizione  Benedettina  con 

dire: 


D   E   e    I    M    A    Q.  U    I    N    T    A  ,  lój 

dire:  Servum  tuum  manumittendum  manuducis  hi  EccUJìam,  Fìt 
ftlenùum .  Lthellus  tuus  recìtatur  ,   aut  fit  dejìdcrii  tui  profecut'to  . 
Più  lotto  impariamo  da  lui  ,  che  fi  itracciava  lo  Strumento  , 
con  cui  fu  comperato  il  Servo,  e  fé  ne  formava  un  nuovo  del- 
la data  Liberta,  colla  fottofcrizione  de'teftimonj .  Coloro,  che 
ne' Capitolari  fi  veggono  chiamati  Charmlarii  ,  e  Chartulatt  , 
crede  il  Du-Cange,  che  fo (fero  Servi  manumeffi /?6T  C/^/?r^^w  , 
cioè  collo  Strumento.  Sebbene  niun  Servo  a  mio  credere  folfe 
manumeffo  lenza  che  fé  ne  formafìe  un  Atto  pubblico  per  fi- 
curezza  di  lui.  E  quefti  Cartulati  fi  truovano  poi  ne'  Privilegi 
dei-Re,  ed  Imperadori  *in{ìeme  coi  Servi,  Coloni,  e  Livella- 
r] .  Truovanfi  ancora  i  Comme^idati  nelle  antiche  Carte  ;    ma 
non  furono  Servi  ,  né  manumeffi  ,  perchè  gente  Libera  ,  che 
fi  metteva  al  fervigio  altrui  .    In  una  Formola  del  Sirmondo 
leggiamo  quefte  parole  dette  di  un  Libero,  ed  Ingenuo  :  Mini- 
me hahens  ,  unde  fé  pafcere  'vel  ve/ìirc  debecit  ,  ideo  petti  pietà- 
ti  vejìne  ,  ut  me  in  njejìrum  Mundiburdum  (  patrocinio  ,  o   pro- 
tezione )  tradere  -vel  commendare  deberem  •    Eo  videlicet  modo  , 
ut  me  tam  de  vióìu  ,  quam   &  de  'vejìimento  ,  juxtn  quod  vobis 
fervire  ,    &  promerevi  potuero  ,   adjwvare ,  "uel  confolare  debeas  ; 
&  dum  ego  in  caput  advixero ,  Ingenuili  ordine  tibi  fervitium  vel 
obj'equium  impendere  debeam.  Et  me  de  vejìrapotejiate  ^  velMu?i- 
diburdo  ,  tempore  vitce  mea  potejìateyn  non  habeayn  fubtrahendi , 
niji  fub  njejìra  poteflate  vel  defenjtone  diebus  vita;  mcce  debeam 
permanere  .   Di  qua  s'intende  ,  che  anche  ì  Commendati  ^  an- 
corché ingenuili  ordine  ,    cioè  con   ritenere  il  pregio  d'  efìfere 
Liberi,  entravano  al  fervigio  altrui,  e  non  ne  poreano  ufcire 
fenza  licenza  del  Signore.  Furono  anche  appellati Coww(?W/V/, 
e  Commendatarii  ,    il  che  da  luce  ad  una  Legge  di  Carlo  Ma- 
gno ,  cioè  alla  Centefima  fra  le  Longobardiche  ,  dove  dice  : 
Ceteri  vero  homines  Liberi  qui  vel  Commendationem ,  vel  Benefi- 
cwm  Eccleftaflicum  habent ,  ficut  reliqui  homines  juflitiam  fa- 
ciant  .  E  perciò  troviamo  cofloro  ,  benché  Liberi  ,  a  cagione 
dell'obbligo  fuddetto  annoverati  colle  perlone,  fuUe  quali  avea- 
no  autorità  i  Padroni  .  Ugo  Re  d'Itaha  nelf  Anno  926.  con- 
ferma al  Moniftero  Veronefe  di  San  Zenone  tutti  i  fuoi  Beni 
cum  F amili isy  &  Servis  utriusque  Sexus  ^  Mancipi is^  Colonis^  Li- 
bellariis^  Cartolatis ,  Comendatis  Ò'c,   E  che  i  Commendati  non 
foflero  di  condizion  Servile  fi  raccoglie    ancora  da  un  Placito 
dell'Anno  854.  efiftente  nella  Cronica  del  Volturno,  dove  al- 
cuni 


1^8  Dissertazione 

cuni  Uomini  litigando  co'  Monaci  elicono  :  Nos  & parentes  no- 
Jln  fimper  Liberi  fuimus  y  7iam  ììos  per  dcfenfioììis  caufam  fui- 
mus  Liberi  homi?ies  Comme?idatt   in  ipfo  Monajìerio  ,   non  prò  Ser- 
"St  .  Il  Rito  fuddetto  della  Manimiiflione  davanti  all'Altare  fi 
truova  fra  gli  Alamanni,  Franchi,  Wifigoti,  e  Ripuarj  .  Un 
eiempio  dell'Italia  comparifce  in  un  barbaro  Strumento  del  io<^6, 
in  cui  Votila  Coììtejfa^  già  Moglie  d'Ugo  Duca^  e  Marchefe  tro- 
vandofi  in  Bologna  ,  concede  la  Liberta  a  Cleriza  fua  Serva  , 
con  dire  :  mano  mito  te  Be 727:0  Presbiter  da  Plebem  Sancii  Adria- 
«/,   ut  vadat  tecum  in  Ecclcjìa  SanHi  Bartbolomci  jlpojìoli^  traad 
te  tribv.s  vicibus  circa  Altare   ipfius  Eccìefte  cum  cereo  apprehen- 
fum   in  manibus  fuis  .  Deinde  e:xite^   &  ambulate   in  'via  quadru- 
bio  ^  ubi   quatuor  'vie  fé  di'vi duntur  ^  Ò"  date  eam  licentiam.  Dif- 
ie    pofcia   il  Prete  :  Ecce   quatuor  vie  :  ite^  &  ambulate  in  qua- 
cunque  partem  tibi  placuerit  tan  tu  jupradtBa  Cleri^^a  ,   quatt  of- 
que  tui  bcredes  &c,   Abeatis  nias  apertas  portas  Paradìjt  ,  portas 
Civitatis  ,  portas  Cajìellis  in  placitis  ,  (iX  in  co?iventis  locis   am- 
bulare ,  &  ftare  ,  6^  Wadia  prò  te  dare  &c.    Di  Ugo  Duca   e 
Marchefe  poco  fa  nominato,  feci  menzione  nel  Gap.  VI.  de' 
Marchefi  .    Forfè   figlio  fu  di  Bonifazio  Marchefe  di  Nazione 
Ripuaria  ,    e  memorie  di  lui    fi   truovano    nella  Cronica    del 
Moniftero  di  Caiauria  .    Altri  efempli  di  Manumiffioni  ho  io 
recato,  che  non  importa  rammentare,  badando  il  già  detto. 

-  Da  quanto  s'è  finqu'i  veduto  po^iam  conoicere  ,  che  ne* 
tempi  Crifliani,  cioè  regnando  la  Religione  maeflra  della  Ca- 
rità,  non  dovea  eflere  molto  infshce  la  condizione  de' Servi, 
perchè  loro  era  permefTo  d'indufìriarfi ,  e  di  accrefcere  il  Ca- 
pitale del  Peculio,  purché  ben  ferviflero  nel  medefimo  tempo 
a' Padroni  .  Giugnevano  alcuni  a  mettere  infieme  tanto  dana- 
ro, che  potevanfi  rifcattare  dalla  Servitù .  Rolandino  Bologne- 
fe  nellaSomma  dell'Arte  Notariale,  compofla  circa  rAnnoi255. 
ci  prefenta  una  Formola,  in  cui  un  Padrone  manumettendo  un 
Servo  co'  Figli  ,  concede  loro  totum  eorum  peculium  a  rationi- 
bus  Domini  feparatum  .  E  ciò  fa  ,  prò  pretto  centum  librarum 
Bononienftum  :  quod  pretium  diHus  Dominus  confejfus  fuit  ,  Ò' 
coutentus  ,  fé  ab  ipfo  Antonio  dante  ,  &  folcente  &c,  babuiffe  , 
&  recepijf^e.  Aggiungafi  ora,  che  pio  ,  e  frequente  coftume  fu, 
che  i  Padroni  prima  di  morire  laiciail'ero  a  i  loro  Servi  la  Li- 
berta .  Coftantino  M.  quegli  fu  ,  che  introduce  quefla  manie- 
ra di  Manumiffjone  ,  concedendola  a  i  Cherici  ;  e  paisò  poi  una 

sì  pia 


DECIMAQ.UINTA.  l6p 

s\  pia  Liberalità  anche  a  i  Laici  .  Tuttavia  dalla  Legge  3.  del 
Re  Adolfo  fi  ricava  ,  che  lucceduta  la  morte  del  Telìatore  , 
per  efeguire  la  di  lui  volontà  ,    fi  manumettevano  attualmente 
i  Servi  nella  Chiefa  .  Perchè  poi  lembrava  andare  all'  ecceflb 
quefta  generofita  de' Padroni ,  Pippino  Re  d'Italia  nella  Leg- 
ge 34.  naette  il  cafo  ,  che  avendo  il  Padre  una  Figlia  ,   laici 
nell'ultima  lua  volontà  a  tutti  i  fuoi  Servi  la  Liberta.  Et  quia^ 
foggiugne ,  cantra  legem  ejfe  vìdetur ,  ìnjìittiimus ,  ut  ipfa  filia 
in  tertUm  portìo?iem  de  pr<tjatis  rebus  iterum  introìre  pojjit ,  Cioè 
vuole  ,  che  un  terzo  di  quegli  Uomini  continui  ad  eflere  Ser- 
vo di  quella  Figlia  .  Nò  fi  dee  credere,  che  leguita  la  Manu- 
mifiione,  paflaffero  fempre  i  Servi  aduna  piena,  e  totale  Li- 
berta; perciocché,  come  fu  di  fopra  accennato  ,  i  Patroni  ri- 
tenevano qualche  diritto  fopra  de' medefimi  ,  appellato  Gius- 
patronato.  E  poi  perlopiù  fi  faceva  loro  quefta  grazia ,  ma 
con  varj  patti  ed  obbligazioni  o  di  qualche  fervigio  perfonale  , 
o  di  pagare  qualche  cenfo  ogni  anno.  Che  fé  il  Tefì:atore  vo- 
lea  Libero  da  ogni  legame  il  Servo ,  era  d'uopo,  che  fpecifi- 
cafìTe  quefia  fua  intenzione  con  chiare  parole.  Nell'Appendice 
a  Marcolfo  Gap.  48.  fi  legge  Kedemptìonde  ^  cioè  la  Manumif- 
fione  ,  che  il  Padrone  per  danari  concede  al  Servo  con  dire  : 
Ut  talìter  fias  tngenus^  tamquam  Jl  ab  itìgenuis  parentìbus  fuijfes 
procreatus  vel  7ìatus  ,  cum  omni  Peculiare  tuo  ;  &  nec  m'thì ,   nec 
nlli  Heredum  meorum  7iullum  impendas  Servitium  ^  nec  Homi ?i'tum^ 
nec  Libertaticum  ,  ?iec  idium  Obfequium  ,  7ìec  Patronaticum  Ù'c, 
Ecco  varj  nomi  efprimenti  gli  obblighi  ,  che  fovente  s'impo- 
nevano a  i  Liberti  ,  o  competevano  al  Padrone  fopra  di  loro. 
Notifllmo  è  pofcia  ,  che  fé  i  Liberti  divenivano  ingrati  a  chi 
avea  ufata  con  loro  tanta  generofitk  e  benefizio  ,  dalle  Leggi , 
che  fi  truovano  ne' Codici  di  Teodofio  e  diGiuftiniano,  erano 
condennati  a  perdere  la  Liberta ,  e  tornavano  ad  eflere  Servi , 
né  pii^i  poteano  far  Teftamento.  Ma  che  in  quella  pena  incor- 
reflero  i  Liberti  ingrati  fotto  i  Re  Longobardi  e  Franchi,  non 
1'  ho  trovato  .  Siccome  non  veggo  ,  che  allora    fi  facefle  cafo 
della  qualità  di  fangue  Libertino,  come  fi  usò  al  tempo  de' Ro- 
mani, i  quali  riputavano  ben  inferiore  agl'Ingenui  chi  difcen- 
deva  da  Genitori  Liberti,  e  ci  volea  del  tempo  a  purgar  quel- 
la macchia  .    Tuttavia  preflb  1'  Ughelli  nel  Tomo  I  V.  dove 
tratta  de'  Vefcovi  di  Vercelli  ,  fi  legge  un  Decreto  di  Leone 
Velcovo  di  quella  Citta,  fatto  fui  fine  del  Secolo  X.  prafentin 
Temo  L  Y  /w- 


170  Dissertazione 

Judicum^  Civ'ium  affluenti  a  refi  dente  &  Mtlìtum  ^  appojì  ti  sEv  an- 
gelus ,   &  Lthrìs  Legum  ,  Chartis  contra  Legem  faólis  (^Ji  quas 
erant  )  legaltter  incijìs  ,  nobìltter  acclamante  Populo  ,  furono  di 
nuovo  rimeflì  in  Servitù  tutti  coloro  ,    che  elTendo  già  Servi 
della  Chiefa  di  Vercelli  ,  per  negligenza  o  vizio  de'  precedenti 
Vefcovi  a  jugo  Sernjttuth  in  Libertatis  Nobilitatem   (  notifi  que- 
fìa  parola  )  tranfierant^  &  ipfam  Ecclejìam  in  derifu  ^  &  defpe- 
Bu  haheba'/it  .   ConfefTa  il  Veicovo  ,  ab  ejusmodi  Libertis  ,   quod 
aliqi'.ibus  dfvitiis  ijìflati  ejfent  ,  inquinari  Nobiles  .  Certamen- 
te fi  può  credere  ,    che  anche  allora  abborriffero  i  Nobili  di 
mifchiare  il  loro  fangue  con  de' Liberti,  come  oggidì  ancora 
fogliono  adenerfi  da' maritaggi  con  chi  poco  fa  o  per  fortuna, 
o  per  induftria  è  ulcito  del  fango.  Preflb  Marcolfo  Lib.  2.  Ca- 
pir. 33.  un  Padrone  dona  ad  un  fuo  Servo  la  Liberta  ,  ea  con- 
dittane  ut  dum  advixero^  mi  hi  defervias  j  pojì  obitum  njero  meum 
fi  mihi  fuperfies  fueris  fis  Ingenuus  <&c,  peculiare  conce jfo  ,  quod 
hnbes^  aut  elaborare  poteris .  A  quefla  maniera  d'impegnare  per 
tempo  la  Liberta  a  i  Servi,  ebbe  riguardo  Aftolfo  Re  de' Lon- 
gobardi nella  Legge  2.  Si  quis  Langobardus ^  die' egli ,  pertinen- 
tes  fuos  (  cosi  ancora  fi  appellavano  i  Servi  )  thingare  voluerit 
(  cioè  manomettere  )  in  quartam  ma?2um  dandos  ,  &  chartulam 
ipfis  fecerit  ,  &  fibi  refervaverit  fervitium  ipforum  ,  dum  advi- 
xeritj  &  decreverit^  ut  pofl  obitum  ejus  Liberi  fint  ,  fi  abile  de- 
beat  permanere  fecundum  textum  Chartce  ,  quam  ei  fecit  ,  &c. 
Finalmente  fi  dee  aggiugnere  ,   che  fé  il  Liberto    era  piena- 
mente manomelfo  con  avere  il  Padrone  rinunziato  al  Giuspa- 
tronato  ,  allora  potea  teftare  ,  e  far  ciò  che  gli  piacea  della 
fua  roba.  Ma  durando  il  Giuspatronato,  e  non  avendo  Figli? 
la  fua  roba  tornava  al  Patrono. 

CoNviEN  ora  parlare  ò.ti  g\ì  Aldii  ^  d<,  Al  diane  ^  de' quali  si 
fovente  fi  truova  memoria  nelle  Leggi  Longobardiche,  e  nelle 
vecchie  Carte  d'Italia,  ma  non  già  prefTo  i  Franchi  ,  ed  altre 
Nazioni.  Furono  dunque  gli^/^/i,  detti  anche  ^/^/W^i,  una 
forta  d'uomini  fra  i  Servi  ,  e  Liberti  .  Non  erano  Servi  ,  per- 
chè manomeffi  ;  né  veri  Liberti  ,  perchè  tuttavia  obbligati  a 
fervire  il  Padrone  e  i  fuoi  Eredi  .  Il  Du-Cange  nel  GlofTario  ci- 
tando le  Chiofe  del  Lindembrogio,  riconofce  l' Aldio  y?^/«  Z./- 
berum  ,  &  Libertum  cum  impofitione  operum  .  Pofcia  come  di- 
mentico di  quello  ,  foggiugne  ,  che  gli  Aldii  erano  ex  genere 
Servorum  ,  tametfi  peculiaris  &  propria  fuit  Seruorum  fpecies  , 

ab 


DECIMAQ.WINTA.  IJI 

ab  al'its  n'miìrum  Serv'ts  divtfa  .  In  pruova  di  ciò  egli  cita  la 
Legge  84.  Longobardica  di  Carlo  M.  dove  fon  quefte  parole  : 
Aìdiones  ,  vel  Ald'tancd  ea  Lege  vl'vafit  in  Italia  in  Scr'uttute 
Dominorum  [uorum^  qua  Fìfcalini^  'uel  Lidi  vìvunt  in  Francia, 
Egli  parimente  chiama  i  Lidi  Servos  glabre.  Del  medefimo  pa- 
rere fn  il  Baliizio  nelle  Note  ad  un  Capitolare  di  Carlo  Ma- 
gno dell' Anno  7P3.  dicendo  de  Majicipiis  ^  idejl  Aldiis  ,  All' 
incontro  tengo  io  per  fermo  ,  non  doverfi  annoverar  gli  Aldii 
fra' Servi,  ma  si  bene  fra  i  Liberti,  privi  nondimeno  di  una 
totale  Liberta  .  /;;  Servi  tute  Dominorum  juorum  altro  a  mio  cre- 
dere non  vuol  dire,  che  l'obbligo  loro  importo  di  fervire  ai 
Padroni,  ma  fenza  l'obbrobriofo  titolo  di  Servi .  Primieramen- 
te ne  gli  antichi  Diplomi  quafi  fempre  noi  troviamo  diftinti 
gli  Aldii  da  i  Servi  in  quella  Formola  :  Cum  Servis^  &  AnciU 
lis^  Aldiis  y  &  Aldianis  :  il  che  indica  la  differente  lor  condi- 
zione .  Secondariamente  il  Re  Rotati  nella  Legge  227.  ci  fa 
fapere  ,  che  chi  vuole  far  divenire  Aldio  un  fuo  Servo  ,  dee 
manometterlo,  ma  che  non  illi  det  quatuor  vias  ^  perchè  cef- 
fava  ben  d'  eflere  Servo ,  ma  non  acquiftava  una  piena  Liber- 
t'a  ,  rimanendo  tuttavia  con  legami  di  obbligazione  verfo  il 
Patrono  ,  né  potea  fenza  licenza  paffare  al  fervigio  altrui  . 
E  il  Re  Liutprando  nella  Legge  V.  Lib.  IV.  infegna  ,  che  per 
manomettere  un  Servo,  la  funzione  s'avea  da  celebrare  alfa- 
ero  Altare  .  Ma  per  fare  d'  un  Servo  un  Aldio ,  tal  funzione 
non  s'avea  da  efeguire  in  Chiefa  .  Nam  qui  Aldium  facere  vo- 
luerit  y  dovrà  manometterlo,  ma  no?i  eum  ducat  in  Ecclejia  : 
7ìifi  alio  modo  faciat^  qualiter  voluerity  Jive  per  Chartam^  Ji- 
*ve  qualiter  ei placuerit .  Qjiiello  nondimeno  che  mette  in  chiaro 
la  fentenza  mia,  è  la  Legge  218.  di  Rotari,  parlante  in  que- 
fli  termini  :  Si  Aldia  aut  Libera  in  Caja  aliena  ad  maritum 
intraverity  Libertatem  fuam  amittat ,  Adunque  la  Liberta,  ben- 
ché non  piena,  era  un  pregio  òq gli  Aldii ^  né  s'han  da  ripor- 
re fra  i  Servi . 

Torniamo  ora  alla  Legge  di  Carlo  M.  aflbmij^liante  gli  Al- 
dii Italiani  a  i  Fifcalini  ,  e  Lidi  di  Francia  .  Giovan  -  Gerardo 
Vcffio  Lib. 2.  de  Vitiis  Serm.  decretò,  elTere  flati  i  Liddi,  o 
Liti  coloro ,  qui  ingenuitatem  fuam  pretio  mancipajfent  .  Non 
e  da  afcoltare  ,  ficcome  né  pure  il  Du-Cange  su  quello  pun- 
to .  Poteano  veramente  elfi  allegare  per  tale  opinione  ciò  che 

Y     2  fi  leg- 


172  Dissertazione 

fi  legge  nella  Vita  di  San  Meinwerco  Vefcovo  di  Paderbona 
pubblicata  dal  Leibnizio  ,  da  i  Bollandifti  ,  e  da  altri ,  dove  è 
Icritto  :  Duram  antiquds  Servitupìs  L'ttonum  jujìitiam  per  novam 
patern^e  pk'tatis  relevav'it  gratìnm  ,  conjì'ttucns ,  a  V'dlicis  admi- 
nkulari  eis  in  cibi ,  potusque  ncceffams  (  quod  antea  7ìon  jiehat) 
tempore  mejjìs  .  E  pure  quefto  medefimo  paflb  pruova  ,  che  i 
Liti  non  erano  Servi  .  Se  tali  follerò  (lati  5  non  folamente  al 
tempo  della  meffe  ,  ma  per  tutto  l'Anno  avrebbono  dovuto  i 
Padroni  fomminirtrar  loro  il  vitto  .  Odafi  ora  un  Capitolare 
di  Carlo  Magno  dell'Anno  78^.  dove  fi  comanda,  che  ad  ogni 
Chiefa  debbano  i  Parrochiani  donare  Curtem^  &  duos  maìifos , 
Et  inter  centum  &  'v'tgtntt  Nobiles  ,  Ù^  higenuos  ,  ftrnìl'tter  & 
Litos  (  ciafcuno  a  rata  del  fuo  avere  )  Servum  ,  &  Anctllam 
e'fdem  EcclefiéS  tribuant ,  Inoltre  alCap.  15.  comanda,  ut  ora- 
nes  Decimam  partem  fnbfta?Jtt<£ ,  C^  laborh  fui  Ecclejtìs ,  &  Sa- 
cerdotibus  donent ,  tam  Nobiles  ,  quam  Ingenui  ,  Jìmiliter  & 
Liti  ;  juxt a  quod  Deus  unicuique  dederit  Chrijìiano^  partem  Deo 
reddaìit .  Adunque  anche  i  Liti  doveano  pofledere  Stabili ,  e 
far  fuoi  i  frutti  delle  loro  fatiche  :  il  che  non  competeva  a  i 
Servi .  In  un  altro  Capitolare  dell'  Anno  'J^J^  è  ordinato  ,  ut 
ubicumque  Franci  fecundum  Legem  Solidos  XIL  folvere  debentj 
ibi  Nobiliores  Saxones  Solidos  XIL  Ingenui  V»  Liti  IV,  compa- 
nant  .  Ecco  i  Liti  obbligati  a  pagar  le  pene  come  l'altre  per- 
fone  Libere  .  Per  li  Servi ,  fé  faceano  delitti ,  il  Padrone  pa- 
gava la  pena  .  Per  la  ftefla  ragione  dobbiam  credere  ,  che  i 
Fifcalini  non  folfero  diverfi  da  i  Liti  ,  ed  Aldii  .  E  ricavali 
ancora  da  un  Capitolare  di  Carlo  Magno  dell'  Anno  805.  in 
cui  è  permelfo  a  gli  uomini  Ingenui  di  prendere  in  moglie 
Donne  Fifcaline  ,  ficcome  ancora  feminis  Liberis  bomiìies  Fi- 
fcalinos  Jtbi  fociare  conjugió .  Ma  anche  fecondo  i  franchi  (ì 
gaftigava  la  Donna  Libera  ,  che  fpofava  un  Servo  ;  né  Uomo 
Ingenuo  potea  accafarfi  con  Serva  altrui  .  Conviene  perciò 
conchiudere  ,  che  gli  Aldii  per  mezzo  della  Manumiffione 
erano  ufciti  dalla  vii  condizione  de  i  Servi  ,  ma  con  patto 
di  dover  coltivare  qualche  terra  del  manumittente  ,  o  pure 
di  pagargli  cenfo  ,  o  di  far  altro  loro  fervigio  .  Una  fpecie 
di  Liberti  vi  furono  ,  che  non  godevano  un'  intiera  Liberta  , 
continuando  a  vivere  con  fuggezione  ,  e  dipendenza  dal  Pa- 
trono .  Per  ricuperare  affatto  U  Liberta  v'era  d'uopo  un  al- 
tro 


DecimasestaI  J7J 

tro  Atto  pubblico  ,  con  cui  fofìfe  dichiarato  totalmente  Libe- 
ro .  Quedo  ftato  di  totale  Liberta  era  difegnato  da  i  Longo- 
bardi colla  parola  Fulfreal .  Dura  elTa  prelTo  gì'  Inglefi  ,  che 
chiamano  Fulfraee  ,  chi  è  pienamente  Lìbero  .  Pertanto  anti- 
camente tre  Itati  di  Perione  fi  contavano  lavoratori  di  cam- 
pagna ,  cioè  Liberty  AldVt  ^  e  Servi .  l  Liberi  erano  fimili  ai 
Contadini  de' noftri  tempi  .  La  condizion  òq  Servi  l'abbiamo 
già  offervata  .  Participavano  gh  Aldii  dell'  uno  ,  e  dell'  altro 
llato  .  Qj-iefte  tre  furte  d'uomini  fono  chiaramente  dipinte  in 
un  bel  Decreto  di  Carlo  il  Grofìb  Auguilo  ,  efiftente  nell'  Ar- 
chivio de'Canonici  di  Arezzo,  fpettante  all'Anno  883.  o  pu- 
re 882.  dov'egli  detefta  la  prepotenza  de' Conti,  ed  altri  Giu- 
dici Secolari ,  i  quali  faceano  ciiJìriBiones  in  Liberos  Manarios  , 
fuper  Ecclejlafìicas  res  refideìites ,  &  Servos ,  &  Aldiones  faciunf , 
tributa  ab  eis  exigunt  Ù'c. 

PRETtNDEANO  ncU' Anno  844.  alcuni  lavoratori  d'effere  af- 
fatto Liberi  ;  ma  convinti,  finalmente  con  pubblico  Strumento 
del  Moniilero  Ambrofiano  confefìTarono  d'  elfere  ftati  lafciati 
per  Teftamento  da  un  Totone  ;  &  poflea  nos  ingeniofe  ^  &  fua- 
fione  de  malis  hominibus  fubtrahere  quaejlviìnus  ,  fed  nullatenus, 
potutmus  ^  eo  quod  certius  Aldiones  ejusdem  M.onafterii  Sanóii  Ani' 
brofii  effe  debemus  &c,  Jub  poteflatem  ,  Ù'  defenjtonem  ,  adque. 
tuicionis  prefati  Monajìerii  .  Non  erano  gli  Aidii  jub  dominio  , 
ma  lolamente  fub  tuitione  de' loro  Patroni .  Però  il  Voffio  fud- 
detto  ebbe  ragion  di  Icrivere  ,  che  Aldius  videtur ,  qui  antea 
Servus  ,  Jtc  Libertatem  conjequutus  ,  ut  interim  veteri  Domino 
foret  obnoxius.  E  cos\  intendiamo,  che  voglia  dire  Leone  Oflien- 
fe  Lib.  I.  Cap.  14.  della  Cron.  Cafin.  dove  Icrive  :  Servos  au- 
tem  fuos  ,  Ò'  Ancillas  omnes  Libertate  donavit ,  fub  ditione  ta- 
men  y  &  tutela  Monafìerii  hujus  ,  ita  ut  per  Jìngulos  Jlngulas  ope' 
ras  annualiter  ubi  nojìri  Ordinari  pnsciperent ,  exerccrent .  Cioè  di 
Servi  eh'  erano,  divennero  Aldii .  Né  iecondo  la  Legge  loo.  di 
Lottano  L  Luperadore  era  lecito  novam  conditionem  Aldioni  im- 
ponere ^  cioè  alcun  aggravio  oltre  a' patti  primieri.  Truovanfi  poi 
Partiarii  Coloni  ,  ne'Digefli  alla  L.  y^  merces  .  Tit.  Locati  y  cos\ 
appellati,  perchè  davano  al  Padrone  la  meta  delle  rendite  de' 
poderi  da  loro  coltivati.  Ne  fa  menzione  anche  ReginoneLib.I. 
Cap.  43.  de  Ecclef.  Diicipl.  e  ne*  Capitolari  preflo  il  Baluzio 
fi  legge  :  ^ui  tale  benejìcium  habent  ^  &  ad  medietatem  laborant . 

Son 


17+  Dissertazione 

Son  coftoro  chiamati  in  varie  antiche  Carte  M^^/Vz-^m  accen- 
nate dal  Du- Gange,  e  non  so  come  quel  grand' uomo  li  fti- 
ma  Servi  ,  qui  duobus  Dominh  obnoxti  erant  ,  allegando  in 
pruova  di  ciò  le  feguenti  parole  d'  uno  Strumento  :  ConceJJit 
Deo  5  &  SanBo  Job  anni  BciptiJì(S  Cavili  am  ,  quaa  erat  fua  Villa- 
na ,  uP  ejfet  Medietaria  Sanali  Johannis  ipfa  ,  &  Jilii  fui  in 
fempìternum  ,  &  totum  Servitium  ,  quod  johbat  perfolvere  Co' 
miti  5  de  cererò  perfolveret  SanHo  Johanni  .  Ma  qui  fi  tratta 
non  di  una  Serva  ,  ma  di  una  Aldiana  ;  ed  efl'a  è  chiamata 
Medietaria  ,  non  perchè  ferviffe  a  due  Padroni  ,  ma  perchè 
lavorava  a  meta  la  Terra  di  San  Giovanni  .  In  quefìe  parti 
dura  il  nome  di  Mezzadro ,  fignificante  Contadino  lavoratore 
di  Campagna,  che  rende  al  Padrone  la  meta  del  grano,  e  de  i 
frutti  .  Finalmente  s'  ha  da  olfervare  ,  che  molte  furono  le 
cagioni,  per  le  quali  era  conceduta  la  Liberta  a  i  Servi,  e  la 
piena  Liberta  a  gli  Aldii  ;  e  le  così  non  fi  folle  fatto ,  farebbe 
tanta  crefciuta  la  lor  popolazione  ,  che  avrebbero  fatta  paura 
al  refto  del  Popolo  Libero  .  Cioè  il  lungo  lervigio,  la  fedeltà, 
Fabilitk,  con  cui  fi  comperava  quella  povera  gente  l'affetto 
de' Padroni,  faceva  o  predo  o  tardi  fciogliere  le  loro  catene. 
I  Re  Franchi  folevano  donare  la  Liberta  a  i  proprj  Servi  prò 
nativitate  filiiy  o  per  altre  occafioni  di  allegrezza  .  Lo  attefta 
Marcolfo  nel  Lib.  2»  Cap.  52.  ma  era  la  Pietà  e  Carità  de  i 
Criftiani,  che  più  fovente  li  moveva  a  recar  quefto  benefizio 
a  i  Servi,  e  maffimamente  ne'Teftamenti  ne' quali  ognun  prov- 
vede all'anima  fua  .  Di  fimili  ultime  volontà  ne  gli  antichi  Se- 
coli ne  ho  io  accennato  più  d^una  .  E  ciò  badi  intorno  a  i  Lt- 
•berti  de'  tempi  barbarici . 


De' 


Decimasesta.  175 

De   Prejìatori  /ìd  Ufura  Giudei^ 
Compagfiie  di  Soldati  ,    Mafnadieri  ,    Lebbrojl  ,  &c* 

de  vecchi  tempi. 

DISSERTAZIONE  DECIMx^SESTA. 

VErisimilmente  tempo  non  c'è  flato  ,  da  che  è  in  ufo 
l'umano  commerzio  col  danaro  ,  in  cui  non  fi  fia  preda- 
to eflb  danaro ,  e  che  da  elfo  non  abbiano  cercato  gli  uomini 
di  ricavar  frutto,  chiamato  ZT/i/jw.  L'innata  cupidigia  de'mor- 
tali  non  ebbe  gran  bifogno  di  Maeflri  per  imparare  a  far  traf- 
fico del  danaro  .  Quella  mercatanzia  da  alcuni  Popoli  fi  vide 
approvata  ,  da  altri  avuta  in  abbominazione  .  L'  antichilfimo 
Legislatore  Mosè  la  proibì  fra  i  Giudei  ,  ma  permife  di  farla 
con  chi  era  d'altra  fchiatta  ,  e  Nazione  .  Platone  ,  Ariftotele  , 
Plutarco  ,  ed  altri  Antichi ,  han  difapprovata  ,  e  condennata 
r Ufura  .  Ma  prefib  gh  Ateniefi  fu  ella  lecita,  e  molto  ufata, 
come  pruova  Samuele  Petito  nel  Lib.  V.  Gap.  4.  delle  Leggi 
Attiche  .  Preffo  i  Romani  fi  truova  fempre  in  ufo  ,  anzi  bene 
fpefib  aU'ecceffo,  cagione  poi  di  fedizioni  e  rivolte  nel  Popolo* 
Comparifce  nelle  Ifcrizioni  Romane,  e  in  altre  memorie  il  no- 
me di  Avgentarius  ,  che  fignificava  non  folamente  gli  Orefici  , 
ed  Argentieri  de'  tempi  nollri ,  ma  eziandio  i  predatori  di  da- 
naro *  Argentarids  menpe  exercitores  fono  chiamati  nella  Leg- 
ge 4.  ff.  de  Edendo .  Abbiamo  il  loro  nome  in  altre  Leggi  ,  e 
nella  Novella  131.  di  Giufliniano  è  detto,  Argeiìtarios  mutuam 
pecuniam  dare  .  Il  Reinefio  credette  ,  che  gU  Argentarti  folfe- 
ro  folamente  fabbricatori  di  vafi  d'argento.  S'ingannò  ancora 
il  Gutherio  Lib. 3.  Gap.  22.  de  Offic.  Dom.  Aug.  allorché  tro- 
vando nella  L.  27.  God.  de  pignorib.  Argenti  dtftra^ores  ^  pen- 
sò che  foffero  Artefici  ,  che  riducelfero  f  Argento  in  lamine, 
e  fih  fottili .  Ma  ivi  fi  parla  èii  Predatori  di  moneta  .  E  che 
elfi  Argentarli  foffero  Negozianti,  e  non  lavoratori  di  vafi  d'ar- 
gento, fi  raccoglie  dalla  Legge  unica  God.  ne  Negotiatores^  fra' 
quali  fi  veggono  anche  regidrati  gli  Argentarti  .  Ora  qnedi 
Predatori  di  danaro  ,  che  col  tempo  furono  chiamati  in  Ita- 
lia Campjores  ^  ed  oggidì  Banchieri^  e  in  Francia  Changeurs^ 
davano  danaro  ad  ulura  .  Egli  è  poi  notifìlmo  ,  che  il  l^ivino 

nodro 


1^6  Dissertazione 

noftro  Legislatore  nel  Vangelo  prefcrifTe,  non  fi  ricavafTe  frut- 
to dal  Mutuo  ,   affinchè  i  Fedeli  fi  avvezzafTero  ad  efercitare 
la  Caritk  ,  si  fplendida ,  ed  importante  Virtù  della  fanta  nolka 
Religione  .  Ma  perciocché  V  umano  commerzio  fenza  un  elor- 
bitante  incomodo  non  può  iuffillere,  qualora  non  fi  prelli  dana- 
ro, e  la  gente  avida  del  guadagno  non  ne  prederebbe  ,  fé  non 
ne  ricavale  qualche  vantaggio  :    fi  fono  ftudiati  i  Crifiiani  di 
domefticare  l'odiofo  nome  àìFcenus^  e  di  Vfura^  t  àiMutuum 
con  altri  titoli  per  potere  cavar  frutto  dal  danaro  ,  confegnato 
ad  altri  affinchè  fé  ne  vaglia  o  per  Mercatura,  o  per  Cambio, 
o  per  altri  fuoi  bifogni  ,    fpezialmente  valendofi  della  ragione 
del  Lucro  cejfaìite  ,  e  del  Danno  emergente  .   Perciò  non  manca- 
rono mai  Fceneratores  appreflb  gli  antichi  Crilfiani  ,  ma  parte 
permeffi,  e  parte  riprovati;  e  correva  il  nome  di  Ujura  tanto 
in  buon  fenfo,  che  in  cattivo  .  Cioè  v'erano  Predatori  troppo 
ingordi  e  inumani,  che  all' eccefìfo  efigevano  frutto  dal  danaro, 
e  contra  di  quefli  noi  troviamo  che  fi  fcàldano  i  Santi  Padri , 
cioè  Ambrofio,  Agoftino,  il  Grifoflomo,  ed  altri.  Ma  che  vi 
foffero  Argeììtartì ,   'NuynmularVt  ,  e  fimil  forta  di  gente  per  tut- 
te le  Citta  Romane ,  pofcia  chiamati  Prejìatort  ,   Cambiatori  , 
Banchieri  ,  e  queiii  una  volta  permeffì  ,  affai  fi  raccoglie  dal 
Codice  di  GiuRiniano  ,  e  da  gli  antichi  Libri  .  Anzi  era  allora 
decretato  ,  qual  frutto  del  danaro  potelfe  pretenderfi  ,  e  non 
più.  Coftantino  il  Grande  nell'Anno  325.  come  s'ha  dal  Co- 
dice Teodofiano  Lib.  2.  Tit.  33.  1. 1.  de  Ufur.  dopo  aver  vieta- 
to l'efigere  frutto  dal  grano  predato,  foggiugne  poi  :  Nam prò 
pecunia  ultra  Centejimas  Creditor  'vetatur  accipere  .  Nella  fuffe- 
guente  Legge  pubblicata  daglilmperadori  Valentiniano ,  Teo- 
dofio  ,  ed  Arcadio  nell'Anno  3 85.  fu  parimente  decretato  nel- 
la Tegnente  forma  :  ^uicumque  ultra  Centeftmam  Jure  permif- 
fam  ,  aliquid  fub  occajioiie  7ìeceJJitatis  eruerit ,  quadrupli  pcena 
obligatione  conJìriBus  ^  fine  cefifatione  ^  fine  requie  proti?ìus  ablata 
redhibebit  .  La  Ce?7tefima  Ujura  in  qne' tempi  permeffa  ,  confi- 
fìeva  nel  pagamento  di  Uno  per  Cento  il  Mefe  ,  o  fia  di  un 
Dodici  per  Cento  l'Anno  :  pelo  ,  che  ragionevolmente  parrà 
ben  greve  a  i  tempi  noflri,  ne' quali  con  moderazione  fon  trat- 
tati i  debitori.  Giudiniano  Augudo  dipoi  nella  Legge  26.  Cod. 
deUfuris  regolò  in  altra  maniera  il  commerzio,  comandando, 
che  alle  perfone  illujìri  foffe  permeffo  1'  efigere    ultra  tertiam 
partem  Conte fima  5   Ufurarum  nomine  in  quocumque  ContraBu  'vili 

,vcl 


D    li   e    I    M    A    S   E   S   T   A.  177 

fvel  maxtmo  ,  Cioè  il  terzo  d'Uno  per  Cento  il  Mefe.  A' Mer- 
catanti perniile  tifquc  ad  beffem  Ce-ntcfim(S  Ufuvarum  72omi?ìe^ 
in  quGcmnque  ContraHii  fuamStipulat'io/ìsm  moderari  :  cioè  l'Ot- 
to per  Cento  l'Anno.  A  coloro,  che  predavano  grano,  ©al- 
tre Ipecie  ,  ufque  nd  Ce?iteftmam  tajjtummodo  liceat  jììpulnrì  : 
cioè  il  Dodici  percento  l'Anno.  Ordinò  finalmente,  che  gli 
altri  nomini  poteflero  pretendere  d'imtd'tam  tantuynmodo  Cciìts- 
Jimce  UJuranim  :  cioè  il  Sei  per  Cento  1'  Anno  .  li  Concilio  I. 
di  Nicea  vietò  a  i  Cherici  qnairivo;^lia  Ufura  ;  ma  non  parlò 
de'Laici.  Ora  quello  argomento  delle  Ulure,  e  di  ciò  che  fia 
lecito  ,  ed  illecito  ne'  Contratti  del  danaro  ,  ne'  due  profiimi 
palfati  Secoli  è  fiato  ventilato  con  diverfi  pareri  ,  e  poco  fa  an- 
cora ha  dato  motivo  a  nuove  Liti ,  a  nuovi  Libri  su  quella  fca- 
brola  materia,  con  aver  anche  il  Santiflìnìo  Regnante  Pontefice 
Benedetto  XIV.  piibbhcata  una  Decretale  ,  a  cui  dee  ricorrere 
il  Lettore.  Ora  l'alTunto  mio  non  è  di  entrare  in  s\  fatte  con- 
tefe  ,  e  folamente  prendo  a  trattare  de'  Pveflator't  ,  chiamati 
Ufurai^  che  dopo  il  Secolo  X.  o  XL  fi  acquillarono  un  obbro- 
briolo  &  odiolo  nome  per  f  Europa,  non  fapendo  noi  bene  co- 
me paifafTe  il  commerzio  ne' cinque  Secoli  precedenti. 

Da   che  dopo  il  iioo.  buona  parte  delle  Citta  d'Italia,   e 
mafllmamente  nella  Lombardia  ,  Tolcana  ,  e  Genovefato  co- 
minciarono ad  alzare  la  telia  ,  e  ad  erigerfi  in  Repubbliche  , 
fi  diedero  i  Cittadini  ad  aumentare  non  lolamente  la   Potenza 
della  lor  Patria  ,  ma  anche  le  loftanze  proprie  .   Però  s'  intro- 
dulTero  molte  Arti    fommamente   utili  ,    gran   commerzio   per 
mare  fi  fece,  gran  mercatura   per  terra.   I  Veneziani,   \  Geno- 
vefi,  i  Pifani   lopra  gli  altri   fi  dilHnlero  in  quello;  e  chiunque 
maggiore  induilria  ,  e  ìagacita  di  mente  vantava,   non  perdeva 
il  tempo  a  procacciarfi  ogni  poffibil  guadagno.   A  ninno  certa- 
mente   la  cedono  i  Tolcani ,  e  principalmente   i  Fiorentini,  in 
acutezza  d'ingegno,  e  in  lopportar  le  fatiche  utili;   il  perchè 
quella  gente    per  voglia   di  arricchire  ,  non  contenta   di  guada- 
gnare in  Cala  coli' Arti,  cominciò  anche  a  paffar  fuori  d'Ita- 
lia a  mercantare  .  Un  bel  negozio   parve  loro  quello  di  prellar 
danaro  ad  ulura  ,  e  quello  a  poco   a  poco  diventò   il  principa- 
le, e  piì^i  guilof^  loro  impiego,   perchè   fruttava  afiaiffimo.   Né 
forfè   m'ingannerò  in  credendo,  che   maffimamente  all'elorbi- 
tante  lucro,  che   poi  colava  nella  Citth  di  Firenze,  fi  dee  at- 
tribuire r  eiTere  giunto    quel  Popolo  a  tal  potenza    nel  Seco- 
Tomo  L  Zi  lo 


178  Dissertazione 

lo  Xil.  e  XIII.  che  cominciò,  e  feguitò  fempre  pia  a  dar  Les;- 
ge,  ed  imporre  il  giogo  alle  altre  circonvicine  Citta  .  Tornan- 
do cola  carichi  d'oro  i  Cittadini  ,  fabbricavano  funtuofi  Pala- 
gi ,  aumentavano  1'  Arti  ,  e  dai  buon  regolamento  di  quefle 
procedeva  poi  l'aumento  del  Popolo,  e  la  necefljta  di  slargare 
la  Citta,  e  la  forza  del  danaro  per  fare,  o  foflenere  le  guer- 
re .  Quelle  Compagnie  ,  che  da  Giovanni  Villani  lon  dette  de 
^ììScalfy  de' PtT/^:^:^/ ,  Accìaiuoli  ^  Bardi  ^  Ammanati  &c,  tut- 
te fotto  nome  di  Banchieri  fpezialmente  fi  applicavano  al  traf- 
fico del  danaro  ,  cioè  ali'Uiura.  Atteihi  il  medefimo  Villani , 
ch'efle  Compagnie  fallirono,  perchè  avendo  preflato  ad  Odoar- 
do  III.  Re  d'Inghilterra  un' immenfa  quantità  d'oro,  né  po- 
tendo egli  foddisfare  a  cagion  delle  fue  ^uerre,  toccò  a  i  Pre- 
flatori  andare  colie  gambe  all'  aria  .  Ma  finita  una  Compa- 
gnia ,  ne  fahava  su  un'altra  ;  laonde  il  Conte  Tegrimo  ,  co- 
me s' ha  dal  medefimo  Storico  Lib.  7.  Cap.  135).  udendo  il 
Conte  di  Poppi  ,  che  fi  gloriava  delle  lue  ricchezze  ,  e  di 
aver  nella  fua  Armeria  le  Baleflre  grofie  de'  Fiorentini  ,  in- 
gegnofamente  giirifpoie:  Farmene  bene ^  fé  no?i  eh' io  intendo^ 
che  i  Fiorei-ttini  fono  grandi  Prefìatori  ad  ufura. 

A  L  vedere  gii  altri  Popoli  ,  che  fruttuofa  mercatura  foffe 
quella  dei  preftare,  a  quella  fi  ri  voi  fero  anch' effi,  fpargendofi 
principaùnente  per  la  Francia  ed  Inghilterra,  dove  correa  più 
danaro.  Varie  merci  portavano  cola,  ma  il  traffico  primario 
confiiieva  nel  guadagno  ufurario  .  Ogcrio  Alfieri  nella  Croni- 
ca d'Aiti  Tom.  XI.  Rer.Ital.  cosi  feri  ve:  Anno  Dom.MCCXXFI, 
Ci^ues  Afìenjes  coeperunt  pnxfìare  ,  &  facete  Ufuras  in  Francia  , 
(y  tdtramontanis  partibus  ,  ubi  ìnultam  pecuniam  lucrati  funt . 
Anche  Benvenuto  da  Imola  nel  Commento  MSto  di  Dante  af- 
ferifce,  che  gli  Artigiani  anche  al  fuo  tempo  erano  i  più  ric- 
chi di  Lombardia.  Cola  ancora  concorfero  da  altre  parti  d'Ita- 
lia a  rodere  chi  abbifognava  di  danaro,  accolti  favorevolmen- 
te col  nome  di  Mercatanti  ,  ma  venuti  per  ismugnere  affatto 
le  borie  altrui  .  E  perciocché  fra  effi  faceano  la  prima  figura 
^\'>  AJìigiani  ^  Milanejì^  Piacentini  ec.  e  {Fiorentini  ^  Sanefl^ 
Lufchcft  ec.  perciò  tanto  in  Francia  che  in  Inghilterra  fi  chia- 
n)av:;i"o  Mere  atores  Lombardi  ^  e  Tufci^  o  pure  F  afe  ani.  Di  co- 
iaio joi  fi  lerviva  anche  la  Corte  di  Roma  per  ritirare  da 
que'  Paefi  le  rendite  fue  .  Nel  Codice  di  Cencio  Camerario  fi 
vede  una  Lettera  di  Papa  Gregorio  IX.  nell'Anno  12^3.  con 

cui 


Decimasesta,  17P 

cui  quieta  Angclcrium  Solafìcm77  quondam  Campforem  nojìrum^ 
&  e/US  Soc/os  Mercatoì'c's  Senenfes  de  oniìiìbus  vatton'ibus  ,  qucis 
in  Anglìn^  Francia  ,  &  Curia  Komana^  'vel  ctiarn  alibi  ^  tìojìro 
npel  Ecilefta;  Komaìioi  nomine  v^ceperunt ,  Rapporta  il  Du-Canpe 
a  quefto  propofito  nel  Gloffario  Latino  un  pezzo  di  Convenzio- 
ne itdbilira  nel  1278.  dal  Re  di  Francia  cum  Fulcone  Ci^us  Pia- 
centino ,  Capitaneo  Uni'verfttatis  Mcrcaporuìn  Lombardorum  ,  & 
Tufcanorum  (  ecco  come  quelle  fansailughe  s'univano  inficine  ) 
habente  etiam  potejìatem  ,  &  [pedale  mandatum  a  Confidihus 
Mere atoruyn  Rem anorum  ^  Janua^  Veneti arum  ^  Pi acentide ^  Lucue^ 
Bononia:  ,  Pijìorii  ,  Jljìetijiv.yn  ,  Alh(S  ,  FlorenticS  ,  Senarum  , 
Ù'  Mediolani  ,  tramandi  cum  Domino  Rege  Francia;  fuper  trans- 
latione  facienda  ad  Civitatem  Nemaujenjem  Ù^c,  laddove  prima 
que'  Mercatanti  aveano  polla  la  loto  Itanza  in  A4onpelieri  . 
Rapporta  elfo  Du- Gange  alla  voce  Longobardi  i  Pnvilegj  loro 
conceduti  dal  Re.  Polcia  vien  dicendo  Mercatores  Italicos  prò- 
pter  fcenerationem  ujurariam  famojos  furono  chiamati  Caorcint 
dalla  Citta  di  Cahors  in  Francia  .  Ma  s' incanna  .  Non  i  foli 
Italiani  eiercitavano  quello  brutto  meftiere  .  Lo  ftelTo  ,  e  forfè 
peggio  ,  facevano  anche  i  Franzefi  ,  e  maflimamente  quei  di 
Cahors;  ed  eglino  perciò,  e  non  gl'Italiani,  furono  appella- 
ti C/7orcm/.  Similmente  han  prelo  abbaglio  prefTo  di  lui  colo- 
ro, che  fi  figurarono  derivato  dalla  Nobil  Cafa  de' Corfini Fio- 
rentini quel  Sopranome  ,  quafichè  Corftno  fi  fofle  mutato  in 
Caorfino  .  Certo  è  ,  che  anche  i  Corfini  al  pari  dell'altre  No- 
bili Famiglie  di  Firenze  attefero  alla  Mercatura  ,  e  fi  sa  ,  che 
nell'Anno  1342.  fecero  Banco  fallito  .  Ma  perchè  mai  da  efli 
foli,  e  non  da  tanti  altri  Fiorentini,  anche  più  ricchi  ,  e  rino- 
mati avrebbero  tratto  quefto  nome  per  difegnare  tutti  i  Mer- 
catanti Predatori  della  Tofcana  e  Lombardia  ,  anzi  di  tutta 
ritaha,  e  Francia  ?  La  verità  fi  è,  che  Caorcini  furono  chia- 
mati i  Cittadini  Mercatanti  di  Cahors  ,  perchè  quivi  più  che 
altrove  fi  preltava  a  uiura  ,  e  l'abbiamo  da  Dante ,  il  quale 
nel  Canto  XL  dell'Inferno,  inveendo  contro  li  Ulurai  ,  fra 
l'altre  cole,  le  rive  : 

E  però  lo  minor  giron  fuggella 
Del  fegno  fuo  e  Sodoma^  e  Caorfa» 

Cahors  da  gf  Italiani  era  nomata  Caorfa  .  Odi  Benvenuto  da 
Imola  nel  Commento  MSto  di  elfo  Poema  ,    che  circa  1'  An- 

Z     2  no 


i8o  Dissertazione 

no  1380.  così  feri  ve  va  :  CaorJiU  IdcftUfurartos.  Caturgìum  enìm 
Cfvnas  In  Gnll'ta ,  tn  qua  quafi  omnes  funi:  Fceneratores  .  E  di- 
ce ,  che  fono  ,  perchè  durava  quella  pelle  anche  a'  fiioi  di  . 
Lo  ftelTo  Dr.~Cange  rapporta  un  Editto  di  Carlo  IL  Re  di  Na- 
poli,  Conte  di  Provenza,  e  d'Angiò  ,  con  cai  nell'Anno  12 8p, 
cacciò  Caturcincs  Ufurarios  da  tutto  il  luo  Dominio.  E  Filippo 
Re  di  Francia  nel  1220.  in  un  fuo  Privilegio  fa  conofcere,  che 
anche  i  Cittadini  di  Caen  in  Normandia  attendevano  a  quella 
infame  mercaranzia  ,  con  dire  :  Concejfl'mus  Burgenfibus  ìioftrh 
de  Cadorna^  refi ds}2t} bus  in  Villa  Cadami^  quod  nec  eos^  nec  uxo- 
res  5  nec  hsredes  eomm  capiemus  nd  occaftonem  de  Ufura  in  mor- 
te eormn  .  Però  non  i  foli  Italiani  profittavano  del  bilogno ,  o 
della  balordaggine  altrui . 

Non  è  per  quedo  ,  che  non  conofcelTe  la  gente  ,  quanto 
difcordaffe  dalla  Legge  di  Dio  ,  e  Cn  qual  pregiudizio  folle  al 
Pubblico,  e  a  i  privati  un'  Arte  tale  .  Erano  dapertutto  in  ab- 
bominazione  gli  Ufurai ,  e  contra  di  elfi  piìi  volte  i  Principi  del 
Secolo  ,  non  che  quei  della  Chiefi  ,  diedero  di  piglio  a  i  ful- 
mini.  Nel?  A^nno  1106.  Odoardo  piifTimo  Re  d'Inghilterra, 
come  s'ha  dalle  fue  Leggi,  Ufurarios  defendit  ^  (cioè  vietò) 
ne  remanerent  ifi  Kegno  ,  Matteo  Pari  fio  nella  Storia  d'Inghil- 
terra all'Anno  1235.  cosi  Icrive  :  Invaluit  antem  bis  diebus 
adeo  Caurfiorum  (  cioè  de  gli  Ufurai  Franzefi  )  pefìis  abominan- 
da ,  ut  vix  ejfet  aliquis  in  tota  Angli  a ,  qui  retibus  illorum  jam 
non  illaquearetur ,  Etiam  ipfe  Rex  debito  inafiifnabili  eis  tene- 
batur  obligatus ,  Polcia  riferifce,  in  qual  forma  cotloro  coflrin- 
geflero  i  debitori  al  pagamento  delle  ufure  ;  e  che  il  Vefcovo 
di  Londra  li  (comunicò  ;  ma  avendo  effi  impetrata  la  protezio- 
ne della  Corte  di  Roma  ,  non  folamente  fi  burlarono  del  fuo 
Editto,  ma  il  citarono  ancora  ^  fuper  tali  injuria  Mevcatoribus 
Papalibus  irrogata  refponfurum  .  Scrive  in  oltre  lo  ftelfo  Storica 
all'Anno  1240.  che  Arrigo  IH.  Re  d'Inghilterra  Caurfinis  y 
precipue  Senonenfibus  (  adunque  erano  Franzefi  quegli  Uiurai  ) 
terram  fuam  interdixit ,  Ipft  autem  ynolefte  jerentes^  &  dolentes^ 
tales  fé  pafcuas  amiffuros  ,  data  pecunia ,  qucv  nimis  jolet  impios 
jufìificare  ,  adbuc  prò  magna  parte  latuerunt  .  Furono  elfi  di 
nuovo  banditi,  ed  appreifo  richiamati,  perchè  anche  i  Re  pro- 
fittavano del  loro  bottino  .  Particolarmente  allorché  a  i  Monar- 
chi veniva  il  bifogno  di  pecunia,  faltava  fuori  un  bando  con- 
tro gli  Uiurai,  acciocché  Qolioro  s'induceiTero  con  una  confide- 
rà bil 


Decimasesta;  i8r 

rabil  offerta  e  contribuzione  a  placare  il  loro  sdegno  .  In  lor 
favore  ancora  fi  moveva  la  Corte  di  Roma  ,  non  già  perchè 
approvaffe  le  loro  Uiure,  ma  perchè,  ficcome  dicemmo,  per 
via  d'effi  riceveva  le  rimefie  del  danaro  a  lei  proveniente  da 
tutta  la  Criftianita  d'Occidente.  Altrettanto  avvenne  in  Francia. 
Sotto  Filippo  Figlio  del  Santo  Re  Lodovico,  fu  pubblicato  un  Pro- 
clama, che  intimava  a  gli  Uiuraì  Lombardi^  e  Caorjìnl  di  ufci- 
re  del  Regno  ,  con  proibir  loro  di  far  da  li  innanzi  commerzio 
ufurario  in  quelle  contrade  ,  permettendo  nondimeno  Mercato- 
ribtis  Loyiìbardts  ,  &  Caorfin'ta  di  quivi  fare  la  Mercatura  ap- 
provata daile  Leggi  .  Parimente  Carlo  IL  Re  di  Napoli,  e 
Conte  di  Provenza  cacciò  da  i  fuoi  Dominj  di  Francia  Lom- 
bardos^  Caturcinos  ^  aliasquc  pcrfonas  nlienìgenas  Ufuras  publìce 
exercentes.  Ma  non  mancavano  maniere  a  quella  pedifera  gen- 
te di  rendere  vani  quegli  Editti  ,  di  modo  che  fempre  erano 
odiati  e  riprovati,  e  pur  fempre  fuiTiitevano  addolfo  a' Popoli, 
lina  volta  da  loro  afferrati  colf  unghie. 

Molto  più  fi  affaticarono  in  que' tempi  i  Romani  Pontefi- 
ci per  atterrare  un  s'i  ingiuiio,  e  perniciolo  abufo  .  Nel  Conci- 
lio Generale  IH.  Lateranenfe  del  11^9-  Aleffandro  III.  Papa, 
e  i  Padri  nel  Can.  XXV.  cos'i  parlarono  :  ^41  a  in  om?ìibus  fe- 
re locis  crimen  Uftdravum  ita  itìolevit  ,  ut  multi s  aliis  negati is 
pratermijjìs^  qunjì  licite  Ufuras  e:>cevcea}7t  &c.  Ideo  conflituimus^ 
■utUjurarii  manifejìi  nec  ad  Coìnmunionem  admittantttr  Altarisy 
7iec  Chriftianam  ,  fi  in  hoc  peccato  decejjerint  ,  accipiant  fepol- 
turam.  Fu  confermato  quefto  Decreto  nel  Concilio  Generale  IL 
di  Lione  l'Anno  1274.  e  pofcia  in  altri  Concilj  ,  che  non  oc- 
corre rammentare  .  E  di  qui  s'intende  ,  perchè  il  Boccaccio 
rapprefenti  in  tanto  affinno  i  Fiorentini  amici  di  Ser  Ciappel- 
letto da  Prato,  il  più  infame  tra  gli  Uiurai  in  Borgogna,  per- 
chè il  vedevano  fui  termine  della  vita,  temendo  una  gran  com- 
mozione di  quel  Popolo,  fé  fi  iapea  la  fua  morte.  Ma  perqua- 
lunque  divieto  e  pena  si  della  Chiefa  ,  che  de  i  Principi  Seco- 
lari contra  di  quelli  divoratori  delle  foilanze  altrui,  non  celsò 
la  razza  loro,  e  noi  li  troviamo  anche  nel  Secolo XiV.  vigoro lì, 
tanto  in  Francia  ,  che  in  Italia.  Nell'Anno  1250".  fu  ricuperata 
Padova  dalle  mani  del  crudel  Tiranno  Eccelino.  Per  attefìato  ài 
Rolandino  Storico  Lib.IX.  Cap.  l.  quafi  ninno  de' Cittadini  vi  fa 
in  qneìla  congiuntura  uccilo  .  Sed  Tufcus  quidam  nomine  Job nn- 
nìs  de  Scanta  ,  juam  volens  tueri  pecuniam  ,  quam  ad  pignora 


182  Dissertazione 

mutuabat  ^  dejejidendo  pecttniam  efl  occifus ,  Nell'Anno  1305. 
non  mancavano  nel  Contado  ,  e  nella  Citta  di  Modena  di  que- 
fti  avvoltoi  Tofcani  ,  che  predavano  anche  al  Pubblico  lìefTo  . 
Ne  gli  Atti  di  quefto  Popolo  nel  di  6.  di  Giugno  fu  prefo  parti- 
to, u(  mtttatuT  prò  Tufca?2Ìs  forenjibus  ,  &  rogentur  ,  quod  mu- 
tuare deheant  Communì  Mutince  quìngeìitas  Itbras  Mutìnenfes  . 
S^iod  Jì  facere  noluerint^  compdlantur  per  Dominum  Capita?2eum 
ìpjam  quaììtitatcm  pecuììiae  mutuare  Ò' e.  Più  altre  lonime  furo- 
no richiede  a  coloro  nel  medefuTio  Anno  ;  e  lono  ivi  rammen- 
tati om7ies  Tu/cani  mutuafoves  ,  qui  morantur  i?i  C'ivìpate  Mu- 
tìna:  .  Dal  che  fi  vede  ,  che  particolarmente  i  Tofcani  erano 
accanniti  dietro  a  queito  abboniincvol  guadagno  .  Anche  il 
-Veicovo  di  Silva  Alvaro  Pelagio  Scrittore  del  Secolo  XIV.  nel 
iuo  Trattato  de  Planclu  Ecclejìis  Lib.  II.  Cap.  7.  cos\  Icriveva: 
F  amili  ares  ,  Secret  arii  ,  fiegoitorum  geflores  precipui  ali  quorum 
Pralatoruììì  Ecclcfide ,  Mercatores  fum  ,  maxime  Floreìitini  ,  & 
Senenfes ,  &  alii  de  Tujcia ,  &  de  aliis  Provinciis  .  Et  de  pe^ 
cuniis  Eccìcfiarum  Fx72us  cotitifiue  aliqui  exercentes  ,  &  Prcsla- 
tis  quibusdam  de  certa  parte  refpondentes  ìiomme  partis ,  'vel 
mercantice^  'oel  jocietatis  &c,  E  che  continuaflero  in  varie  Cit- 
ta a  vederfi  pubblici  Preiiatoii  .  Certamente  in  Siena  ,  come 
cofta  dalle  Croniche  di  efia  Citta  da  me  date  alla  luce  ,  nel 
1335?.  quel  Popolo  fece  il  feguente  Statuto:  Che  fi  ejf un  a  per- 
fona  in  Siena  ,  0  nel  Contado  potcjfe  prejìare  a  Ufura  per  ?JeJ- 
fun  modo  ^  J e  prima  non  fi  jacejf^;  jcrivere  ìiel  Libro  detto  Ufuraio 
di  Bifcherna ,  a  ciò  deputato . 

Chi  brama  di  conofcere  ,  fin  dove  arrivalTe  la  rapacità  dì 
quella  gente  ,  oda  le  feguenti  notizie  .  Chi  predava  ad  uiura  , 
iacea  il  preflito  folamente  per  fei  Mefi,  e  chi  riceveva  il  dana- 
ro, contribuiva  un  Dono  3.ÌÌ  Ufuraio  ;  cioè  pagava  tofto  il  frut- 
to de'  fei  Mefi,  e  quello  poi  accreiceva  il  Capitale  del  Credi- 
to .  Terminati  i  lei  Mefi  ,  fé  il  Debitore  non  foddisfaceva  , 
allora  prò  damno^  ò"  interefjl^  fecondo  i  patti  era  tenuto  a  pa- 
gare quatuor  denari 05  prò  qualibet  libra  fingulismeiifibus.^  o  pu- 
re (  e  forle  fu  lo  li  elio  )  quatuor  Impenales  prò  qualibet  libra 
groffa  Jtngulis  'menfibus  :  qui  jolidi  7ion  computentur  in  forte  . 
Eccone  un  efempio  :  Adi  V.  di  Aprile  dell'Anno  iz6à^,  Jacopo 
Fafanini  Bolognefe,  abitante  in  Modena,  prele  a  frutto  lireXX. 
e  denari  fei  moneta  di  Modena  ,  da  reifituirfì  dopo  lei  mefi, 
computato  Dono  in  bis  in  forte  fecundum  jormam  Statuti  Com- 

munis 


D    E   e    I    M    A    S    E    S    T    A  .  l8j 

munts  Mumci; ,  Avendo  egli  mancato  al  pagamento  nel  tempo 
prelcritto,  fu  portato  l'affare  a' Giudici,  i  quali  AnnoMCCLXX, 
die  Mercuria  XI.  exeuìJte  Medio ^  decifero,  ch'egli  dovefTe  paga- 
re lire  XLIV.  moneta  di  Modena  ,  cioè  XX.  lire  e  lei  denari 
per  la  forte  ;  &  XXJV.  libras  Mutiti,  prò  legitimis  nccejftonibus 
di^d&  Jortis^  dampno^  &  intere Jf e  ipfius  ad  nnionem  IV.  denario- 
rum  prò  qualibet  libra  ^  fecundum  formaryj  Statuti  Cor/imunis  Mu- 
tince  '  &  XI L  libras  prò  experifis  fatlìs  diBa  occajlone  Ò^c.  S'io 
so  far  bene  il  conto,  venti  lire  e  Ioidi  lei  per  Anni  lei,  e  gior- 
ni 16.  renderono  di  Ulura  lire  XXIV.  e  però  una  lomma  di 
lire  Cento  ,  rendeva  ogni  Anno  il  frutto  di  lire  XX.  e  quello 
veniva  accordato  dallo  Statuto  .  E  pure  di  peggio  fi  praticava 
in  Inghilterra  da  quegli  Ufurai .  Racconta  Matteo  Paris  all'An- 
no 1235.  che  fé  il  Debitore  al  determinato  tempo  non  refti- 
tuiva  il  danaro  ,  veniva  obbligato  a  pagare  d'  Ufura  per  fin- 
fulos  Menfes  duos^  prò  fmgulis  decem  Marcis  tiìiam  Marcam  prò 
recompenfatione  damnorum  :  qucv  damna  &  expenfas  ipji  Merca- 
tores  ex  hoc  poJfetJt  incurrere  :  ita  quod  damna ,  &  expenfa;  ,  & 
fors  cum  effeólu  peti  pojfmt  ,  &  espenfoe  unius  Mercatoris  cum 
uno  equo  &  fervi  ente  ,  ubicumque  fuerit  Mere  at  or  ,  ufque  ad  ple- 
nam  folutionem  omnium  prcedióiorurn  .  Di  più  non  occorre  per 
conoicere,  che  languifughe  fofTero  quelle,  e  pure  anch'ivi  lo 
permettevano  le  Leggi .  Ne  gli  Statuti  di  Verona  deli'  An.  1 228. 
al  Gap.  2(5.  fu  decretato  :  Ut  de  Ufuris  futuri  temporis  fiat  ra- 
tio ufque  ad  quantitatem  XI I.  librarum  &  dimidice  prò  Cente- 
nario. Et  Creditores  dare  te?ifatjtur  dìlationem  unius  Anni  De- 
bitoribus  jolventibus  Ufuras  illius  Anni  futuri  &c.  Et  ft  ultra 
di^am  quantitatem  XII.  librarmyi.^  &  d imi diaeCr editor cs  jub  ali- 
quo  modo  feu  ingenio  acceperint  ^  id  totum  in  font  m  computetur . 
Cefl'ato  pofcia  il  bifogno  ,  noi  troviamo  ,  che  non  fi  loffcriva 
Sì  deteftabil  abufo,  e  fi  faceano  altri  Statuti  ,  come  accadde  in 
Modena  nell'Anno  1327.  in  cui  fu  formato  il  leguente  :  Om- 
nia proecepta  &  inflrumenta  faHa  a  duodecim  Annis  citra  de  dan- 
do aliquam  quantitatem  alicui  ex  aliqua  cauffa  :  intelligatur 
tantum  quartam  partem  ipfius  quantitatis  effe  veram  Sortem  , 
fi  Creditor  tempore  di&i  prcccepti  ,  Ò^  infìrumenti  erat  Ujura- 
rius  ,  fii  probabitur  contra  ipfum  per  quatuor  tefìes  Cìves  ,  & 
habitatores  Mutino;  fide  dignos  ,  qni  dixerint  tefìificando  per 
public am  vocem  ^  &  famam  ^  ipfum  talem  fuijfe  Ufurarium&c. 
Finalmente    con  tante  pene  e  maledizioni  fecero  guerra 

i  Sa- 


184.  Dissertazione 

i  Sacri  Conci] j,  i  Re,  i  Principi  a  qiiefla  Torta  di  Ladri  ,  che 
fé  non  li  levarono  affatto,  almeno  ne  i'minuirono  il  numero, 
e  certamente  cefsò  la  loro  pubblicità.  Perciò  né  pur  oggi  man- 
ca la  loro  razza  ;  ma  fegretamente  ,  e  fotto  finti  titoli  ,  cofto- 
ro  efercitano  il  loro  meftiere  per  paura  di  perdere  tutto  . 
Poiché  quanto  alle  Leggi  divine  ,  gli  Avari  le  flirano  come 
vogliono,  le  interpretano,  ed  ammoUifcono  in  guilataie,  che 
le  credono  in  fine  non  contrarie  alla  loro  ingordigia  .  Che  fé 
noi  ci  maravigliamo  del  perverfo  regolamento  de' Secoli  anda- 
ti :  che  diremo  de'  noftri  ,  ne'  quali  in  qualche  paefe  fi  per- 
mette a  i  Giudei  di  predare  pubblicamente  ad  ufura  fopra  pe- 
gni, con  ricavarne  troppo  eforbitante  frutto?  Ed  appunto  in 
alcuni  Luofifhi  d'Italia  fon  fucceduti  ^li  Ebrei  a  i  vecchi  traf- 
fìcanti  Uiurai  di  danaro  .  Di  quella  Nazione  non  difpiacera  a 
i  Lettori  ,  eh'  io  dia  qui  qualche  notizia  appartenente  a'  Se- 
coli barbarici  .  Anticamente  ancora  i  Giudei  ,  ficcome  gente 
indudriofa ,  erano  fparfi  per  gran  parte  delle  Provincie  Orien- 
tali ,  e  in  Roma  (leifa  Pagana  .  Crebbe  maggiormente  la  lor 
difperfione  dopo  la  rovina  della  Santa  Citta  ,  di  maniera  che 
non  nel  lolo  Oriente,  ma  anche  in  Occidente,  fi  trovava  da- 
pertutto  qualche  almen  picciola  Colonia  del  Popolo  circonci- 
ib  .  Ebbe  perciò  a  fcrivere  Rutilio  Numaziano  ,  Poeta  del  Se-< 
colo  Qj.nnto,  nel  fuo  Itinerario  : 

Lattu-s  excifa  pejìis  contagia  ferpu7ìt! , 
V'tHoresque  fuos  Natio  'vi6ia  premit . 

Leggonfi  ne'  Codici  di  Teodofio  e  di  Giudiniano  molte  Leggi 
concernenti  quetla  Nazione.  Che  buon  numero  d'elfi  abitafle 
in  Bologna  a' tempi  di  Santo  Ambrofio,  lo  Icrive  egli  nel  Lib. 
de  exhort.  Virgin.  Che  anche  Milano  ,  ed  altre  non  poche 
Citta  d'Italia  ne  rìcoveraffero  non  pochi,  l'abbiamo  dal  me- 
defimo  Santo  Vefcovo  nell'Epilf.  XL.  a  Teodofio  Augufto.  Sap- 
piamo, che  nel  Secolo  VII.  la  Spagna,  la  Sardegna,  e  la  Cal- 
ila ne  nutriva  una  gran  copia,  e  tutti  applicati  alla  Mercatu- 
ra.  Per  attediato  del  Monaco  di  San  Gallo,  Lib.  I.  Cap.  18.  de 
Ged.  Caroli  M.  molta  domedichezza  aveva  con  queJl'  infigne 
Monarca  un  Giudeo  ,  qui  Terram  repromijjionis  Jd'pius  adire  , 
&  inde  ad  Cijmarinas  Frovincins  multa  pretiofa  ,  &  incognita 
folitus  erat  adferre.  Anzi  lotto  Lodovico  Pio  Augudo  in  Lione, 
dove  gran  copia  d'elfi  abitava  ,  divennero  codoro  sì  temerari 

per 


Decimasesta.  185 

per  gli  appoggi ,  che  avevano  alla  Corte  ,  che  Agobardo  Ve- 
Icovo  di  quella  Citta  fu  obbligato  a  fcrivere  ,  ed  inviare  allo 
{ìdTo  Iniperadore  un'Operetta  intitolata  ae  Ì7ifole72tiaJucìceori{m. 
Contra  de' medefimi  anche  Amolone  Velcovo,  fuccelTore  d'ef- 
io  Agobardo,  impugnò  la  penna  ,  e  pubblico  un  altro  Tratta- 
to .  Qjianto  effi  foiTero  in  Francia  intenti  al  traffico  ,  appari- 
Ice  da  un  Capitolare  del  Re  Carlo  Calvo  ,  preOb  il  Sirmondo 
e  Baluzio  ,  intitolato  de  Negotiatoribus  ^  dove  i  Giudei  fon  taf- 
fati  a  pagare  il  Dieci  per  cento  ,  Ò^  Negotintores  Chrijìiani 
U?7decimnm  .  Qjiivi  tuttavia  loggiornavano  efli  nel  12^0.  nel 
qiiai  tempo  ,  come  fcrive  Giovanni  Villani  nel  Lib.  VII.  Ca- 
pir. 142.  della  lua  Storia  ,  anch'  effi  in  Parigi  predavano  ad 
uiura  .  Parimente  nell'Inghilterra,  e  Germania  abbondava  la 
gente  Ebraica  ,  ed  allorché  i  Crocefegnati  diedero  principio 
alle  Crociate  ,  in  pafìando  per  ella  Germania  ,  ufarono  mille 
violenze  contro  quella  Nazione  .  E  in  Francia  nella  folleva- 
zione  de  i  Paftorelli  l'Anno  1320.  ne  fu  fatto  un  deteftabil 
inacello. 

Quanto  all'Italia,  anche  dopo  la  venuta  de' Barbari,  ab- 
bondarono dapertutto  i  Giudei  .  Caffiodoro  ,  allorché  regnava 
Teoderico,  fa  menzione  di  quelli,  che  abitavano  in  Milano, 
Genova,  ed  altri  Luoghi,  a' quali  elfo  Re  confermò  i  Privile- 
gi.  Leggafi  l'Epiflola  37.  del  Lib.  V.  In  Sicilia  fin  da  gli  an- 
tichi tempi  erano  coftoro  bene  riabiliti  ,  né  fi  moffero  punto 
di  la  ,  allorché  i  Saraceni  fecero  per  circa  due  Secoli  i  Padro- 
ni in  queir Ifola.  Moltiffimi  fé  ne  contavano  in  Napoli,  Ter- 
racina,  e  Luni  a' ten^pi  di  Gregorio  VII.  Papa.  Antichiffima, 
e  non  lieve  Colonia  d'effi  fi  è  mantenuta  fino  a' di  noftri  in 
Roma;  e  ne  parla  anche  il  fuddetto  Cafliodoro.  Allorché  Ar- 
rigo V.  Re  de'Romani  nell' Anno  1 1 1 1.  entrò  in  Roma  ,  mi- 
te Porpam  a  Judc^is  ,  in  Porta  a  Grcecis  cantando  exceptus  fuìt , 
come  fcrive  Pietro  Diacono  nel  Lib.  ÌV.  Cap.  37.  della  Croni- 
ca Cafinenfe  ;  e  gh  ftefìTi  Giudei  nell'Anno  11Ó5.  tornando  a 
Roma  Papa  Aleffandro  III.  cum  Signiferis  ,  Scrinjariis  ,  Judi- 
cibus ,  Clero  &c,  de  more  Legem  fuam  deferentes  in  brachi is ,  gli 
andarono  incontro.  Non  dubito  io,  che  altre  molte  Citta  def- 
lero  ricetto  ad  efli  Ebrei.  In  uno  Strumento  d'Ingone  Velcovo 
di  Modena  nell'  Anno  1025.  veggo  rammentata  Decimam  il- 
lam^  quam  tenuit  Ardingus  Judd^us  in  Saliceto ,  Nello  fi effo  Se- 
colo XI.  pafTando  per  Lucca  San  Simeone  Romito  ,  come  ab- 
Toino  L  A  a  bia- 


i85  Dissertazione 

biaiTiO  dalla  Tua  Vita ,  plures  Jud<xonim  mnc  co/vveneruìit  ^  Ò^c, 
&  exhortante  tllos  Cbrifli  viro  Simeo?ie  iu  Chr'iftum  Dei  Filium 
crediderunp.  E  nell'Anno  1282.  allorché  Pietro  Re  di  Arago- 
na fece  la  fua  entrata  in  Meflina,  gli  andarono  incontro  Sj/- 
nagogce  Juddeorum  Legem  aperientes  ^  come  racconta  Bartolomeo 
da  Neocaftro  nel  Gap.  53.  della  fua  Storia.  In  Ferrara  nell'An- 
no 1275.  erano  talmente  protetti  da  quel  Pubblico,  che  fu 
confermato  un  Decreto  loro  favorevole  di  tal  forza  ,  ut  prò 
ubjolutione ^  liberat'ioTie ^  Ù'immunitate  faólis  Judccis Ferraris &c* 
de  hoc  Foteftas  Ferrar  ice  qui  ejì  vel  erit  &c.  non  pojjìnt  abfol- 
nji  per  Dominum  Papam  ,  feu  per  Dominum  Ohizonsm  Marchio- 
nem  FJìenfem  ^  nec  per  aliquam  aliam  perfonam  .  E  chi  dubi- 
tafie,  fé  gli  Ebrei  d'allora  preftafTero  danari  fopra  pegni,  leg- 
ga Leone  Odienfe  nelLib.  2.  Gap.  43.  della  fua  Cronica,  do- 
ve fra  gli  altri  Doni  lafciati  da  Arrigo  Santo  Imperadore  al 
Moniflero  di  Monte  Gafino,  annovera  anche  ilfeguente.  Re- 
coJlegit  praeterea  a  Judceis  'veflem  unam  de  Ahario  Sanóii  Bene- 
dici ,  quce  quondam  juerat  Caroli  Regis  ,  quam  iidem  Judcet 
retinehant  in  pignore  prò  quingentis  aureis.  E  nella  Vita  di  San 
Nilo  Galabrefe  Itampata  dal  P.  Martene,  fi  narra,  z\vt  Hebr<sus 
rediens  a  negotiatione  fu  uccifo.  Prefo  l'uccilore,  traditur  Ju- 
dais^  ut  prò  interfeóio  hornine  crucijigatur  .  San  Nilo  gli  falvò 
la  vita.  Se  una  volta  i Giudei  portaflero  qualche  diQintivo  efte- 
riore  da  i  Crifliani,  noi  so  dire.  Solamente  ho  offervato  ,  che 
nell'Anno  1221.  per  tefìimonianza  di  Riccardo  daS.Germano, 
-Federigo  II.  Imperadore  decretò  contra  Judcvos  ^  ut  in  differen- 
zia 'uejìium ,  Ò'  geflorum  a  Chrijìianis  difcernantur  .  E  nel  Sino- 
do di  Ravenna  dei  1311.  fu  determinato  per  li  Giudei  certum 
ftgnum  ,  ut  a  Chrijìianis  pojjìnt  di j cerni  ;  ?iec  rccipiantur  ali- 
cubi  ultra  menjem  ad  habitandum  ^  nifi  inlocis^  in  quibus  ha- 
buerint  Synagogam  .  Or  da  quefta  ,  or  da  quella  Citta  fu  la 
Nazion  Giudaica  ne'  tempi  addietro  cacciata  ;  e  la  Storia  di 
Bologna  ci  aHicura,  che  non  pochi  d'effi  una  volta  ivi  abita- 
vano ;  ma  poi  convenne  loro  partirfene  .  Strepitofo  avveni- 
mento in  Europa  fu  quello  dell'Anno  14^2.  in  cui  per  ordine 
di  Ferdinando  il  Cattolico  Re,  e  della  Regina  Ilabella  furono 
cacciati  ,  e  banditi  tutti  gli  Ebrei  da  i  loro  Regni  .  Per  atte- 
ftato  del  Mariana  Lib.  2^.  de  Reb.  Hifpan.  Centum  &  Jeptua- 
ginta  familiarum  Millia  fé  n'andarono  j  quidam  W  oHingenta 
millia  capita  Jecejfi (fé  a/tmt.  Partiti  di  Spagna,  Ajricam^  Ita- 
li am  , 


Decimasesta.  187 

li/im  ,  &  Orìentìs  oras  tenuerunt  ,  ad  quas  copìarum  Hifpanìae 
magnam  partem  ,  aurum  ,  nrgentum  ,  gemmas  ,  'veftemque  pre- 
t'tofam  detulere ,  Con  quanta  inumanità  fofle  trattata  quell'in- 
felice gente,  fi  può  intendere  da  una  delle  Operette  di  Trifta- 
no  Caracciolo ,  da  me  data  alla  luce  .  Gran  lalafTo  di  popola- 
zione per  la  Spagna  fu  querta  cacciata  de  gli  Ebrei ,  e  la  fuf- 
feguente  de'  Mori .  Se  ne  rifente  tuttavia  quel  Regno  .  Dall' 
eiempio  della  Spagna  moffo  Emmanuele  Re  di  Portogallo  ^ 
anch' egli  fcaricò  dal  pefo  de  i  Giudei  i  fuoi  Dominj  nell'An- 
no 1^96, 

Ora  una  s'i  terminata  moltitudine  di  quefla  Nazione,  por- 
tando feco  quel  piii  che  poterono  d'oro,  e  di  arredi  preziofi^ 
venne  a  ftabilirfi  in  varie  parti  d'Italia,  trovando  buon  acco- 
glimento prefTo  chi  ebbe  caro  di  participare  de*  lor  tefori  ,  e 
promettendo  gran  guadagno  ai  Principi,  prcflb  i  quali  fifTafTero 
il  piede  .  Se  ne  ridondi  utilità  a  i  paefi,  laicerò  che  altri  l'cfa- 
mini  e  decida  .  Certamente  dove  poflbno  ,  ingordamente  ri- 
fcuotono  le  U Iure,  e  fanno  i  Banchieri  .  E  un  bel  fervigio  fe- 
cero a  queQa  Nazione  le  pene ,  e  maledizioni  fulminate  dalia 
Chiefa  Cattolica  contro  gliUiurai;  perchè  non  potendo  i  Cri- 
(liani  predare  ,  il  mercato  delle  Ufure  per  la  maggior  parte 
andò  a  cadere  in  mano  de'Giudei,  che  non  paventano  le  Sco- 
muniche .  Nel  Concilio  Generale  di  Lione  Qi-iarto  ,  celebrato 
l'Anno  121 5.  il  Canone  d8.  ha  le  leguenti  parole:  ^anto 
aìnplius  Chrijìiana  Kelipio  ab  exaBìone  compejcitur  Ufurarum  , 
tanto  gra'u'tus  fuper  bis  Judcsorum  perfidia  inolejcit  ,  ha  quod  bre- 
vi tempore  Chr'ijìianoniyn  exhaurìimt  facuìtates *  Però  fu  ordina- 
to ,  che  fi  poteffe  ritogliere  a  coftoro  ciò  ,  che  aveano  elatto 
di  Ulure  ,  e  comandato  a  i  Principi  ,  ut  a  tanto  grn'v amine  Ju- 
d(Sos  ftudeant  cohibere  .  Non  fé  ne  cavò  gran  frutto  .  Lor  me- 
fìiere  fu  ancora  ,  ed  è  di  fare  i  Pubblicani ,  cioè  i  Conduttori 
de' Pubblici  Dazj  e  Gabelle  :  del  che  ne  abbiamo  anche  un  eiem- 
pio nel  Secolo  IX.  x^molone  Arcivefcovo  di  Lione  nelCap.42. 
contro  i  Giudei  IcriflTe  :  Quidam  ipforum  ^  qui  in  nonnullis  Ci- 
l'itatibus  inlicite  conjìituuntur  ,  folent  in  remotioribus  locisChri- 
Jìianos  paupsres  &  ignaros  prò  eodem  teloneo  acriter  conjìringe- 
re  ^  deinde  ut  Chrifium  negent  perfuadere .  Miriamo  ancora  a' 
dì  noftri  ,  che  quefta  gente  fi  caccia  per  le  Cale  de'  Criiliani 
per  mezzani  de  i  lor  negozj.  Anche  anticamente  ciò  fuccedea. 
Al  fervigio  di  Chilperico  Re  di  Francia  nell'Anno  581.   (lava 

A  a     2  Jii- 


t88  Dissertazione 

Judaus  Pr'tfcus  ?iomi»^  ,  qui  ei  ad  fpecìes  coemendas  familia- 
vis  erat  ,  come  attelia  Gregorio  Turonenfe  Lib.  IV.  Gap.  5. 
Hift.  Frane.  Né  fi  vuol  ommettere  ,  che  il  Luogo ,  concedu- 
to a  i  Giudei  per  loro  abitazione  nelle  Citta,  da  noi  ora  ap- 
pellato Ghetto^  anticamente  lì  chiamava/^/^^^^,  Judaica^  Ju- 
d(£aYÌa^  Ò'c.  Di  qua  è  nato  il  nome  di  Giudecca  conlervato 
fin  qu\  in  Venezia  ,  come  anche  in  Ferrara  ,  dove  ha  il  no- 
me di  Zuecca  .  Di  quelli  nomi  s' ha  rifcontro  in  un  ]3iplo- 
ma  di  Ruggieri  Duca  di  Puglia  ,  Figho  di  Roberto  Guifcardo 
Duca  5  il  quale  neir  Anno  lo^o.  dona  all' Arciveicovo  di  Sa- 
lerno totani  Judceam  hujus  riojìra;  Salernitani  ce  Civitatis  cum  o'm- 
nibus  Jtidais  ,  qui  in  hac  eadem  modo  habitaiites  funt  ,  &^ 
fuerint  &e.  con  tutte  le  rendite  ,  che  fi  cavavano  da  quella 
gente  .  La  Giudeca  di  Venezia  fi  truova  nominata  in  un  Di- 
ploma di  Vitale  Faletro  Doge  di  Venezia  e  Dalmazia  nell'An- 
no lopo. 

Richiede  un'  altra  forta  di  Uomini  di  aver  qualche  luogo 
in  quelle  mie  carte  ;  e  fono  le  Compagnie  de'  Soldati ,  Ladri  j 
ed  Ajjajfmi ^  che  nel  Secolo  XIV.  fieramente  infellarono  l'Ita- 
lia .  Compagne  erano  quel'e  chiamate  da  gli  Scrittori  Fiorenti- 
ni .  Allorché  qualche  Principe  e  Citta  per  cagion  della  Pace 
calTava  i  luoi  Soldati  ,  coPcoro  trovandoli  fenza  paga  comin- 
ciarono a  icegliere  un  Capo,  e  a  formare  una  Società  con  al- 
cune leggi.  La  maniera  di  loflentarfi  per  loro,  confilleva  in 
pafiare  or  qua,  or  la,  mettendo  in  contribuzione  tutto  il  pae- 
ìe  .  Seco  menavano  quante  Donne  rapivano  ,  che  loro  piacef- 
fero  ;  e  prendendo  gli  Uomini  ,  gli  obbligavano  al  pagamen- 
to ,  le  volevano  ricuperare  la  Liberta  .  Fermandofi  in  qual- 
che Terra  ,  o  Cartello  ,  vi  portavano  la  rovina  .  Tremavano 
le  -fteffe  Citta  all'avvicinamento  di  sì  barbariche  fchiere  :  gen- 
te tutta  come  difperata  ,  vogliola  di  prede  ,  e  priva  affatto 
di  cofcienza  .  Per  falvarfi  dalla  violenza  ,  e  ferocia  loro  ,  al- 
tro ripiego  ordinariamente  non  v'era,  che  di  ipedir  Deputa- 
ti per  efibire  gran  lomma  di  danari  ,  atlincbè  fi  levaffero  dal 
Contado,  e  paifaifero  in  altro  paeie  a  far  io  ftelTo  giuoco,  fic- 
come  nemici  di  ognuno.  A  molte  e  molte  migliaja  di  fanti, 
e  cavalli  alcendeva  per  lo  più  la  Società  di  quefta  armata  e 
fcapellrata  gente  ;  e  cola  traeva  la  feccia  di  tutti  i  banditi  e 
malviventi,  per  avidità  della  preda  ,  e  per  l'impunita  d'ogni 
fcelleratezza,  oltre  alla  gran  quantità  di  meretrici,  famigli  ed 

altre 


D   £   e    I    M    A    S    E   S   T    A  .     '.  l8p 

altre  vili  perfone  .  Onde  avefiero  principio  quefte  nefande  So- 
cietà ,  lo  Icrifle  Odorico  Rinaldi  ne  gli  Annali  Ecclei.  all'  An- 
no 1353.  col  chiamare:  Mo}ireaJcm  (  Cavaliere  di  Rodi  )  prì^ 
r?7um  Socutl'ium  fur?ijarum  ,  qucc  po/ìea  ìtal'tam  uni^erj'am  & 
Gnllias  diutljfnne  afflìxenmt  ,  ìnfdìcìjjìmum  Du6lorem  .  Ma 
es^li  s'ingannò,  degno  peraltro  di  Icnla  ,  perchè  feguitò  Gio- 
vanni Villani  ,  il  quale  nel  Lib.  3.  Gap.  8p.  ipacciò  quefta  al- 
ferzione  .  Io  tralalcio  quella  Società  di  Soldati  mafnadieri  coni- 
pofla  d'  Italiani  e  Catalani  ,  che  per  atteftato  del  medefimo 
Villani  nel  1302.  lommamente  afflifTe  la  Grecia  ;  ficcome  un' 
altra,  che  nel  1322.  diede  il  guailo  al  Contado  di  Siena,  e 
faceajl  chiamare  la  Compagna  ,  come  ha  lo  (iefTo  Villani  .  E 
dico  ,  che  fatta  pace  nell'Anno  1339.  fra  i  Veneziani  e  gli 
Scaligeri,  Lodrifto  Vìjcoute  formò  un  Efercito  de' Soldati,  fpe- 
cialmente  Tedeichi  ,  licenziati  da  Mattino  dalla  Scala  ,  e  con 
quelli  portò  la  guerra  ad  Azzo  Vifconte  Signor  di  Milano.  Et 
ha'c  f'iif  priììia  Societas  in  balia  ,  come  fi  legge  nelle  Giunte 
alla  Storia  de'Cortufi  Lib.IX.  Gap.  181.  Soggiugne  quell'Au- 
tore :  Proh  Italia  dolor  Ò'  infamia!  SanHum  autem  ?ìomen  Socie- 
tatis  a  proditoribus  y  raptoribus ^  adulterisi  &  furibus  hodte  occupa- 
tur ,  Non  erubefcuìit  tam  facrum  7ìomen  antiqitis  'venerabile  profU- 
tuere?  Il  fatto  di  Lodrifio  infegnò  pofcia  ad  altri  a  formar  disi 
diaboliche  mafnade.  Guar^iieri  Duca  (  non  so  le  di  folo  nome  ) 
venuto  da  gran  tempo  dalla  Germania,  allorché  i  Fiorentini,  e 
Piiani  nel  1342.  congedarono  le  loro  Soldatelche  ,  ne  raunò 
quante  potè,  mettendo  infieme  un  formidabil  Elercito  nell'An- 
no 1342.  come  s'ha  dalle  Croniche  dell'Anonimo  di  Piftoia  . 
Galvano  Fiamma  Storico  di  que'  tempi  nel  Manipul.  Fior,  cosi 
ne  parla  all'Aiuno  1341.  Congregati  Juut  viri  Jcelerati  ^  &  pe- 
Jìiferi  eìc  partibus  Alnmmannide  ^  Italtce  .^  Ttifcia  ^  qui  diBi  jitnt 
Societas,  Et  fuerunt  homines  fine  jugo  ,  absque  Rege^  absque  le- 
gè  viventes  de  rapinis  ,  nulli  parcentes  retati  .  Hi  fuerurit  'viri 
inftabiles^  do6li  ab  omne  jcelus^  Cfuitates^  &  Cajìra  ohfid-jntjs , 
Anche  nell-i  Cronica  di  Modena  Tom.  XI.  Rer.  Italie.  all'Anno 
1342.  fi  legge  :  Magna  Societas  Germanoì-^m  fa^a  e  fi  trium  mil- 
liumy  Ò' quingentorum  equitum  ^  &  plurium  j  ac  mille  puerorum  ^ 
meretricumquc  ^  &  inutilium  aliortim  cajìra  fequentium  .  Nella 
Cronica Eitenie,  e  in  quella  di  Bologna  fé  ne  parla,  e  lecondo 
queiK ultima,  i  primi  Caporali  d'eifa  furono  Ettore  daPavico  e 
MaT^nrollo  daCu'2:ano  y  e  pofcia  il  DucaGuarnieri .  Andò  poi  Imi- 

lura- 


1^0  Dissertazione 

foratamente  crefcendo  quefta  deteftabile  Armata  ,  di  maniera 
che  fi  chiamò  la  Gran  Compagnia^  che  immenfi  travagli,  e  dan- 
ni recò  a'Sanefi,  Perugini,  Arretini,  Riminefi,  Cefenati,  Mo- 
denefi ,  Reggiani,  Mantovani,  ed  altri  Popoh. 

A  COSTORO  fuccederono  ahre  non  meno  numerofe  e  fcelle- 
rate  mafnade  ,  Condottieri  delle  quali  furono  il  fuddetto  Moìi- 
reale  nato  in  Francia,  e  pofcia  il  Cotne  Larido  ,  il  Co7ìte  Lucio ^ 
Ankhìno  ,  ed  altri  ,  tutti  di  Nazione  Tedclca  .    Anche  dalla 
Bretagna  minore  calò  in  Italia   al  foldo  del  Papa    una  fimile 
Compagnia  ,  che  lafciò  in  Cefena  ,  ed  altri  Luoghi  memorie 
d'in  udita  crudelt'a  .  Dalla  gran  Bretagna  in  oltre  venne  un'al- 
tra Società  a  piombare  in  Italia   lotto  Giovanni  Aucud  celebre 
Capitano  ,    ma  piti  rinomato  per  le  tante  vefTazioni ,    eh'  egli 
XQCo  a  non  poche  contrade  Italiane  .  Ci  mancava  l'Ungheria, 
che  inviafle  anch'  ella  migliaia  di  manigoldi  a  divorar  quefti 
paefi  .   Vennero  parimente  di  la  ditali  alTaflini ,  che  gareggia- 
rono co' precedenti  nelle  ellorfioni ,  ne' tradimenti  ,  e  in  ogni 
forta  d'  iniquità  .    Quel  Secolo  in   fomma  fu  de'  più  infelici  , 
che  abbia  mai  fofferto  l'infelice  Italia.  Però  Benvenuto  da  Imo- 
la Scrittore  d'allora  ebbe  verfo  il  fine  di  quel  Secolo  ad  cfcla- 
mare  :  Proh  dolor  !  in  haec  tempora  infelicitas  ynea  me  deàiixit  , 
m  'viderem  hodie  rniferam  Italiam  plenam  Barharis  ,  &  Sociali- 
bus  omnium  rationum  .  Heic   enim  funt  Anglici  ^  Alemanni  fu- 
rioji  ,  Hungari   immundi  .   ^ui  omnes  currunt  in  perniciem  Ita- 
lide^  non   tam  ^virihus  ^   quam  fraudihus  ^  Ò'  proditionihus  ^  Pro- 
"jincias  "vajìando^  Ò' Urbes  nobili JJimas  [poli andò,   E  perciocché 
gli  eiempli  del  Male  più  facilmente  Ivegliano  imitatori  ,  che 
quei  del  Bene,   non  fi  fermò  quella  pefle  in  Italia  ,  ma  pafsò 
anche  in  Francia  .  Ivi  dunque  fi  formò  nel   1357.  una  terri- 
bil  Società  di  mafnadieri  di  ciiverfe  nazioni ,  che  un  mondo  di 
mali  inferi  a  que' Popoli,  e  arditamente  penetrò  fino  in  Ifpa- 
gna  »  Odafi  Tom  maio  Walfingamo  ,  che  cosi  ne  parla  a  queir 
Anno  nella  fua  Storia  .   Sub  bis  diebus  furrexit  in  Francia  illa 
famofa  Societas  ,   quce   Gens  fine  Capite  vocabatur  .    ^ce  primo 
parva  ,  poflea  magna  ^ggrejfa  ,    magnam  Francice  partem  occu- 
pans  ,   expuljìs  vel  fubaóìis  locorum  Dominis  ,  Jub/ugavit  ;  erant- 
que  non  tantum  de  una  gente  vel  nationc ,  [ed  de  pluribus  natio- 
nibus  congregati  ,    Famofe  ancora    divennero  prefTo  i  Franzefì 
là  Società  bianca^  e  la,  Società  della  Fortuna  ^  fìccome  in  Italia 
la  Società  della  Stella^  la  Società  bianca^  la  Società  di  San  Gior- 
gio 


D    E   e    I    M    A    S   E    S    T    A  .  ipi 

gto  ec.  Chi  ha  creduto,  che  ìCotereUi^  appellati  anche  Br /r- 
bariTom^  e  /^///?//^/7r// da  gli  Scrittori,  cioè  Contadini  attruppati, 
i  quali  nel  Secolo  XII.  e  nel  XIII.  un'incredibile  inquietudine, 
e  danno  recarono  in  Francia  ,  Fiandra  ,  ed  altri  circonvicini 
paefi ,  ferviflero  di  efempio  alle  Compagnie  de'malnadieri  fin 
qu\  accennate  d'Italia  .  Non  hanno  ben  offervata  la  notabil 
differenza,  che  pafsò  fra  que'fediziofi  Villani,  e  i  feroci  iolda- 
ti,  onde  le  Provincie  nofìre  rimafero  simalconcie.  Ma  quello 
nei  Secolo  medefimo ,  in  cui  ebbe  origine,  anche  terminò.  Le 
Leghe  delle  Citta ,  e  de' Principi,  o  pur  l'oro  applicato  a  que' 
ladroni,  milero  fine  al  loro  non  mai  fazio  furore.  Non  manca- 
no i  tuoi  guai  air  Italia  oggidì  ;  ma  certo  abbiam  da  rendere 
grazie  alla  Divina  Clemenza,  che  non  conoiciamo,  né  provia- 
mo certi  mali,  che  cagionarono  tante  lagrime  ne' Secoli  bar- 
barici . 

Tale  è  anche  da  dire  un  altro  di  diverfa  fpecie  ,  ma  affai 
familiare  una  volta  .  Parlo  della  Lebbra  ,  morbo  il  più  defor- 
me, e  fchifolo  de  gli  altri,  da  cui,  fé  vogliam  credere  ad  Ar- 
chigene  Medico  antichiffimo,  fi  poteva  elentare,  chiunque  non 
avea  difficultk  a  farfi  Eunuco .  La  {tò.t  propria  di  quefto  male 
fembra  effere  fiata  1'  Egitto  ,  la  Paleftina  ,  la  Soria  ,  ed  altre 
Provincie  d'Oriente  ,  o  perchè  Paria  ,  o  l'acqua  ,  o  gli  ali- 
menti lo  producano;  o  pure  perchè  introdotto  in  un  paefe  lo 
nudrifca  la  negligenza  e  poca  cautela  de'  Popoli ,  attaccandoli 
e  propagandofi  col  contatto  come  la  Rogna  ,  e  la  Pelle.  Cre- 
defi,  che  regnando  Teodofio  Magno  Augnilo,  fiorifle  Marcello 
Empirico  .  Quefti  nel  Cap.  ip.  della  lua  Opera  fcrive  :  Ele- 
pharjtiajts  morbus  ejl  ^gyptiorum  populis  jiotus  ,  7ìec  tamen  in 
'vidgus  estremum ,  fed  etìam  in  Reges  ipfos  frcquenter  hrepftt . 
Non  v'  ha  perfona  alquanto  infarinata  delle  Lettere  ,  che  non 
lappia,  che  fino  ne'  tempi  di  Mosè,  ed  allorché  il  Signor  nd- 
ftro  Gesì^i  Crifto  foggiornò  vifibile  in  Terra  ,  moltilfmii  fra* 
Giudei  era<no  sformati  da  queflo  morbo .  A'  tempi  di  Gregorio 
Turonenfe  era  effo  frequente  in  Paleftina  ;  perciocché  defcri- 
vendo  egli  il  Fiume  Giordano  nel  Cap.  17.  de  Gloria  Martyr. 
accenna  un  fito,  uhi  Lcprojì  mundantur  .  Ede'Lebbrofi  Tcrive 
più  fotto  :  De  publ'tco  ,  dum  ibi  commoraù  fuerinf  ,  viclum  acci" 
piunt  :  Sanati  autem  ad  propria  dijcedu?it  .  Allorché  i  Criftiani 
Occidentali  fui  fine  del  Secolo  XI.  tollero  a  i  Saraceni  la  Santa 
Città  diGerufalemme,  trovarono  affai  viva  in  quelle  parti  que- 

fta 


Ip2  D    I   S   S   E    R    T    A    Z    i    O    iS    E 

fta  inrermltk  ,  e  ne  fa  prefo  dipoi  anche  uno  de  i  Re  Crill-iahi 
di  Gerufalemme.  Che  ne' vecchi  Secoli  anche  l'Italia,  la  Ger- 
mania ,  la  Francia  ,  e  l'Inghilterra  non  follerò  prive  di  Leb- 
brofi  5  non  occorre  provarlo  .  Bada  leggere  le  Vite  de'  Santi 
raccolte  da  i  PP.  della  Compagnia  di  Gesì^i  in  Anveria  ,  dove 
fé  ne  incontrano  efempli  in  ogni  paefe  ,  e  quafi  in  ogni  tem- 
po. Coftume  perciò  era  de' Fedeli,  si  per  motivo  di  Carità, 
che  per  buon  politico  Governo,  di  formare  Spedali  per  quella 
infelice  gente,  affinchè  viveife  affatto  feparata  dai  iani  .  Per 
tacer  altri  ,  in  Germania  Santo  Otmaro  Abbate  ,  e  in  Fran- 
cia Niccolò  Abbate  di  Corbeia  ,  fabbricarono  fomiglianti  edi- 
fizj  .  Xenodoch'ium  Leproforum  fi  truova  menzionato  dal  lud- 
detto  Gregorio  Turonenle  Cap.  85.  de  Gloria Confefibr.  In  Ita- 
lia forfè  Citta  non  ci  fu  ,  dove  non  efiftelTe  qualche  Luogo 
desinato  al  ricovero  de'Lebbrofi  ,  ch'erano  mantenuti  con  li- 
mofine  dal  Pubblico.  Di  qui  ebbe  origine  il  nome  ào* La":?^- 
retti.)  cos\  appellati  da  S. Lazzaro  Protettore  di  quegf  infelici; 
perchè  quei  Spedali  furono  prima  inltituiti  per  li  Lebbrofi,  e 
poicia  lervirono  a  gli  Appellati  .  In  Modena  fuori  della  Por- 
ta di  Bologna  tuttavia  fi  vede  lo  Spedale  di  San  Lazzaro.  Ne 
gli  Statuti  di  quella  Citta  dell'Anno  1327.  fi  legge  :  Hofpitalìs 
Sa?2Óii  L(t7;ari  Jìt  fub  potè  fiate  Commimis  Muttnae  &c.  &  fi  /ili- 
qpia  perfona  de  Dijìri^lu  Muthice  efficeretur  Leprofa  ,  &  propter 
paupertatem  non  pojfiet  habcre  pecuniam  &c.  Commune  illius  Pie- 
batus  ,  de  quo  ejfiet  ili  a  perfona  recìpienda  ,  deheat  folvere  &c. 
Talmente  in  Napoli  invaile  il  nome  dello  Spedale  diSanLaz- 
zaro,  che  anche  gli  fiefli  Lebbrofi  ne  riportarono  il  titolo  di 
LaT^ri .  Ed  è  ben  vecchia  qucfta  denominazione  per  denotare 
la  feccia  del  Popolo,  e  de'  Poveri  .  Pietro  Suddiacono  Napole- 
tano nella  Vita  di  Santo  Atanafio  Vefcovo  di  quella  Citta,  fra' 
l'altre  lodi,  che  da  alla  Citta  di  Napoli,  vi  mette  anche  la 
feguente  :  Et  juxta  praceptum  Dominieum  prcsdiBa  Urbis  acco- 
Ice  potius  L^r-z^aros  quaritant  ,  &  exhibent  largius  ,  quibus  indi- 
gent  ,  quam  inopes  affluentum  i?iquirant  opes  .  Efigeva  poi  la 
cura  della  pubblica  Sanità  e  pulizia,  che  non  poteflero  1  Leb- 
brofi abitiìre,  ed  entrare  nelle  Città,  affinchè  non  infettaflero 
i  fani.  E  ciò  fu  anche  determinato  nella  Legge  lyó.  daRotari 
Re  de' Longobardi  ;  e  però  i  Papi  permifero  ,  eh'  eglino  avef- 
fero  il  proprio  Parroco  .  Che  le  abbiiognando  di  pane  erano 
forzati  a  mendicare  j  non  s'accodavano  ad  alcun  fano,  ma  con 

un 


D   E   e    I    M    A    S    E   S    T    A  .  ipj      . 

UH  certo  legno  ,  che  iacea  rumore  ,  rapprefentavano  da  lungi 
la  loro  necelTita .  Preffo  l'Autore  del  Mamotre6to  è  menziona- 
to Injìrumefìtum  lìgìieum  cum  duabus  vel  trìbus  tabellis^  quas  con- 
cuth  Leprojus  quaerendo  panem  .  E  perciocché  il  rimedio  allora 
ulato  per  guarir  quello  male,  era  il  bagnarfi  ne' Fiumi,  in  un 
Privilegio  dato  da  i  Re  d'Italia  Berengario  II.  &  Adalberto  neh' 
Anno  5)52.  al  Moniflero  di  Santa  Maria  d'Adi  ,  non  mentova- 
to dal  P.  Mabillone ,  noi  troviamo  Rivutn  Le  proforum  , 

Motivo  di  meraviglia  è  il  iapere ,  che  in  Francia  nell'An- 
no 1321.  fi  Icopri  una  congiura  (  almen  fu  cosi  o  creduto  o  di- 
volgato  )  de'  Lebbrofi  co'  Giudei  di  avvelenare  i  Pozzi  ,  e  le 
Fontane  per  ilpargere  la  morte  o  la  Lebbra  fra  i  Criftiani  . 
Ciò  è  raccontato  da  Bernardo  di  Guidone  nella  Vita  di  Papa 
Giovanni  XXII.  Altri  ancora  ne  fanno  menzione  ;  e  però  mol- 
ti ne  furono  bruciati,  e  gli  altri  chiufi  in  Leprofartts  ,  Onde  ve- 
nifle  quella  Torta  di  Contagio,  e  fi  mantenelfe  in  Europa,  le 
a  me  folTe  chi  elio,  proporrei  quella  coniettura  .  Cioè  ne' vec- 
chi Secoli  o  per  vifitare  il  Santo  Sepolcro  di  Grillo,  o  per  e  fé  r- 
cizio  à\  mercatura  ,  e  per  tirarne  gli  Aromati  ,  fovente  i  Cri- 
ftiani Europei  pafìavano  in  Soria,  nell'Egitto,  e  aGerulalem- 
me,  e  non  avendo  affai  riguardo  portavano  a  cafa  la  Lebbra, 
che  agevolmente  poi  fi  comunicava  ad  altri  .  Elfendo  da  quali 
tre  Secoli  in  qua  troppo  fminuito  quel  co^nmerzio  ,  e  celiato 
quel  pellegrinaggio  ,  è  anche  fvanita  in  Occidente  la  Lebbra  , 
talmente  che  oggi  rariffimi  fono  gli  afflitti  da  queflo  malore  . 
Dalle  Contrade  Orientali  ne' Secoli  addietro  ,  ficcome  accennai 
nel  mio  Trattato  della  Pelle,  era  portata  in  Europa  la  veraPe- 
ftilenza,  che  tanta  ftrage  facea  de'  viventi.  Anche  oggid'i  non 
verrà  altronde,  che  dall'Imperio  Turchelco  ;  ma  non  metterà 
mai  piede  fra  noi,  fé  fi  uleran  le  precauzioni  e  diligenze ,  che 
fon  preicritte  da  i  faggi  Tribunali  ,  maflimamente  ne'  Porti  di 
Mare.  Diverfo  una  volta  dalla  Lebbra  fu  lì  Fuoco  Sacro  ^  ma- 
le, che  per  tanti  Secoli  fi  provò  nell'Italia,  e  in  altre  Occiden- 
tah  Provincie.  Molta  è  ben  la  fua  antichità  ,  da  che  ne  fanno 
menzione  Lucrezio,  Vergili©,  e  Seneca  il  Tragedo.  Per  foUie- 
vo  di  chi  n'  era  attaccato  ,  in  Vienna  del  Dellìnato  fu  cretto 
uno  Spedale  lotto  il  nome  di  Santo  Antonio  Abbate  nel  Seco- 
lo XII.  e  quivi  ebbe  origine  l'Ordine  de' Frati  di  Santo  Anto- 
nio :  inflituto,  che  fi  propagò  poi  per  la  Francia  ,  Italia,  ed 
altri  paefi,  dove  fi  trovavano  perfone  colpite  da  quefto  male, 
Tomo  L  Bb  giac- 


1^4-  Dissertazione 

giacché  ad  eiTe  caritativamente  iervivano  que'  Religiofi  .  Ve- 
defi  tuttavia  in  Milano,  in  Bologna  ,  in  Modena  ,  e  altrove  la 
Chiefa  di  Santo  Antonio  Abbate  ,  deftinata  ad  edi  Frati  ed 
Infermi  .  E  dura  anche  a'  di  noliri  non  già  que  fio  morbo  , 
ma  il  nome  d'effo  morbo  ;  e  chi  vuol  augurare  ad  altrui  un 
male  terribile  ,  gli  defidera  //  Fuoco  di  Santo  Antonio.  Afcoltiil 
ora  Sigeberto,  che  nella  fua  Cronica  all'Anno  1085?.  cosi  fc ri- 
ve :  An?ìus  pejìilens  ^  maxime  in  Occidentali  parte  Lotharingia  y 
ubi  multi  Sacro  Igne  interiora  confumente  computrefcentes  ,  exe- 
Jìs  membris  injìar  Carbonum  nigrejcentibus ,  aut  tnijerabiliter  mO' 
riuntur^  aut  manibus  &  pedibus  putrefaóiis  truncati  ^  miferabilio- 
ri  n)ita  rejerva?2tur  y  multi  'vero  nernjorum  contrazione  dijìorti 
torment antur ,  In  Francia,  che  fpecialmente  ne  fu  afflitta  nel 
Secolo  XII.  fi  chiamavano  Ardenti  ,  perchè  fi  fentivano  come 
prefi  da  un  fuoco  fcorrente  per  le  loro  membra  .  Nella  Vita 
di  Santa  Dimpna  Vergine  appreffo  i  Bollandifti  fi  legge:  Habep 
Ignis  ili  e  apud  Archi  atros  plura  ?iomina  :  Dici  tur  quippe  fgnis 
Sacer^  Ignis  Perjicus^  &  Ignis  Infernalis  .  Et  efl  qui  EJìher  di- 
citur  Graco  njocabulo:  cioè  Ti^^ne,  E  che  fofle  diverio  il  ma- 
le di  San  Lazzaro  dal  morbo  di  Santo  Antonio  ,  lo  fa  conofce- 
re  la  Storia  Mifcella  Bolognefe  da  me  data  alla  luce  ,  mentre 
nota  puniti  da  Dio  coloro,  che  tante  iniquità  Gommifero  nel 
facco  di  Piacenza  l'Anno  1447.  con  dire  :  Ad  alcuni  Soldati 
'venne  il  male  di  Santo  Antonio ,  ad  alcuni  il  male  di  Sa7i  La:?^- 
-Z^.ro.  Fiatanti  benefizj ,  che  la  fomma  Bontk  di  Dio  ha  com- 
partito a'  noltri  tempi ,  fi  dee  ben  aggiu^nere  quello  ancora 
d'aver  fatto  ceflare  affatto  quefti  due  orribili  e  fporchi  malo- 
ri :  poiché  qualche  cafo  raro  a  nulla  monta  .  Vero  è  ,  che  a 
quelli  n'è  fucceduto  un  altro,  cioè  il  morbo  Gallico,  ma  que- 
fìo  è  pila  mite ,  e  non  vi  mancano  rimedj  ;  e  quel  che  è  più  , 
fel  guadagna  folamente  ,  chi  fcapeftrato  fi  d'a  in  preda  a  i 
Vizj . 


Del 


D    E  e    I    M    A    S   E   T    T    I    M  A.  ip5 

cVi^iVi|t^cvS^:<^i^(:<4^cVj|!»  (Vi!t»;fVife/5CV*/»cv*A.ev*/ic*j!/'  t%dt^.c\±^^A^tMt^isjl!^ 

Del  Fi/co  e  della  Camera  de  i  Re ,  Vefcovì ,  Duchi , 
e  Marche  fi   del  Regno   d' Italia. 

DISSERTAZIONE   DECIMx\SETTIM A  . 

DA  che  cominciarono  fopra  la  Terra  ad  eflerci  de  i  Re, 
(aitò  fuori  anche  il  Fijco  ,  ed  è  Tempre  durato  dipoi  . 
Ai  tempo  degli  Imperadori  antichi  Romani  fi  chiamava  Sac- 
cus^  cioè  Borfa,  o  Teforeria  del  Principe,  perdiftinguerlo  dall' 
altro  della  Repubblica  appellato  jFlrarium  .  Saccus  in  quefto 
fenfo  fi  truova  adoperato  da  Santo  Agoftino,  e  da  altri.  Eb- 
bero non  meno  il  loro  Filco  i  Re  Longobardi,  Franchi,  e  Te- 
delchi  in  Italia;  e  colavano  cola  i  tributi,  si  per  mantenere 
la  Corte,  come  per  la  difeia  del  Re^no,  e  per  altre  occorren- 
ti guerre  .  Sotto  i  Longobardi  fpefib  è  fatta  menzione  Curtis 
Regia,  :  con  quefto  nome  dilegnavano  il  Fifco  .  Nella  Leg- 
ge 157.  di  Rotari  s' ha  :  5^/  inte7ifio  fuerif  coìitra  Corteyn  Re- 
gis  ,  Nella  158.  Curtis  Regia  ipfas  duas  uncias  fufcipiat ,  Nel- 
la 185.  componat  prò  culpa  in  Curte  Regis  Solidos  centum .  Lo 
ftelTo  fignificava  la  voce  Palatium ,  e  di  quefta  lovente  fi  fer- 
virono  gì' Imperadori  Franzefi.  In  un  Privilegio  conceduto  nel!' 
Anno  83P.  alle  Monache  della  Porteria  di  Pavia  da  Lottarlo  I. 
Imperadore  è  intimata  a  i  trasgreflbri  la  pena  di  feifanta  Lib- 
bre d'oro  ottimo,  da  applicarfi  medietatem  Palatio  jzojìro  ^  <& 
med'tetatem  parti  ejusdem  Monajìerii .  Lo  fteflb  abbiamo  in  va- 
rj  Diplomi  di  Carlo  il  GrolTo  ,  di  Guido  e  Lamberto  ,  e  di 
altri  Augurti  .  Del  pari  uiavano  elfi  la  parola  Fifcus ,  e  mar- 
inamente nelle  Donazioni  fatte  aiMonifterj,  ed  altri  Luoghi 
facri  colla  tegnente  Formola  ,  che  fi  legge  in  un  Diploma  di 
Lodovico  II.  Imperadore,  con  cui  nell'Anno  854.  conferma 
a  Dodone  Velcovo  di  Novara  tutti  i  fuoi  beni  e  diritti  .  Et 
quidquid  de  prafata  Ecclcji<g  rebus  jus  Fifci  exigere  poterat  &c. 
in  integrum  pra:fatcc  concedimus  Ecclefi^e  .  Senza  di  quello  Pri- 
vilegio allora  1  Beni  delie  Chicle  avrcbbono  pagato  tributo  al 
Elico  .  Perciò  di  tal  Formola  ,  &  Indulto  abbondano  tanto  in 
Italia,  che  in  Francia ,  e  Germania  i  Privilegi  conceduti  alle 
Chicle  .  Finalmente  anche  ne'  vecchi  Secoli  per  fi^nifìcare  il 
Filco  fu  adoperata  h  vozq  Camera ,  Vien  riferito  da  Eginardo 

Bb     2  il 


1^6  DlSSER    TAZIO    NE 

il  Teftamento  di  Carlo  Magno  ,  in  cui  quel  piiilimo  Monarca 
ordinò  ,  che  le  Chiefe  ,  e  i  Poveri  fi  compartifTero  thej'auros 
fuos^  &  pecujììam  ^  quce  fa  ili  a  die  in  C  timer  a  e jus  inventa  efl , 
Et  omnem  fubjìantiam  ,  atque  fupelleHilem  Juam  ,  qu<c  in  au- 
ro 5  &  argento  ,  gemmisque  ,  &  ovjiatu  Regio  in  Camera  e/tis 
inveniri  poterai,  11  Du-Cange  nel  Gloffario  Latino  fcrive,  ufa- 
ta  qui  la  parola  Camera  prò  Fifco  Imperiali  .  Qiù  a  me  fem- 
bra  effa  ofcura  ,  perchè  vi  fi  parla  della  Guardaroba  ,  della 
Cantina  ,  e  dell'  altre  officine  del  Palazzo  .  Certamente  non 
ho  io  finora  trovato  Diploma  autentico  di  efib  Carlo  Magno ^ 
e  di  Lodovico  Pio  ,  in  cui  comparilca  la  Camera  per  fignifi- 
care  il  Fifco  .  Diffi  autentico  ,  'perchè  nel  Tomo  IL  del  Boi- 
lario  Cafiiienfe  ,  e  nella  Cronica  del  Volturno  ,  alcun  fé  ne 
legge  5  della  cui  fincerita  fi  può  dubitare  ,  ficcome  ho  dimo- 
ilrato  altrove,  né  qu"i  importa  di  rammentare.  Pertanto  cre- 
do io  più  probabile  ,  che  non  prima  di  Lodovico  IL  Impera- 
dore  fi  comincialTe  ad  ufare  la  parola  Camera  in  vect  di  Fi- 
fco .  In  un  Privilegio  ài  queflo  Augudo  ,  col  quale  nell'  An- 
no 874,  concede  ad  Angilberga  Irnperadrice  Lia  Conlorte  la 
facoltà  di  difporre  di  tutti  i  luoi  Beni  ,  fi  vede  preicritta  la 
pena  di  Cento  Libbre  d'  oro  puro  a  i  tralgrefibri  da  pagarfi 
777edietatem  hnperiali  Camara  ,  &  medietatem  fuprataxata  An- 
gilberga .  Cosi  ancora  m  altri  Diplomi  del  medefimo  Augu- 
Ito  .  E  in  quei  di  Berengario  I.  parimente  Imperadore  leggia- 
mo medietatem  Camera  Palatii  ?2ofìri ,  ficcome  frequentemen- 
te ne  i  Privilegj  conceduti  da  i  Re  ,  ed  Imperadori  ,  che  fuc» 
cederono .  • 

Andiamo  ora  a  vedere,  fé  oltre  a  quedi  Monarchi  godelTe- 
ro  altri  una  volta  il  diritto  del  Fifco  ,  o  per  dir  meglio  della 
Camera^  perchè  quefla  parola  fembra  avere  avuto  un  fignifi- 
eato  più  largo  .  Certamente  dappoiché  i  Re  ,  e  gì' Imperado- 
ri donarono  e  trafportarono  ne'  Vefcovi  ed  Abbati  tanta  copia 
di  Regalie  ,  non  è  da  maravigliarfi  ,  fé  anch'  efli  giunfero  ad 
avere  la  propria  Camera,  a  cui  {{  pagaflero  iCenfi,  i  Tribu- 
ti,  e  le  condanne  ,  dovute  prima  al  Fifco  Regale  .  E  primie- 
ramente da  che  i  Romani  Pontefici  ottennero  da  Pippino  ,  e 
da  Carlo  Magno  il  dominio  non  folamente  dell' Efarcato,  ma 
anche  di  Roma  ,  e  del  fuo  Ducato  ,  non  è  da  dubitare  ,  che 
cominciafTero  ad  aver  la  Camera  ,  o  fia  il  Fifco  per  li  paefi 
fugsetti  .  Non  ho  io  trovato  finqu'i  menzione  di  quello  nel- 
le 


Decimaset-iima.         ^g-j 

le  antiche  memorie  ,  perchè  troppa  ftrage  ne  ha  fatto  ii  tem- 
po .  Porle  Vefìiarium  fu  il   nome  fignificante   una  volta  la  Ca- 
mera Ponrificia  ;   perciocché  Adriano  I.  m  una  Bolla  data  nell' 
Anno  772.  a  1  Monaci  di  Farfa  ,   e  rapportata  nella  Cronica 
di' quei  Momftero  ,    ordina,  che  in  avvenire    Priores  Vejììarìi 
Sa?26i^  Romaiice  EccUfias  (ìano  Giudici  nelle  Caule  del  iMoni- 
fiero  Farfenle  .  Witccto  (  ivi  fi  legge  )  Frìor  Vefttnnt  ,  n^el  om- 
nes  ,     qui   Pro  tempore  pojì  ejus  decsjfum  Friores  Vejì'tarii   exti- 
terint^  l'ice-itiaìn  kabeant  potefl.aù'vc  dìflr'mgsnàt  tam  Ecclsfia- 
fi'icam  perjoììam  ,    quamque  ex  milnia    exìflentem  ,    njel  etìnm 
famulum  Ecclcftdd  Ò^c.   Ecco  quanta  autorità  avelTero  una  vol- 
ta quelli  Priori  .    Ne'  Secoli   iuffegnenti  1'  Archidiacono    della 
Santa  Chiefa  Romana  fi  offerva  Prefidente  della  Camera  Pon- 
tificia .    Nata  una  controverfia    fra  edb  Monillero  di  Farfa  , 
e  quello  di  Mica  Aurea  a'  tempi  di  Alefìandro  II.   Papa,  Do- 
mnus  HìJdebrandus  V'mer^bil'ìs  j^rch'tdìnconus  ^  l'alcoltò  ,   e   àt- 
dx^z.p-  AHores  &  A^tonant    erano    una   volta  appellati    quei,, 
che  ora  fon  detti  Chcr'ici  di  Camera  .    E   perciocché  abbiam 
detto  ,  che  il  nome  di  Pai  attimi  ne'  vecchi   tempi  fignificava 
il  Fiico  ,  di  quello  fi  fervirono  ancora  i  Sommi  Pontefici  .   In 
una  Bolla  di  Papa  Benedetto  Vili,    rapportata  nella  Cronica 
Farfenle  fi  legge  :  hzjuper  &  compnfttunim  [e  fcìat    atirì  opti- 
mi Llbras  'Centum  ,  medietatcm  in   SacrofanHo  Lateraìienfi  Pa- 
latio  ,    &  medietatem  in  frprafcripto  Moti aft erto  .    Altra   Bolla 
del  medefimo  Papa  ,    fpettante    ali'  Anno   1017.    ha  efpreifa 
menzione  della  Camera   Pontificia  .    ^)ul  facere  hoc  prafumfe- 
rit  &c.  fclat  fé  compofiturum  centum  Aurcos   Ma?2cojos^  medie- 
iatem  Camera  nojìrce  ,  &  medletatem  &c.    Per  altro  abbonda- 
no le  Carte  ,  nelle  quali   i  Romani  Pontefici  anticamente  in- 
timavano non  già  pene   pecuniarie  ,    ma  bens\    la  Scomunica 
contro  a  i  trasgreflbri  de*  loro  Decreti  ,  Donazioni  ,  e  Privile- 
gi .    Fu  di   parere   Onofrio  Panvinio  ,  fic'come  accennammo  , 
che  fino  a' tempi  di  Papa  Gregorio  VII.  f  Archidiacono  del- 
la Santa  Romana  Chiela   prelcdeife  a  quella  Camera  ;    e  che 
da  il  innanzi   foOfe  ifiituito  \  Ufizio  di  Camerario  ,    chiamato 
ogoidi  Camevle7ìgo  ,  il   quale  dura  tuttavia  .  Truovafi  in  uno 
Strumento  dell'Anno  1 1  55>.   Dominus  Bofo  VenerabilisCardina- 
lis  Dlaconus  SanBorum   Cojmce  &  Damiani    Domini  Papcv  Ca- 
merarlus . 

Che  anche  alcuni  Vefcovi  ed  Abbati  una  volta  ave  Aero  la  lor 

Ca- 


ip8  Dissertazione 

Camera  ,   pare   che  fi  poffa  provare    colle  antiche  memorie. 
Parlo  di  quelli,  che  aveano  ottenuto  il  Comitato  delle  Citta, 
ed  altre  Regalie,  in  vigor  delle  quali  poteano  efigere  tributi  , 
ed  altri  pubblici  diritti  .  Rechiamone  unefempio.  PrefTo  i  U- 
ghelli ,  e  Bordoni  Corrado  I.  Augufto  nell'Anno  1027.  conce- 
dette al  Vefcovo  di  Parma  omne  jus  publicum  ,    Ù'  teloneum  , 
atque  dìjìrl^ium  ejusdem  Urbis .^  ne  de'mde  totum  Parmenfcm  Co- 
mitatum  .  E  in  uno  Strumento  del  1032.  di  Jacopo  Velcovo  di 
Fiefole,  rapportato  dal  mcdefimo  Ughelli  (  le  pure  non  v'  ha 
errore  )  noi  le2,giamo  :  Si  quis  nutcm  hi-jus  7ìojìr<£  Ordinationis 
violator  extitsrit ,  Jciat  fé  compojìturum   auri  optimi  Librns  Cen- 
tum  Imperatoria^  Camerae^  &  No/ìr^ .   Per  tali  notizie   par  bene, 
che  certi  Vefcovi  godcfTero  il  diritto  della  Camera,  dove  fi  por- 
talTero  le  rendite,  dianzi  dovute  al  Conte  ,  o  pure  al  Donato- 
re. Se  anche  i  Duchi,  Marchefi,  e  Conti  avefTero  tal  prero- 
gativa ,    non  apparifce  chiaro  .    Narra    bensì  Paolo  Diacono 
Lib.  III.  Cap.  2(5.  che  fu  eletto  Autari  Re  de'Longobardi ,  ai 
cui  tempi  ob  re/}  aurati  ori  em  R.egni  Duces  ,  qui  tunc  erant ,  ow- 
nem  fubjìantiarum  fuarum  medietatem  Regalibus  uftbus  tribuunt  ^ 
un  de  Rex  ipfe  ,  /t've  qui  ei  adharerent^  ejusque  obfequiis  per  di- 
verfa  officia  dediti ^  alerentur ,  Ciò  avvenne,  perchè  ienza  Re 
era  flato  il  Regno  per  dieci  Anni ,  C^'  unusquisque  Ducumfuam 
Ci'uitatem  obtineret^  come  Principe  .  E  fenza  tallo  allora  ogni 
Duca  efigeva  i  tributi  della  Tua  Citta.  Ma  non  fappiamo,  co- 
me pafTaffe  la  faccenda  da  lì  innanzi  .   Tuttavia  nel  BoUario 
Cafm.  Tom.II.  num.  8.  compariice  un  Diploma  di  Defiderio 
Re  de' Longobardi,  in  cui  egli  dona  al  MoniQero  Breiciano  di 
Santa  Giuba  Infulam  ,  quce  Ciconaria  dicitur  ,   pertinentem   ad 
Curtem  nojìram ,  &  ad  Curtem  Ducalem  .  Tanto  in  quella  Cit- 
ta, che  in  Milano,  Torino,  Verona,  ed  altri  Luoghi,  fi  tro- 
vava il  Palazzo,  o  fia  Curtis  Ducisi  come  abbiam  già  offerva- 
to  altrove .  Tuttavia  non  abbiamo  per  quedo  fufficiente  luce 
finora.  Quel  che  è  certo,  non  mancò  il  diritto  delia  Camera, 
o  fia  del  Filco ,  a  i  Principi  di  Benevento,  i  quali ,  fé  fi  eccet- 
tua il  titolo  di  Re  ,  godevano  f  autorità  de  i  Re  >  ma  non   il 
nome.  Altrettanto  fecero  dipoi  anche  i  Principi  di  Salerno,  e 
i Conti  diCapoa,  che  fìgnoreggiavano  una  parte  imembrata  del 
vado  Ducato  di  Benevento.  Abbiam  di  iopra  oifervato,  ch'elfi 
applicavano  le  pene  «t>/?ro  Palatio  ;  e  quefta  formola   fi   truova 
anche  in  un  Diploma  di  Roberto  Principe  di  Capoa  nelfAn.iiop. 

QUAN- 


Decimàsettima^        ipp 

Quanto  a  i  Duchi,  e  Marchefi  della  Tofcana,  prima  d'ora 
Fràucelco  Maria  Fiorentini  oflervò  nel  Lib.  III.  della  Vita  di 
Matilda,  ch'elTi  avevano  la  lor  particolar  Camera  e  Fifco,  re- 
candone in  pruova  una  Carta  di  Adalberto  Marchefe  ,  dove 
fon  le  leguenti  parole  :  Si  quìs  hoec  non  obfewaverit^  fciat  fs  e:<- 
commun'tcatum  ,  &  'tnfiiper  componere  Aurì  oht'tmì  B'ijanteos  mil- 
le ,  med'tetatem  Camera  nojìrce  ,  &'  medietatem  ÒV.  Con  altri 
Documenti  ho  io  confermata  quella  verità .  In  un  Placito  di 
Uberto  Marchefe  di  Tofcana  ,  e  Conte  del  Palazzo  nell'  An- 
no ^41-  egli  decide  una  Controverfia  in  favore  del  Vefcovo  di 
Luni,  con  apporre  in  fine  la  pena  .  ^i  hoc  fecerìt^  prcedìóìos 
duo  mille  Mancofos  auri  fé  agnofcat  ej] e  compojtturus^  medieta- 
tem parti  C amara  noflrde ,  (7  medietatem  ipjius  Epifcopio  .  Pari- 
mente Bonifazio  Marchefe  di  Tofcana  ,  Padre  della  ContefTa 
Matilda,  in  un  fuo  Diploma,  con  cui  l'Anno  1048.  conferma 
i  Beni  al  Moniftero  di  San  Bartolomeo  di  Pidoja,  dice  :  5^/  quis 
&€,  fiad  fé  compojìturum  Auri  optimi  Libras  centum  ,  medieta- 
tem K amara  noflra  ,  Ò"  medietatem  prafato  Monafìerio  .  Un  fo- 
migliante  parlare  fi  truova  in  un  altro  Diploma  di  Gotifredo 
Duca  e  Marchefe  di  Tofcana  ,  e  della  DuchenTa  Beatrice  fua 
Moglie  ,  e  pofcia  ne  gii  altri  Atti  della  Conteffa  Matilda  ,  di 
Corrado  Duca  e  Marchefe,  e  di  Ram pretto  Marchefe,  che  fi- 
gnoreggiarono  in  Tofcana.  Apparifce  eziandio,  che  non  man- 
cò a  i  Duchi  di  Spoleti  la  Camera.  Veggafi  una  Carta  diGuar- 
nieri  Duca  del  iio5.  nella  Cronica  Farfenfe  .  Quello  che  non 
fi  sa  ben  intendere,  fi  è  ,  che  qualora  i  Duchi  e  Marchefi  di 
Tofcana  tenevano  de' Placiti,  e  decidevano  liti,  allora  impo- 
nevano la  pena  pecuniaria  da  pagarfi  ,  non  alla  fua  ,  ma  alla 
Camera  dell'  Imperadore .  Un  Placito  tenuto  in  Lucca  nel  1058. 
dal  fuddetto  Duca  Gotifredo,  ci  fa  veder  quelle  parole  :  Q^i 
'vero  fecerit ,  pradióia  duo  mtllia  Mancufos  aureos  compojìturos 
fé  agnofcat^  medietatem  pars  Camare  Domni  Imperatoris^  &  yne- 
dietatem  prediBo  Anfelmo  .  In  un  altro  fuo  Placito  del  105^. 
^ut  vero  contra  hoc  facere  prefumpferit  ^  componat  duo  millialMan- 
cujos  optimi  auri ^  medietatem  Camere  Regis  Ò'c,  Similmente  la 
Conteffa  Matilda  in  un  fuo  Placito  del  1105.  cos'i  parla  :  Si 
quis  vero  fecerit  ,  predillo  duo  millia  Bifanteos  aureos  (  fegno 
che  i  Bifanti  d'oro  non  doveano  effere  divtrfi  daiMancufi  d'oro) 
compojtturo  fé  cognofcat  pars  C amara  Domini  Regis  ^  &  jam  di6ie 
Domine  Matilde  ,  &  me  die  tate  &c.  Qui  troviamo  in  uno  fleffo 

tem- 


200  Dissertazione 

tempo  la  Ca-mera  del  Re  ,  e  quelia  di  Matilda  come  Duchel- 
fa  .  Cioè  a  mio  credere  perchè  i  tributi  ,  le  gabelle  ,  le  con- 
danne, ed  altre  rendite  del  Principato  appartenevano  al  Sovra- 
iio  diretto,  fia  Re  o  Imperadore  .  Ma  gli  ftefli  Sovrani  ne  àf- 
legnavano  la  lua  parte  ?\  Marcheie  oDuca,  Prendente  di  rat* 
ta  la  Provincia  ,  e  al  Conce  Governatore  della  Citta ,  affinchè 
con  ciò  manteneffero  la  loro  famiglia  e  dignità.  Ma  perchè  ne' 
Diplomi  fopr'  accennati  le  pene  s'  aveffero  a  ,pagare  alla  Ca- 
mera  del  Marchefe  ,  e  ne  i  Placiti  alla  Camera  del  Re  :  lafce- 
rò,  ch'altri  lo  Ipieghi  .  E  tanto  più  perchè  quello  rito  non 
era  ftabile  .  Nelle  Antich.  Eitenf.  Part.  I.  Cap.  ip.  pubblicai 
un  Placito  tenuto  nell'Anno  1043.  in  Rapallo  adi  Alberto  ^  ed 
Alberto  A'Z2:p  Marc  he  fi  ^  da'quali  diicende  la  Sereniffima  Cafa 
d'Elle.  Ivi  milero  que' Marchefi  il  bando  con  quelle  parole  : 
^ui  vero  jecerit  (  in  vece  di  contrafecertt  )  centum  Libras  argefi' 
ti  fé  compofiturus  agtìojcat  ,  medietatem  eorum  Marchiofies  ,  & 
medietatem   eidem  Abbati. 

Truovasi  ancora  un  altro  nodo  .  Cioè  talvolta  i  Duchi  o 
Marchefi,  le  erano  devoluti  al  Fiico  Regio  i  Beni  altrui,  ne 
dilponevano  a  loro  arbitrio  ,  come  di  cola  propria  ,  e  li  dona- 
vano" alle  Chiele  .  Nella  Cronica  Farfenle  fi  può  oflervare  , 
che  avendo  una  Alerona  Monaca  fpoiato  un  certo Rabennone, 
fecundum  Legem  omnis  fubjìantia  ipftus  nd  Publicum  devoluta 
ejì,  Sulfeguentemente  per  aver  elfo  Rabennone  uccilo  un  uo- 
mo, medietas  omfiis  illius  fubjìantine  ad  Publicum  devoluta  eJì , 
Poicia  Hildeprando  Duca  di  Spoìeti  nell' Anno  787.  donò,  oììì- 
nem  pradi^lam  illorum  fubjìantiam  ,  qualiter  jecundum  Legem 
jujìe  &  rationabilìter  ad  Publicum  devoluta  ejì ^  al  Monillero 
di  Farfa  prò  mercede  Domììorum  nojìrorum  Regum  ,  &  yioflra  , 
cioè  per  bene  dell'anima  de  i  Re  ,  e  della  propria.  Erami  na- 
to fof  petto,  che  ìd.  VOQQ  Publicum  (^\o  {kt^o  h  ch.Q  Pars  Public  a) 
fignificaffe  la  Camera  propria  de  i  Duchi  e  Marchefi,  che  cer- 
tamente erano  Minijìri  Reipublicde  ,  Ma  dopo  aver  io  conchiu- 
fo  ,  come  fi  vedrà  nel  Capitolo  feguente  ,  che  voce  tale  indi- 
ca il  Re  ,  o  fia  il  Regno  o  \' Imperio]^  cioè  la  Camera  del  Re 
od  Imperadore  ,  mi  fon  fermato  dubbiofo  .  Tuttavia  in  qual- 
che luogo  pare,  che  veramente  elfa  riguardi  i  Minilfri  del  Pub- 
blico. Nella  Legge  2.  di  Guido  Imperadore  abbiamo:  ^^icum- 
que  a  proprio  Comite  ,  vel  a  publica  parte  ,  idejì  ab  eis  ,  qui 
Rempublicaìn  agunt  ,    ammonitus  fuerit  (ìTc*    Pubblicò  in  oltre 

il 


X 


D    E    e    1    M    A    S    E    T    T    I    M    A  .  201 

il  Campì  nella  Storia  F^cclefiafl-.  di  Piacenza  un  Diploma  di 
Lodovico  IL  Aiigufio,  ove  fi  efpone  ,  avere  Tlmperadrice  An- 
j^ilberga  Tua  Moglie  fatto  quasdam  cum  Fané  Publica  de  rebus 
fhts  Commutatlo?ies  ,  quas  Jìbi  petit  nofiva  nuHoYttate  flabìlm  . 
In  altri  Diplomi  poi  fovente  s'incontra  quefla  Formola:  Otn- 
m  710 firn  ,  nojìrommqt'.e  SucceJJomm ,  &  Pubika  partis  cantra- 
dìclìo?ìe  remota  .  E  in  un  Diploma  di  Ugo  e  Lottarlo  Regi 
evvi  qu^d'  altra  :  Et  quìdquid  exinde  Fifcus  fiojìer  ,  'uel  Pars 
publtca  fperare  potuerit  &c.  Adunque  lenìbra  ,  che  il  Regio 
Fijco  diverta  cofa  fofTe  dalla  Parte  Pubblica  .  li  che  fia  det- 
to per  maniera  di  dubitare  ;  perciocché  nel  Capitolo  leguen- 
te  ex  profejfo  fi  tratterà  quefto  argomento  .  Intanto  è  da  (lu- 
pire  ,  come  Hildcprando  Duca  di  Spoleti  potefie  cosi  libera- 
mente donar  que'  Beni  devoluti  al  Regio  Liico  ,  quando  ve- 
ramente la  parola  Publicum  denoti  eflb  Fiico  ,  le  pure  non 
vogliamo  conietturare,  che  quel  Duca  avelie  ottenuta  dal  Re 
la  facoltà  di  donarli  ;  o  pure  che  coftume  vi  foffe  di  donare 
a  i  Luoghi  pii  i  Beni  confifcati  per  qualche  delitto  ,  dichia- 
rando ài  farlo  a  titolo  di  Limofina  del  Re:  prò  mercede Dom- 
77orum  Regum  .  In  due  Placiti,  l'uno  tenuto  da  Beatrice  Du- 
chefla  di  Tolcana,  e  da  Matilda  lua  Figlia  nel  1075.  e  l'altro 
da  effa  Contefia  Matilda  nel  11 07.  noi  abbiamo  ,  che  la  pena 
s'ha  da  pagare  medietatem  Pars  Publice  .  Giacché  abbiam  ve- 
duto in  altri  Placiti  dovuta  la  pena  Camercc  Regis  ,  o  Impera- 
torìs.  Che  qin  Pars  publica  figninchi  lo  fteflb  ,  par  ben  proba- 
bile ;  ma   non  è  certo . 

Aggiungasi  ora,  tralparire  da  qualche  notizia,  che  anche 
i  Conti  ,  cioè  i  Governatori  delle  Citta  ,  aveffero  una  fpezie 
ài  Camera  .  Nella  Legge  34.  di  Lodovico  Pio  xAugullo  è  co- 
mandato, che  i  pertinaci  in  non  pagare  le  Decime  fieno  chia- 
mati in  Giudizio  ,  uti  ibi  fecundum  Legem  ad  Comitem  ,  vel 
ad  Partem  Publicam  componant  :  cioè  paghino  la  pena  .  Q_u'ì 
certamente  veggiamo  diilinta  la  Parte  del  Conte  dalla  Parte 
Pubblica  .  Siccome  offervatnmo  al  Cap.  Vili,  la  terza  parte 
delle  Condanne  perveniente  al  Filco  ,  apparteneva  a  i  Conti  ; 
di  modo  che  parca  ,  che  il  Filco  foffe  del  Re  od  Imperado- 
re  ,  ma  in  certa  maniera  anche  del  Conte  .  Nulla  ho  detto 
di  (opra  de  i  Dogi  di  Vene^^a  .  Si  vuol  ora  ricordare  ,  eflere 
fuor  di  dubbio  ,  eh'  effi  anche  ne'  vecchi  Secoli  godevano  il 
Tomo  L  Ce  dirit- 


20  2  DsSSERT    AZIONE 

diritto  delia  Camera  e  del  Fifco  .  Son  perite  molte  antiche 
memorie  di  quefta  Inclita  Repubblica  .  Tuttavia  abbiamo  nel 
Tomo  V.  dell'  Ughelli  Ital.  Sac.  un  Decreto  di  Tribuno  Do- 
ge di  Venezia  ,  ipettante  all'  x'\nno  5? 8 2.  dove  è  determinata 
la  pena  pagabile  Camerce  ?joJìri  Falatìi  .  Del  pari  in  un  Pri- 
vilegio conceduto  nell'Anno  1 1  id".  da  Ordelafo  Faletro  fi  leg- 
ge ,  che  il  trasgreffore  pagherà  per  pena  omnia  quce  pojfidep 
Fifco  Ducali  ,  &  Regali .  Come  cola  diflinta  è  detto  qui  il 
^ifco  Regale^  perchè  già  quella  Repubblica  avea  conquiftata 
la  Dalmazia  e  Croazia  ,  che  portavano  la  denominazione  di 
Regno  .  Erano  poi  molti  i  Miniftri  del  Fifco,  deputati  a  rac- 
cogliere i  tributi  ,  e  gli  altri  proventi  della  Camera  Regia  , 
o  Imperiale  ,  che  fi  chiamavano  AHionarii ,  Exaóìores  tributo- 
rum^  Eica6Ìores  Reìpublicde  ^  o'^uxt  ExaEìores  rerum  publicarum^ 
AHores  Fifci  Re  gii  ,  AHores  Patrimonii  Re  gii  ,  ovvero  Curtis 
K.egi<e^  i  quali  ultimi,  ficcome  anche  fotto  i  primi  Imperado- 
ri ,  attendevano  lolamente  a  i  Beni  Patrimoniali  del  Principe  , 
€  ne  rifcuotevano  le  Rendite.  Alla  Regia  Camera  pare,  che 
foffero  Prefidenti  iGaflaldi^  de' quali  s'è  trattato  nel  Cap.X. 
Né  mancavano  Advocati  Curtis  Regis  ,  cioè  Avvocati  Fifcali  , 
che  nafcendo  controverfìe  ,  foftenevano  i  diritti  della  Came- 
ra Regia  .  In  un  Placito  tenuto  nell'  Anno  80^.  da  Guillcrado 
Vefcovo  di  Pifloia  ,  da  unoScabino,  e  da  un  Vafìb  Dow/^/'-R^- 
gis  ,  fi  difputava  il  pofìTeffo  di  una  Chiefa  fra  la  Corte  del  Re, 
€  il  Moniftero  di  San  Bartolomeo  di  quella  Citta  .  Gifilari  fi- 
glio del  fu  Gifone  ,  qui  Caufam  Curtis  Dom/ii  Regis  perage- 
hat  ,  produffe  le  ragioni  affilienti  al  Fifco  ;  ma  fu  giiidicato 
centra  di  lui . 


Bella 


DeCIMAOTTAVA.  20J 

Della  R  ^pubblica ,  e  parte  Pubblica ,  e   defuoi  Mtntjìri  ; 

e  Je  la  Città  d' Italia   aveJJ'ero   amicamsnte 

Comunità  ,  come   oggidì . 

DISSERTAZIONE  DECIM AOTTAVA. 

VEnga  or-a  meco  il  Lettore  per  ricercare  ,  fé  ne*  vecchi 
Secoli  le  Citta  d'IuJia  coniervalfero  qualche  forma  di 
Repubblica  ,  oggidì  chiamata  Comunità  o  Comune  ,  ancorché 
foffero  governate  da  i  Magiilrati  de  i  Re  ed  Imperadori .  Noi 
appelliamo  Cow^?2/>^?  il  corpo  de'Cittadim  ,  che  ha  Ufiziali  e 
rendite  proprie  .  Allorché  molt.fTime  Citta  Italiane  godevano 
la  liberta,  lolamente  iuggette  all'  alto  dominio  de  gli  Impera- 
dori ,  ulavano  il  nome  di  Comune  e  Comunità  ;  e  quantunque 
poi  fi  deffero  a  i  Principi  ,  continuò  nondimeno  in  effe  il  no- 
me 5  il  corpo  ,  il  pofTefìb  di  Beni  ,  e  Gabelle  ;  e  tuttavia  per 
eiempio  dura  la  Comunità  di  Modena^  Reggio  &c.  Ordinaria- 
mente i  Nobili  lon  quei,  che  regolano  il  Comune  a  nome  di 
tutto  il  Popolo  ,  colla  giunta  di  alcuni  Giurisconlulti  ,  che  col 
loro  fapere  dieno  pefo  alle  lor  determinazioni  .  Evidente  cola 
è,  che  anticamente  le  Citta  d'Italia  non  iblamcnte  erano  fud- 
dite  de'  Romani  Imperadori  ,  ma  venivano  anche  governate 
da  i  loro  Magilirati  ,  Proconioli,  Pretori  ,  Prefidenti  &c.  Con- 
tuttociò  anche  allora  conlervavano  una  Ipecie  di  Repubblica  > 
varia  bens'i,  eifendo  alcune  Municipj ,  altre  Colonie  ,  ed  altre 
Collegate  ,  e  perciò  ancora  diverfificate  ne'  Privilegj  .  Ognun 
sa,  che  la  Dignità  e  Podcfta  de  gf  Imperadori  non  impediva  , 
che  Roma  riteneiTe  il  tuo  Senato,  i  iuoi  Ulìziali  ,  le  lue  rendi- 
te, e  Gabelle  .  Altrettanto  iuccedeva  nelle  Citta  iubordinate, 
perchè  cialcuna  avea  il  luo  Senato,  i  Duumviri  ,  gli  Edili,  i 
Queltori ,  Centori  ,  Curatori  ,  Fra;feHi  juri  dicundo  ,  ed  altri 
Ufiziali ,  e  ritenevano  anche  il  titolo  di  Repubblica  ,  impie- 
gando poi  le  loro  entrate  nel  riiarcimento  delle  mura,  ponti, 
Ferme,  Teatri,  Acquedotti,  Templi  ,  ed  altri  pubblici  Edifi- 
cj.  Sotto  i  medefimi  AugulH  Cnltiani  durò  queita  polizia,  le 
non  che  v'intervenne  talvolta  qualche  mutazione  .  Abbiamo 
nel'Lib.X.  Tit.  3.  del  Codice  Teodofiano  la  Legge  I.  data  nell' 
Anno  3^2.  in  cui  Giuliano  Augnilo   comanda  ,  pojjejjiones  pu- 

C  e      2  blicas 


204 


Dissertazione 


hlìcas  Cì'vitmbus  rcjìttui  .   Anche  Ammiano  Marcellino  nel  Li- 
bro 25.   Gap.  4.   della  Storia  fcrive,  da  efib  Giuliano  FeBigaiia 
Cìnjitatìbus  Ycjììtuta  cum  fimd'is :  le  quali  parole  indicano  ,  che 
le  Cina  godeflcro  rendite,  per  eiempio,  di  Porti,  Ponti,  e  fi- 
mili  altre  Gabelle,  o  d'antico  loro  diritto,  o  aifegnate  dal  Prin- 
cipe ,    affinchè   poteffero  foddisfare  al  bifogno  delle  pubbliche 
fabbriche.  Per  teftimonianza  di  Lampridio,  anche  AleiTandro 
Severo  Auguro  ,  nella  ftefia  forma  fu  liberale  verfo  le  Citta  . 
Veggafi  ancora  Capitolino  nella  Vita  di  Gordiano  .  Leggiamo 
in  oltre  nelfuddetto  Codice  Teodofiano  la  Legge  IL  del  Tir.  pre- 
detto ,   in  cui  Valentiniano  Lnperadore   nell'Anno  372.   Cur'ta- 
libus    omnibus  cojiduceridoniyn  Reipublicce  prtsdiorum   rtc  fahuum 
hìhihet  facuhatem  .   Nella  feguente  Legge  V.   Arcadio  ed  Ono- 
rio Augnili  nell'Anno  400.  comandano,  ut  ad'tficia^  horti  ^  at- 
que  nreas  adium  public arum^   &  ea  Reipublicce  loca  ^  ^ucc  auP  i/j- 
chidu7ìtur  mcenibus  Ci'vitatum  ^   aup  pomosriis  junt  connexa  ^  dati 
legittimamente  in  affitto  ad  uno  ,  non  fi  pollano  torre  loro  per 
darli  ad  altri.   Anche  nella  Legge  1 8.  Lib.  XV.  Tit.I.  fi  trat- 
ta di  rifare  l'opere  pubbliche,  e  a  ciò  vengono  follecitati  i  Go- 
vernatori delle  Provincie  .  ^.odfi  Civitapis  ejus  Kespublica  tan- 
tum in  tenia  penfionis  pane  non  h sbeat  ^  quantum   cceptce  fabri- 
ca  pofcat  impendium  ^  ex  aliarum  Civitatum  Reipublicce  canone 
pFcefumant  .   E   nella  Legge  32.   fi  veggono   elpreffi   reditus  fun- 
dorum  juris  Reipubblicce,    Altre  fimili  Leggi  nel  Codice  di  Giu- 
fliniano  fi  truovano  ;    e   ne' DigelH  il  tit.  8.   Lib.L.   tratta  ds 
tìdminiflratione  rerum   ad  Civitates   pertinentium  .    Vegganfi   il 
Sigonio  ,  il  Gotofredo,  il  Campiani,  ed  altri,  che  di  ciò  hanna 
Icritto.  Preffo  il  Grutero  pag.  1^4.   n.i.  fi  truova  un  Decreto 
di  VefpafianoAugvifto,  che  fcrive  fra  l'altre  cole  ai  Decurioni 
della  Citta  di  Savom  :  VECTIG  ALI  A ,  QU  AE  A  D.  A  VG  VSTO 
ACCEPISSE  (la  voftraCittk)  DICITVR,  CVSTODIO  &c. 
Impadronito  che  fi  fu  d'Italia  Teoderico  Re  de' Goti,   po- 
co mutò  de' riti  e  codumi  del  Governo  de' Popoli,  ficcomePrin^ 
cipe  di  gran  mente  ,  ed  allevato  in  Goihntinopoli  ,  ben  cono- 
fcendo  con  quanta  prudenza  avellerò  i  Romani  regolate  le  pub- 
bliche cofe.   Ma  non  cosi  fecero  i  Longobardi,  allorché  calava- 
no in  Italia  .  Gente  ignorante,  e  fiera  glia  ilo  quell'ordine,  e 
v'introdulfe  la  maniera  del  Governo  ,  eh' effi  portarono  ieco  . 
Deputarono  dunque  al  pubblico  Miniflero  Duchi  ^  ^Giudici  ap- 
pellati pofcia  Co?7^/ ,  Viceconti  ^  Ga/ìaldi  j  Sculdafct  ^  A'zionar}^ 

e  fi- 


D    E   e    I    M    A    O   T    T    A    V   A  .  2O5 

c  fimili  altri  Ufizj  ;  e  quella  forma  del  pubblico  con  poca  mu- 
tazione fu  poi  confermata,  dopo  la  caduta  dei  Re  Longobardi , 
da  ol'lmperadori  Franchi ,  e  Germani.  QLiefti Ufizj  li  conferiva 
il  Re  odimperadore  ;  e  però  chi  gli  godeva  era  appellato  Mini- 
ftro  del  Re  0  dell' Imperadore.  Ora  dunque  s'ha  da  cercare, 
fé  in  que'  barbarici  tempi  fi  truovi  veftigio  alcuno  di  quella  , 
che  o"PÌd\  chiamiamo  Cornimità^  ed  anticamente  era  detta  Kes- 
publicn.  Non  può  negarfi,  nelle  memorie  di  que' Secoli  noi  fo- 
vente  ve^s^iamo  fatta  menzione  à^W^i  Repubblica  ^  àt  Mhiijìri 
della  Repubblica ,  della  Parte  Pubblica ,  de'  Giudici  Pubblici .  Per 
efempio,  in  un  Diploma  di  Berengario  I.  Re  d'Italia  nell'An- 
no Spp.  fi  legge  :  Ut  tiuUus  Judiciarice  potejìatis  Duk^  Marchio^ 
Comes ,  Vicecomes  ,  Sculdajcius  ,  Locopof.tus  ,  aut  qutslibet  Rei- 
publicce  Procurator  &c.  In  un  altro  Diploma  d'elfo  Berengario 
dell' Anno  8c)2.  v'ha  ut  nullus  Dux  ^  Comes  ^  vcl  Mi^iijìer  Rei- 
public^  Scc.  Che  vuol  dire  Procuratore,  e  Miniftro  della  Repub- 
blica ?  Preoccupò  quella  mia  dimanda  Monfig.  Fontanini  nella 
fua  Storia  del  Dominio  della  Santa  Sede  fopra  Parma,  e  Pia- 
cenza; perciocché  nel  §.  12.  Parr.  27.  cita  un  Diploma  di  Car- 
lo Ma^i^no  pubblicato  dal  Campi  nella  Storia Ecclef.  di  Piacen- 
za, dove  fon  quelle  parole  :  Ut  7iullus  Dux  ,  Gajìaldius  ^  njel 
A^ionarius  ,  7iec  quilibet  ex  Minijìvis  Reipubliccs  de  jam  diHa 
Judiciaria  aliquid  Jumere  audeat .  Pensò  quel  Prelato  ,  che  col 
nome  à\  Repubblica  folfe  qui  difegnato  '\\  Ducato  di  Roma ^  e 
XEja)'cato  di  Ravenna  uniti  infieme;  e  che  non  altro  folfero 
i  Minijìri  della  Repubblica ,  fé  non  i  Minijìvi  della  Sede  Apo- 
flolica  .  Cita  egli  in  oltre  un  Diploma  del  fuddetto  Augnilo  , 
rapportato  nella  Cronica  del  Volturno,  dove  fono  nominati  Rc?/- 
publicce  Exacìores,  E  in  uno  di  Lodovico  II.  Imperadore  Reipu- 
bliccs^ Mini/ìri ;  e  una  Bolla  di  Stefano  VI.  Papa  dell'Anno  8pi. 
Reipublicce  Exaóiores  ,  Secondo  lui  nel  fenfo  fuddetto  s'ha  da 
intendere  il  nome  di  Repubblica.  Adduce  ancora  una  Lettera 
di  Romano  Elarco  a  Chiideberto  IL  Re  de' Franchi  ,  dove  di- 
ce, che  Dio  avea  tolto  a  i  Longobardi  Aitino  ,  Modena^  Man- 
tova^ PiacenT^t  ^  e  rimelìe  in  Dominio  San^a^  R.omanc£  Reipu- 
blis:ce ,  Finalmente  Gregorio  II.  Papa  con  fua  Lettera  fcritta  ad 
Orlo  Doge  di  Venezia  gli  fa  fapere  di  prendere  l'armi  per  ricu- 
perareRavenna  prefa  da' Longobardi  per  ritornarla  ad prijìinum 
flatum  SanH'sReipublica; ,  E  S.  Gregorio  Magno  Papa  fi  lamen- 
ta de'  Reipubitccs  Judicibus  » 

Ma 


2o6  Dissertazione 

M  A  ecco  quanto  fia  facile  1'  accomodar  le  cofe  a  i  noflri 
defiderj.  Certo  è  da  ftupire,  come  im  perfonaggio  di  tanta  eru- 
dizione giugnefie  a  fpacciar  tali  cofe  ,  che  non  poflbno  venire 
ie  non  da  chi  quafi  difTì  vuole  apporta  eflere  cieco  .  Primiera- 
mente ad  evidenza  fi  pruova 5  cìiq  Modena^  Pìace?i7:^^  Parmay 
RefTgio^  Mantova^  ed  Aitino  non  furono  mai  donare  da  alcun 
Re  od  Imperadore  a  San  Pietro  .  Baila  leggere  il  Teftamento 
di  Carlo  M.  e  poi  tanre  memorie,  che  fan  conofcere  qucdle  Cit- 
ta del  Regno  -d'Italia.  Veggafi  di  lopra  il  Cap.  II.  Qiie' me- 
defimi  Diplomi,  ch'egli  cita  di  Cario  M.  e  di  Lodovico  IL  Au- 
gufti  compruova.no  quella  veriia  .  (  arlo  M.  concede  al  Velco- 
vo  di  Piacenza  omnem  Judtctarìnm  ,  'vel  omnsm  Teloneum  de 
Cune  Gli' JJi ano  ^  Lodovico  1 1.  gli  dona  parrem  mmt  Publici  y 
&  Vice  ùub lira  ^  e  gli  conferma  Mercata  &  reltqua^  qua  a  reli- 
qiiis  Antecejjorihus.  nojìris  (Imperadori)  collata  funt  jam  fapc 
(itola  Ecclejia  .  Ma  rifponde  Monfig.  Fontanini,  tali  cole  facea- 
Ho  quegli  Augufti  tamquam  Advocati  Romana  Ecdejta  .  Né 
bada,  ch'egli  ci  rappreienta  que' piifìimi  Imperadori,  non  già 
come  Avvocati  della  Santa  Romana  Chiefa  ,  ma  come  lacrile- 
ghi  ufurpatori  de  i  Beni  ,  e  diritti  della  medefima  ,  fé  cola  fi 
foffe  ftefo  il  dominio  delia  ilefla  .  Da  quando  in  qua  farebbe 
ftato  lecito  ad  Avvocati  di  donare  la  roba  altrui,  e  maflima- 
mente  fenza  una  menoma  parola  di  farlo  col  titolo  di  Avvo- 
cati, e  donando  chiaramente  in  vigore  della  lor  propria  auto- 
rità ?  Però  da  que' Documenti  non  fi  può  ricavare  ,  che  il  no- 
me di  Repubblica  importi  il  Dominio  della  Chiefa  Romana  . 
E  molto  meno  dal  Privilegio  dato  al  Monirtero  di  Volturno  , 
fapendofi  ,  che  quella  Bidia  era  fiiuata  nel  Ducato  Beneventa- 
no ,  cioè  in  Luogo  lotropolfo  a  i  Duchi  o  Principi  di  quelle 
contrade,  e  alla  Sovranità  del  Re  d'Italia  ,  e  che  la  Sede  Apo- 
llolica  non  v'ebbe  diritto  temporale  y  fé  non  dopo  la  venuta  e 
conquida  de'Normanni. 

Ma  che  dunque  volea  dire  il  nome  di  Repubblica  in  que' 
reinpi  ?  Significava  il  Principato  ,  il  Regno  ,  f  Imperio  ,  e  il 
Fifco,  de  i  Re  d'Italia,  o  de  gf  Imperadori.  Né  altro  era  jRa- 
mana  Respuhlica^  che  il  dominio  de' Romani  Imperadori;  non 
altro  Minijìri  Exaóluresy  o  pure  Procuratoves  Reipublica  ^  fé  no  a 
i  Miniftri  pubblici  del  Principe,.  ìo'Xq  Re  o  Imperadore,  e  noti 
^^i^  il  Ducato  Romano,  né  l'Efarcato.  Gli  fteffi  paffi,  cheMon- 
ììgnor  Fontanini  recò  per  accreditare  il  fuo  fogno,  lo  diftruggo- 

no. 


Deci  xM  a  o  t  t  ..  va.  2^7 

no  5  purché  fi  aggiunga  ciò  ,  ch'egli  credette  ben  di   tacere. 
Gre'^orio  II.  Papa  elorta  Orlo  Doge  di  Venezia  ad   ulcire   in 
mare  contra  <le  i  Longobardi  ,    u4  ad  prijìinum  ftatiim  Sa;-26ix 
Reipublica   in  Imperiali  fevvitio  Dominorum  fJiorumqtie  nojìro' 
rvim  Leofiis  ,  &  Confìantiui   m^g?iorMm  Imperatorum   ipfa  reijoce- 
tur  RavenrtarÌHm  Civitas  ,    uf  zelo  ,    &   amore  fi  dei   72ofir(e  in 
flatu  Reipiiblicoi  &  Imperiali  fervitio  firme  perfiftcre  ,  Domi?ìo 
cooperante  n^aleamus  .    Qjii  veggiamo  ,  che  Respablica  è  ulato 
in  vece  del  Romano  In4>erio  .  Et  è  da  (hipire  ,  che  il  fuddetto 
Scrittore  vogha  tirar  qua  alcuni  paffi  di  San  Gregorio  il  Gran- 
de, dove  fi  ferve  della  Parola -R^j/?«^/.t/7,  quafichè  quefta  fof- 
fe  riilretta  al  Ducato  Romano  e  ali'  Efarcato  .   Viene  efia  fpi.e- 
gata  da  altri  fuoi  detti.  Nella  Epillola  XI.  Lib.  V.   parla  della 
Pace  da  lui  trattata  co' Longobardi  .  j^riulpbus  ^  dic'egh  ,  toto 
€orde  njenire  ad  Rempublicam  paratus  juit  Ò'c.  Pìifftmo  Dcmino 
figgerò  ,   ut  de  utilipate  Reipubliae  ,  &  caufa  ereptionis  Iralia;  , 
?jon  quibuslibet  aures  prtxbeat  &c.  Ante  CoììJì antinum  Pagani  in 
Republica  Principes  fiere  &c.    Pacem  cum  Longobardis  in  Tu- 
fiia  pofttis  fine  ullo  Reìpublicx  difpendio  ficeram  ,   Nel  Lib. VI. 
Epi(i.  \6,  allo  fteflb  Imperadore  :    Deus  heic  de'vi^iis  hoflibus  ^ 
pacata  vos  imperare  faci at  Reipublica  ,    Epid.  25.   a   Maffimo 
ufurpatore  della  Chiela  di  Salona:  ^od 'vero  indie as^  Sereni f 
ftmos  Dominosy  ut  Ulte  debeat  effe  cognitio^  prx  e  epifite  :  ?ìos  qui- 
dem   nullas  eorum  hac  de  re ,  nifi  ut  ad  nos  venire  debeas  ,  juf 
fiones  accepimus  .   Sed  etft  firfitan  prò  Rei  public  ne  fuse  utilitate  , 
qux  Di'vina  fibi  largitione  concejfa  eft  ,  multa  cogitantibus  ,   eo- 
yum  e  fi  ju  {fio  per  obreptionem  elicita.   Cosi  nel  Lib.  V.  Epift.  41. 
parlando  della  Corfica  ,    "ExaHionum  gravamine  opprefi^a^  dice: 
Unde  fit  ,   ut  derelióla  pia  Republica  poffeJJ'ores  ejusdem  Infila: 
ad    nefandiffimam   Langobnrdorum    gcntem    cogantur    effugere  . 
Nel  Lib. I.  Epift.75.  loda  Gennadio  Efarco  ,  dell'Affrica,  per- 
chè faccia  guerra ,  non  defiderio  fi:ndendi  finguinisy  fod  dila- 
tandce  caujfa  Reipublìca  ,   in  qua  Deum  coli  confiicimus .   Nel 
Lib.  V.  Epift.  30.   a  Maurizio  Augufto  :  Deus  Unga  nobis  &  quie- 
ta tempora  tribuat^  &  pietatis  'oejìrae  fobolem  diu  in  Romana  Re- 
publica florere  concedat  .    Finalmente    fcrive  a  i  Milanefi   nel 
Lib.  XI.   Epifl:.  4.    Unde  pojfunt  alimenta  SanBo  Ambrofio  fir- 
'vientibus  Clerìcis  minifirari^  nil?il  in  hoftium  locis^  fid  in  Sici- 
lia., &  in  aliis  Reipiiblica  partibus  confiftit .  Tralafcio  altri  paf- 
iì,  badando  quelli  per  intendere  ,  che  il  noaie  di  Repubblica 


(igni- 


2c8  Dissertazione 

fignificava  r Imperio  Romano  .  Nei  feiifo  mcdefimo  la  prefe 
CafTiodoro  nel  Lib. 4.  Epi(t. <5.  ed  altrove;  ficcome  ancora  Pao- 
lo Diacono  Lib.  4.  Gap.  37.  de  Geilis  Langob.  con  dire  :  Rem- 
publicam  Roman am  Eraclhts  fufceph  regendam . 

Recano  tali  offervazioni  luce  a  ciò  ,  che  fcriffe  Anaftafio 
Bibliotecario  nella  Vita  di  Stefano  II.  Papa  ,  dove  racconta, 
che  l'Efarcato  di  Ravenna  non  era  (lato  occupato  da  Adolfo 
Re  de' Longobardi  ,  ed  efTerfi  proccurato,  ut  Reipublicce  loca^ 
diabolico  ab  eo  ufurpata  ingenio  ,  proprio  rsflituerst  Domiìio  ;  e 
che  eiTo  Papa  avea  raccomandato  a  Pippino  Re  di  Francia 
caujjam  Bsati  Retri  ,  &  Reipublicce  Romanorum  redderet  jura  . 
Ecco  diftnta  la  Chiefa  Romana  dall'Imperio  Romano.  E  chia- 
ramente fpiega  altrove  eflb  Anaftafio  nella  Vita  di  Papa  Za- 
cheria  cola  egli  iatendefie  di  dire  nominando  la  Repubblica  . 
Imperocché  fcrive,  che  Goftantino  Augufto  donò  duas Majfas ^ 
qua  Nymphas  &  Nor?2Ìas  appella/itur ,  /uris  exijìemes  Reipubli- 
f^,  eidem  SanHiJJimo  Papce  ,  San6l<£que  Romana  E-cclefia  jure 
perpetuo  pojfidendas  .  Se  quelle  Maffe  appartenevano  alla  Re- 
pubblica^ ed  elle  furono  donate  dall' Imperadore  al  Papa,  adun- 
que fotto  nome  di  ì?.c:'/jw/'^//V<;!  veniva  il  Romano  Imperio.  Per 
la  fleffa  ragione  anche  Gregorio  Turonenfe  Lib.  2.  Hill,  fcriffe, 
che  Gelisn'iere  Re  de'  Vandali  in  Affrica  fu  fuperato  a  Repu- 
blica.  Laonde  con  ragione  ebbe  a  dire  il  Valefia  nelle  Annot. 
al  Lib.  16,  Gap.  12.  di  Ammiano  Marcellino:  Imperium  Roma- 
norum  Ammiano  aliisque  Hijloricis  fape  Rempubhcam  abjolute 
nuncupari,  E  il  fopradetto  Anaftafio  nella  Vita  di  Vigilio  Papa 
difle  di  Belifario  :  Veniens  in  fines  Africce  fub  dolo  pacis  inter- 
fecit  Gundarum  Regem  Guandalorum  ^  &  redaHa  ejì  Africa  fub 
Rempnblicam  .  0_uefl:e  fon  cofe  chiare  ;  laonde  mi  dilpenfo 
dal  riferire  altri  pafTì  di  Mario  Aventicenfe  ,  di  Giovanni  Ab- 
bate Biclarenie  ,  di  Procopio,  e  d'altri  tedimonj,  che  concor- 
demente afferifcono  quella  verità  .  Tale  dunque  eifendo  (lato 
l'ufo  di  adoperar  la  voce  Re  s  public  a  per  denotare  l'Imperio, 
e  il  Regno  :  non  è  da  maravi^iiarfi,  fé  Carlo  Magno  ,  e  i  fuoi 
SuccelTori ,  trovato  in  Italia  quefto  modo  di  parlare  ,  lo  riten- 
nero, ed  ufarono  ,  e  non  folo  qui  ,  ma  anche  ne  gli  altri  Re- 
gni loro.  Ed  elTendo  che  troppo  fpeflb  s'incontra  nelle  memo- 
rie d'allora  la  voce  Publicus  ^  come  publici  Judices  ^  Palatia 
publica^  Miniflri  Reipublicce  ^  ed  altre  fimili  m.aniere  di  dire, 
gioverà  il  ricercarne  il  vero  fenfo,  per  poter  intendere  i  Docu- 
menti 


Deci  m  a  o  t  t  a  va.         log 

menti  di  que'  Secoli  .  Il  fuddetto  Carlo  Augnfto  nella  Legge 
Longooardica  121.  dice  d'avere  intefo,  quod  Jii?ìiovesCom'num^ 
'vel  alhwi  Mìnt/ìri  Keipublk^s ^  aliquam  redb'tbinonem ^  quajì  de- 
precando^ aPopulo  exigcrc  j'olea?ìt .  In  un  fuo  Capitolare  Icrive 
omnibus  Ducibus^  Comitibus  ^  C^Jìaldiis  ^  fcu  cunfiis  Reipublìcce 
per  Prov'tnciam  hnliii^  a  nojìra  7nanfuerudine  prgpojitis  .  Queile 
fon  Leooi  fatte  pel  Regno  d'Italia,  e  che  fan  toccare  con  ma- 
no ,  che  non  conveniva  ad  un  perfonaggio  erudito  lo  fpaccia- 
re,  che  altro  col  nome  di  Repubblica  non  fi  voleva  difegnare 5 
che  il  Ducato  Romano,  e  l'Efarcato. 

Erano  dunque  allora  i  M/?z//?ri  della  Repubblica  quei,  che 
altrove  fon  chiamati  Minijìri  Regis  ,  cioè  i  Miniftri  del  Prin- 
cipato .  Ecco  la  Legge  Longobardica  34.  di  Lodovico  Pio  Im- 
peradore  ,  il  quale  comanda  ,  che  le  Decime  a  Mini/Iris  Rei- 
publicdc  exigantur  .  Più  fotto  :  Negligentes  ,  a  Minijìris  Reipu- 
blicce  di/ìriHi  ,  Jinsuli  fex  Solidos  Ecclejice  componant  .  Aggiu- 
one  in  fine  ,  che  fé  coftoro  fi  oftineranno  in  negarle  ,  a  Mini- 
Jìris  Regis  in  cujìodiam  mittantur  .  Ci  lono  altre  Leggi  Lon- 
gobardiche ,  dove  ioxì  rammentati  Miniflri  ,  C^  AHores  Rei- 
publicce  ;  e  van  d'  accordo  con  efie  tanti  Diplomi  de  gli  anti- 
chi Imperadori  ,  dati  fuori  deli'  Efarcato  ,  e  del  Ducato  Ro- 
mano ;  come  anche  il  Concilio  IL  di  Aquisgrana  tenuto  nell' 
Anno  83 <5.  ed  alcuni  Capitolari  di  Carlo  Calvo  ,  ne' quali  tut- 
ti s'incontrano- i  Mi?z//?r/  della  Repubblica^  cioè  i  Miniftri  del 
Principe  ,  fia  Re  od  Imperadore  .  Talmente  è  certa  quefta 
fpiegazione  ,  che  anche  i  Principi  di  Benevento  e  di  Salerno 
fé  ne  fervivano  ne'  loro  Dominj .  In  un  fuo  Diploma  dell'  An- 
no 5?5p.  Gifolfo  I.  Principe  di  Salerno  parla  de  Aquario  antiquo 
(cioè  di  un  Canale  )  nojìns Reipublica  pertinente^  ch'egli  con- 
cede ad  una  Chiefa  .  In  un  Capitolare  di  Sicardo  Principe  di 
Benevento  è  ordinato  ,  che  ninna  Gabella  a  parte  Reipublica 
ìmponatur.  E  preffo  l'Ughelli  ne'Vefcovi  di  Benevento,  Pan- 
dolfo  e  Landolfo  Principi  Beneventani  in  un  loro  Diploma  ufa- 
no  quelle  parole  :  Absque  tdlius  Comitis  ,  Gajìaldei  ,  feu  Judi- 
cum  Reipublicce  inquietudine  .  Chiaramente  poi  fi  fcorge  la 
forza  della  parola  Respublica  in  un  Diploma  di  Arrigo  il  Santo 
Re  d'Italia  nell'Anno  1007.  in  cui  prende  fotto  la  fua  prote- 
zione Landolfo  Velcovo  di  Cremona  colla  pena  a  i  Contraven- 
tori  di  pagare  Cento  Libbre  di  argento  puro  ,  medietatem  ?io- 
Jìrfi  Reipublicce  Ò'  medietatem  &c,  E  Guaimario  IV.  Principe 
To:7?o  I.  Dd  di 


2IO  Dissertazione 

di  Salerno  in  un  Diploma  del  1035.  dichiara,  che  il  Moniflc- 
ro  di  Santa  Trinità,  è  de  Dominio  &  dcfetifione  nof^ra  ^  nojìrjs- 
que  Reipublica  .  Notizie  tutte  ,  che  difhpavano  affatto  il  fo- 
gno fabbricato  fulla  parola  Respublica  ,  appolta  per  foftenere 
altri  fogni. 

Truovansi  poi  ne  gli  antichi  Diplomi  Reipublica  ExaBores, 
Il  Du-Cange  nei  Gloflario  crede  fignificati  con  ciò  1  Publicatìi 
vili  efattori  delle  rendite  del  Principe  .  E  non  fi  può  dubita- 
re, che  fon  comprefi  lotto  quefta  voce.  A  me  nondimeno  iem- 
bra  verifimile  ,  di' ella  abbracciaffe  anche  tutti  i  Miniftri  del 
Fifco ,  e  Patrimonio  Regale  ,  cioè  Aóìores  ,  Agentes  ,  ABiona- 
rios  y  Procuratores  Kàpublicce  ,  ed  altri  fimili  Ufizj  Fifcali  .  Ma 
quello,  che  non  si  totio  alle  volte  s'intende,  fi  è  la  menzione 
Partis  publica  ,  fembrando  ,  che  quefta  fia  cofa  diftinta  dal 
Fifco  Regio  .  In  un  Privilegio  deli' Annop78.  in  cui  Ottone  IL 
Auguilo  conferma  i  fuoi  Beni  al  Vefcovato  di  Cremona  ,  fi 
legge  :  Ut  mdlus  publiae  ,  ai'it  Regine  Partis  Procurafor  &c.  Se 
fecondo  noi  la  Parte  Pubblica  fignifica  il  Fifco  Regio  ,  perchè 
fi  mette  qui  la  diftinzione  Public<^^  aut  Regine  Partis  Procura- 
tor?  Ma  per  fola  maggior  dichiarazione  tengo  io  per  aggiun- 
ta la  ^2iX (Ad.  Regine  .  In  fatti  nello  fleffo  Documento  fi  legge: 
pertinentem  ad  no flram  Public am  partem  ,  E  più  lotto:  ^uid- 
quid  ad  Publicam  partem  pertinens  ,  Imperiali  largitate  ejusdem 
Ecclejìne  ejì  contraditum  Pontificio  .  Donavano  gì'  Imperadori 
i  Beni  fuoi,  e  non  li  altrui.  Finalmente  viene  ivi  determina- 
to, 7ìemo  Comes  ^  Vicecomes^  Sculdajcio^  Gajìaldius  ^  Decanus  ^ 
Publiae  ^  &  Imperialis^  aut  Regine  partis^  tenga  Placiti  in  que' 
Beni  .  Con  tre  diverfe  parole  viene  fignificata  la  medefima 
cofa .  OiTervifi  la  Legge  24.  del  Re  Liutprando  Lib.  VI.  Trat- 
tafi  quivi  de  poffejjione  ^  quam  aliquis  de  Publìco  habet.  Che 
vuol  dire  quello  Pubblico  ?  Non  altro  che  il  Fifco  del  Re  . 
Imperocché  a  confermar  quel  poffefTo  dee  giurare  il  poflefib- 
re  ,  aut  de  [e  ,  aut  de  patre  ,  aut  de  avo  ,  quod  ipfa  res  per 
Principem  data  fuijfet  .  E  più  di  fotto  :  Si  aliquid  de  Servo  ^ 
aut  Aldione  Regis  comparaverit  (Hyc,  relaxet  ipfam  in  Publico  , 
cioè  al  Fifco  Regio.  PrelTo  l'Ughelli  ne'Vefcovi  di  Parma  Ro- 
dolfo Re  d'  Italia  nell'  Anno  ^24.  dona  al  Vcfcovo  di  quella 
Citta  quamdam  Curtem  juris  Regni  ììojìri  ,  cioè  Sabbioneta  , 
qune  femper  ìioflrne  Regine  ,  &  Publicne  parti  pertinuit  ,  &  de 
nojìra  potejìate  &  Dominio  inejus  potejìatem  &  Dominium  om- 

nino 


Decimaottava.  211 

jjho  transfundìmus  .  Ecco  dunque  chiaramente  efpreffo  ,  che 
Parte  Publlica  ,  era  appellato  il  Filco  de  i  Re  ed  Imperado-. 
ri-  e  tanto  più  perchè  in  varj  Diplomi  di  Carlo  Magno  s'in- 
contra Nullus  Jtid'jx  Publkus  Fifa  7ìoflrt  &c.  Tralalcio  altri 
Documenti  5  tutti  coerenti  a  quello  fignificato,  perchè  di  più 

non  occorre . 

Parimente  s'  incontra  ne  gli  antichi  Documenti  Judìtiarìa 
Poteflas,  In  uno  Strumento  dell'Anno  774.  il  quale  ha  dato 
anta  a  me  di  cercare  il  principio  deli' Epoca  Longobardica  di 
Carlo  Maj^no  ,  fi  le^ge  :  Ut  ?jiillus  qutslibet  e>c  Judiciarìa  Po- 
tè fiate  &c.  inquietare  ^  aut  calum7iiam  generare  prafumat ,  Ab- 
braccia quella  parola  tanto  i  Conti  ,  che  tutti  gli  altri  Mini- 
fìri  della  Giuftizia  .  Non  ho  in  tanto  ritrovato  finqui  nionu- 
inento  alcuno,  onde  fi  pofla  inferire,  che  ne' Secoli  barbari- 
ci le  Cittk  d'ItaHa  godefiero  il  privilegio,  ulato  ne' tempi  di 
Roma  Dominante,  cioè  di  far  Corpo,  Comunità,  o  Comune, 
e  di  elespere  Ma^iftrati  .  Contuttociò  non  lalcio  io  di  fofpet- 
tare  ,  che  nelle  medefime  i  Cittadini  aveuero  qualche  forma 
di  s\  fatto  rito  .  E  i  motivi  fon  quefli  .  Comanda  Lottario  I. 
Augufto  nella  Legge  48.  che  i  Mefiì  Regj  depongano  gliSca- 
bini  cattivi  ,  &  cum  totius  Popuìi  confenfu  in  eorum  loco  bonos 
eligsnt.  Adunque  all'elezion  de  gli  Scabini  concorreva  il  con- 
fenfo  del  Popolo  ,  ed  elTendo  eglino  flati  un  Magiflrato  parti- 
colare del  medefimo  Popolo  ,  lembra  pure  ,  che  quefto  rite- 
nefle  qualche  fpecie  di  autorità.  E  come  potea  il  Popolo  eleg- 
gerli, fé  non  v'era  qualche  Ordine,  Collegio,  od  Univerfita, 
dove  prefedeflero  Magiftrati- ,  che  regolaffero  quefta  faccenda? 
Apparteneva  anche  al  Popolo  il  rifacimento  viarum  ^  portuunjy 
Ù^pontium^  e  talvolta  dd  Pai a7^  Regio ^  come  appanfce  dal- 
la Legge  41.  del  medefimo  Lottario.  Sotto  la  Signoria  de'Ro- 
mani  lo  fteflb  pefo  era  addoffato  alle  Citta,  le  quali  per  que- 
fto  poffedevano  Stabili  e  gabelle  .  Sembra  ben  giudo  l'opina- 
re, che  ufanza  tale  continuaffe  anche  fotto  i  Re  Longobardi , 
e  fotto  gl'Imperadori  Franchi.  Aggiungafi,  che  da'  primi  tem- 
pi della  Chiefa  fino  al  Secolo  XllL  anche  il  Popolo  concorre- 
va col  Clero  all'elezione  de' Vefcovi .  Abbondano  le  mem.orie 
comprovanti  ,  quella  effere  lìata  elezion  Canonica  del  Vefco- 
vo,  che  con  voti  concordi  fi  facea  dal  C/^ra  ,  e  dàìh  Plebe y 
cioè  dal  Popolo  .  E  San  Gregorio  M.  nell'  Epift.  58.  (  era  una 
volta  la  55.  )  fcriffe  :  Arjìcino  Duci  (  cioè  al  Governatore  del- 

Dd     2  la 


5 


2T2  Dissertazione 

la  Citta)  Clero  ^  Ordhìi ^  &  Plebi  Cl'uhat'ts  Arìmmenjls ^  afiìn- 
chè  eleggeffero  per  loro  Vefcovo  il  più  degno  .  Nel  Lib.  2. 
Epift.  (5.  nei  medefimo  fenfo  fc ri fie  C/^ro  ,  'Noh'tlthus  ^  Ordini 
&  Plebi  conjìftenttbus  Neapoli^  come  ancora  altrove  C/^ro,  0/ 
dìfìi  5  &  Plebi  co7ififlenti  Croton^e ,  Panarmi ,  'Nej)(js ,  ^fn ,  Ter- 
racini &€.  Qiiefta  era  la  formoLi  uTuale  delia  Cancelleria  Apo- 
fìolica.  Pare  che  i  nomi  Ordinis  &  Plebis  coftituifTero  due  come 
Corpi  e  Collegi  della  Cittadinanza,  l'uno  à^  Nobili ^  appellati 
pofcia  Milipesj  e  l'altro  del  Popolo  inferiore  .  Notano  i  Padri 
Benedettini,  che  il  titolo  della  fuddetta  Epiftola  VI.  ne'MSti 
ha  folamente  Clero  .^  Nobilibus^  &  Plebi  ^  conjìjìentibus  Neapo- 
li  ;  e  però  quel  Nobilibus  fembra  lo  fteilp  che  Ordini  .  Tutta- 
via farli  lecito  ad  altri  F  intendere  colla  voce  Orda  i  Magiftra- 
ti  ed  il  Senato  (  fé  pur  v'era  )  delle  Citta.  Quella  parola  fot- 
te i  Romani  fi^nificava  i  Decurioni  e  il  Senato  .  Per  altro  col 
folo  nome  di  Populus  ,  fovente  fi  truovano  comprefi  tanto  i 
Nobili  ,  che  la  Plebe  .  Veggafi  la  Lettera  32.  di  San  Grego- 
rio Magno  ,  e  il  Concilio  Romano  fotto  Niccolò  I.  Papa  ,  in 
cui  fu  decretato  ,  che  1'  Arcivefcovo  di  Ravenna  non  confe- 
craffe  Epifcopos  per  j^miliam  ,  nijì  pojì  EleHionem  Ducis^  Cle- 
ri^ &PopuH, 

NiUNA  difficulta  ho  io  a  credere,  che  nelle  Citta  poco  fa 
mentovate,  ficcome  tuttavia  ubbidienti  all'Imperio  ne' tempi 
del  Santo  Pontefice  Gregorio  ,  né  occupate  da  i  Longobardi  , 
duraife  quella  forma  di  Comunità  ,  o  fpezie  di  Repubblica  , 
che  dicemmo  ufata  ne' precedenti  Secoli.  Spezialmente  in  Ro- 
ma Senatus  Pcpulusque  ILomanus  concorreva  col  Clero  all'  Ele- 
zione del  Romano  Pontefice.  Ma  delle  Citta  fottopofte  a' fud- 
detti  Longobardi  che  è  da  dire  ?  Noi  troviamo  ,  che  San  Gre- 
gorio fcrive  r  Epiflola  IV.  del  Lib.  XI.  Populo  ,  Presbyteris  , 
Diaconis^  &  Clero  Mediolanenji  ^  compiagnendo  la  morte  dell* 
Arcivefcovo  Conflanzo  ,  ed  un'altra  a  i  medefimi  collo  fteffo 
titolo.  Se  non  v'era  allora  nelle  Citta  figura  alcuna  di  Comu- 
nità e  di  Ordine  ,  fotto  qualche  Magiftrato  :  chi  del  Popolo 
avrebbe  ricevuto  e  letto  le  Lettere  Pontificie,  e  date  le  rifpoile? 
Anche  Giovanni  Vili.  Papa  nell'Epiftola  IV.  fcriffe  Clero  ^  Or- 
dini^ &  Plebi  Valvenfts  Eccleft^e,  Quella  Citta  era  allora  fotto 
il  Dominio  de  i  Principi  Longobardi  .  Ed  eflb  Pontefice  nelf 
Epifl.  260.  fcritta  ad  i^nfperto  Arcivefcovo  di  Milano  ,  parla 
di  ordinare  il  Vefcovo  d'Adi  poft  eleóiionem  Cleyi ,  &  expetio- 

ncm 


Decimaottava.  2rj 

nem  Poptili  .  E  nelT  antico  MSto  Pontificale  Romano  fi  legge 
Epiftola  Fopuli  ,  &  Cleri  ad  Dom?ium  Apofloltcum  ,  qua  petimt 
confacrat'wìu-m  ElcHi  .  E  in  un  riguardevole  Strumento  di  con- 
cordia fra  il  Velcovo  di  Alife,  e  Landone  Longobardo ,  Ipet- 
tante  all'Anno  1020.  fi  legge  :  avere  Alfa?2us  Archiepijcopus 
fcritta  una  Lettera  Clero  ^  Órdini^  &  Plebi  conftftemi  in  Alifs» 
Potrebbono  quefte  poche  notizie  inf  nuare  ,  che  anche  ne'  Se- 
coli prima  del  Mille  anche  il  Popolo  formafìe  un  Corpo,  non 
privo  di  qualche  regolamento  e  Magiftrato  .  Preflb  il  Campi 
nel  Tomo  L  della  Storia  Ecclef.  di  Piacenza  noi  troviamo  il 
Decreto  Cleri  &  Populi  Piacentini  dell'elezione  di  Guido  Ve- 
fcovo,  in  cui  per  ordme  fi  ibttolcrivono  \  Preti  ^Diaconi  ^Sud- 
di  acorii  ^  ^à.  Acoliti  ^  e  finalmente  ventilei  e  Populo  ,  Forfè  que- 
lli furono  i  Caporioni  ,  e  Rettori  d'elfo  Popolo  .  E  Giovanni 
Velcovo  di  Modena  facendo  una  Donazione  nelf  Anno  ^p8.  al 
Moniìtero  di  S.  Pietro  da  lui  fondato,  fi  efori  me  di  far  quefio 
cum  Confenfu  &  notitia  omnium  ejusdem  SanBof  Mutinenfts  Ec- 
clefice  Canonicorum  y  ejusdemque  Ci'vitatis  Militum  acPopulorum , 
Qv^tiio  intervenire  e  confentire  non  iolo  il  Clero  ,  ma  anche  i 
Militi^  cioè  i  Nobili,  e  il  Popolo  ai  gravi  affari  della  Citta  , 
non  è  lieve  indizio  ,  che  anche  allora  il  Popolo  godelie  qual- 
che autorità  ,  e  riteneffe  alcuna  forma  di  Comune  .  Così  noi 
vedremo  nel  Capitolo  XLV.  che  il  Popolo  di  Modena  godeva 
Bona  Communalia  nell' Anno  1 014.  Noi  ora  fiamo  allo  Icuro 
de  gli  antichi  affari  particolari  delle  Citta  prima  del  Mille  y 
perchè  fon  periti  tutti  gli  Archivj  vecchi  delle  medefime.  Ma 
il  poco,  che  refta,  da  molti  indizj  ,  che  anche  allora  la  Citta- 
dinanza fi  poteffe  raunare,  aveffc  Ordine ,  eMagidrati,  e  pof- 
fedelfe  Beni  (labili  in  Comune.  Ne' Veicovi  di  Cremona  fUghel- 
li  rapporta  una  Lettera  icritta  neU'Anno  1048.  cunHo  Populo 
Crcmoncnji,  Infatti,  vivente  ancora  Corrado  L  Augufto,  an- 
zi fotto  Arrigo  L  Imperadore  fui  principio  del  Secolo  XL  quel 
Popolo  avea  cacciato  Landolfo  Velcovo  di  quella  Citta,  perchè 
creato  Conte,  cioè  Governatore  della  medefima  ,  con  troppa 
l'uperbia  efercitava  quel  minillero  .  De  i  Cremonefi  così  par- 
la il  iuddetto  Corrado  L  Imperadore  in  un  Diploma,  pubbli- 
cato dal  medefimo  Ughelli  :  Cìvttatem  'veterem  a  fundamen- 
tis  ohrucrant  ,  f^  aliam  majorem  contra  Imperialis  honoris  Jìa- 
tum  (sdificarant  ,  ut  ipfi  Auguflo  rejijìerent  .  Anche  il  Popo- 
lo di  Milano  (  ficcome  noi  vedremo  al  Cap.  XLV.  )  fi  ri- 
voltò 


214-  Dissertazione 

voltò  ne  gli  ftefTì  tempi  centra  del  loro  Arcivefcovo  Eriberto . 
Né  voglio  tacere,  leggerfi  nelle  memorie  della  Bafilicai^mbro- 
fiana  del  Puricelli  un  Diploma  di  Carlo  il  Groffo,  pretefo  deli' 
Anno  88 1.  dove  fon  quelle  parole  :  Nullus  fc'dicep  Epijcopus  ^ 
Are  hi  e  pi fc  opus ,  Dux  ,  Marchio  ,  "jel  Communitas  ,  nliquam  mo- 
Icjìiam  et  Moìiafterio  infcrat .  Se  fofìfe  legittimo  queito  Docu- 
mento, noi  avremmo  anche  nel  Secolo  IX.  ciò,  che  finqui 
abbiam  cercato.  Ma  in  que' tempi  non  fi  foleva  ufar  quello 
nome;  e  verifimilmente  in  vece  ò^i  Comimmit  as  ^  ivi  s'ha  da 
leggere  Comes .  Oltre  di  che  in  effo  Diploma  s' incontrano  fe- 
gnali  di  merce  illegittima  ,  perchè  vi  s'intima  la  Scomunica: 
il  che  è  contro  dell'  ufo  ;  e  vi  comparilce  Signum  Anfprandi 
Cancellava y  &  Gnidonis  Epifcopi  ^  &  Bofonis  in  una  loia  riga. 
Sottofcrivono  ancora  altri  Veicovi ,  e  Rifus  Cardinalis^  &  Pe- 
trus Viceco-mes :  tutte  cofe  nulla  conformi  ai  Riti  dell'Impe- 
riale Cancellaria  .  Né  gli  Scrittori  Pavefi  conobbero  in  que' 
tempi  un  Guido  Vcfcovo  di  Pavia.  Tralafcio  altri  fimili  nei  . 
Merita  anche  menzione  laFormolaVII.  preffo  Marcolfo  Scrit- 
tore del  Secolo  Settimo ,  conceputa  con  quelli  termini  :  Dom- 
710  ilio  Regi  Commurie  illius  ,  cioè  Civitatis  .  Domanda  ivi  il 
Popolo  un  SuccefTore  del  Vefcovo  defunto  .  Ma  ivi  quella  pa- 
rola altro  non  fignifica  ,  fé  non  Ordo  ,  &  Plebs  Civitatis  ,  co- 
me fi  codumava  da  tanti  altri  ;  e  fi  può  anche  dubitare,  che 
il  tede  di  Marcolfo  non  fia  ivi  affai  corretto  .  Ma  quando  cosi 
abbia  fcritto  quel!'  antico  Autore  ,  fi  viene  a  fcorgere  più  di 
quel  che  pareva  antico  il  nome  di  Comune  ,  o  Comunità  delle 
Citta;  e  quello  poi  porterebbe  feco  qualche  autorità  del  Popo- 
lo nel  Governo  Civile.  Qiianto  poi  s'è  finora  offervato  ,  s'  ha 
da  unire  con  quello  che  diremo  al  Cap.  XLV»  della  forma  di 
Repubblica  prefa  dalle  Citta  d'Italia. 


Ds 


D    E   e    I    M    A    N    O    N    A  ,  215 

t\j^(K^^<sja!^c*J3^c\^!t^t\jSt*i  jVjfe/»cvìfe/:cV!Si/»cV!fe^.c«J8>jc<jfc^  <M!^tv.!l^cV£><cMi^e\dt^ 

De  Tributi  ,  delle  Gabelle  ,  e  di  altri  oneri  pubblici' 

de'  Secoli  barbm'ici , 

DISSERTAZIONE   DECIM ANONA  . 

ìErchiamo  ora,  diche  fi  nutrifTe  una  volta  il  Regio  Fi- 
fco.  Ninno  de' Principi  ebbe  mai  biiogno  di  Maeftri  o 
di  Libri  per  imparare  a  raccogliere  danaro  ,  tributi  ,  o  fufTidj 
dal  Popolo,  per  ibftenere  la  propria  Dignità  ,  e  per  le  neceffi- 
ta  della  guerra,  e  per  altre  pubbliche  occorrenze.  Qj-iefto  è  un 
meftier  facile  per  chiunque  ha  Popoh  fudditi  ,  ubbidienti  ,  ed 
avvezzi  a  portar  il  giogo  .  Però  anche  ne' tempi  de' Longobar- 
di, Franchi,  e  Germani  fignoreggianti  in  Italia,  furono  in  ufo 
i  Tributi,  che  fi  pagavano  dal  Popolo ,  o  in  danaro  contante, 
o  in  naturali.  Sembra  ancora,  che  vi  foffcro  D/?:^/,   o  Gabelle^ 
che  fi  rifcuotevano  per  introduzion  delle  merci,  e  d'altre  cofc 
venali  o  alle  porte,  o  a  i  porti,  o  nelle  vie,  ne' ponti,  e  paffi 
de' Fiumi  ,  che  fi  chiamavano  Porteria  .   In  oltre  non  lieve  era 
il  provento  ,  che  fi  ricavava  dalle  frequenti  Condanne  e   pene 
pecuniarie.  Ag^iungafi ,  che  non  mancavano  C^;?/?  q  Fondi  ^ 
Spettanti  al  pubblico  o  privato  Erario  de  i  Re  ,    come  Corti , 
Selve,  Sahne,  Miniere,  Laghi,  e  Fiumi  fecondi   per  la  pefca- 
gione  .  Finalmente  v'erano  altri  Oneri  pubblici  ^  che  nulla  frut- 
tavano alla  boria  del  Principe  ,  ma  coftavano  molto  danaro  ed 
incomodo  al  Popolo.  Qj.iali  fodero  le  Gabelle,  e  i  Tributi  fot- 
to  gli  antichi  Romani,  fi  può  vedere  in  un  Libro  di  queflo  ar- 
gomento già  pubblicato  dal  Chiarifs.  Pietro  Burmanno.  Qiian- 
to  alla  Capita:s:joney  o  fia  Tejìatico^  o  Cenfo  perfonale,  da  pa- 
garfi  da  ogni  uomo  ,  fu  quella  talvolta  in  ufo  preiTo   i  Romani. 
Non  è  ignoto  quefto  pelante  Tributo  preffo  qualche  Nazione 
né  pure  a'  di  noflri  .    La  loia  Plebe  una  volta  lo  pagava  .  Ma 
che  al  fuo  tempo  vi  foffero  obbligati  anche  i  Nobili,  pare  che 
fi  poffa  ricavare  da  Apollinare  Sidonio  .  Se  poi  ne' Secoli  fulTe- 
guenti  l'Italia  fottopoiia  a  i  Barbari  lo  pagalfe,  mancano  a  me 
lumi  per  afierirlo  o  negarlo  .  Non  ne  parlano  le  Leggi  Longo- 
bardiche ,  e  reftano  troppo  poche  memorie  di  que' tempi  per 
chiarire  varj  punti  del  Governo  di  allora  .    Sappiamo  bens'i  , 
che  i  Greci  Augufti  praticarono  talora  fra  tanti  altri  infoifribili 

aggra- 


2]6  Dissertazione 

aggravj  anche  il  TeRatico  .  Anaflafio  nella  Vita  di  Papa  Vi- 
taliano ,  fcrive  di  Coflantino  o  fia  Collante  Augnfto  all'An- 
no 66S,  Habìtavh  in  Cl'vìtate  Syracnjana^^  &  tnlem  affligli onem 
pofii'tt  in  Fopulo  ,  jeu  hahttatorihus  Calabrics  ,  Sicili<^  ,  Afridc  , 
Sm'diniae  ,  per  Diagvnpha^  jeu  Capita  ,  atque  nauticationes  per 
an7ìos  plurimos  ^  quales  a  Scectdo  7ìo7ì  fuerunt  ,  Truovafi  nel  Li- 
bro IV.  Epid.  217.  di  Bonifazio  VII L  Papa  T^/T^mw  pratica- 
to in  Cipri,  ed  è  lo  fteiTo ,  che  la  Capitazione. 

Ne^  pure  so  io  francamente  dire  ,  fé  fotto  i  Re  Longobardi, 
ed  Imperadori  Franchi  fi  pagafle  Tributo  per  le  terre  in  Italia. 
Abbiamo  bensì  la  Legge  31,  di  Lodovico  Pio  Augufto  con  que- 
lle parole  :  ^uicwjìque  Tributariam  terram  ,  unde  Tributum  ad 
partem  ììojìram  exire  folebat: ,  'vel  ad  Ecclejiam  ,  'vel  cutlibet 
alteri  tradiderit  :  is  qui  eam  fufcepit ,  Tributum  ,  quod  inde 
folebat  Jolvere  j  omìitmodts  ad  partem  nojìram  fol'uat  :  ?iijì  forte 
talem  fìrmitatem  habeat  de  parte  Jiofìra  ,  per  quam  ipfum  Tri- 
butum Jibi  perdoììatum  poffit  offendere .  Ma  qui  la  Terra  Tri- 
butaria ,  altro  non  vuol  dire  ,  che  Terra  Cenfualis  ,  di  cui  fi 
parla  nella  fuRlgiiente  Legge  ,  cioè  quella  ,  che  fi  donava  o 
concedeva  a  Livello  ad  alcuno  con  obbligo  di  pagare  l'annuo 
Cenfo  .  Di  queda  confuetudine  abbiamo  varj  elempli  preffo 
gli  antichi .  Nella  Legge  Salica  Tit.  83.  de  Honiicid.  Ingenuor. 
Cap.  8.  leggiamo  :  Si  quis  Romanum  Tributarium  occiderit  , 
mille  oBingentìs  Denariis  culpabilis  judicetur .  Di  qua  inferi  il 
Pitheo  nei  Gloffario  della  Legge  Salica,  che  i  Romani  ioli  era- 
no Tributar;  in  Francia  ;  nec  enim  Tranci  ingenui  pendebant 
Tributum  .  In  pruova  di  ciò  adduce  un  paffo  di  Gregorio  Tu- 
ronenfe ,  il  quale  nel  Lib.  VII.  Cap.  15.  della  Storia  Franzefe 
fcrive  :  Ipfe  multos  de  Francis  ,  qui  tempore  Chil deberti  Kegis 
Senioris  Ingenui  fuerant  ^  publico  Tributo  fubegit  .  Di  tal  parere 
fu  anche  il  Du-Cange.  Ma  non  è  ben  chiaro,  fé  i  ioli  Roma- 
?//",  cioè  i  difcendenti  da  coloro  ,  che  prima  della  venuta  de' 
Franchi  abitavano  nelle  Gallie,  pagaffero  Tributo,  da  cui  foi- 
fero  eienti  tutti  i  Franchi  Ingenui  ,  cioè  nati  Liberi  .  Il  dire 
Romanus  Tributarius^  verifimil  cola  è,  che  Ggnifichi  uomo  pro- 
feflante  la  Legge  Romana,  e  poffidente  qualche  podere,  obbli- 
gato a  pagar  Cenio.,  o  fia  Tributo  al  Padrone.  Qiieiii  tali  era- 
no chiamati  a.nchc  Benéficiarii  ^  né  s'hanno  da  confondere  co 
i  Romani  Ingenui  e  Liberi ,  poilefTori  di  Beni  proprj  .  Si  offer- 
vi  ivi  un'altra  Legge  ,  Per  l'uccifione  di  un  Romano  Tributa- 
no 


D    E   e    I    M    A    N    O    N    A  .  IIJ 

rio  la  pena  è  taffata  quadragifita  quìnque  Solidìs  .  Si  vero  Ro- 
mrì?7iis  honw  pojj'ejfor  ^  hoc  eft  qui  res  propri as  pojjt  dui;  (  cioè  No- 
bile ed  Ingenuo  J  uccidere  alcuno,  Soìidis  centum  culpnb'dìs  ju- 
dicetur  .  Due  forte  adunque  v'erano  di  Romani  ,  né  è  da  in- 
ferire, che  tutti  i  Romani  follerò  Tr//'//^/7r/;  ,  ma  si  bene  che 
alcuni  o  molti  di  effi  pofledevano  Terre  Tributarie  ,  cioè  fug- 
hette a  pagar Cenfo,  ne  proprie  di  loro.  In  un  Placito  tenuto 
in  Cremona  nell'Anno  pio.  da  Gaufone  Vaffo  e  Meifo  del  Re 
Berengario  I.  Landò  Veicovo  di  quella  Citta  fi  lamenta  ,  per- 
chè l'Avvocato  Curtis  Dom?ii  Kegis  Auce^  que  dicirur Magiore^ 
qiierit  nobis  Cenfurn  Solidoruyn  feptem  ,  Ò'  dimidio  prò  Silvis  , 
&  Terris  a  parte  ipftus  Curtis  &c.  che  era  ftata  donata  al  fuo 
Vefcovato  .  Ivi  dunque  fi  tratta  di  Terra  Tributaria .  Alcuni 
errori  dell' Ughelli  ne' Vefcovi  di  Cremona  fi  poifono  corregge- 
re coli'ajato  di  quello  Placito. 

Truovasi  poi  nelle  vecchie  Carte  menzione  Glandatici^  ner- 
batici ,  Efcatici  Ù'c.    cioè  di  un  Cenfo  ,  e   non  di  un  Tributo  , 
che  fi  pagava   pel  godimento  della  facoltà  di  poter  pafcere  i 
Porci  nelle  Selve  del  Fifco  chiamate  Pubbliche  .  Nel  Capito- 
lare di  Sicardo  Principe  di  Benevento  ,  rapportato  da  Camillo 
Pellegrini,  ilCap. XXIX.  è  intitolato  :  Ut  -non  tollatur  a  Ter- 
tiatoribus  Excufaticum  &  Porcos  .    Penfano    alcuni  ,    che  quivi 
s'abbia  a.  ìcggQYQ  Excujfaticum ^  Siìtn  Exclufaticum  :  conietture 
infulfiftenti .   Vi  fi  dee  riporre  Efcaticum  forfè  ob  Porcos  .    Per- 
ciocché fi  ufava  Efca  anticamente  per  fignificar  la  Ghianda  , 
o  fia  il  cibo  de'  Porci .  In  uno  Strumento  della  Cronica  del  Vol- 
turno ,  fpettante  all'Anno  pyi.  fi  legge  :  ^i  vero  porcos  ha- 
huerint  ,    ex  eis  dent  Efcaticum  de  undecim  porcos   unum  .    Da 
quello  Cenfo  per  poter  pafcere  i  maiali  ne'  bofchi  Regj  furono 
efentati  i  Monaci  di  Farfa  da  Lodovico  Pio  Augufto  ,    come 
s'ha  dalla  Cronica  di  quel  Moniftero ,  dicendo  lo  Storico:  Om- 
elìa ammalia  hujus  Moriaflerii   in  jinibus  Ducatus  Spoletani  per 
pafcua  Publica  omni  tempore  pabulare  debeant    vel  nutriri  fine 
Datico  ,  Herbatico  ,  Efcatico  ,  vel  Glandatico  .   Cosi  da  un  Di- 
ploma di  Ottone  il  Grande  in  favore  di  que'  Monaci  ,  è  con- 
ceduta il  i^s  pabulandi  fine  omni  Datione    (  ora  Dazio  )    Ca- 
ftaldatico  (  regalo  ,  che  efigevano  i  Gaftaldi  Regj  )  Efcatico  y 
Erbatico^  Glandatico:  nomi  diverfi   per  fignificar  lo  lìelfo. 

Parimente  abbiamo  un  Privilegio  conceduto  nell'Anno  ppS. 
&d  Antonino  Vefcovo  di  Piltoia  da  Ottone  III.  Imperadore  , 
Tomo  L  E  e  in 


2i8  Dissertazione 

in  cui  è  ordinato  ,  che   niuno  fupra  Terram  ejusdem  Eccleftce  ve- 
ftàent'ihus  Fodrum  ,   au(  Toloncum  ,  'uel  Ripat'icum  ,  njel  Alpati- 
cum  tollera  prcefumat.  La  voce  Alpapìcum   probabilmente  figni- 
fìcò  il  Genio,  che  fi  pagava  alla  Regia  Camera   per  poter  pa- 
Icolare  le  pecore  nell'Alpi.  Terratico  anche  appellato  il  Gen- 
io, che  ripagava  da' Villani  coltivanti  le  terre  altrui,  con  da- 
re per  elempio  tante  (laia  di  grano  ,    miglio  ,    orzo  ec.    Alle 
volte  nondimeno  fi  Icorge  effere   flato  in  qualche  Luogo    una 
forta  di  pubblico  Tributo  .  Gome  atteda  Falcone  Beneventano 
all'Anno  1137.  Ruggieri  Gonte  di  Ariano  promiie  di  non  efi- 
gere  in  avvenire  da  1  Beneventani  de  ctmH'ts  eorum  hereditati- 
bus  fidantìas ^   angaì'tas  ^   Terrat'tcum  ,   olinjas  ,  'v'tnum  ,  falutss  , 
nec  v.llam  Dationcm  jcilicet  de  Vme'ts  ,   terrts  afpr'ts ,  Jìlvis ,  ca- 
Jìnneth^  &  Ecclejìis  ,  Et  lìberam  facultatem  tribuit  in  bere  dì- 
tat'tbus  Beneventanorum  'venandì ^   aucupand't  &c.   Mira   quante 
maniere  aveva  coftui  di  pelare  i  Ridditi  fuoi.  Sotto  i  Re  Lon- 
gobardi e  Franchi  non  appariice,  che  i  Popoli  rifen  ti  fiero  tan- 
ta quantità  di  aggravj  .  Se  vi  foffero  (lati,  ne  i  Privilegj  da  lo- 
ro conceduti,  ne  apparirebbe  qualche  veftigio  .  Ma  perciocché 
il  Mondo  va  inclinando  al  peggio  ,  andarono  creicendo  anche 
in  Italia  i  pubblici  pefi .   Gita  il  fuddetto  Falcone  un  Privilegio 
conceduto  nel  11 37.  dal  Re  Ruggieri  al  Popolo  di  Benevento, 
con  rilafciare    ad   efii   F'idanttas  ,    videlket  de?7ariorum    reditus 
(forfè  aggravio  importo  [opra  i  Danari  dati  ad  ufura)  Salu- 
fesy   angariasi   Terrattcum  ^  Hcrbattcum  ^  Carnaticum  ^  Kaleìjda- 
tìcum^  njinum^  olìnjas^  rele'uum  &€.  Gosi  nell' Anno  io2(?.  Cor- 
rado L  Augufto  ,  come  s'  ha  dal  Torno  V.  delf  Italia  facra  , 
conferma  al  Vefcovo  di  Emora  ,  oggid'i  Città  nuova  ,  Villana 
SanHi  Lnurentii   cum  Plncitis^  Ù'  DiJìriBibus^  Colleclis^  ÌT  An- 
gariis ,  Foro ,   Suffragio ,  Herbatico ,  Efcatico ,  omnibusque  publi- 
cis  fruBuationibus  (  s'ha  probabilmente  òa^ìcggere  fu?2Óiionibus  ) 
&  pertinentiis.  In  un  Privilegio  di  Federigo  I.  Augnilo  fi  vede, 
che  gh  Arimanni  o  fia  Milites  ,    cioè  i  Nobili  ,    pagavano  la 
quarta  delle  loro  Terre  .  Il  Plateatico  ^  che  fi  truova  in  alcuni 
Documenti  era  un  Tributo  pagabile  da  chi  volea  vendere  in 
Piazza  ,    ancorché  tal  voce  ioffe  poi  trasferita  ad  altre  fpecie 
di  Tributi  .    Odafi  quali  aggravj  avellerò  quei  della  Terra  di 
Ninfa,  oggidì  Santa  Ninfa ^  lungi  da  Roma  alquante  migUa, 
circa  l'Anno  II 08.  come  s'ha  dal  Codice  MSto  di  Cencio  Ca- 
merario .  Cioè  doveano  elfi  fare  Hojìem  &'  Pnrhmentum  ,  cum 

Cu- 


D   E   e    I    M    A    N   O    N    A  .  lIp 

Curia  praicepertP  .  Seynjitium^  quod  nffuetì  junt  facere ^  (yPla- 
àtum  ,"  &  Bannum  factant  Beato  Petro  &  Papis .  ^artam  , 
quam  recìdere  debent ,  deinceps  reddant  ad  menjuram  Romani 
mod'ti  ;  &  fi  Mtnifler  praecìpn  ^  conducant  eam  ujqueTìherìam^ 
vel  C'tjìcrnam  .  Glandaticum  folvant  in  fejìo  Sanali  Martini  : 
Bradonss  bonos  bonos  in  feJìo  S.  Tboyn^s  ,  De  carico  uniuscujusque 
Sandali  folvant  denarios  fex  ,  Fidantiam  in  unoquoque  anno  . 
In  menfe  Madio  Libras  triginta  de  Papi  a  bonorum ,  Platiaticum^ 
quod  estranei  di,'bent  folvere  Curile  ,  Jolvatur  .  Foderum^  quod 
dc'buerant  Domno  Papce  uno  die  ,  dent  duobus  &c.  Meglio  anco- 
ra s'intenderà  ciò  ,  che  fofTe  il  Plateatico  da  una  Donazione 
fatta  neir  Anno  1058.  da  Gifolfo  II.  Principe  di  Salerno  ad 
Alfano  I.  Arcivefcovo  di  quella  Citta.  Gli  concede  di  poter  te- 
nere in  ipfa  Platea  plancas  ,  &  fecus  eas  ponere  faciatis  ,  & 
habere  quantas  volueritis  ,  Ò'  in  ea  ligamina  vigere  ,  &  habe- 
ve  ^  &  fuper  eas  edifìci  a  quali  ter  volueritis  &c.  &  Car?ies  ^  & 
alia  mercimonia  in  eis  mercimoniare ^  &  vendere^  &  emere  &c, 
ncque  Portaticum  ,  feu  Plateaticum  in  hac  nojìra  Civitate  & 
foris  per  totum  nojìrum  Principatum  Salerni  hominesueflri  de}ìt  * 
Sed  omne  Tributum ,  &  Ce}ìfum ,  Ò^  Servitium ,  Portaticum ,  & 
Plateaticum ,  &  Penjtonem ,  quod  per  anrium  pars  ipfius  noftrì 
Sagri  Pai atii  illi  ^  qui  in  eis ^  ut  diHum  ejì  ^  mercimoni averint  ^ 
&  vendiderint ,  &  emerint ,  facere  &  perfolvere  debuerint ,  tibi 
tuisqueSucceJforibus  facianty  & perfolvant .  Cosi  nell'Anno  1080. 
Domnus Marinus  SebaJìusDux  Amnlphita?2orum  coìic e JJìt Sergio &c, 
totum  Plateaticum  de  omnibus  pifcibus  ,  Ò'  feptem  loca  prò  con- 
Jìruendis  Planchis  just  a  locum ,  ubi  Carnes ,  &  pifces  vendunt  i?z 
Amalfia^  &c. 

Veggonsi  ancora  nominate  ne'  vecchi  Documenti  Forfatu- 
ra^  che  più  ufualmente  furono  Forisfaóìura  ,  cioè  le  pene  pe- 
cuniarie 5  che  fi  pagavano  per  li  delitti  criminah  al  Fifco  . 
Siccome  ancora  Scadentice  peregrinorum  &  extraneorum .  IlDu- 
Cange  interpreta  Ì2l  vocq  Excadenti  a  ^  cos'i:  Bona  caduca^  qux 
in  Fifcum  cadunt^  feu  ex  commiffo  ,  feu  alia  quavis  ratione  . 
Quanto  a  me  credo,  fignificar  quella  voce  le  Eredita  de' Pel- 
legrini, e  ForeRieri  ,  che  mancavano  di  vita  fenza  far  Tefta- 
mento  ,  e  fenza  Eredi  chiamati  dalla  Legge  ,  le  quali  erano 
prefe  dal  Fifco.  Nella  Cronica  del  Moniftero  Beneventano  pref- 
fo  rUghelli  Tom.  Vili,  fi  truovano  varj  efempli  di  Beni  oc- 
cupati dal  Fifco ,  perchè  i  poffeffori  foreftieri  non  aveano  con 

E  e     2  atto 


2  20  Dissertazione 

atto  legittimo  nominato  Erede  alcuno  .  Si  fa  ben  peggio  in' 
alcuni  paefi  oggicFi,  ne' quali  i  Foreftieri  non  fono  a mmefTì  al- 
le Eredita,  benché  Agnati  o  Cognati  ,  e  benché  chiamati  ne' 
Teftamenti;  e  tutto  lei  divora  il  Fifco.  InSutri  nell'An.  1220. 
fu  ordinato  ,  che  non  valefle  l'ultima  difpofizione  de' Pellegri- 
ni, fé  non  v'interveniva  il  Prete  col  Gaflaldo  della  Curia,  o 
pure  con  due  VaiTalli  della  Chiefa  Romana  .  Ma  fopra  modo 
crudel  confuetudine  e  barbara  Legge  era  ne' pafTati  Secoli  quel- 
la, che  il  r ileo  occupava  i  beni  di  coloro,  che  aveano  fatto 
naufragio  .  Lngan  o  Laga?ìum  fi  appellava  quella  iniquiffima 
ufanza,  alla  qual  voce  è  da  vedere  il  Du-Cange,  che  erudi- 
tamente fa  vedere  ,  quefla  elTere  ftata  in  ufo  anche  prefTo  i 
Greci  e  Romani  antichi,  e  familiare  preffo  quafi  tutte  l'altre 
Nazioni.  Ne  truovo  anch'io  efempj  in  Italia  ,  ancorché  qui 
fi  procedelle  con  minor  rigore  che  altrove.  In  una  Donazio- 
ne delia  Citta  diGaudia,  fatta  neli'  Anno  1045.  al  Moniliero 
di  Tremiti  da  TefTelpardo  Conte  di  Larino  ,  fi  leggono  le  fe- 
guenti  parole  :  Etft  naufragìum  patiatur  qualìbet  navìs  in  ip^ 
fo  mm'e^  quantum  pevùnst  hi  77oJìrds  ojfertionis  ,  obl'tgo  me  ego 
TaJJ^elgiirdus  ,  ut  nullam  exìnde  tollam ,  feci  tuce  ftt  potè  flati , 
tuisque  fuccejforihus^  Itberos  eos  dimittere  absque  omni  Idjione^ 
Ne  gli  antichi  Annali  di  Genova  da  me  dati  alla  luce  nel  To- 
mo VI.  Rer.Ital.  all'Anno  1270.  circa  dieci  mila Genovefi  con 
potente  Flotta  andarono  in  ajuto  del  Santo  Re  di  Francia  Lo- 
dovico all'imprefa  di  Tunefi .  Nel  ritorno  furono  da  fiera  rem- 
pefta  fpinte  in  Sicilia,  e  fracaffate  le  loro  Navi,  e  gran  copia 
d'uomini  vi  peri  .  Porro  Re>i  Carolus  (Fratello  del  Santo  Re  , 
e  Compagno  in  quella  fpedizione  )  naufragio  affliBis  affli^io^ 
nem  accumulans  extorfit  ab  omnibus  quidquid  ex  diHo  naufra- 
^Jo  extitit  recuperatum  ,  pofl  triduum  dicens  ,  quod  ex  Regis 
Guillelmi  Conflitutione ,  &  longa  co?2fuetudine  hoc  dcbebat  Juis 
fcriniis  applicari  ;  defenjiones  Januenfium  allegantium  conven- 
tionem  cum  ipfo  initam  ^  per  quam  fani^  &  7iaufragi  in  perfo- 
?ìis  Ù'  rebus  ,  &  fecuri  in  foto  Regno  haberi  debebant ,  penitus 
non  admittens.  Dimenticò  ben  queflo  Re  d'efìere  Criftiano,  e 
peggio  che  i  Turchi  operò  contra  de' Genovefi  Collegati.  Cosi 
inumana  confuetudine  talmente  fu  defedata  dipoi  da  i  Somma 
Pontefici,  e  da'Concilj,  che  fulminata  da  piìi  Scomuniche, 
e  polla  nel  ruolo  de  i  delitti  condennati  nella  Bolla  CQ?;/^Da- 
mini^  finalmente  è  ceffata  ne'paefi  CiUtolici. 

Ma 


e) 


D   E   e    1    M    A    N    O    N    A  .  221 

Ma  ritornando  alle  Rendite,  che  una  volta  giuftamente  ri- 
cavavano i  Principi,  noi  troviamo  in  uno  Strumento  del  iipS. 
che  il  Popolo  di  Rieti  promiftt  de  cererò  reddere  Domipio  Papce 
(^  Ecclefic^  Roman(je  medietatem  de  Plachisi  &Ban?2is^  & Fo- 
risfaBìs  ,  &  de  Sanguine  ,  &  de  Fla'2^  ,  &  Scorto  ,  &  P^Jfa- 
aio  ,  &  Ponte  Rentinae  Civitatìs  .  Col  nome  di  Pnff aggio  non 
so  le  fofle  d&notato  iltranfito  delle  merci,  o  pur  qualcheGa- 
bella  impolla  per  le  fpedizioni  de  Crilìiani  in  Terra  Santa . 
E*  ivi  anche  parlato  de  Pln-z^  :  lo  credo  Plateatkum^  di  cui 
s'è  parlato  dilbpra.  Vegniamo  ora  a  quei,  che  anticamente 
erano  chiamati  VeHìgalìa^  Portoria^  e  in  altre  guife,  che  og- 
oidi  portano  il  nome  ài  Pedaggi^  Gabelle^  J^^xJ ->  ^c.  Furo- 
no anche  anticamente  di  varie  fpecie,  e  pare  che  Teloneum 
folle  voce  generale,  che  fignificafte  il  VeBtgalia  de' Latini,  e 
le  Gabelle  fra  noi  .  La  voce  Pedagìuìn  ,  ulata  da  gli  antichi  , 
fignificava  il  Tributo  ,  che  fi  pagava  da  i  Palfaggieri  a  qual- 
che Ponte  ,  Fiume,  o  Via  pubblica;  ma  propriamente  Pc?/?/^- 
t'tcum  ai  Ponti,  Portaticum  alle  Porte  fi  appellava.  Truovafi 
Pedattcum^  ed  è  lo  fteffo  che  Pedagio.  Nella  Vita  di  San  Gre- 
gorio VIL  Papa  preffo  il  Cardinale  di  Aragona  e  Icritto  óì 
Cencio  Romano  :  H'ic  fupra  Pontcm  SanBì  Petri  co?ìJlruxerap 
exceljam  Turrtm  ,  Ò^  a  tra7ìfeu7Jttbus  de  novo  Pedattcum  esìge- 
bat .  In  un  Diploma  di  Ottone  IL  Augufto  dell'Anno  ^83. 
in  favore  del  Moniftero  del  Volturno  ,  leggiamo  :  Neque  Pia- 
ciattcum  (  per  la  Piazza  )  Portaticum  (  per  le  Porte  )  Pomati- 
cum  (  per  li  Ponti  )  Cafaticum  (  per  le  Cafe  )  cjuisqua-m  homo^ 
aut  publica  rei  exa^ìor  tollere  aut  esigere  pr^efumarit .  Strani 
nomi  Ibn  quelli  ,  che  fi  truoyano  ne  i  L>iplomi  de  i  Re  ,  ed 
Augudi  Franchi  dati  in  Francia,  come  Rotaticum^  Pulverati- 
cum  ,  Cefpitaticum  ,  Eclufaticum  ,  Nautaticum  ,  Roliaticum  , 
Modiaticum  ^  Viaticum^  Salutaticum^  Tranaticurn  ^  Cocnaticum^ 
Foraticum^  Mutaticum^  Laudaticum  ^  ed  altri  fimili  aggravj  , 
ch'io  tralaf:io ,  perchè  non  li  truovo  nelle  Memorie  d'Italia, 
la  quale  verifimilmente  era  meglio  trattata,  che  la  Francia  , 
da  que'  Monarchi  ,  ed  anche  da  i  precedenti  Re  Longobardi  , 
S'incontra  bens'i  Pafcuarium  ^  Dazio  da  pagarfi  al  Filco  ,  ma 
quello  non  fembra  diverfo  da  Efcaticum^  o  ^uvq  Herbaticum  da 
noi  già  veduti.  Bravi  ancora  Agrarium  tributo  o  Cenfo  importo 
a  i  Pallori,  che  menavano  al  palcolo  le  lor  Pecore  per  i  poderi 
Regali.  Con  fuo  Decreto  Carlomanno  Re  de' Franchi,  Fratello 

di 


222  Dissertazione 

di  Carlo  Magno  nell'  Anno  yóS.  o  yóp.  ordina  a  i  Miniftri 
Regi  di  non  far  pagare  Gabella  o  Dazio  alcuno  a  gli  Uomini 
del  Moniftero  della  Novalefa  .  Nullo ^  dice,  Teloneo^  necPon- 
tatko  ,  ffve  Portatico ,  aut  quod  in  Saumas  (  le  fome  )  'vel  in 
dorja  comportare  v'tdsntur^  requircre  nec  exaól/tre  non  fnciatìs  ; 
Tiec  de  ecrum  evi  bus  prò  Pafcuis  difcurrentibus  Pontatito  ^  nec  Agra- 
rio ììon   exaEletts  &€, 

Per  le  Barche  o  Navi  fi  pagava  Kipaticum  ,  PalifiBura  , 
Tranjìtura^  o  fia  Trajìura^  Portonaticum,  Vi  fono  altri  nomi, 
probabilmente  fignifìcanti  lo  fteffo  ,  come  Navium  ligatura  . 
Tali  Gabelle  fi  pagavano  da  i  Nocchieri ,  e  padroni  di  Barche 
in  certi  Luoghi  ,  per  dove  paffavano,  o  dove  fi  fermavano  con 
legar  effe  Barche  a  i  pali  .  In  un  Diploma  di  Berengario  I.  Re 
d'Italia,  dato  in  favore  di  Rigoldo  Vefcovo  di  Ceneda  ,  non 
gik  nell'Anno  pc?5.  come  ha  i'Ughelli  nel  Tomo  V.  dell'Ita- 
lia Sacra  ,  ma  bensì  nel  906,  vediamo  donato  Portum  in  flit'  , 
vio  Liquentia  ,  &  de  ambabus  partibus  ripa:  per  quindecim  pe-  '^ 
des  palis  JìHarum  (  leggi  PalifiBurnm  )  ILipaticum  ,  Teloneum 
&c.  Del  Ripatico  s'ha  menzione  m  un  altro  Privilegio  ,  con- 
ceduto da  Carlo  M.  a  i  Monaci  di  Santa  Maria  all'  Organo  di 
Verona,  rapportato  poco  correttamente  dal  prefato  Ughelli, 
dove  fon  quelle  parole  :  Neque  Navalia  Telonia  ,  quce  Ripati- 
cos  vocant  ,  atque  terrejìria  ,  neque  in  tranfitibus  Portarum  , 
vel  Pontis  Urbis  Verotzce  (^c.  perjolvere  cogantur  .  Confervafi  nel 
Vefcovato  di  Cremona  l'infigne  Regiftro  di  tutti  i  Privilegi  di 
quella  Chiefa  ,  raccolti  nel  1220.  da  Sicardo  celebre  Velcovo 
della  fieffa  Citta  .  Da  efìb  tra^j  io  la  taffa  di  quello,  che  do- 
veano  pagare  in  varj  fiti  i  Comacchiefi  nel  condurre  il  loro 
Sale  per  li  Fiumi  della  Lombardia.  Il  Decreto  fu  fatto  dal  Re 
Liutprando  nell'Anno  715.  o  pure  730.  e  queflo  venne  confer- 
mato da  Carlo  Magno  neii'  Anno  yoy.  Cioè  doveano  pagare 
Ripaticum  Porto  Mantuano  ,  Campo  Marcio  ,  Porto  Brixiano , 
Porto  qui  vocatur  Cremona ,  Porto  Parmifnìio  ,  Porto  qui  dicttur 
Addua^  Porto  qui  dicitur  Lambro  ^  &  Piacenti  a  ,  A  tutti  quelli 
fiti,  appellati  Porti ,  pagavano  i  Comacchiefi  il  Dazio  ivi  prc- 
fcritto ,  e  di  quello  Decreto  è  fatta  menzione  in  un  Diploma 
di  Lodovico  IL  Auguflo  dell'Armo  850.  preiTo  I'Ughelli  ,  e  in 
altri  da  me  rapportati,  da^quali  rifulta,  che  i  Veicovi  di  Cre- 
mona erano  Padroni  di  quel  Porto  .  Viene  anche  menzionata 
nelle  antiche  Carte  Curatura  ,  cioè  una  Gabella  ,  che  fi  ricava- 
va 


Deci  m  a  n  o  n  a  .  22j 

va  cici  i  Mercati  .  In  un  Diploma  di  Berengario  I.  conceduto  a 
Giovanni  Vefcovo  di  Cremona,  e  pubblicato  dal  luddettoUghel- 
11  ,  è  fcritto  curatam  puhlicitcr  exigere  ;  ma  s'iia  da   fcrivere 
Curaturam  publiciter  exigere  .    Pili  lotto  ivi   fi  legge   quidquid 
Creatura;  ^  teloriei  ^   aut  portatici  ;   ma   vi  farà  (tato   quidquid  Cu- 
raturd'.  Nelle  Memorie  della  Bafilica  Ambrofiana  illuftrate  dal 
Puricelli,  abbiamo  alla  pag.  515?.  Colonen.  quod  vulgo  Turadia 
dicitur^  ftve  Portenaticum ,   Ma  probabilmente  fi  dee  ivi  ù^ox- 
Y^Teloneum^  quod  Curadiriy  o  più  tofto   Curatuva  dicitur .   Noh 
so  dire  ,  (e  Portenaticum  la  Gabella  de'  Porti  .,  0  delle   Porte  , 
il  qual  ultimo  era  chiamato  Portaticum  .    Di  quella  Curatura 
non  so  fé  diverfa  dal  Teloneo  e  Ripatico  ,  è   parlato  in  un  Pla- 
cito Cremonefe  dell' Anno  5?p  8.  da  Ceffone  Mefib  di  Ottone  III. 
Imperadore.  Habemus^  dice  ivi  Odelrico  Vefcovo  di  quella  Cit- 
ta, &  dctiìiemus  a  parte  ipjitts  Epifcopii  proprietatem  Jìwvio  Pa- 
di  da  caput  flwuio  Addua  ufque  ad  Vulpariolo ,  feu  Ripa  juxta 
ipfo  fiwuio  ,  ?7on  longe  ad  ijìam  Civìtatem  Cremonae ,  ubi   in  ip- 
fa  Ripa   antiquo  Mercato  ejfe  videtur  cum  Teloneo  ^  &  Cur atu- 
ra ,  feu  Ripaticum   de  ìpfà  Ripa  ,  tam  de  navis ,  &  omnibus 
aliis  negotiis  &c.  Nelf  Archivio  Eftcnfe  abbiamo  la  Concordia 
riabilita  nell'Anno  1228.  fra  il  Comune  di  Ferrara,  e  molte 
Citta  d'Italia,  intorno  ^ì  Ripatico  da  pagarfi  nel  Po  dai  Mer- 
catanti foreftieri  .    Ivi  fono  diverfamente   taffati  Francigenae  , 
Tòeotonici  y  Januenjes  ^  Pifani  ^  Piacentini  ^  Mediolanenfes  ^  Cre- 
monenfes^  Parmenjes  ^  Bjrgamafchi  ^  Regienfes^  Brixienfes  ^  Ve- 
ronenjes  ^  Bononienfes .,  Imole7ifes ^  Faventini  ^  Ariminenfes -^  to- 
ta Tujcana^  tota  Marciai  a  Ancon<ff  ^  tota  Apuli  a  ^  Veneti^  Roma- 
ni .    Per  quefto  Ripatico  era  ftata  controverfia  fra  i  Modene- 
fi,  e  Ferrarefi  ,  e  fu  comporta  nell'Anno  11 75?.  dove  i  pri- 
mi furono  efentaii  a  Toloneo  &  Ripatico  Bondeni^  ed  obbli- 
gati   andando    a  Ferrara    di   pagare    tres  Imperiales    Communi 
Ferraris  . 

A  raccogliere  i  Tributi  ,  Dazj  ,  e  Gabelle  erano  desinati 
Telonearj ^  così  chiamati  nelle  vecchie  Memorie  .  Per  vegliare 
a  queRo  Ufizio  furono  depurati  Aóiionarii.  Gran  rendita  dovea 
effere  quella  delle  pene  pecuniarie  ,  cioè  Multa  ,  o  Mul6la; , 
che  Preda  fono  anche  appellare  nelle  antiche  Leggi  ,  ficcome 
Leudis  ^  o  Leudum  fu  detta  la  compofizione  preicritta  per  gli 
Omicidj  .  Imperciocché  s'ha  da  ofiervare  (  e  fé  ne  flupira  piià 
d'uno)  quanto  fieno  diverfi  i  collumi  e  le  Leggi  de'noftri  tempi 

da 


2  2+  Dissertazione 

dfi  quelli  (11' Secoli  barbarici .  Allora  pochi  misfatti  erano  ca- 
pitali,  cioè  puniti  colla  morte.  A  riferva  de  i  commefìfi  contro 
jlRe,  .0  contro  la  Repubblica ,  che  fi  chiamano  delitti  di  le- 
fa  Maefta  ,  le  i  Servi  uccidevano  il  Padrone  ,  o  la  Moglie  il 
Marito  :  era   permelTo  il  comporre  ogni  altra  iniquità ,  cioè  ri- 
fcattarfi  e  liberarfi  con  pagare  la  fomma  di  danarQ  taffata  dal- 
le Leggi  5  di  maniera  che  chi  uccideva  un  Prete,  pagando DC. 
Ioidi  ;  e  chi  ammazzava  un  Vefcovo,  sborfando  DCCCC.  fol- 
di  al  Fifco  ,  fé  n'  andava  cantando  ,  affoluto  da  ogni  altro  ag- 
gravio, come  s'ha  dalla  Legge  Longobardica  loi.  di  Carlo M. 
e  da  altre  di  Lodovico  Pio  .   Perciò  1'  uccifore  d'  una  perfona 
Nobile,  della  Moglie  innocente,  d' uno  Sculdafcio  ,  ed  Ufizia- 
le  ec.  e  parimente  un  Incendiario,  un  Ladro  ,  un  AfTaffmo  da 
flrada,  erano' ammeffi  alla  compofizione,  e  il  Fifco  occupava 
tutti  i  Beni  di  chi  non  pagava.  Né  quefta  ufanza  era  propria 
de' foli  Longobardi  .  Quafi  tutti  ancora  gli  altri  Popoli  Setten- 
trionali praticavano  lofleflb.   Vedi  le  Leggi  Salica,  Ripuaria, 
Bavarica  &c.  Anzi  anche  ne' Secoli  pofteriori  fi  veggono  pre- 
fcritte  pene  molto  lievi  al  Furto,  ed  Omicidio.  In  una  Bolla 
di  Papa  Gregorio  IX.  dell'  Anno  1230.  indirizzata  a  gli  Uomi- 
ni di  Caflello  Serrone  ,  fi  leggono  le  feguenti  parole  :    Si  ali- 
qu'ts  coynryiitth  Omìcìdium ^  'vel  f^cit  alicujus  membri  hicìjìonem ^ 
debet  folvere  Curia  XX.  folidos  Provenienfes  .  Et  ille  qui  eft  fpe- 
cialis  Dominus  ejus^  debep  facere  itide  juflitiam  &  'vindiBam  * 
De  fanguine  vero  debet  fol'vere  Curice  X.  folidos .   Item  fi  ali  qui  s 
tommittit  Furtum   intra  Cajìrum   de  die  ,  debet  folvere  Curia  V. 
Jolidos  ;  fi  de  fioHe  X.  folidos  .    Item  fi  quis  furatur  uvas  'vel 
confitmilia  ,  debet  folvere  Curia  XII.   denarios  .    Effendo  ftate 
COSI  leggieri  uua  volta  le  pene  ,  e  cotanto  inferociti  e  turbo- 
lenti i  Coftumi  de  gli  uomini  ,    fi  può  ben  conietturare  ,    che 
frequenti  foffero  i  delitti,  con  ingraflarfi  poi  delle  fpoglie  de' 
rei  il  Regio  Fifco,  e  maflìmamente  fé  fi  trattava  di  ribellio- 
ne. Con   fuo  Diploma   Arrigo  I.  tra  gì' Imperadori  nell'Anno 
1016.  donò  a  Richilda  Conteffa  medietatem  CurtisTrecentula  ^ 
cum  ììiedietate  Caftelli  ,  &  Capella  ,   &  Campi  Ducis  &c.  fitcut 
a  Berengario  ,  &  Hugone  filiis  Sigefredi  Comi  ti  s  ,  nojìro  Imperio 
rebellantibus  haHenus  njifa  funr  pojjideri  .   Quefta  Richilda  fu 
poi  Moglie  di  Bonifazio  Duca  ,  e  Marchele  di  Tolcana.  Co- 
si nell'Anno  ^do.  Berengario  IL  Re  d'Italia  donò  a  Willa  Re- 
gina fua  Moglie  Cortem  Ubiani  ,   con  dire    di  voler  noto  ad 


ognU' 


D    E    e    I    xM    A    N    O    N    A  .  2  2  ^ 

ognuno,  hunc  Koguifi  ^  cvijus  Jjccc  hereditas  legalìter  vifa  fuit  ^ 
.  in  ììoJÌyÌ  fidt'lttatem  omntno  dectdijfc  ,  quodque  ftatum  Regni 
no/iriy  nofirasque  Perfonas  ^  traviando  penttus  confenfit  in  yiibi- 
Jii?n  redigere^  7ioflrìsqiie  fc  copulavìp  inimicis  &c.  Oltre  a  ciò 
pervenivano  al  Vìko  Regale  molte  Eredita  per  mancanza  di 
Eredi.  Nella  Legge  i  58.  del  Re  Rotari  è  decretato,  che  fé 
alcuno  muore  laiciando  folamente  Figlie  legittime,  e  Figli  ba- 
flardi,  ì  Parenti  projjlmi^  cioè  gli  Agnati ,  prenderebbero  due 
oncie  del  ài  lui  affé  .  Et  fi  Parentes  non  fuerint  ,  Curtis  Regta 
ipfas  dtias  uncias  fiifcipiat.  Che  le  uao  moriva  /ine  /jerediòus^ 
res  ipftus  ad  Curtsm  Regts  fcadevano  :  il  che  va  intefo  ,  pur- 
ché egli  non  aveffe  teltato  .  Gli  Eredi  legittimi  fi  computa- 
vano nfque  ad  feptimum  gcnìcidum^  o  fia  grado.  Dura  anche 
oggid'i  in  molti  Luoghi  quello  colìume  o  più  duro  ,  o  più  mi- 
te fecondo  gli  Statuti  .  Guaimario  L  Principe  di  Salerno  (co- 
me coda  da  un  fuo  Diploma  dell'Anno  88(^.  )  donò  alla  Chiefa 
di  San  Maffinio  fondata  da  Guaiferio  Principe  fuo  Padre  in  Sa- 
lerno, integras  res  Benennti  &  Adsmariì  Ù'c.  eo  quod  Jine  be- 
re dibus  mortiti  Junt  ^  (T  Sacri  noflri  Palatii  pertinent .  E  di  qui 
s'intende  ,  come  si  fovente  gli  antichi  Re  ed  Lnperadori  do- 
naffero  alle  Chicle  tanti  poderi  e  Corti,  come  cofta  dai  loro 
Diplomi  5  i  quali  quafi  foli  fi  fono  falvati  dalle  ingiurie  del 
tempo,  e  però  tuttavia  efiflenti  ne  gli  Archivj  Sacri.  Col  no- 
me poi  di  Cor//  fignificavano  gli  antichi  l'unione  di  molti  po- 
deri, anzi  un  Caftcllo,  dimodoché  molte  Terre  e  Caftella  de' 
noftri  tempi  erano  allora  appellate  Corti.  Ancorché  quella  ve- 
rità fi  ricavi  da  tanti  Documenti  da  me  dati  alla  luce,  e  mag- 
giormente comparifca  nel  Cap.  XL  dove  s'è  trattato  de  gli 
Allodj  :  pure  ne  vo'  recar  qui  un  efempio  .  Rodolfo  Re  d'Ita- 
lia nell'Anno  ^24.  Prid.  Idus  Novembr.  confermò  al  Regio  Mo- 
niftero  di  San  Silfo  di  Piacenza  quasdam  Curtes^  ^ ardaflallam 
videlicet ,  Lws^riam ,  Leólora  Paludana  ,  Villulde ,  Piguniarias  . 
Oggidì  Guaftalla  è  Citta  ,  e  Lu:2^7^raj  e  Pigognaga  Terre  di 
riguardo. 

Vengo  ora  a  certi  aggravj  del  Pubblico  ,  appellati  Ottera 
public  a  ^  Angari  iti  ^  P  er  angari  ae  ^  FaBiones  public^  ^  e  firn  ili  co- 
Iciuti,  e  praticati  anche  ne' Secoli  barbarici.  Primieramente 
di  gran  pelo  dovette  effere  quello  di  tutte  le  Perfone  Libere 
atte  all'armi,  forzate  a  concorrere  all'Armata,  e  a  militare, 
qualor  veniva  voglia  o  bifogno  a  i  Regnanti  di  far  guerra.  Sic- 
Tomo  L  Ff  come 


Ilo  DlSSER    TAZIO   NE 

come  vedremo  al  Gap.  XXVI.  citf/la  MìlÌT^ia  ,  pochi  erano  efen- 
tati  dal  prendere  l'armi,  e  dall' andare  in  campagna,  con  gra- 
ve difcapito  de'  loro  interefli  .  Per  chi  non  andava  era  deter- 
minata la  pena,  appellata  Hm/^//«??ww .  La  Legge  23.  di  Carlo 
Magno  ordina  a  i  Meflì  Regj  di  amodo  exa6iare  fidelher  Heri- 
bannum   absque  ullarum  perfonarum  grafia  ,  'uel  hlandìtta  ,  jeu 
terrore»  E  che  tal  pena  folte  ben  dura,  fi  riconoice,  perchè  fi. 
pagava  a  proporzione  delle  facoltà  d'  ognuno  .  Chi  aveva  fei 
Libre   tn  auro  ,  &  argento  ,  bruneis^  (  cioè  armi  )  ferramento  , 
pajin'ts^  cahall'ts^  bobus^  'uaccts^   aut  peculìis  ,  dovea   pagar  tre 
Libre,  con  aggiugnere  nondimeno,  ita  ut  uxores  aut  infantes 
7ìon  fiant  espoliati  prò  hac  re  de  eorum  'vejiimentis  ,    Da   tale 
agj^ravio  è  da  credere  ,    che  molti  cercaffero  o  comperalTero 
l'eienzione  .  Avea  l'Imperadrice  Ermingarda,  Moglie  di  Lot- 
tario  L  Auguflo,  fondato  il  Moniftero  di  San  Salvatore  in  Ali- 
na.  Ottenne  efla  dall'Augufto  Conforte  nell'Anno  848.  ai  due 
Avvocati  ,  a  i  due  Cancellieri  ,  &  duodecim  Ltberis  homìnibus 
d'elfo  Monidero  om?ìem  exercitalem  expeditionem^  feu  publica- 
rum  rerum  funólionem ,   quatinus  deiticeps  immunes  exercitali  ex- 
pedi tione  &c,  Aggiungafi  ora  Heribergum  ,  onde  è  nata  la  vo- 
ce Italiana  Albergo^  cioè  l'obbligo  di  dare  ofpizio  a  tutti  i  Mi- 
niftri  Regj  e  della  Giuflizia  ,  o  pure  a  i  foldati,  quando  lo  ri- 
chiedeva l'occafione  .   Aggravio  pur  troppo  conofciuto  anche 
a'  di  noftri  .  Albergaria  fi  chiamava  una  volta  .   Chi  ricufava 
l'Albergo,  cadeva  in  pena,  cioè  dovea   pagare  YHeribafmum. 
Nella  Legge  Longobardica  128.  di  Carlo  M.  viene,  ut  ?ìec  prò 
Vsfaita  &c,   nec  prò  Heribergce  ,  ?ìec  prò  alio  banno ,  Heribannum 
Comes  exaclare  prcejumat  ,    nifi  Mijfus  ìiojìer   prius   ad  partem 
noftram  Heribannum  recipiat  .   Erano  chiamate  Parattca  e  Pa" 
rata:  ^  Manjionatica  &  Manjiones ^  opure  Eveólio^  le  Ipefe,  che 
fi  faceano   per  ricevere  il  Re  ,  e  i  luoi  Metfi  ,    ed  altri  Mini- 
ftri.  La  prima  parola  indica  l'ordine  inviato  di  preparar  l'al- 
loggio ;  e  l'altra  l'Alloggio  fteffo  intitolato  M^^//?o.  Fu  anche 
in  ufo  nel  fignificato  medefimo    Hofpitatio  .    Preffo  i  Romani 
(  giacché  antichidimo  è  queft'  ufo  )  (ì  chiamava  Metatum  ,  e 
Statava  .    Allorché  venivano  i  Mefli  Regj  ,   per  fare  giuftizìa 
nelle  Citta  o  nel  Contado  ,  uno  dava  loro  f  alloggio  ;  gli  al- 
tri Cittadini  ,  o  pure  abitatori  di  un  Luogo  ,  facevano  Conje- 
Hum  ,  cioè  una  Colletta^  taflfando  ciafcuno  per  la  fua  rata  a 
proporzion  delle  facoltà ,  a  fin  di  pagar  quelle  fpefe  .  Intorno 

aque- 


Decimanona.  227 

a  quefto  abbiamo  la  Legge  54.  di  Lodovico  Pio  Augufto,  dove 
è  detto,  che  ogniqualvolta  i  MelTi,  fieno  Veicovi ,  Abbati,  o 
Conti,  infra  fuam  J  udì  ti  ari  am  'vel  termitium  fuerint  ^  7iihil  de 
aliorum  CoìijeHu  accipiant  .  Pojìquam  'vero  i?ìde  longe  recejfe- 
rint  (  cioè  fuori  di  quel  Diftretto  o  Diocefi  )  tu7ìc  accipiant  , 
fccimdum  quod  in  fua  Traóìoria  continetur  .  Fa/p  vero  nojìri  , 
&  Mini [ìri  alti  ^  qui  MiJJi  junt  ^  uhicumque  venerint  ^  inde  Con- 
jcBum  accipiant .  Quella  ,  che  qui  è  chiamata  TraBoria  ,  og- 
gidì ha  il  nome  dì  Patente.  Anche  prefTo  i  Romani  fi  truova 
ufata  in  quefto  fignificato  Tr^(^(?r/^.  In  effa  era  prefcritto  tut- 
to quel  che  fi  doveva  contribuire  a  i  Melfi  .  Non  difpiacerà 
a  i  Lettori  di  leggere  la  Formola  di  tali  Trattorie  ,  efibita  a 
noi  da  Marcolfo  nelLib.  L  che  fembra  più  torto  convenire  a' 
tempi  Carolini,  che  a  i  Merovingici .  Eccola.  IlleRex  (N.N.) 
omnibus  agetitibus .  Dum  &  nos  in  Dei  nomine  Apoftolico  viro  ilio 
{N.N.)  ne  e  non  &  Inluftre  viro  ilio  (  iV.  A/".  )  perchè  fi  fole  vano 
inviare  due  Melfi,  funo  Ecclefiaftico,  e  f  altro  Secolare)  par- 
tibus  Legationis  caufa  direximus  :  ideo  jubemus  ,  ut  locis  conve- 
nie?ìtibus ,  eisdem  a  vobis  Eveólio  Jìmul  &  humanitas  minijìre- 
tur  .  Hoc  eJìVeredos  fiveParaveredos  tantos  ;  Pane  nitida  modios 
tantos  ;  Vino  modios  tantosj  Cervifa  &c,  lardo  &c.  Carne  ^  Por- 
C05,  porcellosy  vervices  ^  agncllos^  aucas  ^  fajìanos^  pullos^  ova^ 
oleoj  garo^  mei  le  ^  aceto  ^  camino  ^  pi  pere  ^  (^ojìoy  gariofìle  ^  fpi- 
cOj  cinamo^  granomajiice^  daólilas^  pìjìacias  ,  amandolas  ^  Ce- 
reos  libralesy  cafeo  ^  falis^  olerà  ^  legumi na  •  Ugna  Carra  tanta  ; 
faculas  tantas  ;  itemque  vi&um  ad  caballos  eorum  ,  foeno  Carra 
tanta ^  juffuro  modios  tantos.  Hccc  omnia  diebus  fingulis  tam  ad 
ambulandum  ,  quam  ad  nos  in  Dei  ìiomine  revertendo  ,  unusquis- 
que  vejìrum  per  loca  conjuetudinaria  eisdem  miniflrare  ,  Ù'  adim- 
plere  procuretis  :  quali  ter  nec  moram  habeant  ^  nec  in/uri  am  per- 
ferant ,  fi  grati  am  noftram  optatis  h  abere . 

Non  fi  figuri  alcuno,  che  tutte  quelle  fpecie  fi  contribuiffe- 
ro  a  i  Melfi .  Marcolfo  le  annovera  tutte  ;  ma  i  Re  ne  deter- 
minavano quel  che  era  conveniente  al  loro  bifogno  e  Dignità  . 
Dilfi  io  bene,  che  tale  fpedizione  di  Miniftri  [traordinarj  tor- 
nava in  vantaggio  de'  Popoli  per  l'amminiflrazion  della  Giu- 
ftizia  ;  ma  riufciva  ben  loro  pcfante  a  cagion  delle  fpefe  ;  e 
però  non  mancava ,  chi  talvolta  ricalcitrava  di  pagare  e  fom- 
minidrar  quanto  era  prefcritto  .  "Fu  perciò  obbligato  Lodovico 
Pio  a  far  la  feguente  Legge  24.  fra  le  fue  :  Si  quis  Literas  no- 

F  f     2  Jlras 


228  Dissertazione 

Jlras  dcfpeser'tP  ^   tdefl  TraHorias^  quas  propter  Mìjfoi  tiojlros  veci' 
piendos  dingimus  ,  aiit  Honorem  ,  quem  hahet  (  cioè  il  Benefìzio 
o  Miniftero  )   am'tttat  ;  aut  in  eo  loco  ,  ubi  pnediólos  Mijfos  reci- 
pere  debuitj  tamdm  [edeat  ^  &  de  fuis^  rebus  Legatos  illuc  venien- 
tes  fufcipiat  ^  qucufque  anìmum  noftrum  [aùsfaHum  hnbeat .   Ma 
i  Vefcovi  ed  Abbati',  che  fapevano  il  lor  conto,  non  trafcura- 
vano  mezzi  per  eiTe re  efentati  dal  pefo  fuddetto,  cioè  a  Man- 
Jionìbus  &  Paratk,   In  un  Privilegio  conceduto  da  Lodovico  IL 
Imperadore  a  Rovigo  Veicovo  di  Padova    nell'  Anno  855.    è 
fatto   comando,  che  niuno  ^ut  freda  ex'tgenda^  auf  Manjìonesy 
*vel  Paratas  faciendas  &c.  exigere,  Qiielto  Diploma  ferve  a  cor- 
reggere qualche  errore  preio  dall' Ughelli  nella  lerie  de' Ve- 
fcovi Padovani  .  Cosi  in  un  Diploma  di  Ugo  e  Lottarlo  Regi 
d'Italia  nell' Anno  P31.  dato  in  favore  delle  Sacre  Vergini  del- 
la Porteria  di  Pavia ,  fi  legge  vietato  a  i  pubblici  Miniftri  d'in- 
quietare quel  Moniftero  ,  'vel  loca  ad  caufas  audiendas  ,  freda 
exige-nda  ,   aup  tributa  ,  aut  Manjtonat'tcum  faciendurn  ,  vel  Pa- 
ratas faciendas  &c,  E  la  Con telfa  Matilda,  come  apparilce  da 
un  fuo  Strumento,  nell'Anno  11 07.  concedette  a  Dodone  Ve- 
fcovo  di  Modena,  che  ììcque  per  [g  ^  ìieque  per  ali  quem  ab  ea 
mijfum^  Albergarias  inferret  a  gli  abitanti  nella  Corte  di  Mai- 
fa  .    Poco  fa  è  firata  fatta  menzione  de'  Veredi  e  Paraveredi  » 
Ancor  quefto  fu  uno  de'  pubblici  aggravj  .    Cioè  erano  tenuti 
gli  uomini  delle  Provincie  iomminiQrar  cavalli  tanto  da  caval- 
care ,  che  da  foma  per  condurre  le  bagaghe  ,  allorché  il  Re  , 
e  la  fua  Corte,  eiMefliRegj,  o  Conti,  od  altri  pubbhci  Mi- 
niftri  panavano  per  paeie  .  Lodovico  IL  Auguflo  ne  gli  ordini 
dati  a  i  Melfi,  vuole  che  s'informino  :  Ubi  quum  iter  dt^ave^ 
rit ^  Dominus  Imperator  recipi  debeat  per  Jìngula  Mi/i'tjieria'i  Ubp 
ab  eo  direni  Legati  .    Unde  eis  amyniniflrentur  obfequia   (  cioè   le- 
fpeie  )  .  Unde  Par  avere  da;  .  Di  quefto  aggravio  fpello  fi   parla 
ne' Capitolari  de  i  Re  Franchi  .  Nell'Anno  835.  omnes  Presbi- 
teri &  Parochi  Cremonenfis  ^  tam  de  Plebibus  ^  (cioè  i  Parrochi 
Piovani  )  quamque  &  de  Oraculisy  (  cioè  degli  Qratorj,  e  del- 
le Chicle  non  Battefimali  )  fecero  ricorfo  a  Lottarlo  I.  Impera- 
dore, laraentandofi ,  quod  Parafreda  ^  &  Carra  ad  nojìram  Ca- 
meram  deportandam  injujìe  dedijfent .  Fu  ventilata  la  lor  que- 
rela, ed  elfo  Imperadore  dichiarò,  ch'elfi  non  erano  tenuti  a 
quell'aggravio;  aggravio,  diffi,  praticato  anche  fotto  gli  an- 
tichi Imperadori,  e  in  maniera  ben  piìi  afpra .  Chiamavafi  al- 
lora 


Decimanona.  2lp 

\ox:^.CiirfusVehkulnrius^  e  da  altri  fu  appellato  F//c/7//i ,  o^w- 
rePtiblicus^  cioè  erano  difpofli  ad  ogni  determinato  fito  di  al- 
quante miglia  Cavalli  e  Carrette  ,  per  portare  con  diligenza 
le  Lettere  del  Principe,  e  condurre  follecitamente  i  Miniftri  ed 
Uomini  della  Corte  .  Aurelio  Vittore  cos\  parla  di  Traiano  : 
Nofcr/idis  ocius  ,  quce  e  Kepuhbl'ica  gerebanpur^  admota  -media  pu- 
blici  curfiis .  Di  quella  Angaria  è  fatta  più  volte  menzione  ne' 
Codici  di  Teodofio  e  Giufiiniano  ,  ed  era  lo  fteffo,  che  la  Po- 
Jìa  oggidì,  fé  non  che  toccava  allora  al  paefe  di  fomminiflra- 
re  e  mantenere  i  Cavalli  e  le  Carrette  .  Alcuni  buoni  Impera- 
dori,  ne  sgravarono  il  Pubblico,  appoggiandone  la  cura  al  Fi- 
ico.  Sotto  i  Re  Goti,  Longobardi,  e  Franchi  durò  queft'ulo, 
e  alle  fpefe  de' Sudditi  .  Non  era  permefTo  ne  gli  antichi  tem- 
pi, come  oggidì  fi  pratica,  alle  perfone  private  di  fervirfi  del- 
la diligenza  Veh'iculartt  curfus^  o  fia  della  Pofta,  fé  non  per  An- 
golare Privilegio,  e  conceflione  del  Principe  .  V'ha  una  Legge 
di  Onorio  Augufto  con  quelle  parole  :  Ne  qu'ts  fibi  deincepsCur- 
fum  publìcitm  prìvatus  ufurpet  ,  7JtJi  quum  aut  a  nobìs  enjocatur  , 
aut  a  Clementine  'nojìroi  vcneratìo?ìe  d'ijcedit.  Ne  qui  fi  fermava 
l'Angheria.  Conveniva  anche  tener  Barche  pronte,  chiamate 
Dromones  y  e  Naves  curforice^  delle  quali  fa  menzione  Apollina- 
re Sidonio  neir  Epift.  V.  a  fin  di  condurre  per  Fiumi  e  Laghi 
i  Corrieri,  Cortigiani,  e  Magiftrati  Regj .  LJlpiano  nella /.  F/- 
dekomm'tjfum  ff,  dejuditiìs  chiama  quelli  ìnexci^fabilia  onera. 
E  nelle  Formole  del  Lindenbrogio  Cap.  12.  è  conceduta  ad  un 
Vefcovo  l'elenzione  a  Narvali  ,  ^el  Carrali  Eveólione  :  legno  , 
che  anche  ne' Secoli  barbarici  il  Pubblico  ne  era  gravato. 

U  N  altro  aggravio  era  allora  Fodnim  ,  o  Foderum  ,  cioè 
l'obbligo  di  alimentare  i  Soldati,  e  fin  lo  fteflb  Imperadore,  e 
tutta  la  fua  Corte  in  pafiando  pel  Paefe  .  Nella  Vita  del  buon 
Imperadore  Lodovico  Pio  fi  legge  :  Inhìbuk  a  plebeits  uherius 
annonas  mtl'ttares  ,  quas  vulgo  Foderum  vocant  ,  dar't  .  Abbrac- 
ciava il  Fodro  anche  Foraggio  e  Biada  per  li  cavalli  .  Nella 
celebre  Pace  di  Coflanza  ,  nell'Anno  1183.  {labilità  fra  l'Im- 
peradore  Federigo  L  e  le  Citta  della  Lombardia  ,  egli  dice  : 
Nobis  intra'rittbus  in  Lombardi am ,  Fodrum  coìjfuepum ,  &'  Rega- 
le qui  folent  &  debent^  prcejìabunp  .  Non  indarno  è.  ivi  detto  qui 
folent  &  debem  ,  porche  non  pochi  v'  erano  ,  che  fé  n'  erano 
procacciata  l'efenzione  co  i  mezzi  foliti  nel  Mondo,  con  inco- 
modo grave  de  i  non  privilegiati  .  E  a  pagare  il  Fodro  erano 

te»  a- 


2p  .        Dissertazione 

tenuti  non  r^ieno  gli  Ecclefiaiìici ,  che  i  Secolari .  Abbiamo  da 
Raderico  Lib.  2.  Gap.  30.  de  Geft.  Frid.  efTerfi  fra  l'altre  fue 
doglianze  lamentato  Adriano  IV.  Papa  del  fuddetto  Imperado- 
re,  perchè  pretendeva  il  Fodro  anche  dai  Beni  proprj  del  me- 
defimo  Papa.  De  Dommicalibus  ApofioUcì  Fodrum  non  cjje  col" 
ligendum  ,  7ì'ift  tempore  fufcipìend^  Corona .  Strano  è  bene  che 
non  fi  concedefTe    ad  un  Romano  Pontefice   quell'  efenzione  , 
che  era  accordata  a  tanti  Vefcovi  ed  Abbati .  Nel  1014.  Ar- 
rigo I.  fra  gli  Augufti  donò  al  Moniftero  Veronefe  di  Santa 
Maria  all'  Organo  omne  Fodrum ,  &  Plachum  ,  reddibicìonem  , 
angitrtam ,  feu  quamcumque  public am  fimBìonem ,  quam  famuli 
ejus  baBenus  noflrcs  Keipublicce  perfolvere  'v'tjl  funt .   E  Federi- 
go II.  Imperadore  neir  Anno  1223.   privilegiando  il  Moniftero 
di  Santa  Maria  nel  Porto  di  Ravenna,  difle  :  Ipfa  Ecclefta  cum 
fuis  Obedienttts  ab  omni  tnfejìatione  feu  moleftia  hnmunìs  ex't- 
Jìens  y  nec  C'tv'ttati  ,  nec  alku't  Poteflatì  CollcHas^  Fodrum ^  Al- 
bergarìam  perfolvaf  &c.  Cosi  in  un  aggiuftamento  feguito  l'An- 
no ii5?o.  fra  i  Legati  di  Arrigo  VI.  Re  de'Romani,  e  Gerar- 
do Vefcovo  di  Padova,  fu  conchiulo  :  Neque  de  terris^  qucs  'm 
Domfi'tcam  Epifcopatus  evant^  Fodrum  prajìare  debeat  &c.    Pare 
eziandio  ,  che  i  Vefcovi  elentati  raccoglieffero  poi  effo  Fodro 
,Ò3i  ì  Sudditi  ,  e  fé  l'appropriafìTero .  Efifte  un  Privilegio  conce- 
duto nell'Anno  1031.  da  Corrado  I.  Augufto  ad  Ubaldo  Vefco- 
vo di  Cremona,  dove   fon  quefte  parole  :  Alias  conjuetudines ^ 
quas  fui  Antecejfores  ad  illam  poteflatem  peritnentes  ,  Ù*  Anga^ 
rtas  quondam  habuerunt ,  Ò'  Fotrum  de  ipfa  Civitate  ,   quod  ad 
nofìrum  fervitium  colligi  ufus  fuit ,  &  porcos  Arimannorum ,  Ò* 
Albergar las  &c.  exlgant ,  Era  poi  talfato  quanto  ogni  Citta  e 
Cartello  dovea  pagare  per  effo  Fodro  .  Arrigo  IV.  Re  di  Ger- 
mania ed  Italia  nel  lo/p.  confermando  tutti  i  Beni  e  Privile- 
gj  al  Vefcovo  di  Padova,  fra  l'altre  cofe  annovera  ancor  que- 
lla :  Infuper  feptem  Llbras  monetoe  Vcnetiarum  ,  quas  iìi  nofìro 
adventu   in  Regnum   Italuum  Sacenfes  U7ia  caufa ,  quia  Epifco- 
pus  Paduce  efì  Comes  Sacenfis  ,  Ò'  Prcvcepto  Patris  nofìri  dicunt 
fé  7ìobis  debere, 

NiuN  tempo  c'è  flato  efente  da  aggravj,  e  pare  che  que- 
fti  andando  innanzi  fempre  più  crefcefìero  .  Ogni  età  conobbe 
\q  Angari  e  y  Q  Perangarle^  ficcome  ancora  \c  Collette  ^  chiama- 
te ancora  Collatce  ,  e  in  un  Editto  di  Teoderico  Re  de  i  Goti 
Collationes ,    che  oggidì  portano  il  nome  di  Colte .  Antico  è 

pari- 


Decimanona.  2n 

parimente  il  nome  (liD/7:^'o,  truovandofi  nelle  vecchie  Carte 
Data^  Datia^  Dadea^  t  Dariones  ,  Anzi  v'erano  tributi  ed  ag- 
gravj,  de'quali  troviamo  il  nome  fenza  fapere  ciò,  che  fiani- 
ficaffero  .  In  un  Diploma  di  Adelgilo  Re  de'  Longobardi  dell' 
Anno  773.   (  fé  pure  è  Documento  ficuro  )  rapportato  nel  Bol- 
lano Cafinenle  Tom.  2.  Conflit.  20.  fi  legge  :    Concedimus  per 
ipfa  Monajìeria  omnes  Scufias  publicas^  &  Angarias^  atque  Ope- 
rasi &  Dattones^  vel  Collc6las^  feu  Teloneo^  &  S'dìquatico  de 
ftngulas  Mercaturas  &  Portoras  &c.  Che  razza  di  aggravio  fof- 
fero  \q  Sciifie  ^  non  ho  chi  meloinfegni.  Abbiamo  anche  un 
Diploma  di  Arrigo  II.  fra  gl'Imperadori  ,  con  cui  neh'  Anno 
1055.  conferma  i  lor  Beni  a  i  Canonici  di  Cremona,  cum  dì- 
Jìr'tHu  ,    cum  porcis  &  njervecibus  ,    cum  Operibus  ,  &  omtììbui 
Scuffiis  .    Offervifi   poi  quali  Regalie  e  tributi  pretendefTe  Fe- 
derigo I.  Imperadore  dal  Popolo  di  Crema   perl'Ifola  di  Ful- 
cherio  nell'Anno  ii88.  In  hts  locìs  (così  ha  il  Decreto  con- 
fervato  nell'Archivio  della  Citta  di  Cremona  )  habuit  &  tenmt 
Dommus  Imperator  per  Juos  med'ietatem  totius  Vini   (  veggafl  che 
eiorbitante  Tributo  )  &  de  terris  Militum  quartum  ;  de  ceferis 
*vero  tertium  ;  &  plenam  jurisdi6iionem  ,   honorem  plenum ,  &  di- 
JìriHum  :  fcilicet  Fodrum ,  Banna ,  Erbaticum ,  Efcaticum ,  T en- 
fasi MalgaSy  Cajcias^  Pijcationes^  Venationes^  Silvas  om?iesÒ'c, 
Non  faprei  dire,  cola  foffero  \q  Malghe.  Per  conto  delle T^«- 
fe  pare  lo  {\qRo  che  le  Tajfe  .  Nella  Storia  Veneta  del  Sanuto 
fono  mentovate  ÌQTanfe  de' Notai  ^  leTaìife  de  Giudici  .  Ma 
in  uno  Strumento  del  Comune  di  Modena  dell'Anno  1281.   fi 
legge  :  Commune  Finalis  Mutinenjts  debeat  dare  prò  eorum  (  cioè 
de' Mercatanti  Lucchefi  )  fecuritate  Ta7ifam  a  Finali  uJqueBon- 
denum  cum  hominibus  armatis .  Qui  fembra  un2i  Scorta,  Preflb 
rUghelli  ne' Velcovi  Salernitani  fi  truova  Audieyitia    per  una 
fpecie  di  tributo  .   E  ne'  Vefcovi  di  Canne  fine  calzao  (  forfè 
calcario  )  &  ajjp datura^  &  omni  jure  tributario  .  Non   so  dire, 
fé  fignificaffe  tributo  pel  diritto  di  far  calce  .    Ne'  Vefcovi  di 
Caferta  è  parlato  de  Calcariis  terrarum  .  E  nel  Capitolare  di 
Sicardo  Principe  di  Benevento  è  comandato.  Ut  nulla  fjova  con- 
juetudo  imponatur  ,   excepta  antiqua  ,  hoc  eft  KefpotìJ aticum  ,   & 
Angarias^  &  Cale  ari  as ,  In  uno  Strumento  di  Verona  dell'An- 
no II 40.  dato  alla  luce  dal  Campagnola,  fta  fcritto  :  Commu- 
ne de  Soavo  vemifit  omnia  fervida ,  fcilicet  Plobegum ,  ù'  Da- 
ciam^  &  Waitas ,  Il  nome  di  W  aita  fignifìca  il  fare  lamenti' 

nella 


232  Dissertazione 

nella  o  ila  la  Guardia  .  Il  Ferrari  nelle  Orig.  Ita!,  credette  , 
-che  la  voce  Aguato  veniffe  dai  Latino  Accubu- atus ;  e  il  Mena- 
gio  deriva  la  parola  Guatare  dal  Latino  barbaro  cattare  ,  ed 
Aguato  da.  Guatare.  All'incontro  il  Ferrari  lìvà  Gualcare  divi- 
dere ^  Vifttare  .  Tutti  logni .  Chiara  cola  è  ,  che  Aguato  viene 
dal  Tedeico  Waìta  ,  che  noi  ,  fecondo  1'  ufo  di  mutare  il  W 
in  GV  diciamo  Guaita  .  Stare  ad  Guaitam  dilTero  i  vecchi  ;  e 
in  Italiano  ftare  a  Guato .  E  di  qua  venne  Aguato  ,  e  Guatare  . 
I  Francefi  dicono  Guet ,  ejìre  au  Guet .  Per  la  voce  Veronefe 
Flobsgum  è  da  vedere,  fé  mai  fignificaffe  l'Aratro  ,  che  i  no- 
ilri  Contadini  tuttavia  chiamano  Piod ^  o  Pioeu  .  Pflug  dicono 
iTedefchi;  o  ^uxq  Plough ^  oPlo'W^  altri  di  que' Popoli.  Ro- 
berto Guifcardo  Duca  di  Puglia  nell'Anno  105^.  promife  di 
pagare  alla  Chieia  Romana  prò  unoquoque  jugo  boum  penjìonem 
duodecim  denartorumPapienfis  moìietce  .  Cerchino  altri  di  meglio 
indovinare. 

Tralascio  altre  rendite  Feudali,  che  i  Marchefi  d'Elle  nell* 
AnnoiipS.  ricavavano  dall' Ifola  d'Ariano,  e  l'altre,  che  nel 
11^6.  appartenevano  a  i  Duchi  di  Tofcana  nel  Caftello  di  Pre- 
ceno. Difli  parere  ,  che  fotto  i  Re  Longobardi  e  Franchi  non 
folle  in  ulo  tanta  copia  ediverfita  di  aggravj  ;  ma  né  pure  man- 
cavano allora  Ufiziali  del  Principe  ,  che  introducevano  delle 
-cj^ttive  ufanze  in  pregiudizio  de'  Popoli  ,  e  fpezialmente  tali 
angherie  inferivano  ai  Servi  ed  Aldioni  non  lolo  de' Secolari, 
ma  anche  de  gli  Ecclefiaftici,  che  difperati  abbandonavano  le 
Campagne  fuggendoìene  altrove.  Riferito  quello  disordine  all' 
infigne  e  piiffimo  Augufto  Carlo  Magno  ,  cagion  fu  ,  eh'  egli 
pubblicane  la  Legge  121.  fra  le  Longobardiche  .  Audivimus  ^ 
'die' egli  ,  quod  Jufjiores  (  quei  della  Famiglia  )  Comitum  ,  vel 
ali  qui  Minìfìri  Reipublicce  ,  fìve  etiam  nonnulli  fortiores  Vajji 
Comitum^  aliquam  redhibitionem  (Contribuzione)  velColleóiio- 
nem  (  oggidì  Colta  )  quidam  per  paflum  ,  quidam  etiam  fine 
■pafìo  ,  quajì  deprecando  ,  a  Populo  exigere  foleant  •  Similiter 
quoque  opera  ^  Colleóiiones  frugutn  y  arare  ^  fé  min  are  ^  rune  are  ^ 
carrucare  ,  vel  cetera  bis  fimilia  a  Populo  per  easdem  ,  'vel  alias 
machinationes  exigere  confueverunt  ^  ?ìon  tantum  ab  Ecclefiafìicis^ 
fed  a  reliquo  Populo  exigebant  .  Ordina  pertanto  ,  che  fieno  le- 
vati sì  fatti  abufi  .  ^ia  ^  foggiugne  egli  ,  in  quibusdam  locis 
in  tantum  inde  Populus  opprejfus  ejì  ,  ut  multi  ferre  non  valen- 
tesj  per  fugam  a  Dominis  ^  vel  a  Patronis  fuis  lapfi  [unt  ,  C'^ 

terrae 


D    E   e    I    M    A    N    O    N    A  .''  2  j  j 

tencs 'fhf(S  i?ì  fornudi72em  redaBcv  funt .  Leggefi  ancora  una  Let- 
tera da  efib  Augufto  icritta  al  Re  d'Italia  Pippino  iuo  Figlio, 
incaricandogli  di  provvedere  a  quefle  ed  altre  concuITioni  fatte 
al  Popolo  da  i  pubblici  Miniftri  .  Non  dovette  finire  queRa  fu- 
perchieria  e  cupidigia,  perchè  abbiamo  la  Legge  32.  di  Lodo- 
vico IL  Imperadore  ,  dove  anch'egli  proibifce  corali  Angherie. 
Parimente  Guido  Imperadore  nell'Anno  5?22.  nella  Legge  3.  le 
condennò,  volendo,  che  ^ì  Ari  marmi  ^  cioè  le  Perfone  Libere 
non  paghino  ,  prater  quod  conjìimtv.m  Legthus  ejì  .  Licofifuctjs 
cccaftoncs  fono  appellati  quefti  aggravj  in  un  Diploma  di  Cor- 
rado IL  fra  gì' Imperadori  dell'  Anno  1027.  dato  in  favore 
delle  Monache  di  San  Salvatore  di  Lucca  .  Tolte  e  mali  ufus 
fi  truovano  alle  volte  appellati  fimili  aggravj  ;  e  in  un  fuo  Di- 
ploma del  Secolo  IX.  Berengario  I.  Re  d'Italia  vietò,  che  nia- 
no  potcffe  efigere  dal  Moniftero  Trevilano  de'  Santi  Pietro  e 
Teonelio  ,  fuggetto  al  Veronefe  di  San  Zenone,  Umas  ^  atqus 
Mutasy  vel  ullas  Collc5ias,  Del  Dazio  delle  Urne  è  da  vedere 
ilDii-Cange.  Le  Mpife  nella  Diocefi  di  Salisburgo  fignificava- 
no  la  milura  delle  cole  liquide. 

NE'Secoli  più  baffi,  allorché  le  Citt^a  preiero  forma  di  Re- 
pubblica, fottomettendo  al  loro  Dominio  le  varie  Terre  e  Ca- 
Iftella,  che  dianzi  non  ubbidivano,  il  coflume  era  ,  che  obbli- 
gavano que'  Popoli  a  pagare  la  Boa-zia^  cioè  un  tanto  per  ogni 
paio  di  Buoi  .  Kugadicum  è  appellato  quefto  Tributo  in  uno 
Strumento  della  Citta  di  Tortona  dell'Anno  1 183.  riferito  dall' 
Ughelli  con  quelle  parole  :  Rugadicum  (  credo  più  rodo  Buga- 
dicum  ,  o  Bucadicum  )  ejl  duo  foldi  de  unoquoque  pari  Boum  . 
Della  luddetta  Boaria  è  fatta  menzione  in  uno  Strumento  deli' 
Anno  1173.  in  cui  gli  uomini  della  Badia  di  Frafìinoro  fulle 
montagne  fi  fottopongono  ai  Comune  di  Modena,  prometten- 
do ornili  Anrìo  dare  Boatiam  IS^utiri'js  fex  Denarios  Lucanos  prò 
unoquoque  pari  Boum ,  Dopo  il  Mille  ancora  s'introduffero  va- 
rj  itraordinarj  aggravj,  a' quali  fpezialmentc  erano  fottopofti  i 
ValTalli,  chicLvmù  Auxilia  y  Dona  gratuita  ^  ^  Mutua  ^  cioè  Pre- 
ftanze  di  danaro,  che  mai  più  non  fi  rellituiva.  Venendo  adun- 
que occafion  di  guerre,  o  maritandofi  il  Principe,  o  accafando 
egli  le  Figlie,  o  dovendofi  conferire  a  lui  ,  ovvero  a  i  Figli  il 
cingolo  della  Milizia,  appellata  Cavalleria;  o  fortificar  la  Cit- 
ta o  qualche  Cartello  :  Si  efigevano  Auxilia  da  tutto  il  Popolo, 
ma  più  fovente  da  i  Vaflalli,  Da  i  Cortu/i  fono  menzionati  Mu- 
To?m  L  G^  tua^ 


234*  Dissertazione 

tua^  &Daciey  che  affliggevano  il  Popolo  di  Padova;  eMatteo 
Villani  fa  menzione  delle  varie  Pre/ìajj';^  impofie  a  i  Fiorenti- 
ni .  Nella  Par. I.  delle  Antich.  Eli.  ho  io  ricordato,  che  il  ce- 
lebre Roberto  Guilcardo  Duca  di  Puglia  e  Calabria,  maritando 
nell'Anno  lo/d.  una  ina  Figlia  ad  Ugo  Figlio  di  AzzoII.  Mar- 
chefe  ,  cioè  del  Progenitore  della  Cafa  d'Efte  ,  mandò  Rega- 
li ^  o  fia  Doni  a  tutti  i  fuoi  Baroni; 

-  -  La  fi  qui  bus  &  vir  &^  uxor  ab  ir  e 
Donati  njaleajip  :  ?iec  enim  prius  Impsriales 
Altera  cum  Proles  thalamos  Mìchaelis  adtjfet  ^ 
^uodlibeP  Ai4?àlium  ciederant .  ,  .  . 

Così  fcrive  Guglielmo  Pugliefe  nel  fuo  Poema.  Che  fé  due  o 
tre  volte  fi  pagava  dal  Popolo  qualche  Aiuto  o  in  danari ,  o 
in  naturali ,  fotto  nome  di  Confuetudi?je  feguitava  poi  quefto 
pefo  .  Da  tali  Confuetudini ,  che  non  aveano  mai  fine  ,  niuna 
Citta  probabilmente  andò  efente  ,  e  fé  ne  troverà  anche  a  i 
dinoftri.  Né  tali  nomi  e  pefi  furono  ignoti  agli  antichi.  Nel- 
la Legge  2,  Cod.  deOffic.Prajf.  Prjet.  Afr.  fi  truova  Notitia  Con- 
fuetudinurn  ,  quas  in  Sacro  laterculo  Ò'  i?ì  Pretorio  prò  tempore 
Dux  prcsbere  debet.  Né  fu  efente  una  volta  da  sì  fatte  Confue- 
tudini la  Repubblica  Ecclefiaftica  .  Eccone  un  eiempio  in  un 
Diploma  di  Lodovico  II.  Augufto  dell'Anno  873.  rapportato 
dal  Puricelli  ne'Monum.  della  Bafil.  Ambrof  Qj-iivi  fi  legge  : 
Nullus  Pontifex  itllas  Pr<^flatÌQnes  ,  lìel  annuas  Donationes  ,  feit 
quasi ibet  Angari as  ,  &  fuperimpojitas  Exaóliones  ,  cantra  morem 
Canoììicum  ,  Jive  Regularem  Conjìitutionem  fuperimponere  aut 
exigere  audeat.  Per  tali  avanìe  fcreditatiifimo  fu  nel  Secolo  ftef- 
fo  IX,  Giovanni  Arcivefcovo  di  Ravenna ,  citato  perciò  al  Con- 
cilio Romano  ,  tenuto  nell'  Anno  IV.  di  Papa  Niccolò  ,  e  XL 
del  fuddetto  Imperadore  .  Diceano  i  querelanti  ,  eumdem  Ar- 
chiepifcopum  per  binos  annos  femel  Epifcopia  nojlra  circuere  ,  & 
tamdìu  per  ftngula  rejìdere  ,  quoufque  ipfa  &c,  cum  fuis  homi- 
nibus  conjumat  ^  &  non  a?2tea  inde  recedere  ,  quam  ab  Epifcopo 
loci  illius  ad  Archiepifcopum  ,  Ò'  familiares  ejus  ,  quce  non  de- 
bentur ,  dona  non  modica  tribuantur .  Infuper  omni  anno  (  quod 
in  toto  mucido  minime  invenitur  )  colonico  more  ,  berbices  ,  & 
oblatas  ,  'vìnum  ,  &  pullos  ,  &  Ova  Archiepifcopo  ,  &  ad  Juum 
Archipresbfterum  ftmiliter ,  &  ad  Archidiaconum ,  &  ad  Vicedo- 
minum ,  &  ad  Arcarium  ^  &  ad  Majorem  cubiculi ,  &  ad  Cartu- 

larium , 


Deci  M  ANO  NA.  2^5 

larìum ,  &  adScrtntarium ,  &  ad  Defs?2fores ,  &  ad  Cuhtculartum , 
Ù'  ad  Majorem  Domus  ,  fribus  prò  om7i'tbus  bis  fupradiHis  omne 
/imiaalifer  Jìtie  intermìjjione  ad  unumquemque  rcdditum  ,  ftcut 
Tributariì  facere  .  Era  anche  quefto  Arciveicovo  un  pallone 
di  iiiperbia,  e  cozzò  col  Sommo  Pontefice,  ma  in  fine  egli  ne 
redo  fcornato .  Quefte  inique  ufanze  fi  chiamavano  ancora  Oc- 
cafiones^  e  tal  voce  s'incontra  nelle  antiche  Memorie  .  Ballerà 
qui  la  Legj^e  37.  di  Lodovico  Pio  Imperadore,  dove  s'ha  :  De 
hi'jidflts  Occafionìbus^  &  Confuetudìnìbus  iionjtter  injì'ttutìs  ,  ficut 
Tributa  junt  ^  Ò'Tolofiea  m  media  vi  a  ^  ubi  nec  aqua  ^  nec  pa- 
lus  ,  nec  po?2s ,  ??ec  aliquid  tale  fuerit ,  unde  jujìe  Cenfus  exigi 
pojjit  ,  ut  auferafitur  &c.  E  queRo  fia  detto  de  i  Tributi  ,  ed 
Aggravj  de'  Secoli  barbarici ,  non  pretendendo  io  per  quefto 
d'averli  mentovati  tutti  ;  perciocché  quefto  è  un  campo  molto 
fecondo  ,  e  la  dilgrazia  porta  ,  che  introdotto  un  nuovo  Dazio 
o  Gabella  ,  ha  la  fortuna  di  confeguire  il  privilegio  dell'  im- 
mortalità.  Niuno  forfè  eie  de'Popoh,  che  fentendo  i  proprj 
pefi,  non  fé  ne  lagni,  ma  lenza  conoicere  quelli  ancora  d'al- 
tri paefi,  che  talvolta  fono  molto  più  grevi .  Finirò  con  dire, 
udirfi  da  noi  con  orrore  i  nomi  de'  Goti  ,  Unni ,  e  Longobar- 
di :  oh  genti  nefandiffime,  gridava  una  volta  chi  non  era  loro 
Suddito.  Ma  odafi  Salviano  Lib.  V.  de  Gubern.  Dei,  dove  (cri- 
ve  5  eflcre  ftati  si  eforbitanti  al  fuo  tempo  gli  aggravj  de'  Po- 
poli del  Romano  Imperio,  che  ne  (lavano  fenza  paragone  me- 
glio i  Barbari  ,  e  i  Romani  divenuti  loro  Sudditi  non  fi  cura- 
vano di  mutar  Padrone.  Franci  hoc  fcelus  nefciunt .  Chuìiìii  ah 
bis  fceleribus  immunes  funt  .  Nihil  horum  ejl  apud  ^ andalos^ 
nihil  horum  apud  Gothos  .  Tarn  lorige  enim  efl  ,  ut  hoc  inter 
Gothos  Barbari  tolerent ,  ut  ne  Romani  quidem  ,  qui  inter  eos 
vi'uunt^  ifta  patiaritur ,  Itaque  unum  illis  Komanorum  omnium 
njotum  ejì  ^  ne  umquam  eos  necejfe  fu  in  jus  tranjire  Koma- 
norum . 


Gg     2  De 


2^6 


Dissertazione 


De  gli  Atti  delle  Donne . 
DISSERTAZIONE   VENTESIMA. 

LAmenterebbonsi  le  Donne,   ove  nulla  dicefii  di  loro, 
né  facefli  punto  conofcere  i  riti  del  loro  leiTo  ne' Secoli 
barbarici .  Primieramente  fi  vuole  avvertire  ,  che  le  Fanciulle 
a'  tempi  de'  Longobardi  nudrivano  il  crine  ,  né  lo  toiavano  . 
"Nelle  Leggi  del  Re  Liutprando    noi  troviamo  fovente  Filias 
in  capillo  in  cafa  reliólas  .   E   per  atteftato  di  Paolo  Diacono 
Lib.  V.  Gap.  37.  De  Gefì:.  Langobard.  il  Re  Cuniberto,  aven- 
do intefo  lodare  Theodotem  puellam  eleganti  corpore  ,    &  Jìa- 
WS  prolixisque  capillis  pcene  ufque    ad  pedes  decoratam  ,    tofla 
fé  ne  invaghì  .    Le  quali  parole    fembrano  indicare  ,    che  le 
Vergini  allora  andaifero  col  crine  fciolto  fulle  fpalle,  ma  ve- 
riiìmiimente  con  qualche  naRro  legate  nel  calare  dal  capo  . 
In  Milano  e  Bologna  ,    e  fors'  anche  altrove  i  Fanciulli  e  le 
Fanciulle  fi  chiamano  Tojt^  T^^fi  •>  Tofane^  Tofani  ^  e  Tofet- 
te  :  il  che  quantunque  paia  dire  il  contrario  di  quello  che  pra- 
ticarono i  Longobardi  ,  pure  il  Ferrari  nel  Tratt.  dell'  Orig. 
-della  Lingua  noitra  giudicò,  che  Intonjì  ed  Intonje  de'Longo- 
èardi  fi  fia  convertito  in  quefte  altre  voci  .  Che  fé  non  fi  to- 
favano  le  Fanciulle  ,    feml3ra    che  fé  ne  poiTa    inferire  ,    che 
quando  poi  paflavano  a  Marito  ,  allora  fi  tagliaflero  ,  o ,  per 
dir  meglio,  fi  accorciaflero  la  chioma.  Il  Du-Cange  nel  Glof- 
fario  fu  d'  altro  parere    alla  parola  Capilli  ,    fcrivendo  :    Pro- 
■mijfos  crines  innuptce  ferebant  ,  nec  eos  i?i  nodos  retorquebant  , 
quod  nuptarum   erat  apud  Langobardos  .   Ma  quando  non   fi   re- 
chino teftimonianze  di  tal  uio  ,  non   fiam  tenuti  a  feguitar  s'i 
fatta  opinione  ;  perciocché  non  fi  diQinguevano  le  Zitelle  dal- 
le Maritate  ,  perché  le  prime  portaffero  il  crine  fciolto  ,  e  F 
altre  aggruppato  ;  ma  perchè  quelle  erano  in  capillo  ,  e  per 
conleguente  f  altre  doveano  andare  in  qualche  maniera  tofa- 
te  .  Preffo  gli  antichi  Franchi ,  ficcome  atteiìa  Gregorio  Tu- 
ronenfe  Lib.  III.  Gap.  18.    della  Storia,    i  mafchi  portavano 
Cisfariem  incifam  ,  e  i  primi  Re  la  lafciavano  cader  giì^i  dalle 
fpalle  ,  ma  i  Re  Carohni  al  pari  del  Popolo  adoperavano  un 
onefta  tofatura  de'  capelli  •    oc  é  da  credere  ,   clic  le  Donne 

d'Ita- 


Ventesima.  2j7 

d' Italia  ,  da  che  vennero  a  comandar  qui  i  Franchi  ,  fi  acco- 
modaflero  a  i  lor  codnmi ,  ed  ufafTero  treccie  e  ricci  per  orna- 
mento del  capo. 

•  Uso  ancora  fu  delle  Fanciulle  il  portar  Camtcchwle  eret- 
te alla  vita  .  Paolo  Diacono  nel  compendio  di  Fefto  ,  fcriffe  : 
Supperus  'veflimentum  puellnruyn  lineum  ,  quod  &  Subucida  y 
id  eft  Camifia  d'tcttur  .  Vien  derilo  Paolo  da  Giufeppe  Scali- 
gero con  quefte  parole  :  Cami/lam  ufurpat  Paullus  verbum 
fuce  cctatìs  ,  ac  fuorum  cUgant'ta  d'tgnvim  .  Troppo  è  da  dire 
precipitofa  quella  fentenza  .  Vittore  Vitenfe  nel  Libro  I.  de 
Perfecur.  Vandalor.  tanto  prima,  cioè  nell'Anno  487.  conob- 
be Camìjìas  &  Femoralia  .  Anzi  abbiamo  da  San  Girolamo  , 
che  a'  Tuoi  tempi  era  ufatiflima  quella  voce  ,  feri  vendo  egli 
neir  Epift.  a  Fabiola  :  Volo  prò  legenfts  facilitate  ahut't  ferma- 
ne vulgato  ,  Solent  -milìtantes  bah  ere  lìneas  (  cioè  vedi  di  te- 
la bianca  )  quas  Carni  fi  as  njncant^  Jicaptas  memhrìsy  &  adflri- 
Has  corporibus  ,  ut  expedttì  Jìnt  njel  ad  cmfum  ,  vel  ad  pr ce- 
lta .  Perciò  quella  voce  una  volta  fignificava  non  la  Camicia 
de  i  noli  ri  tempi  ,  ma  s\  bene  una  Camicciuola  .  E  veggaG  , 
che  Y  Alba  veliimento  facro  ,  da  noi  appellato  oggidì  Cami- 
ce^ da  San  Gregorio  Magno  Lib.  VI.  Epiiì.  27.  e  da  Anaftafio 
Bibliotecario  nella  Vita  di  Benedetto  ìli.  fu  chiamata  Cami- 
Jìum  e  Camifia  .  I  Greci  per  figniiicare  quella  ,  che  oggid'i 
Camicia  fi  appella  ,  e  fi  uia  portare  fotto  tutte  le  vedi  ,  di- 
cevano ììypocamifum  ^  cioè  Sottocamicia  :  parola  anche  ado- 
perata dal  fuddetto  Anaftafio  nella  Vita  di  San  Giovanni  Li- 
mofiniere . 

Quanto  a  gli  Sponfali ,  coflume  una  volta  fu  ,  almeno  nel 
Secolo  Nono  ,  che  volendo  un  uomo  obbligar  la  Tua  fede  di 
prendere  per  Moglie  una  femmina  ,  le  metteva  1'  anello  in 
dito  :  il  che  oggi  fi  ferba  per  la  benedizione  del  Matrimo- 
nio .  E  quando  fi  celebrava  davanti  il  Sacerdote  elfo  Matri- 
monio 5  fi  ilendeva  un  Velo  benedetto  tanto  fopra  l'  uomo  , 
che  fopra  la  donna  in  fegno  di  verecondia  ,  e  della  pudici- 
zia 5  che  aveano  da  coniervarc  .  Per  chi  palla  va  alle  fecon- 
de Nozze  non  fi  ufava  pia  qiiedo  Velo  .  Ci  vien  quePto  Ri- 
to infegnato  da  Papa  Niccolò  I.  nelle  Ri  polle  a  i  Confulti  de 
1  Bulgari  Capitolo  terzo  ,  dove  interrogato  ,  qual  conluetu- 
drae  fi  avefie  da  oflervare  nelle  Nozze  ,    cosi  egli  rilponde  : 

ISlofìra- 


2j8  Dissertazione 

Nojìrates  tam  mares  quam  femìnce  nullam  lìgaturam  auream 
iiut  argo nt Cam  ^  aut  ey:  quolthet  metallo  compojìtam^  quando  Nu^ 
ptìalia  fcedera  contrabtmt  ^  in  capitìbus  deferunt.  Sed pojì  Spon- 
falìa ,  qiitff  fitiuraruìn  fu?2t  Nupftarum  promijja  feeder  a ,  qudcque 
coTìjenfu  eovum^  qui  Ìmc  coiìtrahunt  ,  &  eorum  y  in  quorum  pò- 
teftate  flint  ^  celehrantur  ^  Ò' poftquam  arhis  Sponjam  Jtbi  Spon- 
fus  per  digitum  fido'i  a  fé  Annido  infignitum  defpondet^  dotem- 
que  litrique  placitam  Sponfiis  ei ,  cum  fcripto  paHum  hoc  conti- 
nefite^  coram  invitatis  ab  utraque  parte  tradtderit  Ù'c.  ambo  ad 
Nuptialia  fonderà  perducu-ntur .  Et  primum  quidem  in  Ucclefict 
Domìni  cum  oblationibus ,  quas  off  erre  Deo  debent  per  Sacerdo" 
tis  manum  y  Jìatinmtur ;  ftcque  demum  Benedi6iionem  ,  &  Vela- 
-me?!  cccìefìe  fufcipiunt ,  Veruni amenVelayyjen  illud  non  fufcipit<^ 
qui  ad  fecundas  Nuptias  migrat .  Pofl  h<xc  autem  de  Ecclejia 
egrejji  Coronas  in  Capite  geflant ,  qu(^  femper  in  Ecclejta  ipfa 
folitce  funt  refervari  &c.  Antichifilmo  era  il  Rito  di  dar  l'Anel- 
lo ne  gli  Sponfali  ,  e  quefto  vien  chiamato  Anulus  pronubus  da 
Tertulliano  nel  Lib.  de  Cultu  femin.  Anche  gli  antichi  Roma- 
ni ufavano  di  dare  allora  l'Anello.  Così  da  Santo  Ambrofio 
nel  Libro  de  Virginitate  Gap, XV.  è  mentovato  Flammeum  nu- 
ptiale  nuptarum  ,  cioè  quei  Velo  ,  di  cui  parla  Papa  Niccolò  . 
Lo  (ìcfib  Santo  Arcivelcovo  nell'Epifì:.  XIX.  dice:  ^um  ip- 
fum  Conjugium  Velamine  Sacerdotali  ,  &  Benedizione  fan^ìiji' 
cari  oporteat  &c,  Qiiattro  uomini  tenevano  gii  angoli  di  elTo 
Velo,  chiamato  anche  Pallium^  fopra  le  tefte  de' nuovi  con- 
iugati .  In  oltre  per  mano  de' Sacerdoti  fi  mettevano  in  Capo 
ad  elTi  le  Corone  ,  e  folevan  quefte  eiTere  rilevata;  a  guifa  ài 
torre,  e  compofte  di  fiori  .  QLieflo  Rito,  come  ofiferva  il  Pa- 
Icalio  Lib.  2.  Gap.  i6.  de  Coronis  ^  lo  prefero  i  Crilliani  da  i 
Greci  e  Romani ,  e  come  innocente  lo  ritennero  .  Nella  fun- 
zione ancora  del  Matrimonio  allora  fi  coflumò,  come  oggidì, 
che  l'uomo  e  la  donna  fidavano  la  m.an  deftra  per  fegno  del 
poffefib,  che  l'uno  prendeva  dell'altro,  e  della  fedeltà  e  con- 
cordia, che  avea  da  eiTere  fra  loro.  Fanno  di  ciò  fede  Tertul- 
liano ,  e  San  Gregorio  Nazianzeno  .  Erano  poi  amendue  avvi- 
fati  di  aliene rfi  per  quel  giorno  e  nciia  notte  feguente  da  ogni 
commerzio  carnale  per  riverenza  al  Sacramento.  Anzi  v'erano 
di  quelii  ,  che  per  due  o  tre  giorni  fé  ne  ailenevano  :  il  che 
duro  parrebbe  a  gli  uomini  carnali  de' nofiri  tempi.  Allorché 
le  nuove  maritate  erano  condotte  alia  cafa  del  Marito,  con  tri- 
pudio 


Ven    TESIMA.  2 j9 

pudio  e  pompa  maggiore  che  oggidì  fi  facea  queflo  padaggio  . 
Nella  Legge  VI.  di  Adolfo  Re  de'  Longobardi  fon  le  feguenti 
parole  :  Peì-^entt  /rd  ??os^  quod  dum  quidam  homines  nd  fufci- 
ptendam  Sponfam  cujusdnm  Sponft  cum  Paranympha  Ò'  Tro6Ìi?i. 
gis  aynbularent  ,  perverji  homines  aquam  [ordidam  &  Jìevcora 
ftiper  ipfam  ja6iaj]hn  &c.  A  quello  delitto  s'impone  ivi  una 
grave  pena  ;  perciocché  pare,  che  i  Longobardi  offervafiero  il 
coiiume  anche  oggidì  oflervato  in  Inghilterra  ,  cioè  di  fare 
una  Legge  nuova  ,  qualora  qualche  misfatto  fi  commetteva  , 
per  cui  dianzi  non  folle  ftata  determinata  la  pena  .  Qjjei , 
che  TroHingi  fon  detti  in  effa  Legge  ,  dalGramatico  Papia  fon 
chiamati /onJ^ror^^.,  qui  faltnrs  ?wverurìt.  Di  coftorò  tornerk 
occafion  di  parlare  nel  Gap.  XXIX.  degli  Spettacoli, 

Con  che  pompa  i  Re  e  Principi  folennizzafTero  le  loro  Noz- 
ze fcicile  flirebbe  il  dimoftrarlo.  Qj-ialche  cofa  ne  diremo  nel- 
lo lleffo  Gap.  2^.  Anche  i  privati  con  funtuofita  corrifponden- 
ti  alle  loro  forze,  e  alla  lor  Dignità  faceano  rifplendere  quella 
funzione  .  Nel  Secolo  XIV.  e  nel  feguente  ufo  fu  in  Lombar- 
dia ,  che  ne  gli  Sponfali  o  nel  Matrimonio  de'  Nobili  un  elo- 
quente Oratore  ,  alla  prefenza  de'  Parenti  e  Cittadini  amici  , 
recitava  l'Epitalamio,  cioè  un'Orazione  in  lode  de  gli  Spofi , 
e  delle  lor  Gafe  illuftri .  Grande  sfarzo  era  allora  nelle  vedi  , 
e  ne  gli  addobbi  delle  Gafe,  e  ne' conviti  per  molti  giorni.  Il 
bello  era  ,  che  i  Parenti  non  andavano  efenti  da  una  contri- 
buzione; cioè  coflume  era,  che  tutti  regalaflfero  lo  Spofo  o  la 
Spola;  e  quefti  regali  nelle  Nozze  mafiìmamente  de' Principi 
e  gran  Signori  erano  magnifici  .  Ne  tratteremo  meglio  nel  Ca- 
pir. 2p.  Qj.li  folamente  fi  vuole  avvertire,  che  eoceni  a  Nuptia- 
lia  furono  in  ufo  anche  a'  tempi  del  Re  Rotari,  e  ne  reflava 
padrone  il  Marito,  tuttoché  follerò  fatti  allaSpofa.  Cosi  ab- 
biamo nella  Legge  184.  di  quel  Re  Longobardo.  Si  quando  pa- 
ter jìHam^  aut  frater  jororetn  fuam  alii  ad  uxorem  tradiderit  ^  & 
aliquis  ex  Amicis  accepto  Exenio  ipjì  Mulieri  aliquid  dederìt , 
in  ipjtus  Jìt  potejìate  qui  mundium  de  e  a  fecit.  Ma  allora  fi. 
dovea  camminar  con  molta  moderazione.  Perchè  dovette  an- 
dare all'ecceffo  quella  difpendiofa  ufanza,  fu  poi  effa  proibita 
dallo  Statuto  di  Milano  Part.  IL  Gap.  455.  colle  feguenti  pa- 
role :  ^um  Midier  fuerit  Sponfa  ,  ^vel  Matrimo?iio  copulata  , 
fiulliis^  excepto  Marito  njel  Sponfo^  debeat  eidem  muuus  nec  mu- 
nera  ojfcrre  in  publico  nec  occulto  fub  poena  Ù'c,    Che   dote   ie- 

condo 


240  Dissertazione 

^  -conciò  le  Leggi  Remane  (1  doveffe  dare  alle  Donne  ,  s'  ha  da- 
dimandare  a'noflrì  Giurisconlulti,  e  vedere  i  fulTegucnti  Stata- 
ti delle  Citta  .  Per  quei  che  riguarda  i  Longobardi,  colie  Leg- 
gi  de^quali  fin  verio  il  1200.  fi  governò  la  maggior  parte  d' 
Italia,  non  era  determinato  quanta  aveiTe  da  edere  la  Dote. 
I  Padri  alle  Figlie,  i  Fratelli  alle  Sorelle  facevano  un  Dono  o 
Regalo  ,  chiamato  Phadcrphìum  ,  quafichè  in  elTo  confiftefle 
V Eredità  paterna  :  che  cosi  luona  quella  parola.  E  qualunque 
fofìfe  quefto  Pvegaìo,  ferviva  perle  Figlie  di  lor  porzione  nelF 
Eredita  del  Padre.  Odafi  la  Legge  181.  del  Re  Rotari .  Si 
qua?ìdo  pater  fUtam  fuam ,  aut  frater  fororem  fuam  Icgìt't mam  alti 
marttmn  deder'tt ^  in  hoc  fit  ftb't  contenta  de  patris  aut  fratris  jub' 
flantia^  quantum  ei  pater  aut  frater  in- die  traditionis  nuptiarum 
dederit ,  (T  amplius  non  requirat  .  Anticamente  le  Doti  delle 
Figlie  non  aicendevano  a  molto  ,  come  anche  oggidì  fi  prati- 
ca in  Germania  .  In  Italia  i  facitori  de  gli  Statuti  più  compaf- 
fìone  regolarmente  ebbero  in  quefto  propofito  al  feflb femmineo; 
ed  oggid\  non  poche  fon  le  Caie  ,  che  rifentono  grave  inco- 
modo dal  dovere  sboriar  tanto  di  Dote  per  accalare  le  lor  Fi- 
glie :  dal  che  nalce  poi  un  altro  diiordine  ,  cioè  che  per  aìle- 
gerirfi  da  quello  pelo  ,  le  conf^gnano  a  i  Monifterj ,  e  voglia 
Dio  ,  che  icmpre  con  vera  vocazione  delle  medefime  Fan- 
ciulle . 

All' incontro  coda  va  allora  non  poco  agli  Uomini  il  pren- 
dere Moglie;  imperciocché  bifo^nava  in  certa  maniera  ,  che 
le' compradero:  il  che  per  teitimonianza  di  Tucidide  nella  Sto- 
ria, e  di  Ariflotele  nella  Politica,  praticavano  una  volta  anche 
i  Greci  .  Parimente  Tacito  nelfOpuic.  de  Germ.  rnorib.  fcrive: 
Dotem  7ion  uxor  marito  ,  fed  maritus  uxori  offert  .  In  fatti  fuUe 
prime  doveva  il  Marito  p^lq^slvq  Metam  ^  oMet/jium  ^  oMepbium 
(  cosi  vana  fi  truova  ne  gli  antichi  MSti  )  e  quefto  per  otte- 
nere, e  far  fua  la  Donna  .  Oltre  a  ciò  foleva  coilituire  ad  efla 
il  Morgincap  ,  o  fia  Morgingab  ,  o  pure  Morgangeba  ,  come  fla 
parimente  icritto  ne' vecchi  Libri.  Dell'una  e  dell'altra  Dona- 
zione è  fatta  menzione  nella  Legge  45?.  Lib.  VI.  del  Re  Liut- 
prando  .  Nulli  Jìt  licentia  Conjugi  [uce  de  rebus  fuis  dare  am- 
plius  per  aualecuyjque  ins^enium^  nifi  quod  ei  in  die  njotorum  in 
Mephio  &  Morgincas  dederit .  Spiegiiiamo  1' una  e  l'altra  voce. 
R)fletrt."ndo  anche  i  Longobardi,  qual  (ia  l'ordinaria  debolezza 
dei  lefib  femminile  non  meno  del  corpo  ,  che  della  mente  ,  e 

come 


.    Ventesima.  241 

come  lieve  la  fua  fperienza  nelle  cofe  del  Mondo  ,  e  a  quanti 
inganni  fia  elpofia  la  credulità  delle  Donne  :  determinarono  , 
che  niuna  vi  fofie  delle  medefime  ,  che  non  iftefie  fatto  la  tu- 
tela, protezione,  e  podelia,  per  così  dire  ,  di  qualche  Uomo  : 
di  maniera  che  nulli  erano  tutti  i  contratti  loro  ,  che  riguar- 
daffero  alcuna  alienazione  di  cofe  .  Qiiefta  tutela  fi  chiamava 
Mu'ddìum  dalla  voce  Safibnica  Mimd ;  e  quell'Uomo,  a  cui  ap- 
parteneva la  difefa  e  patrocinio  della  lemmina  ,  fi  appellava 
MunduaUiis  .  V  erano  Mmìdualdi  naturali ,  cioè  il  Padre  ri- 
fpetto  alle  Figlie ,  o  il  Fratello  per  conto  delie  Sorelle  ,  e  in 
mancanza  di  efTì  gli  Agnati  .  Talvolta  ancora  i  Figli  mafchi 
erano  Mundualdi  della  ^4adre.  Altri  poi  furono  coftituiti  Mur- 
dualdi  dalle  Leggi.  Tale  lempre  era  il  Marito  difuaMoglie. 
Che  fé  mancava  ogni  Parente  ,  a  cui  apparteneile  quella  di- 
fefa e  balìa  ,  Ctirtis  Regìa  ^  cioè  il  Fifco,  o  fia  il  Re  ,  aflume- 
va  quello  pelo  o  diritto  .  Ecco  come  parli  la  Legge  205.  del 
Re  Rotari  .  Nulli  ,  die'  egli  ,  Mulieri  liberi£  fub  Keg?ìi  nojìri 
di f ione  ,  Lege  Langobardorum  viventi  ,  liceaf  in  Jua  poteftatis 
arbitrio ,  ideft  fine  Mundio  vivere  ,  ìiift  femper  fub  potcftate  vì- 
rorum  y  aut  certe  Regis  (  altri  Codici  hanno  aut  potejìate  Curtis 
Kegis  )  debeat  permanere  .  ISJec  aJiquid  de  rebus  mobilibus  aut 
immobilibus  fine  voluntate  ipfius  ,  in  cujus  Mundio  fuerit  ,  /?a- 
beat  poteflatem  donandi  aut  alien andi  .  Di  quella  conluetudine 
Longobarda  ne  durano  ancora  le  veftigia  ne  gli  Statuti  di  al- 
cune Citta  d'Italia,  e  particolarmente  nel  Regno  di  Napoli  , 
dove  più  lungamente  che  altrove  furono  ofiervate  le  Leggi 
Longobardiche  .  Giovanni  Villani  nelle  Giunte  alla  fua  Storia 
da  me  date  alla  luce  Lib.  2.  Cap.p.  €os\  fcrilfe  :  E  feciono  la 
Legge  y  che  ancora  fi  chiama  Longobarda  y  e  tengono  ancora  e* 
Pupliefi  ,  e  gli  altri  Italiani  in  quella  parte  ,  dove  danno  Mo- 
7ìualdo  ,  overo  il  volgare  Monovaldo  alle  Donne  ,  quando  s  ob- 
bligano in  alcun  contratto  ;  e  fu  buo?ia  e  gtufìa  Legge .  Allor- 
ché dunque  fi  maritava  una  Donna  ,  non  ne  feguiva  ,  che  il 
Marito  acquiftaffe  \\  Mundio  o  tutela  della  medefima;  ma  ne- 
celTario  era,  che  lo  comperaffe,  per  cosi  dire,  dal  Padre,  Fra- 
tello, o  altro  Parente  d'elTa  ,  mediante  il  prezzo,  che  fi  ac- 
cordava fra  loro  .  Queflo  prezzo  fi  appellava  M^/-/^,  Mephium^ 
Methium  nelle  Leggi  d'effi  Longobardi,  voce  che  i  Chiofatori 
interpretano  con  chiamarla  donationem  Sponfalitiam  vel  Nu- 
ptialem  .  La  (limo  io  più  tofto  Spofali:^a  ,  perchè  fecondo  U 
Tomo  L  Hh  Leg- 


2^1  Dissertazione 

Leg^e  178.  e  feguente  del  Re  Rotari,  nel  giorrio,  che  fi  cele- 
bravano gli  Sponfali  ,  fi  loleva  anche  coftituire  ,  e  per  lo  più 
pagare  la  Mc(a  .  Veramente  era  chiamata  Donazione  :  pure 
non  disdice  il  dirla  una  Ipecie  di  Compera  ;  perchè  ,  ficcome 
hanno  oflervato  il  Martinio  e  il  Voffio  ,  la  voce  Me;^a  o  Me» 
tb'mm  è  formata  dal  Salfonico  Meden  fignificante  mercede  con- 
ducere  .  Che  fé  moriva  il  Marito  ,  feguitava  la  Donna  ad  ef- 
fere  lotto  il  Mundio  ,  o  fia  lotto  la  podella  di  chi  era  Erede 
di  eflb  Marito  .  Che  s'ella  voleva  paflare  alle  feconde  Nozze, 
fé  il  nuovo  Marito  intendeva  di  acquiftare  il  Mundio  di  effa, 
come  .s' ha  dalla  Legge  182.  del  Re  Rotari,  de  fu'ts  propriìs  re- 
bus medium  pretti  ,  qua?Jtum  fuerif  diólum  ,  quando  eam  pri- 
mus  Maritus  fponfa'uip  ^  prò  ipfaMeta^  dare  debeat  ei  ^  qui  heres 
proximus  mariti  priori s  ejje  i?ivefiiebatur . 

Si  maravigliera  taluno  all'udire,  che  i  Mariti  doveano  pa- 
gare per  conleguir  la  tutela  e  podefta  fopra  le  Mogli.  Ma  cef- 
fera  la  meraviglia  in  riflettendo  ,  eflere  anche  oggidì  familiare 
in  molti  Luoghi  la  Donazione  propter  nuptias ,  che  fanno  gli 
Uomini  alle  Donne  .  Aggiungafi  ,  che  preflb  gli  antichilfimi 
Popoli  m  ufo  fu  ,  che  i  Mariti  coftituiffero  la  Dote  alle  Mo- 
gli,  o  almen  loro  faceffero  un  dono  conveniente  al  loro  flato, 
come  fi  ricava  dai  Libri  dell'antico  Teftamento,  edagliScrit- 
tori  profani  Omero ,  Diodoro ,  ed  altri  ,  che  non  occorre  ri- 
cordare. Quefto  Rito  fi  ofierva  tuttavia  fra  i  Turchi.  Perciò 
fembrava,  che  il  Marito  per  una  forma  di  compera  acquiftafle 
la  Moghe.  Vero  è  nondimeno,  che  vantaggio  ne  potea  prov- 
venire  al  Marito  .  Mancando  di  vita  le  Mogli  fenza  Figli  ,  i 
Mariti  fecondo  le  Leggi  ne  erano  Eredi .  Veggafì  la  Legge  2. 
Lib.  VIIL  del  Re  Liutprando  ;  e  in  una  Longobardica  di  Ar- 
rigo L  tra  gli  Augufli  fu  parimente  decifo  ,  che  uxori  Jine  fi- 
liis  amborum  decedenti  il  Marito  fuccedeffe  nella  piena  eredi- 
ta .  Anche  i  Fratelli  fé  godevano  il  Mundio  delle  Sorelle  ne 
guadagnavano  la  loro  porzione  .  Che  fé  per  avventura  alcu- 
no uccideva,  o  offendeva,  ©calunniava,  o  faceva  giurare  una 
Donna,  la  pena  importa  al  Reo ,  fi  pagava  a  coloro,  ad  quos 
Mundium  de  ea  pertinebat ,  Tralaicio  altri  vantaggj  .  Manno 
merita  d'efì^ere  riferito.  Cioè,  le  una  Fanciulla  o  Vedova  Li- 
bera ,  promefla  con  ^li  Sponfali  ad  alcuno  ,  fpontaneamente 
b'cnsì,  ma  fine  voluntate  patrisy  vel  fratris^  vele/us^  ad  quem 
Mundium  perimebai:  j  contraeva  Matrimonio  con  altro  Uomo  ^ 

libe- 


Ventesima.  24] 

libero:  allora  il  Marito,  che  l'avea  prefa  ,  era  condennato 
dalle  Leggi  a  pagare  venti  Soldi  d'oro  a  chi  teneva  il  Mun- 
dio delia  Donna  ,  e  quefto  prò  anngrtp  ,  cioè  per  la  fiia  info- 
lenza  ;  e  venti  altri  Soldi  propter  Faìdayn  ,  affinchè  i  Parenti 
non  nudrifTero  nemicizia  contro  di  lui  ,  e  non  ne  faceffero  ven- 
detta .  Ciò  coffa  da  alcune  Leggi  de  i  Re  Rotari  e  Liutpran- 
do  .  Era  delitto  anche  il  prendere  in  Moglie  una  Figlia  altrui 
fenza  confentimento  del  Padre,  o  de'Fratelli,  o  de  gli  Agna- 
ti ,  tuttoché  eifa  non  avelie  contratti  gli  Sponfali  con  altra 
perfona  ;  e  il  Marito  era  fottopofto  alla  pena  fuddetta  .  Ma 
lecondo  la  Legge  182.  di  Rotari  era  permeffo  alle  Vedove  il 
prendere  a  loro  arbitrio  un  altro  Conforte  ,  purché  Libero  .  E 
perciocché  non  mancavano  uomini  ,  che  ubbriacati  dalla  paf- 
fione,  o  fedotti  dalle  carezze  delle  femmine  ,  cadevano  in  ec- 
cefTì,  coftituendo  fmoderate  Mete  alle  medefime  :  vi  provvide 
il  Re  Liutprando  colla  feguentc  Legi^e  35.  del  Lib.  VL  S'tquts^ 
die' egli,  Conjugt  Jucc  Metam  darevoluerh^  ita  nobh  jujìum  ef- 
fe comparuìt^  ut  qui  efì  Jadex  (  cioè  Conte,  o  del  numero  de' 
Magnati)  dare  debeat  ^  Ji  voluerit  ^  SolidosCCCC.  ampliusjìnn. 
E-t  reliquì  Nob'iles  homìnes  dare  debeant  Soltdos  CCC»  amplius 
7ìon .  Et  fi  quiscu?ìque  alter  homo  m'inus  dare  'voluerìt ,  det  quo- 
modo  conve?2erit.  Non  ha  bifogno  di  fpiegazione  una  tal  Legge. 
E  PURE  quello  non  era  anticamente  creduto  baftante  per 
le  Donne.  Si  aggiunfe  \\  Margine ap  mentovato  di  fopra  ,  che 
la  maggior  parte  de' Mariti  donava  alle  nuove  Mogli  .  Qj.iefla 
parola  Tedefca  fignifica  Dono  della  mattina  .  Cioè  a  poco  a 
poco  s'introduffe  l'ufanza,  che  dopo  la  prima  notte  della  loro 
unione  ,  o  per  ricompenla  delle  fatiche  tollerate  dalle  Giovi- 
nette,  o  per  premio  di  averle  trovate  vergini,  i  Mariti  facef- 
fero loro  un  altro  dono  ,  confidente  non  già  in  una  gioia  ,  in 
una  verte,  o  altro  fimile  ornamento,  ma  bensì  in  obbligare  ad 
t^z  una  parte  de'proprj  beni.  E  che  quefto  donativo,  chia- 
mato MorgÌ7icap  foffe  diverto  dalla  precedente  Meta  ,  chiara- 
mente fi  raccoglie  dalla  Legge  V.  del  Re  Adolfo  .  Ancor  qui 
giudicò  bene  ii  Re  Liutprando  di  mettere  freno  alla  pazzia  de 
gli  uomini  .  Cioè  nella  Legge  L  Lib.IL  ordinò,  che  tal  Dono 
fofle  confermato  da  pubblico  Strumento  con  aesiugnere  :  Ta- 
men  tpjuryj  Margine  ap  volumus  ^  ut  non  fit  amplius^  nifi  quarta 
pars  de  ejus  fubjìantia  ,  qui  ipjum  Morgincap  dederit  .  Il  dar 
meno  era  a  tutti  pcrmeffo  .    Per  quanto  fi  può  immaginare  , 

H  h     2  que- 


2^.4  Dissertazione 

quefta  fperanza  di  raccogliere  un  confiderabile  Morglncap,  do- 
vea  eflere  in  que'  tempi  un  polTente  motivo  di  conlervare  con 
gelofia  la  loro  virginità  ,  acciocché  le  il  Marito  fi  foffe  avve- 
duto ,  che  non  l'aveano  ben  cuflodira  ,  negafie  loro  il  Dono 
della  mattina.  Perciocché  quello  non  fi  dava,  comedicemmo, 
le  non  dopo  la  prima  notte  del  commerzio  maritale  .  Che  an- 
che tra  i  Franchi  ,  ficcome  Nazione  Germanica  ,  foffe  in  ufo 
\\  Morgiticap^  l'offervò  il  Gallaude  nel  Trattato  ck  Frafìco- Aio- 
dìo  ,  e  il  Baluzio  nelle  Note  a  i  Capitolari  .  Celebre  è  a  que- 
llo propofito  un  paffo  di  Gregorio  Turonenfe  ,  il  quale  riferen- 
do i  patti  flabiliti  nell'Anno  588.  fra  Childeberto  e  Guntran- 
no  Regi,  cosi  fcrive  :  De  Civ'ttatibus  'vero  ,  hoc  eft  Bv.rdìgnla  , 
Lemov'ica  Ù'c,  quas  Guilefuindam  germanam  Doìnnce  Brunechil- 
dh  tam  in  Dote ,  quam  t?2  Morganegìba ,  hoc  eft  'matuùnalì  do- 
no (  quello  forfè  è  una  giunta  )  in  Fraìic'tam  'ven'ientem  ccrtum 
eft  adqmftjfte  Ò'c,  Abbiamo  Strumenti  rapportati  dal  Baluzio  , 
dove  !  Mariti  donano  quartam  port'tonem  de'  loro  beni  d'ìlcBcc 
Conjiigì  ftióc ;  e  quivi  chiaramente  è  detto,  che  fi  foleva  cofH- 
tuire  il  Morgincap  alia  die  poft  noóiem  nuptialem  ,  qui  eft  dies 
'votorum  noftrorum  .  Diffi  permeffo  a  gli  Uomini  di  donare  alle 
Mogli  la  quarta  parte  delle  loro  foftanze  (  il  che  oggidì  parreb» 
be  una  pazzia  )  e  non  piìi  ;  ma  v'  erano  perfone  s'i  perdute 
neir  amore  femmineo  ,  che  al  difpetto  delle  Leggi  donavano 
loro  anche  la  ter'za  parte  .  Ne  rella  una  pruova  ì\\  uno  Stru- 
mento dell'Anno  873.  da  me  aggiunto  alla  Cronica  del  Moni- 
fiero  di  Cafaurea  ,  in  cui  è  confegnato  a  que'  Monaci  ,  quid- 
quid  eidem  Gundi  uxori  quondam  Jtiftonis  pertinehat  a  parte  vi- 
ri fui  ,  videlicet  Tertiam  portionem  de  omnibus  rebus  Juprafcri- 
ptis^  qua  et  in  die  votorum  Vir  fuus  dederat  ,  Oggid'i  nel  Re- 
gno di  Napoli ,  fecondo  le  Leggi  della  Prammatica ,  fé  inten- 
de una  Donna  dopo  la  morte  di  godere  il  Lucro  dorale  ,  ap- 
pellato Antefatto  ,  dee  tagliarfi  i  capelli  ,  e  metterli  lopra  il 
cataletto  del  Defunto  .  Di  tal  coftume  non  ho  trovato  fegno 
preffo  gli  antichi  .  Ma  perciocché  non  di  rado  accadeva  ,  che 
gli  Uomini  promettevano  il  Morgincap^  e  poi  non  attendeva- 
no la  parola  :  le  Donne  più  caute  cominciarono  ad  efigere  , 
che  prima  di  llrignere  l' indiffolubile  nodo  effi  le  affjcuraffero 
di  quefta  donazione.  Di  ciò  ho  veduto  più  efempli  nell'Archi- 
vio de' Canonici  di  Modena,  ma  folamente  uno  ne  citerò  dell' 
Anno  II 85.  cioè  uno  Strumento  di  Matrimonio,  in  cui  loSpo- 

lo 


Ventesima.  245 

fo  dice  :  Mnnìjefta  caufa  efl  mi  hi  ,  quoniam  die  ilio  ,  qu  arida 
te  fpG/ifavi  ,  promiferam  tibi  dare  juftitiam  tuam  fecu?idum  Le- 
peni  yneam  in  Margine ap  ^  id  ejì  quartam  portionem  omtiium  re- 
rum mobilium  Ò'  immobilium  ,  quas  tìunc  habeo  ,  aut  in  an- 
tea  hnbuero  .  Nunc  autem  ,  fi  Cbrifio  aiixiliante  ,  te  mihi  in 
Conjugio  fociavero  ,  fupr aferi ptam  quartam  ,  Ù'e.  tux  dileB,ionì 
do  ,  cedo  ,  confero  ,  Ò'  per  praefentem  Cartaìn  Morgiticap  in  te 
habe'ndum  confirmo  ,  ut  facias  exinde  a  praefenti  die  tu  ^  & 
heredes  tui  ,  aut  cui  vos  dederitis  ,  quicquid  'uolueritis  ex  mea 
plenijftma  largitate  .  Si  ofìfervi  ,  come  il  Morgincap  ,  che  fu 
una  volta  dono  arbitrario  e  gratuito  ,  era  divenuto  di  obbli- 
go ,  interpretando  io  cosi  juftitiam  fecundum  Legem  ;  e  che 
tal  donazione  era  non  riflretta  alla  vita  delle  Mogli ,  ma  pie- 
na ed  affolura  .  Sicché  coftava  ben  caro  il  procacciarfi  una 
compagnia  ne  i  tempi  antichi,  e  molti  fi  rideranno  della  gof- 
faggine di  allora  .  Tuttavia  fi  vuol  ricordare  ,  che  prima  de 
i  Longobardi  5  a  tenore  dell' Authent.  Prceterea  ^  C.  Unde  vir 
Ò'  uxor  ,  fi  doveva  alla  Moglie  non  dotata  la  Qj-iarta  ne'  be- 
ni del  Marito  ricco  .  Son  qu'i  da  udire  i  Giurisconfulti  ,  che 
fecondo  l'ufo  loro  amplificano  o  limitano  quella  Legge.  Non 
lieve  divario  ancora  paffa  fra  gli  antichi  tempi  e  inoltri;  per- 
chè allora  il  Morgincap  fi  confervava  per  lo  più  in  cafa  del 
Marito,  cioè  qualora  eifa  premoriva  ,  o  lafciava  de' Figli  :  ma 
oggidì  non  rade  volte  la  Dote  fi  coniuma  nelfecceffivo  luflTo, 
e  ne  reità  pofcia  il  debito.  Niun  Secolo  è  eiente  da  qualche, 
pazzia  . 

Oltre  al  Morgincap  folevano  i  Franchi  ,  ed  anche  gli  ftef- 
fì  Re  ed  Imperadori  ,  coflituire  la  Dote  alle  loro  Spofe  ,  che 
veniva  ad  eflere  la  Meta  o  Me:?:jo  de'  Longobardi  .  Ho  io  da- 
to alia  luce  lo  Strumento,  in  cui  Lodovico  IL  Augufto  nell' 
Anno  850.  coftituilce  in  dote  ad  Angilberga  lua  Spola  Curtem 
juris  nofìri  ,  quce  dicitur  Campomiliacio  ,  quce  fita  eft  in  Comi' 
tatù  Mutinenfi  ,  &  Curtem  ,  qua;  dicitur  Curtis  Nova  ,  quce  efl 
in  territorio  Regenfi  .  Affinchè  i  Mariti  non  fi  lafciaffero  av- 
viluppare dall'  arti  donnelche  ,  il  Re  Liutprando  nella  Leg- 
ge 4p.  Lib. YL  ordinò,  che  non  fofle  lecito  il  donare  ad  ef- 
le  ,  nifi  quod  eis  in  die  votorum  in  Mephio  &  Morgincap  dede- 
rint  .  Forfè  altre  Leggi  aveano  i  Franchi  .  Certo  è  almeno  , 
che  le  Regine  ed  Imperadrici,  perchè  fi  credevano  non  legate 
dalle  ordinarie  Leggi,  non  celfavano  di  carpir  nuovi  doni  da'lor 

Con- 


24-5  Dissertazione 

Conforti  .  Sopra  V  altre  fu  eccellente  in  quello  meftiere  la 
poco  fa  nominata  Angilberga  Imperadrice  .  Più  Documenti  ho 
io  pubblicato  di  Donazioni  a  lei  fatte  dalF  Auguiìo  fuo  Con- 
forte Lodovico  II.  Ne  citerò  qui  una  fola.  Nell'Anno  870. 
come  colta  da  un  fuo  Diploma,  le  donò  Sextum  Cortem  7ioflram 
m  Comìtatu  Cremonenji  ^  [ed  &  Cortem  nojìram  heocarnì  ìnCo^ 
m'ttatu  Statìonenfi  (  cioè  nei  Contado  d'  Anghiera  fui  Lago 
Maggiore,  che  abbracciava  Locamo  )  Jìmulque  At  liei  a  fzum  Cor- 
tem ììojìram  in  Comìtatu  Dìanenfi  .  Non  meno  moftrofTì  libe- 
rale verlo  Teotberga  Regina  lua  Conforte  Lottario  Re  di  Lo- 
rena, Fratello  del  fuddetto  Augufto  Lodovico  II.  Principe  fa- 
mofo  nella  Storia  Ecclefiaftica  per  le  fue  pazzie  in  favore  di  al- 
tra Donna .  Imperciocché  ,  ficcome  apparifce  da  un  fuo  Di- 
ploma efìftente  in  San  Sifto  di  Piacenza  ,  nell'  Anno  %6'],  le 
diede  in  Pago  Gracianapolitano  Bellinfua  ,  in  Mauriacenfe  ,  Ja- 
nuenjt  ^  Laufonenfì  ^  Aìiaufetìft  ^  Scudenfi^  7iec  non  (^  in  Pago 
Lugdunenfe  Villas  ,  quorum  junt  hccc  'vocabula  :  Cavurgum  ,  Le- 
nìningumy  Novclicium^  Mariacum  ^  Aquis  ^  Ariacum^  Sugena- 
dum  ,  Primi acum  ,  &  ]VLo7ifem  San  Hi  Martini  ,  Anerftacum  , 
Belmontem  ^  Talgurium  ^  Duc:?iadum  ^  Marlindum  ^  Vtrilgum  ^ 
Durerium  y  Toducium  ^  Columnam  ^  Haltingum  ^  Montiniacum  y 
&  quidquid  ex  ipjìs  rebus  in  Grofona  Jìta;  funt  ,  quatenus  eas. 
perenni  jure  ad  proprium pertineap  .  Tali  notizie  ferviranno  an- 
che a  far  conofcere  ,  fin  dove  fi  ftendeffero  gli  Stati  d'eflb  Re 
Lottario  ,  da  che  parti  coi  Fratello  Imperadore  1'  Eredita  di 
Carlo  Re  di  Provenza  ,  lor  comune  Fratello.  Parimente  Beren- 
gario I.  Imperadore  nell'Anno  5)20.  con  fuo  Diploma  donò C^r- 
tem  noflróe  proprietatis  de  Prato  Plano  finihus  Pi acentinis  all'Au- 
gufta  Anna  luaConlorte. 

Dicemmo  ,  che  fcnza  afienfo  o  licenza  del  fuo  Mundualdo 
jiulla  poteano  le  Donne  vendere  o  alienare  .  Ma  ritrovandoft 
talvolta  de' Mundualdi,  che  dimentichi  del  loro  uhzio,  e  pre- 
valendofì  della  debolezza  del  felfo  femminile  ,  in  danno  loro 
convertivano  la  propria  autorità  :  il  Re  Liurprando  ordinò  , 
che  volendo  una  Femmina  ,  anche  col  confenio  dt:l  Marito  iuo 
Mundualdo  ,  vendere  alcuno  de'beni  fuoi,  doveffero,  interveni- 
re al  Contratto  anche  due  o  tre  Parenti  del  fuo  langue ,  accioc- 
ché offe  r  va  (fero  5  fé  da  qualche  frode  ^  inganno,  o  violenza  fof- 
fe  tratta  ad  alienare  il  fuo  .  Qiieilo  rito  fi  offerva  tuttavia  in 
Modena^  ove  poffano  reftar  lete  le  Donne.  In  una  Donazione 

di 


Ventesima.  2-1.7 

di  molti  (labili  fatta  neli'  Anno  1017.  da  Bonifacio  Marchcfc 
Figlio  ad  iw  Tedaldo  parimente  Marchefe,  e  da.  Ric^ilda  fua 
Moglie  ,  Figlia  del  già  Conte  del  Palazzo  Gifelherto  al  Regio 
Monidero  di  Nonantola  fui  Modenefe  ^  effa  Richilda  prótefta 
di  far  ciò  una  cum  fioficia  de  propinquiorìbus  parentibus  mets  , 
quorum  tìomina  eorum  Lanfra}ìcus&  Maginfredus  germams  meìs. 
Quello  Lanfranco  era  anch' egli  Conte  del  Palazzo,  e  fuo Fra- 
tello Conte  di  qualche  Luogo  .  Negli  Stati  eziandio  della  Ghie- 
fa  Romana  fi  vede  ,  che  le  Donne  maritate  non  poteano  do- 
nare né  pure  alleChkie  fenza  il  confenfo  del  Marito.  Vedelì 
fatta  nell  Anno  p(57.  airantichiffiino  Moniftero  di  Subiaco  una 
donazione  da  Koja  Nobile  Donna  ,  confent'te?ne  mih't  Benedico 
Manfionartum  njiro  ìneo  .  Ma  rimafte  Vedove  poteano  lenza 
tal  lolennita  donare  .  Allo  lìefTo  Moniliero  nell'  Anno  1052. 
Dorìina  hyìilia  nobdijjtma  Comitijfa.^  qu<e  olim  Domnus  Dona- 
deus  Conjugem  fuit  ,  babhatrtce  in  Palejìrina  ,  fece  una  dona- 
zione di  molti  Beni,  e  ciò  fenza  T  affluenza  di  alcun  de' Pa- 
renti . 

Già  s'è  ofìfervato  nel  Gap.  XV.  che  maritandoli  una  Dolina 
Libera  con  un  Servo,  era  permefib  a' fuoi  Parenti  di  darle  quel 
gaftigo  ,  che  più  loro  piaceva  .  Non  facendolo  elfi ,  la  medefi- 
ma  diveniva  Serva  del  Re  ,  ed  era  pofta  nel ,  per  cosr  dire , 
Serraglio  Regio  a  filare,  e  non  già  a  diionelli  impieghi.  Io  non 
vuò  qu\  lafciar  di  dire  qual  folfe  la  pena  ilatuita  dalla  Legge 
Ripuaria  Tit.  59.  §.  18.  a  quello  delitto  .  5"/  ingenua  Kipuaria 
Servum  Kipuarium  fecuta  fuevip^  &  Farentes  ejus  hoc  contradì- 
cere  njoluerint ,  ojferatur  ei  a  Kege  ,  feu  a  Comi  te  ,  Spatha  & 
Conucola  (  onde  viene  Co?2occhia  ,  o  fia  Rocca  in  Italiano  )  . 
^uod  fi  Spatham  acceperit  ,  Servum  interficiap  .  5"/  autem  Co- 
7iuculam  ^  i?i  fervitio  perftnjerct ,  Era  ben  dura  la  condizion  del- 
la Spada;  ma  s'intende  di  trafiggere  un  uomo  già  imprigiona- 
to e  legato.  Quali  poi  folfero  i  coftumi,  le  virtù  ,  e  i  vizj  del- 
le Donne  in  que'  tempi  ,  non  poffiam  ben  conofcerli  .  Proba- 
bilmente poco  diverfi  furono  da  quei  d'adeffo.  V'erano  Don- 
ne pie,  prudenti,  cade  ;  non  ne  mancavano  delie  fcellerate  ed 
impudiche  .  La  Libidine  anche  allora  faceva  le  fue  parti ,  e 
non  erano  cole  rare  gli  adulterj  .  Se  l'Adultero  e  1'  Adultera  fi 
trovavano  convinti  ,  erano  condennaii  alla  Servitù,  e  il  Filco 
Regio  ne  diveniva  padrone  .  A  i  Conti  ,  cioè  a  i  Governatori 
apparteneva  l'incumbenza  di  cercare  e  punire  quelli  delitti. 

Che 


24-8         Dissertazione 

Che  anche  alcuni  Vefcovi    una  volta  conofceìTero  tali  caufe  , 
l'abbiamo  accennato  nel  Gap.  13.  Colta  una  Donna,  che  con- 
fentiffe  a  roccamenti  impudici,  era  permefib  al  Marito    'm  eam 
vhìdi^am  dare  ^  Jìve  hi  difciplìtia^  ffve  in  venditione  (  cioè  po- 
tea  venderla   per  Serva  )  veruntame?t  non  occìdatur  ^  nec  et  fcc- 
matto  corporis  fat  .  Se  l'impudico  non  potea   pagare  la   pena, 
era  confegnato  al  Marito  anch' egli  hi  d'tfciplina^  vel  vendnio^ 
ne  .   Cosi  il  Re  Liutprando  ;    poiché  prima  fecondo  le  Leggi 
del  Re  Rotari  ,  era  lecito  al  Marito  di  uccidere  la  Moghe  e  T 
Adultero  colti  in  quel  misfatto  :  la  qual  Legge  dura  tuttavia 
in  Modena  ed  altri  Luoghi.  Si  fcatenarono  poi  i  vizj  nel  Seco- 
lo X.  ed  allora  la  difonefla  fu  fenza  briglia  .  Fino  i  Preti   per 
quello-  vizio  divennero  diffamati  ,  e  nel  feguente  Secolo  gran 
difficulta  fi  provò  a  diftorli  dalle  Concubine  ,  eh'  effi  diceano 
di  tenere  per  Mogli,  dicendo  ,  che  non  dovea  negarfi  loro  ciò 
che  fi  concedeva  a  i  Greci.  Ma  né  pure  allora  mancarono  Don- 
ne e  PrincipelTe  di  gran  Pietà,  Prudenza,  e  ilUbatezza  di  vita. 
Celebri  fpczialmente  fi  renderono  Matilda  ContejJ'a  DuchefTa 
diTofcana,  e  Signora  d'altre  Citta,  ^  Adelafia  ^  o  {\2i  Adelai- 
de Marchefana  di  Suja ;  avendo  anche  amendue  dati  fegni  ài 
molto  valore.  Né  fi  dee  tacere,  che  in  que' tempi  due  iorte  di 
Matrimonio  furono  in  ufo,  cioè  il  Solenne  fatto  con  pubblico 
Rogito,  e  benedetto  dal  Sacerdote  ;  e  l'altro  Clandefìino,  cioè 
fatto  in  fegreto,  e  fenza  teftimonj;  e  contuttociò  ancor  quefto 
era  permefiTo  o  tollerato.  Fu  poi  abolito  nel  lacro  ConciHo  di 
Trento.  Mancato  di  vita  il  primo  Marito,  poteano  le  Vedove 
pafTare  ad  un  Secondo  ;  né  ciò  fu  mai  vietato  dalla  Chiefa  La- 
tina. Abborrivano  all'incontro  i  Greci  la  Bigamia,  e  peniten- 
ziavano  chi  due  volte  fi  maritava  :  onde  poi  nacque  l'LTipedi- 
mento  della  Irregolarità  per  chi  voleva  afcendere  a  gli  Ordini 
Sacri.  Però  in  que' tempi  pila  rare  che  oggidì  erano  le  fecondf 
Nozze.  Ne  parleremo  di  nuovo  al  Cap.  33. 


Dello 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  P  R  I  M  A  .  2+fl 

Dello  Jìnto  dell'  Italia  ,   dell'  ahhondaìi'z^  d' abitatori  ,  della 

coltura  delle  campagne ,   muta'zione  delle  Città , 

felicità  e  infelicità  de  Secoli  barbarici . 

DISSERTAZIONE  VENTESIM APRIMA. 

FUoRi  deir  iftituto  mio  farebbe  il  ricercare  ,  come  abbon- 
dalFe  eli  Popoli  l'Italia,  allorché  fioriva  la  Repubblica  e 
l'Imperio  Romano  .  S' ha  da  fare  quefta  ricerca   per  li  tempi, 
ne' quali  fletterò  le  noftrc  contrade  fottopofte  alle  Nazioni  Set- 
tentrionali, per  formarne  un  paragone  co' tempi  prefenti.   Al- 
lorché i  Longobardi  calarono  in  Italia  ,  trovarono  indebolito 
jion  poco  quello  felicifìlmo  paefe  per  disgrazie  frefcamente  pa- 
tite. Nell'Anno  56'5.   tal  guado  avea  fatto  in  quelle  Provincie 
la  Pefte  ,  che  afiaifiime  migliaia  di  perfone  erano  perite,  eve- 
devanfi  Citta  e  Ville  ridotte  all'  infelicita  de  i  deferti  .    Ap- 
pena tre  anni  dopo  tanta  calamita  erano  paffati ,    che  quella 
ferociflìma  Nazione  piombò  addoffo  a  i  poveri  Italiani  ,    alle 
miferie  de'  quali    s'  era  anche  aggiunto  una  terribil  Careftia  . 
Paolo  Diacono  Lib.  2.  Gap.  zd.   de  Geih  Langob.  è  quegli  che 
parla:  lslo7i  erat  tunc  'virtus  Knmanis  (cioè  ai  Sudditi  del  Ro- 
mano Imperio  )   ut  rejìjiere  pojfent  :   quia  &  p  e  fidenti  a  ^   qu<z> 
fuh  Narfete  fa^a  efì  ,  plurimos  in  Liguria  &  Venetia  exfìinxe- 
rat  ;  &  poj}  aìinum  ,   quem   diximus  fuiffe  ubertatis^  fames  «/- 
ini  a  ingruens  unfuerfam  Italiam   devaftabat  .   Poco   flette   a  cre- 
fcere  il  flagello;  imperciocché  Clefo  Secondo  Re  de' Longobar- 
di, uomo  crudele,  multos  Komanorurn  'viros potentes^  aliasela- 
dio  exfìinxit  ,   alias  ab  Italia  exturbavit .  Peggio  avvenne  lotto 
i  Duchi  nel  tempo  che  governavano  il  Regno  ,    fcrivendo  il 
iuddetto  Storico  ,    che  fpoliatis  Ecclejiis  ,    Sacerdotihus  interfe- 
Bis  ,    Ci'vuatibus  fubrutis  ,    Populisque  ,    qui  no7i  more  fegetum 
excrenjerant  ^  extinólis  (^  exceptis  bis  req^ionibus^  quas  Albuin  ce- 
ferat  )   Italia  ex  magna  parte  capta  ,  &  a  La?igobardis  fub/Mga- 
ta  efì ,  Fra  tante  difavventure  patite  da  que' Popoli,  che  rica- 
lavano di  ricevere  per  padrona  quella  beftial  gente,  fi  può  cre- 
dere, che  l'Italia  cangiafle  faccia,  con  reftar  deiolate  moltif- 
fime  Citta,  e  ridotta  incolta  non  poca  parte  delle  campagne. 
Ad  accreicere  i  mali  concorfero  nell'  Anno  <^^o,  le  guerre  mof- 
Tomo  L  li  fé 


250  Dissertazione 

fé  da  due  parti  contro  i  Longobardi ,  cioè  da  i  Franchi,  e 
i  Greci ,  che  riempierono  di  ftragi  e  d'incendj  il  paefe  ,  e  ri- 
cuperarono Modena,  Mantova,  ed  Aitino  .  Da  lì  a  non  molto 
fcaricarono  efTì  Longobardi  il  loro  furore  fopra  le  Citta  tut- 
tavia ubbidienti  all' Imperio  Romano  ,  o  fia  de' Greci.  Pado- 
va prefa  fu  data  alle  fiamme,  e  d'ordine  del  Re  Agilulfo  fpia- 
nata.  Cremona,  Brefcello,  ed  altri  Luoghi  provarono  lo  Ile f- 
fo  barbarico  trattamento.  Reflavano  in  potere  de  gli  Augufti 
il  Ducato  Romano  ,  l'Efarcato  di  Ravenna  ,  Napoli  con  altre 
Citta  marittime  ,  ma  non  v'  era  anno  che  non  foflfero  i  loro 
territorj  infeftati  da  gl'inquieti  Longobardi  .  La  fìeffa  Regina 
delle  Citta  Roma,  finché  durò  il  Regno  dicoftoro,  per  gl'in- 
finiti difaflri  che  patì  ,  a  poco  a  poco  andò  Icadendo  dall'an- 
tica fua  dignità  e  bellezza.  Fa  dell'infelice  fuo  flato  menzio- 
ne un  Epigramma  del  Secolo  VII.  o  pure  Vili,  ch'io  ho  dato 
alla  luce .  In  elfo  è  difegnata  la  retrograda  fortuna  di  quella 
Citta,  con  quel  verfo,  che  anche  era  flato  citato  da  Apollinare 
Sidonio  nelLib.  IX.  Epift.  14.  cioè 

Roma^  tibì  fub'tto  motibus  ibif  amor^ 

il  quale  riletto  al  rovefcio  dice  lo  flelTo  ,  e  dovette  una  volta 
parere  qualche  maravigliofa  cofa  . 

Da  queflo  poco  fi  può  comprendere,  in  che  deplorabile  fla- 
to fitrovafle  una  parte  d'Italia,  prima  che  i  Franchi  le  ne 
impadronilTero  .  L'altra  nondimeno,  che  ubbidiva  a  i  Longo- 
bardi, non  avea  di  che  lagnarfi  della  propria  fortuna  .  S'  am- 
mansò a  poco  a  poco  quella  fiera  gente  ,  fi  accomodò  a  i  co- 
fìumi  civili  dell'JItalia  ;  e  i  Popoli  godendo  nel  cuore  del  Re- 
gno la  pace,  non  conofcevano  altra  guerra  fé  non  quella,  che 
fi  faceva  fuori  de' confini  contra  de' fuoi  nemici.  Buona  giufti- 
zia  era  fatta  ,  fi  potea  portar  T  oro  in  palma  viaggiando  ;  e 
per  confeguente  tornò  la  popolazione  nelle  Citta  e  Ville  ,  e  la 
fertilità  nelle  coltivate  campagne  .  Depofero  i  Longobardi  gli 
errori  d'Ario,  s'imparentarono  co  i  Romani,  cioè  con  gU  an- 
tichi abitatori  d'  Italia  ;  e  laddove  ne'  primi  tempi  di  quefio 
nuovo  Regno  elfi  Romani,  per  attefiato  di  Paolo  Diacono,  do- 
veano  tertiam  partem  fuarum  frugum  hangobnrdts  perfolvere  , 
nel  progreffo  de' tempi  tolta  fu  quella  diverfita  di  trattamen- 
to, e  divenuti  Romani  e  Longobardi  un  Popolo  folo  ,  la  fleffa 
iTìifura  di  tributi  fu  importa  ad  ognuno  .  -Sotto  i  Re  ed  Impe- 
ra dori 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  P  R  I  M  A  .  25T 

madori  Franchi  miglior  fortuna  e  quiete  lunga  fi  godè  in  Ita- 
lia, laonde  fi  può  credere  ,  che  maggiormente  allora  crefceffc 
qui  la  copia  de  gli  abitatori ,  efìTendo  quefto  un  frutto  ordina- 
rio della  Pace.  Ma  appena  colla  morte  di  Carlo  il  GrolTo  Im- 
peradore  cefsò  di  fignoreggiare  in  Italia  la  Schiatta  di  Carlo 
Magno  5  che  la  difcordia  iniorta  fra  i  pretendenti  a  quefto 
Regno  5  cioè  fra  Guido  e  Berengario  ,  tutto  lo  fconvolfe  e  ri- 
empiè di  guai ,  con  facihtar  anche  alla  barbarica  Nazione  de 
gli  Ungheri  la  via  per  venire  a  faccheggiar  buona  parte  d'Ita- 
lia per  anni  parecchi.  Sino  ad  Ottone  il  Grande,  primo  fra  gì* 
Imperadori  Tedeichi,  durò  quefta  malattia  nelle  contrade  Ita- 
liane .  Ora  quand'anche  fupponeffimo  ,  che  prima  del  Mille 
folfe  ben  popolata  l'Italia,  tuttavia  è  da  dire,  che  il  prefente 
fuo  ftato  è  fenza  paragone  troppo  fuperiore  a  quello  d'allora. 
Non  può  efiere  in  primo  luogo  ,  che  que'  tempi  abbondaifero 
di  tante  famiglie  contadinefche ,  come  oggidì,  perchè  non  fo- 
lamente  ne' monti,  ma  anche  nel  piano,  troppo  frequenti  era- 
no le  Selve  .  Per  fignificare  una  Selva  ,  i  Longobardi  fovente 
fi  fervirono  della  voce  Ga/um^  Ga's^tum.,  Gapium^  Walcìum^  e 
Gualdn?n^  che  viene  dal  Germanico  W/^ld^  denotante  un  Bo- 
fco  .  Nel  Tomo  Vili,  dell'  Itaha  facra  dell'  Ughelli ,  ove  fi 
parla  de'  Vefcovi  Beneventani  ,  Arichis  Principe  dona  al  Mo- 
niftero  di  Santa  Sofia  nell'Anno  774.  Eccleftam  SanBì  Petri  j 
quis  (sdijicata  efl  hi  Gaio  ....  Ecclejìam  Sanali  Ahund't ,  qu<s 
Jita  ejì  in  Gaio  &c.  &  ex  ìpfo  Gala  circa  ipfam  Ecclefiam  lar- 
giti jumiis  in  Monajìerio  SanBdS  Sopbice  territori nm  longitudine 
milliaria  duo^  latitudiìze  u?ium  &c,  Son  quivi  altri  fimili  paf- 
n  ;  ma  dapertutto  lembra  che  folfe  fcritto  Gajo.  In  un  Diplo- 
ma di  Carlo  M.  dato  alla  Chiefa  di  Reggio  ,  e  prodotto  dall' 
Ughelli  5  vien  mentovato  Gajum  nojìrum  ,  'quod  in  Luciaria 
conjacet^  &  nunc  noviter  excolitur  ,  Perdifegnare  una  Selva  , 
parimente  fi  fervirono  gli  antichi  della  voce  For^y?^,  che  mol- 
ti derivano  dalla  Lingua  Germanica,  ficcome  ancora  dalla  vo- 
ce Bofco  ,  indubitatamente  d'  origine  Tedesca  ,  e  che  perciò 
pafsò  anche  nella  Franzefe  .  Sembra  raedefimamente,  che  ufaf- 
lero  Brolium  ,  o  Broilum  per  una  Selva  cinta  di  muro  per  te- 
nervi Fiere  e  animali  da  caccia,  oggidì  Parco  .  Ne'  Capitolari 
di  Carlo  M.  all'Anno  800.  abbiamo  Lucos  nojiros  ^  quos  Brogi- 
ìos  vulgm  vocat.  Ma  appreifo  i  Milanefi  Brolium  fu  adopera- 
to per  fignificare  un  Giardino  ,  0  pure  un  luogo  cinto  di  mura 

I  i     2  o  fie- 


252  Dissertazione 

o  Tiepe  ,  e  piantato  di  pomi  e  d'altri  Alberi  fruttiferi  .  Broìlo 
lo  chiamano  i  Modenefi  ,  Nell'Italia  facra  Tom.  IV.  uno  Stru- 
mento di  Adalberto  Vefcovo  di  Bergamo  dell'Anno  P15.  s'in- 
contra Cnfa  cum  Brolio  uno  tenente  ,  cum  muro  chrumcìata  y 
feu  arborìbus.  San  Girolamo  nel  Gap. IH.  d'Ezechiele  interpre- 
ta viv/irium^  o  conclufum  locum  quello,  che  ivi  hPer'tboìon^ 
da  cui  pretendono  alcuni  nato  il  noftro  Broglio  .  Ottavio  Fer- 
rari fu  di  parere  ,  che  il  Luogo  ,  in  cui  fi  raunano  i  Nobili 
Veneti  per  trattare  della  diRribuzion  delle  cariche  pubbliche, 
foffe  chiamato  Bro^/io,  perchè  fo (Te  un  recinto  con  alberi.  Ma 
non  fi  confa  con  quefto  il  far  Broglio  :  però  vedi  qui  fotto  il 
Gap.  XXXIII.  2\\2i  ^2iXo\2i.  Imbrogliare  ,  Sogliono  anche  i  Napo- 
letani e  Romani  chiamar  Macchia  una  Selva  minore  .  Il  Me- 
nagio  ò.-d.  Dumus  àQx'ìy2L  Macchia  :  è  cofa  da  ridere.  Viene  da 
Macula.  Nella  Cronica  del  Volturno  airi\nnop88.  fi  legge 
ufque  ad  Macula  Job annis  Atiffani,  Probabilmente  con  meta- 
forico nome  chiamarono  gli  antichi  Macchie  ne'  campi  quei 
cefpugli  efpineti,  che  faìtano  su  qua  e  la,  ove  non  fon  colti- 
vati .  Macchie  e  Macchio?ìi  fono  appellati  da  i  Modenefi  ;  e  i 
Napoletani  dovettero  traiportar  queflo  nome  ad  una  Selva  di 
non  molta  eftenfione  .  V'erano  una  volta  paefi  piantati  di  de- 
terminati Alberi  ,  i  nomi  de' quali  durano  tuttavia  ,  come  Cót- 
reto.y  Laureto^  Rovereto^  Saliceto ^  AlbaretOy  Perjiceto^  Frafft- 
■ììeto  Ò'c. 

Ora  anticamente  abbondava  l'Italia  di  Selve  e  Bofchi,  cà 
anche  imifurati,  che  col  tempo  fi  andarono  riducendo  alla  col- 
tura :  il  che  fenza  dubbio  è  avvenuto  alla  Germania,  dove  più 
non  fi  mira  quella  eforbitante  copia  di  Selve,  delle  quali  parla- 
no gli  antichi .  Vegganfi  le  vecchie  Carte  Italiane  ,  vi  fi  tro- 
veranno innumerabiii  Selve,  delle  quali  non  rimane  vedigio  . 
Adolfo  Re  de'  Longobardi  circa  1'  Anno  752.  come  appari  ice 
da  un  fuo  Diploma  ,  donò  a  Lopecino  Veicovo  di  Modena  Ctir- 
tem  nojlram ,  qu(^  dicitur  Ze?2a ,  territorio  Mutinenfi ,  Sylva  ju- 
gis  numero  qumgentis  ^  coherentes  ibi  a  tri  bus  partibus  Gajo  ;;o- 
Jlro  ,  qui  pertinere  'videtur  de  ipfa  Curte  Zena  ,  de  quarta  ve- 
ro parte  percurrcnte  fluvio  ,  qui  nominatur  Sculten?2a  .  Dura 
tuttavia  nel  Territorio  di  Bologna  la  Villa  di  Cazzo,  o  Gaggio, 
formato  del  Ga/o  o  Bofco  Regio  ,  che  era  in  quelle  parti  ,  da 
che  fu  elfo  ridotto  a  coltura  .  Apparteneva  quefta  una  volta 
al  diftretto  di  Modena ,  e  fi  vede  un  Decreto  di  quello  Popo- 
lo 


Ventesimaprima.  25j 

lo  dell'Anno  1255.  ut  fodìa?2tur  Dogana  SanHi  Ccsfareì  ^Zen(£^ 
Panariìf  Ga^j^  Faìi^anì  ^  'Nonantulcs  .  Ivi  ancora  fu  ftabilito 
di  far  l'Eftimo  delle  terre  de  SanBo  Amhrofio  ,  de  Villa  Ron- 
chi ,  Ga^^o  ,  Pan7:a7io ,  Zena ,  Sanalo  Cafarto ,  BaT^ano ,  Cajìro 
Crefcente  ^  Ravarì?2o^  Nonaììtula  (D'c.  11  Bofco  chiamato  oggi- 
dì diNonantola,  non  so  fé  foffe  parte  della  Selva,  o  del  Gap 
mentovati  nel  Diploma  fuddetto  .  Quante  altre  Selve  aveiTe 
r  infigne  Moniftero  Nonantolano  ,  lo  vedremo  più  abbafTo  . 
Che  fooiiglianti  Selve  una  volta  fi  trovaffero  alle  rive  de  i 
Fiumi,  roffervò  anche  ne'fuoi  tempi  Apollinare  Sidonio  nell' 
Epift.  V.  Lib.  I.  dove  fcrive  d'aver  mirato  ul-vofum  Lambrum  ^ 
C(£rulet'.m  Addiiam  ,  velocem  Athefìm  ,  ptgrum  Mìncìum  ,  &€, 
quorum  rìp(S  torique  pajjtm  qucrnis  accr^iìsque  Nemorìbus  vc- 
flìsbantur  ,  Que' Bofchi  ora  indarno  li  cercano.  Né  folamen- 
te  gran  copia  v'era  ^\  Selve,  abbondavano  anche  le  Paludi 
circa  i  Fiumi  del  Resno  Lons^obardico,  e  maffimamente  do- 
ve  il  Po  e  r  Adige  mettono  in  Mare .  Ora  noi  troviamo  bei- 
le e  feconde  campagne  in  que'  fiti  ,  da  che  fi  cominciò  da- 
pertutto  con  argini  a  tenere  in  briglia  i  Fiumi  .  Ma  fé  pò- 
teffimo  avere  una  mappa  de  gli  antichi  Secoli  ,  fcorgerebbefi 
una  gran  differenza  fra  il  paefe  à^i  allora  ,  e  quello  di  oggi- 
dì .  Né  folamente  fu  quella  una  difavventura  de' tempi  bar- 
bari .  Anche  regnando  i  Romani  ,  1'  Emilia  ,  la  Flaminia  , 
e  la  Venezia  erano  occupate  da  Paludi  ,  Laghi  ,  e  Bofchi  in 
gran  quantiia  .  Per  teftimonianza  di  Vitruvio  Libro  L  Ca- 
pir. 4.  reftava  oppreffo  da  molte  Paludi  tutto  quel  tratto  di 
paefe  ,  che  è  tra  Aitino  ,  Aquileja  ,  e  Ravenna  .  Sappiamo 
anche  da  Strabene  Lib.  V.  che  omnis  Rcg'to  h^c  majorcm  par- 
tem  Paludtbiis  abundav  .  Avanti  aveva  egli  detto  ,  parlando 
di  Brefcia  ,  Mantova  ,  Reggio  ,  e  Como  :  Hccc  Urbes  loyige 
fupra  Paludes  jaccnt  ,  E  ài  molte  Citta  della  Venezia  egli 
Icrifle  :  quarum  alias  infularum  more  cinguntur  aquis^  alia;  al- 
luufìtur  mari  altqua  ex  parte ,  quds  in  Mediterraneis  fupra  Pa- 
ludes [unt  ,  Attelta  anche  Erodiano,  [lagna  &  Paludes  imer 
Altinum  &  Ravennam  enavip^ata  fuijfe .  Pertanto  quel  fertile 
paele,  che  forma  oggidì  il  territorio  di  Ferrara,  altri  abitatori 
non  avea  ne' vecchi  Secoli,  che  pefci  e  rane ,  e  non  peranche 
era  nata  quella  nobil  Citta  .  Come  ftefle  Ravenna  ,  ce  lo  dira 
Apollinare  Sidonio,  che  vi  palsò  L.  L  Epift.  8.  adCandidianum. 
Te  mumcipalìum  ranarum  loquax  turba  circuryìjilip ,  hi  qua  Pa- 
lude 


354         Dissertazione 

lucìe  inclejlnenter  rerum  omnium  lego  perverfa^  muri  cadunt  nt- 
que  ftant^  turres  fluuiìt ^  ?iaves  fedent  ^  (egri  deambulante  Me- 
dici jaceìtt  Ù'c.  Tu  vide  qualis  ftt  Civipas ,  qua  facilius  ferri- 
torium  potuit  hnbere  ,  quam  terram  .  Cioè  ftende  ben  lungi  il 
fuo  territorio  e  diftretto,.  ma  ha  poche  terre  arabiU.  Bologna 
parimente  e  Modena  gravi  incomodi  pativano  dalle  acque  ba- 
gnanti .  Fino  da'  tempi  della  Romana  Repubblica  fra  quefte 
due  Città,  e  nella  Via  Emilia  ,  s'incontravano  Bofchi  e  Palu- 
di ,  che  riflrignevano  molto  il  paifaggio  .  Veggafi  ciò  ,  che 
fcrive  Galba  a  Cicerone  fra  le  lue  Famil.  Lib.  X.  e  Appiano 
Lib.  3.  Bellor.  Civil.  Di  peggior  condizione  ancora  fu  Modena 
ne' Secoli  fufleguenti.  Truovafi  ella  bensì  ne' tempi  delle  guer- 
re civili  di  Roma  appellata  da  efTo  Appiano  Vrhs  feliàjjima  , 
da  Cicerone  firmijjìma  Ù"  [plendidijjima  Populi  Romani  Colo- 
ma  ,  e  per  la  fua  ricchezza  da  Pomponio  Mela  adomigliata 
Patavio  &  Bononia:  .  Ma  s\  ella  ,  che  non  poche  altre  Citta 
nel  Secolo  IV.  loggiacquero  ad  orrende  calamità. 

Odasi  Santo  Ambrofio  ,  che  circa  l'Anno  388.  cos'i  fcrifìfe 
nell'Epiiì.  3p.  a  Fauftino  .  De  Bono?2ÌejiJi  veniens  Urbe  ^  a  ter- 
go Clater7ìam ,  ipfam  Bononiam ,  Mutinayn ,  Regium  derelinque- 
bas  ;  in  dextera  erat  Briiàllum  ;  a  fronte  occurrebat  Piacenti  a  Ù'c. 
Te  igitur  femirutarum  Urbiuyn  cadavera  ,  terrarumque  fub  eo- 
dem  confpeBu  e>cpoJìta  funera  non  te  admonent  &c.  Ecco  in  che 
miferabile  fìato  fi  trovaffero  allora  quefte  Città  ,  non  fappia- 
nio  fé  per  le  guerre  di  Collantino  il  Grande,  o  per  le  recenti 
di  MalTimo  Tiranno  .  Che  Modena  non  riforgeife  da  li  innan- 
zi, cagione  ne  fu  la  lunga  izza,  cominciata  fra  i  Longobardi, 
e  i  Greci  padroni  dell'  Elarcato  .  Era  quella  Città  da  quella 
parte  il  confine  del  Regno  Longobardico,  e  però  iottopofta  al- 
le continue  incurfioni  e  molcftie  de'nemici.  Allora  i  Fium.i  e 
torrenti  fenza  freno  alcuno  fcorrevano  per  le  campagne  ,  con 
giugnere  ad  alzare  il  terreno  fopra  l'antico  fnolo  di  Modena 
parecchie  braccia  .  E  o  fia  per  quefla  delolazione  ,  o  perchè 
il  Re  Liutprando  fondò  all'Occidente  di  effa  Modena  fulIaVia 
Emilia  (  appellata  Claudia  nelle  vecchie  Carte  )  Città  nuova  : 
ia  m.aggior  parte  del  Popolo  pafsò  ad  abitare  in  effa  Città  nuo- 
va. Cosi  lagrimevole  era  tuttavia  l'afpetto  di  Modena  nel  Se- 
colo X.  come  s'  ha  dallo  Scrittore  della  Vita  di  S.  Geminiano 
Vefcovo,  che  fiori  in  que' tempi,  laddove  cerca  ,  perchè  foffs 
cotanto  decaduta  quefta  Città   olim  inclita  Inter  jErnilia  Ur- 

besy 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  P  R  I  M  A  ^  255 

bes^  loaiples^  &  fertilijfima^  cedifictis  murorum  &  furrìum  pyo- 
pu^nactilts  admìranda  &c,  E  rifponde  :  ^uod  comprobatur  effe 
fuerìffimum  ,  ut  affidue  cermtUY  ,  fupradi^ice  Urbis  Jolum  7ihnia 
/jnuarum  infoienti  a  enormiter  occupatum  ^  rivis  circumfluentibusy 
(^  Jìagnis  ex  paludibus  excrefcentibus  ,  itìcolìs  quoque  aufugien- 
tibiis  nofcitur  effe  dcfertum  ,  Unde  itfque  HO  DIE  multimoda 
lapidum  monfìratur  congeries  ,  faxa  quoque  ingentia  prxceljì^ 
quondam  adificiìs  aptìjjima ,  aquaruìn  crebra ,  ut  diximus ,  in- 
undatione  fuhmerfa  .  Che  la  flefTa  Citta  nuova  non  fofle  efente 
da  Paludi,  fi  fcorgera  da  un  Diploma  di  Carlo  Magno  in  favo- 
re del  Velcovo  di  Reggio ,  che  accennerò  alCap.XXXV.  do- 
ve fi  truovano  enunziate  Paludes  anjitatis  Nova; .  Così  in  uno 
Strumento  efiftente  nell'Archivio  de' Canonici  di  Modena  dell* 
Anno  ii2p.  fi  legge  :  Domnus  Dodo  gratta  Dei  Epifcopus  Muti- 
7ìenfis  coììcedit  exphyteutico  jure  res  ili as  territori is^  &vineatis  ^ 
&  Bofcalivas  ,  &  Paludofas  juris  Ecclejìae  Sanali  Geminiani  i?i 
loco  Albareto  Ù'c.  E  Giovanni  Vefcovo  parimente  di  Modena , 
come  s' ha  dal  Sillingardi  e  dall'Ughelli  ,  neh' Anno  c?p8.  dona 
a  i  Monaci  di  San  Pietro  Molendinum  unum  fupra  Civitatcm 
Mutinam  i?i  loco  qui  dicitur  Carolinusj  cum  decem  jugeribus  de 
terra  inter  Paludes  &  Silvas.  Aggiungafi  un  Diploma  di  Cor- 
rado I.  Re  de'Roniani  dell'Anno  102(5".  in  cui  concede  a  Wa- 
rino  Velcovo  Civitatem  Mutinam  a  tribus  tiìiliaribus  in  circuì- 
tu  &c,  videlicet  ^  Paludes^  Sflvas^  Aquas  (^c.  Ma  a  poco  a 
poco  l'indurtria  de gh  uomini  rendè  abitabili  e  coltivabili  quel- 
le campagne  ;  e  però  nell'  antichiffimo  Statuto  MSto  di  Mo- 
dena Libro  II.  Cap.  55.  leggiamo  :  Ut  quicumque  habet  ter- 
ram  juxta  Stratam  Claudiam  inter  Sanólum  Leonardum  &  Ci- 
tanovam  ad  minus  oóìo  bibulcarum  ,  ibi  debeat  facere  unam 
domum  ,  quce  valeat  ad  minus  fex  Libras  Mutinenfes  ,  &  eam 
habitare^  "jel  h  abitari  facere .  Diche  valore  fofie  allora  la  Li- 
bra Modenefe,  fi  può  alquanto  conietturare  da  tali  parole. 

Se  non  foffero  perite  afl'aiffime  antiche  memorie  della  Cittk 
di  Bologna  ,  apparirebbe  ,  che  anche  il  baffo  paefe  della  me- 
defima  ne' vecchi  tempi  reflava  deformato  da  varie  Paludi  fra 
effa  e  il  Po.  Rapporta  il  Ghirardacci  Lib. II.  della  Storia  Bo- 
lognefe  una  Bolla  di  Papa  Gregorio  VII.  confermante  nell'  An- 
no 1073.  a  Lamberto  Vefcovo  di  Bologna  Portum  ,  qui  cogno- 
minatur  Galli ana  (  oggidì  Gaiana  )  cum  Ripatico  &teloneo^  & 
Paludibus^  &  Pifcariis^  &  Silvis  &c.  Monajìerium  Sanali  Ann- 

flaftì 


2^6  Dissertazione 

y?^y//  fundatiim  in  fundo  Petrkulo  cum  Ponu  ,  &  teloneo  ,  Ò- 
Ripatico^  cuìn  Silvis  & 'venationibus^  cum  Paludibus  &c.  Cur- 
tem  Milonh  cum  Portu  &  Ripatico  ,  cum  Sil'vis  ,  Ò^  cum  Palu- 
dibus &  pifcatioìiibus  &c.  Da  quello  poco  fi  può  immaginare  il 
re  ilo .  Che  altre  Paludi  e  Valli  pefcareccie  s'incontraffero  ali' 
Occidente  di  Bologna  ,  ce  ne  alTicura  im  Privilegio  dato  nell' 
Anno  8(?p.  da  Berengario  I.  Re  d'Italia  al  Monifterio  Nonan- 
tolano  del  Modenefe  ,  in  cui  compariice  gran  copia  di  Paludi 
e  Selve  tanto  fui  Bolognefe  ,  che  ne  i  Diftretti  d'altre  Citta  . 
Ivi  dunque  è  mentovata  Sil'va  ex  Cune  nojlra  ,    quce  dicituv 
Cena  Ù'c,   a  quarta  vero  parte  Silvas  &  Paludes  una  cum  Baji- 
tic  a  SanHi  Martini  &c.   Silva  Comitis .   Silva  de  Lupoleto ,  jea 
Silva  Murianenfe ,  Et  Paludes  Grumulenfes.  Silva  una  inCayo 
Lamefe  .  In  oltre  gli  conferma  Medietatem  de  Pijcariis  nojìris 
in  territorio  Mantuano  in  loco  S armata  &  Bondeno .   Atque   alias. 
Pijcarias  in  fifiibus  nojìris  Regijtanis  &Flexianis  »   Tarn  SilvaSj 
quam  pajcua^  &  limites  ,   &  Paludes  ,  unde  qualefcunque  pifca" 
tiones  fiunt  ^  exeuntes  vel  intrantes   a  Trepontio  in  jojum  ufque  in 
Fo/fam  latam  ,   &  Gambarionem  .    CunBas  Fojjfas  &  Paludes  , 
quds  fiunt  de  jìuvio  Bondeno  &c.   &  Lacum  de  Fulgino  ponentem 
caput  in  Bondeno  .    Lacum  fatuum  .    Lacum   de  Vulpino  .   Lacum 
de  Duracino  Buctneto  .   Nec  ?ion  Virginiana  cum  omnibus  locis  ac 
fojjis^  & quibuscu??quePifcariis  &c.  Ci  fan  tali  notizie  compren- 
dere ,  quanta  foffe  una  volta  l'eftenfion  delle  Paludi  e  Selve 
nel  Bolognefe  ,  Modenefe  ,  Reggiano  ,  Mantovano  &c.  In  tali 
fiti  ,    remoti  dal  comnierzio    de'  mortali    furono   piantati    una 
volta  i  principali  Monifierj,  come  il  Cafinenfe,  Farfenle,  Sub- 
biacenle,  Volturnenle,  Bobienle,  Pompofiano,  Novalicienfe  5cc. 
con  aver  poi  que'  Monaci  ,  e  i  loro  uomini  ridotta  a  coltura 
quelle  Selve  e  Paludi  .    Altrettanto  avvenne  ali'  infigne  Moni- 
fiero  di  San  Benedetto  di  Poiirone  nel  di  qua  del  Mantovano. 
Fu  effo  fondato  in  un'  Ifola  tra  il  Po  e  il  Larione  ,  dov'  erano 
Silvie  Ò"  Bufcalia  juges  (  cioè  Jugeri)  fexaginta  .   Adalberto  Az- 
ze Biiavolo  della  Contefla  Matilda  gli  proccurò  pofcia  Caflrum 
cum  area  terree  arabilis  modia  quadragirita  .   Silvis  &  Bufcalibus 
modia  mille Jexaginta^  con  aver  dato  in  cambio  al  Propolio  di 
S.  Michele  di  Reggio  fra  glialtri   beni   vicini  ad efla  Citta  5*//- 
vas  &  Bujc alias  modia  mille  triginta,   E  Tedaldo  Marchefe  fa 
menzione   de  Palude  de  Saltu ,  &  Palude  de  Saliceto  ,  con  do- 
nargli Paludem  unam  ex   integro^    quoe  vocatur  Rotunda    cum 

Pijca- 


Ventesimaprima.  257 

Ptjcatorìhus  &c.  E  la  ContefTa  Matilda  nell'  Anno  11 15.  gli 
conferma  terras  cum  Piiludibus  &  Pìjcationibus  &'  Silvis  pojfi- 
tis  in  Curte  ^iiflellì  .  Contavanfi  anche  nel  bafTo  Parmigiano 
Laghi  e  Paludi  ,  come  apparilce  da  un  Diploma  di  Arnolfo 
Re  di  Germania  dell'Anno  8^4.  in  cui  conferma  a  Wibodo  Ve- 
fcovo  di  Parma  i  fuoi  Beni,  dove  fi  vede  enunziata  Cordicel- 
la una  cum  Silva  &  prato  uno  tenente  ,  qua;  eft  capite  uno  in 
Syjìeriore  ,  alio  in  Lacu  qui  dicitur  Ma/ore  ,  Pecics  duce  de 
Silvis  5  quarum  una  efi  pofita  in  Infula  ,  qude  dicitur  Sacca 
cum  terris ,  Paludibus  ,  atque  Pijcariis  ,  cui  cohceret  e:>c  uno 
latere  Budrio  ,  ex  alio  latere  Silva  Sanóii  Petri  ,  Ù'c.  y^lte- 
ra  Pecia  de  Silva  ejì  Jtta  in  Gajo  de  Soranca  &c,  &  F^Jf^ 
Guittaldi  ujque  ad  Lacum  Sancii  Sccundi  ufque  in  Silvam  de 
Stagno . 

D I  più  non  aggiungo  .  Chiunque  fcorrera  gli  antichi  Docu- 
menti dell'altre  Citta  di  Lombardia  ,  daperturto  ritroverà  fo- 
miglianti  efempli  o  diBofchi,  odi  Paludi.  Una  bella  defcri- 
zione  delle  Paludi  Adriache  già  ci  diede  il  Conte  Silveftri  No- 
bile di  Rovigo  .  Ma  non  è  perciò  da  credere  ,  che  tanti  fiti 
fofTero  affatto  fprovveduti  di  abitatori.  Molti  erano  i  Fiumi, 
che  fcendendo  dalle  montagne  andavano  a  deporre  f  acque 
torbide  in  quelle  Paludi,  e  folevano  ivi  formar  delle  Ifole,  e 
de' piccioli  colli.  Ciò  fatto,  non  mancavano  pefcatori  e  Villa- 
ni, che  correvano  a  piantar  cola  delle  capanne,  operpefcare, 
o  per  arar  la  terra  ,  fé  n'era  capace  .  Rara  cofa  compariva  al- 
lora il  veder  fimili  cafuccie  coperte  di  tegole,  da  noi  chiamate 
Coppi  ,  Il  Du- Gange  avendo  trovato  nella  Storia  del  Ghirar- 
dacci  all'Anno  I3  5«5<  cupatam  domum^  (limò  quella  effere  una 
caia  in  modum  cupa;  feu  cupellce  teótam.  Ma  altro  non  vuol  di- 
re fé  non  una  cala  coperta  di  Coppi.  Nelle  Itole  ed  efcrefcen- 
2e  iuddette  que'tugurj  fi  coprivano  con  canne  palultri,  o  con 
paglia,  da  noi  chiamata  Paviera  dall'antico  Papyrus  ,  come 
anche  oggidì  fi  offerva  nel  Ferrarefe  ,  e  nelle  Valli  del  Bolo- 
gne fé  .  Anzi  ne' Secoli  barbarici  non  mancavano  in  fui  civili 
cale  coperte  di  paglia.  Perciò  avendo  i  Milanefi  nel  Secolo  XIL 
tumultuariamente  rifabbricata  la  diltrutta  loro  Cittk  ,  non  vi 
fi  videro  allora  fé  non  tetti  di  paglia  .  Ed  allorché  in  onore 
di  Alefiandro  Ili.  Papa  fi  edificò  la  CirtH  di  Aleflandria  ,  per- 
chè le  caie  erano  di  terra  meichiata  colla  paglia  ,  o  pài  toifo 
coperte  di  paglia  5  riportò  il  nome  dii  Alexandria  della  Paglia* 
Tomo  L  K  k  Àl^ 


258  Dissertazione 

Altrettanto  avvenne  a  Ni:?^  della  Paglia  nel  Marchefato  eli 
Monferrato  .  Ebbero  anche  in  ufo  i  Secoli  barbarici  di  coprire 
i  lor  tetti  con  òqììq  Scwdule^  cioè  con  afficelle  di  legno,  l'una 
appoggiata  all'altra,  e  conficcate  con  chiodi.  Lo  fteffo  ReRo- 
tari  COSI  fcriife  nella  Legge  287.  Si  quìs  de  cafa  eresia  lìgnum 
quodlibet ,  aut  Scandulam  (  o  fia  Scìndulam  )  furatus  fuerit , 
coyyipoììat  folìdos  fex  .  Si  ferve  tuttavia  la  Lingua  Germanica 
della  voce  Schifidel  in  quello  fenfo .  E  Plinio  atteila,  che  Ro- 
ma per  alcuni  Secoli  ebbe  nella  ftelTa  guifa  le  fue  cafe coperte. 
Che  gran  tempo  duraffe  una  tale  ufanza  ,  lo  raccolgo  da  uno 
Strumento  dell'  Anno  1201.  riferito  dal  Puricelli  ne'  Monum. 
Bafil.  Ambrof.  Trattafi  ivi  di  certa  Lobia  (  che  ora  diciamo 
Loggia  )  de  Scandolis  cooperta  ,  &  pojlea  fuit  cooperta  de  Pa- 
lea^  qua  combujìa  fuit  ab  igne  defuper  Ecclejiam  'veniente^  fic- 
come  pofta  juxta  murmn  Ecclejìcje  beati  Ambrofti  .  Vedi  come 
tuttavia  foifero  rozzi  i  coilumi  di  que' tempi.  Non  so  attribui- 
re ad  altro  che  a  quello  tanti  incendj ,  che  fpezialmente  nei 
Secoli  XL  e  XiL  diftrufiero  quafi  le  intiere  Citta,  fra  le  quali 
nominerò  folamente  Milano  ,  Piacenza  ,  Bologna  ,  Brefcia  ,  e 
Modena,  per  tacere  di  tant' altre  .  Appena  fi  attaccava  il  fuo- 
co, che  quello  mattamente  fi  llendeva  pel  refto  della  Citta  . 
In  una  Cronica  ò^\  Padova  da  me  data  alla  luce  fi  legge  :  Anno 
MCLXXIV,  incendium  ortum  fuit  in  Padua  ,  per  quod  combu- 
Jìce  fuerunt  261^.  domus  ,  quae  tunc  erant  ligneas  jr agile s  ,  & 
non  Cuppis  ,  fed  Paleis  &  Scandolis  conte&a.  Nella  Vita  di  San- 
to Aniegilo  Abbate  di  Fontanella  nel  Tomo  V.  Luglio  de' Bol- 
landoti fi  legge  :  Porticum  de  novo  fecit ,  &  eam  cooperiens  , 
Scindulas  ejus  ferrei s  clavis  affixit.  Truovanfi  ancora  ne' vec- 
chi tempi  cafe  di  paglia  .  In  uno  Strumento  dell'  Anno  ^ó'8. 
Guido  Vefcovo  di  Modena  concede  a  livello  Dominico  qui  & 
Franco  ,  camporas  pecias  tres  cimi  una  Cafa  Palliaricia  &c.  Co- 
si nel  Tomo  II.  del  Bollarlo  Cafmenfe  Conflit. X.  Cunimondo 
Longobardo  nell'Anno  7(55.  dona  Cafam  domocultilem^  &omnes 
teHoras  infra  ipfam  terminationem  Scatìdolicias  vel  Pallearicias, 
Anche  il  Turrigio  Par.  2.  de  Crypt.  Vatic.  riferifce  uno  Stru- 
mento del  1030.  in  cui  Leo  Datibus  Judex  affìtta  Gr(?^^ono,  qui 
njocatur  de  Gi:^/  ,  medietatem  integram  de  domo  folarata  Sca?i- 
dalicia  ,  con  quella  condizione  ,  ud  fi  Domnum  Imperatorem 
in  iflam  Civitatem  exitam^  &  in  ipfam  domum  ftare  nca  po- 
^^uerisy  aud  ipfam  domum  fregerinp  ^  tam  per  Imperatorem^  quam^ 

que 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  P  R  I  M  A  .  259 

que  ettam  infra  ijìo  confùtuto  anni  de  ipfam  domum  lignamen- 
tum  fortìorem  freger'mf  ,  omnia  conciare  ,  &  de  ipfo  psrditum 
rejìaurare  promiffo  .  Un  buon  nome  doveano  aver  lalciato  in 
Roma  tre  anni  prima  i  Tedelchi ,  allorché  Corrado  I.  pafsò 
cóIH  a  prendere  la  Corona  .  Ofìferva  la  voce  Conciare  Italiana, 
Viene  non  da  Concinnare  ,  come  pensò  il  Ferrari  ,  ma  bensì 
da  Co/?2o  ,  Corntus^  Comtiare  come  fcrifle  il  Menagio.  In  Ger- 
mania anticamente  coprivano  i  tetti  con  canne,  fecondo  l'af- 
ferzione  di  Plinio  Lib.  XVI.  Cap.  30.  E  Plauto  nel  Rudente 
fa  conolcere,  che  anche  in  Italia  le  ne  vedevano  efempli.  Per- 
ciò non  è  da  ftu  pi  re  fé  cosi  frequenti  e  dilatati  foffero  una  vol- 
ta gì' incendj  in  Italia.  Galvano  Fiamma  nel  Cap.  15^.  Manip. 
Fior,  dopo  aver  narrato  il  terribil  fuoco  di  Milano  del  1105. 
foggiugne  :  EJì  fciendum  ,  qiiod  Civitas  Mediolani  propter  muU 
tas  defìriiBiones  non  erat  interius  ynuratis  domibus  edificata  ^  fed 
€>:  cratibus  Ù'Paleis  quamplurimum  compojìta  ,  Unde  Ji  ignis 
in  una  domo  fuccendebatur  ,  tota  Civitas  comburebatur  .  Unde 
fuit  Jìatutum^  quod  flante  ^ento  ^  ?2uIIhs  in  doyno  ignem  faccende- 
ret ,  Creda  chi  vuole  tanto  abbaflamento  di  quella  nobiliffi  ma 
Citta.  Quanto  a  me  fon  d'avvifo,  che  vi  abbondafTero  le  ca- 
fe  fabbricate  di  calce  e  di  mattoni  ;  ma  perchè  molte  erano 
coperte  di  Scindule,  o vogliam  dire  alTicelle,  ovvero  di  paglia, 
perciò  facilmente  il  fuoco  fi  comunicava  dall'  una  all'  altra  . 
Per  provvedere  a  tal  diiordine,  e  proccurare  il  maggior  decoro 
alle  Citta  ,  comandarono  pofcia  i  Saggi  ,  che  non  fi  poteffero 
più  coprire  di  paglia  .  Lo  Statuto  MSto  di  Ferrara  dell'  Anno 
1288.  Rub.  223.  Lib.  II.  ha  quelle  parole  :  Ad  officium  pradi- 
Horum  (  cioè  de  gli  Eftimatori  )  pertinente  ne  domus  aliqua Fa- 
lcata ,  five  de  Stori  is  cooperi  a  Jìt  in  Civitate  Ferraris  a  terra- 
leis  infra  .  Sed  omnes  cooperiantur  de  Copis  .  ^li  cantra  fecerit , 
puniatur  in  XX.  Solidis  Ferrarienfibus ,  &  teneatur  tollere  Cooper^ 
torium  de  Falca  vel  de  Storiis .  Vedemmo  di  fopra  la  voce  Fo- 
bia tuttavia  ufata  da'  Milancfi  .  Loggia  dicono  i  Tofcani  .  Il 
Ferrari  ,  e  il  Monofini  traifero  Loggia  dal  Greco  Logejon  .  li 
Menagio  dubitò  fé  veniffe  da  Focus  :  il  che  non  ha  garbo  . 
Credo  io  ,  che  venga  da  qualche  antichifllma  parola  de  i  Po- 
poli Settentrionali  ,  perchè  effa  s'  incontra  nelle  vecchie  me- 
morie dell'Italia,  Francia,  e  Germania  .  Anche  oggidì  i  Te- 
defchi  appellano  Laube  ciò  che  in  Milano  è  Fobia  ,  e  Loggia 
in  Firenze , 

lek     2  Si 


26o         Dissertazione 

Si  {tendevano  ne  gli  antichi  Secoli  ,  ficcome  dicemmo  ,  le 
Paludi  e  Valli  pefcareccie  da  Ravenna  fino  ad  Aitino.  Ma  co- 
me oggidì  Venezia,  e  l'Ifole  adiacenti ,  e  Comacchio  fono  at- 
torniate dall'acque,  e  pure  abitate  :  cosi  né  pure  allora  le  Pa- 
ludi impedivano  lo  abitare  in  Kavenna  ,  Spina  Citta  ,  Butrìo 
diverfo  a  mio  credere  dal  Bolognefe,  e  in  altre  Citta  e  Cartel- 
la, delle  quali  ora  niun  veftigio  rimane  .  Perciocché  appena 
per  le  torbide  de' Fiumi  refiava  fecca  qualche  eminenza  nelle 
Paludi,  che  vi  fi  miravano  piantate  capanne  dalla  gente  vici- 
na. Qiiefte  eminenze  erano  chiamate  iìorft  o  DoJJì  ^  e  il  per- 
chè fé  n'intende;  o  ^uvq  Polejinì  ^  ovvero  Correggi  ^  benché  fi 
truovi  anche  Corrigia  in  femminino.  Da  una  parola  Greca  traf- 
fe  Gafparo  Sardi  Poh  fine  .  Il  Menagio  la  derivò  àd^Peninfula  ; 
ma  né  i  Polefini  fon  Penifole  ,  e  l'una  parola  non  fi  confk  coli' 
altra  .  In  un  Diploma  di  Lodovico  II.  Auguflo  dell'Anno  871. 
rapportato  dall' Ughelli  neh' Append.  al  Tomo  V.  è  conferma- 
ta al  Veicovo  di  Reggio  hiftila  Su:^ria  Inter  Padum  &  Zaram 
cum  fundìs  &c.  qui  ab  hominibus  Pagi  ipfius  Pidlicini  nominan- 
tur,  Niuna  coerenza  ha  PuUicinus  con  Peninfula  .  In  un  altro 
Diploma  di  Lodovico  III.  pofcia  Imperadore  dell'Anno  ^00. 
fi  legge  cum  aliis  hifulis  ,  qua  vulgo  PuUicini  vocantur.  Adun- 
que i  Polefmi  erano  I fole,  e  non  Penifole.  L' Ughelli  corrotta- 
mente leiTe  ivi  Pulcini.  Era  a  mio  credere  appellato  Polefine 
quel  tratto  di  Palude,  che  reflava  in  fecco,  grande  o  picciolo 
che  foffe  .  Nello  Statuto  MSto  di  Ferrara  dell'Anno  1288.  il 
Podefìa  cosi  giura  :  Et  dabo  operam^  quod  Policini  divifi  agge- 
ventur  ^  ita  quod  per  ipfos  aggeres  quilibet  eques  vel  pedes  poj/tt 
libere  ire.  Erano  probabilmente  appellati  Corrigium  o  Corrigia j 
que' Luoghi,  dove  recavano  diseccate  llrifce  di  Terra  ,  fomi- 
glianti  alle  correggie  di  cuoio  .  Oggid'i  Cuora  in  que'  paefi  è 
nominata  la  terra  paludofa,  che  comincia  a  produrre  cannette, 
e  indurandofi  a  poco  a  poco  fi  fende  atta  a  ricevere  capanne. 
Credo  prefa  tal  voce  da' Greci,  che  per  tanto  tempo  fignoreg- 
giarono  in  Ravenna,  chiamando  effi  Ci?ora  ciò  che  a  noi  è  Suo- 
lo ,  Campo ,  Terreno  .  Molte  di  quefte  Cuore  o  Core  unite 
infieme  forfè  diedero  il  nome  a  Correggio  .  Sebbene  potè  que- 
fla  voce  venire  dagli  antichi  Latini.  Fra  i  vecchi  Scrittori  Rei 
agraria  Innocenzo  fcrive  cosi  :  Vallis  de  fondo  fuprafcripto  eft , 
Etiam  montcm  in  medio  ì^fque  in  jugalem  Corrigiam  permittit. 
Qui  fembra  flrifcia  del  giogo,  fchiena  0  ferra  della  Montagna. 

Così 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  P  R  I  M  A  .  261 

Cosi  nelle  Paludi  s'alzavano  flrifcie  e  fchiene  di  terra.  E  ben 
molti  di  tali  Correggi  fi  truovano  nelle  memorie  dell'  antica 
bafìa  Lombardia  .  Pellegrino  Prifciano  ne'  ftioi  MSti  cita  una 
fentenza  data  nel  1 1 80.  da  Garfendonio  Vefcovo  di  Mantova 
in  una  lite  de  pifcattonlbus  ,  ca?ìalibus  ,  &  Lach  in  Curte  Ser- 
mitìs  a  Seda  Jupya  adftantìbus  &c.  &  in  hoc  fimt  diverfa  no- 
mina ,  fcilicet  Laciis  Taurus  ,  Corrigium  Gamineta  ,  Corrigium 
Trebatii ,  Corrigium  de  Langufculo ,  Et  Seda  dividi f  unum  Cor- 
rii^ittm  ab  alio  .  Ep  flumen  Arconinde  ,  &  Lacus  Taurus  dividit 
eilia  Cnrrigia  .  Cos'i  in  una  Donazione  fatta  nell'  Anno  ^pp. 
dalla  Santa  Imperadrice  Adelaide,  Avola  di  Ottone  III.  Augu- 
fto  al  Moniftero  di  San  Salvatore  di  Pavia  ,  troviamo  Dojfum 
Fra>canaria  ,  Corrigia  in  Tengala  ,  Corrigia  BoniverPi  .  Altri 
Correggi  fi  truovano  nel  Teltam.ento  di  Almerico  Marchefe 
dell' i\nno  (?48.  Ci  conducono  poi  tali  notizie  a  comprendere, 
che  la  Citta  di  Correggio ,  da  cui  prefe  il  cognome  la  celebre 
Cala  de'  Signori  di  Correggio  ,  oggidì  fottopofta  al  dominio 
della  Serenigli  ma  Cafa  d'  Elle  ,  dovette  forgere  ne  gli  antichi 
tempi  dalle  Paludi,  che  erano  in  quelle  parti.  S'incontra  ezian- 
dio nelle  vecchie  memorie  la  parola  Me:?^:?^no ,  con  cui  erano 
difegnate  alcune  Ville  ,  particolarmente  lìtuate  in  vicinanza 
del  Po  ne'Diftretti  di  Parma,  Lodi,  ed  altri  Luoghi.  Furono 
una  volta  Itole  formate  da  efib  Po,  e  cosi  denominate,  perchè 
in  mezzo  all'acque.  Ora  fon  Ville  nel  continente.  Ottone  Mo- 
rena nell'antica  Storia  Rer.  Laudenf.  feri  ve  :  Piacentini  redu- 
xerunt  naves  ufque  ad  ripam  Padi ,  quce  efl  verfus  Placentiam . 
Sed  Laudenfes  in  quodam  Me'4:a?io  ,  qui  Infula  dicitur  ,  prxlium 
cum  Placentinis  incipientes  &c.  Fino  a' tempi  di  Federigo  I.  Im- 
peradore  fcorgiamo  effere  flato  il  territorio  di  Ferrara  pieno 
di  Paludi  .  Radevico  de  gefl.  Frid.I.  all'Anno  11  58.  racconta 
per  cola  mirabile  ,  che  farmi  di  elfo  Federigo  Augufto  folfero 
giunte  a  quella  Citta.  Ea  res  ^  die' egli  ,  incredibilis  vifa  ejì  ^ 
eo  quod  Ferrari  a  ^  Pado  ibidem  inflagnante  ^  Ò' Paludes  imper- 
meabiles  faciente^  munimento  locorurn  fidens  >,  omnem  viciniam 
fuam.  intrepida  &  fuperba  rideret  .  Grande  obbligo  ha  quella 
Citta  a' Principi  Edenfi  pera^^ere  ridotto  in  si  buono  flato  le 
campagne  in  quelle  parti. 

Tante  Paludi  per  le  torbide  de  gli  sfrenati  Fiumi  alzandofi 
e  feccandofi,  giunfero  poi  a  renderfi  arabili  ,  ma  con  reftare  in 
molti  Luoghi  per  mohilTime  braccia  coperto  fantichiffimo  pia- 
no 


2<?2  Dissertazione 

no  e  fuolo  delie  Citta  .  Ciò  Ipezialmente  fi  ofTerva  in  Mode- 
na ,  le  cui  antiche  rovine  fi  ollervano  feppellite  ben  profonda- 
mente a'noftridi.  Scrive  Strabone  nel  Lib.  V.  della  Geografìa . 
Lanam  mollem  &  omnium  longe  opt'imam  producmit  loca  circa 
MutÌ7ìam  &  Scutnnnm  (^ÌQ^giScuhennam)  flumen.  Molto  cer- 
tamente è  in  pregio  anche  oggidì  la  lana  Modenefe  ;  ma  non 
fembra  corrilpondente  all'elogio  di  Strabone,  forfè  perchè  mu- 
tata con  tante  alluvioni  la  faccia  del  terreno  ,  e  la  bontà  de  i 
pafcoli.  Effendo  pertanto  fiata  ne' vecchi  tempi  mafluiiamen- 
re  la  Lombardia  occupata  da  tante  Selve  e  Paludi  ,  ne  vien 
per  confeguenza,  che  di  gran  lunga  fo ile  minore  allora  il  nu- 
mero de  gli  abitatori  ,  che  oggidì  .  Ma  da  che  tornò  la  Pace 
in  quelle  contrade,  e  crebbe  la  cupidigia  e  induliria  delle  per- 
fone,  appiicoffi  la  gente  ad  arginare  gli  sregolati  Fiumi,  a  lec- 
car le  Paludi  ,  a  sradicare  i  Boichi .  In  uno  Strumento  delia 
ContefTa  Matilda  dell'Anno  1112.  preffo  il  Bacchini  Storia  di 
Polirone  leggiamo  Terram  quamdam  ^  qucs  7ìu}2c  extirpatur  ^  ex 
pane  Jìirpatnm  ,  ex  parte  cum  Silva  ,  qude  ejì  pojìta  in  Curia 
Majfcje  infra  Coìnitatum  Ferrarice  in  fundo  ,  quod  dicitur  Mar- 
garino  j  a  Jecundo  capite  Palus  ^  quds  dicitur  Albolini  ^  ab  alte-' 
ro  latere  Kunchus  de  job  amie  Anaflafii .  Nel  Veronefe  una  gran 
Selva  occupava  il  territorio  di  Nogara.  In  un  Breve  di  Papa 
Innocenzo  II.  fcritto  a  quel  Popolo  circa  l'Anno  113^.  fi  legge  : 
Perlatum  eJì  ad  aures  noflras^  quod  ì^ogarienJemSil'vamy  quam 
ComitiJJa  Matildis  a  Monafterio  Nonantulano  fub  annuali  pen- 
Jìone  tenuit&c.  extirpaveritis^  eamque  vejìris  ufibus  excolatis&c, 
Chiamavanfi  Ronchi  e  Roncona  dall'antica  parola  Latina  Run- 
care ^  i  luoghi  che  dopo  sradicate  le  Selve  fi  riducevano  a  col- 
tura .  In  uno  Strumento  Ferrarefe  del  1 1 1  3.  abbiamo:  Terram 
autem  illam  ,  quam  roncaho  ,  frui  debeo  per  annos  tres  ;  pojlea 
reddam  Terraticum  .  Ecco  la  ricompenla  di  chi  fchiantava  i 
Boichi  per  farne  de' campi  più  utili .  In  altro  Strumento  da  me 
prodotto  nella  Par.  I.  delle  Antich.  Eftenfi  è  fatta  menzione 
de  Samplis  &  Amplis .  Ho  ftentato  un  pezzo  a  trovarne  il  fi- 
gnificato.  Ora  dico,  eflere  flati  la  medefima  cola  Xampla  ,  e  i 
Ronchi,  In  tale  fenib,  come  notò  il  Du-Cange  fi  t ruo va  Tófr- 
ra  exemplata  ,  Exemplatio  ,  ed  Exemplum ,  che  è  lo  lìtico  con 
Xamphiìn,  Forfè  vengono  tali  voci  corrotte  dal  Latino  Exam- 
pliare ;  e  di  la  non  inverifimilmente  è  nata  la  parola  Scempio. 
Erano  appellati  Novales  i  campi    ridotti  capaci   deli'  aratro  . 

Da 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  P  R  I  M  A.  .  2^  j 

Da  qneRo  Roncare  ,  o  fia  da  quello  abbattimento  dì  Selve  , 
fon  poi  venuti  i  nomi  di  Ville  ,  portanti  il  nome  di  Ronca- 
plia  .  Due  ne  ha  il  Contado  di  Modena  .  Ne  hanno  altre  Gir- 
ta  della  Lombardia  ,  ficcome  ancora  con  altri  nomi  di  Ronco- 
'vetere  ,  Ronchi  ,  Ronc aglio  ,  Ronca  .  Celebratiffima  fu  fopra 
l'altre  la  Roncaglia  de' Piacentini  preflb  al  Po,  Luogo  vaftilli- 
mo,  e  fenza  alberi,  dove  anticamente  fi  tenea  una  mirabil  Cor- 
te di  Principi  e  Baroni  d'  Italia  ,  maflimamente  allorché  per 
la  prima  volta  venivano  gl'Imperadori  Tedefchi  a  prenderle 
Corone  del  Regno  d'Italia  ,  e  dell'Imperio.  Arnolfo  Storico 
Milanefe  all'Anno  1047.  Y\omm2i  Prat  a  Ronc  balta  ^  dove  Ar- 
rigo II.  fra  gli  Augufti  tenne  una  Iplendida  Dieta. 

Quello  che  conferì  non  poco  ad  accrefcere  le  popolazioni 
in  Italia,  fu  l'eforbitante  liberalità  de  i  Re   verfo  le  Chiefe,  e 
verlo  i  VafìTalli  ,  col  concedere  loro  non  folamente  le   Ville  e 
Caftella  ,    ma  anche    le  Regalie  ,    con  reftare    perciò  fmunti 
quafi  affatto  i  Diftretti    e  Contadi  delle  Citta  ;    di  modo  che 
quel  paefe ,  che  una  volta  ubbidiva  ad  una  loia  Citta,  e  al  fuo 
Conte,  venne  a  dividerfi  in  molti,  per  cosi  dire.  Regoli.  Ognun 
pofcia  di  quefti  formava  delle  Caftella  ,  tirandofi  quanti  abita- 
tori poteva   per  nobilitare  ed  accreicere  il  luo  dominio.   Ma  da 
che  dopo  il  Secolo  XI.  le  Citta  d'Italia  alzato  il  capo  fi  milero 
in  liberta  ,  atteiero  ancora  a  foggiogare  tutti  quclii  Signori  o 
Signorotti,  obbligandoli  a  tener  cala  nella  ilefia  Citta,  e  a  di- 
ventarne Cittadini  .    Cos\  andarono  da  li  innanzi  crelcendo  le 
Citta,  e  a  riferva  di  poche,   furono  tutte  forzate  ad  accrefcere 
il  giro  delle  loro  mura.  In  Napoli,  Milano,  Firenze,  Pavia, 
Verona,  Cremona,  Padova,  Bologna,  Ferrara,  einaltreCit- 
ta  non   v'  ha  informato    delle  cole  della  Patria  fua  ,    che  non 
moftri  l'accrefcimento  delle  mura  ivi  fatto  ,  e  quante  Chiefe 
una  volta  erano  fuori  della  Citta  ,  ed  oggidì  fon  comprele  nel 
fuo  recinto  .    Mirando  noi  pofcia    lo  flato  prelente  d'  Italia  , 
troveremo  ,    che   eccettuate    alcune  poche   Citta  ,    le  quali  o 
non  fon  calate  ,    o  lon  creiciute  in  Popolo  ,   e  in  fabbriche  , 
perchè  quivi  abita  il  Principe  ,  e  a  riferva  ancor  di  Livorno  , 
l'altre  tutte  notabilmente  fnìinuita   mofì:rano  la  lor  popolazione. 
Ne  è  cagione  f  eifere  paflate  in  altri  paefi   quell'Arti,  Ipezial- 
mente  della  Seta  e  Lana,  onde  cotanto  profittavano  una  volta 
gl'Italiani  ;  perchè  la  potenza  in  mare,  e  il  commerzio  in  Le- 
vante e  all'Indie  Orientali,  fi  è  ridotto  in  altre  Nazioni;  e  per- 
chè 


2(?4         Disserta  zione 

che  da  gran  tempo  non  poca  parte  dell'Italia  è  fiata  fottopo- 
fìa  a  Regnanti,  che  hanno  la  lor  fede  Oltramonti.  Potrebbefi. 
nondimeno  opporre  all'aver  noi  detto  ,  che  le  contrade  Italia- 
ne prima  del  Mille  cedeffero  di  molto  alla  popolazione  de'no- 
fì ri  tempi  ,  ciò  che  ha  T  Anonimo  Ravennate  ;  perciocché  fe- 
condo lui  ,  quidam  Philofopb't  Ital'iam  ampltus  quam  feptingen' 
tas  C'fvh^tes  habuijfc  dixerufU.  Egli  llefìo  molte  ne  annovera , 
delle  quaU  non  reità  veRigio  ,  anzi  né  pur  fi  truova  menzione 
prefib  gli  antichi  .  Ma  quell'Anonimo,  creduto  dal  P.  Beretti 
Guido  Prete  di  Ravenna  mentovato  dal  Biondo  e  dal  Galateo, 
ci  ha  data  una  Geografia  troppo  difettofa  e  confufa,   mifchian- 
do  infieme  lo  flato  felice  de' tempi  Romani  con  lo  fcaduto  de' 
Secoli  barbarici  ;  e  dando  nome  di  Citta  a'  Luoghi  ,  eh'  erano 
femplici  Caftella  o  Ville  ;  e  tralafciando  poi  varie  Citta  ,  che 
dopo  la  declinazione  del  Romano  Imperio  fecero  buona  figura. 
Per  efempio,  dopo  Piacenza  fono  da  lui  annoverate /«///rC^rf- 
fopolis^  qua  ejì  Parma  ;  Becillum  ^  cioè  Brixellum  ^  certo  anti- 
chiffima  Citta  al  tempo  de' Romani ,  ma  che  atterrata  fotto  i 
Longobardi,  da  tanti  Secoli  nulla  ritiene  dell'antico  fplendore. 
Seguita  Tanetuìn  ,  che  fu  folamente  un  Borgo  ne'  Secoli  anti- 
chi; e  quand*anche  aveffe  goduto  la  prerogativa  di  Citta,  tut- 
to fvani  ,  né  di  lui  s'incontra  più  alcuna  memoria  .  Succede 
Lepìdum  R.egium  ^  Mutina^  Forum  Gal  lor  um  ,   Ma  quefto  Foro 
fu  folamente  conofciuto  da  i Romani,  e  non  già  dai  Longobar- 
di e  Franchi  .  Dopo  Bologna  prefTo  l' Anonimo  fuccede  Clater- 
na^  che  da  tanti  Secoli  ha  perduto  ogni  nome.  Tralaicio  al- 
tri Luoghi .  All'incontro  ninna  menzione  fa  egli  di  C/V^^' M/o- 
n)a  delModenele,  che  a'tempi  di  Carlo  Magno  era  in  fiore; 
e  né  pure  di  Afolo^  nobil  Terra  o  Citta,  mentovata  in  un  Ca- 
pitolare di  Lottarlo  I.  Augufto  da  me  dato  alla  luce.  Equi  mi 
fia  lecito  di  far  offervare  una  particolarità  ,  che  fi  legge  in  una 
Bolla  di  Guiberto  Arcivefcovo  di  Ravenna  ,  ed  Antipapa  fotto 
nome  di  Clemente  III.  con  cui  nell'Anno  10^2.  conferma  ai^ 
Canonici  della  Chiefa  di  Reggio  i  loro  Beni  .  Scrive  egli  cosi  : 
Et  Deàmam  in  Civitat^  ,  qua  njocatur  Kegium  &c.  Et  omnes 
rcs  ,   qua  Junt  in  circuitu  Civitatis  ^  qua  vocatur  Emilia  *   Ecco 
due  Citta,  fenza  apparire,  le  follerò  disgiunte  o  unite.  Berme 
le  credo  congiunte  ,  cioè  l'antica  appellata  Reggio  ^  e  la  nuova 
chiamata  Emilia;  ficcome  in  Modena  fi  vede  la  Citta  Ercu- 
lea 5  che  é  un  accreiciinento  della  vecchia  Citta  fatto  da  Er- 
cole 


Ventesimaprima,  26^ 

cole  II.  Duca  di  Ferrara  ;  e  ficcome  anticamente  la  Citta  Leo- 
nina fu  aggiunta  a  Roma  .  In  una  Donazione  fatta  nell'Anno 
^4(5.  da  Adelardo  Vefcovo  di  Reggio  fi  legge  pecia  una  de  ter- 
ra arativa  in  Ctvkate  Vetere  *  Ed  Eribaldo  Velbovo  Tuo  Prede- 
ceiTore  in  un  altro  Strumento  del  P43.  nomina  Ecclejiam  Beati 
Thomic  Apojloli  ,  qu<e  fita  efl  Regio  Civitate  vetere  .  Quefta 
Città  vecchia  ne  chiama  una  nuova  ,  cioè  una  parte  aggiunta 
da  i  Reggiani  all'antica  loro  Citta. 

Ma  troppe  fon  lecofe,  che  per  mancanza  di  memorie,  re- 
flano  tenebrofe  nell'antichità.  Non  folamente  i  Luoghi  perle 
guerre,  per  gi'incendj,  per  le  inondazioni,  e  per  altre  umane 
vicende,  cangiarono  alpetto  ,  ma  fin  mutarono  i  nomi.  Mene 
fomminirtra  efempj  Modena  polla  fra  due  non  ignobili  Fiumi , 
chiamati  da  Romani  Scultenna  e  Gabellus ,  ma  non  conofciuti 
dall'  Anonimo  Ravennate  .    Ma  Scultetma    ritiene  bensì  nelle 
montagne  l'antico  ilio  nome,  ma  giunto  al  piano,  da  piìi  Se- 
coli ha  il  nome  dì  Panaro,  Altrettanto  è  avvenuto  a.  Gabellus ^ 
chiamato  oggidì  Secchia  *  Onde  mai  quefta  mutazione  di  nome? 
Ho  10  pubblicata  una  bella  Ifcrizione,  efiftente  una  volta  aSan 
Faulìino  di  Rubiera  ,  poco  lungi  da  Secchia  ,  da  cui  apparifce, 
che  nell'Anno  255?.  Valeriano  Auf^ufto  e  i  fuoiFigli  PONTEM 
SECVL.  VI  IGNIS  CONSVMPT.  INDVLG.  SVA  RESTI- 
TVI  CVRAVERUNT.  Sicché  fino  allora  dovea  quel  Fiume 
ììomìrìàvCi  Secula  -poi  Seda ^  e  finalmente  i'^cc/^/// .  Come  poi  in 
SI  poco  tempo  dopo  Plinio  fi  cangiaffe  quel  nome  ,  chi  mei  sa 
dire?    Per  altro  ne' vecchi  tempi,   per  teftimonianza  di  Pelle- 
grino Prifciano,  correva  Secchia  fra.  Burana  e  la  Villa  di  Gabel- 
lo ,  e  dura  tuttavia  nel  Mirandolefe  un  Gavcllo  Villa  .  O  que- 
lla diede,  o  prele  il  nome  da  Gabellus.  Abbiam  fatta  menzione 
di  Città  Nuova  fabbricata  da  i  Modenefi  quattro  miglia  lungi 
dalla  loro  Citta  all'Occidente  fuUa  Via  Emilia  ,  chiamata  Clau- 
dia nelle  vecchie  Carte .  Di  efla  oggidì  dura  tuttavia  il  nome 
e  la  fola  Parrochiale  in  quello  ftelfo  fito  :  il  rimanente  è  fotter- 
ra.  Mi  fia  lecito  i'illultrar  qui  il  Te  (la  mento  di  Carlo  Magno, 
in  cui  fi  leggono  le  tegnenti  parole:  Per  Padum  fluvium  termi- 
no currente  ujque   ad  fi?ies  Regiefijium  ,  &  Civitatem   Novam^ 
atque  Mutinam   ufque  ad  terminos  SanóiiPetri,   Che  Liutpran- 
do  fofTe  il  primo  londatore  di  quel  Luogo,  non  ce  ne  lafcia  du- 
bitare un  Marmo  tuttavia  efiftente  nella  Parrochiale  fuddetta 
colla  feguente  Ilcrizione  in  Lettere  Romane. 

Tomo  l  Li  HAEG 


206  Dissertazione 

HAEC  XPS  FVNDAMINA  POSVIT  FVNDATORE 
REGE  FELICISSIMO  LIVTPRAND  PER...   VMCEB... 
HIC  VBX  INSIDIAE  PRIVS  PARABANTVR 
FAGTA  EST  SECVRITAS  VT  PAX  SERVETVR 
SIC  VIRTVS  ALTISSIMI  FECIT  LONCIBARD. 
TEMPORE  TRANQVILLO  ET  FLORENTISS. 
OMNES  VT  VNANIMES...  PLE....  IS  PRINC... 

Circa  l'anno  71 5.  fu  porta  quella  Ifcrizione  .  Ho  io  co' miei 
occhi  veduto  ed  esaminato  quel  Marmo,  e  letto  ivi  Loncibard, 
Veramente  ne  gli  autentici  Diplomi  di  Carlo  Magno  ,  e  de'fuoi 
Diicendenti  fi  truova  fcritto  Langohardorum^  e  in  un  Marmo 
tuttavia  confervato  in  Ravenna  fi  legge...  OL.  REGI.FRAN- 
COR.  ET  LANGVBARDOR.  HAC  PATRICIO  RO  .  . . 
Ma  che  anche  fi  icriveffe  Longobardorum  bada  bene  a  provar- 
lo rifcrizione  di  Cittk Nuova;  e  però  trovandofi  Monumenti, 
ne' quali  fia  fcritto,  non  s'ha  fubito  a  gridare,  che  v'ha  qual- 
che frode  od  impoftura. 

Come  poi  crefceffe  in  breve  la  popolazione  in  quella  C/V/-^ 
Nuova  ^  concorrendovi  ad  abitare  il  Popolo  Modenele  ,  cel  fan- 
no intendere  le  Memorie  luJJeguenti.  Fra  quelle  del  RegalMo- 
nifìero  di  Nonantola  fui  Modenele  fi  confervava  Prìvilepium 
ClementiJJtmì  Karoli  Imperatorìs  (  cioè  del  Magno  )  i?ì  Ajìjelmo 
Abbate  conjirmans  quavndam  fentenùam^  qucs  lata  fu'it  i??ter  tp- 
fum  Abbatem ,  &  Inter B^aynaldum  Cajìald'tojiem  Civitat'ts Nov(S , 
&  Populum  ejusdem  Civitat'ts  ,  &  Poptdum  Sorbarie?2fem  ,  Alba- 
return ,  &  Colegariam ,  de  Infida  &  Silva ,  qu(je  ejfe  videtur  in- 
ter  Pantìrio  &  Fojfa  ,  qua  dicitur  Munda  .  Sicché  quel  Luogo 
era  già  divenuto  Citta  ,  e  vi  foggiornava  il  Gaftaldo  Regio  , 
Ufizio  ,  che  ,  ficcome  abbiam  veduto  nel  Cap.  X.  era  uguale 
a  quello  de' Conti .  Il  Campi  nella  Storia  della  Chiefa  Piacen- 
tina riferifce  un  Decreto  del  Re  Bertarido  per  una  controv^er- 
fìa  di  confini  fra  DaWtbertum  Galìaldum  Placentincs  Urbis  ,  & 
Imonem  Gaftaldum  Parmenfts  .  Che  ivi  ancora  dimoralle  un 
Conte,  cioè  un  Regio  Governatore,  lo  deduco  da  uno  Strumen- 
to di  Rataldo  Vefcovo  di  Verona  nell'  i\nno  813.  perchè  vi  è 
fottofcritto  Riempertus  Comes  Civitatis  Novce  .  Non  era  peran- 
che  nata  in  Ilìria  Citta  Nuova  dalle  rovine  d' Emona,  e  pero 
quel  Conte  dovea  appartenere  a  Citta  Nuova  del  Modenefe  . 
Abbiamo  anche  pruove  ,   che  quel  Luogo  foffe  murato  .    In 

uno 


Ventesimaprìma.  ^6'J 

uno  Strumento  dell'Archivio  de' Canonici  di  Modena  dell'An- 
no 855.  dove  fon  quefte  parole:  Placuit  cttque  corinjemt  tntev 
DomntiS  Jonas  Dei  gratta  Epìfcopus  Sa/ióle  Ecclcjis  Motinenjis , 
nec  71072  &  ex  alia  parte  inter  Garùuifw  de  Curolo  (  oggidì  Corlo  ) 
livero  homi?ie  ,  ut  in  Dei  Jiomine  ego  qui  fupra  Garboino  ,  'vel 
meis  heredis  laborare  &  excolere  dcheam  rem  juris  Jacre  Sanali 
Apojìoli  5  que  ejì  conJìruEia  &  edificata  intra  Muras  Civitatis 
Nova,  Àggiungafi  un  altro  Documento  del  medefimo  Archivio, 
spettante  all'Anno  pii.  Qliìvì  Gotifredo  Vefcovo  di  Modena 
concede  a  livello  alcune  terre,  pojìtas  infra  Cafirum  noflrumy 
quod  ejì  edificatùm  prope  Muras  Civitatis  Nova  .  In  altro  Stru- 
mento dell' Anno  p  14.  fi  legge  una  Donazione  fatta  al  mede- 
fimo  Gotejredo  E.p'tjcopo  de  peciola  una  de  terra ,  que  vajacet  lon- 
go  muro  de  Cajìello^  quod  ejì  edificaturn  prope  Muras  Civitatis 
Nove.  Sicché  non  folamente  Citta  Nuova  era  guernita  di  mu- 
ra, ma  s'era  anche  fabbricato  un  CaHello  o  Fortezza  in  fua 
vicinanza  .  E  nota  longo  ?nuro  de  Cajìello  ,  come  frafe  della 
Lingua  Italiana,  cioè  lu?2go  il  muro  del  Cajìello .  Truovafi  an- 
cora un  frammento  di  Diploma  con  cui  Lottario  I.  AuguRo 
neir  Anno  827.  o  pure  842.  fa  una  Donazione  di  molti  beni 
al  Moniftero  Nonantolano  ,  dove  fi  legge  in  noftro  territorio 
'Emilianenfir  ,  vel  ad  partem  Motinenfem  infra  cofifines  Civita- 
tis  Geminiana.  Chiama  egli  l'Emilia  'Territorio  nofiro^  non  so 
fé  la  Provincia,  o  pure  il  diftretto  di  Reggio.  Chiama  anche 
Citta  Geminiana  la  liefla  Citta  nuova;  e  lo  fteffo  apparifce  da 
un  Diploma  dell' Imperador  Lodovico  Pio  fuo  Padre,  pubblica- 
to dal  Sillingardi  e  dall' Ughelli.  Più  fot to  è  mentovata  Civi- 
tas  Geminiana  ^  que  vocatur  Flexiana  .  Da  San  Geminiano  Ve- 
fcovo prefe  Città  Nuova  quella  denominazione  ;  ma  perchè 
foffe  anche  appellata  Flexiana  non  l'ho  potuto  finora  com- 
prendere. Vedemmo  di  fopra  in  un  Diploma  del  Re  Berenga- 
rio I.  dell'  Anno  8pp.  fatta  menzione  de  finibus  noflris  Regi- 
fianis  &  Flèxianis, 

Quanto  ancora  il  tempo  abbia  alterati  e  cangiati  i  confini 
de  gli  antichi  Contadi  ,  poffo  comprovarlo  colle  vecchie  Me- 
morie di  Modena  .  Fra  i  pochi  Documenti  ,  che  reftano  nel 
già  ricchifllmo ,  ed  ora  fvaligiato  Moniilero  di  Nonantola  ,  fi 
conferva  una  Donazione  fatta  nell'  Anno  'j'jó,  a  quel  facro 
Luogo  e  a  Santo  Anfelmo  Abbate  f:!o  Fondatore  da  Giovanni 
Duca  Figlio  dì  Orlò  Duca  ,   e  da  Orfa  fua  Sorella  Monaca  . 

L 1     2  Leg- 


2^8  Dissertazione 

Leggefi  quivi  :  Domino  fatiBo  Ò'  venerabili  Monajìerlo  SanElo- 
rum  Apojìolorum  ^  &  Chrijìi  ConfeJJ^ovis  Silvejìri  fttu  Nofjantula^ 
Pago  Perficeta ,  Territorio  Motinenfi ,  Ó^  . . . .  tegente  njir  beatif 
ftmus  Anfelmus  Abbas  preejfe  videtur  .  Quefto  Giovanili  Duca 
verifimilinente  fu  uno  de  gli  Afcendenti  de  i  Ducili  diRaven- 
rja,  che  fovente  fi  truovano  ne  i  Monumenti  de'  Secoli  fuife- 
guenti.  Oflervifi  qui,  che  l'infìgne  Moniftero  di  San  Silveftro 
fi  dice  Jltum  Nonantula  ,  P^go  Perftceto  ,  territorio  Motirienfe  . 
Cioè  il  Moniilero  era  fituato  nel  Pago  di  Perficeto  ,  e  quefto 
Pago  era  nel  territorio  ,  cioè  nel  Contado  e  diflretto  di  Mo- 
dena .  Allorché  s'incontra  nelle  antiche  Carte  la  parola  P^^wj, 
inavvertenteraente  alcuni  credono  ,  eh'  effa  fignifichi  qualche 
Villa  o  Caftello  .  Significa  un  tratto  di  paefe  ,  che  abbraccia 
molte  Ville,  Cartella  ,  e  Terre  .  Predo  il  Campi  nella  Storia 
Ecclefiaftica  di  Piacenza  abbiamo  un  Diploma  di  Lodovico  Pio, 
che  rammenta  Monajìerium  Gravacum^  in  Pago  Placentitìo  co?!- 
JìruHtrm  j  cioè  nel  Diftretto  di  Piacenza.  L'Ughelli  ne'Vefco- 
vi  di  Verona  rapporta  un  Privilegio  di  Lodovico  IL  Augufto  , 
dove  troviamo  res  pojìtas  in  Pago  Veroìienft  ^  in  Pago  Tarviji- 
no  .  Potrebbefi  provare  la  forza  di  quella  voce  con  pafTì  di 
Cefare,  Plinio,  Tacito,  ed  altri  .  Potrà  il  Lettore  conlultare 
fopra  ciò,  ilFreero,  ilSalmafio,  il  Vo^io,  il  Bignon  ,  il  Du- 
Cange  ,  ed  altri  Eruditi  .  Anche  in  un  Diploma  à^'i  Lodovico 
Pio  dell'Anno  814.  efillente  nell'Archivio  Nonantulano,  fi  ve- 
de confermata  da  eflb  Augnilo  una  permuta  fatta  fra  Pietro 
Abbate  diNonantola,  e  Ridolfo  Rettore  del  Moniflero,  quoà 
efl  conJìrii6ium  intra  mnros  Civitatis  Brixice  in  honore  Domini 
Salvatoris  nojìri  Jefu  Cbrijìi  ,  quod  vulgo  appellatur  Monajìe- 
rium novum  ^  parole,  che  s' hanno  da  intendere  del  nobiliffi- 
mo  Moniftero  delle  Monache  di  Santa  Giulia  ,  Economo  del 
quale  dovea  efiere  quel  Ridolfo  .  Ora  quefti  diede  al  Moni- 
ftero di  Nonantola  Villam  ?jimcupantem  Redudum^  quce  dici- 
tur  fuper  nomen  Corticclla  ,  in  Pago  Perjìceta  .  Chiamad  tut- 
tavia Reddh  quella  Villa  ,  ornata  di  Chiefa  Parrochiale  ,  e 
fottopofta  al  Duca  di  Modena  come  Padrone  della  Terra  di 
Nonantola.  L'ampiezza  ancora  del  tratto  della  Perficeta  fi  ri- 
cava  da  Leone  Oitienfe  Lib.  I.  Cap.  54,  della  Cron.  Cafin. 
dove  cosi  è  fcritto  di  Giovanni  Abbate  :  Hic  fecit  libellum 
Adelberto  fiUo  Rainerii  de  Rnflello  (  oggidì  fi  chiama  RaJìeU 
lino   Villa    fottopofta   alla   Diocefi  Nonantolana  )    de   aliquot 

Cur- 


Ventesimaprima.  26  g 

Curithus  hujus  Mo?iaJlerti  m  Comitctm  Mutine n fi  ,  fundo  qui 
dìcttur  Perjìceta  .  Anche  Pietro  Diacono  nel  Libro  I  V.  Ca- 
pii. 18.  delia  niedefima  fua  Cronica,  attefta  ,  che  alla  Ba- 
dia Cafinenfe  era  lottopollo  Motiajìerhim  Sa?i6li  Benedici  , 
Territorio  Muti?ienji  intra  fities  flwvii  Fufculi  ^  Ò' limiti s  Mal- 
meniliaci  .  Oggidì  ancora  fi  mira  la  nobil  Terra  appellata 
San  Giovanni  in  Perjiceto  ,  poRa  nel  Contado  di  Bologna  . 
Come  s'ha  dall' UgheUi,  Federigo  II.  Imperadore  confermò 
al  Vefcovo  di  Bologna  Cajìrum  Sanali  Johannis  iti  Perficetc  . 
Sicché  intendiamo  ,  che  una  volta  il  Perficeto  ,  o  fia  la  Per- 
ficeta  era  parte  del  Contado  di  Modena  ,  e  per  confeguen- 
te  almeno  il  Fiume  Samoggia  divideva  effo  Contado  da  quel- 
lo di  Bologna  ,  con  reftar  anche  a  i  Modenefi  Bazzane  ;  e 
quePio  Periìceto  abbracciava  Nonantola  colle  fue  Ville  ,  la 
Corte  di  Zena  ,  San  Cefario  ,  Panzano  ,  Cartello  San  Gio- 
vanni ,  ed  altre  Ville  e  Caiiella  ,  che  la  potenza  de  i  Bolo- 
gnefi  a  poco  a  poco  iottraffe  non  folo  al  Contado  ,  ma  an- 
che alla  flefìfa  Diocefi  di  Modena  .  Però  una  volta  erano  ben 
compartiti  i  confini  fra  quelle  due  Citta  ,  che  oggidì  fono 
cotanto  fproporzionati  .  Allorché  i  Longobardi  tollero  la  Cit- 
ta di  Modena  a  i  Greci  Signori  dell' Efarcato,  non  ebbero  tut- 
to il  tuo  territorio.  Ma  pofcia  per  teftimonianza  di  Paolo  Dia- 
cono Libro  VI.  Cap.  4p.  de  Ged.  Langobard.  il  Re  Liutpran- 
do  tolte  loro  Cafìra  j^milice  Foronianum  (  fi  dee  leggere  Fe- 
roììianum  )  &  Monte  Bellium  ,  Buxeta  ,  &  Pcrjiceta  .  Q_ui 
Feronianum  é  oggidì  appellato  il  Frignano  o  Fregnano  ,  pic- 
ciola  Provincia  del  Ducato  di  Modena  nelle  montagne  ,  che 
comprende  Seftola  capo  di  efia  Provincia  ,  la  grofia  Terra  di 
Fanano  ,  con  affai  altre  Cartella  e  Ville  .  I  Friniati  Liguri , 
mentovati  da  Livio  ,  fon  più  torto  da  cercar  ivi  ,  che  dove 
immaginò  il  Cluverio  .  Mons  Bdlius  ,  chiamato  oggidì  Mon- 
te Veglio  5  o  fia  Monte  Vio  ,  fu  per  alcun  tempo  fottoporto 
alla  giurisdizione  di  Modena .  Di  Buxetum  fi  è  perduto  il  no- 
me 5  non  potendofi  qui  intendere  Bujfeto  porto  fra  Parma  e 
Piacenza  .  Anartafio  nella  Vita  di  Gregorio  II.  Papa  icrive  : 
Langobardis  j^rmlide  Cajìra  ,  Feronianus  ,  Montsbelli  ,  Vera- 
blum  cum  fuis  oppidis  ,  Buxo  ,  &  Perjìceta  ,  Pentapolis  quo- 
que ,  &  Auximana  Civitas  fé  tradiderunt .    Troppa  parte  del 


Perficeto  oggidì  ubbidiice  a  Bologna. 


E  que- 


270  Dissertazione 

E  queflo  fia  degli  antichi  confini  di  Modena.  Ma  forfè  nin- 
na Citta  (1  moftrera  ,  nel  cui  dillretto  o  anticamente  ,  o  ne' 
tempi  delle  guerre  de' Guelfi  e  Ghibellini ,  non  fieno  accaduti 
cangiamenti  ora  in  bene  ed  ora  in  male  .  Nella  Par.  I.  delle 
Antich.  Eft.  Gap.  Vili,  feci  vedere,  che  al  Contado  di  Brefcia 
appartenevano  una  volta  Cafale  Majus  ,  VidelìaTza  ,  Pompone- 
fcum^  &  Siiz^rt a, /Dì  CIO  parlaremo  ancora  al  feguente  Capi- 
tolo XXII.  facendo  conofcere,  che  quella  Città  comandava  ad 
altre  Terre  oggidì  fottopofte  a  Cremona  .  Qlii  mi  fìa  permef- 
fo  di  far  menzione  di  una  Donazione  fatta  nell'Anno  883.  da 
Carlo  il  GroiTo  Imperadore  ad  un  Giovanni  Gaftaldo  di  una 
MafTarizia  in  loco  Fontane  ,  Comttatu  Br'iìàenji  ,  Parochia  Cre- 
ìnonenfi  :  dal  che  fcorgiarno  che  il  Dillretto  di  Brefcia  fi  Ren- 
deva  nella  Diocefì  di  Cremona  .  Cosi  Felina  e  Malliacm^  co- 
me vedemmo  nel  Cap.  VI.  erano  Corti  o  Cartella  di  Parma  , 
e  oggidì  appartengono  aReggio.  Una  volta  ancora  il  Contado 
di  Reggio  fi  ftendeva  fino  a  i  confini  del  Ferrarefe  .  Da  gran 
tempo  non  è  cosi .  Comandava  anche  a  '^ardiftallum ,  oggi- 
di  Guaftalla ,  alzata  all'onore  di  Città  e  Ducato  ;  ma  quella 
ne  fu  fmembrata .  In  un  Di'ploma  di  Lodovico  III.  Re  d'Ita- 
lia neir  Anno  por.  noi  troviamo  confermata  al  Moniftero  di 
San  Siilo  di  Piacenza  Cunem  jur'ts  Pegni  nojìri ,  que  dicìtur 
'Wardijìalle  ,  conjìjìentem  in  Comitatu  Pegtfinno  ìion  longe  a 
jluvio  Pado  ,  Qliìvì  è  nominato  Adalmano  Vefcovo  di  Concor- 
dia non  conofciuto  dall' Ughelli  .  Cosi  in  un  Diploma  di  Lot- 
tario  I.  Imperadore,  rapportato  da  elfo  Ughelli  ne' Vefcovi  di 
Como  noi  miriamo  Vallem  Tellinam  in  Ducatu  Mediolanenji  . 
Forfè  era  fcritto  in  Comìfatu  Mediolanenji ^  come  apparifce  da 
altro  Documento,  che  accennerò  nel  feguente  Capitolo.  Sima- 
raviglierà  taluno  all'  olfervare  tanta  eiìenfione  una  volta  del 
Contado  di  Milano  ;  ma  cefferà  lo  flupore,  allorché  vedrà  nel 
Cap.LXX.  rammentato  uno  Strumento  dell'Anno  880.  da  cui 
rifulta,  che  la  Città  di  Como  era  allora  fottopofta  Co-miti  Me- 
diai anenfi.  O  per  qualche  delitto  doveano  i  Comafchi  avere 
perduta  la  lor  prerogativa  ,  o  qualche  Imperadore  dovea  ave- 
re accrefciuto  l'onore  dell' infigne  Città  di  Milano  colla  giunta 
ài  quel  Contado  .  Per  altro  anticamente  v'  erano  Terre  grolle 
governate  dal  fuo  Conte  ,  e  dipendenti  folamente  dal  Re  o 
Imperadore  .  Ma  da  che  Milano  fi  erefìe  in  Repubblica  ,  fug- 
gettò  alcuni  di  que' Contadi:  laonde  Galvano  Fiamma  nel  Ma- 
ni p. 


Ventesima  PRIMA.  271 

nip.  Fior,  ebbe  a  fcrivere  ampliata  nel  iióy.  la  potenza  de  i 
Miìanefi  colle  feguenti  parole  :  Dtdcatus  Burgitrice  ^  Marchìonatus 
Martefancs  ,  Comltatus  Seprii  ,  &  Comhatus  Turigics  ,  C^  P^ra- 
hingt  5  &  Comttatm  Leucì  ,    qui  omnes  quafi  domefl'tcì  inimici 
Terram   iftctm  femper  invaferant ,  fa6ii  funt   fubjtHi    &  fervi 
perpetui  Civìtatis  Mediola?ii  &c,  Civitas  Anglertds  ,  &  Civitas 
BrianT^cs  i?i  7ioftraOppida  rediguntur.  Alcuni  di  queili  Contadi 
nacquero  folamente  dopo  il  Mille  ;    altri  erano  più  antichi  . 
Nel  Teftamento  di  Angilberga  Imperadrice    dell'  Anno    ^'jy. 
pubblicato  dal  Campi  nella  Storia  della  Chiefa  Piacenr.  fi  truo- 
vano  Curtes  in  Comitatu  Burgare72fe  :  id  fum  Bni?jago  &Treca- 
te.  Perchè  il  Fiamma  chmnvdì^Q  Ducato  di  Bulgaria  quello  che 
era  Comitato  non  ne  so  dir  la  raeione  .  La  menzione  di  Tre- 
cate  farebbe  da  vedere  ,  le  indicalle  ,  che  il  Co?ìtado  di  Bur- 
garia  lo  (lefTo  foffe  che  quel  ài  Vigevano  de' noftri  tempi.   Ot- 
tone I.  Augufto,  come  s'ha  da  un  luo  Diploma  del  p^^^.   rife- 
rito dall' Ughelli  ne'Vefcovi  ó^ì  Parma  ,  conferma  tutto  ciò  , 
che  Ingone    nobil  uomo  poffiede    in  Comìtatibus  Bulgarietifi  , 
haumellenft  ,  Piombi  enfi  ,  Mediolanenfi.  (iXc.    Fa  menzione    di 
Plombia  anche  l'Anonimo  Ravennate  ,    e  il  fuo  Contado  era 
confinante  con  quello  di  Novara.  Nell'Anno  1028.  Corrado  L 
Augufto  concede  o  conferma  a  Pietro  Vefcovo  di  Novara  Co- 
?nitatum  de  Plurnbia  ,  &  alium  de  Oxula  .    Sicché  anche  Do- 
modojfola  avea  allora  il  fuo  particolar  Contado,  che  fi  truova 
confermato  nel  io  14.  al  medefimo  Vefcovo  da  Arrigo  Primo 
fra  gì'  Imperadori  ,  nominandolo  quemdnm  Comitatulum  ,  qui 
in  Valle  Aufula  juxta  ipfius  Epifcopatus  Parochiam  adjacere  di- 
gnofcitur. 

Vediamo  ancora  nominato  in  un  Diploma  di  Lodovico  UT. 
Augufto  dato  al  Vefcovo  d'  Adi  nell'  Anno  por.  Comitatum 
Bredolenfem  inter  Tanagrum  &  Sturi am  .  Antichiffimo  poi  fu 
Comitatus  Seprienfis  mentovato  di  (opra  .  In  uno  Strumento 
dell'Anno  844.  accennato  già  al  Cap.  IX.  fi  truova  Johamìes 
Comes  Seprienfis  .  Più  antica  è  la  memoria  di  elfo  in  uno  Stru- 
mento del  804.  confervato  nell'infigne  Archivio  de'Monacidi 
Santo  i^mbrofio  di  Milano  ,  dove  fi  parla  di  un  Oratorio  di 
San  Zenone  Confejfore  ,  quod  fondato  effe  videtur  in  loco  Cam- 
pellione  prope  Riha  (  del  Lago  di  Lugano  )  ji?iibus  Civitatis  Se- 
brieiifis  .  Ecco  che  Seprio  fi  contava  allora  fra  le  Citta  .  Ne 
reRaiiO  ora  appena  le  velligia  5  dove  è  Cajìel  Seprio  non  lun- 
gi 


^'J^  Dissertazione 

gì  dalla  groffa  Terra  di  Gallarate.  Leggefi  in  un  altro  Strumen- 
to del  med^rmio  Archivio  ali* Anno  857.  Conftat  ,  me  AngeU 
berpus  de  Vico  Canobto  fifiibus  Sebrtenjìs  .  Nobile  Terra  è  og- 
gidì Canobio  alla  riva  del  Lago  Maggiore  ,  fottopoiia  alla  no- 
bil  Gafa  Borromea  .  Né  alla  dignità  per  particolar  Contado  del 
Seprio  nuoce  punto  il  trovarfi  in  altro  Documento  dell'  An- 
no 8(5'5.  mentovata  una  Corte  hz  loco  &  fundo  Balerne  ^  ubi 
dkhur  Oblino^  Judìctaria  Sebrìenje  ,  Vedremo  anche  nel  Gap. 
feguente  Vaheliniim  Judtctariam  Mediolananfem  .  Ma  fecondo 
le  Leggi  del  Re  Liutprando  Judìciaria  fignifica  il  Diftretto  di 
qualche  Citta  .  Poco  fa  Galvano  Fiamma  nominò  Anghlera  , 
robil  Terra  pofTediita  da  i  luddetti  Conti  Borromei  nel  Lago 
Maggiore.  Anticamente  era  elTa  nominata  5'/'/7//ow^,  e  non  già 
Se  attoria^  come  ha  l'Anonimo  Ravennate ,  e  fi  (lendeva  la  ìua 
giurisdizione  alla  maggior  parte  de' Luoghi  fìtuati  alle  rive  di 
effo  lunghiflimo  Lago.  Nel  fopra  accennato  Teftamento  d' An- 
giiberga  Augufta  fono  porte  in  Comitatu  St^tionenfe  Curtes  Ca^ 
broy  &  Mafinum^  nel  cui  ultimo  Luogo  ufc\  alla  luce  Matteo 
Magno  Vilconte  .  Cosi  in  uno  Strumento  dell'Anno  808.  com- 
parifce  Draco  filius  quondam  R.odelmu?2do  ,  il  quale  accenna  , 
qu(S  pojftders  njiueor  Ì7i  territorio  Civitatis  Sebrienfe  &€.  feu  & 
In  fi nibus  Statone njis  ^  locus  Leocarni ,  Adunque  la  nobii  Terra 
di  Locamo  apparteneva  al  Contado  d'Anghiera,  fenza  faperiì 
intendere,  come  poi  C^7;oZ'^'o  fofle  del  Contado  di  Seprio.  Pref- 
fo  il  Puricelli  in  un  Privilegio  dell'Anno  8^4.  dato  dal  Re  Be- 
rengario I.  a  i  Canonici  della  Bafilica  Ambrofiana  troviamo  no- 
minato Manfum  illud  ^  quod  efi:  in  Cornalede  pertinens  ex  Coyni- 
tatù  Fra7^nienft,  Io  iruovo  Cornale  alla  finifìra  della  Terra  di 
Pizzighittone  ;  e  però  farebbe  da  vedere  ,  fé  quel  che  oggidì 
è  territorio  della  Citta  di  Crema  ,  foflTe  allora  il  Contado  Fra- 
zonienfe  .  Coftume  in  fatti  fa  di  que' Secoli  di  compartire  in 
tal  guifa  i  territorj  ,  che  i  Luoghi  frapponi  fra  le  Citta  ,  e 
troppo  diftanti  da  effe,  avefìero  il  loro  Conte  ,  o  fia  Governa- 
tore per  maggior  comodo  degli  abitanti.  Però  motivo  abbiamo 
di  folpettare,  cìiq  CaJìelloArquato  pofto  fra  Piacenza  e  Parma, 
godeife  allora  il  Privilegio  del  proprio  Contado  .  In  una  Dona- 
zione ,  fatta  nell'Anno  833.  da  Aliberto  Prete  al  Moniftero 
Nonantulano,  fono  enunziati  h^nì  finibus  Cafiro  Arquenfisy  vel 
finibus  Flaceìitina ,  niel  in  finibus  Rege^ifis  ,  loco  Arcete  .  Due 
tdlimonj  dicono  A^q^q^q  finibus  Brixiane,  Colla  ^^roh  finibus 

le  ai- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  P  R  I  M  A  ;;  2/ j 

fembrano  difegnati  i  diverfi  Contadi  .  In  uno  Strumento  da  me 
rapportato  nella  Par.  I.  Gap.  14.  Antiqu.  Eli.  fpettante  all'An- 
no 1012.  fi  truova  Lanfranciis  Comes  hujus  Comitatu  Auàenfe  , 
Credo  d'  averne  trovato  il  fito  .  Cioè  cosi  era  denominato  il 
tratto  di  paefe  ,  che  è  fra  il  baflo  Parmegiano  e  Piacentino  , 
oggidì  appellato  lo  Stato  Pallavicino  .  Ora  ne  è  capo  Buffeto  ; 
anticamente  dovea  eflere  Auce^  di  cui  non  truovo  ora  velìigio. 
Forfè  dalle  fue  rovine  crebbe  Borgo  San  Donnino  ,  oggidì  Città 
Epilcopale  .  Si  figurò  il  P.  Beretti  nella  IbaDifTert.  Chorograph. 
d'aver  trovata  menzione  di  quello  Borgo  in  un  Placito  tenuto 
in  Parma  l'Anno  830.  e  dato  in  luce  dal  Campi  Piacentino. 
Qiiivi  fi  tratta  una  lite  fra  Grimoaldum  Avocatum  da  pars  Mo- 
•7iaflerii  SanHì  Florentii  in  FlorenT^ola^  &  Vrjonem  Preshfterufn 
tam  de  beneficium  »  .  .  da  pars  .  .  .  SanHi  Domnini  .  Ma  s'iia 
da  leggere  Ecclejìce  ,  o  Oratorii ,  o  Monajìerii  ,  o  Plebis  ,  0  al- 
tra fi mil  parola  ,  e  non  g\\i  Biirgi  ,  Di  lotto  v'ha  qui  ad  pars 
Sanóli  Domnini  res  fuas  prò  animam  fuam  dedit  .  Adunque  vi  fi 
parla  d'una  Chieia.  Odafi  ora  ciò,  che  è  fcritto  in  un  Diplo- 
ma di  Lodovico  Re  di  Germania  dell'Anno  875.  in  cui  conce- 
de ad  Hirmingarda  fua  Nipote  Lemin  Curtem  in  Comitatu  Per- 
gama^  &  Curtem  Majorem  in  Piacentino  Comitatu^  &  inAucia, 
Vedefi  tuttavia  la  Terra  di  Corte  Maggiore  nel  paefe  già  fpet- 
tante a  i  Marchefi  Pallavicini.  In  un  Placito  dell'Annoilo,  te- 
nuto in  Cremona  fi  truova  Advocatus  Curtis  Dormii  Regis  Auce ^ 
quce  dicitur  Majore . 

Del  pari  la  bella  Terra  ài  Garda  fui  Lago  Benaco,  il  qua- 
le da  elfa  oggidì  è  chiamato  Lago  di  Garda ,  pare  che  godelfe 
ne  gli  antichi  Secoli  il  decoro  di  un  particolar  Contado  .    Un 
Diploma  di  Berengario I.  Re  d'Italia  dell'Anno  8^3.  in  favo- 
re del  Moniftero  di  San  Zenone  di  Verona ,  parla  de  Corte  no- 
Jìra  Meleto  Jìtas  in  Garda  ,  e   più  fotto  jugera  o&o  ftta   in  f- 
nibus  Garda,  In  uno  Strumento  da  me  rapportato  nelCap.XIV. 
Garda  è  diftinta  col  nome  di  Citta ,  ed  ogni  Citta  avea  il  fuo 
Conte  e  Contado.  Così  Comitatus  Montejìlicanusy  oggidì  Mo»- 
felice  ,  nobil  Terra  del  Padovano  fi  truova  in  uno  Strumento 
dell'Anno  ^28.  e  ne'  Diplomi  di  Arrigo  I.  e  Corrado  I.  preiTo 
rUghelli  ne'Vefcovi  di  Verona  .  Altri  fimili  Contadi  ritrove- 
rà chi  maneggia  le  antiche  pergamene .  Ma  fpezialmente  vo' 
io  qui  ricordare  una  Donazione  ,  di  cui  tornerà  occafion  di  fa- 
Tomo  I.  Mni  velia- 


27+  DlSSET?    T    AZIONE 

veliare  nel  Gap.  LXVII.  fcritta  prima  dell'  Anno  800.  Ivi  è 
nominato  Co?nìtraus  Litcardus  ,  nome  Urano  .  Ma  che  quefto 
fofTe  in  Tofcana  fra  Arezzo,  Firenze,  Siena,  Volterra,  e  Fifa, 
fi  raccoglie  dal  trovarfi  ivi  tuttavia  il  Caltello  iLwcWo ,  e  daìl' 
annoverare  fra  i  Luoghi  di  quel  Contado  P etroni aco  ,  Monte 
Bonici  ^  Monte  Domenic/jì  ^  San  Donato^  Santa  Maria ^  Meleto^ 
San  Pietro  &c.  Angulto  era  una  volta  il  Contado  di  Siena  , 
come  vederemo  al  Cap.  LXXIV.  e  però  none  da  ftupire ,  fé 
fra  effa  e  Firenze  fi  trovafle  il  Conrado  Lucardo  .  Dall'Anoni- 
mo Ravennate  fra  le  Citta  delia  Tofcana  viene  annoverata 
Lugaria,  Forfè  ivi  è  da  leggere  Lucarda  ,  Avvertimmo  di  fo. 
pra,  che  nelle  Montagne  il  Fregnano  è  una  picciola  Provincia 
del  Ducato  di  Modena  .  Verifimilmente  anch'  elfo  una  voka 
ebbe  il  tuo  proprio  Conte  e  Contado.  Paolo  Diacono  nel  Lib.II. 
Cap.  18.  trattando  delle  Alpi  Apennine  dice  che  ivi  fono  Ci- 
njitates  Feronianus  ,  Montepellium  Ù'c,  Ivi  fi  parla  del  Fregna- 
nò.  Nell'Anno  7^7.  come  corta  da  uno  Strumento  di  donazio- 
ne fatta  ad  Anlelperga  BadeiTa  di  Santa  Giulia  di  Brefcia,  fono 
fpecificati  Beni  pofti  in  loco  ubi  ììuncupatur  Rio  Torto  ,  Terre- 
turio  Peroni  an  enfi .  In  un'altra  Donazione  fatta  l'Anno  1034, 
ad  Ingone  Vefcovo  di  Modena  troviamo  nominato  Comitatum 
Ferengnienfe  ,  Cosi  in  uno  Strumento  del  1035.  s'incontra 
Ubertus  filius  ho:  yne:  Daiberti  de  Comi  tatù  Peroni  ano  ,  e  nell' 
Anno  1 01 7.  Albi':?;o  filius  Daiberti  de  Comitatu  Peroniano.  Lun- 
go fiudio  poi  richiederebbe  il  volere  raccogliere  tutte  le  Citta 
dell'Italia  tanto  de' tempi  Romani ,  che  de' Secoli  barbarici  , 
le  quali  o  hanno  pcduto  affatto  il  nome  ,  o  fon  decadute  af- 
faiflimo,  o  hanno  cangiato  fito  .  Pereiempio  Antemna  fu  Cit- 
th  non  ignobile  de  i  Latini  non  molto  lungi  dalla  fonte  dell' 
Aniene  ,  oggid'i  Teverone  .  Ne  parlano  Varrone  ,  Fello  ,  Ser- 
vio ,  Livio,  Silio,  ed  altri  rammentati  dal  Cluverio  e  Cella- 
rio .  Tuttavia  porta  il  nome  di  Città  di  Antina  ,  ma  ridotta 
a  troppo  baffa  condizione  .  E*  nominata  ne'  vecchi  Documenti 
la  Citta  di  Bobio  ,  non  quella  ,  che  giace  fopra  Piacenza  alle 
rive  della  Trebbia  ,  ma  un'altra  dello  Stato  Ecclefiallico  orna- 
ta una  volta  di  Cattedra  Vefcovile  .  Neil'  affegnare  il  fito  di 
quefta  Citta  fi  fono  ingannati  Leandro  Alberti  ,  il  Cluverio  , 
Carlo  da  San  Paolo  ,  il  Font-anini  ed  altri .  L'  Ughelli  nel  To- 
mo 2.  dell'Italia  Sacra  ci  vorrebbe  perfuadere  ,  che  Sarfina  e 

Bobio 


1 


Ventesimaprima.  275 

Boù/0  foflero  la  Cte^a.  coia  .  Ma  non  badò  egli ,  che  nel  1232. 
v'era  tuttavia  la  Dioceft  dì  Bobio  ,  e  che  molto  prima  di  quel 
tempo  fi  triiova  S^Jfe?iatenJìs  Epifcopus^  come  colla  dai  Docu- 
menti prodotti  dal  medefimo  Ughelli  .  E  in  un  Diploma  di 
Corrado  I.  Augufto  del  1028.  lono  alla  Chiefa  di  Sarfina  con- 
fermati tutti  i  beni,  che  ad  efla  appartengono  in  territorio  Saf- 
fenatenfi  &c.  &  ijifra  Comitatum  Bobienfem ,  in  territorio  Fere- 
trnyio^  in  Coifenati  Comitatu  &c.  Chi  è  pratico  de' molti  Luoghi 
enunziati  in  uno  Strumento  dell'Anno  1232.  da  me  dato  alla 
luce,  potrà  forfè  individuare  dove  precifamente  foife  la  Diocefi 
Bobienie  ;  perciocché  ivi  fi  legge  :  Vel  mihi  pertinet  in  Dìce- 
ceft  Caflellana  ,  Feretrana ,  &  Bohienfi  ;  fcilicet  Cajìrum  Alfa- 
ri  ,  &  ejtis  Curtem^  Cajìrum  Corneti  &c.  Se  Bobio  era  in  confi- 
ne di  Sarfina,  potrebbe  effere  (lato  aggiunto  al  Vefcovato  della 
medefima  Sarfina  .  Ma  di  ciò  finora  non  fi  fon  vedute  pruove 
concludenti  .  Incontrafi  anche  memoria  della  Citta  Anfedona 
nelle  vecchie  Carte,  e  fi  pretende,  che  dalle  rovine  fue  forge  i- 
fe  la  riguardevol  Terra  di  Orbiteli! .  L'UgheUi  ne' Veicovi  di 
Oftia  ,  e  il  Margarino  nel  Tomoli.  Conftit. 25.  rapportano  un 
Diploma  di  Leone  III.  Papa,  e  di  Carlo  Magno,  per  cui  amen- 
due  donano  Monajìerìo  SanBi  Anaftafti  ,  quod  efl  pofitum  ad 
Aquam  Salviam  (  entro  Roma  )  integram  Civitatem  ,  qua  ab 
omnibus  vocatur  Anjidonia.  E  il  Turrigio  Par.  2.  de  Crypr.  Va- 
tic.  ne  rapporta  de' pezzi,  ch'egli  dice  ferirti  nella  parete  di 
eflb  Moniftero  .  Ma  quel  Diploma  non  ci  vuol  molto  a  ricono- 
fcerlo  per  un' impoftura .  Di  una  miracolula  vittoria  ,  che  ivi 
fi  dice  riportata  ,  ninno  de  gli  antichi  Storici  ha  mai  fatta 
menzione  .  Né  mai  fu  coftume  ,  che  il  Papa  e  1'  Imperadore 
con  unione  di  autorità  e  di  iottofcrizione  faceffero  fimili  dona- 
zioni. Carlo  M.  è  ivi  appellato  magnificus  &  prcejens  Rex  ^  e 
poi  fi  fottofcrive  con  dire  :  Ego  Carolus  Imperator  Augujìus  . 
Sottofcritto  anche  fi  mira  Hugo  Dux  Luxovienjis^  ovvero  Lug- 
dunenjìs  :  cofe  tutte  contrarie  ai  Rituale  di  que' tempi,  ficco- 
me  anche  la  pena  da  pagarfi  Romano  Imperio .  Tralafcio  l'An- 
no dell'Era  volgare  ivi  appolto,  ed  altre  offervazioni  conclu- 
denti ,  quello  effere  un  Documento  fallo  .  E'  anche  da  vedere 
la  Cronica  Volturnenfe,  nella  cui  figura  VI.  comparifce  Urbs  An- 
fedona ,  e  appreflb  Monajìerium  Sancii  Petri  :  il  che  può  far  du- 
bitare, che  nel  Regno  di  Napoli  folfe  quella  Citta;  e  tanto  più 

M  m     2  per- 


2^6         Dissertazione 

perchè  Falcone  Beneventano  all'Anno  1153.  feri  ve,  che  il  Re 
Ruggieri  dopo  Matera  occupò  Civitatem  nl'tam  nomine  An- 
fani .  Di  più  non  Soggiungo  con  replicare  ,  che  lunga  naviga- 
zione intraprenderebbe  ,  chiunque  volefTe  trattare  di  tutte 
le  antiche  Citta  o  annientate,  o  ridotte  in  balTiffimo  flato. 

Delle  Leggi  dell'  Italia  7ié'  Secoli  barbarici  5 
e  dell'  origine  de  gli  Statuti .. 

DISSERTAZIONE  VENTESIMA  SECONDA, 

ALL'  Erudizione  de' Secoli ,  ne' quali  giacque  l'Italia  fot- 
to  il  dominio  de' Barbari,  appartiene  anche  la  conofcen- 
za  delle  Leggi  allora  nfate  ;  e  tuttoché  nella  Prefazione  alle 
Leggi  Longobardiche  nella  Parte  II.  del  Tomo  I.  Rer.  Italie, 
io  abbia  trattato  quello  argomento  :  pure  a  me  conviene  l'i- 
ftruirne  qui  i  Lettori  .  Allorché  i  Goti  fotto  il  Re  Teodorico 
s'impadronirono  d'Italia,  trovarono  qui  in  voga  e  dominan- 
ti le  Leggi  Romane^  particolarmente  comprefe  nel  Codice Teo- 
dofiano  ,  oltre  a  non  poche  Opere  de  gli  antichi  Giuriscon- 
fulti  .  Teodorico  Principe  di  gran  fenno  nulla  volle  cangia- 
re di  quelle  Leggi  ,  anzi  alle  medefime  fi  fottomifero  i  Goti 
fleifi.  Riulci  poicia  a  Giudiniano  I.  AuguRo  di  ricuperar  que- 
lle contrade  ,  e  a  lui  dobbiamo  l'iniìgne  Corpo  delle  Leggi  Ro- 
mane, che  anche  oggidì  regola  i  noltri  Tribunali  .  Durò  po- 
co il  trionfo  di  quelle  Leggi,  perché  da  Fi  a  non  molto  fopra- 
vennero  in  Italia  i  Longobardi,  i  quali  o  fia  per  l'odio  ,  che 
portavano  a  i  Greci  perpetui  loro  nemici ,  e  per  l'amore  ,  che 
profelTavano  a  i  riti  e  alle  confuetudini  della  lor  Nazione,  giu- 
dicarono meglio  di  mettere  in  ifcritto  le  Leg,^i  ed  ufanze  pro- 
prie, che  di  regolarfi  colle  Greco-Romane .  Vero  è  ,  che  per- 
mifero  agli  antichi  abitatori  d'Italia  di  feguitar,  fé  voleano,  le 
Leggi  di  Giulliniano  ;  né  quello  fu  loro  mai  vietato  .  Rotari 
Re  di  elfi  Longobardi  prima  formò  una  Raccolta  di  Leggi  , 
con  darle  il  titolo  di  Editto  ,  e  a  quella  di  mano  in  mano  fe- 
condo le  occorrenze  i  Re  iuccelTori  ne  andarono  agsiugnendo 
dell'  altre  ;    ed  avendo  fatto  altrettanto  i  Re   ed  Imperadori 

Fran- 


VentesimasecondxV.  277 

branchi  e  Tedefchi*,  venne  in  fine  a  formarfl  il  corpo  inte- 
ro delle  I^eggi  Longobardiche  ,  colle  quali  per  pii:i  Secoli  s'  è 
governata  la  maggior  parte  d'Italia  .  Ma  da  che  Carlo  Ma- 
gno unì  quefto  Regno  alla  vafta  potenza  fua  ,  che  allora  fi. 
flendeva  per  tutta  la  Francia  ,  e  per  tutta  quafi  la  Germa- 
nia ,  famiglie  intere  di  quegli  altri  paefi  o  per  intereffe  ,  o 
per  bilogno  ,  o  per  impiego  vennero  a  fiffare  il  piede  in  Ita- 
lia .  Avvezzi  quefti  Oltramontani  alle  Leggi  del  loro  paefe, 
ottennero  poi  licenza  di  potere  con  efTe  regolarfi  ,  e  vivere 
anche  in  mezzo  a  gl'Italiani  .  V'erano  Salici  ,  Ripuarii  ,  Ba- 
varefi  ,  ed  Alamanni  ;  vennero  perciò  in  Italia  le  Leggi  di 
tutte  quelle  Nazioni  ,  e  bifognò  ,  che  i  Giudici  ed  Avvoca- 
ti foflero  bene  informati  di  cadauna  di  effe  ,  perchè  fecondo 
il  tenore  della  Legge  ,  che  ognuno  profeffava  ,  dovea  effere 
giudicato  .  Né  vi  credefte  già  ,  che  i  Dottori  di  allora  avef- 
fero  a  faticar  molto  ,  e  a  logorar  la  loro  fanita  ,  per  impa- 
rar le  tante  Lessi  di  Giuftiniano  .  Rariffimi  ,  a  mio  crede- 
re  ,  in  que'  Secoli  erano  i  volumi  delle  Pandette  ,  o  fia  de  i 
Digedi  ,  e  il  Codice  di  e(fo  Giuftiniano  colf  Kiituta  ,  e  colle 
Novelle  .  Gran  lomma  di  danaro  farebbe  colfato  quello  Ar- 
fenale  di  Leggi  Romane  ,  perchè  non  fi  trovavano  in  que' 
tempi  Libri  le  non  iicritti  a  penna  ,  e  nelle  pergamene .  Ve- 
rifimilmente  poche  erano  le  Citta  ,  che  pofl'edelfero  un  Vo- 
lume folo  ,  nonché  tutti  i  Volumi  del  Gius  Giuftinianeo.  Ma 
come  giudicar  le  caule  de  i  Romani  fenza  aver  tutta  quel!a 
gran  Raccolta  ?  Ularono  in  que'  Secoli  i  Giudici  e  i  Legilli 
un  breve  breviffimo  compendio  delle  fterminate  Leggi  Ro- 
mane 5  con  aver  fcelto  folamente  quel  poco  ,  che  baftava  a 
rifolvere  le  più  uiuali  controverfie  di  Giuflizia  :  giacché  al- 
lora non  aveano  luogo  ne' Tribunali  tante  ibttigliezze,  e  cau- 
tele d'  oggidì  ,  né  fi  ulavano  gli  eterni  Fideicommiffi  ,  Pri- 
mogeniture ,  e  Maggiorafchi  ;  e  però  a  pochi  punti  fi  vede 
ridotto  allora  ne  i  Manulcritti  la  Giurisprudenza  Romana  . 
Il  refto  dipendeva  dal  fenno  e  dall'Equità  de  i Giudici,  e  un 
gran  bene  fi  godeva  allora  ,  cioè  quello  di  sbrigar  preflo  le 
liti,  fenza  vederle  incamminate  all'eternità. 

Ora  noi  abbiamo  Letterati,  che  han  dato  al  pubblico  bel- 
le edizioni  delle  iuddette  diverte  Leggi ,  praticate  in  que' tem- 
pi in  Italia  .    Mi  fon  io  Itudiato  di  darne    una  ben  eiatta  e 

più 


278  Dissertazione 

più  copiofa  delie  Leggi  Longobardiche  nella  fuddetta  Par.  IL 
del  Tomo  L  Rer.  Ital.  mercè  di  due  antichi  Codici  MSti,  l'uno 
della  Biblioteca  Eflenfe,  e  l'altro  dell'Archivio  de' Canonici  di 
Modena.  Qi,ie(l' ultimo  abbracciava  le  fuddette  Leggi  in  com- 
pendio, e  il  tempo,  in  cui  fu  fatta  quella  Raccolta  ed  unione, 
iì  può  raccogliere  da  i  verfi,  che  lervono  di  Prefazione,  da  me 
rapportati  altrove.  I  primi  fon  quelH  : 

Himc  Hsros  Lihrum  Legum  confcrthere  fectt 
Eurardiis  prudem^  prudentibus  omnia  ^exìt , 
^uìsqtits  amat  cunBas  Legum  cog?ìofcere  caufas  &c. 

Aveva  io  conietturato,  che  quell'Eroe  chiamato  &rWo  fofTe 
Everardo^  o  fia  Eberardo^  Duca  o  Marchefe  del  Friuli,  padre 
di  Berengario  I.  cioè  di  chi  fu  fuo  lucceiTore  in  quel  Ducato  , 
pofcia  Re,  e  finalmente  Imperador  de'Romani.  Ho  poi  trova- 
to, con  che  afibdar  si  fatta  coniettura.  Rapporta  Auberto  Mi- 
reo  nel  Cod.  Donat.  piar.  Cap.  15.  il  Teftamento  fatto  da  elfo 
Everardo  Conte  e  Duca,  non  già,  com'egli  fi  figurò,  nell'An- 
no 837.  ma  bensì  nell'Anno  Sd"/.  in  cui  quel  Principe  cosi  par- 
la :  Volumus^  ntUnroch  (  era  quefti  il  fuo  Primogenito  )  habent 
Librum  de  Lege  Francorum  ^  &  Kipuariorutyi^  &  Langobardorutn  ^ 
&  Alaman'/ìorum  ,  &  Ba^unrìomm  .  Ecco  qual  conto  egli  faceiTe 
di  quella  Raccolta  di  Leggi  ,  e  con  che  buon  fondamento  a  lui 
fi  debba  attribuire  .  S'intende  ancora  ,  che  i  Libri  MSti  erano 
gioie  in  que' tempi.  E  che  effa  Raccolta  foffe  fatta  a' tuoi  giorni, 
apparifce  da'leguenti  verfi  del  Codice  Modeneie  iuddetto. 

^Xuam  pulchras  poteris  ^  Jt  "vslis^  forte  videre 
Effigies^  Leóior  y  Francorum  fchema  per  avum , 
En   Cm'olus  cum  Pippino  quam  fulget  in  njulm 
En  Hludo'wicus  Ccejar  ,   quam  que  Hlotarius  Heros* 
Ipforum  quantum  &  Leges  per  cun6la  tonantes . 

Nell'originale,  lafciato  ad  Unroco,  vi  doveano  effere  i  Ritrat- 
ti di  que' quattro  Re  d'Italia  ben  formati  e  miniati ,  che  non 
fono,  o  fconciature  fono  nell'antichiffi ma  copia,  confervata  in 
Modena.  Da  ciò  s'intende  compilata  quella  Raccolta  a' tempi 
di  Lottarlo  I.  Imperadore  ,  quando  appunto  fiori  il  fuddetto 
Everardo  .  Diffi  ,  che  quelli  fu  Duca  0  Marchefe  del  Friuli  . 
Per  provar  ciò  ,  il  Valefio  nelle  Annotazioni  al  Panegirico  ài 
Berengario  ,  e  il  P.  Beretti  nella  Differt.  Chorograph.  han  re- 
cato 


Ventesimaseconda.  279 

cato  delle  conietture.  Aggiugnerò  io,  cIiq  E'ver^rcìo  vien  chia- 
mato Marchete  nel  Lib.  IV.  Hift.  Remenf.  E  il  P.Dachery  nel 
Tomo  II.  dello  Spicilegio  dell'  ultima  edizione  rapporta  quelli 
verfi  in  onore  di  lui . 

Regìbus  tmynenfis  Euv^rcìus  Cifojùenfìs 
Creditur  aqualis  ,  ut  att  Lì  ber  Hìjìorìalis  , 
^uì  de  nobilìum  defcendetis  Jììvpe  Vìrorum  ^ 
Dicìtur  Italiae  quondam  tenui ff e  Ducatum  . 

Abbiamo  dunque  Everardo,  chiamato  Cz/òw/V;?/^,  perchè  fon- 
datore di  quel  Moniftero  ,  Marcbefe  e  Duca  in  Italia  .   E   Fro- 
doardo  nel  Lib.  3.  Gap.  2(5.    regiilrando  le  Lettere  fcritte  da 
Hincmaro  Arciveicovo  di  Rems,  una  ne  dk  inviata  Viro  Illu- 
JìrìJJtmo  Eberardo  ex  Prìncìpìbus  Lothnrii  ,   parole   che  fi  debbo- 
no intendere  del  Padre  di  Berengario,  Principe  in  Italia,  per- 
chè qui  foggiornava  allora  Lottario  Augnilo  .    Può  compren- 
derfi  ancora  ,    che  Everardo  abitafle  in  Italia  ,    e  che  il  luo 
Ducato  fofle  quello  del  Friuli  ,  dal  vedere  fatto  il   Tuo  Tefta- 
mento   neh'  Anno  'èóy.  In  Comitatu  Tarvìfìano  ì?i  Corte  7ioJha 
Mufteftro  ,   Aggiungafi ,  che   prima  deli' Anno  848.   Gotefcalco 
famofo  Monaco  per  le  Tue  controverfie  intorno  alla  Predeflina- 
zione,  tornando  da  Roma  in  Francia,  cominciò  a  feminar  la 
fua  dottrina  per  le  Citta  della  Venezia  :  dei  che  avvertito  Ra- 
bano  Mauro  Arcivefcovo  di  Magonza  daNotingo  Vefcovo,  non 
gi^  Veronefe  ,  ma  Brefciano ,  mandò  una  fua  Operetta  ad  efib 
Vefcovo,  rapportata  dall' Ughelli  ne'Velcovi  di  Chiufi  ,    con 
Lettera  ìndìrìzz3.\:^  ad  Heberardum  Ducew .  Che  s'egli  altrove, 
come  anche  nel  fuo  Tedamento    fi  truova  appellato  Comes  : 
quefto  era  un  ufo  di  que'  tempi  ,    ne'  quali    chi  era  Duca  o 
Marchefe,  governava  anche  qualche  Citta  con  titolo  di  Conte. 
Venga  ora  avanti  Alberico   Monaco  de  i  tre  Fonti  ,  il  quale 
nella  lua  Cronica  all'Anno  854.  fcrive  cos'i  :  Hoc  Anno  Comes, 
Everhardus  cognomento  Radulfus^  Dux  Forojuliì   a  Lot bario  con^ 
Jìitutus  ,    Corpus  Callifìì  Papce   ab  Epijcopo  Brixìcs  Notingo  im- 
petravi t  ,    &  in  predio  fuo  apud  Ti^onium   (  ferivi  Cifonium  } 
Tornacenfts  Dioccejìs  attulit.   Dovrebbero  badar  tali  notizie  per 
aificurarci,  che  il  governo  del  Friuli  fu  una  volta  appoggiato 
a  quedo  Everardo  Duca  ;  ma  per  compimento  s'oda  ciò  ,  che 
lalciò  fcritto  Andrea  Prete  Italiano  di  que'  tempi  in  una  Cro- 
nichetta  ,    data    alla  luce    da  Giovanni  Burcardo  Menchenio  . 

Ecco 


280  Dissertazione 

Ecco  le  fuc  parole  :  Mtdtam  fnngaùonem  hangoharàt  Ò"  oppvef- 
fìonem  a  Sclavorum  gente  fujìinuerum  ,  ufque  dum  Imperato^ 
(  cioè  Lottarlo  I.  )  ForojuHanGrum  Eberhardum  Prificipem  conjìi- 
tuif  *  ^hio  defu?iBo  ,  Unroch  jìlius  ejus  in  Principatum  fuccejjit* 
Sicché  fino  ali' Anno  86^7.  Everardo  tenne  il  Ducato  del  Friu- 
li; ebbe  per  fucceiTore  Unroco  figlio  mag.^iore,  e  mancato  que- 
flo  di  vita  ,  fu  conferito  il  governo  medefimo  a  Berengario  , 
pofcia  Re  ed  Imperadore  ,  di  cui  non  increfcera  a  i  Lettori  di 
aver  imparato  a  meglio  conofcere  il  Padre  ,  Principe  di  grande 
affare  nei  Secolo  IX.  e  a  cui  dobbiamo  la  Raccolta  delle  Leggi 
fuddette . 

Il  Rito  di  formare  e  pubblicar  le  Leggi  neVecchi  tempi  , 
non  fu  già  lo  (leflo  ,  che  oggidì  fi  olTerva  dalla  maggior  parte 
de  i  Regnanti .  Imperciocché  allora  non  dipendevano  dal  folo 
arbitrio  e  provvidenza  del  Principe  e  del  fuo  Conciftoro  le  Leg- 
gi, che  doveano  obbligar  tutto  il  Regno  ;  ma  vi  fi  richiedeva 
il  Confilio  e  CofìfenPÌme'/ìto  de  gli  Ordini  e  de'  Primati  del  Re- 
gno. Perciò  forte  ogni  anno  folevano  i  Re  d'Itaha  raunare  la 
Dieta  generale  del  Regno  ,  per  lo  più  in  Pavia  ,  e  nel  primo 
giorno  di  Marzo  .  Cola  folevano  concorrere  i  Grandi  del  Re- 
gno, cioè  ì  Duchi  ,  Q  ì  Giudici  ,  riconofciuti  poi  col  titolo  di 
Conti  da  gli  Augafti  Franchi  ,  e  i  principali  Ufiziali  della  mi- 
lizia .  Principalmente  poi  lotto  efli  Franchi,  e  fotto  gl'Impe- 
ladori  Tedefchi,  v'intervenivano  i  Veicovi ,  ficcome  Principi  , 
che  godevano  molte  Regalie  del  Regno  .  In  quelle  Diete  fi  di- 
battevano tutte  le  Leggi  ,  che  venivano  propofte  da  pubblicar- 
fi,  e  fi  cercava  l'approvazion  d'ognuno.  Vedi  le  Prefazioni  al- 
le Leggi  Longobardiche  .  Nel  fine  dell'  Editt©  pubbUcato  dal 
Re  Rotati  fi  legge  :  Leges  patrum  nojìrorum  ^  quds  fcriptcs  non 
erant  ,  literis  tradidimus  ,  partemque  earu-m  Confilio  ,  parique 
Confenfu  Primatum ,  Judicum ,  cunSìique  felicijjimi  Exercitus  no- 
Jìri ,  augentes  conflituimus  .  Anche  il  Re  Gnmoaldo  nel  Proe- 
mio alle  fue  Leggi,  confelfa  di  averle  ftabilite  per  fuggejìionem 
Judicum^  omnium que  Cotjfenjum  .  Né  diverfamente  operò  il  Re 
Liutprando,  il  quale  nel  Lib.  I.  delle  lue  Leggi  confeffa  di  aver- 
le approvate  ima  cum  omfìibus  Judicibus  d^  Aujìrics  &  Neujìritjs 
partibus  ,  &  de  Tujcict  finibus  ,  cum  reliquis  Fidelibus  meis 
Langobardis^  Ò'  cunóìo  Populo  ajjifleme ,  Lo  ftefìfo  Rito  fi  vede 
praticato  da  Ratchis  ed  Adolfo  luoi  Succeffori  .  Quielle  Leggi 
eziandio,  che  Carlo  M.  preferire  da  oflervarfi  nel  Regno  d'Ita- 
ha, 


Ventesimasecon  da.  281 

lia  ,  ficcome  egli  attefta  nella  Prefazione  ,  vennero  fìabilite  , 
tonare gat'ts  in  u?ium  Epìjcopis^  Abbatibits  ,  vtris  Illuftnbus,  Ad 
imitazione  di  lui  anche  Pippino  Re  d' Italia  fuo  Figlio  formò 
varie  Leggi  ,  quum  adefj^ent  nobìscum  fingulì  Epìjcopi  ,  Abba- 
tes  5  &  Com'nes^  feu  rcliqui  Fideles  ìioflrì  Franci  &  Langobar- 
dì  .  Benché  fieno  perite  le  Prefazioni  delle  Leggi  di  Lodovico 
Pio,  Lottarlo  L  Lodovico  IL  e  Guido  Imperadori  :  tuttavia  è 
da  credere,  che  procedelfero  colla  llefTa  regola  di  governo ,  of- 
fervata  anche  da  Ottone  IL  Augufto  ,  il  quale  nella  Dieta  di 
Verona  dell'Anno  5)83.  fece  alcuni  pochi  Decreti,  omnibus  Ita- 
lice  Proceribus  con'venic'nfibus  &  confejjtientibus .  Così  Arrigo  IL 
Auonlio  trovandofi  Turegi  in  univerfali  Cotzventu  Langobardo- 
rum  dice  d'avere  formata  una  Legge,  Epifcoporum  ^  Marcbio- 
nuruy  Comitum  ^  aliorumque  multorum  yiofìrorum  Fidelium  Con- 
fenfu  &  auBoritate  probatam  ,  Altrettanto  praticò  Lottarlo  IL 
Imperadore  ,  e  pofcia  Federigo  I.  Augufto  nelle  Diete  tenute 
in  Roncaglia  ,  con  effere  intervenuto  il  Configlio  ed  Afìenfo 
de'  Magnati  alle  loro  Leggi  .  Né  differente  era  in  que'  tempi 
il  Rito  di  pubblicar  nuove  Leggi  ne  i  Regni  di  Francia  ,  Ale- 
magna,  e  prelfo  altri  Popoli  ,  come  fi  raccoglie  dalle  antiche 
memorie  ,  e  lo  Schiltero  ,  ed  altri  Scrittori  del  Gius  pubblico 
Germanico  hanno  dimoilrato  .  Qual  potere  ,  e  quai  limiti  ab- 
biano gì' Imperadori  d'oggidì  in  far  nuove  Leggi  ,  non  l'ha  da 
chiedere  a  me  il  Lettore  ,  ma  dee  dimandarlo  a  tanti  Erudi- 
ti Tedelchi ,  i  quali  ampiamente  han  trattato  de' pubblici  lo- 
ro affari . 

Ora  due  forte  di  Leggi  furono  in  Italia  ,  allorché  qui  fi- 
gnorcggiarono  gì'  Imperadori  Franchi  ,  cioè  le  Particolari  di 
ogni  Nazione  ,  che  riguardavano  le  Succeffioni  ,  i  Contratti  , 
le  pene  de' delitti,  e  limili  altri  punti ,  che  come  aveano  cre- 
duto il  meglio  ,  i  Legislatori  aveano  ftabiiito  .  L'altre  erano 
Leggi  Generali ,  alle  quali  indifferentemente  fi  trovavano  Ibt- 
topolti  tutti  gli  abitatori  del  Regno  d'Italia.  Veggafi  la  Leg- 
ge Nona  di  Pippino  Re  d'Italia,  dove  fono  le  feguenti  paro- 
le :  De  ceteris  vero  cnujjis  Communi  Lege  -oivamus ,  quam  Dom- 
7JUS  Karolus  excellentijjimus  Rex  Francorum  citque  hangobardo- 
rum  in  Edilio  adjunxit  .  Ecco  come  i  Capitolari  aggiunti  da 
Carlo  M.  all'Editto,  cioè  alla  Legge  Longobardica ,  s' aveano 
da  oifervare  da  tutte  le  Nazioni  allora  dimoranti  in  Italia  . 
Delle  Leggi  Particolari  parla  nella  medefima  Legge  lo  fteflb 
Tomo  L  N  n  Pip» 


282  Dissertazione 

Pippino  con  dire  :  Si  lasrocifìia  ,  vel  furta  ,  aut  pYxàa  inventa 
fuertìU  5  emcndentur  juxpa  ut  ejus  Lex  ejì  ,  cut  malum  ipfum 
perpetrapum  fuerìt .  Sicché  le  Pene  dei  delitti  fi  pagavano  non 
fecondo  la  taffa  della  Legge  profeflata  dai  delinquente,  ma  fe- 
condo quella  di  chi  avea  ricevuto  il  danno  o  roffefa  .  QLian- 
to  alle  Succeffioni  fi  noti  la  Legge  46".  del  medefimo  Re  Pippi- 
no .  S'tcut  co?ìJuetudo  noflra  eJì ^  die' egli,  Komanus  vcl  Lango» 
bardus  fi  enjener'tt  quod  caujfam  ifìter  fé  habeant ,  objervamus  , 
ut  Komanus  SucceJJtonem  eorum  juxta  Juam  Legem  habeat .  5"/- 
militer  &  omnes  fcript'tones  juxta  Legem  Jliam  fac'tant .  Et  alti 
homtnes  ad  altos  fimditer  .  Et  quando  componunt  (  cioè  voglio- 
no pagar  la  pena  in  danaro  )  juxta  Legem  ipfius  ,  cui  malum 
fecerint  compo?iant .  Et  Langobardus  illi  fimiliter  convenit  com- 
ponere  .  Perchè  Pippino  foiamente  qui  parli  de'  Longobardi  e 
Romani,  cioè  de  i  diicendenti  da  gli  antichi  abitatori  d'Italia, 
a'  quali  era  permeffo  di  feguitar  la  Legge  Romana  :  forfè  ciò 
avvenne,  perchè  queRi  erano  i  due  principali  Popoli  del  Re- 
gno Italico  .  Poiché  per  altro  anche  altre  Nazioni  lotto  quel 
Re  vennero  ad  abitare  in  Itaha  ;  e  lo  confelfa  egli  nella  Leg- 
ge 28.  dove  cosi  parla  :  De  diverfis  generationibus  bominum  , 
qua  in  Italia  commanent  ,  volumus  ,  ut  ubicunque  culpa  conti- 
gerit  ,  un  de  fa/ da  (  nemici  ti  a  )  crefcere  poteri  t ,  prò  jatisfaHio^ 
ne  hominis  illius  ,  quem  culpaverint ,  fecundum  Legem  ipfius  , 
cui  negligetìtiam  commijcriìu  ,  emendent  .  Adunque  acciocché 
appariife  ,  a  quale  delle  varie  Leggi  ciafcuna  perfona  allora 
aderifìe,  per  regolare  fecondo  quella  i  contratti ,  i  giudizj,  le 
eredita  ,  ed  altri  pubblici  atti  ,  né  foffe  in  poter  della  gente 
l'ingannare  il  Proflìmo  colla  mutazion  della  Legge,  era  tenuto 
ciafcuno  a  pubblicamente  profefìTare  in  ogni  occafione  la  Leg- 
ge lua  propria  .  Non  ho  potuto  finora  fcorgere,  fé  al  tempo 
de' Longobardi  regnanti  alcuno  profelTafìe  la  lua  Legge  propria: 
giacché  oltre  alla  Nazione  flefìa  Longobardica  v'era  l'altra  co- 
piofiflima  de  i  chiamati  Romani  .  Sembra  convenevole  o  necef- 
fario  ,  che  cosi  fi  praticafle  anche  allora  .  Ma  s' è  ridotto  a 
poco  il  capitale  delle  Carte  allora  fcritte.  Nelle  vedute  da  me 
non  ho  offervato  quello  Rito  ;  ma  probabilmente  fi  potrebbe 
trovare.  Solamente  ollervo  riferita  dal  P.  Mabillone  nell'Ap- 
pend.  al  Tomo  2.  de  gli  Annali  Bened.  una  copia  d'antico  Stru- 
mento ,  in  cui  Manigundis  vejìe  Monialium  induta  ,  qU(^  vifa 
fum  vivens  Lege  Langobardorum  ^  fonda  il  Moniltero  diCairate 

in 


Ve  N  TESI  M  ASECONDA.  28  j 

in  Comhatu  SepYienfi ,  Ma  ho  io  qualche  lofpetto  dell' autenti- 
c/ta  di  quel  Documento  ,  appunto  per  quefta  efpreirione  della 
Legge;  e  poi  per  le  Note  Cronologiche,  cioè:  Regnante  Dom- 
no  nojìro  Ltutprando  Ò'  Heldeprando  7ioJÌYts  excellenùjjìm'is  Regi- 
bus ^  Anno  eorum  V'tgefiyno  tert'to^  Me?7fs  Julii ^  Indióiione^in- 
ta  .  V  ha  de  gli  errori  ;  non  andavano  d'  accordo  infieme  gli 
anni  del  Regno  di  Liutprando  ed  Hildeprando  ;  né  l' Indizia- 
rie V.  conviene  all'  Anno  23.  del  Re  Liutprando  .  Aggiungafi, 
che  Manegonde  dona  a  quel  Moniftero  ,  qucecunque  infra  ipfum 
Regnum  Ipalicum  h  abere  vi/a  fum  ,  S'io  mal  non  m'appongo, 
fi  truova  bensì  ne' Secoli  fufifeguenti  menzione  del  Regno  Italico ^ 
ma  non  già  regnando  i  Longobardi. 

Egli  è  ben  fuor  di  dubbio,  che  fotto  gì' Imperadori  Fran- 
chi la  pubblica,  profe^jone  della  Legge  propria  fu  non  fola- 
niente  in  ufo  ,  ma  di  obbligazione  .  Lottano  L  Auguflo  neh' 
Anno  824.  trovandofi  in  Roma  pubblicò  la  feguente  Legge  : 
Volumus  ,  ut  cunBiis  Popuhts  Romanus  interrogetur  ,  quali  Lege 
*uulf  vivere^  ut  tali  ,  quali  pvofejji  fuerint  vivere  velie  ,  vi- 
vant .  ^lod  Ji  ojfef7jto?iem  coìitra  eamdem  Legem  fecerint ,  ei- 
dem  Legi  quam  profitebuntur^  fubjacebunt .  Con  qual  diligenza 
folTe  offervata  queiia  Legge  a' tempi  dello  (lefìTo  LottarioL  Im- 
peradore  ,  noi  so  ben  dire  ,  fé  non  che  ho  oifervato  in  molti 
Strumenti  di  quella  età  ,  che  nulla  fi  dice  della  Legge  de' con- 
traenti .  Penfo  io  ,  che  fi  foddisfacefle  a  quella  obbligazione 
con  efprimere  almeno  la  Nazione  ,  perchè  indicata  quefla  , 
s'intendeva  lofio  anche  la  Legge  da  elfi  profeffata  .  Per  efem- 
pio,  in  uno  Strumento  Luccheie  dell'  Anno  855.  fi  legge  :  Ma- 
nifejìu  firn  ego  Baldericho  homo  Francifcho  ,  filio  ho,  me,  Aide- 
richi  ,  quia  convenit  mibi  una  tecum  Hieremias  ,  gratin  Dei 
hujus  San^e  Lucane  Ecclejie  bumilis  Epifcopus  &c.  Fanno  una 
permuta  di  beni  ,  e  a  vifitare  i  poderi  furono  inviati  alcini 
da  parte  Adalberti  Comis^  cioè  Comitis»  Era  quelli  Adalberto  L 
Marchefe  o  Duca  di  Tofcana  ,  Conte  di  Lucca  .  Ho  io  pub- 
blicato uno  Strumento  efiflenre  nell'  Archivio  della  Comunità 
di  Cremona  ,  fpettante  all'Anno  8(^4.  da  cui  colia,  che  Gual- 
berto Vefcovo  di  Modena,  Meifo  di  Lodovico  IL  Imperadore  , 
mette  in  pofTenfo  della  Corte  di  ^ardeftalla  ,  oggidì  Guajlalla 
Citta,  fLnperadrice  Angeiberga  .  Profetano  ivi  alcuni  de' te- 
di monj  ,  qual  fofle  la  loro  Nazione  ,  cioè  Amie  ho  ex  genere 
^rancorum  ,  Tueperto  ex  genere  Francorum  ,  Fulcherius  ex  gè- 

N  n      2  fiere 


i7„ 


284  Dissertazione 

77erc  Alnmanorum  &€,  Presbiteri  es;  genere  Francorum&c,  Ingìe- 
r'ms  ev:  p enere  Alamnnorum .  Tal  Documento  fu  a  me  ben  ca- 
ro  ,  perchè  mi  diede  a  conofcere  Gualberto  Vefcovo  di  Mode- 
na ,  non  avvertito  dal  per  altro  diligentiffimo  Sillingardi  nel 
Catalogo  de'  Vefcovi  di  Modena  ,  e  molto  meno  dall'  Ughel- 
li  copiatore  del  Sillingardi .  Ad  Ernido  Velcovo  di  quefta  Cit- 
ta dovette  fuccedere  il  fuddetto  Gualberto  circa  1'  Anno  8^4. 
All'attenzione  nondimeno  d'effo  Sillingardi  fcappò  una  perga- 
mena, tuttavia  efiftente  nell'Archivio  infigne  de' Canonici  di 
Modena  ,  e  Icritta  Anno  XXVL  Ludo'vici  Magni  Imperatoris  , 
cioè  neir  Anno  ^6^.  in  cui  Gualpertus  Epijcopus  Mutinenjis 
concede  a  livello  ad  un  certo  Giovanni  terre  polle  in  Coliega- 
ra.  Succeflbre  di  Gualberto  fuLeodoino^  chiamato  dall' Ughel- 
li  Leodoindo  ,  di  cui  abbiamo  uno  Strumento  dell'  Anno  ^yó. 
dove  fon  le  leguenti  parole  :  Placuit  atque  convenit  inter  Dom- 
nus  Leudoinus  grati  a  Dei  Mutinenjis  Epijcopus^  necnon  [ed  etiam 
&  inter  Adelburga  Dei  Ancilla  ,  qui  fuit  Con/ux  Auterami  Co- 
mite  ex  genere  Francorum  .  Probabilmente  fu  quello  Autera- 
mo  Conte  di  Modena  .  Altri  Documenti  ho  io  veduto  ,  ne  i 
quali  i  teftimonj  efprimono  la  propria  Nazione  ,  intitolandoli 
ex  genere  Allamannorum  ,  ovvero  ex  genere  Francorum  ,  For- 
fè in  Roma  più  accuratamente  che  altrove  fu  eleguita  la  Leg- 
ge di  fopra  accennata  di  Lottarlo  L  Augufto  ,  fatta  apporta 
pel  Popolo  Romano  .  Nella  Cronica  di  Cafiuria  in  uno  Stru- 
mento dell'  Anno  8(58.  fi  fottofcrivono  cos'i  i  teftimonj  .  Ego 
Gregorius  filius  Leonis  de  avvitate  Koma  ,  Legem  vivens  Ro- 
manam  (ìXc.  Signum  manus  Johannis  Ducis  de  Cavitate  Roma  , 
Legem  vivens  Romanam  &€*  Teubaldus  Legem  vivens  Romanam 
fubfcripji.  Signum  manus  Landerici  ex  genere  Romanorum  .  Qtie- 
fto  è  il  più  antico  Strumento  ,  in  cui  abbia  trovato  io  efprelTa 
menzione  della  Legge  profeflata.  In  un' altra  Carta  della  me- 
defima  Cronica  all'Anno  871.  s'incontra  Sifenandus  ex  genere 
Francorum  .  Nulla  dice  coftui  della  Legge  ,  ma  dopo  avere 
identificata  la  fua  Nazione  ,  s' intendeva  tofto  ,  qual  foffe  la 
fua  Legge  ;  e  cosi  ho  olfervato ,  che  fi  praticò  in  molti  Docu- 
menti del  Secolo  fufleguente  .  Nell'Archivio  del  Moniftero  No- 
nantolano  fi  vede  una  Donazione ,  che  fa  a  Liutefredo  Abba- 
te ^arti  Vajfus  Domni  Imperatoris  ,  Legiòus  vivens  Allaman- 
norum, 

Coloro  eh'  erano  di  Nazione  Salica  ,  0  fia  Fran^efe  ,  ov- 
vero 


Ventesimaseconda.  285 

vero  Alamannica  ,  fi  riconofcono  per  tali  da  i  Riti ,  che  ufa- 
va  la  loro  Nazione  nelle  Donazioni  e  vendite  .  Imperciocché 
in  fegno  del  conlegnato  dominio  e  pofleflìone,  levando  di  ter- 
ra feflucum  noàatum  ,  "^ afone m  terra  ,  o  ramum  arboris  ,  o 
pergame/ìam  ,  o  calamum  cum  ntramcntarìo  ,  o  cultellum ,  ^r. 
lo  porgevano  al  compratore  o  donatario  .  In  uno  Strumento 
Ferrarefe  di  non  so  qual  Anno  ,  fi  legge  :  Petrus  Vajfo  &  Mif- 
fo  Domni  Bulgam  Comes  de  Comiato  Cumiaclenfts  apprehetidh 
gua7:one  de  terra  ,  &  yn'tftt  m  mani  bus  R.omaldelli  ,  dicens  : 
Ecce  trado  ad  per  tnrjejì'tturayn  a  te  per  te  ,  ad  permanenduyn 
in  te  ,  &  hi  ve  [ìris  heredìbus  &  proeredìbus  in  perpetuum  .  Co- 
me colia  da  uno  Strumento  deli' Anno  5)1 1.  Anfelmo  Conte 
di  Verona  donò  ali'  infigne  Moniftero  di  Nonantola  alcuni  be- 
ni podi  in  loco  Ò'  fundo^  qui  vocatur  Cajìro  de  Nogaria  ,  Egli 
s  intitola  Anfelmus  grati  a  Dei  Comes  Comitatu  Verojienfe  ,  Ò'  fi- 
lius  bo.me:  VJaldorienJis  Fra?7Corum  genere.  A  tenore  adunque 
de  i  Riti  della  Tua  Nazione  dice  poi  :  Et  quia  ego  ipfe  fupra- 
fcriptus  Anfelmus  Comes  buie  ynembraua  injìmul  cum  calamo  , 
feo  &  atramentario  ,  Ò'  pi?zna  ,  &  Wafo-ne  terre  ,  ramo  poni- 
mis  5  f.Jìucum  notatum  ,  atque  &  cultellum  ,  &  Wantos ,  to- 
tum  iìiftmul  jnjìa  Legem  meam  Francorum  de  terra  levavi ,  & 
Martino  Notario  tradidi  Ò'c.  Ho  anche  pubblicato  il  Diploma 
di  Berengario  I.  Re  d'Italia,  che  nel  medefimo  Anno  confer- 
mò la  Donazione  fuddetta  a  i  Monaci  Nonantolani  .  Qiiello 
eh'  è  più  degno  di  oflervazione  ,  non  folamente  ne  i  Contrat- 
ti ,  ma  anche  ne'  Teftamenti  ,  lolevano  i  Franchi  praticare 
il  poco  fa  mentovato  Rito  ,  ciò  apparendo  dall'ultima  volon- 
tà dello  n-effo  Anfelmo  Conte  ,  efpreifa  con  pubbhco  Ko^i- 
to  nel  precedente  Anno  pio.  La  profeffion  polcia  della  Leg- 
ge 5  e  particolarmente  della  Nazione  ,  ferve  non  poco  a  tro- 
var r  origine  ,  e  la  difcendenza  delle  antiche  Nobili  Fami- 
glie .  A  me  non  poco  ha  giovato  tale  oflervazione  in  tefle- 
re  con  (ìcuri  Documenti  la  Genealogia  della  Sereniflima  Ca- 
fa  d'Ette  nelle  mie  Antichità  Efienfi  ,  e  della  Real  Cafa  di 
Brunsvich  procedente  dalla  medefima  .  Cosi  Gerardo  Mauri- 
zio ,  de  Reb,  gcft,  Eccelini  ,  le  ri  ve  della  Fami^ia  di  Hona- 
ra  ,  o  fia  da  Romano  ^  xla  cui  ufcirono  quattro  Eccellini,  fa- 
mofi  nella  M.irca  di  Verona  ,  Trivigi  ,  e  Padova  :  ^idam 
Dominus  Eccelliuus  fuit  pater  cujusdam  Domini  Alberici  .  ^d 
Albericus  fuit  pater  Domini  Eccelini  (  iopranominato  il  Balbo  j 

0  fia 


iSó  Dissertazione 

o  fia  lo  Scilinguato)  &  hic  Eccelinus  pater  futt  ah erlus  Domini 
Eccelìni  (  fopranominato  il  Monaco  )  patris  prcefentìum  Do-uii- 
norum  Eccelim  (  crudeliflìmo  Tiranno  di  Padova  e  Verona  )  & 
Alberici  (  Tiranno  di  Trivigi  )  fratrum  de  Romano  .  Il  primo 
Alberico  in  uno  Strumento  efifiente  nel  Moniftero  di  San  Be- 
nedetto di  Mantova,  e  fcritto  nell'Anno  1125.  profefla  d'effe- 
re  di  Nazione  e  Legge  Salica.  Adunque  veniva  quella  Famiglia 
o  dalla  Germania  inferiore,  o  dalla  Francia  .  Coftume  ordinario 
ancora  fu,  che  ne' contratti  richiamavano,  fé  era  poffibile ,  te- 
liiinonj  dtrlla  fteffa  Nazione  ,  di  cui  erano  i  contraenti  .  Neil' 
infigne  Moniftero  delle  Monache  di  San  Zacheria  di  Venezia  fi. 
conlerva  una  Donazione  fatta  neh' Anno  pod.  da  Adelardo  Ve- 
fcovo  di  Verona  DilcHìJJimo  atque  amanùjjimo  m'tchì  jemper 
hìgelfredus  ex  gente  Alainannorum^  qui  habitaturus  in  fine  Fo- 
rijulianenfe  &c.  Fra'  teftimonj  fi  contano  i  feguenti  :  SinibaU 
dus  eac  Almannorum  genere  Jilius  bo.  ine.  Tobaldo  de  Saltus  . 
Ingoni  filio  ex  Almannorum  ....  IMilo  ex  genere  Fraìicorum  . 
Altekeno  filìus  Dominìco  ex  Comitatu  CeneT^^  cioè  di  Ceneda. 
Q^ueflo  Mìlone  di  Nazione  Franzefe  potrebbe  effere  flato  quello 
fteffo  valentuomo  ,  che  per  relazione  di  Liutprando  Storico 
Lib.  II.  Gap.  20.  vendicò  la  morte  di  Berengario  I.  Augufto  , 
Forfè  ancora  da  lui  difcefe  Milo  Marchio  (  probabilmente  della 
Marca  Veronefe  )  filius  boms  recordationis  Mafjfredi  ,  qui  Legs 
Salica  vivere  vifus  fitm  ,  come  fi  legge  nel  fuo  Teitamento 
dell'Anno  ^55.  dato  alia  luce  dall'Ughelli  nella  ferie  deiVe- 
fcovi  di  Verona.  Et  è  da  fapere,  che  il  fopramentovato  IngeU 
fredo  dovea  cotanto  godere  della  grazia  del  fuddetto  Berenga- 
rio Re,  pofcia  Imperadore,  che  da  lui  fu  creato  Conte  della 
fua  diletta  Citta  Verona  .  Nell'Archivio  delle  Monache  di  San 
Zacheria  di  Venezia  fi  legge  il  fuo  Teitamento,  fatto  nell'An- 
no 5^14.  dov'egli  cosi  s'intitola:  Ego  quidem  in  Dei  omnipoten- 
tis  nomine  Ingelfrcdus  gratia  Dei  Comes  Comitatu  Veronettje  ,  & 
jilius  bo*  me.  Grimal  do  ex  Alemannorum  genere  &c.  Ritornan- 
do poi  alla  Donazione  di  Adelardo  Vefcovo  dellAnno  ^06.  coli' 
appoggio  fuo  fi  dee  raddrizzare  la  Cronologia  de'  Veicovi  di 
Verona  preffo  TUghelli.  Se  crediamo  a  lui,  Adelardo  circa 
l'Anno  8pi.  cefsò  di  vivere,  ed  ebbe  per  Succeffore  Adelber- 
to.,  a  cui  tenne  dietro  Notherio  IL  Ma  dallo  Strumento  fuddetto 
noi  abbiamo,  che  il  Vefcovo  Adelardo  era  tuttavia  vivente  nell' 
Anno  pod.  e  però,  finché  non  fi  adducano  buone  pruove,  quell' 

Adal- 


Ventesimaseconda.  287 

jidalberto  s'ha  da  caiTare  dal  Catalogo  de  i  VeCcovi  di  Verona, 
e  credere,  che  ad  Adelardo  fuccedefle A/b/^mo.  Quefti  s'ha  più 
tofto  da  appellare  Notcchevto^  o  Notcherio ;  e  verifìmilmente  fu 
non  già  il  Secondo,  ma  l'unico  fra  quei  Vefcovi  ;  perciocché 
il  Primo  fi  mette  dall' Ughelli  all'Anno  85^^.  ma  fenza  addur- 
ne  pruova  alcuna.  Di  quello  Notecherio  nel  luddetto  Archivio 
di  San  Zacheria  vidi  uno  Strumento  dell'  Anno  5?28.  colle  fe- 
ouenti  parole  :  Ego  in  Dei  omnipotentìs  fìomìns  NotekerìusEpi- 
jcopus  SanBe  Verone  njis  Ec  ci  e  fi  e  ,  e  filius  bone  pie  recordationis 
j^delmari  ex  Longohardorum  genere  ,  do  trado  atque  offero  prò 
remedio  nnime  tnee  ,  'vel  ho.  me,  Jngelfredo  Comes  in  Jupradi6lo 
Monnfterio  &c. 

Dissi,  che  ne' Contratti  fi  praticava  di  prendere  teflimonj 
della  medefima  Nazione  .  Uberto  Marchefe  di  Tolcana,  come 
apparifcc  da  un  luo  Strumento  dell'Anno  5?25.  fece  ad  unTcu- 
dimondo  la  vendita  di  molte  Cafe  e  Campi  con  dire  :  Secundo 
Lepem  meam  atramentario  ^  pinna  ^  &  pergamena  de  terra  leva- 
vi ,  &  Arnifridi  Notario  ad  fcribendum  tradidi  ,  per  V\f afone  ter- 
re ^  Ò'  fijlucum  nodatum  ^  feo  ramum  arboribus  ^  adque  per  cui- 
tellum  Ó"  Wanto?ìem  ,  feu  anddanc  ;  &  fic  per  hanc  Cartula 
jufla  Legem  meam  S aliga  vindo  &c,  I  telHmonj  fon  quefti  : 
Signum  manus  Atenulfi  ,  &  Bernardi  ,  atque  Gu. .  .  .  Lege  vi- 
ventem  Saliga  tejìis  ,  &  pretio  dante  viderunt  .  Signum  ma- 
nuum  Saligi  ,  Ingelberti  ,  feo  Inghehlmi  Legem  viventes  Sali- 
ga teflis  Ù'c,  Convien  dire  due  parole  anche  della  Legge  Ki- 
puaria^  profeffata  una  volta  da  i  Popoli  abitanti  al  baffo  Reno. 
Troppo  rara  menzione  di  e(fa  fi  truova  nelle  Carte  d'  Italia . 
Tuttavia  nelCap.  VI,  fu  da  noi  mentovato  Bonifacius Marchio 
filius  Alberti  Comitis  ,  qui  profeff^us  eft  Legem  vivere  Ribuario- 
rum  ^  di  cui  s'ha  memoria  in  uno  Strumento  dell'Anno  1005?. 
Fu  di  parere  il  Cardinal  Baronio  ,  che  quefto  Bonifazio  dopo 
la  morte  di  Ugo  il  Grande  divenifìfe  Marchefe  di  Tofcana  , 
anzi  il  credette  di  lui  Fratello  :  il  che  non  può  iufliftere,  per- 
chè Ugo  Duca  e  Marchete  fu  di  Nazione  Salica  ,  e  quello 
Bonifazio  di  Nazione  Ripuaria  .  Ma  cerchiamo  ,  chi  fofle  il 
Padre  di  elfo  Bonifazio,  cioè  Alberto  Conte  .  Ho  io  pubblicata 
una  Donazione  fatta  nell'  Anno  ^81.  da  Adelberto  Conte  (Io 
fleffo  è  che  Alberto  )  e  da  Bertilla  Conteffa  fu  a  Moglie  al  Mo- 
nillero  de' Santi  Bartolomeo  e  Savino  fui  Bolognefe.  Fanno effi 
quella  Donazione  prò  Domna  Gualdrada  ,    que  fuit  gloriofa  Co- 

ìnitif 


iSo  Dissertazione 

mttij]  a^  Ò"  prò  Donino  Theobaldo^  qui  fui  t  Dux  &  Marchio^  ge- 
nitore &  genitrice  ìneis  ;  Jicque  prò  aniryiabus  &  Bonifacii  ,  & 
'SRalfredi  ,  &  Addherti  filiorum  noftrorum  &c,  con  proteftar  po- 
Icia  di  far  quefto  fecundum  ììoflram  Legem  Ribuariam,  Da  un 
tal  Documento  fi  viene  ad  illuftrare  ciò,  che  fcrive  Liutprando 
Storico  nel  Lib.  IV.  e  V.  dove  ci  da  a  conofcere  Theobaldum 
Camerinorum  &  Spoletinorum  Marchionem  Ù^  Ducem  ,  atteftan- 
dolo  anche  affinitare  conjun6lum  Hugotii  Italia  Regi  ,  e  chia- 
mandolo in  altro  luogo  Nepotem  del  medefinio.  Scorgiamo  ora, 
ch'eflb  Teobaldo  fu  Padre  òì  Adelberto  Conte  ^  e  che  fua  Mo- 
glie Gualdrada  Contejfa  ,  forfè  nata  da  Bonifazio  ,  chiamato 
Marchio  &  Comes  potenti Jftmus  da  Liutprando  Lib.  III.  Cap.i8. 
il  quale  prima  del  luddetto  Teobaldo  fu  Duca  di  Spoleti ,  e 
Marchefe  di  Camerino  ,  ed  ebbe  per  Moglie  Gualdradam  So- 
rorem  Rodulfi  Burgundionum  Regis  .  Che  Bonifa':^o  FigHo  del 
fuddetto  Adelberto  Conte  fia  lo  ItefTo,  che  poi  nell'Anno  j  005?. 
fi  truova  intitolato  Marchefe  'vivente  fecondo  la  Legge  Ripua- 
ria^  non  le  ne  può  dubitare  .  Ma  perciocché  fu  permefTo  a  gì' 
Italiani  di  feguitar  la  Legge,  che  più  loro  gradiva  ,  non  fi  cre- 
dette badante  col  tempo  d'enunziare  la  propria  Nazione  ,  per 
determinar  la  Legge,  che  fi  leguitava,  e  parve  neceflario  fag- 
giugnere  alla  Na'zjone  anche  la  Legge  ,  o  pure  il  dichiarar  la 
lòia  Legge  .  In  uno  Strumento  dell'  Anno  So"/,  efiftente  nelF 
Archivio  infigne  del  Moniftero  Ambrofiano  de' Monaci  Ciller- 
cienfì  ,  fi  legge  :  ^ualiter  prefentia  bonorum  hominum  Francos 
&  Langobardos  &c.  tradedit  Gifulfus  Minifterialis  Domni  Impe- 
ratoris  ,  qui  profitebatur  Salica  vivere  Lege ,  per  cultellum  (yc.  in 
manus  Retri  quondam  P aulici^  feu  Ercembaldi  ,  Vafallo  fuo  &c* 
rebus  mobilibus  &  immobilibus  tam  in  Valtelina  Judiciaria  Medio- 
lanenfìs^  &  in  Caf ale  Judiciaria  Planluenfe  ^  vel  ubi  ubi  &c.  Of- 
fervifi  ancor  qui,  che  la  Valtellina,  f.ccome  dicemmo  nel Cap. 
precedente,  era  allora  Judiciaria  Mediolanen/is^  cioè  fottopo- 
fta  al  Conte  di  Milano.  Dove  foffe  hjudiaaria  Planluenjts  ^ 
lalcerò  che  altri  melodica.  Cosi  in  uno  Strumento  conlerva- 
to  neh'  Archivio  Eflenfe  ,  e  fcritto  Regnante  Berengario  Rex 
Augufìus  ic  in  Italia  Indizione  Setima  ,  cioè  nell'  Anno  pip. 
fi  truova  Luvo  flio  Gowzolino  de  Civitate^  que  vocatur  Verona^ 
vivente  Lege  Longobardorum  .  Ma  ne' tempi  pofteriori,  e  maf- 
fimamcnte  nel  Secolo  XI.  per  lo  piìi  fi  foleva  efprimere  tanto 
la  Nazione^  che  la  Legge ^  come  per  elempio  :  Ego  Adelbertus, 

fJius 


Ventesimaseconda^         289 

film  &c,  qui  profejfus  fum  ex  Natione  me  a  Lege  v'avere  Lango- 
b^rdorum:  del  che  molti  eiempli  ho  io  recato  nella  Par.  I.  delle 
Antich.  Eftenfi. 

Per  altro  la  fola  profefTion  della  Legge  non  era  una  volta 
ficuro  indizio  della  Nazione  .    Imperciocché  coftume  fu  ,  che 
gH  Ecclcfiadici  s'i  Secolari  che  Monaci,  di  qualunque  Nazione 
ìbffero,  profeifaflero  la  Legge  Romana ,  Truovafi  ciò  decretato 
da  Lodovico  Pio  Auguflo  nella  Legge  Longobardica  LV.  colle 
feguenti  parole  :    Ut  om/ììs  Ordo  Ecclejìarum  jecundum  Legem 
R.oma?7am  vivat  ;  &  Jìc  i?iquira?Jtur  &  defendatitur  res  Ecclejìa- 
Jìicce ,  Perciò  fi  traevano  nelle  vecchie  Carte  Preti  ,  i  quali  di- 
chiarano d'effere  àìì^^zionQ  Lo?igobarda  o  Francefca  ^  ma  nel- 
lo fteffo  tempo  proteflano  di   vivere  propter  honorem  Sacerdotn 
Romana  Lege  .    Si  può    credere    conceduto  ciò    con   titolo    di 
privilegio  a  gli  Ecclefiaftici,  e  non  già  importo  per  obbligazio- 
ne, da  che  noi  talora  c'incontriamo  in  Vefcovi  e  Sacerdoti  pro- 
feffanti  Legge  diverfa  dalla  Romana  .  Nella  Storia  della  Chie- 
fa  Piacentina  del  Campi  all'  Anno  ^32.  fi  truova  Andreas  umi- 
lis  SanHa:  Dertonenfis  Ecclejì^  Epijcopus    &  fil'tus    ho.  me,  Art- 
prandi  de  loco  Racle  ^  Lege  vivens  Longobardorum  ^  che  fa  il  fuo 
Teftamento.   Anche  Azzo,  o  fia  Attone   Vefcovo  di  Bergamo 
nel  1072.  come  s'  ha  dall'  Ughelli  ,    protefta    ex  Nazione  Jua 
Lege  'vivere  Longobardontm .   Ho  10  data  alla  luce  la  Fondazione 
del  Moniftero  di  San  Lorenzo  ne'  borghi  di  Cremona  ,    fatta 
neir  Anno  5?po.  da  Odelrico   Vefcovo  di  quella  Citta,  dov'egli 
s'intitola  Ego  Odelricus  Epijcopus  San6le  Cremoneìifis  Ecclefte  , 
filius  bobine.   Nantelmi  Comitis  ex  genere  Francorum  ,   Ch'egli 
ancora  fi   regolaffe  colla  Legge  Salica  ,    fi  comprende    dal  far 
egli  la  Donazione  de' beni  per  cultellum  ^  fejlucam  nodatam&c. 
Parlerò  nel  Cap.  LVL -di  Rorio  Vefcovo  di  Padova  :  anch' egli 
fi  regolava  eolla  Legge  Salica  .    Sotto  gli  occhi  ho  avuto  uno 
Strumento  dell'Archivio  del  Capitolo  de' Canonici  di  Modena 
fpettante  all'Anno  1007.  dove  fanno  una  permuta  Guido   Ve- 
fcovo di  Pavia,  nec  non  Ò'  Johannes  Presbiter  ^  filius  quondam 
Andree  qui  profejfus  ex  Nacio}ie  fua  Legem  vivere   Langobardo- 
rum,  PrefTo  il  Campi  fuddetto  in  un  Documento  dell'Anno  P4p. 
fi  truova  Adelprandus  Diaco?ius  de  ordine  Sanale  Piacentine  Ec- 
clefie  ,  qui  profiteor  me  ex  Natione  mea  Lege  vivere  Lotigobardo- 
rum  .   E  in  uno  Strumento  del  ^88.   è  nominato  Sip^tdfus Epifco- 
pus  SanEie  Piacentine  Ecclefie  ^  qui  prof  e Jfo  fum  ex  Natione  mea 
Tomo  L  Oo  Lege 


2po  Dissertazione 

Lege  vi'vere  Salica  .  Cosi  l' infigne  Moniftero  di  Farfa  ,  come 
colta  dalla  fna  Cronica  ,  foftenne  fempre  di  voler  effere  gover- 
nato Caphul'ts  Langobardorum  Legis  ^  e  non  giìi  Romana.  Ol- 
tre a  ciò  è  da  ofìTervare  ,  che  i  Liberti  erano  tenuti  a  feguitar 
laLegge  de' loro  Patroni,  effendo  cosi  prefcritto  dalla  Legge  22p. 
delReRotari.  11  Sigonio,  il  Chifflezio,  il  Fiorentini  ,  ed  altri 
aveano  già  notato  ,  che  per  un  Decreto  del  Re  Liutprando  le 
Donne  doveano  profefTar  la  Legge  del  Marito  :  del  che  più 
elempli  ne  ho  anch'  io  recato  nelle  Antich.  Ellenfi  .  Tuttavia 
fia  a  me  permefib  di  maggiormente  confermare  quefl'ulo  .  Bea- 
trice Moglie  di  Bonifazio  Duca  e  Marchefe  diTofcana,  e  Ma- 
dre della  celebre  Contefia  Matilda  ,  non  trafle  già  il  fuo  fan- 
gue  da  i  Longobardi  ,  perchè  Figlia  di  Federigo  Duca  di  Lo- 
rena, ed  elTa  certamente  effendo  Vedova  profeffava  la  Legge 
Salica  .  Ma  vivente  il  Marito  Bonifazio  ,  Principe  di  Nazion 
Longobardica,  fi  vede  in  uno  Strumento  del  1041.  chiamata 
ìi-go  Beatrice  Cornetijfa  ,  jìlia  quoìidam  Frederìci  ,  &  Co?ijus 
Bonefacii  Marchio  ,  que  profejfa  fum  Lege  'vivere  Langobardo- 
rum  .  In  una  Donazione  fatta  da  Rambaldo  Conte  di  Trevigi 
dell'Anno  1081.  fi  legge:  Nos  Kambaldus  Comes  ^  filius  Ram- 
baldi  Comitis  de  Civitate  Tarvijìi  ,  &  Magthilda  filia  Burgun- 
di Marc  hionis  ^  conjugales^  qui  profejfum  Jum  ego  quidem  Ram- 
baldus  Comes  ex  Natiotie  mea  Lege  vivere  Longobardorum  •  & 
ego  Magthilda  ex  Natione  mea  Lege  videre  videor  Saltca  ,  fcd 
?iunc  prò  Viro  7neo  Lege  vivere  videor  Lo7ìgobardorum  ,  Neil' 
Archivio  de' Monaci  Benedettini  di  Reggio  uno  Strumento  del 
lopi.  ci  fa  vedere  ulia  Figlia  d' effo  Conte  Rambaldo  cos\  in- 
titolata :  Ego  Matilda  Comitijfa  ,  jilia  quofldam  Regibaldi  Co- 
mitis de  Comitatu  Terviji  ,  Ò^  Conjus  Uchoni  Comitis  ,  qui  pro- 
fejfa fum  ego  ipfa  Matilda  ex  Nacione  mea  Lege  vivere  Lango- 
bardorum  ,  fet  ììuyic  prò  ipfo  Viro  meo  Lege  vivere  Alamanorum . 
Aggiungafi  una  permuta  di  beni  ,  che  fecero  nel  1034.  con 
Rodolfo  Abbate  di  Nonantola  Adelbertus  Comes  ,  fìlius  quon- 
dam IJ berti  ,  qui  fuit  item  Comes  ,  Ò"  Suphia  jugalibus  ,  filia 
Pachleurandi  ^  qui  fuit  Jtmiliter  Comes  ^  que  profìtebatur  feipfa 
Suphia  ex  Natione  Jua  Lege  fervire  Lan^obardorum  ,  fed  nunc 
per  eundem  Viro  meo  Legem  vivere  videtur  Salicha,  Quefla  co- 
la fa  efìa  Sofia  una  cum  ?20titia  Domni  VJidoni  item  hujus  Comi- 
tatù  Plumbienfe,  Del  Contado  ài  Plumbia  s'è  parlato  nell'an- 
tecedente Capitolo . 

Allor- 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  S  E  e  O  N  D  A  .  2. 'T 

Allorché    per  la  morte  del  Marito  recavano  libere  le  Don- 
ne, era  loro  permeilo  di  ripigliar  la  propria  Legge  in  vigore 
della  Legge  14.  di  Lottario  L  Aiigufto  ,  dove  è  ordinato  :   Ut 
mul'teres  'R.omands  ,   qu<x  'vtros  hahtierutit  Langohardos^  e'ts  defun- 
Bìs  ^   a  he  gè   Viri  fui  fint  ahfoltit^s  ^  &  ad  junm  re'uertantur  Le- 
gem  .  Et  hoc  flatuìmus  ,   ut  fim'ilt  modo  fervetur  in  ceterarum 
Natione  feminarum.  Ne  addurrò  un  efempio  .   In  una  Donazio- 
ne fatta  al  Moniftero  di  San  Profpero  (  oggidì  San  Pietro  )  di 
Reggio  l'Anno  mi.   fi  legge  :  Nos  Berta  fili  a  quo7idam  Gerar- 
diy  &' reli&a   qiio?7dam  Walfredi   de  ComitatuTrivixijio^  (^.Al- 
bertus filiiìs  ejusdem  W al f redi  ,   Ò'  meus  ,  que  fupradióìa  Berte  : 
qui  profeffi  fumus    ego    que  fupra  Berta    ex  Naciotie  mea  Lege 
vivere  Salica  ;  &  ego  ipfe  Albertus  Lege  vivere  Langobardorum  . 
Il  Figlio  Alberto  fa  conolcere  ,    che  il  Padre  viveva  fecondo 
la  Legge  Longobardica  ;  e  pure  la  Vedova  fua  Madre  profefla 
la  Salica  .  Ma  o  che  non  erano  offervate  le  Leggi ,  o  la  con- 
fuetudine  derogava  ad  effe  ;    perciocché  fi  truovano  Donne  , 
che  anche  vivente  il  Conforte  ,  pure  non  feguitavano  la  fua 
Lesse.  Nell'Archivio  de'Canonici  di  Cremona  efiile  unoStru- 
mento  del  1066.  in  cui  comparilcono  quefte  parole  :    Co?iJìat 
nos  Garibaldusy  &  Bado^  feu  Ribaldus^  germa?7Ìs  filiis  quondam 
ìtem  Ribaldi  y  qui  fuit  Vicecomes  de  Comitatu  Bergomenfe  &c. 
&  Berta  Conjus  jam   diBi  Ribaldi  &c.   qui  profejji  fumus  omnes 
Lege  vivere  Langobardorum  ;  &  ego  ipfa  Berta  profejfa  fum  ex 
Natio/ie  mea  Lege  vivere  Allamanorum  .   Le   parole   che  fegui- 
tano  ,  fanno  conofcere  ,  che  Grumello  ,  benché  diftante  fola- 
mente  otto  miglia  da  Cremona,  apparteneva  allora  al  Conta- 
do di  Bergamo.  Lo  fteffo  era  à\  Juvenalta  (^Genevoltaooo\^\^ 
avendo  io  veduto  uno  Strumento  dell' Anno  ^gp5?.  il  cui  princi- 
pio è   quello  :   Dum  in  Dei  nomine  Co-mitatu  Pergomenfe  ,  Ca- 
flro  que  dicitur  Juvenalta ,  per  data  licentia  Odelrici  Epifcopi 
Epifcopio  SanBe  Cretnonetjjìs  Ecclefie  ^  in  judicio  rejtderet  Cejfio 
Dei  gratia  Diaconus    &  Mijfus  Domni  Ottoni  Imperatoris    èXc, 
Che  altre  Donne,  benché  maritate  ,  non  feguiffero  la  Legge 
del  Marito  ,    1'  ho  io  offervato  nelle  pergamene  dell'  Archivio 
de'Canonici  di  Modena.    Una  di  effe  dell'Anno   1003.  ha  le 
feguenti  parole  :   "Nos  quidem  in  Dei  nomine  Petrus  filius  quon- 
dam  item  Petroni ,  qui  profejfus  fum  Lege  vivere  Romana ,  Né 
vo' lafciar  di  dire,  che  ne' Contratti  anticamente  fatti  in  Mo- 

Oo     2  dena 


2^2  Dissertazione 

dena  per  Io  più  le  perfone  profeffano  Legge  Romana.  Tutto  il 
contrario  fi  ofTerva  in  molte  altre  Citta  .  Seguita  il  tefto  di 
an.elìa  Carta  .  Ep  Koz2^  jugftlibus ,  filia  Everardì ,  qui  fumus 
hab'ttatores  tn  Pago  Perjiceta  ,  qui  profejfa  fum  ego  Rot^  Le- 
gem  'vivere  Longobnrdoruìn  &c.  Ecco  il  Marito  di  Legge  Koma- 
na  j  e  h  Moglie  della  Longobardica  .  In  un'  altra  pergamena 
dell'Archivio  Ellenie  ,  fcritta  l'Anno  loip.  fi  legge  :  Nos  Ge- 
:^o  jìlio  q,  Johannis ,  &  TeuT^  jugalibus  ,  jìlia  q,  Aliprandi  , 
qui  prof ejf  US  fum  ego  ipfe  Ge":^  ex  Nazione  mea  Lege  vivere  Ro- 
ma?ia  ,  &  ego  ipfa  Teuzj  P^'^f^JT^  fi^^  ^^  Nat  ione  me  a  Le  gè 
vivere  Langobardorum ,  Gran  varietà  anche  fi  truova  ne  gli  At- 
ti pubblici  della  celebre  Contefia  Matilda  .  In  uno  Strumento 
efla  protefla  ex  Natio?ie  mea  Lege  vivere  La7igobardorum  .  In 
parecchi  altri  Strumenti  ,  forte  per  uniformarfi  alla  Madre  , 
dice  di  vivere  Lege  Salica  .  E  tali  Strumenti  tutti  Icritti  do- 
po la  morte  di  Gotifredo  Duca  fuo  primo  Marito  ,  eh'  era  di 
Salica  Nazione.  QlicI  eh' è  più  flrano  ,  in  una  Donazione  da  lei 
fatta  nell'Anno  1080.  al  Moniftero  di  San  Profpero  (  ora  San 
Pietro  )  di  Reggio  ,  efla  è  intitolata  cosi  :  Ego  quidem  in  Dei 
Tiomine  Matelda  Co7nitiJfa  ,  jìHa  quondam  Bonefacii  Marchio  5 
qu<e profeffa  fum  ex  Natio?je  mea  Lege  vivere  Saìicha,  Certo  è, 
che  Matilda  difcendeva  da  Progenitori  Longobardi  ;  e  pure  qui 
efTa  fi  fa  di  Nazione  Salica  .  Ma  noi  non  fappiamo  tutti  i  Riti 
dell'Antichità  ,  come  già  oflervai  nella  Parte  I.  Cap.  23.  delle 
Antich.  Eli-,  e  forfè  fu  allora  lecito  il  poter  mutare  come  la 
I^egge^  cos\  \2l  Na'2:ione  ^  con  adottar  quella  della  Madre  .  Ne 
diedi  io  quivi  un  elempio  ,  ^ 

In  qual  tempo  cominciaffe  a  cefiare  la  profeffion  della  Leg- 
ge e  Nazione  ,  lo  riconofcera  chi  prende  a  maneggiar  le  vec- 
chie pergamene  .  Si  dismiie  a  poco  a  poco  quell'ufo  nel  Seco- 
lo XIII.  non  per  altro  a  mio  credere  ,  le  non  perchè  le  Leggi 
Romane  ,  che  tornarono  nel  precedente  Secolo  a  trionfare  in 
Italia  ,  occuparono  le  Scuole  e  il  Foro  .  Ne  ho  io  nondimeno 
trovato  un  efempio  anche  nell'  Anno  121 2.  in  uno  Strumen- 
to di  vendita  di  Caftello  Gualtieri  ,  che  fecero  Maladobatus 
Prandorum  ,  &  Prandus  e/us  filius  ,  profitentes  fé  Lege  Lum- 
barda  vivere  ,  ad  Obizzo  Vefcovo  di  Parma  .  Prendendo  poi 
fempre  maggior  piede  in  Itaha  la  preminenza  e  lo  ifudio  del- 
ie Leggi  Romane  y  a  poco  a  poco  le  Lo?2gobarde  ,  fenza  che  lo--^ 

ro 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  e  O  N  D  A  .  2p  j 

ro  fofìTe  intimato  1'  efilio  ,  andarono  da  se  fteiTc  in  difulo  ,  ce- 
dendo il  luogo  alle  più  degne  .  Cominciarono  nello  fteffo  tem- 
po a  faltar  fuori  gli  Statuti  ,    cioè  le  Leggi  Municipali  delle 
Citta,  e  in  tanta  abbondanza,  che  poffono  formare  una  Selva- 
perciocché  come  fi  vede  nel  dominio  della  Serenifs.  Cafa  d'Efte, 
non  folamente  le  Citta,  ma  anche  le  Terre  e  Cartella  fepara- 
te  dal  loro  diftretto  ,  vollero  i  particolari  loro  Statuti  :  ulanza 
praticata  anche  in  altri  paefi  d'Itaha,  Germania,  e  Francia  : 
il  che  non  è  lieve  incomodo  a  gli  ftudiofi  della  Giurisprudenza  . 
A  mio  credere  s  ha  principalmente  da  mettere  l' introduzio- 
ne di  efll  Statuti  dopo  la  Pace  di  Coftanza  dell'  Anno  1183. 
{labilità  fra  1'  Imperador  Federigo  I.    e  le  Citta  della  Società 
de'  Lombardi  .    Anche  prima  ,    non  fi  può  negare  ,  v'  erano 
Confuetudini,  che  teneano  forza  di  Legge  ,  anche  per  decre- 
to di  Carlo  M.   come  corta  dalla  Legge  148.  del  medefimo  Au- 
gufto,  dà  me  trovata  nel  Codice  Eftenfe  colle  ièguenti  parole: 
Uf  longa  Confiietudo  ,    qua  ut'tlìtatem  publicam    non   ìmped'tt  , 
prò  Lege  fervctur  .  In  oltre  appena  le  Citta  Italiane  col  met- 
terfi  in  Liberta,  ed  eleggere  i  loro  Conibli  ed  altri  Magirtrati, 
non  poterono  efentarfi  dal  formare  nuovi  regolamenti  e  decre- 
ti, riguardanti  le  novità  di  querto  governo.  Il  P.  Abbate  Gran- 
di nella  fua  Epirt.  de  Pandeólfs  citò  alcune  Leggi  o  Decreti  fat- 
ti dalla  Repubblica  Pilana  ne  gli  Anni  114^.  e  115^.  Tuttavia 
non  fi  giunfe  a  formare  un  Corpo  di  tali  particolari  Leggi  della 
Citta,  fé  non  dopo  la  fuddetta  Pace  di  Cortanza;  perchè  aven- 
do effe  ottenuta  la  Liberta,  e  le  Regalie,  allora  godendo  tutte 
della  Pace  attefero  a  concertar  la  maniera  di  governarfi  per  lav- 
venire.  Si  fatte  Leggi  fi  appellarono  Statuti^  che  fui  principio 
erano  pochi  di  numero,  ma  di  mano  in  mano  andarono  crefcen- 
do,  ficcome  efigeva  o  la  nece^jta  o  l'utilità  del  Pubblico.  Che 
prima  dell'Anno  1208.  foffe  formato  un  Corpo  degli  Statuti  di 
Ferrara,  l'ho  io  provato  nella  Par. I.  Cap.  3p.  delle  Antich.Ert. 
perciocché  nel  Decreto  dell'  elezione  in  Signore  di  Ferrara  di 
Azzo  VI.  Marchete  d'Erte  feguita  in  quell'Anno,  fi  legge  :  Adji- 
c'ientes^  quod  de  Anno  in  Annum  hoc  Statutum  firmetw ^  &  cete- 
ra  fupradi^a  ,    Ò'  Jcrìbantur  in  Corpore  Spatutorum  &c,   &  feri- 
hi    facere    in    volumi  ne  Statutorum    Communi  s  Civitafis   Ferra' 
rice  .    Non  fu  men   pigro  il  Popolo    di  Modena    a  formare  il 
Libro  dei  fuoi  Statuti  prima   dell'Anno  1213.    Nell'Archi- 
vio 


2P4-  Dissertazione 

vìo  d'efTa  Citta  fi  conferva  la  Concordia  feguita  in  eflb  Art- 
no  fra  Quello  Comune  ,  e  Salingiierra  dominante  allora  in 
Ferrara  ,  per  diftruggere  il  Cartello  cid  Ponte  del  Duca  . 
Quivi  è  detto:  ipem  dehet  promktere  Commune  Mut'mce  ^  quod 
faciet  ponere  in  Statuto  Cwìtatìs  ,  quod  Jì  al'tqua  partium  Fer- 
raris .^  Marchio^  'vel  Sallinguerra  Ò^c, 

Ne'  primi  tempi  niente  altro  contenevano  gli  Statuti  del- 
le Citta  e  de  i  Luoghi  ,  fé  non  Decreti  della  maniera,  con  cui 
i  Podeila  e  gli  altri  Uhziali  doveano  governare  la  Repubblica. 
Dirado  nel  re  (io  fi  allontanavano  dalle  Leggi  Romane,  o  Lon- 
gobarde ,  offervate  da  i  loro  Antenati  .  Ma  nel  progrefTo  dei 
tempo  fi  cominciarono  a  riformar  varie  Leggi  di  Giuftiniano 
o  de'  Longobardi  ,  regolando  con  altro  ordine  le  Succeffioni  , 
i  Contratti ,  le  pene  de  i  delitti  ,  ed  altri  affari  civili  e  crimi- 
nali ,  fecondochè  ciafcuna  delle  Citta  giudicò  più  fpediente 
alla  pofitura  del  proprio  governo  .  Preflb  i  Veneti  il  prinno  a 
raccogliere  gli  Statuti  antichi  ,  e  a  dar  loro  buon  ordine  fu 
Jacopo  Tiepolo  Doge  nell'Anno  1242.  del  che  fa  fede  nella 
lua  Cronica  Andrea  Dandolo  con  dire  :  Reperiens  enim  Statu- 
ta  ab  eo  &  Prc^decejforiòus  edita  tantds  confuftoni  fubmijfa  ,  up 
in  eorum  ohfcrvatione  Judices  frequentici  me  vacillarent  :  prò  eo- 
rum  reformatione  elegit  viros  doólos  ,  qui  antiqua  corrigentes  , 
&  nova  /ìatuentes ,  Duci  in  uno  volumine  redaóìa  obtulerunt  &c. 
Nello  ftefib  Secolo  forfè  niuna  Citta  mancò  di  fare  altrettan- 
to .  Veggafi  il  volume  de  gli  Statuti  della  Citta  di  Verona  , 
formato  nell'Anno  1228.  dato  alla  luce  dall'amico  mio  Bar- 
tolomeo Campagnola  Arciprete  di  Santa  Cecilia  in  quella  Cit- 
ta .  Anch'  io  reputai  utile  all'  Erudizione  de'  Secoli  barbarici 
il  pubblicare  nella  Difiert.  L.  de  Civit»  hai.  Libert,  gli  antichi 
Sratuti  della  Citta  di  Piftoia  .  Né  fi  dee  tralafciare  ,  che  i 
noftri  Maggiori ,  prima  che  tornaffero  a  fignoreggiare  per  tut- 
ta Italia  le  Leggi  Romane  ,  fi  sbrigavano  le  liti  con  facilita 
e  preftezza  ,  perchè  fenza  tante  Citazioni ,  Protefic,  Eccezio- 
ni, Iftanze  y  Contradittorj ,  ed  altre  eterne  filaterie  del  Foro. 
Ma  appena  la  Romana  Giurisprudenza  mife  il  piede  nelle  Scuo- 
le ,  e  s'impadronì  di  tutti  i  Tribunali  d'Italia,  fi  fpalancaro- 
no  le  porte  a  mille  fofifticherie  ed  arti  per  tirare  in  lungo 
la  Giultizia  ,  e  per  difficultare  talvolta  la  cognizione  del  Giu- 
ito  5  pili  tofto  che  per  ajutarla.  Me  ne  fono  avveduto  in  leg- 
gere 


Ventesimaseconda,  2p5 

sere  una  Protefta  fatta  l'Anno  iipo,  da  Aicha  nobil  Donna 
della'Cafa  di  Camino  in  una  fua  lite  centra  di  Obizzo  Prima 
Marchefe  d'  Efte  ,  dove  il  fuo  Proccuratore  Proteftatur  ,  de- 
nuncuit ,  &  dicit ,  ;;o;/  njjemiendo  ,  prcedi^atìì  Dominam  Ay- 
cbam  &  Domifjum  Tifolinum  ,  7iec  co?ifitefido ,  heredes  effe  pra:- 
dìBorum  Domhìorum  Alberti  &  Davi tje  ^  J alvi s  om?iibus  alits  Ju- 
rìbus  ,  Excepttonibus  communibus  ,  &  defenjìombus  Dominìs  Ay- 
chds  ,  &  Ttfolino  pradiólis .  Credo  io  poi  di  avere  abbaftanza 
provato  nella  Prefazione  alle  Leggi  Longobardiche  ,  non  fui- 
fillere  1'  opinion  di  coloro  ,  che  hanno  fcritto  approvate  le 
Leggi  Romane  ,  e  abrogate  le  Longobardiche  da  un  Decre- 
to di  Lottarlo  L  Augufto  dell' Anno  ii3(^.  che  ninno  ha  mai 
veduto.  Aggiungo  ora  di  aver  veduto  più  d'uno  Strumento 
fcritto  fui  principio  del  Secolo  XI IL  cioè  tanto  tempo  dopo 
l'Imperio  di  eflb  Lottarlo  ,  in  cui  fi  fa  profeffione  delle  Leg- 
gi Longobardiche.  E  Federigo  1 1.  Imperadore  nel  Libro  I. 
Cap.  5p.  delle  Coftituzioni  della  Sicilia  Icrive  :  Secundum  con- 
fuetudi/ies  approbatas  ,  ne  demum  fecundum  jura  Communia  , 
Lanpobarda  vìdelicet  &  Koma?7a .  Adunque  anche  dopo  l'An- 
no 1200.  erano  tuttavia  in  vigore  le  Leggi  Longobardiche.  E 
in  due  Diplomi  di  Ottone  IV.  Auguro  dell'Anno  121 2.  da  me 
rapportati  nella  Parte  I.  Cap.  40.  delle  Antich.  Eftenfi  v'  ha 
quefte  parole  :  Nulla  Lege  Romana^  vel  Lombarda  ^  feu  Confue- 
tudine  ,  vel  Statuto  gentis  cujuslibet  obviare  valente  .  Però  in 
quella  maniera  che  ceflarono  in  Italia  le  Leggi  Saliche  ,  Ri- 
puarie  e  Bavarefi  ,  e  i  Capitolari  de  gì'  Imperadori  Franchi  , 
anche  la  Longobarda  andò  in  difufo ,  facendo  i  Popoli  a  gara 
per  reggerli  colle  Romane. 


Dei 


2^6  Dissertazione 

Ve  i  Cojìumi  de  gì'  Italtant  ^  dappoiché  cadde  in  potere 

de'  Barbari  /'  Italia. 

DISSERTAZIONE  VENTESIMA  TERZA. 

ANCORCHÉ'  anticamente  i  Greci   e  i  Romani    denotaffero 
col  nome  dì  Bari; ari  tutte  l'altre  Nazioni,  quafichè  la 
Civiltà  foffe  un  pregio  della  fola  Roma  e  della  Grecia  ,  di  cui 
non  participaflero  gli  altri  Popoli  :  nondimeno  più  ipeflb,  e  pii!i 
precilamente  fi  conferiva  quella  denominazione  a  quelle  genti, 
che  ne'coilumi  comparivano  rozze,  incolte,  e  talvolta  dimen- 
tiche dell'Umanità,  e  che  o  per  abito,  o  per  incHnazione  pro- 
feffavano  la  ferocia  .  La  maniera  bensì  del  veftire,  e  la  foggia 
diverfa  delle  vefti  può  distinguere  una  Nazione  dall'altra.  Ma 
quefta  diffomiglian^a  efteriore  non  è  quella  ,  che  porti  effenzial 
diiferenza  fra  i  Popoli ,  perchè  fotto  la  diverfith  de'  veftimenti 
fi  può  racchiudere  un'eguale  pulizia  di  Coftumi.  Ciò,  che  fa 
veramente  Barbaro  ,  e  rullico  l'un  Popolo  ,  civile  ed  elegante 
un  altro,  confifte  neiCoftumi,  e  ne  gli  abiti  dell' animo,  che 
tuttavia  miriamo  diverfi  ,  e  varj  nelle  tante  popolazioni  della 
Terra,  e  che  rendono  gli  uomini  degni  di  biafimo  o  di  lode  . 
Non  parlo  qui  di  tanti  Barbari  ,  che  varie  volte  infeftarono  il 
Romano  Imperio,  e  nel  Secolo  V.  giunterò  anche  a  taccheggiar 
due  volte  la  Regina  deHe  Citta  Roma  ,  giacché  coloro  non  Af- 
farono qui  il  piede.  Parlo  di  Odoacre  Condottiere  de'Turcilin- 
gi  edEruli,  che  nell'Anno  47^.  veramente  alzò  il  fuo  trono 
Ibpra  i  Popoli  d'Italia;  e  di  Teoderico  Re  de' Goti,  che  nelP 
Anno  4P 3.  dopo  aver  tolto  di  vita  elfo  Odoacre^  fece  luo,  e 
piantò  veramente  il  Regno  d'Italia  .  Furono  abbattuti  i  Goti 
da  Giuftiniano  I.  Augufto;  ma  nell'Anno  5<58.  eccoti  i  Longo- 
bardi impadronirfi  della  maggior  parte  d'Italia  con  durare  il 
dominio  loro  fino  all'Anno  774.  in  cui  i  Franchi  fotto  Carlo 
Magno  cominciarono  ad  efercitar  qui  la  loro  Signoria.  Final- 
mente neir  Anno  ^ó"!.  cadde  in  mano  dQ'Germani^  o  vogliam 
dire  Tedefchi,  l'Imperio  Romano,  e  in  elfi  tuttavia  fi  confer- 
va .  Allorché  una  Nazione  arriva  a  foggiogarne  un'  altra  ,  e 
quivi  fi  mette  ad  abitare,  come  accadde  in  Italia  agUEruIi, 
Goti,  e  Longobardi,  ed  avvenne  a  i  Vifigoti,  e  pofcia  a i  Mori 

in 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  T  E  R  Z  A  .  ^pT 

in  Ifpagna  ;  a  i  Franchi,  e  Borgognoni  nelle  Gallie  ;  e  a  i  Saf- 
foni  e  Normanni  nella  Bretagna  maggiore  ,  accade  alle  volte  , 
che  il  Popolo  vittorioio  introduce  i  Tuoi  coftumi  nel  vinto  pae- 
fe,  uniformandofi  ordinariamente  la  gente  a  i  coftumi  del  Re- 
gnante. Ma  altresì  avviene,  che  trovando  i  vincitori  un'aria 
migliore  di  Coftumi  nel  Popolo  foggiogato  ,  depofta  la  fierez- 
za e  rozzezza,  impari  da  eflb  il  vivere  manfueto  e  civile. 

Gran  Flagello  de  gì' infelici  Italiani  fu  il  breve  Regno  di 
Odoacre,  avendo  egli  condotto  leco  quafi  dall'ultimo  Setten- 
trione  ,  e  dal  Mare  Baltico  tante  razze  d'  uomini  ,  nel  volto 
e  nel  cuore  de'  quali  non  fi  trovava  che  alprezza  e  crudeltà  . 
Se  più  lungo  tempo  durava  il  loro  dominio,  forfè  l'Italia  fi  tras- 
formava in  una  Norvegia  ,  o  Rufiia  antica  .  Ma  fopravenne  il 
Re  Teoderico  ,  che  co' fuoi  Oftrogoti  tolfe  loro  lo  Scettro  di 
mano,  e  qui  piantò  il  Regno  de'  Goti  .   All'udir  noi  ora  il  no- 
]pe  di  Goti  ,   benché  fiam   tanto  lontani  da  i  loro  tempi  ,  ci 
par  di  vedere  Popoli  piii  feroci  de  gli  antichi  Turchi  ,  venuti 
a  calpeftare  i  poveri  Italiani  .   Vediamo  Caratteri  delle  ftampe 
affai  groffblani ,  li  chiamiamo  Gotici  ;   miriamo  Bafiìiche  di  roz- 
za e  fproporzionata  architettura  ,  gridiam  tofto,  che  è  fattura 
Gotica .  Tutte  immaginazioni  vane  .  Non  uguaglierò  io  certa- 
mente, i  Goti  a  gli  antichi  Romani  :    contuttociò  fi  può  dire  , 
che  Teoderico  Re  de'  Goti  ,  e  d'  Italia  iuperò  ben   moltiflìmi 
de' Romani  Imperadori  nella  gloria,  nella  fortezza,  nel  buon 
governo,  e   nella  civiltà  de' Coftumi  .    Non   portò  egli  qui  la 
Barbarie,  fé   n'era   gran  tempo   prima  Ipogliato  .    Al  dire  di 
Ennodio  nel  di  lui  Panegirico  ,  e  d'altri  Scrittori,  eum  educa- 
njerat  in  gremìo  cìvilitatìs  Grcecia  .   Anche  Pietro  il  Grande  Im- 
perador  della  Rulha  ,    venuto  alle  Corti   più  nobili    e  gentili 
dell'Europa,  depole  ivi  tutta  la  nativa  rufticita,  e  fé  co  por- 
tò la  civiltà  per  farne   parte  anche  al  luo  vaftiftlmo  Imperio. 
Ora  l'Italia  in  Teoderico  ricevette  non  un  fiero  Tiranno,  ma 
un  giuftifiìmo  Re  ,  e  quantunque  non  fofie  privo  di  vizj,  pu- 
re abbondò  di  tante  virtù  ,  che  il  luo  nome  pieno  dj.  gloria  , 
e  la  fua  potenza  fi  ftefe  fino  a  gli  ultimi  confini  delle  Spagne. 
Si  sa ,  eh'  egli  nella  manluetudine  ,  nella  magnificenza  ,  nella 
Giuftizia  e  liberalità  ripoie  il  più  bel  pregio  della  fua  Corona; 
e  che  le  Lettere  ,  e  l'Arti  lotto  di  lui  fiorirono  ;  ne  mutazio- 
ne alcuna  fu  fatta  del  Governo,  e  de'Magiftrati  Romani .  Gli 
flefil  Goti  tion  s'  erano   allora  fiaccati  dalla  Tartaria  ,   né  da 
Tomo  L  P  p  qual- 


29S  DlSSERTAZIOKE 

qualche  altro  orrido  Cielo,  ma  converfando  co  i  Greci ,  avea 
molto  prima  conolciuto,  quanto  fia  da  anteporre  la  civiltà  e 
pulizia  alle  barbariche  ufanze  .  Odafi  Giordano  Storico  Cap.V. 
eie  Reb.  Get'ic,  Nec  defuerunt  ,  qui  eos  fnpìenttam  erudirent  , 
Unde  &  pcene  omnibus  Barbaris  Gothi  Japientiores  femper  extite" 
Yunt  ^  Gracisque  pa?7e  confimìhs^  ut  refertDio,  Però  da  mara- 
vigliare non  è  ,  lecondo  1'  Anonimo  Valefiano  ,  fé  Teoderico 
non  Italicam  ta?ìtummodo  ,  fed  Ò^  'uici?ìas  obleBavit  geines ,  ut 
Jb  illi  Jub  fcedus  darent  ,  fibi  eum  Regem  fperantes.  Negotian- 
tes  n)ero  de  dinjerjis  Provinciis  ad  ipfum  concurrebam  .  Tantt^ 
enim  Difcipliri^  fuìt  ^  ut  fi  quis  'uoluit  ifi  agro  fuo  arpe?ìfum 
njel  aurmn  dimittere  ,  ^c  Jì  intra  muros  Civitatis  ejfet  ,  ita  exi- 
Jlimaretur  .  Et  hoc  per  totam  Italiam  augurium  habehat ,  ut  nul- 
li Civitati  portas  faceret  ,  nec  in  Civitate  porta  claudebantur  : 
quis  quod  opus  habebnt  ^  faciebat^  qua  bora  pellet  -^  ac  fi  in  die  . 
Molto  di  più  fcrive  Ennodio  ,  molto  più  CafTiodoro  de  i  meriti 
di  Teoderico;  e  mafiìmamente  è  da  vedere  l'Orazione,  che  Pro- 
copio mette  in  bocca  agli  Ambafciatori  Goti  fpediti  a  Belifario 
nclLib.  II.  Cap.  <5.  de  Bello  Gothico ,  Il  perchè  né  pure  in  que' 
tempi  fi  dee  credere  decaduta  l'Itaha  dall'antica  Tua  Dignità], 
ancorché  dianzi  non  poco  iminuita  ,  ne  ch'ella  precipitale  in 
un  lagrimevole  (lato  di  depreffione  .  Non  furono  né  cacciati , 
né  trucidati  i  Popoli  d'Italia  da  i  Goti  .  Quel  folo  ,  che  pati- 
rono confiflé  per  teftimonianza  d'  Ennodio  e  di  Procopio  nell' 
avere  Teoderico  affegnata  a  i  fuoi  Soldati  una  parte  de' Campi 
degl'Italiani:  gravezza  già  impoda  da  Odoacre  ,  e  praticata 
anche  una  volta  da  i  Romani ,  come  abbiamo  da  Livio  e  da 
Siculo  Fiacco . 

Per  quanto  dunque  fi  può  giudicare  ,  cominciarono  i  prin- 
cipali guai  dell'  Italia  dalla  lunga  ,  e  più  che  barbara  guerra 
fatta  da  i  Greci  per  ricuperare  i' Italia,  dalle  mani  de' Goti,  e 
maggiormente  poi  fi  moltiplicarono  per  la  calata  de'  Longo- 
bardi ,  e  il  loro  flabilimenj:o  in  quello  Regno  ,  con  procedere 
da  effi  gran  mutazioni  di  coftumi  in  tutta  1'  Italia  .  Allorché 
Alboino  con  tutti  i  fuoi ,  dato  l' addio  alla  Pannonia  ,  oggidì 
Ungheria,  s'inviò  verlò  quefte  parti,  feco  trafle  intere  briga- 
te d'altre  Nazioni  Germaniche,  tutte  aniànti  di  bottino  ,  cru- 
deli e  beftiah .  Che  iniquità  commetteffero  genti  cotanto  sfre- 
nate ed  inumane  su  i  principj,  fi  può  intendere  da  chi  fu  della 
loro  fleffa  Nazione  ,  cioè  da  Paolo  Diacono  ,  il  quale  nel  Li- 
bro 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  T  E  R  Z  A  .  2pp 

broli.  Cap.  32.  de  Gefl,  Langoh,  fcrive  ,  avere  i  Longobardi 
talmente  elercitata  la  lor  fiQVQzzcL  contro  gli  antichi  abitatori 
d' Italia  5  che  fpoliatis  Ecclefùs ,  Sacerdotibm  i?7ferfe6lis ,  Civi- 
tatìbus  fubrutis^  Populisque  ^  qui  more  fegetum  e>ccreverant  ^  ex- 
tìnH'ts  (  exceptis  bis  regìon'tbus  ,  quas  Alboiìi  ceperat  )  balìa  ex 
maxima  parte  capta  Jìt^  &  a  hongobardìs  fubjugapa  .  Eccettua 
Paolo  i  Popoli ,  che  fui  principio  fi  arrenderono  ad  Alboino  , 
come  il  Friuli,  la  Venezia ,  l'Infubria,  ed  altri  paefi,  do\^e  fi 
tornò  a  godere  la  Pace.  Si  fcaricò  dunque  il  furore  de' Longo- 
bardi fopra  gli  altri  Popoli  ,  che  ofarono  fare  refiftenza  ,  e 
m  affi  in  a  mente  fopra  il  Ducato  Romano,  giacché  Roma  fempre 
leale  a  i  Greci  Augufti  ,  più  tofio  infinite  calamita  foftenne  , 
che  mai  fottometterfi  al  giogo  de  gli  odiati  Longobardi.  Odafi 
S.Gregorio  Magno,  che  fui  fine  del  medefimo  Secolo  VI.  fpet- 
tatore  fu  di  quella  Tragedia  ,  nel  Lib.  III.  Cap.  38.  de*  Dialo- 
ghi, parlante  cosV.  Mox  ejfera  Langobardorum  gens  de  ^vagina 
fua  habitat'to?iis  eduBa  ,  in  iìojìram  cervicem  grajfata  ejì  ;  at- 
que  hominum  genus^  quod  in  Hac  Terra  prce  lììmia  multitudins 
quaji  fpijfcs  fegetis  more  furrexerat  ,  fuccifum  aruit  .  Nam  de- 
popiilatcc  Urbes  ,  everfa  Cajìra  ,  concrematts  Ecclejtde  ,  dejìru6la 
Mo7iaJìeria  Vìrorum  ,  &  Eeminarum  ,  defolata  ab  homtnibus  prae- 
dia^  atque  ab  omni  cultore  defìituta  iìi  [olitudiìie  vacat  Terra  ; 
nullus  hanc  pojjejfor  inhabitat  ;  occuparunt  bejìice  loca  ,  qiice 
prius  ìnultitudo  hominum  tenebat .  Cos\  parla  del  Ducato  Ro- 
mano ,  e  d'altri  paefi  il  Santo  Pontefice.  La  pefte  ancora  e 
la  careflia  avanti  l'arrivo  de  i  Longobardi  gran  guaflo  di  gen- 
te avea  fatto  in  quella,  che  oggidì  fi  chiama  Lombardia,  fic- 
chè  non  fu  difficile  a  que'  Barbari  di  dilatare  la  lor  potenza  , 
la  razza  loro,  ed  anche  i  coflumi  in  quefle  parti. 

Dissi  \  Coflumi ;  perciocché  fcemati  cotanto  i  vecchi  abi- 
tatori d'Italia  ,  e  la  maggior  parte  d' effi  ridotta  alla  povertà  , 
né  forze,  né  efempio  ebbero  per  condurre  i  nuovi  ofpiti  e  Pa- 
droni ad  una  maniera  di  vivere  più  civile  e  leggiadra  .  Perciò 
non  poco  tempo  continuarono  i  Longobardi  a  vivere  colla  con- 
fueta  loro  fierezza  e  rufiicita  ,  fpirando  nel  volto  e  nelle  vefli 
orridezza,  finché  a  poco  a  poco  il  piace  voi  chma  d'Italia,  e 
i'efempio  de' confinanti  Greci  e  Romani  li  conduffe  ad  ingenti- 
lire in  qualche  maniera  ,  o  almeno  a  deporre  la  nativa  interna 
ed  eflerna  loro  rozzezza  .  Noi  apprendiamo  da  Paolo  Diacono 
Lib.  IV,  Cap.  23.  de  Geft,  Langob,  che  dalla  Regina Teodelinda 

Pp     2  fu 


300  Dissertazione 

fu  fabbricata  in  Monza  la  Bafilica  di  San  Giovanni Batiila,  do- 
ve ancora  furono  dipinte  le  prodezze  de' Longobardi  da  pen- 
nelli, come  fi  può  credere,  fé  non  di  rifo,  certo  di  compaffione 
degni.  In  qua  p'tBura  (veduta  da  lui)   manìfejìe  oflendìtur^  quo^ 
modo  Larigobardl  eo  tempore  comam  Capìtis  tondehant  ,  ^el  qua- 
lis  illius  vejiìtus^  qualisve  habitus  erat  ,  S ì qui dem  cervie em  ttf' 
que  ad  occipitimn  radentes  nudabant  ,  capillos  a  facie  ufque  ad 
OS  dimijfos  hahentes  ,  quos  in  utramque  partem  in  frontis  di/cri- 
mine  dinjidebant .   Vejìimenta  vero  eis  erant  laxa  &  linea  ^   qua- 
Ha  Anglofaxones  habere  folent  ,    ornata   inftitis    latioribus  vario 
colore  contextis  (  doveano  parer  livree  )  Calcei  vero  eis  erant  uf- 
que ad  fmnmum  polHcem  p^ne  aperti ,  &  alternatim  laqueis  cor- 
ri^iarum  retenti ,  Pojìea  vero  cceperunt  Hojìs  uti  ^  Juper  quas  equi' 
tantes  Tybritgos  byrreos  mittebant ,  Sed  hoc  de  Komanorum  con- 
fuetudine  traxerunt ,  Cos'i  egli  ,  affai  indicando,  che  a' iuoi   di 
ufavano  altra  maniera  di  veftirfi  ed  ornarfì  .  Hofa: ,  ed  Ofa  (ì 
crede  effere  flati  Stivali  o  Stivaletti  ,  come  oggidì  ufano  gli 
Ungheri  ,  o  pure  i  Soldati  a  cavallo  .  Di  efiì   parlano  il  Voffio 
e  il  Du-Cange  .  I  Tedelchi  nondimeno  oggidì  chiamano  Hofen 
quello,  che  è  a  noi  Brache  e  Calzoni  ;  ma  preffo  gl'Inglefi  dall' 
antico  Saffone  Ho/é"  fignifica  il  veftito  delle  gambe.  Matteo  Vil- 
lani nel  Lib.  Vili.  Gap.  74.  delle  Storie   fcrive  :  Dove  gli  Un- 
gheri  inVofa^  e  gravi   delle  lor  armi   e  giubboni   non  pot  e  ano  fa- 
lire  ,  Truovafi  uTara  quefta  voce  anche  dal  Boccaccio.  Chela 
voce  Stivale  venga   dal  Tedefco   Stiefel  ,  T  avvertirono  già  il 
Ferrari,  e  il  Menagio;  ma  il  primo  aggiugne,  che  la  Refì'a  pa- 
rola Tedef:a  fu  formata  dal  Latino  jÈJìivaHa ,  fottintendendo 
cerea,  Veggafi  anche  il  Du-Cange  alla  voce  Mftivalia.  La  cre- 
do una  vana  immaginazione.  QLiegl' ignoranti  Scrittori  de'SecoH 
•baffi,  che  in  Latino  fcriflero  y^/?/-!;,?//^,  ciò  fecero  perchè  non 
fapeano  la  voce  Latina  Ocrecs ^  ne  quella  s'accorda  con  JEJìtva- 
Ha,  E  perchè  chiamar  gli  S'^w^/i  cofe  da  State ^  quafichè  non 
fé  ne  ferviffero  gli  uomini  anche  il  Verno ,  e  non  ne  foffe  allo- 
ra anche  maggiore  il  bifogno  ?    Non  s'  ha  poi  da  mettere  in 
dubbio,  che  i  Longobardi  nutriffero  la  barba.  Anzi  fu  di  pare- 
re Paolo  Diacono  ,   che  Longobarbi  ,    e  non  Longobardi  foffero 
appellati   ab  inta&de  ferro  barba  longitudine  :  la  qual  opinione 
è  derifa  da  alcuni  moderni,  i  quali  altronde  deducono  la  deno- 
minazione do* Langobardi  ,  Io  li  lafcierò  disputare  su  quello. 
Fra  le  Leggi  del  Re  Rotari  una  v'ha  contra  colui,  il  quale 

fur- 


Ventesimaterza.  jOI 

fur^eììte  rixa  per  barbam  ,  aut  per  captllos  hominem  Itberum  tra- 
xerìf.  In  Ravenna ,  per  atteftato  di  Paolo  Diacono,  e  di  Gi- 
rolamo RofTì,  davanti  alla  Chiefa  di  San  Vitale  fi  leggeva  l'In- 
fcrizion  Sepolcrale  polU  a  Drottulfo  vaiorolb  Longobardo.  Ivi 
fra  l'altre  cofe  era  detto  : 

Terrìh'd'is  v'tju  facies  ,  fed  corda  benigna , 
Longaque  robujìo  corporc  barba  fuif. 

Paolo  fcrilTe  fed  mente  benignus .  Egli  ancora  notò,  che  il  Re 
Grimoaldo   portava  prominentem  barbam  .  Cofa  decorofa  e  da 
Uomo  fembrava  a  quella  gente  l'avere  una  bella  barba.  Fors* 
anche  altri  la  portavano  difpofla  in  maniera  da  comparir  più 
terribili  ,  come  oggidì  s'nfa  da  alcuni  con  certi  maiufcoli  Mu- 
flacchi.  Talmente  ciò  è  certo,  che  grande  affronto   fi  riputava 
allora  il  tc^gliare  la  barba  ad  alcuno ,  forfè  perchè  era  proprio 
de' foli  Servi  l'andare  fenza  barba  e  capelli  .  Di  Ariberto  Re 
fcrive  il  fuddetto  Paolo  Lib.  VI.   Gap.  6.   Compre henfumque  Ro- 
tharit  pfetido-Kegem  ejus  capitt  barbamque  radens ,   Taurinis  in 
exjìlium  retruflt  .  Sicché  allora   principalmente  alla  barba  era 
conferito  il  privilegio  di  diflinguere  un  uomo  Libero  daunS^r- 
'vo  .  Non  cosi  praticarono  i  Romani.   Per  antica  loro  confuetu- 
dine  o  radevano,  o  accorciavano  la  barba.  Con  ragionevol  ton- 
fura  eziandio  teneano  corta  la  chioma  ,  e  falennita  non  manca- 
va ,  aUorchè  per  la  prima  volta  i  Giovani  fi  faceano  tagliare 
o  radere  la  barba.   Certamente  al  tempo  de' Longobardi  diverla 
era  la  tofatura  de' Romani.  Si  oda  Anaftafio  Bibliotecario  nella 
Vita  di  Adriano  I.  Papa,  dove  fcrive,  che  que' Longobardi ,  i 
quali  promifero  fedeltà  e  fervigio  a  San  Pietro,  eY3.no  more Ro- 
manorum  tonjuratos  .   Per  lo  contrario   preffo  lo  fl:eifo  Scrittore 
nella  Vita  di  Gregorio  IH.  Papa  ,  il  Re  Liutprando  multos  No- 
biles  de  Romanis  more  Longobnrdoruìn  totondit  &  njefìivit .   In 
che  confiiteffe  quefta  differenza,  fi  potrebbe  conoicere,  fé  re- 
fìaflero   pitture  di  que'  tempi. 

Quel  eh' è  certo,  i Franchi  non  portavano  barba,  contenti  de* 
foli  Muftacchi ,  o  pur  corra  l'ufavano .  Agnello  Ravennate  Scritto- 
re del  Secolo  IX.  fa  predire  a  Graziole  Arcivefcovo,  ohe  njenient 
ex  Occiduis  partibus  raft  barbas^  e  volea  difegnar  la  Nazione  Fran- 
cefca .  Per  atteftato  di  Eginardo ,  i  Re  di  Francia  della  prima  fchiat- 
ta  andavano  crine  profufo  ,  barba  fubmijfa  .  Ma  fotto  Carlo  M. 
che  volea  farfi  merito  co' Romani,  fi  mutòufanza.  Allorché  volle 

che 


302  Dissertazione 

che  comparine  al  pubblico  d'aver  egli  invertito  del  Principato  di 
Benevento  Grimoaldo,  falva  la  fua  Sovranità,  ordinò  fra  l'altre 
cole  5    ut  Longob^rdorum  mentum    tonderi  faceret  ,    come  lafciò 
fcritto  rAnonimo  Salernitano,  o  pure  Erchemperto  nel Cap.IV. 
Perciò  TeiTere  tofato  more  Romanorum^  fìgnificava  la  totatiira 
di  tutta  la  barba,  ©almeno  l'accorciatura.  E  pure  il  fuddetto 
Agnello,  parlando  nella  Vita  di  Damiano  Arcivefcovo  de i Ra- 
vennati,  che  non  erano  fudditi  de' Longobardi,  ce  li  rappre- 
fenta  Cr.pillos^  &  harhas  extrahentes ,  Omjtes  Nobiles^  &igtìobi- 
les  fqualida  barba  mxrefido  tncedebnnt .  Probabilmente  quei  ài 
Ravenna  leguitavano  il  Rito  de'  Greci  ,    foliti  a  portare  una 
bella  barba  .  Ne  perchè  il  Regno  de'  Longobardi  pafiafle  ne  i 
Franchi,  cefsò  in  Lombardia  l'ufo  delle  barbe  lunghe  .  Lan- 
dolfo Seniore  Storico  Milanefe  nel  Lib.  IIL  Gap.  12.  fcrive  di 
Landolfo  Capitano  di  quel  Popolo  circa  l'Anno  1059.  Barbam^ 
utUfusAnt'tquus  exigebaf^  quajt  purpuream  gere?2s,  E  Bonifazio 
Duca  e  Marchefe  dìTofcana,  padre  della  chiariffima  Contef- 
fa  Matilda  ,   elTendo  in  collera  centra  di  alcuni  Borgognoni  , 
barbam  quatteiìdo  mìnatur  ^  come  s'ha  da  Donizone  nella  Vita 
di  Matilda  Lib.  L  Cap.  11.  Per  varie  ragioni  ancora  fi  accomo- 
davano oh  antichi  Veneziani  alle  ufanze  de' Greci  .  Pietro  Or- 
feolo  Doge  nel  Secolo X.  di  quell'inclita  Repubblica,  fuggen- 
do coir  Abbate  Marino  a  fin  di  abbracciare  la  Vita  Monaftica, 
diffe  al  medefimo  Abbate,  ^.atnocius  accìpe  novaculam.^  &de» 
pone  m'thl  barba-m  ,  jtcque  colobìum  indue  Motiajìicum .  Legged 
COSI  nella  di  lui  Vita  .  E  dalla  Cronica  del  Volturno  all'  An- 
no 1028.  abbiamo,  che  un  certo  lldecardo  dimandando  di  ef- 
fere  ammeifo  in  quel  Moniftero,  usò  le  feguenti  parole  :  Infpi- 
ravk  me  Omtììpotens  Deus  ^  ut  hunc  Mmidum  derelinquam  -^  & 
tundam   (  in  vece  di  tonde am  )  caput  &  barbam  meam  ,  Ù*  ve- 
flem  fanÈìam  Monachilem  induam  .  Per  lo  contrario  in  Occiden- 
te, e  maiìlmamente  in  Roma,  il  Clero  procedeva  fenza  barba, 
e  lenza  capelli;  a  mio  credere  perchè  la  barba  fi  prendeva  per 
fegno  di  Nobiha,  laddove  i  Servi   per  indizio  della  lor  baflezza 
non  portavano  né  barba  né  capelli  ;  e  i  Cherici  al  pari  de'  Mo- 
naci ,  confiderandofi   per  Servi  dei  Signore  ,    e  per  addellrarfi 
all'Umiltà,  imitavano  la  condizion  Servile.  San  Gregorio  VIL 
Papa  nel  Lib.  VIIL  Epill.  io.  fcriveva  :  ^emadmodum  totius 
Occidentale  Ecclejide  Clerus  ab  ipfts  fidei  Chrìflìanae  primordth 
barbam  radendi  morem  tenutt  &c.   Ma  non  è  tanto  certo  ,  che 

ne' 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  T  E  R  Z  À  .  30] 

ne'  Secoli  più  antichi  fi  offervafTe  queflo  Rito  .    Nel  Can.  44. 
del  Concilio  IV.  Cartagineie  noi  leggiamo  :  Clerkus  nec  comam 
nutrì  ut  f  nec  barbam  radati  o  ^urc  tondeat^  come   hanno  altri 
tcfti.  Ed  Apollinare  Sidonio  nel  Lib. IV.  Epi(1.24.  chiaramen- 
te d^a  a  conoicere,  che  gli  Ecclefiaftici  di  Francia  al  Ino  tem- 
po confervavano  la  barba  .  Che  nondimeno  ,  ficcome  dicem- 
mo,  i  Cherici  Latini   tenefìTero  altro  ftile  nel  Secolo  XI.  ne  ab- 
biamo la  teliimionianza  anche   di  San  Pier  Damiano  ,   di  cui 
fono  nel  Lib.  I.  Epift.  15.  le  parole  leguenti  :  Ecclejtarum  pia- 
ne ReHores  tanto  'vertighiis  quoti  die  rota?nur  impuljti^  ut  eos  ci 
Siscularihus  Barbirajimn  qiiidem  dividat  ,  fed  aBio  non  difcer- 
nat*  Vuol  anche  elTere  afcoltato  Ditmaro  fui  principio  dei  Li- 
bro VII.  dove  defcrivendo  la  Coronazione  Romana  di  Arrigo  I. 
nel   1014.    cel  rapprefenta    a  Senatoribus  duodecim  *vallatum  , 
cjuontm  fe>:  rajì  Barba  ,   alti  prolixa  myflice  inceàehnnt  cum  ba^ 
culis  ,  Dalia  Vita  del  fuddetto  Papa  Gregorio  VII.  da  me  data 
alla  luce,  s'ha  ch'egli   cacciò  fexaginta  Man/ionarios  Beati Pe- 
tri .   Erant  enim  Cives  Romani  uxorati ,  feit  concubinarii ,   barba 
raji  ^  &  mitbrati^   aj] erentes  fé  Cardinales  Presbfteros  ej]e,   E 
per  atteftato  del  Dandolo  nella  Cronica  ,    circa  l'  Anno  940". 
33omenico  Uomo  Laico,  dal  Popolo  Veneto  expetitus Epifcopus^ 
abfcijfa  barba  Jtbi  ,  invìtus  Epìfcopatum  accepit  .    Perciò  nelle 
antiche  Pitture  e  Libri ,  i  Cherici  e  Monaci  d'Occidente  fi  fo- 
gliono  offervare  sbarbati  .   Da  occafion  di  ridere  illapere,che 
nel  Secolo  IX.   e  ne'ieguenti  venivano  come  proceflati  gli  Ec- 
clefiallici  Latini  da  i  Greci  ,    perchè  non  ufavano  la  barba  , 
quafichè  da  quefta  dipendeffe  la  bontà  e  fantità  de'  Collumi  . 
Ratranno  Monaco  di  Corbeia  nel  Lib.  IV.  Cap.  V.  nella  fua 
Rifpofta- alle  calunnie  de' Greci,  deride  quella  loro  oppoGzio- 
ne,  lafciando  anche  intendere,  che  né  pure  prefìTo  tutti  i  Che- 
fici  Latini  fi  ufava  l'andare  lenza  barba  .  Certamente  i  Mo- 
naci comparivano  ben  rafi  .    E  pure  Angelo  della  Noce  nelle 
Annotazioni  al  Cap.  24.  della  Vita  di  San  Benedetto  fa  vedere 
un' antichiffima  pittura,  in  cui  quei  Patriarca,  e  Giovanni  Ab- 
bate  portano  barbam  rotundam  ,  ed  anche  i  Muftacchi  .  E  il 
Goldaflo  nelle  Annotazioni  alla  Vita  di  Carlo  Mapno  fcrive  : 
Rartjjtmcs    namque  funt    de  njetujìis  Monacborum    infaginibus  ^ 
quas  ego  quamplurimas  vidi  ^  qu^  barbam  non  prccf erant .    Adun- 
que fecondo  la  varietà  de' Luoghi  e  de' tempi   varia  fu  la  for- 
tuna della  Barba  .    Noi  lappiamo,  che  anche  dopo  il   1500. 

ella 


304-  Dissertazione 

cfifa  era  in  gran  venerazione  in  Italia  non  folo  preflb  i  Laici, 
ma  anche  fra  gli  Ecclefiaftici .  Dopo  il  1600.  cominciò  effa  a 
contentarfi  di  efìere  in  varie  ^uiie  addottrinata  dalle  forbici  ; 
e  finalmente  nel  prelente  Secolo  ha  perduto  fra  noi  affatto  il 
credito.  A' tempi  di  Carlo  M.  doveano  i  Greci  portare  la  lor 
capigliatura  toiata  in  forma  diverta  da  i  Longobardi ,  e  te  ne 
faceva  gran  calo  ne' pubblici  affari .  Adriano  I.  Papa  nell'Epi- 
flola  88.  ad  eflb  Re  Carlo  fcrive,  avere  Arigiio  Duca  o  Princi- 
pe di  Benevento  chiedo  al  Greco  Imperadore  auxilìum  ^  &  ho^ 
riorem  Patricìatus  una  cum  Ducatu  NeapoUtano  fub  intef  vitate  » 
Pro  qua  re  pollici tus  ejl  tam  in  tonfura ,  quam  in  'oefiibus  ufu 
Gracorum  perfrui  ,  fub  ejusdem  Imperatoris  ditione  ,  Pofcia  ioO' 
giugne  :  Hcsc  audiens  autem  Imperatore  emifit  illi  fuos  Legatos 
&€,  ferentes  fecum  njejìes  auro  textas^  Jìmul  Ù'  fpatam  ^  njel  pe- 
6linem  ,  &  forcipes  ,  Jicut  illi  pradiHus  Arichijus  indui  Ù^  ton- 
deri  polUcitus  ejì .  Ecco  quanto  una  volta  fodero  gelofe  le  Na- 
zioni della  lor  propria  maniera  di  veftire  ,  e  di  portare  la  chio- 
_ma  per  dilfinguerfi  dall'altre.  Come  fi  ufi  oggidì,  lalcerò  che 
altri  lo  dica. 

Torniamo  a  i  Longobardi  .  Da  che  coftoro  abiurato  TAria- 
nismo  fi  unirono  colla  Chieia  Cattolica  ,  allora  più  che  mai 
depofero  l'antica  loro  felvatichezza ,  e  gareggiarono  colf  altre 
Nazioni  Cattoliche  nella  piacevolezza,  nella  Pietà,  nella  Cle- 
menza ,  e  nella  Giuftizia  ,  di  modo  che  fotto  il  loro  governo 
non  mancavano  le  rugiade  della  contentezza.  Tali  non  li  pro- 
varono già  i  Greci  e  Romani,  ma  bensì  intollerabili  e  crude- 
li :  fpettacolo  nondimeno,  che  anche  ne' due  Secoli  a  noi  prof- 
fimi,  per  nulla  dire  del  prelente,  s'è  fatto  vedere.  Intenti  era- 
no fempre  i  Greci  ,  per  quanto  comportavano  le  lor  forze  , 
alla  rovina  de'  Longobardi  ,  odiandoli  a  morte  ficcome  ufur- 
patori  del  loro  dominio.  Rendevano  ben  loro  la  pariglia  i  Lon- 
gobardi ,  fempre  meditando  di  fpogliarli-'"anche  dell'  Efarcato 
di  Ravenna,  del  Ducato  di  Roma,  di  Napoli  ,  e  d'altre  Citta 
marittime  ,  tuttavia  ubbidienti  al  Trono  di  Coftantinopoli  . 
Continui  incentivi  erano  quefti  di  guerre,  d'incendj  e  di  flra- 
gi.  Ma  i  Greci  Augufti,  oltre  a  gl'indegni  e  mali  trattamen- 
ti ufati  co'  Romani  Pontefici  ,  fi  lafciarono  anche  trafporrare 
aU'Erefìa  de  gì' Iconoclafti  :  il  che  animò  i  Longobardi  d'in- 
vadere l' Efarcato,  e  a  tentare  anche  facquifto  di  Roma.  Di 
qua  venne  la  loro  rovina.  Sotto  il  giogo  di  queda gente  trop- 
po 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  T  E  R  Z  A  •  jO 5 

po  abborrivano  di  cadere  i  Pontefici  e  il  Popolo  Romano;  per- 
ciò contra  d'  efii  ivegliarono  la  potenza  di  Pippino  e  di  Car- 
lo M.  Re^ì  di  Francia,  e  riufci  loro  in  fine  non  loio  di  abbat- 
tere i  Longobardi,  ma  anche  di  lottrarfi  alla  Signoria  de' Gre- 
ci, con  finalmente  partire  l'Italia  fraefli,  e  i  Franchi.  Erano 
anche  i  Franchi  una  Nazione  Germanica  ,  giunta  a  foggiogar 
le  Gallie  ed  altri  Popoli  .  Sotto  di  Carlo  M.  e  de'luoi  Succefib- 
li,  fi  può  credere ,  che  s'inciviiifìTero  maggiormente  gl'infelva- 
tichiti  Popoli  d'Italia.  Imperciocché  i  Franchi ,  anche  prima 
d'infignorirfi  delle  Gallie ,  nella  leggiadria  de'cofiumi  dilunga 
mano  luperavano  l'altre  Nazioni  dell'Occidente,  eccettuatane 
la  Romana ,  le  vogliam  credere  ad  Agatia  Storico,  che  fioriva 
jieli' Anno  560.  e  cosi  ne  parla  nel  Libro  I.  Sunf  enim  Fradici 
non  campejìres  ,  ut  fere  pler'tque  Barharorum  ;  [ed  (ìT  politia  ut 
pluriniuin  utuntur  Homaììa  ,  &  legtbus  usdem  y  camdcm  etiam 
contra^uum  &  nuptiarum  rationem  ,  &  divini  Nurninis  cultum 
tenente  Cbrijìiani  enim  omnes  funt ^  reHtJJìmeque  de  Deo  [en- 
ti un  t ,  Habent  Ù' Magifìratus  in  Vrbibus  ^  &  Sacerdotes  ,  Tefta 
etiam  perinde  atqvte  nos  celebrant ,  &  prò  barbara  Natione  ,  val- 
de  mihi  vidcntur  civiles  &  urbani ,  fìihilque  a  nobis  dijferre  , 
quam  tantummodo  barbarico  vefiitu  ,  &  lingule  proprietate ,  Ego 
certe  eos  cum  ab  alia  ,  quibus  pr<£d!ti  [unt  ,  bona  ,  tum  vero  ab 
mutuam  inter  [e  ju[ìitiam  &  concordiam  [ummopere  miror  &c.  Se 
quefto  elogio  ben  concordi  colla  Storia  di  Gregorio  Turonenfe; 
non  importa  ora  il  cercarlo  .  Certo  è  ,  che  la  gran  mente  di 
Carlo  M.  Tempre  piii  fcppe  pulire  i  coftumi  della  ina  Nazione, 
e  comunicati  queftì  anche  alia  vinta  Italia  ,  ne  profittarono 
cjuefti  Popoli ,  i  quali  lotto  il  governo  de'  Franchi  migliora- 
rono non  poco  con  goder  della  pace  nel  cuore  del  Regno,  ed 
cfercitare  l' armi  e  la  fortezza  lolamente  contro  le  Nazioni 
ilraniere. 

Mettevano  appunto  i  Longobardi  e  Franchi  la  lor  gloria 
nell'ulb  dell'armi  e  della  bravura,  ficcome  ancora  la  principal 
loro  ricreazione  e  folazzo  nella  caccia  .  Si  forte  era  quella  in- 
clinazione in  que'  Popoli  ,  che  né  pur  fé  ne  fapevano  aftcnere 
i  Cherici  e  i  Velcovi  ftefli  .  Perciò  troviamo  in  molti  Concilj 
vietata  quefta  ulanza  alle  perfone  facre  .  Ma  i  Re  allora  erano 
SI  perduti  in  tale  efercizio  e  piacere  ,  che  anche  in  tempo  di 
guerra  attendevano  a  cacciare  .  Non  ne  furono  privi  al  certo 
i  Romani  ftefìTi,  e  fi  veggono  Medaglie  con  tefte  di  Cignali. 
Tomo  1,  ^  Qji  Anzi 


30(5  Dissertazione 

Anzi  Plinio  il  giovane  nel  Panegirico  Gap.  Si,  loda  Traiano 
Augufto,  perchè  in  tempo  di  pace  o  d'ozio  Lujìraret  fahus  ^ 
escuteret  cubilibus  feras  ,  con  foggiugnere  :  H'is  an'thus  futuri 
Duces  Imhiiebantur  -^  certare  cum  fugaàbus  ferìs  curfu  ,  cum  aU' 
dac'ibus  robore  ^  cum  callidis  ajìu,  Contuttociò  non  apparilce, 
che  i  Romani  foffero  ipafimati  dietro  alla  caccia,  e  pare  che 
più  torto  r  efercitafTero  per  mezzo  de'  loro  Servi  .  Da  taluno 
ancora  fi  crede  ,  che  T  nfo  de'  Falconi  folle  portato  in  Italia 
nel  Secolo  IV.  dell'  Era  Criftiana  .  Ma  gli  altri  Popoli  si  dell' 
Afia  ,  che  deli'  Europa  ,  e  principalmente  i  Settentrionali  , 
per  antico  loro  ufo  ed  inftituto  teneano  il  cacciare  pel  piìi  ca- 
ro e  nobile  lor  divertimento  ;  ne  iolamente  i  Re  e  i  Grandi  , 
ma  lo  fteffo  vjolgo  ancora  de  gli  uomini  Liberi.  Pafla  va  per  Ere- 
diti! ne'Eigli  e  nipoti  quefla  applicazione,  di  modo  che  più  to- 
fto  da  i  Barbari  ,  che  da  i  Romani  ,  lembra  venuto  lo  ftudio 
della  caccia  tuttavia  vigorofo  in  molti  de'  Principi  e  Nobili 
del  noliro  tempo,  ma  vie  più  fuori  d'Italia.  Truovafi  per 
quella  ragione  non  di  rado  fatta  menzione  d'effa  caccia  nelle 
Leggi  de'  Longobardi  ,  Franchi ,  Ripuarii  &c.  A  queflo  fine 
teneano  gli  antichi  Re  boichi  e  felve  ,  dove  fi  chiudeano  le  fie- 
re ,  parte  circondate  di  muro  ,  parte  di  pali  o  foffe  .  Gajum  , 
Parcus^  Brol'tum  fi  chiamavano  quefti  Luoghi,  e  Zofimo  nel 
Lib.  III,  della  fua  Storia  fcrive  ,  che  fpezialmente  erano  ufati 
da  i  Re  di  Perfia.  Abbiamo  la  defcrizione  di  un'infigne  caccia 
fatta  da  Carlo  M.  nel  Poema  di  un  Anonimo  pubblicato  dalCa- 
nifio  nelle  antiche  Lezioni .  Vien  delcritta  un'altra  parimente 
magnifica  fatta  da  Lodovico  Pio  Augufto  nel  Lib.  IV.  del  Poema 
di  Ermoldo  Nigello  da  me  dato  alla  luce.  Di  tale  ftudio  maf- 
fimamente  fi  dilettava  il  giovane  Lamberto  Imperadore  :  male 
per  lui,  perchè  in  quello  efercizio  nell'Anno  8p8.  fu  uccifo 
nel  Bolco  di  Marengo  .  Anche  Leone  Odiente  nel  Lib.  IL  Ca- 
pit.  60.  parla  di  Sergio  Duca  di  Napoli  si  trafportato  dall' 
amore  della  caccia  ,  che  njenatum  in  ìpjo  San^i  Fault  Snbbato 
■psrgens  ^  Jilvam  [uis  cumpuerìs^  ut  apros  eaperet  ^  ejì  ìngreffus^ 
tenftsque  retibus  ad  infequendos  eos  fé  fé  cum  cantbus  huc  illuc- 
quG  vtìianimiter  omnes  per  fìlvam  dijfundunt ,  Ma  nulla  fa  co- 
tanto comprendere  come  fofie  in  credito  ne  gli  antichi  Secoli 
il  collume  di  cacciare  ,  quanto  ciò  ,  che  fcrive  di  Carlo  M. 
Eginardo  nella  di  lui  Vita  .  Ajftdue  (  fogo  fue  parole  )  eserce- 
batur  eqmtando  ac  svenando  :  quod  illi  ge?uilitìum  erat  .  ^la 


Ventesimaterza.  J07 

«y/V  uìla  ttt  tm-ts  Natio  hi^enìtur^  qua  in  hac  arte  Francis  pò Jfit 
cequari.  Poco  prima  avea  detto  del  medefimo  Monarca  :  Filios 
more  Francorum  equitare  ,  &  armis^  ac  'venationibus  exerceri  fe- 
cif  .  Suo  Figlio  Lodovico  Pio  AuguRo  confiderando  quanto  ca- 
ra e  prezioia  cofa  fofle  a  i  Longobardi  ,  o  fia  a  gl'Italiani  di 
allora  il  portare  la  Spada  in  fegno  di  nobiltà  e  valore,  e  l'an- 
dare a  caccia  perfolazzo,  ordinò  nella  Legge  i(^.  Longobardi- 
ca ,  che  trattandofi  di  levare  i  pegni  ad  alcuno  per  qualche 
pena,  non  fi  toccafle  la  Spada  e  lo  Sparviere  .  In  compojìtione 
g^uadrigild  ut  e  a  dentur^  qua  in  Le  gè  continentur  ^  excepto  An- 
cipitre  &  Spata,  E  ne  recala  ragione  ibggiugnendo :  ^lia pro- 
pter  ili  a  duo  aliquotiens  perjurium  commitpitur  ^  quando  majoris 
prefii  f  quam  illaftnt^  effe  jurantur , 

Gran  tempo  dovette  durare  l'amor  della  caccia,  e  l'ufo 
in  efla  de  gli  Uccelli  da  rapina,  perchè  ne  gli  Statuti  della  Cit- 
ta di  Modena  ,  Icritti  quattrocento  anni  fono ,  per  togliere  le 
diflenfioni  ,  che  inforgevano  a  cagione  di  si  fatti  Uccelli ,  fi 
truova  formato  quello  Decreto  .  Si  quis  invenerit  Falconem  , 
AJìurem  ^  FerTiolum^  &  Sparaverium  alferius^  &  ipfum  ceperit  y 
falvum  faciat  ipfum  ,  &  deferat  ea  ad  domum  Majfarii  Commu- 
nis  ;  &  prafenPare  teneatur  Majfario^  'vel  Potè  fiati  ^  vel  Judici- 
bus  fuis  .  Et  Majfarius  teneatur  eum  falcare  ,  donec  fciat ,  cu- 
jusjìt^  &  eidem  reddatur .  EtPoteJìas  faciet  dari  de  avere  Com- 
munis  tres  foldos  Ferrarienjìs  ei  ,  qui  ceperit  Sparaverium  ;  & 
ei ,  qui  ceperit  Falco?2em  vel  Ajìurem  ,  éX  prcefent averit ,  decem 
foldos  Ferrarienjìs  .  Si  aggiugne  la  pena  a  chi  contraverrh  .  Di 
tal  momento  era  allora  quello  affare  ,  che  i  Maffari  venivano 
obbligati  a  fare  un  pubblico  Proclama  ,  ut  Dominus  inveniretur. 
Anche  ne  gli  Statuti  d' altre  Citta,  e  fpezialmente  di  Milano^, 
fi  truova  un  regolamento  lopra  i  fuddeiti  Uccelli .  Anzi  nel 
Milanefe  è  degno  di  oflfervazione  ciò  ,  che  è  ordinato  nella 
Par.  IL  Cap.  444.  con  quefte  parole.  Ut  nullus  capiatCiconiaSy 
nec  Hiru?idines  ,  fub  pxna  Librarum  quinque  Imperialium  .  Se- 
condo il  Carpano  ,  fatta  fu  cotal  proibizione  ,  eo  quod  nullum 
dnmnum  afferunt  publico ,  Non  per  quella  ragione  ,  perchè  vi 
fon  tanti  Uccelli,  che  niun  danno  recano  al  Pubblico;  ma  per- 
chè le  Cicogne,  e  le  P^ondani  giovano  al  medcfimo  coli' ucci- 
dere i  Serpenti ,  e  col  nettare  l'aria  dai  molelìi  infecti ,  ol- 
tre all'amicizia,  ch'effe  hanno  coli' Uomo,  nelle  cui  Caie  for- 
mano i  nidi.  Altre  cole  fi  contano  o  favolofe,  o  vere ,  della 

Q_q     2  lor 


.1 


o 


8  Dissertazione 


lor  pietà,  prudenza,  e  predizioni  .  Mi  {{jn  io  maravigliato  pia 
volte  ,  perchè  a'  dì  noftri  in  Italia  non  fi  veggano  ,  e  né  pur 
fieno  conoiciute  le  Cicogne,  quando  è  fuor  di  dubbio,  che  anti- 
camente eiìe  ci  abitavano.  Non  altra  cagione  so  io  immaginare 
fé  non  l'invenzione  de  gli  archibugi,  co' quali  abbiano  i  ribaldi 
fatta  guerra  a  quegf  innocenti  ed  utili  uccelli  con  ifchiantarne 
prelTo  di  noi  la  razza  ,  quando  in  più  Luoghi  della  Germania 
fi  pregiano  tutti  i  ruftici  di  albergare  ne' loro  tetti  qualcheCi- 
cogna,  e  guai  a  chi  ne  uccidefTe  alcuna  ,  tenendola  ognuno  per 
Uccello  di  buon  augurio  .  Nelle  Storie  di  Padova  troviamo  , 
che  anche  nel  Secolo  XIV.  le  Cicogne  pacificamente  abitavano 
in  quel  paefe  ;  e  l'Aulico  Ticinenfe  ,  che  in  quello  fteffo  Secolo 
circa  l'Anno  1330.  fcriveva  la  fua  Operetta  de  Laudib.Papta  ^ 
ha  le  Tegnenti  parole  :  Mundatur  autem  tota  'Regio  ìlla  a  vene- 
7ìofis  anìmal'ihus^  &  mnxhne  ferpemibus  ^  per  Cleoni as^  quiS  illw 
tota  tempore  Veris  ,  &  ^ftatìs  morantur  .  Sicché  non  farebbe 
ingiurio  l'adirarci  contro  di  chi  fterminò  ne' tempi  addietro 
quefti  volatili  dal  Cielo  d'Italia  .  Che  l'amore  ed  efercizio 
della  Caccia  lungamente  duraffe  fra  i  Principi  d'  Italia  fi  po- 
trebbe provare  con  varj  eiempli  .  Baderà  dire,  che  Bernabò 
Vifconte  pefanti  aggravj  aggiunfe  allo  Stato  di  Milano  per 
quella  cagione  ;  e  Giovanni  e  Luchino  di  lui  Succe(fori,  fecon- 
do r  atteftato  di  Galvano  Fiamma  ,  canìbm  'venaticis  ^  falconi- 
bus  ,  ajìiirìhus  ,  ncetp'ttrthus  m  maxima  qiiantitate  abundaru?ìt  . 
Né  è  da  fiupire  ,  le  Giovanni  Vifconte  ,  tuttoché  anche  Ar- 
civefcovo  di  Milano  ,  fi  dilettafle  cotanto  della  caccia  .  Trop- 
po invafati  di  tal  divertimento  erano  allora  anche  i  Cheri- 
ci  ,  al  difpetto  di  tanti  Concilj  ,  che  loro  vietano  il  nudri- 
le  Cani  da  Caccia  e  Falconi  ,  e  i'  intervenire  alle  caccie  Cre- 
pito fé  . 

ì\bbiam  veduto,  che  là  Spada  era  un  facrofanto  arnefe  per 
li  Longobardi  ,  perchè  mettevano  la  lor  maggior  gloria  nei  va- 
lore, amando  ciatcuno  d'effere  bravo,  o  almeno  di  goderne  il 
concetto.  Cosi  alto  andava  allora  quefta  pretenfione,  che  niu- 
na  più  fcottante  ingiuria  fi  potea  fcaricare  contra  d'uno,  che 
chiamandolo  Arga  ,  lo  lìefib  che  oggidì  Poltrone ,  e  codardo  . 
Nella  Legge  3  84.  di  Rotari  abbiamo  :  Si  quis  alium  Arga  per 
jurorem  clama'verit  ^  era  obbligato  a  disdire  injuriofum  verbum  y 
ed  a  pagare  la  pena  di  dodici  Soldi  ;  o  pure  dovea  foiienere  il 
fuo  detto  per  pugnam  .    Però  Paolo  Diacono  Lib,  VI.  Cap.  24. 

raccon- 


Ventesimaterza.  jop 

l'acconta,  che  un  certo  Argaklo  nobil  Uomo,  perchè  JaFreckjI- 
fo  Duca  fu  chiamato  Arga  ,  non  potendo  lofferir  tale  affronto, 
con  lo  ipignerfi  in  mezzo  a'  nemici  andò  a  cancellarlo  laiclan- 
do  ivi  coraggioiamente  la  Vita.  Parimente  fra  i Popoli  Franchi 
infoffribil  villania  era  il  chiamar  Lepre  alcuno  .  In  que'  tem- 
pi adunque  il  più  favorito  ftudio  de' Popoli  venuti  dal  Setten- 
trione a  fignoreggiar  le  Provincie  del  Mezzodì,  confifteva  nel- 
la Scherma,  e  nel  maneggio  dell'  Armi  ,  in  Cavalcare  ,  fca- 
gìjar  Afte,  Dardi,  e  Saette,  opporre  Io  feudo  a  i  colpi  nemi- 
ci ,  ed  aflliefarfi  ad  ogni  afìalto  ,  che  poteffe  o  nelle  private 
tenzoni  ,  o  nelle  pubbliche  guerre  accadere .  Parlo  de  gli  Uo- 
mini Liberi ,  perchè  a  i  Servi  non  era  permeifo  di  militare  . 
'Fu  appunto  il  Re  de'  Goti  Teoderico  encomiato  da  Ennodio 
per  la  iua  cura  di  allevare  la  gioventi^i  fra  1'  Armi  anche  in 
^empo  di  pace  .  Acì/^uc^  die'  egli,  mnfieììp  hi  folid'ttate  'viólri- 
cia  agmi7ia  ,  &  alta  jam  crenjeTwit  .  Durantur  lacerti  mtjftlt- 
hus  ,  &  implent  a&wfiem  fortìum  ,  dum  jocantur  .  Agitur  vice 
jpeBaculi  ^  quod  fequenù  tempore  poterit  jatis  ejfe  virtuti .  Dum 
ameutis  puertlihus  hojìilta  lenta  torquentur  y  dum  Arcus  quoti- 
dianae  capitum  neces  dìrìgunt  ^  Urbis  omne  pomoerium  fimulacro 
congrejjtonìs  atteritur  .  Agit  figura  certaminum  ,  tie  cum  pericu- 
lo  vero  nafcantur  .  Lo  fteffo  fi  può  raccogliere  da  Cafiiodoro  . 
Né  fecero  di  meno  gli  antichi  Romani  ,  per  avvezzar  colle  fin- 
te battaglie  alle  vere  la  lor  milizia  :  del  che  fiamo  accertati  da 
Vergilio,  Silio,  Plinio,  Vegezio  ,  ed  altri.  Simulacra  bellorum 
agere  fu  chiamato  un  tale  Studio  da  Giulio  Capitolino  nella  Vita 
di  Maifimino  .  Ma  vedi  qu\  lotto  il  Cap.  XXIX.  dove  fi  parle- 
rà de  gli  Spettacoli.  La  grande  ignoranza  ,  che  per  più  Secoli 
occupò  l'Italia,  s'ha  principalmente  da  attribuire  all'avere  una 
volta  i  Barbari,  e  i  loro  Sudditi  collocato  il  più  bel  pregio  della 
Nobiltà,  dell'Onore  ,  e  della  Gloria  neh'  amore  dell'Armi  ,  e 
neir  applicare  all'arte  della  Guerra  .  Credevafi  allora ,  che  lo 
ftudio  delle  Lettere  folTe  un  cibo  proprio  de'Cherici  e  Monaci, 
e  non  de' Secolari;  e  che  la  Letteratura  ammollile  di  troppo  il 
coraggio  de  gli  uomini,  con  torgli  queirafpro  e  felvaggio,  che 
fembra  efigerfi  dalla  fortezza  guerriera.  Il  {opra lodato  Teoderi- 
co Re  de' Goti  e  d'Italia,  ficcorae  infegna  l'Anonimo  Valefiano, 
inliteratus  erat^  &  ftc  obruto  fenfu  ^  ut  in  decem  annos  Regni  fui 
quatuor  Literas  fubfcriptionis  edióìi  fui  difcere  nullatenus potuijfef , 
De  qua  re    laminam  auream   jujjit  interrafilem  fieri  j    quatuair 

lite- 


jio  Dissertazione 

ìiteras  Regìs  habetìtem  THEOD.  ut  fi  fubfcrtbere  volulJJ'et^  pò- 
fita  lamina  fuper  Chartam  ,  per  eam  penna  duceretur  ,  &  fub- 
fcriptio  ejus  tantum  videretur  ,  Vedi  quanto  antico  fofle  l'ufo 
dàìe  Stampiglie  ^  benché  alquanto  diverfe  da  quelle  d'oggidì. 
Ma  Amalafunta  Regina  di  lui  Figlia  giudicò  di  dover  dare  una 
diverfa  educazione  ad  Atalarico  fuo  Figlio,  come  abbiamo  da 
Procopio  nel  Lib.  L  Gap.  2.  de  Bello  Got/p.  Cioè  ad  imitazione 
de'  Principi  Romani  volle  che  fofTe  iftruiro  nelle  Lettere  .  Se 
l'ebbero  amale  i  Caporioni  de' Goti,  e  fecero  udire  la  feguen- 
te  fmfonia  ad  Amalafunta.  Literas  a  fortitudine  longe  ejfe  dis^ 
junBas^  traditamque  a  fenibus  inftitutionem  in  timiditatem  & 
animi  humilitatem  plerumque  verti  .  Itaque  oportere  ,  ut  in  re 
■bellica  futurus  animofus^  glori aque  injignis^  amotoDoBorum  me'^ 
tu  ,  armis  exerceatur,  Theodericum  allegaìit^  numquam  pajfum 
Gothorum  liberos  ad  Ludimagijlros  mitti ,  quum  diceret  omnibus 
eos  numquam  haflam  aut  gladium  defpeBuros  mente  intrepida^ 
fi  fcuticam  timuijfent  «  Ogni  perfona  ftudiofa  ben  sa  ,  quanti 
furono  gran  Capitani  infieme  e  Letterati .  Ma  i  Goti  l'inten- 
devano a  modo  loro,  e  bafti  faper  l'opinione,  percui  non  folo 
trafcuravano  ,  ma  anche  abborrivano  la  Letteratura  ►  Stefefi 
perciò  in  tutta  1'  Italia  quella  avverfione  alle  Lettere  ,  e  la 
predilezione  del  Libero,  per  non  dire  Libertino  rnertiere  delT 
armi,  durò  per  piìi  Secoli  con  tale  ecceffo  ,  che  non  pochi  del 
Clero  trovavano  le  lor  delizie  più  in  elfo  ,  che  nello  fludio  di 
ciò  che  conveniva  allo  ftato  loro . 

Finche'  durò  fui  Trono  d'Italia  la  fchiatta  di  Carlo  M.  cioè 
fino  all'Anno  888.  goderono  quefti  Popoli  un  buono  flato  ,  e 
tollerabili  furono  i  lor  coftumi .  Ma  eflendofi  allora  meiTo  in 
difputa  il  Regno  fra  Berengario  Duca  del  Friuli ,  e  Guido  Du- 
ca di  Spoleti,  fi  fcatenarono  le  guerre,  e  fiapr'i  la  porta  a  tutti 
i  vizj,  talmente  che  nel  Secolo  fuffeguente  orrida  fu  la  faccia 
dell'Italia  per  le  flragi ,  rapine,  frodi  e  lafcivia ,  talmente  che 
fin  lo  fleffo  Clero  ,  per  teflimonianza  di  San  Pier  Damiano  ,  fi 
abbandonò  a  varie  forte  d'iniquità,  e  ma^bmamente  alla  diiTo- 
lutezza  della  vita,  Neil' Anno  ^^2.  fotto  Ottone  il  Grande  co- 
«linciò  la  Nazione  Germanica  a  fignoreggiar  neh'  Italia  .  Era- 
no in  que' tempi  tuttavia  ricordevoli  d'elTere  itali  Sudditi  dei 
Re  Franchi,  e  ritenevano  parte  di  que'  regolati  coftumi  ,  che 
aveva  introdotto  Carlo  Magno ,  anzi  allora  la  Germania  ab- 
bondava di  Santi  più  che  Taltre  Contrade  .   Servi  la  potenza 

de 


Ventesima  TERZA.  jir 

de  gli  Ottoni  Augufti  a  tenere  per  qualche  tempo  in  freno  la 
diiordinata  vita  de  gli  Italiani  ;  fé  ifpirafìfe  loro  anche  miglior 
forma  di  vivere,  noi  so  dire  .  Forfè  anche  la  ruvidezza,  e  qual- 
che altro  difetto  non  mai  dismeffo  da  quella  Nazione,  rendè 
pili  afpri  e  feroci  gli  abitatori  d'Italia.  Certamente  avvenne, 
che  fecondo  1'  efempio  ,  anzi  fecondo  le  Leggi  Tedefche  la 
pazzia  del  Duello,  già  ufato  anche  da  i Longobardi,  maggior- 
mente qui  fi  accreditò  e  dilatò  ,  come  apparifce  dalle  Leggi 
Longobardiche  di  Ottone  II.  e  di  Arrigo  I.  Imperadori  .  Pro- 
fefiavano  in  oltre  gU  Alemanni  gran  divozione  al  Vino  e  a  i 
maiufcoli  bicchieri ,  e  fra  loro  l' ubbriachezza  fi  contava  per 
una  galanteria  ,  di  cui  parlano  le  Storie  di  que'  tempi  .  Né 
gli  fteflì  Franzefi  dimenticarono  d'effere  di  Nazione  Germanica 
per  quel  che  riguarda  Bacco.  Ne' Tuoi  Capitolari,  e  nella  Leg- 
ge 42.  fra  le  Longobardiche  Carlo  Magno  ordinò,  t;i^  Judices 
jejuni  caujfas  aud'trent  &  difcsrnerenP .  Il  perchè  io  rimetto  a 
i  Lettori  .  Sappiamo  in  oltre  ,  che  nello  ^t^o  Secolo  X.  e  nel 
fuffeguente  certi  vizj  più  de  gli  altri  fiflarono  il  piede  in  que- 
fìe  Contrade  ,  come  la  Simonia  ,  1'  Incontinenza  nel  Clero  , 
l'occupazione  de'Beni  di  Chiefa,  l'oppreffione  de'poveri  e  de' 
Pellegrini,  e  le  Nemicizie  private,  talmente  che,  fevogliam 
credere  a  Ditmaro  nel  Lib.  VII.  della  Storia  ,  era  allora  in 
gran  difcredito  l'Italia  .  Mult^  fimt ^  die'  egli  ,  pvoh  dolor  !  in 
Romania  atque  in  Longobardia  infidias  .  CunBis  bue  adventen- 
tthus  exigua  patet  carìtas.  Qmne  quod  ibi  hofpites  exigunt  've- 
nale eft  (non  c'era  più  ofpitalita  )  Ù'  hoc  cum  dolo  ;  inulti- 
que  toxicati  cibo  pereunt  .  Accennai  le  Nemicizie  private  .  Si 
chiamavano  Faidce,  Se  uno  era  uccifo,  fé  bruciata  la  fua  ca- 
fa,  fé  da  qualche  grave  ingiuria  ofil^fo ,  efigeva  bene  il  Prin- 
cipe la  pena  importa  a  quel  misfatto,  che  per  lo  più  era  pe- 
cuniaria ,  ma  reftava  all'  offelo  o  a'  fuoi  parenti  il  defiderio 
di  farne  vendetta  ,  ed  anche  il  farla  pareva  in  certa  guifa  per- 
meffo.  Nelle  Leggi  Longobardiche,  Inglefi,  Saffoniche,  e  ne' 
Capitolari  de  i  Re  di  Francia  ,  fi  truova  ufitatiffimo  una  volta 
l'ufo  delle  Faide  ,  Anzi  lo  ftelTo  Tacito  affai  manifeftamente 
ci  fa  lapere  ,  che  anche  a  fuoi  di  sì  fatte  Nemicizie  erano  fa- 
miliari in  Germania  .  Erano  elfc  nondimeno  vietate,  allorché 
le  offeie  ed  ingiurie  non  poteano  chiamarfi  gravi .  Per  mette- 
re freno  a  quelle  picciole  guerre  ,  i  Principi  ordinarono ,  che 
il  Reo  potelfe  rifcattarfi  dall'ira  de'nemici  con  efibir  loro  da- 
naro, 


pi  Dissertazione 

naro,  e  queflo  era  tafiato  .  Ma  Ji  quìs  prò  Faida  pvetlum  re- 
cìpere7ioluiJfet^  allora  come  s'ha  dalle  Leggi  io.  e  20.  di  Carlo  M. 
e  dalla  21.  di  Lodovico  Pio  ,  il  Re  s'interponeva  ,  affinchè  la 
difcordia  non  precipitafie  in  ecceffi  .  Ed  all'incontro  le  il  Reo 
ricufava  di  qu.etar  la  conteia  coli'  offerire  il  prezzo  a  gli  of- 
fefi,  folevano  i  Principi  adoperar  buoni  e  forti  Ufiz),  per  vin- 
cere la  di  lui  oftinazione  .  Perciò  gì' Imperadori  Lodovico  Pio, 
e  Lottano  fuo  Figlio  ,  nelle  lor  Leggi  fanno  gran  premura  a 
i  Miniftri  de  Faìdìs  pr.gandis  ,  o  fia  pacandìs  ,  e  de  Faidis 
coerce?idh  . 

Ando'  tanto  avanti  ne'SecoIiX.  e  XL  quefta  frenefia  di  guer- 
re private,  onde  ufcivano  poi  frequenti  omicidj ,  faccheggi ,  in- 
cendj  ,  ed  altri  malanni  ,  che  ne  reftava  fconvolto  il  Pubblico 
tutto  .  Accrefcevano  la  dola  di  quefte  calamita  i  Nobili  ,  che 
fignoreggiando  in  qualche  Cartello  indipendentemente  dal  go- 
verno delle  Citta  ,  mantenevano  nemicizia  e  guerra  dichiara- 
ta contro  de' vicini,  né  guardavano  milura  in  far  loro  danno. 
Un  ritratto  di  quefle  maledette  riffe  e  vendette  l'abbiamo  da 
Pier  Damiano  nelLib.  IV.  Epiil.  17.  V'tr  quidam^  fcrive  egli, 
potent'torem  fé  hominem  ifiterfecit ,  a  cujus  etiam  filio  more  Sce- 
culiy  non  Legibus  Evangelti  ^  ìnultas  bellorum  molefltas  pertultt  ^ 
Paterni  fcilicet  tihor  interitus  &  Jìrages  anhelahat  hominum  , 
Ù'  frequentìum  reportabat  manubias  rapinarum  &c.  Gran  tempo 
è  durata  quell'empia  coniuetudine  prefTo  la  feroce  Nazion  de' 
Corfi.  E'  anche  da  vedere  lo  fteffo  Pier  Damiano  neirOpurc.34. 
Gap. 4.  dove  defcrive  la  guerra  e  le  zuffe  accadute  fra  unChe- 
rico  del  Regno  di  Borgogna  ,  e  un  Potente  ,  litiganti  fra  loro 
per  pretenfioni  lopra  la  Chiela  di  San  Maurizio  .  Certamente 
pili  che  altrove  in  Francia  fra  que'  Signorotti  e  Gentiluomini 
erano  in  voga  le  nemicizie  e  guerre  private.  Ma  quivi  ancora 
circa  l'Anno  1031.  ne  fu  inventato  un  temperamento  e  follie- 
vo.  Imperocché  i  Sacri  Miniftri  di  Dio  inftituirono  ìs.  Tregua 
di  Dio  iotto  pena  di  fcomunica  contra  chiunque  non  1'  ofier- 
vaffe.  In  che  confifteffe  tal  Tregua,  ce  lo  dirà  Landolfo  Senio- 
re Storico  Milanefe  di  quel  Secolo  nel  Lib.  II.  Cap.  30.  della 
fua  Storia  ,  cioè:  Quatenus  omties  homines  ab  bora  prima  Jovis 
iifque  ad  primam  horam  die  hunae  ,  cujuscumque  culpce  forent  , 
fua  7iegotia  agentes  permanerei  .  Et  quicumque  hanc  Legem  of- 
fenderei ,  njtdelicet  Treguam  Dei  ,  in  Exjìlio  damnatus  per  ali- 
qua  tempora  poenam  patiatur  corpoream  ,  ^t  qui  eamdem  ferva- 

vcrit  5 


VeNTESIMATERZA.  3  21 

Fiorenza  dentro  della  cerchia  antica^ 

Oìid' ella  toglie  ancora  e  TerT^a  e  No7ia^ 
Si  Jìnva   in  pace ^  fobria^  e  pudica, 

l^on   aurea  catenella^  ne  corona^ 

Non  gonne  contigtate  ,   no7i   cintura^ 
Che  fojfe  a  'veder  più  che  la  perfona, 

Non  faceva  nafcendo   ancor  paura 

La  figlia   al  Padre ,  che  7  tempo  ^  e  la  dote 
Non  Ji^ggian   quinci   e  quindi   la  ìnifura» 

Non   anjea  e  afe  di  famiglie  njote  ; 

Non   'V  era  giunto   ancor   Sardanapalo 

A  mofìrar  cw^  che  'n   camera  ft  puote  Scc, 

B^llincinn   B.rtt   vtd  io  andar   cinto 

Di   cuoio  e  dojjo^   e  'venir  dallo  fpecchio 
La   Donna  jua  jen'z^  Y  'vijo   dipinto, 

E  'vidi   quel  de'  Nerli ,   e   quel  del  Vecchio 
LJfer  contenti   alla  pelle  fco'verta^ 
jE  fue  Donne   al  jujo  Ò'   al  pennecchio   &C. 

Tralaicio  altre  parole  di  Dante,  balìevoli  a  confermar  in  par- 
te la  lentenza  di  Ricobaldo.  Per  tanto  nel  corto  di  pochi  an- 
ni e  nel  ludderto  Secolo  XIII.  crebbe  in  Italia  il  Luffo  ,  gran 
divoratore  delie  lollanze  di  chi  ftoltamente  vi  fi  abbandona  . 
Però  i  laggi  regolatori  delle  Citta  ,  cominciando  per  tempo 
a  conoicerne  le  perniciole  conleguenze,  accorlero  al  rimedio. 
Per  acteftato  di  Ricord mo  Malaipina  Gap.  ipp.  della  lua  Sto- 
ria il  Beato  Gregorio  X.  Papa  nel  Concilio  II.  di  Lione  dell* 
Anno  1274.  fra  Taitre  Coltituzioni  utili  airUniverfitk  de' Fe- 
deli ,  pmtbì  gli  fmoderati  ornamenti  delle  Donne  per  tutta  la 
Crtjìianità .  Da  queilo  ancora,  che  la  Repubblica  di  Modena 
nell'Anno  1327.  orJ.inò  ,  fi  può  comprendere  la  Riforma  de' 
collumi  d'altre  Cirta  .  Ne  gli  Statuti  dunque  MSti  di  quell' 
Anno  Lib.  IV'.  Rubr.  162.  fi  legge  :  Pedifequ<s  &  alice  fer'vien^ 
tes  (delle  Donne  nobili  ),  &  qucecumque  mulieres  parvce  condì- 
tionis  ^  non  deheant  portai  aliquas  'veftes^  quae  tangant  terram  * 
Et  ipfae  pedifequx  no?i  portent  in  capite  aliquod  intre'Z^torium 
de  feda.  Molto  più  fi  oflervi  il  decretato  nelLib.  IV.  Rubr.i  77. 
che  ci  fa  vedere  parte  dell'apparato  femminile  d'allora.  Nul* 
la  mulier  nupta  ,  'vel  non  nupta  pojjìt  ,  nec  debeat  de  cetero  por- 
tare e>ctra  domum  ,  'vel  in  domo  y  aliquam  gonellam  5  njel  guarna- 
Tomo  L  Ss  chiamy 


322  Dissertazione 

chìnm ,  peìlem ,  'vel  vcjletn  altquarn ,  qu(S  haheat  caudam  ,  quam 
portet  per  terram ,  &  tangat  terram  ultra  unum  bracb'tum  ad  bra» 
cbìumCommufiìs,  Nec  altquarn  Coronam^  c'trcellum  ,  vel  filum  , 
vel  girl  and  am  de  perlis ,  auro ,  vel  argento ,  vel  gemmis ,  vel  al- 
ter'tus  cujuscumque  generis  &  ma?ieriei  ;  nec  aliquem  intre'^^ato- 
rium  platum ,  vel  deauratum ,  vel  arientatum  ,  nec  aliquam  cen- 
turam ,  vel  coregiam ,  quae  centura ,  vel  coregia  valeat  ultra  de- 
certi Libras  Muttnenjìs  ,  vel  burjam  ,  qii<je  valeat  ultra  quinqua- 
ginta  foldos  Mutinenjìs  .  Nec  aliquem  cave'2;^um  ad  gonellam  vel 
guarnachiam  ,  vel  ad  aliquam  vejìem  de  auro  ,  argento  ,  gem- 
mis ,  vel  de  perlis ,  quod  Cave:?^um  ftt  valoris  ultra  tres  Librasi 
lìiutinenfis  prò  qualiket  vefle  Jeu  cavezo .  £r  nullus  Sartor  vel 
Aurifere  pojjit ,  vel  debeat  talem  Coronam  ,  vel  CaveT^turam  y 
vel  Caudam  facere  ^  vel  ponere  &c.  In  altro  luogo  lon  proibite 
da  quegli  Statuti  ie  pompe  de' Funerali.  Ed  ecco  come,  piti 
di  quattrocento  anni  lono ,  i  Modcnefi  fi  lludiavano  di  mette- 
re freno  alla  Ioga  delLuiTo.  Ma  coliui  cacciato  per  una  porta 
entrava  per  l'altra  ,  nò  lervirono  punto  le  Leggi  e  Prammati- 
che per  impedir  gli  abufi  ed  eccefìì,  che  di  mano  in  mano  an- 
darono creicendo. 

Diedi  la  colpa  di  si  fatti  mali  alla  Nazion  Francefca  ,  av- 
vezza da  lungo  tempo  alla  novità  delle  mode  ,  e  delle  fempre 
nuove  foggie  di  vefti,  parendo  ch'efTa  infettaffe  co'fuoi  riti  la 
moderazione  Italiana  .  Ne  venga  in  pruova  anche  Giovanni 
Villani,  che  nel  Lib.  XII.  Gap.  4.  della  Storia  all'Anno  1342. 
cosi  fcrive  :  E  non  è  da  lafciare  di  far  menzione  d'una  sfoggiata 
'mutazione  d'  abito ,  che  ci  recarono  di  nuovo  i  Franceschi  ,  che 
vennono  al  Duca  in  Firenze .  Che  colà  dove  anticamente  il  lo- 
ro veftire  era  il  più  bello ,  nobile ,  e  onefto  ,  che  niun  altra  Na- 
i^jone^  al  modo  de' togati  Romani^  sì  fi  veflivano  i  Giovani  u?2a 
cotta  ,  0  vero  gonella  corta  e  Jìretta  ,  che  non  fi  potè  a  veftire 
jen\a  ajuto  d' altri  ,  e  una  correggia  ,  come  cinghia  di  cavallo 
con  isfoggiata  Fibbia ,  e  puntale ,  e  co?i  isfoggiata  fcarfella  alla 
Tedejca  fopra  il  pettignone  ,  e  il  capuccio  veftito  a  modo  di 
fcocobrini  col  battolo  fino  alla  cintola  ;  e  più  che  era  capuccio 
e  mantello  con  molti  fresi  e  intagli  ;  il  becchetto  del  capuccio 
lungo  fino  a  terra ,  per  avolgere  al  capo  per  lo  freddo  ;  e  colle 
barbe  lunghe ,  per  moftrarf  pili  fieri  in  arme  .  /  Cavalieri  vefli- 
vano uno  forcotto  ,  0  vero  guarnacca  flretta  ,  ivi  fufo  cinti  ,  e 
le  punte  de'  manicottoli  lunghi  in  fino  in  terra  ,  foderati  di  Vaio 


e  Er 


VeNTESIMATERZA.  j2j 

^€  Ermellhii  *  ^efta  hiflrantan'x^  d'  abito  non  bello  ne  onejìo  fu 
àii  prefente  prefo  per  U  Giovani  diFiren7:e^  e  per  le  Doline  gio- 
vani di  difordinati  manicottoli  ,  come  per  natura  ftamo  difpofìi 
-noi  vani  Cittadini  alla  mutaT^ione  de  nuovi  abiti  ^  e  i  flrani  con" 
trafare ,  oltre  al  modo  dell'  altre  'Na'zioni ,  fcmpre  al  difonejìo  e 
vanitade,  Ag^iungafi  ciò,  che  fi  legge  in  un  MSro.  contenen- 
te un  Trattato  de  Generatioìie  aliquorum  Civium  Urbis  Pttducc 
tamNobilium^  quam  Ignobili um  ,  QiieU' Autore  Anonimo  pare 
che  fiorifle  prima  del  1400.  La  dilcorre  egli  dunque  cos'i  de' 
Coftumi  de' Padovani  :  Aìite  dominium  R-zerini  de  Komano^Ù* 
poft  aliquod  tempus  ,  ufque  duyn  Paduani  attingebant  annos  vi- 
giriti ,  incedebant  cum  capite  difcooperto.  Ho  io  intefo,  che  vec- 
chiamente fi  praticava  anche  in  Milano  quello  rito  fino  all' 
anno  dodicefimo  de' Fanciulli,  affinchè  s'induriflero  le  lor  te- 
Re  alle  inj^iurie  delle  ftagioni .  Seguita  a  parlare  quell'Anoni- 
mo :  At  ilio  finito  tempore  ifjfulas  &  Galeros  Forojuliano  more 
incipiebant  portare ,  aut  Capucia  cum  rojìris ,  ante  ?iaxonem  plus 
in  altitudinem ,  quam  ad  dcprejjlonem  tendentibus  .  Interulas  a 
lateribus  fcindi  faciebant  ,  &  diploides  ex  anteriori  parte  ^  tuni- 
cas  etiam  a  lateribus  fcijjas ,  &  a  parte  anteriori  .  Omnes  porta- 
bant  Epitogia  .  Pannos  vefìium  emebant  ,  quorum  brachium  ad 
plus  vigìuti  conjìabat  Solidis.  F amili am  pidcram  ^  bonos  equos^ 
&  arma  tenebant  co?ìtinuo .  Societates  filiorum  Nobilium  Padua- 
nce  Urbis  i?i  e  erti  s  feflorum  diebus  a  viris  Nobili  bus  hanc  inter- 
dum  pstebant  gratiam  ,  ut  fui s  convivia  facerent  Dominabus  :  qudS 
a  nullo  valenti  hnmins  7iegnbantur  facienda  ,  Atque  in  die  ifìorum 
Jic  ordinatorum  Conviviorum  ^  Nobiles  juvenes^  caujfa  ferviendi  ^ 
fuis  adhd^rebant  DoymnnhiiS  in  prandio  ^  aut  in  ccena ^  ad  domum 
unius  eorum  ob  prandtum  V'4  ccsnandum  veniebant  ,  ut  ordinave- 
rant  inter  fé  .  Et  cum  prandi derant  ,  vel  ccenavcrant ,  ibant  cho- 
refzjitum  cumeisdem  ^  autHafliludia  exercebant ,  Nobiles  illi  Viri 
Urbis  PaduancB  in  fuis  Villis  ubi  jurisdiHionem  habebant  ^  Curias 
pulcherrimas  faciebant .  In  diebus  fejìivis  fuper  campos  Paduanos^ 
propinquos  Civitati ,  dacentos  ,  aut  trecentos  Nobiles  juvenes  Equi- 
ria  facientes  inveniffes  ,  qui  propter  cafum  ab  equis  ,  aut  .... 
fé  Idodebant  multoties  .  Et  quia  amxna  loca  pojjidebant  ^  ^  P^JP' 
dent  ,  di^a  eft  Marchia  Amorofa  .  Quali  poi  foilero  1'  uianze 
Donnefche  ,  cel  fa  egli  fapere  con  quelle  altre  parole  :  Urbis 
PadudS  mulieres  ,  antcquam  de  potentia  E^erini  de  Romano  au- 
ferrstur^  &  forte  per  quindecim  annos  poft  ,  fuis  interulis  Jingulis 

Ss     2  giro- 


^24  Dissertazione 

gìroìies  f^cìebaìit.  Earum  tunias ^  & hominum  par'tter ^  fupev  fpa* 
tulas  crifpabantur ^  qu'tbus  Jìngulis  girofies  faciebant  ante  &  re- 
tro .  Sua  quoque  Epitogia  cum  Jìngulis  ordinabafitur  gironibus 
ante  &  retro ,  per  ante  os  flomachì  ,  &  aliquantulum  'infra  poji- 
tis.  Chalaynldes  tam  nupt<e  ^  qunmVìduata  ^  cum  crìfph  amplh 
v.nius  fem'tjjls  pojì  illarum  fcapulas  erant  ordì  flatus  .  Et  hai  Chla- 
vn'ides  gv<^jf^  dicebantur ^  quas  et'tam  hom'tnes  atatis  maturce  por- 
tabant  .  Tempore  riom'tnato  Domince  loco  pìgnolatorum  Cottam  de 
tela  lini  fubtilijjima  portabant . . .  Crijpata^  quarum  Jtngula  quin- 
quaginta  /vel  Jexagi^ita  brachi  a  contineba^u  ^  ut  requirebant  homi- 
7jum  facultntes  .  Nobiliores  infuper  muli  ere  s  ,  Jì  choream  aliquam 
faciebant  ante  dominium  Ezerini ,  7ion  fuijfet  aufus  aliquis  Po- 
pularis  illam  intrare ,  quia  jwvenes  Jilii  Nobilium  fuper  ipforum 
mas:illas  quam  citius  alapas  apponebant  .  Et  Jì  aliquis  Nobi- 
lium aliquam  Popularem  dtlex'tjfet  ,  non  duxijjet  illam  in  Do- 
minarum  choream  absque  gratia  ab  illis  pojìulata  .  Cosi  quell' 
Anonimo . 

Chiede  ora  udienza  Frate  Francefco  Pippino  dell'  Ordine 
de' Predicatori,  il  quale  nella  fua  Cronica  da  me  pubblicata,  e 
fcritta  circa  l'Anno  131 3.  dopo  avere  rapportato  tutto  il  paflb 
di  Ricobaldo  ,  forma  il  leguente  ritratto  de'  tempi  iuoi  .  INunc 
*vero  prcefenti  lafciviente  estate  multa  inhonejìa  funt  indurla  rebus 
prifcis  :  verum  plurima  ad  perniciem  animarum .  Mutata  ejì  enim 
parjìmonia  in  lautitiam  .  Vejìimenta  quoque  ynateria  &  artifìcio 
exquijìto  ,  nimioque  ornatu  cernuntur  .  Illic  arpeìitum  ,  aurum  , 
m ar garitte y  mire  fabricata  phrjgia  latijjtma  ,  fulciment a  njefìium 
ferie  a ,  'vel  Varia  ,  pellibus  exoticis  ,  idefì  peregrinis  ,  idejì  pre- 
tiojìs.  Irrit  ameni  a  guide  non  defunt .  Vina  peregri  fia  habentur.  Fe- 
re omnes  funt  potatores  in  publico  .  Obfonia  fumtuofa  ,  Forum  ma- 
gifìri  coquinarii  habentur  in  pretio  rnagno  .  Omnia  ad  Guidi  irri- 
t amenta  &  ambitionìs  quceruntur  .  Ut  his  fuppeditari  pojjit ,  ava- 
riti a  militat,  Hinc  ufur<e  ^  fraudes^  rapina:  ^  expil ationes  ^  prtsdiS  ^ 
rontentiones  Ì7i  Kepublica,  Feóìigalia  illicita  ^  innocentum  oppref- 
fiones ,  exterminia  Civium  ,  relegationes  locupletum  .  Verus  Deus 
ììojìer  efì  njcnter  nofìer .  Pompis ,  quibus  renuntintnmus  iìi  Bapùf- 
mo^  injìjìimus  ^  faBi  adeo  transfugne  ad  hoflem  generis  noflri ,  Be- 
ne autem  Seneca  morum  cultor^  Libro  Declamationum  Jìofìra  tem- 
pora  detejìatur  his  'verbis:  „  In  deterius  quotidie  res  dataelt;  om- 
„  ne  enim  certamen  ad  turpia.  Torpent  ecce  ingenia  defidiofa; 
,5  jiiventutis,  nec  in  alicujus  rei  honeftse  labore  vigilatur.  Som- 

,,  nus 


Ventesimaterza;  j25 

„  nns  Sclangnor,  ac  fomno  &  languore  turpior  malamm  rerum 
5,  indultria  invafit  animos.  Canrandi,  faltandi  quoque  obfcoena 
„  ftudia  eifeminatos  tenent  .  Capillum  frangere  ,  ad  muliebres 
„  blanditias  exrenuare  vocem  ,  mollitie  Corporis  cenare  cuni 
5,  Feminis  ,  &  immundiffimis  fé  excolere  monditiis,  noftroruiii 
„  adolelcentum  fpecimen  eli  "  .  Cos'i  il  Pippino  dell'  età  lua 
fcriveva.  Niun  Secolo  fu  mai  fenza  Vizj,  e  né  pure  fark.  Ognun 
sa,  quale  fia  il  noftro  .  Ma  più  abbondano  i  Vizj ,  dove  è  più 
LufTo  e  Ricchezza  .  Giovanni  Muffo,  che  circa  l'Anno  1388. 
compilò  la  Storia  di  Piacenza  da  me  data  alla  luce  ,  tenea  d' 
avanti  a  gli  occhi  le  parole  di  Ricobaldo  ,  e  le  giunte  del  Pip- 
pino .  Ora  anch'  egli  fi  prefe  la  cura  di  defcrivere  ,  fin  dove 
foffe  giunto  il  Luffo  a'fuoi  tempi,  e  quanta  mutazione  foffe  fe- 
guita  ne'coftumi,  fpezialmente  dipignendo  quei  de' Piacentini 
d'allora  .  Non  difpiacera  a  i  Lettori  di  ricevere  tutto  il  fuo 
benché  lungo  Ragionamento. 

De  MoYÌbus  Cinjium  Piacenti^?. 

„  Nunc  vero  in  pra^fenti  tempore  ,  fcilicet  Anno  Chrifli 
MCCCLXXXVIII.  fiunt  per  homines  &  Dominas  Placentia^ 
fumtuofiffimsB  expenffs  in  vi61u  8c  velìitu,  8c  in  omnibus  plus- 
quam  fieri  folet.  Nam  Domina  portant  indumenta  longa  & 
larga  de  veluto  ferico,  de  grana,  &  eie  panno  ferico  deaurato, 
&  de  panno  de  auro,  &  de  panno  ferico  tantum,  &  de  panno 
de  lana  fcarlata  de  grana,  &  depaonatio  de  grana,  &dealiis 
nobililTimis  drappis  de  lana.  Qui  drappi  de  grana,  vel  de  ve- 
luto, vel  de  auro,  vel  de  aurato  ,  vel  de  ferico  ,  conftant  prò 
uno  Cabano  ,  vel  Barillotto  ,  vel  Pellarda  ,  a  Florenis  XXV. 
auri  ,  ufque  in  Florenos  five  Ducatos  LX.  auri  .  Qjiìe  indu- 
menta fiunt  cum  manicis  largis  pertotum,  tamdefubtus,quaiTi 
defupra,  italongai,  qi^od  diól^  manicai  cooperiunt  mediani 
manum ,  &  aliqus  pendunt  uique  in  terram  aperta  exteriori 
tantum,  acuta;  de  iubtus  ad  modum  fcutiCatellani  longi,  qui 
fcutus  efl:  largus  defuper  8c  ll:ri6lus  &  acutus  de  Iubtus.  Et  fu- 
per  aliquibus  ex  di6ì;is  indumentis  ponuntur  a  tribus  ufque  in 
quinque  unciis  ptrrlarum,  valentibus  ufque  in  Florenos  X.  prò 
qualibet  uncia  .  Et  luper  aliquibus  ponuntur  frifia  magna  & 
larga  auri  circum  circa  collare  gul^  in  modum  maniferri,  quod 
ponitur  Canibus  circa  coUum  eorum.  Et  etiam  circum  circa  in 

,,  ex- 


^5 
V 

V 
» 

55 
55 

5> 


^20         Disserta  zione 

„  extremitate  manicarum  ,  &  circa  manicas ,  qux  funt  fubtus 
„  diéla  indumenta.  Et  portant  capucios  parvos  cum  frigiis  lar- 
,5  gis  de  auro,  vel  de  perlis  circum  circa  di6lum  capucium.  Et 
„  vadunt  cìnEìx  in  medio  pulcris  cinéloriis  de  argento  deaurato, 
„  &  de  perlis  valentibus  florenos  XXV.  auri  prò  qualibet  cin- 
5,  élura,  &  plus  &  minus;  &  aliquando  vadunt  non  cinfljE.  Et 
55  quìfilibet  Domina  communiter  habet  tot  annulos  &  varetas 
5,  cum  lapidibus  pretiofis  ,  quaj  valent  a  Florenis  XXX.  auri 
5,  ufqae  in  L.  Tamen  talia  indumenta  funthonefla,  quia  cum 
55  dièsis  indumentis  non  oftendunt  mamillas  .  Sed  habent  alia 
55  indumenta  inhonefta  ,  qua  vocantur  CiprianzE  ,  qua  funt 
55  largiffima  verfus  pedes,  &  a  medio  fupra  funt  ftrifta  cum 
35  manicis  longis  Se  largis,  lìcut  alia  pr2di£la  indumenta  5  & 
55  fimilis  valoris  ;  &  fuper  quibus  ponunt  fimilia  jocalia  ,  & 
55  fimilis  valoris.  Et  funt  impomelata  de  antea  a  gula  ufque 
55  in  terram  pomellis  argenti  deaurati  ,  vel  de  perlis  .  Qua 
55  Cipriano  habent  gulam  tam  magnam  ,  quod  ollendunt  ma- 
55  millas  ;  &  videtur  quod  di6ìx  mamilla  velint  exire  de  fmu 
55  earum.  Quii  habitus  eifet  pulcher  5  fi  non  ollenderent  ma- 
55  millas,  8c  gula  effent  fic  decenter  flrióla,  quod  ad  minus 
55  mamilla  ab  aliquibus  non  poiTent  videri  .  Et  etiam  òìEìx 
55  Domina  portant  in  capitibus  earum  jocalia  maximi  valoris. 
55  Videlicet  ahqua  portant  Coronas  de  argento  aureatq,  vel  de 
55  auro  puro  cum  perlis  &  lapidibus  pretiofis  ,  valoris  a  Flore- 
55  nis  LXX.  auri  ufque  in  C.  Et  aliqua  portant  terzoUas  de 
55  perlis  grofiis  valoris  Florenorum  C.  auri  ufque  in  CXXV. 
55  Et  aliqua  portant  fagiotas  de  perlis  valoris  Florenorum  L. 
55  ufque  in  C.  Q_ua  terzolla  vocantur  terzoUa,  quia  exCCC. 
35  perlis  grofiis  lunt  faéla,  &  quia  in  tribus  fìlzis  iunt  conllru- 
55  6ìx  &  ordinata  .  Et  etiam  dìEìx  Domina  prò  majori  parte 
,5  loco  trezarum  de  auro  vel  de  ferico  ,  quas  portare  folebant 
55  contextas,  feu  interzatas  in  capiìlis-capitis  earum  ,  nunc  por- 
55  tant  bugulos,  cum  aflalonis,  fi  ve  cordibus  fericis  vel  deau- 
55  ratis5  vel  cum  aftalonis  fericis  cocpertis  perlarum  .  Et  ali- 
„  qua  Domina  utuntur  manteills  ,  fve  chlamidibus  curris  , 
55  qua  cooperiunt  manus  tantum  5  foJratis  de  Zendalo,  vel  de 
55  vainis.  Et  etiam  utuntur  pulcris  fiizis  Pater  noder  de  Corallo 
5,  rubeo  ,  vel  de  Lambro  .  Matrona  ,  five  Domina  antiqua 
55  portant  nobile  mantum  ,  five  mantellum  largum  &  longum 
55  ufque  in  terram,  &  rotundum  verfus  terram,  &  crifpum  per 


w  to. 


Ventesimaterza.  ^27 

„  totum  ,  Se  apertum  de  antea  ufqiie  in  terram  .  Tamen  efl: 
5,  poniellatum  verfus  gulam  pomellis  argenti  deaurati,  vel  de 
,,  perlis  per  unam  Ipanam .  Et  fìunt  prò  majori  parte  cum  co- 
„  lare  .  Et  quslibet  Domina  habet  uique  in  tnbus  mantcliis 
„  ad  plus  ;  unum  de  biavo  ,  unum  de  paonacia  de  grana  ,  & 
„  alium  de  Zamelloto  undato ,  fodratos  de  zendali  cum  frixiis 
5,  aureis  ;  8c  aliqui  funt  fodrati  de  Variis  ,  &  aliquiE  quando- 
„  que  portant  Capucium  ,  &  aliqua:  non  .  Et  aliqus  quando- 
5,  que  portant  Capucium  ,  &  quandoque  non  ;  fed  portant  vel- 
„  los  de  feta,  vel  de  bambaxio  pulcros,  fubtiles,  &  albos.  Do- 
„  miniE  Vidus  portant  lìmilia  guarnimenta  :  tamen  omnia  de 
„  bruna  ,  &  fine  auro  8c  perlis ,  led  folum  cum  pomellis  di- 
„  Sii  panni  de  bruna  tantum  .  Et  utuntur  Capuciis  de  bru- 
„  na  ,  vel  vellis  albis  de  bambaxio  ,  vel  de  lino  ,  iubtilibus 
,,  &  albis. 

5,  Similiter  juvenes  homines  portant  Cabanos  ,  Barillotos  , 
^,  &  Pellardas  ,  longos  &  largos  ,  longas  &  largas  per  totum 
^,  ufque  in  terram  ,  &  cum  puichris  foraturis  peliarum  dome- 
^,  (licarum  8c  falvaticarum  ;  omnes  de  panno  tantum  ,  Se  ali- 
^j  quos  de  ferico  &:  veluto.  Qiise  indù  menta  coniUnt  a  Flore- 
^,  nis  XX.  auri  ufque  in  XXX.  Et  etiam  utuntur  mantellis 
5,  magnis  &  longis  ufque  in  terram  ;  &  etiam  utuntur  de  man- 
j,  tellis  curtis,  qui  tantum  cooperiunt  manuseorum.  Homines 
,,  antiqui  portant  fimilia  indumenta  ,  8c  Capucios  duplos  de 
„  panno  ,  &  defuper  dictos  Capucios  portant  Birettas  pulcras 
,,  de  grana,  non  textas,  non  futas,  led  fa6las  ad  acum  .  Iteni 
„  difli  juvenes  portant  alia  indumenta  curta  &  larga ,  &  alia 
„  curta  &  ftrifta,  &  (ìc  curta,  quod  oftendunt  medias  nates , 
„  fi  ve  naticas,  Se  membrum  Se  genitalia  :  falvo  quod  portant 
„  caligas  de  panno  ligatas  in  quinque  partibus  ad  Zuparellos 
„  curtos  &  ftriclos ,  quos  portant  de  lubtus  alia  indumenta  , 
„  qucE  cooperiunt  totas  nates ,  membrum  &  genitalia  cum  di- 
„  Ùìs  caligis .  Et  etiam  de  fubtus  habent  Zarabulas  lineas  ftri- 
„  étiffimas.  Nihilominus  oftendunt  formam  naticarum,  genita- 
„  lium  &  membri  .  Qux  indumenta  fic  ftrié^a  ,  aliqua  funt  de 
„  panno  lineo,  five  aliud  fupra  ;  &  fupra  aliqua  ex  eis  ponunt 
„  brodaturas  de  argento  ,  &  ferico  ;  &  aliqui  cum  perlis ,  Se 
„  aliqui  plus  ,  Se  aliqui  minus  .  Et  aliqua  ex  di6lis  indumentis 
„  funt  de  veluto  ,  vel  de  ferico  de  grana  ,  vel  de  alio  colore  , 
5,  vel  de  zamellotto  .  Et  dièta  indumenta  fic  curta  aliquantu- 

ium 


jzS  Dissertazione 

lum  funt  longa  de  retro,  &  de  antea,  quatn  agalono.  Et 
aliquando  cin61i  in  medio  luper  omnibus  di61is  indumentis , 
&  aliquando  non  .  Et  prò  majori  parte  non  portanr  Capu- 
cium  ,  falvo  quod  in  hyeme  ipfum  portant  .  Qui  Capucii 
funt  parviffimi  cumbecho,  quali  ufque  in  terram,  ita  quod 
omnes  videntur  effe  in  foza  ,  fic  lunt  parvi  dióti  Capucii , 
&  iìri6li  circum  circa  apud  iplos.  Tamen  non  lunt  in  foza. 
Caliga  portantur  folata  cum  Icarpis  albis ,  de  lubtus  diftas 
caligas  folatas,  &  in  xilate  Se  in  hyeme  ;  &  aliquando  por- 
tant fcarpas  &  caligas  folatas  cum  punflis  Jongis  unciarumi 
trium  ultra  pedem  lubtilibus.  Omnes  ahi  Cives  Piacenti^  tani 
feminiE  quani  maiculi,  ficut  lolebant  portare  Icarpas  &  cali- 
gas  folatas  fine  punta,  nunc  portant  cum  puntis  parvis:  qua; 
puntje  tam  long.^  ,  quam  parvjE  ,  lunt  piens  pilorum ,  five 
hiux  bovis.  Item  funt  plures  DominjE,  Se  homines  juvenes, 
qui  portant  ad  collum  torques  ,  fi  ve  circlos  argenteos  ,  fi  ve 
deauratos,  vel  de  perlis,  vci^de  corallis  rubeis.  Et  ctiam  di- 
£li  juvenes  portant  barbam  ralam  ,  Se  collum  a  mediis  auri- 
culis  infra,  Se  ab  inde  iupra  portant  Zazzaram  ,  fivecslaneni 
capillorum  magnam  &  rotundam  .  Et  aliqui  eorum  tenent 
unum  roncinum,  ve!  equum;  &  al  qui  tenent  uique  in  quin- 
que  equos  fecundum  poife  eorum  ;  &  aliqui  nuUum  tenent  . 
Et  illi  ,  qui  tenent  ab  uno  ronzino  fupra  ,  tenent  famuluni 
five  famulos  ,  qui  famuli  lucrantur  omni  anno  prò  quolibet 
eorum  prò  eorum  falario  ulque  in  Florenos  Xll.  aun  .  Pe- 
dilequaj  lucrantur  uique  in  Florenos  VII.  auri  quolibet  an- 
„  no  prò  qualibct  earurn  ,  &  habent  vi61um  ,  led  vellitum 
„  non*"'.  Si  oflervi  ,  che  quedo  Autore  non  dice  una  paro- 
la di  Carrozze  :  fegno  ,  che  non  fi  doveano  per  anche  ulare 
in  Piacenza. 

Lungo  è  quedo  racconto  ,  ma  curiofo  per  la  tanta  diffe- 
renza de'  cofìumi  di  allora  da  i  noftri  ,  che  a  niuno  increlcerk 
di  leggerlo,  fuorché  a  chi  non  intende  il  Latino.  Anzi  né  pu- 
re dilpiacera  d'mtendere  ciò,  che  Ci  praticava  in  que' tempi 
rilpetto  al  Vitto.  Si  può  anche  credere,  che  i'ufanza  de'  Pia- 
centini fi  (tendcffe  a  molte  altre  Citta  d'allora.  Cosi  dunque 
Icrive  il  Mufio  :  „  De  vi6ì:u  omnes  Cives  Piacentine  faciunt 
5,  mirabilia,  &  maxime  in  nuptiis,  &  conviviis,  quia  prò  ma- 
5,  Jori  parte  dant,  ut  infra  continetur.  Et  primo  dant  bona  vi- 
5j  na  alba&rubea,  beante  omnia  dant  confe6ì;um  zuchari.  Et 


V 
V 
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35 

55 


V  E  N  1  E  S  I  M  A  T  E  R  Z  A  .  51? 

'verìt  ^  nh  omiitum  peccai ontm  v'mculis  abfol'vatur .   Varia  fu   m 
alcuni  Luoghi  la  tafTa  de'  giorni  deftinati  a  quelle  corte  Paci  . 
PiiiConcilj,  e  Romani  Pontefici,  come  Urbano  li.   Palqualell. 
Innocenzo  1 1.  ed  altri  confermarono  eifa  Tregua  ,  e  con  pub- 
blico profitto  ,  perchè  almeno  in  que' giorni  la  matta  difcordia 
taceva,  potevano  quetamente  lavorare  gli  Artifti  e  contadini, 
e  per  li  viandanti  e  pellegrini  erano  ficure  le  ftrade  .    Ma  in 
Italia  dopo  la  meta  del  Secolo  XI.  inforte  le' guerre  fra  il  Sa- 
cerdozio e  l'Imperio,  per  cagion  d'effe  pare  che  peggiorafieio 
gli  affari  e  i  Collumi.  Non  è  qui  luogo  di  parlarne.  Succedet- 
te pofcia  in  afìai  Provincie  Italiane  una  nuova  forma  di  Go- 
verno ,    perchè  buona  parte  delle  Citta  fi  ereffero  in  Repub- 
blica ,  né  Iblamente  i  Nobili ,  ma  anche  i  Plebei  furono  am- 
meffi  al  pubblico  Reggimento  .  Ciò  avvenne  nel  Secolo  XII. 
e  molto  più  nel  fuffeguente  .  Ognun  crederebbe,  che  allora  gì' 
Italiani  col  benefizio  della  Liberta,  e  coli'uio  di   trattar  gran- 
di affari  ,  introduceffero  coftumi  più  regolati  e  più  civili  manie- 
re di  vivere  ;  tanto  più  perchè  cominciarono  in  que' tempi  ad 
alzare  il  capo  le  Lettere  ,    le  quali   han   forza  di  condurre  gli 
uomini  a  i  doveri  deli'  umanità  .    E  fenza  fallo  fi  levò  allora 
non  poco  della  ruggine  de'  Secoli  barbarici  .    Tuttavia  perchè 
faltò  fuori  la  ftrana  ubbriachezza  delle  Fazioni  Guelfa  e  Ghi- 
bellina ,  che  orride  fcene  fecero  nell'Italico  Teatro  :  non  è  da 
fìupire,   ie  la  fierezza  e  barbarie  continuarono  a  fguazzare  in 
quella  amena  parte  del  Mondo  .    In  qual  concetto  foffero  nel 
Secolo  XII.    i   Lombardi  preffo  San  Bernardo  fi   fcuopre  dall' 
Epiff.  155.  dove  prega  Innocenzo  II.   Papa  circa  l'Anno  11 35. 
di  non  creare  Vefcovo  in  Italia  un  Bernardo  Defportes  Franze- 
fe  .   Infolenùa  (  cosi  egli  fcrive  )  Lombardorum  ,  &  tnqu'tetudo 
eorum  cui  non  efl  nota  ?  nut  cut   mapjs  quam  'vobis  ?    ^ùd  pU' 
tnmus  ejfe  faHurum    juvenem  ,    'viribus  Corporis  frnBum  ,    C^ 
quieti  eremi  ajfuctum ,  i?i  Poptilo  barbaro ,  tumultuojo ,  procello- 
fo?  Nulla  meno  che  la  barbarie  attribuilce  a' Lombardi  il  San- 
to Abbate  ,  fenza  aver  avuto  bifogno  dell'  informazione  altrui 
per  conofcerli.  Emerita  ben  egli  più  credenza ,  che  un  altro 
Scrittore  ,  il  quale  fiori  alquanto  piìi  tardi  nel  Secolo  medefi- 
mo  ,  cioè  Giovanni  Sarisberienfe  ,  uomo  lepido  e  iatirico  ,  IH 
dove  narra  derifa  da'Franzefi  la  gente  Italiana,   quafichefof- 
lero  tanti  conigli  .    Ecco  le  fue  parole  nel  Lib.  I.  Cap.  4.  de 
Nug.  Curial.  Jtmilianos ,  &  Ligures  Calli  derident ,  dicentes  , 
Tomo  L  R  r  eos 


y^  Dissertazione 

eos  tejì amenta  coJificere^  lùàniam  convocare^  armorum  implora^ 
re  prdsfidìa  ,  ft  jìn'ibus  eorum  tejludo  immtueai:  ,  quam  oponeat 
oppugnart  .  E  pure  in  quello  (leffo  Secolo  fecero  vedere  ,  fé 
erano  si  o  no  figli  della  paura  nell'  aver  loftenuta  con  tanto 
vigore  la  guerra  contra  di  Federigo  I.  Augufto  ,  potentiffimo 
loro  nemico  .  Altrove  lo  fteffo  Sarisberienfe  chiama  i  Lombar- 
di pavctjjimos^  ne  avaros  dìcam  .  In  oltre  fecondo  lui  nel  lÀr 
bro  IV.  Gap.  ii.  un  Nobile  Piacentino,  uomo  di  fenno,  e  pra- 
tico del  Mondo  ,  predo  il  quale  effo  Scrittore  era  (lato  allog- 
giato, parlava  nella  feguente  maniera  :  Hoc  in  Ctvitatibus  Ita- 
licv  ufu  frequenti  celeberrimum  ejfe^  quod  dum  pacem  diligunt^ 
&  jujìitiam  colunt  ,  &  perjuriis  ahflinent  ,  tantce  libertatis  & 
pacis  gaudio  perfruuntur  ^  quod  ni h il  eft  omnino  ^  quod  vel  mim- 
ino quietem  eorum  concutiat .  ,^uum  njero  prolabuntur  ad  frau- 
des  ,  &  per  njarias  injujìitice  femitas  fcinduntur  in  femetipjìs  , 
Jìatim  vel  fajìum  Romanum ,  vel  furorem  Teutonicum  ,  aliudve 
flagelluìn  inducit  Domiuus  fupcr  eos.  Ma  di  parer  differente  fu 
ben  Jacopo  di  Vitry ,  che  nell' Anno  1220.  fcriveva  la  Storia 
di  Gerufalemme  .  Ora  egli  nel  Gap.  66,  dopo  aver  lodato  i 
Genove/i  ,  Veneziani  ,  e  Pi/ani  ,  come  gente  la  più  valorofa 
dell'altre  nelle  battaglie  di  mare,  feguita  a  parlare  cosi  :  Ho- 
ìmnes  Jiquidem  Italici  graviores  ,  &  maturi ,  &  prudentes  ,  & 
compojtti ,  i}2  cibo  parci ,  in  potu  fobrii ,  in  'verbis  ornati ,  & pro- 
lixi  j  in  confiliis  circuynfpeSli  ,  in  re  fua  pubi  te  a  procuranda  dì- 
ligentes  &  fludioft  ;  tenaces  ,  &  fibi  in  poflerum  providentes  , 
£iliis  Jubjici  renue?2tes^  ante  omnia  libertatem  ftbi  defendentes  , 
fub  uno  ,  quem  eligunt  ,  Capitaneo  Communitatis  fud-  jura  ,  & 
injlituta  CtiBantes^  Ò'  firmi  ter  obfervantes.  Terr^^  Sanóìa;  valde 
funt  necej] arii  non  folum  in  proci iando  ^  fed  in  navali  exercitio  , 
in  mercimoniis  ,  &  peregrinis  ,  &  vióiualibus  deportandis  .  Et 
quoniam  in  potu  ,  &  cibo  modefii  funt  ,  diutius  in  Orientali  re- 
gione vìvunt ,   quam   aliiS  Occidentales  regtones . 

Per  altro  elfendo  llati  nel  Secolo  XII.  e  XIII.  per  lo  più  gì' 
Italiani  in  guerre,  ed  allevati  nell'armi ,  nelle  fedizioni,  e  nel- 
le dii'cordie  civili,  non  farebbe  da  maravigliarfi ,  perchè  ne'lor 
coi  [unii  fi  foffe  tuttavia  confervato  del  fiero  e  del  felvaggio  . 
Ma  non  mi  fento  oja  voglia  di  accordarmi  con  Ricobaldo  Sto- 
rico  Ferrarefe  del  Secolo  XIII.  che  fui  fine  della  fua  Storia  ci 
rapprefenta  una  ftrana  ruftichezza  de'coftumi  de  gl'Italiani  del 
fuo  fìeflb  Secolo  si  neh' abitare  ,  che  nel  vitto  e  veflito.  Furo- 
no 


V  £  N  T  E  S  I  M  A  T  E  R  Z  A  .  jt5 

no  le  Tue  parole  prefe  per  un  Oracolo ,  e  le  ho  vedute  ripetute 
in  varie  Storie  MSte  di  chi  vifle  dopo  di  lui.  Tratta  egli  de 
rurìibus  in  Itoli  a  ,  e  parlando  di  Federigo  II.  Imperadore  circa 
l'Anno  1234.  fa  la  leguente  relazione,  lunga  si  ,  ma  che  non 
dilpiaceia  a  i  Lettori  di  udirla  intera.  Per  hujus^  die' egli,  Im- 
peratorìs  tempora  rudes  eraut  tu  ItnVta  rttus  Ò'  mores  .  Nam  vi- 
ri i'iifuhs  de  jquanìis  ferreis  capite  geflahant  ,  infutas  biretis  , 
quas  appeìlahaììt  Mnjatas  .  /;/  Ccenis  njir  &  uxor  ujia  manduca- 
barn  par  op fide .  Ufusinciforiorum  ligneorum  (Taglieri)  nonerant 
in  menfis  ;  unus  vcl  duo  fcyphi  in  f amili  a  erant ,  No6ie  ccenan- 
tes  lucernis  vel  facibus  illuminabant  menfas  ,  facem  tenente  uno 
puerorum  ve l  fervo  :  nam  candelarum  de  febo  ^  vel  de  cera  iifus 
9W?i  erat.  Viri  chlamydibus  pelliceis  ftne  operimento  ,  vel  laneis 
ft'fie  pellibus^  &  infulis  de  Mignolato  utebantur,  Mulieres  tunicis 
de  Pignolato  :  etiam  quando  veniebant  ad  nuptias  viris  fuislcon- 
Jugatce.  Viles  tunc  erant  cultus  virorum  ^  &  mulierum  .  y^urum 
&  argentum  rarum  vel  nullum  erat  in  veftibus  ;  parcus  quoque 
erat  viHus  .  Plebeii  homines  ter  in  feptimana  car?iibus  recentibus 
vefcebantur .  Tunc  prandio  edebant  olerà  coHa  carnibm  .  Coenam 
autem  ducebant  ipjìs  carnibus  frigidis  refervatis.  Non  omnibus  erat 
lifus  vini  ceftate  ;  modica  denariorum  fumma  fé  locupletes  habebant , 
Parvoi  tunc  erant  cellae  vinaria  .  Horrea  non  ampia  ^  promptuariis 
contenti .  Modica  dote  nubebant  femina  ,  quod  earum  cultus  erat 
parcijjtmus  .  Virgines  in  domibus  patrum  tunica  de  Pignolato  , 
qua  appellatur  Sotanum  ,  &  paludamento  lineo  ,  quod  dicebant 
'K.occam  ,  erant  contenta .  Ornatus  capitis  non  pretiofus  erat  Virgi- 
nibus  ,  atque  Nuptis  .  Conjugata  latis  vittis  tempora  ,  &  genas 
vittabant,  Virorum  tunc  gloria  effe  in  armis  &  equis  commodos. 
Nobilium  locupletum  erat  gloria  Turres  habere  :  quo  tempore  Ur- 
bes  Italia  Jtngula  multis  Turribus  inclita  vifebantur  .  Cosi  Ri- 
cobaldo,  al  quale,  fé  defcrive  i  Contadini  del  Ferrarefe,  fi  può 
dar  ragione  ,  ma  non  già  s'egli  intende  di  favellare  delle  perio- 
ne  civili  e  nobili  di  quel  tempo,  perchè  narra  cole  incredibili. 
Prima  di  quel  tempo  vien  riprovato  da  San  Pier  Damiano  il 
Luflb  ne  gli  Ecclefiaftici  :  vogliamo  noi  credere,  che  ne  foffero 
fenza  i  Secolari?  Sono  due  parole  le  feguenti,  tratte  dall' Opu- 
fc.  31.  Cap.d.  dove  parla  de' Cardinali  e  Veicovi  del  fuo  tem- 
po .  Ditari  cupiunt  ,  ut  turrita  dapihus  lances  Indica  pigmenta 
redole ant  ;  ut  in  chryfiallinis  vafculis  adulterata  mille  vina  flave- 
fcant  ;  ut  quocumque  deveniunt  ^  praflo  cubiculum  operojìs  &  mtra- 

R  r     2  bili  ter 


^i6  Dissertazione 

hiltter  textìs  cortìnarum  phaleris ,  ìnduatit .  Sìcqus  partetes  do- 
ìnus  ah  oculis  intue/ìtium  tamquam  fepclie?idum  cadaver  obvol- 
vant .  Mox  etìam  tnpeth  prodi gtojctsìmagtnes  praeferentìbus  [edi- 
li a  flernu-iìt ;  per'ipetafmata  laquearìhus  ,  ne  quid  occlduum  de- 
lahatUT  ,  oppo7ìu?2t ,  Dónde  clìentum  turba  dìvidìtur  .  Aìù  Ji- 
quidem  Domino  fuo  rcvereìiter  aj]tjìi>nt  ^  nutf.mque  e/us^  Ji  quid 
forte  juheatur  ,  curioja  nimis  ,  njelut  rimatores  Jìderum  ,  obfer" 
'uatione  cuflodiunt .  Aggiugne  più  altre  cofe ,  tra  le  quali  Icel- 
go  folamente  le  feguenti  :  Non  dijjimilis  &  illa  creditur  effe 
dementia  ,  durn  leBidus  tam  operojìs  decujfatur  impendiis  ,  ift 
ornamentum  facrofanHi  cujuslibct  ,  njel  etiam  ipjlus  Apoflolict  , 
pracedat  Jlltaris  &c.  Hoc  ergo  modo  quum  fohrietas  foleat  com- 
mendare Pontijices^  ^ff^^f^^  nuìic  opibus  faóìi  Junt  helluones.  Ke- 
galis  itaque  purpura^  quia  uni  col  or  e ft  ^  njilipenditur  ;  pallia  "je- 
ro  diverjis  fucata  niioribus  ad  fublimis  IcHuli  dsputantur  orna' 
tum .  Et  quum  domejìici  murices  ììojìris  afpeHibus  fordeant ,  trans- 
mariììorum  pelles  ^  quia  magno  pretio  coemuntur  ^  oùleùìant,  Ovium 
itaque  Jimul  &  agnorimi  dejptciuntur  exwvice  .  Ermelini  ,  Ge- 
bellini^  Martorss  exquiruntur^  &  Vulpes  &c*  Toedet  cet era  va- 
nitati s  attexere  y  7ìon  ridcnda  ^  fed  gemenda  ridicula.  Fafìidium 
ejì  ,  tot  ambittonis  ac  prodigiofce  vefaniiS  dinumerare  portenta  . 
Papales  fcilicet  infulas^  gemmis  micantibus^  aureisque  braBeolis 
per  diverfa  loca  corruptas  .  Imperiales  equos  ,  qui  dum  pernices 
grejfus  arcuatis  cervicibus  glomerant ,  fejforis  fui  manus  loris  in- 
77exas^  indonnita  ferocitate  fatigant .  Omitto  anulos  enormibus  ad' 
hibitos  margaritis  .  Pratereo  virgas  ?ion  jam  amo  gemmisque 
confpicuas  ,  fed  fepultas  .  Numquam  certe  vidijfe  me  memini 
Pontifìcales  baculos  tam  continuo  radiantis  m.etalli  nitore  conte- 
Bos  ,  ftcut  erant  qui  ab  Efculano  atque  Xranenjì  gejìabantitr 
Epifcopis . 

Ora  fé  i  Prelati  Ecclefiaftici  sì  forte  sfoggiavano  nel  LufTo, 
vogliamo  noi  credere,  che  fofìfero  da  meno  i  Principi  e  Gran- 
di del  Secolo  ?  Veggafi  ciò  che  fcrive  Donizone  nel  Libro  I. 
Gap.  p.  delie  Nozze  di  Bonifazio Marcheie,  e  di  Beatrice,  po- 
fcia  Genitori  della  Conteffa  Matilda  .  Anzi  fui  principio  del 
Secolo  X.  in  cui  da  un  Anonimo  fu  com polio  il  Panegirico  di 
Berengario  I.  Augufto  ,  noi  troviamo  gi'  Italiani  anche  allora 
vaghi  àtì  LulTo  e  della  buona  tavola  .  Introduce  egli  un  Fran- 
zefe,  che  fi  fa  beffe  degl'Italiani  colle  feguenti  parole  : 

§uid 


Ventesim  a  terza.;  JI7 

.     -     -     -     ^uid  hiertta  bello 
Pepiera ,  Ubertus  ah ,  durìs  prcstendhìs  armis  3 
O  Itiili  ?  Potius  njobis  facra  poetila  cordi  ^ 
Sapius  &  flomachum  nìtìdn  laxarc  faginìsj 
Elatasque  Domos  rutilo  fulcire  metallo. 

Ecco  gì'  Italiani  di  que'  tempi  dilettanti  delle  gozzoviglie  ,  e 
fnpi^rbi  per  la  magnificenza  e  ricchezza  delle  lor  Gaie  .  All' 
incontro  cos'i  dipigne  i  Franzefi 

Non  eadem  G/illos  Jimtlis  njel  cura  remordet  ^ 
Vici?iiis  quibus  eft  Jìudium   de'vincere  terras^ 
DeprffJJumque  larem  fpoliis  hmc  inde  coaHis 
Sujìcntare     -     -     -     - 

La  bella  gloria  de' Franzefi  di  allora  confifteva  in  tempre  voler 
ingoiare  i  vicini,  in  aver  cafe  balle ,  e  qiiefte  folamente  adob- 
bate  coir  armi  tolte  a  i  nemici  .  Odafi  ora  ciò,  che  laiciò  Icrit- 
to  il  fopramentovato  Giovanni Sarisberienfe  nel  Lib.VIII.  Cap.7. 
nel  defcrivere  il  convito  dato  da  una  ricca  periona  di  Puglia  , 
al  quale  anch'  elTo  intervenne  .  H(sc  ,  die'  egli  ,  Coena  ab  bora 
dici  7io7ìa  fere  ufque  ad  duodecima?n  noólis  ,  &  hoc  quidem  tem- 
pore (Sque  diali ,  protrala  efì  .  In  hanc  Qanujinus  hojpes  Qonjìan" 
timpolitanas ,  Babj/lonicas  ,  Alexandrinas  ,  Paleftinas  ,  Tripoli- 
tanas  &c,  congejjit  delictas  ;  ac  fi  Sicilia  ,  Calabria  ,  Apulia  , 
Campani aque  7ìon  juffìciant  convivturn  injìruere  delicatum  .  Co- 
pi am  rerum  ,  fedulitatem  obfequti  ,  minijìerii  dijciplinam  ,  urba- 
nitatem  hojpitis  plenius  Ò'  melius  referet  Johannes  Thefaurarius 
Eboraci  ;  nam  &  ipfe  interfuit .  Non  in  Roma  ,  non  da  un  Prin- 
cipe fatto  fu  quel  Convito,  ma  da  una  privata  perfona  ,  e  in 
Canola.  Voglio,  che  il  Sarisberienle  fecondo  il  fuo  (lile  abbia 
efaggerato;  ma  certamente  fi  dee  credere  luntuofà  quella  Cena. 
Come  dunque  Ricobaldo  ci  vien  contando  tanta  mefchinita  e 
rozzezza  de  gl'Italiani  d'allora  ?  Né  so  io ,  a  chi  egli  fperi  di 
persuadere,  che  prima  de' tempi  di  Federigo  II.  gl'Italiani  ce- 
naflero  al  lume  delle  lucerne,  o  di  fiaccole  acceie,  facem  tenente 
uno  puerorum  vel  jernjo  ;  nam  candelnbrum  de  febo  vel  de  cera  ufus 
non  erat  .  Appreflb  F  antico  Columella  noi  troviamo  Candelai 
Sebare  ^  e  Sevare  ;  preifo  Ammiano  Marcellino  all' Anno  3557. 
Jebalem  facem  .  Apuleio  nel  Lib.  IV.  M'Jtamorph.  Tadis  y  dice, 
lucernis  j  cereis^  febaceis-^  Ù'  ceteris  noHurni  luminis  ifijìrumentis^ 

cld' 


318  Dissertazione 

cìarefcunt  tenebrie  ,  Che  l'ufo  di  tali  candele  fi  fofie  perduto, 
non  fi  può  credere  ;  e  certamente  non  mancavano  mai  alleChie- 
fe  quelle  di  cera.  Laonde  non  di  perfone  civili,  ma  della. ciur- 
ma del  volgo  dovette  parlare  Ricobaldo  in  raccontando  quelle 
ufanze  di  tanta  povertà  .  Veggafi  poi  qui  fotto  il  Gap.  XXV. 
dove  tratteremo  della  maniera  divenire  de  gli  Antichi.  Furo- 
no anche  allora  in  ufo  le  nobili  e  preziofe  vefti  .  Baftera  qui 
di  rapportare  ciò  ,  che  ha  Landolfo  juniore  Storico  Milanefe  , 
in  parlando  di  GrolTolano  Vicario  Generale  dell' Arcivefcovo  di 
Milano  nell' Anno  if  00.  Affettava  cofl ni  afperttnttm 'vejìttus& 
ahi;  ma  il  Prete  Liprando  l'andava  configliando,  ut  borrì dam 
coppam  exuerep  ,  &  coìivenìenteììì  tanto  Vicario  indueret  .  Non 
volea  intendere  GrOiTolano  ,  replicando  fempre  ,  che  s'avea  a 
fprezzare  il  Mondo  .  E  Liprando  :  ^uum  fpsrnts  Mundum  ,  ri- 
ipondeva  ,  cur  venifii  hi  Mundum  ?  En  Cìnjitas  ijla  fuo  more 
utitur  pelltbus  ^aviis  ,  Grixis  ,  Marturìnis  ,  &  ceteris  Pretiojìs 
Orna'ment'ts  ,  (ìT  Clb'is  .  Turpe  quidem  crtt  nobìs  ,  quum  ad'ven<s 
&  persgr'tm  vìderìnt  te  hìfpidum  &  pannofum  .  Or  dica  quanto 
vuole  Ricobaldo  dell' eftrema  parfimonia  e  rozzezza  degl'Ita- 
liani del  Secolo  XIII.  quando  noi  troviamo  ben  differente  il  vi- 
vere nel  Secolo  precedente  .  Né  vo'  che  mi  fcappi  dalle  mani 
una  contro  verfia  agitata  nell'Anno  114^.  fra  i  Monaci  e  Cano- 
nici di  Santo  Ambrofio  di  Milano,  il  cui  Documento  è  rappor- 
tato dal  Puricelli  ne'Monum.  Bafil.  Ambrof.  pag.702.  Preten- 
devano i  Canonici  ,  che  andando  e(Il  a  defmar  coli'  Abbate  , 
dovea  avere  nove  diverfe  vivande  (  vedete  che  belle  liti  di 
que'  tempi)  in  tre  portate  .  In  prima  appofizione  Pullos frìgi- 
dos^  Gambas  de  vino  (  che  manicaretto  foffe  quefto  noi  so  dire, 
potrebbe  effere  lo  Zambaione  Milanefe  )  &  Carnem  porcinam 
frìgi  dam.  In  fecunda^  Puìlos  plenos^  Carnem  vaccinam  cum  Pi- 
perata^  &Turtellam  de  Lave-^^lo .  In  tertiaPullos  rojììdos-^  Lom- 
holos  cum  Panìtio  ,  &  Porcellos  plenos  .  Il  Pontefice  Pafquale  II. 
nel  Sinodo  di  Benevento  dell'Anno  1 108.  Veftimenta  Stxcularia  , 
&  Preciofa  in  Clericis  reprobavit  ,  &  talibus  uti  interdixìt ,  co- 
me s'ha  da  Pietro  Diacono  nel  Lib. IV,  Cap.  33.  dellaCronica 
Cafmenfe. 

NuLLADiMENo  affinchè  non  vada  affatto  per  terra  l'autori- 
tà di  Ricobaldo,  s'ha  da  fupporre  ,  ch'egli  unicamente  par- 
laffe   della  Plebe,  o  del  baffo  Popolo ,  il  quale  conferva  va  i  fuoi 
ufi,   e  fi  regolava  a  tenore  della  propria  povertà.  Le  Citta  an- 
cora 


Ventesima  TERZA.  5ip 

Cora  e  i  Popoli  ,  che  non  fentivano  odore  di  Corte  ,  probabil- 
mente non  conofcevano  quel  ladro  del  Luflb  .  Anche  ovoidi 
parlate  co  i  Vecchioni  ,  e  con  chi  ha  udito  parlare  i  luoi  Vec- 
chi, vi  diranno  effere  fiata  al  tempo  de' nollri  Avoli  altra  fo- 
brieta  e  moderazione  di  cortami,  divelli,  di  carrozze,  di  ban- 
chetti, e  di  fìmili  cofe,  che  oggidì.  Al  tempo  anche  di  Rico- 
baldo  dovette  feguire  non  lieve  mutazione  di  vivere  .  Ne  ri- 
parleremo ai  Gap.  XXV.  Intanto  merita  d' efìfere  faputo  ,  co- 
me fé  la  paiTaiTe  il  Popolo  Romano  nell'Anno  I2d8.  in  cui  fu 
da  elfi  fatto  un  folenne  accoglimento  a  Corradino  Principe,  in- 
camminato contra  di  Carlo  I.  Re  di  SiciHa.  E^  defcritta  quel- 
la feda  da  Saba  Malafpina  Lib.IV.  Hill,  nella  forma  feguente: 
Tripudi antlum  milimm  agmina  vejlium  pretiofrirum ,  diverforum- 
que  colormn  defuper  arma  njarius  habitus  dijìinguebat  (  cioè  la  fo- 
pravefle  )  .  ^uodqve  magnum  ejì  ,  &  auditu  mirabile  ,  mulie- 
rum  choreiS  ludernium  intra  Urbem  in  Cfmbalis^  Ò^  Tfmpanis^ 
Lituis  &  Violis  ,  &  in  omjii  mujtcorum  genere  conànunt  ,  Vo- 
lentesque  jucirum  pretiofarum  rerum  abundantiam  ^  quam  plerum- 
que  fequitur  'voluptas ,  oflendere ,  de  domo  in  domum  iìi  oppoji- 
tum  confifìcritem  ,  jaHatis  ad  modum  arcus  aut  pontis  ,  chordis 
&funibus^  'vias  medias  dejuper^  non  lauro  ^  non  ramis  arboreisy 
jed  caris  'vejìibus^  Ò'  pellibus  'variis  (  cioè  preziofe,  onde  il  no- 
me Va/o  )  velavsrunt ,  fufpenfts  ad  chordas  Jìrophceis  ,  jìeBis  , 
dextrocheriis^  prifcelidibus  ^  arbitris^  grammatis  (  credo  qui  gua- 
lli  i  nomi  )  armillis^  frijtis  ^  &  d ili er forum  ac  pretioforum  annw 
lorum  appenjìone  ,  diadematum  etiam^  &  fibularum  ^  feu  moni- 
lium^  in  quibus  gemmts  fulgenttjjìmdd  rclucebant  ^  burjìs  jericis^ 
cultris  teBis  de  fiancavo  ,  famito ,  byjfo  ,  &  purpura  ,  cortinis  , 
tovaliis  ,  &  linteaminibus  contextis  auro  ,  Jìricoque  per  totum  , 
ju7t6ìis  'oelis^  &  palliis  deauratis  y  qucc  doHi/s  opifex  citra  &  ul- 
tra mare  de  diverfa  &  operofa  materia  ,  caraque  fìruxerat .  Non 
era  già  s\  grande  apparato  di  ornamenti  entrato  di  frefco  in 
Roma;  da  molti  Secoli  quivi  albergava  l'opulenza,  cioè  la  ma- 
dre del  LufTo .  Ma  in  altre  Citta  d'Italia,  condennate  aduna 
baila  fortuna,  fomiglianti  pompe  fi  cercavano  indarno.  Intan- 
to non  pare  lontano  dal  verifimile  l'immaginare  ,  che  contri- 
buide  non  poco  al  cambiamento  de'  coftiimi  in  Italia  ,  e  all' 
introduzione  del  LufTo,  la  venuta  de' Franzefì  nel  Regno  di  Na- 
poli e  Sicilia  col  fuddetto  Re  Carlo  I.  Conte  di  Provenza.  Traffe 
egli  feco  migliaia  affaiflime  de'iuoi  Nazionali;  molto  maggior 

nume- 


320  Dissertazione 

numero  ne  tirò  por  la  fua  fortuna  .  Anche  allora  più  galanti 
e  dediti  al  Lu(To  i  Franzefi  .  Fino  Strabone  nel  Lib.  IV.  appel- 
lò quella  Nazione  amante  de  gli  ornamenti^  e  Ammiano  Mar- 
cellino nel  Secolo  IV.  fcriveva  de'  Popoli  della  Gallia  :  Terjl 
pari  diligenti  a  cu?i6li  &  mucidi  ;  nec  in  traftibus  illis  y  ìnaxime- 
que  cipud  Aquitanos  ,  poterit  aliquis  'videri  ,  n:el  jemina  ,  licet 
perquam  panper^  ut  alibi  ,  frujìis  fqualere  pannorum  .  A  tutta 
prima  i  buoni  Italiani  con  iftupore  miravano  que'  si  puliti  e 
leggiadri  ftranieri  ;  e  poi  (  cola  ben  facile  )  fi  rivoirero  ad  imi- 
tarli :  giacché  i  vizj  dolci  incantano ,  né  v'Habilogno  di  gran- 
di efortazioni  per  guadagnarfi  la  grazia  delle  perfone  .  Certa- 
inente  allorché  il  Re  Carlo  e  la  Regina  Beatrice  fua  Moglie  5 
fecero  nel  1266.  la  loro  entrata  in  Napoli  ,  per  ientimento 
dell'Autore  di  un  Giornale  da  me  dato  alla  luce,  quel  Popolo 
andò  come  in  eftafi,  mirando  quattrocento  uomini  d' arme  Fran- 
"^fì  ^JI^^  /'^^2<?  addobbati  di  fopravejìe  e  pennacchi ,  e  una  bella 
Compagnia  di  Frefoni  pure  con  belle  divife  .  Poi  pih  di  fejjanta 
Signori  FrauT^fi  con  grojfe  catene  d' oro  al  collo  •  e  la  Reina  co?t 
la  carretta  coperta  di  'veluto  celeftro  ,  e  tutta  di  Jopra  e  dentro  fat- 
ta con  Gigli  d' oro  ,  tale  che  a  vita  mia  non  vidi  la  più  bella  vi- 
fta.  Penfo  io  5  che  rare  prima  foffero  le  Carrozze  per  le  Don- 
ne, più  rare  per  gli  Uomini  :  fi  andava  allora  a  cavallo.  Ro- 
landino  nel  Libro  IV.  Cap.p.  della  Cronica  notò,  che  venuto 
a  Padova  nell'Anno  123^.  Federigo  IL  Imperadore  ,  tutto  il 
Popolo  gli  andò  incontro  ;  ed  altrettanto  fecero  multce  Domi- 
n^  ,  pulchritudine  &  pretiojts  veftibus  refulgentes  ,  fedentes  in 
phaleratis  &  aynbulantibus  palajredis  . 

Certamente  prima  de' tempi  d' effo  Federigo  fi  didingue- 
vano  i  Nobili  dell'uno  e  dell'altro  fello  dal  baffo  Popolo  nel 
trattamento  della  Tavola,  delle  velli  ,  de' fervi,  de' cavalli  ,  e 
in  altre  guife  ;  ma  non  perciò  conofcevano,  e  molto  men  pra- 
ticavano il  Luffo  ,  che  poi  fu  introdotto  da  i  Franzefi  ;  Occo- 
me  è'  a'  miei  dì  avvenuto,  perché  la  lor  venuta  in  Italia  ha 
qui  lafciato  delle  ufanze,  le  quali  bene  farebbe,  che  non  avei- 
fimo  mai  conofciuto.  Ora  in  ajuto  di  Ricobaldo  io  vo' far  ve- 
nire un  Campione  de' medefimi  tempi,  che  quafi  tiene  il  me- 
defimo  linguaggio .  Egli  è  Dante  Alighieri ,  da  cui  nel  Canto  XV, 
del  Paradilò  fi  fa  parlare  Cacciaguida  uno  de'fuoi  Antenati  col- 
le parole  feguenti  : 

Fio- 


Ventesimaterza^  J29 

prò  prima  imbanditione  dant  duos  cappones,  vel  unum  cap- 
pontm,  &  unam    magnam  petiam   carnis  prò  quolibet  tajore 
ad  lumeriam   fabiani   de  amandolis  &  zucharo ,  &  aliis  bonis 
Ipecicbus  &  rebus.   Pollea  dant  carnes  aflatas  in  magna  quan- 
tirate,  Icilicet  capponum,  puUorum,  taxianorum,  perdricum, 
leporum,  zengialorum,  Sccapriolorum  ,  &  aliarum  carnium  , 
lecundum   quod  tempore  anni  currunt.   Pollea  dant  turtas,  & 
zoncatas  cum  trazea  zuchari  de  lupra  .    Poltea  dant  fluges  . 
Poliea,  lotis  prius  manibus,  antequam  tabulai  leventur,  dant 
bibere,  &  confc6ìum   de  zucharo  ,  &  poltea  bibere  .    Et  ali- 
qui  loco  rurtarum  &  zoncarum  dant  in  principio  prandii  tur- 
tas, quas  appellant  tartas,  faétas  de  ovibus,   &  caxeo,  &  la- 
Re  ,  &  zucharo  iuper  diflas  tartas  in  bona  quantitate .  In  coenis 
dant  inhyeme  zelatinam  ialvatizinarum ,  &  capponum,  &  gal- 
linarum,  &  vitelli,  vel  zelatinam  pilcium  .   Et  poli:  affatum  de 
capponibus,  &  vitello.   Etpolt,  fìuges.   Et  po(t  lotismanibus, 
antequam  tabulai  leventar,  dant  bibere,  &  con  fé  61:  luti  zuchari- 
&po(t:,  bibere.   In  geliate  m  coenis  dant  zelariam  deoallinis  & 
capponibus,  vitelli  &  capredi,   &  carnium  porci  &  pullorrm, 
vel  zelariam  pilcium.   Et  poli: ,  alTàtum  pullorum,  capredrm, 
vitelli,  vclpaveri,   velanctris,   vel  aliarum  rerum  ,  lecundum 
quod  tempora  currunt;  &:pofl:,  bibere.   Secundadie  innuptiis 
dant  primo  longotos  de  palla  cum  caxeo  &  croco ,  8c  zibibo  & 
Ipeciebus.  Et  poli,  carnes  vituli  afiatas;  8c  poft, fluges;  &  poft, 
lotis  manibus ,  antequam  tabuL'E  leventur,  dant  b; bere,  &con- 
fe6lum  zuchari;   Scpoft,  dant  bibere.   In  coenis  omnes  va  kint 
addomos  eorum  ,  quianuptis  fimtje  lunt.  Tempore  Q_u ad raoe- 
fimsdant  primo b; bere, &  conte6ì:um  zuchari ;&  polì:, bibere ;& 
poli  ficus  cum  amygdalis  pelatis;  8c  poli  piicesgroflosad  pipera- 
tam  ;  &  poli  meneftram  nfi  cum  Ia6le  amygdalarum  ,  &  zucharo, 
&  Ipeciebus,  &cum  anguillislalfis.  Et  poit  prisdi6ia  dant  pilces 
Lucios  affatos  cum  ialia  de  aceto,  vel  lenapi  cum  vino  co6ìo, 
&fpeciebus;  &  poli ,  dant nuces;  &  polt ,  dant  alias  fluges.  Et 
poli,  lotis  prius  manibus,  antequam  tabula  leventur,  dantbi- 
„  bere ,  &  confeclum  zuchari ,  8c  poli  bibere  .  Homines  PlacenticG 
„   ad  prsfens  vivunt  fplendide,  &  ordinate,  &  nitide  in  domibus 
„  eorum  pulcrioribus  ,  &  melioribus  arnixiis  &  vaiellamentis , 
„   quam  folebant  afeptuaginta  annis retro,  Icilicet  abAnnoChri- 
„  iti  MCCCXX.  retro.  Et  habent  pulcriores  habitationes,  quam 
5)  rune  habebant,  quia  in  didis  eorum  domibus  iunt  pulcrx  camerae 
Tomo  L  T  t  „  3c  ca- 


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5]o  Dissertazione 

&c  ca minata  5  bora,  curtaricia,  putei,  hortuli,  jardini ,  & 
folaria  prò  majori  parte  .  Et  funt  plures  camini  ab  igne  & 
fumo  in  una  domo ,  in  quibus  domibus  di6lo  tempore  nullum 
folebat  effe  caminum  ;  quia  tunc  faciebant  unum  ignem  tan- 
tum in  medio  domus  lub  cupis  te61:i ,  &  omnes  de  di<^ì:a  do- 
mo ftabant  circum  circa  diólum  ignem ,  &  ibi  fiebat  coqui- 
na  .  Et  vidi  meo  tempore  in  pluribus  domibus  ;  &  non  ha- 
bebant  puteos  in  òìEiìs  eorum  domibus ,  vel  quafi  nullos , 
&  panca  folaria  &  curtaricia  .  Et  utuntur  communiter  om- 
nes Cives  Piacentice  vinis  melioribus  ,  quam  antiqui  non 
faciebant. 

„  Modus  edendi  prò  majori  parte  hominum  Piacenti^  eli, 
quod  ad  primam  tabulam  comedit  Dominus  domus  cum  Uxo- 
re  &  filiis  in  caminata  ,  vel  in  camera  ad  unum  ignem  ;  & 
familia  comedit  pofl  eos  in  alia  parte  ad  alium  ignem  ,  vel 
in  coquina  prò  majori  parte  .  Et  duo  comedunt  fupcr  uno  ta- 
jore.  Et  quilibet  habet  menedram  fuam,  &  unum  majoluni 
vel  duos  vitri  prò  fé  ,  unum  prò  vino  ,  Se  alium  prò  aqua  . 
Et  plures  iunt  ,  qui  fé  faciunt  fervire  a  famulis  fuis  ,  cum 
cultellis  magnis  a  tabula  ,  8c  cum  eis  incidere  carnes ,  &  alia 
coram  eis  ad  di6ì:am  tabulam  .  Et  antequam  di6ì:i  Domini  fint 
alTetati  ad  tabulam  ,  dant  eis  aquam  cum  bacino  &  bronzi- 
no ;  &  pofl:  prandium  &  poft  coenam  iterum  antequam  tabu- 
la levetur  dant  eis  aquam  ,  &  iterum  lavant  manus  eorum  - 
Arnixia,  quibus  nunc  utuntur  in  domibus  di6ì:oruni  Civium 
Placentiaj,  quaj  a  paucisfolebant  uri  adi6ì:o  AnnoMCCCXXX. 
retro,  funt  nunc  prò  uno  duodecim  .  Et  hoc  e  ventura  eft 
a  Mercatoribus  Piacenti^,  qui  utuntur  vel  utebantur  in  Fran- 
cia, in  Flandria,  ac  etiam  in  Hifpania.  Et  primo  commu- 
niter utuntur  tabulis  largis  unciarum  XVIII.  qux  non  fo- 
„  lebant  effe  larghe  nifi  uncia^  XII.  Et  utuntur  guardenapis , 
„  qux  a  paucis  utebantur  .  Et  utuntur  taciis  ,  cugiariis  ,  Se 
„  forcellis  argenti;  &  utuntur  fcudellis  &  fcudellinis  de  petra, 
„  &  curtellis  magnis  a  tabula,  &  bronzinis,  &  bacinis,  &  far- 
„  ziis  magnis  &  parvis  a  le61:is,  &  cortinis  de  tela  circum  circa 
5,  di6la  le6la  ;  &  etiam  banderiis  de  araffa  ,  &  candileriis  de 
„  bronzo  ,  vel  de  ferro  ,  8c  torciis  fi  ve  brandonis  ,  &  candelis 
„  de  cera  ,  &  etiam  candelis  de  febo,  &  aliis  pulcris  arnixiis  8c 
5,  vafellis  &  vafellamcntis.  Et  multi  faciunt  duos  ignes,  unum 
,5  in  caminata ,  &  alium  in  coquina  ,  vel  in  camera  loco  ca- 

mina- 


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V  E  N  T  E  S  I  M  A  T  E  R  Z  A  .  j  jl 

„  minatje.  Et  multi  tenent  bonas  confe6liones  in  domibus  eo- 
„  rum  de  zucharo  &  de  melle  .    Quae  omnia  funt  magnarum 
expenlarum  .    Qiia  de  cauflTa    magns  dotes    nunc  oportent 
ciari.  Etcommuniter  nunc  dantur  in  Dotem  Floreni  CCCC. 
Se  F'oreni  D.  &  Floreni  DC.  auri  ,  &  plus  ;  qui  omnes  ex- 
ceiKluntur  per  Iponfum  in  addobbando  fponiam  ,  &  in  nu- 
ptiis,  &  aliquando  plus.   Et  illc  qui  maritat  di6lam  fponfam, 
expendit  ultra  Dotem  Florenos  C.  auri   vel  circa  in  faciendo 
„  de  novo,  aliqua  indumenta  fponfe  ,  &  in  donis  ,  8c  nuptiis  . 
,,  Qiia  de  caufla  fi  debent  poiTe  fieri  tales  expenfaj  ,  ut  lupra 
5,  di61:um  eil  ,  oportet  ,  quod  lucra  indebita  fiant  .    Et  piures 
55  funt,  qui  talibus  de  caulTis  lunt  conlumpti,  qui  volunt  face- 
55  re  5  five  oportet  facere  plus  quam  polTunt  .  Certe  ad  prxfens 
55  fi  unus  habet  in  lua  familia  novem  buccas,  &  duos  roncinos, 
55  expendit  omni  anno  ultra  Florenos  CCC.  auri ,  valentes  Li- 
55  bras  CCCCLXXX.  Imperialium.  Et  fic  prò  rata  buccarum, 
55  videlicet  in  vi6ì:u,  veftitu,  lalariis  famulorum5  gabellis,  ta- 
55  leis,  &  aliis  expenfis  extraordinariis  5  qua^  quotidie  eveniunt, 
55  qux  non   pofTunt  evitari  :  certe  pauci  lunt  ,  qui  talibus  ex- 
55  penfis  poflint  componete  ;  &  ideo  multi  funt  ,  quos  tali  de 
55  caufla  oportet  delerere  patriam  eorum5  &  ire  ad  ttipendium; 
55  vel   prò  famulis5   vel  prò  mercatoribus5  &  in  ufuris  &c.  Noti 
55  credat  aliquis,  quod  in  (apradi6lis  contineantur  medianici  , 
55  fed  iolum  Nobiles5  &  Mercatores5  &  alii  boni  &  antiqui  Ci- 
55  ves  Piacenti^,  qui  non  faciunt  aliquam  artem  .  Qui  etiani 
55  mechanici    faciunt  fumtuolas  expenfas    plusquam  foiet  5    & 
55  maxime  in  indumentis  circa  eos  &  uxores  .  Tamen  ars  iem- 
35  per  &  quocumque  tempore  fufiinct  omnes  5  qui  volunt  cum 
55  honore  vivere  .  Ad  praslens  gentes  non  poffunt  vivere  fme 
55  vino  5  fic  lunt  omnes  ufi  bibere  vinum  . 

Potrà*  ora  il  Lettore  confrontare  gli  antichi  riti 5  e  coRumi 
con  quei  dell'era  noilra 5  e  tirati  i  conti  determinare 5  fé  v' ab- 
biano guadagnato  o  perduto  i  noftri  tempi.  PafTiamo  ora  ad  al- 
cune altre  ulanze  di  qualità  diverfa.  E  primieramente  l'Aulico 
Ticinenfe  5  che  fcriveva  circa  l'Anno  1330.  e  delcriffe  molti 
coftumi  de' Pavefi  5  fra  l'altre  cole  al  Gap.  4.  ha  le  feguenti 
parole:  In  crepìdine  Pontis  vciteris  aliquando  ereBa  e Jì  Pertica^ 
qu(S  potejì  mdinari  deorfum  ^  in  cujus  cacumine  ligatum  eji  vas 
vimìneum  magnum  .  Ef  Ji  quis  Kibaldus  compertus  fuerit  Dsum 
aut  Beafam  Virginem  blajphsmare^  fiati m  'u afe  ilio  impojitus  fub- 

Tt     2  mer- 


3j2  Dissertazione 

merghur  in  Ticinum  ,  C^  exnahitur  madefa6lus  .  Forfè  una  fo- 
migliante  pena  fu  in  ufo  preffo  gli  antichi  Germani.  Costipar- 
la Tacito  de  Morib.German.  Gap.  12.  Jgna'vos  ^  &  tmhellss^  & 
€orpore  infamesy  cceno  ac  palude  inje^los  fupercrate  mergunt .  Dice 
che  li  tujfano  ,  e  non  già  che  gli  anneghino  ,  cioè  per  corre- 
zione, e  non  per  levar  loro  la  vita.  Afcoltiamo  anche Suetonio 
nella  vita  di  Caligola  Cap.  20.  dove  defcrive  uno  fpettacolo  di 
Lione.  Eos  autem^  qui  maxime  difplicuijfent:^  fcripta  fua  fpon- 
già  linguave  delere  jujfos^  7iifi  fevulis  objurgari  ,  auf  Flumìne 
proximo  mergi  maluijfent  .  Tanto  è  vero  ,  che  nulla  di  nuovo 
occorre  fotto  il  Sole  .  Quefta  iorta  di  mortificazione  o  pena 
in  Franzefe  fi  chiama  Cale^  della  qual  parola  è  da  vedere  il 
Furetiere  .  I  Fiorentini  ulano  la  voce  Colla  per  fignificare  il 
tormento  della  Corda,  e  di  la  fi  formò  il  verbo  Collare,  Sentite 
che  bella  Etimologia  ci  rechi  il  Menagio  .  Colla ^  dic'egli,y?- 
gnijìcante  Corda  ,  'viene  dal  Collo ,  che  vai  propriamente  laccio  , 
che  Ji  mette  al  Collo .  Ma  col  laccio  fi  rompe  il  Collo  a  i  rei; 
col  tormento  della  Corda  non  fi  fa  male  al  Collo  .  Sarebbe  più 
tofto  da  vedere,  {q  Colla  venifle  òa Calare^  cioè  abbaffare,  ufan- 
do  anche  i  Tofcani  in  vece  di  Calare  il  verbo  Collare ,  Son  pa- 
iole del  Boccaccio.  Dilibararono  di  legarlo  alla  fune  ^  e  di  Collar- 
lo  nel  po'z^  .  Torniamo  al  rito  de'  Pavefi  .  Fu  eflb  praticato 
anche  da  altre  Citta  pofte  al  lido  del  Mare  ,  o  di  qualche 
groflb  Fiume.  Qiiei  di  Mar-figlia,  per  attedato  del  DuCange, 
lo  chiamavano  AccabuJ] are  .  Ecco  il  loro  Statuto  contra  chi 
nel  Giuoco  prorompeva  in  beftemmie  contra  di  Dio.  Etftduo- 
decimDenarios  dare^  Ò' folvere  non  poterit  ^  Accabujfetur  penitus^ 
hidutiis  cum  njejìibus  ,  qiias  tane  detulerit  ,  &  in  Portu  Majftlia: 
tot  vici  bus  ^  quot  juraverit .  Una  parola  Germanica  lì  truova  in 
AccabuJ] are ^  compòfto  da  Acha  e  Buffe  ^  cioè  a  dire  Pena  dell' 
Acqua,  Un  egual  gaftigo  era  prelcritro  dalla  Citta  di  Bourdeau 
ai  Ruffiani,  alle  meretrici,  e  ai  beftemmiatori.  Anche  lo  Sta- 
tuto di  Ferrara  Icritto  a  penna  nell'Anno  1288.  ed  efiflente 
nella  Biblioteca  Eftenfe,  al  Lib. IV.  Rubr.  <58.  determina:  ^od 
Potejìas  tene atur  facere  {ieri  imam  Corbellam  in  Centrata  S.Pault 
in  Padoj  in  quam  poni  faci at^  &  plurics  fubmergi  in  aquam  blaj- 
phemantes  Deum  &  Beatam  Virginem ,  &  ceteros  SanBos  ,  fi  non 
pojfent  jolvere  centum  Soldos  Ferrarie?jfts.  Et  Jì  folvere  pojfent  ^ 
non  ponantur  ad  Corbellam  ,  Pofcia  allaRubr.78.  v'ha  quell'altro 
Statuto  .  ^od  fcutiferi  non  currant  equos  per  Civitatem  ,  quum 

vadunt 


Ventestmaterza;  5  j  j 

vadunt  ad  aquam  Ù'redeunt,  ^'t  cantra  fecerh  ,  folvnt  prò  hanno 
njiginti  SoldosFerrarinos.  Effe  jolvere  no?i  poteri f^  pon^tur  ad  Cor- 
bellam  .  In  Italia  è  andato  in  diiufo  quefto  gaftigo ,  ma  in  Vienna 
d'Aiilìria  dura  tuttavia  per  punire  i  Fornai,  Beccai,  ed  altri 
pubblici  ladri.  In  Inghilterra  una  volta  le  Donne  rifTofe  fi  git- 
tavano  nell'acqua,  cavandole  ben  bagnate  di  dentro,  e  di  fuori. 
Ma  giacché  fiamo entrati  nelle  Pene  de  gli  antichi,  dichiamone 
qualche  altra  parola.  Siccome  altrove  accennai,  pochiffimi erano 
i  misfatti,  che  fi  puniflero  colla  morte  .  Il  cofpirare  contra  del 
Re,  il  muover  fedizione  contra  del  Generale  darmi,  l'uccidere 
il  Padrone  o  Marito  ,  il  dilertare  dall' Efercito  ,  il  fuggire  dal 
Regno,  erano  delitti  vietati  fotto  pena  della  Vita.  A  chi  giura- 
va il  fallo  s'avea  da  mozzare  la  mano.  Quafi  tutti  gli  altri  {i 
poteano  rifcattare  pagando  danaro.  Che  tal  pratica  fofie  anche 
prefTo  i  Greci,  fembrano  indicarlo  varjelempli.  Fra  le  Pene  fi 
contava  il  divenir  Servo.  Spezialmente  i  Popoli  Settentrionali  ri- 
putavano gran  vergogna  e  gaftigo,  allorché  ad  un  Uomo  Libero 
il  tagliavano  i  capelli,  e  molto  piìi  le  la  barba.  Era  anche  in  ufo 
il  Frujìare.  Liurprando  Re  de'Longobardi  nel Lib.VI. Legge  88. 
contra  le  Donne,  che  aveano  moffa  fedizione  cosi  ordinò.  Publkus 
(cioè  il  Giudice)  qui  ejì  in  loco  ^  ubi  faclum  fuerit -^  comprehendat 
ipfas  muliereSj  &faciat  eas  decnlvnri^  Ù'frujìari  pervicos  vicina?j- 
pes  ipfts  locis.  Anticamente  gli  uomini  Liberi  erano  battuti  con 
baffoni,  i  Servi  col  flagello  o  fia  colla  sferza  .  Però  da  Fujìe  ft 
crede  originata  la  voce  Frufta  e  Frujìare  :  ma  io  ne  dubito.  Un 
uomo  Libero  o  Servo  convinto  di  ladroneccio,  ie  il  furto  arrivava 
ad d'jcenì  Siliquas ami ^  oltre  alla  reftituzione  della  roba  rubata, era 
condennato  a  pagare  ottanta  Soldi  d'oro.  Senonpotea,  v'andava 
la  fuavita.  Cos'i  determinò  il  Re  Rotari  nella  Legge  258.  €259. 
Quanto  a  gli  altri  Ladri,  con  vienoiTervare  la  Legge  2(5.  del  Lib.VI. 
del  fuddetto  ReLiutprando.  Dj  furonibus^  die' egli,  unusquisque 
Judex  in  fu  a  Civitate  faciat  Carcerem  fub  terra .  Et  quum  inventus 
fuerit  fur  curn  ipfo  furto  ,  ipjum  furtum  componat  .  Et  compre- 
hendat  ipfum  furonem  ,  &  m'ittat  in  ipfo  carcere  ufque  ad  au- 
7I0S  duos  vel  tres  j  &  po/ìea  dimittat  eum  fanum .  Et  fi  talis  per- 
fona  fuerit  ,  ut  non  habeat  ,  unde  ipfum  furtum  componere  pof 
fit ,  debeat  eum  Judex  dare  in  manu  ipjìus  ,  cui  ipfum  furtum 
fecit  ;  &  ipfe  de  eo  faciat  qiiod  voluerit  .  Et  fi  pofìea  ipfe  ite- 
rum  in  furto  tentus  fuerit^  decalvet  eum  ^  &  ccedat  per  difciplt- 
w^w,  ficut  decet  furonem  ^  & ponat  fignum  in  f'o?ne  ^  &infacie. 

Et 


33if  Dissertazione 

Ei:  Jì  Jlc  non  emendaverh  ,  Ù'  pojì  ìpfas  diftrìBìones  in  furto  ten- 
nis fuerit  ,  vendat  eum  Judex  for'ts  Provìnciam  (  cioè  fuori  del 
Regno  )  Ò'  habsat  fihi  prettum  tpfius .  Ma  Carlo  Magno  nella 
Legge  Longobardica  44.  determinò  per  conto  de' Ladri,  ut  prò 
prima  culpa  non  moriantur  ,  fed  oculum  perdant  ;  de  j'ecunda 
7iafus  ipjìus  Latronìs  eapelletur  ^  Jive  abfcindatur  ;  de  t  erti  a  ve- 
ro ^  fi  /e  non  emendaverit  ^  rnoriatur.  La  pena  importa  agli  uo- 
mini lediziofi  dalia  Legge  ^5.  di  Lottario  I.  Aiigufto  ,  era  la 
feguente  :  Au6ìores  faóli  interficiantur  ,  Adjutores  vero  e  or  um  fìn- 
gali alter  ah  altero  flagellentur  ^  &  capillos  fuos  viciffim  &  nares 
fuas  invicem  prcecidant^ 

Del  reito  ,  come  altrove  ofTervammo  ,  all'omicidio  non 
era  importa  la  pena  delia  Vita  ,  ma  s\  bene  una  condanna  pe- 
cuniaria ;  e  quel  che  bene  ftrano  fembrera  ,  anche  uccidendo 
un  Vefcovo.  Anzi  pare,  che  preflb  i  Longobardi  o  niuna  pena 
determinata  forte,  o  non  forte  dirtinta  la  pena  di  chi  uccideva 
Ecclefiatlici,  da  quella  de  gli  uccilori  d'altre  perfone.  Si  afcol- 
ti  Arigifo  Principe  di  Benevento  di  fchiatta  Longobardica  ,  il 
quale  circa  l'Anno  780.  formò  un  Capitolare,  pubblicato  da 
Camillo  Pellegrini  .  Haóìenus  (  così  egli  parla  )  Religioforum 
bomicidia^  eo  quod  aut  inerme  genus^  aut  in  omnibus  venerandum 
haberetur  ,  7ìullius  compofttionis  aperta  lex  judiciali  calculo  cla- 
ruit.  Et  fi  quondam  forfìtan  contigìffet  ^  aut  fub  ofìenfu  legalis 
negligentice  ^  vel  obltt^e  rationis  omittebatur  ;  aut  illud  ^  ut  cuique 
libitum  erat  ^  decernebatur  .  Pertanto  egli  ordina  ,  che  fé  in  av- 
venire alcuno  occiderit  Monachum^  vel  Presbyterum^  autDìaco- 
num  primatum  tenentem  ^  componat  (cioè  paghi  al  Fiico  )  Du- 
centos  folidos^  o  pure,  fé  cosi  piacerà  al  Principe,  ufque  ad  tre- 
centos.  Per  conto  de  gli  altri  Écclefiaftìci  viventi  fuon  del  Pa- 
lazzo, l'uccifore  è  condennato  a  pagare  centocinquanta  Soldi, 
ficut  de  Laicis  ,  qui  exercitalibus  mditant  armis .  Ecco  una  lieve 
pena  per  si  qualificato  delitto  .  Accrebbe  di  poi  quefta  condan- 
na pecuniaria  Carlo  Magno,  come  appariice  dalla  Ina  Legge  i or. 
e  durava  anche  la  medefima  talTa  nell'Anno  1055.  perciocché 
in  un  Diploma  di  protezione  conceduto  a  i  Canonici  di  Parma 
da  Arrigo  fra  gì' Imperadori  Secondo,  fi  leggono  querte  parole: 
Si  quis  igitur  eos  Archiepijcopus  ,  Epifcopus  ,  Marchio  ,  Comes  , 
Vicecomcs  ,  vel  qui  fub  bis  funt  ,  Clerici  vel  Laici  ,  aff altre  , 
vulnerare  ,  vel  Decidere  qucefìerit  &c.  prò  morte  vita  fuce  poenam 
prò  ceteris  fé  centum  Libras  auri  ex  cequo  partiendas  ìiobis  ftbique  , 

com- 


V  E  N  T  E  S  i  M  A  T  E  R  Z  A  .  j  j  5 

compofiturum  agnofcat .  Se  il  reo  non  pagava  ,  ftendeva  il  Filco 
le  lue  griife  fopra  i  di  lui  Beni  ;  né  appariice  ,  fé  tali  omicidj 
patiflero  lunga  prigionia.  "DqWtì  Cofifijc^zjone  abbiamo  la pruo- 
va  in  un  Decreto  di  Corrado  I.  tra  gli  Auguri,  per  effere  (la- 
to uccilo  Arrigo  Diacono  Cardhiale  della  Chiefa  di  Cremona  da 
un  certo  Adamo,  nell'Anno  1037.  Quivi  in  compenfazione 
del  grave  danno  per  tal  cagione  patito  dalla  Chiefa  ,  viene  or- 
dinato ,  che  omnia  prtjsdia  ,  quce  pnefatus  Adam  infra  Civitatem 
Cremona}}?^  &  extra  per  totìus  Epifcopatus  fpatia  hahere  'videtur ^ 
&  omnem  rem  ìnobilem  &  immobilem  ,  quam  pofjederat  ,  pr deli- 
bata SapMce  Crernonenji  'Ecdefioe  ,  per  hujus  nofln  Pra:cepti  pagi- 
nam^  proprietario  jure  h abenda  &  detincnda  concedimus  .  E  per- 
ciocché nel  Secolo  XL  invaile  l'efecrabil  ufo  de' Veleni  ,  o  di 
altri  mezzi  per  levare  fegretamente  la  vita  ad  altrui  ,  fu  da 
Arrigo  II.  Augudo  intimata  a  queiìo  misfatto  la  pena  delia 
morte,  come  colla  dalle  Leggi  Longobardiche  .  Ma  negli  an- 
tichi Secoli  un  curiofo  coftume  merita  d'eflere  ofiervato  .  Chi 
dopo  avere  uccifo  un  Parente  fi  rifugiava  in  Chiefa,  potea  fot- 
trarfi  al  gafligo,  con  fare  la  feguente  Penitenza  ,  che  gli  veni- 
va impolla  da  i  Preti.  Cioè  cinto  di  legami  di  ferro  ,  e  mez- 
zo nudo,  o  pure  in  altro  abito  di  Penitente  ,  dovea  andare  in 
pellegrinaggio  a  i  Luoghi  Santi,  cioè  dove  pofavano  i Corpi  de' 
più  rinomati  Santi  .  Badava  quello  per  foddisfare  alla  Chiefa 
e  al  Re  .  Nell'Appendice  alle  Formole  di  Marcolfo  prelTo  il 
Baluzio  fi  vede  Traóìoria  prò  itinere  peragendo.  In  efla  é  racco- 
mandato a  tutti  i  Vefcovi  il  Pellegrino  ,  ^ui  injìigante  adver- 
far  io  ^  peccatis  facientibus  y  proprio  filio  Juo^  'vel  fratri  fuo  ,  fi've 
fiepoti  interfecit  j  &  nos  prò  hac  caujfa  jccundum  Confuctudinem 
l'el  Canonicam  Ì7iJìiti4tionem  dijudicavimus^  ut  i}ì  Leg^e  Pcregri- 
?iori4m  ipfe  pnefatus  vir  annis  tot  in  peregrinatione  ambulare  de- 
beret  &€.  Perciò  Dauferio  Nobile  Beneventano  per  la  morte 
data  a  Grimoaldo  Principe  di  Benevento  ,  pocnitentia  du6ius  , 
Jine  mora  in  Hiero/olftnam  ejì  profeBus  mirum  in  modum  ^  &re 
fcilicet  inaudita  .  Il  lue  enim  iens  ,  &  inde  Beneventum  redie?7Sy 
7ìon  'valde  exiguum  lapidem  inore  gejiavit  ^  &  tantummodo.^  quo- 
ties  cibum potumque  Jumebaty  ilio  carebat .  Sono  parole  dell'Ano- 
nimo Salernitano  ne' Paralipomeni  da  me  dati  alla  luce  .  Così 
Radelchifo  Conte  ,  per  atteftato  di  Archemperto  Cap.  p.  reo 
di  un  fimile  misfatto  ,  catena  cewice  tenus  'vinBus  ,  Ccenobium 
Beati  Benedici  ^  Chrifio  militaturusy  adiit.  Raccontanfi  ancora 

varj 


^]6  Dissertazione 

varj  Miracoli  delle  catene  di  cofloro  prodigiofamente  fpezzatefì 
da  per  sé  ai  Sepolcri  de' Santi.  Ne  addurrò  qualche  eie  m  pio  .  Nel 
Lib.  III.   de  GeJì.SanSlor.  Rotho7ìe?ìf.   un  Diacono   nel  Monitoro 
di  Spoleti  avea  uccifo  un  altro  Monaco  nelF  Anno   850.  An- 
doflTene  coftui  a  Roma  a   prendere  la  Penitenza  ,  e  gli  fu  or- 
dinato ferro  ligart  per  collum^  &  brachi  a  ^  ftcut  in  Lege  parri- 
cidarum  cenfetur^  e  di  portarfi   a  i  Luoghi  di  maggior  divozio- 
ne, finché  ottenefTe   il   perdono  da  Dio.  Capitato   nella  Breta- 
gna minore  al  Moniftero  Rotonenfe,  e  protrato  al  Sepolcro  di 
San  Marcellino  ,  ecco  da  sé  romperfi   le  catene  :    perloche   li- 
bero  ed  aflbiuto   fé  ne  andò  .   Un  altro   lomigliante   prodigio  (ì 
racconta  all'Anno  856".   Parimente   nella  vita  di  Santo  Appiano 
Monaco  di  Pavia,  feppellito  nella  Citta  di  Comacchio  preflb  i 
Bollandifti,  fi  legge,   che   ^)u(zdam  f emina  'venit   de  Francia  ad 
Ecclejìam  BeaPce  Virginis  Jujìmce  quae  portahat   tn  Jìnijìro   hrac- 
chio  circulum  ferreum  prò  pdsnitentta   ab  Epifcopo  Jìbi   mditum  y 
C^  caro   brachii    in   tantum   jam  fupercrejcebat  ,    quod  Circulus 
pdene  totus  carne  erat  coopertus .   Venuto  che  fu   alla  tomba   di 
Santo  Appiano  ,  Jìatim  ferreus  confraHus  ejì  circulus  ,   Ò'  bra- 
chium   ita  janatum^  quod  tiumquam   melius  fuit .   Così   nel  Lib. 
Miracul.  di  S.  Bononio  Abbate  di  Lucedio  nel  Vercellele,  cor- 
rendo  il  Secolo  XI.  Homo  quidarn  Fratricida  pcenitens^   qui  habe- 
hat   mucronem  ,    cum   quo  peremerat  fratrem  ,  jìxum   iti   circulo 
ferreo  circum  dextrum   brachium  firiBius  poftto  ,    cute  &  carne 
jam  fuper  Ì7nmi?2ente ^  prelentatofi   al  Sepolcro  di  San  Bononio, 
vide  crepare  quel  cerchio  di  ferro.   Veggafi  ancora  la  Vita  di 
San  Teobaldo  Romito ,  morto  nel  Territorio  di  Vicenza  negli 
Annali  Bened.  del  P.  Mabillonc. 

Ma  Carlo  M.  Principe  di  mirabil  fenno  ,  come  fi  raccoglie 
da  un  luo  Capitolare  prefTo  il  Sirmondo  e  Baluzio  ,  riprovò  si 
fatto  coliume  con  dire  :  Ut  ifli  mangones  &  cotioncs  ,  qui  va- 
gabundt  njadunt  per  ijìam  terram  ?ion  Jìtiantur  njapari  ,  ac  dece- 
ptiones  hominum  agere .  "Nec  ijìi  nudi  cum  ferro  ,  qui  dicunt  ,  Je 
data  pcenitentia  tre  njagantes  .  Melius  'videtur  ,  ut  fi  ali  quod  ifi' 
conjuetum  &  Capitale  Crimen  commiferint  ^  i?t  uno  loco  permane ant 
laborantes^  &  fer'vientes -^  & poenitentiam  agentes  ^  fecundum  quod 
Canonice  Jìbi  impofitum  ftt .  Fa  intendere  quella  Legge,  che  in 
quefia  iorte  di  pellegrinaggio  e  penitenza  doveano  efìfere  in- 
tervenute frodi  edimpofture,  ed  elle r fi  fcoperto,  che  talvolta 
per  arte  ,  e  non  per  miracolo  ,  s'erano  fciclte  quelle  catene  . 

Ciò 


V  E  N  1  E  S  1  M  A  T  E  R  Z  A  .  3 jj 

Ciò  non  oftante,  per  alcuni  Secoli  ancora  continuò  quella  ufan- 
za  ,  malli  ma  mente  in  Francia  .    ElTendo   mancato  di  vita  San 
Leone  IX.  Papa  nell'Anno  1054.  e  luccedendo  varj  Miracoli  al 
luo  Sepolcro  ,  Ventt   qmdam  njtr  de  Fraììc'ta  ,   qui   hahebat  cor- 
pus Juum  ferreo   ctrìgulo  coarólarum  ,    uà  ut    per  g^rum   corporis 
fan'tes   mulva  decurreret  iti  terram  .   ^iod  "oìdcìites  qui  aderam  , 
nares  ftht  prce  ntmio  pandore   &  foetore  obtura'veraìit  ^   deprecames 
Dominum ,   uf  per  San6iì  Leonis   inerita  mijero   UH  juccurrere  di- 
gnaretur ,   Res  mira  !  Jìatim  ferrum   creputt  ,   &  yìndta  fuja  fa- 
nie  homo  rcàditus  e  fi  penitus  janitati  .    Leggoiifi    di   lotto   due 
fimili   prodigiole  avventure  .  Tralalcio  altri  cali  di  quefta  for- 
te .  Sarebbe  temerità  il  dubitare  di  tutti  ;  ma  potrebbe  elTere 
anche  talvolta  occorio  qualche  inganno  ,   perchè  allora  ancora 
abbondavano  i  furbi,  e  più  la  gente   poco  malizioia  ,  ed  accor- 
ta. Nella  Cronichetta  di  Subbiaco  da  me  Itampata  fi  legge  la 
Vita  di  Giovanni  Abbate  trentefimo fecondo.  Sotto  di  lui  ^wo- 
àam   tempore  'venerunt    tn  LtaUam   ex  Francia   homines  injani  , 
qui   dicebantur  Confujl  ,   qui   circumquaque  pergentes  ,  per  Cam- 
paniam   &  .reliquas  Prcvinctas   calamttatts   tantae   iìicutiebant   tì- 
morem .   Contigtt  ,   ut  tres  ex  ipjìs  ad'venertnt  Sublacum  ,   agitan- 
do fine   tnrermtjfiune  caput ^   tnjana  fa6ia  agendo,   ^uumque  ibi 
-per  dtes  .aliquot   mornrentur  ^  prtmus   eorum   i?i  pncfata   efì  fana- 
tus^   Domino  jwvante  y  Ecclejia .   Poflea  'vero  rei i qui   duo   ibidem 
ìadduóii.  gratia  Dei  Jane   capite   exierunt  ^   laudatites  ^   &  benedi- 
centes  Dominum  .   ^hiihus  jam  dt6ius  Domnus  Abbas  Joban?jes  plu- 
rima  beneficia   largitus  efì  ;  &  ftc   ad  fua  remifìt   cum  gaudio  . 
Ma    voglia  Dio,   che   (\ut  Confufi   non  confondcrlfero   la  pruden- 
za  dell'Abbate.   Oggidì  non  lì  larebbe   tanto  corrivo  ;  ma  allo- 
ra troppo  felice  fi  riputava  ,  chi  nelle  lue  Chiefe  vedea  farfi 
delle  prodigiole  cofe,   lenza   badare  fé  tutto  era  Miracolo  .   Ba- 
date  a  quel  plurima  beneficia  largitus  efì ,   Di  quelli  andava   a 
caccia  la  gente  furba. 

Torniamo  alle  Pene  una  volta  ufate  .  Da' Franzefi  e  Suevi 
fu  portato  in  Italia  un  Rito  di  pena  militare  ,  impoila  a  i  No- 
bili delinquenti,  e  defcritta  da  Ottone  Frifingenfe  Lib.2.Cap.2  8. 
de  Gefì.  Frider.  I,  ficcome  ancora  da  Guntero  .  Anche  Arnolfo 
Storico  Mi'.anele  Lib.  i.  Gap.  19.  Icrive,  eflere  flati  ilMarchefe 
Manfredi, e Odelrico  Vefcovo  d'Afti,  obbligati  achiedere  pace  ad 
Arnolfo  Arcivefcovo  di  Milano;  e  l'ottennero  colle  feguenti  con- 
dizioni .  ^iod  veniemes  Mediolanum  tertio  ab  Urbe  miUiario ,  7ìudìs 
Tcìììo  L  V  V  ince- 


35?  Dissertazione 

hìcede'/ìdo  pedibus ,  Epijcopus  codtcem ,  Marchio  canem  hnjulans ,  ' 
ante  fores  Ecclcfi^  Beati  Ambrojti  reatus  proprios  devottjjime  con^ 
Jìterentur,  Il  lignificato  di  taJi  Rui  laictiò  indovinarlo  ai Ler- 
tori  .  Di  un  altro  fa  menzione  lo  Storico  Wippone  nella  Vita 
di  Corrado  il  Salico.  Aveano  i  Romani  commoffa  una  Icdizio- 
ne  contra  d'efio  Augudo  ;  ma  pentiti  e  impauriti,  /?o/?^r/?  die 
ante  Imperatorem  njenientes^  nudatts  pedthus  ,  Uberi  cum  nudis 
gladiis  ,  Sewi  cum  torquibus  "oimtneis  circa  collum  ,  qua  fi  ad 
Jufpenjionem  priVparati^  ut  Imperator  ji'jjtt  jatisfaciebant  .  Cioè 
portavano  i  Liberi  la  Spada  nuda  ,  con  cui  le  avefTe  voluto 
i'Imperadore  ,  poteano  edere  puniti,  perchè  il  taglio  della  te- 
fta  conveniva  alle  persone  Nobili.  All'incontro  i  Servi  fi  mo- 
ftravano  degni  d'eficre  impiccati  per  ia  gola  :  che  quefto  era 
il  loro  ga Rigo  .  E  di  qui  poi  nacque  la  formola  tuttavia  ufa- 
ta  di  chiedere  perdono  colla  corda ,  o  Jta  col  capejìro  al  collo  ^ 
per  modrarfi  desno  di  morte  pel  delitto  commefìTo  .  Perciò  i 
Cremoncfi ,  che  s'erano  ribe'lati  nell'Anno  13  ri.  ad  Arrigo  VII. 
Augufto,  laqueis  ad  collum  pofttis  gli  andarono  incontro  implo- 
rando mifericordia,  come  s'ha  daBonincont5oMorigiaLib.il. 
Cap.  8.  della  Cronica  .  E  per  teltimonianza  di  Leone  Oftienfe 
Lib.  II.  Cap.  2.  Adenolfo  Galtaldo  di  Capoa,  afiediato  dal  Prin- 
cipe d'efìfaCapoa,  videns  ^  fé  ywn  pojfe  Prifìcipis  manus  enjade- 
re  ,  fvtnem  in  collum  fuum  mijit  ,  &  per  manus  conjugis  ju(S  ad 
principis  pedes  fé  trahi  pracepit  ,  Anche  i  Milanefi  forzati  nel 
II  58.  a  renderli  a  Federigo  I.  Augufto  ,  abjcHa  'vefìe  ,  pedtbus 
nudis  ,  exertos  fuper  cewices  gladios  habentes  ,  jefe  Imperatore 
fìiterunt ^  come  lafciò  fcritto  Radevico  Lib.I.  Cap.  42.  E  Ot- 
tone da  San  Biagio  aggiugne,  che  anche  la  plebe  a  lui  fi  pre- 
fentò  torque  collo  innexo.  Per  implorar  milericordia,  ed  ajuta 
andarono  ad  elfo  Impcradore  in  altro  tempo  gli  (lelTi  Milanefi , 
portando  Croci  in  mano,  o  nelle  Ipalle.  Ma  che  anche  i  No- 
bili talvolta  chiedelfero  colla  corda  al  collo  pietà  ,  non  man- 
cano efempli  .  Da  un  Documento  del  1158.  apparifce  ,  che 
Adenulfus  de  Aqua  putrida  ,  poft  longam  ,  Ù'  diutinam  obfidio- 
7ìem  Capitaneorum  &  Romanorum  peditum  ,  quam  Domnus  Papa 
fuper  Cafìrum  prceceperat  fieri  (fTc.  nudis  pedibus  ,  ligatus  per 
collum  ,  profìravit  fé  ad  pedes  Domni  Papa  &c.  Per  maggiore 
obbrobrio  contra  de  i  rei  s'introdulTe  di  menarli  fopra  un  Afi- 
no colla  faccia  rivolta  all' indietro,  e  col  tenerne  la  coda  in 
mano.  Tale  fpettacolo  vide  Roma  l'Anno  1121.  in  Burdino 

Anti- 


Ventesimaterza.  3  jp 

Antipapa  prefo  da  Papa  Callifto  II.  E  il  Popolo  dì  Nepi  nel 
II 21.  fece  intagliare  in  marmo  un  Decreto  contra  di  chi  vo- 
lefle  rompere  la  Societèi  (labilità  fra  loro  :  Sujìineat  mortem  ut 
Cylo  ,  qui  fuos  tradldit  Socios  ;  non  ejus  ftt  memoria  ;  jet  in 
Jjella  retrorfum  fedeat^  &  cnudam  in  manu  teneat ,  Divenne 
ancora  comune  per  Italia  un  immaginario  gaftigo  dato  a  i 
traditori  della  Patria,  che  n'erano  fuggiti,  cioè  di  far  impic- 
care la  loro  Statua  ,  e  di  far  dipignere  in  luogo  pubblico  la 
fioura  di  elfi  impiccata  :  del  che  è  da  credere  che  que'  rei  fi 
ridefìero  .  Vegganfi  le  Storie  di  Firenze  ,  la  Cronica  Romana 
di  Antonio  di  Pietro,  e  le  Croniche  di  Bologna. 

Per  conto  de' Funerali  v'erano  i  fuoi  regolamenti,  e  va- 
rie Confuetudini  .    L'Aulico  Ticinenle  nel  Cap.  13.  de  Laud. 
P apice  COSI  ne  parlava  circa  l'Anno  1330.  Coì^fuctudo  omnium 
funcralium  talis  eft  .   ^ia  quicumque  tnoriatur  ,  penfata  tarnen 
conditione  jui  flatus^  poJìCntces^  quarum  nliqunndo  multas  por- 
tante fé quuntur  Laici   bini^  illic  per  praconem  jkpe  'vocati  :  de- 
inde  Clerici  e  &  Sacerdotes^  quos  tame?i  ReligioJÌ  prcecedunt  ^  fi 
^dfunt  vacati  .  Poftea  fcquitur  funus  in  leHo  cmn  culcitra  ,  Ù* 
linteaminibus  ,  &  coopertorio  ,  fnb  quo  pofitum   eft  indutum  ve- 
ftibus  fui  ftattis  vel  ordinis  ,  ut  ab  omnibus  videatur  .  Poftrem.o 
fequuntur  Mulieres  ,    ex  quibus  propinquiores  defunHo    a  duobus 
viris  bine  inde  fuftentantur.  Et  ita  procedunt   adEcclefiam  cum 
luminaribus  Ò'  foni  tu  Campanarum  .   Laici  vero  entrante^  Eccle- 
fiam  recedunt  ,  remanentibus  cum  funere  in  Ecclefia  ,  &  ufque 
ad  fepulcrum  procedentibus  Clericis^  Sacerdotibus^  Ò' Mulierìbus\ 
Nunc  audivi   ab  hujusmodi  procejfionibus  Feminas  interdióìas.   In 
q'aalche  Luogo  i  Cadaveri    de  gli  uccifi  fi  folevano  feppellire 
lenza  lavarli  .  Per  altro  come  fi  fa  oggid'i ,  anche  ne  gli  anti- 
chi Secoli  fi  lavavano  1  Cadaveri  ;  e  ne  abbiamo  li  efempj  de' 
Greci  in  Omero,  e  de'Giudei  ,  e  de'Romani  prelTo  altri  Au- 
tori .  Particolarmente  i  Corpi  de'  gran  Signori  ,  e  Martiri  ,  e 
d'altri  Santi  ,  ufo  era  di  fcppelhrli  con  unsuenti  odoriferi  ed 
aromi  .  Però  i  Secoli   rozzi  ,  allorché  fi  coprivano  le  lor  iacre 
offa  per  trasportarle  ,  fentendo  Ipirar  da  effe  un  (bave  odore, 
l'attribuivano  a   miracolo  fenza   peniare  all'antico  iuddetto  ri- 
to .  Si  coftumò  ancora  di  condurre  al  iepolcro  i  Cadaveri  de' 
Ricchi  defunti,   veltiti  à\  vefti  pre^iofe  :  ufo  che  fu  riprovato 
da  i  Santi  Padri  .   Ma  ne'  Secoli   più  antichi  ,    allorché  celsò  il 
bruciare  i  Cadaveri  (cola  Ipezialmence  proccurata  da'Criftia- 

Vv     2  "0 


34>o  Dissertazione 

ni)  folevano  quei  de' più  Ricchi  eflere  feppelliti  non  folamen- 
-te  con  preziofe  velli ,  ma  ancora  con  anelli,  collane,  ed  altri 
ornamenti  d'oro  e  d'argento  .  Vedi  la  Legge  ultima,  ff.  de  au- 
ro &  argento^  dove  è  quefta  parte  diTeftamento  .  Funerari  ms 
arbìtrio  'viri  me  s  volo  j  &  inferri  mi  hi  qucecurnque  fepohura:  meo; 
caujfa  feram  ex  crnamentìs  ^  lineas  duas  ex  margaritis^  &  virio- 
las  esfmaragdis.  Più  non  fi  badava  alle  Leggi  delle  dodici  Ta- 
vole .  Di  qua  poi  venne  ,  che  tanti  e  tanti  nel  Secolo  I  V.  fi. 
diedero  a  rompere  i  Sepolcri  per  cercar  que' veri  o  fognati  Te- 
fori  ,  contra  de' quali  ufcirono  varie  Leggi  de  gl'Lnperadori  , 
e  fi  sfogò  San  Gregorio  Nazianzeno  con  affai  verfi  da  me  dati 
alla  luce.  Né  i  foli  Gentili,  ma  i  Crilliani  fteffi  ,  tanto  Roma- 
ni, che  Barbari ,  ufarono  di  chiudere  ne' lor  Sepolcri  dei  ricchi 
ornamenti.  Nell'Anno  17 17.  in  un  Sepolcro  di  Perugia  fi  trovò 
un  piatto  à'  argento^  U7i  a  fibbia^  orecchini  ^  ed  anelli  d' oro.  In- 
darno pretefe  Monfignor  Fontanini,  non  effer  ivi  feppeìlita  al- 
tra perfona,  che  un  Goto,  perchè  i  Goti,  e  gli  altri  Popoli  della 
Germania  folevano  cum  thefauris  Ò'  opibus  Juis  cadavera  bum  are , 
Ma  torno  a  dire,  che  cos'i  praticarono  anche  Romani  e  Greci, 
come  fi  ricava  da  QLiintiliano,  Fedro,  Santo  Zenone,  Sinefio, 
Gregorio  M.  ed  altri.  Pare  ,  che  ceffaffe  cotal  frenefia  a'  tempi 
d'effo  San  Gregorio  .  Ma  noi  troviamo  Gregorio  Turonenfe  , 
che  fioriva  allora  ,  e  che  nel  Lib.  VIIL  Gap.  21.  della  Storia  all' 
Anno  55)0.  fcrive  ,  come  una  parente  della  Regina  Brunichilde 
mortua  Jìne  filiis^  in  BafilicnUrbis  Metenjìs  fepulta  efl  cum  gran- 
dibus  ornamentis  &  multo  auro  ^  che  da  lì  a  pochi  di  rallegrò  gli 
affaffini  de'fepolcri.  Che  duraffe  quella  perfecuzione  anche  a* 
tempi  de'  Re  Longobardi  ,  fi  deduce  da  qualche  loro  Legge 
contra  di  chi  commetteva  quello  delitto. 

Andavano  alla  Sepoltura  le  perfone  di  baffa  sfera  ,  veflite 
co  i  lor  fohti  abiti,  come  anche  oggidì  fi  pratica  da'  poveri  in 
Italia,  e  forfè  ancora  fi  praticava  da  altri  di  più  alto  flato  a  i 
tempi  di  Durando^  il  quale  nel  Lib.VIL  Cap.33.  n.4.  del  Ra- 
zionai, fcriffe  :  Nec  debent  indui  vcftibus  communibus^  prout  in 
Italia  fit  ,  Fors' egli  parlò  così  ,  perchè  fra  alcuni  Popoli  della 
Francia  fi  usò  d'involgere  in  un  lenzuolo  i  Corpi  morti ,  fecon- 
do il  coilume  de' Giudei ,  e  coU'efcmpio  del  Signor  noflro.  Anzi 
aggiugne  lo  fleffo  Durando  :  Et  ^  ut  quidam  dicunt  ^  debcìit  ba- 
lere e  ali  gas  circa  tibias^  &fotulares  in  pedibus^  ut  per  hoc  ipfos  ejfe 
paratos  ad  judicìum  reprcefentetur  :  quafichè  fenza  fcarpe  in  piedi 

non 


VeNTESIMATERZA."  J4.I 

non  fi  andaife  al  Giudizio  di  Dio.  Oflervò  il  Du-Cange  nel  Glof- 
fario  ,  che  lopra  i  Sepolcri  tanto  de'  Santi  ,  che  dV  NobiU  fi 
metteva  un  tapeto,  o  altra  fimil  coperta  :  in  pruova  di  che  cita 
il  Tit.  17.  Gap. 4.  della  Legge Sahca,  dove  fi  legge:  5"/  quisArt- 
(ìntonem  fuper  hominem  mm'tuum  capula'vcr'tP  ,  fexcentis  Dcnariis 
culpabilis  jadicctur^  pretendendo,  c\\q  V Ari Jì atono  folTe  una  co- 
perta di  panno  o  di  (età.  Ho  io  addotto  qualche  ragione  indi- 
cante, che  più  tolto  ivi  fi  parli  di  un  edificio  o  fia  coperchio  di 
lesno.  Del  redo  è  da  oflervare,  che  il  coflume  noftro  di  ferrar 
gli  occhi  a  i  defanti,  e  di  metterli  velliti  co' piedi  volti  verfo  la 
porta  della  cala  ,  è  iopramodo  antico.  Odafi  Perfio  Satira  III. 

tandemque  hcatulus  alto 
Compojìtus  Lc&o^  crajfisque  lutntus  amomis 
hi  port.^m  rigidos  calces  extendit     -     -     - 

L'ufo  del  Letto  l'abbiam  veduto  di  fopra.  E^  fucceduta  laB^- 
ra^  o  fia  {{Cataletto:  la  qual  ultima  voce,  come  dirò  al  Cap.33, 
pare  derivata  da  efib  Letto.  Al  Funerale  de' gran  Signori  ,  in- 
figniti  dell'Ordine  della  Milizia,  interveniva  una  mano  di  per- 
fone  vefiite  a  lutto,  cavalli  a  mano  con  gualdrappe  fino  a  ter- 
ra, Iniegne,  Scudi  colf  arme  del  Defunto.  Fra  le  Lettere  del 
vecchio  Vergerlo  da  me  pubblicate  fi  vede  il  magnifico  Fune- 
rale di  Francefco  I.  da  Carrara  Signore  di  Padova.  Ma  fopra 
tutto  ammirabile  fu  quello  di  Gian  Galeazzo  Vifconte  prima 
Duca  di  Milano,  fatto  nel  1402.  di  cui  ho  data  alla  luce  la 
Deicrizione  .  Ma  perciocché  la  vanita  e  la  gara  avea  intro- 
dotto l'ufo  delle  Orazioni  funebri  ,  non  folo  per  li  Principi  , 
ma  anche  per  le  perlone  private,  venne  quello  vietato  in  al- 
cune Citta  .  Ne  gli  Statuti  MSti  della  Repubblica  di  Modena 
dell'Anno  1327.  Lib. IL  Rub. 4(5.  intitolata  de  7ìon  concionando 
prò  Mortuis  (  occafion  di  fpacciare  una  frotta  di  bugie  )  è  de- 
cretato ,  che  nullus  debeat  refpondere  concionando  ad  Mortuos  , 
Jive  adDomum^Jìve  ad  Ecclejlam  ^  quivi  anche  fi  aggiugne  : 
Ut  7ìullus  debeat  ire  ad  Septimasy  nec  de  fu  a  parentela  ^  nec  ds 
aliena  .  Alle  perlone  inclinate  al  Luflb  non  badava  la  gran 
pompa,  il  confumo  di  copiofa  cera  ,  e  Tinvito  di  tanta  gente 
nel  giorno  del  Funerale  :  fi  voleva  anche  rinovar  tutta  la  lee- 
na nel  giorno  Settimo  e  Trentefimo  con  grave  diipendio  de  gli 
uni,  ed  incomodo  de  gli  altri.  (>a^^  ^h' è  da  ridere,  gli  Eredi  del 
Defunto  nello  fteffo  giorno  del  Funerale,  acciocché  la  triflezza 

non 


34-2  Dissertazione 

non  nocefle  allo  ftomaco  di  tanti  Parenti  ed  amici  ,  che  v'era- 
no intervenuti  ,  gì'  invitavano  ad  un  lauto  banchetto  ,  o  co' 
bicchieri  alla  mano  facevano  tornare  in  cafa  l'allegrezza.  Vi 
fu  mefTo  del  temperamento  nello  Statuto  di  Milano  Parte  IL 
Gap.  471.  con  dire  :  Poft  mortem  alicujus  ad  Exequiasy  vel  Se- 
pttmum  ,  'vel  Trigejìmum  ,  in  Cìnj'ttate  nec  Ducatu  Mcdiolatii  , 
no?i  ftt  lìc'ttum  altcuì  flave  ad  comedendum  cum  famtlta  defun- 
gi ni  d  defungi  OS  ^  n'tftfuer'it  agnatus  vd  cognatus  ujque  ad  quar- 
tum  gradum  induftve ,  PreicrilTcro  ancora  alcuni  Statuti  il  nu- 
mero delle  Croci  ,  o  fia  de'  Religiofi  ,  e  delle  torcie  di  cera 
ne' funerali.  Dal  luddetto  Statuto  Milaneie  Gap.  447.  fiordi- 
nò,  che  i  Gadaveri  tolTero  coperti  tanto  in  Gala,  che  in  Ghie- 
fa  :  rito  riprovato  in  altre  Gitta  ,  le  quali  vollero,  che  di  tut- 
ti folTe  fcoperto  il  volto  ,  per  ovviare  a  qualche  frode  ,  che 
potelTe  occorrere. 

K  cofa  notiffima  l'ufo  AqWq  Prefiche  ne'Funerali  prefTo  gli 
antichi  Romani  ,  cioè  di  Donne  pagate ,  che  con  efclamazio- 
ni,  con  finte  lagrime,  col  moilrare  di  (Irapparfi  i  capeUi  ,  e 
con  lamentevole  canto  accompagnato  dalle  Tibie  ,  o  al  letto 
de' morti,  o  al  portarli  al  Rogo,  formavano  un  lugubre  fpet- 
tacolo.  Son  parole  di  Lucilio  prelTo  Nonio  Marcello  : 

Mercede  quds 
CotiduBiS  fieni  alteìio  tn  fimere  Prixfitcae^ 
Multo  &  cap'tllos  fctndu7Jt:  ,  &  clamaììt  magh. 

Che  anche  i  Giudei  teneffero  quella  ufanza  ,  pare  che  fi  ri- 
cavi da  Geremia  Gap.  p.  dove  fon  chiamate  Lamentafrices  , 
A  me  par  credibile  ,  che  gì'  Italiani  per  piiì  Secoli  confervaf- 
fero  quello  ridevole  fpettacolo.  Anche  Omero  ne  fa  conofce- 
re  la  pratica  al  fuo  tempo.  .Per  atreltato  di  Falcone  Beneven- 
tano nella  Cronica,  avendo  terminato  i  fuoi  dì  Guglielmo  Du- 
ca di  Puglia,  nipote  di  Ruberto  Guifcardo,  Contìnuo  ejus  uxor 
crhies  fuoSj  quos  pulcrcs  &  fu anjes  nutrì erat  ^  coram  omnibus  ^  qui 
aderant  ,  totcndìt  ,  &  lacrfmìs  manentìbus  ,  'uocìbusque  ad  aftra 
le'vatìs^fuper  Ducìs  defungi  pcHus  projecìt  (  quello  Plito  s'è  fatta 
menzione  al  Gap.  XX.  )  Populus  quoque  crinibus  genisque  evuljts^ 
Patrem  eorurn  &  Domìnum  mirabUiter  ìnvocabant .  Ne' Secoli  baffi 
fi  chiamavano  Cantatrici  quelle  Donne.  Ma  parendo  a' nollri 
Maggiori  luperftiziofa  una  tal  pratica  ;  e  movendo  ,  per  quan- 
to io  credo  ^  il  rifo  le  loro  fmorfie,  e  falfi  urli  ;  evenendolo- 
dati 


Ventesimaterza.  j^? 

dati  tanto  i  degni,  che  gl'indegni  :  giudicarono  meglio  di  proi- 
birla .  Ne' luddetti  Statuti  di  Modena  del  1327.  Lib.IV,  Ru- 
br.  172.  fi  legge  :   Nulla  perfona  audeat  extra  domum  ^  in  qua  fue- 
rìt  aliqtiis  mortuus  ^  plorare  forther  vel  piane  ;  nec  palmas  Jìve  ma^ 
nus  ad  invicem  percurerey  njel  di/cariare^  nec  in  Ecclejia  ^  nec  per 
njìam^  cundo  adEccleJiam.  Lo  Statuto  MSto  di  Ferrara  del  I2(5p. 
determma  :   ^uod  nemini  de  Ci^uitate  F errar i <s  ^  feu  Burgis  ^  fi- 
cea f  levare  corruptum  (  -dura   tuttavia   fra   noi  fare  il  Corrotto  , 
lo  fi  elio   che   lo  Scoruccio  )  feu  Piangere   alta  voce  ,  propter  ali- 
quod  corpus  mortuum  ,  poflquam   ipjum  extraóìum  fuit  de  domo  , 
&  portahitur  ,  feu  portatum  fuerit  ad  EccLJìam  .  Et  quod  aliquce 
IViulieres  Jio?2  pojftnt  nec  deheant  jequi  aliqtwd  corpus^  nec  ire  ad 
Eccleftam  ^   quando  portahitur  ^  jeu  portatunì  juerit  ad  Ecchjtam» 
^ii  levare  corruptum  ,  lembra   più  tolto  fignifi^are   il   far  voci 
lamentevoli  e  Ichiamazzi  di  dolore,  come   fi  u  la  va  ne'Funera- 
\\  .   Anche   in   Milano  nell'Anno  I2p2.   per  atteflato   di  Galva- 
no Fiamma  nel  Manip.  Fior.   Gap.  331.  fuit  ordinatum  ,  quod 
Mulieres  funera  non  [equerentur  .    Ma    perchè   chiamar  Canta- 
trici  SI  fatte  Donne?  Perchè  con  alcuni  verfi   rimati  imparati 
a  memoria  cantavano  le  lodi  del  morto,  e  co'medefimi  appa- 
gavano l'ambizion  d'ognuno,  attribuendo  a'morti  quelle  Vir- 
tù, che  mai  non  aveano   praticato,  e  fors' anche  aveano  con- 
culcato con  Vizj  contrarj.   Predo  il  Du-Canoe  fi  truova  un  bel 
pezzo  tratto  da'  MSti  di  Boncompagno   Fiorentino  ,    pubblico 
Lettore   in  Bologna   nel  121 3.   Ducuntur^  die' egli,   Roma   qui- 
dam femin^  pretto   nuyn  erario   ad  plnngendum  fupcr   cor  por  a  de- 
funóiorum  ,   qucv  Computatrices  vocantur  ,   ex  eo   quod  fub  fperie 
Khythmica   nobilitates  ,    divittas  ,    formas  ,   fortunas  ,   &   omnes. 
laudahiles   mortuorum   a6lus  computant  feriatim   .    Sed't   namque 
Computatrix  ^   aut  interdum  n-óla^  vel  interdum  prorlivis  fiat  fu- 
per  genua   crinihus   dijfolutis^   &   incipit  preconi  a   voce  variabi- 
li juxta   corpus   defunóii    narrare  y'  &  jemper   in  fine   claufula  oh 
vel  ih  promit   voce  plangentts  .     Et   tunc   omnes    adflautes  cum 
^pl^  flebiles  voces  emittunt.   Scd  Computatrix  producit  lanymas 
pretii  ,  non   doloris  .   Sembrano   indicar   tali  parole  ,   che  quelle 
Femmine   fi  appellaflcro  Contatrici  ,   e  non  Cantatrici  ^  dal  Con- 
tare i  fatti   del  Defunto  .    Vedemmo    proibito   il    luddetto  pia- 
gnidero   nelle  (Irade   e  Chicle   lolamente  :   I   Reggiani   nel   loro 
Statuto   Lib.  VIL   Gap. 21.   lo   vietarono   anche    nelle  caie:   ne 
per  aliquam  pcrfonam   in  domo  defungi    vel  in  via  Ù^c.    fieret 

pla?ì- 


344-  Dissertazione 

planBus ,  vel  ululafus  altquis  cum  clamore ,  &  alta  voce  ,  n)eì 
fort'tper  percutere  cum  palmis  ele'vafis  &c.  Inoltre  decretarono, 
che  non  fofiTe  permefìTo  a  gli  Eredi  o  parenti  del  Defunto  fie- 
ri facere  per  Civitatem  aliquod  prxcont'T^amcntum  de  eundo  ad 
ipjum  mortuum^  feu  ad  jepohuram  tpfius  mortu't  .  Non  so,  che 
in  Lombardia  réftì  più  velligio  deh'ulanza  luddetta.  Solamen- 
te mi  vien  detto,  che  nella  Carniola  tuttavia  s'ufi  il  pianto 
e  lamento  delle  Fanciulle  al  funerale  de'  fuoi  ,  che  poi  lo  ri- 
petono nel  giorno  ottavo  ,  e  in  queit'  arte  lono  ben  animae- 
ftrate  per  farlo  con  garbo.  Fra' Turchi  dura  l'antico  coliume 
di  pagar  Donne  ,  che  accompagnano  i  Cadaveri  con  urli  orrendi 
e  lagrime  ,  framifciando  le  lodi  del  morto  con  tale  ftrepito  , 
che  infadidifcono  chiunque  le  alcolta.  Me  ne  afTicura  Cornelio 
Bruyn  ne' fuoi  Viaggi. 

Chiunque  è  pratico  della  Erudizione  Ecclefiaflica,  sa  quan- 
to ne'  primi  Secoli  dtlla  Chiefa  foffe  abborrita  la  Bigamia  , 
cioè  il  pafìfare  alle  feconde  Nozze  ,  quafichò  quefto  folle  in- 
dizio d'  intemperanza  ;  e  tuttoché  non  foife  veramente  pec- 
cato ,  pure  veniva  biafimata,  e  da  efia  è  poi  provvenuta  ,  e 
tuttavia  fi  mantiene  l'irregolarità,  o  fia  un  impedimento  agli 
Ordini  iacri  .  Forfè  di  quello  rimane  qualche  veliigio  in  al- 
cun luogo  d'Italia,  come  in  Modena,  dove  le  un  Vedovo  del- 
la plebe  fpofa  una  Vedova  ,  non  gli  manca  un  folenne  com- 
plimento delie  perfone  delia  fua  contrada,  che  loro  fan  plau- 
io  ftrepitofo  con  fifchi  ,  motti  pungenti  ,  e  vafi  rotti  gittati 
dalle  finellre  .  Anzi  da  gran  tempo  è  in  ufo  un  aggravio  in 
danari  importo  alle  Doti  d'e^j  Vedovi,  da  pagarfi  a  i  Palafre- 
nieri del  Principe  ;  tanto  è  vero  ,  che  alcune  ufanze  invete- 
rate ne'  Popoli  fi  mantengono  vive  al  diipetto  de  gli  anni  . 
Che  anche  in  Francia  fufiìfieffe  quefto  coftume  ,  lo  moftrano 
alcuni  Atti,  pubblicati  nel  Tom. IV.  i\necdot.  de' PP.  Marte- 
ile  e  Durand .  Charinaris  fi  appellava  da' Franzefi  lo  ftrepito 
popolare  contra  di  tali  Nozze  ;  e  dura  tuttavia  que^o  voca- 
bolo .  Aggiungo  altre  cofette  ,  come  la  memoria  mi  detta  . 
Familiariffimi  furono  i  Bagni  al  tempo  de' Greci  e  Romani, 
e  fra'  Popoli  Orientali  fi  adopera  con  frequenza  il  Bagnarfi  ; 
anzi  fra' Turchi  è  obbligo  di  cofcienza.  Anche  ne' Secoli  bar- 
barici lappiamo,  che  l'Italia,  ed  altri  Popoli  di  Europa  riten- 
nero quelto  colfume  ,  che  oggidì  fra  noi  è  andato  in  difufo; 
e  forfè  con  diicapito  della  faniia,  potendofi  provare,  che  dalle 


Ventesima  TERZA,  34.5 

Bagnature  fi  pofTono  ritrarre  molti  benefizj  .  Secondo  le  Leg- 
gi Longobardiche  ,  morendo  il  Padre  ,  egualmente  fuccedeva-^ 
no  nell'Eredità  i  Figli;  perciocché  allora  non  v' erano  Primo- 
geniture, Maggioraichi ,  e  Fideicommi^j  ,  che  si  gran  pafco- 
\o  danno  oggidì  al  Foro  ,  effendo  quefti  mercatanzia  de'  Se- 
coli pofteriori  .  Dicefi  ,  che  i  Franzefi  o  Salici  fi  regolaflero 
diveriamente  :  non  so  fé  con  ficuro  fondamento  .  Però  fucce- 
deva  ,  che  ne' Feudi  ,  Cartella,  e  fiabili  indivifibili,  uno  pof- 
fedeva  la  mefJ  ,  o  pure  la  fer':^a ,  o  quarta  parte  ;  e  i  figli 
fuoi  per  altra  divifione  ne  godeffero  la  decima  ,  ed  anche  la 
'uigeftma  parte  .  E  quefta  appunto  fa  la  principai  cagione  , 
per  cui  i  gran  poderi  e  boichi  fi  andarono  dividendo,  e  di  ma- 
no in  mano  fempre  più  trinciandofi ,  arrivarono  a  minute  par- 
ticelle ;  e  ciò  con  grave  danno  del  Pubblico  :  malamente  po- 
tendofi  lavorare  quelle  minutaglie  di  campi  pofieduti  da  varj 
Padroni  .  Per  rimediarvi  ecco  il  ripiego  prefo  dal  Popolo  di 
Modena,  come  coda  da  un  fuo  Decreto  dell'Anno  1225.  Fu- 
rono eletti  EJììmatorì  ,  incumbenza  de'  quali  era  di  obbligar 
tutti  i  pofTidenti  a  vendere  i  lor  campi  minori  al  vicino  pof- 
feflbre  ò\  campi  maggiori  ,  o  di  permutarli  ,  di  maniera  che 
fi  venifiero  a  formar  de  i  giudi  ,  e  forti  poderi ,  e  con  facol- 
tà ancora  di  raddirizzare  i  campi  e  i  fofii  ,  come  tornava  il 
meglio  .  Non  farebbe  iz  non  bene  il  rinovar  quefto  Recipe 
anche  per  li  tempi  correnti  ,  giacché  il  Ben  pubblico  ha  da 
prevalere  al  privato  .  Sarebbe  ancora  da  parlare  de'T/Vo//  ufa- 
ti  ne' vecchi  Secoli  ,  molto  ben  diverfi  da  i  noftri  ;  ma  perchè 
troppo  in  lungo  menerebbe  quello  argomento  ,  ne  lafcerò  ad 
altri  la  cura. 


Tomo  ì.  X  >i  Velie 


^j^6  Dissertazione 

Delle  Arti  de  gV  Italiani    dopo  la  declina7:ione 
dell'  Imperio  ILomano. 

DISSERTAZIONE  VENTESIMA  (QUARTA. 

IN  quale  flato  foffero  l'Arti  in  Italia  ,  allorché  qui  regnò 
la  barbarie,  s'ha  ora  a  vedere  .  Altre  lon  l'Arti  necelTa- 
jie  all'Uomo;  altre  che  fervono  al  comodo  fuo  ;  ed  altre  in- 
ventate per  ino  piacere  .  Per  conto  delle  prime  ,  e  di  buona 
parte  ancora  dell' altre  s'ha  da  tener  per  fermo  ,  ch'effe  non 
ceffarono  mai  in  Italia;  e  le  non  ci  fodero  [late,  feco  le  avreb- 
Jjero  portate  i  conquiltatori  ,  tuttoché  barbari  ,  di  quefle  Pro- 
vincie .  Perciocché  non  v'  era  allora  paefe  alquanto  colto  in 
Europa,  che  ignoraffe  e  non  praticalTe  i  meftieri,  de' quali  ab- 
Lifo^na  la  vita  de  gli  uomini  ,  e  che  non  amaffe  le  comodità 
e  i  piaceri  del  corpo  e  deh' animo  .  Di  quefte  Arti  non  verrà 
mai  meno  l'elercizio,  finché  durerà  la  Terra.  Ne' tempi  bar- 
barici adunque  non  è  da  dimandare  fé  qu\  fi  trovafTero  For- 
-nai ,  TefTitori ,  Calzolai  ,  Fabriferrari  ,  Muratori  ,  Barbieri , 
Orefici  ,  Sartori  ,  Vafai  ,  e  fimili  .  Particolarmente  fi  ofTervi , 
che  i  Muratori  al  tempo  de' Longobardi  erano  particolarmen- 
te appellati  Magijìri  Comacini^  come  appariice  dalla  Legge  144, 
^  feguente  delReRotari.  Non  merita  attenzione  UgonGrozio, 
che  deduce  la  parola  Comacinus  ,  fignificante  a  luo  credere 
Architetto  dal  Tedefco  Gé'w^c/' ,  che  vuol  dir.  C/t/zz  .  Il  Linden- 
brogio,  e  ilDu-Cange  con  ragione  traffero  tal  voce,  dal  Luogo,  a 
Comacina  forte  In  fui  a  inRomanula^  ubi  Langobardorum  avo  peri- 
ti Architeili  fuerint.  Senza  fallo  fu  prefa  quella  denominazio- 
ne da  un  Luogo ,  non  già  da  Luogo  poQo  m  Komanula^  o  fìa 
Romandiola^  oggidì  Romagna^  e  anticamente  Flaminia  j  ma 
bensì  dalla  Citta  e  Contado  di  Como  .  Q.uel  Lago  ne'  Secoli 
di  mezzo  era  appellato  Lacus  Comacinus  ,  Infula  Comacina  . 
Perché  maffimamente  da  quella  contrada  fi  prendevano  una 
volta  i  Muratori  più  abili  (  e  ne  vengono  anche  oggidì  )  però 
venivano  chiamati  Magifìri  Comacini  .  Noi  tuttavia  diamo 
loro  r  onorevol  titolo  di  Mafìri  ,  o  Maefìri  .  Parole  fono  di 
Matteo  Villani  Lib.  Vili.  Cap.  58.  della  Storia.  Tutti  m  afe  hi 

e  fem- 


V 

.'»- 


VENTESIMAQ.UARTA  V  347 

e  femmine ,  piccoli  e  grandi  vi  furo?w  per  Maeflù ,  Manovali  &c* 
Per  la  fìefla  ragione  di  proccurare  il  vitto  a  gli  uomini  non 
mancò  mai  l'Arte  neceflaria  dell'Agricoltura,  né  fi  defidera- 
rono  contadini  e  ortolani  pratici  del  loro  meniere,  né  gli  Stru- 
menti necefTarj  a  tal  profeiTione  .  Nella  Cronica  del  Volturno 
all'  Anno  775?.  anche  i  Rullici  vengano  regalati  del  titolo  di 
Maeftri  ,  leggendofi  così  in  un  Documento  :  Nane  &  Magi^ 
ftros  ,  hoc  eft  Vtllayios  ,  qui  cum  mannarias  fuas  foliti  fueranp 
in  fuprafcripta  Cune  Magifterium  facere  ,  idejì  Lupari  &c.  Da 
Map'tjìerium  ^  o  d^  Minijìerium ^  è  venuto  il  noih'o  Mejiiere . 

E  qui  a  me  lia  lecito  di  ofiervare,  che  noi  abbiam  ricevuto 
da  i  più  antichi  Secoli ,  e  ritenerfi  tuttavia  dai  coltivatori  della 
campagna  varie  forte  di  grani  e  legumi,  che  confervano  l'an- 
tico nome,  ed  altre,  che  l'hanno  mutato  ,  fino  a  trovarfi  dif- 
ficulta  in  ben  combinarle  colle  mentovate  da  gli  antichi  Latini. 
Fors' anche  abbiam  grano  non  conofciuto  dai  più  remoti  Seco- 
li, quale  appunto  fi  crede  il  chiamato  da  noi  Frumentone^  da 
i  Milanefi  Melgone^  e  da  altri  Grano  Turco  ^  o  Frumento  Indiano , 
Maiz^  lo  chiamano  gì'  Indiani .  Imperciocché  noi  abbiamo  del 
Frumento  g^offo  e  minuto  ,  di  cui  anche  fi  truova  menzione  nel- 
le vecchie  Carte  .  Parimente  abbiamo  le  Ipecie  di  varj  grani 
conlervanti  l'antico  lor  nome ,  come  i'Or:^o,  Miglio^  Panico^ 
Fava^  Farro ^  Ceci  di  varie  forte,  Veccia^  oVe'Z7:a;  del  Kifo 
appellato  Orixa  da  i  Latini  ;  la  Cifercia  chiamata  anticamente 
Cicercula ;  i  Fagiuoli  di  molte  Ipecie  *  la  Lente  ^  la  Segala  chia- 
mata da  gli  Antichi  Siligo  ,  fé  s'  ha  da  credere  al  Mattiolo  , 
ripugnandovi  lo  Scaligero  ;  i  Lupini ,  la  Vena  ,  e  i  Pifelli  ,  co- 
me fi  chiamano  in  Roma  àà  Pifis  della  Lingua  Latina.  I  Mo- 
denefi  appellano  quefto  legume  Rudea^  di  cui  abbiamo  un'al- 
tra fpecie  appellata  da  i  noftri  Villani  e  da  gli  SpagnuoU  Ar- 
veia  ,  e  da'  Fiorentini  Ruhigìia  ,  voce  che  il  Menagio  mala- 
mente trafie  da  Lupino ^  perchè  probabilmente  viene  dall' £r- 
villa  di  Varrone.  Il  Monaco  di  Bobbio,  che  circa  l'Anno 5? 30. 
fcriveva  i  Miracoli  di  San  Colombano  prefTo  il  Mabillone  ne* 
Secoli  Bened.  fcrive  cosi  :  Legamen  Pis  (  leggo  Pift  )  quod  Ru- 
ft'tci  Herbiliam  vocant >  Da  Herbilia  venne  Ruhigìia  j  e  i  Mode- 
nefi  ne  formarono  Erw^//^,  ^oicìa,  Ervei  a  ^  o  Arveia  ,  Inoltre 
noi  abbiamo  la  Spelta^  chiamata  da  i  Latini  Zea  .  Altre  forte 
ancora  poffediamo  di  Frumento  ,  che  fi  pofiono  credere  note  a 
gli  antichi  Latini  ,  giacché  Columella  e  Plinio  fcrivono  efierci 

Xx     2  fiati 


^4^  Dissertazione 

flati  Tritici  genera  complurla  .  Ma  non  so  dire,  fé  efil  conobbe- 
ro znchQ  idi  S  e  and  eli  a  ^  h  Melile  a  ^  '\\  Moco  (  forfè  £ri;;;'w  antica- 
mente) e  il  Sorgo  ,  che  fi  femina  nelle  campagne  di  Verona  e 
Vicenza ,  ed  altre  fpecie  da  me  non  vedute  ,  e  che  mi  vien  det- 
to efiflere.  S'incontrano  preflb  i  Latini  certi  altri  nomi  di  Legu- 
mi, co'quali  non  è  inverifimile  che  fieno  difegnare  quefle  altre 
fpecie  .  Trovò  il  Du-Cange  in  uno  Strumento  di  Papa  AlefTan- 
dro  III.  prò  Scandela  Comltls  XÌII.  Solldos  ,  ficcome  altrove  il 
nome  di  Scandella  ,  ma  fenza  intendere  ,  di  che  fi  parlaffe  .  E^ 
dunque  la  Scandella  una  forta  di  grano  come  la  Vena,  l'Orzo, 
la  Spelta,  vcftito  di  una  buccia  terminante  in  due  punte.  Chia- 
mafi  anche  da  i  Modenefi  M/7r;^^/o//7,  perchè  fi  femina  nel  Me- 
fé  di  Marzo.  Nel  Libro  di  Agricoltura  del  Crefcenzio  tradotto 
in  Italiano,  fi  leggeva  :  L  Qr-zo  MarTuolo  ^  che  a  Bologna  Jt  chi  a- 
ma  Marzolla  ,  fi  femina  per  tutto  II  Me/e  di  Marzo,  Sentite  la 
bella  fcala  adoperata  dal  Menagio  nelle  Orig.  della  Lingua  Ita- 
liana MarSy  Martls^  Marti t4S  ^  Martlolus  ^  Mardlolus  ^  Marcio- 
lus  ^  Margolus^  Marcela ^  Margolla.  Ma  non  c'è  mai  (lato M^r- 
golla.  Nella  Traduzion  del  Crefcenzio  fi  avea  da  fcrivere  Mar- 
zola^  o  Mar^uola  ^  come  tuttavia  i  Bolognefi  e  Modenefi  chia- 
mano quefto  grano  ,  che  forfè  è  Hordeum  Cantherlnimi  ,  men- 
tovato da  gli  antichi  Scrittori  Kel  ru/ìica  .  Trovò  in  oltre  ii 
Du-Cange  in  una  Carta  di  Papa  Innocenzo  IV.  quefie  parole  : 
In  Frumento^  Hordeo  ^  Faba  ^  Mille  a  ^  Ò'  alla  Biava  (noi  col 
nome  di  Biada  abbracciamo  ogni  forta  di  grani  e  Legumi)  Ò* 
Legumlnlùus.  Dubitò  elfo  valentuomo  della  voce  7kZ/7/c/7,  e  fog- 
giunfe  an  Mlllum?  Mas' ha  ivi  da  leggere  Milka  ^  e  non  già 
Mlllum  ^  avendo  egli  dimenticato  di  avere  fcritto  altrove  M/7/- 
cam  grani  fpecìem  ^  de  qua  pajjtm  veteres  Chartds  Italica .  II  Mat- 
tiolo  (limò  5  effe  re  la  Meli  Ica  Mlllum  Indlcum  ,  e  pare  che  in 
quella  opinione  concorrano  le  parole  di  Plinio  .  Chiamafi  in 
/  Tofcana  Saggina.  Certamente  s'ingannò  il  Bauliino  con  altri  , 

che  immaginarono  effere  una  (ieffa  cofa  hMelllca^  e  il  Sorgo. 
Troppo  diverfi  fono  ài  forma  e  colore  quefti  due  grani.  Il  Sorgo 
forma  i  fuoi  a  guifa  de'Ceci.  Raterio  Vefcovo  di  Verona  circa 
ottocento  Anni  fa  nell'Opufc.  de  Monachls  a^nar^datls  preffo  il 
Dachery  c'infegna,  che  il  S'orbo  era  latinamente  detto  vS'j/r/cww 
con  dire  :  Mlllum  tnodla  decem  ;  de  Surlco  modi  a  decem  ;  de  Vino 
modla  duodeclm  .  Effo  dal  Mattioli  ,  le  non  m'inganno,  vien 
chiamato  Frumentum  Saracenlcum, 

AVEK- 


Ventesima  q_u  akt  a  ì  5^^^ 

Avendo  parimente  il  fuddetto  Du -Gange  trovato  in  una 
Carta  del  Re  Defiderio  rapportata  dal  Margarino  ,  e  in  un'al- 
tra ddla  ContefTa  Matilda  la  parola  Oplum  Albero  ,  ftimò  che 
quello  volefTe  dire  un  Pioppo  ;  ma  Oplus  a  gì'  Italiani  è  Oppio  , 
Albero  al  pari  dell'Olmo  adoperato  per  loflener  leviti,  e  ben 
diverfo  da  Populus  .  Ne  fanno  anche  menzione  Columella  e 
Plinio  .  Sono  anche  parole  di  V^arrone  Libro  I.  Gap.  8.  Ut  Me- 
diolanenft'S  faciu?Jt  in  arboribus  ,  quas  vocant  Opulos  ,  Ghe  poi 
il  Jonftono  ,  il  Bacchino  ,  il  Menagio  ed  altri  Icrivano  ,  eflere 
y  Oppio  una  fpecie  di  C^n-o  ,  e  lo  regiftrino  fra  gli  Alberi  Nu- 
ciferi  5  fanno  ben  conofcere  di  non  aver  mai  veduto  Oppj  in 
Italia.  Dell'Agricoltura  de' Secoli  barbarici  reflano  molte  me- 
morie nelle  pergamene  di  allora ,  dove  fi  affittano  o  fi  conce- 
dono a  Livello  terre  .  In  uno  Strumento  Ferrarefe  dell'  An- 
no 1083.  fi  l'^ge  ,  doverfi  pagare  al  Moniftero  delle  Mona- 
che di  San  Silveftro  :  de  Grano  Ò'  Sica  (  vuol  dire  Sicala  )  /";/ 
campo  Capa  quarta  trahenda  de  area  &  tritolatum .  Faba  in  area 
Modio  quarto .  Ordeata  in  area  Modio  omnem  alio  tna/ori  men- 
fe  a  -minuto  (  in  altre  Carte  ho  letto  de  omni  alio  ma/orimi- 
7ie  &  minuto  )  atque  Legumina  in  area  Modio  fexto  .  Lino 
wanna  Jexta  .  Vino  Amphora  quarta  .  Duabus  vi  ci  bus  arbore  pe- 
éìo  ponendo  ,  Ò'  dejìorcendo  Ò'c.  &  Ji  vineam  plantaverim ,  da 
ufquequo  plantaverimus  ,  ujque  ad  annis  quinque  ,  Ò'  pofìea 
rendere  debeamus  "oinum  .  Nelle  Carte  di  Ravenna  ,  alTaiffime 
delle  quali  fi  confervano  nel!'  Archivio  Eftenfe  ,  fovente  (i 
truovano  tafìate  quelle  penfioni  di  frutti  naturali .  In  una  del 
1 1  84.  leggo  cosi  :  Et  reddere  debeamus  Terraticum  de  pradióìa 
terra  .  De  Grano  &  Segale  quartam  partem .  Faba ,  &  Tritico 
quintam  .  Viiio  tertiam  partem  :  totum  redditum  tritulatum  & 
reóium  per  nos  in  Cajlro  veflro  Argenteo  .  In  altra  del  1123. 
F>e  Grano  Jìarium  unum  ,  Ù'  Gallinam  unam  ,  &  de  Lino  gra- 
mulato  lefineo  triginta  fignum  ,  &  alia  fervida  vobis  faccre 
debeamus.  In  altra  del  1174.  fi  veggono  triginta  brancata^  Li- 
ni grammulati  .  E  in  una  Carta  di  Landolfo  Vefcovo  di  Fer- 
rara,  fcritta  nel  11  od",  debbono  i  Livellar)  pagare  02.ni  anno 
Terraticum  de  Grano  in  campo  Capam  quartam  .  De  Sic  ale  in  campo 
Capam  quintam  ^  trahendas  ad  aream  &  trituratas  per  vos  peti- 
torcs.  De  Faba  in  area  medium  quintum.  De  Mixtura  ingranata  y 
&  de  Trijico ,  Mileo ,  &  Panico ,  atque  Lesu?nina  in  area  modium 

festum . 


3^0  D   l'S   S   E   R   T    A    Z   I   O   N    E 

fextum ,  De  Lino  mn7ina  . .  .  De  Vino  ampboram  terttam»  Duahus 
vìcibus  Arbore  pe&o  ponendo  &€.  Et  prò  vejìro  Cafale  dabitis  an* 
nualtter  exjentum  Pullum  unum  ,  &  cva  qu'mque  ,  &  operas  tres 
cum  bovi  bus  ^  &  operas  tres  cum  mnnibus. 

Quello  che  s'  è  detto  de  gli  Agricoltori  ,  dee  anche  dird 
d'altre  Arti  neceffarie  al  vitto  e  comodo  de' viventi,  e  d'altre 
ancora  fpettanti  al  loro  diletto.  Carlo  M.  in  un  (no  Capitolare 
dell'Anno  800.  prefTo  il  Baluzio  comanda,  Ut  unusquisque Ju- 
dex  (  cioè  il  Governatore  delia  Citta  )  /;/  fuo  mìnijìerio  bonos 
habeat  Artìfices^  ìdejì  Fabros  Ferrarios^  &  Aurìfices^  'ucl  Argen- 
tm'ios^  SutDres^  Tornatores^  Carpentariosy  Sci/jatores^Precatores^ 
AccipìtoreSy  tdejì  AuceUatores  ^  Saponarios  ^  Siceratos  ^  ìdeji  qui 
cervijtam ,  vel  pomarium  ,  five  pirr^tium  &c.  facere  fcìant ,  Pi- 
Jìores  ,  Ket'iatores  Ò'c.  Ciò  ,  che  folamente  mancava  a  molte 
dell'Arti  efercitate  in  que'  Secoli  ignoranti ,  era  la  leggiadria 
e  perfezione  tifata  da'Greci  eRom.ani,  e  rinovata  in  quefti  ul- 
timi Secoli .  Perefempio,  fi  fabbricarono  facri  Templi  e  cafe 
in  ogni  tempo  ;  ma  dappoiché  cadde  l'Italia  in  mano  de' Bar- 
bari, la  loro  barbarie  pafsò  anche  nelle  Fabbriche.  Parche  le 
cafe  baflaffero  a  contenere  chi  v'avea  da  abitare,  foflero  lavo- 
rate con  forte  muro  ,  fcala  ,  e  tetto  ,  colle  neceffarie  camere, 
il  Maeftro  avea  fatto  il  fuo  dovere  .  Ma  quivi  di  rado  fi  of- 
fervava  quella  proporzione  diparti,  quegli  ornamenti  ,  como- 
di ,  ed  altre  prerogative  ,  che  fi  truovano  o^^gid'ì  in  tanti  Pa- 
lazzi e  cafe  s'i  delle  Citta  ,  che  delle  Cafìella  e  Ville  .  A  for- 
mare edifizj  fedi ,  ogni  perfona  alquanto  addottrinata  in  quella 
profeffione  è  atra  ;  ma  a  farli  con  fmimetria,  con  vaghezza,  e 
bel  comparto  di  comodi,  vi  bifogna  un'altra  Arte,  cioè  quella 
de  gli  Architetti.  f-^Aa  quefta  s'era  infiacchita  di  troppo  in  que* 
rozzi  tempi  ,  né  curavano  punto  i  Barbari  di  ftudiare  la  nobil 
Architettura  Greca  e  Romana  ;  e  però  in  vece  di  quefta  fé  ne 
introduffe  un'altra  affai  rozza  e  groffolana  ,  che  durò  per  più 
Secoli  non  folo  in  Italia,  ma  anche  in  Germania,  Francia,  ed 
altri  nobili  Regni  d'Europa.  Tale  Architettura,  ficcome  ac- 
cennai nel  Cap.  precedente,  noi  fiam  foliti  a  chiamarla Go^/V/r, 
ma  fenza  buon  fondamento  ,  perchè  non  apparifce  ,  che  dopo 
la  venuta  de' Goti  in  Italia  nel  Secolo  Serto  fcadefìfe  l'Architet- 
tura in  quefte  contrade  ,  né  eh'  ella  foife  allora  diverfa  dalla 
Romana  .  Abbiamo  anzi  una  buona  teftimonianza  del  contra- 
rio in  Caffiodoro  ,  il  quale  nel  Lib.  IV.  Epift.  30.  induce  il  Re 

Teo- 


Ventesimaq,uakta.  351 

Tecderìco,  che  fcrive  nella  leguente  forma  ad  Albino  Patricio, 
Ufide  nos^  qui  Urbem  nitore  cupimus  fiibricarum  furgentium  com- 
porli ,  facuhntem  concedimus  pojìulatam  :  ita  tamen  fi  %-es  aut 
utilitati  puhliccs  non  officit  aut  decori .  ^apropter  rebus  fperatis 
feciirus  innitere ,  ut  dignus  KOMANIS  fabricis  habitator  appa- 
veat^  perfeHumque  opus  fuum  laudet  au6iorem  .  Nulla  enim  res 
eft^  per  quam  melius  pojjit  ag?2ofci  &  prudentis  ingenium  ,  & 
laraitatis  ejfeBus.  Ma  più  ditfulamente  colla  fiorita  prodigalità 
"del  Ilio  ftilc  fi  sfoga  efib  Caffiodoro  nel  Lib.  VII.  su  quefto  ar- 
gomento ,  cola  dove  ci  porge  la  Formola  della  cura  del  Pa- 
lazzo alnum.V.  e  fcorre  nelle  lodi  dell'Architettonica  condi- 
re fra  l'altre  cofe:  ^uapropter  quicquid  ad  te pertinet ^  ita  de- 
■^center  ^  ita  firmiter  'volinnus  explicari  ^  ut  ab  opere  veterum  fola 
dtftet  novitas  fabricarum  .  In  fatti  non  poche  fabbriche  ,  cioè 
Templi  ed  opere  pubbliche  per  ordine  di  Teoderico  furono 
fatte  in  Ravenna  admirabili  JìruBura^  come  fcrive  il  RofTì  nel- 
la Storia  di  quella  Citta,  e  lo  conferma  anche  l'antico  Scritto- 
re Agnello  nel  Lib. Pontific.  Altrettanto  fece  egli  in  Pavia.  E 
perciò  con  ragione  l'Anonimo  Valefiano  il  chiamò  /imatorem 
^fabricarum^  reJìauratoremCi'vitatum  ^  coli' accennare  i  Palazzi-, 
le  Terme,  gli  Acquedotti,  e  gli  Anfiteatri  da  lui  fabbricati  in 
Ravenna,  Verona,  e  Pavia.  QjJelta  medefima  lode  a  lui  fu  da- 
ta da  Ennodio  nel  di  lui  Panegirico.  Da  che  vien dunque,  che 
da  noi  fi  attribuifce  a  i  foli  Goti  la  rozza  Architettura  per  più 
Secoli  ufata  in  Italia? 

Per  tanto  è  da  dire,  che  per  inganno,  e  per  altro  abufo  co- 
minciarono i  noftri  Maggiori  a  chiamar  Gotico  tutto  che  avea 
colore  di  barbarie  e  rozzezza  ,  fìa  tal  difetto  proceduto  da  i 
Longobardi  ,  o  pure  da  i  Franchi  ,  o  Germani  .  E  veramente 
regnando  i  Longobardi,  gente  mitica,  e  allevata  lenza  coltura 
d'ingegno  ,  l'Arti  desinare  al  comodo  e  diletto  de'  mortali  , 
patirono  una  non  lieve  Eclifli  ,  né  più  fi  vide  quella  leggiadria 
e  vaghezza  ,  che  compariva  ne'  cottumi  ,  nelle  Fabbriche  ,  e 
nelle  azioni  de' Romani  dominanti.  Non  fi  tralafciò  già  ne  lot- 
to i  Longobardi ,  né  lotto  i  Franchi  di  fare  in  Italia  delle  gran- 
diofe  fabbriche  di  Templi  ,  Palazzi,  e  caie;  ma  non  compa- 
riva in  effe  quel  buon  gufto ,  e  quella  perfezione  ,  che  fi  mi- 
rava nelle  antiche  Romane  e  Greche  .  Avrei  nondimeno  vedu- 
to io  volontieri  alcuni  lor  magnifici  edifizj,  fé  il  tempo  non  fé 
gli  aveffe  ingoiati  .  Scrive  Paolo  Diacono  Lib.  V.  -Gap.  34.  che 

Rode- 


j52  Dissertazione 

Rodclinda  Regina  ,  Moglie  di  Bertarido  Re  de'  Longobardi , 
Baftlìcam  Sanila  Dei  Genitricis  extra  muros  Cì'vitatis  Tkinenfts^ 
quce  ad  Perticas  appellatur  ,  Opere  Mirabili  condidip  ,  ornamen' 
thque  mirijicis  decoranti! .  Anche  il  Re  Liutprando  ,  come  rac- 
conta il  medefimo  Storico  Lib.  VI.  Cap.  58.  In  Olonna  Juo  prò- 
hajìio ,  Miro  Opere  in  honorem  SanHi  Anaflafti  Martyris  ,  Chri» 
fio  domicilium  Jìatuit ^  in  quo  &  Monajìerium fecit ,  Oh,  dire- 
te ,  a  gli  occhi  di  Paolo  Longobardo  dovettero  parer  mirabili 
quelle  fabbriche,  tuttoché  formate  con  goffa  Architettura.  Ma 
Paolo  Diacono,  che  avea  veduto  tante  infigni  antichità,  tutta- 
via confervate  a'fuoitempi  in  Roma,  potea  ben  giudicare,  fé 
foflero  o  non  foffero  maravigliole  e  lodevoli  quelle  de'  Longo- 
bardi. Fors' anche  non  mancava  qualche  Architetto,  che  pro- 
fittaffe  delle  magnifiche  e  belle  memorie  di  Roma.  Lo  Scritto- 
re della  Cronica  del  Volturno  ,  defcrivendo  la  Bafilica  fabbri- 
cata dall' Abbate  Giosuè,  l'ammira  colle  feguenti  parole  :  Cer- 
te nos^  qui  nu?2C  'videmus^  vel  qui  tunc  illìs  'uidere  temporibus ,, 
fatis  mirari  non  pojfumus  illius  Ecclejico  magnitudiìiem  vel  pul- 
critudinem  in  bis  regionibus .  Col  tempo  nondmieno  prevalen- 
do l'ignoranza  anche  in  Roma  ,  quivi  fi  fcemò  di  molto  la 
perizia  della  migliore  Architettura,  dimodoché  volendo  Defì- 
dcrio  infigne  Abbate  di  Monte  Cafino  ,  che  fu  poi  promoffo 
al  Pontificato  Romano  ,  fiibbricare  nell'Anno  1066.  una  fun- 
tuola  Bafilica  in  elfo  Monte  Cafino,  non  prefe  da  Roma  gli  Ar- 
chitetti e  Maeftri;  ma  condu6lis  protinus  peritijjimis  j^rtificibus 
tam  Amalphitnnis  ^  quam  &  Lambardis^  àx  jaHis  inChriJìi  no- 
mine fundamentis  ,  coepit  ejusdem  Bafilicóe  fabricam.  Così  Leo- 
ne Oftienie  Lib.IIL  Cap.  28.  Chron.  Cafin.  il  quale  poi  ci  dk 
la  defcrizion  di  quel  magnifico  edifizio.  Altre  fabbriche  in  quei 
medefimo  Secolo  XL  e  ne'  fufleguenti ,  furono  fatte  sì  profane 
che  facre  con  incredibili  fpefe,  gran  fodezza ,  e  copia  ancora  di 
marmi.  Sopra  tutto  fon  da  vedere  certe  Rocche,  e  Torri  fab- 
bricate dopo  il  Mille  ,  e  che  fi  fon  falvate  finora  dalle  ingiurie 
de' tempi,  nelle  quali  fi  ammira  l'altezza,  lavadita,  elagrof- 
fezza  de'  muri  ;  ma  nan  gi'a  la  nobil  delicatezza  delle  antiche 
Fabbriche  Romane.  Gran  magnificenza  è  quella  del  Duomo  di 
Milano  ,  di  San  Marco  di  Venezia  ,  della  Certofa  di  Pavia  ,  e 
d'altri  edifizj  de' Secoli  rozzi,  e  ne  fiupifce  l'occhio  del  volgo; 
ma  gli  ftudiofi  della  migliore  Architettura  non  truovano  ivi 
l'ordine  ,  e  la  bellezza  ,  che  converrebbe  ,   e  fembrano  loro 

■    quelle 


Ventesimaq.uarta.  355 

quelle  gran  moli  più  torto  caricate,  che  ornate  d'ornamenti. 
Lo  fteflb  è  da  dire  del?  Architettura  della  Germania  ,  Francia  , 
Inghilterra,  e  d'altri  paefi  della  Criftianita  d'Occidente,  che 
dapertutto  leppe  di  barbaro.  Però  abbiamo  a  rallegrarci,  che 
da  circa  tre  Secoli  in  qua  col  riforgimento  delle  Lettere  è  an- 
che riforta  la  più  lodevole  Architettura,  per  opera  maffimamen- 
te  de  gì' ingegnofi  Fiorentini,  e  di  Giacomo  Barocci  da  Vignola 
mia  Patria.  Solamente  farebbe  da  defiderare  ,  che  né  pure  fi 
fprezzaflero  varie  nobili  memorie  de' Secoli  rozzi,  che  reftano 
in  piedi  :  manca  ad  efle,  è  vero  ,  la  finezza  Greca  e  Romana  ; 
ma  non  laiciano  di  fpirare  una  veneranda  maeftìi  e  magnifi- 
cenza . 

Similmente  fi  vuole  aggiugnere,  che  mai  non  perì  la  Mu- 
fica  in  Italia.  Il  grave  Canto  Ecclefiaftico  non  folo  a' tempi  di 
San  Gregorio  Magno,  ma  anche  ne'precedenti  Secoli  fu  adope- 
rato dal  Popolo  Criftiano  .  Che  anche  fi  ufafle  qualche  parte 
della  Mufica  Cromatica  ed  Enharmonica  ,  l'hanno  provato  uo- 
mini eruditi.  D'erta,  oltre  a  i  Greci,  ci  lafciarono  precetti  an- 
che i  Latini,  cioè  Santo  Agoftino,  Marziano  Capella  ,  Boezio  , 
Cartiodoro  ,  e  Beda  .  Fu  anche  illuftrata  la  Mufica  da  Guido 
Aretino  circa  il  1022.  come  fi  oflervera  al  Cap.  43.  a  cui  fi  dee 
aggiugnere  Ermanno  Contratto  ,  che  fiori  circa  l'Anno  1054. 
e  Conrtantmo  Monaco  Cafinenle  perito  d'erta  Arte  nel  Secolo 
medefimo  .  Né  pure  venne  malmeno  l'ufo  delleCetere,  del- 
le tibie  o  pive,  e  d'altri  Muficali  Strumenti  o  di  fiato  o  di  cor- 
de .  Credefi  ,  che  lolamente  nel  Secolo  Vili,  e  IX.  veniflero 
gl'Iraliani,  e  Franchi  in  cognizione  de  gli  Organi  dafiato,  co- 
me fi  può  dedurne  dalla  maraviglia  che  ne  fecero,  allorché  fi- 
mili  ordigni  furono  portati  in  Francia  a' tempi  di  Pippino,  Car- 
lo M.  e  Lodovico  Pio  ,  del  che  ho  parlato  nelle  Annotazioni  al 
Poema  di  Ermoldo  Nigello.  E  pure  CalTiodoro  e  Santo  Ifidoro 
fanno  menzione  àt^iOrgnnì ,  Anzi  Venanzio  Fortunato  ,  Poe- 
ta Italiano  paflato  in  Francia,  nel  Lib.  II.  Carm.  io.  ad  CU- 
rum  Far'tftacum  ^  pare  che  conofcerte  gli  Organi  nella  rtefifa  Fran- 
cia circa  l'Anno  580.  cioè  tanto  tempo  prima  del  Re Pippino. 
Scrive  egli  così  : 

Urne  puer  exiguis  attemperata  Organa  camiis^ 
Inde  Senex  largam   ruólat  ab  ore   Tubaryj, 
Cj/mbalic(£  voces  calamis  mtjcentur  acut'ts , 

Dìfpar'tbusque  tropi  s  Fijìnla  àule  e  fonat  &c* 
Tomo  L  Yy  E  Gio- 


354-  Dissertazione 

E  Giona  Italiano,  Monaco  di  Bobbio,  che  fiorì  nel  Secolo  me- 
defimo  di  Venanzio  lortiinaro  ,  ntlla  Prefazione  alla  Vita  di 
San  Colombano  ,  Ieri  ve  :  Plerosque  Organi  fcilicep  ,  Pjnherii  , 
Cythara  melos  nures  opplttas  ,  mollìs  Ja^pe  Anjenx  modulamini 
aud'itum  accoymnodare  .  Ecco  i  Muiicali  Strunriend  di  quc' tem- 
pi .  Ma  noi  non  lappiam  bene  ,  c^ual  cola  fodero  gli  Organi 
accennati  da  Fortunato  e  Giona  .  Forie  erano  picciole  Filtule 
o  Siringhe  ,  compofte  Cannìs  exiguis^  come  ularono  i  Greci  , 
fonate  colla  bocca,  eperòdiverfi  da  gli  Organi  portati  in  Fran- 
cia da  i  Greci.  In  fatti  fi  Icorge  che  il  fabbricarli  non  fi  fape- 
va  fé  non  da  elfi  Greci  nel  Secolo  Vili,  e  eh'  effi  cuftodivano 
con  gelofia  quefto  fegreto.  Ma  Giorgio  Prete  Veneziano,  aven- 
dolo ad  efli  rubato,  lo  portò  all'lmperadore  Lodovico  Pio  ,  co- 
me notarono  gli  Annali  de'  Franchi  all'  Anno  82^.  Ma  che 
prima  di  quel  tempo  lapefiTero  i  Romani  fonar  gli  Organi,  pa- 
re, che  fi  polfa  inferire  dal  Monaco  Engolismenle  nella  Vita  di 
Carlo  M.  all'  Anno  787.  preffo  il  Du-Chefne  .  Vo'  rapportar 
tutto  quel  paflb,  affinchè  s'intenda  quanto  allora  follerò  eccel- 
lenti nella  facra  Mufica  i  Romani.  Era  in  quell'Anno  ito  a 
Roma  quel  rinomato  Monarca  ,  e  in  tale  occafione  Orfa  eft 
co?itentio  inter  Cantores  Komanorum  &  Gallorum  .  D'icebant  Je 
Galli  meltus  catitare  Ù'  pulcrius  quam  Romani .  Dìcebant  je  Ro- 
mani doBiJJìme  cantihnas  Ecclejiajìicas  prof  erre  &c.  Galli  Ro- 
manis  exprobrabant  :  hi  cantra  appellabant  eos  Jìultos ,  rujìicos , 
Ù'  indoóios  ;  i>eluf  bruta  animali  a  affìrmabant  y  &  do6ìrinam 
Sanali  Gregorii  prcefereb ant  rujìicitati  eorum .  Più  lotto  aggiugne  : 
Omnes  Francia  Cantores  didicerunt  Notarn  Romanam  ^  quam  nunc 
K)oca7ìt  Notam  Francifcam~  excepto  quod  tremulas  (  vuol  dire  i 
Trilli  )  vel  tinnulas  ,  Jive  collijibiles  ,  'vel  fecabiles  njoces  (,  forfè 
vuol  fignificare  il  Diefis  e  il  B.  molle  )  in  cantu  non  poterant 
perfeóle  exprìmere  Pratici  naturali  voce  barbarica^  frangentes  in 
gutture  voces  porius  quam  exprifnentes  &c.  Finalmente  aggiu- 
gne :  Similiter  erudierunt  Romani  Cantores  fupradiHi  Cantores 
Fra?icorum  in  arte  Organandi  .  Se  s*ha  da  attendere  l'autorità 
di  quefto  Monaco  ,  e  le  le  lue  parole  indicano  il  faper  lonare 
l'Organo,  non  iiìara  falda  l'opinione  del  P.  Mabillone,  che  ne 
gli  Annali  Bened.  all'  Anno  757.  fcrive  :  Organorum  ufum  fub 
jìnem  Seculi  IX,  apud  Italos  ex  Germania  Primum  acceptum  fuif- 
fc  colligimus  ex  Epijìola  Johannis  Papce  Vili,  ad  Atmonem  Epi- 
fcopum  Friftngenjem,  Le  parole  di  quello  Papa  prelfo  il  Baluzio 

Mi- 


VENTESIMAQ.UARTA.  j55 

Mircellan.  Lib.  V.  Precamur  ^utem  ,  ut  optimum  Orga?ium  cum 
Artifice ,  qui  hoc  mocìerari  ,  &  facere  ad  omnem  modulat'ton'ts  ef' 
jicaciam  pojfit  ^  ad  i?iJìru6lionem  Mujìcce  Dìfciprm<je^  ìiobis  ^ut  de- 
feraSy  a  ut  mittas. 

M  A  effendo  paffata  tanta  famigliarità  e  pratica  fra  i  Roma- 
ni e  i  Greci  dominanti  per  tanto  tempo  in  Roma  ,  appena  fi 
può  credere,  che  si  tardi  folfe  introdotto  ne' Templi  Romani 
l'ufo  de  gli  Organi.  Perchè  i  migliori  Artefici  di  tali  Macchi- 
ne fi  trovavano  allora  in  Germania ,  come  avviene  anche  og- 
gidì, e  che  meglio  fapeano  fonar  d'Oigano,  però  il  Pontefice 
ne  defiderò  uno  :  dal  che  non  fi  può  con  ficurezza  inferire,  che 
prima  non  avefle  Roma  adoperati  gli  Organi.  Ho  anche  offer- 
vato,  che  Publio  Optaziano  Porfirio,  che  fiori  fotto  Coiiantino 
Magno  circa  l'Anno  322.  nel  fuo  Panegirico  in  verfi  dati  in 
luce  dal  Veliero  ,  fi  fa  chiaramente  menzione  de  gli  Organi  , 
che  fi  fonavano  co'  mantici  .  Né  fi  dee  tacere  aver  creduto  il 
Du- Gange,  avere  avuto  la  Chiefa  di  Verona  l'ufo  de  gli  Or- 
gani ,  vivente  Carlo  M.  perchè  in  due  Strumenti  di  quel  tem- 
po fi  truova  Porta  Orga?n  .  Ma  che  una  Porta  avefle  tal  de- 
nominazione, e  fi  può  anche  ap,giugnere,  che  ivi  appreffo  fof- 
fe  fabbricato  il  Moniftero  Sanìlcs  Marid;  ad  Ovganum  :  nulla  ha 
quello  che  fare  con  gli  Organi  delle  Chiefe  .  Oltre  di  che  gli 
antichi  fotto  nome  d'Or^^;?/  comprefero  tutti  gli  ftrumentìMu- 
ficali  .  Anzi  alcune  Macchine  da  Guerra  venivano  chiamate 
Organi  ^  per  atteftato  di  Vitruvio,  che  fcrive  nel  Lib.X.  Gap.  i. 
Inter  Mac hìnas  &  Organa  id  videtur  ejfe  difcrimen^  quodMa- 
cbince  ò'c.  Organa  vero  unius  ope  ^  itti  fcorpiones  verfantur.  Fi- 
nalmente ,  lecondo  la  tellimonianza  di  Golumella  ,  Organi  fi. 
chiamavano  alcuni  Strumenti  da  mifurare  .  Vedi  Lib.  lìl.  Ga- 
pit.  13.  E  però  non  lappiamo  ,  perchè  quella  foffe  appellata 
Porta  Organi,  Se  poi  la  Mufica  di  molte  voci  nella  fteffa  difcor- 
dia  confonanti  ,  che  chiamiamo  Contrapunto  ,  coltivata  oggidì 
con  grande  fludio  ,  foffe  praticata  da  gli  antichi  ,  lafcerò  diipii- 
tarne  al  Meibomio  ,  allo  Zarlino,  all'Angelini,  e  ad  altri.  Fu 
di  parere  il  Kirchero  Geluita  nella  Mulurgia  Tom.  I.  Lib.  V. 
che  Guido  Areti?7us  autor  etiam  fuit  Inflrumentoruyyi  polyplcBo- 
rum^  uti  Ju?itClavicfmbala  ^  clavichordia  ^  ftmiliaque  :  quod& 
ipja  Dedicatoria  innuit  ,  dum  ad  catituni  adhibuit  Monochordum 
quoddam  harmonice  conJìruMum ,  Ex  quibus  concludo^  Guidonem 
e^titijje  Inventar em   polyphonce  Mufica;  ,    quum  ante   ejus  tem- 

Y  y     2  pora 


356  Dissertazione 

por  a  ex  nulJ'is  Veterum  monur/ientis  pojjit  colltgi  ^  id  ^enusMuJtcce 
apud  Veteres  fidijfe  in  ufu  .  Anche  l'Angelini  Perugino  adottò 
qiiefta  opinione  .  A  me  non  tocca  di  giudicarne  .  Solamente  ag- 
gingnerò  una  particolarità,  cioè  che  Giovanni  Sarisberienfe  circa 
l'Anno  1170.  nel  Lib.  I.  Gap.  ^.  Pohcrat.  fi  duole  della  Mufica 
de' fuoi  tempi  come  molle  e  lufTureggiante,  che  fi  ufava  nelle 
Chiefe.  Ipfum  (die' egli)  cultum  Keligionis  incejìat  ^  quod  ante 
confpeBum  Domini  in  ipfis  penetralibus  SnnHuarii  ,  lafcivientis 
'vocis  luxu  ^  quadam  oJìe7itatione  Jui  ^  muliebribus  modis^  nofarum 
anicolorumque  cafuris  Jìupe?2tes  animulas  emollire  nifunfur.  ^umn 
pracinentium  ^  &  fuccine?itium  ^  canentium^  &  decinenrium  ^  in- 
tercinentium  ,  &"  occinentium  prde}yìolles  Modulationes  audieris: 
Sirenarum  concenms  credas  ejfe  &c.  Ea  ftquidem  ejì  afcendendi 
defcendendique  facilìtaSy  eajeóìio^  njel  geminatio  notularum  ^  e  a 
replica  fio  articulorum  ,  ftngulorumque  cojijolidatio ,  Jìc  acuta ,  njel 
/tcutijjima  gravibus  &  Jubgravibus  temperantur  ^  ut  auribus  fui  ju- 
diciiftibtrabanfrau6loritas&c.  Se  tali  parole  fignifichino,  come 
pare,  la  Mufica  figurata  ,  ne  rimetto  la  decifione  a  chi  s'inten- 
de di  SI  fatti  (ludj,  ed  ama  l'Erudizione  .  Ma  che  av^rebbe  det- 
to il  Sarisberienfe,  fé  aveife  udita  la  Mufica  de' noflri  rem. pi  ? 
Per  qualche  Secolo  dopo  Guido  Aretino  fu  ben  lontana  la  Mu- 
fica dalla  Scienza  e  perfezione  d'oggid'i,  tanto  nel  Canto,  che 
re' Suoni.  Nel  Secolo  XV.  cominciò  effa  ad  effere  coltivata  ,  e 
fempre  più  crefcendo  è  giunta  allo  fiato  prefente,  in  cui  ammi- 
riamo con  iftupore  e  diletto  il  mirabil  concerto  di  tante  voci  e 
Strumenti.  Ma  forfè  non  è  tanto  da  rallegrarfi  di  taleacquiflo. 
Abbiam  lafciata  la  Mufica  virile  e  grave  de  gli  antichi,  e  fofti- 
tuitane  un'altra,  che  afpira  la  mollezza,  l'effemminatezza,  e 
la  corrutela  de'coftumi.  Non  mi  occorre  dirne  di  più. 

Vengo  alla  Pittura.  La  perizia  infigne  de' Greci  in  ella  è  efal- 
tata  da  gli  antichi,  e  da  loro  palsò  a'Romani.  Poco  ne  re f la  a 
noi  per  poter  ben  giudicare  di  tante  lodi  e  miracoli  de  i  quali 
parla  il  Giunio  de  Pi6ÌMra  veferum.  Recano  nuliadimeno  tante 
Statue,  Medaglie,  Cammei,  baffi  Rilievi,  ed  altri  pezzi  di  anti- 
chità con  tale  fquifitezza  di  lavoro  formati,  che  dilìi  fi  può  con 
fondamento  argomentare,  qual  foffe  anche  la  loro  eccellenza 
nel  dipignere  :  giacché  pafia  tanta  fratellanza  fra  la  Pittura  e 
Scoltura.  Ma  da  che  fi  fcaricò  la  piena  delle  Nazioni  barbariche 
in  Italia,  quell'Arte,  e  infieme  la  Statuaria  ,  diedero  un  fiero 
crollo,  pochi  efercitandole,  e  auefti  perlopiù  anche  sgraziata- 
mente . 


^^ 


Ventesima  q.u  art  à  ",  357 

mente  .  Per  altro  niun  tempo  ci  fu  fenza  Pittori  .  Teodelinda 
Regina  de'Longobardi  circa  l'Anno  5^2.  ìnMonzs.  fuumPala- 
fium  co7ìdidìf^  in  quo  aliqutd  &  de  Lnngobardorum  geftis  depìngi 
fecif.  Ermoldo  Nigello  nel  Poema  de  Ge/i.  Ludov.  Pn  Lib.  IV. 
delcrive  il  Palazzo  e  Tempio  d'Inghelheim  fabbricati  da  Car- 
lo M.  e  le  cofe  ivi  dipinte  ,  fecondo  lui,  pi6ÌMra  tnftgìi't, 
Inclyta  gefta  Dei  ,  jeries  memora?ida  Virorum 
PiBura  inftgtn  quo  relegenda  patent  * 
Cosi  Giovanni  VII.  Papa  per  atteftato  di  Anaftafio  circa  l'An- 
no 'J06,  Fecit  Imagtnes  per  diverfas  Ecclejias  ,  quas  quicumque 
nojje  defidcrat  ,  in  eìs  ejus  njultum  depi6ium  reperìet  .  Enfilicam 
ìtemque  SrtnHdC  Dct  Genitricìs ^  qu^e  antiqua  njocatur^  pittura  de- 
coravit.  Anche  il  Pontefice  Gregorio  III.  ìqcq  dipigncre  la  Chie- 
fa  di  Santa  Maria  d'Aquiro  .  E  Papa  Zacheria  in  Lateranenfi 
Patriarchio  fecìt  triclinium  ^  quod  &c.  &  piHura  ornarvi t.  Tra- 
lafcio  altri  pafii ,  e  ripeto,  che  in  ogni  Secolo  fi  trovarono  Pit- 
tori e  Scultori;  ma  quali,  Dio  ve  lo  dica.  Né  già  fi  perde  VAr- 
te  del  Difegno.  Si  truovano Monete  e  Sigilli  de' Secoli  barbarici, 
dove  miriamo  -ben  efpreffe  le  telte  de  gi'  Imperadori  .  Cosi  vi 
erano  bajfi  Rilievi  ,  Immagini  formate  d'oro  e  d'argento  ,  e 
ne  parla  iovente  il  fuddetto  Anaftafio  Bibliotecario,  Si  vede  an- 
che menzionato  Opus  interrajile  ^  che  non  so  fé  voglia  fignificare 
l'incidere  figure,  come  ne' Sigilli.  OiTerviamo  ancora  che  fino  al 
Mille  durò  in  molti  Luoghi  ìàCaligrafia^  o  vopliam  dire  la  buona 
e  viRola  Scrittura,  come  fi  può  vedere  in  molti  Diplomi ,  Bolle, 
e  Codici  allora  ferini.  Dopo  il  Mille  peggiorò  la  maniera  di  fcri- 
vere  :  del  che  fan  fede  molti  marmi  e  Libri  fcritti  a  penna  con 
abbreviature,  e  caratteri  sformati,  che  fenza  ragione  chiamia- 
mo Gotici.  Statue  e  baffi  Rilievi  in  alcune  Citta,  e  particolar- 
mente in  Roma,  furono  fatti  con  tollerabili  lavori;  in  altri  Luo- 
ghi muovono  arilo.  La  conclufione  è,  che  folamente  nel  Se- 
colo XIV.  cominciarono  quelle  Arti  ad  alzare  alquanto  la  te- 
ila  ,  e  crefcendo  fempre  più  ne'  luiTeguenti  ,  fon  pervenute  a 
quella  perfezione,  che  oggi   miriamo. 

Non  fi  dee  perquefto  negare  a' Secoli  rozzi,  di  aver  coltivata 
FArte  di:' Miifaici .  Un  pezzo  ha,  che  quella  non  è  conoiciuta,  e 
molto  men  praticata,  le  ne  eccettui  Roma  e  Venezia,  che  a'nc- 
llri  tempi  l'hanno  rifufcitata,  e  con  tal  vantaggio  ,  che  i  lor  la* 
vori  fi  laiciano  di  molto  indietro  quei  de  s,li  Antichi.  Si  fegnalò 
anche  per  quella  cura  il  Pontefice  Clemente  XI.  imitato  poi 

da' 


:558  Dissertazione 

da'Succeflbri,  mirandofi  ora  con  iftupore  gì' infigni  nuovi  Mu- 
laici  della  Baiìlica  Vaticana  .  Ma  ne'  vecchi  Secoli  in  Roma  , 
Ravenna,  Milano,  Monte  Cafino  ,  e  in  altri  Luoghi  fi  trova- 
vano Maeftri  di  quelt'  Arte  ,  che  lafciarono  varie  memorie  , 
tuttavia  confervate  ed  efi (tenti  .  Dlverjìs  colorìbus  7ni?2utisque 
"ohreislapHlis^  fulvo  auro  JtipeneBìs  ^  opere  Maufoleo  (  leggi  Mu- 
feo^  o  Mtiftleo  )  fu  ornata  la  Chiefa  di  San  Giovanni  Batiita  in 
Siponto  da  San  Lorenzo  Vefcovo  di  quella  Citta  ,  come  s'  ha 
dalla  (uà  Vita  prefTo  il  Bollando  al  dì  7.  di  Febbraio  .  Nota 
quel  vttrets  lapillh  ^  perchè  v'ha  Mufaici  compofti  con  pezzi 
minutifflmi  di  vetro  colorato,  come  i  luddetti  moderni  di  Ro- 
ma ;  ed  altri  formati  con  piccioliffimi  pezzi  di  marmo  di  varj 
colori.  Ora  con  gran  diligenza  fu  elercitata  quei'F  Arte  da  gli 
antichi  Romani.  PrtlTo  il  Propoflo  Gori  Lib.  i.  Gap.  8.  fi  leg- 
ge un'  Ifcrizione  in  cui  è  nominata  Camera  OPERE  MVSEO 
exornata.  Se  ne  fa  menzione  da  gli  Scrittori  della  Storia  Augu- 
ra ,  e  molto  più  da  Anaftafio  nelle  Vite  de  i  Papi  .  Cos'i  nel 
Secolo  VL  Papa  Simmaco  Canthanim  Beati  Petrì  cum  quadrt- 
port'icu  marmoriùus  or/iavit^  &  ex  Mufeo  agnos  &  cruces  &  pai- 
mas  0Y7ìai:'tt.  Nel  Secolo  VII.  Onorio  Primo  Papa  fecìt  Ahfidam 
Bajllicdo  Bf^atds  Aguetìs  ex  Miifiho  .  Severino  fuo  Succefibre  re- 
72ov^vit  Ahfidam  Beati  Petri  Apoftolt  ex  Mujìvo,  Sergio  I.  Mw- 
finji.m  ,  qnod  ex  parte  \n  fronte  Atrtt  BajiliCde  Salvator is  fuerat 
diYutum  ,  i?7novavìt  .  Giovanni  VII.  nel  Secolo  ottavo  fabbricò 
un  Oratorio  ,  cujus  parietes  Muftvo  dt'p'mx'jt  .  Perciocché  fotto 
nome  di  Pittura  venivano  anche  i  Mufaici  ,  e  con  ragione  . 
Ma  qui  mi  ferma  Leone  Oilienfe,  che  iembra  negare  a  que' 
Secoli  la  gloria  diqueft'Arte,  con  direLib.  HI.  Gap.  25?.  del- 
la Cronica  ,  che  Defiderio  Abbate  di  Monte  Cailno  volendo 
ornare  di  Mufaici  la  nuova  fua  Bafìlica  ,  ne  chiamò  Artefici  , 
non  da  Roma  ,  ma  bens'i  da  Coilantinopoli  nell'  Anno  1070. 
Ecco  le  lue  parole:  Legatos  interea  Confi  a7ìtinopoHm  ad  Iccandos 
Artiflces  defìinat^  peritos  p.tique  Ì7i  Arte  Muffo  aria  ^  &  ^iadra- 
taria  .  Ex  quibus  videlicet  alti  Ahfidam  ,  &  arcum  ,  atque  ve- 
fììbulum  majoris  Bafilicce  Mufivo  comerent  &c.  Più  fotto  aggiu- 
gne  •  ^^arum  Artium  tunc  ei  deftinati  Magifri ,  cujus  perfe^lio- 
}iis  fiert7Jt^  in  eorum  efì  operihus  exifcimari  ;  quum  Ù*  in  Miifivo 
animatas  feras  autumet  quisque  Figuratas  ,  &  quaque  virentia 
cernere  ,  Ò'  in  marmoribus  omìjtgeììum  colorum  flores  pulcra  pH- 
tet  dìverfitate  vernare.  Ecco  Opere  di  que' tempi  degne  anche 

delle 


Ventesima  q.u  a  r  t  a  .  559 

delle  nodre  lodi.  Vien  commendato  ancora  l'Abbate  Defide- 
rio  ,  perchè  j^rtium  ijìarum  ìnge?ìium  a  ^uingenris  6"  ultra 
jam  Anriis  magijìra  Lat'mitas  intermiferap  ,  &  Jìudio  hujus ,  hi- 
fpjranpe  Ò'  cooperante  Deo  iiojìro  ,  hoc  tempore  recuperare  prome- 
ruity  ne  Jane  tei  ultra  Italia;  deperirety  Jluduit  vir  totius  pruden- 
za ,  plerosque  de  Mona/ìerìi  pueris  dtl'tgenter  etsdem  Artibus 
erudiri  .  Ma  come  ,  o  buon  Leone  ,  da  cinquecento  e  più  Anni 
perduta  in  Italia  l'Arte  de' Mulaici  ?  Una  frotta  di  teftimonj 
ho  io  in  pronto  da  opporti .  Prima  di  farlo  ,  lentiamo  come 
r  Abbate  Angelo  dalla  Noce  iilultri  nelle  Annotazioni  quello 
paffo.  Scite  ^  die' egli,  a  ^ingentis  &  ultra  ^  nempe  a  tempo- 
re Theoderici ,  qui  omnes  bonas  Artes  eliminavit  ab  Italia ,  qua- 
rum  ipfa  Magi/ira  fuerat  :  Goffamente  in  vero  ;  perciocché  , 
come  abbiam  gi^  fatto  toccar  con  mano  ,  Teoderico  a  tutto 
potere  conferve  e  fomentò  le  buone  Arti  in  Italia;  né  occorre 
iopra  ciò  aggiugnere  altro. 

Che  poi  per  molti  Secoli  dopo  Teoderico  durafTe  in  quefte 
Provincie  la  profefiion  dc'Mufaici,  oltre  a  gli  efempli  accenna- 
ti lo  confermeranno  i  feguenti.  MalTimiano  Arcivelcovo  di  Ra- 
venna dopo  Teoderico,  ficcome  abbiamo  da  Agnello  nella  fua 
Vita  ,  Ecclejìam  adificavit  beati  Stephani  a  fundamentis  mira 
jnagnitudine  &c.  Ad  latera  ipjius  Baftlicce  Monafleria  parva  Jub- 
/unxity  qua  omnia  ncuis  Tejfellis  auratis^  Jìmulque  promifcuìs 
aliis  calci  infixis  mirabiliter  apparefjt .  Con  egual  cura  Agnello 
Arcivelcovo  di  quella  Citta  riltorò  la  Chiela  di  San  Martino  , 
qua  vocatur  Ccelum  aureum ,  &  parietes  de  imaginibus  Martp'um 
Virginumque  TeJJellis  decoravit  ,  &  pavimentum  Lithofiratis 
mire  compofuit  .  Ecco  i  Muiaici  di  vetro  e  di  marmo.  Gli  ul- 
timi erano  chiamati  Lithojìrata  .  Quello  Tempio  l'avea  fab- 
bricato da'  fondamenti  il  Re  Teoderico  ,  come  il  medefimo 
Agnello  atterta,  il  quale  anche  nella  Vita  dell*  Arci vefcovo  Pie- 
tro feniore  feri  ve  d'aver  veduto  in  Pavia  Palatium  Thederici^ 
&  Tribunalis  Cameras  Tejfellis  ornatas  .  Colla  in  oltre  ,  che 
nella  {leffa  Citta  di  Ravenna  ,  imperando  Giulliniano  Primo  , 
e  il  Secondo  ,  i  Templi  di  Santo  Apollinare,  vtrcchio  e  nuovo, 
e  di  Santa  Maria  in  Cofmedin  furono  ornati  di  Mufaici,  eque- 
fli  fi  mantengono  ancora  oggidì  .  D'  altri  parla  Agnello  ,  ed 
aliai  pili  Roma  ne  conferva,  la  maggior  parte  de' quali  fu  rac- 
colta, e  illullrata  da  Monfig.Ciampini .  Anzi  fipuòdire,  che 
in  ninno  di  que'  Secoli  Roma  fu  priva  di  tal  Arte  ;  e  fpezial- 

mente 


jó'o  Dissertazione 

mente  fi  mirano  tuttavia  i  lavori  fatti  per  ordine  di  Adriano  I. 
Leone  III.  e  Palquale  I.  Circa  poi  l'Anno  848.  Papa  Leone  IV. 
intra  BaftVtcam  beati  Petri  Apojìol't  Oraculum  mìrce  pulcrìtudin'ts 
jummique  decoris  conjìruxìp  ,  quod  pulcris  marmoribus  circmn- 
dans  fple?jdide  comftt  ;  abftdamque  ejus  ex  Mujivo  ,  auveo  /uper- 
Ì7ìdu8o  colore^  glorifice  decoravh .  Del  pari  Benedetto  III.  Pa- 
pa circa  l'Anno  85^.  abjìdam  majorem  Ecclejics  Beata:  Dei  Ge- 
fiitricis  trans  Tiberini  erexit  ad  meliorem  Jìatum  :  fenejìras  'vero 
'vitreis  coloribus  ,  &  piólura  Mufivi  decoravif  .  Se  reltafiero  le 
Vite  de' luffeguenti  Pontefici,  forle  ne  troveremmo  altri  elem- 
pii.  Di  iopra  vedemmo  eretta  da  Liutprando  Re  de' Longobar- 
di la  Bafilica  di  Santo  Anaftafio  indonna  circa  l'Anno  725. 
o  più  tardi,  miro  opere ,  Ma  ivi  ancora  Ipiccavano  gli  ornamen- 
ti di  Mutaico  ,  come  apparifce  da  un'  licrizione  del  Grutero 
pag.  11^8.  ch'è  la  feguente  : 

Ecce  domus  Domini  perpulcbro  condita  textu 

Emicat^  &  vario  fulget  diJìinBa  metallo^ 

Marmerà  cui  pretioja  dedit ,  Mufeumque ,  Columnas  &c. 

Ci  fon  Letterati  ,  che  riferifcono  tale  Ifcrizione  alla  Chiefa 
di  Santo  Anaftafio  di  Roma,  e  fra  gli  altri  il  Du-Cange  alla 
voce  Mufeum  :  con  errore  manifefto  ;  perchè  fabbricatore  di 
quel  Tempio  è  chiaramente  appellato  LE VTBR AND VS,  fic- 
come  ancor  vide  il  Cardinal  Baronio.  Anche  in  Milano  la  Ba- 
filica  Ambrofiana  ci  fa  vedere  un  Mulaico  fatto  circa  1'  An- 
no 83^.  nel  luo  Coro.  Ne  moftra  parimente  la  Cattedrale  di 
Capoa  un  altro,  compiuto  circa  l'Anno  5?oo.  Leggefiivi:  Vi- 
treum  dedit  Ugo  decorem .  Penìa  il  Du-Cange  ,  chetali  parole 
indichino  le  vetriate  delle  jinejìre .  Non  farebbe  (lata  cofa  de- 
gna di  menzione.  Vo' credendo  10,  che  vi  fi  parli  di  Muiaico, 
formato  con  pezzolini  di  vetro  di  varj  colori  .  Da  Pietro  Man- 
lio, che  circa  l'Anno  11 70.  trattava  della  Bafilica  Vaticana, 
vien  mentovata  Baftl ic a  SanBi  Angeli  mirifico  Mujtbo  laqueata 
Auro  &  Vitro,  E  di  qua  vien  luce  ad  Apollinare  Sidonio,  che 
nel  Lib.  IL  Epift.  io.  deicrive  lo  Scuruolo  della  Bafiiica  di  Lione 
€on  dire  : 

Et  fub  njerjìcolorihus  figuris 
Vernans  herbida  crufla^  faphyratos 
Ele^iìp  per  prajinum  Vitrum  laptllos, 

'-.   .  Ange» 


Ventesìmaq^uarta^  35r 

Angelo  dalla  Noce,  commentando  l'Odienfe,  ci  fa  fapere,M^ 
fi'vuìn  opus  ex  jeBilihv.s  parvisque  ^uarii  coloris  cruftis  Ò"  lapìHh 
compaHum  &  tejjdlatum  ,  omne  genus  imagtnum  repraeft-ntare  . 
Sembra,  ch'egli  non  conofcefle  il  Mufaico  di  vetro.  Di  quello 
parla  Agnello  nella  Vita  di  MafTimiano  Arciveicovo  di  Raven- 
na con  lodare  la  Chiefa  di  Santo  Stefano  da  lui  fabbricata,  e 
ornata  in  gyro  ìnirificc  Opere  Vitreo .  Truovanfi  ancora  in  Aquis- 
grana,  e  in  altri  Luoghi  della  Francia  Mufaici  fatti  prima  del 
Mille  .  Abbiam  fatta  menzione  de'  Lhboflraù  ,  cioè  de'  pavi- 
menti fatti  a  Mufaico  con  pezzolini  di  marmo  di  varj  colori. 
In  Roma  in  quelli  ultimi  tempi  le  n' è  trovato  un  pezzo  ,  che 
mi  vien  fuppofto  di  mirabil  delicatezza  e  perfezione.  Per  quan- 
to racconta  Tangmaro  nella  Vita  di  Berwardo  Vefcovo  d' Hil- 
desheim  Gap.  V.  egli  Mujìvum  in  pavimentis  ornmidis ftudium 
propria  indujìria  ,  nullo  mo?zJìrante  ,  coynpcjuit  .  E  l'Anonimo 
Salernitano,  che  fioriva  circa  l'Anno  855.  n^'  Paralipom.  da 
me  dati  alla  luce  di  Bernardo  Vefcovo  di  Salerno  ,  racconta  , 
che  Ecclejtnm  inibì  mir^e  pulchrttudinis  conjìrui  fecìt  ,  &  pa- 
'vimenrum  par'vulis  TeJJ^ellis  tn  'vario  colore  componi  jujpp .  An- 
che l'Aulico  Ticinenie  Gap.  11.  de  Land.  Papice  le  ri  ve  :  Plures 
Ecclejtds  pavitnentum  habent  minufis  Lapillis  Jìratum  .^  es  quibus 
per  diverjos  colores  HiJIoriales  imagines  &  Litera  funt  jormatce  . 
Probabilmente  quell'Arte  non  venne  mai  meno  in  Italia  ne* 
Secoli  barbarici  ,  e  però  molti  vaghi  Lithoftrati  fi  mirano  in 
Ruma  e  Venezia  .  Il  pavimento  del  Goro  della  Cattedrale  di 
Tnvijii  ha  q  ledo  ornamento,  e  una  licrizione  poco  fa  fcoper- 
ta  lo  djce  compiuto  neh' Anno  1 141. 

Plana  pavimenti  Jic   ars  variavit  Liberti 
Impenfas  (  Cives  )  reddebant  T ar'vijì^ni . 

Sarforium  opus  fu  chiamato  quello  lavoro  da  gli  Antichi.  Ne 
parlano  CalTiodoro  ,  Gregorio  Turoncnfe  ,  ed  altri.  Leggiadri 
fon  due   verfì   di  Ennodio   Lib. II.   Carm.^^i. 

Unam   de  variis  fpeciem   componere  frujìis 
^mÌ  potuity  faxutn   duxit  in  obfequium , 

Ecco  dunque,  fé  avefle  ragione  fOllienfe  di  fcrivere,  che  da 

cinque  cento  anni  e  più  fino  al  1070.  in  Occidente  fifolfe  fmar- 

rita   l'Arte  de' Mufaici  .   Noi  per  i'infigne  progreffo,  che  haii 

fatto  l'Arti  in  quelli  ultimi  Secoli  j  ci  figuriamo  5  che  i  Secoli 

Tomo  L  Zz  bar- 


352  Dissertazione 

barbarici  giacelTero    in  un'  eftrema  ftupidita    ed  ignoranza  ,    e 
fofìero  privi  d'ogni  nobile  ornamento.  Ma  né  pure  allora  man- 
cò 1*  ingegno,  e  molte  Arti  fi  coltivavano  affai  bene.  Fors' an- 
che aveano  qualche  Segreto  ,  che  a  noi  manca  oggidì .  A  que- 
llo propofito  ho  io  pubblicato  un  curiofo  pezzo  dell'Antichità 
barbarica,  tratto  da  un  Codice  deli' infigne  Capitolo  de' Cano- 
nici di  Lucca  ,  che  il  P.  Mabiilone  tanto   per  la  forma  de'  ca- 
ratteri ,  che  per  le  Vite  de'  Papi  terminate  in  Adriano  I.  giu- 
dicò appartenere  a  i  tempi  di  Carlo  M.  Quel  Latino  è  fcurif- 
fimo  per  tante  voci  ftraniere,  forfè  accrelciute  dall'ignoranza 
dello  Scrittore  ;  e   vi  fi  lente  in  molti  luoghi  anche  la   Lingua 
Volgare  d'allora.  Trattafi  ivi  della  tintura  de*Mufaici,  delle 
Pelli  Sic,  della  maniera  d'indorare  il  Ferro  ed  altri  Metalli; 
di  fcrivere  con  oro  ;  di  varie  Decozioni  ,  e  di  fimili  altri  ufi  e 
Segreti  di  que' tempi.   Io  metterò  qu'i   Iblamente  alcuni   pochi 
di  que' Titoli.  De  finito  omnium  Mujlvorum  ,  De  inorattone  Mu^ 
fiborum ,   De  Mojìbum   de  Argento»  De  Smurettas  tabuJas,   Deco- 
tto Plumbì .   De  Pelle  altthina  tìnguere  .   De  ùn^iio  Pellis  Prajt- 
nis ,   TinBio  oJJ^uorum  .,  &  omnium  cornoriim  ^  &  omnium  ligìio- 
rum .  De  Petalo  auri  .   De  Ferrum   deaurare  .  De  Jila  aurea  fa- 
cere.  Chrffographia.   Jnauratio  Pellis  .  ^Juomod  eramen   in  colo' 
re  auri  transmv.tetur .   De  Crifocollon .   De  compojìtione  auri  -  pie- 
menti .   De  Littargirium .   De  tióìio  petalorum .  De  compojttio  Cin- 
nabarim  &c.  Non  ho  io  veduta  Icrittura  de' Secoli  remoti  ove 
fi  fenta  più  l'andamento  della  nollra  Lingua  Italiana  .    E  di 
qui  poi  ricaviamo  ,    che  i  Secoli  barbarici    ebbero   più  docu- 
menti dell'  Arti    di  quel  che  crediamo  .    Non  lappiamo  ,  fin 
dove  fi  flendeffe  il  loro  fapere  ed  indufiria  ,  perchè  o  fon  pe- 
rite le  loro  Memorie,  o  poche  ne  fcriffero   per  l'ignoranza  del- 
le Lettere  .    Il  fuddetto  celebre  Abbate  di  Monte  Cafino  Defi- 
derio  non  folamente  proccurò  di  rimettere  in  Italia  l' Arte  de* 
Mufaici,  come  fcrive  l'Odienfe  Lib.  III.  Cap.  25?.   Sed  &  de 
omnibus  artificiis^  quacumque  ex  auro^  vel  argento^  cere ^  ferro y 
'vitro  y   ebore  y  ligno^  gipfo-^  'vel  lapide  patrari  pojfunt  ^  JìudioJìJ- 
Jimos  prorfus  Artifìces   de  fuis  Jìbi  paravit .   Si  può  credere,   che 
in  cialcuna  di  tali  Arti  anche  anticamente  non  mancaffero  Ar- 
tefici valenti  e  di  buon  gufio.  Leone  III.  Papa,  fecondochè  s'ha 
da  Anadafio  ,    circa  l'Anno  802.   Juxta  Ecclejiam  Beati  Petrt 
Apojìoli  fecit  in  Triclinio  majori  Mira'  Pulcritudinis   decoritam 
Apfidem  de  Muftvo  ornatam  ;  &  Abftdas  duas  destra  hvaque 

fuper 


VeNTESIMAQ_UARTA.  j'^j 

fupev  marmore  &  pi5lura  [plendentes  ,  Il  meclefimo  Pontefice 
feneftr^s  Eccleftós  Beati  Apoflolì  Fault  M'iva:  Pulcritudints  ex  me- 
tallo cypftno  decoravit  &c,  Fecit  C^yborium  cum  Columnis  fuis 
fuper  Altare  Mirce  Magììitudinis  &  Fulcrhud'wis  decoratum  ,  ex 
Ar pento  purijjimo ,  penjans  Libras  duo  m'tlla  &  quindecim  . •  E 
a  propofiro  di  Orefici  ed  Argentieri,  che  in  que' Secoli  ancora 
ve  ne  tblTero  de  gli  eccellenti,  che  nobili  fatture  formavano  di 
que'  metalli  ,  po^jam  provarlo  coli'  autorità  di  Lupo  Abbate 
Ferrarienle  in  Francia  nel  Secolo  Nono.  Cosi  egli  icrive  nell' 
Epifl.  2  2.  Veftram  op'tnatijjìmam  flagtto  liberaìttatem^  vt  duos 
nojìros  famulos  a  vcftris  F abris^  quos  PentiJJimos  vos  h abere  lon- 
gè  late  que  Fama  vulgavit  ,  Auri  &  Argenti  operibus  erudivi 
jubeatis . 

Chiunque  legge  le  Vite  de' Romani  Pontefici  nella  Raccolta 
di  Anaftafio  ,  vi  truova  innumerabili  lavorieri  d'Oro  e  d'Ar- 
gento cosi  lodati,  chealmen  fi  può  credere,  che  aveflero  qual- 
che pregio  d'eccellenza  ,  come  Immagini  di  Santi  ,  Lampadi  , 
Calici,  Corone,  ed  altri  Vafi  delcritti  come  opere  di  mirabil 
artificio.  Per  efempio  itca  Leone  III.  fabbricare  l'Immagine 
di  San  Pietro  Apojìolorum  Prtncipis  in  Porta  Virorum  ,  ex  Auro 
purijjimo  ,  &  gemmis  PretioJtJJimis  Mira  Magnitudims  &  Ful- 
cri tudinis^  penjantem  Libras  decem  &  novem  &  uncias  tres.  In 
oltre  In  Baftltca  Salvatoris^  qua:  appellatur  Confìantiniana  ,  fe- 
cit Cyborium  cum  columnellis  juis  quatuor  ex  Argento  purijjimo  ^ 
dtverfts  depióìum  Hijìoriis  ^  cum  cancellis  &  columnellis  fuis  Mi- 
ra Magnitudmis  &  Pulcritudinis  decoratum  ,  qua  penfabaut  jì- 
mul  Libras  mille  ducentas  viginti  feptem  .  Altrettanto  fi  legge 
di  Papa  Palquale  L  e  d'altri  Sommi  Pontefici  ,  ch'io  tralaicio  . 
Ma  non  fi  vuol  già  ommettere  ciò,  che  Icrive  Eginardo  in  fine 
della  Vita  di  Carlo  M.  colle  feguenti  parole  :  Inter  ceteros  the- 
fauros  atque  pecuniam  tres  Menjas  argenteas  ,  &  auream  unam 
pracipua  Magnitudinisy  &  ponderi s  ejje  conjìat ,  De  quibusjìa- 
tuit  atque  decrcvit  ^  ut  una  ex  eis  y  qua  forma  quadranpula  de- 
fcriptiofiem  Urbis  Con/ìantinopolitana  continet  ,  in^er  cetera  do- 
narla ,  qua  ad  hoc  deputata  funt  ,  Komam  ad  Bajìlicam  boati 
Petri  Apofioli  deferatur  .  Et  altera  ,  qua  forma  rotunda  ,  Ro- 
mana  Urbis  effigie  inftgnita  cft ,  Epifcopo  Ravennatis  Ecchjta 
co?2feratur.  Tertiam^  qua  ceferis  &  operis  Pulchritudijte  ^  & pon- 
deris  gravitate  multum  excelltt ,  qua  ex  tribus  orbibus  connexa  ^ 
totius  Mundi   dejcriptionem  jubttli   ac.  minuta  jiguratione  comple- 

Z.  z      2  ^itur , 


3^4.  Dissertazione 

H/Vw  ,  Ò'  dure^m  ìllam  ,  qucs  quarta  effe  d't^a  eft ^  hi  ten'tce  il- 
lius  ^  &  inter  heredes  fuos^  atque  hi  eleemofynam  dtvìdetìdce  par- 
tìs  ej]e  confthii'tt ,  La  preziofita  del  metallo  fece  guerra  a  que- 
fìi  lavori  5  né  li  lafciò  pervenire  a  i  polìeri  .  Varrebbono  una 
Citta,  fé  avelTero  potuto  confervarfi  fino  a' di  noftri;  e  noi  pro- 
babilmente troveremmo  di  che  ammirare  l'indufìria  di  quegli 
-Artefici,  oltre  al  piacere  di  mirare  in  s\  bel  pezzo  d'antichità 
la  Topografia  di  quelle  Imperiali  Citta  ,  e  delle  parti  del  Mon- 
do d'allora.  So  che  fi  dira,  efìfere  fembrati  maravigliofi  qne'la- 
vorieri  a  gli  occhi  di  que'  tempi,  avvezzi  ad  un  gallo  barba- 
rico ;  né  io  intendo  di  foftenere  ,  che  in  eifi  comparifTe  quel 
vago  dilegno,  ordine  e  finezza,  per  cui  furono  s'i  commendate 
1'  opere  de'  Greci  e  Romani  antichi  .  Ma  né  tu  pure  potrai 
pretendere  ,  che  non  potelTero  anche  allora  ufcir  delle  mani 
di  quegli  Artefici  delle  fatture  eccellenti,  e  maffimamente  in 
Roma,  dove  prima  del  Mille  efiftevano  tanti  più  monumenti 
che  oggidì,  della  bella  antichità  ne' Templi  ,  nelle  Cafe  ,  ne' 
Sepolcri  ,  ne'  vafi ,  fiatue  ,  pitture  ,  Mulaici  ,  vetri  ,  marmi  , 
colonne  ,  ed  altre  opere  di  fquifito  lavoro  ,  le  quali  poteano 
fervir  di  modello  agl'induliriofi  Artidi  d'allora.  Nella  maggior 
parte  dell'altre  Citta  fi  può  ben  temere,  che  foiTe  perita  l'idea 
della  vera  maefta  ,  leggiadria  ,  e  bellezza  .  Si  può  anche  ag- 
giugnere  ,  che  alcune  Arti  mantenute  con  onore  fino  al  Mil- 
le, andaffero  da  li  innanzi  fcadendo  per  cagione  delle  tante  ri- 
voluzioni e  guerre  civili,  che  iconvoHero  l'Italia.  Noi  trovia- 
mo molta  rozzezza  ne' marmi  ,  nelle  Fabbriche ,  e  nelle  mo- 
nete dopo  il  Secolo  X.  Dell'  Arte  di  teflere  ,  e  delle  opere  di 
lana  e  (età  parleremo  nel  Cap.  leguente. 

In  tanto  merita  rifleffione  ,  che  anche  ne' Secoli  barbarici  fio- 
rirono ingegni  tali  capaci  di  trovar  nuove  invenzioni  .  Ne  ac- 
cennerò io  alcune  poche  ,  potendofi  anche  foipettare  ,  che  di 
altre  o  fia  perito  l'ufo,  o  per  difetto  di  Scrittori  fé  ne  ignori 
l'origine  .  Riferirò  io  nel  Cap.  XLIII.  l'Epitaffio  di  l^acifico 
Arcidiacono  di  Verona  ,  mancato  di  Vita  nell'Anno  84(5.  Fra 
gli  altri  luoi  meriti  fi  legge  il  feguente. 

Horologtum  noBurnum   ?iullus  aripe  njlderaf, 
En   invenit  argumentwm  ^  Ù'  primus  jundaverat , 
ìiorologioque  carme?!  jpera  Cxlt  optimum , 
Plura  alia  Grajìaque  prudens  mvenìut  , 

Pare 


Ventesima  q.u  art  a  .  355 

Pare  ftrano,  che  l'Autore  di  quella  Ifcrizione  affermi  non  ef- 
fe rfi  prima  di  quel  tempo  veduto  Orologio  notturno  ;  perciocché 
quafi  un  Secolo  prima,  cioè  circa  l'Anno  di  Criflo  758.  Paolo 
Romano  Pontefice,  come  fi  raccoglie  dall' Epi(h  25.  del  Codice 
Carolino,  aveva  inviato  a  Pippino  Re  di  Francia  Horologium 
7w6iurnum  .  Forfè  il  Veronefe  fu  di  altra  forma  ,  e  di  maggior 
perfezione;  ma  non  per  quedo  l'invenzione  era  affatto  nuo- 
va, ed  ignota  a  i  tempi  precedenti.  Cola  poi  fignificafiero  al- 
lora col  nome  di  Orologio  da  notte  ,  non  ardirei  io  di  determi- 
narlo. Se  qui  fi  voleffero  indicar  gli  Orologi,  che  con  ruote  di 
ferro  moffe  da  contrapefi  ,  battendo  una  Campana  indicaiTero 
l'ore:  perchè  chiamarli  A7b^/-wrw/,  quando  fanno  lo  fteffo  ufizio 
anche  di  giorno  ?  Ne  gli  Annah  di  Bologna  dame  dati  alla  lu- 
ce troviamo,  che  nell'Anno  135(5.  fu  pofto  nella  Torre  pub- 
blica di  quella  Citta  un  Orologio  ,  la  cui  campana  battuta  an- 
nunziava l'Ore;  e  quejìo  fu  il  primo  Orologio  ^  che  comi?iciaJfe 
inni  a  fonare  per  lo  Comun  di  Bologna.  Predo  le  private  perfone 
molto  prima  fi  ufavano  fomiglianti  Orinoli.  Dante  nelCap.  24. 
àt\  Paradiib  accenna  quei  ch'erano  moifi  da  ruote  .  Se  cosi  an- 
tico ne  foffe  fiato  l'uio,  non  fi  sa  intendere  ,  perchè  si  tardi  ne 
aveffero  profittato  leCittk.  Creder  forfè  fi  potrebbe  ,  che  il  Ve- 
ronefe foffe  Orologio  da  polve  o  da  acqua  ,  da  cui  l'ore  della 
notte  fi  moftraffero  o  col  lume  della  lucerna,  o  col  tocco  di  qual- 
che cainpanella.  Ma  fé  gli  attribuivano  il  battere,  di  nuovo  fi 
chiede,  perchè  fi  appellaffe  Notturno,  quando  avca  da  battere 
anche  di  giorno  ?  Ne  gli  Annali  de'  Franchi  all'  Anno  %oy,  fi  leg- 
ge, che  Aaron  Re  di  Perfia  inviò  in  dono  a  Carlo M.  Horologium 
ex  Auricalcho  arte  mechanica  co?jfc6lum ,  in  quo  duodecim  horarum 
curfus  ad  Clepfydram  vertebatur^  cum  totidem  areis  pilulis  ^  quds 
ad  co7nple6lionem  horarum  decidebant  ^  &  cafu  fio  fub/e^um  fi- 
hi  cymbalum  tinnire  faciehant.  Se  fu  una  Clepjìdra ^  pare  che 
foffe  Orologio  da  acqua  ,  o  pure  da  polve  ;  ma  non  fu  certo 
da  mettere  con  gli  Orologi  da  noi  ora  ufati  .  Per  atteftato  del 
P.  Mabillone  l'Anonimo  Autore  del  Libro  intitolato  KegulaMa- 
giftri  fiori  prima  dell'Anno  700.  In  quel  Lib.  Cap.  54.  fi  leg- 
ge :  Cum  ad'vcnìffe  divinam  horam  percujfus  in  Oratorio  Indes 
monfra'verit .  Cap.  55.  Cum  fonuerit  Index .  Parole  tali  tembra- 
no  denotare  Oiolon,io,  che  batteva  l'ore.  Che  l'invenzione 
della  Buffola  nautica  colla  calamita  fia  da  attribuire  più  to- 
(lo  ad  un  Giovanni  da  Amalfi  ,    che  ad   Inglefi    o  fiammin- 


^66  Dissertazione 

ghi ,  l'infegnano  Scrittori  eruditi,  cioè  Flavio  Biondo,  il  Paler- 
mitano, rOrtellio,  ed  altri  .  Penfano  alcuni  ciò  accaduto  nel 
1302.  ma  non  mancano  motivi  di  credere,  che  verfo  la  me- 
ta del  Secolo  precedente  ,  ed  anche  prima  ,  folle  noto  quefto 
mirabile  ed  utiliflimo  arcano  della  Natura.  Non  iftarò  io  a  ram- 
mentare la  celebratifTmia  Invenzione  della  Stampa  ,  e  T  altra 
maravigliofa  infieme  e  diabolica  della  Polve  da  fuoco  ,  perchè 
fcoperte  de  gli  ultimi  Secoli,  e  nate  fuori  d'Italia. 

Quanto  all'Arte  di  far  il  Vetro  ,  non  (olamente  gl'Italia- 
ni, ma  anche  i  Franzefi  anticamente  la  conobbero  e  pratica- 
rono. Abbiamo  la  teftimonianza  di  Beda  ,  che  il  Santo  Abbate 
Benedetto  Bifcopo  circa  l'Anno  (58o.  miftt  Legatarìos  Galliam^ 
qui  'vitr'f  fa6lores  ,  ^rtifices  'vldehcet  Brìpannis  eatenus  incognì- 
tos^  ad  cancellandas  Ecclejìas  ^  porticuumque  &  coenaculorum  ejus 
feneflras  addv.cerent .  Fa6lumque  eft  ,  &  vcfierunt  .  Nec  folum 
-pojìulatum  opus  comphverunt  ,  fed  Ò'  AngJorum  ex  eo  gcntem 
hvjusmod't  Artific'ium  nojje  ac  dijcere  fecerunt  .  Della  maniera 
di  far  il  Vetro  vien  parlato  ancora  nel  lopraccennato  antichif- 
fimo  Codice  Luccheie,  dove  fi  contengono  varj  Segreti  del  Se- 
colo VIII.  Pier  Damiano  Icrive  nella  Vita  di  Sant'Odilone,  che 
gli  fu  donato  da  Arrigo  Primo  fra  gì'  Imperadori  Vas  holonjL 
treum  rjalde  pret'tOjfum ,  &  Ahxnndrtn't  operis  arte  compojitum  , 
Più  di  fotto  egli  rammenta  Vitrea  njafcula  analypha  fvfilitate 
ccelata  .  Dilettaronfi  gli  antichi  Romani  ,  e  fopra  tutto  i  Cri- 
fliani  de  i  Vetri  dipinti  ,  il  quale  argomento  chi  defidera  di 
vederlo  dottamente  trattato,  vegga  un  Libro  del  Senator  Fio- 
rentino Filippo  Bonaroti  ,  che  raccolfe  molti  bei  frammenti 
dell'antichità  Criftiana.  Son  anche  da  vedere  gli  altri  Scrittori, 
che  hanno  illudrate  le  Catacombe  Romane.  Per  moltiilìmi  Se- 
coli fi  continuò  il  dipignere  i  Vetri  delle  fineftre  delle  Chiefe, 
e  tuttavia  in  alcune  d'effe  antiche  fi  truovano  confervati.  Og- 
gidì non  fi  mira  praticato  un  tale  ornamento.  Dì  quelli  parla 
Anaflafio  Bibliotecario  con  dire  ,  che  Leone  III.  Papa  circa 
l'Anno  802 e  Feneflras  de  ahfida  Brifilica;  Conflaì2tÌ7iian(S  e s  Vi- 
tro di'uerjis  colori  bus  conclujit  atque  decoravit  .  Oltre  a  i  Vetri 
fu  ne  gli  antichi  tempi  ancora  lodato  1'  ulo  de  gli  Speculari  , 
col  mezzo  de' quali,  come  fi  fa  oggidì  con  ladre  quadre  o  ro- 
tonde di  vetro,  era  tramandata  la  luce,  e  difefi  i  Templi  dall' 
aria  eflerna  e  dal  freddo  .  Lapis  Specularis  troviamo  appellata 
quella  pietra  da  Plinio  Lib.  35.  Cap.  22.  dove  fcrive  :  FacHio- 

re 


Ventesima  QUARTA.  357 

re  multo  natura  findìtur  vi  quamlibet  tenuem  cruflam .   Da'  Mo- 
denefi  è  chiamata  Scatola  j  Talco  ^  ed  è  lo  fleflb  che  il  GefTo, 
di  cui  né  pure   mancano  a  noi  le  miniere  .  Perciò  quelle  fine- 
fìre,  che  prefib  gli  Scrittori  de* Secoli  rozzi  iono  appellate  G/- 
»yè.'^,  confirtevano  \-\t'Ìuààttx.ì  Speculari ^  de' quali  ha  parlato  a 
lungo  il  Salmafio  fopra  Solino  .  Leone  Oftienie  nel  Libro  III. 
Gap.  33.   OlTervò  Feneftras  'vitro  tam  g}'pfo  ^   quam  plumho  in- 
fignitcr  laboratas .   E   nel  Gap.  34.   Fencjìras^  qucs  in  porti cibm 
junt  ^  gypf^^^  quidem  ^  pari  vero  decore  cofijìruxit  .   Preffo  i  PP. 
Gapuccini    profeirori    della  povertà    le  ne  truovano  efempli  . 
Sappiamo  che  la  più  remota  antichità  ebbe    in  ufo  gli  Spec- 
chi ,  e  quell'Arte  non  è  mai  venuta  meno  .  Ma  la  fabbrica 
d'eflì  forie   per  più  Secoli  in  Italia  non  la  praticò  fé  non  l'in- 
clita Citta  di  Venezia  .  S'è  poi  in  queiri  ultimi  tempi  dilata- 
ta  per  altri  paefi.   Siamo  anche  tenuti  ad  un  Gentiluomo  Vene- 
to, cioè  a  Marco  Polo,   per  effere  flato  il  primo  a  darci  raggua- 
glio del  vallo  e  fioritiffimo  Imperio  della  Cina  ,  ficcome  al  Co- 
lombo, e  ad  Americo  Velpucci  per  la  fcoperta  deli' Indie  Occi- 
dentali, o  fia  dell'America. 

Dell' induflria  ancora  de'Secoli  barbarici  ci  può  effere  buon 
teflimonio  Galvano  Fiamma  Milanefe  dell'Ordine  de' Predica- 
tori ,  il  quale  fiorì  nel  1340.  Scrive  egH  cosi  in  un  Opufcolo 
da  me  dato  alla  luce  .  Anno  MCCCXLf.  Ò'c.  fub  Dominio  duo- 
rum  Fratrum  ex  Vtcecomitibus^  'ue77erabilis  Johannis  Epifcopi  No- 
njarienfts  ,  &  nobilis  Militis  Luchini  de  Vicecomitibus  .  In  Civi- 
tate  per  Domiìios  duce  no'vitates  funt  inchoatce.  Prima  e  fi  ^  quod 
adinvenerunt  facere  Molendiìia  ,  qucs  non  aqua  aut  vento  cir- 
cumferuntur  ,  fed  per  pondera  contra  pondera  ,  ftcut  folet  fieri 
in  Horologiis  (  il  che  fa  conofcere,  che  era  triviale  l'ufo  degli 
Orologi  da  ruote  )  &  funt  ibi  rotce  multa;  ,  &  artificia  fubti- 
lia  multum  .  Et  non  ejì  opus ,  72ÌJÌ  unius  pueri .  Et  moliunt  con- 
tinue quatuor  modios  tritici  molitura  optima  ntmis  .  Nec  um- 
quam  in  Italia  tale  opus  fuit  adinventum  ,  licet  per  multos  an- 
nos  exquijìtum  .  Secunda  rìovitas  fuit  ,  quod  adinvenerunt  face- 
re  in  Ticinello  navigium  .  Et  fuerunt  ilice  naves  diBde  Gan^er- 
Y(je .  Et  portat  una  navis  qutngentos  ,  vel  fexcentos  hommes  Ar- 
matos.  Et  junt  nimis  utiles  prò  Cornmunitate  Mediai  ani  ,  quia 
pojfunt  ire  ufque  Venetias^  &  vifitare  Civitates  pofttas  fuperTi- 
cinum^  &Padum^  &  in  Lacu  Majori  .  Pojfunt  etiam  hojlibus 
inferre  damna  plurima  ,    C^  vi6lualia  deferre  aìnicis  .   Sunt  ijìce 

Gan^ 


3^8  Dissertazione 

Gan:^rrce  naves  magnce  ,  habentes  prò  qualìhet  quhìquaginta  rei 
mos  vel  circher.  Et  fuiìt  communitce  ajjer'tbus  incircuitu  cum  bath- 
fred'is^  &machims^  cum  maxìmis  velis,  Nec  potuitTicinellus  ip- 
fas  transducere  ,  quantumcumque  ingurgttatus  ;  fed  cum  cnmellis 
&  altìs  ìnftrumentts  oportutt  ipfas  conduci  ufque  ad  Lacum  Majc^ 
rem  .  In  un  altro  Capitolo  cosi  icrive  il  fuddetto  Fiamma.  Itcm 
alias  nobiles  &  laudabiles  confuefudines  adinvenerunt  pradiHi  Do- 
mini Civitatis  ;  &  aliquas  jnm  inchoatas  per  [uos  praedecejfores  re- 
pererunf .  Videlicet  quod  equos  emtjfarios  equabus  magnis  commi- 
jcuerunt ;  &  procreati  funt  in  Jiojìro  territorio  Dextrarii  nobiles^ 
qui  in  magno  pretio  habentur  .  Item  canes  Alanos  altee  flaturde 
&  mirabilis  fortitudinis  nutrire  Jìuduerunt .  Et  cuniculis  Cajìra^ 
&  Civitates  repleverunt  ,  Item  racemi  verìi acini  truncis  inferti 
'uinum  vernacinum  infertum  producunt .  Panni  de  ferico  &  de  au- 
ro fubtili  artificio  texuntur.  Et  plura  alia  mirabilia  opera  &novi- 
tates  laudabiles  introduólce   ejfe  dignofcuntur  * 

Giuste  conietture  ancora  ci  iono  per  credere  dovuta  a  i  Se- 
coli barbarici  1'  invenzion  de  gli  Occhiali  di  vetro  .  Non  fono 
certamente  mancati  Eruditi  ,  a'  quali  è  fembrato  di  trovare 
preflb  gii  antichi  Romani  uno  Strumento  tale  da  aiutare  la  vi- 
fìa  ;  ma  a  dubbiofi  o  rovinofi  fondamenti  s'  appoggia  la  loro 
opinione.  Il  Reinefio,  il  Pitifco  ,  ed  altri  ,  per  avere  offervata 
nel  Grutero  un'  Ifcrizione  ,  dove  è  nominato  un  Faber  Orula- 
riarius^  o  più  tofto  Orw//?;;;/^,  s'avvitarono,  che  quelli  foffe  un 
fabbricator  d'Occhiali.  Ma  è  fcura  quella  voce  ;  e  per  me  ten- 
go, non  altro  fignifìcar  eiTa  che  chi  formava  de  gli  Occhi  da 
appendere  ne'  Templi  per  la  ricuperata  fanita  de  gli  Occhi  ; 
o  pure  da  mettere  nelle  Statue  de  gli  Dii  .  Gli  Egizziani  in 
oltre,  come  riferifce  Clemente  Alelfandrino  Lib.  IV.  Stromar. 
mettevano  in  elfi  Templi  de  gli  Occhi  d'oro  e  d'argento  per 
fignificare  Deum  omnia  videre  .  Preffo  il  Propofto  Gori  Tom.I. 
Inlcript.  Florent.  pag.  40^.  in  un  marmo  fi  legge 

M.  RAPILIVS    OCVLOS 
REPOSVIT   STATVIS 

Giovanni  Sarisberienfe  in  pruova  di  tale  ufanza  cita  Cècilio 
Balbo  Scrittore  dell'antica  Roma  .  Altri  per  aver  trovato  Con- 
jpicillum  in  Plauto,  hanno  tofto  immaginato,  che  vi  fi  parli 
d'Occhiali,  lenza  badare,  che  il  medefimo  Poeta  ne' Fram- 
menti 


Ventesima  Q.UARTA.  ^6p 

menti  elice:  Jn  Confpicillo  adfervabam^  cioè  nella  Specula.  Ro- 
berto Stefano  cita  quell'altro  verfo  come  di  Plauto. 

Vitrum  cedo  :  necejje  ejì  Confpicillo  mi . 

Ma  nell'Opere  di  Plauto  io  non  trova  quefto  verfo  .  Il  Furc> 
tiere ,  e  il  Menagio  adducono  un  Verlo  Greco  di  Autore  viven- 
te nel  II 50.  Cioè  parlando  de' Medici: 

Intuentur  autem  excrementa  per  Vitrum, 

Ma  non  badarono  eflì ,  che  il  Du-Cange  citando  quefto  verfo 
nel  GlofiTario  Greco,  lo  tradulTe  cosi  :  Infpiciunp  excrementa  cum 
Urints .  Sicché  non  v*  ha  prova  alcuna  de  gli  Occhiali  prelTo. 
^li  antichi  ;  e  quando  pure  ne  aveflero  avuto  Tufo,  è  impoffì- 
bile,  che  nelle  Commedie,  in  Marziale,  nelle  Satire,  o  in  altri 
Libri  non  le  ne  foffe  fatta  parola,  o  fi  fofle  Icherzato  lopra  tal 
ufo.  Per  confeguente  dee  prevalere  la  fentenza  di Francefco Re- 
di Medico  dottilTimo  ,  che  ne  attribuifce  l'Invenzione  al  fine 
del  Secolo  XIII.  Ne' Sermoni  MSti  di  Fra  Giordano  da  Rivalto, 
morto  nel  1311.  fi  iegge  :  Non  è  ancora  vent  anni  ,  che  fi  tra- 
l'ò  rArte  di  fare  gli  Occhiali ,  che  fanno  'veder  bene  :  che  è  una 
delle  migliori  Arti  ,  e  delle  più  necejfarie  ,  che  '/  Mondo  abbia  . 
E  in  una  Cronica  Pifana  di  Fra  Domenico  Peccioli  fi  parla  ài 
un  Fra  Alelfandro  Spina,  il  quale  terminò  i  fuoi  giorni  nel  1313. 
Frater  Alexander  Spina  Pifanus  manibus  Juis  quidqiiid  'ooluijfet 
operabatur  ,  ac  caritate  vióius  aliis  communicabat  .  Unde  cum 
tempore  ilio  Quidam  Vitrea  Specilla  ,  quae  Oculari  a  'vulgus  ap- 
pellat ,  primus  adinvenìjfet  ,  pulcro  fané  ^  utili ,  ac  novo  inven- 
to^ neminique  vellet  Artem  ipfam  confciendi  communtcare  :  hic 
bonus  vir  &  Artifex  ,  illis  vijis ,  Jìatim  nullo  docente  didicit ,  ac 
alias  ,  qui  fcire  voluerunt  docuit  Ù'c.  ìiullam  prorfus  manualium 
Artium  ignoravit .  Ma  un  altro  Letterato  ,  cioè  Domenico  Ma- 
ria Manni  Fiorentino,  avendo  prefo  a  trattar  quefto  Argomen- 
to con  efattezza  maggiore,  pretende  dovuta  l'invenzion  degli 
Occhiali  a  Salvino  Figlio  di  Armato  de  gli  Armati  Fiorentino , 
il  quale  nel  1317.  fece  fine  al  tuo  vivere. 


Tomo  L  A  a  a  Dell* 


y]o  Dissertazione 

Dell'  Arte  del  Tejfere ,  e  delle  Vejì't   de  Secoli  ro":^ . 
DISSERTAZIONE    VENTESIMA  QUINTA. 


i  j  i 


NUlla.  s'è  detto  finqui  dell'Arte  del  Teffere  dopo  la  de- 
clinazione del  Romano  Imperio  ,  e  iolo  in  fuggire  s'è 
parlato  di  alcune  Vefli  de  gli  antichi.  Conviene  ora  loddisfare 
in  qualche  maniera  a  tale  argomento  ,  Ancor  queft'  Arte  è  di 
quelle,  che  ficcome  necefiarie  al  genere  umano,  nonfipoffono 
far  perdere  da  alcuna  calamita  ,  e  iempre  dureranno  .  Dopo 
l'infanzia  del  Mondo  fempre  furono  in  ufo  le  tele  di  Bamba- 
gia e  di  Lino  ;  non  so  dire  fé  anche  fatte  di  canape,  come  og- 
gidì fi  pratica  in  parecchie  parti  d'Italia.  Parimente  quelle  di 
Lana  non  mancarono  mai  .  Ulpiano  nella  /.  Ve/ìis  ff,  de  auro 
Argento  Icrive  :  Vejìimerìtonim  Junt  omnia  latzea^  lineaque^vel 
[erica ^  vel  bombucina.  E^  ora  da  vedere,  le  ne' Secoli  barbarici 
follerò  ulate  le  tele  di  ieta  ,  che  oggidì  chiamiamo  Drappi", 
Qjìeria  Voce  fi  truova  anche  preffo  gli  Scrittori  della  Latinità 
di  mezzo ,  come  ofiervò  il  Du-Cange  .  Ora  non  è  da  mettere 
in  dubbio  ,  fé  i  Greci  e  Romani  ben  conofceffero  la  vaghezza 
delle  tele  di  feta ,  e  fé  i  Nobili  Romani,  e  fopra  tutto  le  ric- 
che Matrone  fé  ne  addobbalfero.  Una quiftione  lolamente  s'in- 
contra, cioè  feVergilio  Lib.  2.  Georgicor.  v.  121.  collo  fcrivere 

Velleraque  defaliis  depe&anf   tenui  a  Scres  ; 

e  Plinio  Seniore  parlando  nella  fiefìfa  guifa  ,  abbiano  colla  vo- 
ce SérÌ€mn  voluto  folamente  difegnare  la  tela  di  Bambagia  ;  o 
quel  eh' è  più  verifimile,  fi  fieno  ingannati,  almeno  Vergilio, 
in  credere  ,  che  W  Sericum  fi  traefle  dalla  lanugine  di  alcuni 
Alberi  o  Piante  (  quale  in  fatti  fi  cava  il  Cottone^  o  fia  ìì Bam- 
bagia )  e  fi  filaife  poi  in  fottiliifimi  fili .  Intorno  a  ciò  è  da  ve- 
dere la  Cerda  fopra  Vergilio,  il  Salmafio  lopra  Solino,  per  ta- 
cer altri  Valentuomini.  Ho  eccettuato  Plinio  ,  perchè  a  lui  non 
furono  ignoti  i  Bachi  o  Vermi  da  Seta,  del  lavoro  de' quali  fi 
formavano  tele  di  gran  prezzo  .  Stabile  fentenza  è  poi  ,  che 
mentre  fiori  l'Imperio  Romano,  l'Arte  di  produrre  e  tefiere 
la  Seta,  fu  propria  e  rilerbata  dell'Indie  Orientali,  dove  tut- 
tavia ha  gran  voga,  ed  anche  de'Cinefi  ,  come  periuaclono  le 

con- 


VENTESIMAQ.UINTA.  ^y  l 

conietture  .  Però  qualunque  Drappo  o  vefte  di  Seta  era  in  ufo 
prefTo  i  Greci  e  Romani ,  dalle  Iole  contrade  luddette  per  via 
della  Perfia  e  dell'Egitto  veniva  portata  .  Celebre  è  la  manie- 
ra, e  il  tempo,  in  cui  fu  traiportata  per  la  prima  volta  queft' 
Arte  in  Grecia  ;  e  l'abbiamo  da  Procopio  Lib. IV.  Cap.17.  ^/^ 
Bello  Gothko.  Cioè  venuti  dall'Indie  poco  fa  accennate  alcu- 
ni Monaci  a  Coftantinopoli  ,  vi  portarono  uova  di  Vermi  da 
Seta  ,  e  infegnarono  come  s'  aveano  a  covare  ,  come  da  nu- 
trire i  Vermi  ,  e  tirar  la  Seta  da  i  lor  Bozzoli  ,  o  fia  FoUicel- 
li  .  Sicché  dopo  l'Anno  550.  fi  piantò  in  Grecia  l'Arte  della 
Seta  ,  e  dilatori  poi  felicemente  per  que'  paefi  .  Ma  in  qual 
tempo  paffalTe  la  medefima  in  Italia  ,  niun  monumento  finora 
m'ò  caduto  fotto  gli  occhi ,  che  ce  ne  avvifi  .  Truovo  io  bensì 
in  un  Capitolare  di  Carlo  M.  dove  tratta  delle  Ville  Regali,  e 
nel  Breviario  delle  cofe  Fifcali  del  medefimo  Augullo  mentova- 
ti Mormvoj,  cioè  gli  Alberi  da  noi  appellati  Mori  ,  e  da' Fran- 
zefi  Meuriers ,  ma  fenza  faper  dire  ,  fé  della  lor  foglia  fi  nun 
trifTero  Bachi . 

QjJEL  che  ora  s'ha  da  ricordare,  è  l'avere  Ricobaldo  ,  co- 
me abbiam  veduto  nel  Cap.  precedente  ,  fatto  fapere  ,  che  i 
noftri  Italiani  fino  alla  meta  del  Secolo  XIII.  viffero  con  tal 
parfimonia,  per  non  dire  mefchinita,  che  contenti  di  veftire 
p;inni  e  tele  triviali,  abborrivano  ogni  Lufib  ,  anzi  né  pur  fa- 
peano  cofa  egli  fofle  .  Parole  tali  lem  brano  dire,  che  in  Italia 
fino  a  que'  tempi  o  non  fi  conofcevano  velli  di  Seta ,  ed  altre 
preziofe  tele  ,  o  pure  che  gì'  Italiani  le  lafciavano  volentieri 
ad  altre  Nazioni  amanti  dello  sfarzo  e  delle  delizie  .  Ma  non 
per  quefto  s' hanno  a  credere  cos\  rozzi  e  nemici  del  LufTo  que* 
Secoli.  A  buon  conto  anche  in  Italia  chi  non  era  cieco,  foven- 
te  potea  mirare  i  piì^  delicati  lavori  di  Seta,  che  fervivano  di 
ornamento  alle  Chiefe  e  alle  facre  funzioni.  PrefTo  il  folpiAna- 
ftafio  nelle  Vite  de' Romani  Pontefici  ne  fon  frequenti  gli  efeni- 
pli ,  e  truovanfi  ancora  nomi  tali  di  que' Drappi,  che  difficil- 
mente ora  fi  pofibno  ipiegare.  Vegganfi  per  efempio  le  azioni 
di  Papa  Paiquale  I.  che  lafi  fulla  Cattedra  di  San  Pietro  neh' 
Anno  817.  Egli  donò  alla  Chieia  de' Santi  Procefib  e  Martinia- 
no  vela  de  fundato  cum  per'tclyji  de  blatt'tn  c'trcuynjutn  .  Q_ue- 
fta  Per'tclyfts  de  hlattin  è  un  orlo  o  contorno  di  tela  cremefi 
o  porpurea.  Perciocché  in  que' Secoli  era  molto  in  ufo  il  Ver- 
miglio chiamato  B/^/^^.  Similmente  il  medefimo  Pontefice  fe- 

A  a  a     2  eh 


J72  Dissertazione 

cif  ve/lem  de  Cbrffocìnvo  cum  di'uerfis  hijlorih  mlrce  magnhudl- 
nis  & pulcrttudi?i'ts  ,  Più  fot to  obtulit  alìamveflem  cbryfoclavam 
ex  auro  gemmisque  confeBam  ,  habentem  hijìoriam  Virginum 
cum  facibus  acceyifn  mirifice  comtam  .  Con  egual  munificenza 
fecit  veflem  de  Jìaurnce  habentem  pavones  ;  &  "jeflem  auro  tex- 
tnm  ;  &  coopertorium  rubeum  de  ferko  .  Aggiugne  quello  Sto- 
rico :  Fecif  'uela  de  quadruplo  qu'tnque  ,  &  vela  Tj/ria  duo  , 
OfFen  parimente  ad  un  altro  Tempio  Vejìem  de  Blatt'm  By- 
:z^ntea  y  &  vejìem  de  fundato  alith'mo  ,  habentem  tn  c'trcu'ttu 
perìclyjin  de  olovero  ,  &  vejìem  de  fundato  porphfretico  .  Al- 
trove ricorda  vejìem  de  fundato  Prajtno  j  vela  holoferica  ,  & 
pannimi  Alexandrinum  mirifice  decoratum  .  Cosi  nella  Vita  di 
Papa  Leone  I  V.  rammenta  tria  vela  de  Spanifco  &c,  Velum 
acupiólile  ^  hahens  hominis  effigie m  fedentis  fuper  pavonem  unum 
Ù'c.  Vela  ex  auro  texta  ,  bah  enti  a  hijìoriam  beati  Petri  Apojìo- 
li  .  Anche  Stefano  V.  Papa  verfo  il  fine  del  Secolo  IX.  fece 
vela  quatuor  in  circuitu  Altaris  majoris  ,  quorum  duo  funt  de 
ferico  Pigacio  ,  tertium  pavonatile  ,  quartum  de  Alexandrino  , 
crnatum  totum  in  circuitu  de  olovero  Ù'c.  Parimente  donò  vela 
ferica  de  Blattin  Byz^antea  quattuor ,  duo  ex  bis  aquitata  ,  & 
duo  de  b  a  fili f ci  .  Si  può  con  ragione  credere,  e  maffimamen- 
te  indicandolo  varj  nomi  ,  che  la  maggior  parte  di  quefti 
Drappi  veniffe  dall*  Egitto  ,  dalla  Soria  ,  e  da  Coftantinopo- 
li  ;  ma  non  è  improbabile,  che  alcuni  ancora  folTero  fabbri- 
cati in  Italia. 

Di  qui  eziandio  apparifce  ,  che  allora  fi  tefievano  tele  è\ 
Seta  con  fili  d'  oro  framifchiati  ,  che  ora  chiamiamo  Braca- 
ti *  Abbiam  veduto  preffo  Anaflafio  pallium  aurotextile ,  Quei 
che  fono  da  lui  appellati  Cbryfoclava  ed  Auroclava  non  ardi- 
rei chiamarli  con  Papia  Purpuras  auratas  .  Furono  probabil- 
mente pezzi  di  tela  d'oro  ,  che  a  guifa  di  bottoncini  ,  rofet- 
te  ,  cerchietti  ,  fi  cucivano  fopra  altra  tela  .  Sono  altrove  no- 
minati vela  linea  auroclava  .  Particolarmente  quefti  Clavi  fi. 
mettevano  ne  i  lembi  delle  vefti .  Intorno  al  fignificato  di  que- 
fta  voce  fi  truova  difputa  fra  gli  Eruditi  .  Lalciamo  loro  la 
cura  di  deciderla  .  S'  incontrano  ancpra  piBa  vejìes  ,  e  fi  fi- 
gurerà todo  il  Lettore  ,  che  fi  parli  di  velli  ,  dove  il  pennel- 
lo aveffe  con  varj  colori  dipinte  varie  (torie  ,  e  figure  ;  né  io 
oferei  foflenere  ,  che  non  vi  foffero  anche  difimilitele.  Ben- 
sì aggiungo  ,    che  ordinariamente  al  pi^i^e  fi  fottintende  acu  , 

cioè 


Ventesima  Q.UINTA.  373 

cioè  vefti  'PJcamafe  .  Imperciocché  anche  ne' Secoli  barbarici 
fu  praticato  di  molto  il  Ricamo . 

-     -     -     -     Babilonica  pi&a  fnperbe 
Testa  Semiramidis  qu(S  varia?ifur  acu  : 

Sono  parole  di  Marziale  .  Abbiamo  veduto  di  fopra  Velum 
acupiMc  ,  ed  altrove  s*  incontra  la  medefima  voce  .  Nella 
Cronica  di  Farfa  fi  fa  menzione  della  Corte  di  San  Benedet- 
to in  Selvapiana  ,  tibi  fuip  antiquitus  Congregano  Aìicillarum  , 
qua  Opere  Plumario  ornamenta  Ecclejiarum  laborabant  .  Nel- 
le Annotazioni  io  peniai,  che  non  folamente  ^o^q  qui  accen- 
nato il  Ricamo ,  ma  anche  ornamenti  da  Chiefa  formati  con 
Piume  di  uccelli  di  diverfi  colori .  In  fatti  Prudenzio  in  Ha- 
marr.  num.  2c?3.  ha  i  feguenti  verfi. 

Hunc  videas  lafcivas  prapete  curftt 
Venantem  tunicas  :  avium  quoque  verjìcolorum 
Indumeuta  novis  testentem  plumea  telis» 

Aggiungafi  Seneca,  che  nell'EpirtoIa  pi.  fcrive  :  Avium  più- 
mce  in  ujum  'uejìis  conferuntur .  Ma  fi  dee  ftabihre,  che  Più- 
marium  Opus  propriamente  fignifica  il  Ricamo  ,  ficcomc  av- 
vertii il  Turnebo  Adverlar.  Lib.  XI.  Cap.  25.  con  dire  :  Plu- 
mandi  ^  texendi  a  quibusdam  ^  ab  aliis  acu  pingendi  exponitur . 
Et  Jane  videri  poteft  prò  acu  pingere  interdum  accipi  ,  ut  ab 
Hieronfmo .  Species  tamen  quondam  proprie  efl  acu  pingendi ,  cum 
davi  ,  aut  patagja  ,  aut  Jegmenta  ,  aut  fcutulce  ,  aut  teJfell(S  , 
Jic  alióè  aliis  ajJuimtUY  ,  ut  plumam  avium  referatit  .  Ampia- 
mente ancora  tratta  di  qued'  Arte  il  Salmafio  fopra  Vopi- 
fco  5  e  penCa  ,  Plumia  effe  omne  id  ,  quod  in  vejìibus  Piuma- 
ria  arte  intextum  erat  ,  Jive  ejfent  tabulds  ,  five  ejfent  Orbi- 
culi  ,  vel  Rotae  .  Prefìb  Petronio  s'  incontra  Plumatum  Babf- 
lonicum  ^  e  poco  fa  abbiam  veduto,  che  ornamenti  tali  fi  fa- 
cevano coir  ago  .  Da  Procopio  Lib.  de  JEdific.  è  menziona- 
ta Tunica  ferie  a  aureis  ornamentis  undique  dijìin6la  ,  qua  Plu- 
mia dicere  jolent  .  E  in  una  Carta  del  loip.  fi  legge  Altaria 
linea  opere  Plumnrio  tria  .  Contuttociò  pare  ,  che  diverte  Ar- 
ti fofiero  Opus  Phrygtum  ,  cioè  il  Ricamo^  dappoiché  nella  Re- 
gola di  S. Ceiario  fi  legge:  Plumaria^Ù' Acupi6iura^&omne po^ 

lymi- 


374  Dissertazione 

Jymitum  &c\  fìumquam  in  Monajìerio  flant.  Ma  in  favore  del 
Ricamo  ferve  un  paffo  di  Pietro  Comeftore  ,  il  quale  fiori  nel 
1172.  e  fopra  il  Gap.  2<5.  dell' Elodo  cos'i  fcrive  dell'Opera 
Plumaria.  Piuma  ^  die' egli  ,  Lingua  quadam  Acus  dicitur^  fci- 
licet  j^gfptiorum  ,  quorum  funt  diverfa  Lingua  ,  Jicu^  Gracco- 
rum  .  Hoc  genus  veli  vulgo  Dijìratum  dtcttur  ,  quaji  bis  /ira- 
tum  »  Prima  enim  fip  tela^  cut  cum  acu  opere  manuali  fuhfter- 
nuntur  piHuraiiones  .  Sunf  qui  dicunt  Opus  Plumarium  a  fimi- 
litudine  avium  ,  quibus  Juperaddua  plumnrum  varietas  .  Idem 
Opus  dicitur  etiam  Polf-mitum  ,  Forle  quclf  ulrirno  non  fuffiile, 
perchè  Polymita  verilimilmente  prelcro  dalla  teifitura  la  va- 
rietà de' colori. 

Merita  qui  d'entrare  in  campo  un  paffo  di  Aldhelmo  Ve- 
fcovo  de'Saflbni  Occidentali  della  Bretagna  nel  Lib.  de  Laud. 
Virgin,  Gap.  6,  fioriva  quello  Autore  circa  fAnno  <58o.  e  T 
Opera  fua  è  inferita  nella  Biblioth.  Patrum  .  Siquidem  (  cosi 
egli  parla  )  cortinartmi  Jìve  Jìragidarum  testura  ,  7ìijì  pannicu- 
la  purpureis  ,  immo  diverjìs  colorum  varietatibus  fucafa  ,  inter 
dejifa  filorum  Jìamifia  ultro  citroque  decurrant  ^  Ù'  Arte  Piuma- 
ria  omne  testrinum  Opus  diverjìs  imaginum  tboracibus  perornenf^ 
fed  uniformi  coloris  fuco  Jlgillatim  confeHa  fherit  :  liquet  pro- 
feto,, quomodo  nec  oculorum  ohtutibus  jucunda  ,  nec  pulcherimce 
venujìati  formofa  videbitur  .  Non  fi  dee  qui  tralaiciare  ,  che 
Monfig.  Fontanini  Gomment.  ad  Dijcum  Chriftianum  Gap.  17. 
loda  quello  palfo  con  dire:  SanHus  Aldhelmus  morem  fua  ceta- 
tis  in  hujusmodi  orbiculatis  vejìibus  contexendis  fugillat  ,  Jiequs 
vllo  paóio  in  Virgìnibus  probat  .  Polcia  vien  recando  le  parole 
d'elfo  Aldhelmo  iecondo  la  nuova  edizione,  da  lui  creduta  più 
purgata,  fatta  da  Arrigo  Wharton,  nella  leguente  forma:  Cor- 
tinarum  five  fìragularum  testura  non  paucula  purpureis  ,  immo 
diverfis  colorum  varietatibus  fucata  ,  inter  detija  filorum  /lami- 
na ultro  citroque  decurrant.^  &  Arte  Plumaria  omne  Textrinum 
opus  diverfts  Imaginibus  Thoraciculis  perornent .  Ma  il  Fontani- 
ni vide  tutto  Toppofto  di  quello,  che  Aldhelmo  intele  di  di- 
re ;  e  il  Wharton  non  emendò,  ma  guadò  la  vera  di  lui  fcrit- 
tura.  Ghiaramente  fi  fcorge  la  mente  di  Aldhelmo  ,  dove  di- 
ce ,  folam  Virginitatis  prarogativam  fine  ceterarum  adjumento 
Virtutum  non  juffìcere  ad  perfeBionem  ;  ma  effere  neceffario  , 
ut  muhimoda  mandatorum  Varietate  decenter  decoretur.  Reca  di 
poi  l'clempio  della  tela,  con  cui  fi  formavano  i  cortinaggi  ed 

altri 


Ve  N  T  ES  l  M  A  Q,U  1  N  T  A.  375 

altri  addobbi  de' facri  Templi,  dicendo  ch'effa  tela  nonlolo  fi 
fa  per  mezzo  di  varj  licci  dai  teffuori  colla  vaghezza  didiver- 
fi  colori,  ma  eziandio  coVi  Arts  Pi  um  aria  ^  o  fia  del  Ricamo, 
viene  ornata  ài  Scudetti  (Cl/peos  li  chiamavano  anche  gli  an- 
tichi )  rapprefentanti  varie  Immagini  ♦  Perciocché  le  la  tela 
fi  forma  (Te  uniformi  colore^  non  farebbe  tanto  ftimata,  né  tanto 
piacere  recherebbe  a  gli  occhi  di  chi  la  mira.  Un  ìogno  è  dun- 
que del  Fontanini  il  dire,  che  Aldhelmo  biafima  l'Arte  di  tef- 
iere  ,  e  dovea  anche  dire  di  Ricamar  quelle  velli,  e  ladilap- 
prova  affatto  nelle  Vergini  .  Ebbe  quel  Santo  Vefcovo  davanti 
a  oli  occhi  San  Girolamo,  che  in  non  so  quale  Epift.  deCaJìit, 
fcì-njanda  Icrive  :  Afìitit  Regina  a  dextris  ejus  circumdata  Va- 
vietate  :  qua  'vejìe  Polfrnita  (  cioè  di  varj  colori  )  &  multarum 
Virtutum  njarietate  contenta  indutus  fiùt  &  Jofeph  ^  &  Regum 
quondam  utebantur  filice ,  Né  dovea  iiWarthon  invece,  di  nijì 
panniculcs  leggere  nel  teflo  d'Aldhelmo  non  pauculce ^  mutando  a 
fuo  capriccio  quelle  parole.  Perciocché  Panicula^  o  più  tofto  Pa- 
nucula  ,  fignifica  la  Spuola  (  Rhadius  preflb  i  Latini  )  che  ca- 
rica del  filo  teflitore  Iborre  per  l'orditura  della  tela .  Santolfi- 
doro  Lib.  i^.  Gap.  25?.  Panucla  (  cosi  fcrive  )  diófce  ^  quod  ev; 
iis  panni  texantur  j  ipfce  enim  difcurrunt  pertelam.  Perciò  dal- 
le parole  di  Aldhelmo  iembra  apparire  ,  che  l'Arte  Plumaria 
confiikffe  nelf  ornare  colf  ago  la  tela,  aggiugnendovi  figure  di 
varie  forte  lavorate  con  diverfi  colori  .  Tale  il  Gramarico  Pa- 
pia  crede  che  foffe  la  5'^r/7^w/^.  Stragulum^  die  e^ìì^  ^ejìis  dif- 
color  Plumario  opere  faóìa ,  Ma  forie  Stragula  anche  fi  appellò 
la  tela  di  varj  colori  ,  benché  non  Ricamata.  Ne' Codici  anti- 
chi fi  truovano  talvolta  dipinte  le  Immagini  de'  Principi  ,  co- 
me è  una  Bibbia  infìgne  conlervata  da  i  Monaci  Benedettini  in 
Roma.  Miranfi  ivi  le  figure  di  Carlo  Re  de' Franchi  (non  fi 
sa  fé  del  Magno  o  del  Calvo  )  e  della  Regina  con  vefti  orna- 
te di  Ricamo.  Che  nel  Secolo  VI.  non  fi  laicialfero  gl'Italiani 
torre  la  mano  da  alcuno  in  quelf^a  profeffione,  può  comprovarfi 
coir  autorità  di  Agnello  nella  Vita  di  Maffimiano  Arcivefcovo 
di  Ravenna  ,  il  quale  efalta  Endothin  byjjìnam  pretioftjftmam 
illius  jujfu  fa6lam  .  ^uis  ftmilem  njidere  potutt  ?  Non  poteji 
aliter  aftimare  ipfas  imagines^  aut  beflias  ^  aut  voliicres  ^  qua  ibi 
jn6la;  funt  ,  ntjì  quod  in  carne  omnes  'viva  Jìnt  .  Qiial  foffe  an- 
cora anticamente  la  perizia  degl'Ingiefi  in  si  fatte  manifattu- 
re, ce  lo  dira  l'Autore  Gejlor,  Cuilielmi  Regis  ^  cioè  del  Con- 
quida- 


^yó  Dissertazione 

quiftatore  .  Anglica  nationis  (  fono  fue  parole  )  femlna  muhum 
acu  &  ami  textura  ^  egregie  viri  in  omni  njalent  artificio.  Però 
fu  rinomato  Opus  Anglicum  ^  come  s'ha  da  Leone  Oltienfe  Ljb.2. 
Gap.  35.  della  Cronica  Cafinenle. 

Ebbero  parimente  gli  antichi  s\  Greci  che  Romani  le  Ta- 
peT^i^erie  o  Cia  i  Tapeti  ^  adoperati  Ipezialmente  ne*  Templi  ,  e 
ne' Palazzi  Regali.  Non  faprei  dire,  le  in  Italia,  o  in  Europa, 
fé  ne  fabbricaflero ,  cioè  teflcfTero  con  figure  d'uomini,  beltie  , 
alberi,  e  fimili  cofe .  Efamini  chi  vuole  quel  verlo  di  Vergilio 
Lib.III.  verf.  25.  Geòrgie. 

Purpurea  intesti  tollant  Auleta  Britanni, 

Certamente  preflb  i  Popoli  dell' Afia  ve  n'erano,  come  anche 
oggidì,  numerofe  le  officine.  Noi  li  domandiamo  ^r^:^:^/  dal- 
la Citta  di  ArafTo  in  Fiandra,  dove  ne\Secoli  addietro  con  gran 
felicità  fé  ne  facea  la  fabbrica  .  Così  Duagio  fi  appellava  una 
tela  o  panno  fabbricato  nell'  altra  Citta  Belgica  di  Douay  ;  e 
noi  abbiam  dato  il  nome  di  Dama/co  ad  una  tela  di  feta  ,  per- 
chè ne' vecchi  tempi  era  portata  dalla  Città  di  Damafco.  Né 
per  altra  cagione  noi  appelliamo  Renfa  certa  tela  fottile  di  li- 
no, fé  non  perchè  vecchiamente  fi  tefieva  nella  Citta  di  Rems, 
chiamata  Rens  da  gì'  Italiani  .  Ora  celebri  furono  una  volta 
le  Tapezzerie  di  Babilonia  ,  Periftromnta  Babilonica  ,  come 
ancora  Attalica  ,  e  Campauica  .  E  fi  chiamano  PiBa  ,  ancor- 
ché le  figure  e  i  colori  folTero  telTuti  ,  perchè  imitavano  la 
Pittura.  Servio  al  Lib.  I.  Mneid.  verf. 701.  così  fcrive  :  Au- 
l(sis  ,  velis  piBis  :  qudd  ideo  aulaa  dióìa  funt ,  quod  primum  in 
Aula  Attali  Regìs  Ajìce  inventa  funt .  O  più  todo  perchè  fervi- 
vano  di  ornamento  alle  Aule  ,  o  fia  ai  Palazzi  de  i  Re.  Plinio 
nel  Lib.  Vili.  Gap.  48.  attefta  ,  che  Colores  diverjos  piBurce  in- 
texere  Babylon  maxime  celebravit ^  &  nomen  impojuit  .  Per  que- 
llo belluata  tapetia  chiamò  Plauto  i  Tapeti  ,  dove  erano  be(He 
intelTute  .  Ora  trovando  noi  nelle  Vite  de'  Romani  Pontefici 
vela  piSla^  o  pure  vejìes  pi6ias  ,  fi  può  chiedere  ,  le  quella  va- 
rietà di  colori  e  di  figure  venifle  dalla  tedi  tura  ,  o  dal  pennel- 
lo ,  o  dall'ago  .  In  Adriano  I.  noi  troviamo  ve/lem  de  ChrffD- 
clabo.^  habentem  Hìjìoriam  Nativitatis  Ò'c,  Fecit  ve/lem  Cbrffo- 
clabam^  pretiojis  gemmis  ornatam  ,  habentem  hifloriam  Salvato- 
vis  &c.  Pare  credibile,  che  tali  Storie  fodero  formate,  non  gih 
da' Pittori ,  ma  bensì  dalla  te  (Tu  ura,  o  dal  Ricamo.  Impercioc» 

che 


V  E  K  T  E  S  1  M  A  Q,U  I  N  T  A  .  577 

che  gran  tempo  durò  di  chiamar  Pittura  anche  gì'  ingegnofi 
lavori  dei  telaio  .  Nella  Vita  di  Onorio  III.  Papa  ,  creato  nel 
121(5".  leggiamo  :  Aureis^  argenteisque  platea  d'tfl'tnguttuv  ,  T a- 
petis  pióiis  m  JEgj'pto  projìrata   (  meglio  /irata  )   &  tinóiis  In- 
dine  ,    Gallìdsque  coloribus    ordinate  compofita  .    Sicché   v'  erano 
Tapezzerie  preie  dall'Egitto,  dall'India,  ed  anche  dalla  Fran- 
cia .  (ZhQ  fé  aveano  gì'  Italiani  tele  contenenti  facre  Iflorie  , 
troppo  verifimile  è,  che  quefte  o  fodero  teffute,  o  piìi  torto  fab- 
bricate nella  ftefla  Italia  ,  o  pure  in  Europa  :  al  riflettere,  che 
non  poteano  venire  dalla  Soria  ,  Perfia  ,  ed  Egitto  ,  dove  gli 
Arabi  Maomettani  padroni    abborrivano  troppo    le  Immagini 
facre  ,  e  le  cofe  fpettanti  alia  noilra  fanta  Religione  .  Anche 
Ammiano  Lib.  24.  della  Storia  fembra  accennare,  che  i  So- 
riani nelle  Tapezzerie  non  mettevano   fé  non  battaglie ,  befiie, 
e  paefi  .  Nelle  Chiofe  alla  Vita  di  San  Pietro  Celerino  Papa 
è   Icritto  :   In  Pluviali  Papis  erant  Imagmes  Sa7j6lorum  Patrum- 
de  feri  co  &  auro  lahoratx  acu  ,   operi  s  Cyprenfts  ,  jeu  Anglicani . 
Egli   è  ora  da  avvertire  il  quando  e  come  una  copia  di  la- 
vori Al  feta  s' introduce  in  Italia.  Ce  lo  dira  Ottone  Frifmgen- 
fe  nel  Lib.  I.  Cap.33.   de  Gefi.  Friderici  ^  dove  icrive,  che  Rug- 
gieri Re  di  Sicilia  nel  1148.   avendo  fpedita  la  fua  Flotta  con- 
tra  de' Greci,  prefe  Corinto ,  Tebe,  ed  Atene  .  Maxima ^{og- 
giugne  egli,  praeda  direpta^  opifices  etiam  qui  Sericos  pannos  te- 
xere  jolent  ,    oh  io^tìomimam  Imperatoris  illius  ,  fuique  Principia 
gloriam  ,   captivos  deducunt  .    ^hios  Rogerius  in  Palermo  Sictlice 
Metropoli  collocans  ,  Artem  illam  texendi  fuos  edocere  pnecepit  . 
P.t  exhinc  praedi^ia  Ars  illa  prius  a  Grcecis  ta7ìtum  inter  Chrijlia- 
7Ì0S  habita  ,  Romanis  ccepit  patere  ingeniis  .  Troppo  a  mio  cre- 
dere dice  il  Frifingenfe,  quafichè  niun' altra  Nazione  Europea 
che  i  Greci  ,   lapeffero  allora  teflere  tele  di  feta  .    Forfè  di  là 
venne  qualche   particolar  maniera  di  fabbricarne  delle  figurate, 
e  di  vago  comparto  di  colori  .   Ma  intenderemo  meglio  quefta 
importante  avventura  da  Ugo  Faìcardo  Scrittore  di  quel  mede- 
fimo  Secolo,  che  nella  Prefazione  alla  fua  Storia  ,  defcrivendo 
la  nobilifiima  Citta  di  Palermo  ,  cosi  parla  :  Nec  vero  illas  Pa- 
Intio  adhcereìites  filentio  prdeteriri  convenit  Officili as  ,   ubi   in  fi- 
ha  variis  difti?ìEia  coloribus  Serum  veliera  tenuantur^  &  Jibi  in- 
vicem  Multiplici  texendi  genere  coaptantur  .    tlinc  enim  videas 
Amttay  Dimitaque  ^   Ò^  Trimita  7ninori  peritia  fwmtuque  perfici 
(cioè  tele  di  feta  volgari  ,  perchè  fabbricate  con  uno,  due,  o 
Tomo  L  Bbb  tre 


37?  Dissertazione 

tre  Licci)  Hìnc  examìta  uberioris  maperice  copia  e  onde  nf ari  (chia- 
marono gli  antichi  quefta  tela  Sciamito  ,  perchè  lavorata  con 
fei  Licci  )  Heic  Diarhodon  igneo  fulgwe  'vifum  re'uerberat  (  cioè 
tela  di  color  di  Rota  )  Heic  Diapifti  color  fubviridis  intuentimn 
oculis  grato  blanditur  afpe6lu ,  (  preffo  Anaitafio  fovente  è  nomi- 
nato quello  Drappo  ,  ed  ora  impariamo  ,  eh'  era  di  color  ver- 
de). Hinc  Exarentajmata  circulorum  vartetatibt^s  injìgnita^  ma* 
jorem  quidem  Artificttm  indujìriam  ,  C^  materice  ubertatem  defi- 
derant ,  majori  nihilominus  pretto  diftrahenda  .  Crede  il  Caru- 
fio  ,  doverfi  qui  leggere  Esanthtmata^  onde  foflero  tele  Ipar- 
fe  di  fiori  .  Ma  è  ivi  icritto  Circulorum  ,  cioè  Scudetti  e  bol- 
le rotonde  .  Seguita  a  dire  il  Falcando  .  Multa  quidem  ,  & 
alia  videas  ibi  varii  coloris  ,  ac  diverfi  generis  ornamenta  , 
in  quibus  ex  Sericis  aurum  intexitur  &  multtjormts  Pi6lur<£  va- 
rietas  gemmis  interlucentibus  tllujìratur  .  Margarita;  quoque  aut 
integroe  cijìulis  aureis  includuntur  ,  aut  pcrforatce  filo  tenui 
conneóiuntur  ,  &  eleganti  quadam  difpojìtionis  tnduflria  Pióiu- 
rati  Jubentur  formam  operis  exhibere  .  Ecco  le  belle  fatture  di 
Seta,  che  circa  l'Anno  1169.  fi  lavoravano  in  Palermo  coli' 
Arte  portata  cola  dalla  Grecia  .  Noi  ,  che  ammiriamo  ,  e 
con  ragione  ,  la  beltà  e  varietà  di  tante  Drapperie  de  i  noftri 
tempi,  abbiam  nondimeno  da  confeflare  un  obbligo  non  lieve 
a  gli  antichi ,  che  ci  hanno  prima  Ipianata  la  via  ,  e  fenza  i 
lumi  loro  non  potremmo  oggidì  vantare  un  si  gran  progreflb 
neir  Arti  .  Se  abbiamo  da  preftar  fede  a  Niccolò  Tegrimo  nel- 
la Vita  di  Caftruccio  ,  per  lungo  tempo  il  lavoro  delle  tele  di 
Seta  fi  mantenne  preflb  i  folo  induflriofi  Lucchefi  ;  ma  dopo 
il  lacco  dato  nel  13 14.  a  quella  Citta  da  Uguccione  dalla  Fag- 
giola  quegU  Artefici  fi  dilperfeto  per  tutta  l'Italia,  in  modo 
che  altre  Citta  ne  divennero  anch'effe  maeftre.  jìlii ,  die' egli, 
Venetias  ,  Florentiam  ,  alii  Mediolamim  ,  Bononiam  quidam  , 
partim  in  Germani am  ^  &  ad  Gnllos^  Bvitannosque  dilapji  Jtint  » 
Sericorum  pannorum  Ars^  qua  foli  Lucenfes  in  Italia  &  divittis 
affluebant  ,  &  gloria  fiorebant  ,  ubique  exerceri  ccepta  .  Gli  Ol- 
tramontani oggidì  vendono  a  noi  ciò,  che  impararono  da  noi. 
Erano  fpezialmente  i  più  preziofi  lavorieri  di  Seta,  o  di  Lana, 
o  di  Ricamo  ,  adoperati  ne  gli  antichi  Secoli  per  ornamento 
delle  Chiefe,  cioè  in  Pianete,  Piviali,  Pallii,  Padiglioni  di  Al- 
tari, Spalliere,  e  Cortinaggi  per  le  colonne  .  Di  queftl  ultimi 
fa  menzione  Giovanni  Diacono    nella  Vita  di  Santo  Anaftafio 

Ve- 


Ventesima  q_u  i  n  t  a  .  jjp 

Vefcovo  di  Napoli  del  Secolo  I X.  7«  Ecclefm  Stephania  ,  cosi 
esli ,  tredecim  pamios  fecit  ,  Evnngelicam  in  iis  dipingens  Hi/io- 
rìam  ,    quos  jujjit  de  columnarum  capìtibus  adornamentum  pari' 

deve . 

Non  mancava  in  que' tempi  quella  forte  di  velame  di  Seta, 
che  noi  appelliamo  Sendale  ,  Zendale  ,  Zendado  .  Rolandino 
nella  Cronica  Lib.  IV.  Gap. 5?.  ne  parla  .  Tunc  accejjlt  unus  ds 
PopulartbviS  ad  Ccndatum  pendens  de  fublim't  antena  Carrocci  , 
Anche  il  Boccaccio  ne  fa  menzione  nelle  Novelle  .  Parimente 
fi  truova  memoria  predo  i  vecchi  Scrittori  del  Taffetà  ,  forfè 
non  diverfo  dallo  Zendale  ;  ficcome  ancora  della  Saia  panno  di 
lana  •  e  del  Carnei  otto  ^  o  Camelato^  o  Camelino^  cioè  di  panno 
di  lana  inteffuto  di  peli' di  Camello  o  di  certe  Capre  .  Da  Mar- 
co Polo  ne' fuoi  Viaggi  fu  chiamato  Z/zw/'^/o/o  ,  preflb  i  Mode- 
nefi  è  Cambelloto  ,  e  preflb  i  Tofcani  Ciambcllotto  .  Quefto  fi. 
fabbrica  tuttavia.  Ma  nelle  vecchie  memorie  s'incontrano  tele 
e  panni  con  tali  nomi,  che  fcuri  affatto  rieicono  oggid'i;  come 
nelle  Vite  de' Romani  Pontefici  Vela  de  minilo -^  o  imi-^lo^  Pia- 
netae  Diafpra  ,  Diapi/ì<f  ,  de  Fundato  &c.  In  uno  Strumento 
Brefciano  dell' Anno  7^1.  fi  truovano  Pallio  uno  de  Blatta  me' 
Iella  ^  alio  Pallio  de  Blatta  lufca.  Urbano  III.  Papa,  come  ha 
un  Codice  MSto  Milanefe,  nel  1186^.  donò  a  quella  Metropoli- 
tana Planetam  de  coca  ,  &  toaliam  cum  frixio  .  Certo  è  ,  che 
ne' più  vecchi  tempi  que'  panni  e  tele  venivano  trafportati  in 
'Italia  dalla  Grecia,  dalla  Scria,  Perfia,  ed  Egitto,  e  lo  fanno 
conolcere  i  nomi  loro  Greci  ,  come  Cbryjocìava  ^  velum  holofe- 
vicum  ^  de  Bafelifci  ^  Fundatum  alithinum  ^  e  fimili.  La  fabbri- 
ca d'altri  fi  raccoglie  dal  Luogo  ,  come  Vela  T/ria  ,  Byz^n- 
tea  ,  pannus  Alexandrinus  &c.  Vedemmo  prefìb  Anaftafio  Vela 
de  Spani/co  ,  cioè  che  fi  lavoravano  in  Ilpagna  ,  dove  tanto 
paele  era  occupato  dagli  Arabi,  gente  lommamente  induflrio- 
fa  .  Ottone  Vefcovo  di  Frifinga  Lib.  IL  Cap.  13.  de  GeJì.Fri- 
der,  fcrive,  che  nell'Anno  1154.  vennero  alla  Corte  dell' Im- 
peradore  gli  Ambafciatori  de'  Genovefi  ,  ^i  non  longe  ante 
h(Xc  ipfa  tempora^.captis  in  Htfpanta  inclytis  Civitatibus  ,  &  in 
Sericorum  pannorum  opifìcio  prdsnobilijjtmis  Almaria  ,  &  Ulixi- 
bona  ,  Saracenorum  fpoliis  onujìi  redierant  .  Per  atteftato  del 
Monaco  di  San  Gallo  Lib.  IL  Cap.  14.  Carlo  M.  Regi  Perfa- 
rum  direxit  Nuntios ,  qui  deferrent  equos  &  mvJos  Hifpanos  ,  Pai- 
liaque  FriJÌ07ìica  alba^  cana^  vermiculata  ^  vel  Japhj/rina  ^  quce 

Bbb      2  in 


:^8o  Dissertazione 

in  tllis parptbus  rara  &  muhum  cara  comper'tt .  Il  che  fa  vedere, 
che  non  -il  folo  Oriente  ,  ma  anche  1'  Occidente  avea  fabbri- 
che di  rari  panni  e  telerie  .  E  San  Bonifazio  Martire  ed  Arci- 
vefcovo  di  Magonza  nel  Secolo  Vili,  mandò  a  Daniello  Ve- 
icovo  capjhlàm  non  holofcrìcam  ,  fed  caprina  lanugrne  inìxtam 
&'vìlIofam.  Gran  tempo  ancora  dm'arono  tali  officine  in  Con- 
llantinopoU  .  Tebaldo  Abbate  di  San  Liberatore  di  Chieti  nelL' 
Anno  101  p.  annovera  fra  i  lacri  paramenti  diw  Ceràtoria  , 
C^  Coopertorìa  tria  Serica  Conflanùnopol'ttaììa  .  Eravi  ancora  la 
Scaramanga  ,  cioè  una  fpecie  di  panno  (Iraniero  ,  di  cui  fi 
facevano  Pianete  facre  .  Secondochè  attera  Leone  Marficano 
Lib.  III.  Gap.  58.  della  Cron.  Cafin.  Roberto  Guiicardo  Duca 
di  Puglia  donò  al  Monifrero  Cafmenfc  Tunkam  unam  de  panno 
Perfoy  duas  cortìnas  Arabicas  ;.  e  il  Vefcovo  di  Marfi  Planetam 
Scaramangmarn  .  Altrove  abbiamo  nmuam  d'iap'ijììn  ,  e  pannos 
tr'thlattos.  Avrei  defiderata  maggior  provvifione  di  Erudizione 
nell'Abbate  Angelo  della  Noce,  allorché  nel  Comment.  al  Li- 
bro III.  Gap.  20.  della  Gron.  Cafin,  fc riffe  :  £/?  ìgttur  Blatta 
njermiculus ,  Libros  &  veftes  erodens  ,  &  quia  Blatta  apprehenfa 
hìficit  manum  hominis  rubro  colore ,  bine  Blatta  dióium  exqtii^ 
Jìtae  Purpuree  gentts.  Gioè  la  Tigniuola.  Egli  ha  dato  lontano  al 
berfaglio  cento  miglia.  Ora  noi  lappiamo,  che  la  vera  Porpora 
fi  faceva  con  fangue  di-  certe  Gonchiglie  di  mare.  Il  coìoreBlat- 
teo  ,  tuttoché  talvolta  appellato  Purpureo  ,  col  proprio  nome 
nondimeno  era  chiamato  Cocc/Vz^'^/y  ,  oggidì  Ckemihì  ^  q  Creme' 
fino  ,  Falfo  é  affatto, 'che  la  Blatta^  col  cui  fangue  fi  tingevano 
una  volta  i  panni,  e  tuttavia  fi  tingono,  fia  lo  fteffo  che  laT/- 
gnuola^  Olì  Tarlo.  S'ingannarono  ancora  coloro,  che  vermicu- 
lum  Bombfcem  intellexerunt  ycujus  textu  vejìes  ferìccs  conjiciuntur , 
Roberto  Stefano,  il  Voffio ,  ed  altri  feco  traffero  in  errore  An- 
gelo della  Noce.  Oggidì  fanno  gli  Eruditi,  che  idi  Blatta  è  una 
fpecie  d'Infetti  chiamati  C/^^rw^-i  da  gli  Arabi,  che  nafcono  da 
i  grani,  ghiande  o  cerchi  di  certeElci,  col  fangue  de' quali  fi. 
tinge  la  lana  .  Qj-iindi  è  nata  la  voce  Vermìglio  ,  e  tintura  in 
Grana  .  Vermiculatus  fignificava  io  ffeffo  prellb  gh  Scrittori 
d'ella  baffa  Latinità.  Il  Gonte  Ferdinando  Marfilìi  Bolo^nefe  in- 
torno  a  ciò  fcriffe  una  bella  Differtazione  .  Poco  fa  trovammo 
Triblattum  :  bifogna  ora  udirne  l' interpretazione  da  San  Pier 
Damiano,  che  cosi  fcrive  nel  Lib.  IV.  Epifr.  7.  ^idam  Ro- 
dulpbus  mi  hi  Pallrum  reverenter  obtulit^  quod  Triblat.bon  juxta 

Jìii 


Ventesima  q_u  i  n  t  a  '.  381 

fui  generis  fpc^chm  nuntupatur  .  Trium  quippe  colm-um  eft  ,  Ò" 
Blathon  Pnlltum  d'tcttur  :  unde  Tr'tblatoìi  Palltum  dìcttur  ,  quoà 
trtum  cernitur  ejfe  colorum  .  Ho  quafi  dubitato  ,  che  qui  fia 
qualche  giunta  al  tetto  di  Damiano  :  perchè  come  intendere  , 
che  colla  Blatta  fi  pofTano  far  tre  diverfi  colori  ?  Dovrebbe  ef- 
fere  lo  (tefib  che  della  Porpora  ,  di  cui  egli  medefimo  feri  ve 
quelle  parole  neirOpulc.31.  Cap.  ò".  Regalìs  haque  Purptira  ^ 
quia  unkolor  ejì  ^  'uìlipendhur .  Pallia  vero  diverfis  fucata  tutori- 
bus^  ad  Jhhlimis  lc6luH  deputantur  orìiatum .  Gualfredo  Poeta  In- 
gleie,  che  circa  il  1202.  fcrifìTe  un'Ironia  lulla  Corte  di  Roma, 
Icrive  :  Cocco  bis  tinHo  Urbi  dat  Grcccia pamios.  Sembra  che  il 
Triblattum  fofl'e  una  triplicata  tintura. 

Tele  e  panni  di  tanta  prefiziofita,  ficcome  abbiamo  avver- 
tito, formavano  fplendidi  addobbi  a  i  facri  Templi,  e  trovava- 
no buon  albergo  ne' Palazzi  de' Principi  e  de' Re  ,  i  quali  fpe- 
zialmente  ulavano  vefti  di  molta  magnificenza.  Contuttociò  fon 
io  per  fu  a  lo,  che  molti  ancora  de' Nobili  ricchi  ufaffero  vefti- 
menti  pompoO,  e  di  panni  e  tele  ftraniere,  acaro  prezzo  certa- 
mente pagate.  Il  Monaco  di  San  Gallo  de  Reb.  bellic.  Caroli M, 
Lib.2.Cap.27.  racconta  un  piacevole  avvenimento,  di  cui  non. 
mi  fo  io  mallevadore  .  Trovavafi  in  Italia  quel  gran  Monarca, 
ed  efìTendo  venuto  ad  Urbem  Fujolanam  ,  quam  qui Jibi  fcioli  vi- 
dentur^  Forum  Julienne  nuncupant  (  cioè  Cividal  di  Friuli  )  invitò 
all' im provilo  alla  caccia  i  fuoi  Cortigiani  in  eodem  hahitu  ,  quo 
ìnduti  erant .  Frat  àutem  imbrifera  dies  &  frigida.  Ftipfe  quidem 
Carolus  hnhebat  pellicium  bcrbicinum  ^  cioè  era  vellito  con  pelle  o 
pelliccia  di  caftrato  .  Eginardo  nella  fua  Vita  Icrive  ,  che  in 
tempo  di  verno  efìfo  Imperadore  fi  copriva  il  petto  e  lafchiena, 
con  pelli  di  Lontra.  Seguita  a  dire  il  Monaco:  Ceterivero,  ut- 
potè  feriatis  diebus  (  cioè  in  di  di  fella  ,  ne'  quali  fi  collumava 
l'andar  più  nobilmente  veftito)  &  qui  modo  de  Papia  veniffent  ^ 
ad  quam  ?iuper  Vefieticì  de  transmarinis  partibus  omnes  Orientalium 
divitias  adveHajfent ,  Pho&nicum  pellibus  avium ,  ferico  cìrcumda- 
tisy  & pavonum  Collis  cum  tergo  ^  &  clavis  mox  Jlorefcere  incipic?ì- 
tihus ,  Tj^ria  Purpura ,  vel  diacedrina  litra  (  lo  (leflb  è  che  Lijìa  ) 
ala  de  lodicibus  ,  quidam  de  gliribus  circumamióii  procedebarit . 
Coperta  da  letto  è  fpiegata  da  i  fabbricatori  de'  Leffici  Lodi^ 
Lodicis.  QiH  pare  la  pelle  di  qualche  beftiola,  di  cui  fi  formaf- 
fero  le  nobili  coperte  contro  il  freddo.  San  Pier  Damiano  nell' 
Opufcolo  poco  fa  accennato  fcrive  :   Refpuit  animalia  Redemtoy 

Mun- 


382  Dissertazione 

Mundi  voeahulo  decorata  ,  Sic  divites  ifli  non  mediocri  percel- 
luntur  objìaculo  ;  quia  dum  phaleratis  atque  depi^is  fé  Lodici- 
bus  contegunt  ,  apertìs  oculis  dormire  non  pojfunt  .  Qiianto  a 
Gliresy  fignificava  quella  parola  le  pelli  d'Ermellino  o  Zebelli- 
710 y  cavate  da  i  lorci  Pontici ,  o  da  altre  beftiole  ,  delle  quali 
maggior  ufo  fi  faceva  ne  gli  antichi  tempi ,  che  ne'noftri.  Se- 
guita a  raccontare  il  Monaco ,  che  le  velli  e  pelli  preziofe  di 
que' Cortigiani,  parte  perchè  lacerate  dalle  fpine  ,  parte  per- 
chè bagnate  dalla  pioggia  ,  e  poi  feccate  al  fuoco  ,  andarono 
tutte  in  malora  ,  lagnandofi  que'  Signori  ,  fé  tantum  pecuniae 
fuce  fub  una  die  per  di  di ff e  .  Allora  il  favio  Imperadore  ,  fattili 
tutti  chiamare  a  sé,  lorodiife:  O  fìolidijftmi  mortalium  ^  quod 
pellicium  modo  pretiofius  &  utilius  efì  ?  Ifiudne  meum  uno  Soli- 
do ,  an  illa  vefra  non  folum  Libris  ,  fed  Ù'  multis  coemta  Ta- 
ientis?  Anche  Anfprando  Re  de' Longobardi  per  teftimonianza 
di  Paola  Diacono  Lib.  VI.  Gap.  35.  Advenie?itibus  ad  fé  exte- 
rarum  gentium  Legatisy  njilibus  coram  eis  vefìibus^  feu  Pelliciis 
utebatur ;  atque  minus  Italia;  i?7fidiarentur  ^  nunquam  eis  pretiofa 
vina^  vel  ceterarum  rerum  delicias  miniflrabat» 

Torniamo  al  Monaco  di  San  Gallo  ,  da  cui  abbiamo  appre- 
fo ,  che  i  mercatanti  Veneziani  portavano  di  tanto  in  tanto  a 
Pavia  de  transmarinis  partibus  omnes  Orientalium  divitias  :  pa- 
role indicanti  non  meno  panni ,  drappi  ,  e  tapeti  ,  che  tutte 
l'altre  galanterie  ed  invenzioni  più  rare  del  LufTo  Orientale  y 
che  ora  i  poco  faggi  Italiani  prendono  dalla  Francia  ,  Inghil- 
terra ,  ed  Ollanda  »  Sicché  intendiamo  ,  che  né  pure  in  que* 
tempi  fu  r  Italia  fenza  Lulfo  ;  ed  edere  venuta  dall'  Oriente 
la  maggior  parte  degli  arredi  per  fomentarlo  ,  e  che  non  i  foli 
Re,  ma  anche  i  Nobili  facoltofi  venivano  velli  preziofe-  Que- 
ilo  collume  fi  lludiò  Lodovico  Re  di  Germania  ,  e  Nipote  di 
Carlo  Magno  di  bandire  almeno  dalla  Milizia  ,  lodando  a'fol- 
dati  iolamente  le  fatture  di  lana  e  di  lino  »  ^wd  ft  quisqunm 
inferiorum  difciplina  illius  ignarus  ,  de  ferie 0  ,  auro  i)el  argento 
circa  fé  babens  ,  eum  forte  incurri  ff  et  ,  non  la  fcappava  lenza 
una  lonora  riprenfione  .  Quali  foHero  gli  ornamenti  delle  Don- 
ne fui  fine  del  Secolo  VII.  dalla  Vita  di  Damiano  Arcivefcovo 
di  Ravenna  fc ritta  da  Agnello  fi  può  comprendere  .  Abftule- 
mnt  y  cosi  egli  parla  ,  afe  mutatorias  vefìes  &  pallia  ;  projece- 
mnt  a  fé  inaures  ,  &  anulos  ,  &  dextralia  ,  &  perfelidas  ,  & 
monili  a  y  &  oìfa^oria  y  &  acusy  &  fpecuUy  &  Lumulas  (oLfi- 

nulas  ) 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  Q.  U  I  N  T  A  •  38  3 

mhs  )  &  Lilio/a  praftdia  ,  &  laudoftas  &c,  Abbìam  veduto  , 
che  un  Carlo M.  portava  la  Pelliccia  nel  verno.  Haflì  ora  da 
ofìfervare,  quanto  folTero  una  volta  in  ufo  le  Pelli  anche  in  Ita- 
lia. Arnolfo  Arcivefcovo  di  Milano  ,  come  racconta  Landolfo 
Seniore  Lib.  2.  Gap.  i  8.  della  Storia,  mandato  nell'Anno  looi. 
da  Ottone  III.  Auguito  per  fuo  Ambafciatore  alla  Corte  di  Co- 
flantinopoli,  fi  preientò  alTImperador  Greco  m^gno  ducatu  mì- 
Itnim  (  cioè  di  Nobili  o  fia  Cavalieri  )  fiìpatus  ,  qms  Pellibus 
Martullinis^  aut  C'tbelltms  ,  aiit  Khcnon'tbus  Varits  (  cioè  di  una 
foggia  di  vedi  chiamate  Rhenoni  ,  fatte  ài'i  pelli  di  Vaio  )  & 
Hermellirj'ts  orn^vcrat ,  Galvano  dalla  Fiamma  nel  Man ìp. Fior. 
Gap.  135.  COSI  defcrive  quel  fatto:  Fueruntque  cum  Archtepi- 
fcopo  Mediolan't  Duces  duo  ,  Prelati  multi  diverforum  graduum  ^ 
hiduti  aureis  &  Jericeìs  'veflthus  ,  cum  pellibus  nrmell'm'is  ,  aut  tì- 
bell'tms  ,  'vel  darjibus  (  un  altro  Codice  ha  foderis  )  Variis  'vel 
Marturinis  ,  Aggmngafi  Donizone  Lib.  I.  Cap.  12.  della  Vita 
di  Matilda  ,  la  dove  parla  di  Arrigo  IL  Auguflo  venuto  a 
Mantova. 

Kex  Jìb't  Ma/ìrucas  pofl  efcam  maxime  pulcras 
Donnnjit  :  florent  pariter  quoque  Pelliciones . 
Erano  le  Majìruche  una  forta  di  velli  formate  da  pelli  preziofe 
di  animali  felvatici,  e  nota  anche  a  i  Romani ,  Quello  che  ha 
Prudenzio  Lib.  2.  contra  Symmach. 

JVlaflrucis  proceres  vejìire  togatos , 

affai  fa  conofcere  ,  quanto  foflero  in  pregio  .  Anche  San  Pier 
Damiano  nell'Opufc.  3  i.  tratta  dello  fpaccio  ,  in  cui  erano  al 
luo  tempo  fimili  foreftiere  pelli,  con  dire:  Ovium  itaque ftmul 
&  agnorum  defpiciuntur  exfuvi^ ,  Ermellini ,  Gebellini ,  Marta- 
res  exquiruntur ^  &  Vulpes  .  Dipigne  il  medefimo  Scrittore  qnai 
foifero  i  coftumi  del  fno  tempo  ,  fpezialmente  pungendo  i  Pre- 
lati d'  allora  Lib.  2.  Epifl.  i.  colle  feguenti  parole  :  Non  ergo 
conjìat  Epifcopatus  in  turritis  Gebellinorum  transmarinarumque  fé- 
rarum  pileis  (  o  pellibus  )  non  in  flammantibus  Martorum  fub- 
onentaltbus  rojis^  no?i  in  braólearum  circumjluentibus  phaleris  &c. 
Ed  ecco  qual  folfe  una  volta  il  Luffo  anche  in  Italia  di  quelle 
pelli  preziofe .  * 

Qua  le  portarono  le  genti  Settentrionali  nel  divenir  padro- 
ne di  quelle  Provincie,  ficcome  da' primi  Secoli  avvezze  a  vin- 
cere il  Ireddo  con  tali  velli,  loro  provvedute  dalla  natura.  Per* 

ciò 


38+  Dissertazione 

ciò  Pellìti  Reges  furono  anticamente  appellati  i  Re  Goti,  Fran- 
chi ,  Unni  5  e  Vandali  .  E  nel  Poema  de  Provideììtia  inferito 
neir  Opere  di  San  Profpero  leggiamo  : 

-  -  -  -  Regesque  Get^rum 

Refpice^  quets  oftvo  contemto  &  'veliere  Serum^ 
Eximìus  decor  eft  tergis  horrere  ferarum» 

Mi  fa  ciò  fofpettare  ,  che  non  fia  tanto  da  credere  a  Gau- 
iredo  Priore  Vofìenfe ,  Storico  dei  Secolo  XII.  la  dove  fcrive  : 
Barones  fempore  prifco  mutìijici  Inrgitores  njìl'thus  utebantur  pari' 
nis  ,  adeout  Eujìorgius  Lemovicenjis  Vicecomes^  &  VicecomesCom- 
hornenjis  ,  ar'tetìnts  &  rjulpìn'ts pellìbus  aliquoùes  uterentur ,  qua$ 
pojì  illos  ,  mediocres  deferre  erubefcu?ìp  .  Certamente  anche  pref- 
fo  il  volgo  fon  io  d'  avvilo  ,  che  fofle  allora  familiare  1'  ulo 
delle  pelli ,  ma  di  pecore,  agnelli,  caftrati,  e  volpi.  Tuttavia 
ritengono  i  Modenefi  la  parola  5^//^,  allorché  dicono  :  Piglia 
le  tue  Belfe  ^  e  'va  con  Dio  ,  Cioè  piglia  le  tue  Pellicie  ^  e  vat' 
tene.  Voce  Tedefca  è  Beltz^  fignificante  Pelliccia^  lo  ftefifo  che 
PeltXj  E  voleano  dire  :  Preìidi  i  tuoi  panni  .  Ma  i  Ricchi  fi 
diftinguevano  con  Pelli  ftraniere,  più  fine  ,  e  di  maggior  prez- 
zo .  Q_uella  ftrada  in  Modena  ,  che  oggidì  fi  chiama  il  Met- 
cato  della  Legna ^  ne'  vecchi  tempi  era  appellata  la  Pelliccie- 
ria  .  Né  fervira  il  rilpondere  ,  che  Gaufredo  Vofìenfe  parla 
de'  Franzefi  ,  che  più  de  gì'  Italiani  doveano  elfere  moderati 
nel  veftire  .  Perciocché  io  gli  opporrò  Alberto  Aquenfe  ,  il 
quale  nelLib.  2.  Cap.  ló".  Hift.  Hierofol,  narrando  l'arrivo  de' 
Principi  e  Baroni  Franzefi  nella  prima  Crociata  dell'Anno  10^6. 
alla  Corte  di  Aleffio  Greco  Imperadore  ,  altri  coftumi  loro  at- 
tribuifce  dicendo  :  Imperator  Godefrido  ta?n  magnifico  Duce  vi- 
fa  ,  e/usque  fequacibus  ,  in  Jplendore  &  ovnatu  pretiofarum  ve- 
Jìium^  tam  exojìro^  quam  Auriphìygio  ^  &  in  nfveo  opere  Har- 
melino ,  éT  ex  mandrino ,  grijìoque ,  &  'vario  ,  quibus  Gallorum 
Principes  precipue  utuntur  ,  njehementer  admirans  &c.  In  vece 
dì  Mandrino  s'ha  probabilmente  da,  leggere  Marturino  ^  o  Mar- 
trina  ;  perciocché  le  pelli  di  Marrorello  erano  allora  in  gran- 
de (lima  :  il  che  notato  fu  anche  da  Helmoldo  nella  Cronica 
Slavica  Lib.  I.  Cap.  i.  e  da  Adamo  Bremenfe  Cap.  227.  il 
qual  ultimo  Icrive  :  Ad  Marturinam  'vejìem  anhelamus  ,  quafi 
ad  Jumynam  beatitudineìn  .  Annovera  lo  fteffo  Adamo  nel  Ca- 
pit.  22^.  fra  gli  flrumenti  della  vanita  ^ àWoxdL  pellesCaftorum 

C7  Mar- 


Ventesima  Q.UINTA .,  585 

&  Mm'torum ,  quds  nos  /idmtrai:io7ie  [ut  dementes  factum  .  Però 
Bernardo  Silveiko  buon  Poeta  prefTo  Gervafio  Tilberienfe  in 
Otits  Imperiai,  dice 

Cijimus  obrepjìt ,  &  vejìhura  potentum 
Marfuris ,  Ò'  fpolto  non  lei)iore  Bever . 
Cioè  le  pelli  diCaftore.  Che  poi  eflb  Gervafio  feriva  ,  efler- 
eli  flato  moftrato  Beverem  animai  juxta  Caflrum  Secujium  in 
Taurinenjt  Epifcopatu^  quoad  anteriorem  pavtem  grejjibile ,,  fed 
ad  fubtiliorem  medietatem  in  pifcem  deftnens  :  non  (1  crederà 
a' noftri  tempi,  fé  non  che  il  Mattioli  attefta  ,  che  in  Lama- 
gna  ,  Auilria  ,  ed  Ungheria  al  Ilio  tempo  fi  trovavano  molti 
Caftori.  Marmotta  fi  chiama  nell'Alpi  Cozie  un  animale  ftu- 
pido  ,  portato  per  Italia  quafi  ridicola  rarità  .  Ma  non  potè 
prenderfi  per  Caftore  una  tal  beftia,  perchè  i  Caftori  lono  i  più 
i"ag<ici  Animali  della  terra,  e  di  maggior  mole;  e  né  quefti ,  né 
le  Marmotte  terminano  in  Pefce.  Landolfo  da  San  Paolo  Stori- 
co Milanefe  Cap.  X.  Hifl,  Mediai,  fcrive ,  che  il  Prete  Lipran- 
do  avea  Lupicervinam  pellcm  ,  Aggiugne  nel  Cap.  XIV.  che 
viaggiando  effo  Prete  fopra  una  Mula,  il  fuo  famiglio  menava 
ftium  Ajinum  oneratum  pellibus  Stambucinis,  Che  pelli  fon  que- 
lle ?  Solpetto  io,  che  vi  fia  errore,  e  s'abbia  a  leggere  Scam- 
bucinis.  Noi  chiamiamo  ora  Camoccie  gli  animali  appellati  da 
i  Latini  Rupicapra,  Erano,  e  fon  tuttavia  molto  apprezzate  le 
lor  pelli.  Ó;jefte  furono  forfè  appellate  Scambucie^  e  di  la  pa- 
re venuto  il  Cognome  di  Vincen-zo  Scamoi;^  celebre  Architet- 
to, levatone  il  B.  come  in  Camminare  ,  le  è  vero  ,  come  vo- 
gliono alcuni,  che  venga  òi^.  Gamba, 

Eranvi,  ficcome  abbiam  veduto,  Felles  grifece^  &  Varice y 
che  i  nobili  e  ricchi  adoperavano  ne'  loro  velHti  ,  e  a  caro 
prezzo  fi  comperavano.  Truovafi  fpezialmente  fatta  menzione 
preffo  gli  antichi  noftri  Scrittori  del  Vaio^  o  de  Vai,  Pare,  che 
foffero  di  Vario  Colore  ,  non  so  fé  perchè  pelli  cosi  nate  ,  o 
perchè  ajutate  dall'iurte.  V'erano  anche  pelli  Cocr/;?*?^  ,  cioè 
di  roflb  colore,  e  fenza  dubbio  tinte  .  Col  nome  di  Grigie  pen- 
fo  che  foifero  difegnate  quelle  di  color  cenerino ,  come  gli  Ze- 
bellini  ,  Di  candido  colore  erano  gli  Armellini  .  Ma  non  fi. 
può  con  ficurezza  decidere,  di  quali  befiie  parlino  in  molti  pafli 
gli  antichi  .  Un  ufo  si  grande  di  Pelli  cagion  fu  ,  che  in  una 
Concordia  del  1208.  fra  i  Mantovani  e  Ferrarefi  venifle  ftabi- 
lito  ,  che  i  Ferrarefi  nelle  Fiere  debeant  dare  &  deftgnare 
TomoL  Geo  Peìli- 


3^5  Dissertazione 

Pelliparih  Manpuanis  Statìoiies  eìs  /uffici e fites  in  fromibus  Pel- 
liparionim  .  La  parola  Stationes  ufata  anche  da  CafTiodoro  ,  e 
da  i  vecchi  Latini  ,  fignificava  un'  Officina  o  Bottega  da  Mer- 
catante .  Li  una  Carta  d'Amalfi  del  ii6^.  pubblicata  dall' 
Ughelli  fi  legge  :  Concedo  prcenomin^tce  Ecclefice  trcs  eflacones 
in  Civitate  Laodicite  ,  Vuol  dire  Srntiones.  Ne' Secoli  rozzi  Pel- 
liparii  furono  appellati  i  Pellicciai  y  cioè  in  Latino  Pelliones  . 
Convien  pertanto  conchiudere  ,  che  ne'  vecchi  tempi  anche 
in  Italia  fu  in  gran  voga  l'ulo  delle  Pelli  per  vedirfi  nel  ver- 
no, e  che  ancor  qui  sMntrule  il  Lullo,  penlando  la  gente  di 
comparir  più  nobile  e  beneliante  .,  quanto  più  preziofe  e  di 
caro  prezzo  follerò  effe  Pelli.  Fin  le  Monache  fi  diedero  a  ga- 
reggiar co' Secolari  .  Perciò  nelCan.XlL  del  Concilio  di  Lon- 
dra dell'Anno  1127.  fu  decretato,  tip  nulla  Abbatijfa 'velSan- 
£lÌ?nonialts  cariortbus  utatur  indumefitis  ^  quam  ag7ìinis  ^  njel  cai' 
tinjis^  cioè  pelli  di  gatto.  Nella  Regola  de'Templarj  Cap.  23. 
nella  Raccolta  de'Concilj  del  Labbe  fi  legge:  Ut  7wllus  rema- 
nens  ^  Pelles  perenniter^  aut  Pelliciam  ^  vel  aliquid  tale  ^  quod 
ad  ufum  corporis  perfine at^  etiamque  coopertorium  nijì  agnorum  ^ 
'vel  arietum  habeat.  Anche  nell' Anno  1225.  Romano  Cardina- 
le di  Sant'  Angelo  pubblicò  un  Regolamento  pel  Moniftero  Jo- 
trenfe,  rapportato  dal  Baluzio  Lib.  V.  Mifcell.  dove  fon  que- 
fle  parole  :  Quaelibet  Monialis  habeat  in  anno  tres  camijias  , 
Singulis  duobus  a?2nis  unam  Pelliciam  ,  de  ijulpibus  ,  lepori  bus  , 
n)el  etiam  ag?2Ìs  .  Si  aliqua  voluerit  altiori  devotione  agninis  pel- 
libus  uti ,  habeat  etiam  quolibet  anno  duo  fuperpellicea  &c.  Che 
gli  fteffi  Cherici  fi  dilettaffero  di  pelli  preziofe,  ne  dura  ancora 
un  fegno  nelle  Cappe  de' Canonici,  ed  altri  Ecclefiaftici ,  e  nel- 
la voce  Superpellicium ^  che  oggidì  chiamiamo  Co//^/7.  Non  per 
altro  fu  introdotto  queflo  nome  ,  fé  non  perchè ,  come  fcrive 
Durando  nel  Rational.  Lib.  IIL  Cap.  L  ^ntiquitus  fuper  tuni' 
cas  Pellicias ,  de  pellibus  mortuorum  Animalium  faóias ,  indueba- 
tur,  Confeffa  Giovanni  Villani,  che  circa  l'Anno  i2<^o.  Molti 
portavano  le  pelli  /coperte  fenT^  panno.  Andò  in  dilufo  quefto 
coftume,  e  Importarono  poi  le  pelli  fotto  panni;  e  però  v'era 
in  Genova  una  contrada  ,  dove  Pelles  fub  'vejìibm  latcc  vendun- 
pury  come  s'ha  da  gli  Annali  di  Giovanni  Stella. 

Dalle  quali  notizie  oramai  fi  comprende  ,  che  fino  al  Se- 
colo XIIL  almeno  i  Nobili  magnificamente  veftivano  al  pari 
d'oggidì  :  laonde  non  è  da  maravigliarfi ,  cheErlembaldo,  uno 

de' 


VENTESIMAQ.IJ1NTA.  jSj 

de' Magnati  di  Milano  nel  Secolo  XI.  coram  Populo  hi  veftìhus 
preùofts  amhulahat  &c.  Cosi  è  fcritto  nella  Vita  di  Santo  Arial- 
do  Gap.  17.  Ne  voleano  in  Milano  eflere  da  meno  i  Cherici  : 
ficchè  lo  fleiTo  Arialdo  nell'Anno  1075.  ebbe  adire  al  Popolo 
Milanefe  :  Vejìrì  Sacerdotes^  qui  offici  poffiunt  àmores  in  terre- 
nis  rebus ,  excelftores  in  csdificandis  turribus  &  domibus  ,  fuper- 
biores  in  honoribus  ^  in  Mollibus  Delicatisque  Vejìibus  pulcriores^ 
ipfi  putayitur  bentiores.  Che  diirafTe  anche  il  Ricamo,  l'abbia- 
mo dalla  Vita  della  Santa  Imperadrice  Cunegonda  ,  la  quale 
divenuta  Monaca,  operabatur  mantbus  fuìs  .  Nulli  enim  in  di- 
flinguendis  auro  gemmisque  vejìibus  plurimum  ,  aut  in  flolis  , 
aut  in  ctngulis  aftimabatur  inferior  .  Dal  LufTo  poi  del  Clero 
prete  motivo  iVrnoldo  da  Brcf^ia  Erefiarca  di  declamare  nel 
Secolo  XII.  centra  degli  Ecclefiaftici  :  del  che  fa  menzione 
Guntero  nelLib.  III.  Ligur.  Il  povero  Popolo  fé  la  paifava  al- 
lora con  pelli  di  Agnello,  e  di  Montoni  .  Rhenones^  vefti  co- 
nofciute  da  gli  antichi  Latini ,  fi  formavano  con  pelli  di  pecora. 
Andromeda  le  fatte  con  pelli  di  montone  .  Ecco  due  verfi  di 
Giovanni  da  Garlandia  ne'  Sinonimi . 

Vefles  ,   qu<£  jiunt  de  folis  Pellibusy  hdsc  fnnt: 
Fellicium^  Kheno^   quibus  Andromeda  fociatur, 

Ulavafi  ancora  Fufianeum  ,  cioè  panno  di  Bambagia;  e  truo- 
vafi  anche  preiTo  i  vecchi  Latini  Fuftanum  ^  come  hanno  of- 
fervato  il  Meurfio  ,  il  Voffjo  ,  ed  altri  .  Particolarmente  ebbe 
credito  ne' tempi  barbarici  il  panno  di  lana  tinto  diroifo,  che 
oggid'i  fi  chiama  Scarlatto^  nome  da  molti  Secoli  alato.  Tiii- 
gevafi  allora  col  fanone  ddÌ2i  Blana^  o  fia  de' vermicelli  fopra 
defcritti ,  conolciuti  anche  da  Gervafio  Tilberienfe  nel  121 5. 
dove  dice  :  Vermiculus  hic  ejì  ^  quo  ting^untur  pretioftjjìmi  Ke- 
gum  panni  y  Jtve  fericiy  &  E>cami(i  ,  Jive  lanet  y  ut  Scharlata, 
Ma  il  dir  egli,  che  queiti  Infetti  fi  raccoglievano  in  Arelaten- 
Jì  Regno  ex  arbore  y  tengo  io,  che  fia  errore  odi  lui,  odiltam- 
pa.  Edera  ben  in  gran  pregio  lo  Scarlatto.  Matteo  Paris  nel- 
la Storia  all'Anno  1248.  fcnve  :  Dcdit  eis  veftes  pretioftjjitnas^ 
quas  Kobas  njulgariter  apptjllaynus  de  Efcarleto  pra:ele6lo  ,  cum 
penulisy  &  fururtis  (  Fodere)  de  Pellibus  Variis  .  Poco  fa  ab- 
biani  veduto  ,  che  Examttum  era  panno  di  leta.  Sciamito  lo 
chiamarono  i  vecchi  Scrittori  Italiani  .  Era  forfè  quello  ,  che 
oggidì  fi  chiama  Velluto  .  1  Tedeichi  danno  il  nome  di  Sam^ 

C  e  e      2.  met 


388  Dissertazione 

mef  al  Velluto  ;  e  Giovanni  Villani  Lib.  I.  Gap.  60.  della  Sto- 
ria fcrive  :  In  quel  dì  fi  correa  un  pallio  dì  Scìamìto  Velluto 
^vermiglio .  Ma  quello  Velluto  nel  buon  tefto  ,  di  cui  mi  fon 
fervito  nella  mia  edizione,  non  fi  legge.  Ditali  panni  fi  truo- 
va  menzione  ne' vecchi  Scrittori,  che  fiorirono  prima  di  Ri- 
cobaldo.  Non  citerò  io  fé  non  Rolandino  Padovano,  il  quale 
nel  Lib.  I.  Gap.  I  3.  della  lua  Cronica  ,  defcrivendo  un  Giuoco 
pubblico  fatto  in  Trivigi  nell'Anno  1214.  cos\  fcriflfe  :  In  eo 
Qaflro  pofit£  fvtnt  Domina  (cioè  nobih  Donne)  cum  "jtrgìntbus ^ 
feu  dom'tcellabm  ,  &  fer'vitrìc'ibus  earumdem  ,  qux  fine  al'tcujus 
'Otri  auxilia  Cafirum  prudenti fftme  defenderunt  .  Fuit  etiam  Ca- 
firum  talibus  munitionibus  undique  pramunitum  ,  fcilicet  Variis  , 
&Grifeis^  &  Cendatis^  Purpurìs^  Samitis^  &  Ricelis^  Se  arieti  s^ 
Baldachinis ,  &  Armerinis .  Appreffo  deicri ve  Rolandino  le  Gioie , 
onde  erano  ornate  quelle  Donne.  Il  panno  Baldachino  qui  men- 
tovato prefe  il  nome  da  Baldach^  o  fia  da  Babilonia  ,  dov'era, 
fabbricato;  preziofiffimo,  perchè  tefTuto  di  fera  e  filo  d'oro.  E 
perciocché  di  queflo  panno  fi  adornavano  le  Ombrelle  de' Prin- 
cipi e  Re,  da  ciò  è  nàta  la  voce  Italiana  Baldacchino ,  Gli  Ar- 
merini  fenza  dubbio  lo  fteffo  furono,  che  gW  Ermellini^  ed  ^r- 
mellini.  Il  medefimo  Rolandino  Lib.  II.  Gap.  14.  introduce  Ec- 
Cellino  da  Romano  a  parlare  cosi  :  Montatura  patris  mei  fuit  d^ 
Armerinis  ;  fed  aliar  um  fuit  de  pretto fis  Varis  Scla'voìiids  ,  Ma  aven- 
do noi  tanta  copia  di  panni,  tele,  e  pelli  di  gran  prezza, . ufate 
anche  lui  principio  del  Secolo  XIII.  non  fi  sa  intendere,  come 
Ricobaldo  dipingefle  cosi  rozzi  i  cofiumi  de  gl'Italiani  d'allora, 
e  si  modefto,  per  non  dire  si  vile  il  loro  veflire  . 

E  PURE  Fra  Francefco  Pipino,  che  fiori  pochi  anni  dopo  eflb 
Ricobsldo  ,  approvò  i  di  lui  fentimenti  ;  e  fi  vuol  ora  aggiugne- 
re,  che  anche  Giovanni  Villani  fu  dello  (tefìTo  parere,  perchè  de- 
fcrivendo i  coflumi  del  Popolo  Fiorentino,  ce  li  rapprefenta  pri- 
ma del  i2do.  troppo  diverfi  dal  LulTo  de' fuoi  giorni  .  Allora  y 
die' egli  ,  i  Cittadini  di  Firen^:^  vive  ano  fobri  ,  e  di  g/ojfie  vi- 
vande ,  e  con  picciole  fpefe ,  e  di  molti  cofiumi  grojfi  e  rudi  ,  e  di 
grojfi  panni  vefi ivano  loro  e  le  loro  Donne  .  £  molti  portavano  le 
Pelli  [coperte  fen-za  panno ,  con  berrette  in  capo ,  e  tutti  con  ufatti 
(fti valerti)  in  piede»  E  le  Donne  Fiorentine  co  cal':^ri  fe?i7^a  or- 
n amenti  j  e  pajfavanfi  le  maggiori  d  una  goiìella  ajjaì  flretta  di 
gyojfio  Scarlato  di  Pro  ,  0  di  Camo  ,  ci?ìta  ivi  su  d' uno  fchegiale 
air  antica  5  e  uno  mantello  foderato  di  Vaio  col  tajftllo  fopra  ,  e 

por- 


VENTES1MAQ.UINTA.  jSp 

pDYtavar.lo  in  capo  .  £  le  comuni  Donne  anda'uano  'Defìtte  ct  un 
srolfo  verde  di  cabragio  per  lo  fìmile  modo  .  £  libre  cento  era 
comune  dota  di  Moglie ,  e  Libre  dugento  e  trecento  era  a  que'  tem- 
pi tenuto  sfolgorata .  E  le  pih  delle  pulcelle  ave  ano  venti  e  pik 
anni  ,  an^i  che  andajfero  a  marito  .  E  di  così  fatto  abito  ^  e  co- 
fiume  ,  e  groffo  modo  erano  allora  i  Eiorentini  y  ma  erano  dì 
buona  fede  ^  e  leali  tra  loro  ^  e  al  loro  Comune  ;  e  colla  lorogrojfa 
vita  e  povertà  fecieno  maggiori  e  più  virtudiofe  cofe  ,  che  non  fo- 
no fatte  a'  tempi  noflri  con  più  morbi de^^a  e  con  più  ncchez^  * 
Troviamo  qui  Scarlatto  di  Pro  a  di  Camo  .  Se  voglia  ni  credere 
ad  Egklio  Menagio  ,  quefta  forta  di  panno  viene  da  Camus  La- 
tino ,  che  fi  dij]e  a  Rupie  apra  ,  cioè  a  quella  Capra  falvatica  , 
che  fa  in  luoghi  montuofi .  Erano  tali  Capre,  come  già  oiTervam- 
mo,  chiamate  C/7wo:^:^f ,  Camofcie  .  Né  il  Menagio  reca  paffo 
d'alcun  Latino,  che  le  chiami  Capre  di  Camo,  Erano  veramente 
in  molto  credito  le  peHi  di  Camofcia  anche  anticamente  .  Se 
panni  fi  lavoraffero  col  loro  pelo,  noi  so  dire.  Credo  io  cofa  cer- 
ta, o  almen  più  verifimile,  indiearfi  dal  Villani  Scarlatto  fabbri- 
cato una  volta  nella  Citta  di  Caen  in  Francia  ,  che  i  Tofcani 
chiamavano  Camo.  Lo  (iefìb  Villani  Lib.  XIL  Cap.  <^2.  fcrive 
dei  Re  d'Inghilterra,  che  metteva  a  lacco  la  Francia:  La  Ter- 
ra di  Camo  (  in  Normandia  )  gli  fece  refiflenz^  per  lo  Cafìello  ^ 
che  V  era  forte.  Però  d'un  panno  ivi  fabbricato  fi  parla  :  il  che 
eziandio  fi  comprilo  va  colla  parola  precedente  ,  non  dovendoiì 
ivi  leggere  di  Pro  ,  ma  bensì  d' Ipro^  come  hanno  altri  tedi  . 
Ognun  sa  ,  che  Citta  fia  quella.  A  gli  Autori  che  trattano  del- 
la mutazion  de'coftumi  in  Italia,  fi  vuol  ora  aggiugnere  Galva- 
no Fiamma  ,  che  fioriva  nel  1340.  Nella  Cronica  Maggiore 
tuttavia  inedita  Lib.  18.  Cap.  6.  così  defcrive  le  ufanze  de'luoi 
tempi .  Ifìo  tempore  juvenes  de  Mcdiolano  relinquentes  fuorum  ve- 
fìi(ria  patrumyfeipjos  in  alien as  fi guras  Ù'fpecies  transformaverunt . 
Jpjl  enim  ceeperunt  fìri6lis  &  muncatis  vefìibus  more  Hifpanico 
uti  j  tondere  caput  more  Gallico  j  barbam  nutrire  more  Barbarico  ^ 
furiofis  calcaribus  equitare  more  Teutonico  ,  variis  linguis  la- 
qui  more  Tartarico  .  Mulieres  fimiliter  in  pejus  fuas  confuetu- 
dines  immutaverunt  .  Ipfce  namque  ftrangulatis  vefìibus.^  fcopa- 
to  gutture  &  collo y  redimitce  jibtdis  aureis  g^yrovagantur  .  Seri- 
cis  5  &  interdum  aureis  indumemis  vefliuntur .  Crinibus  crifpatis 
more  alienigenarum  capite  perfìringuntur  .  Zonis  aureis  juper 
cin^icV   Ama7:ones  ejje  videntur.  Calceis  rofìratis  progrediuntur  , 

Alca- 


3po  Dissertazione 

AhaTum  &  tejfens  lujìbus  eccupantm .  Et  ut  brevi  ter  me  e^pc- 
dìnm^  equi  militares^  arma  fui  genti  a  ^  &  quod  pejus  ejì  ^  corda 
virilia  j  animorum  libertas  in  Mulierum  ornamenta  ,  univerfa 
juvenum  Jìudia^  &  antiquorum  fudores  confumuntur , 

Rapporta  dipoi  Galvano  la  folita  cantilena  di  Ricobaldo 
colle  fue  proprie  parole,  aggiugnendo  le  feguenti  :  Non  erant 
per  domos  camini  ad  ignem y  aut  ulla  caminata.  Ma  quell'ul- 
timo è  uno  fpropofito  ,  apparendo  da  troppe  antiche  memo- 
rie, che  fi  ulavano  le  Caminate  ne' vecchi  precedenti  Secoli. 
Molte  atteftazioni  di  qiielt'  ufo  ho  io  recato  ;  e  neli'  antichilTi- 
mo  Sacramentario  Gregoriano  da  me  dato  alla  luce  fi  truova 
BenediBio  ad  Caminatam,  Altro  è  poi  il  dire,  che  non  v'era- 
no Camini.  Mi  fa  quello  detto  fovvenire  ciò,  che  fu  fcritto 
da  Andrea  Gataro  nella  Storia  di  Padova  da  me  pubblicata  , 
dove  narra  l'andata  a  Roma  di  Francefco  vecchio  da  Carrara 
nel  I3<58.  Ejfendo  (  cosi  Ieri  ve  )  il  Signore  giunto  per  alberga- 
re nell /albergo  della  Luna  ^  &  in  quella  flan^a  non  trovando 
alcun  Camino  per  fare  fuoco  ^  perchè  nella  Città  di  Roma  allo- 
ra non  fi  ufavano  Camini  y  a?i7:i  tutti  facevano  fuoco  in  me-z^^p 
delle  cafe  in  terra  ,  e  tali  facevaiìo  ne  i  cajfoni  pieni  di  terra 
f  loro  fuochi  .  E  non  parendo  al  Signore  Mejfer  Francefco  di  /la- 
re con  fuo  comodo  in  quel  modo^  avea  menati  con  lui  Muratori  e 
Marangoni  y  ed  ogni  altra  fort  a  d'Artefici,  E  fubito  fece  fare  due 
nappe  di  Camino  ,  e  le  arcuole  in  volto  al  coflume  di  Padova  . 
E  dopo  quelle  da  altri  a  i  tempi  indietro  ne  furono  fatte  ajfai  . 
E  lafcih  quefìa  memoria  di  se  a  Roma,  Noi  abbiamo  Ottavio 
Ferrari,  ed  altri,  i  quali  pretendono  elTere  flati  in  ufo  anche 
de' Romani  e  Lombardi  antichi  i  noftri  Camini,  eciòpertro- 
varfi  Caminata  in  que'  tempi  ancora  .  Certo  è,  che  Caininata 
luogo  fu  ,  dove  s'accendeva  il  fuoco  ,  e  fi  fcaldava  ;  ma  non 
lappiamo,  fé  Tufcita  del  fumo  fi  faceffe  per  un'apertura  nelle 
pareti,  o  fé  fotto  i  coppi  fi  fcaricafle  il  fumo .  Apollinare  Si- 
donio  Lib.  2.  Epifl.  i.  defcrivendo  la  fua  Villa,  cosìparLr:  In 
hyemale^  triclinium  venitur  ,  quod  arcuatili  Camino  fa^pe  ignts 
animatus  pulla  fultgine  infecit.  Non  potè  efiere  quel  Camino 
come  i  noftri,  da  che  anneriva  col  fumo  la  Camera  .  Che  fé 
Suetonio  fcrive  nella  Vita  di  Vitellio  Cap.  8.  Nec  ante  in  Fra- 
torium  rediity  quam  flagrante  triclinio  ex  conceptu  Camini .  Ma 
chi  cialficura,  che  quel  Camino  fofìfe  fomigliante  a  i  nodri , 
1  quaU  per  una  canna  conducono  il  fumo  fopra  il  tetto?  Pari- 
mente 


Ventesima  q.u  i  n  t  a  ,  jai 

mente  il  Gramatico  Papia  circa  il  105 1.  Icriveva  :  Fumarium^ 
Cam'tnus  per  quem  exit  fumus.  E*  da  rirpondere  lo  lìeffo .  Pref- 
fo  oli  amichi  iempre  furono  cucine  ,  fempre  qualche  camera  , 
dove  fi  accendeva  il  fuoco  ,  e  maniera  da  far  ulcire  il  fumo  ; 
ma  non  per  quefto  fi  può  inferire,  che  fapelTero  o  ufaflero  la 
forma  di  Ipignere  per  una  canna  il  fumo  fopra  del  tetto.  Che 
non  foflero  ignote  le  Stptfe  ,  tanto  adoperate  in  Germania  ,  a 
gli  antichi  Romani,  cene  fa  figurta  Seneca  Epift.po.  oltre  a 
Plinio  juniore  Lib.  2.  Epift.  17.  Ne  parla  anche  il  fuddetto 
Apollinare  Sidonio  Carm.  22.  Potrebbefi  fofpettare  ,  che  le 
Camìnate  de  gli  antichi  foiTero  Stufe  ,  Ma  qualunque  cofa  fof- 
fero,  può  fempre  (lare,  che  que' tempi  non  conofceflero  la  for- 
ma de' Camini  moderni  .  Giovanni  de' Muffi  Piacentino  nella 
iua  Cronica  ,  ficcome  abbiam  veduto  al  Cap.  XXIIl.  attefta 
anch' egli  ,  che  anticamente  non  v'era  Camino  nelle  cafe  ,  e 
che  il  fumo  fcappava  fotto  i  coppi,  con  aggiugnere  :  Et  vidi 
meo  tempore  in  plurimis  domibus  .  Il  che  bada  per  giuflificar 
l'alTerzione  di  Ricobaldo,  del  Cataro,  e  del  Muffo,  che  al  Se- 
colo XIV".  attribuifcono  l'invenzione  de'noftri  Camini.  Il  Ca- 
taro ne  dice  introdotta  allora  la  foggia  in  Roma  ;  quefta  non- 
dimeno era  già  triviale  in  Padova.  Finiamo  la  defcrizion  de  i 
coftumi  fatta  da  Galvano  Fiamma  ,  il  quale  feguita  a  dire  : 
Nu?jc  vero  Ì7ì  prcsjenti  aitate  prifcis  moribus  fuperaddita  funt  7nuU 
ta  ad  perniciem  antmarum  irritamenta  .  Nam  vejìis  eft  pretto- 
fa  ,  C^  artificio  eycquifito ,  &  ornatu  fuperfluo  circumteBa  per  to- 
tum  .  In  ipjìs  vefiibus  tam  virorum  quam  mulierum  ,  aurum  ^ 
argeyitum ,  perl(S  inferuntur .  Frisa  latijjima  vejìibus  fuperindu- 
cuntur .  Pina  peregrina  ^  &  de  partibus  ultramarinis  bibuntur  • 
Cibaria  o?nnia  funt  fumtuofa  .  Magijìri  coquina  in  magno  pre- 
tio  habeyitur.  Avaritia  militat .   Hinc  ufura  ^  bine  fraudes  &€, 

Sarebbe  a  me  facile  il  rapportare  i  nomi  di  molte  Vefti 
ufate  ne  gli  antichi  tempi,  ma  fenza  ch*io  né  altri  ne  fapefTi- 
mo  individuare  la  forma  ;  perchè  anche  in  que' rozzi  Secoli 
alla  bizzaria  della  Novità  ,  o  fìa  della  Moda  ,  era  fuggetto  il 
veftire,  talmente  che  anche  allora  noi  troviamo  Vefles  cultel- 
latas  ,  cioè  tagli  apporta  e  artificiofamente  fatti  nelle  Velli  . 
Qualche  poco  nondimeno  ne  dirò.  Erano  adunque  anticamen- 
te in  ufo  pel  tempo  di  verno  Vefles  Sci avince  di  lana,  chiama- 
te anche  oggidì  Schiavine^  perchè  fabbricate  in  Ilchiavonia; 
ma  ora  fervono  folamente  per  coperte  da  letto,  o  per  man- 
tello 


jpj  Dissertazione 

tello  della  povera  gente  .  I  Greci  le  chiamavano  AmphhnaìU 
voce  uiata  anche  da  i  Latini.  Preffo  San  Gregorio  M.  Lib.  12. 
Epili. 47.  troviamo  Amphimalum  tunicam.  Cosi  erano  chiama- 
te ,  perchè  pelote  nel  diritto  e  nel  rovetcio  .  Curioio  è  il  Me- 
nagio,  che  ad.  Amphimallum  vuol  dedurre  la  ipstr ola.  Zimarra^ 
da  gli  Spagnuoli  appellata  Zamarra.  Né  pur  cento  corde  tirate 
da  cento  paia  di  buoi  potrebbero  tirar  s\  da  lontano  la  voce 
Zimarra  o  Zamarra,  Viene  elTa  da  Gammurra  parola  ufara  ne' 
Secoli  barbari;  e  quelta  potrebbe  forte  ellere  formata  da  Gam- 
bay  da' Napoletani  detta  Gamma  ^  perchè  leGammurre  copri- 
vano le  Gambe  .  O  pure  dalia  Lingua  Arabica  o  Spagnuola  è 
pallata  a  noi  quella  voce  .  Incontranfi  poi  le  vedi  appellate 
B'trrhiy  di  colore  roiTo,  talvolta  di  panno  preziofo  ,  per  lo  piìi 
di  panno  vile  .  Si  fole  va  attacccare  il  Cappuccio  al  Birro  . 
De'Cherici  Milanefi  feri veva  Landolfo  leniore  Storico  Milanefe 
circa  l'Anno  1085.  Nullus  fine  candida  toga  (  oggidì  Cotta  ) 
Qhorum  intrare  audehat  ;  nullus  fine  Caputi 0  Birrhi  capite  've- 
lato intrare  Chorum  audehat.  San  Bernardo  ,  e  Pietro  il  Vene- 
rabile fanno  menzione  à^\  Barracano  ,,  che  riteniamo  tuttavia; 
non  so  fé  cos'i  detto  ,  perchè  formato  allora  di  Barre  o  li(le 
di  diverfo  colore ,  o  pure  perchè  fia  parola  Arabica.  Giovan- 
ni Villani  ,  il  Boccaccio  ,  ed  altri  antichi  fanno  menzione  del 
Bucherarne y  forta  di  tela  di  bambagia,  lottile,  e  preziofa,  che 
per  atteftato  di  Marco  Polo  era  portata  dall'Oriente  in  Italia. 
Nelle  Carte  antiche  s'incontra  una  Vefte  appellata  Crofina  o 
Crofna  .  Nella  Concordia  feguita  l'Anno  1095.  fra  Folco  ed 
Ugo  Marchefi  d'Elle,  e  da  me  rapportata  nelle  Antich. Efl-enfi 
Par. L  Cap.  27.  fé  ne  fa  menzione.  E  in  una  Carta  Cremonefe 
dell'Anno  1004.  fi  legge  :  Accepi  ego  qui  j'upra  Ubertus  a  vos 
fuprafcriptus  Domnus  Hubaldus  Epifcopus  exÌ7ide  Launehilt  Crofna 
una.  Come  fa  vedere  il  Du-Cange,  la  Crofna  fu  mantello  for- 
mato per  lo  più  di  pelli.  Alle  fue  pruove  aggiungo  io  uno  Stru- 
mento Ferrarefe  del  1078.  dove  Buonafiglia  Badefla  di  San  Sil- 
veftro  praedium  emit  ,  cujus  pretium  cjl  Crofina  una  i)ulpinea 
per  exfìimacione  ex  'valientibus  de  Denariorum  Veronefifium  Soli' 
dis  trigtnta  &  duos.  Colta  va  ben  molto  un  si  fatto  mantello  . 
Tutte  le  VelH  poi  fi  chiamavano  anticamente  Rauba  &  Roba 
tanto  in  Italia,  che  in  Francia  ;  anzi  fu  efìTa  voce  trafportata 
a  tutte  le  fupellettili  .  Gli  Spagnuoli  tuttavia  fé  ne  fervono 
per  ogni  torta  di  Vedi.  Cita  il  Du-Cange  gli  Statuti  de' Bene- 
dettini 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  Q_  a  I  N  T  A  .  ^p  j 

lettini  ài  Linguadoca  del  1226.  Gap.  lò".  dove  fono  le  feguenti 
parole  .  Jll^s  quidem  Vcjìes  ,  quas  vulgo  Balandr^-va  ,  &  Super- 
toU  'vocantur^  penìtus  amputamus  .  In  vece  di  Balandrnva  dubi- 
to io  che  s'abbia  a  leggere  Balandvana  ,  perchè  dura  in  Ita- 
lia il  nome  di  Pala}ìdra?io  ,  fignificante  un  Gabbano  ,  cioè  il 
Mantello  colle  maniche  .  Pallìnm  era  chiamato  da  gli  antichi 
Romani  quello,  che  era  Mantello  lenza  maniche  ,  e  ritien  tut- 
tavia il  nome  di  Matitello  e  à\T abarro.  Nelle  Coftituzioni  MSte 
di  Guido  Velcovo  di  Ferrara  del  1332.  fi  leg^e  :  Si  Converfus 
fit  Ecclejics  Saecular'ts ,  fuperiorem  ve/ìem ,  fcilicep  Tabardum  cum 
Caputto  appenfo  cidem  ,  vel  fcapidari  honejìì  coloris  ,  teneatur 
portare  .  Di  quefta  voce  ancora  è  fatta  menzione  ne  i  Sinodi 
di  Ravenna  dell' Anno  1 314.  Non  ci  farà  tefta  d'uomo,  che 
fottofcriva  al  Menagio,  che  colle  fue  llrane  gradazioni  vuol  tira- 
re la  voce  Tabarro  da  Manu  o  Mantelli,,  o  pure  di  Capa.  Ula- 
rono  anche  gì'Inglefi  la  (k-fla  voce  .  Enrico  da  Knygthon  all' 
Anno  12^5.  fcrive  :  Dederantque  Jtg72um  mterfe  ,,  ut  Jìc  fuos  mu- 
tuo cognojcerent  i?i  congrejjfu  cum  Anglicis ,  ut  Scotus  diceret  An- 
glice  Tabart^  alter  refponderet  Surcote^  Ù"  e  converfo  .  Fra  le  an- 
tiche voci  Celtiche  raccolte  dal  Boxhornio  nel  GloiTario  fi  truo- 
va  anche  Tabar^  Tunica  longa  ;  ed  egli  in  oltre  oflerva  ,  tut- 
tavia dirfi  da  i  Popoli  della  SafTonia  inferiore  ein  groot  Debbert ,, 
il  qual  D.  pronunciato  erettamente  diventa  T.  Quelle  Vefti, 
che  da  gli  antichi  furono  appellate  Giubbe,,  Giubboni^  Giubet- 
ri ,  Giubberelli  ,  erano  vedi  corte  ,  portate  fotto  la  Tonaca  . 
Pare  a  noi  venuto  da  gli  i\rabi  queRo  nome,  allorché  eflj  fre- 
quentavano l'Italia,  perchè,  fecondo  il  GoUio  nel  Leffico  Ara- 
bico, hanno  gli  Arabi  Giubbaton^  fignificante  Tufficam  e  pan- 
710  gojjipino  ,  cui  Pallium  ffue  Toga  imponitur  .  Per  atteftato 
ancora  del  Giggeo  nel  fuo  Leflico  ,  nella  Lingua  di  coloro  fi 
truova  Al'Giubbato  ,  vejìis  ex  lana  crajjìore  ,  aud  alio  colore 
infera  ,  quam  quem  a  natura  habet  .  V  erano  eziandio  FeU 
larda,,  cosi  chiamate  dalle  Pelli  ;  e  Cabani ,,  oggidì  Gabbarli; 
e  Barilloti  :  parole  ,  che  s'incontrano  nella  Storia  Piacentina 
del  Muffo. 

E  CLUi*  fi  ofTervi  la  varietà  delle  Lingue  .  Sottano  ,  ovvero 
Sottana,,  pare  che  a  tutta  prima  folfero  chiamate  le  Camicciuo- 
le  ,  che  fi  portano  fotto  la  Tonaca  ,  o  come  diciamo  oggidì , 
Gìuflacuore  .  Imperocché  vecchiamente  in  vece  di  Sub  adope- 
rarono Subtus  ;  e  di  qua  venne  poi  Subtanum  ,  o  Subtana  , 
Tomo  L  Ddd  vede 


jP4-  Dissertazione 

vede  propria  delle  Donne  .  Né  fi  dee  ricevere  la  coniettura 
del  Du-Cange  ,  che  llimò  ,  Subtaneum  dici  ,  quod  forte  Subta- 
nonim  ^  feu  Turcovum  vejììs  propria  fuerit .  Dalla  voce  Subtana 
a  mio  credere  nacque  l' altra  ài  Tana  ,  quafi  Subtana  njia  o 
domus.  Cosi  diciamo  Cava^  lottintendendo  via^  f^Jf^-y  ^  altra 
funil  parola.  Sotano  chiamano  gli  Spagnuoli  la  C^^/-//?^.  In  una 
Carta  del  Monillero  della  Cava  deli'  Anno  874.  fi  truova:  Re- 
gia^ qucs  in  ipfa  Ecclejìa  efl  adificata^  in  ipja  jubdita  Subta- 
na de  ipfa  Ecclejìa  .  forie  cos'i  dà  Longe  formato  fu  Longita- 
nus  ^  onde  poi  venne  Lontano  &€.  Odafi  ora  Ricobaldo  ,  che 
circa  l'Anno  izpo.  delcriveva  le  ufanze  de  gl'Italiani  .  Virgi- 
nes^  die' egli,  in  domibus  patrum  Tuìùca  de  Mignolato  ,  quce  ap- 
petì atur  Sotanum ,  &  paludamento  lineo ,  quod  dicebant  Xoccam , 
erant  coììtentce  ,  Dunque  Sottana  fi  chiamava  una  vefte ,  che 
fi  portava  iopra  l'altre  vefti  ,  e  vifibile  ad  ognuno;  né  quefta 
copriva  le  gambe,  ma  dalle  fpalle  icendeva  fino  ai  fianchi,  o 
fino  al  ginocchio.  La  Socca  poi  da' fianchi  arrivava  fino  ai  pie- 
di. Nelle  Novelle  antiche  Cap.  83.  abbiamo:  E  feceli  mettere 
un  bel  Sottano  y  il  quale  le  dava  a  ginocchio  .  Ma  oggidì  Sotta- 
na^ o  Sottanino  chiamiamo  la  vefì:e  donnefca,  la  quale  da' fian- 
chi cala  fino  a' piedi,  appellata  da  Ricobaldo  Paludamentum ^ 
feu  Xocca  ,  GÌ' Inglefi  la  chiamano  C^^^òc^ ,  forfè  formata  da 
Socca ^  per  fignificar  quella  vefi:e  ,  che  noi  e  i  Franzcfi  appel- 
liamo Oy^cr^  C^/^ccy^/;?o  /  il  che  fa  vedere  la  diverfita  de'len- 
timenti  nelle  Lingue.  I  Milanefi  tuttavia  chiamano  Socca  per 
individuare  la  velie,  che  i  Tolcani  ed  altri  nommàno  Sottana, 
"La,  dicono  Stanell a  i  Modonefi  ,  da,  Sottanella  abbreviata.  For- 
fè fu  detta  Subtana y  non  perché  fi  portafie  fotto  altre  vefl^i  , 
ma  perché  copriva  la  parte  di  fotto  del  corpo.  Né  vo'  laiciar 
di  riferire  ciò,  che*  fi  legge  ne  gli  Statuti  MSti  di  Ferrara  dell' 
Anno  I27p.  Lib.  2.  Rubr.  345.  intorno  al  pagamento  de' Sar- 
tori .  Statuimus  &  ordinamus^  quod  Sartores  prò  folutione  de  ce- 
tero  recipiant  in  hunc  modum  .  Videlicet  prò  Guarnello  hominis 
o6Ìo  Imperiales  .  Pro  Sotano  mulieris  cum  gironibus  crefpis  tres 
Solidos  Ferrarienfes  .  De  'ueftito  Bidelli ,  idefì  mez^lance  ,  tutta- 
lana ,  fi  anf Ortis  ,  &  cujuslibet  alti  panni  ,  fine  tri  bus  cujìturis 
tres  Solidos  Ferrarienfes  :  cum  tribus  cujìturis  &  crifpis ,  quatuor 
Solidos  Ferrarienfes  ;  &  fi  fuerìnt  fodrati  ,  quinque  Solidos  Fer- 
rarienfes .  Idem  intelligimus  de  Guarna'2^7ìibus  fodratis  ,  fi  fue- 
irint  fodrati  de  Pelle  ;  fi  autem  de  Zcndali  ,  fex  Solidos  Ferra- 

rien- 


Ventesima  q.u  i  n  t  a  .  395 

rtenfes.  De  Pellibus  'vero  ah  homìne  ^  tres  Sol'idos  F errarteli fes  . 
Ve  Gaufappls  &  Cappettis  cum  tàbus  cufiturìs  quìnque  Solidos 
Ferrarienjes  .  De  Gofiellis  Domlfiarum  jrexatis  cum  gironihus  , 
&  crejpis  ,  Ù'  buton'ts  ,  oHo  Solidos  Ferrarienfes ,  fal'vo  quod  de 
pironato  ante  Ò^  pò  fi- ^  decem  Solidos  Ferrarienfes ,  DeGuarnacchia 
fodrata  ,  five  de  Pelle  ,  Jlve  de  Zen d ali  ,  cum  frexaturis  ,  oHo 
Solidos  Ferrarienfes  veteres  .  Et  in  Gonella  de  Montatura  fodra- 
ta de  Pellibus ,  Jex  Solidos  Ferrarienfes  ;  fodrata  de  Zendali ,  Je- 
ptem  Solidos  Ferraric?7fes  .  Et  hoc  intelligimus  de  'uefìibus  faBis 
prò  Hominibus  &  Dominabus  magnis.  Pro  aliis  autem  njefìimen- 
tis  fatìis  prò  pueris  ^  'uel  juvenibus  medit  temporis ,  fatisfiat  eis- 
dem  fecundum  quod  conveniens  efì  ,  habitu  refpeóiu  ad  fupradi' 
61  a  preti  a  ,  Dichum  dipafìTaggio,  che  lotto  nome  ^ì  Frexatu- 
re  venivano  Lifìe  ^  Orlature^  Guerni-:?^oni  ^  o  Frange  ^  aggiun- 
te alle  eitrernith  de  gli  abiti .  Aurifrygia  furono  Frangie  d'oro^ 
molto  nominate  da  gli  antichi,  maflimamcnte  negli  ornamenti 
delle  Chicle  .  Di  là  a  noi  vennero  Fregio  ,  Frifo  ,  Fregiatura  , 
Fregatura  ^  e  fìmili. 

Torniamo  al  Decreto  Ferrarefe.  Molta  moderazione  coni- 
parilce  nelle  vedi  -d' allora  .  Ma  il  Luflb  andò  poi  crefcendo 
al  difpetto  de  gli  Statuti  ,  che  i  laggi  di  mano  in  mano  oppo- 
nevano al  torrente  della  vanita  ,  fra'  quali  lon  da  annoverare 
i  Modenefi  ,  allorché  nell'Anno  1420.  nella  Riforma  decloro 
Statuti  MSti  formarono  la  ieguente  Legge  .  Statuimus ,  quod 
aliquce  Mulieres^  cujuscunque  conditionis  exijìant^  non  pojjint  de- 
ferre  aliquas  Vejìes^  quce  terram  tangant  ^  taliter  quod  per  ter- 
ram  trahantur  aliquo  modo  ;  nec  aliquas  Vefìes  latitudinis  ultra 
duodecim  brachia  ^  &  a  latere  inferiori  y  nec  aliquas  Veftes  fodra- 
tas  aliqua  Pelle  in  aliqua  parte  ipfarum  Vefìium  .  Nulla  Mu- 
lier  pojjit  habere  ultra  quam  imam  njeflem  Serici  ,  cum  quali- 
tati  bus  tamen  antedi6lis  ;  nec  ali  quam  Veflem  Brocati  aurei  ,  vel 
al  iter  deaurati  y  'vel  contenti  de  auro  ,  nec  aliquam  Veflem  Keca- 
mandam  in  futurum  aliqua  fpecie  Kecamnturce  .  Nec  pojjìnt  de^ 
ferre  Argentum  vel  Aurum  fuper  aliqua  'ujfìe  ultra  decem  uncias 
argenti  in  totum  .  Nec  poJJint  deferre  ultra  tres  anulos  valoris 
ad  plus  Ducatorum  duodecim,  Nec  pnjjlnt  deferre  ultra  [ex-  uncias 
Perlarum ,  valoris  Librarum  Jex  Mutinenjìum  prò  qualihet  uncia 
ad  plus,  Nec  aliquas  gemmas^  feu  'z^jellos  ultra  fpecifi rata  ,  fub 
pxna  folidorum  quadraginta  Mut:nc?ijium  &c.  Et  prdedttìa  fihì 
locum  non  ven  dicent  (^  pncterquam   in  longitudine  )   in  uxori  bus 

Ddd     z  Mili- 


ogó  Dissertazione 

Militum ,  Doclorum ,  &  Nobtlium  ,  ne  et'tam  Civium  artem  me- 
chanjcam  non  exevcentium  ,  &  njiventìum  more  ?iQbili  &c.  Tale 
iìrepito  e  ichiamazzo  fu  dipoi  fatto  dal  Popolo  per  l'eccezione 
fuddetta  ,  che  fi  trovarono  come  forzati  i  Leoislarori  a  iren- 
dere  anche  alle  Donne  nobiU  la  medefima  Praìnmatka  ,  che 
cosi  noi  aDDC-lliamo  le  Riforme  del  Ludo  fante  e  belle  ,  ma 
fempre  condennate  a  non  vivere  piìi  de'  Fiori  .  Merita  anche 
menzione  l'ufo  àt  Cappucci  ^  che  per  più  Secoli  onorato  in  Ita- 
lia ,  finalmente  fi  trovò  come  bandito  da  altre  piìi  fortunate 
mode  ,  e  folamente  in  quelli  ultimi  tempi  lo  veggo  alquanto 
riforgere  per  difefa  de' fanciulli  ,  ed  anche  del  feffo  femmineo 
ne' rigori  del  freddo,  e  maflimamente  di  notte.  Tuttavia  ancora 
i  Cardinali,  i  Canonici  ,  e  non  pochi  de' vecchi  Ordini  Reìigiofi 
ne  ritengono  l'ufo,  con  avervi  anche  aggiunto  molti  d'effi  il 
Cappello,  feudo  di  maggior  confidenza  contro  il  Soie  e  la  piog- 
gia. Non  la  loia  Italia,  ma  anche  la  Germania,  Francia,  ed 
Inghilterra  fi  tenea  caro  il  Cappuccio  ne' Secoli  addietro,  e  non 
meno  i  Nobili,  che  i  Plebei  .  Tolomeo  da  Lucca  ne  gli  Annali 
brevi  raccontando  all' Anno  1 1  85.  la  prigionia  diRiccardoRe 
d'Inghilterra  prefo  in  Germania,  cosi  fcrive  :  Rex  aurem  Jìmu- 
lanjlt  hahttum  ,  &  in  effigie  coqui  fé  tranflidit .  Scd  cum  'venijfet 
T)us  Aujìri'i  cum  fu  a  comitiva^  ut  'viderent  ,  qui  ejfent;  inventi 
Regem  ajfantem  anferes^  &  n^eru  'vol'uentem  ^  claufum  inCapufioy 
Gallico  more.  Non  v'ha  dubbio,  che  anche  gli  antichi  Roma- 
ni conolcelfero  quefta  maniera  di  coprire  il  capo  e  le  fpalle  , 
per  guardarfi  avento  ^  frigore^  pluviaque ^  come  notò  Columella 
Lib.  I.  Cap.  8.  Il  loro  Cucullus  altro  non  era  che  il  noftro  Cap- 
puccio, Principalmente  era  effo  adoperato  dai  Servi,  e  perchè 
i  Monaci  prefero  ad  imitare  la  lor  balfezza  e  viltà,  perciò  non 
folamente  (ì  rafero  il  capo  ,  e  la  barba  ,  ma  anche  elefiero  il 
Cappuccio  ,  come  già  offervò  nel  Secolo  V.  Giovanni  Caffiano 
de  Habitu  Monach.  Cap.  4.  Finché  durò  la  potenza  Romana  , 
rade  volte  le  perfone  nobili  ed  ingenue  fi  fervivano  del  Cappuc- 
cio, le  pur  non  volevano  andar  di  notte  Iconofciuti  :  il  che  era 
praticato  anche  dalle  Donne  poco  curanti  dell'onera. 

Il  detto  finquì  del  Cappuccio  non  vuol  già  dire,  che  reftaf- 
fe  affatto  elclufo  Tufo  del  Cappello  j  che  fin  da' Secoli  più  anti- 
chi fempre  fi  confervò,  quantunque  nel  Vocabolario  della  Cru- 
fca  fia  Icritto ,  avere  i  noilri  Maggiori  adoperato  il  Cappuccio 
in  cambio  di  Cappello.  Perciocché  anche  allora  l'una  e  l'altra 

foggia 


V  E  H  T  E  S  1  M  A  Q,U  I  N  T  A  .  jpj 

fooaia  di  coprire  il  capo  fi  mantenne.  Giovanni  Sarisberienfe 
Lib.  III.  Cap.  6.  Potter at,  ha  quefte  parole  :  Memhii  ma  au- 
dilTe  Romn-fìum  Po?7tificem  fol'ttum  deridere  Lumbardos  ,  dice?:s  , 
eos  Pileur/i  omnibus  colloquentibus  facere  (  cavarfì  il  Cappello  ) 
eo  qiiod  in  exnrdio  dióìionis  benevolentiam  captent ,  Che  anche 
nel  Secolo  XV.  i  Preti  portaffero  il  Cappuccio,  almeno  in  Cor- 
fica,  fi  deduce  da  Pietro  Cirneo,  il  quale  nel  Lib.IV.  di  quella 
Storia  icrive,  che  mentre  una  mattina  ufciva  di  cafa  per  andar 
a  celebrar  Meflii ,  fu  affalito  da  un  Sicario  ;  ma  ch'egli  Capuceo 
(  habitus  e  fi ,  queììì  Sacerdotes  juper  humenim  ferunt  )  circum  Iccvum 
brachium  intorto ^  ut  eo  prò  fcuto  uteretur  ^  il  ripulsò.  Degno  è  an- 
che di  oiTervazione,  che  nel  Secolo  IX.  i  Preti  ufcendo  in  pub- 
blico Tempre  portavano  la  Stola  al  collo  ;  anzi  nclCan.  28.  del 
Concilio  diMagonza  dell'Anno  8 13.  fu  loro  vietato  l'andarne  fen- 
za .  Presbiteri  fine  ijitermiJJio?ie  utantur  Orarìis  (  così  chiamavano 
la  Stola)  propter  differentinm  Sacerdotii  dignitntis  .  E  Reginone 
Cap.  333.  deEcclef.DiJcipL  porta  un  Canone  del  Sinodo Tribu- 
rienie  con  quefte  parole  :  Ut  Presbiteri  non  •vadnnt  nifi  Stola  n^el 
Orario  induti .  xAlT  incontro  nel  Secolo  XIV.  in  pubblico  portavano 
il  Mantello  col  Cappuccio  fulle  fpalle ,  e  la  Berretta  in  tefta  in  ve- 
ce diCappello.  Q,ual  fofte  l'abito  de' Preti  nel  1330.  l'abbiamo 
daiTAulicoTicinenfe  de  Laud,  P  apice  »  Incedunt  (  così  egli)  omnes 
Sacerdotes  i?i  habitu  honeflo  ,  fcilicet  Ecclefiarum  Praelati^  Ò' Ca- 
nonici Cathedralis ,  nec  non  quidam  alii  Canonici ,  &Capellani  non- 
nulli Paroc hi arum  (cioè  iParrochi)  cmn  chlamideclaufa-^'oel an- 
terius  aperta^  cumCaputio  magno  pendente  pofl jcapulas ^  Ò'Bireto 
in  capite  ,  &  honefta  foci  e  tate  .  ^hti  vero  prce  paupevtate  ?ton  pof- 
funt  hoc  facere  ^  vadunt  faltem  cum  T abardo  decenti  ^  &  Caputio 
in  capite  per  modum  diverfum  a  Laicis  ,  immo  a  ceteris  Clericìs  , 
vel  etiam  cumBiretto,  Nec  unquam  fine  T abardo  procedunt^  nifi 
forfait  intra  terminos  Parochice  fua;  ^  cum  alba  Cotta  inhumerisj  quod 
fnGallia  ftiperpelliceum  dicitur.  E'  reftato  queft'ufo  ne' Canonici 
Regolari  .  Aggiugne  ancora  elfo  Scrittore  :  Nullus  ,  nifi  fi t  i?i 
dignitate  confìitutus  ^  'Uel  aliqui  Canonici  Cathedralis^  de fert  al  te- 
rius coloris  njeflimenta ,  quam  biavi ,  vel  nigri ,  aut  alicujus  hone^ 
fli  misti  ^  feu  alicujus  coloris  obfcuri .  Ma  per  conto  della  Cotta, 
che  anche  anticamente  portavano  i  Preti  in  pubblico  fu  ordinato 
da  Ricolfo  Velcovo  diSoiffons  nell'Anno  88p.  Cap.7.  Conftit.  nel- 
la ieguente  forma.  Prohibemus^  ut  nemo  illaAlba  utatur  infacris 
m^fìeriis^  qua  in  quotidiano  vel  esteriori  ufìt  induitur» 


qi 


Co- 


39^  Dissertazione 

Conobbero  ed  ufarono  gli  antichi  Romani  Calceos  ,  Sanda- 
li a  ,  Crepi das ,  Caligas ,  Cothurnos  ,  Soleas ,  (  oggidì  Pianelle  ) 
ed  altre  coperture  de' piedi  ,  de'quali  ampiamente  ha  trattato 
il  Baldovino»  Erano  adoperati  anche  allora  5'orc/,  forta  di  Cal- 
zare ,  che  per  atteftato  d'Ifidoro  Lib.  XIX.  Cap.  14.  ^(?0r/^/;;. 
facilmente  fi  calzava  ,  e  fi  deponeva  .  Quelìa  voce  è  pafTata 
lino  a'  tempi  nolì:ri  per  dilegnare  una  lorta  di  fcarpe  ufate  da 
i  Poveri ,  perchè  fatta  di  legno  .  Noi  li  chiamiamo  Zoccoli  . 
Plinio  Lib.  IX.  Cap.  35.  ed  altrove  nomina  Socculos  ^  a'  quali 
le  femmine  date  al  lulTo  aggiugnevano  delle  pietre  prezioie  . 
Subpalares  ^  o  Subtulares^  o  Sotelares  non  dirado  s'incontrano 
ne  gli  Scrittori  de'Secoli  bafTis  che  erano  o  gliileffi,  oaimen 
poco  diverfi  da  gli  Zoccoli  ,  Nelle  Chioie  MSte  fono  menzio- 
nate Calopodes  lignei  Suhalares  .  Contuttociò  come  differenti 
cole,  per  olTervazione  fatta  dal  Du-Cange ,  fi  truovano  prelfo 
gli  antichi  Calceamenta  ,  idejì  Caligas  ,  Sacci  ,  &  Subtalares  . 
Alvaro  Pelagio  Velcovo  di  Silva  def:rivendo  circa  rAnnoi34o. 
il  LulTo  de'Portoghefi  nel  Lib.  II.  Cap.  7^5.  fi  elprime  co  i  ie- 
guenti  termini  .  Ali  qui  ex  lajcivia  caìnifiis  no?i  utentes  :  Sotu- 
iares  deaurntos  cum  rojìris  loìjgis  &  recurvis  hahentes  :  fodevatu- 
ras  Mantellatorum  Jive  de  Vario  ,  Jive  de  pellibus  albis  Cu?iicii- 
lorum^fupra  latus  Jinijìrum  cubiti  hominis  ojìendentes  :  caudas 
retro  in  capillis^  &  barbis^  &  manicis  habentes  ,  capillos  barba- 
fum  di'vi  dente  s  &  comphHentes .  Anche  fra  noi  da  qualche  an- 
no la  Moda  ha  riiufcitate  le  fcarpe,  che  colla  punta  guarda- 
no in  su  .  Si  ufavano  in  Francia  sì  sfoggiate  punte  o  becchi  di 
fcarpe,  che  fino  i  Concil}  di  Parigi  del  1212.  e  quei  d'Angers 
del  13(55.  e  I3ó'8.  arrivarono  a  condennarli  come  contrarj  all' 
ordine  della  Natura.  Perchè  nel  Secolo  XI \^.  e  XV.  la  povera 
gente,  malfimamente  di  Villa,  uiavano  gli  Zoccoli,  come  tut- 
tavia coftumano  in  qualche  parte  del  Milanele  le  Contadine  , 
perciò  i  Frati-  Minori  OlTervanti  per  umilia  £1  accomodarono  a 
quella  ulanza  ,  e  fi  guadagnarono  la  denominazione  di  Zocco- 
lanti ,  Pure  in  que' tempi  la  riputazione  e  fortuna  degli  Zoc- 
coli andò  tanto  avanti,  forfè  perchè  meglio  che  altro  calzare 
difendono  i  piedi  dall'umido,  che  anche  i  Nobili  non  isdegna- 
rono  di  portarli.  Pietro  Azario  nella  Cron.Novar.  all'Anno  1356'. 
fcrive  ,  che  Guglielmo  Capitano  di  Novara  ,  fentendo  preia  la 
Citta  da  i  nemici  ,  in  Caftrum  fugit  in  Zocholis  .  Ne  dirò  una 
piùmaeftofa.  Lo  Itelfo  Federigo  III.  Imperadore  nell'Anno  1452. 

fi  di- 


Ventesima  q.u  i  n  t  a\  j^p 

fi  dilettava  di  quefte  fcarpe  di  legno  .  Refta  tuttavìa  nel  Pa- 
lazzo Eftenfe  una  Pittura  di  queir  Anno,  dove  fi  mira  effo  Au- 
guro ledente  con  gli  Zoccoli  in  piedi.  Gli  fta  vicino  in  piedi 
Borfo  Duca  di  Ferrara,  e  inginocchiato  davanti  Giovanni  Bian- 
chini Bolognefe,  7nagnus  Tabularum  Ajìronom'tcarum  fupputator y 
che  cos\  è  chiamato  dal  Riccioli ,  e  a  lui  porge  l' Imperadore 
uno  feudo  coir  Aquila  per  Anne  di  Tua  Cafa  .  Ma  fono  iti  in 
difufo  gli  Zoccoli  ,  e  quafi  dapertutto  fi  adoperano  oggidì  le 
Scarpe  .  Predo  Vopifco  nella  Vita  di  Aureliano  fi  truova  Car- 
piJcuIiiSy  fignificante  una  forta  di  Calceamento  ,  dalla  qual  pa- 
rola corrotta  forfè  potrebbe  eflerfi  formata  la  voce  i'c/zr/?/?.  Le 
Scarpe  vecchie  noi  le  appelliamo  Ciabatte  ;  i  Franzefi  Saboti 
e  Sa'vates ;  gli  Spagnuoli  Zapatas.  Stranamente  il  Menagio  vel- 
ie trarre  Ciabatta  dal  Latino  Saba  ,  la  quale  altro  non  fu  an- 
ticamente le  non  quello  che  è  oggidì  ,  cioè  Morto  cotto  .  Né 
da  Sapa  venne  Suppa  ,  Zuppa  ,  come  fi  figurò  il  Ferrari ,  ma 
dall'  antica  voce  Supp  tuttavia  ufata  in  Germania  ,  e  portata 
da  i  Safibni  in  Inghilterra,  dov'è  chiamata  Sopp^  e  in  Francia, 
dove  fi  dice  Soupe  :  il  che  vien  confermato  dall'  Hickefio  nella 
Gramatica  Franco-Theoftica. 

Oltre  a  ciò  abbiamo  nel  Codice  Teodofiano  Lib.  XIV.  Le- 
ge  2.  de  Habitu  ,  quo  iiti  oportet  intra  Urbem  ,  Quivi  Arcadio 
ed  Onorio  Augufti  proibifcono  ufum  TT^ingarum  ^  atque  Bracha- 
rum  intra  Urbem  njenerabilem  .  Di  que(l:e  TT^nche  molto  haii 
parlato  il  Salmafio  ,  il  Vofifio  ,  il  Gotofredo  ,  e  il  Du- Gange  , 
concludendo,  che  fo (fero  una  vii  foggia  di  Stivaletti  o  Scarpe. 
Confermerò  io  il  loro  parere.  Nella  Vita  del  Beato  Pietro Or- 
feolo  Doge  di  Venezia  pubblicata  dal  Mabillone  negli  Atti  de' 
Bened.  Scec.  V,  fi  leg^e  :  Feftinanter  a  cruribus  extrahit  Zangas 
cum  calcaribus  ,  reftdens  in  nudo  dejeHus  cefpite  .  Adunque  le 
Zanghe  coprivano  tanto  il  piede  che  la  gamba  ,  ed  erano  an- 
che adoperate  dalle  perfone  nobili  .  Nel  Libro  de  Coronat.  Bo- 
7iif adi  Vili.  Papós  s'ha,  che  Pojì  Dominum  Pnpam  inceditPra- 
feHusUvbis^  in dut US  Manto  pretiojo  ^  Ù"  calceatus  una  Zanca  au- 
rea ,  altera  rubea  ,  Nel  Poema  di  Jacopo  Cardinale  fi  elprime 
quel  Rito  co'  feguenti  verfi . 

-     -     -     -     Manto ,  quod  fplendidus ,  una 
Auri  fpfccintus  caliga^  Juccintus  &  una 
Scarletti ,  ponendus  erat  PrafeHus  &c. 

Sic- 


^OO  UISSERTAZIONE 

Sicché  col  nome  ài  Zanche  fi  veggono  qui  difegnate  Calzétte, 
o  Stivaletti,  o  Borzacchini,  che  coprivano  le  gambe  ,  l'una  di 
un  colore,  e  l'altra  d'un  altro.  Ma  v'erano  anche  Stivali  groffi, 
leggendofi  di  MafTimiano  Arcivefcovo  di  Ravenna  preflb  Agnel- 
lo, che  chiamati  a  sé  Sutorìbus  calceamemorum^  prcecepit  illts  ^ 
m  magnas  Zanchas  e>c  hìrcorum  pell'tbus  operarent ,  qui  &  ipfas 
ex  Solidìs  aureis  replevh .  Sidee  ora  aggiugnere,  che  preflb  i 
Contadini  di  Modena  ,  e  d'altri  Popoli  ,  il  nome  di  Zanchi  è 
paflato  in  quelle  ,  che  gli  antichi  Latini  appellarono  Grulle , 
Sefto  Pompeo  Fedo  cosi  fcrive  :  Grallatores  uppellabantur  Pan- 
tomimi ^  qui  ut  in  faltatione  imitarentur  ^gtpanas^  adjeBis  per- 
ticis  furculas  habentibus  ,  atque  in  bis  fuperjìantes  ,  ad  fimilìtu- 
dinem  crurum  ejus  generis  gradiebantur  ,  utique  propter  dtjjjculta- 
tem  conjìjìendi .  Nonio  Marcello  anch' egli  dice  :  Grallce  funt 
fujìes^  queis  inni tuntur  Grallatores  f  qui  gradiuntur  Grallis  ^  qucc 
funt  pertica  ligneae,  Plauto  nel  Poenulo  A61.  3.  Scen.  i. 

Cervum  curfu  vinceres ,  (^  Grallatorum  gradu , 

che  cos'i  s'Iia  da  leggere  ,  e  non  clavatorum  ,  come  hanno  i 
Libri  ftampati  .  I  Fiorentini  chiamano  Trampoli  quei  ,  che  in 
Lombardia  fon  àtnìZancf/t ;  e  forfè  niun  Popolo  d'Europa  ne 
ignora  l'ufo.  \^2LQQxà2i  Adverfar.  Sacr,  Gap.  112.  num.18.  fti- 
mò ,  che  Zanca  ,  o  Zanga  ,  o  TT^anga  folle  e  alce  amenti  genus  , 
Aggiugne  le  parole  del  Codice  Teodofiano,  e  poi  conchiude  con 
dire  :  Hcec  nos  ducunt  ad  rujìicum  calceamentum  ;  nec  dijjlmile 
apud  Hifpanos  ejl ,  quod  nunc  Zancas  dkitur  .  EJì  autem  a  Palo 
/ipud  noftrates»  Ma  s'ingannò,  né  feppe  le  ufanze  del  fuopaefe. 
Altre  furono  le  Ti^nghe  vietate  da  gli  antichi  Augufti,  ed  al- 
tro Zancas  de'fuoi  Spagnuoli,  le  quali  non  erano  una  foggia  di 
Calzari,  ma  i  Trampoli  de' Fiorentini,  e  gli  Zanchi  de' Lom- 
bardi .  Odi  il  Covaruvia  nel  Teforo  della  Lingua  Caftigliana  . 
Zanco  unPalo  (Legno)  alto  con  una  horquilla^  donde  ha-z^  fuer- 
za  al  pie .  D' eftos  ufan  en  las  aldeas  ,  por  donde  pajfa  algun  ar- 
rogo pequenno ,  por  las  partes ,  por  donde  no  tienen  puentex^clas  (D'c* 
Però  anche  preflb  gli  Spagnuoli  Z/7«C/^/  fi  chiamano  quelle  due 
Pertiche,  crura  lignea^  su  cui  pofano  i  piedi  ,  ed  alzano  l'uo- 
mo, che  vuol  paffare  un  Rufcello  fenza  bagnarfi  ,  Ne'  Carne- 
vali di  Modena  vidi  alcuni  giovani  pafleggiare  pel  corfo  coneflì 
Zanchi.  Il  Meurfio  nel  Gloffario  Greco-Barbaro  Ieri  ve  T:^<^«^w, 
Italicum  Zango^  Sinijìer ,  Credette  egli,  che ^'/'/^«co  (come ma- 
no 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  Q,  U  I  N  T  A  ;  4OI 

no  Stanca  per  mano  finiftra  )  fofTe  il  medeiìmo  che  Zanco  . 
Meno  avvertitamente  ancora  parlò  il  Menagio  nell'Orig.  della 
Lingua  Irai,  con  dire:  Trampani^  Pianelle^  come  quando  fe  di- 
ce :  Voi  fiete  pojìo  su  i  Trampa?n  ,  per  dire  :  Voi  v  ingannate  , 
facendovi  del  grande  .  Non  fi  dice  Trampani  ,  ma  Trampoli  , 
NèiTrampani,  o  Trampoli  iono  Pianelle,  E  noi  diciamo  an- 
dar su  i  Trampoli  0  su  i  Zanchi  ,  ma  per  indicare  un  uomo  , 
che  in  iftrana  maniera  opera,  con  pericolo  fempre  di  cadere. 
Non  rincrefcera  intanto  ad  alcuno  di  udire ,  qual  iorta  di 
fcarpe  o  calzari  ulafle  una  volta  Bernardo  Red'Itaha,  Nipo- 
te di  Carlo  Magno.  Il  lepolcro  fuo  efilbnte  nella  Bafilica  Am- 
brofiana  di  Milano  fu  aperto  nell'Anno  1(538.  e  il  Puricelli 
teftimonio  di  vifta  ne' Monum.  Bafil.  Ambrol.  fra  l'altre  cofe 
fcrive  cos\  :  Superjlites  adhuc  e  corio  rubeo  calcei  utrumque  pe- 
dem  conte gebant  ;  iidemque  LIGNEAM  quisque  SOLEAM  ^ 
hinc  inde  coriaceis  injutam ,  habebam .  T am  ^uero  apte  prejfeque 
ad  fuum  quisque  pedem  juxta  ordtnem  digitorum  congruebant  , 
in  acutum  njerfus  primorem  digitum  deftdentes  ^  ut  calceus  dexter 
non  nifi  destro  pedi  ,  quamdiu  integer  ille  erat  ,  Jtnijìerque  Jt- 
nijìro  aptari  potuijfet  .  Ceterum  quisque  calceus  duabus  tantum 
corii  partibus  conjutis  ,  pedem  ita  contegebat  ,  ut  anterior  corii 
pars  Ì7t  fuprema  verfus  crura  extremitate  aliquantulum  fiijf^  in 
longum  ejjet^  illicque  pedi  lignamine  (  o  lignmine  )  adfìringe- 
retur^  ad  eum  prorfus  modum^  quo  rujìicana  hodte  calceame?ìta 
fa6litari  folent.  Mancò  di  vita  il  Re  Bernardo  nell'Anno  818. 
Se  con  Suole  di  legno  foffe  comodo  il  camminare,  non  vel  so 
dire  .  Certamente  Suole  tali  furono  anticamente  in  ufo  ,  e  il 
nome  d'effe  tuttavia  fi  conferva  in  Italia,  Francia,  e  Germa- 
nia, cioè  Pantoffole^  derivato  dal  Germanico  P/^/Vz-To/^/ ,  che 
vuol  dire  Tavole  de' piedi.  Ma  come  a' tempi  noftri,  cosi  ne 
gli  antichi  s'andò  mutando  la  foggia  delle  Scarpe  .  Forfè  mo- 
verà arilo  l'intendere,  qual  foffe  nell'Anno  13(55.  Ecco  ciò  , 
che  ne  riferifce  a  quell'Anno  il  Continuatore  delNangio.  So^ 
tulares  habebam  ,  in  quibus  rojìra  longijjtma  in  parte  anteriori 
ad  modum  unius  cornu  in  longum  ^  alti  in  obliquum  ^  ut  Grijfo- 
fies  habent  retro  ^  &  naturai  iter  prò  unguibus^  ipft  deportabant  * 
Cosi  deforme  comparve  quella  capricciofa  forma  di  fcarpe  , 
che  Carlo  Re  di  Francia  in  Parigi  ,  e  Urbano  V.  Papa  nella 
Corte  Romana  ne  vietarono  l'ufo.  Pure  anche  prima  s'erano 
vedute  (carpe  di  quafi  egual  moda;  perciocché  San  Pier  Danila- 
Tomo  L  Eee  no 


402  Dissertazione 

no  nell'  Opufc.  42.  Gap.  7.  cosi  dipigne  un  Cherico  dato  al 
LufiTo  .  Hìc  ìt^que  n'ttidulus  ^  &  fcmper  ornatus ^  ^tque  confpicuus 
incedebat^  ita  ut  caput  ejus  nunquam  ntfi  G'tbell'mìca  peUis  ob- 
tegeret  ;  indumenta  carbajtna  atque  nì'vent'ta  Jtlig'to  per  artem 
fullonìs  inficeret  ;  calceus  poftrema  ad  aquilini  rojìri  fpsciem 
non  falleret  .  E  notifi  qui  la  mutabilità  delle  Lingue.  La  voce 
Calceus  ,  come  ognun  sa  ,  fignifìcava  ciò  ,  che  oggi  è  Calcare 
o  Scarpa  .  Ne  dura  ancora  il  veftigio  nella  parola  Calxolajo 
da  Calc€olarius  ;  in  Calcare  il  pie  da  Calceare  .  Noi  da'  piedi 
abbiam  portato  alle  gambe  quefto  vocabolo,  appellando  Cai- 
ze  e  Calcetti  ciò,  che  cuopre  elTe  gambe;  e  s'è  andato  an- 
che più  innanzi  col  chiamare  i  Modeneiì  le  Brache  Cal-zoni. 
E  PER  conto  del  coprimento  delle  gambe  ,  che  Cal-^^etti  e 
Calzette  appelliamo  ,  in  Lombardia  dal  baflb  Popolo  fono  an- 
cora chiamati  ScojJ^owi .  E  non  è  già  moderna  quefla  voce.  Il 
Du-Cange  in  una  Lettera  di  Papa  Innocenzo  IIL  fcritta,  ha 
più  di  quattrocento  anni  ,  trovò  Scafones  ftmiliter  habeant  du- 
plicatos.  E  in  un'  altra  óiì  Alellandro  IV.  Papa  del  1161,  qua- 
tuor  Scujfones^  &  duo  Subtellares.  Aggiugne  il  Du-Cange:  Heic 
Scajfones  ,  'vel  Scujfones  pedes  fpeóiare  'uidentur  .  E  veramente 
fembra,  che  una  volta  cotal  parola  indicafTe  una  forta  di  fcar- 
pe;  perciocché  Jacopo  Cardinale  nella  Vita  di  Celeftino  V.  Pa- 
pa Lib.  IL  Cap.  2.  parlando  de' Cardinali  che  furono  i  primi 
ad  inchinare  quel  fanto  Romito,  dice  :  ^^ 

lllico  fubmijji  Chiffonibus  ojcula  figunt 
Villojts .     -     -     - 

Pare,  che  fi  tratti  del  bacio  de' piedi,  ma  quel  Villojts  forfè 
indica  delle  rutlicane  Calzette  ,  fé  non  che  una  Chiofa  antica 
dice:  Nam  habebat  Chijfones  inpedibus.  Può  e  fiere  ,  che  una 
volta  fervifiero  a' piedi,  ma  che  poi  pafiafiero  a  coprir  anche  ■ 
le  gambe.  E  qui  mi  fia  permefib  di  dire  ,  portar  io  opinione  ,  H 
per  non  dire  di  più,  che  i  Secoli  remoti  ignorafiero  l'Arte  di 
fabbricar  Calzette  con  fili  di  ferro  ,  o  ài  telTerli  con  una  mac- 
china ingegnofa ,  come  fi  fa  a'  noftri  dì  o  di  ieta  ,  o  di  lino  , 
o  di  canape  .  Certo  è ,  che  i  Romani  antichi  portavano  bensì 
de' Calzari  in  piedi ,  ma  lafciavano  nude  le  gambe  ,  ed  anche 
le  cofcia ,  abborrendo  le  Brache  come  cofa  da  Barbari .  La  To- 
ga, o  altra  verte  copriva  la  nudit^a .  Chi  voleva  coprir  le  gam- 
be, ufava  perones^  ocreas^  udones  ^  cothmnos  ^  chiamati  da  noi 

Sii- 


VeNTES1ìMAQ.UINTA.  40  j 

Stivali  5  St'ivaletù  ,  Bor'2:acchtm  ,  alcuni  de  quali  giugnevano 
fino  al  piede  ,  ed  altri  coprivano  la  meta  della  gamba  .  Ma 
non  mancavano  alcuni  meno  fcrupolofi  ,  che  adoperavano  le 
Brache  fcendenti  fino  al  piede.  Particolarmente  i  Popoli  Orien- 
tali, e  i  Barbari  del  Settentrione',  gli  Ungheri ,  ed  altri  fi  ier- 
vivano  di  Brache  .  Ma  i  Longobardi  ,  per  atteftato  di  Paolo 
Diacono  Lib.  IV.  Gap.  23.  Cceperu?u  Hojis  (Stivali)  uti ^  fuper 
auas  equitantcs  Tubrugos  (  o  Tubrucos  )  birreos  vn'ittebant  :  fed 
hoc  de  Romanorum  confuetudìne  traxerunt  *  Penfa  il  Du-Cange  , 
che  ìTubrugi  ufati  prima  da  i  Romani  foflero  flivaletti  di  la- 
na tirati  lopra  gli  IHvali  di  cuoio.  Sant'lfidoro  IHmò  che  fof- 
fero  appellati  Tubnict^  quod  tìb'tas  braccasque  tegant ;  opure, 
come  notò  il  Voffio  ,  Tubract  ,  quod  a  braccis  ad  t'tbias  ufqus 
pervenìant  .  Nella  Colonna  Traiana  lì  veggono  Barbari  colle 
Brache,  che  arrivano  fino  a  i  taloni  .  E  per  verità  tutto  ciò, 
che  prelTo  gli  antichi  fi  truova  di  coprimento  delle  gambe  , 
confiiteva  in  pelli  ,  panno  ,  o  tela  ,  che  fi  cuciva  ,  ma  fenza 
che  fi  adattafle  alla  figura  delle  gambe  ,  come  fijccede  oggidì. 
Tanto  più  Ionio  tratto  a  quefia opinione,  dall'avere  ofiervato, 
che  fé  anticamente  fi  volevan  coprire  le  gambe,  o  per  guardarle 
dal  freddo,  o  per  Lufib,  o  per  infermità,  furono  fola  mente  in 
ulò  le  Fafcie  ^  che  artificiofamente  fi  aggiravano  intorno  ad  ef- 
fe gambe.  Erano  quefie  di  lana,  odi  lino,  fors'anche  difeta: 
il  qual  coflume  nondimeno  veniva  riprovato  da  gli  aufieri  Ro- 
mani .  Sono  parole  di  Quintiliano  nel  Lib.  XI.  Gap.  3.  Pallio- 
lum  &  Fafcias  ^  qu'tbus  crura 'vefiluntur  ^  &  focali  a  ^  &  aurium 
Itgamenta ,  fola  excufare  potefì  valetudo  ,  Anche  Orazio  nella 
Satira  IL  nomina 

ijìjtgnia  morbi 

Fafclolas  ,  cubital ,  focali  a     -     -     - 

Ma  a  poco  a  poco  que' Cappuccini  Pagani,  cioè  i  Romani  im- 
pararono da  Augufto  Cefare  a  coprir  le  gambe  con  Fafcie  ,  e 
a  non  ifprezzar  le  Brache  .  AH'  antica  ufanza  prevalfe  1'  elo- 
quenza del  Freddo  •  Siccome  avvertì  Suetonio  Gap.  82.  Au- 
gufto hyeme  quatevnis  cum  pingui  toga  tunicis  ,  Ù"  fubuculde 
tbovace  laneo^  &  feminalibus^  &  tibialibus  muniebatur.  Sidee 
fottintendere  Fafciis  tibialibus^  &Fafciis  0  Braccis  feminalibus, 
NuUadimeno  ftettero  un  pezzo  1  Romani  a  valerfi  del  fegreto 
delle  Brache  >   parendo  loro  vergogna  l' adattarfi  a  i  riti   bar- 

Ece     2  bari- 


404.  Dissertazione 

barici.  D'effe  ora  è  da  udire  San  Girolamo  in  Gap.  3.  Danìe- 
lis  .  Pro  Braccis  ,  qu/7s  Symmacus  A?iaxyr'idns  ititerpretatus  efl  , 
Aquila  &  Theoàoùo  Saraballa  dixerunt  y  &  jion ,  ut  corrupte  le- 
pjtur^  Sarabara  ,  Li  fi gu  a  autem  Chat  dctorum  Saraballa  Crur  a  bo' 
mìnum  'vocantur  ^  (y  T'tbìce  j  &  homoìiymos  ettam  Braccai  eorum  ^ 
quibus  Crura  tegu/ntur  (ÌT  T'ib'm  :  quajì  Crurales  &  Tibiales  ap- 
pellat<£  funt ,  V'erano  F afille  crurales  per  le  gambe  ;  v'erano 
anche  Fafcice  pedules  ^  che  fi  avvolgevano  a  i  piedi .  Ulpiano 
nella  /.  argumeìito  jf.  de  Auro  argento  nomina  Fafc'tas  Crura- 
les, Paisò  ne' Soldati  Romani  Tulo  delle  Brache  ,  e  ne  fa  fede 
Lampridio  nella  Vita  di  Alefìandro  Severo  con  dire  :  Donavh 
&  ocreas ,  &  brace  as ,  &  e  alce  amenta  inter  'vejìimenta  militaria , 
Lo  ftefio  Alefìandro  Augufto  Fajciis  femper  ufus  ejì  .  Brace  as 
albas  habuìt^  fjon  coccineas^  ut  prius  Jolebant , 

Lungamente  poi  durò  l'ulanza  del  falciare  le  gambe  ,  ed 
anche  i  piedi  preffo  coloro,  che  miravano  di  mal  occhio  il  fred- 
do, o  volevano  far  pompa  della  nativa  bellezza  delle  lor  gam- 
be, la  quale  da  gli  Stivali  o  dalle  Brache  troppo  lunghe  veni- 
va tolta.  Anzi  che  i  Barbari  talvolta  fi  fervi  vano  delle  Fafcie, 
aderendo  Paolo  Diacono  Lib.  L  Gap.  24.  che  i  Longobardi  , 
prima  di  calare  in  Italia  ,  funs  hifertus  candid'ts  mebantur  Fa- 
fciolis.  Nella  Golonna  Traiana ,  e  in  altri  antichi  monumenti, 
pare  che  le  gambe  de'  Romani  abbiano  qualche  copertura  . 
Noi  poicia  troviamo  ulate  le  Fafcie  anche  a'  tempi  di  Gar- 
lo  M.  il  quale,  per  atteiìato  di  Eginardo  ,  Fafciolis  crura  ^  & 
pedes  caletamentis  conjìringebat .  Vedi  preHo  il  Baluzio  Tora.H. 
Capituiar.  l'effigie  di  Carlo  Galvo  Nipote  di  elfo  Carlo M.  cor- 
teggiato da'fjoi  Magnati,  dove  compariicono  le  Fafcie  luddet- 
te  intorno  alle  gambe.  Ma  introduffero  i  Franchi  un'altra  fog- 
gia. Cioè  venivano  le  gambe  con  tela  di  lino,  chiamata  Ti- 
biale, Sopra  effa  tela  aggiravano  le  Fafcie  ,  poi  con  picciole 
eorreggie  tirate  di  fopra  ferravano  la  tela  e  le  Faicie  .  Odaft 
il  Monaco  di  San  Gallo  Lib.  L  Gap.  35.  de  Keb.  gejì.  Caroli  M, 
dove  defcrive  l'abbigliamento  de  gli  antichi  Franchi.  Erat  ^ 
die'  egli,  antiquorum  ornatus  'vel paratura  Francorum^  calciamen- 
ta  fori?ifecus  aurata  ,  corrigiis  tricubitalibus  infignita  .  F ajcioloe 
crurales  vermiculatce  ,  &  fubtus  eas  tibial'ta ,  ac  coxaha  linea  , 
quamvis  ex  eodem  colore  ,  tamen  artificiojijjimo  opere  'variata  : 
fuper  qua  &  Fajciolas  in  crucis  modum  intrinjecus  &  extrinfe- 
cus  y  ante  &  retro  5  longtjjim^  iìh  (orrigia  tendebantur  .  Deinde 

carni- 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  Q_U  I  N  T  A  .  405 

cnryìtfta  glìx3^na  .  Pojì  hac  hnltheus  fpatce  colligntus  .  ^os  fpnta 
primo  'vagina  fagea^  fecundo  corto  qualicunque  ,  tertìo  Uri  te  amine 
candidijjimo  cera  lucidijjima  roborato ,  ita  cingcbatur  ,  ut  per  me- 
dium Cruciculis  emitìCììtibus  ad peretntionem  Ge?uilium  auraretur , 
Ultimum  habitus  ecrum  erat  pallium  canum  ^  'velfaphyrinum^  qua- 
drangulum  ^  dupley:  ^  ftc  formatum  ^  ut  ^  quum  imponeretur  ìmme- 
vis ,  nììte  &  retro  pedes  tangeret ,  de  lateribus  'vero  vixge?iua  conte- 
geret ,  Tum  baculus  de  arbore  malo^  ?iodis  paribus  admirabilis  ,  ri- 
^idus ,  &  terribilis  cufpide ,  manuali  ex  auro  'vel  argento ,  cum  C(S- 
laturis  ifjjtgnibus pr<]efixo^  portabatur  in  dcxtern  .  Cosi  egli,  il  cui 
lungo  paflb  non  lara  increfciuto  a  i  Lettori  .  Anche  Apollinare 
Sidonio  tanto  nel  Lib.  Vili.  Epift.  II.  quanto  nel  Poema  II.  ri- 
corda Vincula  ^  co' quali  fi  firignevano  le  Fafcie  delle  gambe  . 
Nel  Concilio  Cloveshovenfe  dell'Anno  747.  Cap.  38.  è  decretato 
de' Monaci  :  Nec  imitentur  Sceculares  in'veflitu  crurium  per  Fafcio- 
las.  Che  duraiTe  l'ufo  delle  Fafcie  anche  nel  Secolo  X.  e  XI.  fi  ri- 
cava dalle  Confuetudini  delMonifleroCluniacenie,  raccolte  circa^ 
l'Anno  1070.  da Uldarico  Monaco,  dove  fon  permeffe  ai  Monaci 
Fafciolcs  propter  tibìas  i-njirmantes ,  Sembra  in  oltre,  che  né  pure 
inelTo  Secolo  XI.  aveflero  i  Popoli  d'Occidente  trovata  miglior  ma- 
niera di  coprire  le  gambe.  Perciocché  San  Simeone  Romito,  che 
paisò  a  miglior  vita  nell'Anno  loid.  come  s'ha  dalla  fua  Vita  ne' 
Secoli  Benedettini  del  Mabillone  ,  mentre  andava  a  trovare  il 
Marchefe  Bonifazio  ,  veduto  un  Povero  ,  che  di  mezzo  inver- 
no portava  le  gambe  nude  ,  gli  donò  Caligas fuas  .  Pare,  che 
voglia  dire  le  calze  per  coprir  effe  gambe  ,  giacché  il  Marche- 
fé,  ammirata  la  carità  del  fanto  uomo,  confejìim  duas  hircorum 
pelles  afferri^  inde /ibi  alias  confui  fecit  .  Refta  dunque,  che  fia 
dovuta  a  i  Secoli  fuffeguenti  l'invenzion  delle  Calzette  ,  che 
ufiamo  oggic]^  Sembra  ora  un'Arte  di  niun  conto,  perchè  la 
fanno  le  piìa  delle  Donne;  rna  il  trovarla  a  mio  credere  fu  mi- 
rabil  cofa.  Altre  invenzioni  ci  fono  ,  le  quali  a  guifa  dell'uovo, 
che  il  Colombo  infegnò  a  ftare  ritto  in  una  tavola,  noi  ora  mi- 
riamo, ma  punto  non  ammiriamo;  ma  né  pur  noi  faremmo  fia- 
ti da  tanto  da  trovarle.  Che  cofa  più  triviale  c'è  delle  Staffe^ 
coU'ajuto  delle  quali  facilmente  fi  fale  a  cavallo  ,  e  fi  tengono 
cavalcando  in  ripofo  i  piedi  ?  E  pure  non  le  feppero  inventare 
i  Romani  .  Bifognava  allora  o  faltare  a  cavallo  ,  o  valerfi  di 
qualche  fito  alto  ,  o  avere  uno  Stratore  ,  cioè  chi  colle  mani 

aju- 


4o5  Dissertazione 

ajutafìfe  a  montare  a  cavallo .  Dolevanfi  poi  le  gambe ,  e  con- 
traevano anche  delle  malattie  per  quello  ftar  cotanto  penzoloni. 
Rimediofli  a  tutti  coll'ufo  sì  comodo  d'effeSìaffe, 

Della  MiltT^a  de  Secoli  ro:?^  hi  Italia , 
DISSERTAZIONE   VENTESIMA  SESTA. 

OUanto  fofìTe  eccellente  la  Milizia  de'Greci  e  Romani  an- 
tichi, come  efatta  la  lor  Dilciplina,  l'hanno  affai  dimo- 
ftrato  varj  eruditi  Scrittori  .  Tale  certamente  fu,  che  anche  la 
moderna  ha  di  che  imparare  da  loro  ,  tuttoché  tanto  mutata 
fia  la  forma  di  offendere,  e  difendere  nel  meftier  della  guerra. 
Allorché  i  Barbari  vennero  a  fottomettere  le  contrade  Italiane 
nel  Secolo  V.  portarono  feco,  non  v'ha  dubbio,  i  coffumi  della 
lor  propria  Milizia  ,  e  qui  li  dilatarono  .  Cacciati  i  Goti  fatto 
Giuftiniano  L  tornò  per  alcuni  pochi  Anni  a  rimettere  la  di- 
fciplina  militare  Romana  in  Italia;  ma  effendo  fucceduti  in  que- 
llo dominio  i  Longobardi,  Franchi,  e  Tedefchi,  l'Arte  milita- 
re prefe  le  lezioni  dall'ufo  di  quelle  Nazioni  .  Era  non  poco 
fcaduto  in  Italia  il  buon  regolamento  della  Milizia  fotto  gli  ul- 
timi Imperadori  Romani  :  contuttociò  i  Barbari  ci  trovarono 
tanti  veftigi  delle  vecchie  ordinanze  tanto  de' Romani,  che  de' 
Greci  dominanti  nelI'Efarcato  di  Ravenna  ,  che  poterono  im- 
parar molto  nella  profeffion  militare  .  Però  anch'  effi  ebbero 
fpade,  fciable,  fionde,  dardi,  mazze,  lancie,  archi ,  e  faette, 
feudi,  elmi,  corazze,  flivali  ,  e  il  redo  dell'Armatura,  che 
anticamente  fi  usò.  Carlo  M.  nella  Legge  17.  fra  le  Longobar- 
diche ordinò  ,  uf  nullus  extra  Kegnum  nojìrum  Brune as  (  cioè 
le  armature,  o  Corazze  )  vendere prafumat .  In  oltre  nella  Leg- 
ge i^^.  vietò  il  vendere  fuori  dei  Regno  Arma  &  Brunias,  E 
nella  Legge  20.  parla  de  Armis  extra  patri am  noti  portandis  , 
idejìfcutis^  &  loricis,  Ulavano  ancora,  tende,  e  padiglioni  , 
e  quafi  tutti  gli  ftrumenti  da  efpugnare  Citta  e  Fortezze  ,  già 
adoperati  da  i  Greci  e  Romani  .  Ermoldo  Nigcllo  de  feri  vendo 
l'affedio  di  Barcellona  fatto  da  Lodovico  Pio  Lib.  I.  de  Reb.gejì. 
Ludov.  così  fcrive  : 

Ariete  claujlra  terunt  :  undique  Mars  refonap. 
Machina  nulla  'ualet  murorum  frangere  pojìes. 

Vili 


Ventesima  SESTA.  407 

Più  fotto  dice 

Mac  hi  fi  rt  doìfa  fonat  :  puljafjtur  &  tifidique  muri; 
Crebra  j'agitta  cadìt ,  'vt  funda  retorta  fatigat . 
L'Autore  delia  Vita  d' effo  Lodovico  Augufio  racconta  all' An- 
no 808.  i'afledio  della  Citta  di  Tortofa  .  ^0  perventens  Lu- 
dovicus  Rex  ,  adeo  illarn  arìet'tbus ,  mangotiihus ,  'vineis ,  &  ce- 
teris  injìrume?7tis  lacejpv'tt  (T protrìvit  muralibus  ,  ut  Cives  il- 
li  US  a  Jpe  decìderem ,  ìnfraHosqv.e  fuos  adverfo  Marte  cernentes  ^ 
claves  Chitatis  traderent .  Probabilmente  s'  ha  ivi  da  leggere 
coiìfrnBos  e  Mangants  in  vece  di  Mangoìiihus  .  Perciocché  que- 
fìa  è  la  voce  pii!i  tifata  per  denotar  le  Macchine ,  colle  quali  fi 
gittavano  TafTì  nelle  afTediate  Citta  .  Vero  è,  che  anche  l'Au- 
tore della  Mifcella  Lib.  21.  fcrive  ,  eflere  flato  fchiacciato  il 
capo  ad  un  Uomo  empio  a  lapide  transm'tjfo  ex  Mangone ;  ma 
anch'  ivi  penfo  ,  che  s  abbia  a  leggere  es  Mangano  ,  perchè 
Teofane  nella  Cronografia,  fatta  Latina  dall'Autore  della  Mi- 
fcella ,  fcrive  ex  Manganico  (  fottintendi  tormento  )  e  forfè  i 
migliori  tedi  avranno  ex  Mangano ,  Lo  fteflb  Teofane  all' An- 
no XIIL  di  Coflanzo  Auguflo  nomina  Mangana  omnis  generis. 
Se  ne  lervivano  anche  i  Longobardi,  fcrivendo  Paolo  Diacono 
Lib.  VL  Cap.  20.  che  il  Re  Ariperto  Bergamum  cbfedìt  ^  eam- 
que  arietibus  ,  &  diverjis  belli  Machinis  oppugnans  ,  mox  cepit  - 
Cosi  pure  Lodovico  IL  Augnilo  (  come  attefta  l'Anonimo  Saler- 
nitano ne' Paralip.  Cap.  ^2.)  Civitatem  Barim 'variis  Machinis 
expugnare  ccepit  .  Defcrivendo  poicia  al  Cap.  114.  l'alfedio  di 
Salerno  ,  narra  ,  che  i  Saraceni  Machinam  ,  quam  Petrariam 
nuncupamus  ,  conflruxerunt  mirce  magnitudinis  ,  ut  turrim  unam 
attererent ;  e  che  fotto  i  Criftiani  alzarono  in  quella  medefi- 
ma  torre  un'altra  Macchina. 

Conservarono  le  Nazioni  Settentrionali  dominanti  in  Ita- 
lia le  loro  antiche  ordinanze  nella  Milizia.  Non  fi  udivano  gik 
ne'Ioro  eierciti  i  nomi  di  Legioni ,  Turme  ,  Manipoli,  Coor- 
ti ,  e  fimili  ;  pure  non  mancava  ordine  nelle  loro  truppe  ,  e 
v'erano  Ufiziali  primarj,  e  fubalterni .  Anch' effi  avevano  un 
Generale  Comandante  ,  e  fotto  di  lui  varj  Duci  con  fubordi- 
nazione  de' minori  a' maggiori.  1  Centenarj  furono  come  i  Cen- 
turioni ;  i  Millenari  come  i  noflri  Colonnelli  .  I  Conti  Gover- 
natori delle  Citta  menavano  in  campo  il  loro  Popolo  ;  o  pure 
tale  impiego  era  raccomandato  a  i  Gaftaldi  .  Anche  allora  ^^ 
contavano  nell'  ode  Vexillifcri  ,  o  Signiferi  ,    cioè  gli  Alfier ^  ^ 

Agnel-^  * 


4c8  Dissertazione 

Agnello  nelle  Vite  degli  Arcivefcovi  di  Ravenna  trattando  di 
Felice  Arcivefcovo  ,  fcrive  ,  che  fui  principio  del  Secolo  Vili, 
fu  fcelto  per  fuo  Generale  dal  Popolo  Ravegnano  Giorgio  figlio 
di  Giovanniccio  in  una  fedizione  contro  i  Greci  ;  e  quefti  per  le 
guardie  dì'vijtt  Populum  in  undecìm  partes.  Duodecima 'vero  pars 
Eccleftae  eft  rcfervata  .  Ufiusquisque  miles  fecujidum  fuam  mili- 
tiam  ,  &  Numerum  incedat  ,  Idejì  R  avenna  ,  Bandus  prìmus  , 
Bandus  fecundus^  Bandus  Novus^  Inviflus  ^  Coììfiantinopclitanus^ 
Firmansy  Lcetus^  Mediolanenfis^  Veronenjis^  Clafferjfts^  Partes 
Pomijicis  cum  Clericisy  cum  honore  dignis^  &  familia^  &  Stra- 
toribus ,  n)el  aliis  [ubjacentibus  Eccleftis  .  Et  bene  ordinatio  per- 
manet  ufque  in  prcefentem  diem ,  Cos'i  Agnello  circa  l'Anno  840. 
Adunque  in  dodici  turme,  o  Legioni ,  o  Coorti,  appellate  iVi<- 
meri y  fu  divi(b  il  fuo  Popolo  in  Ravenna.  Come  oggidì  ogni 
Reggimento  ha  il  fuo  titolo  proprio,  cosi  anche  allora  ogni  Le- 
gione, chiamata  Bando  dal  VefTillo,  che  poi  fu  chiamato  da 
i  Tedefchi  F anone ^  Standardo  ^  Guntfanone  ^  cioè  Italianamen- 
te Conf alano  j  Gonfalone  ^  Go?7falone  ;  e  dall' Oltienle  Inftgne  ^ 
onde  il  noflro  Injegna ;  come  anche  Pennone  ,  voce  Franzefe 
ed  Inglefe  .  Paolo  Diacono  Lib.  L  Cap.  20.  così  fcrive  :  Tato 
Rodulji  Vexillum  ,  quod  Bandum  appellant  ,  ejusque  galeam  , 
quam  in  bello  gejìare  conjue'uerat ,  abflulit  .  Da  Bando  nacque 
V  ItSLÌìsino  Bandiera  ;  e  Bande  una  volta  fi  chiamavano  le  briga- 
te di  Soldati  .  Ed  è  ben  antico  il  nome  di  Bando  per  Infegna  ; 
perciocché  Procopio  Lib.  IL  Cap.  2.  de  Bello  Vandal.  rammen- 
ta Vesillum  y  quod  Romani  Bandum  appellant  .  Però  non  fi  può 
abbracciar  l'opinione  delDu-Cange,  che  deriva  Bandum  da 
Panno y  voce  introdotta  in  Italia  molto  piìi  tardi;  e  non  è  cer- 
ta l'altra  del  Salmafio  ,  che  lo  trae  à^iPandum»  Era  dunque 
anticamente  compartita  un'Armata  in  varie  fezioni,  appella- 
te Agrnina^  Se  arce  (onde  il  noflro  5'r>^/^r^)  Cunei  ^  Coorti^  ed 
altre  divHìoni minori,  ciafcuna  regolata  dal  fuoUfiziale.  I  Mag- 
giori neir  andar  de  gli  anni  furono  poi  chiamati  Capitanei  , 
voce  tratta ,  non  dai  Catapani  de' Greci  ,  ma  dall' effere  Capi 
delle  Truppe.  Tal  voce  s'incontra  ne  gli  antichi  Annali  de' Fran- 
chi, e  in  altre  memorie  de' Secoli  barbarici .  Abbreviata  quefla 
voce,  fé  ne  formò  Cattaneo ^  o  Cataneo, 

Ebbero,  a  mio  credere,  gli  antichi  Re  e  Principi  un  nume- 
ro di  foldatefche  dipendiate,  per  fervirfene  alla  guardia  loro  e 
del  Palazzo  ,  e  per  li  prefidj  delle  Fortezze  ,    Ma  s' ha  ora  da 

avver- 


Ventesima  SESTA.  ^og 

avvertire,  che  qualora  s'avea  a  far  guerra  odioffera,  o  di  di- 
fefa ,  coftume  fu  di  chiamare  all'armi  quafi  tutto  il  Popolo  . 
Ciò  fi  appellava  //■;  Esercìtum  ,  o  pure  Hojìem  bannire  ;  per- 
ciocché lo  fleflb  eràHo/ìisj  che  Exercinis.  Quanto  rigorolamen- 
le  (1  procedefìTe  in  tale  occafione,  l'impariamo  dalla  Legge  29. 
Lib.  VI.  del  Re  Liutprando  ,  in  cui  fi  vede  comandato,  che 
niun  uomo  deuinato  alla  milizia,  refti  eiente  dalla  fpedizione, 
allorché  fi  dee  andare  alla  guerra  .  Eccettua  foiamente  lei  no- 
mini mmm  Caballum  habentes^  con  che  riCndimeno  i  lor  caval- 
li fervano  a  i  Giudici  ,  o  fia  Prefidenti  della  Citta  ad  fnumas 
fuas^  per  le  fue  fome  ,  o  fia  bagaglie  .  De  mtfioribus  etiam  ho- 
minibus^  qui  77  ec  e  afas  ìiec  terras  habeììt  ^  ne  eccettua  dieci,  i 
quali  fieno  tenuti  a  fervire  in  cafa  del  Giudice  per  tre  di  della 
iettimana,  finché  egli  fia  ritornato  dall'Armata.  Agli  Sculda- 
yci,  cioè  a  i  Giudici  minori,  fi  lafciano  tre  uomini  mantenenti 
Cavallo,  e  cinque  de' minori  .  1  Saltavi  poteano  ritener  perse 
un  uomo  da  Cavallo,  e  un  altro  de' minimi.  Se  alcuno  oltre  a 
i  fuddetti  foffe  flato  dentato,  era  condennato  il  Giudice  a  pa- 
gare il  Widrigild^  pena  pecuniaria  ,  al  Sacro  Palazzo.  Ma  qui 
vien  chiedendo  taluno  ,  come  può  (lare  ,  che  tanta  gente  an- 
dalTe  alla  guerra.  Non  v'era  prudenza  il  lafciar  le  Citta  e  For- 
tezze fenza  prefidio  ;  ed  empia  cofa  farebbe  fembrata  il  lafciar 
tante  Mogli  con  piccioli  figli  abbandonate,  e  fenza  veruno  aju- 
to  dalla  parte  del  Marito  .  E  poi  chi  avea  da  coltivar  le  cam- 
pagne ?  Che  fé  l'Italia  allora  foffe  (tata  al  pari  d'oggidì  popo- 
lata ,  il  menar  tanta  gente  al  campo,  più  danno  e  confufione 
avrebbe  recato  che  utilità.  Rifleffioni  tali  pare,  che  perfuada- 
310,  non  poterfi  credere  tanta  moffa  d'uomini,  e  che  v'inter- 
veniffe  poi  qualche  (celta  e  moderazione  .  Offervifi  la  Coflitu- 
':(ione  della  promoTion  delT Ejercito  fatta  da  Lodovico  II.  Au- 
guro circa  l'Anno  8(5  (^.  per  andare  a  Benevento  contrade' Sa- 
raceni, già  pubblicata  da  Camillo  Pellegrini  .  Quivi  fi  coman- 
da, che  vada  all'Armata,  ^uicumque  de  mobilibus  Widrigild 
fuum  habere  potefl  ,  cioè  chi  ha  tanti  mobili  da  poter  pagare 
la  pena  della  difubbidienza  .  ^i  'vero  medium  Widrigild  ha- 
bet ,  duo  Jun6Ìi  in  unum  qualitatem  injìruant  ut  bene  ire  pof- 
fmt  .  Dubito  qu'i  di  tefto  guaito  .  Pare  che  due  di  quefti  fi 
debbano  intendere  infieme  ,  e  che  un  folo  d'effi  vada.  Paupe- 
res  vero  perjonte  ad  cujìodiam  maritimam  ^  vel  patria  perganf^j 
fi  plus  quam  decem  Solidos  habet  de  mobilibus  <.  Ecco  che  i  Po- 
Tomo  h  Fff  veri 


410  Dissertazione 

veri  reftavano  al  loro  paefe  .  ^i  non  plus  quam  decem  Soli- 
dos  habet  de  mob'il'thus^  mi  eì  requìratu? ,  Quefli  né  pur  erano 
tenuti  alle  guardie.  5"/  Pater  wmm  filium  habuertt^  &  tpfe  p- 
lius  milior  patre  e/i  ,  injìru6lus  a  pane  pergat .  Nam  fi  pater 
uttlioT  eft ,  ìpfe  pergat .  Vedete  qui  un'  altra  efenzione  .  Ne 
feguita  una  maggiore,  ^t  duos  filios  habuerit^  q^icmtzCfue  eie 
eis  utilior  fuerit,  ipfe  pergat;  afius  autem  r-m patre  remaneat . 
Quod  fi  plures  fJìos  habuerit.^  T/ntores  omnes  pergant ;  tantum 
unui  ", chiane at  ,  qui  inuttlìor  fuerit .  De  Fratr'tbus  hidivifis  ,  fi 
duo  fuerhìt ,  ambo  pergant .  Si  tres  fuerìnt ,  unus ,  qui  inutilior 
apparuerity  remaneat  .  Ceteri  pergant.  Aggiugne  l'Imperadore, 
che  niuno  farà  fcufato,  fé  non  che  Comes  in  unoquoque  Gomita- 
tu  unum  relinquat  ,  qui  eumdem  locum  cufiodiat ,  &  duos  cum 
axorefua  .  Finalmente  è  ordinato  a' Vefcovi  di  non  efentare  al- 
cun Laico  da  quella  fpedizione  .  Ecco  la  forma  tenuta  allora 
per  l'Armata  d'Italia. 

Si  dee  ora  riflettere,  che  oltre  alle  perfone  fuddette  non 
obbligate  a  prendere  l'Armi,  non  andavano  i  Servi  sl  milita- 
re, come  accennammo  al  Cap. XIV.  Meftier  d'onore  era  al- 
lora ,  più  che  oggidì  ,  la  Milizia  .  Ne  erano  perciò  efclufi  i 
Servi  come  gente  vile  ,  e  v'erano  ammefle  folamente  le  per- 
fone Libere  .  Ne'  tempi  noflri  vi  fi  prendono  gli  avanzi  del  re- 
mo e  del  capeftro  .  Gli  antichi  Greci  e  Romani  abborrirono 
anch'  efTì  il  valerfi  di  Servi  per  la  Milizia  ,  per  non  rendere 
eguali  a  sé  perfone  di  s\  bafla  condizione  .  Oltre  di  che  sì  eior- 
bitante  era  il  numero  de'Servi,  che  fi  poteva  temere,  oche 
armati  prorompeflero  in  qualche  fedizione,  o  che  delertaffero 
all'ode  nemica  .  Sanno  gli  Eruditi  ,  che  diede  molto  da  fare 
a  i  Romani  Bellum  Servile,  E  i  Sarmati,  oggidì  Polacchi  ,  fic- 
come  abbiamo  da  Idazio  ne'Fafi:i,  e  dalla  Cronica  Eufebiana, 
trovandofi  nell'Anno  334.  molto  alle  (Irette  perla  guerra  lo- 
ro mofla  da  gli  Sciti ,  o  fia  da  i  Tartari  ,  diedero  l'armi  a  i 
loro  Servi .  Dappoiché  rimafero  fconfitti  i  Tartari,  que' Servi 
rivolfero  l'armi  contra  de' loro  Signori,  e  li  coflrinfsro  ad  ab- 
bandonare il  paefe,  talmente  che  circa  trecento  mila  Sarmati, 
comprefe  le  Donne  e  i  figli,  fi  rifugiarono  a  Coftantino  il  Gran- 
de ,  da  cui  furono  accolti,  e  compartiti  per  la  Tracia,  Mace- 
donia, ed  Italia.  Una  fimile  avventura  de'Servi  Sciti  vien  rac- 
contata da  Giuftino  .  Perciò  conducevano  ben  feco  i  Padroni 
quel  numero  di  Servi  5  che  occorreva  al  loro  lervigio,  ma  non 

li 


Ventesimasesta.  411 

li  mettevano  in  ruolo  di  Soldati  .  Perciò  gli  uomini  Liberi  co- 
fìumarono  di  lafciare  a  cafa  la  maggior  parte  de'  loro  Servi  , 
perchè  accudifTero  alla  coltura  delle  Campagne,  e  alla  cuftodia 
e  comodo  della  lor  famiglia  .  La  necefTitk  nondimeno  perfuafe 
talvolta  il  concedere  l'arme  ai  Servi,  ed  allora  bifognava  ma- 
nometterli, e  dar  loro  la  liberta.  Ciò  fecero  i  Romani  in  con- 
giunture molto  fcabrofe .  Che  anche  i  Longobardi  ricorreffero 
a  quello  ripiego,  lo  avverti  Paolo  Diacono  Lib.  i.  Cap.  13.  de 
Gejì.  Langob.  con  dire  :  Ut  bellatorum  pojjìnt  ampliare  nume- 
rum^  plures  a  ferv'tl't  jugo  ereptos  ad  L'tbertatls  flatum perducunt * 
Non  erano  sì  delicati  i  Wifigoti  ,  che  foggiogarouo  una  volta 
le  Spagne,  e  parte  delle  Galiie.  Nelle  loro  Leggi  Lib.lX.Tit.2. 
1.  p.  abbiamo:  Nunc  vero  quia  degenerali  omnium  progrejjione 
pra^diximus  ,  reflat  ut  de  progrejforum  virtù  te  vel  copiis  tnftituta 
ponamus .  Et  ideo  id  decreto  f pedali  decernimus ,  ut  quisquis  ille 
efl  y  five  Jit  Duxy  Jìve  Comes  ^  atque  Gardtngus  ,  feu  Jit  Gothus^ 
Jtve  Romanus  ,  nec  no?ì  Ingenuus  quisque  ,  vel  etiam  manumif- 
jus  ,  Jeu  etiam  quilibet  e  Servis  Fifcalibus ,  quisquis  horum  ejì 
in  exercitum  progrejfurus ,  decimam  partem  Servorum  fuorum  in 
expeditioìiem  belltcam  duHurus  accedat  :  ita  ut  hcecipfa  pars  de- 
cima Servorum  non  in  armis  (  leggo  inermis  )  exijìat ^  fed  vario 
armorum  genere  injìru^ìa  appareat  .  Sic  quoque  ut  unusquisque 
de  bis  ,  quos  fecum  in  exercitum  adduxerint ,  pattern  aliquam 
Zavis  (  Giacco  noi  appelliano  ora  un  giuppone  comporto  di 
catenelle  di  ferro  .  Truovafi  anche  prefTo  i  Greci  Zaba  figni- 
ficante  Lorica  )  vel  Loricis  munitam  ;  plerosque  vero  fcutis  ,  fpa- 
tis^  fcramis  (  fpade  più  larghe  )  lanceis  ,  fagittisque  inJìru6los  ; 
quosdam  etiam  fundarum  infìrumentis  ,  vel  ceteris  armis  ,  ^w<^ 
7ioviter  forfan  unusquisque  a  Seniore  vel  Domino  fuo  in/unóla 
habuerit^  Principi^  Duci  ^  vel  Gomiti  fuo  pnvfentare  Jìuduerit . 
Se  i  Franchi  fi  ierviflero  anch'eglino  di  Servi  nelle  guerre  (co- 
me pretele  il  P.  Daniello  Lib.  L  della  Milizia  de' Franchi,  de- 
ducendolo dalla  Legge  iuddetta)  io  ne  dubiterò,  finché  miglior 
pruova  fé  ne  rechi  .  Certamcmte  ne'  Capitolari  de'  Franchi  fi 
vede  una  Coftituzione  di  Carlo  M.  ad  exercitum  promovendum^ 
dove  è  prefcritto,  quali  perCone  debbano  militare;  cioè  qui  prò- 
pr'mm  hahent^  e  perciò  gente  Libera  ;  &  cafati  Comitum^  cioè 
i  Domeflici  de' Conti;  &  homines^  cioè  i  Valili  Ili,  Regis^Epi- 
fcoporum  y  &  Abbatum  ,  qui  vel  Beneficia  ,  vel  propria  habent  * 
Parola  non  v'ha  de' Servi.  Né  Lodovico  Pio  nel  Capitolare  dell' 

Fff     2  An- 


412  Dissertazione 

Anno  825?.  parla  fé  non  d'uomini  Liberi,  dicendo  :  Jubemus  up 
Mijp  no  fin  diligenter  ìnquìrant ,  quanti  Lìberi  h ornine s  in  ftn- 
gulis  Civitattbus  maneant ,  ut  'ueraciter  illos  defcribant  ,  qui  in 
exercitalem  ire  pojfunt  expeditionem  .  Lo  fteffo  ancora  rifulta 
da  un  Capitolare  di  Carlo  Calvo  dell'Anno  854.  Si  può  nondi- 
meno credere,  che  talvolta  alcun  Servo  trapellafTe  nella  mili- 
zia contro  il  volere  de'fuoi  Padroni  ,  i  quai  polcia  poteano  ri- 
chiamarlo .  In  una  Bolla  di  Pafquale  L  Papa  per  V  Arcivefco- 
vo  di  Ravenna  fi  legge  :  Colonos^  aut  Partiartos^  &  Servos  fub- 
jncentes  parti  SanHds  Vejìrce  E.cclejt<e  ,  ad  militafidum  fubtrahcre 
non  liceat .  Sed  fi  militati  juerint ,  eos  difcingi  ,  &  dismilita- 
ri Jubemus. 

Finalmente  efenti  dalla  milizia  Secolare  erano  coloro,  che 
entrati  nella  milizia  Ecclefiaftica  per  fervirDio,  non  era  di  do- 
vere ,  che  fi  miichiafìfero  nel  fanguinofo  meftier  delle  guerre  . 
Ma  che  non  fa  il  genio  de'  Principi  ambiziofi  e  Conquiiìatori  ? 
Vorrebbono,  che  ognun  foffe  Soldato,  e  che  tutti  correffero  ad 
efporre  per  effi  le  loro  vite.  Perciò  ne' vecchi  Secoli  s'introduf- 
fe,  e  durava  a' tempi  di  Carlo  M.  1' abufo  di  obbligare  anche  i 
Cherici  ,  e  fino  i  V'efcovL  a  comparir  coli'  armi  in  occafion  di 
guerra,  pretendendo  ciò,  perchè  ^odeano  Beni  Regali,  ed  era- 
no fottopoRi  al  pefo  de' Vafìalli.  Né  pur  ^odeano  efenzione  gii 
Abbati.  Da  un  Documento  di  Piftoia  dell'Anno  812.  ricavia- 
mo ,  che  Ildepeno  Abbate  fovente  era  forzato  ire  in  hofte  , 
cioè  andare  alla  guerra  .  Porta  il  P.  Tomaifini  Parte  3.  Lib.  L 
Gap.  40.  de  Benefic.  molte  Leggi  e  Canoni  ,  vietanti  una  tal 
deformità.  Spezialmente  è  da  vedere  nel  Tomo  VIIL  de'Con- 
cilji^dei  Labbe  una  Supplica  del  Popolo  a  Carlo  M.  NeEpifcopl 
deinceps  ,  Jìcut  haBenus  ,  'vexentur  hojìibus  j  fed  quando  nos  i?i 
hojìem  pergimus  ^  ipjl  propri is  reftdeant  in  Parochiis  .  Seguita  ap- 
preffo  il  Decreto  d'elfo  Augufto,  il  quale,  particolarmente  ^0- 
Jìolica  Sedis  hortatu  efenta  tutti  i  Preti  dall' obbligo  di  concor- 
xere  alle  Armate,  dicendo  fra  l'altre  cofe:  Hacvero  Galliarum^ 
Spaniarum  ^  Langobardorum  ^  nonnullasque  alias  gentes^  &  Reges 
earum  fecijfe  cognovimus  ,  qui  propter  pradióìum  nefandijjimuin 
fcelus  nec  'vi6ìor£s  extiterunt^  nec  patrias  retinuerunt ,  Leggefi  an- 
cora una  Lettera  di  San  Paolino  Patriarca  d'Aquileja  allo  rteflb 
Carlo  M.  Lib.  VIL  Mifcell.  Baiuz.  in  cui  il  iupplica,  ut  liceat 
Domini  Sacerdotibus  militare  in  folis  cafìris  Dominicis  ,  annove- 
rando poi  gl'immenfi  fcandali  e  mali,  che  rilukavano  ai  Cle- 
ro 


Ventesimasesta.  41  j 

ro  da  quefla  troppo  indecente  ufanza.  E  pure  non  cefsò  efìfa  con 
tutti  i  bei  decreti  di  Cario  M.  perchè  la  troviam  tuttavia  vigo- 
rola  lotto  Lodovico  Pio  tuo  Figlio  ,  e  fotto  i  luoi  Nipoti  .  Er- 
iTìoldo  Nigello  Abbate  d' Aniana  nel  Lib.  IV.  de geJì.Ludo'u.P't't^ 
Poema  da  me  dato  alla  luce  nella  Raccolta  Rer.  hai.  racconta 
d'efler  e^li  IlefTo  intervenuto  alla  guerra  mofTa  da  Lodovico  Pio 
contro  i  Popoli  della  Bretagna  minore,  e  che  il  Re  Pippino  gli 
diede  la  burla  perquefto. 

Huc  es^omet  fcutum   humerts^  enfemque  revm&um 

GeJJi  :  [ed  nemo  me  fertente  dolet, 
Ptpptn^  hoc  afpiciens^  rijit^   miratur  ^  &  infit: 

Cede  armìs^  Frater ;  Lttteram  amato  mag'ts» 

Ripigliamo  ora  la  Coftituzione  di  Lodovico  IL  Auguflo  intor- 
no alla  Ipedizione  di  Benevento  .  Ivi  è  determinato  ,  che  gli 
Abbati,  e  le  Badeffe  phnìjjime  hom'tnes  fuos  mandino  all'efer- 
cito.  Qual  foiTe  la  forte  de' Veicovi,  fi  ha  dalle  Tegnenti  parole: 
5"/  Epijcopus  abfque  man'tfefìa  infirmieate  remanferit  ,  prò  tali 
negl'igem'ta  ita  emendetur  Ò'c.  Mirate  ,  che  deteftabil  aggravio 
era  quefto  a  i  Pallori  della  ChieTa  di  D,o.  E  pure  anche  nel  fuf- 
ieguente  Secolo  troviamo  lo  (IcIIo  abulo  ,  apparendo  ciò  da  un 
Diploma  di  Ottone  I.  Auguflo,  fpedito  neirAnno5?<55.  in  favore 
di  Annone  Vefcovo  di  Vormazia,  e  da  me  pubblicato,  dove  fi 
legge  :  Nec  ab  homitiihus  ipjìus  Eccleftce  hojì'dh  Expeditìo  requi- 
ratur^  ntjì  quando  necejjitas  uttlìtari  Regum  fuer'it  ^  Jimul  cum 
fuo  Epifcopo  pergaììt ,  Un'altra  pruova  abbiamo,  che  in  efìb 
Secolo  X.  forzati  foflero  a  militare  Veicovi  e  Cherici  in  Italia, 
cioè  le  parole  di  Raterio  Vefcovo  di  Verona  ,  la  dove  fcrive  : 
Ego  ipfe  quondam ,  quum  Imperiali  pracepto  urgeremur  Gardam 
ohjidere  Cajìrum  ,  &  Epifcopi ,  ac  Clerici  iflius  Pro'uincice  ,  non 
quidem  Religionis  amore  ^  fcd  laboris  obtendevent  odio^  fui  hoc 
Ordinis  minime  fore :  petulanti^  ut Jape ^  refpondi  fermane  :  Up 
non  permittunt  Qanones  Clerico  pugnare  ^  Jìc  non  fìuprare  .  Al- 
trove lo  (ieflb Raterio  confeffa,  che  gliEcclefiallici  andavano  alla 
guerra,  e  riprova  quello  abbomine voi  coftume  .  Anche  dopo  il 
Mille  fé  ne  truovano  frequenti  efempli  nella  Storia.  Ballerà  qui 
riferir  le  doglianze  di  Guido  Abbate  di  Chiara  valle  nel  Tomoli. 
Mifcell.  delBaluzio.  Olim^  die' egli,  non  habebant  Cajìella  & 
Arces  Ecclejics  Cathedralis  ;  non  incedebnnt  Ponti fices  loricati . 
Scd  nunc   propter    abnndantiam    temporalimn  rerum  ,  fiamma  , 

C(sde^ 


414  Dissertazione 

Cttde ,  pojfejpones  Ecclejtarum  Pralafi  defendunt ,  quas  deberem 
pauperibus  erogare.   Ma  andiamo  innanzi. 

Se  taluno  mancato  avefTe  di  portarfi  all'Armata,  ad  una 
orave  pena  pecuniaria  veniva  condennato  .  Ecco  un'Editto  di 
Carlo  M.  nella  Legge  Longobardica  35.  ^uicumque  Liber  homo 
in  hoflem  bannitm  fuerh  ,  Ù'  ventre  contemfertt ,  plenum  Hert- 
hannum  componat  Jecundum  Legem  Francorum  :  ìdefl  fexaginta 
Solìdosy  folvnp.  C Ili  era  impotente  a  pagar  tanta  fomma,  tan- 
to tempo  a  guifa  di  Servo  dovea  lavorare  al  Principe  ,  che 
avefTe  Icontata  la  pena  .  Ma  nella  Legge  23.  fi  ofTerva  mode- 
rato un  tal  rigore  colle  parole  feguenti  :  De  Heribanno  volumus^ 
ut  Mijft  noflr't  hoc  anno  exaEiare  fidelìter  debeant ;  idejl  de  bo- 
mtne  habe?ìte  jex  Lìbras  in  auro  &  argento  ,  bruneis  ,  dernmen- 
to^  pannis^  cnballis^  bobus^  vaccis  ,  aut  peculiis  ,  recipiant  pie- 
num  Hertbannum  ,  idejl  Libras  tres  ,  ita  ut  uxores  aut  infantes 
non  fiant  exfpoliati  prò  hac  re  de  eorum  vejìimentis  .  SuiTeguen- 
temente  prelcrive,  quanto  abbia  a  pagare  chi  ha  un  Capitale 
di  fole  tre  libre  &c.  Ma  Lodovico  IL  Imperadore  nella  Coflitu- 
zione  fopr'accennata  caricò  forte  la  mano  coli'  ordinare  ,  che 
i  difubbidienti,  fé  aveano  Beni  Allodiali,  li  perdeflero  ;  fé  era- 
no VafTalli,  foflero  fpogliati  de'Benefizi;  fé  Me  (Ti  o  Conti,  re- 
fìaffero  privi  delle  lor  Dignità  .  Aggiunte  di  piiì  un  aggravio  , 
che  ben  ci  parrà  infoffribile  ,  comandando  ,  Ut  omnes  omnem 
hoflilem  apparatum  fecum  deferant  &c,  Vejìimenta  autem  ha- 
heant  ad  annum  unum  j  Vi^ualtavero  ^  quoufquc  720vum  fru6lum 
ipf a  Patria  h abere  potuerit.  Se  doveva  ogni  perfona  alimentarfl 
anche  del  fuo ,  era  ben  la  mihzia  d'allora  un  gran  gaftigo  de' 
poveri  Popoli  .  Non  mancano  guai  a'  di  noflri  per  cagion  de  i 
Soldati  ;  ma  in  fine  fon  meglio  regolate  le  cofe.  E  che  anche 
i  Franchi  poco  meno  tenefìfero  la  regola  fuddetta,  s'ha  dai  loro 
Capitolari  Lib.  IIL  Cap.  74.  dove  Carlo  M.  ordina,  Ut  fecun- 
dum  Confuetudinem  ad  hoflem  faciendam  i'ndicetur  &  ob/er^ve- 
tur  :  idejl  'uiBualia  de  Marcha  (  cioè  della  Provincia  )  ad  tres 
menfes^  &  arma  atque'uejlimenta  ad  dimidium  annum ,  Ma  per- 
chè i  Soldati  efigevano  la  vettovaglia  dal  paefe  ,  dove  fi  tro- 
vavano ,  Lodovico  Pio  (  come  s'ha  dalla  fua  Vita  fcritta  dall' 
Aftronomo  all'  Anno  75?^.  )  elTendo  folamente  Re  ,  Inhibiùt  , 
a  plebeiis  ulterius  annonas  militares^  quas  vulgo  Foderumvoc ani  ^ 
dari .  Ft  licet  hoc  viri  militares  cvgre  tulerint ,  tamen  ille  vir 
mifericordiiS  ^  conftderans  &  prabentium  penuriam^  &  exigentium 

crii' 


4^5 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  S  E  S  T  A  , 
iriiàelh^tem  ,  prhis  jucììcavit  de  few  fetbminìjìrare  fe^ts  ,  qu/2m 
(te  perm'itteyìdo  copiam  rei  fe^umentartce  ,  fuos  irretivi  periculis  . 
Penfa  il  Du-Cange,  che  il  nome  ^{Foderi  imporri  folamente 
il  Foraggio  per  li  Cavalli  .  Ma  fi  Rendeva  più  oltre  quefto  pe- 
lo, facendofi  qui  menzione  rei  fi-umetitaria  ,  Certo  ne*  Secoli 
fiiffegnenti  ,  ne'  quali  fu  maggiormente  in  ufo  la  parola  Fode- 
rmn  o  Fodrum  ^  s'intendeva  il  Vitto  per  li  Soldati.  Truovafi  , 
che  Lottario  nella  Legge  71.  impofe  la  pena  di  morte  a  chi 
de'  Liberi  uomini  non  accorreva  coli'  armi  ,  allorché  qualche 
nemico  efercito  venifle  ad  ijìius  Regni  njajiationem  ^  njel  ad  con- 
trarietatem  fidclium  noflrorum  .  Ma  in  un'  altra  Legge  fua  da 
me  aggiunta  alle  Longobardiche  fi  determina  una  pena  più  mi- 
te, e  niuna  fé  ne  impone  a  coloro,  qui  propter  niminrn  pauper- 
tatem  n eque  per  fé  hoflem  facere  ^  neque  adjutorium  pv^eflare  pof- 
fmn  :  il  che  fa  vedere ,  che  fi  poteva  mandare  anche  un  furti- 
tuto  alla  guerra. 

Vengo  ora  alle  Fortificazioni  delle  Citta  e  Cartella .  Anche 
ne'  Secoli  barbarici  fi  mantenne  l'ufo  di  cingerle  di  buone  ed 
alte  mura,  formate  di  marmo,  o  di  mattoni  cotti.  Vi  fi  aggiu- 
gnevano  Torri  ,  con  determinato  ordine  e  intervallo  inferite 
nelle  mura  ,  per  battere  non  men  da  fronte,  che  da' fianchi  il 
nemico  ,  che  ofaife  dar  la  fcalata  .  Nelle  pianure  per  lo  più  fi 
circondava  la  Citta  con  profonda  ,  e  larga  fofla .  Se  in  quefta 
introducertero  acqua,  noi  so  dire  .  Vegezio  non  ne  parla.  Nel- 
la def:rizione  della  Citta  di  Milano,  fpettante  al  Secolo  IX.  fi 
legge:  Celfas  hahet ^  opertasque  Turres  in  circuitu ,  Duodecim  Im- 
tttudo  (  del  muro  )  pedibus  cfl  ;  immenfeimque  deorfeum  efl  qua- 
drar a  rupibus  (  marmi  )  perfeBaque  eriguntur  Jurfetm  .  Erga  mu- 
rum  pretiofas  novem  habet  Januas^  njtnclis  ferrets  ^  &  claves  cir- 
cumfpeBas  navirer^  ante  quas  cataraólarum  Jtjìunt  propugnacula , 
Ho  anch'io  data  alla  luce  la  defcrizion  di  Verona  probabilmen- 
te circa  l'Anno  'jpo.  e  fé  ne  parla  nella  feguente  forma  :  Per 
quadrurn  ejì  compaginata  ,  murijìcata  jirmiter^  ^)uadraginta  & 
06I0  Turres  prafulgent  per  circuitum  :  ex  quibus  o6io  funt  excel- 
fce^  qu^e  eminent  omnibus.  Più  fot to  fi  dice,  che  ha  ancora  C/?- 
Jìrum  magnum  &  escelfum  ,  probabilmente  fulla  montagna  , 
dove  è  tuttavia  .  Ma  che  circa  i  fuddetti  tempi  quella  Citta 
forte  maggiormente  fortificata  ,  fi  raccoglie  da  un  Documento 
riferito  nella  Storia  Veronefe  del  Corte,  eVirtampato  dall'Ughel- 
li.   Ivi  fi  legge  :  Tempore  Regis  Pippini  ^  quum  adhuc  ipfe  puer 


4.i5  Dissertazione 

elìet^  gens  Humiorum  ^  alias  Avare s  citala  ^  Italtam  cum  txeycttu 
hivajit  .  ^uum  de  eorum  adveiitu  Carolus  Rex  Francorum  certior 
faBus  ejfer  ,  Veronam  Tunc  Ma/ori  ex  parte  Dirutam  reparare 
Jìuduit^  Murosque  ^  &Turres^  fojfasque  per  Urbis  gyrum  fecit  ; 
adjeHisque  palis  fixis  a  folo  ufque  munivi t  ,  ibique  Pippinum  fi- 
liuìn  reliquit  .  Il  che  non  fi  sa  ben  combinare  con  quello  ,  che 
fi  legge  nella  Vira  di  Papa  Adriano  I.  preffo  Anaftafio,  perchè 
pochi  anni  prima  Adclgifo  Figlio  di  Defiderio  ultimo  Re  de  i 
Longobardi  fi  rifugiò  a  Verona  ,  prò  eo  quod  forti Jfi ma  prce  om- 
?2Ìbus  Civitatibus  Langobardorum  ejfe  videretur  ,  Qual  dunque 
fofle  il  tempo,  in  cui  furono  accrelciute  le  fortificazioni  a  quel- 
la Citta,  Fabbiam  veduto,  e  fra  effe  quella,  che  oggidì  fi  chia- 
ma Paliz^ta^  e  anticamente  fi  appellava  P alane atum  :  parola 
che  fcappò  alla  diligenza  del  Du-Cange.  Era  il  Palancato  com- 
pofto  di  Pali  fitti  in  terra  ,  e  d'afle  .  Ne  gii  Statuti  di  Modena 
del  1327.  fi  leggono  le  leguenti  parole  :  ^tod  nullus  audeat  toU 
lere  vel  accipere  de  lignis  Butifredorum^  vel  Palancati  ^  qui  funt 
fuper  foveas  Civitatis ^  &  Circarum  Communis  Mutinae ,  In  un  al- 
tro fi  comanda.  Ut  quilibet  de  Cinquantina  teneatur  reficere  fuam 
partem  Palancati  in  fu  a  Porta  ,  &  illud  cuftodire ,  Qj.iando  que- 
lla voce  non  fia  formata  da  i  Pali^  farebbe  da  attribuirne  l'ori- 
gine a  Planca^  fìgnificante  Tavola^  ^Jf^  con  efferfi  detto  P//7«- 
catum^  e  poi  P  alane  atum  .  Nell'Anno  11 00.  pare,  che  la  Città 
di  Mantova  d'altro  non  fofle  circondata,  che  di  Pali  .  Stipiti- 
bus  ,  dice  Donizone  nella  Vita  di  Matilda  .  Per  teftimonianza 
ancora  d'Agnello  nella  Vita  di  Pietro  Seniore  Arcivefcovo  di 
Ravenna,  Juxta  Kavennam  a  Longino  Pnefeóìo  palocopia  in  mo- 
dum  muri  propter  metmn  Langobardorum  exfìruHaeft.  Per  cono- 
fcere  poi  ,  qual  fofle  la  fortificazione  delle  Città  nel  Secolo  IX. 
fi  oflervi,  quanto  ha  un  Diploma  di  Lodovico  II.  Augufto,  fpe- 
dito  nell'Anno  814.  in  favore  dell' Imperadrice  Angiiberga  fua 
Conforte  .  Avea  quefta  Principefla  fondato  preflb  le  mura  àX 
Piacenza  un  infigne  Moniftero  di  Monache,  che  poi  circa  l'An- 
no II 12.  palsò  in  ufo  de' Monaci  Benedettini.  Defiderando  ef- 
fa,  che  quella  porzione  ancora  à.\  pubblico  muro  fi  aggiugnefle 
al  Moniftero,  l'ottenne  per  via  d'efìfo  Diploma  ,  in  cui  quel!' 
Imperadore  dice:  Adjungcììtes  ipft  esNofìro^  &  in  perpetuum 
largientes  cmnem  tnuri  ipfìus  Civitatis  intrinfecus  &  extrinfecus 
valium  a  fondamenti  s  ufque  ad  pinnas  murorum  ,  quantum  prò- 
tendit  a  Porta  Medìolanenjt   ufque  ad  Pojìerulam  fubfcque?7tem  : 

fcd 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  S  T  A  ."  417 

feci  &  UTìiverfas  in  circuhu  murorum^  &  antemuralìum^Turrium 
quoque^  &  Portarum  ,  ac  Pojìendarmn  macerias  .  Noti  il  Letto- 
re, chi  foffe  allora  il  dilpotico  Signore  di  Piacenza  ,  e  poi  de- 
termini 5  che  fia  da  dire  di  chi  ha  fognato  a  i  di  nodri ,  che 
Piacenza  fofle  nell'Elarcato  conceduto  da  i  Re  Pippino  e  Car- 
lo Magno  alla  Chiela  Romana  .  Sicché  le  Citta  erano  guernite 
òiBa/ìio?2t^  Muroy  Antemurale  ^  Torri  ^  Porte  ^  QPoJìerle^  cioè 
di  picciole  Porte  ;  e  ài  Catarntte  alle  Porte  ,  compofte  di  una 
Ferrata,  che  potea  alzarfi  ed  abbaiTarfi  .  Noi  ora  le  chiamia- 
mo Saracinefche  .  Qiianto  alle  Torri  ,  convien  udire  Guntero 
nel  Ligur.  Lib.  2.  dove  deicrive  l'affedio  di  Tortona  fatto  nel 
II 55.  da  Federigo  I. 

ìieic  pnriter  'validas  Turres ,  quibus  undique  fedes 
Tura  'videbatur  ,  rubeo  nitidi jjim a  ìnmo , 
Pro  faico  Inter em  celeberrima   Turris  habebat, 
Hanc  ibi  T arquinium  quondam  fundajfe  Superbum 
Rumor  erat  y  nomenque  loco  retinente  ^  Superba 
Illa  njocabatur  longo  jam   tempore  T urris . 
Huic  JubjeHa  jugo^  •valido  jirmijjima   muro  ^ 
Turribus  &  celjts  confurgunt  mcenia  pin?iisy 
Exornantque  fuam   teHis  fublimibus  Urbem, 

Vedemmo  fatta  menzione  deìV  Antemurale  ,  Alberto  Aquen- 
fé  fpicga  quefla  fcura  voce  con  un'  altra  non  meno  fcura  nel 
iJb.  Ili,  Cap.  32.  della  Storia  Gerofol.  con  dire:  Inter  muros 
&  Antemurale y  quod  'vulgo  Barbacanas  vocant.  Adunque  lo  llef- 
fo  [\i  Y  Antemurale  y  e  il  Barbacane  .  Anche  Alefiandro  Abbate 
di  Teleia  nel  Libro  II.  Cap.  io.  della  fua  Storia  feri  ve  :  Cum 
longijjima  pertica  ,  in  cujus  fummo  tmcinus  ferreus  erat  ,  An- 
temurale ,  quod  vulgo  Barbacanus ,  toto  dinjellitur  conamine  . 
Nella  Storia  dell'  eipugnazione  di  Maiorica  ,  fatta  nell'  An- 
no III 4.  da  i  Pifani  ,  s'incontrano  quefte  parole  :  Chrijìia- 
ììus  exercitus  exjultans  ,  &  Deum  laudans  ,  Cajiella  duo  ,  & 
Mangana  conducit  ad  Caffarum  (  cioè  alla  Rocca  )  Justa  quod 
erant  Barbacance  'magn<s  latitudini s  &  profonda  altitudinìs  , 
quas  lignis  (  i  CrKìiani  )  impleverunt ,  &  Cajiella  fuperindu- 
xerunt  .  Sembra  dunque  ,  che  gli  Antemurali  ,  o  i  Barbacani 
foffero  mura  piiÀ  baffe  ,  che  coprifTero  le  mura  maeftre  del- 
le Citta  ,  affmchè  non  fi  poteffero  gli  Arieti  ,  e  1'  altre  Mac- 
chine de  i  nemici  accodare  ,  fé  non  dopo  molta  fatica  ,  alle 
Tomo  /,  G  g  g  Por- 


4.i8  Dissertazione 

Porte  e  mura  fuperiori  .  Negli  Annali  Piiani  all'Anno  ii'^ó, 
è  fcritto  ,  che  i  Pilani  fecero  Barbacanas  circa  Ctvhatem  .  Se 
queiio  fuflifte  ,    una  fpecie  di  Antemurale  fi  potea  chiamare 
quella  corona  di  baffo  muro  ,    che  girava  nel  Secolo  proifuiio 
paffato  intorno  alle  Fortezze,  e  fi  chiamava  F alfa  Braga,  Fu 
anche  in  uio  di  coprir  le  Porte  con  muro  tortuofo  ,  talmente 
che  non  appariva  la  loro  entratura,  ed  ancor  queito  portava 
il  nome  di  Antemurale  .  Ne'  Paralipom.  dell'  Anonimo  Saler- 
nitano Cap.  I20.   vien  raccontato,  che   nel  Secolo  IX.  un  Sa- 
raceno avvisò   Guaiferio  Principe  di  Salerno  ,  Ut  undique  Urbem 
fuam  recedificari  faàat  ,   &  Atitemuralem   illum  ,   qui   eft  juxpa 
mare  ,  Jtne  mora  in  ahum  elcvet  ,   ut  imam  Turrim   in  uno  ca- 
pite ^  &  aliam   in  alto  &c.   Sicché  due   ordini  di  mura  guerni- 
vano  le  Citta  e  Fortezze,  cioè   il  Muro  alto  delle   medefime  , 
e  l'Antemurale  :    il  che  fi   praticò  ancora  ne  gli  antichiffimi 
tempi.   Udite   San  Girolamo  al  Gap.  25.  d'Ifaia.  Et ponetur  in 
ea  Murus  &  Antemurale  Fidei  ,  ut  duplici  ftt  fepta  munimento , 
Hic  Murus  &  hoc  Antemurale  ,    de  vivis  lapidtbus  exjìruitur  . 
Pro  eo ^   qucd  nos  vertimus  Antemurale  ,   Symmachus  Firmamen- 
tum   interpretatus  efl  :    ut  ipjì  Muri   munitionibus    cinóii  Jìnt  , 
&  Vallo  ,   FoJJaque  ,   &  alits  Muris  ,    quos  in  adificatione  Ca- 
Jìrorum  folent  Loriculas  dicere .  In  alcuni  Luoghi  in  vece  di  An- 
temurale fi  faceva  un  doppio  muro  intorno  alle  Fortezze .  Ho 
Autore,  che  icrive,   vcderfi   tuttavia  in  qualche  fito,  cheCo- 
fìantinopoli  era  cinta  di  doppio  muro  .    E  Radevico  Libro  2. 
Cap. 40.  ci   rappreienta  Crema  duplici  muro  exceljo  circumda- 
tam,   E  Ottone  da  San  Biagio  alf  Anno  1x^4.  Icrive,  che  Ge- 
ruialemme   da  i  Saraceni  duplici  muro  ^  Antemurali  oppofìto.,  ac 
j(^Jf^tis  profundijjimis  cinBam  fuijje .  Continuò  poi  tempre  l'ufo 
de  gli  Antemurali  o  vogliam  dire  Barbacani  .    Ecco  ciò  ,  che 
fcrive  Giovanni  Villani  Lib.IX,  Cap.  135.   S'ordinò^  che  fi  cO' 
minci afferò  i  Barbacani  ^   ovvero  CojifoJJi  y   di  cofla  alle  mura  da 
jojji  per  piufortez;^  ,  e  bellcT:^  della  Città  .    E  al  Libro  IX. 
Cap.  257.   Le  Mura  di  qua   dall'  Arno  grojfe  braccia  tre  e  me^^ 
Zo ,  fe?z:?ut  i  Barbacani ,  &  alte  braccia  venti  co  merli  C^c.   E  che 
i  Barbacani    non  foffero  molto  dilbolli  dal   muro  delle  Città  , 
polliamo  dedurlo  da  un  pezzo  di  Storia  nelle  Note  del  Benvo- 
glienti  alla  Cronica  Sanele  ,    dove  fi  favella  di  un  Ghinozzo 
prigione  in  una  Fortezza,  il  quale  nell'Anno  i  325).  falitoundì 
scavallo,  gli  diede  difproni,  e  fé  [altare  il  cavallo^  el  rivel- 
lino 


V  £  N  T  E  S  ì  M  A  S  E  S  T  A  .  4 1  p 

Uno  della  Rocca  ;  e  gmnfe  fui  Barbacane  ,  e  falth  in  terra  ;  e 
tocca  da  /peroni  il  cavallo  ;  e  per  la  via  correndo  fé  n  andò  a  Saf- 
foforte.  Sicché  i  Barbacani  fervivano  per  impedire  o  difficulta- 
re  l'acceilb  delie  Torri,  ed  altre  Macchine  di  guerra,  e  Scale 
alle  mura  delle  Citta  e  Fortezze  .  Altrove  fi  veggono  fabbri- 
cati avanti  alle  Foffe.  Porcellio  Lib.  IX.  Comment.  deicri ven- 
do refpugnazione  di  Caftiglione  Mantovano  ,  cos'i  parla  :  Vtn- 
cunt  hiìic  Antemurale  Bracciani  ,  prxtereunt  inde  fojfas ,  &  jam 
valium  afcendt'hant  .  Fra  le  fortificazioni  delle  Citta,  pare  che 
s'abbiano  a  contare  anche  \q  Carbonarie  ,  Faffi  menzion  d'effe 
nelle  vecchie  Carte  ,  e  preffo  Falcone  Beneventano  ,  la  dove 
fcrive  :  Keverft  funt  ufque  ad  Carbonari am  foris  Civitatem^  ubi 
Jìagnum  luteum  putridumque  erat  .  Altri  elempli  lon  da  vedere 
preilo  il  Du-Cange,  il  quale  non  f^-ppe  determinare,  cofa  fof- 
fero  le  Carbonarie  ;  e  né  pur  io  lo  so  .  Le  parole  di  Falcone 
fembrano  indicar  foffe  piene  d' acqua  .  Nel  Vocabolario  delia 
Crufca  è  detto  :  Carbonaria^  fijf^  lungo  le  mura  .  Ma  meglio 
è  fofpendere  il  giudizio  .  Tolomeo  da  Lucca  ne  gli  Annali  bre- 
vi ali' Anno  11  84.  notò  ,  che  fuit  Conjul  Alcherius  ,  qui  adifi- 
cavit  Carbona/tas.  Adunque  pare,  che  fo (fero  piìi  tofto  edifizj. 
Cum  fojjis  ^  &  Carhonnriis^  &muris^  &  turre  :  fi  legge  in  una 
Carta  della  Conteffa  Matilda,  rapportata  dal  Fiorentini:  il  che 
ci  fa  conofcere  ,  effere  ilate  le  Carbonarie  cofa  diverfa  dalle 
foffe.  Ma  nella  Cronica  di  Foligno  all'Anno  1283.  fono  le  fe- 
guenti  parole  :  Statim  ,  quum  viderunt  Vexillum  ,  apparuit  eis 
maxima  Carbonaria  inter  eos  ,  Ò^  Fulgtttates  .  Et  Jic  bojtes  terga 
verterunt  ^  credentes  in  Carbonariam  precipitare  ,  Adunque  furo- 
no le  Carbonarie  Luoghi  prolondi  e  a  guila  di  Foffe  .  Preffo  le 
Mura  di  Napoli  qysl  Ecclejia  San6ìt  Johannis  in  Carbonaria  ;  e 
per  quella  parte  clandeltinamente  entrato  il  Re  Alfonlo  L  s' im- 
padronì della  Citta. 

Da  che  cominciarono  fuUa  Terra  a  comparir  le  guerre  , 
s'introduffe  anche  l'ulo  de' CaftcUi  ,  Fortezze  ,  e  Rocche;  e 
molte  n'ebbe  l'Italia  al  Secolo  IX.  tutte  l'pettanti  al  iolo  R.e 
od  Imperadore,  poiché  a  i  privati  non  era  permcffo  d'averne; 
e  fé  alcuno  n'ebbe,  fu  con  licenza  dei  Principe  Sovrano  .  Pa- 
pa Leone  IV".  o  perfezionò  la  Citta  Leonina  cominciata  prima 
da  Leone  III.  o  pure  interamente  per  le  efortazioni  e  preghie- 
re di  Lottarlo  I.  Augufto  la  fabbricò.   Vi  fu  alzata  un' I  ieri. 

G  g  g     3  zio- 


420  Disserta  zione 

zione,  che  l'Aringhi  dice  T^o{k2i  fupra  Portam  Cajìrl  SanBl An- 
gelì^  qu(S  Fona  ^nea  dkebatur  ^  &  San6ium  Petrum  refpiàebat, 
11  Turrigio  la  dice  collocata  fupra  Portam  oltm  nppellatam  San- 
&f  Petri^  ftve  Leontanam  .  In  un  MSto  dell'  Eminentifs.  Cardi- 
nale Domenico  PafTionei  fi  legge  pofta  ad  Portam  Vmdariam  . 
Eccola,  quale  è  prelTo  l'Aringhi  e  il  Turrigio. 

Qui  venh  ac  vadh^  decus  hoc  adtende  njtator  ^ 

Quod  Quartus  flrumt  7ìunc  Leo  Papa  lìhcns, 
Marmare  pracifo  radia?7t  hac  culmina  pulchra^ 

Qu<£   manthus  homìnum  faHa   decora  placent , 
Cafaris  invióìi  ,  quod  ijìhic  cernis  ,  honefium . 

Prisftd  tantum^  quod  tempore  gejjtt ^  opus. 
Credo  mal'tgnorum  fua  numquam  bella  nocebunt y 

Ncque  triumphus  erit  hojì'tbus  idtra  fuis, 
R.oma  caput  Orbis  ^  fplendor  ^  Jpes  ^  aurea  Roma^ 

Prcefulis ,   ut  monjìrat ,  e?i  labor  alma  tu': . 
Cfuitas  hcec  a  Conditoris  fui  nomine 
heoniaììa  njocatur» 

Nel  Codice  Paffioneo  fi  leggono  cosi  alcuni  verfi  : 

Quds  manibus  hominum   auBa  decore  placenta 
Ccsfarìs  invìBi ,  quod  cemis  ijìe  HLOTARI^ 

Tantum  Praful  ovans  tempore  gejjìt  opus* 
Credo  malignorum  ttbi  numquam  Ò'^c^ 

Un'  altra  Ifcrizione  riferita  dall'  Aringhi ,  e  Turrigio  ,  che  in 
elfo  Codice  fi  dice  porta  ad  Portam  Urbis  ^  Juxta  Molem  Hadria- 
niy  ha  le  feguenti  parole  : 

Romanus  ,  Francus ,  Bardusque  vtator  ,  &  omnis 

Hoc  qui  intendit  opus ,  cantica  digna  ca?tat . 
Quod  bonus  Antiftes  Quartus  Leo  vite  novavit 

Pro  Fatrice  ac  Plebis  ecce  f aiuta  fuce . 
Principe  cum  fummo  gaudens  Hlotharius  Heros 

Perfecity  cujus  ernie at  altus  honor, 
Quod  'vejieranda  fides  nimio  deduxit  amore  ^^ 

Hoc  Deus  omnipotens  praeferat  arce  Poli  ^ 
Civitas  Leoniana  vocatur^ 

.-.-  .--..  Gli 


Ventesimasesta.  421 

Gli  ultimi  verfi  nel  MSto  PafTionco  fi  leggono  cos'i  : 

Principe  cum  fummo  gaudens  haec  cun6la  Johannes 

Perfecit  ,  cujus  emicat  /iltus  honor 
Wuos  veneranda  Jides  fìimio  devinxif  amore , 
Hos  Deus  omfìipotens  perferat  arce  Poli, 
Civitas  baec  a  Conditoris  fui  noynine 
Leonina  vocatur. 

Se  fufTifle  qiiefta  lezione,  intendiamo  di  qui,  che  anche  Papa 
Giovanni  Vili,  fi  adoperò  per  compiere  la  Citta  Leonina.  In 
tal  calo  quel  Principe  cum  fumano  denoterebbe  Lodovico  II. 
o  Carlo  Calvo,  o  Carlo  il  GrofFo ,  a' tempi  de' quali  tenne  ef- 
fo  Pontefice  la  Sedia  di  San  Pietro  .  Ove  noi  aveffimo  una  più 
ampia  Vita  di  quefio  Papa,  apparirebbe,  fé  fuffilla  la  fuddetta 
lezione  .  Nel  Secolo  medefimo  ,  un  folo  non  fu  il  Romano 
Pontefice  ,  che  atpirafTe  alla  gloria  di  Fabbricator  di  Citta  . 
Anche  Gregorio  IV.  Papa  avendo  riedificata  la  Citta  d'Oftia, 
per  teftimonianza  di  Anaftafio  ,  ordinò  ,  che  fofTe  chiamata 
Gregoriepoli  .  A  quefta  fi  dee  aggiugnere  Giovannipoli  ,  fab- 
bricata dal  fiiddetto  Papa  Giovanni  Vili.  La  pruova  di  ciò 
efifte  nella  fsguente  Ifcrizione  ,  da  me  trovata  nel  prefato 
Codice  Paffioneo . 

In  Porta  Burgi  BaJìUcce  San  Eli  Pauli . 
Hic  murus  falvator  adefì ,   invióiaque  Porta  ^ 

^ua  reprobos  arcet ,  fufcipiatque  pios . 
Hanc  proceres  intrate  fenes  ,  j uveite sque   togati  5 

Plebsque  f aerata  Dei ,  limina  fannia  petens  . 
^iam  Prddful  Domini  patravit  rite  Johannes , 

^ui  nitidis  fulxit  moribus  ac  meritis, 
Pra/ulis  OHavi  de  nomine  faóia  Johannis 

Ecce  Johannipolis  Urbs  veneranda  eluit  » 
Angelus  hanc  Domini  Pauli  cum  Principe  SanElus 

Cujìodiat  Portam  femper  ab  hofìe  nequam» 
Infìgnem  jiimium  ,   muro  quam  conflruit  ampio 

Sedis  Apojìolicce  Papa  Johannes  ovans . 
Ut  fibi  poft  obitum  celejìis  janua  Regni 

Pandatar  ,  Cbrifìo  fat  miferante  Deo . 

Avea 


4-22  Dissertazione 

Avea  Papa  Leone  IV.  per  afficurare  la  facrofanta  Bafilica  Vati- 
cana dalle  irruzioni  de'  Saraceni  ,  fabbricata  la  nuova  Citta 
Leonina  con  buone  mura  ed  altre  fortificazioni  .  Ma  recando 
a  i  loro  infulti  efpoiia  l'altra  infigne  Bafiiica  di  San  Paolo  fuo- 
ri di  Roina^  Giovanni  VIILPapa,  moflb  da  una  lodevoi  gara, 
la  cinfe  di  mura,  baftioni  e  porte,  ordinando,  che  quella  nuo- 
va Citta  fi  chiamafle  Giovanfiipoli .  D'efTa  non  ho  trovato  altro- 
ve menzione  alcuna  .  Cos'i  nello  fteffo  Secolo  IX.  Sicone  Prin- 
cipe di  Benevento  fabbricò  una  Citta,  chiamata  dal  fuo  nome 
SJcopoli.  Tutto  per  tmiore  de' Saraceni  che  infeftavano  tutte 
le  Citta  della  Puglia,  anzi  minacciavano  l'ultimo  eccidio  a  Ro- 
ma (leda  .  Odafi  ciò  ,  che  fcriffe  il  medefimo  Papa  Giovanni 
Vili,  ai  Re  Carlo  ,  cioè  ai  GrofTo  ,  che  fu  poi  Imperadore  , 
nell'Anno  875?.  o  nei  feguente  .  Sed  ?ios  tam  ipjì  dìH't  Ifìnaelita^ 
quam  alti  concives  tiojìrt  ìmpugnant  eie  perfeqmmtur  ,  ut  extra 
Muros  Urbis  nullateniis  ,  vel  qui  labore  manuum  fuarum  vivere 
valeant ,  vel  qui  (  ut  ita  dixerim  )  Chrijìianitatem  Junra  ,  ficut 
decet^  obfervent  ^  egredi  libere  pojfmt ,  L'efempio  del  Romano 
Pontefice  fervir  dovette  di  ftimolo  ad  altri  Veicovi  per  fortifi- 
care le  loro  Citta  .  Anfperto  Arcivefcovo  di  Milano,  che  nell' 
Anno  882.  pafsò  all'  altra  vita  ,  come  apparifce  dal  fuo  Epi- 
taffio preiTo  ilPuricelli, 

Moenia  follicitus  commiffoe  reddidit  Urbi 
Diruta .      - 

E  Leodoino  Vefcovo  di  Modena  ,  come  coda  dalla  memoria 
già  riferita  nel  Cap.  I.  cioè  circa  l'Anno  8^3.  mentre  bolliva- 
no le  guerre  fra  Guido  e  Lamberto  Imperadori,  e  Berengario 
Re,  fortificò  la  fua  Citta  ,  fwn  contra  Dominos  ,  ma  per  difen- 
dere i  Cittadini  in  que'  s\  fcabrofi  tempi.  Nel  Diploma  di  que* 
due  Augufti  preffo  il  Sillingardi  ed  Ughelli  è  permefib  a  Leo- 
doino fojfata  cavare  ,  Portas  erigere  ,  Ò^  juper  unum  milliarium 
in  circuitu  Ecclejìcs  Civitatis  circumquaque  firmare  ,  ad  Jalvati- 
dam  ^  &  munte7idam  ipjam  Santìam  Ecclejhim  .  Trovavafi  allo- 
ra l'Italia  efpoiia  a  molti  pericoli ,  anzi  agitata  da  non  pochi 
guai.  Durava  la  fanguinofa  gara  fra  i  luddetti  emuli  Re,  che 
ne  difputavano  fra  loro  la  Signoria.  Era  preceduta  la  fiera  in- 
vaiìone  de' Saraceni  nella  Calabria  e  in  altre  confinanti  Provhi- 
€ie  5  per  cui  moltiplicavano  a  dilmiiura  le  calamita  in  quelle 

par- 


Ventesimasesta.  ^iJ 

parti  per  parecchi  anni,  e  ne  provò  le  lue  la  ftefTa  Citta  di  Ro- 
ma. Un'altra  gran  brigata  di  coftoro  ,  avendo  fiiTato  il  piede 
in  Frafìineto  tra  l'Italia  e  la  Provenza,  metteva  a  facco  i  Po. 
poli  circonvicini.  Ma  ciò,  che  maggiormente  mife  il  cervello 
a  partito  a  gì'  Italiani  ,  fu  l'incredibil  crudeltà  de  gli  Ungri  , 
gente  barbara  e  fpietata  ,  che  fui  principio  del  Secolo  X.  co- 
minciarono a  fcorrere  dalla  Pannonia,  'detta  poi  dal  nome  loro 
Ungheria,  nell'Italia  devadandola  con  incendj,  firagi,  e  rapi- 
ne .  Quefte  furono  le  principali  cagioni  ,  che  fecero  in  cert$ 
guifa  mutar  faccia  all'Italia. 

Poche  erano  prima  di  que'  tempi  le  Citta  e  Cartella  prov- 
vedute di  buone  mura  ,  e   d'altre   fortificazioni  .  Gran  tempo 
s'era  goduta  la  pace  fotto   gì' Imperadori  Franchi,  né  da  moi- 
tifTimi  anni  s'era  provata  incurfione  alcuna  di  Barbari  ;  e  per- 
ciò quafi   dapertutto    fi  viveva  alla  Spartana  ,    e  non  che  la' 
campagna ,  le  Citta  iftefie  fi   trovavano   prive  di  ogni  difela  . 
QfTei  che  fi  chiamavano  Borghi^  per  atteftato  di  Santo Ifidoro, 
furono    domorum  congregationes  ,    quce  muro  non  claudebnntur  . 
Allorché  diedero  legge  all'  Italia  i  Romani  ,  e  i  Goti  ,  qui  fi 
contavano  afiaiffime  Fortezze  ;  ma  per  le  guerre  pofcia  fucce- 
dute  ,  e   per  la  lunga  pace  ,  andarono  la  maggior  parte  in   ro- 
vina .  Però  fopravenute  le  varie  turbolenze  fuddette  ,  e  mafii- 
mamente  le  tanto  deplorabili  irruzioni  degli  Ungri,  fi  diedero 
i  Popoli  a  rifar  le  antiche  Fortezze  ,  e  a  fabbricarne  delle  nuo- 
ve, per  refiftere  a  i  nemici  ,  e  per  mettere  in  falvo  le  lor  vite 
ed  averi  alle  occafioni .    Quefto  medefim.o  ripiego  fi  cominciò 
a  praticare  in  Francia  nel  Secolo  IX,  a  cagion  delle  tante  la- 
grimevoli   fcorrerie  de'Normanni.   Pertanto  chiunque  potè,  ot- 
tenuta licenza  da  i  Re  od  Augufti ,  opure  da  i  Principi  Longo- 
bardi  ne' Ducati  di  Benevento  e  Salerno  ,  s'applicò  a  fabbricar 
Rocche,  Fortezze,  e  Catella,  e  a  ben  provvedere  le  Citta  di 
mura,  e  a  fortificarfi  anche  ne' iuoi  Feudi,  e  fino  ne'beni  Allo- 
diali .   Per  una  fimile  occafione  ,  come  attefta  Ennodio  Lib.  2. 
Carni.  Onorato  Velcovo  di  Novara  fui  fine  del  Secolo  V.   fab- 
bricò e  fortificò  un  Cartello  .   L'Autore  della  Cronica  del  V^ol- 
turno  ,  trattando  de'  tempi  di   Lodovico  Pio  ,    cos'i   feri  ve  nel 
Lib.  2.   £0  ftquidcm  tempore  rara  in  bis  regiombus  Cajiella  ha- 
hcbantur  ,  jed  om?jia  Villis  ,  &  Ecclejt'ts  piena  erant  .   Nec  erat 
jorm'tdo   aut  metus   bellorum^  quon'tam   alta  pace  omnes gaudebant 
vfque   ad  tempora   Saracenorum  ,    Cejjfante  quoque  devajìatione  , 

Ù'per' 


42-ì.  Dissertazione 

&  perjecuttonc  illorum^  qui  tunc  evadere  potueru?ìt  ^  'uel  fua  hive- 
'/ìire  potuerunt ,  Regis  judìcio  &  precartis  poJJ^edermjt ,  ufquequo 
Norman?n  in  Italiani  pervefierunp  .  ^hii  Jìbi  omnia  dirìpientes  y 
Cajìella  ex  Villis  edificare  cceperunt^  quibus  ex  locorum  njocabu- 
lis  nomina  indiderc*  Ma  molto  gli  altri  Popoli  delia  Lombardia, 
anzi  dell'  Italia  impararono  a  provvederli  di  buoni  ripari  ed 
afili,  e  malTmiamente  contro  la  diabolica  razza  degli  Ungri . 
Come  coda  dalla  Storia  Ecclefiaftica  di  Piacenza,  Eurardo  Ve- 
Icovo  di  quella Cittk  nell'Anno  8^8.  comperò  ab  Andrea  habi- 
tatore  Bardi  montane  a  Piacentina  medietatem  de  petra ,  quod  eft 
faxum ,  in  loco  Bardi  ,  ubi  Cajìrum  adificatum  ejfe  videtur  mo- 
derno tempore  ,  Rapporta  l'Ughelli  una  Carta  de'  Canonici  di 
Verona,  fcritta  forie  nell'Anno  pop.  dove  effi  concedono  a  gli 
abitanti  nel  Caflello  di  Cereta  di  fabbricar  ivi  una  Torre  prò 
perfecutione  Ungarorum ,  Anche  la  Citta  di  Bergamo  fi  trovava 
in  gran  pericolo  ,  maxima  f<gvorum  Ungarorum  incurjione  ,  co- 
me apparifce  dal  Diploma  di  Berengario  I.  Re  conceduto^ad 
Adalberto  Vefcovo  ,  e  a'  Cittadini  di  quella  Citta  ,  nel  quale 
diede  loro  licenza  ,  che  poteflero  Turres  &  muros  ipjius  Civi- 
tatis  readificare.  Parimente  Gauslino  Velcovo  di  Padova  impe- 
trò da  Ottone  I.  Augulio  nell'Anno  p6^.  Cajìella  cumTurribus 
&  Propugnaculis  erigere  ,  come  abbiam  dall'  Ug belli  .  Diffi  , 
che  a  ciò  occorreva  la  licenza  del  Sovrano  ,  e  lo  fteffo  fi  pra- 
ticava anche  in  Francia .  E  però  Carlo  Calvo  Re  circa  l'An- 
no 8(54.  ne'  Capitolari  prellb  il  Baluzio  pubblicò  il  leguente 
Editto  :  Exprejfe  mandamus  ,  ut  quicumque  ijìis  temporibus  Ca- 
jìella ,  &  Jirmitates  ^  &  hajas  fine  nojìro  verbo  fecerunt  ^  Kalen- 
dis  Augujìi  omnes  tales  Jirmitates  disJaBas  habeant.  Che  fé  alcuno 
in  Italia  fenza  licenza  del  Principe  olava  piantar  delle  Fortez- 
ze, correva  pericolo  di  edificarle  non  per  le ft elfo,  ma  pel  iuo 
Sovrano  .  Paolo  Abbate  del  Moniftero  del  Volturno  nell'An- 
no ^6'j,  impetrò  da  Pandolfo  e  Landolfo  Principi  di  Beneven- 
to ,  ut  ubicumque  ille  ,  vel  fuccejjores  iti  hereditnte  vel  Ì7i  perti- 
7ientia  ejusdem  Monajìerii  Turrem  aut  Cajìellum  Jecerint ,  Jemper 
in  potejìatem ,  &  dominationem  ejusdem  Monajìerii  ,  &  ejus  Ab- 
batibus  &  Re&oribus  eJfe  debeant  ,  &  nullam  dominationem  ibi' 
dem  babeat  Pars  nojìra  Publica  ,  cioè  il  Filco  d'efli  Principi. 
Così  Rozone  Vefcovo  d'Arti  nell'iVnno  p<^p.  per  facoltà  concef- 
fagli  da  Ottone  il  Grande  preflb  1'  Ughelli  ,  potè  Cajìella  , 
Turres  y  Merulos  ,  Mumtiones  ,  Valla  ,    Fojfas  ,    Fojfata  ,   cum 

Pro- 


Ventesima  SESTA.  4.25 

Propagn/tcuUs  flrueve  &  codificare .   Di   quefte  fortificazioni    era 
ouerntta  la  Citta  di  Torino  ne' vecchi  tempi  ;   ma  ne  relìò  pri- 
va per  iniquità  di  Amolone  Vefcovo  d'elTa,  ch'era  Rato  Arci- 
cancelhere   di  Lamberto  Imperadore  ,    fui  fine  del  Secolo  IX. 
Ecco  ciò  che  ne  Icrive  l'Autore  della  Cronica  Novalicienfe  , 
dove   fa  menzione  Ammuli  Epijcopi  Taurinenfts  ,    qui   ejusdem 
Ci'vitatis  Turres    &  Muros   pewerfitate  fua  dejìruxip  ,    Fuerat 
h(ec  /ìquidem  Civitas  condeìifijfimisTuYvihus  hcm  redimita^  Ò' 
ayrus  in  circuitu  per  totv.m   dcnynhulatorios  cum  Propugnaculis  dc- 
fuper  ,    atque  Antemuralibus  &c.    Che    la  facoltà  di  fabbricar 
Fortezze  foife  conceduta  anche  alle  perfone  private  ,  appari- 
rà da  un  Diploma  di  Berengario  I.  Re  dato  in  favore  di  Ri- 
fmda  BadefTa  del  Moniftero  Pavefe  di  Santa  Maria  Teodora  , 
opoidi  della  Porteria  nell'Anno  012.   Ivi  dice  il  Re  di  conce- 
derle  ccdificandi  Cafiella   i?t  opportii?jìs  locis  licefìtiam  ^   ufìacum 
Bcrtifcis^   Meruloru'in  Propugnaculis  ^  Aggeribus  ,   atque  Fojfiatis^ 
omnique  argumento  ad  F aganorum   infidias^   cioè   degli  Unghe- 
ri,  gente  venuta  dalla  Tai tarla,  e  tuttavia  Idolatra. 
v    Quelle,  che  fon  qui  appellate  Benefche  ^  e  Baltrefche ^  fi 
truovano  menzionate  da  gli  antichi  Autori  della  Lingua  Italia- 
na.  Erano,  fé  mal  non  mi  appongo,  cafotti  o  torricelle  di  le- 
gno con  picciole  fineftre  ,  dando  ivi  le  fentinelle  pronte  a  fca- 
gliar  faette  contro  i  nemici  .    Vi  fon  anche  nominati  Meml't  , 
oggidì  Tkffr/;  ,  parola  che  non  veggo   mentovata  dal  Du- Gan- 
ge .  Il  Menagio  la  tira  dal  Latino  Mirice  con  quefta  bella  fca- 
la  :   Mina^  Minum^  minulum  ^  menulum  ^  merulum  ^  Merlum  , 
Chi  può  crederlo?  Ferie  adi  Mirare  {\  iormo  Mirul a ^  che  de- 
generò m  Merlila^  cMerulus.   Lo  fi: elfo   furono  ikf^r;///,  q  Pin- 
na murorum^  e  dalle  loro  aperture  fi  laettava,  e  gittavano  faffi. 
In  un  Diploma  di  Lottarlo  IL   Re  d'Italia  dell'  Anno  ^48.  è 
data  licenza  ad  un  certo  Waremondo  di  edificare  Turres  ,    & 
Cajìella  cum  Meruliis ,   &  Propugnaculis  ,   &  cum  omni  bellico 
apparatu  .  In  un  altro  Diploma  di  Berengario  I.  Re  nell*  An- 
no pii.   vien   conceduta  a  Pietro  Vefcovo  di  Reggio  licentia 
coyìfiruendi  Cafirum   in  fua  Plebe  ftta  in  Vicolongo.   Per  tal  ma- 
niera a  poco  a  poco  e  Vefcovi  ,  e  Abbati  ,  Conti  ,   V^afll  ,  ed 
altri  Potenti  del  Secolo  fabbricarono  tanta  copia  di  Rocche  , 
Torri,  e  Fortezze,  che  nel  Secolo  X.  e  viepiù  nell'XI.   fé  ne 
mirava,  per  cos'i  dire  ,  una  felva  ,  fpezialmente  in  Lombardia. 
Pianta vanfi  tali  Fortezze  nel  piano,  ma  incomparabilmente  più 
Tomo  L  Hhh  nel- 


^i6  Dissertazione 

nelle  colline  e  montagne  ,  e  nelle  cime  d'efi'e  ,  acciocché  il  fì- 
to  rtelTo  accrefcefle  forza  a  quelle  fortificazioni  .  A'  tempi  an- 
cora de'  Romani  le  Caflella  per  la  maggior  parte  fi  folevano 
fondare  in  edìtts  locis .  Avrefte  veduto  allora  nelle  colline  e 
montagne  del  Modenefe  e  Reggiano  una  corona  di  Rocche  e 
Torri,  quafi  tutte  pofledute  dalla  ContelTa  Matilda  ,  non  so  fé 
con  titolo  di  Feudo  ,  o  Allodio  ,  o  perchè  ella  foife  ,  come  è 
molto  probabile  ,  Governatrice  ancora  di  quelle  Citta  .  Altre 
Fortezze  in  que'  fiti  ,  anzi  nel  refto  della  Lombardia  ,  appar- 
tenevano a  i  Conti  minori  ,  cioè  Rurali,  a  i  ValvafTori  ,  Capi- 
tanei,  Caftellani  (che  così  ne* Secoli  rozzi  richiamavano  an- 
che i  Signori  di  un  Caftello  )  ed  altri  Potenti  .  Eranvi  ancora 
Comunità  forenfi  ,  che  avendo  prefa  la  forma  di  Repubblica  , 
formavano  Rocche  e  Fortezze  per  loro  difela.  Ciò  ,  che  in  un 
paefe  fi  faceva  ,  trovava  tofto  de  gì'  imitatori  in  altre  parti  : 
il  che  non  so  dire,  fé  recaffe  più  vantaggio  o  danno  all'Italia, 
perchè  tanta  abbondanza  di  Luoghi  forti  cagionava  difcordie  , 
guerre,  edaffedj.  Facilmente  allora  avveniva,  che  queQi  Si- 
gnorotti iniultaflero  i  vicini,  o  fi  ribellaffero  alle  Città,  e  agli 
Iteffi  Regnanti.  Fin  rAnno^4<^.  Guido  Vefcovo  di  Modena, 
gran  faccendiere,  fece  tefla  ad  Ugo  Re  d'Italia;  e  però,  come 
fcrifle  Liutprando  nel  Lib.  V.  Cap.  12.  della  Storia  ,  elfo  Re, 
congregath  cop'tis  ad  ejus  Cajìrum  Vìneolnm  (  e  non  ÌSÌ'tveolayn  ) 
'veìitt  ^  idque  'virili  ter  ,  fed  in  ut  il  iter  ,  oppugnavit  .  E'  fi  t  nata  la 
Terra  di  Vignola  nel  Modenefe  preflTo  il  Fiume  Panaro  ;  ed  ivi 
io,  qualunque  mi  fia,  nacqui  nell'Anno  1^72.  Cosi  molto  fa- 
mofa  riufci  la  Rocca  di  Canofla  ,  piantata  in  un  faflTo  ifolato 
del  Contado  di  Reggio,  con  avere  fofferto  un  lungo  ed  inutile 
alfedio  da  Berengario  II.  Re  d'Italia  dopo  l'Anno  950.  De- 
fcrivendola  Donizone  nel  Libro  I.  Cap.  2.  della  Vita  di  Ma- 
tilda 5  COSI  parla 

Non  Aries^  Vulpis^  neque  Machina  prcevalet  ullìs 
I6iibus  excel fis  nojìris  pertingere  te  Bis, 

Del  pari  ,  per  atteflato  del  Continuatore  di  efTo  Liutprando  , 
Mons  Feretranus  ,  oggidì  Montefeltro  ,  qmd  Oppidum  SanHi 
Leonis  dicitur  ,  fervi  di  ricovero  al  fuddetto  Berengario  per 
gran  tempo,  finché  vinto  dalla  fame,  venne  in  potere  dell* 
Elercito  di  Ottone  il  Grands  Imperadore  nell'  Anno  p6^,  o 
nel  feguente. 

Quel 


Ventesimasesta.  427 

Quel  che  ora  conviene  offervare,  fi  è,  che  dopo  il  Mille  , 
e  malTimamente  nel  Secolo  XII.  fi  diedero  piìi  di  prima  gl'Ita- 
liani all' arte  della  guerra  .  Buona  parte  oramai  delle  Citta  di 
Lombardia,  Genoveiato,  e  Tofcana  avea  pigliata  forma  diRc- 
pubbhca  ,  e  a  confervarla  abbifognavano  di  danaro  e  d'indu- 
ftria.  Perciò  preiero  a  ricuperare  tutto  l'antico  loro  diflretto, 
troppo  dianzi  fmembrato  e  trinciato,  con  fottomettere  i  No- 
bili, che  più  non  ubbidivano  alla  Citta  .  Poi  fi  trattò  di  fare 
refilienza  a  gì'  Imperadori  ,  che  non  mantenevano  i  privilegi 
e  le  antiche  confuetudini  ,  ed  imponevano  aggravj  oltre  il  do- 
vere .  Primi  furono  i  Normanni  a  dare  efempli  di  mirabil  for- 
tezza e  difciplina  militare  nel  Regno  di  Napoli  e  di  Sicilia  nel 
Secolo  XI.  Probabil  cofa  è,  che  da  elfi  palTaiTe  ne  gli  altri  Po- 
poli d'Italia  l'amor  della  gloria  ,  e  l'applicazione  al  meftiere 
dell'Armi  .  Ciò  ,  che  avvenne  nella  lunga  guerra  tra  Federi- 
go I.  Augufto,  e  le  Citta  della  Lega  Lombarda  ,  fi  può  veder 
nelle  Storie  di  quc' tempi.  Gli  ftefli  Tedefchi  ebbero  allora  di 
che  imparare  dai  Lombardi.  Arnaldo  da  Lubeca  nella  Cron. 
Slavica  Cap.  p2.  narrando  1' affedio  fatto  nell'Anno  11^3.  di 
una  Citta  da  Arrigo  Lione  celebre  Duca  di  Baviera  e  Saffonia, 
cos'i  fcrive  :  Et  ftat'tm  prcecepit  ex  abundanti  ìiemore  Ugna  con- 
duci ,  &  aptarì  bellica  infìnimenta  ,  quali  a  viderap  faBa  in 
Lombardia  ,  id  eft  Cremds  ,  five  Mediolani  .  Fecitque  Machinas 
efficacijjlmas  ,  unam  tabulatis  compa6iam  ad  perfringendos  Mu- 
Yos  ;  alreram  njero  ^  qucs  exceljìor  erat^  &  in  turris  modum  ere^ 
Ba ,  fiiperexaltata  Cajìro  ad  dirigendas  Jagittas  ,  &  ad  abigen- 
dos  eos  ,  qui  Jìabant  in propugn acuii s  .  Era  antico  l'ufo  di  que- 
fte  Torri  mobili  fopra  le  ruote  in  Italia,  ed  alcuni  le  chiama- 
rono Phalas  .  Ora  ne*fopradettì  Secoli  gran  perfezione  acqui- 
ftarono  le  Macchine  militari  ,  e  maffimamente  quelle  ,  onde  fi. 
gittavano  fafll ,  chiamate  Bricola  ,  Mangana  ,  Petraria ,  Pre- 
derìce  ,  Tonorellce ,  Trabuchetti ,  Trabuchelli ,  Trabuchi ,  Man- 
ganellds  &c.  Ne'  Paralipomeni  dell'  Anonimo  Salernitano  da  me 
pubblicati  è  nominata  Machina  ,  quam  nos  Patriam  nuncupa- 
mus  .  E^  un  errore  dello  Stampatore  .  Si  dee  leggere  :  ^uam 
nos  Petrariam  nuncupamus ,  Tali  ancora  furono  i  Trabocchetti ^ 
la  qual  voce  nel  Vocabolario  della  Crufca  è  fpiegata  cosi:  Luo- 
go fabbricato  con  injidie ^  dentro  al  quale  Jì precipita.  Cos'i  in 
fatti  noi  intendiamo  oggidì  Ma  una  volta  Trabucheta  o  Tre- 
buchete  lo  fteflb  erano,  che  i  Trabuchi ^  cioè  Macchine  milita- 

H  h  h     2  ri , 


428  Dissertazione 

ri,  onde  fi  fcagliavano  farfi,  come  apparifce  dagli  efempH  reca- 
ti nel  medefìmo  Vocabolario  .  In  una  Lettera  dell'Anno  1220. 
che  fi  legge  nel  Tomoli.  Milcell.Baluz.  vien  detto:  Supermiam- 
quamque  Turrim  unus  Trabuchellus  fuit  ere6lus  .  Peraltro  è  vero, 
che  ne' Secoli  addietro,  allorché  godevano  buon  vento  i  Tiran- 
netti  nelle  gare  de' Guelfi  e  Ghibellini,  fi  usò  di  forare  il  pavi- 
mento delle  Camere  ,  e  coprirle  con  tavola  di  legno  chiamata 
Ribalta^  fopra  cui  chi  incautamente  metteva  il  piede,  precipi- 
tava al  baffo.  In  certa  Rocca  a  me  fu  moftrata  una  di  quelle 
detelìabili  invenzioni  .  Trabocchello ^  vien  dall'Italiano  Traboc- 
care^ e  dura  per  dilegnar  le  Trappole  per  prendere  forci  ,  uc- 
celli, e  fiere.  I  Franzefi  àìcorìo  Trebuchet , 

Torniamo  alle  Macchine  ,  che  traboccavano  faffi  e  pietre  , 
chiamate  da  gli  antichi  higema^  Tormenta  ^  Artìfic'ta^  ^d'tfi- 
ciay  e  Dìfici  da  i  Fiorentini.  Chiamaronfi  perciò  higeniarii  ed 
Ingemofi  i  fabbricatori  d'effe  ,  perchè  certo  fi  richiedeva  non 
poco  d'Ingegno  a  formarle  e  maneggiarle.  Dura  tuttavia  pref- 
io  di  noi  quella  voce,  e  s'è  ftefa  anche  ad  altri  Architetti»  Bar- 
tolomeo da  Neocaftro  nella  Storia  di  Sicilia  più  volte  nomina 
Ingenias.  E  dice  :  Lapides  Ingefiìarum  volvuntur .  Altrove  dice: 
JVlagiJler  Ingenia  Admiratì ,  qucs  'vocabatur  Cajìellionum  ,  ere^a 
diametro^  adeo  fubtiliter  ìngenìo  temperavh  Ingenìam  ,  quod  quo- 
tìens  ex  ipfa  lapìdes  tmm'tttebat  in  Cajìrum ,  Jìngulos  lap'tdes  ini- 
mtjìt  in  Puteum  ,  qui  vocatur  Baftlius  .  Nel  Memoriale  Poteft. 
Regienf  fi  legge  :  Et  habeb^m  Manganellas  inplauflris^  &ma7J- 
ganabant  eas  per  Carrocium  Parmce  &  homines  illius  partis.  Altro 
non  erano  le  Manganelle  ie  non  piccioli  Mangani ,  che  gittava- 
fio  pietre.  D'effe  ancora  è  fatta  menzione  negli  Annali  di  Caf- 
faro  all'Anno  1227.  Praticolfi  inoltre  di  applicare  un  nome 
proprio  a  quelle  Macchine,  e  maffimamente  àiLupo^  (t^Afino^ 
e  n'è  ben  antichiflìmo  il  coflume.  Ammiano  Marcellino  Lib.23, 
Gap.  4.  all' Anno  3^3.  defcrive  una  di  quelle  Macchine  ,  quds 
faxum  contorquet  ^  quidquid  incurrerit  collifurum .  Cui  etiam  Ona- 
gri 'vocabtilum  indidit  atas  novella  e  a  re  ,  quod  A/ini  feri  ^  quunt 
noenatibus  agitantur ,  ita  eminus  lapides  pò  fi  terga  calcitrando  emit- 
tunt ,  ut  perforent  pepiera  fequetnium  ,  aut  perfraElis  ojjibus  ca- 
pita  ipja  dtfplodant.  Lo  creda  chi  vuole  .  Ne  gli  Annali  Geno- 
vefi  dello  Stella  all'Anno  1372.  fono  riferite  Machina  plures  ^ 
magni  ponderis  lapides  jacientes  ;  &  pra  aliis  Machina  una  ^  qu<e 
Troja  (  cioè  Porca  )    'vocata  ,  jaciens  lapidem  ponderis  ,    quod 

Can- 


VentesimasestaI  429 

Cantarlorum  XIL  lifque  in  XVIIL  vocatur  .  Se  è  vero  ,  che.  il 
Cantaro  in  Genova  pefi  cento  cinquanta  Libre  ,  mirabil  cofa 
dovea  efTere  una  Macchina  potente  a  lanciar  per  aria  un  s\gran 
pelo.  PrefTo  il  Du-Cange  fi  veggono  elempli  d'altre  fimili Mac- 
chine portanti  il  nome  àìTro/a.  Ne  gli  Atti  della  Repubblica 
di  Modena  dell'Anno  130^.  fi  vede  nominato  BaUiJìum^  quod 
appdlatur  la  Lova  (  cioè  la  Lupa  )  valoris  &  extìmationis  tre- 
ceììtarum  Ltbrarum  Mut'menjtum .  Aggiungafi  Henrico  Rosla  Saf- 
fone,  che  per  teftimonianza  delMeibomio  Icriveva  circa  il  1287. 
Scrive  egli  : 

Non  he'ìc  un'tgena  fabrìcatur  Machina.   Nomen 
Hccc  Librili  a  tenet  y  quaft  fase  a  pondera  librans, 
Obtiner  ili  a  Suis  ;  fed  Hirundinìs  hosc  ;  fìat  yljelli 
Illa  Giocata   ?70ta. 

Cosi  Abbone  nel  Lib.  2.  de  objìd.  Parif.  ricorda  Arietes ,  vulga 
Carcamufas  refonatosy  cioè  appellati.  Nella  Vita  di  Cola  di  Rien- 
zo è  fcritto  ,  che  all'  afledio  di  Vetralla  i  Romani  fecero  una 
Afinella  de  Leno  ^  e  co?inuJferla  fi'  alla  Porta  della  Kocca  .  La 
?iotte  fé  fece ,  Quelli  della  Kocca  mejìicaro  Zoifo^  Pece  .^  Voglio  ^ 
Trementina ,  Lena ,  &  aitre  cofe  ,  e  j ettaro  quejìa  mejìura  fopra 
lo  deficio.  La  Aftnella  fo  in  quella  notte  ar'za  ;  la  domane  fo 
trovata  cenere.  Macchine  tali  fi  truovano  anche  appellate  Ar- 
resa &  Artifici  a  ,  onde  forfè  ulci  il  nome  di  Artiglieria  .  Ap- 
preso Guntero  Lib.  IIL  Ligur.  Mangano  vien  chiamato  Balea- 
rie  a  Machina  in  que'  ver  fi  : 

Exjìruìtur  mira  Balearica  Machina  molisy 
^hta  valido  lotigum  transverberat  aera  ja6lu, 

Jacopo  Spiegelio  nelle  Note  a  quefto  pafTo  ,  fcrive  :  Balearica 
Machina  y  idefl  funda^  qua  primum  inventa  efl  apud  Baleares 
Infulas.  Non  l'ha  intefo  .  Qui  fi  deferi  ve  non  ìd,  fionda  vol- 
gare, ma  bens'i  uno  fmiiurato  Mangano  .  Vero  è,  che  in  alcu- 
ne di  tali  Macchine  fi  lanciavano  colla  fionda  gran  faffi ,  come 
avvertii  Giufto  Lipfio  Lib.  IH.  Dial.  3.  Poliorcet.  Ma  Guntero 
parla  di  una  Macchma  gittante  pietre,  e  la  diftingue  dalla  fion- 
da ordinaria  con  dire  : 

Lapides  agitata  minores 

Funda  rotat  :   Magnos  Balearica   Machina  muros 

Incutiti  Ò'  duro  munimina  verberat  iUu, 

Truo- 


4.30  Dissertazione 

Truovafi  preflb  gli  antichi  Balea  ,  Baleare  ,  Balearius  per  gìt- 
tar  pietre  ,  piombo  ,  laette  .  Di  qua  venne  Baltjìa  ,  e  Baie- 
Jìra  dciì  greco  Ball  em  *  Odi  ora  ciò,  che  dall'Anonimo  Bene- 
ventano all'Anno  1042.  fu  fcritto  .  Maniaci  perrexh  in  Tra- 
ns ;  per  mare  &  terra  obfedit  eam  .  Fecìp  ibi  Tunem  excelfam 
lig?ìeam ,  &  fragore as  ma?ìculas ,  C^  Berbices  ,  ut  compreheìideret 
-  eam.  Abbiamo  ancor  qui  una  Torre  ambulatoria  .  Invece  di 
Manculas  ,  leggo  Machinas  tra&orias  ,  o  pure  Maticanas  ,  cioè 
Mangani  tiranti  faffi,  e  Berbices ^  cioè  Arieti, 

E  Q.UI*  fi  ofìfervi,  come  i  noftri  Etimologici  fi  fon  lambicato 
il  cervello  per  trovare  ,  onde  fia  venuta  la  parola  Magagna  . 
Gosi  ne  parla  Egidio Menagio  nelle  Orig.  della  Lingua  Italiana: 
Magagna^  difetto  ,^  Mancamento,  Credo  da  Mancare  ^  Manca- 
nus  ,  Mancana  ,  Macana  ,  Magana  ,  Magagna  .  Da  Machana 
Dorico  lo  cavano  il  Caninio  ,  e  il  MonoJtJii  ,  Voleva  il  Quieto  , 
che  derivajfe  da  Magus.  Magus^  MaganeuSy  Maganea^  Maga- 
gna,  AMangonibuSy  Mangonium^  Mangonia^  Magagna  ^  il  Si- 
gnor Ferrari,  Tutti  fogni.  Fuor  di  dubbio  è,  che  da M^;;^^;?;/^» 
venne  la  parola  Magagna  ,  Allorché  i  Mangani  lanciavano  e 
spargevano  una  pioggia  di  fa^j  ,  ne  recavano  morti  o  feriti 
Uomini  e  Cavalli,  per  nulla  dir  delle  cafe.  Perciò  gli  Uomini 
o  Cavalli  percoffi  dalle  pietre  de' Mangani  fi  dicevano  Manga- 
nati ,  e  Manganiatl  ,  Di  qua  invalfe  Magagnati  ,  e  Magagnare 
fignificante  il  ferire  col  Mangano  ;  e  Magagne  le  percoife  o  fe- 
rite cagionate  da  i  Mangani  ,  Si  fatino  mura  ,  che  /'  uomo  7ion 
puote  Magagnare  per  Difici  né  per  Mangani  ,  Cosi  nell'  antica 
Spofizione  del  Pater  Nojier  preffo  gli  Accademici  della  Crufca. 
Anche  Matteo  Villani  Lib.  I.  Gap.  22.  fcrive  :  E  i  loro  Cavalli 
erano  pili  fianchi  ,  e  Magagnati  dalle  Jaette  de  gì'  In  gì  e Jì  ,  La 
Lingua  Tedefca  tuttavia  chiama  Mangel  la  Magagna  ,  e  il 
Mangano,  Anche  gl'Inglefi  di  la  trafiero  il  loro  verbo  Manghy 
che  fignifica  percuotere,  ferire,  ftorpiare.  Par  cofa  incredibile 
il  trovar  nelle  vecchie  Storie,  di  quanto  gran  pefo  fi  gittaffero 
pietre  da  i  Mangani,  o  fia  dalle Petriere,  e  da  altre  fimiU Mac- 
chine, e  che  gran  danno  inferiffero  alle  cafe  e  a' nemici.  Tal- 
volta le  llefTe  Torri  più  forti  foccombevano  sfondandofi  i  tetti 
e  i  tavolati  ,  né  reftava  luogo  ficuro  di  quiete  a  gli  affediati  . 
Ciò  che  ora  fi  fa  con  tanto  maggior  fucceifo  e  frequenza  delle 
Bombe,  fludiavanfi  allora  di  far  gli  Uomini  con  quegli  ordigni. 
Né  il  dee  tacere  un  ripiego  e  riparo  inventato  in  que'  tempi , 

cioè 


Ventesimasesta.'  4.jt 

cioè  nell'Anno  1118.  per  infiacchire  o  rendere  vanì  i  colpi  de' 
faffi,  cioè  (tendendo  una  rete  di  corda  davanti  alluogo  infefta- 
to  dalle  Ferriere.  Pandolfo  Filano  nella  Vita  di  PapaGelafioH. 
così  fcrive  :  FachtìP  contra  Machinas  ,  njtneas  ,  balìjìas  ,  ty  ar- 
cus  .  Inde  primum  Refe  cantra  Petrartas  ad  Tunes  aperiendas 
ab  aflvto  ilio  Tf  ranno  (  Arrigo  I  V.  fra  gli  Augufti  )  in  dam- 
num  plurìmorum  ,  &  proficuum  multis  Ingenium  exquijitum  in- 
'ventum  efl  .  Che  invenzione  trovafTero  i  Saraceni  di  Erizza 
per  impedire  il  danno  ,  che  avrebbero  recato  i  Mangani  de' 
Pifani  nell'Anno  1 1 14.  ce  lo  fa  fapere  Lorenzo  Vernefe  o  Vero- 
nefe  Lib. IV.  Belli  Balear.  con  dire: 

Protegitur  murus  paunis  ,  latisque  tapetis , 

Et  Turres  habuerc  Jui   mu7iimìna  njejìes^ 

Fulcraque  collatae  luferu7ìt  jcspius  iólus 

Molis ,  Ò'  appojìfa  texerunt  e  etera  crates . 

Caffaro  nel  Lib.  L  Annal,  Genuen.  lafciò  fcritto  ,  che  nell'  alfe- 
dio  di  Tortola  dell'Anno  1148.  perchè  i  Saraceni  lanciavano 
lopra  il  Caiiello  di  Legno  de'Criltiani  petras  ducentarum  libra- 
rum  ponderis^  i  Genovefi  l?oc  cito  emendaverunt^  atque  Ketia  cbor- 
darum  juxta  parietes  Cajìelli  tanta  pofuerunt ,  quod  i6ius  petrarum 
Saracenorum   nullo  modo  timuerunt . 

UsARONsr  anche  allora  nell'efpugnazione  delle  Citta  e  For- 
tezze Vineód  o  Crates  di  molte  forme ,  alle  quali  la  Lingua  vol- 
gare diede  il  nome  di  Gatti  ,  fotto  le  quali  graticcie  i  foldati 
paffavano  fotto  le  mura  per  ismantellarle  .  Nel  Vocabolario 
della  Crufca  il  Gatto  è  definito  cos\  :  Inflrumeìito  bellico  da 
percuoter  muraglie  ^  il  quale  ha  il  capo  informa  di  Gatta,  La- 
fine  Aries ,  Tefludo  .  Non  han  colto  a  fegno  .  Lo  fteffo  Ber- 
nia  citato  da  loro  fcrive  : 

Gatti  teffuti  di  vinchi  e  di  leg^no . 
Ecco  le  Graticcie  ,  chiamate  Vineoe  da  i  Latini  .  Rolandino 
Lib.  VIIL  Cap.  13.  della  Cronica  meglio  c'iftruira  feri  vendo: 
JEdificium  quoddam  conftruxere  ,  quod  njulgo  Vinca  dici  tur  y 
ideft  Gattus  ,  Più  fotto  :  ^i  fub  Gatto  erant  .  Anche  il  Dan- 
dolo ci  fa  fapere  ,  cum  Gatto  fuppojitum  fuijfe  ignem  Portce  AU 
tinati  di  Padova.  Parimenti  i  Cortufi  Lib.  V^IL  Cap. 7.  hanno 
le  feguenti  parole:  Fiunt  Vinece ; five Gatti ^ pontes ^Ò [calce  &c, 
E  Niccolò  Speciale  nella  Storia  di  Sicilia  Libro  L  Cap.  i  5.  fa 
menzione  de  trahìbus  ligneis  ,  quas  vulgo  Gattas  appellatJt  .  E 

Bar- 


452  Dissertazione 

Bartolomeo  da  Neocaftro  nella  Cronica  Siciliana  nomina  Gat- 
tum  eximium  extrabibus»  Più  chiaramente  ne  parla  Guglielmo 
Britone  Lib.  VII.  Philipp. 

Huc  facìufit  reptare  Catum^  te6lique  fub  ìlio 
Sujfodiuiìt  murum,  -  -  - 

Son  citate  dal  Da-Cange  quefte  parole  di  Vegezio  :  Vineas  dì- 
serimt  njeteres^  quas  nunc  militari  barbaricoque  ufu  Cattos  'vocant , 
Lipfio  elegantemente  defcrive  le  Vinee  ;  ma  non  s' ha  da  dif- 
fmiLilare,  in  vece  àìi  Cattos^  altri  tefti  di  Vegezio  hanno  Cau- 
cias^  e  Cautias  .  Ma  per  meglio  intendere  ciò  che  fofìTero  i  Gat- 
ti, s'oda  Ottone  Morena,  il  quale  deferi  vendo  Gatum  ingentis 
molisj  fabbricato  per  ordine  di  Federigo  I.  Augnilo,  fra  faltre 
cofe  dice  :  In  ipfo  enim  Gafo  quidam  Trnbs  ferrata ,  quam  Ber- 
cellum  appellabant  ,  conflabat  ,  quam  ìpji  ,  qui  itifra  ipfum  Ga- 
tum fuerant^  fori  s  plus  de  vi  gin  ti  brachiis  projictentes^  in  murum 
ipjìus  Caftri  mirabiliter feriebant .  L'edizione  dell' Ofio  in  luogo 
dì  Bere  eli  um  ha,  Barbi:?^llum .  Meglio,  perchè  formato  da  Eér- 
bix  Berbicìs^  fignificante  Ariete^  Montone.  Dal  che  s'intende, 
che  fotto  i  Gatti  fi  menava  V  Ariete  per  rompere  le  muraghe, 
e  che  per  confeguenza  furono  Macchine  compofte  di  legnami 
e  graticci  ,  delle  quali  anche  fi  fervivano  per  ripararfi  dalle 
pietre  e  faette  de' nemici.  Di  qua  venne,  che  anche  certe  Na- 
vi coperte  ,  fotto  le  quali  fi  afcondevano  i  Soldati  ,  riportaro- 
no il  nome  dì  Gatte,  Bartolomeo  Platina  Lib.  IV.  HiJl.Mant, 
fcrive  :  ^)uatuor  naviculas  fubmijjit  undique  coopertas^  quasGat- 
tas  tncolcs  vocant  ,  relióiis  ab  uno  latere  fenejìris  quibusdam  , 
unde  tuto  fecuribus  ac  dolabrìs  exfcindere  pontem  liceret  .  Mu- 
fculus  &  Murilegus  talvolta  ancora  fu  appellata  quella  Mac- 
china . 

Del  refto  nota  cofaè,  che  anche  a' tempi  de' Greci  e  Ro- 
mani furono  in  ufo  le  Macchine  per  gìttar  fafli  ,  e  di  quefte  fi 
fervivano  tuttavia  i  Romani  del  Secolo  IX.  Si  àkoh'i  Anaflafio 
nella  Vita  di  Gregorio  I  V.  Papa  ,  che  cosi  fcrive  circa  1'  An- 
no 825?.  In  Civitate  Oftienfl  Civitatem  aliam  a  folo  valde  forti f 
Jìmam^  muris  quoque  altioribus^  ac  ferìs  y  &  cataraóìis  eam  undi- 
que permunivit^  &  defuper  ad  inimicos  (  cioè  Saraceni)  Ji  vene- 
rint ,  expugnandos  Petrarias  nobili  arte  compofuit  ;  &  a  foris  no?i 
longe  ab  eisdem  muris  ipfam  Civitatem  altiori  fojfato  prcecinxit , 
ìie  faciliu^  muros  contingere  ijìi  valercnt ,  Ecco  la  maniera  tenuta 

allo- 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  SE  S  T  A  I  ^.jj 

allora  per  fortificar  le  Piazze  .  Non  vi  mancavano  mai  le  Fe- 
rriere •  e  quefte  s'  andarono  tanto  perfezionando  ,  che  nel  Se- 
colo XII.  e  XIII.  fi  icagliavano  per  aria  fa^  di  fmifurato  pefo, 
che  fracaflavano  Uomini  e  cafe  .  Se  s  ha  credere  a  Rolandino 
Lib.  VI.  Gap.  ^.  allorché  Eccelino  da  Romano  nell'Anno  124^. 
aflediò  la  Rocca  d'ERe  ,  adoperò  XJK  j^dìficia  trahuccantta 
iind'tque  tpjnm  Koccham  .  Et  rotabant  ^dìficia  qucedam  lapìdes 
ad  iplum  Cajìrum  ponderis  Lihyarum  Mille  ducetitarum  &  ultra. 
Gli  AnnaH  vecchi  di  Modena  all'Anno  1255.  notano:  Trabu- 
tum  Mutinenfium  ,  qui  fa6lus  fuerat  iti  Platea  Communis  Muti- 
7ide  cu/US  pertica  erat  quantum  jes  paria  boum  ducere  poterant  . 
Gran  rottura  di  cafe  faceano  quelle  si  pefanti  gragnuole.  Ful- 
vio Azzari  nella  Storia  MSta  di  Reggio  fcrive,  vederfi  tuttavia 
fopra  1^  Porta  di  Santa  Croce  un'  Ifcrizione  ,  che  ben  merita 
d'^effere  rapportata ,  perchè  vi  fi  fa  menzione  d'uno  de  gli  Ante- 
nati del  Santiffimo  regnante  Pontefice  Benedetto  XIV. 

Amw  M.  C.  No?2ageJfmo  Vili, 

Hoc  opus  ejì  aHum  ^  Guidonìs  tempore  fa&um  j 
,^ui  Lambertini   Cognomen  gejìat  ylnjini 
Hunc  hominem  cautum  tribuit  Bononia  lautum 
Urbi   Regine   Re&orem  celibe  fide  . 
Befmantum   cepit  ^  Pul^anum  grandine  fregit, 
Hanc  Portam   Crucis  ce7ìfemus  jubare  lucis. 

Quelle  parole  Pulganum  grandine  fregit  vogliono  fìgnifica- 
re,  che  le  Petriere  del  Podeffa  di  Reggio  lafciarono  una  lagri- 
mevol  memoria  nelle  Cafe  del  Calleìlo  di  Pulgano  ,  o  fia  Pu- 
gHano  .  Ma  ,  come  avvertì  Domenico  da  Gravina  nella  fua 
Cronica  ,  gran  danno  bensì  recavano  quelle  Macchine  ,  ma  di 
rado  obbligavano  una  Citta  alla  refa .  Capitanei  (  così  egli  fcrive  ) 
di6ii  exercitus  ab  esteriori  parte  Trabuccos  quatuor  erexerunt  ,  per 
quos  continuo  noóle  ,  dieque  lapides  jaciuntur .  Sed^  ut  tunc  'vidi  , 
exijìimo  ,  numquam  per  Trabuccum  Terram  pojfe  acquiri  :  quO' 
72Ìam  Trabuccus  non  ad  aliud  bonus  ejì ,  nijì  in  acquijìtione  Ca- 
Jìrorum  ^  licet  ex  iHibus  Trabuccorum  ipforum  ^  &  fraSiionibus  la- 
pidum ,  quos  jaciebant  ,  plurimi  perii [fent  homines  in  Berdefcts  , 
&  Berdefcas  plurimas  infregijfent ,  Giacché  abbiam  per  le  ma- 
ni quefto  Scrittore,  fioifervi,  ch'egli  fa  menzione  d'un  altro 
ordigno  militare,  cioè  Aq  Mantelli  all'Anno  1350.  con  dire: 
Tomo  I,  I  i  i  Fece- 


434-  Dissertazione 

Fecarunt  etìam  Caphanei  ipjì  divcrfa  higenìa  lìgnea  pra^pavarì , 
Tontes  y  Cajìra  (cioè  Gattelli  di  legno)  Scalas  ^  Gattos  ^  & 
Maìipellos  ,  Fundas  plurimas  ,  &  Balijìas  ;  &  tigna  plurima  , 
feu  frafcas  hicidere  ,  ut  cum  eis  Ò'  es  eis  fojfatis  adhcereant ,  Ò* 
fojfatos  faciam  onerare  .  Anche  in  Ifpagna  per  eiempio  recato 
dal  Du- Gange  fi  vede,  ch.^  Mantellets  &  Gates  erano  Macchi- 
ne da  guerra  .  De' Gatti  abbiam  parlato,  ma  qual  cofa  folTero 
i  Mantelli  ,  noi  so  dire  .  Credo  metaforicamente  detto  Sman- 
tellare una  Torre  o  Rocca,  cioè  cavarle  il  Mantello  con  atter- 
rar le  mura  .  Pietro  Azario  nella  Cronica  icrive  del  Conte  di 
Urbino  :  qui  fuper  Circhis  ipfius  Terree  Scarpariae  Mantellos  fir- 
mos  tenens^  defcnfores  graviter  offendebat  .  Forte  furono  ripari 
ficuri  per  iflarvi  al  coperto.  Da  Bartolomeo  da  Neocaftro  fono 
ancora  menzionate  Ciconids  bipennes.  Forte  furono  Macchine  a 
guiia  del  Latino  Toilenone  ,  atte  anch'effe  a  gittar  groffe  Pie- 
tre. Talvolta  in  vece  di  iaffi  venivano  fpinte  immondezze  nelle 
Citta  affediate  per  difp rezzo,  e  fcorno  de' Cittadini.  Nel  1249. 
ebbero  i  Modenefi  una  gran  rotta  da  i  Bolognefi,  e  vi  rtiib  pri- 
gione Enzo  Re  di  Sardegna  .  Allora  fu,  come  fcrive  l'Autore 
de  gli  Annali  Bolognefi  da  me  dati  alla  luce  ,  che  del  Mefe  di 
Settembre  i  BologneJÌ  C072  grande  ojìe  ajfediarono  Modena  per 
cinque  Settimane  ,  e  fecero  vie  coperte  ,  e  con  Trabucchi  butta- 
ro?io  molte  pietre  tìella  Città  ,  e  nji  gittarono  un  Aftno .  Ma  do- 
vea  aggiugnere  queRo  Ktorico  ciò,  che  il  Sigonio ,  il  Ghirar- 
dacci,  ed  altri  fcriffero  ,  cioè  che  il  generolo  Popolo  di  Mo- 
dena irritato  da  quedo  infulto  ,  sboccò  tofto  dalla  Citta  con 
tal  empito  ,  che  prefa  la  Briccola  ,  con  cui  era  flato  lanciato 
r  Afino  ,  la  conduffero  a  man  falva  con  allegri  Viva  nella  Cit- 
ta .  Per  atteftato  ancora  di  Ricordano  Malafpina  Gap.  120.  i 
Fiorentini  nel  1232.  Ajfediarono  Siena  dalle  tre  parti  ,  e  con 
molto  edifìcio  vi  gittarono  dentro  pietre  affai  ^  e  per  più  dijpet' 
to  vi  Mang^anarono  entro  Aftni ,  e  molta  bruttura  ,  Vedemmo  di 
Ibpra  dato  il  nome  d'i Afìno^  e  Troja  a  i  Mangani.  Altri  prefi 
parimente  dalle  Beftie  fi  davano  a  gli  altri  ordigni  per  forar  le 
mura  ,  o  per  altro  bifogno  .  Ottone  da  San  Biagio  defcrivendo 
l'affedio  di  Aleffandria  fatto  nel  117 1.  da  Federigo  I.  Auguflo, 
fcrive,  ch'egli  Talpas  ^  Vulpeculas  ^  Ericios  j  Cattos^  (^talibus 
enim  cenfentur  7ìomi?iibus  )  exuri  prcecepit . 

Le  Torri  di  legno  ,  che  allora  fi  ufavano  ,  chiamate  anche 
Caftellij  pofle  fopra  ruote,  da  che  era  fpianata  o  riempiuta  la 

foffa, 


Ventesimasesta.  4j5 

fofìfa,  fi  accodavano  alle  muraglie  delle  Citta,  e  dalla  fommitk 
d'effe  i  Soldati  combattevano  con  quei  di  dentro;  e  fé  la  vede- 
vano bella  ,  calato  un  Ponte  ,  faltavano  Tulle  mura  .  Dardi 
eziandio  infocati  fi  fcagliavano  nelle  Cafe  per  bruciarle  :  coftu- 
me,  che  gl'Italiani  apprefero  da'Greci,  preflb  i  quali  celebre 
fu  una  forta  di  Fuoco  terribile,  che  né  pure  coli' acqua  fi  eftin- 
gueva  .  Noi  vediamo  anche  menzionati  da  Ottone  Morena 
Mamyanos^  Preteriasque  ,  &  Scrimalias  ,  feu  Machinas  ,  cetera- 
que  defenftonts  Cremoe  tnjìrumenta  .  Furono  a  mio  credere  le 
Scrtmal'te  cafelle  di  legno  per  iliarvi  al  coperto  dall'  armi  ne- 
miche fulle  mura.  Lo  fieffo  i\utore  avea  detto  di  fopra  :  Fe- 
re nullus  e  Cremcnjìbus  ibi  ad  Scrimalias  ,  feu  Machinas  ìpjìus 
Cajìri  apparere  potcrat  ,  quod  Balijìrerii  ,  qui  infra  ipfum  Ca- 
fìrum  fuerant  ^  flatim  non  interfìcerent  illos ,  Perciò  le  Scrimalie 
io  fteflb  fignificavano  che  Difefe  dal  Tedefco  Schirm  e  Schir- 
men^  onde  il  noRro  Scherma^  fchermirji  &c.  Quegli  ordigni  an- 
cora, che  Cavallo  di  Frifta  fi  appellano  nella  milizia,  non  fo- 
no invenzione  de'noftri  tempi  .  Niccolò  da  Janifilla  nella  Cro- 
nica da  me  pofta  nel  Tom.  Vili.  Rer,  Italie,  mentre  deferivo 
le  guerre  di  Manfredi  polcia  Re  di  Sicilia  ,  cosi  fcrive  :  Fa&a 
flint  de  Ingenio  lUarchionis  Berthnldi  qu<gdam  lignea  inftrumen- 
ta  triangulata^  fìc  artifìcioje  compofìta^  quod  de  loco  ad  locum 
leviter  ducebantur  ,  &  quocumque  modo  revolveretitur ,  fuper  ex 
uno  capite  eresia  confìabant .  His  ergo  ligneis  ìnflrumentis  P apa- 
lis  exercitus  ex  illa  parte  ^  qua  erat  exercitus  Principalis  afpeHus^ 
fé  circumcinxit  ;  &  ftc  fé  ipforum  compojttione  vallavit^  ut  non 
de  facili  ex  illa  parte  pojfct  irrumpi .  Truovo  ancora  adoperati 
triangoli  di  ferro  fparfi  per  la  campagna,  per  impedir  l'accef- 
fo  o  la  fcorreria  de'  Cavalli  nemici  .  Badiamo  ora  al  Ghirar- 
dacci  nella  Storia  di  Bologna  ,  il  quale  fcrive  ,  che  i  Bolognefl 
nell'Anno  13 14.  mandarono  quaranta  Graffii  all'  e  fere  ito  del 
Frignano,  Credette  il  Du-Cange  incitar  quelle  parole ,  effere 
iìsilo  il  Graffio  fpeciem Machina  bellica;.  Ma.  ììGraffio^  appellato 
da'Franzefi  Croc  ^  altro  none  che  uno  (tramento  con  più  un- 
cini di  ferro  ,  che  ii  ufava  nella  difefa  delle  Piazze  .  Gli  Har- 
pagones  de' Latini  o  furono  lo  (ledo  ,  o  erano  poco  differenti. 
Si  calavano  dalle  mura  1  Graffi  contra  coloro  ,  che  volevano 
falire  ,  o  rompere  elle  mura  ;  e  fé  con  gli  uncini  alcun  veni- 
va colto,  fé  gli  faceva  far  un  bel  volo,  tirato  su  torto  per  aria. 
Dion  Caflio  nella  Vita  di  Severo,  e  Tacito  nei  Lib.IV.  Hiitor. 

lii     2  fan 


4^5  Dissertazione 

fan  vedere  non  ignoto  a'  fuoi  dì  queflo  coftume  ;  e  fi  truo- 
va  anche  dopo  il  Mille,  come  apparilce  da  varie  Storie  nella 
mia  Raccolta.  Fra  gli  altri  Storici  Galvano  Fiamma  Gap.  143. 
Manip.  Fior,  deicrivendo  l'afledio  di  Milano  fatto  da  Corra- 
do I.  Auguflo ,  dice  :  Armis  fulgebat  terra  .  Uncinìs  ferreìs  at- 
trahìtuY  hoflis. 

Da  che  dopo  il  Mille  e  cento  tante  Citta,  e  Luoghi  fi  eref- 
fero  in  Repubblica  per  l'Italia,  ogniqualvolta  s'avea  da  far 
ode  contro  i  nemici,  tutto  il  Popolo  atto  all'armi  dovea  pren- 
derle, e  ufcire  in  Campagna  .  Se  fi  faceva  l'affedio  di  qualche 
Cailello  ,  ora  una  parte,  ed  ora  un'altra  d'effo  Popolo  (  fi  di- 
mandavano Quartieri)  vi  andava  a  campo.  Credo,  che  non  rin- 
creicera  ad  alcuno  d'intendere,  come  la  Repubblica  di  Modena 
fi  regolaffe  nell'Anno  1^06,  Efiffce  nel  di  lei  Archivio  la  rifolu- 
zione,  ch'efla  prefe  in  un  brutto  frangente.  Providerunt Domìni 
Toteflas  ,  Capitaneus  ,  &  decem  Sap'tentes  per  quamlìhet  Portam 
deputati  .  Primo  y  quo d  fiat  una  elenio  centum  Militum  inter  Ci- 
'ues  Mutince  y  &  quod  cavalcata  eorum  debeat  durare  per  unum  Ari- 
num  ;  Ò'  quod  quilibet  ex  ipjìs  Militibus  hahere  debeat  a  Commu- 
7ìi  Wlutin(R  trigtnta  libras  M.utinenjtum  prò  equo  in  toto  ditìo  An- 
no. Secundoy  quod  quilibet  equus  Jìt  valoris  quadraginta  Librarum 
jMutinefìJium  .  Tertio  ,  Jl  equitabunt  in  fervitium  Communis  & 
Populi  Mutinenjìs  ,  extra  Mutinam  pernottando  ,  habere  debeanp 
a  Communi  Mutince  illud  foldum^  quod  videbitur  Defenfori  &  Con- 
Jìlio  Populi  Mutinenjìs  .  ^hiarto^  quod  eligantur  duo  millia  pedi- 
tum  de  Civitate  Mutince  ,  de  quibm  ejfe  debeant  ducenti  Balijìe' 
rif ,  Ò'  ducenti  Pavefarii  .  ^uÌ7ito  ,  quod  eli^yantur  de  Villis  & 
Communibus  Villarum  dijìrióius  Mutince  mille  pedites  ,  trecenti 
quorum  Jint  Guajiatores  de  Zapis ,  Vanghis  ,  fecuribus  ,  &  ro7tzi' 
leis  .  Sexto ,  quod  eligantur  unus  Dominus  ,  &  unus  Notarius  pr» 
qualibet  Porta  ,  qui  faciant  par  ari  Trabuchos  ,  Jìve  Manganos  y 
Balijìas  grojfasy  Sagittamenta  ^  Trulos  y  Ò'  alia  necejf  aria  .  Se- 
ptìmo  ,  item  providerunt  de  eligendo  mille  pedites  ,  qui  appellen- 
tur  Societas  Sanali  Geminiani  j  &  de  uno  Vexìllo  facìeìtdo  ,  quod 
vocetur  Vexillum  Jujììtide .  ElTendochè  nel  primo  Capitolo  fi  par- 
la de  Militibus  ,  convien  qui  ilìruire  i  Lettori  poco  periti  del 
fignificato  di  quefta  voce.  Da  i  Latini  furono  appellati M/Z/Vé-^, 
tanto  i  pedoni  che  i  cavaUeri,  e  lungo  tempo  durò  tal  ufo.  Nel- 
le Leggi  Longobardiche  Exercitales  fi  veggono  appellati  gli  uni 
e  gli  altri  .  Ma  in  un  Capitolare  di  Sicaido  Principe  ài  Bene- 
vento 


V  E  N  r  E  S  I  M  A  S  E  S  T  A  .■  4J7 

vento  nel  Secolo  IX.  al  Gap.  20.  fi  It^gge  :  Ut  7ìo?2 prcefumat  ali- 
quis  Tertiatoreyyj  Exercttalem  aut  Milusm  facere  .  Gap.  21.  Si 
Teni^tor  ab[co?ìje  Exerchalis  faHus  fuerif  ^  aut  Miles  .  Qtai  tro- 
viamo differenza  uà  Exercitalem&Militem,  lì  Miles  non  può 
fi^niftcar  Vajjfallo  o  Nobile^  come  ne' Secoli  iuffcguenti  fu  co- 
tal  voce  ulata ,  perchè  Tertìatores  pare  che  non  altro  follerò 
che  oente  vile  ,  come  i  Famigli  dell'Armata  o  i  Servi.  E  pe- 
rò foricr  fin  allora  colla  parola  Miles  fi  cominciò  a  diftinguere 
il  Soldato  a  Cavallo  per  differenziarlo  dai  Fanti  :  il  che  diven- 
ne poi  cofa  familiare  preffo  gli  Storici  de' Secoli  fuffeguenti  , 
come  apparifcc  da  infiniti  elempli.  Lo  fapeva  certo  il  Du-Gan- 
ge,  ma  non  so  perchè  noi  notaffc  nel  iuo  Gloffario.  Senza  tale 
avvertenza  fi  maravigliano  alcuni,  in  leggere  le  Storie  ,  dello 
fcario  numero  de'  Soldati  d'  allora  ,  perchè  prendono  Milites 
femplicemente  per  uomo  di  guerra.  Ne  gli  Statuti  del  Popolo 
Ferrarele  dell'  Anno  126^.  fi  legge  Jurame?itum  omnium  Ct- 
'vium  Ferrarienjìum  Domino  Marchiani  Ohi':i^ni  .  Quivi  fon  le 
fe^uenti  parole  .  Rt  ad  manutenendurn  Civitatem  FerrariiS^  Ù* 
Di/ìrióiwm  ,  &  ipjius  Domini  Marchionis  honores  ,  &  jurisdicìto- 
nem  conjuetam  ^  &  operam  bona  fide  dabo  per  Milites  ^  Pedites  ^ 
Balijìrerios^  CT  Navigium  ad  totam  ipjius  Domini  Marchionis  njo- 
luntatem  &c.  Polcia  nel  Secolo  XIII.  e  XIV.  Milites  a  duobus 
equisy  o  pure  a  tribus  equis.  In  uno  Strumento  di  Lega  del  Po- 
polo Brefciano,  fitta  nell'Anno  1252.  fu  (labilito  :  Ut  de  qua- 
dringentis  Militibus  quilibet  ipforum  habere  debeat  tres  equos  ,  In- 
ter quos  imum  bonum  &  idoneum  equum  armigerum  habere  debeat 
&  coopertum  .  Ft  alii  duce?ìti  duos  equos  prò  quolibet  habere  de- 
beante  inter  quos  unus  bonus  armigerus  debeat  ejfe  equus ,  Però 
Fra  Giacopone  da  Todi  Lib.  III.  Ganz.  25.  diffe  nel  Secolo  XIII. 

Non  vuol  nullo  Cavalieri 
Che  non  ferva  a  tre  deftriert. 

Cioè  ogni  Uomo  d' armi  (  che  cosi  li  chiamavano  )  o  fia  il  Ga- 
valiere  ,  o  Soldato  a  cavallo  ,  avea  da  avere  un  gagliardo  de- 
ftriere  per  foftener  l'uomo  armato  *  E  quello  menava  leco  uno 
o  due  Scudieri,  che  a  cavallo  portavano  lo  Scudo,  e  la  lancia 
del  Padrone,  e  combattevano  poi  anch'  effi  all'occafiene  ,  per 
nulla  dire  di  un  famiglio  per  lor  fervigio . 

FoRs' anche  tal  coliume  fi  offervò  fino  ne' tempi  de' Longobar- 
di.  Imperocché  per  afferzione  di  Procopio  Lib. IV.  Gap.2(5.  ^^ 

Bello 


4]8  Disse  Ps-TAzioNE 

Bello  Gothko  ,  Audulnus  Langobardorum  Rex  a  Jujl'mlano  Augu- 
Jìo  multa  pecunia  ^  &  foederis  Jan6ììone  iriduóius^  deleóiu  fuorum 
habito  ,  bis  mille  ducentos  (  fé  pure  non  s'ha  da  leggere  ^in- 
gentos^  bellatores  egregics  auxilio  miferaf^  hisque  in  faynulatum 
fiddiderat  amplius  tri  a  pugnatorum  millia  ,  Anche  Liutprando 
Storico  Lib.  IL  Gap.  (^.  Icrive,  che  Adalberto  Marchefe  d'Ivrea 
sbaragliato  da  gli  Ungheri,  coU'aftuzia  feguente  fi  falvò.  Cioè 
'vilibus  fé  Militis  induit  'vejìimentis  ;  captusque  ,  &  fcifcitatus 
quis  ejfet ,  Militis  cujusdam  je  Militem  ejje  vefpondit  .  Però 
non  conoiciuto,  e  menato  a  Calcinala,  'uiltffimo  pretio  compa' 
ratur  .  Emit  nutem  illum  fuus  ipjius  Miles  nomine  Leo  .  Dal 
che  apparilce  ,  che  gli  Uomini  d'armi  aveano  fotto  di  sé  aiu- 
tanti a  combattere.  Offervate  gli  Annali  di  Genova  di  Caffaro 
all'Anno  1225.  dove  s'incontrano  le  ieguenti  parole:  Comes 
Thomas  de  Sabaudi  a  per  injlrumentum  ^  &  pa6ium  inde  faóium  j 
cum  ducentis  Militibus  ufque  ad  menfes  duos  Jìare  in  exercitti 
ad  fer'vitium  Communis  Januce  tenebatur  .  Et  inde  habere  de- 
heat  ^  &  habuit  Libras  XXVI.  prò  Milite  cum  Dowzello  arma- 
tis  ,  &  duobus  Scutiferis  omni  menje  ;  &  prò  fua  perfona  cen- 
tum  Marchas  argenti  ;  &  prò  Capitaneis  tribus  prò  quolibet  Li' 
bras  quinquaginta  ,  &  emendationem  damni  equorum  pradióio" 
rum  ^  &  magnatorum  nihilominus  ^  &  armatorum  »  In  vece  del- 
le ultime  parole  s'ha  da  {cÙv^yq  Magagnatorum  ^  &  armorum. 
Più  fotto  fi  legge  :  I?7  ipfo  exercitu  fuerunt  njiri  tiohiles  Lotberin- 
gus  de  Martinengo  Civis  Brixienjìs  cum  Militibus  quinquaginta y 
quorum  quisque  erat  cum  duobus  equis  ,  &  cum  tribus  Scutif erti 
&  Don'zellis  bene  armatis  &c.  Dice  ben  armati,  perchè  anche  | 
gli  Scudieri  menavano  le  mani  al  bilogno  .  Qiiivi  in  oltre  è 
fcritto,  che  il  Podefta  di  Genova  mandò  in  foccorfo  de  gli  Adi- 
giani  Milites  trecentos  optime  armatos  ,  quemlibet  cum  Salvine- 
rio  ^  Ù"  duobus  Scutiferis  ,  Va  corretto  quel  5'/7i;/;?mo,  e  icritto 
Saumerio^  o  Saumario^  cioè  un  giumento  portante  il  bagaglio, 
onde  la  voce  Italiana  Somaro^  che  i  Modenefi  hanno  riftretta 
agli  Afini.  I  Cavalieri,  o  fia  ^[Uomini  d  armi  ^  andavano  in 
guerra  tutti  armati';  lo  Scudo,  la  Lancia,  e  forfè  l'Elmo  fuo- 
ri delle  battaglie  erano  portati  da  gli  Scudieri  ;  e  fi  fervivano 
di  Cavalli  grofli  e  gagliardi ,  coperti  anch' effi  ài  qualche  for- 
la  di  maglia,  Chiamavanfi  Defirieri  ;  ricchi  e  grò j]ì  Cavalli  fon 
chiamati  da  Giovanni  Villani  .  Cavalcavano  li  Scudieri  fopra 
Cavalli  minori,  appellati  Ro«c/w/ ,  Radolfo  Milaneie  de  Reb. 

gcft- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  S  T  A  .  ^  jp 

peft.  Fr'td,  I.  neir  Operetta  da  me  pubblicata  nel  Tomo  VI. 
Rew  hai.  parla  in  quella  forma.  Interea  Mìlttes  Medtolam  egre- 
d'tehnntur  de  Ctv'itatc  ,  Ò'  auferehant  Scutiferis  exerchus  Ronci- 
710S  •  &  tantos  ahfliìleru7ìt ,  quod  Roncìnus  quatuor  Soldis  Tertio- 
lorum  tfi  Civitate  vcìidehatitr  .  V  erano  ancora  Palafredi  ,  o 
Palafreni ,  onde  venne  la  voce  Italica  Palajreno  .  Io  fon  di  pa- 
rere ,  che  fé  ne  ferviifero  i  Cavalieri  fuori  de' combattimenti . 
Rolandino  Lib.  II.  Gap.  V.  Chron.  defcrivendo  una  Zuffa  tra 
i  Padovani  e  Tedefchi,  così  parla  :  De  Theutonìcts  ettam  al'tquì 
puanaveruut  prudenter  ,  ut  quosdam  de  Paduanis  proJìernerenP  , 
dum  Dexrrariis  per  campum  errantibus  ^  Paduanì  quidam  in  P a- 
ìafredos  afcendevent  ^  &  nl'iquì  m  Roncìnos  ,  Il  medefimo  aveva 
Icritto  nel  Lib.  X.  Gap.  15.  ICunc  di6lum  fuh  ^  Eccelinum  de 
Vextrario  fuijje  proflyatum  ;  fed  tn  flrep'ttu  tanto  non  cognìtus  ^ 
ajcendit  in  Palafedmm  .  A  i  Cavalli  nobili  e  ammaeftrati  per 
Je  battaglie  fu  dato  il  nome  di  Dextrarii^  perchè  fi  conduce  va- 
ro fenza  alcuno  fopra  da  gli  Scudieri  alla  lor  mano  dcftra  , 
per  darli  poi  al  Cavaliere  ,  allorché  s'  avea  a  far  battaglia  ; 
perciocché  effi  Cavalieri  in  viaggiando  fi  fervivano  di  Palafredi 
o  Roncini,  per  aver  più  frefchi  e  non  ftanchi  i  Cavalli  da  guer- 
ra.  Niccolò  di  Jamfilla  lo  compruova  dicendo:  Aliqui  de  comi- 
tiva Pvincipis  Manfredi ,  qui  ad  tant<s  ultionem  injurice  locum  Ji- 
bi  videbant.,  &  tempus  oblatum^  defcenderunt  de  Ronce?iis  ^  quos 
equitabant^  &  Dejìrerios  afcenderunt ,  Più  fotto  parla  del  Mar- 
chefe  Oddone,  il  quale  udito,  che  il  Principe  Manfredi  era  en- 
trato in  Nocera  ,  Miratus  nimis  atque  turbatus  ,  de  Roncino  , 
quem  equitabat  ,  dejcetidit  ,  &  Dextrarium  fuum  ,  qui  [ibi  a 
d extris  ducebatur  ^  afcendit  ^  &  verfus  Fogiam  retrocedebat  ,  Si 
ferva  tuttavia  il  coftume,  che  nelle  folenni  comparle  de' Prin- 
cipi dietro  loro  fi  menano  uno  o  più  Dedrieri  bardati.  Nella 
Cronica  di  Parma  all'Anno  1302.  fi  legge  :  Centum  Soldati 
cum  Equo  &  Roncino  quilibet  ,  condurli  fuerunt  per  Commune 
Parma .  E  quello  ci  fa  ftrada  ad  intendere  ,  che  voleffe  dire 
Federigo  I.  Augufto  in  formar  le  Leggi  militari,  rapportate  da 
Radevico  Lib.  I.  Gap.  2(5.  allorché  diffe  :  Si  extraneus  Mtles 
(cioè  uomo  d'armi)  pacifice  ad  Caftra  accejjferit  ^  fedens  in 
Palafrcdo  ,  fine  fiuto  &  armis  ,  Ji  quis  eum  lafirit^  pacis  'vìo' 
lator  judicabitur  ,  Aggiugne  pofcia  :  Si  autem  ffJens  inDextra- 
rio ,  &  habens  fiutum  in  manu ,  ad  Caftra  accejfierit ,  fi  quis  eum 
hfirit  pacem  non  vìolavit .  Ma  nulla  può  maggiormente  far  co- 

nofce- 


4.40  Dissertazione 

noicere  ,  che  gran  copia  di  Scudieri  concorrefle  anticamente 
alle  Armate  .  Ne' Patti  ^abiliti  l'Annoi  201.  fra  i  Veneziani 
e  Franchi  per  la  fpedizione  in  Levante,  come  s' ha  nelle  Giun- 
te al  Dandolo,  chiedevano  i  Franchi,  che  i  Veneti  conducef- 
fero  nelle  loro  Navi  quatuor  mille  quingentos  Milhes  (  cioè  Uo- 
mini d'arme)  bene  armatos  ^  &  totidem  equos^  &  7ìovem  mìl- 
Ita  Scufiferosy  &  viginti  mille  Fedites .  Nella  Cronica  de'  Cor- 
tufi  Lib.  IL  Cap.  2.  è  fcritto  ,  che  Scmiferi  bene  armts  fulciti 
furono  mandati  innanzi,  prima  de' Cavalieri,  ad  affalir  le  fchie- 
rc  de' Fiorentini. 

L'  ARMI  ,  onde  erano  allora  guerniti  i  Cavalieri  in  tempo 
di  battaglia  ,  annoverate  fi  truovano  in  uno  de  gli  Statuti 
MSti  della  Repubblica  di  Modena  dell'Anno  1328.  Libro  I. 
Rub.  24.  ^iilibet  Miles  teneatur  &  debeat  h abere  in  qualibet 
Ca'ualcata ,  &  exercitn  Panceriam ,  Jtve  Cajfettum  ,  Gamberi as  , 
Jt'ue  Schinerias  ,  Collare  ,  Ciroteca  ferri  ,  Capelli  nam  ,  vel  Ca- 
pellum  ferri ,  Elmum ,  &  Lance am ,  Scutum  ,  &  Spatam  ,  ftve 
Sp07ìtonem  ,  &  Cultellum  ,  &  boìtam  Sellam  ad  equum  ab  ar- 
mis ^  &  bonam  Cirvileriam  .  Quella  ,  che  qui  vien  chiamata 
Cirvileria  ,  o  fia  Cewelliera  era  un  ordigno  di  ferro  ,  che  fi 
portava  fotto  l'Elmo  per  difendere  il  Capo,  o  fia  il  Cervello; 
e  forfè  lo  fteifo  fu  che  la  Celata .  Nello  Statuto  MSto  di  Fer- 
rara dell'Anno  1279.  Lib.  II.  Rubr.  59.  abbiamo  le  feguenti 
parole  :  Quod  quilibet  ChJtos  deputatus  ad  aliquam  cufladiam 
ùlicvjus  Caflri  'vel  Loci  Civitatis  Ferrarice  ,  vel  Di/ìriBus^  tenea- 
tur  ,  C^  debeat  toto  tempore  cujlodids  h abere  Ziponem  (  cioè  un 
Ciacco)  Collarium  de  ferro  ^  Capellam  ferream  vsl  Baciìielh.m  ^ 
ftve  bonam  Cervelleriam  ,  Spatam  ,  Lanceam  ,  Tallavacium  , 
Jìve  bonam  Targetam  ,  &  CultelltAm  a  ferire  .  Inventore  della 
Cervelliera  fi  dice  ,  che  fu  Michele  Scoto,  famoso  Strologo  a' 
tempi  di  Federigo  IL  Imperadore,  cioè  circa  il  1235.  Ferhaec 
tempora  Michael  Scotus  Afìrologus  ,  Federici  Imperatoris  f amili a- 
ris  agnofcitur  y  qui  innjenit  njum  armatura  Capi tis^  quce  dicitur 
Cervellerium ,  Hic  quum  vidijfet^  fé  moriturum  i6lu  lapidts  biun- 
cis  caput  Icefuri ,  ex  lamina  ferrea  Jìbi fieri  fecit  capitis  infulam , 
quam  gefìabat  &c.  Parte  fon  quefte  parole  nella  Cronica  di 
Ricobaldo,  e  tutte  in  quella  di  FraFrancefco  Pippino.  Segui- 
ta nello  Statuto  fuddetto  di  Modena  un'  altra  Legge  militare 
d' allora  .  Itcm  quod  nullus  Miles  in  Cavalcata  Communis  Mu- 
itina  5  cum  fuerit  extra  Civitatem  vel  Burgos ,  eundo  vel  re  demi- 

do 


Ventesimasesta.  4.4.1 

do  aude^t  ve!  prdsfmvat  praire  Vesilla  M'ditìa  ,  rìd  Banderias 
Domini  Poteflatis  &  Communis  Mutina  .  Ifem  fi  coìitingeret  , 
quod  M'ilttia  Miiùnenfis  cum  inimici s  perveniref  ad  proci ium  , 
nulhs  Confa?ìo?ìerius  (  Alfiere  )  debeat  recedere  de  prcslio  ,  7iec 
in  fucram  fé  ponere  ^  nec  declinare  Vesillum  .  Et  Gonfanonerius 
qui  contra  fecerit  ,  capite  puniatur  ;  &  equus  &  ejus  arma  com- 
buratitur  ;  nec  hi  perpetuum  heredes  fui  ,  'vel  ejus  defcendentes  , 
pofììnt  effe  in  ali  quo  Offitio  'vel  honore  Communis  &c.  In  altra 
Rubrica  fi  legge  :  ^hiod  quilibet  de  Populo  Mutinenji  atatis  de- 
cem  &  o&o  annorum  ufque  ad  feptuaginta  a?mos^  tene atur  ire  in 
esercitibus  &  andatis  Communis  ^  quotiens  fo?ìuerit  Campana  Com- 
munis,  Per  le  fedizioni  di  guerra  fi  conducevano  quei,  che  i 
Latini  chiamarono  TÉ';?ror/^  e  Tabernacula  ^  e  gl'Italiani  Tr^- 
h acche  ^  Tende  ^  t  Padiglioni  abbattuti  dal 'vento  ^  come  ha  Gio- 
vanni Villani  Lib.  VII,  Gap.  iip.  Papiliones^  Paviliones^  tPa~ 
njiones  erano  voci  fignificanti  lo  ftefìTo.  Tenda  e  Tenfa  furono 
sncora  chiamati  ,  ficcome  ancora  Baracche  .  Si  formavano  di 
tela  odi  panno.  Abbiamo  nel  Memoriale  de' Podefta  di  Reggio 
il  feguente  pafTo  :  Et  i?2venerunt  Chriftiani  in  di5io  campo  Papi- 
liones  Ò'  Travaclas  rarijfimas  .  E  il  luddetto  Villani  Lib.  III. 
Gap.  75?.  fcrive  :  In  tre  fettimane  dopo  la  fconfitta  detta  hebbo- 
no  rifatti  Padiglioni  e  Trabacche  ;  e  chi  non  ebbe  panno  lino  , 
5/  le  fece  di  buona  bianca  di  Prò  ^  e  di  Guanto  .  Leggo  d' Jpro  , 
e  di  Guanto  .  Gome  è  noto  a  gii  Eruditi  ,  ufavano  gli  antichi 
Romani  di  formare  i  lor  Padiglioni  di  pelli  .  Ne'  Secoli  barba- 
rici tal  coftume  non  fi  truova.  Magnifici  erano  quei  de' Gran  Si- 
gnori, e  più  quei  de  i  Principi  e  Monarchi.  Se  s'ha  a  predar 
fede  ad  Albertino  Muffato  Lib.  V.  Rub.V.  Hill.  Aug.  i  Pifani 
nell'Anno  1311.  permezzo  de'loro  Ambafciatori  fpedirono  ad 
Arrigo  VII.  pofcia  Imperadore  Tentorìi  fupcradniirabilis  ese- 
nium ,  decem  millium  capacis  milìtum  cum  fìativis  .  Per  me  ho 
pena  a  crederlo,  benché  fappia  ,  che  i  Vifiri  Turchefchi  ufino 
de'vafti  Padiglioni,  compofti  di  più  Gamere. 

Merita  qui  fpecialmente  d'eiTere  rammentato  l'ufo  de' Car- 
rocci in  guerra,  introdotto  folamente  dopo  il  Mille  .  Abbiamo 
da  Galvano  Fiamma,  dalGorio,  e  da  altri  Scrittori  ,  che  l'in- 
ventore del  Carroccio  fu  Eriberto  x^rcivefcovo  di  Milano  nel  Se- 
colo XI.  E  con  ragione  Arnolfo  Storico  Milanefe  ,  che  fioriva 
nell'Anno  1080.  Lib.II.  Gap.  id.  cosHcrive  d'effo  Arcivelco- 
vo  ,  Signum  autem  ,  quod  dimicaturos  fuos  debebat  precedere  , 
Tomo  L  Kkk  tale 


44-2  Dissertazione 

trJt'  conjlitii'tt  »  Procera  trahs^   hijìar  mali   ìiavìs  ^  rohujlo  confi- 
xa  Plaiijlro  ,  erigifur   in  fublìme  ,    aureum  geflans  in  cacumine 
pomum    cum  pendentibus  duobus  candidijjìmis  'veli  limbis  .    jìd 
'medium  veneranda  Crux  depi6ìa  Salvatoris  imagine  ^  extenjìs  la- 
te  brachiis  fuperfpeBabaf  circumjufa  agmina  ,   up  qualiscumque  fo- 
ret  belli  eventus^  hoc  Jigno  conjortarentuT  infpeHo  .   Ecco  la  in- 
dubitata origine  del  Carroccio  ,  ad  imitazicn   del  quale  anche 
l'altre  Citta  più  poderoie  ne  formarono  da  li  innanzi  con  po- 
ca diverfita  per  lervirfene  ne' fatti  di  guerra  .  Chi  ne  defide- 
ra  la  defcrizione  ,  oda  ciò  che  ha  Ricordano   Malafpina  Ca- 
pit.  id4.   della  Storia,   parlando  à^ì  Carroccio  de' Fiorentini.  E 
nota^  die' egli  5  che   il  Carroccio  era   un  Carro   insù   qu atro  ruote ^ 
tutto  dipinto  vermiglio  y  ed  eravi  fufo   due  grandi   antenne  ver- 
ini glie  ^  insù  le  quali  flava  ^   e  ventolava  un  grande   Stendar- 
do deir  Arme  del  Comune   di  Firenze ,  che  era  dime-z^ta  bian- 
ca e  vermiglia  ^  e  ancora  Jì  moflra  a  San  Giovanni  ,  E  traina- 
vaio  un  gran  paio  di  buoi   coperti   di  panno  vermiglio  ,  che  fola- 
mente   erano  diputati  a  ciò  ,   ed  erano   dello  Spedale    de'  Preti  . 
E  il  guidatore  era  franco  nel  Comune ,  E  quel  Carroccio  uf ava- 
na gli  antichi  per  trionfo   e  dignitade  .    E  quando  5'  andava  in 
ofle  ,   /  Conti  vicini  e  Cavalieri   il  traevatio  dell'Opera   di  San- 
to Giovanni  ,    e   conducevanlo  in  fulla  Pia-z^  di  Mercato  Nuo- 
vo &c.   e   sì  r  accomodavano  al  Popolo  ,   e  i  Popolari   il  guidava- 
no  in  ofle .   E  a  ciò  erano   diputati   in  guardia  i  più  perfetti   e  più 
forti  e  virtudiofl  Popolari  della  Città  ;  e  a  quello  fi   amm affa- 
va tutta  la  forz^  del  Popolo  &c.   Dovea  elTere   più   pefante  il 
Carroccio  de'Milanefi  ,  perchè  tirato  da  quattro  paia  di  grofli 
Buoi.   Altri  ci  fono  ,  che  a  noi  Jafciarono  la  dipintura  d'effi 
Carrocci,  e  per  conolcere  quello  de'Pavefi  ,  convien  alcoltare 
l'AnonimoTicinenfe ,  il  quale  circa  l'Anno  1330.  cos\lcriveva 
nell'Opulcolo   fuo  .  ^uum  ad  folemnem  &  generalem  exercitum 
procedunt^  fecum  ducunt  Plauflrum  ^  trahentibus  pluribus  paribus 
boum  rubro  panno  coopertorum  :   quod  Plauflrum  Carochium   dici- 
tura  In  quoTabernaculum   efl  ligneum  ,  capiens  aliquam   homi- 
num   quantitatem  :    in  cujus    medio  fublimis  efl   pertica  furfunl 
ere^a  cum  pomo  csreo  deaurato  ,   in  qua  inter  alia  infignia  re- 
gium  Tentorium  ponitur  ^  &  Vexillu-m  longi/Jimum  r.ubeum  cum 
Cruce  alba  ,   &  defuper  ramus  Oliva^  ,   Et  ita  celebratis  in   ilio 
Mi Ifarum folemniis ^  ordinate  proceditur.  Galvano  Fiamma  Ma- 
nip.  Fior,   Cap.  144.    defcrivendo    il  Carroccio   de'  Milanefi  , 

feri  ve 


Ventesima  SESTA.  4^  j 

fcrive  deputato  un  Cappellano,  c^ui  justa  Carrocerum  (  cos\ 
fuol  egli  appellare  il  Carroccio  )  jemper  M'tjfam  celebret ,  & 
vulnercith  det  Pxnttenttaìn  .  Servironfi  del  Carroccio  anche  i 
Bolognefi  ,  Padovani  ,  Veronefi  ,  Brelciani  ,  Cremonefi  ,  Pia- 
centini, Parmigiani  &c.  Alla  guardia  del  Carro  marciavano  una 
brigata  de'più  valorofi  e  prodi  guerrieri.  Dalla  vifta  dell' Infe- 
gna  ivi  porta  e  fventolante  acquiftavano  coraggio  i  combat- 
tenti. Prefo  o  retto  il  Carroccio,  per  lo  più  era  perduta  la  pu- 
gna .  Burcardo  nella  Lettera  de  excidio  Urbis  MedioL  fcrive  , 
che  neir  Anno  1162.  il  loggiogato  Popolo  di  Milano  andò  a 
prelentarfi  a  Federigo  I.  Auguflo  cum  Curru  ,  /;z  quo  tubictìies 
ftantes  tubis  dereh  fortius  tntonaba?ìt  ,  Poicia  lo  delcrive  colle  Te- 
gnenti parole  :  Staba^  aiitcm  Currus  multìpl'tci  robore  conjeptus , 
ad  pugnandum  dejuper  jntìs  aptatus  ,  ferro  fortijjime  ligatus  . 
De  cujus  medio  Jurrexit  arbor  procera ,  ab  imo  ujque  adjummum 
ferro  ^  nervis  &  funibus  tenncijpme  circumteHa ,  In  hujus  funìmi- 
fafe  fuperemifiebat  Crucis  ejfìgies  ,  in  cujus  anteriori  parte  beatus 
depingebatur  Ambroftus  ante  profpicicns  ,  &  benediHionem  inten- 
de ns^  quocumque  Currus  'uerteretur . 

E  QUI*  fi  ofl'ervi  ,  che  nel  Secolo  XIII.  nell'ufo  di  tali  Car- 
rocci fi  credeva  ripoRo  un  pregio  fmgolare  d'onore,  e  un  ra- 
ro ajuto  per  vincere  i  nemici  ,  quafi,  per  dir  cos'i,  come  il  Po- 
polo Giudaico  anticamente  fece  nel  menare  alle  battaglie  FAr- 
ca  del  Signore  .  Ci  fa  fapere  il  Padoano  Storico  Rolandino  Li- 
bro IX.  Cap.  2.  che  tolta  ad  Eccelino  la  Citta  di  Padova  ,  fu 
ritrovato  il  Carroccio  marcito  erotto.  Del  che  interrogato  un 
Padre  da  ino  Figlio  rifpofe  :  Fili  mi ,  /joc  ejì  Carrocium  Padua- 
num  ,  quod  eft  quaji  prò  Cafìro  quodam  ,  quod  duci  tur  cum  la- 
titia  &  bonore  ,  quando  Civitas  vult  prodire  in  hojìes  .  Et  fu- 
per  ipfum  in  quadam  excelienti  antenna  defertur  igneum  & trium- 
phale  Vexillum^  ad  quod  totus  fpeóìat  exercitus.  Ne  e  eft  aliquod 
Caftrum  in  Paduano  diftri6lu  in  montibus  njel  in  plano ,  prò  quo 
defendendo  totus  Populus  Paduanus  adeo  pupnaret  'virili ter  ,  & 
exponeret  juam  vitam  &  animnm  omni  periculo  &  fortunds  .  In 
/joc  enim  pendet  honor^  vigor,  Ò'  gloria  Paduani  Communis  .  In 
-fatti  inefplicabil  dilonore  veniva  riputato  il  perdere  il  iuo  Car- 
roccio,  immenfa  gloria  il  prendere  quello  de' nemici.  Aven- 
do Federigo  IL  Imperadore  nell'Anno  1237.  tolto  in  un  fatto 
d'armi  il  Carroccio  loro  a  i  Miianefi,  forte  fé  ne  pavoneggiò, 
e  come  un  trofeo  di  pregio  ineflimabile  lo  mandò  in  dono  al 

K  k  k     2  Popò- 


44.4-  Dissertazione 

Popolo  Romano  co'feguenti  verfi  ,  riferiti  da  Ricobaldo  ,  e  da 
Prancefco  Pippino  nelle  loro  Cronache  . 

Vrbs  decus  Orbìs  ave.  Vi  Bus  tìbt   defltnor^  AvCy 

Currus   ab  Auguflo  Friderìco  Ccsfare  jujìo» 

Fle   Medìolanum  ,  jaìn  fetìtis  fpernere  'vammi 

Imperi't  Vires ,  propri as  tìbt  tollere  vires  . 

Ergo  trìumphorum  potes  Urbs  memor  ejfe  priorum^ 

^uos  t'tbì   mitteba?it  Reges^  qui  bella  gerebam. 

Ne  fi  dee  tacere,  che  nell'Anno  1727.  una  copia  defib  Carroc- 
cio in  marmo,  dianzi  ignoto,  fi  fcopri  nel  Campidoglio,  preffo 
alle  Carceri  di  quel  luogo,  dove  vSiftoV.  Tavea  fatto  rinchiude- 
re. Stava  eflb  pollo  fopra  quattro  Colonne  di  marmo  fino  colla, 
feguente  Ifcrizione  : 

Cafaris  Augufli  Friderici^  Roma^  Secundl 
Do?7a  tene  Currum^  perpes  in  Urbe  decus,, 

Hic  Mediolani  captus  de  ftrage  Triumphos 
Cdefaris  ut  referat  ^  inclita  pra:da  venit, 

Hojlis   in   opprobrium  pendebit  ^  in  Urbis  honorem 
Mióìitur  :  hunc  Urbis  misere  jujjit  amor. 

Allorché  venivano  in  Italia  i  Re  od  Imperadori,  non  fi  potea 
far  loro  maggior  onore  ,  che  l'andarli  ad  incontrare  col  Car- 
roccio. E  nell'Anno  1233.  volendo  Fra  Giovanni  da  Vicenza 
dell'Ordine  de' Predicatori,  Miffionario  infigne  rimettere  la  Pa- 
ce nella  Marca  di  Trivigi  ,  per  atteftato  di  Rolandino  e  di  Ri- 
cobaldo,  fece  raunare  nella  Pianura  di  Verona  tutti  que' Popo- 
li, i  quali  per  maggior  pompa  vi  comparvero  co  i  loro  Carroc- 
ci.  AtteRa  il  medefimo  Rolandino  ,  che  il  Carroccio  de' Pado- 
vani fi  chiamava  Berta  dal  nome  di  Berta  Regina  Moglie  del  Re 
Corrado,  la  quale  impetrò  ai  Padovani  la  grazia  di  poter  rifab- 
bricare il  loro  Carroccio  diftrutto  da  Attila.  Sapeva  poco  della 
vecchia  Storia  il  buon  Rolandino,  e  però  qui  prende  più  d'un 
farfallone.  La  verità  nondimeno  è,  che  da  altre  Citta  ancora 
fu  dato  un  nome  proprio  al  loro  Carroccio  .  L'  Autore  della 
Cronica  di  Parma  all'Anno  1281.  racconta  lareftituzione  fcam- 
bievole  fatta.  Carrocii  Parmenjis^  quod  vocabatur  RegoliumPar- 
mae  ^  &  Cremonenjis  quod  'uocabatur  Gajardus  .  Quelto  medefi- 
mo  fatto  vien  delcritto  dall'  Autore  della  Cronica  Eftenfe  al 
fud  detto  Anno  5  con  dire  :  Cambium  &  permutatio  faHa  ejl  cum 

ma- 


i 


Ventesimasesta.  4^5 

yyì/tano  gaudio  de  Carrociis  acceptìs  ,  inter  Commune  Parmce  e>c 
ima  parte  ,  &  Commmie  Cremore  ex  alia  :  quia  pax  fa6la  in- 
ter  eos  erat .  Propter  hoc  diSium  Commune  Cremarla  incepit  be- 
ne facere  ,  quia  ipjì  fecerunt  valde  bene  preparare  Carrocium 
Parmae  ,  &  pingere  de  novo  ;  &  fecit  fieri  Vcxillum  de  novo  : 
qui  Carrocius  vocabatur  Blancardus  .  Et  dióii  Cremonenfes  di^um 
Carrocium  conduxerunt  Juper  Difirióium  Parma  in  loco  ubi  di- 
citur  Arcinoldum  ,  cum  tribus  pariìs  bobum  ,  coopertis  purpura  & 
Zendali  ;  &  ibi  diHum  Carrocium  cum  bobus  prcedi^is  fic  coo- 
pertis dederunt  &  rejìituerunt  di&o  Communi  Parma  .  Et  die 
Dominico  fequenti  diBi  Parmenjes  di&um  Carrocium  Parmam 
conduxerunt  cum  magno  gaudio  &  latitia  .  Ma  per  meglio  in- 
tendere ,  quanto  fi  iHmafTe  la  perdita  ,  e  la  ricuperazione  di 
un  Carroccio  ,  meglio  s' intenderà  dalle  feguenti  parole  :  Et 
Poteftas  Civitatis  Mutiiece  cum  magna  quantitate  Magnatum  di- 
Ba  Civitatis  y  &  etiam  multi  de  Civitate  Regii  ,  iverunt  Par- 
mam &  ibi  gaudium  demonjìraverunt  de  diólo  Carrocio ,  Seguita 
poi  lo  Storico  adire,  che  da' Parmigiani  fu  reftituiro  a' Gre- 
monefi  il  loro  Carroccio  con  tre  paia  di  buoi  coperti  di  Scar- 
latto e  di  bianco  :  qui  Carrocius  vocabatur  Berta .  Non  fisa  in- 
tendere, come  vadano  cos\  difcordi  i  due  fuddetti  Storici  neil' 
affegnare  il  nome  a  que' Carrocci  .  Dal  Parmigiano  vien  dato 
al  fuo  quello  di  Regolium  ,  a  quel  de'  Cremonefi  il  nome  di 
Ga/ardus ;  ali* incontro  FEftenfe  chiama  il  Parmigiano  Bla?ìc ar- 
do ,  e  Berta  il  Cremonefe  .  Solamente  io  poffo  dire  atteftarfi 
anche  da  Antonio  Campi  nella  Storia  di  Cremona ,  che  il  Car- 
roccio della  fua  Patria  portava  il  nome  di  Berta  e  Bertax;2:ola  . 
Dall'Italia  pafsò  l'ufo  del  Carroccio  anche  in  Germania,  Fian- 
dra, ed  Ungheria,  ed  altri  paefi,  come  offervò  il  Du-Cange . 
Ma  nel  Secolo  XIV.  perchè  s'introduffe  altra  maniera  di  guer- 
reggiare, e  fi  trovò  edere  più  toflo  d'imbroglio  e  pefo  ,  che  di 
utile  i  Carrocci,  ne  venne  meno  Tufanza. 

Oltre  alle  Tonv,  che  fi  fabbricavano  ne' vecchi  tempi  nel 
giro  delle  mura  delle  Citta  e  Fortezze  per  maggior  difela  e  guar- 
dia delle  medefime,  s'introduffe  nelle  Citta  più  potenti  anche  il 
coftume,  che  i  Nobili  privati  fabbricavano  nelle  lor  Cafe  ,  e  a 
loro  fpefe,  delle  Torri.  Indizio  di  chiara  Nobiltà  era  tenuto  al- 
lora il  poter  alzare  ed  avere  fomiglianti  Torri,  perchè  effi  fo- 
li godevano  il  privilegio  e  la  poffanza  di  edificarle.  Contavanfi 
nelle  medefinae  Citta  ancora  i  Campanili  delle  Cbiefe,  talmente 

e  he 


4^5  Dissertazione 

che  una  vaga  e  nobil  vifla  rapprefentavano  tante  Torri  a  chi 
veniva  cola  .  In  qual  tempo  fi  cominciafTe  a  fabbricar  quelle 
Torri  private  da  i  Potenti  ,  non  fi  può  determinare  con  cer- 
tezza .  Vo'  io  immaginando  ,  che  nel  Secolo  X.  alcuna  fé  ne 
aizaffe  ;  che  ne  crefcefTe  il  numero  nel  XI.  e  maggiormente 
poi  fi  moltiplicadero  ,  da  che  le  Citta  fi  mifero  in  Liberta, 
ed  inforlero  le  gare  de'  Guelfi  e  Ghibellini  .  Perciò  Turrita Pa- 
pta^  Turrita  Cremo7ia  fi  veggono  anticamente  appellate  ,  e  lo 
fteffo  fu  detto  d'altre  Citta.  Santo  Arialdo ,  come  s'ha  dalla 
fiia  Vita  fcritta  da  un  Monaco  contemporaneo  ,  parlando  al 
Popolo  Mila  nefe  nelfAnno  ioy6.  cos'i  diceva:  Veftri  Sacerdo- 
tes  ,  qui  effici  pojfunt  ditiores  in  terrenis  rebus  ,  exceljiores  in 
ésdijicandis  Turribus  &  Dortiibus  &c,  ipji  putantur  beatiores  , 
Della  Citta  di  Pavia  cosi  Icriveva  circa  l'Anno  1300.  l'Aulico 
Ticinenfe  .  ^^uajì  omnes  Ecclejlce  habent  Turres  excel[a  propter 
Campanai  Ùc.  Ceterarum  autem  Turrium  fuper  Laicorum  Domi- 
bus  excelfarum  mirabiliter  maximus  ejì  numerus^  ex  quibusmul- 
tce  tam  ex  'vetujìate  quam  Jìudio  Civium  fé  invicem  perfequcn- 
tium  ^  ceciderunt .  Più  curiofo  ancora  il  vedere  lo  ftrano  guRo 
di  que'  tempi  ,  che  giunfe  a  fabbricar  Torri  non  diritte  ,  ma 
inchinate  e  pendenti  :  fé  pure  è  vero  ,  che  ciò  fi  faceffe  a  bel- 
lo [indio  .  Ne  refta  l'efempio  nel  bello  Campanile  di  Pifa,  e 
nella  Torre  Garifenda  di  Bologna  ,  la  quale  era  anche  più  al- 
ta, ma  per  tcftimonianza  di  Benvenuto  da  Imola  fu  alquanto 
caftrata  da  Giovanni  dadeggio.  Fu  di  parere  il  P. ;Mont- 
faucon  ,  che  il  cafo  ,  e  non  f  Arte  ,  facelTe  inchinar  quelle 
Torri,  e  veramente  in  falire  la  Pifana  anch'io  ne  dubitai .  In 
Roma  fleffa  non  mancavano  una  volta  le  Torri  de'  Potenti . 
In  un  folo  Borgo  di  effa  Citta  a'  tempi  di  Martino  V.  Papa 
quarantaquattro  Torri  co  i  loro  Merli  fi  trovavano  in  piedi  , 
come  infegna  il  Turrigio  de  Cr/pt.  Vatic,  Non  metto  in  conto 
la  Torre  di  Crefcen^^o ^  perdi' efta  era  Torre  del  Pubblico,  cioè 
ora  Callello  Sant'Angelo.  AlelTandro  III.  Papa  nel  11^7.  per 
atteQato  di  Romoaido  Salernitano,  fi  ritirò  nella  Torre  Cartula- 
ria.  Cosi  nella  defcrizion  di  Roma  nel  Codice  di-Cencio  Ca- 
merario è  nominata  Turris  Ccntii  Frajapanis  ,  oggid\  Frangi- 
pani ;  e  Turris  Ccntii  de  Orrigo  .  Ne  gli  Annali  di  Bologna  da 
me  dati  alla  luce  fi  legge  all'Anno  iiiy.  terminata  la  fab- 
brica dell' altifiima  Torr^  degli  Aftnelli  ^  tuttavia  fuperiore  al- 
le ingiurie  de* tempi,  fatta  dalla  famiglia  Afinella  .  E  all'An- 
na 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  S  T  A  .  4^7 

no  II 20.   è  fcritto  ,    che  Fu  compita  i?i  Bologna  la  Torre  de 
Rampuni^  che  è  nel  Mercato  di  mez^  .   E  i?i  quel  tempo  furono 
fimilmente  compite  alcune  altre  Torri  nella  Città  di  Bologna  . 
Altrettanto  avvenne  o  prima  o  dipoi  in  altre  Citta  ,  e  mafll- 
mamente  in  Firenze  .    Alcoltiamo  il  vecchio  Ricordano  Mala- 
fpina,  che  costiparla  all'Anno  11 54.   nel  Gap.  80.  di  fua  Sto- 
ria .   Di   quefle  Torri  era  grande  numero  nella  Città ,   alte  qua- 
li cento  ,  e  quali  cento  'venti  braccia  .    E  tutti   i  Nobili  ,  0  la 
ma opior parte  aveano   in  quello  tempo  Torri.   Di  quefii  forti  edi- 
fizf  ìpezialmente  poi  fi  fervirono  le  diaboliche  Fazioni  de' Guelfi 
e  Ghibellini,  allorché  nel  cuore  della  ftelTa  lor  Patria  faceano 
tra  loro  guerra  gì' impazziti  Cittadini  .  Leggi  le  Croniche  da 
me  pubblicate  di  Genova  ,  e  vedrai  qual  ufo  fi  faceffe  delle 
Torri  in  cjue' tempi  s'i  turbolenti.   Credo  io  uno  fpropofìto,  o 
una  guada  Traduzione  il  dirfi  nell'Itinerario  di  Beniamino  Giu- 
deo Tudelenfe  della  Citta  di  Pila  :  Ingens  Civitas ,  in  cujus  do- 
mibus  fere   decem  mille  Turres  numerantur  ad  pugnandum  apt(S 
&  i?7jìru6Ìce ,  Ma  riconofciuto  col  tempo  ,  che  danno  proveni- 
va al  Pubblico  da  s\  fatte  Torri  fomentatrici  di  guerra,  fi  co- 
minciò a  vietarle  .    Ne  gli  Statuti  di  Verona  dell'Anno   1228. 
pubblicati  dall'  Arciprete  Campagnola  è  ordinato  al  Cap.  6^. 
Ut  non  flati  t  Turres  de  novo,,  ?ìequeCafaturis^  neque  Belfredum  y 
aut  Bcrtcfca  ,  ncque  aliud  (xdijicium  ,   qnod  ad  muììitionem  perti- 
neat  .   Sed  neque  fuper  antiquis  Turribus  vel  aliis  cedificiisfuper- 
adificetur  aliquid^  quod  ad  munitionem  pertineat ,   E   negli  anti- 
chi Statuti  di  Pilìoia  da  me  dati  alla  luce  fi  legge  al  Paragra- 
fo pp.  che  il  Podefta  giura  di  non  permettere  ,  in  Civitate  Pi^ 
Jìoria  aliquam  Turrim  murari  ,   nec  in  fuis  Burcis  ,   ultra  menfu- 
ram  Turris  fi  li  or  wm  quondam  Jl  di  prandi  Vandini  ,  &  ultra   mo- 
dum  determinatum  ^  ut  Turres  defuper  ofquales  fiant. 

Che  fé  dimandate  ,  cofa  fia  avvenuto  di  tante  Torri  una 
volta  efilienti,  delle  quali  ora  non  rimane  veftigio  ,  è  da  rif- 
pondere,  che  per  due  cagioni  andarono  in  rovina.  La  prima  è, 
che  le  medefime  per  ingiuria  de' tempi,  o  per  la  vecchiezza, 
o  per  difattenzion  de' padroni,  fpontaneamente  fi  diruparono, 
e  caddero  per  terra  .  Racconta  il  Tronci  nella  Storia  di  Pifa 
all'Anno  1335.  che  da  un  furiofo  vento  fu  atterrata  la  Tor- 
re de'  Giudici  di  Gallura  pofla  nella  Piai^.  de'  Porci  ,  e  che 
Jotto  le  fue  rovine  in  perirono  circa  cinquanta  perfone  .  Tolomeo 
da  Lucca  ne  gli  Annali  all'  Anno  11  8(5.  fcrive  :    Eodem  Atino 

ceci- 


4^8  Dissertazione 

ceciderufìt  dua  Turres  Luca  ,  vìddìctt  filiorum  Hefpiafame  ,  Ò* 
jiliorum  Cari  ,  quce  multos  homines  opprejferunt  .  Poicia  all'  An- 
no 1217.  aggiugne,  che  cadde  pars  Turris  Pagani  Bo?ìfmi  ^  & 
muhos  oppre£lt .  Ed  anche  all'Anno  1230.  Capellus  Turris  filio- 
rum Sismundi  corruit  Luca  ^  &  interfecit  ultra  homines  ducentos, 
Aliri  fimili  cafi  ci  fono  lomminiflrati  dalla  Storia  di  Bologna. 
La  feconda  cagione  della  diftruzion  delle  Torri  fu  il  furore 
delle  guerre  civili,  che  infertò  buona  parte  delle  Citta  Italiane. 
OfTervate  preflb  Ottone  Frifmgenfe  Lib.I.Cap.28.  deGcJì,Frid, 
una  Lettera  de' Romani  al  Re  Corrado  IL  nel  1145.  dove  dico- 
no :  Fortitudines  ,  idefl  Turres  ,  &  Domos  potentuìn  Urbis  ,  qui 
'vejìro  Imperio  una  cum  Siculo  &  Papa  refiflere  parabant  ^  cepmms  ; 
CX  quasdam  in  vejìr  a  fi  delirate  tenemus^  quasdam  vero  /ub^vertefi- 
tes  folo  coaquavimus,  E  tali  erano  le  prodezze  de' Guelfi  e  Ghi- 
bellini, gente  infuriata  F una  contro  dell'altra.  Chi  prevaleva, 
sfogava  la  fua  rabbia  addoffo  alle  Torri  e  cafe  degli  enioli  cac- 
ciati o  abbattuti  .  L'Autore  della  Cronica  picciola  di  Ferrara 
fui  fine  del  Secolo  XIIL  cosi  fcriveva  :  Collìft  funt  itaque  Cives 
Ferraris  alterutrum  ,  nunc  rebus  male  fecundis  ,  nunc  adverjìs  . 
Audivi  a  ma/ori  bus  natu^  quod  in  quadraginta  aiiìiorum  curriculo 
altera  pars  alteram  decies  e  Civitate  extruferat  &c.  Accepi  puer 
a  Genitore  meo  ,  hiberiio  tempore  confabulante  in  lare  ,  quod  ejus 
tempore  vi derat  in  Civitate  Ferraris  Turres  altas  triginta  duas^ 
quas  mox  vidit  profierni  &  dirui.  Lo  fteflb  avvenne  in  altre  Cit- 
th,  e  maffimamente  allorché  o  per  elezione,  o  per  ufurpazione 
alcuno  vi  fu  affunto  al  Principato,  per  levare  a  i  privati  Citta- 
dini la  tentazione  di  rivoltarli.  Negli  Annali  di  Genova  all'An- 
no iipò".  troviamo,  che  Drudo  Marcellino  Podefta  fuperfluita- 
tes  Turrium  ,  quas  prò  velie  fuo  quidam  Cives  cantra  licitum  Ò* 
confiitutionem  Communitatis  confiruxerant ,  demoliri  ,  &  ad  cer- 
tum  modum  pedum  oSioginta  redigi  fecit ,  Cosi  nell'Anno  1225. 
Potefias  Mutine  fecit  dirui  Turres  in  Civitate  Mutine ,  come  s'ha 
da  gli  Annali  antichi  di  effa  Citta.  Anche  in  Lucca  Cadruecio 
fece  abballare  ed  uguagliare  alle  Cafe  trecento  Torri  ^  come  s'ha 
dal  Tegrimo  nella  di  lui  Vita  .  La  ftefla  fpontanea  caduta  delle 
Torri  preftò  giudo  motivo  di  demolire  o  abballar  l'altre,  che 
recavano  in  piedi.  Ciò  fu  praticato  anche  in  Firenze  per  tefti- 
monianza  di  Ricordano.  L  di  vero  ne' tempi  di  guerra  veniva 
confiderata  una  buona  Torre  per  una  Rocca  e  Fortezza,  e  lap- 
piamo, che  più  e  piìi  giorni  un  efercito  fi  perdeva  dietro  a  una 

Torre , 


Veniesimasestà.'  4^P 

Torre  ,  purché  quella  foffe  ben  provveduta  di  combattenti  , 
viveri  ed  armi .  Perciò  nelle  Terre  e  Caftelia  Iblevano  gli  an- 
tichi alzare  almeno  una  Torre,  pofiente  a  refiftere  per  qual- 
che tempo  a  i  nemici  .  Cosi  nel  1180.  Gherardo  RangonePo- 
de(ta  di  Modena  co  i  Conlbli  ordinò,  che  maggiormente  fi  for- 
tificafTe  nel  Cartello  di  Razzano  ,  ch'era  allora  de'  Modenefi  , 
la  Torre  di  Paffavanti  da  Carandolo  ,  ed  un'  altra  eguale  vi  fi 
fabbricafle  alle  fpefe  del  Comune  ,  come  cofta  da  uno  Stru- 
mento dell'Archivio  della  Citta  .  Cosi  nella  Terra  di  Carpi- 
neta del  Diftretto  di  Reggio  gran  conto  fi  facea  d'una  Torre, 
di  cui  è  parlato  in  altro  Rogito  dell'Archivio  Ellenfe. 

La  maniera  di  prendere  le  Citta  e  Fortezze  confifteva  nel- 
la Scalata  ,  o  nell' accodar  le  Torri  mobili  alle  mura  per  fal- 
larvi dentro  .  Ma  piti  fovente  fi  otteneva  col  mezzo  de  gli 
Arieti,  Tefluggini,  ed  altre  macchine  diroccanti  le  muraglie, 
con  aprir  la  Breccia  ,  e  venir  pofcia  all'  alTalto  .  Coperti  dalle 
V'tnee^  chiamate  poi  Gatti  ,  fi  appreffavano  alle  mura  ,  le  fo- 
ravano, e  formavano  delle  cave  al  di  fotto  .  Sotto  il  muro  fu- 
periore,  affinchè  non cadeffe,  s'andavano  mettendo  pontelli  di 
legno,  finche  foffe  formata  una  grande  apertura,  per  cui  po- 
teffe  cadere  un'ampia  porzione  di  muro.  Ciò  fatto ,  fole  vano 
perlopiù  invitare  gli  alfediati  alla  refa  con  far  loro  conofce- 
re  l'imminente  pericolo  .  Riculando  efli  di  arrenderfi  ,  dato 
fuoco  a  i  puntelli  ,  fi  lalciava  precipitare  il  muro  .  Di  ciò  fi 
truovano  frequenti  gli  elempj  nelle  Storie  d'allora.  Erano  an- 
che in  ufo  le  Mine  ,  appellate  Cuniculi  da  i  Latini  .  Non  da 
Minavi  ,  ma  bensì  dal  Latino  Minare  ,  fignificante  Condurre  , 
che  noi  tuttavia  ufiamo  dicendo  Menare  ,  credo  io  derivato  il 
noftro  Mina^  Minare^  t  Minatore  ^  per  far  intendere  chi  gui- 
da una  (Irada  fotterranea  ,  ficcome  ancora  fu  chiamata  Mi- 
niera la  Fodina  de  gli  antichi  ,  perchè  con  fotterranee  vie  fi 
conducono  gli  uomini  alle  viicere  della  terra  .  Pietrq  Azario 
Storico  del  Secolo  XIV.  cosi  fcrive  :  Aggrejfores  vid<ejtfes  pne- 
dióia  non  njalere  ,  coeperunt  potìere  in  Civitate  Tapponum  val- 
de  occultum  prò  ipfo  Cajìro  obtine?ido ,  &  cavando  .  Et  quayn- 
vis  aliquando  per  contrariam  cavaturam  ipjìs  Tapponatoribus 
male  fuccejfiffet  &€.  Qin  Tapponum  fignifìca  una  Mina  ,  e 
forte  fu  fcritto  Talponurrr-^  nome  prefo  dalle  Talpe ^  che  fan- 
no il  melliere  di  far  vie  fotterranee  .  Né  fi  dee  tralafcia- 
re  ,  truovarfi  preflo  gli  antichi  un'  altra  forta  di  Fortezza  , 
Tomo  L  Lll  chia- 


450  r3lSSERTAZIONE 

chiamata  Do77gione  ,  nome  a  noi  venuto  di  Francia  ,  dove  du- 
ra tuttavia  .  Cosi  chiamavano  il  luogo  più  alto  delle  Fortezze 
fabbricate  nelle  Colline  ,  come  olTervarono  il  Du  -  Cange  e  il 
Fnretiere  .  In  fatti  Dun  è  voce  Celtica  fignificante  Colle  o 
Monte,  Di  quelli  Dongioni  uno  ve  n'era  nella  Rocca  d'Elle, 
come  feci  vedere  nella  Par.  I.  Cap.  35.  delle  Antich.  Eftenfi . 
Nel  Caftello  d'  Albinea  Diftretto  di  Reggio  tuttavia  fi  legge 
la  feguente  Ifcrizione. 

ANNO  DOMINI  MCCLXXVII.  IND.  V. 

HOC  OPVS  FVIT  FACTVM 

TEMPORE  VENERABILIS  PATRIS 

D.  GVLIELMI  DE  FOLIANO  EPISCOPI  REGII 

SCILICET  PALATIVM  CVM  DVJONO 

ET  PVTEVM ,  ET  TVRRIS ,  ET  DOM VS  EXTRA  DVJONVM 

ET  MVRVS  DICTI  CASTRI  DE  ALBINETA. 

In  uno  Strumento  di  concordia  fra  Guglielmo  Vefcovo  di  Luc- 
ca, ed  Ugo  Conte  di  Lavagna  dell'Anno  1179.  fi  parla  de  Jutn' 
mit^te  Cajìr't'veteris  de  Garfagnana  ,  quce  Dongtonem  ^ppellatur . 
Truovanfi  ancora  Cajfara  o  Cajfera ,  altra  torta  di  Fortezze  , 
che  fembra  diverfa  da  i  Dongioni  .  Cajìrum  ,  quod  CaJ] arum 
njocam  ,  fon  parole  di  Niccolò  Speciale  Lib.  V.  Cap.  8.  della 
Storia  di  Sicilia .  Da  gU  Arabi  prefero  gl'Italiani  il  nome  eia 
forma  di  tali  Rocche  ;  e  però  fi  truova  fpeilo  nelle  memorie 
de'  Sicihani  ,  Napoletani  ,  e  Tofcani  ,  che  converfavano  con 
quella  gente  .  E  tuttoché  tal  nome  deffero  ad  ogni  iorta  di 
Fortezze  ,  pure  fembra  che  pafìaffe  qualche  differenza  fra  i 
Cafferi  e  gli  altri  Luoghi  fortificati  .  In  una  lentenza  de' Giudi- 
ci Imperiali  ordinanti  la  reftituzione  della  Citta  di  Malfa  in 
Tofcana  a  Martino  Vefcovo  di  effa,  non  conolciuto  dalf  Ughel- 
li,  profferita  neh' Anno  1 1^4.  fi  fa  menzione  Cajìrl^  &  Tur- 
ris  y  &  Cajfari  di  quella  Citta  .  Neil'  liola  di  Maiorica  poffe- 
duta  dai  Saraceni,  o  fia  da  i  fuddetti  Arabi  ,  trovarono  i  Pi- 
fani  nel  II 14.  alcuni  di  tali  Cafferi.  E  tuttavia  il  Cartello  fu- 
periore  nella  Poppa  delle  Navi  è  chiamato  Cdjfero  ne' Mari  di 
Sicilia  .  Fu  anche  adoperato  il  nome  di  Murata  per  lignificare 
una  fpecie  di  Fortezza  e  Cittadella  .  Ne  gli  Annali  di  Cefena 
fi  fa  menzione  della  Murata  di  quella  Citta,  e  quella  negli  An- 
nali di  Rimini  è  chiamata  Cajfaro.  Sofpetto  io,  che  il  nome 

di 


Ventesima  SESTA.  451 

ài  Rocca  ,  per  fignificar  Luogo  forte ,  fia  venuto  dalle  Rupi , 
che  erano  chiamate  Rocc/V.  O  diedero  a  noi  Franzefi,  o  prefe- 
ro da  noi  quefta  voce.  Per  lo  più  anticamente  le  Rocche  fi  fab- 
bricavano ne' ciglioni  de' Monti ,  e  ne' fiti  alti,  anche  per  la 
fituazione  forti , 

Parimente  nelle  vecchie  Memorie  s'incontrano  Mota,  Il 
Somnero  nel  Gloifario  a  gli  Scrittori  Inglefi  fcrive  cosi:  Mota ^ 
Fo/fa^  FoJTatum  ^  quoCafìrum^  aut  aliud  propugnaculum  ct-ngì- 
tur  &  munitur  .  A  Moìtè  forte  ^  quod  Gallis  humidus^  madidus  . 
Va  lontano  dal  vero.  Le  Mote  ^  a  mio  credere  ,  altro  non  fu- 
rono, che  alzate  di  terra  fatte  in  pianura  dalla  mano  e  fatica 
degli  Uomini,  poi  cinte  di  fofìfa  e  baftioni  con  una  Torre  oCa- 
ftello  in  cima,  a  guifa  dell'altre  Fortezze.  Cosi  vennero  chia- 
mate à^  terra  mota  ^  con  cui  s'era  formato  un  picciolo  colle; 
e  non  già  da  Meta  ,  come  lenza  ragione  alcuna  immaginò  il 
Menagio.  Veggono  tuttavia  molte  di  quefte  Mote  ,  appellate 
^Xìcht  Motte ^  nella  gran  Bretagna,  e  ritengono  l'antico  nome. 
Ne  eHilono  anche  in  Francia.  PreiTo  i  Modenefì  dura  una  Vil- 
la di  quefto  nome,  vecchiamente  nomìna.t3i  Mota Papa:^^f7um. 
Anche  Rolandino  Lib.  IIL  Cap.  6.  della  Cronica  rammenta 
Cajìrum  ,  five  Mottam  de  Antale ,  E  Albertino  Mudato  Lib.VL 
Rubr.  3.  de geft.  Henrici  VIL  racconta  effervi  ftata  Motam  jux~ 
ta  Mofitem  Gnrdnyn,  Altre  di  quelie  Mote  fi  truovano  per  l'Ita- 
lia ,  e  principalmente  nella  Calabria  ,  che  ritengono  qualche 
veftigio  dell'antica  fortificazione.  Ne  gli  Annali  di  Padova  da 
me  pubblicati  nel  Tomo  V^III.  Rer.ltal.  fi  legge  :  Iverunt  Jum- 
mo  mane  per  viam  PontisCornjt  'verjus  quamdam  Motam  mngnam^ 
quam  faciehat  facere  Domtnm  Can'ts  cum  multis  fojjis  &  raja- 
tis ,  volendo  ibidem  fuper  di6iam  Motam  (edificare  Cajìrum  .  Ec- 
co affai  chiaramente  (piegato  quel  che  foffero  le  Mote.  Eran- 
vi  ancora  i  Gironi  o  Zironi  ne'(  alleili  e  nelle  Rocche,  fpezial- 
mente  in  quelle,  ch'erano  fulle  montai^ne  ,  cioè  un  muro,  che 
cingeva  una  parte  interiore  della  fieffa  Rocca  o  Fortezza  per 
poterfi  ritirare  cola,  fé  la  Rocca  era  prefa  .  Giovanni  da  Baz- 
zane nella  Cronica  di  Modena  ah' i\nno  1331.  icrive  :  Di6io 
tempore  faHum  fuit  Gironum  in  CaflroMnrani  de  Campilio,  Nic- 
colò Speciale  Lib.  IL  Cap.  12.  della  Stona  di  Sicilia  nomina 
Cajìrum  Ifclce  ^  quod  Gironum  vocant ,  E  il  Morano  nella  Croni- 
ca di  Modena  all'  Anno  1320.  cosi  parla  :  Pajfiarinus  potitus 
Carpi  Cajìro  ,  fortijjimam  tunc  Turriyn   illam  pojuit ,   quam  Zi- 

L 1 1     2  ronum 


4.^2  Dissertazione 

ro?2mn  dixere .  Il  Camello  di  Santa  xMaria  a  Monte,  come  fcri- 
ve  Giovanni  Villani  Lib.  X.  Gap.  28.  era  molto  forte  di  treGi- 
ronì  di  mura  con  la  Rocca.  Efpugnato  il  primo,  fi  riduceva  il 
prefidio  alla  difefa  del  fecondo,  eh' era  più  riftretto.  Abbiamo 
dal  (udderto  Giovanni  da  Razzano,  che  il  Caftello  diSavignano, 
dianzi  ribellato  al  Marchele  d'Elle,  gli  fu  reftituito  aruflìcts^ 
je  regente  'girone  per  cujìodes  foreiijes  ibidem  prò  Domino  Are  hi  e- 
pifcopo  Mediolani  exijìentes .  Pietro  Manlio  antico  Scrittore  Hi/ì. 
Bafil.V^tic.  Gap.  7.  ha  le  feguenti  parole:  C  a  fi  ellum  Adriani 
Imperatoris ^  quod  cedificitim  rotundum  fun  cum  duoùusGeronibus^ 
Jive  CafteUis,  S' ha  ivi  da  fcrivere  Gironibtìs  .  In  uno  Strumen- 
to dell'Anno  1235.  troviamo  chi  vende  al  Miniftro  di  Papa 
Gregorio  IX.  ynedietatem  Gironis  ^  ftve  Arcis  ipjius  Cajìri  de  Gual- 
do ,  njidelicet  a  Carbonariis  ipjius  Gironis  intus  cum  ipjis  Garbo- 
nariis  nel  Ducato  diSpoleti. 

Sovente  ancora  nelle  vecchie  Storie  s'incontrano  ^/Vz/ré-tì^/, 
appellati  anche  Belfredi^  Berfredi^  Bilfredi^  Bertefrediy  Buti' 
fredi  &c.  Fu  di  parere  il  Du-Gange,  che  foffero  Torri  mobili 
di  legno  per  combattere  le  mura  delle  Gitta  e  Fortezze  .  In 
fatti  defcrivendo  Rolandino  Lib.  IV.  Gap.  <5.  l'adedio  di  Mon- 
tagnana  fatto  nel  1238.  da  Eccelino,  nota  che  i  difenfori  Ip- 
Jius  Bilfredu-m  unum  die  qv.adam  in  meridie  combuxeruìit  ^  Ecce- 
lino  invito  ,  qui  tunc  fub  lUis  faBo  quodam  operimento  erat  , 
jed  non  cognitus  vix  cffugit  .  In  oltre  Lib.  VI.  Gap.  6.  le  ri  ve  , 
che  il  Gaitello  della  Terra  d'Eile  Ribattuto  (sdijiciis  multis  ^ 
fcilicet  Bilfredisy  Prederiis^  &  Trabucchis,  Gontuttociò  furono 
ancora  chiamati  Bitifredi  le  Torri  (labili  di  legno  ,  che  gli  an- 
tichi fabbricavano  per  guardia  di  qualche  fito,  tenendovi  lopra 
fentinelie  ,  che  airaccoftarfi  de'  nemici  davano  il  fegno  colla 
campanella.  Dallo  ftefìo  Rolandino  fu  fcritto  Libro  I.  Gap.  8. 
Turres  quoque^  Jive  Bilfrcdi  fixi  a  defc/iforibus  corruerunt ,  Ec- 
co ciò,  che  fi  legge  negli  Statuti  MSti  Modenefi  dell'Anno  1^06. 
Cum  Via^  qua  venitur  a  Vaciliis  verf'us  Portayn  Kedelocham  ^  in- 
tem  ambo  canali  a  jlt  inhabitat  a  &  deferta  ,  &  per  ipfam  tam  de 
die  quam  de  noB:e  poffent  venire  gentes  occulte  ad  Civitatem  Muti- 
na  ufque  fuper  foveas  Civitatis  ,  qua  maximum  poffent  diBce  Ctvi- 
tati  damnum  Ò' prde/udicium  inferre  :  providerunt  Domini  Defenfo- 
res ,  quod  unus  bonus  Bitifredus  cum  uno  bono  ponte  levatorio  fiat 
&  fieri  debeat  fuper  pontem  Circhcc  Civitatis  juxta  pratum  Mona- 
Jìerii  SanHi  Petri  .  Super  quo  Bitifredo  deb^ant  manere  &  fi  are 

CO?I' 


Ventesima  SESTA*  40 

co?itìnue  tam  de  die  quam  denoBe  duo  boni  cujìodes^  'uel plures&c. 
Cioè  i  Modenefi,  avendo  tirati  canali  e  fofìè  intorno  alla  Citta, 
pillanti  mezzo  nìigiio  e  pili  dalle  fofTe  e  mura  delle  Citta  (du- 
ra tutta  il  nome  ài  Cerche  ààCirc are ^  Circondare)  proccurava- 
no  di  fermar  ivi  a  tutta  prima  i  pafTì  de' loro  nemici.   Vedem- 
mo di  lopra  conceduto  da  Guido  e  Lamberto  Augufti  a  Leodino 
Veicovo  di  Modena  fuper  unum  mdliare  in  circuitu  Ecclejia:  Ci- 
vipatis  circumquaque  firmare .   Ne  gli  Statuti  MSti  di  Ferrara  dell' 
Anno  I2  7p.   fi  fa  menzione  de'  Bitifredi  colle  feguenti   parole  : 
Oiiod  quotiescumque  mutabuntur  Cnpitanei  Ò^Cuftodes  Cajìrorum^ 
Turrium ,  &  Bitifredorum ,   Ò'  aliorum  locorum ,   qude  cuflodiuntur 
prò  Communi  Ferrari (S  .^  Potcjìas  Pcneatur  mi f fere   ad  prcsdióla  loca 
U7ìum  bonum  Notarium  ^  Ò'  plures^  Jt  ipfi  Potè  flati  'videbitur^  qui 
jcrihat  flatum  cujuslihet  loci  ,  fcribendo  Jolaria  ,   ajftdes  ,  gradus^ 
oflia  ^  jcneflras^  a?2zopertos  ^   cooperturas  ^  fcalas  ^   hendegarios^fu- 
nes  ^  baliflas^  ptllotos  ^  turnos^   Ò' prifarolas^   marìganos^  &  turtu- 
relas^  &catenas^  &  vidualia  ^  qucs  ibi  erimt  &c.   In  uno   degli 
Statuti  di  Modena  del  1327.   fi  vede  il  feguente  Decreto  :  Ut  ho- 
mines  de  Nonantula  compellantur  per  Poteflatem  ,  facere   unam 
bonam  Motam  cum  Palancato  ,   Ò'  pontibus  levatoriis   ab  utroqus 
latere  Pontis  de  Navi^cellis  &c.  •  Vedefi  ancora ,  che  per  maggior 
fortificazione  della  Citta  di  Modena  e  de'fuoi  Borghi,  v'erano 
dt  Butifredi  ne' Borghi  appellati  d'Albareto,  Ganazeto  ,  e   Ba- 
zovara.   Dimandano  qui  udienza  anche  le  jB^y?/V,  appellateB.f- 
flidcv  e  Baftit(£ ^  delle  qnali  s'incontra  fovente  il  nome,  fpezial- 
mente  nelle  Storie  del  Secolo  XIV.  Crede  il  Du-Cange  paflato 
dall'Italia  in  Francia  quefto  nome,  e  il  Menagio  ridicolofamen- 
te  lo  tira  da  B/7/?;/w,  Bafli ^  Baflita^  Baflia^  Baftilia.   Mi  ma- 
raviglio ,  che  non  abbiano  offervato  ,  venir  elfo  dalia  lor  voce 
Baflir  ^  Fabbricare  ^  on<ÌQ  Bafliment  ^  Bafìì ^  q  B^^flie  ^  c'ioh Fab- 
bricato &c.   Né  fi  può  concedere  al  Du-Cange ,  che  dalle  Baftie 
fia  nato  il  verbo  Franzefe  Baftir^  perchè  le  Baliie  cominciarono 
iolamenre  nel  Secolo  XIIL  e  prima  d'allora  fi  può  credere  ufato 
da  efll   il  verbo  Baflir,   Ma  che  tanto  elio  Du-Cange   che  il  Me- 
nagio  abbiano  fcritto,  eifere  (late  le  Baflie  Steccati^  fon  da  com- 
patire ,   perchè  prima  di  loro  nel  Vocabolario  delia  Crufca  fu 
detto  eifere   la  Baflia  Steccato  ,  riparo  fatto  intorno  alle  Città  o 
Ej creiti  y  compo fio  di  legname ^  fnjft  ^  terra ^  ojìmil materia.   Poco 
avvertitamente  queito   fu  fcritto  .   Nuli' altro  furono  le   Ballie  , 
le  non   una  iorta  di  Cartello  ,  Rocca  ,   o  Fortezza  ,   formata 

nel 


454-  Dissertazione 

nel  piano  con  travi  e  tavole  ben  congegnate  ,  per  lo  più  intor- 
no a  qualche  cafa  o  cafe  ,  o  pure  intorno  ad  una  Torre  ,  che 
fi  cingeva  di  fofia,  co'fuoi  baftioni  di  terra  e  baloardi .  Si  fab- 
bricavano ivi  ancora  cafe  di  legno  ,  fé  mancavano  quelle  di 
mattoni ,  occorrenti  per  difendere  i  Soldati  ,  le  vettovaglie  ,  e 
l'armi  dall'intuito  delle  ftagioni  .  Certo,  ch'elfendo  di  legno  , 
fi  poteano  anche  chiamare  Steccati;  e  infatti  nella  Storia  dell* 
affedio  di  Zara  prefib  il  Lucio  fi  legge  :  ^uam  Italici  &  Longo- 
bardi  Bajìidam  ,  Dalmatini  &  Chroati  Sticatnm  appellare  conjue- 
'verunt  .  Ma  in  fine  Steccato  altro  non  vuol  dire  che  Fali'2^- 
ta^  laddove  le  Baftie  aveano  veramente  la  forma  di  Fortezze. 
Nella  Storia  Padovana  de' Catari  fi  legge,  che  volendo  France- 
fco  da  Carrara  il  vecchio  piantare  una  Baftia  ,  fece  lavorare 
nella  Citta  tutti  i  legnami  occorrenti  ,  e  in  un  determinato  dì 
caricata  la  Baftia  [opra  i  carri ,  andò  improvvifamente  a  fiflTarla 
dove  bramava  ,  foltenendo  l'efercito  fuo  gli  Artefici  a  ciò  de- 
sinati .  Nella  Cronica  di  Parma  del  12^5.  è  detto,  che  i  Mi- 
lane fi  fabbricarono  quoddayn  Caftrum  de  lignamifie  in  Laude 
Vecchio  cantra  voluntatem  Laudenftum  &  Cremoneììjlum ,  njalde 
magnum  &  mirahiliter  fabricatum  .  Quefie  parole  fignificano 
una  Baftia^  lavoro  che  cominciava  in  que' tempi  ad  efiere  in 
voga  .  Porcellio  nel  Lib.  IX.  Comment.  ci  fa  vedere  Caftella 
ex  bitUìTìine  &  ajferihus  fabricata  ,  qU(S  Lombardi  Baftitas  vo- 
cant .  Quando  in  quefie  Fortezze  di  legno  v'erano  de' bravi 
combattenti ,  e  non  mancavano  le  provvifioni,  non  era  si  faci- 
le il  fuperare  o  cofiringere  alla  refa  una  Baftia  .  Come  abbia- 
mo dalle  Storie  di  Modena  e  Bologna  ,  Bernabò  Vilconte  ,  ne- 
mico de'Bolognefi,  due  Baftie  piantò  nel  Diftretto  di  Modena. 
Tentarono  più  volte  i  Bolognefi  armati  di  prenderle,  aia  fem- 
pre  indarno.  Ritien  tuttavia  uno  di  que'fiti  il  nome  à\  Baftia^ 
e  dura  la  medefima  denominazione  in  alcuni  Luoghi  della  To- 
Icana,  Corfica,  ed  altri  paefi. 

Da  gli  Storici  Tolcani  vediamo  menzionati  \  Battifolli .  Il 
Menagio  e  il  Du-Cange  li  credev-ano  lo  flefib  che  i  lopra  dauci 
riferiti  Bitifredi ,  Non  è  cos'i.  O  erano  Badie,  o  molto  s'aiTomi- 
gliavano  ad  effe.  Prefero  probabilmente  quedo  nome  per  tene- 
re in  freno  i  Folli  ,  che  non  fi  ribellaffero  ,  o  non  noceffero  . 
Niccolò  Tegrimi  nella  Vita  di  Caftruccio  fcrive:  Primusfupra 
Sergianum  Caftellum  Arcem  adijicavit  (  quam  Sarz^anellum  ap- 
pellamus  )  in  formamBattifollis  (  illius  <ctatis  vocabulo  )  cum  ag- 


gere 


Ventesimasesta.  4.5^ 

geve  &  lignh  terraque  congeflo  ;  adverfus  fubttos  ineuvfus  locum 
illum  munivtt  ;  pojìmodum  &  calce  lateribi'.squs  tutìorem  re  d  di  di  t. 
Certamente  Giovanni  Villani    fa  poca  differenza   tra  Baltie  e 
Battifolli,  Icrivendo  nel  Lib.  V.  Gap.  2.  che  fu  fabbricata  da 
i  Lombardi  Aleffandria  quaji  per  una  Bajìita  e  Battifolle  incon- 
tro alla  Città  di  Pa'via  .   E   nel  Lib.  VI.   Gap.  4.    È  per  Batti- 
folle  ovvero  Bajìita  "vi  pofo?20  i  Fiorentini  il  Cajìello   d'Ancij'a  . 
E  nel  Lib.  X.  Gap.  171.  Feciono  una  Bajìita  ovvero  Battifolle ,^ 
giicrnito  di  genite  d'armi .   Da  uno  Strumento  Bolognele  del  1 3 2d. 
fi  vede,  che  alla  cuftodia  d'un  Battifolle   ftavano  tre  Gentiluo- 
mini ,  ciaicun  de'  quali  haheat  &  bahere  debeat  ad  Jlipendium 
Communis  Bononia^   quatuor  equos  armigeros^  quatuor  equitatores^ 
&  diios  roncenos .  Adunque  i  Battifolli  furono   picciole  Fortezze 
i         capaci  di  cavalleria  .  Si  truovano  anche  le  Stellate  e  Palate  , 
I        fortificazioni  fatte  con   pali  a  qualche  fito  .   E  fi  facevano  tal- 
volta a  gU  fteffi  Monilterj  e  Ghiele,  e  fi  chiamava  Incajìellare^ 
cioè  ridurre  un  Luogo  a  guifa  di  Rocca  e  Fortezza.  Nel  Gon- 
cilio  Lateranenfe   deli' Anno  11 23.   Gan.  14.  fi  legge  :  Eccleftas 
a  Laicis  incajìellari  ,   aut  in  fervi tutem  redigi  ,   auBoritate  Àpo- 
fìolica  prohibemus .  E  pure  da  lì  a  pochi  Anni  una  delle  più  ve- 
nerande Bafiliche  della  Griftianita  ,  cioè  la  Vaticana  ,  dovette 
fofferire  queito  detefiabil  aggravio,  come  apparifce  da  gli  Atti 
di  Federigo  L  Augufto  ,  ed  atteftò  Geroo  Propofto  Reichersper- 
genfe  ,  Scrittore  di  que'  tempi  ,  con  dire  :  Unde  non  immerito 
dolemus^  quod  adhuc   in  domo  Beati  Petri  Principis  Apofìolorum 
defolatioìiis  abominationem  fìare  vidimus  ,    pofìtis  etiam    propu- 
gnaculisy  &  aliis  Bellorum   injìrume?itis  in   altitudine  SanBu arti 
jupra  corpus  Beati  Petri ,   Da  gli  Arabi  impararono  i  noftri  l'ufo 
delle  ferrate,  che  appefe  ad  una  fune  fi  mettono  fopra  le  Por- 
te delle  Fortezze  o  Citta  ,  e  al  biiogno  fi  fanno  calare  ,  cafo 
che  la  Porta  foffe   prefa  da' nemici  .   Abbiamo  nella  Storia  de' 
Gortufi   Lib.  VL   Gap.  V.   all'Anno  1337.   Calata  Porta;  levatu- 
ra ^  feu  Saracinefca.  E  nel  Lib.  VIL   Gap.  i5.  ^idam  intrave- 
runtCivitatem^  fed  propter  Portam  Civitatis  ^  qua;  erat  levatura^ 
non  fuerunt  aufe  entrare  fuccejftve  .  Un  altro  Codice  ha  :    Sed 
propter  Saracinefcas  portas  trabtbus  inhare?ìtes .   Ma  che  i  Roma- 
ni non  ignorafiero  quefto  fegreto ,  fi  raccoglie  da  Livio  Lib.27. 
Gap.  30.  Ne  fa  menzione  anche  Vegezio . 

Ma   troppo   in  quefti  ultimi  Secoli  s'è  mutato  il  fiftema  del- 
la Milizia   per  l'invenzione  della  Polve  da  fuoco  ,  e  delle  Bom- 

^  barde 


45^  Dissertazione 

barde  grofie  e  minori,  e  de' fucili,  e  d'altri  fìmili  diabolici  fru- 
menti. Fama  è,  che  Archidamo  figlio  di  Agefilao  avendo  ve- 
duto un  dardo,  che  gitta va  fuoco,  portato  dalla  Sicilia,  efcla- 
maffe  :  Perììp  vìrorum  'virtus-  Non  so  dire,  fé  fia  vero;  ma 
certamente  noi  pofTiam  dirlo  de'  noftri  tempi  ,  da  che  ugual- 
mente fono  efpofti  e  forti  e  dappoco  alle  pioggie  delle  mici- 
diali palle.  Dopo  il  1300.  fi  crede  accidentalmente  trovata 
la  Polve  fuddetta;  contuttociò  per  buona  parte  del  Secolo  XIV. 
poco  cambiamento  fi  fece  nell'  Arte  della  Guerra  ,  perchè  il 
fufleguente  trovato  de' Cannoni  era  lontano  dalla  perfezione, 
né  s\  predo  pafsò  a  tutte  le  Nazioni  Europee.  Comune  opi- 
nione è,  che  la  prima  pruova  d'effe  Bombarde  o  Cannoni  fi 
facelfe  alla  Guerra  di  Ciiioza  ,  fatta  fra  loro  da  i  Veneziani  e 
Genovefi  nel  1378.  e  ne'due  fuffeguenti.  Tengo  io,  che  mol- 
to prima  ne  foffe  conofciuto  l'ufo.  Certamente  non  pochi  an- 
ni avanti,  cioè  nell'Anno  134(5".  nella  fanguinofa  battaolia  di 
Creci  in  Francia  ,  gì'  Inglefi  fi  fervirono  di  Bombarde  ,  che 
faetta'vano  pallottole  dì  ferro  co?i  fuoco  ,  per  impaurire  e  cìifer- 
tare  i  Cavalli  de' Fran':i:efi  ^  come  fcrive  Giovanni  Villani  Li- 
bro XII.  Cap.  «55.  della  Storia .  Nel  Cap.  feguente  egli  aggiu- 
gne  :  San-za  i  colpi  delle  Bombarde ,  che  facieno  sì  gravide  tre- 
muoto  e  romore ,  che  parea  che  Iddio  tonajfe  con  graìide  uccijìo- 
7ie  di  gente  ,  e  sfondamento  di  Cavalli  :  parole  che  altro  non 
poflbno  indicare  che  i  noftri  Cannoni  .  Il  Continuatore  del 
Nangio  all'Anno  135^.  fcrive:  Munienres  turres  balUfìis^  gar- 
rottisj  canonihus^  &  machÌ7ìis  ,  Ma  non  è  ben  certo,  fé  que' 
Cannoni,  chiamati  dagli  Scrittori  Inglefi  Gw;???^,  foffero  le  no- 
flre  Bombarde.  Ma  un  bel  paffo  v'ha  di  Francefco  Petrarca  , 
non  avvertito  da  Polidoro  Virgilio  ,  né  dal  Panciroli  ,  né  dal 
Du-Cange,  che  può  decidere  tal  controverfia.  Cosi  egli  par- 
la nelLib.  I.  De  Remed.  utriusque  Fort.  Dialogo  pp.  intitolato 
de  Machinis  &  Balifìis  .  Quivi  egli  fcrive  :  G.  Habeo  Machi- 
nas  &  Balifìas,  R.  Mirum  ^  nifi  Ò^  glandes  ceneas^  qude  flam- 
niis  inje6ìis  horrifo?io  fono  jaciumur  .  Non  erat  Jatis  de  Ccelo 
fonantis  ira  Dei  immortalis  ,  72ÌJÌ  homimcio  (  0  crudelitas  /unBa 
'  ftiperbice  )  de  terra  etiam  tonutjfet .  Non  imitabile  fidmen  ,  ut 
Maro  ait  ^  humana  rabtcs  imitata  efl  ;  &  quod  e  nubibus  mitti 
jolet ,  igneo  quidem  ,  Jed  tartareo  mittitur  itifìrumento  .  ^od 
ab  Archimede  i?iventum  quidam  putaìit  eo  tempore  ,  quo  Mar- 
cellus  Syracufas  obfdebat  .  Ver^.m  ille  hor  ,  ut  fuormn  Civium 

li  ber- 


V  E  N  T  ES  I  M  A  SE  S  T  A  .  457 

l'thenatem  tueretm  ,  excogita'vtt ,  patriceque  excìdlum  voi  aver- 
teret ,  'vel  differrep  :  quo  vos ,  tif  Itberos  Populos  'vel  jugo  vel  ex- 
ciato  prematis  ,  utìmini  .  'Erat  h^c  pejìis  NUP  E  R  rara  ,  uf 
cum  tnpenti  mtraculo  cerneretur .  NUNC  ^  ut  rerum  pejjimarum 
dociles  fum  animi  ,  ita  COMMUNIO  eji  ,  ut  quocUtbet  genus 
/irmorum  .  Convien  qui  notare  ,  che  quel  Trattato  fu  manda- 
to dal  Petrarca  ad  fplcndiduìn  ^  natalihusque  clarum  'virum  Axo- 
nem  Ccrrigium  ,  Principem  Parmenjcm  .  Fini  Azzo  da  Correg- 
gio di  fignoreggiare  in  Parma  l'Anno  i  344.  perchè  allora  ven- 
dè quella  Citta  ad  Obizzo  Marchefe  d'  Efte  .  Adunque  prima 
di  tal  Anno  era  già  Comune  in  Italia  l'ufo  de'Cannoni.  Ab- 
bianìo  poi  da  Andrea  Redufio  nella  Cronica  di  Trivigi  le  Te- 
gnenti parole  all'  Anno  I37<5'.  Illa  bora  Bombardella  parva  ^ 
quas  Prima  fuit  vifa  &  audita  in  partibus  Italia  ,  conduca  per 
gentes  Veìietorum  ,  caju  percujjtt  Ri'2:olinum  de  Axojìibus  nobi" 
lem  Tarvijinum  cum  debilitatione  brachii  .  Ma  il  medefimo 
Autore  avea  di  fopra  all'Anno  1373.  fcritto  ,  ch^ÌQ  Bombar- 
de erano  (late  ufate  da  Francefco  da  Carrara  contro  i  Vene- 
ziani, di  modo  che  pare,  che  ìt  Bombardelle  bensì,  ma  non 
le  già  note  Bombarde  ,  cominciarono  ad  ufarfi  nella  Guerra  di 
Chioza  .  Che  gli  Schioppi  o  Fucili  fodero  una  cola  nuova  in 
Toicana  anche  nell'Anno  1432.  lo  fcrive  Francefco Tommali 
nella  Storia  di  Siena  ,  dicendo  :  Habebat  (^  milites  quingentos 
ad  fui  cujìodiam  ,  Scloppos  (  id  genus  armorum  vocant  ^  invifum 
apud  nos  antea  )  deferentes  ,  totidemque  Hmigaros  equites  arcum 
gejìames  .  Che  nel  137^.  in  uno  Spettacolo  della  Citta  di  Vi- 
cenza foffe  adoperata  la  Polve  da  fuoco,  s'ha  da  Conforto  Pul- 
ce nella  Storia  di  quella  Citta. 

Continuarono  adunque  per  tutto  il  Secolo  XIV.  i  Cava- 
lieri a  valerfi  delle  feguenti  armi,  cioè  Lancia,  Spada,  ©Maz- 
za; e  i  Pedoni  della  Spada  ,  Saette,  Dardi,  Manarini,  Scuri, 
Fionde,  Coltelli,  Pugnali,  ed  altre  armi  da  ofFefa,  e  dello  Scu- 
do per  di  fé  fa  .  Altre  forte  d'Armi  fi  poffono  intendere  dagli 
Statuti  MSti  Ferrarefi  dell'Anno  1268.  Ecco  le  parole  di  ef- 
fi  :  Arma  vetita  in  Civitate  Ferrarics  &'  Dijìri6lu  intelligimus 
Bordonem  ,  Lnni^nem  ,  Transferium  ,  Scimpum ,  Cultella':^um , 
Cultellum  cum  punSia  habentem  ferrum  majus  femijfe  ,  Konco- 
nem ,  Lanceam ,  Spatam .  Lanceam  vero  concedimus  Militibus  , 
quum  equitant  ;  Spatam  Pediti  ,  quum  vadit  de  una  Terra  /?/ 
aliam  ;  &  domi  dimittat .  5"/  quis  de  no6ie  inventus  fuerit  portare 
Tomo  L  Mmm.  Fah 


458  Dissertazione 

F f.lzonem  ad  Caverò ,  Bordojiem ,  Lan-zonem ,  Transferlum ,  vél 
Ax^m^  condemnetur  Ò'c.  Vemmtamen  l'tc'ttum  fit cuìlibet  àeCU 
lutate  Ferraris  portare  impune  ,   eundo  &  redeu7ìdo   ad  Vtllas , 
Spatam^  Cu! teli um  de  ferire^  Lance am^  finjie  Lan-zonem  ^  Mac- 
c'tam ,  &  Kojiconcm  .    Molte  furono  le   Ipecie  delle  Freccie  e 
de  gli  Scudi  .    PreiTo  gì'  Italiani  (ì   truovano  Scudo  ,  Rotella  , 
Brocchiere^  Targa ^  Pavefe,  Q_ue(li  Scudi  li  diftingueva  la  dif- 
ferenza della  materia  ,  o  delia  forma  ;    perchè  altri  era.no  di 
ferro,  orarne,  o  legno,  o  cuoio  ;   alcuni  di  forma  rotonda,  ai- 
tri  di  bislunga,  ©quadrata.  Percento  àQ\  Paveje  ^  loStigliani 
dal  Latino  Pavia  ^  e  il  Menagio  da  P^rw^  ,  ne   trafl'ero  il  no- 
me.   S'ingannarono  .  Sofpettò  Ottavio  Ferrarini ,  che   venilfe 
dal  Popolo  di  Pavia,  e  quefta  è  la  vera  opinione.  Ecco  le  pa- 
role dell'Aulico  Ticinenle  de  Laud,  Papia:  nel  Gap.  13.   Tici- 
nenjìs  militile  fama  (^  cosi  egli)  per  totam  Itali  am  divulgata  e/I  : 
&   ab   ipjìs  adhuc  quidam  clypei  magni  tam  in  fuperiori  capite 
quadri  ,   quaìn   in  inferiori.^   Papienfes  fere  vocantur  ubique.   Al- 
tro dunque  non  furono  i  Paveft  che  Scudi  fatti  alla  maniera 
di  Pavia  .  E  tal  voce  colla  figura  d'effi  pafsò  in  Francia  ,  In- 
ghilterra, e  Spagna,  come  fi  può  vedere  preffo  il  Du  -  Gange 
alla  voce  Pavifarii  ,  Pavifatores  &c.  Ebbero  i  Pavefi  un*  altra 
forta  di  Scudi,  de' quali  fi  fervivano  nelle  finte  battaglie.  Odafi 
il  medefimo  Aulico,  che  defcrivcndo  quelle  Zuffe  da  burla,  di- 
ce :    Ha  ben  t  in  [capi  ti  bus  galeas  ligneas  ,  fcilicet  viminibus  tex- 
tas^  quas  Ciftas  'uocant^  pannis  &  moUibits  interius  exteriusque 
partitas  &c,  tenentes  omnes  Scuta  radicibus  texta ,  &  ligneos  fa' 
fies  .  Sembra ,  che  i  Pavefi  teneffero  davanti  a  gli  occhi  ciò  , 
che  fu  fcritto  da  Vesezio  .  Scuta  decimine  in  modumcratium 
coorotundata  tenebant .   Perchè  altri  Scudi  follerò  appellati  Ko- 
telle  ,    credo  che  procedefle  dalla  lor  figura  rotonda  come  le 
Ruote  .    Rondelle  tuttavia  dura  nella  lingua  Franzefe  .  Broc- 
chiere ^  s'io  non  m'inganno ,  fu  chiamata  quella  fpecie  di  Scu- 
di ,    che  nel  mezzo  teneva  uno  Spuntone  o  Chiodo  acuto  di 
ferro  ed  eminente  ,  con  cui  anche  fi  potea  ferire  il  nemico  , 
fé  troppo  fi  avvicinava.  Braccare  voce  andata  in  diiufo  fignifi- 
cava  pungere  il  cavallo  colle  Brocche ,  cioè  colle  punte  de  gli 
Speroni,  T^crchè  Brocca  volea  dire  un  ferro  acuto.   Noi  appel- 
liamo tuttavia  Brocchette   alcuni  piccioli  chiodi  .    Credefi  an- 
cora, che  Talavacii  foffe  una  forta  di  Scudo  .    Rolandino  Li- 
bro Vili.  Gap.  IO.  all'Anno  I25<^.  fcrive  ;  Circa  ducentos pedi- 

tes 


Ventesimasesta.  4.5^ 

tei  de  Vtncentia  Ò'  Vìceìittno  diJìrìHu  ,    cum  Talavaciis  ftatu'it 
fupertuntm^  &  porfam^  &  fp^ldum  de  Pomecorbo, 

Dardi  ^  e  Giavellotti  vecchiamente  fi  ufavano  con  ifcagliarli 
centra  de' nemici  .  Non  so  dire  con  certezza  ,  fé  le  Giavnrine 
o  Chia'varine  follerò  ,  come  mi  vo'  figurando  ,  mezze  picche, 
le  quali  fi  folevano  anche  fcagliare  contro  1' A vverfario.  Non 
v'ha  pcrfona  tinta  di  Lettere,  che  non  fappia ,  qual  fofle  una 
volta  l'ufo  degli  ^/T/^/,  e  delle  Fr^criV  o  Saette .  Gran  tempo 
elfo  durò  .  Succederono  poi  le  Ballilie  manuali  ,  che  fi  chia- 
marono Bnleflre  ,  cioè  fi:rumenti  di  legno  con  arco  di  ferro  , 
che  con  più  forza  fcagliavano  le  Freccie  o  fia  gli  Strali.  Chia- 
mavanfi  Are  ari  i  ^  Arcatores^  e  Italianamente  Arcieri^  coloro, 
che  fi  iervivano  de' primi;  t  Balijìarii  ^  e  Balejìrieri  i  pedo- 
ni, che  ufavano  le  Baleftre  :  benché  fi  truovino  a.ncoi'^  E q  14 i- 
tes  Balijìarii  .  V'erano  \t  Balejìre  grojfe  ^  Macchine  Icaglianti 
più  Freccie  in  un  colpo.  Nelle  Giunte  alle  Croniche  de'Cortuii 
abbiamo  la  battaglia  dell'Anno  131 5.  in  cui  furono  da  Uguc» 
cione  della  Faggiuola  fconfitti  i  Fiorentini  .  Ivi  fi  legge  :  ^/^ 
'videns  Ugutto  mijit  prò  Balijìertis  Pifanis  ,  qui  erant  numero 
quatuor  mille  ,  tT  eos  fagaciter  ordinanit  in  hunc  modum  :  ^uod 
eorum  tertia  pars  fagittet  in  Lanci feros  diSii  Principis  ;  alia  ter- 
tia  pars  immediate  ponderet  Balijìas  fuas  cum  Mufchettis  ,  & 
quod  telis  etiam  Jagittet ,  alia  vero  tertia  pars  poflmodum  jam 
poxderatis  Balijìis  recuti at^  &  frequentando  fagittare  non  cejjet^ 
&  omnes  infpiciant  primo  in  Lanci  feros  Jagittare  ,  &  pojìea  in 
equos  rnilitum  Principis  .  Si  chiamavano  Mojchette  le  Freccie 
fcagliate  dalle  Baleftre  .  Marino  Sannto  il  vecchio  nella  fua 
Storia  icriffe  :  Hcec  eadem  Balifloe  tela  poJfe?ìt  trahere  ,  quae 
Mufchetta  vulgariter  appellantur  .  Nella  Cronica  Eftenfe  ali* 
Annoi  3  op.  fi  legge  :  Propter  magnam  multitudinem  Mufchet' 
tarum  ,  quas  fagittabant ,  Sopra  gli  altri  Baleftrieri  furono  in 
gran  credito  i  Genovcfi  .  Cinque  o  lei  mila  di  elfi  fi  trovarono 
alla  fopr' accennata  battaglia  di  Greci  per  loro  diigrazia.  L'Au- 
tore della  Vita  di  Cola  di  Rienzo  racconta  ,  che  era  fiata  un 
poco  di  pioverella .  La  Terra  era  infufa  e  molle,  ^hianno  vole- 
'va?to  caricare  la  Valejìra^  mettevano  pede  nella  flajfa.  Lo  pede 
sfuiva  .  Non  potevano  ficcare  lo  pede  in  terra ,  Sofpettando  1  Fran- 
zefi  nella  lor  lentezza  un  tradimento,  fecero  un  macello  di  quel- 
la povera  gente  con  barbarica  crudeltà .  Dio  ne  fece  vendetta. 
Sconfitti  cffi  Franzefi  dagllnglcfi  iafciarono  parecchie  migliara 

M  m  m     2  de' 


4(5o  Dissertazione 

de' tuoi  fui  campo .  La  maniera  di  caricar  col  piede  la  Baleflra 
è  mentovata  da  Guglielmo  Britone  Lib,  VII.  Philipp,  in  quel 
verfo  : 

Bnlìfta  duplici  tenf'a  pede  mìjfa  Sagìtta, 

L' Arco  de  di  Arcieri  fi  tendeva  colla  mano  .  Altrove  dice 
quello  Storico  : 

JSJec  tamen  i  fi  ter  e  a  cejfat  Ballifla  njel  Arcus  : 
Quadre  II  OS  h(jec  multipli  e  at ,  plu'it  ili  e  Sagittas . 

Furono  anche  i  ^^drelli  una  fpecie  di  Saetta  ,  cosi  appellati 
o  dalla  lor  forma  ,  o  da  quattro  Ale  .  Poco  diverfi  pare  che 
foffero  ì  Boi "2:077 i  ^  nome  venuto  dal  Tedelco  BoltT^e  fignifican- 
\Q  Saetta,  Celebri  m  oltre  comparifcono  iVervettoìii  ^  forta  di 
Freccie  fcagliate  dalle  Baleftre  .  Chi  tenne  tal  parola  origi- 
nata da  Verutum  Latino,  non  riflettè,  che  i  Feruti  era.noDa.r- 
di  fcagliati  colla  mano.  Né  pur  viene,  come  pensò  il  P.Da- 
niello Gefuita  ,  dal  Franzefe  Firer  ,  cioè  Girare  :  perchè  fi  fa- 
rebbe detto  lo  (leffo  di  ogni  Dardo  e  Saetta  .  Potrebbe  cfTere, 
che  veniffe  dalla  Lingua  Tedefca  ,  giacche  troviamo  Werreto- 
^ìes  ,   e  Guerretto?ii . 

Osservisi  ora  ciò,  che  da  FraFrancefco  Pippino  nelLib.IIL 
Cap.  45.  della  fua  Storia  fu  fcritto  ,  cioè  :  Anno  Domini  MCC- 
LXVI.  Italici  exeryìplo  Francorum  Pugionibus  ufi  coeperunt^  Enfi- 
bus  obfoletis»  A  mio  credere  non  fi  parla  qui  àe  Pugnali  e  5^//- 
ìetti  ,  ma  bensì  delle  Spade  da  Punta  ,  e  che  ferifcono  con  ef- 
fa  Punta  .  Dianzi  Enfes ,  Gladii ,  Spatha  doveano  effere  quel- 
le ,  che  oggidì  chiamiamo  Spade  da  due  tagli  ^  o  da  un  folo , 
come  le  Sciable  .  Vegezio  parla  d'ambe  le  Spade  da  punta  e 
da  taglio,  e  preferifce  l'ufo  della  prima  a  quello  dell'altra  Li- 
brai. Cap.  12.  Apollinare  Sidonio  Lib. III.  Epin-.3.  narrando 
una  vittoria  riportata  contro  i  Goti  ,  fcrive  :  Alii  hehetatorum 
ccede  Gladiorum  Intera  dentata  pernumera?2t  .  Adunque  i  Fran- 
zefi  combattevano  colle  Spade  taglienti  .  Soggiugne  :  Alii  ca- 
Jlm  atque  punBim  foramina^tos  circulos  loricarum  metiuntur  . 
Adunque  l'Armi  de' Goti  ferivano  di  punta  e  di  taglio  .  Gu- 
glielmo Pugliefe  deferi  vendo  i  Suevi  menati  in  Italia  dal  Santo 
Pontefice  Leone  IX.  nell'Anno  1055.  racconta,  che  coloro  va- 
levano poco  colla  Lancia» 

^  -  -  Prd^' 


Ventesimasesta.  4^1 

-  -  -  -  Pracmhiet   "Enfis  ; 

Sii7it  etenìm  loìigt  fpec'ialìter  &  per  acuti 

Illorum   Gì  adii,  Percujfum   a  vertice  corpus 

ScÌ7ìdere  Jcepe  folent ,  Et  firmo  Jìa?ìt  pede  ^  poflquam 

Deponuntur  equis  .  Potius  certando  perire , 

Ghiam   dare  terga  njolujìt ,  Magis  hoc  fu?ìt  Marte  timendo  ^ 

^)uam  dimì  fu?ìt  equites. 

Io  prendo  quel  peracutos  per  ùer?  agu:?^^:]  ed  affilati^  perchè  ap- 
parilce,  che  le  Spade  loro  erano  da  taglio.  Dovettero  imitarli 
gl'Italiani  lungo  tempo,  finché  i  Franzefi  inlegnarono  loro  ad 
ular  quelle  da  taglio,  come  più  commendate  da  Vegezio.  Il  che 
fu  conoiciuto  anche  da  Benvenuto  da  Imola,  il  quale  al  Gap.  31. 
del  Purgatorio  di  Dante  fa  la  feguente  olfervazione  .  Melms  & 
tutius  ejì  pugnaììti  ferire  pmi^lim  ^  quam  cccjim  .  Primo  ,  quia  fc' 
riens  pun6iim ,  habet  incidere  minus  de  armis .  Secundo ,  quia  ad- 
verfarius  rioìi  ita  bene  vitat  i6lum .  Tertlo ,  quia  invenìt  minorerà 
refiflentiam  in  e  or  por  e ,  ^htavto^  quia  feriens  minus  laborat.  Quin- 
to ^  quia  miìius  fé  detegit .  Però  i  Franzefi  con  quelle  Spade  acu- 
te lapeano  vantaggioiamente  combattere  con  gli  Uomini  d'armi, 
tuttoché  vediti  a  ferro.  Guglielmo  Nangio  de  gejì.  Sancii  Lud. 
ce  lo  infegna  fcrivendo  :  Franci  mucronibus  gracilibus  &  acutisy 
fub  humeris  ipjorum ,  ubi  inermis  patebat  aditus  ,  dum  levarenp 
bracbia^  transforantes^  per  latebras  vifcerum  gladios  capulo  tenus 
immergebant,  Leggonfi  ancora  nella  defcrizione  della  Vittoria  di 
Cario  I.  Re  di  Sicilia  quelle  parole  :  Sed  nojìri  Gallici  ex  brevi- 
bus  Spathis  fuis  eorum  latera  perfodiebant^  ut  vitam  demerent  cor- 
de taóìo  .  Lo  fleflb  Re  Carlo  gridava  ad  alta  voce  :  PunBim  in- 
fi  gite  y  militesChrifii  j  punBim  transfigìte  .  Però  non  Pugnali, 
ma  Spade  corte  da  tagho  erano  quelle  de' Franzefi.  Stocchi  fo- 
no chiamate  da  Giovanni  Villani  ;  e  in  fatti  nella  lor  Lingua 
Frapper  d'Eftoc  h  Ferire  di  punta  ;  e  di  la  è  venuto  l'Italiano 
Stoccata  ,  Che  anche  nel  Secolo  VIII.  in  Italia  fi  conofcefTero  le 
Spade  da  punta,  fi  può  provar  colle  parole  dell'Anonimo  Saler- 
nitano, dove  parla  di  Liutprando  Duca  di  Benevento,  e  del  tuo 
Succeflbre  i^richis  .  Dum  in  eadem  Ecclejia  ,  Langobardorum  Jì- 
cuti  mos  efl  ,  cum  Pugionibus  accincli  altrinfecus  introijfent  &c. 
Del  redo  gli  antichi  Franchi  oltre  alla  Spada  lunga  ularono  an- 
che delle  mezze  Spade;  e  V'egezio  ne  nomina  una  ,  che  pare  il 
r\o?i^o  Pugnai  e  y  di  cui  fi  fervivano,  quando  erano  alle  ftrette. 

Meri- 


^      4^2  D  I   S   S  E   R    T  A   Z   I   O   N,E 

M'E^^^TA  ora  d'.eflere  qui  rammentato  il  Canone  2p.  del 
Concilio  Lateranenfe  IL  tenuto  fotto  Innocenzo  IL  Papa  neir 
Anno  ii3p.  di  cui  fono  le  feguenti  parole  :  Artem  autem  tllam 
ìnortìferam  &  Deo  od'tb'tlem  Ball'tjì artorum  &  Sagittariorum  ad- 
verfus  Chrijìianos  &  Catholicos ,  exerceri  de  cetero  fub  anatheyna- 
te  prohibeì72us.  Chi  non  fi  llupira  di  veder  quello  fulmine  con- 
tra  Tufo  dell'Arco  e  delle  Saette,  che  fi  truova  in  tutti  i  Se- 
coli precedenti.  Ci  llupiremmo  ancor  noi,  fé  venilTe  ora  vieta- 
to quel  de' Cannoni  e  Archibugi  fra  i  Cridiani.  Alcune  guade 
edizioni  hanno  Bnllt  Jìadtorum  ,  e  però  afiai  ridicolofamente  il 
Baile  nella  Somma  de'Concilj  da  Arnobio  e  dalla  Cerda  prende  a 
fpiegare  la  voce  Balli  ,  dicendo  :  ^uod  baiare  d'tcuntur  Arietes^ 
quum  cornibus  fé  mvicem  impetunt»  Senza  fallo  ivi  fi  legge  Bal- 
lìjìarìorum^  o,  come  volle  il  Cardinal  Baronio  ,  Balìjìaliorum  , 
cioè  de' Baledrieri .  Gli  Autori  della  Chiola,  il  Palermitano,  ed 
altri  Interpreti  trovarono  colle  lor  gran  tede  il  fenfo  di  quefto 
Canone,  con  dire  :  hitellìge  de  bello  tnjuflo ;  fecus  de  juflo.  Bel- 
la (cappata,  ma  perchè  non  proibir  anche  le  Spade  e  le  Lancie 
nella  guerra  ingiuRa  ?  Anche  il  Baluzio  fi  credette  d'aver  trova- 
to il  perchè  fi  formaile  il  Canone  fuddetto  ,  cioè  per  efferfi  ri- 
meffo  in  ufo  a  que' tempi  ii  valerfi  Balijìh  Ù'Sagttt'is  nelle  guer- 
re fra  Criftiani  :  il  che  dianzi  non  {\  praticava  .  In  fatti  nelle 
prime  Crociate  fappiamo,  che  i  Criftiani  adoperavano  folamen- 
te  Lancie  e  Spade;  laddove  i  Turchi  da  lungi  ufavano  Archi  e 
Saette  ,  e  da  vicino  le  Spade  .  Avendo  poi  Franzefi  e  Itahani 
portato  feco  l'arte  difaettare,  s\  perniciofa,  perchè  ammazza 
i  lontani,  e  non  diftingue  i  forti  da  i  deboli;  perciò  lembra  ve- 
rifimile  ,  che  foile  proibita  a' Criftiani,  che  facean  guerra  ad  al- 
tri Criftiani  Artem  Balliftarioruìn  &  Sagìttariorum  .  Ma  né  pur 
quefta  fembra  buona  ragione.  Anche  ne' Secoli  precedenti  noi 
troviamo  Arcieri  e  Saette  in  guerra  .  Non  occorre  ,  eh'  io  ne 
rechi  le  pruove  .  E  fé  fi  dicefte  ,  che  almeno  erano  nuove  in 
Occidente  le  Balejìre  ,  riipondo  ,  che  certamente  in  Francia 
molto  ancora  dopo  Innocenzo  IL  ne  fu  ignoto  l'ufo.  L'abbia- 
mo da  Guglielmo  Britone  Lib.IL  Phihpp.  che  all'Annoi  184. 
cos\  feri  ve  : 

Francigenis  nojìris  illis  ìpjiota  diebus 
Kes  erat  omnìno^   quid  Balijìarius  Arcus^ 
^uid  Balijìa  foret  ;  nec  habebat  in   agmine  tota 
Ke>c  armis  quemquamy  fciret  qui  talibm  vti . 

Rie- 


'Ventesima  SESTA.  ^6j 

Riccardo  Re  d'Inghilterra  quegli  fu,  che  portò  di  Levante  le 
Baleftre  ,  tanto  tempo  dopo  il  Canone  fuddetto  .  Potrebbefi 
dunque  pii^i  tofto  ioipettare,  che  in  effo  Canone  mancaffe  qual- 
che parola,  e  che  vi  fo (fero  lolamente  vietate  h  Saene  ^we- 
le?iate .  Pandolfo  Pifano  nella  Vita  di  Papa  Gelafio  II.  all'  An- 
no  1 1 1  8.  COSI  parla  :  Sava  tnjuper  jam  per  ripam  Alemannorum 
barhartes  tela  contra  nos  mixtaToxico  jaciebat ,  Quel  ch'è  certo, 
o  fia  che  veramente  non  folTe  proibito  in  generale  1'  ufo  de  gli 
Archi  e  delle  Balellre,  o  pure  che  i  Principi  non  voleffero  £r 
conto  di  quel  divieto  :  fi  continuò  univerlalmente  fra'  Criiliani 
a  praticare  gli  Arcieri  e  Baleflrieri  in  Italia  .  Nelle  guerre  di 
Federigo I.  Imperadore  contro  i  Lombardi,  Sire  Raul  e  Ottone 
Morena  affermano  effere  intervenuti  Arcatores  atqueBaliJìnrtos , 
Da  Ottone  da  Frifinga  Lib.  IL  Cap.  i/.  de  geft.Frìd.  è  detto, 
che  ali'alfedio  di  Tortona  Sagittarii^  Bnlijìarìi  ^  Fundtbular'iì 
tìrcem  cìrcumfeptam  obfervabant  ,  I  Pilani  parimente  e  i  Geno- 
vefi  ufarono  Archi  e  Balellre  nelle  lor  guerre;  e  Innocenzo  III. 
Papa,  come  s'ha  dalla  iua  Vita  ,  nell'Anno  iipp.  cemum  Ar- 
Carlos  conduxit  adfolidos^  cioè   al   luo  foldo . 

Per  quel  che  riguarda  la  Milizia  marittima,  le  Flotte,  eie 
battaglie  di  mare  ,  poco  vi  penfarono  i  Re  Longobardi,  Fran- 
chi ,  e  Tedefchi  fino  al  Secolo  X  I.  Solamente  abbiamo  ,  che 
nell'x^nno  8io.  per  atteftato  degli  Annali  de' Franchi,  Pippino 
Re  d'Itaha  Venet'tam  bello  terra  mar'ique  appettiti  fubaBaque Ve- 
neti a  ,  ne  Ductbus  ejus  in  dedttionem  acceptis ,  eamdem  clajfem  ad 
Dalmatice  litora  -vafianda  accejjìt .  Ala  i  Greci,  che  Tempre  con- 
fervarono  l'arte  di  far  guerra  in  mare,  vi fpedirono  una  Flotta, 
e  il  fecero  ritirare  in  fretta  .    Anche  nell'  Anno  828.  Bonifa- 
zio Conte  o  (ìaMarchefe  di  Tofcana  parva  clajfe  circumveóius 
navigò  in  Affrica,  e  fece  gran  danno  e  paura  a  que* Saraceni . 
Ma  quefte  non  fon  prodezze  di  gran  conto;  e  meno  ne  fecero 
dipoi  i  Criftiani  di  Occidente  ,  quando  all'  incontro  i  nemici 
del  nome  Cridiano  in  que'  tempi  conducevano  groffe  Flotte  ad 
infeftare  la  Francia  e  l'Italia.   Cioè  daU'un  canto  i  Norman- 
ni, gente  rannata  dalle  parti  del  Baltico  e  della  Norvegia,  con 
ifmifurata  copia  di  varie  navi  sbarcando  di  tanto   in  tanto  or 
qua  orla  ne' lidi  di  Francia  ,  e  ne' circonvicini   paefi  ,  e  fino 
in  Italia,  laiciarono  dapertutto  lacrimevoli  memorie  diiiragi, 
incendj  ,  e  faccheggi  ne' Secoli  IX.  e  X.   Dall'altra   parte  an- 
che i  Saraceni,  menando  belle  Armate  per  mare  in  Ifpagna, 

Sici- 


i^óq.  Dissertazione 

Sicilia,  Calabria,  e  Fraflineto,  s'impadronirono  dique'paefi, 
ed  infeflarono  il  refto  d' Italia  ,  fenza  che  alcuno  s^avvifafle  di 
far  loro  contrailo  per  mare.  E  da  colloro  in  prima  i  Siciliani  , 
poicia  gli  altri  Popoli  Occidentali,  prelero  la.  ip^roh  Amiralius^ 
Amìraldus  ,  Admirallus  ,  Adm'iratus  ,  oggidì  Ammiraglio  ,  per- 
chè cos'i  era  chiamato  da'  Saraceni  il  Comandante  fu  premo 
delle  loro  Flotte  ,  effendo  voce  Arabica  Am'tr  ,  e  lo  (leffo  che 
Emir,  Da  effi  Arabi  a  noi  ancora  venne  la  voce  Arianna ^  come 
fa.  anche  detto  da  Dante  Canto  21.  dell'  Inferno  ,  da  noi  mu- 
tata  in  Arfenale. 

^uale  neW  Avz^ììà  de  Vcne-zianì 
Bolle  V  inverno  la  tenace  pece» 

Penfa  il  Du-Cange  ,  che  Arfenale  fignifichi  Armamentarium  , 
cioè  Armeria,  Ma  vuol  dire  Navale,  cioè  Luogo  dove  fi  fab- 
bricano e  fi  tengono  le  Navi  .  Crede  eziandio  ,  che  venga  da 
Ars^  qu(e  fequioribiis  Latifìis  Machinam  denota'vit.  E*  inluffi  (len- 
te immaginazione.  Viene  dall'Arabico  Darcenaa^  lo  fteflb  che 
Arfenale.  E  refta  più  chiaro  elfo  nome  prelfo  di  noi  nella  pa- 
rola Darfena  .  Da  Rafaino  Carefino  nella  Storia  Veneta  è  no- 
minata Arfena ;  e  da  Bartolomeo  da  Neocaftro  nella  Storia  Si- 
ciliana Tarfana^  e  Tarfanatus  Regius  Mejfanae  .  Probabile  è  al- 
tresì, che  da  quella  lingua  abbiamo  tratto  la  voce  Do^^;?/? ,  e 
non  gih  dal  Greco,  da  dove  con  gli  argani  volle  tirarla  il  Me- 
nagio.  Certamente  alla  Lingua  Arabica  fiam  debitori  delle  pa- 
role MagaT^^no  e  Fondaco  ,  e  delle  Cifre  numeriche  ,  da  noi 
oggidì  ulate.  In  que' tempi  ancora  i  Greci  non  fi  laiciavano  fu- 
perchiare  da  alcuno  nella  perizia  e  potenza  della  Marina,  per- 
chè tenevano  buone  Flotte  ,  e  fapeano  far  belle  battaglie  per 
mare.  Perciò,  fecondo  la  teftimonianza  di  Liutprando Storico, 
Niceforo  Imperador  de'  Greci  fé  ne  pavoneggiava  con  riderfi 
anche  di  Ottone  il  Grande  Imperadore  privo  di  Armate  nava- 
li. Diceva  egli  al  medefimo  Liutprando  Ambafciatore:  Nec  ejl 
in  mari  Domino  tuo  clajftum  numerus  .  Nanjigantiitm  fortitudo 
mi  hi  foli  ineft  ^  qui  eum  claffihus  aggrediar  ;  bello  maritiynas  ejus 
Civitates  demoliar  ,  &  qua  fìumi?iibus  funt  'vicifìa  ,  redigam  in 
favillam  .  I  primi  ad  eifere  potenti  per  mare  in  Itaha  furono 
i  Veneziani,  gloria,  che  tuttavia  ritengono  fra  noi.  Ecco  ciò, 
che  circa  l'Anno  lopo.  fcriffe  dell'inclita  loro  Citta  e  Nazione 
Guglielmo  Pugliefe  nei  fuo  Poema  Lib.  IV. 

Non 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  S  E  S  T  A  ,  ^6^ 

Norf  ìgyiara  qiùdeyn  belli   'navalìs  &  audax 
Gens  erat  hcsc  :  illam  populofa  Veneti  a  mijìp 
Imperli  prece  ^  dives  opum^  divesque  'utrorum  ^ 
Qua  Jìnus  Adriacìs  i^ìterlitus  ultimtds  undis 
Subjacet  ArBuro .   Sunt  hujus  mcenia  gentis 
Circumfepta   mari  j  nec  ab  adi  bus  alter  ad  cedes 
Alteri  US  tran/ire  potejì  ^  7iijì  lintre  njehatur. 
Semper  aquis  habitant .   Gens  nulla  valentior  i/la 
^quoreis  bellis^  ratiumque  per  cequora  duóìu  . 

Prima  ancora  del  Secolo  XI.  e  fin  quando  regnavano  i  Longo- 
bardi, certo  è,  che  fu  rinomato  il  valore  per  mare  del  Popolo 
Veneto.  Leggi  le  Croniche  del  Dandolo.  Divennero  poi  famofi. 
per  le  loro  Flotte  marittime  i  Normanni  lotto  Roberto  Guifcar- 
do  Duca  di  Puglia,  e  fotto  i  fuoi  SuccelTori,  e  parimente  i  Pifa- 
ni ,  e  molto  più  i  Genovefi  ,  delle  grandi  azioni  de 'quali  ,  non 
meno  che  de' Veneziani,  fon  piene  le  noflre  Iflorie  .  Né  fola- 
mente  ufarono  quelli  Popoli  per  mare  i  Legni  minori  ,  ma  an- 
che i  maggiori ,  e  col  nome  di  Ligna  ,  Barchiae  ,  Vaja  &c,  di- 
fegnavano  tutte  le  Navi  ò^i  giuda  grandezza  ;  e  fé  ne  formò  poi 
quella  di  Vafcello^  che  dura  tuttavia  .  V'erano  Galecd^  Taridce  ^ 
Chelandriay  Sagencjs ^  Sagitte<s ^  BarchdS ^  Brigantini ^  Carabi^  onde 
Carabella^  e  Caravella  ^  con  altri  nomi  disuiati  oggidì.  Furono 
anche  rinomate  le  Cocche  .  Che  forta  di  Legni  fode  queda,  non 
l'intefe  il  Du-Cange.  Concha^  die' egli,  7i  avi  gii  [peci  e  s  inConch<t 
formam  effigi  a  ^  ut  funt  Gondola  Veneticce .  Cocha^  e  nonConcha^ 
doveva  egli  dire  ,  ne  quelle  fomighavano  le  Barchette  chiamate 
Gondole;  anzi  furono  de'pii^i  grolìi  Legni,  che  allora  folcalfero  i 
noftri  due  Mari .  Vedi  le  Storie  Venete  e  Genovefi  nella  mia  Rac- 
colta .  Per  atteftato  di  Giovanni  Villani  Lib.VIlL  Cap.  77.  folo 
dopo  il  1304.  fi  cominciarono  ad  ufar  le  Cocche  dagl'Italiani. 

Ne' vo' lafciar  di  dire,  che  le  Citta  d'Italia,  da  che  pre fero 
colla  Liberta  forma  di  Repubblica,  e  molto  tempo  ancora  dipoi, 
folite  furono  di  far  guerra  o  per  difefa  o  per  offefa  co  i  loro 
proprj  Cittadini  .  Sì  Nobili  che  Artefici ,  dato  di  piglio  all'ar- 
mi, volavano  all'ofte,  e  l'elferfi  poi  così  addeftrati  i  Popola- 
ri, cagion  fu  ,  che  talvolta  depreffero  i  Nobili  ,  e  fecero  egli- 
no da  Signori.  Molte  di  effe  Citta  ufarono  di  dividerfi  in  ^/7r- 
tieri  oppure  Sejìieri  (  come  ne'  vecchi  tempi  i  Romani  divi- 
fero  la  gran  Citta  'mRegiones^  pofcia  Rioni  )  che  prendeva- 
Toyno  L  N  n  n  no 


^66  Dissertazione 

no  il  nome  da  qualche  Tempio,  o  Porta  della  Citta,  o  da  al- 
tro fegno.  Ognun  di  efTì  portava  la  propria  Bandiera,  e  davanfi 
la  muta  ne  gli  afledj  .  Il  nome  Italiano  di  Soldato  nacque  dall' 
introduzione  di  combattenti  ftranieri,  a' quali  fi  afTegnava  una 
quantità  di  Soldi  per  ogni  Mefe  .  Solidarìi  ,  Soldarit ,  e  Solda- 
nerii  fi  truovano  appellati .  Nella  Cronica  di  Orvieto  fi  legge: 
Furo  intorno  a  Ferrano  pur  fola  Cittadini  d  Orvieto  cento  tren- 
ta Cavalieri  ^  e  tre  mila  Pedoni  :  che  non  ve  ne  fu  nullo  Soldato, 
Che  incomodo  foffe  quello  degli  Artiftì  e  Contadini  di  dover  si 
fovente  lafciar  i  lor  lavori  percorrere  all'armi,  ognun  fel  può 
figurare  .  Perciò  fi  conobbe  tornar  il  conto  in  iftipendiar  com- 
battenti da  pagarfi  co' tributi  del  Popolo,  e  lalciare  eflb  Popo- 
lo in  pace  ,  fé  pur  non  avvenivano  edremi  bifogni  .  Galvano 
Fiamma  de  Keb,  gefl.  A^onis  Vicecom.  trattando  de'  buoni  ufi 
introdotti  da  i  Viiconti  prima  dell'  Anno  1340.  cosi  parla: 
Quinta  lex  efl  ,  quod  Populus  ad  arma  non  procedat  ,  fed  domi 
vacet  fuis  operi  bus  .  ^uia  omni  anno^  &  Jpecialiter  tempore  mej- 
Jìum  &  vendemiarum^  quo  folent  Reges  ad  bella  procedere  ,  Po- 
pulus reliólts  propriis  artijiciis  ,  cum  multo  di/crimine  &  multis 
e'^penfis  Jìabat  JupraCivitatum  objidiones  ^  Ù'  innumerabilia  dam- 
na  incurrehant ,  C^  prc£cipue  quia  inulto  tempore  in  talibus  bello- 
rum  exercitiis  occupabantur  .  Oltre  a  i  Soldati  ,  che  in  militare 
ordinanza  combattevano  ,  anticamente  furono  in  ufo  anche  i 
Ribaldi^  ch'erano  come  gli  Ufleri  de' tempi  noftri,  perchè  qua 
e  la  (correndo  fpiavano  gli  andamenti  de' nemici,  fpecialmente 
bottinavano,  e  intervenivano  anche  a  i  fatti  d'armi.  Giovanni 
Villani  Lib.  IL  Cap.  138.  attefta  :  Che  Jolo  i  Ribaldi  e  Ra- 
E^"^^  ^(?//'  O/le  avrebbono  vinto  colle  pietre  il  Battifolle  e  '/  Pon- 
te, Abbiamo  anche  da  Saba  Malafpina  Lib.  III.  Cap.  io.  del- 
la Storia  la  feguente  notiizia  .  His  occurrunt  primo  Ribaldi ,  qui 
gregatim  de  Francia  venerant  &'c.  Verum  Saraceni  de  more ,  prius- 
quam  [e  jungant  ^  manualiter  hojìibus  ex  pharetris  tela  promunty 
&  fagittantes  fubito  Ribaldos  fine  numero  fauciant  &c,  Veggonfi 
anche  nelle  vecchie  memorie  nominati  Garciones ,  ora  in  buo- 
no ,  ed  ora  in  cattivo  fenfo  .  Cosi  talvolta  furono  appellati  gli 
Scudieri ,  e  alle  volte  ancora  i  Famigli  più  vili  .  Prelfo  i  To- 
fcani  fi  da  il  nome  di  Garzone  a  i  Fanciulli  e  Giovanetti  anche 
nobili  ;  in  Lombardia  fi  applica  folamente  a  perfone  di  baffifli- 
ma  sfera  ,  come  Gar-^oni  da  Stalla  ,  Garzoni  de' Muratori  ,  de' 
Sartori  &c»  Né  quefto  nome  fu  molto  diverfo  da  quello  di  Ra- 


Ventesimasesta.  4.57 

ga-z^^  che  dura  tuttavia  per  fignificare  i  figli  del  baflb  Popo- 
lo. Ne  gli  Annali  di  Padova  all'Anno  1324.  il  Duca  diCarintia 
venne  a  Padova  cww  magna  77ìuhitudine  miUtum  &  pedltum^  & 
R/7^a:^orum  quaji  nudorum  ,  qui  exifl'tmahaììtur  quaft  'vìginti 
millìa  inter  bonos  &  malos  .  Erano  anche  chiamati  Famigli  . 
Aggiuganfi  i  Saccomanì  ,  che  fanno  fovente  comparfa  nelle 
Storie  del  Secolo  XIV.  Coftoro  col  Sacco  correvano  a  far  botti- 
no. Il  nome  loro,  fecondo  il  Menagio,  venne  daW Italiano  Sac- 
co,, e  dal  Tedefco  Man?:  ^  che  vale  uomo  ,  come  fé  Jì  dicejfe  Uoìno 
di  Sacco.  Anche  Lodrifio  Crivello  nella  Vita  di  Sforza  fcrive  ài 
certo  Luogo,  cui  propter  foli  ubertatem  mixtum  ex  Latina  .^  & 
Germana  Lingua  Saccomannorum  Silva  nomeneft.  Ma  doveano 
olTervare,  che  anche  i  Tedefchi  ufano  la  vocq  facco^  comune  a 
gli  Ebrei,  Greci,  Latini,  Franzefi,  Inglefi  ,  e  ad  altre  Nazio- 
ni. Di  qui  vennero  Saccheggiare  ^  dare  il  Sacco <^  mettere  a  SaC' 
co.  In  che  tempo  nafceffe  la  parola  Saccomanno^  da  Pietro  Aza- 
rio  Storico  del  Secolo  XIV.  polfiamo  impararlo,  fcrivendo  egli 
nel  Gap.  XI.  che  fcorrendo  i  Soldati  di  Giovanni  Vifconti  nell' 
Anno  I35I.  fino  alle  Porte  di  Firenze  ,  multas pulcras  domus& 
palatia  invaferunt ,  faccomanando  &  comburendo  .  Et  ibi  etiam 
per  gentes  illas  di&um  fuit  de  Saccomanno  :  quod  vocabulum  ufque 
ad  prdefentem  diem  in  Lombardia  perduravit .  Porcellio  nel  Lib.IX. 
Comment.  delcrivendo  la  prefa  di  Cailiglion  delle Stiviere,  cos'i 
parla  :  Vincunt  hinc  antemurale  Bracci  ani  ,  pratereunt  inde  fo- 
veas^  &  jam  valium  afcendebant  ^  non  armati  folum  j  Jed  inermes^ 
&  quod  incredibile  e  fi  ,  folo  Sacculo  circumcinóii . 

Fa  menzione  Giovanni  Villani  Lib.IX.  Gap.  70.  de  Gial- 
donieriy  dicendo:  I  Gialdonieri  lafciarono  cadere  le  loro  Gi  al  de 
fopra  i  nofìri  Cavalieri .  Offervate,  conche  grazia  il  Menagio, 
avendo  letto  nel  Vocabolario  Gialda  ,  fpe'2:ie  /  arme  antica  , 
della  quale  sé  perduto  l  ufo  e  la  cogni'zjone^  trafle  poi  quefta 
voce  dàjaculumy  dicendo:  Jaculum^  Jacula^  Jaculadum^  Ja* 
culada  ^  Jalda,,  Gialda  .  Credo  10  che  le  Gialde  foffero  una 
forta  di  Lancie  o  Picche  .  Nell'edizione  del  Villani  fatta  da  i 
Giunti  ,  in  vece  di  Gialde  fi  truova  Lancie  ;  e  lo  ftefib  è  nel 
MSto  infigne  Recanati,  di  cui  mi  fon  io  fervito  alla  mia  edi- 
zione. Ma  che  razza  d'uommi  furono  \  Gialdonieri^  rammen- 
tati anche  da  Tolomeo  da  Luca  a  gli  Anni  1285;.  e  1293.? 
Forfè  non  furono  diverfi  da  coloro,  che  altri  chiamarono  Ber- 
roerioSj  e  i  Veneziani  Zaffanes,  Odafi  Rolandino  Lib.XI.Gap.3. 

Nnn     2  air 


4(58  Dissertazione 

air  Anno  1258.  Sed  quidam  ped'ites^  &  Zajfones  illi ,,  quos  njulgo 
'^ aidanam  dicìmus  ,  procedentes  tnordìnatc  ante  Militum  acies 
qua  fi  per  m'dliare  &  amplius^  ammoft  plusquam  oporteret  ^  &  ni- 
ynìum  trrucntes ^mufiitiones  & barrasTamJJtì  m'tnus pro'vide ^  immo 
iufelìcher^  itìtraverunt .  Notifi  la  W/?/^^;?//,  che  in  Italiano  do- 
vette dirfi  Gualdana  .  Sog^iugne  al  Gap.  V.  Repente  fupcrvene' 
rnnt  Berroarii  ,  Jì-ve  Zajfones  quidam  ,  qui  lucrandt  caujfa  circa 
Paduanum  conjlnium  pojtti  perPotejlatem  P adita  njigiìabant  ^  no?i 
curantes  penitus  ^  quid  pietas  ^  quid  bone ftas  ;  credentes  immo  pò- 
tius  ibi  fas  ,  ubi  ynaxima  ynerces  .  Nel  V^ocabolario  delia  Cruica 
Gualdana  vien  detta  Schiera^  truppa  di  gente  armata  con  troppo 
largo  fignificato.  Fu  efla  un  aggregato  di  canaglia  e  gente  vile, 
e  probabilmente  lo  (leilo  che  i  topr' accennati  Ribaldi  ^  il  cui 
principal  melliere  era  in  bottinare,  e  che  lenza  ordine  andava- 
no alle  battaglie,  precorrendo  le  brigate  de' veri  Soldati.  Eque- 
fìa  è  l'origine  di  quei,  che  ora  chiamiamo  Birri ^  e  Zaffi  fi  chia- 
mano da' Veneziani.  Rolandino  nel  Lib.  XII.  icrive,  che  colo- 
ro andavano  a  cavallo,  e  ufavanoLancie.  Ma  fi  truovano anche 
Fedites  B^ruarii  preflb  l'Ughelli  ne' Veicovi  di  Tortona;  e  prefTo 
Guglielmo  Ventura  Gap.  21.  della  Gronica  d' Aiìì  Pedites  cum 
Lanceis  lo?2gis  ^  che  polcia  furono  nominati  Picchieri. 

DiCHiAMo  ancora  qualche  cofa  delle  confuetiKlini  della  Mili- 
zia de' Secoli  baffi,  fu  rimeflo  allora  in  ufo  il  rito  de' Romani, 
cioè  di  non  muovere  guerra  ad  alcuno,  fé  non  precedeva  la  sfida; 
credendo  allora  gl'Italiani,  Tedeichi,  Franzefi,  ed  altri  Popoli 
im' iniquità  il  muovere  l'armi  all'altrui  offefa,  fenza  fargli fapere 
le  ragioni  di  quefia  nemicizia  .  Vedefi  ordinato  quefì:o  rito  frale 
Leggi  militari  di  Federigo  I.  e  IL  Augufii.  Anzi  fi  praticò  di  far 
lapere  al  nemico,  che  fi  voleva  venire  a  battaglia  campale ,  ac- 
ciocché fi  determinane  il  dì  e  il  campo,  e  fi  partiffe  il  Soìcy 
come  poi  fi  offervò  ne'Duelli.  A  quefto  fine  s'inviava  uno Sfida- 
tore,  che  faceva  l'intimazione,  e  fole  va  per  fegno  gittare  in 
terra  ì\  guanto  j angui nofo  della  battaglia ,  Truovafi  menzionala 
dagli  antichi  Guerra  guerriat a  ^  q  Guerra  guerreggiata  ,  Se  cre- 
diamo al  Du-Cange,  così  fu  nominata  quella  che  fi  faceva  a^?/^ 
disfida.  Noi  pruova.  Tengo  io  così  chianiato  il  far  guerra  con 
badalucchi ^  fcaramuccie  ^  infefiar  le  vettovaglie,  e  far  fi mili  al- 
tri infulti  al  nimico  dichiarato,  fenza  azzardar  battaglia  .  Ba- 
difi  a  ciò,  che  ha  Giovanai  Villani  Lib.  IX.  Gap.  181.  Per  li 
Saneji  furono  contrajìati  di  Guerra  guerrtata  3  non  ajjicurandojì 

d' ab- 


ì 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  S  T  A  .  ^6  () 

d' ahboccarft  a  b^nyiglta  ^  come  a  gente  difperata  ,  Tralafcio  altri 
efempii.  Per  cola  rarififima  fi  contava  in  que' tempi  il  far  guer- 
ra dai  fine  di  Ottobre  fino  alla  Primavera  adulta .  Aveano  da 
gli  antichi  imparato  i  noflri  Tempus  quo  Reges  ad  bella  profi- 
cifci  folcnt .  Era  il  Maggio  quel  Mefe  ,  in  cui  a  quel  brutto 
giuoco  fi  ufciva  in  campagna,  e  di  cui  fcriffe  Guglielmo  Puglie- 
le  Lib.  I.  Poem. 

Hoc  ad  bolla  folent  procedere  tempore  Reges , 

Che  fé  ne  gl'incontri,  battaglie,  e  prefa  di  Piazze  fi  faceano 
de' prigioni,  foifero  pedoni  ©cavalieri,  purché  non  fi  voi  effe  ro 
arrolare  all'Armata  vincitrice,  fpogliati  d'armi  e  cavallo,  (i 
lanciavano  ire  in  liberta  :  il  che  fcambievolmente  facevano  an- 
che i  nemici  :  fé  non  che  nella  refa  delle  Fortezze  talora  i 
vinti  erano  obbh'gati  con  giuramento  a  non  portare  l'armi  con- 
tra  del  vincitore  per  lei  mefi  ,  per  un  anno  ,  o  per  maggior 
tempo.  Coftume  tale  fpezialmente  nel  Secolo  XI V.  fi  offervò 
dagl'Italiani  e  Tedefchi  .  Vegganfi  le  Croniche  di  Domenica 
Gravina  ,  e  de'Cortufi  .  Allorché  fi  avea  da  menar  le  mani 
nelle  giornate  campali,  filceglievano  i  più  bravi  Cavalieri,  che 
fofìfero  i  primi  a  ferire  ;  perchè  fé  ri  n  lei  va  loro  di  rompere  la 
prima  fchiera  ,  fi  accreiceva  il  coraggio  e  la  fperanza  di  vin-, 
cere  il  refto  dell'Armata.  Guerrieri  tali  erano  chiamati  i^m- 
tori.  Da  Giovanni  e  Matteo  Villani  nomati  fono  Feditori:  paro- 
la, che  ingarbugliò  il  dottiffimo  Du-Cange  nel  Gloffario  ,  men- 
tre la  fpiegò  dicendo  :  Videntur  e jf e  Con  foderati  fide  aflri6lt  ^  a 
Fide  ;  vel  di6li  quaji  Faiditi  ^  idejì  Inimici.  Ma  preffo  iTolca- 
ni  Ferire  e  Fedire  la  ftefia  cola  è  ,  come  anche  Raro  e  Rado  , 
Contrariare  t  Contradiare .  Il  Calici  vetro  ftimò"  derivata  la  vo- 
ce Pro  e  Prode  dal  Greco  Protos  fignificante  Primo ^  perché  tali 
guerrieri  erano  i  primi  ad  a.^alire  i  nemici.  Ma  viene  da  Pro- 
bus  ,  nel  qual  fenio  prelTo  gli  antichi  fovente  fi  legge  Miles 
Probus y  cioè  coraggiolo,  valente,  bravo  Cavaliere;  o  pure  dal 
Franzele  jPr^«x,  e  dall' Inglefe  Pro/^^,  voce  forle  antica  della 
Germania  .  Per  lo  contrario  Codardi  fi  chiamarono  i  foldati 
timidi,  o  perchè  rtelfero  alla  coda  dell' efercito,  o  perchè  imi- 
tavano i  Cani  paurofi ,  che  raccolgono  la  coda  fra  le  gambe - 
Ma  potrebbe  anche  elTere  venuta  dall' Inglele  Coiv^  fignificante 
intimidire^  da  cui  pare  formato  il  loro  Ccward  ,  ufato  anche 
da'Franzefi,  e  da  gli  Spagnuoli,  che  dicono  Covardo * 

Legge- 


470  Dissertazione 

Leccesi  nelle  Storie  Padovane,  che  non  lolamente  i  Caval- 
li, ma  anche  le  Cavalle  fi  adoperavano  in  guerra  ,  colie  lo- 
ro fchiere  nondimeno  feparate  da  i  Cavalli .  Pochi  imitatori 
ebbe  tal  coftume,  ma  pure  n'ebbe.  Albertino  Muffato  Lib.  VI. 
Rub.  13.  H'tfi.  Aug.  annoverando  l'Armata  Padovana  dell'An- 
no 13 12.  ha  le  leguenti  parole  :  In  esercitu  Paduano  fuijfe  coji' 
fìat  ex  confcriptis  Civihus  Paduanìs  equites  milh  duce7ìtos  ^  ha- 
ftato%  'vero  ex  Nobilium  locuplePumque  comiti'vis  fepfingentos  • 
Scutiferos  [excentos  ;  Equas  rurnlìum  haflatorum  ^  qua^fiertolotas 
J^angobardì  'vocant  ,  c'trc'iter  mille  ;  mercenarios  milites  (  cioè 
Soldati  pagati  )  trecemos  ;  pedttum  confcriptorum  ex  Urbe  Sub- 
arbiisque  quìnque  m'tllìa  quadrìngentos  .  Allorché  fi  dava  il  fe- 
gno  della  battaglia  ,  prorompeva  l'elercito  in  altiflime  grida 
o  per  metter  terrore  a' nemici  ,  o  per  animarfi  maggiormente 
l'un  l'altro  alla  zuffa.  Nell'Anno  12^8.  prima  di  dar  princi- 
pio al  terribil  fatto  d'  armi  fra  Carlo  I.  Re  di  Sicilia  ,  e  il 
Re  Corradino  ,  per  teftimonianza  di  Saba  Malafpina  Lib.  IV, 
Cap.  I  o»  Hi(i,  Cohortibus  ad  bella  d'tfpojìtis  ,  tubce  wctjjim  fo- 
Tìttum  dant  terrìbilem  ,  concvepaìit  cymbala ,  caelum  remugh  cla- 
moribus  tomtruìs  »  Cosi  nel  precedente  conflitto  fra  eflb  Re 
Carlo  e  Manfredi  ,  fcrive  Niccolò  da  Jamfilla  ,  che  Clamor 
mthere  tnntus  tnfonult^  quod  ^  Jicut  fertur  ^  ufque  ad  Altfum  veti^ 
tus  impiilit  vocum  murmura  .  E  i  Saraceni  clamant  de  more  y 
&  quaft  cadentes  hofles  coìitererent  ,  'uocibus  clamare  continuo 
invalefcunt ,  Oggidì  quefto  non  s'ufa  .•  Ma  cofta  da  Lampri- 
dio,  da  Venezia,  da  Tacito,  da  Ammiano,  e  da  altri ,  che  fi 
alzava  allora  il  grido  ►  Paolo  Diacono  lo  chiama  Bellkum  da. 
morem .  Intorno  a  ciò  è  da  vedere  il  Du-Cange  nella  Difler- 
taz.  Xr»  a  Joinvilla  ,  e  il  P.  Daniello  della  Milizia  Franzefe  « 
Dal  fuono  de  i  Tamburi  e  delle  Trombe  erano  incoraggiti  i 
combattenti.  Quei,  che  ora  chiamiamo  T^w/'/^rr ,  gliabbiam 
prefi  dalla  milizia  de  gli  Arabi ,  ed  è  Arabico  quefto  nome . 
Uiarono  anche  i  Romani  certi  Tamburetti  nelle  Fefte  decloro 
Dii  ;  ma  non  già  de' grandi  in  guerra.  Ne' fatti  d'armi  diflì- 
cil  cofa  era  il  ferire  i  Cavalieri  tutti  veftiti  à\  ferro  .  Si  co- 
flumava  dunque  di  percuoterli  con  mazze  di  ferro  ,  o  pure 
di  far  guerra  a  i  poveri  Cavalli  ;  perchè  atterrati  quefti  ,  il 
Cavahere  cadendo  era  preio  ,  o  pel  pefo  deir  armi  più  non 
facea  grandi  prodezze,  eccettochè  ne' Romanzi.  Perciò  fi  ftu- 
diavano  colle  picche,  fpade,  Ipuntoni ,  ed  altre  armi  di  sven- 
trare 


Ve  N  T  E  S  I  M  A  SE  S  T  A  .  ^Jt 

trare  cfTì  Cavalli  .  AlkChighìe^  alle  Cìnghie  gridavano  i  Ca- 
pitani. Guglielmo  Britone  Philipp.  Libro  XI.  all'Anno  1214. 
COSI  ferivi 


-  -  -  equorum  'vtfcera  rumpunf 

Dem'tfjls  gladì'ts ,  dominorum  corpora  quando 
Non  patitur  ferro  contingi  ferrea  'vejìis , 
Labuntur  veóìi  lapjis  've^oribus  :  &  Jic 
Vìncibiles  magis  exijìunt  in  pulvere  Jìratì» 

Vegganfi  le  Storie  di  Giovanni  Villani ,  e  le  Padovane  de' Ca- 
tari .  Di  quefto  ripiego  fi  fervirono  anche  i  Romani ,  ed  altre 
antiche  Nazioni  :  laonde  Tolomeo  da  Lucca  all'Anno  1255. 
narrando  la  rotta  data  al  Re  Manfredi,  cosi  fcrive  di  lui  :  Sed 
?7on  potuit  reftflere  potcntice  Gallicana  ,  qui  antìquorum  Romano- 
rum  more  percutientes  ,  omnes  equos  perforabant  ,  nullaque  arma 
contra  hoc  protegere  poter aìit . 

Del  redo  quanta  foffe  negl'Italiani  dopo  il  Secolo  X.  la 
fortezza  e  perizia  ne  gli  affari  di  guerra  ,  e  quante  azioni  di 
prodezza  faceflero ,  non  è  qui  luogo  da  parlarne.  Ma  nel  Seco- 
lo XIII.  e  XIV.  pare  che  i  medefimi  fi  dimenticaffero  alquanto 
di  sé  fteifi  ,  perchè  fi  diedero  ad  asoldar  Tedefchi ,  Inglefi  , 
Fiamminghi  5  Ungheri,  ed  altri  Oltramontani ,  ne' quali  con- 
fifteva  il  maggior  nerbo  delle  loro  Armate.  Lo  ftelTo  pratica- 
rono anche  una  volta  gì' Imperadori  Romani ,  e  ne  provenne 
poi  la  rovina  dell'Imperio  .  Che  fcellerata  gente  foffe  quel- 
la, fenza  fede,  unicamente  data  al  bottino,  a' faccheggi  ,  e 
ad  ogni  empietà  ,  fi  può  leggere  nelle  Storie  .  Con  che  patti 
coftoro  fi  prendeflero  al  loro  foldo  da  i  Principi  d'  Italia  ,  fi 
raccoglie  da  uno  Strumento  del  1370.  che  ho  dato  alla  luce. 
Ma  fui  fine  dello  fleffo  Secolo  XIV.  tornati  in  sé  gl'Italiani, 
cominciarono  a  far  da  sé  ,  e  nel  fufìeguente  Secolo  ebbero  in- 
figni  Capitani,  ed  Armate,  che  in  valor  militare  non  cedeva- 
no a  Nazione  alcuna  .  Molto  prima  avea  conofciuto  Caftruc- 
cio  Signor  di  Lucca  ,  quanto  giovaffe  piÌA  la  propria  ,  che  la 
fìraniera  milizia.  Così  di  lui  fcriffe  Niccolò  Tegrimi  :  ^um- 
que  utilius  /udicaret  fuos  armis  erudire  ,  quam  alienos  mercede 
conducere  ,  quum  in  Urbe  erat  ,  aut  Sagittantibus  prcemia  propo- 
7ìebat ,  aut  telo ,  paleflra  ,  concurfu  Armatorum  in  equis  ,  imagì- 
nariis  Caflellorum  expugnationibus  ,  Jimulataque  pugna  jwventu- 
tem  esercebat  ;  ipfeque  inter  illos  primus  ,  Et  quum  collocata  fi- 

gnay 


472        Dissertazione    ec, 

gna  5  nut  manus  coìtfertas  videbat ,  tiunc  hos  jurgi'ts ,  nunc  illos 
exhortationibus  antmahat^  efficiebapque  prdsfentia  Jua  ^  ut  quisquc 
'vel  timore  Principis  audacior  effet,  V't^orìbus  honoris  gratta  [em» 
per  altquid  dahat .  E^  da  vedere  Gian- Antonio  Campano  Lib.V. 
H'ijì,  Brach,  dove  fi  tratta  del  valore  ,  e  della  militar  difcipli- 
na  de^gl' Italiani  nel  Secolo  XIV.  Ho  io  additato,  quali  anti- 
chi Scrittori  Greci  fi  truovino  nella  Biblioteca  Ambrofiana  di 
Milano  5  che  trattano  dell'  Arte  militare  de  i  vecchi  tempi  , 
con  recarne  qualche  notizia  .  Qui  folamente  dirò  leggerfi  ivi  : 
TaBìca  M^uricii .  Ta6iica  Onofandrì  .  Ta6iica  Urbicii  .  AnonV' 
mi  Tanica»  Conciones  ad  Poptdum.  Stratagemata 'veterum .  Leo- 
nis  Imperatoris  TaHica  ,  &  Naumachica  .  Alia  Naumachica  , 
cioè  de  Certamine  Nasali  :  Naumachica  ordinata  a  Bajilio  Pa- 
tricia &  Cubiculario  .  Tanica  Conjìantini  Porpbyrogefiiti  .  E/'uS" 
dem  de  Naumachia  &  Piratica  Stratagematis,  Onojandri  Strate- 
gica ,  Polcia  fi  leggono  l'Opere  di  Ateneo,  Bitone,  Herone, 
Apollodoro,  Filone,  ed  Affricano  ,  che  furono  date  alla  luce 
in  Parigi  nell'Anno  i6^-^.  Parimente  in  un  Codice  Ambrofia- 
na  una  Raccolta  di  ordinanze  e  precetti  militari  con  altri  pezzi 
fpettanti  all'  antica  milizia  .  Veramente  per  conto  di  quella 
s'è  mutato  il  Mondo  ;  ma  fempre  s'impara  dal  conofcere  ciò 
che  han  praticato  ed  operato  gli  antichi. 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  47J 

Della  Zecca ,  e  del  diritto  0  privilegio  di  battere  Moneta . 
DISSERTAZIONE  VENTESIMA  SETTIMA. 

ANDIAMO  ora  a  cercare  ,  come  palTafìTe  l'affare  delle  Mo- 
nete ,    da  che  in  Italia  declinò  il  Romano  Imperio  ,    e 
qua  pofero  o  fidarono  il  piede  le  Nazioni  ftraniere  .  E  primie- 
ramente s'ha  a  vedere  ,  a  quali  Citta  competeffe  il  privilegio 
d'avere  Zecca  ,  o  fia  diritto  di  battere  Moneta.  Certo  è,  che 
la  Regina  delle  Citta  Roma  ,  tuttoché  foife  trasferita  in  Grecia 
la  fedia  dell'Imperio,  conf<ervò  quella  prerogativa  ,  almen  fino 
a  i  tempi  d'Eraclio  Imperadore.  Truovanfi  Denari  degl'Impe- 
radori  dopo  Coftantino,  ed  anche  de  i  Re  Goti  con  fegni  d' ef- 
fere  flati  battuti  m  Roma,  leggendofi  ivi  R.  P.  cioè  Romce per- 
cujfa  ,  cioè  Pecu7iia  ,  o  pure  R.  M.  ovvero  ROM  ,  ed  anche 
ROPS.  cioè  Rom<g  pecunia  ftgnata .  Ho  veduto  una  picciola  Mo- 
neta d'argento,  battuta  lotto  Giuflino  minore  circa  l'Anno  570. 
nel  cui  diritto  fi  mira  il  capo  di  un  Augnilo  con  Diadema  tem- 
peftato  di  perle  o gemme,  e  colle  lettere  D.  N.  IVSTINVS  PP. 
AVG.   cioè  Domintis  nofler  Jujìinus  perpetuus  Augii flus  .   Nel  ro- 
vefcio  v'ha  un  Monogramma  colle  lettere  RAOSD.  le  quali 
coU'autorita,  che  fi  attribuilcono  gl'Interpreti  delle  antiche  Ci- 
fre ,   poffono   fignificare   Roma  o  Roma  ,    Objigtiatus  Denarius  . 
Incontranfi  ancora  in  que' tempi  Monetarii  Romaici  ^  cioè  Prefi- 
denti alla  Zecca  di  Roma.  Di  queflo  nomeZ^cc^  fi  parlerà  nel- 
la Dilfert.  XXXIII.  Preffo  il  Grutero  pag.  1054.  num.  8.  in  una 
Ifcrizione  fatta  Confale  FL.  Herculano  ,  cioè  nell'Anno  452.  fi 
truova  Porphyrus  Primicerius  Monetar iorum  .  Se  dopo  i  tempi   di 
Eraclio  Augnilo  ,  cioè  dall'Anno  540.  continuafìTe  in  Roma  la 
fabbrica  della  Moneta  fino  a  i  tempi  di  Carlo  Magno,  noi  so 
io  dire.  Quel  eh' è  certo,  da  che  fu  a  i  Romani  Pontefici  confe- 
rito il  temperai  Dominio  fopra  Roma  e  fuo  Ducato,  comincia- 
rono efli  a  battere  Denari,  e  continuarono  un  pezzo  mettendovi  il 
proprio  Nome,  e  quello  del  regnante  Imperadore.  Hanno  credu- 
to gli  Eruditi  Romani  a'noftri  di  ,  che  in  que' Denari  entraffe  il 
nome  de  gl'Imperadori  ,  per  effer  eglino  Avvocati  della  Chiefa 
Romana  .   Di  lunga  mano  è  più  fondata  l'opinione  d'altri ,  che 
ciò    fi  faceffe    per   denotare    f  alto  Dominio    tuttavia    conler- 
Tomo  L  Ooo  vato 


474-  Dissertazione 

varo  da  efTì  Augulli  in  Roma.  Ne  abbiamo  un^chiaro  efempio  in 
Grimoaldo  Principe  di  Benevento.  Gli  concedette  Carlo  M.  quell' 
infigne  Principato  o  Ducato,  ma  con  ritenerne  la  Sovranità:  in 
fegno  di  che,  l'obbligò  a  mettere  in  tutti  i  pubblici  Atti  o  Stru- 
menti, e  nelle  Monete,  ch'egli  battefìTe,  anche  il  Nome  di  effo 
Carlo  M.  Ut  Chartas^  Nummosque  fui  Nomìnis  (  cioè  di  Carlo  ) 
chara^lerìhus  fuperfcrib't  fempsr  juberet ,  come  s' ha  da  Erchemper- 
to.  Altrettanto  fi  fece  anche  in  Roma  ne  gli  Strumenti  e  De- 
nari. Intorno  alle  Monete  de' Sommi  Pontefici  hanno  faticato 
alcuni  Letterati  del  Secolo  prefente  ,  cioè  Monfignor  Giovanni 
Vignoli  ,  il  Sig.  le  Blanc  Franzefe,  il  P.  Filippo  Bonanni  della 
Compagnia  di  Gesù  ,  Saverio  Siila  ,  e  l'Abbate  Benedetto  Fio- 
ravanti. Profitterò  io  delle  loro  ricerche  per  rapprefentare  a* 
Lettori  le  Monete  Pontificie  di  molti  Secoli ,  fenza  toccare  al- 
cuna delle  nioltifTmie  de'  Secoli  recenti . 

Roma  e  i  Romani  Pontefici . 

I L  Primo  Denaro  Pontifizio  lo  dobbiamo  al  fuddetto  Abba- 
te Fioravanti  .  Nel  diritto  fi  vede  il  buflo  d'un  Pontefice  con 
lettere  nel  contorno  HADRIANVS  PAPA.  Di  qua  e  di  la  fo- 
no L  B.  Nel  mezzo  del  rovefcio  una  Croce  con  R.  M.  Stanno 
all'intorno  quefte  altre  VICTORIA  DNN.  di  fotto  CONOB. 
Che  il  Denaro  fìa  battuto  in  Roma,  s'ha  dalle  Sigle  R.  M. 
E  quando  tal  Moneta  appartenga  ad  Adriano  I.  creato  Papa 
nell'Anno  772.  (intorno  a  che  lafcerò  giudicarne  ad  altri)  con- 
verrà dire  ,  che  i  Romani  Pontefici  ottcnelTero  da  i  Greci  Au- 
gufti  il  gius  di  battere  Moneta  ,  come  poi  tanti  altri  Vefcovi 
l'impetrarono  dai  Franchi.  Ma  chi  tuttavia  fofie  il  Sovrano 
di  Roma  ,  è  indicato  dalle  Sigle  DNN.  fignificanti  Domini  no- 
Jìyì  ,  o  Dominorum  nojlrorum  .  Che  vogliano  dire  le  Lettere  I.B. 
farà  cura  d'altri  lo  ftrologare  .  Difputano  tuttavia  gli  Eruditi 
intorno  al  fignificato  della  parola  o  fia  delle  Sigle  CONOB. 
né  io  mi  fento  d'entrare  in  quefta  lite.  Male  è,  che  un  iolo  di 
quelli  Denari  fia  venuto  allaìuce  .  Punto  non  fomiglia  a  quei 
de'fulfeguenti  Papi. 

Il  Secondo  Denaro  dal  Vignoli  fu  creduto  appartenere  ad 
elfo  Papa  Adriano!,  ma  con  lupplire  le  Lettere.  Hanno  tenuto 
la  Cattedra  di  San  Pietro  Adriano  IL  e  ///.  Potrebbe  quivi  par- 
larfi  dell'uno  di  elfi. 

Il 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  475 

Il  Terzo  prodotto  dal  Vignoli  ci  fa  conofcere  Leone  IH. 
Papa  col  Monogramma,  da  cui  fi  ricava  LEO.  e  colle  lettere 
SCS.  PETRVS.  Nell'altra  facciata  fi  legge  CARLVS  ,  e  nel 
Monogramma  IPAT.  cioè  Impsrator  .  Egli  è  Carlo  Magno  , 
circa  l'Anno  Sor.  tempo,  nel  quale  è  fuor  di  dubbio  ,  che  i 
Papi  ,  divenuti  Signori  anche  nel  temporale  ài  Roma  ,  batte- 
vano Moneta. 

I L  Qiiarto  pubblicato  dal  Sig.  le  Blanc  ha  le  Lettere  gua- 
fìe  .  Il  Vignoli  volle  a  fuo  capriccio  fupplirle  .  Quel  che  vi 
ha  di  certo,  è  il  nome  di  Carlo  Magno,  e  nel  rovefcio  SCS 
PETRVS  ROMA. 

I L  Quinto  Denaro  pubblicato  dal  Vignoli  vien  da  lui  cre- 
duto di  Papa  Stefano  IV.  Dal  Monogramma  rifulta  STEFANVS. 
e  nel  contorno  SCS.  PAVLVS.  Leggcfi  nel  rovefcio  SCS.  PE- 
TRVS. ROMA.  Ma  fé  talun  te  ne  (Te  ,  che  ivi  fi  parlafie  di 
Stefano  VL  o  VIL  o  Vili,  non  so  come  fi  potefTe  abbattere  tal 
coniettura. 

Dal  Sig.  le  Blanc  fu  prodotto  il  Sedo  ,  dove  una  facciata 
ha  LVDOVVICVS  IMP.  ROMA,  cioè  Lodovico  Pio  Augullo. 
Nell'altra  fi  legge  PSCAL.  cioè  Fajquale  L  Papa  circa  l'An- 
no 818. 

I  Denari  vii.  viii.  e  ix.  preffo  le  Blanc  e  Vignoli  appar- 
tengono 2,  Gregorio  IV,  Papa,  e  portano  anche  il  nome  ò^\  Lo- 
dovico Pio  Augudo  .  Ne' due  primi  dall' un  de' lati  v'ha  PP. 
GREH.  SCS  PETRVS;  dall'altro  LVDOVVICVS  IMP.PP. 
cioè  Perpetuo  ^  come  ipiega  il  Vignoli,  o 'pure  Perpetuus ^  come 
credo  io,  fecondo  varie  Ifcrizioni  predo  il  Grutero  e  Reinefio. 
Vi  s'aggiugne  ancora  PIVS.  titolo  dato  a  Lodovico  vivente  : 
il  che  fu  negato  dal  Mabillone.  Nel  nono  Denaro  ,  che  ha  il 
nome  di  Papa  Gregorio  ,  fi  truova  anche  HLOTARIVS  IMP. 
e  in  mezzo  PIVS  :  dal  che  fi  fcorgc  ,  che  la  denominazion  di 
Pio  non  fu  data  per  fingolar  fregio  a  Lodovico,  Principe  per 
altro  piiffimo,  quando  ne  fu  partecipe  anche  Lottario  fuo  Fi- 
glio, Principe  cattivo. 

II  Decimo  Denaro  pubblicato  dal  Fioravanti  appartiene  a 
Sergio  li.  Papa.  Nel  mézzo  v'è  SER ,  nel  contorno  SCS  PE- 
TRVS .  Nel  rovefcio  HLOTHARIS  IP.  cioè  Imperavor  nel 
contorno  ,  e  PIVS  nel  mezzo  .  Neh' Anno  844.  fu  eletto,  e 
confecratio  Sergio  li. 

L'  Undccimo  Denaro  prèfTo  Scilla  e  Fioravanti   è  di  Papa 

O  o  o     2  Leo- 


47^  Dissertazione 

Leone  IV»  circa  l'Anno  848.  Nel  Monogramma  comparifce  LEO 
PAPA,  e  nel  contorno  SCS.PETRVS.  Neil' altra  parte  HLO- 
TARIVS.  IMPR.  Quale  in  quelli  Denari  fia  il  diritto,  e  qua- 
le il  rovefcio,  chi  può  deciderlo? 

I  Denari  xii.  e  xiii.  pubblicati  dal  Vignoli  ,  riguardano  Be- 
nedetto IH.  Papa  ,  e  Lodovico  IL  Augnilo  circa  l'Anno  85(5. 
Ivi  fi  legge  BENEDICT.  P.  cioè  Papa  S.  P.  cioè  SanHus  Pe- 
trus, Nell'altra  LVDOVVICVS  IMP.  e  nel  mezzo  una  Ma- 
no con  lettere  RO  ,  che  vengono  a  formare  RO-MANVS  . 
"V^edi,  come  anche  in  que' tempi  Roma  fi  dilettafle  di  quelli 
giocoloni  .  Nel  fecondo  aggiugne  PIVS  al  nome  di  Lodovi- 
co IL 

I  Denari  xiv.  e  xv.  prefib  il  Vignoli  furono  battuti  da  Papa 
"Niccolò  L  circa  rAnno8^o.  Ivi  è  nel  Monogramma  NICOLAVS. 
SCSPETRVS;  e  nell'altra  parte  LVDOVVICVS  IMP.RO- 
MA .  Nel  fecondo  fi  legge  folamente  ROMA . 

II  XVI.  prodotto  dal  Blanc  fotto  Lodovico  Pio  ,  e  reftituito 
al  fuo  luogo  dal  Vignoli  ,  appartiene  ad  Adriano  IL  Papa  ,  il 
cui  nome  è  quivi  ADRIANVS  fenza  afpirazione  con  SCS  PE- 
TRVS.  Nell'altro  campo  LVDOVVICVS  IMP. ROMA,  cioè 
Lodovico  IL  circa  l'Anno  870. 

I  Denari  xvii.  xviir.  xix.  e  xx.  dati  dal  Vignoli,  fono  diG/V 
vamiiVIIL  Papa  .  Ne' primi  fi  legge  lOHANNES  SCS.  PE- 
TRVS.  LVDOVVICVS  IMP.  ROMA.  Nel  terzo  fi  vede  il  no- 
me d'elfo  Papa,'  e  nel  contorno  CAROLVS  IMP.  cioè  ilCalvo, 
oilGrolfo,  amendue  coronati  Imperadori» 

II  XXI.  da  me  dato  alla  luce  ,  ed  efiftente  preifo  l'Arciprete 
della  Cattedrale  di  Verona  Gian-Francefco  Mufelli  ,  fi  riferifce 
a  Mari?io  L  Papa  eletto  nel!'  i^nno  882.  Nel  Monogramma 
è  MARINVS  ,  nel  contorno  SCS  PETRVS.  Nell'altra 
facciata  CAROLVS  IPAR  ,  cioè  Imperator  .  Egli  è  Carlo  il 
Groffo . 

Il  XXII.  prodotto  dal  Vignoli  ha  MARINI  PP.  cioèPapcc 
Denarius,  ROMA.  Poi  KAROLVS.  SCS  PETRVS  circa  l'An- 
no 883.  Quq9ìo  Marino  fi  converti  preifo  gl'ignoranti  Scrittori 
m  Martino y  e  cagion  fu,  che  poi  fi  nomalle  M^r/i^-^o  «^;;^/^, 
che  folamente  era  da  dirli   Martino  T er:^ . 

I  l  XXIII.  lo  dobbiamo  al  Fioravanti  ,  e  fi  riferifce  a  Papa 
Adriano  IIL  eletto  nell'  884.  Quivi  fi  leg^e  HADRIANI 
SCS   PETRVS.  e  CAROLVS  IMP.  ROM A.\ioè  il  Grolfo. 

I  XXIV. 


Ventesimasettima.  477 

I  XXIV.  e  XXV.  furono  battuti  circa  l'Anno  885.  ^^P/ipaStc- 
fano  K  Vi  fi  legge  nel  Monogramma  STEPHANVS  SCS  PE- 
TRVS  ,  e  CAROLVS  IMP.  Nell'altro  v'ha  ROMA  SCS 
PAVLVS. 

II  XXVI.  preflb  il  Fioravanti  è  fimile  ai  due  precedenti, 
fé  non  che  è  fcritto  SEPANVS  e  CAROLVS  IPA. 

Il  XXVII.  preflb  il  medefimo  ha  STEPHANVS  SCS  PE- 
TRVS.  CAROLVS  IMP.  ROMA. 

Nel  XXVIII.  e  xix.  troviamo  Papa  Formo/o  circa  l'Anno  Spi, 
Vi  fi  lepge  il  iuo  Nome  ,  e  VVIDO  IMP.  ROMA  con  S.  P. 
cioè  SanHus  Fetrus, 

Il  XXX.  rapportato  dal  Fioravanti,  e  battuto  da  G/o^jz/ww/ /X. 
Papa  circa  l'Anno  8p8.  ha  nel  Monogramma  lOHAN.  nel  con- 
torno LANTVERT.  IMP.  Vedi  come  era  appellato  i/7W^i?r- 
to  Impera  dorè*   V'ha  eziandio  SCS  PETRVS. 

I  Denari  xxxi.  xxxii.  e  xxxiii.  divulgati  dal  Vignoli  appara 
tengono  a  Papa  Beìjedetto  IV,  eletto  nell'Anno  poo.  Il  nome  del 
Papa  è  chiuio  nel  Monogramma.  Poi  vi  fi  legge  LVVDOìCVS 
IMP.  ROMA,  cioè  Lodonjìco  IlL  Auguflo, 

II  XXXIV.  e  XXX V.  prodotti  dal  Fioravanti  fono  di 5'^rg/o ///. 
Papa  eletto  nel  ^04.  e  che  tenne  la  Sedia  di  S.  Pietro  fino  al  p  11 . 
Nel  primo  compariice  una  Croce  e  ROMA,  nel  contorno SER- 
GIVS.  PP.  Nel  rovefcio  SCS  PETRVS.  coll'immagine  fua,  o 
dello  ftelTo  Papa.  Non  v'è  il  nome  di  Lodovico  III.  Impcradore, 
perchè  acciecato  gli  convenne  abbandonar  l'Italia. 

Il  XXXVI.  fi  crede  che  appartenga  a  P/z/>/7^;^7/7/?^yFo,  paren- 
do che  dal  Monogramma  fi  ricavi  il  Iuo  nome.  Quando  ciò 
fia,  faiìi  flato  battuto  quel  Denaro  nell'Anno  5?  12.  in  cui  era 
vacante  l'Imperio. 

Il  XXXVII.  rapprefenta  Gto'va7ìn't  X.Papa^  affunto  al  Pontifi- 
cato neir  Anno5?i4.  Parimente  ivi  fi  legge  :  BERNEGARIV, 
(  cioè  Berengarius  )  IMP.  ROMA,  il  quale  nell'Anno  pid.  ri- 
cevette in  Roma  la  Corona  Imperiale. 

A  Leotìe  VI.  Papa  è  da  riferire,  per  quanto  io  conietturo, 
il  Trentefimo  ottavo  Denaro,  dove  fi  legge  LEO  PAPA.  SCS 
PETRVS  .  Nel  rovefcio  ila  il  medefimo  Monogramma  colle 
lettere  SCS  PAVLVS.  Nell'Anno  ^2^.  e  ne'feguenti,  ne' qua- 
li fiori  anche  Leone  VII,  Papa  ,  ninno  Imperadore  fu  in 
Italia . 

Il   Denaro  xxxix.  fi   può  rapportare  a  Gìovan?ìiXI  Papa ^ 


che 


478  Dissertazione 

che  fall  fui  Trono  Pontifizio  nd  p^i.  vacante  l'Imperio.  Qiii- 
vi  fi  legge  DOMnus  IOANnES,  e  nel  mezzo  PAPA.  Neil' 
altra  facciata  SCS.  PETRVS. 

I  Denari  xl.  e  xli.  furono  battuti  in  Roma  fotto  Agapi- 
to  IL  Papa^  confecrato  nell' Annop4^.  Nel  contorno  del  primo 
fi  legge  ALBERICVS,  cioè  Aiberico  Figlio  di  un  altro  Marche- 
fc  Alberico,  Conlole  de'  Romani  ,  che  tirannicamente  ufurpò 
il  Dominio  di  Roma  .  Nell'altro  v'ha  AGAPITVS  PApa  , 
ALBERICVS,  e  SCS  PETRVS. 

I  Denari  xlii.  e  xliii.  pubblicati  dal  Vignoli  ,  fono  da  lui 
riferiti  a  Giova?ì?2Ì  XII.  Papa  .  Il  primo  battuto  nella  vacanza 
dell'  Imperio  ,  ha  folamente  DOMNVS  lOHAnnes  PAPA. 
SCS  PETRVS.  ROMA.  L'altro  battuto  nell' Anno  p(^2.  in 
cui  fu  creato  Imperadore  Ottone  I.  ha  nell'una  parte  DOM. 
IOANES  PAPA  ,  neir  altra  OTTO  IMP.  Ma  forfè  quefto 
appartiene  a  Giovanni  XIII.  eletto  nel  ^^5.  perchè  il  volto  dell' 
Imperadore  è  da  giovane,  e  non  da  vecchio  ,  quale  era  Otto- 
re  il  Grande. 

I  Denari  xliv.  e  xlv.  gì  fanno  conofcere  Leone  Vili,  elet- 
to Papa  nel  96^.  Ha  il  primo  LEONI  PAP.  OTTO.  Nel  ro- 
vefcio  il  bufto  d'un  uomo  colle  lettere  P. S.  che  il  Vignoli  in- 
terpreta Petrus SanBtis.  Nell'altro  folamente  fi  leggeDN.  LEO- 
NI PAPE.  SCS  PETRVS. 

II  Denaro  xlvi.  dal  Vignoli  è  creduto  fpettante  2i  Benedet- 
to V.  Papa  nell'Anno  96^.  Ma  non  fé  ne  può  giudicare,  eflendo 
corrofe  le  Lettere. 

Il  Denaro  xlvii.  efi(le«te  in  Verona  preflb  l'Arciprete Mu- 
felli,  ci  fa  vedere  l'effigie  ài  Benedetto  ^into^  oSeJìo^  o  Set- 
ùmo,  colle  lettere  BENE.  PP.  Nell'altra  faccia  ROMA.  SCS 
PETR.  OTTO,  cioè  il  Primo  o  Secondo  degli  Ottoni. 

Il  Denaro  xlviii.  dal  Fioravanti  è  riferito  a.  Giovanni XIIL 
Papa  eletto  nel  p6^.  Ivi  fi  legge  DOM.  lOHA.  PAPA  .  In 
mezzo  OTTO.  Nel  rovefcio  una  Mano,  e  SCS.  PETRVS. 

I L  XLix,  pare  che  poffa  appartenere  a  Benedetto  VI.  Papa 
confecrato  nel  ^72.  Quivi  fi  legge  nel  mezzo  D.  BE.  P.  cioè 
Dommis  Benedi6lus  Papa  .  Nel  contorno  OTTO  IMPE.  ROM. 
Il  rovefcio  ha  l'effigie  del  Papa,  o  del  Principe  de  gh  Apoitoli 
colle  lettere  SCS  PETRVS. 

I L  Denaro  L.  vien  creduto  di  Benedetto  VII.  Papa  ,  eletto 
nel  ^75.   Nel  Monogramma  comparilce  BENEDICTVS  ;  all' 

intor- 


VentesimasE'Ttima,         47^^ 
intorno  SCS  PETRVS.  Nel  rovefeio  OTTO  IMP.  P.OM.  cioè 
il  Secondo. 

Il  Denaro  LI.  appartiene  3.  Sergio  IF»  eletto  Papa  nell' An- 
no 1008.  elTendo  allora  vacante  l'Imperio.  V'ha  il  fuo  Mo- 
nogramma colle  Lettere  SALVS  PATRIAE  .  Nel  rovefeio 
ROMA.  SCS  PETRVS. 

Il  Denaro  lii.  fi  riferifce  a  Sa?7  Leone IX.  eletto  nel  1049. 
In  mezzo  fi  legge  LEO  P.  nel  contorno  SCS  PETRVS  .  Leg- 
gefi  nell'altra  facciata  HENRICVS  IMP.  ROMANORV. 
cioè  il  Secondo  fra  gli  Augufti. 

Il  Denaro  lui.  è  òìPapa  Fafquale  IL  eletto  nel  ioc?p.  Q^uivi 
fi  legge  PASCHALIS.  PP.  II.  e  lo  (leffo  nel  rovefeio. 

FiNQ.ui^  i  Denari  de  gli  antichi  Romani  Pontefici  .  Perchè 
poi  quafi  per  tre  Secoli  defiitelTero  i  lor  Succeflbri  dal  battere 
Moneta,  fé  ne  può  attribuir  la  cagione  alle  turbolenze  inforte 
fra  i  fuffeguenti  Pontefici  ,  e  il  Senato  e  Popolo  Romano  .  Se- 
dotti nell'Anno  1142.  i  Romani  da  Arnaldo  da  Brefcia  erefiar- 
ca  5  fi  follevarono  contro  i  Succefibri  di  San  Pietro  ,  e  vollero 
rimettere  in  piedi  il  Senato  e  l'antica  Repubblica.  Gran  tempo 
durò  quefto  loro  entufiasmo ,  e  feguirono  accordi  ,  ma  ò.'i  corta 
durata  .  Allora  fu,  che  elfo  Senato  e  Popolo  occupò  la  Zecca  , 
e  fi  cominciò  ad  ufare  i  Soldi  o  Denari  ,  chiamati  Affortiaft 
nelle  vecchie  Carte,  ed  anche  Infovtim  ,  battuti  a  mio  crede- 
re da  effi  Romani .  Nella  Concordia,  leguita  l'Anno  1 188.  fra 
Clemente  IH.  Papa.,  e  il  Senato  e  Popolo  Romano,  dicono  elfi 
Romani  :  Ad  prcefens  reddìmus  vobis  Senatum  ,  &  Urbem  ,  & 
Monefam ,  cioè  la  Zecca .  Tameti  de  Moneta  habebimus  tertiam 
partem.  Ma  quefto  prurito  di  battere  Moneta  poco  (lette  a  ri- 
forgere.  Que' Denari  appellati  negli  Strumenti  Romani  Previ- 
fini  fi  truovano  ancora  chiamati  Pecunia  Senatus  ^  come  pro- 
veremo nella  DifTcrtazione  feguente.  Truovanfi  perciò  Mone- 
te d'oro  ed  argento  battute  nel  Secolo  XIII.  dove  comparifce 
il  nome  del  Senato  o  del  Senatore  di  Roma  .  Neil'  Anno  1252. 
fu  la  Dignità  di  Senatore  foflenuta  da  Raimondo  Capizj^cchi , 
e  da  lui  fi  crede  battuta  una  Moneta  d'oro,  nel  cui  diritto  ila 
Crifto,  che  colla  finiftra  tiene  un  Libro  colle  feguenti  Lettere 
VOT.  S.P.Q.R.  ROMACAPVTM.  cìoh  Mundi .  Nel  rove- 
fcio  San  Pietro  porge  la  bandiera  ad  un  uomo  inginocchiato 
con  verte  Senatoria  e  berretta  in  capo.  Nel  fondo  dello  Scudo 
apparifce  l'arme  della  Cafa  Capizucchi  .    Si  aggiugne  rifcri- 

zione 


4^0  Dissertazione 

zione  S.  PETRVS.  SENATOR  VRBIS.  La  feconda  ^foneta 
ci  fa  vedere  Roma  in  foggia  di  Donna,  che  colla  deftra  tie- 
ne il  pomo,  colla  finiftra  una  palma ,  e  nel  contorno  ROMA 
CAPVT  MVNDI.  Nel  rovefcio  fi  vede  un  Lione  con  quefte 
Lettere:  BRANCALEO.  S.P.Q.R.  Ne  gli  Annali  di  Genova 
fi  truova  Podefla  di  quella  Citta  nell'Anno  1225.  vir  Nobìlis 
Brmìcaleo  de  Boììonia  filhis  Andalon'ts ;  ma  perchè  fi  dice  man- 
cato di  vita  in  quell'Anno  ,  egli  non  può  edere  flato  il  Sena- 
tore di  Roma,  ma  bensì  l'Avolo  fuo  .  Siccome  offervò  Fran- 
cefco  Valefio  uomo  dottifTimo,  Brancaleone  juniore  fuSenator 
di  Roma  nell'Anno  1253.  Matteo  Paris  Storico  Inglefe  di  que' 
tempi  feri  ve  ,  che  fui  fine  dell'  Anno  IZ53.  che  fecondo  noi 
viene  ad  effere  il  1252.  fu  riferito  al  Re,  che  Menfe  Augufti 
Romani  elegerunf  fthì  novum  Senatorem ,  Civem  BonoTiìerifem , 
'virum  juftum  &  Ytgtàum^  Jiirisque  peritum  ^  qui  ncluit  elezio- 
ni de  fé  farine  quomodolibet  confentire  ,  nìjì  fecurum  eum  face- 
rem  ,  quod  tribus  Annis  cantra  Statutum  Urbis  Jìaret  in  ipfius 
Senatus  potentia .  L'  Autore  della  Mifcella  Bolognefe  fcrive  all' 
Anno  1252.  In  quello  Anno  Mejfer  Branc aliane  di  Andalo  da 
Bologna  fu  eletto  Senatore  di  Roma  ,  e  partijp  con  una  bella 
compagnia^  e  andò  al  fuo 'viaggio  ,  Anche  l'Autore  della  Vita 
di  Papa  Innocenzo  IV.  fa  menzione  d'elTo  Brancalione.  Cinque 
altre  Monete  battute  in  Roma  da  altri  Senatori  ,  come  appa- 
rifce  dalle  loro  arme,  ho  io  prodotto,  comunicate  a  me  dalF 
Arciprete  di  Verona  Mufelli,  già  raccolte  dal  Chiariffìmo  Mon- 
fig.  Francefco  Bianchini. 

In  Roma  parimente  furono  in  corfo  nel  medefimo  Secolo 
XIII.  /  Paparini ,  Moneta  battuta  dal  Senato  ,  come  apparifce 
da  uno  Strumento  del  12^1.  Probabilmente  furono  appellati 
cos\  o  dall'arme  d'un  Senatore,  o  pure  dal  fuo  nome  .  PrefTo 
il  Ciampini  in  un  Mufaico  Romano  fi  truova  Paparone  uomo 
nobile.  Sino  al  principio  del  Secolo  XIV.  non  fi  truovano  Mo- 
nete Pontifizie  ;  e  pare  Urano,  che  Papa  Bonifazio  VIII.  perfo- 
naggio  di  grande  animo  non  ne  abbia  battuta  alcuna  ;  da  che 
fi  truova,  che  Benedetto  XI.  fuo  Succefibre  efercitò  quefio  fuo 
diritto.  Ma  da  che  da  Clemente  V.  fu  trafportata  in  Francia 
ed  Avignone  la  Corte  Pontifizia,  allora  da' Papi  fi  ripigliò  l'ufo 
della  Zecca  con  vigore,  né  mai  più  fu  interrotto  .  Molte  di 
quelle  Monete  ,  per  quanto  porta  l'ifiituto  mio  ,  ho  raccolto 
io  dalle  Vite  de' Papi  di  Avignone  del  Baluzio  ,   dal  Libro  di 

Save- 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  S  E  T  T  1  M  A  .  481 

Saverio  Scilla  ,  e  dal  piìi  copiofo  di  Benedetto  Fioravanti  ,  fic- 
come  da  alcuni  Mufei  de' miei  Amici.  Alcune  d'oro,  altre  d'ar- 
gento, o  pure  di  rame. 

La  Prmia  ha  quelle  parole  PP.  BENEDICT.  VN.  cioè  Bs- 
7iedettu  XL  Papa^  uomo  Santo,  che  nel  1303.  fu  alzato  al  Tro- 
no Pontifìzio.  Nel  mezzo  è  una  Croce  ,  nel  rovefcio  due  Chia- 
vi, S.PETR.  PATRIlMONIVM. 

La  Seconda  appartiene  2l  PnpaClememe  V.  che  porta  la  Tia- 
ra ,  colla  deftra  benedice  ,  colla  finillra  tiene  la  Croce  .  V  è 
fcritto  CLEMENS  PAPA  QVINTVS,  eletto  nel  1305.  Neil' 
altra  facciata  una  Croce  (la  nel  mezzo,  contornata  da  COMIT. 
VENASINL  cioè  del  Contado  Venayfhno ,  di  cui  già  era  pa- 
drona la  Chiefa  Romana  in  Provenza.  Il  contorno  più  largo  ha 
AGIM:  TiBi:  GRA:  OMNIPOTENS  DE.  Di  fopra  fon  due 
Chiavi,  inicgna  della  Chiefa  di  Roma. 

La  Terza  è  di  Giovanni  XXII.  Papa  eletto  nel  1^16.  Vi  fi 
vede  il  bulto  di  Donna  ,  cioè  di  Roma  ,  che  fiede  iopra  due 
Leoni  (  fé  pure  quella  figura  non  difegna  Ealdirtorio  o  Sedia  ) 
coll'Ifcrizione  iOHES  PAPA.  XXIL  COMIT.  VENASINL 
Nel  rovefcio  una  Croce,  ed  AGIM.  &c. 

La  Quarta  è  un  Fiorino  d'oro,  fatto  ad  imitazione  de' Fio- 
rentini :  del  che  fece  doglianza  Giovanni  Villani  .  Vi  fi  mira 
l'effigie  di  San  Giovanni  Batilta  con  lunghi  capelli  e  barba;  nei 
di  iopra  la  Mitra  Pontifizia  colle  lettere  S.  lOHANNES.  B. 
Nel  rovefcio  un  Giglio,  e  nel  contorno  due  Chiavi  con  SANT. 
PETRV. 

La  Quinta  ci  fa  vedere  lo  fteffo  Papa  fedente  colle  lette- 
re Pi\  lOHANNES  .  Nel  roveicio  una  Croce  con  SALVE 
SCA  CRVX. 

La  Sella  ha  una  Croce  in  mezzo;  all'  intorno  PP.  lOHAN- 
NES. Nel  roveicio  VIGESIMVS  SEC.  VDS.  cìoh  Secundus. 

La  Settima  porta  due  Chiavi  colle  lettere  lOES.  PAPA  XXII. 
Nell'altra  parte  una  Croce  con  PATRI M'  DIV  PE',  cioè  Pa- 
trimonìum  Di'vi  Petri . 

L'Ottava  ha  l'effigie  del  Pontefice  ,  portante  due  Chiavi 
nella  deftra,  nella  finiitra  la  Croce,  con  PP.  IOHES  XXIL  Nel 
rovefcio  due  Chiavi ,  e  S.  ECCLÌE  ROME  ,  cioè  SanHce  Ec- 
clefics  R-omance . 

La  Nona  appartiene  a.  Bene  ci  e  no  XII.  Papa  ^  eletto  nel  1334. 
Siede  il  Pontefice  nella  Cattedra  ^  tenendo  in  mano  iibaftonPafto- 
Tomo  I.  Ppp  raie, 


4.82  Dissertazione 

rale,  col  motto  BENEDICTVS.  Nell'altra  facciata  una  Cro- 
ce, e  intorno  ad  cffa  PP.  DVODECIMO. 

La  Decima  ha  una  Croce  con  PP.  BENEDICTVS  XII.  e 
nel  rovefcio  PATRIM.  S.  PETRI. 

L'Undecima  riguarda  Clemente  FI.  Papa y  eletto  nel  1342. 
Vi  fi  mira  la  fua  effigie  con  CLEMS  PP.  SEST.  e  le  due  Chia- 
vi .  Nel  rovefcio  la  Croce  con  COMES  VENESI  .  Nel  giro 
più  largo  AGIMVS  TÌBI  GRx^S  OMNIPOTES  DEVS. 

La  XII.  ha  il  Papa  ledente,  e  CLEMENS  PP.  SEXTVS.  Il 
rovefcio  ha  due  Chiavi ,  e  SANCTVS  PETRVS  E  PAL.  cioè 
&  Paulus . 

La  XIII.  moRra  il  Pontefice  fedente  con  CLEMS  PP.SEXTS. 
Nel  rovefcio  una  Croce  cum  SANST  PETRVS. 

La  XIV.  fu  battuta  ò.2i.FapalnnQce7ìz^VL  confecrato  nel  1352. 
Siede  il  Pontefice  fopra  due  Lioni  ,  o  piìi  tofto  nel  Faldiilono  o 
Sedia,  col  motto  INNOCENTI VS  PP.  SEXTVS.  Nel  rovefcio 
una  Croce  con  quattro  paia  di  Chiavi,  e  SANTVS  PETRVS. 

La  XV.  ha  l'immagine  di  San  Pietro  fedente  nella  Cattedra 
col  manto  Pontifizio  ,  e  le  Chiavi  in  mano  .  V'è  fcritto  SAN- 
TVS PETRVS.  Nell'altro  lato  la  Tiara  Papale  con  tre  Corone. 
Di  fotto  due  Chiavi,  ed  INNOCENTI  VS  PP.  SEXTVS. 

La  XVI.  appartiene  ad  UrhanoV,  Papa^  eletto  nel  13^2.  Sie- 
de nella  Sedia,  o  fopra  i  Lioni  con  VRBANVS  PP.  (^VNTS  o 
Neiroveicio  due  Chiavi,  e  SANCTVS  PETRVS. 

La  XVII.  ha  1'  effigie  del  Papa  colle  lettere  VRBA.  V.  PP, 
Nel  mezzo  del  rovefcio  V.  R.  B.  I.  ed  intorno  IN  ROMA ,  do- 
ve egli  venne  nel  13^8. 

La  XVIII.  Siede  ivi  il  Pontefice  individuato  dalle  lettere  VR- 
BANVS PP.  Q_VNTS.  Nel  rovefcio  due  Chiavi  ,  e  FACTA 
IN  ROMA. 

La  XIX.  ci  fa  vedere  fedente  il  Papa  col  motto  VRBAN. 
PAPA  QVNTS.  Nell'altro  lato  una  Croce  con  quattro  paia 
di  Chiavi,  e  SANTVS  PETRVS. 

La  XX.  moftra  nel  mezzo  una  Mitra,  all'intorno  un  paio  di 
Chiavi,  ed  VRB.  PP.  Q^NTS.  Il  rovefcio  ha  due  paia  di  Chia- 
vi, ed  intorno  S.  M.T.PET'.  E  PAS. 

La  XXI.  hailbufto  del  Papa  con  VRE.PP.  Q^VITS.  Nel  ro- 
vefcio S.  PET.  EPAL.  e  in  oltre  nel  mezzo  V.R.B.I. 

La  XXII.  ha  nel  mezzo  la  Mitra  con  URBAN  QVNTS,  e 
di  fotto  V.  PP.  cioè  Ufjherfalis  ,  0  pure  Urùis  Papa  .    Miranfi 

neir 


Ventesimasettima^  48  j 

nell'alira  facciata  due  Mitre  con  due  paia  di  Chiavi ,  e  nel  con- 
torno SANCTVS  PETRVS. 

La  XXIII.  ci  rapprefenta  Gregorio  XI.  eletto  Papa  nel  i  371. 
Ivi  è  ilmottoGREGORSPP.VNDEC.  Nel  rovelcio  due  Chia- 
vi eSANTVS  PETRVS. 

La  XXIV.  ha  il  bufto  del  Papa  con  due  rofette  ,  e  GG.  PP. 
VND.   Nell'altro  lato  il  mezzo  haV.R.  B.L  e  IN  ROMA. 

La  XXV.  è  fimile  alla  precedente  ,  fé  non  che  nel  contorno 
v'ha  una  Corona  Regale. 

La  XXVI.  fi  crede  ipettante  allo  ftefTo  'Pa.^2i Gregorio.  Vi  fi  mira 
il  bufto  d'un  Pontefice  con  picciola  Chiave  ,  due  rofette  ,  e  S. 
PETRVS.  Nel  rovefcio  DE  ROMA  colle  lettere  V.R.B.L 

La  XXVII.  appartiene  aPapa  Urbano  FI.  eletto  nell'Anno  1378. 
Siede  ivi  il  Papa  col  motto  VRBANVS  PP.  SEXTVS  .  Veg- 
gonfi  nel  roveicio  una  Croce,  quattro  paia  di  Chiavi,  e  SAN- 
CTVS  PETRVS. 

La  XXVIII.  è  à\  Clemente  VII.  Antipapa^  eletto  nel  1378.  Vi 
fi  mira  la  fua  effigie  colle  lettere  CLEMENS  PP.  SEPTIVS  . 
Nell'altro  lato  le  Chiavi,  e  SANCTVS  PETRVS. 

La  XXIX.  fimile  ha  SEPTIMVS ,  o  pure  SEPTIVS,  e  nel  ro- 
vefcio SANCTVS  PETRVS  ETPAVLVS. 

La  XXX.  ci  rapprefenta  la  Tiara  Pontifizia  coli' arme  dell'An- 
tipapa ,  e  CLEMENS  PP.  SEPTIVS  .  Neil'  altra  parte  San 
Pietro  colle  lettere  S.  PETRVS  APOSTOLVS. 

La  XXXI.  ha  la  Tiara  con  due  paia  di  Chiavi,  e  il  nome  di 
Clemente  VII.  Nell'altro  lato  due  Chiavi  incrociate",  e  SAN- 
CTVS PETRVS  ETPAVLVS. 

La  xxxii.  appartiene  3,  BonifaT^jo  IX.  Papa^  eletto  nel  1384. 
Vi  fi  vede  il  Papa  fedente  col  motto  BONIFA.  PP.  NONVS. 
Nel  rovefcio  le  Chiavi,  e  SANCTVS  PETRVS. 

La  xxxiii.  altro  di  diverfita  non  ha,  che  la  tefta  d'un  Moro 
nel  contorno  del  rovefcio,  e  BONIFATI. 

La  XXXIV.  ha  il  buflo  del  Pontefice,  e  le  lettere  BONIFAT. 
PP.  N.  Il  rovefcio  ha  IN  ROMA  ,  e  lettere  compartite 
V.  R.  B.  I. 

La  XXXV.  Col  bufto  d'eflb  Papa  ha  PP.  B.  NONVS  .  Nel 
rovefcio  DE  MACERATA. 

La  XXXVI.  raoftra  il  Triregno,  e  nel  contorno  B.PP. NONVS. 
Mirafi  la  Croce  nel  rovefcio  col  motto  DE  FIRMO. 

La  XXXVII.  fi  nkx'ìizQ  2iBetìedettoXIIL  Antipapa  eletto  nel  1 3^4. 

Ppp     2  V'ha 


484.  Dissertazione 

V  ha  la  fua  effigie ,  e  BENEDICT.  PP.  TRDEM .  Nel  rovefcio 
le  Chiavi  e  le  lettere  SANTVS  PETRVS  ET  PAVLVS. 

La  XXXVIII.  riguarda  Innocenzo  V IL  Papa  ^  eletto  nel  1404. 
Siede  il  Pontefice  coli'  ifcrizione  INNOCENTI VS  PP.  VII. 
Nel  rovefcio  le  Chiavi,  e  SANCTVS  PETRVS. 

La  XXXIX.  ha  il  medefimo  diritto.  Il  rovefcio  moftra  le  Chia- 
vi con  SANCTVS  PETRVS.  S.P.Q.R. 

La  XL.  appartiene  a  Gregorio  XII.  Papa^  eletto  nel  140Ó'.  Il 
Papa  fiede  colle  lettere  GREGORIVS  PP.  XII.  Nel  rovefcio  le 
Chiavi  col  capo  d'un  Moro. 

La  XLi.  rapprefenta  Giovamii  XXIIL  Papn^  eletto  nel  1410. 
V'ha  la  figura  del  Papa  fedente,  e  lOVANNES  PP.  XXIIL 
Nel  rovefcio  le  Chiavi ,  e  SANCTVS  PETRVS.  C'è  un'al- 
tra fomigliante  col  capo  d'un  Moro.  E  un'altra  colla  Co/c//7, 
Arme  di  elfo  Papa. 

La  xLii.  ha  nel  diritto  il  Triregno  ,  e  lOHES  PP.  VIGESI- 
MVS  III.  Nel  rovefcio  le  Chiavi  ,  e  SANTVS  PETRVS  ET 
PAVLVS,  colla  lettera  R.  fra  le  Chiavi - 

La  xLiii.  ha  l'arme  di  efib  Papa  colla  Tiara,  e  lOHES  PP. 
VIGEXIMVS  III.  Nel  rovefcio  San  Pietro  colla  Chiave  nella 
detira,  e  il  Libro  nella  finiflra  ,  e  SANCTVS  PETRVS  APO- 
STOLVS . 

Chiunque  brama  le  Monete  de' Papi  da  Martino  V.  fino  ad 
Innocenzo  XI.  vegga  il  Libro  del  Molinet  Franzefe  ,  del  Padre 
Filippo  Bonanni  della  Compagnia  di  Gesù,  e  del  Fioravanti. 

Ravenna . 

Passiamo  a  Kavenna  .  Nell'Anno  402.  quefla  nobil  Cittk 
divenne  Sedia  dell'Imperio  Occidentale,  perchè  vi  fi  portò  ad 
abitare  Onorio  Augufto,  e  almeno  da  quel  tempo  effa  cominciò 
a  godere  il  privilegio  della  Zecca  .  Vedefi  una  Moneta  d'efTo 
Onorio  predo  ilDu-Cange  colle  lettere  R.  V.  P.S.  cioè  fé  credia- 
mo 2i^\xiX.QX'^xti\  KaVenrKs  PecumaStgnata.  Un'altra  battuta 
fotto  Giovanni  Tiranno  ha  le  medefime  lettere.  Non  ho  io  dub- 
bio, che  fotto  i  Re  Odoacre,  Teoderico,  Atalarico,  Teodato  , 
Witige,  e  Baduila  Regi,  ritenelTe Ravenna  la  prerogativa  fud- 
detta  dall' Anno  47 6".  fino  al  540.  Ninna  Moneta  ho  io  veduto 
di  Odoacre,  una  bensì  di  Teoderico  battuta  in  Roma.  Sotto  gli 
©echi  ancora  ho  avuto  un  curiofo  pezzo  di  antichità  ,  fpettante 

ad 


VeNTESIMASF.  TTIMA.  485 

ad  efib  Teoderico  ,  che  ilGhiarifs.  Apoftolo  Zeno  trafportò  da 
Modena  al  fuoMufeo.  Confifie  in  un  picciolo  quadrato  di  bron- 
zo della  fottigliezza  de'  Medaglioni  .  In  una  facciata  fi  leg^e 
DN.  THEODERICI;  nell'altra  fi  vede  la  fola  figura  diunT. 
che  forfè  è  l'iniziale  del  nome  di  Teoderico,  intorno  a  cui  gi- 
ra una  Corona  di  lauro  o  di  quercia.  Nella  cofta  di  elfo  bronzo 
fi  leggono  quefte  lettere  :  CATVLINVS  V.  C.  ET  I...  L... 
P. ..  V.  fono  d'argento  i  nomi  dell'uno  e  dell'altro  con  lette- 
re cavate  nei  bronzo  ,  e  riempiute  d' argeHto  ,  le  quali  reftano 
quafi  tutte  illefe  nel  nome  di  Teoderico  ;  Icaduta  è  la  maggior 
parte  di  quelle  di  Catulino ,  ma  ne  recano  chiari  i  fegni  nella 
cavita  del  bronzo.  Di  nobiliflTima  ed  illuftre  Famiglia  fu  quello 
CatulÌ7iO^  come  quella  ,  che  nell'Anno  34^.  ebbe  per  Confole 
Aconio  CiituUino^  credendo  io,  che  non  fieno  diverfì  nomi  quei 
òiCatullino  Q  Catulifìo.  Ebbe  de' Prefetti  di  Roma  ,  de' Procon- 
foli ,  ed  altri  faliti  alle  più  cofpicue  Dignità  ,  come  appariice 
dal  Codice  Teodofiano  ,  e  da  altre  memorie  deli'  Antichità  . 
Apollinare  Sidonio  Lib.  I.  Epifl.  11.  racconta,  che  circa  l'An- 
no 4^0.  fu  fparfa  in  Arles  una  Carta  Satirica.  Acc'tdit  cafu  ut 
Catullifìus  lllujìris  tunc  ah  Arsemi s  ilio  'venire  &c.  Anche  il 
Poema  XII.  d'elfo  Sidonio  è  indirizzato  ad  Virum  Clarìjftmum 
Catullinum  .  Mancò  di  Vita  Sidonio  nell'Anno  482.  Sicché  a 
que'  tempi  fioriva  un  Catulino  Uomo  ChiariJJtmo  ed  lllujìre  : 
titolo  che  fi  dava  al  Prefetto  di  Roma  .  Neil'  Ifcrizione  fud- 
detta  abbaftanza  fi  fcorge ,  che  vi  fi  leggeva  ancora  INLVSTRIS 
PRAEF.  VRB.  Per  confeguente  quello  Catuhno  vivente  nell' 
Anno  494.  fi  può  credere  lo  fteflfo  ,  che  il  nominato  da  Sido- 
nio, o  almeno  farà  flato  fuo  Figlio .  S'ha  da  riporre  quel  pez- 
zo d'anticaglia  fra  le  Teffere,  o  fra  i  Donativi  ,  che  in  onore 
de' Principi  per  qualche  folennitk  fi  difpenfavano  a  gh  amici. 
Ottavio  Strada,  e  il  Du-Cange  hanno  pubblicato  Monete  degli 
altri  Re  Goti,  probabilmente  battute  in  Ravenna  loro  danza  \. 
Rapporterò  io  le  da  me  vedute  nel  Mufeo  Piacentino  del  Re- 
verendifs.  P.  D.  Aleffandro  Chiappini  Generale  de  i  Canonici 
Regolari  .  In  effe  particolarmente  merita  attenzione  il  trovar- 
vifi  ancora  l'effiaie  e  il  nome  àìGiuftiniano  1.  Augufto  ,  e  col 
folo  nome  de  i  Re  Goti,  ma  fenza  la  loro  immagine.  Ufo  tale 
vien  confermato  dalle  parole  di  Procopio  Lib.  III.  Cap.  33.  de 
Bello  Coth  Nummos^  die' egli  parlando  de' Re  Franchi ,  cudunt 

ex: 


4-8(5  Dissertazione 

ex  auro  Gallico ,  ?2on  Imperntoris ,  Ut  Fieri  Solep ,  fed  fu  a  imprcf- 
fos  effigia'  Menetam  quidem  ar gente am  Perjarum  Rex  arbitra- 
tu  juo  cudere  confuevit  ;  auream  'vero  neque  ipji  ,  neque  alti 
cttipiam  Barbarorum  Regi-)  quamvis  ami  Domino^  'vultu  propri» 
/ignare  non  licet .  Non  per  altra  ragione  i  Goti  ritenevano  il 
nome  di  Giufliniano  Imperadore  nelle  loro  Monete  ,  fé  non 
perchè  tuttavia  riconoicevano  in  lui  l'alto  dominio  fopra  l'Ita- 
lia :  il  che  fu  praticato  anche  da  i  Romani  Pontefici,  come  s'è 
oflervato  di  fopra. 

Vedefi  dunque  un  Denaro  d'  argento  ,  che  ci  rapprefenta 
GìuJÌ  i-ai  ano  I.  Imperadore  col  Diadema  ,  e  colle  lettere  D.  N 
IVSTINIANV'S  P  F  AVG.  cioè  Dominus  nofler  luftinianusPius 
Felix  Auguftus,  Nel  rovefcio  fi  legge  D.  N  ATHALARICVS. 
REX.  con  Cor,ona  d'alloro  all'intorno.  Circa  l'Anno  527.  fu 
battuta  quella  Moneta. 

Il  Secondo  Denaro  ci  fa  vedere  1'  effigie  del  fuddetto  Giufli- 
niano Imperadore  ;  e  nel  rovefcio  D  N.  THEODAHATVS 
REX.  circa  l'Anno  535.  Lo  Strada  e  il  Du-Cange  hanno  un' 
altra  Moneta  di  eflb  Re  ,  dove  non  fi  mira  memoria  alcu- 
na dell'  Imperadore  ,  ma  la  fola  effigie  di  elTo  Re  Teodato  5 
e  nel  rovefcio  VICTORIA  PRINCIPVM  .  Credefi,  cheque- 
fio  Re  per  qualche  tempo  moflraffe  poca  (lima  dell'  autorità 
Imperiale  . 

Il  Terzo  Denaro  battuto  circa  l'Anno  537.  nel  diritto  ha  il 
buQo  di  Giufliniano  col  fuo  nome  5  e  nel  rovefcio  D.  N  VVI- 
TIGES  REX. 

Il  Quarto  nulla  ha  di  Giufliniano  ;  ma  folamente  il  buflo 
del  Re  colle  lettere  D.  N.  BADVILA  REX.  Son  ripetute  nel 
rovefcio  le  medefime  parole.  Quelli  fu  l'ultimo  de  i  Re  Goti  , 
prefo  da  Belifario  nell'Anno  539. 

Benché  fi  battefle  Moneta  allora  in  Roma,  pure  anche  Ra- 
venna godeva  il  diritto  di  battere  in  que' tempi.  In  un  Papi- 
ro ,  di  cui  fi  parlerà  nella  Differt.  XXXII.  fcritto  in  Ravenna 
nell'Anno  540.  fi  truova  Vitalis  Vir  ClariJJimus  Monitarius  , 
cioè  MiniJÌYo  o  Prefidente  della  Zecca  .  Nel  Mufeo  di  Aleffan- 
dro  Bertacchini  in  Modena  fi  vede  un  Denaro  d'argento,  che 
moflra  il  buflo  di  Giufliniano  I.  col  motto  D.  N.  IVSTINIA- 
NVS  P.  AVG.  Nel  rovefcio  il  feguente  Monogramma  con  Co- 

rona  all'  intorno   «n  Ir ^    /  KT  •  Veggo  sii  Eruditi  far  da  in- 

^r^^  dovi. 


Ventesimasettima.  487 

dovini  nello  Ipiegar  le  Sigle  e  Cifre  de  gli  antichi.  Sia  anche 
a  me  permeflb  di  iofpettare  in  quelle  lettere  D  N  RATS  De- 
nartus  Ravennaùs  ,  cioè  Urbis  .  Comunque  fia  ,  certo  è  ,  che 
v'  ha  Monete  battute  da  Eraclio  ,  e  da  Eraclio  Cofiantino  Au- 
gudi  in  Ravenna  .  Due  ne  produrrò  ,  perchè  non  rapportate 
dal  Du-Cange. 

Il  Serto  Denaro  del  Mufeo  Bertacchini  ci  fa  veder  tre  Figu- 
re, portanti  Corona  incapo  colia  Croce,  e  un  Globo  nella  de- 
fìra.  Credo  quivi  difegnati  Eraclio  Augufto,  Martina  fua  Mo- 
«jlie,  ed  Eraclio  Coftantino  Augufto  loro  Figlio  dopo  l'Anno  61 3. 
le  pure  in  vece  di  Martina  non  foife  ivi  Flavio  Eracleona  al- 
tro lor  Figlio  dichiarato  Cefare  nell'Anno  ót^o.  Nel  rovefcio 
comparifce  il  Monogramma  diCrifto.  Sotto  v'ha  M.  a  i  fian- 
chi ANNOXXIIII.  RAV.  cioè  nell'Anno  diCrifto^33. 

Il  Settimo  fa  vedere  i  budi  di  due  Imperadori  ;  l'uno  è  ap- 
poggiato ad  un'alta;  l'altro  con  un  Globo  in  mano.  Vedcfi  nei 
rovefcio  il  Monodramma  di  Crifto  col  M.  fotto,  e  a  i  lati  AN- 
NO XXVI.  RAV.  cioè  nell'Anno  535. 

L'Ottavo  rapprefenta  il  bufto  di  un  Imperadore  o  Re  coro- 
nato. Nel  contorno  v'ha  FELIX  RAVENNA.  Nel  rovefcio 
un'Aquila  con  due  ftellette. 

Ma  dappoiché  Ravenna  fu  prefa  da  i  Longobardi,  e  poi  do- 
nata alla  Chiefa  Romana  ,  per  lungo  tempo  reftò  priva  quel- 
la nobil  Citta  della  prerogativa  della  Zecca  .  Che  poi  queda 
foffe  conferita  da  Arrigo  IV.  Re  di  Germania  e  d'Itaha  nelF 
Anno  10^3.  a  gli  Arcivefcovi  di  Ravenna,  l'abbiamo  da  Gi- 
rolamo RolTi  .  Tuttavia  fi  conierva  nel  Mufeo  Mufelli  di  Ve- 
rona ,  e  in  quello  dell'  Accademia  di  Cortona  una  pruova  di 
quello,  cioè  un  Denaro  d'argento,  che  nel  diritto  ha  ARCI- 
EPISCOPVS,  e  nel  rovefcio  DE  R  A  VENA. 

Pavia . 

Da  che  i  Re  Goti  s'innamorarono  ài  Pavia  ^  e  comincia- 
rono a  beneficarla  ed  ampliarla  ,  quivi  ancora  ebbe  pirincipio 
il  Gius  di  battere  Moneta  .  Ne  ho  rapportata  la  pruova  con 
un  Denaro  ,  efiitente  in  quella  Citth  prefTo  il  nobile  Sign.  Si- 
ro Rhò  .  Nel  diritto  fi  vede  il  capo  ài  un  Re  col  motto  FE- 
LIX TICINVS.  Leggefi  nel  rovefcio  D.N  BADVILA  REX. 

Mol- 


4-88  Disserta  zione 

Molto  più  godè  Pavia  di  quefto  ornamento  fotto  i  Re  Lon- 
gobardi, che  quivi  fiflTarono  la  Sedia  del  Regno  d'Italia.  Ma 
qui  è  da  avvertire  ,  che  regnando  i  Longobardi  ,  non  fola- 
mente  Pavia  ,  ma  anche  Milano  ,  Lucca  ,  e  Trivigi  ebbero 
Zecca  .  Se  non  quelle  quattro  Citta  ho  io  potuto  trovar  fin- 
ora ,  che  in  que'  tempi  avellerò  facoltà  di  battere  Moneta  ; 
e  in  effe  la  medefima  durò  anche  fotto  gli  Augufli  Franchi 
eTedefchi.  Son  io  perfuafo,  che  in  niun' altra  Citta  del  Regno 
Italico  foffe  allora  permeffo  quello  pregio,  eccettuatone  lem- 
pre  il  Ducato  Beìieventatio  ,  e  quello  ancora  di  Spoleti  ,  nel 
qual  ultimo  è  credibile  che  non  mancaffe  un  tal  onore.  De- 
fiderava  io  di  poter  dare  Monete  battute  da  i  Re  Longobar- 
di 5  pure,  a  rilerva  d'una,  non  n'e  venuta  altra  alle  mie  ma- 
ni .  Ne  ha  bene  Angelo  Beneventano  prodotta  una  ài  Agilul- 
fo ,  ma  ci  vuol  poco  a  riconolcere  ,  che  è  merce  falfa  .  Efi- 
bifco  dunque  una  Moneta  d'  oro  ,  efiftente  in  Milano  preffo 
il  Marchefe  Aleffandro  Trivulzio  digniffimo  Cavaliere  .  Mira- 
fi  nel  diritto  d'  effa  1'  effigie  di  un  Re  ,  con  quelle  lettere 
LIVTPRN.  R.  cioè  Liutprandux  Rex ,  Già  è  (labilito  fra  gli 
Eruditi  ,  che  il  nome  di  quello  infigne  Re  fu  Liutpraììdo^  e 
non  Luitprando  ,  come  colla  da  i  Marmi  ,  e  Documenti  ,  da 
ine  prodotti  ,  e  da  altri  .  Nel  rovelcio  fi  vede  f  immagine 
di  San  Michele  Arcangelo  colle  lettere  SCS.  MAHEL  ,  cioè 
SanHus  Michael .  Gran  venerazione  profellarono  i  Longobar- 
di a  quello  Arcangelo  ,  e  il  prefero  per  Protettore  della  loro 
Nazione  :  il  che  fu  praticato  anche  da  i  Principi  di  Beneven- 
to .  Efifle  tuttavia  nella  Citta  di  Pavia  una  cofpicua  Bafilj- 
ca  ,  infignita  del  di  lui  nome  .  Senza  pruova  alcuna  1'  han- 
no creduta  gli  Scrittori  Pavefi  fabbricata  da  Coilantino  Ma- 
gno ;  ma  fi  dee  tenere  per  fattura  de  i  Re  Longobardi  .  Di 
effa  fa  menzione  Paolo  Diacono  ,  ed  ivi  talvolta  furono  co- 
ronati i  Re  d'  Italia  .  Un'  altra  affai  riguardevol  Bafihca  di 
San  Michele  rella  nella  Citta  di  Lucca  ,  la  cui  fabbrica  fi 
dee  riferire  a  i  tempi  fuddetti  .  Grande  era  in  fatti  una  vol- 
ta la  divozion  de  i  Popoli  a  quello  Arcangelo.  Liutprando  Sto- 
rico Libro  I.  Capir.  2.  Icrive  ,  che  da  Bafilio  Augufto  fabbri- 
cata fu  in  Collantinopoli  una  Bafiiica  preticfo  ne  mirabili  ope- 
pere  in  honore  Jummi  &  cctleflts  militia  Principis  Archangeli 
Michaelis .  Sembra  eziandio ,  che  i  Franchi  il  prendeffero  per 

Tute- 


Ventesimasettima.  48p 

Tutelare  della  loro  Nazione.  Inoltre  attefta  il  fuddetto  Paolo 
Diacono,  in  parlando  del  Re  Cuniberto,  che  nella  bandiera  de 
i  Re  Longobardi  era  dipinta  1'  effigie  di  S.  Michele  .  Del  luo 
patrocinio  ancora  pare  che  favelli  la  Storia  dell'  Ignoto  Mo- 
naco Cafincnfe  predo  il  Pellegrini,  dove  è  detto  dei  Longobar- 
di :  Poft  hécc  dommantes  Ital'tam  ,  Bsììcventum  ìntroiemm  ad 
hahttandum  .  Horum  autem ....  Pr't?iceps  militìcs  ccelejìis  exerci- 
tus  Michael  exjìhit  Arcangelus  ,  V'era  fcritto  ,  a  mio  parere, 
Patrontis  ,  o  PvoteHor  .  Andiamo  ora  a  veder  i'  altre  Mone- 
te battute  in  Pavia  ,  alcune  poche  delle  quali  furono  pub- 
blicate dal  Signor  le  Bla?ic  Franzefe  ,  il  refto  viene  fpezial- 
mente  dal  Mufeo  del  iopra  lodato  Signor  Siro  Rhò  Patrizio 
Pavefe . 

La  Prima  fu  battuta  in  Pavia  ,  dappoiché  Carlo  M.  nell' 
Anno  774.  s'impadronì  dei  Regno  Longobardico  .  Nel  diritto 
v'ha  una  Croce  con  quefte  lettere  intorno  CARLVS.  REX. 
FR.  Nel  rovefcio  il  Monogramma  d'eiìoRe,  e  nel  contorno 
PAPIA.  Fu  dato  alla  luce  dal  Dottore  Antonio  Gatti  nel  Li- 
bro de  Gymjiafio  Ticìn.  un  Medaglione  ,  dove  fi  legge  DE- 
VICTO  DESIDERIO  ET  PAPIA  RECEPTA  DCCLXXIIIL 
e  nel  rovefcio  CARLVS  REX  FRANCIAE  ,  e  nel  mezzo 
TRSF.  Lo  tengo  per  un'impoftura. 

La  Seconda  viene  dal  Mufeo  dell'Abbate  Benedetto  Fiora- 
vanti. Benché  fia  corrola,  pure  baflevolmente  lafcia  conofce- 
re  i  fegni  delle  feguenti  lettere  KARLVS  IN^ATOR. 
Chiaramente  fi  ravvila  nel  rovef::io  PAPIA.  Fu  battuta  do- 
po l'Anno  800. 

La  Terza  pare  che  fi  poffa  riferire  a  Lodovico  Pio  AugU" 
fio  circa  l'Anno  815.  EfiRe  ivi  la  Croce  colle  lettere  HLV- 
DOVVICVS  IMP.  Il  rovefcio  ha  PAPIA  .  Ma  può  anche 
appartenere  a  Lodovico  IL  Imperadore  fuo  Nipote. 

La  Quarta  è  ài  Lattario L  Augu fio  circa  l'Anno  840.  Truo- 
vafi  nel  MuleoRhò.  V'ha  la  Croce  e  HLOTHARIVS  IMP. 
e  nel  rovefcio  PAPIA. 

La  Qiiinta  mi  fu  comunicata  dal  Signor  Uberto  Benvoglien- 
ti  Patrizio  e  Letterato  riguardevole  Sanele  .  Vi  fi  vede  il  Mo- 
nogramma di  Crillo  colle  lettere  berengarivs  inP.  Nel 
mezzo  del  rovefcio  PAPIA  Clvitas  ^  e  nel  contorno  KPi- 
s  T  I  A  N  A  R  E  L  I  G/'o  .  Fu  battuta  quella  Moneta  dopo  1'  An- 
no  c>i5. 

Tomo  1,  Q.^1  ^^ 


45;o  Dissertazione 

La  Sefìa  nel  Mufeo  Rhò  non  so  a  chi  attribuirla  .  Ivi  una 
Croce,  e  all'intorno  FI  PAPIA,  cioè  Fidelhy  fé  pure  non  fol- 
le FL.  PAPIA  ,  cioè  Flavia  .  L'altra  facciata  ha  P.R.CL  e 
intorno  INPERATOR  .  Finché  altri  meglio  indovini  ,  leggo 
qui  alla  Tedelca  PeRenCarlus,  o  PRenCarlus,  cioè  Ber  e  figa- 
rio  I.  creato  ìmperadore  nell'Anno  pi5. 

La  Settima  è  fimile  alla  precedente ,  e  pare  del  medefimo 
Pre?2carÌGy  o  fia  Berengario  I.   ìmperadore. 

L'Ottava  efidente  nel  Mufeo  Rhò  riguarda  Rodolfo  Re  di 
Borgogna^  che  nell'Anno  ^22.  venne  ad  ingoiare  il  Regno  d' 
Italia.  Intorno  al  Monogramma  di  Crifto  fi  legge  RODVLPO 
nVS  RX.  Nel  rovefcio  PAPIA  CI.  cioè  Civitas^  e  nel  con- 
torno CHRISTIANA  RELIG. 

La  Nona  dello  fteflb  Mufeo  appartiene  ad  Ottone  I.  Augii- 
/lo  dopo  l'Anno  pél.  fé  pure  non  s'ha  da  riferire  a  i  due  fe- 
guenti  Ottoni  .  In  mezzo  fi  leg^e  OTTO  ,  e  intorno  IMPE- 
RATOR.  Nel  rovefcio  PAPIa' INCLIT.  CIVIT.  DellaZec- 
ca  Pavefe  in  que' tempi  s'ha  menzione  in  uno  Strumento  dell' 
Anno  5?8p.  menzionato  di  fopra  nella  Differt.  VI.  Cioè  in  Ci- 
vitate  Ticinenji  Gundefredus  qui  &  Azo  Magi fter  Moneta  (del- 
la Zecca  )  fa  una  permuta  con  Giovanni  Arcivefcovo  di  Pia- 
cen:^  ,  (  che  cos'i  egli  fi  facea  chiamare  )  ed  Abbate  Nonan- 
tolano . 

La  Decima  nel  Mufeo  Bertacchini  di  Modena  appartiene 
ad  uno  de  i  tre  Ottoni  Imperadori  .  Vi  fi  legge  OTTO  IMPE- 
RATOR,  e  nel  rovefcio  AVGVSTVS  PAPIA. 

L'Undecima  è  poco  o  nulla  diverfa  dalla  precedente. 

La  XII.  efiftenre  prelTo  Giufeppe  Maria  Cattaneo  Modonefe , 
nel  diritto  ha  OTTO  SEMPER  AVGVSTVS  .  Nel  rovefcio 
IMPERATOR  PAPIA.  Ne' Diplomi  de  i  tre  Ottoni  fi  legge 
Romanorum  Imperator  Augujìus ,  e  non  mai  Semper  Augujlus  . 
Però  quefta  Moneta  fi  dee  pii^i  tofto  riferire  ad  Ottone  IV,  che 
nel  I20p.  ricevette  la  Corona  Imperiale  in  Roma.  Ma  ne' Di- 
plomi egli  è  intitolato  Romanorum  Imperatore  &  Semper  Au- 
gujìus 5  e  il  Popolo  di  Pavia  fempre  il  contrariò  ,  di  modo  che 
non  è  probabile,  che  vi  fi  parli  di  lui.  Ma  fé  appartiene  ad 
uno  de' primi  Ottoni,  quel  Semper  Augujìus  è  cola  ben  rara. 

La  XIII.  nel  Mufeo  Rhò  può  appartenere  ad  Arrigo  fra  gì' 
Imperadori  Pn'wo,  coronato  nel  1014.  o  più  toftf^  -ASecondo^ 
perchè  il  Primo  fece  bruciar  Pavia,  febbene  vi  polTono  preten- 
dere 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .'  Ù.QL 

dere  anche  i  tre  altri  Arrighi  pofteriori  .  Nel  mezzo  fi  legge 
HRICV,  e  nel  contorno  AVGVSTVS.  Nel  rovefcio  IMPE- 
RATOR  PAPIA  CI. 

La  XIV.  efidente  preffo  il  Sign.  Domenico  Vandelli  Lettor 
pubblico  neirUniverfita  di  Modena,  ha  poco  diverio  il  dirit- 
to ;  e  nel  roveicio  ha  LMPERATOR,  e  nel  mezzo  PAPIA. 

La  XV.  delMufeoRhò  ha  la  Croce  con  HENRICVS  INP. 
e  neir altra  parte  PAPIA. 

La  xvr.  Nel  Muleo  Chiappini  di  Piacenza  ha  nell'uno  de' 
Lati  HENRICVS  AVGVSTVS,  e  nell'altro  IMPERATOR 
PAPIA. 

La  XVII.  è  folo  diverfa  pel  Comparto  de' titoli,  leggendofi. 
nel  diritto  HENRICVS  IMPERATOR,  e  nel  rovefcio  AV- 
GVSTVS  PAPIA. 

La  XVIII.  prefTo  Bartolomeo  Soliani  Modenefe,  Libraio  rino- 
mato, appartiene  aduno  de' due -F^^m^^/ Imperadori,  amati 
non  poco  da  i  Pavefi .  Nel  diritto  è  FEDICV.  AVGVSTVS, 
nel  rovefcio  IMPEPvATOR  PAPIA. 

La  XIX.  nel  Mufeo  del  P.  Generale  Chiappini  ha  FÉ.  AV- 
GVSTVS ROMAN,  e  nel  rovefcio  IMPERATOR  PAPIA. 

La  XX.  nel  Mufeo  Rhò  ha  nel  diritto  l'effigie  di  un  Vefco- 
vo  colle  lettere  SANTV.  SYRVS  ,  Protettor  di  Pavia  .  Nel 
rovefcio  INPERATOR  PAPIA. 

La  XXI.  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  FREID.  ROM.  AVGV- 
STVS. e  nel  rovefcio  IMPERATOR  PAPIA. 

La  XXII.  d'oro  prcffo  il  Marchefe  Giufeppe  Beccar'ia,  la  cui 
nobil  Cafa  fu  Padrona  di  Pavia  ,  ha  nei  diritto  MVS  BEC- 
CAR.  PAP.  PRIN.  La   fua  Arme  è  nel  rovefcio. 

La  XXIII.  prelfo  il  Conte  Coftanzo  Dadda  Patrizio  Milane- 
fe  nel  diritto  ha  SANCTVS  SYRVS  PAPIA  .  Nel  rovefcio 
un  Serpente,  che  divora  un  Fanciullo,  e  le  lettere  GALEAZ 
VICECOMES.  D.  MEDIOLANI. 

Scrive  l'Aulico  TicincHle,  che  h  Moneta  di  Pavia  era  an- 
tichiffìma  .  ^ae  Moneta  per  totam  olim  haliam  njalore  ^  &  pori' 
deve  approbata^  ufque  nu?ic  fola  inter  alUs^  quas  'viderim>,  Gra- 
eh  l'tteris  deformatur.  Moneta  di  Pavia  con  lettere  Greche  non 
mi  è  avvenuto  di  vederla. 


Qj\  q      2  Mi- 


4P  2  Dissertazione 

Milano . 

Fino  da  gli  antichiffimi  tempi  cominciò  la  nobiliffima  Cit- 
Ù,  di  Milano  a  godere  il  pregio  della  Zecca,  e  del  battere  Mo- 
neta. Vicina  era  veramente  Pavia;  tanta  nondimeno  fempre 
fu  la  dignità  e  lo  fplendore  di  Milano  Metropoli  dell' Infubria, 
che  non  meno  i  Re  Longobardi,  che  gl'Imperadori  Franchi  e 
Tedefchi,  a  riferva  di  Federigo  I.  vollero  fempre  in  efìa  con- 
fervato  quell'  onore  ;  perchè  ivi  fovente  i  Re  ed  Imperadori 
pofero  la  lor  Sede,  e  vi  prefero  talvolta  la  Corona  ,  comedimo- 
flrai  nella  mia  Differt.  de  Cororia  ferrea  .  Anzi  anche  fotto  gì* 
Imperadori  Criftiani  nel  Secolo  IV.  troviamo  Moneta  battuta 
in  Milano,  come  apparilce  dalle  Monete  di  Mafhmo,  Vittore, 
Arcadio,  ed  Onorio,  rapportate  dall' Occone  e  dal  Conte  Mez- 
zabarba.  Ivi  fi  truovano  le  Sigle  MDPS.  che  fecondo  Tinterpre- 
tazione  de  gli  Eruditi  fignificano  Mediolanì  Pecunia  Sìgtìata ,  Che 
parimente  a' tempi  de  i  Re  Goti  continuale  ivi  la  fuddetta  pre- 
rogativa, fembra  molto  credibile.  Certamente  non  fi  può  dubi- 
tarne, allorché  regnarono  i  Longobardi,  giacché  ilFranzefele 
Blanc  poifedeva  la  terza  parte  d'uno  Scudo  d'oro  col  nome  di 
Befiderio  Re  de'  Longobardi  col  motto  FLAVIA  MEDIOLA- 
NVM.  Scrive  Paolo  Diacono  Lib.  III.  Cap.id.  de  Geft,Langob, 
che  fu  eletto  Re  da  i  Longobardi  Autari ,  quem  etiam  ab  digjiita- 
temFlavium  appetì avcnmt  :  quo  praenomine  omnes^  qui  pojìea  fu^- 
Yunt ^  Langobardorum  Keges  jeliciter  ufi  funt ,  Quello  fuo  titolo  la 
Trasfufero  poi  quei  Re  nelle  piìi  riguardevoli  Citta  del  Regno  lo* 
ro,  e  fpezialmente  in  quella  di  Milano,  che  fopra  l'altre  era  emi- 
nente. Sotto  i  Monarchi  Franzefi  e  Tedefchi  diffi  continuato  que- 
fto  diritto,  come  faran  fede  le  Monete  battute  fotto  i  medcfimi, 
ch'io  ho  potuto  vedere  :  alle  quali  aggiugnerò  l'altre  delie  due 
potentiffime  Cafe  Vifconte  e  Sforza,  che  quivi  fignoreggiarono. 

La  Prima  preflb  il  Blanc  battuta  circa  l'Anno  775.  appartie- 
ne a  Carlo  Magno  .  Qluvì  è  una  Croce  colle  X^n^xt  CARLVS 
REX  FR.  che  non  avea  peranche  confeguita  la  Dignità  Impe- 
riale. Nell'altra  parte  è  il  Monogramma  efprimente  il  nome  di 
elfo  Monarca,  e  all'intorno  MEDIOL. 

La  Seconda  vien  creduto  che  appartenga  a  Lodovico  Pio  Au- 
guro circa  l'Anno  815.  Vi  fi  vede  f  effigie  d'un  Imperadore 
colle  lettere  HLVDOVVICVS  IMP.  AVG.  e  nel  rovefcio  la 
facciata  di  un  Tempio,  e  MEDIOL ANVM, 

La 


Ventesimasettima.  4P  j 

La  Terza  ha  nel  diritto  HLVDOVVIGVS  IMP.  e  nel  ro- 
vefcio  MEDIOLANVM.  Ancor  quella  è  attribuita  dal Blane 
a  Lodovico  Pio;  ma  forfè  amendue  lon  da  riferire  a  Lodovico  IL 
jìugiiflo  fuo  Nipote,  che  tanto  tempo  dimorò,  ed  anche  mori 
i.i  Italia  . 

La  Q_uarta  è  di  Lottarlo  L  Imperatore  circa  l'Anno  841.  Ivi 
fi  legge  LHOTHARIVS  IMP.  enei  rovefcioMEDIOLANViM. 

La  Quinta  prelTo  il  Marchefe  Teodoro  Trivulzio  Patrizio  Mi- 
lanele,  riguarda  U^o  Re  d' Italia  neirAnnop25.  V'ha  il  mot- 
to HVGÓ  PIYSSIM.  REX.  Nel  mezzo  queite  Sigle  IHXL 
che  credo  indicare  IHeJus  Qhrljìus .  Nel  rovefcio  CRISTIA- 
NA RELIGIO  ;  e  nel  mezzo  MEDIOLA. 

La  Sella  preiTo  il  medefimo,  battuta  circa  il  P30.  riguarda 
anche  Lottarlo  fuo  Figlio  eletto  dal  Padre  per  Collega  .  Vi  fi 
leggono  le  fuddette  Sigle,  ed  VGO  LOTHARIO  RÈGES.  Il 
rovefcio  è  lo  (lelTo,  che  il  precedente. 

Anche  fotto  gl'Imperadori  Germanici  continuò  Milano  a  go- 
dere il  privilegio  della  Zecca.  Ne  ho  per  teflimonio  l' Annahfta 
SafTone  pubblicato  dall' Eccardo,  il  quale  trattando  di  Ottone  il 
Grande  all'Anno  ^51.  cosi  feri  ve  :  Medlolanenfes  fubjugans  ^  Mo- 
7ìetam  iis  mnovavlt ,  qui  Nummi  ufque  hodle  Ottolint  dicuntur  . 
Il  Goldaflo  de  Re  Moriet.  Tir. 48.  cita  un  Decreto  d'elfo  Otto- 
ne I.  che  ha  le  feguenti  parole  :  Medio! anenjibus  ,  qui  fai ft fica' 
njerunt  nojìram  Monetam  auream  &  argenteam  ,  mandamus  &  in-' 
jungimus  bac  hnperlalis  ìiojìrce  fententia  coìidemìiatlone ,  ut  nulla 
Moneta^  nifi  de  corio  faHa^  In pofterum  utantur ,  Cita  egli  Witi- 
chindo Storico,  nella  cui  Cronica  non  ho  faputo  rinvenir  parola 
di  quello.  Tengo  io  per  finto  affatto  un  tal  Decreto,  e  maflìma- 
mente  perchè  il  Goldaflo  non  fi  facea  fcrupolo  di  fabbricar  fi- 
mih  Documenti,  fé  l'argomento  l'efigeva  :  con  che  ingannò  molti 
Eruditi.  Avrebbe  potuto  più  tofto  adoperare  la  teftimonianza  ài. 
Gobcllino,  Perfona,  che  nel  Cofmedrom  A61.V^I.  Cap. 48.  fcri- 
ve  di  elfo  Ottone  :  Delude  cepit  Medlolamtm  .  Sed  Rege  Ottone 
recedente^  Medio! anenfes Mo-netam  ejusrefpuerunt ^  Ù'  afideUtate 
ejus  receperunt  .  ^uare  Rex  Medlo!anum  regrejfus  ,  coeglt  Me- 
dio! anenfes  de  corio  antiquo  Incidere  Nummos ,  &  lHos  ab  els  recipe 
mandavlt.  Altrettanto  ha  Teodorico  diNiem  nel  Lib.  dePrlvil, 
&  Jur.Imper.  Ma  finché  non  fi  rechino  Autori  di  maggiore  anti- 
chità (  giacche  quelli  due  non  hanno  la  barba  affai  canuta  ) 
è  a  noi  permeffo  di  credere  una  ridicolofa  favola  quella  Mone- 
ta 


454'  Dissertazione 

ta  di  cuoio  ,  ficcome  ancora  la  ribellion  de'  Milanefi  ,  di  cui 
nulla  fcrivono  gli  antichi  Storici  .  All'  incontro  noi  abbiimo 
il  vecchio  Annalifta  SalTone,  che  mihta  incontrario;  e  fé  fino 
a'fuoidi  i  Nummi  battuti  in  Milano  fi  chiamavano  Oftoleni^ 
convien  credere,  che  fofiero  di  buon  metallo,  e  col  nome  ài 
Ottone  .  Ma  cotale  impoiiura  fi  può  annientare  con  produrre 
una  Moneta  già  efiftente  nel  Muleo  del  Chiarifs.  Sig.  Apoltolo 
Zeno  ,  e  battuta  probabilmente  lotto  il  luddetto  Ottone  Ma- 
gno, di  CUI  egli  gcneroiamente  me  ne  fece  un  dono. 

Pertanto  la  Settima  è  un  Denaro  di  lamina  lottile  e  con- 
cava ,  nel  cui  mezzo  fi  mira  il  Monodramma  ,  onde  riluita 
OTTO,  e  all'intorno  IMPERATOR.^e  nel  rovefcio  AVG. 
*J+  MEDIOLANIV.  Altrove  ho  molìrato,  che  ne' Secoli  bar- 
barici ,  ed  anche  prima  ,  fu  in  ufo  MEDIOLANIVìVI  ,  nato 
dalla  favola  ,  che  nel  fabbricar  Milano  fi  trovafle  la  figura 
d'un  Porco,  mezzo  fettololo  ,  e  mezzo  lanuto  :  fé  pure  la  pa- 
rola Mediola7iium  quella  non  fu  ,  che  diede  motivo  col  tem- 
po a  i  ridicoli  ingegni  d'inventare  quel  fogno  .  Due  altre  fi- 
snili  Monete  ho  poi  veduto.  Chiamai  Concavi  si  fatti  Denari; 
e  non  era  già  nuova  una  tal  figura  e  forma  di  Moneta  .  Fu- 
rono in  ufo  anche  preiTo  i  Greci  ,  e  fi  chiamavano  Caucii\ 
perchè  fimili  a  una  Coppa.  Se  ne  truova  menzione  nella  Novel- 
la cv.  Cap.  2.  di  Giullmiano  Augufto.  Penfa  il  Du-Cange,  che 
tali  foiTero  anche  gii  Sciphati  d'oro,  de' quali  parleremo  nella 
DifTert,  feguente. 

L'Ottava  efiftente  in  Modena  non  fi  sa  a  quale  de  gli  ^m- 
gy^f  Imperadori  appartenga.  Quivi  comparifce  HENRIC.  IN- 
PERATOR,  e  nel  rovefcio  MEDIOLANV^M. 

La  IX.  nei  Muleo  Bertacchini  di  Modena  ,  ha  intorno  alla 
Croce  HENRICVS  REX;  e  nell'altra  facciata  MEDIOLA- 
NVM.  Forfè  è  da  riferire  ad  Arrigo  Quarto  fra  i  Re. 

La  X.  m  mio  potere,  ha  il  diritto  precedente.  Nel  rovefcio 
fi  mira  l'effigie  di  Santo  Ambrofio  fedente  nella  Cattedra  col- 
le lettere  MEDIOLANVM,  Forfè  è  da  riferire  àdAyrigoVIL 
circa  l'Anno  131 1, 

L'xi.  preflb  il  Marchefe  Trivulzio  moflra  FRIDERICVS, 
e  nel  mezzo  IPRT.  cioè  Imperator  ,  Nel  rovefcio  MEDIO- 
LANVM  .  Sa  chiunque  è  alquanto  infarinato  della  Storia  , 
quanto  fdegno  &  odio  concepilTe  Federico  L  appena  afiunto 
al  Regno  centra  del  Popolo  di  Milano  5  come  colia  dalle  Sto- 
rie 


VentesimasettimaT  4P5 

rie  ^i  Ottone  Morena,  Ottone  da  Frifmga,  ed  altre  non  poche; 
e  quante  guerre  egli  faceffe  per  metterlo  fotto  il  giogo  .  Fra 
gli  altri  mali ,  che  loro  inferi  prima  dell'eccidio  di  quella  no- 
bil  Citth,  vi  fu  ancor  quello  di  privarli  del  privilegio  di  batte- 
re Moneta  con  trasferire  quefto  diritto  nel  Popolo  di  Cremona. 
Nel  fuo  Diploma,  da  me  pubblicato,  ed  efiftente  nell'Archivio 
d'efla  Citta  di  Cremona  ,  fotto  l'Anno  1155.  fi  legge  :  Jus  fa- 
àefìdcs  Monetcs  ,  (juo  Mediolafìenjcs  privavimus  ,  Cremonenftbus 
donavimus  »  Ma  fatta  nell'Anno  11 83.  la  Pace  di  Coftanza 
fra  tiìo  Federigo  Augufto  e  i  Lombardi ,  fu  relìituito  a'  Mila- 
nefi  l'antico  diritto  ;  e  preflb  il  Puricelli  in  un  Diploma  dell' 
Anno  II 85.  fi  veggono  confermate  a  quel  Popolo  tutte  le  i^^- 
galie^  fra  le  quali  s'intende  anche  la  fuddetta .  Allora  fu  bat- 
tuta la  poco  fa  accennata  Moneta. 

La  XII.  ha  FREDERICVS  IPRT.  e  nel  rovefcio  AVG. 
MEDIOLANIV.  Un'altra  ha  FRDIC  IP.  AVGVSTVS;  e 
nel  rovefcio  una  Croce  e  MEDIOLANVM. 

La  XIII.  ha  un'  Aquila  nel  mezzo  contornata  dalle  lettere 
HENRICVS  REX  ;  e  nel  rovefcio  la  Croce  con  SEMPER 
AVGVSTVS  .  Probabilmente  è  ài  Arrigo  VI L  che  nell'Anno 
13 II.  abbattuti  iTorriani,  afllinfe  il  Dominio  di  Milano.  Ma 
potrebbe  anche  attribuirfi  ad  Arrigo  VI,  il  quale  prima  che  fof- 
fe  Imperadore,  usò  il  titolo  di  Semper  Auguflus  ^  credendo  io  , 
che  s'inganni  chi  crede  inventato  più  tardi  si  fatto  titolo  .  Se 
poi  quefto  Denaro  appartenga  a  Milano  ,  non  pollo  con  fran- 
chezza afferirlo. 

La  XIV.  sembra  battuta  daiMilanefi  circa  TAnno  i2<5'o.  in 
cui  era  vacante  l'Imperio.  Vi  fi  mira  l'effigie  di  Sant*Ambro- 
fio  colle  lettere  S.  ANBROSIVS  ;  e  nel  rovefcio  la  Croce  ,  e 
MEDIOLANVM. 

La  XV.  appartiene  ad  Ai:i:o  Vifco?ite  Signor  di  Milano  circa 
il  1330.  giacché  pare  che  Matteo  Magno  Avolo  fuo,  eGaleaz- 
zo fuo  Padre  non  batteflero  Moneta.  Vi  fi  mira  la  Croce  colle 
lettere  AZO  VICECOMES.  MEDIOLANVM.  Nel  rovefcio 
è  l'effigie  di  Santo  Ambrofio  col  fuo  nome  . 

La  XVI.  ha  nel  diritto  AZ.  VICECOMES  .  Nel  rovefcio 
la  Croce  ,  e  nel  contorno  CVMANVS.  Neli335.  AzzoVif- 
conte  s'  impadronì  di  Como  ,  e  fé  ne  fece  memoria  in  que- 
fto Denaro. 

La 


49^  Dissertazione 

La  XVII.  ha  l'effigie  di  due  Santi  colle  lettere  S.PROTASL 
S.  GERVASI,  e  lOHS  VICECOMES,  c'ioh  Giovanni  Vtfcon^ 
te^  Signore,  ed  Arcivefcovo  di  Milano  nel  134P.  Nel  rovelcio 
l'effigie  di  Santo  Ambrofio,  eMEDIOLANVM. 

La  XVIII.  ha  un  Elmo  con  Serpente  che  divora  un  Fanciul- 
lo ,  Arme  de'  Vifconti  ,  e  nel  rovelcio  l' Immagine  di  Santo 
Ambrofio  .  In  amendue  le  facciate  fi  mira  D.  B.  cioè  Dominus 
Bernabos^  Signore  di  Milano  nel  1354. 

La  XIX.  ha  l'Arme  fuddetta  colle  lettere  B.G.  che  indicano 
Berfiabhy  q  Galea-z^  FratelH  Vifconti,  Signori  di  Milano  circa 
il  i3<^o.  Nel  contorno  BERNABOS  ETGALEAZ  VICECO- 
MITES.  Nel  rovefcio  S.  ANBROSIVS  MEDIOLANI . 

La  XX.  ha  nel  mezzo  D.  B.  all'intorno  VICECOMES  ME. 
DIOL.  Nell'altro  lato  l'Arme  de' Vifconti,  e  le  lettere  DO- 
MINVS  BERNABOS. 

La  XXI.  ha  un  Elmo  con  un  Drago,  e  uno  Scudo  col  Ser- 
pente ,  e  le  lettere  G.  Z.  Nel  contorno  fi  legge  GALEAZ 
VICECOMES  .  Ha  il  rovefcio  un  tronco  nodofo  colle  fiamme 
fotto,  e  due  fecchie  con  acqua  pendenti  dal  tronco .  Vi  fi  leg- 
ge DNS  MEDIOLANI  PAPIÉ  ETC.  F  del  fuddetto  Galeaz- 
zo IL  Vifconte . 

La  XXII.  appartiene  almedefimo.  V'ha  l'Arme  de' Vifcon- 
ti ,  e  GALEAZ  VICECOMES  MEDIOLANI  PPQ.  cioè 
Papi<fque  ,  fottintendendo  Dominus  .  Anche  vi  fi  mirano  due 
rami  d'Albero  colle  fecchie  .  Nel  rovelcio  l'effigie  di  un  Ve- 
fcovo  colle  lettere  S.  SIRVS  PAPIA  .  Egli  è  Protettore  di 
Pavia,  Citta  prefa  nell'Anno  1359.  da  Galeazzo  II.  Vifconte. 

La  XXIII.  riguarda  Gnlea'z^  III.  Vifconte  ,  fopranominato 
Comes  Virtunim^  Figlio  di  Galeazzo  II.  Comparifce  ivi  la  Cro- 
ce colle  lettere  GALEAZ  COMES  VIRTVTVM  .  Nel  ro- 
vefcio GZ.  cioè  Gaha-z^^  DOMINVS  MEDIOLANI.  Fu 
battuta  circa  il  1385. 

La  XXIV.  ha  la  Croce  ,  e  nel  contorno  COMES  VIRTV- 
TVM. D.  MEDIOLAN. 

La  XXV.  ha  nel  mezzo  G. Z.  e  intorno  D.  MEDIOLANI; 
e  nel  rovefcio  la  Croce,  e  COMES  VIRTVTVM. 

La  XXVI.  ha  I.  G.  VICECOMITIS  ,  cioè  Iohan?ìis  Galea- 
tii .  Così  era  egU  appellato,  vivente  il  Padre  ,  e  ne' primi  anni 
del  fuo  pieno  Dominio;  pofcia  fu  folamente  chiamato  Galeazzo  . 

La 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  ^(^J 

La  xxvir.  appartiene  ad  Eftore  Vìjcome  .  Vi  fi  vede  l'Arme 
de'Vifconti  con  HE.  da  un  lato,  e  in  oltre  HESTOR  D.... 
VICECOMES  K.  Nel  rovefcio  l'effigie  di  Santo  Ambrofio  col 
filo  nome.  CoiUii  fu  baftardo  di  Bernabò,  ed  occupò  nel  141 2. 
il  Dominio  di  Milano  ,  ma  ebbe  la  vita  de' funghi.  EfTendo  af- 
fediato  da  Filippo  iMaria  Duca  di  Milano  in 'Monza  ,  da  una 
pietra  fcagliata  da  un  mangano  ebbe  fracaffata  una  gamba ,  e 
affai  giovane  di  fpafimo  fi  mori  .  Nell'Anno  i(5p8.  effeado  io 
ito  alla  nobil  Terra  di  Monza  ,  trovai  che  poco  prima  era  Ra- 
to difleppellito  in  occafion  di  fabbrica  il  di  lui  corpo  ,  gik 
chiufo  invile  caffa  di  legno.  Era  incorrotto  quel  corpo,  cioè 
colia  pelle  intatta  ,  e  fi  vedeva  rotto  l' oflb  della  gamba  . 
Appoggiato  coir  altra  gamba  alla  Caffa  aperta  ,  ftava  diritto 
in  piedi  quel  Corpo  ;  ne  certo  era  di  un  Santo  ,  ma  bensì  di 
uno  fcell erato. 

La  XX  vili,  appartiene  z  Filippo  Maria  Vi  [conte  ^  terzo  Duca 
di  Milano  .  V'ha  l'Arme  gentilizia  ,  e  all'intorno  FILIPPVS 
MARIA  DVX  MEDIOL.  Nel  rovefcio  l'efii-ie  di  Santo  Am- 
brofio colle  lettere  S.  AMBROSI VS  EP.  MEDÌOLANI. 

La  XXIX.  è  fimile  alla  precedente,  fé  non  che  in  vece  dell'Ar- 
me ha  un  uomo  a  cavallo  corrente  colla  lancia  in  mano. 

La  XXX.  ha  il  Serpente  ,  e  PKILIPPVS  MARIA  ;  e  nel  ro- 
vefcio MEDÌOLANI.  Si  fottintende  Dmx. 

La  XXXI.  ha  l'Arme  de'Vifconti,  e  PHILIPVS  MARIA... 
D.  M.  cioè  Vicecomes  Dux  Mediolani  .  Nel  rovefcio  Santo 
Ambrofio . 

La  XXXII.  ha  l'Arme  fuddetta  ,  e  FR.  SF.  DVX  MDLANI , 
cioè  Francefco  Sfor^^a^  infigne  Capitano  de'  fuoi  tempi  ,  che  da 
balla  fortuna  fall  al  Ducato  di  Milano.  Santo  Ambrofio  fi  mi- 
ra nel  rovefcio. 

La  XXXIII.  è  un  Medaglione.  Ivi  il  bullo  ò.\FrancefcoSfor7:a^ 
e  di  qua  e  di  Ik  V.  F.  probabilmente  Vi'vat:  Frnncifcus,  Nel  con- 
torno FR.  SFORTIA  VICECOxMES.  MLI  DVX  IV.  BELLI 
PATER  ET  PACIS  AVTOR.  MCCCCLVI.  Nel  rovefcio 
\m  Cane  prefTo  un  Albero  col  motto  :  IO.  FR  ENZOLE  PAR- 
MENSIS  OPVS. 

La  xxxiv.  ha  un  Elmo  coli'  Arme  de'  Vifconti  ,  e  nel  con- 
torno FR.  SF.  DVX  MLI.  Nel  rovefcio  FR.  S.  con  Corona  di 
lopra  ,  e  nel  contorno  PAPIÉ.  ANGLEQ.  (cioè  Angleri^et^fue) 
QOmes . 

Tomo  L  Rrr  La 


4>'8  Dissertazione 

La  XXXV.  ha  l'effigie  di  elfo  Duca  colle  lettere  FRANCI- 
SCHVS  SPORTI  A  VlCecoynes,  Nelroveicio  un  Cavaliere  colla 
lancia,  e  DVX  MEDIOLANI.  AG  lANVE.  Fu  battuta  do- 
pò  l'Anno  14(^4. 

La  XXXVI.  ha  le  feguenti  lettere  G.  S.  DVX  MEDIOLA. 
D.  PP.  cioè  Galea^:^^  o  fia  Gnleatius  Sforttn  ,  e  pofcia  Domi- 
fuis  Pap'h-e^  circa  l'Anno  1^66.  Nelroveicio  la  Croce  e  CON- 
RAD REX  ROMANO  IL  da  cui  i  Milanefi  riconofcevano 
li  Gius  di  battere  Moneta. 

La  XXXVII.  ha  l'Arme  Vifconte  e  Sforzefca  e  GZ.  MA. 
SF.  VICECO.  DVX  MLI  V.  PP.  ANGLEQ.  CO.  AC  lA- 
NVE  D. 

La  XXXVIII.  ha  Tlmprefa  di  tre  rami  d'Albero  ,  da' quali 
pendono  due  Secchie  .  All'intorno  GZ.  M.  SF.  V.  VICECO. 
DVX.  MLI.  V.  Nel  rovefcio  il  Serpente  colle  lettere  G.  M. 
e  nel  contorno  PP.  ANGLEQVE  CO.  AC  lANVE  D.  cioè 
P apice  Anglericeque  Comes ,   ac  Ja?iuce  Dominus . 

La  XXXIX.  ha  F  effigie  di  eiTo  Gaha':^  Maria  ,  e  nel  redo 
fomigliante  alla  precedente. 

La  XL.  ha  G.  M.  con  fopra  la  Corona,  e  intorno  DVX.  MLI. 
AC.  L^NVE  D.  Il  rovefcio  ha  nel  mezzo  B.  M.  con  Corona 
di  fopra  ,  cioè  Bianca  Maria  Vifconte  ,  già  Moglie  di  France- 
l'co  Sforza,  e  Madre  di  Galeazzo  Maria  ,  il  quale  fui  principio 
del  Governo  moftrò  fonimo  rifpetto  alla  Madre .  Nel  contorno 
fi  legge  DVCISA.  MLI.  AC  CR.  D.  &c.  cioè  Ducijfa  Medio- 
lani^   ac  Cremo?ia  Domi?ìa. 

La  xLi.  ha  l'Elmo  col  Serpente  .  Delle  lettere  corrofe  non 
refia  fé  non  MLI.  Nel  rovefcio  G.  M.  colla  Corona  di  fopra. 

La  xLii.  xLiii.  e  xliv.  appartengono  a  Gionjan7ii  Galea-z^^ 
SfoTi^^  che  nell'Anno  1477.  fuccedette  a  Galeazzo  Maria  ino 
Padre  uccifo  da  i  congiurati .  Vi  fi  vede  la  fua  effigie  ,  e  IO. 
GZ.  SF.  VICECOMES  DVX  MLI  SX.  cioè  Se^tus,  Nel  rove- 
fcio PArmi  fue  ,  e  LVDQVICO  PATRVO  GVBNANTE, 
cioè  Gubername , 

La  xLv.  è  poco  diverfa,  fé  non  che  v'ha  l'effigie  di  Santo 
Ambrofio . 

La  XLvi.  ha  l'effigie  giovanile  di  Gian  Gale a:?;7^y  e  la  virile 
dì  Lodovico  il  Moro,,  Tutore  e  pofcia  alfaffino  di  quell'infelice 
Principe.  Il  redo  è  fimile  alla  precedente. 

La  XLVii.  ha  l'effigie  di  Lodovico  il  Moro  ,    che  nel  14P4. 

fu 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  4pp 

fu  dichiarato  Duca  di  Milano  .  V'ha  qiiefta  Ilcrizione  LVDO- 
VICVS.  M.  SF.  ANGLVS  DVX  MLI,  e  nel  rovelcio  ANGLE- 
QVE  CO.  AC  lANVE  D. 

La  xLviii.  è  fimile  alla  precedente. 
.  La  XLix.  ha  l'effigie  dì  Lodovico  d'Orleans^  che  poi  fu  Lo- 
dovico XII.  Re  di  Francia  conquifìatore  di  Milano  .  Ha  le  fe- 
ouenti  lettere  LVDOVICVS  AVRELIANE;2SIS  .  Nel  rove- 
fcio  l'Arme  Tua,  e  MEDIOLANL  AC.  AST.  DN.  cioè  Sì- 
gnore  d' Ajìi . 

La  L.  e  LI.  appartengono  ad  elfo  Lodovico,  già  divenuto  Re 
-di  Francia.  V'ha  un'Klrice  coronata  coli' Ilcrizione  LVDOVI- 
CVS DE.  G.FRANCOKVM  REX.  Nel  rovelcio  MLI.  DVX. 
ASTENSISQVE  V.  DNS. 

La  Lir.  ha  nel  rovelcio  un  Cavaliere  corrente  a  Cavallo 
coir  Arme  di  Francia,  e  le  lettere  MEDIOLANI  DVX. 

La  LUI.  e  Liv.  fono  d'edb  Re,  nel  rovefcio  d'una  di  effe  è 
l'effigie  di  Santo  Ambrofio  colle  lettere  S.  A.  e  nel  contorno 
MEDIOLANI  DVX. 

Altre  quarantadue  Monete  fpettanti  a  i  Principi  di  Milano 
con  giugnere  fino  a  Carlo  V.  Imperadore  ,  e  a  Francelco  II. 
Sforza  ,  ultimo  di  quella  nobile  e  Principelca  Famiglia  ,  furo- 
no aggiunte  in  Milano  alla  mia  Raccolta  dalla  diligenza  de'Socii 
Palatini.  Io  per  non  affaticare  maggiormente  i Lettori ,  le  trala- 
fcio.  Chi  le  defiderafle,  vegga  la  DilTert.  XXVII.  Antìq.ltd, 


^■ 


Lucca. 


Siccome  provai  nella  Part.I.  delle  Antich.  Eff*  Cap.XVII. 
la  Citta  di  Lucca  fu  ne' vecchi  Secoli  Capo  della  Tofcana^  e  pe- 
rò ivi  fotto  i  Re  Longobardi  ,  ed  Imperadori  Franchi  e  Tede- 
fchi  efilleva  il  privilegio  della  Zecca  ,  e  la  pecunia  Lucchefe 
non  era  in  minor  credito  per  l'Italia  che  la  Pavele.  In  uno  Stru- 
mento fpettante  all'Anno  74(5.  nominari  fi  veggono  auri  Soli- 
di boni  Lucani  tiumero  centum  .  In  un  altro  [ermo  Anno  primo 
Aifiulp,  viro  'ExcdlentiJJimo  Kege  Indizione  IIL  cioè  neif  An- 
no 750.  promette  un  Preic  di  ben  lervire  alla  Chiefa  di  San 
Regolo  jub  poena  CC.  Solidomm  honorum  Luccnjium  .  Allorché 
io  fui  in  Lucca  ,  mi  fu  moli  rato  un  Soldo  o  Denaro  ,  nel  cui 
diritto  fi  leggeva  DN.  AlST.  KEX.  cioè  Domnus  o  Domtnus 
Nnjìer  Aijìulfus  Rex,   Nei  rovelcio  era  FLAVIA  LVCA,  tito- 

Rrr     2  lo. 


^co  Dissertazione 

lo,  di  cui  vedemmo  onorata  da  i  Re  Longobardi  anche  la Cit- 
ÙL  di  Milano.  Parimente  attefta  il  Signor  le  Blanc  di  averpof- 
leduta  una  Moneta  di  Defiderio  Re  de'  Longobardi ,  dove  £ 
leggeva  FLAVIA  LVCA  .  La  credo  fimile  ad  un'altra,  che 
Angelo  Beneventano  pubblicò,  e  di  cui  fi  farli  qui  al  num.  2, 
menzione . 

Pertanto  la  prima  Moneta  fpettante  a  Lucca,  ed  efiftente 
già  in  Siena  prelTo  il  Sig.  Uberto  Benvoghenti  ,  non  so  a  quale 
dei  Re  appartenga  .  Nel  davanti  ha  la  Croce  con  quella  troppo 
flrana  Ifcrizione  VIV^IVIVIVIVIV^  Lafcerò  io  ad  altri  il  far  qui 
da  indovino.  Se  vi  folfe  il  nome  dei  Re,  potremmo  immagina- 
re, che  foflero  piìi  e  più  VIVAT  .  Non  parrebbe  cosi  proprio 
il  dir  quello  della  Croce.  Si  potrebbe  immaginare  battuta  ,  al- 
lorché il  Monaco  Ratchis,  già  Re,  tentò  di  ripigliar  la  Corona, 
Fra  le  monete  Piiane  ,  come  fi  diia  ,  andando  innanzi  ,  una  fi- 
mile  ifcrizione  fi  truova  :  laonde  amendue  fi  pofibno  credere 
battute  nello  (leiTo  da  me  non  laputo  Secolo  .  Nel  rovefcio  fi. 
vede  una  Stella  ,  e  FLAVIA  LVCA  .  Si  oifervi  ,  che  anche 
nella  feguenre  comparifce  la  Croce  ,  e  una  fomigliante  Stella, 
ficcome  anche   nella  Quarta  Moneta. 

La  Seconda  rapportata  dal  Brevcntano  ha  nel  mezzo  la  Cro- 
ce, e  all'intorno  DN.  DESIDER.  REX.  circa  rAnno757.  Nel 
Diezzo  del  rovefcio  la  Stella,  e  nel  contorno  FLAVIA  LVCA. 

La  Terza  preOfo  il  Blanc  ha  nel  diritto  CARLVS  REX  FR.  e 
però  battuta  prima  dell'Anno  800.  Nel  rovefcio  ha  il  Mono- 
gramma d'cflo  Re,  cioè  CARLVS  oCAROLVS.  Nel  contorno 
LVCA. 

La  Qiiarta  pubblicata  dal  Blanc  ha  la  Croce  nel  mezzo  ,  e 
le  lettere  DN.  CARVLVS  REX,  Nel  rovefcio  è  la  Stella  coli 
FLAVIA  LVCA, 

Sino  a'  tempi  di  Ottone  il  Grande  non  ho  potuto  rinvenire 
alcun  altro  Denaro  di  Lucca  .  Nel  Mufeo  Bertacchini  efifte  la 
Quinta  Moneta.  Ivi  nel  mezzo  fi  legge  LVCA  ,  e  all'intorno 
OTTO  LMPERATOR  .  Nel  rovefcio  l'effigie  di  San  Pietro 
colle  lettere  S.  PETRVS.  A  quale  dei  tre  Ottoni  Augufli  ap- 
partenga, noi  so  dire. 

La  Sefta,  a  me  comunicata  dal  fuddctto  Sig.  Uberto  Benvo- 
ghenti, ha  nel  mezzo  il  Monogramma  deU'Imperadore,  cioè 
ÒTTO,  e  nel  contorno  IMPERATOR.  Nel  rovefcio  è  LVCA , 
edintorno  OTTO  PIVS  REX. 

La 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  1  M  A  .  50! 

La  Settima  efiftente  in  mio  potere  ,  ha  nel  mezzo  LVCA  , 
e  all' intorno  EINRICVS,  e  nel  rovelcio  IMPERATOR,  con 
delle  Sigle,  delle  quali  parleremo  fra  poco.  A  quale  de  ilei  Ar- 
righi Imperadori  appartenga  tal  Moneta,  non  iì  può  determinare. 

L'Ottava  e  la  Nona  lon  ben  fomiglianti  alla  precedente,  ina 
non  fon  quella.  Qlù  non  fi  dee  tralaiciare,  avere  Tolomeo  An- 
tico Storico  Lucchefe  negli  Annali  brevi  fcritto  all'Anno  11 55. 
Frider'tcus  Impsmtor  cona^jjit  Jìve  conjìrmav'tt  Luccnfihv.s  Mone- 
tam^  eh  concejfam  per  juos  A}iteceJJon's  Impcratores.  Pofcia  all' 
Anno  II 80.  racconta  ,  che  i  Bolognefi  fi  obbligarono  de  Mo- 
neta Luceiìfi  tencnda  ,  &  expe-ndenda  per  Civitapem  Bonon'ics  Ò' 
top am  fu am  forti a-m  ,  Al  feguente  Anno  aggiugne  :  Lucius  Papa 
7iatione  Lv.ccnfts  (  per  quanto  egli  pretende)  concejjìt Lucenftbus 
Morietam  cudendam  :  quam  dvitatem  fumme  commeiìdans^  om- 
nibus TvfctiS ^  Mnreh'ioe  ,  Campaìùcs  &  Komagtiola  ,  Ò'  Apulicc 
in  Moneta  pr<spoìì'tt  .  Unde  dìHa  Mo'rieta  ab  ìlio  tempore  in  prce- 
diHls  partibus  magis  furt  ufualìs.  Offcrva  inoltre  lo  (leffo  Ida- 
rico,  duas  Monetas  antìquis  temporibus  magis  cucurrijf e  .  la  Ita- 
lia Paptenfem  (cioè  nelia  Lombardia  per  favore  di  Federigo  L 
Augudo).  Ijiicenfem^  ubi  Ecclejìa  magts  dominabatur  ;  eo  quod 
dìBa  Civitas  Romance  Ecclejicv  Jemperfuit  fubjecìa  .  Tutto  ciò  (i 
può  credere  del  corlo  della  Moneta  Lucchefe;  ma  non  già,  che 
Papa  Lucio  concedeffe  a  i  Lucchefi  il  privilegio  di  batterla  ; 
perchè  ciò  non  apparteneva  a  i  Romani  Pontefici,  ma  bens'i  a 
gì'  Imperadori  ,  i  quali  tanto  prima  (  e  lo  attelta  egli  ftefib  ) 
aveano  conceduta  cotal  facoltà  ai  Lucchefi.  Ch'egli  poi  dica, 
cffere  Itata  la  Citta  di  Lucca  Romana  Eccleftcv  femper  fubjeHa^ 
s*ha  da  intendere  nello  Spirituale;  perchè  nel  Temporale  feni- 
pre  fu  inchiufa  nei  Regno  d'Italia. 

La  X.  ha  in  mezzo  le  Sigle,  delle  quali  parleremo  fra  poco, 
e  all'intorno  OTTOREX.  Nel  rovelcio  il  Volto  diunUomo 
colle  parole  S.VVLTVS  DE  LVCA .  Cioè  confervano  i  Luc- 
chefi nella  lor  Cattedrale  la  Statua  di  Legno  del  Signor  noftro 
pendente  dalla  Croce  con  Corona  Regale  mCapo.  Grande  ne  è 
la  venerazione,  antica  la  fama,  credendofi,  che  quella  rappre- 
fenti  la  vera  effigie  del  Divino  Salvator  noftro,  fatta  da  S.  Nico- 
demo,  e  miracoloiamente  pervenuta  a  Lucca.  Q_uefte  Leggende 
e  Traslazioni  miracolofe  facile  fu  ne'tempi  dell'ignoranza  l'inven- 
tarle, più  facile  il  crederle.  Per  quanto  racconta  Franco  Sacchet- 
ti Autore  del  i  300.  nella  Novella  73.  Fra  Nicolao  Siciliano  deli' 

Ordì» 


502  Dissertazione 

Ordine  de' Minori 5  dottiffimoMaeflro  di  Teologia,  in  una  pub- 
blica Predica  parlando  della  Faccia  di  Grido  ,  diceva  :  Non  è 
f^tra  come  la  Faccia  del  Volto  S aìito ^  che  è  colà:  che  ben  ci  ve- 
gno  a  crepare  ,  [e  Criflo  fu  così  fatto  .  Difll  nondnneno  antica 
la  fama  e  il  credito  di  quella  lacra Immagine.  Anche  nel  Seco- 
lo Undecime  Guglielmo  IL  Re  d'Inghilterra,  come  s'ha  da 
Guglielmo  Malmesburienfe  nel  Lib.  IV.  Hifl,  e  da  Eadmero 
Lib.  I.  e  II.  Hijì.  (bleva  giurare  Per  SanBum  Vultum  de  Luca  . 
L'Autore  Franzele  del  Libro  intitolato  LesAmenitez^de  la  Cri- 
tique  ,  penfa  che  quel  Re  giurafle  pel  fanto  Volto  del  Stg^nore 
dipinto  da  San  Luca  .  Ma  penfo  che  s'inganni.  Ebbero  dunque 
in  ufo  i  Lucchefi  di  mettere  quello  Volto  Santo  nelle  loro  Mo- 
nete .  Quando  cominciadero  a  farlo  ,  mi  è  ignoto  .  L'  Ottone 
Ke  qui  menzionato  potrebbe  efiere  Ottone  IIL  che  per  molti 
Anni  col  folo  titolo  di  Re  tenne  il  Regno  d'Italia,  e  fu  poi 
coronato  Imperadore  nell'Anno  ppd.  Ma  potrebbe  anche  effere 
Ottone  IV,  che  circa  il  1205?.  molti  privilegi,  e  grazie  compar- 
ti al  Popolo  di  Lucca  .  Certamente  il  Volto  Santo  fi  truova 
frequente  ne  gli  antichi  Denari  di  quella  Citta  .  Ho  anche  ve- 
duto le  lor  picciole  Monete  di  rame  ,  cioè  Sefini  ,  battute  in 
quefti  ultimi  tempi  ,  ne'  quali  fi  legge  LIBERTAS  ,  e  all'in- 
torno OTTO  REX  :  fegno,  che  riguardavano  uno  de  gli  Otto- 
ni, e  probabilmente  il  Quarto,  per  loro  Benefattore,  e  per  chi 
loro  avea  confermato  il  Gius  di  battere  Moneta,  tolto  forfè  ad 
elfi  da  alcun  altro  .  Anche  i  Genovefi  ripetevano  una  volta 
nelle  lor  Monete  Corrado  Ke  per  quella  cagione  . 

L'xi.  ha  le  Sigle  trovate  anche  nelle  precedenti,  che  paio- 
no due  TT.  o  pur  due  Colonne  ,  legate  con  una  traverla  nel 
mezzo.  Pare  che  f eno  il  Monogramma  di  OTTO,  e  che  ne 
faceffero  feinpre  memoria  per  la  ragione  poco  fa  accennata  . 
Leggefi  qui  nel  contorno  OTTO  REX,  e  nel  roveicio  l'effigie 
fuddetta  colle  lettere  S.  VVLTVS  DE  LVCA. 

La  XII.  ha  nei  mezzo  LVCA,  e  nel  contorno  OTTO  LM- 
PERATOR  .  Nel  rovefcio  l'Immagme  luddetta  colle  lettere 
SANTVS  VVLTVS.  Può  quella  appartenere  ad  uno  de  gli  an- 
tichi Ottoni,  ma  anche  al  Q_uarto,  lupponendola  battuta,  da 
che  egli   fu  dichiarato  Imperadore. 

La  XIII.  ha  i  due  TT.  o  le  due  Colonne  legate  infieme  , 
con  OTTO  REX  nel  contorno  .  E  nel  roveicio  S.  VVLT. 
D.  LVCA. 

La 


VentesimasettimaT  50  j 

La  xrv.  è  fimile  alla  precedente,  fé  non  che  fopra  il  Mono- 
gramma v'ha  un'Aquila. 

La  XV.  moftra  un  Aquila  ,  e  ali*  intorno  OTTO  REX  . 
Neil'  altra  facciata  fi  mira  nei  mezzo  un  L.  e  nel  contorno 
LVCA  LMPERIALIS. 

La  xvr.  moftra  in  uno  Scudo  l'Arme  della  Repubblica  Luc- 
chefe,  cioè  la  parola  LIBERTAS,  eneirintorno  OTTO  LM- 
PERATOR  .  Nel  rovefcio  l'effigie  di  un  Vefcovo  con  le  let- 
tere SANCTVS  PAVLINVS,  Vefcovo,  e  Protettore  di  Lucca. 

E  quelle  fon  le  Monete  Lucchefi  da  me  vedute.  Perchè  fo- 
vente  fi  legge  in  effe  il  nome  di  Ottone  Ke  o  Imperaàore ^  non 
fi  figurafìe  alcuno  ,  che  fofiero  tutte  battute  ne'  tempi  di  efio 
Ottone.  Torno  a  dire  ripetuto  il  fuo  nome  anche  ne' tempi  fuC- 
feguenti,  perchè  Principe  benefattor  de' Lucchefi. 

La  XVII.  XVIII.  e  xix.  fon  da  riferire  a  Carlo  IV.  Impevndove ^ 
da  cui  nel  Secolo  XIV.  quel  Popolo  ricuperò  la  fua  Libertìi  . 
Non  hanno  bifogno  di  fpiegazione .  Allorché  io  fui  in  Lucca, 
mi  diffe  un  Amico  mio  di  aver  veduta  Moneta  di  quella  Citta, 
nel  cui  contorno  fi  leggeva  il  feguente  verfo 

LVCA  POTENS  STERNLL 
SIBI  QVAE  CONTRARIA  CERNIT. 

Temo  io,  ch'egli  prendefTe  per  Moneta  il  Sigillo  di  quella  Cit- 
ta, perchè  ufo  fu  delle  Citta  Libere,  fpezialmente  nel  Secolo 
XIII.  di  aggiugnere  a  i  lor  Sigilli  un  verfo  Leonino  ,  come  ap- 
parirà qu'i  lotto  nella  Differtazione  àt' Sigilli* 

Principi  di  Benevento  e  Salerno . 

Oltre  alle  tre  fuddette  Citta  del  Regno  Italico  fi  truova, 
che  anche  i  Duchi  o  Principi  di  Benevento  battevano  una  vol- 
ta Moneta  .  Fu  ben  luminofa  ne' Secoli  barbarici  la  dignità, 
l'ampiezza  ,  e  la  potenza  di  quel  Ducato  ,  ficcome  quello, 
che  abbracciava  la  maggior  parte  del  Regno,  chiamato  oggidì 
di  Napoli.  Finché  durò  il  Regno  de' Longobardi ,  non  fapeva 
i  io  credere,  che  fofìTe  loro  permeflb  di  fabbricar  denari.  Ma  An- 
gelo Breventano  pruova  quella  loro  prerogativa  coli'  addurre 
una  Moneta  ,  da  me  prodotta  nel  num.I.  Vi  fi  vede  l'effigie  di 
un  uomo  colla  Croce  e  due  Stelle  ;  e  nel  rovefcio  un  Mono- 
gramma contenente  le  lettere  OGRÉ,  o  per  dir  meglio  GREO, 

ch'ef- 


504.  D    I  S  S  E   Pv    T  A    Z   I   O    N"   É 

ch'eflb  Beneventano  interpreta  GREGORIVS  .  E  veramente 
regnando  il  Re  Liutprando  ,  cioè  circa  l'Anno  731.  fi  truova 
I^Lica  di  Benevento  un  Gregorio  .  Da  quel  Monogramma  né 
pur  io  so  fpremere  le  non  quello  Nome,  contuttoché  mi  fem- 
bri  poi  difficile  a  credere  tanta  autorità  ne  i  Duchi  di  quella 
Provincia  ,  che  riconofcendo  eflì  per  loro  Sovrano  il  Re  de  i 
Longobardi,  batteflero  poi  Moneta  folamente  colla  propria  Im- 
magine, lenza  inferirvi  il  nome  del  Regnante.  Fuor  di  dubbio 
e  bensì,  che  dopo  avere  Carlo  M.  nell'Anno  774.  occupato  il 
Regno  Longobardico  ,  Arie  bis  ,  o  Arichifo  Duca  di  Benevento 
pretefe  di  reflar  libero  Signore  di  quel  Ducato ,  e  con  quante 
Ibrze  potè  itCQ  refiftenza  al  Re  de'  Franchi  .  Però  a  riferva 
del  nome  di  Re  ,  prele  tutti  gli  ornamenti  e  diritti  Regali  , 
fra' quali  anche  la  facoltà  di  battere  Moneta,  intitolandofi  noa 
più  Duca^  ma  htrìsi  Principe  :  titolo  fignificante  allora  Sovra- 
nità .  Non  inferior  coraggio  ereditò  alla  morte  del  Padre  Gri- 
ììiualdo  IIL  fuo  Figlio.  Trovandofi  egli  in  Francia  per  ortaggio 
della  fedeltà  paterna  ,  ottenne  d'  edere  meffo  in  polTeiro  del 
Dominio,  con  patto  v.tChartas  Nummosque  fui  nominis  (cioè 
di  Carlo  M.  )  charaHerihus  fuperfcribi  j'emper  juheret ,  come  s'ha 
da  Erchemperto,  e  dall'Anonimo  Salernitano.  Ma  dimenticò 
egli  in  breve  la  fatta  promeffa.  In  fuis  ^ureis  ejus  7ìomen  (di 
Carlo  )  aVt quando  f.gurnri  pl/?cuit  ;  mox  paBa  prò  ni b ilo  duxit 
oòfervanda . 

Vedesi  dunque  la  Seconda  Moneta  pubblicata  dal  Blanc  , 
rapprefentante  l'effigie  di  elfo  Grimoaldo  colla  Croce  iopra  il 
Capo,  e  nel  contorno  GRIMVALD.  Nel  rovefcio  la  Croce, 
e  G.  o  pure  S.  dali'un  de  i  lati ,  e  V\  dall'altro,  edifottoVIL 
All'intorno  fi  legge  DOMS.  CARLVS  R.  cioè  Domnus  Car- 
Itis  Rex  .  Ma  non  affai  efattamente  fu  letto  ed  cipreffo  quel 
Denaro  dal  Blanc.  Da  altri  Muiei  ho  io  ricevuto  altra  Mo- 
neta del  medefimo  Principe  ,  la  quale  fervira  di  correzione 
a  quella. 

La  Terza  dunque  battuta  circa  l'Anno  ySy.  ci  fa  vedere 
l'effigie  di  Grimoaldo  col  Diadema  ,  e  con  globo  in  mano  , 
fopra  cui  la  Croce  ,  e  col  fuo  nome  .  Nel  rovefcio  DOMS. 
CAR.  R.  di  qua  e  di  la  della  Croce  S-R.  che  io  interpreto 
Sacra  Religio  ^  opure  S alus  Regni .  In  fondo  non  VII.  maVIC. 
fi  le^ge,  cioè  PlBoria. 

Poco  flette,  come  diffi,  Grimoaldo  a  dinienticarfi  i  patti, 

anzi 


V  E  K  T  E  S  I  M  A  S  K  T  T  I  M  A  .  505 

anzi  Rehellionìs  jurium  miti  avi  t^  come  s' ha  da  Erchemper- 
to  Gap.  4.  Hijì.  Però  fi  olfervi  la  Quarta  Moneta  ,  già  data 
dal  Breventano  ,  ed  efiftente  anche  in  Roma  nel  Muleo  Sab- 
batini  .  Il  diritto  è  quafi  fimile  al  precedente  .  Nel  rovefcio 
la  Croce  con  S.  R.  ed  intorno  VICToR.  PRINCI  ,  cioè  Vi. 
Boria  Principisi  0  Principi  ^  'ed  in  fondo  CONOB.  formola 
tanto  frequentata  nelle  Monete  de'  Greci  Augufti  Crifliani ,  e 
non  peranche  ben  intefa. 

La  Qiiinta  Moneta  d'oro  nel  Mufeo  Sabbatini  appartiene  a 
Sicone  Principe  di  Benevento^  che  nell'Anno  817.  fuccedette  a 
Grimoaldo  IV.  Vi  fi  mira  l'Immagine  fua,  che  tiene  in  mano 
il  globo  colla  Grocc  fopra,  ed  all'intorno  fi  legge  SICO  PRIN- 
CES.  Nel  rovefcio  è  l'effigie  di  San  Michele,  Protettore,  co- 
me diffi,  de' Longobardi  .  Nel  contorno  MIHAEL  ARHAN- 
GELV.  ONO,  o  più  torto  CONOB. 

La  Seda  d'argento  nel  Mufeo  Bertacchini  di  Modena  ,  mo- 
flra  l'effigie  del  Principe  col  Diadema  di  perle  incapo,  fopra 
cui  è  la  Croce  .  All'  intorno  le  lettere  SICO  PRINCE  .  Nel 
rovefcio  la  Croce  con  doppia  traverfa,  e  di  qua,  e  di  la  2.C. 
cioè  a  mio  credere  Salus  Chri/ìianorum  .  Nel  contorno  S.  MI- 
CHAEL APvHANGELV. 

La  Settima  nel  Mufeo  Sabbatini  ci  fa  vedere  Sicardo  Princi- 
pe di  Benevento  ^  che  nell'Anno  833.  fuccedette  a  Sicone  fuo 
Padre.  Si  vede  l'effigie  fua  colle  lettere  SICARDV.  Nell'ai- 
tra  facciata  è  la  Croce  ufata  nelle  Monete  Greche  colle  lette- 
re S.I.  forfè  fignifican ti  5'/7/^/^ /w^m/.  Nel  contorno  VICTOR. 
PRINCIP.  e  CONOB. 

A  me  fcrilfe  il  P.  de  Vitry  della  Compagnia  di  Gesti ,  rac- 
coglitore ài  un  infigne  Mufeo  in  Roma  ,  di  poffedere  una  Mo- 
neta di  rame  indorata,  ch'egli  incautamente  avea  pagata  co- 
me d'oro.  Ivi  era  il  diritto  fimile  al  precedente  colle  lettere 
SICONOLFVS;  e  nel  rovefcio  la  Croce  con  S.  L  e  VICTOR 
PRINCIP.  CONO.  Egli  è  Siconolfo  primo  Principe  di  Saler- 
no, fra  cui  e  Radelchifo  Principe  di  Benevento  nell'Anno  840. 
fi  acce  fé  lun^a  ouerra. 

L'Ottava  fu  pubblicata  dal  Blanc.  Ivi  è  la  Croce  colle  lettere 
HLVDOVICVS  IMPR.  c\oh  Lodovico  IL  Augujìo ,  che  circal'An- 
no  871.  dimorava  in  Benevento.  Nel  rovefcio  fi  legge  BENE- 
VENTVM  .  Di  qui  può  apparire  ,  non  effere  mancati  ad  Ari- 
gifo,  allora  Principe  di  Benevento  ,  giudi  motivi  di  muovere 
Tomo  L  Sss  una 


<^o6         Dissertazione 

Lilia  [edizione  centra  del  medefinio  Augufto,  e  di  cacciarlo  da 
Benevento  ,  giacché  egli  facea  cotanto  il  Padrone  di  quella 
Citta  e  Principato,  che  ne  pareva  efclufo  effo  Arigifo  .  Ne  è 
teftimonio  quefto  fteffo  Denaro.  Tralafcio  l'altre  iniolenze  ufa- 
te  da  i  Franzefi  a' Beneventani. 

La  Nona  nel  Mufeo  Chiappini  di  Piacenza  appartiene  a  G/- 
folfo  Prìncipe  di  Salerno,  Vi  II  vede  l'effigie  fua  colle  lettere 
GISVLF.  PRIN.  SAL.  Nel  rovefcio  la  facciata  d'una  Citta  in 
Collina  colle  lettere  CIVITAS  SAL.  Non  so,  fé  fia  da  rife- 
rire al  Primo  o  al  Secondo  Giiolfo, 

I  Principi  di  Napoli . 

La  fplendidifTima  Citta  di  Napoli,  tanto  commendabile  per 
la  fua  antichità,  ampiezza,  e  vaghezza,  ora  Capo  d'un  Regno 
nobilifTimo,  al  cui  Dominio  non  poterono  mai  giugnere  le  for- 
ze e  i  tentativi  de  i  Re  Longobardi ,  e  de  i  Duchi  di  Beneven- 
to, fin  da  gli  antichi  Secoli  gode  il  pregio  della  Zecca  ;  e  pe- 
rò truovanli  Denari  battuti  ne' vecchi  Secoli  dai  Duchi  di  quel- 
la Citta  ,  appellati  anche  Magijìri  Milimm  ^  de' quali  s'è  par- 
lato nella  Diflertazione  V.  Alcuni  di  effi  li  debbo  alla  diligen- 
za di  D.  Ignazio  Maria  Como  Patrizio  Napoletano  ,  mio  An- 
golare Amico . 

La  Prima  Moneta  è  incerto  in  qual  tempo  folTe  battuta  . 
Comparifce  ivi  1'  effigie  di  San  Gennaro  Martire  ,  e  celebre 
Protettore  di  Napoli  ,  colle  lettere  SCS.  lAN.  Nel  rovefcio 
la  Croce  con  S.  T.  cioè  Salutis  Trophaum  .  Di  quella  Moneta 
hanno  fatta  menzione  molti  Scrittori  Napoletani. 

La  Seconda  né  pur  fi  sa  a  qual  tempo  fia  da  riferire  .  Vi  fi 
mira  l'effigie  del  fuddetto  Santo  colle  lettere  SCIA.  Nel  ro- 
vefcio è  la  Croce  con  Neapoli:  fcritto  con  lettere  Greche. 

La  Terza  efibifce  l'Immagine  di  elfo  Santo  ,  dal  cui  collo 
pende  la  Stola  .  Nel  petto  ha  SIS  ,  forfè  fignificanti  SanShs 
lanuariiis.  Nel  contorno  in  lettere  Greche  corfive  fi  legge  ^o- 
fto,  lanuarìus  .  Perchè  abbiano  i  Napoletani  conferito  il  titolo 
di  Apojìolo  a  quel  Santo Vefcovo  e  Martire,  lafcerò  che  ce  l'in- 
fegnino  effi  .  Nel  rovefcio  l'Ifcrizione  è  Greca  con  caratteri 
corfivi  e  rozzi  5  che  denotano  la  liberazione  dall' incendio  del 
Vefuvio .  Ha  tutta  la  ciera  di  non  effere  fattura  di  molta  an- 
tichità . 

La 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  ìM  A  .  507 

La  Quarta  ha  l'effigie  del  Santo  fimile  alla  precedente,  e 
nel  contorno  SANCTVS  lANVARIVS.  Nel  rovefcio  fi  leg- 
ge con  lettere  Greche  Neopolitan  in  vece  di  Neopolìton  ,  cioè 
de' Napoletani. 

La  Quinta  fa  vedere  la  fteHa  effigie,  e  di  qua  edilaSCS. 
lANV.  Il  rovefcio  ha  la  Figura  d'uomo,  che  tiene  colla  fi- 
niftra  un  globo,  fopra  cui  è  la  Croce.  Nel  contorno  ila  fcrit- 
to  SERGI V  D VX.  Cinque  furono  ì  Sergii  Duchi  di  Napoli. 
Credono  alcuni,  che  quefto  Denaro  appartenga  a  Sergio  Padre 
di  Santo  Atanafio  Velcovo  di  Napoli  ;  ma  Monfignor  Niccolò 
Carminio  Falcone  Arcivelcovo  di  Santa  Severina  nella  Vita  di 
San  Gennaro  fu  di  parere  ,  che  riguardaffe  Sergio  IH.  il  quale 
fi  procacciò  da  i  Greci  Augufti  il  titolo  ò.ì  Protojebajìo, 

La  Sella  nel  Muieo  Chiappini  è  fimile  alla  precedente  ,  fé 
nonché  Sergio  Duca   tien   colla  delira  una  Croce. 

La  Settima  ha  f  effigie  del  Santo  Martire  colle  lettere  SCS. 
lAN.  Mirafi  nel  rovelcio  quella  di  un  Vefcovo  coU'Iicrizione 
ATHA  EPS.  cioè  Atnnafto  Vefccvo^  cioè  il  Giovane  ,  Velco- 
vo infieme  e  Duca  di  Napoli  ,  famofo  per  li  fuoi  vizj  nell' 
Anno  880. 

L'  Ottava  preiTo  il  P.  Domenico  Putignani  Gefuita  è  poco 
diverfa  dalla  precedente. 

Queste  fole  poche  Monete  antiche  di  Napoli  ho  io  potuto 
raccogliere  .  Facile  farà  a  i  Letterati  di  quella  infigne  Metro- 
poli di  accrefcerne  il  Catalogo  .  Altre  ancora  fi  troveranno 
battute  da  gli  antichi  Pr/;7c/p/  di  Salerno  q  di  Capoa^  e  da' Du- 
chi di  Amalfi  e  di  Sorrento  .  Francclco  Pan'a  nella  Storia  di 
Amalfi  attefta  di  aver  veduto  Tareni  d'oro  de  gli  Amalfitani, 
nel  diritto  de' quali  fi  mirava  un  Lione  colle  lettere  GLOR.IA. 
ROMANORVM  ,  e  nel  rovelcio  un  Rinocerote  con  QVIES 
REIPVBLICAE  .  Ma  qu'i  legno  alcuno  non  v'ha  ,  che  tal 
Moneta  appartenga  ad  Amalfi.  Aggiugne  ancora  d'aver  vedu- 
to altra  Moneta  colle  lettere  MANSÒ  DVX  ETPATRICIVS. 
Quefli  fu  Duca  di  Amci:fi  nell'Anno  Sp2, 

Normanni  Principi  e  Re  di  Sicilia  e  di  Napoli . 

Nel  Doaiinio  dell  1  Puglia,  Calabria,  e  Sicilia  fuccederono 

poi   nel  Secolo  XI.  i  Njnnanni  ,  gente  ,  che  con  maravigliofì 

avvenimenti  di  valore   ed  indultria  toUe  a' Greci,  e  a  varj  al- 

Sss     2  tri 


5c8  Dissertazione 

tri  Principi  Criftiani  le  Contrade  ,  oggidì  appellate  Regno  di 
Napoli,  e  a' Saraceni  il  Regno  di  Sicilia.  Celare  Antonio  Ver- 
gara  raccolfe  e  flampò  molte  loro  Monete  .  Profitterò  io  della 
fua  fatica  colla  giunta  d'altre  da  lui  non  oflervate. 

La  Prima  molto  rozza  ci  fa  vedere  un  Principe  a  cavallo  , 
tenente  falla  fpalla  un'  alia  ,  da  cui  pende  la  Bandiera  ,  colle 
lettere  ROGERIVS  COMES.  Sta  nei  rovefcio  ilaimai^ine  del- 
la  Beata  Vergine  fedente  in  una  cattedra,  e  tenente  nelle  brac- 
cia il  Signor  noiìro  ;  e  nel  contorno  MAIRA  MATER  i3ML 
cioè  Domifii . 

La  Seconda  confervata  in  Piacenza  nel  Mufeo  del  P.  Gene- 
rale Chiappini,  ha  il  medefimo  Principe  a  cavallo,  e  le  lette- 
re ROGER!  COM.  Nell'altra  facciata  è  la  Vergine  col  divi- 
no Infante  Si  rozzamente  formata,  che  nulla  più  .  Vi  fi  legge 
iV[ARL'\  MATER  D. 

La  Terza  è  poco  diverfa  dalla  Prima  .  Chi  abbia  battuto 
quelle  tre  grolTolane  Monete,  cioè  fé  Rugieri I.  Fratello  del  Va- 
lorofo  Roberto  Guifcardo  Duca  ,  dappoiché  nel  1071.  fi  fu  im- 
padronito di  Palermo  ;  o  fé  il  di  lui  Figlio  Rugieri  IL  il  quale 
per  molti  anni  usò  il  titolo  di  Conte ^  prima  di  aflumere  il  tito- 
lo di  Re  dì  Sicilia  e  Puglia  nel  1 1  30.  Le  feguenti  Monete  fem» 
brano  djlegnare  due  diverfi  Principi. 

La  Quarta  e  la  Quinta  moflrano  una  Croce  gemmata  colle 
lettere  ROGE  COME.  NelF altra  facciata  v'ha  un  JL.  da  cui 
forfè  è  indicata  Trinacria^  cioè  la  forma  della  Sicilia  .  Verifi- 
milmente  quelle  appartengono  a  Rugieri  IL  fucceduto  al  Pa- 
dre nel  Dominio  di  quell'liola. 

La  Sefta  fu  battuta  da  elfo  Rugieri  ,  da  che  fu  divenuto  Re, 
Ivi  fi  legge  ROGERIVS  REX.  Nel  rovefcio  l' Ifcrizione 
Arabica  è  Malech  Sarir  ,  cioè  Regis  thronus ,  o  perchè  quel- 
la Lingua  dopo  tanti  Anni  di  Dominio  de  i  Saraceni  divenne 
ufuale  in  Sicilia;  o  perchè  Rugieri  s'impadronì  di  Tripoli  neli* 
Affrica  » 

La  Settima  ha  ROGEPvIVS  DVX,  e  nel  rovefcio  l'Imma- 
gine della  Madre  di  Dio  colle  lettere  S.  M.  cioè  Sa?i&a Maria, 
Crede  il  Vergara  ipettanre  coral  Moneta  al  medefimo  Ragie- 
ri  IL  che  depoito  il  titolo  di  Conte ^  prefe  quello  di  Duca.  A 
me  fembra  più  probabile  ,  che  appartenga  a  Rugieri  Duca  di 
Puglia  e  Calabria  ^  Figlio  di  Roberto  Guifcardo,  che  nell'An- 
no mi.  diede  fine  al  fuo  vivere > 
';.jSl3^'^  Al- 


Ventesimasettima.  50p 

Altre  Monete  furono  battute  da  tÌ^o  Re  Rugieri .  Falcone 
Beneventano  all' i^nno  1 140.  cos'i  fcrive  di  lui  :  Edixlt^  up  ne- 
7no  in  tota  ejus  Regno  vìvemium  Komefi7ìas  accìpìat  ,  mei  in  mer- 
catibus  diflrihuat  .  Et  mortali  confilio  accepto  Moiietam  fuam  in- 
troduciti imam  'vero  ,  cui  Ducatum  7iomm  impofuit  ^  oSlo  Rorncjì- 
nas  valentem  ,  qu(£  magts  magtsque  cerea  quam  argeìitea  probaba- 
tur.  Induxit  etiam  tres  Follnres  appretiatos^  de  quibus  horribiltbus 
Moneti  s  tot  US  Italicus  Populas  (  cioè  di  Puglia  e  Calabria  )  pau- 
pertati   &  mifericc  pofitus  eft  &  opprejfus, 

Guglielmo  I.  Guplielmo  IL  e  Tancredi , 

o  ,  ^     .        .     .    . 

Regi   di  Sicilia. 

La  Prima  colle  lettere  corrofe  fa  folamente  vedere  REX  W. 
cioè  Rex  Willelmus  .  L'altra  facciata  ha  l'Immagine  di  due 
Sante  Donne  ,  forfè  della  Madre  del  Signore  vifitanre  Elifa- 
betta . 

La  Seconda  nel  mezzo  tiene  W.  cioè  Willelmus .  Seguitano 
due  lettere  credute  dal  Vergara  P.  V.  o  pure  P.  R.  A  me  paio- 
no RX.  cioèR^x.  All'intorno  DVCAT  APVL  PRINCIPA- 
TVS  CA.  cioè  C^^w^.  Nel  roveicio  altro  non  s'è  confervato 
che  APVLIE.  H.... 

La  Terza  ha  la  Croce  colle  lettere  Greche  IC  XC  NIKA5 
cioè  Jefus  Chrijìus  'vicit .  Nel  contorno  vi  fon  lettere.  Arabi- 
che ,  forle  indicanti  il  nome  del  Re  ,  ma  fmarrite  .  Anche 
il  rovefcio  ha  1'  Ifcrizione  Arabica  ,  ma  con  lettere  che  cor- 
rofe non  fi  poffono  leggere  .  Non  fi  sa  ,  a  quale  de  i  due  Re 
Guglielmi  appartengano  quelle  Monete  ,  cioè  fé  al  Primo  , 
che  neh'  Anno  1 1 54.  iuccedette  a  Rugieri  fuo  Padre  nel  Re- 
gno ,  o  al  Secondo,  che  nel  1166.  fuccedette  a.  Guglielmo  L 
fuo  Genitore. 

La  Qjiarta  pare  che  fìa  da  riferire  a  Guglielmo  IL  perchè 
ivi  fi  legge  W.  REX.  IL  Tuttavia  da  me  piùtofto  vien  creduta 
fpettante  al  Primo,  perchè  fra  i  Re  di  Sicilia  Secondo.  Nel  ro- 
velcio  companicono  tre  Torri  colie  lettere  SA,  dalle  quali  il 
Vergara  foipettò  dileguato  il  nome  di  Santo  Andronico  .  Io  le 
credo   indicanti  Salerno, 

La  Quinta  fa  vedere  un  Albero  da  me  tenuto  per  Palma  « 
Le  due  lettere  W.  R.  indicano  Willelmus  Rex.  L' Ifcrizione  del 
rovefcio,  e  la  Latina  nel  contorno  lono  perite. 

La 


5IO  Dissertazione 

La  Seda  ha  nel  mezzo  ia  Croce,  e  intorno  W»  DEI  GRA 
REX.  L'altra  facciata  rapprefenta  una  Rocca  quadrata,  cioè 
la  Citta  di  Gaeta,  leggendofi  ivi  CIVITAS  CAIETA. 

La  Settima  tiene  nel  mezzo  una  Croce  gioiellata  colle  let- 
tere TANCRE,  cioè  Tancredi^  eletto  Re  di  Sicilia  nel  ii8p. 
nel  rovefcio  è  un  T.  con  Corona  di  fopra  ,  cioè  il  nome  del 
medefimo,  e  nel  contorno  REX  SICILIE. 

L' Ottava  nel  mezzo  ha  TACD.  REX  SICIL.  Nel  contor- 
no DEXTERA  DOM/wi  EXALTAVIT  ME .  V'è  nel  rove- 
fcio  un'Iicrizione  Arabica. 

La  Nona  ha  folamente  nel  diritto  TANCREDVS  REX 
SICIL.  e  nel  roveicio  delle  lettere  Arabiche. 

Arrigo  V.  fra  gli  Augufti ,  Federigo  If.  Impera- 
dore,  Corrado  Re  de' Romani  ^  e  Manfredi 

Regi  di  Sicilia . 

Nel  L'Anno  iip3.  e  11P4.  Arrigo  VI.  fra  i  Re  di  Germa- 
nia ,  e  V.  fra  gì' Imperadori  ,  barbaricamente  s' infignorì  dei 
Regni  di  Sicilia,  e  di  Napoli ,  facendo  valere  i  diritti  di  Co- 
flanza  fua  Moglie  .  Però  a  lui  appartiene  la  prima  Moneta  . 
Nel  diritto  com.parifce  la  Croce  con  E.  INPERATOR  ,  cioè 
Enricus,  Nel  rovefcio  un'Aquila  colle  lettere  C  IMPERATRIX, 
cioè  Conflantìa . 

Il  loro  Figlio  Federigo  IL  fanciullo  fuccedette  in  que' Re- 
gni nel  f  ipp.  e  coniegu'i  pofcia  la  Dignità  Imperiale.  A  lui, 
e  a  Coftanza  fua  Madre  appartiene  la  Seconda.  L'una  facciata 
ha  la  Croce,  e  CONSTANCIA  R.  cìoh  Regina,  L'altra  un* 
Aquila  e  FREDERICVS.  R. 

La  Terza  ,  battuta  dopo  la  morte  della  Madre  ,  moftra  la 
Croce  circondata  dalle  lettere  F.  DEI.  G.  REX.  SICIL.  Nel 
rovefcio  fi  mira,  fé  crediamo  al  Vergara,  un  manipola  di  fpi- 
che  5  o  pure  un  fiore  ,  con  DVCAT.  APV.  PR.  CAE.  cioè 
Duca f US  Apulia  ,  Prìnclpatus  Capu^  .  Fu  battuta  prima  deli' 
Anno  1220. 

La  Qiiarta,  battuta  dopo  l'Anno  1223.  in  cui  affunfe  il  tito- 
lo di  Re  di  Gerufalemme  ,  ha  nel  mezzo  FR.  cioè  Fredericus  , 
e  nel  contorno  ROM.  IMPERATOR  .  Nel  roveicio  la  Croce  , 
e  lESA  ET  SICIE.  R.  cioè  Hierufalem  &  Stctlia  Rex . 

La 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  J  5!^ 

LaQLiinta  ha  il  bullo  di  effo Federigo,  e  all'intorno  F.PvOM. 
IPR.  SER.  AVG.  cioè  Fredcrìcus  Romanorum  Imperator  femper 
Augujìus,  Nel  rovefcio  un'Aquila,  e  R.  lERSL.  ET  SICIL. 
che  non  han  biibgno  di  fpiegazione. 

La  Sefta  nel  Muleo  Chiappini  ha  il  Capo  d'efib  Augufto  col 
Diadema,  e  con  FRIDERICVS  II.  Nell'altra  parte  la  Croce, 
e  ROM.  IMP.  AVG.  Non  efiendo  qui  menzione  diGerufalemme 
e  Sicilia,  forfè  fu  battuta  prima  dell'Anno  1223. 

La  Settima  ha  la  Croce  nel  mezzo  con  F  I;7jPERATOR  , 
nell'altro  lato  il  bado  di  lui  coronato  con  REX  lERL.  ET.  SIC. 

L'Ottava  e  Nona  fi m ili,  {quo  Augujìales  ^  o  Agojìart  ^  cioè 
denari  d'oro,  formati  alla  foggia  delle  antiche  Monete  Roma- 
ne .  Pefavano  la  quarta  parte  di  un'  oncia  d'oro  ,  cioè  eguali 
ad  una  Dobla  d'Italia  meno  25?.  grani,  ficcome  alcuni  fcrivo- 
no.  Ma  Giovanni  V^illani  ,  come  ricorderò  nella  feguente  Dif- 
ferì attribuifce  minor  pelo  ad  effi.  Vi  fi  mira  l'effigie  di  Ce- 
fare  Augufto  giovane  ,  portante  in  capo  Corona  co  i  Raggi  . 
Nella  Nona  v'ha  la  medefma  effigie,  ma  col  Diadema  in  ca- 
po. Ivi  filenge  CESAR  AVG.  IMP.  ROM.  Nel  rovefcio  un 
Aquila,  e  FRIDERICVS. 

Manco^  di  vita  nel  1250.  Federigo  Secondo  ,  ed  ebbe  per 
Succeflbre  Corrado  fuo  Figlio  ,  che  nel  1252.  divenne  Padrone 
del  Regno  di  Sicilia  e  Napoli  ;  ma  da  li  a  due  Anni  terminò 
i  fuoi  giorni  .  A  lui  fi  dee  riferire  la  Decima  Moneta  ,  nel 
di  cui  mezzo  comparifce  COR.  cioè  Conradus^  e  nel  contor- 
no lERVSALEM.  Nel  rovefcio  una  Croce,  e  all'intorno  ET 
SICIL.  REX. 

La  XI.  appartiene  al  medefimo  Corrado  .  Mirafi  nel  mezzo 
la  Croce,  eCONRADVS.  Il  rovefcio  ha  lER.  ET.  SICIL.  e 
nel  mezzo  REX. 

Terminato  che  ebbe  i  fuoi  giorni  Corrado,  tuttoché  vivef- 
le  il  giovinetto  Corrado  fuo  legittimo  Figlio,  Manfredi  baftar- 
do  di  Federigo  II.  finta  la  di  lui  morte,  nell'Anno  1255.  fi  fe- 
ce coronare  Re  dell'una  e  dell' altra  Sicilia.  A  lui  appartiene 
la  Moneta  xii.  Nel  diritto  fi  legge  MAYNTR  REX  .  Una 
Croce  è  nel  rovefcio  colle  lettere  SICIL. 

Al  medefimo  fi  crede  fpettante  la  xiii.  in  cui  efifle  l'effi- 
gie di  un  Principe,  e  nel  rovefcio  due  fole  lettere,  cioèR.M. 
le  quali  fi  coniettura  che  dicano  Rex  Ma7ifredus * 

Car- 


512  Dissertazione 

Carlo  I.  Conte  di  Provenza  ,  e  Re  di  Sicilia . 

Abbattuto  ed  uccifo  Manfredi  ,  pervenne  il  Regno  di  Si- 
cilia e  Napoli  a  Carlo  J.  Conte  di  Pro'uen'za  ,  e  Fratello  di  San 
Lodovico  Re  di  Francia  nel  1266.  Nell'Anno  precedente  era 
egli  (lato  creato  anche  Senatore  di  Roma  .  La  Prima  e  Secon- 
da delle  fue  '^Monete  fanno  vedere  la  figura  d'  una  Donna  or- 
nata di  Corona,  che  ^itàQ  lopra  cufcini,  o  fedia,  fé  pur  non  fi. 
voleffe  ,  fopra  due  Lioni  col  globo  nella  deflra,  e  ramo  di  ulivo 
nella  finiftra  .  Carlo  Molinet  pensò,  che  quella  fo (Te  l'Immagi- 
ne del  medefimo  Re  Cario.  Io  per  me  la  ftimo  l'effigie  di  Ro- 
ma, ancorché  paiano  ripugnanti  a  tale  opinione  alcuni  Denari 
de  i  Re  Carlo  II.  e  Roberto  fuffeguenti.  Il  leggerfi  ivi  ROMA 
CAP.  MVNDI  porge  troppo  vigore  al  mio  fentimento  ,  e/Ten- 
do ornato  elfo  Re  Carlo  della  Dignità  Senatoria  di  Roma  ,  ed 
avendo  noi  trovato  di  fopra  lo  fìefTo  motto  nelle  Monete  del 
Senato  e  Popolo  Romano  .  Nel  rovefcio  v'  ha  la  figura  di  un 
Lione  con  fopra  uno  Scudo  portante  il  Gilio  ,  Arme  della  Real 
Cafa  di  Francia  .  Sopra  il  Gilio  v'ha  un  raflello  ,  che  oggidì 
fi  ufa  da  i  non  legittimi  Figli  di  Francia  nella  lor  Arme  ,  ed 
allora  dovea  ufarfi  per  diftinguere  i  Cadetti  dalla  Primogenita 
Linea  Reale.  Nel  contorno  KAROLVS  S.  P.Q.R.  Furono  bat- 
tute quefte  due  Monete  nel  1255.  cioè  prima  che  Carlo  affu- 
melfe  il  titolo  di  Re. 

Nella  Terza  fi  vede  la  flelTa  figura  di  Donna  colle  lettere 
KAROLVS.  REX  SENATOR  VRBIS.  Nel  rovefcio  ROMA 
CAPVD   MVNDI  S.P.Q:R. 

La  Qiiarta  e  la  Qiiinta  fon  poco  diverfe  dalla  precedente  . 
Nella  Q_uarta  fotto  il  Lione  fi  vede  un  F.  Furono  tali  Monete 
battute  prima  dell'Anno  1278.  in  cui  Niccolò  III.  Papa  tolfe  al 
Re  Carlo  la  Dignità  Senatoria - 

La  Seda,  battuta  dopo  quell'Anno,  ha  nel  mezzo  i  Gigli 
con  KAROL.  DEI  GRATIA  .  Nell'altra  parte  la  Croce,  e 
lERVSAL.  ET  SICILIE  REX. 

La  Settima  ha  KAR  DEI  GRACIA;  e  nel  rovefcio  REX 
SICILIE  colla  Croce  nel  mezzo . 

L'Ottava  porta  quefle  lettere  KA  DEI  GRA  REX  SICIE. 
Neil'  altra  facciata  DVCAT  APVL.  PRIN.  CA.  cioè  Duca- 
pus  j^ùulìa  Pr'tncipntus  Capua» 

La 


VentesimasettimaT  513 

La  Nona  ha  nel  mezzo  K.  e  nel  contorno  AROLV.  DEI 
GRACI.  nel  rovefcio  REX  SIGILI. 

La  Decima  ha  i  Gigli  nel  mezzo,  e  intorno  KAROL.  DEI 
GRA.  nel  rovefcio  REX.  SICILIE. 

La  XI.  è  poco  diverta  dalla  precedente. 

La  XII.  nel  MufeoBertacchini  di  Modena  ha  lo  Scudo  co' Gigli, 
e  la  Croce,  Arme  del  Regno  di Gerufalemme.  All'intorno  KA- 
ROL. lERL.  ETSICIL.  REX.  Nel  rovefcio  l'Annunciazione 
della  Vergine,  e  nel  contorno  AVE  GRA  PLENA  DNS  TE- 
CVM.  llVergara  attribuifce  a  Carlo  I.  quella  Moneta;  dubi- 
to io,  che  s'abbia  da  riferire  al  Secondo  ,  nelle  cui  Monete  fi 
truova  la  Vergine  Annunziata  .  Non  so  ,  fé  dal  Primo  ,  o  dal 
Secondo  fia  difcefo  il  coilume  tuttavia  mantenuto  nel  Regno  di 
Napoli  di  chiamar  Carlini  fomiglianti  Denari  .  In  una  Bolla 
di  Benedetto  XII.  del  1342.  fi  legge  :  Una  Uncta  ^uri  ad  pondus 
Kegni  'valet  ultra  Ducatos  quatuor  de  Carlenis  .  E  in  una  Ifcri- 
zione  Napoletana  del  1370.  A  quo  recepit  Sanala  Rejìifuta  Ca- 
rolenos  ducetìtos  o6luagi?na  quatuor, 

Carlo  li.  Re  di  Puglia  ,  o  fia  di  Napoli . 

Passato  che  fu  all'altra  vita  nel  1285.  il  Re  Carlo  I.  a 
lui  luccedette  nel  Regno  di  Puglia  ,  o  fia  di  Napoli  Carlo  IL 
luo  Figlio ,  allora  prigione  in  Ifpagna,  che  poi  fu  coronato  in 
Roma  nel  128^.   da  Papa  Martino  IV. 

La  Prima  Moneta  a  lui  Ipettante  è  fimile  nel  diritto  alle 
prime  di  fuo  Padre.  Cioè  ci  fa  vedere  una  Donna  fedente  con  un 
Globo  in  mano.  Nel  contorno  ha  CAP^OL.  SED.  cìohSecwadus^ 
DEI  GRA  lERL  ET  SICIL  REX  .  Nel  rovefcio  la  Croce 
Gigliata,  come  nelle  Monete  Franzefi  di  que' tempi,  e  il  motto 
HONOR  REGIS  IVDICIVM  DILIGIT.  Indovinar  nonso, 
perchè  Carlo  IL  il  quale  non  fu  mai  Senatore  di  Roma  ,  niet- 
teffe  qui  una  tal  Figura,  rapprefentante  Roma  a  mio  credere,  e 
non  già  io  (lefìb  Carlo  IL  come  fu  di  avvifo  il  Vergara  .  Somi- 
gliante Moneta  fu  ritrovata  in  Benevento  dal  P.  Domenico  Viva 
della  Compagnia  di  Gesù  nell'Anno  i(5p8.  Ma  quivi  non  eleg- 
geva il  SED.  cioè  Secundus  ;  e  però  a  Carlo  I.  la  medefima 
apparteneva. 

La  Seconda  ha  uno  Scudo  ,  dove  comparifce  l'Arme  del 
Regno  di  Gerufalemme,  e  la  Regale  di  Francia ,  coll'Ifcrizione 
Tomo  L  Ttt  KA- 


5T4  Dissertazione 

KAROL.  SED.  lEPX.  ET  SICIL.  REX.  Nel  rovefcio  1' An- 
nunziazione  della  Vergine  colle  lettere  AVE  GRACIA  PLENA 
DNS  TECVM  .  Una  fingolar  divozione  profclsò  quello  Princi- 
pe alla  Vergine  Annunziata,  e  fotto  il  di  lui  nome  fece  fabbri- 
care in  Napoli  una  nuova  Cattedrale. 

La  Terza  ha  il  bufto  d'eflb  Re  colle  parole  KAROL.  SED. 
REX.  Nel  rovefcio  la  Croce ,  e  lERL.  ET  SICIL. 

La  Qj-iarta  è  fimile  alla  precedente,  ma  più  picciola. 

La  Qj-iinta  ha  l'effigie  d'elfo  Re  col  manto  ,  in  cui  tre  Gi- 
gli colla  traverfa  di  fopra,  e  colle  lettere  K.S.  cioè  CarolusSe- 
cundtis  lER.  SICIL.  REX.  Il  rovefcio  ha  la  Croce,  e  COME 
(  cioè  Comes  )  PROVINCIE  . 

Roberto  j  e  Giovanna I.  Regi  di  Puglia. 

NELL'Anno  130^.  Roberto  fuccedette  a  Carlo  IL  fuo  Padre. 
La  Prima,  e  Terza  delle  fue  Monete  hanno  la  Donna  fedente 
in  una  Sedia,  o  iopra  due  Lioni,  da  noi  veduta  nelle  preceden- 
ti, e  da  me  creduta  Roma .  V  ha  quefta  Ifcrizione  :  ROBERT. 
DEL  GR.  lERL.  ET  SICIL.  R.  Nel  rovefcio  HONOR 
REGIS  Scc.  Non  fu  Roberto  Senatore  di  Roma  ,  e  pure  fi 
fervi  di  quella  Figura. 

La  Seconda  è  fimile  alla  precedente  nel  diritto  ,  diverfa  nel 
rovefcio  ,  perchè  ha  COMES.  PROVINCIE  ET  FORCAL- 
QERII . 

La  Qiiarta  appartiene  a  Giovanna  I.  Nipote  di  Roberto  de- 
funto nel  1343.  Ivi  fi  mira  una  Corona  Regale,  fotto  cui  tre 
Gigli  col  Raftello.  Alf  intorno  lOHAN.  FÌIER.  ET  SICIL. 
REG.  Il  rovefcio  ha  la  Croce,  infegna  del  Regno  di  Gerufa- 
lemme,  e  i Gigli  col  Raftello,  e  le  lettere  COMITSA  PVICE. 
E  FORCAL.  cioè  Comitijfa  Provìncia;  &  Forcalquerìi , 

La  Quinta  moftra  la  medefima  Corona  fenza  Gigli,  ed  AVE 
MARIA  GRACIA.  PL.  Nel  rovefcio  la  Croce  Gigliata  ,  ed 
AVE  M. 

La  Sefta  è  attribuita  dal  Vergara  a  Giovanna  I.  Io  la  rife- 
rifco  alla  Seconda  .  Vi  fi  vede  un'  Aquila  con  IVHANNA 
REGINA.  Nel  rovefcio  l'effigie  di  un  Romano  Pontefice,  e 
S.  PETRVS  PP.  cioè  Papa,  Vedi  le  Monete  di  Giovanna  IL 

La  Settima  ci  fa  vedere  la  Corona,  e  le  lettere  lOVA.  D. G. 

SCI- 


I 


V  £  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  !vl  A  .  315 

SCICIL.  fottintendi  Regina  .  La  Croce  co  i  Gigli  è  nei  rove- 
fcio,  eCOMISA  PRO 

L'Ottava  ha  nel  diritto  quattro  lettere  ,  cioè  G.  V.  A.  R, 
che  lafcio  interpretare  ad  altri  .  Nel  contorno  IVHANNA 
REGINA.  Nell'altra  facciata  l'effigie  d'un  Pontefice  Romano 
colle  lettere  S.  LEO  PAPA  .  Il  Vergara  la  riferifce  a  Giovan- 
na I.  Forfè  appartiene  alla  Seconda. 

La  Nona  ha  l'effigie  d'una  Regina  coronata,  e  IVH.  RE- 
GINA. Vtrdefi  nel  rovefcio  la  Croce,  e  lER.  SICIL.  Secondo  il 
Vergara  è  di  Giovanna  J.  A  me  lembra  più  tofto  della  Seconda. 

Carlo  III.  Lodovico  d'  Angiò ,  e  Ladislao 

Regi   di  Napoli . 

Carlo  III.  Nipote  del  Duca  diDurazzo,  fopranoniinato  ^^Z- 
laPace^  eflendofi  impadronito  del  Regno  di  Napoli  neli38i. 
levò  nel  Tegnente  di  vita  la  Regma  Giovanna  L  A  lui  appar- 
tiene la  Prima  Moneta  ,  conlervata  nel  Mufeo  Bertacchini  di 
Modena.  Ivi  nel  diritto  quelle  Sigle  S. T.  P. E.  Le  (pieghi  chi 
vuole.  Nel  contorno  REX  KROLVS.  T.  cioè  Tenius ,  Nel 
rovelcio  l'Immagine  di  un  Papa  colle  lettere  S.  PETRVS  P. 

Nella  Seconda  fi  vede  la  Croce  Gerofolomitana  ,  e  tre  Gi- 
gli .  Nel  rovelcio  un'altra  Croce.  E  perchè  ivi  comparifcono 
quattro  Faicie,  inlegna  del  Regno  d'Ungheria  ,  appartiene  tal 
Denaro  a  Lodovico  Re  d  Ungheria  preteniore  del  Regno  di  Na- 
poli, o  Carlo  III.  preteniore  di  quello  d'Ungheria. 

La  Terza  è  da  attribuire  a  Luigi  Come  ,  o  fia  Duca  d'An- 
gio.^  il  quale  adottato  dalla  Regina  Giovanna  L  nell'Anno  1382. 
dichiarato  Re  di  Napoli  dall'Antipapa  Clemente  VII.  infelice- 
mente mori  nel  13574.  Nel  mezzo  fi  vede  una  Corona  co  i  Gi- 
gli, e  ilRaikllo,  chiamato  da'Franzcfi  L^w^é-/ .  Nel  contor- 
no fi  legge  LVDOV.  HIER.  ET  SICIL.  REX.  Mirafi  nel 
rovefcio  l'Arme  Regale  di  Francia  coi  Raftello  ,  e  colla  Croce 
delReono  di  Geruialemme;  e  all'intorno  COMES  PROVICE. 
ET.  VOKCkLquerii, 

La  Qjjarta  ha  nel  mezzo  quefle  lettere  LI.Q.L.  nel  con- 
torno LVDOVICVS  REX.  Nel  rovelcio  l'effigie  di  un  Papa 
colle  lettere  S.  PETRVS  CONFES.  cioè  Confejfor,  Credu  io  qui 
difegnato  S.Fier  CeleJìinoPapa^  come  nella  Prima  di  Cario  ìli. 

Ttt     2  Appar- 


^i6         Dissertazione 

Appartiene  la  Quinta  Moneta  a  XW/j/^<j  Re  di  Napotf ,  che 
da  alcuni  Winceslao  ,  e  da  altri  Lancisl.ao  fi  truova  nominato  , 
Figlio  di  Carlo  IIL  che  nel  i3po.  cominciò  a  fignoreggiare  nel 
Regno  di  Napoli  .  Nel  mezzo  comparifce  AQ^LA,  cioè  la 
Città  dell'Aquila,  a  cui  dicono  conceduto  di  poter  battere  Mo- 
neta. Nel  contorno  fi  legge  LADISLAVS  REX  .  Nell'altra 
parte  l'Immagine  di  un  Romano  Pontefice  colle  lettere  S.  PE- 
TRVS  PP.  CÒNFES.  creduto  San  Pietro  Apofiolo  dal  Vergara, 
da  me  San  Pier  Cele/tino. 

La  Sefta  ha  quattro  Sigle  S.  M.P.E.  all'intorno  LADIS- 
LAVS R.  E^  fimile  al  precedente  il  rovefcio. 

Nella  Settima  comparifcono  le  quattro  lettere  da  noi  vedute 
nell'Ottavo  Denaro  di  Giovanna  I.  cioè  GVAR.  e  all'  intorno 
LADISLAVS  R.  Nel  rovefcio  l'Immagine  d'un  Pontefice  Ro- 
33iano  coU'Ifcrizione  S.  LEO  PP.  c'ioh  Papa, 

L'Ottava  ha  le  Arme  di  Francia,  e  del  Regno  di  Gerufalem- 
me ,  e  le  quattro  Fafcie  cioè  l'infegna  del  Regno  d'Ungheria, 
pretefo  da  efib  Re  Ladislao,  Nel  contorno  LADISLAVS  REX 
ET  DV.  Nel  rovefcio  due  Chiavi  colle  lettere  SANCTVS  PE- 
TRVS.  Forfè  battuta  in  Roma,  dove  Ladislao  fece  da  Padrone , 

Giovanna  II.  e  Renato  d'Angiò  Regi  di  Napoli . 

Nel  L'Anno  1414.  fuccedette  Giovanna  IL  nel  Regno  di 
Napoli  a  Ladislao  fuo  Fratello  .  La  Prima  Moneta  a  lei  Ipet- 
tante  ha  nel  mezzo  un'  Aquila  colf  ale  aperte  ,  e  all'  intorno 
REGINA  lOVA  .  Nel  rovefcio  l'effigie  d'un  Pontefice  Ro- 
mano, e  S.PETRVS  PAPA. 

La  Seconda  nel  MufeoBertacchini  ha  la  medefima  Aquila,  e 
REGINA  IVI-IANNA.  Il  rovefcio  è  fimile  al  precedente. 

La  Terza  ha  quattro  Sigle  ,  cioè  AQ_LA.  denotanti  la  Ci'tth 
dell'Aquila,  e  alì'mtornolV^HANNA  REGINA.  Nel  rovefcio 
l'immagine  di  un  Romano  Pontefice,  e  S.PETRVS  PP.  . 

La  Quarta  appartiene  a  Renato  Duca  d'Angiò,  che  nel  143^. 
fu  proclamato  in  Napoli  Re  .  Nella  prima  Moneta  comparifce 
la  Donna  coronata,  ledente  iopra  la  fedia,  e  fopra  i  Lioni,  con 
lo  Scettro  e  Globo,  di  cui  s'è  più  volte  parlato  di  fopra  .  In  un 
lato  fi  vede  una  picciola  Aquila  .  Nel  contorno  RENATVS 
DEI  GRE  IRVLE  SIC  R.  Nel  rovefcio  la  Croce  ,  e  il  motto 
HONOR  REGIS  IVDICIV,  DILIGIT, 

La 


Ventesimasettima.  517 

La  Q.ninta  ha  nel  mezzo  una  Corona  ,  e  le  lettere  R.  lER. 
ET  SICIL.  REX.  Il  rovefcio  ha  la  Croce  co'GigU  ns^U  an- 
goli, e  COMES  PVINCIE.  "" 

La  Sefta  ci  fa  vedere  un'Aquila  con  Corona  di  fopra,  e  nel 
contorno  REX.  RENATVS  .  Nel  rovefcio  l'Immagine  di  un 
Papa  fedente  coli'  Ifcrizione  S.  PETRVS  E.  cioè  Eremita  :  il 
che  conferma  quanto  ho  detto  difopra,  che  in  quefte  Mone- 
te fi  parla  di  San  Pier  Celejì'mo. 

La  Settima  ha  un'Aquila,  e  RENATVS.  REX.  DEI.  G. 
Nel  rovelcio  l'effigie  d'un  Pontefice,  e  S.  PETRVS  PP. 

L'Ottava  (blamente  è  diverfa  dalla  precedente  per  la  picciolezza. 

La  Nona  ha  uno  Scudo  coll'Arme  di  Francia,  Gerufalemme, 
e  Lorena  .  L' Ifcrizione  rapportata  dal  Vergara  e  quefla  RE- 
NATVS D.  G.  REX.  SIC  lER.  ARLIOTI  D.  Strana  pa- 
rola Arlìotì  D.  Per  me  credo,  che  ivi  fi  legga  AC  LOTH.  D. 
cioè  Lotharìns^ice  Dux .  Nel  rovefcio  un  braccio  armato,  e  le 
parole  EECIT  POTENCIAM  IN  BRACHIO  SVO. 

-Alfonfo  ].  d'Aragona,  e  Ferdinando  I. 
Regi   di  Napoli . 

NELL'Anno  1442.  s'impadronì  di  Napoli,  e  di  tutto  il  Re- 
gno ^//o;/yc> /.  infigne  Re  d'Aragona  e  Sicilia,  e  ne  fu  fpoglia- 
to  dalla  morte  nel  1458.  La  Prima  Moneta  appartenente  alai 
moftra  il  bufto  di  un  Re  coronato  con  ALFONSVS.  DEL 
GRACIA.  REX.  Il  rovefcio  ha  delle  Fafcie  pendenti  ,  infc- 
gna  d'Aragona;  le  orizzontali,  infegna  d'Ungheria;  i  Gigli 
e  la  Croce,  infegna  di  Francia  e  Gerufalemme  .  Nel  contorno 
CICILIE.  CITRA  ET  VLTRA. 

Sa  Seconda  ha  le  fuddette  Arme  o  Infegne,  ed  ALFONSVS 
(  o  pure  ALHONSVS  )  D.  G.  R.  ARAG.  S.  C.  V.  H.  cioè  Dei 
gratta  Kex  j^ragonum  ^  Sicilia  Cifra  Ultra  y  Hierujaletn  ^  o  Hti.'i- 
garice.  Ovvero  in  vece  di  H.  fi  dee  leggere  F.  cioè  Citra  Ultra 
Farum.  Nei  rovefcio  la  Donna  coronata  coi  Globo  e  Scettro, 
e  l'ifcrizione:  DNS  M.  ALFO.  AIVT.  E.  D.  I.  M.  cioè  Do- 
minus  mihi  Alfonfo   adjutor.  Ego   defpiciam   i}iimicos  meos. 

La  Terza  è  poco  diverla  dalla  precedente.  Chiaramente  vi  (1 
legge  l'ifcrizione  da  me  recata  difopra  ALFONSVS  8cc.  laddove 
il  Vergara  leggeva  D.  G.  R.  AR.  S.  E.  VN.  Nel  rovefcio  è  aggiun- 
to un  S.  alla  Figura  di  Donna,  quafi  denotante  la  Sicilia, 

Nella 


5i8  Dissertazione 

Nella  QLiarta  è  la  ftefTa  Ifcrizione  . 

La  Quinta  'di  forma  picciola  ha  il  bufto  del  Re  colle  let- 
tere ALFONSVS  D.  G.  Nel  roveicio  fon  le  Armi  Regali  eoa 
R.AR.  S.C.V.F. 

La  Sella  rapprefenta  l'effigie  del  Re  ,  e  nel  contorno  AL* 
FONSVS  REX  ARAGONVM  .  Nel  rovefcio  fi  mira  la  Vit- 
toria tirata  da  correnti  Cavalli  ,  e  il  contorno  ha  VICTOR 
SICILIE  PRECI,  cioè  Vincitore  del  Regno  di  Napoli  per  le 
preghiere  della  Sicilia. 

La  Settima  appartiene  z  Ferdwancio^  oFer?7a?ido  I.  che  neh' 
Anno  1458.  luccedette  al  Padre  nel  Regno  di  Napoli  .  Nella 
prima  Moneta  fi  vede  l'Immagine  di  eflb  Re  coronato  con  una 
picciola  Aquila,  e  il  motto  CORONATVS  QA  {doh  ^ìa) 
LEGITIME  CERTA  VI  .  Nei  roveicio  è  la  Croce  ,  e  FER- 
DINAND VS  D.  G.  R.  SICIE.  lER.  V.  cioè  UngarU,  Denari 
tali  fi  nomavano  Coro}inti. 

L'  Ottava  fa  vedere  le  fopra  riferite  Arme  od  Infegne  ,  e 
FERDINANDVS  D.G.  R.SI.I.V.  Nel  rovefcio  è  la  Donna 
coronata  col  Globo  e  Scettro  ,  e  il  motto  DNS.  M.  AIVT. 
ET  EGO   D.  I.  M. 

La  Nona  è  fimile  alla  Settima  nel  diritto  .  Vi  fi  legge  chia- 
ramente R.  SIC.  lER.  VNG.  Nel  roveicio  fi  vede  l'effigie  del 
Re  fedente,  a  cui  un  Cardinale  impone  la  Corona,  e  un  Ve- 
fcovo  tiene  il  Libro  Rituale.   V'ha  il  motto  CORONATVS.  &c. 

La  Decima  moiìra  reffic;ie  di  elfo  Re  con  FERRANDVS 
D.  G.  R.  SICILIE.  lE.  Nel  roveicio  è  f  Immagine  di  San 
Michele  fotto  i  cui  piedi  ila  il  Drago  .  Il  motto  è  IVSTA 
TVENDA. 

L'Undecima  ha  le  Infegne  di  Aragona,  Sicilia,  Gerufalem- 
me,  ed  Ungheria,  e  FERDINANDVS  D.G.R.S.I.V.  Nel 
rovefcio  fi  vede  l'effigie  del  Re  coronato  con  un  M.  e  nel 
contorno  RECORDaTVS   MISERICORDIE  SVE. 

La  XII.  fa  vedere  il  Re  coronato  con  FERRANDVS  REX. 
Nel  roveicio  fi  mira  un  Cavallo  che  marcia  fenza  briglia,  Ar- 
me di  Napoli  .  V  ha  ancora  un'  Aquila  picciola  ,  e  nel  fon- 
do un  T.  con  Rote  di  qua  e  diiìi.  Nel  contorno  fi  legge  EQVI- 
TAS   REGNI, 

La  XHI.  e  le  tre  fep^uenti  dogo  diverfe  mofirano  l'effigie  di 
elfo  Re,  e  FERRANDVS /o  pure  FERDINANDVS  REX. 
Nel  roveicio  fi  vede  un  Cavallo  ,  e  un  L.  ovvero  A.  o  pu- 
re 


Ventesimasettima;  5Tp 

re  BR.  Qiiefti  Denari  di  rame  tuttavia  in  ulb  fon  chiamati 
Cavalli . 

La  XVII.  ha  la  Figura  della  Donna  fedente  col  Globo  e  Scet- 
tro ,  eFERDINANDVS  D.G.  Nel  rovefcio  la  Croce,  e  SI- 
CILIE  lEUVS.  VN. 

La  xviii.  è  fimile  alla  Settima,  ma  di  minor  mole. 

La  XIX.  ha  l'effigie  del  Re  con  FERDINANDVS.  D.  G. 
REX;  e  nel  rovelcio  la  Vittoria  tirata  da  Cavalli,  e  nel  con- 
torno SICILIE  VICTOR. 

La  XX.  del  Mufeo Chiappini  fu  battuta  dagli  Aquilani,  allor- 
ché nel  148^.  ribellati  al  Re  Ferdinando  fi  diedero  a  Papa 
Innocenzo  VIII.  Quivi  fi  mirano  le  Chiavi  colla  Tiara  Ponti- 
fizia,  e  all'intorno  INNOCENTI VS  PP.VIII.  Nel  rovefcio 
un'Aquila,  e  nel  contorno  AQ^VILANA  LIBERTAS. 

La  XXI.  fu  battuta  da  Niccolò  Conte  dì  Cnmpohaffo  ,  che  con 
altri  Magnati  nel  1455?.  ribellato  a  Ferdinando  ,  feguitò  Gio- 
vanni d'Angiò  figlio  di  Renato.  Nel  diritto  fi  mirano  i  cep- 
j)i,  che  (i  veggono  nelle  Monete  di  San  Lodovico  Re  di  Fran- 
cia ,  colle  lettere  NICOLA  COM^^ .  Nel  rovefcio  una  Cro- 
ce ,  e  CAMPIBASSI . 

Alfonfo  IL  Re  di  Napoli . 

Nell'  Anno  1494.  fini  i  fuoi  giorni  Ferdinando  I.  a  cui  fuc- 
cedette  Alfonfo  11,  fuo  Figlio  ,  che  abbattuto  da  Carlo  VIIL 
Re  di  Francia  ,  nel  feguente  Anno  terminò  il  fuo  vivere.  La 
prima  Moneta  appartenente  a  lui  ha  San  Michele,  che  feriffe 
il  Drago  colle  lettere  ALFONSVS  D.  G.  SIC.  lE.  V.  Nel  ro- 
vefcio è  l'effigie  fedente  d'elfo  Re,  a  cui  im  Cardinale  mette 
la  Corona  in  capo.  L'Ifcrizione  è  quella  :  CORONA VIT  E 
VNXIT  ME  MANVS  T.D.  cioè  TunDom'ine. 

La  Seconda  ha  l'Arme  di  Aragona  e  di  Napoli  con  ALFON- 
SVS IL  D.  G.  R.  S.  cioè  Dei  gratin  Res  SicHìde ,  Nel  rovefcio 
fi  mira  Donna  fedente  con  Scettro  nell'  una  mano  ,  e  Croce 
nell'altra  colle feguenti  parole:  SVB  DEXTERA  TVA  SALVS 
M.  D.   cioè  Mea^  Deus, 

La  Terza  ha  nel  mezzo  un  Ermellino  ;  dal  di  fopra  pende 
una  fafcia  ,  in  cui  è  fcritto  DECORVM  .  Intorno  v'ha  AL- 
FONSVS IL  D.  G.  R.  SICIL.  lER.  V.  Nel  rovefcio  fi  mira 

un 


520  Dissertazione 

un  Altare,  fopra  cui  arde  fiamma  colle  parole  IN  DEXTE- 
RA  TVA  SALVS  MEA. 

Ferdinando  II.  e  Carlo  Vili.  Regi  di  Napoli . 

Figlio  di  Alfonfo  II.  fu  Ferdhiando  IL  che  nel  14P5.  ricu- 
però il  Regno  .  La  fua  prima  Moneta  è  firn  ile  alla  prece- 
dente ,  fé  non  che  ha  quefta  Ifcrizione  :  FERRANDVS  II. 
D.  G.  R.  SIC. 

La  Seconda  ha  le  infegne  d'Aragona  e  di  Napoli  colle  pa- 
role: FERDINANDVS  IL  D.G.R.SL  Nel  rovefcio  l'Ermel- 
lino, o  Donnola  con  fovrapofto  un'E.  e  la  parolaDECORVM; 
e  nel  contorno  OMNIA  SERENA.  Infondo  LIGI. 

La  Terza  è  quafi  la  ftefla  che  la  precedente. 

La  Quarta  appartiene  a  C^rlo  Vili.  Re  d't  Frana  a  ^  che  nel 
14P4.  s'impadronì  del  Regno  di  Napoli.  Fu  battuta  nell'Aqui- 
la ,  Citta  delle  prime  ad  entrare  nel  fuo  partito  ,  e  fi  fece 
confermare  da  Ini  il  privilegio  della  Zecca  .  Vi  fi  mira  in  uno 
Scudo  l'Arme  Regale  de' Gigli  ,  e  lopra  d'effi  la  Corona,  col- 
le parole  CHARLES  e  un  K.  al  rovefcio,  e  ROl.  D.  FRE. 
Nel  rovefcio  è  un'Aquila,  infegna  di  quella  Citta,  e  nel  con- 
torno CITE  DE  LEIGLE,  cioè  Città  dell'  Aquila. 

LaQiiinta,  parimente  battuta  dagli  Aquilani,  ha  il  fuddet- 
to  Scudo,  e  CAROLVS  REX  FRA.  Nel  rovefcio  la  Croce, 
una  picciola  Aquila,  e  le  lettere  AQVILANA  CIVITAS. 

La  Selta  ha  il  medefimo  Scudo  ,  e  KROLVS  D.  ;s.  G. 
REX   FRA.  Il  rovefcio  fimile  al  precedente. 

La  Settima  comparifce  co'  Gigli ,  e  colle  lettere  KROLVS  D.G. 
R.FR.SI.    Nel  rovefcio  la  Croce,    e  TEATINA  CIVITAS. 

L'  Ottava  prefenta  il  medcfimo  Scudo  ,  e  di  qua  e  di  Ta 
K.  L.  e  K  AROLVS  D.G.  R.  FR  ANCORV.  SIC.  lER.  Nel  rove- 
fcio la  Croce,  eXPS.  VINCIT.XPSREGNAT.XPS.IMP^rAT. 

La  Nona  è  poco  diverfa  dalla  precedente. 

La  Decima  allo  Scudo  aggiugne  CAROLVS  D.  G.  FRAC- 
COR  V.  IHEM.  ET.  S.  R.  Si  mira  nel  rovelcio  la  Croce  di 
Gerufalemme  colle  lettere  PER  LIGNV  S.  CRVCIS  LIBE- 
RET  N.  D-  N.   cioè  nos  Deus  rìojìer, 

L'Undecima  ha  tre  Gigli  colla  Corona  di  fopra,  e  nel  baffo 
S.M.P.E.  Nel  contorno  KROLVS. D.G. R.FR.SI. I.  Nelro- 
vefcio  la  Croce  con  quattro  Crocette,  e  XPS  VINC.  &c. 

Fede- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  5  21 

Federigo  II.  Re   di  Napoli . 

A  Ferdinando  II.  iuccedette  nel  i^pó.  Federigo  II.  fLio  Zio 
paterno.  La  Prima  fra  le  fue  Monete  ha  il  bullo  di  lui  coronato 
con  un  T.  nel  mezzo  ,  e  FEDERICVS  DEI  GR  SIHI.  e  le 
lettere  RECEDANT  VETERA,  indicanti,  che  dimenticai 
torti  a  lui  fatti  dal  Popolo. 

La  Seconda  ha  l'Arme  d'Aragona  e  Sicilia  ,  e  FEDERICVS 
DEI  GRA  REX  SI.I.  V.  In  una  di  rame  REX  SLHIER.  Due 
Cornucopie  nel  rovefcio,  e  VICTORIE  FRVCTVS. 

La  Terza  ha  un'Aquila,  e  FRIDERIC.  T.  D.  GRA.  REX. 
SICIL.  E*  chiamato  T^ri^o  in  riguardo  a  Federigo  II.  Augufto  ; 
ma  egli  non  fu  che  Primo  fra  i  Re  di  Sicilia.  Nel  rovefcio  l'inlegna 
degli  Aragonefi,  e  DVC  APVL.  PRINCIPAT.  CAPVE. 

La  Quarta  ha  l'effigie  del  Re  coronato,  e  FEDERICVS  D.  G. 
R.SI.  e  nel  contorno  la  Croce  ,  e  SIT  NOMEN  DNI  BENE- 
DI  C/f/w  . 

La  Quinta  ha  la  fteffa  effigie  ,  e  FEDERICVS  REX  .  Nel 
rovefcio  un  Cavallo  fenza  freno,  e  il  motto  EQV^ITAS  REGNI. 

E  ejueflobafti,  non  paffando  Taffunto  mio  oltra  al  1500. 

I  Do.oi  di  Venezia . 
o 

Non  lafcia  d'eflere  antichiffima  la  Zecca  dell'inclita  Citta  di 
Vef7e:?^a^  ancorché  non  fé  nefappia  bene  l'origine.  Andrea  Dan- 
dolo, il  più  dotto  e  antico  de  gli  Storici  Veneti ,  fcriffe  che  tal 
diritto  era  dato  conceduto  a  Venezia  fin  da  i  più  antichi  tempi  ; 
perciocché  parlando  di  Rodolfo  Re  dltalia  circa  l'Anno ^21.  cosi 
Ieri  ve  :  Hic  Roduljus  Reg?7t  fui  An?jo  Quarto  ,  P apice  folium  te- 
7ìens^  immuìiitatesVenetorum  in  Regno  Italico  ab  ami quis  Impera- 
toribus  &  Regibus  concejjas^  per  Privilegi um  renovavif .  Et  in  eo- 
dem  deci ar avi t  ,  Ducem  Venetiaruryì  poteftatem  h abere  fabricandi 
Monetam^  quia  ei  conjìitit^  antiquosDuces  hoc  continuatis  tempori- 
bus perfecijf  e .  Ma  Marino  Sanuto  iuniore,  ilSanfovino,  ed  altri 
han  preteio,  che  a  Pietro  Candiano  III.  Doge  circa  l'Anno  5)50. 
foflfe  conceduta  la  facoltà  di  battere  Monéta  da  Berengario  II.  Re 
d'Italia:  in  fegno  diche  fotto  l'immagine  di  quel  Doge  pofe- 
ro  il  leguente  Diflico: 

Multa  Berengarius  mi  hi  Privilegia  fecit, 
Is  quoque  Monetam  cudere  pojfe  dedit» 
Tomo  L  Vvv  Ma 


5Z2  iJ    1   S   S  E  R    T  A    Z   I   O    N   E 

Ma  non  può  fulliftere  si  fatta  opinione  ,  e  dee  dirfi  ,  che  Be- 
rengario II.  folamente  confermò  quel  diritto.  L'Anonimo  Scrit- 
tore delle  Vite  MSte  de  i  Dogi  Veneti,  che  fi  confervano  nel- 
la Biblioteca  Eftenfe  ,  e  giungono  fino  a  Bartolomeo  Gradenigo 
eletto  nel  133^.  cos\  parla  di  Pietro  Candiano  Terzo  ,  Doge 
circa  l'Anno  P42.  IJìe  Dux  fuh  fil'tus  fnpvafcrìpti  Petr't  Canata- 
7i't  Diic'ts  .  Cu/US  tempore  Berengar'tus  Rex ,  Venetorum  antiqua 
juva  confirmav'tt ^  &'  denuo  conce jjit  Ò'c.  &  cudendì  Monetam 
àuri  &  argenti ,  ut  fui?  Imperio  Gr<,fCorum  habuerant ,  poteflatem 
deàit  :  parole  chiaramente  indicanti  ,  che  anche  prima  fotto 
i  Greci  Imperadori  ebbero  i  Dogi  di  Venezia  il  Gius  delia  Zec- 
ca. Scrive  il  fopra lodato  Dandolo  all'Anno  1031.  diOttoOr- 
feolo  Patriarca  :  Hic  Monetam  parvam  fub  ejus  jiomine  ,  ut  vi- 
dimus^  excudifecit.  E  all' Anno  1 1^4.  di  Arrigo  Dandolo  Do- 
ge Icrive  :  Hic  arge^iteam  Monetam  ,  vulgariter  di6ìam  Groilì 
Veneziani,  1;^/ Mata  pani  ,  cum  imagine  Jefu  Chrijìi  in  throno 
£ib  uno  Intere  ,  Ò'  ab  alio  cum  figura  Sancii  Marci  ,  &  Ducis  , 
i?aloris  viginti  fex  Parvulorum  ^  primo  fieri  decrevit  ,  E  che  la 
Moneta  Veneziana  nel  Secolo  XI.  fofie  in  corfo  per  l' Italia  , 
lo  pruova  uno  Strumento  del  1054.  efiliente  nell'Archivio  de' 
Canonici  di  Modena  ,  dove  è  fatta  menzione  Denariorum  Ve- 
veticorum.  Ma  ciò  che  maggiormente  accredita  la  Moneta  Ve- 
neziana ,  è  un  paffo  di  Raterio  Veicovo  di  Verona  ,  che  fiorì 
ne' tempi  del  fuddetto  Re  Berengario  II.  perciocché  nell' Opu- 
fcolo  intitolato  ^ualitatis  conjcBura  nomina  fex  Libras  Dena- 
riorum Veneticorum  :  dal  che  fi  può  inferire,  che  non  afpettaf- 
fero  i  Dogi  Veneti  le  Grazie  d'elfo  Berengario  per  battere  De- 
nari ,  cioè  per  efercitare  una  prerogativa  ,  di  cui  folamente 
goderono  in  que' tempi  i  Duchi  di  Benevento  e  Napoli.  Poiché 
quanto  alPorcacchi,  il  quale  nelLib.  IV.  della  Famiglia  Mala- 
fpina  fcrive  di  aver  veduto  una  Moneta  con  capo  virile,  e  col- 
le lettere  ADALBERTVS  THVSCIAE  MARCHIO  ,  che 
fioriva  nell'Anno  005.  non  falleremo  credendo,  quella  effere 
una  delle  favole,  che  quello  Scrittore  francamente  usò  di  fpac- 
ciare  a'tempifuoi.  Parimente  penfo ,  che  s'inganni,  chi  vuol 
battuti  Denari  da  Bonifacio  Marchefe  diTofcana,  Padre  della 
Conteffa  Matilda  .  Né  pure  il  Fiorentini  giudicò  fuffiftente  s\ 
fatta  opinione.  Anzi  v'ha  chi  crede,  che  anche  allorché  figno- 
reggiarono  in  Italia  i  Re  Goti,  ufafTero  di  battere  Moneta,  ma 

di 


V  E  N  T  E  S  I  xM  A  S  E  T  1  I  M  A  .  32  j 

di  baffo  metallo,  ricavandolo  daCaffiodoro,  il  quale  nel  Lib.XiI. 
EpilK  24.  parlando  delle  loro  Ilble  ,  cosi  Icrive  :  Mo?2efa  illic 
quodammodo  percuthur  vìBualis ,  Ma  altro  a  mio  credere  fu  il 
Icntimento  di  Caffiodoro  .  Col  ino  fiorito  flile  egli  loda  le  Sa- 
line Venete  :  Inde  (  cosi  egli  parla  )  vobis  fmóìus  omnh  enafci- 
tur^  quando  In  tpfts  &  qude  non  facitìs  ^  pojjidetis  ,  Moneta  illic 
quodammodo  percutitur  njiHuitUs .  Notili  quel  quodammodo^  cioè 
per  così  dire.  Le  vollre  Salme  per  voi  fono  una  Zecca  ,  perchè 
il  Sale  ivi  formato  vi  provvede  di  tutto  quanto  fi  richiede  al 
vollro  vitto  .  Il  Sale  vi  è  in  luogo  di  Moneta  .  Sommamente 
defiderava  io  di  poter  rinvenire  uno  di  que'  Denari  Venefici  , 
che  abbiam  veduto  fpefi  nel  Secolo  Decimo  ,  e  grandi  ricerche 
ne  feci.  A  quefta  mia  voglia  infine  ioddisfece  rEccellentiffimo 
Sig.  Domenico  Palqualigo  del  quondam  Vincenzo  Senator  Vene- 
to, con  aver  egli  trovato  tre  antichi  Denari  fimili,  che  fommi- 
niftrarono  alni  occafione  anche  d' iikiiìrarli  con  una  erudita 
Differtazione  Campata  .  Io  ne  ho  prodotto  un  iolo  .  Qliìvì  fi 
mira  la  Croce  ,  e  nel  contorno  CHRISTVS  IMPERAT  .  li 
rovefcio  rapprelenta  una  figura  di  Tempio  colle  lettere  VE- 
NECI,  e  un' A.  più  baffo.  Punto  non  dubito  io,  che  tal  Mo- 
neta appartenga  alia  nobililfima  Citta  di  Venezia  ,  grande  or- 
namento d'Italia,  e  non  già  alla  picciola  di  Francia.  Equefli 
Denari  fi  doveano  battere  ivi  ne' vecchi  Secoli  .  Già  li  abbiam 
trovati  in  ufo  nel  Secolo  X.  e  quefto  vien  confermato  dal  Chia- 
rilfimo  P.  Bernardo  de  Rubeis  dell'  Ordine  de'  Predicatori  ,  da 
cui  furono  lette  in  uno  Strumento  del  Friuli  dell'  Anno  P72. 
le  feguenti  parole  :  Ep  perfolvere  exinde  debea7it  Jingulis  annis 
per  om?2em  Mijfam  Sanali  Martini^  Argenteo^  honos  Mediai an ai' 
jes  Jolum  quinque  y  aut  de  Venecia  Jolum  decem  ,  A  que' tempi 
adunque  credo  io  ,  che' s'abbia  a  riferire  il  Denaro  luddetto  , 
nel  quale  non  comparendo  nome  di  alcun  Imperadore  Greco  o 
Latino,  indizio  può  effe  re  fin  d'allora  della  Sovranità  di  quella 
infigne  Repubblica.  Andiamo  ora  a  vedere,  quali  altre  Monete 
Venete   ho  io  potuto  raccogliere. 

La  Seconda  appartiene  ad  £?zr/Vo ,  o  C13,  Arrigo  Dandolo^  Do- 
ge di  Venezia  nel  iipi.  che  lafciò  gran  memoria  delle  lue  il- 
lullri  azioni.  Siccome  accennammo,  fu  egli  il  primo  a  mettere 
ne' Denari  il  ino  nome:  cola  non  praticata  in  addietro.  Nei 
diritto  companlce  f  Immagine  di  Cnllo  con  lettere  Greche  IC. 

Vvv     2  XC. 


524-  Dissertazione 

XC.  cioè  Jcfus  Chrìfius .  Nel  rovefcio  San  Marco  confegna  ai 
Doge  la  bandiera  colle  lettere  H. DANDOLVS,  zìohHem'tcus ; 
e  S.  M.  VENETI  ,  cioè  SanBus  Marcus  .  Veneùa  ,  o  Venetia- 
rum  ,  o  Venet'tcorum  .  Denari  tali  furono  appellati  GroJJi  ,  o 
Mat  apani . 

La  Terza  preffo  il  fu  Padre  Catterino  Zeno ,  Fratello  del  ri- 
nomato Sig.  Apodolo  ,  riguarda  Pietro  Zi  ani  ,  eletto  Doge  nel 
1205.  Q_uivi  fi  vede  Crirto  fedente  col  Vangelo,  e  le  lettere 
IC.  XC.  Il  rovefcio  è  fimile  al  precedente,  fuorché  nelfifcri- 
zione,  cioè  P.  ZI  ANI,  e  S.  M.  VENETI . 

La  Quarta  nel  Mufeo  Bertacchini,  appartiene  al  fuo  Succef- 
fore  Jacopo  Tiepolo  ^  eletto  nel  122^.  E*  fimile  a' precedenti  , 
fé  non  che  ha  l'ifcrizione  lA.  TEVPL.  DVX. 

La  Quinta  parimente  in  Modena  preflb  il  Sign.  Domenico 
Vandelli,  Pubblico  Lettore,  nonèdiverfa.  Ha  le  lettere  R A. 
CENO.  DVX.  cioè  Ra_y?ìerius  Zeno  Dux  nel  1252. 

La  Seda  preffo  il  Sig.  Giufeppe  Cattaneo  in  Modena,  fimile 
all'altre,  ha  quefte  lettere  Li^.  TEVPL.  DVX.  cìoh  Laure  n- 
tiusTeupulus  Dux^  eletto  nel  i2ó'8. 

La  Settima  preffo  il  Dottore  e  Parroco  Padovano  Adamo 
Pivati  ,  ha  IO.  DANDVL.  DVX.  cioè  Giovanni  Dandolo  , 
eletto  nel   1280. 

L'Ottava  nel  Mufeo  Bertacchini,  e  preffo  altri  in  Modena,  ha 
k  lettere  PE.GR  A  CONICO  DVX,  cioè  P^m/j,  eletto  nel  128^. 
In  una  di  quelle   fi   legge   fola  mente  XPVS,  cioè  Chriftus. 

La  Nona  efilfente  preffo  il  Sig.  Pietro  Gradenigo  di  Jacopo, 
Patrizio  Veneto,  è  d'oro  con  figura  diverla  dalle  precedenti . 
Quivi  San  Marco  in  piedi  porge  la  bandiera  al  Doge  inginoc- 
chiato colle  lettere  PET.  GRADO.  DV^X.  aoh  Petrus  Grado- 
nico  Dux  ^  mentovato  nella  precedente.  Nell'altra  facciata  fi. 
vede  l'effigie  del  Salvatore  in  piedi,  ornato  di  varie  Stellette. 
Nel  contorno  fi  legge  :  SIT  T.  XPE.  DAT.  Q.  TV  REGIS 
ISTE  r3VCA.  cioè,  s'io  mal  non  m'appongo 

Sit  tibi ,   Chrifte ,  àatus ,   quem  tu  regis ,   ijie  Ducatus . 

I  precedenti  Denari   fono  d'argento;    quello  è  d'oro.  Gio- 
vanni Dandolo  PredecefTore   di  Pietro  (jradenigo  ,  fu  quegli  che 
cominciò  a  battere  Moneta  d'oro.   Mi  lui  Ieri  ve   Rafaino  Ca- 
riflno  Continuatore  del  Dandolo  :  ^i  etiam  Ducatos  aureos  pri- 
mi tus 


V  E  N  T  E  S  I  ìM  A  S  E  T  T  I  M  A  .  525 

mìms  fieri  juj]it ,  Quel  Denaro  fu  poi  appellato  Zecchino  àd}.- 
hì  Zecca ^  da  cui  ricevette  la  forma  . 

La  Decima  in  Modena  preflb  il  Sig.  Giufeppe  Maria  Catta- 
neo ,  fu  battuta  dal  celebre  Doge  e  Storico  Andrea  Dandolo^ 
eletto  nel  1342.  Vi  fi  vede  San  Marco,  che  da  la  bandiera  al 
Doge  colle  lettere  S.M.  VENETI,  e  AN.  DANDVL.  DVX. 
Nel  rovefcio  l'effigie  di  Grido  Signore  ,  che  forge  dal  Sepol- 
cro colle  lettere  XPS  RESVRESIT. 

L'ya.  nel  Muleo  Bertacchini  è  fimile  alla  precedente,  ma 
con  quella  Ifcrizione  alquanto  diverla,  cioè  S.  M.  VENETI 
ANDR.  DANDVLO  DVX.  L'altra  facciata  ha  Crirto  ,  che 
fla  in  piedi  col  Vangelo  in  mano,  e  benedice  col  verfo  fopra 
riferito  SIT.  T.   XPÉ  &c. 

La  XII.  ha  l'effigie  del  Doge  colle  lettere  ANDR.  DAN- 
DVLO D.  Nel  roveicio  è  un  Lione,  infegna  della  Repubblica  Ve- 
neta, che  tiene  la  bandiera,  colle  lettere  S.  MARCVS  VENETI. 

La  XIII.  preffo  l'Abbate  Domenico  Vandelli,  in  altro  non  è  di- 
verla dalla  precederne  che  neir Ifcrizione,  leggendofi  ivi  lOH. 
DELPHYNO  DVX,  che  nell'Anno  135^.  ottenne  tal  Dignità. 

La  XIV.  nel  Muleo  Bertacchini  è  un  Zecchino,  e  però  ha  fola- 
mente  di  di  verfo  da  gli  altri  il  nome,  cioèlO.  DELPHINO  DVX. 

La  XV.  nello  ftelfo  Muleo,  è  fimile  alla  precedente  fuorché 
nel  nome,  eh' è  ANOR.  CTAR  DVX,  cioè  Andreas  Conta- 
re no  eletto  nel  I  3^7. 

La  XVI.  nel  medefimo  Mufeo  ha  quefla  Ifcrizione  :  FR.  FO- 
SCARI  DVX.  cioè  Francifcus  Fofcari^  creato  Doge  nel  1423. 
Nel  roveicio  fi  vede  l'effigie  del  Salvatore  col  motto  GLORIA 
TIBI   XPE,  cioè  C  bri  fi  e. 

La  XVII.  nello  iteffo  Mufeo  ha  il  buflo  del  Doge  colle  lette- 
re NICOLA VS  TRONV^S  DVx.  eletto  nel  1471.  Nel  roveicio 
il  Lione  tenente  la  bandiera,  e   SANCTVS  MARCVS. 

La  XVIII.  ha  quelle  parole  AND.  VENDRAMIN.  DVX. 
e  le  lettere  M.  P.  Fu  egli  eletto  Doge  nel  147^.  Nel  rove- 
fcio l'immagine  del  Salvatore,  e  le  lettere  lESVS  CHRISTVS 
GLORIA  TIBI  SOLI.  Non  so  le  fia  di  quelle  Monete,  che 
in  Venezia   fi   chiamano  Gialle. 

La  XIX.  prefib  il  Come  Giovanni  Bellincini  di  Modena  ha 
IO.  MOCÈNICO.  DVX.  e  le  lettere  A.  M.  Fu  promoifo 
alla  Dignità  Ducale   nei  1478. 

La 


^i6  Dissertazione 

La  XX.  Nel  Mufeo  Berracchini  appartiene  allo  liefìTo  .  Vi  fi 
mira  la  effigie  ,  che  tiene  in  mano  la  bandiera  colle  lettere 
F.  F.  e  nel  contorno  IOANES  MICENICO,  o  fia  MOCE- 
NIGO  .  Nel  roveicio  mirafi  il  Lione  Veneto  alato  col  Libro 
de'  Vangeli. 

La  XXI.  nel  medefimo  Mufeo  fa  vedere  Grido,  che  fiede  e 
benedice  coli'  ilcnzione  GLORIA  TIBI  SOLI  IG  XG  •  Nel 
rovefcio  S. M.  VENETL  MARC.BARBADICO  DV^X.  Z.M. 
Fu   eletto  nel  1485. 

La  XXII.  nello  liefìTo  Mufeo.  Vi  fi  mira  la  Croce,  e  all'intor- 
no AVO.  BARBADICO  DVX.  cioè  Agofiim  Barbar igo  eletto 
nel  1485.  Nel  rovefcio  il  Lione  con  due  lettere  M.B.  e  nel  con- 
torno SANCTVS  MARCVS  VENETL 

La  XXIII.  fi  dovea  riferir  molto  prima  ,  ma  per  non  effere 
Moneta,  l'ho  riferbata  a  quefto  fito.  Efla  è  un  Medaglione,  o 
fia,  come  dicono  in  Venezia,  un'  Ofelia  ,  battuta  per  onore  . 
Vi  fi  vede  l'effigie  del  Doge  ,  che  porta  in  capo  la  berretta 
Ducale  colle  lettere  CRISTOFORVS.  MAVRO.  DVX.  Nel 
rovefcio  una  Corona,  che  contiene  quella licrizione  RELIGIO* 
NIS.  ET-IVSTICIAECVLTOR.  Fu  promoilb  alia  Digmta 
Ducale  nel  14(52. 

E  FiNQ.uf  delle  più  antiche  officine  Monetarie  d^Italia.  Ven- 
nero poi  tempi  in  Italia,  che  non  poco  cangiarono  il  fiiìema 
e  i'afpetto  delle  cofe.  Perciocché  i  Velcovi ,  e  non  poche  Cit- 
ta ,  volendo  accrefcere  il  loro  decoro  ,  andarono  ottenendo  da 
gli  Augufti  le  Regalie,  fra  le  quali  il  Gius  di  battere  Moneta. 
Ciò  principalmente  cominciò  ad  introdurfi  nel  Secolo  XI.  ben- 
ché non  manchino  eiempli  diVefcovi,  che  anche  molto  prima 
ebbero  temporal  Dominio  ,  e  batterono  Denari  .  Intorno  a  ciò 
fon  da  vedere  il  Tomafmo  eilBlanc.  E  certamente  ad  alcuni 
Velcovi,  ed  anche  Abbati  in  Francia  fi  truova  conferita  prima 
del  Mille  una  tal  facoltà.  Mi  fia  nondimeno  permelfo  di  djre  , 
che  tante  cole  dette  di  effi  Vefcovi  non  s' hanno  da  ricevere 
fenza  efame.  Se  vogliam  credere  al  Biowero  Lib.  IX.  Annal. 
Trever.  Lodovico  Re  di  Germania  nel!'  Anno  po2.  conterà  a 
Rabodo  Arcivefcovo  di  Treveri  Trevericce  C'inj'nntìs  Monetam  . 
Ma  fi  può  dubitare  di  quel  Diploma,  conceduto  da  un  Re  giun- 
to appena  aU'eta  d'undici  Anni,  particolarmente   perchè  tal 

pre- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  ;  527 

prerogativa  fi  dice  non  conceduta  ,  ma  reftituita  a  Rabooo . 
^uce  quondam  tempore  Wemod't  cjusdem  Urbis  Archiepifcopi  de 
Eptfcop^tu  objìrìóia^  &  in  Comkatum  converfa  nofcutJtur ,  Neil' 
Anno  773.  fu  creato  Velcovo  di  Treveri  Weomodo.  Creda  chi 
vuole,  elle  fino  allora,  e  forfè  prima,  appartenere  aque'Ve- 
fcovi  la  fabbrica  de  i  Denari.  Ma  non  fono  mai  mancati  colo- 
ro ,  che  han  cercato  di  dedurre  da  i  più  vecchi  Secoli  la  pre- 
fente  loro  Nobiltà  e  Potenza,  e  ciò  che  l'antichità  ignorò  ,  fi 
vide  con  finti  Strumenti  afferito.  Lo  fteffo  Browero  avendo  tro- 
vato air  Anno  ^02.  il  Conte  in  Treveri  ,  immaginò  ,  Comites 
prò  Archiepifcopo  in  Urbe  jus  dixijjfe ;  e  che  fii  con  quel  Diplo- 
ma reftituito  jus  Treverenjìs  Urbis  Archiepifcopo  .  Ma  Miniftri 
de  i  Re  ed  Imperadori,  e  non  già  de'Vefcovi,  anticamente  fu- 
rono i  Conti  .  Ma  lalciando  andar  quello  ,  dichiamo  ,  che  in 
Iralia  nel  Secolo  XI.  e  XII.  oltre  alle  Citta  di  fopra  riferite  , 
cominciarono  altre  a  godere  il  Privilegio  di  battere  Moneta  , 
con  obbligo  nondimeno  di  mettere  in  efia  il  nome  del  Re  od 
Imperadore  in  fegno  del  fupremo  loro  dominio  .  Il  qual  rito 
andò  a  poco  a  poco  cotanto  crefcendo,  che  ninna  Citta  libera 
o  Principe  vi  reflò  ,  a  cui  non  foife  permcfTo  di  battere  Dena- 
ri d'argento,  e  infine  anche  d'oro.  Anche  allora  fi  ottene- 
va tutto  coli' oro.  Io  dunque,  fecondo  l'ordine  dell'Alfabeto, 
andrò  notando  tutte  quante  le  Monete  de' Principi  e  delle  Cit- 
tà, che  ho  potute  finora  raccogliere. 

Ancona . 

Parecchi  Denan  della  Citta  d'Ancona  ho  io  trovato  in  Mo- 
dena ,  perchè  andando  per  divozione  i  Pellegrini  ad  Aflìfi  ,  o 
alla  Santa  Cafa  di  Loreto,  riportavano  fovente  da  Ancona  di 
quelle  Monete,  (limando,  che  San  Ciriaco  o  Q_uiriaco  ivi  im- 
prelfo,  particolar  virtù  aveffe  per  impetrar  da  Dio  qualche  de- 
terminata grazia. 

La  Prima  Moneta  nel  Mufeo  Chiappini,  e  in  Roma  preflb  il 
Cavaliere  Francefco  Vettori  ,  ha  quella  Ifcrizione  nel  diritto 
♦Jf  PP.  S.  QVIRIACVS,  con  prendere  le  tre  ultime  lettere  dal 
centro.  Nel  rovefcio  è  una  Croce ,  e  all'intorno  DE  ANCO- 
NA.  L'Ughelli  Tom.I.  Ital.  Sac.  ne  rapporta  una  fimile. 

La  Seconda,  confervata  da  molti  in  Modena,  benché  di  va- 
rie 


528  Dissertazione 

rie  forme  ,  rapprefenta  l'immagine  di  un  Veicovo  colle  paro- 
le PP.  S.  QVIRIACVS,  e  in  altre  PP.  S.  CIRIACVS.  L'al- 
tra facciata  ha  la  Croce,  e  nel  contorno  DE  ANCONA. 

La  Terza  nel  Mufeo  Bertacchini  è  finiile  alle  precedenti,  fé 
non  che  ha  le  Chiavi  per  indizio  del  Dominio  delia  Chiefa Ro- 
mana. Protettore  di  Ancona  è  da  lunghiffmio  tempo  Sciti  Ci- 
riaco; ma  chi  egli  fia  flato,  s'è  difputato  afTaifhmo  fra  gli  Eru- 
diti, e  tuttavia  refla  quello  affare  nelle  tenebre  .  Chi  l'ha  giu- 
dicato un  Veicovo  di  Geruialemme  e  Martire  ;  vogliono  altri , 
che  fia  flato  un  Veicovo  di  Ancona  .  Spezialmente  fi  vegga 
rUghelli  ne'Vefcovi  di  Ancona  ,  e  il  Padre Papebrochio  nella 
Prefazione  a  gli  Atti  di  San  Ciriaco  nel  di  4.  di  Maggio.  Han- 
no qua  cacciato  il  capo  non  poche  favole  ,  e  non  mancano  At- 
ti Apocrifi  .  Se  non  mi  aveffe  trattenuto  una  Moneta  di  Rimi- 
no, di  cui  fi  farà  menzione  qu'i  fotto  ,  avrei  fofpettato  ,  che 
gli  Anconitani  avcffero  tenuto  San  Ciriaco,  non  per  un  Vefcovo 
di  Gerufalemme,  o  della  loro  Citta  ,  ma  per  un  Pontefice  Ro- 
mano .  Perciocché  quando  a  i  Santi  fi  aggiugne  il  doppio  P. 
queflo  non  fiiol  fignificare  le  non  PAPA,  come  coda  da  innu- 
merabili prnove  .  In  fatti  nell'  antica  e  favolofa  Leggenda  di 
Santa  Or/ola ^  e  di  (  quafi  non  mi  attento  a  dirlo  )  Undici  mi- 
la Vergini  e  Martiri  fue  Compagne  ,  fi  truova  Papa  Ciriaco  ^ 
Pontefice  fabbricato  da  gl'impodori,  fé  pure  non  è  con  tal  no- 
me indicato  San  Siricio  Papa  ,  come  ha  immaginato  taluno 
per  foftenere  quella  filaftrocca  di  favole  .  Ma  a  tal  folpetto  non 
refta  luogo,  da  che  anche  il  PP.  fi  truova  nella  Moneta  di  Ri- 
mino, oltre  diche  qui  elfo  fi  mette  innanzi  al  nome  del  Santo, 
laddove  per  fignificare  un  Papa  fuole  pofporfi  .  Potrebbe  effe- 
re  ,  che  avvertiti  gli  Anconitani  ,  non  poter  quello  efTere  un 
Patriarca  di  Geruialemme  fi  riduceffero  a  intitolarlo  di  Anco- 
na .  Nel  Mufeo  Bertacchini  fi  veggono  Denari  Anconitani  coli' 
effigie  di  un  Vefcovo,  e  fenza.il  PP.  ma  folamente  S. QVIRLA- 
CVS  EPS,  cioè  Epifcopus, 

La  Qj-iarta  nel  Mufeo  Mufelli  di  Verona  ha  un  Uomo  ,  che 
corre  a  cavallo  colle  lettere  DE  ANCONA  .  Nel  rovefcio 
un' A.  nel  mezzo,  e  nell'intorno  S.  Q^VIRIACVS  PP.  Qlù 
veramente  è  pofpofto  il  PP.  contuttociò  non  credo  che  fignifi- 
chi  Papa. 

Lai  Quinta  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  le  Arme  di  Papa  Pao- 
lo IL 


I 


Ventesimasettima.  52p 

lo  IL  e  fovrapofte  le  Chiavi  e  il  Triregno  ,  e  nel  contorno 
PAVLVS  PAFA  IL  Nel  rovefcio  ò  l'effigie  di  un  Santo,  pro- 
babilmente San  Ciriaco  ,  e  nel  contorno  MARCHIA  ANCO- 
NE. Fra  le  Monete  di  quello  Pontefice  pubblicate  dal  P.  Bo- 
nanni  non  ho  trovata  la  prelente. 

La  Città   dell'Aquila. 

Già*  s'è  veduto  nel  Catalogo  delle  Monete  del  Regno  di 
Napoli ,  quante  ne  fieno  (late  battute  in  quella  Citta  .  Il  tro- 
varfi  inerte  così  Ipefìb  l'Aquila,  può  fervire  d'indizio ,  ch'ef- 
fa  veramente  godefle  un  particolar  Privilegio  della  Zecca. 

Aquileia^  e  fuoi  Patriarchi. 

Lungo  tempo  fu  una  delle  più  nobili  e  riguardevoli Citta 
d'Italia  quella  à\  AquHeia ^  finché  il  furibondo  Re  de  gliHun- 
ni  Attila  s\  fattamente  l'atterrò  ,  che  mai  più  non  alzò  dipoi 
la  teda  .  Veggonfi  molte  Monete  ivi  battute  fotto  i  primi  Im- 
peradori  Cridiani  .   Ma  dopo  il  luo  lagrimevol  eccidio   per  più 
Secoli  niun  vcftigio  ivi  fi  truova  di  officina  Monetaria.  Final- 
mente a  i  Patriarchi  diAquileia,  perchè  fignoreggianti  all'am- 
pia, e  nobil  Provincia  del  Friuli  ,  fu  da  Federico  IL  Auguflo 
conceduta  la  facoltà  di  battere  Moneta  .  Se  prima  que' Patriar- 
chi efercitaflero  quello  diritto  ,  noi  so  dire  .    Almeno  da  quei 
tempo  fi  veggono  Denari  della  loro  Zecca  .    L'  effigie  di  molti 
di  effi  cavata  dal  Mufeo  Padovano  del  Conte  Giovanni  da  Laz- 
zara,  fu  a  me  trasmelfa  dal  Dottore  Adamo  Pivati ,  mio  ango- 
lare Amico  .  Maggior  copia  ancora  me  ne  fomminiftrò  il  Sign. 
Gian-Francef:o  Mulelli,  Arciprete  della  Cattedrale  di  Verona, 
già  raunate  dal  Chiarifs.  Monfig.  Francefco  Bianchini. 

La  Prima  nel  Mufeo  Mufelii  ci  prelenta  l'effigie  del  Patriar- 
ca, che  tien  colla  delira  la  Croce,  un  Libro  colla  finillra  colle 
lettere  VOLFKER.  EP.  QÌohVolfkerius  Epìjcopus.  Nel  rovefbio 
un'Aquila  coronata,  e  nel  contorno  CI VITAS  AQ.VILEGIA. 
Fu  battuta  circa  l'Anno  1220. 

La  Seconda  nello  ìtelTo  Mufeo  ha  una  fomigliante  effigie,  e 
BERTOLDVS  P.  cioh  Patri archa  ,  Nel  rovefcio  la  figura  di  un 
Uomo  colle  mani  alzate,  e  CIVITAS  AQVILEGIA .  All'An- 
no 1234.  o  circa  fi  dee  riferire. 

Tomo  L  Xxx  La 


530  Dissertazione 

La  Terza  nel  Mufeo  Lazzara  è  del  medefimo  Patriarca  ,  fì- 
niile  alla  precedente ,  le  non  che  nel  rovefcio  di  elTa  v'  ha 
un'Aquila. 

La  Quarta  nel  Mufeo  Mufelli  ha  un  fomigliante  diritto  . 
Nel  rovefcio  una  Porta  con  tre  Torri ,  e  CIVITAS  AQVI- 
LEGIA. 

La  QLiinta  nello  fteflTo  Mufeo  ha  la  feguente  Ifcrizione  GRE- 
GORL/5  ELECTVS.  Nell'altra  facciata  l'Arcivefcovo  ,  a  cui 
un  Santo  (  probabilmente  Hermagora  )  porge  la  Croce,  e  CI- 
VITAS AC^VILEGIA  .  EgU  è  Gregorio  da  Montelongo  eletto 
Patriarca  nel  1252. 

La  Sefta.  nel  Mufeo  Lazzara  appartiene  allo  fleffo  Gregorio 
sia  confecrato  .  Nel  diritto  GREGOr/W  PATRI/7rc/6^  .  Nel  ro- 
vefcio  un'Aquila,  e  nel  contorno  AQUILEGIA. 

La  Settima  ,  Ottava  ,  e  Nona  nel  Mufeo  Mufelli  apparten- 
gono al  medeCmo  Gregorio,  Mirafi  un  Giglio  nelle  due  priaie, 
una  Croce  nella  terza. 

La  X.  xr.  e  xii.  nello  ?it^o  Mufeo  hanno  quefla  Ifcrizione  : 
RAIMVNDVS  Vkmarcha^  e  nel  rovefcio  AQVILEGENSIS  . 
Egli  è  B^a'imondo  dalla  Torre  eletto  nel  1272.  la  à\  cui  Arme  , 
cioè  la  Torre,  fi  mira  nella  Decima;  e  l'Aquila  ,  o  i  Gigli  coli* 
immagine  della  Beata  Vergine  nell'altre  due. 

La  XIII.  nel  Mufeo  Lazzara  appartiene  al  medefimo  Patriar- 
ca, &  ha  due  Chiavi  denotanti  l'autorità  fpirituale  e  tempora- 
le; e  due  Torri,  infegne  della  fua  Cafa. 

La  XIV.  nello  flelTo  Mufeo  ha  la  feguente  Ifcrizione  :  PE- 
TRVS  PATRIARKA,  eletto  circa  l'Anno  i2pp.  Nel  rove- 
fcio un'Aquila  coli' Arme  del  Patriarca,  e  le  lettere  AQVI- 
LEGENSIS . 

La  XV.  nel  Mufeo  Mufelli  è  poco  diverfa  dalla  precedente. 
Nella  XVI.  del  Mufeo  Lazzara  comparifce  1'  effigie  del  Pa- 
triarca colle  lettere    OTOBONVS  Vhmarcha  .    Nel  rovefcio 
le  fue  Arme,  ed  AQVILEGENSIS.  Fu  eletto  nel  1301. 

Nella  XVII.  del  Mufeo  medefimo  fi  legge  VAGAnus  PA- 
TKiarcha  eletto  circa  il  13 15?.  Il  rovefcio  ha  una  Torre,  ed 
AQVILEGIA. 

La  xviii.  nello  fìeffo  ha  l'Immagine  della  Madre  di  Dio, 
che  ha  in  braccio  il  Divino  Infante  ,  e  BERTRANDVS  P. 
z\oh  Patriarcha^  eletto  nel  1335.  Nell'altro  lato  un'Aquila  ed 
AQ^VILEGENSIS. 

La 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  5JI 

La  XIX.  nel  Mufeo  Mufelli  ha  nel  diritto  una  Croce  e  DEVS. 
All'intorno  BERTRANDVS  PATr;>cHA.  Nel  rovelcio  l'ef- 
fioie  d'un  Santo  coli' ifcrizione  S.  HERMACHOR^s  AQVI- 
LEGI^-NSIS. 

La  XX.  è  poco  diverfa  dalla  precedente. 

La  XX r.  nel  Mufeo  Lazzara  ha  un  Lione  coronato  rampan- 
te colle  lettere  MONETA  NICOLAI  .  Nel  rovelcio  (ia  la 
Croce,  e  all'intorno  PATRi/rrc^AE  AQVILEG^Ay^i .  Fu  que- 
lli eletto  nel  1350. 

La  XXII.  ivi  pure  fi  truova.  Nel  diritto  ha  MONETA  LV- 
DOVICI.  Di  qua  e  di  la  due  Scettri  colle  lettere  LV.  Nel  ro- 
velcio è  l'Aquila,  ePATRL^RCHA  AQyiLeGEN/is,  elet- 
to  nel  1358. 

La  XXIII.  nel  Mufeo  Mufelli  è  del  medefimo  Lodovico.  Sie- 
de egli  nella  Cattedra  o  Faldifìoro  colle  lettere  LVDOVICVS 
VhtYtarcha  ,  Nell'altra  facciata  una  Torre,  Arme  fua,  da  cui 
efcono  due  Scettri  Gighati,  e  di  qua  e  di  la  LV.  Nel  contorno 
AQ^VILEGIA. 

La  XXIV.  del  Mufeo  Lazzara  fa  vedere  un'Aquila.  Nel  con- 
torno fi  legge  MONETA  MARQ\^ARDI  PATr/'^rc/^^E  , 
eletto  nel  i3<^4.  Nei  rovelcio  l'Immagine  di  un  Santo  colle 
lettere  S.  HERMACORA,  che  fu  il  primo  Vefcovo  di  Aqui- 
leia . 

La  XXV.  nel  Mufeo  Mufelli  ha  un  Globo  fopra  un  guanciale, 
fotto  cui  fta  un  M.  e  all'intorno  MARQ\^ARDVS  PATR.  Nel 
rovefcio  la  Croce  con  AQVILEGENSIS. 

La  XXVI.  nel  Mufeo  Lazzara  ha  l'Arme  Regia  di  Francia  , 
cioè  tre  Gigli  colle  lettere  FILIPPVS  COMINARIS  .  Neil' 
altra  parte  un'  Aquila  con  PATRIARCHA  AQ^VILEGEN- 
SIS.  Era  quefli  del  Sangue  Reale  di  Francia,  e  de' Conti  di 
Alenzon,  ornato  della  Porpora  Cardinalizia ,  e  deftinato  circa 
l'Anno  1382.  a  reggere  la  Chiefa  d'Aqiiileia.  Ma  che  è  quel 
Cominaris  ?  Forfè  fon  corrole  le  lettere  .  Il  mio  fofpetto  è  , 
che  fia  un'  abbreviatura  di  COMwEN^A/^^RI^/S  ,  cioè  Com- 
mendatarius ;  perchè  a  cagion  di  quello  Titolo  ,  che  facea  di- 
ventare quella  ricchiffima  Chiela  ,  per  cosi  dire  ,  un  Benefizio 
femplicc,  fi  rivoltò  la  Patria  del  Friuli,  e  ne  nacque  una  lun- 
ga guerra. 

La  xxvii.  nel  Mufeo  Mufelli  ha  nel  diritto  un'  Aquila  fca- 
vata,   e  le  lettere  IOANES  PATRIARCA  AQyi.  Nel  ro- 

Xxx     2  vefcio 


532  Dissertazione 

vefcio  un  Vefcovo  fedente  nel  Faldiftorio  coll'ifcrizione  S.  HER- 
MACHORAS.  QuQfìo Giov anni  y  durante  lo  Scifma  ,  fu  eletto 
circa  l'Anno  138^. 

La  XXVIII.  nel  medefirao  Mufeo  ha  un  Elmo  colle  penne  fo- 
pra  l'Arme  dello  flefTo  Patriarca,  colle  lettere  IOANES  PA- 
TRIHA.  Il  r^ovefcio  poco  diverto  dal  precedente. 

La  XXIX.  nel  fuddetto  Mufeo  ha  lo  Scudo  coli'  Arme  della 
Gala  Gaetana  con  due  fafcie  o  vipere  trafitte  da  uno  fpiedo  , 
Nel  contorno  ANTONIVS  PATRIARCHA  ,  eletto  nel  13^5. 
Ilrovefcio  ha  la  Croce,  ed  AQVILEGENSIS. 

La  XXX.  in  elfo  Mufeo  è  poco  diveria  dalla  precedente  .  Ha 
nel  rovefcio  un'Aquila. 

La  XXXI.  nello  ftelTo  Mufeo.  Ha  uno  Scudo  coli' Arme  diffe- 
renti dalle  precedenti ,  e  le  lettere  ANTONIVS  PATRIAR- 
CHA. Nel  rovefcio  un'Aquila,  ed  AQVILEGENSIS.  Appar- 
tiene ad  Antonio  da  Portogruaro^  eletto  nel  1402. 

La  XXXII.  nello  fteffo  Muieo,  ha  uno  Scudo  con  Arme  a  fcacchi  ^ 
e  le  lettere  LV  DOVICVS  D VX  DE  TECH ,  eletto  nel  i  3 1  8.  Nel 
rovefcio  l'Immagine  della Beatils.  Vergine,  ePATRA  AQViLE. 

La  XXXIII.  parimente  nel  Muleo  Mulelli  è  un  Medaglione  . 
V'ha  la  figura  di  un  Ecclcfiaflico  colla  Corona  Chericale,  e  all' 
intorno LVDO...  AQ\'ILEGIENSIVM  PATRIARCHA  EC- 
CLESÌAM  RESTITVIT  .  Nel  rovefoo  loldari  in  moto  coli' 
ifcrizione  ECCLESIAM  RESTIT«/V  EX  ALTO.  Appartie» 
ne  a  Lodovico  Scarampo  Cardinale  ,  che  nel  1440.  eletto  Pa* 
triarca,  venne  ad  un  accordo  colia  Repubblica  Veneta. 

Ariminuin  ,  cioè   Rimino . 

Piu^  Monete  di  Rimino  ho  io  veduto  di  differente  mole  5 
ina  quafi  tutte  col  medefimo  afpetto.  Vi  fi  mira  l'effigie  di  un 
Vefcovo  colle  lettere  PP.  S.  GAVDECIVS  ,  cioè  SanGauden- 
zjo  Vefcovo  e  Piotettore  di  quella  Citta.  Nell'altra  facciata  una 
Croce,  e  DE  ARIMINO.  Come  ne' Denari  dì  Ancona,  cos\ qui 
comparifcono  iduePP.  iquali  quantunque  altrove  fogliano  fignifi- 
careP/7^/7,  qn'i  nondimeno  pare  che  altro  lenfo  non  abbiano,  fuor- 
ché quello  ài  Perpctuus Patronus ^  oPatriceProtetìor  ^  o  altro  firn. ile. 

La  Seconda  in  Roma  preffo  l'Abbate  Benedetto  Fioravanti  . 
Quivi  fi  legge  SANT.  IVLIANVS,  Nel  rovefcio  la  Croce  ,  e 
DE  ARIMINO. 

Aggiun- 


Ventesimasettima.  5jj 

Ags^iungafi  un  Medaglione  del  Mufeo  Bertacchini.  Ivi  T  effi- 
gie Si  un  Principe  laureato  coli'  ifcrizione  SIGISMVNDVS 
PANDVLFVS  MALATESTAPAN^;^//F/7/^^5.  Nel  ro  vele  io 
la  facciata  del  Tempio  di  SanFrancefco,  da  lui  fabbricato,  col- 
le lettere  ^KECLArum  ARI  MINI  TEMPLVM  AN.  GRA- 
TI AE  V.  F.  (  cioè  Vivensfech  )  MCCCCL.  Vedi  (juì  fotto  al- 
la voce  Malatejìa  altre  Monete  di  lui , 

Arezzo . 

Un'  antica  Moneta  à' Are-z^  fece  a  me  vedere  il  Cavalie- 
re Gregorio  Redi  ,  figlio  del  celebre  Francefco  ,  e  Patricio  di 
Arezzo.  Nell'una  parte  fi  vede  l'effigie  di  un  Santo  Vefcovo 
colle  lettere  S.  DONATVS.  Protettore  della  Citt^ .  Nell'altra 
una  Croce,  e   DE  ARITIO. 

La  Seconda  poco  diverfa  ha  quella  Ifcrizione  PP.  S.  DO- 
NATVS :  da  cui  fempre  più  fi  fcorge  ,  che  PP.  nelle  Monete 
è  adoperato  non  ^QtPapa^  ma  ^^tv  Patronus.  Nel  rovefcio  fla 
DE  ARITIO. 

La  Terza  è  fimile  alla  precedente,  fuorché  nel  rovefcio. 

La  Quarta  nel  Muleo  Mulelli  è  poco  differente  dalla  prece- 
dente. Leggefi  anch'ivi  DE  ARITIO.  Cosi  fi  feri veva  allora. 
Gorello  nella  Cronica  da  me  data  alia  luce  ne  fa  fede  fcrivendo: 

Il  'vero  nome  mìo  fu  fempre  Art^jo 

Per  le  moli  Are  ^  cIj  eran   nel  mìo  centro -^ 

Dove  a  gli  Dei  Ji  face  a  facrìJÌ7:io . 

Ma  nelle  picciole  Monete  di  rame  di  effa  Citta  fi  vede  DE 
ARRETIO. 

Afcoli . 

Anche  ad  Afcoli  Citta  della  Marca  Anconitana  appar- 
tenne una  volta  il  pregio  di  poter  battere  Moneta  .  Dal  Pa- 
dre Filippo  Camerini  Prefidente  dell'Oratorio  di  Camerino  mi 
fu  inviata  una  Moneta  di  rame,  dove  compariice  la  facciata 
di  una  Porta  ,  o  Poate  ,  o  altro  edifizio  con  Torri  .  Nel  con- 
torno le  lettere  DE  ASCHOLO .  Il  rovelcio  ha  la  Croce  con 
de' Gigli  ne  gli  angoli. 

La  SecoiLcia  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  l'Arme  gentilizie  di 

un 


534-  Dissertazione 

un  Papa ,  probabilmente  Alejf andrò  VI,  con  fopra  le  Chiavi  e 
il  Triregno  5  e  nel  contorno  ALE....  P.  M.  nel  rovefcio  una 
Porta  con  due  Stellette,  e  DE  ASCVLO. 

La  Terza  più  antica  ha  le  lettere  MARTIN.  PAPA  ,  e  le 
Chiavi  di  fopra.  Sara  Martino  V,  nel  rovefcio  fi  legge  S.  EMI^- 
DIVS  (Protettore  della  Citta)  ESCVLO. 

La  Quarta  preffo  l'Abbate  Fioravanti  ha  R.  SPORTI  A  , 
cioè  Roberto  Sfor^  Signore  d'Alcoli.  Nel  rovefcio  S.  EN4I- 
DIVS  DE  ESCVLO.  Un  altro  fimile  preffo  il  CavalierFran- 
celco  Vittorio  ha  PP.  S.  EMIDIVS.  8cc.  E  in  altro  fi  legge 
EVGENIV.  PAPA.  S.  EMMID.  D.  ESCVLO. 

Afti. 

Gran  figura  fece  una  volta  in  Lombardia  la  Citta  à'A/ìL 
Una  delle  lue  Monete  efiftente  nel  Mufeo  Chiappini  di  Piacen- 
za ha  nel  contorno  CVNRADVS  II.  e  nel  mezzo  REX  . 
Nel  rovefcio  la  Croce  colle  lettere  ASTENSIS.  Da  e  fio  Cor- 
rado II.  ebbe  quel  Popolo  licenza  di  battere  Denari  ,  jus  fa- 
ctend<ie  Moneta^  nell'Anno  1140.  come  apparifce  dal  fuo  Di- 
ploma nel  Tom. IV.  dell'Italia  Sacra.  Un'altra  fimile  Moneta 
fi  conferva  in  Modena  nel  Mufeo  Bertacchini. 

Bergamo . 

Tre  Denari  di  Bergamo  ho  io  veduto.  Ne  poffeggo  io  uno 5 
dove  fi  vede  la  figura  di  un  Imperadore  laureato  colle  lettere 
IMPRT.  {  cioh  Imperator  )  FREDERICVS,  da  me  creduto  il 
Primo.  Nel  rovefcio  la  figura  di  una  Citta  con  Torri  polla  fo- 
pra un  Monte  ,  come  appunto  Ila  Bergamo  .  V  ha  le  lettere 
PERGi\MVM  :  che  cosi  ne' Secoli  barbarici  fi  nomava  quella 
Citta.  Rapporta  l'Ughelli  nell'Italia  Sacra  Tom.  IV.  un  Di- 
ploma di  elfo  Federigo  I.  dato  nell'Anno  11 5<5.  in  cui  concede 
a  Gherardo  Vefcovo  di  Bergamo,  ut  liceat  ei  in  Civitatefua  Mo- 
netam  publicam  cudere  ,  per  omnsm  Comitatum  &  Epifcopatum 
ejus  Dativam.  I  Denari  da  me  veduti  li  credo  battuti  dalla  Re- 
pubblica di  Bergamo  ,  avendo  effa  continuato  anche  ne'  tempi 
fuffeguenti  a  mettere  in  effi  il  nome  di  Federigo  conceditgre  di 
quel  Privilegio,  come  ufarono  anche  altre  Città. 

Boi»- 


V  E  N  T  E  S  I  MA  SETTIMA.  5j5 

Bologna . 

Già'  fu  avvertito  da  Carlo  Sfgonio  nelLib.IV.  Hìjì,  Bonort, 
e  pofcia  dal  Ghirardacci  5  che  l'infigne  Cittk  di  ^o/o^/?^  otten- 
ne nell'Anno  ii(?i.  da  Arrigo  V.  fra  gli  Augufti,  e  Sedo  fra'i 
Re,  la  facoltà  di  fabbricar  Denari  .  Ho  io  pubblicato  Io  fìefTo 
Diploma  dato  in  Bologna  Id'tbus Februariì  del  fuddetto  Arrigo, 
non  peranche  coronato  Imperadore  ,   in  cui  concedè  a  i  Bolo- 
gnefi  licentiam  hi  Cìvttate  Bonotùce  cudentii  Monetam  .  Non  fi 
dee  tacere  ,  aggiugnere  eflb  Sigonio  (  fé  pur  non  è  quella  una 
giunta  fatta  da  altri  a  quella  poftuma  Storia  di  lui  )  che  non 
mancò  a  Bologna  il  Gius  di  battere  Moneta  Langobardorum  tem* 
por i bus ^  queìnadmodum  ex  Privilegio  Dejiderii  Regis  Vit^erbienji- 
bus  dato  cognofcitur.   Il  Privilegio  qu'i  citato,  altro  none,  che 
il  famolo  Editto  ,  tuttavia  incifo  in  Tavola  di  marmo,  ed  efi- 
flente  in  Viterbo,  che  lo  fleffo  Sigonio  rammentò  nel  Lib.IIL 
de  Regno  hai,  e  il  Grutero  inferi  come  una  gioia    nel  Teforo 
delle  Ilcrizioni,  per  tacere  altri  fuoi  Panegerifli  .  Non  è  da  ftu- 
pire,  fé  non  feppero   ben  guardarfi  da  qiieflo  finto  Editto  i  vec- 
chi, perchè   non  abbondava  in  tifi  la  Critica  .   Abbiamo  bensì 
da  maravigliarci,  come  l'Olftenio  Uomo  certamente  da  mette- 
re fra  i  primi  Letterati ,    e  bene  fperto  in  effa  Critica  ,  dopo 
tanta  luce  data  in  quelli  ultimi  tempi  all'  Erudizione  Ecclefia- 
fìica  e  profana  ,  giugneife  non  folo  ad  approvare  ,  ma  anche 
a  difendere  (  come  non  ha  molto  ha  tentato  anche  un  Lette- 
rato da  Viterbo)  un  si  fcreditato  monumento,  riconofciuto  per 
un'impollura  dal  coro  de  gli  altri  uomini  Dotti  .    Bafla  vedere 
il  folo  fopr' accennato  paflb  perconofcere  la  falfita  della  mer- 
ce. Ivi  fi  legge  :  Permittimi4s  (  cioè  al  Popolo  di  Viterbo  )  Pe- 
cuntis  imprimi  F.  A.  L.  L  fed  amoveri  Hercitlem  ,    &  poni  Saìi- 
Hum  Lauremium  eorum  patronum  ^  itt  facit  Roma  &  Bonomia.  La- 
fcio  andare  quella  frafe  Pecuniis  imprimi  ;  e  dico,   trovarfi  qui 
non  una  favola.  Si  dee  tenere  per  falfo  ,  che  foffe  conceduto  il 
Gius  della  Zecca  ad  un  Cartello  o Fortezza,  come  era  Viterbo, 
detto  da  Anaftafio  Bibliotecario  Viterbie?ìfe  Caftrum^  quando  ne 
erano  prive  quafi  tutte  l'altre  più  illuflri  Citta  d'Italia.  Falfo 
è  parimente,  che  allora  fi  battefìfe  Moneta  in  Bologna;  e  molto 
più  il  dire,  che  la  Pecunia  Romana  e  Bolognefe  portaffe  l'effi- 
gie di  San  Lorenzo.  Niuna  di  tali  Monete  fi  è  mai  veduta,  né  (ì 

ve- 


53^  Dissertazione 

vedrà.  Qiiello  che  in  fine  (Irozza  qiiefto  fpurio  Editto  ,  fi  è  il 
dir  ivi  Defiderio  d'aver  egli  edificata  PETRAìM  SANCTAM, 
OLIM  FArVVM  FERONIAE.  Ma  quella  fabbrica  non  gli 
corto  un  quattrino.  G'Ùl  Rafaello  Voiaterrano  fcrifTe,  che  Pietra 
Santa  fu  fabbricata  da  i  Lucchefì  ,  allorché  erano  in  appren- 
fion  di  guerra  co  i  Genovefi.  Petr^m  San6lam  Lucenftum  adifi- 
cium^  quo  tempore  de  jìn'tbus  tilt  cum  Genueììfihus  Itt'tgnhant  . 
Ivla  più  precilamente  dell'origine  di  quella  Terra  parlò  uno  Sto- 
rico più  antico  ,  cioè  Tolomeo  da  Lucca  ne  gU  Annali  brevi 
fcritfi  da  lui  nell'Anno  1303.  Ecco  le  fue  parole  all'Anno  1255. 
Dom'mus  Guifcardus  de  Petra  Sa-aBa  (Milanefe)  /f^/V  hìc  Pote- 
jìas  (  di  Lucca  )  qui  de  Verftl'ta  duos  Burgos  ,  unum  ex  SUO 
NOMINE  nomina'vit  y  aherum  vero  Campum  Ma/orem  .  Hunc 
rujìkis^  feu  hom't?iibus  Cattaneorum  ;  alium  vero  de  Petra  Santla 
replevh  hominìbus  de  Corvaria  &  de  Vallecchìa  &c*  Ci  vuol  egli 
di  più  per  riconofcere  sfacciatamente  finto  tutto  quell'Editto? 
Per  conleguente  va  anche  a  terra  il  dirfi ,  che  Bologna  a'  tem- 
pi de' Longobardi  battelfe  Moneta. 

La  Prima  Moneta  de'Bolognefi,  da  me,  e  da  moltifllmi  altri 
poffeduta,  ha  nel  diritto  ENRICVS,  e  nel  mezzo  IPRT.  cioè 
le  lettere  iniziali  delle  Sillabe,  che  formano  la  parola  Ym^e^a- 
Tor  .  Egli  è  Arrigo  ^tìito  fra  gli  Augnili  ,  il  quale  ,  ficcome 
vedemmo,  nel  iipi.  concedette  un  tal  Privilegio  ai  Bolognefi. 
Nel  contorno  del  rovefcio  fi  legge  BONONL  con  un' A  nel 
mezzo,  che  compie  la  parola  jBowow/^ . 

La  Seconda  nel  Mufeo  Bertacchini  ,  e  prefTo  altri  Modenefi 
nell'una  parte  ha  BONONIA  ,  e  nell'altra  MATER  STV- 
DIORVM.  il  qual  gloriofo  titolo  quella  illuftre  Citta  non  fen- 
za  ragione  fé  l' attribuì,  e  per  gran  tempo  ritenne  nelle  fue 
Monete. 

La  Terza  a  me  comunicata  dal  riguardevole  Cavaliere  di 
Bologna  Marcheie  Gian  Paolo  Pepoli,  ha  nel  diritto  la  Croce, 
e  TADEVS  DE  PEPOLIS,  cioè  quegli,  che  nel  1337-  ^^etto 
Signore  di  Bologna  ,  nobilmente  la  governò  con  trasmettere 
anche  a' fuoi  Figli  quella  Signoria.  Nel  rovefcio  fi  mira  l'ef- 
fìgie di  San  Pietro  col  Libro  nella  fìniftra  ,  e  le  Chiavi  nella 
delira.  Stanno  all'intorno  le  lettere  S.  P.  (cioè Sanóius Petrus^ 
in  riconofcimento  della  Sovranità  Pontificia  )  DE  BONONL^. 
Attefta  il  Ghirardacci,  che  tali  Denari  furono  da  lui  battuti 
nell'Anno  iuddetto;  e  ciò  vien  confermato  dall'Autore  della 

Mi- 


Ventesima  SETTIMA.  517 

Mìfcella  da  me  data  alla  luce,  con  aggingnere  5  ch'efìTa  Moneta 
valeva  due  Soldi  d'argento. 

La  Quarta  efiflente  in  Modena  nel  MufeoBertacchini.  Nel 
diritto  lì  legge  lA.  ET.  IO.  DE  PPLIS  ,  e  nel  mezzo  FRES  , 
cioè  J acohus  ,  &  Joha?ines  de  Pepolìs  Fr^tres  ,  i  quali  dopo  la 
morte  di  Taddeo  loro  Padre  nell'Anno  1347.  cominciarono 
a  fignoreggiare  in  Bologna.  Nell'altra  facciata  v'ha  BONO- 
NIA. 

La  Qiiinta  in  Modena  ha  le  lettere  lOHES  VICECOMES, 
cioè  Giov^innl  P'ìfcoììte  Arcivefcovo  e  Signor  di  Milano  ,  che 
nell^Anno  1350.  comperò  da  i  Pepoli  il  dominio  di  Bologna. 
Nel  rovefcio  BONONIA. 

Nella  Sella  fi  vede  l'effigie  di  un  Pontefice  Romano  colle  let- 
tere VRBAN.PP.  V.  e  nel  rovefcio  BONONIA  colf  Arme  odel 
Legato  Pontifizio,  o  del  Gonfaloniere.  Fu  battuta  nel  1358. 

La  Settima  nel  Muleo  Bertacchini  è  molto  più  reeente.  Qui- 
vi è  l'effigie  di  San  Petronio  Velcovo  e  Protettore  di  Bologna 
colle  lettere  S.  PETRONIVS.  Nel  rovefcio  un  Lione  rampan- 
te, che  tiene  una  bandiera,  colle  lettere  BONONIA.  DOCET, 
del  quale  elogio  tuttavia  fi  ferve  quella  Citta  per  denotare  l'an- 
tica fua  prerogativa. 

L'Ottava  nello  ftefìfo  Mufeo  ha  la  Croce  con  tre  Stelle,  Arme 
di  non  so  chi;  e  all'intorno  BONONIA  .  Nel  rovefcio  è  il  fud- 
detto  Lione,  e  DO. CET. 

La  Nona  nel  Mufeo  Mufelli  di  Verona  è  molto  fomigliante  al- 
la Settima  .  Ivicomparifce  l'effigie  del  Santo  Protettore  colle  let- 
tere S.  PETRONIVS  DE  BONONIA. 

La  Decima  nel  Mufeo  Chiappini  di  Piacenza  ha  le  Chiavi  , 
cioè  l'Arme  della  Chiefa  Romana ,  che  nel  17,60.  e  più  altre  vol- 
te ricuperò  il  dominio  di  Bologna  .  Nel  contorno  fi  legge  DE 
BONONIA.  Nell'altra  facciata  il  Protettore  portante  in  mano 
la  Citta  colle  lettere  S.  PETRONIVS. 

L'Undecima  d'oro  ha  l'immagine  di  San  Pietro  colf  ifcrì- 
zione  S.  PETRVS  APOSTOLVS  .  Nel  rovefcio  BONONIA 
DOCET  .  Il  Sigonio  Libro  III.  de  Epifc.  Bonon.  parlando  di 
Filippo  Carrafa  Napoletano  fcrive  ,  che  i  Bolognefi  nell'  An- 
no 1380.  Nummum  aureum  percufferunt  in  quo  ah  hìio  Intere 
Leonem  Vexillum  Libertatis  tenentem  cum  ìherts  BONONIA 
DOCET  y  ab  altero  imaginem  cum  -aomìne  Sant'i  Petri  finse- 
runt . 

Tomo  L  ^  Yyy  Si 


5j8  Dissertazione 

S I  può  aggiugnere  qui  una  Medaglia  di  Giovatint  li.  Be7nU 
'voglio^  efiftente  nel  Mufeo  Bertacchini  .  Fu  egli  come  Padrone 
di  Bologna.  Un'altra  più  tolto  Medaglia,  che  Moneta,  mi  fu 
comunicata  dal  Dottore  Giam-Batifla  Bianconi  pubblico  Lettore 
di  Bologna.  Ivi  l'Arme  Bentivogiia  ,  e  le  lettere  IOANNI  II. 
BENTIVOLO.  Nel  rovefcio  l'Aquila  Imperiale,  e  CONCES- 
SIO  MAXIMÌLIANI,  cioè  Imperadore. 

Brefcia  • 

Per  quanto  fcrive  il  Caprioli  nel  Lib. V.  della  Storia  Brc- 
fciana,  nell'Anno  ii6z.  Brixìanis  a  Federico  (cioè  il  Primo  ) 
Imperarore ^  Brixice  diebus  oóió  manente^  conce jjum  efl  eorum  Jt- 
gnis  Monetarii  cudere.  Il  Canonico  Paolo  Gagliardi  una  di  tali 
Monete  mi  additò,  efifiente  in  Brefcia  prelfo  il  Conte  Giovan- 
ni da  Martinengo  .  Una  fimile  fi  conlerva  in  Padova  nel  Mu- 
feo Lazzara.  Quivi  è  la  Croce  colle  lettere  BRISIA  ;  e  nel  ro* 
vefcio  le  Immagini  de' Santi  Protettori  della  Citta,  cioè  S.  FAV- 
STINV.  S.  IO  VITA, 

La  Seconda  nel  Mufeo  Bertacchini.  Ivi  la  Croce,  eBRISIA. 
Nel  rovefcio  reftano  le  fole  lettere  ATOR  .  Verifimilmente 
v'era  fcritto  FEDERIC.  IMPERATOR.  Qiiefta  è  più  antica 
della  precedente . 

La  Terza  comunicatami  dal  fuddetto  Canonico  Gagliardi  ha 
la  Croce  colle  lettere  I.  II.  P.P.  compartite  ne  gli  angoli .  Nel 
contorno  BRISI A;  e  nel  rovefcio  l'effigie  de' Santi  Prorettori. 
Era  quel  dottiffmio  uomo  di  parere,  che  tal  Moneta  foffe  bat- 
tuta da  i  Brefciani  in  onore  di  Papa  hinoceii-zo  IL  il  quale,  fe- 
condo il  Malvezzi  nella  Cronica  di  Brefcia  nell'Anno  1132.  o 
pure  nel  feguentc,  come  pretendeva  elfo  Canonico  ,  fi  portò  a 
Brefcia.  Mancano  Scrittori  contemporanei,  che  c'inftruifcano 
meglio  di  quello  fatto  .  Ma  pollo  anche  l'arrivo  di  elfo  Papa 
colà,  non  fi  sa  intendere,  come  il  Popolo  di  Brefcia  battelfe 
allora  Moneta,  dappoiché  tanto  dopo  ne  impetrarono  il  Gius 
da  Federigo  I.  Né  certamente  in  quella  Citta  ebbe  o  pretefe 
temporal  dominio  il  Pontefice  fuddetto .  Sarebbe  da  veder  me- 
glio ,  fé  da  quelle  lettere  rifultafie  più  tolto  INPR  ,  cioè 
Imperator  ♦ 


Carne- 


Ventesimasettima,  5  jp 

Camerino. 

Celebre  fu  ne' Secoli  barbarici  la  Cittk  dì  Camerino  ^  per- 
chè Capo  di  una  Marca  ,  diftinta  dal  Ducato  di  Spoleti ,  an- 
corché talvoka  un  lolo  Principe  ad  amendue  comandale  .  An- 
ch'efla  dipoi  fi  mife  in  hberta  ,  e  battè  Monete  ,  alcune  delle 
quali  poffeggo,  e  l'altre  le  debbo  al  P.  Fihppo  Camerini  Prete 
dell'Oratorio.  La  Prima  è  nel  Mufeo  Bertacchini  di  Modena. 
Nel  luo  contorno  fi  legge  VRBS  CAME,  e  nel  mezzo  RI- 
NA. Nel  roveicio  l'Immagine  del  Vefcovo  colle  lettere  S.  AN- 
SO VINVS  . 

La  Seconda  è  in  mio  potere  .  Nel  mezzo  fi  mira  la  Croce, 
e  all'intorno  DE  CAMMERENO.  Somigliante  al  preceden- 
te è  il  rovefcio. 

La  Terza  per  la  grandezza  è  alquanto  diverfa,  fimile  nel  re- 
flo  ,  fé  non  che  ha  in  cima  l'Arme  di  quella  Città  ,  cioè  tre 
Torri  o  Cafe . 

La  Quarta  preifo  il  P.  Camerini  ha  VR.  CAMERIN.  e  nel 
mezzo  A.  cioè  Urhs  Camcr'ma  .  Neil'  altra  facciata  SANTVS 
VENA,  e  nel  mezzo  TI VS 5  cioè  SanVenan7:o^  altro  Protet- 
tore di  quella  Citta. 

La  Qiiinta  ha  l'Arme  della  Citta  colle  lettere  D.  CAMER. 
cioè  deCamer'nìo^  le  pur  non  foffe  Domitìus  Camerini  »  Nell'al- 
tra parte  la  Croce,  e  S.  VENANTIVS. 

La  Seda,  Settima  ,  ed  Ottava  nel  Muieo  Mufelli  fon  fimili 
alle  precedenti,  e  pur  v'ha  fra  loro  qualche  diverfità. 

La  Nona  da  me  poflfeduta  moi'ira  l'effigie  di  un  Principe  coli' 
Ifcrizione:  IO.  MARIA  VARANVS  CAMERINI  D.  cioè  Gio- 
vanni  Maria  Varano  Signore  o  Duca  di  Camerino  .  Lungamente 
fignoreggiò  in  quella  Citta  la  Nobil  Cala  Varana  .  Gian-Maria 
verfo  il  fine  del  Secolo  XV.  prele  il  titolo  di  Duca  .  Nel  ro- 
veicio l'Arme  gentilizia  col  motto  DISTINGVE  ET  CON- 
CORDABIS.  Altre  Monete  di  lui ,  e  di  Giulia  lua  Figlia,  ho 
veduto,  ma  le  tralafcio. 

La  Decima  ha  l'effigie  di  San  Venanzo  ,  che  tien  la  ban- 
diera colle  lettere  VENAN.  Nei  roveicio  l'  Arme  della  Ca- 
fa  Varana,  e  nel  contorno  CAMARINEN.   VR.  cioè  Urbis. 

L'xi.  nel  Mufeo  Mulelli  ha  quella  iicrizione  IOANNA  M. 
ET.  IO.  MARIA  VAR.  CAM.    cioè  Giovanna    de'  Malatefti 

Yyy     2  Ma- 


54.0  Dissertazione 

Madre,  q  Gian  Maria  Vm-nno^S'ignoxi  à.'\.Camerhìo.  Nelrovefcio 
S.  VENA;^TIVS,  DE  CAMERINO» 

Como  • 

Truovasi  nel  Mufeo  Bertacchini  di  Modena  una  Moneta  di 
Como.  Moftra  l'effigie  di  un  Imperadorc  ,  tenente  colla  delira 
lo  Scettro  ,  e  colla  finiftra  accoftante  una  Rofa  al  naio.  Si  leg- 
ge FREDERICVS  IMPERT.  Se  il  primo  ,  o  il  Secondo  ,  noi 
so  dire.  Nel  rovefcio  pare  un'Aquila,  ornata  di  perle  o  gem- 
me, e  nel  contorno  CIVITAS  CVMANA  :  che  cosi  una  vol- 
ta i  Comafchi  confondevano  la  loro  Citta  con  quella  di  Cu- 
ma.  Alche  non  avendo  fatto  mente  il  P.  Pagi ,  contro  il  dove- 
re ceniurò  il  Sigonio. 

La  Seconda  parimente  in  Modena  ha  il  diritto  fimile.  Nel 
rovefcio  l'Aquila  è  diverfa .  Solamente  vi  fi  legge  CVMANVS, 
cioè  Populus .  Vedi  nel  Tom.  V.  Rer.  Ital.  il  Poema  intitolato 
Cumanus . 

Non  so  fé  la  Terza  appartenga  a  Como  .  Vi  fi  veggono 
le  lettere  CO.  R.  o  pure  B.  VICECOMES  .  Nel  rovefcio 
VB...MANA.  Tutto  qui  è  fcuro. 

Cortona . 

Debbo  all'xAbbate  Rodolfino  Venuti  Patrizio  di  Cortona  la 
Tegnente  Moneta,  efilìente  nel  Mufeo  di  quell'Accademia.  Vi 
fi  legge  CORTONA,  e  nelrovefcio  S.  VINCENTI  VS, 

Cremona . 

Di  fopra  vedemmo,  che  Federigo  I.  Auguflo  nel  1155.  tol- 
fe  a'  Milanefi  ,  e  trasferì  ne'Cremonefi  il  Gius  di  battere  Mo- 
neta. Tal  verità  vien  confermata  da  una  Moneta  efiftentc  nel 
Mufeo  Bertacchini  di  Modena  .  Nel  diritto  fi  legge  FREDE- 
RICVS ,  nel  mezzo  P.  R.  I.  non  so  fé  Imperator  ,  o  Primus 
Komanorum  Imperator,  Nell'altro  lato  la  Croce  ,  e  DE  CRE- 
MONA . 

La  Seconda  in  Modena  ha  nel  mezzo  F.  cioè  Frederkus-  ; 
nel  contorno  IMPERATOR ,  La  Croce  (la  nel  rovefcio  con 
CREMONA. 

La 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  r  M  A  .  5^1 

La  Terza  nel  Mufeo  Bertacchini  è  poco  diverfa  dalla  pre- 
cedente. 

La  Quarta  nel  Muieo  Chiappini  .  Qiiivi  nel  contorno  fi  leg- 
ge FREDERICVS,  e  nel  mezzo  IPR.  come  fopra  .  Il  rove- 
l'cio  è  fimile  al  precedente. 

La  Quinta  nello  itefib  Mufeo  .  La  Croce  è  nel  mezzo  coli' 
ifcrizione  AZO.  VlCECO.VlES  .  Nel  roveicio  CREMONA. 
Di  quella  Citta  s' impadronì  nell'Anno  1335.  Azzo  Vilconte 
Signor  di  Milano. 

La  Sefta  inviatami  dal  Chiarirs.FrancefcoArifiCremonefe,  ha 
nel  diritto  un  braccio  armato  colle  lettere  FORTITVDO  ME  A 
INBRACHIO.  Nel  roveicio  S.  HIMERIVS  EPISCOPVS5 
Protettore  di  Cremona. 

La  Settima  è  di  Francefco  IL  Sforza  Vifconte, 

Deciana. 

Famosa,  è  nella  Storia  di  Vercelli  la  Cafa  de'Tizzoni  ,  che 
anche  fignoreggiò  talvolta  quella  Citta  .  Deciana ,  oggidì  Be- 
fana ^  è  Caiì:ello  di  quel  dillretto,  che  Lodovico  Tizzone  co- 
minciò nell'Anno  141 1.  a  godere  con  titolo  di  Conte.  Vedi 
la  Storia  di  Benvenuto  da  San  Giorgio  .  Efifte  la  fua  Moneta 
in  Piacenza  nel  Muieo  Chiappini. 

Dertona ,   cioè   Tortona  • 

Anche  alla  Citt^a  di  Tortona  fu  conceduto  da  Federigo  L 
Auguflo  il  Privilegio  della  Zecca ,  come  appariice  dal  iuo  Di- 
ploma da  me  dato  alla  luce.  Nel  Muieo  Bertacchini  fi conierva 
una  Moneta  di  quella  Citta.  Si  legge  nel  mezzo FR.  e  nel  contor- 
no IMPERATOR  .  Nel  rovelcio'"è  la  Croce  colle  lettere  TER- 
DONA . 

Euguòmnij  oggidì  Gubbio. 

Gubbio  Citta  del  Ducato  di  Urbino  richiede  anch' efla  luogo 
in  quello  Teatro.  Ivi  lembra  battuta  una  Moneta,  che  nel  di- 
ritto ha  COMES  FEDERICVS  .  V'ha  di  fopra  una  picciola 
Aquila.  Nel  contorno  dei  rov^^lcio  fi  legge  DE. EV. GV. BIA. 
Può  appartenere  a  Federigo  III.  da  Montefeltro  ,  che  neh' 
Anno   1444.    ricuperò  Urbino,    e  nell' Anno   1471.    da  Papa 

Siilo 


542  Disserta  zione 

Sìiìo  IV.  fu  dichiarato  Duca  di  quella  ,  e  di  altre  Citta  .  Po- 
trebbe nondimeno  riferirfi  a  Federigo  7.  Conte  di  Montefeltro  , 
che  nel  1322.  fu  tagliato  a  pezzi  dagli  Urbinati. 

L'altra  efifìente  nel  Mufeo  Chiappini  ha  4+ FEDERICVS 
&c.  Nel  mezzo  l'Arme  Tua  .  Nell'altra  parte  ^  EV.  GV.  BI. 
VM.'  e  l'Arme  verifimilmente  della  Citta. 

Ferrara  ^  e  i  Marchefl  d'  Efte . 

NoiNi  ho  dubbio  alcuno,  che  Federigo  I.  Imperadore  con- 
cedefle  a  Ferrara  Citta  libera  il  Gius  di  battere  Denari,  giac- 
ché, come  vedremo  nella  DifTcTt.  XL Vili.  quell'Augufto^nelF 
Anno  11(54.  ^^  concedette  molti  Privilegj ,  ed  altri  pare  che 
ne  concedefle  dipoi,  fra' quali  la  facoltà  fuddetta.  Qj.ianto  ho 
detto,  vien  confermato  dalle  vecchie  Monete  .  Una  d'efie  con- 
fervata  nel  Muieo  Bcrtacchini  di  Modena  ,  ha  quefte  lettere 
nel  mezzo  F.  D.R.C,  c'xoh  Fredericus^  e  nel  contorno  IMPE- 
RATOR  .  Nel  rovefcio  la  Croce  colle  lettere  FERARIA  . 
Ne  fi  credefie  alcuno  ,  che  qui  fi  parlafle  di  Federigo  II.  per- 
chè prima  del  di  lui  tempo  fi  truova  Ferrarienjìs  Moneta ,  Ciò 
apparifce  dallo  Strumento  de' Patti  ftabiliti  nell'Anno  1205. 
fra  i  Bolognefi  e  F'errarefi  fuperfa&o  Motjet^e  Borioni  e  n fi  s  &  F  cr- 
rartenjis^  allorché  Azzo  Marchefe  d'Elle  era  Podefla  di  Ferra- 
ra. In  un  altro  Strumento  del  120^.  dove  fi  legge,  che  s'era- 
no obbligati  Ferrarìenfes  &  Bononienfes  fuper  faHo  Monetce  in 
ano  &  eodem  flatu  tenere ,  CT  facere ,  &  fabbricare  ;  &  nulla 
illarum  Civitatum  fine  licentia  Ò"  parabola  data  in  Confilio 
venerali  a  ReBore  'vel  Reóioribus  alterius  Civitatis^  Monetas  il' 
las  pojfe  facere  diminuere  .  A  me  inviò  quante  Monete  potè 
raccogliere  di  Ferrara  il  Canonico  Giufeppe  Scalabrini,  fpezial- 
mente  ricavate  dal  Mufeo  del  Chiarifs.  Arciprete  di  Cento  Gi- 
rolamo BaruiTaldi . 

La  Seconda  forfè  battuta  circa  il  1340.  ha  l'Immagine  di 
un  Vefcovo  colle  lettere  S.  MAVRELIVS  P.  cioè  ProteHor  . 
Nell'altra  facciata  TArme  della  Città  di  Ferrara,  e  DE  FER- 
RARIA. 

La  Terza  nel  Mufeo  BaruiTaldi  ,  ed  anche  in  Modena  ,  non 
è   molto  diverfa  dalla  precedente,  né  abbilogna  di  Ipiegazione. 

La  Q_uarta  poffeduta  da  molti  in  Modena,  ha  un' Aquila  Ar- 
me de  gli  Elienfi  ,   colle    lettere    NlQUOLaus   MARCHIO  , 

Cloe 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  54.  j 

cioè  Ejlenjìs  ,  Signore  di  Ferrara  Scc.  Nel  rovefcio  l'Arme 
della  Citta  ,  e  DE  FERRARIA  .  Non  so  dire  ,  fé  apparten- 
ga a  Niccolò  IL  Marchefe  ,  che  nel  1^62.  fignoreggiava  iti 
Ferrara,  o  pure  a  Niccolò  111,    che  cominciò  la  fua  Signoria 

nel  I3P3-  .  .  - 

La  Qiiinta  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  un  Elmo  ,  fopra  cui 

fìa  il  capo  d'Aquila  coronata  colle  lettere  N.  I.  cioè  Nicol aus» 
Nel  contorno  fi  legge  NlCHOLaus  MARCHIO  .  Nel  rove- 
fcio un  Monocerore  ,  e  nel  contorno  DE  FERRARIA  .  Pro- 
babilmente è  Moneta  del   Marchefe  Niccolò  111, 

La  Seda  nel  Mufeo  Baruffaldi  mofira  nell'una  parte  l'Arme 
della  Citta  di  Ferrara,  e  all'intorno  LEONELVS  MARCHIO. 
Nell'altra  l'effigie  d'un  Vefcovo  colle  lettere  S.MAVRELIVS 
"Eì^lScopus.  Nel  1441.  cominciò  Lionello  Marchefe  a  fignoreg- 
giare  in  Ferrara. 

La  Settim-a  nelMufeo  Bertacchini  ,  appartenente  al  me- 
defimo  Marchefe  ,  è  poco  diverfa  dalla  precedente  ,  le  non 
che  qui  fi  legge  S.  MAV.  (  cioè  San6ius  Maurelius  )  FERA- 
RIENSIS . 

L'Ottava  nel  Mufeo  Baruffaldi  mofira  San  Giorgio,  che  por- 
ge la  bandiera  a  Borfo  Marchefe  d'Efìe^  come  ne  ^li  Zecchini . 
Nel  contorno  S.  GEORGIVS.  BORSIV.  Z)//x,  cioè  nel  1452. 
dichiarato  Duca  di  Modena,  Reggio,  Cornacchie  &c.  e  nel  1 471. 
da  Papa  Paolo  IL  creato  Duca  à\  Ferrara. 

La  Nona  nel  Mufeo  Bertacchini  fa  vedere  l'Aquila  con  due 
tede  coronata,  e  BORSIVSDVX.  Nel  rovefcio  l'Arme  della 
Citta,  e  nel  contorno  DE  FERRARIA. 

La  Decima  nello  ftelTo  Mufeo,  appartiene  al  predetto  Borfo 
Duca^  e  fomigliante  alla  precedente,  fé  non  che  moftra  l'Arme 
più  antica  della  Citta  di  Ferrara. 

L'Undecima  nel  Mufeo  medefimo,  ha  nel  diritto  il  Mono» 
cerote  colle  lettere  FERARIE  D.  CORNIGER  ,  Nel  rove- 
fcio l'Aquila  da  due  tede  coronata,  e  CLAR  COMITAT. 
INSIGE.  forfè  la  prima  Ifcrizione  vuol  dire  F<?rRARIAE 
DECVS  CORNIGER,  cioè  il  Mo7ioc erote .  La  Seconda  forfè 
vuol  dire  :  Clarum  Comitatus  hijtgne^  o  Ci  ari  Comitatv.s  Infi- 
gtte^  cioè  di  Rovigo  e  Comacchio  eretti  in  Comitato  da  Fe- 
derigo III.  Augudo. 

La  xir.  in  Modena  ha  l'effigie  di  un  Prìncipe  ,  e  le  lettere 
HERCVLES  DVX  FERRARIE,  cioè  Ercole lEJÌenfe ,  che 

neir 


54^  Dissertazione 

nell'Anno  1471.  fuccedette  nel  Ducato.  Nel  rovefcio  l'imma- 
gine di  San  Giorgio  Protettore  de'  Ferrarefi  ,  e  DEVS  FOR- 
TITVDO  ME  A. 

La  xiir.  ha  l'Aquila  da  due  tede  coronata ,  Arme  gentilizia 
de'  Principi  Eftenfi  ,  e  nel  contorno  HERCVLES  DVX  8cc. 
cioè  lo  ftefib  Ercole  Primo  .  Nel  rovefcio  il  Monocerote  ,  e 
DE  FERRARIA. 

Nella  XIV.  fi  mira  SanMaureìio  in  piedi,  che  benedice  il  Du- 
ca inginocchiato  ;  e  all'intorno  :  S.  MAVRELIVS  HERO//^^ 
DVX  FERR.  Mirafi  nell'altro  lato  l'immagine  del  Salvatore 
colle  lettere  lESVS 5  e  nel  contorno  il  motto  :  SALVSINTE 
SPERANTIVM. 

La XV.  ha  l'Aquila  da  due  tefte,  ed  HERCVLES. DVX.  Nel 
rovefcio  un  Cavallo,  e  DE  FERRARIA  . 

Il  diritto  della  XVI.  è  firn  ile  al  precedente.  Nel  rovefcio  fon 
le  Arme  della  Citta  di  Ferrara. 

La  XVII.  moftra  l'effigie  di  un  Vcfcovo,  e  SANTVS  MAV- 
RELIVS .  Nel  rovefcio  un  Fiore  ,  inferito  in  un  Anello  ,  che 
moftra  un  Diamante  acuto  col  motto  DEXTERA  DNI  EXAL- 
TAVITME. 

La  XVIII.  ha  il  bullo  ài  q{^o  Ercole  I.  Due a\  colla  capigliatura 
all'ufo  di  que' tempi .  Nel  rovefcio  un  uomo  nudo  a  cavallo. 

Le  Monete  de' iulTeguenti Duchi  le  lafcio  alla  cura  d'altri, 
perchè  battute  dopo  i  confini  dell' afiunto  mio  .  Vegganfi  an- 
cora le  Monete  di  Modena  e  Reggio  qui  fotto  .  Ma  percioc- 
ché nel  Secolo  XV.  fi  cominciò  a  formar  de  i  Mediiplio?ìi  in 
onore  de'Principi,  ed  alcuni  ne  ho  io  veduto  fpettanti  a'Prin- 
cipi  della  nobilifTima  Cafa  d'Efte,  voglio  aggiugnerli  qui. 

Il  Primo  ci  fa  vedere  l'effigie  di  Niccolo  III.  Mnrchefe  ,  Si- 
gnor di  Ferrara  &c.  coli'  ifcrizione  NICOLAI  MARCHIOw'i 
ESTENSIS.  Nel  rovefcio  l'Arme  della  Serenifs.  Cafa  d'Efte. 
Fu  battuto  circa  il  141 5. 

Il  Secondo  nel  Mufeo  Eftenfe  .  V  ha  1'  effigie  ài  Lionello 
Marchefe  coli' ifcrizione  LEONELLVS.  MARCHIO  ESTEN- 
SIS. Nel  rovefcio  la  teda  di  un  uomo,  che  ha  tre  faccie  pue- 
rih.  Nel  contorno  OPVS.  PISANI.  PICTORIS. 

Il  Terzo  nello  flefTo  Mufeo  ha  la  fteffa  effigie  ,  e  le  me- 
defime  ifcrizioni  .  Ma  differente  è  il  rovefcio  ,  niirandofi  ivi 
due  uomini  nudi,  portanti  fopra  il  capo  due  caneftri  di  fiori, 
forfè  indicanti  il  felice  flato  di  Ferrara  fotto  quel  Principe. 

Il 


VentesimasettimaT  5  4.5 

Il  Qiiarto  nel  medefimo  Edenfe  Mufeo,  ha  il  bufto  di  elfo 
Lionello  colle  lettere  LEONELLVS.  MARCHIO.  ESTENSIS. 
D.FERRARIE.  REGIE  ET.  MVTINE.  Vedefi  nel  rovefcio  la 
fioura  di  un  uomo  nudo  ,  forfè  un  Fiume  .  Di  fopra  un  fiafco  , 
da  cui  cleono  due  rami  d'alberi. 

Il  Quinto  nel  Mufeo  Bertacchini .  Nel  diritto  è  l'effigie  di 
L'to7ìello  5  e  una  pari  ilcrizione  .  Sopra  il  capo  le  lettere  :  GÈ. 
R.  AR.  Nel  rovefcio  un  Eione,  e  davanti  a  luì  un  Cupido 
o  Gemo  alato  .  Si  aggiugne  OPVS  PISANI  PICTORIS  .  E 
in  una  Colonna  ,  dove  fi  mira  una  nave  ,  è  fcritto  l' Anno 
MCCCCXLIV. 

Il  Sefto  nel  Mufeo  Eftenfe  .  Ivi  è  f  effigie  di  Borfo  ,  ottimo 
Principe,  colie  lettere:  BORSIVS...  MARCHIO...  ESTEN- 
SIS... DOMINVS.  Corroie   fon  l'altre. 

Il  Settimo  nello  fhffo  Mufeo  appartiene  al  poco  fa  lodato 
Borfo  creato  Duca.  Vi  fi  vede  il  fuo  bullo,  e  BORSIVS.  DVX. 
MVTINE.  ET.  REGIE  MARCHIO.  ESTENSIS.  RODIGII. 
COMES  ETC.  Nel  rovefcio  un  Monte  ;  di  fopra  un  Globo  So- 
lare ,  o  Lunare  ,  che  fparge  i  fuoi  raggi  fopra  il  Monte  .  Nel 
contorno  OPVS  lACOBVS  LIXIGNOLO  MCCCCLX. 

L'Ottavo  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  quafi  la  fteffa  effigie  ed 
ifcrizione.  Nel  rovefcio  un  Monte,  nel  quale  un'Arca  con  delle 
Croci  .  Di  fopra  v'è  il  Sole  ,  che  fparge  i  raggi  ,  e  le  lettere 
OPVS  PETRECINI  DE  FLORETIA  MCCCCLX. 

11  Nono  nel  Mufeo  Eftenfe  ci  fa  vedere  Alfonjo  I.  tuttavia 
fanciullo,  e  poi  Duca,  nato  nel  i47<5.  da  Ercole  I.  e  da  Leo- 
nora d'Aragona  .  Vi  fi  vede  la  fua  effigie  colle  lettere  ALFON- 
SVS  MARCHIO  ESTENSIS.  Nel  rovefcio  Ercole,  che  nella 
cuna  flrozza  i  Serpenti  .  Di  fopra  alcuni  rozzi  caratteri  Greci  , 
de' quali  non  ho  potuto  intendere  il  fenfo  . 

Fermo . 

Alla  Citta  ài  Fermo  ^  capo  una  volta  della  Marca,  peratte- 
fìato  del  Rinaldi  negli  Annali  Ecclefialìici,  Onorio  III.  Papa  con- 
cedette il  Gius  di  battere  Moneta  nell'Anno  1220.  il  che  mi  pare 
cofa  rara.  Fra  le  Monete  Pontifizie  la  XXXIV.  di  Bonifacio  IX. 
Papa  fu  battuta  in  quella  Citta. 

Ne  produco  una  piìi  antica  ,  comunicatami  dall'Abbate  Gio- 
vacchini  Avvocato  di  Foffombrone  .  Vi  fi  veggono  le  Chiavi 
Tomo  L  Zzz  Pon- 


54^  Dissertazione 

Fontiirzie  colle  lettere  M.  PAPA  Q^VARTVS  .  Nel  rovefcio 
VB.  cioè  Urhs^  FIRMANA  .  Fu  battuta  circa  il  1282.  iotio 
Martino  IV.  Papa. 

Nel  Mufeo  Chiappini  altra  Moneta  fi  vede  coli'  ifcrizione  : 
D.  L.  DE  MELÌORATIS.  Nel  rovelcio  VB.  FIRMANA.  cioè 
Domhnis  Ludovicus  ds Melioratis ^  Nipote  di  Papa  Innocenzo  VII. 
che  neir  Anno  1405.  cagionò  un  grande  fconvolgimento  in 
Roma.  In  que' tempi  (concertati  fu  egli  inveitito  della  Citta 
di  Fermo . 

La  Terza  in  Roma  preflb  l'Abbate  Francefco  Valcfio.  Ap- 
partiene alla  fuddetta  Citta,  perchè  nel  roveicio  fi  legge  :  VB. 
FIRMANA.    Ma  chi  foiTe  allora  Signore  d'tfìfa  ,  lo  diranno 

i  pili  pratici  che  io  della  Citta.  Le  lettere  CO VICECO- 

MES  coir  Arme  del  Serpente  forie  dcvoìsiuó  Fraficefco  SfGy;^7^ 
che  fu   poi  Duca  di  Milano. 

La  Qiiarta  ha  le  Chiavi  iniegna  della  Chiefa  Romana  ,  ed 
EVG.  PP.  Q^VARTVS,  cioè  Papa  Eugenio  IK  Nd  rovefcio  le 
fteffe  Chiavi  ,  ed  VB.  FIRMANA.  Una  fimile  fi  vede  in  Ro- 
ma  nel  Mufeo  del  Cav.  Francefco  Vittori  con  altre  lettere,  cioè 
M.  PAPAQ_ViNTVS.  E*  di  M^m;?o  K 

La  Quinta  nel  Mufto  Bertacchini  moftra  l'effigie  di  un  Ve- 
frovo  colle  lettere  S.  SAVINVS.  Celebre  fu  una  volta  il  Mo- 
nillero  di  San  Savino  nel  Territorio  di  Fermo  .  Nel  rovefcio 
è  uno  Scudo,  k  cui  Arme  fono  fmarrite  ;  e  di  fopra  fi  legge 
URBIS  FIRMI. 

La  Sefta  nel  medefimo  Mufeo  ha  nel  contorno  SANTVS. 
SAVIN.  e  nel  mezzo  VS.  Vi  fon  due  lettere  fcadute,  forfè  PR. 
cioè  Prote6ior  ,  quale  probabilmente  fu  quel  Santo  .  Nel  rove- 
fcio la  Croce,  e  DE  FIRMO. 

Firenze . 

Delle  Monete  Fiorentine  ha  trattato  badevolmente  il  Bor- 
ghini  ne'  fuoi  Libri  delle  memorie  Fiorentine  .  Gloria  e  cer- 
tamente di  quella  si  riguarde voi  Citta,  l' efiere  fiata  la  prima 
a  battere  i  Fiorini  d'oro^  Moneta  ,  che  ficcome  dirò  nella  fe- 
guente  Difiertazione,  divenne  celebre  per  tutta  l'Europa,  e  fi- 
no per  l'Afia  e  per  l'Afirica  .  Si  mantenne  iempre  la  llefia  fi- 
gura di  tali  Monete,  fé  non  che  vi  fi  cominciò  ad  aggiugnere 
in  uno  Scudetto  l'Arme  del  Gonfaloniere  .  Chi  concfce  taU  Ar- 

::V^;.lne, 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  54.7 

me,  sa  eziandio  ,  di  che  tempo  furono  battute  .    Farò  io  qui 
menzione  iblamente  di  lei  Monete  Fiorentine. 

La  Prima  d'argento  nel  Muieo  Bertacchini  rapprefenta  l'Im- 
magine di  San  Giovanni  Batifta  ,  Protettore  di  Firenze  ,  colle 
lettere  S.  lOHANNES  B.  Nel  roveicio  il  Giulio  ,  Arme  del 
Popolo  fiorentino,  e  nel  contorno  FLORENTIA. 

La  Seconda  è  di  rame  con  argento  della  figura  fuddetta  . 
Taleèrilbrizione  S.  IOANNES  FLORENTIA. 

La  Terza  d'argento  ha  la  medefima  forma,  ma  con  un  pic- 
cioloScudo.  VifikggeS.IOHANNES  B.  DE  FLORENTIA. 

La  Quarta  d'argento  ne'  Mufei  Bertacchini  e  Chiappini  fa 
vedere  lì  Batifla  ledente,  che  tien  colla  fi  ni  lira  un'alta,  ncl^ 
la  cui  cima  è  la  Croce  ,  e  colla  delira  una  fafcia.  Vi  fi  leoge 
SANCTVS  lOHANNES  BAPTHISTA  PR.  Qioh  Prete aor-. 
Nel  rovclcio  un  Giglio,  e  all'intorno  il  leguente  verlo  :  DET, 
TIBI.  FLORERE.'  XPS.  FLORENTIA.  VERE.  Forfè  que- 
fta  è  delle  più  antiche. 

La  Seda  d'oro  nel  Mufeo  Bertacchini  è  un  Fiorino  de  i  più 
vecchi,  alla  cui  fomiglianza  e  pefo  oggidì  fi  battono  in  Firen- 
ze i  Gigliati  o  Rufpi.  Vi  fi  mira  il  Batiiìa  colla  pelliccia  ,  e  all' 
intorno  S.  lOHANNES  B.  Nel  roveicio  il  Giglio  ,  e  FLO- 
RENTIA. Nella  Notizia  delle  Citta  ,  che  MSta  vien  citata 
dal  Pignoria  nelle  Annotazioni  alla  Stona  del  Muffato  ,  è  fc rit- 
to Civitas  tfla  cudtt  Monetam  ^  cum  qua  fere  totus  Mundus  tun- 
ditur  ,  imo  per  illam  peccata  hodie  fiunt  mirabilia  &c.  Hodie 
Cfvitas  ipfa  aureis  ,  quos  fabricat  ,  ah  ipja  Floreyttia  nominatis 
Tlorenis^  major  a  longe  ^  quam  clava  Herculis^  domata  &  domi- 
fìatur  in  Orbe .  Guglielmo  Ventura  nel  Cap. 4(5.  della  Cronica 
d'Adi  fcrive,  che  Raimondo  da  Terzago  Capitano  del  Popolo 
Adigiano  fu  corrotto  e»c  multa  quantitate  terree  rubeae  Floren- 
tince.  Vuol  dire  àt  Fiorini,  Ma  mtorno  a  quella  celebre  Mo- 
neta ,  tornata  oggidì  in  ulo  per  l'Italia  ,  è  da  vedere  una  Dif- 
fertazione  del  Cavaliere  Francelco  Vettori,  che  diligentemente 
ha  illuftrato  tutto  quanto  appartiene  alla  medefima. 

Forlì . 

Dal  fu  Conte  Fabrizio  Monfignani  fui  aflicurato,  e  lo  at- 
tefta  anche  1' Autore  dcrlla  Storia  di  Forlì  nel  Lib.  X.  che  1  For- 
livefi  da  Federii^o  II.  Imperadore  ottennero  il  Privilegio  di  bat- 

Zzz     2  tere 


54-8  Dissertazione 

tere  Denari.  Ma  niim  di  eflì  m'è  riufcito  di  trovare  finquK  Ho 
bensì  veduto  un  Medaglione  fatto  in  onore  diC^rco,  cioèFr^^;- 
cefco  de  gli  Ordelaffi^  Signore  di  quella  Citta.  Nel  contorno  fi 
leoge  CICCVS  IH.  ORDELAPHVS  FORLIVIY.  P.P.  ET 
PRINCEPS  .  Nel  mezzo  un  V.  (  forie  Vi^at  )  MCCCCVIT. 
Nel  rovefcio  T  effigie  di  Curzio  Romano  a  cavallo  ,  che  per  la 
falute  della  Patria  fi  precipita  in  una  voragine,  con  queiìo  verfo 

SIC  MEA  VITALI  PATRIA  EST  MIHI  CARIOR  AVRÀ. 

Sotto  il  Cavallo  fi  legge  :  IO.  EP.  PAPITIVS  .  Sembra  quefti 
il  fabbricatore  del  Medaglione  .  Ma  le  taluno  pretenderli,  che 
qu'i  fi  nomini  il  Veicovo  di  Forlì  allora  vivente,  non  mi  oppor- 
rò ,  purché  fi  fpieghi  quel  P^phius  .  A  i  dotti  Forlivefi  pari- 
mente rimetto  l' inlegnarci  ,  perche  chiamino  Cecco  o  France- 
fco  de  gl'i  Ordelajfi  il  Figlio  di  Antonio,  e  di  Catterina  Rango- 
ni  da  Modena,  nato  nel  1435.  quando  qui  comparilce  Cecco 
Ter'zo  Principe  di  Forlì  nell'Anno  1407. 

Efifiono  pofcia  in  quella  Citta  Monete  ,  battute  dal  Conte 
Ottaviano  Riarioy  e  da  Cattarìna  Sfori^^a  Vtjconti  y  che  ivi  domi- 
navano fui  fine  dei  Secolo  XV.  Nel  roveicio  delle  quali  fi  vo- 
de  l'effigie  di  San  Mercuriale  colle  lettere  S.  MERCVRIA- 
LIS  FORL/'u/i   ^KOT eBor. 

Genova .  v^; 

L'antico  Cronifia  Genovefe  Caffaro  così  feri  ve  nel  Tom. VL 
Rer.  Jtal.  In  i/lo  Confulatu  Moneta  data  fuit  J anuenfibus  a  Conrada 
Tbeutonìco  Kege  ;  &  Privilegia  inde  faóla^  &  figlilo  auro  ftgnata 
Cane  eli  nrius  Kegls  Januarn  duxlt^  &  Conjullbus  dedlt  Anno  MC- 
XXXIX.  Perciò  fino  a  quelli  ultimi  tempi  ufarono  i  Genovefi  di 
mettere  nelle  loro  Monete  il  nome  di  elfo  Corrad-o  IL  Re  di  Ger- 
mania e  d'Italia.  Anche  Agoftino  Giufi:iniano  ne  gli  Annali  di 
Genova  fcrive,  che  mettevano  il  nome  d'eflo  Re  nel  diritto,  e 
nel  rovefcio  formam  Arcis  Jìve  Cajlri  cum  trihus  turribus. 

Tre  Monete  Genovefi  efiftenti  nel  fuo  Mufeo  di  Piacenza  mi 
ha  fomminifirato  il  P.  Don  Aleflandro  Chiappini  Generale  de  i 
Canonici  R.egolari.  La  Prima  d'oro  ha  la  Croce,  e  CONRA- 
DV.  REX.  Nel  rovefcio  DVX  lANVE. 

La  Seconda  d'argento  con  lettere  corrofe  C...  S.  IL  RO. 
REX.  M.    Nel  rovefcio  DVX.  GÈ.,.» 

La 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  T  54p 

La  Terza  d'argento  ha  CONRADVS.  REX.  R.  Nel  rove- 
fcio  DVX.  lANVENSIVM.  PRIMVS.  Fu  eletto  per  la  prima 
volta  Doge   di  Genova  nel  1339.   Simo-ae  Boccanegra, 

La  (Quarta  d'oro  ha  CONRADV:  REX:  ROMANORVM. 
Nel  rovelcio  la  figura  d'una  Porta  o  Rocca  turrita  colle  lette- 
re DVX:  lANVENSIVM:  QVARTV:  cioè  o  Giovanni  Vi jcon^ 
te  Arcivelcovo  e  Signor  di  Milano;  o  piùtofto  lo  ftefTo  Boccane- 
gra^  che   nell'Anno  1^61,   tornò   ad  effe  re  Doge. 

La  Qj-iinta  appartiene  a  Lodovico  XIL  Re  di  Francia  ,  che 
nel  14PP.  s'impadronì  di  Genova.  Nel  diritto  CONRAD.  REX. 
ROMANOR.  ET.  B.  L  forfè  Benefaóior  Janu^e  .  Nel  rovelcio 
LVDOVICVS  REX  FRANC.  lAN.  D.  cìohjami^  DuxoDo' 
mi'fìus . 

I  Conti  di  Lavagna, 

La  nobil  Cafa  à^  Fi  efebi  ,  che  nel  Secolo  XIIL  diede  due 
Papi  alla  Chiela  Romana,  e  tanti  altri  infigni  perfonaggi  pro- 
duife  ,  lungo  tempo  fignoreggiò  il  Comitato  à\  Lavagna  cova^ 
Feudo  Lnperiale.  La  Prima  Moneta  da  me  veduta  ha  un  Scudo 
puro  fenza  fegno  d'Arme,  e  l'Aquila  di  fopra ,  che  pofa  fopra 
una  Corona.  All'intorno  MONETA  FELISC.  in  vece  diF//- 
fcomm  .  Nel  rovefcio  la  Croce  ,  e  SANCTVS  TEONETVS 
MART.   in  vece  di  Theoìiejìus, 

Due  Monete  del  Mufeo  Veronefe  Mufelli  ci  afTicurano  ,  che 
la  Moneta  fuddetta  appartiene  a  i  Conti  di  Lavagna  .  Nella 
prima  fi  vede  l'effigie  di  un  uomo,  e  nell'altra  un' Aquila  coli' 
ifcrizione:  PETRVS.  LVCAS.  FLISCVS.  LAVANIE  CO>7ies, 
Nel  rovefcio  d'amendue  l'effigie  di  un  Martire  ,  eS. TEONE- 
STVS  MARTIR. 

Anche  nel  Mufeo  del  Cav.  Francefco  Vettori  in  Roma  efifte 
Moneta  colle  lettere  LVDOVIC^/j  FLISC«5  LAVANIE  &c. 
DOminus.  Nel  rovefcio  S.THEONEST«5  MARTIR. 

Macerata . 

Di  fopra  abbiam  veduto  fraleMonetePapalilaxxxiii.bat- 
t\ita  m  Macerata  ad  onore  di  Papa  Bonifazio  IX.  Nel  Mufeo  Pa- 
dovano del  Conte  Giovanni  Lazzara  fi  truova  una  Moneta , 
probabilmente  più  antica.  Ivi  fi  legge  S.  IVLIANVS,  Protet- 
tore  della  Città.  Nell'altra  parte   DE  MACERATA. 

La 


550  Dissertazione 

La  Seconda  ha  l'effigie  d'un  Santo,  che  colla  finiflra  tiene 
unafpada,  e  colla  deftra  unbaftone,  e  le  lettere  S.IVLIANVS. 
Nel  rovefcio  la  Croce,  e  nel  contorno  DE  MACERATA. 

I  Malatefti. 

De'' tanti  Mala fejìi^  Principi  valorofi  ed  illuflri  di  Rimino, 
e  d'altre  Citta  ,  non  ho  veduto  fé  non  due  Medaglioni  ,  fpet- 
tanti  a  Sigifmondo  Figlio  di  Patidolfo.  Il  Primo  prelTo  l'Aibbate 
Domenico  Vandelli,  pubblico  Lettore  neirUniverfuk  di  Mode- 
na, ha  l'effigie  di  efib  Principe  coli' ifcrizione  :  SIGISMON- 
DVS  P.  D.  (  cioè  Pandiilfus  De  )  MALATESTIS  S.  R.  E.  C. 
(^c\oh  San^ceKomanceEccleftdsCapitaneus^  GENERxALIS.  Nel 
rovefcio  unLambequin^  come  dicono  i  Franzefi  ,  colle  lettere 
SI.  cioè  Sigifmu?idus^  e  di  fotto  MCCCCXLVI. 

L'Altro  prefTo  il  Sig.  Bernardino  Abbati  Modenefe,  in  cui  (I 
mira  il  bullo  del  medefimo  colle  lettere  SIGISMVNDVS  PAN- 
DVLFVS  MALATESTA.  PAN.  F.  cioè  Pandidfi  Filius  . 
Nell'altra  parte  Fimmagine  di  un  Cartello  turrito  coli' ifcrizione: 
CASTELLVM  SISMVNDVM  ARIMINENSE.  MCCCC- 
XLVI. 

Mi  fia  permeffb  di  aggiugnere  un  altro  Medaglione  ,  pof- 
feduto  dal  Sig.  Bartolomeo  Soliani  ,  rinomato  Libraio  di  Mode- 
na.  Nel  diritto  è  l'immagine  di  una  Donna  colle  lettere  Do- 
mina ISOTTAE  ARIMINENSI  .  Nel  rovefcio  fi  mira  ,  fé 
non  fallo  ,  un  Libro  chiufo  con  quattro  fibbie  ,  e  le  lettere 
ELEGIA.  Celebre  a' luci  tempi  fu  Ifona  da  Rimini  ,  la  qua- 
le per  le  fue  Doti  dì  corpo  e  d'ingegno  piacque  fommamen- 
te  al  luddetto  Sigismondo  .  V'ha  chi  la  dice  Ipofata  da  lui; 
altri  la  pretendono  folamente  concubina  .  Quel  che  è  certo 
nel  fuo  Sepolcro  in  San  Francefco  di  Rimini  fu  efla  chiamata 
DIVA  ISOTTA  ,  titolo  ben  Gentilelco . 

Mantova. 

Non  avrei  mai  creduto  ,  che  la  nobil  Citta  di  Mantova 
avefìfe  goduto  il  Privilegio  della  Zecca  prima  del  Mille,  fé  non 
aveffi  veduto,  ed  anche  pubblic^ato  un  Diploma  di  Ottone  IH. 
Imperadore,  a  noi  confervato  da  Pellegrino  PrilcianoFerrareie, 
che   fioriva  nel  14^0.    ne'  fuoi  MSti   efillentl  nella   Biblioteca 

Eden- 


VeNTESIxM  A  SETTIMA.  5^1 

Eftenfe  .  Fu  cfCo  dato  nell'Anno  c?5)7.  in  favore  della  Chiefa 
di  Mantova  ,  e  di  Giovanni  Vefcovo  di  quella  Citta  .  Qiiivi  fi 
leoge  :  Mo?7etam  publìcrtm  ipjius  Mantuance  Civìtatis  noflro  Im^ 
teriali  dono  ihi  perpetualhev  habendam  concedimus  &  Jìab'ili- 
mus  .  Ma  non  so  dire  ,  fé  mi  iìa  avvenuto  di  trovar  alcuna 
delle  antiche  Monete  di  Mantova.  Regidrerò  quelle,  che  mi 
fon  venute  alla  mano. 

La  Prima  d'argento  è  in  mio  potere,  e  fi  truova  anche  nel 
Mufeo  Chiappini.  Mirafi  nel  diritto  un'Aquila  colf  ali  tefe  , 
e  nel  contorno  VIRGILI VS.  Ognun  sa,  quanto  vada  glorio- 
fa  Mantova,  per  aver  dato  alla  luce  il  Principe  de'Poeti  La- 
tini. Perciò  ne  volle  perpetuato  il  nome  anche  nelle  fue  Mo- 
nete. Eravi  in  oltre  la  fua  Statua,  che  Carlo  Malatefta  fece 
abbattere  ,  come  coda  da  una  mordente  Orazione  contra  di 
lui  del  vecchio  Vergerio  ,  da  me  data  alla  luce  .  Vedefi  nel 
rovelcio  la  Croce  ,  e  nel  contorno  DE  MANTVi^  .  Forfè 
ben  antica  è  tal  Moneta,  folamente  ne  dubito,  perchè  s'è  ve- 
duto, che  l'altre  Citta  mettevano  nelle  lor  Monete  il  nome 
del  Re  o  dell' Imperadore. 

La  Seconda  nel  Mufeo  Bertacchini  è  molto  fimile  alla  pre- 
cedente . 

La  Terza  nello  fteffo  Mufeo,  ha  la  Croce  colle  lettere  VIR- 
GILIVS.  Nel  contorno  dell'altro  lato  MANTVE.  E  nel  mez- 
zo tre  lettere  E.  S.  R.  Se  quelle  fignificaflfero  EncricuS  Rex  ,  la 
Moneta  farebbe  delle  più  antiche. 

La  Quarta  nel  Mufeo  Mufelli  moftra  Virgilio  fedente  in  una 
Cattedra  colle  lettere  VIRGILIVS  MANTVE.  Nel  rovefcio 
r  immagine  di  San  Pietro  Apoftolo  ,  e  di  un  Vefcovo ,  e  S.  PETR. 
EPS,  cioè  Sa?ì6ìus  Petrus  Epifcopus. 

La  Quinta  nel  Mufeo  Bertacchini  rapprefenta  l'Arme  della 
nobiliffima  Cala  Gonzaga  ,  ben  diverfa  da  quelle  ,  che  fi  ula« 
vano  ne' tempi  addietro.  Nel  contorno  LO.  D.  (  cioè  Lodo- 
njìcus  de)  GONZAGA  ,  che  nel  13^5.  fu  creato  Vicario  Im^ 
periale  di  Mantova  da  Carlo  IV.  Imperadore.  Nel  rovefcio 
il  di  lui  bullo  colle  lettere  V.  D.  MANTVA  ,  cioè  Vkarius 
de  Ma?7tua, 

La  Seda  preffo  l'Abbate  Domenico  Vandelli,  ha  nel  contorno 
e  nel  mezzo  FRAN.CIS.CHVS,  cioè  Francefco  Gon2:aga^  quegli 
a  mio  credere,  che  nel  1382.  fuccedette  nel  dominio  di  Mantova, 
e  s'acquiftò  gran  nome  nell'armi.  Nel  rovefcio  V.  D.  MANTVA. 

La 


552  Dissertazione 

La  Settima  prefìfo  il  Soliani  in  Modena  moflra  un  buHo  di 
un  Principe  colle  lettere  FRANCISCVS  MR.  {óohMarcìno) 
MANTVE  mi.  Egli  luccedette  neìi'  Anno  1444.  a  Federi- 
go fuo  Padre  .  Nel  rovefcio  fi  mira  un  Crociuolo  attorniato 
da  fiamme  con  tre  lamine  d'oro  o  d'argento  ,  che  ne  cleo- 
no fuori,  e  il  motto:  D.  PROSASTI  ME  ET  COGNO.  M. 
Sono  parole  del  Salmo  138.  Domine  prob^Jìi  me^  &  cognow/li 
mei  Allude  alle  difgrazie  patite. 

L'  Ottava  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  il  bufio  di  q{^o  Prin- 
cipe colle  lettere  FRANC  ....  e  nel  roveicio  un  oftenlorio 
facro  coir  ifcrizione  SANGVINIS  XPI  lESV,  che  da  più  Se- 
coli  fi  venera  in  Mantova. 

I  Marchefi  di  Monferrato . 

Tengo  per  fermo,  che  gli  antichi  nobiliffimi  Marchefi  di 
Mo7tferrnto  avran  battuto  molti  Denari  ;  ma  non  più  che  quat- 
tro mi  fon  venuti  lotto  gli  occhi.  Il  Primo  nel  Mufeo  Chiap- 
pini porta  l'Arme  del  Marchefe  colle  lettere  GVTL.  MA.  MO. 
FÉ.  cioè  Gutllelmus  Marchio  Mo?Jtis  Ferrati ,  forfè  quegli ,  che 
ne  1^60.  fu  Marchefe  .  Nel  roveicio  un  Soldato  ,  che  colla 
lancia  corre  addoffo  ad  un  ferpente  di  tre  tede  colle  lettere 
S.  THEODORVS  CVSTOS. 

Il  Secondo  nel  Mufeo  Bertacchini.  V'ha  la  fua  effigie,  e 
GVLIELMVS  MAR.  MONT.  FER.  Nell'altra  parte  la  fua 
Arme  ,  e  nel  contorno  SACRI  RO.  IMP.  PRIN.  VIC.  PP. 
cioè  Perpetuus . 

Il  Terzo  nel  Mufeo  Mufelli  .  Quivi  fi  legge  GV.  MAR. 
MON.  PRINC.  VICARIVS  PP.  SAC.  RO.  IMP.  Più  Boni- 
facj  fignoreggiarono  il  Monferrato:  non  so,  a  qual  d' effi  fia 
da  attribuire  quella  Moneta. 

Il  Quarto  in  Bologna  preffo  il  Marchefe  Gian  -  Paolo  Pe- 
poli  ,  ha  coir  Arme  la  fuddetta  ifcrizione.  E*  differente  il  ro- 
vefcio . 

Anche  in  Roma  il  Cav.  Francefco  Vettori  ne  ha  una  col- 
le lettere  IO.  GEORGIVS.  M.  MONTIS.  FERRATI.  IM- 
PERATO. VICARIVS. 


Mode- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  •  5  $  j 

Modena . 

Pare,  che  non  prima  dell'Anno  1242.  la  Repubblica  di 
Modetìa  batteffe  Moneta  ,  leggendofi  ne  gli  antichi  Annali  di 
quefta  Citta  a  quell'Anno:  Primo  ca^ptum  fuit  cudere  Nummos 
in  Civitate  Mut'nice ,  Contuttociò  ho  io  dato  alla  luce  il  Diplo- 
ma di  Federigo  II.  Imperadore,  Ipedito  in  Borgo  San  Donnino 
nell'Anno  122^.  dove  ad  e (Ta  Citta  fi  veggono  confermati  tut- 
ti gli  antichi  Privilegj.  Fra  l'altre  grazie  fi  legge  :  Ex  abundan- 
t'ton  quoque  gratin  Celfttud'inh  jìoJìr<e  concedìmus  praedt^ice  Civi- 
tatis  Communi ,  tit  licitum  ftt  eis  Monetam  fub  chara6ìere  nomi- 
nis  nojìri  prò  'voluntate  &  commodo  fuo  cudere  facere  ,  &  habe- 
re  ^  magnnm  ,  'vel  parvam  ,  qua;  ubique  terrarum  Imperii  nojìri 
expendatur^  &  currat ,  &  ei  debeant  nomen  prò  fua  imponere  vo- 
luntate  Ò'c,  Di  quello  Federigo  ,  più  torto  che  del  Primo  ,  fi 
truova  pofcia  ripetuto  il  nome  nelle  antiche  Monete  di  Modena. 

La  Prima  di  effe  d'argento  nel  Mufeo  Chiappini  ha  nel  con- 
torno FEDERICVS,  e  nel  mezzo  I.  P.  R.T.  cioè  Imperatore  Nel 
rovelcio   D.  MVTINA,   cioè   deMutina, 

La  Seconda  la  tengo  io  ,  ed  anche  il  Mufeo  Bertacchini  . 
Nel  mezzo  fi  veggono  tre  lettere  F.D.C,  cioè  Fredericus  ^  e 
nel  contorno  Jmperator,  Nel  rovefcio  M.  DE  MVTINA ,  cioè 
^Moneta  de  Mutina, 

La  Terza  polTeduta  dal  Marchefe  Gian-Paolo  Pepoli  ,  e  dal 
Dottore  Gian-Francefco  Soli  mio  Nipote,  ha  nel  diritto  AZO 
MARCHIO,  e  nella  fommita  un'Aquila,  Arme  della  Serc- 
niifima  Cafa  d'Efte.  Il  rovefcio  è  fìm-Je  al  precedente.  Neil' 
Anno  i2c?3.  Azi^VIIl.  Marcheje  d'Efte^  fuccedette  ad  Obiz- 
zo  fuo  Padre  nel  Dominio  di  Ferrara,  Modena,  Reggio,  Ro- 
vigo, Comacchio  occ. 

La  QLiarta  prefìb  il  Marchefe  Bonifazio  Rangone  in  Mode- 
na ,  ha  l'eifigie  di  San  Geminiano  Vefcovo  e  Protettore  della 
Citta  colle  lettere  S.  GEMINIA.  MVTINAE  EPS.  Nel  rove- 
fcio  uno  feudo  colla  Croce,  Arme  della  Citta;  e  nel  contorno 
RESP VELICA  MVTINAE. 

La  Quinta  d'argento  coli' effigie  e  nome  di  effo  Santo,  ha 
nel  rovefcio  la  Croce  colle  lettere  COMVNITATIS  MVTINE. 


Toìno  L  Aaaa  Nova- 


55+  Dissertazione 

Novara . 

Una  fola  Moneta  di  Novara  ^  efiftente  nel  Mufeo  Bertacchi- 
ni,  ho  io  trovato.  Ivi  comparifce  la  Croce,  e  all'intorno  le 
lettere  NOVARIA  .  Nel  mezzo  del  rovefcio  fi  veggono  tre 
Iole  lettere  S.T.C.  Qiielle  del  contorno  fon  corrofe  .  Che  fi- 
gnifichino  tali  Sigle,  noi  so  dire.  SalvinusTurrlanusCapitaneus 
fi  potrebbe  dire  ,  che  figlio  di  Pagano  dalla  Torre  ivi  figno- 
reggiò  nel  Secolo  XIII.   Ma  farebbe  forfè  un  fogno . 

Parma . 

Nell' Anno  1037.  Corrado  I.  Augufto  fu  in  Parma  .  Forfè 
anche  pafsò  percola  nel  1027.  tornando  dalla  Coronazione  Ro- 
mana ;  e  potè  in  uno  di  quefti  due  Anni  concedere  al  Popolo  di 
Parma  il  Gius  dell'Officina  Monetaria.  Quel  eh' è  certo  ,  egli 
lo  concedette  ,  colando  ciò  dalia  Prima  Moneta  ,  poffeduta  in 
Modena  dal  Conte  Giam-Bati(ia  Scalabrini.  Qliìvì  fi  mira  la  Cro- 
ce colle  lettere  CONRADVS  A VGVSm.  Nel  rovefcio  fi  vede 
un  abbozzo  del  Ponte  del  Fiume  Parma  con  torri  ,  e  v'ha  le 
lettere  CI VITAS  PARMA. 

La  Seconda  fi  truova  in  Modena  e  Piacenza  .  Nel  diritto  fi 
legge  FRE.  D.  RI.  C.  IP.  cioè  Frederkus  Imperatore  da  me 
creduto  il  Primo.  Nel  rovefcio  la  forma  del  Ponte  fuddetto, 
colle  lettere  PARMA. 

La  Terza  nel  Mufeo  Bertacchini.  Nell'una  parte  ha  FILIP, 
e  nel  mezzo  REX.  cioè  Filippo  L  Figlio  minore  di  Federigo  I. 
eletto  Re  nel  iip8.  da  cui  i  Parmigiani  ottennero  la  conferma 
de'  lor  Privilegi  •  Nell'altra  parte  fi  legge  P.  A.  R.  M.  A. 

La  Quarta  nello  fteflo  Mufeo  fa  vedere  un  Montone,  e  nel 
contorno  CI  VITAS .  Nel  rovefcio  la  Croce ,  e  P.  A.  R.  M.  A. 

La  Quinta  in  Modena  ha  la  Croce  ,  e  F.  S.  VICECOMES, 
cioè  Francefco  Sforma  Duca  di  Milano,  e  Signore  di  Parma.  Nel 
rovefcio  l'effigie  di  un  Santo  Vefcovo  colle  lettere  nel  contorno 
S.  ILARIVS  (Protettore)  PARME. 

La  Sefta  parimente  in  Modena.  V'ha  l'immagine  di  un  San- 
to ,  e  all'intorno  SANCTVS  HILARIVS  .  Nel  rovefcio  la 
Croce,  e  nel  contorno  COMVNITAS  PARME. 

Pado- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  555 

Padova ,  e  i  Signori  da  Carrara . 

QiiANDO  fia  fincero  e  indubitato  il  Diploma  di  Arrigo  Se- 
condo fra  gl'Imperadori,  dato  nel  1045?.  in  favore  di  Bernar- 
do Vefcovo  di  Padova ,  già  pubblicato  da  Sertorio  Orfato  Lib.III. 
Hift,  Patav.  e  pofcia  da  me  più  corretto  ,  dicendo  nell'  Anno 
fuddetto  efTo  Auguflo  a  quel  Vefcovo  Itcentiam  &  poteflatem 
Mo'tietnm  fac'tendi  in  Cìvitate  Patavie?ìjì^  fecundwm  pondus  Ve- 
ronenfis  Mofieta: ^  fib't  ,  fuceque  EccleJìiS  perpetualiter  concedimus 
atque  permìtdmus  &c.  Piìi  fotto  :  In  una  fuperficie  Denariorum 
fiojìri  fiominis^  &  imaginis  ìmprejfionem  ;  in  aiterà 'vero  ejusdem 
Ctvipatis  figuram  imprimi  jujjìmus.  Finora  non  ho  potuto  fco- 
prire  che  i  Vefcovi  di  Padova  ,  come  in  tante  altre  Citta  av- 
venne, otteneflero  da  gl'Imperadori  il  Comitato  o  fia  la  Signo- 
ria  di  quella  nobililTima  Citta  ;  e  pure  a  Bernardo  Vefcovo  è 
conceduta  la  facoltà  di  battere  Moneta,  e  dimettervi  la  figu- 
ra della  Gitt'a  ,  come  s'egli  vi  fignoreggiaffe  .  E^  forfè  dadi- 
re,  che  il  Vefcovo  foffe  allora  Capo  di  quella  Comunità,  alla 
quale  egli  proccurafTe  quel  pregio,  conche  nondimeno  i  pro- 
venti appartenefiero  alla  Menfa  Epifcopale.  Certamente  in  efìTi 
Denari  non  fi  dice,  che  abbia  a  comparire  alcun  fegno  di  Do- 
minio Epifcopale.  Vedi  quaggiù  le  Monete  di  Reggio.  Quelle  di 
Padova  fpezialmente  furono  raccolte  dal  Conte  Giovanni  Lazza- 
ra  Patrizio  di  quella  Citta  . 

La  Prima  Moneta  in  effo  Mufeo  ha  la  Croce  colle  lettere  CI- 
VITAS.  Nell'altra  parte  PADVA . 

La  Seconda  ,  che  fi  truova  anche  nel  Mufeo  Bertacchini  di 
Modena,  ha  nel  diritto  un'Aquila,  e  all'intorno  PADVA  RE- 
GIA. Nel  rovefcio  la  Croce  ,  e  CIVITAS  .  Vi  fi  vede  anche 
uno  Scudetto  coli' arme  di  non  so  chi. 

La  Terza  ,  da  me  trovata  anche  in  Modena,  moftra  la  Cro- 
ce nel  diritto  colle  lettere  CIVIT.  PAD.  Ne  gli  angoli  della 
Croce  le  due  lettere  I.  A.  Sarebbe  da  veder  meglio,  fefoffero  V.  A. 
per  compimento  della  parola  PADVA.  Nell'altra  facciata  l'im- 
magine d'un  Santo  Vefcovo  ,  e  le  lettere  S.  PROSDOCIMVS  , 
Protettore  della  Citta  di  Padova  . 

La  Quarta  fu  creduta  dal  Conte  Lazzara  fpettante  ad  effa 
Citta.  Ma  non  v'ha  che  un  P.  nel  diritto,  fenza  altre  let- 
tere ,    e  fenza    altro  fegno    indicante  Padova  .    Però  è    fiata 

Aaaa     2  meffa 


55<^  Dissertazione 

meifa  in  dubbio  .  Nel  rovefcio  fi  vede  uno  Scudo  con  arme  a 
me  ignota. 

La  Qijinta  in  effo  Mufeo  ha  nel  mezzo  un' A.  nel  contorno 
CIVITAS.  Nel  rovefcio  una  Stella,  e  le  lettere  PADVA. 

E  finquì  le  Monete  battute  dalla  Repubblica  Padovana.  Suc- 
cedono altre  imprefe  da.  ìCarr^reJt  Signori  di  quella  Citta,  fra' 
quali  nondimeno  pare,  che  folamente  i  due -Fr^/^c^yc/^i  Seniore 
e  Juniore  batteffero  Moneta  .  Può  eiTere  ,  che  anche  gli  altri 
non  faceflero  di  meno.  Il  Carro  fu  l'Arme  ed  Infegna  di  que' 
Principi  ,  però  quafi  fempre  ne  comparilce  un  Abbozzo  ne' 
loro  Denari.  E  queiU  a  quali  de'  due  Franceichi  appartengano, 
noi  so  io  difcernere. 

La  Sefla  dunque- nel  Mufeo  Lazzara  fa  vedere  nel  diritto  il 
Carro  colle  lettere  FRAN.  DE  CARRAIA  .  Nei  rovefcio  la 
Croce ,  e  le  lettere  D.  I.  P.  AD.  VA  ,  cioè  Domhius  in  Padua, 

La  Settima  ha  il  Carro  colle  lettere  R.R.  di  qua  e  di  la , 
e  nel  contorno  FRANCiSCI  DE  CARARIA.  Nel  rovefcio 
l'effigie  di  un  Vefcovo  colle  lettere  B.  Z.  dai  lati,  e  all'intor- 
no S.  PROSDOCIMVS. 

L'Ottava  è  fimile  alla  precedente,  fé  non  che  nel  rovefcio 
Ila  CIVITAS  PADVA. 

La  Nona  fa  vedere  il  Carro  con  quefta  ifcrizione  :  F.  D. 
KRARIA  PADVE  ECETERA  ;  fottintendi  Dominus  .  Nei 
rovefcio  la  figura  di  un  Santo,  che  tiene  nella  delira  una  Cit- 
ta ,  colla  finiiira  una  bandiera,  e  le  lettere  S.  DANIEL 
MARTIR  N. 

La  Decima  nel  fuddetto  Mufeo  ,  ed  anche  in  Roma  prefTo 
l'Abbate  Francefco  Valefio  ,  molira  il  Carro  ,  e  all'  intorno 
FRANCISCHVS  DE  CARARIA.  Nel  rovefcio  la  figura  di 
una  Sfinge  con  due  A  A  da  i  lati,  e  nel  contorno  SEPTIMVS 
DVS  (cioè  Domifii4s)  PADVE.  Altre  fimili  Monete  colla  Sfin- 
ge ho  veduto  ,  fenza  ifcrizione  ,  e  folamente  colle  lettere  F.  F. 
o  pure  R.R.  ed  altre  col  Carro  dall' una  parte,  e  dall'altra  il 
Giglio  (Arme  di  Lodovico  Re  d'Ungheria  Protettore  di  Fran- 
cefco Seniore  )  ed  altre  in  fine  col  Carro  neh' un  canto,  e  un 
Elmo   nell'altro.  Ma  per  non  infafiidire  i  Lettori,  le  tralafcio. 

Finalmente  l'Undecima  nel  fuddctto Mufeo  ha  la  Croce  ra- 
diata, e  all'intorno  FRANCISCI  DE  CARARIA.  Nel'ro- 
vefcio  la  Croce  colle  lettere  CIVITAS.  PADVE. 

Perù- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  557 

Perugia . 

Cinque  Monete  della  Citta  di  Perugia  fon  venute  a  mia 
notizia  .  La  Prima  nel  Mufeo  Chiappini  di  Piacenza  ha  nel 
mezzo  un  P.  cioè  Pcrujia  ,  le  pur  non  foiTe  Pecunia  ;  e  all'  in- 
torno DE  PERVSIA  .  Il  rovefcio  ha  la  Croce  colle  lettere 
S.  ERCVLANVS,  Protettore  di  qucha  Citta.  Ma  pare,  che 
quello  fia  più  tofto  il  diritto,  e  che  neh' altra  parte  il  P.  fi- 
gnifichi  Profeóior . 

La  Seconda  nel  Mufeo  Bertacchini  porta  la  Croce  ,  e  nel 
contorno  DE  PERVSIA.  Nel  rovelcio  fi  mira  l'effigie  d'un 
Santo  Veicovo  colle  lettere  S. ERCVLANVS. 

La  Terza  in  Ruma  nel  Mufeo  del  Cav.  Francefco  Vettori 
ha  nel  diritto  S.  ERCVLANVS,  e  nel  mezzo  P.  cioè  Proteóior 
o  Patronus  .  Nel  rovelcio  un  Ippogriffb  coronato  colle  lettere 
AVGVSTA  PERVSIA.  Truovafi  cosi  nominata  quella  sì  ri- 
guardevol  Citta  ne' Marmi  antichi. 

La  Obliar ta  preffo  il  Padre  Filippo  Camerini  Prete  dell'Ora- 
torio ài  Camerino.  Vi  fi  mira  l'effigie  di  un  Santo  colle  lettere 
S. ERCVLANVS.  E  nell'altra  parte  nel  contorno  DE  PER V- 
SI.  e  nel  mezzo  un' A.  che  compie  la  parola  PERVSIA ,  All' 
intorno  quattro  Stellette. 

La  Quinta  poffeduta  dal  Dottore  Dionifio  Andrea  Sancaflani 
da  Scandiano  ,  Medico  rinomato  ,  ha  il  Griffo  alato  ,  Infegna 
de'  Perugini  .  Nel  rovefcio  le  Chiavi  :  fegno  del  Dominio  Pon- 
tifizio  .  Altre  fimili  di  differente  modello  ho  veduto  ;  ma  ài 
più  non  ne  reco,  baftando  le  accennate. 

Fifa. 

In  che  tempo  cominciaffe  la  già  potente  Citta  di  Pìfa  a 
fabbricar  Moneta,  non  fi  può  fufficientemente  conoicere.  Cer- 
tamente quel  Popolo  avea  Zecca  nel  i  175.  fcnvendo Tolomeo 
da  Lucca  a  quell'Anno,  jc?jte?Jt'tam  fuijfe  latam  per  Impera- 
torem  Fredericum  cantra  Pifanos  de  Moneta  non  cudenda  in  ea 
forma  &  cuneo  ,  qua  &  quo  Lucenfes  cudere  poffunt,  Vien  ciò 
confermato  dall'antico  Carfaro  negli  Annali  di  Genova,  cheicnve 
d'elfo  Federigo  I.  Augufto  :  Pifanis  Monetam  Lucenfem ,  quain  ma- 
Ut  iofe  cudebant-)  &falfijicabant  ^jubjur  amento  debito  in  ter  disi  t .  Ma 


for 


558  Dissertazione 

forfè  né  pure  ne'  più  vecchi  Secoli  di  quefio  pregio  fu  priva 
quella  nobil  Citta.  Imperocché  in  uno  Strumento  dell'Anno  7  8  2. 
da  me  accennato  nella  Di  (Ter  1. 1.  noi  trovammo  menzionati  5'o- 
lidos  feptìnìentos  Lucani  ,  &  P'tfani  .  Certo  è  ,  che  allora  in 
Lucca  fi  batteva  Moneta  :  perchè  non  anche  in  Pila?  S'è  ve- 
duto ,  che  non  folamente  Pavia  ,  ma  anche  la  vicina  Cittk  di 
Milano  ne' vecchi  Secoli  goderono  un  pari  Privilegio.  Il  P.  D. 
Virginio  Valfecchi  nell'  Epiftola  de  veterìbus  Fìfaììcs  Civitath 
Conjì'itutis  rapporta  uno  Strumento  di  concordia  fra  i  Piiani  e 
Lucchefi  intorno  alle  Monete  ,  fcritto  nel  1181.  dove  è  liipu- 
lato,  che  nella  Lucchefe  nomen  Luc<s^  ^el  Henrìgì  fvgnandum 
effe  ;  e  in  quella  ,  quam  Pifani  fahricare  dehent  ,  nomen  Fri- 
devici^  feu  Currad't  ,  &  nome?i  Pijcs  5  s'  abbia  da  feri  vere  :  fe- 
gno,  che  Corrado  II.  Re  d'Italia,  e  Federigo  I.  AuguRo  avea- 
no  confermata  quella  facoltà  a  i  Pifani.  Ricavafi  anche  da  quel- 
la Carta  ,  che  in  Lucca  folamente  avea  da  elfere  la  Zecca  ,  e 
quivi  fi  doveano  battere  anche  i  Denari  diPifa,  con  partire  poi 
fra  loro  il  guadagno  . 

La  Prima  Moneta  efifiente  prefTo  il  fu  Sign.  Uberto  Benvo- 
glienti  in  Siena  ,  avea  la  Croce  colle  lettere  intorno  GLORIOSA 
PISA .  Nel  rovefcio  la  Croce  colle  lettere  VI  VI  VI  VI  VI  VI  VI . 
Eccoti  una  Sfinge.  Si  può  fofpettare  fette  volte  ripetuto  VIVAT, 
Torna  a  mirare  il  primo  Denaro  Lucchefe.  Chi  sa  che  quefto  an- 
cora non  fia  fattura  del  Secolo  Ottavo  ? 

La  Seconda  preffo  il  medefimo  ha  nel  mezzo  F.  cioè  Prede- 
ricus^  e  nel  contorno  IMPERATOR.  Il  rovefcio  ha  nelmezzo 
PISA,  e  all'intorno  CIVITAS. 

La  Terza  in  Pila  prefib  il  fu  Sig.  Angelo  Pogefì,  ha  un'Aqui- 
la coronata  colle  lettere  FEDERICVS  IMPERATOR.  Nel  ro- 
vefcio  l'Immagine  della  Beatiis.  Vergine  col  Bambino  in  brac- 
cio col  motto:  PROTEGE  VIRGO  VlSas. 

La  Quarta  in  Roma  prefib  il  fu  Abbate  Valefio  ,  e  la  pof- 
feggo  anch'io.  Vi  fi  vede  un' Aquila,  eFR.  IMPATOR,  cioè 
Fredericus  Imperator  ,  Nel  rovefcio  la  fuddetra  Immagine  ,  e 
PISE. 

La  Quinta  nel  Mufeo  Bertacchini  di  Modena  ,  e  Vettori  di 
Roma.  V'ha  un'Aquila,  e  all'intorno  FR.  IMPTOR  .  Ve- 
defi  nell'altra  parte  la  ftelfa  Immagine  ,  e  con  lettere  Greche 
MP.  0Y.  ciohMaterDei,  e  fotto  PISE. 

La  Seda  nel  Mufeo  Bertacchini  j  in  Pifa  e  Siena,  ha  la  Croce 

nel 


Ve  N  T  E  S  I  M  A  SF.  T  T  I  M  A  .  559 

nel  diritto  colle  lettere  POPVLI  PISANI.  Nel  rovefcio  la  f ad- 
detta effigie,  e  PROTEGE  VIRGO  PISAj. 

La  Settima  ha  nel  diritto  la  Croce,  e  PISANI  COMMV- 
NIS  ,  e  nel  rovefcio  l' Immagine  con  PROTEGE  VIRGO 
PISAS . 

L'Ottava  in  Modena  preflb  il  Sig.  Lodovico  Parma  ,  ed  al- 
trove ,  ha  nel  mezzo  KL.  cioè  Karolus  .  Nel  contorno  :  KA- 
ROLVS  :  REX  :  PISANORVM  :  LIB:  cioè  L'tberator  .  Egli  è 
Carlo  VIII.  Re  di  Francia  ,  che  nel  145)4.  fottrafìTe  Pifa  al  do- 
minio de'  Fiorentini  .  Nel  mezzo  del  rovefcio  1'  effigie  della 
Vergine  colla  luddetta  Ifcrizione  ,  e  al  fuo  lato  un'  A  colla 
Croce. 

La  Nona  in  Modena  preflb  il  Sig.  Bartolomeo  Soliani  .  Vi  fi 
vede  l'Arme  Regia  di  Francia  ,  e  KAROLVS  REX.  Nel  rove- 
fcio un  P.  nel  mezzo  :  non  so  fé  P//^,  o  ProteBor.  E  all'intor- 
no CIVITAS  PISANA. 

Finalmente  in  Roma  nel  Mufeo  Vettori  un  Denaro  ha  nel 
diritto  POPVLI  PISANI  ;  nel  rovefcio  PROTECTRIX.  PI- 
SANORVM .  Un  altro  ha  F.  IMPERATOR  ,  e  nel  rove- 
fcio S.  MAR.  D.  PISIS. 

Pefaro . 

Nell' Anno  di  Crifto  MCCCCXLIV.  cominciò  a  fignoreg- 
giare  in  Pefaro  Aleff andrò  Sfori:^  Fratello  del  celebre  France- 
fco  Sforza  I.  Duca  di  Milano  .  A  lui  appartiene  la  Prima  Mo- 
neta ,  efiftente  prefTo  l'Avvocato  Giovacchini  di  Foflbmbrone. 
Vi  rilegge  ALEX.  SFORTI.  e  DOMINVS  PISAVRI. 

La  Seconda  di  Coftanzo  fuo  Figlio,  che  nell'Anno  1473.  fu 
Signore  di  Pefaro,  efifte  nel  Mufeo  Bertacchini .  Ivi  la  Croce 
colle  lettere  CONSTAN.  SE.  PISAVRI  ;  fottintendi  Domìnus  . 
Nel  rovefcio  l'Immagine  di  un  Martire  ,  e  S.  TERENTIVS , 
eh' è  Protettore  di  Pefaro. 

La  Terza  prelTo  il  fu  Abbate  Valefio  ha  nel  diritto  CON- 
STANTIVS.  S.  cioè  Sforna;  e  nel  rovefcio  DOMINVS  PI- 
SAVRI. con  uno  Scudetto,  che  ha  le  fue  Arme. 

La  Quarta  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  un  Leone  rampante  , 
che  tiene  un  ramo  fiorito,  e  all'intorno  CONSTANTI VS  SE. 
P.  cioè  Pifauri  Dominus,  Nel  rovefcio  PISAVR. 

La  Quinta  in  Bologna,  v'ha  la  Vergine  inginocchiata,  che 

ado- 


5^0  Dissertazione 

adora  il  divino  Infante  col  motto  HìCTEADORAT.  Neil' 
altra  facciata  CONSTANTIVS  SFORTIA  DE  ARAGO- 
NI  A   PISA,   cioè  Pifauri  Dominus, 

La  Sefta  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  l'effigie  del  Principe  col- 
le lettere  :  CONSTANTIVS  SF.  DE  ARAGO.  PÌSAV.  Nel 
rovelcio  il  Camello  da  lui  fabbricato  in  Pefaro.  Vi  fi  legge  §  A- 
LVTI  ET  MEMORI AE  CONDIDIT. 

La  Settima  nello  fteffo  Mufeo,  ed  altrove,  ha  l'Arme  della 
Cafa  Sforza  coU'lfcrizione  IO.  S.DE  ARA.  CO.  COTI.  PISAV. 
cioè  Gìonjannl  SforT^  (  Figlio  di  Coftanzo  )  da  Aragona  ,  Conte 
dì  Cotignola^  Signor  di  Pefaro^  che  nel  1483.  cominciò  la  iua 
Signoria  .  Nel  rovefcio  l'Immagine  della  Madre  di  Dio  con 
ORA  PRO  NOBIS. 

L'Ottava  nel  medefimo  ha  il  buflo  del  Principe  colle  let- 
tere IOANNES  SFORTIA  PISAVR.  P.  Nel  rovefcio  PV- 
BLICAE  COMMODITATI. 

Mi  fia  lecito  di  aggiugnere  un  Medaglione  da  me  veduto 
in  Modena  preflb  il  Conte  Niccolò  Gradetti  .  Quivi  è  l'effigie 
d'una  Donna  coU'lfcrizione:  CAMILLA.  SFOR.  DE  ARA- 
GONIA.  MATRONAR.  PVDICISSIMA.  PISAVRL  DO- 
MINA. Nel  rovefcio  Donna  che  fiede  lopra  un  Unicorno  ,  e 
una  Pecorella,  che  colla  deftra  tiene  un  dardo  ,  colla  finiftra 
un  Serpente  col  motto:  SIC  ITVR  AD  ASTRA.  Nel  fon- 
do fi  legge  SIC.  SPERANDEI  .  Fu  queda  Camilla  Moglie 
del  fuddetto  Collanzo. 

Ad  efla  ancora  appartiene  la  Decima  Moneta,  efiftente  nel 
Mufeo  Mufelli  di  Verona  .  Qliìvì  lon  l'Arme  di  Cafa  Sforza 
coir  Ifcrizione  CAMILLA  D.  GZ.  IO.  S.  PISAVRI  D.  Reftò 
erede  del  Marito  effa  Camilla  con  Giovanni  Sforza  fuo  Figlio. 
Quel  D.  GZ.  non  so  fé  dica  Domini  Galeax^Johannis^  cioè  Ma- 
ter  ^  o  pure  Dei  Grafia^  o  fé  quel  fìa  il  fuo  Cognome.  Nel  rove- 
fcio la  Vergine  coli' ORA  PRO  NOBIS. 

Piacenza . 

Da  Corrado  IL  Re  di  Germania  ed  Italia  ottennero  nel  1140. 
i  Piacentini  l'ornamento  della  Zecca.  Lo  atte  (la  a  quell'Anno 
l'Autore  della  Cronica  Piacentina  ,  da  me  data  alla  luce  con 
dire  :  Eodem  Anno  Rex  Conradus  Secundus  fecitPrivilegiumPla- 
centinis  faciendi  Monetam  ;  &  eodem  Anno  dióia  Moneta  fuit 

incce- 


Ventesìmasettima.  ^6i 

ìncoeptafieit  .  Fu  pubblicato  dal  Locati  nella  Storia  di  Piacen- 
za, da  cui  apparilce  ,  che  tal  prerogativa  era  ftata  conceduta 
anche  da  Arrigo  Qtiarto  e  Qiiinto  a  i  Piacentini. 

La  Prima  Moneta  coniervata  nel  Mufeo  Chiappini  di  quella 
Cittk,  ha  nel  diritto  CONRADI,  e  nel  contorno  REGIS  SE- 
CVNDI.  Nel  roveicio  DEPLACENTIA. 

La  Seconda  nello  ftefìb  Mufeo  ha  uno  Scudo  con  un'  Ar- 
me,  o  con  una  Figura  5  e  all'intorno  PLACENTIA  AVGV- 
STA  .  Nel  rovefcio  la  Croce  ,  e  le  lettere  NOSTRA  RE- 
DEMPTIO. 

La  Terza  nello  ftelTo  Mufeo.  Nel  contorno  fi  legge  lOAN- 
NES  DE  VIGNATE  ,  e  m'è  fembrato  di  leggere  nel  mez- 
zo P.  D.  cioè  Placenttce  Domtnus  .  Coftui  Padrone  ,  o  fia  Ti- 
ranno di  Lodi,  prefe  anche  la  Signoria  di  Piacenza,  e  la  per- 
de poi  nel  141  3.  Nel  rovefcio  la  Croce  colle  lettere  PLACEN- 
TIA .... 

La  Qiiarra  in  Modena  ha  l'effigie  di  Donna  ,  che  tiene  un 
fanciullo  nudo,  che  fembra  porgere  un  baftone.  Nel  contorno 
fi  legge  FIDA  PLACENTIA.  Il  rovefcio  raoftra  il  buffo  di 
un  Santo  colle  lettere  SA.  ANTONìNVS. 

Recanati . 

Godeva  anticannente  anche  la  Citta  di  Recanatl  il  Gius 
della  Zecca  .  Nel  Mufeo  Bertacchini  v'  ha  una  fua  Moneta  , 
dove  fi  mira  un  Lione  rampante  ,  e  nel  contorno  fi  legge  : 
DE  RECANETO.  Il  roveicio  ha  la  Croce  nel  mezzo  ,  e  all' 
intorno  S. FLAVI ANVS,  Protettore  di  quella  Citta.  In  Roma 
il  Cavalier  Vettori  ne  poffiede  un'altra,  che  ha  nei  diritto  DE 
RECANETO,  e  nel  rovefcio  S. MARIA. 

Reggio  di  Lombardia. 

NiuNA  Moneta  della  Citta  di  Reggio  ho  potuto  io  vedere 
battuta  prima  del  1233.  In  fatti  a  quell'Anno  fcrive  il  Cro- 
ni (fa  Reggiano  da  me  pubblicato  :  Eo  Afino  primo  hicepta  fu'tp 
Moneta  Reginorum,  E  il  Panciroli  nella  Storia  MSta  d' eifa  Cit- 
ta ,  così  parla  de' Reggiani  .  Primum  Nicolai  Maltraverfti  An- 
tijìitis  nomine ,  penes  quem  hoc  jus  reftdebnt ,  cudere  Monetam 
Tomo  L  Bbbb  caspe- 


5^2  ,  1)    ì    S    S.  E    R'    T    A    Z    t   ONE 

c^ceperu/if.  Unde  nl'tqua  et'tam  hodiQ  Numijmata  cum  hnc  mfcri- 
fttone  vìjuntm  :  NICOLAVS  EPISCOPUS  .  Ah  altera  -vero 
'  parte  legnar  FRIDERICVS  IMPERAOR  :  quod  jEnobnrhi 
hé?jefic'ìo  ìd  Ant'tflìii  riojìvo  jus  olrm  concejjum  juijfe  ftgnìpcat , 
Non  da  Federigo  Barbaroflìi  5  ma  da  Federigo  II.  è  da  credere  , 
che  venifTe  a  Reggio  quel  Privilegio.  Se  tanto  prima  l'aveffero 
impetrato,  non  par  credibile  ,  che  aveffero  differito  il  valerle- 
ne  folaniente  a' tempi  del  Velcovo  Niccolo^  che  fiorì  lotto  Fe- 
derigo II.  Fulvio  Azzari  nella  Cronica  iVISta  de' Ve  (covi  di  Reg- 
gio, icrive  ài  non  aver  vedute  Monete  di  quel  Vefcovo  ,  in  cui 
il  legga  il  nome  di  Federigo.  Né  pure  a  me  è  avvenuto  di 
trovarne  .  Contuttociò  tengo  per  certo  quanto  dice  il  Panci- 
roli  .  Il  Velcovo  Niccolò  lui  prmcipio  dovette  mettere  il  no- 
me di  queir Imperadore  nelle  lue  Monete;  ma  da  che  le  Sco- 
muniche  fi   affollarono   lopra  di  lui  ,  il  V^clcovo  defitte  dal  no- 


minarlo. 


La  Prima  Moneta  efillente  in  Reggio  e  Modena  ,  ha  nel  mez- 
zo un  N.  cioè  Nicol aus ;  e  nel  roveicio  EPISCOPVS  .  Nel  ro- 
veicio  fi  mira  un  ramo  con  foglie,  e  le  lettere  DE  REGIO, 
In  altra  fimile  quell' N.  pare  un' H.  che  taluno  potrebbe  at- 
tribuire Tìà  Henri  co  Vefcovo  nel  1301.  Ma  in  que'  tempi  Azzo 
VIII.   Marchele  d'Elle   era  padrone  di  Reggio. 

La  Seconda,  preilo  Bartolomeo  SoHani  ha  l'effigie  del  Vefco- 
vo Santo  ,  Protettore  di  Reggio  y  colle  lettere  S.  PROSPER  . 
Nel  rovefcio   uno  Scudo  colla  Croce,  e  REGiVM  . 

La  Terza  nel  Muleo  Bertacchini  .  Vi  fi  vede  il  capo  d'un 
Principe  colle  lettere  DIVO  HERC.  DVCI  .  Egli  è  Ercole  IL 
Duca  di  Ferrara  ,  che  nel  1471.  cominciò  a  portare  quel  ti- 
tolo .  Il  roveicio  ha  la  Croce  colle  lettere  COMVNITAS 
REGII. 

La  Quarta  poffeduta  in  Modena  dall' Abbate  Domenico  Van- 
delli  ha  un'  Aquilla  ,  che  (la  lopra  una  non  so  qual  Macchi- 
na, e  le  lettere  HERCVLES  DVX.  Nel  rovefcio  l'Immagi- 
ne d'un  Velcovo,  e  le  lettere  S.  PROSPER.  EPS.  REGII. 
■  La  Qj-iinta  nel  Muieo  Bertacchini  ha  il  Capo  d' efib  Duca, 
colle  lettere  HERCVLES  DVX  .  Nell'altra  parte  REGIVM 
OLIM  AEMILIA  .  Di  quefla  denominazione  vedi  lopra  la 
Differt.XXI. 

La  Sella  è  fimile,  fé  non  che  con  licenza  del  Prifciano  vi  fi 
legge  REGIVM  EMILIA  VETERES. 

La 


V  E  N^  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A.  .  5(5  j 

La  Settima  nello  fteffo  Mnfeo  ha  l'effigie  del  Vefcovo  ,  e 
S.  PROSPER.  Nclrovelcio  REGII  LEPIDI. 

Conti  e  Duchi   di  Savoia. 

Della  nobiliflìma  Real  Cafa  di  Sn'vota  ,  che  da  tanti  Secoli 
fiorifce  in  Italia,  iiluftre  per  titoU  di  potenza,  di  valore,  e  di 
gloria  non  men  di  qua,  che  di  la  da' Monti,  e  a'noftri  giorni 
maggiormente  rilplende  per  la  loftanzial  Corona  del  Regno  di 
Sardegna,  e  per  l'accrelcimento  di  tanti  altri  Stati,  ampiamen- 
te, oltre  ad  altri  Autori,  ha  trattato  Samuele  Guichenon  con 
teflerne  la  Storia  Genealogica  in  tre  Tomi  .  Avendo  egli  rap- 
portato quante  Monete  leppe  egli  trovare  ,  Ipetranti  a  que' 
generofi  Principi  ,  io  profitterò  ora  della  lua  fatica  .  Convien 
lolo  avvertire  ,  che  contandoli  in  efla  Real  Cala  molti  Umber- 
ti ^  ed  affai  ^^\ì\  Amedei  ^  non  fi  può  indovinare,  a  quai  preci- 
famente  di  effi  s'abbiano  ad  afiegnare  le  antiche  loro  Monete. 
Volentieri  ancora  io  tralafcierò  un  Denaro,  attribuito  dal  me- 
defimo  Guichenon  a  Beroldo  ,  primo  ira  i  Principi  a  noi  noti 
della  fiirpe  di  Savoia,  che  circa  il  1015.  fioriva:  s\  perchè 
non  fembra  Denaro,  mancandovi  il  rovefcio  ,  e  si  perchè  non 
leggiamo,  che  in  que' tempi  i  Conti  e  Marchefi  pò  te  (Te  ro  bat- 
tere Moneta  ,  ed  era  allora  la  Savoia  parte  del  Regno  di  Bor- 
gogna ,  e  Beroldo  iolamente  Conte  di  Morienna  ,  era  Vaflallo 
de  i  Re  d'efTa  Borgogna.  Andiamo  dunque  alle  più  certe  no- 
v-7je  . 

•  1-^  Prima  Moneta  è  attribuita  dal  Guichenon  ad  Umberto 
Conte  di  Morienna,  che  fi  crede  morto  nel  1048.  Nel  dirit- 
to comparile^  ja  Croce  ;  una  Stella  nel  -r^veicio  colle  lettere 
VMBERTVS  COMES.  Ma  attribuendone  egU  una  fimile  ad 
Umberto  IL  più  toflo  a  lui,  che  al  Primo,  pare  che  quella  fia 
da  riferire . 

La  Seconda  ha  un'Aquila  nel  mezzo  colle  lettere  AMEDS 
COMES  SAB.  cioè  Amedeus  Comes  S^baudi<f^ .  Nel  rovefcio  la 
Croce,  e  ne  gli  angoli  A.  M.  E.  D.  efprimenti  lo  ileflb  nome. 
Nel  contorno"  l^EDEMONTENSIS  .  F  attribuito  quello  De- 
naro dal  Guichenon  ad  Amedeo  11.  Conte  di  Savoia  ,  che  cir- 
ca l'Anno  1080.  fi  crede  defunto  .  A  tal  parere  non  mi  poffo 
lottofcrivere  ;  s\  perchè  molto  più  tardi  fu  inventata  l'x^qui- 
la  con  due  tede  ,  e  perchè   non  potea    peranche  competere  a 

Bbbb      2  quel 


5^4  Dissertazione 

quel  Principe  il  titolo  à\  Pedemotnenfts  .  E  però  s'ha  efib  da 
riferire  aduno  de' fufTeguenti  Amedei. 

La  Terza  ha  la  Croce  colle  lettere  AM.  COMES.  Nel  ro- 
vefcio  una  Stella,  e  SABAVDIE.  Di  quale  Amedeo  fi  tratti, 

noi  so. 

La  Quarta  ha  la  Croce  ,  e  ne  gli  angoli  d'  efia  A.M.  E.  D. 
e  nel  contorno  AMEDEVS  .  Nel  roveicio  una  Stella  ,  e  CO- 
MES SABAVB.  Amendue  fono  dal  Guichenon  attribuite  ad 
Amedeo  II.  folamente  indovinando  ,  potendo  appartenere  a  i 
polleriori . 

La  Quinta  fi  dice  battuta  adi  Umberto  IL  defunto  nel  1 103. 
Nel  diritto  la  Croce,  ed  VMBERTVS  COMES.  Nel  rovefcio 
una  Stella  colle  lettere  SECVSIA,  oggidì  5*^/7. 

La  Seda  vien  creduta  fpettante  ad  Amedeo  III.  che  fini  i  fuoi 
di  nel  114P.  Nel  mezzo  un'A.  {ìgm^cd^mt  Amedeus .,  e  all'intor- 
no COMES  DE  SABAVD.  Il  roveicio  ha  uno  Scudo  colla  Cro- 
ce,  e  le  lettere  IN  ITALL^  MARCHIO. 

La  Settima  è  attribuita  al  medefimo.  Mirafi  quivi  una  Cro- 
ce con  due  palle  .  Tre  altre  ne  ha  il  rovefcio  coUe  lettere 
AMEDEVS  COMES.  SECVSIA. 

L'Ottava  appartiene  ad  Umberto  III.  che  cefsò  di  vivere  nel 
1188.  Nel  mezzo  fi  mira  un'H.  lettera  iniziale  dìHumbertus ; 
e  nel  contorno  COMES  DESABAVDI.  Nel  rm^eicio  la  Cro- 
ce in  uno  Scudo,  Arme  di  quella  Real  Famiglia  ;  e  all'intorno 
IN.  ITALIA.  MARCHIO, 

La  Nona  vien  creduta  appartenere  a  Tommafo  I,  che  te*"- 
minò  il  fuo  vivere  nel  1233.  Vi  fi  mira  lo  Scudo  coIIp  '^1^0- 
ce  ,  ed  un  Cimiere  ,  e  le  lettere  TS.  HT.  che  il  Caichenon 
pretende  fignificare  Thomas  Humberti  ,  giocando  ad  indovina- 
re .  Nel  rovefcio  due  lacci,  e  nel  mezzo  F.  E.R.T.  le  qua- 
li lettere  elfo  Storico  crede  eflere  fiate  Ai  Divifa  di  quel  Prin- 
cipe ,  e  d'  altri  luoi  SuccelTori  .  Co/e  curiofe  immaginarono 
intorno  a  tal  Divifi  gli  Scrittori  Fiemontefi  .  Il  Du-Cange 
offervò  nel  Capit.  55.  de  Pfyfmwmia  di  Michele  Scoto  Stro- 
logo ,  che  Fert  e  Confert  erano  credute  buoni  o  cattivi  au- 
gurj  .  Furono  anche  Fertones  una  Torta  di  Moneta  ,  la  quale 
,non   so  fé   poteffe   fervire  a  riichiarar  quelle  tenebre. 

La  Decima  indovinando  è  attribuita  ad  Amedeo  IV.  che 
neU'Anno  1253.  pafsò  all'altra  vita.  Vi  fi  mira  l'Aquila, 
t  AMD.  COMES  SABAVD.  La  Croce  nel  rovefcio,  colle- 
lette- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  I  M  A  '.  5(^5 

lettere   IN  ITi\LIA  MARCCHO  ,    in  vece  di  Marchio. 

L'Undecima  del  Muieo  Chiappini  pare  che  fìa  da  riferire 
allo  Iteflb  Amedeo  IV,  o  pure  ad  Amedeo  V.  Nel  diritto  l'A- 
quila colle  due  tefte  colle  lettere  AMEDS  SAB.  Nel  rove- 
fcio  la  Croce  ,  e  ne' iuoi  angoli  A.  M.  E.  D.  e  all'intorno  SA- 
BAVDIESIS.  Simile  è  alla  Seconda,  e  forfè  ancor  quella  s'ha 
da  riferire  a  quello  Principe. 

La  xir.  è  attribuita  2i  Boni fi7:ìo  Conte ^  che  nell'Anno  I2(5'3. 
cefsò  di  vivere.  V'ha  nel  mezzo  un  B.  indicante  il  fuo  no- 
me. Nel  contorno  COMES  SARAVD.  Il  rovefcio  haloScu- 
do  colla  Croce,  e  all'intorno   MARCH.   IN.   ITALIA. 

La  XIII.  nel  Mufeo  Bertacchini  di  Modena  appartiene  a  Pie- 
tro Conte.  Nel  mezzo  comparifce  la  Diviia  FER.T.  colle  let- 
tere PETRVS  COMES  SABA.  Nel  rovefcio  la  Croce  genti- 
lizia,  e  IN  ITALIA  xMARCH.  Quelli  nell'Anno  1 258.  §iun- 
fe  al  fine  di  fua  vita. 

La  XIV.  è  creduta  dal  Guichenon  fpettante  a  Filippo  Con- 
te  del  Piemonte  .^  e  Principe  d' Achaia  ^  che  nel  1334.  com- 
piè la  carriera  del  fuo  vivere  .  Nel  mezzo  un  P.  può  fignifi- 
care  Philippus  .  Leggefi  nel  contorno  PRINC.  MARCO. 
(cioè  Marchio)  ITAL.  Nell'altra  parte  l'Arme  della  Cala 
con  COMES  SABAVDIE  .  Forfè  appartiene  al  precedente 
Pietro . 

La  XV.  è  fenza  fallo  del  fuddetto  Filippo  .  Ivi  comparifce 
la  Croce  con  tre  palle  negli  angoli,  e  PHILIP.  PRIN- 
CEPS  .  Nel  rovefcio  una  Stella  con  cinque  palle  intorno, 
e  colle  lettere  TORINVS  CI  VIS  ,  cioè  Civitas  .  Quella  pa- 
re che  foffe  allora  l'Arme  della  Citta  di  Torino  ,  la  quale 
oggi  ufa  lolamente  tre  Stelle  .  Vedi  iopra  le  Monete  attri- 
buite ad  Umberto  I.  eli.  Q_Liando  mai  que'  Principi  non  fof- 
fero  (lati  Signori  di  Torino  ,  s'  avrebbero  eife  da  riferire  a^i 
Umberto  III. 

La  XVI.  ha  l'Aquila  da  due  tefìe  .  Veggafi  ciò  che  varj  Let- 
terati, e  maffimamente  il  Du-Cange  nella  Diflert.  de  Nunmis 
infer*  avi  ^  e  dall' Heineccio  nel  Lib.  de  Sigillis  hanno  d'ilpu- 
tato  intorno  all'origine  di  quello  Simbolo  .  Certamente  Aqui- 
la tale  era  in  ulo  nel  Secolo  XIV.  e  ne  fa  menzione  Giovan- 
ni Villani  .  Credefi  ,  che  i  Greci  Imperadori  fofiero  t  primi  a 
valertene  .    Probabilmente    o  del  loro  efempio  ,    o  di  Pri^''-"'^ 


gio  ottenuto  da  elll  ,  Filippo  di  Savoia  le  ne  IcrvJ  anc'i^^eg.i. 


h 

Na 


^66  Dissertazione 

Nel  contorno  fi  le^ge  PHILIPVS  DE  SAB.  Nel  rovefcio  la 
Croce,  ne' cui  angoli  P.  H.  I.L.  lettere  iniziali  del  fuo  nome  ; 
e  all'intorno  PEDEMONTENSIS. 

La  XVII.  è  un  Fiorino  d'oro  ad  imitazione  de'  Fiorentini  . 
Vi  fi  mira  la  Croce  ,  Arme  delia  Cala  con  Cimiere  iopra  ,  e 
wn  Lione  rampante,  con  le  lettere  PRINCEPS  ACCHAYE. 
Nell'altra  facciata  l'immagine  del  Precurfore  ,  e  le  lettere  S. 
JOHANNES.  B. 

La  XVIII.  fi  attribuifce  ad  Amedeo  V,  che  nel  1323.  fu  rapi- 
to dalla  morte  .  Ha  un  Giglio  colle  lettere  AM.  COMES.  Il 
rovefcio  è  fimile  al  precedente  .  Quefto  ancora  è  un  Fiorino 
d'oro,  che  tanto  egli,  come  dirò  a  fuo  tempo ,  che  altri  Prin- 
cipi, batterono  al  difpetto  de' Fiorentini. 

La  XIX.  fpettante  2i\  mtà^^imo  Amedeo  V.  ha  l'Arme  genti- 
lizia coir  Elmo  e  Cimiere  fuddetti  .  Vi  fi  legge  AMEDEVS 
D.  GRA.  COMES.  La  Croce  è  nel  rovefcio  con  quattro  Rofe 
ne  gli  angoli,  e  le  lettere  SABAVD.  IN  ITALIA  MARCHIO. 

La  XX.  pare  che  riguardi  lo  fteffo  Amedeo  V.  e  crede  il  Gui- 
chenon  d'aver  letto  ivi  FER.T  :  il  che  a  me  non  è  avvenuto  . 
Vi  fon  le  lettere  AMEDEVS  COMES.  Nel  rovefcio  la  Croce, 
eSABAVDìE. 

La  XXI.  fi  crede  fpettante  al  medefimo  Principe  .  Sta  un*  A 
nel  mezzo,  e  nel  contorno  MED  COMES  SABA VDIE.  Nel 
rovefcio  la  Croce,  e  MARCH.  IN  ITALIA. 

La  XXII.  è  di  Amedeo  VI.  che  nel  1383.  mancò  di  vita.  Nel 
diritto  è  la  Croce  gentilizia  colle  lettere  AMEDEVS  COMES 
SABADIE  DVX  .  Nel  rovefcio  la  Croce  ,  e  CHABLII  ET 
AVGTE  (  cioè  Augujìa  )  ITALÌAE  MARCHIO  ET  PRE. 
cioè  Prhìceps  ^  o  PrafeBus  .  La  parola  Dux  va  riferita  non  alla 
Savoia,   m2i.  2l  Chablaìs  eel  Aojìa. 

La  XXIII.  moflra  l'effigie  del  Principe  medefimo,  che  porta 
al  colio  iniegna  dell'Ordine  Cavalerefco  da  lui  iftituiio  ,  tiene 
colla  deflra  la  fpada,  e  colla  fmiiira  lo  fendo  coU'Arme  gentili- 
zia. Vi  fi  legge  AMEDEVS  COMES  SABAV.  Nelrovelcio  la 
Croce  attorniata  da  quattro  FERT  ,  uniti  con  lacci  .  E  nel 
eontoi-Lo  DVX  CHABLAS  IL  IN  ITALIA  MARCFI. 
♦  La  xxw.  fi  crede  fpettante  ad  Amedeo  VII.  chiamato  ivi  DVX 
CHABLIS  AVGTE  IN  ITALIA  MARCH. 

^^  xx^.  è  ài  Amedeo  VIIL  che  nel  1^16.  fu  per  la  prima 
volta  dich'urato  D/^c^  di  Savoia  ^  e  nel  1435?.  creato  Papa,  o 

fia 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  r.  T  T  i  M  A  .  ^6"^ 

fia  Antipapa  ,  e  poi  nell'Anno  1441.  terminò  i  fuoi  giorni. 
Nel  diritto  fi  vede  l'effigie  di  San  Maurizio,  e  a' fuoi  piedi  il 
Duca  colle  lettere  AMEDEVS  DVX  SABAVD.  P.  cioè  Fri- 
mus  ,  o  Priìjceps  ,  o  Pcdemoììtis  .  Nel  rovelcio  lo  Scudo  colla 
Croce  con  Lacci  di  qua  e  di  la  indicanti  1'  Ordme  Cavalere- 
fco,  e  un  ceffo  di  Lione  con  lettere  AMEDEVS  DVX  SA- 
BAVDIE. 

La  xxvr.  appartiene  al  medefimo.  Ha  l'ultima  ifcrizione  , 
e  quell'altre  nel  rovefcio  :  IN  ITALIA  MARCHIO  PRIN. 
P.   cioè  Pcdeynontis, 

La  XXVII.  fu  batiuta  da  Lodovico  Duca,  rapito  dalla  morte 
nel  14(55.  V'ha  l'Arme  gentilizia  coiLacci,  la  Divila  FERT, 
e  le  lettere  LVDOVICVS  D.  SABAVDIE  PRINCEPS  .  Nel 
rovefcio  la  Croce  col  motto  :  DEVS  IN  ADIVTORIVM 
MEVM   INTENDE. 

La  XXVIII.  ha  l'effigie  del  medefimo  Principe  a  cavallo  colle 
confuete  Ilcrizioni,  e  la  Divifa  FERT. 

•  La  XXIX.  ha  l'effigie  e  i  titoli  del  medefimo  Principe  .  Nel 
rovefcio  fi  vede  la  iacra  Sindone  di  Torino  colle  lettere  SAN- 
CTA  SYNDON   DOMINI   NOSTRI   lESV  CHRISTI. 

La  XXX.  è  alquanto  fimile  alla  precedente.  V'ha  l'Anno  1453. 
cfpreflb  COSI   Milli. LUI. 

La  XXXI.  fu  battuta  dal  Bsato  Amedeo  ,  che  nel  1472.  fu 
chiamato  a  miglior  vita.  V'ha  AMEDEVS  DVX  SAB.  enei 
rovefcio  IN  ITALIA  MARCH. 

La  XXXII.  appartiene  a  Filiberto I.  Duca,  che  morì  nel  1482. 
V'ha  le  lettere  PHILIBERTVS  DVX  SABAVDIE  IV.  Nel 
rovefcio  è  San  Maurizio  colle  lettere  SANCTVS  MAVRL 
TIVS. 

La  XXXIII.  appartiene  a  Carlo  I.  Duca,  che  nel  1490.  fece 
fine  a  i  tuoi  giorni.  V'ha  la  lua  effigie  a  cavallo,  e  all'intorno 
KAROLVS  DVX  SABAVD.  Nel  rovefcio  l'Arme  gentilizia 
FERT.  e  MARCHIO  IN   ITALIA  PRINC. 

La  XXXIV.   i'pertante   al  menefiaio  Principe  ,   ha   nel   rovefcio 
il  motto  :  SIT  NOMEN  DOMINI  BENEDICTVM. 
'    La  XXXV.    delio  (leffo    Principe    ha    nel    rovelcio    la    Divifa 
FERT,  e  XPS  VINCITy  XPS  REGNAT,  XPS  IMPERAT, 
prelo  dalle  Monete   di  Francia. 

La  XXXVI.  ha  nel  rovefcio  il  Laccio  dell'Ordine  Cavalerefco, 
e  IN  ITALIA  MARCHIO. 

La 


5^8  Dissertazione 

La  XXXVII.  ha  il  motto  XPS  KESunexh.  VENIT  IN  PACE 
DEVS. 

La  XXXVIII.  è  poco  differente. 

La  xxxix.  nel  Mufeo  Bertacchini ,  per  quanto  io  credo  ,  ap- 
partiene al  medefimo  Carlo  I.  V'ha  l'Arme  gentilizia  ,  e  CA- 
ROLVS  DVX  SABAVDIE.  Nel  rovefcio  la  Croce,  e  PRIN- 
CEPS  ETiVIAR.  IN  ITALIA. 

La  XL.  ha  l'Arme  fuddetta  ,  e  KAROLVS  IL  DVX  SA- 
BAVD.  La  Croce  dell'  Ordine  di  San  Maurizio  colle  lettere 
S.  MAVRICIVS.  S. M.  Se  crediamo  al  Guichenon,  quefta  eie 
tre  feguenti  fon  da  riferire  a  Carlo  L  tuttoché  fia  qui  chiama- 
to Secundus^  e  ciò  per  effer  egU  appellato  DVX.  V.  Non  ne 
fon  convinto. 

La  XLI.  ha  l'Arme  della  Cafa  di  Savoia,  e  del  Regno  di  Ci- 
pri colie  lettere  KROLVS  SECVNDVX  SABAVDIE  V.  Nel 
rovelcio  l'effigie  di  San  Maurizio,  e  il  motto  DNS  ILLVMI- 
NACIO  ET  SALVS  M^^. 

La  xLii.  ha  l'Arme  del  Ducato  di  Savoia,  di  Chablais,  Ao- 
rta ,  Principato  dell'  Imperio  ,  colle  lettere  KROLVS  SEC. 
DVX  SABAVD.  V.  e  nel  rovefcio  KBLAS  ET  AVG.  S. 
ROM.  IMP.  P. 

La  XLiii.  nel  Mufeo  Bertacchini  .  V  ha  l'Arme  gentilizia  , 
e  KROLVS  SECONDVS.  Nel  rovefcio  DVX  SABAVDVS 
R.  e  in  mezzo  R. 

La  XLiv.  appartiene  a,  Filippo  Duca ^  il  quale  nel  1497.  die- 
de fine  a'  fuoi  giorni  .  Vi  fi  mira  l'effigie  d'efìb  Principe  colle 
lettere  PHILIPVS  DVX  SABAVDIE  VII.  Nd  rovefcio  l'in- 
fegna  dell'  Ordine  ,  la  Divifa  FERT  ,  e  il  motto  :  A  DNO 
EACTVM  EST  ISTVD. 

La  XLV.  ha  PHILIPVS  DVX  SABAVDIE  ,  e  nel  rovefcio 
PRINCEPS  MARCHIO  IN  ITALIA. 

La  XLVi.  xLvii.  e  XLviii.  appartengono  a  Filiberto  IL  Duca, 
il  quale  nel  1504.  da  morte  immatura  fu  rapito.  Tale  è  la 
fua  ifcrizione  :  PHILIBERTVS  DVX  SABAVDIE  VI  IL 
Nel  rovefcio  l'Arme  gentilizia,  la  Divifa  FERT.  con  un  Lac- 
cio, e  il  feguente  motto  :  IN  TE  DOMINE  CONFIDO.  T. 

Non  reco  altri  Denari  di  quella  Real  Cala,  perchè  ecceden- 
ti l'iftituto  mio. 


Mar- 


V  E  N  TESI  M  A  S  E  T  T  I  M  A  .  5^^ 

I  Marchefi   di  Saluzzo . 

Due  Danari  d'  argento  fpettanti  a  i  Marchefi  dt  Salu:^^^ 
mi  lon  venuti  alle  mani.  11  Primo  nel  Muleo  Chiappini.  Qlù- 
vi  comparilce  l'effigie  di  un  Principe  colle  lettere  LVDOVI- 
CVS  M.  (  cioè  Marchio  )  SALVTIAP.VM  .  Egli  è  Lodavi^ 
co,  che  nell'Anno  1475.  terminò  il  fuo  vivere;  o  pure  Lo- 
dovico II.  che  in  quell'Anno  fuccedette  al  Padre.  Nei  rove- 
fcio  r  immagine  di  un  Santo  a  cavallo  ,  e  le  lettere  SAN- 
CTVS  CONSTANTIVS  .  In  un'  altra  Moneta  fi  vede  un 
Santo  a  cavallo,  che   tiene   colla  mano  una  bandiera,  e  SAN- 

CTVS  CON Nel  rovefcio  l'Arme  gentilizia  con  Elmo  di 

fopra  ,  e  colle  lettere  SALYTIARVM  . 

Siena . 

Nella  Difìert.  L.  fi  produrra  il  Privilegio,  in  cui  Arrigo  VI. 
Re  de' Romani  nel  11 8(5.  concedette  alla  Repubblica  di  Sie- 
na il  Gius  di  battere  Moneta  colle  fcguenti  parole  :  Ifcm  ex 
tiberiori  gratta  betiignitatis  ttojìrce  ,  Regia  ,  qua  fungimtìr  ,  au- 
Horitate  concedimus  ipjis  Setìenjtbus  potejìatem  cudendds  &  fa- 
ciendoe  Monetae  in  Civitate  Se?ìenfi  .  Ma  che  prima  ancora  di 
quel  tempo  godelTero  i  Sanefi  cotal  prerogativa  ,  apparifcc 
da  uno  Strumento  del  n8o.  da  me  dato  alla  luce  nella  Difler- 
taz.  L.  in  cui  Criiiiano  Arcivelcovo  diMagonza,  Legato  Impe- 
riale per  Italia,  fa  quefta  promefla  a  quel  Popolo.  Citius  quam 
poterò ,  Sereni ffimo  Imperatori  noftro  Frederigo  Privilegium  confir- 
mationis  njejìrae  Moneta;  ,  ad  laudem  &  totius  Civitatis  honorem 
faciam  fine  fravide  componere .  In  oltre  quattro  Mefi  prima  nella 
Forma  compofitionis  ,  per  quam  Senenfes  veniunt  ad  gratiam  Do- 
mini Imperatoris& Regis  He?2rigi^  fi  legge  flabilito,  che  i  Sanefi 
airimperadore  e  Re  refiituent  ac  refignent  omnia  Regalia  ^jura., 
Ù'  jurisdi6iiones  ,  qucc  pertinent  ad  Imperium  infra  Ctvitatem  & 
extra ^  &  nominatim  Monetam  & pedagium  ^five  teloneum  ^  quam 
facere  confueverunt  vel  faciunt  .  Ecco  le  Monete,  che  mi  è  av- 
venuto divedere  fpettanti  a  Siena. 

La  Prima    da   me  pofleduta    ha  nel  mezzo    un  S.    indican- 
te il  nome  dì  Siena .  Nel  contorno  SENA  VETVS.  Il  rove- 
Tomo  1.  Ce  ce  fcio 


570  D    I    S    S   E    R    T    A    Z    1    O    M    E 

Icio  ha  la  Croce  colle  lettere  ALFA  ET  CID.  cioè  Omjga. 

La  Seconda  prefìfo  il  Sig.  Uberto  Benvoglienti  Patrizio  Sane- 
fe,  è  quafi  la  fleffa,  fé  non  che  in  vece  ^oiì' Omega  ha  unOw/- 
cron^  ed  ha  un  ED  in  vece  di  ET. 

La-  Terza  in  Modena  ha  nel  mezzo  1'  S.  e  all'  intorno  CI- 
VITA5  VIRGO  SENA  VETVS.  Nel  rovefcio  la  Croce  con 
ALPHA  ET  O.  (  in  vece  dell'  Omega  )  PRINCIPI^^w  ET 
FIN/V.  In  altre,  in  vece  di  Ctvìt^s  Virgo  ,  fi  legge  Civitas  Vir- 
gtnis^  come  volevano  appunto  dire  iSanefi. 

In  fatti  la  Quarta  efi(tente  in  Modena  ha  1'  S.  nel  mezzo  , 
e  nel  contorno  SENA  VETVS  CIVITAS  VIRGINIS.  Simile 
al  precedente  è  il  rovefcio. 

La  Quinta  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  il  folito  S.  ofFufcato  da 
fettoni  talmente  ,  che  appena  fi  didingue  .  V  ha  SENA  VE- 
TVS, e  nel  rovefcio  ALPHA  ET  O. 

La  Seda  nello  (le (To  Mufeo  è  fomigliante  alla  Quarta. 

La  Settima  nel  Mufeo  Mufelli  di  Verona  ha  SENA  VETVS 
C.  VIRGINIS. 

L'Ottava  ha  la  medefima  ifcrizione  ,  e  nel  rovefcio  uno  fcu- 
detto  coir  Arme  di  non  so  chi .  E  di  fopra  un  G. 

Sinigaglia  • 

Una  fola  Moneta  fpettante  alla  Citta  di  S"/;?/^^^////,  mi  ha 
fomminiftrato  dal  fuo  Mufeo  Romano  il  Cav.  Francefco  Vetto- 
ri .  Vi  fi  mira  l'effigie  di  un  Vefcovo  colle  lettere  S.  PAVLI- 
NVS.  SENOGA.  Protettore  della  Citta  dovea  eOere  San  Pao- 
lino;  ma  non  ve  n'ha  parola  nell'Ughelli.  Nel  rovefcio  l'ef- 
fìgie di  non  so  qual  quadrupede. 

Spoleti . 

Di  quella  illuftre  Cittìi,  che  per  più  Secoli  fu  Capo  di  un 
ampio  Ducato,  una  fola  Moneta  mi  procacciò  il  Dottore  Dio- 
niso SancaflTani  .  Nel  diritto  fi  vede  la  Croce  ,  e  all'  intorno 
DE  SPOLETO  .  Nel  rovefcio  S.  PONTIANVS  P.  cioè  Pro- 
fe6ior^  o  Patronus  ,  Altre  Monete  di  quella  Citta  fi  potranno 
fcoprire.  Anzi  affai  verifimile  a  me  fembra,  che  anche  fotto  i 
Re  Longobardi  ed  Imperadori  Franchi  godefle  Spoleti  il  pregio 

della 


Ventesima  SETTI  MA.  571 

della  Zecca.  Perciocché  avendolo  noi  trovato  nelle  Regie  Cit- 
ila di  Pavia  e  Milano,  e  in  Lucca  come  Capo  d'altro  più  infi- 
gne  Ducato  ,  e  lo  vedremo  anche  in  Trivigi  come  Capo  del 
Ducato  del  Friuli  :  ftrana  cofa  farebbe,  che  il  riguardevol  Du- 
cato di  Spoleti  fi  1  afe i affé  fenza  tal  prerogativa. 

Aggiungasi  un'altra  Moneta  a  me  fomminiftrata  dall'Ab- 
bate Francefco  Maria  Giovacchini  ,  Avvocato  da  Foffombrone. 
Quivi  comparifce  un  Vefcovo  col  Piviale  colle  lettere  lOHES 
...  A  . . .  C.  Nel  rovefcio  SPOLETANVS. 

1  rivigi . 

Il  Chiariffimo  Marchefe  Scipione  Maffei  nella  fua  Verona 
illuflrata  alla  pag.  377.  pubblicò  unoStrumento  dell'Anno  773. 
fcritto  nella  medeCma  Citta  di  Trivigi,  dove  è  fatta  menzione 
Monetarii^  anzi  è  menzionata  \^  {{t^2i  Moneta  pubblica^  cioè  la 
Zecca  ivi  efiQente  .  Feci  perciò  iftanza  al  dottiffimo  Canoni- 
co e  Patrizio  Trivifano  Antonio  Scotti,  acciocché  ufaffe  diligen- 
za per  ifcoprire  alcuna  Moneta  di  que'  remoti  Secoli  .  Final- 
mente mi  rifpofe  d'averne  trovata  una,  anzi  me  la  inviò.  La 
ravvifai  torto  de' tempi  Carolini.  Comparifce  ivi  il  Monogram- 
ma di  Carlo  Magno,  cioè  KAROLVS  ,  e  nel  rovefcio  TAR- 
VISIO. Perciò  non  re  da  più  dubbio,  che  per  quafi  mille  anni 
a  quella  Citta  competeffe  il  Gius  di  battere  Moneta  ,  che  fer- 
viffe  pel  Ducato  del  Friuli.  Se  poi  quello  contmuaffe  fotto  gì' 
Imperadori  Tedefchi,  noi  so  dire  .  Ben  so  ,  che  ne'  fuffeguenti 
Secoli  non  folamente  il  diritto  della  Zecca  ,  e  la  Citta  medefi- 
ma  fu  conceduta  a  que'  Vefcovi ,  come  atteftano  le  antiche 
Memorie . 

Aggiungo  un'  altra  fimile  Moneta  ,  folamente  di  differente 
modello,  che  s'è  trovata  dipoi  colle  Lettere  fuddette. 

Torino . 

Allorché*  quefla  nobil  Citta  godeva  il  privilegio  di  Repub- 
blica, né  ubbidiva  i  Principi  di  Savoia  ,  fu  battuta  una  Mone- 
ta d'argento,  da  me  veduta  preffo  il  Sig.  Giufeppe  Maria  Cat- 
taneo Modenefe.  Dopo  la  morte  di  Federigo  II.  Augufto  ,  ac- 
caduta nel  1250.  Tommafo  Conte  di  Morienna  s'impadronì 
della  Citta  di  Torino  ,  Ma  nel  1255.  o  più  toflo  nel  feguente  , 

Ce  e  e     2  infoi'- 


572  Dissertazione 

inforta  una  fedizione  ,  fu  effo  Conte  imprigionato  da  i  Torine- 
fi,  e  poi  confegnato  a  gli  Artigiani  di  lui  nemici  .  Pare  che  a 
que' tempi  s'abbia  da  riferire  effa  Moneta,  nel  cui  diritto  fi 
veggono  l'Arme,  probabilmente  della  ftefìfa  Citta  con  tre  Stel- 
le di  qua  e  di  la ,  e  le  lettere  MONETA  TAVPvINENSIS  . 
Nel  rovefcio  è  un'Aquila  colf  ali  aperte  ,  e  nel  contorno  CI- 
VITATIS  IMPERIALIS. 

Verona .  _ 

Fra  le  Citta  del  Regno  d'Italia,  che  dopo  le  privilegiate 
ne' più  vecchi  Secoli,  cioè  Milano,  Pavia,  Lucca,  Benevento 
e  Trivigi ,  cominciarono  a  godere  la  facoltà  di  fabbricar  Mo- 
neta ,  fi  dee  contare  i'illuftre  Citta  dì  Verona  ,  Della  Pecunia 
Veronefe  noi  troviamo  memoria  nelle  antiche  Carte  .  In  una 
Ferrarefe  del  1113.  io  leggo  :  Ef  in  onmì  fejììvitate  SanBi 
Martini  annualtter  daturus  fum  voùis  in  njejìro  arbitrio  porcurn 
unum  de  pretto  Solidorum  otlo  denariorum  Veronenfium  Ò'c.  In 
im'  altra  parimente  Ferrarefe  del  1078.  fi  legge  :  Det  pars 
parti  pene  ?ìomìne  Denariorum  Veronenjium  Sohdos  triginta  & 
fes .  Così  in  una  Carta  di  Beatrice  ContefTa  ,  di  cui  fu  fatta 
menzione  nella  Differtaz.  XI.  fi  veggono  nominate  ventimi  Li- 
bra; denariorum  Veronenjium ,  E  giìi  vedemmo,  che  Arrigo  II. 
AuouRo  nel  concedere  il  Privilegio  della  Zecca  al  Vefcovo  di 
Padova  nell'Anno  1045?.  comandò,  che  i  Denari  fi  fabbricaf- 
fero  [ecundum  pondus  Veronenjìs  Moneta.  Ecco  dunque  le  Mo- 
nete Veronefi  da  me  vedute  ,  con  defiderJo  di  trovarne  af- 
fai più . 

La  Prima  efiftente  in  Verona  nel  Mufeo  Mufelli  ,  e  in  Pa- 
dova in  quello  del  Conte  Lazzara  ,  ha  due  contorni  .  Nei 
mezzo  è  la  Croce ,  attorniata  dalle  lettere  Verona  .  Nel  con- 
torno più  largo  d'ambe  le  parti  CI4+  EV4+  CI4+  IV. 
delle  quali  lettere  ne  attenderò  la  fpiegazione  da  i  Letterati 
Veronefi . 

La  Seconda  nel  fuddetto  Mufeo  Mufelli  ,  e  nel  Bertacchini 
di  Modena,  ha  nel  mezzo  un'Aquila  colf  ali  ilefe  ,  e  le  lettere 
CIVITAS.  Nel  rovefcio  la  Croce  con  VERONA.  A.  M.  cioè 
Alberto  t  Majìino  dalla  Scala  ^  che  nel  1325?.  fuccederono  nel 
dominio  di  Verona.  Fra  FA.  &  M.  fi  vede  la  Scala,  Arme 
di  quella  rinomata  Cafa. 

La 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  S  E  T  T  I  M  A  ;  57  j 

La  Terza  in  Verona  e  Padova  ha  nel  diritto  l'Aquila,  nel 
rovelcio  la  Scala,   lenza  lettere. 

La  Q}iarta  nel  Mufeo  Muielli  moiira  nell'un  de' lati  la  Sca- 
la ,  e  neir  altro  un  uomo  tenente  un  bafione  nella  dcftra  ,  e 
toccante  colla  fmilìra  un  capo  d'un  Lione. 

La  Q_uii^^^  nel  medefimo  Muleo  fa  vedere  l'Aquila  colle  let- 
tere BTHS.  ANTNS  ,  cioè  Bnrtholomccus  ed  Antoìiìnus  dalla 
Scala,  che  nel  1374.  fignoreggiarono  in  Verona  .  Nel  rove- 
lcio l'effigie  di  un  Velcovo  colie  lettere  SANCTVS  ZENO, 
e  in  cima  una  Scala, 

La  Sefta  nel  iaddetto  Mufeo  .  Neil'  una  facciata  la  Scala 
colle  lettere  BARTOLOMEVS  .  Nell'altra  la  Croce  ed  AN- 
TONIVS. 

La  Settima  efiflente  in  Modena  ha  la  Croce  ,  e  nel  con- 
torno COMES   VIRTVTVM   D.  MLI zioh  Dom'mus Me^ 

diolani^  e  forfè  Veronx .  EgU  è  Gian  Galeazzo  Vifconte,  che  nel 
1387.  avendo  cacciato  Antonio  Scaligero  ,  s'impadronì  di  Ve- 
rona .  Nel  rovefcio  l'immagine  di  un  Vefcovo  coli' ifcrizione 
S.  ZENO  DE  VERONA  . 

L'Ottava  nel  Mufeo  Mufelli*  Quivi  è  l'Aquila  colle  due  te- 
fte,  e  all'intorno  DVX  AVSTRIAE.  Nel  rovefcio  l'Immagi- 
ne di  un  Vefcovo,  e  nel  contorno  S.ZENO  PROTEC.  VERO- 
NAL. Qiiando  quella  Moneta  non  foffe  battuta  nelle  vicende 
della  Lega  di  Cambrai  ,  cura  farà  de  gli  Eruditi  Veronefi  lo 
ipiegarne  il  fignificato . 

Vicenza . 

Una  fola  Moneta  battuta  v^Vtcen'za^  ed  efiftente  nel  Mu- 
feo Lazzara  ,  pofTo  io  produrre  .  Quivi  fi  vede  1'  Aquila  nel 
mezzo  ;  all'  intorno  CIVITAS  ;  e  uno  Scudetto  con  i\rme  a 
me  ignota.  Nel  rovefcio  la  Croce  colle  lettere  VICIENCIE/. 

Vigevano . 

L'insigne  Terra  di  Vigevano^  oggidì  Citta  Epifcopale  ,  fu 
conceduta  in  Feudo  da  Lodovico  XI L  Re  di  Francia  all' in- 
figne  Marefciallo  Gta?i  -  Giacomo  Trìvul-zjo  con  titolo  di  Mar- 
chejs  .  Molte  Monete  di  lui  fi  truovano  prelfo  il  Marchefe 
Teodoro  Aleflandro  Trivulzio  ,  riguardevole  Patrizio  Milanefe, 

dif:en- 


574  Dissertazione 

difcendente  per  linea  mafcolina  da  Gian-Fermo  Fratello  primoge- 
nito del  medefimo Gian-Giacomo .  Io  ne  riporterò  folamente  due . 

La  Prima  è  un  Medaglione  efiftente  in  Modena  nel  Mufeo 
Bertacchini  5  nel  cui  diritto  fi  vede  il  bufto  d'uomo  laureato, 
coir  ifcrizione  :  IO.  lA.  TRI.  MAR.  VIG.  FRAN.  MARE  , 
cioè  Johannes  Jacobus  Trivulftus  Marchio  Viglevani  ,  Francie^ 
Marefchalcus ,  Nell'altra  parte  il  buflo  d'uomo  laureato,  col 
motto  NEC  CEDIT  VMBRA  SOLI. 

L'altra  preflb  il  fuddetto  Marchefe  ha  lo  Scudo  contenente 
l'Arme  gentilizia  della  CafaTrivulzia  colle  lettere  IO.  lA.TRI- 
VLT.  MAR.  VIGLE.  ET.  F.  MA.  Nel  rovelcio  l'Immagine  di 
San  Giorgio,  e  nel  contorno  SANCTVS  GEORGI VS. 

Volterra . 

NiUNA  moneta  ho  potuto  trovare  ò^ìVolterra.  Che  tuttavia 
quella  Citta  godefle  la  facoltà  dibatterne,  riiulta  da  uno  Stru- 
mento dell'Anno  1231.  da  me  dato  alla  luce,  e  fcritto  in  Rieti, 
in  cui  Papa  Gregorio  IX.  invelHlce  del  Comitato  d'Alcoli  il 
Vefcovo  di  quella  Citta  Jub  annuo  Cenfu  cenpum  Librarum  Vul~ 
teranenjìs  Monetcs  :  il  che  fa  intendere  ,  che  anche  in  Volterra 
£  dovea  allora  fabbricar  Moneta. 

Urbino . 

Un  Medaglione  confervato  in  Urbino  dal  Conte  Lodovico 
Palma,  fa  vedere  l'effigie  di  un  Principe  colla  ieguente  ifcri- 
zione :  DIVI.  FE=  VRB.  DVClS.  MONTE  AC  DR.COM. 
REG.  CAR  GÈ.  AC.  S.  R.  ECCLE.  CON.  INV.  Cioè  Divi 
Federici  Urbini  Ducìs^  Monti^feretri  ac  Durnntis  Comitis  ^  Regii 
Capitanei  General is  ,  ac  Sanéì<^  Romana;  Ecclejia  Cojifanonerii 
inviai.  Nel  rovefcio  la  figura  d'elfo  Principe  armato  a  caval- 
lo colie  lettere  OPVS  SPERANDEI,  fonditore  d'elfo  Meda- 
glione .  Egli  è  Federigo  Cojìte  di  Montefeltro  ,  dichiarato  Duca 
di  Urbino  nel  1471.   cel^^bre  Condottier  d'armi. 

Due  aUri  Denari  pofleago  io.  Nel  diritto  è  F Immagine 
di  un  Principe  coije  lettere  GVIDVS  VB.  VRB.  DVX .  Nel 
rovefcio  l'  Arme  fua  ,  e  CO.  MON.  FÉ.  AG  DVRANT. 
Egli  h  GuidubaldoDuca  d'Urbino^  e  Conte  di  Mont efeltro -^  che 

nel  1482.  fuccedette  a  Federigo  fuo  Padre. 

Il 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  r.  T  T  I  M  A  .  575 

Il  Terzo  nel  Mufeo  Bcrtaccliini    nel  diritto   ha  T  ifcrizione 

GVIDVS.  VB.  VRBINI  DVX.    Nel  rovefcio  l'Arme  lua  col 

motto  FIDES  SPES  CARITAS. 

Il  Qiiarto,  efiflente  in  Pefaro  ,  preffo  l'Abbate  Annibale  de 

gli  Abbati  Olivieri ,  ha  il  diritto  quafi  lo  fteffo  .   Nel  rovefcio  Ci 

mira  l'effigie  di  San  Giorgio  colle  lettere  ORA.  PRO.  N.  S. 

GRI.  cioè  prò  nobis  Safi&s  Georgi, 

E  finqm  le  Monete  Italiane  de'Secoli  barbarici,  che  mi  è 
riufcito  di  vedere  ,  battute  prima  del  Mille  e  cinquecento  . 
Affai  più  faran  quelle,  che  non  fon  venute  a  mia  cognizione. 
Corrono  già  tre  Secoli,  che  lo  fi ud io  de' noftri  Letterati  va  a 
raccogliere  tutte  le  ^^Medaglic  o  Monete  de'  Greci ,  Romani  , 
Soriani,  ed  altri  Popoli  d'Oriente  .  Quefle  fon  gioie;  di  quefle 
fi  gloriano  effi.  All'incontro  nulla  curano,  fors'anche  hanno  a 
fchifo  le  Monete  de'  Secoli  inferiori  ,  perchè  rozze  ,  quafichè 
non  ferviffero  ancor  quefle  all'Erudizione  Italiana,  e  alla  cogni- 
zione de  gli  antichi  Re  ed  Augufti,  e  delle  Citta  libere  di  que- 
^o  paefe  .  Un  tale  fprezzo  cagione  è  fiato  ,  che  ne' tempi  ad- 
dietro gran  copia  (  e  più  di  quel  che  fi  crede  )  di  tali  Monete  è 
fiata  disfatta  e  fufa  dalle  Zecche,  e  dagli  Orefici  ed  Argentie- 
ri. Ma  forfè  più  conto  fé  ne  farà  da  qu\  innanzi .  Intanto  non 
vo'  tacere  la  maniera  da  me  tenuta  per  ifcoprir  quelle  barbari- 
che merci.  In  Modena  e  fuo  Diftretto  (  verifimilmente  lo  ftef- 
fo  avverrà  in  altre  Citta  )  fogliono  le  Donne  appendere  al  coU 
io  de'lor  fìgliolini  le  Monete  di  San  Lodovico  Re  di  Francia  per 
la  divozione,  che  profefTano  a  quel  Santo  Principe  :  rito  confer- 
vato  non  men  dalla  Nobiltà  che  dalla  Plebe  .  Ma  effcndochè 
di  pochi  è  il  conofcere,  quali  fieno  le  vere  Monete  di  lui,  fpef- 
fimo  accade  ,  che  i  fanciulli  portano  non  quelle  ,  ma  altre  af- 
fatto diverfe,  battute  da  varie  Citta,  e  in  varj  tempi.  Percioc- 
ché appena  s'incontrano  in  alcuna  di  effe  ,  che  fappia  d'anti- 
co, o  porti  la  figura  di  qualche  Santo  o  la  Croce,  che  fi  figu- 
rano d'aver  trovata  una  Moneta  di  San  Lodovico  ,  atta  a  di- 
fendere da  qnalfifia  malore  i  lor  Figli  .  Di  qua  è  proceduto 
l'aver  potuto  io  raccogliere,  e  fare  ch'altri  raccogheffe  buona 
parte  di  s'i  fatte  Monete,  come  fpezialment-  ha  fatto  in  Pia- 
cenza il  Reverendifs.  P.  Abbate  e  Generale  de' Canonici  Regola- 
ri Aleffandro  Chiappini,  e  in  Modena  il  Sig.  Aleffandro  Bertac- 
chini .  E  perciocché  in  tal  ricerca  ho  fcoperto  varie  altre  Mo- 
nete, 


57<^  Dissertazione 

mete,  fpettanti  a  Principi  e  Citta  fuori  d'Italia;  non  dii piace- 
rà ,  credo  io  ,  a  i  Lettori  di  ricevere  ancor  di  quelle  qualche 
notizia.  E  primieramente 

Re  d*  Inghilterra  e  Scozia . 

In  Roma  nel  Mufeo  Sabbatini  fi  vede  Moneta  fpettante 
ad  uno  de  gli  antichi  Re  Anglo-SafToni  .  Nel  diritto  fi  legge 
COENVVLF.  REX.  Nel  rovefcio  le  ieguenti  lettere  T.A.E.A. 
L'opinione  mia  è,  che  qui  11  tratti  di  Coenvulfo  Re  ,  il  qua- 
le neir  Anno  7^(5.  cominciò  a  regnare  in  una  parte  dell'In- 
ghilterra, di  cui  così  parla  Simeone  Dunelmenfe  de  GeJì.Reg. 
AngU  a  queir  Anno  .  Coenulf  quoque  ,  pater  Sancii  Kenelmi 
M/7rtfns^  de  bine  diadema  Regni  Mercìorum  fufcepìt  gloriofeÙ'c. 
Fu  egli  il  XV".  fra  i  Re  di  quel  paeie.  Preflb  l'Hickefio  Par.IIT. 
TheJ'auì\  Linguai-,  Septemtriofi.  fra  le  Monete  battute  da  quello 
Coenvulfo  ne  rapporta  una  molto  fimile  alla  prefente,  ma  con 
lettere  molto  diverfe. 

Due  altre  Monete  fpettanti  a  ^li  antichi  Re  Anolo-Saf- 
foni  ,  fi  confervano  in  Roma  nel  Mufeo  del  Cav.  Francelco 
Vettori  .  Nella  Prima  fi  legge  COENVVLF  REX  .  Il  rove- 
fcio ha  quefte  lettere  A  w.  E  A.  Nell'altra  comparilce  OF- 
TA  REX  ;  e  il  rovefcio  ha  EDELVAL.  Ma  da  che  il  Foun- 
taine  prefTo  il  fuddetto  Hickefio  ha  illuftrato  le  antiche  Mo- 
nete Inglefi  ,  a  me  non  conviene  di  aggiugner  altro  intorno 
ad  effe . 

La  Quarta  efifteva  in  Pavia  preflb  il  P.  D.  Gafparo  Beretti 
dottiffimo  Benedettino  .  Ivi  il  bufto  di  un  Re  ,  e  le  lettere 
HENRICVS  D.  G.  AGL.  FRA.  ET  HIB.  REX.  Nel  rove- 
Icio  l'Arme  de  i  Re  Inglefi  col  motto  POSVI  DEVM  ADIV- 
TOREM  MEVM.  A  quale  de  i  Re  Arrighi  s'abbia  da  rife- 
rire, gli  Eruditi  Inglefi  cel  fapran  dire. 

La  Quinta  preifo  il  medefimo  ,  ha  il  buflo  d'  un  Re  ,  e 
lACOBVS.  DEI.  GRA.  REX  SCOTORVM.  Nel  rovefcio 
la  Croce,  e  il  motto  DEVS  PROTECTOR  MEVS  ET 
LIBERATOR  .  Più  d'  un  Re  Giacomo  ebbe  la  Scozia  nel 
Secolo  XV. 


Ara- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  S  E  T  T  1  M  A  .  577 

Aragona  e  Navarra . 

D 

Nel  Mufeo  Chiappini  fi  vede  Moneta  col  capo  di  un  Re, 

e  le  lettere  FERDINANDVS Nel  rovelcio  CIVITAS 

BARCHINONA. 

Altra  Moneta  nel  Mufeo  Bertacchini  ha  1'  Arme  gentili- 
zia ,  e  FERNANDVS AVAR.  cioè  Rex  Navarro  .  Ve- 

rifimilmente  appartiene  a  Ferdinando  V.  Cattolico  Re  di  Ar,a- 
gona,  come  anche  il  precedente. 

Boemia . 

Giovanni  Re  di  Boemia  Primo,  Figlio  di  Arrigo  VII.  Au- 
guro,  e  Padre  di  Carlo  IV.  Imperadore  ,  dovette  battere  una 
Moneta  polTeduta  in  Bologna  dal  Marchcfe  Gian-Paolo  Pepoli . 
Nel  diritto  fi  vede  una  Corona,  e  nel  cerchio  minore  fi  legge 
JOHANNES:  PRIMVS  :  nella  fuperiore  DEI:  GRA:REX: 
BOEMIE.  Nel  rovefcio  un  Lione  e  PRAGENSIS:  GROSSI. 

Chio  j  cioè   Scio   Ifola . 

Posseggo  io  un  Denaro,  creduto  da  me  affai  raro.  In  mezzo 
fta  la  Croce,  e  nel  contorno  CONRAD  VS  REX  R.  Nel  rovefcio 
fi  vede  la  figura  di  una  Citta  turrita,  fopra  cui  è  un'Aquila  coro- 
nata coir  ali  (lefe,  e  le  lettere  CIVITAS  CHII.  Ma  come  potè 
Corrado  Re  aver  diritto  nell' Ifola  di  Scio?  Lo  credo  io  battuto, 
allorché  quel  Re  nell'Anno  1147.  con  efercito  numeroio  s\,  ma 
infelice,  pafsò  alla  volta  di  Terra  Santa  ,  come  s'ha  da  Ottone 
Frifingenfe,  e  da  altri  Storici  .  Allora  Scio  dovette  efiere  tolta 
a  i  Greci  :  o  quel  Popolo  per  fua  ficurezza  a  lui  fi  diede. 

Chiarenza . 

Nel  Mufeo  Chiappini  due  Monete  fpettanti  a  Chtarenzn  fi 
confervano.  Nella  Prima  fi  vede  quella  figura,  che  compariice 
ne' Denari  di  San  Lodovico  Re  di  Francia  .  Credette  Giovanni 
Villani,  che  denotafle  i  ceppi  del  Santo  Re.  Altri  hanno  penfato, 
che  rapprefenti  la  forma  d'un  Calfello  turrito  .  Il  Sig.  le  Blanc 
non  feppe  decidere  .  Sembra  a  me  ,  che  non  fuffifta  la  feconda 
Tomo  L  Dddd  opi- 


578  Dissertazione 

opinione.  Certo  è,  che  i  Denari  Turonenfi,  chiamati  in  Itah'a 
Tornefi  ,  ritennero  molto  dipoi  quella  medefima  figura  .  Nel 
contorno  Ti  legge  DECLARENTIA.  Il  rovefcio  ha  laCroce, 
e  all'intorno  S.  S  AB  ACCIO. .. .  EPS.  cioè  Epifcopus, 

L'altra  ha  il  diritto  fimiie.  Nel  rovefcio  (ta  CIV/V/75  FLO- 
RENS.  T>uQ  Chiaren-ze  fi  truovano  .  L'una  in  Inghilterra  nel 
paeie  di  Sufiblc.  Celebre  in  Italia  fu  Lionello  o  Lionetto  Duca 
diChiarenza,  Figlio  del  Re  d'Inghilterra,  che  nell'Anno  13Ó8. 
i'posò  Violante  Figlia  di  Galeazzo  IL  Vilconte  .  L'  altra  Chia- 
renza  era  nella  Morea,  infignita  con  titolo  di  Ducato.  Proba- 
bilmente a  queir  ultima  fon  da  riferire  le  fuddette  Monete  , 
perchè  ivi  ebbero  Signoria  alcuni  Principi,  fé  non  erro,  Fran- 
zefi  .  Nel  Mufeo  Bertacchini  altra  Moneta  fi  truova  della  for- 
ma de'  Tornefi  colla  fola  parola  CLARENTIA  nei  diritto  , 
efiendo  corrofa  i'ifcrizione  del  rovefcio. 

Re  di  Francia. 

Abbiamo  la  Storia  Monetaria  di  Francia  egregiamente  trat- 
tata dal  Du-Cange,  e  più  efattamente  ancora  dal  Sig.  leBlanc. 
Ecco  le  poche  Monete  da  me  trovate  in  tal  congiuntura  .  Nel 
Mufeo  Vettori  di  Roma  una  fé  ne  conferva,  che  io  credo  fper- 
tante  a  Carlo  M.  Tanto  più  volentieri  ne  fo  menzione,  perchè 
non  fu  conofciuta  da  elfo  Blanc  .  Neil'  una  parte  fi  legge  CA- 
ROLVS  ;  nell'altra  DNS  ,  cioè  Dominus  .  Non  so,  fé  battuta 
in  Italia,  o  in  Francia  ,  né  in  qual  tempo. 

La  Seconda  nel  Mufeo  Chiappini,  molto  fimile  aduna  rap- 
portata dal  Blanc  .  Nel  diritto  fi  legge  CAROLVS  .  Nel  ro- 
vefcio ReX  VrancorVM.^  di  maniera  che  fembra  battuta,  pri- 
ma dell'Anno  774.   in  cui  Carlo M.  conquido  il  Regno  d'Italia. 

La  Terza  è  in  mio  potere.  Vi  fi  mira  il  Monogramma  CRLS. 
cioè  C/irohiSy  oC^rlus,  Nel  contorno  ME-TVLLO  .  Scrive  il 
Blanc  ,  trovarfi  Metullum  nelle  Monete  di  Carlo  M.  Lodovico 
Pio  ,  e  Carlo  Calvo  ,  e  feguendo  l'opinione  del  Sirmondo  ,  e 
di  Arrigo  Valefio ,  crede  fìgnificato  ivi  Mellum  ,  Terra  o  Bor- 
go della  Provincia  Pi£lavienfe  .  Io  in  quella  Moneta  ho  olfer- 
vato  una  linea  interpola  irà  Me ^  e  Tulio.  Però  farebbe  da  ve- 
dere ,  fé  quivi  fi  parla fie  della  Citta  àiTullum  ^  oùa.  Toul,  e 
quel  ME.  diceffe  per  qualche  ragione  Metefifium  Tullum  .  Nel 
rovefcio  la  Croce  colle  lettere  CARLVS  REX  lEKa?Jcomm. 

La 


Ventesima  SETTI  MA.         379 

La  Quarta  in  Milano  preffo  il  Marchefe  Teodoro  Aleflandro 
TrivLiIzio,  ha  nel  diritto  la  Croce,  e  all'intorno  HCAROLVS 
IMPER^^or  .  Nel  rovefcio  la  facciata  di  un  Tempio  ,  e  XPI- 
STIANA  RELIGIO  .  Di  quello  motto  fi  fon  ferviti  Carlo 
il  Grande,  il  Calvo,  e  il  Groflfo  ;  e  però  non  fi  può  dir  di  cer- 
to, a  qual  d'effi  appartenga  quefta,  e  la  precedente.  Rara  co- 
fa  lì  trovar  Carol US  coll'H  avanti. 

La  Quinta  è  in  Modena  preflb  il  Sig.  Maffimiliano  Capelli. 
Vi  fi  vede  la  Croce  ,  e  all'  intorno  HLVDOVVICVS  IMP. 
Nel  rovefcio  la  Croce,  e  VENEcIAS.  Il  Blanc  ne  ha  una  fi- 
mile  .  Si  crede  battuta  in  Francia  nella  Citta  di  Vmìnes  fotto 
Lodovico  Pio. 

La  Seda  è  un  Denaro  Turonenfe,  chiamato  in  Italia  Tome- 
fe^  fpetrante  al  Santo  Re  di  Francia  Lodovico  IX.  Più  di  uno 
ve  n'ha  in  Modena.  Nel  diritto  fi  legge  doppia  ifcrizione  col- 
la Croce.  CioèLVDOVICVSREX  inuna,  e  nell'altra  BNDI- 
CTVm  SIT.  NOME?;  DNI  NRI  DEI  lEV  XPI  .  Nel  ro- 
vefcio TVRONVS  CIVIS,  cioè  Croìtas  .  Nel  mezzo  fi  vede 
la  figura,  che  alcuni  Scrittori  Franzefi  hanno  creduto  difegno 
di  un  Cartello  turrito.  Giovanni  Villani  Lib.  VI.  Cap.  3(5.  del- 
la Storia  ,  parlando  della  prigionia  del  Santo  Re  Lodovico  , 
feri  ve  :  Per  Yicordan-z^  della  detta  prefura^  acciocché  'vendetta 
ne  fojfe  fatta  o  per  lui ,  o  per  li  fuoi  B.ironi  ,  //  detto  Ke  Luis 
fece  fare  nella  Moneta  del  Tornefe  graffo ,  da  lato  della  Pila  , 
le  bove  da  prigione  ,  cioè  Compedes ,  o  fia  i  Ceppi  .  Non  è  ap- 
provata dal  Blanc  cosi  fatta  opinione.  Né  vo' lafciar  di  dire, 
che  in  quella  ricerca  ho  trovato  molti  Tornefi  ,  battuti  fotto 
nome  di  S.Lodovico,  falfi  e  di  niun  valore,  prevalendofi  una  volta 
gl'impoftori  della  divozion  de' Criftiani   per  fare  il  loro  negozio. 

La  Settima  appunto  è  unTmpoftura  ,  dove  nel  rovefcio  lì 
legge  POPVLE  MEVS  QVID  FECI  TIBl? 

L'Ottava  è  un  Tornefe  groffo  ,  che  preffo  molti  in  Mode- 
na, nel  diritto  e  rovefcio  è  fimile  a  quei  di  San  Lodovico  ,  fé 
non  che  in  fua  vece  vi  fi  legge  PHILIPPVS  REX  .  Il  Blanc 
l'attribuifce  2i  Filippo  il  Bello ^  che  nell'Anno  1285.  cominciò 
a  regnare.  A  me  iembra  più  verifimile,  che  appartenga  a  Filippo 
T  Audace^  Figlio  dello  fteffo  S.  Lodovico  .  Di  tali  Tornefi  n'ho 
veduto  molti  al  collo  de' fanciulli  ,  perchè  in  tutto  fomiglianti  a 
quei  di  San  Lodovico  ,  non  iapendo  il  volgo  diftinguerli  per  la 
difficulta  de' caratteri. 

Dddd     2  La 


^go  Dissertazione 

La  Nona  è  parimente  un  Tornefe.  Ha  nel  mezzo  un'Aqui- 
la coir  ali  aperte,  e  MONETA  NOVA.  Nel  rovefcio  è  la 
Croce  '.    Delle  lettere  corrofe    non  refta    fé  non  TVRONVS 

.  .  .  SIT  NOM Non  ne  ho  veduto  un  fimile  preiTo  il 

Blanc . 

La  Decima  in  Modena  ha  la  Croce  con  due  Gigli  negli  an- 
goh,  e  PHILIPPVS  REX  FRANCO,  e  BNDICtv.  SIT  &c. 
Nel  rovefcio  una  Corona,  e  di  fotto  FRANCO.  PHL  e  PA- 
RISIVS  CIVIS  ARGENTI  .  Appartiene  a  Filippo  di  Valois^ 
che  nel  1327.  cominciò  a  regnare .  Quefti  Soldi  fi  chiamavano 
les  Parijis  d' argent . 

L'Undecima  d'oro  in  Modena  preffo  il  Sig.  Bartolomeo  So- 
liani  ha  l'Arme  Regia  di  Francia  con  due  Uìrici  di  qua  e  di  la, 
e  LVDOVICVS.  DEI.  GRACIA.  REX  FRANCORVM. 
Nel  rovefcio  XPVS.  VINClt.  XPVS.  REGNAT .  XPVS. 
IMPERAT  .  Dal  Blanc  è  attribuita  a  Lodovico  XII.  Re  .  Ma 
anche  l'Undecimo  fi  fervi  di  quefta  ifcrizione. 


Ungh 


eria . 


Una  fola  Moneta  d'oro  fpettante  all'  Ungheria  ho  veduta 
nel  Mufeo  Bertacchini  .  Di  h  venne  in  Italia  il  coflume  di 
chiamar  U^igòeri  i  Ducati  d'oro  .  Ivi  fi  mira  la  Vergine  con. 
Crifio  fanciullo  in  braccio,  e  MATHIAS.  D.  G.  R.  VNGA^ 
RIE  .  Egli  è  il  celebre  Mania  Corvino  ,  Re  celebre  fui  fi- 
ne del  Secolo  XV.  in  Ungheria.  Il  rovefcio  ha  l'Immagine 
di  un  Santo  ,  che  tiene  un'alabarda,  e  all'intorno  S.  LADIS- 
LAVS  REX. 

Ra^ufi . 

Nel  Mufeo  Bertacchini  fi  confervano  due  Denari,  battuti 
dalla  Repubblica  di  Raguiì  .  Vi  fi  vede  l'effigie  di  un  Vefcov& 
Santo  colle  lettere  S.  BLASIVS  RAGVSI  .  Nel  rovefcio  l'im- 
magine del  Salvatore,  fotto  cui  (la  la  figura  d'un  Vefcovo  col- 
le lettera  Greche  IG.  XG.  cioè  Jefus  Chrijìus . 


Re 


Ventesimasettima.  581 

Re  di  Schiavonia . 

Due  Monete  d'argento  confervate  nel  iuo  Mufeo  dal  Chia- 
rifs.  Apoltolo  Zeno  ho  io  veduto  .  Nella  Prima  apparifce  un 
Cane  da  caccia  ,  fé  pur  non  è  una  Volpe  ,  e  di  lopra  due  Stel- 
le .  Nel  contorno  MONETA  REGIS  ^  SCLAVONIA  .  Nel 
rovelcio  una  doppia  Croce  ,  di  qua  una  Stella  ,  di  la  una  Lu- 
na .  Di  lotto  due  tefte  coronate  .  Sopra  l'una  (la  R.  lopra 
l'altra  L. 

Nell' altra  Moneta  fi  vede  lo  frelTo  diritto  colle  lettere  REX 
SCLAVONIE  .  Simile  è  anche  il  rovefcio  ,  ma  fenza  lette- 
re .  Scrivono  che  gli  Schiavoni  cefTarono  di  avere  i  Re  loro 
fui  principio  del  Secolo  XIII.  Non  ho  Libri  per  chiarire  ta- 
le opinione  ,  né  per  indagare  da  chi ,  e  quando  furono  bat- 
tute fallili  Monete. 

Re  della  Servia. 

In  Modena  fi  truova  una  Moneta  d'argento,  fomiglian- 
te  alla  Veneta  .  Q_uivi  è  1'  Immagine  di  un  Santo  ,  che  por- 
ge la  bandiera  al  Re,  colle  lettere  VROSIVS  REX.  S.  STE- 
FAN.  Nel  rovefcio  l'effigie  del  Salvatore  fedente  colle  lette- 
re I C.  X C.  cioè  Jefus  Chr'iftus .  Due  Urofii  Re  della  Servia 
vi  furono  .  E*  probabile  ,  che  qui  fi  parli  di  Urojlo  cognomi- 
nato il  Santo  ,  detto  volgarmente  Miltumo  ,  che  mancò  di  vi- 
ta nell'  Anno  1321. 

Conti  del  Tirolo. 

Due  Monete  confimili  d'argento  poffeggo  io,  ed  anche  al- 
tri in  Modena  ,  ed  altrove  .  La  Croce  è  nei  mezzo  ,  e  all'in- 
torno MEINARDVS  .  Nel  rovelcio  l'Aquila  con  ali  aperte, 
e  COMES  TIKOLI.  Fior'i  quello  Meinardo,  Figlio  d'un  al- 
tro MeÌ7iardo  ,  Co?ìte  del  Tirolo  ,  verio  il  fine  del  Secolo  XIII. 
una  cui  Figlia  Liiabetta  maritata  con  Alberto  Duca  di  Auftria, 
e  poi  Imperadore,  gU  apprcftò  nel  Secolo  feguente  ragioni  per 
acquiftare  il  Tirolo. 

La  Seconda  nel  Mufeo  Bertacchini  appartiene  allo  (leffo  . 
Vi  fi  legge  COMES  TìROLI  .  Nei  rovefcio  reftano  lolamente 

que- 


582  Dissertazione 

quefte  lettere:  M...  DVX  . . .  ILLVSTRIS  ,  che  credo  s'ab- 
biano a  fupplire  òìc^nào  Meìnardus  DuxCarinthia ;  perciocché 
il  medefimo  fu  anche  Duca  di  Carintia. 

La  Terza  prefib  più  d'uno  in  Modena  ,  ha  l'Aquila ,  e  CO- 
MES TIROLI  .  Nel  rovefcio  la  Croce  colle  lettere  DE  MA- 
RANO. Era  quefta  Terra  della  Contea  delTiroIo. 

La  QiLiarta  nel  Mufeo  Chiappini  ha  la  Croce  ,  e  le  lettere 
SIGISMVNDVS.  Nel  rovefcio  l'Aquila,  e  COMES  TIRO- 
LI  .  EgU  è  S'igifmondo  à'  Aufirta  ,  che  nel  1475.  era  padrone 
del  Tirolo . 

La  QLìinta  nel  Mufeo  Bertacchini  con  lettere  corrofe .  Refta 
folamente  ARCHI  DVX  AVSTRIE  .  Nel  rovefcio  la  Croce 
con  quattro  diverfe  Arme  ,  e  le  lettere  GROS^;/^  COMITIS 
TIROLI . 

Triefte . 

Nel  Mufeo  Mufelli  di  Verona  fi  truovano  varie  Monete 
di  Trìefle  ,  Citta  e  Colonia  una  volta  de  i  Romani  .  La  Pri- 
ma rapprefenta  una  Citta,  e  all'intorno  CIVITAS  TERGE- 
STVM  .  Nel  rovefcio  SANCTVS  IVSTVS  ,  cioè  Martire  , 
Protettore  della  Cittk. 

La  Seconda  nello  'ò.t^.o  Mufeo  ha  1'  effigie  di  un  Vefcovo  , 
colle  lettere  CIVARDVS  EP.  cioè  Epifcopus  .  Per  lungo  tem- 
po furono  Signori  di  Triefie  que'Velcovi,  e  ad  efh  apparte- 
neva il  battere  Monete  :  però  in  quefle  fi  truova  il  loro  no- 
me .  Nel  rovefcio  un  Agnello  con  due  Croci  ,  e  CIVITAS 
TERGESTVM.  Non  ebbe  l'Ughelli  nell'Italia  Sacra  cogni- 
zione di  quello  Vefcovo,  né  io  so  dire  in  che  tempo  fioriife. 

La  Terza  ha  quefta  ifcrizionc  :  CONRADVS  EP.  che  fe- 
condo l'Ughelli  fiori  nel  1223.  Nel  roveìcio  l'Immagine  pro- 
babilmente di  S,  Giudo,  e  CIVITAS  TERGESTVM. 

La  Quarta  è  anche  nel  Mufeo  Lazzara  di  Padova.  Vi  (ì  leg- 
ge VOLRICVSEP.  Quefto  Vefcovo,  chiamato  dall' Ughcllf 
Odelricus^  fioriva  nel  1253.  Nel  rovefcio  l'abbozzo  di  una Citt^ 
colla  folita  ifcrizione. 

La  Quinta  appartiene  al  medefimo  Vefcovo  Volrico  ,  ed  è 
folamente  diverfa  nel  rovefcio  ,  dove  fi  mira  l'effigie  di  San 
Giufto . 

La  Sefta  ha  quefte  parole  LEONARDVS  EPISCOPVS  . 
Quelli  fembra  quel  medefimo  ,   che  dall' Ughelli  è  appellato 

Leo- 


- 


Ventesimasettima.  583 

Leonìclis,  Non  feppe  egli,  in  che  tempo  viveffe  quefto  Prelato; 
molto  meno  Io  so  io.  Il  rovefcio  fimile  a' precedenti. 

La  VII.  vili.  IX.  nel  fuddetto  Mufeo  Mufelli  portano  quefto 
nome  ARLONGVS  EP.  Se  crediamo  all'  Ughelli  ,  fu  eletto 
Arlongo  nel  1254.  e  nel  fufìfeguente  deporto  da  Papa  Aleffandro 
Quarto  ;  ma  la  diverfitk  di  quefìi  Denari  fa  fofpettare  ,  che 
durafle  molto  più  il  di  lui  governo.     • 

Treveri . 

Nel  Mufeo  Chiappini  di  Piacenza  fi  conferva  Moneta  d'oro 
con  un  Giglio  nel  diritto,  e  le  parole  CONO  AREPS.  T.  cioè 
Cono  (lo  llelTo  è  che  Conradus)  Archìepìjcopus  Treverenjis .  Nel 
rovefcio  fi  vede  l'effigie  di  Giovanni  Precurfore  colle  lettere 
S.  JOHANNES  B.  Fu  eletto  Arcivefcovo  di  Treveri  quefto 
Corrado  nel  i^ói.  S'ha  qu'i  da  avvertire,  eflere  tal  Moneta 
un  Fiorino  d'oro  battuto  a  fomiglianza  de' Fiorentini  .  In  tal 
credito  falì  la  fabbrica  de'  Fiorini  ,  cominciata  in  Firenze  nel 
1252.  che  non  pochi  Principi  per  gara  e  guadagno  cominciaro- 
no anch'elfi  a  batterne  de'fimili,  come  dirò  nella  Differtazio- 
ne  feguente,  ritenendo  il  modello  e  le  figure  fteffe  dei  Fiorenti- 
ni, mutato  folamente  il  nome  del  Principe  o  del  Luogo.  Gio- 
vanni Villani  Lib.  IX.  Cap.  i^p.  Iftor.  fi  lamenta  di  Papa  Gio- 
vanni XXII.  perchè  nel  1322.  fece  battere  di  quefti  Fiorini. 
Ma  avendo  voluto  far  lo  (leffo  i  Marchefi  di  Monferrato  ,  gli 
Spinoli  Genovefi,  ed  altri  Principi  d'Italia,  il  raedefimo  Ponte- 
fice con  intimar  la  Scomunica  nel  1324.  li  fece  defiftere  .  Per 
non  fapere  quefto  fatto  il  Guichenon  rapportando  un  Fiorino 
d'oro,  battuto  da  Amedeo  V.  Conte  di  Savoia,  e  da  noi  men- 
zionato di  fopra  ,  formò  il  feguente  fogno  con  dire  :  La  pre- 
miere forte  de  Monnoye  de  ce  Prìnce  d^ or ,  du  poids  de  la  P'tjìo- 
le  d'Italie  (  il  che  non  fuffille  )  ou  laFleur  de  Lys  de  Floren- 
ce ,  fait  croire ,  qu  elle  /7ft  ejìb  frappée  en  memoire  de  quelque 
confederation   avec  la  Republique  de  Florence, 

Un  altro  Fiorino  o  Ducato  d'oro  fi  conferva  in  Modena  nel 
Mufeo  Rertacchini,  il  quale  non  so  dire,  a  chi  appartenga.  Ivi 
è  l'effigie  del  Precurfore  colle  lettere  S.IOHANNESB.  Neil' 
altra  parte  un  Giglio  ,  e  R.  DI.  G.  P.  AVRÀ  .  Ma  chi  è 
quefto  Principe  ?  Finché  altri  meglio  m'iftruifca,  fofpettoio, 
che  tal  Moneta   appartenga  a  qualche   Principe  di  Oranges , 

Per- 


58^.  Dissertazione 

Perciocché  Araujìo  ne' Secoli  barbarici ,  fu  anche  appellata  C/- 
'uìfas  Aurafica^  oggid'i  detta  da' fuoi  Cittadini  Auranges  ^  e  da' 
Ff anzefi  Or^;?^^^ .  Due  Raimondt  han  goduto  (juel  Principato. 

Gran  Maftro  de'  Cavalieri  Gerofolimitani . 

Da  molti  Secoli  gode  il  Gran  Maftro  di  quedo  nobilifTimo 
Ordine  Cavalerefco  il  pregio  del  Zecca  .  Una  loia  Moneta  non- 
dimeno d'  elTi  ho  io  veduto  ,  confervata  in  Bologna  dal  Mar- 
chefe  Gian  -  Paolo  Pepoli  .  Ivi  comparifce  l'Arme  dell'Ordine 
colle  lettere  F.  FABRICII  DE  CARRETTO  M.  MGR.  R. 
cioè  Fratrìs  Fabricii  de  dirretto  Magni  Magijlri  R.bodìorum: 
così  perchè  Cavalieri  di  Rodi  erano  una  volta  appellati  que 
Cavalieri  .  Nel  rovefcio  fta  l'effigie  di  San  Giovanni  Batifta 
Protettore,  e  all'intorno:  ECCE.  AGNVS.  DEI.  Q^VI 
TOLLIS    P,  M.  cioè  Peccata  Mucidi, 

Moneta  incerta . 

Il  fu  Canonico  Antonio  Scotti  Patrizio  di  Trivigi  ,  mio  fi n- 
oolare  Amico,  mi  comunicò  una  Moneta,  nel  cui  diritto  com- 
pariva un'  Aquila  ,  e  nel  contorno  NOBILITAS  COMVN. 
Nell'altra  parte  era  una  Corona  Regale,  colle  lettere  FÉ.  di 
fotto.  Vi  fi  vede  anche  non  so  fé  un  R.  o  L.  o  pure  una  Stel- 
letta ,  elfendo  logora  la  forma  de  i  caratteri  ,  e  nel  contorno 
LONBARDORVM  .  Qui  non  so  che  mi  dire  .  E'  da  vedere  , 
fé  mai  vi  fi  parlalfe  à^ìComufie  diFehre;  o  fequelJF-V  figni- 
ficaffe  Federicus  Rex.  Forfè  un  migliore  impronto  darebbe  più 
lume . 

E  fin  qui  le  Monete,  ch'io  ho  potuto  raccogliere  de' vecchi 
Princìpi  e  Citta  d'Italia  .  Vi  faranno  fi:ate  altre  Citta  libere  , 
e  Signorotti  ,  che  una  volta  goderono  il  privilegio  di  fabbricar 
Moneta,  i  cui  Denari  fono  fcappati  alle  mie  ricerche.  A  quel 
che  manca  fupplira  la  diligenza  e  fortuna  altrui  .  Solamente 
aggiugnerò,  non  effervi  mai  fiato  tempo,  in  cui  non  fi  fieno  ve- 
duti impofiori  e  tofatori  delle  Monete  .  Di  ciò  fi  parlerà  nella 
feguente  Differtazione  .  Per  quefto  anche  ne  gli  antichi  Secoli 
erano  deputate  peribne  perite,  che  elaminavano  la  buona  e  falfa 
Moneta  ,  e  il  fuo  giufi:o  pefo  .  Noi  li  appelliamo  Saggiatori  ,  e 
l'eiame  Saggio,  L'origine  di  quella  voce  non  l'ha  trovata  Egi- 
dio 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  O  T  1   A  V  A  •  585 

dio  Menagio  dottifTirno  Scrittore  Franzefe  ,  a  cui  peraltro  noi 
fiam  -enuti  per  avere  icritto  in  Italiano  le  Origini  della  no- 
ftra  Lingua.  JJJaggtare^  die' egli,  'viene  dalla  particella  Ad  ^ 
e  dal  nome  SapQY  ,  Sapor^  Sapos^  Sapus^  Sapa^  Sapagium  ^  Sa- 
pagiare^  Sapgiare^  Sagiare^  Ajf aggi  are .  Uno  ftrano  lavoro  di 
Fantafia  è  quefto.  Noi  abbiamo  Ajjaporare  ^  nato  da  Sapor  ; 
e  nulla  ha  che  fare  con  Sapor  la  parola  e  fignificato  di  AjJ^ag- 
gìare  .  Pertanto  altronde  non  viene  il  noftro  Saggio  ,  fignifi- 
cante  efame  ^  che  dà  Exagium  antica  voce  Latina  .  Per  la  ftef- 
fa  ragione  Examen  apum  s'  è  convertito  Sciame  .  In  un  De- 
naro di  Onorio  Augufto  preiTo  il  Du-Cange  fi  legge  EXAGIVM 
SOLIDI  colla  Dea  Moneta  ,  e  le  bilance  .  Noi  diremmo  Sag- 
gio del  Soldo.  Teodofio  iuniore  Augufto  nella  Novella  de Pre^ 
rio  Solidi  cos'i  parla  :  De  ponderibus  quoque  ,  ut  fraus  penitus 
a-mputetur  ^  n  ?iobis  aguntur  EX  AGI  A  ^  qua  fine  fraude  deheant 
zuftodiri.  Noi  diciamo  y^r^  il  Saggio  di  qualche  Moneta^  anzi 
1'  abbiamo  trasferito  ad  altre  cole  ,  come  fare  il  Saggio  del 
Finoy  o  d'altri  liquori,  per  indagare  la  forza,  fapore,  puri- 
tà &c.  Della  voce  Exagium  fi  fono  ferviti  Santo  Zenone  nei 
Serm.  VI.  a  i  Neofiti  ,  Caffiano  nella  Collazione  I.  Gap.  22. 
l'Editto  di  Aproniano  preffo  il  Grutero  pag.  ^47.  num.6^.  per 
tacer  d'altri.  Noto  è  pofcia ,  che  Exagium  viene  adi  Exigo  . 
Però  i  Latini  àì^QxoExigere  ad  normam^  Exigere  ad  'veritatem^ 
cioè  pefare,  indagare,  efaminare,  fé  una  cola  fia  vera ,  o  ret- 
tamente compofta.  E  ciò  bafti  intorno  alle  Zecche,  o  fia  of- 
ficine Monetarie  de' Secoli  dimezzo. 


Tomo  I.  E  e  e  e  Delle 


58(5 


DlSSERTAZION 


Delle  varie  forfè  di  Denari  ,  che  anticamente  furono 

in   ufo  in  Italia* 

DISSERTAZIONE  VENTESIMA  OTTAVA. 

L'Argomento,  ch'io  ora  propongo,  leggiermente  (  lo  con- 
feflb  )  verrU  trattato  da  me,  eflendo  così  vado,  che  in  ma- 
no di  chi  maggiormente  abbondaffe  d'ozio,  baderebbe  per  far- 
ne mi  groflb  Libro.  Ne  dirò  io  quel  poco  ,  che  mi  andrà  fov- 
venendo,  e  che  mi  s'è  affacciato  nello  ftudio  delle  antiche  me- 
morie, affinchè  i  Lettori  abbiano  qualche  notizia  delle  Mone- 
te ufate  ne' Secoli  barbarici.  Come  preflb  i  Romani  ,  così  fot- 
to  i  Re  Goti,  Longobardi,  Franchi,  e  Tedeichi  ,  il  pubblico 
commerzio  fi  face  a  con  tre  forte  di  Monete ,  cioè  d'oro,  d'ar- 
gento ,  e  di  rame  .  Nelle  licrizioni  Romane  fi  truovano  le  fe- 
guenti  lettere  applicate  a  qualche  Magiftrato,  cioè  A.  A.  A.F.  F. 
le  quali  fono  interpretate  da  gli  Eruditi  j^uro^  Argento^  Aere ^ 
Flando^  Feriundo,  Odafi  Caffiodoro ,  che  nel  Lib.  VII.  Variar. 
num.  32.  fotto  nome  di  Teodorico  Re  de' Goti  in  Italia  efpone 
laFormola,  qua  Moneta  committitur^  cioè  fi  commette  ad  al- 
cuno la  cura  della  Zecca.  Ami  fi  ani  ma  nulla  in/uria  permixtio- 
Tìis  albefcat .  Argenti  coler  grati  a  candoris  arri  de  at .  ÀE.ris  rubor 
in  nativa  qualitate  permane  at  &c*  Pondus  quin  etiam  confìitutum 
Denariis  pracipimus  debere  jervari .  Che  vi  foffero  anche  Dena- 
ri,  come  noi  diciamo,  Erofì  ^  cioè  d'argento,  e  di  rame  mi- 
fchiato,  pare  che  non  fé  ne  poffa  dubitare.  E  trovando  noi  in 
tanti  Diplomi  e  Contratti  ordinato  ,  che  fi  paghi  con  oro  ,  il 
qual  fia  obri'ziim  ,  obrÌ7:atum  ,  optimum  ,  purum  ,  probatum  &c* 
fa  fofpettare,  che  vi  folfero  Denari  d'oro,  dove  entraffe  qual- 
che lega  d'argento.  Ora  anticamente  non  vi  fu  Moneta  più 
rinomata  ed  ufata  ,  che  i  Soldi  .  A  tutta  prima  ,  fé  mal  non 
mi  appongo  ,  furono  folamente  d'  oro  ;  pofcia  ve  ne  furono 
anche  d'argento.  Il  nome  e  la  fabbrica  de' primi  fi  truova 
prima  de'  tempi  di  Coftantino  il  Grande  .  Veggafi  il  Codice 
Teodofiano  ,  dove  in  più  leggi  vien  fatta  menzione  de'  Soldi  ; 
e  che  foflero  d'oro,  lo  atteftano  le  chiare  parole  di  que'  tedi  . 
Però  chi  diceva  allora  un  Soldo ^  fignilicava  una  Moneta  d'oro 

di 


Ventesimaottava.  587 

di  pefo  determinato  dalle  Leggi.  Nel  Libricciuolo  de  Me n furi s 
di  antico  Scrittore  Anonimo  prelTo  il  Goefio  de  Re  Agrnria  ,  fi 
Iqqoq  :  Duodecim  uncia  L'tbram  ,  digititi  Solidos  contìnentem ,  ef- 
■Rchint.  Sed  veteres  Solidum.,  qui  ?ìunc  Aureus  dichur  ^  nuncupa- 
ba?ìt.  Gran  tempo  durò  in  Italia  il  nome  e  l'ufo  de' Soldi  d' 
oro-  ma  non  so  dire  di  certo,  fé  i  Re  Lombardi,  i  quali  taffa- 
vano  in  Soldi  il  pagamento  delle  pene  impofte  a  i  trasgrefTori 
delle  Leggi,  intendelTero  di  Soldi  d'oro.  Sembra  verifimile  che 
s'i,  eflTendo  fuor  di  dubbio,  che  anche  ai  lor  tempi  correva  per 
l'Italia  quella  Moneta  d'oro.  Di  ciò  tengo  l'aeteflato  in  uno 
Strumento  dell'  Anno  73<5.  originale  ,  per  quanto  mi  parve  , 
(  cofa  ben  rara  )  che  fi  conferva  nell'Archivio  dell' Arcivefco- 
vato  di  Lucca,  contenente  la  vendita  di  una  cafa  fatta  Domno 
\<J (ilpen  glori ofo  Duci  di  Lucca  ,  prctiuìn  pUcitum  Ò'  defifìitum 
Auri  Solidos  vigenti  .  Atteda  anche  il  Grimaldi  nell'  Opufc. 
MSto  de  Sudario^  che  in  un  antichiffimo  Papiro  Egizziano  del- 
la Vaticana  Biblioteca  fi  veggono  nominati  Aurei  Solidi  ,  Do- 
'/ìitnici  ^  probati^  ohrÌ7^iì  ^  optimi^  pe72fantes  ^  integri  ponderis  y 
Jìngulares  numero  ,  juper  vendicione  fex  unciarum  ,  fundi  Geni- 
ciani  .  ABum  Ravemìce  per  Julianum  Forum  Civitatis  Ravenna: 
Script orem .  Tejìes  Eufebius  Admjcutarius  Florentinus  ex  Prafeóiis 
(  fé  pure  non  dice  ExprafeBus  )  Piftorum  ,  Oderifcus  Probus  ex 
Primiceriis  (fé  pure  non  v' ha.  Exprimicerius  )  Petrus  Colliùlar. 
ante  cujìodiam  carcerum.  Cosi  in  altri  Papiri  pubblicati  dalChia- 
rifs.  Marchefe  Scipione  MafFei. 

Chieggo  io  ora  :  fé  non  v'  erano  allora  Soldi  d'  argento  , 
perchè  nel  nominare  ì  Soldi  ^  vi  fi  aggiugneva  d'oro?  Badava 
dir  Soldi,  come  oggidì  fi  fa  nominando  Doble ^  Zecchini ^  Un- 
gheri  ,  i  quali  non  occorre  chiamarli  d  oro  ,  perchè  non  ve 
n'ha  fé  non  d'oro.  Certamente  allorché  non  fi  ufava  fé  non 
Soldi  d'oro,  s'intendeva  lenz' altro  aggiunto,  diche  metallo 
era  quella  Moneta.  Omnes  Solidi ^  in  quibus  Nojìri  Vultus  ac  ve- 
neratio  una  eft  ^  dice  Coftantino  M.  nella  Legge  I.  Tit.  22.  Li- 
bro 9,  del  Codice  Teodofiano  .  Cosi  nella  Legge  XIII.  Tit.  6. 
Lib.  12.  del  medefimo  Codice  è  fcritto  :  ^otiescunque  Solidi  ad 
largitionum  fubjidia  perferendi  funt  &c.  Cosi  in  altre  Leggi  ,  e 
in  varj  paffi  di  San  Gregorio  M.  Cache  vien  dunque,  che  ne' 
Secoli  luilegnenti  non  badava  il  dire  Soldi  ,  ma  codume  fu  di 
aggiugnere  d' oro  ?   Eccone  una  nuova  tedimonianza    in  altra 

Eeee     2  per- 


^88  Dissertazione 

pergamena  dell'  Archivio  Arcivefcovile  di  Lucca  dell'Anno  74(5. 
in  cui  Walprando  Vefcovo  di  quella  Citta  concede  ad  ufo  o 
livello  una  Cafa  .  Dice  il  Livellarlo ,  che  le  non  manterrà  il 
pattuito  ,  cumponamus  tivi  Domno  V^ alprando  Epìfcopus  ,  vel  ad 
tuos  erides  /luri  Soledus  numero  fex.igent a  ,  Io  nulla  determino- 
e  folamente  paflb  ad  avvertire,  che  almeno  nel  Secolo  lufle- 
guente  v'erano  Soldi  d' argento ,  Nell'Archivio  poco  fa  accen- 
nato altro  Strumento  efifte  dell'  Anno  847.  in  cui  Ambrofio 
Vefcovo  di  Lucca  concede  ad  Uberto  Diacono  una  Pievania  , 
il  quale  promette  cenfum  dare  &  perfoi'vere  debenm  j^rgentum 
Solidos  n^iginti  ,  bonos  denarìos  expendiviles  .  ^,ando  circaras. 
ad  conftgnationes  de  Pieve  in  Pleves  ve/ìras  feccvitis  &c.  Gol 
nome  di  Circata  fon  difegnate  le  Vifite  ,  che  anche  allora  fi 
facevano  da  i  Vefcovi  per  le  Chiefe  rurali,  a  fin  di  miniftrare 
il  Sacramento  della  Crefima  ,  ivi  appellata  Conftgnntio  .  E  fi 
vede  ,  che  anche  allora  i  Parrochi  erano  tenuti  a  dare  allog- 
gio e  palio  al  Prelato,  e  alla  lua  famiglia.  Cosi  in  altra  perga- 
mena dell'Anno  807.  di  cui  fi  parlerà  qui  fotto,  noi  troveremo 
Solidos  Argenteos  .  Qiial  foife  il  valore  e  pefo  de' Soldi  d'oro, 
lo  cercò  Jacopo  Gotofredo,  Letterato  infigne  ,  alla  Legge  uni- 
ca Tit.  24.  de  oblat.  votormn  Lib.  7.  del  Codice  Teodoi.  Penfa 
egli  ,  che  ai  tempi  di  Coftantino  ottantaquattro  Soldi  d'oro 
formalTcro  la  Libra  d'oro  ,  e  però  1'  oncia  foffe  com polla  di 
fette  Soldi.  Cotal  fentenza  fu  impugnata  dai  Gronovio  .  Q_uel 
eh'  è  certo  ,  Valentiniano  Seniore  volle  che  fettanta  due  Soldi 
coftituiffero  la  Libra,  con  accrefcere  il  valore  efìrinfeco  di  quel- 
le Monete.  Quanti  Denari  di  rame  occorrefìero  allora  per  ugua- 
gliare il  prezzo  di  un  Soldo  d'oro,  ce  l'infegna  CalTiodcro  Lib.L 
Epift.  IO.  feri  vendo  :  Sex  millia  Denariorum  Solidum  effe  vo- 
luerunt:  il  che  fi  può  anche  confermare  con  alcuni  tedi  del  Co- 
dice Teodofiano  .  Truovanfi  ancora  nominate  predo  gli  antichi 
le  Silique  ^  e  ne  abbiamo  menzione  nella  Legge  258.  di  Rotari 
Re  de'  Longobardi  .  E  San  Gregorio  M.  lafciò  fcritto  ,  che  il 
Soldo  d*  oro  prefìo  i  Romani  valeva  viginriquatuor  Siliquis  . 
Santo  Ifidoro  all'incontro  notò,  che  folamente  venti  Silique  co- 
ilituivano  il  Soldo  d'oro.  Né  maraviglia  è,  perchè  non  meno 
in  que'  tempi  ,  che  ne  i  noftri  ,  i  Principi  e  i  Popoli  faceano 
guerra  aU'Oro  e  all'Agento,  fludiandofi  ognuno  di  valutar  iem- 
pre  più,  ed  oltre  al  dovere,  le  loro  Monete. 

Gran 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  O  T  T  A  V  A  .  58^ 

Gran  mutazione  al  certo  in  effe  di  prezzo  dovette  introdur- 
re il  tempo  ,  e  la  cupidigia  sfrenata  della  gente  .  Impercioc- 
ché pare,  che  la  Libra  d'oro  fbfTc  ridotta  a  foU  venti  Soldi  d'oro. 
Lo  accenna  Carlo  M.  nella  Legge  Longobardica  23.  DeHeriban- 
«O5  con  dire  :  S^ì  vero  non  hnbuennt  nmpltus  in  Jnpr aferì pto  pre- 
rio  ,  njalcnte  ntfi  Libras  IlL  Solidi  XXX.  ab  eo  exigarur^  id  e  fi 
Libra  una  &  dtmidia.  Di  iopra  ancora  abbiam  veduto  1'  Anoni- 
mo atteftante,  che  a'fuoi  di  con  'venti  Soldi  fi  aveva  un^  Libra 
d' oro  ^  ma  Libra  a  mio  credere  ideale  .  Impariamo  parimente 
da  un'altra  Legge  del  medefimo  Auguro  Carlo  ,  cioè  dalla  y6. 
de  omnib.  dcbit.  con  quanti  Denari  fi  comperaiTe  un  Soldo,  cioè 
con  quaranta  ;  e  in  altri  tempi  e  Luoghi  con  foli  XII.  Denari. 
De  omnibus  debitis  folvendis  (  die'  egli  parlando  delle  pene  ) 
ficut  antiquitus  fuit  corifuetudo  ^  per  Duodecim  Denarìos  Solidi  fol- 
'vanfur  per  totam  Salicam  Legem  ,  excepfo  fi  Leudes  ,  idejì  Saxo 
tìut  Frixo  Salicum  occìderìt  ,  per  XL,  Denarios  Solidi  folvantur  . 
Qiii  fi  parla  di  Soldi  d'argento  ,  come  apparirà  fra  poco  .  E* 
anche  da  avvertire  ciò,  che  ha  il  Sinodo  di  Francoforte  dell'An- 
no 7^4.  dove  concorfero  anche  i  Vefcovi  d'Italia,  e  vi  fi  trovò 
anche  lo  fìeffo  Carlo  M.  Fu  ivi  flabilito,  che  le  biade  non  fi  ven- 
deffero  di  più  in  tempo  dicareftia,  che  di  abbondanza,  e  che 
fi  mifuraffero  col  Moggio  pubblico  ,  nuovamente  flabilito  .  De 
Modio  de  avena ^  Denarius  unus,  Modio  hordei^  Denarii  duo.  Mo- 
dioSigali ^  Denarii  tres .  Modio  fruryienpi ^Denarii quatuor .  Situerà 
in  pane  vendere  voluerit  ^  duodecim  panes  de  frumento  ^  habentes 
Jìngulos  libras  duas  proDenario  dare  debeat  j  Sigalacios  quindecim 
aquo  pondere  prò  Denario  ;  Ordeaceos  viginti  Jìmiliter  penfantes , 
Nel  Can.  V.  chiaramente  fi  vede  efpreffb,  che  quei  Denari  erano 
ex  mero  argento.  Nella  Legge  Salica  Tit.57.Cap.V.  SexcentiDena- 
vii  danno  Solidos ^lindecim .  E  nel  Tit.2.Cap.i.  Centumviginti 
Denarii  faciunt  Solidostres ,  di  maniera  che  ogni  Soldo  coftava  Qj-i^- 
ranta  Denari .  Né  tal  mutazione  del  prezzo  de'  Soldi  fegui  folamen- 
te  per  le  pene  de' delitti,  che  fi  pagavano  in  Soldi,  con  isminuire 
il  valore  eftrinfeco  de' Soldi,  ma  pafsò  anche  nel  pubblico  com* 
merzio.  Aquefto  propofitofar^,  quanto  fi  legge  in  uno  Strumen- 
to autentico  dell'Archivio  Arcivefcovile  di  Lucca,  fcritto  nell'An- 
no 807.  in  cui  Alberto  Cherico  cede  a  Walprando  Prete  una 
Chiefa,  col  confenfo  di  Jacopo  Vefcovo,  riferbandofi  unapenfione 
colle feguenti parole:  Tumihi  reddere debeas  decemSolidos Argento 

de 


5^0  Dissertazione 

de  bonos  Denar'tos  mundos  ,  S^^'^^Jfo^  ->  expe?2diviles  ,  u^a  duodecìm 
Denarios  prò  Solido  tantum  ,  Ecco  dunque  come  s' ha  da  inten- 
dere la  fopra  riferita  Legge  di  Carlo  M.  cioè  dodici  Denari 
formavano  un  Soldo  d'Argento.  E  però  qu\  mi  naice  gagliar- 
do dubbio  ,  che  i  Soldi  ,  tante  volte  menzionati  nelle  Leggi 
Longobardiche,  fodero  d'Argento,  e  non  d'Oro;  e  maffima- 
mente  perchè  vi  s'incontrano  pene,  che  troppo  grevi  lareb- 
bero  ftate,  fé  d'oro;  e  miti  all'incontro,  fé  di  Soldi  d'argen- 
to. Nulla  nondimeno  ofo  io  di  determinare. 

Egli  è  certamente  credibile,  che  il  Soldo  d'oro,  non  idea- 
le ,  ma  vero  a' tempi  di  Carlo  M.  fuperaffe  di  poco  le  Mone- 
te ,  che  noi  ora  chiamiamo  Me:?;^  Doble  ,  e  Scudi  d' oro  ^  o 
Ducati  di  Camera  .  Contuttociò  v'ha  chi  pretende  ,  che  efil 
Soldi  d'oro,  folTero  folamente  di  un  quarto  minori  delle  Do- 
ble d'oro  j  GÒeLuigiy  battuti  dal  Re  Lodovico  XIV.  E  il  Wen- 
delino  nel  Gloffario Salico  credette,  che  i  Soldi  mentovati  nel- 
le Leggi  Saliche  fodero  nel  valore  lomiglianti  a  i  Fiorini  del 
Reno  .  Intanto  dal  poco  finora  oflervato  nalce  fofpetto  ,  che 
anche  anticamente  vi  fodero  Monete  ideali,  come  oggidì  è  in 
Inghilterra  la  Lira  Sterlina  ,  che  ne' Secoli  precedenti  fu  fpe- 
cie  di  effettiva  Moneta  .  Anche  in  Modena  il  Soldo  ,  da  noi 
appellato  Bolognino^  fi  divide  in  dodici  Denari,  che  una  volta 
erano  in  ufo  ,  ed  ora  vivono  folamente  nell'  opinione  del  Po- 
polo.  Che  fé  tal  un  defidera  di  fapere,  quanti  Denari  occorref- 
lero  ne' vecchi  tempi  per  una  Libra  d'Argento,  io  ne  recherò 
ciò,  che  fi  truova  in  unoStrum.ento  dell' Annop58.  a  noi  con- 
fervato  da  Fulvio  Azzari  nella  Storia  Ecclefiaflica  di  Reggio  . 
Qiiivi  Azzo  Figlio  del  fu  xAzzo,  o  fia  Attone  deComitatu  Par- 
me n  fi  ^  cioè  un  perfonaggio  di  Linea  diverla  fra  i  Maggiori  del- 
la Conteda  Matilda,  vende  ad  Adalberto  Azzo  Conte,  Bifavo- 
lo  della  medefima  Conteffa,  alcune  terre;  e  il  prezzo  è  tale: 
Argentum  per  Denarios  bonos  Libras  fesagima^  habentes  ducenti 
quadraginta  Denarii  Libra  .  Si  potrebbe  penfare,  che  tale  ioi- 
fé  anche  in  altri  paefi  il  corio  de  i  Denari  ;  ma  non  fi  può 
aderir  con  franchezza  per  la  diverfita  delle  Zecche  allora  efi- 
lienti  .  Perciocché  ficcome  a' tempi  di  San  Gregorio  M.  meno 
valevano  i  Soldi  di  Francia,  che  i  Romani,  cosi  ne' iudeguen- 
ti  Secoli,  e  madimair.ente  da  che  fi  moltiplicarono  cotanto  le 
Officine  Monetarie ,  fi  può  credere,  che  non  fode  per  l'Italia 

uni- 


Ventesimacttava.  5pi 

uniforme  il  valore  de'  Soldi  e  de  i  Denari  .  Nella  Cronica  del 
Volturno  all'  Anno  870.  noi  troviamo  SoUdos  7iumero  ceìitum 
qutìiqui^giì'itn  Sìculos ;  e  di  fotto  Solidos  o^loginta  Stculorum ^  fic- 
come  ancora  Auri  Libram  u?iam  Bstzeventanam  .  Le  quali  Mo- 
nete per  confeguente  pare  che  indicaflero  una  differente  va- 
luta. Cosi  noi  troviamo  Denarios  Paptcnfes  ^  tò.  Argetitum  De- 
narios  bonosLucenfium  L'tbras  centum  in  uno  Strumento  del  lopd". 
E  parimente  in  altra  Carta  del  11 04.  Denar'tos  Venectcs  Libras 
mule.  Ogni  Zecca,  come  oggidì,  anche  anticamente  taffava  il 
valore  delle  fue  Monete  .  Ma  perciocché  nelle  Carte  vecchie, 
e  maffimamente  ne'  Contratti  dopo  il  Mille  ,  fi  truova  gran 
copia  di  Monete  di  differenti  paefi  ,  delle  quali  non  fi  sa  il  va- 
lore, grata  cofa  credo  io  che  farò  ai  Lettori,  producendo  un' 
antica  memoria  ,  a  me  fomminidrata  da  Jacopo  Grimaldi  , 
Cherico  Beneficiato  della  Bafilica  Vaticana,  che  nel  i6ii,  fcrif- 
fe  un  Trattato  tuttavia  MSto  ds  Sudario  Veronica  .  Cioè  rap- 
porta egli  una  Relazione  fatta  ,  quattrocento  anni  fono  ,  da 
un  Giovanni  Cabrofpini  ,  Nunzio  della  Sede  Apoflolica  in  Po- 
lonia ed  Ungheria,  del  valore  delle  Monete  allora  correnti  ,  e 
che  anche  prima  di  quel  tempo  fi  trovavano  mentovate  ne  i 
Libri  e  ne  i  pubblici  Strumenti  .  Di  non  poche  d'effe  fi  trove- 
rà anche  menzione  nel  Trattato  de  i  Cenfi  della  Chiefa  Ro- 
mana ,  compofto  da  Cencio  Cardinale  ,  e  Camerlengo  di  effa 
Romana  Chiefa  neliipi.  che  rapporterò  nella  Diflert.LXIX. 
qui  fotto.  Ecco  la  Memoria  del  Cabrofpini ,  fcritta  in  Latino, 
e  da  me  tradotta  in  Volgare. 


Nota 


5P2  Dissertazione 

Nota  delle  antiche  Monete. 

Il  Fiorino  di  debito  cenfnale  vale  X.  Soldi,  e  un  Denaro  di 
Denari  turpizj  antichi. 

Un  Grojfo  vale  XII.  Denari  turpizj. 

La  Libra  d'oro  vale  XCVI.  Fiorini. 

La  Marca  d'oro  LIX.  Fiorini. 

ÌJ  Oncia  d'oro  inoro  Vili,  Fiorini. 

L'  Oncia   d'  oro   in  argento   V.  Fiorini . 

La  Marca  doro  vale  due  parti  di  una  Libra  d'oro. 

La  Marca  d argento  vale  due  parti  di  una  Libra  d'argento. 

La  Libra  d  argento  vale  LXXV.  GrofTi. 

La  Marca  d  argeìtto  per  convenzione  antica  in  Inghilterra  va- 
le IV.  Fiorini. 

La  Marca  d  argento  in  altre  parti  vale  quel  prezzo ,  che  co- 
munemente corre  al  tempo  del  pagamento. 

La  Libra  d  argento  puro  ,    o  fia  due  Marche  d'  argento    vale 
Vili.  Fiorini. 

La  Libra  d  argento  d'  Inghilterra  ....    IV.   Grofìi  ;    e  della 
Curia  Romana  VII.  Fiorini,  X.  GrofTì,  e  mezzo  Groffo. 

La  Libra  d argento  di  Aragona^  Tojcana^  Sardegna  -^  e  fimili  , 
vale  VII.  Fiorini  e  mezzo. 

U  Oncia  d argento  vale  VII.  GrofTì  e  mezzo. 

Il  Marabotino  d  argento    vale  un  Fiorino  meno  dodici  Denari 
Tornefi . 

Dodici  Malgurienji  vagliono  unGroflb. 

Un  Obolo  d  oro  vale  un  Fiorino 

Un  Ma(fatra7;jo  doro  vale  due  parti  di  un  Fiorino. 

Dodici  Denari  de'  Sipioni  un   Malachino . 

Un   Malachino  vale  Vili.  Grofh . 

Un  Bijuntino  vaie  XV.  GrofTì  e  mezzo. 

Un  Tulleno  Vili,  Soldi,  e  IV.  Denari  vagliono  un  Fiorino. 

Un  Mantejino^  e  X.  Soldi  vagliono  un  Fiorino. 

Un  Mantefino^  IX.  Soldi,  e  V.  Denari   vagliono  un  Fiorino. 

Un  Friguento^  e  XII.  Denari  vagliono  un  GrofTo  e  mezzo  an- 
tico . 

Un  Marabizio  d'oro  vale  XXIV.  Marabizj  d'argento,  o  pure 
un  Fiorino  meno  XII.  Denari. 

Nei 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  O  T  T  A  V  A  .'  5p  j 

Nel  Regno  di  Sicilia  ,  fpezialmente   di  c^ua  dal  Faro  ,  1'  Oncia 

vaie  LX.  Carlini  Gigliati. 
Un  T^reno  vale  due  Carlini. 
Il  Carlsno   vale  X.  Grani. 
Il  Gratìo  vale  VI.  Denari . 
L'altre  Monete,  come  i  Fiorini,  fono  valutate  al  prezzo  di  quc- 

fta  Moneta. 
La   Cojtna^  o  Salma  del  grano  è  di  IV.  Tumoli. 
Parimente  nel  Reono  di  Caftiplia  e  Leone  vi  fon  le  Monete 

ufuali,  cioè  ì  Coronati  di  valore  di  V.  Oboli. 
l\  Marahi:^o  di  X.  Denari .   E  VI.  Coronati  vagliono  un  Marabi- 

zio  .  E  XXV.  Marabizj  vagliono  una  Dobla  di  Maracco; 

E  XXII.  Marabizj  uno  Sciliato  vecchio  ....  un  Montone  , 

una  Cattedra.   E  XXV.  Marabizj  vagliono  un  Agnello.  E 

XXVIII.  Marabizj  vagliono  un  Reale.  E  XXIV.  Marabizj 

vagliono  una  Dobla  di  Cartiglia.   E  parimente  XXX.  Doble 

vagliono  una  Dobla  grande  e  larga  de' Saraceni. 
Et  è  da  fapere  ,  che  la  Marca  de'  GrofTì  d'  argento  di  Boemia 

vale  comunemente  XLVIIL  Groffi  di  Praga,  o XXIV. Scoti. 
In  oltre  in  qualfifia  Marca   fono  IV.  Fertoni. 
E  VI.  Scoti  vagliono  un  Fertone. 
E  uno  Scoto  vale  due  GrofTì  di  Praga. 
E  un  GroJJo  di  Praga  vale  XVI.  Denari. 
Parimente  è  da  fapere,  che  nella  predetta  Marca  vi  fono  XVI. 

Lothoni,  E  un  Lothone  vale  uno  Scudo  e  mezzo,  o  fia  tre 

GrofTì  :  che  è  lo  fteflb. 
QLialfi  voglia  Fertone  colia  di  quattro  Lothoni. 
Un  Bifan-zio^  o  fia  Bifante^  vale  due  parti  d'un  Fiorino  d'oro. 
Medefimamente  lo  fleflb  valore  fi  truova  e  pratica  nel  Maf- 

famutino . 
Vale  il  Marabotino  un  Fiorino  d'oro,  meno  X.  Denari. 
Un  Malachino  cofta  otto  groffi  d'argento. 

Finqui  il  Cabrofpino  in  quel  foglio  MSto .  Furono  alcune  di 
quefte  Monete  d'Oro,  ed  altre  d'Argento.  E  primieramente  per 
quel  che  concerne  i  Marabotini  ^  gik  battuti  inlfpagna,  e  Monete 
di  gran  credito,  certo  è,  ch'erano  Monete  d'oro.  Negli  antichi 
Secoli  r  Oro  fi  traeva  dalle  Miniere  di  quello  Metallo  in  Ifpa- 
gna  ;  oggidì  non  fi  vuol  durare  fatica  a  ricavarne  ,  perchè 
Tomo  1.  F  f  f  f  uni- 


5P4-  Dissertazione 

unicamente  fi  bada  a  quelle  deli'  America  Spagnuola  ,  tanto 
più  abbondanti,  che  Je  Europee  .  Il  prezzo  d'effi  Marabotini , 
una  volta  aflai  celebri,  fi  truova  indicato  da  Girolamo  RofìTi  nel 
Lib. I,  della  Storia  di  Ravenna  all'Anno  loyó.  Diluì  fono  le 
feguenti  parole  :  Gerardus  quotann'ts  penjionem  folveref  duodc- 
c'im  MarahofinoYUìn  (  pare  che  s'  abbia  a  feri  vere  Marabotìno- 
rum)  [  ha  in  'vetujììs  tabulis  hujus  locatìonis^  quas  n9s  legimus  in 
Bibliotheca  Urftana  ,  fcribitur  ]  ^ui  ejus  ejjent  ponderis  ,  ut  Je- 
pteni  unciam  confi  arem  ,  cioè  d'oro  .  Truovanfi  altre  antiche 
Memorie,  concorrenti  ad  afficurarci,  che  fo(fero  doro  i  Mara- 
botini. Tuttavia  ficcome  è  avvenuto  d'altre  Monete,  le  quali 
quantunque  portaflTero  il  medefimo  nome,  pure  parte  erano  d' 
oro,  e  parte  d'argento,  cosi  pare,  che  fieno  fiati  in  ufo  anche 
de  i  Marabotini  d'argento,  fcrivendo  il  fopra  lodato  Grimaldi  : 
In  Libro  Magiftri  Marini  de  Ebulo  ,  centum  quadraginta  Marabo- 
tini funt  decem  Marchce  argenti  .  Ma  quefio  pafib  non  balìa  a 
fondare  tale  opinione  .  Si  può  vedere  il  P.  Giovanni  Mariana 
Spagnuolo  nel  fuo  Trattato  de  Ponderib.  &  Menfur.  che  molto 
parla  de*  Maravedini  ,  i  quali  temporibus  Regum  Legionis  ,  fed 
&  Gotthorum  tempore  ex  auro  Jignabantur .  Vo' io  credendo,  che 
il  nome  di  Marabotino  fi  convertifie  in  Maravotino  ^  e  finalmen- 
te in  Maravedino  .  Secondo  eflb  Autore  ,  Inter  Solidum  Koma- 
num  ,  &  Maravedinum  aureum  Gotthorum  exiguum  erat  in  va- 
lore difcrimen:  il  che  conviene  col  foglio  fopra  riferito  del  Ca- 
brofpino.  In  uno  Strumento  del  1247.  da  me  dato  alla  luce, 
in  cui  è  talfato  il  Cenfo  da  pagar Ji  alla  Camera  del  Papa  pelCa- 
Jìello  di  Agantico  nella  Diocejì  Magalonefe  ^  troviamo  nominati 
tres  Marabotinos  aureos  Anfujinos  ,  cioè  dal  Re  A?ìfus  ,  che  noi 
oggidì  chiamiamo -^//o^if/ò. 

Torniamo  alle  fopra  riferite  Note  del  Cabrofpino  .  Ivi  è 
detto,  che  XXII.  Marabitii  valent  Sciliatum  veterem .  Moneta 
diverfa  da  i  Marabotini  è  da  credere  ,  che  foflero  quefìi  Ma- 
rabitii, Che  Moneta  foflero  gli  Sciliati^  noi  so  dire  ,  né  fé  tal 
nome  fofle  porto  in  vece  di  Lìliatum^  o  pure  Sc^^phatum^  ov- 
vero Schifatum  .  Di  quefie  ultime  Monete  fovente  s' incontra 
menzione  nella  Cronica  Cafinenfe  di  Leone  Ofiienfe,  e  in  altre 
antiche  Carte  .  Il  corfo  de  gli  Schifati  fu  fpezialmente  nella 
Puglia  e  Calabria  ,  e  di  quella  Moneta  abbiamo  menzione  in 
uno  Strumento  del  11 12.  da  me  dato  alla  luce  ,  comunicatomi 

dal 


Ventesimaottava.  5P5 

dal  P.  Sebaftiano  Pauli  della  Congregazione  della  Madide  di  Dio, 
Letterato  chiarifTimo,  contenente  la  vendita  del  Cafale  dì  Santo 
Apollinare  fatta  a  Crijìadoro  Ammiraglio  di  Guglielmo  Duca  di 
Santa  Maria  del  Patirò.  ConfefTa  il  venditore  di  aver  ricevuto  da 
eflb  Ammiraglio  quingento  Schifatosi,  &  tres  Dejìrìeros,  Opinio- 
ne fu  del  Du-Cange  ,  che  cosi  fofiero  appellate  quefte  Mone- 
te ,  perchè  formate  colla  figura  di  uno  Scipho  ^  e  perciò  non 
diverfe  da  i  Cauci  mentovati  ed  ufati  da' Greci  :  giacché  Cau- 
cum  nella  lor  Lingua  fignifica  lo  flelTo,  che  il  Latino  5'r/^^r^j- , 
o  fia  vafo  da  bere  .  Se  così  foffe  ,  noi  so  io  determinare  .  Con 
franchezza  bensì  dico,  che  Nummi  tali,  o  Greci  o  Latini,  imi- 
tavano più  tofto  una  Scodella,  e  furono  fimili  alle  Monete  d'ar- 
gento, battute  in  Milano  a' tempi  di  Ottone  Auguro  il  Grande, 
le  quali  erano  alquanto  cave  nel  mezzo,  e  prominenti  nel  con- 
torno :  del  che  s'è  parlato  nella  precedente  Didèrtazione  .  Che 
poi  gli  Schifati  foffero  Denari  d'oro,  l'ha  fatto  conofcere  il  fud- 
detto  Du-Cange,  e  dopo  di  lui  il  fopralodato  P.  Pauli  nelle  Giun- 
te al  Beverino  de  Ponderibus.  Anche  il  Doerdelino  nel  iuo  Trat- 
tato de  Nummis  Germanica  medite  parla  delle  Monete  cave  bat- 
tute in  quel  paefe.  Rinomati  ancora  furono  gli  Augujìali^  Mo- 
neta d'oro,  che  Federigo  IL  Imperadore  fece  battere  in  Sicilia, 
nel  qual  paefe,  ficcome  anche  nel  Regno  di  Napoli,  fu  molto 
in  ulo.  Comunemente  fi  crede  ,  che  fofiero  così  nomati  dallo 
fteflb  Augudo  Federigo.  Ma  il  Sig.  Apofì:oio  Zeno,  egregio  Rac- 
coglitore, e  intendente  di  tali  merci ,  miafficura,  che  prefero 
il  nome  da  Cefare  Augufi:o,  il  cui  volto  è  ivi  effigiato,  e  perciò 
appellati  Auguflarii^  Augujìales  ,  &  Aguftales  ,  Ecco  ciò  ,  che 
ne  ha  Giovanni  Villani  Lib.  VL  Cap.  21.  delle  fue  Croniche  . 
VAgoJì  aro  d'oro  (così  fcrive  egli)  valea  l'uno  la  valuta  d' uno 
Fiorino  e  quarto  d' oro  ^  e  dall' uno  lato  dell Agojì aro  era  impron- 
tato el  vifo  dello  Imperadore ^  e  dall'  altro  un  Aquila^  al  modo 
de  Ce  fari  antichi ,  e  era  groJJ^o  di  carati  venti  di  fine  oro  a  pa- 
vagone.  Di  quefl:a  Moneta  è  fatta  menzione  in  una  Carta,  che 
io  ricavai  dal  Regifiro  di  Cencio  Camerario  ,  che  contiene  la 
concejfione  in  Feudo  del  Cajìello  d'Arfa  fatta  da  Innocenzo  IV. 
Papa  al  Vejcovo  dtCafìro  nell'Anno  1253.  fub  annuo  Cenfu  duo- 
rum  Augujìarìorum  auri  ^  vel  viginti  Solidorum  denariorum  Sena- 
tus:  notizia,  che  ci  fa  anche  intendere  ,  qual  fofle  il  valore  della 
Moneta  Romana  battuta  da  quel  Senato.  Riccardo  da  San  Ger- 

Ffff     2  mano 


5^5  Dissertazione 

mano  ci  fcuopre  il  tempo,  in  cui  fi  fece  la  battuta  d'effi  Ago- 
ilari  ,  con  ifcrivere  alf  Anno  MCCXXXI,  Nummi  aurei  ,  qui 
Auguftahs  'vocantur ,  de  mandato  Imperatoris  in  utraque  Sicilia 
Brundufti  &  Mejfance  cuduntur  .  Ma  dalla  Giunta  fatta  alla 
Cronica  di  effo  Riccardo,  e  data  alla  luce  da  Cefare  Vergara 
jìci  Libro  de  Numm.  Regni  Neapol.  impariamo  il  pefo  e  valore 
di  tali  Monete,  e  parimente  ,  che  molto  prima  ne  fu  fatta  la 
fabbrica  .  Qiiivi  ila  fcritto  :  MCCXXIJ.  Menfe  Junii ^  quidam 
Thomas  de  Ba7ìdo  Civis  Scalenjts  ,  novam  Monetam  auri  ,  qucs, 
jìugujìalis  dicittiv  ,  ad  SanBum  Germanum  detulip  ,  de/ìribuen- 
dam  per  totam  Ahbatiam  ,  Ò'  per  Sanórum  Germanum  ,  uf  ipfa 
Moneta  utantur  borni nes  in  emtionibut  &  vendi tionibus  fuis  jux- 
ta  valorem  ei  ab  Imperatore  coììflitutum  ,  ut  quilibet  Nummus 
aureus  recipiatur  &  expendatur  prò  quarta  uncice  ,  fub  poena  per- 
jonarum  &  rerum  iti  Imperialibus  Literis  ,  quasidem  Thomas  de- 
tulit ,  annotata .  Figura  Augujìalis  erat  ab  uno  latere  caput  homi- 
7ìis  cuììì  media  f^cie  ;  &  ab  alio  Aquila  .  Ma  nella  Vita  di  Pa- 
pa Gregorio  IX.  nel  Tomo  III.  Par.  L  Rer.  hai.  pag.  584.  fi 
legge  ,  eh'  effo  Federigo  II.  fabbricò  altra  Moneta  di  peggior 
condizione,  anzi  falla.  Di  lui  iva  è  fcritto  :  ìsJo^vv.s  Monetasi  fai - 
JariuSy  dum  ara  cudit  diverfo  charaóìere  ,  argenti  tenui  Juperin- 
duta  cuticula . 

In  fomma,  riputazione  ed  ufo  anticamente  furono  anche  i 
Nummi  chiamati  B)''z^ntii ^  o  Byfantti  ^  Moneta  d'oro  de  gf 
Imperadori  Greci,  fabbricata  in  Coilantinopoli ,  e  poco  diverfa 
da  i  Ducati  d'oro  di  Venezia  ,  da  gli  Ungheri  ed  altri  Ducati 
d'oro  della  Nazione  Germanica  ,  e  da  i  Fiorini  d'oro  di  Firenze. 
Nelle  vecchie  Carte,  e  fpezialmente  in  quelle  del  Regno  di  Na- 
poli, e  delle  vicine  Provincie,  noi  trovianìo  iemplicemente men- 
tovati Solidos  BfT^^antios^  e  alle  volte  auri  Solidos  Bifanteos.  Fre- 
quente menzione  fé  n'incontra  nella  Cronica  del  Volturno Par.II. 
del  Tomo  I.  Rer.  ItaL  Ivi  eziandio  miriamo  mentovati  in  uno 
Strumento  deU'Anno  882.  centum  auri  Solidos  Confi antinianos^ 
i  quali  fi  poffono  credere  gli  fteffi,  che  i  Bifanz; .  Nel  Cata- 
logo de'Vef:ovi  di  Salerno  preflb  l'Ughelii  talvolta  fi  veggo- 
no Solidi  Confi antini ;  ma  probabilmente  fi  dovea  Icrivere  Co;/- 
fiantiniani .,  o  pure  Confiantinopolitani .  In  una  Carta  del  Mo- 
iiiftero  della  Cava,  da  me  pubblicata,  che  contiene  la  Dona- 
-zione  della  Chiefa  di  San  Felice  in  Lucania  5  fatta  da  Guaima- 

rio 


i  V  E  N  T  E  S^l  M  A  O  T  T  A  V  A  .  5^7 

rio  1^.  Principe  di  Snlerno  nell'Anno  1051.  noi  troviamo  dn- 
centos  auri  Soli dos  Confi nntinntos  ^  probabilmente  per  errore  dei 
Copifla  .  Talmente  poi  invaile  l'ufo  e  il  credito  àt  BifanT^ti-i 
che  anche  nel  Secolo  XIV.  era  quel  nome  familiare  in  Ita- 
lia ;  ed  allorché  uno  fi  augurava  d' nver  buoni  Bifanti  ,  niuno 
almeno  in  Tofcana  ignorava  ciò  ,  che  quefta  voce  (ìgnificaiTe. 
Per  la  (IclTa  ragione  in  bocca  e  negli  atti  de  gì'  Italiani  fpeflb 
fi  faceva  anticamente  udire  ì:^  voce  Tornefe  ^  denotante  la  Mo- 
neta Turonenfe  ,  o  fia  battuta  in  Tours  .  Dubbio  alcuno  non 
reiìa  ,  che  i  Bifanzj  fodero  d'oro  :  il  che  eziandio  fi  legge  in 
un  Giudicato  autentico,  efiftente  in  Arezzo  prefìTo  i  Benedetti- 
ni di  Santa  Flora  ,  e  da  me  pubblicato  ,  dove  Coflautino  Ve- 
fco^uo  ,  ed  Ugo  Conte  in  un  Placito  attribuifcono  a  Guido  Abbate 
di  quel  Monifiero  la  Corte  di  Sefìo^  imponendo  per  pena  a'tras- 
greffori  duo  milita  Bifancios  auri  nell'Anno  107^.  Col  tempo 
nondimeno  fi  videro  anche  Bifati^J  bianchi^  cioè  d'argento, 
come  pruova  il  Du-Cange  ;  e  quelli  valevano  uno  Scudo  Ro- 
mano da  dicci  Giuli. 

Truovansi  in  oltre  nelle  vecchie  Carte  nominati  fovente 
i  Mancuji  ,  o  Mancofì  ,  e  quefti  ora  chiamati  MancuJÌ  auri  , 
Qà  ora  Mancoji  argenti .  Nelle  Chiofe  Fiorentine  pubblicate  dall' 
Eccardo  leggiamo  :  Philippos  (  nummos  )  Maneufa  .  Si  dee  ìtP- 
gQXQ  Mancufa ,  Preffo  gl'Inglefi,  come  dimollra  il  Du-Cange, 
la  voce  Maneufa  fignificava  Marca  ;  e  però  fecondo  tale  opinio- 
ne, propofta  anche  dal  Voffio  e  dall' Hickefio,  allorché  noi  tro- 
viamo nelle  vecchie  Carte  nominati  ì  MancuJì ^  s'ha  da  inten- 
dere wù^.  Marca  d'oro  o  d'argento.  Per  conto  dell'Italia,  ho 
qualche  difiiculta  ad  abbracciar  si  fatta  opinione,  flante  l'oifer- 
varfi  ne  gli  antichi  Strumenti  tanta  copia  di  Mancuji^  coftituita 
per  pena  a  i  trasgreiTori  :  il  che  non  fi  Iblea  praticare  parlando 
dell'oro.  Alcuni  efempli  ne  darò.  L'uno  d'effi  è  tratto  dall'info 
gne  Archivio  del  Moniltero  Ambrofiano  di  Milano,  edam^e  pub- 
blico renduto.  Cioè  in  un  Diploma  dall'Anno  857.  Lodovico  IL 
Lmperadore  conferma  ad  Affperto  Diacono  Milanefe  alcuni  Beni 
da  lui  evinti  in  giudi:^o  ^  imponendo  per  pena  a  chi  contra- 
venifle  Mille  Mancufos  auri  .  Cos'i  un  riguardevol  Placito  deli' 
Anno  5?p8.  ho  dato  alla  luce,  ricavato  dalRegiflro  del  Vefcovato 
di  Cremona.  Quivi  Ottone  Duca  ^  e  Mejfo  di  Ottone  IIL  lmpera- 
dore-^ alla  prejenx^  del  medejìmo  Augufio  ^  riconojce  per  vero  e  legit- 
timo 


598  Dissertazione 

timo  un  Diploma  Imperiale^  prodotto  da  OldericoVefcovo  di  Cre- 
mona contro  i  Cittadini  della  ftejfa  Città  ,  con  decretare  per 
pena  a'contrafaeienti  duo  Millia  Mancofos  ami .  Un  altro  Placi- 
to dell'Anno  1055.  ho  io  prodotto,  efiftentc  nell'Archivio  del 
Capitolo  de'  Canonici  di  Padova  .  Tenuto  fu  eflb  Placito  in 
Mantova  da  Guntero  Cancelliere  e  Meffo  di  Arrigo  IL  Imperado- 
re^  il  quale  confermò  a  i  Canonici  di  Padova  il  Gius  delle  De- 
cime, co\ì\iutn^o  "^^Y  ^tn2L  duo  Mille  Mancofos  aureos ,  Cosi  Mi- 
lone  Vefcovo  di  Padova  in  un  altro  Placito  tenuto  in  effa  Pado- 
va davanti  a  Liutaldo Duca  nell'Anno  1085.  vince  una  lite  cen- 
tra di  alcuni  uiurpatori  de'  Beni  della  lua  Chiela  .  Troviamo 
ivi  ancora  importi  per  pena  duo  Mille  Mancofos  aureos ,  Se  vo- 
gliamo col  nome  àìMancufi^  o  Mancofi  fignifìcata  una.  Marca 
doro^  poffono  fembrar  eccedenti  quelle  pene.  Quel  eh' è  più, 
truovo  io  difegnati  con  quefta  voce  una  lotta  di  Soldi  d'oro  o 
d'argento  .  PrefTo  Anaftafio  Bibliotecario  nella  Vita  di  Adria- 
no I.  Papa  poffiamo  oflervare  in  auro  Solidos  Mancujfos  ducen- 
tos .  E  nella  Vita  di  Papa  Leone  IV.  Multos  ei  in  argento  Man- 
cofos pnebuit.  Da  Ifone  Maeftro  Philippei  fon  chiamati  Mane  ufi  ; 
e  Papia  Grammatico  ,  e  le  Chiofe  MSte  atteflano  ,  che  il  Fi- 
ìippeo  era  un  Soldo,  Anche  in  un  antichiffimo  Papiro  Ravenna- 
te, fcritto  allorché  i  Franchi  regnavano  in  Italia  ,  dato  alla  lu- 
ce dal  celebratiffimo  Marchefe  Scipione  MafFei  pag.  175.  della 
fua  Diplomatica  ,  noi  troviamo  fcripto  pretio  Solidos  Mancofos  tre- 
centos.  Né  io  diffimulerò  di  aver  prodotto  un  Diploma  dell' An- 
no 1014.  confervato  nell'Archivio  del  Moniftero  Veronefe  di 
San  Zenone,  in  cui  Arrigo  I.  fra  gl'Imperadorì  conferma  a  Ro- 
zo,  o  Rozone  Abbate  tutti  i  Beni  di  quel  facto  Luogo  ,  obbli- 
gandolo a  pagare  al  Vefcovo  folamente  Mancufos  viginti ,  ov- 
vero Solidos  quinquaginta ,  Forle  i  Ma^icufi  erano  d'oro,  i  Sol- 
di d'argento.  Il  finqui  detto  mi  fa  fovvenire  di  un  Diploma 
di  Carlo  il  Groifo  Imperadore  ,  fcritto  nel!'  Anno  883.  che  fi 
legge  nel  Tom.  IV.  dell'Italia  Sacra  nel  Catalogo  de*  Vefcovi 
di  Bergamo  .  Ivi  è  flatuito  ,  che  i  trasgreffori  pagheranno  per 
pena  triginta  Millia  Mancoforum  aureorum  ,  come  ha  anche  il 
P.  Geieltino  Cappuccino,  copiato  dall' Ugheili  .  Ma  fimili  ec- 
ecffive,  e  non  mai  pagabili  pene  ,  non  fi  fole  vano  imporre  ,  e 
perciò  è  da  credere  guado  quel  paffo  .  Chiuderò  il  racconto 
de'  Mancuji  colle  parole  dell'  Hickefio  nella  Diifert.  Epidolare 

Tom. 


Ventesimaottava."  5PP 

Tom.  II.  Linguar,  veter.  Septe}imonal.  Moneta  percuffdd  argen- 
tea ufiumy  ut  wdetur^  apud  Anglo-Saxo7ìcs  genus  fu'tt  :  nempe 
(lYgenteus  ille  Nummus^  quem  Pemiing^  Fenntg  ^  Penninc  ^  & 
cum  Jtmplki  N.  PeJiing  &c.  'vocnhant.  Pennìng  autem ^  quia 
noh'ts  Penningus  Latino  -  barbare  ìiuncupatur  ,  cujum  7tummulum 
argenteum ,  quem  dtctmus  hod'te  a  three  pence ,  tdeft  tres  dena- 
rios  EJlerlìngos^  quod  trutina  probap  ^  pondere  Ò" 'valore  cequabaf, 
^ùnque  Penningt  pecunia  argentea  fummulam  ,  qua  Anglo- 
Saxonice^  a  enne  Scfling^  idefl  unum  Scyllingum  ;  Ù*  trigtnta 
Penningi  fummulam  pecunia  argentea^  quam  a  enne  Mancus  , 
^vel  gnne  Mancs^  unam  Mancufam  conjìituebant  (^vel  unam  Mar- 
cam)  Me  are  enim  ^  ftve  Marc  apud  Anglo-Saxones  idem  argenti 
pondus  ac  Mancus  Jìgnijicabat  &c.  Maticufa  pariter  argentea  , 
qua  triginta  Penningos  tales  continebat ^  ?ìQnaginta  nojìros  'vale- 
bat  Penningos^  feu  tres  excufos  patria  ìiojìra  nummos  argenteos^ 
quos  'vocamus  Halfero'Wns .  Mancuja  'vero ,  'vel  Marca  auri ,  de- 
cies  valebat  Mancufam  argenti  ,  fecundum  valorem  ,  quo  aurum 
mgentum  fuperabat  apud  Gracos  &  Romanos.   Gosi  rHickefio. 

CoNviEN  ora  dir  due  parole  de  i  Felli  ,  antichiflìma  forta 
di  Moneta,  Folles  prefìfo  i  Latini,  t  Pholles  prefTo  i  Greci ,  che 
<liedero  l'origine  ad  eflì.  Furono  Moneta  bafTa.  Il  Salnriafio  nel- 
le Annotazioni  al  Libro  di  Tertulliano  de  Pallio  alla  pag.ii2. 
notò,  ritrovarfi  nella  Real  Biblioteca  di  Parigi  un  Libro  Greco 
da  Conti  ,  da  cui  fi  ricava  la  proporzione  ,  che  correva  fra  le 
Monete  Greche  de  gli  antichi.  Nummus^  die' egli,  Aureus  tum 
duodecim  Miliiarenjibus  argenteis  'valebat ,  Milliarenfe  (di  que- 
fli  Soldi  menzione  fi  ritruova  nella  Cronica  del  Volturno  da  me 
pubblicata  nella  Par.  II.  del  Tom.  I.  Ker.  hai,  )  'viginti  quatuor 
areis  Follibus .  /-'/  bejfem  nummi  aurei ,  Dicerati  ?jomine ,  pofìu- 
labant  Esa6iores  Folles  fexdecim  prò  Hexaphollo  ;  fex  Folles  bes 
aurei  cum  Dieerato  &  Hefaphollo ,  Milli arenfìa  cBo  coUigit ,  Ò* 
Folles  duo  &  'viginti  .  Abbiamo  da  Suida  ,  non  eflere  ftato  il 
Folle  che  un  Obolo»  La  maggior  parte  di  eflì  fu  di  materia  [ero- 
fa,  quantunque  fi  pofTa  forfè  moftrare  ,  che  talvolta  fé  ne  bat- 
teflero  d'argento  .  Solamente  per  Moneta  d'oro  li  riconobbe 
il  Gutherio  de  Offic.  Dom.  Aug.  Lib.  IH.  Gap.  17.  Penfo ,  eh' 
egli  s'ingannaflfe  all'ingrolTo  .  Marcellino  Conte  nella  fua  Cro- 
nica all'Anno  di  Crifto  498.  cosi  fcrive  di  Anaftafio  Impera- 
dore  :    Nummis ,  quos  Romani  Terentian&s  voca?ìt  (  il  Sirmondo 

ha 


èco  Dissertazione 

lia  ragion  di  ibfpettare,  ch'egli  icrivefre  Teruntios^  oTeru^itia- 
nos  )  Grcec'i  Follares  (altri  Codici  hanno Fo//^^)  AnaftafiusPrin' 
ceps  fuo  nomine  jigurat'ts  ,  phicibilem  Plebi  commutationem  di- 
Jìraxit ,  Diflì  antichiflimo  l'ufo  e  nome  di  quella  Greca  pecu- 
nia', trovandolene  menzione  preffo  Lampridio,  nel  Codice  Teo- 
dofiano ,  nei  Lib.  XXII.  Cap.  8.  de  Ctvit,  Dei  di  S.  AgoRino  , 
ficcome  ancora  prelTo  Evodio  Velcovo  Uzalenfe  nel  Lib.I.  Ca- 
pii. 14.  deMiraculis  San6li  Stephani.  Ne  fa  anche  commemora- 
zione un' Ifcrizione  rapportata  dal  Gruferò  pag.  810.  num.io. 
dove  fon  minacciati  pce77ce  nomine  Folles  Mille  ,  Ne  parla  an- 
che un'altra  Ifcrizione  del  mio  Teforo  pag.  375.  num.  5.  Il 
Commentatore  dt'Libri  Bafilici  nell'Eciog.  23.  parla  di  quelli 
e  di  altri  Nummi  Greci  ,  feri  vendo  :  NoJJ'e  oportep  ,  Ceratium 
unutn  Follibiis  valere  duodecim ,  Jive  Mtliarifto  dimìdio  .  Valent 
itaque  Cerati  a  duodecinì  Nomifmatis  dimidio^  nam  integrimi  No- 
mi jm  a  continet  Miliarifta  duodecim^  feu  Cerati  a  XXIV,  Da  tut- 
tociò  apparifce  ,  efìfere  {lati  i  Folli  Moneta  infima  .  Chi  più 
ne  defidera  y  veda  una  DilTertazione  del  Padre  Petavio  ,  mi- 
rabile ingegno,  fopra  ropufcolo  di  Santo  Epifanio  òq  Menfur, 
&  Ponderibus . 

Parimente  fra  le  Monete  Greche  in  ufo  furono  i  Michela- 
ti^  Soldi  battuti  da  Michele  Imperador  di  Coilantinopoli  ;  e  i 
Romanati  ,  a'  quali  diede  il  nome  Romano  Greco  Aupulìo  . 
Truovanfi  ancora  gii  Efìnerati  in  una  Carta  confervata  nell' 
Archivio  del  Moniftero  di  Subbiaco  ,  dove  Leone  Abbate  nell' 
Annop3<^.  compra  alcuni  Beni  ,  il  prezzo  de' quali  è  sborfato 
in  argento  bono  Efmeratos  Libram  ,  jufloque  penjantem  .  Ma  que- 
lli non  li  tengo  io  per  forta  di  Moneta  particolare,  credendoli 
più  toQo  COSI  chiamati  ,  i  Soldi  fabbricati  es  mero  argento  ,  e 
ben  purgato.  In  un  Capitolare  di  Carlo  Calvo  Re  preffo  il  Ba- 
luzio  Tom.  II.  pag.  178.  fi  legge  :  Ojj^orum  argentum  ad  pur- 
gnndum  acceperint  ,  ipfum  ^rgentwm  Exmerent  .  Qiii  Exmerare 
fignifica  purgar  bene.  Una  fpecie  bens\  di  Nummi  proprj  nel- 
la Grecia  furono  i  Perperi  ,  de'  quali  fovente  vien  fatta  men- 
zione nella  Cronica  Veneta  del  Dandolo,  e  ne' monumenti  de' 
Popoli  Orientali  .  Per  teflimonianza  di  Marino  Sanuto  iuniore 
nella  Storia  Veneta  Tom.  XXII.  Rer.  hai,  due  Perperi  valeva- 
no un  Ducato  d' oro  Veneto.  Truovanfi  anche  nominati  J^/J^r- 
periy  oHfperpera,  Di  elfi,  dopo  ilDu-Cange,  ha  trattato  il 

fopra 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  O  T  T  A  V  A  .  6oi 

fopra  lodato  P.  Pauli  nelle  Giunte  al  Beverino  .    jlfprì  ,  ovve- 
ro yìll/i  furono  chiamati  i  Nummi  Greci  d' argento  ;    del  no- 
me e  valor  di  efli  è  da  vedere  il  luddetto  Du-Cange  nella  Dif- 
fertaz.   delle  Monete  de' Greci  .   Ma  il   poco  fa  mentovato  Sa- 
nuto  fembra  indicare  ,    che  gli  j^IJjpri  non  fofTero  diverfi  da  i 
Perperi^  mentre  fcrive  ,  che  un  Ducato  d'oro  Veneto,  oggidì 
Zecchino^  era  valutato  ^wq  AJpri .  Forle  furono  cosi  chiamati 
come  a'  tempi  noftri  s'ufa  in  Firenze  il  nome  di  Rufpì  .    Di 
fopra  vedemmo  mentovati  dal  Cabrolpino  i  Melach'mt^  che  va- 
levano otto  GrofTì .  Cencio  Camerario  nel  fuo  Cerimoniale  Ro- 
mano li  chiama  Meloqu'inos ;  e  quelli  ion  creduti  dal  Du-Can^e 
Moneta  Italiana.  Sembra  a  me  più  probabile,  che  follerò  d'ori- 
gine Arabica  ,    cos'i  detti  da  Mchch  fignificante  Re  ,  ficcome 
battuti  da  i  Re  Saraceni,  che  gran  commerzio  ebbero  inltalia. 
Tali  ancora  furono  ì  Marabotini ,   I  Tare7n   fi  fabbricavano  nel 
Regno  di  Napoli  e  Sicilia.  Tuttavia  da  Leone  Oliienle  fon  an- 
che mentovati  T^ren't  j^fr'tcani  .  De  i  Denari  o  Soldi  Imperiali 
fi  cominciò  ad  udire  il  nome  in  Italia  nel  Secolo  XII.  e  fors' 
anche  piii  antica  fu  la  loro  origine;  cosi  chiamati  o  perchè  bat- 
tuti nell'Imperiale  Zecca  di  Pavia,  o   perchè  inventati  da  Fe- 
derigo I.   gran  propagatore  del  nome  Ceiareo  in  Italia  .   In  una 
Carta  di  Gerardo  Arcivefcovo  di  Ravenna  dell'Anno  iiyó,  un 
Livellario  promette  di   pagare  Imperiahm  unum  .   Da  Riccar- 
do da   San  Germano  all'Anno   123^.  fu  fcritto  ,    che  Federi- 
go I.   Imperadore  fece  battere  no'vos  Imperiales ,  Quanto  fi  ap- 
prezzale la  Libra  o  Lira  luìperiale  ,    lo  accenna  Matteo  Pa- 
ris all'  Anno  1 249.  fcrivendo  :    OHodecim  Millia  Librarum  de 
IVLoneta  Imperialium  ,   qua;  tantum  fere  valet  ,    quantum  EJìer- 
lingorum  ,    dette  oggidi  Lire  Sterline  .    E  celebri  anche  furo- 
no  una   volta  i  Denari    Sterlingi  ,    de'  quali   varia    fu  la  ma- 
niera   di  formarne    la  Lira  preifo  i  Franzefi    ed  Inglefi  .    Su 
quefto  è  da  confultare  il  Du  -  Cange  .    Altro  io    qui  non  ac- 
cennerò ,  fé  non  quanto  ha  uno  Strumento  della  Raccolta  di 
Cencio  Camerario,  fpettante  all'Anno   1232.  in   cui  Giovan- 
ili dalla  Colonna  Cardinale  confelTa  di  avere  ricevuto  una  fom- 
ma    di  danaro    da  Papa    Gregorio  JX.    colle  feguenti    parole   : 
Septuagint'a  Marcas    honorum    novorum    &  Legalium    Sterlingo- 
rum  ,  fcilicet  XIIL   Solidis  ,    &  quatuor  Sterlingis   prò  Mar- 
ca qualibet  computatis  .    Item  ,  &  'viginti   Uncias  boni  &  le- 
Tomo  L  ^b&§  ^^//J 


6o2  Dissertazione    • 

gaìis  alivi  Tarenorum  Reg?ù  Sic'dtde  età  pondus  Romnnum  , 
Itsm  &  ducentas  Ò'  ^'tginit  Libras  honorum  Pro'uenienjìum  Sena- 
tm  .  Item  &  o6lo  uncìas  &  unam  quanam  auri  pulvtris  ad  pon- 
dus Koma?ìum . 

Ho  fcritto  Pronjenìenfium ^  per  effere  abbreviata  quella  pa- 
rola nel  Tefto  ;  ma  probabilmente  fi  dee  leggere  Frovinen- 
ftum  ,  o  più  tofto  Provijinomm  Senatus  .  Di  quefla  Moneta  , 
battuta  allora  per  ordine  del  Senato  Romano  ,  frequente  Me- 
moria s'incontra  in  altri  Documenti  da  me  dati  alla  luce  nel- 
la prefente  Opera  .  Il  Sig.  le  Bianc  nel  fuo  Trattato  delle  Mo- 
nete di  Francia  ,  accenna  molti  Nummi  battuti  a'  tempi  di 
Carlo  il  Calvo  Re  ,  e  poi  Imperadore  ,  e  fra  l'altre  cofe  fcri- 
ve  in  Franzefe  :  Caflis  PKVVINIS  ,  id  eft  Provins  en  Erte  . 
B,jus  ager  in  Capttularibus  Caroli  Calvi  appellatur  Pagus  Provi- 
tììfus  &  Provinenjìs  ,  Apud  Au6iores  ,  atque  i?i  Chartis  fub  ter- 
tia  Regum  Fraticorum  Stirpe  ,  f<epe  jit  menno  Solidorum  ac  Li- 
braYwm  Provinenjìum  .  Ego  de  iis  fujius  loquar  in  Traólatu  de 
Monetis  Pralatorum  ac  Baronum  :  Libro  ,  eh'  io  non  so  fé  mai 
fia  (lato  da  lui  melfo  alla  luce.  Il  Du-Cangc  penfa,  che  Pro- 
"ji/ini  folTe  appellata  la  Moneta  de  i  Duchi  di  Sciampagna  . 
Quanto  a  me  ,  in  troppi  Contratti  fcritti  in  Roma  nel  Seco- 
lo XII.  e  molto  pili  nel  XIII.  truovo  effere  ivi  fiate  in  ufo 
Libras  Provifmorum  Senatus  ,  cioè  Lire  di  Denari  o  Soldi  battu- 
ti in  Roma  per  ordine  e  regolamento  del  Senato  Romano,  che 
godeva  il  diritto  della  Zecca  .  Pietro  Manlio  ,  che  nelì'  Anno 
II 57.  fioriva,  nella  Storia  della  Bafìlica  Vaticana,  data  alla 
iuce  dal  Chiarifs.  P.  Gianningo  della  Compagnia  di  Gesù  nel 
Tomo  VII.  de  gli  Atti  de' Santi  del  Mefe  di  Giugno  ,  Icrive  , 
effere  flati  dati  a  i  Canonici  tres  Solidos  Provìnienjes  prò  dare- 
to  ,  E  preffo  il  Turrigio  Par.  II.  Cap.  3.  delle  Grotte  Vatica- 
ne in  una  pergamena  fì  ^^gge  '  X/^/.  Kalejidas  Auguflas  obiit 
felicis  recordationis  Innocentius  Papa  IH.  relinquens  Bajilica  fio- 
Jìroe  Jex  Libras  Provifmorum  prò  Anniverfario  fuo .  Potrà  al  cer- 
to parere  ftrano  a  i  Lettori,  che  i  Romani  prendeffero  in  pre- 
ftito  il  nome  della  lor  Moneta  o  Lira  dal  Villaggio  o  Terra  di 
Provins  di  Francia  .  E  quantunque  quella  Terra  non  fia  mol- 
to diflante  da  Parigi  ,  e  forfè  da  qualche  Re  quivi  dimorante 
potefle  emanare  qualche  Editto,  coftituente  il  prezzo  della  Li- 
bra corrente  ;  o  pure  pofla  ivi  la  Zecca  potefle  dar  la  deno- 
mina- 


Ventesima  OTTAVA.  ^o  j 

minazione  alla  Moneta,  che  poi  fi  fparfe  per  l'Italia  :  contut- 
tociò  la  coniettura  del  Blanc  ,  in  cui  concorre  anche  il  Du- 
Cange  ,  né  pure  fu  approvata  dai  fuddetto  P.  Gianningo  ,  il 
parere  di  cui  fu ,  che  più  tofio  i  Soldi  o  Denari  Romani  pren- 
deffero  quel  nome  dalle  Provijtonì  ,  o  rendite  delle  Chiefe  . 
Truovo  io  nondimeno,  che  la  Terra  di  Pvovins  in  Francia  fu 
rinomata  per  una  gran  Fiera,  che  ivi  fi  teneva;  e  prefibRo- 
landino  Bolognefe  nella  Somma  dell' Arte  Notariale  fcritta  nel 
Secolo  XIII.  veggo  mentovate  decem  brachia  pa?ini  de  Pru_yn  : 
il  che  fa  vedere  molto  dilatata  la  fama  di  quel  Luogo  .  In- 
tanto i  Documenti  del  Codice  MSto  del  fuddetto  Cencio  Ca- 
merario, da  me  dati  alla  luce,  potran  giovare  per  intendere, 
di  che  valore  fofle  una  volta  la  Libra  o  Lira  àt  Pro'viftnì  ,  o 
Proijctiienfi ^  o  Provenienti .  In  uno  dell' Anno  11P5.  dove  G«/- 
cio  Prete  Cardinale ,  e  Giovanni  di  Guido  del  Papa  &c.  Fratel- 
li ,  e  Figli  del  quondam  Cencio  del  Papa  rinu?i7:iano  a  i  loro  di- 
ritti /opra  Civita  C  a/lei  lana  ,  fi  leggono  le  leguenti  parole  : 
Datis  &  perfolvitis  prò  due  enti  s  fex  Li  bri  s  Provenie  nftum  (  o  fia 
Provi Jtnorum  )  Senatus  ,  Ù'  quinque  Solidis  ,  eo  quod  Denarius 
Papienjis  fecundum  for?nam  Jìatutam  a  Judicibus  &  Mercatori- 
bus  Urbis  ^  duodeci'm  Denarti  prò  viginti  Provenienjibus  veteribus 
nuììc  computaritur  ;  Ò'  h abita  proportione  Provenienjium  veterum 
ad  Prove ynenfes  Senatus^  qui  duodecim  Provenienfes  veteres  nunc 
prò  [ex  Provenienjibus  &  dimidio  Senatus  cambiantur,  Unde  uf- 
que  ad  pradióìam  fummam  argenti  extenduntur  dióìce  dua  par- 
tes  praelibatce  dotis,  Quefta  dote  era  ftata  coftituita  nella  iom- 
tna  centum  Librarmn  Denariorum  Papienftum  .  In  un  altro  Stru- 
mento del  medefimo  Anno,  fpettante  allo  ft elfo  affare  ,  fi  par- 
la di  una  porzione  centum  aliarum  Librarum  Proveniefijìum  , 
vel  biforci atorum ,  In  un  altro  del  1232.  Giovanni  dalla  Colon- 
na Cardinale  confefia  di  avere  ricevuto  dalla  Camera  Pontificia 
centum  &  oóìo  uncias  auri  Regis  &  dimidiam  ad pondus  Roma- 
num  ,  &  centum  feptuagtnta  quatuor  Libras  &  quatuor  Solidos 
honorum  Provenienfium  Senatus , 

Della  Pecunia  Proviftna  ha  anche  parlato  il  Grimaldi  fo- 
pra  nominato  uomo  accuratjffimo,  alcune  di  cui  oflervazioni  , 
che  fcorrono  fopra  altre  fpecie  di  Moneta  ,  meritano  di  aver 
luogo  qui  .  Libra  Proveniens  è  da  lui  appellata  quefta  Mone- 
ta .  Ma  a  me  5  in  confiderare  i  vecchi  MSti  ,  nacque  dubbio, 

Gggg     2  fé 


6oi\.  Dissertazione 

fé   fi  avefie   più  toflo  a  leggere  Provìftenfium  ^  o   Provtforum^ 
fenza  poter  io  determinare  quefta   voce  ,  per  edere  abbrevia- 
ta ,  e  capace  di  piìi  d'una  interpretazione.   Cosi  dunque  fcri- 
ve  il  Grimaldi  :   Libra  Proveniens  Senatu%  'valor'ts  erat  ...  2.  50. 
Libra  parva  Provi/inorum   Senatus  njaloris  erat  Boi.  15.   Et   20, 
Solidi  Provijìnorum  conjicisbant  Libram  .   Solidus  Provenie^itium 
Senatus  argenteus  valoris  erat  Boi.  1 2.  fetnis  .    Solidus  Provijì' 
norum   Senatus    valoris  erat  quatuor  quadrantum  .    De  dijjeren' 
ti  a   Solidorurn  Provenienttuyn   &   Pronjifinorum   extat  msmoria  in 
hjjìrumento   Anni   MCCKCV.    in  Archivio   San6ii  Petri  fafci- 
cul.  3  5^.  capfula  66.    De  Libra  vero  Provijinorurn   Senatus   do- 
cent  Libri  cenfuales   diB(S  Bajiliccs   ab  Anno  MCCC  LXXVIII. 
ufque  ad  MCCCCL.   Florenus  aureus  valoris  erat  Scuti  unius 
Boi.  2"^.    Hic   namque  aureus  erat  ^    &  ponderabatur  ^    ut  liquct 
ex  Injìrumento  venditionis  bSìo  petiarum  vinche   in  cojìis  Montis 
Mali  Anno  MCCCXIX.   pretio  XLIX.    Florenorum  boni  & 
puri   auri  ,    &  jujìi  ponderis  ,   e>:  dióìo  Archivo  capfula  66.  fa- 
fciculo  I  8p.  Et  in  Libro  Tranfumptcrutn  /o/.  253.   Anno  MCCC- 
LXXVII.   quinquagiìita  Florenì  boni  auri   &  reBi  ponderis^  prac- 
ter   alia   esempla   brevi  t  a  ti  s  cauJJ  a   omijfa  .   Florenus  Rom^e  cur- 
rens  tempore  Eugenii  IV.   molto   etiam  ante  Ù'  poft  ,    <7X  L^tbr^ 
Injìrument.   Lalii  Petronii   in  di&o  Archivo  ,  &  in  Libris   Cen- 
fualibus  ^  valebat  Boi.  '^<^.   Ù'  quadrante m   unum  .   Et  a^'].  Solidi 
Florenum   cofiflciebant  .    Tempore  In?2ocentii  IH.   uti   ex  e;us  vi- 
ta habetur  ,  valida  fames  invaluit ,    ut  rubium  frumenti   a   20* 
/id  30.  Solidos  venderetur  ,  hoc  efì  ad  24.   &  ^^6.  Julios  afcen- 
dit  frumenti  rubium  .   Ex  Caremoniali  Gregorii  X.   in  BibUothe^ 
ca  Vaticana  foL^j.  In  Coronatione  Pontificis  proceflio  a  Sanalo 
Petro  ad  Lateranum  .    Fiunt  Domino  Papse  arcus  ;  &  Clerici 
B^omani  occurrunt  eidem  via  facra,  ubicumque   poffunt,  cuin 
thuribulis  &   incenfo  .    Et  in  remuneratione    dantur  Romanis 
LibriE  XXXV.   Provenientium.  Et  Clericis  prò  thuribulis  XIV. 
Librce   &   dimidia  Provenientium.   Item  fol.62.  de  Mundato  fa- 
ciendo  .    Mifìa  igitur    folemniter  pera61a  ,    afcendit  Palatium  , 
comitantibus  eum   tam  Epiicopis  ,    quam  Presbyteris    &  Dia- 
conibus  ,  omnibus   paratis  fecundum  ordinem   iuum  .   Pontifex 
vero  ingreditur  Bafilicam  San£1:i  Laurentii  de  Palatio,  vel  Ca- 
peìlam  SantTti  Martini  ,  fi  eft  ad  San6ì:um  Petrum  ,    &  exuit 
planeram  ,   &  affumit  fibi  mantuni  in  fcapulis  ,   impofito  fu- 

per 


V  E  N  T  E  S  i  M  A  O  T  T  A  V  A  ;  (5o  5 

per  caput  ejus  fanone  cum  mitra  ,  Se  facit  Mundatuni  ,  XII. 
Subdiaconis  roquetum  cum  iuperpelliceo  portantibus  (  Hodie 
junt  duodecim  Pauperes  ,  quibus  Papa  lavat  pedes  )  Cubiculari! 
ponunt  concham  ante  eum,  iple  vero  prxcin6ì:us  linteo,  ha- 
bens  ante  ie  linteum  mundum  ,  quo  unus  Diaconus  ei  ler- 
vit  ,  lecundum  Dominum  JacobumGaytani  iplum  Papam  pn^- 
cingit  ,  bracheolam  ad  hoc  paratam  habens  in  brachiis  ,  & 
linteum  mundum  ante  fé  tenens  .  Qli^  omnia  debent  parari 
per  Thefaurarium  ,  vel  Fratres  de  Pagnotta  (  Fratres  de  Pa- 
gnotta Ordin'ts  Sanóli  BetiediBi  Ecclejìam  Sa?ì6ii  Blajti  tn  vìa 
Julia  hìcolebant  ;  curabant  etìam  corpus  Pofitificis  defungi .  Ma- 
die hujiismodi  curam  habet  Sacrijìa  Papa:  Ordi?7Ìs  SanHi  Au- 
gi'.flini  )  .  Et  duodecim  Subdiaconi  manent  foris  Bafilicam  ò,\- 
Icalciati  .  Duo  vero  Oftiarii  accipiunt  Priorem  in  ulnis  ,  & 
portant  eum  ante  Pontificem  .  Pontifex  cum  aqua  calida  ,  qua  ni 
infundere  debent  Cubicularii  ,  lavat  pedes  ejus  ,  &  tergit  lin- 
teo ,  &  deolculatur  pedem  ejus  dextrum  ,  &  dar  ei  duos  So- 
lidos  Provenientes .  Et  fic  facit  unicuique  Subdiaconorum,  & 
dat  eis  XII.  denarios  &:c. 

Bene  ancora  farà  l'aggiugnere  quello  ,  che  ha  il  fuddet- 
to  Papa  Innocenzo  III.  nella  Coftituzione  fua  al  Rettore  ed 
a  i  Frati  dello  Spedale  di  Santo  Spirito  ,  che  fra  1'  Ope- 
re fue  ftampata  fi  ritruova  .  Cosi  adunque  egli  parla  :  Jnbe- 
miìs^  ut  prò  mille  Paupenbus  extrinfecus  adveììtantibus^  &  tre- 
cemis  perfonìs  intus  degentibus  ,  decem  feptem  Librae  nfualis 
Moneta  (  ut  finguli  accipiant  tres  Denarios  ,  unum  prò  pane  , 
alterum  prò  vino  ,  alimnque  prò  carne  )  ab  Eleemofynario  Sum- 
mi  Pontifìcts  a7inuatim  vobis  in  perpstuum  tribuantur  .  Co- 
manda parimente  il  medefimo  Innocenzo  III.  Pontefice  ,  che 
a  i  Canonici  ,  qui  ejfigiem  Salvatoris  procefftonaliter  deporta- 
bunt  ,  Jtngulis  duodecim  Nummi s  de  oblationibus  ConfeJJionis 
Beati  Petri  prcsjìetuur  .  Il  Grimaldi  ,  prendendo  ad  illuftrar 
quefii  paffi  ,  vien  poi  foggiungendo  le  feguenti  parole  :  Sa- 
prà di6l:c  decem  &  feptem  Libr<s  ufualis  Moneta  eranP  Sen- 
ta auri  in  auro  triginta  quatuor  ,  ut  e  olii gi  tur  ex  pluribus  ob- 
fervationibus  a  me  faólis  ex  Scripturis  Archivi  prdediB^e  Bajt- 
lica  .  Solidi  ,  de  quibus  infra  ,  valoris  erant  Bononenorum  , 
five  Obolorum  duodecim  femis  prò  quolibeP  .  Decem  Solidi  ar- 
gentei 


6o6  Dissertazione 

gentei  confic'tehaìit  Nummum  aureum  Juliorum  decem  ,  CT  Bo- 
non,2'^.  ^uatuor  Nummi  m-gentei  erant  utins  Soltdiis  .  Nummus 
valorìs  erat  tr'ium  Obolorum  ,  feu  Denariorum  .  Triginta  Solidi 
valebnnt  Marcham  unam  argenti  puri  :  funt  Scuta  tria  ,  Bo- 
fion.y^.  ha  babetur  foL'jl,  in  Libro  antiqui jjimo  M.Sto  in  mem- 
branis  Callijìi  IL  Papié  .  Ex  Vita  ejusdem  Innocentii  III.  col- 
ligitur  ,  Marcham  majorem  effe  Scutorum  trium  BoL  75.  atque 
etiam  Scutorum  quinque  ,  BoL'j'^,  Libras  XXXV.  Provenientium 
Senatus  funt  Scuta  auri  in  auro  LXX.  Idem  etiam  Innocentius 
prò  Jubjìdio  Terne  Sap.Hce  fecit  tionjam  nanem  ,  in  qua  cum  ar- 
mamentariis  fuis  Mille  trecentas  Ubras  expettdit  .  Sunt  Scuta 
in  auro  2600.  Hinc  col  ligitur  ,  Libram  hanc  ejfe  magni  'valo^ 
vis  ,  Pro  Mille  i gì  tur  Ò'  trecenti  s  perjonis  ,  largiemio  Jingulis 
tres  Denarios  ,  Jeu  Obolos  ,  conjiriebant  Summam  Scutorum  3p. 
Monetcs  .  Et  fupradióìa  Librce  XVIL  funt  auri  in  auro  Scuta  34, 
ad  Julios  duodecim  prò  Scuto  .  Sic  Jatis  fuperque  erat  hujusmo- 
di  eleemo/jyna  y  &  Ji^jficiebant  illis  temporibus  diUi  tres  Denarii 
feu  Oboli  ad  panem .,  'uinum  ^  &  carnem  pnediflas  emendas.  In 
Cceremoniali  Greporii  X.  in  Bibliotheca  Vaticana  de  elezione  no' 
•vi  Pontiflcis  haec  leguntur  :  Recipit  Papa  de  manu  Camerarii 
Denarios  Argenteos  valentes  decem  Solidos  Provenientes  ,  & 
projicit  fuper  Pepulum  ,  dicens  fingulis  vicibus  :  Difperftt.,  de' 
dit pauperibus  &c.  S'incontrano  ancora  nelle  Carré  antiche  del- 
la Citta  di  Roma  Librce  ^jfortiatorum^  delle  quali  s'è  parlato 
nella  precedente  DifTertazione.  Il  fuo  prezzo  ragguagliato  col- 
la Libra  Lucenfts  Moneta  ,  forfè  fi  potrebbe  ricavare  da  uno 
Strumento  dell'Anno  1159.  da  me  Rampato  ,  in  cui  la  Rocca 
di  Santo  Stefano  con  altri  Luoghi  è  data  in  pegno  a  Papa  Adria- 
fio  IV.  Nel  tefto  è  detto  prò  centum  quadraginta  Libris  Lucen- 
ftum  &  quinque  Solidis  ;  e  nella  Rubrica  prò  centum  Libris 
yljfortiatorum ,   &  quinque  Solidis . 

Finalmente  mi  refta  da  dire  qualche  cofa  de  Fiorini^  Mo- 
neta fopra  tutto  celebratiifima  d'Italia.  Per  teflimonianza  di 
Ricordano  Malafpina  Cap.  152.  e  di  Giovanni  Villani  Lib.  VI. 
Cap.  53.  delie  Storie,  nell'Anno  1252.  cominciò  il  Popolo  Fio- 
rentino a  battere  quefta  Moneta  d'oro  ,  chiamata  da  erti  Fio- 
rino ^  e  Ducato  d'oro  da  altri,  perchè  nell'una  parte  era  im- 
preifo  un  G;^//o,  e  nell'altra  l'Immagine  di  San  Giovanni  Ba- 
ri Ila  .  Quella  è  l'origine  del  Fiorino  d'oro;  però  fembra  fcu- 

ra 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  O  T  T  A  V  A  .  607 

ra  là  fentenza  del  Borghini  nel  Libro  delle  Monete  Fiorentine, 
dove  icrive  :  ^^cflo  nome  d'i  Fiorino  fu  tnnnn'zt  alcuni  Secoli 
(  cioè  prima  che  Carlo  I.  di  Angiò  conquifbfle  il  Regno  dì 
Napoli  e  Sicilia  )  e  tutta  la  cofa  della  Moneta  nojìra  era  pri- 
ma ferma  ,  che  quefìo  Carlo  avejfe  che  far  nulla  ,  0  pur  pe?t- 
fajfe  al  Regno  di  Napoli.  Qiiel  che  è  certo,  nell'Anno  di  Gri- 
llo 1 2(5(5.  Carlo  I.  s' impadronì  di  quel  Regno  ;  e  il  Fiorino  fu 
la  prima  volta  battuto  nell'Anno  1252.  Dove  dunque  fono  que' 
Secoli  ,  che  il  Borghini  fpacciò  ?  Fors'  egli  proferì  queflo  con 
prenderlo  da'proprj  luoi  giorni.  Ora  il  nome  e  pregio  ditali 
Fiorini  fi  dilatò  si  fattamente  per  tutta  l'Europa  ,  che  quafi 
tutti  gli  altri  Principi  a  gara  cominciarono  a  batterne  anche 
effi  con  ritenerne  lo  ftelfo  nome  .  Come  fa  fede  il  fuddetto 
Villani  nel  Lib.  IX.  Cap,  48.  Arrigo  Vlf.  Auguflo  contra  de' 
Fiorentini  adirato  fentenziò  :  Che  i  Fiorentini  non  poteffono 
battere  moneta  d' oro  nv  d*  argento  •  e  confentì  per  privilegio  a 
Mejfer  Uhi-^^ino  Spinoli  da  Genova ,  &  al  Marche/e  di  Monfer- 
rato ,  che  potejfero  battere  in  loro  Terre  Fiorini  d' oro  contrafat- 
ti fotto  il  fegno  di  quegli  di  Firen7:e  ,  Ciò  parimente  fecero 
altri  Principi  o  per  proprio  diritto  ,  o  per  privilegio .  Fra  gli 
altri  ,  fecondo  la  teftimonianza  del  medefimo  Storico  Lib.  IX. 
Gap.  16^,  Giovanni  XXII.  Papa  nell'Anno  1322.  fece  fare  in 
Avignone  una  nuova  Moneta  d' oro  ,  fatta  del  pefo  e  lega  e  co- 
22 io  di  Firen:?^e  ,  fan-^a  altra  infegna  ,  fé  ?ton  che  dal  lato  del 
Giglio  diceano  le  lettere  il  nome  di  Papa  Giovanni .  Aggiugne 
nel  Gap.  278.  Per  intrafegna  di  cofta  a  San  Giovanni  vi  avea 
una  Mitra  Papale  ,  e  dal  lato  del  Giglio  diceano  le  lettere  San- 
ólus  Petrus  y  SanHus  Paulus .  Scrive  inoltre,  che  il  medefimo 
Papa  fulminò  la  Scomunica  contro  chiunque  battelfe  Fiorini 
d*oro  ad  imitazione  de' Fiorentini ,  quando  egli  fteffo  non  eb- 
be fcrupolo  di  fabbricarne  per  sé .  Maravigliaronfi  forfè  allora 
i  Fedeli  ,  che  faltaffe  fuori  la  Scomunica  per  foftenere  la  Mo- 
neta de'  Fiorentini  .  Ma  anche  i  Re  di  Francia  col  nome  di 
Fiorini  batterono  Moneta  ,  non  però  in  quel  tempo  ,  che  im- 
maginò il  Sig.  le  Blanc  .  Attribuifce  egli  i  Fiorini  Franzefi  a 
Filippo  Auguflo,  Lodovico  Serto  ,  Settimo  ,  ed  Ottavo  Regi  , 
fenza  badare,  che  quefti  fiorirono  prima  del  1252.  in  cui  eb- 
bero principio  e  nome  i  Fiorini  di  Firenze  .  Il  perchè  è  da 
credere,  ch'effi  furono  battuti  da  Lodovico  Nono  o  Decimo, 

e  da 


6o8  Dissertazione 

e  da  Filippo  il  Bello  .  Né  s' hanno  da  confondere  co' Fiorigli  i 
Gigliati^  Moneta  d'oro  di  Carlo  I.  Re  di  Napoli  e  Sicilia,  e 
COSI  appellati,  perchè  anch' efli  portavano  il  Giglio  ,    infegna 
de  i  Re  di  Francia  .  Non  è  però  certo  ,    che  anche  i  Fiorini  di 
Firenze  preflb  alcuni  non  lortilTero  lo  (ledo  nome  di  Gigliati , 
come  oggidì  vengono    anche  chiamati  in  Firenze  i  battuti  a 
iomiglianza  de  gli  antichi,  ed  hanno  parimente  il  nome  di  Rti- 
fpi  .    Qual  fofle  il  valore  del  Fiorino  ragguagliato  colla  Libra 
Romana  di  Provenienti  ,  o  Provifini  ,  fi  può  ricavare  da  uno 
Strumento,  ch'io  ricavai  dal  Codice  MSto  di  Cencio  Camer- 
lengo ,    fcritto  nel   12^5.    dove  troviamo  o&ingentos  fexagi?ita 
fex  Florenos  ,    &  duas  partes  ufiius  Floreni  auri   prò   Sexcemis 
^imquaginta  Libris  Provijìnorum   (  o  Provenientium)   pagati  da 
gli  uomini  di  Frofinone  .    Otto  Fiorini  della  Zecca  Fiorentina 
davano  il  pefo  di  un'oncia  d'oro,  e  ciafcun  di  efli  valeva  XX. 
Soldi  .  Per  atteftato  ancora  di  Guglielmo  Ventura  nella  Croni- 
ca di  Adi,  i  Fiorini  d'oro  nell'Anno  i2po.  valebam SolidosXX. 
Aflenfes  ,  Così  Giovanni  Villani  nel  Lib.  VII.  Cap.  8p.  fcrive, 
che  Cento  mila  Libre  di  Gieno'vini  (  Moneta  di  Genova  )  erano 
più  di   Cento  'venticinque   migliaia    di  Fiorini   d' oro  .    PrefTo   i 
Brefciani  ,  per  quanto  fcrive  Jacopo  Malvezzi  nella  Cronica  di 
quella  Citta  circa  l'Anno  1270.  Mille  aurei  fexcentis  Libris  <squi- 
'valebant .    'Nam  tunc  in  Civitate  hac  Brixia  duodecim  Soldi  tan- 
tum prò  Floreno  aureo  dabantur.  Ora  cosi  crebbe  nel  Secolo  XIV. 
la  fama  e  il  nome  de' Fiorini,  che  fopra  l'altre  Monete  d'oro 
efli  erano  in  corfo  per  tutta  l'Itaha  ,  ed  anche  fuori  .  Nel  Li- 
bro MSto  de  i  Decreti  e  Privilegj  ,  efi (lente  nell'Archivio  del 
Comune  di  Modena  ,  fi  leggono  tre  Diplomi  di  Giovanni  Re 
di  Boemia,    dati  nel  1331.  in  cui  egli  fece  tanti  progrefli  in 
Italia  ,  Nobili  'viro  Andrece  de  la  MoIt^^  in  un  de' quali  gli  do- 
na Callello  Leone,  dopo  aver  tenuto  al  facro  Fonte  Gherardino 
di  lui  Figlio  .    In  un  altro  il  coilituifce  Domus  lìoflrae  Doynicel- 
lum  ,  &  f amili  arem  domejìicum  .    Ivi  ancora  fi  legge  una  Me- 
moria prefentata  dallo  flefib  Andrea  a  Carlo  IV.  Augufto ,  Fi- 
glio di  eflb  Re  Giovanni,   per  pregarlo  di  eflere  foddisfatto  del- 
le fomme  di  danaro  predate  al  medefimo  Imperadore,  ealRe 
fuo  Padre.    Imprima^  die' egli,  prejìà  eo  Andrea  al  meo  Signore 
Mijfer  lo  Re  di  Boemia  ,  Jiando  in  Modena  ,  //'  quae  elio  gè  fé 
dare  a  Mijfer  Fu  film  aro  Todefco  ,   //"  quae  elio  gè  donò  ,  e  foe 

a  dì 


VeNTESIMAOTTAVaI  ÓQa 

a  dì  X,  d'Aprile  MCCCXXXI.  in  prefemia  di  Mejer  Lofxe  ds 
Snvota^  e   de  MiJTer  Zim  da  Caftìoiie ^  e  de  MiJJer  Rannero  da 
Monte  Tulxano  Joe  Cancellerò  ,  Fiorini  CCC.  d'oro,   hem  prejìà 
eo  Andrea   al  deto   meo  Signore  ,  ftando  in  Bologna   in  caja  del 
deto  Andrea  ;  e  recevelli  Mij[er  Niccolo  ,   che  era   allora  Joe  Can- 
cellerò ^  e  da  poi  foe  Vefcovo  de  Trento  ;  Ò'  h aneli  per  pagare 
V  albergo  là^  ove  era  Jìae  molti  Cavaleri^  e  Famia  del  deto  Re  ^ 
e  per  vari    drapi ,  che  comprò  lo  deto  MijJ^er  Nicolò  ,  per  ve/li- 
re lo  deto  Mijfer  lo  Re ,  e  li  Conti   de  Namurco  Joe  Cuxini  ;  e 
foe  a  dì  XV,  d'  Aprile  MCCC.  XXXIIL   in  prefentia  di  Mijfer 
Guido  de'  Scali   da  Fiorenza  Faóìore  e  Do?7:?^llo  di  Mijfer  lo  Le- 
gato Cardinale   de  Hoftia  e  Signore  di  Bologna  &c.  Fiorini  DCC, 
d' oro .   Jtem  preftà  eo  Andrea   al  di  fio  Mijfer  /'  Imperatore   a   dì 
XXIII,   d' Aprile  MCCCXXXIII.  ftando  lo  deto  Re  a  Modena 
in  cafa  di  Fra  Predicatori  ;    e  ricevelli   Mijfer  Nicolò   alora  foe 
Cancellerò  per  pagare  fpefe  ,    che  havea  faóìo  Mijfer  lo  Re  in 
Modena  ,    non  pojfendone  bavere  nefuno  da  Mijfer  Manfrè  de' 
Piiy  né   in  Comune  ;  e   quejìo  in  prefentia  deMiJJer  Guido  de' 
Pii   da  Modena  ,   e  de  Fra  lacomo  da  Collegarola  Priore  di  Fra 
Predicatori  di  Modena  Ù'c.  Fiorini  MDC.   d' oro  .   di  quai  da  lo 
deto  Imperatore  ìie  ricevè  Cartha  ftando   in  Modena    Ì7i  cafa   di 
Fra  Predicatori,  Oltre  a  quello  ,  che  s'è  detto  de' Fiorini  nel- 
la precedente  Difìfertazione  ,    diede  alla  luce  una  Differtazione 
su  quefto  argomento  il  dottiflìmo  Francefco  Vettori  ,  Cavaliere 
di  Santo  Stefano  ,  che  abitante  in  Roma,  si  per  la  iua Erudizio- 
ne, che  pel  fuo  Mufeo  gran  nome  fi  è  acquiftato. 

E^  ORA  da  avvertire  ,  che  dopo  elfere  ftata  conceduta  alle 
Citta  Italiane  da  gli  Augufti  tanto  la  Liberta  ,  quanto  il  Gius 
di  battere  Moneta  d'oro  e  d'argento  ,  allora  non  poche  di  effe 
regolarono  il  corlo  della  propria  Moneta  a  tenore  de'  Soldi  o 
Denari,  che  le  medefime  fabbricavano,  di  modo  che  non  dirado 
altro  era  in  una,  e  diverfo  in  altra  l'ordine  e  nome  della  Pecu- 
nia .  In  una  Carta  efiftente  nell'Archivio  de' Canonici  di  Mode- 
na, fcritta  nell'Anno  121 2.  HQ?iefìus  Dei  gratia  Abbas  Monafterii 
Sancii  Benedici  de  Lene  (  cioè  ad  Leones  )  in  DioecefBrixia^  ex 
praecepto  Domini  Sicardi  Cremonetifs  Epijcopi  ,  &  Apofìolicae  Se- 
dis  Legati  (era  a  me  ignota  quefta  prerogativa  di  Sicardo,  al- 
lorché pubblicai  la  di  lui  Cronica  nel  Tomo  VII.  Rer.  bai.) 
vende  alcuni  poderi  5  e  particolarmente  Curtem  San^i  Vincen- 
Tomo  L  H  h  h  h  tii . 


(5io  Dissertazione 

tii  5   quie  efl  pojìta  prope  Caftrum   de  Bad'tano   (  nuncB.azz:{r,o  ) 
predo  CCCLI.   Ltbrarum  Impertaltum  tn  Boi  ogni  nh  ,  'vel  Ferr/?ri- 
jtis^  'Del  Farmefian'ts  ^  tr'tbus  Solidis  per  unum  Imperi  al  em  ,    Il  P, 
Mabillone  ne  gli  Annali  Benedettini  all'Anno  DCGLIX.  fa 
menzione    dei  Monidero  Leonenfe  Brefciano  ,    e  lo  chiama  a 
Coììrado  II.   Imperatore  foto  cequatum^  Eccolo  tuttavia  in   efìTere 
nell'Anno  121 2.   In  un'altra  Carta  del  117P.  mi  fi  affaccia  Do;/- 
nus  'Erìzo  Monachtis  'uencrabilts  Monaflerii  SanBi  Benedigli  de 
Leune  ,  Prtor  de  Pan-z^ìio  ,    cioè  di  un  Monafteruolo  efiftente 
nel  Luogo   di  Panzano  ,  allora  territorio  di  Modena  ,  ed  ora  di 
Bologna.   Abbiam  dunque  veduto  Soìdi  Bologne/i ^  F err ave/I  ^  e 
Parmigiani  ,  e  tuttavia  dura  il  nome  di  Bolognini  non  folo  in 
Bologna  ,  ma  anche  in  Modena  ,  e  in  altri  Luoghi  ,  ma  con 
gran  mutazione  di  Moneta  e  valore  .  Nell'antichifTimo  Codice 
de  gli  Statuti  MSti  di  Ferrara  Lib.  IL  Rub.  341.  v'ha  untite- 
lo  de  valore  Bagafi?2orMm  ,    cioè   quod  quilibet  teneatur  recipere 
quatuor  Bagatinos  prò  tribus  Ferrarinis  .   Era  Moneta  bafla  :   an- 
che  oggidì  diciamo  :  lo  non  ti  jìimo  u?i  Bagatino  .   PrefTo  i  Pa- 
vefi   due  diverfe  Libre  fi  uiavano  ,  Iscrivendo  Galvano  Fiamma 
dell'  Ordine   de'  Predicatori   nella  fua  Cronica   Maggiore   MSta 
al  Cap.  2  8d.   Ex  hoc  poftca  Communitas  Papienjìs  Jolvit  decemÒ* 
oóio  mille  Libras  illius  grojjcs  Monetce ,   cujus  Libra  valebat  Flore- 
7ium.  Cosi  fcriveva  Galvano  circa  il  1330.  tempo,  in  cui  fo- 
pra  l'altre  monete  era  celebre  il  Fiorino.   Afcoltifi  anche  l'Ano- 
nimo Autore  di  una  Cronica  Milanefe  tuttavia  MSta ,  parte  di 
cui  pubblicai  nel  Tomo XVI.  Rer,ItaL  cosi  egli  parla  nella  par- 
te da  me  tralafciata  :  De  Moneta^  ab  Archiepifcopis  Mcdiolanen- 
Jìbuscufa.   Prima  Moneta   dicebatur  Marca  auri  ^  &  valebat  XIV, 
Florenos  (  cioè  d'oro  )  .    Alia  fuit  Marca  argenti  ,   qt4<s  valuie 
quatuor  Florenos  ciim  dìmidio  .    Tertia  Moneta  dicebatur  yflugu- 
Jìa  y  habens  Imperatoris  Imaginem   & fupr a f cripti onem ,  &  erat  de 
argento  purijjimo .  Decem  Solidi  l'mperialium  valebant  unum  Flo- 
renum ,  ^hjinta  Moneta   dicebatur  Tertiolus^   quia  ejus  tertia  pars 
erat  tantum  argeììtea  ,  &  XX.  Solidi  valebant  unum  Florenum , 
Né  fi  dee  tralalciare  la  memoria  de  gli  Zecchini  Veneti,  chiamati 
una  volta  Ducati  aurei  Veneti.   Abbiamo  da  Marino Sanuto  nella 
Storia  Veneta  Tom.XXIL  F^er.Ital.  che  quella  Moneta  fi  comin- 
ciò a  battere  in  Venezia  l'Anno  1285.  Furono  dello  ftefib  pefo  e 
forma,  che  i  Ducati  d'oro  Germanici  ed  Ungarici,  e  degli  antichi 
e  moderni  Fiorini.  Pas- 


V  E  N  T  E  S  I  M  A  O  T  T  A  V  A".  6 II 

Passiamo  ora  ai  noftri  tempi.  Non  v'ha  Provincia  ,  non 
v'ha  Citta  in  Itaha,  che  non  riconofca  una  lomma  differenza 
fra  le  Libre  e  i  Soldi  dell'antica  e  della  prclente  età.  Una  vol- 
ta con  poche  ,  ed  ora  con  molte  Libre  fi  cambiano  le  Monete 
d'oro  e  d'argento;  anticamente  poche  Libre  comperavano  un 
campo,  ora  parecchie  fé  ne  efigono  .  All'  offervare  gli  antichi 
Contratti  ,  fi  viene  a  poco  a  poco  fcorgendo  qnefla  mutazion 
di  valore  nella  pecunia,  che  anche  oggidì  miriamo  accadere.  O 
fia  che  tale  iftabilita  fi  debba  attribuire  alla  non  mai  fazia  ava- 
rizia de  gli  nomini,  che  fempre  fi  (Indiano  di  valutar  piìi  caro 
il  prezzo  dell'oro  e  dell'argento  nel  vendere  e  fpendere;  opur 
fa,  come  io  vo' credendo  ,  eh' effa  provenga  dalla  condizione 
della  Moneta  baffa  ed  erofa  ,  che  fempre  va  peggiorando  nel- 
le nolire  Zecche  ,  al  valor  della  quale  fi  adatta  quello  de' Me- 
talli preziofi  (  giacché  non  fi  può  attribuire  quefla  metamorfofi 
alla  rarità  di  elfi  Metalli  )  certo  è,  che  un  gran  divario  palfa 
fra  l'antica  e  recente  pecunia  .  Ne' vecchi  Secoli  la  Moneta  fi 
foleva  fare  di  Soldi  d'argento  buono  per  lo  più  .  Nell'Archi- 
vio della  Comunità  di  Modena  ho  offervato,  quanto  vai  effe  il 
pane  e  il  vino  prefTo  i  noftri  Antenati  .  ylnfio  MCCXLIX.  In- 
diai. VII.  die  Martìs  X.  hìtrants  Menfe  Auguftì  ,  Regnante  Do- 
mino Imperatore  Frederico .  H(£c  ejì  rntio  ,  qualiter  'vtnum  vendi 
de  beat  ad  minutum  .  Vinuyyi  ,  quod  confi at  X.  Solidos  Mutinetìfes 
quartarium  ,  debet  fieri  menfura  de  XXX ili.  unciis  ,  &  una  dra- 
ma  .  Item  menfura  vini  de  XI.  Solidis  Mutinenjìbus  ,  debet  effe 
de  XXX.  unciis  &  una  dram  a  &c.  Nota^  quod  quartarium  vini  efi 
in  fumma  CCCXXXIII.  Libras.  piando  Sextarium  frumenti  va- 
let  XX.  Solidos  Mutinenfes  ,  debet  effe  pnnis  co6lus  Vili,  uncias 
Ù'  me7^  prò  duo  bus  Denariis  Mutinenjìbus .  Item  ad  rationem  XIX, 
Soldorum  ,  debet  effe  IX.  uncias  ,  minus  una  drama  &C'.  Per  la 
fteffa  ragione  nell'Anno  1283.  eifendo  Podeftk  Guidotto  deì^li 
Arcidiaconi,  e  Capitano  del  Comune  e  Popolo  di  Modena  Gui- 
do da  Correggio,  panis  venalis  bene  coHus^  qui  fiet  de  Sextaria 
frumenti  ,  qui  valuit  XX.  Solidos  Mutinenfes  ,  vel  ultra  ,  fieri 
debeat  tribus  denariis  Mutinenjìbus  XIV.  unciarum  ,  &  trium  tra- 
marum  minus  quarta  parte  unius  tramae  &c.  In  Ferrara  ,  come  fi 
legge  ne  gli  Statuti  di  quella  Citta  compilati  l'Anno  I2<58. 
Fornaxarii  tenebantur  dare  Milliarium  lapidum  (  cioè  di  matto- 
ni }  prQ  XX.  Soltdis  Ferrarinfs  j   &  Milliarium  tavellarum  (cioè 

H  h  h  h     2  di 


6iz  Disserta  zione 

di  mattoni  più  fottili  )  prò  XV.  Solidìs  Ferrarinis  ;  &  modìum 
ealciriiS  -pro  XVIII,  Solidis  Ferrarinis  ;  &  MtUim'ium  cupborum 
prò  XXIV.  Solidis  Ferrarinis  .  Qiiantò  ai  prezzo  delle  terre  , 
neir  Anno  1221.  Ubertì?jus  Campetia  de  Spilamberto  'vetididip 
per  alodium  duas  petias  terra  pojitas  i?i  Curte  Spilamberti  . 
Prima  petia  eft  duodecim  Bubulccs  .  Secimda  efl  VI,  Bubulca 
prò  XL.  &  o&o  Libris  .  Nell'Anno  1228.  Guglielmo  Vefcovo 
di  Modena  comperò  nella  Villa  di  Porcile  una  pezza  di  ter» 
ra  di  Biolche  XIV.  con  pagare  XLIX.  Libras  Imperiales  ad  ra- 
tionem  trium  Librarum  Imperi alium  prò  qualibet  bubidca  .  E  nel 
niedefimo  Anno  un'  altra  ne  comperò  ad  rationem  qui?idicim 
Librarum  Parmenfium  quamlibef  bubulcam  ,  Nell'Anno  l2(5o. 
Guido  da  Suzara  ,  molto  rinomato  Gmrisconlulto  de'luoi  tem- 
pi ,  creato  Cittadino  di  Modena  ,  di  cui  parlerò  nella  Difler- 
tazione  XLIV.  della  fortuna  delle  Lettere  ,  comperò  due  pezze 
di  terra,  pofte  nel  Boico  della  Lama,  di  Biolche  XCVì.  ad 
rationem  XI IL  Librarum  Mtttiìtenfium  prò  qualibet  bubulca  . 
Correndo  il  medefimo  Anno  ,  dal  Comune  di  Modena  fu  com- 
perata una  pezza  di  terra  poda  nel  diflretto  di  Fiorano  per 
Lire  Secento  ventuna,  ad  rationem  no^uem  Librarum  &  feptem 
Solidorum  Wlutinenftum  prò  qualibet  bubulca  ,  qu(je  petia  terree 
debet  effe  feptuaginta  feptem  bubulcas  minus  decem  tabulis  . 
Oggidì  preiTo  di  noi  una  Biolca  di  terra  fi  luol  vendere  cin- 
quecento ,  ed  alle  volte  anche  mille  e  più  Lire  di  Denari 
correnti . 

Si  può  riconofcere  quefta  eccefTiva  mutazion  delle  Mone- 
te ,  crelcente  quafi  ogni  anno  ,  da  i  tempi  fufleguenti  .  Ne  i 
Libri  deli'  Archivio  de'  Benedettini  di  San  Pietro  di  Modena 
ho  fatto  le  leguenti  ofiervazioni  .  Nel  1470.  un  migliaio  di 
mattoni  cotti  n  pagava  Bolognini  cinquanta,  cioè  due  Libre  e 
mezzo  di  Soldi  .  Ora  fi  paga  40.  e  più  Libre.  Nell'Anno  1471. 
Lire  ^6,  Bolognini  lò".  e  un  Denaro  di  Moneta  Fiorentina  vale- 
vano Lire  48.  Bolognini  12.  e  Denari  3.  di  Moneia  di  Modena. 
In  quell'Anno  ancora  ad  un  Copifta  delle  Omelie  di  Beda  per 
ciaicun  giorno  fi  davano  4.  Bolognini  .  Nel  1482.  un  Fiorino 
d'oro  valeva  Soldi  5)8.  di  Moneta  Modenefe.  E  nell'Anno  1487. 
il  Fiorino  largo  d  oro  correva  in  Modena  per  tre  Lire  e  due  Bo- 
lognini. Nei  1508.  \[  Ducato  d' oro  fi  valutava  Soldi  71.  ^Scu- 
di 2(5.  doro  fi  prezzavano  Lire  ^3.  Modenefi.  Parimente  io  Scu- 
do 


V  E  N  T  E  S  1  M  A  O  T  T  A  V  A  i  (5l  j 

do  d'oro  nel  15^0.  fi  pagava  Lire  quattro  e  mezzo.  La  Dobla 
d'oro  di  Spagfuf'  nel  15^7.  valeva  Lire  12.  e  mezzo  di  Moneta 
di  Modena.  La.  Dobla  d'oro  d Italia  Lire  12.  e  Bolognini  tre; 
lo  Zecchino  d  oro  di  Venei:ia  Lire  7.  e  Bolognini  6,  iJUnghero 
d  oro  Lire  7.  e  Bolognini  cinque  .  Tralafcio  il  redo  delle  mu- 
tazioni luifeguenti  ,  per  folatnente  dire  ,  che  in  Modena  giunfe 
a' dì  nofh'i  la.  Dobla  doro  di  Spagna  ^  e  il  Luigi  doro  battuto 
da  Lodovico  XIV.  a  valere  Lire  50.  di  Bolognini,  e  pofcia  con 
un  maravigliofo  lalto  giunte  fino  a  Lire  ^5.  Una  pari  incoftan- 
za  nelle  Monete  fi  truova  anche  ne'  paefi  vicini .  Ognun  sa  , 
quanto  oro  ed  argento,  da  che  furono  fcoperte  le  Indie  Occi- 
dentali ,  fia  paiTato  in  Europa  .  Dovremmo  nuotare  in  que' 
preziofi  Metalli  .  Ma  il  Luffo  infaziabile  ne  confuma  non  po- 
co .  Di  troppo  abbonda  la  Moneta  erofa  ,  laonde  conviene 
impiegarne  molta  quantità  per  comperar  oro  ed  argento.  Ci 
è  in  oltre  un'  ampia  voragine  di  quefti  Metalli  ,  molto  più 
grave  dell'altre,  e  men  conofciuta  :  cioè  il  portarfi  dagl'in- 
gordi Mercatanti  un' indicibil  copia  d'oro  e  d'argento  alle  con- 
trade de' Turchi,  del  Gran  Mogole  ,  della  Cina,  ed  altri  pae- 
fi di  Levante,  per  trarne  le  loro  merci  da  vendere  in  Euro- 
pa, giacché  i  Popoli  Orientali  contenti  del  proprio,  poco  cu- 
rano le  manifatture  e  merci  Europee.  Tal  coftume  né  pur  fu 
ignoto  a  i  precedenti  Secoli  .  Atteiia  Giovanni  Villani  Lib.  XIL 
Cap.  p6.  della  Storia  ,  parlando  dell'  argento  de'  Fiorentini  , 
che  i  Mercatanti  per  guadagnare  il  raccoglievano  ,  e  portava?io 
oltre  Mare  ,  dove  era  molto  richiefto  .  Crebbe  polcia  il  Lufifo  , 
ed  allora  s' andavano  a  prendere  da  gli  Orientali  a  furia  più 
merci  con  dilcapito  più  greve  de  i  Telon  dTralia  .  Vedi  le 
Note  del  Benevoglienti  alla  Cronica  Sanefe  nel  Tomo  X  V, 
Ker,  hai,  all'  Anno  1337.  quante  diverfe  merci  trafle  dalla 
Soria  con  effufione  di  gran  danaro  la  fola  Famiglia  de  i  Sa- 
li mbeni  . 

Del  reflo  ,  mai  non  fono  mancati  fabbricatori  di  Moneta 
falfa  e  adulterata,  e  tofatori  della  buona.  Nei  Codice  Teodofiano 
abbiamo  molte  Leggi  Lib.  IX.  Tir.  2.  efegu.  contra  di  quefra  ab- 
bominevol  razza  di  Ladri  .  Anche  l'Imperador  Tacito,  come 
avverti  Vopifco,  cavit^  ut  fi  qui s  argento  puìAice  privatimque  ces 
mijcuijfet  ;  ft  quis  auro  argentum  ;  fi  quis  <zri pi umbum  ;  capital  ef- 
fet  cum  honorum  profcriptione  .   Aiiche  ne'  tempi  de  i  Longobardi 

e  Fran- 


(5i4  Dissertazione 

e  Franchi  regnava  quefta  iniquità  .    Perciò  il  Re  R®tari  nella 
Legge  24^.  pubblicò  quella  Legge  .  Si  quis  firn  jujftond  Regts 
/lurum  Jtgn averi t  ,    aut  mo?ìet:am  confinxerit  ,    manti s  ejus  ificì- 
datuY  ,  Le  quali  parole  ci  fanno  conofcere,  che   già  i  Re  Lon- 
gobardi battevano  Moneta  col  loro  nome ,  benché  io  non  ab- 
bia  potuto  trovar  de  i  loro  Denari   più  antichi.  Carlo  Magno, 
acciocché  non  fi  potefTe  fare  falfa  Mo?ieta^  comandò  che  la  fo- 
la Real  Zecca  ne  aveffe  da  battere  .   Anche  Lodovico  Pio  nella 
Legge  27.  fra  le  Longobardiche  rinovò  la  Coftituzione  di  Ro- 
tari,  imponendo  anch' egli  il  taglio  della  mano  .  Et:  qui  hoc  con- 
fenferit  fi  Liber  efl  ,   LK.  Solidos  componat  ;  fi  fervus  eft ,  LK, 
iHus  accipiat ,   Ma   che  anche   ne' Secoli  barbarici,  oltre  a  1  Sol- 
di e  Denari  d'oro  e  d'argento,  fi  ufafiero  Nummi  ài  rame,  o 
di  argento  mifchiato  col  rame  ,  fi  può  con  fondamento  afferi- 
re.  Erano  nondimeno  più  rari,  che  preffo  i  Romani,  da^quali 
fì  truova  battuta  tanta  copia  di  Monete  di  rame;  laddove  mol- 
to di  rado  fi  fcuopre  Moneta  erofa    dopo  la  decUnazione  del 
Romano  Imperio  ;  ed  effa  quafi  tutta  battuta  fotto  ^\ì  Augu- 
fìi  Germanici,  e  dalle  Citta  Libere.  Né  altrimenti  fi  pò  tea  fa- 
re, richiedendolo  la  neceffira  del  commerzio  umano  .   Percioc- 
ché ,  (ìccome   fcriffe  Niccolò  Orefmio  nel  Secolo  XIV.  nel  Lib. 
de  Mutat.  Monetae   Cap.  3.    Quoniam  portiuncula   argenti  ,    qu<je 
jujìe   davi   deberet  prò  libra  panis ,  vel  aliquo  tali  ,   eJJ^t  minus 
bene  palpabilis  propter  nimiam  parvitatem  :   ideo  f nòia  fuit  mixt io 
de  minus  bona  materia  curn  argento  y  C^  inde  ortum  habuit  JV"/- 
gr a  Moneta  ^  quae  efl  congrua  prò  minutis  mercaturis  .   Veramen- 
te nulla  ho  io  potuto  trovare  di  quella  Moneta  erofa  ne'tem- 
pi  de  i  Longobardi  ,  ed  Augnili  Franchi  .    Né  pure  il  Blanc  , 
nel  fuo  Trattato  della  Moneta  di  Francia,  ha  olato  di  alferire, 
fé  fotto  la  prima  e  feconda  ftirpe  de  i  Re  di  Francia  folfe  in 
ufo  la  Moneta  oc'  Bigi  ioni  ^  cioè  fabbricata   di  fchietto  Rame, 
o  di  Argento   miichiato  di  Rame.  Tuttavia  la  ragione  addotta 
dall' Orefmio  fembra  alTat   perfuadere,  che  né  pur  que' tempi 
folTero   privi  di  balfa  Moneta  per  li  loro  bilogni,  perché  non  fi 
sa  capire,  come  la  povera  plebe  fi  potefie  procacciar  tante  mi- 
nute cofe  alla  giornata,  quando   non  vi  foffe  fiata  qualche  Ipe- 
cie  di  vile  pecunia.  Nella  Puglia  e  Calabria,  correndo  il  Seco- 
lo XIL  fu  in  ufo  la  Moneta  Romefina  di  balìa  lega  .    Falcone 
Beneventano  parlando  dell' affedio  di  Bari  fatto  nelii3p.  dal 

Re 


Ventesima  OTTAVA.  6i^ 

Re  Ruggieri ,  fcrive,  che  quel  Popolo  comprava  panem  unum 
fex  Romefifìis,  Fu  anche  battuto  da  euo  Re  nel  1140.  un  Du- 
cato ,  che  vahsva  oHo  Komefmas  .  Vedi  il  Du  -  Gange  ,  dove 
tratta  di  quefta  Moneta.  Abbiani  veduto  di  fopra  che  i  Folli 
furono  moneta  bafla  ;  e  il  medefimo  Ruggieri  battè  dipoi  Fol- 
lares  areos  ^  KomeJl?ìam  imam  appret'tatos  :  moneta  s'i  cattiva, 
che  per  teftimonianza  dello  Storico  fuddetto,  accrebbe  lomma- 
mente  la  calamita  e  la  povertà  di  quel  Regno  :  tanto  è  vero, 
che  i  vizj  del  Secolo  noftro,  né  pur  furono  incogniti  a  gli  anti- 
chi tempi.  Trattano  del  valore  delle  vecchie  Monete  il  P.Gio- 
'vanni  Mariana  nell'  Opufc.  de  Ponderib.  &  Menjuris  ,  che  fi 
truova  ftampato  in  fine  dei  fuo  Trattato  de  Rege  ,  &  Regis 
Injìttut.  Antonio  Sola  in  fondo  al  fuo  Commentano  fopra  i  De- 
creti de  i  Duchi  di  Savoia  ,  (lampato  in  Torino  nel  1^07.  e 
Amonto  Gobio  Mantovano  nel  fuo  Trattato  de  Monetis  ,  Ram- 
pato nel  i(jpp.  fra  i  fuoi  varj  Trattati  Legali  .  Delle  più  anti- 
che ha  anche  trattato  il  Padre  Beverini  nel  fuo  Libro  de  pon- 
deri bus  &€* 


Fine   del  Tomo  Primo , 


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BOSTON     PUBLIC   LIBRARY. 


5HELF    N° 

:  AOAMS 


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