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DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORICO-ECCLESIASTICA
DA S. PIETRO SINO AI NOSTRI GIORNI
SPECIALMENTE INTORNO
AI PRINCIPALI SANTI, BEATI, MARTIRI, PADRI^ AI SOMMI PONTEFICI, CARDINALI
E PIÙ CELEBRI SCRITTORI ECCLESIASTICI, Al VARII GRADI DELLA GERARCHI A
DELLA CHIESA CATTOLICA, ALLE CITTA PATRIARCALI, ARCIVESCOVILI E
VESCOVILI, AGLI SCISMI, ALLE ERESIE, AI CONCILII , ALLE FESTE PIÙ SOLENNI,
AI RITI, ALLE CEREMONIE SACRE, ALLE CAPPELLE PAPALI , CARDINALIZIE E
PRELATIZIE, AGLI ORDINI RELIGIOSI, MILITARI, EQUESTRI ED OSPITALIERI, NON
CHE ALLA CORTE E CURIA ROMANA ED ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA, EC. EC. EC.
COMPILAZIONE
DEL CAVALIERE GAETANO MORONI ROMANO
PRIMO AIUTANTE DT CAMERA DI SUA SANTITÀ
GREGORIO XVI.
VOL. XXII.
IN VENEZIA
DALLA TIPOGRAFIA EMILIANA
MDCCCXLIII.
DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORICO-ECCLESIASTICA
E
ERA
J-jRA (Aera). L'era è presso a
poco lo stesso che Epoca (Fedì),
essendo anch'essa un punto fìsso,
dal quale si principia a contare
gli anni. Altri la definiscono una
serie d'anni civili, adattata per con-
tare i tempi, riferendosi a un pun-
to storico od astronomico; ed al-
tri l'epoca, cioè il principio cro-
nologico di un qualunque fatto de-
gno di particolare osservazione. La
differenza però tra le ere e le epo-
che consiste in questo, che le epoche
sono punti fissi , determinati da
cronologisti, e le ere sono punti
determinati generalmente da qual-
che popolo o nazione. Il dotto p.
Menochio, nel tomo III delle sue
Sluore, a pag. 364, parlando del
.modo di computare gli anni se-
condo l'era, dice eh' è stato assai
differente in vari tempi e luoghi
il modo di computare gli anni nel-
l'istorie, come nelle scritture pub-
bliche e private, perchè alcuni gli
hanno contati dalla creazione del
mondo, altri o dalle Olimpiadi dei
ERA
greci, o dalla fondazione di Ro-
ma, o dai consoli, o in altra si-
mile maniera. Osserva inoltre che
si trovano notate le antiche me-
morie , particolarmente di Spagna,
con l'era, dicendosi nelle storie sa-
gre e profane, nei concilii ed al-
tre scritture, essere seguita questa
o quell' altra cosa nell'era tale : e
confrontandosi gli anni di essa con
gli anni di Cristo, si trova che
ebbe principio alcuni anni prima,
laonde volendosi aggiungere all'era
gli anni del Signore, doveva dirsi
l'anno N. N. dell'era, di Cristo N. N.
Supposto questo, nascono due dub-
bi, il primo è del nome, cioè quale
sia l'origine della voce Era; il se-
condo, con quale occasione sia stato
inventato questo modo di compu-
tare gli anni. Alcuni hanno detto
che non si doveva scrivere questa
parola con M dittongo, ma con
i aspirazione Hera s volendo che
sia derivata da Herus3 il Signore.
Altri sono stati del parere che si
debba scrivere Aera> e che perciò
6 ERA
sia così detto ab Aera, perchè nel
bronzo si notassero il numero de-
gli anni. Altri, che la prima lette-
ra A deve dalle altre separarsi, e
voglia dire abbreviatamente An-
nus, e con le seguenti Annus eras,
ovvero così A. ER. A. cioè An-
nus eras Augusti, perchè vera-
mente al tempo di Augusto ebbe
il suo principio, o secondo altri
Annus erat regni Augusti, facen-
do con quelle lettere una sola pa-
rola.
Il Baronio nelle annotazioni al
Martirologio Romano, a' 22 otto-
bre riferisce queste congetture ,
che sono di alcuni autori spagnuo-
li che cita ; quindi aggiunge che
la sua possa essere la più proba-
bile, colla quale dà ragione del
nome , e dell' istituzione dell'era.
Questo autore si fonda su quanto
scrisse Dione Cassio nella di lui
storia, il quale mentre distintamen-
te racco u la le cose seguite di an-
no io anno, dice che nel consola-
to di Marzio Censorino e di Cal-
visio Sabino, furono da Augusto,
per mezzo di Domizio Calvino,
domati certi popoli della Spagna,
e che ristesso Domizio raccolse
tanta quantità di denaro dalla Spa-
gna, che non solo bastò per le spe-
se del trionfo, per le quali si so-
leva dalle altre provincie dell' im-
pero contribuire, ma fu eziandio
sufficiente a riparare alcune fab-
briche di Roma. Tiene adunque il
Baronio per molto probabile, che
questa copiosa contribuzione di de-
naro, fatta dalla nazione spagnuola
in quell'anno, nel quale cominciò
l'era, ab aere colleclo, abbia avu-
to il nome e l' origine, e che par-
ticolarmente le provincie di Spa-
gna si sieno servite di quel modo
nel computare gli anni, in memo-
ERA
ria di quel fatto, tanto segnalato
e memorabile. Tuttavolta l'origine
di questa parola è molto incerta.
Alcuni la fecero derivare da aesj
perchè indica vansi gli anni con cer-
ti piccoli chiodi di rame, ed il
Macri nelle Not. deJ vocab. eccL
tra le diverse etimologie che ripor-
ta, cita quella che fa derivare que-
sta voce da JEs, perchè nelle mo-
nete di bronzo si notava ed im-
primeva l'anno corrente. Altri di-
cono che la parola Era si dovreb-
be scrivere èra. In cronologia a-
dunque, un'era è un metodo rice-
vuto di contar gli anni, i quali
scorrono riferendosi tutti, secondo
la loro successione, ad un punto
fisso storico od astronomico, eh' è
il principio di questa era. Così
l'era cristiana è il metodo di con-
tare gli anni trascorsi dopo la na-
scita di Gesù Cristo, essendo l'an-
no di questa nascita il primo del-
l'era di questo nome. A voler qui
riportare un ristretto delle ere prin-
cipali, -di cui si sono serviti i ero-
nologisti e gli astronomi, ci atter-
remo ai migliori e più critici trat-
tatisti delle ere diverse.
Ere anteriori a quelle di Gesù
Cristo.
U era mondana degli ebrei fu
istituita antichissimamente, ma al-
cuni critici la fanno al più risali-
re all'undecimo secolo dell'ersi vol-
gare. Dagli ebrei viene chiamata
l' era della creazione del mondo,
e la incominciano 3761 anni avan-
ti Gesù Cristo. Dunque il primo an-
no della nostra era volgare è il
3762, secondo quella degli ebrei,
incominciando in primavera giusta
lo stile ecclesiastico, ed in autunno
4i questo medesimo primo anuo,
ERA
per Io stile civile. L'era degli ebrei
è regolata dal ciclo di diecinove
anni, composto di dodici anni lu-
nari, e di sette altri della medesi-
ma natura, i quali ricevono un'in-
tercalazione, quindi chiamansi em-
bolismici.
Sull'era della creazione dicono
i cronologisti, che la sagra Scrit-
tura non fu data per soddisfazio-
ne della curiosità; e la Chiesa, ob-
bligandoci a venerare tuttociò che
in essa si rapporta al domma, la-
scia poi alle dispute i punti di
scienza umana : come per esempio
la questione sulla durata dei sette
giorni della Genesi. Sarebbe più
importante determinare i tempi
dopo la creazione di Adamo ; ma
la santa Scrittura neppur qui gli
ordina altrimenti che col contare gli
anni vissuti dai dieci patriarchi anti-
diluviani. In ciò corre differenza
tra i testi, e differenza tra gl'in-
terpreti sul modo di ordinarne la
serie, onde nasce la varietà tra i
modi di contare gli anni dopo la
creazione secondo i testi ebreo,
samaritano, dei settanta in Euse-
bio, di Gioseffo, di Giulio africa-
no, di s. Epifanio, di Pelavio, e
di altri. Avvertono i cronologisti,
che i primi padri della Chiesa si
attenevano alla versione dei set-
tanta, come attesta Eusebio, il
quale pure dichiara corrotti i nu-
meri della Volgata, ossia del testo
ialino della Bibbia; altrettanta dif-
ferenza è nei patriarchi successivi
al diluvio, cioè in quella che si
chiama seconda età del mondo.
Molte ragioni però militano a fa-
vore della cronologia dei settanta,
che sono criticamente riportate dai
cronologisti; e Giuseppe Flavio, il
più dotto ebreo, segui anch'egli la
cronologia, come fecero tutti i santi
ERA 7
padri, e scrittori ecclesiastici dei
primi secoli. Più di cento dicias-
sette sistemi s'inventarono per con-
ciliare la storia sagra colla profa-
na, tra' quali vuoisi il più lungo
quello di Alfonso re di Castiglia,
e di Piegiomontano, che pone la
nascita di Gesù Cristo all'anno
6984 del mondo, mentre il vene-
to Lippomano la ritrae all'anno
36 16. Il p. Riccioli stabilisce i
cinque seguenti canoni intorno a
questi sistemi:
i.° Dalla creazione del mondo a
Gesù Cristo, nessuno conta più
di 7000 anni, né meno di
3700.
2.0 Dal testo ebraico, dalla Volga-
ta, e dalla storia umana, sem-
bra più probabile che decorres-
sero 4IQ,4 anni: in tale ipotesi
non possono essere più di 433o
anni, né meno di 3705.
3.° Dai settanta, e dalla più vera
storia umana appariscono 5634
anni; in tale ipotesi è fatto non
essere stati più di 5t)o4 anni ,
né meno di 5o54-
4-° Sebbene alcuni siensi ingegnati
d'investigare l'origine del mon-
do da alcuni caratteri del cielo,
e dalla posizione delle stelle, e
dei veri segni del zodiaco, ogni
opera loro riuscì invano; e alle
volte caddero in errori gravis-
simi, attribuendo al mondo una
età più favolosa che vera.
5.° Probabile è aver Dio creato
il mondo 5634 anni avanti la
nascita di Gesù Cristo.
Alcuni cronologisti sostituiscono
a creato il mondo, creato l'uomo,
perchè da Adamo soltanto comin-
ciano i dati per valutare il tem-
La
pò. L.a maggior parie ciegh storici
ie dei
8 ERA
adottano il calcolo di Usserio, se-
condo il quale nacque Gesti Cristo
nell'anno 4°°4 dopo la creazione.
Questa varietà non reca poi mol-
ta confusione, giacche si riferisce
soltanto ai tempi più antichi, e
quasi affatto la si evita col segna-
re gli anni non dalla creazione,
raa dalla distanza da Gesù Cristo.
I più moderni cronologisti dicono,
che principal fondamento della
cronologia sagra dopo la Bibbia,
è la cronaca di Eusebio vescovo
di Cesarea, della quale non si eb-
be che piccola parte, fin quando
il vicario del patriarca armeno ne
scuopiì a Gerusalemme una tra-
duzione armena, che portò a Co-
stantinopoli verso il 1787, donde
fu mandata a Venezia una copia
nel 1790, che servì poscia per
un' edizione fatta in Milano nel
18 18. Ma già più intiera copia
se n' era avuta a Venezia stessa
nel 1793, in cui si eseguì un'edi-
zione nel medesimo anno 18 18
colla latina traduzione, che com-
pie i frammenti già conosciuti.
Era di Abramo.
Questa incomincia colla voca-
zione di detto patriarca, fissata a
201 5 anni avanti Gesù Cristo, ed
al primo di ottobre. L'anno 2016
di quell'era incomincia con l'istes-
so giorno immediatamente anterio-
re al principio dell'era cristiana:
Eusebio si servì dell' era di Abra-
mo per la sua cronologia, e fu
imitato da altri cronologisti cri-
stiani.
Era delle Olimpiadi.
L' introduzione di quest' era si
attribuisce nelle opere degli stori -
ERA
ci greci, a Timeo scrittore sicilia-
no, e posteriore al regno di Ales-
sandro il Grande. Questa era
venne però accettata lungo tempo
dopo l' introduzione de' giuochi o-
limpici nella Grecia, ed all'epoca
di questa accettazione se ne fece
riferire il punto iniziale a molti
secoli addietro. Sull' epoca della
istituzione de'giuochi, eranvi molte
incertezze, per cui non potevasi ri-
montare sino alla detta istituzione,
laonde si cercò di scuoprire un
punto fisso fuori da qualunque
contestazione; e fu scelto quello in
cui venne introdotto l' uso d' in-
nalzare al vincitore ne'giuochi, del-
le statue ed altri pubblici monu-
menti. In tal modo si rimontò fi-
no a Corebo, che pel primo otten-
ne l'onore di una statua. Fu dun-
que l' era delle Olimpiadi nella
sua origine fissata a quella in cui
Corebo aveva ottenuto un tale ono-
re, cioè 776 anni avanti Gesù Cri-
sto, formandosi ogni olimpiade di
quattro anni, essendo i giuochi
celebrati ogni quattro anni. L'usò
delle Olimpiadi fu continuato sino
alla fine del quarto secolo dell'era
nostra. AH' imperatore Teodosio
I viene attribuito l'editto, che
vietò di contare per mezzo delle
olimpiadi.
Era di Nabonassar.
E una delle più celebri ere, e
delle più generalmente usate nelle
diverse mutazioni dei tempi. L'a-
stronomia ne ritrasse grandi van-
taggi , perchè Tolomeo nel suo
Almagesto conformò ad essa la da-
ta delle osservazioni che trovò ne-
gli scritti de' suoi predecessori .
Teone, che fiorì dopo di lui, ne
imitò l' esempio ; e la necessità di
ERA
esprimere con termini uniformi
l'epoca delle osservazioni che do-
vevano fra di loro essere confron-
tate, fece moltiplicare quest'esem-
pio. Questa era prese il suo no-
me da Nabonassar, considerato il
fondatore del regno di Babilonia ;
ed il suo principio è fissato al
mezzogiorno di un mercoledì, che
era il 26 febbraio dell'anno 747
avanti Gesù Cristo. Si serve que-
sta era dell'anno vago, ossia di 365
giorni, senza intercalazione, essen-
do stato tale l'anno egiziano.
Era di Roma.
L' era di Roma, che dicesi della
fondazione della città, è posta da
Vairone nel terzo anno della sesta
olimpiade : da Verrio Fiacco nel-
l'anno seguente, 755 o 754 anni
avanti Gesù Cristo : da Catone poi
nel 752. Infinite sono le dispute dei
cronologisti per determinare que-
sto tempo, paragonandolo anche
ai celesti fenomeni. L' opinione di
Vairone del 7^5, 21 aprile, è se-
guita da Dione Cassio, Plinio mag-
giore, Vellejo Patercolo, Claudio
imperatore, Lattanzio Firmiano ec,
ma Dionigi di Alicarnasso, e Tito
Livio seguono 1' opinione di Cato-
ne. Gli anni poi venivano notati
più comunemente col nome dei due
consoli, che reggevano la romana
repubblica. Prima di Dionigi il
pìccolo, la Chiesa e i Pontefici
calcolavano il tempo per gli anni
di Diocleziano, è pei fasti conso-
lari, i quali fasti cominciarono
dall'anno 244 delia fondazione di
Roma, secondo i marmi del Cam-
pidoglio; oppure 245 secondo l'e-
poca di Varrone, vale a dire 5og
avanti Gesù Cristo. In quanto alle
ere degli altri popoli italiani, che
ERA 9
Varrone aveva raccolte, vennero
assorbite nell'unità romana, e cad-
dero in dimenticanza.
Era di Alessandro il Grande.
È conosciuta altresì col nome
di era di Filippo, o dei Lagidij
e la morte di Alessandro n' è il
punto essenziale. Il suo primo anno
incomincia col ^i5 dell' era di
Nabonassar, e nel 12 novembre
dell'anno 324 avanti Gesù Cristo^
Somigliante in tutto alla succitata
era, può essa considerarsi come
un'appendice, e il rispetto che tutti
i popoli dell'Egitto particolarmen-
te professavano per la memoria del
macedone conquistatore, fu il mo-
tivo dell'istituzione dell'era di A-
lessandro, o di Filippo Arideo suo
figlio, oppure dei Tolomei, cioè i
Lagidi suoi successori in Egitto,
dove quest'era fu prontamente ri-
conosciuta, lì suo primo giorno,
il 12 novembre, non fu quello
della morte di Alessandro, benché
sia il punto iniziale dell'era; ciò
deriva dall' uso che avevano gli
egiziani di contare gli anni del
regno de' loro principi, riferendoli
sempre al principio del loro anno
civile; ed il primo del loro mese
thot dell'anno 42^ di Nabonassar,
cadendo in queir anno nel dì 1 2
novembre, questo giorno diventò
il primo dell'anno con cui comin-
cia l'era di Alessandro. Gli astro-
nomi se ne servirono spesso, come
fecero alcuni scrittori de' primi se-
coli dell'era cristiana.
Era dei Seleucidì.
Questa pur si distingue co' no-
mi di era di Alessandro per con-
fusione coll'era del conquistatore
io ERA
macedone, o per rapporto a suo
figlio dello stesso nome; era dei
greci, ovvero era dei Sirv-Mace*
doni, Tarikd'houl-Karnain , ossia
era dei contratti de' giudei di Si-
ria, soggetti ai re greci. Questa era
è una delle più conosciute, come
delle più usate negli scritti, e sui
monumenti; ed è perciò che tro-
vasi nel libro de' Maccabei, sulle
medaglie ed altre incisioni greche,
nella storia ecclesiastica, ne'padri
della Chiesa, e nei concili, nelle
opere degli orientali, e particolar-
mente degli arabi, i quali se ne
servono ancora quando non fanno
uso degli anni dell' egira. Tutti
gli autori sono d'accordo intorno
le cause della sua istituzione, ch'è
l' innalzamento di Seleuco JNicatore
al trono di Babilonia, dopo la dis-
fatta di Demetrio Poliorcele a
Gaza, e la morte di Alessandro
re di Macedonia. Sono egualmen-
te tutti d'accordo sull'epoca ini-
ziale di quell'era, che è l' estate
dell'anno 3 1 2 di Gesù Cristo. Se-
condo l'opinione comune Tanno ba-
bilonese sarebbe stato fisso a giorni
365 ed un quarto per questa mede-?
sima epoca.
Era di Tolomeo Filadelfo,
Il regno di questo principe fu
confuso coll'era di Dionigi l'astro-
nomo. Dionigi istituì la sua era
nel regno di Tolomeo Filadelfo,
e ne riferì il primo anno al prin-
cipio del medesimo; ma le due
epoche iniziali non furono assolu-
tamente le stesse: ciò che segue
accenna quanto avvi di analogo,
e di differente tra l'una e l'altra.
Era di Dionigi.
Questa era, tutta astronomica,
componevasi di anni solari fissi,
ERA
di dodici mesi, ciascuno de'quali
portava il nome di un segno del
zodiaco. L'epoca radicale della me-
desima fu l'esaltazione al trono di
Tolomeo Filadelfo, ed i cronolo-
gisli non dubitarono punto a con-
tare gli anni dell'era con quelli
stessi del regno di Tolomeo. Su
di che consultato l'Almagesto IX,
7, toni. II, pag. 170, essendo il
primo giorno di Dionigi il 24 di
giugno dell'anno 283 avanti l'era
cristiana, essa incominciò nel sol-
stizio di estate che precedette l'e-
saltazione al trono di Filadelfo,
fissata molto approssimativamente
al 2 di novembre dopo il mede-
simo solstizio.
Era di Tiro.
Baia re di Siria, avendo nel-
l'anno 1 25 avanti Gesù Cristo ac-
cordato ai Tiri l'autonomia, que-
sti consagrarono un tale avveni-
mento colla istituzione di una nuo-
va era, della quale questo atto
protettore fu il motivo, ed ab-
bandonarono l'era dei Seleucidi.
La nuova era incominciò col 19
ottobre, corrispondente al mese di
hyperberetqus.
Era Cesariana di Antiochia.
Essa riguarda Giulio Cesare,
e la vittoria da lui riportata a
Farsaglia nell'anno /\.S avanti Ge-
sù Cristo. Antiochia si servì di
quest'epoca per le sue date, inco-
minciando dal primo giorno del
suo anno, che principiò nell'autun-
no dello stesso anno 4^ avanti
Gesù Cristo. La medesima città
aveva altresì istituita un'era in
onore di Pompeo Magno; quindi
Giulio Cesare vincitore ottenne
ERA
egual distinzione. Però non andò
guari che all'era di Cesare suc-
cesse quella di Augusto, che inco-
minciò nel primo settembre; vi-
gilia dell'altra famosa battaglia di
Azio, ed in memoria di essa. I
greci, i quali seguivano l'era Ce-
sariana di Antiochia, la incomin-
ciavano col loro anno medesimo,
dal 49.
Era Giuliana.
Prese il suo nome da Giulio Ce-
sare che riformò il calendario, ac-
comodandolo per un anno di 365
giorni con un 366.°, intercalato ogni
quattro anni; ed è questa la me-
morabile riforma donde prese ori-
gine 1' era giuliana. Essa incomin-
ciò Tanno 45 avanti Gesù Cristo.
Pel calcolo regolare de' tempi an-
teriori a detto anno, i cronologisti
si servono degli anni della stessa
era giuliana, benché la medesima
non esistesse ancora, ed è appun-
to in questo caso, che si chiama-
no anni dell'era giuliana proletti-
ca. Tanto di questa era, come di
diverse delle ere qui memorate, si
tratta in parecchi ed analoghi ar-
ticoli di questo Dizionario.
Era di Spagna.
Ebbe origine dalla conquista di
tutta la Spagna fatta da Augusto
nell'anno 39 avanti la nascita di
Gesù Cristo, ed incominciò col
primo gennaio dell'anno 38. Fu
quindi di uso generale nella Spa-
gna, in Africa, e nel mezzodì della
Francia. L' accettazione generale
poi deli' era Cristiana ne fece per-
dere l'uso, e venne questa era a-
bolita con decreto dell' autorità
pubblica in Catalogna nel 1180;
ERA ir
nell'Aragona nel 1 35o ; in Valen-
za nel 1 358 ; in Portogallo nel 1 393 ;
in Castiglia nel 1/4.22 , ed anco
nel 1 4 1 5 secondo altri : questa era
si regolava coll'anno giuliano or-
dinario.
Era Aziaca.
La famosa battaglia d'Azio die-
de occasione a questa era, la qua-
le venne ammessa in diverse pro-
vi ncie del romano impero con le
seguenti differenze. In Egitto dove
l'era fu primieramente istituita,
il suo principio venne fìssalo al
primo del mese tìiol3 ossia al 3o
di agosto immediatamente ante-
riore al giorno della battaglia, la
quale succedette nel 2 settembre
dell'anno 3o avanti Gesù Cristo;
essendo il 3o di agosto il giorno
giuliano fisso corrispondente al
primo di thotì ovvero primo del-
l'anno vago egiziano il 719 di
Nabonassar. I greci d' Antiochia
incominciarono l'era aziaca col pri-
mo settembre del medesimo anno .
In Roma quest' islessa era princi-
piò col primo gennaio seguente,
cioè dell'anno 29 avanti Gesù Cri-
sto. Quest'era non ebbe lunga du-
rata, e fu confusa collera seguente.
Era degli Augusti.
Parecchi sono i motivi che si
danno per lo stabilimento di que-
st'era; fra gli altri l'atto del se-
nato che conferì ad Augusto la
suprema autorità. Quello però che
sembra più certo è lo stabilimen-
to medesimo dell'uso dell'anno fìs-
so da Augusto colT intercalazione.
L'anno vago egiziano fu renduto
fisso da Augusto colf intercalazio-
ne di un 6.° epagomeno, od uà
i* ERA
306.° giorno ogni quattro anni;
Teone di Alessandria disse, che
questa riforma ebbe luogo quan-
do il primo giorno dell'anno vago
egiziano corrispose al 29 agosto
giuliano, il quinto anno del regno
di Augusto secondo gli egiziani.
È uniformemente riconosciuto che
l'Egitto fu soggetto a quel prin-
cipe fino dall'anno 29 avanti Ge-
sù Cristo, e che la sua autorità
vigeva in Egitto in quel medesi-
mo anno. Il quinto anno di que-
sta autorità equivaleva al i5 avan-
ti l'era cristiana; in questo i5.°
anno il 29 agosto giuliano cor-
rispose in fatto al primo thot va-
go egiziano; il 29 agosto giuliano
dell'anno 25 avanti Gesù Cristo è
dunque il punto iniziale dell'era
degli Augusti, di cui si fece uso
dal principio dello stabilimento
dell'autorità romana in Egitto, e
durante il corso dei primi secoli
dell'era cristiana.
Era Cristiana , di Gesù Cristo 9
ovvero dell' Incarnazione 3 od Era
volgare.
Fu ed è ancora quest' era di
uso universale, principalmente nella
chiesa latina, ed in occidente. N'è
l'origine la nascita di Gesù Cristo,
per cui fu lungamente disputato
intorno all'epoca reale di questo
grande avvenimento, e le più ap-
prezzabili ricerche dimostrano che
dovrebbe essa incominciare tre ,
quattro, o cinque anni prima del-
l'epoca fissatale neh1* attuale nostro
computo; su di che è a consul-
tarsi l'opera de vulgaris aerae emen~
dottane del p. Sanclemente abbate
camaldolese, stampata in Roma nel
1793. In quest'opera eruditissima,
dimostra 1' infaticabile autore, che
ERA
Cristo nacque net 747.° anno della
fondazione di Roma , poiché egli
dice non poter essere nato il Mes-
sia ne prima del 746, ne dopo il
749. Non dopo il 749 perchè Cri-
sto nacque vivente Erode il gran-
de. Ma Erode morì nella prima-
vera del 75o, come consta dalle
monete di Erode Antipa, e dal 2 5
dicembre 749 alla primavera del
75o non poterono accadere quei
fatti della prima infànzia del Re-
dentore; cioè non solo l'adorazione
de' magi, ma la fuga in Egitto ,
la uccisione degli innocenti ec, fatti
che richiedono ben più di tre me-
si. Aggiungasi essere nato Cristo
mentre Ponzio Saturnino era pro-
pretore della Siria, e fu tale fino
al 748. Perciò Gesù Cristo non
nacque dopo il 749, né nell'anno
stesso 749, essendo nato ai 2 5 di-
cembre come porta una costante
veneranda tradizione. Non potè na-
scere prima del 746, poiché Cristo
nacque essendo il mondo in pace,
ciò che non avvenne avanti il 746.
Non nacque nell'anno 746 perchè
si deve supporre che la beata Ver-
gine il concepisse appunto nel tem-
po della pace universale. E sicco-
me la pace sotto Augusto avvenne
nel 725, nel 729, e nel 746 nel
mese sestile; perciò non si può dire
essere stafo concepito il Messia nel
746, stando alla costante tradizione
della sua nascita al 25 dicembre. Non
nacque nel 748 poiché rimanendo
ferma la sua nascita nel 25 dicem-
bre, siccome nacque sotto Ponzio
Saturnino pro-pretore della Siria,
e di già nel 748 ebbe Ponzio per
successore Varo, perciò sarebbe na-
to Cristo sotto' Varo, e non sotto
Ponzio Saturnino. Dunque non es-
sendo nato il Redentore prima del
h\$> non nel 746, non nel 748,
ERA
non nel 749, né dopo il 749, ri-
mane, secondo V opinione del dot-
tissimo camaldolese, l'anno 747? a^
quale si dovrebbe attribuire la glo*
ria della nascita del Messia. Que-
sta opinione piacque assai al Pon-
tefice Pio VI, allora regnante, di-
modoché credevasi dai dotti di quel
tempo, che il Papa avrebbe rinno-
vato e corretto l'era volgare, chia-
mandola Era Cristiana- Pio. Non
devesi ommettere che l'era volgare
incominciò dal primo gennaio del-
l'anno Varroniano 754, 4^-° à*el-
l'impero d'Augusto, perciò l'era
Dionisiana ha origine o dal 754,
o dal 753.
Ma l'uso prevalse alla scienza,
ed è , seguendo un tal uso , che
contasi presentemente l'anno i843
di detta era. 11 suo stabilimento
non risale al di là del sesto secolo
di Gesù Cristo. Dionigi per la sua
statura appellato il piccolo o l'esì-
guo, abbate in Roma, di nazione
scita, cominciò il primo a prendere
la data degli anni dalla nascita di
Gesù Cristo, nel suo ciclo pasqua-
le, verso l'anno 527 secondo al-
cuni, o 54i secondo altri. A quel-
l'epoca si dà il nome di Era cri-
stiana, Era volgare, Era Dioni-
siana. Per Taddietro si computa-
vano gli anni del cristianesimo,
qualunque ne sia stata la cagione,
coll'era di Diocleziano. Sembrò al-
l'ingegnoso Dionisio, siccome esper-
to nelle matematiche ed in crono-
logia, cosa non opportuna alla cri-
stiana repubblica il computare i suoi
anni dal nome del più fiero persecu-
tore del nome cristiano, pensò egli
dunque a formare un'epoca, la quale
incominciasse dal glorioso nascimen-
to di Gesù, e da questo ne trasse
il nome. Dionisio la propose in Ita-
lia, e venne accettata nel settimo
ERA
i3
secolo in Francia ed in Inghilter-
ra. L'uso in Francia però non fu
bene stabilito se non nell'ottavo se-
colo, per la volontà e coll'esempio
di Pipino, e del suo figlio Carlo
Magno. I concili di Germania del
742, di Lestines del 743 , e di
Soissons del 744» presero la data
dagli anni dell'incarnazione; dal
qual tempo, e massime da Carlo
Magno, gli storici sono accostumali
a pigliare la data dei fatti che re-
cano, dagli anni di Gesù Cristo ,
dappoiché, dopo il regno di quel-
l' imperatore l'usanza di mettere le
date, servendosi degli anni della
incarnazione, diventò quasi genera-
le. Da ciò rilevasi, ch'essendo stala
l'era cristiana istituita molti secoli
dopo la nascita di Gesù Cristo, fu
facile il variare, ed anche l'ingan-
narsi intorno l' anno preciso di
quella nascita medesima. Però i
calcoli istorici non ne soffrono ve-
run detrimento, ed il primo anno
dell'era cristiana, essendo messo in
concordanza coli' anno ben cerio
di un'altra era, non ne può risul-
tare né ommissione, né confusione.
Il p. Lupi nel tom. I delle sue
Dissertazioni, dice che la nascila
del Redentore si deve fissare cin-
que anni e sette giorni prima del-
l' era comune , che non vi è mese,
se si eccettui luglio, in cui non vi
sia chi sostenga, essere nato Gesù
Cristo, la cui nascita si deve fissare
nella notte che precede il dì 25
dicembre. Sull'epoca dell'incarna-
zione in uso ne' secoli ottavo, no-
no e decimo ci dà erudite notizie
il Borgia, Difesa del dominio della,
Sede apostolica, pag. 93 e 94.
L'era cristiana, volgare, comune,
o dell' incarnazione, è composta di
anni giuliani. L'uso d'incominciare
questo medesimo anno, fu variabile
tf\ ERA
nel medio evo, come in seguito fu
variabile la maniera di contare la
successione degli anni secondo Pe-
ra cristiana. È provato dai monu-
menti scritti, che in diversi paesi
incominciossi l'anno, i.° al primo
di marzo; 2.0 al primo di gen-
naio; 3.° al 25 dicembre; 4*° al
25 marzo, anteriore al primo gen-
naio del numero 2.0; 5.° nel me-
desimo giorno, ma contando un
anno di meno; 6.° a Pasqua di ri-
surrezione; 7.0 al primo gennaio,
ma contando un anno di più del
numero 2.0 Su questo grave pun-
to si possono consultare gli articoli
Anno, Anno del Pontificato, Bol-
le, Calendario, ed altri relativi ar-
ticoli del Dizionario.
Era di Costantinopoli.
Ha questa per origine la crea-
zione del mondo, secondo la chie-
sa greca, la quale conta 55o8 an-
ni avanti il primo anno dell' era
cristiana. Sebbene il reciproco rap-
porto di queste due ere non pre-
senti alcuna difficoltà, nondimeno
ve ne può essere alcuna nella con-
cordanza precisa degli anni, per la
ragione che l'era di Costantinopoli
sembra si servisse di due anni di-
versi nel loro cominciamento, prin-
cipiando l'anno civile col primo
settembre, mentre per P anno ec-
clesiastico il primo giorno fu il 2 r
marzo, od il primo aprile. È egual-
mente certo che gli anni dell'era
mondana di Costantinopoli comin-
ciavano col primo settembre , se-
condo i greci, ed al primo gennaio,
secondo i romani. Trovasi usata
nel settimo secolo per le date dei
concili, ed i russi la conservarono
fino al regno del czar Pietro il
Grande, epoca in cui essi sosti tui-
ERA
rono l'era cristiana, con quella dif-
ferenza che notammo all' articolo
Calendario.
Era di Diocleziano, o de1 martiri.
L'esaltazione di questo principe
all'impero fu per gli egiziani il mo-
tivo, e l'origine dell'era che ne
porta il nome. 11 calendario egi-
ziano era già regolato da un anno
fìsso, ossia di giorni 365 ed un quar-
to, sino dai tempi di Augusto. E
perchè gli egiziani contavano an-
cora gli anni del regno degli im-
peratori, incominciando dal primo
giorno di quello, durante il quale
saliva ciascuno di essi al trono ,
così essendo stato Diocleziano pro-
clamato imperatore ai 17 settem-
bre dell'anno 284, il 29 agosto
precedente cioè il primo giorno
dell' anno egiziano , fu da essi te-
nuto come il primo del di lui re-
gno; questo stesso giorno del me-
desimo anno fu pure il primo del-
l'era che istituirono in onore di
quel principe. L'era di Diocleziano
fu poscia chiamata era de martiri,
a motivo delle persecuzioni sofferte
dai cristiani pochi anni dopo. Su
questa era il succitato p. Lupi ec-
co quanto scrive. Dionisio, che forse
per umiltà prese il nome di pic-
colo, per quanto la rozzezza del
suo secolo il comportava, appli-
candosi in Roma a ristorare le
scienze, prostrate per le invasioni
barbariche, nel tradurre che face-
va dal greco nel latino idioma vari
opportuni libri, s'imbattè nel ciclo
di cui la chiesa Alessandrina ser-
vivasi per regolare la Pasqua ; e
giudicando essere opportuno l'adat-
tarlo al calendario romano, lo tras-
portò dal greco, e dimostrò cori
esso a' latini il vero metodo del
FRA
computo orientale. Ma perchè gli
alessandrini, secondo il costume
molto diffuso in que' tempi, con-
tavano gli anni loro tanto solari,
quanto lunari dal primo anno del-
l' impero di Diocleziano, che tanto
insanguinossi nel sangue de' fedeli,
fu questa era chiamata de' marti-
li. Abborrendo Dionisio tal epoca,
e giudicando indegna cosa, che do-
vesse la Chiesa regolare i suoi com-
puti sulla memoria d' un persecu-
tore sì fiero, salì sopra l' era dei
martiri, per quindici Enneadecaele-
ridi o dieci novi ne d'anni , e calco-
lando essere nel primo anno di
questa nato il Signore, fu forse il
primo, o almeno il più accredita-
to , a contare gli anni dell' incar-
nazione del Verbo. Quindi, essen-
do bramosi i romani Pontefici di
stabilire un metodo certo per re-
golare le feste mobili , promossero
nella chiesa di occidente V accetta-
zione del ciclo orientale , secondo
la versione fattane da Dionisio. Per
conseguenza ne venne un grande
utile alla storia ed alla cronologia,
e la diffusione, insieme col ciclo
Dionisiano, a tutte quante le na-
zioni dell' era cristiana, benemerita
per le memorie conservateci e di-
stinte per ben tredici secoli, che
da quel tempo sono trascorsi .
Benemerita altresì potrebbe chia-
marsi in riguardo de' tempi a lei
antecedenti, se il conto fatto dal-
l' erudito monaco affine di trovare
la natività di Gesù Cristo, fosse
stato felice egualmente, che labo-
rioso.
Era dell'Ascensione,
Il greco autore della cronaca
Pasquale, o di Alessandria, volle
servirsi di un'era, il cui motivo fu
ERA |0
l'Ascensione di Gesù Cristo in cie-
lo. Secondo questa era, per le date
da lui stabilite, il primo anno cor-
risponde al trentanovesimo dell'era
cristiana.
Era degli armeni.
Questa era propriamente detta ,
che servì vasi di un anno vago di
365 giorni senza intercalazione, eb-
be per origine la separazione della
chiesa armena dalla latina, in con-
seguenza della condanna del con-
cilio di Calcedonia, e per epoca
iniziale il 9 luglio dell' anno 532
di Gesù Cristo. Inoltre usavano al-
tresì gli armeni nella loro liturgia
di un anno fisso od intercalato. Il
loro primo giorno di questo anno
fu fissato agli 1 r del mese di ago-
sto giuliano. Adoperarono in se-
guito il computo, secondo questo
anno giuliano, e così trovaronsi in
concordia, per i giorni coi latini ,
colla sola differenza di cifra per
gli anni, a motivo della differenza
delle due ere ec. Talvolta gli ar-
meni nei loro atti servironsi anche
dell'era volgare. Questo è quanto
si raccoglie dai nostri cronologisti,
ma a voler parlare con più esat-
tezza riporteremo sull' era armena
quanto si legge nella dotta opera
intitolata Quadro della storia let-
teraria dì Armenia, del rispettabile
monsignor arcivescovo Sukias So-
mal, abbate generale de' monaci ar-
meni mecchitaristi di s. Lazzaro in
Venezia, a p. 34 e seg. Parlando egli
della letteratura del secolo VI, dice
che questo fu per l'Armenia af-
fritto da politiche turbolenze, e dal-
le guerre sino dall'epoca in cui il
tiranno Isderge troncò le comuni-
cazioni coi greci. Però alla metà
di tal secolo si eifettuò l'impor-
16 ERA
tante correzione del calendario ar-
meno, nel modo seguente.
Sì erano rettamente computati
i tempi pel corso de' primi 532
anni dell'era volgare, ma da tale
anno sino al 55 1 non vi era che
confusione. A determinare un or-
dine fìsso e invariabile, sì pel cle-
ro che pel popolo, e per rego-
larsi intorno alla annual ricor-
renza della Pasqua, e pegli altri
giorni festivi, si applicò di propo-
sito Mosè II Elivardense, appena
elevato alla dignità patriarcale di
Armenia. Per sì grave argomento
convocò nell' anno 552 di Cristo
un sinodo nella città di Tevino, o
Duvina nella provincia di Arara t;
e siccome versato nella cognizione
de' periodi e cicli solari, e di quan-
to può dare norma a formar un
perfetto calendario , così, coll'aiuto
di parecchi suoi vescovi, e di altre
erudite persone, stabilì alcune re-
gole fondamentali , che all' ardua
impresa servissero di base. Primie-
ramente, acciocché in avvenire
procedessero i computi colla bra-
mata regolarità, nel medesimo an-
no dell'era comune 553, agli 1 1
luglio fissò il principio dell'era ar-
mena, cioè il primo giorno del pri-
mo anno , il perchè sino all' anno
i32o dell'era volgare, vi è tra
questa e l'armena, la differenza di
552 anni. Siccome poi col volger
dei secoli, a cagione dell'anno bi-
sestile, cresceva l'era armena, e di-
minuiva la detta differenza, fu cre-
duto opportuno di aggiungere al-
l'era armena nel i32o un altro
anno, e ne risultò la differenza
che tuttora sussiste d'anni 55 1. Ed
è perciò, che a voler trovare a' no-
stri dì l'era armena fa d'uopo dif-
falcare 55 1 anni dall'era volgare,
o a meglio dire devonsi sottrarre
ERA
552 anni , e il resto , aumentato
di una unità, darà l' era armena.
Quindi è , che il corrente anno
i843 dell'era volgare, corrisponde
all'anno 1292 dell'era armena.
Era di Hiesdedger.
Presso i persiani quest'era ebbe
origine dall'esaltazione di Hiesded-
ger al trono di Persia, che vuoisi
avvenuta ai 6 giugno dell'anno
632 di Gesù Cristo. Regolavasi
allora questa era coll'anno vago,
ossia di 365 giorni. Continuò co-
sì fino a Dagelaleddin, sultano di
Khorasan . Ma questo principe nel-
l'anno 4^7 dell'Egira, 1075 di
Gesù Cristo, consultò il corpo de-
gli astronomi, e venne quindi con-
chiuso che l'anno dell'era sarebbe
fisso. Fu determinato l'ordine dei
giorni che sarebbero per questi
effetti intercalati, fu fissato l'equi-
nozio di primavera al 14 marzo
giuliano, ed il principe ordinò che
questa riforma del calendario a-
vrebbe il suo principio coll'anno
471 dell'egira, ossia 1079 di Ge-
sù Cristo. Questa era fu pure
chiamata Melikana, essendo cor-
retta de Melik-Sebah- Dagelaleddin.
Del resto i persiani fanno l'anno
di questa era di 365 giorni, quat-
tro ore, 49 l$ > o", 48 ""; ed al-
cuni astronomi la considerano co-
me una delle ere più esattamente
determinate.
Era dell' Egira.
Egira è una voce araba che
significa fuga, e della quale gli
storici, e i cronologi si servono per
denotare l'epoca, da cui i mao-
mettani cominciano a contare i
loro anni, cioè dal tempo in cui
ERA
Maometto fuggi dalla Mecca e
Medina. Questo avvenimento ebbe
luogo la notte del giorno i5 o
1 6 luglio, di venerdì, nell'anno 622
dell'era cristiana. Fino da quell'e-
poca, stabilita per la prima volta
da Omar, i mussulmani non con-
tavano gli anni loro se non che
dall' ultima guerra considerabile
eh' essi avevano sostenuta. Alcuni
scrittori arabi la incominciano ai
1 5 luglio : tutti i maomettani si
servono di questa famosa era per
le loro date, ad esclusione di qua-
lunque altra. Gli anni dell' egira
sono lunari, e distribuiti in cicli
di 3o anni; diecinove di questi
trent'anni sono comuni, ossia di
354 giorni ; gli undici altri chia-
matisi intercalari perchè di 355
giorni, e questi anni sono il 2, 5,
7, 10, i3, 16, 18, 21, 24, 26,
e 29. I mesi di queste due sorta
d'anni sono in numero di 12, al-
ternativamente di 3o e di 29 gior-
ni : negli undici anni intercalari il
12.0 mese è di 3o giorni: è adun-
que chiaro che i rapporti degli
anni dell' egira, con gli anni del
calendario gregoriano sono varia-
bilissimi, la differenza naturale es-
sendo di undici giorni fra questi
due anni, e la diversità delle inter-
calazioni aumentando ancora le
differenze medesime. Di più: i
giorni dell'anno dell'egira comin-
ciano col tramontar del sole. A
motivo pertanto di sì grandi varie-
tà succede ben di rado, che un
anno dell'egira incominci e termini
nello stesso anno dell'era nostra
"volgare. Ecco i nomi dei mesi tur-
chi : r. Muharrem , 2. Sefer, 3.
Reb-il-evvel} 4- Reb-il-aker3 5. Ge-
masil-evvel3 6. Gemasil-aker, 7.
Regeb3 8. Sciabar, 9. Ramasan3
10. Scewal, i\.Zilcade3 vii. Zìi*
ERA 17
hagge. Ecco poi nomi dei giorni
della settimana. 1. el-Ahatì 2. el-
Thani, 3. el-Theleth, 4. el-Arba3
5. el-Khamis, 6. el-Giumea, 7. el-
Sebt.
Era della repubblica Francese.
Benché di corta durata, impor-
ta farne cenno, segnando molti at-
ti ancora in uso, e potendo servi-
re di regola per trovare la con-
cordanza degli anni, dei mesi e
dei giorni fra i due calendari di
Gregorio XIII , e repubblicano.
Se ne conoscono altresì molte ta-
vole già fatte. Col 12 settembre
1792, in cui fu proclamata la re-
pubblica francese , si promulgò
una nuova era. Contava gli anni
da esso 1792, cominciandoli la
mezzanotte del giorno che succede
all'equinozio vero d'autunno, per
l'osservatorio di Parigi. L'anno di
quest'era fu di 365 giorni, diviso
in dodici mesi di trenta giorni per
cadauno, e seguiti da cinque, o
sei altri complementari, che aggiun-
gevansi al fine. Un sesto giorno
complementario aggiunto periodi-
camente faceva gli anni sestili. Il
mese era diviso in tre decadi di
dieci giorni : i giorni denomina-
va nsi primidì3 duodìf tridì3 quarti -
dì ec3 il decadì doveva essere di
riposo. I mesi erano divisi in au-
tunnali3 in invernali, in primave-
rili'_, ed in estivi. Gli autunnali e-
rano: Vendèmiaire, Brumaire, Fri-
maire . Gli invernali erano: Nivó-
se3 Pluvióse, Ventóse. I primave-
rili erano : Germinai 3 Floreal,
Prairial. Gli estivi poi : Messidor,
Thermidor, Fructidor. I quali no-
mi flel calendario repubblicano
rammentavano il progresso, ed i
lavori successivi della campagna,
voi. XXII.
i8 ERA
oppure lo slato dell'atmosfera nel-
le diverse epoche dell'anno. Il pri-
mo giorno del calendario repub-
Hicano era il 22 settembre per
gli anni I, II, III, V, VI, e VII
repubblicani, che sono il 1792,
I793>1794, '796> J797> e *798
gregoriani ; 2 3 settembre per gli
nnni IV, Vili, IX, X, XI, XIII,
e XIV che furono il 1795, 1799,
1800, 1801, 1802, 1804, e i8o5
gregoriani : finalmente il primo
vendemmiale , corrisponde al 24
settembre dell'anno XII, ch'era il
180 3. L'anno VII avrebbe dovu-
to essere comune secondo l'ordine
gregoriano; ma invece i repub-
blicani lo fecero bisestile, il che
alterò la corrispondenza coll'anno
nostro. Questo calendario durò
meno di quattordici anni : il suo
i4-° anno cominciando nel 2 3
settembre i8o5, terminò col 3i
dicembre seguente, il quale corris-
pondeva al giorno io nevoso an-
no XIV. Un decreto del senato
del 2 1 fruttidor, anno XIII, rista-
bilì il calendario gregoriano, inco-
minciando dal primo gennaio se-
guente 1 806. Della durata delTef-
fimera repubblica romana, procla-
mala in Roma dai repubblicani
francesi a' i5 febbraio 1798, e
terminata a5 28 settembre del se-
guente anno, si parla all'articolo
Diario ni Roma.
ERACLEA 0 ERACL1A. V.
Citta* Nova o Eraclea.
ERACLEA . Città vescovile e
metropolitana della provincia di
Europa, nella diocesi di Tracia,
chiamata Pcrinthus, 0 Per\nta3 ed
anche Pantiro. Essa fu sotto que-
sto nome celebre per l'anfiteatro
di marmo formato di una sola
qualità di pietre, il quale fu tenuto
per una delle meraviglie del mon-
ERA
do. Eraclea è situala sul mare di
Marmara in Romania, distante cin-
quantadue miglia da Costantinopo-
li, e settanta da Gallipoli. Ancora
si vedono degli avanzi di grandi
muraglie e di vecchi fabbricati.
Al presente è una citta della Tur-
chia europea nella Romelia, con
duplice porto sul mare di Mar-
mara, chiamata Erekli3 od Hera-
clea. V. Tracia.
Eraclea, o Perinthus, fu celebre
nelle notizie ecclesiastiche, giacche
il vescovo di Bisanzio, poscia Co-
stantinopoli (Fedi), come dicesi a
questo articolo, era ad Eraclea
soggetto. Fu Eraclea la sede del-
l'esarcato di Tracia, che pur si
disse esarcato di Romania, ed il suo
arcivescovo era uno de' più conside-
rabili della chiesa greca. La sua
sede vescovile, eretta nel primo se-
colo, nel secondo divenne metro-
poli, e nel quarto fu elevata al
grado di esarcato di tutta la Tra-
cia, colle seguenti sedi vescovili
per suffraganee: Phanarium, o Fa-
nari, che poi si eresse in arcive-
scovato; Bisia, o Bilsier, anch'essa
eretta in seguito in seggio arcive-
scovile; Gano, Gallipoli ed Arcà-
diopoli, che pur furono decorate
del grado arcivescovile; A tira o
Metri, Turulus, Redasto, Miriofì-
ti, Peristasi, Cheropoli; Apri seu
Teodosiopoli, Drusipara, e Midia,
tutte e tre divenute in progresso
arcivescovati. Delcos, o Dercon ; Mai-
ton, la quale eziandio ebbe l'ono-
re dell'arcivescovato; Caclos seu
Cyla, Sabadia, Afrodisios, Lisima-
ca o Hexamili, Pamphili, Teodo-
ropoli , Chalcis } Daonia , Lizici,
tSergentza, e Adriana. Questa sede
conta quarantotto vescovi, le cui
notizie riporta il padre Le Quien,
11 eli ' Oriens Chrisl., lom. I, pag.
ERA. ERA 19
11 or e seg. Attualmente Eraclea, e quelli di un teatro scavato nel
Hcracleen., è un titolo arriverò- monte. Cinque vescovi vi ebbero
vile in partibus, che conferisce la sede, cioè Aploneto, Dionisio, Teo-
Sede apostolica, con quattro sedi doro, Gregorio 1, e Gregorio li,
suffraganee titolari, cioè Callipoli, come si ha dall' Oriens Christ.,
Dercon, Medea, e Miropoli. Su toni. I, pag. 906. Nella Siria sa-
questa Eraclea o Perinto abbia- gra, a p. 260, sono le notizie di
mo interessanti notizie, anche ec- Eraclea, sede vescovile di Palesti-
clesiastiche, dal Eonarroli, a pag. na, città meridionale del Libano,
149 e seg. delle sue Osservazioni sotto la metropoli di Cesarea, il
storiche sopra alcuni medaglioni cui vescovo Procopio fu presente
antichi. ad un sinodo provinciale di Geru-
ERACLEA la Grande. Città salemme, celebralo ne' pi imi anni
vescovile della provincia di Ar- del sesto secolo dal patriarca Gio-
oadia, nel patriarcato di Alessan- vanni.
dria, nell'Egitto, sotto la metro- ERACLEA di S,ìlbace. Città
poli di Oxyrincus seu Behense, la episcopale della provincia di Ca-
cui erezione, al dire di Comman- ria, nella diocesi d'Asia, sotto la
ville, risale al nono secolo. Abbia- metropoli di Stauropoli. Questa
mo da Sozomeno, che s. Antonio sede nel concilio Calcedonese è
era di Coma, villaggio dipendente chiamata Heraclia Lyncestidum.
da Eraclea Magna, h' Oriens Christ., Policromo che intervenne al conci-
nel tom. II, pag. 579, dice che Ho d'Efeso, Menandro che fu a quel-
ne furono vescovi, oltre Pietro lo di Calcedonia, e Basilio che si
Meleziano, Pottamon, Ipaziano, ed recò al sinodo di Fozio, ne furo-
Eraclide. no vescovi. Oriens Christ, tom. I,
ERACLEA sul Latmo. Città ve- p. 904.
scovile della provincia di Caria, ERACLEA Sintica. Città vesco-
nella diocesi d'Asia, sotto la me- vile della prima provincia di Ma-
tropoli di Afrcdisiade, cosi chia- cedonia, nell'esarcato del suo no-
mata per essere sul monte Latmo, me, diocesi dell' llliria orientale,
quindi sotto Stauropoli. La sede sotto la metropoli di Tessalonica,
venne eretta nel secolo quinto, ed eretta nel quarto secolo. Nel sesto
è pur conosciuta sotto il nome di divenne arcivescovato onorario dcl-
Hagio Porto. Questa città dell' A- la diocesi di Bulgaria. Dicesi pure
sia minore nella .Fonia, è situata Pelagonia3 e Xevosna. Plinio la
in fondo al golfo Lalmico, sulle chiamò Eraclea Sintica, perchè po-
rive del Lalmus. Fu vittima della sta nella contrada di tal nome,
destrezza di Artemisia regina di all'oriente della città di Scotusa,
Caria, che non avendo potuto e poco lontana dallo Strimone.
prendeila per assedio, usò dell'ai- De' sette vescovi, che vi ebbero
tifìzio per sorprendere i suoi abi- sede, di soli cinque si sa il nome,
tanti senza difesa. Restò sotto il cioè di Evagrio, Quintillo, Beni-
dominio di questa regina sino alla gno, Teodosio, e Giovanniciot di
sua morte. Seguì la sorte della tutti ne dà le notizie 1' Oriens
Jonia, e tra le sue rovine distin- Christ., tom. II, p. 82 e seg.
guevansi gli avanzi di un tempio, ERACLEA del Ponto o Por*
20 ERA
tici. Città vescovile dell'Asia mi-
nore, della provincia Orioriade,
nella diocesi di Ponto, sotto la
metropoli di Claudiopoli. E situa-
ta sopra un piccolo golfo presso
il mare di Marinara, col nome di
Erekii, o Eregri. Ora è una città
della Turchia asiatica nell'Anato-
lia, sangiaccato. 11 golfo è chiuso
al nord da una piccola penisola,
anticamente chiamata Acherusia
Chersonesus. Erekii è cinta da un
muro fiancheggiato di torri, e
rinchiude varie moschee, bagni ed
altri edifizi; ancora esistono avan-
zi della sua passata grandezza. La
rada ed il molo sono sicuri nell'e-
state, a cagione delle alture che
li circondano.
L'antica Eraclea stava a venti
stadi di là dal Lycas, sopra una
costa elevata, e dominante il ma-
re. Tutti gli scrittori la celebrano
come una delle più belle dell'o-
riente. Si mantenne in repubblica
governata dai propri magistrati in
mezzo a due possenti sovrani, Mi-
tridate e Nicomede, ai quali ser-
viva di comune barriera. Si crede
fondata dai milesii, ed accresciuta
da una colonia di Augara, alla
quale si congiunse un popolo di
Beozia, oriundo di Tanagra. Que-
sta colonia si mantenne in forma
repubblicana sino a che Clearco
se ne impadronì tirannicamente,
il che fecero i suoi successori per
quasi un secolo. Fu esposta alle
invasioni dei gaulesi, ma riacquistò
la propria libertà, sino al tempo
che Mitridate, sconfitto da Lucul-
lo, s'impadronì di essa facendo
uccidere tutti i romani, che vi si
trovavano. Il suo popolo numero-
so, e le sue frequenti navigazioni
sul Ponto-Eusino , la misero in
grado di fondar Colonie, e fra le
ERA
altre Chersoneso nella Tracia, e
Calatide nella Mesia. Eraclea som-
ministrò alcuni soccorsi a Tolo-
meo contro Antioco, soccorrendo
anche i romani colla sua marina,
il che però non impedì a Cotta,
collega di Lucullo, e malgrado il
trattato offensivo e difensivo tra
Roma ed Eraclea, di prenderla
per tradimento, saccheggiarla, e
quasi ridurla in cenere. Sdegnato
il senato romano di tale turpissima
azione, rinviò tutti i prigionieri ,
ristabilì gli abitanti nel possesso
de' loro beni, e riparò la città.
Augusto, dopo la battaglia d'Azio,
pose Eraclea nel dipartimento del
Ponto, congiunto alla Bitinia, ed
in tal modo fu questa città in-
corporata all' impero, sotto al qua-
le crebbe in floridezza. Passò poscia
sotto l'impero de' greci, e quando
già incominciava a declinare, le si
diede il nome di Penderachi, il
quale sembra essere un nome cor-
rotto di Eraclea del Ponto. Teo-
doro Lascaris la tolse a David
Comneno, imperatore di Trebison-
da. Indi i genovesi s'impadroni-
rono di Penderachi nella loro con-
quista di oriente, e la conserva-
rono fino che Maometto II, im-
peratore de' Turchi, gli scacciò, e
da tal epoca rimase in potere degli
ottomani.
Le notizie ecclesiastiche ci dico-
no, che Eraclea fu elevata a seg-
gio vescovile nel secolo quarto, e
nel decimoterzo diventò metropoli
quando Claudiopoli, di cui era
prima sufFraganea, cessò di esserlo.
Conta dodici vescovi, che vi ebbe-
ro sede, e sono: Eusebio, Teodo-
ro I, Epifanio, Stefano, Giovanni
I, Paolo, Melezio, JMiceforo, Teo-
doro II, Giovanni II, e Metodio,
giacché del decimo vescovo s'igno-
ERA
ra il nome. Di questo e degli
altri si leggono le notizie nell' O-
riens Christ., tona. I, pag. 57 3. Al
presente Eraclea, Eracleen., è un
titolo vescovile m partibus infide-
lium, che conferisce il Sommo
Pontefice, ma dipendente dall' an-
tica sua metropoli di Claudiopoli,
egualmente sede titolare in parti-
bus. Il Bonarroti, nelle Osserva-
zioni storiche sopra alcuni meda-
glioni antichi\ riporta erudite noti-
zie sopra Eraclea di Ponto, da pag.
2j5 a 283.
ERACLEOPOLI. Città episco-
pale dell' isola di Creta, nella dio-
cesi dell' llliria orientale, sotto la
metropoli di Gortina. Teodoro suo
vescovo sottoscrisse al VII conci-
lio generale. Oriens Christ.3 t. II,
pag. 268. Tolomeo la chiamò
Eracleo, e la pone sulla costa set-
tentrionale di Creta.
ERACLIOPOLI. Città vescovi-
le della prima Armenia, nella dio-
cesi di Ponto, sotto la metropoli di
Sebaste. Gli atti del VII concilio
generale la chiamano Didachtoe,
e le storie greche ne fanno un
arcivescovato. Commanville la chia-
ma Pedactoe seu Heracleopolis, e
la crede eretta nel nono secolo, e
quindi arcivescovato onorario. Que-
sta città fu così chiamata quando
l' imperatore Eraclio fece la guerra
ai persiani. Ne furono vescovi An-
tenogene, Giovanni, e Teodoro.
Oriens Christ., tom. I, pag. 4^7.
ERARDO (s.). Nacque in Iseo-
zia, e percorsi gli studi sacri, si
recò in Germania a predicare il
vangelo. In Treveri diede lezioni
di sacra Scrittura. Avendo il santo
vescovo Idolfo, nell'anno 753, rinun-
ziato alla sua dignità per recarsi nella
solitudine a terminare i suoi giorni,
Erardo sull'esempio di lui si mosse
ERA 21
verso Ratisbona, ed ivi fondò un
monistero. Onorato del dono dei
miracoli, ancor vivente, morì in
questa città, e dopo morto, segna-
lati prodigi resero celebre la sua
tomba. Gli scozzesi ricordano il gior-
no 9 febbraio sacro alla sua me-
moria.
ERARIO (Aerarium). Tesore-
ria del pubblico; e dicesi del luo-
go destinato a conservare il teso-
ro, e delle persone, che custodi-
scono ed amministrano esso tesoro.
ERARIO PONTIFICIO. ^.Te-
soro Pontificio.
ERASMO (s.). Illuminato da una
viva fede, e tutto ardente di amo-
re verso Gesù Cristo, predicava il
santo vescovo Erasmo le verità del
vangelo in que' tempi , nei quali
regnando Diocleziano e Massimia-
no, il cristianesimo veniva fiera-
mente perseguitato. Non andò gua-
ri, che preso Erasmo e condotto
dinanzi al tiranno, fu obbligato to-
sto a mutar consiglio, o ad assog-
gettarsi ai più crudeli martori.
Niente turbatosi il santo vescovo
ad una tale intimazione, tutto gio-
condo e sereno, sostenne quanto di
più atroce immaginar poteva quel
crudo. Cacciato dipoi in prigione
tutto pesto e piagato, e per ec-
cesso di barbarie fatto persino pri-
vo di alimento, era esposto a mo-
rire di fame. Liberato prodigiosa-
mente dalla prigione, si diresse
verso Lucrano, terra della Puglia,
e sparse anche in que' luoghi l'e-
vangelica semente con non dissi-
mile zelo di prima. Molti e rapi-
di furono i vantaggi, che colla pre-
dicazione ivi ritrasse; recatosi fi-
nalmente in Formiana, città non
molto lungi da Gaeta, coli' esem-
pio, colla voce , e col dono dei
miracoli, santificò que' popoli in-
aa ERA
volti dapprima nelle tenebre del
gentilesimo, e li condusse all'ovile
di Gesù Cristo. Indebolito dagli
anni, e molto più dalle fatiche e
dalle austerità, mentre un giorno
slava in orazione, udì una voce
dal cielo, che gli disse: Erasmo
mio fedele, perchè come buon sol-
dato hai combattuto per me, vieni
a riceverne la corona. Subito vide
egli una corona ricchissima, che gli
**ra portata dal cielo, e chinando
il capo rispose: Ricevi, Signore, in
pace il mio spirito: e con questo
in figura di bianca colomba, ac-
compagnato dagli Angeli, se ne vo-
lò al suo Creatore , che dato gli
avea fortezza nelle battaglie, e li-
berato lo avea tante volte da' tor-
menti e dalla morte. Mori li i
giugno dell'anno 3o3. Il suo corpo
fu deposto nella chiesa di Formia,
e dopo trasferito a Gaeta, ove al
presente trovasi onorato con gran
divozione. Il martirologio assegna
il 2 giugno solenne alla sua me-
moria.
ERASMO Desiderio. Nacque a
Rotterdam, verso l'anno i465, e di-
venne poi apostata dell' Ordine a-
gostiniano, ed autore di una setta
di mille eresie, appena potute con-
futare in ventidue libri da Alber-
to Pio; colle quali eresie l'empio
Erasmo preparò la strada in Ger-
mania a Lutero, per disseminarvi
le sue egualmente perniciose, e il
suo astio contro i religiosi, arri-
vando a chiamar giudaismo la teolo-
gia. Sino all'età di nove anni fu chie-
richetto nella cattedrale di Utrecht.
Morto Gherardo suo padre, i suoi
tutori lo costrinsero a prendere l'abi-
to di canonico regolare di s. Agosti-
no. Nel chiostro dimostrò somma
assiduità allo studio , e grande ca-
pacità: anzi compose alcune ope-
ERA
rette di pietà, come quella del dis-
pregio del mondo. Nell'anno i49*
fu ordinato sacerdote, quindi passò
a Parigi col vestito dell' Ordine a
proseguire i suoi studi. Nel corso
di pochi anni, andò e ritornò varie
volle e per diversi motivi da Pa-
rigi in Inghilterra. Ma mosso fi-
nalmente da vivo desiderio di ve-
dere l'Italia, nel i5o6 si recò a
Bologna, ove dimorò un anno, e
fu laureato in teologia. In que-
sto mentre ottenne dal Papa Giu-
lio II la dispensa da' suoi voti,
e quindi da Bologna passò a Ve-
nezia, come correttore nella cele-
bre stamperia di Aldo Manuzio.
Chiamato a Padova dal principe
Alessandro figliuolo naturale di Ja-
copo IV re di Scozia, lo seguitò a
Ferrara ed a Siena, e da qui, ec-
citato da'suoi amici, si condusse a
Roma, ove fu benissimo accolto dal
Papa e dai Cardinali , e special-
mente dal Cardinale de' Medici ,
poscia Leone X. Dopo avere per-
corso molti altri luoghi, e ricusati
ovunque onori e dignità, si stabilì
in Basilea. Neil' occasione in cui
Leone X venne elevato alla santa
Sede, col consenso di lui, gli dedicò
la sua edizione greca e latina del
nuovo Testamento, la quale fu gra-
ve soggetto di molta critica. Tale ei a
la stima, che di lui avea Carlo V,
che lo fece consigliere de' suoi stati
d'Austria; titolo che gli accrebbe
credito e riputazione. Verso l'anno
i520 compose le sue parafrasi sul
nuovo Testamento, per cui mol-
tissimi eccitarono la facoltà di Pa-
rigi a censurare i suoi colloqui
familiari , come conlenenti molti
errori contro la fede ed i buoni
costumi : ragione per cui Erasmo
pubblicò con somma astuzia ed oc-
culto dolo, alcune spiegazioni e di-
ERA
chiarazioni sopra ogni censurata
proposizione, e le indirizzò alla
stessa facoltà , con una prefazione
rispettosa ed onorevole ad esso
corpo. Non è vero che per ammol-
lire la di lui durezza Paolo III volesse
innalzarlo al Cardinalato, e molto
meno che gli conferisse una pen-
sione di seicento scudi , essendo
pur falso che gli offrisse consi-
derevoli uffici. Clemente VII ed
Enrico Vili, re d' Inghilterra , di
propria mano gli scrissero, per
trarlo ognuno appresso di se. Il
re Francesco I, Carlo V, Sigis-
mondo re di Colonia, Ferdinan-
do re d' Ungheria e molti altri
principi, tentarono in vano di rite-
nerlo negli stati loro con notabili
pensioni. Dopo averne perduto l'a-
micizia, Lutero cercò colle più insi-
nuanti espressioni di cattivarsi il suo
animo, anzi stimolato Erasmo dagli
amici suoi contro l'opinione di Me-
lantone, compose un trattato che
intitolò: Conferenza sul lìbero ar-
bitrio, in cui attacca V errore di
Lutero, senza punto toccare la per-
sona. Se non che vedendo final-
mente che il corpo de' pretesi ri-
formatori diveniva ogni dì più po-
tente in Basilea, si ritrasse nel
1529 a Friburgo, ove diinorò circa
sett'anni affaticando continuamente.
Nel i536 ritornò a Basilea, dove
fu onorato con la dignità di ret-
tore dell' università. Dappoiché eb-
be riveduti i suoi scritti, e li pose
in istato d'essere tutti stampati,
morì d'una dissenteria a' dì 12 lu-
glio d'anni settanta. Fu quivi se-
polto, e nella piazza maggiore gli
fu eretta una statua di bronzo,
effetto della stima e venerazione*,
che di lui aveano i basileesi.
Tutte le opere di Erasmo ven-
nero stampate a Basilea nel i5/±o
ERB *3
in nove volumi in foglio, con una
lettera dedicatoria all' imperatore
Carlo V. I due primi tomi, ed il
quarto contengono le opere gram-
maticali, rettoriche e filosofiche;
il terzo comprende le sue lettere;
il quinto i libri di pietà ; il sesto
la versione del Testamento nuovo
con le sue annotazioni ; il settimo
le sue parafrasi parimenti sui nuo-
vo Testamento; l'ottavo le tra-
duzioni di alcune opere de' Padri
greci ; ed il nono le sue geolo-
gie.
Ad onta della riputazione che si
procacciò col suo ingegno e dot-
trina, Erasmo fu un perniciosissi-
mo eretico, e li principali suoi er-
rori sono notati dal Bernini nel
Compendio delle eresie, a pag. 596.
Mise in derisione i santi, e chi gli
venerava, così fece dei divoti pel-
legrinaggi, delle sagre cerimonie, ri-
ti, feste, reliquie de' santi, delle chie-
se, digiuni, e delle indulgenze. Scris-
se contro la potestà del Papa, chia-
mò tirannide de* preti le decreta-
li, aggravando i sagri canoni ; ri-
provò ne' sacerdoti e ne' vescovi il
celibato, e preferì alla verginità il
matrimonio che non sempre contò
per sagramento; diceva superflua
la confessione auricolare ; illecita la
guerra de' cristiani contro il turco;
proibito a' fedeli il giusto giura-
mento, e lecita la bugia ; dubitò
delle sagre Scritture, approvò l'a-
rianesimo. Morì da mai cattolico,
non però da luterano, poiché Ec-
clesiae judicio se, librosaue sitos
subjecil.
ERBIPOLI (Herbipolen.). Città
con residenza vescovile nel regno
di Baviera, chiamata anche JVurtiur
burg o Wurzburgo, Virisburgum3
capoluogo del circolo del Meno in-
feriore, e di due presidiali. E ia
24 ERB
vaga situazione sul Meno, distante
ventuna leghe da Norimberga, e
quarantanove da Monaco . E sede
di un commissariato generale, di
una corte di appello, di una dire-
zione di polizia ; cinta da un alto
muro, e da profonda fossa, con
sei porte. La città è divisa in due
parti dal Meno , cioè la città pro-
priamente detta che sta sulla spon-
da destra, ed il quartiere del Me-
no sulla sinistra sponda. Il fiume
è attraversato da un bel ponte.
Dalla parte del quartiere del Me-
no, sorge su di una rupe alta quat-
trocento piedi, la fortezza di Ma-
rienberg, o Martinberg. Non è la
città edificata regolarmente; tutta-
via si osservano parecchie parti ele-
ganti, ed un bel castello regio con
giardini. Hannovi trentatre chiese,
tra le quali si fa distinguere la cat-
tedrale antica ; ammirandosi pure
la cappella di Schonborn. Wurz-
burgo possiede vari utili stabili-
menti, come la casa degli orfani ,
molti spedali, università cattolica,
la quale prima era diretta dai ge-
suiti, che conta circa settecento stu-
denti, ed alla quale appartengono
una biblioteca, gabinetti di storia
naturale e di fìsica, e l'importan-
te ospedale Julius, che ha un isti-
tuto di partorienti, un giardino
botanico , un anfiteatro d' anato-
mia ec. Questa città contiene inol-
tre un ginnasio, un seminario nor-
male , un seminario ecclesiastico ,
scuole ec. , ed un teatro. Erbipoli
ha bei passeggi, ed i dintorni sono
coperti di pingui vigneti. Antica-
mente era capitale della Franco-
nia, città libera ed imperiale , ma
poscia ne divennero signori i suoi
vescovi.
La fede fu predicata sul decli-
nar del secolo VII, dallo scozzese
ERB
s. Kiliano, o Chiliano, cioè verso
l'anno 678, e s. Bonifacio arcive-
scovo di Magonza, nell'anno 742,
o 75 1, ovvero nel 760, l'eresse in
sede vescovile, e vi stabilì un ve-
scovo. Nella vita del Pontefice s.
Zaccaria, si legge ch'egli nel 742
confermò l'erezione di questo ve-
scovato, sotto la metropoli di Ma-
gonza. Dopo l'anno u 65, il ve-
scovo divenne principe del sagro
romano impero, e duca di Fran-
conia, al dire di Comman ville; ma
secondo altri il re Pipino, in ve-
nerazione del primo vescovo di Er-
bipoli, li dichiarò duchi di Fran-
conia, con diritto d'ogni giurisdi-
zione civile. E malgrado 1' aliena-
zione di una parte della Franco-
nia, fatta dall' imperatore Enrico
IV, i vescovi di Erbipoli, sino agli
ultimi del secolo decorso , sempre
conservarono la sovranità nella lo-
ro vastissima diocesi.
Il primo vescovo fu s. Burcar-
do. Altri santi onorarono questa
illustre sede vescovile, come s. Ar-
none, che edificò la cattedrale , e
venne ucciso dai normanni nell'89 1 ,
quando sbaragliarono le truppe
dell' imperatore Arnoldo. S. Bru-
none, figlio di Corrado II, duca
di Cario tia, rifabbricò la cattedra-
le. Essendo andato in Ungheria
nell'anno io45 coli' imperatore En-
rico III, e cenando con quel prin-
cipe, la soffitta della sala cadde
improvvisamente addosso alle per-
sone quivi riunite. L'imperatore
soltanto n'andò illeso, e s. Bruno-
ne ne mori in conseguenza delle
ferite e lacerazioni riportate. Al-
cuni dicono , che fu canonizzato
verso l'anno 124^, e si celebra la
sua festa a' 17 maggio. In quanto
agli altri vescovi di Erbipoli , ne
trattano gli scrittori ecclesiastici del-
ERB
la Germania , massime di quelli
della Franconia. Per terminare poi
le antichissime differenze, ch'erano
fra questo potente vescovo (la cui
rendita si faceva ascendere ad an-
nui scudi centomila) e l'abbazia
di Fulda, Benedetto XIV, nel l'jSi,
eresse questa in vescovato ; ed in
compenso ai vescovi di Erbipoli,
per lo smembramento che per ciò
fece d' una parte della loro diocesi,
coll'autorità della costituzione Ro-
mana Ecclesia, data a' 5 ottobre
1 752 , presso il Bullar. Bened.
XIV, tom. IV, p. 35, concesse il
privilegio del pallio, e di farsi pre-
cedere dalla croce astata nella lo-
ro diocesi soltanto, come gli arci-
vescovi, salve le prerogative dell'ar-
civescovo di Magonza, alla cui pre-
senza, o a quella de'Cardinali e dei
nunzi ( qualora essi non glielo per-
mettessero), non potrebbe usare di
tali distinte insegne; cosi ancora nei
comizii dell' impero, ai quali erano
intervenuti come principi di esso, e
sovrani di Erbipoli e suo dominio
temporale. Questo vescovo, col cir-
costante territorio, componeva un
vescovato sovrano, con superfìcie
di i65 leghe quadre, e popolazio-
ne di circa duecento ottanta mila
individui, che dopo il trattato di
Presburgo del 26 dicembre i8o5,
fu dato all'arciduca Ferdinando III
gran duca di Toscana, in cambio
del dominio sul vescovato di Salis-
burgo accordato alla Baviera. Ma
restituiti dopo il 181 3 a quel so-
vrano gli etruschi dominii, rientrò
Erbipoli sotto il bavaro regime,
cui era stato concesso nelle note
politiche vicende. Finalmente nel
concordato fatto nel 18 17 tra il
Pontefice Pio VII, e il re di Ba-
viera Massimiliano Giuseppe, si con-
venne l' erezione della chiesa di
ERB 25
Bamberga in metropoli , Erbipoli
in di lei suffraganea, e che la parte
bayarica della diocesi di Fulda sareb-
be aggiunta alla diocesi di Wirtzbur-
go o Erbipoli, venendo stabilite le
rendite, il capitolo, e quanto appartie-
ne a questo vescovato. Tuttociò si ef-
fettuò colla bolla del primo aprile
1 8 1 8, Dei ac Domini Nostri Jesu
Christi, e nel concistoro de' 2 ot-
tobre, Pio VII preconizzò in vesco-
vo di Erbipoli, monsignor Adamo
Federico de Gross della medesima
città.
La cattedrale è dedicata a s.
Andrea apostolo ; l'antica lo era al
ss. Salvatore, il cui capitolo com-
ponevasi di ventiquattro canonici
capitolari , e di ventinove domici-
liari. Attualmente è composto di
due dignità, il prevosto ed il de-
cano, di otto canonici fra' quali il
teologo, ed il penitenziere, di sei
vicari, e di altri preti e chierici
addetti al servigio divino. Nella
cattedrale, in cui avvi il sacro fonte
battesimale, esercita le funzioni di
parroco un sacerdote. Nella mede-
sima si venera il corpo di s. Bru-
none vescovo di Erbipoli, che al-
tri chiamano e confondono con s.
Burcardo (Vedi), che fu il primo
vescovo di Erbipoli , o Wurtzbur-
go, ed ebbe in successore Megin-
gando. S. Burcardo venne seppel-
lito prima nella cattedrale di Wurtz-
burgo, poscia vicino a s. Chiliano,
sul monte s. Maria, dove avea fat-
to edificare un monistero col titolo
di s. Andrea. 11 vescovo di Erbi-
poli, Ugo, fu quegli che, con au-
torizzazione del Pontefice Benedet-
to Vili, fece la traslazione delle re-
liquie di s. Burcardo ai 14 otto-
bre del 983. In seguito l'abbazia
prese il nome di s. Burcardo, che
poi nel i4^4 fu cambiata in un
±b
ERB
collegio di canonici. Decente è l'e-
piscopio. Oltre la cattedrale, nella
città sonvi altre otto chiese par-
rocchiali col battisterio: evvi il se-
minario pei chierici, ed alcune con-
fraternite. La mensa vescovile ad
ogni nuovo vescovo, è tassata nei
libri della camera apostolica, in
fiorini seicento.
Concilii di TVurtzburgo, o Erbipoli.
Il primo si celebrò neh' anno
1 080, ed in esso venne ricevuto
nella comunione della Chiesa En-
rico IV imperatore. Regia t. XXVI,
Labbé toni. X, Arduino tom. VI.
Il secondo ebbe luogo nel ii3o
in ottobre, contro l'antipapa Ana-
cleto II, ed in favore del legitti-
mo Pontefice Innocenzo II, che vi
la riconosciuto per tale, in presen-
za dell'arcivescovo di Ravenna suo
legato. Pagi, ad hunc an., Diz. dei
Concili.
Il terzo si adunò a' 2 3 maggio
11 65, ma non è riconosciuto; al-
tri lo registrano al 1 1 66 con Len-
glet. L' imperatore Federico I, e
quaranta vescovi, compresi quelli
che non erano ancora consagrati ,
giurarono che non riconoscerebbe-
ro mai il legittimo Pontefice Ales-
sandro III, e che starebbero invio-
labilmente attaccati all'antipapa Pa-
squale III. Due inviati d'Inghilter-
ra giurarono a nome del loro re
Enrico II, che osserverebbero tut-
lociò, che 1' imperatore avesse giu-
rato. Pagi, ad hunc annum., Diz.
de Concili j Mansi, Suppltm. t. II,
col. 555.
Il quarto venne celebrato nel
1287, a' 18 marzo. Lo presiedette
Giovanni vescovo di Frascati , le-
gato del Pontefice Onorio IV in
Germania. Gli arcivescovi di Ma-
ERB
gonza, di Colonia, di Salisburgo,
e di Vienna con molti de' loro ve-
scovi sulfraganei, e molti abbati,
vi compilarono un regolamento
composto di quarantadue articoli
o canoni, per la maggior parte ris-
guardauti la disciplina ecclesiastica.
In questi canoni si veggono i dis-
ordini, che allora regnavano in
Germania. Tra gli altri molti ec-
clesiastici frequentavano le osterie,
giuocavano ai dadi, entravano nei
monisteri delle religiose, giuocava-
no nei tornei, mantenevano concu-
bine, entravano nei benefìzi per
intrusione fraudolenta, e riceveva-
no benefizi da mani laiche senza
la collazione dell'Ordinario. I ve-
scovi trascuravano in guisa la vi-
sita delle loro diocesi, che trova-
vansi persone sessagenarie, le quali
non erano cresimate. Ne minore
era il rilassamento presso i mona-
ci: alcuni vestivano abiti secolari;
si permetteva troppo alle religiose
di uscire dai monisteri, e di prov-
vedere in particolare al manteni-
mento e al vestito loro. Per l'al-
tra parte si dilapidavano i beni
degli ecclesiastici, oltraggiavansi le
loro persoue, erano impunemente
uccisi , feriti , mutilali , carcerati ;
tutti questi disordini erano l'effetto
almeno in parte della lunga vacan-
za dell' impero , della deposizione
di Federico II, fatta nel concilio
generale di Lione, dal Papa Inno-
cenzo IV, ciocché avea ridotta la
Germania in istato d' anarchia. I
concili perciò radunati non vi op-
ponevano che delle scomuniche e
degl' interdetti ; deboli rimedi per
mali sì gravi, particolarmente per
le violenze, alle quali non si po-
teva opporre che la podestà seco-
lare. Regia t. XXVIII, Labbé t. XI,
Arduino t. VII, e Diz. de Concili.
ERG
Il p. Mansi, nel t. Ili, col. 129
e i3o del citato supplem., crede
che debbasi aggiugnere agli atti di
questo concilio quanto si legge nel-
la cronaca di Eccardo, vale a dire
che il vescovo di Toul, già fran-
cescano, si oppose solo in questo
concilio a ciò, ch'esigeva giusta-
mente il Papa Onorio IV intorno
ai beni ecclesiastici. Di più : un
canone nel quale fu ordinato agli
abbati, alle abbadesse, ai priori ec,
che ritenevano alcuni possedimen-
ti ecclesiastici per cauzione, avendo
ricevuto più di quello che aveva-
no prestato, dovessero restituirlo ai
prelati delle chiese cui appartene-
vano i detti beni in origine. Lo
stesso p. Mansi nel tom. HI, col.
343 e seg. cita un' assemblea te-
nuta in Erbipoli pel ristabilimen-
to della pace in Germania nel
i 1 2 1 ; e dice che non va confusa
con l' altra di cui parla Anselmo
di Gemblac, dappoiché in questa
nulla fu conchiuso, ciò ch'ebbe luo-
go neh' altra.
ERCAVICA, o ERGA VIC A. Cit-
tà vescovile della Spagna Tarra-
gonese, già abitata dai celtiberi ,
al sud di Bilbilis, ed assai una vol-
ta considerabile. Tito Livio, par-
lando della campagna di Gracco ,
dice che Eigavica, città illustre e
possente, cadde in potere di lui.
Strabone la cita come una di quel-
le, il cui territorio fu il teatro del-
la guerra tra Sertorio e Marcello.
Secondo il Morales, Ercavica, che
altri pur chiamarono Ergavico., era
situata tra la città di Cesarea e
quella di Malina, dove scorgesi pre-
sentemente un luogo chiamato Mu-
da di s. Giovanni, nel quale tro-
vansi molte vestigia d'antichità ro-
mane. Queste vestigia sono nel re-
gno d' Aragona, a cinque leghe del-
ERG 27
la città d* Albarazin , o d' Albari-
zin, fre due villaggi chiamati Grie-
gos e Gualatiaz, dove secondo l'an-
tica tradizione del paese, era si-
tuata la città di Ercavica. Si tro-
vava lungi da Segobriga o Arco-
briga, il cui vescovato era soggetto
a quello di Ercavica, ch'eretto nel
sesto secolo venne sottoposto alla
metropoli di Toledo. Erangli pure
soggette le sedi di Compiuto, pre-
sentemente Alcalà di Henares, Si-
guenza, e Falera o Valeria, sog-
gettate poscia a Cuenca. Ervarica
fu distrutta interamente dai mori,
ed il vescovato venne trasferito in
Albarizin, Lobetum, siccome il luo-
go più proprio, ed il più fotte pei
vescovi e pei cristiani, dopo avere
avuto ventisette vescovi. Albarazin
è suffraganea dell' arcivescovo di
Saragozza ; la sua cattedrale è de-
dicata al ss. Salvatore; il capitolo
ha quattro dignità, otto canonici
compreso il penitenziere, e diversi
beneficiati. Un prete esercita ivi
le funzioni di parroco, vi sono pure
nella città due altre parrocchie,
tutte munite di battisterio. L'epi-
scopio è contiguo alla cattedrale;
vi sono quattro monisteri, e con-
venti di religiosi, ed uno di mona-
che, come avvi il seminario, l'ospe-
dale, e il monte di pietà. Ad ogni
nuovo vescovo la mensa è tassata
nei libri della camera apostolica in
fiorini cinquanta.
ERCOLAJNI Luigi, Cardinale.
Luigi Ercolani, discendente da no-
bile famiglia di Sinigaglia, nacque
in Foligno a' 17 ottobre del 1758.
Mandato a Roma da' suoi sino dai
più teneri anni, fu educato nel no-
bile collegio Nazareno dei pp. Sco-
lopi , e compì i suoi studi nella
nobile accademia ecclesiastica , e
quindi continuò a dimorare quasi
*8 ERG
sempre nella medesima città. Seb-
bene egli sia stato l'ultimo super-
stite maschio di sua doviziosa fa-
miglia, nondimeno restò sempre
celibe, e benché secolare fu ognora
più intento alla pietà, che alle cose
mondane. Allorquando nel 1814
felicemente fu ristabilito in Roma
il paterno e soave governo ponti-
ficio, egli per la fiducia e stima
eh* erasi guadagnata, meritamente
fu scelto fra i membri della con-
gregazione di governo temporanea-
mente stabilita, ed ebbe il mini-
stero delle finanze, avendo già fat-
to parte della deputazione delle
medesime finanze al cessare dell'e-
ra repubblicana. Non andò guari,
che, senza percorrere veruna car-
riera prelatizia, Pio VII lo anno-
verò tra i suoi prelati domestici,
e lo promosse alla cospicua carica
di tesoriere generale. Ne funse l'uf-
fizio con zelo, integrità, e con van-
taggio de'luoghi pii, i quali pel cam-
biamento dell'amministrazione stra-
niera, che li avea soppressi , suc-
cessivamente andarono a ripristi-
narsi. Rapida perciò ne fu la pro-
mozione alla sagra porpora; laon-
de Pio VII agli 8 marzo 1816 lo
creò Cardinale diacono, e lo riser-
vò in petto: poscia lo pubblicò nel
concistoro de' 11 luglio del mede-
simo anno. All' articolo Diaconie
Cardinalizie (Vedi), dicemmo co-
me il Cardinale passò all'ordine
presbiterale col titolo di s. Marco,
essendosi ordinato sacerdote. Il me-
desimo Papa, nel 18 18, lo fece ab-
bate commendatario, ed ordinario
dell'abbazia di s. Maria di Farfa,
e di s. Salvatore maggiore. Di que-
sto pastorale governo fa onorata
menzione il eh. monsignor Marino
Marini, nella Serie cronologica di
questi abbati, a pag. 28, e quali-
ERC
fica il nostro Cardinale uomo re-
ligiosissimo, e degli indigenti largo
sovvenitore. Ebbe egli questa ab-
bazia per alcun tempo, prima in
governo, poi in amministrazione, e
dopo di lui fu dal Papa conferita
al Cardinal Cavalchini. Ma questi,
avendola quasi subito abdicata, ven-
ne di nuovo Ercolani destinato a
presiedervi, e la ritenne sino alla
morte. Di questa abbazia il Cardi-
nale fu provvido benefattore, sia col
l'istaurare le chiese, cui fece dono
di suppellettili ed arredi sagri , e
sia col migliorare i fondi delle pa-
niceli i e, facendo rifiorire il semi-
nario di s. Salvatore, coll'incorag-
gi mento accordato ai maestri, e col
mantenervi a sue spese undici gio-
vanetti. Ai suoi diocesani in più.
modi fu utile, ed estese la sua ge-
nerosità persino alla chiesa di s.
Salvatore in Campo di Roma, per-
chè soggetta all'abbazia di Farfa,
operandovi utili ristauri. Fu inol-
tre prefetto dell'economia della sa-
gra congregazione di Propaganda
Fide, e fece parte di quella de' ve-
scovi e regolari, del concilio, della
correzione de' libri della Chiesa o-
rientale, della fabbrica di s. Pie-
tro, di consulta, del buon governo,
della lauretana , e dell' economica.
Eziandio fu visitatore apostolico
dell' arciconfraternita della ss. An-
nunziata , e del monistero de' ss.
Giacomo e Maddalena , non che
con visitatore della pia casa de' ca-
tecumeni. Fra le sue protettone,
nomineremo la benemerita congre-
gazione di s. Ivo, il collegio dei
maroniti, e quello dei caudatari,
le arciconfraternite degli agonizzan-
ti, del ss. Crocefisso, di s. Girola-
mo della carità , del monistero di
s. Orsola di Foligno, delle bene-
dettine di Corneto, e delle cappuc-
ERE
cine di Fabriano ; dell' intero Or-
dine carmelitano ; della congrega-
zione del buon Gesù di Foligno ,
della città di Sinigaglia, di Pergo-
la e di Poggio Mirteto. Fu an-
che grande di Spagna, e gran cro-
ce dell'Ordine della Concezione.
D' animo grande, \isse con decoro
corrispondente alle sue ricchezze ,
e con una carità verso i poveri ,
la quale non avea altri limiti, che
quelli delle proprie forze. Dopo es-
sere intervenuto al conclave per
l'elezione di Leone XII, e di aver
beneficato la sua chiesa titolare, al
modo che dicemmo al voi. XII,
pag. 88 del Dizionario, nonché i
propri famigliali, assalito da una
paralisi, con lenta e dolorosa ma-
lattia finì di vivere a' io dicem-
bre 1825, nell'età di sessantotto
anni, e fu deposto in mezzo alla
detta chiesa titolare, con corrispon-
dente e decorosa iscrizione di elo-
gio.
EREDIO (di s.) Elia, Cardina-
le. Elia di s. Eredio volgarmente
saint Yrieix, nacque in Attano, og-
gidì s. Aredio nel Limosino, e pro-
fessò nell'Ordine di s. Benedetto .
Nel i335 divenne abbate di s.
Fiorenzo, nella diocesi di Samur,
e ricevette la laurea nel diritto ca-
nonico. Ma spinto dal desiderio di
condurre una vita più austera, co-
me scrivono parecchi autori , ab-
bracciò l'Ordine minoritico, presso il
quale così si distinse nella più pro-
vetta virtù, che il Papa Clemente
VI, nel i345, lo promosse al ve-
scovado di Uzes. Non mancano pe-
rò scrittori, tra' quali Giorgio Eggs,
nel Supplemento alla porpora dot-
ta, i quali dimostrano con forti
prove non esser vero quel passag-
gio dalla benedettina alla france-
scana famiglia ; e il Baluzio nelle
ERE 29
Note alle vite de' Papi di Avigno-
ne, t. I, tacendo questo fatto, scri-
ve che il monaco Elia fu uditore
delle contraddette. Nel novembre
del 1 35 1 trovossi presente al con-
cilio provinciale celebrato nella cat-
tedrale di Beziers dal Cardinale
Pietro del Giudice, arcivescovo di
Narbona. Fu promosso quindi al
Cardinalato in Avignone da Inno-
cenzo VI a' 19 dicembre del i356,
e gli fu assegnato il titolo di s.
Stefano in Montecelio. Da questo
però, nel 1 363, dopo la morte del
Cardinal Alberti, passò al vesco-
vado di Ostia e di Velletri. Fu an-
che in seguito designato coi Car-
dinali deputati a giudicare la cau-
sa di Riccardo, arcivescovo di Ar-
ni acano, contro i frati mendicanti.
Innocenzo VI gli diede eziandio la
commissione di esaminare la con-
troversia insorta tra il vescovo di
Valence e Aimaro conte di Poi-
tiers, a cagione del castello di di-
sta. Così pure Urbano V lo de-
stinò giudice della quistione, che
allora si agitava tra il capitolo del-
la cattedrale di Parigi , e quello
della collegiata di s. Benedetto.
Pose fine alla mortale carriera in
Avignone, l'anno 1367, e in quella
cattedrale ebbe la tomba. Scris-
se alcune opere, di cui al presente
non si ha memoria alcuna : anzi
da molti scrittori vengono piutto-
sto attribuite al Cardinale Elia di
Nabilan {Vedi).
EREMBERTO (s.). Nacque s.
Eremberto nel contado di Poissy,
e sentitosi chiamato allo stato mo-
nastico andò a ricoverarsi nel con-
vento di Fontenelle. Clotario UT,
informato della santità e dottrina
di Eremberto, lo propose alla sede
vescovile di Tolosa. Obbedì egli
contro sua voglia , e resse quella
la eri:
diocesi con saggio ed edificante
governo pel corso di anni dodici ,
in capo ai quali, attesa la sua vec-
chiaia e i molli acciacchi, non po-
tendo più attivamente disimpegna-
re il gelosissimo incarico, si dimi-
se spontaneo, e tornò di bel nuo-
vo al suo monistero, sotto la di-
rezione di s. Lamberto, successo a
s. Vandrillo. Morì santamente verso
Tanno 671, e la sua festa è asse-
gnata a' 14 maggio.
EREMITA (Eremita, Anacho-
reta, vir solitarius). L'eremita è un
uomo divoto, che si è ritirato nel-
la solitudine, per meglio dedicarsi
a Dio , attendere alla orazione, ed
alla contemplazione delle cose ce-
lesti, ed ivi vivere lontano dal con-
versare del mondo. Eremita è voce
greca, che significa solitario. Si di-
stingue T eremita dall' Anacoreta
(Vedi), perchè questi discostandosi
dalia conversazione umana, vive so-
litario nei deserti, cibandosi di er-
be, o altri prodotti e fruiti della
terra, ad imitazione di s. Giovanni
Battista. Anacoreta poi si chiama
colui, che nel proprio monistero
vive separato dagli altri monaci
chiusi nella cella, come sono, al
dire del Macri, i camaldolesi ere-
miti, ed i certosini. I maroniti li
chiamano Habis, che significa im-
prigionato. Appresso di essi vi sono
anche vescovi , che nei monisteri
fanno vita da anacoreti, chiusi, e
separati dagli altri monaci, e vi-
vono in perpetuo silenzio. Il Mu-
ratori, nelle Dissert. sopra le an-
tichità Italiane, nella dissero LXV,
sull'erezione de' monisteri , e del-
l'istituto de' monaci, dice che una
volta furono rinomati anche gì'//*-
chiusi, cioè gli eremiti antichi , la
vita austera de' quali si tirava die-
tro l'ammirazione d'ognuno. E fu
ERE
dopo il terzo secolo della Chiesa, che
cominciarono a vedersi uomini di
tal pietà, che si confinavano nel
recinto di una Cella (I ''etli), dove
senza uscirne giammai menavano
il resto della vita, superando coloro
che si chiamavano anacoreti. Du-
ro questa sorte di monaci per più
secoli, e quantunque da Cassiano,
e da s. Isidoro non sia approvato
l'istituto loro, pure dal popolo ris-
cuotevano una gran venerazione.
Tali si possono chiamare anche gli
stiliti, famosi in oriente. Trovatisi
ancora vergini e donne, che chiu-
se in qualche cella , seguitarono
questa maniera di vivere. V. Ere-
mo, e Disciplina Regolare.
Alcuni fanno rimontar l'origine
della vita eremitica sino ad Elia,
ed a s. Gio. Battista. Però l' opi-
nione più comune è che s. Paolo
primo eremita, nativo della bassa
Tebaide, fosse il padre, ed il pri-
mo degli eremiti. Le persecuzioni
contro i seguaci del vangelo die-
dero occasione ai primi cristiani
d'ambo i sessi, di ritirarsi nei de-
serti tanto per evitare le crudeltà
dei tiranni, quanto per praticarvi
gli esercizi della vita Asceta, o A'
scetica (Vedi). Che la vita solita-
ria e monastica venisse introdotta
nella Chiesa sino dai suoi primi
tempi, lo si legge nel Ruinart, Atti
sinceri de martiri. Che poi lo stato
eremitico sia eccellente in sé stesso,
lo abbiamo dagli scritti de' santi
padri pieni di elogi su questo pun-
to. Parecchi fra loro vi hanno pas-
sato una parte della loro vita, ed
ingiustamente gli eretici la condan-
nano, come dimostra il Bergier al-
la voce Eremita. Egli dice : « alla
parola Anacoreta abbiamo fatto
1' apologia della vita solitaria , ov-
vero eremitica, e contro la stolta
ERE
censura dei filosofi increduli, mo-
strammo, che un tal genere di vi-
ta non è un effetto di misantro-
pia, ne una violazione dei doveri
della società e dell'umanità, ne un
esempio inutile al mondo, e con-
futammo i tratti satirici lanciati dai
protestanti contro gli eremiti ".
Forse alcuni scelsero questo gene-
re di vita per non essere dipen-
denti, altri per nascondere il liber-
tinaggio col velo della pietà; ma
questi abusi non sono giammai stali
comuni , ed assai ingiustamente gli
increduli ne accusano i solitari in
generale. Gli antichi storici, ed an-
che i romanzieri parlano con ve-
nerazione degli eremiti ; compren-
devasi che se non ne fosse stata
sincera la pietà , non avrebbero
perseverato lungo tempo nella vita
austera , che avevano intrapreso.
Tra gli stessi protestanti si forma-
rono alcune società, che, tranne il
celibato, hanno molta rassomiglian-
za colla vita degli antichi cenobi-
ti: tali sono gli emuli, o ernute-
rii , setta di entusiasti introdotta
negli ultimi tempi nella Moravia ,
nella Veteravia, nell'Olanda e nel-
T Inghilterra, conosciuti sotto il no-
me di fratelli moravi.
Si distinguono due sorta di ere-
miti ', gli uni sono attaccati a qual-
che regola appartenente alla Chie-
sa, e vivono sotto un legittimo su-
periore ; gli altri non lo sono , e
portano solamente l'abito, che pos-
sono dimettere quando loro piace.
I primi eremiti sono veri religiosi,
e godono dei privilegi propri del
elencato ; gli altri non lo sono, e
perciò non lì godono. Di questi
ultimi ve ne sono nelle chiese sub-
urbane di Roma, e in qualche
chiesa di titolo, o diaconia cardi-
nalizia, poste ne'rimoti luoghi del-
3ERE 3r
la città, i quali hanno la custodia
di dette chiese, incedono in abito
religioso di lana naturale, vivono
di questue, ed oltre che dai supe-
riori delle rispettive chiese, sono
dipendenti dal Cardinal vicario.
Qui appresso riporteremo i prin-
cipali Ordini , e congregazioni di
eremiti, secondo l'epoca de' tempi,
in cui furono istituiti, i quali però
nella maggior parte più non esi-
stono.
Eremiti di s. Paolo. V. S. Pao-
lo rumo eremita, Ordine religioso.
Eremiti di Monte Luco. Rac-
conta il Bonanni , Catalogo degli
Ordini religiosi, par. HI, pag. IX,
che in un monte poco distante dal-
la città di Spoleto, chiamato Mon-
te Luco, vivono alcuni eremiti, i
quali riconoscono la loro istituzio-
ne da s. Giovanni di Antiochia.
Questi si recò in Italia, fu creato
vescovo di Spoleto dal Pontefice s.
Caio, e patì il martirio sotto Mas-
simiano 1' anno 3o4- Ciascuno di
questi eremiti vive ritirato in sepa-
rate celle, come gli eremi de' ca-
maldolesi. Riconoscono però, e di-
pendono da un capo chiamato il
priore, che eleggesi ogni anno con
voti segreti : vi sono sacerdoti e
laici, i primi chiamati padri, i se-
condi frali. Però tali eremiti pel-
le vicende de' tempi, terminarono
di esistere nel secolo decorso. L'a-
bito nella forma partecipava di
quello dei paololti, ed il colore era
cannella scuro. Dopo averlo preso
facevano un anno di noviziato, in-
di erano ammessi nella congrega-
zione senza voli , onde potevano
ritirarsi, od essere licenziati. Si e-
sercitavano negli esercizi spirituali
e manuali ; potevano possedere be-
ni stabili, e quanto raccoglievano
dai benefattori ponevasi in comu-
39. ERE
«e. Alcuni di questi eremili anda-
vano scalzi , altri usavano scarpe
o zoccoli, e fuori del romitorio
portavano il cappello , il bastone
e la sporta, come si vede nella fi-
gura, che produce il Bonanni. Di
questi religiosi si leggono le noti-
zie storiche nel Jacobilli nella vita
di s. Francesco di Paola, nel Leon-
cilli, e nel Campelli nella storia di
Spoleto. Ma da ultimo, nel i836,
vennero compendiate dottamente
nell' Orazione accademica illustra-
ta con erudite notte, e detta per
la solenne distribuzione de' premi
dell' arcivescovile seminario Spole-
tino. Ivi, a pag. 22, si legge che
negl'impuri boschi, e ne' delubri
del monte Luco, mercè i Benedet-
ti e gl'Isacchi, ebbero culla i ce-
nobiti di occidente. Si celebrano i
superstiti eremi, e pel primo quel-
lo maggiore di Nostra Signora del-
le grazie, eretto dal vescovo di
Spoleto Sanvitale, e dal Cardinal
Cibo abbellito; cosi si parla del
luogo prescelto a sua dimora da
s. Isacco e suoi compagni e con-
sorti nel martirio, che patirono
sotto Domiziano e Massimiano. Si
descrive il cenobio di s. Giuliano,
la cui chiesa vuoisi uno de'migliori
monumenti dell'architettura più re-
mota del medio evo. Essa fu eretta da
un altro s. Isacco, abbate coetaneo di
8. Benedetto, colla sovvenzione del-
la santa vergine Spoletina Grego-
ria. Ivi dicesi essere questo santo
l' istitutore di quella schiera av-
venturosa di santi eremiti, che po-
polarono i romitori del monte Lu-
co. I cenobiti di s. Giuliano adot-
tarono poscia la regola benedettina,
e con essa fiorirono per lunga età,
ed ebbero santissimi abbati e mo-
naci sepolti in detta chiesa, mentre
le ceneri di s. Isacco riposano in
ERE
quella di s. Ansano. S. Isacco vuoi-
si scrittore di monastiche regole
pei cenobiti del monte Luco. Negli
eremi pur eretti con austeri ordi-
namenti, rinnovati dal celebre Vi-
gile vescovo di Spoleto, fiorirono
romiti di provata santità, tra'quali
fra Egidio di Gregorio da Spole-
to, e il b. Gregorio di s. Brizio,
che oggi si venera in un altare
dedicatogli nella metropolitana spo-
letina.
Eremiti di s. Agostino. V. Ago-
stiniani O EREMITI DI S. AGOSTINO,
ED AGOSTINIANI SCALZI.
Eremiti Camaldolesi di Tosca-
na. V. voi. VI, pag. 297 del Di-
zionario s tuttora esistenti.
Eremiti fondati da s. Guglielmo
di Vercelli. V. Monte Vergine,
tuttora esistenti.
Eremiti fondati da s. Gugliel-
mo. V. Guglielmiti.
Eremiti di Monte Bello. V. Gi-
rolamini fondati dal b. Pietro Gam-
bacorta, tuttora esistenti.
Eremiti Girolamini. V. Girola-
mini istituiti nel secolo XV in Fie-
sole. V. Girolamini di Fiesole, non
più. esistenti.
Eremiti Camaldolesi di Monte-
Corona. V. voi. VI, pag. 3oi del
Dizionario, tuttora esistenti.
Eremiti detti Coloriti. 11 p. Fi-
lippo Bonanni gesuita, nella sua
parte I del Catalogo degli Ordini
religiosi, a pag. CXXXVII, tratta
dell' eremita religioso detto colori-
to, e ce ne dà la figura e le no-
tizie. Racconta egli, che nel regno
di Napoli eravi un Ordine reli-
gioso, il quale si chiamava de' co-
loriti da un colle di Calabria, co-
si detto, situato presso la terra di
Morano nella diocesi di Cassano,
sul qual colle era un'antica e di-
vota chiesa, dedicata alla gran Ma-
ERE
dre di Dio. Un pio sacerdote, chia-
mato Bernardo, nativo della terra
di Regiano, fabbricò presso tal chie-
sa un piccolo tugurio, dove, ve-
stito un abito aspro di eremita,
viveva in continue orazioni e peni-
tenze, e venerato da tutti quelli
che visitavano la chiesa. Perciò al-
cuni furono allettati a vivere seco
lui, e quindi la principessa di Bi-
signano donò loro, nel i552, il
colle con tutto il territorio.
Questa concessione, venendo con*
fermata da Pio IV, nel i56o, si
accrebbe in essa il numero degli e-
remiti. Avendo poi ordinato s. Pio
V, nel 1567, che tutti quelli i
quali vestivano abiti differenti dai
secolari, o li lasciassero o profes-
sassero i voti religiosi, questi ere-
miti elessero di vivere sotto la re-
gola degli eremiti di s. Agostino;
il perchè nel 1592 professarono
pubblici voti, ritenendo però il
nome di coloriti, e l'abito, eh' è
una tonaca, un cappuccio largo e
• tondo, sopra del quale usavano un
mantello corto, il tutto rozzo, e di
lana dei colore naturale , come di
lana era la cintura. Volle però
monsignor Fivizano, allora vicario
generale dell' Ordine romitano di
s. Agostino, che portassero sotto
la cintura di lana quella di cuoio
propria degli eremiti agostiniani,
e che gli oblati la portassero sul-
la tonaca. Questa congregazione con-
fermata da Clemente Vili, si dilatò
in guisa che nei primi del secolo de-
corso contava undici conventi, go-
vernati da un superiore col titolo
di vicario generale. La vita di fr.
Bernardo fondatore di questi ere-
miti, nel 16 io fu pubblicata colle
stampe da Gio. Leonardo Tufa-
rello.
Eremiti di .9. Giovanni della
VOL. XXII.
ERE 33
penitenza. Nel regno di Navarra,
e principalmente presso la città
di Pamplona, fiori questa congre-
gazione religiosa, distribuita, come
riferisce il Maurolico, in cinque
eremi, in ciascuno de' quali vive-
vano otto eremiti . Il primo si
chiamava di san Clemente , il
secondo della Madonna di Mon-
serrato, il terzo di s. Bartolom-
meo, il quarto di san Martino,
l'ultimo di s. Fulgenzio. Vivevano
con molta austerità, camminavano
con piedi nudi, vestivano con pa-
no grosso di lana, osservavano con-
tinuo silenzio, cibavansi di legumi,
e bevevano acqua; si disciplinava-
no tre volte la settimana, ed ogni
giorno nella quaresima ; dormivano
sulle nude tavole , e portavano
sempre pendente dal collo una cro-
ce di legno assai pesante. La to-
naca , che cingevano attorno ai
lombi con cintura di pelle, era di
colore lionato, come il corto man-
tello, il quale ne cuopriva le spal-
le. Fiorì questa congregazione di
penitenti per molti anni soggetta
al vescovo di Pamplona; ma reca-
tosi in Roma il superiore, ottenne
da Gregorio XIII l' approvazione
delle costituzioni, e l'esenzione dalla
giurisdizione vescovile, oltre la fa-
coltà di eleggere un provinciale da
cui tutti gli eremiti fossero gover-
nati. V. il p. Bonanni, Catalogo
degli Ordini religiosi, parte I, pag.
CXXIII, ove pure ce ne dà la fi-
gura. Tratta di questi eremiti an-
che il Bergier, al proprio articolo.
Eremiti di Roma. Narra il Fa-
nucci, nelle Opere pie di Roma,
che un certo Albenzio Rossi cala-
brese, della terra di Cedraro, dopo
avere per lungo tempo cercata l'e-
lemosina per l'arciconfraternita del-
la Carità dei cortigiani, e per le
3
34 ERE
zitelle del Conservatorio di s. Ca-
ieri fid. dt Fu nari (ledi), fondò coi
soccorsi di pii benefattori in Ro-
ma, e presso la porta Angelica nel-
la città Leonina, un piccolo ospe-
dale. Quivi egli riceveva i poveri
romiti forestieri per alloggiarli , e
prmcipalmente assisterli se infermi.
Ad aiuto di questa opera elesse
de' compagni , i quali cercassero
l'elemosina, dicendo con voce alla:
Facciamo bene adesso che abbia-
mo tempo. Vestivano panno grosso
di lana bianca, ed incedevano per
Roma co' piedi scalzi , e col cap-
pello in una mano, tenendo nell'al-
tra la bussolelta per ricevere l'ele-
mosine. Appresso 1 l'ospizio, o speda-
le, eravi una piccola chiesa dedi-
cata all' Ascensione del Signore ,
nella quale il fondatore di questi
eremili co' compagni, recitava le
litanie con altre orazioni. Il Paa-
ciroli dice, che la chiesa con ap-
provazione di Sisto V, fu fabbri-
cata nel 1 588. La loro congrega-
zione, che sembra incominciata nel
i588, successivamente si aumentò
senza professare voti religiosi, per
cui molti individui presero l'abito
eremitico. Nella chiesa Albenzio po-
se una divota immagine della b.
Vergine, la quale nel 1587 avea
portato da Terra santa, e pei mi-
racoli e per le grazie, che Dio ope-
rava a favore di quanti con divo-
zione ad essa ricorrevano, prese la
denominazione di s. Maria o Ma-
donna delle Grazie, e pel concor-
so, e per 1' elargizione dei fedeli ,
massime del Cardinal Laute, si po-
tè edificare la bella chiesa, che tut-
tora sussiste , rimanendo sempre
l'immagine in particolar venera-
zione. Perchè poi rimanesse la me-
moria dell'antico titolo della chie-
sa , Albenzio le dedicò la prima
ERE
cappella, eh' è sagra nll'AsceiiMcnc.
Gli eremiti vivevano sotto la pro-
tezione di un Cardinale con vita
comune, dando ogni giorno da
mangiare a tredici poveri, secondo
l'istituzione del fondatore. Celebra-
vano la festa dell'Ascensione, e quel-
la della beata Vergine agli 1 1 giu-
gno, perchè in tal giorno nell'an-
no 16 18 fu per la prima volta
esposta alla pubblica venerazione ,
ovvero perchè fece il primo mira-
colo. L'abito adottato poscia da
questi eremiti, è, come si vede
nella figura riportata dal p. Bo-
nanni, nel Catalogo degli Ordini
religiosi, par. 111. pag. XIV, ove
riferisce le notizie di essi. Consiste-
va in abito di tela grossa bianca
corto, mantello pure corto, cap-
pello bianco. Siccome poi non por-
tai ano calze, usavano scarpe o
sandali , come scrive il Piazza ,
Opere pie di Roma _, pag. 35,
capo X Dello spedale dell' 'Ascen-
sione de' romiti a porta Angelica.
Questo scrittore aggiunge, che Cle-
mente X collocò in una parie del
convento dei romiti un ospizio pei
convertendi (Vedi), eie è per quelli
che recavansi in Roma ad abiura-
re gli scismi e le eresie, avendo
contribuito a sì lodevole impresa
il Cardinal Cesare Rasponi coli' e-
redità a tal effetto lasciata. In pro-
gresso di tempo l' ospizio venne
trasferito ove ora sta , presso la
chiesa di s. Giacomo Scossacavalli
in Borgo. Cessando poi di esistere
gli eremiti, in vece la chiesa ed il
contiguo convento si diedero ai re-
ligiosi della Penitenza (Vedi), delti
degli Scalzetti, dopo la metà del
secolo decorso. A detto articolo si
riparlerà della Chiesa di s. Maria
delle Grazie.
Eremiti di monte Senario. Nel-
ERE
l'anno 150,3, Lelio Baglioni fioren-
tino, generale dell'Ordine de' servi
di Maria, vedendo che nel monte
Settario, ove ebbe principio la sua
religione, e dove erano sepolti i
corpi dei beali fondatori, abitavano
in luogo angusto tre suoi religiosi,
determinò di fabbricarvi dappresso
una chiesa, con decoroso convento.
All'uopo ottenne, nel 1 601, da Cle-
mente Vili, mediante la bolla De-
cet, facoltà di porre ad effetto il
suo desiderio, che eseguì a tenore
della pontificia prescrizione . Nel
nuovo convento pose sette sacerdoti
con alcuni laici, i quali vivessero
conforme alla primitiva fondazione,
non mangiassero mai carne, digiu-
nassero ogni seconda e quarta feria
dell' anno e il venerdì , ma nella
quaresima ed avvento il digiuno
di tali tre giorni fosse di pane ed
acqua ; come ancora prescrisse, che
vivessero in perfetta vita comune.
Questo eremo venne dichiarato a-
derente al convento di Firenze, det-
to della ss. Annunziata, e soggetto
al generale dell' Ordine. Dipoi il
medesimo Clemente Vili, colla bol-
la In his rebus, confermò la pre-
cedente, ed ordinò che tra gli e-
remili fosse eletto un vicario, auto-
rizzandolo ad accordare agli infermi
di mangiar carne. Indi Paolo V ag-
giunse col disposto della bolla Se-
dis Apostolicae, emanata nel 16 12,
la facoltà di accettare i novizi, miti-
gando il digiuno in pane ed acqua
nel mercoledì. Questi eremiti ve-
stivano di panno nero, con to-
naca, pazienza e cappuccio , con
un mantello lungo, e colla barba
come i cappuccini. Michele Fioren-
tino, ed altri storici de Serviti {Ve-
di), descrissero questo eremo, ed
i religiosi eremiti, non che il p. Bo-
natini, Catalogo degli Ordini religio-
ÌLKE 35
si, p. I, pag. CXXV1I, ove ne riporta
anche la figura. Tali eremiti cessa-
rono di esistere nel decorso secolo
EREMO (Eremiti). Luogo solita-
rio e deserto , soliludo, focus de-
serlus , dove abitano gli Eremiti
[Fedi). Pigliossi ancora sovente il
nome di eremo per solitudine, o
deserto renoso, ed ancora si chiamò
eremitaggio o remilaggio, ed anco ere-
mitorio e romitorio. Anticamente gli
eremi erano in luoghi incolti e sel-
vaggi, o anche nel più folto o nel
più cupo delle foreste meno frequen-
tale. I solitari, che vi si ritiravano,
non crede vansi mai abbastanza lonta-
ni dal commercio degli uomini; ma
la fama delle loro virtù si spar-
geva loro malgrado, e procurava
ad essi a poco a poco ammiratori,
di voti e discepoli, co'quali talvolta
edificarono un monistero {Vedi) ,
coltivavano e mettevano a frutto
i terreni che trovavano all'intorno,
o anche diboscavano le foreste vi-
cine. Perciò siffatti diboscamenti, e
bonificazioni agricole furono soven-
te cagione, che vicino a quegli e-
remi primitivi si riunissero abita-
tori, e formassero borghi e città.
Loda la solitudine, ne dimostra i
pregi con opportuni testi, massime
di s. Bernardo de laudibus eremi,
il Sarnelli nella lettera XLV1I ,
Dell'amore della solitudine, nel t.
VII delle sue lettere ecclesiastiche.
Dal p. Menochio, Stuore, tom. I, p.
604, abbiamo il cap. LVIII, del
Monserrato di Spagna, dell'imma-
gine di Nostra Signora, che quivi
si venera , e degli eremiti, che spar-
latamente abitano in quel monte.
Degli eremiti , e della loro varia
condizione, e tenore di vita, eru-
ditamente tratta il Garampi nella
dissertazione III delle sue Memorie
ecclesiastiche.
36 ERE
Narra il Sarnclli, loc. cit., che il
celebre gesuita Toledo procurò in-
darno presso Clemente Vili, che
l'avea creato Cardinale, di rinun-
ziare a tal dignità per ritirarsi in
luogo solitario, e gliene scrisse os-
sequiosissima lettera. Il Papa, che
non voleva privare il sagro Colle-
gio d'un uomo sì dotto e santo,
lo fece chiamare e gli disse , che
Dio voleva, che non lasciasse il suo
uffizio; e licenziandolo, sorriden-
do, soggiunse che insieme andreb-
bono al deserto. Dalla solitudine
di Majella nell'Abruzzo, fu tolto s.
Celestino V, e collocato nella cat-
tedra apostolica, ma per tornare ad
essa, passati cinque mesi ed otto
giorni , rinunziò solennemente al
pontificato. E mentre Amadeo III,
ultimo conte, e primo duca di Sa-
voja, rinunziati i suoi stati, viveva
nel romitaggio di Ripaglia, dagli
scismatici del conciliabolo di Basi-
lea fu eletto in antipapa col nome
di Felice V, che poscia virtuosa-
mente rinunziò per la pace della
Chiesa. Del tempo in cui Amadeo
stette nel romitaggio, e del tenore
di vita ivi tenuto, parla nell'Isto-
ria degli antipapi Lodovico Agnel-
lo Anastasio, t. II, p. 2g5 e seg.
Al presente gli eremi regolari so-
no quelli degli eremili camaldolesi,
come quello sopra Frascati, onorato
dalla presenza di vari sovrani, e
Cardinali, e da Benedetto XIV, lo
è ogni anno dal regnante Grego-
rio XVI. In quest'eremo, come nar-
ra il Cardella nel t. VII, p. i42>
nel 1666 fu tenuto un capitolo ge-
nerale, composto di tutte le con-
gregazioni dei camaldolesi, e pre-
sieduto dal protettore di essi Car-
dinal Volunnio Bandinelli.
ERESIA (Heresìs). Questa pa-
rola greca, che al presente prende-
ERE
si in mala parte, e che significa
un errore pertinace contro la tede,
non che i falsi e perversi domini
e le opinioni contro il cattolicismo,
in origine indicava una scelta, un
partito, una setta buona o cattiva.
Tale è il senso del greco hacresis,
derivato da aeromai, prendo, scel-
go, abbraccio. Dice vasi eresia pe-
ripatetica, eresia stoica per indicare
le sette di Aristotile e di Zenone ; e
i filosofi appellavano eresia cristia-
na la religione insegnata da Gesù
Cristo. L'apostolo s. Paolo dichiara,
che nel giudaismo avea seguito L'e-
resia farisea, che fra gli ebrei era
in pregio più di qualunque altra.
Veramente, se eresia avesse allora
significato un errore, questo nome for-
se sarebbe convenuto più alla setta dei
sadducei, che a quella de'farisei. An-
che il Macri, nella Not. de vocab.
eccl. , dice che questo nome tal-
volta fu preso in buon senso dagli
scrittori ecclesiastici. Sinesio chiamò
Haeresim la filosofia; e Costantino
imperatore servissi di questo voca-
bolo per dinotare la religione cri-
stiana, la quale Tertulliano ancora
in buon senso chiamò divinavi se-
ctam, de pali. cap. ult. L'eresia si
definisce pertanto un errore volon-
tario e pertinace contro qualche
domma di fede. Altri la definisco-
no un errore volontario ed ostina-
to di un cristiano, riguardante una
o più verità cattoliche, vale a dire
verità rivelate da Dio, e proposte
come tali ai cristiani dalla Chiesa.
Quelli che vogliono scusare questo
delitto, domandano come si possa
giudicare se un errore sia volontario
od involontario, colpevole od in-
nocente, se proceda da una pas-
sione viziosa, piuttosto che da una
mancanza di lume. Ecco come ri-
sponde il Bergiei ; i.°Che come la
ERE
dottrina cristiana è rivelata da Dio,
è una colpa voler conoscerla da
se stessi, e non per mezzo di quel-
li, cui Dio ha stabilito per inse-
gnarla ; che voler scegliere una o-
pinione per formarne undomma, è
ribellarsi contro l'autorità di Dio;
2.0 Poiché Dio ha stabilito la Chie-
sa, od il corpo dei pastori per am-
maestrare i fedeli; quando la Chie-
sa ha parlato, è un orgoglio perti-
nace per parte nostra resistere al-
la di lei decisione, e preferire i
nostri lumi ai suoi ; 3.° La passio-
ne, che ha guidato i capi di setta
e i loro partigiani, si è manifesta-
ta dalla loro condotta, e dai mez-
zi che hanno adoperato per istabi-
lire le loro opinioni. Aggiunge il
Bergier, che Bayle definendo un
Eresiarca (Vedi), suppone, che si
possa abbracciare una opinione fal-
sa per orgoglio, per ambizione di
essere capo di partito, per gelosia,
e per odio contro un antagonista, ec.
e lo pruova colle parole di s. Pao-
lo. Un errore asserito per tali mo-
tivi certamente è volontario e col-
pevole. Non può dirsi Eretico (Ve-
di) colui che sostiene una cosa
contraria alla decisione della Chie-
sa, allorquando la sostiene in buo-
na fede e per ignoranza. I teologi
fanno varie distinzioni sulla eresia,
come la formale, la materiale, e
l'obbiettiva. La formale è quella di
sopra accennata, vale a dire l'asse-
rire una proposizione contraria alla
fede, e questa ha tutti i caratteri op-
posti a quella materiale, ed è in
questo senso la massima .fuori del-
la chiesa non vi è salute. La ma-
teriale ha per oggetto una cosa
contraria alla fede, che non si sa
essere tale, per conseguenza, senza
pertinacia, e colla sincera disposi-
zione di sottomettersi al giudizio
ERE 37
della Chiesa (Vedi). L'obbiettiva è
pure contraria alla fede, sia che si
conosca tale, o che non si conosca.
I medesimi teologi dividono altresì
l'eresia formale, in eresia mentale,
o puramente interna, la quale non
apparisce esternamente, ed in ester-
na che si manifesta colle parole,
o per qualche altro segno.
Iddio permise, che vi fossero e-
resie sino dal principio del cristia-
nesimo, e nel tempo in cui ancora
vivevano gli apostoli, ad oggetto di
convincerci che l'Evangelio non si è
stabilito nelle tenebre, ma nella
luce; che gli apostoli non sempre
ebbero uditori docili, ma spesso
trovarono di quelli eh' erano di-
sposti a contraddirli; che se avessero
narrati fatti falsi, dubbi, o soggetti a
disputa, non avrebbero mancato di
confutarli, e convincerli d'impostura.
Gli stessi apostoli se ne querelarono,
dicendo ch'erano contraddetti dagli
eretici sopra i donimi (Vedi), e non
sui fatti. Scrivendo s. Paolo a'Co-
rinti, I, Cor., v. 19, disse loro: E
necessario che vi sieno delle eresie,
affinchè si conoscano quelli, la cui
fede è messa alla prova. Come le
persecuzioni servirono a distingue-
re i cristiani veracemente attaccati
alla loro religione, dalle anime de-
boli e di virtù vacillante ; così le
eresie separano gli spiriti leggeri
da quelli che sono costanti nella
loro fede; tanto riflette Tertulliano.
Per altro era d'uopo che la Chiesa
fosse travagliata, perchè si conoscesse
la sapienza e la solidità del sistema
che Gesù Cristo avea stabilito af-
fine di perpetuare la sua dottrina.
Era cosa buona, che i pastori in-
caricati d'insegnare, fossero obbli-
gati a fissar sempre i loro sguardi
suir antichità, consultare i monu-
menti, ricominciare senza iuterru-
36 ERE
zione la serie della tradizione, non
istaucar.si d'invigilare sul deposito
della tede, ed essere stati costretti
a farlo pei continui assalti degli
eretici. Senza le dispute degli ultimi
secoli, dice il Bergier, forse sarem-
mo ancora immersi nello stesso
sonno, che i nostri padri: dopo la
turbolenza delle guerre civili la
Chiesa suol fare conquiste. Qualo-
ra gl'increduli vollero fare un sog-
getto di scandalo della moltitudine
di eresie, di cui fa menzione la
storia ecclesiastica, non videro: i.°
che la stessa eresia per ordinario
si è divisa in molte sette, e alcu-
ne volte ebbe dieci o dodici no-
mi diversi; cosi fu de'gnostici, dei
manichei, degli ariani, degli euti-
chiani, e dei protestanti; i.° che
l'eresie degli ultimi secoli furono
una ripetizione degli antichi errori,
come i nuovi sistemi di filosofia
non sono che le visioni degli anti-
chi filosofi; 3.° che gl'increduli
stessi sono divisi in diversi partiti,
e non fanno che copiare le obbie-
zioni degli antichi nemici del cri-
stianesimo.
Si osserva, che nel secolo de-
cimo la divina Provvidenza dispo-
se, che poche eresie turbassero la
pace della Chiesa, in un tempo,
che per la rozzezza, e sterilità del
bene , e per l' abbondanza della
malvagità , fu appellato il secolo
di ferro, di piombo ed oscuro. La
cattedra romana ne andò sempre
esente, ed illibato si conserva il suo
splendore, dappoiché, come dice il
ven. Bellarmino, praefat. in lib. de
Rom. Pont., » il Pontificato roma-
>» no, non già nel consiglio urna-
« no, non nella prudenza, non nel-
" le forze per tanto tempo si è
»» conservato , ma perchè questa
• pietra è dal Signore siffattameu-
ERE
» te rinforzata, divinamente pian-
« tata, dalla custodia degli angeli
*> circondata, e dalla Mugolar prov-
» videnza e protezione di Dio mu-
» Dita siffattamente, che le porte
»» dell' inferno in ni un modo po-
» Iranno prevalere contro di essa;
« e queste porte vengono figurate
» per le persecuzioni de' tiranni, o
»> per la rabbia degli eretici, o pel
» furore degli scismatici, o per la
« scelleraggine e malvagità degli
» uomini ". Imi in uri-abili sono le
provvidenze prese dai romani Pon-
tefici contro le eresie, ed i concili
che furono perciò celebrati, come la
istituzione della Congregazione del-
la santa romana ed universale in-
quisizione, detta del s. Off/zio (Fe-
di), principalmente preposta alla
estirpazione delle eresie, che sono
di grave danno pei fedeli e per
la Chiesa. Fu il Papa Giulio HI,
che pubblicò una bolla contro i
secolari , i quali s' intromettessero
nel conoscere i punti di eresia ; ed
allora il senato veneto ordinò, che
nei domimi della repubblica , agli
inquisitori ecclesiastici fossero ag-
giunti de' secolari. Prima di Giulio
III, già il predecessore Alessandro
IV, de haeret. in sexlo, aveva proi-
bito a qualunque persona laica,
sotto pena della scomunica, di dis-
putare sulle eresie. V. il Bernini
a pag. 449> cne «porta le disposi-
zioni di Alessandro IV contro gli
eretici.
11 p. Menochio poi, nel tomo I
delle sue Stuore, a pag. 586, ci dà
il cap. XLV Come s'intendono quel-
le parole che la Chiesa dice nel-
lojfizio della beata Vergine : Gau-
de, Maria Virgo, cunctas haercses
sola interemisti iu universo mundo.
Fra le ragioni che riporta , note-
remo essere stata la Madre di
ERE
Quello, clie ha scacciato le tene-
bre di tutti gli errori, quale mae-
stra degli apostoli, la dottrina dei
quali getta a terra tutte le eresie;
e perchè ha dato particolare aiuto
a coloro, che sono stati i campioni
della fede, e si sono opposti all'e-
retica perfìdia. I protestanti soven-
te accusarono gli autori ecclesiasti-
ci, che fecero il catalogo delle e-
resie, come Teodoreto, s. Epifanio,
s. Agostino, Filastrio,ec. di averle
moltiplicate mal a proposito, di
avere messo fra gli errori alcune
opinioni ortodosse od innocenti ;
ma i nemici della Chiesa cattolica
sono cattivi giudici in materia di
dottrina. Parecchi autori posteriori
fecero la storia e il novero delle
eresie, fra' quali faremo menzione
di due. Domenico Bernini ci diede
l' Istoria di tutte l'eresie, che com-
pendiata ed accresciuta da Giusep-
pe Lancisi , venne per la prima
volta pubblicata in Venezia nel
1737, coi tipi del Salviati. L'altra
è dell'abbate Pluquet, che compilò
il Dizionario delle eresie, degli er-
rori e degli scismi, che va sotto
il nome di Tommaso Antonio Con-
tin C. R., per aver tradotta l'opera
dal francese, ed accresciuta con
nuovi articoli, note ed illustrazio-
ni, di cui nel j 77 r fu pubblicata
in Venezia, nella tipografìa Garbo,
la seconda edizione, corretta ed au-
mentata di un sesto tomo intorno
le frodi degli eretici, per cura del-
lo stesso Conlin. Jn quest'opera a
pag. XXVI si legge un erudito
catalogo degli scrittori eresiologi,
dal primo secolo al decimosesto e
seguenti inclusive ; quindi seguono
tre classi di notizie storiche : la
prima rammenta i principali scrit-
tori d' istoria ecclesiastica , i quali
di anno in anno , o di secolo in
ERE 39
secolo tanno esposta l'istoria delle
eresie; nella seconda sono nove-
rati gli scrittori eresiologi , che
hanno formata l'istoria di tutte, o
di buona parte delle eresie; nella
terza sono notati i compendiatori
d' istoria ecclesiastica , o eresiolo-
gia. Tale opera va però letta con
qualche cautela, avendovi gl'intel-
ligenti notata qualche inesattezza ,
ed anche qualche errore. Nel tomo
IV del supplimento della Bibliote-
ca sacra ec. delle scienze ecclesia-
stiche, dottissima opera pubblicata
in Milano dall'editore Fanfani, a
pag. 294 e seg., si legge un utile
ed erudito catalogo delle eresie e
degli eretici principali dal secolo
primo dell'era volgare fino al se-
colo decimottavo, sino al numero
di duecento ottantotto ; coll'avver-
tenza che per altre novissime sette
discoperte del citato decorso seco-
lo, e in principio del corrente, pre-
cise notizie si pubblicarono a Pa-
rigi, nel 18 14, da M. Gregoire,
coli' opera intitolata: Storia delle
sette religiose, che dal principio del
passato secolo fino all'epoca attua-
le, sono nate, o modificate, o estin-
te nelle antiche quattro parti del
mondo. Però è noto, che se Gre-
goire è un uomo stimato per la
dottrina, è però un autore, il quale
si deve leggere con diffidenza, es-
sendo stato un vescovo costituzio-
nale, che dicesi sia morto senza ri-
trattare l'errore.
Ulteriori e più recenti notizie
finalmente, oltre quanto dicesi ana-
logamente in vari articoli di que-
sto Dizionario, si possono vedere
nella Continuazione della storia del
Cristianesimo 3 proseguita dall' ab.
Giovanni Bellomo, e pubblicata in
Venezia da Girolamo Tasso nel
i832 ; e nella Istoria universale
4o ERE
della Chiesa, dalla predicazione
degli apostoli fino al pontificato di
Gregorio XVI, del barone Hen-
rion, di cui abbiamo un* edizione
italiana pubblicata in Mandrisio nel
i838, dalla tipografia della Miner-
va Ticinese.
I fonti cattolici, donde può im-
pararsi con sicurezza a fuggire l'er-
rore, sono i concili, massimamente
i generali, e le costituzioni ponti-
fìcie. Siccome gli errori dominanti
tra i latini sono stati principalmen-
te condannati dall' ultimo concilio
generale tenuto in Trento, così la
santa Sede esige, che nel professare
la fede si segua il medesimo con-
cilio, e si dichiari colla forinola
detta di Pio IV. Gli orientali poi
si assoggettano ad una professione
di fede più ampia, che scorre per
tutti i concili generali finora cele-
brati. Siccome gli errori dei gian-
senisti sono stati condannati spe-
cificatamente da Pio VI, colla bolla
Auctorem fidei3 se si tratta di essi
bisogna riportarsi a tale veneran-
do documento; e bisogna pure ri-
portarsi principalmente alla bolla
del medesimo Pio VI, se trattasi
degli errori della costituzione det-
ta civile del clero di Francia. I
Pontefici successori non hanno ces-
sato di emanare gli opportuni de-
creti, ai quali i veri cattolici, figli
docili della Chiesa, attendono per
sapere in tutto e per tutto le trac-
eie, secondo le quali devono nel
credere appuntino regolarsi.
ERESIARCA ( Haeresiarchus ,
Haeresiarcha ). Inventore o primo
autore di un' Eresia (Vedi), ov-
vero il capo di una setta di Ere-
tici (Vedi). Dissero alcuni prote-
stanti, che non è facile sapere che
cosa sia un'eresia, e che è sempre
una temerità trattare un uomo da
ERE
eretico. Ma, come osserva Rergier,
poiché s. Paolo comandò a Tito
di schivare un eretico dopo averlo
corretto una o due volte (e. 3, v.
io), egli dimostra che si può co-
noscere, se un uomo sia eretico, o
no, se il di lui errore sia innocen-
te o volontario, degno di perdono
o di censura. Quelli che pretesero
doversi tenere come eresie soltanto
gli errori contrari agli articoli fon-
damentali del cristianesimo, niente
hanno guadagnato ; dappoiché non
v' è alcuna regola certa per giudi-
care se un articolo sia o non sia
fondamentale. Un uomo dapprima
può ingannarsi per buona fede; ma
tosto che resiste alla censura della
Chiesa, cerca far proseliti, formare
un partito, congiurare, fare rumo-
re, non più la buona fede lo fa
operare, ma V orgoglio e V ambi-
zione. Quegli eh' ebbe la disgrazia
di nascere ed essere allevato in se-
no all'eresia, di succhiare sin dal-
l'infanzia l'errore, certamente è
molto meno reo; ma non si può
conchiudere che sia innocente ,
specialmente quando può conosce-
re la Chiesa cattolica ed i carat-
teri, che la distinguono dalle diver-
se sette eretiche, ovvero sospettar-
ne. Tanto male, tanto grave dan-
no, tutto si deve agli eresiarchi*
Nel secolo primo della Chiesa in-
sorsero gli eresiarchi Simone il Ma-
go, Cerinto ed Ebione, Menandro,
Imeneo, Filetto, ec. V. Semidei,
Compendio della storia degli ere-
siarchi_, Napoli 1737; e Travasa,
Storia critica delle vite degli ere-
siarchi del primo secolo della Chie-
sa, Venezia 1752.
I più antichi eresiarchi sino a
Manete capo de' manichei, insorto
nel terzo secolo, inclusivamente fu-
rono o alcuni Ebrei (Vedi), che
ERE
volevano assoggettare i cristiani al-
ia legge di Mosè, od alcuni paga-
ni mal convertiti , che volevano
sottomettere la dottrina cristiana
alle opinioni della filosofia; dap-
poiché i filosofi di que' tempi non
videro senza gelosia un popolo che
dispregiavano, divenuto senza stu-
dio infinitamente più illuminato di
essi sulle questioni più interessanti
il genere umano, sulla natura di
Dio e dell' uomo , siili' origine di
tutte le cose, sulla provvidenza
che governa il mondo, sulla regola
dei costumi. Cercarono appropriarsi
una parte di queste ricchezze, per
far credere che si dovevano alla
filosofia, anziché al vangelo. Una
religione rivelata da Dio, che pro-
pone di credere dei misteri , sot-
tomettere la ragione e la curiosità
al giogo della fede, vincolare le
passioni colla morale severa del
vangelo, questo è un doppio sagri-
fì/io penoso alla natura ; non è
perciò meraviglia, che in ogni se-
colo si sieno trovati uomini poco
disposti a farlo, o che dopo di a-
verlo fatto, tosto sieno ritornati ad-
dietro. I capi dell'eresie non fece-
ro che portare nella religione lo
spirito contenzioso, inquieto, gelo-
so, il quale regnò sempre nelle
scuole di filosofia. Gli eresiarchi
più antichi, e che furono in istato
di verificare i fatti riferiti nell'e-
vangelo, non ne contrastarono mai
le verità, e sebbene impegnati a
screditare la testimonianza degli apo-
stoli, non ne negarono la sincerità.
ISe un eresiarca potesse preve-
dere la sorte della sua dottrina ,
non avrebbe coraggio giammai di
pubblicarla. Non v' è un solo, i
cui sentimenti sieno stati fedelmen-
te seguiti dai suoi proseliti , che
non abbia prodotto guerre intesti-
ERE 41
ne nella sua propria setta, che non
sia stato confutato e contraddetto
in molti punti da queglino stessi,
che avea sedotti ; gli uni dicono
anatema agli altri, ed entrambi ar-
rossiscono del nome del loro fon-
datore ; i luterani non seguono i
sentimenti di Lutero, ne i calvini-
sti quelli di Calvino. Nel terzo se-
colo Tertulliano, nel lib. de prete-
script.y descrisse anticipatamente gli
eresiarchi di tutti i secoli ; ed E-
rasmo ne fece un ritratto perfet-
tamente simile. Rigettano, dice Ter-
tulliano, i libri della Scrittura che
danno loro fastidio , interpretano
gli altri alla loro foggia, non si
fanno scrupolo di cambiare il sen-
so nelle loro versioni. Per acqui-
stare un proselito, gli predicano la
necessità di esaminar tutto, di cer-
care la verità da sé stessa ; quan-
do lo hanno acquistato non per-
mettono più che loro contraddica.
Lusingano le donne e gì' ignoran-
ti, col far loro credere, che ben
presto sapranno più che tutti i
dottori ; declamano contro la cor-
ruzione della Chiesa e del clero;
i loro discorsi sono vani, arrogan-
ti, pieni di fiele; camminano die-
tro a tutte le passioni umane ec. ec.
Gli eresiarchi nello spargere gli av-
velenati loro dommi contro la pu-
rità della vera fede, presero lo spe-
cioso titolo di riformatori, con dia-
bolica astuzia dimostrando ad ogni
qualità di persone, che gli eccle-
siastici della Chiesa romana vive-
vano affatto alieni dalle regole del-
la primitiva Chiesa, come dice-
vano Lutero e Calvino. Per tal
guisa gli eresiarchi acquistarono
credito e concetto in modo da ti-
rare molti altri al loro partito, non
tanto dell'infima plebe, ma anco-
ra della primaria nobiltà , illustri
4*
ERE
per untali, e pei vasti loro domi-
mi, il che assai contribuì a dilata»
re 7Ìe più i loro errori. Fede rito
11, il Grande, re di Prussia, ed
anche celebre filosofo, parlando del
protestantismo, dice che Io propa-
gò in Germania l'avidità de' prin-
cipi per occupare i beni ecclesia-
stici ; in Inghilterra la passione del
re Enrico Vili per le donne: in
Francia una canzone, che aveva
per ritornello: O frati, frali do-
vete ammogliarvi.
ERETICO (Haerelicus). Segua-
ce o difensore di una opinione
contraria alla credenza della Chie-
sa cattolica. Sotto epiesto nome non
solo si comprendono quelli che in-
ventarono un errore , e che per
propria elezione l'anno abbracciato,
ma quelli ancora , eh' ebbero la
sventura d'esserne fino dall'infanzia
imbevuti , e perchè nacquero da
genitori eretici. Eretico, dice Bos-
suet, è quegli che ha un' opinione
sua, che segue il suo proprio pen-
siero, e la sua particola r opinione;
un cattolico al contrario segue sen-
za esitare il sentimento della Chie-
sa universale, giacche l'ereticità è
l'opposto di cattolicità e di orto-
dossia. Dicesi ereticità, o meglio e-
resia, perchè appunto significa mar-
ca di eresia impressa ad una pro-
posizione colla censura della Chie-
sa. Dimostrare poi l'ereticità o ere-
sia di un'opinione, è far vedere
eh' è formalmente contraria ad un
domma di fede deciso e professa-
to dalla Chiesa cattolica. Chiamami
eretici negativi, quelli che, sebbe-
ne convinti di eresia con prove
incontrastabili, stanno sempre sulla
negativa, dichiarano di avere or-
rore della dottrina di cui sono ac-
cusati, e professano di credere le
verità opposte.
IBI
L'eretico è propriamente quegli
che, professando il cristianesimo ;
sostiene con ostinazione un erro-
re contro la fede, tanto se questo
errore tende alla speculazione, quan-
to se tende alla pratica. Tre sono
le condizioni , che qualificano un
eretico. La prima è la professione
del cristianesimo, ed in ciò l'ereti-
co differisce dal giudeo e dall'ido-
latra ; non è però necessario che
un uomo sia battezzato per essere
eretico; poiché un catecumeno, il
quale faccia professione di credere
nel vangelo, e che negasse ostina-
tamente qualche verità di fede, sa-
rebbe eretico davanti Dio, quan-
tunque non lo fosse in faccia alla
Chiesa, in modo di esserne punito,
perchè non vi appartiene ancora
come non battezzato. La seconda
condizione necessaria per fare un
eretico, è di rifiutare di credere
una verità rivelata, e decisa dalla
Chiesa ; giacché la rivelazione, e la
decisione di essa, assolutamente de-
vono in ciò concorrere. Non basta
per un articolo di fede che una
cosa sia rivelata e contenuta nella
parola di Dio, bisogna pure che
Ja Chiesa abbia dichiarato che vi è
compresa, e l'abbia proposta da
credere come articolo di fede. La
terza condizione è l'ostinazione, per
lo che la buona fede, la semplicità,
V ignoranza , la volontà di abban-
donare l' errore se si conoscesse ,
impediscono che uno si chiami ere-
tico. Il Bergier, all'articolo Eresia,
in proposito ecco come si esprime:
« Non pretendiamo asserire, che
non vi sieno molti uomini na-
ti nell' eresia , che per la po-
ca loro cognizione sono in una
invincibile ignoranza, per conse-
guenza scusabile innanzi a Dio; ma
per confessione di tutti i teologi
ERE
sensati» questi ignoranti non devo-
no essere messi nel numero degli
eretici. Quanto a quelli che difen-
dono un'opinione falsa e cattiva
senza pertinacia, soprattutto se non
I1 hanno inventata per un' audace
presunzione , ma se l'hanno avuta
dai loro genitori sedotti, e caduti
nel!' errore, e se con diligenza van-
no in traccia della verità, e sono
pronti a correggersi, qualora l'a-
vranno trovata, non si devono met-
tere tra gli eretici ". Tale è il lin-
guaggio dei teologi sulla nozione
degli eretici. Passeremo ad accen-
nare, coll'autorità de' medesimi teo-
logi, le cose principali riguardanti
gli eretici, sui loro giudicii, pene,
commercio, libri, dispute, e sulle
provvidenze prese dai sommi Pon-
tefici sui seguaci dell'eresia.
Essendo l' eresia contraria alla
religione ed allo stato, ove non sia
ammessa la libertà e tolleranza dei
culti, è un delitto ecclesiastico e
civile insieme. E delitto ecclesiasti-
co perchè combatte la dottrina del-
ta Chiesa, lo è civile perchè dis-
turba la pace de' regni , cagiona
scandalo ec. Come delitto ecclesia-
stico la conoscenza spetta al giudice
della Chiesa, il quale deve dichia-
rare quali sono le opinioni contrarie
alla dottrina della Chiesa, e punire
con pene canoniche coloro che le
sostengono con ostinazione; come
delitto civile la cognizione è devo-
luta ai giudici secolari, che hanno
maggiori o minori poteri secondo
i luoghi.
Le pene decretate contro gli e-
retici si dividono in temporali , o
spirituali. Le temporali erano la
confisca de' beni, ì'infamia, l'esilio,
la prigione, la morte ec. ; le spi-
rituali consistono nella scomunica,
nella privazione della giurisdizione
ERE 43
ecclesiastica, nell'irregolarità, nella
perdita de' benefìzi , e nell'impo-
tenza di possederne de' nuovi. Gli
eretici incorrono pel solo fatto nel-
la scomunica maggiore, non di di-
ritto divino, ma solamente di di-
ritto umano, secondo il parere del-
la maggior parte de' teologi. Que-
sta scomunica fu pronunziata nel
concilio generale lateranen.se IV,
celebrato dal Pontefice Innocenzo
III, contro tutti gli eretici, con
riserva al Papa, secondo il comu-
ne diritto, e secondo i gradi della
eresia. Le prime leggi fatte dai pri-
mi cristiani contro gli eretici risa*
liscono a Costantino, il quale, nel-
l'anno 371, proibì con un editto
le assemblee degli eretici, coman-
dò che i loro templi fossero dati
alla Chiesa cattolica, e confiscati.
Il Bergier, all'articolo Eretico, ri-
porta le successive repressioni de-
gli eretici fatte da altri imperatori,
e le leggi perciò pubblicate pro-
scrissero gli errori , e ne arresta-
rono la propagazione lagrimevole.
In sostanza egli prova ad eviden-
za , che i principii e la condotta
della Chiesa cattolica furono costan-
temente gli stessi in ogni secolo;
cioè adoprare le sole istruzioni, e
la persuasione per ricondurre gli
eretici quando sono pacifici al suo
grembo; implorare contro di essi
il braccio secolare quando sono fe-
roci, violenti e sediziosi. V. il vo-
lume XVIII, pag. 3oi e seg. di
questo Dizionario, ove si parla di
alcune crociate contro gli eretici e
gli scismatici. Il commercio, ossia-
no i matrimoni cogli eretici, sono
illeciti, quantunque validi, ed il
Papa può colla suprema sua au-
torità permetterli, su di che sono
a vedersi gli articoli Dispensa, Di-
vorzio, e Matrimonio. Sono illeciti
ii ERE
perché proibiti dalla Chiesa, nei
concili di Calcedonia, di Elvira, di
Sardica, dal terzo di Cartagine, e
di altri. Non sono invalidi, perché
non dichiarati nulli, né dal diritto
naturale, o divino, né da quello
comune. Il matrimonio contratto
fra due cattolici , non è sciolto
quanto al legame, ma solamente
quanto al letto ed all'abitazione,
quando uno de' coniugi si fa ere-
tico. Il concilio Tridentino senten-
ziò l'anatema contro quelli, i quali
dicono che un tal matrimonio è
sciolto quanto al legame. E sciol-
to dunque quanto al letto ed al-
l'abitazione soltanto, come pure se-
condo 1' uso della Chiesa.
E proibita la lettura de' libri
eretici dal diritto naturale a tutti
quelli a' quali questi libri sono
dannosi, anche allorché avessero il
permesso di leggerli, obbligando il
diritto naturale tutti indistintamen-
te, e ciò per evitare qualunque oc-
casione o pericolo di perdersi. I
trattatisti di queste materie danno
le spiegazioni sulla estensione e
restrizione di siffatto divieto. Sino
dal nascere della Chiesa gli ereti-
ci non si sono contentati di com-
por libri per disseminare i lor er-
rori, ne hanno anche inventato, e
composto sotto il nome dei per-
sonaggi i più venerabili dell'anti-
co e del nuovo Testamento. Il No-
vaes nella vita di Alessandro VI
dice, che questo Pontefice verso
l'anno i5oo fece delle leggi con-
tro la stampa de' libri degli ereti-
ci. V. il Zaccaria, citila proibizione
de9 libri. Giulio III, a' 22 aprile
i55o, con apostolica costituzione,
rivocò a tutte le persone, eccettuali
gì' inquisitori, le facoltà che potes-
sero avere ottenute da' Pontefici
suoi predecessori , per leggere o
ERE
ritenere libri de' luterani, e di qual-
sivoglia altri eretici. Perciò fu egli
il primo Papa, che abbia fatta la
prima generale proibizione de' li-
bri eretici , poiché prima di lui
ninna pontificia legge si trova, la
quale generalmente proibisse la let-
tura di libri simili, sebbene spesso
ritrovatisi proibiti particolari libri
degli eretici, o di particolari ere-
sie. V. Indice de' libri proibiti.
Le dispute cogli eretici sui punti
controversi sono permesse, giacche
abbiamo da s. Paolo, Acl. e. 17,
ad Tic e. 1, che disputava nelle si-
nagoghe cogli ebrei , eli' egli vuole
che un vescovo sia capace di cor-
reggere, e di convincere quelli i
quali contraddicono la verità. Nul-
la di più comune nell'antichità ec-
clesiastica, quanto le dispute de' pa-
dri contro gli eretici, cui combat-
tevano perpetuamente, tanto a viva
voce quanto in iscritto, come lo
provano le analoghe opere polemi-
che; ma vi sono le debite regole
e condizioni, acciò simili dispute
sieno permesse. Il Bergier all'articolo
Controversi a, dopo averla definita,
disputa, o in voce o in iscritto sulle
materie di religione , aggiunge :
» Questa sorte di dispute sono ine-
vitabili, perchè il cristianesimo sem-
pre ha avuto ed avrà dei nemici :
sono necessarie perchè niente si de-»
ve trascurare per ricondurre nel
buon sentiero i traviati. Se distur-
bano la pace bisogna prendersela
con quelli che ne sono i primi
autori, e spiegano bandiera contro
la dottrina della Chiesa. Perchè
producano buoni effètti, è mestieri
che da una parte e dall' altra non
solo sieno libere, ma sempre tenute
dentro i limiti dell' onestà e della
moderazione". Fra i controversisti
nomineremo a cagion di onore, il
ERE
ven. Cardinale Bellarmino gesuita,
il quale essendo stato mandato da
Gregorio XIII a predicare in lin-
gua latina, contro gli errori del
luteranismo nelle Fiandre, vi an-
darono ad ascoltarlo i più dotti
protestanti, d'Inghilterra e dell'O-
landa. Quindi il Papa lo destinò
ad insegnare le controversie contro
i protestanti, nel collegio Romano
da lui fondato: quivi lavorò in
que' trattati, che ci rimangono in
questa importante materia. Fra le
opere di lui, le sue Controversie,
stampate più volte in quattro to-
mi, saranno sempre un eterno te-
stimonio della sua vasta dottrina,
e del suo impegno per la difesa
dell'autorità pontificia, essendo que-
st' opera l'ampio arsenale, donde i
teologi dopo di lui hanno cavato
le loro armi contro gli eretici, ai
quali niuno fu mai tanto formida-
bile fra tutti i contro versisti. Van-
no pur lodali, s. Francesco di Sa-
les vescovo di Ginevra, che nelle
sue prediche convertì settantamila
eretici ; il gran Bossuet , Piccole ,
Pelisson, Papin, i fratelli Wallem-
bourg, e, per non dire di altri, il
dottissimo Cardinal Gotti domeni-
cano, ed il celebre Cardinal Gerdil
barnabita.
Intorno poi alle principali prov-
videnze prese dai sommi Pontefi-
ci sugli eretici, abbiamo, che san
Pio I Papa, eletto nell'anno i58,
ordinò che gli eretici venuti dalla
eresia de'giudei alla religione cat-
tolica, vi fossero ricevuti, e battez-
zati. Vi fu una gran controversia
tra il Pontefice s. Stefano 1, e s.
Cipriano vescovo di Cartagine, il
quale co' vescovi africani, e dell'o-
riente sosteneva doversi ripetere il
battesimo dato dagli eretici, ciò
che da quel Papa venne proibito,
ERE 4>
e poi confermato dal concilio Pi-
ceno. San Stefano I insistè sulla
massima di nulla doversi alterare
l'antica tradizione dalla quale con-
stava che gli eretici tornati alla
Chiesa, dovevano soltanto purgar-
si colla imposizione delle mani, e
non già col secondo battesimo; co-
me ancora constava dalla medesi-
ma tradizione, che il battesimo am-
ministrato colle parole evangeliche
era valido benché fosse ammini-
strato dagli eretici o dagli scisma-
tici, e costantemente il Pontefice
protestò che il battesimo conferito
colla debita forma dagli eretici ,
non dovevasi reiterare. Molti auto-
ri sostengono, che questa contro-
versia non fosse dagli orientali e
dagli africani riputata cosa appar-
tenente al domma cattolico, ma so-
lo da essi creduta riguardare la
semplice disciplina. V . il Marchetti,
Esercii. Ciprianiche circa il batte-
simo degli eretici. Papa s. Caio del
283, determinò, che nessun pa-
gano od eretico potesse accusare i
cattolici. Nel concilio lateranense,
celebrato 1' anno 3 1 3 dal Papa s.
Melchiade, venne condannato il ve-
scovo africano Donato, capo dei
donatisti, i quali negavano la vali-
dità del battesimo dato dagli ere-
tici.
Il p. Chardon, nel t. I, capitolo
V della Storia de' Sa grani enti, tratta
che non fu mai creduto doversi repli-
care la Confermazione una volta ri-
cevuta dalla Chiesa, e che dagli
avvenimenti si esamina , se siasi
creduto il medesimo circa quella data
dagli eretici, con le diverse discipli-
ne su questo grave punto, intor-
no a che può vedersi l'articolo Con-
fermazione (Vedi). Il medesimo
Chardon riporta la benedizione
sopra quelli che si convertono dal-
46
ERE
l'eresia, e la maniera con cui la
Chiesa riceveva prima gli eretici
convertiti colla imposizione delle
mani, accompagnata dalla invoca-
zione dello Spirito santo, giacché
nella maggior parte delle chiese
orientali ed occidentali , si faceva
l'unzione col crisma a quelli che
ritornavano dall' eresia al cattolici-
smo. Valfridio Strabone, il quale fiorì
nel nono secolo, afferma, che al
suo tempo, e prima ancora, gli e-
retici si riconciliavano col crisma,
e colla imposizione delle mani.
Conchiude il Chardon, che nel più
delle chiese gli eretici si ricevevano
alla cattolica unità con que'mede-
simi riti con cui si dava il sagra-
meli to della Confermazione, e ciò
forse non per confermarli di nuo-
vo, ma solamente per impetrar lo-
ro la grazia dello Spirito santo per
unirli interiormente ed utilmente
al corpo della Chiesa. Col ripeter-
si tale unzione la Chiesa non in-
tendeva reiterare il sagramento
della Confermazione, perchè in con-
ferire questa usava il termine di
segno o segnatilo, e quando am-
metteva gli eretici alla sua comu-
nione adoperava il termine consi-
gliare. Con questa diversità di opi-
nioni manifestava la Chiesa le sue
differenti intenzioni.
Vittore III, del 1086, in un con-
cilio celebrato a Benevento, "vie-
tò con pena di scomunica, di rice-
vere dagli eretici i sagramenti del-
la penitenza, e dell'Eucaristia. Av-
visato il Pontefice Giulio III, che
molte persone di tutte le condi-
zioni, cadute in eresia differivano
la loro conversione a motivo della
pubblica penitenza, cui secondo le
leggi ecclesiastiche dovevano subire
con pregiudizio della loro riputa-
zione, mediante la costituzione II-
ERE
lius, presso il Bull. Rom. t. IV,
par. I, pag. 2G7, ordinò che tut-
ti quelli, i quali dentro tre mesi
abiurassero i loro errori, eccettua-
te le persone dipendenti dalle in-
quisizioni di Spagna e Portogallo,
con privata penitenza fossero dagli
inquisitori riconciliati, e che gl'im-
penitenti si costringessero colle pe-
ne ordinarie, a soggettarsi alla Chie-
sa cattolica. Nel pontificato poi di
Clemente VIII, vedendo Enrico IV
re di Na varrà, calvinista-ugonotto,
che non gli sarebbe riuscito di a-
scendere pacificamente al trono di
Francia, se persisteva nella sua set-
ta, domandò a'suoi ugonotti, se
poteva salvarsi nella religione ro-
mana, ed essendogli stato risposto
affermativamente, disse : sarà dun-
que meglio eli io vada in cielo re di
Franciaì che re soltanto di Navar-
ra. Cominciò quindi ad istruirsi
ne' nostri dommi, ed ai5 luglio
i5o,3 abiurò pubblicamente in Pa-
rigi nella chiesa di s. Dionisio il
calvinismo, professò la fede catto-
lica, e ricevette dall'arcivescovo di
Bourges l'assoluzione dalle scomu-
niche incorse per l'eresia, lo che
convalidò con bolla Clemente Vili,
Divinae gratiae _, presso il Bull.
Rom. t. V, part. Il, p. 127, dopo
aver dichiarata nulla quella del-
l'arcivescovo, perchè data senza la
autorità della santa Sede. In que-
sto tempo Gondislavo Ponze, spa-
gnuolo di gran dottrina, pubblicò
in Roma un Commentario, nel
quale pretendeva di provare che
il Papa non poteva dispensare un
ricaduto nell'eresia per poter esse-
re eletto re, al quale sentimento
rispose egregiamente il francese
Arnoldo Ossat, poi Cardinale, con
un'opera, che allora però non ven-
ne stampata.
ERE ERE 4-
Sapendo Clemente XII, che mol- e da ogni parte eli frequente si
ti eretici di Germania per tempo- odono confortanti e stupende con-
iali interessi non abiuravano gli versioni dall' eresia r.lle verità dei-
errori, pubblicò una bolla, nella la Chiesa apostolica romana; e il
quale concesse ad essi il pacifico predominante puseismo d'Jnghilter-
possesso de' beni ecclesiastici che ra, ravvicina di molto gli animi
godevano, i frutti de'quali serviva- alle sante pratiche religiose della vera
no al mantenimento delle loro fa- Chiesa. Laonde a gran passi procedia-
miglie, purché alla religione cat- mo per un'era nuova e tutta gloriosa
tolica facessero ritorno . Questa pegli annali del mondo cattolico,
paterna provvidenza trasse alla ve- qualora il divin Padre de' lumi e
ra fede un gran numero di ereti- delle misericordie continui a spai-
ci. Volendo poscia nel ij35 leva- gere le sue celesti benedizioni sui
re l'ostacolo per cui alcuni luterà- membri che vivono disgraziatamen-
ui dei Palatinato, e del ducato di te separati dal centro e dall'unità,
Neoburgo, non tornavano al giem- fuori della quale non avvi salvezza.
bo della Chiesa cattolica, per ti- Florido altresì è lo stato attuale
more di perdere i benefizi eccle- delle missioni in Europa, Asia, A-
siastici dai loro maggiori usurpati, frica, America ed Oceania, dove i
Clemente XII concesse loro, come veri discepoli di Gesù Cristo, in
avea pur fatto coi sassoni, la fa- virtù della missione data da esso
colta di poterli godere come prò- ai suoi apostoli, e trasmessa di
pri, acciò non temessero di cadere generazione in generazione ai Io-
in miseria. Qui noteremo, che tra ro legittimi succesori sino ai no-
ie legr' imperiali sopraccennate, ev- stri tempi, non cessino di obbedire
vi quella riportata dal Bernini, Sto- alla voce divina; essendo intente
ria delle eresie, sec. VI. cap. IV, le numerose missioni a confermare
cioè di Giustiniano I, il quale or- nella fede i cattolici, a promovere
dinò che i cattolica figli di ereti- e predicare la dottrina di Gesù
ci, potessero ereditare, e domandare Cristo, anche dov'è ignoto il nome
gli alimenti, non però i figli ereti- cristiano, e ad illuminare gli sci-
ci da' padri cattolici. Delle prodi- smatici e gli eretici sulle tenebre
giose e repentine conversioni degli de'loro errori. Le nostre missioni
eretici, tratta il Bernini, il quale sono perciò un'opera veramente del
fa pur menzione dell' Ospizio dei tutto cattolica ed apostolica, sia ri-
Convertendi (Vedi), eretto in Ro- guardo al principio ed ai mezzi, sia
ma nella città Leonina, nel ponti- riguardo al modo e all' oggetto,
ficato di Clemente X, pegli ere- Opportuno ed analogo a questo
liei convertendi , già incomincia- argomento, ci sembra il far qui
to da Giovenale Ancina e Maria- menzione dell' applaudita disserta-
no Soccino prete dell'Oratorio, e zione del Cardinal Bartolomeo Pac-
poi compito coi generosi aiuti dei ca, decano e principal decoro dei
Cardinali Rasponi, Nini e Gastaldi, e sagro Collegio, e da lui stesso con
tuttora fiorente. forza ed eloquenza recitata nella
In questo maraviglioso secolo sala massima dell' università Ro-
emiuentemente predomina lo spi- mana, per la solenne apertura del-
l'ito e la tendenza al cattolicismo, la celebre e benemerita accademia
43 ERE
di Religione cattolica, a' 27 aprile
i843. Tolse egli a subbietto della
dissertazione appunto la esposizio-
ne dello stato attuale della Chiesa,
e delle credenze religiose nei vari
paesi di Europa, con quella piena
cognizione storica delle cose, che
gli danno una luminosa e lunga
spcrienza degli affari, come delle
persone, l'erudizione e la dottrina
di cui è eminentemente adorno. In-
cominciando dalla Germania, disse,
che sebbene abbia a deplorarsi la
perdita de' principati, delle badie e
delle cospicue rendite fatta dal cle-
ro nei secoli XVIII e XIX in quel-
le contrade, tuttavia v' era oggi un
motivo di consolazione nel rilevare
dal confronto di quei secoli coi
tempi nostri il risvegliamento dello
spirito ecclesiastico, ed il riacceso
zelo in quel clero ed in quei pa-
stori. Dipoi, analizzando le varia-
zioni infinite del protestantismo, in-
dicò i suoi languori, prevedendone
lo sfacimento. Dalla Germania tra-
passando alla Francia vi ritrovò
cagioni diverse, altre di gioia, al-
tre di dolore. Sono queste il deismo,
che debellato imbaldanzisce anco-
ra, le associazioni del Fourier, del
Saint-Simon, del Chàtel, i mille
romanzi che guastano ne' giovanili
intelletti ogni idea di moralità : so-
no quelle l' istituto della propaga-
zione della fede, che da Lione, ove
nacque e si valido, promuove con
ogni ragione di aiuti i trionfi del-
l' evangelio ; sono la dottrina e lo
zelo del clero e dell' episcopato ,
che stretti con intimo nodo alla
cattedra della verità, combattono i
nuovi e i rinnovati errori. Poscia
invitò a piangere su le note vi-
cende della chiesa spagnuola e por-
toghese, riferendo l'origine di tan-
to male alle iufluenze dell' Arancia
ERE
e del marchese di Pombal : peroc-
ché costoro, alleandosi coi filoso-
fanti e sofisti della Francia, e se-
guitando le teorie dei giansenisti ,
guastarono il pubblico insegnamen-
to, e l'adito aprirono a libri pe-
stiferi d'ogni maniera. Ancora ri-
guardò l' Inghilterra, e si rallegrò
del numero crescente delle chiese,
de' fedeli, delle regolari congrega-
zioni, a fronte del vivo impegno e
delle forti opposizioni dell'anglica-
no protestantismo. Per ultimo a-
nimò gì' italiani a tenersi sempre
più stretti alla cattedra di Pietro,
e a guardarsi da coloro che vor-
rebbero allontanare questo nodo
soavissimo di unità religiosa, come
si guardarono i padri nostri dal
contagio calvinista e luterano. Tal
mirabile discorso fu subito reso di
pubblica ragione colle stampe di Do-
menico Ercole in Velletri, bramando-
sene da tutti avidamente la lettura.
Alcune cose interessanti e ris-
guardanti gli eretici, si leggono al-
la categoria haeresis, et haercticos,
nella Nolitia del p. Plettemberg del-
la compagnia di Gesù. Gli errori, le
costumanze nefande attribuite ca-
lunniosamente ai cristiani dagli e-
retici, i quali più volte per pravi
fini alterarono gli atti dei marti-
ri, si leggono nel p. Ruinart, Al-
ti sìnceri dei primi martiri della
Chiesa cattolica. Che gli eretici fos-
sero cagione di molte e gravi dis-
sensioni sino dal principio della
Chiesa, e che mai sempre i catto-
lici zelassero con grandissima atten-
zione di ri condurli alla vera fe-
de , ne tratta il p. Mamachi, Dei
costumi de3 cristiani. Della forinola
che usano i romani Pontefici scri-
vendo agli eretici, e della benedizione
apostolica, che alcuni di loro non
dubitarono dare ai medesimi , si
ERE
può vedere nel voi. V, pag. 65 e
6G del Dizionario. Finalmente no-
teremo, che non si usa più di ri-
cevere gli eretici con una specie
di confermazione, di cui parlam-
mo di sopra . Abiurano i loro
errori, s'impone loro una peniten-
za salutare, e poi si assolvono dal-
la scomunica in forma Ecclesiae
consueta.
ERETRA o ERITREA ( Ery-
threa). Città vescovile della diocesi
d'Asia, e nell'esarcato del suo no-
me ; una delle dodici della Jonia,
in una penisola con un porto, sot-
toposta alla metropoli d'Efeso, ed
eietta nel quinto secolo, chiamata
anche Passaggio, e Ritrè. Secondo
Strabone, diede essa il nome alla
celebre sibilla Eritrea , ovvero vi
ebbe i natali. Questa città fu eret-
ta da Neleo, figlio di Codro. Pau-
sania pretende che avesse per fon-
datore Eritreo figlio di Radaman-
to, che vi condusse una colonia ;
ina Cnopo essendo quivi giunto con
una quantità di jonii, la ingrandì,
e la popolò sempre più. Aveva un
tempio di Ercole, e due porti, uno
chiamato Casytes, l'altro Eritreo. Si
conoscono cinque vescovi, che vi
ebbero residenza , cioè Eutichio ,
Draconzio, Teotisto, Eustazio, e Ar-
saflo. Oriens Christ. t. I, p. 727.
Eritrea o Colira, Aerftren., al pre-
sente è un vescovato titolare in
partibus infidelium, sotto il patriar-
cato pure in partibus di Costanti-
nopoli.
ERETRIA. Città vescovile di
Eubea, sulla riva del mare^ poco
distante da Calcide o Negroponte,
in faccia alla foce deìVAsopus, che
sul continente formava in questo
luogo i limiti della Beozia, e quel-
li dell'Attica. Si congettura essere
stata questa città eretta da alcuui
VOt. XXII,
ERF 49
ateniesi , avanti di Troja, secondo
Strabone, e posteriormente, al dire
di Erodoto. Portò prima i nomi
di Melaneis e di Arobia; fu per
lungo tempo considerabile^ ed era
in uno statò florido sotto il regno
di Dario figlio di Itaspe. Allorché
i Persiani portarono la guerra nella
Grecia, fu questa città da essi di-
strutta. Si riedificò ben presto, di-
venne ricchissima , e sussìsteva al
tempo di Strabone. Menedeo vi sta-
bili una scuola di filosofia, i cui di-
scepoli chiamaronsi Eretri. Al pre-
sente non resta che la memoria e
la persuasione che esistesse in un
suolo chiamato dai greci moderni
Gravalinais. Al presente Eretria e
Vatia, Eretrian., è un titolo vesco*
vile ut partibus , sotto la metro-
poli egualmente in partibus di Cal-
cide, ossia Negroponte. Il regnali*
te Pontefice , ne fece vescovo in
partibus , monsignor Andrea Scott>
ed insieme vicario apostolico del
distretto occidentale di Scozia, vi-
cariato che tuttora funge , e go-
verna.
ERFORT, ERFURT (Erfordia).
Città Vescovile negli stati Prussia*-
ni, provincia di Sass, capoluogo di
reggenza e di circondario, già ca-
pitale della Turingia, fra Weimar
e Gotha, altre volte chiamata Bi-
cungium o Bicorgium. Questa cit-
tà viene da alcuni posta nella Mi-
snia. Dicesi inoltre, che Meroveo re
di Francia desse ad Erfort il suo
nome, e perciò venne anche chia-
mata Merigisburgo. E cinta di mu-
ra e fosse, non che difesa da una
cittadella chiamata Petersberg , e-
retta sopra la collina che domina
la città, e dal forte Cyriaksburg.
La città è assai estesa, ma una
parte del luogo che occupa è com-
posta di soli giardini, oltre sei sob-
4
5o ERF
l)orglii. Rinchiude qualche hel cdi-
fìzio, e fra le chiese cattoliche é
degna di osservazione l'antica cat-
tedrale. Vi sono utili stabilimenti,
come un monistero di orsoline, due
orfanotrofi, ec. Uno di questi prima
era convento, ed ivi Lutero avea
fatto la sua professione religiosa.
Avvi pure un'accademia di scienze
ed arti, una biblioteca, un museo,
un gabinetto di storia naturale, ec.
L'università di Erfort fondata, se-
condo alcuni, nel i3(>2, e secondo
altri nel i 392, fu riunita a quella
di Halle nel 1816: il fondatore
era stato Corrado Winsperg, ot-
tantesimo arcivescovo di Magonza.
L'origine di questa città risale al
quinto secolo, e prese il nome che
porta dal castello situato nelle sue
vicinanze, il signore del quale a-
veva un diritto di pedaggio dal
castello alla città, che al tempo di
s. Bonifacio era già considerabile.
L'imperatore Lodovico II, nell'852,
vi tenne i comizi provinciali ; ed
Enrico I, e Ridolfo I vi adunaro-
no una dieta imperiale. La città
fu anticamente alleata coi margra-
vi e landgravi di Misnia, Assia e
Turingia, cogli arcivescovi di Mag-
deburgo, coi duchi di Sassonia , e
con altre case sovrane. Benché non
sia mai stata città immediatamen-
te, e libera dell'impero, .ciò non
ostante fu in possesso di vari di-
ritti signorili e privilegi. Le pre-
tensioni, che l'elettore di Magonza
ebbe sopra questa città , sino dai
tempi dell'imperatore Ottone, il
quale donolla agli arcivescovi di
Magonza, dopo la morte di Bur-
cardo signore di Turingia, furono
soggette a molte controversie. Do-
po che Erfort abbracciò il lutera-
nismo, gli arcivescovi perdettero la
loro autorità, ed i borghesi si po-
ERF
sero sotto la protezione dei duchi
di Sassonia. Il re di Svezia Gu-
stavo se ne impadronì, quindi nel
1648, pel trattato di Osnabrulv, ri-
tornò sotto il dominio degli arci-
vescovi di Magonza. Gli abitanti
non volendo obbedire, furono dal-
l' imperatore posti al così detto
bando dell'impero; ed il re di
Francia mandò truppe all' arcive-
scovo di Magonza, che nel 1664
lo fecero padrone della cittadella,
la quale fu per lui governata da
un governatore, ossia Vìce-Domi-
nus, che sceglieva dal suo capito-
lo, ed al quale il popolo prestava
giuramento di fedeltà. Appartenne
poscia alla Prussia a titolo d' in-
dennizzazione, indi fu ceduta alla
Francia nel trattato di Tilsit. Suc-
cessivamente venne riunita alla Sas-
sonia ; ma dopo la battaglia di Je-
na, la città cadde nel potere dei
francesi , con un parco di cento
venti pezzi d'artiglieria. Nel 1808
quivi ebbe luogo una memorabile
conferenza fra l'imperatore di Rus-
sia , e quello di Francia ; e nel
181 3 questa piazza protesse forte-
mente la ritirata dell'armata fran-
cese dopo la battaglia di Lipsia.
La sede vescovile venne eretta
in Erfort, verso l'anno 742, da s.
Bonifacio apostolo dell' Alemagna ,
lo che approvò il Pontefice s. Zac-
caria. S. Bonifacio vi pose per ve-
scovo il beato A delardo, che ne fu
il primo e l'ultimo vescovo, dappoi-
ché essendo egli, insieme a s. Bo-
nifacio, stato ucciso nelle missioni
di Frisia, il vescovato di Erfort fu
unito a quello di Magonza. La
chiesa collegiale principale è dedi-
cata alla beata Vergine. Prima in
Erfort, e nella sua diocesi eranvi
alcune abbazie e monisleri. Sicco-
me questa città era troppo lonta-
ERF
na dalla sua metropolitana, gli ar-
civescovi di Magonza avevano l'u-
sanza di nominare un suffraganeo
che risiedeva e faceva le funzioni
episcopali in Erfort , e nei paesi
vicini di Assia, Turingia, Eichsfeld
e Sassonia.
Concili dì Erfort.
Il primo fu celebrato Tanno 932
il dì primo di giugno, sotto En-
rico I re di Germania. Vi si fe-
cero dai vescovi cinque canoni. Con
essi venne vietato di patrocinar le
cause ne' giorni di domenica, nelle
feste, e ne' giorni di digiuno; ed
ai giudici fu imposto di non rice-
vere citazioni di alcuno avanti di
loro, nelle settimane che precedono
la festa di Natale, e quella di s.
Gio. Battista, ne dalla quinquage-
sima fino all'ottava dopo Pasqua.
Venne ordinata la celebrazione del-
le feste dei dodici apostoli, e di
digiunar le vigilie, che sino allora
erano state osservale. Si vietò di
presentar libelli, di citare in giu-
dizio quelli che vanno alla chiesa,
o che vi sono, affine di non distorli
dalle preghiere, e d' imporsi da per
te digiuni, che alcuni facevano più
per superstizione, che per pietà.
Pagi, ad hwic annum; Diz. de Con-
cili.
11 secondo fu tenuto l'anno 1078,
a' io marzo, non però riconosciu-
to. Vi si divisero le decime di Tu-
ringia tra Enrico IV re de' roma-
ni, e Sigifredo arcivescovo di Ma-
gonza, di cui le principali erano
delle abbazie di Fulda e di Her-
feld. Diz. de' Concili. Il Mabillon,
A nnal. s. Bened. t. V, p. 72, al-
l'anno 1075, lo dice celebrato nel
1074, ed accennato come di Ma-
gonza, se pure non è il seguente.
ERG Si
Il terzo ebbe luogo nel 1074 in
ottobre. Sigifredo arcivescovo di
Magonza volle assoggettare gli ec-
clesiastici ai decreti del concilio ro-
mano dello stesso anno contro la
simonia, e la incontinenza de' chie-
rici; gli costrinse a non più indu-
giare, ed a rinunziare o al matri-
monio, od al servigio degli altari.
I chierici allegarono molti pretesti
per eludere le provvidenze dell'ar-
ci vescovo^ che sarebbe stato ucci-
so, se i suoi vassalli non avessero
quietato i più furibondi. In que-
sto concilio volle reprimersi anco
la simonia. Diz. de' Concili.
Il quarto si adunò nel 11 49-
Fu presieduto dall'arcivescovo di
Magonza, Enrico, che vi terminò
le vertenze tra l'abbate di Burgi-
lin, e il conte Piron eh' erasi im-
padronito di alcuni beni dell' ab-
Jjazia. Venne inoltre deciso che l'in-
cestuoso conte d'Hildensheim non
potesse contrarre matrimonio prima
di aver fatto la penitenza che gli
verrebbe imposta. Venne inoltre
citato l'abbate di Harevelde, il qua-
le senza consultare l'arcivescovo di
Magonza, aveva accettato l'abbazia
di Fulda. Mabillon, Annal. s. Be-
ned. tom. VI, pag. 466 ; Mansi ,
Suppl. t. II, col. 47 2«
Il quinto concilio si tenne l'an-
no 1^35. Si ordinò che venissero
celebrate tutte le feste, le quali a-
vevano un officio proprio. Mansi,
Suppl. t. II, col. 919.
ERFORT. F. Herford.
ERGASTOLO oERGASTULO
(Ergastulum). Prigione in cui si
tenevano anticamente gli schiavi
incatenati a lavorare. Oggi si pren-
de per carcere ristrettissimo. Bion-
do da Forlì, nella sua Berna trion-
fante _, a png. 161, parlando delle
diverse carceri dell'antica Roma,
5i ERI
dice che l'Ergastolo era un luogo,
ove si condannavano i colpevoli a
farvi qualche lavoro, come soleva-
no essere i gladiatori, e quei che
segavano i marmi. Il Macri , alla
voce Ergasterium, racconta che fu
usata per significare il mouistero ,
un luogo di lavoro, il pubblico
tributo che pagavano le officine
della città, ed anche il postribolo.
y. Carcere, e Lipsio, de Ergastu-
list II, i5. Nello stato Pontifìcio,
ed in Corneto, avvi il carcere pei
chierici colpevoli , che appunto si
chiama Ergastolo. Di esso parlam-
mo al voi. IX, pag. 263, ed al
voi. XVII, pag. \hi del Diziona-
rio; ma colla qualifica di Pia ca-
sa di penitenza. Gio. Giorg. Simon
scrisse de Ergasteria disciplinaria,
Jenae 1678.
ERIBERTO (s.). Trasse i natali
da un'illustre famiglia della Ger-
mania, e compi i suoi studi nel
monistero di Gorze in Lorena.
Tornato a Worms sua patria, di-
venne prevosto di quella chiesa, e
di poi cancelliere dell' imperatore
Ottone III. Fu chiamato in segui-
to a reggere la chiesa arcivescovi-
le di Colonia. Egli si recò a Ro-
ma a ricevere il sacro pallio dalle
mani del Pontefice Silvestro II, e
partito per Colonia, fu ivi conse-
crato il dì 24 dicembre 999. Con
quella sollecitudine, eh' è propria
dei più santi pastori, resse Eriber-
to la chiesa affidatagli , e la sua
carità verso i poveri, la sua umil-
tà, ed il suo fervore nella preghiera,
gli attiravano di continuo l'ammi-
razione e venerazione dei suoi dio-
cesani. Finalmente, occupato nella
visita pastorale, fu colto da grave
malore, e dovette fermarsi nella
piccola città di Duitz, ove placida-
mente morì li 16 marzo 1022.
ERI
L'atto di sua canonizzazione asse-
gna la di lui festa ai 16 marzo.
ERICO di Svezia (s.). Sino dalla
sua prima età incominciò Erico a
fornire la mente collo studio delle
scienze, e adornare il cuore di ogni
cristiana virtù. Divenuto adulto, si
unì in sacro nodo con Cristina fi-
glia d' Ingone IV, re di Svezia.
Morto che fu Smerchero II, con-
vocati gli stati, scelsero gli svedesi
Erico per loro re, e lo collocaro-
no sul trono. Governò egli da sag-
gio re, vegliando sopra se stesso
coll'assidua preghiera, coll'austerità
del digiuno, e adoperandosi verso
i suoi popoli affinchè esattamen-
te amministrata fosse la giustizia,
sbandita la prepotenza, e tolto il
mal costume. Di spesso si recava
al letto degli infermi, e li solleva-
va, se poveri, con larghe limosine.
Fabbricò molte chiese, e con savie
leggi represse gli abusi, ed assicu-
rò la pubblica tranquillità ne' suoi
stati. Benché d' indole pacifica, non
potè sottrarsi di prender l' armi ;
ma noi fece mai per capriccio, né
per voglia d' ingrandimento , solo
per difesa de' suoi popoli. Assog-
gettata la Finlandia, perchè questa
era in preda al paganesimo, diede
l' incarico di predicarvi il vangelo
a s. Enrico vescovo di Upsal , e
fece anche innalzare un gran nu-
mero di chiese.
Magno, figlio del re di Dani-
marca, il quale vagheggiava per
mire ambiziose la corona di Sve-
zia, aizzato da alcuni svedesi osti-
nati nel paganesimo, cospirò contro
i giorni del santo re Erico, e rag-
giuntolo nel momento che usciva
dalla chiesa, nel giorno dell'Ascen-
sione, dopo aver udita la messa, i
congiurati si slanciarono contro di
lui, lo rovesciarono da cavallo, ed
ERI
offeso in mille modi, gli mozzaro-
no per ultimo il capo in odio dei-
la religione. Il suo martirio accad-
de il giorno 18 maggio dell'anno
1 1 5 1 . Il suo corpo si conserva
tuttora incorrotto nella chiesa di
Upsal, e molti miracoli furono o-
perati alla sua tomba. La festa di
lui è assegnata ai 18 maggio.
ER1MANNO, Cardinale. Non ci
e chiaro a qual titolo e diaconia,
O ordine cardinalizio, Erimanno ap-
partenesse, perchè il suo nome
trovasi scritto semplicemente in una
bolla spedita in Cremona da Ur-
bano II nel 1095, a favore dei
monistero di s. Egidio, la quale
fu anche confermata nel concilio
di Piacenza.
ERINDELA ( Aeryndelen.). Se-
de episcopale d'Asia, nel patriarca-
to di Gerusalemme, sotto la me-
tropoli di Tarso. Con tal qualifica,
e con quella di titolo vescovile ira
partibus > la santa Sede conferisce
questa dignità. V. Mireo, Not. E-
piscopatuurn.
ERIOPOLI. V. Tripoli. Sede epi-
scopale della Fenicia marittima, e ti-
tolo vescovile ira partibus infidelium.
ERISSO , seu Hierissus. Città
vescovile della provincia di Mace-
donia nella diocesi dell' Illiria orien-
tale, sotto la metropoli di Tessa-
lonica, ed eretta nel nono secolo,
al dire di Commanville, il quale
inoltre aggiunge che divenisse poi
arcivescovato onorario. Era situata
a' piedi del monte Athos, e fu pur
chiamata Agios Oros3 Monte San-
to, ed Apollonia. Si disse Monte
santo, o sagro, dal gran numero
di monaci, i quali vi dimoravano,
tutti governati dal vescovo. h'Oriens
Christ.j t. II, p. 100, registra tre
vescovi. Davide del 1 564 ; Euge-
pio suo successore, che scrisse al-
ERI 53
l'arciduca Carlo esponendogli quan-
to soffrivano i monaci dagli otto-
mani; e Daniele, che viveva nel
1720. Al presente Erisso, Aran-
then.j è un titolo vescovile ira par-
tibus} che conferisce il sommo Pon-
tefice, sotto l'arcivescovato egual-
mente ira partibus di Tessalonica.
ERISSO , seu Hierissus. Sede
vescovile della seconda provincia
dell' isola delle Cicladi, nell'esarca-
to d' Asia , eretta nel nono secolo
secondo Commanville, Hist. de tous
les arch. et évéq.9 e fatta suffra-
ganea della metropoli di Mitilene.
ERITREA. V. Eretrea.
ERIVAN, IREWAN, o REVAN
(Revanum). Città arcivescovile della
Persia, già capitale della grande
Armenia, nel patriarcato di Ezmia-
zin , capo luogo di provincia, e di
distretto, sulla riva sinistra del
Zenghi. È composta di circa due
mila case sparse in mezzo a campi
fertili e deliziosi giardini, ed è di-
fesa da una fortezza, situata sopra
una roccia che s'innalza perpendi-
colarmente a cento tese al di sopra
del livello del Zenghi, protetta dal
lato opposto da una larga fossa, a
secco, su cui si gettarono dei ponti
amovibili. Questa fortezza ha un
doppio recinto di terra , fiancheg-
giato da torri, e rinchiude il pa-
lazzo del governatore, edifizio so-
lido ed elegante, una bella mo-
schea, una fonderia di cannoni,
delle caserme ec. Gli abitanti, per
la maggior parte armeni, fanno
un commercio considerabile coi rus-
si ed i turchi. Conta circa dieci
mila abitanti.
Erivan, secondo l'opinione degli
armeni, è il luogo in cui ritirossi
Noè, dopo essere disceso dal mon-
te Ararat, ove arrestossi l'arca.
L'istoria de' turchi fa provenire la
54 ERI
paiola Erivan da un verbo ar-
meno che significa vedere, e' dice
che si diede un tal nome alla città,
perchè il suo territorio fu il pri-
mo scoperto da Noè, appunto quan.
do scese dall' Ararat. Altri dicono,
che la parola Erigati significa ap-
parizione, perchè a chi discende dal
monte Masis, il quale nella Scrit-
tura è detto Ararat, apparisce sol-
tanto la pianura, ed il paese di E-
rivan ; ed ancora perchè quivi ap-
parve, dopo il tremendo diluvio ,
l'arca di Noè. Non vi è apparenza
che questa città sia stata eretta
prima della conquista degli arabi
in Armenia, mentre non vi si scor-
ge nemmeno segno di remota an-
tichità. Un tempo stava un terzo
di lega più lunge, ma avendo mol-
to sofferto nelle guerre Ira i tur-
chi ed i persiani, ed essendo sta-
ta quasi distrutta in seguito di lun-
ghi e diversi assedi , venne riedi-
ficata nel i635, sul luogo che oc-
cupa presentemente. I turchi se ne
impadronirono nel i582; e costrus-
sero la sua fortezza , la quale fu
presa dai persiani nel 1604. Però
i turchi vi rientrarono dopo la
morte di Abbas I, nel 1629; ma
poscia Cha-Sefi, sultano di Persia,
gli scacciò nel i635. Tuttavolta
nel 1724 nuovamente i turchi si
impadronirono della fortezza con
grande loro sagrifizio , ma venne
ripresa dai persiani nel 1748, che
la conservarono sempre, respingen-
do con somma perdita anche i rus-
si, i quali, nel 1808, tentarono
d' impadronirsene. A due leghe e-
ravi il celebre amnisterò, detto dai
turchi delle tre chiese, ossia Ezmia-
zin. Sui confini del territorio di
Erivau si vedono le rovine della
città chiamata dagli antichi Arta-
xala> e fra esse gli avanzi del pa-
ERK
lazzo di Tiridate: altri però asse-
riscono, che il palazzo di Tiridate
fosse in Valarsciabat; cui forse al-
cuni chiamarono Artaxata, ed al-
tri, che Erivan sia subentrata alla
detta città di Valarsciabat, cosi
chiamata perchè fu edificata dal
re armeno Valars. A dodici leghe
dalla parte dell'oriente vi era la
famosa montagna volgarmente det-
ta di Ararat, e che i turchi chia-
mano Agridg, cioè montagna alta,
e gli armeni ed i persiani, Macis.
Erivan è registrato da Comman-
ville pel primo arcivescovato della
sede patriarcale di Ezmiazin, il cui
arcivescovo risiedeva ad Armena-
Perkìk.
ERIZI o SIZON. Città vesco-
vile della Caria, nell'esarcato d'A-
sia, sotto la metropoli d'Afrodisia-
de, che Commanville disse eretta
nel nono secolo. I vescovi Papia
e Magno vi ebbero sede. Oriens
Christ. t. I, p. 922.
ERKONWALDO (s.). Trasse i
natali da un'illustre famiglia d'In-
ghilterra. Egli sentì e secondò sino
dalla sua infanzia una santa incli-
nazione al servizio del Signore. Per
otteuere perfettamente lo scopo, se-
guendo i consigli dell'evangelio, di-
venuto adulto, abbandonò la pa-
tria, e si recò nel regno dei Sas-
soni orientali. Venduti i propri be-
ni, converti il ricavato nell 'erigere
due monisteri, l'uno a Chertsey
presso il Tamigi, e l'altro a Bar-
king nella contea di Essex, e que-
sto per religiose. Presiedette Er-
konwaldo per molti anni al regi-
me del primo, traendovi la sua
santità di vita gran numero di di-
scepoli. I] re Sebba, che domina-
va in quei dì, da pari fama ecci-
tato, chiamò il santo solitario a se-
dere sulla cattedra episcopale di
ERL
Londra, e venne consecrato da s.
Teodoro vescovo di Cantorbery, nel-
l'anno 6j5. Governò egli quella
illustre e vasta diocesi pel corso
di anni undici, con ogni sollecitu-
dine, ed evangelica carità; final-
mente spiro nel bacio del Signore.
Fu seppellito nella sua cattedrale
di Londra, e la tomba di lui di-
venne celebre pei frequenti mira-
coli. Ricorre la sua festività li 3o
aprile.
ERLAUo ERLAW (Agrien.).
Città con residenza arcivescovile
nel regno di Ungheria. Oltre quan-
to di questa illustre metropolitana
dicemmo all' articolo Agria, qui
aggiungeremo, che al suo odierno
patriarca arcivescovo, dal regnante
Pontefice fu dato in vescovo au-
siliare, monsignor Carlo Rajner di
Strigonia, fatto vescovo di Amoria
in partibus, nel concistoro de' 17
aprile 1840; e che il primo ve-
scovo fu Catapranus del 1099. So-
no poi a nominarsi s. Buldo, il
Cardinal Tommaso Bakacs del 1 49^,
il Cardinale Ippolito d' Este del
1 498 , Benedetto Risdey, fondato-
re dell'accademia Cassiovense, del
1648.
La cattedrale è dedicata ad o-
nore di Dio, ed a s. Giovanni a-
postolo ed evangelista, ante Por-
tam La ti nani _, ed ha il fonte bat-
tesimale , esercitando le funzioni
della parrocchia tre cappellani. Fra
le reliquie, che nella medesima si
venerano, avvi il corpo di s. Sim-
plicio martire. Il capitolo si com-
pone di sei dignità, la prima del-
le quali è il prevosto maggiore,
di sei canonici, comprese le pre-
bende del teologo, e del peniten-
ziere, in tutto dodici canonici, ol-
ire otto onorari, non che di altri
preti e chierici per l'officiatura. Le
EHM 5$
dignità, oltre il preposto maggiore,
sono il lettore, il cantore, il cu-
stode, il preposto della B. V. Ma-
ria de Castro, l'arcidiacono, e l'ar-
cidiacono di Pankota. L'episcopio,
vasto edifizio, è vicino alla sontuo-
sa e ricca cattedrale. Nella città
vi sono cinque conventi pei reli-
giosi, il seminario cogli alunni, l'o-
spedale, ed altri utili e pii stabili-
menti. Ogni nuovo arcivescovo è
tassato ne'libri della cancelleria a-
postolica, in fiorini tremila, in pro-
porzione delle pingui rendite della
mensa, e della sua ampia arcidio-
cesi.
ERLUFIO (s.). Mosso dall'esem-
pio di vari missionari, che percor-
revano l'Alemagna predicandovi il
vangelo di Gesti Cristo, abbandonò
Erlufio la patria, e si diede con
santo zelo a raccogliere frutti co-
piosi nella mistica vigna. Promos-
so dipoi al vescovato di Verden,
egli adempì esattamente ai doveri
dell' episcopato , e si rese degno
sempre più. della altrui stima e
venerazione. Alcuni però di quei
barbari, in vendetta dell'abbando-
no, che ne sentivano i falsi loro
idoli, per i trofei riportati dalla
predicazione di Erlufio, il trucida-
rono in Eppokstorp l'anno 83o. Il
giorno io febbraio è sacro alla sua
memoria.
ERMANO Giuseppe (b.). Da po-
veri genitori nacque in Colonia
sotto l'impero di Federico Barba-
rossa. In età assai verde si ricovrò
nel monistero di Steinfeldt diretto
dai canonici regolari di Premonstra-
to. Attendendo con ogni sollecitu-
dine alla vita contemplativa , vi
pervenne egli rapidamente in grado
sublime, a mezzo del digiuno, del-
l'umiltà e dell'orazione. Molte fu-
rono le tentazioni , a cui il mali-
56 EHM
gno spirito volle esposto il nostro
santo, ina egli seppe rintuzzarle
tutte col favore della grazia cele-
ste. Vivamente divoto alla Vergine
santissima, ricordava con tenerezza
di affetto a Gesù. Cristo il mistero
di sua incarnazione, e si sentiva
in soave estasi rapito, ogni qual-
volta recitando le laudi, giungeva
al cantico Benedictus. Giunto al ter-
mine di sua vita, vi si dispose con
quella tranquillità, che non può esser
sentita se non da chi è in pace col
suo Iddio. Il giorno 7 aprile del 1236
Etmano volò al cielo, e fu sopran-
nominato Giuseppe per la sua ca-
stità. È onorato nei Paesi Bassi,
ed il suo corpo riposa nell'abbazia
di Steinfeldt. La sua festa è fissa-
ta il di 7 aprile.
ERMANNO, Cardinale. Erman-
no, creduto da alcuni appartenente
alla famiglia Cibo, conseguì dal Pa-
pa Alessandro li, del 1061 , il
grado di Cardinale, col titolo pre-
sbiterale de* Santiquattro o piutto-
sto di s. Vitale , come vogliono
altri autori. Nel pontificato di Ur-
bano II fu arciprete della Chie-
sa romana, e sebbene fregiato di
tanta dignità, pure per volontà
del Pontefice, portò il pallio all'arci-
vescovo di Milano, per singoiar di-
stinzione di quel pastore. S. Gregorio
VII Io spedì legato nella Corsica, do-
ve ebbe molto a sofferire in difesa
della giustizia e della fede. Si fa
menzione di Ermanno negli atti
sinodali promulgati da Urbano II
nella città di Troja nella Puglia,
e così pure nella vita dell'anzidet-
to Papa, scritta da Pandolfo Pi-
sano.
ERMANNO, Cardinale. Erman-
no suddiacono e notaio apostolico,
al quale il Panvinio attribuisce il
titolo di maestro, nei principii del
E KM
pontificato di Alessandro III eser-
citò l'ufficio di vice cancelliere, e
fu creato prete Cardinale del ti-
tolo di s. Susanna alle due case.
Soscrisse una bolla, nel 1 1 66, spe-
dita da quel Pontefice a favore del
monistero di s. Croce in Gerusa-
lemme di Roma. È probabile cosa,
che la morte di lui sia accaduta
nel 1172, dopo cinque o sei anni
di Cardinalato. Sappiamo infatti
che il suo titolo nel 1171 era pas-
sato ad altro soggetto.
ERMANNO, Cardinale. Erman-
no fu creato diacono Cardinale di s.
Angelo, nella sesta promozione fitta
da Alessandro III, nel 1179- Stese
di sua mano una bolla, spedita in
Laterano dal nominato Pontefice a
favore della chiesa e del moniste-
ro di s. Clemente dell'isola di Pe-
scara. L' Ughellio ci riferisce, che
l'originale di questa bolla si con-
servava presso il Cardinale Giro-
lamo Colonna, commedatario del-
l'anzidetto monistero.
ERMAS (s.). Romano di nasci-
ta, e da illustre famiglia sortito,
si diede Ermas a seguire la scuo-
la degli apostoli , e meritò che
lo stesso s. Paolo lo ricordasse in
una sua lettera diretta ai Roma-
ni. Pieno di fervore e molto be-
ne versato nelle divine lettere, com-
pose un libro intitolato del Pasto-
re. Questa opera è scritta in uno
stile semplice e pieno di unzione, ed
è divisa in tre parti. La prima e la
terza rapportano molte rivelazioni
in forma di apologhi, per condurre
i cuori alla santità de' costumi; la
seconda poi, divisa in dodici capito-
li, racchiude le principali regole
della morale cristiana. A questa
seconda parte diede Ermas il tito-
lo del Pastore; perchè il di lui
angelo tutelare gli appariva, sotio
ERM
quella figura per istruirlo, quando
egli la scriveva. Una gran prova
si è questa dell'antichità della dot-
trina cristiana intorno agli Angeli
custodi. Visse sotto il pontificato
di s. Clemente I, è ascritto nel
novero dei santi, e la sua festa è
assegnata li 9 maggio.
ERMELANDO (•.). Nacque Ér-
melnndo in Noyon da nobili geni-
tori, e conobbe per tempo, che la
vera nobiltà consiste nel seguir la
virtù. Penetrato di questa verità,
nel corso de'suoi studi non mai si
permise di accomunarsi coi giovani
suoi pari, e visse sempre a se, man-
tenendosi puro ed incontaminato.
Spedito alla corte di Clotario III,
servì quel principe in qualità di
coppiere, ed accortosi che i suoi
si adoperavano per provvederlo di
una sposa , coll'assenso del re si
allontanò dalla corte. Rifugiatosi
nel monistero di Fontanelle, e ri-
cevuto da s. Lamberto, intraprese
il suo noviziato. Compito questo,
fu ammesso alla professione, e per
la sua specchiata virtù venne an-
che ordinato sacerdote da s. Audeno
arcivescovo di Rouen. Alcuni anni
dopo fu spedito a Nantes dal santo
vescovo Pascano, con altri suoi
compagni , e da di là passarono
nell'isola di Aindre, ove fabbrica-
rono due chiese, che divennero poi
celebri sotto il nome della badia
di Aindre. Governò egli santamen-
te pel corso di vari anni in quali-
tà di abbate quel monistero, e final-
mente sentendosi dalle fatiche, dal-
l'età, e molto più da' digiuni vicino
al termine di sua vita , rinunciò
al governo a lui affidato. Placida-
mente spirò verso l'anno 710. Il
martirologio romano assegna la
sua festività il dì i5 marzo.
ERMELINDA (s.). Presso Lo-
ERM 57
vanio, città del Brabante, trasse i
suoi natali Ermelinda nel sesto se-
colo. Nell'età di anni dodici consa-
grò al Signore la sua virginità. I
genitori di lei tentarono inutilmen-
te di torla dal suo divisamento, e
dopo averne sperimentata la co-
stanza, le diedero un pieno assen-
so. Per sottrarsi da ogni monda-
na distrazione, si rifugiò in un luo-
go chiamato Bevec, ed ivi visse in
orazione e nel digiuno, per viep-
più piacere al celeste suo sposo.
Passava dal ritiro alla chiesa, e
perchè ebbe a conoscere un gior-
no, che due giovani tendevano lac-*
ci alla sua virtù, fuggì di subito
da Bevec, e si recò a Meldrik, ed
ivi consumò il resto del vivere suo
conducendo una vita solitaria, e
tutta spesa in austerità e vigilie.
Spirò santamente il dì 29 ottobre
sul terminar del sesto secolo, È ono*
rata con celebrità a Meldaert nel
Brabante, e la sua festa ricorre in
tal giorno.
ERMENEGILDO (s.). Da Leo-
vigildo re de' goti in Ispagna nac-
que Ermenegildo, e fu allevato
nell'arianismo. Cresciuto negli anni,
s'impalmò con Ingonda, cattolica
zelantissima, e figlia di Sigiberto
re d'Austrasia. Il padre di lui as-
sociatolo alla dignità reale, gli die-
de a governare porzione de' suoi
stati, ed ebbe Siviglia per capitale.
Le virtù di Ingonda e le continue
ammonizioni , eh' ella dirigeva al
suo sposo , perchè abbandonasse
l'arianismo, fecero tale impressio-
ne nel cuore di Ermenegildo, che
finalmente si arrese alle verità del-
la cattolica fede, e dal santo ve-
scovo di Siviglia Leandro fu rice-
vuto nella Chiesa, ed unto col san-
to crisma. Leovigildo sdegnato col
figlio per un tal cangiamento di
EHM
udienza, lo spogliò della corona
non solo, ma il minacciò altresì eli
...ilo de' beni, tifila moglie e
della vita medesima, se non muta-
va consiglio. Ermenegildo ad una
tale intimazione cercò l'appoggio
di vari principi per contrapporre
ia forza alle violenze paterne ; ma
tradito nella implorala assistenza,
non potendo resistere ad un asse-
dio in Siviglia, che durò per più
di un anno, si diede alla fuga, e
si rifugiò a Cordova, e poscia ad
Osselo. In questa città eravi una
chiesa molto bene fortificata, ed in
quella si rinchiuse con trecento uo-
mini scelti. Non fu Ermenegildo
neppur salvo in questo sacro asi-
lo, che strappato a forza dai sol-
dati del padre suo, tu caricalo di
catene, tradotto a Siviglia qual
prigioniero, e posto in una torre.
Tentò Leovigildo, ora colle minac-
ci e ed ora colle promesse, di con-
durre il figlio a rinunziare al cat-
olicismo ; ma costante il principe
nella abbraeciata credenza , stava
impavido attendendo il martirio.
La prigione divenne intanto per
lui una scuola di virtù; col digiu-
no volontario si macerava, col ci-
licio domava ia carne, colla fervi-
da prece si univa a Dio. Il Sab-
ba to santo deiranno 586, suo pa-
dre incaricò un vescovo ariano a
recarsi da lui, ed offerirgli la sua
grazia, purché volesse ricevere la
comunione dalle vescovili sue ma-
ni. Ermenegildo rigettò con orrore
una siffatta proposta, e rimproverò
il vescovo cjual seguace di un'em-
pia dottrina. Montalo il re sulle
fùrie a sì franca condotta, ordinò
che gli fosse mozzata la testa, ed
Ermenegildo senza opporvi resi-
slenza si sottomise al fiero colpo,
il che seguì il giorno i3 aprile 3
EHM
nel quale viene dal martirologio
romano assegnato il suo glorioso
martirio. •
ERMENEGILDO. Ordine tu/uc-
sire di Spagna. Nell'anno 1808,
per le discordie intestine della Spa-
gna, e per le armi violenti di Na-
poleone, il re Carlo IV dovette ce-
dere il regno a Ferdinando VII
suo figlio; quindi profittando Na-
poleone di una occasione favore-
vole, fece rinunziare ambedue alla
corona, che diede al proprio fra-
tello Giuseppe Bonaparte. Ma de-
clinata la fortuna di Napoleone, si
risolvette egli nel i8i3 di resti-
tuire la Spagna, che mai aveva po-
tuto domare, al legittimo re Fer-
dinando VII, ciò che effettuò a' i5
dicembre. Tornato il principe nei
suoi stati, dopo essersi occupato a
riordinarli , per rendere durevole
a' posteri la memoria del suo ri-
torno al trono, nel 18 14 eresse l'or-
dine cavalleresco di s. Ermenegil-
do , acciò fosse di guiderdone a
que' prodi sudditi che sì a lungo
e con sì gran coraggio avevano
sostenuto i suoi diritti alla corona,
contro le forze del formidabile con-
quistatore francese. Fu stabilita per
decorazione a' cavalieri una croce,
che sospesa ad un nastro di seta
ondata di colore rosso, ma con orli
colore di perla, si dovesse portare
nella sinistra parte del petto; e in
pari tempo furono pubblicati i sta-
tuti dell' ordine.
ERMESIANI. Seguaci delle dot-
trine di Giorgio Ermes. Questi nac-
que in Dregerwald, nel principato
eli Munster nella Westfalia. Studiò
nel collegio o ginnasio di Rheines>
dal 1785 al 1792, nel quale an-
no passò a Munster per cominciar
il corso di filosofìa nella universi-
tà. Nello studiare teologia sorsero
ERM
in lui diversi dubbi intorno a Dio,
alla rivelazione, e alla vita eterna.
Nel i 798 ricevette 1' uffizio di pro-
fessore nel ginnasio di Miuister,
continuando in pari tempo i stu-
di filosofici e teologici ; encomian-
do grandemente nelle sue lezioni
Kant e Fichte. Nel declinar del
1798 ricevette la tonsura, quindi
gli ordini minori, il suddiaconato,
e nel febbraio 1799 il presbitera-
to, a titolo della mensa così detta
del principe. Nel 1807 fu fatto
professore ordinario di dommatica
neir università di Miinster, ed al-
lora incominciarono le sue verten-
ze sul metodo dell'insegnamento,
e sull' uso della lingua tedesca ,
perchè con questa alterava il sen-
so del rigoroso parlare teologico ; ed
incominciò successivamente a far
conoscere i suoi sentimenti, massi-
me in un suo Parere intorno al-
le controversie tra il capitolo di
Miinster, ed il vicario capitolare ,
in opposizione ad un comando di
Pio VII. Nel 18 19 pubblicò l' In-
troduzione alla filosofia, e passò
all' università di Donna a professo-
re di teologia dommatica. Ivi nel
seguente anno pubblicò la sua In-
troduzione alla teologia cristiano-
cattolicaj e continuando ad inse-
gnare la teologia in quella univer-
sità sino all'anno i83r, in questo
mori a' 26 maggio, nell'età di cin-
quantasei anni. Lungi dal fare la
storia di Ermes, e de' suoi segua-
ci, premettemmo questi cenni sto-
rici , per riportare l' idea gene-
rale che della dottrina di Ermes
ci diede il dottissimo p. Giovanni
Perrone della compagnia di Gesù,
il celebrato autore delle tanto ac-
clamate Praelectioncs theologicae ,
nel toni. VII degli Annali delle
scienze religiose, a pag. 65.
ERM 59
Domesticatosi Ermes, come si è
detto, con la nuova filosofìa di Kant
e di Fichte, e al nuovo metodo
introdotto da Stalller, si propose
niente meno che di date una di-
mostrazione compiuta e rigorosa a
priori, colla sola ragione; della reli-
gione cristiano -cattolica. Rigettati
perciò tutti i metodi seguiti dai santi
padri, dagli scolastici e dai teologi
che loro tennero dietro, volle tentare
una via novella onde ottenere il
suo scopo. A tal effetto risolvette
di fare astrazione da tuttociò che
credeva, e da tuttociò che sapeva;
di presuppone che non vi fosse
ancora per lui nulla di certo, uè
di sicuro; di dubitare di tutto, non
pur della dottrina cattolica, ma di
qualsivoglia verità, dell'esistenza di
Dio, di quella del mondo, e della
possibilità stessa ben anco di giun-
gere ad una cognizione qualunque
di tutti questi oggetti. Pose perciò
il dubbio positivo qual punto don-
de cominciare le ricerche sue , e
volle far prova se perverrebbe alla
perfine a superare un cotal dub-
bio col suo pensiero, e trovar cos\
un punto d'appoggio solido, un
primo principio di cognizione e di
certezza, da cui potesse in processo
dedurre le verità tutte della reli-
gione cattolica. In altri termini
cercò di stabilire una base, e uno
stabile fondamento su cui potesse
da prima innalzare l'edificio di un
sistema delle verità generali , indi
successivamente, e per una conca-
tenazione stretta e rigorosa , delle
verità religiose, della verità cristia-
na, e della verità cattolica, di mo-
do che si trovasse in istato di for-
mare definitivamente questo dilem-
ma : o non si dà verità alcuna, o
se si dà, questa verità è il catto-
licismo. Tale è l' idea generale del
6o ERM
lavoro di Ermes; tale lo scopo
ch'egli si propose, al quale appli-
cò l'animo con ostinata costanza ,
e a cui ottenere, lottò, com'egli
confessa, seco medesimo più di
venti anni. Fin dal i8o5 avea egli
gittato il germe del suo sistema in
un breve scritto che comparve al
pubblico sotto il titolo di Ricerche
su la verità interiore del cristia-
nesimo. Piti tardi poi, cioè allor-
ché credette avere raggiunto il fi-
ne che si aveva prefìsso, diede in
luce l'opera grande della Intro-
duzione, divisa in due parti, della
quale si è fatta menzione. Non che
però ottenere il suo scopo, gli fallì
esso intieramente, e tutto capovolse
l' insegnamento cattolico, e tolse le
basi della certezza, e con ciò della
dimostrazione del cristianesimo e
del cattolicismo.
Quindi insorsero due partiti, uno
contrario ad Ermes, l'altro favore-
vole : il primo lo accusò come au-
tore di novità perniciose, e indu-
centi allo scetticismo e al sovver-
timento de' principii cattolici; il
secondo che da lui prese il nome di
Ermesiano, sostenne essere anzi il
proprio maestro sommamente or-
todosso, e sostenitore della vera fe-
de e del cattolico insegnamento
contro il protestantismo ed il ra-
zionalismo. La lotta andò sì avan-
ti, che ne venne in cognizione la
santa Sede, la quale nel i833 ne
incominciò 1' accurato esame , che
continuò con lentezza e maturità,
richieste dalla gravità della cosa,
dappoiché la dottrina di Ermes
agitava e teneva in dissensione di-
verse provincie della Prussia, e spe-
cialmente la Westfalia. Risultò da-
gli accurati esami , contenere le
opere di Ermes dottrine sovversi-
ve del principio cattolico, e in gra-
ERM
do più o meno grave erronee, con-
venendovi pienamente i più cele-
bri teologi di Germania; laonde il
sommo Pontefice Gregorio XVI re-
gnante, nel settembre 1 835 emanò
il decreto di riprovazione e con-
danna delle opere di Ermes. Nel
voi. IX de' citati Annali, a pag.
32 1 e seg., è riportato : Ada Her-
mesiana, ec. scripsitt p. I. Elve-
nich, in cui il p. Perrone tolse ad
esaminare il sistema filosofico del-
l'Ermes ; e nel voi. X, a pag. 6 1
e seg., abbiamo : Esamina d'una
diatriba contro il R. p. Perrone,
scritta da un pseudo Lucio Sin-
cero Ermesiano vero. Nel voi. XVI
poi, a pag. 25 1, sono riportate: Ri-
flessioni sul metodo introdotto da
Giorgio Hermes nella teologia cat-
tolica, e sopra alcuni speciali er-
rori teologici del medesimo, disser-
tazione che il eh. autore p. Per-
rone recitò nell'accademia di reli-
gione cattolica di Roma, meritan-
do di stamparsi pure separatamente.
ERMETE (s.). Neil' anno 1 32 ,
durante la persecuzione di Adria-
no imperatore , Ermete ricevette
la palma del martirio in Roma.
Nella via Salaria fu deposto il suo
corpo, ed ornata la sua tomba con
grande magnificenza dal supremo
Gerarca Pelagio II. Parecchie chie-
se vantano di essere arricchite del-
le reliquie di lui, ed il martirolo-
gio romano ne riporta la festa a' dì
28 agosto.
ERMINONE ( s. ). Nacque in
Laon. Cresciuto in virtù e versato
molto nelle scienze ecclesiastiche ,
fu promosso all'ordine sacerdotale.
Divenne in appresso abbate di Lo-
bes nell' Hainaut , succedendo de-
gnamente a s. Ursmaro. La sua
umiltà, l'austerità di vita, e lo spi-
rito di preghiera edificarono i re-
ERM
ligiosi a lui soggetti. Consecrato
vescovo, fu anche dal Signore fa-
Torito del dono di profezia. San-
tamente mori il dì i5 aprile del-
l'anno 737, ed in tal giorno il ro-
mano martirologio ne assegna la
festa.
ERMOCAPELIA (Hermocape-
lia ) . Città vescovile della pro-
vincia di Lidia, nella diocesi d'A-
sia, sotto la metropolitana di Sar-
di, la cui erezione risale al secolo
nono. Teopisto e Niceforo ne fu-
rono vescovi. Oriens Christ. t. I,
p. 890.
ERMOGENE, Cardinale. Er-
mogene Cardinale prete della S. R.
C. e del titolo di s. Prisca, inter-
venne ad un concilio celebrato nel
761 dal Papa s. Paolo I. Credesi
che sia stato elevato a quella digni-
tà dal Pontefice Stefano II, detto III,
antecessore del nominato s. Paolo I.
ERMOGENE, pittore di profes-
sione, innalzò nel secondo secolo
cattedra di eresie in Alessandria.
Diceva, che la materia era eterna ed
increata, che i demoni doveano un
giorno riunirsi alla materia, e che
il corpo di Gesù. Cristo stava nel
sole. Scrissero contro di lui Ter-
tulliano, s. Teofilo, Eusebio e Lat-
tanzio.
ERMOPOLI la grande. Città
vescovile, e capitale della Tebaide,
nel patriarcato di Alessandria, sot-
to la metropoli di Antinoe, eretta
nel quinto secolo, che Commanvil-
le dice pur chiamarsi Benesuef. Pli-
nio la chiama città di Mercurio,
Mercurii oppidum, perchè vi si
onorava questa divinità sotto la te-
sta d'un cane. Alcuni pretendono
che la Reata Vergine e s. Giusep-
pe ivi si recassero con Gesù Cristo
bambino, nella fuga in Egitto, e
che vi fosse un tempio, i cui idoli
ERM 61
cadessero a terra allorquando vi en-
trò il Signore del mondo. A minia-
no Marcellino asserice, che era
una città celebre. Le sue rovine
si vedono nel villaggio d'Achu-
munein, nel basso-Egitto. Otto ve-
scovi vi ebbero sede, cioè Conone,
Fasileo, Andrea, Gennadio, Euge-
nio, Paolo, Severo, Chail, ed un
giacobita. Oriens Christ. tom. II,
pag. 5g5.
ERMOPOLI la piccola. Città
vescovile del primo Egitto, sotto il
patriarca di Alessandria, e la me-
tropoli di tal nome, eretta nel se-
colo quinto. Strabone dice, eh' è
vicina al Nilo dalla parte del mon-
te. Fu ritiro famoso di un gran
numero di monaci, ch'erano sotto
la giurisdizione del vescovo della
città. Commanville e il p. Vansleb
dicono essere presentemente Demen-
hour presso il Delta ove non sono
più vescovi né melchiti, né copti. E-
rodoto narra, che fu vicino a Sebe-
nyte, piuttosto presso al mare, al-
l'est di Ruto. Abbiamo dieci ve-
scovi i quali vi ebbero sede, Am-
mon, Draconzio, Isidoro, Dioscoro,
Isaia, Gennadio, Zaccaria, Menna,
Gabriele, ed un altro che fiori nel
1 147. Di tutti si riportano le no-
tizie dal p. Le Quien, Oriens Christ.
tom. II, pag. 5i4 e seg. Al pre-
sente Ermopoli, Hermopolitan. , è
un titolo vescovile in partibus ,
dipendente dalla metropoli in par-
tibus di Damiata, che suole confe-
rire la santa Sede. Ne portò il ti-
tolo vescovile il celebre monsignor
Dionisio Antonio Luca Frayssinous,
l'autore della Difesa del Cristia-
nesimo. Dopo la sua morte, il re-
gnante Gregorio XVI, nel concisto-
ro de' 27 gennaio 1842, lo con-
ferì a monsignor Antonio Fuathow-
ski di Posnania, che in pari tem-
IÌ2
ERA
po lece sufTraganeo all' arcivescovo
di Plosko in luogo di Pultow.
ERNESTINO. Ordine equestre
di Sassonia. A seconda degli sta-
tuti de' i5 dicembre i833, i du-
chi della linea Ernestina, Federi-
co di Sassonia- A Itenburg, Ernesto
di Sassonia-Meiningen , e Hildbur-
ghausen, per onorare la memoria
della linea speciale di Sassonia-Go-
tha-A Itenburg , estinta nel 1825,
rinnovarono 1' Ordine dell'integrità
germanica, che porta per divisa :
fideliter et constanter, istituito già
nel 1690 da Federico I duca di
Sassonia - Gotha - A Itenburg , come
un'onorifica distinzione, ed una ri-
compensa al merito ; però tutti i
principi del ramo Ernestino, appe-
na nati, per diritto sono noverati
alla prima classe di questo ordine
equestre. L'ordine si divide in quat-
tro classi, cioè di gran croci, di
commendatori di prima classe, di
commendatori di seconda classe, e
di cavalieri; rimanendo stabilito il
numero dei membri in nove gran
croci, dodici commendatori di pri-
ma classe, diciotto della seconda ,
e trentasei semplici cavalieri , non
comprendendosi nel numero gli stra-
nieri. Coloro che sono fregiati del-
la gran croce , nel tempo istesso
sono aggregati alla nobiltà, tras-
missibile ai discendenti; e ciascuno
dei duchi delle tre linee, ha il di-
ritto di nominare i propri sudditi
a tutte le menzionate classi dell'or-
dine, sino alla concorrenza del nu-
mero prestabilito. Nell'ammissione
degli stranieri, il cui numero è in-
determinato , debbono concertarsi
almeno due delle case ducali capi
e conferitrici dell'ordine. Oltre le
suddette quattro classi, vi è anco-
ra una decorazione aggiunta all'or-
dine medesimo della linea Erne-
ERS
stina-. questa è la croce di merito
in argento, e la medaglia del me-
rito. I gran croci portano al lato
sinistro del petto una piastra ot-
tagona, alternativamente d'oro e di
argento, sulla quale si trova im-
pressa la croce bianca, e nel mez-
zo un campo d' oro colla corona
di ruta e l'epigrafe: fideliter et
constanter. 1 commendatori della
prima classe portano la croce, ma
senza piastra al di sotto. Pei sud-
diti sassoni, gl'impiegati civili han-
no di più in questa decorazione
una corona di quercia, e i soldati
una corona di alloro. La decora-
zione comune a tutte le classi, ma
di differente dimensione, è una cro-
ce ottagona smaltata in bianco, e
incrostata d'oro: lo scudo della
faccia principale della croce rap-
presenta il busto del duca Erne-
sto Pio, stipite della linea Erne-
stina da cui piglia nome l'ordine,
e nel rovescio si vede lo stemma,
e l'epigrafe menzionata dell'ordine
stesso. La medaglia poi ha sulla
faccia il busto del fondatore di
quella linea che la conferisce, e nel
rovescio vi è il motto.
ERRHA, ERRA, seu HERRI.
Sede vescovile della seconda pro-
vincia di Arabia, nel patriarcato
di Gerusalemme, sotto la metro-
poli di Boslra, eretta nel secolo
quinto. Ebbe un sol vescovo.
ERSK1NE Carlo, Cardinale. Car-
lo Erskine, oriundo da nobile fa-
miglia di Scozia, nacque in Roma
ai i3 febbraio 1743. Sino dai tem-
pi d'Innocenzo VI il capo della
famiglia Erskine sedeva nel parla-
mento d'Inghilterra col titolo di Pari
sotto il nome di lord Niellie. Ricevuta
una buona educazione letteraria e
religiosa, e dedicatosi al servigio della
santa Sede, siccome dotto nella giù-
ERS
imprudenza, e celebre nell'esercizio
dell'avvocatura, in Roma meritò
che alcuni lo chiamassero il restau-
ratore del bello scrivere forense nel
latino idioma, prima di lui alquan-
to trasandato. 11 perchè fu da Pio VI
annoverato nel collegio degli avvo-
cati concistoriali, quindi fu fatto ca-
nonico della basilica vaticana, e
promosso alla prelatura domestica,
ed alla rilevante carica di suo udi-
tore , dandogli poi in vice-uditore ,
monsignor Alessandro Lacchi ni pro-
tonotario apostolico. Divulgatasi la
voce di un congresso da tenersi dalle
potenze belligeranti contro la Francia
sulla pace generale, il Cardinal de
Zelada segretario di stato, in data
àe 6 giugno 1793, deputò e nomi-
nò monsignor Erskh.e a rappre-
sentare in detto congresso la santa
Sede, e gli spedi conseguentemen-
te le credenziali , e le istruzioni.
Il medesimo Pio VI lo inviò in
Londra colla qualifica diplomatica
di residente presso la real corte di
Inghilterra, o v'ebbe onorevole acco-
glienza, e si vide ammesso in cor-
te in abito nero ecclesiastico, cosa a
quel tempo singolarissima. Essendo
morto nel fine di agosto 1799 il
Pontefice in Valenza di Francia, mon-
signor Erskine a sue spese gli fece
celebrare nella chiesa di s. Patrizio
di Londra solennissime esequie , cui
intervennero tutti i ministri delle
corti cattoliche , insieme a quello
di Russia, come si legge nel No-
vaes, t. XVII, pag. 193, che nota
fossero allora scorsi circa 270 an-
ni dacché l'Inghilterra si era sepa-
rata dalla Chiesa cattolica, nel qual
tempo non 'eransi più praticati si-
mili omaggi ai Romani Pontefici
defunti; ciò che pure abbiamo dal
Cancellieri, Possessi, p. ^.7.0. Tal
pompa funebre, che non crasi più
ERS £3
veduta né permessa dopo la lagri-
mevole riforma, fu decorata da iscri-
zioni lapidarie, che in islilcpurgatissi-
mo ed ottimo gusto furono composte
dallo stesso Erskine, e che venne-
ro collocate intorno al tumulo; ed
inter solcmnia vi si recitò l'elo-
gio funebre. L'orazione poi dal-
l'Erskine composta in lingua in-
glese per tale circostanza, ebbe sì
generale accoglienza e plauso, che
nella medesima città di Londra fu
obbligalo darla alle stampe, e ven-
ne poscia tradotta e pubblicata in
italiano da monsignor Pio Ferrari.
Nel ritornare da Londra a Roma,
passando per Parigi ebbe udienza
da Napoleone, che nel congedarlo
gli disse: mi piacerebbe esservi u-
tile3 perchè vi stimo assai. In Lon-
dra il nostro prelato avea sostenu-
to la corrispondenza della congre-
gazione di Propaganda fide colle
missioni orientali, che sovvenne ge-
nerosamente . lasciando poi a di-
sposizione della congregazione la
somma di 1 34/ 7 1 « ie sterline. 11
nuovo Papa Pio VII diede all'Er-
skine per coadiutore nel! avvocatu-
ra concistoriale monsignor Agostino
Valle, quindi volendone rimunera-
re i meriti, le virtù, e i servigi
prestati alla santa Sede, mentre
era pure suo uditore, nel concisto-
ro de'3 febbraio 1801 lo creò Car-
dinale dell'ordine de'diaconi, pub-
blicandolo in quello de' 17 gennaio
i8o3, nella settima promozione car-
dinalizia. Indi gli conferì per dia-
conia la chiesa di s. Maria in Cam-
pitelli, annoverandolo alle congre.-
gazioni del concilio, di Propaganda
fide, deVili, e della fabbrica di s.
Pietro. Divenne protettore del re-
gno di Scozia, del collegio scozzese
in Roma, del monistero di s. Fran-
cesco detto di Monte Luce di Pe-
64 tRS
rugia ; come ancora fu visitatore
apostolico del monistero de'ss. A-
gostino e Rocco nella terra di Ca-
llaiola, e per un tempo fu anche
pro-segretario de'brevi pontificii. In-
vasa Roma dagl'imperiali francesi,
il nostro Cardinale, come tutti gli
altri, fu deportato in Parigi, dove
morì, nell'età di 68 anni, ai 20
marzo 181 1, e venne esposto nel-
la chiesa di s. Tommaso d'Aquino
sua parrocchia, parata a lutto, es-
sendosi posto sopra il letto del
cadavere il baldacchino; e dopo le
consuete esequie venne sepolto in
quella di s. Genovieffa. Essendo e-
gli morto nel giorno stesso che
nacque il figlio di Napoleone, chia-
mato il re di Roma, ed attese le
pubbliche feste che per tale avve-
nimento ebbero luogo, dovette il
suo corpo rimanere nella casa quat-
tordici giorni, celebrandovisi tutto
dì messe ed uflìzi. 11 decimottavo
giorno decretato avendo il consi-
glio di stato che gli si rendessero
gli onori come ad un senatore, fu
perciò trasportato in funebre car-
rozza con grande accompagnamento
di milizia alla chiesa suddetta di s.
Tommaso, destinata dal ministro dei
culti a tali solenni esequie, coll'in-
tervento del seminario di s. Sul-
pizio, dei preti della parrocchia, e
di tutti i vescovi e Cardinali che
trovavansi allora in Parigi, prenden-
do luogo dopo di essi il mini-
stro de' culti in grand'abito di eti-
chetta. Cantò la solenne messa di
requie il Cardinal Giuseppe Doria,
e dopo le consuete cerimonie , fu
trasportato col medesimo corteggio
in s. Genovieffa, e qui ricevuto da
una deputazione del capitolo di
nostra Signora ; e il curato nel
consegnarlo all' arciprete della chie-
sa ne recitò il funebre elogio a cui
ERU
l'arciprete fece una bella risposta.
Venne sepolto in una camera sot-
terranea di detta chiesa di s. Ge-
novieffa, ov' erano già stati sepolti
i predefunti Cardinali Capraia, e
Vincenti; ed inbalsamato, fu ri-
posto nelle solite tre casse, come si
costuma coi Cardinali. Venne scolpi-
ta sopra una lastra di granito la
modesta e semplice iscrizione com-
posta dal medesimo porporato Er-
skine, e trovasi ripetuta in una con-
simile lastra marmorea, nella men-
tovata sua chiesa diaconale di s.
Maria in Campitela, o in Portico,
di Roma.
ERUDIZIONE (Eruditio, Do-
ctrìna ). Vocabolo che propriamen-
te vale dirozzamento , ma si usa
anche in significato di dottrina, e
quindi dai nostri antichi scrittori
si accennano uomini di grande e-
rudizione, letterati di non ordina-
ria erudizione, ec. Pigliossi poi in
men largo significato l' erudizione
per filologia, o sia dottrina e co-
gnizione di molte cose, acquistate
non per argomentazione o discorso,
ma per semplice veduta o quasi
veduta de* sensi o della mente,
conservata nella memoria. Quindi
si disse l'erudizione rara, vasta,
meravigliosa, profonda, recondita,
sacra, ecclesiastica, profana, filosofi-
ca, istorica, filologica, ec, e talvolta
anche triviale. Così il Dizionario del-
la lingua italiana, e il Dizionario
delle origini. Colle nozioni di questa
seconda utilissima opera, e coll'au-
torità di altri scrittori, aggiunge-
remo altre erudizioni sul vocabolo
erudizione, titolo di questo nostro
Dizionario, nel quale parecchi so-
no gli articoli eh' espressamente ri-
guardano la scienza e il vocabolo
erudizione , principalmente quella
della antichità.
ERU
L'erudizione, secondo il d'Alem-
bert, è un genere di cognizioni,
in cui i moderni si sono singolar-
mente distinti per due ragioni : più
il mondo invecchia, e più s'au-
menta la materia dell'erudizione,
e per conseguenza dee trovarsi al
presente maggior numero di eru-
diti , come maggiore quantità di
ricchezze trovasi, allorché avvi mag-
giore abbondanza di numerario.
D'altronde l'antica Grecia non fa-
ceva gran conto se non che della
sua storia e del suo idioma , e i
romani non erano se non che ora-
tori e politici ; lo studio adunque
dell'erudizione propriamente detta,
non era molto coltivato dagli an-
tichi. Tuttavolta trovossi in Roma
sul finire della repubblica, e poscia
sotto gl'imperatori, un piccolo nu-
mero di eruditi , come il celebre
Vairone, Plinio il naturalista, ed
alcuni altri. Però il trasferimento
della sede dell' impero a Costan-
tinopoli, la divisione dello stesso
impero, e in seguito la distruzione
di quello d'occidente, annientarono
ben presto in quel genere qualun-
que specie di cognizioni in questa
parte del mondo, massime nel se-
colo decimo. Al secolo decimoquin-
to si deve il risorgimento e glo-
rioso incremento delle scienze, seb-
bene possa fondatamente dirsi che
in Italia rinato già fosse il gusto
della erudizione* e coltivato gran-
demente quello studio, massime
dopo il ritrovamento e la pubbli-
cazione de' classici greci e latini.
L' oriente si sostenne per lungo
tempo anche nei secoli che delti
furono della barbarie, e la Grecia
più o meno ebbe sempre alcuni
uomini dotti, versali nella cogni-
zione de libri, e specialmente nel-
la storia. Ma que' dotti per lo più
VOL. XXII.
ERU 65
non leggevano e non conoscevano
se non che i greci scrittori, ed al-
cuni fanno loro il rimprovero di
avere ereditato dagli antenati loro
una specie di disprezzo per tutto
quello che scritto non era nella lo-
ro lingua. Tuttavia siccome al tem-
po degl' imperatori romani, ed an-
che avanti quel periodo, molti scrit-
tori greci , come Polibio , Dione ,
Diodoro Siculo, Dionigi di Alicaiv
nasso ed altri, avevano scritta la
storia romana , e quella di altri
popoli, così t' erudizione storica, e
la cognizione de' libri anche sem-
plicemente greci, formato aveva si-
no da que' tempi un oggetto con-
siderabile dello studio de' letterati
d' oriente.
Costantinopoli ed Alessandria
avevano due biblioteche riputatis-
sime, come le aveva avute Roma :
la prima fu distrutta nel secolo
Vili , per ordine dell' insensato
Leone V Isaurico, la seconda fu
bruciata da' saraceni nel secolo pre-
cedente. Fozio, che viveva sul de-
clinar del secolo IX, allorché quasi
tutto l'occidente era immerso nel-
T ignoranza e nella barbarie più
profonda , meno quelle eccezioui
che in più luoghi abbiamo notalo,
ci lasciò colla sua famosa bibliote-
ca, o ragguaglio di molti libri, ch'e-
gli aveva letti attentamente, un mo-
numento immortale della sua va*
sta erudizione, al modo che dicem-
mo al voi. XX , pag. 8 del Di-
zionario. Dal gran numero del*
le opere, delle quali egli porta giù*
dizio, o delle quali riferisce estrat-
ti o frammenti, e delle quali è in
oggi perduta una grandissima par-
te, si raccoglie che la barbarie del*
T imperatore Leone, e dei sarace-
ni per comando di Omar, non ave-
va ancora potuto distruggere lì
5
66
BRU
gusto dell'erudizione nella Grecia.
Benché i dotti, che successivamen-
te fiorirono dopo Fozio, non fos-
sero egualmente forniti di erudi-
zione quanto quel grand' uomo,
tuttavia per lungo tempo appresso
la comparsa di quel patriarca sci-
smatico, ed anche sino alla presa
di Costantinopoli fatta nel i453
da Maometto II, la Grecia ebbe
sempre alcuni uomini istrutti, o
almeno versati nella storia de' loro
tempi, e nelle lettere, tra' quali
possono annoverarsi Psello, Tzetze,
Suida, Eustazio commentatore di
Omero, che fu poi arcivescovo di
Tessalonica, non che Giorgio da
Trebisonda, il Cardinal Bessarione,
il patriarca Gennadio, ec. E qui
ad onore dell'Italia nostra va notato,
che la prima versione e illustra-
zione latina del commento di Eu-
stazio sopra l' Iliade di Omero, fu
pubblicata in Firenze nel iy3o
dall'eruditissimo. p. Alessandro Po-
liti fiorentino delle scuole pie. Cre-
desi comunemente che la distru-
zione dell'impero orientale sia sta-
ta la cagione, o almeno una delle
cagioni che promossero il rinasci-
mento delle lettere in Europa; e
si vuole da alcuni, che i dotti del-
la Grecia cacciati o fuggiti da Co-
stantinopoli e ben accolti dal Pa-
pa Nicolò V, e dai Medici di Fi-
renze col loro sapere, e colle ope-
re che seco portarono, ricondusse-
ro i lumi della erudizione nell'oc-
cidente, il che (dice il citato Alem-
bert) non è vero se non in parte.
Che le lettere greche e latine
avessero da Nicolò V una grande
protezione, Io abbiamo dalManni,
Storia degli anni santi, pag. 72 e
seg. Egli dice che per ordine di
quel Papa, e con convenienti ono-
rari vennero a beneficio universale
ERU
tradotti dal Poggio Bracciolino dal
greco in latino Senofonte, e Dio-
doro Siculo; da Flavio Biondo fu
scritta l' Italia illustrata; da Anto-
nio degli Agli s'incominciarono a
scrivere gli Atti de* santi j da Gre-
gorio di Trebisonda si voltò in la-
tino Eusebio della preparazione e-
vangelica, Platone de legibus, VAI-
mageston di Claudio Tolomei, ot-
tantina omelie di s. Gio. Crisosto-
mo sopra s. Matteo, e due orazio-
ni di san Gregorio Nazianzenoj
da Nicolò Peratto si tradusse Po-
libio; da Lorenzo Valla Tucidi-
de (per la qual versione Nicolò
V gli diede di sua mano cinque*
cento scudi ) ed Erodoto j da Gua-
rino Veronese, e da Gregorio di
Città di Castello, la Geografìa di
Strabone} e la traduzione de' li-
bri de regno di Dionej da Pietro
Bandidio Decembrio, Appiano A-
lessandrino; da Teodoro Gaza al-
cune opere di Aristotile, e l' istoria
delle piante di Teofrastoj da Egi-
dio Libellio alcuni opuscoli di FUo-
ne Ebreo; e da Giannozzo Manetti
il vecchio e il nuovo Testamento.
E laddove il Petrarca cento anni
prima , per la lettura che faceva
di Virgilio, veniva chiamato miscre-
dente, nel pontificato di Nicolò V,
l' Iliade, e V Odissea di Omero , da
Orazio romano e da un altro, di
comando del dottissimo Pontefice,
munifico mecenate delle lettere e
suoi cultori, in latini versi furono
tradotte. Non deve tacersi che l'ar-
rivo in Europa dei dotti dalla Gre-
cia era stato preceduto dalla uti-
lissima invenzione della stampa, e
gli stessi francesi osservano che pre-
cedentemente erano comparse le
opere di Dante, del Petrarca e
del Boccaccio, le quali ricondotta
avevano in Italia l'aurora del buon
ERU
gusto e deir amore allo studio dei
classici.
I suddetti greci di Costantino-
poli riuscirono sommamente utili
ai letterati di occidente per la pie*
na cognizione della lingua greca ,
che incominciarono ad insegnare
con regolare metodo, e della quale
resero comune lo studio, forman-
do allievi talmente ingegnosi, che
ben presto eguagliarono e supera-
rono i loro maestri. Lo studio
profondo delle lingue greca e la-
tina , e degli antichi autori che
parlato e scritto avevano in quelle
lingue, preparò insensibilmente gli
spiriti ai buon gusto della erudi-
zione., e della bella letteratura. Fu
allora che i dotti dell'occidente si
avvidero che Demostene e Cice-
rone, Omero e Virgilio, Tucidide
e Tacito, seguiti avevano gli stessi
principii nell'arte di scrivere, e fa-
cilmente ne trassero la conclusione,
che quei principii erano i veri fon-
damenti dell'arte. Ciò non pertan-
to i veri principii del buon gusto,
dice il citato d'Alembert, non fu-
rono ben conosciuti ed accurata-
mente sviluppati se non quando si
ricominciò ad applicarli alle lin-
gue viventi; e in questo ancora
primi furono gì' italiani. Siccome la
memoria tenace è il principal ca-
pitale di un vero erudito, nell'in-
titolare l'eruditissimo Cancellieri al
celebre cav. Millin la Dissertazio-
ne intorno agli uomini dotati di
gran memoria, ec, cosi gli scrive-
va: •> Finche ho avuto la sorte di
•» starvi vicino a Parigi ed in Ro-
* ma, non mi facea di mestieri
» di consultare verun libro. Qua-
» loia mi occorreva di procurar-
» mi qualche notizia, o di sapere
» quale autore avesse scritto sopra
» qualunque materia, bastava che
ERU 67
» a voi ricorressi, trovando un ar-
* chivio, un museo, una bibliote-
» ca sempre aperta nella vostra
y> memoria. Poiché tenete, per dir
« così, tutto il tesoro ed il capi-
•» tale dell'immensa erudizione che
» possedete, in pronto e lucidis-
ti simo contante, da dispensare, e
« d'arricchire chiunque ne abbiso-
» gna ". 11 Muratori , il Tirabo-
schi, l'Andres, e tanti altri sommi
dotti, furono appellati principi dell'i-
taliana erudizione, nella quale fu tan-
to celebre il mentovato Cancellieri.
In oggi il vocabolo di erudizio-
ne si applica più comunemente a-
gli studi della filologia, ossia stu-
dio delle belle lettere, e di quello
che chiamiamo appunto erudizione,
non che dell'antiquaria. Egli è
perciò, che per ultimo accenneremo
quanto Filippo Buonarroti scrisse
sullo studio e sulla difficoltà del-
l'erudizione, nel suo proemio alle
dotte Osservazioni istoriche sopra
alcuni medaglioni antichi. Il vero
sapere consiste in gran parte, non
nell'avere apprese e conservate nel-
la memoria molte cose, ma bensì
nel discernimento di conoscerne il
valore, la scienza di esse, le cose
chiare e certe dalle dubbie, e la-
sciare le inutili. E se veruna scien-
za ha bisogno di un sì fatto pre-
paramento d' intelletto , e cautela ,
lo studio dell'erudizione e della an-
tichità è quello che ne ha una
necessità particolare, non solo per
le cagioni addotte, ma ancora pel
gran numero degli scrittori, e per
la varietà delle opinioni che ci
sono, non che per la differenza
degli stili, ond' è molto difficile in
una strada tanto frequentata da
ogni sorte d' ingegni seguitare le
vestigie che conducono alla veri-
tà. Ma siccome tali cose rendono
68 ERU
difficile un tanto studio, è pur ve-
ro che con grandissima utilità si
assuefa l'intelletto, e lo rende più
abile ad apprendere e seguire in ogui
affare la verità; imperocché, se l'e-
sercizio delle altre scienze ce lo
restringe, per così dire, ad un cer-
to, solo e regolato metodo , che
non è tanto a proposito per gli
altari comuni, lo studio dell' eru-
dizione dall'altro canto è più adat-
tato ad abilitarlo a ben discernere
e giudicare negli accidenti, e nelle
cose umane, le quali dipendono da
congiunture e cagioni diverse ed
uràni te, per la ragione che questa
scienza dipende, come si è detto,
da molti principi*!.
ERULI (Heruli). Questi anti-
chi popoli ebbero l' origine nella
Germania o nella Pomeriana, se-
condo S trabone e Tacito, e furo-
no prima chiamati Lemovii. Tolo-
meo nella sua geografia , dice che
gli eruli uscirouo dalle isole del
golfo del Codano o dell'Ellespon-
to Danico. Zosimo e Procopio che
ci fanno conoscere i principii di
questi popoli , attribuiscono loro
un'estrema ferocia. Questi popoli
entrarono in Europa , dopo aver
passato lunghesso il Ponto Eussi-
no. Gli uni si stabilirono sulle ri-
ve del Danubio, altri si imbarca-
rono, ma vi perirono in gran nu-
mero. Fecero la guerra ai lom-
bardi, e poscia agi' imperatori gre-
ci, per cui Anastasio fece loro la
guerra, e in parte li sottomise.
Giustiniano 1 accordò loro delle
terre, e li sollecitò a farsi cristia-
ni, siccome poi diremo. Al dire di
Procopio gli eruli entrarono in I-
talia nell'anno 47^, avendo alla
loro lesta Odoacre. Narra il Ri-
naldi, all'anno 47 5, num. 3, che
Giulio JXepote imperatore fu quel-
ERU
lo, che per vendicarsi di Oreste, il
quale avea proclamato imperatore
il proprio figlio Romolo Augusto,
detto per dispregio Momillo Au-
gustolo, come sdegnato in un ai
suoi partigiani, nulla curando la
rovina d'Italia, chiamò gli eruli,
popoli della Seandivania, inviando
a tal uopo una legazione ad Odoa-
cre, cui s. Severino avea predetto
il suo futuro ingrandimento. Odoa-
cre dopo poca resistenza, nel 47*>
occupò anche Roma , depose Ro-
molo Augusto rilegandolo nella
Campagna, cioè in Luculiano, ca-
stello vicino a Napoli, dando cosi
fine al romano impero cinque se-
coli dopo la sua fondazione > e la
possente dominazione romana fon-
data da Romolo, e stabilita da
Augusto ebbe fine sotto l' infelice
e debole principe, che indegna-
mente portava il nome di ambedue.
Lungi Odoacre di assumere la
porpora imperiale, prese in vece
l' insegne e il titolo di re d'Italia,
fissando la sua sede in Ravenna
(Fedi). Allora Roma venne consi-
derata come città secondaria, sot-
toposta al governo dei luogotenenti
del re, e le sue provincie limitrofe
formarono il ducato romano. Ri-
cordevole Odoacre del vaticinio di
s. Severino, gli scrisse invitandolo
a domandare ciò che avesse volu-
to. Odoacre mostrò molta mode-
razione, e sebbene seguace dell'a-
rianesimo, non turbò le cose sa-
gre, e concedette varie grazie ai
vescovi cattolici. L' erulo conqui-
statore mise nel suo consiglio il
celebre Cassiodoro , creandolo nel
485 conte delle rendite private, e
tre anni dopo conte delle sagre
largizioni. Indi nell' anno 487 vin-
se Feba re de' rughi, e lo mandò
schiavo con la moglie Gisa in Ita-
ERU
lia, ove trasportò pure le sue genti
quando superò Federico figliuolo
di Feba, che avea ricuperato il pa-
terno reame. Mal soffrendo Teo-
dorico re degli ostrogoti o visigoti
in Italia, che in questa nobile e
bella regione regnasse pure O-
doacre, ottenne l'assenso da Zeno-
ne imperatore di oriente di mar-
ciar contro di lui con poderoso
esercito l'anno 489. Lo vinse in
due battaglie, lo costrinse a rac-
chiudersi in Ravenna, e dopo tre
anni di assedio, Teodorico a' 5
marzo 49/3 ebbe per capitolazione
la città, indi dopo pochi giorni a
tradimento uccise Odoacre, termi-
nando colla sua morte il regno
degli eruli in Italia. Fu dunque
nel 493 che Teodorico assunse il
titolo di re de' goti e d' Italia, e
Roma fu a lui sottoposta. Abbia-
mo inoltre dal citato Rinaldi, al-
l'anno 527, num. 52, la conver-
sione al cattolicismo degli eruli, ed
essendosi recato il loro re Getes a
Costantinopoli, si fece battezzare, e
l' imperatore Giustiniano I, ch'erasi
servito degli eruli nella guerra di
Persia, lo tenne al sagro fonte. Di
questa conversione degli eruli ne
trattano anco Evagrio e Niceforo.
ERULI Eberardo, ovvero Ber-
nardo, Cardinale. Eberardo Eruli
nacque in Narni l'anno 1409. Giu-
sta il Ciacconio e l'Ughellio ebbe
i natali da famiglia volgare ed
oscura ; ma secondo lo Sperandio,
il Marchesi , il Viviano, sembra
piuttosto che avesse abbastanza ci-
vile casato. Ciò si conferma da
quanto disse Pio II nel concistoro
in riguardo all'Eruli, cioè non igno-
bili loco natus. In qualunque mo-
do però siasi la cosa, egli è certo
che fino da' primi anni si rese lo
specchio della integrità ne' coslu-
ERU 69
mi, e la meraviglia comune per la
profonda sua dottrina. Fu caro as-
sai a Nicolò V, che Io fece refe-
rendario, e lo ammise nel palazzo
vaticano, affidandogli liberamente le
cose di maggior importanza. Lo di-
chiarò quindi uditore di rota, e nel
i44^ gb' conferì il vescovado di
Spoleti, da cui lo richiamò l'anno
seguente per eleggerlo a suo vica-
rio in Roma. Succeduto poi nel
trono pontificio Calisto III, fu egua-
le il grado di onore eh' ottenne
presso questo Papa, ed anzi da lui
sarebbe stato promosso alla sagra
porpora, se le umane passioni che
talvolta nascondonsi anche nelle
persone eminenti, non gli avessero
ingiustamente opposto de' speciosis-
simi obbietti. Pio II però, non avu-
to riguardo a' nemici di lui , a' 5
marzo 1460 , lo creò Cardinale
dell' ordine de' preti , e gli asse-
gnò il titolo cardinalizio di s. Sa-
bina e l'abbazia delle tre fonta-
ne. Decorato di sì cospicua digni-
tà, visse con mensa frugale ed u-
mile suppellettile, per modo di ren-
dersi il modello dell'altrui condot-
ta. Nondimeno sapea sostenere i
diritti dell'alto suo grado con tale
fermezza da lasciarne le più lu-
minose memorie, e raccontasi nella
vita di lui che non abbia voluto
discendere a fare pel primo la vi-
sita al secondogenito del re di Na-
poli recatosi in Roma , sebbene i
suoi colleghi l'avessero già fatta.
In Narni avea fondato un ampio
monistero ed uno spedale pei po-
veri con una chiesa in Monterosi.
Dimesso il primo titolo, nel i474j
sotto Sisto IV, passò al vescovato
di Sabina, e quindi sostenne la le-
gazione di Perugia e dell'Umbria.
Ebbe amicizia col Cardinale di
Pavia, che di lui parla molto nel-
70 ERZ
le sue lettere, e col santo arcive-
m'(ivo di Firenze Antonino, il qua-
le spesso usava di consultarlo ne-
gli affari della più grande impor-
tanza. Morì in età di settanta an-
ni nel i479> e *" seP°'to ne^a ba-
silica vaticana, dove ottenne anche
un'iscrizione, che venne poi illustra-
ta dall'erudito ab. Dionisi ne' suoi
Monumenti delle grotte vaticane.
ERUMNINA. Sede episcopale
d'Africa, il cui vescovo Massimia-
no intervenne al concilio di Cabar-
susa nell'anno 2 34- Not. Afr.
ERYTRHAEA. V. Eretra.
ERYTRHON. Sede vescovile del-
la Libia Pentapoli, nel patriarcato
Alessandrino, sulle coste del mare.
Si crede stabilita da s. Marco, co-
me pure le sedi d'Idrace e di Pa-
lebisca; luoghi poco considerabili,
che le furono aggiunti, sebbene nel
quarto secolo avesse ognuno il
proprio vescovo. È noto, che il
concilio di Sardica avea proibito di
erigere vescovati ne' borghi. Si sa
ancora che ad onta di ciò ve ne
furono molti nella Pentapoli, in
altri luoghi d'Africa, ed in Asia.
Commanville dice, che Erytrhon
venne eretta nel quinto secolo , e
dichiarata suffragauea della metro-
poli di Cirene. Neil' Oriens Christ.
tom. II, pag. 625 , sono le notizie
de* quattro suoi vescovi Orione ,
Sabazio, Paolo e Teofilo.
ERZERUM, Erze-Roum, Aziris,
o Teodosiopoli ). Città arcivesco-
vile dell'Asia maggiore nel patriar-
cato di Ezmiazin, della nazione ar-
mena, la quale chiama questa cit-
tà col nome di Cariti o Garin. s
antica capitale dell'Armenia mag-
giore. Essa appartiene alla Turchia
asiatica neh' Armenia , ed è capo
luogo di pascialatico e di sangia-
cato, sorgendo in una vasta pia-
ERZ
nura, a piedi di un'alta monta-
gna, chiamala Egarli-Dagh , e di
molte colline, distante due leghe
dal braccio settentrionale dell'Eu-
frate. E assai grande, cinta di mu-
ra, e fosse; nel centro avvi una
cittadella circondata pur di fossa,
e da doppia muraglia in pietra ,
ed è fiancheggiata di torri. Questa
cittadella ha quattro porte, e rin-
chiude il palazzo del pascià, e qua-
si tutta la popolazione turca. Si
distingue tra le sue numerose mo-
schee l'Ulà Giamì, vastissimo edi-
fìzio. Vi sono inoltre molti bagni
pubblici, bazar, e belle piazze : la
fabbrica della dogana è pur vasta.
Quivi è il centro del commercio
fra la Persia, la Turchia, ed altri
luoghi , perchè è assai frequen-
tata dalle carovane. Si calcolano
i suoi abitanti a circa settantamila ,
turchi, armeni, greci ec. Sebbene
il clima sia freddo , e l'aria pura,
la peste vi fece delle grandi stragi
nel 1807 : precedentemente avea
provato il flagello del terremoto
a' 9 luglio 1784. Fuori della porta
di Tauris, vi sono ameni passeggi,
molti bei sepolcri di santoni , che
si vanno a visitare, e sorgenti mi-
nerali assai rinomate.
Commanville, nell' Hist. de tous
les archèv., dice, che Erzerum è
residenza di un arcivescovo arme-
no, che prima chiamavasi di Surp-
Xrixor, ossia di s. Gregorio, nel pa-
triarcato d'Ezmiazin (Vedi), e nel
monistero di tal santo. La provin-
cia d'Erzerum si componeva del-
l'arcivescovato d' Erzerum, e di tre
vescovati suffraganei. Questi vesco-
vati erano Surb-Astuasasin, con re-
sidenza nel monistero della Madre
di Dio, quattro leghe lungi da Er-
zerum ; Ginisuvanch) con moniste-
ro distante otto leghe da Erzerum ;
ESA
e filamruanavanch, città nel Be-
glerbei d'Erzerum. Oltre a ciò e-
ranvi gli arcivescovati onorari di
Derganav aneti, residente nel mo-
nistero d'Erzerum, e di Arsingam.
Di Erzerum si tratta in vari ar-
ticoli del Dizionario , massime al
voi. XVIII, pag. 1 1 3 e 124, ove
dicesi del suo stato presente sì delle
provincie che le sono soggette, che
degli armeni cattolici, di quelli sci-
smatici, ed anche dei greci.
ESALTAZIONE della ss. Cuo-
ce, Festa. V. il voi. XVIII, pag.
236 e seg. del Dizionario.
ESAME (Examen, inquisitio).
L' esame prendesi generalmente :
i.° per la ricerca colla quale si
procura di scuoprire la verità di
una cosa : i.° per la deposizione
de' testimoni : 3.° per quello della
religione , dappoiché gì' increduli
bene spesso hanno insistito sulla
necessità di esaminare le prove del-
la religione, la quale in vece di
proibircelo, e' invita anzi a farlo :
4-° per la discussione di coscienza,
o il riscontrare che devono fare i
cristiani tutti i giorni alla sera, ed
allorquando essi si dispongono a
confessarsi , affine di conoscere le
loro colpe : 5." per la prova della
capacità di quello che aspira a
qualche carica, od a qualche gra-
do nelle scuole, o negli ordini sa-
gri, ovvero a qualche benefizio a
cura di anime. Di tutte queste, e
di altre specie di esami , si tratta
a' rispettivi articoli. Solo qui ag-
giungeremo un cenno sull'-E^me
deJ vescovi.
Gregorio XIV prescrisse la di-
ligenza da usarsi nell'esame de' ve-
scovi ; quindi Clemente VIII de-
cretò, che gli eletti ai vescovati di
libera provvisione del Papa, com-
presi quelli di Avignone, e del con-
ESA 71
tado Venosino, allora domini» del-
la Chiesa romana, ed anche quelli
di nomina o presentazione di prin-
cipi sovrani d' Italia ed isole adia-
centi, si dovessero esaminare pub-
blicamente alla presenza del Papa,
nella sagra teologia, ovvero in sa-
gri canoni. Ed è perciò, che Cle-
mente Vili istituì la Congregazio-
ne deW esame de* vescovi (Vedi),
al quale articolo si riporta quanto
riguarda la congregazione cardina-
lizia, il prelato suo segretario, gli
esaminandi, ed il modo pubblico o
segreto col quale si fa l'esame. Di-
cesi inoltre essere soggetti all' esa-
me tutti i vescovi delle parti sud-
dette, i vescovi coadiutori e suf-
fraganei (massimamente dell'Italia),
e quelli che essendo vescovi tito-
lari sono trasferiti ad una chiesa
residenziale. Ivi pure si dice chi
gode l'esenzione, e chi n'è dis-
pensato. Altre analoghe notizie so-
no riportate all'articolo Concisto-
ro, cioè nel voi. XV, p. 23oe seg.
del Dizionario. Aggiungeremo qui,
che prima d'incominciar l'esame
il Papa legge l'orazione che suole
recitarsi al cominciar delle con-
gregazioni cardinalizie \ e che gli
esaminatori de* vescovi essendo Car-
dinali , prelati , e distinti reli-
giosi , prima esaminano i prela-
ti, o i religiosi, poi i Cardinali.
Dall'esame sono dispensati gli esa-
minatori, gli uditori di rota, i con-
sultori del s. offizio ec, ma essi
sono tenuti a presentarsi all' atto
dell'esame, e ad inginocchiarsi avan-
ti il Pontefice alla presenza degli
esaminatori. Il Papa però li fa su-
bito alzare. Lessi in carte autenti-
che, che sono pure dispensati dal-
l' esame ed esentati i vescovi di
Gorizia, di Trento, di Macarska, di
Sardegna , di Savoia ec. Fu per le
72 ESA
testimonianze uffiziose ilei sovrani,
e la considerazione delle spese e
dell'incomodo dei viaggi, che l'e-
same dei vescovi fu ristretto ai soli
promossi ai vescovati d'Italia. Dal-
ie medesime carte rilevai, che Cle-
mente XI, Benedetto XIII, e Be-
nedetto XIV talvolta approvarono
alcun vescovo, il quale nell'esame
si smarrì ; anxi Benedetto XIV e-
saminò in privato monsignor Co-
lombari, eletto di Bertinoro, ch'era
stato riprovato nell'esame pubbli-
co. In questo talvolta esaminò lo
stesso Papa, come fece Pio VI ; ne
mancarono esempi sotto Clemente
XIII, Clemente XIV, Pio VI e
Pio VII, che alcuni eletti vescovi,
non sostenendo bene l'esame, non
furono approvati , e perciò non
promossi all'episcopato. Non solo si
dispensarono alcuni dall' esame , e
ad altri venne accordato quello
particolare , ma ad altri bastò la
sola presentazione nel pubblico esa-
me, e quindi vennero esentati dal-
l' indulgenza pontificia, per ispecia-
le considerazione.
Noteremo per ultimo, che anche
gli avvocati concistoriali promossi
al vescovato , credono godere il
privilegio di esenzione dall' esame,
e ne fecero umile rappresentanza
al Papa Pio VI quando promosse
all'arcivescovato di Taranto l'avvo-
cato concistoriale Capecelatro. Non
fu data allora alcuna risposta, ma
quando il detto avvocato si pre-
sentò all' esame, il Pontefice si e-
spresse con queste parole : » Ut
># nostrani erga te clementiam o-
>' stendamus placet a rigido exa-
» mine te dispensare; habemus
» enim non unum sed multiple*
» doctrinae sapientiaeque tuae prae-
» clarum testimonium ; idcirco tuis
» ita exigentibus meritis soliusCar-
ESA
» dinalis Marefusci objectionibus
»» respondebis , sitque hoc perpe-
>» tuutn nostrae erga te benevolen-
ti tiae monumentum ".
ESARCA, o ESARCO (Exar-
chus). Questa parola significa pro-
priamente principe, o capitano. E
nome di uffizio e dignità ecclesia-
stica e secolare , e propriamente
era colui che dall'imperatore di
oriente veniva preposto come suo
vicario al governo delle provincie
d'Italia soggette all'impero, e che
ordinariamente risiedeva in Raven-
na. V. Esarcato d' Italia o di
Ravenna , ove dicesi che X Africa
avea il suo esarca, ossia governa-
tore. La dignità ecclesiastica di tal
nome era di diverse specie ; pri-
mieramente per officio della chiesa
Costantinopolitana, e chi lo funge-
va era come un legato del patriar-
ca. A lui spettava raccogliere le
decime, ed eseguire altri negozi
della chiesa. Secondo il Codino ta-
le esarca era uno de'm inori officia-
li della chiesa di Costantinopoli,
giacche egli lo registra il quaran-
tunesimo, dei quarantasei che no-
mina nel lib. 4- Nel pontificale
della Chiesa greca si legge una
formola dell'istituzione degli esarchi.
Il patriarca, fatta l'imposizione del-
le mani, dà loro un comando o
lettere testimoniali, che contengono la
obbligazione delle loro cariche. Es-
si dovevano visitare i monisteri
che dipendevano dal patriarca, cor-
reggere i superiori e gl'inferiori, fa-
re uno stato delle rendite dei mo-
nisteri, dei vasi sagri, degli orna-
menti ec. L' esarca inoltre co-
me legato e deputato di detto pa-
triarca, faceva la visita delle pro-
vincie al medesimo sottoposte, con
potere di prevenire e di correggere
gli abusi con saggi ed opportuni
ESA
regolamenti, come d'interdire e de-
porre quelli che meritassero puni-
zione, e di assolvere i penitenti.
Questa non era che una autorità
delegata, e non propria e persona-
le attaccata ad una sede.
Altra specie poi d'esarchi erano
quelli di una diocesi, che presie-
devano a molte provincie. Esso
era superiore al metropolitano, ed
inferiore al patriarca, corrisponden-
do la sua dignità a quella del Pri-
mate (Vedi). Chiamavansi esarchi
coloro fra i vescovi che venivano
scelti dai patriarchi , per visitare
in loro nome una parte della loro
diocesi o provincia. Il Macri nella
Not. de vocab. ecclesiastici, dice
che questa voce Exarchus Provin-
ci ae , significava il metropolitano
o l'arcivescovo, come si raccoglie da
queste parole: Exarchi Provinciae
dico auttm episcopi metropolitani.
Conc. Sardicensis can. 6. Sopra
questo canone Balsamone dichiara,
come per nome di esarca in que-
sto luogo s' intenda il primate, il
quale nei concili si sottoscriveva
dopo i patriarchi, e prima dei me-
tropolitani : Exarchus aulem dioe-
cesis non unius cujusque provinciae
metropolitanus est, sed metropo-
litanus totius dioecesis : dioecesis
vero dicitur, quae multas in se
provincias contine!. E così sotto
il patriarcato Costantinopolitano si
enumeravano tre esarchi, o primati:
l'Efesino per tutta l'Asia; quello di
Cesarea di Cappadocia in Ponto;
il terzo era il prelato di Eraclea
nella Tracia, e perciò esarca del-
l'esarcato di Tracia. Aggiunge lo
stesso Macri, che di cesi Exarchus
Dioeceseos, in significalo di prima- ESARCATO ECCLESIASTICO,
te. Si auteni cimi ipsius provinciae
metropolitano episcopus, vcl cleri-
citSy controversiam habuerit, veldioe-
ESA 73
ceseos Exarchum adeat, etc. Conc.
Calced. can. 9. Finalmente ripor-
teremo su questa dignità di esar-
ca, anche quanto ne scrive il Sar-
nellinel tonti. IX delle Lettere cccl.,
nella lettera XL.
La polizia ecclesiastica della chie-
sa orientale era costituita in que-
sta maniera, che i vescovi delle
sedi inferiori erano soggetti ai me-
tropolitani di ciascuna provincia;
sopra i metropolitani vi erano gli
esarchi, che in occidente sono detti
primati, come a presidenti di più
provincie ecclesiastiche; e sopra gli
esarchi i patriarchi, di maniera pe-
rò che la potestà, che competeva
a'vescovi inferiori intorno ai pro-
pri sudditti, e la loro giurisdizione
non riceveva detrimento alcuno dai
gradi superiori, salvo il diritto del-
le appellazioni. Gli esarchi più ce-
lebri di tutto l'oriente furono il
nominato Efesino nella diocesi del-
l'Asia; il Cesariense nella Cappado-
cia, a cui era soggetta la diocesi
di Ponto ; il Tessalonicense nella
diocesi di Macedonia; e il vescovo
di Eraclea nella diocesi di Tracia,
a cui nei primi tempi era sogget-
to il vescovo di Bisanzio o Costan-
tinopoli (V. Diocesi). A quell'ar-
ticolo avvertimmo che in orienle
il nome di diocesi era assai più
ampio che in occidente, dappoiché
presso gli orientali la diocesi ab-
bracciava più provincie, che ubbi-
divano ad un esarca o patriarca;
e ciascuna provincia, cui presiede-
vano i metropolitani, si chiamavano
Esarchie, e quelle di ciascun vescovo
inferiore dicevansi parrocchie. V.
Esarcato Ecclesiastico.
Diocesi composta di diverse pro-
vincie , presieduta da un vescovo
insignito della dignità di esarca,
74 ESA
essendo egli come un primate, o
come un metropolitano non di una
provincia ma di più provincie.
/". Esarca e Diocesi.
ESARCATO D'ITALIA, o di
Ravenna. Così chiamavasi quella
parte d'Italia che era governata dal-
l'esarca, cioè dal vicario o prefetto
per l'imperatore di oriente, il qua-
le risiedeva ordinariamente in Ra-
venna per difenderla in un ai do-
mimi ad essa annessi, contro i lon-
gobardi, che avevano conquistato tut-
ta l'Italia. Dopo che Odoacre re degli
Ertili (Fedi), ebbe per condiscenden-
za de'goti in balia l'impero di occi-
dente, e costrinse l'inetto imperatore
Romolo Augusto ad abdicare l'impe-
rio in Ravenna a'2 3 agosto dell'an-
no 47 5> fissò la sua sede in Ra-
venna, per cui Roma fu considera-
ta come città secondaria, sottoposta
al governo dei luogotenenti del re
Erulo_, e le sue provincie limitrofe
formarono il ducato romano. Ma
Teodorico avendo poi vinto co'suoi
goti o ostrogoti Odoacre, lo spen-
se a tradimento, restando cosi i
goti signori d'Italia. A liberare dal
servaggio questa regione, Giustinia-
no I inviò contro gl'invasori pri-
ma Belisario, e poi Narsete, che ri-
portarono sui nemici gloriose vit-
torie. Sarebbe stata felice l'Italia se
i trionfi del prode Narsete avesse-
ro posto termine alle sciagure di
lei; ma questo medesimo capitano
che era stato la cagione di sua
tranquillità, divenne invece l'auto-
re della pubblica rovina. Narsete
lodato per valore ed altre virtù,
ebbe taccia di disordinato amore al-
le ricchezze; e venuto in odio ai
patrizi romani, fu da essi accusato
all'imperatore Giustino II. Gli a-
mici di Belisario profittarono del-
la circostanza per vendicare il suo
ESA
richiamo dal comando delle armi in
Italia, quando gli fu sostituito Nar-
sete, che per essere eunuco, e per-
siano era il disprezzo de'greci. Gli
emuli pertanto di Narsete rappre-
sentarono all'imperatrice Sofia, che
Narsete profittava de'tesori, co'qua-
li potevasi risarcire il depauperato
erario imperiale; laonde essa co-
me potente presso il marito Giu-
stino II, imprudentemente scrisse
a Narsete, che non conveniva ad un
eunuco il maneggio delle armi, per
cui poteva tornar fra le ancelle a
filare. Adontato fieramente Narsete
continuò l'allegoria, rispondendo a
Sofìa, ch'egli a'suoi comandamenti
ubbidiva, ma che del filo fatto
dalle sue mani, una tela tessuta
avrebbe, che né essa, ne il suo
marito sviluppare giammai potreb-
bero. Quindi Narsete sollecitò Al-
boino, re de'longobardi, ad occu-
pare l'Italia, che trepidava al solo
loro nome, essendo stata testimone
del valore di quegli scandiva ni ,
quando ausiliari di Narsete scaccia-
rono i goti. Ad evitar l'odio dei
romani, Narsete da Roma si con-
dusse a Napoli, intanto che i lon-
gobardi riempirono di spavento e
di stragi l'Italia.
Sedeva sulla cattedra apostolica
il Papa Giovanni III, amicissimo di
Narsete perchè aveagli ottenuta
da Giustino II la dignità di ex-con-
sole. A placar l'ira di questo , re-
cossi a Napoli, gli riuscì di persua-
derlo, e seco il ricondusse in Ro-
ma, ove morì di dispetto vedendo-
si impotente di rimediare alla ro-
vina d'Italia, giacché Alboino avea
fissata la sua residenza in Pavia,
e dato principio al regno longobar-
dico, che durò 206 anni: altri dicono
184, ed altri, computandovi il tem-
po che governò Narsete, anni 218.
ESA
Giunse in questo tempo, spedito
da Costantinopoli a Ravenna, Lon-
gino patrizio, fatto successore di
Narsete, seco recando per mare un
esercito. Udita egli la morte di
Narsete, trasmise all'imperatore il
cadavere di lui chiuso in cassa di
piombo, ed insieme tutto l'immen-
so tesoro del defunto. Essendo sta-
to Longino spedito in Italia con
assoluto arbitrio, inventò nuova fog-
gia di governarla, facendo Raven-
na, non più Roma, sede della pre-
fettura, né chiarnossi duca, ma e-
sarca dell'Italia, a somiglianza del
governatore dell'Africa, che pari-
menti esarca nomavasi . E perchè
della venuta de'longobardi teme va-
si, fortificò Longino le città fron-
tiere d' Italia verso Lamagna, e
ESA f$
munì di valide soldatesche Roma e
Ravenna. Cosi ebbe principio l'esar-
cato di Ravenna, di cui andiamo a
dire di quali dominii componevasi,
rammentando qualche tratto stori-
co principale, mentre il resto si
dice all'articolo Ravenna (Fedi).
Siccome gli esarchi alcune fiate a-
busivamente, e al modo che di-
cemmo ad Elezione de sommi Pon-
tefici (Fedi), influirono all'elezio-
ne dei Papi, e talvolta ne ratifi-
carono l'esaltazione pegl'imperatori
di oriente, speriamo non riuscirà
discaro che qui si riporti il nove-
ro de'medesimi esarchi., che pren-
diamo dalla celebre opera del eh.
Cesare Cantù: Cronologia per ser~
vire alla storia universale^ a pag,
354.
Esarchi dì Ravenna.
Narsete, duca d'Italia dal 544
Longino primo esarca « 568
Smaragdo » 584
Romano » 5o,o
Callinico ....>» 597
Smaragdo, per la seconda volta *» 602
Lemigio • » 6 1 1
Eleuterio » 616
Isacco » 619
Platone » 638
Teodoro I Calliopa * 648
Olimpio » 649
Teodoro I Calliopa, per la seconda volta . . * 652
Gregorio « 666
Teodoro II » 678
Giovanni Platino »» 687
Teofilace *» 702
Giovanni Rizocopo » 710
Eutiehio » 7 1 1
Scolastico » 7 1 3
Paolo >» 727
Eutiehio, per la seconda volta « 728
Astolfo pose fine all'esarcato il 752.
al
568
584
59°
^97
602
611
616
619
638
648
649
652
666
678
687
702
710
711
7i3
727
728
752
76 ESA
Dal Muratori, e dalla seconda
sua dissertazione, del regno d'Ita-
lia e de' suoi confini, rilevasi quel-
li dell'esarcato di Ravenna. Egli
pertanto dice che lungo la spiag-
gia dell'Adriatico arrivava il domi-
nio de' longobardi sino ai contini
di Ravenna , dove risiedendo gli
esarchi, cioè i ministri ossia go-
vernatori postivi dagl' imperatori
greci, davano il nome di esarcato
a parte dell'Emilia, ed a Flaminia,
tuttavia suddite del greco impero.
Noteremo che l'Emilia è un'anti-
ca contrada d'Italia, cui la strada
Emilia diede il nome, situata fra
il Po, l'Apennino e la Flaminia.
Comprendeva porzione della Lom-
bardia di là dal Po, e della Ro-
magna, si estendeva da Rimini si-
no a Piacenza, rinchiudendo por-
zione degli stati della Chiesa, e
dei ducati di Parma, Modena,
Mantova e Mirandola, colle città
di Piacenza, Parma, Reggio, Bolo-
gna ed Imola. La Flaminia poi,
altra contrada d'Italia, cosi chia-
mata ne'primi tempi. I popoli di
questi paesi, detti lingoni e seno-
ni, erano gaulesi venuti a stabilir-
■visi dalle provincie di Langres e
di Sens, per lo che questa parte
di Italia prese poscia il nome di
Gallia Cisalpina, quindi di Roman-
diola o Romagna. Noteremo inoltre,
che sebbene 1' Anastasio , in Vii.
Steph. Ili, ove riporta il modo
come l'esarcato fu dato alla santa
Sede, non vi comprenda la pro-
vincia del Piceno, tuttavolta il
Borgia è di avviso coi geografi,
che ancor essa stesse sotto il go-
verno degli esarchi di Ravenna .
Il Piceno, contrada dell'Italia anti-
ca, lungo l'Adriatico, abitato dai
picenti originari della Sabina, è un
paese vagamente variato da colline
ESA
e fertili piani. Soggiungo però il
Muratori, che alcuni vollero am-
pliare r esarcato comprendendovi
Piacenza, Parma, Reggio e Mode-
na, ma aggiunge che ciò non è
vero. Di quelle quattro città, e per-
sino d'Imola, sul principio s'impa-
dronirono i longobardi ; e Mauri-
zio imperatore nell'anno 5c)o, col-
legato co' franchi, ricuperò Mode-
na, Mantova, Aitino, Cremona, ed
altri luoghi. Il re Agilulfo in ap-
presso tutto riprese, e il confine
degli stati tornò ad essere fra Mo-
dena e Bologna. Presero poi altri
re longobardi l' esarcato, e resta
tuttavia in Bologna un monumen-
to del dominio del re Luilpranclo in
quella città. Pipino re de' franchi, co-
me meglio diremo, restituì e fece un
dono dell'esarcato al Romano Pon-
tefice; e perchè il re Desiderio
tornò ad occuparlo, Carlo Magno
lo ricuperò alla Chiesa Romana,
e conquistò per se il regno d'Italia.
Fin qui il Muratori. Ma di altre
interessanti notizie dell' esarcato di
Ravenna, oltre quanto dicesi a quel
citato articolo, de' suoi popoli che
si posero sotto la protezione della
santa Sede, del dono fattone ad
essa da Pipino, e quali provincie
abbracciasse, lo diremo brevemen-
te coll'autorità del Borgia, Memo-
rie isteriche di Benevento, tom. I,
pag. 8 e seg. Di questo esarcato,
come dominio pontificio, si parlò an-
cora all'articolo Comacchio (Fedi).
L'empio Leone l'Isaurico aven-
do dichiarato guerra alle sagre im-
magini, e vessando i popoli Italia-
ni in altre guise, questi, all'udire
che l'imperatore minacciava d'im-
prigionare il zelante Pontefice s.
Gregorio II siccome difensore del
culto delle sagre immagini, si sot-
trassero dalla sua ubbidienza, ricu-
ESA
saremo di pagaie i tributi, ed li-
ni ti ai longobardi signori del resto
d'Italia, presero le armi in difesa
del Papa. Si pensò in questo tem-
po dagl'italiani di eleggere un nuo-
vo imperatore, e di condurlo spal-
leggiato dalle loro armi a Costan-
tinopoli; ma il saggio s. Gregorio
li, sperando nel ravvedimento di
Leone, raffrenò gli spiriti. Roma
però, e i luoghi del suo ducato,
soggetti sino allora all'imperatore
d'oriente, verso l'anno y3o si sot-
trassero anch'essi dall'ubbidienza di
Leone, e de' suoi ministri , cioè
dagli esarchi di Ravenna , come
narrano Teofane, Cedreuo , e Zo-
nara presso il Bellarmino, de Rom.
Poni. cap. 8, lib. 5. Ponendosi dun-
que Roma in libertà costituì il Pa-
pa (l'autorità temporale del quale
da molto tempo era quivi riverita)
per capo suo non meno che del du-
cato romano. Non andò guari che
s. Gregorio II, con coraggio, dovè
opporsi al re Luitprando, il quale
confederatosi con Eutichio patrizio,
ed esarca di Ravenna, macchina-
va di soggettare a sé i duchi di
Spoleto e Benevento, e la città di
Roma all'esarca, che ne dovea fa-
re l'assedio. Fu allora, che il Pa-
pa ammansò colla sua robusta e-
loquenza il re longobardo, lo in-
dusse a rendere omaggio a s. Pie-
tro, a ritrocedere coll'esercito, e ad
implorare il perdono all' esarca
come il Pontefice gli accordò. I
santi Pontefici Gregorio III e Zac-
caria difesero contro i longobardi
alcune città del loro dominio, da
essi prepotentemente occupate; an-
zi il secondo, come padre comu-
ne, rivolse le sue cure sui popoli
dell' esarcato, e della Pentapoli pro-
vincia del medesimo esarcato, che
ancora dipendevano dall'impero o-
E S A 77
rientale. Venivano questi angustia-
ti dalle armi vittoriose di Luit-
prando, eh' erasi impadronito di
Ravenna capitale dell'esarcato, e
di altri luoghi, mentre le forze
dell' esarcato erano ineguali per far
fronte al nemico, né da oriente ri-
ceveva aiuti, perchè Costantino,
succeduto nel 741 a suo padre
Leone, era impegnato a reprime-
re il cognato Artabano, il quale
tentava detronizzarlo. Laonde tan-
to l'esarca Eutichio, che Giovanni
arcivescovo di Piavenna, per iscam-
pare mali maggiori, si raccoman-
darono a s. Zaccaria, acciocché qua-
le amico del re Luitprando fa-
cesse l'uffizio di mediatore. Non fu
renitente il Pontefice a queste do-
mande, per cui prendendo subito
cura e sollecitudine di quelle Pro-
vincie, nelle quali sebbene gl'im-
peratori greci ne ritenessero il ti-
tolo di padroni, non ne curavano
la conservazione e la difesa. Dopo
avere il Pontefice a mezzo de'suoi
legali pressato il re, con l'offerta
di molti doni, s' incamminò egli
stesso alla volta di Pavia. In pas-
sando per Ravenna vi fu salutato
ed accolto con questa tenera accla-
mazione: Bene venit Pastor, qui
suas relìquit ovesi et ad nos qui
perituri eranius liberandos occurrit.
Giunto s. Zaccaria nella regia cor-
te di Pavia, indusse Luitprando a
restituire alcuni territorii a Raven-
na, e due parti del territorio a
Cesena, obbligandosi di restituire
poi Cesena stessa, ed il rimanente
del suo territorio. Ciò venne in
cognizione di Costantino, il quale
per compensare il Papa di quanto
avea operato per la quiete dell' e-
sa reato, concesse all'apocrisario del-
la santa Sede, che gliele doman-
dava, le due masse, o sieno unio-
7« ESA ESA
ni di vari predi e possessioni, che si sotto la protezione e difesa del-
erano di ragion pubblica, appella- la sede Apostolica, implorò ed ot-
te Ninfa e Norma. tenne l'aiuto di Pipino re di Fran-
Dopo che l'esarcato di Ravenna eia, ove il Papa si recò nel 754.
si pose sotto la protezione dei Pa- In questa occasione Stefano III un-
pi, successivamente ne sperimentò se re di Francia Pipino, insie-
i benefìci effetti. Il medesimo Zac- me co' suoi figli Carlo e Car-
caria continuò a proteggere i pò- lomanno, dichiarandoli patrizi dei
poli dell' esarcato, conchiudendo a romani, affinchè s'impegnassero ai-
favore di esso col re Rachisio un la difesa della Chiesa romana, e
trattato di pace per venti anni, degli stati suoi, e si convenne tra
A Rachisio successe nel regno lon- Stefano III e Pipino, che rito-
gobardo Astolfo suo fratello nel gliendo questi colle armi dalle ma-
749. Questi nel pontificato di Ste- ni degli usurpatori longobardi l'e-
fano lì, detto III, e nel 752 mos- sarcato di Ravenna, egli per mu-
se le sue armi contro V esarcato, nifìcenza degna di cattolico prin-
occupandone la capitale, di dove cipe lo donasse alla Chiesa Romana,
scacciò Eutichio ultimo degli esar- come narra il de Marca, de Cori-
chi, ed indi orgogliosamente le ri- cord. lib. I, cap. 12, § 3; la qua-
volse contro le città del ducato le Chiesa da tanti anni aveva as-
romano, tentando ogni via di sot- sunto tutto il peso di quelle pro-
tomettere ancora queste al domi- vincie, e tanto si era affaticata per
nio longobardo. Adoperò il Papa salvarle, come ora per ricuperarle
donativi e preghiere, ed ottenne dalle mani de'longobardi.
capitoli di pace per quaranta an- Erano stati, siccome abbiamo
ni. Ma il re ponendo in non cale detto, i popoli dell'esarcato abban-
la giurata fede, tornò a minaccia- donati da'greci in preda de'barbari,
re i romani ed il Papa, volendo e perciò costituiti in diritto, a fine
che ciascuno del ducato gli pagas- di provvedere alla propria salvez-
se un soldo d'oro in tributo. Al- za e conservazione, di separarsi dal
lora il santo Pontefice credette capo dell'imperio; e vedendosi pa-
miglior partito far uso dell'autori- droni, o di rimanere sotto il giogo
tà e della forza. Ricorse prima a Co- dei re longobardi, o di darsi ad
stantino, cui doveva essere a cuo- altri, si erano già donati ai Papi
re la repressione di Astolfo, che ch'eglino avevano da prima eletti
avea occupata Ravenna e buona per loro duci e protettori. Venne
parte dell'esarcato; ma quel prin- quindi Pipino in Italia nello stes-
cipe impegnato nel sacrilego pen- so anno 754 alla testa di pode-
siero di distruggere le sagre imma- roso esercito contro del re Astolfo,
gini, dimentico del dovere conna- ed assediatolo in Pavia, il Papa
turale ad ogni principe di difen- per liberarlo dal totale esterminio
dere e conservare i propri stati, fu che gli sovrastava, gli offrì la pa-
sordo alle richiesle del Papa. Que- ce affine di risparmiare anche il
sii dunque per sottrarre dall'ava- sangue cristiano , purché gli re-
rizia de' longobardi il ducato 10- stituisse quanto aveagli tolto, e gli
mano ed i popoli dell'esarcato, che consegnasse Ravenna, eie altre città
Zaccaria suo predecessore avea pie- da lui occupale, secondo il conve-
ESA
mito col re Pipino. Il timore di
maggiori disastri indusse Astolfo ad
accettar con giuramento tali condi-
zioni; ma appena Pipino tornò in
Francia, e Stefano III in Roma,
il longobardo re con infame perfi-
dia andò ad assediare quella città
nel 7 55, non senza grave danno
de'luoghi suburbani. Subito il Pa-
pa fece sapere al re di Francia il
temerario procedere di Astolfo ,
laonde volò Pipino ad assediarlo
in Pavia, obbligandolo a ridurre
ad effetto tutte le condizioni della
precedente pace. Per tal modo si
stabili il dominio temporale, che
la Chiesa Romana gode presente-
mente, non solo colla restituzione
de'luoghi intorno a Roma, e massi-
me della città di JMarni, che i du-
chi di Spoleto avevano tolto al
ducato romano; ma anche colla
cessione di Ravenna, della Penta-
poli, e di tutto l'esarcato. Allo
strepito di queste vittorie ed av-
venimenti, si scosse l'imperatore
Costantino, ripetendo con promesse
ed offerte, le nominate provincie a
Pipino; ma il religioso principe ri-
spose , che per niuna ragione a-
vrebbe permesso che quelle città
fossero alienate dal diritto della
Chiesa Romana, giacche non per
altro fine aveva egli intraprese quel-
le spedizioni, come si legge presso
l'Anastasio, in Vit. Steph. III. Quin-
di con ampio diploma Pipino re-
stituì e donò alla Romana Chiesa
il dominio assoluto dell'esarcato di
Ravenna, e perciò osserva il Cenni,
tu praefat tomo IV A nasi. Bi-
bliothec. num. 21-22, che il prin-
cipato della Chiesa Romana non fu
allora istituito, ma bensì amplificato.
Sul novero delle città e luoghi
sottoposti all' esarcato di Ravenna,
suoi confini ed estensione, il citalo
ESA 79
Borgia, a pag. 18 e seg., riporta
quanto ne scrissero l' Anastasio ,
Cencio Camerlingo presso il Mura-
tori, Antiq. italìc. med. aev. diss.
69, l'epistole contenute nel codice
Carolino, e l'Ughelli nel t. II, Italia
sacra. Pel resto è a vedersi Ravenna,
e Sovranità" de' romani Pontefici.
Il Frizzi nella bella storia che ci
ha dato di Ferrara, al tom. II eru-
ditamente parla dell'esarcato detto
anco Emilia, dei suoi confini , del
modo cui passò dai greci ai lon-
gobardi, e come donato ai roma-
ni Pontefici; quindi come usurpato
dagli arcivescovi di Ravenna, e da
altri , e come tornato alla Chiesa.
Per ultimo non riuscirà discaro
aggiungere quanto il p. Antonio
Brandimarte, minore conventuale,
scrisse dell' esarcato nel suo Piceno
Annonario, ossia Gallia Senonia
illustrata, a pag. 1 2 e seg., ove par-
la pure della summentovata Pen-
tapoli. Distrutto il dominio de' go-
ti in Italia, e costituita Ravenna
città capitale dell' esarcato, il Pi-
ceno Annonario o Gallia Togata,
formante ora la metà della .pro-
vincia della Marca, mutò allora
nome, e la parte marittima di esso
fu chiamata Pentapoli, e la parte
montana fu chiamata Provincia dei
Castelli, e fu divisa in due pro-
vincie. L'anonimo ravennate enu-
merando le regioni d' Italia dice ,
che la sesta era Annonaria Pen»
tapolensis, cui adnexa pars Pice-
ni annonarii , septima est supra
ipsam Pentapolim, idest Provincia
Castellorum, quae ab antiquis
Il p. Berretti contro il Fontanini
supplisce la parola aggiungendo
quae ab antiquis dieta est Pice-
niun, e crede che il contado Fer-
mano sia la Provincia de' Castelli,
li Catalani, Stefano Borgia, ed il
8o ESA
Rallaclli si uniscono a lui. 11 Bran-
di marte però pensa diversamente,
e crede che la Pentapoli Annona-
ria, a cui era annessa porzione del
Piceno, l'osse composta in principio
da cinque città, cioè da Rimino,
da Pesaro, da Fano, da Siniga-
glia, e da Ancona, cioè dalla Gal-
lia marittimo, e che la Provincia
de' Castelli situata sopra la stessa
Pentapoli, che dagli antichi fu chia-
mata Piceno, fosse composta della
Gallia Montana, cioè da Cameri-
no, Maidica, Attidio, Tufìco, Sen-
tino, Alba, Ostia, Suasa, Pitulo,
Jesi. La voce Pentapoli è compo-
sta da due parole greche, che si-
gnificano cinque città. Col tempo la
provincia di Pentapoli distese i con-
fi ni ; imperocché nel sinodo roma-
no celebrato nel 680 sotto il Pa-
pa s. Agatone, gli atti del quale
furono poscia inseriti nel sesto con-
cilio Costantinopolitano , i vescovi
di lumini, di Pesaro, di Fano, di
Numana, di Osimo, di Ancona, tutti
uniformemente chiamano se stessi
vescovi Provinciae Penlapolis. Lu-
dovico Pio, confermando le dona-
zioni e restituzioni fatte alla Chie-
sa da Pipino e da Carlo Magno,
pone molte città nella Pentapoli ,
con queste parole : » Similiter et
» Pentapolim, videlicet Ariminium,
»» Pisaurum, Fanum, Senogalliam,
» Anconam, Ausimum, Hesim, Fo-
>» rum Sempronii, Monte Feretri,
m Urbinum , et territorium Bal-
» nense, Callem, Luciolis, et Eu-
» gubium cum omnibus flnibus,
» ac terris ad easdem civitates per-
» tinentibus". Queste città non e-
rano più degl'imperatori greci, ma
erano passate in mano dei longo-
bardi . Pipino re di Francia le
ritolse al re Astolfo, mandò Fulra-
do abbate di s. Dionisio co' depu-
ESB
tati del re Astolfo per la Penta-
poli e per l' Emilia, come narra
Anastasio Bibliotecario, per riceve-
re le chiavi delle città, e portatosi
in Roma le depositò nella confes-
sione di s. Pietro , e gli donò o
restituì le città di Ravenna, Ri-
mini, Pesaro, Conca, Fano, Cese-
na , Sinigaglia , Jesi , Montefeltro ,
Urbino, Cagli, Luccoli, Gubbio ec.
Siccome i longobardi divisero l'I-
talia in ducati, cos\ chi sa dire
quanti ducali costituirono colla Pen-
tapoli, che loro fu ritolta, e po-
scia donata e restituita con tal no-
me alla santa Sede ? Anastasio Bi-
bliotecario, nella vita di Adriano I,
nomina il ducato Fermano, Osi-
mano, Anconitano, e dice che es-
sendosi gli abitanti di questi vo-
lontariamente dati alla santa Sede,
more romanorum tonsurali sunt.
ESBONA. Città vescovile della
provincia di Arabia, nella Samaria,
diocesi di Antiochia, sotto la me-
tropoli di Bostra. Esbona, Esboti
o Esebon era la capitale de'moa-
biti : qui regnò Seon re degli a-
morrei, che poi fu vinto ed ucciso
in sanguinosa battaglia dagli israe-
liti. Gli amorrei l'avevano conqui-
stata dai moabiti. Era nella tribù
di Ruben,, e separata pei leviti, ai
confini della tribù di Gad, incontro
a Gerico. Nella Sìria sagra si leg-
ge, eh' era lontana dal Giordano
venti miglia^ e quaranta dal mare
Asfaltide; e che celebri erano le
sue fontane, vaste., e mirabili pel
modo col quale erano costrutte. Gen-
nadio, Zosio e Teodoro ne furono
vescovi, Oriens Christ. toni. II, p.
864- Al presente Esbona, Esbonen ,
è un titolo vescovile in parlibus,
che conferisce la sede Apostolica,
sotto la metropolitana di Bostra,
altro titolo in parlibus. Attualmente
ESC
n'è vescovo monsignor Antonio Pez-
zoni dell'Ordine de'niinori cappuc-
cini, promosso a tal dignità, ed a vica-
rio apostolico del Thibet ed Indostan,
a' 27 gennaio 1826, da Leone XII.
ESCART (d') DI GIURY An-
na, Cardinale. Anna d'Escart di
Giury de' conti di Limoges , con-
giunti colla real casa di Fran-
cia Tanno i435, nacque in Pa-
rigi , e fu rigenerato colle acque
battesimali nella chiesa di s. Pao-
lo. Professò dapprima nel moniste-
io benedettino di s. Benigno di
Bigione, e colà diede principio ad
esercitarsi in ogni genere di cri-
stiane virtù. Riuscì di ammirazio-
ne a Caterina de' Medici , regina
di Francia, a Carlo IX, e ad En-
rico III, il quale conosciuto anco-
ra il profondo sapere di lui , nel
i584, lo nominò al vescovado di
Lisieux. Assunto il reggime pasto-
rale, cominciò con ogni potere a
purificare la sua diocesi dagli er-
rori che v* erano disseminati, e ri-
condusse in ogni luogo la pietà, e
la purezza della fede. In alcune
dissensioni nate tra Ja corte e i
grandi del regno si rese mirabile
pel suo ben misurato contegno, e
per la sperienza consumata che
mostrò negli affari. Neil' interregno
specialmente dovette fare più volte
il viaggio di Roma, e sono indici-
bili i rischi e le fatiche che in tali
incontri sostenne pel bene della
Chiesa. Clemente Vili, pesati ch'eb-
be tanti meriti di quel vescovo in-
signe , a' 5 giugno 1 5g6 lo creò
Cardinale prete di s. Susanna,
e gli prescrisse nel tempo stes-
so di non abbandonar più la
Francia , la quale dalla presenza
di lui dovea ripetere i più gran-
di vantaggi. Ma dopo la concilia-
zione di Enrico IV, recossi in Ro-
vol. xxu.
ESC 8r
ma, e vi ottenne la protettola del-
l'Ordine cistercense e del regno
di Francia , e fu ascritto ancora
alle congregazioni del s. officio e
de' vescovi e regolari. Nel 1608 fu
destinato al vescovado di Metz ; e
in questa diocesi con molto impe-
gno si adoperò alla riedificazione
della Chiesa quasi abbattuta dalla
formidabile eresia di Calvino. Po-
chi assai erano ivi i cattolici quan-
do egli assunse le redini dello spi-
rituale governo ; ma pochi ezian-
dio erano gli eretici quando egli
lasciò colà le sue spoglie mortali.
Predicava con ardentissimo zelo, ed
era infaticabile nel cercare tutte le
vie per persuadere e convincere.
Obbligò ancora tutti gli ebrei della
diocesi a trovarsi presenti ogni sab-
bato alla predica che si faceva nel-
la chiesa di s. Paolo , ne mai la-
sciò cura per faticosa che fosse ,
quando trattavasi della salute dei
suoi. In mezzo a tante serie e gra-
vissime occupazioni trovava il tem-
po di consecrarsi all' orazione , ed
alla contemplazione de' divini mi-
steri, non meno che di esercitarsi
nelle più aspre corporali peniten-
ze. Era di venerabile aspetto, ga-
stigatissimo nel parlare, e assai mode-
sto nello sguardo. Vivea separato dal-
le conversazioni, contento di tratte-
nersi soltanto con poche, ma sa-
pienti persone. Nondimeno era af-
fabile, cortese ed umano con tutti.
La sua mensa riducevasi al neces-
sario per mantenere la vita, il suo
corredo era ristretto assai per quan-
to chiedeva il decoro della sua di-
gnità, il vestito di molto dimesso,
ma ben eloquente. Non usava pre-
dilezione pei carnali parenti, ne vi
fu esempio eh' egli volesse distin-
guerli nel lasciare loro legati, o
abbazie, 0 benefìzi ecclesiastici pri-
6
8a ESC
ma che se lo avessero meritato coi
ben provati servigi. Che se qual-
cuno lo stimolava a superare que-
sti suoi giusti riguardi, rispondeva
con franchezza : pensiamo che cosa
avrebbe fatto s. Carlo Borromeo in
queste circostanze. Nel conclave di
Paolo V poco mancò che fosse e-
letto Papa. Questo celebre perso-
naggio morì nel 1 6 1 1 , e fu se-
polto nella sua cattedrale. Il Suas-
sy, nel suo martirologio Gallicano,
fa menzione di questo Cardinale
a' i g aprile, giorno della sua morte.
ESCHILLO (s.). Inglese di na-
scita, allevato e cresciuto nei sodi
principii della cattolica religione, ar-
deva di cocente brama, che occa-
sione se gli presentasse per semi-
nare sul campo evangelico le ce-
lesti dottrine. Intesa dall'arci vesco-
vo di Yorch s. Sigifredo l'aposta-
sia della Svezia, deliberò di recarsi
sul luogo, ed Eschillo, che n'era
anche parente, con somma alle-
grezza gli si fece compagno. La
santa parola enunciata da questi
due zelantissimi apostoli , riportò
copiosi frutti di benedizione, e di
salute. Il re ed il popolo concepi-
rono per essi una grande venera-
zione, e dovendo s. Sigifredo ritor-
nare al suo gregge, questi fu pre-
gato dal re a voler lasciargli Es-
chillo, e consecrarlo per loro ve-
scovo. Fu quindi dal s. arcivesco-
vo conferita ad Eschillo la pienez-
za del sacerdozio , e la chiesa di
Svezia, sotto un tanto pastore, cre-
sceva ogni dì più a moltiplicare i
credenti alle verità del vangelo. Per
mala ventura trucidato il re Ingon
da un'orda d' infedeli, fu posto su
quel trono Swenone, detto il San-
guinario, ed in allora la novella
chiesa ebbe a sentirne funestissimi
eflEetti. Introdottasi di nuovo la bar-
ESC
barie e l'empietà, non si perdette
però di coraggio il santo pastore,
ed in un giorno di grande festivi-
tà idolatrica in Strengis_, col suo
clero si presentò in mezzo a que-
ll'infedeli. Perorò con forza, rim-
proverò la loro condotta, e veden-
do inutili le sue rimostranze, pre-
gò il Signore di far conoscere la
sua possanza con qualche visibile
segno. Una grandine all'improvviso
si suscitò, ed un fulmine atterrò
l'ara e distrusse tutto quello che
servire doveva al sagrifìzio di que-
gl' infedeli. Un tale prodigio fu da
que' protervi accagionato a magico
spirito, e si vendicarono col santo
vescovo mettendolo a morte a col-
pi di pietre. Fu seppellito nello
stesso luogo, ove egli sostenne il
martirio. Ivi indi appresso venne
eretta una magnifica chiesa , e la
tomba del santo fu onorata da
una moltitudine di prodigi. Morì
s. Eschillo nell'undecimo secolo, e
la festa viene celebrata in Isvezia
e nella Polonia li \i giugno.
ESCLUSIVA. Avvertenza paci-
fica, cui impropriamente fu dato
il nome di privilegio e di prero-
gativa; avvertenza che talvolta le
tre corti di Vienna, Parigi e Ma-
drid esercitano per un solo indi-
viduo nei conclavi per la elezione
de' sommi Pontefici , dichiarando
non riuscir loro gradita la esalta-
zione di un Cardinale, per loro
particolari ragioni e motivi. Nei
primi tempi l'esclusiva non soleva-
no darla che l'imperatore, ed il
re di Francia, come quelli ch'era-
no intervenuti , al modo che di-
remo, alla eiezione pontificia. A
voler conoscere l'origine della con-
suetudine delle esclusive, e la pru-
denziale tolleranza de' Pontefici, fa
d'uopo principalmente, anzi è ne-
ESC
cessano leggere l'articolo Elezione
de' sommi Pontefici Romani. In es-
so si vedrà pel corso di tredici se-
coli, qual fu la maniera di creare
i Pontefici, in qual modo s'immi-
sero nella pontifìcia elezione i re
di Italia dapprima, indi gli impe-
ratori di oriente, o per essi i loro
esarchi di Ravenna, e poi gl'impe-
ratori di occidente, trovandosi per-
ciò la Chiesa romana per molto
tempo soggetta a dolorose vicende,
fino a dover pagare un tributo
nella pontificia elezione, e consa-
grazione. A queste vicende fu ella
costretta di cedere o per la pre-
tensione dei sovrani di que' giorni,
o per la necessità della pace , che
a cagione de' tempi spesso manca-
va ne' sagri comizi , onde alcuni
Pontefici dovettero talvolta ricor-
rere all'assistenza degli ambascia-
tori imperiali , per essere da èssi
garantiti dai contrari partiti, e dal-
le fazioni nella loro consagrazione
e coronazione. Sì fatta assistenza ,
che vuoisi secondo alcuni essere
un personale privilegio agi' impera-
tori Carolingi accordato , fu nuo-
vamente praticata dagl' imperatori
tedeschi, i quali non si contenta-
rono della sola assistenza de' loro
ambasciatori, ma talora vollero al-
tresì intromettersi nell'elezione me-
desima de' Pontefici , finche essa
dal clero, cui si univa la presenza
del popolo romano, fu trasferita
saggiamente dai Papi a' soli Car-
dinali, che non senza contraddizio-
ne degli antichi elettori furono
dopo qualche tempo stabiliti pa-
cificamente in questo diritto. V.
Cardinali, ed Ambasciatori.
L' ultimo Papa, alla cui consa-
grazione assistettero gli ambascia-
tori, e che prima di questa signi-
ficasse la sua elezione all'impera-
ESC 83
tore, fu s. Gregorio VII, del 1073.
Ma per la pretensione di Enrico
IV sulle investiture ecclesiastiche
(abuso che s. Gregorio VII vole-
va togliere ), nacque la famosa dif-
ferenza tra il sacerdozio e l' impe-
rio, per cui il Papa fulminò le cen-
sure e pene canoniche. Irritato per-
ciò Enrico IV, in un conciliabolo
pretese di deporre il Pontefice, sur-
rogandogli scismaticamente 1' an-
tipapa Clemente III. Da questo
scisma nacque 1' eresia degli En-
ricliiani , condannati nel concilio
Quintdineburgense o di Quedlinbur-
go nell'anno io85, i quali osavano
affermare , che 1' imperatore aveva
somma autorità sopra l'elezione dei
vescovi e del Papa, e perciò non
si doveva conoscere per legittimo,
se non se l'eletto dall' imperatore,
o dal re di Germania. Fu dunque
dopo s. Gregorio VII, che ricupe-
rarono i sagri comizi l'intera loro
libertà, che gli eletti non aspettas-
sero l'assenso degli imperatori per
effettuar la consagrazione e coro-
nazione ; indipendenza mantenuta
sino ai nostri dì. Resta però la
connivenza dell'avvertenza pacifica
delle esclusive che l'imperatore di
Austria, e i re di Francia e di
Spagna talora danno per mezzo dei
rispettivi ambasciatori presso la san-
ta Sede, o di quelli straordinari,
che spediscono talvolta in sede va-
cante al sagro Collegio de' Car-
dinali , adunali in conclave per
l' elezione del Pontefice ; manife-
stando essi l'esclusiva direttamen-
te al Cardinal decano, acciò lo
partecipi ai Cardinali elettori. So-
gliono ancora i medesimi amba-
sciatori dichiarare siffatte avverten-
ze a mezzo di qualche Cardinale
nazionale, o aderente alla corona,
e per lo passato que' Gardinali ch'e-
84 ESC
rano protettori, ambasciatori, o mi-
nistri dei tre nominati monarchi ,
per loro facevano noti ai colleglli
i sentimenti del sovrano, cui era-
no addetti. Del modo di dar 1* e-
sclusiva si parlerà al suo paragrafo.
I. Opinioni sull* esclusiva. II. E-
sempì di quando non fu attesa,
o venne rivocata. III. Esclusiva
de* Cardinali. IV. Modo di da-
re V esclusiva.
I. Il Novaes, nel tomo XIII, p.
9, degli Eleni, della storia de* som-
mi Pontefici^ su questo argomento
dice quanto qui riportiamo. Vo-
gliono alcuni che il preteso privi-
legio della esclusiva, che oggi qual-
che volta viene esercitata ne' con-
clavi dalle tre nominate coiti, ab-
bia avuto il principio dal concilio
lateranense, celebrato da Nicolò II
nel 1059, e sia compreso nella
Dislint. a 3, cap. 1. Ma quel de-
cantato privilegio agi' impelatoli
accordato , come bene osserva il
Cenni, Bull. bas. vatic t. Ili, p.
228, risguarda solamente la coro-
nazione, non già l'elezione dei som-
mi Pontefici. Questo punto lo spie-
gammo al citato articolo Elezione,
nel quale dicemmo, che Nicolò II
non concesse ad Enrico IV il di-
ritto di eleggere di propria auto-
t or ita il Pontefice, perchè essendo
l'elezione pontificia una facoltà spi-
rituale ed ecclesiastica , non può
essere giammai di essa capace un
principe secolare ; ma bensì sem-
bra che in parte gli permettesse di
confermare l'elezione fatta dal cle-
ro romano, ovvero di nominare il
Pontefice, a richiesta però, ed a
nome soltanto dello stesso clero, a
cui allora apparteneva l'elezione.
Ma le espressioni usate , o che si
attribuiscono al Pontefice Nicolò
TI, hanno un scuso ben diverso ed
assai piìi limitato ; né deve tacersi
che vi si rinvengono dai dotti cri-
tici delle viziature, il perchè van-
no consultati , Baronio all' anno
1059, cap. i, dist 23, num. 23 e
seg., ed il Berardi ad decret. Gra-
ttarli; par. 2, cap. 82. Egli è per-
ciò, che ripeteremo col p. della No-
ce, Adnot. in Chron. Cassin., pag.
34i, edit. Parisiis, 1668, che se gli
imperatori hanno avuto qualche
concessione sull' elezione de' Ponte-
fici, ciò avvenne o per rintuzzare
gli scismi, o per difendere la s.
Chiesa. Nascendo sempre nuove vi-
cende, e cessando le antiche, ben
poteva annullarsi qualunque con-
cessione, come appunto fecero s.
Gregorio VII nel concilio di Late-
rano, e Vittore III in quello di Be-
nevento.
L' uso dunque delle esclusive ,
soggiunge il Novaes, che si pratica
da circa cent'anni in qua (egli pub-
blicò la sua opera nel terminare
del decorso secolo, ma dimostrere-
mo co' fatti storici in appresso che
la consuetudine di questa pacifica
avvertenza ebbe incominciamento
molto tempo prima, onde forse po-
teva dire il Novaes praticarsi con
maggior frequenza da cento an-
ni ec. ), fondasi nella connivenza
piuttosto che nell' autorità Ponti-
ficia ; dissimulazione di savia prov-
videnza, affinchè il supremo capo
del mondo cattolico non sia eletto
con dispiacere de' sovrani, avendo
sempre desiderato la santa Sede ,
che a tutti sia accetto il loro pa-
dre e pastore.
Su queste e molte altre ragioni
appoggiato, il Cardinale de Lugo
gesuita, nel conclave del i655, in
cui fu assunto al pontificato Ales-
sandro VII, compose sull'avverten-
ESC
za dell'esclusiva una scrittura, la
quale diede motivo ad alcune osser-
vazioni per parte del Cardinale Al-
bizi. Abbiamo ancora il Discorso
istorico-politico-legale e teologico
.sopra V esclusiva dei Papi, per i-
siruzione ai signori Cardinali in
conclave per la morte dJ Innocenzo
XIII, al quale rispose l'avvocato
Sozzini con alcune riflessioni, che
vanno unite a quel discorso nella
descrizione ms. di questo medesi-
mo conclave fatta dal Cardinal Zon-
dadari, che si conserva in Siena pres-
so la sua famiglia de'marchesi Chi-
gi, dove il Novaes la lesse. Questi
invita a leggere, nelle sue Dissert.
stor. critic, Giangiorgio Estor, Com-
mentario de j'ure esclusivae, ut ap-
pellant quo Caesar Aug. uti po-
test, quum Patres purpurati in crean-
do Ponti/ice sunt occupati, Jenae
1 740. L' Oltieri poi, nella Storia
di Europa, tom. Vili, p. 5 io, di-
ce, che l'esclusiva la quale si suole
attendere per un solo soggetto che
possa dispiacere a ciascuna delle
tre corone, l'imperio, la Francia e
la Spagna, talora si ammette non
per patto o determinazione alcuna,
ma soltanto per provvido riguardo,
acciò non nascano guai di veruna
specie alla Chiesa, e non sia di pre-
testo a malcontento, nel caso che
alcuno de' mentovati principi, come
fra i cattolici i più. potenti, non
volesse avere tutta la filiale con-
fidenza in un Papa che col suo
dispiacere fosse eletto. Finalmente,
quelli eziandio che ammettono la
avvertenza delle esclusive , ripor-
tano tra le altre ragioni, che sic-
come nei primi secoli della Chiesa
concorreva il popolo alla elezione;
e siccome Stefano IV, per ovviare
agli scandali, massime nell'intrusione
dell'antipapa Costantino, ordinò che
ESC 85
si facesse alla presenza degli amba-
sciatori imperiali, come si legge nel
capo : Quia Sancta Romana, di-
stin. 63 ; cosi vogliono che nei
sovrani cattolici dell'imperio, o del-
la Francia forse si trasmettessero
le parti del popolo, il quale se e-
sclusivamente non eleggeva o e-
scludeva, avea grande influenza,
o un avanzo palesava di quella in-
fluenza, in certe epoche da esso
esercitata. Oltre ai citati autori
suU' esclusiva possono consultarsi:
il p. Giuseppe Tamagna., Origine
e prerogative de' Cardinali, tom. I,
cap. VII ; Dell'elezione del romano
Pontefice ai Cardinali della S. R.
C. riservata ; ed il Discorso ano-
nimo sopra l'esclusiva dei Papi,
Venezia 1722.
II. Che talvolta la pacifica avver-
tenza dell' esclusiva non sia stata
attesa, ed altre volte sia stata ri-
vettata , ne abbiamo diversi esempi,
per cui ne riporteremo alcuni. Nel
i555, per morte di Marcello II,
nel primo ingresso del conclave,
Mendoza ambasciatore di Carlo V
imperatore, e re di Spagna e Na-
poli, esortò il Cardinal Giampietro
Caraffa napolitano a non pensar
punto al pontificato, perchè dal
suo sovrano era in primo luogo e-
scluso, a quel modo che n'aveva
ricevuto l'esclusiva ne' due prece-
denti conclavi per morte di Paolo
III, e Giulio III, siccome narra il
Pallavicino nella Storia del conci-
lio di Trento. A questa intimazio-
ne, il Cardinale con intrepidezza
e serietà rispose : L'imperatore non
potrà impedire che se Dio mi vuol
Pontefice, io non lo sia: anzi al-
lora sarò pili contento, perche non
obbligato di questa dignità se non
che a Dìo solo. V. L'Oldoino in Ciac-
conio ViL Ponti/, t. Ili, col. 824.
8f> ESC
Otto giorni dopo il Cardinale re-
stò eletto Papa per adorazione, e
prese il nome di Paolo IV. La
scissura fra Carlo V, e il Cardinal
Caraffa , accadde quando essendo
vacata la sede arcivescovile di Na-
poli, a lui la conferì Paolo III ai
9 novembre i549; ma per Top-
posizione del viceré Pietro di To-
ledo non potè entrarne in possesso,
se non in tempo di Giulio III, il
quale per ciò ottenere, a'21 set-
tembre i55o, scrisse una lettera
assai risentita a Carlo V. Tale fu
l'affetto ch'ebbe il Cardinale per
la sede di Napoli, che ne ritenne
il governo nel pontificato.
Nell'Istoria de conclavi dei Pon-
tefici romani, a p.799, si osserva es-
sere costante opinione, già dichiara-
ta col detto comune, semel exclusus,
semper exclusus9 ed ivi si aggiunge,
che siccome gli spagnuoli si oppon-
gono alla esaltazione di chi una
volta fu da loro impedito che
giungesse al pontificato, cosi ognuno
tenne sino dalla creazione d'Inno-
cenzo X, che le loro forze si sareb-
bero in tutti i conclavi opposte
all'esaltazione del Cardinal Sacchet-
ti; e che ben potevano mancare
i motivi della prima esclusione, ma
sempre sarebbe durato nel suo vi-
gore quello di averlo escluso una
volta. Con tuttociò questa regola
ha avuto talora la sua eccezione,
come quando il Cardinal Aldo-
brandino dichiarato dissidente di
Filippo II, per la memoria di Sil-
vestro suo padre ministro favo-
rito di Paolo IV (il quale in qua-
lità di avvocato del fisco pon-
tificio, a* 27 luglio i556, in pub-
blico senato citò il re come reo di
violato giuramento, già prestato a
Giulio III nel ricevere in feudo il
regno di Napoli , e lo dichiarò
ESC
decaduto dalla sovranità di esso
per la suddetta guerra) in tre con-
clavi provò l'esclusiva, e nel quarto,
l'anno i5git venne esaltato col
nome di Clemente Vili, con l'in-
clusione dello stesso Filippo li.
Correndo l'anno 1644» nel con-
clave per morte di Urbano Vili,
nel quale si procedeva all'elezione
del Cardinal Pamphily, non ostan-
te l'esclusiva che il Cardinal Anto-
nio Barberini, nipote del Papa de-
funto, e potente per essere capo di
cinquanta e più Cardinali, creature
dello zio, gli aveva procurata dalla
Francia, perchè il detto Pamphily
era creduto aderente alla Spagna
siccome stato nunzio presso il re
Filippo IV , tuttavolta 1' esclusiva
fu sospesa dall'ambasciatore france-
se Sansciamon, per opera del Cardi-
nal Theodoli, e del marchese suo
fratello. Quindi avendo il Cardina-
le Panciroli guadagnato colle per-
suasioni il detto Cardinale Barbe-
rini, ad onta della valida resistenza
del Cardinal Bichi, tutto aderen-
te della corte di Francia, il Pam-
phily venne creato Papa, e prese
il nome d'Innocenzo X. Per que-
sta sospensione di esclusiva, restò
cosi irritato il re di Francia Lui-
gi XIV, che privò il Cardinal Bar-
berini della protezione del suo rea-
me, e chiamò in Francia l'amba-
sciatore, non perchè il re fosse con-
trario alla persona d'Innocenzo X,
ma perchè il cardinale e 1' am-
basciatore ne avevano prima da
lui procurato l'esclusiva. Pur trop-
po talvolta le brighe, l'ambizione
e l'abuso di fiducia di qualche Car-
dinale , o di alcun ambasciatore
nei conclavi tradirono la propria
coscienza, non che i propri sovra-
ni, e sagrificarono degnissimi Car-
dinali, cui per altro Dio non avea
ESC
destinati a suoi vicari. Altra volta
i ministri delle corti furono di ciò
cagione con detrimento della repu-
tazione del rispettivo sovrano.
Morto Innocenzo X nel i655, nei
primordi del conclave, molti sagri
elettori del partito Barberini, con-
correvano pel Cardinal Sacchetti,
che ricevette l'esclusiva dalla Spa-
gna. Allora divulgossi una scrittura
che si attribuì al Cardinal Albizi,
ma poi si seppe essere stato lavo-
ro dell'avvocato Lini^ in cui si vo-
leva, che i principi con grave colpa
e con obbligo di risarcire i danni si
opponessero all' esaltazione di qual-
che Cardinale; e che gli elettori
ancora peccassero gravemente, se
per compiacerli, o per privato in-
teresse, negassero il voto a'meri-
tevoli. Ebbero luogo in allora i
suaccennati scritti dei Cardinali de
Lugo ed Albizi. Nella citata Storia
dei conclavi, si leggono interessan-
ti notizie sull'esclusiva del Cardina-
le Sacchetti, che dalla medesima
Spagna l'aveva ricevuta nel prece-
dente conclave. Vi fu pure in questo
conclave qualche trattativa pel Car-
dinale Bapaccioli , ma sebbene a lui
non fosse impedimento l'essere na-
to da un bottegaio di Collescipo-
li, e col solo merito del sapere e
dei costumi essere giunto alla por-
pora ; tuttavia era di fresca età ,
contando quarantasei anni , ed
aveva un'abituale malattia di calco-
li, che lo faceva riputare di corta
vita. A questo impedimento si ag-
giunse l'esclusiva della Francia. Fu
tuttavia rivocata questa esclusiva
contro il Rapaccioli, ma il trattato
per la esaltazione di lui non pre-
se perciò maggior vigore. Quindi
» sagri elettori si rivolsero al Car-
dinal Chigi di Siena, porporato di
Innocenzo X, che sempre avea co-
ESC 87
piose votazioni, sebbene avesse a-
vuto l'esclusiva della Francia, per-
chè con ecclesiastica fermezza , nel
congresso di Mmister, qual nunzio
apostolico, avea parlato della poca
inclinazione del Cardinal Mazzarini
primo ministro di Francia , alla
pace che ivi si procurava conchiu-
dere. Il Cardinal Sacchetti però
con una robusta lettera, scritta allo
stesso Cardinal Mazzarini, ottenne
che l'esclusiva fòss*e ritrattata, laon-
de subito il Chigi fu eletto Papa
con venticinque voti di scrutinio ,
e trentanove di accesso, non man-
candogli che il suo voto, il quale
nello scrutinio si diede da lui al
Cardinale Sacchetti, e nell'accesso
al Cardinal Pallotta. Egli prese
il nome di Alessandro VII. Così
terminò questo conclave, la cui lun-
ghezza fu celebrata da Gregorio
de Pina, ne'suoi Componimenti, pag.
9. Pei dibattimenti poi relativi al-
l'esaltazione di diversi soggetti, nel-
la mattina dell'elezione uno del
conclave graziosamente disse: « Che
stravaganza è mai questa? Gli spa-
gnuoli vogliono un Papa senza in-
teresse; i francesi uno che avevano
escluso; i Cardinali giovani un sa-
nese; ed i Barberini uno che non
è loro creatura " .
III. L'esclusiva de' Cardinali ha
luogo quando una parte di essi si
oppone costantemente ad altra, che
vuole innalzare al pontificato un
soggetto, il quale non piace alla
prima, per cui talvolta ad un Car-
dinale per molti giorni mancò un
solo voto per restar eletto, come
avvenne al Cardinale Aldovrandi,
nel conclave in cui fu eletto Bene-
detto XIV, ed al Cardinale Belliso-
mi nel conclave nel quale venne crea-
to Pio VII. Si osserva che le esclusi-
ve reciproche per gl'interessi tanto
SS FSC
pubblici che particolari, ritarderei
no T elezione di Gregorio X coti
trentatre mesi e due giorni di se-
de vacante, per cui quel Papa sta-
bili il Conclave (Fedi); non po-
tendo pone rimedio a tal vacanza
di sede, e alle reciproche esclusive
dei quindici Cardinali, che allora
componevano il sacro Collegio, la
presenza di due re, ch'erano a par-
te dell'impegno, e che perciò e-
ransi recati in Viterbo, luogo del-
l' elezione. Per simili reciproche
esclusive dei Cardinali, l'elezione di
Clemente V fu preceduta dalla se-
de vacante di dieci mesi, e ven-
totto giorni: ne egli né Gregorio
X erano Cardinali. Le esclusive dei
Cardinali, che per morte di Cle-
mente V, ed elezione di Giovanni
XXII, volendo gli uni un Papa di
Guascogna, cui altri ripugnavano,
fecero durare la sede vacante ven-
tinove mesi, e diciassette giorni. Fu
da alcuni notato, che nel conclave
tenuto pel conciliabolo di Basilea
nel 1439, l'antipapa Felice V dai
trentatre elettori , benché in tre
scrutini sedici di essi gli avessero
dato l'esclusiva, a' 5 novembre con
ventisei voti restò eletto pseudo
Pontefice.
Venne da alcuni osservato, che
dopo il Pontificato di Paolo II ve-
neziano, s'introdusse una politica
comune nel sagro Collegio, contro
i Cardinali veneti, ma questo abu-
so, s'è vero che abbia esistito, fu
tolto nella elezione di Alessandro
Vili. Si nota a pag. 809 dell'Isto-
ria de' 'conclavi > che l'esclusive dei
Cardinali dal secolo XVI in poi
pei stretti congiunti de' Papi sono
manifeste, non volendosi rinnova-
ti gli esempi di Eugenio IV e
di Paolo II, Sisto IV e Giulio II,
di Calisto III ed Alessandro VI, di
ESC
Pio II e Pio III, tutti zii e nipoti,
come dei cugini Leone X e Cle-
mente VII, non volendosi più nel-
le famiglie raddoppiati i pontificati.
Ne valse al celebre Cardinal Ales-
sandro Farnese l'affetto dei Cardi-
nali, la stima dei principi, e l'in-
teresse principalmente del redi Spa-
gna, per sedere sulla sedia occu-
pata dallo zio Paolo III. Per mor-
te di Adriano VI volle il Cardinal
Colonna promovere l'elezione del
Cardinal Giacovacci o Jacobazzi ,
ma que'Cardinali, ch'erano del suo
stesso partito, gli diedero l'esclusiva,
come quegli che seguiva le parti
dell' imperatore, e in conseguenza
contrario agl'interessi di altri prin-
cipi. Nel conclave in cui restò e-
lelto Clemente Vili, doveva eleg-
gersi per adorazione il Cardinal
Santorio detto San Severina ; ma in
quel punto surse il Cardinal A-
scanio Colonna, e gli diede l'esclu-
siva, dicendo ad alta voce: Asca-
nio Colonna non vuol San Severina
Papa, perche non e dato da Dio.
Ciò bastò per istornare la elezio-
ne di lui, che tenevasi come fat-
ta, ond'ebbe anche spogliata la
Cella (Fedi). Dopo la morte di
Urbano Vili, il Cardinal Montal-
to fermò i negoziati diretti alla
esaltazione del Cardinal Mazzmini,
con una pubblica e costante prote-
sta. In questo conclave, prima che
il Cardinal Sacchetti avesse la for-
male esclusiva dalla Spagna, l'ave-
va dai Cardinali, perchè ventiquat-
tro di questi aventi alla testa il
Cardinal Albernoz l'escludevano dal
pontificato. Nel conclave di Clemen-
te X, il Cardinal Conti fu escluso
da molti suoi colleghi, perchè avea
troppi parenti; ed il Cardinal Gri-
maldi venne escluso per opera prin-
cipalmente del Cardinal Altieri. Era
ESC
\ agallo del re di Spagna il Cardi-
nal Pigna tei li , ed era soggetto di
tanta viriti, che i ministri di Fran-
cia non si avanzarono a dargli
l'esclusiva; e pure, al diredi alcu-
ni, non si potè conchiudere la sua
esaltazione, se prima non si conob-
be la neutralità del nuovo Papa,
che prese il nome d'Innocenzo XII.
Nel conclave di lui fu dai Cardi-
nali escluso il Cardinal Barberini.
IV. L'esclusiva si pratica in
questo modo nei conclavi da chi
è incaricato. Quel Cardinale che
è ministro , ambasciatore , ben
affetto ed attinente ad una del-
le tre corone cui è concesso di e-
metterla per un soggetto, il quale
sia stato dalla sua corona incom-
benzato di dare l'esclusiva a quel
porporato Cardinale, che potesse
divenir Papa, si pone sulla soglia
della porta della cappella dello
scrutinio, e ad ogni Cardinale, che
per essa entra nella Cappella rac-
comanda di prendere in conside-
razione , che il Cardinal N. non
sarebbe gradito al suo sovrano.
Il Cardinale , che n' è incarica-
to, dà pure l'esclusiva col recarsi
alle celle dei colleghi, ed avvisar-
li dell'esclusiva, se concorressero nel
Cardinal N. Queste manifestazioni
vanno fatte avanti che i Cardinali
incomincino l'atto dello scrutinio,
giacche quando si celebra lo scru-
tinio, di cui trattasi all'articolo E-
lezione, già citato, e molto meno
quando leggonsi i voti, l'esclusiva
non è in tempo di essere presa in
considerazione, ne si attende, come
raccontasi essere avvenuto nel 1823,
allorché legge vansi i voti per la
elezione di Leone XII, la quale ai
Cardinali francesi Clermont, e de
la Fare, che dicesi avessero per lui
l'esclusione della Francia, riuscì nel-
ESC 89
lo scrutinio inopinata, fino a teme-
re de' rimproveri della loro corte.
Altri dicono, che avessero dimo-
strato questo dispiacere affine di non
essere ripresi dal proprio sovra-
no, e che il Cardinal Haeffelin li
avesse segretamente avvisati dell'e-
lezione. La maniera poi più. con-
veniente di dare l'esclusiva, è quel-
la di significarla al Cardinal de-
cano del sagro Collegio, o a voce
o in iscritto, il quale a mezzo di un
biglietto, o in altro modo, la no-
tifica a tutti i Cardinali. Siccome
il Cardinal Giacomo Giustiniani
romano, fu l'ultimo ad avere l'e-
sclusiva, all'articolo di sua biografia
ne riporteremo il modo, e il di-
scorso da lui perciò pronunciato
al sagro Collegio.
Noteremo per ultimo, che la
magnanimità e la clemenza de'Pon-
tefìci eletti nei conclavi in cui qual-
che Cardinale ebbe l'esclusiva, fe-
cero sì che per essi praticassero
debitamente tutti i riguardi. Usa-
rono quindi ad essi distinzioni, con-
ferirono loro benefizi ecclesiastici,
li promossero a cariche cospicue,
ed a notabili onorificenze, e li con-
sultarono ne'gravi affari, come quel-
li che avevano meritato la fiducia,
il rispetto, e l'alta considerazione
della maggior parte del sagro col-
legio. Di alcuni di siffatti Cardina-
li, ch'ebbero l'esclusiva, e che poi
furono beneficati , e meritamente
distinti dai Pontefici , faremo qui
breve menzione, oltre quanto di
essi si dice alle rispettive biografie.
Innocenzo XIII fece vicario di Ro-
ma, il Cardinal Paolucci appena
eletto, il qual porporato aveva
avuto l'esclusiva dall'imperio, e po-
scia Benedetto . XIII lo promosse
a segretario di stato, e nella sua
assunzione al pontificato, e precisa-
90 ESC
incute nell'atto della votazione, vo-
to in favore di Ini nello sernlinio.
Benedetto XIV, appena seguila la
Mia esaltazione, conferì la cospicua
e urica di pro-datario al Cardinal
Aldovrandi, che era stalo escluso
<la alcuni Cardinali. Altrettanto pra-
ticò Clemente XIII col Cardinal
Cavalchili), (piando la Francia Io
escluse, conferendogli il pro-dataria-
io. Questo uffizio si diede da Leo-
ne XII al Cardinal Severoli subito
dopo la sua elezione, ricevuta a-
\endo l'esclusiva dall'imperatore di
Austria. Da ultimo, divenuto Pon-
tclìce il regnante Gregorio XVI,
dichiarò il suddetto Cardinal Giu-
stiniani, che avea ricevuto l'esclu-
siva dalla Spagna, primieramente
Cardinal palatino mediante la ca-
rica'di segretario de'memoriali, ed
in seguito gli aggiunse quelle altre
cariche ed onorificenze, che ripor-
teremo nella sua biografia.
ESCOBLEAU Francesco, Car-
dinale. V. Surdis (de).
ESENZIONE. Privilegio che di-
spensa da alcuna obbligazione; exem-
ptios exceptio, invmmitas. Dicesi poi
esente, esento, per privilegiato, fran-
co, libero, inimunis. L'esenzione in
generale è una dispensa, che ec-
cettua dalla regola comune. L'esen-
zione ecclesiastica è o temporale, o
spirituale. L'esenzione temporale è
quella che il principe accorda ; l'e-
senzione spirituale è quella che dà
la Chiesa: questa è personale, o
reale, o mista, od universale, o
particolare. L' esenzione personale
è quella che dispensa una perso-
na dall'obbedienza del suo superio-
re ordinario, sottoponendola alia
giurisdizione immediata di altro su-
periore. L'esenzione reale, o locale,
è quella che cade sui luoghi, co-
me sulle chiese, e sui monisleri coi
ESE
loro abitanti. L'esenzione uni verta
le, o totale, sottrae pienamente una
persona, od una cosa, dalla poten-
za e dalla giurisdizione dell'Ordi-
nario, per sottometterla immedia -
temente alla sede apostolica. L'e-
senzione particolare o parziale non
sottraeva in tutto, ma in parie
solamente un luogo od una per-
somi dalla giurisdizione dell'Ordi-
nario. Tale è la definizione, che i
canonisti danno della natura della
esenzione, e sue specie. Essi inol-
tre trattano della proprietà, degli
effetti, e delle prove dell'esenzione ;
dell'esenzione de'monisteri, le qua-
li piene ed intere furono frequen-
ti dall'ottavo al nono secolo, co-
sì sui sagramenti, e sulla discipli-
na esteriore della diocesi, e sul
rispetto dovuto a' vescovi; e del-
l'esenzione de' capitoli, le quali e-
senzioni sono più recenti di quel-
le de'monisteri. V. il Tomassini, de
vet. et nov. Eccl. di sci pi. part. I,
lib. 3, cap. 16 e 27, e de la Com-
be, Giurisprud. canon., alla parola
Esenzione ; Benedetto XIV , de
Synod. dioec; l'articolo Abbate, ed
altri relativi di questo Dizionario.
ESEQUIE. Cerimonie e pom-
pe funebri, che si fanno nella se-
poltura o mortorio di un morto:
exequia, j usta funebri a, parentalia.
Questo vocabolo deriva da obse-
quium, perchè le esequie sono gli e-
slremi doveri o servigi, che si ren-
dono ai defunti. Questa parola in
latino significò eziandio 1' uffizio ec-
clesiastico, o la messa che si fa ce-
lebrare pei morti. Il Macri, alla
parola Exequiac . dice essere cos'i
chiamato 1' uffizio che si fa pel
defunto, perchè con esso si esegui-
sce la sua volontà, come insegna
Mutio cappuccino, de Off. mori.
cap. 6. Durando però stima che
ESE
V etimologia di questo vocabolo si
derivi da ciò, che 1' uffizio de' rnorti
si recita extra lioras canonicas.
Donato poi dice, che tal nome ha
la sua origine, perchè i defunti so-
no seguitati dai vivi all'altro mon-
do. Jl vescovo e martire s. Zeno-
ne, nel sermone terzo sopra A bra-
mo, chiama Isacco Fivas exequias,
mentre stava in procinto di esse-
re sagrifìcato. Carlo V volle, che
vivente, e disteso sul feretro gli si
celebrassero le solenni esequie. V.
Funerali.
ESERCIZI Spirituali. In ma-
teria di pietà, cosi si chiamano o
le pratiche cristiane giornaliere dei
fedeli , o certi giorni di ritiro ,
che si scelgono per meditare e far
l'esame della propria condotta, o
pei libri che racchiudono le me-
ditazioni destinate a questi ritiri,
per la riforma della vita, o per
^ricevere gli ordini sagri. Il p. Me-
noebio nelle sue Stuore, tomo III,
p. 207, nel capo XXIII tratta: Quan-
to sia efficace rimedio per rifor-
mare la vita il ritirarsi per alcu-
ni giorni^ per occuparsi in eserci-
zi spirituali. Dei pregi ed utilità
degli esercizi spirituali ne tratta
pure il Piazza , nell' Eusevologio,
trattato XI, capo IX, massima-
mente di quelli composti da s. Igna-
zio nel suo libro aureo degli Eserci-
zi spirituali: questi dal medesimo
santo furono chiamali un mezzo
potentissimo per mettere in cuore
di chi che sia lo zelo per la propria
eterna salute, e per quella degli
altri. Il citato Piazza riporta le
sentenze e gli alti elogi, che degli
esercizi di s. Ignazio fecero Pietro
Ortiz, celebre dottore dell'accade-
mia di Parigi, e fi*. Luigi di Gra-
nata grande ornamento dell'Ordine
de' predicatori, altro teologo, del
ESE 91
quale disse, che stimava pia la teo-
logia degli esercizi di s. Ignazio,
che quella dì tutti insieme i dot-
lori del inondo. Così il p. mae-
stro d'Avila, con simili sentimenti
diceva, che questi erano un effi-
cacissimo istromento della divina
grazia, per la riforma della vita
e de 'costumi. Ne dubitò s. Carlo Boi -
romeo di dichiarare, che dagli eser-
cizi di s. Ignazio trasse principalmen-
te le norme per porsi nella strada
dell' apostolica perfezione. Dal li-
bro degli esercizi san Carlo traeva
ogni giorno l'ordinario soggetto
delle sue contemplazioni , alcune
delle quali il medesimo Piazza ri-
porta a pag. 218 e seg. Fu san
Francesco Borgia che ottenne da
Paolo III la bolla Pastoralis of-
ficiij con l'approvazione degli e-
sercizi spirituali di s. Ignazio.
Questa pia opera non solo fu
praticata di frequente da molti
santi, e servi di Dio, ma anche
dai Pontefici, ad onta delle im-
mense cure per la Chiesa univer-
sale. Clemente IX due volte all'an-
no si ritirava a fare gli esercizi
spirituali nel convento di s. Sa-
bina. Benedetto XIII una volta
all'anno ritira vasi nel piccolo con-
vento del suo Ordine domenicano
a Monte Mario, ed ivi faceva i
santi esercizi, dava sfogo alle sue
penitenze, ai suoi digiuni, confor-
mandosi alle religiose pratiche del-
la comunità sia di giorno che ói
notte. Benedetto XIV, prima di
celebrare l'anno santo dell' univer-
sale giubileo, per maggiormente
avvalorare colla sua, la disposizio-
ne che in altri eccitava per l'ac-
quisto dell'indulgenza del giubileo,
si ritirò per dieci giorni a fare gli
esercizi di s. Ignazio, sotto la di-
rezione del gesuita p. Duranti per
Vi ESE ESE
niten/iere della basilica vaticana, cizi per dieci giorni, quindi stabi-
Clemenle XIV, avanti di farsi con- lirono che potessero fruire eguale
Mgiwre, non essendo vescovo, si indulgenza quelli che gli avessero
ritirò per nove giorni al ritiro dei fatti per cinque giorni. Ed accioc-
santi esercizi, affine di prepararsi che questo gran beneficio fosse co-
a sì sublime dignità. mime anche alle religiose ed alle
Alessandro VII, nel i656, aven- monache di qualsivoglia istituto,
do fatti venire in Roma i due ni- massime alle novizie, eh* entrano
poti Agostino, e Flavio poi Car- ne' monisteii per abbracciare lo
dinale, li mandò a fare gli eserci- stato religioso, Innocenzo XI ordi-
zi di s. Ignazio nella casa di no- nò, che ninna fosse ammessa per
viziato de' gesuiti presso s. Andrea la monacazione, se prima non aves-
al Quirinale, ove gli avea già fat- se per qualche tempo fatti gli e-
ti il nipote di Pio IV il Cardinal sercizi affine d'ottenere da Dio lu-
s. Carlo Borromeo. Questo luogo me e grazia a conoscere, se lo sta-
fu destinato per gli esercizi spiri- to , a cui si dedicava , era per
tuali dal medesimo s. Francesco procurare ad essa 1' eterna sai-
Borgia, generale della compagnia vezza: e rinnovando il decreto di
di Gesù, pei Cardinali, prelati, ec- Alessandro VII ordinò, che quelli,
clesiastici, e laici di nobile o civi* i quali dovevansi promovere agli
le condizione. Inoltre Alessandro ordini sagri , prima di riceverli si
VII prescrisse con sua bolla, eh' è ritirassero per dieci giorni a far
la 169 del Bull. Rom. tom. V, gli esercizi spirituali di s. Ignazio,
p. 366, rammentata dal Lamberti- Innocenzo XII poi determinò, che
ni, Istituzioni io4, che tutti gli i parrochi, ed i nuovi ministri del
ecclesiastici, i quali in Roma si do- sagramento della penitenza, si do-
vevano promovere agli ordini sa- vesserò preparare ad un così im-
gri, per trenta giorni dovessero portante ministero, col far per die-
esercitarsi nella pia casa de'Signo- ci giorni gli esercizi spirituali di
ri della Missione sì negli esercizi s. Ignazio, e meditare le cose
spirituali, che nelle funzioni de' sa- eterne.
gii riti e delle cerimonie. S. Vin- Non solo Clemente XI avanti
cenzo de Paoli, fondatore di quel- di entrare in conclave per ordi-
l' istituto e delle missioni ai pove- narsi sacerdote premise il riti-
ri della campagna, nella detta ca- ramento degli esercizi spirituali ,
sa istituì gli esercizi spirituali, non ma dipoi, essendo Pontefice, con
solo pei chierici ma anche pei lai- una lettera circolare a' vescovi d'I-
ci. Diversi vescovi nelle loro dio- talia, data il primo febbraio 17 io,
cesi introdussero sì fatta utilissima ponendo in vigore il decreto d'In-
opera, come pur fece in Milano il nocenzo XI , come si legge nel
detto s. Carlo, col nome di Asce- Bull. Maga., tom. VIII, p. 422>
te riunì ossia sacra solitudine. Tanto comandò loro, che gl'iniziandi agli
alle case della compagnia di Gesù, ordini sagri facessero precedere gli
che a quelle della Missione pegli esercizi spirituali di s. Ignazio per
ordinandi, e per tutti gli altri, i dieci giorni; inculcando a' vescovi,
Pontefici accordarono l'indulgenza che esortassero i canonici, i par-
plenaria a chi ivi facesse gli eser- rochi, i beneficiati, i sacerdoti ec,
ESE
a farli almeno una volta l'anno
nelle case dei gesuiti o dei mis-
sionari. Imperciocché diceva quel
gran Pontefice, che in quel sagro
ritiro si lavava facilmente qualun-
que macchia di polvere mondana,
si ricuperava lo spirito ecclesiastico,
l'intendimento dell'anima s'innalza-
tva alla contemplazione delle cose
divine, e la norma del retto e san-
to vivere o s'imparava o si confer-
mava. Roma, centro del cattolici-
smo, si dislingue anche negli eser-
cizi spirituali, che in più volte al-
l' anno si fanno in vari luoghi, il
perchè accenneremo i principali.
Narra il gesuita p. Memmi nelle
Notizie istoricìie dell'Oratorio detto
del p. Gravita, pag. 146, che ivi
nel 1673 si cominciò a dare pub-
blicamente gli esercizi spirituali di
s. Ignazio, non solo ai fratelli del-
l'oratorio, ma a quelli che voles-
sero profittarne, e riporta il meto-
do e la forma di essi. Quindi, a
pag. 208, per le cure del p. Tyr-
so Gonzalez, generale della compa-
gnia, nel 1702, col l'approvazione di
Clemente XI, fece istituire gli eser-
cizi per le dame, che ne furono
sommamente liete, ed il Papa con-
cesse perciò grazie e privilegi spi-
rituali. Va notato che al presente
gli esercizi non si danno più dai
gesuiti nella casa del noviziato, ma
in quella presso la chiesa di s. Eu-
sebio, dove più volte all'anno li dan-
no tanto ad ecclesiastici, che ai re-
ligiosi di altri Ordini , ed ai se-
colari. V. il dott. Agostino Thei-
ner : // seminario ecclesiastico, o
gli otto giorni a s. Eusebio di Ro-
ma. Questa opera fu scritta in te-
desco, e dal p. Giacomo Mazio fu
recata in italiano , e stampata in
Roma nel 1 834-
Essendo poi il ritiro uno dei
ESE p,3
mezzi i più opportuni per ascol-
tare con profìtto la voce di Dio,
ed essendo diffìcile il conservarsi
ben raccolto nello spirito dopo a-
ver ascoltata la parola del Signore,
quando si debba andar vagando
per affari, o per domestiche faccen-
de, quindi in Roma sono molte
case religiose e laiche, nelle quali
ricevonsi le persone di ambo i
sessi, e vi si fanno trattenere per
un numero di giorni stabiliti, man-
tenuti e serviti di tutto, acciò solo
attendano alla contemplazione del-
le massime di nostra santa religio-
ne, ed al pensiero della riforma dei
propri costumi. In tal modo si
danno gli esercizi dalle monache del
Bambino Gesù, del Divino Amore,
dalle Orsoline, ed in genere in que-
sta stessa guisa si praticano dagli
Ordini regolari dell'uno e dell'altro
sesso, dagli ospizi, e dai conserva -
toni, desistendo in quei giorni da-
gli studi e dai lavori, e non am-
mettendo alcun commercio colle
persone estere. Nella casa de'mis-
sionari di s. Vincenzo de Paoli a
Monte Citorio, si danno gli eserci-
zi spirituali per lo spazio di dieci
giorni in tutti i tempi che prece-
dono le ordinazioni generali, ed ove
debbono ritirarsi tutti quelli che
sono per ricevere qualunque degli
ordini sagri, quando non sieno re-
ligiosi, o non si trovino in qualche
seminario o collegio dove fanno
gli esercizi sotto la direzione di
persona a ciò destinata. Nella stes-
sa casa debbono radunarsi tutti i
parrochi e confessori di Roma, non
regolari, per lo spazio di cinque
giorni ogni due anni a fare gli e-
sercizi spirituali. Quivi pure si dan-
no gli esercizi ai secolari nella set-
timana santa, oltre di che vi si
ammettono nel corso di tutto fan-
94 ESO
no tanto gli ecclesiastici che i lai-
ci, i quali per loro divozione vo-
gliono, o dai superiori sono man-
dati a ri ti larvisi , costituendosi ad
essi in tal caso un parlicolar di-
rettore, che assiduamente si accom-
I M^na con loro, e li guida nelle
opere proprie di tal ritiro.
Dai religiosi passionisti sul mon-
te Celio, e dai religiosi francescani
nel ritiro di s. Bonaventura alia
polveriera antica, presso il foro ro-
inaiio, più volte fra l'anno trat-
tengonsi agli esercizi spirituali per-
sone anche di alta portata, e tan-
to gli uni che gli altri ordinaria-
mente una volta l'anno ammettono
agli esercizi i soli ecclesiastici. Lun-
go sarebbe ad enumerare tutti i
luoghi, le chiese e gli oratorii di
Roma, in cui vi si fanno gli eser-
cizi spirituali per ambo i sessi. Di
ciò per la maggior parte si parla
ai rispettivi articoli, come del pio
luogo di Ponte rotto, di s. Pa-
squale in Trastevere, di s. Galla,
del ritiro de' divoti di Maria sul
monte Gianicolo, ed altri molti, e
persino dei condannati esistenti in
Castel s. Angelo; de'quali, e di al-
tri, tratta d. Guglielmo Costanzi
neir Osservatore di Roma, tom. I,
lib. XI, capo I, e seg. V. Cate-
chismo, e Dottrina Cristiana.
ESOCATACELI, o Exocatacoe-
li. Nome generico che davasi in
Costantinopoli al grand' economo ,
al gran sacellario, o gran maestro
della cappella, al gran scevofilace,
o custode de' vasi, al gran carto-
filace, o maestro della piccola cap-
pella, ed al proteedico, o primo
difensore della Chiesa. Gli esoca-
taceli erano in principio sacerdoti,
ma furono poscia ridotti all'ordine
di diaconi, giacche avendo siccome
sacerdoti le loro chiese, in esse uf-
ESO
Oziavano nei giorni solenni , men-
tre in questi il patriarca di Co-
stantinopoli trova vasi all'altare sen-
za i suoi primari utfiziali. Benché
diaconi, erano gli esocataceli di u-
na grande autorità, avevano il di-
ritto di assumere le pianete , non
la stola, erano chiamati Cardinali,
e godevano quelle prerogative, che
notammo al voi. XIX, pag. 3o8
del Dizionario. Aggiungeremo, che
probabilmente furono chiamati eso-
cataceli per quanto si racconta dal
Codino. In Costantinopoli il palaz-
zo patriarcale e gli appartamenti
del sincello, e di tutti i monaci ,
i quali erano al servizio del pa-
triarca, occupavano in quella città
un luogo assai basso ; mentre i
grandi officiali alloggiavano fuori
di quella valle, e in altre parti.
Furono questi perciò chiamati e.?o-
cataceli3 persone cioè che sono fuo-
ri dei calaceli, ossiano luoghi bassi.
ESOMOLOGESI (Exomologe-
sis). Confessione, secondo la parola
greca. Con questo nome per altro
appresso i santi Padri ordinaria-
mente non s'intende la confessio-
ne sagramentale , ma la pubblica
confessione , e gli atti conseguenti
dei penitenti , i quali sulla porta
della chiesa con abito vile, confes-
sando di essere miserabili pecca-
tori, ^domandavano perdono dai fe-
deli con raccomandarsi alle loro
orazioni. V. s. Cipriano, lib. 3, e-
pist. 27, dal quale si apprende si-
gnificare esomologesi una mera ri-
conciliazione colla chiesa dei pub-
blici penitenti, poiché in caso di
necessità, o pericolo di morte, qual-
sivoglia diacono, con licenza del suo
prelato, poteva assolvere tali peni-
tenti, siccome qualsivoglia chierico
di ordine del prelato può assolve-
re dalle censure. Tanto dice il Ma-
ESO
cri nella Not. de' vocab. ecci, alla
parola Exomologesis.
Per lo più si dava principio a
questa penitenza pubblica nel pri-
mo giorno di quaresima, nel quale
i penitenti, coperti di cenere e ve-
stiti di cilicio, si fermavano sotto
i portici delle chiese per udire la
messa ed i divini uffizi ; ma poi
al tempo della consagrazione, era-
no riconciliati , come si raccoglie
dai rituali antichi. La voce esomo-
logesi significa pure, o più pro-
priamente, quell'ultimo atto del
pubblico penitente, quando compi-
ta la soddisfazione impostagli , era
condotto dal vescovo in chiesa ove
prostrato in terra alla presenza di
tutto il clero e di molto popolo ,
detestava le passate colpe promet-
tendo di non commetterle più. V.
Tertulliano, de Poenit. cap. 91, ed
il citato s. Cipriano lib. J, epist.
II. La confessione de' peccati pro-
priamente si dice in greco Exa-
goreusìs. Finalmente talvolta col
vocabolo Esomologesi vuoisi signi-
ficare la pubblica processione, con
segni di penitenza, per placare Id-
dio , ed implorare la sua divina
misericordia in tempo di qualche
grave gastigo, come si ha dal con-
cilio di Toledo XVII, can. 6, e da
quello celebrato sotto s. Leone III,
al can. 3i. V. Chiesa, Confessio-
ne, Penitenza.
ESORCISMO (Exorcismus). Ce-
rimonia della quale si serve la
Chiesa per iscacciar i demonii dai
corpi ch'essi possedono o che im-
portunano, o dalle altre creature,
di cui abusano o possono abusarsi.
Dice Gesù Cristo nell'ultimo capi-
tolo di s. Marco: questi miracoli
saranno con quelli che avranno
creduto, essi scaccieranno ì demo-
mi in mio nome. È dunque giu-
ESO $5
sto il motivo per cui la Chiesa
esorcizza quelle creature, affine di
scacciarne i demonii, che di esse si
abusano, e di questo potere ella
si è sempre prevaluta. Le creatu-
re che la Chiesa esorcizza , ordi-
nariamente sono quelle afflitte da
qualche possesso od ossessione del
demonio, i luoghi infestati dal de-
monio; l'acqua, il sale, l'olio, e le
altre cose di cui ella servesi nelle
sue cerimonie. Essa esorcizza pure
i bruchi ed altri insetti perniciosi
per le piante, le cavallette, le tem-
peste ec. per impedire loro di nuo-
cere ai prodotti della terra. Lo
stesso Gesù Cristo, che con un sem-
plice cenno poteva porre in fuga
i demonii, volle tuttavia servirsi
di alcuni segni e cerimonie este-
riori. Prudenzio, in Apoteos. con-
tra Jud., compose alcuni versi, nei
quali si contiene la forinola usala
in quei tempi, mentre si esorciz-
zavano gì' indemoniati energume-
ni. Gli esorcismi hanno una virtù
indipendente dalle disposizioni del-
l' Esorcista (Fedi) , e producono
infallibilmente il loro effetto, a me-
no che non incontrinsi ostacoli da
parte dell'esorcista o delle perso-
ne in favore delle quali si fanno
gli esorcismi. Il perchè gli esorci-
sti debbono prepararsi a questa
cerimonia col digiuno , colla pre-
ghiera , coli' umiltà , colla purità ,
astenersi da qualunque questione
curiosa ed inutile, e seguire pun-
tualmente tutto ciò eh' è prescritto
nel libro degli esorcismi. V. Ener-
gumeno.
Il Sarnelli, nel tom. IX delle
Lett. eccl., tratta perchè gli esor-
cismi hanno la conclusione, Per
Dominimi Nostrum Jesum Christian,
qui venlurus est judicarc vivos, et
morluosy et saeculum per ìgnem.
96 ESO
Amen. Quindi col Micrologo , de
observ. Ecclesiae, cap. 7, dice che
i demonii niuna cosa temono più,
che il rammentar loro il giorno
del giudizio, quando tutti saranno
ridotti nell'inferno in sempiterno;
imperocché, sebbene sieno stati dan-
nati dal principio del mondo, su-
bito che peccarono, e sieno conti-
nuamente cruciati dal fuoco infer-
nale, che per l'onnipotenza di Dio
sentono anche assenti, nondimeno
nel giudizio universale saranno da
Gesù Cristo di nuovo coartati, e
carcerati nell'inferno. V. Demonio.
Soggiunge il medesimo Sarnelli ,
che anticamente si facevano gli
-esorcismi non nelle case private per
la paura, non nelle chiese per ri-
verenza, ma all'aria aperta, ciò che
non si pratica più. Si domandava
il nome del demonio, e il segno
della uscita, il che si fa oggi an-
cora, e si stimava utile esorcizzare
i cibi che gli ossessi od energu-
meni mangiavano , come si vede
dal rituale romano. Sono poi gli
esorcismi certe orazioni e coniu-
razioni usate dalla Chiesa, come si
vede nel concilio IV cartaginese ,
il quale per materia dell' ordine
dell' esorcista to dà il libro degli
esorcismi, dalla Chiesa approvati.
Dell'ordine degli esorcisti si fa men-
zione da s. Ignazio martire, nel-
l'epistola agli antiocheni, ed in
quella di s. Cornelio Papa a Fa-
biano. Sino dalla nascente Chiesa,
si usò discacciare i demonii cogli
esorcismi, come in unione a s. Giu-
stino martire, de ventate Christia-
na* religionis, dicono altri antichi
padri. Fu poi particolare ufficio
dell'ordine divinamente istituito, ed
a questo effetto destinato dalla Chie-
sa, come prova il Baronio ne' suoi
Annali, all'anno 56, il quale inol-
tre nota, che talvolta i demonii
s'ingegnarono d'ingannare gli esor-
cisti fingendo, e volendo far cre-
dere, che lo spirito ch'era in quel
corpo, era l'anima di questo o di
quello, per dare ad intendere che
non tutte le anime de' dannati an-
davano all'inferno, e per turbare
la fede sul giudizio, e sulla risurre-
zione de' morti.
11 p. Menochio, nelle sue Stuo-
re tom. Ili, p. 46*9, cap. LXXVI
Degli esorcismi degli ebrei, nana
che il Cardinal Toledo, sopra il
capo II di s. Luca, all'annotazione
4i, osserva come anche avanti la
venuta di Gesù Cristo, avevano gli
ebrei i loro esorcismi ed esorcisti,
i quali si adoperavano in iscaccia-
re i demonii dai corpi ossessi ed
energumeni , e che tra gli ebrei
eravi la tradizione dello scongiu-
rare, essendo stato Salomone, se-
condo Gioseffo , l' inventore degli
esorcismi contro i demonii. Sulla
quale autorità riferisce Beda, che
Salomone ordinò nel tempio alcu-
ni esorcisti, ed insegnò loro il mo-
do di scongiurare in un libro da
lui composto; anzi Origene, nel suo
trattato 55 sopra s. Matteo, affer-
ma che al suo tempo conservavasi
il detto libro. Il Rinaldi all' anno
56, num. 2, narra come Eleazaro
esorcizzò in presenza dell' impera-
tore Vespasiano. S. Epifanio, nella
eresia 3o, dice essere stata comune
opinione fra gli ebrei, che se al-
cuno avesse saputo il nome di quat-
tro lettere, cui i greci chiamano
Telragrammaton , e gli fosse stato
lecito di proferirlo, avrebbe avuto
potestà sopra gli spiriti maligni.
Noteremo per ultimo , che non
mancarono anticamente ingannato-
ri, i quali giravano per le città,
professando per guadagno l'arte di
ESO
cacciare i demonii , servendosi, in
vece degli esorcismi, di superstizio-
ni ed incantesimi, de' quali parla
Ulpiano lege j , ff. de variis et ex-
traordinariis cognìtionìbus. V. s.
Dionisio Areopagila nel lib. de Ec-
clesiast. hierarchia al cap. 3, e s.
Cipriano nell' episl. j6.
ESORCISTA (Exorcisla). Chie-
rico tonsurato, che ha ricevuto
quello tra gli ordini minori , che
porta un tal nome. Si dà questo
nome al vescovo, od al sacerdote
delegato dal vescovo, il quale esor-
cizza un posseduto dal demonio,
un energumeno. Questo termine di
esorcista deriva dal greco, che si-
gnifica scongiurare, invocare il no-
me di Dio per iscacciare i demo-
nii dai luoghi o dai corpi ch'essi
posseggono. Sembra che i greci
non riguardino la funzione di e-
sorcista come un ordine, ma come
un semplice ministero, convenen-
dovi s. Girolamo. Tuttavolta il p.
Goar, nelle sue note sull'Eucologio
de' greci, prova coli' autorità di s.
Dionisio e di s. Ignazio martiri ,
che questo era un ordine. Questo
ordine dà il potere agli esorcisti
appunto di scacciare i demonii per
mezzo dell' invocazione del nome
di Dio. Sebbene però questa fun-
zione sia riserbata a' sacerdoti, nep-
pure essi possono incaricarsene sen-
za licenza del vescovo. Non è vie-
tato di darla anche ai chierici ca-
paci , purché possano , come dice
Fleury, distinguere gli ossessi ed
energumeni dai fraudolenti. Nei
primi tempi erano frequenti le in-
vasazioni, specialmente fra i pagani.
Per testificare poi un maggior dis-
pregio del potere dei demonii, si
adoperò per discacciarli uno dei
ministri inferiori della Chiesa. Nel
quarto concilio cartaginese, e negli
voi,. XXH.
ESO 97
antichi rituali si prescrìve la ceri-
monia della ordinazione degli esor-
cisti. Essi ricevono il libro degli
Esorcismi (Vedi), dalle mani del
vescovo , che loro dice : prendi e
studia questo libro 3 ed abbi la po-
destà d'imporre le mani sugli e>
nergumeni, sieno battezzati, sieno
catecumeni. L' ordinazione dell' e-
sorcista si fa durante la messa, co-
me le altre.
L'esorcista deve preparare l'ac-
qua, il sale, e tuttociò ch'è neces-
sario per fare I' acqua benedetta ,
di cui servesi la Chiesa per iscac-
ciare i demonii, ed accompagnare
il sacerdote, il quale fa nella chie-
sa l'aspersione dell'acqua benedet-
ta. Dice il Macri, eh' era anco of-
fìzio dell' esorcista di esorcizzare i
catecumeni prima di ricevere il san-
to battesimo, come persone sog-
gette all' impero diabolico, e cita
gli scrittori che parlano di questa
specie di esorcismi, notando che s.
Isidoro chiamò gli esorcisti Actores
templi, lib. 2, cap. i3 de Eccles.
off. Secondo il pontificale romano
era pure officio degli esorcisti di
avvisare quelli che non comunica-
vano, acciò dessero luogo agli ai-
tri, di versare l'acqua pel ministe-
ro, d'imporre le mani sopra gli os-
sessi e gì' infermi. Il Sarnelli , t.
VI, lett. XVI, num. 8, osserva che
avendo l' esorcista la potestà del-
l' ordine di esorcizzare, può far an-
che il segno della cróce, dove l'e-
sorcista lo richiede; ed aggiunge
che il Marcanzio, Hort. past. Can-
delabr. myslic. trat. 5, lect. 4» as-
serisce come nella chiesa di Liegi
nel sabba to santo, quando si por-
tano gl'infanti a battezzare, si com-
mettono gli esorcismi, che si fan-
no prima del battesimo, a' chierici
d'ordini minori, acciocché si di-
7
93 ESO
mostri la loro potestà in qualità
cT esorcisti. Dal Rituale romano ap-
parisce, che detti esorcismi richie-
dono molti segni di croce. Nel to-
mo X tratta nella lett. LXIII, Co-
me possano gli spiritati intromette-
re, e mandar fuori del corpo lo-
ro, cose solide e grandi. Invita
quindi coloro che vogliono esor-
cizzare gli energumeni, a leggere
il libro delle disquisizioni magiche,
di Martin del Rio, lib. 3, sect. 6,
ove particolarmente discorre di que-
sta materia, come filosofo e come
teologo; ne parla nel lib. 6, sect.
3, de Remediis supernaturalibus di-
linis, seti ecclesiaslicis, ove nella
pag. 719 fra le allre cose avvisa,
che gli esorcisti si guardino di non
ischerzare col demonio , né intro-
durre con lui discorsi giocosi, dap-
poiché il cacciar via i demonii co-
gli esorcismi della Chiesa è cosa
santa: e però si deve trattare san-
tamente, siccome hanno fatto quan-
ti da principio adoperarono con ef-
ficacia il rimedio degli esorcismi, e
se talvolta non si discacciò il de-
monio, res clara est, in peccatis
vel obsessi , vel abjurantis posse
contingere, vel ob majorem ipsius
aegri utilitatem, Deique gloriarli.
Pegli esorcismi , come si disse al
precedente articolo, molto giovano
i digiuni, l'orazione ec. Dal Rinal-
di, all'anno 56, num. 6, si appren-
de, che talora esorcizzarono anche
i laici; ma i concili vogliono, che
i vescovi non permettano di esor-
cizzare ai non ordinati. Si stabili-
rono poi molte cautele, perchè ne-
gli esorcismi non si frammetta al-
cuna superstizione. Che poi la fede
dello spiritato aiuti assai la virtù
dell'esorcismo, l'insegnano s. Ci-
priano, de idolatr. vanit., ed altri ;
e che gli spiriti maligni sieno soliti
ESP
stare negli invasi pertinacemente,
lo esperimentarono gli apostoli, e
lo dimostra Origene, in Josue ho-
mil. 24. Gli stessi apostoli ci fan-
no sapere, che eranvi esorcisti giu-
dei, i quali si vantavano di scac-
ciare i demonii in nome di Gesù
Cristo. Marco 9, 37 ; Luca 9, 49«
V. il Psello, Della natura dei de-
monii, e spiriti folletti, Venezia
i645.
ESORCISTA o ESORCISTA-
TO. 11 secondo degli ordini mino-
ri, divinamente istituito, avvegnaché
la più sana opinione è quella del
dottore angelico, e de'più accredi-
tati teologi, che anche gli ordini
minori abbiano per istitutore nostro
Signore Gesù Cristo. V. Ordine,
Esorcismi, ed Esorcista.
ESPEN (Van)Zegero Bernardo.
Celebre canonista e giureconsulto,
nato in Lovanio nell'anno 1646, si
diede per qualche tempo alla teolo-
gia scolastica; ma non essendo suffi-
ciente questa arida scienza ad ali-
mentare il suo intelletto, si dedicò
allo studio della disciplina antica e
moderna della Chiesa, e ne acqui-
stò profonda e vasta cognizione.
Nel 1675 gli fu data la laurea
dottorale, e da questo tempo in poi
insegnò con applauso questa scien-
za nel collegio di Papa Adriano
VI. Se non che la fama cui go-
dea di uomo celebre, ed i suoi
meriti gli destarono non pochi in-
vidiosi nemici, né più godendo del-
la primiera pace, massime per aver
approvata la consagrazione di Stee-
noven arciveseovp scismatico d' L1-
trecht come canonica, dovette riti-
rarsi prima in Maestricht, e poi
nella città d'Amersfort, ove finì di
vivere nel 1728, di anni ottanta-
tre. Le principali sue opere sono :
i,° Jus ecclesia stianti universum,
ESP
nella quale si mostra quanto eru-
dito altrettanto zelante di quelle
massime erronee sparse in tutte le
altre sue opere, per cui meritarono
di essere condannate, e proscritte dal-
l'Indice. 2.0 De peculiarità te, et si-
monia. 3.° De officiis canonicorum.
4«° Tractatus historico canonicus
in canones. 5.° De censuris. 6.° De
promulgatione legum ecclesiastica-
rum. 7.0 De recursu ad Princi-
pem. 8.° Alcune scritture sugli af-
fari de' suoi tempi. Opere tutte, le
quali offrono chiara prova dell'as-
sidua lettura che fatta avea della
Scrittura sacra, de'padri, de'conci-
li, del diritto civile e canonico. Il
Bergier ci avverte che questo dotto
giureconsulto spesso ripete il già det-
to dal p. Tomassino; che in diverse
opere volle servire al partito dei
nemici della Chiesa, ch'egli avea
abbracciato ; e che i suoi senti-
menti sul Formulario, e I* Apolo-
gia dello Steenoven, come riempi-
rono dì amarezza i suoi giorni, cosi
lo manifestarono come uno de' più
zelanti partigiani del giansenismo.
ESPETTATI\E. V. Aspetta-
tive.
ESPETTAZIONE del parto
della b. Vergine [festa). Celebrasi
in diverse parli della cristianità ,
e specialmente in Ispagna, per de-
creto del concilio Toletano X del
657, a* 18 dicembre la festa dell'In-
carnazione del" Verbo divino, essen-
do vietato ne'giorni quaresimali, se-
condo il costume della Chiesa orien-
tale, seguito dall'ambrosiana, di ce-
lebrare in allora veruna festa, come
giorni destinati alla cristiana peni-
tenza, ch'esclude ogni dimostrazio-
ne di allegrezza, per cui la Chie-
sa non usa altri abiti sagri , se
non i lugubri. Così il Piazza, E-
merologìo, a' 1 8 dicembre. Parlando
ESP 99
il Sarnelli, nel tom. X, lett. XXif,
della festa della ss. Annunziata
(Vedi), dice, che in molte chie-
se costumavasi celebrarla agli 8 di-
cembre, perchè appunto non si sti-
mò celebrare la solennità dell' inef-
fàbile incarnazione del Verbo eter-
no in quaresima , tempo di tri-
stezza, come si ha dal detto conci-
lio, tenuto dall'arcivescovo Eugenio.
Se non che essendogli succeduto
S. Idelfonso, il quale difese la pu-
rità della Concezione immacolata
di Maria Vergine (Vedi), contro
alcuni eretici i quali l'impugnava-
no, volle che detta festa in avve-
nire si celebrasse col nome del-
l' Espettazione del parto, e sette
giorni innanzi il Natale (Vedi),
non nella quaresima destinata agli
esercizi della penitenza, od alla
solennità della risurrezione di Ge-
sù Cristo.
ESPIAZIONE (Expiatio). Si pren-
de per l'atto od azione, colla qua-
le si soffre la pena decretata con-
tro il delitto, o pei sagrifizi che
si fanno a Dio per la remis-
sione de'peccati; si dicono anche
espiazione quelle cerimonie, che Dio
ha istituite per purificare gli uomi-
ni dalle loro colpe, non solo coi
sagrifizi, ma eziandio co'sagramen-
ti, e colle opere di penitenza. Qua-
lunque espiazione del peccato si fa
mediante l'applicazione dei meriti
di Gesù Cristo, e co'detti mezzi
da lui istituiti. Le altre cerimonie,
come le aspersioni dell'acqua be-
nedetta, le assoluzioni ec. non sono
altro che un simbolo ed un segno
della purificazione , cui la grazia
divina opera nelle anime nostre;
segni stabiliti per avvertirci di
chiedere a Dio questa grazia. Se-
condo la credenza cattolica, le a-
nime di quelli che muoiono senza
ioo ESP
avere interamente soddisfatto alla
giustizia divina, purgano nel pur-
gatorio dopo la morte le reliquie
od avanzi de'loro peccati. Gli ebrei
avevano diverse sorta di sagri fizi di
espiazione pe'falli commessi per i-
gnoranza contro la legge, e per pu-
rificarsi da certe immondezze le-
gali, ch'erano ritenute come falli
da doversi espiar con certe vittime.
Questi sagriflzi di espiazione non
rimettevano per se stessi i falli reali
commessi contro Dio; riparavano
semplicemente la mancanza este-
riore o legale , ed assolvevano i
trasgressori dalla pena temporale
con cui Dio od i giudici puniva-
no questi falli, quando trascura-
vano d'espiarli nel modo prescrit-
to dalla legge.
La festa solenne dell'espiazione
celebra vasi dagli ebrei il decimo
giorno del mese di tìzri, il quale
corrisponde al mese di settembre.
Gli ebrei la chiamano festa del
perdono, perchè esp'ravansi le colpe
di tutto l'anno. Le principali ceri-
monie erano, che il sommo sacer-
dote dopo essersi lavato tutto il
corpo, vestivasi di semplice lino,
indi offriva un torello ed un arie-
te pe'suoi peccati, e per quelli de-
gli altri sacerdoti : poneva le ma-
ni sulla testa di tali vittime, e con-
fessava i suoi peccati e quelli di
sua casa; poscia riceveva dalle ma-
ni dei capi del popolo due becchi
o capri pel peccato, ad un ariete
per essere offerto in olocausto in
nome di tutta la moltitudine. Indi
tiravasi a sorte, quale dei due bec-
chi dovesse essere sagrificato, e qua-
le posto in libertà. Allora il som-
mo sacerdote incensava il santuario,
ed intingendo il dito nel sangue
del torello già sagrificato, ne get-
tava sette volte fra l'arca dell'al-
ESP
leanza, ed il velo che separava il
santo dal santuario. Sacrificava po-
scia a fianco dell'altare degli olo-
causti il becco destinalo dalla sor-
te ad essere sagrificato. Ne portava
il sangue nel santuario, e sette vol-
te faceva delle aspersioni col suo
dito intinto nel sangue fra l'arca
ed il velo, che separava il santo
dal santuario. Dopo ciò, faceva
delle aspersioni all'intorno del ta-
bernacolo col sangue del becco ;
quindi recavasi all'altare degli olo-
causti, ne bagnava le quattro cor-
na col sangue del becco e del
torello, e l'innaffiava sette volte con
questo stesso sangue; metteva la
mano sulla testa del becco, che
era destinato ad essere libero, con-
fessava i suoi peccati e quelli del
popolo, pregava Dio che li scari-
casse sopra di lui , e consegnava
questo becco ad un uomo, il qua-
le lo conduceva in un luogo deser-
to, e lasciavalo in libertà, ovvero
lo precipitava, secondo altri. Per
questo si chiamava tal becco il
Capro emissario. Fatta questa ce-
rimonia il sommo sacerdote si la-
vava tutto il cqrpo nel tabernaco-
lo, e vestendosi di altri abiti, im-
molava in olocausto due arieti,
uno per se, l'altro pel popolo. La
festa dell'espiazione solenne era u-
na delle principali festività degli
ebrei, i quali in tal tempo viveva-
no nel maggiore riposo, ed osser-
vavano un digiuno rigoroso. Que-
sto era il solo giorno, in cui fosse
permesso al sommo sacerdote di
entrare nel Santo dei Santi, ove
era l'arca dell'alleanza.
La quarta solennità, la quale 9Ì
celebra al presente dalla sinagoga,
è questa delle espiazioni , tenuta
per la principale che abbia luogo
in tutto l'anno, come descrive Pao-
ESP
lo Medici, Riti e costumi degli
ebrei, capo XXIII, Del digiuno e
festa delle espiazioni. Primiera-
mente passano gli ebrei la notte,
che precede tal festa, nella sinago-
ga, intenti nella preghiera e negli
esercizi di penitenza. Si vestono
d'abiti di lutto, di bianco o di ne-
ro, ed alcuni indossano l'abito con
cui bramano essere seppelliti. Van-
no alla sinagoga senza scarpe e
senza calze, ed ivi fanno quattro
preghiere solenni, cioè alla matti-
na, al mezzodì, al vespero ed alla
sera. Quando è notte, e veggonsi
le stelle, suonano il corno per in-
dicare che il digiuno è terminato,
e ritornando allora alle proprie
abitazioni, si vestono di abiti bian-
chi, e rompono il digiuno osser-
vato per tutta la giornata , ed
in quel giorno si riconciliano reci-
procamente. Sogliono confessarsi si-
no a dieci volte in un giorno, prin-
cipiando dalla vigilia avanti cena,
in memoria del nome di Dio, che
per altrettante volte pronunziava il
sommo sacerdote. V. su questa fe-
sta il Sarnelli, Lettere ecclesiasti-
che, tomo IV, lettera XXVII, che
la chiama Chipurim, cioè della pro-
piziazione, anche in espiazione del
peccato commesso dagli ebrei nel
deserto, adorando il vitello d'oro.
I greci e i romani facevano
espiazioni , col mezzo delle quali
pretendevano di purificare i colpe-
voli , ed anche i luoghi profani.
L'espiazioni presso gli antichi ro-
mani consistevano in alcune ceri-
monie particolari, colle quali inten-
devano placare Tira di Dio mani-
festata con alcuni prodigi. Vi ave-
vano però diverse sorta di espia-
zioni, e ciascuna aveva cerimonie
proprie. Le principali erano quelle
che si praticavano in occasione di
ESP 101
qualche omicidio, allorché si vede-
va nel cielo qualche prodigio, ed
allorché espiare volevansi le città,
gli eserciti, i templi , ec. Apollo-
nio Rodio ha minutamente descrit-
te tutte le cerimonie delle espia-
zioni pegli omicidii, ch'erano le più
gravi sino dai secoli eroici. Diffe-
renti erano le cerimonie romane
da quelle de' greci sull' espiazione,
e le storie ce ne danno ampie de-
scrizioni.
ESPINAY (d') Andrea, Cardi-
nale. Andrea d' Espinay nacque di
nobilissimo lignaggio nella bassa
Bretagna. Fu abbate di s. Croce
di Bordeaux, canonico di quella
metropolitana, priore di s. Marti-
no de' Campi a Parigi, e licenzia-
to nel diritto canonico. Nel i479>
Sisto IV, per favore del re, lo pre-
pose alla Chiesa di Bordeaux, ed
Innocenzo Vili nel 148 3 lo creò
a' 9 marzo prete Cardinale di s.
Martino, indi per singoiar distin-
zione gli spedì in Francia il cap-
pello cardinalizio, destinando per
darglielo, il nunzio di quel regno
Leonello Cheregato. Alessandro VI,
nel 1 499, Io trasferì all'arcivescovato
di Lione, ma gli concesse di tenere
ben anco la Chiesa di Bordeaux ;
quindi fu nominato governatore di
Parigi. Fu accettissimo al re di Fran-
cia Carlo Vili e Luigi XII, ai quali
rese importanti servigi. Accompa-
gnò Carlo Vili quando prese pos-
sesso del regno di Napoli, e nella
battaglia di Fornonovo , accaduta
nel i49^> colla croce nelle mani,
e colla mitra in testa, volle star-
sene sempre accanto del re. Ripro-
vò poi altamente la condotta di
quegli ecclesiastici , che avevano
prese le armi contro il nemico, in-
segnando loro , che pei sacerdoti
l'arme più sicura è la croce. Nel
io2 ESS
1 4^5 s* era trovato presente all'as-
semblea del clero gallicano. Mori
in Parigi nel castello di Tournel-
les l'anno i5oo , e fu sepolto nella
chiesa dei celestini presso 1' altare
maggiore.
ESPOSIZIONE dbl SS. Sacra-
mento dell'Eucaristia. V. Euca-
ristia § IV. Delle esposizioni della
SS. Eucaristia.
ESSENI o ESSENIANI (Essaci).
Setta celebre fra i giudei verso il
tempo di Gesù Cristo. Lo storico
Gioseffo parlando delle diverse set-
te del giudaismo, ne annovera tre
principali, i farisei, i saducei, e gli
esseni, ed aggiunge che questi ul-
timi erano di origine giudei; per-
ciò equivocò s. Epifanio quando
gli annoverò fra le sette samarita-
ne; il loro modo di vivere si av-
vicinava molto a quello de' filosofi
pitagorici. Siccome menavano una
vita austera ed erano divisi dagli
altri, alcuni li riguardarono come
scismatici, non volendo gli esseni
neppure sagrificare nel tempio, van-
tandosi in vece di praticare ceri-
monie più sante. In quanto ai co-
stumi furono lodati da tutti, e te-
nuti pei più virtuosi, onde anche
i pagani ne fecero encomio. Quelli
però dei quali parla Filone, sono
differenti da questi, perchè secon-
do il sentire di s. Girolamo, parla
Filone dei cristiani di Egitto, di-
scepoli di s. Matteo, sotto nome
pure di esseni, pensando di lodare
la sua nazione, mentre vedeva quel-
la chiesa ancora giudaizzante. Era-
no chiamati Essei, o Jessei da Ge-
sù nostro Salvatore , o da les-
se padre di Davide , su di che
va letto quanto dicemmo al volu-
me XVIII, pag. 202 del Diziona-
rio. V. il p. Calmct nella Biblio-
teca sagra, al titolo: Setta degli
EST
Ebrei, nel suo Dizionario della
Bibbia, alla parola Esseniani.
ESTAIN (<T) Pietro, Cardi-
nale. Pietro d'Estain, nobile fran-
cese, nacque nel castello di Estai n,
diocesi di Rodez. Fu monaco be-
nedettino, e poi vescovo di s. Flour,
donde nel i368 fu trasferito al-
l'arcivescovato di Bourges. Urbano
V, a' 7 giugno 1370, lo creò prete
Cardinale di s. Maria in Trastevere,
dalla quale passò al vescovato di
Ostia. Indusse con altri Cardina-
li Gregorio XI a trasferini colla
corte in Roma, ed ivi egli pure
morì nel 1377, pie**0 di meriti
pegl' incorrotti suoi costumi, e per
l'ammirabile sua destrezza nel ma-
neggio dei più difficili affari, e di
gloria per le sue legazioni in Ita-
lia eseguite con gran vantaggio
della santa Sede.
ESTAMPES (d') Achille, Car-
dinale. Achille d'Estampes di Va-
lensè, nacque in Tours di nobile
famiglia nel i584- Fanciullo anco-
ra, fu ascritto all'Ordine religiosa
gerosolimitano, e nell'età d' anni di-
ciassette cosi era divenuto esperto nel
combattere, che nell'assedio di Mal-
ta, posto dai turchi, egli guerreggiò
con virile calore fino a che vinto
dalie gravi ferite, e perduta la me-
tà d'un orecchio per un colpo di
moschetto, depose le armi. Riavu-
tosi poi in sanità, militò nelle Fian-
dre e nelle Gallie; e nell'assedio
di Montalbano, contro gli ugonotti
riportò quattro mortali ferite. Si
volle premiare il di lui valore, e
venne tosto avanzato al grado di
capitano. Passò quindi a militare
in qualità di generale sotto le ban-
diere di Carlo Emanuello duca di
Savoia, dove in una sortita da lui
fatta nell'assedio di Verrua, contro
gli spagnuoli, riportate otto ferite
EST
ed abbandonato da'suoi, fu fatto
prigioniero di guerra. Ricuperata
poi la sua libertà, servi in quali-
tà di ammiraglio al re Cristianis-
simo, nel famoso assedio della Ro-
cella, dove fece tali prodigi di va-
lore, che atterriti gl'inglesi non osa-
rono di aiutare gli ugonotti, e la
piazza fu ridotta all'obbedienza del
legittimo principe. A questo fatto
si richiedeauna ricompensa ben gran-
de, e in vero fu egli subito dichia-
rato generalissimo di tutte le trup-
pe francesi. Nelle controversie in-
sorte tra Luigi XIII e la madre
di lui, l'Eslampes tenne il partito
di questa, e n'ebbe anzi il coman-
do della fortezza ; ma temendo
poscia lo sdegno del Cardinale di
Richelieu, ritirossi in Malta, dove
diede eguali segni del suo invitto
valore. Da Malta fu chiamato a
Roma, e il Pontefice gli affidò il suo
esercito sotto la dipendenza del Cardi-
nal Barberini per la guerra d'Italia.
Sotto la di lui condotta, le squadre
pontificie guerreggiarono cosi van-
taggiosamente che Urbano Vili, qual
degna ricompensa, lo vestì della sa-
gra porpora, dichiarandolo a' 1 3 lu-
glio i643 Cardinale diacono di s. A-
driano. Fece due volte il viaggio di
Francia; ma nella prima gli fu inti-
mato di non entrare neppur in Pa-
rigi, che troppo il re era adirato con-
tro di lui per aver imbrandite le ar-
mi contro il duca di Parma ; nella
seconda poi fu ammesso all'udienza,
ma senza poter ottenere quello che
domandava. Consumato dalle fati-
che, morì in Roma nel 1646, e
fu sepolto nella chiesa di s. Ma-
ria della Vittoria, senza alcuna iscri-
zione.
ESTASI ( Extasi s3 raptus ani-
mi extra sensus). Rapimento dello
spirito, situazione nella quale l'uo-
EST io3
ino è come trasportato fuori di sé
stesso in modo che sono sospese le
funzioni de' suoi sensi. Il rapimen-
to di s. Paolo al terzo cielo era
un' estasi. Abbiamo dalla storia ec-
clesiastica, e dalle vite de' servi di
Dio, che questi furono rapiti in
estasi per lungo tratto di tempo,
e persino per intere giornate. Pu-
re la menzogna e l' impostura pos-
sono imitare l'estasi reale. Mao-
metto persuase gli arabi ignoranti,
che i parosismi di epilesia cui era
soggetto, erano estasi nelle quali
riceveva le divine rivelazioni. Di-
cesi estasi contemplativa , quando
in certe persone sono sospese le
funzioni de' sensi esterni, gli orga-
ni interni s' infiammano , si agita-
no, e mettono l'anima in uno sta-
to di riposo, di quiete, che le sem-
bra assai dolce. Siccome ciò in al-
cuni può essere effetto di tempe-
ramento, devesi usare molta pru-
denza prima di decidere, che que-
sto sia un effetto soprannaturale
della grazia, ed una elevazione del-
l'anima a Dio.
ESTE (d') Ippolito, Cardinale.
Ippolito d'Este detto I 0 seniore,
dei duchi di Ferrara, nacque nel
1478. Sortì le più felici disposizioni
naturali , e giunto appena all' età
di sette o nove anui, per insinua-
zione di Beatrice sua zia, e moglie
del re Mattia d' Ungheria , fu no-
minato da questi ad arcivescovo
di Strigonia. Però Innocenzo Vili
ricusato avea sulle prime di con-
fermare tale prematura elezione;
ma essendosi egli recato in Roma
col duca Ercole I suo zio, ricevette
la pontifìcia approvazione; col pat-
to però che non gli fosse data l'e-
piscopale consegrazione prima della
età canonica. Per sette anni si trat-
tenne presso di quel sovrano, e
io4 EST
colle sue gentili ed insinuanti ma-
niere si rese universalmente ap-
plaudito ed amato. Colà apprese
assai bene l'arte militare, e riuscì
a meraviglia nel maneggiare le ar-
mi più difficili, come nel coman-
dare e diriger le truppe. In età di
quindici anni, a'2i settembre i49^,
fu creato da Alessandro VI diacono
Cardinale di s. Lucia in Selci ; e
a titolo di commenda , come si
postumava frequentemente in quei
tempi , gli vennero assegnate pa-
recchie metropolitane e cattedra-
li ; anzi il prefato Pontefice , nel
1497, gli conferì per opera di Lo-
dovico Moro, la chiesa stessa di
Milano, da lui governata per lo
spazio di tredici anni; e nel i5o2,
la chiesa di Capua. Pio IH ami-
cissimo della casa d' Este, un anno
dopo, gli diede la chiesa di Ferrara,
e nel i5o7 Giulio II gli conferì il
vescovato di Modena, colla dignità
di arciprete della basilica vaticana,
alle quali dignità fu aggiunta l'ab-
bazia di Nonantola con qualche al-
tra. Recatosi a Roma affine di rin-
graziare Alessandro VI della sua
promozione alla porpora, e di là
quindi partito per soddisfare agli
impegni dell'alta suo condizione,
vi ritornò poi in occasione del ma-
trimonio del principe suo fratello
Alfonso I con Lucrezia Rorgia, ed
ivi rimase per qualche tempo. Ma
sotto il pontificato di Giulio II av-
viatosi di bel nuovo a Ferrara ,
die grande aiuto al duca Alfonso I
nei pericolosi cimenti cagionati dal-
le armi de' veneziani e da quelle
del Papa. In tale incontro si di-
resse con tanta prudenza e sveltez-
za, che meritossi la stima de' più
gran principi dell' Europa , e sin-
golarmente dell'imperatore Massi-
miliano, che lo regalò di graziosis-
EST
simi doni, e gli conferì il vicaria-
to d'Italia, nell'occasione in cui
venne spedito col carattere di le-
gato a Cesare, come eziandio a
Ladislao re di Ungheria, ed a Si-
gismondo re di Polonia. Sembra che
per la guerra della casa d'Este col
Papa, non vi fosse un perfetto accor-
do di spirito tra lui e il Pontefice
Giulio II. E infatti chiamato da que-
sto a Roma, finse di essere stato
assalito da grave malattia per istra-
da, e così deluse il Papa presso del
quale avea saputo colorir molto
bene la cosa. Con tuttociò non si
tenne abbastanza sicuro in Italia,
e si trasferì quietamente al suo
vescovado, fattosi con un pretesto
chiamare colà dal re di Ungheria.
Che egli avesse ragione di temere il
Pontefice, lo si conobbe di poi dalla
maniera onde giustamente venne in
Roma trattato il duca Alfonso I. Suc-
ceduto però Leone X, di cui go-
deva la più intima confidenza, tor-
nossene a Roma; e fatta rinunzia
della chiesa di Milano , cangiò la
sede di Strigonia con quella di A-
gria, la quale non obbligava a re-
sidenza. Era questo Cardinale mol-
to amante delle arti s delle scienze
e della musica, non meno che de-
gli esercizi cavallereschi , ne' quali
profondeva gran parte delle sue
rendite. Manteneva al suo servizio
suonatori, cacciatori, buffoni ed al-
tra gente di beli' umore. Stipen-
diava eziandio non pochi scienziati,
oratori, poeti; cosicché la corte di
quel libéralissimo principe si potea
dire l'accademia delle scienze e delle
arti. Il famoso Lodovico Ariosto, ch'e-
ternò la memoria di questo Cardinale
nelle sue opere, dopo quindici anni
di fedel servitù, perde la sua gra-
zia; ma non se ne seppe mai il
vero motivo. Aveva il Cardinal d'j^-
EST
ste molte belle virtù del cristiano ,
oltre ad una tenera devozione per
la beata Vergine, in onore della
quale ogni giorno recitava l'officio,
ed ogni anno dotava dieci fanciul-
le ; egli nudriva una singolare ca-
rità pei poverelli, che ogni di pro-
vedea del cibo o del vestito. Era
poi attaccatissimo alla santa Sede, e
ne diede le più. chiare prove, quan-
do nel conciliabolo di Pisa non
volle punto aderire alle suggestioni
dei nemici di Giulio II, ohe lo ec-
citavano a dichiarategli contrario.
In tale incontro si condusse con
tale saggezza, che la corte di Fran-
cia se ne chiamò molto contenta,
e assieme a qualche altra si con-
venne nello assegnargli il glorioso
titolo di sapiente. Morì in Ferrara
nel i520, e fu sepolto in quella cat-
tedrale; ma nel 1607 venne traspor-
tato nella medesima chiesa appiedi
del sepolcro di Urbano III, e rin-
chiuso in un'urna marmorea. Scris-
se la battaglia eh' egli stesso con-
dusse nel dì 22 dicembre i5og,
alla Policella , contro alle armate
veneziane, cui sbaragliò pienamen-
te, e spogliò di tredici gallere ed
altri legni minori. Tal descrizione
per volontà del Cardinale fu vol-
tata in latino dal Calcagnini. Di
questo magnanimo Cardinale, co-
me degli amplissimi Cardinali Ip-
polito giuniore, Luigi, ed Alessan-
dro, se ne parla molto nell'articolo
Ferrara (Vedi), ove è pure la sto-
ria della sovrana casa d'Este. La
vita di questo Cardinale fu scritta
con grande eleganza da Alessandro
Sardi.
ESTE (d' ) Ippolito, Cardina-
le. Ippolito d' Este detto li o giu-
niore, nipote del sullodato Car-
dinale, nacque nell'anno 1 5oo, ,
dalla famiglia dei duchi di Ferra-
EST ,o5
ra. Si coltivò nelle scienze presso
1' università di Padova, secondo che
ne dicono parecchi autori, o piut-
tosto in Ferrara, giusta la più co-
mune sentenza. Frequentò fino da-
gli anni più verdi, oltre la corte
paterna, quella ancora di Francia,
e ben presto crebbe in tutte quelle
doti, le quali si rendono indispen-
sabili al governare. Nel i53o, ebbe
da Paolo III l'arcivescovato di Lio-
ne, e nel i5^6 la chiesa di Au-
tun. Poi Giulio III gli conferì, nel
i55o, la metropolitana di Narbona,
e quattro anni dopo quella di Aucb.
Pio IV, nel i562, lo assunse alla
sede di Arles; ma, nel iSQj, egli
la rinunziò a favore di Prospero
Santacroce. Ebbe in seguito parec-
chie abbazie; ma non mai la chie-
sa di Ferrara, come alcuni autori
si sono adoperali di dimostrare. Pel-
le istanze di Francesco I, a' 20 di-
cembre i538 fu creato da Paolo III
diacono Cardinale di santa Maria
in Aquiro, e poscia da Giulio III
fu fatto governatore di Tivoli. In
appresso venne incaricato della le-
gazione al senato veneto, e quindi
presso il re di Francia Enrico II,
ch'era stretto con lui in parentela,
dal quale ottenne peculiar protezio-
ne a favore del concilio, che allora
celebravasi in Trento. Finita la le-
gazione, si recò nuovamente in Ro-
ma , ed ivi ricevette l' incarico di
governare la città di Siena a no-
me del re di Francia, al quale s'era
data quella città. Pio IV Y onorò
per due volte della legazione del
Patrimonio, e di quella di Germa-
nia presso T imperatore per facili-
tare la via della pace. Nella va-
canza della santa Sede per la mor-
te di Paolo III, egli era quasi per
essere eletto Pontefice. Questo fat-
to sarebbe sufficiente ad annuncia-
io6 EST
re quali virtù corredassero la bell'a-
nima di lui. Infatti era libéralissi-
mo co' poveri, generoso assai cogli
uomini di merito, cultore delle
scienze, candido ne' costumi, gran-
de nelle sue idee, e celebre assai
pei suoi talenti. A tutto ciò univa
poi anche una splendidezza nel trat-
to, un' ospitalità singolare, e molta
prudenza nel maneggio degli affa-
ri. In Tivoli con somma magnifi-
cenza edificò la villa d'Este, cele-
bre per diversi titoli , perchè de-
corata di giardini, di fabbriche, di
un palazzo con superbe pitture, ed
ivi accolse anche Enrico II di
Francia, che trattò con isplendi-
dezza degua di tanto sovrano. Do-
po la sua morte quella villa venne
in potere del Cardinale Luigi suo ni-
pote, indi del Cardinale Alessandro,
che dovette poi sostenere una lite
col Cardinale decano del sacro Col-
legio, che spiegava non pochi di-
ritti. La veduta di questa superba
villa , della quale si parla all' ar-
ticolo Tivoli (Fedi), e della sua
prospettiva , dà al palazzo ed al
giardino l'idea d'un castello in-
cantato, e vuoisi che Torquato Tas-
so dimorando in questa villa alla
splendida corte del Cardinal Ippo-
lito II, si lasciasse ispirare da que-
sto delizioso soggiorno nella descri-
zione del palazzo di Armida. Non
così potè accadere all'Ariosto, come
alcuni pretendono, essendo quell'in-
signe poeta morto alcuni anni a-
vanti che la villa fosse fabbrica-
ta. Mancò a' vivi nel i5ji3 e da
Roma fu trasferito a Tivoli, e se-
polto nella chiesa di s. Maria Mag-
giore con una breve iscrizione. Ab-
biamo di lui alcune lettere tradotte
in francese , che dirette aveva al
Papa ed al santo Cardinal Borro-
meo , tu Ite riguardanti gli affari
EST
che gli veui van commessi. Nel to-
mo terzo delle vite de' principi ,
troviamo anche un'altra sua lette-
ra al vescovo di Caserta, colla da-
ta i gennaio i562, nella quale si
legge una sua discolpa scritta a
cagione di una certa calunnia, che
gli venne data presso la santa Sede.
Dal cav. Ercole Cato si ha V Ora-
zione falla nelle esequie del Car-
dinal Ippolito d'Esle, che fu stam-
pata a Ferrara pel Baldini nel i 587.
ESTE (d') Luigi, Cardinale. Luigi
d'Este, nipote dell'anzidetto Ippolito
giuniore, nacque in Arezzo l'anno
i5j8, dalla nobilissima famiglia
dei duchi di Ferrara. Giulio III
nel i553 lo creò vescovo della sua
patria. Trasferitosi poi in Francia
presso la corte di Enrico II, otten-
ne parecchie abbazie ed anche la
chiesa di Auch , ri inumatagli dal
detto Cardinal Ippolito suo zio. Pio
IV, nel concistoro de' 26 febbraio
i56i, lo creò Cardinale dell'ordi-
ne de' diaconi, sebbene assente, e
quindi gli diede per diaconia la
chiesa de' ss. Nereo ed Achilleo,
e dipoi lo fece governatore di
Tivoli. Quattro anni dopo incon-
trò a Trento la sorella dell'impe-
ratore Massimiliano^ che s'era con-
giunta in matrimonio con Alfon-
so li suo fratello, e l'accompagnò
sino a Ferrara. Fu poi dichiarato
protettore della Francia presso la
santa Sede, e in quell' ufficio molto
si adoperò per la concordia dei
principi co'Pontefici s. Pio V e Gre-
gorio XIII. Per commissione di
questo Pontefice, fece due volte il
viaggio della Francia ; nella prima
delle quali, vivente Carlo IX , in-
tervenne ad un' assemblea a nome
della sede Apostolica , e nella se-
conda si accinse a persuadere En-
rico III, afliuchè non prestasse al-
EST
cun aiuto al suo fratello ii duca
di Aleuson, il quale faceva guerra
nelle Fiandre a Filippo 11 re di
Spagna, e si riconciliasse piuttosto
con quel monarca. Presiedette an-
cora all'assemblea del clero, tenu-
ta in Blois, e si distinse in ogni
incontro pel suo intemerato amore
alla giustizia e all' equità. Dimes-
sa la sua diaconia, ottenne quella
di s. Maria in Via Lata, e diven-
ne cosi il primo dei Cardinali dia-
coni. Fu protettore dell' Ordine
de' cisterciensi , de' canonici di s.
Giorgio in Alga; e nel i58i pro-
tesse Giovanni Leves de la Cossiè-
re granmaestro di Malta, con molti
altri cavalieri, che s' erano recati in
Roma per giustificarsi d'una ca-
lunnia. Egli li ricevette in sua ca-
sa a Monlegiordano, e li trattò
con molto splendore, somministran-
do il vitto ancora alle persone del
loro seguito, che, secondo il Car-
della, ascendevano a mille. Fu
mecenate de' letterati , ma non me-
no benefattore de' poveri, anzi ver-
sava nel loro seno gran somme di
danaro, e ne prestò ancora a tal
oggetto al Cardinal Osio, che da-
va tutte le sue sostanze in patri-
monio dei miseri. Racconta il Sal-
viati, che tra le altre sue benefi-
cenze, diede eziandio cinquecento
fiorini ad un certo, che spinto dal
bisogno aveva derubato nella casa
di lui qualche materiale. Riscosse
questo Cardinal d'Este le più bel-
le lodi de' suoi contemporanei, che
lo dicevano il lume del sacro se-
nato, l'ornamento della corte ro-
mana, e il tesoriere de' poveri. Po-
se fine a' suoi giorni in Roma nel
i586, dopo venticinque anni di
Cardinalato. Trasferito a Tivoli, fu
sepolto nella Chiesa di s. Maria
Maggiore de' minori osservanti, con
EST 107
una brevissima iscrizione postavi da
Cesare d'Este, che fu poi duca di
Modena. Da Leonardo Salviati si
ha T Orazione delle lodi di d. Lui-
gi d' Este Cardinal 3 Firenze 1587;
e da Sebastiano Forno Ardesi, 1
Vari lamenti d'Europa nella mor-
te di d. Luigi Cardinal d' Estey
Padova i587.
ESTE (d') Alessandro, Cardina-
le. Alessandro d'Este, cugino di Al-
fonso 11, duca di Ferrara, e fratello
di d. Cesare duca di Modena^ nacque
nel i568. Cresciuto negli anni, le
belle qualità della sua persona si
svilupparono per maniera , che in
breve divenne l'ammirazione degli
stessi precettori di lui. Era di modi
soavissimi, di presenza avvenente,
e d' ingegno acutissimo. Studiò iu
Padova le lettere e le scienze, e
specialmente quella delle leggi. A-
rnava assai gli uomini colti, ed anzi
con loro era sempre impegnato
nella conversazione. Clemente Vili,
nel concistoro de' 3 marzo 1 599, lo
creò diacono Cardinale di s. Maria in
Via Lata, e poscia governatore di
Tivoli. Visse in Roma con {splen-
dida magnificenza, e fatto di poi
ritorno in patria, si trasferì in Ispa-
gna a visitare Filippo III, dal quale
fu accolto con sommo onore. Nel
1621, Gregorio XV lo promosse
al vescovato di Reggio, dove mo-
strò un incomparabile zelo per la
salute del suo popolo, e pei van-
taggi del pubblico. Visitò la diocesi,
celebrò sinodi , tolse abusi , stabili
regolamenti, corresse errori, regolò
la clausura delle monache, e pre-
pose degli eccellenti parrocchi alla
cura del suo gregge. Per la inter-
cessione di lui i chierici regolari
teatini furono introdotti in Mo-
dena, e ben assai provveduti. Ne-
gli ultimi anni della sua vita fis-
io8 EST
so di nuovo il suo soggiorno in
Roma , dove trattassi con mol-
ta splendidezza ; ma sofferendo as-
sai delia salute , si recò a Tivoli
per respirare un' aria migliore ; ed
ivi sorpreso da gravissima malattia
si fece portare in Roma, dove,
l'anno 1624, spirò nel bacio del
Signore. Il cadavere di lui fu tras-
ferito a Tivoli , e venne sepolto
nella chiesa di s. Maria de* minori
osservanti francescani, presso al Car-
dinal Luigi d'Este. Lasciò alla sua
cattedrale dei doni assai preziosi ,
e tutta la suppellettile della sua
cappella domestica.
ESTE (d') Rinaldo, Cardinale.
Rinaldo d'Este, de'duchi di Mode-
na, nacque nel 1618. Negli anni pri-
mi di sua vita si dedicò alla carriera
delle armi, e molto dava a sperare di
se per la sperienza ed abilità som-
ma che vi mostrava, e per l'acuto
suo intendimento, e forte coraggio.
Abbracciò poscia lo stato ecclesia-
stico, e venne ad istanza dell'impe-
ratore a' io luglio, ovvero a' 16 di-
cembre 1641 creato da Urbano Vili
diacono Cardinale di s. Nicolò in
Carcere, ed ascritto alle congrega-
zioni de'riti, di Propaganda, de' ve-
scovi e regolari, ed altre. Sebbene
vivesse in mezzo allo splendore del-
la grandezza , pure apparve sem-
pre sobrio, pio, continente e devo-
to, come pure inalterabile negl'in-
contri sinistri. Sembra però, da
quanto ne scrive il Battaglini, che
fosse d' un carattere alquanto in-
quieto. Alessandro VII lo stimava
assai, e i due Clementi IX e X,
per l'esaltazione de'quali molto con-
tribuì, lo amavano teneramente. Nel
1 65 1 , creato vescovo di Reggio da
Innocenzo X, si mostrò zelantissi-
mo per la ecclesiastica disciplina.
Pose le fondamenta ad un magnifl-
EST
co episcopio, ma non lo vide com-
piuto. Trasferì in un luogo molto
più convenevole le sagre reliquie
de'santi Grisanto e Daria. Ma oc-
cupato assai in all'ari di altra sor-
ta, che non sono gli ecclesiastici,
rinunziò la sede nel 1 66 1 sotto Ales-
sandro VII, riservandosi una pen-
sione di duemila scudi, e l'uso del
palazzo episcopale. Aveva contem-
poraneamente ottenuto il vescovato
di Montpellier; ma Innocenzo X,
quantunque sulle prime glielo avesse
accordato, pur volle che lo dimet-
tesse. Era però provveduto di pa-
recchie abbazie in Italia e in Fran-
cia, e tra le altre quella di Clu-
gny. Fu anche protettore della
Francia presso la s. Sede. Dimessa
la sua diaconia, ottenne successiva-
mente nel 167 1 da Clemente Xil
vescovato di Palestrina; ma l'anno
seguente egli compì la mortale
carriera in Modena , ed ivi ebbe
tomba nella chiesa de' cappuccini.
ESTE (d') Rinaldo, Cardinale.
Rinaldo d' Este, anch'esso de'duchi
di Modena, e nipote del preceden-
te, nacque in detta città a' 2 5 giu-
gno i655. Essendo ancor vivi nel-
la curia romana gli affronti recati
ad essa dal Cardinal suo zio nel
pontificato di Alessandro VII, pel
notissimo trambusto de' soldati cor-
si, e dell' ambasciatore di Francia
Crequì , in nessun conto volevasi
il nostro Rinaldo decorarsi del Car-
dinalato. Quindi per le vive istan-
ze del suo cognato Giacomo II re
cattolico d'Inghilterra, a' 2 settem-
bre del 1686, fu creato da Inno-
cenzo XI, diacono Cardinale di 8.
Maria della Scala. Ma essendo
morto nel 1 694 senza successione il
di lui fratello Francesco II duca di
Modena, egli, che non avea ancora
ricevuti gli ordini sacri, a' 2 1 mari
EST EST 109
zo 1695 dimise la porpora Cardi- stro delle sentenze è una delle mi-
nalizia, e sposò Carlotta di Brun- gliori teologie che abbiamo,
svich duchessa di Annover, cognata ESTOJN Adamo, Cardinale. A-
del re de' romani, per continuare damo Eston, nato di oscura fami-
la successione della sua nobilissi- glia nella contea di Herford nel-
ma famiglia. Dopo avere ottenuto l'Inghilterra, professò ancor giova-
da essa numerosa prole, il duca netto nell'Ordine benedettino pres-
Rinaldo morì di apoplessia a' 26 so il monistero di Nordvich. Cre-
ottobre 1737 d'anni ottantadue. sciuto nella pietà del pari che nel
ESTEVENS (d') Giovanni Al- sapere, lesse teologia nell'universi-
fonso, Cardinale. Giovanni Alfonso tà di Oxford ; poscia fu nominato
d'Estevens nacque in Àzambuja , vescovo di Londra, e per le istan-
castello di Portogallo, diocesi di ze di Riccardo II, creato da Ur-
Lisbona. Sulle prime si diede alla bano VI, a' 18 settembre 1878,
carriera delle armi; ma poscia da- prete Cardinale di s. Cecilia. Cad-
tosi allo stato ecclesiastico, fu prò- de in sospetto di tradimento con-
mosso al vescovato di Silves nel tro il Pontefice , e perciò nel
1389, dopo due anni fu trasfe- 1 385 fu carcerato nella città di
rito a quello di Porto , poscia Nocera de' Pagani con altri cinque
a quello di Coimbra, e nel 1402, Cardinali. Vuoisi che desse fonda-
alla metropolitana di Lisbona. Fu mento a tali sospetti, l'aver lui
due volte ambasciatore in Roma, scritte in cifra alcune lettere a
Giovanni XXIII lo creò prete Car- Carlo Durazzo , re di Napoli, le
dinaie di s. Pietro in Vincoli, nel quali non poterono da alcuno ve-
concistoro de' 6 giugno 14.11. Mo- nir mai esplicate. Siasi però la co-
ri nel i4*5, in Bourges, città del- sa comunque si voglia, egli è cer-
le Fiandre, stimato per uomo di to che, sebbene venisse lasciato in
rara prudenza e di letteratura di- libertà sotto la custodia di un che-
stinta, rico di camera , di nazione fran-
ESTIO Guglielmo, di Gorenna cese, fu nondimeno deposto dalla
in Olanda, di nobile famiglia, fece di lui dignità. Bonifacio IX pe-
i suoi primi studi ad Utrecht, ed rò , conosciuta meglio la cosa , lo
apprese la filosofia e teologia a restituì ai perduti onori, e scrisse al-
Lovanio. Nell'anno i58oebbela lau- cune lettere vantaggiosissime al par-
rea di dottore in teologia nella lamento d' Inghilterra. Morì con
stessa città. Accadde la sua morte fama di singoiar virtù in Roma
a Douay nel 161 3, mentre conta- nel 1398, ed ebbe sepolcro nel-
va setlantadue anni di età. Abbia- la sua chiesa titolare. Due secoli
mo di lui molte dotte opere in circa dopo la di lui deposizione,
latino. 1 .° La Storia de martiri di smosso il terreno di quella chiesa
Gorenna, uccisi nella rivoluzione per istabilire il nuovo pavimento,
che il calvinismo cagionò in quel fu trovata la salma incorrotta, che
paese; i.° Alcuni Commentari , in 1 venne trasferita con grande onore
volumi in foglio; 3.° Osservazioni al lato sinistro della porta di quel-
sui passi difficili della sagra Scrit- la chiesa, dove si vede il suo an-
tura3 stampati a Douay ed in An- tico mausoleo, colla statua rappre-
versa. Il suo commentario sul mae- sentante il Cardinale in abili pon-
no r.ST
tificali giacente sull'urna. L'Eston
conosceva assai bene le lingue o-
rientali, e produsse molte opere
sulla divina Scrittura, facendone
ancora una versione dall'ebreo;
cosa che da s. Girolamo fino a quei
tempi non era stata eseguita da alcun
altro autore. Compose ancora l'uffi-
zio per la festa della Visitazione
di Maria Vergine, come si può ve-
dere in Lambertini, De feslis, ec,
la cjual festa era stata istituita da
Urbano VI per ottenere 1' estinzio-
ne dello scisma che devastava la
Chiesa.
ESTOUTEVILLE Guglielmo ,
Cardinale. Guglielmo de' signori
d'Estouteville e Vallemont, di san-
gue regio, nacque in Normandia l'an-
no 1402. Professò nel monistero del-
la Congregazione di Clugny, fu dotto-
re in legge canonica, e priore di s.
Martino de' Campi presso Parigi. In
seguito venne arricchito colle pre-
bende di molte chiese, la prima
delle quali fu quella di Mirepoix
nella Linguadoca, che ottenne da
Eugenio IV nel 1 4^ i, e ritenne
per due soli anni ; quella di Di-
gne nella Provenza, ch'ebbe nel
i43g, e possedè fino al i44^;
quella di Nimes, che gli fu confe-
rita nel i44*> e dipoi nel i45o
ebbe quella di Lodève da Nicolò
V; nel i^5i quella di Muriena
nella Savoja; e un anno dopo il
vescovato di Roano. Alcuni vorreb-
bero che avesse avuta anche la
chiesa di Béziers, ma pare cosa
più, probabile che l'ottenesse a so-
lo titolo di commenda. Quando
era vescovo di Lodève, istituì nel-
la chiesa di s. Genesio la confra-
ternita della ss. Annunciata, e re-
stituì alla cattedrale di Digne tut-
te le rendite che aveva da essa
percepite, perchè non avea assunto
EST
mai il reggime di quella diocesi. Ad
istanza del re cristianissimo, a' 18 di-
cembre 1439, da Eugenio IV fu
creato prete Cardinale di san Mar-
tino; ma egli non volle assumere
la sacra porpora, se prima non
ottenne di reggere contemporanea-
mente la chiesa di Angers. Nel 1 452,
Nicolò V lo spedi legato a laterc
presso i re di Francia e d'Inghil-
terra per conchiudere tra loro la
pace; ma tutto fu inutile. In quel-
1' occasione però diede riforma al-
l'università di Parigi ; cosa che gli
meritò il titolo di ristauratore del-
le lettere e delle scienze. Carlo
VII, re di Francia, lo desiderava
suo ambasciatore presso Calisto IH;
egli però non volle accettare quel-
l' incarico, perchè Io credeva in-
compatibile col suo ministero. Il
re nondimeno l' ebbe in altissima
stima, ed anzi voleva che i suoi
ministri in Roma non imprendes-
sero cose di grande rilievo, se pri-
ma noi consultavano. Il Pontefice,
valendosi del favore che godeva
presso quel principe, lo mandò in
qualità di legato presso di lui af-
fine di eccitarlo a prender parte
nella guerra contro i turchi ; ma
la spedizione riuscì senza effetto,
perchè il re dovea impiegar le sue
forze nel ricupero della Norman-
dia e della Gujenna. Fabbricò in
Roma da' fondamenti la chiesa e
il convento di s. Agostino agli ere-
mitani, de'quali aveva la protezione
presso la santa Sede, e ne assegnò
ancora considerabili rendite. Quan-
do era arciprete di santa Maria
Maggiore, risarcì le navi laterali
e le volte di quella basilica, do-
nandole molti sagri vasi d'argento
e d'oro, e parecchie suppellettili di
gran valore. Abbellì l'altare della
confessione, e l'ornò di quattro
EST
glandi colonne di porfido che tut-
tora esistono. Fabbricò anche una
cappella dedicata a' santi Michele
Arcangelo e Pietro Apostolo, la
quale più non esiste, ma se ne ve-
de però qualche traccia nell' inter-
no della basilica. Nel 14^2 con-
sagrò solennemente l'altare della
ss. Annunziata in Firenze, come se
ne legge memoria in quella cap-
pella. Sisto IV lo elesse Camerlen-
go della S. R. C, carica resa va-
cante per la morte del Card. Or-
sini. Fu ancora uno di que' Car-
dinali, che accompagnarono Pio li
i n Mantova. Questo Papa, nel 1460,
dal vescavato di Porto, che aveva
ottenuto da Nicolò V, lo trasferì
a quello di Ostia e Velletri, dove
fabbricò l'episcopio, e in Cori, cit-
tà della diocesi, un convento di
agostiniani. Cessò di vivere in Ro-
ma nel i483, ed ebbe la tomba
nella chiesa di s. Agostino. Lasciò
una pingue eredità ai suoi nipoti,
pei quali aveva comperato varie
terre. Nel conclave per l'elezione
di Pio li poco mancò che non con-
seguisse il triregno che ambiva, ri-
manendo deluso pei motivi che
narrammo al volume XV, pag. 283
del Dizionario.
ESTRÉES (d') Cesare, Cardi-
nale. V. Etrees.
ESTREMA UNZIONE. Sagra-
mento istituito per sollievo spiri-
tuale e corporale degl' infermi.
Si conferisce loro facendo diverse
unzioni con olio benedetto dal ve-
scovo nel giovedì santo insieme
col crisma e 1' olio de' catecumeni,
accompagnate da certe preghiere,
che esprimono lo scopo ed il fine
di queste unzioni. V. Olio Santo.
Meritamente si colloca il sagra-
inento della estrema unzione dopo
quello della penitenza, di cui egli
EST 1 , r
è, per cosi dire, il compimento e
la perfezione, ma produce lo stesso
effetto in riguardo alla cristiana
vita in generale rimirata, dovendo
essa essere una perpetua peni lenza,
giusla l'espressione del concilio di
Trento, sess. 14 , de extr. unct.
L' estrema unzione è un sagramen-
to, che contribuisce a procurare la
remissione de' peccati ai fedeli ma-
lati pericolosamente, che dà loro
la forza di ben soffrire e ben mo-
rire, che ravviva loro la fede , e
che procura loro la salute , dove
questa sia utile all'anima loro, sic-
come meglio si dirà. Non ministrasi
ai condannati a morte, non ispe-
rando essi per tal mezzo la salu-
te corporale. Questo sagramento
non ebbe in ogni tempo il nome
di estrema unzione, ma il riportò
dall' abuso introdotto, e troppo co-
munemente ricevuto da alquanti
secoli in qua, di aspettare agli estre-
mi a riceverlo, siccome osserva il
p. Chardon, Storia de' sacramenti,
tom. II, lib. Ili, dell' Estrema un-
zione.
5 I. Denominazione , natura ed
esistenza della estrema unzione,
e suo autore.
L' estrema unzione è chiamata
dai greci olio santo, olio con ora-
zione, perchè 1' olio n' è la mate-
ria. Dai latini si chiama olio del
sagro crisma, olio di benedizione,
sagramento della sagra unzione,
unzione degli ammalati, estrema
unzione perch' è l' ultima unzione
che si fa sui fedeli, il sagramento
di quelli che passano da questa
vita all'altra, il compimento e la
consumazione della penitenza, una
celeste medicina per l'anima e pel
corpo. In un antico Manuale, pres-
uà EST
so il Borgia, Memorie t. Ili, pag.
18 r, si contiene l'ordine Exlre-
mae unctionis, e secondo tale scrit-
tore questo sagramento s' incomin-
ciò così a chiamare verso la line
del secolo duodecimo, poiché pri-
ma dicevasi Sacramentimi unctio-
nis, Unctio infirmorum, ec. Alcu-
ni attribuiscono sì fatto cambia-
mento di nome alla variazione al-
lora seguita dell' antichissimo rito
di ricevere la sagra unzione pri-
ma del sacrosanto Viatico (Vedi),
con posporla a questo, chiedendola
dopo. Più verosimile però sembra
1' opinione di quelli, che riferisco-
no il cambiamento a denotare che
questa unzione è l'estrema tra quel-
le cui riceviamo, prima nello sta-
to di catecumeni, poi quando sia-
mo battezzati , indi nella confer-
mazione, e finalmente quando sia-
mo prossimi a far passaggio da
questa all'altra vita. Ed in fatti
anche dopo che l'uso s'introdusse
di chiamare questo sagramento E-
strema unzione, leggesi ammini-
strata prima del viaLico , in uno
de' più antichi documenti presso il
Wabillon, e del 1209, in praefat.
saec. Is Bcnedict. n. 98.
L' estrema unzione è un vero
sagramento della legge nuova. Da-
gli scritti degli apostoli la Chiesa
trasse ciò che crede e pratica per
rapporto a questo sagramento. Leg-
giamo nel XIV versetto del V ca-
pitolo dell' epistola canonica del-
l'apostolo s. Giacomo: « S'infer-
" ma alcuno tra voi? chiami i sa-
>> cerdoti della Chiesa, e preghino
>> sopra di esso , facendogli delle
*> unzioni coli' olio nel nome del
<> Signore ; l' orazione unita alla
» fede, salverà l' infermo, ed il Si-
» gnore lo solleverà, e se ha pec-
*> cati gli saranno rimessi ; dun-
EST
»» que confessate i vostri peccati
« gli uni agli altri ". Il concilio di
Trento in conformità di questa
dottrina, nella sess. i4, can. ^de-
cretò: »» Se alcuno dirà, che l'e-
>» strema unzione non è veramen-
» te e propriamente un sagramen-
» to istituito dal nostro Signore
» Gesù Cristo, e promulgalo dal-
»* l'apostolo s. Giacomo , ma che
« solamente è una consuetudine
» ricevuta da' padri, oppure un'in-
n venzione umana , sia anatema ".
Nel can. 2 : » Se alcuno dirà, che
» la sagra unzione, la quale è data
»» agl'infermi, non conferisce la
» grazia, non rimette i peccati, ne
» solleva gl'infermi; e che a' dì
» nostri non deve più essere in
» uso, come se un tempo non fosse
« altro stata che la grazia di sa-
» nare gì' infermi , sia anatema ".
Nel can. 3 : » Se alcuno dirà, che
« la pratica e l' uso della estrema
« unzione secondo che la santa
« Chiesa romana 1' osserva , ripu-
*» gna al sentimento dell'apostolo
« s. Giacomo , e che per questo
m bisogna farci qualche cambia-
« mento, e che i cristiani possono
» senza peccato disprezzarla , sia
» anatema ". Nel can. 4 : «Se al-
» cuno dirà, che i preti della Chie-
» sa, cui s. Giacomo esorta di an-
» darsene ad unger l' infermo, non
» sono i preti ordinati dal vesco-
* vo, ma i più antichi di età d'o-
« gni comunione, e quindi, che il
m ministro della estrema unzione
» non è il solo prete, sia anate-
» ma ". Dopo di ciò sembra qui
inutile riportare altri anteriori e
posteriori monumenti , anche del-
l'accordo della Chiesa greca e della
Ialina in tutti i tempi , nel rico-
noscere il sagramento della estre-
ma unzione.
EST
Secondo le parole di s. Giaco-
mo, la estrema unzione ha le tre
condizioni necessarie e sufficienti
per fare un sagramento della nuo-
va legge: i." è un segno sensibile
e sacro che consiste nella unzione
dell' olio, e nella preghiera del sa-
cerdote; 2.* è un segno che pro-
duce la grazia, poiché rimette i
peccati, i quali non possono essere
rimessi senza la grazia; 3.a è un
segno istituito da Gesti Cristo, giac-
ché un segno sensibile non può
produrre la grazia, né la remissio-
ne de' peccati senza che sia istitui-
to da Dio, potendo egli solo dare
agli elementi sensibili la virtù di
produrre la grazia. Origene, ho-
mil. i in Levita parlando delle dif-
ferenti maniere, colle quali si ri-
mettono dalla Chiesa i peccati, u-
nisce 1' estrema unzione alla peni-
tenza, e dice che il peccatore vie-
ne purificato quando si eseguisce
ciò che prescrive s. Giacomo. E s.
Gio. Grisostomo, lib. Ili, cap. 6,
del Sacerdozio 3 dice che i sacerdoti
rimettono i nostri peccati, non solo
quando ci battezzano, ma anche
quando fanno sopra di noi l' un-
zione di cui parla s. Giacomo. Os-
serva il Bergier, eh' egli è da cre-
dere, che Gesù Cristo abbia isti-
tuito od ordinato questo sagramen-
to, poiché gli apostoli niente fece-
ro che pei di lui comandi, e per
l'ispirazione dello spirito di lui.
Che Gesù Cristo sia l'autore im-
mediato dell'estrema unzione, co-
me di tutti gli altri sagramenti del-
la nuova legge, vale a dire che
non abbia dato solamente l'ordine ed
il potere d' istituirlo a' suoi aposto-
li, nel che, siccome si esprimono
i trattatisti, consiste l'istituzione
mediata; ma che l'abbia istituita
egli stesso immediatamente colla
EST n3
sua propria bocca , lo si ha dal
concilio di Trento. È vero, che il
concilio non disse espressamente ,
che Gesù Cristo abbia istituito im-
mediatamente 1' estrema unzione ,
ed è perciò che non devonsi con-
dannare gli antichi scolastici, i qua-
li pretendevano che gli apostoli a-
vessero istituito questo sagramento
per ordine di Gesù Cristo; ma nes-
sun teologo lo ha sostenuto dopo
il concilio tridentino. Quindi si so-
no accordati tutti col dire, che Ge-
sù Cristo aveva istituito questo sa-
gramento con tutti gli altri, e che
gli apostoli l'avevano pubblicato.
È inoltre probabile, che Gesù Cri-
sto lo abbia istituito nel tempo
che passò tra la sua risurrezione
e la sua ascensione, e dopo l' isti-
tuzione del sagramento della pe-
nitenza, di cui, lo ripetiamo, l' e-
strema unzione è il compimento
e la perfezione.
§ II. Materia e forma della
estrema unzione.
Sonovi due sorta di materie ne-
cessarie dell'estrema unzione, la
materia remota, e quella prossima.
La materia remota è l'elemento
di cui è composto il sagramento
della estrema unzione; la materia
prossima è l'applicazione di questo
elemento. L'elemento della materia
remota è l'olio d'uliva, indicato
espressamente da s. Giacomo , ed
approvato da Eugenio IV, e dal
concilio di Trento. E pure neces-
sario per la validità del sagramen-
to, che l'olio sia benedetto, secon-
do il parere di molti teologi; ma
non è necessario che sia benedet-
to dal vescovo, bastando la bene-
dizione di un semplice sacerdote.
Ciò è nella Chiesa greca , a secon-
vol. x\it
a
n4 EST
da dell'approvazione di Clemente
Vili, ina tra i latini la benedizio-
ne dell'olio pegl' infermi è devolu-
ta ai soli vescovi. Altri teologi opi-
nano, ch'espressamente dev' essere
benedetto per questo uso, dicendo
che la benedizione particolare è
quella che lo costituisce materia
valida del sagramento della estre-
ma unzione. La materia prossima
poi di questo sagramento è l'un-
zione che il sacerdote fa sull' in-
fermo, perchè è l'unzione che Io
Spirito Santo ha ordinata nel ca-
pitolo quinto dell' epistola di san
Giacomo. Questa unzione deve far-
si in forma di croce, perchè tale
è l'uso della Chiesa, ma ciò non è
necessario per la validità del sa-
gramento. Non è neppur necessa-
rio che il sacerdote faccia l'unzio-
ne col pollice immediatamente ,
può farla con qualche istrumento
secondo l'uso della sua chiesa;
bisogna però che 1' unzione sia tale
da poter dire, che la parte del cor-
po alla quale si applica è vera-
mente unta. Il Ma cri riporta, che
in tempo di peste è lecito al sa-
cerdote unger l'infermo con una
bacchetta, Diana, traci. 4 de Sa-
crani. Resol. 167; anzi alcuni pen-
sano che basti ungere una sola
parte, dicendo la solita forma, Sii.
3 pari, quaest. 32, artic. 7, opi-
nione approvata dall' università di
Lovanio l'anno i588. Il medesimo
Macri deferisce al sentimento del
citato p. Diana, il quale in tal
caso stima bene, che il sacerdote
unga con prestezza un orecchio,
e cosi degli altri sentimenti, pro-
nunciando una sola volta la forma
seguente per tutti: Per istas san-
clas unclioneSj et suani piisimam
miserìcordiam indulgeat libi Deus
auidquid per visitili 3 auditum ,
EST
odoratimi , gustum , laclum deli-
<l u isti.
La pratica dei greci è di unge-
re la fronte, il mento, le due guan-
ce, il petto, le mani ed i piedi.
L' uso più comune dei latini è di
ungere gli organi de' cinque sen-
timenti: gli occhi, le orecchie, le
nari, la bocca, i piedi e le mani.
In molti luoghi si ungono pure le
reni, ma agli uomini soltanto. Nel-
la chiesa di Parigi si sostituisce a
quest'ultima unzione, quella del
petto tanto per gli uomini, che
per le donne: In foeminarum un-
ctione tangat tantum sacerdos par-
lem pectoris superiorem, come si
legge nel rituale di Parigi. Il Duran-
do nota, come alcuni del tempo
suo insegnavano non doversi far
l'unzione alle spalle, perchè già
fatta nel battesimo, né doversi un-
gere sulla fronte, ma sulle tempie,
chi era stato cresimato. Quando i
sensi e le membra che devonsi
ungere sono doppi, si comincia
dal destro. Quando l'infermo man-
ca di qualche membro, dove si
deve fare l'unzione, bisogna farla
nella parte del corpo la più vici-
na, come sarebbe ai polsi se Y in-
fermo avesse le mani tronche. Se
r infermo spira prima che le un-
zioni sieno compite, si deve cessa-
re. La unzione delle mani si fa
al di dentro per i laici o secola-
ri, ed al di fuori per i preti, per-
chè il di dentro delle loro mani
è già stato consagrato coli' ordina-
zione. Non si fanno unzioni alle
orecchie de' sordi, né agli occhi dei
ciechi fino dalla nascita: si fa l'un-
zione sulle labbra dei nati muti,
ma dicendo solamente quidquid
peccasti per gustum. S. Tommaso
dice necessaria per la validità del
sagramento l'unzione de'cinque or-
EST
gnni dei sentimenti ; ma molti teo-
logi credono valido il sagramento
con una sola unzione sopra uno
degli organi de* sensi, almeno quan-
do si ha premura, e nelle malat-
tie contagiose, pronunziando que-
sta formola universale: Indulgeat
tibi Deus quidquid peccasti per
sensus. Ma al dire del Chardon,
loc. cit, pag. 371, in quanto alle
parti del corpo che si ungono
neir amministrazione di questo sa-
gramento, avvi un' infinita varietà
giusta i luoghi e i tempi. In al-
cuni si ungevano molte parti, in
altri pochissime. Vi sono anche
esempi della unzione fatta in una
sola parte del corpo, e s. Eugen-
do fu unto solamente al petto.
Siccome questa unzione ha per fi-
ne, quantunque men principale, la
guarigione dell' infermo, in molte
chiese facevasi specialmente sulla
parte addolorata, in cui era la se-
de del male, come si può vedere
nei rituali presso il p. Martène.
La forma poi dell' estrema un-
zione consiste in queste parole, che
il sacerdote pronuncia facendo le
unzioni : » Che Dio per questa
« santa unzione, e per la sua piis-
» sima misericordia , vi perdoni
>» tutti i falli, che voi avete com-
» messi colla vista, coll'udito, col-
l'odorato, col gusto, col tatto ".
Dicono i trattatisti , che di tut-
te le qui riportate parole, non vi
sono che queste, le quali repu-
tinsi essenziali: che Dio vi per-
doni , indulgeat tibi Deus, per la
validità del sagramento, perchè si-
gnificano sufficientemente la causa
principale del sagramento eh' è
Dio; l'effetto del sagramento che
è la remissione de' peccati; il sog-
getto ed il ministro del sagramen-
to. La forma dell'estrema unzione
EST 1 i5T
era un tempo indicativa ed asso-
luta, cioè pronunciata al modo in-
dicativo, come si scorge da quella
del rito ambrogiano in uso sino
dal quarto secolo, e citata da san
Tommaso, da s. Bonaventura, da
Riccardo di s. Vittore ec. Anche
il Macri dice, che la forma del
rito ambrogiano nell'amministrazio-
ne di questo sagramento, non è
deprecatoria o deprecativa, ma in-
dicativa, che però non viene ap-
provata da alcuni dottori fondati
sulle parole di s. Giacomo, orent
super eum: con tuttociò non si
deve condannare la forma usata
da questa Chiesa, approvata da
altri, come dal p. Suarez tom. 4>
disput. 40, sect. 3, num. 8. Una
antichissima formola ambrogiana
viene recata da s. Bonaventura,
Dist. 23, art. 1, quaest. 4, che di-
ce : Ungo te oleo santificato in
nomine Patris3 ec. Un libro sagra-
mentale di Venezia, approvato dal
Papa Leone X, ha : Ungo te oleo
sancto, ut hac unctione protectus
fortiter3 stare valeat adversus ae-
reas catervas3 in nomine Patris,
ec. La forma dunque non è sta-
ta sempre deprecatoria in tutte le
Chiese particolari. Anche presso i
latini, non sono che circa cinque
o sei secoli, ch'è universalmente ri-
cevuta. Si trova anche in un ri-
tuale ms. di Jumieges, ch'è alme-
no tanto antico : Per istam unctio-
nem et suarn piissiniam misericor-
diam indulgeat tibi Dominus quid-
quid peccasti per visurri, ec. Essa
è simile in tutti i rituali. Al tem-
po del Pontefice s. Gregorio I, in
Roma si faceva uso d' una forma,
che in parte era deprecatoria, in
parte assoluta ed indicativa. Essa
comprendeva queste parole, che so-
no assolute, inunge te, e queste
n6 KST
altre che sono deprecatorie, fri te
habitet virtù* Cliristi. Nei rituali,
avverte pure il Chardou, le parole
della forma sono estese assoluta-
mente, e in altri deprecativamente,
in altri in un modo misto. Diver-
se forinole si leggono in un sagra-
mentano di Catalogna, e nell'anti-
co pontificale di Naibona.
Neil' oriente ancora la estrema
unzione è noverata tra i sette sa-
gramenli, ed il Renaudot c'istruisce
della credenza dei greci, e dei loro
riti su questo punto, lib. V, cap.
i , Delle cerimonie che i greci
orientali usano per la estrema un-
zione, delle quali parleremo al §
VI di questo articolo. Solo qui
noteremo, che i greci ed orientali
usano olio benedetto non dal ve-
scovo, ma dai sacerdoti nella ce-
lebrazione di questo sagramento ,
come si disse di sopra; ma il p.
Goar avverte, in not. ad Euchol.,
citando 1' istruzione di Clemente
Vili, la quale porta per titolo :
Circa oleum sanctum infirmorum3
fatta pei greci, ove dice che nei
luoghi soggetti ai latini essi non
sieno obbligati a pigliar l' olio be-
nedetto dal diocesano, perchè giu-
sta l'antica consuetudine della loro
chiesa, essi lo benedicono nel me-
desimo tempo, che lo amministra-
no. Inoltre il p. Goar, per non
lasciar verun dubbio su questa ma-
teria, si fa un dovere di soddisfare
alle obbiezioni dei teologi più pre-
venuti in favore de'principii scola-
stici, secondo i quali egli e l' Ar-
cudio fanno consistere la forma di
questo sagramento fra i greci in
una orazione che comincia : Padre
santo) medico delle anime ec, la
quale spiega i principali suoi effetti,
cioè la remissione de' peccati, e la
guarigione dei corpi.
EST
I greci al presente si servono di
una forma deprecatoria, ina la for-
ma deprecatoria e l'indicativa od
assoluta sono egualmente convene-
voli e sufficienti per la validità del
sagramento, per quelle spiegazioni
e ragioni che ne danno gli scrittori
di questo argomento. Il sacerdote
poi deve pronunciare la forma del
sagramento nel medesimo tempo
che fa le unzioni, di modo che non
deve terminarla se non quando
termina 1' unzione de' membri che
sono doppi, eccettuato il caso che
T infermo pel grave male sia estre-
mamente in pericolo.
Deve pure asciugare le unzioni
con un poco di cotone o di stop-
pa, od altra cosa simile, a meno
che quegli che l'assiste non sia negli
ordini sagri, nel quale caso gli sa-
rà permesso di asciugare le unzio-
ni fatte dal sacerdote. Ciò che ha
servito per asciugare le unzioni ,
deve essere portato in chiesa in un
bacino pulito, per essere abbrucia-
to, e le ceneri si gettano nel sa-
crario. Terminate che abbia il sa-
cerdote le unzioni, egli stropiccia
il suo pollice e le dita che hanno
toccato l'olio, con mollica di pane,
quindi si lava ed asciuga le mani :
la mollica, e l'acqua della lavanda
per le mani, secondo le prescrizio-
ni de' rituali, devonsi gettare nel
fuoco.
§ III. Ministro dell'estrema
unzione.
I soli sacerdoti sono i ministri
capaci di conferire validamente il
sagramento dell' estrema unzione,
punto di fede deciso dal concilio
di Trento, come riportammo di
sopra, nel can. 4- Questa decisione
del concilio è appoggiata alla Scrit-
EST
tura, ed alla tradizione. Per la
Scrittura, s. Giacomo dice espres-
samente, che sono i sacerdoti che
debbono amministrare Y estrema
unzione; per la tradizione quella
delle due Chiese, le quali hanno
tempre riconosciuto in tutti i tem-
pi i soli sacerdoti per ministri del-
la estrema unzione, come si può
vedere negli Eucologi de' greci, e
ne'rituali dei latini. È dunque inu-
tile, che i novatori pretendano che
il vocabolo presbiteri significhi gli
antichi Jaicij perchè evvi unito quel-
lo di ecclesiae. Si può però dire,
secondo il parere di moltissimi teo-
logi, che il Papa s. Innocenzo 1
permise a tutti i fedeli anche laici
d'applicare l'olio sugl'infermi in
caso di bisogno, ed allorquando non
vi sono preti per farlo, presso a
poco come possono essi servirsi del-
l'acqua del fonte battesimale, o di
qualche altra cosa benedetta; ma
in questo caso l'unzione non è mai
sagramentale. Il Chardon riporta le
parole della lettera, che s. Inno-
cenzo I scrisse a Decenzio vescovo
di Egubbio, cioè Gubbio, il quale
dubitava se i vescovi potevano am-
ministrare l'estrema unzione: « Che
« l'apostolo avea parlato de' soli sa-
» cerdoti perchè i vescovi occupati
» da moltissime brighe non pote-
» vano andar a visitare gl'infermi.
» Del resto, se il vescovo può, o
» vuole, gli è lecito benedirli e un-
» gerii, anzi ciò gli conviene ".
Indi, in prova che la Chiesa con-
fidò mai sempre a' sacerdoti o ve-
scovi un tal ministero, il Chardon
così traduce l'altra parte della pon-
tifìcia decretale: « Non vi ha dub-
»» bio, che il testo di s. Giacomo
* non si debba intendere de'fede-
» li infermi, i quali possono esse-
» re unti col santo olio del cri-
EST 117
» sma, il quale consagrato dal ve-
» scovo deve essere adoperato non
« solo pei sacerdoti, ma per tutti
» i cristiani nelle infermità loro
*» e de' loro attinenti ".
Qualunque prete, tanto secolare
quanto regolare, può validamente
amministrare il sagramento della
estrema unzione, perchè questo po-
tere è unito al carattere sacerdo-
tale ; ma non vi è che il solo par-
roco, od il sacerdote commesso da
lui che possa amministrarlo lecita-
mente; e se qualche altro prete seco-
lare o religioso volesse amministrarlo,
oltre al peccato mortale che com-
metterebbero ambedue, il religioso
incorrerebbe la scomunica maggiore
pel solo fatto, non potendone essere
assolto che dal Papa. Sono però
eccettuati i casi di necessità, come
se il parroco fosse assente o impe-
dito, o pure se ritardasse, ed allo-
ra qualunque prete potrà ammini-
strare T estrema unzione. Sebbene
la pluralità de' sacerdoti sia stata
altre volte necessaria per precetto
ecclesiastico, affine di amministrare
l'estrema unzione, non è in oggi,
e non è giammai stata, per precet-
to divino. Le parole di s. Giaco-
mo, le quali esigono più preti, pre-
sbyteros, non racchiudono che un
dovere di convenienza soggetto alla
disposizione della Chiesa, d'altron-
de non avvi nella Scrittura niente
di più ordinario e comune, quanto
quello di prendere il singolare pel
plurale, ed il plurale pel singolare.
Tutta volta, dice il p. Chardon, ci-
tando il p. Martène, t. II, e. VII,
art. IV, che questa unzione degli
infermi facevasi da uno o più sar
cerdoti, e gli atti de' santi ne re-
cano esempli ne' due modi; anzi
alcuni rituali prescrivono che si fac-
cia da più sacerdoti, altri suppon-
n8 EST
gono che si faccia da uno solo, se-
condo le diverse consuetudini delle
chiese, e la comodità de' luoghi e
de' tempi, giacche nelle ville era dif-
ficile radunar molti sacerdoti, spe-
cialmente in tempi che il loro nu-
mero non era grande. Fra questi
sacerdoti, soggiunge il p. Chardon,
alle volte uno applicava l'olio san-
to, e l'altro proibii va la forinola
delle orazioni. Altra volta tutti in-
sieme ungevano le parti del corpo
consuete, e ciascuno recitava la me-
desima forma. Altre volte infine uno
di loro ungeva una parte del cor-
po dell'infermo, e un altro un'al-
tra, recitando ciascuno le forinole a
quella parte adattate. Non si cre-
deva però essenziale al sacramento
che più sacerdoti lo ministrassero,
benché si credesse più conveniente
e più conforme al precetto aposto-
lico, come asserisce s. Tommaso.
§ IV. Soggetto dell' estrema unzio-
nej ed effètti di questa.
L' apostolo s. Giacomo chiara-
mente accenna i soggetti, a* quali
si dee ministrare l' estrema unzione,
quando dice : Infirmatur quis in vo-
bis? Il soggetto dunque, o la per-
sona, cui devesi dare questo sugl'a-
mento, è il solo adulto battezzato,
e pericolosamente malato. I fanciul-
li, che non hanno l'uso della ra-
gione, non sono capaci dell'effetto
principale dell'estrema unzione, il
quale consiste nella remissione dei
peccati, o degli avanzi de' medesi-
mi. £ il solo battezzato che possa
riceverlo, perchè il battesimo è la
porta degli altri sagramenti. I vec-
chi decrepiti sono considerati come
pericolosamente ammalati, e si deve
EST
dar loro la estrema unzione, quan-
d'anche non avessero altra malat-
tia che la loro decrepitezza. Dice
il p. Chardon, che questo sagramen-
to non fu mai dato ai sani, ma rac-
conta come lo ricevesse certa Odila,
cui era stata predetta la morte, seb-
bene allora sanissima. Osserva poi,
che se s. Giacomo escluse i sani da
questo sugramcnto, escluse ancora
gl'innocenti, come sono i fanciulli
ed i neofiti, ne si trova ver un esem-
pio di tale unzione data a' novelli
battezzati, finche portavano la ve-
ste bianca. Nella vita dell'abbate
Adelardo si legge ch'eravi dubbio
se dovesse darsi tal sagrameli to a
coloro, i quali erano vissuti con tan-
ta purità, che non si presumevano
rei d'alcun peccato; a questi tali
d'ordinario non si ministrava.
In quanto poi all'età di quelli
che debbono riceverla, gli statuti
di Odone vescovo di Parigi, e quelli
di Simone e Galone legati di In-
nocenzo III, ordinano, che l'estrema
unzione si dia a chiunque abbia
l'età della discrezione; il che pare
conforme allo spirito della Chiesa,
poiché in quell' età i figliuoli sono
capaci di peccato, e in conseguenza
di un sagramento istituito per la
remissione de' peccati. Nondimeno
vi sono autori, tra' quali Durando
di Menda, e Federico Nausea, ve-
scovo di Vienna in Austria, i quali
vogliono che non si dia, se non in
età di diciotto anni, e questo ulti-
mo anche dice almeno in questa
età. Gli statuti della chiesa di Pa-
rigi proibiscono che si dia ai gio-
vani privi dell'uso della ragione,
a' furiosi, agli sciocchi. Quanto ai
frenetici e furiosi per qualche ac-
cidente, si darà loro l'estrema un-
zione, purché non vi sia pericolo
attuale d'irriverenza da parte loro
EST
verso il sagramento. Quelli di Vail-
lant di Guisli, vescovo d'Orleans,
n'escludono anche i rei condanna-
ti a morte, i fanciulli innanzi la
prima comunione, i pazzi, e quel-
li che non l'hanno mai domandato.
Le Gouverneur, vescovo di s. Ma-
lo, esclude solamente gli stolti na-
ti, perchè non poterono mai pec-
care, ma se hanno avuto qualche
momento di ragione si deve dare
anche ad essi l'estrema unzione, per-
chè in questi momenti possono ave-
re offeso Dio, e cosi sono capaci
dell' effetto del sagramento. Il Car-
dinal Monti, arcivescovo di Milano,
esclude i fanciulli, i pazzi, gli sco-
municati denunciati, gl'impeniten-
ti pubblici peccatori, i condannati
a carcere perpetuo, e le partorien-
ti. Bit. Ambr. de sacr. Extr. UncL,
p. 170. Ne sono esclusi pure i sol-
dati schierati in battaglia contro il
nemico, e in procinto di combat-
tere ; ed escluse ne sono pur anche
le persone le quali si trovano in
pericolo di naufragare.
Molti autori accusarono i greci,
ed altri orientali, de' grandi abusi
circa questo sagramento, che am-
ministrano ai sani del pari che agli
infermi, perchè i sacerdoti, dopo
aver unto l'infermo, si ungono scam-
bievolmente, ed ungono gli astanti.
Su di che va letto il p. Chardon, t. II,
p. 386 e 387, ove rapporta la di-
fesa che fa degli orientali il p.
Renaudot, col raziocinio del Tour-
nely, de sacr. Extr. Urici, quaest. 3,
p. 4^5. Interessante è la nota ana-
loga che ivi si legge del p. Ber-
nardo da Venezia minor riformato.
Altri teologi dicono: « Agli infer-
mi che ricercano con mente sana,
e con sentimenti perfetti questo sa-
gramento, o verosimilmente lo chie-
derebbero, ovvero hanno dato se-
EST ug
gni di contrizione, e poscia abbia-
no perduta la favella, o sieno di-
venuti pazzi, o delirassero, oppure
non sentissero; tuttavolta si am-
ministri ".
Circa gli effetti della estrema un-
zione, il primo è quello di accre-
scere la grazia santificante, cioè quella
che rende il giusto ancora più giu-
sto ; rimette i peccati tanto morta-
li che veniali, in quanto alla colpa,
ma per accidente e secondariamen-
te, avendo Gesù Cristo istituita la
estrema unzione, prima per santi-
ficare vieppiù un moribondo già
santo, per fortificarlo contro le ten-
tazioni del demonio, contro i dolori
della malattia, contro la languidezza
dello spirito; ed in secondo luogo
per rimettergli i peccati veniali od
anche mortali, qualora per inno-
cente dimenticanza non gli fossero
stati rimessi per accidente nel sa-
gramento della penitenza; terzo, la
estrema unzione rimette almeno una
parte della pena de' peccati, perchè
è il compimento della penitenza, e
perchè dà al cristiano, in quanto
può, l'ultima disposizione per an-
dar a godere della gloria del pa-
radiso; quarto, cancella il rimanente
de'peccati, vale a dire l'inclinazione
al male, la tiepidezza nel far bene,
l'inattitudine nel pensare alle cose
celesti, cagionate dai peccati attua-
li; finalmente solleva l'anima del-
l'infermo, e la fortifica, eccitando in
lui la confidenza nella misericordia
di Dio; gli dà dei soccorsi partico-
lari per evitare tutti i pericoli, e
superare tutti gli ostacoli della sa-
lute dell'anima in quegli ultimi mo-
menti della vita; gli dà qualche
volta la salute del corpo, quando
è pel meglio dell'anima sua, secon-
do molti teologi.
ìio EST
§ V. Proprietà, disposizione ', e di-
vertita dd rito dell estrema un-
zione.
Le proprietà dell' estrema unzio-
ne sono la sua necessità, e la sua
reiterazione. L'estrema unzione non
è necessaria alla salute di necessità
di mezzo, perchè i catecumeni pos-
sono essere giustificati dal battesimo,
ed i battezzati dalla penitenza. Non
è necessaria di necessità di precetto
divino, poiché l'apostolo s. Giacomo
ne comanda il ricevimento a tutti
i fedeli, che sono pericolosamente
malati, e le sue parole sono tenu-
te un vero precetto da alcuni teo-
logi e da'concili, tra' quali da quel-
lo di Colonia del i538. L'estrema
unzione, al dire di altri teologi, è
necessaria di necessità di precetto
ecclesiastico, e questo precetto si prova
per la premura che la Chiesa ha
sempre avuto di conferire questo
sagramento agli ammalati , e per
l' ordine che ne ha dato a' suoi
ministri in un gran numero di
concili. Va qui avvertito, coll'aulo-
rità di s. Alfonso de Liguori, lib.
5, tract. 5, e. i e 733, che non
consta né del precetto divino, né
dell' ecclesiastico ; laonde la comu-
ne sentenza de' teologi , come os-
serva Io stesso autore, nega essere
grave peccato, tolto però lo scan-
dalo ed il disprezzo, il non rice-
vere l'estrema unzione. Aggiunge
però, che può ben gravemente pec-
care l'infermo contro la carità ver-
so sé stesso, non ricevendo, allor-
ché lo può, questo sagramento.
Si dava altre volte l'estrema un-
zione colla comunione alla stessa
persona, nella stessa malattia, e nel
medesimo stato della malattia; ma
si può e si deve dare a lui più
volte nei diversi stati della mede-
EST
sima malattia, perchè queste diffe-
renti situazioni della stessa malat-
tia, se questa è lunga, sono come
varie malattie, allorquando per in-
tervalli accada qualche specie di
convalescenza, che abbia posto l'in-
fermo fuori del pericolo di morte.
Pio II mori in Ancona a' i4 ago-
sto 1 464, avendo prima doman-
dati e ricevuti tutti i sagramenti.
Egli già aveva ricevuta l'estrema
unzione quando fu attaccato dalla
peste al concilio di Basilea. Alcuni
teologi che opinavano non poter-
si ricevere due volte, furono di
sentimento che non gli si dovesse
reiterare. Non ignorava il dottissi-
mo Pio II, che questa opinione
era stata sostenuta nel secolo XII,
ma sapeva ancora che aveva essa
avuto pochi partigiani , e perciò
non volendola seguire, si fece am-
ministrare per la seconda volta an-
che questo sagramento. V. Berca-
stel, Hist. de l'Eglise, tom. XVI,
pag. 1 69. Gregorio XIV , dopo
una lunga infermità, nella quale
tre volte fu vicino a morire, che
perciò per altrettante volte spedi-
ronsi corrieri ad invitare i Cardi-
nali al conclave, soccombette alla
violenza del male a' 1 5 ottobre 1 5g r ,
dopo avere ricevuta la estrema un-
zione, che nella sua vita gli ven-
ne amministrata quattro volte. Cle-
mente XIII cessò di vivere nel
1769; ma nel 1765 a' 19 agosto,
essendo stato sorpreso da forte sin-
cope, gli furono amministrati i sa-
gramenti del viatico e della estre-
ma unzione, e gli fu letta la for-
inola della professione di fede, che
secondo l'uso de' Papi sottoscrisse.
Passati però pochi momenti ricu-
però interamente la sanità, per cui
la colletta prò Ponlifice infirmo,
nelle messe, fu cambiata con quel-
EST
la prò gratiarum actione. Ai Pon-
tefici la estrema unzione soglio-
no ministrarla i Cardinali Peni-
tenzieri Maggiori (Vedi). Abbia-
mo dal Macri, che nella Spa-
gna costumavasi dedicare in per-
petuo al servizio di Dio, coloro
che sopravvivevano dopo di avere
ricevuto l'olio santo, come perso-
ne conservate in vita per miracolo
e grazia singolare del Cielo; il
perchè dal concilio Toletano XIII
fu ordinato che non si conferisse
questo sagramento, se non a colo-
ro, i quali lo domandavano con sen-
timenti perfetti, ed erano sani di
mente.
Dicemmo poc'anzi superiormen-
te, che l'estrema unzione altre vol-
te si dava colla comunione, e d'or-
dinario innanzi al viatico. Questo
è l'argomento, che con altre par-
ticolarità discorre il p. Chardon
nel cap. II, insieme al tempo in
cui terminò 1' uso, e che si dava
per più giorni successivamente, col-
1' opinione de' primi dottori scola-
stici sopra la sua reiterazione. Ri-
porla pertanto le prove dell'estre-
ma unzione data innanzi al viati-
co, confermandone l' usanza cogli
antichi rituali citati dal p. Mar-
lene. Quest' uso durò sino al prin-
cipio del secolo XVI; ed il Lati-
nojo, nel suo trattato della unzio-
ne degli infermi, reca le testimo-
nianze di vari rituali di Francia,
in cui si vede , che tal disciplina
durò sino dopo la metà del secolo
XVII. Né mancano antichi esem-
pi, che l' estrema unzione venne
data dopo del viatico. Dagli anti-
chi rituali si ha inoltre, che si rei-
terava 1' estrema unzione per set-
te giorni continui. Questa usanza
si trova ridotta in pratica nella
persona di s. Ramberto arcivesco-
EST 121
vo d'Amburgo, leggendosi nella
vita di lui : » che sette d'i innanzi
« la sua morte si cominciò ad un-
» gerlo coli' olio santo , e che ri-
m cevè la salutare medicina colla
» comunione del corpo e sangue
* di Cristo ogni giorno, finché re-
» se l'anima a Dio ". Ciò dimo-
stra qual conto si debba fare del-
l' opinione di quelli, i quali inse-
gnavano non doversi replicare la
unzione degl' infermi, non solo nel-
la medesima malattia, ma neppure
in tutta la loro vita. 11 Chardon
lascia poi ai teologi esaminare, se
un infermo che abbia ricevuta una
volta l'estrema unzione dal vesco-
vo, debba poi, per rispello al ca-
rattere vescovile, riceverla da un
semplice sacerdote.
Passando a dire sulle disposi-
zioni dell' estrema unzione, diremo
che la prima disposizione necessa-
ria all' infermo per ricevere il frut-
to, o l'effetto del sagramento, è lo
stato della grazia, perchè l'estre-
ma unzione non è un sagramento
de' morti, ma de' vivi ; ed è per-
ciò, che quegli il quale la ministra
deve far confessare il malato , o
almeno eccitarlo alla contrizione ,
se non può confessarsi. La secon-
da disposizione è la virtù, attuale,
e la fede nella virtù del sagra-
mento , accompagnata dalla confi-
denza in Dio, dalla rassegnazione
alla santa sua volontà, dall'unione
di spirito col nostro Signore ago-
nizzante nell'orto, o nel Calvario ;
le dimostrazioni di penitenza , che
accompagnavano il ricevimento del-
l'estrema unzione negl' infermi , e
sino a quando essi cuoprivansi col-
la cenere e cilicio, è quanto trat-
ta il Chardon nel capitolo V. I cri-
stiani anticamente credevano, che
la miglior maniera di prepararsi a
raa EST
comparire al tribunale di Dio, Tos-
se la penitenza, e i più santi tra
loro erano i più persuasi di tal ve-
rità. Sulpizio Severo, narrando la
morte di s. Martino, dice che, quan-
tunque consumato da febbre arden-
te, non cessava di attendere a Dio,
passando le notti in vigilie ed ora-
zioni, coricato in letto sopra la ce-
nere e il cilicio, dicendo non con-
venir ad uu cristiano morire altri-
menti, e che peccherebbe se desse
altro esempio. Questo pietoso ed
edificante costume passò poi in leg-
ge in molti luoghi della cristianità,
e divenne in qualche modo parte
del rito della estrema unzione. Da
un antico Ordine Romano ms. del-
la biblioteca di Corina, da quello
di Kutoldo, e da altri viene pre-
scritto lo stesso. Nel secondo si leg-
ge così. « Tal è l'ordine dell' lin-
ai zione degl' infermi. Il sacerdote
» dice all'infermo: fratello perchè
« mi avete chiamato. Questi rispon-
» de: perchè mi diate l'unzione. Il
» sacerdote gli dice: il signor Gesù
» Cristo vi dia la vera unzione...
» Ma s'ei vi rimira pietoso, e vi risa-
n na, manterete voi questa unzione ?
» Ei risponde: la manterrò. Ailo-
m ra il sacerdote gli fa una croce
» colla cenere sul petto, e gli mette
h il cilicio, dicendo ec. ". Un an-
tichissimo Pontificale ms. della chie-
sa di Cambray contiene lo stesso
rito, e le orazioni per la benedi-
zione delle ceneri e del cilicio; ed
il Launoyo ci ha dati lunghi estratti
di tali mss., come anche di rituali
ed altri libri su questo argomento.
In alcuni luoghi, come nella dio-
cesi di Vannes, dopo che l'infermo
aveva ricevuto il viatico, prima di
dargli l'estrema unzione, se gli fa-
ceva un segno di croce sul petto
colla cenere benedetta, e fluita l' uu-
EST
zione se gli metteva il cilicio o il
cappuccio sulla testa, dopo averlo
asperso con acqua benedetta, di-
cendosi: « Rivestitevi della veste
» candida in nome dell'uomo nuo-
* vo, che fu creato nella giustizia
h e santità della verità, il quale è
» G. C. Signor nostro, che vive e
» regna ec. ". Nel XVI secolo in
Rohan ed in Evreux si costumava
spargere la cenere in figura di croce
sul petto dell' infermo, senza coprir-
lo di cilicio, e ciò facevasi prima
di ungerlo, e dopo di averlo co-
municato, pronunciando le parole:
Memento homo, quia pulvis est et
in pulverem reverteris. V. Ceneri,
e Cilicio.
Giusta il Manuale della diocesi
di Limoges, dopo che l'infermo avea
ricevuto il viatico e l' unzione, si
copriva di cilicio, e si spargevano
sopra lui ceneri benedette, accom-
pagnando il tutto con parole mol-
to commoventi; e questo spargi-
mento di ceneri si faceva fino a
tre volte in figura di croce. Fuvvi
pure l'uso di trai* l'infermo dal
letto dopo ricevuti gli ultimi sa-
grameli ti, e distenderlo sopra un
cilicio coperto di cenere benedetta.
Questo rito trovasi comandato in
tre antichi Pontificali mss., e si ri-
portano dal p. Chardon. Tale pia ce-
rimonia divenne couiunissiraa nella
Chiesa, massime ne' monisteri ; e s.
Ugone abbate di Auny ne fece una
regola per tutti i religiosi del suo
Ordine, prescrivendo a quelli che
assistono gl'infermi, quando li veg-
gono agli estremi, di distendere in
terra un cilicio, spargervi sopra la
cenere in forma di croce, indi co-
ricarvi l' infermo. Altrettanto adot-
tarono i certosini ed altri religio-
si, come i cisterciensi ed altri con
qualche varietà, cioè un sacco o
EST
stuoia in vece del cilicio, o della
paglia. Tanto fu praticato da mol-
ti cristiani laici, e da parecchi prin-
cipi, siccome fecero Luigi il Grosso,
s. Luigi IX, ed Enrico III re d'In-
ghilterra. In progresso di tempo sif-
fatte pratiche penitenti furono tol-
te, contentandosi di spargere della
cenere sul letto del moribondo, e
costumandosi pure involgere i ca-
daveri ne'cilici, sui quali eransi di-
stesi infermi. Nel manuale della
Chiesa di Venezia, impresso nel
i555, siccome ivi osservavasi tal
disciplina, così vi è la benedizione e
gli esorcismi delle ceneri, e la be-
nedizione del cilicio da porsi sopra
l'infermo o sopra il defunto, con
analoghe orazioni. Nota il p. Ber-
nardo da Venezia, traduttore ed
annotatore del p. Chardon, che for-
se da tali riti venne il costume nei
secoli più vicini a noi, che molti
moribondi chieggono l'abito fran-
cescano, il quale, soggiunge, è un
cilicio, perchè venga steso sopra il
loro corpo sul letto, e muoiono con
esso coperti; al qual costume avrà
poi dato maggior desiderio l'acqui-
sto delle indulgenze concesse dai
Papi a chi muore col detto abito
in dosso. Tutto ciò, osserva il Char-
don, prova che i fedeli in molti
luoghi usavano dare chiari segni di
penitenza alla loro morte, e in al-
cune diocesi innanzi, o dopo, o nel
tempo stesso della estrema unzione;
cosicché si può dire che questa ce-
rimonia ne fosse parte in alcune
chiese, non però parte essenziale
del sagramento: dappoiché ella era
usanza lodevole in alcuni paesi, men-
tre in altri era sconosciuta. Cosi la
Chiesa risplende, come la sposa dei
cantici, per questa gradevole varie-
tà della sua disciplina.
EST 123
§ VI. Altre cerimonie dell' estrema
unzione _, e superstizioni insorte
su di essa.
Il sacerdote accompagnalo da un
chierico, giunto presso l'infermo col-
l' olio santo, gli fa baciare la cro-
ce, lo asperge d'acqua santa, in uno
cogli assistenti, l'esorta, dice l'ora-
zione, poscia immerge il pollice del-
la mano destra nell'olio degl'infer-
mi, e fa le unzioni in forma di
croce cominciando dall'occhio, es-
sendo chiusa la palpebra. Termina-
te le unzioni il sacerdote recita an-
cora delle preghiere, le quali sono
seguite da un' esortazione all' infer-
mo, e l' eccita a raccomandarsi al
Crocefisso, a pensare alla sua morte
e passione, e ad unire i suoi do-
lori a quelli di Gesù Cristo, ed ap-
plicarne il frutto con cristiana ras-
segnazione. Per quello che riguarda
P ordine , col quale bisogna am-
ministrare l'estrema unzione, è dif-
ferente secondo le diverse diocesi.
Anticamente usavano gl'infermi di
andar alla chiesa se potevano, o di
farvisi portare per ricevere l'estre-
ma unzione; laonde si rileva che
gl'infermi non la ricevevano sem-
pre distesi in letto, come ora si fa;
e da molti rituali del p. Marlene
sappiamo, che eziandio ricevendola
nelle case loro, la ricevevano fre-
quentemente inginocchiati o seden-
do. Ciò prescrive il rituale di Sa-
lisburgo, dicendo: » L'infermo si
metta in ginocchione alla destra del
sacerdote, e si canti l' antifona, ec. "
Osserva il p. Chardon, che questa
maniera di riceverlo sarebbe più
conforme allo spirito della Chiesa,
e mostrerebbe più di rispetto per un
sagramento sì proficuo alle anime
nostre; ma per così fare, nou bi-
n4 EST
sognerebbe aspettare a chiederlo nel-
T ultima estremità, come si fa og-
gidì, ma in tempo che l'infermo
fosse ancora in forze, ed avesse la
mente libera, per conoscere e pro-
fittare di tanto bene.
Il Chardon riprova Pattendere pro-
priamente il punto estremo, per l'am-
ministrazione di questo sagramen-
to, quando l' infermo è mezzo mor-
to, il che è contrario all' intenzio-
ne della Chiesa. Questo abuso eb-
be origine nel secolo XIII, per l'o-
pinione sparsasi, che quelli i quali
avessero ricevuto l'estrema unzione,
se guarivano non potessero più usa-
re il matrimonio, mangiar carne, e
andar scalzi. Un concilio d'Inghil-
terra ci fa sapere essere stata dai
falsi dottori sparsa questa opinione
fra la plebe; anzi i vescovi per
sradicarla dichiararono, che ne de-
testavano e scomunicavano gl'in-
ventori. Durando queste idee false
e ridicole, vennero riprovate dai
concili di Worcester, di Winche-
ster, di Oxford ec. Anche in Fran-
cia, o almeno in Normandia, si sta-
bilì tale superstizione; fallace opi-
nione, che in parte sussisteva ver-
so la fine del secolo XV nella dio-
cesi di Verdun. Affine di vincerla
del tutto, si volle piuttosto, per non
iscandalezzar i semplici, aspettare
quasi l'imminente pericolo di morte
per conferire questo sagramento, e
prevalse un tal uso, tuttora in pra-
tica. Non si deve tacere, che altro
motivo dell'abuso di ritardare l'e-
strema unzione, fu l'avarizia d'al-
cuni preti, i quali esigevano tante
cose da quelli, a cui la ministrava-
no, che mettevano i poveri nella
impossibilità di riceverla, e distor-
navano i ricchi dal domandarla. Il
Chardon riporta l'esigenze di sif-
fatti ecclesiastici a pag. 382, in-
EST
sieme alle condanne e provvidenze
prese opportunamente.
Il sagramento della estrema un-
zione si può, anzi si deve dare
agi' infermi ancorché privi di sensi,
tranne qualche caso straordinario,
per esempio come quello di un pub-
blico peccatore, colpito e tolto di
sentimenti in tale stato, e che non
abbia dato alcun segno di pentimen-
to, come esprimesi Benedetto XIV, de
Synado dioecesana lib. VII, e. 2 3.
L'adulto battezzato, benché privato
di sensi dalla forza del male, può
ricevere tutti quegli effetti, che que-
sto sagramento produce di sua virtù,
ossia, come dice la scuola, ex ope-
re operato j non quelli ex opere
operanti? sùbjecti, come avverrebbe
se l' infermo accompagnasse la sa-
cra unzione coi divoti movimenti
dell'animo. La Chiesa poi mai non
permise, e molto meno prescrisse,
che si desse la estrema unzione ai
fanciulli non ancora giunti all'uso
della ragione.
Il principale effetto di questo sa-
gramento si è quello espresso da s.
Giacomo colle parole : et si in pecca -
tìs fuerit, remittentur e?', giacche l'ef-
fetto principale di un sagramento
non può essere la fìsica e tempo-
rale guarigione; ma i fanciulli pri-
ma della discrezione del bene e
del male morale sono incapaci di
commettere peccato, dunque inca-
paci di questo sagramento. Che se
si legge alcuna unzione praticata in
alcuna chiesa co' pargoletti, quella
non era un sagramento, ma una
divota cerimonia per impetrare la
sanità del fanciullo. V. Benedetto
XIV, de Synodo dioec. lib. VII, cap.
21, ed il Tournely. Il p. Martène,
de anliq. Eccl. ritibus cap. 7, art. 1,
par. 2, prova il medesimo con an-
tichi monumenti. Quanto poi al Cai-
EST
dinal Cusano, epistol. ad Bohem.,
e Maldonato, de Sacramenti?, i qua-
li sembrano asserire il contrario,
dice Cornelio a Lapide aver così
parlato senza fermo fondamento ,
come risulta da certi monumenti ec-
clesiastici ; seppure non vadano in-
tesi quegli autori di una unzione
divota senza la pronunzia della for-
ma sagra menta le ; unzione la qua-
le consta essere stata in uso nella
Chiesa, come può vedersi nel Tour-
nely, de Ex trema Vnctione quaer.,
3 in addinone.
Le cerimonie e le orazioni che an-
ticamente accompagnavano l'unzio-
ne degli infermi, le prenderemo da
un Pontificale ms. del monistero
di Jumieges in Inghilterra, il cui ca-
rattere è di circa mille anni. « Quan-
« do i sacerdoti saranno stati chia-
» mati alla casa dell'infermo per
« fargli l'unzione, il più. degno tra
» loro si vesta di cotta, stola ....
» il diacono, che porta il vangelo
» e l'olio degli infermi, e così i ce-
» roferari, si vestano ciascuno giusta
» il loro ordine. Un ceroferario
» porti nella mano dritta un cero,
« e nella sinistra un turibolo con
» incenso. Così preparati, quando
» entreranno in casa dell'infermo, il
» sacerdote tenga nella mano sini-
« stra il libro che contiene le ora-
» zioni di questo uffizio, e colla
» destra faccia il segno della cro-
» ce, acciocché possa con umiltà
» e timor di Dio compiere quan-
w to avrà cominciato. Nell'ingresso
»> dica l' antifona : La pace sia in
» questa casa, e ne' suoi abitanti,
» e sopra quelli eh' entrano ed
» escono da essa ". Stando il sa-
cerdote alla porta faceva un'orazio-
ne adattata . Poi avanzandosi asper-
geva coli' acqua benedetta, dicendo:
asperges me ec. Indi si accostava
EST n5
all'infermo con somma dolcezza,
diceva un'orazione dopo l'aspersio-
ne dell'acqua benedetta, e un'altra
dinanzi il letto, prima di parlargli.
Mettendosi poi inginocchione innan-
zi all'infermo, gli domandava: Fra-
tello, perchè ci avete voi chiamali?
Questi rispondeva : Acciocché vi
piaccia darmi V estrema unzione. Al-
lora il sacerdote doveva con poche
e soavi parole istruirlo, e dirgli :
Preparatevi prima a fare una buo-
na confessione, e poi riceverete l'un-
zione. Se era un secolare, gli di-
ceva : Assettate gli affari di vostra
casa, e se avete livore con alcuno
perdonategli, acciocché per divina
pietà, e virtù di questa unzione pos-
siate ricevere il perdono de' peccati.
Seguiva una breve orazione, e l'in-
fermo si confessava. Si dicevano le
litanie coi capitoli e l'orazione, e
un'antifona, che comincia: An-
gelus Raphael , ec. Dopo si un-
gevano le ciglia , le orecchie , le
narici, i labbri, il collo, le spalle,
il petto, le mani, e i piedi in for-
ma di croce, aggiungendo a ciascu-
na unzione un' orazione adattata,
come per esempio, Ungo te oculos
tuos ec. ; la quale era seguita da
un' antifona e da un salmo. Il li-
bro raccomanda d' ungere la parte
afflitta, o la sede del male. Dopo
tutte queste unzioni e formole, il
Pontificale dice: « Si fa questo,
m acciocché, se i cinque sentimenti
» del corpo e dello spirito sono
» macchiati, si mondino con que-
» sto divino rimedio ". Finalmente
chiudevasi la cerimonia con otto o
nove orazioni, colle quali si doman-
dava a Dio per l' infermo la re-
missione de' peccati e la sanità. Il
Rituale ambrosiano del Cardinal
Monti, pag. 168, prescrive bensì la
unzione dopo il viatico, ma avver-
126 EST
te i parrochi, clic non aspettino a
farla quando l'infermo è fuori di
se, anzi, se v'ha pericolo che dopo
la comunione possa egli restar pri-
vo di cognizione, vuole che seco
portino il vaso dell'olio santo, as-
sieme col vaso della ss. Eucaristia,
per ungerlo subito, dopo averlo co-
municato.
In quanto alle cerimonie che i
greci ed orientali usano per l' estre-
ma unzione, riporteremo quanto ne
scrive il dotto Renaudot. Queste ce-
rimonie consistono in un maggior
apparato di riti e di orazioni che
non nell'occidente. L'uffizio si fa
ordinariamente da sette sacerdoti,
in che pretendono seguire alla let-
tera le parole di s. Giacomo: In-
ducat presbyleros, ec. Se però non
si trovano sette, lo fanno cinque, o
tre, ma non mai un solo. Siccome,
giusta la loro disciplina, non si
aspetta che l'infermo sia agli estremi
per dargli l'olio santo, così que-
sta cerimonia spessissimo si fa nel-
la chiesa, ove si fa portare l'infer-
mo. Si può tuttavia in casa di que-
sto far l'uffizio, quando non sia in
istato di essere trasferito. Si pren-
de olio di oliva, si mette in una
lampada con sette lucignoli, e il
più anziano de' sette sacerdoti dice
preghiere e benedizioni. Poi si un-
ge r infermo in diverse parti del
corpo, dopo aver acceso il primo
lucignolo, e così degli altri conti-
nuando le orazioni, e facendo il
segno di croce. Perciò Tommaso
di Gesù, ed altri, scrissero, che i
cristiani orientali non danno l'estre-
ma unzione agl'infermi, ma li un-
gono coli' olio di una lampada, per-
chè non avevano presa informazio-
ne da genti di quelle parti, e mol-
to meno da' loro libri ecclesiastici,
che tutti contengono questo uffizio.
EST
Il rituale di Gabriele patriarca dei
cofti prescrive così: «S'empie d'o-
lio buono della Palestina una lam-
pada con sette stoppini, che si col-
loca dinanzi l'immagine della B.
Vergine, appresso l'è vangelo e la
croce. Si radunano sette sacerdoti,
o più o meno, che non importa. Il
maggiore comincia l' orazione del
rendimento di grazie, eh' è nella li-
turgia di s. Basilio. La incensa pri-
ma di leggere 1' epistola di s. Pao-
lo. Poi dicono tutti : Kyrie eleison,
l'orazione dominicale, il salmo 3i ,
l'orazione pegl' infermi, eh 'è nella
liturgia, ed altre particolarità nota-
te nell'uffizio della estrema unzio-
ne. Finite le quali, accende un lu-
cignolo facendo la croce sopra l'olio,
e gli altri frattanto cantano salmi.
Quando poi ha terminate le altre o-
razioni pegl' infermi, legge la lezione
dell' epistola cattolica di s. Giacomo
in lingua cofta, e poscia in arabo.
Poi dice: Sanctus, Gloria Patri,
l'orazione del vangelo, un salmo
alternativamente con un altro sa-
cerdote, poi un evangelo in cofto,
e in arabo le tre orazioni che se-
guono nella liturgia, una al Padre,
l'altra per la pace, un'altra gene-
rale, il simbolo niceno, e l'orazio-
ne che gli vien dietro. Comincia
poi il secondo sacerdote dalla be-
nedizione del suo lucignolo, accen-
dendolo, e facendo il segno di croce.
Poi dice 1' orazione dominicale, e il
resto come il primo. Gli altri per
ordine fanno lo stesso; cosicché, giu-
sta l'osservazione dell'autore della
scienza ecclesiastica, in questa fun-
zione si dicono sette epistole, sette
evangeli, sette salmi, e sette ora-
zioni particolari, oltre le comuni
tolte dalla liturgia. Finita ogni co-
sa quegli per cui si fa tal benedi-
zione, se le sue forze il permetto*
EST
no, si accosta, e si fa sedere colla
faccia rivolta all' oriente. I sacerdoti
gli tengono alto il libro de'vange-
li sopra il capo, e gì' impongono
le mani. II sacerdote anziano dice
le orazioni proprie, poi fanno alza-
re l'infermo, lo benedicono col li-
bro de' vangeli, e recitano il Pater
noster. Poi si apre il libro, e si leg-
ge sopra di lui il testo che a ca-
so s'incontra. Si recitano il sim-
bolo, e tre orazioni, dopo le quali
si alza la croce sopra il capo del-
l'infermo, e allo stesso tempo si re-
cita sopra di lui l'assoluzione gene-
rale della liturgia. Se il tempo il
permette, si dicono altre orazioni,
e si fa la processione per la chie-
sa colla lampada benedetta, e cande-
le accese , chiedendo a Dio la sa-
nità dell'infermo per l'intercessione
de' martiri ed altri santi. Se l'in-
fermo non può andare all' altare,
un altro fa le sue veci. Dopo la
processione, i sacerdoti ungono colle
solite unzioni l' infermo. Tali sono
i riti prescritti dal patriarca Gabrie-
le per la chiesa Giacobita di Ales-
sandria, il che affermano anche Eb-
nassal ed Echmini. I giacobiti so-
riani hanno riti assai somiglianti, i
quali non descrivo, perchè non dif-
feriscono essenzialmente, come an-
che l'uffizio de'greci e degli etiopi ".
Finalmente, circa le superstizio-
ni insorte in occasione della estre-
ma unzione, oltre quella sum men-
tovata, ci fu pure l'immaginare che
questo sagramento diminuisca il ca-
lore naturale, faccia cader i capelli,
o acceleri la morte, o che le donne
incinte che lo ricevono soffrano mag-
giori dolori nel parto, e che porti
la itterizia ai loro figli, ovvero fac-
cia morire in poco tempo le api le
quali sono intorno alla casa dell'am-
malato, e che quelli che l'hanno
EST ,27
ricevuto moriranno se danzeranno
nel rimanente dell'anno, o che sia
peccato filare nella camera dell'in-
fermo moriente, perchè mona se
si cessa dal filare , o se il filo si
rompe, o che non si debbano lavar
i piedi, se non molto tempo dopo
che si ha ricevuta 1' estrema unzio-
ne, o che bisogni aver sempre una
lampada od un cero acceso nella
camera del malato finché dura la
malattia, o che nel tempo in cui
si amministra sia d'uopo di un cer-
to numero di candele o di ceri ac-
cesi. Queste ed altre sono le super-
stizioni sulla estrema unzione, ri-
provate dalla Chiesa, di che tratta
M. Thiers nel Trattato delle supersti-
zioni, tom. XIV, lib. 8. Il Chardon
per ultimo, a pag. 3 96 e seg., ri-
porta per appendice al trattato del-
l'estrema unzione un documento,
che ne contiene l'antichissimo rito,
e il modo come si amministrava
circa nove secoli addietro, chiama-
to dal p. Morino il ms. di Sicilia.
Del Cardinal Stefano Eorgia, ab-
biamo l'erudita dissertazione, de
Sacramento Extremae Unctionis,
non che il Compendium ordinis Ale-
xandria illustratimi, atque latina lin-
gua donatimi, una cimi caeteris orien-
talium ecclesiarum de sacra ELAJO
lampade officiis editimi. Ivi il eh.
autore si propose di addimostrare,
che quantunque i copti ossia ales-
sandrini amministrino altramente
il sagramento della estrema un-
zione, nondimeno in ciò convengo-
no coi greci ortodossi riguardo al-
l'essenza.
ESTREVELD. Luogo d'Inghil-
terra dove fu tenuto un concilio
nell'anno 703, di cui parla il p.
Mabillon, Annal. s. Bened. t. II, p. 5.
ESTUNICA Giovanni, Cardi-
nale. V. ZUNIGA.
1*8 ESU
ESUPERIO (s.). Nativo di Aqui-
tania, crebbe Esuperio cogli anni
in santità e dottrina, per cui alla
morte di s. Silvio fu innalzato al-
la sede di Tolosa. Quivi fece egli
brillare la sua carità verso i po-
veri, che più volte lo espose a sof-
frire la fame , per provvedere ai
bisogni de' suoi fratelli. Sotto il suo
episcopato i vandali , gli svevi e
gli alani recarono alle Gallie orri-
bili guasti. In tanta iattura Esupe-
rio con sollecitudine la più viva
si adoperò a soccorrere gì' infelici.
S. Girolamo tenne con lui corris-
pondenza di lettere, e molti elogi
faceva in quelle della sua carità;
e lo stesso s. Paolino vescovo di
Nola, scrivendo nell'anno 4°9> PUD_
blicava Esuperio per uno dei più
insigni vescovi delle Gallie. S'igno-
ra il luogo e l'anno di sua morte.
E onorato in Tolosa nel giorno 28
settembre.
ESUPERIO (s.). Poche sono le
notizie, che si hanno di questo
satito. Romano di nascita, predicò
l'evangelio in Normandia, eresse
la chiesa di Bayeux, e divenne an-
che il primo suo vescovo: mori
verso la fine del quarto secolo.
Nell'anno o,43 il suo corpo venne
trasferito a Corbeil, sette leghe di-
stante da Parigi. Ivi è in grande
venerazione pei molti prodigi ope-
rati, e la sua festa si celebra il dì
primo di agosto.
ETÀ' del mondo. Sono ordina-
riamente tutti i tempi che prece-
dettero la nascita di Gesù Cristo,
che dividonsi in sei età. La pri-
ma comincia col mondo, termina
al diluvio universale, comprende
i656 anni. La seconda età comin-
cia col diluvio, termina colla vo-
cazione di Abramo, nel 2082, e
comprende 426 anni. La terza età
ETÀ
comincia dalla vocazione di Àbra-
mo, termina coll'uscita degl' israe-
liti dall'Egitto nell'anno del mon-
do 25 1 3, e comprende 43 1 anni.
La quarta età comincia coll'uscita
dall'Egitto, termina colla fondazio-
ne del tempio di Salomone nel-
l'anno del mondo 2992, e compren-
de 479 annì' La quinta età inco-
mincia dalla fondazione del tempio
di Salomone, termina colla cattivi-
tà di Babilonia nell'anno del mon-
do 34i6, e comprende 4^4 anni-
La sesta età principia dalla catti-
vità di Babilonia, termina colla
nascita di Gesù Cristo , successa
nell'anno del mondo 4°o°> il quar-
to, o secondo altri il quinto anno
avanti l'era cristiana, e compren-
de 584 anni- Quindi si osserva
una notabile differenza tra la Bib-
bia ebraica, seguita dalla Volgata,
e la Bibbia dei settanta intorno
la cronologia degli anni del mon-
do: la Bibbia greca dei settanta
conta dalla creazione del mondo
fino alla nascita di Abramo, 1 5oo
anni di più della Bibbia ebraica
e della Volgata, e da ciò appunto
proviene la divisione, e i diversi
opinamenti dei cronologi. Su que-
sto argomento si possono vedere
gli articoli Epoca ed Era, ove sono
riportati alcuni autori che trattano
di esso. Inoltre sulle suddette sei
età, si può vedere il gesuita Mu-
sanzio nelle sue Tabulae Chrono-
logicae. Sulle età del mondo nar-
ra cose erudite il Sarnelli nelle
Lelt. eccles., tom. Ili, p. 91 e 92,
e tom. IV, pag. 3i, num. 8.
ETÀ* dell'uomo. Diversamente
da vari autori sono stati divisi i
gradi dell'età degli uomini. Aulo
Gellio nel lib. io, cap. 28 ne fa
solamente tre, cioè la puerizia, la
gioventù, e la vecchiaia, seguendo
ETÀ
in ciò l'autorità di Tubcrone, il
quale riferisce clic Servio Tullio,
sesto re di Roma , putti chiamò
tutti quelli che non avevano an-
cora compiti dieciselte anni, dopo
del qual tempo entravano nella
classe da' giovani, e si ascrivevano
tra' soldati, e questa età sino al-
l'anno quarantesimo sesto si esten-
deva, indi cominciava la vecchiez-
za, ch'era l'ultima, e durava per
tutto il restante della vita. Gale-
no, famoso medico, distinse quat-
tro gradi, nel suo libro Dcfinitiones
mcdicae: il primo è dei giovani j
il secondo è di quelli che con
voce greca chiamò acmazontas ,
che equivale a vigorosi, il che ap-
partiene alla virilità; il terzo di
quelli ch'erano in uno stato di
mezzo fra questi che abbiamo
detto, ed i vecchi che metteva
nell'ultima classe. A Marco Var-
rone però parve che si dovesse
distinguere in cinque gl'adi, cioè:
il primo è dei fanciulli sino al-
l'anno decimo quinto, e questi con
voce latina si dicono pueri3 quasi
puri, perchè sono impuberes; il
secondo è dei giovani , l'età dei
quali comprende i primi trenta an-
ni della vita, e questi sono da Var-
rone detti adolescens, perchè ado-
lescunt, stanno in crescere; nel ter-
zo, che dai trenta anni si estende
sino ai quaranta anni compiti, so-
no quelli appellati juvenes, giova-
ni, perchè possono colle forze cor-
porali giovar alla patria, servendo
alla milizia; il quarto grado è di
quelli che hanno passato quaranta-
cinque anni, sino ai sessanta, e que-
sti l'istesso autore chiama seniores,
perchè già si vanno avvicinando al
quinto ed ultimo grado di quelli
che non seniores, ma assolutamen-
te si dicono senesj vecchi ; e que-
vol. mi.
ETÀ 129
sto grado dura sino ali 'estremità
della vita.
Il Pontefice s. Gregorio I, nel
lih. II de' suoi Morali, al cap. i5,
fa parimenti cinque gradi, che so-
no questi: infantici, pueritia, adole-
scenza, Juventus, senectus. Ecco poi
come si esprime. « Prima hominis
« aetas infantia est, cura et sit in-
nocenter vivit, nescit tamen fari
innocentiam quam habet; ac dein-
de pueritia sequitur, in qua jam
valet dicere, quod vult; cui suc-
cedit adolescenza, quae videlicet
prima est aetas in operatione ;
quam Juventus sequitur, scilicet
apta fortitudini, ac postmodum
senectus etiam per tempus con-
grua maturi tati ". Il dottore s. Gi-
rolamo nel lib. 3 contra Pelagia-
nos, seguendo Filone ebreo, e Pla-
tone filosofo, numera sette gradi di
età. « Quid dicemus de utriusque
» sexus aetate diversa, quae juxta
w Philonem, et prudentissiraumphi-
t» losophorum, ab infantia usque
« ad decrepitarti senectutem septe-
» nario ordine devolvitur, dum si-
» h\ sit invicem aetatum incremen-
» ta succedunt, ut quando tran-
« seamus de alia ad aliam sentire
» minime valeamus ". Il medesimo
s. Girolamo scrivendo sopra il cap.
6 di Amos profeta, numera que-
ste sette età dicendo : infanzia, pue-
rizia, gioventù, età matura, vecchiez*
za, età decrepita. La medesima
distinzione fa anche Ippocrate prin-
cipe de' medici, il quale dice che il
primo grado finisce ne' sette anni,
il secondo ne' quattordici, il terzo
ne' diciotto, il quarto ne' trentacin-
que, il quinto ne' quarantacinque, il
sesto ne' settantuno, il settimo final-
mente si termina colla vita. Solo*
ne ne' suoi versi elegiaci divise tut-
to il tempo della vita umana in
9
i3o ETÀ
dieci parli, e Clemente Alessandri-
no riferisce detti versi, ne' quali non
solo si pongono i gradi dell'età,
ma ancora quello che in essi occor-
re agli uomini, mentre che per
quelli vanno ascendendo e discen-
dendo. Sono tutti questi gradi di-
stinti per settenarii ; nel primo set-
tenario nascono all'uomo i denti;
nel secondo Jit pube*, ed alto alla
generazione; nel terzo spunta sulle
guancie e sul mento la prima la-
nugine della barba; nel quarto l'uo-
mo è nel maggior vigore delle sue
forze corporali; nel quinto è in età
conveniente a pigliar moglie, per
lasciar prole, che poi gli succeda;
nel sesto si perfeziona il giudizio,
ed aspira l'uomo a cose grandi, e
sdegna le piccole; nel settimo e
nell'ottavo cresce tuttavia il sape-
re, e la facoltà di spiegar bene
con la lingua i concetti della men-
te; nel nono comincia a declinare
il vigore dell'animo; e nel decimo
è l'uomo maturo per la morte. I
versi greci di Solone sono citati dà
Clemente Alessandrino nel lib. 6
Stromatuni, e prima da Filone nel
lib. i de mundi officio.
L'età competente per le dignità
ecclesiastiche, la decretò il concilio
di Trento, sess. 24 de Re forni., e.
12. « È proibito a' vescovi di am-
» mettere un ecclesiastico ad una
» dignità, se ei non ha ordine sa-
» grò richiesto da quei benefizi, o
w almeno se non ha l'età necessaria
» per ricevere quest'ordine nel tem-
« pò prescritto dal gius, e dal con-
» cilio che lo ha regolato ad un solo
» anno ". Per l'età rispetto a' be-
nefizi, da'eanonisti si riportano più
regole, come per l'età ai voti solen-
ni, pel matrimonio, e rispetto agli
ordini sagri, di che se ne tratta ai
rispettivi articoli, laonde solo qui
ETÀ
ci permetteremo qualche cenno su
tali età che richiedonsi per ognu-
no. E primieramente, per riguardo
a' benefizi, ve ne sono sacerdotali,
cioè che non possono essere confe-
riti se non ai preti, gli uni per la
legge, gli altri per la fondazione:
relativamente a questi ultimi, che
sono le cappelle sacerdotali ed al-
tri simili benefizi , osservasi alla
lettera la legge particolare della fon-
dazione, e non si possono conferire
se non a quello che sia già prete.
Rispetto agli altri benefizi, come le
prebende, le cappelle o semplici prio-
rati, o le commende, bisogna seguir
l'uso, a norma del quale ve ne so-
no alcuni, che non si danno se non
a coloro che sono negli ordini sa-
gri, altri a' semplici chierici; moti-
vo per cui sonovi tanti chierici che
rimangono semplici tonsurati o sot-
todiaconi. Da una tal regola derivò
quella dell'età : bisogna avere ven-
ticinque anni pei benefìzi sacerdo-
tali, ventidue per quelli che obbli-
gano in sacrìs, e sedici pei bene-
fizi regolari, essendo questa l'età
nella quale si può far professione.
Pei benefizi di semplice tonsura la
regola non è tanto certa : a nor-
ma del concilio di Trento, sess. 2 3,
e. 6, se ne potrebbe ottenere qual-
cuno prima dei quattordici anni,
età nella quale secondo il diritto
romano si sorte di tutela. In Fran-
cia seguivasi una regola antica dei-
la cancelleria romana, a tenore del-
la quale richiedevasi undici anni per
le prebende delle cattedrali, dieci
per le collegiali, bastando soli sette
anni pei semplici priorati e per le
semplici cappellanie : la ragione od
il pretesto era di mantenere quei
giovanetti durante i loro studi nei
collegi o seminari.
L'età pei voti solenni onde en-
ETÀ
(rare in qualche ordine religioso,
fu diversamente regolata : dalla pu-
bertà sino alla piena età maggiore,
che è di venticinque anni, si pote-
va fare tale obbligazione. 11 con-
cilio di Trento, sess. i5) e. i5, la
determinò a sedici anni, dichiaran-
do nulle le professioni prima di
questa età, ed obbligando a fare
almeno un anno di noviziato. Per
riguardo all' età del matrimonio, i
canonisti dicono potersi contrarre
all'età della pubertà, che è a do-
dici anni per le fanciulle, ed a
quattordici pegli uomini, avvertono
però che devesi avere riguardo al-
la vera disposizione del corpo, piut-
tosto che al numero degli anni.
Finalmente per conto dell'età ri-
spetto agli ordini sagri, per la ton-
sura bisogna aver compiuti i sette
anni ed essere cresimato, od alme-
no sei colla pontificia dispensa, co-
me decretò il concilio di Trento,
sess. a3, cap. 12. Pei quattro mi-
nori viene rimesso alla prudenza
de' vescovi; mentre pel suddiacona-
to fa d'uopo ventidue anni, pel dia-
conato ventitre, pel sacerdozio ven-
ticinque anni cominciati, e pel ve-
scovato trenta, od almeno ventiset-
te cominciati.
ETALONIA o ETALONE. Se-
de vescovile della Celisiria, chiama-
ta anche Costantina, posta tra i
monti, al termine della terra Pro-
messa, ed ove l'Arabia si unisce al-
la Celisiria, presso la città di Da-
masco. La sede episcopale fu fon-
data nei primi secoli della Chiesa,
sotto la metropoli di B ostia. Chi-
lone suo vescovo intervenne al pri-
mo concilio di Costantinopoli , e
Solemo a quello di Calcedonia, co-
me si legge nella Siria sagra, pag.
ili. Al presente Etalonia, Heta-
lanieri, è un titolo in partibus, che
ETÀ i3i
conferisce la santa Sede, dipenden-
te dalla metropoli di Bostra egual-
mente in partibus.
ETAMPES o ESTAMPES (Siam-
pae). Città di Francia, dipartimen-
to di Senna ed Oise, capoluogo
di circondario e di cantone in li-
na valle fertile, al confluente del-
la Juine e dell' Estampes sulla stra-
da da Parigi ad Orleans. E sede
di un tribunale di prima istanza,
e di altri stabilimenti. Assai ben
fabbricata è questa città, ha quat-
tro chiese parrocchiali, uno speda-
le, un collegio comunale, una so-
cietà di agricoltura, ed un teatro.
Sonovi intorno la città belle passeg-
giate piantate di alberi, e sulle ri-
viere più di trenta macine. Etam-
pes è una città antichissima, che fu
fortificata, e nella quale il re Ro-
berto gettò i fondamenti di un ca-
stello fortificato, che a richiesta de-
gli abitanti fu distrutto nel princi-
pio del regno di Enrico IV, e del
quale vedonsi ancora gli avanzi. Du-
rante i torbidi del 16^2 questa
città, con dispiacere degli abitanti
sempre fedeli al re, fu ceduta al-
l'esercito de'principi, e ben tosto
fu assediata da quelli di Luigi XIV,
il quale dopo sei settimane fu obbli-
gato di levarne l'assedio, per anda-
re incontro al duca di Lorena, che
veniva in soccorso de'principi. In
questa città Luigi VII il giovane,
prima del suo viaggio per 1' orien-
te, radunò il suo parlamento, la-
sciando la reggenza del governo a
Raoul conte del Vérmandese, ed a
Suggero abbate di s. Dionisio. La
città, che aveva prima il titolo di
ba ronia, fu eretta in contea nel
1327 da Carlo IV, a favore di
Carlo d'Evreux suo cugino, e quin-
di da Francesco I in ducato a favo-
re di Giovanni di Brosse di Bre-
i3* ETÀ
lagna, e d'Anna di Pessileu sua
sposa. Enrico II li spogliò di tal
ducato nel 1 553, onde rinvestirne
Diana di Poitiers sua favorita ; ma
Carlo IX, nel i562, lo restituì a
Giovanni. Morto questi senza po-
sterità, Enrico 111 nel i5j6 negra-
tifico il duca Giovanni Casimiro,
che, avendolo tosto rinunziato, lo
diede alla duchessa di Montpen-
sier, e quindi donollo a Marghe-
rita di Valois, sua sorella, regina
di Navarro. Questa lo cedette qual-
che anno dopo a Gabriella di Es-
trées, duchessa di Bea ufo rt, che
lasciollo a Cesare di Vendotue, fi-
glio naturale di Enrico IV.
Concili di Etampes.
Il primo fu adunato nel 1048
da Gerdoino arcivescovo di Sens,
come si legge nelle vite degli arci-
vescovi di quella città.
Il secondo celebrossi nell'anno
1091 o 1092, in cui Richerio ar-
civescovo di Sens, ci volle deporre
Ivone od Yves di Chartres, ordinato
da Urbano II, per istabilirvi Go-
fredo, dicendo che Ivone erasi fat-
to ordinare in Roma, il che per
suo avviso tornava in pregiudizio
dell'autorità reale, perchè erasi re-
so reo di lesa maestà. Ma Ivone
appellò al Papa, e arrestò così la
procedura del concilio. Ivo, epist.
12; Labbé tomo X; ed Ardui-
no tom. VI.
Il terzo fu tenuto nel 1099 so-
pra la disciplina. Arduino tona.
VI, ed Ivo, epist. Altri lo registra-
no all'anno 11 12, e dicono che vi
si fecero degli statuti sulla riforma
de' costumi.
Il quarto fu concilio nazionale,
celebrato nel 1 1 3o per cura di Lui-
gi VI il Grosso, re di Francia, in
ETE
occasione dello scisma dell'antipapa
Anacleto II, contro il legittimo In-
nocenzo II. Questo principe vi fe-
ce esaminare quale dei due fosse
stato canonicamente eletto. S. Ber-
nardo v'intervenne ad istanza del
re e dei principali vescovi, ma
trepidante a cagione della grave
disputa. Dopo il digiuno e le pre-
ghiere, il re, i vescovi e i signori
convennero tutti di comun consen-
so, di riportarsi all'abbate Bernar-
do, e di stare al parer suo. Allo-
ra s. Bernardo, dopo aver accetta-
ta la commissione, e dopo aver ester-
nato il suo gran timore ed umiltà in
interloquire in sì grave affare, con
attenzione scrupolosa, esaminò la
forma dell'elezione, il merito degli
elettori, la vita e la riputazione di
quegli che il primo era stato elet-
to, cioè Gregorio cardinal di s. An-
gelo, chiamato Innocenzo lì, e di-
chiarò eh' esso era quello che do-
vevasi riconoscere per Papa, e tutta
l'assemblea applaudì ; quindi s. Ber-
nardo intraprese penosi viaggi per
fare riconoscere Innocenzo II, e vi
riuscì. Labbé tom. X ; Arduino t.
VI ; Diz. dei Concili.
Il quinto ebbe luogo nel 1 1 47,
sotto il pontificato di Eugenio II I, ed
il regno di Luigi VII, e fu deter-
minata la crociata di Palestina. Lab-
bé tom. X, ed Arduino tom. VI.
ETELBERTO (s.). Sino dai te-
neri suoi anni mostrò Etelberto
un tenero amore verso Iddio, con-
secrando alla religione tutti i mo-
menti, nei quali dallo studio non
era occupato. Successo nel regno
dell'Anglia orientale ad Etelredo
suo padre, con molta saviezza e
pietà governò egli i suoi popoli
pel corso di anni quarantaquattro.
Quando si determinò di condur
moglie per dar successione alla co-
ETE
rona, e gettò gli occhi sopra la
principessa Alfreda, figlia di Offa
re di Mereia, giovine dotata di
specchiate virtù. Si recò a tal fine
Etelberto presso Offa, e conchiuse
di celebrarvi le nozze. La regina
Quendreda non contenta di un tal
matrimonio, perchè vagheggiava
di unire a' suoi stati il regno di
Mereia, col mezzo di un suo fido
uffiziale fece assassinare Etelberto,
ed il buon principe restò vittima
del tradimento nell'anno 793. Fu
segretamente seppellito a Marden,
ma il Signore coi miracoli volle
glorificare il suo corpo, e questo
disotterrato , fu trasferito in un
magnifico tempio a Hereford. La
sua festa è assegnata il giorno 20
maggio.
ETELBERTO (s.) . Pronipote
Etelberto di Engisto, capo degli
anglo-sassoni, nell'anno 56o salì
sul trono di Rent, e sposò Berta,
figlia unica di Cariberto re di Pa-
rigi. Educato e cresciuto nell' ido-
latria, lasciò però che la princi-
pessa sua sposa seguisse liberamente
la religione cattolica, ed il santo ve-
scovo Letardo adoperavasi a tutto
potere per sempre più assodarla
nelle cristiane virtù. La divina mi-
sericordia, che volea salvo Etel-
berto, dell' esempio della sposa si
valse per illuminarlo ad abbando-
nare il culto delle pagane divini-
tà, e ad abbracciare il vangelo.
S. Gregorio Magno facendo l'elo-
gio della regina Berta la parago-
na a s. Elena madre di Costanti-
no. Divenuto Etelberto cristiano,
parve un altro uomo, e per venti
anni da che egli visse convertito,
tutti furono essi da lui consegrati
per vantaggio della religione. Col-
le sante virtù dell' umiltà, della
mortificazione, e con una assidua
ETE i33
e fervida preghiera rintuzzò egli
le passioni tutte contro il mondo
ed il demonio. Abolì le pagane
superstizioni, profuse in limosine a
sovvenimento de' poveri, fondò la
cattedrale di Kent, non che l'ab-
bazia di s. Pietro e di s. Paolo.
Affievolito dall'età e dalle indefesse
sue cure sostenute per cinquanta-
sei anni di regno, morì santamen-
te l'anno 616, e fu seppellito nel-
la chiesa dei ss. Pietro e Paolo. La
sua festa dal martirologio romano
è assegnata li 24 febbraio.
ETELBURGA (s.). Sorella del
santo vescovo di Londra Ercon-
waldo, e principessa anglo-sassone
fu Etelburga. Consecratasi al Si-
gnore fin dalla sua fanciullezza, si
ritirò nel monistero di Barking ,
nel paese di Essex, e divenne po-
scia badessa. Etelburga esercitò il
suo incarico con somma cura, e-
dificando coli' esempio le sue con-
sorelle religiose. Di nulla altro cu-
rante che di piacere al suo sposo
celeste, continuamente anelava di
congiungersi a lui, e giunta al ter-
mine di sua vita, con santa gioia
dolcemente spirò. Dopo la sua
morte, alcuni segni visibili della
divina possanza attestarono, eh' el-
la era a godere la gloria de' bea-
ti. La sua festa ricorre li 1 1 otto-
bre.
ETELDRITA o ALFREDA (s).
Nata Eteldrita o Alfreda da Of-
fa re de' Merciani, anziché segui-
re l'invito paterno, che la voleva
impalmata ad Etelberto re degli
est-angli, preferì piuttosto di con-
sagrarsi al Signore. Per esattamen-
te riuscire nel suo santo progetto,
lasciata la reggia paterna, si recò
in mezzo le paludi di Crowland
nella contea di Lincoln, ed ivi rin-
chiusa in una cella visse santamen-
i34 ETE ETI
te pel corso di quaranta anni. Una secolo, in cui v'ebbero sede i vc-
assidua preghiera, accoppiata ad una scovi Troilo, Eutropio, Eudosio,
ricicla penitenza purificarono l'ani- Giovanni, e Pietro. Oriens Christ.
ma sua in modo da renderla de- torn. I, pag. 1004.
gna di esser portata in cielo, il ETERODOSSO ( Heterodoxus ).
che avvenne l'anno 834- La sua Dicesi delle persone, e dei domini
festa è assegnata li 2 agosto. che sono contrari alla dottrina cat-
ETELWOLDO (s.). Da una il- tolica, ed è l'opposto di ortodosso.
lustre famiglia di Winchester sor- Questo nome deriva dal greco, che
ti Etelwoldo i natali. Sino dalla sua significa altro sentimento o opinio-
giovinezza ardeva di un santo a- ne. L'eterodosso non vuole l'autorità
more di Dio, ed intesa la buona della Chiesa, vuol essere giudice da
fama, che di sé dava s. Dunstano sé stesso delle scritture, e rigetta
in Glastenbury, si recò a lui, e la tradizione e le verità da Dio ri-
dallo stesso ricevette l'abito mona- velate.
cale. Le orazioni, le lacrime ed il ETIOPIA. Nome che fu colmi-
la voro erano le più gradite sue ne a diversi paesi dell'Africa e dei-
occupazioni, e con tali mezzi seni- l'Asia, perchè i greci chiamarono
pie più addentravasi nella perfe- Etiopi tutti i popoli che avevano
/ione. Amava lo studio delle scien- la pelle nera o meticcia ; fu dato
ze ecclesiastiche, e fu ben presto però più particolarmente ad una
promosso a decano della sua comu- contrada dell'Africa, che gli antichi
nità. Avanzando negli anni e sem- divisero in forme diverse. Seguen-
pre più acquistando egli merito e do la divisione più comune con To-
riputazione, fu innalzato al grado lomeo, viene divisa in tre parti,
episcopale, e consecrato vescovo col nome di isola di Meroe, Etio-
della sua patria. Con zelo indefes- pia sotto l'Egitto, e Etiopia interna,
so sostenne egli la pastorale digni- Questa ultima comprendeva tutto-
tà, sovvenendo con le limosine ai ciò che stava al sud del fiume jNì-
bisogni de' poveri, istruendo colla ger, ed all'ovest meridionale della
voce il suo popolo nella scienza Abissinia. L'Etiopia sotto l'Egitto
della legge evangelica, e visitando corrisponde alla Nubia, all' Abissi-
gli infermi, e confortandoli nei lo- nia, ed a questa Tolomeo assegna
ro travagli. Dagli anni oppresso, e la Trogloditica degli antichi che cor-
molto più dalle sue cure apostoli- risponde alla costa di Abesch. A
che, venne al termine di sua vita, questa parte propriamente si diede
e chiuse nel bacio del Signore i il nome d'India nell'antichità. Lo
suoi occhi il di primo agosto del- stesso Tolomeo chiama Barbarla
l'anno 984. La sua tomba fu ono- una provincia dell'Etiopia, che cor-
rata di vari prodigi operati per risponde al Zanguebar, e di cui
di lui intercessione, ed il giorno Rapta era la capitale. Chiama egli
primo agosto è sacro alla sua me- Asania il moderno regno di Adel,
moria. e situa una piazza marittima, chia-
ETENNA, ETHENA, *eu Tena. mata l'Hippodromo di Etiopia, ver-
Sede vescovile della prima Panfi- so il luogo della Guinea, ove sta
lia, nella diocesi d' Asia, sotto la Christiansborg. La Etiopia fu illu-
inetropoli di Sida, eretta nel quinto stre nell'antichità sì per la ricchez-
ETI
za del suo commercio, che per la
guerra che sostenne contro gli egi-
ziani. Produceva oro, rame, ferro,
ed altri minerali mancanti all'Egit-
to, ma soprattutto il primo abbon-
dantemente. Le pietre preziose era-
no pure una delle ricchezze dell'E-
tiopia, trovandovisi singolarmente
molte miniere di smeraldi. Malgra-
do tante dovizie, gli etiopi condu-
cevano una vita trista, perchè abi-
tavano un terreno ingrato, respi-
ravano un'aria malsana, ed erano
lontani dagli altri popoli. Questa
nazione però fu assai possente, ed
estese la sua dominazione sino alla
Siria, ma Sesostri la soggiogò. Più
modernamente sotto il generico no-
me di Etiopia, s'intende l'Africa
propriamente di mezzo, e si divide
in alta e bassa. La prima com-
prende la Nubia, l'Abissinia, e por-
zione della Guinea ; la seconda i
paesi situati al sud della linea. Per
mare di Etiopia intendesi la parte
dell'oceano atlantico presso l'equa-
tore, e specialmente il golfo di Gui-
nea. Altri dicono che l'Etiopia oc-
cupava poco meno della metà del-
l'Africa, dividendosi in alta e bas-
sa; che l'alta ha il nome di Abissinia;
che anticamente il suo impero era
più esteso, ma dai turchi, dagli
arabi, ed altri popoli vicini fu per
tal modo diminuita, che in appresso
appena restarono la metà de' suoi
antichi possedimenti. Dell'Etiopia ,
di ciò che riguarda la sua storia
civile, politica e religiosa se ne par-
la anche agli articoli Abissinia ,
Egitto, ec. ec. (Vedi). In Parigi, nel
i55g, l'Heliodoro pubblicò YHistoi-
re Aethiopique, che fu tradotta in
italiano da Leonardo Ghini, e stam-
pata dal Giolito in Venezia nel
»i56o. Abbiamo inoltre Chaldeae,
seu Aethiopicae linguae institutio-
ETI i35
nes, Romae i63o, di Vittorio Maria-
no. Nella tipografia di Propaganda
fide vi sono varie opere in idioma
etiopico, come la dottrina cristiana
del Cardinal Bellarmino, YAlphabe-
tum Aethiopicuni, ec.
Nella dirai sagra dell'abbate Ter-
zi di Lauria, a pag. 390 e seg.,
vi è la descrizione dell'Etiopia, e
sue provincie. Egli dice, che il va-
stissimo impero dell'alta e bassa
Etiopia consisteva iti quaranta e
più provincie, che enumera, o sie-
no regni qua e là dalla linea equi-
noziale, abitati da cristiani scisma-
tici, e da mori idolatri, divisi in
molte lingue, sebbene nella scrittu-
ra convengano in una, com'è tra
noi la latina. Aggiunge che ubbi-
divano gli etiopi ad un monarca
da loro chiamato Hugus, e dagli
europei Prete Gianni, voce corrotta
dalla persiana Pedes Han, che se-
condo lo Scaligero equivale a re
apostolico. Di questo sovrano, che
vantava discendere dal re Davide,
pel suo figlio Salomone e la regi-
na Saba, come dicemmo al citato
articolo Abissinia, il Terzi ne de-
scrive le forme, gli usi, le vesti-
menta e le insegne, dicendo che
un tempo ebbe settandue re tribu-
tari. Indi descrive la bassa Etiopia
colle sue provincie, non che la men-
tovata celebre isola di Meroe, colle
principali città, e la reggia della
regina Candace; parla dei due ordini
di s. Antonio d Etiopia, de' quali si
tratta nel voi. II, pag. 226 e 227
del Dizionario ; e riporta la suc-
cessione cronologica degl'imperato-
ri d'Etiopia, dalla regina Saba a
Faciladas persecutore de' cattolici ,
fiorito nell'anno 1660. Il Rinaldi,
all'anno 3i, num. i3, ed all'anno
353 num. 27, dice che gli etiopi
mangiavano le locuste ; che appiè-
i36 ETI
sero dagli ebrei la circoncisione ; clic
i ciotti etiopi adoravano un Dio im-
mortale cagione di tutte le cose, ed
un altro mortale senza nome, pri-
ma che l'eunuco della regina Can-
dace (il medesimo Rinaldi dice che
in Etiopia regnavano le donne con
tal nome) si convertisse al cristia-
nesimo, essendo egli il primo gen-
tile che ricevette il battesimo. Si
aggiunge che l'Etiopia, eccettuata
l'Abissinia, o regno del gran Negus,
non fu conosciuta dagli antichi ro-
mani; e che fu principalmente sot-
to l'impero di Costantino il gran-
de, che questa parte d'Etiopia venne
scoperta dai romani. Ora passeremo
a dire compendiosamente , come
s'introdusse la fede in Etiopia, non
che della sua chiesa, de' suoi erro-
ri e principali avvenimenti.
In due modi il vangelo si pro-
pagò nell'Etiopia, il primo fu a
mezzo dell' eunuco della regina
Candace, o Giudich, della quale par-
lano gli atti apostolici. Risiedeva
essa in Cachsumo, città metropoli
del regno di Goiam, ove istrutta
de' divini oracoli , fondò un magni-
fico tempio, diviso da cinque gran-
di navi, in onore di Dio e di s.
Maria di Sion. L'eunuco, dopo ave-
re ricevuto il battesimo dall'aposto-
lo s. Filippo, passò ad annunziar
il vangelo nelle provincie littorali,
nell'Arabia Felice, nell'Eritrea e nel-
l'isola Tapobrana. Il secondo mez-
zo si riconosce dall'apostolo s. Mat-
teo, nel tempo istesso che s. Mattia
lo portò nell'Etiopia inferiore, e s.
Tommaso ai parti, medi, battìi,
ircani, magi, ed altri popoli dell'In-
die. Di altro efficace mezzo si servì
Dio per illuminare questi popoli, e
fu che un tal Meropio filosofo di
Tiro, ad esempio di Menodoro, in-
traprese il viaggio delle Indie con
ETI
due fanciulli suoi congiunti , uno
chiamato Edesio, Tallio Fruuienzio,
istruiti di parecchi linguaggi : ciò
avvenne negli ultimi anni dell'im-
pero di Costanzo e Massimiano
ne'primi del quarto secolo. Ma ri-
bellatisi gli etiopi ai romani, Me-
ropio venne ucciso, ed i fanciulli
furono presentati al re, che aven-
doli presi ad amare, cresciuti di età
conferì loro cariche onorevoli nella
corte, ove si acquistarono tanto cre-
dito, che alla morte del re fu lo-
ro affidata la reggenza del regno,
e la cura dell'erede del trono. Di-
venuto questi maggiore di età, Ede-
sio ritornò in Tiro, ove fu ordina-
to sacerdote, e Frumenzio, giunto
in Alessandria, ragguagliò dello sta-
to dell'Etiopia il santo patriarca
Atanasio da cui fu consagrato ve-
scovo, e rimandato nelle Indie per
la conversione degli etiopi, laonde
penetrando nelP alta Etiopia quivi
pure meravigliosamente propagò il
cristianesimo, regnando allora Abrà.
Tanto si legge nella Geografia sa-
gra del p. Carlo di s. Paolo, e nel-
YHistor. di Rufino lib. r, e. 9.
Frumenzio «/chierici che s. Ata-
nasio gli avea dati, stabilì la sede
sua in Ausuma, o Axwn (Fedi),
ch'era già la metropoli civile di
questo regno, e al dire di Com-
inan ville questa capitale del regno
del Tigre, nel IV secolo divenne
sede vescovi les e nel VII patriarcato
ma senza suffragane*!, per cui av-
venne sovente, che in questo paese
non vi fu alcun vescovo, ma sol-
tanto alcuni preti, particolarmen-
te dopo che il patriarca di Ales-
sandria cessò di mandarvene, come
molte volte successe. In fatti dopo
quel tempo non vi furono altri ve-
scovi che quelli mandati dal patriarca
alessandrino, e neWOriens Christt
ETI
lom. II, pag. 6^1 e seg., si ha
la serie e le notizie di quaran-
ta metropolitani di Etiopia. Va qui
notato, che gli etiopi non pensano
a scegliere un patriarca tra i loro
dottori, dice il cinquantesimo secon-
do canone arabico, perchè il loro
patriarca è sotto la dipendenza di
quello d'Alessandria, e perchè spet-
ta a lui il nominare ed ordinare
il loro Cattolico (Fedi) che gli è
inferiore, e perchè non ha alcun
diritto di stabilire dei metropolita-
ni come il patriarca. Ne ha però
gli onori, non già il potere. Que-
sto cattolico è dunque il patriarca
degli etiopi, ma non è se non co-
me vicario del patriarca d'Alessan-
dria. Gli fu ingiunta ancora altra
regola da osservare, cioè di non
poter ordinare più di sette vescovi
in tutta la sua dipendenza. 11 Re-
naudot, de Alex, patriarchi num.
1 08, dice che gli etiopi vollero ob-
bligare il loro metropolitano, men-
tre era patriarca di Alessandria
Gabriele Jarik, ad ordinare più di
sette vescovi; lo che egli rifiutò co-
stantemente, perchè sarebbe stato
contro l'antico costume, e contro
la legge che lo proibisce, per ti-
more che se vi fossero nella chie-
sa d'Etiopia dodici vescovi, nume-
rò che gli orientali richieggono per
ordinare un patriarca, non iscuotes-
sero il giogo della Chiesa alessan-
drina, e non eleggessero un patriar-
ca. Da ciò ne provenne che gli etio-
pi hanno conservato sempre lo stes-
so credito e rispetto pel patriar-
ca alessandrino che li mandava e
che li ordinava; ed è perchè la
sede d'Alessandria, rimasta poscia
vacante circa ottanta anni, non es-
sendo quindi occupata che da un
patriarca giacobita , questi popoli
si avvezzarono a ricusale la fede
ETI 137
del concilio di Calcedonia, e poscia
fecero lo scisma colla Chiesa ro-
mana. Perciò che concerne la di-
gnità di questo metropolitano, Io
stesso canone arabico citato, porta,
che se avviene che si riunisca un
concilio sulle terre dell'impero ro-
mano, il patriarca o cattolico di
Etiopia, avrà l'ottavo rango nell'as-
semblea, dopo il cattolico di Per-
sia e delle Indie.
Ritornando ai progressi della fe-
de in Etiopia, essi non mai si a-
vanzarono senza opposizioni. Nei
primi anni del sesto secolo, regnan-
do Elesbaana, chiamato anche Cha-
leb, principe di eminente pietà, e
residente in Axum , avvenue che
un giudeo, chiamato Dunaan , di
somma autorità, nella città di Na-
gran fece morire il santo Areta
con trecento quaranta cristiani, ed
incrudelendo cogli altri, l'impera-
tore Giustino I con alto risenti-
mento, e col mezzo di Asterio pa-
triarca d'Alessandria, ne scrisse ad
Elesbaana, il quale con poderose
forze uccise in battaglia il tiran-
no; quindi rinunziando al regno,
inviò il suo diadema al santo
sepolcro, e ritirassi a vita contem-
plativa nel monistero di Ascuma,
sotto la regola di s. Basilio, ove
poi fu sepolto. In quanto all'in-
troduzione della vita monastica in
Etiopia, alla moltiplicità de' moni-
steri, ed al copioso numero di mo-
naci, vuoisi promossa dai monaci
della Tebaide e dell' Egitto. Di
molti monisteri fa menzione il Ter-
zi a pag. 3cp, come delle vesti usa-
te da' monaci , e dello scopo dei
loro istituti ; così parla dell' eresia
introdottasi anche tra essi, seguaci
degli errori di Eutiche e di Dio-
scoro, dappoiché l'eresia eutichiana,
che separò dall' unità cattolica la
i38 ETI
Chiesa alessandrina, perverti anche
l'Etiopia e 1' Abissinia che, come
dicemmo, faceva parte di quel pa-
ti sforato. I« questo impero sì va-
sto, benché circondato da popoli
barbari quasi per ogni parte, gli
abitanti furono sempre benigna-
mente riguardati dalla pietà del-
l'Altissimo , che così nel vecchio
come nel uuovo Testamento diffuse
sopra di essi bellissimi raggi della
vera e santa religione ; ma invol-
to poi nelle tenebre dell' eresia, e
privo delle necessarie assistenze di
chi gliele sradicasse, non conservò
la purità della fede, della quale seb-
beue più volte si mostrassero de-
siderosi, e più volte ancora fosse
dai romani Pontefici usata ogni
cura e diligenza per ritornarvela,
non se ne ritrasse mai che poco e
brevissimo frutto.
1 principali errori de' popoli di
Etiopia intorno alla religione, sono
la circoncisione, la purificazione, la
sautificazione de' sabbati, il digiu-
no fino alla sera, 1 astenersi dalla
carne porcina, leprina, soffocata, e
da pesce che non abbia squame,
la poligamia, che però non si os-
serva generalmente, ed il ripudio.
Gli etiopi negano il purgatorio ,
credono che lo Spirito Santo pro-
ceda solo dal Padre, e che l'uma-
na natura di Cristo sia eguale alla
divina. Non ammettono in Cristo
che una volontà, rinnovano il bat-
tesimo, e dicono che le anime dei
giusti non godono Dio prima della
fine del mondo ; non costumano il
viatico, reputano superfluo il confes-
sare il numero e qualità de' peccati,
e credono che l'anime si cavino dalla
materia, e non si creino. Riprova-
no pure il concilio Calcedonese per
aver condannato il patriarca a-
lcssundrino Dioscoro , e negano il
ETI
primate della Chiesa apostolica ro-
mana. Amministrando il battesimo
segnano qualche parte del volto
con un ferro rovente. Qui ram-
menteremo che molle regioni del-
l' Asia e dell' Africa portarono il
nome di Etiopia, laonde non si
può precisare le contrade in cui
successivamente venne sparso il cri-
stianesimo. Al dire del Bergier si
tiene per certo che gli abitanti del-
la Nubia, eh' è la parte dell'Etio-
pia più vicina all'Egitto, sieno stali
convertiti alla fede da s. Matteo ,
che il cristianesimo si sia conser-
vato fra essi sino verso ranno 1 5oo,
e che dopo quel tempo sieno di-
velluti maomettani per mancanza
di pastori che gì' istruissero. Quan-
to ai popoli dell'alta Etiopia, che
si chiamavano Axuniiti, e eh' ora
si chiamano Abissini, si sa che fu-
rouo convertiti al cristianesimo da
s. Frumenzio, stato loro dato per
vescovo da s. Atanasio patriarca
d'Alessandria verso l'anno 329, e
che l'arianesimo non fece alcun
progresso fra essi. Sempre soggetti
al patriarca alessandrino , conser-
varono la fede pura sino al terzo
secolo, nei qual tempo furono tra-
scinati nello scisma di Dioscoro, e
negli errori di Eutiche, o de' Gia-
cobili (Vedi\. Essi vi perseverarono
perchè non ebbero altri vescovi, se
non quello che sempre loro fu spe-
dito dai patriarchi copti di Ales-
sandria successori di Dioscoro. Cre-
demmo opportuno questa specie di
riepilogo ed opinione del Bergier
per salvare possibilmente le tante
su questo argomento.
Il primo romano Pontefice che
si adoperasse a distorre gli etio-
pi od abissini dai loro errori, fu
Alessandro III, Bandinelli, e n'eb-
be occasione da un tal maestro Fi-
ETI
lippo, che portatosi in quelle par-
ti, e veduto che vi si professava
la religione cristiana, benché discor-
dante in molte cose dalla romana
Chiesa, risvegliò nel re di que' po-
poli , detto volgarmente il Prete
Gianni, un desiderio di conoscere la
verità. Questo principe volle per-
ciò spedire ai Papa Filippo, che il
trovò in Venezia per la pace con-
chiusa a mediazione del doge Zia-
ni coli' imperatore Federico I. Al-
lora Alessandro III, a' 27 settem-
bre 1177, gli scrisse una lettera,
nella quale paternamente gli di-
chiarò la consolazione provata in
sentire che il re ed i magnati del
reame bramavano di essere istrui-
ti ne' misteri della vera fede, sug-
gellandola col pontificio sigillo , e
consegnandola a Filippo. Nel for-
molario il Papa a consolazione del
re lo trattò come sovrano cattoli-
co, usando quella di Carissimo fi-
glio in Cristo, salute ed apostoli-
ca benedizione. Siccome il principe
aveva richiesto ad Alessandro III
una chiesa in Roma per la nazio-
ne etiopica, ed altra in Gerusalem-
me affine d' istruire nelle discipline
cattoliche gli etiopi che vi avrebbe
inviati , quindi si apprende a detto
anno dal Baronio, che Alessandro
III die la Chiesa e monistero di
s. Stefano deJ Mori ( Fedi), dietro
la basilica vaticana, alla nazione
etiopica. Non si riconoscono i ri-
sultati di siffatte relazioni. Certo
è che Papa Innocenzo IV del 1243
destinò i religiosi dell'Ordine dei
predicatori per missionari agli etio-
pi ed abissini, ed i successori di lui
scrissero premurose lettere ai prin-
cipi dell'Etiopia, cioè Alessandro IV
del 1254, il quale per ottenere
anche 1' unione co' greci aveagli
permesso ommeltere la parola Fi Ho-
ETI i39
que nel simbolo della fede ; Urba-
no IV del 1261, Clemente IV del
1265, Innocenzo V del 1276, e
Nicolò III del 1277, zelatore d'illu-
minare pure i greci sui loro errori.
Altrettanto pur fecero Nicolò IV
del 1 288, Benedetto XI del i3o3,
Clemente V del i3o5, e Giovan-
ni XXII del 1 3 16. Quest'ultimo ad
istanza di Carlo Roberto re d' Un-
gheria approvò l'ordine di s. Paolo
primo eremita della Tebaide, fiorito
nel terzo secolo. Tutti in somma
i nominati Pontefici furono solle-
citi della salute spirituale degli etio-
pi ed abissini. Il medesimo Giovanni
XXII, scrivendo al re di Etiopia, si
servì del titolo solito praticarsi co-
gli infedeli, cioè : gratiam in prae-
sentij quae producat gloriarli in fu-
turo j né meno sollecito della loro
conversione fu il Pontefice Urbano V,
che nel 1370 confermò i greci ed
altre nazioni orientali neli' ubbi-
dienza alla Chiesa romana.
Nell'anno i439 Eugenio IV ce-
lebrò il concilio generale di Fi-
renze, ed in esso pubblicò il de-
creto dell' unione de' greci co' la-
tini, alla presenza di quattro de-
putati del re di Etiopia Zara Gia-
cob. Intervenne pure al concilio Ni-
codeino abbate degli abissini, il
quale ammesso in quella sagra ed
augusta assemblea , vi pronunziò
una bella orazione , assicurando i
padri, che tanto lui, quanto il mo-
narca d'Etiopia altro ardentemen-
te non bramavano , che 1' unione
colla santa Sede. Fu dunque Eu-
genio IV il primo Papa a tentare
1' unione de' copti, invitando amo-
revolmente il loro patriarca Gio-
vanni al concilio, al quale avea
inviata la sua professione di ihi\^
a mezzo di Andrea abbate di s.
Antonio nell' Egitto, come abbia-
iio ETI
ino dal Labbé torri. XIII, ove ri-
portasi la lettera del patriarca, il
quale fra i titoli clie usa v' ha
quello di Etiopia. Quindi Euge-
nio IV nel i442 ebbe ^a paterna
soddisfazione di riunire alla catto-
lica Chiesa, ed alla sede apostoli-
ca i giacobiti, a' quali diede per
questo fine un istruttivo ed esem-
plare decreto, non che gli etiopi
col loro monarca Zara Giacob o
Jacopo, volgarmente detto il Pre-
te Gianni . 11 Rinaldi all' anno
i44!> num. 2, 3 e 4> tratta del
suddetto abbate Andrea ambascia-
tore de' giacobiti di Egitto, del pa-
triarca loro, e di Costantino im-
peratore d' Etiopia , non che del
suo compagno Pietro diacono ; par-
la pure dell'ambasciatore di JNi-
codeino abbate degli etiopi dimo-
ranti in Gerusalemme, il quale am-
basciatore, come Andrea, fece un'o-
razione al concilio per l' unione
delle due Chiese. All'anno i442>
num. 2 e 8, dice della condanna
delle eresie, che avevano contami-
nato l'Etiopia, l'Egitto e la So-
na , e dà altre analoghe notizie.
Dipoi, e mentre la crescente eresia
luterana poneva a soqquadro la
religione cattolica in Germania, e
lacerava l'animo di Clemente VII,
David re degli etiopi negando ub-
bidienza al patriarca di Alessan-
dria, collegandosi prima con Em-
manuele re di Portogallo, spedi al
Papa per suo ambasciatore il por-
toghese Francesco Alvarez, che
trovando Clemente VII in Bolo-
gna per coronare Carlo V, gli con-
segnò due lettere del re, nelle
quali lo riconosceva come capo del-
la Chiesa universale, e lo pregava
a sollecitare dai principi cristiani
la sua difesa contro i turchi, al
che il Pontefice rispose con espres-
ETI
sioni benigne. Narra il Terzi nella
Stria sagra, che l' imperatole Da-
vid , volendo decorare la chiesa
di Etiopia del suo primate, vi no-
minò Giovanni Bermodez , e fu
confermato con preminenza patriar-
cale. Il citato Rinaldi, all'anno 1 533,
num. 29 e 3o, riporta la sommis-
sione degli etiopi alla Chiesa ro-
mana, mediante pubbliche scrittu-
re promulgate in pieno concistoro.
Morto il re David, gli successe
Claudio suo figlio, che vedendosi
minacciato da' turchi, ricorse a Gio-
vanni III re di Portogallo, il qua-
le prima col Pontefice Paolo III,
e poi con Giulio III, e con s. Igna-
zio fondatore della compagnia di
Gesù, incominoiò a trattare di man-
dar nell' Etiopia dodici gesuiti , e
di costituirne uno patriarca del-
l'Etiopia, e due altri in coadiutori
con futura successione. Giulio III
fece pertanto patriarca il p. Gio-
vanni Nugnez Bareto portoghese,
di detta compagnia, per nomina
del re Giovanni III, ed in coadiu-
tori Andrea Oviedo, e Melchior-
re Carnero. Non andò guari che
Claudio mostrò la sua contrarietà, il
patriarca non potè entrar in Etiopia,
ed avendovi penetrato l'Oviedo fu
bersaglio di persecuzioni, senza po-
ter giovare alla religione. Al Nugnez
successe sotto Gregorio XV, come
diremo, il p. Alfonso Mendez, che
poscia pel troppo suo zelo ne fu
espulso. Claudio nel i55o; fu uc-
ciso, ed il suo fratello Neva che
salì al trono, si mostrò talmente
nemico della Chiesa romana , che
avendo fatto imprigionare l'Ovie-
do, meditava di farlo uccidere ; ma
essendo morto nel i562, gli suc-
cesse il figlio Serezza Dengal , il
quale benevolo coi cattolici, asse-
gnò loro certi luoghi per vivere
ETI
pacificamente ne' loro riti. Frattan-
to terminandosi in Trento la ce-
lebrazione del concilio generale, il
Papa Pio IV con sue lettere esor-
tò il re Serezza ad inviarvi amba-
sciatori ; e bramoso di riunire i
copti alla vera fede, perchè col lo-
ro patriarca seguivano gli antichi
errori, spedì a Gabriele patriarca
XGV , il p. Cristoforo gesuita, ma
senza fruito, sebbene si fosse di-
mostrato desideroso di rinnovare
1' unione colla santa Sede. Il Pon-
tefice s. Pio V scrisse al pio re
Sebastiano di Portogallo , ed allo
zio Cardinal Enrico, che poscia di-
venne re, per interporsi col re de-
gli etiopi ; ma vedendo la ripu-
gnanza di quel principe e di quei
popoli, comandò al patriarca Ovie-
do di trasferirsi nel Giappone, ma
non potendo uscire dall' Etiopia ,
dovette passare una vita misera-
bile in Fremona nei regno di Ti-
gre, ove successivamente morirono
i suoi compagni. Gregorio X1IF ,
che successe a s. Pio V, zelante
della propagazione del vangelo, con
opportune esortazioni e grazie spi-
rituali confortò il patriarca Ovie-
do. Nel 1 597 mori in Etiopia il
p. Lupi gesuita, e tentando i suoi
confratelli di penetrarvi furono uc-
cisi dai turchi , fatti padroni di
molti porti del paese. Tutta volta
nel i6o3 riuscì al p. Paes d' in-
trodursi a Fremona , ove ammae-
strò alcuni giovani portoghesi nel-
le verità cattoliche, ciò che sapu-
tosi dal re Zadanghel, volle inter-
venire alle loro dispute, ed ascol-
tar la messa nel rito romano, non
che la predica, restando pieno di
divozione per la santa Sede. Com-
mise quindi al p. Paes, di scrive-
re al Papa che gli mandasse un
patriarca, ciò che fece egli stesso :
ETI 141
ma r Abuna o metropolita, aven-
do promossa la ribellione , il re
venne ucciso.
Susneo ascese al trono , e per
acquistarsi l'amicizia de' portoghesi,
accarezzò i gesuiti, e richiamò a
corte il Paes. Scrisse al Papa per
aver missionari, mentre il fratello
Zela pubblicamente professava il
cattolicismo , seguito da molti etio-
pi. Vedendosi poi dal re che i ge-
suiti riuscirono vittoriosi nelle di-
spute sulle due nature di Gesù Cri-
sto, comandò con editto che ad
esse dovesse credersi. Represse i
monaci, gli ecclesiastici , e il me-
tropolitano che perciò avevano co-
spirato contro la sua vita ; indi
ordinò l'osservanza del sabba to, ed
allontanandosi dagli antichi errori,
si confessò all' uso della Chiesa ro-
mana, licenziò le concubine, e for-
malmente dichiarò non riconoscere
altra sede che la pontificia, e che
al solo Papa ubbidiva. Queste cose
saputesi a Roma, Gregorio XV che
avea istituito per dilatare e pro-
pagare la fede la congregazione di
Propaganda , istituto che riconosce
la sua infanzia da Gregorio XII l
( il quale avea data l' ispezione
in ciò che risguardava l'Egitto e
l'Etiopia a tre Cardinali), nel con-
cistoro de' 19 dicembre 1622, creò
patriarca di Etiopia il gesuita p.
Alfonso Mendez, il quale fu corte-
semente ricevuto dal re Susneo,
che colla famiglia imperiale, e con
tutto il regno giurò fedeltà al ro-
mano Pontefice , e fece edificare
una chiesa pel patriarca. In pro-
gresso essendo insorti gravi tumulti,
perchè i popoli amavano le anti-
che abitudini, il re ebbe la debo-
lezza di ripristinare lo scisma ales-
sandrino, con dire che la Chiesa
alessandrina era la stessa clie la
142 ETI
romana, e perciò ognuno potesse
conoscere per suo pastore quel pa-
triarca. Tutti i grandi spiegarono
la loro contrarietà ai gesuiti, e do-
po la morte di Susneo gli euro-
pei furono banditi dall' Etiopia, ed
il Mendez fu l' ultimo patriarca
che pose piede in queste regioni.
Urbano Vili intese con dolore tali
avvenimenti, come quello che avea
ricevuto il solenne giuramento del-
l'Etiopia, di ubbidienza alla roma-
na Sede : però ebbe la consolazio-
ne di ricevere una lettera di som-
missione da Matteo patriarca dei
copti. Aggiungiamo col Terzi, che
successore al Mendez fu nominato
il patriarca Apollinare d'Almeida,
che vi fu trucidato nel i638, e
che di poi il re di Portogallo Pie-
tro II nominò primate il p. Luigi
de Silva.
Riuscirono inutili le sollecitudi-
ni di Innocenzo X in favore degli
etiopi, ma sotto il successore Ales-
sandro VII si concepì speranza di
veder tornare all'ubbidienza del Pa-
pa il patriarca alessandrino, per-
chè gli avea scritto con venerazio-
ne, e perchè a mezzo del p. Sa-
lemme de'riformati avea emessa la
professione di fede, avea confessa-
ta l'unione delle due nature in
Gesù Cristo realmente distinte in
umana e divina, ed unite in una
divina persona, e professata avea
ubbidienza alla santa Sede. Ma la
paura de'turchi, e la solita mali-
zia ed incostanza degli etiopi, tolse
questa allegrezza alla Chiesa. Mos-
so a compassione degli etiopi In-
nocenzo XII, donò per le missio-
ni di tante anime abbandonate
cinquanta mila scudi, laonde furo-
no dichiarati missionari dell'Etio-
pia i pp. riformati francescani di
s. Pietro Montorio di Roma, ve-
ETI
nendo nominato superiore della
missione il suddetto p. Sa lem me,
che dal Papa fu inviato nell'Egit-
to con lettere apostoliche, e gene-
rosi donativi pel patriarca, acciò
si riunisse alla cattolica comunione.
Le lettere e i doni furono a lui
consegnati, ma egli si contentò ri-
spondere, che nutrendo sentimen-
ti di unità, non poteva effettuarli
per le guerre che allora ardevano
nell'Egitto, e per la disunione dei
principali della nazione; laonde la
congregazione di Propaganda fide,
si limitò a mandar missionari al
Cairo. Con apostolico zelo Clemen-
te XI, oltre che sull'Egitto, prese
sollecitudini stili' Etiopia, esortan-
do il re Dodemannt, affinchè se-
guendo l'esempio del genitore, che
mostrava prima di morire propen-
sione ad unirsi alla Chiesa ro-
mana, professasse eguali sentimenti,
e definitivamente effettuasse la bra-
mata riconciliazione, al quale fine
gli mandò il p. Giuseppe, minore
riformato di s. Francesco, che cal-
damente raccomandò all'arcivesco-
vo di Etiopia, ed all'abbate gene-
rale de'monaci di s. Antonio. Va-
rie volte la santa Sede tentò in-
viare in Etiopia i carmelitani, i
cappuccini e i suddetti religiosi ; ma
tutti furouo mal visti, venendo
uccisi molti missionari dai turchi,
ed anche dagli etiopi. Sono pur
noti gli inutili sforzi fatti eziandio
dai re di Portogallo, per ricondurre
questi popoli alla fede della Chie-
sa, essendo una delle principali
difficoltà l'ignoranza de'medesimi.
Le ultime notizie ecclesiastiche
dell'Etiopia sono, che da circa un
mezzo secolo nell'Abissinia non era
entrato alcun missionario cattolico.
Riuscì finalmente nel i838 al si-
gnor Giuseppe Sapeto, prete della
ETR
congregazione della missione, di
penetrarvi accompagnalo dai dnc
benemeriti cavalieri Abbadie, che
colà viaggiavano per oggetto scien-
tifico. Il missionario trovò delle
buone disposizioni, ne gli fu mol-
to difficile d'insinuare, e far gu-
stare le massime più essenziali del
caltolicismo. Quindi recandosi in
Europa uno de' cav. Abbadie, gli
furono affidati due abissini, e fra
questi un monaco con la commissio-
ne di presentare al regnante Pon-
tefice Gregorio XVI gli omaggi di
quel clero, al modo che dicemmo
al citato articolo Abissini.*. Al Sa-
peto vennero aggiunti due altri
distinti missionari della medesima
congregazione di s. Vincenzo di
Paoli, vale a dire il signor De
Jac( bis, già superiore della casa di
Napoli , dichiarato prefetto della
missione, ed il sig. Luigi Montuori.
Arrivati al loro destino, il primo
si stabilì in Adua, ed il secondo
a Gondar città capitale dell' Abis*
sinia; inoltre il signor Sapeto pns-
sò fra i Gallas, per profittare delle
buone disposizioni che que' popoli
infedeli mostravano verso il cato-
licismo. Della deputazione di etiopi
spedita al medesimo Papa che re-
gna dal signor del Tigre, ed accom-
pagnata in Roma nel 1 84 1 dallo
stesso signor De Jacobis, se ne trat-
ta al volume XIII, pag. 4^ del
Dizionario. Nel 1839 'a sag> a con-
gregazione di Propaganda co' suoi
tipi pubblicò una chiara e prezio-
sa Istruzione sulla dottrina della
Incarnazione per uso degli abissini t
dietro le traccie che su questo cat-
tolico domina voleva compilare
monsignor Lercari, onde agevolare
ad essi, ai copti ed agli etiopi il
ritorno alla Chiesa cattolica.
ETREES Cesare, Cardina le. Ce-
ETR 143
sare Etrees, o d'Estrees, nacque nel
16*27, ^i nobilissima famiglia dedu-
cili di questo nome, in Parigi. De-
dicatosi nella tenera età allo stato
ecclesiastico, ebbe dal re di Fran-
cia l' abbazia di s. Germano, e nel
i655 il vescovato di Laon nella
Piccardia e l'abbazia di Staffardn.
Nel 1660 raccoltasi l'assemblea del
clero, egli compose gli animi divi-
si per insorte quistioni col nunzio
pontificio, e conchiuse la pace. Il
re cristianissimo in seguito a tanto
merito, gli conferì altre insigni ab-
bazie e lo creò commendatore del-
l'ordine dello Spirito Santo. Cle-
mente X nel 1671, a'24 agosto, lo
assunse alla dignità di Cardinale
per le istanze del re di Francia,
e della vedova regina di Portogal-
lo di cui era stretto parente^ e
gli assegnò il titolo della santissi-
ma Trinità nel Montepincio; ol-
tre a ciò lo costituì ancora pro-
tettore e ministro del Portogallo
presso la santa Sede. Nel pon-
tificato d'Innocenzo XI, l'anno 1 68 r ,
si trasferì di nuovo in Parigi per
finire molte controversie eccitatesi
per le regalie tra il Papa e Lui-
gi XIV. Eletto Clemente XI, sta-
bilì la sua dimora in Roma, e gio-
vò assai il Papa nel trattare rile-
vantissimi affari colla repubblica
veneta e con altri principi d'Italia,
del pari che nelle dissenzioni di bel
nuovo insorte nel clero di Francia.
Dopo la morte del di lui fratello
ambasciatore di Francia presso la
santa Sede, fu surrogato in qnell'uf-
zio, e destinato insieme a seguire
Filippo V re di Spagna e disporre
gì' interessi di quel vasto dominio.
Nel i665 celebrò le nozze di Ma-
ria di Nemours, sua nipote, col du-
ca di Savoja Carlo Emanuele ; e
nell'anno seguente quelle di Maria
i44 euc
Francesca Elisal>elta, altra nipote,
con Alfonso re di Portogallo. Di-
messo il suo primo titolo, fu tra-
sferito da Innocenzo XII al vesco-
vato di Albano. Ivi assegnò la cu-
ra del seminario a' religiosi delle
scuole pie, e molto operò al bene
spirituale di quella diocesi. Versa-
to, com'era, nelle scienze e nelle
lettere, dolce e gentile del tratto,
lepido assai nel conversare, veniva
da tutti amato e molto venerato;
cosicché la sua morte, accaduta in
Parigi nel 1 7 1 4^ produsse molto
duolo nell'animo di ciascheduno.
Ebbe la tomba nella chiesa di s.
Germano ed una prolissa iscrizione.
EUBERTO (s.). Fu compagno
Euherto nelle evangeliche fatiche
di s. Piatone apostolo di Tournay.
Nel terminar del terzo secolo sof-
ferse varie torture, e finalmente fu
martirizzato. Le virtù da lui pra-
ticate, ed il martirio sostenuto gli
procurarono nelle Fiandre un ce-
lebre culto. Con molta venerazio-
ne si conservano a Lilla le sue re-
liquie. Nel martirologio romano
viene assegnata la di lui festa il
dì primo febbraio.
EUBOLO (s.), martire di Pale-
stina. Nel settimo anno della per-
secuzione di Diocleziano, Eubolo
partito da Mangane per recarsi a
Cesarea, onde visitare i confessori
del vangelo, venne alle porte del-
la città interrogato quale fosse l'og-
getto che il conduceva. Non esitò
«gli punto a dichiararlo, e tosto
dal governatore fu ordinato che
fosse straziato il suo corpo con un-
ghie di ferro, e condannato per
ultimo alle fiere. Sostenne egli con
invitto coraggio il martirio il dì 5
marzo dell'anno 309, ed in tal
giorno si ricorda la sua festa.
EUC ARISTI A ( Eucharislia ) .
EUC
Sagramcnto o mistero della nuova
legge, in cui Cesò Cristo fece ri-
splendere con tanta magnificenza
la sua divina sapienza, la sua su-
blime possanza, e la sua adorabi-
le carità. La santa eucaristia è il
più grande miracolo dell' onnipo-
tenza divina; perocché essa è la
conlinuazione del mistero ineffàbi-
le della sua incarnazione,, e della
sua dimora tra noi. E un mistero
che le creature non avrebbero mai
riguardato come possibile, median-
te la divina rivelazione, se veduto
non lo avessero ad elfettuarsi. Ma
è insieme un mistero tanto più
degno di un Dio infinito in tutto
ciò ch'egli è, quanto esso supera
infinitamente le intelligenze create,
le più sublimi in iscienza e lu-
mi, siccome esprimono i teologi.
La santissima eucaristia è un sa-
grifizio e un sagramento in cui
Gesù Cristo esaurisce tutto il suo
amore per gli uomini. Gesù Cri-
sto istituì la santa eucaristia, per
rendere perenne la memoria del
cruento sacrifizio da esso offerto
una volta sul Calvario, e perchè
ella ne fosse un sagrifizio memo-
rativo, benché sia insieme un sa-
grifizio reale, incruento, od una
rinnovazione del sagrifizio della
croce, senza spargimento di san-
gue, affine di rendere permanente
e continua l'applicazione de' suoi
frutti. Egli lo ha stabilito come
un sagramento, od un segno sa-
gro di sua presenza, nascosta sot-
to veli misteriosi, ai quali si dà
il nome di specie o di accidenti,
benché il contengano realmente ;
dappoiché egli vi è in modo in-
visibile ed inaccessibile ai nostri
sensi, onde adattarsi alla debolez-
za nostra.
A cagione, e per rispetto e ve-
EUC
Iterazione di questo sublime argo-
mento, ci limiteremo a qui riu-
nire le principali erudizioni che
lo riguardano, anche nel riflesso
che in molti articoli del Diziona-
rio si tratta della ss. eucaristia,
come Messa, Ostia, Vino, Sangue
prezioso di Gesù Cristo, ec ec.
Della celebrazione della sua festa
sì può vedere il voi. IX, pag. 44
e seg. ; della consacrazione della
ss. Eucaristia, se ne tratta al voi.
XVI, pag. 3o4 e seg. ; de' luoghi
ove custodivasi, ed al presente si
custodisce, oltre all' articolo Cibo-
rio, possono leggersi Pisside, Ta-
bernacolo, Calice ec, e principal-
mente all'articolo Comunione sono
molte nozioni sulla ss. eucaristia,
giacche trattammo al § I. Comu-
nione eucaristica, o sacramentale.
§ II. Comunione sotto le due spe-
cie. § III. Comunione Pasquale.
§ IV. Comunione de3 fanciulli.
§ V. Comunione degli infermi .
§ VI. Principali disposizioni alla
Comunione, e della Comunione
frequente, § VII. Delle cerimonie
ed usi antichi della Comunione.
Da questo breve riepilogo si com-
prenderà di leggieri, come molti
interessanti punti sulla ss. eucari-
stia, già furono trattati ne' luoghi
citati.
§ I. Nomi, definizione, figure, e
verità dell' eucaristia, e presen-
za reale in essa di Gesù Cri"
sto; decreti de3 concili su questo
sagramento.
Il sagramento augusto dell'eu-
caristia ha varie denominazioni .
i.° Chiamasi Eucaristia con voce
greca, che significa azione ó ren-
dimento di grazie, a buona gra-
zia : dicesi rendimento di grazie,
\OL. XXII.
EUC i45
perchè Gesù Cristo rese grazie a
Dio istituendolo. Leggiamo nei
vangeli, che Gesù Cristo nella vi-
gilia della sua morte, corrispon-
dente al giovedì santo, fatta la cena
co' suoi apostoli, prese del pane
e del vino, rese grazie a suo Pa-
dre, benedisse il pane, lo spezzò,
distribuillo ai suoi apostoli, loro
dicendo: prendete, mangiate, que-
sto e il mio corpo ; di poi diede
loro il calice del vino, e loro dis-
se: bevetene tutti, questo e il mio
sangue ec, fate questo in memo-
ria di me, laonde dicesi grata me-
moria. L'eucaristia è il principale
mezzo con cui noi cristiani rendia-
mo grazie a Gesù Cristo del se-
gnalato benefizio della redenzione.
Dicesi buona grazia, perchè contie-
ne realmente Gesù Cristo, sorgen-
te di tutte le grazie. 2.0 Si chia-
ma Eulogia o benedizione (Vedi)
perchè Gesù Cristo impiegò la be-
nedizione istituendolo, e perchè i
sacerdoti della nuova legge la u-
sano ancora consagrandolo. 3.° Si
chiama il Santo de Santi, il corpo
6 il sangue di Gesù Cristo, perchè
rinchiude e l'uno e 1' altro. 4«
Chiamasi Pane (Vedi) a motivo
della sua materia ; e frazione del
pane per la maniera colla quale
si distribuisce. 5.° Chiamasi co-
munione, comunicazione, sinossi,
tanto perchè ricevendo noi questo
sagramento ci comunichiamo con
Gesù Cristo, e con i fedeli, quan-
to perchè per riceverlo si usa di
riunirsi in uno stesso luogo. Dice
il Macri che chiamasi Synaxis, in
significato di assemblea o radunan-
za, perchè i fedeli si congregavano
nei primi secoli nelle case private
per ricevere l'eucaristia, nel tem-
po delle persecuzioni, come adesso
si fa nelle chiese. 1 greci sono
io
i46 EUC
quelli che particolarmente appella-
no Sinassi (Pedi); la celebrazione
di questo mistero, e lo chiamano
Euhgia, mentre le altre sette o-
ricntali lo chiamano Anforas cioè
oblazione. Il Piazza nel suo Menolo-
gio aggiunge, che dicesi Comunione
perchè in esso si comunica ai cri-
stiani il corpo e il sangue del Re-
dentore. 6." Chiamasi vita e salu-
te perchè contiene Gesù Cristo ,
l'autore della vita spirituale delle
nostre anime, e della nostra salu-
te. 7.0 Chiamasi ftalico (fedi),
perchè è un nutrimento che sostie-
ne e fortifica i fedeli nel pellegri-
naggio di questa vita, e soprat-
tutto perchè si dà per provvisione
nel passaggio pericoloso di questa
all'altra vita. 8.° Si chiama Cena
del Signore (fedi), perchè è un
banchetto divino di Gesù Cristo
colla Chiesa; perchè Gesù Cristo
l'ha istituito la sera dopo la cena
legale, e perchè è una commemo-
razione dell' ultima cena di Gesù
Cristo. 9.0 Si chiama Pasqua ( Ve-
di), perchè fu istituito al tempo
pasquale, e perchè contiene Gesù
Cristo nostra vera pasqua, io.0
Chiamasi la tavola del Signore,
perchè Gesù Cristo stava seduto a
tavola allorquando lo istituì. 1 r.°
Chiamasi Augustissimo Sagrameli-
lo, ed il Sagramenlo del nuovo
Testamento per eccellenza, e per
i profondi misteri in esso racchiu-
si. Di cesi Santo Sagramenlo, e
presso i greci santi misteri, perchè
questo è il più augusto dei segni
stabiliti da Gesù Cristo per do-
narci la grazia. 12.0 Dicesi Ostia,
perchè si offerisce al Padre Eterno
l'ostia viva dell'unigenito suo fi-
gliuolo. i3.° Dicesi Sagrifizioj per-
chè in esso si fa il vero ed incruen-
to sagrifizio dell'Agnello immaco-
EUC
lato. [4° Si chiama metalessi,
vale a dire assunzione, perchè in
certo qual modo c'innalza al di
sopra di noi stessi, per unirci a
Gesù Cristo; o partecipazione, per-
chè ci fa partecipi della divinità;
o transmutazione e transustanzia-
zione, perchè il pane e il vino
sono cambiati fisicamente nel cor-
po e nel sangue di Gesù Cristo,
e perchè i fedeli che lo ricevono
sono cambiati e trasformati spiri-
tualmente in lui. Dice il Macri
che Eucharistia Hierarchica vie-
ne chiamato il simbolo della fede
da s. Dionisio; e che questo me-
desimo vocabolo di Eucaristia ap-
presso s. Cipriano significa qualsi-
voglia sagramento.
I teologi definiscono l' eucaristia
un sagramento della nuova legge,
che contiene sotto le specie del pane
e del vino, il corpo e il sangue di
Gesù Cristo, per la refezione spi-
rituale del cristiano, secondo l'isti-
tuzione di Gesù Cristo stesso. È
un articolo di fede che l'eucari-
stia sia un sagramento, avendolo
cosi definito il concilio generale
lateranense IV, celebrato dal Pon-
tefice Innocenzo III, nel capit. de
summa Trinit., e nel concilio di
Trento cap. 1 e 2. Dei decreti
de' concili sulla eucaristia, ne par-
leremo al termine di questo para-
grafo. Quantunque poi l'eucaristia
sia composta di due materie, le
quali sono il pane ed il vino, e
di due forme, l'ima per la consa-
grazione del pane e l'altra per
quella del calice o del vino, non è
però che un solo sagramento, per-
chè forma un solo convito, e per-
chè la moltiplicità di materie e di
forme non basta nella nuova leg-
ge, onde ne risulti una moltiplici-
tà di sagramenti . Sulle figure
EUC
dell' eucaristia, i teologi ne distin-
guono quattro. Le prime spettano
alla sua materia, cioè al pane ed
al vino: e tali erano il pane ed
il vino che Melchisedech offrì in
sagrifìzio; i pani di proposizio-
ne; quelli delle primizie; il pa-
ne cotto sotto la cenere, che man-
giò il profeta Elia. Le seconde fi-
gure spettano al corpo ed al san-
gue di Gesù Cristo: e tali erano
tutti i sacrifizi antichi. La terza
specie di figure rappresentava l'ef-
fetto dell'eucaristia: tale era l'al-
bero della vita, e la manna. La
quarta specie di figure rappresen-
tava 1' eucaristia tutta intiera : tale
era la pasqua, o 1' agnello pasquale
degli ebrei, che Gesù Cristo man-
giò la vigilia della sua morte co-
gli altri ebrei, siccome può veder-
si all'articolo Pasqua. Sulla verità
dell' eucaristia poi, o presenza rea-
le di Gesù Cristo in questo sa-
gramento, due specie d'eretici in-
sorsero. Gli uni l'hanno combat-
tuta indirettamente, e sono quel-
li, i quali hanno negato che Ge-
sù Cristo abbia avuto un vero
corpo : tali sono stali i discepoli
di Simone, di Menandro, di Ma-
nete ec. Gli altri hanno negato
direttamente la presenza reale : e
questi sono stati Giovanni Scoto
Erigene , Berengario , Pietro di
Bruis, i gnostici, i montanisti, i
priscillanisti, gli artoriti, i giaco-
bini, gli ebioniti, gli encratiti , i
pepuziani, i collirio1 ia ni , i catari ,
gli albigesi, i viclefisti, i valdesi,
i cariciani, i pauliciani, i calvini-
sti, i sociniani ec, come si può
vedere a' loro articoli. I luterani
poi ammettono la presenza reale,
ma negano la transustanziazione, e
vogliono la impanazione, cioè la coe-
sistenza del corpo di G. C. col pane.
EUC 147
Gesù Cristo può essere presen-
te in tre maniere Dell' eucaristia :
i.° per impanazione, ch'è l'unione
ipostatica del Verbo divino col pa-
ne; 2.° per consustanziazione, ch'è
la presenza locale del corpo di Ge-
sù Cristo col pane, di modo che
sussistono ambedue, senza alcun
cambiamento di sostanza, nel me-
desimo sagramento; 3.° per tran-
sustanziazione, ch'è il cambiamento
fisico della sostanza del pane e del
vino nel corpo e nel sangue di
Gesù Cristo ; ed è così che il di-
vino Salvatore è presente realmen-
te nella santa eucaristia. Seguono
alcuni de'principali canoni e de-
creti de'concili sull'eucaristia.
« Non si conserverà il eorpo di
» Nostro Signore più di otto gior-
» ni : né sarà portato agli infer-
» mi che da un sacerdote o da
>» un diacono ". Concilio di Lon-
dra an. 1 1 38, can. i.
t* Non si darà l'eucaristia tern-
» piata, sotto pretesto di rende-
» re più completa la comunione".
Id. il 75, can. 16. 11 che prova,
che fin d'allora l'uso più comune
era di non comunicare che sotto
le specie del pane.
« Non si consacrerà la ss. euca-
» ristia, che in un calice di oro
» e di argento, e non di stagno ".
Id. can. 17.
« Non si porrà il corpo del Si-
» gnore senza lumi, croce e ac-
» qua benedetta, e senza che vi
« sia un prete presente, fuori del
» caso di estrema necessità ". Con-
dì, di Roano an. 1190, e. 3. Lo
stesso canone del concilio di Yorck,
an. 1 195, can. 1.
Canoni di dottrina. « Nel sa-
« grifizio dell'eucaristia, Gesù Cri-
» sto è egli stesso il sacerdote e
» la vittima. Il suo corpo e il suo
i48
EUC
••> lancile sono veramente conte-
n nuli nel sagramento dell' aitine.
» Il pane essendo transostanziato
» nel corpo, e il vino nel sangue
» per onnipotenza divina; e que-
» sto sacramento non può essere
» fitto che dal sacerdote ordina-
» lo legittimamente , in virtù del
»* potere della Chiesa, accordato da
»» Gesù Cristo agli apostoli e a'ioro
» successori". IV concil. gen. La-
ter, an. i2t 3, e. i.
« Se alcuno negherà, che il cor-
>* pò del Nostro Signore Gesù Cri-
»> sto, coll'anima e colla divinità,
» e per conseguenza Gesù Cri-
» sto tutto intero, non sia conte-
» mito veramente, e realmente, e
» sostanzialmente nel sagra mento
» della ss. eucaristia; ma dirà che
» vi sia solamente come in un
» segno, oppur in figura e in vir-
»> tu, sia anatema ". Concil. di
Trento, sess. i3, can. i.
« Se alcuno dirà, ehc la so;
» stanza del pane e del vino ri-
ti mane nel ss. sagramento del-
« l'eucaristia, insieme col corpo e
« sangue del Nostro Signore Ge-
» su Cristo, e negherà questa con-
» versione ammirabile e singola-
» re di tutta la sostanza del pane
» nel corpo, e di tutta la sostan-
» za del vino nel sangue di Gc
« su Cristo, non restando sola-
» mente che la specie del pane e
m del vino, la qua! conversione è
» chiamala dalla Chiesa cattolica
« coi nome proprissimo di transu-
« stanziazione, sia anatema ".Can. 2.
« Se alcuno negherà , che nel
» venerabile sagramento dell' euca-
» ristia, Gesù Cristo tutto intero
« sia contenuto sotto ciascuna spe-
» eie, e sotto ogni parte di cia-
» scuna specie dopo la separazio-
» ne, sia anatema". Can. 3.
EUC
« Se alcuno dirà, che dopo l'al-
ti la consa grazi one, il corpo e
iì sangue del Nostro Signore
Gesù Cristo non è nell'ammi-
rabile sagramento della eucari-
stia, ma che v'è solamente nel-
l'uso, mentre si riceve, e non
prima né dopo; e che nell' ostie
o particole consagrate, che si
conservano, o che restano dopo
la comunione , non rimane il
vero corpo di Nostro Signore,
sia anatema ". Can. 5.
» Se alcuno dirà, che il frutto
principale della ss. eucaristia è
la remissione de'peccati, o che
ella non produce altri effetti, sia
anatema ". Can. 5.
« Se alcuno dirà, che Gesù Cri-
sto, figliuolo unico di Dio, non
deve essere adorato nel sagra-
mento dell'eucaristia con culto
di latria, nemmeno esteriore; e
che per conseguenza non biso-
gna nemmeno onorarlo con una
festa solenne e particolare, né
portarlo con pompa e con ap-
parato nelle processioni, secon-
do il lodevole costume e l' uso
universale della santa Chiesa, o
che non bisogna esporlo pub-
blicamente al popolo per essere
adorato, e che quelli che lo a-
tlorano sono idolatri, sia anate-
ma ". Can. 6.
« Se alcuno dirà, che non è
permesso conservare l'eucaristia
in un vaso sacro, ma che su-
bito dopo la consacrazione bi-
sogna necessariamente distribuir-
la agli astanti, o che non è
permesso di portarla con onore
e rispetto agl'infermi, sia ana-
tema ". Can. 7.
« Se alcuno dirà , che Gesù
Cristo presentato nell'eucaristia,
è mangiato soltanto spiritualmen-
EUG
» le, e non così sagrnmentalmen-
» te e realmente, sia anatema".
Can. 8.
« Se aldino negherà, che ogni
» e ciascuno de'fedeli cristiani del-
» l'uno e dell'altro sesso, essendo
» giunti all'età della discrezione,
» sieno obbligati a comunicarsi
» ogni anno, almeno da Pasqua,
»■ secondo il comandamento della
» nostra santa madre la Chiesa,
6 sia anatema ". Can. 9.
« Se alcuno dirà, che non è
» permesso a un sacerdote cele-
' beante di comunicarsi da sé,
» sia anatema ". Can. io.
« Se alcuno dirà, che la «ola
» fede è una preparazione baste-
« vole per ricevere la ss. eucari-
>■ stia, sia anatema ". Can. ti.
«.- E per impedire, che un tati-
*s to sacramento non sia ricevuto
» indegnamente, e in conseguenza
» a condannagione, il concilio or-
» dina e dichiara, che quelli che
* si sentono la coscienza aggrava-
ta da qualche peccato mortale,
' per quanto si credano contriti,
* sono necessariamente obbligati,
» se possono avere un confessore,
» di far precedere la confessione
» sagrarnentale; e se alcuno aves-
•> se la temerità d'insegnare o di
* sostenere il contrario in pubbli-
» ca disputa, sia da quel punto
» scomunicato ". Can. 12.
§ II. Materia, forma , proprietà,
necessità, effetti, e disposizioni
per la ss. eucaristia.
La materia necessaria dell'euca-
ristia, senza la quale non si può
consacrare validamente, è il pane
di frumento, ed il vino di vite.
Era pane di frumento, e vino di
vile, che Gesù Cristo consagrò, e
EUC 149
che comandò agli apostoli. Perchè
il pane possa essere validamente
consagrato, bisogna che sia sensi-
bile e presente al sacerdote d'una
presenza fìsica e morale. Gesù Cri-
sto non avendo determinato la
quantità del pane, che il prete può
validamente consagrare, tutto il
pane che trovasi a lui moralmen-
te presente, può essere da lui con-
sagrato. Il pane azimo o senza
lievito, ed il pane fermentato o
con lievito, sono egualmente buo-
ni per la validità della cousagra-
zione; nulladimeno il pane azimo
sembra più conveniente. I dotti
sono divisi sull'uso del pane azimo,
e del pane fermentato nella Chie-
sa greca e nella latina. Che il pane
di grano sia materia valida, non
vi è questione. La questione sta
se Nostro Signore consagrasse nel-
l'azimo o nel fermentato. La Chie-
sa greca usò il secondo, e la la-
tina il primo. Bisogna mischiare
un poco d'acqua col vino nella con-
sagi azione; ma questo miscuglio
d'acqua non è altro se non un
precetto ecclesiastico fondato sul
fatto da Gesù Cristo, come si ha
dalla tradizione de'padri. È -mol-
to probabile, quantunque non sia
di fede, che l'acqua si cangi, come
il vino, nel sangue di Gesù Cristo;
ma questa è questione da lasciar-
si ai teologi.
La forma dell'eucaristia, comu-
nemente dai teologi si fa consiste-
re (vale a dire la forma essenzia-
le della consag razione) nelle sole
parole evangeliche: Questo b il mio
corpo, questo è il mio sangue, le
quali parole dai santi padri sono
chiamate preghiera, invocazione e
benedizione. Iu quanto alla pro-
prietà dell'eucaristia, i teologi spie-
gano se devesi adorare, se consi-
i5o EUC
ste solamente nell'uso, dimodoché
Gesù Cristo non sia più presente
dopo la comunione attuale; se è
necessaria, e come Io sia. Quindi
all'crmano che si deve adorare l'eu-
caristia interiormente ed esterior-
mente, poiché contiene Gesù Cri-
sto tutto intero, il quale è adora-
bile in qualunque luogo si trovi,
e perchè la Chiesa lo ha sempre
adorato. Gesù Cristo è nell'euca-
ristia fuori del tempo della comu-
nione attuale, e per conseguenza
questo sagramento non consiste nel
solo uso, ma in una cosa perma-
nente, perchè il divin Salvatore ha
detto le surriferite parole: Questo
è ec, prima che gli apostoli si co-
municassero. D'altronde la Chiesa
ha riservata l'eucaristia in tutti i
tempi, perchè fosse mandata dai
Pontefici a' vescovi lontani, come
il sigillo della reciproca comunio-
ne, acciò i fedeli la portassero nelle
loro case per nutrirsene in parti-
colare, per portarla agli infermi,
per portarla in viaggio, per servi-
re alla messa de' presantificati, che
celebrasi presso i greci in tutti i
giorni di digiuno, e presso i lati-
ni uua volta l'anno, nel venerdì
santo, come si disse al citato ar-
ticolo Comunione. In quanto al por-
tare in viaggio la ss. eucaristia, al
seguente articolo, Eucaristia porta-
ta avanti ai Papi nt viaggi (Fedi),
si dirà che Stefano II detto III fu
il primo Papa che valicando le
Alpi si facesse precedere da essa, e
che questo rito essendosi anche
talvolta praticato nelle solenni ca-
valcate de' Pontefici pel solenne
possesso, cessò ne'possessi dopo Leo-
ne X, il quale fu l'ultimo Papa
che lo prese con essere vestito chi
faceva parte della cavalcata, e che
ne aveva 1' uso, cogli abiti sagri
EUC
e colle mitre ; mentre Benedetto
XIII fu l'ultimo che l'usò nei viag-
gi nel modo che si dirà. Sulla
necessità dell' eucaristia, dicono i
teologi, che non è di necessità di
mezzo, perchè il battesimo basta
solo per la salute dell'anima : que-
gli che crederà e sarà battezzalo
sarà salvo j ma è necessaria agli
adulti per il precetto divino, e per
il precetto della Chiesa, che pre-
scrive a'fedeli di comunicarsi al-
meno una volta l'anno, alla Pa-
squa, per adempirlo. Circa agli ef-
fetti di questo sagramento, s. Tom-
maso ne attribuisce tre principali,
cioè la remissione de' peccati, la
grazia e la gloria. Per i peccati
s'intendono i veniali, non imme-
diatamente, ma a mezzo degli at-
ti fervorosi di carità, che l'uomo
fa pe' soccorsi che riceve da Dio
in virtù del sagramento. Per la
grazia s'intende quella che aumen-
ta e conferma quella ricevuta dal
battesimo e dalla penitenza , la
quale di giusto rende ancora l'uo-
mo più giusto ; quella che nutre
spiritualmente l' anima di coloro
che si comunicano, che gli unisce
strettamente a Gesù Cristo, e li fa
vivere della sua vita; che produce
finalmente la gloria e la vita e-
terna, in quanto che somministra
diritti e soccorsi particolari per
giungervi, quantunque non operi
mai l'impeccabilità. Le disposizioni
necessarie poi per ricevere l'effetto
dell'eucaristia, riguardano l'anima
od il corpo, e di esse pur si par-
lò all'articolo Comunione.
5 III. Ministro e soggetto dell'eu-
caristia ; cerimonie ed usi di
questo sagramento, ed altre no-
zioni relative.
Si distingue il ministro della
EU C
consacrazione, e quello della dis-
pensazione o distribuzione dell'eu-
caristia. 1 ministri della consacra-
zione sono i soli sacerdoti, perchè
questi sono i soli, cui Gesù Cri-
sto ha dato il potere e l'ordine di
consacrare con quelle parole che
diresse loro a mezzo degli aposto-
li: Fate questo in memoria di me.
]n tal modo lo ha inteso la Chie-
sa in tutti i tempi, poiché non ha
permesso a niuno di consacrare,
neppure agli uomini apostolici, ai
più. santi solitari, ai martiri, ai
monaci che non fossero sacerdoti;
ed essa ha condannato al contra-
rio tutti quelli che senza questa
qualità, osavano tentare la consa-
crazione, siccome si ha da molti
concili, e santi padri. In quanto
al ministro della dispensazione del-
l'eucaristia, i preti ed i vescovi
ne sono i ministri ordinari, come
lo sono della sua consacrazione
per diritto divino. I diaconi erano
in passato i ministri della dispen-
sazione dell'eucaristia: potrebbero
distribuirla ancora col permesso
del vescovo, o del parroco in caso
che non potesse egli portarla, né
farla portare da un sacerdote ad
un infermo. Anche sul modo di
dispensare e ricevere l'eucaristia,
ne trattammo all'articolo Comunio-
ne. Pei soggetti dell'eucaristia in-
tendonsi le diverse persone che
sono capaci di riceverla, come si
disse al detto articolo. Le cerimo-
nie finalmente dell' eucaristia ri-
guardano o la materia di questo
sagramento, o la forma, od il mi-
nistro che lo distribuisce, od il
soggetto che lo riceve, o la situa-
zione del corpo colla quale devesi
ricevere, od il luogo della sua di-
stribuzione.
Abbiamo dal Macri , che nel
EUC ,5r
giorno di Pasqua niuno può am-
ministrare l' eucaristia ai popoli,
se non nella chiesa parrocchiale,
ancorché avessero soddisfatto al pre-
cetto , o avessero intenzione di
adempierlo in un altro giorno, co-
me si dichiara nella costituzione
di Gregorio XIII, del i585. Il pa-
ne che doveva essere consagrato,
veniva scelto in passato fra i pa-
ni che i fedeli olili vano, e ch'essi
portavano alla chiesa, allorquando
vi si raccoglievano. Dipoi i chie-
rici, o le vergini consagrate a Dio
fecero le ostie cantando salmi. Era
il sacerdote che presiedeva all'as-
semblea, che distribuiva alle per-
sone presenti il sagramento dell'eu-
caristia. Nella chiesa di Gerusalem-
me i fedeli s'appressavano alla sagra
mensa inchinati profondamente, ed
in quella di Costantinopoli vi si
appressavano in piedi, ec. ec.
Nelle processioni, dice il Macri,
la eucaristia si deve portare in
mano dal sacerdote, e non sopra
le spalle, com'è stato dichiarato
dalla sagra congregazione de'riti
a'2 gennaio 1 618 : tuttavolta, egli
aggiunge, in alcune chiese di Fran-
cia si pratica la cerimonia di por-
tare sulle spalle dei sacerdoti l'eu-
caristia, nella solenne processione
del Corpus Domini, rito antichis-
simo di cui fa menzione il conci-
lio di Praga III, al can. 5.
Non si può portare l'eucaristia
agl'infermi, i quali non possono
comunicarsi, soltanto per adorarla,
giacché ciò fu proibito da s. Pio
V. L'eucaristia davasi subito dopo
il Battesimo (Vedi), non solo agli
adulti, ma ai bambini, siccome di-
cemmo a quell'articolo, ed il Piaz-
za nel suo Fmerologìo, p. 42> di-
ce altrettanto con altre erudizioni.
L'uso di conservare nel giovedì
iJi EUC
santo l'eucaristia dopo il sagrifìzio,
e fuori dell'altare ove è stato ce-
lebrato, e di riporta dentro un ca-
lice, in qualche cappella, oratorio,
o nella sagrestia, secondo il Maz«
/incili è un rito assai antico. Di
quello che chiamasi il Sepolcro, se
ne parla nel voi. Vili, a pag. 289
e seg., ed a pag. 3o4 e seg. Qui
aggiungeremo, che terminato nel
giovedì santo il sagrifìzio, e tolta
dall'altare la ss. eucaristia, secon-
do l'uso più comune, si piegano
le tovaglie, e l'altare resta senza
ornamento; laonde il discoprimen-
to degli altari, ed il trasferimento
dell'ostia consagrata in altro luo-
go, è un resto di quel rito che
facevasi anticamente ogni giorno
con minor pompa ecclesiastica.
Il Sarnelli nel tomo VI delle
Lettere eccl, lett. XXV, num. io,
parla dell'antico uso di conserva-
re in un calice la ss. eucaristia,
il quale calice tene vasi pendente
sopra l'altare ; e che in tempo delle
persecuzioni si custodiva nelle ca-
se particolari in una scatola di le-
gno. Quindi narra ch'era vietato
il parlare di questo sagramento ai
gentili in presenza de'catecumeni;
che la ss. eucaristia non guasta il
digiuno; e se si debba dare agli
ossessi.
Era solito Alessandro VI tene-
re il ss. Sagramento in una scato-
la d'oro fatta a modo di palla, e
lo portava seco familiarmente sen-
za che altri se ne accorgesse; ed
il Cardella nel tom. IV, p. 162,
Memorie de' Cardinali, racconta la
premura del Papa di averla seco,
un giorno in cui trovavasi negli
orti del Cardinal Adriano Castel-
li senza averla portata, per cui spe-
di a prenderla Giampietro Caraffa,
poi Papa Paolo IV. Fulvio Se*-
EUC
vanzio, nel suo Diario <!<!t'iino-
roteazione di Alessandro P/l, pres-
so il Gattico, Ada cacrem. p. 4i7>
racconta che nella comunione del-
la messa, la quale dal Pontelìce
si riceve al trono, Alessandro VII,
in vece di genullettere sullo sga-
bello della sedia della cattedra ,
quando gli fu portata la ss. euca-
ristia, ed ivi rimanere sino alla
consumazione delle specie sagra-
mentali, volle in vece genuflettere,
comunicarsi, e comunicare anche il
diacono e suddiacono latino, al ri-
piano dello stesso trono, per mag-
gior riverenza ed umiltà. Nel 1742
Benedetto XIV, col disposto della
costituzione Certiores effecli, data
a' 1 3 novembre presso il Bull. Maga.
tom. XVI, pag. 1 1 7, tolse la con-
troversia nata in Crema e propa-
gata in Italia, dell'obbligo che si
pretendeva avessero i sacerdoti di
amministrare nella loro messa pri-
vata l'eucaristia a'fedeli che la do-
mandassero. Il dotto Pontefice, con
molte sode ragioni, dimostrò non
esservi quest' obbligo ne' sacerdoti,
laonde esortava i vescovi a per-
suadere su questo punto i loro
diocesani, massime colle testimo-
nianze dell'antica disciplina, in cui
dovendo i soli parrochi ammini-
strare i sagramenti, alla sola loro
messa si dovessero comunicare 1
fedeli. Dipoi, uel ij55, il vice-cu-
rato della chiesa di s. Nicolò in
Carcere di Roma, a cagione di
un vicino incendio che minacciava
estesa propagazione, vestito de'sa-
gri paramenti, trasse la pisside dal
ciborio colle ostie consagrate, e con
essa diede la benedizione al fuoco.
Molti approvarono questa benedi-
zione, altri la disapprovarono, per
cui Benedetto XIV a' 17 luglio di-
resse al Cardinal Vicario il breve
EUC
Cam ut recte, loco citato, toni.
\l\, p. 167, ed espose colla so-
lita erudizione le ragioni degli uni
e degli altri; ma la conclusione fu
la sua disapprovazione nell'operato
tlel vice-parroco, vietando siffatte
benedizioni . Copiosamente tratta
della ss. eucaristia il p. Chardon,
Storia deSagramenli toni. I, p.
2o5 e seg.; Genebrardo, il Cardinal
Bona, d. Claudio Vert, il Marna-
chi, il Bergier, e specialmente il
p. Le-Brun. Delle arciconfraternite,
ed altri sodalizi istituiti in onore
del ss. Sagramento, se ne parla
a'rispettivi articoli, così degli or-
dini e congregazioni religiose isti-
tuite per meglio venerare la ss.
eucaristia.
§ IV. Dell'esposizione del ss. Sa*
gramen to dell' eucaristia .
Quantunque sia molto probabi-
le, che la processione solenne del-
la festa del Corpus Domini abbia
dato origine al pio e divoto co-
stume di portarlo pubblicamente,
e di esporlo nelle chiese; tuttavia
non è facile assegnare con preci-
sione il tempo, in cui questo se-
condo sagro uso fu ricevuto, e M.
Thiers, che perciò ha fatte tante
ricerche, assicura che non si po-
trebbe dimostrare essere nate am-
bedue queste venerabili cerimo-
nie ad un tempo, ed inoltre dice
essere molto verosimile, che quan-
do le prime volte si fece la pro-
cessione del Corpus Domini, non
si portasse il Sagramento esposto,
ma nella maniera in cui si usa-
va portarlo nelle altre processioni
avanti tal festa, cioè in una bara
o cassa, racchiuso nel ciborio, den-
tro il calice, ce., ovvero coperto e
velalo, o chiuso dentro una borsa.
EUC i53
Nondimeno l'usanza di esporre il
ss. Sagramento è antichissima in
alcune chiese , e in antichità non
la cede molto alla istituzione della
processione del Corpus Domini, la
quale, come si disse al suo luogo,
non incominciò al tempo medesimo
della festa, ne hi ogni luogo in-
sieme, ma si è introdotta nelle
chiese in diversi tempi, ed insen-
sibilmente, siccome pensa il p. Char-
don. Ma il suo traduttore ed an-
notatore, p. Bernardo da Venezia,
è di sentimento che il rito della
esposizione del ss. Sagramento sia
più antico, almeno non come par-
ticolare funzione, in vasi traspa-
renti, o racchiuso in opachi, cioè
in Oslensorii (Vedi), o in pissidi;
ostensorii che per essere raggianti,
e per la loro forma furono chia-
mati sole, e ve ne furono di ve-
triati.
Il Thiers assegna la propaga-
zione della pubblica esposizione della
santissima eucaristia dopo la me-
tà del XIV secolo, cioè la dimo-
strazione scoperta delle specie eu-
caristiche fuori del sagrilìzio. Nel
concilio provinciale di Colonia del
i4^2j presieduto dal Cardinal le-
gato di Nicolò V, si trova il pri-
mo regolamento che sia stato fat-
to per la esposizione del ss. Sagra-
mento, dappoiché prima di allora
non si trova nessuna legge eccle-
siastica in tal proposito; egli è
concepito così. « Per rendere più
» onore al ss. Sagramento, ordi-
« niamo che in avvenire non sia
« in qualunque maniera essere si
» voglia esposto, né portato pro-
*> cessionalmente alla scoperta in
« certi ostensorii trasparenti , in
» quibusdam monstrantiis, se non
« durante la festa del Corpo del
» Signore, e la sua ottava, e fuor
i54 EUC
»» eli quel tempo una volta all'an-
» no solamente, in ogni città o
» borgo, ovvero parrocchia; e que-
»> sto con permissione espressa del-
» l'ordinario, come a dir per la
» pace, o per qualche altra ur-
»» gente necessità, dovendosi anche
»> allora far questo con somma
« riverenza e con grandissima di-
» vozione". Tal concilio, secondo
alcuni autori, ha preteso con sif-
fatte disposizioni, di sopprimere la
esposizione frequente del ss. Sagra-
mento, come anco la processione,
vale a dire di ridurre l'una e l'al-
tra a due esposizioni e a due pro-
cessioni solamente, il giorno della
festa del Corpus Domini, e della
ottava; affinchè rendendo più rara
questa divozione, i fedeli vi assi-
stessero con più rispetto e religione.
Al presente il ss. Sagramento,
detto ancora Venerabile, ordina-
riamente si espone in giorni di
pubbliche divozioni, ed in occasio-
ni importanti, o per liberarsi dalle
calamità, o per impetrare il divino
soccorso negli affari di conseguen-
za, ed anco nelle gravi infermità.
Le divozioni pubbliche sono il tem-
po del giubileo, le indulgenze ple-
narie, le pubbliche orazioni che si
fanno per distornare le minacciate
o presenti calamità, e finalmente
la orazione delle Quaranta Ore
(Vedi). Si può vedere quanto dice
sopra questa ilThiers nel suo lib. IV,
e vi si troveranno infinite cose de^
gne da sapersi, e importanti. Tra le
altre vi si vedrà che i prelati ec-
clesiastici per la maggior parte usa-
rono molto sobriamente della loro
autorità in permettere l'esposizione
del Sagramento in simili occasioni.
11 Cardinal s. Carlo Borromeo, in
occasione delle quaranta ore, pre-
scrisse mia regola molto prudente,
EUC
che moltissimi prelati dipoi hanno
seguila. Nel rituale ambrogiano so-
no distinte due sorta di quaranta
ore : alcune che si fanno per ca-
gione pubblica ed importante, ed
altre per altri motivi. In quel ri-
tuale si permette la esposizione del-
l' eucaristia in quelle, ma non in
queste. Le prime e più antiche
quarant'ore, dice il Thiers, essere
quelle istituite dal p. Giuseppe di
Milano cappuccino, in memoria del
tempo che Gesù stette nel sepolcro.
Le seconde sono quelle che altre
volte ogni mese si facevano in
Roma dall' Arciconfraternita del-
l'Orazione, o della Morte (Fedi),
ad imitazione del digiuno di qua-
ranta giorni osservato dal Reden-
tore nostro nel deserto, e dagli
apostoli e primitivi padri della
Chiesa, che oravano senza inter-
missione. Queste furono conferma-
te ed approvate a' 17 novembre
i56o dal milanese Pio IV, colla
bolla Divina disponente clementia,
dalla quale rilevasi che i confrati
supplicavano il Papa, che conce-
desse loro di portare in processio-
ne il ss. Sagramento nella penul-
tima domenica di ogni mese, o in
altro giorno al principio delle qua-
rant'ore, ma che il Papa non ri-
spose loro su questo articolo. Inol-
tre queste quarant' ore non erano
istituite per causa pubblica, ma
per soddisfare alla pietosa inclina-
zione de' confratelli. Le terze sono
quelle che si fanno tutto l'anno
giorno e notte, senza interruzio-
ne, alternativamente nelle chiese
di Roma, di Venezia, di Milano,
e di altre città. Clemente Vili le
istituì il i5 novembre 1^92, col-
l'autorità della bolla Graves et
diuturnae, a cagione delle rivolu-
zioni di Francia, e per implorare
EUC
la divina assistenza contro gli ero-
tici e i turchi. Quindi confermate
furono da Paolo V nel 1606, stan-
do esposto il ss. Sagramento du-
rante tali orazioni. E ciò sembra
conforme alle mire che si ebbero
in principio, quando s' istituì la
esposizione, poiché queste furono
introdotte per motivi pubblici e
ingenti. In Francia però si fecero
molte volte l'esposizione del Sagra-
mento. La quarta sorte di qua-
rant'ore è quella che si fa dalla
domenica di quinquagesima sino
al martedì seguente inclusive. Que-
ste furono istituite per contrappor-
le alle sfrenatezze ed eccessi che
si commettono d'ordinario in tali
giorni del carnovale. S. Carlo fu
zelantissimo per questa divota os-
servanza , contrapposta ai sollazzi
ed alle dissolutezze di tal tempo.
Non fu però il primo san Carlo
Borromeo, che abbia introdotta que-
sta divota usanza. Il p. Nicolò Or-
landini, della Compagnia di Gesù,
narra che nel i556 i gesuiti espo-
sero il ss. Sagramento a Macerata
per le quarant'ore in quei tre ul-
timi giorni del carnovale per lo
stesso fine, e narra che la maggior
parte de' cittadini vi concorse, e
che si seguitò negli anni seguenti,
e che finalmente s' introdusse tal
costume in tutte le case della com-
pagnia.
Non solo il Chardon tratta che
non si può fare di frequente la
esposizione del ss. Sagramento, ma
ciò venne anche deciso dalla sagra
congregazione de' riti, ai 4 marzo
1606, con queste parole: « Eu-
» charistia non est singulis diebus
« exponenda super altare, sed in
» quibusdam tantum solemnitati-
« bus", cioè nell'orazione delle
quarant'ore, secondo il Talù, e nel-
EUC
i55
la festa con tutta l'ottava del Cor-
pus Domini 3 come dichiararono
Clemente XI, Benedetto XIII, e
Clemente XII. Dice per altro il p.
Cristiano Lupo, in dissert. de sa-
cris processionibus > cap. 12, che
non è però da biasimarsi la fre-
quenza, come mezzo di distrarre il
popolo dalle cose vane, di chia-
mare il concorso de' fedeli alle chie-
se, e di muovere i fedeli medesi-
mi a fare atti di virtù, e chiedere
a Dio perdono delle loro colpe.
Ma il p. Raynaud, Heteroclita
spirilualia, tom. XV, pag. 83, non
■volendo decidere su questo punto,
per rimetterne la risoluzione a chi
governa, ecco come si esprime:
h Timendum est, ne majestas my-
« sterii fidei tam crebra, ve! etiam
>» assidua ejus vulgalione detera-
*> tur, nec adeo facile percellat
« contuentium mentes, quam si in-
» frequentius, et quod fere conse-
« quens est, majore cum appara-
» tu, et accuratione proponeretur.
*» Viderent ii, ad quos attinet, quid
>» magis in hac re sit et Dei glo-
« ria, et bono animarum; nam
** meum hic judicium interponere
» consultum non foret ". Così per-
plesso pure rimase il ven. Cardinal
Tommasi, come si legge nella sua
vita, al cap. VII. Dovendo egli
rispondere intorno a questo argo-
mento all'arciprete di Palma, così
disse: « In quanto poi all'esposi-
» zione del ss. Sagramento ogni
» domenica , è cosa da pensarvi,
» prima di risolverla ; perchè la
» frequente esposizione non sempre
>» viene a gloria di Dio, e a fiut-
>» to de' popoli ". Dubbioso però
non rimase su questo medesimo
punto monsignor Albergati, nunzio
apostolico nella città di Liegi, co-
me si apprende dalla sua vita,
i56
EUC
giaci he francamente disse: » Multo
>y melius est, ut non ita frequente*
n» éiponatur, et Urne cimi debita
» ivvcrentia, qtuini ut frequenlius,
» et siue debito obsequio, et reve-
» reatine signifìcatione id Hat : ut
w cura nostra animi commolione
» limilo in locis ex poni vidimus ,
« et iuvenimus ". Comunque siasi
pero di siffatte opinioni , certo è
clic non si può fare pubblica espo-
sizione del ss. Sagramento, cioè
eoli' ostensorio, di privata autorità
del rettore o superiore di una chie-
sa; ma si esige l'espressa licenza
«KM ordinario, come si ha dai sino-
di di quasi tutte le diocesi. Osser-
va inoltre il citato Chardon, che
i nostri maggiori erano si gelosi
del mistero della ss. eucaristia, che
non vollero mai mutare condotta
m.ilgrado le atroci calunnie, con
cui gì' infamavano i nemici della
lede, tentando di renderli odiosi
ai popoli per celare con diligenza
(pasto adorabile mistero. Aggiun-
ge ancora che avrebbouo potuto
dissipar lecaluuuie spiegandosi chia-
t aulente sopra questo mistero, e
celebrandolo in presenza di quelli,
presso a' quali venivano accusati;
ma noi fecero mai, e vollero piut-
tosto sopportar con pazienza per
tre secoli le persecuzioni suscitate
loro contra dall'odio de' prevenuti
avversari, che non violare il segre-
to de'loro misteri.
L'altare di un santo, di cui ce-
lebrasi la festività, non può essere
maggiormente adornato di quello
dove sta esposta la ss. eucaristia.
11 Bauldry dice, che non è da ap-
provarsi la consuetudine, da pochi
anni iuvalsa, di esporre il ss. Sa-
cramento nelle maggiori solennità
dei santi, poiché altra solennità esi-
gono le festività de' santi, ed altra
EUC
diverta e speciale esige l'esposizio-
ne di Gesti Cristo. Imperciocché,
presente il sommo Dio, cessar de-
ve l'onore che al servo si tributa,
e presente il sole tutti gli astri del
firmamento perdono il loro splen-
dore. E per questa ragione ciò vie-
ne proibito dagli atti della chiesa
di Milano, e molti vescovi un tal
costume abrogarono, come nota il
medesimo Bauldry, e come opina-
no Lambertini, noti/le. 3o , n. 4 >
il Thiers, lib. IV, cap. 23, ed
altri ancora. La sagra congregazio-
ne dei riti poi prescrisse » Eucha-
» ristia non est singulis diebus ex-
« poneuda super altare " ec. , come
dicemmo di sopra. Ora dunque ,
couchiudouo i liturgici , se non si
permette di esporre Gesù Cristo
nelle solennità de' santi, onde non
si diminuisca per nulla quel culto
che ad Esso è dovuto; come sos-
tenere si potrà, che seguendo un
tal abuso, fornir sia lecito con
più
lumi l'altare de' santi, in paragone
a quello, su cui alla pubblica ado-
razione sta esposto il vero Dio? Qui
noteremo che l'uso di esporre le
reliquie dei santi, massime dei san-
ti martiri, e di benedire ancora
con esse i fedeli è antichissimo.
V. il Trombelli, de calta sancto-
rum, toni. II, p. I, diss. VII e
Vili.
Avverte il Macri , Nat. de vo-
cab. eccles., che mentre sta esposta
sopra l'altare la ss. eucaristia, oc-
correndo celebrare, il sacerdote non
solo scenderà fuori dell'altare per
lavarsi le mani, ma anco volterà
la faccia al popolo, secondo il Cae-
rem. episcop. I. II, e. 33. Pompeo
Sarnelli, Lettere ecclesiastiche, to-
mo Vili, tratta nella lett. XXVI,
che il celebrante, il qaale incensa
il ss. Sagramento esposto, deve gè-
EUC
nuflettefe sopra il primo gradino
dell'altare. Noteremo inoltre, che
sebbene la ss. eucaristia non si
possa esporre ove sono le sagre im-
magini alla pubblica venerazione ;
nella celebre cappella Borghesiana
della patriarcale basilica di s. Ma-
ria Maggiore di Roma, la ss. eu-
caristia si espone anebe in forma
di quarant'ore, colla venerabile im-
magine della beata Vergine sco-
perta per ispecial privilegio. Ed è
perciò, che avendo fatto il defunto
principe d. Marcantonio Borghese
una macchina, che dicesi gli co-
slasse quattordici mila scudi, e che
cuopriva l' immagine cui tutti pro-
fessano particolar divozione, il ca-
pitolo della basilica impedì che la
macchina per 1' esposizione si po-
nesse in opera. Per altre nozioni
sulla ss. eucaristia può vedersi il
Thiers, Traile de Vesposition du
s. Sacrament de V Aulel 3 Paris
1668.
Dell'antico costume di ritenersi
da' fedeli 1' eucaristia nelle private
case, e di trasmetterla agli astanti,
abbiamo il trattato di Francesco
Antonio Vitale, stampato in Roma
nel 1779. Da Francesco Antonio
Mondelli si ha una dissertazione
sopra il rito di conservare l' eu-
caristia nelle case e nelle chiese ,
praticato dagli antichi fedeli, nella
Decade di dissertazioni ecclesiasti-
che, Roma 1786. Il summentova-
to p. Chardon, nel tomo I, pag.
3oi, parla al capitolo io, della se-
verità con cui punivansi nella Chie-
sa, e tra gli orientali si puniscono
ancor al presente, le irriverenze com-
messe contro il ss. sagramento del-
l' eucaristia. Copiosissime erudizio-
ui si leggono sull'eucaristia, nei
preziosi indici ragionati degli An-
nali ecclesiastici, tratti dal p. O-
EUC 1T7
dorico Rinaldi da quelli del Car-
dinale Baronio.
EUCARISTIA (ss.) che precedi:
1 Papi nei viaggi. All'articolo Cro-
ce Pontificia (Fedi) si è detto che
viene essa presa dal sommo Pon-
tefice tutte le volte che compari-
sce in pubblico, vestilo con moz-
zetta ed istola , 0 co' sagri para-
menti. Così quando suole intra-
prendere lungo viaggio si fa pre-
cedere dalla ss. eucaristia, con ec-
clesiastica pompa, avendo ciò fallo
per ultimo nel decorso secolo Be-
nedetto XIII. Solevano altresì i
romani Pontefici portarla anche in
brevi viaggi, come nei loro solen-
ni possessi, ed eziandio in qualche
pubblica cavalcata. Prima però di
parlare dell' origine di questa pia
usanza , della pompa sagra colla
quale eseguivasi, e della maggior
parte de' Pontefici che ne' viaggi
sì brevi che lunghi, ne' possessi ed
in alcuna cavalcata si fecero pre-
cedere dalla ss. eucaristia, colf au-
torità del p. Chardon, Storia dei
Sagr amenti , tom. I, p. 108 e seg.,
per cercare l'origine di tal rito, di-
remo brevemente de' vari usi del-
l'eucaristia fra i primitivi cristia-
ni, de' vescovi che se la manda-
vano reciprocamente in segno di
comunione, del serbarsene una por-
zione dal sagrifìzio precedente pel
seguente giorno, e dell'averla in
Roma mandata il Papa a tutte le
chiese titolari; parlando ancora del
quando portavasi ne' viaggi dal Pa-
pa perchè servisse di salvaguardia,
giacche da tali riti vuoisi derivato
quello di cui è argomento questo
articolo.
I vescovi dei primitivi secoli del-
la Chiesa avevano il costume di
mandarsi scambievolmente 1' euca-
ristia in segno di unione, e la man-
;s
EUG
davano ai più vicini non solo, ma
eziandio ai più lontani dalla loro
residenza, come alle chiese eli Asia,
non ostante la varietà delle disci-
pline che seguivano; usanza pero
che proibì nei primordi del quar-
to secolo il concilio Laodiceno, poi-
ché la spedizione della ss. Euca-
ristia non si poteva fare senza
grandi inconvenienti, specialmente
in tempo delle persecuzioni. Quin-
di all'uso dell'eucaristia fu sosti-
tuito quello di mandare pani or-
dinari e benedetti, i quali espri-
messero la reciproca unione de'cri-
stiani. Questi pani si chiamavano
Eulogie (Fedi). Dalle antiche glose
sopra le decretali , citate dal p.
Mabillon,si apprende che i sacer-
doti, a' quali il vescovo mandava
quella particella di ostia consa-
grata, la mettevano nel calice al-
lora quando nella messa dicevano:
Pax Domini sii semper vobiscum,
al qual tempo anche al presente
s' intinge una particella dell' ostia
nel calice. Se il predetto uso fosse
un simbolo della comunicazione dei
vescovi co" sacerdoti, e di questi
e quelli coi cristiani , un altro
uso mentovato nel primo Ordine
romano, pubblicato dal p. Mabillon,
era simbolo dell' unità del sagra-
melo ed insieme del sagrifìzio.
Ecco in che consisteva questo uso.
Quando il vescovo o il celebrante
sortiva dalla sagrestia per andare
all'altare, onde cominciare la mes-
sa, era preceduto dal corpo di Ge-
sù Cristo, che due accoliti porta-
vano in una cassetta dinanzi a lui.
Procedeva così fino all'altare, dove
arrivato adorava questo divin sa-
gra mento, adorabat scinda } e poi
cominciava la confessione. Le spe-
cie consagrate, che si portavano in
tal modo all'altare, erano state ser-
EUC
bate dal sagrifìzio precedente a
quetto clfetto, per indicare sensi-
bilmente essere sempre la medesi-
ma vittima quella che si offeriva
sui nostri altari, la quale durerà
in tutti i secoli.
Un altro uso molto antico e che
lungamente si è conservalo nella
Chiesa, era quello di portar seco
il corpo del Signore ne' viaggi lun-
ghi, perchè occorrendo qualche pe-
ricolo di morte, avessero pronto il
viatico, e perchè difendesse contra
tutti i pericoli di corpo e d'anima,
a' quali uno si espone in tali oc-
casioni. S. Ambrogio ne diede un
esempio assai noto, nella persona
di Satiro suo fratello, il quale tro-
vandosi in pericolo di naufragio, e
temendo non tanto la morte, quan-
to morire senza il battesimo, che
non aveva ancora ricevuto, doman-
dò » ai fedeli, ch'erano con lui
« nella nave, il divin sagramento,
« non per pascere la sua curio-
si sita ma per ottenere soc-
« corsi dalla sua fede. Ottenutolo
» sei fece legare al collo in una
« fascia , in orario ( o fazzoletto ,
» ossia Unicum abslergendae faciei
» deslinatum ), e si gittò così al
»> mare, non cercando neppure
» qualche tavola dello sconnesso
» naviglio per aiutarsi, perchè met-
» teva tutta la sua confidenza nel-
» le armi della fede ". Il Ponte-
fice s. Gregorio I, nel lib. Ili dei
suoi Dialoghi riporta un consimile
fatto; e s. Birino vescovo di Dor-
chester, mandato da Onorio I nel-
la gran Bretagna per predicarvi
l'evangelo , ricevè da questo Papa
il corporale, sopra cui consagrava
1' eucaristia, e nel quale la invol-
geva per portarla sempre al collo
sospesa. Questo costume era molto
esteso nelle chiese di Bretagna ,
EUG
donde poi si sparse in altri paesi
della cristianità. Nell'Alemagna l'in-
trodusse s. Bonifacio, ordinando nel
quarto de' suoi statuti, che i mo-
naci non andassero mai per viag-
gio senza l'eucaristia, e che i sa-
cerdoti portassero mai sempre seco
loro in campagna l' eucaristia, l'o-
lio degl'infermi, e la cresima. In
Francia lo introdussero i discepoli
di s. Colombano. Essi costumava-
no di serbare in un vaso, chiama-
to crismale , una parte dell' ostia ,
alla quale davano il nome di sa-
gri/iziOy e portarla con loro nei
viaggi ; costume che s. Colombano
aveva preso dal monistero di Ben-
chor in Irlanda, dove era stato e-
ducato, e dove si usava. Adalber-
to di Praga avendo offerto il divin
sagrifizio, fece raccoglierne gli avan-
zi dopo essersi comunicato, e dopo
aver comunicato i neofiti ; ed in-
voltili in un candidissimo pannoli-
no li custodi per valersene come
di viatico, cioè per portarli ne' viag-
gi, ai quali l'obbligavano le sue
missioni tra* gentili . Questo san-
to apostolo dell'Ungheria, della
Polonia e della Prussia , ove fu
martirizzato, viveva nel decimo se-
colo, lo che fa vedere che in quel
tempo si serbava comunemente la
eucaristia per tale uso. Il Rocca,
come meglio si dirà , prova che
prima e dopo di allora i Papi ave-
vano questo religioso costume, ed
alcuni ne' loro viaggi portavano
anche l'eucaristia pendente dal col-
lo sopra il petto. Questo uso non
era solo proprio dei Pontefici, per-
chè s. Tommaso di Cantorbery ,
nel ritirarsi in Fiandra, portò se-
gretamente addosso il corpo del Si-
gnore, per ricevere nuova fortezza
nel combattimento che doveva sos-
tenere con Enrico li. Contempo-
EUC
%
rancamente si narra nella vita di
s. Lorenzo di Dublino, che quat-
tro sacerdoti portando il ss. Sagra-
mento furono spogliati dagli assas-
sini, i quali provarono gli effetti
della divina vendetta, per aver pro-
fanato i santi misteri.
JXon solo i sacerdoti e i vesco-
vi , ma i laici ancora credettero
dover prevalersi di tal patrocinio
ne' loro viaggi , come pur fecero
Roberto, e s. Luigi IX re di Fran-
cia: avutane licenza questo secon-
do nella spedizione della crociata ,
dal vescovo Tusculano legato della
santa Sede. Sembra però, che d'al-
lora in poi il privilegio di portare,
o far portare in viaggio 1' eucari-
stia, non fosse più accordato né ai
vescovi, né a' sovrani, ne a' gran-
di personaggi, e perciò soltanto sia
stato riservato al Papa. In fatti
quando Nicolò V, nel 1 449? assol-
vè dalle censure l'antipapa Felice
V, che avea rinunziato il pseudo-
pontificato, benché in premio gli
concedesse alcune insegne pontifi-
cie, espressamente eccettuò il farsi
precedere dalla ss. eucaristia. E
prima di tal tempo l'antipapa Be-
nedetto XIII, come quello che trat-
tavasi come legittimo Pontefice, pra-
ticò simile usanza nel viaggio da
lui intrapreso nella Spagna , per
esigere maggior rispetto , mentre
temeva il furor del popolo, come
racconta Paolo Emilio, nel lib. X
de rebus gestis Francorum. Quin-
di Paolo II, nel 1466, represse
l'orgoglio degli arcivescovi di Be-
nevento, i quali, oltre ad altri pri-
vilegi usurpatisi nella loro arcid io-
cesi, si facevano portare davanti la
ss. eucaristia. Di tali privilegi ne
parlammo nel volume V, pag. 1 \l\,
del Dizionario. Il Marini ne' suoi
Archiatri, tom. II, pag. 161, ci
iGo EUC
avverto che la bolla fu spedita nel-
lo (Blende ili giugno a Nicolò ala-
ndoli l'iccolomini sancse, allora ar-
civescovo di Benevento, e non da
Sisto IV, come scrisse 1' Ughelli.
Nc'pacsi orientali ciò si usava
più comunemente. L' Arcudio dice
cliiaramentc, che i monaci greci,
quando intraprendono un lungo
viaggio, portano seco loro il ss»
sagramento dell'eucaristia. E Ga-
briel Sionita afferma che i maro-
niti, quando vanno alla guerra, o
quando vogliono fare qualche viag-
gio lungo e pericoloso, hanno at-
tenzione di recarsela seco sotto la
sola specie del pane, per poter co*
inimicare in alcune fastidiose con-
giunture, nelle quali fosse la loro
vita in pericolo. Il Cancellieri, De
Secretariis Chris tianorum, p. 1 1 4>
§ IX, de Eucharislia ante Pontifi-
ceni e secretano praelata, ha di-
mostrato, colla testimonianza del
primo Ordine Romano, la remo-
tissima antichità dell'uso di porta-
re avanti il Papa, in luogo della
croce, dalla sagrestia V eucaristia,
ch'egli adorava mentre gli veniva
mostrata da due accoliti, che poi
la collocavano sopra l'altare, in cui
doveva celebrare. Ivi ancora fa os-
servare con altri passi degli Ordi-
ni X, XI, e XIV, che si esegui-
va questo rito specialmente nel
venerdì santo, in cui l'ultimo Car-
dinal prete portava dentro una
cassa il corpo del Signore innanzi al
Papa , il quale andava a piedi scal-
zi dal Laterano alla basilica di s.
Croce in Gerusalemme. Quindi ri-
leva, mantenersi un vestigio di
questo uso nella consuetudine, che
è in vigore anche a'nostri tempi,
di adorare il ss. Sagramento pub-
blicamente esposto in un altare,
prima che il Papa portato in se-
F.UC
dia gestatoria vada per assistere
o per celebrare il divìn sagri fìeio in
qualche chiesa. Dal qual uso non
v;i disgiunto anche l'aliro di rite-
nere il Papa il sagramento nella
sua cappella domestica , di che
parlammo nel volume IX, pag.
i5a e 1 53, del Dizionario, ove
pur si disse come Paolo IV or-
dinò che nelle lampade di dette
cappelle, in venerazione al ss. Sa-
gramento, dovessero ardere lumi di
cera bianca, e che nelle cappelle
maggiori del palazzo apostolico era-
vi anticamente nel ciborio il ss.
Sagramento tanto in particola che
in ostia grande. Nel volume X, a
pag. i5, notammo che i Pontefici
adoravano il ss. Sagramento, non
solo nell'ingresso ma anche nel re-
gresso, e talvolta solamente nel re-
gresso. V. il p. Gattico, Acla se-
lecta: ss. Eucharistia ad Lalcramini
soleniniter equilantem, p. 367; eun-
tem ad Ecclesiam s. Crucis, p. 1 1 o ;
in copiano servata, p. 44» ^ar'
dinalis in parascevc ad altare il-
lam deferebat, p. 34-
Il Bonanni, nella Gerarchia ec-
clesiastica, coli' autorità del sagri-
sta pontificio Angelo Rocca, a pag.
382, ci dà il capo LXXXX1IJ,
del sagramento della santa euca-
ristia portata avanti al Papa, ed
indagando le ragioni sopra questo
rito, stima essere proceduto dall'u-
so di portarsi dai Pontefici l'euca-
ristia pendente dal collo sopra il
petto, e nel tempo delle persecu-
zioni, e quando intraprendevano
viaggi, siccome era portata da qual-
sivoglia persona costituita in dignità
ecclesiastica, anzi dai laici di ogni
condizione, a'quali era prima lecito
portarla seco alle loro case priva-
te. Costume che in progresso di
tempo fu abolito, quando resa la
EUC
pnce alla Chiesa, restò più tardi in
uso soltanto presso i Romani Pon-
tefici, massime in occasione di fa-
re lunghi viaggi, portandosi avanti
ad essi lontano per molte miglia,
con divota pompa. In quale anno
si cominciasse ciò a praticare non
si può con certezza stabilire, leg-
gendosene la più aulica memoria
in Anastasio Bibliotecario, parlan-
do di Stefano li detto III, il qua-
le non potendo ottennere da A-
stolfo re de'Longobardi, che ces-
sasse di far più stragi nella pro-
vincia romana, partì da Roma ai
i4 ottobre del 753 per doman-
dare in Francia soccorso al re Pi-
pino, il quale gli andò incontro a
Ponthieu colla famiglia reale, e fe-
ce da scudiere al pontifìcio cavaljo.
Ecco però come scrive l'Anastasio:
« Venientem Romam Aistulpho
n longobardorum rege, ut eam de-
» vastaret, Pipini regis auxilium
» poslulavit, et Roma Galliam ver-
» sus discessi t, assumens secum ex
» hac sancta Ecclesia quosdam sa-
» cerdotes, proceres etiam et caete-
» ros clericorum ordines, nec non
» ex mililiae oplimatibus, Christo
» praevio captum prosequutus est
« iter " Nelle quali parole Chri-
sto praevio, sebbene possa intender-
si l'immagine del crocefisso, la qua-
le suole precedere il Pontefice,
nulladimeno il Vittorelli nelle Ad-
dizioni al Ciacconio, tom. II, pag.
733, scrisse: « Anastasium allusis-
» se ad morem priscum euchari-
« stiae ante Pontificem iter haben-
>' tem. " Altra notizia più antica
il Rocca non rinvenne, persuaden-
dosi che anco precedentemente fos-
se dai Papi portata ne'viaggi, ma
avanti al petto con privata divo-
zione.
Essere portata la ss. eucaristia
VOL. XXII.
EUC i6r
pubblicamente da Gregorio XI nel
1377, affermò Pietro Amelio sa-
grestia del palazzo apostolico, di-
cendo che dovendo il Papa anda-
re in Anagni , si trasferì dal pa-
lazzo vaticano alla basilica co-
stantiniana, ed ivi, dicendo messa
« reservata eucharistia^ repositaque
« per suas manus sacratissimas in
» custodia primo mane junii
« Corpus Christi omnibus viam pa-
» tefecit " . Da questo veridico
racconto, il dotto Rocca giusta-
mente argomentò, che se nel bre-
ve viaggio da Roma ad Anagni,
quaranta miglia distante, volle Gre-
gorio XI che lo precedesse il ss. Sa-
gra mento, molto più si deve cre-
dere essersi praticalo dagli ante-
cessori, i quali fecero lunghi viaggi,
benché non si trovi ciò riferito.
Che l'eucaristia fosse stata portata
da altri Pontefici ne'viaggi, pen-
dente al collo sopra il petto, il p.
Chardon riporta gli esempi di Ste-
fano IV detto V, dell'8j6, quan-
do portossi in Francia, di s. Gre-
gorio VII, del 1073. di Urbano li,
del 1088, degli immediati succes-
sori Pasquale II e Gelasio II, non
che di Alessandro 111, del 1 1 59.
Più antico di Gregorio XI anche
altri stimano il rito di portarsi la
ss. eucaristia dai Papi nei viaggi,
fondati eziandio sopra un passo
della vita di Urbano VI, che nel
1378 era succeduto a detto Pon-
tefice, nel quale l'autore della se-
conda vita di Gregorio XI, appres-
so il Bai uzio, fa Vitis Po parum
Avenion. tom. I, pag. 4^4? cnce>
che Urbano VI uscì di Roma a
cavallo come uno stolto senza la
croce avanti, e senza il corpo di
Cristo, le quali parole come uno
stolto, non avrebbe egli dette, se
tal costume non fosse più antico
1 1
iG2 EUG
(ii Gregorio XI. Quando poi Ur-
bano VI, nel i38b\ ritornò in
Roma, per iscortu lo precedeva
nell'aria l'immagine di s. Pietro,
simile a quella che allora stava
nel portico vaticano, la qual visio-
ne essendo tenuta occulta dai suoi
familiari, dopo la sua morte fu
pubblicata in un sermone dal ve-
scovo di Todi, confessore del me-
desimo Urbano VJ.
Fu quindi questa pratica lode-
volissima usata ne' viaggi da Pio
II, come si legge ne'suoi Commen-
tari, ove si trova che portandosi
nel i458 a Mantova per ivi sta-
bilire una crociata contro la cre-
scente potenza de'turchi, nel gran
congresso che vi avea convocato,
era egli preceduto da una piccola
arca d'oro, portata da un cavallo
bianco, e circondata da lumi, e nel-
la quale era vi la ss. eucaristia,
sericum desuper umbraciilum. Nel
i494 Alessandro VI usò il mede-
simo rito nel viaggio che fece si-
no a Vicovaro presso Tivoli, per
parlare ad Alfonso II re di Napo-
li, leggendosi nel tomo li dei Dia-
ri del Burcardo: « Coram Sum-
« mo Ponlifìce sanctissimum Sa-
» cramenlum super achineam de-
« latum fini ". Della speciale di-
vozione di Alessandro VI alla ss.
eucaristia, e del portarla che sem-
pre facea seco in una scatola
d' oro, dicemmo al precedente ar-
ticolo Eucaristia ( Fedi ), § III.
Così Paride de Grassis, maestro
di cerimonie, affermò di Giulio li,
il quale avendo ricuperato alla san-
ta Sede diverse città usurpate da
Cesare Borgia, per riavere Peru-
gia e Bologna nel i5o6 vi si por-
tò in persona, preceduto dalla ss.
eucaristia. Leone X parimenti l'u-
sò nel viaggio fatto nel i5i5 a Fi
EUC
renze ed a Bologna, pel congresso
con Francesco ' I re di Francia;
anzi avvicinandosi a Bologna, gli
abitanti avendogli mandato incon-
tro un magnifico baldacchino, ed
altro meno ricco pel ss. Sagramen-
to, il Papa saggiamente destinò il
più ricco alla ss. eucaristia, e per
riguardo a se rinunziò l'altro. Cle-
mente VII fece lo stesso quando,
nel 1529, si avviò per Bologna
onde coronarvi Carlo V, come
scrive Biagio da Cesena maestro
delle cerimonie pontificie; ed al-
trettanto praticò quando fece ri-
torno in Bologna, per abboccarsi
con Carlo V, che avea fatto ri-
torno in Italia. Paolo III nel i538
andando a Nizza di Provenza per
conferire con Carlo V e con Fran-
cesco I onde pacificarli, e stabili-
re la lega contro i turchi, si fece
precedere dal ss. Sagramento, co-
me aveva pur fatto nel 1 535 quan-
do recossi a Perugia per liberarla
dai sediziosi. In seguito, avendo
risoluto Gregorio XIII di visitare
la sua patria Bologna, ordinò che
si preparasse quanto era necessario
per la pompa sagra del trasporto
della ss. eucaristia, e fece ricama-
re una preziosa coperta da impor-
si sopra il tabernacolo, in cui do-
veva essere il ss. Sagramento, fre-
giata colle sue armi gentilizie ;
coperta che restò nella sagrestia
pontifìcia, non essendosi effettuato
tal viaggio.
Nei detti viaggi non sempre fu
portata la ss. eucaristia nel mede-
simo modo, poiché alcune volte,
essendo le strade disastrose, fu por-
tato il tabernacolo ov'era racchiusa,
sopra il dorso di muli, come si
portano le lettighe; altre volte, e
per lo più, da un cavallo, coli' ac-
compagnamento che si dirà, e co-
EUC
me sì vede nelle due figure che
riporta il citato p. Boriarmi a pag.
385, tolte dall'opera di monsignor
Rocca. Prima di narrare il ceri-
moniale usato da Clemente Vili,
e da Benedetto XIII, che furono
gli ultimi Papi che si facevano pre-
cedere ne'viaggi dalla ss. eucaristia,
aggiungeremo col medesimo Bonan-
ni, che il motivo per cui gli anti-
chi cristiani conservavano in casa,
o portavano ne'viaggi il ss. Sagra-
meli to per viatico, era di cibarse-
ne in pericolo di morire, ed i Pon-
tefici ciò praticavano per riceverlo
nel viaggio, dove in questo fossero
stati sorpresi da mortale infermità.
Si può per altro obbiettare, che se
a tal fine portavasi il ss. Sagra-
mento quando i Papi viaggiavano,
per qual cagione venivano da es-
so preceduti per un'intera giorna-
ta, e non si portava piuttosto vi-
cino o in compagnia dei medesi-
mi? Rispose a questa obbiezione
il Rocca, a p. i5 del suo trattato,
dicendo ciò farsi per evitare gli
incomodi soliti a patirsi da chi
viaggia per istrade fangose o sas-
sose, affinchè portandosi il ss. Sa-
gramento avanti il Papa alcune
miglia, si potesse facilmente evitarli,
e mantenere il decoro e la ve-
nerazione dovuta al sagramentato
Signore : che se accadeva doversi
fermare il Pontefice in alcun luo-
go, subito a mezzo d'un corriere
si avvisava monsignor sagrista, cu-
stode della ss. eucaristia, acciocché
non proseguisse il viaggio sino a
nuovo avviso. In quanto alla pom-
pa ed accompagnamento del ss. Sa-
gramento, ciò non fu senza miste-
ro, dappoiché ne fu tolta l'idea da
quella colla quale il popolo ebreo
precedeva ed accompagnava l'Ar-
ea da Dio ordinata, in cui con-
EUC
63
servavasi la manna, figura vivissi-
ma del sagramento dell'altare. Dei
due chierici della cappella ponti-
fìcia che accompagnavano il ss. Sa-
gramento, portando lumi, e suo-
nando il campanello ec, se ne tratta
al volume XI, pag. io,3 del Di-
zionario. All'articolo Famiglia Pon-
tificia (Vedi), nel riprodurre alcu-
ni antichi ruoli di essa, si vedrà
che prima eranvi tra i famigliari
pontifìcii il cappellano, e i pala-
frenieri del ss. Sagramento. Il Can-
cellieri, nelle sue Disseriazioni epi-
stolari, pag. 3 1 6, ci dice che vo-
leva pubblicare una Dissertazione
intorno al canonico don Ruffino
Fisregno nobile novarese, palafre-
niere della chinea destinata a por-
tare la ss. Eucaristia nel solenne
possesso , e ne viaggi de3 sommi Pon-
tefici Giulio II, Leone X3 e Cle-
mente VII, con un'appendice di
settantasei documenti, e col diario
inedito di Gio. Paolo Mucanzio,
sopra il viaggio di Clemente Vili
a Ferrara. Fu in occasione di que-
sto, che monsignor Angelo Rocca
agostiniano, sagrista di tal Pontefi-
ce, e che accompagnò la ss. Eu-
caristia che Io precedeva, pubblicò
sopra siffatto rito il trattato eru-
dito : De sacrosanto Christi Corpore
Romanis Pontificibus iter conficicn-
ti bus pra eferendo Commentarius, Ro-
mae 1 5o,g. Questo commentario fu
riprodotto a pag. 35 del tom. I,
Opera omnia, Roma 17 19.
Dovendo trasferirsi Clemente Vili
a Ferrara nel i5g8, per prender
possesso di quel ducato, ricaduto
nel pieno dominio della santa Sede
per morte di Alfonso II, celebrò
messa privatamente, e consagrate
due ostie, ne collocò una nella cu-
stodia, che doveva essere portata
nel viaggio, dando poi la chiave
164 EUC
a monsignor Rocca come sagrista.
La detta custodia fu da tal pre-
lato descritta con queste parole.
« Capsula lignea est longitudine
h palmorum circiter quatuor, lati-
ti tudine duorum, altitudine autem
>, unius palmi, et amplius, holose-
« rico rubri coloris panno intuì
*> forisque conglutinato cooperta;
« ejus operculum habet foris in
» medio basini quandam ex aere
» aurato, intra quam statuitili
» Crucis aerae pes auratae cum
v sacra Cbristi imagi ne unius palmi,
» et eo amplius, eidem cruci ere-
» ctae super illam basim affixa.
» Haec interea capsula habet intus
« in fundi medio sericeum rubri
« coloris sacculum desuper con tra -
« bendimi , et funiculis sericeis
» coustringendum, in quo vasculum
*• sive bosliaria, vel, utajunt, custo-
m dia cum sacratissima hostia a
» sacrista de septimo in septimo
» diem, ut jam diximus, mutan-
ti da reconditur, et custoditur.
« Extat etiam super capsulam
» opertorium ex tela aurea, seu
« potius ex serico, et auro conte-
>* xta, in quatuor partes divisum,
« atque hinc inde pendens, partim
>* vero extremitatis laciniis, item
h sericeis et aureis distinctae, et
« ornatae sunt, nec non Ecclesiae
» sanctae s uni mi Poutifices, et so-
« cietatis Corporis Christi insigni-
» bus decoratae. Ad quatuor ca-
» psulae angulos, quatuor virgae
« ferrae, et auratae palmorum cir-
« citer quatuor columnarum in»
w star ad tres, et amplius palmos
« saprà capsulae operculo emi-
» nentes aptatae cernuntur; super
» quarum summitatibus umbel-
» la, quam vulgo baldacchinurn
» appellant, ex serica item, et au-
h ro contexta sustentatur, bine in-
EUC
»» de pendens, laciniis, et lcmniseis
*> seu flocculi* tum sericeis, tuoi
»> aureis distincta , et ornala, in
» eujus vertice ad quatuor an-
*> gulos lotidem stellulae ex aere
* inaurato super glandes ilern au-
» reas, et auratas, ac satis quidem
« grande* collocatae magnani ertì-
» ciunt venustatem. Hunc in mo-
» dum, etc.
Tale macchina cosi preparala
fu portata sopra le spalle di otto
canonici della basilica vaticana. Pre-
cedevano molti ascritti aH'arcicou-
fraternita delta del ss. Sagrainenlo,
con torcie accese, e i religiosi di
ciascun ordine. Dopo venivano i
musici della cappella di s. Pietro,
quindi seguiva la croce con il cle-
ro, e dopo il clero era portata la
macchina suddescritta , sotto un
grande baldacchino sostenuto da
otto camerieri segreti del Pontefi-
ce, e veniva accompagnata dagli
scudieri, e svizzeri del medesimo.
Seguiva poi il sommo Pontefice
con torcia accesa in mano, e dopo
lui i Cardinali, i prelati e i nobili
romani, portando parimenti le tor-
cie accese. Giunse tal processione
al luogo ov'era un cavallo bianco
riccamente coperto con sella e gual-
drappa lunga sino a terra di colo-
re rosso, con campanello di argen-
to dorato pendente dal collo, so-
pra del quale fu imposta la mac-
china, e bene stabilita nella sella
a detto effetto disposta, e fabbri-
cata con viti e ferri in modo che
più non si potesse muovere, ne
cadere da essa. Montò poi il sa-
grista sopra una mula bianca, ve-
stito di mantelletta e mozzetta ,
con un bastone bianco in mano, e
con cordone di seta nera ornato in
segno della cura a lui commessa,
e s'incarnino verso la porta detta
EUG
Angelica, ov'erano pronte le per-
sone destinate per il viaggio. Il
Pontefice intanto genuflesso, non
si alzò finché non perde la vista
del Santissimo portato dal cavallo,
e poi si ritirò nel palazzo vati-
cano. Segue l'ordine del viaggio, e
treno.
Precedevano i carriaggi e mu-
lattieri portando i sagri arredi co-
perti con panni rossi, ornati coi
pontificii stemmi ; seguiva con una
tromba una squadra di uomini a
cavallo, dopo i quali otto cavalli
con selle vuote, ornate di preziose
gualdrappe di colore rosso, e due di
essi portavano scalini per uso del
sagrista, quando doveva operare
nel tabernacolo. Dopo succedevano
a cavallo i servitori e famiglie dei
prelati, due cursori portando in ma-
no una verga rossa, e venti can-
tori della cappella pontifìcia, due
scudieri, e due mazzieri con mazze
di argento in mano. Seguiva un
maestro di cerimonie , con due
chierici della cappella pontificia ,
vestiti con veste paonazza, portan-
do a cavallo due lanterne in cima
ad un'asta, sostenuta da una staffa
a detto fine adattata nel fianco,
dentro le quali erano facelle di ce-
ra accese. Dopo essi seguiva il ca-
vallo che portava il ss. Sagramen-
to, tenuto per il freno da due pa-
lafrenieri del Pontefice, e nelle par-
ti laterali camminavano gli svizzeri
armati. Dopo il Sagramento caval-
cava il sagrista, che teneva un ba-
stone bianco in mano in segno del-
la sua giurisdizione, e poi seguiva-
no molti prelati referendari, i ca-
merieri, ed i cappellani pontificii,
cogli scudieri ; e con tal ordine fu
fatto il viaggio precedendo d' una
giornata avanti il Pontefice , sem-
pre dicendosi dalla comitiva i sal-
EUC i65
mi, o altre divote orazioni. In qua-
lunque luogo, ove terminava nella
sera il viaggio , era il ss. Sagra-
mento incontrato da uomini arma-
ti in distanza d'un miglio, e dopo
dal clero secolare e regolare del
luogo, alla porta del quale si tro-
vava il magistrato con trombe, e
tutti accompagnavano la ss. euca-
ristia alla chiesa, cantando inni, ed
ivi la notte si custodiva con l'assi-
stenza di ecclesiastici, e con lumi
accesi. Concorrevano da tutti i vi-
cini luoghi alle pubbliche strade i
popoli per adorare la ss. eucari-
stia, e i magistrati facevano a ga-
ra coi nobili per riceverla sotto il
baldacchino. Con simile pompa si
giunse a Ferrara, e da questa cit-
tà si tornò a Roma. Si può leg-
gere il minuto dettaglio di siffatto
viaggio nel Rocca, a pag. 55 sino
al fine.
Il p. Gattico, Ada Caerem. pars
secunda, p. 204, dice che nelle chie-
se ove si esponeva il ss. Sagramento
che portavasi nel viaggio, dopo
datasi col medesimo al popolo la
benedizione, dalla parte del vange-
lo dal superiore della chiesa si pub-
blicava l'indulgenza concessa da
Clemente Vili, con questa formo-
la. m La Santità di N. S. Cleraen-
« te Papa Vili, dà e concede a
m tutti quelli che hanno incontra-
» to, ovvero accompagnato il ss.
« Sagramento, ed a quelli che nel
» partire T accompagneranno , ed
» a tutti quelli che si trovano
» presenti sette anni, ed altret-
» tante quarantene di vera indul-
» genza in forma della Chiesa.
>» Pregate dunque Dio per il feli-
» ce stato di s. Chiesa, <$ della San-
» tità Sua ". Avverte però il me-
desimo padre Gattico che tale era
T indulgenza che dal Papa si con-
166 EUC
cedeva quando il ss. Sagramento
.si posava prò omnibus terris, op-
pidh, et locis. Pro civitatibus ve-
ro concessi l annos X et totidem
quadragenas.
L'ultimo Pontefice che usò nei
viaggi farsi precedere dalla ss. eu-
caristia, fu Benedetto XIII, e seb-
bene Pio VI si conducesse a Vien-
na, e Pio VII a Parigi, non l'u-
sarono, come non l'usò il regnante
Pontefice Gregorio XVI ne' suoi
viaggi (V. Viaggi de* sommi Pon-
tefici). Benedetto XIII, volendo
visitare il suo antico arcivescovato
di Benevento, che continuava a go-
vernare, partì da Roma a' 24 mar-
zo 1727, e giunto a Terracina ,
nella chiesa di s. Salvatore , posta
fuori della città, celebrò la messa,
ed ivi si fece precedere dalla ss.
eucaristia, perchè solo fuori dello
stato pontificio volle usare di que-
sto rito, e perciò se ne servì sino
a Benevento. Entro una cassetta
portata da un cappellano segreto,
fu collocata la s. Ostia consagrata
dal Papa, descrivendosene il modo,
alquanto diverso dai precedenti ,
nel volume Vili, pag. 108 del Di-
zionario. Precedeva altresì a Bene-
detto XIII la croce pontificia, con
due cavalleggierì, ed alcune perso-
ne per vanguardia, vestite con abi-
ti da viaggio. Giunto il Papa a
Cervi nara, diocesi di Benevento, ai
3 1 marzo , lasciò fuori di essa e
nella chiesa de' religiosi Serviti, il
ss. Sagramento. Dipoi a' 12 mag-
gio ripartì per Roma, ed a Ceri-
gnano si fece nuovamente prece-
dere dalla ss. eucaristia, e si avviò
per Monte Cassino; indi a' 21 mag-
gio passò ad Aquino, e giunto al
convento degli agostiniani scalzi,
un miglio distante da Frosinone,
ivi fece riporre il ss. Sagramento,
EUC
che non fu più ripreso viaggiando
ne' suoi dominii. Nel 1729 Bene-
detto XIII tornò a visitare la sua
amata arcidiocesi Beneventana , e
passato il Garigliano, fu ossequiato
per parte del vice-re di Napoli,
offerendogli per servirlo ed accom-
pagnarlo cento militari granatieri ;
ma il Papa li ringraziò dicendo
che quando il sommo Pontefice viag-
gia senza la ss. eucaristia, deve
dispensarsi da tanti onori. Fin qui
abbiamo detto de' viaggi fatti per
terra, laonde è necessario fare un
cenno di quelli fatti per mare.
Pio II, avendo destinato nel
1 4^4 di partire da Ancona alla testa
d' una possente spedizione navale
contro i turchi, volle che per mare
eziandio il precedesse ed accompa-
gnasse la ss. eucaristia, leggendosi
perciò ne' suoi Commentari, a pag.
34 1: »» Stabimus in alta puppe,
« aut in aliquo montis supercilio,
* habebimusque ante oculos di-
h vinam eucharistiam , id est D.
« N. J. C., ab eo salutem , et vi-
» ctoriam puguantibus nostris mi-
» litibus implorabimus ". Clemen-
te VII, a'9 settembre i533, parti
da Roma alla volta di Pisa , ove
montato sulle galere francesi, nel-
la prima di esse, ch'era la capita-
na, si fece precedere dal ss. Sa-
gramento, portandosi a Marsiglia
per mare , per trattare col re di
Francia Francesco 1 la conversione
di Enrico VIII re d'Inghilterra
dallo scisma, e fare il matrimonio
di sua nipote Caterina de' Medici,
con il duca d'Orleans, poi Enrico
II. Dell' uso di portare anche per
mare la ss. eucaristia, sono a con-
sultarsi l'eruditissime note del Car-
dinal Stefano Borgia, air orazione
di Pio II, de bello Turcis inferen-
do, pag. 49- Non solo ne' viaggi
EUC
per terra e per mare i Pontefici
si fecero precedere dalla ss. euca-
ristia, ma eziandio per città, mas-
sime ne' solenni possessi. Prima ne
accenneremo alcuni esempi, e dire-
mo per quali circostanze i Papi
l' usarono nelle città , poi diremo
dell'uso che ne facevano prenden-
do possesso alla basilica lateranense.
Oltre quanto dicemmo all' arti-
colo Cavalcala ( Vedi), cioè di quel-
la fatta per Bologna nel i53o da
Clemente Vii , e da Carlo V in
occasione che questi ricevette da
quel Pontefice le insegne imperia-
li, qui aggiungiamo quanto ne scris-
se Paolo Giovio nel lib. XXVII.
" Nec multum inde succedebat eu-
» charistia sub aurea umbella lo-
* culo •cbrystallino inclusa, et sella
» generosi , et tainen parali equi
w super imposila. Lanterna ingens
d ante, et circum dena fanalia fe-
« rebantur ". Agostino Patrizio ,
nel descrivere la solenne cavalcata
fatta per Roma da Paolo li nel
1468, per la venuta dell'impera-
tore Federico III, racconta al n.°
'zi: « Incedebat subdiaconus cru-
w cem praeferens .... Crucem ve-
m ro sequebaulur primo clerici pon-
» tificalis cappellae^ quorum alter
;> lanternam cum lumine praefere-
}•- banl in lionorem ss. Eucharisliae 3
s> alter vero loculum pontifìcalis
»> mitrae .... Post hos ducebatur
» equus albus s aerati ssimum Clivi-
» sti Corpus vehens in capsula or-
n natissima reconditum, quem prae-
* cedebat sacrista Pontificis, ba-
» culum teretem manu ferens, et
» supra sacram hostiam sericeum
» umbraculum ferebatur; circum-
» circa vero fanalia multa accensa ".
Il Quii-ini, Vindiciac PauliJI, capo
IV, narra della messa celebrata in
tal circostanza dal Papa nella ba-
EUC 167
silica lateranense, e degli atti di
ossequio che volevagli tributare
l'imperatore. Nel i522 Adriano
VI fu eletto mentre era assente da
Roma. Giunto alla basilica ostiense,
entrò in città a' 29 agosto a ca-
vallo, preceduto dal ss. Sagramento
si avviò al Vaticano ove venne co-
ronato, come narra il Rinaldi, men-
tre l'Ortis , che scrisse l' itinerario
del viaggio di Adriano VI , non
fece menzione della ss. eucaristia.
Ma Biagio Martinelli che, qual
maestro di cerimonie, diresse la ca-
valcata, ecco quanto scrisse. « Qui-
» bus fìnitis, omnes ad equitan-
» dum iverunt cum multa confu-
f> sione, et malo, sine baldacchini
» prò ss. Sacramento , et Papa ".
Ma questo rito molto più fu in
uso nelle cavalcate, come prescrive
il Cerimoniale al § XIX, pei so-
lenni possessi che ogni nuovo Pa-
pa prende della basilica lateranense,
prima partendo dalla basilica va-
ticana, e poi dal palazzo che abita,
come rilevasi dalle relazioni dei
medesimi possessi , pubblicale dal
Cancellieri, de' quali faremo men-
zione di alcuni. Sembra che il pri-
mo ad usarlo in questa solenne
funzione, fosse Nicolò V, allorché
cavalcando, e portando la Rosa
d'oro (Fedi) in mano, essendo la
domenica Laetare 3 a' 19 marzo
i447j prese solenne possesso, fa-
cendosi precedere dal Corpo di Cri-
sto, circondato da molti lumi. Ai
12 settembre i4^4 prese possesso
Innocenzo VIII, leggendosi nell'or-
dine della descrizione quanto se-
gue: « Subdiaconum cum cruce,
» sive ceroferariis , et thuribulo,
» secum habens alios subdiaconos
» collegas suos. Duodecim familia-
» res Papae vestibus rosaceis in-
* duti, qui duodecim magna intor-
168 EUC
» ticia alba accensa ante Corpus
» Chrisli ferebant pedestres. Unus
« familiaris sacristae equester, si
» recte menimi, super pellicio in-
» dutus, qui super bacalo inau-
m rato lan ternani ferebat cum can-
»> dela accensa prò Corpore Chri-
v sti. Cantores cappellae nostrae
w super pelliciis indunt, secretarli,
p et advocati mixtum cum suis
« pluvialibus, acoliti Papae, omnes
» in albis. Clerici camerae, audito-
» res Rotae, etc. ". Giulio II prese
il possesso colla solita solenne ca-
valcata a* 5 dicembre i5o3 , ove
per T argomento nostro si legge :
« Praelati quatuor servi tores di-
« versi modo vestitos, et major
« pars sine baculo, excepto sacri -
» sta, qui habebat sex servitores
*> juxta se in vestibus rosaceis, et
« ambo clerici cappellae equita-
« runt in cocta ante Sacramentum,
« et Finus a dextris cum lanter-
*> na, et Federicus a sinistris, ejus
« vicarius .... Papa descendi t de
« equo , quem , et baldaccbinum
» receperunt romani portantes pa-
» cifice, et quiete, quia fuit cum
» eis ita conventum, ut retineret,
« et Papa esset eis aliquid dona-
» turus prò baldacchino Sacramen-
» ti . ..." e parlandosi della di-
stribuzione del presbiterio, si dice
che a Baldassare, famigliare del sa-
crista Pontifìcio, fu dato un du-
cato. Leone X, agli 1 1 aprile i5i3,
si recò al Laterano per prendere
il possesso, leggendosi nella descri-
zione : « XII parafrenarii con XII
» luminaribus pedites. Duo fami-
» liares sacristae equites cum lan-
»» ternis. Equus cum Sacramento.
t» Baldacchinum super Sacra men-
» tum per cives romanos Vili vi-
» cissim. Sacrista cum baculo in
v manu ", In altra relazione poi
EUC
é scritto: »» Ilostiarj con un baculetto
» in mano per uno, coperto di
» velluto chermusi, in segno di lo-
» ro oflìzio. Et drieto a loro tre
» subdiaconi apostolici , li quali ,
» quel di mezzo, portava sopra de
» un gran bastone argenteo , et
» deaurato la santissima croce. Se-
»» guiva poi una bianchissima chi-
» nea; et quella sopra del dorso
>♦ suo aveva un tabernaculetto, a-
» domato di broccato d'oro, nel
m quale dentro si posava la sacra
a eucharistia, onde sopra era un
« bellissimo baldacchino , et cir-
» cumcirca forse venticinque para-
»# frenieri, con torcie di purissima
» cera bianca accesa in mano, et
» dietro il sacrista con un baculo
» ligneo in mano per custodia di
» Cristo". Finalmente, essendosi
cessato dopo Leone X di prendere
il possesso cogli abiti sagri , colle
mitre, coli' incontro de' turiboli del-
le chiese, dinanzi le quali passava
la cavalcata, terminò anche il rito
di farsi precedere i Papi in questa
funzione dalla ss. eucaristia, e mai
più fu quindi ripreso, come osser-
vano il Rocca a pag. 46, ed il Ca-
talani nel tom. I del Cerimoniale,
pag. 126.
Nel codice della biblioteca Za-
luski di Varsavia si rappresenta il
viaggio del Papa Giovanni XXIII
a Costanza, e si vedono tre cavalli
bardati , sopra uno de' quali è il
ciborio del ss. Sagramento fra due
candellieri con candele accese. Alla
sinistra cavalca il crocifero, vestito
di tonaca azzurra con cappuccio
e mozzetla bianca, ma a capo sco-
perto. Alla destra altro cavallo con
sacchi e valigie sul dorso. Antolo-
gia Rom.s tom. II, p. 267. In al-
tra tavola, in cui si rappresenta
l' ingresso degli elettori in conclave
EUC
agli 8 novembre 1^17, si vede una
turba di laici con ceri accesi, ed
un cavallo bardato col ss. Sacra-
mento sopra di esso, e il crocifero
pure a cavallo. Ivi, tom. II, pag.
275. Su questo argomento, oltre
i citati autori, sono a consultarsi :
il Sarnelli, nel Lume a* principian-
ti, a pag. 1 io, ove tratta come al
Papa che fa viaggio preceda la ss.
eucaristia; Cristiano Lupo, de Pro-
cessionibus cap. 11, tom. II, Ope-
re, p. 34o ; il p. Gattico, Acta se-
lecta caerimonialia, sia per le ca-
valcate in qualunque luogo, che
per quelle che facevansi al Lutera-
no, si può leggere l'indice per rin-
venire le analoghe nozioni. Altre
se ne leggono nelle relazioni stam-
pate per l'andata di Clemente Vili
a Ferrara, accompagnato da ven-
tisei Cardinali; per cui abbiamo:
Annibale Banordini, Narrazione del-
l' entrata pontificale fatta da Cle-
mente ì III in Ferrara ec, Roma
1598; Breve ragguaglio del ss. Sa-
gramento a Ferrara, con li rice-
vimenti, onori, ed archi fatti dalle
comunità, ed altri signori, Roma
1598; Annibale Mareggia, Rela-
zione delle accoglienze fatte dal
duca di Urbino a Clemente Vili,
ivi ; Odoardo Magliani, Ordini te-
nuti nell'andata del ss. Sagramen-
to, e di Papa Clemente FUI da
Roma per Ferrara, ivi ; Domeni-
co Amici, // bellissimo ordine, che
si e tenuto nel partire il ss. Sagrar
mento da Bologna il dì 3o novem-
bre 1598, ivi; Entrata di Clemen-
te FUI nella città di Bologna,
ivi.
EUCARPIA. Sede vescovile della
prima provincia della Frigia Salutare,
nell'esarcato e diocesi d'Asia, sotto
la metropoli di Sinna, e la cui ere-
zione risale al quarto secolo. 1 suoi
EUC 169
abitanti si chiamarono Eucarpii, e
ne fanno menzione Tolomeo e Stra-
bone. Dall' Oriens Clirist., tom. 1,
p. 845, si apprende che cinque ve-
scovi vi ebbero sede, cioè Eugenio,
Auxamano, Ciriaco, Dionisio, e Co-
stantino. Al presente Eucarpia, Eu-
carpien , è un titolo vescovile in
partibus della gran Frigia, sotto-
posto a Sinna, arcivescovato in par-
tibus, che suol conferire la sede
apostolica.
EUCHAITA seu Euchetae. Se-
de episcopale della provincia di El-
lesponto, nella diocesi ed esarcato
di Ponto, dipendente dalla metro-
poli di Amasia, eretta nel nono
secolo. Le notizie greche ne fecero
un arcivescovato, e quelle di Leone
una metropoli, ma onoraria. Fu
pur chiamata Teodoropoli dall'im-
peratore Giovanni Zimisce, a ca-
gione d'una gran vittoria che avea
riportata il giorno della festa di s.
Teodoro Tyron contro i russi , a-
vendo, com'egli diceva, veduto quel
santo combattere pei romani o gre-
ci, e rompere i battaglioni de' ne-
mici. Ed è perciò che vi fece edi-
ficare una magnifica chiesa sotto
T invocazione di tal santo martire,
nel luogo istesso ove riposavano le
sue ceneri. Il p. Le Quien, nell'O-
riens Christ., tom. I, p. 544 e seg >
ci dà le notizie de' sedici suoi ve-
scovi, che furono : Epifanio, Teo-
fìlatto, Eufemiano ì, Teodoro San-
tabareno, Eufemiano li, Simeone,
Filoteo, Michele, Nicola, Giovanni,
Basilio, Costantino, ed Alessio, de-
gli altri tre se ne ignora il nome.
EUCHANIA. Sede vescovile del-
la provincia di Europa, nella dio-
cesi di Tracia, sotto la metropoli
di Eraclea. Alcuni la confondono
con Euchaita, e sembra secondo al-
tri che divenisse metropoli. Dall' O-
j7o 1ÌUC
riens Chrìst.y tom. I, p. 1 44> s' ha
che vi ebbero sede i vescovi Gre
^orio, Giovanili 1, Nicola, e Gio-
vanni II.
EUCHERIO (s.). Ebbe per pa-
tria Orleans, ed i suoi genitori ap-
pena nato il consecrarono al Si-
gnore. Vi corrispose egli mirabil-
mente facendo rapidi progressi col
crescere dell'età nelle scienze divi-
ne, e nelle cristiane virtù. Medi-
tava sovente l'epistole di s. Paolo,
e quella fra le altre, in cui l'apo-
stolo consiglia a disprezzare le ric-
chezze. Ammaestrato da tale dot-
trina abbandonò il mortelo, e si ri-
tirò nell'abbazia di Jumieges in Nor-
mandia, circa l'anno 7 1 4. Passali
dolcemente sette anni in quella so-
litudine, il clero ed il popolo di
Orleans, rimasti senza vescovo, sì
rivolsero a Carlo Martello ad og-
getto di ottenere Eucherio per lo-
ro prelato. Intesa tal nuova da Eu-
cherio, fece quanto più potè per
esimersi da un sì grave incarico ,
ma per nulla valsero le sue istan-
ze, e dovette cedere per spirito di
ubbidienza. Nell'anno 721 fu egli
consegrato, e posta ogni sua fidan-
za nel sommo Pastore Gesù Cristo,
si diede con tutto il zelo a regge-
re il gregge affidatogli. Colla pre-
dicazione ammaestrava il suo po-
polo, con le limosine sovveniva ai
poveri, colle sue visite agli infer-
mi inspirava loro la rassegnazione,
e confortavali colle sue ammonizio-
ni. Ebbe le sue contraddizioni , e
Carlo Martello si credè autorizza-
to di allontanare il sauto vescovo
Eucherio dalla sua sede, ed esiliarlo
in Colonia, indi nel castello di Ha-
spengaw, per essere stato con evan-
gelica libertà rimproverato di va-
lersi dei beni della Chiesa senza
scrupolo, per riparare le spese del-
tue
la guerra. 11 governatore di Liegi
però edificalo dalla pietà del santo
vescovo lo trattò con tulli i riguar-
di, lo elesse a suo elemosiniere,
e gli permise di ritirarsi nel mo-
nistero di s. Tradone, ove ai 20
febbraio dell'anno 743 santamente
spirò. Il martirologio romano as-
segna in tal giorno la sua festività.
KDCHERIO (s.). Vescovodi Lio-
ne, era stato prima ricchissimo se-
natore. Sposò una fanciulla chia-
mala Galla, da cui ebbe due fi-
gliuoli, Salone e Verano, i quali
furono vescovi vivente ancora il
padre, dopo essere slati da lui
medesimo educati nella vera pie-
tà e virtù. Cessò di vivere verso
l'anno 4^4> ignorasi in quale età.
11 primo degli scritti suoi che ci
rimangono, è un Tratlato a fog-
gia di lettera indirizzalo a santo
Ilario } e contiene un grande elo-
gio del deserto, e della utilità della
solitudine. Poi una Lettera a Va-
leriano suo parente, i cui ragiona-
menti pieni di vigore e forza dan-
no chiara idea della vanità e ca-
ducità delle cose terrene, e quindi
dell' inganno di chi le apprezza ;
un Trattato delle formole, il quale
altro non è che una spiegazione
d'alcuni passi della Scrittura , ad
uso del suo figlio Verano; i due
libri delle Istituzioni, i quali sono
d'una maggiore utilità dell'anzi-
detto trattato, spiegandosi in essi
un gran numero di difficoltà della
Scrittura; finalmente la Storia di
s. Maurizio e degli altri martiri
della legione tébana.
EUCOLOGIO (Euchologium).U*
bro di preghiere, così chiamato
dai greci, e contenente le preghie-
re, le benedizioni, il rituale e le ce-
rimonie di cui si servono nell'am-
minislrare i sagrameati, e nella li-
EUC
lurgia, come nella collazione degli
ordini sagri. L'Eucologio è pei gre-
ci propriamente il Rituale e il
Pontificale, contenente tutte le fun-
zioni sacerdotali ed episcopali. Lo
stamparono i greci scismatici nel
1 63 1 pieno di errori, laonde i
greci cattolici , sudditi di Filippo
JV re di Spagna, ne avvisarono
questo principe , il quale ricorse
ad Urbano Vili, che perciò depu-
tò una congregazione particolare
di teologi, a cui ascrisse i più dot-
ti, fra 'quali il p. Gio. Morino del-
l'oratorio di Francia, ed il celebre
gesuita Dionisio Petavio, che per
la provetta sua età non potè re-
carsi a Roma: poscia vi furono
aggregati Luca Olstenio, e Leone
Allazio. Alcuni vi trovarono errori
e cose che loro sembravano rende-
re nulli i sagramenli; altri dimo-
strarono che i riti contenuti Dello
Eucologio erano più antichi dello
scisma di Fozio, e che non si po-
tevano condannare, senza compren-
dere nelle censure l'antica Chiesa
orientale. Ottanladue congressi eb-
bero luogo fino all' anno ì6^5,
senza che i membri della concie-
gazione compissero il loro lavoro,
che però fu continuato lentamente
sotto Innocenzo X, ed altri Ponte-
fici, sino a Benedetto XIV. Ma que-
sti, avendo rinnovata tale congre-
gazione, di cui avea fatto parte, e
volle averne nei successivi lavori,
ebbe la gloria di portare a fine
l'opera. Quindi l' Eucologio, egre-
giamente corretto, coll'aiuto di quel-
lo pubblicato in Parigi nel 1647,
greco-latino, con note ed eccellenti
giunte, dal dotto domenicano Gia-
como Goar, intitolato Euchologìum
«Ve Rituale graecorum, e di molti
altri mss. che si conservavano in
diverse biblioteche, lo fece pubbli»
EUD
7*
care nel 1754 dalla celebre tipo-
grafia della congregazione di Pro-
pagandante, col titolo Euchologium
ec. Benedetto XIV il propose a
tutti i vescovi ed ecclesiastici del
rito greco, per uso delle loro chie-
se, con una lettera loro diretta il
primo marzo 1756, Ex quo ec. ,
Bull. Magn. tom. XIX, p. 192,
nella quale il Pontefice die saggio
di quella sagra erudizione che lo
rese immortale.
EUDE (di) Giovanni, Cardinale.
Giovanni di Eude, soprannominato
Caramagna, della famiglia de'viscon-
ti di Caramagna, pronipote di Gio-
vanni XXII, nacque in Chaors nel-
l'Aquitania. Fu dapprima canoni-
co della metropolitana di Tours,
protonotario apostolico , e quindi
nel i35o a' 18 dicembre, da Cle-
mente VI creato diacono Cardina-
le di s. Giorgio in Velabro. Cle-
mente VI lo promosse anco a con-
templazione della parentela con-
tratta tra la sua famiglia Roger,
e quella di Caramagna, pel matri-
monio del proprio nipote Gugliel-
mo con Eleonora della casa di
Caramagna. Innocenzo VI lo amava
molto, e ne facea di lui altissima
considerazione. Morì in Avignone
pel contagio, l'anno i36i, ed ivi
ebbe eziandio onorevole sepolcro.
EUDISTI. Congregazione di pre-
ti secolari destinati a dirigere i
seminari, ed a fare le missioni, i-
stituita dal p. Giovanni Eude , il
quale era fratello di Mézeray isto-
riografo di Francia. Il padre Eu-
de era stato prete della congre-
gazione dell'oratorio, e uscì da es-
sa per formare la sua. Dapprima
la stabilì a Caen li 25 marzo i643,
e di là la congregazione si estese
in molte provincie della Francia,
principalmente in Normandia , a
i7a EUD
Roano , a Lisieux , ad Evrctix, a
Coutanccs, ce. Questo istituto ha
per iscopo di formare alla Chiesa
dei zelanti preti, e dei buoni ec-
clesiastici nei seminari , allorché i
vescovi ne affidano ad essi la di-
rezione, prendendo il nome di Con-
gregazione di Gesù e Maria, det-
ta degli Eudisti. Il fondatore fece
una particolare professione di di-
vozione alla santissima Vergine , e
dispose che i suoi religiosi vestisse-
ro come gli ecclesiastici secolari, e
che il generale risiedesse nella casa
di Parigi. Gli eudisti si applicano
con frutto alla educazione de' gio-
vani chierici nello spirito ecclesia-
stico, nel ricevere quelli che vo-
gliono fare ritiri ed esercizi spiri-
tuali per avanzarsi nella perfezione,
o per emendarsi dai loro disordi-
ni dopo aver condotta una vita
mondana, e in fare delle missioni
massime nelle campagne. Professa-
no gli eudisti di essere sottomessi
agli ordinari de' luoghi ove sono
stabiliti, e meritarono per il loro
zelo e benemerenze gli elogi e le
benedizioni de' vescovi. In Vincen-
nes, negli Stati Uniti di America,
gli eudisli hanno un collegio. Sic-
come il p. Eude fu chiamato anche
Odone, cosi gli eudisli furono ap-
pellati da alcuni Odonisti. Il padre
Eude è pur fondatore dell'ordine
religioso di nostra Signora, ossia
della congregazione delle religiose
della Madonna della Carità, della
quale si parla nel volume X, pag.
36, del Dizionario.
EUDOCIA. Città vescovile della
seconda Pamfìlia., nella diocesi di
Asia, sotto la metropoli di Pirgi ,
che Com man ville dice eretta nel
quinto secolo. Vuoisi che prendesse
il nome dalle imperatrici Eudossie,
mogli di Teodosio e di Arcadio.
EUF
L' Oriens Christ. , tom. I, pag. 102 r,
assegna cinque vescovi a questa
città, cioè Timoteo, Sabiniano, In-
nocenzo, Costantino, e Calisto.
EUDOCIA. Sede episcopale di
Licia, nell'esarcato e diocesi d'Asia,
sottoposta alla metropoli di Mira,
che Comman ville dice eretta nel
nono secolo. Anche questa città
vanla di aver preso il suo nome
dall' imperatrice Eudossia , moglie
di Teodosio II. Abbiamo dall' O-
riens Chrislianus, tom. I, p. 908,
che vi ebbero sede i vescovi Ti-
moteo, Zenodoto, e Fotino.
EUDOSSIA. Città vescovile del-
la seconda Cappadocia , nella dio-
cesi di Ponto , sotto la metropoli
di Pessinunte: altri la pongono nel
Ponto di Galazia, o nella seconda
Galazia. Ne\Y Oriens Christ., tom.
I, pag. 4ì)5j sono registrati suoi ve-
scovi Aquila, e Menna.
EUDOSSIOPOLl ( Eudoxiopo.
lis ). Sede vescovile di Pisidia ,
nella diocesi d'Asia, sotto la me-
tropoli di Antiochia , secondo le
notizie di Jerocle. Teodoro ne fu
vescovo, vedendosi il suo nome sot-
toscritto nella lettera de' vescovi
della sua provincia all'imperatore
Leone.
EUFEMIA (s.). Verso l'anno
307, nella città di Calcedonia, ebbe
Eufemia a sostenere i più barbari
strazi, e finalmente la morte per
amore di Gesù. Cristo. Sino da
fanciulla aveasi ella con voto di
virginità consegrata al Signore.
Colle dimesse sue vestimenta, e col-
l'esercizio della penitenza e santa
umiltà si fece ella conoscere ben
presto di appartenere alla sequela
del divino Riparatore. Scoperta per
tale, e tradotta dinanzi al magi-
strato, fu ordinato tosto che fosse
crudelmente percossa, uncinata, ed
EUF
in mille modi tormentata. Eufemia
il tutto sofferse con eroica costan-
za, e condotta di poi in prigione
lodava il Signore con canti i più
soavi e giocondi. Infuriato vieppiù
il tiranno per la fermezza di Eu-
femia, ordinò ch'ella fosse vittima
delle fiamme, e senza punto alte-
rarsi ad una sì barbara intimazio-
ne, Eufemia montò sul rogo da
per se stessa, dando a divedere a-
gli astanti la gioia eh' ella sentiva
di entrare nella gloria di Gesù
Cristo. Questa santa è onorata in
tutto l'oriente anche dalla Chiesa
greca, e le sue reliquie sono spar-
se in vari luoghi, come pure la
chiesa della casa di Sorbona in
Parigi ne conserva una porzio-
ne. La sua festa si celebra ai 16
settembre.
EUFEMIA. Sede episcopale dei
Giacobiti della Mesopotamia, sotto
la metropoli di Antiochia. Il p.
Le Quien ne riporta le notizie nel-
YOriens Chris t. , tom. II, p. i44tj
dicendosi che ne furono vescovi
Giovanni, Elia, Anastasio, e Ser-
gio.
EUFRASIA o EUFRASSIA (s.).
Nacque Eufrasia da un ragguarde-
vole personaggio addetto alla corte
dell' imperatore Teodosio il giovi-
ne, del quale era anche stretto pa-
rente, ed appena ella comparve al
mondo, fu da' pii suoi genitori con-
sagrata al Signore. Morto il padre
l'anno seguente, la madre per cu-
stodire più gelosamente la propria
prole, si ritirò da Costantinopoli,
e recatasi in Egitto, ove si trova-
vano i ricchi suoi poderi, andò ad
abitare nelle vicinanze di un mi-
nistero di cento e più religiose, le
quali spandevano il buon odore di
santità. La giovinetta Eufrasia non
ancor giunta al settimo anno di
EUF i73
età, sentì fortemente gl'inviti della
grazia, che la chiamava al ritiro, e
richiesto l'assenso alla madre sua
di servire a Dio in quel moniste-
ro, non senza lagrime dalla tene-
rezza scaturite, le accordò quanto
ricercava, ed ella stessa la pre-
sentò alla superiora , perchè fòsse
accettata. Rimasta orfana Eufrasia
anche della madre non molti an-
ni dopo il suo ingresso nel moni-
stero , l' imperatore Teodosio, cui
spettava di tutelare la giovanetta,
pensò al di lei collocamento, e
mandò a prenderla per consegnar-
la al ritrovato sposo. La santa
fanciulla, bene rassodata nella sua
vocazione, con fermezza ammirabile
mandò all' imperatore la seguente
risposta. « Siccome è di già noto
« a voi, o invitto imperatore, ch'io
» ho promesso a Gesù Cristo di vi-
» vere in perfetta castità, vorrete
« voi obbligarmi a violare la mia
« promessa , sposandomi ad un
n uomo mortale, il quale diverrà
» presto pasto dei vermi ? Vi sup-
» plico adunque, per quella vostra
m bontà onde onoraste i miei ge-
« nitori, a disporre dei beni ch'es-
« si mi hanno lasciato, in favore
*• dei poveri, degli orfani e delle
» chiese. Date la libertà a tutti i
« miei schiavi, a'miei affiliamoli con-
« donate quant' essi mi devono,
« onde sciolta affatto da ogni pen-
» siero degli affari temporali, pos-
» sa senza alcun impedimento ser-
» vire a Dio. Pregate il Signo-
>* re che mi renda degna di lui,
» e la stessa grazia oso doman-
« dare all'imperatrice vostra spo-
» sa". Letta dall'imperatore una tal
lettera, non potè trattenere le la-
crime , e piansero con lui tutti
quelli che degnò mettere a par-
te di sì nobili e religiosi sentimen-
i74 ELF
li. L'imperatore eseguì prontamen-
te i voleri eli Eufrasia, e disciolta
ella da ogni cura terrena si adden-
trò sempre più nella perfezione c-
vangclica, e santamente morì nella
fresca età di anni trenta, nel 410.
Fu onorata del dono dei miracoli
prima e dopo la sua morte, ed il
martirologio romano assegna la di
lei festa li 1 3 marzo.
EUFRATESIA o EUFRATEN-
SE. Provincia dell'Asia nella Siria,
lunghesso il fiume Eufrate, avendo
questo all'oriente, al ponente la
prima Siria, ed al nord il monte
Tauro e l'Eufrate, secondo la geo-
grafia sagra. Questa provincia di-
pendeva dal patriarcato d'Antio-
chia, e fu prima chiamata Coma-
gene, ed in ordine gerarchico è
l' ottava provincia di detta diocesi
Antiochena. L' imperatore Cesare
Augusto ne fece una provincia ro-
mana, e la chiamò Eufratesia, per-
chè, come si disse, termina col fiu-
me del suo nome. Di essa spesso
se ne fa menzione negli atti dei
concili; aveva Jerapoli per metro-
poli civile ed ecclesiastica, chiama-
ta anche Membisc, che eretta in
vescovato nel IV secolo, nel V di-
venne metropoli con sedici vesco-
vati per suffraganei, tre de' quali
in progresso furono elevati al gra-
do arcivescovile. V. Jerapoli.
EUFRAZIO (s.). Brevi sono le
notizie di s. Eufrazio , e nulla di
più ci è dato a conoscere. Fu egli
vescovo di Al vergna, sede che ven-
ne in seguito trasferita a Clermont.
Nell'anno 5o6, nel concilio diAgde,
si fece rappresentare, ed in quello
di Orleans, nel 5ii, vi assistè in
persona. Ricovrò in sua casa il
santo vescovo di Rodez Quinziano,
e provvide con liberalità ai suoi
bisogni. Morì santamente nell'anno
EUF
5 1 4» ed è registrato nei martiro-
logi il giorno |5 maggio.
EUFRONIO (s.). Dotato Eufro-
nio di somma piudcnza, e di pro-
fonde cognizioni fornito, fu da sem-
plice sacerdote, ben presto chia-
mato a reggere la chiesa vescovile
di Autun. Assunto a tale dignità
occupossi ad edificare il suo greg-
ge coli' esempio di una santa vita
e colla voce. I più celebri prelati
della Chiesa gallicana erano suoi
amici ed ammiratori. Sottoscrisse
al concilio radunato in Arles nel
475. Ignorasi in qualanno sia mor-
to, ma il suo sepolcro è onorato
nella chiesa di s. Sinforiano. La sua
festa si celebra il giorno 4 di ago-
sto.
EUFRONIO solitario (s.). Lom-
bardo di origine, ebbe Eufronio
sino dalla più fresca età una te-
nera divozione a s. Martino vesco-
vo di Tours. Recatosi nel Limosi-
no, e fattosi seguace di s. Aredio,
si ritirò poi presso T reveri, e si
costrusse un romitorio. Viveva Eu-
fronio di pane, acqua ed alcune
erbe soltanto, ed innalzata una co-
lonna, su quella predicava agli abi-
tanti circonvicini, ch'erano pagani,
esortandoli ad abbattere i loro ido-
li. Erasi determinato di condurre
i suoi giorni sopra quella colonna,
ma alcuni vescovi il consigliarono
a rientrare nel suo monistero, ed
egli obbediente vi si sottomise. Mo-
rì in pace nel termine del sesto
secolo, e fu seppellito nel moniste-
io da lui eretto. Le sue reliquie
si onorano nella città di Yvois, e
la festa si celebra li 21 ottobre.
EUFRONIO (s.) , vescovo di
Tours. Dedicatosi assai giovine allo
stato ecclesiastico, le sue virtù ed
il suo sapere gli fecero strada al-
l'episcopale dignità. Fu a questa
EUF
chiamalo dal voto del clero e del
popolo, e venne consegrato nel-
l'anno 556, e nel susseguente as-
sistette al concilio di Parigi. Con-
tribuì non poco alla riedificazione
della città di Tours, dalle guerre
civili quasi distrutta, e provvide
alla sussistenza de' poveri, versando
in seno a questi i frutti della sua
mensa episcopale . Nell'anno 566
convocò Eufronio un concilio, chia-
mato il secondo di Tours, nel qua-
le si fecero ventisette canoni di
disciplina. Quantunque assai stima-
to dal re Cariberto, rare volte, e
con ripugnanza, si recava alla sua
corte. Disimpegnate con perseveran-
te sollecitudine le cure episcopali,
finì egli di vivere li 4 agosto del
^7 3, ed ebbe a successore s. Gre-»
gorio, suo congiunto, il quale vie-
ne riguardato come il padre del-
l' istoria di Francia. La festa di
s. Eufronio nel martirologio roma-
no è notata li 4 agosto.
EUFROSINA (s.). Figlia di Paf-
nuzio, personaggio illustre di Ales-
sandria, spiegò Eufrosina sino dai
verdi suoi anni ardente brama di
consagrarsi al Signore, e segregar-
si dal mondo. Il padre suo attra-
versava a tutto potere le sante in*
t.enzioni di lei, ed ella vedendo
impossibile in via ordinaria di con-
seguire lo scopo prefissosi, in età
di diciott'anni abbandonò il tetto
paterno, e travestita da uomo si
presentò all'abbate Teodosio, che
dirigeva un monistero presso Ales-
sandria, di circa trecento cinquan-
ta religiosi. Il savio abbate la con-
sigliò di chiudersi sola in una cel-
letta, e la assoggettò ad un abile
direttore. Quivi divideva ella il suo
tempo nelT esercizio della pietà cri-
si urna, nella pratica della mortifi-
cazione, e nelle opere delle sue
EUG i75
mani. 11 padre suo naturale visi-
tava di spesso quel monistero, e
senza riconoscerla, riceveva da lei
dei savi consigli per la condotta
spirituale di sua vita. Giunta ella
al termine de'suoi giorni si scoper-
se al padre, e santamente morì fra
le sue braccia nel quinto secolo,
avendo scorsi trenta anni in quella
solitudine. Una tale scoperta fatta
da Pafnuzio diede l'ultima mano
per determinarlo a lasciare anch'egli
jl mondo e morire santamente
presso quei religiosi. Dal martiro-
logio romano è ricordata s. Eufro-
sina il primo gennaio.
EUGENDO (s.). I due santi fra-
telli Romano e Lupicino, fondatori
del monistero di Condat nella Fran-
ca Contea, allevarono Eligendo sino
dall'età di sette anni. Corrispose
egli mirabilmente alle loro cure, ed
in progresso di tempo divenne an-
che abbate di questo monistero.
Austerissirna conduceva la vita, un
solo pasto al giorno ci faceva, do-
po il tramonto del sole, e mangia-
va assai poco. Una sola era la ve-
ste che usava in ogni stagione, ed
un perpetuo cilicio lo stringeva.
Sereno sempre il suo volto, dimo-
strava a tutti quanto era egli tran-
quillo, ed il suo tratto dolce lo ren-
deva caro ad ognuno. Con una
continua orazione, Eligendo era
sempre a Dio intento, e tanto a
lui si univa, che piti volte ne di-
veniva estatico. Sentito prossimo il
suo fine, chiamò a se un sacer-
dote, e lo pregò di amministrargli
l'estrema unzione, e cinque giorni
dopo in età di sessantun anno mo-
ri dolcemente nel bacio del Signo-
re, l'anno 5i4« I grandi miracoli
operati per di lui intercessione gli
procurarono una fama estesissima
in quelle contrade, ed è onorata
176 EUG
la sua memoria il di primo gen-
naio con culto speciale.
EUGENIA (s.). Poco ci è da-
to di riferire di questa santa vergi-
ne, e ci limiteremo soltanto a di-
re, che sostenne in Roma il mar-
tirio l'anno tx58 all'incirca. S. Avi-
to di Vienna asserisce che il no-
me di Eugenia era nella Chiesa
assai celebre nel quinto secolo. Il
suo sepolcro, secondo gli antichi
martirologi, era nel cimiterio di
A promano, nella via Latina. La
sua festa dai latini è celebrata ai
2 5 dicembre, e dai greci il dì 24.
EUGENIA (s). Questa santa
vergine fu figlia di Adalberto du-
ca di Alsazia, e divenne badessa
nella badia dell'alto Hodenbourg.
Pel corso di quindici anni sostenne
Eugenia il governo di quel moni-
stero, mantenendo sempre la pace
ed il buon ordine fra quelle reli-
giose, e dando sempre di se prove
non dubbie di specchiata santità.
La sua morte fu conforme al suo
vivere, e si addormentò nel Signore
li 16 settembre dell'anno 735, ed
in tal giorno viene celebrata la sua
festività.
EUGENIO (s.). Questo santo fu
discepolo di s. Dionigi primo ve-
scovo di Parigi, sofferse il martirio
a Deuil nel Parisis, ed ivi fu an-
che sepolto. Molti anni dopo seguì
la sua traslazione nella badia di s.
Dionigi., La di lui festa è assegna-
ta li i5 novembre.
EUGENIO (s.). Vescovo di Car-
tagine. Unnerico re demandali, nel-
V anno 48 1 permise ai cattolici di
Cartagine di eleggersi un vesco-
vo, dopo ventiquattro anni ch'era-
no rimasti senza pastore. Eugenio
dotato d' ogni sapere, zelo e pru-
denza fu scelto a tal dignità, e si
procacciò colla sua condotta l'amo-
EUG
re de' suoi, ed il rispetto degli stes-
si eretici. Grandi furono le sue li-
mosine versate io seno degli indi-
genti, e quanta pietà sentiva pel
suo simile, altrettanta austerità e-
sercitava con se stesso. Ogni gior-
no digiunava, e parco era il suo
pranzo sulla sera. Gli ariani , che
a mal cuore vedevano i rapidi pro-
gressi, che Eugenio faceva nella
diffusione delle cattoliche verità ,
suggerirono al re Unnerico di or-
dinare, che si unisse in Cartagine
pel primo febbraio dell'anno 4^4
una conferenza di vescovi ariani,
e che a quella dovesse concorre-
re anche Eugenio. Con evangelica
fermezza protestò che egli vi assi-
sterebbe semprechè fossero chia-
mate anche le chiese di oltremare,
e segnatamente quella di Roma ,
capo e centro di tutte le altre. A-
perta la conferenza il giorno sta-
bilito, si presentò Eugenio, e fece
sentire a tutta l'adunanza quanto
era egli fermo nei veri principii di
credibilità del tutto opposti all'a-
rianesimo ; ma come il maggior
numero de' convocati erano segua-
ci di quell' eresia, così si disciolse
la conferenza, senza nulla conclu-
dere, anzi inferociti sempre più gli
ariani contro i veri credenti. La
persecuzione incominciò a spiegare
il suo furore contro il santo ve-
scovo Eugenio, e strappato dal suo
gregge, fu esiliato dalla città, e
confinato in Linguadoca, ove san-
tamente morì in un monistero da
lui fatto fabbricare a Vianza pres-
so Albi. 11 giorno i3 luglio del-
l'anno 5o5 volò egli al cielo , ed
in tal dì se ne celebra la festività.
EUGENIO I (s.) Papa LXXVII.
Primo fra'Pontefìei di questo no-
me, fu romano del Monte Aven-
tino, figliuolo di RuttiniauOj e co*
EUG
me credono alcuni della famiglia Sa-
velli, fu fatto chierico mentre ancor
era nella culla, come si esprime il
Marlene, de Antiquit. Eccl. ritib. Kb.
i , cap. 8, art. 3, n.° 2, il quale perciò
cita il libro Pontificale. A'dì 8 set-
tembre del 654 venne eletto Pon-
tefice dal clero romano mentre vi-
vea ancora Martino I, attese le mi-
nacele di Teodoro esarca di Ra-
venna, il quale per espresso coman-
do di Costante imperatore erasi re-
cato a Roma per fare eleggere un
successore allo stesso Martino I an-
cor vivente. Trovavasi allora que-
sto Pontefice in esilio, e per be-
ne della Chiesa di buon gra-
do approvò l'elezione del suo suc-
cessore fatta dal clero romano
in Eugenio I, per tema che l'im-
peratore non esaltasse al pontifi-
cato qualche fautore dei monote-
li li. Per altro il Baronio (Ann. ec-
cles.3 ad an. 652, num. 1 1 ) è di
opinione, che Eugenio I, mentre vi-
vea Martino I, fosse soltanto vicario,
e ne prendesse 1' assoluto governo
solamente dopo la morte di lui, e
col rinnovato consenso del clero. Ben
tosto fu messa alla prova la fer-
me/za e vigilanza del nuovo Pon-
tefice. Pietro patriarca Costantino-
politano, successore di Pirro, e non
meno di lui fautore de' monoteliti,
spedì ad Eugenio I, secondo l'antico
costume, la pistola sinodica, piena
di astuzie e sentimenti dolosi sulle
volontà ed operazioni di Gesù Cri-
sto. Mosse ella a sdegno ed a vivo
zelo il clero e popolo di Roma, in
guisa tale, che non si permise al
Papa di celebrare la messa nella ba-
silica di s. Maria Maggiore, s'egli
prima non l'avesse solennemente
ricusata. Il santo Padre quindi ani-
mato da magnanima santità e co-
stanza la rigettò come dubbiosa ed
VOL. XXII.
EUG 177
occultamente eretica, e, secondo il
costume, spedì all'imperatore la
propria sua sinodica, facendolo con-
sapevole del suo esaltamento. Gli
apocrisari del Pontefice, che gliela
recarono, sedotti ed ingannati dal
patriarca , approvarono i suoi er-
rori, e quindi dallo stesso Eugenio I
furono condannati come apostati
della vera fede. (V. Baronio, An-
noi, ad Mariyrol. Rom., IV Non.
Jun.). Questo Pontefice ordinò che
i vescovi avessero delle carceri, nel-
le quali fossero puniti i delitti de-
gli ecclesiastici. Creò in due ordi-
nazioni ventidue vescovi : governò
due anni, otto mesi e ventiquattro
giorni dalla sua elezione, e un an-
no, otto mesi, quindici giorni dal-
la morte di Martino I. Morì distinto
per la sua pietà, dolcezza e libe-
ralità a' 2 giugno del 65 7 , e fu
sepolto nel Vaticano. La santa Se-
de vacò due mesi e nove giorni.
EUGENIO II Papa CU. Nacque
in Roma da Boemondo. Fu cano-
nico regolare, come vuole il Ciac-
conio, e rendutosi insigne, come
scrive il Cardella, per le doti dello
spirito, non meno che per l'eccel-
lenza della dottrina, e per l' ele-
ganza e maestà della persona, fu
arciprete della Chiesa romana, e Car-
dinale di s. Sabina, creato da Leone
III. A' dì 16 febbraio dell' 824
successe nel pontificato a Pasquale I.
Non ignorasi com'egli con sommo
onore ricevesse in Roma X Augu-
sto Lottano I, quivi spedito da suo
padre Lodovico I imperatore, per
togliere lo scisma , che si era ec-
citato dall' antipapa Zinzinio nella
sua esaltazione, onde prese Lotta-
rio 1 1' occasione per dare fuori una
legge o costituzione sulla elezione
de' Pontefici. Da un canone del
concilio che celebrò in Roma, ri-
12
i78 EUG
ci vano alcuni l'istituzione de' se-
minari de' chierici. Non pochi eru-
diti gli attribuiscono la purgazione,
o prova dell' innocenza per mezzo
dell'acqua fredda. Mori a* 27 di
agosto dell' 827, dopo tre anni, sei
mesi ed undici giorni di pontifica-
to. La magnificenza e la liberalità
co' poveri gli meritarono il nome
di padre comune. 11 Vaticano rac-
colse le ceneri di lui. Vacò la san-
ta Sede quattro giorni.
EUGENIO III Papa CLXX1V.
Chiamato prima Pietro Bernardo,
nacque in Monte Magno nella To-
scana, dall'illustre famiglia de' Pa-
ganelli. Dopo essere egli stato ca-
nonico di Pisa , indi monaco ci-
sterciense ed abbate prima de'mo-
naci ches. Bernardo mandò all'ab-
bazia di Farfa (Vedi), poi nel mo-
nistero de' ss. Vincenzo ed Anasta-
sio alle tre Fontane, due miglia
da Roma tra la via Ardeatina e
l'Ostiense, ove avealo pure collo-
cato s. Bernardo, di cui era stato
discepolo, sebbene non fosse Car-
dinale, come avea prescritto Stefa-
no III, fu innalzato alla sede di
Pietro nella chiesa di s. Cesario
a' 27 febbraio ii4^>- In quest'anno
medesimo Eugenio 111 approvò l'Or-
dine militare di s. Giovanni di Ge-
rusalemme, volgarmente chiamato
di Malta, ed in Viterbo fece la
prima promozione di quattro Car-
dinali. Nell'anno seguente 1 146 ne
nominò altri cinque, fra i quali Ni-
colò Brekspear, poscia Pontefice
nel li 54, col nome di Adriano
IV.
Non appena Eugenio III era stato
eletto a Pontefice che , tre giorni
dopo, temendo l' impertinenza de-
gli a maidici congiurati a deporlo,
se non avesse loro confermato l'u-
surpato senato, fuggì di notte coi
EUG
Cardinali nel suo antico moniste-
ro dell' abbazia di Farfa nella
Sabina, venticinque miglia lontano
da Roma, ove fu consecrato a' 4
marzo. Quindi passò a Città di Ca-
stello, poscia a Viterbo, ove sog-
giornò diciotto mesi. Sedata intan-
to la rivoluzione degli arnaldisti, e
ricevute da essi le più belle pro-
messe, a ridonare la primiera pa-
ce a Roma, ed abolire ogni loro
innovazione, il santo Padre, in mez-
zo alle pubbliche acclamazioni ed
esultanze, nel dicembre dello stes-
so anno 11 4^, fece ritorno in Ro-
ma, ove celebrò colla solita mae-
stà la festa della Natività di Gesù
Cristo.
Se non che nell'anno seguente
datisi que' sediziosi a nuova rivolta,
Eugenio III partì alla volta di Fran-
cia , ove fu ricevuto con grande
onore dal re Lodovico VII, ma sol-
tanto vi giunse nel 1 i47> essendosi
soffermato per via in vari luoghi.
In Parigi celebrò la Pasqua col re,
e radunò un concilio per trattarvi
la causa di Gilberto Porretano, ve-
scovo di Poitiers, accusato di alcu-
ni errori sul mistero della Trinità,
la quale fu rimessa al concilio che
nell'anno seguente si sarebbe cele-
brato in Reims, Frattanto Eugenio III
da Parigi andò a Meaux, dov'era
a* 26 di giugno, e dopo avere tras-
corso altre città passò a Treveri,
e vi celebrò un concilio, nel quale
si prese anche a disamina gli scritti
di s. Ildegarda. Sul fine di feb-
braio del 1 1 48 da Treveri passò
a Reims, dove nel mese di marzo
ebbe luogo il preordinato concilio
a condanna del vescovo di Poitiers,
il quale , confessati i suoi errori ,
ritornò al governo della sua chiesa.
Poco dopo celebrato questo con-
cilio, Eugenio III si trasferì al suo
EUG
anlico monisterodiCistello, nel qua-
le consertando nascosto l'abito di
monaco, si trattenne pochi giorni
nell'esercizio delle più rigide virtù.
Quindi passò a Langres, e da qui
scrisse ad Alfonso Vili re di
Leone e Castiglia una lettera col-
la quale confermava il primato
della chiesa di Toledo, e diceva
di mandargli la rosa d'oro. Da
Langres fece ritorno in Cistello, in-
di s' avviò alla volta d' Italia e
soffermossi a Frascati per reprimere
le sollevazioni che in Roma avea di
nuovo suscitato Arnaldo di Bre-
scia. E vi riuscì, giacche sostenuto
dalle truppe del re Ruggero, trion-
fò degli arnaldisti romani, co'quali
stabilita la pace, entrò in Roma
circa la fine del i i^g. Ma insorti
nell'anno seguente altri tumulti
contro di lui, fu costretto nuova-
mente ad uscire , e dimorare per
non breve tempo nella Campagna
romana. Frattanto nell'anno stesso
fece la promozione di altri quin-
dici Cardinali, molti de' quali mo-
rirono in odore di santità.
Nel suo soggiorno nella Cam-
pagna romana il santo Padre, nel
1 1 Si, ricevè i due vescovi di Co-
lonia e di Magonza , chiamati a
render conto della loro condotta.
Conoscendo essi a pieno il gran
bisogno a cui l'avevano ridotto i
ribelli romani, seco portarono gran
somma di denaro, cui egli costan-
temente ricusò a fronte delle re-
plicate offerte. Dopo lungo esame
della loro causa , fu riconosciuta
l' innocenza dell' arcivescovo di Co-
lonia Arnolfo ; il Pontefice quindi
lo assolse, e con diploma dato in
Segni agli 8 gennaio i i5i, accor-
dò ad esso e di lui successori il
diritto di coronare i re de' roma-
ni entro i confini della propria
EUG
79
giurisdizione, e di tenere ne' con-
cistori il primo luogo dopo il Pon-
tefice. Acconsentì inoltre che nella
chiesa di Colonia vi fossero sette
preti Cardinali, i quali vestiti colla
dalmatica e colla mitra , ne' due
principali altari di quella chiesa ce-
lebrassero il divino sacrifizio, assi-
stiti da altrettanti diaconi e sud-
diaconi, coli' uso de' sandali. Cre-
desi poi che circa questo tempo
Eugenio III unisce al vescovato
d'Ostia quello di Velletri, giacché
Ostia mancante di abitanti lasciò
di essere città.
Nell'anno seguente 11 52, Euge-
nio III canonizzò s. Enrico I im-
peratore, e II re di Germania , ele-
vò nell'Irlanda al grado arcivesco-
vile le chiese vescovili di Armadi,
Dublino , Cashel , Tuamense o
Gallowai, e, ad istanza di Gra-
ziano, monaco benedettino a Bo-
logna, stabilì nelle accademie i gra-
di di baccelliere, licenziato, e dot-
torato nei decreti, ec, con diversi
privilegi per animare la gioventù
allo studio del diritto canonico.
Conchiuse poi finalmente, come
aveagli predetto la s. vergine Il-
degarda , la pace cogli arnaldisti ,
neh" ottobre del ii52, e ritornò in
Roma. Ne qui è a dirsi con quali
e quante magnanime azioni preve-
nisse il momento di sua morte, e
cercasse di confondere l' ingratitu-
dine de' romani. Egli li ricolmò
di segnalati benefizi : abbellì colla
sua munificenza Roma, ove eresse dei
superbi edifici i. ristaurò la chiesa
di s. Maria Maggiore aggiungen-
dovi un portico corrispondente alla
sua maestà, del quale parlammo,
come della tradizione del miraco-
lo della neve caduta nel luogo ove
fu eretta quella basilica, al volu-
me XII, pag. 116 del Diziona-
i8o EUG
rio. Non si dimentico della sua
famiglia, cioè dell' Ordine dei ci-
stcrciensi : confermò i suoi statuti,
e le accordò tutti i privilegi che
potea mai desiderare. Mentitegli
era in Francia intervenne al ca-
pitolo generale di questi monaci ,
come se fosse stato uno di loro. Il
zelo, la pietà, la saviezza, il disin-
teresse , T applicazione al governo
della Chiesa, al progresso della re-
ligione, alla estirpazione dell'errore,
virtudi tutte, V unione delle quali
forma Vi idea d' un gran Pontefice,
trovaronsi a meraviglia congiun-
te nella persona di Eugenio III ,
che sulla carne portava una tona-
ca di lana, e dormiva sul nudo
terreno. Non poteva essere altri-
menti la sua gloriosa condotta, co-
me quello che si regolò secondo i
consigli del dottore s. Bernardo,
che per lui scrisse il celebre libro
De Consideratìone. Egli amò la gente
studiosa , ricompensò le persone dot-
te, ravvivò lo spirito dello studio,
fece rinascere l'emulazione, procurò
la traduzione de' libri di s. Gio.
Damasceno sopra la fede ortodos-
sa, e diede una nuova forma alle
scuole di teologia e di legge. Egli
ricuperò Terracina, Sezza, Norma
e la Rocca di Fumone, e fabbricò
un palazzo in Segni, ed un altro
in Roma presso il Vaticano, che
si crede il principio di quella va-
stissima macchina, che oggi serve
di abitazione a' Pontefici ed a tutta
la numerosa loro corte.
Eugenio III governò otto anni,
quattro mesi e dieci giorni. Tivoli
fu il luogo della sua morte, quivi
recatosi per sollevare il suo animo
dalle cure pontificie. Il giorno 8
luglio del ii 53 fu l'ultimo della
sua vita. Ugone vescovo d'Ostia
lo chiama ornamento della Chie-
EUG
sa, padre detta giustizia, amatore
e protettore della religione. Fu se-
polto nel Vaticano, ove il suo se-
polcro fu illustrato da molti mi-
racoli, ed il suo nome si trova nei
Calendari cisterciensi (V. il Papc-
brochio, in Propylaeo, part. II, pag.
22, num. 7). Non vacò la Sede
romana.
EUGENIO IV Papa CCXVII.
Chiamato prima Gabriele, fu pa-
trizio veneto. Trasse sua origine
dalla famiglia Condulmieri, venu-
ta da Pavia in quella città , co-
me dicemmo all' articolo Condul-
mieri ( Vedi). Nacque da Angelo
Condulmieri e da Beriola Corra-
ro. Appena morto suo padre, Ga-
briele diede ben tosto a conoscere
come infastidisse della terrena gran-
dezza, ed a tesoro si avesse la vera ca-
rità, distribuendo a'poverelli venti
mila ducati del suo ricco patrimonio,
e facendosi canonico della congre-
gazione Celestina di s. Giorgio in
Alga. Vuoisi che fino da questo
punto due romiti gli predicessero
il suo futuro pontificato non solo,
ma anche la durata e le tristi vi-
cende che ne lo avrebbero accom-
pagnato (Vespasiano Fiorentino,
nelle Gesle dì Eugenio; Enea Sil-
vio, in EuKop. cap. 58 ). Anzi (co-
me nota Filelfo, Orat. ad Jaeob.
Anton. Marcellum ) glielo predisse-
ro ancora i ss. apostoli Pietro e
Paolo, neir occasione che prodigio-
samente lo guarirono da grave
malattia. 11 Cardella aggiunge che
glielo predisse pure s. Giovanni da
Capistrano. E questa si fu la via
per la quale giunse al soglio pon-
tificio.
Gregorio XII, suo zio materno,
da canonico di Verona lo fece suo
tesoriere, indi vescovo di Siena nel
1407, quand'egli non avea che
EUG
ventiquattro anni di età. Ma accortosi
che i senesi bramavano piuttosto un
vescovo della loro nazione, dopo un
anno rinunziò all'episcopato, e passò
a chierico di camera, ed alla cospi-
cua carica di tesoriere generale: po-
scia nel 1408 a' 9 maggio fu innal-
zato a prete Cardinale di s. Cle-
mente, nel qual grado rimase sino
all'anno i424> m cui Martino V
Io dichiarò legato prima della Mar-
ca, sconvolta dalle sedizioni dei
malcontenti, e poi di Bologna da
lui ridotta all'ubbidienza e divo-
zione della romana Chiesa. Dopo
la morte di questo Pontefice, tre-
dici Cardinali si rinchiusero a'2 di
marzo i43i nel conclave, che si
era preparato nel convento della
Minerva, e quivi nel giorno se-
guente elessero concordemente Ga-
briele Condulmieri in età di anni
quarantotto, il quale col nome di
Eugenio IV fu solennemente coro-
nato nella scalinata della basilica
vaticana dal Cardinale Santi Quat-
tro Coronati agli 1 i dello stes-
so mese.
Fu in quest'anno medesimo del suo
innalzamento che si aperse quella
per lui funesta sorgente di avver-
sità e contraddizioni, le quali ne lo
accompagnarono in tutto il suo
pontificato, che passò nella mag-
gior parte in più luoghi errante
pel corso di nove anni, tre mesi e
venti tre giorni , per evitare le in-
sidie dei suoi nemici.
Tre Colonnesi, Antonio princi-
pe di Salermo, Odoardo conte di
Celano, e Prospero Cardinale, ni-
poti di Martino V, s'impadronirono
del tesoro che lo zio aveva radu-
nato per somministrare le spese
a' greci, i quali dovevano condursi
al concilio in cui si dovea conchiu-
dere l'unione loro co' latini, e per
EUG 181
fare la guerra a'turchi, servendosi
così di questo denaro, per ammas-
sare della gente, affine di oppri-
mere il nuovo Pontefice, e di re-
care in poter loro la città d'i Roma.
E ciò sarebbe ad essi riuscito il
giorno 22 d'aprile, se i Colonnesi
non fossero stati respinti da'soldati
della Chiesa, uniti alle truppe man-
date al santo Padre da' fiorentini e
da'veneziani, allorché videro la gen-
te spedita in loro soccorso contro
di Eugenio IV dalla regina di Na-
poli Giovanna II, corrotta dal de-
naro de'Colonnesi e voltata a favo-
re di questi. Il Papa scomunicò i
Colonnesi; ma avendo eglino, dopo
sparso molto sangue, restituito alla
Chiesa parte del tesoro, e le terre
occupate, furono ancor essi restitui-
ti alla comunione de'fedeli.
Pochi mesi dopo la sua inco-
ronazione il nuovo Pontefice pro-
mosse i due primi Cardinali; e Fran-
cesco Condulmieri, nobile veneziano,
figlio di suo fratello, fu tra que-
sti. Siccome stava oltiemodo a cuore
ad Eugenio IV la riduzione degli
ussiti alla vera fede, così nell'an-
no slesso i43 1 confermò la lega-
zione del Cardinale Giuliano Cesa-
rmi, già deputato da Martino V,
a celebrare in suo nome nella cit-
tà di Basilea il concilio generale
da lui stabilito. Ed infatti nel gior-
no 23 luglio dell'anno medesimo
avea avuto principio; quando il
Papa, per nuove ragioni insorte,
ordinò che fosse sospeso e fra due
anni trasferito da Basilea a Bolo-
gna. Si opposero a tale decreto i
padri di Basilea, e però nel i432
lo continuarono, come aveano co-
minciato.
Mosso Eugenio IV dal più forte
timore di un nuovo scisma ne per-
mise la continuazione, e tanto più
i8a EUG
che tale era il desiderio di Sigi-
smondo re de 'romani, cui egli co-
ronò in Roma coll'insegne imperiali,
nell'ultimo giorno di maggio i433,
cerimonia che fu soggetto all'immen-
so affollato popolo della più viva
commozione e meraviglia nel ve-
dere che T imperatore, giusta il
consueto rito, colla corona d'oro
in capo serviva di palafreniere a
sua Santità mentre montava a
cavallo, e glielo conducea per tre
passi , montando poscia anch'egli
sul suo destriere alla sinistra del
Papa ed accompagnandolo fino a
Castel sant' Angelo, ove preso da
lui commiato, Cesare prosegui fi-
no al palazzo lateranense, dopo
avere creato sul ponte più cava-
lieri.
Nell'anno i4^4 Eugenio IV ri-
mise nel primiero stato i Cardinali
Ugo Lusignano fratello del re di
Cipro, Giovanni da Casanuova, e
Domenico Capranica, quando i ro-
mani sollevaronsi contro di lui, per
li danni che riportarono da Nicolò
Fortebraccio ; quindi gli tolsero a
forza dal suo lato il Cardinale
Condulmieri suo nipote, lo posero
in custodia, ed attorniarono di gen-
te armata il palazzo pontificio. E
già aveano premeditato il reo dise-
gno di dare il Papa in mano di Fi-
lippo duca di Milano insieme colla
città di Roma, e nel palazzo tradur-
lo de'ss. apostoli abitato già da Mar-
tino V, e quivi tenerlo prigione finche
il duca ed il concilio di Basilea a-
vessero stabilito ciò che di lui dovea-
si fare; se non che fatto Eugenio
IV consapevole di tutta la trama,
travestito da monaco, in una barchet-
ta giù pel Tevere se ne fuggì. Giunto
ad Ostia, ma inseguito da'romani,
salì su di una galera, colla quale
per Civitavecchia prese terra in Pi-
EUG
sa, quindi pochi giorni dopo passò
a Firenze, ove giunse a'^3 di
giugno, mandando così a vuoto le
insidie dei romani, i quali anzi
furono poscia soggiogati dalle trup-
pe pontificie, comandate da Gio-
vanni Vitelleschi degli Orsini, ve-
scovo di Recanati , uomo de'più
periti negli affari di guerra, che
allora si trovasse in Italia. Cadde
ben tosto la giusta pena sopra il
capo de' sediziosi chiamato Poncel-
letto, e fu innalzato all' onore di
maresciallo di Roma Gaspare di
Gio. di Lello Petroni, pei distinti
servigi prestati al Pontefice nella
ricuperazione della città, e libe-
razione del Cardinale Camerlengo
suo nipote. Se non che ben pre-
sto nell'anno seguente i435 nuovi
disastri insorsero ad agitare l'ani-
mo del buon Pontefice. Mentre Eu-
genio IV stava in Firenze, ivi pure
trova vasi il vescovo di Novara, spedi-
to come ambasciatore dal duca di
Milano per trattare col santo Padre
della pace. Sedotto questi da cer-
to Riccio spagnuolo, astuto maestro
di tradimenti, tese insidie ad Euge-
nio IV, e mentre trovavasi a s. An-
tonio fuori delle mura, lo voleva
tradurre col soccorso di Nicolò Pic-
cinino, nello stato del duca Filip-
po Maria; ma scoperta la trama
perchè trattata fra molti, il vesco-
vo fellone fu accomiatato dalla cor-
te, esperimentando la generosa cle-
menza del Pontefice , ottenutagli
dal b. Cardinale Albergati. Poco
dopo ebbe Eugenio IV il conforto di
vedere ritornati alla sua ubbidien-
za i bolognesi, e restituitagli con
pubblica scrittura la signoria di
quella città, ciò che altresì fecero
quelli di Città di Castello, ed i
Malatesta, che aveano occupata la
città di Pesaro.
ELG
Successe in questo mentre il gior-
no 1 1 di febbraio la morte della
regina di Napoli Giovanna II, e le
ragioni di questo reame apparte-
nevano alla santa Sede, non solo
per l'accordo fatto tra la Chiesa
romana e Carlo I d'Angiò, ma si
ben anche per quello confermato
da suoi successori e da Giovanna
medesima, ultima della stirpe di
Carlo. Tornato quindi Eugenio IV
al potere supremo di questo regno,
ne stabilì amministratore il Vitel-
leschi, vescovo di Recanati, avver-
tendo i napoletani a non ricevere
come re, se non chi egli stesso,
secondo l'antico costume, avesse no-
minato. Ma questi poco curando
le ragioni del Pontefice, parte in-
vitarono allo scettro Renato, fra-
tello del defunto Lodovico d'Angiò,
e parte Alfonso V, re di Aragona, il
quale, accompagnato da' suoi fratel-
li Giovanni II, re di Na varrà, Enri-
co, e Pietro, assediò con numerosa
armata la città di Gaeta, ove essi
con molti altri signori restarono
prigioni dell'armata de'genovesi che
vi avea inviato il duca di Milano, il
quale generosamente li trattò e ri-
mise nella primiera libertà. Il san-
to Padre colla maggior parte del
regno si mise a proteggere Renato,
ne lo invitò con lettere al posses-
so di quel regno, e perciò replica-
te istanze diresse a Filippo duca
di Borgogna, onde dalla prigionia
lo sciogliesse, in cui giaceva.
Oppresso da tante cure il Pon-
tefice, il giorno 18 aprile del i436,
da Firenze si portò a Bologna. Fu
in questo tempo che i cittadini di
Forlì, essendo stati sconfitti da Fran-
cesco Sforza, generalissimo dell'e-
sercito della Chiesa e gonfalonie-
re di essa, si sottoposero dr nuovo
ad Eugenio IV, e n'ebbero l'assolu-
EUG i83
zione da ogni pena contro di essi
stabilita. 11 prode Vitelleschi poi
soggiogò la città di Palestrina, e do-
mò Lorenzo Colonna, abbattendone
interamente la rocca, c'entro delle
sue scorrerie sul territorio romano.
In tutte queste mosse altro non
avea a fine il santo Padre che la
pace non solo propria, ma bensì
anche universale. E fu perciò che
tutto si diede all'opera di pacifi-
care i francesi cogli inglesi ; ma la
pertinacia degli odii o 1' ambizione
mandarono a vuoto ogni suo sfor-
zo. Accordò benignamente con sua
bolla ad Odoardo re di Portogal-
lo di fare la sacra guerra agli a-
fricani , ma colla condizione che
non tornasse a pregiudizio di ve-
run altro re cristiano , ne fosse
quindi causa di nuove dissensioni.
Neil' occasione della lite insorta fra
Giovanni re di Castiglia ed il pre-
detto re portoghese sulle isole Ca-
narie, ove viveano schiavi i neofiti
sottommessi da' cristiani, Eugenio
vietò tale servitù, sotto gravissime
pene, intimando puranche con le
piti forti minaccie ad Odoardo ed a
Jacopo II re di Scozia, eli rivocare
gli editti pubblicati contro l'immu-
nità ecclesiastica. Nel giorno poi
9 agosto del i4^7 innalzò al Car-
dinalato il solo Giovanni Vitelli Vi-
telleschi, celebre nella storia di quei
tempi.
Tale si era e così infelice la si-
tuazione di Eugenio IV, che gli fu
d'uopo approvare tutto quanto sta-
bilivasi nel concilio di Basilea. E
già coi suo estorto consenso dalla
sessione XVII erano giunti que'pa-
dri alla XX V celebrala a 7 maggio
1437. Quando insorta questione
fra essi sopra il luogo in cui do-
veasi celebrare il concilio per la
riunione de'greci, i quali aveanori-
184 EUG
fiutato BariUn, Eugenio IV trovan-
dosi in Bologna, nel primo ili ot-
tobre del 1437 ordinò che si riu-
nisco il concilio in Ferrara, ove
trasferi rotisi la maggior parte dei
padri, e nel principio dell anno se-
guente vi si diede principio. 11 Pa-
pa medesimo, ai 1 5 di febbraio,
assistè alla seconda sessione con
settautadue vescovi : e nel giorno
4 di marzo vi giunse puranche
Giovanni VII Paleologo, impera-
tore d'oriente, accompagnato da
suo fratello Demetrio, da cinquanta
e più arcivescovi ed altri prelati
greci, e da più di settecento per-
sone di comitiva. Narrasi ch'egli
avesse montato sulle galere del Pa-
pa, rifiutando quelle inviategli dai
padri, ch'erano ostinatamente ri-
inasti in Basilea, come abbiamo da
Andrea di s. Croce, pag. 70 Ad.
conc. Fior.
Assalita in questo tempo la cit-
tà di Ferrara dalla peste, Eugenio
IV fu costretto a trasferire il con-
cilio in Firenze nell'anno 14^9,
ov' egli stesso si condusse dopo se-
dici sessioni tenute in Ferrara. A
questo nuovo concilio generale XVI
presedette il Papa coli' intervento
di centoquaranta vescovi , e del
suddetto imperator greco. In esso
si pubblicò il decreto dell' unione
de' greci sottoscritto dal Papa, dai
deputati delle due Chiese greca e
latina, e dallo stesso Paleologo, che
lo segnò con inchiostro rosso al-
l' uso degl' imperatori greci. Ma
riuscì vana ogni cosa. Mentre ri-
tornati i greci alla loro patria, mos-
si da Marco vescovo d' Efeso, il
quale avea ricusato di sottoscriver-
ne il decreto, nel 1 44^ ritornaro-
no all'antico scisma, nel quale in-
sistono tutt'ora, dopo la decima-
quinta volta, secondo alcuni, che
EUG
s' erano riconciliati colla Chiesa la-
tina.
Intanto si proseguiva il concilio
di Basilea, divenuto conciliabolo do-
po la partenza del Cardinale Ce-
sarmi legato. Carlo VII re di Fran-
cia, nel i438, estrasse da' decreti
di questo conciliabolo la celebre
prammatica sanzione divisa in tren-
totto articoli e condannata da Eu-
genio IV. Nell'anno seguente i439,
i pochi padri di Basilea, cioè undi-
ci vescovi, sette abbati e quattor-
dici dottori col presidente Lodovi-
co Alamand Cardinale d'Arles, do-
po avere dichiarato come verità di
fede nell'ultima sessione 33, che
l'autorità del concilio generale era
superiore a quella del sommo Pon-
tefice, ed opposti ad Eugenio IV
diversi capi di accusa, lo degradaro-
no dal pontificato , sostituendogli
l'antipapa Felice V. Intrepido il
buon Pontefice, nel i44° scomu-
nicò l'antipapa co' suoi fautori, ed
annullò tutte le sentenze date dai
basileesi dopo la transazione del
concilio a Ferrara.
Nell'anno 1 439, a' 18 dicembre,
mentre celebrava il concilio in Fi-
renze, fece il santo Padre la terza
promozione di diciassette Cardina-
li, ed ai 22 di giugno dell'anno
seguente la quarta di altri due;
cioè del famoso Scara m pò Mezza-
rota, e del suo nipote Pietro Bar-
bo, poi Pontefice Paolo 11. Confer-
mò tutti i privilegi dell' università
di Padova, concessi da Urbano IV
e Clemente VI, ed institui in Fi-
renze una scuola di chierici gra-
tuitamente mantenuti ed istruiti
perchè avessero ad assistere ai di-
vini uffizi. Durante il medesimo con-
cilio, dopo la partenza dei greci
da Firenze, Eugenio IV pubblicò
il rinomalo decreto, in cui islrui-
EUG
va e riceveva nella Chiesa roma-
na gli armeni , che per ambascia-
tóri gliel'avevano richiesto. V . Ber-
nino, Storia dell' eresìe, tom. IV,
p. 1 34- Perchè poi questo conci-
lio acquistasse sempre più di au-
torità io trasferì da Firenze a Ro-
ma nell'anno i442? ove 1° si Pr0"
seguì di una sola sessione nella ba-
silica lateranense.
In quest'anno stesso partendo
Eugenio IV da Firenze, si portò con
ventiquattro Cardinali a Siena, do-
v'era stato vescovo. Vi soggiornò
sei mesi , e quindi passò al con-
vento di Lecceto , a cui con due
bolle dei 6 settembre i442 con"
cesse molti privilegi, e così purea
tutta la congregazione agostiniana.
In Siena benedisse la rosa d' oro ,
e la donò a Rinaldo signore di
Piombino, generale de' senesi. Qui-
vi fu visitato da' signori di Man-
tova e di Urbino, e vi fece pace e
lega col re Alfonso di Napoli, e
col duca di Milano, secondochè
narra il Gigli, Diar. Sanese, tom.
II, pag. 1 64- Quindi si restituì in
Roma a' 21 settembre i443-
In mezzo alle tante angoscie da
cui era di continuo oppresso, ebbe
in quest'anno il Pontefice la con-
solazione di riunire alla nostra re-
ligione prima i giacobiti , a' quali
diede per quest'oggetto un istrut-
tivo ed esemplare decreto, e po-
scia gli abissini o siano etiopi, l'im-
peratore de' quali Costantino Zara
Jacopo, volgarmente detto Pre-
te Gianni, invitato dal santo Pa-
dre a ricevere la benedizione cat-
tolica, gli spedì a tale effetto i
suoi ambasciatori, che da Eugenio
furono accolti in Roma con parti-
colare tenerezza. Nelle porte di
bronzo della basilica vaticana, fat-
te da questo Pontefice, leggonsi
EUG i85
quei versi che analogamente a tale
ambasceria riportammo al voi. I,
pag. 1*6 del Dizionario.
Se non che nuovi perigli ed am-
bascie insorsero ad affliggere l' a-
nimo del Pontefice. Alfonso V re
di Aragona, dopo di avere nel i442
stretta di assedio la città di Na-
poli, ai 28 di giugno vi entrò trion-
fante a fronte del rinforzo cui per
ordine di Eugenio IV vi recarono i
genovesi. Mancando quindi il santo
Padre di forze bastevoli a scac-
ciamelo dall'usurpato regno, ed a
riacquistare le molte città dello sta-
to ecclesiastico da lui per frode oc-
cupate, tentò ogni mezzo a vin-
cerlo colla dolcezza. Quindi creollo
bentosto gonfaloniere della Chiesa :
ma proseguendo egli nelle sue ree
imprese e tradimenti, Eugenio IV
ne lo privò dell'uffizio di gonfalonie-
re, lo spogliò d'ogni diritto, che
come feudatario della Chiesa ro-
mana avea acquistato, e lo sotto-
mise ad altre pene. Vedendo però
il santo Padre che nulla di ciò
rimuoveva l'Aragonese, e temendo
ch'egli si unisce all'antipapa Feli-
ce V, col quale già di ciò comin-
ciava a trattare, nel i44^ prese
il consiglio di dargli in feudo il
regno di Napoli, ch'egli a forza
s'era sottom messo, con una bolla si-
mile a quella, con cui Clemente IV
l'avea dato a Carlo I, siccome si
legge nel Biondo, dee. 4j nD« I*
Quantunque da simili ed altre
cure occupato ed oppresso il Pon-
tefice, stavagli oltremodo a cuore
l'abbattimento de' turchi , già vin-
ti dal prode Scanderberg. A tale
fine nell'anno 1 44^ inviò lettere
interessantissime a tutti i cristiani,
perchè avessero a prendere le armi
contro di essi. Quindi nell' anno se-
guente somministrò ad Uladislao re
i86 EUG
di Ungheria , con cui il soldano
Amurat 11 guerreggiava, grande
copia eli denaro, col quale si as-
soldò un possente esercito nella
Dalmazia , nel regno di Napoli, e
nella Fiandra, diviso in due cor-
pi , uno per mare, V altro per ter-
ra, al primo de'quali fu destinalo
come legato il Cardinal Condulmie-
ri, al secondo il Cardinale Giulia-
no Cesarini, il quale nella vittoria
de' turchi restò ucciso coll'anzidetto
Uladislao , il giorno io novembre
del i444> come abbiamo da Enea
Silvio, Europ., e. 4- Fu circa, que-
sto tempo che il santo Padre de-
cise la lite fra gli ambasciatori del
re di Castiglia e di Aragona, so-
pra la preminenza del luogo nel-
le cappelle papali, rimanendo per
sentenza di Eugenio IV il Casiglia-
no nel possesso del primo luogo :
come pure fece la quinta promozio-
ne creando Cardinale Alfonso Bor-
gia, che fu poscia Pontefice col
nome di Calisto III.
Nell'anno i44^ arrido il re Ste-
fano Tommaso abiurati gli errori
de' manichei, ebbe Eugenio IV il
dolce conforto di ricevere nell'unio-
ne della Chiesa romana gli scismatici
dell' isola di Cipro, e della Bosnia.
Se non che gli sopraggiunsero ben
tosto nuove afflizioni per parte de-
gli scismatici di Basilea, quantun-
que colla maggiore dolcezza e di-
ligenza procurasse di ridurneli alla
vera pace. Ed infatti avea egli be-
nignamente assolto dalle incorse
censure Ottone vescovo di Tortosa,
il quale abbandonato l'antipapa,
rifiutò il falso titolo cui avea ricevuto
di Cardinale: e simile perdono con-
cesse ad Enea Silvio Piccolomini,
invialo ambasciatore a Roma da Fe-
derico III re dei romani, il quale era
incorso nelle censure per avere spal-
EUG
leggiate il conciliabolo di Basilea
( V. Enea Silvio, Comment. de. re-
bus Basileae gestis, pag. 108). An-
che nella Germania nell'anno 1446
suscitaronsi nuovi nemici contro di
Eugenio IV, per la deposizione da lui
fa Ha dei due arcivescovi di Colo-
nia e di Treveri, per essere stati
favorevoli al concilio di Basilea ed
a lui nemici. Efficacissima fu per
allro la mediazione di Enea Silvio,
ambasciatore di Cesare appresso il
Pontefice, a rimetterneli, in vista
appunto della cotanto desiderata
concordia , la quale fu conchiusa
per opera di Giovanni Carvajal e
di Tommaso Parentuccelli. Colla
bolla pubblicata al solito nel gio-
vedì santo contro gli eretici, sci-
smatici ed usurpatori delle ragioni
della Chiesa, furono colpiti l' anti-
papa, e Francesco Sforza usurpa-
tore della Marca, sostenuto e soc-
corso dai fiorentini ; motivo per
cui il santo Padre, riuscendo inu-
tile ogni sua preghiera, incitò Al-
fonso V re di Aragona perchè ne
li facesse desistere dal soccorrerlo.
Nel giorno 16 di dicembre del
i446 Eugenio IV fece la sesta pro-
mozione di quattro Cardinali, fra i
quali il detto Tommaso Parentuc-
celli, che fu suo immediato succes-
sore, col nome di Nicolò V. Nell'an-
no seguente poi, al primo di feb-
braio, canonizzò nella basilica va-
ticana s. Nicolò di Tolentino [V.
Ridolfìno Venuti, Numism. Pontif.
Roman. , pag. 9 ). Consumato da-
gli affanni del suo torbido ponti-
ficato, cadde finalmente Eugenio IV
nello stesso mese ed anno ammala-
to, e per molti giorni contrastò
colla morte. Ed essendogli già im-
minente, per non lasciare occasio-
ne a continuarsi lo scisma, aven-
do riprovati i decreti di Basilea,
EUG
formati col nome di concilio gene-
rale, ordinò con sua bolla, che il
suo successore fosse eletto a nonna
delle leggi di Gregorio X nel con-
cilio di Lione, e di Clemente V
in quello di Vienna, esortando nel
tempo stesso i Cardinali ad eleg-
gere un Pontefice degno di soste-
nere la dignità della santa Sede.
Munito quindi dei ss. sagramenti
mori nel bacio del Signore, fra le
braccia di s. Antonino, nel giorno
23 febbraio i447> contando anni
sessantaquattro di età, e quasi se-
dici di governo, cioè meno dieci
giorni. Fu egli l'unico Pontefice
a cui ricorsero due Augusti greco
e latino, per riconoscerlo padre e
pastore universale , come osserva
Paolo Emilio, De reb. gestis Frati-
cor. , lib. io, pag. 225. L'udi-
tore di rota Malatesta, ed il Car-
dinale Parentuccelli gli fecero l'o-
razione funebre , ed il suo cor-
po fu in piana terra sepolto nel
Vaticano, accanto al sepolcro di
Eugenio III, com' egli avea ordi-
nato a'suoi famigliari, in un mo-
destissimo avello, il quale poi dal
Cardinale Condulmiero suo nipote
fu ridotto in magnifico deposito;
ma nella riedificazione di questa
basilica fu questo deposito traspor-
tato alla chiesa di s. Salvatore in
Lauro, ove officiarono per duecento
sessantasei anni i canonici di san
Giorgio in Alga da lui medesimo
istituiti.
Era Eugenio IV di statura grande
e di animo sempre eguale, di aspet-
to grave ed estenuato, di poca let-
teratura, ma insigne storico; ma-
gnifico nel ristoramento delle chie-
se e ornamenti di Roma, in mezzo
alla quale alzò 1' edifìcio dell'uni-
versità chiamata Sapienza j protetto^
re de'virtuosi e de'letterali ; disinle-
EUG 187
ressato copnrenli ; mantenilore del-
la pace e della giustizia, zelante
propagatore della religione cattoli-
ca, e pronto in ogni occasione al
soccorso de'poverelli. Ebbe presso
di lui onestissimi e zelanti fami-
gliari, da cui voleva essere infor-
mato delle cose, per prenderne
provvidenza. In una parola Euge-
nio IV fu uno de'più. grandi Pon-
tefici, benché uno de' meno felici,
siccome pur notò sant' Antonino,
part. 3, tit. 22, cap. 2. Vacò la
santa Chiesa dieci giorni.
EUGENIO Romano, Cardinale.
V. Eugenio II Papa CU.
EUGENIO, Cardinale. Eugenio
assunto al vescovato di Ostia, fu
delegato nell'878 da Giovanni Vili
alla corte dell' imperatore Basilio
in qualità di legato Pontificio, assie-
me al vescovo di Ancona, per ri-
chiamare all'antico lustro quel cle-
ro decaduto nel costume, e nel
domma, e per togliere le dissen-
sioni che incominciavano a produr-
re i nuovi insegnamenti dell'em-
pio Fozio , e riordinare la di-
sciplina ecclesiastica. Sedotto però
da quell'eresiarca, finse di essere
stato spedito per deporre il pa-
triarca legittimo s. Ignazio, e so-
stituirvi il già discacciato Fozio.
Presiedette ancora al conciliabolo
per tal motivo raccolto; ma fu se-
veramente condannato dal Pontefi-
ce, il quale tuttavolta perchè ri-
parasse al mal fatto, lo destinò
nella nuova legazione pel medesi-
mo oggetto, e in quella presso ai
bulgari, nelle quali si diportò con
zelo e sollecitudine veramente ec-
clesiastica, e riparò agli scandali
che dato aveva. Né altro dice il
Cardella di lui.
EULALIA da Barcellona (s.).
Al tempo della persecuzione di
i88 EUL
Diocleziano, sostenne questa santa
vergine il martirio in Barcellona.
Ella è la principale protettrice di
<|tusla città, ed ivi, come dicemmo
all'articolo Barcellona (Vedi), con
mnm venerazione si custodiscono
le sue reliquie. La sua festa viene
celebrata il dì 1 1 febbraio.
EULALIA (s.). In Merida, ca-
pitale della Lusitania in Ispagna ,
nacque Eulalia. Allevata nella cat-
tolica religione, dotata di un'in-
dole dolce, e di una rara mode-
stia, diede ancor giovinetta a co-
noscere quanto ella amasse la vir-
ginità. Non avea Eulalia ancor
tocchi gli anni dodici, che dall'im-
peratore Diocleziano sentì intima-
to a tutti i cristiani un editto di
sacrificare agl'idoli. Eulalia anziché
spaventarsi, sentì in suo cuore l'ar-
dore del martirio, e trascurando
le premure della madre, che vole-
va sottrarla dal pericolo, di notte-
tempo ella fuggì, ed il dì vegnen-
te si presentò al tribunale del giu-
dice per nome Daciano. Ivi con
eroica fermezza lo rimproverò di
perseguitare i seguaci della vera
religione e lo rinfacciò di sua em-
pietà. Daciano sorpreso da un sì
generoso ardimento, volle lusingar-
la sulle prime a mutare consiglio,
ina inutili riuscendo le sue am-
monizioni, passò alle minaccie, e
posti sotto gli occhi di lei gli
stromenti, coi quali sarebbe tor-
mentata, la invitò ancora ad ob-
bedire al sovrano comando. Eula-
lia a tutto resistè, ed intanto che
due carnefici con uncini di ferro
le laceravano i fianchi, e le scopri-
vano le ossa, ella vide in quelle pia-
ghe i trofei di Gesù Cristo, e die
gloria al suo Signore, senza man-
dare un lamento. Assoggettata per
ultimo a morire fra le fiamme,
EUL
ella spirò, ed è onorata dalla Chie-
sa per vergine e martire il dì 20
dicembre.
EULALIO, Cardinale. V. Eu-
lalio Antipapa.
EULALIO Antipapa. V. Anti-
papa III.
EULOGIE (Eulogia). Questa
parola deriva da un vocabolo gre-
co che significa benedizione o mu-
nificenza; e siccome tal nome si
diede ai pani benedetti, dalla be-
nedizione che si faceva con orazio-
ni, si prese il segno per la cosa
segnata. L'apostolo s. Paolo die
questo nome all'eucaristia, Cor. I,
cap. io, v. 16; ma poscia si chia-
marono eulogie diverse cose bene-
dette, come il pane, il vino, ed
altre vivande che si distribuivano
(ed il pane finita la messa) a quel-
li ch'erano presenti alla chiesa, co-
me una specie di supplimento del-
l'eucaristia, o che si mandavano
agli assenti in segno di comunio-
ne. Le eulogie che davansi come
un supplimento dell' eucaristia, e
che consistevano in pani benedetti,
si distribuivano colle stesse cerimo-
nie esterne dell' eucaristia medesi-
ma. Bisognava essere digiuni per
mangiarne, non si davano né agli
infedeli, ne ai cristiani scomunicati.
Quello che davasi a'eatecumeni, che
sant'Agostino chiama Eulogia, ed
una specie di sagramento, era il
sale benedetto che loro ponevasi nel-
la bocca, il latte e il mele che pur
davansi loro benedetti, per denotare
la loro infanzia nello spirito. V.
l'Albaspina, nelle sue Osservazioni
de' sagri riti, lib. 2, osserv. 35
e 36. Il Berlendi, con altri, è di
opinione che la Chiesa latina desse
le eulogie pure a'eatecumeni, seb-
bene fossero congedati dalla chiesa
prima della presentazione delle ob-
EUL
blazioni, ed opina che come con-
servavasi l'eucaristia per comuni-
care gli energumeni, che non era-
no presenti ne alle obblazioni, né
al sagrifizio, così potessero conser-
varsi pei catecumeni, e che fossero
quegli alimenti chiamati minuti sa-
gramene, mentre il sale davasi so-
lo ne'giorni solennissimi di Pasqua.
Avverte il medesimo Berlendi, che
veramente l'eulogie erano di solo
pane, distribuendosi il vino ed al-
tro quale eulogia solo dalla Chiesa
alessandrina, e da poche altre chiese.
Siccome in progresso di tempo
non si poteva spedire l'eucaristìa
tanto ai vicini, che ai lontani, per
gl'inconvenienti che potevano acca-
dere, specialmente nel tempo delle
persecuzioni, così verso il quarto
secolo, e nel suo principio, venne-
ro sostituiti i pani benedetti, o eu-
logie, in segno dell'unione de'cuori
che regnava tra le diverse Chiese,
e la reciproca unione, credenza ed
amicizia de'cristiani, e qual simbo-
lo di carità e di pace; tali pure
essendo i motivi della precedente
trasmissione della eucaristia. Al
Pontefice s. Melchiade, eletto l'an-
no 3 ii, viene attribuita l'istituzio-
ne delle eulogie, ossia la distribuzio-
ne del Pane benedetto [Vedi), la
quale fu poi similmente comandata
da s. Silicio Papa del 385, e da
s. Innocenzo 1 del 402. V. il San-
dini, Vitae Font. t. I, p. 84. Pe-
rò riporta il Macri, che già avea
decretato s. Pio I, del i58, col
cap. 4- u Ut de oblationibus quae
« offeruntur a populo et consecra-
» tioni supersunt, vel de panibus,
» quos deferunt fideles ad Ecclesiam,
» vel certe de suis conveniente!*
•' partes incisas habeat in vaso 11 i-
•> tido , et convenienti , et post
« missarum solemnia, qui comuni-
EUL 189
«• care non fuerint parati, eulogias
» omni die dominica, et in die-
»> bus festis ex inde accipiant ".
V. Eucaristia, nonché l'articolo Mes-
sa. Nella liturgia armena si dichia-
ra, come questa distribuzione di pa-
ne benedetto sia un vivo simbolo
delle molliche che desiderava la
Cananea cadute dalla mensa di Cri-
sto.
Inoltre il Papa san Melchiade
ordinò che i preti delle parrocchie
di Roma pigliassero in segno di
comunicazione il pane dal Pontefice
benedetto, per quindi distribuirlo
al popolo; ed Innocenzo III attesta
che tal pane lo recavano ai preti
da parte del Papa, gli accoliti. I
Papi usavano mandare delle eu-
logie ai vescovi più lontani; ed i
vescovi e i sacerdoti se ne man-
davano pure a vicenda gli uni a-
gli altri, principalmente nelle gran-
di feste, come al Natale, alla Pa-
squa ec. I semplici fedeli e le don-
ne stesse se ne mandavano del pa-
ri. Ne' monisteri distribuivansi le
eulogie nel refettorio, giacche tutti
i religiosi offrivano alla messa con-
ventuale dei pani, di cui consacra-
vasi una parte per comunicare
alcuni fratelli. Gli altri erano be-
nedetti per essere distribuiti nel
refettorio a quelli che non si era-
no comunicati, e che doveano co-
minciare dal mangiar questo pane
prima del pranzo. Abbiamo dal
Surio, i.° marzo, che trovandosi nel
concilio Aurelianense, celebrato nel
54o, fu pregato s. Albino vescovo
Andegavense, perchè volesse bene-
dire alcune eulogie da mandarsi
ad uno scomunicato, avendole già
benedette altri vescovi ; rispose che
lo avrebbe fatto perchè gli si co-
mandava, ma che Dio vi avrebbe
provveduto, siccome avvenne, gtac-
1 90 B I I i
che lo scomunicato mori piÌÈM
ili ricevere le dilogie.
Nana il Baronio, all'anno 645*
che il Pontefice Teodoro 1, rice-
vendo alla comunione cattolica il
penitente Pirro patriarca Costanti-
nopolitano, protettore dei monote-
lili, poi convertito, e convinto in
pubblica disputa da s. Martino,
non solo gli restituì la dignità pa-
triarcale, ma in segno di maggior
unione e comunicazione lo fece se-
dere sopra la cattedra vicino all'al-
tare, e distribuire al popolo le eu-
logie.
In quanto al tempo della di-
stribuzione, ordinò il concilio Lao-
diceno col can. 4* cne s* faccia
questa distribuzione di pane bene-
detto dopo la messa, eccettuando il
giorno di Pasqua ( nel quale tutto
il popolo doveva ricevere l'eucari-
stia), e il tempo quaresimale per
non rompere il digiuno. Allora,
in vece del pane, il sacerdote
diceva l' orazione sopra il popolo,
come si costuma sino al presente do-
po la comunione, avendo il diaco-
no pronunciato le parole : Humilia-
te capila vestra Deo. Parlando il
Berlendi, delle obblazioni all'altare,
pag. 22, del cucchiaio col quale si
raccoglievano i frammenti delle
obblazioni che si distribuivano ai
comunicanti, dice che queste par-
ticole del pane consagrato si tro-
vano, negli antichi secoli, talvolta
chiamate col nome di eulogie, seb-
bene ordinariamente non fossero le
eulogie particole della sagra comu-
nione che davasi al popolo, ma
una semplice loro rappresentanza.
Dappoiché facendosi tre divisioni
del pane che veniva offerto all'al-
tare, una pel celebrante, l'altra per i
comunicanti, la terza che sopra-
vanzava, con rito solenne benedetta,
EUL
tagliandi in molte parti, e nel fine
«Itila messa distribuivasi a quelli
ohe non volevano o non potevano
comunicarsi ; benché si legga esse-
re state talvolta date anche a chi
si era comunicato. Queste pro-
priamente chiamavansi eulogie, che
al dire del Berlendi significano cibi
benedetti, a questo fine introdotte,
acciocché facendo le veci dell'eu-
caristia, rappresentassero quella co-
munione più frequente, che prati-
cavasi per innanzi da'fedeli, e per-
ciò chiamate dai greci, Sacrimi an-
tidorum, hoc est vice doni, dice il
p. Morino.
Abbiamo detto di sopra che del-
le eulogie non potessero partecipa-
re se non coloro eh' erano digiuni,
e che avevano diritto alla comu-
nione, e perciò non fu stimato de-
gno Leudasse di riceverle da s.
Gregorio di Tours ; tuttavolta si
davano dai greci anche ai catecu-
meni ed agli scomunicati : prò cri-
mine obstrictis, dice Germano pa-
triarca, haec oblatio sanctitate re-
dundans alterili* vice sanctioris in
missa solemnitalibiis, substiliritiir, et
qfferturj anzi comandò Niceforo Ca-
no, dovere i delinquenti partecipare
Eidogiae et pani confracto, alla
quale eulogia del pane univano i
greci anche quella dell'acqua, per
imitare la comunione sotto le due
specie, che intendevano coll'eulogie
di rappresentare. Si legge nel cita-
to Macri, che la cerimonia di di-
stribuire il pane benedetto si man-
tiene al presente nella Chiesa greca
ed armena. E ciò esse fanno an-
cora in Roma nelle funzioni solen-
ni dopo la messa cantata, ed in
alcune parti si fanno ancora dalla
Chiesa latina particolarmente nella
Francia, dove con molta solennità
nel tempo dell' offertorio viene por-
EUL
Info il pane por essere bene-
detto.
La voce dilogia finalmente si disse
in altri significati, come di limosi-
na, o altro donativo. Così chiama-
ronsi eniogie le cene benedette dai
vescovi e dai sacerdoti, ed i sem-
plici doni non benedetti. S. Leone
IV proibì ai vescovi di Bretagna
di obbligare i loro sacerdoti a por-
tar loro dei doni, eulogias, quan-
do vengono ai sinodi; ed Incmaro
di Reims proibì ai suoi arcidiaco-
ni di ricevere eulogie o doni dai
sacerdoti di loro giurisdizione, se
non vengono offerti volontariamen-
te. Eulogie furono pur detti i di-
ritti e le rendite annuali. Il Rinal-
di, all'anno 3i4, num. 56, parla
delle eulogie pubbliche, segno di
cattolica comunione, e di quelle
private che gli amici ebbero in co-
stume per antico di mandarsi uno
all'altro, del qual costume ne ri-
porta diversi esempi. Delle eulogie
pubbliche e private, e perchè il
diacono nelle messe feriali della
quaresima dica humiliate capi-
ta veslra Deo 3 ne tratta il Sar-
nelli, tom. VI, pag. 38 delle Leti,
ecclesiastiche.
EULOGIO m CoimovA (s.). Da
una delle più cospicue famiglie di
Cordova in Ispagna sortito Eulogio,
i primi suoi anni visse fra i chie-
rici della chiesa di s. Zoilo. Dive-
nuto in progressso sacerdote, fu de-
stinato a presiedere alla scuola ec-
clesiastica della sua patria. Col di-
giuno, veglia ed orazione santifica-
va i suoi studi, e coll'umiltà, dol-
cezza e carità si procurava l'ami-
cizia e venerazione di ogni persona.
Suscitatasi una fiera persecuzione
ncir anno 85o contro i cristiani,
furono posti in carcere il vescovo
e molti preti, fra' quali anche il
EUL i9f
nostro Eulogio, per avere incorag-
giato i martiri a sostenere i tor-
menti. In prigione si occupò egli
a scrivere la sua esortazione al
martirio, e posto dipoi in libertà
non si occupò che di annunziare
la divina parola. Morto nell'858
l'arcivescovo di Toledo, Eulogio
fu eletto ad una voce per successo-
re. Sopravvisse però di poco alla
sua elezione, e sofferse il martirio
per aver ricoverata una figlia di
un mussulmano, la quale istruita
da un proprio parente nella reli-
gione cristiana, e ricevuto anche il
battesimo, avea implorata assisten-
za dal santo vescovo. Tradotto Eu-
logio al cospetto del giudice, e rim-
proverato di aver dato mano alla
insubordinata fanciulla, rispose fran-
camente, e provò, che in questa
cosa la disobbedienza a' genitori
tornava dovere; e si mise poscia
ad istruire il giudice, e a dimo-
strargli quanto grande impostore
era Maometto. Sommamente irrato
il regio ministro, fece condurre
Eulogio al cospetto del re, il qua-
le sull'appoggio soltanto delle depo-
sizioni del suo ministro, non de-
gnando neppur d'un ascolto il san-
to vescovo, ordinò che fosse decapi-
tato. Eulogio condotto al luogo del
supplizio consumò gloriosamente il
suo martirio li i i marzo dell'an-
no 809, e la Chiesa in tal giorno
ricorda la sua festività.
EULOGIO (s.). Nativo Eulogio
di Siria, assai giovane abbracciò in
patria lo stato monastico. Agitate
in quei dì le chiese di Siria e di
Egitto dagli eutichiani, divisi nelle
loro eresie in varie sette, seppe Eu-
logio preservarsi dal guasto gene-
rale , e con una vita pura, farsi
da tutti ammirare per vero segua-
ce della cattolica dottrina. Datosi
19* EUM
egli a tutto uomo allo studio citi-
le teologiche verità, alla lettura del-
la sacra Scrittura, e degli scritti
de' padri , fornito di un ingegno
penetrante, fece rapidissimi progres-
si, e giunse ben presto a porsi in
ìstato di combattere l'eresia domi-
nante, e divenne uno dei più bril-
lanti lumi della Chiesa di quei gior-
ni. S. Anastasio patriarca di An-
tiochia, conosciuto il pressante biso-
gno, chiamò a se Eulogio, ed or-
dinatolo sacerdote divise con lui le
cure dell' apostolico ministero. Ti-
berio Costantino, principe saggio,
volendo riparare i mali cagionati
alla Chiesa da'suoi predecessori, in-
formato delle virtù e meriti di
Eulogio il volle a reggere la chie-
sa di Alessandria, ed elettolo pa-
triarca, fu consagrato sul finire del-
l'anno 583. Due anni dopo, obbli-
gato a recarsi in Costantinopoli, ivi
trovò per apocrisario pontificio san
Gregorio il grande, e con lui si
strinse nella più intrinseca ami-
cizia. Separatisi dipoi , continua-
rono a tenere una santa corrispon-
denza. Con zelo e con carità reg-
gendo ed ammaestrando il suo po-
polo mori santamente Eulogio nel-
l'anno 608. La sua festa è asse-
gnata ai i3 settembre.
EUMENIA. Città vescovile della
prima Frigia Pacaziana, nella dio-
cesi ed esarcato d' Asia, sotto la
metropoli di Laodicea, che Com-
manville dice eretta nel quinto
secolo. Si vuole fabbricata sul Clu-
drus da Eumene fratello di Atta-
lo, e Stefano di Bisanzio la chia-
ma Eumcneia. Cinque vescovi vi
ebbero sede, Trasea, Teodoro, Leo-
ne , Paolo , ed Epifanio . Orù'tis
Clirist. tom. I, p. 807. Al presente
Eumeni», Éumetuem, è un titolo
in parlibus , che si conferisce dai
EUN
romani Pontefici, appartenente alla
metropoli pur titolare di Laodicea.
EUNOMIAN1 (Eunomiani). Gli
Eunomiani erano i discepoli diEu-
nomio, vescovo di Cizico, il quale
sosteneva gli errori d'Ario, e ve
n'aggiugneva degli altri. Vanta va-
si di conoscere Iddio tanto perfet-
tamente, come Iddio conosceva sé
stesso. Osava dire che il Figlio di
Dio non era Dio che di nome ;
che non si era unito sostanzial-
mente all'umanità, ma solamente
per la sua virtù e per le sue ope-
razioni. Condannava il battesimo
dato in nome della ss. Trinità,
e ribattezzava quelli che lo erano
stati con quella forma. S. Girola-
mo lo accusa di avere disprezzato
le reliquie de'santi martiri, e di a-
vere sostenuto che non potevansi
onorare senza delitto, e che i mi-
racoli, che facevansi alle loro tom-
be, non erano se non illusioni del
demonio. S. Basilio ci lasciò cinque
libri contro Eunomio, e venne al-
tresì confutato da s. Gregorio Na-
zianzeno, e da s. Gregorio Nisseno.
EUNUCO (Eunuchus). Vocabo-
lo derivato da due parole greche
indicanti la persona che ha la cu-
ra o la guardia del letto nuziale
o del talamo. I diversi significati
di questo termine diedero motivo
ad alcune false critiche sopra al-
cuni testi della sagra Scrittura . Fa-
vorito osserva che la parola eth
nuco, significa custodire il letto, o
l'interno di un appartamento, anzi
vuoisi che questo in origine fosse
il titolo di tutti i camerieri del re.
Nella Scrittura prendesi frequente-
mente per un ulliziale di un prin-
cipe, che serve alla sua corte, ed
occupato nell' interno del palazzo,
sia che fosse veramente eunuco, sia
che non lo fosse. Era pine nume
EUN
di uffizio e di dignità, come fu
Putifar eunuco di Faraone e pa-
drone di Giuseppe, che aveva mo-
glie e figli. Iddio avea proibito al
suo popolo d'Israele di fare gli eu-
nuchi e di castrare anche gli ani-
mali, come si legge nel Levitico 22,
24, e nel Deuteronomio 2 3. Il
Salvatore in s. Matteo 19, 12, par-
la d'una specie di eunuchi differen-
ti da questi, e sono quelli che si
sono fatti eunuchi pel regno dei
cieli, vale a dire, che per un mo-
tivo di religione hanno rinunziato
al matrimonio, e ad ogni piacere
della carne, e non già che siensi
effettivamente castrati da se medesi-
mi, siccome intendeva Origene, pren-
dendo rigorosamente alla lettera
le parole di Gesù Cristo. Nell'an-
no 25o fu tenuto un concilio nel-
l' Acaja contro i valesiani o eu-
nuchi. Baluzio in Collectio. I va-
lesiani imponevano per precetto
l'evirazione, così il Bernini, Storia
delle eresìe, pag. 5o. Già la Chie-
sa aveva detestata siffatta mutila-
zione, come consta dai canoni apo-
stolici 22 e 23. V. Jo. Lami, de
eruditìone aposlolorum,i6i. Il con-
cilio di Nicea, del 325, condannò
coloro che si facevano eunuchi da
se medesimi. « Se alcuno è stato
« fatto eunuco da' chirurghi in ma-
n lattie, ovvero da'barbari, resti nel
« clero ; ma quegli che mutilò se stes-
« so essendo sano, deve essere inler-
» detto, se trovasi nel chiericato, e
» d'ora innanzi non se ne dee pro-
si movere nessuno". Can. 1. Il per-
chè quelli che si erano castrati da
sé medesimi, vennero esclusi da-
gli ordini sagri.
L' uso barbaro di mutilare gli
uomini risale nell' oriente alla più
rimota antichità ; e gli scrittori sa-
gri e profani e' insegnano che i re
VOL. XXII.
EUN i93
dell'Asia avevano eunuchi presso
le loro persone ; che questi dive-
nivano i loro favoriti, o i loro pri-
mari uffìziali, e che ad essi confi-
davasi sovente l'amministrazione
de' pubblici affari, ed anche il co-
mando delle armate. Fu la corru-
zione de' costumi , che introdusse
fra gli orientali la pluralità delle
donne, e la gelosia de' mariti por-
tò i grandi a far mutilare gli uo-
mini che servivano nel loro palaz-
zo, ed allora il termine di eunuco
cambiò di significato , e qualificò
quelli che venivano privati della
virilità. Nessun esempio di questa
barbarie forniscono le repubbliche
greca e romana, qualora però si
eccettuino i sacerdoti di Cibele, e
quelli di Diana Efesina, i quali
spontaneamente mutilaronsi da sé
medesimi. Soltanto più di trecen-
to anni dopo V istituzione della re-
pubblica , gli imperatori romani ,
che mai non avevano avuto presso
di loro gli eunuchi, lasciando l'I-
talia per trasportare la sede del-
l' impero in oriente, contrassero il
costume di avere uomini snaturati
al loro servigio, che sovente pose-
ro nel numero de' loro grandi uf-
fìziali ad imitazione degli asiatici.
Abbiamo dal Rinaldi, all'anno £29,
num. 18 e 19, che gli eunuchi
per la camera imperiale si soleva-
no pigliare tra' popoli absagi. Bion-
do da Forlì, nella Roma trionfan-
te, p. 1 65, tratta del disprezzo cui
erano tenuti nella repubblica ro-
mana gli eunuchi, escludendo Ge-
nuzio, eunuco e sacerdote di Ci-
bele, da una eredità eh' eragli sta-
ta lasciata, non essendo considera-
to né uomo né femmina. Il Ma-
cri, Notiz. de' vocab. eccl.3 dice che
Tertulliano chiamò Archigallus, il
capo degli eunuchi. Domiziano ,
i3
ig4 ELN
Nerva, Adriano, ed altri imperato-
ri proibirono ogni mutilazione, tan-
to da per se, che per mezzo di
altri. Alcuni vietarono pure la Cir-
concisione (Fedi). Costantino Ma-
gno proibì che agli eunuchi fosse-
ro conferite le prefetture o magi-
strature; Teodosio II ordinò con
legge che non potessero divenire
patrizi, e Giustiniano I proibì ezian-
dio la castrazione.
Dubitano alcuni, che l'uso pro-
babilmente antichissimo nell'Egitto
di castrare gli animali, aprisse la
strada alla barbarie di formare gli
eunuchi. Ai lidii si attribuisce la
prima invenzione della castrazione,
o dello snaturamento del sesso del-
le femmine , e quella scoperta si
ascrive ad Andramiri re di Lidia,
il quarto che regnato avesse in
quel paese avanti Onfale. La ca-
strazione si pratica comunemente
in Asia, e specialmente dai turchi,
i quali mutilano tutti quelli tra
gli schiavi loro che destinano alla
custodia delle donne ; a questi an-
cor tolgono con una orribile cru-
deltà tutti i segni distintivi del ses-
so al quale appartengono. Noto è
che gli eunuchi non hanno barba,
e la voce loro, benché assai forte,
non è mai grave. Non è ancora
scorso molto tempo che si prati-
cava il barbaro uso di privare i
giovanetti destinati al canto, de-
gli organi della generazione, per
conservare loro quella voce acu-
ta che ottimamente riesce nelle par-
ti chiamate alte e soprano. Seb-
bene per l'uso introdotto si am-
mettessero castrati nella cappella
pontifìcia, vuoisi che nel secolo de-
corso il Pontefice Clemente XIV
proibisse severamente quella ope-
razione, e minacciasse gli autori o
fautori della medesima della pena
EUN
della scomunica. Il perchè ora i
musici e cantori eunuchi sono po-
chi , essendo tali soltanto quelli ,
che per qualche disgrazia, infer-
mità, o caso fortuito vennero pri-
vati delle parti genitali. Nel Dizion.
enciclop. pubblicato sotto la dire-
zione di Saint-Laurent, ecco come
è definito l'eunuco. « Castrato,
» nome dato ad un cantante in
« voce di contralto o di soprano,
» che nella sua infanzia o avanti
m la pubertà è stato privato degli
» organi della generazione, nello
» scopo d'impedire i cangiamenti
» che fanno subire alle voci i fe-
» nomeni della pubertà, e di con-
*» servare al cantore una voce fles-
« sibile ed acuta. La voce di que-
» sti cantori aveva un metallo e
« un accento molto più penetran-
ti te di quello delle donne ". Il
Sarnelli, Lett. eccl. tom. V, lett.
XIV, num. i o, dice che la castra-
zione dell' uomo è vietata dalle leg-
gi divina ed umana; e nel tom.
VII, lettera XXIV, tratta di qual
pena sia meritevole colui che si ca-
stra, perchè niuno è padrone delle
sue membra e della sua vita, ma
solo Iddio. Dotta poi ed assai in-
teressante è la lettera suddetta XIV
del tom. V: Se tutù gli eunuchi
sono irregolari ? Risponde di no ,
perchè quello solo è irregolare, che
essendo sano, volontariamente si
castrò, o si fece castrare, qualun-
que ne fosse il fine, anche per
amore alla castità; quindi sono ir-
regolari anco quelli che cooperano
alla castrazione; riportando per ul-
timo le sei cagioni per le quali i
sagri canoni tanto detestano il ca-
slramento degli uomini, perchè dis-
pongono: Qui sili virilia amputa-
vcrit3 clericus non efficetur, sui e-
nim ipsius homicida est, et minti-
EUN
cus creationi Dei. V. il citato Ber-
nini a pag. 42- Nelle nostre vi-
genti leggi, l'evirazione dolosa, che
produce la morte del paziente, è
punita colla galera perpetua.
Anticamente nella Spagna erano
frequenti i matrimoni degli eunu-
chi, dai quali con gravissimo scan-
dalo nascevano pubblici disordini,
a cagione del divorzio, che le in-
gannate spose chiedevano al tri-
bunale di quella nunziatura apo-
stolica. Ricorse il nunzio a Papa
Sisto V, supplicandolo d' opportu-
no provvedimento, perchè oltre lo
scandalo e le risse, non poteva egli
resistere al disbrigo di tante simili
cause. Allora Sisto V convocò una
congregazione composta di medici
e di teologi, da' quali fu conchiu-
so, che gli eunuchi non erano atti
al fine preciso del matrimonio, e
però coll'autorità della costituzione
Cum frequenterà data a* i 3 aprile
1587, Bull. Rom. tom. IV, part.
IV, p. 319, dichiarò nullo il con-
tratto, e gli eunuchi inabili a con-
trarre il matrimonio ; perchè im-
potenti ad essere genitori ed aver
figliuoli, che è il preciso ed unico
fine del matrimonio. Divenuto l'eu-
nuco Eutropio consoie potentissi-
mo, alcuni barbari si fecero eu-
nuchi per emularlo e giungere ad
eguali onori, ma ne morirono. Eu-
nuchi furono i santi fratelli martiri
Nereo ed Achilleo, battezzati da s.
Pietro. Il Papa s. Liberio rifiutò
dall' eunuco Eusebio, uno dei pri-
mi ministri dell' imperatore Costan-
zo, una somma che voleagli dare
quando fu esiliato per sostenere s.
Atanasio. L'eunuco Eutichio atten-
tò alla vita di s. Gregorio II, quan-
do era esarca di Ravenna. Leon-
zio antiocheno fu privato del sa-
cerdozio, perchè erasi evirato., il
EUN i95
Pontefice s. Nicolò I scomunicò e
depose il famoso eunuco Fozio ,
eh' erasi intruso nella sede di Co-
stantinopoli. Giovanni Vili Papa
dell' 872 radunò un concilio in Ra-
venna di settantaquattro vescovi,
in cui venne composta la contro-
versia insorta tra Orso Partecipa-
zio doge di Venezia, e Pietro pa-
triarca di Grado, che ricusava di
consagrare vescovo di Torcello Do-
menico abbate del monistero Ai-
binate, perchè si era eunucato. Nel-
1' epistola che Leone IX scrisse nel
io54 a Michele Cerulario patriar-
ca di Costantinopoli, gli rinfacciò
l'obbrobrio di questa chiesa , nel-
1' ordinare degli eunuchi per suoi
vescovi, per cui fra questi fu tro-
vata una femmina. Nella splendi-
da corte del Cardinal Ippolito d'E-
ste, de' duchi di Ferrara, fatto
Cardinale da Alessandro VI, era ri-
vi de' suonatori, de' musici e degli
eunuchi. L'infame delitto delia pe-
derastia, che fu in orrore anche
presso di molti gentili , e che fu
in abbominevole uso tra i greci ,
come rilevasi dalle pene decretate
su tal reato, e da Luciano nel tom.
II, cum notis Reilhii, p. 411? ®
stato condannato pur colla pena
dell'evirazione dalle leggi dei visi-
goti. 11 Cancellieri nelle Dissert.
epist. bibliografiche, a pag. 392 ,
riporta le pene fulminate contro la
pederastia, chiamata delictum spi-
nae dorsum, e giustamente anche
punita col rogo, e novera molli
autori che ne hanno trattato; men-
tre sugli eunuchi, oltre i citati, pos-
sono consultarsi: Gio. Bonifacio,
nell' Arte de cenni, del tagliarsi i
genitali; Petri Zornii, Dissert. de
eunuchismo Origenis Adamantii 3
Gissae 1708; s. Epifanio, Haeres.
58, lib. I, tom. Il ; s. Agostino ,
i96 EUP
fiacre*. 18 -, Theoph. Raynnmli ,
Minitela nati, farti, my siici, ex sa-
cra, et huniana litteratura illustra-
ti, Divion i655; C. d' Ollincan
(Ancillon), Traile des eunuques,
Trevoux, 1707.
EUPLIO (s.). Il santo martire
ili Sicilia Euplio era diacono in
Catania , e nella persecuzione di
Diocleziano fu egli fatto prigione
e condotto dinanzi al governatore
Calvisiano. Euplio tenendo in ma-
no il libro de' santi evangeli, non
esitò punto a dichiararsi in faccia
al giudice per seguace di Gesù
Cristo. Calvisiano sdegnato della
franca confessione di Euplio , per
rimuoverlo ordinò che fosse sotto-
posto alle più crudeli carnifìcine.
Euplio con invitta costanza le sos-
teneva, anzi in cambio di mover
lamento, andava leggendo le divi-
ne scritture. Calvisiano vedendo
riuscir inutili i suoi sforzi, onde
indurre Euplio a sagrificare agli
dei, ordinò che fosse decapitato.
Nel mentre che Euplio veniva con-
dotto al luogo del supplizio, an-
dava egli ripetendo per istrada le
seguenti parole : vi ringrazio, o Si-
gnore Gesù: confermate ciò che
avete in me operatoj e giunto al
palco, postosi in ginocchio pregò
alquanto, indi esibito il collo al
carnefice, fu decapitato. I cristiani
raccolsero il suo corpo, ed imbal-
samato Io seppellirono con grande
venerazione. I martirologi di occi-
dente ricordano la sua festa ai 12
agosto.
EUPSICHIO (s). Giuliano Fa-
postata irritato contro Cesarea ,
capitale della Cappadocia per aver
distrutto il tempio della Fortuna,
unico al culto del paganesimo, in-
fierì contro tutti quelli che pro-
fessavano la religione di Gesù. Cri-
EUR
sto. Spogliò le chiese d'ogni suo
avere, impose tasse enormi ai lai-
ci, arrolò il clero alla milizia, e
condannò i più zelanti confessori a
suggellare col proprio sangue la lo-
ro credenza. Fra questi generosi
campioni vi fu compreso Eupsi-
chio, uomo per natali illustre, e
da poco congiunto in matrimonio.
I suoi concittadini gli contestarono
la propria venerazione, coli' erigere
a suo onore un tempio , e s. Ba-
silio, otto anni dopo, celebrò la di
lui festa, invitando tutti i vescovi
del Ponto a concorrervi, e fissan-
dola li 8 aprile.
EURIA o EUROMA, seu Do-
natiana. Sede episcopale della Gre-
cia, nell'Epiro antico, nell'esarcato
di Macedonia, che vuoisi fosse ove
poi surse il borgo di s. Donato in
Albania. Nel concilio di Calcedo-
nia si fa frequente menzione di Eu-
ria; e s. Gregorio VII indirizzò la
seconda lettera, eh' è nel XII libro,
al vescovo di Euria, che altri im-
propriamente chiamarono Isauria.
Commanville dice che fu eretta in
vescovato nel quinto secolo, sotto
la metropoli di Cassiopea ossia Jan-
nina. Al presente è un titolo ve-
scovile in partibus, che conferisce
la santa Sede, e Pio VII lo con-
ferì a monsignor Gioachino Sal-
vetli dell'Ordine de' minori osser-
vanti di s. Francesco, attuai vica-
rio apostolico di Xansi e Xensi nel-
la Cina.
EURIQUEZ Enrico. Gesuita por-
toghese, prese l'abito della compa-
gnia, vivente ancora il suo fonda-
tore. Fu impiegato con felice suc-
cesso specialmente nell' insegnare.
Abbiamo di lui una Somma di
teologia morale. Morì in Tivoli nel
i6o3.
EUROPA. La terza delle cinque
EUR
parli del mondo, e di questo la
meno estesa, ma la meglio colti-
vata, la più civilizzata , e propor-
zionatamente alle altre, la più po-
polata. Questa è un' antica parte
del globo rispetto all' America, e
che nuova regione può dirsi ri-
guardo all' Asia, prima parte del
Mondo, ed all' Africa eh' è la se-
conda. E sebbene anco a questa
ceda l'Europa in ampiezza, tutta-
volta ha innumerabili titoli per es-
sere alle altre nell' ordine preferi-
ta. In fatti, osservano i geografi
che l'Europa non è che la conti-
nuazione del continente asiatico ,
come bene indica la confusione ed
incertezza de' suoi confini orientali,
e nelle antichissime emigrazioni
marittime, che la politica domina-
zione dei grandi imperi precedet-
tero, ebbe, secondo alcuni, il suo
nome da Europa figliuola di Age-
nore, celebre capo delle genti feni-
cie, e famoso tra i nautici avven-
turieri. Di Europa in quella mi-
tologica età assai si decantò l'alle-
gorico rapimento, o più veramen-
te il maritaggio con Aslerio re del-
l' isola di Creta ; sebbene altri fac-
ciano derivare il nome di questa
nobilissima parte del globo, da un
piccolo paese in vicinanza dell'El-
lesponto. Ma gli autori che hanno
fatto derivare il nome di Europa,
dalla principessa Europa figlia di
Agenore, e rapita da Giove, ap-
poggiarono questa congettura sopra
una favola, che distesamente si leg-
ge nella mitologia. La spiegazione
di Gi bel in sembra la più verosi-
mile. Egli fa venire il nome di
Europa dalla voce JVrab} ovvero
la occidentale, il che presenta un
duplice carattere di verità, tanto
riguardo al suono materiale delle
due voci, quanto alla posizione del-
EUR 197
Y Europa , relativamente all' Asia.
Altri poi dicono che la provincia
d' Europa (Vedi), diede il suo no-
me a tutta l'Europa. L'Europa si
comprende nella zona temperata
settentrionale fra il 33°, 45°, ed il
71°, ii°, lat. nord, e si estende
dal 22° 1. ovest, ed il 48° 1. est
del meridiano di Roma , ossia fra
l'8° el'8i°l. est dell' isola di Fer-
ro. La sua maggior lunghezza pre-
sa dal sud-ovest verso il capo San
Vincenzo fino al nord-est verso i
monti Urali ascende a mille leghe
circa, e la larghezza dal capo Nord
nella Lapponia svedese al capo Ma-
lapan nella Grecia non eccede le-
ghe novecento. Nella varietà delle
misure della superficie europea (che
solo basta a far conoscere quanto
nella scienza geografica si desideri
di esattezza), Mac-Carthy stabilisce
295,735 leghe geografiche qua-
drate, popolate in ragione di sei-
cento sessantasei individui circa per
ciascuna lega.
La superficie dell'Europa è di-
visa in due versatoi generali, l'uno
oceanico, l'altro mediterraneo. Se
il suolo dell' Europa non eguaglia
nei luoghi più fertili le contrade
dell' Asia , dell'Africa, o dell' Ame-
rica, è almeno più equabile e con-
forme che le altre parti del mon-
do. I limiti poi che contrassegna-
no 1' Europa, sono al nord il ma-
re gelato, da cui la Lapponia vie-
ne circondata ; all'est la linea del
fiume Kara, i monti Urali, il fiu-
me Ural, e que' seni del Mediter-
raneo, i quali assumono il nome
di mar di Marinara, Nero, e d'A-
zof; al sud la linea del Mediter-
raneo stesso, che dall'Arcipelago
greco continua fino allo stretto di
Gibilterra, per mezzo del quale è
separata 1J Europa dall' Africa ; ed
198 EUR
all'ovest quella parte del grande
Oceano, che col nome di Atlanti-
co si distingue. Attorniata per tal
modo l'Europa in tre lati dalle ac-
que, ha diversi mari che in essa
s'internano, ed una moltitudine di
golfi e baie, medianti i quali age-
voli si rendono le comunicazioni,
animato il commercio , coltissimi
gli abitatori. Noteremo che gli an-
tichi geografi non conoscevano le
parti di Europa al di là del 60. °
grado di latitudine, se se ne eccettui
T isola Tole al nord dell' isole Bri-
tanniche. I confini dell'Europa era-
no gli stessi che gli attuali, come
devono esserlo; ma gli antichi che
pervennero a conoscere quelli del
sud e dell' ovest , non conobbero
mai bene quelli del nord, non a-
vendone che idee confuse. Quanto
all'Europa adottarono quasi gene-
ralmente la opinione che il Tanai
separasse l'Europa dall'Asia. Tolo-
meo divise l' Europa in due parti,
occidentale ed orientale. La Eu-
ropa è generalmente bene innaffia-
ta; tutte le sue acque vanno a
perdersi parte nei mari interni , e
parte nelP Oceano ; il mare Nero
riceve esso solo il doppio di ciò
che riceve ciascun altro mare. L'O-
ceano assume le varie denomina-
zioni secondo i paesi che va ba-
gnando. Dal Reno fino all'estremi-
tà della Norvegia, dicesi mare d' A-
lemagna, perchè bagna tutte le ri-
ve occidentali dell'antica Germa-
nia, e con poca proprietà va pur
chiamandosi mare del Nord. Il
tratto che dalla parte settentrio-
nale della Scozia si estende ver-
so il circolo polare, è l'antico ma-
re di Calcedonia, che appellasi e-
ziandio mar de' Sarmati. Quella
parte poi che comprendesi fra il
circolo polare suddetto ed il polo,
EUR
è nota sotto il nome di mar Già*
ciale, ovvero Oceano artico. Enor-
mi ammassi di ghiaccio fluttuimi e
lo rendono quasi impraticabile ai
naviganti, e vani si resero fin qui
gli sforzi arditi degli olandesi e
degli inglesi per aprirsi di là un
passaggio al grande Oceano, non
essendosi potuto mai trascorrere il
78. ° grado di latitudine. Il risul-
ta mento pero di questa scoperta ,
quando anche avvenisse, dicono i
geografi che non avrebbe una som-
ma importanza geografica, mentre
l'inaccessibilità osterebbe sempre ad
ogni commerciale vantaggio. Nul-
1 adi meno immensi tesori da que-
sta solitaria parte di Oceano ri-
traggono le circostanti nazioni col
mezzo della pesca. Ricchissima è
quella delle balene , e di tutti i
mammiferi marini, abbondante so-
pra ogni altra è quella delle a-
ringhe e merluzzi , i quali sboc-
cando ne' dati tempi dalla regio-
ne polare, innondano le baie di Nor-
vegia, d' Inghilterra, di Alemagna
e di Olanda.
Fra i mari interni il Mediter-
raneo primeggia, limitando l'Euro-
pa al sud, ed è con siffatto nome
distinto, per essere situato .nell'in-
terno delle terre. Il Mediterraneo
dalle rupi Ab'da e Colpe ì ossia dril-
lo stretto che custodisce l'africa-
na fortezza di Ceuta, e l'europea
di Gibilterra, già tanto note sotto
il nome di Colonne d'Ercole, giun-
ge fino alla Siria per la lunghez-
za di mille settecento e venti miglia
secondo le più. recenti misure. Di-
cesi mar Tirreno, o Toscano, e
presso gli antichi Mare inferum
nella parte che bagna il . lato sud-
ovest dell' Italia. L' Arcipelago gre-
co, o mar Egeo, è uno de' vasti
golfi, che dal più ampio suo bacino
EUR
fra l'Asia e l'Europa penetra in mez-
zo alle terre di Grecia e di Turchia,
mentre lo spazioso golfo Adriatico,
o Veneto bagna la parte orientale
d'Italia, e l'occidente dell' Illiria.
Dal fondo dell'Egeo apresi il Me-
diterraneo la via mediante l' Elles-
ponto , oggi stretto de Dardanelli ,
e forma il mar di Marinara, che
ha sessantatre leghe nella sua mag-
gior lunghezza, e fu già noto sotto
il nome di Propontide. Per mezzo
poi del famoso Bosforo Tracio, o
stretto di Costantinopoli, comunica
col Ponto Eusino, o mar Nero, il
quale riceve dai circostanti fiumi
copioso tributo. Finalmente oltre
Io stretto dì Coffa terminano il
corso le acque mediterranee, pro-
ducendo de' bassi fondi, che Palu-
de Meotide si dissero ne' tempi an-
dati , e mar d'Azof, o mar di Za-
bacche chiamatisi nei moderni. Fra
la Danimarca e la Svezia s'inter-
na l'Oceano a formare il golfo di
Skager Rack, o canale di Jutlan-
dia, che nel volgersi poi al sud
prende il nome di Categat, e me-
diante gli stretti del grande e pic-
colo Belt, i quali s' intromettono
a separare il Jutland, e le isole di
Fionia e di Seeland, non che per
l'altro angusto stretto di Sund pas-
sa a formare il mar Baltico. Scor-
re questo in mezzo ai dominii prus-
siani, russi e svedesi, e si divide
poi ne' due golfi di Botnia e di
Finlandia, soggetti al gelo nell'in-
vernale stagione. La parte artica
dell' Oceano si addentra nelle ter-
re di Lapponia e di Russia a mo-
do di golfo, che dilatandosi nella
sua estremità costituisce il cosi det-
to mar Bianco, sparso di piccole
e mal note isolette.
I principali golfi, che non trac-
ciano mare interno, sono que' di
EUR 199
Guascogna e di Biscaglia nell'A-
tlantico, ed i minori di Lione e di
Genova nel Mediterraneo: l'Ocea-
no Atlantico che i limiti stabilisce
dell' Europa all' ovest, riceve il suo
nome dal monte Atlante situato
nell' Africa, e chiamasi pure Ocea-
no occidentale.
Oltre i mentovati stretti , sono
pure rimarchevoli: i.° il passo di
Calais, tra Calais e Douvres, che
l' Inghilterra dividendo dalla Fran-
cia, dà principio al marittimo ca-
nale della Manica, che fra quei
due regni sino a Brest si prolun-
ga ; 2.0 il faro Messinese per cui
la bella isola di Sicilia viene dal
rimanente d' Italia separata. Ma
sebbene questi due sieno i princi-
pali, quindici sono gli stretti di
Europa degni di osservazione. Si
distinguono in fine i due rinomati
istmi , di Corinto che la Morea con-
giunge alla Grecia, e di Precop,
pel quale la Crimea si unisce al
continente russo.
I principali e più cospicui laghi
di Europa, sono que' di Ladoga
e di Onega nella Russia, di TVen-
ner nella Svezia ; di Neusiedler nel-
T Ungheria ; di Costanza nel paese
di Baden ; di Losanna e di Gine-
vra nella Svizzera ; di Garda, di
Como o Lago maggiore nell' alla
Italia ; il Fucino, il Trasimeno, ed
il Lago di Bohena nella bassa Ita-
lia, per non nominarne altri.
Nel novero dei molti fiumi in
Europa sono per l'ampiezza loro
e per il lungo corso degni di men-
zione, nella Russia il Volga, il Don,
il Dnicper, ed il Dniesterj nell'In-
ghilterra il Tamigi; nella Germa-
nia il Reno, \Elba, e il Danubio;
nella Polonia e nella Prussia la
Vistola; nella Francia il Reno, il
Rodano, la Loira, la Senna, la
200 EUR
Gaivnnaj nell' Italia il Po, X Arno,
ed il Tevere; nella Spagna YEbro,
la Guadiana, e il Tago, il quale
scorre pure nel Portogallo; lo Schei-
da ne' Paesi Bassi, ec.
I canali più distinti sono quelli
della Russia e della Francia, fra
i primi quello primeggia che sta-
bilisce la comunicazione fra il mar
Baltico, il Ponto Eusino ed il mar
Caspio ; tra i secondi , famoso è
il canale del mezzodì, ossia della
Linguadoca, che il Mediterraneo
congiunge coli' Oceano Atlantico.
Indipendentemente dalle isole Bri-
tanniche l'Europa molte altre ne
contiene, come l'Islanda, Ivica,Ma-
jorica e Minori ca , la Corsica, la
Sardegna, la Sicilia, le isole Jonie,
quelle di Candia , Malta , ec. ec.
Dicono i geografi che la penisola
Danese, la Crimea e la Morea sa-
ranno forse un giorno contate nel
numero delle isole europee, giac-
che non sono unite al continente
che coi mezzo de' terreni bassi, in
parte sommersi o continuamente
rumati dai flutti.
In generale frequenti catene di
montagne attraversano in diversi
sensi l'Europa: la più grandiosa è
quella delle Alpi (nome col quale
gli antichi celti designavano una
elevata cima ), che dalla Francia
si estendono fino alla estremità del-
la Schiavonia. Le diramazioni as-
sumono il nome di Alpi Maritti-
me dal Varo al Po; di Cozie dal
monte Cemelione a Susa; di Graje
da Susa al grande s. Bernardo;
di Pennine da s. Bernardo a s.
Gottardo ; di Rezie da s. Gottar-
do fino alla sorgente della Drava ;
di Noriche dalla Drava al Lison-
zo; di Cantiche dal Lisonzo alle
sorgenti di Laubach e del Riza-
no, di Giulie fino alla sorgente del
EUR
\\ ipacìo; di Svcve in una linea di
venti leghe parallela al Danubio,
nel lato orientale de' monti della
Selva nera, e di Transigane fra
Clausemburgo ed Abrobania. Tie-
ne il secondo rango la catena dei
Pirenei , che dal Mediterraneo al-
l'Atlantico si prolungano per no-
vanta leghe, e separano la Fran-
cia dalla Spagna. Sebbene le cime
ne sieno coperte di ghiaccio, ed
offrano ne' loro declivii immensa
varietà di climi e di produzioni,
\i si contano cinquanta passaggi
adatti a' pedoni, e cinque comode
vie per vetture. Il Canigù e il
Monteperduto, il Vignemale ed il
Pico di mezzogiorno vantano le som-
mità più elevate. Viene poscia la
catena de' monti Dofrins, forse gli
antichi Rifei nella Scandinavia, che
formano il limite naturale fra la
Svezia e la Norvegia, e diraman-
dosi quindi, intersecano la Lappo-
nia svedese e la danese. Minore è
l'altezza de' subalterni monti Kra-
packs o Carpazi, che dal mar Ne-
ro si estendono fino alle frontiere
della Sassonia, e dividono Ja Mo-
ravia dalla Slesia, la Transilvania
e l'Ungheria dalla Bukowina e dal-
la Galizia, e la Vallachia dalla
Moldavia : sono queste ricche di
miniere d'oro e d'argento, ed han
copiose saline. S'innalzano sopra
ogni altra le cime del Lomnitzera-
Spitze, del Zeutschetrich, e del gran
Kriwan a sette in otto mila piedi
sopra il livello del mare. Nella in-
feriore categoria trovansi finalmen-
te gli Apennini, i quali si consi-
derano come una ramificazione del-
le Alpi, e dal ducato di Genova
percorrono e partono l'Italia in
tutta la sua lunghezza, terminando
all'estremità meridionale del regno
di Napoli. Il famoso Vesuvio, l'Etna,
EUR
o Gibele de' Siculi, l' Ekla nella
remota Islanda, sono i tre vulcani
più noti delle montagne europee.
La varietà centrale dell' antico
continente appartiene all'Europa,
tranne la Lapponia, e però si am-
mira negli abitanti il colorito bian-
co e vermiglio, che soltanto nelle
parti meridionali talor s' imbruna,
e l'aggiustatezza e proporzione dei
lineamenti avvicinano l'europeo al-
la perfezione dell'umana natura.
Strabone , qual geografo filosofo ,
parla col maggior elogio delle ric-
chezze naturali dell' Europa, e dei
suoi abitanti, gli uni propri alla
guerra, come i greci, i romani, i
macedoni; gli altri più utili in pa-
ce, perchè occupantisi dei lavori
delle campagne. La temperatura
atmosferica va esente da quegli ec-
cessi di calore e di freddo, che
sono ordinari nelle altre parti del
mondo. Diverse cause modificano
in Europa il clima, il quale preso
generalmente, è temperato, ad ec-
cezione delle due estremità : la
quantità di pioggia che cade nel-
le diverse contrade di Europa, va-
ria necessariamente i climi ; così
dicasi della neve, ove cade in gran
copia, ed ove di rado apparisce e
subito si discioglie. L'atmosfera è
generalmente salubre in Europa.
E superfluo narrare, che il suo-
lo è proprio ad ogni sorta di col-
tura di cereali , legumi e frutta ,
che vi prosperano dovunque le viti
e gli ulivi, se si eccettuino le par-
ti settentrionali, e che non solo vi
è gran copia di canape e di lino,
ma ne' paesi meridionali si fanno
con successo utili saggi della ve-
getazione del cotone, del caffè, e
di altre piante esotiche. Oltre le
summentovate preziose miniere car-
pazie , ve n' ha pure sparse nelle
EUR 201
altre montagne di varie specie, co-
me di piombo, di ferro, di rame,
di cobalto e zinco ec. ec. ; molte
pur sono le cave di differenti inai-
mi, alabastri, ed altre pietre: però
il regno minerale non è tanto ric-
co in Europa, come lo è nell'A-
merica. Vi sono parecchie salutife-
re sorgenti di acque termali e sul-
furee ; e le foreste, che servono di
ricovero ad un gran numero di sil-
vestri animali, e prive sono di quel-
le tante belve e venefici rettili, i
quali infestano il rimanente del glo-
bo, somministrano pure eccellen-
te legname da costruzione. L'Eu-
ropa ha minor numero di generi
e di specie di animali che le al-
tre parti del mondo, e fra questi
in proporzione ve n'hanno pochi
che sieno pericolosi. Vi si alleva-
no quasi tutti gli animali dome-
stici conosciuti, giacché molti ani-
mali sono stati egualmente impor-
tati e naturalizzali in Europa .
Strabone parla delle ricchezze na-
turali dell' Europa , dicendo che
rinchiude nel suo seno ogni sorta
di metallo, produce alla sua su-
perfìcie vegetabili di ogni genere,
e nudrisce una grandissima varie-
tà di animali.
L' Europa è la sede delle scien-
ze e delle arti, venendo chiamata
l' Italia il giardino dell' Europa^ e
la più nobile parte di essa. Si no-
verano in Europa più di ottanta-
cinque università, e vi si pubbli-
cano più di due mila giornali , e
fogli periodici. Il suo commercio
abbraccia tutto l'intiero globo. Ol-
tre le antiche lingue greca e la-
tina, che si coltivano dall'universa-
le de' dotti, sonovi nell'Europa ot-
to principali idiomi, cioè l'italia-
no , il francese , proprio non solo
della nazione, ma altresì della di-
aoa EUR
plomazia europea, lo spagnuolo col
portoghese suo derivativo, l'inglese,
il teutonico suddiviso nei vavi dia-
letti germanici e scandinavi, ed e-
steso alla Svizzera ed a gran parte
de' Paesi Bassi, lo slavo comune ai
russi, a' polacchi, agi' illirici, il tur-
co, ed il greco moderno che dal
primitivo essenzialmente differisce.
Le diverse razze europee possedo-
no tante così dette famiglie di lin-
gue che si suddividono in un nu-
mero infinito di lingue derivate,
di dialetti e di Ternacoli. L'Eu-
ropa durante gli ultimi secoli, ha
posseduto colonie importanti nelle
altre parti del mondo, ed oggidì
ancora i principali popoli maritti-
mi posseggono vasti stati o fertili
isole in America, in Asia, in Afri-
ca, nelP Oceania e terre Australi.
Questi possedimenti alimentano il
commercio di Europa, singolarmen-
te nel cambio delle derrate colo-
niali contro i prodotti e le mer-
canzie europee. Gli europei si sono
stabiliti in copioso numero nelle
altre parti del mondo, massime in
America, che si può dire per loro
ripopolata.
La popolazione di Europa da
molti geografi si fa ascendere a
circa 193,420,000 abitanti. Però
la popolazione è molto inegual-
mente sparsa nel suolo di Euro-
pa, secondo il clima, la qualità del
territorio, la libertà e il carattere
degli abitanti, ed i mezzi del com-
mercio e dell' industria , non che
in proporzione della fecondità dei
matrimonii , tra il mezzodì e il
nord di Europa, essendo le donne
più prolifiche nel primo clima.
Le cinque grandi potenze mo-
narchiche dell'Europa, cioè l'Au-
stria, la Francia, Y Inghilterra, la
Russia, e la Prussia, rinchiudono
EUR
piìi di due terzi della popolazione
e del territorio europeo : e vi so-
no compresi, al dire dei geografi,
più di centoquaranta milioni d'a-
bitanti.
Sotto il rapporto della religione
più di undici dodicesimi dell' Eu-
ropa professano il cristianesimo in-
trodottovi dagli apostoli, i princi-
pi de' quali, cioè i ss. Pietro e Pao-
lo, si portarono anche in Roma che
illustrarono colla predicazione del
vangelo , e con glorioso martirio.
Il primo qual sommo Pontefice vi
stabilì la santa Sede ; il perchè
Roma è il centro del cattolicismo
che tanto lustro, vantaggi e splen-
dore derivò all'Europa, più che in
qualunque altra parte del mondo,
sebbene per ognuna costantemente
sieno state rivolte le indefesse e
zelanti cure de' romani Pontefi-
ci. All'articolo Diocesi (Vedi), ev-
vi il numero di quelle di Europa,
colle rispettive distinzioni del loro
grado, coli' indicazione degli stati
in cui sono. In Europa non vi so-
no che i turchi e gli ebrei i quali
professano culti opposti al cristia-
nesimo coli' islamismo o maomet-
tismo, e col giudaismo. Nel nord
e nell' est dell' Europa, alcune po-
polazioni barbare sono ancora pa-
gane, o piuttosto senza alcuna re-
ligione. Se si vuole esaminare gli
europei cristiani si trova prima la
Chiesa greca od orientale che com-
prende i russi, i greci, gli albane-
si, i bulgari, gì' illirici, i serviani,
gli schiavoni, i serbi o rezi, i mol-
davi, ed i vallachi, sebbene tra essi
un gran numero sieno di rito la-
tino. Indi la Chiesa latina od oc-
cidentale, la cui sede, come dicem-
mo, è in Italia, e nell'alma Roma,
ed alla quale appartengono pure
il Portogallo, la Spagna, la Frau-
EUR
eia , una parte della Svizzera e
dell' Alemagna, l'Ungheria, la Boe-
mia, la Polonia, il Belgio, e la
maggior parte dell'Irlanda. La Chie-
sa protestante, che negli ultimi tem-
pi ha pure in parte assunto il ti-
tolo di Chiesa evangelica, abbrac-
cia la Gran Bretagna, una parte
dell' Alemagna, 1' Olanda, la Dani-
marca, la Norvegia e la Svezia. In
mezzo ai protestanti vivono altresì
parecchie differenti sette. AH' arti-
colo Congregazione di Propaganda
fide sono noverati i vicariati, de-
legazioni e prefetture apostoliche
stabilite dalla santa Sede nei paesi
acattolici dell'Europa, ove il culto
cattolico non è dominante. In con-
clusione la religione ed unità cat-
tolica serbasi illesa nelle regioni me-
ridionali, e in alcune centrali, men-
tre la riforma protestante è diffu-
sa in gran parte della Germania,
e ne' regni settentrionali. 11 rito
greco scismatico si esercita nel va-
sto impero russo, e nelle parti o-
rientali. Intorno all' enumerazione
degli stati di Europa, alle diverse
forme de' loro governi, ed altro, se
ne parlerà per ultimo ; ora passe-
remo compendiosamente ad indi-
care i principali avvenimenti sto-
rici della nostra parte del mondo,
premettendo alcune generiche no-
zioni sul popolamento ed incivili-
mento di Europa.
I popoli che abitano 1' Europa
appartengono a differenti razze,
delle quali molte traggono eviden-
temente l'origine dall'Asia. La sto-
ria fa menzione di molte emigra-
zioni di popoli asiatici in Europa,
e se ne sono senza dubbio verifi-
cate anche delle altre che fuggiro-
no alla conoscenza degl' istorici. E-
gli è perciò che le idee religiose,
e le lingue dei popoli i più. famosi
EU il 5.o3
dell'Asia ebbero un' influenza mar-
cata nella civiltà dell'Europa. Que-
st' ultima rimase sepolta lungo tem-
po nella barbarie, e non fu che in
grazia del suo contatto coli' Egitto
da una parte, e con l'Asia dall'al-
tra, che la Grecia esci la prima
da quello stato generale di tene-
bre, e dalla vita selvaggia che me-
navano tutti i popoli dell'Europa.
Le belle arti, le lettere, le scienze,
le forme del governo, le virtù, so-
ciali, tutto fu portato ad un alto
grado di perfezione dai greci, po-
polo felicemente organizzato e ca-
pace del più grande sviluppo dello
spirito e della immaginazione. I
fenici apportarono dall' Asia nel
mezzodì dell'Europa il gusto del
commercio e della navigazione, fon-
dandovi depositi di mercanzie e
colonie mercantili. Ebbero per suc-
cessori i cartaginesi, popolo più con-
quistatore e più militare ; indi dal
canto loro i greci si stabilirono in
folla neh' Italia, ove sorse ben pre-
sto una nuova potenza, quella dei
romani. Anche la religione cristia-
na, come si accennò, penetrò dal-
l'Asia in Europa, ma scorsero molti
secoli avanti che questa religione
fosse portata e stabilita nel nord
dell'Europa.
Jafet, uno de' tre figli di Noè ,
per consenso generale degli erudi-
ti, fondati sulla fede dovuta alla
tradizione, viene salutato qual pa-
dre delle genti europee, conosciute
sotto le originarie denominazioni ,
che ciascuna provincia dal suo fon-
datore assumeva. Allorquando poi
incominciarono a sorgere le diver-
se popolazioni, i celti occuparono
la parte occidentale, comprese le
sue isole dalle Alpi all'Atlantico, e
dieremo vita ai galli, agi' iberi, ai
batavi, ai pitti, ed ai calcedoni ; i
ao4 EUR
finlandesi si diffusero nel centro,
e nella parte orientale, e quindi
derivarono i germani, i geti, i tra-
ci, i cimmeri ; i lapponi poi, affi-
ni agli asiatici samojedi ed agli
americani esquimesi, abitarono la
parte settentrionale 3 ove poscia
comparvero i sarmati, gli sciti, e
gli scandi vani, mentre gli autoctoni
e gli aborigeni , così detti quasi
primigeni, furono dal lato meridio-
nale progenitori de' greci e degli
italiani. Alle ripetute incursioni dei
goti, e degli eruli asiatici sono de-
bitori della loro origine gli odier-
ni russi, polacchi ed alemanni : co-
lonie di Iberia e di Mauritania
accrebbero la popolazione delle
Spagne, ed i pelasghi d' incerta e
controversa origine, col qual nome
secondo il più sensato moderno
pensamento tutti indistintamente
vogliono indicarsi i nautici avven-
turieri , sparsero in molte par-
ti i primi semi della coltura so-
ciale.
Mentre tutto il rimanente del-
l'Europa trovavasi avvolto nella
rozzezza e nella barbarie, né co-
nosceva altri esercizi che quelli
della caccia , della pesca , d' una
continua guerra depredatrice, con-
ducendo vita noma da ed errante,
Cadmo, Inaco, Lelege, Prometeo,
Ogige e Saturno lasciarono tra-
vedere, in mezzo alla oscurità del-
le mitologiche finzioni ed allegorie,
la civiltà, e le leggi edificarono il
seggio nei vari regni dell'Egialea,
dell'Emonia, e nella federazione
dell'etnische Lucumonie. Dopo l'an-
no 3oo4 del mondo, circa, ossia
dieci secoli innanzi l' era volgare,
incominciò a dissiparsi il velo che
ottenebrava le ricordanze de' tem-
pi precedenti, ed il linguaggio de-
purato della storia c'indica eleva-
EUR
te in isplendida fuma le greche
repubbliche di Atene, di Sparta,
di Corinto, di Tebe, e la luce da
quelle contrade nella Trinacria e
nella Magna Grecia mirabilmente
si diffuse.
Nell'anno 776 avanti la nascita
di Gesù Cristo, gli storici stabili-
scono colla prima olimpiade l'epo-
ca principale della cronologia gre-
ca, mentre sulle rive del fiume
Albula, ch'ebbe poi il nome di Te-
vere, ov' erano già noti i piccoli
regni d'Alba e del Lazio, nasceva
l' immortale fondatore di Roma,
Romolo. Questa città, edificata nel-
l'anno quarto della sesta olimpia-
de, o settecento cinquantatre anni
prima della divina incarnazione ,
asilo ne' suoi principii di profughi
e di avventurieri, contrasse, col
famigerato ratto delle sabine, i so-
ciali legami, ed ebbe dai primi
suoi re la religione, e le civili isti-
tuzioni. Dopo l'espulsione del re
Tarquinio, il Superbo, Roma adot-
tò nell'anno 5 12, ch'era il 241
della sua fondazione, le severe for-
me repubblicane, e. colle guerre,
non meno che colle scaltrite al-
leanze, dilatò ampiamente i suoi
confini. Gli albani dapprima , e
quindi i latini, gli equi, gli eroi-
ci, i volsci, i fidenati, i sabini, gli
etruschi furono distrutti o doma-
ti. La famosa cadula di Vejo, e le
successive sconfitte de' sanniti com-
pirono di spargere il tenore del
nome romano ne' popoli circostan-
ti, che colla soggezione, coll'allean-
za, e colla cittadiuanza romana ne
ricercarono 1' amicizia e la pace.
Nella istallazione del nuovo magi-
strato decemvirale, il breve e suc-
coso codice di giurisprudenza con-
tenuto nelle dodici tavole, compi-
lale per ordine dell'attica saggez-
EUR
za, proclamò il gius scritto della
repubblica. Alla tirannide de' de-
cemviri successero i tribuni mili-
tari con potestà consolare, ed i
censori; ed i celtogalli indi offriro-
no largo campo al valore romano.
Dopo essersi i celtogalli propagati
nel territorio cisalpino, e fatti pa-
droni della Liguria e dell' Jnsu-
bria, nell'anno 390 invasa Roma
sotto il comando di Brenno, resta-
rono sconfìtti pel coraggio di Ca-
millo. Allora in Roma furono e-
manate le due rinomate leggi pu-
blia3 e petelia: colla prima il dit-
tatore Publio Filone cangiò in po-
polare l'aristocratico reggimento, e
Cajo Petelio colla seconda distrus-
se i diritti di vassallaggio, che sui
debitori plebei vantavano i patri-
zi. A quell'epoca la monarchia
macedone avea assorbito tutti i
greci potentati , ed esteso per A-
lessandro Magno i conquisti nel-
1' Asia. Dopo la morte di quell'e-
roe, i successori si divisero gli sta-
ti, ma la Grecia per le sue vicen-
de formò la lega achea. Pirro re
dell' Epiro pel primo inviò i greci
contro i romani, s'impadronì della
Sicilia; ma poscia i romani lo de-
bellarono insieme ai tarentini , ai
senoni, ai boi ed altri popoli col-
legati: Taranto e Brindisi, in un
alle altre città sicule ed alle pi-
cene, furono ridotte in provincie
romane.
Animati i romani da tanti trion-
fi sfidarono i potenti cartaginesi,
che da tre secoli imperavano sul
mare, e dettavano leggi al Medi-
terraneo coi loro navigli. La pri-
ma guerra punica segnò l'epoca
del loro colossale imperio. Dopo
la battaglia navale e la vittoria
di G. Duillio, ed il trionfo di Me-
tello, la storia di Roma divenne
EUR 2o5
quella non solo di Europa ma di
tutto il mondo allora conosciuto.
Distrutta Cartagine, conquistata la
Grecia, l'Insubria , la Liguria, le
Spagne, la Lusitania, la Carnia, Pil-
line e la Tracia, furono quindi
vinti i numidi 3 i cimbri , ed i
teutoni . Ma nel!' apice di sì for-
midabile possanza, già Roma nu-
driva in se i primi semi di sua
decadenza. Siila portò la guerra a
Mitridate, e Lucullo a Tigrane,
mentre Cinna, Mario e Sertorio
cercavano di opprimere la patria.
Siila ne li punì, e Tullio Cicerone
sventò le prave macchinazioni di
Catilina; però non andò guari che
Cesare, Pompeo e Crasso si di-
visero il potere col primo fatai
triumvirato. Successero le rapide
vittorie che Cesare riportò sugli
elvezi, sui belgi, sui sassoni, su-
gli svevi, sui britanni, e sui galli.
La sua ambizione lo fece nemico
della patria. Passa il Rubicone, in
Farsaglia vince Pompeo, e giunge
alla dittatura perpetua : se non che
l'amore alla libertà di alcuni ne
terminarono la dominazione col-
Pucciderlo. Tuttavolta i destini di
Roma non variarono: l'armata re-
pubblicana fu dispersa a Filippi,
per cui Ottaviano nipote di Cesa-
re, Marc' Antonio e Lepido costi-
tuirono il secondo triumvirato; il
primo prevalse, Io stato di Roma
fu cangiato, alla repubblica succes-
se l'impero, ed Ottaviano col nome
di Augusto venne solennemente
proclamato imperatore. Fu sotto
di lui che il mondo fruì i vantag-
gi d'una lunga pace, e che nacque
il sospirato Messia Gesù Cristo Si-
gnor nostro, il cui avventuroso na-
scimento die incominciamento alla
corrente era. I successivi secoli sot-
to diversi imperatori, ciascuno si
206 EUR
distinse por svariati avvenimenti.
La brutalità, la crudeltà, la cor-
ruttela, e qualche raro lampo di
f.juità e di clemenza si confusero
colle prodezze dei romani eserciti,
parte in mantenere le conquiste,
parte in farne delle nuove. Surscro
quindi imperatori saggi e filosofi,
come Trajano, Adriano, Antonino
e Marc'Aurelio, che fecero alquan-
to dimenticar le precedenti sciagu-
re; ma nel terzo secolo le milizie
pretoriane usurpando il potere, a
capriccio crearono e deposero gli
imperatori, per cui al pubblico in-
canto vendevano obbrobriosamente
l'impero, e la sorte di tanti diffe-
renti popoli e nazioni. La fortuna
delle aquile romane incominciò a
piegare, e gli stessi governatori del-
le provincie innalzarono lo stendar-
do della ribellione, disputandosi il
supremo potere.
1 saggi e valorosi Aureliano e
Probo, degni di tempi migliori, rav-
vivarono ancora, co'trionfi che ri-
portarono, gli estremi tratti d'una
luce ch'era vicina al tramonto. Gli
stessi imperatori nel quarto secolo
prepararono la caduta della quasi u-
niversale monarchia col dividere la
unità della dominazione, ciò che
pei primi fecero Diocleziano e Mas-
simiano, succedendosi sanguinarie e
civili discordie. Nei pontificati di s.
Melchiade e di s. Silvestro I ces-
sarono le persecuzioni contro il cri-
stianesimo, e Costantino il grande
restituì la pace alla Chiesa, pro-
fessando pubblicamente l'evangelo,
mentre in quasi tutte le provincie
dell'impero le arti e le lettere, u-
scite da un focolare comune, ci-
vilizzavano i barbari, e la lingua
latina si confuse cogl'idiomi degli
indigeni. Ma il pio Costantino che
sotto l'insegne del labaro avea riu-
EUR
nito l'impero, in vece di consoli-
darlo lo minò da'fondamenti col-
l'averne trasportalo la sede da Ro-
ma a Bisanzio, che per lui prese
il nome di Costantinopoli, quindi
eternò la divisione coll'aver dispo-
sto dell'impero, come di privata e-
redità, ne'tre suoi figliuoli. Laon-
de dipoi Valentiniano e Valente
resero sistematica la separazione
dell'impero d'oriente, o di Costan-
tinopoli, dall'impero d'occidente, o
di Roma, dopo che per circa do-
dici secoli nella grandezza di Ro-
ma erano fissati gli sguardi dell'u-
niverso. L' impero romano dopo
una lunga serie di rivoluzioni sem-
pre più. andò in decadenza; popo-
li barbari avendo invaso l'est del-
l'Europa, ed essendo seguiti da quel-
li del nord s' impadronirono di
quell'impero per l' addietro così
potente, e ne saccheggiarono per-
sino la capitale. Fu il quinto seco-
lo che fece cessare la storia uni-
versale europea, ed a quella viene
surrogata l'altra de' nuovi popoli,
che dagli avanzi della squarciata
monarchia pullularono. L'Italia ri-
mase aperta a un diluvio di bar-
bari, che ne fecero ogni strazio,
deponendosi da Odoacre re degli
eruli, Momillo Augustolo l'ultimo
degli imperatori d'occidente.
Le invasioni de'popoli barbari fe-
cero nascere nell'Europa nuovi sta-
ti, e nuove dinastie sovrane; i
franchi ed i borgognoni si stabi-
lirono nelle Gallie ; i visigoti e
gli svevi occuparono la Spagna ;
i sassoni e gli angli fondarono
piccoli regni nella gran Bretagna ;
i varequi, che si credono origina-
ri della Scandinavia, diedero vari
dominatori alla Russia ; i pirati
normanni venuti dalla Danimarca e
dalla Norvegia , si fecero cedere
EUR
una provincia della Francia; i
mori dell'Africa traversarono lo
stretto di Gibilterra, invasero una
gran parte della Spagna e si spar-
sero persino nella Francia ed in
Sicilia; gli unni, i goti, i vanda-
li, gli eruli, i visigoti, i longo-
bardi ed altri barbari successiva-
mente dominarono sull'Italia, meno
qualche brano dipendente dalla de-
bole dominazione del greco im-
pero.
L'eresia di Leone l'isaurico fece
perdere a' greci i possedimenti di
Italia, le principali città si sottras-
sero dalla loro ubbidienza, ed il
ducato romano, con Roma, e se-
dici città della Campania si diero-
110 verso l'anno 7 3o al sommo
Pontefice, e perciò sotto s. Gre-
gorio li ebbe origine la sovranità
de'Papi, ch'è la più antica di qua-
lunque altra dinastia europea. Ste-
fano II detto III, coli' invocare i
soccorsi di Pipino re di Francia ,
contro i longobardi , diede motivo
al successivo debellamento di que-
sti, e alle conquiste che di una gran
parte dell'impero romano fece Car-
lo Magno figlio di Pipino; il per-
chè s. Leone III nell'anno 800 rin-
novò in lui l'impero d'occidente
coronandolo solennemente nella ba-
silica vaticana : impero che Carlo
Magno divise poscia tra'suoi figli.
Le chiese e i monisteri si erano
moltiplicati in tutti i punti dell'Eu-
ropa; le lettere trovarono un asi-
lo nei chiostri, in mezzo alle guer-
re ed alle istituzioni feudali che
pesarono su tanti popoli, mentre
l'ignoranza, la superstizione e la
barbarie ne'secoli chiamati di fèrro
oppressero l' Europa. Fu nel me-
dio evo (questo tempo de' secoli
barberi principiò l'anno 5oo della
nostra eia cristiana, e durò per
EUR 207
T intero corso di mille anni, sino
al i5oo secondo l'autore dellV7po-
logia de' secoli barbari), che princi-
palmente si formarono e si consolida-
rono le diverse monarchie che com-
pongono oggidì l'Europa ; e le città
marittime dell'Italia divennero stati
potenti sul mare. La celebrata caval-
leria dell'undecimo secolo, e il fer-
vido zelo delle crociate non addi-
tano che fugaci lampi di virtù
passeggiera, mentre le ragioni feu-
dali, l'accanimento delle differenti
fazioni, gli scismi, e le religiose di-
scordie provocarono sanguinose guer-
re e carnificine. Nel XIV secolo
sette Pontefici risiedettero in Avi-
gnone, con grave danno di Roma
e d'Italia, cui successe il lungo sci-
sma che tenne divisi tanti popoli
e nazioni. Tuttavolla in quel se-
colo, prima o dopo, i ritrovamen-
ti della bussola, della polvere, del-
la stampa, ed il risorgimento del-
le lettere, delle scienze e delle ar-
ti , segnano incomparabili van-
ti all'Europa. 1 mori furono final-
mente espulsi dalla Spagna, ma i
turchi invasero l'impero greco, e lo
hanno sino d' allora conservato; e
i tartari furono per qualche tempo
padroni della Russia.
La scoperta dell' America fatta
nel declinar del XV secolo dagli
europei assoggettò loro un nuovo
mondo, ove fondarono immense
colonie, e da dove apportarono in
Europa immensi tesori, ed una fol-
la di prodotti sconosciuti. L'altra
scoperta del Capo di buona speran-
za pose il commercio europeo in
relazione diretta con l'Africa, e
colla più bella parte dell'Asia; la
navigazione si perfezionò, e si vi-
dero distinguersi parecchi stati, e
sopra tutti l'Inghilterra, per la for-
za della loro marina. Deplorabile
2o8 EUR
fu il secolo decimosesto per le la-
grimevoli eresie di Lutero, di Cal-
vino, ec. , e per la riforma d'En-
rico Vili, e funestissime ne furo-
no le conseguenze che tuttora de-
ploriamo. Nel decimo settimo se-
colo un trattato di pace, quello di
Vestfalia parve imporre un termi-
ne alle guerre dei sovrani dell'Eu-
ropa intorno al soggetto della loro
religione, e delle loro pretensioni
di dominio, giacche la memorata
riforma religiosa introdotta dagli
errori di Lutero aveva staccato
dall'unita della Chiesa romana qua-
si tutto il nord dell'Europa. L'im-
pero di Russia accresciutosi di tut-
ta l'Asia settentrionale, e degli
stabilimenti cosacchi, cominciò ad
influire sui destini dell' Europa;
quest'impero è divenuto il più e-
steso di tutti gli stati di questa
nostra parte di mondo. L'Inghil-
terra dal suo lato fu il più ricco
degli stati europei, pel valore di
sue colonie, che moltiplicò in ap-
presso sino alla quinta parte del
mondo. Alla fine del secolo deci-
mottavo la rivoluzione che scoppiò
in Francia, cangiò in parte la fac-
cia dell'Europa. Antiche dinastie
furono rovesciate, e parecchi stati
vennero incorporati nella repubbli-
ca francese, che al principio del
decimonono secolo si eresse in im-
pero. Napoleone primo imperatore
de' francesi, conquistò ed invase una
gran parte dell'Europa ; ma aven-
do sollevato contro di lui i princi-
pali sovrani, fu rovesciato dal tro-
no, e l'antico ordine di cose fu ri-
stabilito almeno in parte. Solamen-
te le nuove costituzioni, create in
conseguenza della rivoluzione fran-
cese, e fondate, al dire di alcuni,
sui bisogni dei popoli, e sui de-
cantati lumi del secolo, furono con-
EUR
servate la maggior parte. In questa
lotta generale in Europa, una parte
considerabile delle colonie in Ame-
rica scosse l'antico giogo, la indu-
stria fece rapidi progressi, e la po-
polazione meno esposta alle stragi
del vaiuolo, a merito della vacci-
nazione, e godendo d'altronde di
una lunga pace mercè la saggez-
za de'sovrani, si accrebbe ben pre-
sto malgrado le emigrazioni veri-
ficatesi pel nuovo mondo.
I popoli di questa bella parte
del globo, vengono politicamente
divisi dai geografi in tre grandi
sezioni geografiche formanti tutta
l'Europa. La prima settentrionale
comprende il vasto impero russo,
coll'unito regno di Polonia, la Sve-
zia a cui è unita la Norvegia, la
Danimarca, e le Isole Britanniche.
Alla seconda centrale si tribuisco-
no l'imperio austriaco, insieme ai
regni che ne dipendono, la confe-
derazione germanica, cogli stati che
la compongono, i Paesi-Bassi, ossia
l'Olanda ed il Belgio, la Francia,
e la Svizzera. La meridionale rac-
chiude l'impero ottomano co' suoi
accessorii , il regno ellenico della
Grecia , l'Italia colle sue partizio-
ni , la Spagna , ed il Portogallo.
Nell'Europa, complessivamente con-
siderata, si numerano cinquanta
stati sovrani, cioè i tre imperi di
Russia, di Austria, e di Turchia;
i sedici regni di Francia, d'Inghil-
terra, di Spagna, di Portogallo, di
Sardegna, delle due Sicilie, di Prus-
sia, di Olanda, del Belgio, di Bavie-
ra, di Sassonia, di Grecia, di Wit-
temberga, di Anno ver, di Dani-
marca, e di Svezia cui è unita la
Norvegia; l'elettorato d'Assia; i sei
gran ducati di Toscana, di Baden,
d'Assia-Darmstadt, di Weimar, di
Meclenburgo-Schwerin, e di Stre*
EUR
litz; i tredici ducati di Modena,
di Parma, di Lucca, d'Oldemburgo,
di Gotha, di Meiningen , d' Ilde-
burgausen, di Coburgo, di Brun-
swick, di Nassau, di Dessau, di
Bernburgo e di Roeten; i dieci
principati di Hohenzollern-Hechin-
gen e Sigmaringen, di Lictenstein,
Schwarzeburgo-Rudolstadt e Son-
dershausen,, di Reuss ramo prin-
cipale, e cadetto, di Lippa-Detmold
e Schauenburgo , e di Waldeck ;
lo stato ecclesiastico ; le quattro
repubbliche della Svinerà, delle
Isole Jonie, di San-Marino, e di
Cracovia; e le quattro città ansea-
tiche di Francfort sul Meno, Lu-
becca, Brema ed Amburgo.
Quanto ai governi l'Europa ne
presenta di tutte le forme, dal
dispotismo il più assoluto, sino al-
la democrazia pura ; egli è però
vero che le repubbliche, altra vol-
ta così numerose , sono state la
maggior parte distrutte; quelle che
abbiamo nominate, e che tuttora
sussistono, non possono essere an-
noverate tra gli stati possenti.
Il potere assoluto domina an-
cora ne' grandi stati, ma il potere
moderato e costituzionale ha pre-
so in questo secolo un gran ascen-
dente. L'impero di Turchia è gover-
nato il più dispoticamente, ed i cul-
ti che prevalgono sono il maomet-
tano ed il greco. L' impero di
Russia è sottomesso egualmente al
potere assoluto; ed i culti di quel-
l'impero sono il greco, il cattoli-
co ed il luterano: il regno di Po-
lonia dipendente dalla Russia sog-
giace al suo potere assoluto. L'im-
pero d'Austria mantiene il princi-
pio del potere assoluto, ma al-
cune provincie del suo impero
hanno corpi rappresentativi, e l'Un-
gheria ha un'antica costituzione;
vol, xxu.
EUR 209
i culti dell'impero austriaco sono
il cattolico, il greco , il riformato
e il luterano. Il regno di Prussia
è assoluto, cogli stati provinciali;
i culti suoi sono luterano, catto-
lico, e riformato. I regni di Sve-
zia, della gran Bretagna, di Olan-
da, del Belgio, di Francia, di Por-
togallo, ellenico di Grecia sono go-
vernati costituzionalmente ; la Svezia
segue il culto luterano; la gran Bre-
tagna V episcopale, il presbiterale e
il cattolico; l'Olanda il cattolico e il
riformato ; il Belgio il cattolico ;
la Francia il cattolico, il rifor-
mato e il luterano; il Portogallo
il cattolico; ed il regno di Grecia
o ellenico il culto cattolico e quello
greco. Costituzionalmente pur si go-
vernano i regni di Baviera, di Wur-
temberg, e tale è la forma de' piccoli
stati di Alemagna, ove il culto è cat-
tolico, luterano, riformato, evangeli-
co ec. Il regno di Spagna al presente è
costituzionale, ed il cullo è cattoli-
co. I re di Sardegna e delle due Si-
cilie, il Pontefice, ed il re di Dani-
marca, e molti principi di Alema-
gna e d'Italia regnano senza con-
trolleria con potere assoluto : nei
primi stati il culto dominante è il
cattolico, in Danimarca il luterano.
La Svizzera, composta di cantoni
liberi, ha repubblicano federativo
il governo, ed il culto riformato,
e cattolico. Neil' isole Jonie il go-
verno è repubblicano, sotto il pro-
tettorato dell'Inghilterra, coi culti
greco, cattolico , ed episcopale. I
ducati d'Italia sono di governo as-
soluto, con culto cattolico; ed il
principato di Monaco è sotto il
protettorato della Sardegna. La
repubblica di Cracovia è protetta
dalla Russia, Prussia, ed Austria,
con culto cattolico, senza nomina-
re altri stati già mentovati.
»4
qjo EUR
EUROPA. Provincia, ed anti-
chissima contrada dell' Illiria, nel-
la parte orientale della Tracia,
lungo la costa, che guarda l'Asia
minore, dal Ponto-Eusino fino al-
l'Arcipelago. Le città principali e-
rano Costantinopoli, Selivreè, Ru-
disto, Apri ec. Secondo alcuni ap-
parentemente questo paese comu-
nicò il suo nome a tutta l' Euro-
pa, come l'Asia minore diede il
.suo nome al restante dell'Asia, e
l'Africa propria a tutta l'Africa.
Eraclea (Fedi), era altre volte la
metropoli della provincia ecclesia-
stica di Europa, come poi lo fu
di tutta la Tracia: a quell'artico-
lo notammo gli arcivescovati ed
j vescovati della provincia di Eu-
ropa, sotto il patriarcato di Co-
stantinopoli, del quale fu la prima
provincia.
EUROPA, EUROPI, o EURO-
PO. Città vescovile dell'Asia, nel-
la Siria, nella provincia di Eufra-
te, diocesi di Antiochia , sotto la
metropoli di Gerapolh che secondo
Commanville fu eretta nel quinto
secolo. Era situala sulla riva del-
l'Eufrate all'est di Gerapoli, ed al
sud di Zeugma. Fu chiamata con
diversi nomi, come di Amphipo-
lis, Thapsacum , e Turmeda, se-
condo la Siria sagra. Al dire di
Procopio, l'imperatore Giustiniano
I vi edificò una fortezza. De' suoi
vescovi non si conosce che David,
riportando il p. Le Quien, nel-
1' Oritns Christ. tom. II, p. 4q5j
ch'egli non intervenne al concilio,
ma fu ivi rappresentato dall'arci-
vescovo di Gerapoli, che sottoscris-
se pegli altri suoi vescovi suffra-
gaci siccome assenti. Attualmente
Europa, Europe/i, è un titolo ve-
scovile 7/1 partibus che si dà dai
sommi Pontefici, sotto la metropo-
li US
li di Gerapoli pure in partibus. II
Tapa che regna, a' 7 giugno i83<),
fece vescovo d'Europa monsignor
Lodovico di s. Teresa de' carmeli-
tani scalzi, non che coadiutore del
vicario apostolico di Gerapoli.
E USE Jacopo, Cardinale. V.
Giovanni XXII Papa.
EUSEBIA (s.). Neil' anno 63 7
nacque Eusebia da nobili e vir-
tuosi genitori. Fu educata sotto la
direzione della propria avola la
beata Gertruda, la (piale governa-
va in quei giorni in qualità di ba-
dessa il monistero di Hamaige.
Cresciuta negli anni, ed informato
il suo cuore ad ogni esercizio di
virtù cristiana, venne eletta a suc-
cedere nel ministero dell'avola. Una
profonda umiltà, accoppiata aduna
inalterabile dolcezza, la rendette
cara a tutte le sue conreligiose.
Colla austerità mantenne puro il
suo corpo ed il suo spirito, e nel-
la fresca età di anni venti tre, il
giorno 16 marzo dell'anno 660
volò al cielo a cogliere il premio
dei giusii. In questo giorno me
desimo nel martirologio di Fran-
cia e dei benedettini è ricordata
la sua festività.
EUSEBIAM (Eusebiani). Gli eu-
sebiani erano eretici ariani che
furono così chiamati da Eusebio di
Nicomedia, principal difensore della
dottrina e della persona d'Ario.
Essendosi Eusebio lasciato sorpren-
dere dagli errori di questo eresi ar-
ca., finse di abiurarli al concilio
di Nicea, per non cadere in so-
spetto dell'imperatore Costantino;
ma i vescovi cattolici avendolo fat-
to conoscere, siccome per uno dei
principali fautori d'Ario, quel prin-
cipe l'esiliò dappoi. Il partito aria-
no avendo ottenuto il suo richiamo,
diventò egli il più gran nemico di
EUS
s. Atanasio primario difensore del
cattolicismo ; fecelo quindi esiliare,
riunì diversi concili contro di lui,
circondò l'imperatore Costantino fino
alla sua morte, ed infettò dell'eresia
ariana Costanzo suo figlio e tutta
la famiglia imperiale. Fecesi poi
eleggere per forza vescovo di Co-
stantinopoli, dopo aver fatto esilia-
re Paolo , prelato ortodosso, nel
338, egli in fine si eresse incapo di
partito. Dopo la morte d'Ario, i pu-
ri ariani lo consideravano come loro
apostolo, e si diedero a gloria di
portare il nome d'eusebiani. Fu egli
pure che compose quasi tutte le for-
inole ariane. Disprezzò tutte le sco-
muniche scagliate contro di lui dai
vescovi cattolici, e morì nello scisma
e nell'eresia, l'anno 34 1.
EUSEBIO (s.) Papa XXXII. Gre-
co, medico, o figlio di medico, il gior-
no 5 febbraio del 309 fu innalzato
alla sede di s. Pietro. Confermò
il decreto di Stefano I riconcilian-
do tutti gli eretici che trovò in
Roma colla sola imposizione delle
mani. Battezzò s. Eusebio, illustre
vescovo di Vercelli, a cui impose il
suo nome. Sostenne la legge dei santi
Pontefici Cornelio e Lucio suoi pre-
decessori, per la quale veniva pre-
scritto ai caduti nell'apostasia di far
penitenza, ond'essere restituiti alla
pace e comunione ecclesiastica. Dice-
si aver egli prescritto che i corpo-
rali non fossero di seta, ma sola-
mente di lino benedetto dal vesco-
vo, e che la cresima fosse ammi-
nistrata soltanto dai vescovi, a' qua-
li determinò la moderazione, che
dovevano usare alla loro mensa. Fe-
ce una sola ordinazione nella quale
creò quattordici vescovi, tredici preti
e tre diaconi. Patì a'26 settembre
del 3ii, e fu sepolto nel cimite-
rio di Callisto, dopo avere gover-
EITS 2. ir
nato due anni, sette mesi, e sedi-
ci giorni. Vacò la santa sede sei
giorni.
EUSEBIO (s.). Nacque Eusebio
in Sardegna, da nobili genitori. Ri-
masto privo del padre in tenera età,
la madre sua si trasferì in Roma con
lui. Educato colà nella pratica delle
cristiane virtù, e nello studio delle
ecclesiastiche scienze, fu dal Ponte-
fice s. Eusebio battezzato, per cui
gì' impose il proprio nome, e po-
scia dal Papa s. Silvestro I ordi-
nato lettore. Passato in progresso a
reggere la chiesa di Vercelli, fu egli
il primo suo vescovo. Con la mag-
gior pastorale sollecitudine governò
Eusebio il gregge alla sua cura affi-
datogli, ed in breve la città di Ver-
celli avvampò tutta di sacro fuoco
verso Gesù Cristo. Nell'anno 354 fu
dal Pontefice s. Liberio mandato
Eusebio ad Arles nelle Gallie, ove
trova vasi allora T imperatore Co-
stanzo, per stabilire con quel prin-
cipe la convocazione di un con-
cilio, che fu in Milano radunato
nell' anno seguente. Recatosi Euse-
bio in Milano, gli ariani, che assai
lo temevano, sostenuti però dal
dominatore di quel tempo, riusci-
rono per dieci giorni d'impedirgli
l'ingresso al concilio, ma final-
mente vi fu ammesso. Prima di
dar cominciamento all'affare di s.
Atanasio, per cui si erano convo-
cati, volle il sauto prelato che tutti
i vescovi accettassero in iscritto il
simbolo di Nicea, per dare così un
colpo decisivo alle calunnie inven-
tate a carico del santo vescovo A-
tanasio. Il commendevole zelo di Eu-
sebio per la causa di s. Atanasio gli
procurò l'esilio dall' imperatore Co-
stanzo in sul declinare dell'anno 36 1 .
Dipoi dal suo successore fu richia-
mato Eusebio a reggere la sua
212 EUS
chiesa, ed egli recatosi , cercò con
ogni premura ed instancabili atti
di virtù di riparare ai guasti oc-
casionativi da una sì lunga assen-
za. Dagli anni e molto più dalle
fatiche logorato mori il santo ve-
scovo il primo agosto dell'anno
370, e le sue spoglie mortali sono
con gran venerazione conservate
nella cattedrale di Vercelli. Il Bre-
viario romano assegna la sua festa
li i5 dicembre a cagione della tu-
mulazione fatta in tal giorno delle
sue reliquie.
EUSEBIO (s.). Nell'anno 366 il
santo vescovo Eusebio occupò la
sede di Samosata in Siria, e nello
stesso anno assistette al concilio di
Antiochia. Molta fu l' influenza che
egli ebbe nella elezione di s. Mele-
zio patriarca di Antiochia. Gli aria-
ni, quantunque contrari a lui per
principii religiosi, avevano però
grande venerazione per la sua pro-
bità. Nel 370 concorse all'elezione
di s. Basilio arcivescovo di Cesa-
rea, e si legò strettamente a lui,
mantenendo un'amichevole ed apo-
stolica corrispondenza. Destatasi in
que' dì dall'imperatore Valente una
fiera persecuzione contro i cattoli-
ci, il santo vescovo Eusebio si ado-
però con tutto potere a garantire
il proprio gregge dal veleno del-
l'eresia. Incontrò viaggi per la Si-
ria, Palestina e Fenicia per ordi-
nar sacerdoti, per assistere vesco-
vi, per rimetter pastori nelle cure
vacanti, per rassodare finalmente i
credenti nelle verità della fede.
Una tale vigilanza operosa, gli pro-
curò dalla setta ariana, che in quei
giorni dominava, un odio impla-
cabile, e questa condusse l'impera-
tore ad esiliare Eusebio nella Tra-
cia. Il santo obbedì all' imperiale
comando, e raccomandata al Si-
EUS
gnore con fervente preghiera la sua
greggia, si mosse verso il luogo di
sua destinazione. Accortisi i suoi
dell'allontanamento del proprio pa-
dre e pastore, si diedero in fol-
la a seguirlo , e raggiuntolo a
Zeugma, lo scongiurarono di non ab-
bandonarli al furore dei lupi. Som-
mamente commosso Eusebio, li
benedisse, eccitandoli ad adorare
le divine disposizioni, né volle ac-
cettare niente di quanto in denaro
essi gli offrirono pe'suoi bisogni.
Nell'anno 379, daudo i goti gua-
sto alla Tracia, fu accordato ad
Eusebio di ritornare alla sua sede
per cogliere la corona del marti-
rio; ma passando per Dolico, pic-
cola città della Comagena, infetta
allora dell'arianismo, una femmina
eretica gli scagliò una tegola sul
capo, che in brevi giorni lo con-
dusse a morte. Prossimo il santo
vescovo a spirare, fece viva istanza
che non si facesse alcun male a chi
gli toglieva la vita, imitando così il
divino nostro Redentore, il quale
dalla croce pregò pe'suoi crocefis-
sori. Dai greci è onorato Eusebio
li 22 giugno, e dai latini il gior-
no 21.
EUSEBIO Abbate (s.). In un
monistero fra Berea ed Antiochia
condusse Eusebio la santa sua vi-
ta. Chiamato a presiedervi in qua-
lità di abbate, seppe col suo esem-
pio conservar pura la disciplina, e
condurre i suoi conreligiosi nella
via della perfezione. L'austerità di
sua vita si rendette celebre in quei
dintorni, e molti allievi procurò al
monistero. Carico di anni e di
meriti riposò nel Signore li 23
gennaio nell'anno 4°°> ea* in tal
giorno se ne celebra la memoria.
EUSEBIO Prete (s.). Fu Eu-
sebio prete e confessore in Roma,
EUS
ed ebbe molto a combattere l'a-
rianismo sotto il regno di Costan-
zo. Confinato prigione nella sua
propria stanza per ordine dell'im-
peratore, egli si santificò in quella
col mezzo di una continua orazio-
ne. Morì, e fu sepolto nel cimite-
ro di Calisto. Il suo culto fu sem-
pre celebre in Roma, e la sua fe-
sta è assegnata ai i4 di agosto.
EUSEBIO Prete e martire (s.).
Sotto il regno di Diocleziano e Mas-
simiano viveva il sacerdote Euse-
bio addentrato in grado eminente
nello spirito della preghiera, ed in
tutte le apostoliche virtù. Colla pre-
dicazione molti furono da lui con-
vertiti; e gl'idolatri irritati dai gran-
di progressi ch'egli faceva a sca-
pito del loro culto, provocarono il
preside Massenzio ad assoggettar-
lo all'inquisizione. Comparso Euse-
bio al tribunale, con eroica fermez-
za non si lasciò sedurre dalle lu-
singhe, né vincere dalle minaccie
del tiranno, che indurlo voleva a
sacrificare agi' idoli. Quindi si as-
soggettò al martirio, e venne de-
capitato il giorno i4 agosto circa
il terminare del terzo secolo, ed in
tal giorno è ricordata la sua festi-
vità negli antichi martirologi.
EUSEBIO Prete (s.). V. Mar-
cello (s.).
EUSEBIO Martire (s.). V. Ne-
STABLO (S.).
EUSEBIO, Cardinale. Eusebio
Cardinal prete del titolo di s. Lo-
renzo in Lucina, si trovò presente
al concilio celebrato dal Pontefice
s. Paolo I nel 761.
EUSEBIO di Cesarea. Per quan-
to si crede nacque nella Palestina
verso la fine dell' impero di Gal-
lieno. Durante la persecuzione di
Diocleziano ebbe a maestro s. Pan-
filo, sotto del quale molto profit-
EUS ai3
tò. Credesi falsamente che nel tem-
po di sua prigionia offerisse incen-
so agli idoli per evitare il mar-
tirio. Quando venne restituita la
pace alla Chiesa, Eusebio, il quale
avea aperta una famosa scuola a
Cesarea, fu eletto vescovo in quel-
la città nell'anno 3i3. In questo
tempo in cui produceva grande
guasto nella Chiesa 1' arianesimo ,
Eusebio, sedotto dal suo parente
Eusebio di Nicomedia, prese a di-
fendere Ario, e fece ogni sforzo
per ristabilirlo appresso Alessandro
suo vescovo. Cotale caduta d'Eu-
sebio fu al suo nome una macchia
tanto maggiore, quanto più tentò
occultarla colla dissimulazione. Nel
concilio di Nicea durò grande fa-
tica a sottoscriversi nella condan-
na degli errori d'Ario, ne volea
ammettere il termine consustanzìa'
le aggiuntovi dai padri. Indotto
dai vescovi ariani , intervenne al
concilio d' Antiochia nel 33o , in
cui Eustazio vescovo di questa cit-
tà venne ingiustamente deposto:
e così pure nel 335 a quello di
Tiro tenutosi contra s. Atanasio.
Morì poco tempo dopo nel 338,
e senza dubbio ariano, tale essen-
do, contro l'opinione di alcuni mo-
derni, la testimonianza di s. Eu-
stazio, s. Atanasio, s. Ilario, s. Epi-
fanio, e s. Girolamo. Abbiamo di
lui: i.° la Confutazione di J erode,
il quale metteva Apollonio Tia-
neo al di sopra di Gesù Cristo ; 2.0
la Preparazione evangelica, in quin-
dici libri ; 3.° la Dimostrazione e-
vangelica, divisa in venti libri, del-
la quale non ci rimangono altro
che i primi dieci; 4«° un Trattato
di storia ecclesiastica, dopo la ve-
nuta di Gesù Cristo fino al primo
concilio universale; 5.° una Cro-
naca, eh' è un indice di storia uni-
2j4 EUS
versale da Adamo fino all' anno
ventesimo di Costantino; 6.° la
Vita di Costantino, in quattro li-
bri ; 7.0 alcuni Commenti sui sal-
mi pieni del veleno dell'arianesi-
mo, ma veleno mascherato con
grande artifizio; 8.° certi Commen-
ti sopra Isaia, che si trovano nel-
la collezione delle opere d' alcuni
padri greci, pubblicata a Parigi nel
1706.
EUSIZIO (s.). Da poveri geni-
tori sortì Eusizio i natali nel Pe-
rigueux, e si ricoverò in qualità
di laico nel monistero di Percy,
nella diocesi di Burges. Servita la
comunità per alcun tempo, fu ac-
cettato poscia nel numero de' mo-
naci, ed ordinato sacerdote. Coll'as-
senso del superiore si staccò dai
suoi conreligiosi, e si ritirò nel Ber-
rì in un luogo solitario. Fece in
progresso fabbricare nel luogo del
suo romitaggio un monistero, che
prese il nome di celle, e vi concor-
sero molti allievi. Il santo eremita
finì in pace i suoi giorni nell'anno
542, li 27 novembre, ed in tal dì
se ne celebra la sua festa.
EUSTACHIO (s.). V. Antonio,
Giovanni ed Eustachio (ss.).
EUSTACHIO (s). Regnando in
Roma l'imperatore Adriano, Placido,
che tale era il nome di Eustachio
prima di sua conversione, viveva
ascritto alla romana milizia. Dedito
egli alla caccia, si recò un giorno a
diporto in una folta boscaglia, e nel
silenzio di quel luogo, scoprì in un'al-
tura un cervo, avente fra le corna
l'immagine di Gesù Crocefisso. Ad
un tanto prodigio Placido si arre-
stò maravigliato, ed intesa in quel
mentre una voce che lo invitava
a farsi cristiano, si prostrò bocco-
ne, e da quell'istante si dichiarò
seguace di Gesù, rinunziando al fi-
ELS
no allora professato gentilesimo. Ri-
tornato Placido in sua casa, rac-
contò a sua moglie Taziana , che
poscia chiamossi Teopista, l' avve-
nuto, ed invitata a seguire l'im-
pulso divino, abbracciò anch' ella
di buona voglia il consiglio del suo
sposo, ed insieme ai due figli A-
gapio e Teopisto si fecero tutti
ammaestrare nei santi principii del-
la morale cristiana, e quindi colle
acque battesimali rigenerati, diven-
nero figli adottivi dell' autore del-
la grazia. Viveva Eustachio con la
sua famiglia tranquillo e sereno nel
novello suo stato, quando occorren-
do all'imperatore Adriano valersi di
lui in una militare impresa, fu chia-
mato all' esercito in qualità di ca-
pitano generale. Eustachio obbedi-
sce prontamente ai comandi del
principe, assume l'incarico affidato-
gli, va al campo, fuga i nemici, e
vittorioso ritorna in Roma. L'im-
peratore grato ai servigi prestati
da Eustachio, lo onora di sua gra-
zia, e Io invita altresì a rendere
tributi di laude agli dei per l'otte-
nuta vittoria. Eustachio per esser
divenuto cristiano, si rifiuta di ob-
bedire; l'imperatore che ignorava
il novello stato di lui, s'inquieta;
vuole eseguiti ad ogni modo i suoi
ordini, ed Eustachio vi resiste fer-
mamente. La grazia ed il favore
sovrano di prima si cangia in fu-
rore, ed ordina Adriano che Eu-
stachio con la moglie e i figli , sie-
no esposti nel parco de' leoni, per
esser da quei divorati. Si eseguisce il
comando, vengono essi tradotti sul
luogo, e quelle fiere, anziché segui-
re l'istinto proprio, mansuete si
avvicinano a lambire i loro piedi.
Adriano vieppiù infuriato per l'av-
venuto, comanda che sieno essi po-
sti in un bue grande di metallo ,
E US
e chiusi in quello, vengano dal fuo-
co sottopostovi arrostiti ed incene-
riti. Colla rassegnazione dei veri
n lieti di Cristo si assoggettarono
tutti a tale barbaro comandamen-
to. Tre giorni vi stettero rinchiu-
sa in capo ai quali, aperto il bue
si trovarono i loro corpi intatti, e
senza alcuna lesione, pel quale pro-
digio molti sul fatto ebbero a con-
vertirsi. JVel giorno 20 settembre
dell'anno 120 subirono essi il mar-
tirio, ed in tal giorno il martiro-
logio romano assegna la loro fe-
stività. Agli articoli Chiesa di s.
Eustachio, e Conti famiglia, sono
riportate diverse erudizioni risguar-
danti questo santo.
EUSTACHIO, Cardinale. Eu-
stachio Cardinal prete, fu uno dei
padri componenti il concilio Roma-
no celebrato da s. Zaccaria nel
745.
EUSTAZIANI. Nome d'una set-
ta eretica del IV secolo. Se si cre-
de a Socrate ed a Sozomeno, que-
sti eretici ebbero per patriarca Eu-
stazio, vescovo di Sebaste in Ar-
menia, il quale non essendo che
semplice prete, fu deposto da suo
padre chiamato Eulogio, arcive-
scovo di Cesarea in Cappadocia ,
perchè vesti vasi da filosofo paga-
gano, e faceva portare a' suoi di-
scepoli abiti straordinari. Baronio
crede che l'eresiarca Eustazio sia
quell'Eutacto di cui s. Epifanio
parla come d' un impostore , che
era monaco d'Armenia, il di cui
nome è stato alterato e cangialo
in Eustazio. L'opinione la più co-
mune è che fosse un monaco , il
cui amore eccessivo per la sua pro-
fessione lo fece cadere in molti er-
rori. Condannava il matrimonio
come contrario alla salute, e divi-
deva le donne dai loro marili. Ab-
EUS 2i5
bandonava le pubbliche adunanze
delle chiese per farne delle priva-
te, ed appropriavasi le obblazioni
dei fedeli. Credeva che non si po-
tesse niuno salvare senza abbandona-
re tutti i propri beni; divideva i fi-
gli dai loro padri ed i domestici
dai loro padroni, sotto pretesto di
far condur loro una vita più per-
fetta, e ricusava le obblazioni dei
preti ammogliati. Sosteneva ch'era
vietato in tutti i tempi il mangiar
carne, disprezzava i digiuni ordinari
della Chiesa come inutili, pratican-
done degli altri a suo capriccio,
anche negli slessi giorni di dome-
nica. Aveva in orrore i luoghi san-
ti ed i sepolcri dei martiri. Que-
sti eretici furono condannati nel
concilio di Gangra in Paflagonia ,
l'anno 342.
EUSTAZIO (s.). Era della città
di Sida in Panfilia. 11 suo merito
lo innalzò alla sede vescovile di Be-
rea, ove si distinse fra i più zelan-
ti difensori de'dommi apostolici. Ciò
animò s. Alessandro vescovo d' A-
lessandria ad unirsi seco nella guer-
ra, cui avea intrapresa contro l'e-
resiarca Ario. Con generale appro-
vazione de' vescovi, del clero e del-
la provincia, fu trasferito da Berea
in Antiochia. Tali e tante furono
le persecuzioni alle quali fu sog-
getto Eustazio per parte degli a-
riani, e specialmente di Eusebio di
Cesarea, eh' erasi acquistato il glo-
rioso titolo di Confessore. Sedotto
finalmente Costantino dagli ariani,
lo esiliò nella Tracia, dove morì
pieno di meriti e santità l' anno
338. Tra le opere che ci riman-
gono di lui vi sono : 1 .° le Ome-
lie ; 2.0 alcuni trattati dell'anima;
3.° una dissertazione sulla Pito-
nessa ; 4-° un' allra dissertazione
coulro Origene; 5." molte opere
ai6 EUS
contro gli ariani. Secondo s. Gi-
rolamo, Eustazio fu il primo che
scrivesse contra tali eretici.
EUSTAZIO Abbate di Luxeu(s.).
Da nobile famiglia di Borgogna
sortiti i natali, con molta cura fu
Eustazio educato dal proprio zio
Migeto vescovo di Langres. Di
buon'ora conobbe quanto periglio-
so sia il seguire il mondo e le sue
vanità , e quindi ricoveratosi nel
monistero di Luxeu sotto la dire-
zione di s. Colombano, si die tut-
to con lo spirito all' orazione , al-
l' umiltà, ed alla celeste contem-
plazione. Nell'anno 612 successe a
s. Colombano, e si vide capo di
seicento monaci, che lo riguarda-
vano come loro padre. Per puro
spirito evangelico si allontanò al-
cun tratto dal suo monistero per
diffondere nella Baviera e nella
Franca Contea la morale cristiana,
e la divinità di Gesti Cristo, com-
battuta dagli errori di Folino e
di Bonoso. Egli si procacciò su tutti
la stima e la venerazione. Morì
santamente nel 625, e nel marti-
rologio romano è ricordato il dì
29 marzo.
EUSTOCHIA (s.). Eustochia era
figlia di s. Paola, e vera seguace
della madre, seppe sotto la dire-
zione di s. Girolamo, tanto perfe-
zionarsi nelle cristiane virtù, da
meritare gli elogi i più estesi da
un sì grande dottore della Chiesa.
Soccorreva ella ai bisogni dei po-
veri, e dava ad essi tutto quello
che le altre del suo sesso profon-
dono in vanità ed in lusso. Visi-
tava di spesso s. Marcella, la pri-
ma fra le matrone romane, che
praticasse la vita ascetica , e verso
l'anno 382 si consecrò al Signore
con voto solenne. Accompagnò Eu-
stochia la madre sua nei viaggi
EUS
che intraprese per la Siria, l'Egit-
to e la Palestina , e ricoveratasi
nel monistero di Betlemme, nel
4o4, morta sua madre, fu eletta
a superiora di quel sacro ritiro.
Dopo avere edificato col suo esem-
pio quelle vergini spose di Gesù
Cristo, e rigorosamente mantenuta
ed osservata la disciplina , morì
santamente nell'anno 4*9» e la
sua festa è assegnata ai 28 set-
tembre.
EUSTOCHIA (beata). Nella cit-
tà di Messina l'anno i43o trasse
Eustochia i natali da una illustre
famiglia. Spiegò ella sino dall'in-
fanzia un cuore inclinato alla vir-
tù, ed oltre a questo pregio dello
spirito accoppiava anche quello di
una rara avvenenza. Cresciuta ne-
gli anni, e vieppiù aumentando i
suoi meriti, parecchie famiglie del
luogo anelavano alle sue nozze ; ma
ella non acconsentì mai ad alcun
partito, risoluta di dedicarsi intie-
ramente a Gesù Cristo, e superate
da forte tutte le opposizioni de'suoi
genitori, riuscì finalmente a rico-
verarsi nel monistero di s. Chiara
di Bassicano. Fatti i voti di reli-
gione si diede con ogni austerità a
farsi modello alle sue compagne.
Esattissima nell'osservanza delle re-
gole del proprio istituto, chiese al
supremo Gerarca Calisto III la per-
missione di fondare un nuovo mo-
nistero. Ottenuto l'assenso fondò la
casa detta il Monte delle Vergi-
ni, e ne divenne poscia badessa. Ac-
cesa sempre di santo zelo nella
pratica delle virtù, e di una tene-
ra e costante divozione pel santo sa-
cramento dell'altare, e per la Bea-
ta Vergine, passò la sua vita sino al
cinquantesimo quarto anno di età,
e morì li 30 gennaio del 1484.
I miracoli operati alla sua tomba
EUT
mossero il Pontefice Pio VI ad ap-
provare il di lei culto, e la sua
festa si solennizza li 27 febbraio.
EUSTOCHIO (s.). Uscito Eusta-
chio da nobile famiglia dell* Al ver-
gila , si rese celebre colla pratica
delle cristiane virtù. Elevato nel
444 al'a sede episcopale di Tours,
si mostrò subito zelantissimo nel
concilio di Angers a sostenere i di-
ritti della Chiesa, turbati da una
legge di Valentiniano III. Accreb-
be il numero delle parrocchie nel-
la sua diocesi, e fece anche col
proprio edificare una chiesa in cit-
tà, nella quale depose- le reliquie
de'ss. Gervasio e Protasio, recate
dall'Italia da s. Martino. Dopo di-
ciasette anni di regime il più atti-
vo morì santamente nell'anno 4^r>
e le sue spoglie furono deposte
nella chiesa di s. Brizio. Il marti-
rologio romano accenna la sua fe-
sta ai 19 settembre.
EUSTRASIO ovvero EUSTA-
CHIO, Cardinale vescovo di Al-
bano, creato da s. Stefano III Pa-
pa. Di questo Cardinale sappiamo
solo che nel 767 contribuì alla ele-
zione dell'antipapa Costantino, e
quindi con altri vescovi lo consa-
grò Pontefice. Intervenne però al
concilio Romano, celebrato nel 769
dall'anzidetto Stefano III detto IV,
per lo che sembra che abbando-
nato lo scisma, sia ritornato all'ub-
bidienza del legittimo Pontefice.
EUSTRASIO, Cardinale prete
del titolo di s. Anastasia, visse nel
pontificato di s. Gregorio III del
73i.
EUTICHE. Fu monaco e sacer-
dote, ed anche abbate generale o
archimandrita di un celebre mo-
nistero di trecento monaci presso
Costantinopoli. Nell'anno 44^ spar-
se i suoi errori, mentre poc'anzi
EUT 217
avea ricevuto dal Pontefice s. Leo-
ne I lettera di grande encomio per
la guerra che faceva a' nestoriani.
Negava egli le due nature in Gesù
Cristo, asserendo essere la di lui
carne celeste, e solo passata per
le viscere di Maria, senza prende-
re T umanità. Indi soggiungeva ,
che, avanti 1* unione, Cristo avea
due nature, ma non dopo, essen-
do stata assorbita l' umana dalla
divina , e che questa poi patì in
Cristo Dio, e non uomo. Di più,
negando le tradizioni, e male spie-
gando la sacra Scrittura, sostenne,
che i corpi umani nella risurrezio-
ne dovessero rendersi impalpabili
e sottili. Questi suoi errori furono
condannati in più sinodi e con-
cili, come dal concilio generale di
Calcedonia.
EUTICHIANI (Eutychiani). L'e-
resia degli eutichiani, discepoli di
Eutiche, fece gran progressi nell' o-
riente, e si divise in molti rami,
che, quantunque differenti fra di
loro in alcuni articoli, s' accordava-
no tutti a non ammettere se non
una sola natura in Gesù Cristo ,
cioè la divina, pretendendo che la
divinità e l'umanità fossero state
mescolate in Gesù Cristo, di modo
che la divinità aveva assorbita l'u-
manità , non essendo rimasta che
la divinità. Niceforo fa menzione
di dodici rami d'eutichiani. Gli uni
furono chiamati Schematici od Ap-
parenti, i quali non attribuivano a
Gesù Cristo se non una immagi-
ne di carne ; altri furono chiamati
Teodosiani, da Teodosio vescovo
di Alessandria ; oppure Giacobiti,
da un certo Giacomo di Siria. Ve
ne furono che si dissero Acefali,
cioè, senza capo, e Severiani, da
un monaco detto Severo che s'im-
possessò della sede della chiesa di
218 EUT
Antiochia nel V?..'». Questi ultimi
si divisero in cinque fazioni , ò?A-
gnoeti t che attribuivano qualche
ignoranza a Gesù Cristo, eli setta-
tori di Paolo Nero, d'Angeli ti, d'A-
driti, di (.Innoviti. V. Eutiche, e tutti
gli articoli riguardanti questo ere-
siarca, i suoi errori, ed i suoi se-
guaci.
EUTICHIANO(s.)Papa XXVIII.
In Limi nello stato di Genova, cit-
tà peraltro ora distrutta , ebbe i
natali Eulichiano, e il di lui padre
si chiamò Marino o Martino. Fu
creato Pontefice a' dì 4 giugno del
275. II Burio (Romanor. Ponti f. bre-
vi* nolitia, p. 4o), insieme con mol-
ti altri, attribuisce ad Eulichiano
la istituzione dell' offertorio nella
messa; la benedizione de' rami d'al-
beri e delle frutta; la scomunica
degli ubbriachi fino all'emenda, e
la libertà dei fedeli di ritenere o no
la moglie cheaveano presa prima di
essere battezzata. Colle proprie mani
diede sepoltura a più di trecento
quarantadue martiri, ed ordinò che
fossero sepolti col colobio, o dal-
matica di colore rosso, mentre pri-
ma seppellivansi co' lini bianchi
aspersi del loro sangue. Tenne cin-
que ordinazioni, e creò nove ve-
scovi, quattordici preti, cinque dia-
coni. Governò otto anni, sei mesi,
quattro giorni. Cessò di vivere agli
8 di dicembre del 283. Conser-
vatisi le sue ceneri nella cattedra-
le di Sarzana nello stato di Geno-
va, perchè essendo stato sepolto il
suo corpo nel cimiterio di Calisto,
fu poi trasferito in patria. Ma que-
sta distrutta , dalla cattedrale di
Limi venne collocato in quella di
Sarzana, che a Luni fu sostituita
nella sede vescovile. Vacò la santa
Sede sette giorni.
EUTICIIIO, Cardinale. Euti-
EUT
chio Cardinale di s. Adriano, fu pro-
mosso a tale dignità da Alessandro
III nell'anno 1 180. Di questo Car-
dinale non abbiamo più estese no-
zioni.
EUTIMIO (s.). Dal ritiro del chio-
stro, Eutimio fu innalzato alla sede
vescovile di Sardi in Lidia. Nell'an-
no 787 intervenne al concilio di
Nicea, ove fece sommamente cono-
scere la sua dottrina e santità. Per
ordine dell' imperatore Niceforo fu
strappato dalla sua sede, per ave-
re consegrato una giovine, la qua-
le con la fuga erasi sottratta dai
lacci tesi alla sua castità. Rimesso
dappoi nella sua sede, corresse con
grande attività tutti que' disordi ni,
eh' erano corsi nella sua assenza,
e con tanta libertà evangelica che
di nuovo venne esiliato sino al-
l'anno 81 3. Richiamato per la se-
conda volta non iscemò punto di
zelo, e si diede a rassodar la fe-
de di quelli, ai quali la persecu-
zione avea intiepidito l'ardore, e a
combattere gli errori degli iconocla-
sti, e quindi fu per la terza volta esi-
liato. Capo d'Ucrito in Bitinia fu il
luogo destinato per sua rilegazio-
ne, e quivi per ordine del princi-
pe posto in prigione, e crudelmen-
te con nervi di bue pesto e squar-
cialo, morì finalmente in capo ad
otto giorni verso l'anno 820. Nel
martirologio romano è accennato
per martire, e la sua festa ricorre
agli 1 i marzo.
EUTIMO (s.). Da Melitena nella
piccola Armenia Eutimio sortì i na-
tali. Fu educato sotto la direzione di
quel vescovo, e crebbe in dottrina
non meno, che in purità di costu-
mi. Entrato nella clericale milizia,
ed ordinato dipoi sacerdote, fu de-
stinato superiore generale dei mo-
nisteri di quella diocesi. In età di
EUT
anni ventinove uscì dal proprio
paese per recarsi in Palestina, alla
visita de' santi luoghi di Gerusa-
lemme. Per ben cinque anni si
ricoverò egli in una cella due le-
ghe lontana da quella città, ed ivi
morto al mondo, ed a se stesso,
conversava unicamente col suo Id-
dio per mezzo dell'orazione. Da
quel luogo recatosi poscia verso
Gerico, s'associò ad un santo ro-
mito per nome Teotisto, e con
questo visse Eutimio unito, abitan-
do in una caverna, e di sole erbe
cibandosi, sino a tanto che scoper-
ti ambedue, in folla la gente ve-
niva a visitarli. Allora Eutimio
verso l'anno 411 s' determinò di
fabbricare un monistero, e ne die-
de il governo a Teotisto. Molti
furono i discepoli che accorsero ad
arruolarsi in questo novello romi-
toio. Raccomandava Eutimio di
spesso a' suoi discepoli, la mortifi-
cazione, e riprovava in essi i digiu-
ni particolari ed estraordinari, giu-
dicando questi più propri a fomen-
tare la vanità, che a perfezionarsi
nella santa umiltà. Fu Eutimio fa-
vorito ancor vivente del dono dei
miracoli, e tanta venerazione ri-
da si
scosse da si speciale concessione,
che molti accorrevano processio-
nalmente alla sua celletta per im-
plorare soccorso nelle pubbliche
calamità. Anche il dono di profe-
zia gli venne concesso da Iddio
Signore; ed infatti nel giorno i3
gennaio 47 3, Elia e Macario suoi
discepoli venuti a visitarlo, per ac-
compagnarlo quindi nel deserto,
dove era solito passare la quare-
sima, ebbero ad intendere da lui
medesimo, che la sua morte si ve-
rificherebbe nel sabato susseguente,
lo che successe infatti il dì 20,
coniando egli l'età di novantacin-
EUT 2, 9
que anni, sessantotto de'quali vis-
suti nella solitudine. Molti furono
i prodigi operati per di lui inter-
cessione. San Sabba, uno dei suoi
più cari discepoli, celebrò la di lui
festa subito dopo la morte. Ed il
giorno 20 gennaio è dai latini e
dai greci consagrato alla sua me-
moria.
EUTROPIA (s.). Dall'Alvergna
sortì i natali Eutropia , e fiorì nel
quinto secolo. Rimasta vedova, ella
si ritirò dal mondo, per clonar-
si a Iddio, praticando la peni-
tenza , ed altre opere pie. Ebbe
a soffrire delle tribolazioni, tutte
però sostenute con cristiana rasse-
gnazione. Morì santamente, ed è
ricordala la sua festività il giorno
i5 settembre.
EUTROPIO (s.). Mosso da puro
e santo zelo di episcopal ministero,
Eutropio primo vescovo di Saintes,
predicò il vangelo ai galli, ma que-
sti in allora immersi nell'idolatria,
si avventarono contro il santo pa-
store e gli fracassarono il capo. Di
lui ci lasciò scritto s. Gregorio di
Tours. « Palladio vescovo di Sain-
« tes, il quale assistè al quarto
» concilio di Parigi, ed al secondo
» di Mac.on, avendo fatto edificare
» una chiesa in onore di s. Eu-
« tropio, volle trasportare le sue
» reliquie. Invitò molti abbati alla
m cerimonia di questa transazione :
» e come fu discoperto il feretro,
» due di costoro scorsero una feri-
« ta d'accetta nella testa del santo.
w La notte seguente lo stesso san-
« t'Eutropio apparì loro, e disse di
» essere per un colpo stato tolto
« di vita. In questa guisa si ri-
« conobbe ch'egli era martire, per-
» che allora non era vi più la storia
» de' suoi patimenti ". iNelIa catte-
drale di Saintes si venera il capo
220 EUX
di questo santo, e la sua festa dai
martirologi è assegnata ai 3o aprile.
EUTROPIO (s.). Sotto il regno
dell'imperatore Onorio nacque Eu-
tropio in Marsiglia da nobile e
ricca famiglia. Rimasto vedovo si
consagrò al servigio di Dio, ed in
tale stato vieppiù brillando le sue
virtù, si determinò il santo vescovo
Eustachio di associarlo al suo clero,
benché la modestia di Eutropio vi
resistesse. Ordinato diacono, si die-
de ad una austerissima penitenza.
Piangeva dì e notte dirottamente
le passate mancanze, ed ebbe final-
mente a conforto due misteriosi so-
gni, ne' quali il Signore si degnò
accertarlo dell' ottenuto perdono.
Morto il vescovo d'Orange, tutto
il clero ed il popolo di quella cit-
tà acclamarono Eutropio a succe-
dergli. Consecrato in tal dignità, si
diresse subito alla cura del suo
gregge, ma atterrito dappoi nell'e-
sercizio di sì grave ministero, volea
soltrarsene colla fuga; ma fu da
una visione avvertito, che questa
sua risoluzione era dal demonio
provocala, e che piuttosto si pro-
ponesse a modello s. Paolo, il qua-
le vuole, che il vescovo lavori col-
le proprie mani per provvedere
ai suoi bisogni, ed a quelli degli
altri. Si determinò allora Eutropio
a rimanere nel suo episcopal mini-
stero, e darsi tutto alla santifica-
zione de'suoi diocesani. Governò la
sua chiesa per dodici anni, condu-
cendo una vita austera, e dividendo
coi poveri i redditi della sua men-
sa. Morì santamente nell'anno 47 5,
ed è onorato il dì 27 maggio con
pubblico culto.
EUTROPIO (s.). V. Martino
ed Eutropio (ss.).
EUX (d') Bertrando, Cardina-
le. V. D'Euio o Deucio.
EVA
EVANGELARIO od EVANGE-
LI STA RIO ( Evangeliarium, Eva ri-
geli.stari uni). Chiamasi con questo
nome appresso i greci ed i latini
un libro che racchiude tutti gli
evangeli che diconsi ogni giorno
nella messa. Narra il Rinaldi al-
l' anno 8 1 3, num. 1 4 , che l' im-
peratore Carlo Magno fece ottima-
mente emendare co' testi greci e
soriani i libri scritti de' quattro
vangeli. Osserva il Bonarroti, nel-
la sua opera sui Fasi antichi di
vetro, pag. 57, che talvolta gli ar-
tisti denotarono in quattro volumi
gli evangeli, ed a pag. 9 3 dice che
furono pure espressi in forma di
volumi e di libri, ornati di gioie
nelle coperte, e talvolta sovrastati
da corone. Per queste corone vuoi-
si significare, che Iddio è Y unica
corona e mercede di tutti gli elet-
ti, seguaci della sua dottrina e dei
suoi insegnamenti contenuti ne' li-
bri evangelici. V. Jos. Catalani,
de cod. s. Evangelii, Romae 1750;
Joh. Matth. Hammerich, de uso
evangelici codicis apud Christìanos,
Hauniae 1 78 1 ; Andr. Schmid, de
cultu Evangeliorum. In Triga exer-
citationum,iex\&e 1692. Monsignor
Francesco Antonio Mondelli, nella
sua Decade di ecclesiastiche disser-
tazioni, trattò nella X della de-
corosa custodia in che tenevansi
i sagri libri, e della pompa con
cui al popolo leggeasi massima-
mente il vangelo. V. Messale, ed
Evangelio, massime nel paragrafo
ultimo: Altre nozioni sulV evange-
lio, e sul libro che lo contiene.
EVANGELICO. Che è secondo
la dottrina di Gesù Cristo e del-
l' evangelio. I protestanti assumo-
no il titolo di evangelici perchè
disprezzano la tradizione da' padri,
e perchè fanno professione di non
. EVA
attenersi se non al vangelo . che
ciascuno di essi interpreta alla sua
maniera, e secondo il suo senso
particolare. I cantoni Svizzeri di-
vidonsi in cattolici, e riformati od
evangelici. Evangelico è pure il
culto dominante negli stati d'An-
halt-Bernbourg, di Baden, di An-
nover, di Nassau , di Prussia , di
Heuss, di Waldeck, ec.
EVANGELIO o VANGELO
(Evangelium). Questo vocabolo de-
riva dal greco Evangelion, che si-
gnifica buona novella, annunzio al-
legro e felice, annunzio di felici-
tà, di beatitudine, e di regno ce-
leste; ovvero secondo l'etimologia
della voce ebraica Eban, che signi-
fica pietra Ghellion, che vuol dire
manifesta, perchè in esso si mani-
festa al genere umano il vero Mes-
sia, pietra angolare riprovata dalla
sinagoga, come spiega il Macri nel-
la Not. de' vocab. eccl. Evangelio
si prende, i.° per la dottrina di
Gesù Cristo compresa nel vangelo ;
2.° pel libro che contiene quella
dottrina ; 3.° pel libro che contie-
ne gli evangeli, chiamato Evange-
larìo (Vedi), che leggonsi nel corso
dell'anno; 4*° Per gn estratti dei
vangeli che portansi sopra di se,
o che si recitano sopra altre per-
sone. La Chiesa non riconosce che
quattro evangeli canonici, cioè di
s. Matteo, di s. Marco, di s. Lu-
ca, e di s. Giovanni; ma ve ne
sono in gran numero di apocrifi,
e senza autorità , i quali secondo
alcuni ascendono a circa quaranta.
Il Bergier dice che evangeli o van-
geli apocrifi furono chiamate al-
cune storie composte ad imitazio-
ne dei nostri evangeli, o da alcu-
ni cristiani male istruiti, o da al-
cuni eretici, che volevano imporre
a' loro seguaci , e questo nome
EVA ii\
vuol dire che ignoravasi 1' origine
e gli autori di questi scritti. Al-
cuni pervennero sino a noi, alme-
no in parte, altri sono del tutto
periti ; non se ne conosce che il
titolo, né si ha motivo di doler-
sene, quindi ne riporta i principa-
li. Né lascia di avvertire che molti
di questi pretesi evangeli portaro-
no diversi nomi differenti , e che
forse si potrebbero ridurre a do-
dici, o quindici al più. Aggiunge
ancora, che sembra che la più.
parte fossero catechismi, o profes-
sioni di fede degli eretici, piuttosto
che le storie delle azioni e discor-
si di Gesù Cristo. V. il Fabricio,
nel suo Codex apocryphiis novi
Teslamenti3 e il p. Calmet, nella
sua Dissertazione sugli evangeli a-
pocrifi. Noi qui parleremo dell'e-
vangelio per la dottrina di Gesù
Cristo, oltre quanto su ciò è detto
in vari articoli del Dizionario, co-
me Cristianesimo , Dottrina cri-
stiana, ec. ec, quindi dunque dire-
mo quanto riguarda l'evangelio della
messa, con altre relative erudizioni.
Evangelio significando buona nuo-
va, questo è il nome che si dà,
nel senso proprio, alla storia delle
azioni e della predicazione di Ge-
sù Cristo, e in un senso più esteso
a tutti i libri dei nuovo Testa-
mento, perchè questi libri ci an-
nunziano la buona nuova della sa-
lute degli uomini, e della reden-
zione fatta da Gesù Cristo. L'e-
vangelio può essere considerato co-
me un libro di cui si deve sape-
re l' origine, come una storia del-
la quale giova esaminare la veri-
tà, come una dottrina di cui si
devono ponderare le conseguenze.
Il Bergier lo considera sotto que-
sti tre rapporti, ma noi ci limite-
remo al primo, e solo diremo qual-
222 I V i
che cosa de' secondi, giacche le a-
nalo-he nozioni sono sparse in pa-
recchi articoli del Dizionario. La
società cristiana, ed anche gli ete-
rodossi, avvegnaché divisi su molti
punti di credenza dalla vera Chie-
sa di Gesù Cristo, ricevono quat-
tro evangeli come autentici e ca-
nonici, cioè quelli di s. Matteo, di
s. Marco, di s. Luca, e di s. Gio-
vanni, chiamati Evangelisti (Pedi)
perchè li scrissero. A queir artico-
lo si dice della mirabile concor-
dia e consonanza de' quattro evan-
geli, e del disegno tuttavia parti-
colare che sembra avere avuto o-
gnuno di essi.
Quello di s. Matteo fu scritto
l'anno 36 della nostra era , altri
dicono nell'anno 41 > Per conse-
guenza tre ovvero ott' anni dopo
1' ascensione di Gesù Cristo, in un
tempo nel quale la memoria dei
fatti era del tutto recente. Fu com-
posto nella Palestina, forse in Ge-
rusalemme, in ebraico o siriaco, lin-
gua volgare del paese, per conse-
guenza pei giudei ; o per confer-
male nella fede quelli che già e-
rano convertiti , o per condurvi
quelli che non per anche si erano
convertiti. Jl testo originale subito
fu tradotto in greco, e la versio-
ne latina non è molto meno an-
tica : non si sa quali fossero gli
autori dell' una e dell' altra. L' e-
braica esisteva ancora al tempo di
s. Epifanio e di s. Girolamo. Cre-
dettero alcuni autori che fosse sta-
la conservata dai si ri i ; ma con-
frontando il siriaco che oggi esiste,
col greco , scorgesi che il primo
non è che la traduzione del se-
condo, come Mi II ha provato, Pro-
leg. p. 1237 e seg. V'ha però l'o-
pinione non disprezzabile di chi
ha creduto greco l'originale di s.
EVA.
Matteo; rendendo ragione di quel-
lo che dicesi originale ebraico. V\
Domenico Diodati, di- Cliristo grae-
ce loqutnte, nell'appendice.
Molti critici pensarono, che 8.
Marco avesse scritto il suo evan-
gelio in latino, perchè lo compose
in Roma, sotto gli occhi, e secon-
do le istruzioni di s. Pietro verso
l' anno 44 ° 4^ della medesima
era cristiana. Ma è probabile che
lo scrivesse in greco, lingua allora
familiarissima ai romani. Questo
è il sentimento de' ss. Girolamo
ed Agostino. La questione sarebbe
terminata, se i quaderni di questo
evangelio, che si conservano in Pra-
ga, e questo stesso vangelo intero,
che si custodisce a Venezia in la-
lino, fossero lo stesso originale scrit-
to dalla mano di s. Marco. Fu so-
lo nel i355 che l'imperatore Car-
lo IV, avendo trovato negli archi-
vi di Aquileja un preteso autogra-
fo di s. Marco, in sette quaderni,
ne levò due che spedi a Praga.
Quello di Venezia si conservò sol-
tanto dopo l'anno 1420.
San Luca, nato in Antiochia, e
convertito da s. , Paolo, scriveva in
greco, lingua tanto comune in quel-
la città come il siriaco : ciocché fu
verso l'anno 53 o 55 dell'era cri-
stiana. Lo stile di lui è più puro
che quello degli altri evangelisti ;
tuttavolta ha mantenuto alcune
frasi che sanno del siriaco. Perchè
fu unito a s. Paolo, e lo seguì nei
di lui viaggi, credettero alcuni au-
tori che s. Paolo stesso avesse fat-
to questo evangelio; altri pensano
che s. Pietro vi avesse presiedu-
to : ma queste sono semplici con-
getture.
Comunemente si pensa che s.
Giovanni abbia composto il suo
evangelio, dopo ritornato dall'isola
EVA
di Patmos, verso P anno 96 o 98
di Gesù Cristo, il primo anno del-
l'impero di Trajano, sessanlacin-
(jue anni dopo l'ascensione del Sal-
vatore, ed allora s. Giovanni ave-
va circa novantacinque anni ; lo
compose per opporlo alle nascenti
eresie di Cerinto, Ebione, ed altri,
alcuni de' quali negavano la divi-
nità di Cristo, altri la realtà della
di lui carne. L'originale greco, o
l'autografo di s. Giovanni, si con-
servava ancora in Efeso nel secolo
settimo, od almeno nel quarto, se-
condo quello che dice Pietro Ales-
sandrino. Fu tradotto in siriaco,
e la versione latina è di una gran-
dissima antichità.
Questi quattro evangeli sono au-
tentici, e furono veramente scritti dai
quattro autori dei quali portano
il nome; il Bergier, ed altri mol-
ti compiutamente lo provano. Al-
trettanto fanno sulla divinità del
cristianesimo, la quale è fondata
sulla verità dei fatti riferiti. Quan-
do dicesi che gli apostoli hanno
predicato l'evangelio, stabilito a co-
sto della lor vita, che i popoli ab-
bracciarono l'evangelio ec. , inten-
desi non solo i fatti scritti nell'e-
vangelio, ma la dottrina di Gesù
Cristo , i cui dommi e la morale
comandò agli apostoli che insegnas-
ro. Osservano però i teologi , che
sebbene santa e sublime fosse que-
sta dottrina, gli apostoli non sa-
rebbero mai riusciti a persuader-
la, se i fatti riferiti nell' evangelio
non fossero stati di una certezza e
notorietà incontrastabile. Gli apo-
stoli non provarono la dottrina che
predicavano con raziocini, ma coi
fatti. Lo dichiara s. Paolo, 2 Cor.
e. 2. Questi medesimi fatti faceva-
no parte della dottrina, e sono in-
dicati nel simbolo: per essere cri-
EVA 223
stiano era d'uopo cominciare da1-
l'esser convinto. Dunque non è la
dottrina che fece credere i fatti ,
anzi i fatti provarono e persua-
sero la dottrina ; questo è ciò che
gì' increduli non vogliono intende-
re. Nel supplemento al giornale
ecclesiastico di Roma dell' anno
1795, a pag. 4°4 e seS"> s* trat"
ta con critica in quale anno, in
quale lingua, e perchè vennero scrit-
ti i quattro evangeli, discorren-
dosi a pag. 4^9 della conferma ,
che i veri vangeli prendono dagli
stessi scritti apocrifi.
Leggiamo nel vangelo, Joan. r,
1 8, che il Figliuolo unico che è nel
seno del Padre, ce lo ha fatto co-
noscere, e ci ha insegnato le più
sublimi verità. Questo ha fatto di-
re a s. Agostino, Tr. 3o in Joan.,
che noi dobbiamo ascoltare la let-
tura di questo libro divino, come
ascolteremmo Gesù Cristo stesso se
fosse in mezzo di noi : s. Tomma-
so d'Aquino Io leggeva sempre in
ginocchio. Noi ci troviamo non so-
lo le divine istruzioni del Salvato-
re, ma ancora la storia della sua
vita sulla terra, la quale ci è pro-
posta per esemplare. S. Basilio, in
Constit. monast. e. 2, dice: « Ogni
» azione, ogni parola del Salvato-
» re, è una regola di pietà. Egli
« si è rivestito della natura uraa-
« na , affine di metterci sensibil-
» mente innanzi agli occhi il mo-
» dello propostoci da imitare
Tanto è il rispetto che dobbiamo
avere per il vangelo. In questo li-
bro divino immense ne sono le bel-
lezze : ivi si ammira in concerto
l'armonia della verità, della sa-
pienza, della misericordia, della ca-
rità, e della giustizia di Dio. Que-
sti attributi vi compariscono in una
maniera degna di lui, e in una lu-
3*4 EVA
ce risplendentissima , quantunque
incomprensibili sieno alle creatu-
re. Quivi noi scopriamo le incom-
parabili meraviglie del divino amo-
re, l'orridezza e l'enormità del pec-
cato, la felicità inestimabile della
nostra liberazione dalla tirannia
delle potenze dell'inferno, e della
nostra società o comunione con Dio,
della nostra intrinsichezza con Ge-
sù Cristo, e per ultimo dell'eleva-
zione della nostra natura, sì fievo-
le e sì meschina per sé stessa, poi-
ché fu fatta partecipe e come con-
sorte della divinità. Quanti beni
non possediamo noi 1 quale sorgen-
te inesausta di lumi, di virtù, di
consolazioni non troviamo nella
dottrina e negli esempli di No-
stro Signore, massime nella medi-
tazione de' suoi patimenti, e nella
contemplazione de' suoi gloriosi mi-
steri I Qual impressione non deve
fare su noi la cognizione e la con-
siderazione di tuttociò che s. Pao-
lo chiama, Rom. i, 16: ««il van-
» gelo di Gesù Cristo, la virtù di
« Dio per la salute di tutti quelli
* che credono " ? Tali sono le bel-
lezze dell'evangelio. Maraviglisi poi
furono i suoi progressi, dappoiché
il disegno di convertire il mondo
divenne un'impresa assai più me-
ravigliosa ancora per la scelta de-
gli stromenti che Dio adoperò per
compirla. I banditori del vangelo
per tutto menan trionfo, e chiu-
dono la bocca ai dottori della si-
nagoga, agli oratori, e ai filosofi
del gentilesimo. I progressi che fe-
ce il vangelo sino dai primi secoli
della Chiesa sono tanto più mara-
vigliosi, quanto che la sua dottri-
na per la sua sublimità non può
capire in mente umana, ed è in-
sieme affatto contraria alle passio-
ni, alle massime, ai pregiudizi, al-
EVA
le inclinazioni , ed alle leggi del
mondo; né fu stabilita che col
trionfare delle opposizioni de'prin-
cipi, de' sapienti, e de' filosofi del-
la terra, osservando s. Agostino
che al vangelo si arrese tutto il
mondo per aperto ed irresistibile
convincimento: ciò è uno de' più
stupendi e più visibili prodigi che
abbia mai operato il braccio di
Dio. Della venerazione cui fu sem-
pre tenuto il libro del vangelo,
diremo in appresso, e ciò pel suo
venerabile contenuto.
Evangelio della Messa.
Questi sono tratti cavati dal li-
bro degli evangeli, e relativi all'uf-
fizio del giorno che il sacerdote
legge, e il diacono canta nelle mes-
se alte , ed anticamente su d' una
tribuna, pulpito od Ambone (Vedi),
acciocché meglio s' intendesse. Del-
l'ambone si parla anche all'artico-
lo Chiesa (Vedi). Questo pulpito
venne pur chiamato Analogium,
perchè in esso si leggeva il van-
gelo. Osserva il Macri che è cosa
ragionevole, e piena di misteri, la
lettura del santo vangelo in luogo
pubblico ed eminente acciò sia da
tutti udito, perchè la dottrina di
Gesù Cristo dev' essere promulgata
in pubblico, non nei nascondigli,
come quella degli eretici, perchè lo
stesso Cristo promulgò la legge e-
vangelica sul monte, e finalmente
perchè la sapienza del vangelo è
alta, sublime e celeste. S. Germa-
no, nella sua teoria, dice che il pul-
pito, sopra il quale il diacono in-
tuona l'evangelio, allegoricamente
può denotare la pietra , sopra la
quale l'angelo sedeva alla porla del
santo sepolcro, annunziando la ri-
surrezione del Salvatore. Jo. Chiist.
EVA
Vlichius, scrisse, de Ambonìbus ve-
teris Ecclesiae, Lipsiae 1687.
L'evangelio si dice nella messa
dopo il graduale, o l' alleili ja : il
celebrante dalla parte dell'altare ove
ha letto T epistola, se la messa è
privata, passa all'altra chiamata a
cornu evangelii 3 e passando per
mezzo dell'altare china il capo al-
la croce; indi stando colle mani
giunte innanzi al petto, alzati gli
occhi a Dio, e tosto dimessi, e
profondamente chinato, dice segre-
tamente il Munda cor menni 3 e
il Jube Domine benedicere3 ec. Do-
po ciò va ai messale per leggere
l'evangelio con voce bassa, cantan-
dosi nella messa solenne con voce
alta dal diacono. Ciò per altro non
fu sempre. Imperocché ne' più ri-
moti tempi il vangelo leggevasi dal
lettore, come si raccoglie dalle let-
tere 33 e 34 di s. Cipriano, e
dai concilio Toletano I, al capo 2 ;
essendo poi per l'onore dovuto al
vangelo, stato dato al diacono l'in-
carico di leggerlo. Quindi è che s.
Girolamo, nella lettera a Sabinia-
no, scrisse: Evangelium Chrisli qua-
si diaconus lectitabasj e s. Boni-
facio vescovo di Magonza, nella let-
tera al Pontefice s. Zaccaria, si la-
gnò di alcuni diaconi, che benché
avessero più concubine, osavano di
leggere il vangelo. I greci moder-
ni però ritengono l'antico costume,
che il vangelo pubblicamente si leg-
ga dai lettori. Il Rinaldi all' anno
253, num. 93, afferma, che pure
nella Chiesa africana il vangelo leg-
gevasi dai lettori. Ugo di s. Vittore
poi, in Specul. eccl. cap. 7, rico-
nosce nel trasporto del libro dalla
destra alla sinistra, dell'altare, la
predicazione evangelica, che dalla
Giudea passò tra i gentili.
Incominciò l'evangelio a leggersi
VOL. XXII.
EVA 225
nel principio della Chiesa. S. Pao-
lo, nella seconda lettera ai corinti
al cap. 8, parlando di s. Luca com-
pagno de' suoi viaggi, dice : Cujus
laus est in evangelio per omnes
Ecclesias. Eusebio, nel lib. 2 del-
la Storia eccl. cap. i5, racconta,,
che da s. Marco fu scritto il suo
vangelo, cosi pregato dai romani;
e s. Giustino martire, nell'apologia
2, attesta, esser la lezione del van-
gelo apostolica istituzione : né vi è
antica liturgia, ove non sia pre-
scritta la lezione del vangelo, co-
me attesta il p. Le Bruii nel tom.
1, pag. 21 4- Il p. Morino, nella
par. 3, esercitaz. 9, cap. 1, num.
1 2, riportando la lettera di s. Gre-
gorio I a Giovanni vescovo di Si-
racusa, in cui si dice essere stato
costume degli apostoli di consa-
grare l'Ostia, dopo aver solo reci-
tato il Pater noster, vuole che pel
corso di molti anni nella messa
non si leggesse il vangelo. Ma il
Cardinal Bona, Rerum liturg. lib.
2, cap. 7, num. 1, saviamente in-
terpreta il detto di s. Gregorio I,
come ristretto a quel tempo in cui
per anco non eia scritto il vange-
lo; ed il p. Lupo, nel tom. 5 so-
pra i concili generali e provinciali,
alla pag; 376, dopo aver portate
le antiche autorità de' primi pa-
dri circa la messa, conchiude : « I-
» tem liquet, eos, qui a Domini-
» co Corpus consecrantibus aposto-
» lis existimant fuisse adhibitam
n solam Dominicam orationem, in-
» signiter labi ". Nelle messe so-
lenni il diacono porta il libro de-
gli evangeli con cerimonia, accom-
pagnato dall'incenso e da cerei ac-
cesi, il coro si alza per riverenza;
il diacono incensa il libro prima
di leggere l'evangelio del giorno ec.
E queste cerimonie sono quasi le
i5
226 EVA
stesse nelle diverse chiese orien-
tali.
Stando il sacerdote al messale,
colle mani giunte innanzi al petto,
dice, con voce intelligibile il solito
saluto : Dominus vobiscum, cui vie-
ne risposto , Et cum spiritu tuo.
Indi col pollice della mano destra
col segno di croce segna primiera-
mente il libro sopra il principio
del vangelo che è per leggere, poi
sé stesso nella bocca e nel petto,
dicendo : Sequentia, o Inìtium san-
ed Evangelii, cioè Initium quan-
do incomincia uno de' quattro e-
vangeli , Sequentia, quando è il
proseguimento d'uno di questi san-
ti libri, e ne* quattro giorni della
settimana santa, ne' quali si recita
la passione del Signore, in luogo
di dire Sequentia, si annunzia con
un' unica espressione adattata al
soggetto il più importante della
nostra religione, che si va a reci-
tare la passione di Gesù. Cristo :
Passio Domini Nostri Jesu Chri-
sti. Recitandosi il vangelo, dopo il
titolo o Initium o Sequentia, il
ministro risponde Gloria tibì Do-
mine. Qui noteremo che il dotto
Sarnelli nel tom. IX delle Leti,
eccl., nella lett. LXXII tratta del-
ia epistola, del vangelo, e del sa-
luto Dominus vobiscum, quindi par-
la del dubbio se In diebus illis,
che dicesi in molte epistole, ed In
ilio tempore, che si dice nel prin-
cipio del vangelo, sono di signi-
ficati differenti, dichiarando essere
lo stesso in quanto al significato,
e ne riporta erudite ragioni: av-
verte però che si debbono eccettua-
re i principii de' sagri libri, come
In principio erat verbum ; Liber
generationis Jesu Christi, ec. Così
nell'epistola, Primum quidem ser-
moneni : mukìfariam. Inoltre non '
EVA
solo negli atti apostolici, ma quasi
in tutto il Testamento vecchio non
trovasi che In diebus illis ; ma s.
Matteo, da cui si prendono più
frequentemente le lezioni evangeli-
che, usa In ilio tempore, che si
premette sempre al vangelo. Ag-
giunge il Sarnelli, che il vangelo
è Ja cosa principale di quante altre
se ne dicano nella messa , conve-
nendo ancor esso sull'introduzione
a' tempi apostolici ; e siccome il
capo ha la preminenza su tutte le
altre membra, e tutte queste con-
sentono al medesimo capo , cosi
all' evangelio tutto 1' uffizio della
messa, di cui dice Ruperto, 1. i,
e. 37 : Verbum Verbi est, sermo
sermonis, et sapientia sapientiae.
Dopo aver detto il sacerdote Se-
quenza, o Initium, giunte di nuo-
vo le mani al petto, prosegue 1' e-
vangelo sino al suo termine. Men-
tre si legge il vangelo tutti per ri-
verenza sorgono in piedi, notando
il Macri nella Not. de' vocab. eccl.,
che il vescovo nella Chiesa greca
in quel tempo si leva il pallio,
simbolo della pecorella smarrita, e
lo dà al diacono, perchè, dice Si-
meone Tessalonicense, mentre Cri-
sto pasce con la sua divina parola
le pecorelle, cessa il prelato da
questa cura. I maroniti stanno nel-
la chiesa col capo coperto sempre,
solamente si scoprono nel tempo
della consagrazione, e mentre si leg-
ge il vangelo. Al diacono precede
il suddiacono con le mani vuote,
perchè comparendo la chiara luce
del vangelo svanirono le tenebre
del testamento antico, di cui è fi-
gura il suddiacono, come spiegano
Innocenzo III, e Durando Jib. 4,
e. 24- Questo ultimo anzi aggiun-
ge, che in alcune chiese prima del
vangelo si canta un'antifona chia-
EVA
mata ante evangelium, della quale
fa menzione Rodolfo Tungrense, af-
fermando che non era in uso nel-
la Chiesa romana, come anco Y al-
tra, che si cantava dopo il vange-
lo., riportando il Macri le stesse
parole, de Canon. observ.3 prop. 23.
Il diacono poi bacia la mano pri-
ma di cantar il vangelo, e il sud-
diacono dopo letta l'epistola, per-
chè la legge vecchia ebbe termine
in Cristo, dal quale principia la
nuova. Inoltre il diacono quando
leggeva il vangelo, voltava la fac-
cia verso la parte meridionale, do-
ve stavano gli uomini, come si ha
da Micro log. , de Eccles. observ.
cap. 9. Questi pur dice, che per
abuso si cominciò a voltarsi verso
acquilone, dal vedere il sacerdote
voltato verso quella parte mentre
diceva il vangelo, perchè non era
tenuto ad osservare questa cerimo-
nia, non essendo intorno all' alta-
re donne, ma solamente ministri
ecclesiastici. Vedi Innocenzo III,
lib. 2 de myst. Missae, cap. 43,
il quale in tal sito riconosce un
misterioso significato.
Il Pontefice s. Anastasio I, nel-
1' anno 398 ordinò che gli stessi
sacerdoti stessero in piedi e chi-
nati al leggersi dai diaconi l'evan-
gelio nella messa, per dimostrare
la prontezza con cui come servi
sono disposti ad eseguire ciò che
in esso si promulga. Con questo
decreto quel Papa volle terminar
le dissensioni eh' erano insorte tra
di loro (Vedi Diaconi ). Neil' Isto-
ria delle parrucche, a p. i56 si
legge, che talvolta la Chiesa dis-
pensa i sagri ministri di assistere
all'uffizio, e di celebrar la messa
colla testa nuda, ma non in tem-
po della lettura del vangelo, per-
chè vuole che si uniformino al
EVA 227
resto de' fedeli che allora hanno il
capo nudo : indi riportasi, che il
secondo Ordine Romano della mes-
sa pontificale , pubblicato dal p.
Mabillon, t. I, Mus. hai. p. 4&>
dice positivamente, che quando si
legge il vangelo alla messa, i fede-
li lasciano i bastoni che portano nel-
le loro mani per sostenersi. Sul
doversi tenere il capo nudo alla
lettura del vangelo, se ne parla
pure a pag. 161 e 164. Dice s.
Girolamo, che quando si leggeva
il vangelo in tutte le chiese di o-
riente, si accendevano i cerei, ben-
ché risplendesse il sole, e ciò in
segno di allegrezza. Il citato s. A-
gostino, lib. 5o, komil, 26, assicu-
ra, che la parola di Dio non è
meno stimabile, che il corpo di
Gesù Cristo. Sull' alzarsi in piedi
alla lettura del vangelo è a ve-
dersi Joh. Sigismundum Susckium,
De more surgendi, standique in
ecclesia, quum divina verba reci-
tantur. In trìfolio publico, 3, p.
197, Magdeburgo 1732. Antichis-
simo è l' uso che leggendosi il van-
gelo il popolo stia in piedi, per
denotare eh' è pronto ad eseguire
i comandi del Signore, che si leg-
gono nel vangelo.
11 medesimo Macri aggiunge, che
prima precedeva al diacono la croce
quando andava a leggere il vangelo,
per denotare che predicava Cristo
crocefisso. V. Durando 1. 4» caP-
14. Questa cerimonia osservano
pure i domenicani, come si legge
nelle rubriche del loro messale. Né
deve tacersi che l'evangelio legge-
vasi sopra un leggio fatto a forma
di aquila, e questa di pietra, di
bronzo, o di altra solida materia,
ovvero sopra i pulpiti od amboni.
In quanto all'accendersi i lumi por-
lati dagli accoliti, ciò si fa non per
228 EVA
Scacciar le tenebre che allora non
vi sono, ma per denotare la luce
del santo vangelo, e il gaudio ap-
portato dallo sposo già presente ai
fedeli, come si esprime s. Girolamo,
cont. Vigilali. Altro significato mo-
rale vi riconosce Innocenzo III in
questa cerimonia, ut proxhnis o-
pera lucis ostendat, lib. i de myst.
Missae, cap. 3. Inoltre il diacono
prima di cominciare a leggere, ed
anche tutti ^li astanti si segnano
colla croce nella fronte per mostra-
re di non vergognarsi del vangelo,
nella bocca per confessarlo, e nel
cuore acciocché le suggestioni dia-
boliche non impediscano l'uberto-
so frutto del seme evangelico. V.
il detto Innocenzo III, loco citato,
lib. 2, cap. 4^, il quale aggiunge:
« Signare se debet in fronte, sigua-
« re se debet in ore, in pectore, ac
» si dicat. Ego Crucem Christi non
n erubesco; sed corde credo, quod
« ore praedico ". L'uso antico di
segnarsi colla croce è pure ram-
mentato da Amatorio, su di che
possono consultarsi l' Eisengrein, de
Crucis frequenti apud veteros in se
signandi usu, Ingolstadii 1572; il
Wilduogelius, de venerab. signo Cru-
cis, Jenae 1690; il Collin, Traile
du signe de la Croix fait de la
mairi, Paris 1 775, ec.
Lo stesso Innocenzo III sul ba-
cio che si fa del vangelo in fine
di esso, dice che ciò si fa affine
di ricevere la pace da Cristo cro-
cefisso , per quam reconciliationis
recepimus. Finito dunque il van-
gelo, il ministro stando in cornu
cpistolae , giù dell'infimo grado
dell'altare, risponde: Laus libi
Chrisle, ciò che non si dice nel
venerdì santo dopo letta la Passio-
ne, essendo quello stato il tempo
degli improperi di Cristo. Una vol-
EVA
ta finito il vangelo si diceva Àmen
(Vedi), il che ancora si dice se-
condo il rito mozarabo. Altre vol-
te dicevasi Deo gratias (Vedi), ed
oggi dicesi Laus libi Chrisle, come
può vedersi nella 4 parte della
somma del trattato de officio Mis-
sae dell'AIense. « Perlecto evangelio
>> diclini assistentes Amen, quasi
» dicant: Faciat nos Deus perseve-
« rare doctrina evangelii. Alii di-
» cunt Deo gratias in gratiarum
»> actionem prò beneficio tantae
« doctrinae et tam saluterà. Non
» dicimus Laus tibi Chris te ". Sog-
giunge poi il sacerdote, alzando un
po' il libro, e baciando per rispetto
nel principio del vangelo ov'è im-
pressa la croce : Pro evangelica
dieta deleantur nostra delieta, sopra
le quali parole riflette il p. Le Bruii,
al tom. I, p. 240, che quantunque,
generalmente parlando, la parola
delictum significhi mancamento e
peccato, quando però la Chiesa
non propone il sagramento della
penitenza per cancellare i peccati,
s'intende che parli de' peccati leg-
geri e veniali.
Le parole : Pro evangelica, ec. si
dicono sempre, fuorché nelle messe
dei defunti, e quando celebrasi innan-
zi al sommo Pontefice, o Cardinale,
e legato della santa Sede, oppure
innanzi al patriarca, o arcivescovo,
ovvero vescovo nelle loro residen-
ze, nel qual caso il libro si porterà
a baciare a qualunque de'predetti;
e il celebrante allora non lo ba-
ci era, ne dirà : Pro evangelica ec.
Secondo il decretode'riti, 1 8 otto-
bre 1 6 1 8, al vescovo fuori della sua
diocesi non si compete il detto bacio.
Il Lamberti ni, della santa Messa,
sez. I, cap. IX, § ri, dice che del
bacio che si dà dal celebrante al
vangelo, parla Giona vescovo d'Or-
EVA
leans nella prefazione del lib. 2
de eulta imaginum, ove osserva
ciò farsi per culto e adorazione di
quello, di cui sono le parole del
vangelo eh' è stato letto. Il citato
Macri sul bacio dice, che al fine
del vangelo si bacia il libro o mes-
sale per pigliar la pace di Cristo;
ma se vi sarà presente qualcke
persona di quelle prescritte nella
rubrica, non baderà il sacerdote
il libro, ma lo si darà a baciare
alla persona più degna, e non ad
altre, ed essendo di egual dignità
non si dovrà dare ad alcuna di
esse, perchè Cristo è un solo, ne
si può dividere, Gau. p. 2, tit. 6.
Questo è l'uso di Roma, dove tro-
vandosi nelle cappelle cardinalizie
molti Cardinali, a niuno si dà a
baciale il libro. Onorio III in una
lettera decretale che incomincia: Ad
audientiam, data nel 1221, vietò
sotto pena di scomunica il dare a
baciare il vangelo ai principi seco-
lari, se non fossero re unti col-
l' olio santo, come ampiamente di-
mostra il p. Merati tom. I, part.
*j pag- 444 e seg.
Avverte però monsignor Peri-
mezzi, Dissert. eccl. part. 1, dissert.
8, pag. 237, che pel rito moder-
no si tollera, che si porti ancora
il messale a baciare a' principi, non
però ai laici inferiori. Sul canto
o lettura del vangelo nei pontificali
del Papa, quando assiste alle mes-
se solenni o private, vanno letti i
voi. Viri, p. 247, e IX, p. 21
e i5i dei Dizionario, ove (come
in diversi luoghi dell' articolo Cap-
pelle Pontificie) dicesi quanto ri-
guarda le cerimonie ed altro nei
diversi tempi in cui si canta o leg-
ge l'evangelio, ed il tempo in cui
lo si canta in latino ed in greco.
Anticamente però si porgeva a tut-
EVA 229
to il popolo il libro per essere ba-
ciato. Gem. lib. 1, cap. 119. Nel-
la chiesa Remense, quando il sud-
diacono nel principio della messa
porge il libro degli evangeli al-
l' arcivescovo celebrante per ba-
ciarlo, gli dice: Haec est lex scin-
da, Pater, ed esso risponde : Cre-
do et confiteor. Va notato., che
quando nel vangelo nominasi Ge-
sù, o il nome di Maria, o di quel
santo, di cui si celebra la messa,
o di cui si avrà fatta commemo-
razione, si deve chinare il capo
verso il libro, come si deve genu-
flettere quando nel vangelo sarà
indicato. V. il Mondelli, Decade
di eccl. dissert., dissertazione Vili,
sopra il rito di leggere V epistola
ed il vangelo nella messa.
In Costantinopoli nelle messe so-
lenni si leggevano l'epistola e il
vangelo in latino, ed in greco,
quia aderant et graeci, quibus igno-
ta erat lingua latina; aderant et la-
tini, quibus incognita erat graeca,
et propter unanimitatem utriusque
populi. Nella stessa chiesa di Co-
stantinopoli, come attesta il Goar
neìì'Eucologìo, allorché nel giorno
di Pasqua cantavasi il vangelo: In
principio erat Verbum, che secondo
il rito greco cade in quel dì, i
vescovi, gli arcivescovi, e i metro-
tropolitani di qualunque rito, tutti
vestiti con abiti greci, si dispone-
vano in linea retta, secondo il lo-
ro ordine. Il patriarca greco dava
principio al primo versetto in lin-
gua greca, che si ripeteva da cia-
scuno, un dopo l'altro, nel proprio
idioma, finche si dava fine a tut-
to il vangelo, che così veniva tra-
dotto in ogni periodo in diverse
lingue. Nel concilio generale di Lio-
ne li, adunato nel 1274 sotto Gre-
gorio X, cui intervenne Michele
a3o EVA
Paleologo, imperatore di oriente,
nella messa solenne che il Papa
celebrò, in argomento della sincera
sua riconciliazione colla Chiesa gre-
ca, furono cantati il vangelo, e
l'epistola greca in abiti greci, e dai
Cardinali e prelati latini cantato
il simbolo della fede in latino, ri-
petuto in greco dal patriarca di
Costantinopoli , e da'vescovi greci
della Calabria , come leggesi in
Rodotà, Origine del rito greco in
Italia^ t. Ili, p. 243. Questo stes-
so uso di tradurre il vangelo si
conserva ancora in Roma nella
chiesa di s. Girolamo degli Schia-
voni, in cui cinque volte l'anno si
canta il vangelo nella lingua lati-
na, e poi nell' illirica.
Negli Ordini Romani XI, XII,
XIII, XIV e XV, si legge il co-
stume ne'solenni pontificali che ce-
lebra il Papa, del cantarsi l'epi-
stola e l'evangelio prima in latino,
poi in greco : secondo il Rodotà,
un tal rito fu ammesso nella cap-
pella pontificia nel secolo IX, co-
me tratta nel cap. XVI, t. Ili,
dell'origine del rito greco in Italia.
Questo rito non solo fu seguito
nel concilio di Pisa l'anno i4°9>
nell'incoronazione di Alessandro V,
ma di più fu cantata nella catte-
drale l'epistola e l'evangelio anche
in ebraico, come consta dagli atti
del concilio pubblicati dall'Ardui-
no, t. Vili, p. 92, e dal Dachery,
nel tom. VI dello Spicilegio, 334-
Questi nel t. VI, p. i3j, dimostra
quanto fosse gradito in Roma, e
nella Magna Grecia il greco idio-
ma, ed a ciò attribuisce la consue-
tudine del canto dell' epistola e
vangelo greco nella cappella papa-
le : altri dicono denotarsi l'unione
delle due Chiese, indicandosi il pri-
mato della Chièsa latina sulla gre-
EVA
ca, col canto che si fa prima in
latino sì dell'epistola che del van-
gelo, e ciò pratica vasi pure in Co-
stantinopoli. Siccome nel cantare
messa il sommo Pontefice riuni-
sce in parte, in segno della co-
munione con tutti i cattolici del
mondo, i riti latino e greco, cosi
in queste due lingue si canta l'e-
pistola e il vangelo. Talvolta an-
che da'Cardinali è stato esercitato
il ministero del diacono greco nel-
la messa pontificale : di fatti ab-
biamo nel cerimoniale di Paride
de Grassis, ad graecum evangelium
duo, nisi sit et ipse Card, diaco-
nia, quo casu simililer septem lu-
minaria adhibentur, ut olim fieri
solebat. Sed tamen nostro tempo-
re Card, diaconus in graeco non
cantat. E però al canto del vange-
lo greco, ora restano due soli can-
delieri. Nell'Ordine Romano XIV
del Cardinal Gaetano, si legge che
due monaci basiliani dell'abbazia
di Grottaferrata, nella cappella pon-
tificia cantavano anticamente il
vangelo e l'epistola in greco. Nel-
la coronazione di Nicolò V, nel
i447 ì *l Cardinal di s. Angelo
cantò il vangelo latino , e un ab-
bate basiliano il greco. In progres-
so questo onore fu accordato ad
altri religiosi, o sacerdoti secolari.
Giacomo Volaterrano, nel suo dia-
rio, dice che nel i4^r, nel giorno
di Pasqua, epistola ab Isaacio Ar-
gyropulo cubiculario ; evangelium
ab abbate s. Balbinae graece can-
tatimi fuit. Che tale uffizio venis-
se esercitato pure da un vescovo,
lo dicemmo al voi. Vili, pag. 1 44
del Dizionario, mentre al voi. XIV,
pag. 169, si disse come Sisto V
attribuì a due alunni del collegio
greco l'onorevole incarico di fare
da diacono e da suddiacono nei
EVA
pontificali , cantando in greco sì
l'epistola che l'evangelo. V. il Mar-
celli, Sacrarum cerimonìarum lib.
Ili, tit. X, p. i32, de evangelio et
epistola graece legendis. Nella co-
ronazione poi e possesso d' Inno-
cenzo VIII, del i484> recandosi
questi dopo la prima funzione se-
guita nel Vaticano, con solenne ca-
valcata per la seconda al Laterano,
dopo gli uditori di Rota si legge :
Subdiaconus latinus, diaconus et
subdiaconus graeci, sacrìs vestibus
indiai, quorum medius erat diaco-
nus _, a dextris e/us latinus, et a sì-
nistris graecus, subdiaconi.
Racconta il Macri , che nella
chiesa del santo sepolcro di Geru-
salemme , il diacono che leggeva
nella solennità di Pasqua il santo
vangelo, quando pronunziava le
parole : Surrexit non est hic, mo-
strava col dito il s. Sepolcro, e che
in una terra del Friuli, detta Ci-
vidal, eravi una collegiata, nella
quale nel giorno dell'Epifania il
diacono cantava il vangelo con la
spada sfoderata in mano, e l'elmo
in capo, per denotare il mero e
misto impero della Chiesa. Su que-
sto proposito rammentiamo , che
parlando nel voi. XIX, p. 3o5
del Dizionario, di alcune funzioni da
diacono che esercitarono nella cap-
pella pontificia gl'imperatori, dicem-
mo che nel cantare il vangelo im-
pugnavano la spada nuda: però
non lo cantavano che per la solen-
nità del Natale, come non lo cantò
Cailo IV, quando nel dì d' Ognis-
santi del i368, esercitò alcuni uf-
fizi diaconali, alla messa pontificata
da Urbano V. Osserva il citato
Lamhertini , che i religiosi degli
ordina equestri, mentre si dice il
vangelo, mettono la mano sopra la
spada, e la levano dal fodero^ per
EVA s3i
dimostrare che sono pronti a spar-
gere il sangue per la fede di Ge-
sù Cristo. Può consultarsi il Car-
dinal Bona, Rerum liturg. lib. 2,
cap. 7, num. 3. Nella città di Na-
zaret, nella chiesa dedicata alla
Beata Vergine, edificata nel mede-
simo sito, nel quale un tempo era
stata la santa Casa che ora si ve-
nera neh" avventurosa Loreto, in
venerazione del mistero dell'Incar-
nazione operato in quel luogo, si
possono giornalmente celebrare le
messe dell'Annunziazione, nella qua-
le si recita il vangelo colla forino-
la: Missus est Gabriel Angelus in
hanc civitatem, cosi ancora nell'ul-
timo vangelo di s. Giovanni si pro-
nuncia : Et Verbum caro hic factum
est. Anticamente, come avanti le
altre lezioni della sagra Scrittura,
così pure avanti quelle del vange-
lo intimavasi pubblicamente il si-
lenzio : tale pratica della Chiesa
greca , venne adottata da alcune
chiese latine, ed in quella di Mila-
no sussisteva a'tempi di s. Ambro-
gio, che ne fa qualche menzione, in
psalm. I.
IlLambertini, della santa Messa,
sez. I, cap. IX, dice che dopo la
lezione della legge , e de' profeti,
nelle sinagoghe degli ebrei era so-
lito che si parlasse al popolo, e s.
Luca al e. 4 del vangelo, racconta
che essendo Gesù entrato in gior-
no di sabato nella sinagoga , lesse
Isaia profeta, e sermoneggiò. Ne-
gli Atti al e. 1 3 si vede, che dopo
la lezione i ss. Paolo e Barnaba
furono invitati dai principi della
sinagoga a fare una esortazione
al popolo. Nella seconda apologia
di s. Giustino martire^ e nel 1. 8
delle costituzioni apostoliche, al e.
4, si vede che 1' omelia, ossia il
sermone di esortazione al popolo
a32 EVA
facevasi dopo che era stato Ietto il
■vangelo; e s. Cipriano nella vita
di s. Cesareo d'Arles, al e. 14, nar-
ra che faceva chiudere le porte
della chiesa dopo il vangelo, ac-
ciocché ognuno restasse a sentire
il sermone. Abbiamo da s. Ambro-
gio, epistol. io ad Marceli. 4> che
dopo la lezione del vangelo, il ve-
scovo dava principio al suo trat-
tato o discorso, cui non solamen-
te intervenivano i fedeli, ma pote-
vano anco assistervi i catecumeni,
i penitenti, ed i gentili stessi. Tut-
ti questi però terminato il discorso
venivano licenziati. I giorni in cui
il vescovo soleva ragionare al po-
polo romano erano le solennità e
le domeniche. Oltre il sermone si
facevano ancora alcune ammonizio-
ni al popolo, delle quali parla il
concilio d' Orleans appresso Ivone,
nella part. 2 del decreto al e. 1 20.
Dura ancora questo costume nella
Francia ; e questa parlata ossia
ammonizione si chiama prone, la
qual parola francese deriva dal
greco pronao s, che significa quella
parte della chiesa, che dall'ingres-
so si estende al coro, nella quale
Stavano i laici, stando i chierici
nel coro e nel presbiterio. Ed in
Italia ancora i parrochi nella mes-
sa parrocchiale delle feste, dopo il
-vangelo fanno il sermone al popo-
lo, in cui gl'insegnano ciò che cia-
scuno deve sapere e fare per con-
seguire l'eterna salute. Benedette;
XIII, in conformità de' decreti del
concilio di Trento, cap. 2, sess. 5
de reform. , nel 1724 ordinò ai
curati, che in tutte le domeniche e
feste solenni, dopo il vangelo nel-
la messa parrocchiale istruissero il
popolo con chiaro modo, nelle co-
se appartenenti all'eterna salute, e
perciò concesse cento giorni d'in-
EVA
dulgcnza non solo a' curati, ma a
quelli ancora che v'intervenissero.
V. Lambertini, Notijicaz. io del
tom. I. Il Ferrari compose due e-
ruditi tomi delle sagre concioni. Su
quelle che si pronunziano nella cap-
pella pontifìcia, dopo il vangelo,
ne tenemmo proposito nel citato
voi. Vili del Dizionario) a pag.
236 e seg.
L'annunzio delle feste fra la set-
timana facevasi pure dopo il van-
gelo : il diacono ne riceveva la no-
ta dal vescovo, e dal pulpito od
ambone ne faceva dopo il vangelo
la pubblicazione. Dal terzo concilio
di Milano questo uffizio è stato af-
fidato a'parrochi, a' quali fu pure
ingiunto di denunziare nelle dome-
niche le stazioni, le processioni, i
digiuni, le indulgenze, le orazioni,
e gli uffizi dei defunti, che nella
susseguente settimana avevano luo-
go, come pure di dover promul-
gare i decreti notati nel calendario.
Tuttavolta nella medesima chiesa
Ambrosiana, al diacono è stato ri-
serbato l'antico uso di annunziare
nel dì dell'Epifania, cantato il van-
gelo, il giorno della futura Pasqua.
Finalmente, quando ha luogo, dopo
il vangelo si recita o si canta il
Credo o la professione di fede. Pre-
tendesi che un tempo l'imperatore
si levasse il diadema per riveren-
za quando dicevasi l'evangelio. Cer-
to è che ora se è vestito coll'abi-
to dell'alta sua dignità, al vangelo
alzasi in piedi, impugna lo scet-
tro con una mano, tenendo coll'al-
tra il globo. Nella festa della Can-
delora, e nella domenica delle pal-
me, al canto del vangelo e del
passio, si sostengono alzate le can-
dele accese, e le palme. L' Ordine
Romano prescrive a'ehierici, che si
levino la berretta dal capo, alla let-
EVA
tura o canto del vangelo. Oltre
quanto abbiamo detto sul bacio del
vangelo, qui aggiungeremo, che in
alcune chiese ne' giorni solenni il
diacono porta questo libro a ba-
ciare a tutto il clero, dicendo :
queste sono le parole sante j e cia-
scuno risponde : lo credo di cuor e ,
e lo confesso colla bocca. Con
queste diverse cerimonie., il senso
delle quali compendiosamente di-
chiarammo, la Chiesa professa di
credere che l'evangelio sia la pa-
rola di Dio, e la regola della sua
fede.
Evangelio di s. Giovanni.
Non si ommette mai in fine
della messa, se non che quando si
fa de festo in qualche domenica o
feria che abbia l'evangelio proprio,
il quale si legge in vece di esso.
Nella terza messa di Natale si leg-
ge in fine il vangelo dell'Epifania:
Cum natus esset Jesus, e nella do-
menica delle palme nella messa
privata si legge l'evangelio che si
è letto nell'uffizio. Nelle vigilie che
occorrono nella quaresima, o nelle
quattro tempora, non si legge l'e-
vangelio della vigilia nel fine della
messa. Similmente nelle messe vo-
tive mai non si legge nel fine altro
vangelo che quello di s. Giovanni.
Tanto rilevasi dal Messale romano
[Vedi), nella parte I, rubr. i3,
num. i.
Data la benedizione dal cele-
brante, o dopo il Placeat nelle
messe de'morti, il sacerdote va nel-
la parte del vangelo, dice il Do-
minus vobiscum, e risposto dal mi-
nistro: Et cum spiritu tuo, fa u;n
segno di croce sul principio del
EVA 233
vangelo, ovvero sull'altare, ne fa
un altro sopra la sua fronte, so-
pra la sua bocca, e sopra il suo
petto, e dice: Initium sancii Evan-
gelii sccundum ec. , e risposto dal
ministro Gloria tibi Domine, colle
mani giunte legge il vangelo di s.
Giovanni, o il vangelo di qualche
festa, della quale si fa l'uffizio, se
essa cade nella domenica, doven-
dosi allora leggere, come dicemmo,
l'evangelio del giorno, e non quel-
lo di s. Giovanni ; e leggendosi il
vangelo di s. Giovanni , quando
arriva alle parole: et Verbum ca-
ro factum est, s'inginocchia per a-
dorare il Verbo divino, che si è
voluto abbassare fino a prendere
la nostra carne. Il ministro, stando
dalla parte dell'epistola, dice Deo
gratias, acciocché la inessa finisca
sempre col rendimento di grazie.
Gilberto Grimaud, nella sua Litur~
già sagra } alla part. 3, e. 17, por-
ta molti documenti per dimostra-
re la gran divozione, che altre vol-
te avevasi al santo vangelo In prin-
cipio j avvegnaché una volta legge-
vasi in alcune chiese, dopo che si
era dato il battesimo ai fanciulli,
il viatico e l'estrema unzione agli
ammalati ; ma confessa di non a-
ver potuto ritrovare, per ordine
di chi si reciti nel fine della mes-
sa. Ciò però oggi non ammette dif-
ficoltà, imperocché concordano gli
eruditi, che s. Pio V fu quel-
lo, che stabili la regola di dover
recitare nel fine della messa il
vangelo di s. Giovanni, mentre pri-
ma di lui alcuni lo recitavano, al-
tri l'ommettevano, come si legge nel
citato Cardinal Bona, Rerum litur.
lib. 2, cap. 20, num. 5; nel p. Le
Brun al tom. I, p. 687 e seg.; nel
Pouget al tom. II Insti t. Cathol.
p. 890, ove dice, che nemmeno
*34 EV4
oggidì si legge tlai certosini ; nel
p. Meiati al tom. I, par. I, pai».
■243, ove alla seguente attesta non
recitarsi il vangelo di s. Giovanni
nel fine della messa da chi anche
oggidì canta la messa nella cappel-
la pontificia, i quali, come osserva
il Novaes, t. VII, p. 247, comin-
ciando la recita del vangelo nel
partire dall'altare , la proseguono
fino alla sagrestia. Va però notato
che se ha luogo la lettura di altro
evangelio, il celebrante lo legge in
mezzo all'altare, assistito dai mini-
stri. Il Burio, nella sua Brevis noti-
ti a Bom. Pont., così scrive nella
vita di s. Pio V: « Inter alia or-
*» dinavit, in fine missae a sacer-
* dotibus dici evangeli um s. Joan-
» nis (quod ante non ex. manda-
ci to hinc inde dicebatur), quia est
« veluti compendium mysteriorum
« princi paliti cu fidei nostrae ss. Tri-
» nitatis, creationis mundi, Incar-
ti nationis Christi, quae profitetur
** tUnc sacerdos suo et totius Eccle-
» siae nomine ".
Erudita è la lettera XIX, Del-
l'evangelio di s. Giovanni infine
della messa pontificale^ del Sar-
nelli , Lett. eccl. tom. VII , di-
cendo che s. Pio V ne coman-
dò stabilmente la recita nel suo
messale riformato , per una con-
tinua memoria dell' ineffabile mi-
stero della Incarnazione , recitan-
dosi prima ad arbitrio, il perchè
non ne parlano gli antichi rituali,
benché s'insinui doversi leggere,
almeno in qualche cosa, nella li-
turgia di s. Pietro ov' è detto:
Deinde plenitudo legis, et prophe-
taruni. Lindano cita la liturgia di
s. Simeone siracusano, che fioriva
nell'anno 800, nel cui fine si pre-
scrive la lezione, per la quale al-
cuni usavano l'evangelio di s. Gio-
EVA
vanni. Ma il concilio Triburiense,
cap. Quidam de celebr. missarum,
proibì di leggersi quotidianamente
tal vangelo, come le messe parti-
colari, per la superstizione di al-
cuni, che credevano in quel gior-
no nel quale udivano alla messa
l'evangelio di s. Giovanni, non do-
ver morire senza confessione, e per
quelle messe particolari, dover ot-
tenere abbondante raccolta di bia-
de, ovvero perchè alcuni poneva-
no tanta divozione in quel santo
di cui sentivano la messa, che cre-
devano quello poter più. esaudire
le loro preghiere, che se sentissero
Ja messa del giorno per la riveren-
za di Dio, come se il sagri fi zio non
si offrisse a Dio solo, il quale so-
lamente si deve adorare con culto
di latria. Quindi aggiunge il me-
desimo Sarnelli, che nell'antico or-
dinario de' domenicani si leggeva :
« Evangelium s. Joannis : In prin-
« cipio; cum collecta, poteri di-
» cere deponendo vestes, vel post
» depositionem ". La colletta era:
« Omnipotens sempiterne Deus, di-
»> rige actus nostros in beneplaci-
ti to tuo; ut in nomine dilecti Fi-
» lii tui mereamur bonis operibus
« abundare ". Altrettanto è pre-
scritto in alcuni messali mss. del-
la biblioteca vaticana ; e questo è
quello che oggi si pratica nelle
messe pontificali. Né si bacia il li-
bro, o la tabella detta volgarmen-
te cartagloria^ ove è riportato
tutto il vangelo di s. Giovanni ,
perchè la recitazione di questo evan-
gelio è in certo modo privata , ed
esclude la solennità, onde neppure
si canta nelle messe solenni, come
avverte Lopez, de ritu Missae. Non
sarà qui superfluo il dire se sia
lecito portare addosso l' evangelio
di s. Giovanni : In principio , ec.
EVA EVA a35
secondo l'antico uso de* primi cri- Altre nozioni sull'evangelio, e sul
stiani, i quali portavano appeso al libro che lo contiene.
collo il testo vangelico scritto, co-
me preziosissima reliquia. Iiispon- Fu sempre e in tanta venera-
de s. Gio. Grisostomo, hom. 4^> zione il santo vangelo, che veniva
super Math.y in Opere imperfecto: ricevuto dai sagri ministri della se-
« Quidam aliquam partem evan- de apostolica, dalle mani de' Pon-
»> gelii scriptam circa collimi por- tefici, per la conversione delle gen-
» tant : sed nonne quotidie evan- ti, come narra il Rinaldi all'anno
« gelium in Ecclesia legitur, et 4^ii num> ICJJ« Il medesimo al-
« auditur ab omnibus? Cui ergo l'anno 232, num. 1 3, dice che s.
« in auribus posita evangelia ni- Cecilia usava portare in petto l'e-
»» hil prosunt, quomodo possunt vangelio di Cristo, come facevano
« eum circa collum suspensa sai- altri, della quale antica consuetu-
w vare? Dicne, ubi est virtus e- dine fa menzione s. Gio. Grisostomo
» vangelii, in figuris litterarum, an summentovato; ed è mirabile quan-
» in intellectu sensuum ? Si in fi- to analogamente narra pure il Rinal-
>» guris, bene circa collum suspen- di di s. Teofilo, all'anno 3or,num.
» dit. Si in intellectu : ergo me- 34- Fu inoltre costante costume
*> lius in corde postea prosunt , della Chiesa universale nei concili
m quam circa collum suspensa ". di ergere in mezzo del consesso
S. Tommaso però nella 2. 2. qa. un trono, sopra il quale ponesi il
9. 7, art. 4 ad 4> dice doversi inten- libro del vangelo. Di ciò parlam-
dere s. Gio. Grisostomo di quelli che mo all'articolo Concilio (Vedi), ed
hanno maggiore rispetto alle fìgu- altrove. Il Rinaldi all'anno 325,
re scritte, che alla intelligenza del- num. 5g, discorrendo del primo
le parole: « Dicendum, quod Chry- concilio generale, dice che a secon-
» sost. loquitur, quando respectus da dell'uso, nel mezzo del conses-
» habetur magis ad flguras seri- so fu collocato in real trono l' e-
» ptas, quam ad verborum intel- vangelio, come rappresentante la di-
» lectum ". Conchiude il Sarnelli, vina persona, come se gridasse nel-
che se è lecito portar pendente dal l'orecchio de' vescovi, secondo che
collo qualche reliquia, colla fidu- si esprime s. Cirillo Alessandrino
eia in Dio, e ne' santi , di cui è in JpoL: Justum judicium j udiente j
la reliquia, molto più è lecito por- e secondo le parole del salmo 8 1 :
tar le parole sacre, non essendo Deus stetit in synagoga deoruni;
di minor santità la parola di Dio, in medio miteni Deos dijudicat.
che le reliquie de'santi dicendo s. Negli atti del concilio Fiorentino,
Agostino « quod non minus est celebrato da Eugenio IV, si legge
h verbum Dei, quam corpus Cini- che sopra l'altare maggiore, vi era
» sti ". Si deve finalmente sapere, il codice de sacri evangeli, in mez-
come si raccoglie dal Registro di s. zo alle sagre teste de' ss. apostoli
Gregorio I, lib. 12, epistol. 7, che Pietro e Paolo, ivi esposte fra ce-
anticamente si soleva per divozio- rei ardenti. Per tali teste debbon-
ne riporre nei reliquiari il testo si intendere le immagini loro. Del-
del santo vangelo. l'antico rito di porre in mezzo ai
concili il grande e giusto giudice
*££ EVA
Gesù Cristo figurato nel vangelo,
egregiamente ne diede spiegazione
Gio. Battista Casali, de vet. sacris
christianoruni ritìbus , pag. 177 e
4.8.
Era poi sì grande la riverenza
de' primitivi cristiani verso questo
libro , che non osavano toccarlo,
se prima non si lavavano le mani,
come rilevasi daH7io//zf7. 7 ad pò-
pul. di s. Gio. Grisostomo. I mo-
scoviti, prima di toccar il detto
libro si fanno il segno della croce
con profondissima riverenza, e col
capo scoperto. Anche i barbari ri-
spettarono l'evangelio. Si legge nel
p. Severano, Memorie sagre, pag.
170, che avendo preso Roma nel
547 Totila re de' goti, nondime-
no recossi ad orare nella basilica
vaticana, dove Pelagio diacono por-
tando nelle mani il libro degli evan-
geli, se gli fece incontro : indi pro-
stratosi a' suoi piedi, gli domandò
in grazia che non fossero offesi i
romani, e l'ottenne, almeno per al-
lora. Quando nell'anno 657 s< Vi-
taliano partecipò la sua assunzione
al pontificato all' imperatore Co-
stante, questo donò ai legati apo-
stolici per la basilica di s. Pietro
un libro dell' evangelio coperto d'o-
ro, e tempestato di gemme. Nel
celebre concilio di Costanza, dopo
la deposizione di Giovanni XXI H,
e dell'antipapa Benedetto XIII, e la
generosa rinunzia di Gregorio XII,
si deliberò dai mille padri compo-
nenti quell'augusta assemblea, che
i sagri elettori procedessero all'ele-
zione del legittimo Pontefice. Al-
lora Sigismondo re de' romani, as-
siso nel suo soglio, avendo tocca-
to colla mano la croce e gli evan-
geli , recatigli da due Cardinali ,
giurò solennemente, che avrebbe
difesi gli ordini che il concilio avea
EVA
l'orinato riguardo al conclave, con-
formi alle costituzioni di Gregorio
X. Antichissimo è il rito di giu-
rare sull'evangelio, come si dirà a
suo luogo. Accusato il Pontefice
Pelagio I dal popolo romano, di
fazione contro l' immediato prede-
cessore Vigilio morto nell'anno 555,
celebrate con Narsete capitano im-
periale le litanie, ascese il pulpito
nella basilica di s. Pietro, ed aven-
do sul capo l' evangelio, si purgò
con giuramento dalle accuse, come
già avea fatto Sisto III nel ^2 ,
e dopo di lui fece ancora s. Leo-
ne III nell'anno 800: per sì fatto
giuramento, cessò subito il tumul-
to del clero e popolo romano.
Abbiamo dal Macri, che il libro
del vangelo solevasi portare nelle
processioni, massime in quella del-
la domenica delle palme, nella qua-
le con maggior solennità dell'ordi-
nario, sopra una bara ornata era
portato, cioè sulle spalle de' dia-
coni, e ciò per rappresentare Cri-
sto trionfante. Cencio Camerario,
nell'Ordine XI, pag. 176, descri-
ve il rito di portare in processione,
sulle spalle de' diaconi, tra le pal-
me , gì' incensieri , i candelieri , e
dopo gli stendardi delle scuole di
Roma, una bara ben ornata, che
chiamavasi feretrum o portalorium,
col testo de' sagri evangeli , affin-
chè si usasse al vangelo un onore
consimile a quello ricevuto da Ge-
sù Cristo. V. il Catalani, Evange-
Lium in processionibus delatum 3
praecipue dominica palmarum, p.
137. Questo rito si propagò in al-
cune chiese, e T origine si rinvie-
ne nei sagramentari Gelasiano, e
Gregoriano, e in antichissimi ca-
lendari. I greci non solo usano di
portar il detto libro quando il sa-
cerdote entra nel sagro altare, ma
EVA
anclie in qualsivoglia processione.
Nella chiesa di Costantinopoli era
chiamato praefectus evangelii} quel-
lo che soleva portarlo nelle proces-
sioni. Nelle grandi solennità faceva
questo uffizio l'arcidiacono patriar-
cale, e in questa chiesa era appel-
lato doctor ev angelii 3 quello che
àvea la cura di ragionare in pub-
blico, con ispiegar il testo evange-
lico. Nella chiesa Andegavense, quan-
do si fanno le processioni, oltre il
segno della croce, si porta il libro
degli evangeli, quella come guida,
questo come luce. Il delinearsi i
sagri evangeli nei bicchieri di ve-
tro degli antichi cristiani, ci ricor-
da che le loro mense erano ac-
compagnate dalla lezione spiritua-
le de' medesimi, onde pascere l'a-
nima.
Filippo Buonarroti , nelle sue
Osservazioni sui vasi antichi di
vetro, riporta diverse erudite noti-
zie sugli evangeli e loro libri rap-
presentati dagli artisti, che qui ac-
cenneremo. Quei libri degli evan-
geli , come si legge in Anastasio
Bibliotecario, donati alle basiliche
di Roma ed ornati d' oro, di ar-
gento e di gemme, doveano esser-
lo nelle coperte. Di questi orna-
menti de' sagri codici , prima di
tutti se ne trova fatta menzione
da s. Girolamo nell' epist. 19 ad
Eustochìuni.
San Lorenzo ed altri diaconi
vennero rappresentati col volu-
me de' santi evangeli nella sini-
stra mano , perchè era offizio dei
diaconi il portarlo e il leggerlo.
Furono rappresentati i santi vesco-
vi, aventi nella sinistra lo stesso li-
bro, perchè devono custodire con
ogni cura quel santo deposito, rac-
comandato loro con grandissima
premura in persona di Timoteo ,
EVA 237
dall'Apostolo, siccome eglino sono
i vigilanti mantenitori nel popolo
della purità della dottrina del Sal-
vatore, ed i principali promulgato-
ri, e fedeli interpreti della medesi-
ma; onde in riguardo di ciò, per
rito antichissimo, accennato anche
dall'autore delle costituzioni apo-
stoliche, e dall' altro della gerar-
chia ecclesiastica nell' ordinazione
de' prelati, è tenuto sopra il capo
loro il divin codice del vangelo.
Dei volumi poi che sono in mano
dei santi apostoli ne hanno parla-
to molti autori, e significano le o-
pere canoniche lasciateci dai me-
desimi, ovvero la facoltà di predi-
care il vangelo data loro da Gesù
Cristo. Per tal volume posto tal-
volta in mezzo de' ss. Pietro e Pao-
lo, vuoisi dimostrare che l'evange-
lio è un solo, benché egli sia ri-
partito in varie scritture, e per si-
gnificare altresì l' uniformità della
predicazione degli apostoli. Ma il
Bernini, // tribunale della Rota, a
pag. 14, rende ragione perchè gli
evangelisti e gli apostoli si dipin-
gono con il rotolo o scrittura in
mano spiegata, e i profeti e i pa-
triarchi complicata : i primi sono
cosi rappresentati per significare
Evangelium revelatum 3 i secondi
s' indicano così, Evangelium vela-
tum, in conformità di quanto scris-
se s. Paolino nell' epist. 29: Chri-
stus in le gè ve latti r, et in lege re-
velatura perchè al dire di s. Ago-
stino, 1. de cons. evangeli Prophe-
tia est evangelium velatimi : evan-
gelium vero est prophetia revelata.
V. il Barbosa, Tractatus in evaii*
geliumj il p. Zaccaria, Onomasti-
con rituale, in Evangelari, et Evan-
gelium j ed il p. Menochio, che
nelle sue Stuore, tratta del vange-
lo se sia stato predicato nelle In-
i3S EVA
die occidentali, ossia in America ,
prima che il Colombo la scuopris-
se , tratta ancora del vangelo por-
tato dagli antichi presso di loro ,
come venerato., e de' miracoli ope-
rati da Dio con esso. Inoltre van-
no consultati gli articoli, Collegio
Urbano, Congregazione di propa-
ganda fide , e Missioni apostoli-
che, per la diffusione e propaga-
zione del vangelo in tutto il mondo.
EVANGELISTA o VANGE-
LISTA (Evangelista). Nome dato
ai quattro discepoli che Dio ha
scelti ed ispirati per iscrivere Y E-
vangelio (Fedi), o la storia del no-
stro Signore G. C. Questi sono i ss.
Matteo, Marco, Luca, e Giovanni. 11
nome Evangelista significa colui
che annunzia una buona notizia ;
quindi chiamatisi evangelisti gene-
ralmente tutti coloro che annun-
ziano qualche felice notizia, ma più
particolarmente quelli che predica-
no il vangelo di Gesù Cristo, ed
in ispecie le dette quattro persone
che lo hanno scritto, autrici dei
quattro vangeli che sono i soli
dalla Chiesa riconosciuti per cano-
nici. Diconsi pure evangelisti i sa-
cerdoti che recitano certi evangeli,
mettendo un' estremità della stola
sulla testa delle persone che fan-
no dire questi evangeli.
I ss. Matteo e Giovanni erano
apostoli, i ss. Marco e Luca di-
scepoli ; non si sa positivamente se
questi due ultimi fossero del nu-
mero dei settantadue discepoli se-
guaci di Gesù Cristo, se lo abbia-
no udito predicare , o se sieno
stati soltanto istruiti dagli apostoli.
Nella primitiva Chiesa da vasi il no-
me di vangelisti a quelli che si
portavano a predicare l'evangelio
qua e là, senza che fossero uniti
ad alcuna chiesa particolare. Pen-
EVA
sano alcuni interpreti che in que-
sto senso sia chiamato evangelista
il diacono s. Filippo, Art. e. 21,
v. 8, e che s. Paolo raccomandi
a Timoteo di adempiere le funzio-
ni di evangelista, 1 Timot. e. 4>
v. 5, e Io stesso apostolo nella sua
epistola agli efesii, e. 4> v« n»
mette gli evangelisti dopo gli apo-
stoli e i profeti. V. il Rinaldi al-
l' anno 35, num. 8, che rende
ragione come Filippo che annunziò
il vangelo a' samaritani, abbia il
nome di evangelista. V. gli arti-
coli Matteo, Marco, Luca, e Gio-
vanni. Fu Bonifacio Vili che nel
1295 ordinò, che in tutta la Chie-
sa si celebrassero con rito doppio
le feste de' ss. apostoli ed evan-
gelisti.
Molti increduli fecero ogni sfor-
zo per provare che gli evangelisti
non si accordano punto nella sto-
ria che fanno delle azioni di Gesù
Cristo ; e che su molti punti, e in
molte circostanze si contraddicono.
Osserva il Bergier che questi cri-
tici per riuscirvi fecero uso di un
metodo che si avrebbe rossore di
adoperare per attaccare la storia
profana. Quando s. Matteo, per
esempio, riferisce un fatto od una
circostanza, della quale gli altri
evangelisti non parlano, dicesi che
sono in contraddizione con esso.
Ma in qual senso un autore che
tace, contraddice quello che parla?
Forse l'ommissione d'un fatto ne
prova la falsità? Se ciò fosse, di
tutte le storie che furono fatte da
diversi autori, neppure una ve ne
sarebbe che non fosse piena di
contraddizioni. Quando si voglia
avere la cura di leggere la con-
cordia od armonia degli evange-
listi, si scorgerà che i quattro testi
uniti s' illustrano T uno 1' altro, e
EVA
formano una storia esatta ed or-
dinata. Il citato Rinaldi, all' anno
3i, num. 2, rimarca la mirabile
convenienza tra gli evangelisti, si-
gnificati ne' quattro animali miste-
riosi da Dio mostrati ad Ezechie-
le, e come scrivessero i vangeli in
diversi luoghi e tempi, e con varie
occasioni. Tuttavia per divin consi-
glio avvenne, che con mirabile con-
sonanza quello che fecero tutti, fece
nello scrivere ciascun di loro, con-
forme all'enimma profetico. Diversi
autori poi composero la concor-
danza de' quattro evangeli, facendo-
ne di quattro uno, come fra gli an-
tichi sono a nominarsi Teofilo ve-
scovo antiocheno, Taciano, Ammo-
nio, ed Eusebio, che scrissero al-
cuni canoni della convenienza de-
gli evangelisti. Tali canoni furono
da s. Girolamo in latino tradotti.
Fra' moderni e fra quelli che si
sono occupati dello stesso argomen-
te, sembra che tenga il primo luo-
go Cornelio Giansenio vescovo
Gandavense.
Ciascuno degli evangelisti pa-
re che abbia avuto un disegno
particolare, ed analogo alle circo-
stanze in cui si trovava, essendosi
già detto al citato articolo Evan-
gelio in qual tempo ciascuno ab-
bia scritto il suo. Quello di s. Mat-
teo era di provare ai giudei che
Gesù Cristo è il Messia. Mostra
colla di lui genealogia che è nato
dal sangue di Davide e di Àbra-
mo. Cita ai medesimi giudei le
profezie, giusta il senso che dava-
no i loro dottori, ed in tal guisa
ne cava un argomento personale.
Sembra che s. Marco non abbia
avuta altra intenzione, se non di
fare un compendio delle azioni
e dei discorsi di Gesù Cristo per
istruirne i fedeli, almeno delle cose
EVA a&g
più essenziali. S. Luca si propone di
dare questa storia più particola-
rizzata, di raccogliere tuttocìò che
aveva appreso da testimoni ocula-
ri, e di supplire a tuttociò che eia
stato ommesso nei due precedenti
evangeli. S. Giovanni ebbe princi-
palmente per oggetto di confutare
l'eresie che cominciavano ad in-
sorgere sulla divinità di Gesù Cri-
sto, e sulla realtà della di lui car-
ne. Questo è pure il soggetto del-
le sue lettere. Pertanto con mag-
gior estensione degli altri riferisce
i discorsi ne' quali Gesù Cristo
parla della sua persona, e della
sua unione col suo Padre. Ma nes-
suno dei quattro ebbe in animo
di riferire ogni cosa, e niente om-
mettere. S. Giovanni attesta abba-
stanza il contrario nel fine del suo
vangelo.
In questa maniera, senza che tra
essi siavi stato un premeditato con-
certo, ciascuno dirige il suo stile
e la sua maniera al fine che si pro-
pone. Nel confrontarli si conosce
perchè uno ommetta la cosa che
riferisce l'altro; soprattutto si scor-
ge che nessuno dei quattro teme
di essere contraddetto sui fatti che
racconta, perchè erano fondati sul-
la notorietà pubblica. Anche il Ri-
naldi all'anno 34, num. 164 e 223,
nota che gli evangelisti non pre-
sero a narrare tutte le cose latte
dal Signore, ma quante bastassero
a far fede di lui, usando un mo-
do comune di parlare. In quanto
ai quattro misteriosi animali de-
scritti da Ezechiele, I, 10, e nel-
l'Apocalisse, IV, 7, i ss. Ireneo,
Girolamo, Agostino, e gli altri pa-
dri trovano raffigurati gli evange-
listi. Si conviene generalmente che
l' aquila è il simbolo di s. Giovan-
ni, il quale sino dai primi versi
2.\o EVA
del suo vangelo, s' innalza fino al
seno della divinità per conlcmplu-
plarvi la generazione del Verbo.
Si conviene che il vitello o bue è il
simbolo di s. Luca, il quale comin-
cia dal far menzione del sacerdozio
del Salvatore. Secondo s. Agostino
s. Matteo è rappresentato dal leo-
ni', perchè egli spiega la dignità
reale di Gesù Cristo; ma altri dan-
no questo simbolo a s. Marco ,
perchè comincia dalla missione di
s. Giovanni, e dalla sua voce che
grida nel deserto: in tal caso Va-
mimate che aveva la figura qua-
si d'uomo dovrà appropriarsi a
s. Matteo, che comincia il suo van-
gelo dalla generazione temporale
«lei Salvatore. Questo uomo si suo-
le rappresentare anche in forma
d'angelo e colle ali. Ordinariamen-
te ognuno de' quattro evangelisti
si sogliono effigiare in atto di scri-
vere, cioè col libro nella sinistra
in ci no, e colla penna nella destra,
come altre loro caratteristiche. V.
Just. Wessel Rumpai, Isagoge ad
lectionr.m novi Testamenti, pag. »i;
Jac. ThomasiuSj De insignibus qua-
tuor evangelistarunij Lipsiae 1667
et 1672; Dan. Guill. Mollerus,
De insignibus IV evangelistarum,
Alldorhi 1699 et 1700; Jo. Ihr-
mann, De insignibus IV evange-
listarum, Upsalae 1728; Jo. de
Ayalo, Pictor christianus eruditus,
Matriti 1730.
E VARI A od EVARÌO. Sede
vescovile della Fenicia del Libano,
nella diocesi di Antiochia, sotto la
metropoli di Damasco, la cui ere-
zione, al dire di Commanville, ri-
sale al quinto secolo, e chiamasi
anche Giustinianopoli. Altri dissero
essere Errea di Epiro, che fu fab-
bricala dall'imperatore Giustiniano.
Uno de' suoi vescovi per nome
EVA
Tommaso assistette e sottoscrisse
al concilio di Calcedonia, ed alla
lettera dei vescovi della sua pro-
vincia all'imperatore Leone. Al
presente Evaria, Evarien, è un ti-
tolo vescovile in partibus sotto la
metropoli di Damasco egualmente
in pai-tibiiSj che conferisce la san-
ta Sede.
EVARISTO (santo), Papa VI.
Nacque in Betlemme di Palestina, il
di lui padre chiamavasi Giuda, e
fu innalzato alla sede pontifìcia il
giorno 27 luglio dell'anno 112. Si
crede che seguisse la tradizione a-
postolica ìiell' ordiuare che i ma-
trimoni fossero fatti pubblicamen-
te, e colla benedizione del sacerdo-
te, e che sette diaconi assistessero
il vescovo mentre predicasse, affin-
chè i loro emuli non gì' imputas-
sero alcuni errori , come vuole il
Ciacconio, oppure perchè imparas-
sero lo stile della verità nel mini-
stero della predicazione, come in-
terpreta il Bianchini. Molti ripetono
l'origine de'titoli de'Cardinali preti
dalla divisione cui fece Evaristo
delle chiese di Roma a'preti stes-
si. Aggiunse alcune cerimonie al
rito della consagrazione delle chie-
se. In tre o quattro ordinazioni,
creò quindici o cinque vescovi, sei
o diciasette preti e due diaconi.
Durò il suo governo nove anni e
tre mesi, e pati a' dì 26 ottobre
del 121. La santa Sede vacò di-
ciotto giorni.
Contra l'opinione de' napoletani,
i quali vantano di possedere il
suo corpo, è certo essere egli sta-
to sepolto nel Vaticano ( V. Ol-
doino t. I, pag. 99).
EVASA seu Teodosiopolì. Sede
episcopale dell' Asia minore, nella
diocesi d' Asia, sotto la metropoli
di Efeso, eretta nel quinto secolo.
EVO
h'Oiìens Chrht., nel t. I, p. y32,
fa menzione di sei vescovi che vi
ebbero sede, cioè di Eutropio, di
Bassiano, del suo successore, di
Olimpio, di Gregorio e di Nico-
mede.
EVOCAZIONE. Formola di pre-
ghiera, o di scongiuro col quale i
pagani invitavano gli dei protetto-
ri di una nazione, o di una città
nemica ad abbandonarla^ o portar-
si ad abitare tra essi, promettendo
d' innalzar loro templi ed altari.
Questa cerimonia pagana fu erudi-
tamente descritta dal p. Casto In-
nocente Ansaldi domenicano, con
questo titolo : de Diis multo rum
gentium Romani evocati*, Brixiae
1743. Evocazione si dice pure de-
gli spettri che fanno apparire gli
stregoni ed i maghi, i quali per-
suadono che sieno anime o demo-
ni che fanno venire dall'altro mon-
do. La pitonessa evocò il defunto
Samuele, per farlo vedere ai re
Saulle. SuU' evocazione de' morti
V. Negromanzia.
EVODIO (s.). Neil' anno 56o
circa Evodio successe a s. Paulia-
no nel vescovato di Puy in Lingua-
doca. Fabbricò egli in distanza di
due leghe una chiesa dedicata alla
B. Vergine, ed in quella fu poscia
trasferita la sede episcopale. S'igno-
ra in qual anno morisse questo
santo vescovo, è onorato però agli
1 1 di novembre, ed esiste a Puy
una chiesa dedicata al suo nome,
nella quale conservansi le sue re-
liquie.
EVODIO (s.), vescovo di Rouen.
Seguendo la più comune opinione
Evodio fu figlio di Fiorentino, e di
Celina, e fu addetto sino da fanciullo
alla chiesa di Rouen, sotto la direzio-
ne di s. Vittricio. Vuoisi che sia egli
morto ad Andelis, e poscia sepolto
voi. XXII.
EVO a#i
nella chiesa di Rouen. Fu trasfe-
rito dipoi a Braine, nella diocesi di
Soissons, e quivi avvi un'abbazia de-
dicata al suo nome. Visse nel quin-
to secolo, ed è onorato il dì 8 ot-
tobre.
EVORA (Elboren). Città con re-
sidenza arcivescovile nel Portogal-
lo, capitale della provincia di Alen-
tejo. È considerata come la secon-
da città del regno, ed è capo luo-
go di provincia , e di comarca.
Sorge questa antichissima città so-
pra unJ altura, in mezzo di una
vasta e fertile pianura, fra i mon-
ti della Sierra Alpedreira. Essa è
cinta di bastioni rovinosi, e muni-
ta di vecchie fortificazioni, cioè da
una cittadella, e dai forti s. An-
tonio, e s. Barbara. Le strade so-
no strette e tortuose, e le case an-
tiche e mal fabbricate. Rinchiude
splendide chiese, degli spedali, uno
de' quali magnifico, e caserme di
regolare costruzione, non che alcu-
ni stabilimenti. Aveva un tribuna-
le dell'inquisizione, ed una univer-
sità fondata dal magnanimo Car-
dinal Enrico prima che fosse re
di Portogallo . L' università restò
soppressa nel secolo passato sotto
il regno di Giuseppe I. Fra i suoi
antichi monumenti , avanzi della
romana dominazione, si distingue
un grandioso acquedotto ancora ben
conservato, e gli avanzi di un tem-
pio di Diana: edifìzi che si attri-
buiscono al celebre Sertorio, il qua-
le fece cingere la città di mura,
allorché divenne la capitale del
suo governo : egli per lungo tempo
vi dimorò.
Evora è un'antichissima piazza
di guerra del regno, che chiamos-
si un tempo Ebora. I romani, se-
condo Plinio, la chiamarono Libe-
ralità* Julia. Essendo stata occu-
16
242 EVO
pata dai mori, riuscì ad Alfonso
f, redi Portogallo, di espugnarla;
e in memoria di tal vittoria nel
il 47 o nel 1162, istituì l'ordine
equestre di Avis, i etti cavalieri
da principio si chiamarono cavalie-
li di s. Maria d*Evora. Presso di
questa città gli spagnuoK furono
sconfìtti dai portoghesi, sotto gli
ordini del duca di Schomberg.
La sede vescovile fu eretta ver-
so l'anno 4oo, quindi ristabilita ver-
30 l'anno 11 80. Prima era stata
suffraganea di Merida, poi lo fu
di Compostella. Ma il Pontefice Pao-
lo III, per secondare le pie brame
del re di Portogallo Giovanni III,
nel i54o l'eresse al grado di me-
tropoli, assegnandole per suffraganee
le sedi vescovili di Elvas, Porto,
Algarvia, e Lacobriga, e ciò in gra-
zia dell' infante sullodato Enrico di
Portogallo, che ne fu fatto primo
arcivescovo, e poscia nel i5/\5 dal
medesimo Papa fu creato Cardina-
le. Questo degno figlio del re Em-
manuele fu quello che come su-
premo inquisitore del regno stabi-
lì in Evora il tribunale dell'inqui-
sizione. Ivi a' gesuiti fabbricò un
collegio, poi dichiarato università,
nel quale un tempo abitò esemplar-
mente come uno di essi. Per morte
del suo nipote il re Sebastiano, montò
sul trono portoghese, ed essendo po-
scia morto nel i58o in Ahneirim,
nel giorno stesso in cui era nato ses-
santotto anni prima, ordinò che il
suo corpo fosse trasportato nella
chiesa di detto collegio, donde Fi-
lippo II re di Spagna lo fece tras-
ferire nelle tombe reali di Belem.
Andrea Resendio ha fatto il cata-
logo de' vescovi di questa città. Me-
rita inoltie tra i pastori di questa
illustre chiesa speciale rimembran-
za il successore del Cardinale En-
EVO
rico, d. Antonio di Braganza, figlio
del duca di Braganza, perchè si
rese venerando per la sua vita il-
libata ed adorna di tutti i pregi
che fanno un vescovo degno di me-
moria. Ebbe corrispondenza epi-
stolare con s. Teresa, e con s.
Carlo Borromeo, morendo in odo-
re di santità nel 1602. Si deve
pur notare, che prima la sede ve-
scovile di Tanger era suffraganea
di questa metropoli, ma cessò di
" esserlo dopo che il re di Portogal-
lo Alfonso VI, nel 1662, die la
città in dote all'infante d. Cateri-
na, quando sposò Carlo II re d'In-
ghilterra.
Al presente la metropolitana di
Evora ha tre vescovati in suffra-
ganei, Faro, Elvas, e Beja, oltre
Villa Vicosa (Vedi). La sua gran-
de e bella cattedrale è dedicata a
Dio, ed alla Assunzione in cielo
della beata Vergine Maria, deco-
rata di fonte battesimale, ricca di
insigni reliquie, e precipuamente di
un significante pezzo di legno del-
la vera croce. Il capitolo si com-
pone di quattro dignità essendo la
prima quella del decanato, e di ot-
to canonici compresa la prebenda
teologale. Vi sono più baccalaurei
e beneficiati, non che altri preti
e chierici addetti al divino servi-
zio. Il palazzo arcivescovile è con-
giunto alla cattedrale, la cui cura
d'anime alternativamente è disim-
pegnata dai quindici baccalaurei, e
dai dieci beneficiati mentovati. Ol-
tre la cattedrale, nella città esisto-
no altre quattro chiese parrocchia-
li, che sono pure collegiate, e tut-
te munite del battisterio. Sette so-
no i monisteri e conventi di reli-
giosi, ed otto i monisteri delle mo-
nache, oltre diversi sodalizi. Ad
ogni nuovo vescovo la mensa è
EVR
tassata ne' libri della camera apo-
stolica in fiorini mille trecento set-
tantasette.
EVORSIO (s.), vescovo d'Or-
leans. Sotto il regno di Costantino
il grande fiorì Evorzio, e mori
poi verso l'anno 34o. Nessuna au-
tentica storia si ha della sua vita,
egli però è assai onorato negli an-
tichi martirologi dell'occidente. Le
sue reliquie si conservano nella
badia di Orleans, la quale porta
anche il suo nome. La di lui festa
è segnata li 7 settembre.
EVREMONDO (s.). Nacque E-
vremondo a Bayeux da ricca e
nobile famiglia. Presso il re Teo-
dorico III si procacciò amore e sti-
ma, e si unì in matrimonio con
una donna virtuosa. La grazia del
Signore istillò in Evremondo il di-
sprezzo delle umane grandezze, e
dalla moglie virtuosamente secon-
dato, tutti e due abbandonarono
il mondo, l'uno fondando nel Bes-
sio vari monisteri, e l'altra votan-
dosi religiosa. La fama delle vir-
tù di Evremondo pervenuta all'o-
recchie di s. Auberto vescovo di
Suez, fé' sì che a se il chiamasse,
e lo eleggesse abbate del monistero
di Montmaire, ove egli santamen-
te chiuse gii occhi, circa l'anno del
Signore 720. Il giorno io giugno
è sacro alla sua memoria.
EVREUX (Ebroicen). Città con
residenza vescovile nel regno di
Francia, dell'alta Normandia, capo
luogo del dipartimento dell' Eure,
di circondario e di cantone, in una
valle, sull'Iton o Yon, che si divi-
de in tre rami prima di entrare
in città. La sua posizione sopra
tre grandi strade le apre delle re-
lazioni colle principali città di Fran-
cia, e favorisce il suo commercio.
Vi risiedono la corte di assise, il
EVR 243
tribunale di prima istanza, le di-
rezioni delle contribuzioni e de'de-
manii, la conservazione delle ipo-
teche ec, oltre una società di me-
dicina, di chirurghia e di farma-
cia . Avvi pure un collegio comu-
nale, ed una biblioteca pubblica,
un giardino botanico, un teatro ec.
Questa antica città è grande, ed
assai bene fortificata. Fra i suoi
^difìzi degni di osservazione v' è
la cattedrale, che può annoverarsi
fra le più belle chiese della Fran-
cia. È fabbricata in forma di cro-
ce, con istile gotico, è sostenu-
ta da sedici pilastri da ciascuna
parte, e vi sorge nel mezzo una cu-
pola ottagona sostenuta da quat-
tro pilastri. Fu Luigi XI che fe-
ce innalzare questa chiesa per cu-
ra del Cardinal Balve, in allora ve-
scovo di Evreux. Vanno pure ri-
cordati il palazzo vescovile, quello
della prefettura, le prigioni ec.
Questa città ha belle passeggiate,
ed all'estremità di uno de'suoi sob-
borghi sta il bel castello di Navar-
ra, un tempo appartenente al du-
ca di Bouillon, le cui superbe di-
pendenze aggiungono nuovo pre-
gio alla sua magnificenza.
Il nome di questa città si tro-
va ne' commentari di Cesare, ed
in altri autori latini che la chia-
mano Mediolanum Aulercoruni ,
Ebroeca, Ebroìcam, civitas Ebu-
ronicum od Ebroicorum, ed Ebu-
ro. Più non si dubita che Evreux
non rimpiazzi un'antica città roma-
na il cui nome primitivo era Me-
diolanum, ma che fu poscia can-
giato in quello di Eburovices, no-
me dei popoli che abitavano anti-
camente nel suo territorio, e dal
quale senza dubbio derivò quello
di Evreux. Questa città diede il
nome ad una celebre famiglia. Sos-
i44 EVR
tenne molti assedii, e fu saccheg-
giata da Enrico I re d'Inghilterra,
poscia fu abbruciata alla fine del
secolo XII dal re Filippo Augusto.
Fu già capo luogo della contea
di Evreux, uno degli antichi do-
minii della corona, per cui talvol-
ta ne portarono il titolo e fu da-
ta ai principi reali. Questa con-
tea, nel celebre ministero del Car-
dinal Richelieu, fu ceduta al duca
di Bouillon, in cambio del prin-
cipato di Sedan.
La sede vescovile appartenne al-
la seconda provincia Lionese, nel-
l' esarcato dei gauli, sotto la me-
tropoli di Rouen, di cui è tutto-
ra suffraganea. La diocesi, la di
cui origine risale fino al terzo se-
colo, contava nella sua giurisdizio-
ne cinquecento cinquanta parroc-
chie, quattordici abbazie, più di
trenta priorie, molte chiese colle-
giate, ed un gran numero di cap-
pelle : quanto alle congregazioni re-
ligiose, aveva sei stabilimenti. Il
vescovo di Evreux godeva di ven-
timila lire di rendite. Ne fu il pri-
mo s. Taurino , il quale occupò
la sede vescovile verso l'anno 412:
tutti si accordano a dire, ch'egli
fu pure il primo che predicasse il
vangelo nel territorio di Evreux.
Gli successe s. Valdo il quale an-
nientò gli avanzi delle superstizio-
ni pagane, e si disegnò a succeder-
gli il prete Maurusione. Indi ne
furono vescovi Landolfo, Eterno od
Eterio, ed Aquilino, venerati dal-
la Chiesa per santi. Gisleberto II
fu mandato come ambasciatore al
Pontefice Alessandro II da Gugliel-
mo duca di Normandia; ed Enri-
co II re d'Inghilterra con tal qua-
lifica spedì in Roma nel 1171 il
vescovo Egidio dei conti di Perche,
ed intervenne al successivo conci-
EVR
lio lateranense. Giovanni II fece
collocare le reliquie de'suoi prede-
cessori, i ss. Taurino e Landolfo,
in casse di argento , per esporle
alla venerazione de' fedeli; e nel
1255 fu inviato al Pontefice per
difender i religiosi mendicanti. Pao-
lo Capranica romano, segretario di
Martino V, fu da questi nel 1420
fatto vescovo di Evreux. Gabriele
Le Veneur si distinse al concilio
di Trento, fece restaurare la catte-
drale danneggiata dal fuoco, e la
beneficò con parecchi donativi. Du
Perron, splendore della chiesa di
Francia, fu consagrato vescovo in
Roma, e nel 1604 Clemente Vili
il creò Cardinale.
La cattedrale è dedicala alla
Beata Vergine, e munita del sagro
fonte battesimale. Il capitolo si com-
pone di otto canonici, fra' quali avvi
la dignità del decano, il teologo, ed
il penitenziere, di diversi canonici
onorari, sacerdoti, e puerì de cho-
ro per Y ufficiatura. Un canonico
esercita le funzioni parrocchiali.
Prima il detto capitolo era assai
più numeroso, avendo trentuno ca-
nonici. Eranvi pure quattro vicari
per supplire alle incumbenze dèi
canonico ebdomadario, quando que-
sti era impotente, od assente. In-
oltre vi erano quarantacinque cap-
pellani che dovevano assistere al-
l'uffizio, la maggior parte de'quali
fruiva alle distribuzioni inter prae-
sc.ntes. L'episcopio è contiguo alla
cattedrale, e come dicemmo è un
edifizio decoroso. Nella città sonovi
due altre parrocchie coi battisteri,
diversi monisteri di religiose, i be-
nemeriti fratelli delle scuole cri-
stiane, delle confraternite , l'ospeda-
le, e due seminarii con alunni. La
mensa ad ogni nuovo vescovo è
tassata nei registri della camera a-
EXC EXC 245
postolica in fiorini trecento set- Devonshire , cioè di Cridia e di
tanta. Cornubia, ch'erano smembramen-
EVROEA. Città vescovile dell'an- ti di quello di Skrewsbury: sede
tico Epiro, nella diocesi dell'Ill'iria che fu suffraganea della metropo-
01 ientale, sotto la metropoli di Ni- litana di Cantorbery. Vi ebbero re-
copoli, che credesi sia il borgo chia- sidenza trentatre vescovi, il primo
malo s. Donato in Albania, dove fu Leofrico, borgognone di origine,
per le preghiere di tal santo coni- segretario di detto re, e l'ultimo
parve una sorgente di acqua. Al- fu Giacomo Tuberville, nominato
tri la confusero con Isauria, ed dalla regina Maria, morta la qua-
Isoria. Il p. Le Quien ne\\' Oriens le nel i558 abbandonò la sede.
Cìirìst. toni. II, p. i43, riporta le La cattedrale, la cui fabbrica du-
notizie de' suoi sei vescovi, cioè s. rò cinquecento anni, rinchiude bei-
Donato, Marco, Eugenio, Teodo- le pitture sul vetro, e statue di
ro, Giovanni I, e Giovanni II. patriarchi, monarchi, ed eroi del-
E\ALUS. Città episcopale della le crociate. L'episcopio è cinto di
seconda Palestina, nella diocesi di alto muro. Evvi un palazzo della
Gerusalemme, sotto la metropoli di città assai vasto, così uno di giusti-
Scitopoli, alle falde del monte Ta- zia, un bel circo, un teatro, delle
bor. Partenio suo vescovo interven- prigioni con un elaboratorio, un
ne e sottoscrisse nel 536 al conci- grande spedale, case di carità, e
lio di Gerusalemme. molte scuole gratuite ben dotate.
EXCESTER o EXETER. Città Vi è pure uno spedale pei demen-
vescovile d'Inghilterra, capoluogo ti, la nuova prigione della contea,
della contea di Devon, deliziosa- ed una caserma per la cavalleria,
mente situata sul declivio di un Dell' antico castello eretto sulla
monticello, e sulla riva destra del- montagna, e soggiorno di qualche
l'Ex o Isca, che si attraversa so- re sassone, non restano che alcuni
pia un ponte di pietra. È grande, pezzi di mura esteriori. Ha un buon
e figura un parallelogramma; le porto sopra un canale navigabile.,
muraglie che la circondano sono e la dolcezza del suo clima, ed ai-
in parte rovinate. E sede di molte tri pregi hanno attirato a stabilir-
corti di giustizia dei contado. Ha visi moltissime famiglie. Questa
circa quindici parrocchie nella città, città, con titolo di contea, manda
alcune ne' sobborghi, molte cap- due membri al parlamento,
pelle ed una sinagoga. La catte- Excester occupa il luogo del-
drale è un grande e bello edifi- l' Isca Damnoriorum o Dumnorio-
zio, la cui costruzione devesi al rum dei romani. Fu distrutta due
re sassone Etelstano, che la eres- volte dai danesi, presa da Gugliel-
se in onore di s. Pietro l'anno ino il conquistatore, ed in progres-
g32, non essendo però allora cat- so assediata da Stefano ed Odoar-
tedrale, perchè questa città non do IV. Sotto il regno di Enrico
divenne sede episcopale, che sotto VII fu assediata da Perkin-War-
il regno di s. Edoardo il confesso- beck; ma gii abitanti si difesero
re., che nel 1075 vi fece trasferi- allora tanto valorosamente, che hi
re i due vescovati di s. Germano obbligato di ritirarsi, ed il re per
in Cornovaglia, e di Kirton nel ricompensare tanta fedeltà e vaio-
a46 EXU
re donò loro la propria spaila,
raccomandando al podestà di cin-
gerla a tutte le processioni. Ric-
cardo II la eresse in ducato in
favore di Giovanni Jolando, conte
di Hungtinton ; Tommaso Cecili
l'ebbe a titolo di contea sotto Gia-
como I, dal quale passò ne' suoi
discendenti. Nell'anno 1286 a' 16
aprile Pietro Quivil vescovo di
Excester adunò un concilio, e vi
fece delle costituzioni in cinquan-
ta articoli, sopra tutti i sagra men-
ti, e sopra varie materie. Diz.
de Concili.
EXEQUATUR REGIO, o Pla-
citum Regium, V. Regio Exequa-
TUR.
EXOCATACOELI. V. Esoca-
TACELI.
EXTRA TEMPORA. Dispensa
che concede il sommo Pontefice
a mezzo della segreteria de' brevi
pontificii, della dataria apostolica, e
della sagra congregazione di propa-
gandante a coloro che sono sogget-
ti alla sua giurisdizione, non che
a mezzo di qualcuno specialmente
autorizzato dalla santa Sede, con
limitate concessioni. Questa ò\s-
pensa serve per ricevere gli ordi-
ni sagri fuori del tempo prescrit-
to dai canoni, epctra tempora, e
per riceverli prima della fine de-
gl'interstizi. La Chiesa ha fissato
un tempo per conferire gli ordini,
ma questo tempo non è sempre
stato il medesimo, come si potrà
vedere agli articoli Ordinazioni,
ed Ordini sagri. Solo qui notere-
mo, che le dispense extra tempora
contengono sempre la clausola che
riguarda la capacità dell'ordinato,
e le facoltà legittime dell' ordi-
nante.
EXULTET. Inno, o preconio
pasquale, cioè benedizione o pre-
EXU
ghiera che cantasi dal diacono al-
la benedizione del Cereo pasqua-
le (Vedi), nel sabato santo, della
quale pure si parla nel volume
Vili, p. 319. Alcuni fanno autore
di questo inno s. Ambrogio, altri
s. Agostino, altri s. Leone I, altri
Io attribuiscono a Pietro diacono ,
ma senza sufficienti ragioni per ac-
certarne l'autore. V. Alex. Lesla-
cum, in Mi s sali mixto mozarabico
p. 52i ; Stor. leti. t. XII, p. 45>2 ;
Geminiano lib. Ili, cap. 102; e
Durando, Rationale de dìvin. offic.
lib. VI, cap. 80. Osserva il Macri
nella Notizia de' vocab. ecci, che
questa benedizione , toltone il prin-
cipio, discorda molto dall' ambro-
giana, onde altri ne fanno autore
s. Agostino, come si raccoglie da
un messale gotico antichissimo nel
tom. VI della Bibliot. de* Padri,
ove si dice, che fosse composta dal
medesimo santo ancor diacono, or-
dinato da Valerio vescovo Ippo-
nense, anzi fu da esso cantata ; e
sebbene si chiami preconio per le
prime parole, con tuttociò è vera
e real benedizione, poiché quando
si comincia, Vere dignum et ju-
slum est, ec, si legge il seguente
titolo nel medesimo messale: Con-
secratio cerei. Fa quindi meraviglia
al Macri come alcuni , per altro
professori de' sagri riti , abbiano
voluto ostinatamente affermare non
essere questa una vera benedizione,
contro 1' avviso di tutti gli antichi
scrittori de' riti : Cereus a diacono
benedici, et consecrari oportet, non
autem a sacerdote, vel episcopo
etiam si sint praescntes, quantum-
vis minoris sit ordinis , et dignita-
tpr9 come esprimesi il Celeth, de di-
vìn. offic. e. 106: la medesima dot?
trina fu insegnata da Durando ne]
luogo citato. Né questo rito deve
EXU
sembrar slrano , poiché , come si
legge nell'Ordine romano, l'arci-
diacono benediceva gli Agnus Dei
di cera, e li distribuiva al popolo,
come scrivono Alcuino e Amala-
rio, anzi il medesimo Beleth ag-
giunge, che nella festa di s. Ste-
fano un diacono faceva l'officio in
coro, e dava la benedizione alle le-
zioni : Noclurnus3 et universum of-
fidimi crastinum celebrabunt dia-
coni, gitoci Stephanus fuerit diaco-
nus, ad lectiones concedunt bene-
dictiones. Loco citalo cap. 70. L'Zi-
jLidtet jam, ec. è composta di due
parti, una che comincia con que-
ste parole, e l' altra con Sursum
corda, che determinano a cantare
quest'ultima parie come una prela-
zione, anche nelle chiese dove leg-
gesi semplicemente sul re la prima
parte. Si canta questa benedizione
dal diacono presente il sacerdote,
perchè tocca all' inferiore annun-
ziare la risurrezione di Gesù Cri-
sto, la quale fu promulgata dalle
donne, di natura più debole, agli
apostoli, tanto a cagione del sesso
che del grado ad esse superiori,
Ruperto lib, VI, cap. 3o ; e Duran-
do predetto.
L' Exultet si canta a Besanzone
nel sabato vigilia della Penteco-
ste, come nel sabato santo , om-
messo ciò che riguarda lo Spirito
Santo, come abbiamo dal de Vert,
Cerimonie della Chiesa, t. I, pag,
33 1 e 342. Avverle lo stesso Ma-
cri, che nell'anno i5io„ nel ponti-
ficato di Leone X , fu disputalo
come si dovesse cantare la solita
acclamazione dell' imperatore allo-
ra morto, essendo stati alcuni di
parere, che si dovesse lasciare, co-
me riferisce Paride de Grassis mae-
stro delle cerimonie, il quale dopo
matura ponderazione stimò essere
EZE 247
bene che si mutassero le parole,
dicendosi : Respice etiam ad ro-
manum imperium, cuj'us tu Deus
fidelium vota praenosces. Fu que-
sto sentimento approvato dal Pa-
pa, come scrisse Angelo Rocca sa-
grista pontificio, ne' suoi mss. che
si conservano nella biblioteca An-
gelica di Roma. Il medesimo caso
avvenne nel i658 nel pontificato
di Alessandro VII, dopo la morte
di Ferdinando III, ed allora si du-
bitò se si doveva lasciare la detta
acclamazione, ma fu ommessa per
consiglio del Macri, ciò che appro-
vò il Papa, e la congregazione dei
riti. Fu posta in pratica con dar-
ne avviso a tutte le chiese, ordi-
nandosi di più, che nelle orazioni
del venerdì santo si cantasse: Ore-
mus, et prò romano imperio, ut tu
Deus, ec. Dopo lo scioglimento del-
l'impero romano od occidentale,
tali acclamazioni e preghiere ter-
minarono interamente di pronun-
ziarsi. Delle acclamazioni se ne
tratta agli articoli Domestico, uf-
fizio della chiesa di Costantinopoli,
e Dominus (Fedi). 11 Ferrari ci
die, De veterum acclamationibus ,
et plauso, Mediolani 1627. Sull'/?-
xultet sono a vedersi, il Martène,
de ant. eccl. disc. e. 24; Azevedo,
de dw. officio, exerc, XIV, 261 ;
Joh. Climax, de necessitate pecca-
ti Adae, et felicitate culpa ejus-
dem, Parisi is i5ig ; De necessita-
te peccati Adae, et felicitati culpae
ejus, apologetica disceptatio, auct.
Jodoco Chlichtovaro, Parisiis i56i ;
Camelli tom. X delle Lettere eccl.,
lett. LXXIX : Come la colpa di
Adamo si possa dire felix culpa,
e della benedizione del cereo pa-
squale, che citammo altrove.
EZERO. Sede vescovile della
seconda provincia di Tessaglia, nel-
*48 EZM
la diocesi dell' llliria orientale os-
sta dell'esarcato di Macedonia, sot-
to lav metropoli di Larissa , la cui
erezione risale al nono secolo, al
dire di Conimanville, il quale ag-
giunge essere anche chiamata Bae-
be, o Esero. Era situata verso il
monte Olimpo, e verso il campo
di Magnesia.
EZM1AZIN, ECSMIASIN, o E-
schmiazw. Patriarcato armeno sci-
smatico, o monistero celebre d'Ar-
menia, situato alla distanza di tre
leghe da Erivan verso ponente.
Questa è la sede principale del
cattolico , o patriarca d' Armenia
nella Persia, considerato dai suoi
soggetti come il centro e il san-
tuario della religione. Autore di
questo monistero si fa il patriar-
ca Nierse, il quale lo eresse verso
l'anno 65o. Il fabbricato è com-
posto di quattro corpi di abitazio-
ne, disposti sopra un quadrilungo.
Tutte le camere sono terminate
con una specie di piccola cupola.
Sono destinate tanto per l'alloggio
de' religiosi (che hanno circa ot-
tanta celle, benché il loro numero
sia molto inferiore), quanto pegli
stranieri. La residenza ed apparta-
mento del patriarca trovasi alla
destra entrando nella corte. È mol-
to più elevato, ed ha una più bel-
la apparenza degli altri fabbricati.
La chiesa patriarcale trovasi situa-
ta nel mezzo della gran corte, ed
è 'dedicata all'apostolo dell'Arme-
nia s. Gregorio Illuminatore. La
chiesa termina con tre grandi cap-
pelle, essendo situato l'altare in
quella di mezzo. Le altre due ser-
vono 1' una di sagrestia, e V altra
per il tesoro, già ricchissimo per
ornamenti preziosi d'oro e di ar-
gento. Avvi un campanile con sei
campane. Degli antichi patriarcati
EZM
armeni, questo, uno dei due sot-
to il dominio persiano, era il pri-
mo e principale, detto ancora Va-
garsciabat, e dalla capitale del pae-
se ove sta, Artaxiasala o Arta-
xata: l'altro è quello di Ganzar,
di cui parleremo all'articolo Pa-
triarcati armeni (Vedi). La parola
Ezmiazin, in latino suona descen-
sus unigeniti, ed in italiano, la di-
scesa del figliuolo di Dio, perchè
si pretende essere questo il luogo
dove il Figliuolo di Dio si fece ve-
dere da s. Gregorio V Illuminato-
re, giacché questa sede è quella
medesima ove stette quel santo, e
primo patriarca degli armeni. Si
dice ancora che Gesù Cristo gli
apparve con predirgli quanto do-
vea avvenirgli, come si legge nella
sua vita scritta da Metafraste, pres-
so il Surio. Ezmiazin dicesi pure
in lingua turca iucikilise, cioè tre
chiese, perchè dal re Tiridate fu-
rono fatte edificare tre chiese nel-
la medesima città, fra loro distanti
circa centocinquanta passi : una di
s. Cajana , 1' altra di s. Ripsime ,
che il medesimo re a vea già fatto
uccidere in odio della fede, e la
terza detta propriamente la pa-
triarcale di Ezmiazin, e suddescrit-
ta brevemente. Queste chiese sono
state sempre in molta venerazione
presso gli armeni, e perciò di fre-
quente risarcite ne' diversi avveni-
menti : rovinate le due minori, su-
perstite n'è la sola prima.
La città ove slava la chiesa di
Ezmiazin, fu chiamata Vagarscia-
bat o Valarsciabat perchè fu fab-
bricata da Valars re armeno, e
fatta sua residenza, poscia distrut-
ta, ed in suo luogo, cinque miglia
distante, subentrò la città di Eri-
vati, capitale dell'Armenia maggio-
re o persiana. Ciò non pertanto,
EZM
benché della regia città di Vaiar-
svinimi non sia restato vestigio al-
cuno, i patriarchi proseguirono a
chiamarsi d'Ezmiazin. Il p. Butler
dice nel mese di settembre a pag.
4*5, che il primate di Armenia ,
che anticamente prendeva l'onori-
fico titolo di cattolico, piglia ora
quello di patriarca ; che la chiesa
fu fondata dal patriarca s. Grego-
rio nel palazzo del re Tiridate. I
patriarchi di Sis pretendono di
avere la successione non interrot-
ta, ma quelli di Ezmiazin affer-
mano di occupar la sede dal loro
primo apostolo stabilita a centro
di loro religione. E siccome in pro-
gresso di tempo si trovarono le
t\i\e Armenie soggette a diversi
principi , appartenendo la piccola ,
ove trovasi il patriarca di Sis, al-
l'impero ottomano, e la grande, ove
risiede quello di Ezmiazin, per la
maggior parte a' persiani, cosi potè
ciascuna sede contro l'altra sostener-
si, senza che mai fosse stato possibi-
le di riunirle. È d' uopo confessare
che il patriarca di Ezmiazin pre-
valse a quello di Sis non solo per
la venerazione degli armeni al luo-
go di sua dimora, ma ben anche
pel numero delle chiese, e per la
moltitudine di quelli che sono sot-
to la sua giurisdizione. Tavernier
disse che tal patriarca avea sotto
di se quarantasette arcivescovati, i
quali contavano circa centocinquan-
ta vescovati in suffraganei, parti-
colarmente sparsi nella grande e
piccola Armenia , nella Georgia ,
nella Cappadocia, nella Mesopota-
mia, e nella Persia. Commanville
nell' Histoire de tous les archevé-
clu's, et évèckès de Funìvers, a pag.
33 1 e seg. parla degli arcivescovi
e vescovi degli armeni di Persia,
uon the della chiesa patriarcale di
EZM 249
Ezmiazin, di quelle ad essa sotto-
poste, e delle diverse provincie e
diocesi comprese nella sua giuris-
dizione. 11 p. Le Quien nel tom.
I dell' Oriens Chris t., oltre le noti-
zie ecclesiastiche di Ezmiazin , ri-
porta la serie de' suoi patriarchi.
II patriarca di Ezmiazin ha il po-
tere di consagrare il sagro crisma
per tutte le chiese da lui dipenden-
ti ; è proposto all' osservanza della
fede, della disciplina, e delle isti-
tuzioni, essendo il principale vesco-
vo tra gli armeni scismatici, dopo
che nel concilio di Calcedonia, ve-
nendo condannata l'eresia di Euti-
che, molti di essi separar onsi dalla
cattolica comunione, e dalla Chie-
sa romana. Passeremo a dire al-
cuna cosa, dei principali patriarchi
d'Ezmiazin.
S. Gregorio soprannominato Y Il-
luminatore, apostolo e primo cat-
tolico o patriarca della Chiesa ar-
mena, fu consagrato in Cesarea da
Leonzio arcivescovo di quella città,
quindi si portò in Roma dal Pon-
tefice s. Silvestro I, per avere la
conferma delle sue facoltà, ed ap-
provazione di tutti i riti e leggi
ecclesiastiche pegli armeni . Gli
armeni pretendono che il corpo di
s. Gregorio sia stato trasportato a
Costantinopoli sotto l' imperatore
Zenone. Non è certo però che il
suo braccio destro, del quale ser-
vi vasi nella consagrazione dei cat-
tolici, per denotare con tal cerimo-
nia, eh' erano essi i veri e legit-
timi successori di s. Gregorio, esista
tuttora in Ezmiazin. La chiesa di
Sis ne possiede 1' altro braccio. Me-
liteo, XVI patriarca, discepolo di
s. Isacco, stabili la sede patriarcale
a Tuin o Thevin, trasportandovi il
mentovato braccio, ciò che avven-
ne verso Tanno 4^2- H di lui sue-
sìo EZM
tvssore, dopo Ire altri patriarchi,
Giovanni Mantacunense , pose in
buon ordine le preghiere, e la li-
turgia armena. Nierse II, XXVII
patriarca, riunì un concilio in com-
pagnia di dieci vescovi a Tuin per
ordine del re di Persia, fattosi il
primo a sinodalmente dichiararsi
contra il sacrosanto concilio di
Calcedonia, ed a separarsi intiera-
mente dai greci. Sotto Mosè, XXIX
patriarca, insorse lo scisma tra i
vescovi di Armenia, che non vol-
lero andare a Costantinopoli per
unirsi in comunione coi cattolici,
ossia ortodossi. Esdra o Jeser ,
XXXV patriarca, tenne un conci-
lio a Carni, o a dir meglio Carili,
ora detta Erzerum {Vedi}, cui
intervennero tutti i principi , e i
vescovi di Armenia, e molti dotti
della Grecia, regnando l' imperato-
re Eraclio. Ivi gli armeni accetta-
rono solennemente il concilio di
Calcedonia, e si concordarono coi
greci, rigettando i canoni di Tuin.
Nierse III, che gli successe, fondò
il monistero di Ezmiazin. Giovan-
ni VI, soprannominato Vahano
Vasburacense, LXIII patriarca, fu
pio e dotto, e tentò la riunione
delle Chiese sotto gli imperatori
Basilio, e Costantino, e spedi a
questo fine legati al Papa s. Gre-
gorio VII, il quale, a mezzo dei
medesimi, diresse un affettuosissimo
breve al patriarca, esortandolo a
significare precisamente la credenza
del suo popolo. E benché non esi-
sta presentemente la di lui risposta,
Uittavia dalla condotta degli arme-
ni di quel tempo, e dall'assistenza
eh' essi prestarono alle crociate sot-
to il di lui successore Gregorio III,
si rileva la perfetta loro unione
colla santa Sede. In quanto al pa-
triarca Gregorio III, egli fu di tanta
EZM
religione e dottrina, che il Papa
Innocenzo II, in segno della sua
benevolenza, gli spedi le insegne
patriarcali , accompagnate da un
breve pieno di paterne espressioni.
Gregorio III continuò nel suo gran-
de attaccamento alla Sede aposto-
lica, e mandò una solenne legazio-
ne al sommo Pontefice Eugenio
III sopra alcune differenze che gli
armeni avevano coi greci. Il di lui
fratello e successore JVersete Cla-
jense, e dopo lui Gregorio IV, e
Gregorio V, furono egualmente at-
taccatissimi alla santa Sede. Il pri-
mo di essi scrivendo al patriarca,
ed all'imperatore dei greci, nomina
il Pontefice romano cogli epiteti,
primo e capo di lutti quanti i metro-
politani. Gregorio VI, che in or-
dine è il LXXVIII patriarca, scris-
se al sommo Pontefice Innocenzo
III, per T unione della sua chiesa
colla santa Sede. Nel 1239 Costan-
tino I, che fu 1' LXXXII patriar-
ca, ebbe dal Papa Gregorio IX il
pallio, e gli altri ornamenti pon-
tificali. Il XCIV patriarca chiama-
to Giacomo li, nel i333 fu cac-
ciato dalla sua sede pei disordini
insorti nella Chiesa armena, ma
subito dopo fu restituito al suo
grado. In questa epoca la Chiesa
armena contemporaneamente ebbe
tre patriarchi o cattolici , de' quali
però quello che risiedeva a Sis fu
sempre considerato il principale, si-
no al tempo del patriarca Ciriaco
o Siriaco verso l'anno i447« fedi
Sis, e il volume XIII, pag. i36
del Dizionario, ove si accennano i
vari trasferimenti della sede patriar-
cale di Ezmiazin, e l'origine del
patriarcato ortodosso di Cilicia.
Tuttavolta qui è indispensabile un
analogo schiarimento.
Il zelante Pontefice Eugenio IV
EZM
risolvette di operare efficacemente
la riunione delle chiese di oriente
alla Sede apostolica , quindi nel
1439 celebrò il concilio generale
di Firenze, al quale l'Armenia in-
viò molti legati per le sollecitudi-
ni del patriarca Costantino VI; ed
i legati sottoscrissero il celebre de-
creto della unione della Chiesa
orientale alla latina. Ed una ver-
sione armena del sullodato decreto
esiste tuttora nella biblioteca di
Firenze in un codice antico. La
porta maggiore della basilica di s.
Pietro, come dicemmo altrove, rap-
presenta in bassorilievo i legati
armeni ivi intervenuti.
Morto intanto il patriarca Co-
stantino VI, non che il di lui succes-
sore Giuseppe III, si rinnovarono le
dissensioni , e ne furono cagione i
cambiamenti ulteriori della sede
patriarcale. Avvegnaché nel prin-
cipio i patriarchi, come dicemmo,
risiedevano in Ezmiazin sotto il
dominio persiano, e vi rimasero
circa un secolo e mezzo, finche
\ennero discacciati dalla spada dei
conquistatori nel suddetto anno
452. Rifuggiaronsi prima in Tuin,
città che divenne capitale del regno
armeno, e dove i patriarchi rima-
sero sino all'anno 924, in cui ven-
ne occupata dai turchi. Allora il re
Aschod III trasferì ad Ani la pro-
pria corte, e vi chiamò i patriar-
chi, che sembra vi si stabilissero
propriamente verso V anno 993, e
vi dimorarono sino al 1064. A
quell' epoca la necessità delle vicen-
de obbligò i patriarchi a cambiar
spesso soggiorno, come di errare
talvolta per le città poste sulla ri-
va dell' Eufrate, stabilendosi prima
a Tav-plur, poscia e nel 1 1 1 3 a
Monte Nero in Cilicia , nonché a
Hr-omgla o Romela nel 1 1 47- Ma
EZM 25i
siccome il sultano di Egitto s'im-
padronì nel 1294 di questa ulti-
ma città, i patriarchi seguirono a
Sis il re Leone II, né mutarono
la sede fino al mentovato patriar-
ca Giuseppe III, cioè nel i447-
Gregorio IX, suo successore, fece
alcune innovazioni nella propria
chiesa, laonde quattro vescovi della
Cilicia indirizzarono una lettera a
tutto il clero armeno, colla quale
dolendosi sulla incapacità di quel
pastore, e sullo stato deplorabile a
cui aveva ridotta la sede di Sis,
fu risoluto di restituire nuovamen-
te ad Ezmiazin il seggio patriar-
cale. Con tale scopo si raccolse in
quella città numerosissima assem-
blea, composta di vescovi, di su-
periori di monisteri, di eremiti, e
di semplici sacerdoti, i quali depo-
sero Gregorio IX, e passarono al-
l' elezione di un patriarca cattolico,
cioè universale. La sorte cadde so-
pra Siriaco o Ciriaco, abbate del
monistero di Virap, che riunì in
se il voto delle quattro prime chie-
se particolari dell' Armenia, il cui
assenso era necessario, onde legit-
timarne l'elezione, fu riguardato
come il vero e supremo patriarca,
e quindi decorato del titolo di cat-
tolico.
Da quell'epoca i patriarchi di
Ezmiazin esercitarono una piena
giurisdizione spirituale, né quelli
di Sis altro ebbero che il secon-
do posto, ad onta che conservas-
sero il diritto di nominare un cat-
tolico che esercita la sua giuris-
dizione nella Cilicia, nella Cappado-
cia, e neJ paesi circonvicini. Va qui
rammentato che David arcivesco-
vo d'Agatmar, piccola città situa-
ta nel mezzo del lago di Van in
una isola dello stesso nome, fin
dal 111 3, allegando la giovanile
2S2 EZM
ci i del legittimo patriarca Grego-
rio III, nominato Ralilavuni, ra-
dunò un certo numero de varia -
l'itti ', col maneggio dei quali inti-
tolossi cattolico, e si rese indipen-
dente dal patriarca universale. Co-
sì la Chiesa armena trovossi divisa
in tre chiese distinte, di Sis cioè,
di Agatmar, e di Ezmiazin, aven-
ti ciascuna la propria rivalità, i
propri interessi, ed il rito proprio,
funeste sorgenti di scissura e di
dispute senza fine: e ciascuna di
quelle chiese conservò i suoi pa-
triarchi. Tali dissensioni e turbo-
lenze erano state predette da s.
Gregorio Illuminatore , e da s.
Nierse ne' suoi versi profetici.
Nel i5o,3 Melchisedecco, CXXX
patriarca , fu nominato coadiutore
con futura successione dal suo an-
tecessore Davide. Fu a quest'epo-
ca che il re di Persia portò ad
Ispahan il braccio di s. Gregorio,
né volle restituirlo che contro il pa-
gamento di due mila scudi. Non
potendo Melchisedecco sborsare quel-
la somma per riscattare la san-
ta reliquia, si ritirò a Costantino-
poli, quindi portassi in Polonia ove
morì nel 1629. Altri chiamano
Melchisedecco col nome di Mosè,
e dicono che fosse il primo che
senza elezione sedesse nella chiesa
patriarcale ; egli era di Gami,
villaggio dov'esisteva un celebre
monistero di monache, e gli si dà
il merito di aver sopite le dissen-
sioni vedute con mal animo dagli
armeni. Tanto egli, quanto il suo
predecessore Davide, ne' loro ulti-
mi anni scrissero lettere di som-
missione àfla santa Sede; il primo
nell'anno 1622 a Gregorio XV, e
EZM
nell* anno seguente ad Urbano Vili,
mentre quelle di Davide portano la
data del i6o5, e vennero anterior-
mente ricevute da Paolo V. Gli
successe, dopo tre altri patriar-
chi, Filippo tenuto in concetto di
politico, che visse nella sede venti-
due anni; fu per intercessione di
questo prelato, che il re di Per-
sia restituì il braccio di s. Grego-
rio, permettendogli in pari tempo
di ristabilire la chiesa di Ezmiazin,
che era stata rovinata da Schah-
Abbas. Filippo morì nel i655, ed
a lui sottentrò Giacob, che dopo
ventidue anni di patriarcato, si
risolvette di portarsi in Roma, per
effettuare colla santa Sede l' unio-
ne per tanto tempo sperata, ma
sempre veduta lontana. Il p. Gaspa-
re Dupuy della compagnia di Ge-
sti, missionario di Erivan, ciò
scrisse alla sagra congregazione di
propaganda fide , dicendo che il
patriarca Giacob era uomo per
autorità, per ingegno, e per ogni
altra cosa così potente, che da po-
chi suoi predecessori era stato egua-
gliato, e che avea ridotte le cose
di Armenia così disposte a' suoi
voleri, che professando egli la fe-
de ortodossa, avrebbe tirato al suo
partito tutti quanti gli armeni.
Quindi nel 1G62 il patriarca scris-
se al Pontefice Alessandro VII
una lettera piena di divozione, di
rispetto, e di desiderio di portarsi
in Roma, accompagnato da venti-
cinque vescovi ed altrettanti varta-
bieti ; ma mentre egli ciò si met-
teva ad effettuare morì in Costan-
tinopoli. Dopo di questo tempo,
mancano notizie importanti sui
patriarchi di Ezmiazin.
F
FAB
FAB
FABBRICA, e FABBRIC1ERE, ministrazione agli arcivescovi,, ai
( fabrica , aediftcium ). In termine vescovi, agli arcidiaconi, ai parro-
ecclesiastico dicesi fabbrica, quella chi, o a corporazioni, come capi-
rendita che serve al mantenimen-
to di una chiesa, massime delle
chiese cattedrali ed insigni, tanto
per le riparazioni , manutenzione
del sagro edifizio, ed ornamenti,
quanto per tuttociò che abbisogna
per la celebrazione dei divini uffi-
zi ; quindi si chiamano fabbricieri
coloro che amministrano tali ren-
dite, che sopraintendono alle ac-
cennate lavorazioni, alla economia,
ed altre temporalità, sieno eccle-
siastici 3 che laici. Dicemmo all'ar-
ticolo Beni ecclesiastici (Vedi), che
questi prima erano divisi in quat-
tro parti, una delle quali era asse-
toli, confraternite, ed altri luoghi
pii, secondo i luoghi e le pie i-
stituzioni. Gli obblighi, l' autorità
e i privilegi dei fabbricieri sono
secondo V importanza degli affari
che disimpegnano, e le consuetudi-
ni de'luoghi. Sono responsabili dei
fondi che amministrano, e in mol-
te cose devono riportare il consen-
so del superiore ecclesiastico, e del-
le pie corporazioni. Concilio di Tren-
to, sess. 22, de reform. e. g.
Benché l'amministrazione di sì
fatti beni di chiesa e delle fabbri-
che sia passata nelle mani dei lai-
ci, sono però essi sempre beni eccle-
gnata per la fabbrica della chiesa, siastici, quindi partecipano ancora
e ciò sino dai primi secoli della di tutti i privilegi accordati ai beni
Chiesa. Sono comprese in questa del clero. In Roma avvi la Congre-
sorta di rendite, anche le obblazio- gazione cardinalizia della reverenda
ni religiose, che per la fabbrica fabbrica di s. Pietro {Vedi), aven-
ricevonsi dalla pietà de'fedeli nelle te per prefetto il Cardinal arci-
questue, e nei donativi volontari
e spontanei. Anticamente gli stessi
vescovi si occupavano dell'ammi-
nistrazione economica delle rendi-
te per le fabbriche, come della lo-
ro erogazione; poscia questa cura
fu successivamente affidata agli ar-
cidiaconi ed ai parrochi ; ma non
potendo il più delle volte questi
attendere con eguale impegno ed
esaltezza agli affari temporali e spi-
rituali della propria chiesa, la cu-
ra dei primi data venne finalmente
a idonei e distinti secolari, cono-
sciuti per zelo e probità, i quali
come i fabbricieri ecclesiastici sono
obbligati a rendere conto dell'am-
prete di quella patriarcale basili-
ca, ed in economo e segretario
un prelato canonico della mede-
sima. Questa rispettabile congre-
gazione , oltre l' economica ammi-
nistrazione delle rendite della ba-
silica vaticana, e di tuttociò che
riguarda la conservazione, ornamen-
to, e restauri di quel sontuoso tem-
pio e sue adiacenze e pertinenze,
gode ancora il singoiar privilegio
della gelosa cura a" invigilare al-
la esecuzione , ed esatto adempi-
mento dei legati pii, ed analoghe
disposizioni. In molti luoghi, in
molte chiese e capitoli il fabbri-
cieri è un ecclesiastico, addetto ai
?U FAB
medesimi. Delle indulgenze con-
cesse dai Papi a coloro che a-
vessero concorso ai restauri ed al-
la edificazione di chiese, se ne
tratta al volume XI, pag. 237 e
2 38. In quanto propriamente al-
l' arte di fabbricare e di edifi-
care , è noto che si riguardano
gli egizi , come i primi popoli, in
cui siasi posto in uso l'arte del
muratore, cui succedettero gli as-
siri, gli ebrei, i greci, e i romani che
colla straordinaria solidità che die-
dero ai loro edilìzi vollero emular-
li e superarli, unendo alle scoper-
te degli egizi e de' greci un sin-
golare artifizio. -
FAB1 ANO (santo), Papa XXI. Eb-
be a padre Fabio, ed a patria Roma.
Era ancora canonico regolare, se-
condo alcuni, quando a' 16 gennaio
del 2 38 venne creato Papa. Ciò che
indusse gli elettori a promoverlo fu
la prodigiosa visione di bianca colom-
ba, la quale spiccatasi dall'alto nel
tempo della elezione, dopo avene
girato qua e là sopra le teste di
quel sacro consesso, si soffermò so-
pra Fabiano che ne formava par-
te (Eusebio, Hist. eccl. lift». 6, cap.
29, pag. 186). Provvide questo
Pontefice al processo dei martiri,
aggiungendo a' sette notali, stabili-
ti da s. Clemente I per raccoglierne
gli atti, sette suddiaconi, perchè li
assistessero in un'opera così inte-
ressante e pia. Inoltre destinò sette
diaconi perchè gli atti stessi dei
martiri fossero segnati al disteso,
non già con abbreviature, come
per lo avanti si praticava ( V.
Bollando, in Praefal. gener. ad vi-
tas ss., tom. I, pag. 4)- Ridusse a
soli sette rioni i quattordici , nei
quali Augusto avea diviso Roma ,
e volle che gli stessi sette diaco-
ni avessero la cura dc'poveri in al-
FAB
trettante chiese. Da questa divi-
sione ecclesiastica ebbero poscia o-
rigine i titoli de' Cardinali diaco-
ni, perciò chiamati anche regionari.
Gli si attribuiscono diversi decre-
ti, come la rinnovazione del cri-
sma nel giovedì santo; che niuno
fosse ordinato prete prima di ave-
re trenta anni di età ; che niuno
in giudizio potesse essere accusato-
re, e giudice, o testimonio; che i
fedeli si comunicassero tre volte
Tanno; che i preti idioti non po-
tessero celebrare ; che niun fedele
potesse contrarre il matrimonio
con parente , che fosse dentro il
quarto grado, ec.
Molti fra i moderni critici sos-
tengono che s. Fabiano battezzas-
se Filippo, primo cristiano fra gli
imperatori romani , unitamente a
suo figlio dello stesso nome. In
cinque ordinazioni creò all' incirca
quattordici vescovi, ventitre preti
ed otto diaconi. Patì nella settima
persecuzione della Chiesa (Orosio
lib. 7, e. 21), a' 20 gennaio cfel
2 53, dopo quindici anni e quattro
giorni di governo, e la santa Se-
de rimase vacante più di sedici
mesi. Fu riposto il suo corpo nel
cimiterio di Calisto. Ciò che for-
ma la maggior gloria di questo
santo Pontefice fu il zelo e la fer-
mezza con cui dilatò e sostenne la
cattolica Chiesa.
FABRI o LE FERRE Giovanni,
Cardinale. Giovanni Fabri o le Fer-
re, dottore in ambe le leggi, nato a
Limoges, era cugino di Papa Gre-
gorio XI, il quale nel i37i, lo
creò Cardinale prete del titolo di
s. Marcello. L'anno innanzi, essen-
do decano della chiesa d'Orleans,
era stato da Urbano V innalzato
alla sede vescovile di Tulle. Morì
in Avignone nel 1372, nove mesi
FAB FAB 255
dopo la sua promozione ai cardi- Jlbacina, accrebbero 1' importanza
«alato. Non è da confondersi que- di Fabriano. Va qui notato, che
sto con un altro Giovanni Fabri la regione Sentinate, indi Fabria-
che fu vescovo di Chartres. nese, e talvolta la Camerte, ossia
FABRIANO ( Fabrìanen). Città Camerinese, non si compresero nel
con residenza vescovile dello stato Piceno memorato, ma nel duoato
pontificio, nella Marca, delegazione .Spoletino, nell'Umbria transapen-
apostolica di Macerata, e propria- nina, che i sennoni invasero, e che
mente nel Piceno antico, detto da dal fiume Esi al fiume Foglia
Augusto quinta regione d' Italia, venne poi racchiusa dentro i limiti
e poscia Piceno suburbicario, con- della Marca Anconitana,
finante coli' Umbria. Questa antica Ingrandimento ed abbellimento
città è posta a pie degli Apen- ebbe principalmente Fabriano dal
nini, fra 'quali si apre l'estesa pia- Pontefice Nicolò V con fabbriche
mira , ond' è circondata da dolci e decorazioni. Tra i suoi edifìzi
colli, con aria buona. La bagna e la cattedrale è pregevole per va-
quasi divide per mezzo il fiume stità, pei dipinti, e per altri orna-
Ciano , che vuoisi prendesse tal menti che l'adornano. Ivi ancora
nome da un sagrifizio fattogli da si custodiscono i sagri paramenti
Decio, ed è influente dell'Esi. Nel di arazzi, ricamati in seta ed oro,
suo stemma municipale si vede il donati ad essa da Nicolò V, e che
fabbro Giano, che alza sopra l'in- per l'antichità e pregevole lavoro
cudine il martello , dal culto del sono tenuti in estimazione. Quel
quale pretende di aver sortito il Pontefice li adoperò quando vi
proprio nome. Ha pure altro stem- pontificò nel giorno dell' Assunta
ma onorevole, di un campo metà del i449- Insigne è la collegiata
rosso e metà bianco, in memoria sagra a s. Nicola di Bari, di bella
della pacificazione del i524 fra i architettura, e decorata di un ca-
guelfi ed i ghibellini, rappresen- pitolo con un priore, dodici cano-
tati in que'due colori, come quelli nici, oltre i mansionari, e fra gli
che in vari tempi l'ebbero strazia- altri venerandi suoi templi, sono da
ta colle fazioni. Dalle rovine di encomiarsi i seguenti. Il santuario os-
Attidio, celebre municipio romano sia chiesa di s. Biagio con moni-
distrutto verso la metà del seco- stero dei camaldolesi, ove in ricco e
lo quinto, come poi meglio si dirà, nobile sotterraneo riposa il corpo del
ebbe origine il castello di Fabria- fondatore di loro benemerita ed il-
no, che per molti secoli fu uno lustre congregazione, il patriarca s.
de'quattro più celebri d'Italia, an- Romualdo: nella chiesa superiore
dando del pari cogli altri rinoma- si ammirano belle cappelle, con
ti tre castelli , cioè di Crema in qualche interessante dipinto. Avvi
Lombardia, di Prato in Toscana, pure la chiesa e monistero dei
e di Barletta nella Puglia; castel- monaci silvestrini, eh' è il princi-
li che, come Fabriano, furono eie- pale della loro congregazione : la
vati al grado di città, ed all'ono- chiesa è dedicata a s. Benedetto,
ranza d'illustri seggi vescovili. Le i cui recenti restauri fanno risplen-
rovine di Sentino, e dell'altro mu- dere le molte sue decorazioni, e
nicipio romano Tiifico3 ov' è oggi pitture affresco. Lodato n'è Tar-
?.56 FAB
chitelfo, perche superando le cliffì-
eoltà dell'arte, seppe erigere soli-
damente, a cagione dell'area, sopra
un sagro sotterraneo, una bella
chiesa. Questi monaci in Monte Fa-
nof poco distante dalla città, cu-
stodiscono con molta venerazione
il corpo di s. Silvestro abbate loro
fondatore, essendo il luogo ov'egli
morì. Il convento e la chiesa di
s. Francesco de'minori conventuali:
questa è antichissima, e di gotico
stile; nel secolo decorso fu benefica-
ta e riedificata da Clemente XIV, ad
istanza del p. Giuseppe Bontempi,
eh' era figlio di quel convento e
benaffetto a quel Pontefice, il qua-
le avea appartenuto al suo ordine
de'convèntuali . Il prospetto late-
rale di questo tempio è ornato di
grandiose loggie, che Nicolò V, nel-
la lunga stazione che fece in Fa-
briano, a mezzo dell'architetto Ber-
nardo Rossellini fece costruire al-
lorquando rifabbricò tal chiesa dai
fondamenti, e fece ingrandire la
gran piazza. Queste loggie metto-
no nell'istessa piazza, che la co-
mune nel 1088 adornò con vaga
fonte, ed a proprie spese, ciò che
altri attribuiscono falsamente a Ni-
colò V, o ad Alessandro VI, o ad
un Chiavelli. L' ampiezza di tal
piazza serve a divertire il popolo
col giuoco del pallone ; ed altre
volte colla caccia del toro, cioè
prima che Pio Vili provvidamen-
te abolisse nello stato ecclesiastico
sì fatta specie di giostre. Di fron-
te antichi portici introducono al-
l'ampio palazzo vescovile, essendo
il palazzo della comune alle mede-
sime loggie congiunto. Contiguo al
palazzo comunale evvi 1' oratorio
denominato della Carità, apparte-
nente all'istessa comune. In questa
chiesa esistono diecinove dipinti di
V A B
Filippo Bellini, celebrati dal Lnnzi
nella Storia (iella pittura, ed una
tavola di Ambrogio monaco greco,
lodata anche dall' Agincourl. Poco
lungi è un'altra piazza assai più
grande , ma non lastricata, la quale
giunge vicino al fiume, che vi stra-
ripò cagionando molti danni nel
settembre 1807, con alcuni por-
tici all'intorno pei settimanali incr-
eati. 11 ponte sul Giano fu costrui-
to dallo stesso Rossellini, che me-
ritò di essere ricordato dall' Agin-
court nella Storia delle arti, e
regge molti edifici su ambi i suoi
lati, proseguendo l'andamento della
contrada.
Vi sono in Fabriano: uno speda-
le pegli esposti , eretto dal celebre
s. Giovanni della Marca nell' an-
no i456, ponendovi la prima pie-
tra, come si ha dallo stesso Agin-
court, monsignor Orsini arcivesco-
vo di Taranto presidente del Pice-
no; un altro pegli infermi già fioren-
te nel 1 3 1 6, ed a cagione della
pestilenza allora afìidato alla cura
dei cavalieri dei ss. Maurizio e Laz-
zaro; il monte di pietà, uno de'più
antichi in Italia, perocché fu eret-
to nel 1496 dal b. Marco di s.
Maria in Gallo; il monte fìu-
mentario, ed altri pii stabilimenti.
Nel pontificato di Pio VI fu eietto
l'orfanotrofio, per cui le medaglie,
che nella pontificia zecca si conia-
rono nel 1783, da una parte ave-
vano l'efligie del Papa, colle paro-
le in giro : providentia pii vi font,
max. anno viii , e nel rovescio
l'edifizio dell'orfanotrofio, coll'epi-
grafe: gynecaeum pupillarum fabria-
NI EXCITATUM.
Due musei di storia naturale,
e di bellissime opere in avorio
si posseggono dai nobili Rosei ,
e Possenti ; musei che acquistano
FAB
giornaliero incremento. Il musco
o collezione di avori in Fabriano,
per la sua copiosa e squisita raccol-
ta presenta la storia progressiva
dell'arte in questo genere, essen-
dovi avori superbamente lavora-
ti al tornio , allo scalpello , a
graffio, a tarsia, ad impressione, ed
in un modo misto, che degli altri
cinque partecipa. Di ognuno di
que'sei generi è la raccolta dovi-
ziosamente fornita. 11 benemerito
della patria, il conte Girolamo Pos-
senti, senza risparmio d'ingenti spe-
se e d'indefesse cure, divisò, e
col consiglio di parecchi artisti e
letterati venne meravigliosamente
a capo di riunire una sceltissima
serie di avori, unica che possa pre-
sentare al pubblico un'idea di quan-
to in varie epoche fu fatto dagli
uomini in questo genere, siccome
si espresse il chiaro storico della
nobile arte scultoria, il celebre Ci-
cognara. Va notato, che il conte
Cesare, padre di Girolamo, avea la-
sciata al figlio una limitata quan-
tità di oggetti scolpiti in avorio.
Al gusto, alla generosità si unì nel
conte Possenti l'amor patrio, e con
saggia antiveggenza, perchè cotan-
to raro e prezioso museo conti-
nuasse per sempre a decorare Fa-
briano, e giammai fosse da essa
rimosso, vi stabilì un fidecommis-
so, a cui chiamò pel primo, sic-
come privo di prole, il nipote con-
te Gio. Battista Pettoni-Possenti ;
e volle che in lui continuasse il
nome della famiglia Possenti, prov-
vedendo a un tempo alia perpetua
conservazione d'un prezioso monu-
mento di eburnei lavori di ogni spe-
cie. A prendere un' idea di questo
tesoro va letto l'opuscolo intitola-
to : Vùìta al museo di avori in
Fabriano, ove dicesi da quali ope-
VOL. XXII.
FAB 257
re è siffatto opuscolo rammentato.
11 Tiberino, distinto giornale ro-
mano , con quarantadue articoli
dell' autore dell' opuscolo, illustrò il
museo, cui dagl'intendenti non si
dubita di attribuire il primato su
quelli di simile genere, esistenti
nelFItalia.
In Fabriano l'industria è stata
sempre operosa, e gli si attribui-
scono (sebbene da taluno contesi)
i primi sperimenti del prezioso ri-
trovato di ridurre a carta gl'inu-
tili stracci di lino. Ne' suoi archivi
si vedono protocolli in carta di li-
no, che portano la data del fine
del secolo XIII ; ed il celebre Bar-
tolo., che scriveva verso la metà
del secolo XIV, fa menzione delle
carte di Fabriano, che unitamente
alle pergamene conservano tuttavia
la loro rinomanza . La cartiera
dei Miliani, è già giunta ad imi-
tare le carte forastiere, ottenendone
della maggior grandezza per le im-
pressioni de' rami.
11 Tiraboschi dà ai fabrianesi
il vanto di aver scoperto l'arte di
fabbricare la carta collo straccio
di lino, la quale a parer suo è
compresa in quella sotto il nome
di carta di papiro, come si legge nel
tom. V, part. 1, pag. 99 e 100
della Storia leti. d'Italia, e ne'do-
cumenti che sono citati nel Pice-
num del Pamphili colle note del
Durastanti a pag. LVII. Quelli poi
che disputano a Fabriano sì fatto
merito, non negano che i fabria-
nesi furono i primi a seguire con
impegno l'invenzione, e che la con-
dussero al maggior perfezionamen-
to, diffondendola i primi in altre
parti d'Italia, come Soia, Bologna,
Firenze, Trevigi ec, e conducendo-
la al maggiore perfezionamento ,
tentando pure per i primi in Ita-
17
258 FAB
lia la sostituzione di altre materie
allo straccio, siccome fece il colto
fabrianese Carlo Campioni, che
l'ottenne dalla paglia, dalla malva,
dal grano turco, dai fagiuoli, da mol-
ti altri vegetabili, e sino dalla se-
gatura di legno mista ad un terzo
di straccio, come si legge nel Gior-
nale Arcadico tomo XIV, p. 3o5.
Non più venticinque^ come negli
scorsi secoli, ma tuttavia sono mol-
ti e grandiosi gli opificii delle car-
tiere in Fabriano, i quali un tem-
po fornirono nou solo gran parte
d' Italia, ma eziandio i paesi di
oriente, divenendo inesausta sor-
gente di ricchezze. Ancora la scelta
carta fabrianese si diffonde per
molti luoghi dello stato pontificio
e dell'estero, essendone vivo ed
ubertoso il corrispondente commer-
cio. In Fabriano sono in oltre di-
verse fabbriche di vari oggetti. E
se può dirsi ora affatto perduta
l'arte della lana, è a sapersi che
la sua università nel medio evo ten-
ne commercio fiorente col levan-
te, ed a ciò deve Fabriano il suo
ingrandimento e molte opere pub-
bliche: l'arte della lana nata sotto
il nome di arte delle pannine
o rascie, di cui vi erano venti-
cinque fabbriche, oltre quella delle
calzette a mano lavorate, ebbe
inutilmente a suo favore nel 1784
la mano benefica di Pio VI. Sus-
sistono tuttora le fabbricazioni del-
le pelli, pergamene ec, e quella del
cremor di tartaro, sostituite alle
altre del nitro e della polvere; final-
mente quella delle terraglie portate
ora a molta finitezza per le cure
del cav. Antonio Ronca, comeehè
anni prima se ne lavorassero con
que' pregevoli dipinti allora in co-
stume.
La giurisdizione, ossia il regime
FAB
di Fabriano fu un tempo presso
due consoli eletti per un anno fra
i cittadini, secondo l'uso delle no-
bili città d' Italia, come particolar-
mente apparisce da varie tavole
del secolo sesto e duodecimo, non
che dal processo fatto ad istanza
del senato fabrianese in occasio-
ne di lite per giurisdizione coi
presidi della Marca, nel quale si
portano più di cinquanta teslimo-
ni. Dopo i consoli nel secolo de-
cimoterzo ogni sorta di amministra-
zione occuparono nobili personag-
gi giureconsulti, col titolo di po-
destà, da principio fabrianesi, quin-
di esteri, che dagli stessi fabriane-
si si sceglievano nelle nobili città
d'Italia, e quindi soltanto nelle
persone soggette alla santa roma-
na Chiesa, per sei mesi, come ri-
levasi dalla bolla del Pontefice
Sisto IV, data in Foligno a' 17
settembre 1 47^- Al dire del eh.
Calindri, Saggio statistico-storico
dello stato pontificio, fu Sisto IV
che nel i474 decorò Fabriano
del titolo di città, quindi confer-
mato nel 1728 da Benedetto XIII.
La dignità poi dei memorati po-
destà fu tanta, che Mattia Conti
romano, nipote di Gregorio IX,
Giovanni Visconti consanguineo di
Gregorio X, Orso degli Orsini ni-
pote di Nicolò III, Marco Corna-
lo nobile veneto, ed altri molti
della primaria nobiltà, ebbero per
sommo onore la pretura di Fabria-
no. Nel secolo seguente, ossia il
decimoquarto , la funsero Bevineo,
Ciuccio, Pietro Elamberte, de Pur-
lati Aretini di Pietramazza, Claret-
to Gentile signore di Fermo, Nelfo
conte di Montefeltro, Magliardo
degli Ubaldini, ed altri nobili e
valorosi personaggi. Nel secolo de-
cimosesto Leone X elesse a perpe-
FAB
tuo governatore di Fabriano il Car-
dinal Innocenzo Cibo suo nipote,
come consta dal breve pontifìcio,
Alma Metter Ecclesia, col quale
però Leone X revocò Ja detta for-
ma di governo, esprimendovi alcu-
ne cose. Tutta volta siccome i fa-
brianesi mai poterono piegarsi a
riconoscere col dovuto ossequio
tal perpetuo governatore, non ebbe
effetto . Ciò non pertanto otten-
nero di poi da Leone X il governo
di Fabriano, il proprio cugino
Cardinal Giulio de' Medici, poscia
Papa Clemente VII, e l' altro ni-
pote Cardinal Salviati. Quindi Cle-
mente VII nominò a governatore
Varino vescovo di Nocera, e suc-
cessivamente i vescovi di Tivoli,
e dell'Aquila, e finalmente il con-
te Nicolò Piccini di Siena. Piitornò
poscia la giurisdizione ai pretori,
e presidenti del Piceno , finché
Paolo V, cosi esigendolo il biso-
gno del popolo, ordinò che fosse
retto dai prelati della santa Sede,
colla dignità e nome di governa-
tore. Tali prelati governarono sino
al declinare del secolo decorso,
ed ai primi del corrente, finché
occupato di nuovo lo stato ponti-
fìcio dai francesi, nel 1808, Fa-
briano divenne vice- prefettura e
capo luogo di un circondario del
dipartimento del Musone: estenden-
dosi il suo territorio a Sassoferrato,
Arcevia, Barbara, Serra de' Conti,
Fossato, e Sigillo. Stabilito vi fu
1' uffizio del bollo e registro, e can-
celleria del censo, che vi restano
tuttora; e dopo il 18 14 venne
stabilito un governatore secolare.
Oggi ha ne' limiti del suo distret-
to anche i governi di Sassoferrato,
e de' castelli che nomineremo.
Prima la città mandava rappre-
sentanti alla congregazione gover-
FAB 2%
nativa delle Marche in Loreto.
Elesse un giudice di appellazione.,
ed ebbe talora il privilegio della
zecca, intorno a cui possono leg-
gersi i Cenni storici pubblicati dal
eh. Camillo Bamelli in Fabriano
pel Crocetti, nel i838, con disegni
di monete. Al governo di Fabria-
no soggiacciono le comuni di Ser-
ra s. Quirico, cogli appodiati Do-
mo, Rotorscio, e Sasso. Dalla am-
ministrazione sua municipale inol-
tre dipendono gli appodiati Albacina
con tre villaggi annessi, Cancelli,
Cerreto, Colle Amalo con due su-
balterni casali, e San Donalo. An-
ticamente Fabriano aveva ed ha
tuttora sotto di sé moltissime vil-
le, e principalmente i seguenti
quindici castelli: Albacina, Cerreto,
Colle Amato, Belvedere, Cancelli.
Bastia, San Donato, la Genga feu-
do della famiglia di Leone XII,
e vera patria di quel Pontefice,
come si vedrà a quell' articolo ,
31 o?ite Orso, Tor ricella, Piero-
sara, Porcicchie, Por car ella, Ca-
stelletta, e Duomo. Di questi castel-
li andiamo a dare un cenno sto-
rico mentre della Genga (Vedi)
se ne parla a quell'articolo.
Albacina fu edificata dopo che
i longobardi , forse a* tempi di
Desiderio, distrussero l'antica e no-
bile città di Alba che non fu ai
piedi dell'altissimo monte Sanvici-
no o Suavicino, o dove sorge ora
Albacina, spettando al municipio
di Tufico gli antichi avanzi , i
marmi e le medaglie che si ritro-
vano colà presso la riva del. fiume
od in Fabriano; ma sibbene special-
mente in un colle detto Cavalalbo,
tra Sassoferrato, Arcevia e Genga,
siccome mostrò il p. Brandimarte
nel suo Piceno annonario, cap. 5. Di-
cesi che Albacina aveva tre rocche
260 FAB
chiamate Altiera, di s. Giorgio, e
Fonte, che la difendevano. Avvi
la chiesa di s. Venanzio vescovo
di Luni, col suo corpo, fiorito nel
VI secolo, la cui festa celebrasi
a' 7 giugno. Venne questo castello
sotto la giurisdizione di Fabriano
nel 12 io o 121 1, facendone dona-
zione, altri dicono vendita, Gentile
del conte Franco, il quale fu dal-
la repubblica rimeritato ne' discen-
denti coli' esenzione da tutte le
gravezze . Il castello di Cerreto
fu fabbricato a' tempi de* goti per
opera del famoso Belisario, alle
radici del monte Sanvicino , cosi
chiamato dall' adorarsi ivi la dea
Cerere: Innocenzo III volendo com-
pensare i fabrianesi per l'aiuto da-
togli contro Enrico VI imperatore
donò loro il castello nel 1 2 1 1 . Ivi
fiorirono diversi capitani , e Teo-
baldo Starnotti in premio fu da
Clemente VII fatto comandante di
Castel s. Angelo (Fedi). Nelle Me-
morie di Matelica, a pag. 68, si
legge che il castello di Cerreto fu
venduto a Fabriano a' 26 aprile
12 io da Appilliaterra figlio del
conte Guarniero. Colle Amato, co-
sì detto dalla sua amena posizio-
ne, vanta l'origine dagli attidiati ,
o dai milanesi profughi dopo l'ec-
cidio fatto della loro patria da Fe-
derico I, o dai fabrianesi : soffrì
molto negli anni 11 99 pei mate-
licani, e nel i34g per Alberghet-
to Chiavelli, mentre Chiavello IV,
signore di Fabriano, nel 1421 ri-
fece le muraglie che lo cingono.
Colle Amato, per autorità di Pa-
pa Giovanni XX, verso il io33,
passò sotto la giurisdizione di Fa-
briano. Belvedere fu dai nocerini
edificato fra l'apennino e il mon-
te Regedano sotto l'impero di Tra-
jano, quindi sotto quello di Gor-
FAB
diano lo venderono per sei mila
scudi a Camerino, dal quale passò
ai gualdesi, indi di nuovo a Ca-
merino, finché nel io43 lo com-
prò Fabriano per ottomila fiorini.
Vengono Saradica, Cacciano t Can-
celli. I due primi castelli furo-
no edificati verso l'anno 1129, da
due mercadanti pisani fuggiti dalla
rovina che i genovesi avevano fat-
to di loro patria , ed Ufred uccio,
uno di essi, li donò a Fabriano,
giacche aveano bene accolti e fatti
cittadini lui ed i compagni suoi.
Nel i349 i due castelli si ribella-
rono ai fabrianesi, il perchè Al-
berghetto I ne spianò le mura, e
divennero ville. In quanto a Can-
celli fu una villa, che per opera
de' fabrianesi divenne castello , e
perciò cinto di mura, avendo due
miglia distante la sorgente del fiu-
me Giano, poi chiamato Esio. Ba-
stia 3 Monte Orso 3 Torricella:
il primo è un castello che alcu-
ni fanno salire ad un'epoca roma-
na, ed il cui nome falsa mente ri-
petono dal Busta Gallonivi di Pro-
copio, ed altri, quantunque siavi
l'avanzo di un'antica strada che da
Luccoli menava al Senlino, dicono
ch'ebbe nel i443 l'ingrandimen-
to da Francesco Sforza. Ingrandi-
to fu pure da Tommaso Chiavelli
il secondo castello, verso l' anno
i423, ed il terzo nel 1243 lo fu
principalmente per Gualtiero Chia-
velli. San Donato ebbe principio
con Sassoferrato e Fabriano , cioè
dopo la distruzione di Sentino e
di Attidio, prendendo il nome che
porta perchè s' incominciò a fab-
bricarlo nel dì sagro a tal santo,
venendo ceduto a Fabriano verso
il 1220. Pierosara è un castello
antichissimo edificato sulla sinistra
sponda dell'Esio da alcuni cittadi-
FAB
ni romani, fuggitivi dalla crudeltà
di Nerone, anche per conservare
la fede cristiana che avevano ab-
bracciata. Da qui passa la strada
detta la Rossa, tra altissime mon-
tagne; e Perosara nel 1284, per
concessione di Martino IV, venne
data a* fabrianesi. Duomo vuoisi
edificato dai goti, o da alcuni osi-
rnani l' anno 546, quindi si pose
sotto la protezione di Fabriano a
cui poi lo die Gregorio XI in
premio di fedeltà, ovvero Leone
X nel i52o. Le Procicchie e Por-
carella ebbero signori particolari,
donde passò nel 1094 ai fabria-
nesi. Finalmente il castello di Ci-
vita sul monte di tal nome , non
ha che vetuste reminiscenze.
Che la religione cattolica abbia
sempre fiorito in Fabriano, oltre
quanto si dirà in progresso, baste-
rà il riflesso che prima del mille
aveva tutto all' intorno moltissimi
monisteri di benedettini, i quali
vi ebbero potenti abbazie; che nel
secolo XIII vi ebbe culla ed in-
grandimento la congregazione sil-
vestrina ; che vi prosperò in modo
particolare la francescana , special-
mente in Valle Romita, luogo ce-
lebrato da molti scrittori, ed ono-
rato del soggiorno dei santi Fran-
cesco d'Assisi, Bernardino da Sie-
na, Giacomo della Marca, Giovan-
ni da Capistrano, ed altri ; che nel
XVI secolo vanta in s. Maria del-
l'Acquarella presso Abbacina l'isti-
tuzione dei cappuccini, i quali ori-
ginati nel modo che dicemmo al
loro articolo, tennero nel 1529 in
quel convento, stato per essi il ter-
zo, il primo capitolo, ove statui-
rono le loro costituzioni, ed elesse-
ro il primo superiore generale; e
finalmente ch'entro le proprie mu-
ra, sino alle note ultime vicende,
FAB 26!
ebbe dieciotto case religiose d'am-
bo i sessi, delle quali dieci ne so-
no superstiti, con grande utile del-
la città.
Oltre l'industria, fiorì in Fa-
briano pure la pittura, che a giu-
dizio del Lanzi fu una scuola mol-
to antica del Piceno. Nel secolo
XV ivi si fondò un'accademia det-
ta dei Disuniti, nella quale fiori-
rono molti uomini insigni, e nel
1725 tì fu fondata una colonia
d'Arcadia, chiamata Giania. Del-
l'accademia di Fabriano ne parla
Giuseppe Garuffi Malatesta nella
sua Italia accademica ec, Rimini
1688. Giuseppe Colucci poi ci ha
dato ( exst. nel tom. XVII dell'^rc-
tichità picene), Degli uomini illustri
di Fabriano, con una memoria del
governo politico di essa città, e la
serie dei podestà estratta dai zi-
baldoni di Francesco Lancellotti.
Qui riporteremo i principali fa-
brianesi degni di special menzione.
Leonardo Venimbeni, dottissimo fi-
losofo, astrologo e poliglotto ; Giu-
lio Argentino, giureconsulto; Tom-
maso Agostino Benigni, erudito in
varie scienze; Agostino, Giambat-
tista, e Girolamo Brunetti; Gio-
vanni Caldoro frate agostiniano; il
classico Gentile, il più famoso tra
i dipintori della fabrianese scuola :
scuola che molto fiorì dal XIV al
XVIII secolo; il b. Costanzo da
Fabriano domenicano , il cui culto
fu approvato da Pio VII ; fr. Fran-
cesco Festo de' minori, santo, e
dotto; diversi della famiglia Flo-
rio, e di quella dei Giampè; Ono-
frio Gilii ; Margherita Niccolini, di
cui parleremo, e le poetesse Livia
Chiavelli , Ortensia di Guglielmo ,
Eleonora della Genga , Giovanna
Fiori, una delle prime a scrivere
commedie in italiano; fr. Nicolò
262 FAB
da Fabriano , fatto anticardina-
le dal pseudo-pontefice Nicolò V
nello scisma di Lodovico di Ba-
viera, filosofo, teologo, e predicato-
re esimio ; alcuni lo dicono della
famiglia Chiavelli, altri dicono che
abbia dimesso la dignità, ed altri
che a lui la concedesse il Papa
Giovanni XXII. Vanno inoltre lo-
dati Mambrino Roseo, Gio. An-
drea Gilio, Agostino Angelelli, Giu-
seppe Favorini Clavari , Antonio
Possenti vescovo di Montefeltro ec,
Andrea Petrolini camaldolese, Sal-
vatore Severini agostiniano, Anni-
bale Stelluti, e Francesco Stelluti,
uno de' primi tre compagni di Fe-
derico Cesi nella fondazione della
celebre accademia de' lincei. Ma
su di questo insigne letterato, va
letto il dotto Discorso intorno a
Francesco Stellati da Fabriano ,
del chiarissimo suo concittadino, il
professore Camillo Ramelli acca-
demico linceo, e membro di al-
tre accademie, Roma iSzj-i- Final-
mente meritano special menzione
il Cardinal Giuseppe Vallemani
(Vedi)3 nato da Francesco, e da
Maddalena de' conti della Genga,
ch'ebbe la sagra porpora da Cle-
mente XI ; Francesco Corradini ,
vescovo de'Marsi, oltre altri di que-
sta famiglia; Reginaldo Archibu-
gieri, abbate generale de' camaldo-
lesi ; Alberghetto Chiavelli, erudi-
tissimo in tutte le scienze; Vin-
cenzo Petrolini, vescovo di Mura-
no; Pietro degli Anselmi, filosofo
dottissimo a cui la morte involò
la porpora cardinalizia; Vincenzo
Pierini medico; Adriano Bussi, e
Andrea Vallemani, abbati camal-
dolesi ; e sul fine dello scorso se-
colo il Buti, il Saraceni, il Cinotti,
il Marcellini, il Casini, ed i pre-
lati Carlo Vallemani, Carlo ed At-
FAB
tone Benigni, Silvestro Bargagna-
ti ec. ec, senza nominare altri che
fiorirono per dignità ecclesiastiche
e civili, nelle arti, nelle scienze, e
in santità di vita, e persino nelle
armi. Fra i santi però sono a ri-
cordarsi il b. Costanzo, il b. Gio-
vanni dal bastone, i beati Gio-
vanni e Pietro fratelli Becchetti
agostiniani , il b. Venimheni , il b.
Andrea Sanucci, il b. Ranieri, ed
altri trenta de' quali si pregia que-
sta città.
Fabriano ebbe origine nel se-
colo Vili , dopo che i longobardi
furono vinti dalle armi di Carlo
Magno, e dopo che fu distrutto il
loro regno. Non ebbe origine dalla
distruzione di Sentino fatta da quei
barbari, ma sibbene dalle rovine
di Attidio manomessa da Alarico
re de' goti, o dagl'istessi longo-
bardi, o da quelli di Tufico, altro
municipio appartenente alla tribù
Affentina di sopra ricordato , che
soggiacque alla stessa sorte, di
cui parla il Colucci nelle Antichi-
tà picene, t. II, e di cui si dette-
ro non ha guari alcune lapidi ine-
dite nel Tiberino , e nell'Arcadico
giornali romani, dal lodato Ramel-
li. Attidio o Attiggio fu antica e
nobile città, non che municipio dei
romani, appartenente alla tribù Le-
monia, come attestano molti sto-
rici, le medaglie, ed altri avanzi
di sua esistenza rinvenuti nel ca-
stello di Attiggio , posto nel sito
ove sorgeva la città, cioè nella pia-
nura eh' è tra Fabriano e Colle
Amato. Sembra che nel novembre
del 41 19 Alarico la facesse distrug-
gere, ma non si può affermare.
Certo è che il castello che gli suc-
cesse, col territorio, fu donalo al
comune di Fabriano nell' anno
ii 65; come è altresì vero, che i
FAB
fabriauesi ebbero per lungo tempo
e sino al 1216 il fonte battesimale
nel castello di Attidio. Dell'antica
città di Attidio parla Giuseppe Co-
lucci nelle Antichità picene , tom.
IV.
Dopo la vittoria Carlo Magno
restituì al Pontefice Adriano I le
terre, che i longobardi avevano
usurpate alla Chiesa romana, tra
le quali quelle di questa regione.
Gli abitanti di Altiggio ed altri
de' dintorni, tratti dalla temperan-
za dell' aria, dalla comodità delle
acque e dalla bellezza del sito co-
minciarono la edificazione di Fa-
briano, verso l'anno 776 o 777,
e siccome vi esistevano egualmen-
te che in Sentino e Tufìco ricchi
e celebrati collegi di artisti (alla
latina Fabrorum), che il Murato-
ri interpretandone i marmi, e i
decreti tuttora esistenti , giudicò
essere dei Cen tonarli, ossia facito-
ri di schiavine ed altri lavori vili
di lana ( arte principalissima in
Fabriano dalla sua origine a tutto
lo scorso secolo siccome dicemmo),
e dei Denaro fori , ossia sacerdoti
di Cibele ed A ti o Attide, tanto
perciò connessi con Attidio sacro
a quella seconda divinità ; cosi si
reputa con fondamento che dai
collegi sopraddetti Fabriano venis-
se fabbricata e traesse il nome, os-
sia come Pompejanum da Pom-
pei , Lucullianum da Lucullo, Tul-
lianum da Tullio, ed altri molti
luoghi che furono alla latina chia-
mati. Egualmente lo sarà stato
Fab rianimi da Fabri , cioè artisti
ed artigiani di Attidio e Tufico.
Ne qui va taciuto, sebbene poco
appoggiata dalla critica, sulla ori-
gine di questa città, la costante tra-
dizione storica tramandata sino a
noi dalla remota antichità, dicen-
FAB 263
dosi che primieramente si compose
di due castelli, uno chiamato Pog-
gio, ov'è ora il monistero di s. Mar-
gherita, l'altro appellato il Castel
vecchio, cioè dove sorge il moni-
stero di s. Caterina. Essendo tra
le genti di questi due luoghi tan-
to vicini, divisi solo da piccola val-
le, frequenti discordie ed inimi-
cizie, un buon vecchio, per nome
chiamato mastro Marino, che go-
deva presso gli abitanti de' due
luoghi qualche reputazione, ed eser-
citava sul fiume Giano , poco più
da basso nella valle, ov'è ancora
il ponte antico, il mestiere della
fabreria, spesse volte gli mise d'ac-
cordo, e gli riuscì persino a for-
mare dei due castelli un solo, affin-
chè godessero gli abitanti perpe-
tua pace. Gli abitanti allora inco-
minciarono a dilatarsi, ed a for-
mar la terra che poi chiamarono
Fabriano, come quella che per ope-
ra del fabbro dimorante sul fiume
Giano, ebbe principio, ciocché cor-
risponde all' impresa araldica della
comune di cui facemmo di sopra
parola. Si narra ancora che i sen-
tinati, e gli altri abitatori di que-
sti luoghi ottenessero a Fabriano
da Adriano I, e da Carlo Magno il
mero e misto impero; che per
agevolare l' erezione degli edilizi,
per dieci anni fossero esentati da
ogni pubblica gravezza; e che Lo-
dovico vescovo di Sentino ponesse la
prima pietra ne' fondamenti , rile-
vandosi che sino da' suoi principii
la città prese quella celebrità, che
la fece noverare come uno de' quat-
tro nobili e grandi castelli pri-
mari d'Italia.
Sino all'anno io io non si han-
no certe notizie storiche del suc-
cessivo stato di Fabriano, se non
che a detto anno figurarono in
a64 FAB
aiuto della repubblica di Firenze,
e contro Fiesole, i capitani fabria-
nesi Antonio e Federico alla testa
di trecento concittadini , che coo-
perarono alla disfatta di Fiesole.
Quando 1' imperatore Enrico IV
rivolse le sue armi contro Firen-
ze, colla quale, non meno che con
Genova, Fabriano per Farle della
lana, principaJe anche in quelle fa-
mose repubbliche, ebbe comuni in-
teressi, reggimento e perfino il sau-
to protettore Gio. Battista, fu da
duecento fabrianesi sussidiata Fi-
renze stessa, che li ricolmò di do-
nativi dopo aver respinto l' impe-
ratore. Non solo Fabriano divenne
confederata, pel valore de' suoi, di
Firenze, ma anche di Foligno, e
di Perugia. Nella occupazione che
fece l'imperatore Federico I, dei
dominii della santa Sede, un suo
parente capitano di cinquecento uo-
mini, chiamato Ruggiero di Chia-
velli, s' impadronì di Fabriano , e
trattolla sì soavemente che gli abi-
tanti presero ad amarlo, il perchè
Ruggiero li protesse presso Fede-
rico I, ed in vece di seguirlo nella
spedizione dell'Asia, si elesse Fa-
briano per patria, congiungendosi
in matrimonio colla figlia del si-
gnore della rocca chiamata la Ca-
pretta. Da questo maritaggio deri-
varono quelli che in progresso po-
tentemente dominarono Fabriano.
II benemerito storico di Fabria-
no Scevolini, domenicano di Ber-
tinoro, dice che la famiglia Chia-
relli è antica d'Italia, non prove-
niente da Germania , muovendolo
a ciò affermare, la memoria della
beata Filomena. E perciò a saper-
si, che in Sanseverino a' 5 luglio
i526, facendosi nella chiesa di s.
Lorenzo di nuovo l'altare maggio-
re, si rinvenne nel muro antico
FAB
una cassa di legno, che sembrava
fatta da poco tempo, con entro un
corpo tutto intero, colle treccie dei
capelli al capo avvolte con vari fio-
ri ed erbe, che sembravano allora
colte, e con questo scritto : « Cor-
» pus sanctae Philomenae ex nobi-
h li Clavellorum prosapiae septem-
» pedanae tempore gothorum trans-
Ai latura in ecclesia s« Severini
» post aliare majus "; e nel fine
Severinus episcopus maini propria.
Da ciò si vede che la famiglia Chia-
velli già era nobile ed antica in
Settempeda , dalle cui reliquie si
edificò Sanseverino, al tempo dei
goti, e che verso l' anno \\i si
portarono in Roma ; od almeno
che nelle vicende politiche, i Chia-
velli passarono in Germania, dove
s'imparentarono colla famiglia di
Federico I, e ritornati con lui nel-
le loro parti, vi si vollero ristabi-
lire.
Subito i fabrianesi nel 1179
provarono gli effetti del valore e
perizia militare di Ruggiero Chia-
velli, contro Camerino, Rimini, ed
Ancona. Quindi, essendo morto nel
1197, fu sepolto onoratamente nel-
la chiesa ora cattedrale di s. Ve-
nanzio. Qui noteremo che la pri-
ma alleanza che fecero i matelica-
ni coi fabrianesi nobili e plebei,
fu nel 1191, ma fu rotta di poi
nell'anno 1 199, indi ristabilita con
solenne concordia con diversi ca-
pitoli nel 121 1. Intanto conser-
vandosi Fabriano fedele alla santa
Sede, mentre Marcualdo generale
dell'impero teneva tirannicamente
la provincia della Marca , supera-
rono il nemico con forte esercito ,
guidato dal prode Gualtiero figlio
di Ruggiero. Indi nel i23i s. Sil-
vestro Gozzolini d' Osimo , fondò
nel monistero di Monte Fano, da
FAB
lui edificato presso Fabriano , la
congregazione monastica , che da
lui prese il nome di Sìlvestrina
(Fedi). Disgustatosi il Pontefice
Gregorio IX coli' imperatore Fede-
rico II, nacquero o per dir meglio
si aumentarono le celebri e mal-
augurate fazioni de' Guelfi (Vedi),
e de' Ghibellini (Vedi), i primi se-
guaci del Papa, i secondi dell'im-
peratore. Ne provò i funesti effetti
lungamente anche Fabriano, dappoi-
ché Alberghetto Chiavelli , con la
parte de' più nobili, si diede a se*
guir la fazione ghibellina, tentando
d' insignorirsi della città, e il po-
polo si accordò co' guelfi ; per lo
che molte volte fu cacciato Alber-
ghetto , e molte volle da lui fu
presa Fabriano e governata a suo
modo. 3Nel 1255 Frollando nipote
di Alessandro IV, rettore e legato
della Marca, permise ai fabriane-
si, ed ai matelicani di poter guer-
reggiare coi camerinesi; indi Al-
berghetto ingrandì le mura di Fa-
briano, comprendendovi il moni-
stero degli agostiniani eretto dal
suo genitore Gualtiero, ingrandi-
mento che la comune compi nel
i3oo. Passati sei anni Alberghet-
to fu dalla città cacciato, nel qual
tempo furono creati in Fabria-
no sedici gonfalonieri, quattro cioè
per ogni quartiere, per opera d'un
podestà pisano, che diede il nome
alla porta verso s. Antonio, onde
conservar la pace e la libertà del-
ta terra. Contemporaneamente fu
segnalo il trattato di pace tra Ca-
merino da una parte, e Matelica,
Sanseverino e Fabriano dall' altra.
Non andò guari, che nel 1 3 1 7 Al-
berghetto con trecento cavalleggie-
ri ritirandosi dal servigio che avea
preso nell' esercito del re di Napo-
li, occupò Fabriano, e profittando
FAB 265
delle cittadine discordie, volle es-
serne chiamato signore. Ampliò
quindi le muraglie per compren-
dervi le case edificate al di fuori,
e mentre la cappella di s. Nico-
lò convertiva in una chiesa , do-
vette fuggire.
Afflitta l'Italia per la residenza
che i Pontefici sino dal 1 3o5 fa-
cevano in Avignone, fu messa a
scompiglio dallo scismatico Lodo-
vico di Baviera, ed allora Alber-
ghetto profittando delle circostan-
ze, ed essendo stato fatto vicario
di Fabriano da Lodovico, come si
ha dal Borgia, Memorie isteriche,
t. Ili, p. 3oo„ costrinse i fabria-
nesi a ribellarsi alla Chiesa ro-
mana, e ad unirsi ai ghibellini, ma-
nomettendo con essi più luoghi ,
finche l'esercito ecclesiastico, coman-
dato da Tanò signore di Reggio,
distrusse quello de'fabrianesi, e la
città trovossi in profondo lutto im-
mersa, per tanti morti, e tante
perdite fatte, non che involta nel-
la lagrimevole eresia de' Fraticelli
(Vedi), che sussistettero sino al
pontificato di Martino V, ed in
Fabriano sino a Nicolò V. Nella
coronazione eh' ebbe luogo in Ro-
ma del suddetto Ludovico, fr. Ni-
colò da Fabriano eremitano di s.
Agostino, montò in un luogo emi-
nente, invitò a difendere l'impe-
ratore, che il Pontefice Giovanni
XXII avea scomunicato, quindi in-
veì con un discorso contro di
lui, e in favore di Ludovico. Al-
lora questi dichiarando decaduto
Giovanni XXII, creò in antipapa
Nicolò V, il quale tra i sette Car-
dinali che promulgò, vi comprese
fr. Nicolò da Fabriano, e spedi
nuovi vescovi in varie parti. Non
deve però tacersi, che nelle citate
Memorie di Matelica, a pag. 1 1 7,
266 FAB
è detto all' unno i326, che io tal
lillà i frabrianesi, da Amelio ret-
tore furono riconciliati col Ponte-
fice Giovanni XXII. 11 Colucci nel-
la sua Trcjity a pag. i 17 e seguen-
ti, narra come il detto Papa fa-
cesse assolvere i fabrianesi, dopo
che essi cogli altri ribelli ebbero
giurato fedeltà nelle mani di Pie-
tro vescovo Mirapiscense, a ciò de-
stinalo dal Cardinale Bertrando ret-
tore della provincia, di abbando-
nare il partito ghibellino, e quello
del principe bavaro, che avea spe-
dito nella Marca il conte di Chia-
lamonle per guadagnar genti. Con-
linuando le rappresaglie di Alber-
ghetti) su Fabriano e circostanti
terre dalla rocca di Bellario ove
crasi fortificato, il legato della Mar-
ca per Benedetto XII, nel 1 338
inviò a Fabriano Lipazzo di Osi-
mo per una tregua e pace gene-
rale, il quale colla sua persuasiva
facondia, ricompose gli animi. Al-
berghetto restituì la rocca di Bel-
lario alla comunità, e questa a lui
le possessioni, e la calma fu resti-
tuita a Fabriano ; sol per poco
turbata da molti banditi , dalia
carestia del 1 34o, e dalla succes-
siva pestilenza. Passati sei anni,
Alberghetto, tratto dalla cupidità
di dominare, si congiunse con Nol-
fo conte di Urbino, si portò ad
occupar la città contro la data fe-
de, e per tre anni pacificamente
la dominò, superando il colpo di
mano, che avea tentato per oppri-
merlo M. Salimbene dottore e ca-
valiere bandito da Fabriano, e i
suoi seguaci. Per sì fatto emergen-
te, alcune famiglie stanche dai fre-
quenti tumulti che gravitavano sul-
la patria, passarono a stabilirsi in
Grecia, in Schiavonia, ed altrove,
vedendo l'Italia tutta sossopra per
FAB
la dimora dei Pori telici in Avi-
gnone.
Correndo l'anno 1 347 Bel MU:_
se di deccmbre , Fabriano accolse
con grandissima pompa Lodovico
I re d' Ungheria, il quale con po-
deroso esercito recavasi nel regno
di Napoli per vendicare la vitu-
perosa morte del fratello Andrei,
marito della famosa regina Gio-
vanna I. Il re fu incontrato sino
a Sassoferrato , e magnificamente
trattato da Alberghetto signore del-
la città, il quale profittando del-
l'assenza de' Pontefici per consoli-
darsi nel potere, mosse i cittadini
ad offrire al re il loro governo, e
ad implorare la sua protezione. Lo-
dovico I accettò, promise difesa
e protezione, regalò con ricchi pre-
senti Alberghetto e la repubblica;
indi da Napoli inviò in governa-
tore, con diploma dato a' 22 feb-
braio i348, Giovanni figlio di Lan-
cislao di Rade, colla provvisione di
sessanta fiorini d'oro per ogni me-
se, raccomandandogli il buon go-
verno, tutela, e cura di Fabriano,
sue terre e castella. Alberghetto,
co' fratelli Giovanni e Crescenzio
Chiavelli furono invitati dal re a
seguirlo colle loro belle truppe al-
la conquista del regno di Napoli,
ove si distinsero in Sulmona, e nel-
le altre vittorie riportate dai regi
eserciti. In progresso Alberghetto,
imitando gli Ottoni di Matelica, i
Scala di Sanse veri no, entrato in le-
ga con Giovanni Visconti ghibellino
che aspirava al regno di Italia, co-
me da istromento de' 2 5 marzo
i353, sostenne la sua dominazio-
ne contro i banditi, contro le ri-
belli terre, e contro i perugini col
ricuperare Rocca Contrada, mentre
la peste imperversò sui fabrianesi,
e fece molte vittime; tutlavolta la
FAB
città ebbe da Alberghetto de' miglio-
ramenti, e la chiesa di s. France-
sco ebbe principio,, non facendo più
menzione gli storici dell' ungherese
domina/ione. Bramoso il Pontefice
Innocenzo VI di liberare i dominii
della santa Sede dai tiranni che
li signoreggiavano, spedì in Italia il
valoroso Cardinal Egidio Albori ioz
con grande autorità, il perchè fu
sollecito Alberghetto di portarsi ad
Orvieto, ed accomodossi con lui;
ma però il Cardinal legato, giun-
to a Sassoferrato, fece rimettere in
Fabriano i banditi da Alberghetto
che per sicurezza si ritirò. Ed es-
sendo Fabriano indifeso, nel i358
Anichino Mongrado capitano dei
sanesi, minacciò di rovinarlo e sac-
cheggiarlo, onde il legato avendo
le sue genti rivolte ad altre im-
portanti imprese, gli die quaranta
mila fiorini acciò tornasse in To-
scana. Nel 1 363 la pestilenza ri-
comparve a Fabriano, e nel i365
vi ritornò Alberghetto, facendo tron-
car il capo a coloro ch'erano ri-
corsi al Cardinal Albornoz; e quan-
do questi fu da Urbano V riman-
dato in Italia, Alberghetto se ne
procurò il favore. Ma morto poco
dopo il legato, M. Ghino Presen-
tacelo con altri labrianesi recaron-
si a Viterbo a' piedi del Pontefice
Urbano V, supplicandolo che vo-
lesse liberar Fabriano dalla tiran-
nide di Alberghetto, il quale per-
ciò col figlio Guido passò al servi-
zio della signoria di Venezia, dopo
che un pontificio commissario in
nome di Urbano V, e del sagro Colle-
gio l'avea invitato a presentarsi in Vi-
terbo. Narra il Colucci citato, a pag.
i3g, che nel 1367 le armi pontifì-
cie espugnarono Fabriano, e col l'aiu-
to de' montecchiesi lo ridussero alla
divozione della Sede apostolica.
FAB 267
M. Ghino, pagati 5oo ducati, ot-
tenne la rocca di Fabriano , e si
fece signore della patria; ma dopo
due anni venne deposto, e temen-
do il ritorno di Alberghetto, gli
domandò perdono, e procurò che
rientrasse al dominio nel 1370.
Però Urbano V l'obbligò a resti-
tuire Fabriano alla Chiesa, altri-
menti l'avrebbe punito colla mor-
te in Viterbo ov'erasi portato, quan-
do ivi lo richiamò il Pontefice. In
questa città, a' 7 luglio, Alberghet-
to morì d'anni cento dodici, e pla-
cidamente, dopo aver esortato il fi-
glio Guido a non usurpar le giu-
risdizioni di s. Chiesa. Fu sepolto
onorevolmente nel duomo, ed Ur-
bano V fece capitano il detto fi-
glio, con stipendio, perchè aveagli
promesso ricuperare alla Chiesa il
vicariato di Rimini, con speranza
di riavere Fabriano. Intanto i la-
brianesi tentarono di porsi in li-
bertà, mentre Gregorio XI era in
guerra co' fiorentini, i quali ambiro-
no signoreggiarlo in concorrenza di
Ridolfo da Camerino, che fecero
nelle piazze, e sulle porte della
città dipingere come traditore, per
averli abbandonati , affine di seguir
il partito del Papa. Indi benché
Gregorio XI avesse restituita a Ro-
ma la residenza papale, nel 1378
Guido di notte tempo occupò im-
provvisamente Fabriano, e dopo
parecchi fatti d' armi coi bretoni
ed altre milizie della Chiesa, Fabria-
no fu orrendamente saccheggiato,
e Guido potè signoreggiarlo senza
contrasti per tre anni, nel qual tem-
po edificò il monistero di s. Cate-
rina de' monaci Olivetani , ove nel
i383 ebbe sepoltura, avendo pri-
ma sostenuto molti combattimenti
co'vicini castelli. Qui va notato che
alcuni tolgono a Guido il merito
268 FAB
di tal edificazione, come sì ha da-
gli A anali camaldolesi t. VI, p.
i43. Tommaso suo figlio amò la
pace, fu lontano di tiranneggiar la
patria, che perciò l'onorò sempre,
e l'aggregò al consiglio. Stette in
questo tempo Fabriano per ben
venti anni senza guerre, il perchè
fiorì in ogni maniera , e per ric-
chezze. Nel 1401 si trovavano ivi
ventiquattro cavalieri aurati, altret-
tanti dottori, sette medici eccellen-
ti, e nove valorosi capitani. Suc-
cessero quindi discordie tra'cittadi-
ni per la forma del reggimento, ed
a rimediarvi fu eletto Tommaso
Chiavelli a capo del magistrato, che
avendo pienamente corrisposto alla
confidenza di sua patria, ad onta
della sua virtuosa ripugnanza, ven-
ne obbligato e costretto dal popo-
lo a conservare il potere, e Boni-
facio IX, nel i4°4> 1° dichiarò vi-
cario della Chiesa in Fabriano. Tom-
maso si die tutto alle opere pie :
edificò a' domenicani il convento
di s. Lucia, nella qual chiesa era-
no le sepolture de'Chiavelli; fece
un ospedale pei poveri; dotò mol-
te donzelle, e procurò al popolo
l'abbondanza, la libertà e la pace,
per cui fu amaramente pianto, quan-
do la morte troncò i suoi giorni
nel i4°9-
Gli successe nel potere il fratel-
lo Alberghetto II, pieno di belle
doli, e di maturo consiglio, dotto,
giusto e valoroso. Prospero fu il
suo governamento : aggrandì la
muraglia di porta Cervara, e quel-
la del Piano, e indi fino a s. Ni-
colò ; ma mentre era stato chia-
mato a Milano per capitano dal
duca Filippo Maria Visconti , e
mentre nutriva intenzione di ricu-
perare lo stato degli avi suoi, nel
14^1 5 terminò di vivere, lasciando
FAB
tre figliuoli, Guido, Chiavello, e
Tommaso II, i quali un dopo l'air
tro ebbero il principato di Fabria-
no. Guido, per malsana salute, fe-
ce governare Chiavello, e morì
dopo due anni. Chiavello corag-
gioso, e di singoiar giudizio nelle
cose militari, riuscì mirabilmente
in ogni impresa, e stette alquanto
allo stipendio del duca di Milano,
donde ne partì per ricomporre i
fabrianesi, che volevano insorgere
contro la sua famiglia. Parlò gra-
vemente nel consiglio delle bene-
merenze de' suoi antenati, ciò che
nel popolo produsse a un tempo
amore e spavento; e gli riuscì bo-
nariamente far ritornare all'ubbi-
dienza i castelli ch'eransi ribellati
a Fabriano , e superare alcuni po-
tenti nemici di esso. Indi passato
allo stipendio de' veneziani con buo-
na compagnia di cavalli, morì in
Venezia nel 14^8, venendo trasfe-
rito il suo corpo a Fabriano, e
sepolto al luogo della Romita, pres-
so le ceneri di sua consorte Livia.
Allora prese la signoria di Fabriano
Tommaso II benché avanzato nel-
l'età, per cui visse senza far nulla
degno di memoria , ed avendo
molti figliuoli, al primogenito Bat-
tista die il governo della terra; ma
questi, giovine senza esperienza, si
regolò secondando il furore e l'im-
peto giovanile. Immerso in amori
disonesti, gravò il popolo di contri-
buzioni, e spendeva con prodigalità
oltre le sue forze. Per queste cose
nell'anno i435 fu da molti del po-
polo fatta una congiura a danno
della famiglia Chiavelli, che scoppiò
nella chiesa di s. Venanzio, mentre
tutta la famiglia- assisteva nel coro
alla messa, essendo il dì dell'Ascen-
sione. Sedici masnadieri congiurati
si condussero a tal effetto nel coro,
FAB
ma indugiando nell'atroce disegno,
Jacomo di Nicola ne die la mos-
sa, saltando nel coro e gridando,
viva la libertà, e muoiano i tiran-
ni. Spaventate le donne, e il resto
del popolo si diedero alla fuga ,
mentre i congiurati uccisero Tom-
maso, ad onta della difesa che op-
pose, indi Battista e Borgato suoi
figli, mentre si cantavano le paro-
le del simbolo : et incarnatus est
de Spinili sanclo. Gli altri figli sì
di Tommaso, che di Borgato e di
Battista, due fuggirono verso la
sagrestia, cioè Guido Antonio, e
Alberghetto, ma raggiunti da due
congiurati furono ammazzati. Al-
tri tre fanciulli, Ridolfo, Chiavello,
e Marco, nascosti presso l'altare ove
celebravasi la messa, non furono
allora trovati, essendo stati occul-
tati dai canonici di s. Venanzio;
in una parola furono poscia tru-
cidati, ed avvelenati gli altri figli.
Le donne ripararono ad Urbino ; e
di Guido, e Nolfo, altri figli di
Tommaso, che trovavansi fuori ,
non se ne seppe altro . Vuoisi
che in una famiglia di contadini
della Castelletta solo esista un ram-
pollo del chiaro sangue de' Chia-
velli. Venne per ultimo saccheg-
giato ed incendiato tutto ciò che
loro apparteneva , e senza onore i
cadaveri furono tumulati in certi
fondamenti, che allora per fabbri-
care si facevano a s. Venanzio.
Sulla famiglia Chiavelli può veder-
si il Sansovino nell' Origine e fatti
delle famiglie illustri d'Italia.
A cagione delle parentele, che
gli estinti Chiavelli avevano colle
più illustri famiglie d'Italia, come
i Varani, i Montefeltro, i Malate-
sla ec, non essendo la repubblica
in sicuro, i fabrianesi invocarono
la protezione del prode Francesco
FAB 269
Sforza, che avea tolto a Papa Eu-
genio IV la Marca, col patto di
conservargli la libertà, e n'era po-
scia stato istituito dal medesimo
in marchese. Per questo lo Sforza
ne pretese il dominio, anziché la
protezione, e bisognò cedere, nulla
calcolandosi che la santa Sede n'era
la suprema signora ; ed al suono
della campana del comune, convo-
catosi tutto il popolo, il dì 3o
agosto, si gridò: viva il gran Fran-
cesco nostro marchese. Nell'anno
seguente lo Sforza con grandissimo
onore fu ricevuto in Fabriano, e
dalla comunità gli furono presen-
tate le chiavi della terra. Quindi
accordò a'nemici de'Chiavelli esen-
zioni, che poscia furono tolte dalla
repubblica, e considerando i sin-
golari pregi del luogo, e trovatolo
degno di pareggiare con molte no-
bili città di Italia, ordinò lo Sfor-
za 1' erezione d' una rocca alla
porta del Piano, ed altre fortifi-
cazioni. Dopo aver difeso Francesco
i fabrianesi dal celebre Nicolò Pic-
cinino, ritornò a loro con Bianca
Visconti sua moglie, e fu ricevuto
principescamente, e con archi trion-
fali. Non potendo lo Sforza difen-
dere Fabriano dalle armi di Eu-
genio IV, esso ritornò al dominio
della Chiesa nel i444> godendone
i pacifici effetti, e solo agitato da-
gli avanzi dell'eresia de' fraticelli.
Intanto, a cagione della pestilenza
che infieriva nel i449 m Roma,
il Pontefice Nicolò V, accompa-
gnato da dieci Cardinali e da mol-
ti prelati, a' 24 luglio si portò in
Fabriano, ricevuto con somma ve-
nerazione dalla repubblica, dal ve-
scovo di Camerino suo pastore, e
da tutto il clero con torcie accese,
il quale processionalmente l'incontrò
fino a s. Antonio. Cento fanciulli
270 FAB
leggiadramente vestiti, con palme
in mano precedettero il clero, ed
imo recitò al Papa analoghi versi
Ialini. Giunto Nicolò V a s. An-
tonio, discese da cavallo, e ponti-
ficalmente vestito, entrò nella chie-
sa adornata dalla comunità super-
bamente. Indi ricevuto sotto bal-
dacchino di velluto paonazzo con
fregi d'oro, passò sotto un arco
trionfale alla porta Pisana, in cui
erano dipinte l'opere del Papa con
bellissime allegorie. Tutte le strade
per ove passò erano coperte di
panno bianco, e in diversi luoghi
furono eretti altari riccamente de-
corati; e per un altro arco trion-
fale entrando nella piazza de'prio-
ri, giunse a s. Venanzio, ove be-
nedì il popolo, concedendogli mol-
ti anni d' indulgenza, e prendendo
alloggio nell' antico palazzo dei
Chiavelli.
Nicolò V, siccome zelante del-
l'apostolico ministero, volle estir-
pare la setta de' fraticelli, e dodici
pertinaci nell'errore furono puniti
col fuoco, restando così liberata
Fabriano da' loro pestiferi errori.
Fu in questo tempo che Nicolò V
fece la loggia di s. Fancesco, e le
altre cose di cui facemmo disopra
menzione. Margherita Nicolini figlia
di Anselmo, e di già memorata,
rese grande onore a Fabriano nel-
la stazione di Nicolò V; dappoiché,
essendo dottissima in lettere Iali-
ne, ivi perorò con forbita orazione
innanzi al Pontefice, mitigando il
suo risentimento per l' eresia dei
fraticelli sino allora esistente. La
regalò di mille scudi, e 1' udì con
piacere disputar più volte in filo-
sofia col dottissimo Poggio. Risie-
dendo Nicolò V in Fabriano, fece
molti atti di sua pontificia autori-
tà come Papa, e come sovrano,
FAB
ciò che risulta dai diplomi e bolle
che abbiamo colla data di Fabria-
no, delle quali ne fa menzione il
Novaes al tom. V, p. i£5 e seg.
Ritornato a Roma per la celebra-
zione dell'anno santo, a motivo
della peste dovette ritornare nella
Marca, ed a' 4 luglio di nuovo o-
norò di sua presenza Fabriano, e
colle medesime ossequiose distin-
zioni fu accolto. Indi nel i456
venne edificato l' ospedale di s.
Maria del buon Gesù; ma la pa-
ce fu a Fabriano interrotta per la
tirannica prepotenza di Guerriero,
che la travagliò in ogni maniera,
e meritò essere bandito due volte
da Pio II, cui il popolo ricorse.
Questo Papa, avendo nel 1464
stabilito porsi in Ancona alla testa
della crociata contro i turchi ,
passò per Fabriano con religioso
tripudio degli abitanti, che in ogni
modo ne celebrarono l'avvenimen-
to, giungendo ad Ancona a' 19
luglio.
Memorabile fu per Fabriano Te-
poca del pontificato di Sisto IV,
non solo per averla dichiarata cit-
tà, ma per avere acquistato il sa-
gro tesoro del corpo di s. Romual-
do fondatore de' camaldolesi. A-
vendolo due malvagi monaci, con
molti argenti ed altre cose pre-
ziose, portato nascostamente dal-
l' abbazia di Val di Castro, ov' e-
gli morì a' 19 giugno del 1027,
eh' era posta sotto il castello del-
la Porcarella, alla città di Jesi nel
r 48 1 , fu nell' anno seguente a' 7
febbraio con molta pompa e solen-
nità di tu Ito lo stato fabrianese,
portato in Fabriano nella chiesa
di s. Biagio de' medesimi camaldo-
lesi. Intorno a questo va letto
quanto si disse nel voi. VI, pag.
291 del Dizionario. Si narra inol-
FAB
tre, che il sacco ove i sacrileghi
monaci avevano poste le ossa del
santo, mandasse fiamme, le quali
discoprirono il l'urto, e che ripe-
tendolo i camaldolesi dai jesini,
il sagro corpo venne posto su di
un carro tirato da giovenche che
mai avevano provato il giogo, e
lasciatesi in loro libertà si ferma-
rono avanti la chiesa di s. Biagio,
suonando miracolosamente le cam-
pane della citlà, quando il carro
entrò in Fabriano. Certo è che
fatta causa tra i jesini, ed i fa-
brianesi su tal preziosa reliquia, il
Cardinal legato della Marca decise
in favore de' secondi, lasciando a
loro il corpo, e dando a'primi per
memoria un braccio che tuttora
venerano nella cattedrale.
Mentre Fabriano tranquillamente
attendeva alle arti ed al traffico,
a' 9.0 settembre i5iy fu crudelis-
simamente saccheggiato da circa
diecimila soldati dell' esercito di
Massimiliano! re de' romani, per la
maggior parte spagnuoli, i quali es-
sendo all'impresa di Verona, era-
no furibondi per essere stati licen-
ziali in uno a Francesco Maria
della Rovere duca di Urbino, spo-
gliato de' suoi stati da Leone X.
Si racconta, che mentre le dette
soldatesche danneggiavano la Mar-
ca e l'Umbria, costrinsero il Papa
a permetter loro il sacco di Fa-
briano, o di Foligno, nel qual
caso si sarebbero ritirale. Foligno
si difese con guardie, ma Fabria-
no inerme ne fu la viltima anche,
al dir di alcuni, perchè Leone X
non avea per esso premura* dap-
poiché per sostenere i loro dirit-
ti, non avevano accettato per go-
vernatore perpetuo, e vicario del-
la santa Sede il Cardinal Cibo ni-
pote del Pontefice e da lui investi-
FAB tft
to della terra. L' esercito nemico
era comandato da d. Ugo Mon-
cada vice-re di Napoli, e molti
furono i fìibrianesi che restarono
morti e feriti. Salvate furono le
donne nella rocca e nei moniste-
ri, ma le case furono interamente
spogliate, in un al monte di pietà.
In tarila desolazione la città spedì
quattro oratori a Leone X, che
pateticamente esposero le deplora-
bili calamità che gravila vano sulla
infelice patria. 11 Papa ne restò
commosso, e fulminò la scomuni-
ca a chi avesse acquistato cose
appartenenti ai fabrianesi, ma po-
chi ne fecero la restituzione ; indi
le concesse la quarta parte delle
taglie, benefìcio che durò poco più
di un anno. Tra le conseguenze
del disgraziato avvenimento, è da
notarsi il di scaccia mento fatto per
consiglio del vescovo di Camerino
a' 9 novembre i5i8 delle mona-
che di s. Tommaso, di s. Romual-
do, e di s. Margherita, perchè vi-
vevano poco osservanti. La comuni-
tà non si occupò di loro, per cui
raminghe erano per essere raccol-
te nell'ospedale, quando Leone X
impose al legato della Marca di
far loro restituire i monisteri, e
poscia vennero riformate dal Car-
dinal Santiquattro.
Tra le altre disgrazie che pro-
vò Fabriano, vanno noverate le
discordie intestine, e il rancore che
il popolo avea contro il magistrato,
che lo avea lasciato indifeso all'av-
vicinarsi degli spagnuoli, laonde se-
guirono uccisioni e saccheggi. Cer-
to Zubicco signoreggiò la pallia,
e potè imporre al Cardinal legalo
Armellini, e respingere l' escreilo
della Chiesa, pel valore ed alla
reputazione eh' erasi guadagna ir,
Leone X preferì allo spargimene
27* FAI)
di sangue il chiamare in Roma
il potente Zubieco, e Teobaldo
capo di fazione. Sulle prime sem-
brava tutto quietato, ma scuoprcn-
dosi che il Zubieco meditava di
sollevar la Marca, gli fu mozzata
la testa sul ponte di Castel s. An-
gelo.
Intanto i fabrianesi domandaro-
no un governatore, che separata-
mente li governasse, rivolgendosi
perciò al Cardinal Giulio de' Me-
dici, che fu poi Clemente VII. Il
Papa condiscese alla inchiesta, e
fece governatore il medesimo Car-
dinale, e per luogotenente France-
sco Chieregato vicentino, commissa-
rio pontifìcio, con gran soddisfa-
zione di tutti per l'esatta ammini-
strazione che fu quindi resa della
giustizia.
Nella sede vacante per Leone
X, in Fabriano si rinnovarono tu-
multi, poi puniti negli autori da
Adriano VI ; ma la concordia e
la pace generale si fece nel i5i^
regnando Clemente VII, dopo es-
sere stata edificata una nuova roc-
ca in forma di triangolo, poco lun-
gi da quella fabbricata dallo Sfor-
za, rimpetto al monte di Civita.
Clemente VII, nel i528, confer-
mò ai fabrianesi tuttociò che loro
avea concesso nel i520 Leone X.
Gli animi si quietarono, restando
la città divisa nello spirito in due
parli, una chiamata ecclesiastica,
l'altra cliiavellesca per l'elezione
de' ci vici magistrati. Nella sede va-
cante di detto Papa, e ne' primor-
di del pontificato di Paolo III, la
pace fu interrotta dalle discordie
suscitatesi fra la comunità, e i conti
della Genga, per cui quel castello
andò bruciato per opera de' fabria-
nesi, cui seguì un fiero saccheggio,
colla morte di due della famiglia
FAB
de' conti della Genga. Paolo III
ne fu irritato, e multò Fabriano
di pagar alla camera apostolica
sedici mila fiorini, e dodici mila ai
conti pei danni sofferti ; altri dico-
no che tale avvenimento costasse
a Fabriano più di sessanta mila
fiori ni. x Ma la solida pace tra la
comunità ed i conti, si deve al-
l'interposizione del nipote del Pa-
pa, Pier Luigi Farnese duca di
Parma, ch'essendo nato in Fabria-
no, la chiamava sua patria, e le
era affezionato. Paolo III non so-
lo fu benemerito di Fabriano ,
per aver confermato ed ampliato
i privilegi, ma per aver onorato
nel i5/j.3 di sua presenza la città,
in occasione ch'ei portossi a Bolo-
gna, e poi a Busseto, tra Parma
e Cremona, per abboccarsi con
Carlo V, e pacificarlo con Fran-
cesco I, come narra il Ferlone,
de' viaggi de Pontefici, pag. 3 12.
Sotto Giulio III il vescovo di
Camerino, nel i554, rimosse da
Fabriano i monaci silvestrini, che
però a mezzo del Cardinal Crispi,
protettore della congregazione, nel
seguente anno furono reintegrati
da Paolo IV. Lo Scevolini dice
che Giulio III era inclinato a di-
chiarar città Fabriano, onde sem-
bra che la concessione di Sisto
IV non sia vera. Si legge nel me-
desimo storico, che il Cardinal di
Ravenna fu ricevuto in Fabriano
cogli onori degni d'un Papa, giac-
che tra le altre cose gli fabbrica-
rono quattro archi trionfali. Altri
fatti memorabili non presenta la
storia di Fabriano, godendo gli
effetti del soave dominio della san-
ta Sede , esercitato a mezzo di
prelati, e poscia di governatori, e
godendo altresì della protezione di
un Cardinale. Patroni della città
FAB
e diocesi sono i ss. Gio. Battista,
Romualdo e Silvestro abbati , ed
altri santi.
Clemente XII nel 1734 fece la
strada consolare, chiamata per lui
Clementina, che per Fabriano , e
per Jesi conducesse per Nocera ad
Ancona. All'epoca repubblicana del
1799, Fabriano, siccome attaccata
al pontificio governo, non voleva
sottomettersi a quello degl'invaso-
ri, per cui soffrì molti guasti, e
fu quindi saccheggiata, e in parte
arsa dai francesi, che distrussero
in tal modo interamente il palaz-
zo Valleruani; indi fece parte del
dipartimento del Musone, nella do-
minazione dell' impero francese.
Nell'anno poi 184.1, e nei giorni
18 e 19 settembre, il regnante
Pontefice Gregorio XVI, nella vi-
sita che fece di alcuni santuari del
suo stato, onorando di sua presen-
za Fabriano, pose il colmo alla
religiosa consolazione dei fabria-
nesi, il perchè qui ne riporteremo
la breve descrizione di sua stazio-
ne, accennando le principali dimo-
strazioni tributategli dall'esultante
popolo.
Partendo Gregorio XVI da Jesi
la mattina de' 18 settembre per
Fabriano, via facendo passò sotto
archi di verdura, o padiglioni fatti
in comune dai tripudiane e divoti
abitanti di Monte Roberto, Castel
Bellino, Majolati (beneficata patria
del valente maestro di musica com-
mendatore Gaspare Spontini), Mon-
te Carotto, Castel del Piano, Ro-
sola, Margo, e finalmente quello
preparato a Serra San - Quirico,
ov' erano riuniti il clero, la ma-
gistratura, e la popolazione. Disce-
so in questo luogo il santo Padre,
venerò nella chiesa di s. Lucia la
reliquia di una sagra spina che ivi
VOL. XXII.
FAB a73
si custodisce, e santificata dalla
passione di Gesù Cristo, colman-
do poscia di benedizioni tutti gli
astanti. Presso Fabriano il comune
di Albacina, fece ancor esso le sue
dimostrazioni di festa per l'augu-
sto passaggio. Dopo mezzogiorno,
festeggiato per tutto, giunse il Pon-
tefice a Fabriano. Presso la porta
della città sorgeva un maestoso ar-
co trionfale con iscrizioni di feli-
citazione, e di fedele sudditanza.
Era esso sovrastato dal pontifìcio
stemma, non che decorato da bas-
sorilievi a chiaro oscuro, da fame
alate, da due candelabri , e dalle
statue de' ss. Pietro e Paolo. Ivi
permise il Papa che si traesse la
sua carrozza da un drappello di
giovani decentemente vestiti, di no-
bile e civile condizione. Alla por-
ta Pisana, ov' era stato eretto un
decoroso padiglione, gli si presen-
tarono con omaggio di rassegnazione
e di rispetto, monsignor Domeni-
co Savelli vigilantissimo delegalo
della provincia di Macerata, Giu-
seppe Gubbiani governatore della
città , e il gonfaloniere Alessan-
dro Altini colla magistratura che
gli presentò le chiavi della mede-
sima. Lungo il corso pendevano
dall'uno all'altro lato della via a
foggia di festoni molti ricchi drap-
pi di vario colore con frangie di
seta intrecciate d' oro. Altro arco
più grande del precedente era sta-
to eretto presso la piazza maggio-
re, decorato dal pontificio stemma,
sorretto da fame alate, ed avente
nelle due parti dell' attico corri-
spondenti iscrizioni. Nell'istessa piaz-
za fu innalzala nel mezzo una gran-
diosa colonna trionfale, invenzione,
come degli altri monumenti, del
fabrianese Tommaso Rossetti. Sette
iscrizioni celebranti le virtù e le
18
ay4
FAB
gesta del Pontefice , erano state
collocate attorno la colonna , nei
rettangoli della base, ed in mezzo;
sotto stavano i geni delle quattro
parti del globo, personificate in al-
trettante statue; agli angoli poi del-
la gradinata corrispondevano quat-
tro statue, rappresentanti la for-
tezza, la prudenza, la giustizia, e
la sapienza, con analoghe iscrizio-
ni; finalmente decorava la base del-
la colonna l' arme pontificia tra
due fame, e la gradinata aveva dei
leoni per abbellimento. Altre allu-
sive iscrizioni poi, erano nella fac-
ciata esterna del palazzo governa-
tivo ; in quella della chiesa de' ca-
maldolesi, sopra la porta dell'ap-
partamento del contiguo moniste-
ro, che, come diremo, fu abitazio-
ne del Papa; neh' interno del mo-
nistero delle monache cassinesi di
s. Margherita; sull'atrio dell'ora-
torio comunale, ove fu raccolta una
collezione di eccellenti dipinti fa-
brianesi, per opera dei proprietari
cittadini; sull'ingresso al famige-
rato museo di avori Possenti; sul-
la porta della cartiera Miliani ;
sulla torre della comune in piaz-
za ; e nella facciata del duomo.
Tali iscrizioni, con una dedicato-
ria del gonfaloniere, magistrati, e
concittadini, a chi n'era glorioso
argomento, colle incisioni della co-
lonna, e dei due archi furono im-
presse in un opuscolo e dispensate.
Tra le più vive acclamazioni e
sensi di pura gioia, il sommo Pon-
tefice discese dalla carrozza alla
chiesa di s. Biagio de' camaldolesi,
ove venne debitamente ricevuto dal
Cardinal d. Ambrogio Bianchi, già
abbate di quelP attiguo monistero,
ed allora, come al presente, abba-
te generale della congregazione ca-
maldolese, e da tutta la monasti-
FAB
ca famiglia. Ivi pur Irovavasi mon-
signor Francesco Faldi, zelante ve-
scovo di Fabriano e Matelica, col
capitolo della cattedrale. Dopo di
avere orato, e ricevuto dal mede-
simo monsignor vescovo la bene-
dizione colla ss. Eucaristia prece-
dentemente esposta, passò il Pon-
tefice all'alloggio preparatogli, nel-
l' annesso monistero, dagli antichi
suoi correligiosi, come quegli che
avea prima professata la regola del
s. padre Romualdo, ed anche avea
dimorato nel medesimo monistero,
allorché essendo abbate camaldo-
lese si portò due volte a Fabria-
no per venerare le ceneri del san-
to, alla cui chiesa, all'esaltazione
al pontificato, donò i sagri para-
menti che adoperava da Cardinale,
oltre altre beneficenze. Anzi in
questa circostanza avendo appreso
che per aggrandire la piazza, ch'è
dinanzi al monistero, occorse demo-
lire un piccolo oratorio della con-
fraternita del ss. Sagramento, som-
ministrò una generosa somma in
compenso al sodalizio, colla quale
il medesimo ha un poco più. indie-
tro edificato un bell'oratorio sul
disegno del eh. Rossetti, sodalizio
che dal medesimo Pontefice venne
ulteriormente beneficato con per-
petua dotazione. Nella seguente
mattina Gregorio XVI calò a ce-
lebrare la messa all'altare maggio-
re della chiesa, assistito da due
abbati camaldolesi, da alcuni mo-
naci, e dagli individui di sua cor-
te, e lasciò alla chiesa per dona-
tivo il nobile paramento bianco ri-
camato in oro, e il bel calice di
argento, colla coppa e patena d'o-
ro che avea adoperati nel sagrifi-
zio; indi al medesimo altare ascol-
tò la messa di monsignor Giusep-
pe Arpi nobile fabrianese, suo pri-
FAB
mo cappellano segreto e caudata-
rio. Accompagnato poi dal suo de-
coroso corteggio recossi il Papa al-
la cattedrale, ov'era decorosamen-
te esposto il ss. Sagramento, col
quale die la triplice benedizione
monsignor vescovo di Fabriano.
Passando poscia nel contiguo epi-
scopio, benedì solennemente i fa-
brianesi e l' immenso popolo divo-
ta mente accorso dai circostanti luo-
ghi, che assordarono l'aria coi gridi
di letizia di cui erano religiosamen-
te penetrati. Asceso poscia in tro-
no in una delle sale dell'episcopio,
avendo a fianco il Cardinal Bian-
chi, monsignor vescovo presentò al
comun padre e sovrano il clero se-
colare, e per il primo il capitolo
della cattedrale, quello regolare, ed
altre distinte persone. Essendo va-
cante la prima dignità della cat-
tedrale, ossia il priore, in quella
circostanza il Pontefice ne investì
il canonico penitenziere della me-
desima d. Antonio Bracci, prò- vi-
cario generale, siccome zelante, pio
e dotto ecclesiastico ; e in pari
tempo conferì il di lui canonicato
ad altro rispettabile soggetto. Se-
guito da monsignor vescovo , dal
governatore e dalla magistratura,
il santo Padre si portò ad orare
nella chiesa di s. Benedetto de'mo-
naci silvestrini, ove venne ricevu-
to dal Cardinal Mario Mattei, be-
nemerito protettore di quella con-
gregazione, dal p. generale , e da
tutta la religiosa famiglia, che pa-
ternamente ammise ai bacio del
piede. Uscito il Pontefice dalla chie-
sa passò ad onorar la casa del
conte Girolamo Possenti, dove am-
mirò la tanto stimata collezione
di lavori antichi in avorio, e si
congratulò col benemerito conte ,
raccoglitore industre e intelligente
FAB 275
de'medesimi, pel decoro che ne ri-
sultava alla città , rimarcando il
nobile e prezioso incremento di sii
importante collezione e museo, da
quando l'avea visitato allorché era
abbate camaldolese. Fu allora che
il conte Possenti, pieno di giubilo
per l'onore singolare compartito-
gli, e per le parole benignissime
che a lui rivolse il supremo Ge-
rarca, gli umiliò l'opuscolo che de-
scrive il suo museo, di cui facem-
mo superiormente menzione, con
apposita dedica relativa alla lieta
circostanza, e ne fece contempora-
neamente dispensare al nobile di
lui seguito. Essendo di detto opu-
scolo autore il eh. Camillo Ramel-
li, che colla coltura delle scienze
onora la patria, così ebbe l'onori-
fica soddisfazione di fare al Papa
la descrizione erudita dei principali
oggetti, che fermarono 1' attenzio-
ne del Pontefice, siccome intelli-
gente mecenate delle arti belle, che
perciò esternò eziandio il suo com-
piacimento al dotto illustratore del-
la collezione di avori ( Il conte Gi-
rolamo nell'agosto i843 morì, e
nel num. 72 del Diario di Roma,
si legge un' onorevole necrologia
dettata dal concittadino monsignor
Emidio Gentilucci). Dipoi si tras-
ferì il Pontefice alla primaria car-
tiera del Miliani, osservò il gran
lavorio ivi attivato, lodò la perfe-
zione cui è giunta, e cui va sem-
pre più ad aumentare, ammise
tutta la famiglia e lavoranti al ba-
cio del piede, ed accettò un omag-
gio d'ogni specie di carta che gli
venne presentato. E qui noteremo,
che Leone XII ad incoraggire sì
utile e fiorente opificio, dall'estero
e da Fabriano fece portare a Ro-
ma campioni delle carte più bel-
le, laonde si potè allora conoscere
276 FAB
che la cartiera Miliani non teme-
va verun confronto, e superava le
estere cartiere nella qualità e gran-
dezza della carta per imprimere i
rami ; il perchè rendendo ciò noto
al pubblico con articolo inserito nel
Diario di Roma, premiò i tre fra-
telli Miliani con altrettante meda-
glie d'oro colla sua pontificia effi-
gie, e con epigrafe incisa in lode
dei premiati. Nelle ore pomeridia-
ne sua Santità consolò di sua pre-
senza i monisteri delle domenicane
di s. Caterina, delle cassinesi di
s. Margherita, delle benedettine di
s. Luca, e delle cappuccine di s.
Giuseppe. Nella sera , come nella
precedente, nella città vi fu gene-
rale illuminazione , distinguendosi
particolarmente quella delle faccia-
te degli archi eseguita a lampadi-
ni colorati, ed ebbe pur luogo l'in-
cendio di un vago fuoco artifizia-
le. Finalmente dopo aver dispen-
sato varie beneficenze, e divoti do-
» ni, decorati della croce cavallere-
sca di s. Gregorio il gonfaloniere,
e Giuseppe Miliani, nella mattina
seguente del dì 20 il Pontefice, as-
sistito da due abbati camaldolesi ,
celebrò la inessa nel nobile sotter-
raneo della chiesa , ove sono in
gran venerazione le ceneri di s.
Romualdo , e poscia compartendo
ai fabrianesi di nuovo la benedi-
zione apostolica, e rivolgendo parole
benevoli e di pieno gradimento e
soddisfazione a monsignor vescovo
ed al magistrato, s'avviò alla volta
di Gualdo Tadino, essendosi al-
quanto fermato a Cancelli ed a
Fossato per benedire il popolo che
impaziente lo attendeva.
Della storia di Fabriano scrisse-
ro i seguenti autori. L'Arsenio, nel-
la Censura sopra la cattedra li tà
di Fabriano j Giovanni Blavio ,
FAB
Tliealrum civitatum et admirando-
runi Italiae; Nintoma accadèmico
disunito, Lettera sopra la batta-
glia tra i romani, e i galli e san-
niti nel contado Seminate, Vene-
zia 1749- Sotto tal nome è na-
scosto quello del fabrianese monsi-
gnor Filippo Montani, del quale
inoltre abbiamo : Seconda lettera
sopra la battaglia tra Narsete ca-
pitano di Giustiniano I imperato-
re, e Totila re de' goti; e Terza
lettera sopra il nome di Giano da
un ramo dell'Esio, che passa per
Fabriano, con annotazioni, Vene-
zia 1754; e Quarta lettera postu-
ma intorno alcune iscrizioni di Sen-
tino, Tufico, ed Attidio, Jesi pel
Bonelli 1775. Fr. Gio. Domenico
Scevolini, Dell'istorie di Fabriano ,
colle annotazioni del Colucci, Fer-
mo 1792; oltre gli altri autori
succitati, e che da ultimo note-
remo.
Fabriano restò nella diocesi di
Camerino sino al pontificato di Be-
nedetto XIII, senza distinzione,
ma essendone vescovo Cosimo Sil-
vio Torelli di Forlì sino dal 17 19,
quel Pontefice avuti in considera-
zione i tanti pregi che distingue-
vano Fabriano, nel concistoro dei
i5 novembre 1728, e coll'autori-
tà della costituzione Notoriae situi,
che si legge nel Bull. Iìom. tom.
XII, pag. 332, diede il titolo di
città a Fabriano, ed eresse in cat-
tedrale la sua principale chiesa di
s. Venanzio, e dichiaratala vesco-
vato, la unì a quello medesimo
di Camerino, per cui il nominato
vescovo s' intitolò vescovo di Ca-
merino e Fabriano. V. Bcncdictus
XIII bulla super erectione insignis
collegiatae s. Venantii in cathedra-
leni, et terrae Fabriani in civìla-
tem, Romae 1732, typ. R. C. A.;
FAB
Franciscus Corazza, Restrictio farti,
et juris cur?i summarìo prò capi-
tulo, et ecclesia s. Venandì Fa-
brianij contro, capitulum3 et eccle-
siam cath. Camerini, ejusque co-
muni totem, ac capitulum s. Nico-
lai civitatis Fabriani, Romae typ.
Mainateli ij3i; Sanctis Josephus
Philippus, de Camerinen, et Fa-
brianen , praetensae cathedralita-
tis, 1732; Pacomio, Lettera istrut-
tiva sopra la pretesa cattedralità
di Fabriano al capitolo e magi-
strato di Camerino; Aurelio Sa-
nucci, Risposta sopra quanto ha
scritto l'arciprete Pacomio in pro-
posilo della cattedralità di Fabria-
no, Roma 1732; Pacomio, Lettera
di replica alla risposta di Aure-
lio San ucci circa la pretesa catte-
dralità di Fabriano. Si può anche
consultare 1' Ughelli, Italia sacra s
non che Octavius Turchius, De
ecclesiae Camerinensis Pontificibus
libri VI, praecedit de civit. et ec-
cL Camerinensi dissertatio, Romae
1762. Cagione di sì fatte scrittu-
re furono i camerinesi, che avendo
in Camerino l'insigne collegiata di
s. Venanzio loro patrono, la cui
chiesa ora si sta magnificamente
riedificando, con dispiacere videro
eretta in cattedrale la chiesa che
al medesimo santo era dedicata in
Fabriano.
11 sommo Pontefice Pio VI, vo-
lendo erigere nuovamente in sede
vescovile Maidica (Fedi), e ad essa
unirvi quella di Fabriano eretta da
Benedetto XIII, e da lui unita a Ca-
merino col carattere non di figlia,
ma di eguale, udite prima le con-
trarie rimostranze di monsig. Luigi
Amici camerinese, vescovo di Ca-
merino e Fabriano, e l'esatta rela-
zione dello stato così civile che ec-
clesiastico della città di Fabriano,
FAB 277
fatta da monsignor Vinci arcivesco-
vo di Berito, mandato colà in vi-
sitatore apostolico, conobbe ch'era
utilissimo alla salute spirituale del-
le numerose popolazioni, lo smem-
bramento di due città, che rimane-
vano troppo lontane da Camerino,
cioè Matelica e Fabriano, conti-
nuando tuttavia ad essere la dio-
cesi camerinese molto vasta. Nel-
1' esonerare Pio VI il vescovo di
Camerino del governo pastorale
di Matelica e Fabriano, conservò
a quella mensa intatte le sue ren-
dite, obbligando in vece la città di
Matelica e Fabriano all' onesto e
decoroso mantenimento del nuovo
vescovo, ed incorporando alla men-
sa diverse parrocchie camaldolesi
dell'abbazia di Val di Castro. Quin-
di, con bolla data a'7 luglio 1785,
effettuò il ripristinamento del seggio
vescovile di Matelica, 1' unì a quel-
lo di Fabriano, staccandoli ambe-
due da Camerino, e dichiarandoli
immediatamente soggetti alla san-
ta Sede. V . Sanctissimus in Chrì-
sto Patris, et Domini nostri Pii
divina providentia Papae sexli lit-
terae apostolicae, quibus Fabria-
nensis episcopatus a Camerinensis
sejungitur, et Mathelicensis civitas
in episcopalem reintegratur, et quate-
nus opus sii de novo erigitur, eaque
Fabrianensis ecclesiae aeque prin-
cipe liter unilur, Romae 1785, ex
typ. R. C. A. Nel concistoro poi
de' 26 settembre 1785, Pio VI
preconizzò per primo vescovo di
Fabriano e Matelica, monsignor
Nicola Zoppetti patrizio di Foli-
gno, ex. provinciale degli eremita-
ni di s. Agostino. A questi pro-
gressivamente successero i monsi-
gnori Gio. Francesco Cappelletti
nobile di Rieti, fatto da Pio VII
agli 1 1 agosto 1800; Domenico
278 FAB
Buttaoni di Tolfa, nominato dal
medesimo Papa a' 26 agosto 1806;
Pietro Balducci forlivese , della
congregazione della missione, trasla-
to da Sarsina dallo stesso Pio VII,
3*27 settembre 1822; e l'odierno
monsignor Francesco Faldi di Bolo-
gna, fatto vescovo dal regnante Gre-
gorio XVI nel concistoro de' 2 ot-
tobre dell'anno 1837.
La chiesa cattedrale di Fabriano è
dedicata a Dio, e in onore di s. Ve-
nanzio martire, avendo tra le reli-
quie il capo del b. Costanzo do-
menicano fabrianese: ha il fonte
battesimale, e la cura d'anime è
affidata al parroco. Il capitolo si
compone della dignità del priorato,
di tredici canonici cui sono unite
le prebende del teologo e del pe-
nitenziere, nonché di otto cappella-
ni, ed altri preti e chierici addetti
all' uffiziatura. Oltre la cattedrale
in Fabriano sonovi tre altre parroc-
chie, tutte munite di battistero,
una delle quali è la collegiata di
s. Nicola. Inoltre vi sono sette con-
venti e monisteri di monaci ed
altri religiosi, compresi quelli di
s. Silvestro sunnominato, e di Val-
le Eremita; cinque monisteri di
monache, comprese le maestre pie;
Torfanatrofìo di donzelle, il con-
servatorio delle esposte, l'ospedale
pegli infermi, diverse confraternite,
il monte di pietà, il mónte fru-
mentario, e il seminario per am-
bedue le diocesi. Ad ogni nuovo
vescovo la mensa di Fabriano e
Matelica è tassata ne' libri della
cancelleria apostolica in fiorini
duecento. Le due città hanno o-
gnuna l'episcopio, per cui il ve-
scovo risiede alternativamente, per
l'ordinario, sei mesi per cadauna.
FABRONI Cablo Agostino, Car-
dinale. Carlo Agostino Fabroni ,
FAB
nacque nel i65i in Pistoia da no-
bilissima e chiara famiglia. Percorre
nella patria i primi studi, li prosegui
in Roma nel collegio romano, e li
compì nella celebre università di Pi-
sa, dove ottenne la laurea nelle civili
e nelle ecclesiastiche discipline. In
questa città fu ammesso più volte
alla corte di Cosimo 111, grandu-
ca di Toscana , il quale dovette
ammirare nel Fabroni le più scelte
doti di spirito, e non comune vi-
vacità dell' ingegno. Si acquistò
quindi l'affetto di quel principe ,
che adoperò tutti i mezzi per aver-
lo seco in Toscana ; ma non aven-
do potuto distorlo dal suo propo-
sito di stabilirsi in Roma, conser-
vò secolui nondimeno familiare car-
teggio , scrivendogli quasi sempre
di propria sua mano. Recatosi per-
tanto nella capitale del cattolico
mondo, sotto la protezione dei Car-
dinali Jacopo e Felice Rospigliosi ,
suoi concittadini e parenti , si con-
ciliò la benevolenza di tutti gì' il-
lustri personaggi e specialmente del
Cardinale Gianfrancesco Albani, che
fu poi Clemente XI; i quali in
molte letterarie adunanze, e in par-
ticolare in quelle che tenevansi nel
collegio di propaganda, ebbero a co-
noscere il di lui sapere molto profon-
do e maturo. Fu incaricato dall'arci-
vescovo di Napoli , il Cardinale
Cantelmo, di assumere le sue di-
fese contro i regi ufficiali, che gli
contrastavano alcuni punti sulla
episcopale giurisdizione, e tal affa-
re così felicemente condusse a fine
che Innocenzo XII , prevenutone
dalla fama, lo promosse alla cari-
ca di segretario de' memoriali. In
quest'ufficio fece risplendere le bel-
le qualità che adornavano l'animo
di lui, sempre attento ad onorare
ed esaltare le virtù degli altri , ed
FA13
occultare i propri suoi meriti. As-
sai egli infatti si adoperò per l'e-
saltamento degli onorati soggetti ;
ma quando trattavasi della gloria
propria, non permise mai che al-
cuno facesse una sola parola a suo
favore. Ad onta di tanta virtù ,
chi '1 crederebbe ? si attirò le sa-
tire de' maligni ed invidiosi super-
bi, e non poca agitazione dovette
sostenere quell' animo ben avventu-
rato, che riuscì peraltro sempre vit-
torioso delle petulanti maldicenze
ini miche. Col pretesto di onorevo-
le promozione, lo si fece passare,
nel 1695, all'ufficio di segretario
di propaganda, allora impiego dif-
ficile assai pel decadimento nella
economia, accaduto per le turbo-
lenze di Pietro Codde, vicario apo-
stolico nelle missioni di Olanda. Il
Fabroni però così bene seppe de-
ludere le insidie degli avversari
suoi, che non solo ridusse al ter-
mine la causa di quel perturbato-
re, ma ottenne ben anco dal Pa-
pa un dono di centomila scudi ,
colla qual somma rimise l' equili-
brio negli affari sbilanciati di quel-
la congregazione. Clemente XI, pe-
netrato vivamente del merito rea-
le di lui, volle ricompensarlo, ascri-
vendolo al sacro collegio. Siccome
però non avea ricco patrimonio, il
Cardinale Sperelli gli presentò la
rinunzia di una ricca abbazia, co-
sa che il Papa non volle permet-
tere. Disposte però le cose diver-
samente, a' 17 maggio 1706 lo
creò prete Cardinale di s. Agosti-
no, e poscia lo nominò prefetto del-
la congregazione dell'indice, e mem-
bro della congregazione del s. offi-
zio, dei vescovi e regolari, di propa-
ganda, de' riti, e protettore de'ca-
nonici lateranensi e de' monaci di
Vallombrosa. Ebbe gran parte uel-
FAC 279
la costituzione Vnigenilus , in cui
si studiò che fossero esposte nel
modo il più chiaro le insidie del
perverso Quesnello. Fu destinato
ancora a trattare gli affari col sig.
d'Amelot, spedito a Roma da Lui-
gi XIV, il quale tornato in Fran-
cia, non cessava di fare magnifici
elogi del Cardinale Fabroni. Oltre
di tuttociò , venne impiegato in
molti diversi affari della Chiesa ,
come apparisce da parecchi bigliet-
ti, scritti di mano propria del Pa-
pa, e conservati dall'abbate Alfon-
so Fabroni di lui nipote ed ere-
de; ne' quali fu sempre costante
la sua saggezza , nonché l'ottimo
disinteresse. Cultore delle scienze,
e protettore degli studiosi , lasciò
alla patria la sua biblioteca ben
numerosa e scelta, per la quale fe-
ce erigere una bellissima sala, e
destinò una parte delle annue sue
rendite. La maggior quantità però
delle sue facoltà , impiegò nelle
opere pie, tra le quali il perpetuo
mantenimento di due chierici nel
seminario di Pistoia. Una vita cosi
utile alla Chiesa e allo stato con
universale dolore fu tolta in Ro-
ma l'anno 1727; e le spoglie mor-
tali consegnate furono ad una tom-
ba dinanzi l' aitar maggiore nella
chiesa di s. Agostino, dove si leg-
ge a perpetua memoria la più lo-
devole iscrizione. L' orazione fune-
bre in lode di questo Cardinale fu
stampata a Firenze nel 1729.
FACCHINETTI Giannantonio.
V. Innocenzo IX Papa.
FACCHINETTI Antonio, Car-
dinale. Antonio Facchinetti della
Noce, de' marchesi di Vianino, pa-
trizio bolognese, e dal canto ma-
terno pronipote d'Innocenzo IX,
nacque nel iSj^. Non tardò a
spiegarsi nel giovanetto un' indole
280 FAC
la più soave, un' illibatezza di co-
stume, e una prudenza maggiore
assai dell'età, per cui molte cose
si dovettero sino da' più teneri an-
ni predire di lui. Nell'età di anni
dieciotto dal medesimo Innocenzo
IX a* 18 dicembre i5()i fu creato
diacono Cardinale de'Santiquattro,
ed ascritto alle primarie congregazio-
ni. Nelle sedute che si tengono in
queste, fece ammirare la sua sag-
gezza e dottrina, di modo che più
volte se ne destò la meraviglia co-
mune. Ma un' immatura morte
recise il filo di tante speranze che
sopra di lui fondava la Chiesa, e
il orna nel 1606 dovette piagne-
re la sua perdila. Due giorni pri-
ma della sua morte scrisse una
lettera assai commovente alla ma-
dre ; e il dì prima di morire in-
torno a sé raccolti i domestici suoi,
tenne loro fervoroso sermone, esor-
tandoli all'esercizio delle cristiane
virtù. Lasciò la suppellettile della
sua cappella alla diaconia da lui
posseduta. Le spoglie mortali fu-
rono deposte nella chiesa di s. Ma-
ria della Scala.
FACCHINETTI Cesare, Cardi-
nale. Cesare Facchinetti bolognese,
nipote del Cardinale Antonio, e pro-
nipote di Innocenzo IX, ebbe i na-
tali nel 1608. In età di ventiquat-
tro anni recatosi in Roma , inco-
minciò subito la carriera degli ono-
ri, che sostenne sin dal principio
con massimo decoro e virtù. Ur-
bano VIII, allora regnante, cono-
sciutone il di lui beli' ingegno e
l'ottimo cuore, lo nominò segreta-
rio della congregazione de' vescovi
e regolari. In quest' impiego con
tale saggezza pose fine a parecchie
dillcrenze, insorte in qualche reli-
giosa comunità, che molte cause
venivano dalla congregazione ri-
FAC
messe al solo suo arbitrio. Fu po-
scia annoverato tra i prelati del
buon governo, ed ebbe non poche
importanti incombenze, tra le qua
li quella che in dataria si appella
il Conccssum. Col carattere di nun-
zio straordinario si trasferì alla
corte di Madrid presso Filippo IV,
per trattare la lega de' principi
cristiani contro i turchi. In appres-
so poi fu confermato in quella de-
stinazione, come nunzio ordinario,
nel qual officio sostenne con fortis-
sima intrepidezza i diritti della
santa Sede. Circa tre anni dacché
fungea quell'offizio, fu chiamalo in
Roma, e dopo un anno da Urba-
no Vili a' i3 luglio i643, ascritto
al sacro collegio col titolo de' Santi-
quattro. Nel i645, venne eletto a
vescovo di Sinigaglia, dalla qual se-
de, nel i655, fu trasferito al ve-
scovato di Spoleti. Quivi accrebbe
le rendite del seminario e contri-
buì considerabili somme pel ristau-
ro della cattedrale, che arricchì di
sacre suppellettili. In questa chiesa
accolse con ecclesiastica pompa la re-
gina di Svezia Cristina, che recavasi
in Roma. Egualmente aveva amplia-
to ed arricchito la cattedrale di Si-
nigaglia, alla quale vi aggiunse la
tribuna. Siccome sagacissimo vesco-
vo, usava gran diligenza nella scelta
de' parrochi, e nessuno ammette-
va alla cura, quando non lo avesse
prima esaminato severamente nel-
la scienza e ne' costumi. Era ele-
mosiniere per modo che si acqui-
stò il bel titolo di padre de po-
veri. Dolce assai di maniere, affa-
bile con ogni qualità di persone,
protettore degli studiosi, cultore
delle scienze, rigido osservatore del-
la giustizia, venia insieme amato
da ciascheduno e temuto da' ma-
levoli. Dopo la morte del Cardi-
FAE
nal Barberini , sostenne provviso-
riamente il carico di vice-cancellie-
re della S. R. C, e dimesso il primo
titolo, ebbe, nel 1G80, il vescovato
di Ostia e Velletri, divenendo anco-
ra decano del sacro collegio. Tre
anni dopo morì in Roma, ed ebbe
sepolcro nella cappella di s. Tere-
sa in s. Maria della Scaia. Era
stato egli presente a cinque con-
clavi, e più d'una volta avea avuti
parecchi voti per la cattedra pon-
tificia.
FACOLTÀ' ( Facultas). In ter-
mine di scuola, si dice dei membri
di una università, divisi secondo le
diverse arti o scienze che ivi in-
segnano. Sonovi diverse facoltà det-
te facoltà delle arti liberali,, che
comprendono la umanità e la fi-
losofìa, quelle di medicina, di giu-
risprudenza, di teologia ec. V. Dot-
tore ed Università'.
FACUSA. Città vescovile della
prima Augustamnica, sotto il pa-
triarcato di Alessandria, che altri
chiamano con più nomi, cioè Pha~
cusa, o Phacussa dai greci, e Tall-
Faqous o semplicemente Faqous
dagli arabi. Commanville la dice
eretta nel quarto secolo, e sottopo-
sta alla metropoli di Pelusio, seu
Belbais o Damietla. Tolomeo rac-
conta che Facusa fu città capitale
di un Nomo, ossia prefettura del-
l' Arabia, che al dire dei geografi
appellavasi Tarabia. Questa città
era situata sulla riva orientale del
ramo più considerabile del Nilo,
dello pelusiaco ; e le sue rovine
sono vicino a B ubaste* Di Mosè suo
vescovo , ne fa menzione Melezio.
FAENZA (Faventin). Città con
residenza vescovile degli stali pon-
tificii, nella legazione apostolica di
Ravenna, e in quella parte d'Italia
oggidì chiamala Romagna, e in
FAE 281
antico Gallia Togata, indi Flaminia,
e poscia Emilia. Questa nobile ed
antica città è attraversata dalla via
Emilia, così detta perchè Marco
Emilio Lepido, continuò la strada
Flaminia, che da Roma conduceva
a Rimini, sino a Piacenza. È po-
sta in fiorente pianura bagnata dal
fiume Amone, che volgarmente ap-
pellasi Lamone, e da Plinio è deno-
minato Alleino, e nelle antiche scrit-
ture Amo, perchè in molti luoghi
della terra erano templi sacri a
Giove Ammone, uno de' quali era
dappresso a Brisighella. Dai gioghi
dell' Apennino deriva tal fiume, il
quale decorrendo a levante della
città, quasi ne bagna da quel la-
to le mura, e la separa dal borgo
di Urbecco mediante un bel ponte
antichissimo di marmo, ch'era sor-
retto da tre grandi archi, sopra
de' quali si elevavano due massic-
cie ed alfe torri merlate, che per
la loro costruzione indicavano la
rozzezza de' tempi in cui vennero
edificate. Questo ponte, ritenuto
già uno de' più importanti monu-
menti di Faenza, e che dava co-
municazione alla città col borgo,
cadde fatalmente a' i4 settembre
1842, a cagione delle alluvioni, che
ingrossando i torrenti i quali uni-
scono le loro acque a quelle del
Lamone, con impeto il rovescia-
rono, e rompendo gli argini in-
nondarono le campagne, recando
immensi danni, anche in qualche
parte della città, ove le sue acque
penetrarono, per non poter il fiu-
me, per ristraordinaria piena, aver
il consueto regolar corso sino al-
l'Adriatico, ove mette foce. L'im-
magine della B. V. Annunziata
ch'era affissa nella detta torre, pro-
digiosamente si salvò. Ora venera-
si in una cappella del duomo.
282 FAE
A'tempi di Costantino imperato-
ri*, in vece del caduto ponte altro
ne sorgeva ad un solo arco, di mi-
rabile lavoro, e degno di quel l'e-
poca. Per molti secoli si ammirò
quella colonna che i grati faentini
aveano ivi eretta a memoria del-
l'edilizio, e di quel pio, ed anco
per loro magnanimo principe. Dal
Lamone si partono le acque del ca-
nale Zanetti^ che agevola le comu-
nicazioni mercantili col Po di Pri-
maro. Va qui notato che la città
di Faenza nel secolo XIV godeva
il beneficio della navigazione, e di
un porto, ed è perciò che i faen-
tini nel declinar del secolo XVII,
persuasi dei vantaggi che sareb-
bero derivati alla patria rinnovan-
do l'antico commercio per un ca-
nale navigabile, non dubitarono di
affidarne il progetto al valente ma-
tematico Pietro Maria Cavina, il
quale colle slampe del Zarafagli,
nel 1682, pubblicò in Faenza l'o-
puscolo intitolato: Commercio dei
due mari Adriatico e Mediterra-
neo per la più breve e spedita stra-
da dell'Italia occidentale 3 conside-
rato neW antichissima strada per
V Apennino, e sopra il pensiero di
un nuovo canale navigabile da
Faenza all'Adriatico. Ma a cagio-
ne delle circostanze de' tempi, la
città non fu in grado di mandare
ad effetto sì utile ed ingegnoso pro-
getto. Negli ultimi anni del seco-
lo seguente il conte Scipione Za-
nelli, non potendo persuadere ne il
governo, né il civico magistrato, che
il suo analogo progetto presentava
facile riuscita, ed era migliore del
primo, deliberò di assumerne da
se l'impresa, che portò a compi-
mento sotto gli auspicii del Pon-
tefice Pio VI, a cui era in paren-
tela come cugino. 11 sovrano fa-
FAE
vorc appianò gli ostacoli, laonde
col benefico aiuto del magistrato,
fece il canale che dal suo cogno-
me è chiamato Zanetti, lungo ot-
to leghe, fornito di ponti, di mu-
lini, di barche da trasporto, di
magazzini, e d* una darsena vicino
alla città. Lungo le rive sonvi ver-
deggianti pioppi , e maceratoi di
canape e di lino, il quale è molto
stimato.
E qui noteremo , che Faenza
abbonda di tutte le rurali produ-
zioni, e feracissime sono le sue vi-
ti, per cui gli antichi stemmi del-
la città, erano adorni di foglie di
viti. Nel secolo XIII, e prima che
Faenza sostenesse il micidiale asse-
dio di Federico II, la città com-
prendevasi nello spazio di cinque e
più miglia, e in modo che il fos-
sato che al presente la cinge alia
distanza d'un miglio, e che appel-
lasi la Cerchia , mostra essere ciò
che rimane dell'antico recinto de'
molti e importanti borghi che sor-
gevano in que' giorni, come si ve-
dono i luoghi ov' erano le porte
della città. Ma Federico II impera-
tore fatte atterrare le borgate e i
diversi bastioni, ne diminuì così la
forza e l'ampiezza. Se non che giun-
ti dappoi i Manfredi a signoreg-
giare la città e il territorio., ne ri-
fecero la muraglia con fortificazio-
ni, e fu circoscritta entro il re-
cinto di quasi tre miglia. La stra-
da chiamata il Corso è spaziosa e
rettilinea, qualità che risaltano pu-
re nelle altre strade principali. A
cagione delle guerresche devasta-
zioni, non vi sono in Faenza avan-
zi di edifizi anteriori alla gotica
dominazione ; sebbene negli scavi
si rinvenissero colonne, statue, la-
pidi con romane epigrafi, da cui
si congettura che l' odierna città
FAE
sia nata dalle rovine dell' antica.
Faenza è decorata di parecchi edi-
lìzi leggiadri e magnifici; facendo
mostra d'anfiteatro la piazza mag-
giore, pel duplice loggiato ch'e-
stendesi da ambo i lati. In una
delle loggie superiori, ove pur fu-
rono le pubbliche scuole, vi fecero
residenza i podestà di Faenza, ed
era vi contiguo l'antico teatro, cui
presiedeva l' accademia de' Remoti.
Ivi pur sorgeva un'alta torre, che
per decreto magistrale fu demo-
lita nel 1776, esistendo altra tor-
re, ad altro angolo della piazza,
più sontuosa, sulla quale nel i6i5
fu collocata l'immagine della Bea-
ta Vergine di marmo bianco e ben
lavorata. Il palazzo della comune
è ampio e magnifico, ed ivi at-
tualmente risiedono il governatore
e il magistrato della città, coi loro
uffizi e dipendenti. In questo pa-
lazzo, già abitazione dei potenti
Manfredi , si ammirano leggiadri
dipinti a fresco, anche recenti. Mol-
ti e vasti appartamenti, due ampie
sale, e gallerie decorano l'edifizio.
Da una di queste gallerie si passa
al nuovo teatro , opera pregevole
dei cav. Pistocchi, architetto faenti-
no, che il compi nel 1788; essen-
do encomiato sì per la struttura
che per gli eleganti abbellimenti
che lo nobilitano. Raro e vago or-
namento della medesima piazza
maggiore, è la fontana che sta da
un lato, circondata di cancelli, de-
corata da tre grandi leoni, simbo-
lo del civico stemma, nonché da
varie aquile e draghi di bronzo
che ricordano quello di Paolo V
sotto del quale la fontana fu ter-
minata. Dalle bocche ed altre par-
ti del corpo degli animali zampil-
la l'acqua, che insieme agli altri
gettiti cade neh" ampio sottoposto
FAE 283
lavacro di marmo. Ne fu architet-
to il p. Paganelli domenicano, ed
illustre faentino. Carlo Cesare Sca-
letta celebrò i singolari pregi di
questo fonte, coll'opuscolo intito-
lato: Il fonte pubblico di Faenza,
e la descrizione dì ogni sua parte,
col modo di mantenere e di rego-
lare le acque, aggiuntavi un ap-
pendice che serve di scuola agli
architetti per comporre simili fab-
briche, Faenza 17 19, per GiosefFo
Antonio Archi.
Sugli avanzi dell' antica rocca,
già dai vicari della santa Sede
innalzala a valido propugnacolo del-
la città, il faentino monsignor Can-
toni, vescovo della città, eresse il
pubblico e grandioso ospedale, con-
tribuendovi eziandio altri ospedali
e pii stabilimenti. Avvi inoltre l'o-
spedale de'proietti, l'ospizio pei po-
veri fanciulli, l'orfanotrofio pei ma-
schi, ed altri lodevoli pii luoghi.
Cospicua è la pubblica biblioteca,
ora esistente entro il novello pur
pubblico ginnasio , ed il fiorente
seminario venne fondato dal vesco-
vo de Grassi nel 1077, e perciò
uno de' primi istituiti dopo il con-
cilio di Trento. Nel ginnasio è col-
locata una serie di pregevoli pit-
ture, prima esistenti nella pinaco-
teca del liceo. Copioso è il nume-
ro delle belle chiese, che formano
il principale ornamento di Faenza,
delle quali ci limiteremo ad un
cenno delle primarie, mentre è no-
to che nel secolo XVII, settanta-
due erano i sagri templi. La cat-
tedrale, ossia il duomo, fu inco-
minciata nel 147 3 dal vescovo Fe-
derico, figlio di Astorgio Manfredi
signore di Faenza , compiendola
Galeotto suo fratello: vuoisi archi-
tettata da Bramante Lazzeri, con tre
navate grandi, come grande n'è la
284 FAE
cupola. Venti sono le cappelle la-
terali, oltre l'altare maggiore. Tra
i tanti suoi pregi e decorazioni,
sono a nominarsi i marmi, le co-
lonne, i dipinti ec. , mentre tra le
cappelle merita special menzione
quella elegante di Maria Vergine
delle Grazie, speciale protettrice
de'faentini, i quali sempre a lei ri-
corsero con prodigiosi successi. Des-
sa fu coronata alla presenza del
Cardinal Cennini vescovo di Faenza
nel 1 63 1 , ed i pubblici rappre-
sentanti gli offrirono le chiavi del-
la città per averla liberata dalla
peste, ciò che avea fatto prima, e
fece anche dopo; sperimentando per
simile flagello, come pel terremoto,
il suo patrocinio anche altre cit-
tà. Prima la sagra immagine si
venerava nella chiesa de' domeni-
cani, donde liei 1760 fu traspor-
tata nella cattedrale. Va qui no-
tato, che sopra la porta della cit-
tà a dimostrazione di gratitudine,
fu, anni sono, posta in plastica l'effi-
gie in grande dell'istessa Beata Ver-
gine delle Grazie per cura del ma-
gistrato comunale, e ciò per la pre-
servazione del cholera.
Inoltre avvi nella cattedrale la
cappella di s. Pier Damiano, o-
norevolissimo monumento. Orna-
ta essa è di buoni stucchi e buo-
ni dipinti. L'urna di marmo fino,
dove sono gli avanzi del santo dot-
tore, è di bel lavoro, e se ne de-
ve lode al reverendissimo capitolo,
ed al vescovo Stefano Bonsignore,
che concorsero nella spesa; grande
è la divozione de'faentini, verso di
sì gran santo. Questa chiesa di-
venne cattedrale, dopo che Luit-
prando re de' longobardi rovinò la
città ; e da ultimo coi tipi del Mon-
tanari e Marabini, nel i838, in
Faenza il dotto can. della medesi-
FAE
ma d. Andrea Strocchi faentino
pubblicò le eruditissime Memorie
isloriche del duomo di Faenza, e
de personaggi illustri dì quel capi-
tolo, corredate di XIV tavole in-
cise, il tutto con isplendida edizio-
ne. Ma il primo tempio cattolico
di Faenza si è la chiesa di s. Ma-
ria vecchia o ad Nives, chiamata
già foris Portam, perchè esisteva
fuori dei sobborghi, e che avanti
la detta rovina, e innanzi l'anno
j /\o, serviva di cattedrale. Succes-
sivamente 1' ebbero in custodia i
benedettini neri, i monaci dell'A-
vellana, e i cisterciensi. Abitano al
presente l'attiguo monastero le don-
zelle esposte: pia istituzione che ri-
sale all'anno i43o circa. Delle al-
tre chiese, delle parrocchiali, di quel-
le pertinenti a vari istituti religio-
si d' ambo i sessi, come di quelle
di juspatronato, ne fa la descri-
zione il eh. Bartolommeo Righi
faentino, nel voi. I, pag. 23 e seg.
de'suoi importanti e applauditi an-
nali della città dì Faenza, e qui-
vi pubblicati nel 1840. Del con-
vento e chiesa di s. Girolamo dei
pp. osservanti ne tratta il p. Fla-
minio da Parma nel tom. Ili del-
le sue Mem. storielle ; del moni-
stero e chiesa di s. Maglorio ve-
scovo scozzese, delle monache ca-
maldolesi, ch'ebbero ivi origine nel
1 3 1 7 dalla cella del b. Lorenzo
camaldolese, abbiamo da Giovanni
Grilli 1' Origine delle monac/ie ca-
maldolesi di s. Maglorio di Faen-
za succintamente esposta, Faenza
1747, pel Maranti; e da Giacomo
Laderchi abbiamo V Inventario del-
le reliquie e reliquiari di s. Lucia
di Faenza dell'ordine cistcrciense,
Faenza 1733, per l'Archi.
Tra gli opificii di Faenza pri-
mieramente va fatta distinta men-
FAE
zione delle manifatture e fabbri-
cazione delle stoviglie di maiolica
ad imitazione delle porcellane, che
qui ebbe principio, e dilatatasi poi
nella Francia e nell' Inghilterra
portò seco il nome di Fayence
derivatole da questa città : nome
che danno gli esteri ai vasi di
quella foggia lavorati; e comunque
dall'odierno raffinamento sieno es-
si migliorati notabilmente, ninno
può toglierne a Faenza il pregio
dell'invenzione. Osserva il lodato
Righi, che forse alle ottime con-
dizioni di cotale manifattura ha
cospirato grandemente una qualità
di terra, che nel faentino territo-
rio si trova in gran copia, ed è
mirabilmente idonea a venire ma-
neggiata, e a ricevere qualsivoglia
forma e impronta. Comunque legge-
rissima essa diviene di tanta soli-
dità che regge costantemente al
fuoco e a' bollenti umori. Aggiun-
ge poi che gli scolari di Raffaello
non isdegnarono di dipingere so-
pra vari pezzi della faentina maio-
lica, di guisa che invalse l'opinio-
ne, benché fallace, che Raffaello
stesso vi dipingesse; opinione pur
bastevole a far sì che tali dipinti
vasi si guardino tuttavia del pari
alle più mirabili pitture in alcune
gallerie. Il Cavina porta opinione
che nel secolo XI "V fiorissero e-
sperti maestri di maiolica in Faen-
za ; e le recenti manifatture hanno
aumentato V antico suo lustro, tan-
to nelle stampe, che nel disegno,
dipinture e dorature. Va pure ri-
cordato l'ingegnoso filatoio, inven-
tato nel i559 da Paolo Ponteghi-
no, cui certi negozianti francesi
domiciliali in Faenza, nel 1670 ri-
dussero al più alto grado di perfe-
zione. E pregiala la cartiera eretta
nel 1687, per ^a carta cne v' s' 'av0'
FAE 285
ra, la quale ha il credito di una
delle migliori. Le arti e l'indu-
stria vi fioriscono, forse più del-
le altre città di Piomagna. Vi ab-
bondano eccellenti ebanisti ed in-
tarsiatoli, massime l'officina di cer-
to Mingozzi, in cui s'imitano i
pregiati lavori antichi in legni co-
lorati e in pietre dure; e bravi
carrozzieri, tra' quali hanno acqui-
stato speciale rinomanza i fratelli
Casalini, che non lasciano invidia-
re alla patria e allo stato ponti-
ficio le carrozze di Milano, di
Parigi e di Londra. Faenza gode
aria salubre, ed ha fecondo terri-
torio; né manca di acque termali.
A quattro miglia della città sca-
turiscono quelle dette di s. Cristo-
foro, delle quali abbiamo da Blan-
chelli Menghi, De baltico s. Chri-
stoforì Faventiae. Extat inler
scriptor. de balneis3 etc. Venetiis
i553. Inoltre venne dimostrala
la salutifera virtù di tali acque
dal dottore Corsieri con opuscolo
stampato nel 1761. Alla stessa
distanza della città nel 1819 s*
discoprirono sorgenti d'acque mi-
nerali, che tengonsi più efficaci
che quelle di Rio-lo-Secco. Si rin-
vengono in alcuni strati di ter-
ra diversi minerali , pietre , ec.
V. V opuscolo di scelta erudizio-
ne di Pietro Maria Cavina : Faveti-
iia anti qui ssìma regio rediviva co-
uatu hislorico-geographico, Faven-
tiae 1670, ex calcografia Josephi
Zanofallii, con figure. Qui notere-
mo che ad un Giorgio Zara fagli
riminese si attribuisce l' introduzio-
ne della stampa in Faenza, cioè al
i623; ma è a sapersi, che ivi un
secolo prima l'avea introdotta il
cremonese Gio. Maria de' Simo-
netti, che vi durò a stampare pa-
recchi anni. Inoltre la descrizione
&86 FAE
(Iella citlà di Faenza fu stampata
ìiell' Itinerario italiano nel i8o5,
pregiato lavoro del eh. faentino
eonte Francesco Ginnasi.
La città di Faenza stese un
tempo i suoi domimi fino alle Al-
pi , signoreggiando da quel lato
Brisighella, Modigliana, Marradi,
eia città d'Imola. Al piano do-
minava Lugo, Cotignola, Bagna-
ea vallo, Solarolo, e Russi , oltre
parecchi castelli, e munite torri,
che ne' diversi luoghi del territorio
sorgevano. Forlimpopoli e Meldola
erano anch'esse soggette per mol-
ti rispetti a Faenza, in quanto che
erano tenute a ricevere un citta-
dino di Faenza per loro podestà;
al che eziandio Forlì ebbe ad accon-
sentire. Cervia venne pure aggre-
gata alla signoria di Faenza, quan-
do quei cittadini abbisognavano di
aiuto contro i ravennati; i quali
dai faentini furono sconfitti, ed in-
seguiti sin dentro Ravenna, e al
luogo detto allora Pai Chiavato,
che dovettero soggettare alla giu-
risdizione spirituale del vescovo di
Faenza, oltre lo smantellamento
di parecchie castella. Combattendo
Carlo Magno il re Desiderio rin-
chiuso in Pavia, Faenza mandò
al primo poderose forze. Quando
i generosi lombardi formarono la
rinomata confederazione contro Fe-
derico I imperatore, Faenza fu la
sola città di Romagna che entras-
se in sì pericolosa impresa. Deg-
gionsi pure rammentare gli eletti
giovani affidati da Faenza al zelan-
te vescovo Giovanni, per la cro-
ciata di Palestina. Confederata ai
bolognesi diede essa validi soccor-
si, ed essendo seco loro in guerre,
due volte li pose in fuga. Tre
memorabili assedii intrepidamente
sostenne, cioè nel ii85, e nel
FAE
ia4» dagli imperiali, e nel i5oo
dal famoso duca del Valentinois.
11 Garampij nelle Memorie istori-
che, p. 3, enumerando i fuochi
delle principali città di Romagna,
dopo Rimini, dà la preferenza a
Faenza, che ne avea più di Ra-
venna, Forlì, e Cesena. Che Faen-
za avesse la zecca, lo si ha da Gui-
do Zanetti, Delle zecche d'Italia
t. II, dalla quale opera fu estra-
to l'opuscolo intitolato: Delle mo-
nete di Faenza dissertazione, Bo-
logna 1777. Quando Astorgio IH
Manfredi, a persuasione del beato
Bernardino da Feltre istituì a sol-
lievo degli indigenti il sagro mon-
te di pietà per le gratuite pre-
stanze di denaro, per memoria fu
in Faenza coniata una moneta di
argento del valore di paoli due
circa, coli' effìgie di Astorgio III
da una parte, e dall' altra l' inse-
gna della cristiana pietà.
In quanto ai dominatori della
città di Faenza, vuoisi che gli at-
tici ne fossero i primi reggitori,
e che il governo sentisse del po-
polare come quello de' greci. Suc-
cessi a quelli gli etruschi, è pro-
babile che toscano ne fosse il go-
vernamento; e caduta Faenza al-
la signoria de' galli, indi migliorò
la sua sorte, divenendo municipio
romano. Nei diversi 'avvenimenti
della repubblica, Faenza talvolta
seguì le parti degli ambiziosi, che
meditavano impadronirsi del pote-
re, poiché fu seguace di Pompeo.
Dopo la distruzione dell' impero
occidentale, e lo smembramento
della potenza greca in Italia, pas-
sò Faenza sotto il paterno regime
pontifìcio con proprie leggi, e pel-
le circostanze eie' tempi divenne
poi preda di alcuni dominatori. Lo
fu temporaneamente d'un Mainar-
FAE
rio Pagana da Sussenana nel i3oo,
e dal 1 3 1 3 sino ai primi del i5oo
fu soggetta alla potenza dei Man-
fredi, finche, dopo la breve usur-
pazione di Cesare Borgia ed oc-
cupazione de' veneti , nel 1 5 io tornò
al pieno dominio della santa Sede.
Vario fu il reggimento civico di
Faenza, ed a seconda delle suddet-
te dominazioni. Quando reggevasi
a popolo, la suprema potestà era
nelle mani de' consoli ; poscia dei
podestà ch'erano cittadini di altre
città, ivi chiamati a fungere l'uf-
fizio di rettori. Venne pure retta
dai capitani del popolo, che ordi-
nariamente venivano eletti fra i
principali cittadini ; ma dessi abu-
sando del potere divennero assolu-
ti dominatori. Dal i5oo in poi,
facendo intera parte del governo
pontificio, fu sottoposta ai Cardina-
li legati di Romagna, tranne il bre-
ve periodo della repubblica cisal-
pina, e quello del regno italico.
Ora è dipendente dalla legazione
apostolica di Ravenna, e governata
da un pontificio governatore. Nel
distretto di Faenza sono compresi
i governi di Brisighella, e di Rus-
si. Nel proprio governo poi si nu-
merano quaranta casali. Brisighel-
la, già rinomato castello, è oggi
un importante borgo nella valle del
Lamone, e presso la riva sinistra
di questo fiume. Risale la sua ori-
gine all'anno goo dalle rovine del
castello di Beccagnano, ed ingran-
dita fu quindi nel 1277 dal Pa-
gano. Gli uomini de' dintorni nei
bassi tempi furono prodi guerrieri
ed eccellenti condottieri di eserciti.
Fiorirono anche uomini per digni-
tà ecclesiastiche preclari, come i
Cardinali Galantina Agostino (Ve-
di), e Spada Bernardino ( Vedi).
A tal onore era vicino il rispetta*
F A E 287
bile monsig. Domenico Cattani, as-
sessore della sagra romana ed uni-
versale inquisizione, se la morte in
patria non troncava i suoi preziosi
giorni. Le sue preclare virtù meri-
tarono di essere lodate coli' Elo-
gio stampato pel Conti in Faenza
nel i838, e dedicato dai fratelli
dell' illustre defunto all' odierno
monsignor vescovo, che ne fu l'a-
morevole scrittore. Le vecchie mu-
ra di Brisighella attestano la sua
antica fortezza; ma nel i5oo, l'op-
posizione che fece alle armi di Giu-
lio II, le produsse molti guasti.
Vi è la collegiata di san Miche-
le arcangelo, e la chiesa di san
Giovanni Battista va rammenta-
ta , insieme a quella de' mino-
ri osservanti. Nel governo di Bri-
sighella evvi il villaggio Fognano
sulla riva del Lamone, presso il
toscano confine, in cui fiorisce in
bellissimo fabbricato l' educandato
delle fanciulle, fondato dalla pia
generosità del faentino Giuseppe
Maria Emiliani. La chiesa ricevet-
te per la fabbrica la somma di sei
mila scudi dal Cardinal Giuseppe
Fesch, suo munifico protettore; ma
il lodato Emiliani vi spese il triplo
per condurla a termine. In quanto
al governo di Russi, questo è un
borgo posto nella bassa pianura
fra il Montone ed il Lamone, alla
sinistra del torrente Via Cupa, che
influisce ne'due fiumi sotto Ra-
venna. Russi venne eretto nell'an-
no 963, poi ingrandito nel 1 37 1
da Guidone di Polenta, e nel i5i?,
era un paese assai forte: è circon-
dato di mura, con bella piazza, e
rimarchevoli edifizi. In Bagnaca-
vallo (Fedi) sono i conventuali,
e due monisteri di cappuccine.
Lo stemma della città di Faen-
za è figurato da un leone rampante,
288 FAE
con la spada nella destra zampa,
con corona in capo di foglie di
quercia, e sopravi tre gigli d' oro.
Delle antiche famiglie illustri della
città di Faenza ne tratta il Righi,
loco citato, pag. 5o e seg., ove
principalmente parla delle famiglie
Terenzia; Claudia, donde uscì l'im-
peratore Tiberio Claudio; Cejonia
Vera ; e Domizia. Lucio Elio Vero
Ccjonio Comodo vuoisi faentino, e
prese in moglie Domizia Lucilla pur
faentina, da cui nacquero Lucio Au-
relio Vero Antonino, che imperò con
Marc'Aurelio, e Cejonia che fu im-
palmata da Marco Aurelio Anto-
nino : Domizia si fece cristiana, e
col nome di Emiliana sostenne glo-
rioso martirio. Il Papa s. Calisto I
romano, creato l'anno 221, era del-
la famiglia Domizia, la quale fiorì
in Faenza sino al 1200 col nome
di Caminizia; mentre la Cejonia
ivi sussistette sino all'anno 74°-
Dell'origine e gesta delle altre no-
bili famiglie faentine, il medesimo
Righi ne parla in vari luoghi de-
gli Annali, con importanti notizie;
ed il can. Strocchi nei suoi Primor-
dii della chiesa faentina, ci dà
preziose notizie sui cospicui perso-
naggi sunnominati, che fiorirono nei
primi secoli della corrente era. Fra
le moderne nobilissime famiglie ,
oltre quella di Pietro Pagano, già
possente nel 1 o45, ci limiteremo ad
accennar quella de' Manfredi che
divennero signori della città, e che
alzossi sopra ogni altra pel suo
slato principesco, protestando però
che la sua origine si tiene favolo-
sa . Narrasi pertanto che un nobi-
le cavaliere per nome Manfredo,
essendo in Bisanzio alla corte di
Costantino s' innamorò di sua figlia
Emide, colla quale fuggì, unen-
dosi in matrimonio. Stabilitisi na-
FAE
scostamente nel territorio di Mo-
dena, acquistarono su^li abitatori
autorità ed impero. Dai loro fi-
gliuoli derivarono parecchie nobili
famiglie in quelle parti, massime
quella che divenne signora di Faen-
za. V. il Sansovino, Origine delle
famiglie ec, della famiglia Man-
fredi j e M.r de Chasoiv, Génea-
log. historiq. 3 Seigneurs de la mai-
son de Manfredi, tom. II, pag.
54i. Faenza fiorì per letterati, ar-
tisti, guerrieri, ed altri uomini in-
signi. Andrea Zanone ci ha dato :
Lettera ad un amico in cui si
parla dell' opuscolo de lille ra tur a
Favenlinorum , data in Faenza i.°
febbraio 1775. Tale opera è del
p. Gio. Benedetto Mittarelli, che
porta per titolo : De litteralura
Favenlinorum 3 sive de viris do-
ctis, et scriptoribus urbis Faven-
tiae. Appendix ad accessiones hi-
storicas faventinaSjYenelidLe 1775.
Sull'accademia poi de' Remoti ', ab-
biamo l'opuscolo intitolato : Fon-
dazione e progressi dell' accade-
mia de' signori Remoti di Faenza,
ivi 1G81. Il eh. Righi, nel tom.
Ili de' suoi Annali, a pag. 199,
discorre dell'accademia de' Filoponi,
cioè di amatori della fatica ; acca-
demia che fiorì per lungo tempo,
e la cui fondazione risale al 16 19;
ed a pag. 262, dell'accademia de-
gl' Incitati, eh' ebbe principio nel
i685. 11 Garuffi nell' Italia acca-
demica, ove parla di#diverse acca-
demie dello stato pontifìcio, discor-
re pure dell' accademia di Faenza.
Corre già felicemente il IV anno
che con pubblica lode e gradimen-
to periodicamente si pubblica in
Faenza l'utile, dilettevole e dotto
giornale letterario, intitolato Y Im-
parziale, di cui sono benemeriti
e zelanti i chiarissimi abbate Giù-
FAE
seppe Macco! ini coestensore, e Vin-
cenzo Rossi direttore proprietario ;
nomi che risuonano onorati e di-
stinti nella repubblica letteraria.
A tali due valenti scrittori mi
corre tenero obbligo di eterna ri-
conoscenza, per essere di quelli che
presero amorevole parte alle mie
molte e calde lagrime, sparse al-
lorché piacque a Dio privarmi
dell'unico figlio maschio, fra sei
figlie femmine di cui pur sono
padre, cioè dell' amabilissimo e di-
letto Gregorio Moroni romano ;
grave perdita che tanto più. mi
colpì e trafisse, sì per la brevità
del male che lo rapì, sì per le
liete e grandi speranze, ch'egli mi
dava. Non solo egli meritò essere
compianto nel lodato faentino Im-
parziale dai eh. Maccolini e Rossi,
ma nel medesimo foglio da ultimo
lo fu eziandio con cordialissimi
cenni biografici dal eh. professore
Gaetano Lenzi.
Distinguevasi l'egregio mio fi-
glio novenne per regolari forme e
statura vantaggiosa, animandone il
volto belli e nerissimi occhi : in-
genuo e grato n' era l' aspetto, in
cui traspariva il candore del suo
pieghevole animo, tutto inclinato
alla compassione del suo simile ;
distinguevasi inoltre per aurea in-
dole, per senno superiore alla sua
età, per piacevolezza e lepidezza ;
in fine per pronto e felice ingegno,
dandone chiare prove, non senza
sorpresa de' suoi maestri, nel pro-
gresso mirabile e rapido eh' egli
fece negli studi . Laonde per sì
pregevoli qualità, e pel singoiar
complesso delle circostanze che pre-
cedettero, accompagnarono, e se-
guirono il triste inatteso avveni-
mento, sarà sempre per me funesto
il dì 22 agosto, giorno in cui, con
vol. xxii.
FAE 289
inesprimibile ed immenso dolore,
nel 1842 fui privato quasi repen-
tinamente del tanto pianto, e degno
mio figlio. A pubblica testimonian-
za di verace stima, e di sviscera-
to amore verso di esso, e del cordo-
glio che mi accompagnerà alla tom-
ba, giammai tralascerò di ulterior-
mente e con tutti i mezzi possibili,
renderne vieppiù illustre, distinta e
perenne la ricordanza. La sua ca-
ra memoria fu già resa eminente-
mente tale in vari modi da diversi
primari artisti di Roma, e con
decoro venne celebrata da chiaris-
sime penne, con stupendi ed ele-
ganti necrologici componimenti , è
con soavi poesie, piene tanto di con-
forto per me, e di giusto elogio pel
defunto, quanto di belle immagini
ed affettuosi concetti. Desse non si
ponno leggere dagli animi gentili,
senza provarne sensibile commo-
zione : dappoiché i cortesi ed insi-
gni autori, penetrati dell' acerbità
del caso , fecero proprio il dolor
mio. Abbiano perciò essi anche qui
un ringraziamento, che vorrei espri-
mere colle più splendide parole, e
tali che significassero il sentimento
dell'animo. Sì fatte amorevoli, pub-
bliche e solenni dimostrazioni, nel-
la maggior parte graziosamente rac-
colte da mano amica, vennero con
pietoso divisamento , siccome fiori
non caduchi, ed ancor tiepidi delle
mie lagrime , sparsi sulla tomba
del figlio , a me intitolate, e col
ritratto del giovanetto in fronte ed
in fine del libro, furono decorosa-
mente e con bella edizione pub-
blicate in Roma dalla rinomata
tipografia Salviucci, nel primo an-
niversario della morte del mio fi-
glio Gregorio, epoca di mia gra-
vissima sventura ; ed epoca infelice
che pur volle rammemorare colla
!9
290 FA E
suddetta biografia l'ottimo e rispet-
tabile Lenzi. L'amabile giovinetto
pei copiosi doni di cui gli fu lar-
gì natura e fortuna, non solamente
fu avventuroso vivente, ma lo fu
pure dopo morto, percbè assai o-
norato, encomiato ed applaudito
per le sue eccellenti non comuni
qualità. Di grazia si condoni beni-
gnamente ad un desolato e af-
flitto genitore questo sfogo, forse
abbondante, caduto per gratitudine
naturalmente dalla penna in que-
sto mio Dizionario, molti articoli
del quale scrissi appositamente pel
defunto, che vide con piacere pub-
blicato il XIV volume. Però ri-
torno sommesso a chinare rive-
rente il capo alle venerate dispo-
sizioni e voleri di Dio, e a bene-
dirne, glorificarne, e magnificarne
il sagrosanto suo nome.
Ritornando sulle opere che trat-
tarono di Faenza e che le danno
nobile rinomanza, dirò che per
conto ai santi e beali faentini si
può leggere quanto pubblicò Ro-
mualdo Maria Magnani. Nel 174*
egli ci diede per l'Archi , le Vile
de santi e beati della città di
Faenza, ove si tratta delle imma-
gini della Beata Vergine, e di va-
rie memorie sagre di essa città, ec.
Nel discorso preliminare dà egli
cognizioni sulle famiglie illustri di
Faenza, e di vari storici della me-
desima. Quindi nell'anno seguente
e per lo stesso tipografo, il Ma-
gnani pubblicò: J' ite de' santi e bea-
li della diocesi di Faenza con una
descrizione proemiale di tutte le ter-
re e castelli esistenti in essaj il
medesimo scrittore parla di alcuni
santi martiri anonimi faentini sot-
to Diocleziano e Massimiano l'an-
no 290. Meritano pure speciale ri-
cordanza s. Umiltà istitutrice del-
FAE
le monache vallombrosane , la b.
Margherita sua compagna , il b.
Giacomo Filippo Bertoni servita,
e il b. Andrea Bovi domenicano
martire, de' quali trattano i boi-
landisti e il Magnani. In fine av-
vi un supplimento di alcuni sog-
getti tralasciati nel tomo degli
uomini illustri per santità di Faen-
za. Tra quelli che fiorirono nelle
dignità ecclesiastiche, a cagione d'o-
nore, nomineremo i Cardinali Bo-
schi Gio. Carlo (Fedi), Severoli
Antonio Gabriele (Fedi), che fu
vicino al pontificato, e Zauli Giam-
battista (Fedi). Qui va notato che
il Cardinal Boschi lasciò alla cat-
tedrale molti arredi sagri, ricama-
ti in oro e ricchi di pietre pre-
ziose; e procurò che fossero au-
mentate le rendite della fabbrica e
della sagrestia.
Quanto alle arti belle, Faen7a
ebbe sempre valenti professori fino
dai tempi del Giotto, di cui furo-
no discepoli Pace e Ottaviano da
Faenza. Giovanni Battista Bertucci
il vecchio n' è forse il più loda-
to pittore; poi Jacopone suo figlio
discepolo di Raffaello, insieme con
Marco Marchetti detto Marco da
Faenza, di cui furono contempo-
ranei Sigismondo Folchi, imitato-
re, e forse scolare del Frate, non
ricordato, non si sa il perchè, dal
Lanzi; e Giulio Cesare Tonducci,
chiamato il Figurino, scolare di
Giulio Romano; e Gio. Battista
Armellini disegnatore esimio e pit-
tore, che scrisse i lodatissimi e più
volte stampati Veri precelti della
pittura. Al principio del secolo
XVII fiori il cav. Ferrati Fono-
ni , e un Manzoni degno scolare
e imitatore de' Caracci. E tacen-
done più altri può nominarsi il
cav. Tommaso Minardi , che vi ve
FAE
in Roma per gloria di questa cit-
tà, e dell' Italia. Pietro Barilotti,
di cui tace im meritamente il Ci-
cognara, dopo il principio del se-
colo XVI esercitò con molta lode
la scultura, e ci restano monumen-
ti di suo scalpello assai pregiati.
Agli architetti , oltre i nominati
cav. Giuseppe Pistocchi, e p. Do-
menico Paganelli che fu maestro
del sagro palazzo, e matematico, e
architetto de' Papi Leone XI, e
Paolo V, potrebbesi aggiugnere il
p. servita Andrea de' Manfredi si-
gnori di Faenza, che architettò e
costruì a sue spese nel 1377 il
portico de'Servi di Bologna, e dise-
gnò gli stalli del coro dell'annes-
sa chiesa, che fu deputato a di-
ligere il modello della chiesa di s.
Petronio di quella città, e meritò
per la dottrina e bontà sua di
essere eletto generale del suo or-
dine. A compir la serie degli ar-
tisti, non è da tacere Giuseppe
Santi, che si annovera fra i clas-
sici maestri di musica. Venendo ai
letterati, sono a ricordarsi, fra gli
scrittori ecclesiastici, i due dome-
nicani Luca Castellini e Girolamo
Armellini, e il francescano Filippo
Fabbri , che già ebbero nome di
grandi teologi; e Giacomo Lader-
chi, prete dell' Oratorio di Roma,
che continuò gli annali del Baro-
nio e del Rinaldi ; e il canonico
Filippo Rondinini. Nella filosofia si
segnalarono Pier Nicolò Castellani,
e il nipote monsignor Giulio Ca-
stellani, che fu anche oratore e
letterato insigne, e mori in R.oma
nel i586, poco dopo essere stato
eletto vescovo di Cariati ; e Gre-
gorio Zuccoli, già nominato fra gli
storici, e ultimamente il dottor An-
tonio Bucci. Il gran Torricelli è no-
tissimo a tutto il mondo. Furono
FAE
291
pur buoni matematici i ricordati
Pier Maria Cavina e Carlo Cesare
Scaletta. Furono chiari medici i
due Vettori Leonello, e Girolamo;
Mengo Bianchelli ; Antonio Cittadi-
ni, che dopo aver professato in
più università italiane l' arte sua,
acquistossi in Parigi il nome di
grande italiano; Pietro Sali Diver-
si ; e Domenico Masotti ( detto ma-
lamente fiorentino dal Lombardi
continuatore della storia del Ti-
raboschi ), il quale professò in Fi-
renze la chirurgia, e pochi scritti
pubblicò , lasciando manoscritte
molte cose, delle quali dopo lui
altri forse si sarà fatto bello. Co-
me giureconsulti si segnalarono
Bartolommeo Ercolani ; Ercole Se-
veroli, che fu uno de'promotori
del concilio di Trento; Gabriele An-
tonio Calderoni ; e monsignor Zauli
Teseo vo di Veroli. Fra i poeti let-
terati ed eruditi sono a nominarsi
Ugolino d'Azzo Ubaldini, encomia-
to da Dante; Alessandro Caldero-
ni; Lodovico Zuccoli; Gio. Battista
Zarattini Castellini; monsignor Mar-
cello Severoli ; Porporino Baroncini
monaco celestino; il parroco An-
tonio Laghi che in eleganti versi
latini voltò i salmi ed altri libri
scritturali, e molte poesie italiane;
e il giovane morto testé in Pari-
gi, discepolo di Champollion, Fran-
cesco Salvolini, che parecchi scrit-
ti ha dato in luce ad illustrazione
delle antichità egiziane; e vive tut-
tavia in Ravenna con vigoria di
mente e di corpo il Nestore dei
letterati italiani, il eh. cav. Dio-
nigi Strocchi, traduttor di Callima-
co, e delle Buccoliche e Georgiche
di Virgilio.
L'origine di Faenza probabilmente
si deve agli attici, i quali in com-
pagnia dei tessali e di altri popoli
lyi FAE
della Grecia, dopo il diluvio di
Deucalione, dalle loro contrade na-
vigando pel mare Adriatico , ap-
prodarono ne' dintorni di Ravenna
circa 1200 anni avanti l'era cristia-
na. Indi si narra che i tessali po-
sero le fondamenta di Ravenna, e
gli attici avanzandosi verso i colli,
nello spazio più acconcio, gettaro-
no le fondamenta della città, ove
radunando i rozzi abitanti de' din-
torni la chiamarono con greco vo-
cabolo Splendeo, per denotare la
magnificenza e il lustro cui dovea
salire la comune patria, che poi
prese il nome di Faenlia , donde
provenne l'odierno di Faenza. Non
si può stabilire come questo venne
imposto alla città, o ciò seguisse
per opera degli etruschi, che di-
scacciando gli attici estesero la do-
minazione per molta parte del
paese, che oggidì appellasi Emilia
o Romagna ; ovvero più probabil-
mente ciò avvenisse per opera dei
romani, i quali dagli abitanti eb-
bero validi soccorsi in gente ed
armi all'epoca della seconda guer-
ra punica, che per significare i
rilevanti aiuti conseguiti contro
Annibale, mutarono l' appellativo
Faentia in Favenlias acciocché sì
fatto nome facesse per sempre pub-
blica testimonianza del favore che
i romani trassero dai faentini nel-
la memorata impresa. Altri dicono
che fu fondata dagli umbri, che
Flavio romano la eresse, che fu
fatta città nell'anno 3i3, e circon-
data di mura nel 1 286 : così il
Calindri nel Saggio statistico stori-
co dello stato pontificio, pag. 1 1 6.
Altri finalmente asseriscono che
questa antichissima città, sino al
tempo di Costantino il Grande chia-
mossi Flavia, e prese allora il
nome di Faventia, per ordine dello
FAE
stesso imperatore che l'avea sem-
pre favorita, e che da questo si
formò per corruzione il suo mo-
derno nome di Faenza. Tutta volta
vuoisi dai critici, che di Faenza, seb-
bene città antichissima, se ne igno-
ri affatto l'origine ; e che quanto
dicesi di sua fondazione, e del primo
suo nome sia mera congettura.
Che avesse il nome di Flavia da
un Flavio romano, cambiatole poi
in quello di Faventia da Costan-
tino si vuole indubitatamente falso,
Tito Livio ne fa menzione parlan-
do della sconfitta che vi ricevette
Carbone, poscia costretto da Siila
a fuggirsene dall' Italia. Vellejo Pa-
tercolo parla di una vittoria quivi
riportata da Metello Pio; Plinio
fa l' elogio dei lini del territorio,
parlando dei faventini ; e Silio Ita-
lico dei pini che coronavano le sue
ubertose campagne. Quivi Negrino
da Faenza, console in Roma, della
famiglia Domizia, nell'anno 118
fu ucciso per gelosia e malevolen-
za del romano senato, con ram-
marico di Adriano imperatore che lo
avea designato in successore. Qui fu il
tradimento fatto da Tufa generale
dell'erulo Odoacre re d' Italia, con-
tro Teodorico re de'goti nel 489;
e poi nel 542 fu quivi la vittoria
de' goti contro i greci, a' tempi del re
Totila ; e nel medesimo secolo ven-
ne dai goti saccheggiata. Non andò
guari, che chiamati da Narsete in
Italia i longobardi , gì' imperatori
d'oriente furono costretti di gover-
nare Roma per capitani, e Raven-
na per Esarchi (Vedi); laonde
Faenza soggiacque alle vicende del-
l'esarcato, in cui trova vasi compre-
sa, e siccome l'esarcato si sottopose
alla protezione della Chiesa roma-
na nel pontificato di s. Zaccaria,
sino d'allora incominciò Faenza a
FAE
sperimentare le paterne sollecitu-
dini de* romani Pontefici, per l'ab-
bandono che fecero dell' esarcato i
greci imperatori.
Mirando il re de'longobardi Luit-
prando all' ingrandimento del suo
regno., ed al conquisto della flori-
da provincia di Romagna, secondo-
che racconta il Tolosano, seguendo
un'incerta tradizione, nell'anno 740
strinse d'assedio Faenza, e non riu-
scendogli prenderla colle armi, tras-
se in inganno i cittadini, e nel sa-
bato santo, mentre erano raccolti
nella cattedrale di s. Maria Foris
Portavi, intenti ai divini uffici, il
nemico penetrò nella città, ponen-
do ogni cosa a ferro ed a fuoco,,
non perdonando a sesso e ad età,
né rispettando neppure le chiese;
indi ne furono smantellate le mu-
ra. Venne poscia reintegrata in
parte la città, quando destò com-
passione al barbaro re. Ristorati in
qualche modo i gravissimi danni
cagionati da Luitprando, e riedifi-
cata la cattedrale e l'episcopio in
luogo più opportuno , coi mezzi
somministrati nel 743 da Papa s.
Zaccaria, venne eletto ad occupar
la vedova sede Giovanni I, ottavo
vescovo di Faenza. In appresso
non potendo il Pontefice Stefano
li detto 111 ottenere da Astolfo re
de' longobardi , che cessasse di far
stragi nei dominii della Chiesa ro-
mana, implorò ed ottenne che Pi-
pino re di Francia nel 754 co-
stringesse Astolfo a restituire l'e-
sarcato, laonde die alla Chiesa le
ricuperate terre, compresa Faenza,
come afferma il Borgia, Memorie
isteriche tom. I, p. 19. Vero è pe-
rò che Astolfo non restituì allora
tutte le città dell'esarcato, ma es-
sendo morto nel 756, il Papa po-
tentemente contribuì che gli suc-
FAE 393
cedesse nel trono Desiderio, col
patto che gli restituisse le città ri-
tenute dal predecessore contro la
data fede, fra le quali Faenza, ed
altre cinque primarie città; ma so-
lo Faenza e il ducato di Ferrara
1' ingrato Desiderio restituì. Che
Faenza e il ducato ferrarese fosse-
ro effettivamente restituite al Pa-
pa, lo afferma anche il Rinaldi,
all'anno 756, num. 5. Minaccian-
do Desiderio al Pontefice Adriano
I la rovina di Roma se non ade-
riva a' suoi ambiziosi disegni, ed
insieme d' invadere le altre terre
della Chiesa, nel 772 incominciò a
mandar ad effetto il suo prepo-
tente divisamento, sulla città di
Faenza , e generale fu la strage e
la devastazione; ma Adriano I ri-
corse alle armi di Carlo Magno ,
e questi pose fine nell'anno 773 al
regno longobardico, facendo prigio-
ne T indegno Desiderio, contro il
quale pugnarono alcune città della
Chiesa, in un ai faentini . Questi aiu-
tarono pures. Leone III, quando con
Carlo Magno nell' 800 conquise i
di lui nemici , rinnovando allora
quel Papa nel principe francese l'im-
pero occidentale, eh' erasi spento dal
re Odoacre.
Correndo l'anno 935, Manasio,
colle sue ricchezze, s'impadronì
della signoria di Faenza, ma la
sua audacia fu punita colla morte.
Verso l'anno 967, essendosi mos-
so l'imperatore Ottone I contro
di Berengario, che travagliava il
Pontefice Giovanni XII, i faentini
seguirono le parti del primo, per
cui poscia assegnò loro dominii e
privilegi , riformandone il civile
reggimento coli' istituzione de' ma-
gistrati appellati conti, che ivi du-
rarono sino al 1069. Nel io45
Faenza fu in gran parte consunta
2<)4 FAE
da incendio, e trenta anni dopo
incominciarono inimicizie e odii mu-
nicipali tra Ravenna e Faenza ,
ch'ebbero funestissime conseguen-
ze. Vantando la prima gloriose
ricordanze vedeva di mal occhio
che Faenza gareggiasse in Roma-
gna colle primarie città, in poten-
za e valore, quindi zuffe e dan-
neggiamenti si alternarono per mol-
ti secoli da ambo le parti, e mol-
to sangue si versò in diverse in-
fauste epoche, che lungo sarebbe
descrivere, di cui sono piene le
pagine delle patrie storie. Nel i io3
insorsero gravi discordie tra la
plebe e i nobili, i quali in gran
numero furono cacciati dalla città,
quindi arse e smantellate le loro
case, fra' quali Alberico di Guido
di Manfredo. Sì fatti bandi per le
gare tra popolani e nobili, disgra-
ziatamente di frequente per lunga
pezza di tempo rinnovaronsi, dan-
neggiando talvolta i fuorusciti il
territorio faentino, e ad armata
mano rivolgendosi o co* ravennati
o con altri popoli a danno della
patria. Fu nel ii32, che veden-
dosi Imola assaltata dai bolognesi
e dai ravennati, preferì invocar la
protezione de' faentini, e ne rag-
giunse l'intento. Così pur lungo
sarebbe il riportare gli assalti e
le distruzioni di diversi castelli
e ville, ciò narrandosi distesamen-
te negli encomiati Annali del Ri-
ghi. Nel 1 1 87 i faentini a media-
zione dell'imperatore Lottano II
patteggiarono co' bolognesi sul do-
minio d'Imola, la quale dovette
annualmente tributare due pallii sì
a Faenza, che a Bologna. Indi
nel 1141 i bolognesi aiutati dai
faentini fecero guerra ai modenesi,
mentre i cesenati ottennero soc-
corso da Faenza, la quale poscia
FAE
aiutò pure il conte Guido di Mo-
digliana contro ai fiorentini, at-
teso i molti obblighi che aveva la
città con essolui, che poi aiutò i
faentini a danno d' Imola, in qua-
lità di capitano delle milizie, però
il di lui figlio chiamato pur Gui-
do, s'inimicò con Faenza, onde
ebbe atterrata la rocca di Celia-
la no.
Per le dissensioni insorte tra il
Papa Adriano IV, e Federico I
imperatore, i popoli presero un
partito : chi seguì il primo, più
tardi si disse guelfo; chi parteggiò
pel secondo nomossi ghibellino; e
Faenza anch' essa fu divisa da ta-
li tremende fazioni. Nel ii6t>, in
passando Federico I coli' impera-
trice Beatrice per Faenza, fu al-
loggialo da Guido ed Enrico fra-
telli Manfredi : il popolo festeggiò
con pubblici segni di gioia, con
giostre e tornei cotali ospiti, che si
dimostrarono oltremodo soddisfat-
ti de' faentini, anzi pacificandosi
1* imperatore con Rimini, e pro-
mettendo difenderla da qualunque
nemico, ne volle eccettuata Faenza.
Quindi nelle case de' Manfredi se-
guì la riconciliazione deJ faentini
col giovine conte Guido di Modi-
gliana suddetto: i faentini altresì
si amicarono in quell'anno e col-
legarono co' ferraresi. Dopo vari
fatti d'armi coi forlivesi, nel 1 170
seguì fìerissima battaglia^ in cui
riportarono vittoria i faentini. Nel-
l'anno seguente seguì il quarto
incendio di Faenza, che aiutò il
conte Guido contro il conte di Ga-
strocaro. Nell'anno 1 174 un turbine
roviuoso afflisse la città, che non
era entrata colle altre di Roma-
gna nella confederazione lombarda,
in difesa del legittimo Pontefice
Alessandro III, e per combattere la
J f A E
crescente possanza di Federico I.
Non entrarono i faentini nella le-
ga, perchè a comando dell'impera-
tore, dice il Righi, l'arcivescovo
di Magonza avea rilegato l'antipapa
Pasquale nella loro città, guardata
da numeroso presidio, per assicu-
rarsi a un tempo dell' antipapa
e de' faentini. Qui noteremo che
per opera di Federico I fu eletto
l'antipapa Pasquale III, il quale
morì in Roma nel i 167, succe-
dendogli nell' antipapato Calisto
III nel 1168. Non solo nel 1174
era morto Pasquale III, ma di sì
fatta rilegazione in Faenza, ne di
lui, né del successore niuna men-
zione ne fa l'accuratissimo Lodo-
vico Agnello Anastasio, nell' Isto-
ria degli antipapi, tomo II. Seb-
bene nel 11 77 in Venezia fosse
conchiusa la pace fra Alessandro
III e Federico I, per cui l'Italia
riposò alquanto dalle militari fa-
zioni e civili discordie, pure le
città della lega lombarda veden-
do l'arcivescovo di Magonza inca-
ricato del reggimento militare e
civile delle regioni italiane, repu-
tarono opportuno tenersi armate
e stringersi in alleanze, e i faenti-
ni prontamente vi aderirono, mas-
sime con Bologna.
Dopo aver i faentini co' bolo-
gnesi assediato Imola, fu convenu-
la la pace, e rinnovato il tributo
cui dessa erasi sottratta, come suc-
cesse la concordia col conte Guer-
ra; indi nel 1181 i faentini uni-
ti ai ravennati sottomisero Bagna-
cavallo con severi patti. Nel 11 83
la plebe insorse a tumulto, non
per sospetto che il clero brigasse
cambiamento di reggimento, o ne
volesse far parte, ma piuttosto
mossa dalla fame, per cui saccheg-
giò i granari e le cantine della
FAE a95
cattedrale, e quelle degli spedali
e monisteri : in tal modo le cose
giunsero agli estremi, e il vesco-
vo Giovanni solennemente fulmiuò
V interdetto per frenar il furore
della moltitudine. Nel 11 83 Fe-
derico I in Costanza stabilì la pa-
ce colla Chiesa romana, e co' po-
poli di Lombardia, Romagna ec,
secondo le convenzioni conchiuse
dai commissari d'ognuna a Pia-
cenza, dichiarando l' imperatore di
concedere alle città, compresavi
Faenza, ciò che non gli era più.
dato d'impedire, libertà di regger-
si a proprie leggi e col mezzo di
cittadini magistrati, e che doves-
sero riconoscere simil privilegio
da lui e successori; ma nel ri-
partimento del tributo imposto dal-
l' imperatore, si ribellarono i mon-
tanari, T antico magistrato de' con-
soli fu deposto, e surrogato un
podestà, ne ciò potè impedire al-
tri dissidi tra la plebe e i nobili.
Dappoi, nel 1187, il vescovo Gio-
vanni, cedendo alle esortazioni di
Papa Clemente III, con quattro-
cento faentini e ravennati, e que-
sti col loro arcivescovo, partirono
per la Soria; ma sotto Tolemaide
valorosamente la maggior parte
perirono co' loro pastori. Rimar-
chevole fu l'alleanza che i faen-
tini fecero nel 1194 co' ravennati
e riminesi, sempre nemici per lo
avanti. Intanto neh' anno seguente
soggiornò l'imperatore Enrico VI
alcuni giorni in Faenza, abitando
il pubblico palazzo, lietamente fe-
steggiato perchè ivi era nato, quan-
do il padre Federico I era con la
moglie in Italia, ciò che il princi-
pe recava a vanto. Dopo la mor-
te di quel principe, Marcualdo oc-
cupò il ducato di Ravenna e il mar-
chesato di Ancona; ma divenuto nel
*96 FAE
1198 Pontefice Innocenzo III, vol-
le ricuperare i domimi della Chiesa,
e per quelli di Romagna inviò un
Cardinal legato colle milizie papa-
li, invitando i vescovi a prestargli
aiuto, ciò che fecero i bolognesi
e i faentini, massime contro i for-
livesi, co' quali poscia ricomincia-
rono le guerre, sopite nel i2o3
per accordi di pace. Indi Faenza
soccorse i reggiani contro Manto-
va; incontrò l'imperatore Ottone
IV che recavasi a Roma a pren-
dere la corona imperiale, nella
qual circostanza i bagnacavallesi ot-
tennero di riedificare la loro terra;
e nel febbraio 12 io l'imperatore
reduce da Roma con que' faentini
che l'avevano accompagnato e di-
feso, ripassò festeggiato per Faenza.
In quel tempo era podestà di
Faenza con autorità di pretore Al-
berico Manfredo, il primo de'nobi-
li faentini che in patria conseguis-
se tanta autorità, che servì a pre-
parare la futura potenza di sua
famiglia. Dopo varie guerresche a-
zioni, alleanze ed accordi, nel 1218
assaltarono Lugo, e il rovinarono.
Nel 1220 i municipali si recarono
ad incontrar l'imperatore Federico
II, gli presentarono i5oo marche
d'argento, e prezzo il ponte di s.
Proculo gì' imbandirono lauta men-
sa, facendone pur godere alle sue
legioni, il perchè quel principe con-
fermò a' faentini i loro dominii.
Però non andò guari che contro
la promessa protezione fece sman-
tellare il castello di Cosina ; delle
quali cose venuto in cognizione
Onorio III, al dir del Tolosano,
non volle colle sue mani coronare
Federico II, facendone le veci per
suo ordine il Cardinal d' Ostia.
Altri affermano che Onorio III
l'unse e coronò a' 22 novembre
FAE
1220. Imola fu di nuovo presa dai
faentini , che poscia mutarono luo-
go all'antico canale di città, ed in
appresso rappacificaronsi co'forlive-
si. Ai flagelli del terremoto e del-
la peste, successe la rinnovazione
della lega lombarda, a garanzia
delle mire di Federico II, cui non
riuscì staccarne Faenza, che nelle
sue mura accoglieva Giovanni di
Brenna re di Gerusalemme, suo-
cero dell' imperatore, ed assaliva le
milizie imperiali, quando tentarono
passare per la città. In questo tem-
po il Pontefice Gregorio IX, co-
noscendo le frodi di Federico II
a danno della Chiesa, lo scomuni-
cò nel 1227, ed allora le fazioni
guelfa e ghibellina si misero in ru-
more; per cui il Papa parti da
Roma creando conte della Marca
e Romagna il detto re di Gerusa-
lemme nemico del genero. Nell'an-
no seguente notabilmente, non sen-
za danni di Faenza, strariparono
il Lamone ed il Senio; e per le
vicende de' tempi i faentini aiuta-
rono con armi i bolognesi , e il
vescovo di Forlimpopoli contro i
forlivesi, e n' ebbero il perpetuo
titolo e privilegio di cittadini di For-
limpopoli. Nel 1234 i faentini soc-
corsero i cesenati, distrussero Raf-
fanara, e s' impadronirono di Cer-
via, per riporre nella sede il ve-
scovo Orsarola. Dopo parecchi van-
taggi riportati dai faentini su di-
versi luoghi, in città vi furono uc-
cisioni tra nobili di contraria fa-
zione, guelfi e ghibellini, avendo
i primi a capi i Manfredi, e i se-
condi Zambrasio e gli Accarisii.
Sebbene Faenza si fosse ricusata
di porgere aiuto ad Enrico figlio
di Federico II, che, se dobbiamo
credere ad alcuni, a lui erasi ri-
bellato, pure l' imperatore nutren-
FAE
do male umore contro la citta, nel
settembre 1240 rivolse contro di
essa le sue genti. I faentini come-
chè inferiori di forze, ne aiutati
in quel frangente dalle città lom-
barde , animosamente le affronta-
rono. Allora Faenza co' suoi borghi
era protetta da forti mura, e con-
tava quarantamila abitanti ; e il
podestà Michele Morosini veneto,
col cittadino Farolfo Severoli, con-
citarono il popolo a valida difesa,
contro sessantamila imperiali , tra
i quali molti ghibellini italiani .
Quindi Federico li strinse di ri-
goroso assedio la città, per lo che
uè il Cardinal legato, né i colle-
gati poterono aiutarla. Dopo otto
mesi di assidui travagli per l'una
e l'altra parte, ed in cui per man-
canza di denaro, l'imperatore do-
vette servirsi di monete di cuoio,
penuriando Faenza di viveri, a'r4
aprile 1241 deliberò di arrendersi
salve le vite e le robe. Ma appe-
na Federico II entrò nella città,
dimentico della convenzione, fece
atterrar le mura, demolir i sob-
borghi, uccidere ed esiliare quelli
che aveano consigliato resistergli;
ed a sostenimento de' suoi disegni,
presso la chiesa di s. Agostino fe-
ce erigere una munita cittadella,
e la diede in guardia a forte pre-
sidio. Poscia affidò il reggimento
di sua conquista ai forlivesi Orde-
Jaffi ed Orgogliosi, guiderdonando
i ghibellini che lo avevano aiuta-
to, ciocché servi ad imbaldanzire
in Romagna simili partigiani, ed
abbattere i guelfi, che solo ripre-
sero animo nell'assunzione al pon-
tificato d'Innocenzo IV; il quale
molti esuli benignamente accolse,
e il faentino Napoleone Butrigari
meritamente s'ebbe da lui il grado
di nobile e cavaliere.
FAE 297
Intanto Innocenzo IV sentenziò
decaduto dall' impero Federico II,
nel concilio di Lione , laon-
de fu eletto in sua vece , ai
17 maggio dell'anno 1246, En-
rico landgravio d'Assia e Turin-
gia, il quale subito ordinò che i
fuorusciti di Romagna liberamen-
te potessero ripa tri a re, e reinte-
grati fossero nelle facoltà. In-
tanto il Cardinal Ubai di no alla
testa di un esercito , per Inno-
cenzo IV ricuperò Imola, ed al-
tre città di Romagna. Poi accam-
patosi presso Faenza , gì' inlimò
sottomettersi alla Chiesa , ciocche
ebbe luogo passati quindici giorni,
cadendo così in Romagna la breve
potenza de' ghibellini ; e siccome
Bologna era la prima città guelfa
e la più forte, gli furono conce-
duti molti privilegi, come di dare
ad ogni città guelfa un suo con-
cittadino per podestà.
Seguita la morte di Federico II,
i magistrati di Faenza convennero
in Cesena ad un congresso a dan-
no delle città ghibelline; fecero
pace co' ravennati ; e Bagnacavallo
loro si sottopose, mentre i Man-
fredi discacciarono gli Accarisii .
Questi coli' uccisione di Calzaro
Manfredi riuscirono a cacciar dalla
patria tal famiglia, che non molto
tempo dopo soffrì una seconda cac-
ciata, essendo innumerevoli i di-
versi politici avvenimenti, che si
succedettero a cagione delle fazio-
ni de' guelfi e ghibellini. Nel 1275
riuscirono i ghibellini d'impadronir-
si di Cervia e di Cesena, e rice-
vettero un legato di Ridolfo im-
peratore, che loro manifestò la bra-
ma di coronarsi re d'Italia; ma
a mezzo di Tibaldello Zambrasi
prevalsero in Faenza i guelfi nel
1280. A provvedere tanti disordi-
2tjB PAE
ni Papa Martino IV, colla qualifi-
ca di conte di Romagna, in questa
provincia spedì Giovanni d' Apia
per difendere i diritti della Chiesa,
e collegarsi con diverse città per
proteggere Faenza dalle frequenti
scorrerie de' ghibellini. I Manfredi
sollersero ancora una momentanea
espulsione ; in Romagna si ridestò
l'amore di libertà contro il civile
governamento della Chiesa; e frate
Alberico Manfredi cavaliere gau-
dente, fece uccidere a tradimento
Manfredo Manfredi suo consangui-
neo, per vendicarsi d' una ceffata
che avea da lui ricevuto; quindi
unito ad altri nei 1286 discacciò
da Faenza i ministri pontifìcii. Ma
il nuovo conte di Romagna Pie^
tro, esiliò e i Manfredi e gli Ac-
carisii, e solo dappoi li richiamò
per tema di popolari tumulti ; e
più tardi tornarono a prevalere i
ghibellini, che dopo alcuni vitto-
riosi successi, favorirono il papale
reggimento. Indi a ridurre tutte le
città alla divozione della Chiesa,
Bonifacio Vili mandò in Romagna
legato il Cardinal d' Acquasparta,
tacendo poi altrettanto Benedetto
XI nella persona di Tebaldo Bru-
cati di Brescia, mentre i bianchi
e i neri travagliavano la Toscana;
e i faentini riconobbero per go-
vernante chi fu loro offerto dal
senato di Bologna, accrescendosi le
guerre civili, per aver Clemente V
stabilito nel 1 3o5 la pontificia re-
sidenza iu Avignone.
I vicari del re di Napoli che
pel Papa governavano la Romagna,
furono di diversa tempra; e la se-
verità di Giberto Santillo fu caldo
sprone ai Manfredi, e loro ade-
renti di alzare la testa, ed inco-
minciare a signoreggiare Faenza.
Laonde fu Francesco Manfredi, uo-
FAK
mo di senno e di valore, che nel
novembre i3i3, armata mano si
fece tiranno ossia arbitro della pa-
tria, edificò la rocca di Granatolo,
e fornì soldatesche a Giovanni
XXII per assoggettare le Marche
alla Sede apostolica. Nel 1 32 1 i
molti dotti faentini, od almeno i
poeti probabilmente, piansero ama-
ramente la morte di Dante Ali-
ghieri , avvenuta in Ravenna. A
Francesco per riprovevole tradi-
mento successe nella signoria il di
lui figlio Alberghettino Manfredi,
che allontanò da' pubblici uffici i
ministri scelti dal genitore. Indi
Riccardo suo fratello capitano d'I-
mola, fu costretto in questa per
occulte pratiche ghibelline a rin-
tuzzare colla forza i ribelli. Intan-
to il Cardinal legato Bertrando, che
per Giovanni XXII vendicava le
ragioni della Chiesa, fece cedere
ad Alberghettino figlio di Fran-
cesco l'usurpata dominazione, e ri-
legatolo a Bologna, ivi poi fu de-
capitato. Riccardo ricevè dal lega-
to la suprema magistratura di
Faenza, e mancando di prole ma-
schile, adottò due figli naturali ,
Giovanni e Guglielmo, eh' erangli
nati dall' imolese Zefirina Norciili,
e ciò con approvazione de'congi un-
ti, e di Francesco Manfredi suo
genitore. Nel 1 34o morì Riccardo,
cedendo le signorie d' Imola e di
Faenza a' detti due figli. Fu com-
pianto dai faentini, che affida rono
la reggenza del governo a Fran-
cesco ; indi il mentovato Giovanni
fu eletto capitano del popolo. Morì
Francesco lasciando eredi i due
nipoti adottivi, ne' quali fu conso-
lidata la discendenza de' Manfredi,
che ressero lo stato sino al 1 5oo,
non quella di Giovanni d' Alber-
ghettino, come taluno scrisse. Nel
FAE
1 347 Astorgio Duraforte fu da
Clemente VI mandato rettore in
Romagna, e come aveano fatto al-
cuno de'suoi predecessori, stabilì in
Faenza la sua dimora. Questi fiac-
cò il potere de' Manfredi, cagionò
malcontento pe' suoi duri modi, e
giunse a negare il passaggio per
Faenza a Lodovico 1 re d' Unghe-
ria che portavasi a Napoli per ven-
dicar l'uccisione del fratello Andrea.
La pestilenza afflisse la città, che
nei i349 Vi<^e ^Stabilita l'autorità
di Giovanni Manfredi, il quale colle
armi ne slo^iò il luogotenente del
Duraforte, che rifuggiossi in Imola,
mentre il Duraforte allora viveva
nella corte papale in Avignone.
Divenuto Pontefice Innocenzo VI,
come quello che divisò togliere
dagl' invasori le terre della Chiesa,
vedendo che le censure ed inter-
detti fulminati dal predecessore
Clemente VI, pur contro Giovan-
ni e Guglielmo Manfredi, niun
effetto avevano prodotto , spedì
legato in Romagna il celebre
Cardinal Albornoz, mentre Gio-
vanni d'Alberghettino inutilmente
cospirò in Faenza a danno de' cu-
gini-
Nel i356 il Cardinal Albornoz
strinse d'assedio Faenza , che durò
quattro mesi per la bravura e il
coraggio degli assediati. Se non che
interpostisi i legati del mentovato
re d' Ungheria, si conchiuse la pa-
ce con alcune condizioni , essendo
le principali che il legato avrebbe
il reggimento della città, e il Man-
fredi in compenso de' dominii che
gli si lasciarono, pagherebbe annui
fiorini d' oro cinquanta. Indi An-
droiuo, nuovo pontificio legato, pas-
sò a dimorare in Faenza, assol-
vendo dall'interdetto i fratelli Man-
fredi, i quali avendo poscia cospi-
FAE 299
rato contro il ministro del Papa,
n'ebbero atterrato il palazzo che a-
vevano presso la cattedrale, ov' è
ora il monte di pietà, e vennero di
nuovo allacciati dalla scomunica.
Al Cardinal Androino successe nel-
la legazione il Cardinal Grimoaldi
fratello d' Urbano V, ben accolto
dai romagnoli e dai Manfredi. In-
tanto nel 1369 nella terra di Co-
tignola , allora distretto faentino,
nacque Giacomuccio o Muzio Al-
tendolo, che poi fu cognominato lo
Sforza quando divenne celebras-
simo capitano, raro ornamento di
Cotignola e di Faenza, e capo di
una sovrana e potente famiglia dal-
la quale uscirono uomini sommi e
gloriosi per ogni maniera, su cui
si può vedere il Ratti, della fami-
glia Sforza; il Zazzera, della /zo-
biltà d'Italia, il Villelmo, de fa-
mìlia Sforna, extat in Histor. gc-
nealog. Italiae, p. 219, ed il San-
so vi 00^ delle famiglie illustri di I-
talia. Di Cotignola poi, ora terra
illustre della provincia di Ferrara,
collocata quasi nel centro della Ro-
magna, ce ne permetteremo qui, co-
me de'principali sforzeschi un bre-
ve cenno storico.
Cotignola trovasi alla sinistra del
fiume Senio, in distanza circa ot-
to miglia al nord di Faenza. Dap-
prima si chiamava Mazzafrena, ed
anche Mala furia; ma nel 1 1 77
già chiamavasi colf odierno nome,
forse dalla copiosa quantità di fra-
grantissimi cotogni che abbondano
nel suo esteso e fertilissimo suolo.
La sua origine risale alla remota
antichità, probabilmente avanti l'e-
ra volgare, ed appartenente alla
romana famiglia patrizia di Dione.
Vuoisi che nell'anno 4°7> g'à f°sse
dominio d'Azzolino Caveglia, men-
tre nel 701 Romualdo Caveglia
3oo FAE
la restaurò e fortificò ; laonde i di-
scendenti sembrano averla possedu-
ta sino al 1217, in cui il Tolo-
sano ammette i faentini al suo go-
verno sino al 1243, in cui cadde
nelle mani di Federico II. Questi,
nel 1248, m compenso di militari
servigi, la cede al conte Malabcc-
ca signore di Bagnacavallo, al qua-
le poco dopo fu tolta dal Cardi-
nal Ubaldini legato pontificio, per
darla ai bolognesi in compenso de-
gli aiuti militari a lui dati. Nel
1276 Guido conte di Montefeltro,
e caldo capo de'ghibellini, avendo
trionfato de'bolognesi, pose al pre-
sidio di Cotignola soldati forlivesi
e faentini, costruendovi un castello.
In seguito i faentini ne ripresero
il governo, e la restaurarono nelle
mura e negli edifìzi rovinati dal
terremoto. Nel 13^8 fu governata
dal Cardinal legato di Bologna, che
per timore dei Polentani di Ra-
venna, nel i32g la cedette ai me-
desimi ; ma Benedetto XII nel
1 34 1 1' accordò in feudo ai Mai-
nardi di Bertinoro. Ritornata po-
scia al pieno dominio della santa
Sede, Gregorio XI l'accordò all'in-
glese Giovanni Aucut suo capita-
no e gonfaloniere, insieme cogli al-
tri paesi della Romagnola, in pre-
mio di militari imprese, il quale
dappoi in un alle altre terre la
vendè per ventimila fiorini ai mar-
chesi estensi di Ferrara. Allora
Manfredi, signore di Faenza, subito
l'occupò, e la tenne sino al i38i,
in cui fu espulso dagli estensi che
la governarono a tutto il 1 4oo, nel-
la qual epoca se ne impossessaro-
no i conti di Cunio e di Barbia-
no. Nel i4°9 tornò in potere de-
gli estensi, dai quali nel i4'i fa
ceduta in compenso di guerreschi
servigi al lodato cotignolese Giaco-
FAE
111 uccio o Muzio Attendolo detto Io
Sforza, capitano di gran nome,
contestabile di Napoli e gonfalo-
niere di s. Chiesa, con approva-
zione di Giovanni XXIII, che inol-
tre lo dichiarò conte della mede-
sima. Francesco Sforza suo figlio,
insigne per ventidue vittorie, nel-
l'anno i44° ottenne il tanto sospi-
rato dominio di Milano. Cos'i la
famiglia Sforza umilmente sorta da
Cotignola, nobilitata singolarmente
da due suoi individui, Sforza pa-
dre, e Francesco figliuolo, colle più
eminenti virtù , sole fonti della
vera nobiltà, potè salire in brevis-
simo periodo ad uno de' più rag-
guardevoli principati. Il medesimo
Francesco Sforza, ottenne da Pio
II accrescimento all'antico territorio
di Cotignola, con aggiungervi quelli
de'distrutti castelli di Cunio e di
Barbiano, rinomati nell'istoria, con
frazione di Zagonara. I duchi Sfor-
za-Visconti governarono la loro pa-
tria per anni novantuno, sino al
i5o2, onorandola col titolo di loro
città diplomatica, di molti privilegi,
e statuti particolari. In detto anno
Cotignola ritornò agli estensi, nel
i5io di nuovo alla Chiesa, nel
1 5i 3 venne rivendicata dagli esten-
si; ma nel i5g8 essendo mancata
la linea legittima degli estensi, Cle-
mente Vili insieme al ducato di
Ferrara la sottopose all'intero do-
minio della santa Sede, seguendo
quindi i destini di Ferrara. Il go-
vernatore lo nominava la s. con-
sulta. Sono in essa molti benefìci
istituti, e tra le chiese primeggia
quella di s. Stefano, già decorata
di ricco capitolo, il cui superstite
arciprete gode Y uso della cappa
maglia. Cotignola divenne pur ce-
lebre pegli uomini illustri che ci
ha dato. Alberico il grande , che
FAE
iiberb V Italia dai barbari, fu suo
signore; come preclarissimo fu Sfor-
za il grande. A Francesco suo fi-
glio, cinque discendenti successero
nel ducato di Milano, e Bianca
pronipote sposò Massimiliano impe-
ratore. Molti poi furono gli Sfor-
za vice re, come i Cardinali i qua-
li hanno biografie nel Dizionario.
Caterina figlia del duca Galeazzo
sposò Riario nipote di Sisto IV,
conte di Forlì e d'Imola, indi spo-
sò un Medici di Firenze; e lungo
sarebbe parlare della sforzesca fa-
miglia. Inoltre Cotignola ebbe di-
versi grandi uomini, come Gra-
ziani arcivescovo di Raglisi, sepolto
nella collegiata; la b. Cecilia fran-
cescana ; il b. Alberto Marchesi
francescano, tumulato in patria;
d. Gaspare Bolis, istitutore in pa-
tria del collegio de' gesuiti, delle
Clarisse, e del conservatorio delle
orfane; i Zarabbini, uno celebre
nelle armi, due nell' eloquenza, ed
Onofrio autore di varie opere, sen-
za nominar altri che fiorirono nel-
le scienze e nelle arti. V. Giro-
lamo Bonoli , Storia di Cotignola
terra della Romagna inferiore^ Ra-
venna 1734 per il Landi; ed il
p. Flaminio da Parma , del con-
vento di s. Francesco de' minori
osservanti, nel tom. I delle sue Me-
morie isteriche.
Ritornando alla nostra Faenza,
ed all'epoca del pontificato di Ur-
bano V , i Manfredi divennero
causa , per le prepotenze ed ava-
nie che commettevano , che molte
famiglie faentine spontaneamente
abbandonassero la patria. Giovan-
ni Manfredi morì in Bologna , la-
sciando due figliuoli, Astorgio e
Francesco, senza l' avito dominio,
meno le poche possessioni lasciate-
gli dal Papa ; e Gregorio XI fece
FAE
3oi
costruire la rocca presso porta Imo-
lese. Frattanto in Faenza penetrò
la pestilenza, i fiorentini fecero ri-
bellare Astorgio Manfredi per ricu-
perare la signoria ; ma Aucut ca-
pitano pontifìcio, e signore di Co-
tignola, portatosi colle sue milizie
in Faenza, 1' abbandonò al saccheg-
gio ed alle violenze, non rispar-
miandosi le sagre vergini. Le que-
rele de' faentini giunsero in Avi-
gnone a Gregorio XI, il quale nel
ristabilire in Roma la residenza
pontificia, seppe che l' Aucut con-
segnava Faenza venalmente al mar-
chese Nicolò d'Este. Allora Astor-
gio si pose in cuore di togliergliela,
e coli' aiuto di altri nel 1379 po-
tè averla , a patto di pagare in
quattro anni ventiquattro mila fio-
rini , conseguendo da Urbano VI
il titolo e l'autorità di vicario del-
la Chiesa per tutto il dominio di
Faenza. Superò quindi Astorgio
una congiura ordita in favore del
fratello Francesco ; prese Russi, su-
però i forlivesi , e riedificò il pa-
lazzo pubblico in Faenza. Ebbe
inoltre la gloria di aver vinto e
fatto prigione Azzone d'Este, e da-
ta in moglie al figlio Gio. Galeaz-
zo, la bella Gentile, sorella di Car-
lo Malatesta signore di Rimini,
dopo essere stato in Roma con
cento cinquanta cavalli per esser
confermato nel vicariato dal nuo-
vo Papa Bonifacio IX, che il re-
galò con cose di valore, cui A-
stoigio passò in dono alla cattedrale.
Incominciò il secolo XV colla
guerra de' bolognesi, e con ostilità
col duca di Milano; ma quel che
fu peggio per Astorgio, venne bra-
ma a Bonifacio IX di ricuperare
alla Chiesa Bologna e Faenza, com-
mettendone l'impresa al Cardinal
Cossa, che fu poi Giovanni XXI 11^
3o2 FAE
come legato di Romagna, cui die
per compagno e capitan generale
dell'esercito il conte di Cunio Al-
berico, gran contestabile del regno
di Napoli. Occupata agevolmente
Bologna, si avanzò a Faenza ove
n* era assente Astorgio, e la ebbe
dal figlio Galeazzo, cbe la cedette
per dieci anni, coli' annuo compen-
so alla sua famiglia di due mila
quattrocento fiorini; quindi accusa-
to Astorgio di segrete intelligenze,
il Cardinale gli fece mozzare il ca-
po. Alcune famiglie faentine abban-
donarono la patria, e mentre nello
scisma die funestava la Chiesa si
elesse Giovanni XXIII, contro Gre-
gorio XII, questi restituì il vica-
riato di Faenza a Gio. Galeazzo,
conferendogli il titolo e privilegio
di conte su tutte le castella di Val
di Lamone; laonde a' 28 giugno
i4»o il Manfredi s'impadronì del-
la città, venendo congratulato dai
signori del territorio, da Alberico
di Cunio, e da Sforza di Cotigno-
la. Gio. Galeazzo fu il primo di
sua illustre prosapi a ad essere in-
signito del titolo di conte di Val
di Lamone, come il primo a con-
ferire il nome di visconte a chi
inviò al governo de'castelli di sua
signoria, separando la contea dal
rimanente del territorio faentino,
e soggettandola a speciali statuti,
che poi approvò qual pontifìcio vi-
cario. In detto anno i/fio la città
fu liberala dalla Beata Vergine
delle Grazie da fierissima pesti-
lenza.
Seguendo Gio. Galeazzo le parti
del benefico Gregorio XII, si col-
legò alle milizie eh' erano in di lui
favore, che per altro furono debel-
lale presso Faenza. Essendo egli
morto nel i4i7> il Pontefice Mar-
tino V investì del vicariato i figli
FAE
Carlo, Guido Antonio, Astorgio,. e
Gio. Galeazzo , dandone la tutela
alla vedova Gentile, e il reggimen-
to. Indi i Manfredi acquistarono
facoltà di eleggere i podestà per
Faenza, che assediata dal duca di
Milano, dopo la sua ritirata ivi si
concliiuse la generale concordia.
Nel l4*9 i bolognesi ribellaronsi
a Martino V, che inviò i signori
di Romagna a soggiogarli, concor-
rendovi Gio. Galeazzo , 1' ultimo
de' fratelli Manfredi. Vari avveni-
menti si successero: il valoroso Gui-
do Antonio condusse i fiorentini
contro Lucca, ma poscia alleossi
col duca di Milano nemico di Eu-
genio IV; Astorgio II fatto pri-
gione si vendicò poi con Gamba-
corta di Pisa ; ed alla morte di
Guido, Astorgio li gli successe nel
principato, mentre Taddeo figlio
del defunto s'ebbe la signoria d'I-
mola , ciò che produsse momen-
tanei dissapori tra zio e nipote. In
questo tempo ancora molti illustri
guerrieri faentini onorarono la pa-
tria, e Taddeo caduto prigione in
un fatto d' armi tra le milizie na-
poletane e i fiorentini, questi ge-
nerosamente il posero in libertà,
e largheggiarono secolui con pri-
vilegi, dichiarando loro capitano
generale lo zio Astorgio II, pel va-
lore ond' era chiaro, e ne die pro-
ve ai fiorentini nelle conquiste di
lombardia. Indi questo signore ri-
fece le mura e le fortificazioni a
Faenza, a Russi, a Brisighella, edi-
ficando la sua rocca, nel pontifi-
cato di Nicolò V zelatore della pa-
ce. Nella vita di questo Papa si
legge, che ai 2 3 febbraio i453
minacciò con gravi pene Taddeo
Manfredi, per aver usurpato la cit-
tà di Faenza, disprezzando l'imperio
della santa Sede, da cui l' aveva
F AE
con Imola in governo. Quando Pio
li recossi nel 1 4^9 al congresso di
Mantova, Gio. Galeazzo lo accom-
pagnò a Bologna, e riuscì al Papa
di pacificar Taddeo con Astorgio
II, ciò che ebbe corta durata, per-
chè il primo armata mano tentò
occupar Faenza, ed impadronirsi
dello zio. TuttavoltaPioII colla sua
autorità riconciliò ambedue stabil-
mente, ed allora Astorgio li pre-
stò utili servigi al Papa. Per mor-
te di Astorgio II, nel 1468, gli
successe il figlio Carlo, il quale su-
bito ottenne il principato di Faen-
za, con generale esultanza de'citta-
dini, mentre il fratello Federico
divenne vescovo della diocesi , ed
in Imola Taddeo era in aspra dis-
sensione col suo figlio Guidacelo
Manfredi, ed il primo fu dal duca
di Milano spogliato della signoria
d' Imola, compensandolo con altri
domimi.
Il principe Carlo intento ad ab-
bellire Faenza, demolì i portici che
la ingombravano, quietando il ma-
le umore con compensi ai danneg-
giali. Più tardi, nel i4?75 i faen-
tini insorsero contro di lui ; e seb-
bene Federico avesse ottenuto da
Sisto IV la successione al principato
ad Ottaviano primogenito, Galeotto
fratello de' due primi fu salutato
signore, ond'essi uscirono dalla cit-
tà, subito mutando Galeotto i ca-
stellani delle rocche , e ricevendo
Tinvestitura da Sisto IV. Indi Ga-
leotto si strinse in amicizia con Gi-
rolamo Riario conte d'Imola, e do-
po vari politici avvenimenti, sposò
Francesca Benlivoglio figlia del si-
gnore di Bologna. Tentò poscia
impadronirsi di Forlimpopoli, e do-
po la morte di Carlo, e del vesco-
vo Federico suo fratello, avvenuta
in Riurini, gli nacque con gran tri-
FAE 3o3
pudio de' faentini il primogenito
Astorgio. Stanca la moglie Fran-
cesca della disonesta tresca che Ga-
leotto menava colla ferrarese Cas-
sandra, prima fuggì presso il pa-
dre , e poi covando tremenda ven-
detta, rappacificatasi in apparenza
col marito, lo fece trucidare in sua
presenza, immergendogli per ultimo
ella stessa un pugnale nel petto,
ed immediatamente col figlio si
rifugiò nella rocca. Il padre suo,
eh' era venuto in Faenza co' suoi
per proteggerla, fu fatto prigione
dal popolo inviperito per ì' atroce
misfatto, e solo a mediazione dei
fiorentini fu lasciato ritornar con
Francesca illeso a Bologna. Astor-
gio III proclamato principe ebbe a
superare una congiura ordita da
Ottaviano suo cugino, e i fiorenti-
ni ne curarono gl'interessi. In tan-
ti trambusti i cotignolesi rinnova-
rono le antiche pretensioni di am-
pliar i loro confini in detrimento
di Faenza, non però vi riuscirono.
Riconciliati i partiti cittadini, esaspe-
rati pel barbaro avvenimento, pero-
pera del magistrato, e pel credito del
canonico Rondinini, contemporanea-
mente in Italia nacquero nuovi dis-
turbi, mentre diveniva Pontefice A-
lessandro VI Borgia; e siccome il cen-
so annuo di 2016 ducati che il signor
di Faenza pagava alla camera apo-
stolica, per due anni non era stato
soddisfatto, il Cardinal Riario ne as-
solvette Astorgio III. Giovandosi
Ottaviano Manfredi della venuta
di Carlo VIII re di Francia in
Italia per la conquista del regno
di Napoli , e delle altre vicende
che ne furono conseguenza , nuo-
vamente aspirò a signoreggiare
Faenza ; ma non ebbe riuscita, an-
zi fu imposta la taglia a suo estre-
mo danno, e mentre nel i49& i
3o{ FAE
fiorentini lo movevano contro Astor-
gio HI, restò ucciso allo alpi ili s.
Benedetto, con indignazione dell'e-
mulo, e de' faentini
Frattanto Alessandro VI non la-
sciava mezzo per ingrandire la po-
tenza di suo figlio Cesare Borgia,
già Cardinale, indi duca del Valen-
ti nois per concessione del re di
Francia Luigi XII, e formargli un
principesco stato in Romagna. Tre-
pidando la repubblica di Venezia
della calata in Italia che meditava
il re di Francia per congiungere
le sue armi coli' audace ed agguer-
rito Cesare Borgia, rinunziò alla
prolezione che sino allora aveva
usata allo stato di Faenza, richia-
mando il suo procuratore che ivi ri-
siedeva. Al soprastante pericolo pro-
curò di riparare Astorgio III, collo
sborso de* censi scaduti e non pagati,
interponendo gli uffici dell'oratore
veneto in Roma, e quelli di alcu-
ni Cardinali. Luigi XII invase il
ducato di Milano, e dati a Cesare
Borgia alcuni squadroni perchè fa-
cesse l' impresa d' Imola, tornosse-
ne in Francia, ciò che vide volen-
tieri il duca Valentino: Imola, For-
lì e Cesena caddero in suo potere,
e Caterina Sforza vedova Riario,
da Forlì fu mandata in Roma nel-
la prigione di Castel s. Angelo,
donde poi fu tratta da Ivo d' Al-
lègre capitano degli ausiliari fran-
cesi. Il duca si condusse trionfan-
te in Roma, con somma compia-
cenza del Papa. Ripigliata la guer-
ra di Romagna, Pesaro e Ri mi ni
gli aprirono le porte, sola Faenza
gli oppose generosa resistenza. Ma il
tradimento fece cedere le rocche ,
e quella della città fu affidata ad
altri, perchè eravi penetrato egual
maneggio ; laonde al primo assalto
che il duca operò nell' assedio di
FAE
Faenza nel novembre i5oo, fu va-
lorosamente respinto, e costretto a
ritirarsi coli' esercito a' quartieri
d' inverna Nel gennaio del seguen-
te anno il Borgia tornò a stringe-
re Faenza, e nel terzo assalto, ai
21 detto, non senza segrete intel-
ligenze di dentro , fu nuovamente
respinto. Rivolse egli allora le sue
forze contro Russi ed altri castelli
che occupò. A'2 r aprile fece ritor-
no su Faenza, ed a'24 ordinò un
generale assalto, che fu fiero, e du-
rò sei ore, perchè ogni ordine di
cittadini , senza riguardo d' età e
di grado, pugnarono in difesa del-
la patria, per cui grande fu la
perdita de'nemici. Tuttavolta con-
siderando i faentini che ad altro
assalto non trovavansi in grado di
fare resistenza, a' 26 aprile inco-
minciarono trattative di dedizione
salvo l'onore, la vita e gli averi
de' faentini , o abitanti de' luoghi
soggetti alla signoria, e che Astor-
gio III fosse lasciato pacifico pos-
sessore del paterno retaggio.
Acconsentì a tali patti il duca
Valentino, ma non sembrandogli
essere sicuro nel dominio, finché
fosse libero e vivo un Manfredi ,
avvezzo ai tradimenti e allo sper-
giuro , fece prendere Astorgio , e
Gio. Evangelista suo fratello na-
turale, e diede loro in Roma la
morte, gettandone i corpi nel fiu-
me Tevere. Così terminò la nobi-
lissima e possente famiglia de'Man-
fredi, che per lunga età tenne il
principato di Faenza, e di altre
signorie. Il Borgia conlento di a-
versi assicurato il dominio faenti-
no, vi pose un luogotenente, men-
tre il Cardinal legato a' 29 aprile
rimetteva lettere patenti alle città
romagnuole, colle quali Alessandro
VI dichiarò Cesare Borgia duca di
FAE
Romagna. Il Papa maritò quindi
Lucrezia Borgia, sorella del Valen-
tino, a d. Alfonso primogenito del
duca d' Esle Ercole I, ricevendo
dal fratello per giunta di dote ,
Russi ed altre castella del dominio
faentino. Indi il Valentino atterrò
le mura di Castel Bolognese, e ob-
bligò Faenza a far leva di solda-
ti. Frattanto morì a' 18 agosto
i5o3 Alessandro VI, e la potenza
del Valentino fu al tramonto : i
deposti signori tornarono a' loro
dominii, e Faenza salutò principe
Francesco, figlio naturale di Ga-
leotto Manfredi, e gì' impose il no-
me di Astorgio IV. Insorsero però
de* rivali, ed occultamente fu in-
trodotto nella rocca Cristoforo Mo-
ro con trecento soldati, inalberan-
do la veneta bandiera, e rivolgen-
do le artiglierie contro la città ,
tutta sorpresa di stupore per sì
inattesa invasione. Allora i faenti-
ni ricorsero a Giulio II, il quale
accogliendo benignamente Y inchie-
sta spedì prontamente a Venezia
il vescovo di Tivoli, per rimuovere
il senato da quell' impresa. Ma
questi francamente rispose che Faen-
za era stata ceduta in pieno con-
cistoro con altre città di Romagna
al duca Valentino, che la repub-
blica non voleva discutere su i di-
ritti della santa Sede, e che i faen-
tini, avvezzi al dominio de' natu-
rali signori, non desideravano l'ec-
clesiastico. Giulio II ciò fece sape-
re a' faentini, che si disposero a
cessar l' opposizione alle milizie ve-
nete, con diverse condizioni, do-
vendo passare i superstiti Manfredi
a Venezia; laonde a' 19 novembre
i5o3 l'esercito veneto co' provve-
ditori presero possesso della città.
Dappoi Giulio II s' inimicò co' ve-
neti , procurò il ricuperamento di
VOL. XXII.
FAÈ 3o5
Faenza, che prudentemente tenne
fede ai dominanti ; indi il Papa
s' impadronì di Perugia e di Bo-
logna, e tornando in Roma passò per
Faenza, nel febbraio i5oy per non
dar mostra di risentimento verso i
veneziani. Disgustato tuttavolta con
essi per la conquista fatta delle cit-
tà romagnole, si collegò in Cam-
bray col re di Francia a loro dan-
no, I veneti vollero farne la re-
stituzione, ma il Papa non volle
accettare, pose in campagna forte
esercito, ed i veneti furono vinti
ad Agnadello , ed allacciati dalle
censure.
Il Cardinal Alidosi , legato di
Bologna e di Romagna, fu inca-
ricato del ricuperamento di Faen-
za. Brisighella provò la ferocia del-
l'esercito di Francesco Maria della
Rovere, capitano generale della
Chiesa ; ed anche Russi soggiacque
al suo dominio. A mezzo del ca-
nonico Rondinini, Faenza si diede
al pontifìcio legato, dopo diverse
trattative e concessioni per parte
del Cardinale e di Giulio II , ve-
nendo reintegrato il comune di al-
cune antiche possessioni spettanti ai
Manfredi. Fatto legato di Roma-
gna il Cardinal de' Medici, si portò
a Faenza, poi fu prigione de' fran-
cesi, che occuparono le città di
Romagna, Russi, ed altri castelli ,
preferendo i faentini alla dedizio-
ne un tributo di buona copia d'o-
ro. Fu in questa occasione che Faen-
za si tolse a protettori i ss. Savi-
no vescovo e martire , Emiliano
vescovo, Pier Damiano vescovo di
Ostia e Cardinale, e Terenzio con-
fessore. Nel i5i3, a Giulio II suc-
cesse il Cardinal de' Medici, col no-
me di Leone X, che subito con-
fermò al comune le concessioni del
predecessore ; ma gli svizzeri che a-
20
3o6 FAE
vca preso al suo soldo, alloggiando
parte di essi in Faenza, furono ca-
gione di grave e memorando tram-
busto. Il magistrato nel i52 2 prov-
vide alla pubblica quiete. Adria-
no VI fu a Faenza largo di pri-
vilegi, come gli fu benefico Cle-
mente VII già legato di Roma-
gna. Intanto Carlo duca di Bor-
bone chiese di entrare in Faenza
col suo esercito, e venendogli ri-
cusato, per le montagne del faen-
tino si portò a Roma che fu or-
rendamente saccheggiata. Rappaci-
ficatosi Clemente VII con Carlo
V, dopo di averlo coronato in Bo-
logna, al 3i marzo i53o onorò
Faenza di sua presenza , dimorò
nel palazzo comunale, festeggiato
ossequiosamente dal magistrato e
dal popolo, che in seguito ottenne
soccorsi per rifare le mura della
città. Nel pontificato di Paolo III
la città si procurò in protettore il
Cardinal Cesi diacono di s. Eusta-
chio ; e Faenza due volte ebbe ad
ospite quel gran Pontefice: la pri-
ma quando nel i54* portossi in
Lucca per abboccarsi con Carlo V,
alloggiando nel palazzo comunale
li 18 e 19 ottobre, da tutti fe-
steggiato oltre ogni dire; la secon-
da nel i543 in occasione che si
recò a Brussetto dall' istesso impe-
ratore, ed in marzo giunse in Faen-
za ove dimorò la notte , e il se-
guente giorno. Nel pontificato poi
di Paolo IV, per la guerra tra
questi e il re di Spagna, ricusò di
ricevere entro le sue mura l'eser-
cito francese sebbene collegato al
Papa.
Pio IV confermò a Faenza gli
antichi privilegi, e gliene concesse
di nuovi, esentandola da alcune im-
poste affinchè restaurasse le sue mu-
ra, Dal successore s. Pio V, i faen-
FAE
tini ottennero la revoca d' un de-
creto, che sottraeva al loro domi-
nio il castello di Russi. Indi furo-
no spaventali dal terremoto. Ri-
cevettero con ogni sorla di distin-
zione i Cardinali legati Sforza, od
Alessandrino ossia Bonelli , e po-
scia ebbero a governatore il Cardi-
nal di Vercelli, che ne ottenne da
Gregorio XIII il governo a vita ,
ciò che confermò Sisto V. Questi
fece sentire il suo giusto rigore?
anco contro i banditi di Romagna,
ed eguale sollecitudine ebbe Gre-
gorio XIV. AH' esaltazione di Cle-
mente VIII, nel 1592, Faenza ben
a ragione tripudiò, non solo per-
chè nel cardinalato n'era stato pro-
tettore, ma eziandio per esservi
stato educato nella sua prima gio-
vinezza, quando vi si rifugiò il di
lui genitore famoso giurisconsulto
Silvestro Aldobrandino dopo il ban-
do inflittogli da Firenze sua pa-
tria. Vacando la protettoria della
città, l'accettò il Cardinal Sforza
legato. Nel recarsi poi Clemente
Vili a prender possesso del duca-
to di Ferrara ( al quale artico-
lo si descrive la convenzione se-
guita in Faenza per la ricupera
di quel ducato), il magistrato inviò
tre ambasciatori per ossequiarlo a
Rimini, supplicandolo della resti-
tuzione degli antichi privilegi e giu-
risdizioni concessi da Giulio II,
poscia diminuiti e tolti. Indi per
Bagnacavallo , Cotignola e Lugo
Clemente Vili giunse a Ferrara
li 8 maggio 1^98, e ne partì ai
26 novembre. Giunto alle porte di
Faenza a' 2 dicembre, e smontato
di carrozza, o come altri dicono
dalla lettiga, cavalcò una bianchis-
sima chinea, e sopra essa entrò in
città tra le più magnifiche, pom-
pose e riverenti accoglienze di tutti.
FAE
Tra i molti segni di singoiar ono-
ranza, venticinque giovani delle più
nobili famiglie, vestiti di ricchi e
vaghi panni uniformi nel colore
e nella foggia, presentarono al Pon-
tefice sopra altrettanti bacili squi-
siti confetti e canditure di Geno-
va e Venezia. La via Emilia dal-
l'una all'altra porta fu tutta ad-
dobbata a festa, e vari archi trion-
fali ed altre divote dimostrazioni
si tributarono al comun padre e
sovrano. Dopo alcune ore di ripo-
so Clemente Vili riprese il cam-
mino alla volta di Roma, fra le
più vive acclamazioni.
Nel pontificato di Urbano Vili,
pei bisogni dello stato, la comune
fece un'offerta in denaro, e poscia
il territorio pati una straordinaria
innondazione ; ed in quello di Ales-
sandro VII ricevette con solenni
onorificenze la regina Cristina di
Svezia, accompagnata dal dottissi-
mo Olstenio; indi la città provò
i tristi effetti della pestilenza e
delle civili discordie , mentre nel
pontificato di Clemente X fu af-
flitta con Romagna tutta dal ter-
remoto, gastigo che rinnovossi in
un modo spaventevole per Faen-
za sotto Innocenzo XII. In questo
frattempo alloggiò nel palazzo del
conte Dionigio Naldi, Maria Casi-
mira, vedova di Giovanni III re di
Polonia, accompagnata dal vec-
chio suo genitore, il Cardinale
d' Archien. Poco dopo, e nel pa-
lazzo del marchese Muzio Spa-
da, albergarono Teresa Gonegon-
da vedova dell'elettore di Bavie-
ra , e Violante moglie del pri-
mogenito di Cosimo III; e nel 1717
Giacomo III re d' Inghilterra fu
trattato ospitalmente dal conte Ga-
spare Ferniani. Ma il soggiorno
che fece Pio VI nel 1782 a Faen-
FAE 307
za, nel viaggio che intraprese per
Vienna, rallegrò tutti i faentini,
per più riflessi. Vi giunse a' 7 mar-
zo, smontò nel palazzo del suo cu-
gino conte Scipione Zanelli, ove in
ampia sala ammise al bacio del
piede il capitolo preceduto dal ve-
scovo, il clero secolare e regolare,
il magistrato , la nobiltà, e parec-
chie dame; indi sotto ricco baldac-
chino Pio VI si condusse a piedi
alla cattedrale, ed ivi solennemen-
te benedi il popolo, e tornato al det-
to palazzo, dopo breve riposo con-
tinuò il suo viaggio per Imola.
Ritornando il Pontefice da Vienna
rallegrò di nuovo colla sua presen-
za i faentini a' 29 maggio, e nel
palazzo Zanelli ricevè 1' omaggio
del vescovo , del governatore, del
magistrato, della nobiltà, e di al-
tri. La porta della città era sovra-
stata d' analoga iscrizione, la via
Emilia fu decorosamente ornata ,
mentre da un balcone del mento-
vato palazzo compartì l'apostolica
benedizione , fra le più divote e
clamorose acclamazioni. Dipoi a-
scese il Papa in carrozza, s'incam-
minò verso il canale naviglio in
costruzione a spese del medesimo
conte, come dicemmo di sopra,
benedicendo nel tragitto le mo-
nache di s. Cecilia e le suore di
s. Chiara schierate appositamente
sulla corte. Pervenuto col corteg-
gio all' arco trionfale , discese Pio
VI dalla, carrozza, e in compa-
gnia di monsignor vescovo si a-
vanzò verso il detto canale, ove
parecchi gondolieri vestiti a gial-
lo tenevano preparati due pali-
schermi da lanciare in acqua ad
un convenuto segnale. Ciò fatto,
comparvero le due barche piene
di suonatori, che con piacevoli ar-
monie fecero più lieta quella so-
3o8 FAE
lennità. Indi fu presentato al Pa-
pa il disegno della porta che vo-
levasi erigere rimpetto al canale,
ed egli ciò approvando, volle che
fosse chiamata Pia dal suo vene-
rato nome. Risalito in carrozza,
passò al loggiato del palazzo co-
comunale magnificamente ornato,
e quivi il Pontefice tornò a bene-
dire il foltissimo popolo, avviando-
si poscia per Forlì, uscendo dal-
l'altra parte della città sulla quale
si leggeva altra corrispondente iscri-
zione.
Nel 1 789 incominciarono i me-
morabili sconvolgimenti di Francia.,
che commossero tutta l'Europa, ed
oscillarono grandemente sullo stato
pontificio, risentendone anche Faen-
za le triste conseguenze. Al pas-
saggio delle diverse truppe, succes-
se per opera de' repubblicani fran-
cesi l'invasione di Romagna. Na-
poleone Bonaparte, supremo coman-
dante dell'esercito d'Italia, occupò
Bologna a' 19 giugno 1796; ed
ai 2 4 delio stesso mese il genera-
le Augereau entrò co' suoi in Faen-
za, obbligando i cittadini alla con-
segna d'ogni sorta di armi, ed im-
ponendo gravose contribuzioni, ol-
tre lo spoglio del monte di pietà.
Lugo e Cotignola avendo opposta
resistenza, furono severamente pu-
nite, e saccheggiate. Allora il Pa-
pa inviò molte milizie a Faenza
capitanate dal colonnello Ancaiani,
dappoiché Pio VI, sebbene avesse
convenuto nell'armistizio di Bolo-
gna, firmato colà a' 23 giugno
1796, diverse umilianti condizioni,
e la cessione delle legazioni di Bo-
logna e di Ferrara, e della città
di Faenza, pure avendo bene com-
preso le mire de' francesi, secondo
l'obbligo di principe sovrano, in
difesa de* sudditi , volle opporre
FAE
forza alla forza. A'2 febbraio 1797
il general Victor, coi generali Sau-
ghet, Rusca, e Sgambelli, per Imo-
la si diressero contro 1' esercito pon-
tificio, e sulle sponde e presso il
ponte del Senio ebbe luogo l'infelice
pugna. Al primo assalto degli ag-
guerriti francesi, il guado sulle pri-
me fu impedito con molto valore;
ma la furia degli ardenti italiani
di lombardia, ausiliari dei francesi,
cagionò un istantaneo sbigottimen-
to, e tradite le milizie papali da
alcuni ufììziali guadagnati dal ne-
mico, perderono subito il posto ed
il coraggio, e si abbandonarono al-
la fuga con disordine e confusio-
ne. In potere de' francesi restarono
alcune centinaia di prigionieri ,
quattordici pezzi di cannone, e otto
bandiere: mentre i francesi vi per-
dettero un qualche centinaio di
uomini, tra morti e feriti. Osser-
va il Pistoiesi, nella Vita di Pio
VII, tom. I, p. 35, che da mol-
ti si pose in ridicolo cotal combat-
timento; ma ufììziali di rango si
francesi che cisalpini lo trovarono
ben differente, e diedero la meri-
tata lode a que' valorosi soldati,
che sebbene di nuova leva, e non
avvezzi al fuoco, mostrarono ciò
non pertanto un coraggio poco
comune, e ben si avvide il nemi-
co in quel primo militare cimento
che l'antico valore nei nostri non
era spento.
Allora il generale Victor continuò
la sua marcia sopra Faenza, apren-
dosi la porta fatta chiudere dal-
l' Ancaiani, a colpi di cannone; ed
i cavalleggieri inseguirono verso
Forlì i fuggitivi. Il general Bona-
parte alloggiò nel palazzo Mazzo-
lane e il cavaliere Annibale di
questa famiglia venne dichiarato
capo della municipalità. Il dì se-
FAE
guente nella pubblica piazza fu
eretto l'albero dell'effimera liber-
tà, ossia una lunga pertica avente
in cima un berretto rosso, e pen-
dente, raccomandata a tre nastri
tricoloràti, una ghirlanda d'alloro
frammischiata a diversi fiori, oltre
i molti eguaglianza, giustizia, liber-
tà, ec, quindi ebbero luogo tutte
quelle cose contro il pontificio re-
gime a tutti note, e nel 1798, il
passaggio di quelle truppe, che
prepotentemente strapparono da
Roma Pio VI. Frutto del nuovo
ordine di cose furono forzose con-
tribuzioni, demolizione de' stemmi,
discacciamento de' religiosi e delle
monache dai loro chiostri, la co-
scrizione, ostilità d'ogni genere,
vessazioni ec. Posero momentaneo
termine a sì fatti avvenimenti la
prevalenza degli austro-russi, che
entrarono in Faenza a' 1 4 maggio
1799, finche ai 12 luglio 1800
rientrarono nuovamente i francesi
nella città per la vittoria ottenuta
a Marengo. Di nuovo nei seguen-
te novembre gli austriaci ricupe-
rarono Faenza ; ma ritornativi i
francesi, sino al 1 8 14 ne restarono
possessori, facendo dapprima la cit-
tà parte della repubblica cisalpina,
poscia del regno italico, e nel 1 8 1 5
venne ridonata al pacifico dominio
della santa Sede nel glorioso pon-
tificato di Pio VII. Non devesi qui
tacere, che ritornando questo Pa-
pa ne' suoi stati dopo lunga catti-
vità, passò per Faenza a' i5 aprile
i8i4j visitò la cattedrale, ed in
sagrestia ammise al bacio del pie-
de il canonico Andrea Strocchi,
allora vicario generale, e tutti gli
individui componenti il capitolo ,
che a memoria di tanto onore, e
del fausto trionfo di Pio VII, so-
pra la porta della sagrestia eres-
FAE 309
sero il di lui busto, con relativa
iscrizione. Grandissima fu altresì
la letizia de' faentini, di essere be-
nedetti da sì santo Pontefice.
Sulla storia di Faenza, e sue
pertinenze, oltre i succitati scritto-
ri abbiamo le seguenti opere. Dal
dotto e sunnominato camaldolese
p. Mittarelli, che come abbate ge-
nerale de' camaldolesi risiedette nel
rnonistero di Faenza, abbiamo: Ad
scriptores rerum italicarum Mura-
tori accensiones historicae Faven-
tiae, quarum elenchus ad calcem
legitur. Il Mittarelli però ebbe a
compagno in questa collezione l'al-
tro celebre camaldolese p. d. An-
selmo Costadoni, ambedue i quali
con note e prefazioni illustrarono
le seguenti opere : I. Chronìcon To-
losani nunc primum editum; II. Pe-
tti Cantine Ili Chronicon Faventi-
num; III. Chronica brevioria, alia-
que monumenta Faventina a Ber-
nardino Azzurinio collecta ; IV.
Appendix monumenlorum Faven-
tinorum: Statutum Faventinwn cir-
ca offtciales custodiae anni 1^0,1-,
Vilae ss. Terentii, Sabini, etc. ali-
dore Jo. Ant. Flaminio^ ejusdem
Flaminii epistola, et altera Zacha-
riae Ferrerii de Laudibus urbis
Faventiaej Epistola Hieronymi Fer-
ri de Tabulano Azzuriniano , et
alia Petri Nicolai Castellani ad
Clementem VII, Venetiis 1771.
Julius Caesar Tondutius, Faven-
tiae historiae breviarium: accessit
in fine epistola responsoria ad al-
ter ani Sertorii Ursati, quae im-
pressa legitur libro cui titulus : i
Marmi eruditi, fol. 1 17, Faventiae
typ. Josephi Zarafagli 1670. Di
più del medesimo si hanno 1' Hi-
storie di Faenza pubblicate dopo
la di lui morte da Girolamo Mi-
nacci, in Faenza per Gioselfo Za-
3io FAE
1 alagli i6y5t con figure. Vent'anni
impiegò il Tonduszt nel comporre
questa storia della sua patria, che
arriva sino al 1600. Essendo mor-
to l'autore mentre la stampa era
inoltrata fino al i44°> u Cavina
si occupò della correzione del pro-
seguimento, ed aggiunse l'indice
generale e i particolari. Gregorio
Zuccoli ci ha dato la Cronica par-
ticolare delle cose falle nella città
di Faenza cominciando dal 700
in circa sino al 1 i34, Bologna
\5j5. Questa cronica è un ristret-
to di quella del Tolosano. Il me-
desimo Zuccoli lasciò ms. una sto-
ria compiuta della città, che recen-
temente, cioè nel i836, senza no-
me d'autore e non intera, è stata
pubblicata in Milano, fra le storie
de' municipii italiani di Carlo Mor-
bio, nella stessa lingua italiana co-
me la scrisse il Zuccoli. Finalmen-
te trattarono di Faenza l'Amade-
sio, l'Azzurini, il Blavio, il Canti-
nello, il Riceputi , il Torsano, il
Marchesi, ed altri nelle istorie d'I-
talia, di Ravenna, di Forlì, e del-
l' Umbria ec, non che quelli notati
dal benemerito annalista Bartolom-
meo Righi sullodato. Il Monti nelle
Notizie sloriche sulV origine delle
fiere nello slato ecclesiastico t a pag.
38 tratta della fiera di Faenza, e
dice che questa celebre città gode-
va il privilegio della fiera sino dal
i5oo, cioè di un solo giorno nella
festa degli apostoli ss. Pietro e Pao-
lo, ed era franca da ogni dazio
anche per le merci estete. Dice an-
cora che nel 1786 cessò la cele-
brazione della fiera franca pei più
regolari sistemi di finanza intro-
dotti da Pio VI, e che nel 18 16
gli fu in vece accordata l'annua fie-
ra di otto giorni da incominciarsi
nel di della nominata festa.
FAE
I primordii della chiesa illustre
faentina, sono congiunti a queliti
metropolitana di Ravenna, come si
esprime il benemerito delle noti-
zie ecclesiastiche di Faenza, il sul-
lodato canonico Andrea Strocchi,
nel suo opuscolo nitidamente stam-
pato dalla tipografia Montanari e
Marabini nel i83g, ed intitolato:
/ primordii della chiesa faentina.
Abbiamo pertanto da lui , che la
nazione faentina è debitrice dello
stabilimento della fede allo zelo di
s. Apollinare, discepolo del princi-
pe degli apostoli e primo Pontefi-
ce s. Pietro. Questi lo consagrò
vescovo di Ravenna, e lo spedi
nell'Emilia l'anno 46 della nostra
era, a predicare il vangelo nelle
diverse città di quella florida pro-
vincia; ed all'anno 60 si attribui-
sce la fortunata epoca della con-
versione al cristianesimo di Faen-
za, per opera del medesimo vesco-
vo di Ravenna, non pubblicamen-
te a cagione delle persecuzioni, ma
privatamente; onde que' primitivi
cristiani, come in Roma ed altro-
ve, radunavansi in luoghi segreti.
Quindi i faentini, come gì' imolesi
elessero s. Apollinare in protetto-
re, e gli eressero chiese ed altari
sì in città che nella diocesi; e da
ultimo il regnante Gregorio XVI,
nel i832, accordò alla provincia
di Emilia, cioè in tutto V arcive-
scovato di Ravenna di celebrarne la
festa con rito doppio di seconda
classe. Il primo vescovo poi della
chiesa faentina è il martire s. Sa-
vino, che fiorì oltre la metà del
terzo secolo. Di esso, come di tutti
gli altri che la governarono, il me-
desimo canonico Strocchi ha arric-
chito la storia ecclesiastica d'Italia,
col pubblicare nella sua patria
Faenza, l'anno 1841 , eoa nobile
FAE
edizione , e pegli encomiati tipi
Montanari e Marabini , la Serie
cronologica storico-critica de ve-
scovi faentini, corrispondendo cosi
a quel desiderio che 1' immortale
Minatori dichiarò su sì fatti im-
portantissimi argomenti al canoni-
co Manzoni per l'istoria de' vesco-
vi d'Imola, dappoiché gli diceva
avere il sommo Ughelli in tanti
luoghi camminato alla buona. Lun-
gi pertanto di tesserne la serie ,
solo ci permetteremo indicare i ve- '
scovi venerati dalla Chiesa per san-
ti, quelli che in numero di dieci
furono decorati della dignità car-
dinalizia, tra' quali primeggia In-
nocenzo XII, e pochi altri degui
di speciale menzione.
San Savino nativo di Sulmona,
in età giovanile, e verso l'anno
260 di nostra era, si portò a con-
durre vita solitaria nella selva Li-
ba, presso il luogo ove fu poi fab-
bricato il castello di Fusignano,
già territorio, ora diocesi di Faen-
za. Ivi visse santamente, e rallen-
tate le persecuzioni della Chiesa,
compì l' opera che due secoli pri-
ma avea incominciato s. Apollina-
re, illuminando il residuo degli
abitanti della vicina Faenza, che
per tal beneficio lo acclamò suo
vescovo, forse verso l'anno 280;
altri lo riguardano anche vescovo
di Spoleto, Assisi, Chiusi ec. Patì
il martirio nel 3o3 a Spoleto, ed
il suo sagro corpo fu trasportato
nella selva Liba l'anno 3 11, ove
fu eretta una chiesa, e sotto Astor-
gio II, nel i438, venne trasferito
nella cattedrale. Gli successe Costan-
tino o Costanzo I, che alcuni dissero
primo vescovo di Faenza : interven-
ne al concilio che Papa s. Melchia-
de celebrò in Roma l'anno 3x3.
A quello poi che nel 649 ivi pur
FAE 3n
tenne il santo Pontefice Martino I,
vi si portò il vescovo s. Leonzio
per la condanna dei monoteliti, e
riprovazione dell' editto Tipo , il
perchè vuoisi soffrisse il martirio.
Il vescovo Paolo, nell'anno 920,
istituì il cospicuo capitolo di trenta
canonici, e perciò, afferma lo Stroc-
chi, fu il primo che istituì capito-
lo di canonici nello stato pontifi-
cio. Inoltre eresse in vicinanza del-
la cattedrale quella grandiosa abi-
tazione, che dal loro nome si chia-
mò canonica ; visse in comunità
col suo clero, per meglio attendere
al diurno e notturno salmeggia-
mento, e celebrazione de' divini uf-
fizi nella cattedrale. Gli si attri-
buisce ancora l' istituzione del col-
legio de' parrochi di Faenza, co-
me generose assegnazioni pel detto
capitolo, cui i successivi vescovi ag-
giunsero ulteriori beneficenze, ed
anche giurisdizione sopra molti ca-
stelli, cioè Pedrignano nel forlive-
se } Fontanamoneta , Fornaciauo, e
Guillarino in quel di Faenza, ed
altri.
Descrivendo lo Strocchi le me-
morie del vescovo Roberto , dice
che in questo tempo fatalmente
Faenza seguiva le parti dell' anti-
papa Clemente III, ossia Guiberto
arcivescovo di Ravenna, fatto eleg-
gere contro s. Gregorio VII dal-
l'imperatore Enrico IV, e quindi
passa a parlare di un concilio con-
vocato in Faenza, di cui sinora
rimase incerta 1' epoca, nel qua-
le venne abrogata la facoltà con-
cessa ad alcuni monaci di affidare
nelle loro possessioni la cura d' a-
nime ai preti secolari senza con-
sentimento de' vescovi. Narra poi.
che siccome il Pontefice Urbano
II, a' 3o aprile 1099, nel concilio
Romano confermò la sentenza di
3ll
FAE
scomunica emanata da' suoi prede-
cessori contra Y eresiarca Giliberto
pseudo-papa, e gli altri di lui com-
plici, e dichiarò nulle le ordina-
zioni fatte dal medesimo posterior-
mente all'inflitto anatema, sembra
quindi che il relativo canone do-
vesse essere intimato, o in qualche
modo reso noto al capo dello sci-
sma, e a' di lui fautori e seguaci,
non meno che agli ecclesiastici da
lui ordinati. Ciò non potevasi me-
glio effettuare che mediante un
concilio provinciale da tenersi in
prossimità ai luoghi ove si aggi-
ravano e avevano stanza i suddet-
ti scismatici coli' antipapa, che po-
co prima erasi ridotto nel castello
di Argenta. Si reputa perciò che
immediatamente dopo il concilio
Romano del 1099, d'ordine dello
stesso Pontefice Urbano II fosse
convocato il concilio apud Faven-
tiani , del quale dovettero proba-
bilmente far parte i suffraganei del-
l'arci vescovato di Ravenna , che. si
conservarono fedeli alla santa Sede,
come lo era certamente il nomi-
nato vescovo Roberto di Faenza,
che allora teneva questa cattedra
vescovile suffraganea sino dalla isti-
tuzione della metropolitana di Ra-
venna. Da quanto dottamente scris-
se de' precedenti concili il citato
storico faentino, sembra che nel
concilio di Faenza, oltre la confer-
ma della scomunica al sedicente
Clemente III e suoi complici, siasi
anche trattato della riforma essen-
ziale della disciplina ecclesiastica,
ripetendo i canoni analoghi degli
ultimi concili di Clermont, e di
JNimes. Ne certamente si ommise
il canone riguardante il diritto epi-
scopale d' insti tuire i parrochi per
le chiese situate ne' possedimenti
de'monasteri, colla prescrizione che
FAE
detti parrochi dipendessero nello
spirituale direttamente da' vescovi,
e soltanto fossero tenuti a rendere
ragione agli abbati dell'amministra-
zione delle cose temporali appar-
tenenti ai monasteri. La quale di-
sposizione era maggiormente neces-
saria all'Emilia, perchè in questa
provincia abbondavano gli stabili-
menti monastici pio. ricchi che al-
trove. Finalmente in conferma che
il concilio apud Faventiam sì con-
vocò sul declinare del secolo XI,
dopo il concilio Romano III del
1099, è a sapersi che l'arcivesco-
vo di Ravenna ebbe il dominio
temporale di diverse città, terre,
castelli, ed anche di esso venne
più volte investito dagl' imperatori,
come de' contadi di Bologna, Imo-
la, Faenza, e Cervia, nonché confer-
mato dai Pontefici. Tra questi domi-
ni i era vi Oriolo, oppidum Aureoli,
città o castello nella diocesi di Faen-
za, e quattro miglia da essa distante,
il quale appunto vuoisi essere stato
destinato alla radunanza de'padri,
per la celebrazione del concilio, sicco-
me luogo idoneo al grave atto, sicu-
ro da ogni spirito di parte, e protet-
to contro le insidie de' nemici del
sommo Pontefice; luogo in cui poste-
riormente si tennero altri congres-
si diplomatici. Adunque con criti-
ca e molteplice erudizione, prova Io
Strocchi, che nell' istoria patria, e
nella collezione de' concili, si possa
aggiugnere questa annotazione: Con-
cìLium apud Faventiam in oppido
Aureoli, anno MXCIX Pontificato
Urbani II anno XII.
Successe a Roberto nel vescova-
to, Cono, sotto il quale passò per
Faenza nel 11 06 il Papa Pasqua-
le II, recandosi in Germania a ce-
lebrare il concilio di Augusta per
la riforma delle cose ecclesiastiche;
FAEL
ed i faentini tributarono a lui gli
onori dovuti al capo della Chiesa.
Pasquale II a' 28 ottobre del me-
desimo anno tenne un concilio nu-
meroso in Guastalla, dove tra le
altre cose decretò che i vescovati
dell' Emilia non sarebbero più sot-
toposti al metropolitano di Raven-
na ; ma l'immediato suo successo-
re Gelasio II, con ampio diploma
de' 7 agosto 1 1 19, restituì all'ar-
civescovo Gualtiero la giurisdizione
metropolitica sulle sedi già suffra-
ganee a Ravenna, e fra queste quel-
la di Faenza. A Cono, nel 1 1 1 6,
fu dato per successore il faentino
Pietro II di Bembo, che donò al-
cuni beni al capitolo.
Dopo che Giovanni II interven-
ne al concilio generale lateranen-
se tenuto da Alessandro III, il suc-
cessore di questi Lucio HI, recan-
dosi nel 1184 a Verona, giunse
in Faenza nella vigilia della festa
di s. Pietro, per cui nel di se-
guente celebrò solennemente la mes-
sa nella cattedrale, concedendo in-
dulgenza per ciascun anno in det-
ta ricorrenza. A Giovanni li, nel
1 1 92 , fu eletto successore s. Ber-
nardo Balbi di Pavia, che a mol-
ta dottrina accoppiò quella pietà e
virtù eroiche che l'innalzarono al-
l'onore degli altari; però dopo a-
vere per sei anni governato con
universale applauso la diocesi di
Faenza, fu da'suoi concittadini chia-
mato a reggere la sede di Pavia.
Ugolino faentino divenne vescovo
di sua patria l'anno i3ir, e ben-
ché semplicemente eletto interven-
ne al concilio provinciale di Ra-
venna, tenuto dall'arcivescovo Rai-
naldo. Nel i3i2 nella sala dell'e-
piscopio adunò un sinodo ; indi
scomunicò Francesco Manfredi, e
sottopose la città all'interdetto, per
FAE 3i3
comando dell'arcivescovo di Raven-
na suddetto, in punizione della
lesa giurisdizione del castello di O-
riolo: altro sinodo pieno di santis-
sime leggi Ugolino celebrò nel i32i.
Il primo vescovo di Faenza che
fu promosso al cardinalato, non pe-
rò mentre ne governava la diocesi,
è Francesco Uguccioni o Aguzzoni
Brandi da Urbino, che fatto ve-
scovo nel i38o, fu trasferito alla
sede di Benevento nel 1 384 » P0'
a quella di Bordeaux, creandolo
Cardinale nel i4o5 Innocenzo VII.
Nella bolla di promozione al ve-
scovato del suo successore Angelo
da Ricasoli, fatta nel 1 383 da Ur-
bano VI, viene chiamata la sede
di Faenza immediatamente sogget-
ta alla santa Sede; altrettanto si
legge nella bolla che il medesimo
Papa diresse al capitolo, parteci-
pandogli tale promozione. Rodolfo
Pio de'signori di Carpi nel i528
fu fatto vescovo di Faenza, nel
i533 promulgò le costituzioni si-
nodali della chiesa faentina , che
fece poi stampare; indi nel i536
fu creato da Paolo III Cardinale,
lasciando la sede di Faenza nel
i544> rinunciando a favore di Teo-
doro suo fratello naturale. A que-
sti nel 1^62 Pio IV die in suc-
cessore Gio. Battista Sighicelli, già
vicario generale della diocesi, e me-
ritamente, perchè fu uno di quei
prelati che per ingegno, dottrina
e zelo si distinsero in questa cat-
tedra episcopale, onde venne am-
mirato al concilio di Trento, se-
condo i decreti del quale compi-
lò le regole per lo stabilimento del
seminario ecclesiastico, e tenne un
sinodo diocesano, che pubblicò col-
le stampe. Dopo il Cardinal Pio,
il secondo vescovo di Faenza che
fu decorato di sì sublime dignità
3i4 FAE
è Giovanni Francesco di ». Gior-
gio, de'conli di lilantlrala, anzi e-
gli il primo Cardinale fatto ve-
scovo, giacche Clemente Vili nel
1 5»t)6 lo annoverò al sagro colle-
gio, e nel i6o3 gli conferì questa
chiese: esso venne sepolto nella cat-
tedrale da lui beneficata. Erminio
Valenti, fatto da Clemente Vili
nel i()o4 Cardinale, e nel i6o5
vescovo, gli successe; promulgò due
sinodi, fu benemerito in più ma-
niere, e venne sepolto in s. Maria
delle Grazie. Marc' Antonio Gozza-
dini, dal cugino Gregorio XV fu
creato Cardinale, e per petizione
della città di Faenza Urbano Vili
nel 1623 lo fece suo vescovo; ma
egli morì prima del possesso; ed
Urbano Vili nominò in sua vece
il Cardinal Francesco Cennini dei
Salamandra Passando questi al ve-
scovato di Sabina, il detto Papa
a'4 marzo 1643 nominò vescovo di
Faenza, e a' 1 3 luglio Cardinale
Culo Rossetti; questi celebrò sinodi
che diramò colle stampe, zelò il
suo ministero, beneficò la diocesi,
e per l'amore che gli portava, l'ot-
tenne in amministrazione, quando
Innocenzo X lo promosse alla sub-
urbicaria di Frascati , e quando
Innocenzo XI il trasferì all'altra
di Porto : dopo trentaolto anni
di vescovato , epoca cui non era
giunto alcun vescovo di Faenza,
morì nel 1681, e fu sepolto nella
cattedrale nella tomba de' vescovi.
Venne destinato da Innocenzo XI
a rimpiazzarlo il Cardinal Anto-
nio Pignattelli, con grande allegrez-
za della città, perpetuata con a-
naloga iscrizione , collocala nella
loggia del pubblico palazzo; ma il
medesimo Papa nel 1687 lo tras-
latò alla chiesa arcivescovile di
Napoli , da dove meritò che nel
FAE
1691 foste sollevato alla cattedra
di s. Pietro, col nome d'Innocen-
zo XII.
Innocenzo XI al Cardinal Pi-
gna! lelli diede in degno successore
il benefico Cardinal Gio. France-
sco Negroni, per lo zelo cui fun-
se il suo ministero, e per le ge-
nerose dimostrazioni latte alla dio
cesi. Innocenzo XII all'antica sua
chiesa fece dono del Cardinal Mar-
cello Durazzo nell'anno 1697, dap-
poiché tra i vescovi faentini che
si distinsero in compartire benefizi
a' diocesani, ninno superò la di lui
munificenza, siccome descrive lo
Strocchi nella succitata serie de' ve-
scovi faentini. Nel 1710 i diocesa-
ni ne piansero amaramente la per-
dita, e tuttora ne ripetono il no-
me jcon benedizione, conservandone
le spoglie mortali nella cattedrale.
Ristorò Clemente XI tanta perdila
col nominar vescovo Giulio Piazza,
che nel 1 7 1 2 fece Cardi naie, con gran
tripudio de' faentini; questi ampliò
ed abbellì l'episcopio, celebrò il si-
nodo, ingrandì il seminario, e fu
largo di altre beneficenze; e mo-
rendo nel 1726 fu tumulato coi
suoi predecessori. Passati duecento
e quattordici anni, nuovamente eb-
be Faenza nel 17^1 da Benedetto
XIV un suo concittadino per ve-
scovo nella persona di Antonio Can-
toni : umile, zelante, caritatevole,
meritò che Clemente XIII nel 1767
lo promovesse alla sede arcivescovile
di Ravenna, che ancora ne conserva
grata memoria. E per non dire di
altri ottimi pastori, il regnante Pon-
tefice ( Gregorio XVI, nel concisto-
ro de' 2 luglio i832, consolò Faen-
za col dichiarare per ottantesimo
suo vescovo monsignor Giovanni
Benedetto de'conti Folicaldi di Ba-
gnacavallo, città della diocesi, il
FAE
quale essendosi onoratamente eser-
citato colla sua anteriore carriera
prelatizia, bene apprese l'arte diffi-
cile di governare, e potè guadagnar-
si i cuori de' suoi diocesani che
fanno voti per la sua diuturna con-
servazione. Ciò luminosamente si
confermò quando il medesimo Pa-
pa che regna deterrainossi cede-
re alle istanze del zelante vescovo,
coll'accettare la di lui rinunzia al-
la chiesa faentina, ad onta dell'a-
more che leale e forte il prelato
al gregge portava. Fu allora che
ogni ordine di persone, spontanea-
mente, e a gara rivolse fervorose
suppliche al pontifìcio trono, acciò
non venisse privato dei dato da
Dio, dell' amato pastore. Alla bene-
vola interposizione dell'augusto ca-
po della Chiesa, monsignor Folical-
di sclamò: Dei voluntatem venere-
unir cernili, e cedette con genera-
le edificazione ; sagrifìcando la pro-
pria volontà, al tenero affetto che
sempre nutrì pe'suoi diocesani, tri*
pudianti oltre ogni dire per non
vedersi privi di cotanto vescovo e
padre, che i faentini pur conside-
rano come loro concittadino, per
averlo aggregato all'ordine de' pa-
trizi. Quindi l'egregio prelato a'3
aprile i843 diresse al gregge ana-
loga e tenerissima lettera, che non
senza commozione si legge nel num.
i 1 8 dell' applaudito Imparziale di
Faenza.
La bella cattedrale di Faenza,
eretta, come dicemmo, di nuovo nel
i474> e solennemente consagrata
a' i5 ottobre i58i dal vescovo
Annibale Grassi, è dedicata a Dio
sotto l'invocazione del principe de-
gli apostoli s. Pietro. Ivi si vene-
rano le ossa de' quattro santi pro-
lettori della città, cioè s. Savino
vescovo e martire, & Emiliano ve-
FAE 3i5
scovo e confessore, s. Terenzio dia-
cono, s. Pier Damiano vescovo,
Cardinale, e dottore di s. Chiesa,
non che del b. Nevolone camaldo-
lese faentino, oltre altre reliquie;
conservandosi nella sagrestia il pre-
zioso reliquiario di s. Savino, ch'è
un antico ostensorio in forma di
torre., pregevole per la sua an-
tichità e decorazioni. Nella catte-
drale evvi il battisterio, e la cura
delle anime, la quale è annessa
alla cattedrale, non è affidata al
parroco, ma ad un cappellano amo-
vibile, il quale non fa però parte
del collegio de'parrochi, che sono
sedici: l'episcopio e il seminario
sono contigui alla cattedrale. Il
capitolo si compone di diciasette
canonici, inclusevi la prepositura,
ch'è la prima delle tre dignità,
l' arcidiaconato, juspatronato della
famiglia Severoli, e l'arcipretura
canonicale istituita dalla famiglia
Majoli di Ravenna : tra gli altri
canonici vi sono le prebende del
teologo e del penitenziere. Vi sono
inoltre tredici mansionari, sei dei qua-
li eleggonsi a vita, e sono deno-
minati Durazzi dal loro benefatto-
re Cardinal Durazzo sum mentova-
to; gli altri sette appellati capito-
lari sono amovibili. Inoltre sonovi
altri preti e chierici addetti all'uf-
fiziatura. Dell'arcidiacono della chie-
sa faentina, se ne trova menzione
all'anno 883 ; riuniti i due titoli
di arcidiacono e di preposto nel
i o45, venne dichiarata in quest'ul-
timo la prima dignità del capito-
lo. Ripristinato dipoi l'arcidiacono
come seconda dignità, ne ottenne
il juspatronato la nobile famiglia
Severoli nel 1 5 1 7, mediante bolla
di Leone X. L' arcipretura nella
sua origine era dipendente dall'ar-
cidiacono, ed esisteva nel gii: do-
3i6
FAE
pò la metà del secolo XII cessò
tal dignità, ripristinata poscia nel
1647 dal nobile faentino Giuseppe
Majoli, e da Innocenzo X dichia-
rata terza dignità. Un tempo vi
fu pure la dignità del custode o
cimiliarca, cui era all'alata la custo-
dia de' vasi sagri e de' tesori della
chiesa, come delle ohblazioni, li-
inosine, e decime da dividersi tra
il clero. Il decanato poi è soltan-
to un titolo che si accorda a quel-
lo che tra i canonici è il più an-
ziano.
I canonici della cattedrale sono
posti sotto la tutela e protezione
di s. Pietro, mediante bolla di Ni-
colò II, confermata da Onorio II,
Innocenzo lì, e Lucio II. Nel
1667 Clemente IX gli concesse
l'uso della cappa grande paonazza
cogli armellini ; ed il regnante
Gregorio XVI, ad istanza dell' o-
dierno vescovo per il decoro della
sua chiesa e capitolo, nel i835
concesse al preposto, come prima
dignità, di poter vestire il rocchet-
to, la mantelletta, e la veste tala-
re paonazza, non che il collare e
fiocco al cappello del medesimo co-
lore, da usarsi tanto in coro che
fuori ec. in perpetuo; agli altri
canonici poi Gregorio XVI accor-
dò l'uso della veste, del collare, e
del fiocco nel cappello di color
paonazzo, da usarsi tanto in coro
che fuori, e nelle altre funzioni
ec. Nella sagrestia, sotto al ritrat-
to del Pontefice, una iscrizione ri-
corda tali beneficenze. Delle digni-
tà e privilegi del capitolo ne trat-
ta il can. Strocchi nelle sue Me»
morie isteriche part. I, cap. IV;
nella parte II, cap. I e II, discor-
re de' personaggi illustri del capi-
tolo faentino, e principalmente di
s. Fulco primo preposto, poi elet-
FAE
to vescovo di Piacenza , e consa-
grato di Pavia. 11 medesimo scrit-
tore, nel i835, pei tipi del Conti,
pubblicò in Faenza un opuscolo su
s. Fulco. Diversi arcidiaconi, pre-
posti , arcipreti e canonici della
cattedrale divennero vescovi di
Faenza. Il Cardinal Giuliano della
Rovere nel i49^ fu da Alessandro VI
fatto canonico, prebenda che riten-
ne sino al i5o3 in cui fu assunto
al pontificato col nome di Giulio
II. Agostino Oreggi fu canonico
teologo , poi Cardinal arcivescovo
di Benevento . Antonio Gabriele
Severoli di Faenza fu arcidiacono,
indi vescovo di Fano, di Viterbo,
e Toscanella, non che Cardinale.
Carlo Cesare Scaletta nel 1726
pubblicò per l'Archi : Notizia della
chiesa e diocesi di Faenza. Su
di che può consultarsi l'Ughellio,
nell'Italia sacra tono. II, pag.
492, nov. edizione, colle note di
Nicola Coleti. Nella città, oltre la
mentovata parrocchia, ve ne sono
altre sedici , comprese quelle dei
borghi ; quattro sono i conventi e
monasteri di religiosi, cioè de' do-
menicani , de' minori conventuali,
de'minori riformati, e de'cappucci-
ni; due i monisteri di monache,
le camaldolesi, e le vallombrosa-
ne ; non che parecchie confrater-
nite, e pii istituti. Vi è pure un
monastero di Clarisse , che diri-
gono un rinomalo e fiorente edu-
candato di fanciulle nobili e citta-
dine ; e quello delle suore della
Carità. Evvi ancora la congrega-
zione di beneficenza, l'orfanatrofio
de' maschi, quello delle femmine,
e il conservatorio Ghidieri eretto
dal parroco Ghidieri, ove vivono
ritirate un buon numero di donne
che attendono ai lavori, e di spec-
chiata condotta. Nel cosi detto
FAE
ospilaletto si riceverono in luoghi
separati i fanciulli abbandonati di
ambo i sessi. Finalmente avvi la
casa ossia collegio de' Gesuiti, ri-
pristinati in Faenza nell' ottobre
1 84o con generale tripudio. L'an-
nessa chiesa di s. Maria dell'An-
gelo è di buona architettura, e
dove la principesca famiglia Spada
ha il patronato della cappella mag-
giore , e la nobile e rispettabile
famiglia Mazzolani faentina ha il
patronato della cappella dedicata
a Dio in onore di s. Francesco
Saverio, ov' è una lampada gran-
dissima d'argento, di finissimo la-
voro del cav. Filippo Borgognoni
romano, come di bel disegno, fat-
ta a spese di detta famiglia. Il
locale del collegio fu di molto am-
FAE 317
pliato, e le spese furono sostenute
dall'eredità lasciata dal benemerito
conte Cesare Naldi faentino alla
compagnia di Gesù. La mensa ad
ogni nuovo vescovo è tassata nei
libri della cancelleria apostolica in
fiorini quattrocento, perchè rende
annui scudi settemila, ed è per
aumentarsi pei bonifici fatti negli
ultimi anni. La diocesi è estesa,
conta 162 parrocchie e centomila
anime, ventimila delle quali appar-
tengono alla città compresi i sob-
borghi. Quarant'otto di dette par-
rocchie sono nello stato toscano,
essendovi in Modigìiana i padri
delle scuole pie, i cappuccini, e le
monache agostiniane , mentre in
Marradi sono le religiose domeni-
cane.
FINE DEL VOLUME V1GES1MOSECONDO. ^
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BX 841 .M67 1840
SMCR
fioroni , Gaetano,
1802-1883.
Dizionario di erud
iz ione
stor ico-ecc les i as
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AFK-9455 (awsk)