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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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DIZIONARIO 

DI  ERUDIZIONE 

STORICO-ECCLESIASTICA 

DA  S.  PIETRO  SINO  AI  NOSTRI  GIORNI 

SPECIALMENTE      INTORNO 

AI  PRINCIPALI  SANTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI^  AI  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ  CELEBRI  SCRITTORI  ECCLESIASTICI,  Al  VARII  GRADI  DELLA  GERARCHI  A 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA,  ALLE  CITTA  PATRIARCALI,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONCILII  ,  ALLE  FESTE  PIÙ  SOLENNI, 
AI  RITI,  ALLE  CEREMONIE  SACRE,  ALLE  CAPPELLE  PAPALI  ,  CARDINALIZIE  E 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI,  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NON 
CHE    ALLA     CORTE  E  CURIA  ROMANA    ED  ALLA  FAMIGLIA    PONTIFICIA,  EC.    EC.    EC. 

COMPILAZIONE 

DEL  CAVALIERE  GAETANO  MORONI  ROMANO 

PRIMO  AIUTANTE  DT  CAMERA  DI  SUA  SANTITÀ 

GREGORIO     XVI. 


VOL.  XXII. 


IN    VENEZIA 

DALLA     TIPOGRAFIA     EMILIANA 
MDCCCXLIII. 


DIZIONARIO 


DI  ERUDIZIONE 


STORICO-ECCLESIASTICA 


E 


ERA 


J-jRA  (Aera).  L'era  è  presso  a 
poco  lo  stesso  che  Epoca  (Fedì), 
essendo  anch'essa  un  punto  fìsso, 
dal  quale  si  principia  a  contare 
gli  anni.  Altri  la  definiscono  una 
serie  d'anni  civili,  adattata  per  con- 
tare i  tempi,  riferendosi  a  un  pun- 
to storico  od  astronomico;  ed  al- 
tri l'epoca,  cioè  il  principio  cro- 
nologico di  un  qualunque  fatto  de- 
gno di  particolare  osservazione.  La 
differenza  però  tra  le  ere  e  le  epo- 
che consiste  in  questo,  che  le  epoche 
sono  punti  fissi ,  determinati  da 
cronologisti,  e  le  ere  sono  punti 
determinati  generalmente  da  qual- 
che popolo  o  nazione.  Il  dotto  p. 
Menochio,  nel  tomo  III  delle  sue 
Sluore,  a  pag.  364,  parlando  del 
.modo  di  computare  gli  anni  se- 
condo l'era,  dice  eh' è  stato  assai 
differente  in  vari  tempi  e  luoghi 
il  modo  di  computare  gli  anni  nel- 
l'istorie, come  nelle  scritture  pub- 
bliche e  private,  perchè  alcuni  gli 
hanno  contati  dalla  creazione  del 
mondo,  altri  o  dalle  Olimpiadi  dei 


ERA 

greci,  o  dalla  fondazione  di  Ro- 
ma, o  dai  consoli,  o  in  altra  si- 
mile maniera.  Osserva  inoltre  che 
si  trovano  notate  le  antiche  me- 
morie ,  particolarmente  di  Spagna, 
con  l'era,  dicendosi  nelle  storie  sa- 
gre e  profane,  nei  concilii  ed  al- 
tre scritture,  essere  seguita  questa 
o  quell'  altra  cosa  nell'era  tale  :  e 
confrontandosi  gli  anni  di  essa  con 
gli  anni  di  Cristo,  si  trova  che 
ebbe  principio  alcuni  anni  prima, 
laonde  volendosi  aggiungere  all'era 
gli  anni  del  Signore,  doveva  dirsi 
l'anno  N.  N.  dell'era,  di  Cristo  N.  N. 
Supposto  questo,  nascono  due  dub- 
bi, il  primo  è  del  nome,  cioè  quale 
sia  l'origine  della  voce  Era;  il  se- 
condo, con  quale  occasione  sia  stato 
inventato  questo  modo  di  compu- 
tare gli  anni.  Alcuni  hanno  detto 
che  non  si  doveva  scrivere  questa 
parola  con  M  dittongo,  ma  con 
i  aspirazione  Hera  s  volendo  che 
sia  derivata  da  Herus3  il  Signore. 
Altri  sono  stati  del  parere  che  si 
debba  scrivere    Aera>  e  che  perciò 


6  ERA 

sia  così  detto  ab  Aera,  perchè  nel 
bronzo  si  notassero  il  numero  de- 
gli anni.  Altri,  che  la  prima  lette- 
ra A  deve  dalle  altre  separarsi,  e 
voglia  dire  abbreviatamente  An- 
nus, e  con  le  seguenti  Annus  eras, 
ovvero  così  A.  ER.  A.  cioè  An- 
nus eras  Augusti,  perchè  vera- 
mente al  tempo  di  Augusto  ebbe 
il  suo  principio,  o  secondo  altri 
Annus  erat  regni  Augusti,  facen- 
do con  quelle  lettere  una  sola  pa- 
rola. 

Il  Baronio  nelle  annotazioni  al 
Martirologio  Romano,  a' 22  otto- 
bre riferisce  queste  congetture  , 
che  sono  di  alcuni  autori  spagnuo- 
li  che  cita  ;  quindi  aggiunge  che 
la  sua  possa  essere  la  più  proba- 
bile, colla  quale  dà  ragione  del 
nome ,  e  dell'  istituzione  dell'era. 
Questo  autore  si  fonda  su  quanto 
scrisse  Dione  Cassio  nella  di  lui 
storia,  il  quale  mentre  distintamen- 
te racco u la  le  cose  seguite  di  an- 
no io  anno,  dice  che  nel  consola- 
to di  Marzio  Censorino  e  di  Cal- 
visio  Sabino,  furono  da  Augusto, 
per  mezzo  di  Domizio  Calvino, 
domati  certi  popoli  della  Spagna, 
e  che  ristesso  Domizio  raccolse 
tanta  quantità  di  denaro  dalla  Spa- 
gna, che  non  solo  bastò  per  le  spe- 
se del  trionfo,  per  le  quali  si  so- 
leva dalle  altre  provincie  dell'  im- 
pero contribuire,  ma  fu  eziandio 
sufficiente  a  riparare  alcune  fab- 
briche di  Roma.  Tiene  adunque  il 
Baronio  per  molto  probabile,  che 
questa  copiosa  contribuzione  di  de- 
naro, fatta  dalla  nazione  spagnuola 
in  quell'anno,  nel  quale  cominciò 
l'era,  ab  aere  colleclo,  abbia  avu- 
to il  nome  e  l' origine,  e  che  par- 
ticolarmente le  provincie  di  Spa- 
gna si  sieno  servite  di  quel  modo 
nel  computare  gli   anni,  in  memo- 


ERA 
ria  di  quel  fatto,  tanto  segnalato 
e  memorabile.  Tuttavolta  l'origine 
di  questa  parola  è  molto  incerta. 
Alcuni  la  fecero  derivare  da  aesj 
perchè  indica vansi  gli  anni  con  cer- 
ti piccoli  chiodi  di  rame,  ed  il 
Macri  nelle  Not.  deJ  vocab.  eccL 
tra  le  diverse  etimologie  che  ripor- 
ta, cita  quella  che  fa  derivare  que- 
sta voce  da  JEs,  perchè  nelle  mo- 
nete di  bronzo  si  notava  ed  im- 
primeva l'anno  corrente.  Altri  di- 
cono che  la  parola  Era  si  dovreb- 
be scrivere  èra.  In  cronologia  a- 
dunque,  un'era  è  un  metodo  rice- 
vuto di  contar  gli  anni,  i  quali 
scorrono  riferendosi  tutti,  secondo 
la  loro  successione,  ad  un  punto 
fisso  storico  od  astronomico,  eh'  è 
il  principio  di  questa  era.  Così 
l'era  cristiana  è  il  metodo  di  con- 
tare gli  anni  trascorsi  dopo  la  na- 
scita di  Gesù  Cristo,  essendo  l'an- 
no di  questa  nascita  il  primo  del- 
l'era di  questo  nome.  A  voler  qui 
riportare  un  ristretto  delle  ere  prin- 
cipali, -di  cui  si  sono  serviti  i  ero- 
nologisti  e  gli  astronomi,  ci  atter- 
remo ai  migliori  e  più  critici  trat- 
tatisti delle  ere  diverse. 

Ere  anteriori  a  quelle  di  Gesù 
Cristo. 

U  era  mondana  degli  ebrei  fu 
istituita  antichissimamente,  ma  al- 
cuni critici  la  fanno  al  più  risali- 
re all'undecimo  secolo  dell'ersi  vol- 
gare. Dagli  ebrei  viene  chiamata 
l' era  della  creazione  del  mondo, 
e  la  incominciano  3761  anni  avan- 
ti Gesù  Cristo.  Dunque  il  primo  an- 
no della  nostra  era  volgare  è  il 
3762,  secondo  quella  degli  ebrei, 
incominciando  in  primavera  giusta 
lo  stile  ecclesiastico,  ed  in  autunno 
4i  questo    medesimo    primo  anuo, 


ERA 
per  Io  stile  civile.  L'era  degli  ebrei 
è  regolata  dal  ciclo  di  diecinove 
anni,  composto  di  dodici  anni  lu- 
nari, e  di  sette  altri  della  medesi- 
ma natura,  i  quali  ricevono  un'in- 
tercalazione, quindi  chiamansi  em- 
bolismici. 

Sull'era  della  creazione  dicono 
i  cronologisti,  che  la  sagra  Scrit- 
tura non  fu  data  per  soddisfazio- 
ne della  curiosità;  e  la  Chiesa,  ob- 
bligandoci a  venerare  tuttociò  che 
in  essa  si  rapporta  al  domma,  la- 
scia poi  alle  dispute  i  punti  di 
scienza  umana  :  come  per  esempio 
la  questione  sulla  durata  dei  sette 
giorni  della  Genesi.  Sarebbe  più 
importante  determinare  i  tempi 
dopo  la  creazione  di  Adamo  ;  ma 
la  santa  Scrittura  neppur  qui  gli 
ordina  altrimenti  che  col  contare  gli 
anni  vissuti  dai  dieci  patriarchi  anti- 
diluviani. In  ciò  corre  differenza 
tra  i  testi,  e  differenza  tra  gl'in- 
terpreti sul  modo  di  ordinarne  la 
serie,  onde  nasce  la  varietà  tra  i 
modi  di  contare  gli  anni  dopo  la 
creazione  secondo  i  testi  ebreo, 
samaritano,  dei  settanta  in  Euse- 
bio, di  Gioseffo,  di  Giulio  africa- 
no, di  s.  Epifanio,  di  Pelavio,  e 
di  altri.  Avvertono  i  cronologisti, 
che  i  primi  padri  della  Chiesa  si 
attenevano  alla  versione  dei  set- 
tanta, come  attesta  Eusebio,  il 
quale  pure  dichiara  corrotti  i  nu- 
meri della  Volgata,  ossia  del  testo 
ialino  della  Bibbia;  altrettanta  dif- 
ferenza è  nei  patriarchi  successivi 
al  diluvio,  cioè  in  quella  che  si 
chiama  seconda  età  del  mondo. 
Molte  ragioni  però  militano  a  fa- 
vore della  cronologia  dei  settanta, 
che  sono  criticamente  riportate  dai 
cronologisti;  e  Giuseppe  Flavio,  il 
più  dotto  ebreo,  segui  anch'egli  la 
cronologia,  come  fecero  tutti  i  santi 


ERA  7 

padri,  e  scrittori  ecclesiastici  dei 
primi  secoli.  Più  di  cento  dicias- 
sette sistemi  s'inventarono  per  con- 
ciliare la  storia  sagra  colla  profa- 
na, tra' quali  vuoisi  il  più  lungo 
quello  di  Alfonso  re  di  Castiglia, 
e  di  Piegiomontano,  che  pone  la 
nascita  di  Gesù  Cristo  all'anno 
6984  del  mondo,  mentre  il  vene- 
to Lippomano  la  ritrae  all'anno 
36 16.  Il  p.  Riccioli  stabilisce  i 
cinque  seguenti  canoni  intorno  a 
questi  sistemi: 

i.°  Dalla  creazione  del  mondo  a 
Gesù  Cristo,  nessuno  conta  più 
di  7000  anni,  né  meno  di 
3700. 

2.0  Dal  testo  ebraico,  dalla  Volga- 
ta, e  dalla  storia  umana,  sem- 
bra più  probabile  che  decorres- 
sero 4IQ,4  anni:  in  tale  ipotesi 
non  possono  essere  più  di  433o 
anni,  né  meno  di  3705. 

3.°  Dai  settanta,  e  dalla  più  vera 
storia  umana  appariscono  5634 
anni;  in  tale  ipotesi  è  fatto  non 
essere  stati  più  di  5t)o4  anni , 
né  meno  di    5o54- 

4-°  Sebbene  alcuni  siensi  ingegnati 
d'investigare  l'origine  del  mon- 
do da  alcuni  caratteri  del  cielo, 
e  dalla  posizione  delle  stelle,  e 
dei  veri  segni  del  zodiaco,  ogni 
opera  loro  riuscì  invano;  e  alle 
volte  caddero  in  errori  gravis- 
simi, attribuendo  al  mondo  una 
età  più  favolosa  che  vera. 

5.°  Probabile  è  aver  Dio  creato 
il  mondo  5634  anni  avanti  la 
nascita  di  Gesù  Cristo. 


Alcuni  cronologisti  sostituiscono 
a  creato  il  mondo,  creato  l'uomo, 
perchè  da  Adamo  soltanto  comin- 
ciano i   dati   per  valutare    il   tem- 


La 


pò.    L.a  maggior  parie  ciegh  storici 


ie  dei 


8  ERA 

adottano  il  calcolo  di  Usserio,  se- 
condo il  quale  nacque  Gesti  Cristo 
nell'anno  4°°4  dopo  la  creazione. 
Questa  varietà  non  reca  poi  mol- 
ta confusione,  giacche  si  riferisce 
soltanto  ai  tempi  più  antichi,  e 
quasi  affatto  la  si  evita  col  segna- 
re gli  anni  non  dalla  creazione, 
raa  dalla  distanza  da  Gesù  Cristo. 
I  più  moderni  cronologisti  dicono, 
che  principal  fondamento  della 
cronologia  sagra  dopo  la  Bibbia, 
è  la  cronaca  di  Eusebio  vescovo 
di  Cesarea,  della  quale  non  si  eb- 
be che  piccola  parte,  fin  quando 
il  vicario  del  patriarca  armeno  ne 
scuopiì  a  Gerusalemme  una  tra- 
duzione armena,  che  portò  a  Co- 
stantinopoli verso  il  1787,  donde 
fu  mandata  a  Venezia  una  copia 
nel  1790,  che  servì  poscia  per 
un'  edizione  fatta  in  Milano  nel 
18 18.  Ma  già  più  intiera  copia 
se  n'  era  avuta  a  Venezia  stessa 
nel  1793,  in  cui  si  eseguì  un'edi- 
zione nel  medesimo  anno  18 18 
colla  latina  traduzione,  che  com- 
pie i  frammenti  già  conosciuti. 

Era  di  Abramo. 

Questa  incomincia  colla  voca- 
zione di  detto  patriarca,  fissata  a 
201 5  anni  avanti  Gesù  Cristo,  ed 
al  primo  di  ottobre.  L'anno  2016 
di  quell'era  incomincia  con  l'istes- 
so  giorno  immediatamente  anterio- 
re al  principio  dell'era  cristiana: 
Eusebio  si  servì  dell'  era  di  Abra- 
mo per  la  sua  cronologia,  e  fu 
imitato  da  altri  cronologisti  cri- 
stiani. 

Era  delle  Olimpiadi. 

L' introduzione    di  quest'  era  si 
attribuisce  nelle  opere  degli  stori  - 


ERA 
ci  greci,  a  Timeo  scrittore  sicilia- 
no, e  posteriore  al  regno  di  Ales- 
sandro il  Grande.  Questa  era 
venne  però  accettata  lungo  tempo 
dopo  l' introduzione  de'  giuochi  o- 
limpici  nella  Grecia,  ed  all'epoca 
di  questa  accettazione  se  ne  fece 
riferire  il  punto  iniziale  a  molti 
secoli  addietro.  Sull'  epoca  della 
istituzione  de'giuochi,  eranvi  molte 
incertezze,  per  cui  non  potevasi  ri- 
montare sino  alla  detta  istituzione, 
laonde  si  cercò  di  scuoprire  un 
punto  fisso  fuori  da  qualunque 
contestazione;  e  fu  scelto  quello  in 
cui  venne  introdotto  l' uso  d' in- 
nalzare al  vincitore  ne'giuochi,  del- 
le statue  ed  altri  pubblici  monu- 
menti. In  tal  modo  si  rimontò  fi- 
no a  Corebo,  che  pel  primo  otten- 
ne l'onore  di  una  statua.  Fu  dun- 
que l' era  delle  Olimpiadi  nella 
sua  origine  fissata  a  quella  in  cui 
Corebo  aveva  ottenuto  un  tale  ono- 
re, cioè  776  anni  avanti  Gesù  Cri- 
sto, formandosi  ogni  olimpiade  di 
quattro  anni,  essendo  i  giuochi 
celebrati  ogni  quattro  anni.  L'usò 
delle  Olimpiadi  fu  continuato  sino 
alla  fine  del  quarto  secolo  dell'era 
nostra.  AH'  imperatore  Teodosio 
I  viene  attribuito  l'editto,  che 
vietò  di  contare  per  mezzo  delle 
olimpiadi. 

Era  di  Nabonassar. 

E  una  delle  più  celebri  ere,  e 
delle  più  generalmente  usate  nelle 
diverse  mutazioni  dei  tempi.  L'a- 
stronomia ne  ritrasse  grandi  van- 
taggi ,  perchè  Tolomeo  nel  suo 
Almagesto  conformò  ad  essa  la  da- 
ta delle  osservazioni  che  trovò  ne- 
gli scritti  de'  suoi  predecessori  . 
Teone,  che  fiorì  dopo  di  lui,  ne 
imitò  l' esempio  ;  e  la  necessità  di 


ERA 

esprimere  con  termini  uniformi 
l'epoca  delle  osservazioni  che  do- 
vevano fra  di  loro  essere  confron- 
tate, fece  moltiplicare  quest'esem- 
pio. Questa  era  prese  il  suo  no- 
me da  Nabonassar,  considerato  il 
fondatore  del  regno  di  Babilonia  ; 
ed  il  suo  principio  è  fissato  al 
mezzogiorno  di  un  mercoledì,  che 
era  il  26  febbraio  dell'anno  747 
avanti  Gesù  Cristo.  Si  serve  que- 
sta era  dell'anno  vago,  ossia  di  365 
giorni,  senza  intercalazione,  essen- 
do stato  tale  l'anno  egiziano. 

Era  di  Roma. 

L' era  di  Roma,  che  dicesi  della 
fondazione  della  città,  è  posta  da 
Vairone  nel  terzo  anno  della  sesta 
olimpiade  :  da  Verrio  Fiacco  nel- 
l'anno seguente,  755  o  754  anni 
avanti  Gesù  Cristo  :  da  Catone  poi 
nel  752.  Infinite  sono  le  dispute  dei 
cronologisti  per  determinare  que- 
sto tempo,  paragonandolo  anche 
ai  celesti  fenomeni.  L'  opinione  di 
Vairone  del  7^5,  21  aprile,  è  se- 
guita da  Dione  Cassio,  Plinio  mag- 
giore, Vellejo  Patercolo,  Claudio 
imperatore,  Lattanzio  Firmiano  ec, 
ma  Dionigi  di  Alicarnasso,  e  Tito 
Livio  seguono  1'  opinione  di  Cato- 
ne. Gli  anni  poi  venivano  notati 
più  comunemente  col  nome  dei  due 
consoli,  che  reggevano  la  romana 
repubblica.  Prima  di  Dionigi  il 
pìccolo,  la  Chiesa  e  i  Pontefici 
calcolavano  il  tempo  per  gli  anni 
di  Diocleziano,  è  pei  fasti  conso- 
lari, i  quali  fasti  cominciarono 
dall'anno  244  delia  fondazione  di 
Roma,  secondo  i  marmi  del  Cam- 
pidoglio; oppure  245  secondo  l'e- 
poca di  Varrone,  vale  a  dire  5og 
avanti  Gesù  Cristo.  In  quanto  alle 
ere  degli  altri  popoli  italiani,   che 


ERA  9 

Varrone  aveva  raccolte,  vennero 
assorbite  nell'unità  romana,  e  cad- 
dero in  dimenticanza. 

Era  di  Alessandro  il  Grande. 

È  conosciuta  altresì  col  nome 
di  era  di  Filippo,  o  dei  Lagidij 
e  la  morte  di  Alessandro  n'  è  il 
punto  essenziale.  Il  suo  primo  anno 
incomincia  col  ^i5  dell'  era  di 
Nabonassar,  e  nel  12  novembre 
dell'anno  324  avanti  Gesù  Cristo^ 
Somigliante  in  tutto  alla  succitata 
era,  può  essa  considerarsi  come 
un'appendice,  e  il  rispetto  che  tutti 
i  popoli  dell'Egitto  particolarmen- 
te professavano  per  la  memoria  del 
macedone  conquistatore,  fu  il  mo- 
tivo dell'istituzione  dell'era  di  A- 
lessandro,  o  di  Filippo  Arideo  suo 
figlio,  oppure  dei  Tolomei,  cioè  i 
Lagidi  suoi  successori  in  Egitto, 
dove  quest'era  fu  prontamente  ri- 
conosciuta, lì  suo  primo  giorno, 
il  12  novembre,  non  fu  quello 
della  morte  di  Alessandro,  benché 
sia  il  punto  iniziale  dell'era;  ciò 
deriva  dall'  uso  che  avevano  gli 
egiziani  di  contare  gli  anni  del 
regno  de'  loro  principi,  riferendoli 
sempre  al  principio  del  loro  anno 
civile;  ed  il  primo  del  loro  mese 
thot  dell'anno  42^  di  Nabonassar, 
cadendo  in  queir  anno  nel  dì  1 2 
novembre,  questo  giorno  diventò 
il  primo  dell'anno  con  cui  comin- 
cia l'era  di  Alessandro.  Gli  astro- 
nomi se  ne  servirono  spesso,  come 
fecero  alcuni  scrittori  de' primi  se- 
coli dell'era  cristiana. 

Era  dei  Seleucidì. 

Questa  pur  si  distingue  co'  no- 
mi di  era  di  Alessandro  per  con- 
fusione   coll'era    del    conquistatore 


io  ERA 

macedone,  o  per  rapporto  a  suo 
figlio  dello  stesso  nome;  era  dei 
greci,  ovvero  era  dei  Sirv-Mace* 
doni,  Tarikd'houl-Karnain ,  ossia 
era  dei  contratti  de' giudei  di  Si- 
ria, soggetti  ai  re  greci.  Questa  era 
è  una  delle  più  conosciute,  come 
delle  più  usate  negli  scritti,  e  sui 
monumenti;  ed  è  perciò  che  tro- 
vasi nel  libro  de' Maccabei,  sulle 
medaglie  ed  altre  incisioni  greche, 
nella  storia  ecclesiastica,  ne'padri 
della  Chiesa,  e  nei  concili,  nelle 
opere  degli  orientali,  e  particolar- 
mente degli  arabi,  i  quali  se  ne 
servono  ancora  quando  non  fanno 
uso  degli  anni  dell'  egira.  Tutti 
gli  autori  sono  d'accordo  intorno 
le  cause  della  sua  istituzione,  ch'è 
l' innalzamento  di  Seleuco  JNicatore 
al  trono  di  Babilonia,  dopo  la  dis- 
fatta di  Demetrio  Poliorcele  a 
Gaza,  e  la  morte  di  Alessandro 
re  di  Macedonia.  Sono  egualmen- 
te tutti  d'accordo  sull'epoca  ini- 
ziale di  quell'era,  che  è  l' estate 
dell'anno  3  1 2  di  Gesù  Cristo.  Se- 
condo l'opinione  comune  Tanno  ba- 
bilonese sarebbe  stato  fisso  a  giorni 
365  ed  un  quarto  per  questa  mede-? 
sima  epoca. 

Era  di  Tolomeo  Filadelfo, 

Il  regno  di  questo  principe  fu 
confuso  coll'era  di  Dionigi  l'astro- 
nomo. Dionigi  istituì  la  sua  era 
nel  regno  di  Tolomeo  Filadelfo, 
e  ne  riferì  il  primo  anno  al  prin- 
cipio del  medesimo;  ma  le  due 
epoche  iniziali  non  furono  assolu- 
tamente le  stesse:  ciò  che  segue 
accenna  quanto  avvi  di  analogo, 
e  di  differente  tra  l'una  e  l'altra. 

Era  di  Dionigi. 

Questa   era,  tutta  astronomica, 
componevasi    di    anni  solari    fissi, 


ERA 

di  dodici  mesi,  ciascuno  de'quali 
portava  il  nome  di  un  segno  del 
zodiaco.  L'epoca  radicale  della  me- 
desima fu  l'esaltazione  al  trono  di 
Tolomeo  Filadelfo,  ed  i  cronolo- 
gisli  non  dubitarono  punto  a  con- 
tare gli  anni  dell'era  con  quelli 
stessi  del  regno  di  Tolomeo.  Su 
di  che  consultato  l'Almagesto  IX, 
7,  toni.  II,  pag.  170,  essendo  il 
primo  giorno  di  Dionigi  il  24  di 
giugno  dell'anno  283  avanti  l'era 
cristiana,  essa  incominciò  nel  sol- 
stizio di  estate  che  precedette  l'e- 
saltazione al  trono  di  Filadelfo, 
fissata  molto  approssimativamente 
al  2  di  novembre  dopo  il  mede- 
simo solstizio. 

Era  di  Tiro. 

Baia  re  di  Siria,  avendo  nel- 
l'anno 1  25  avanti  Gesù  Cristo  ac- 
cordato ai  Tiri  l'autonomia,  que- 
sti consagrarono  un  tale  avveni- 
mento colla  istituzione  di  una  nuo- 
va era,  della  quale  questo  atto 
protettore  fu  il  motivo,  ed  ab- 
bandonarono l'era  dei  Seleucidi. 
La  nuova  era  incominciò  col  19 
ottobre,  corrispondente  al  mese  di 
hyperberetqus. 

Era   Cesariana  di  Antiochia. 

Essa  riguarda  Giulio  Cesare, 
e  la  vittoria  da  lui  riportata  a 
Farsaglia  nell'anno  /\.S  avanti  Ge- 
sù Cristo.  Antiochia  si  servì  di 
quest'epoca  per  le  sue  date,  inco- 
minciando dal  primo  giorno  del 
suo  anno,  che  principiò  nell'autun- 
no dello  stesso  anno  4^  avanti 
Gesù  Cristo.  La  medesima  città 
aveva  altresì  istituita  un'era  in 
onore  di  Pompeo  Magno;  quindi 
Giulio    Cesare     vincitore     ottenne 


ERA 

egual  distinzione.  Però  non  andò 
guari  che  all'era  di  Cesare  suc- 
cesse quella  di  Augusto,  che  inco- 
minciò nel  primo  settembre;  vi- 
gilia dell'altra  famosa  battaglia  di 
Azio,  ed  in  memoria  di  essa.  I 
greci,  i  quali  seguivano  l'era  Ce- 
sariana  di  Antiochia,  la  incomin- 
ciavano col  loro  anno  medesimo, 
dal  49. 

Era  Giuliana. 

Prese  il  suo  nome  da  Giulio  Ce- 
sare che  riformò  il  calendario,  ac- 
comodandolo per  un  anno  di  365 
giorni  con  un  366.°,  intercalato  ogni 
quattro  anni;  ed  è  questa  la  me- 
morabile riforma  donde  prese  ori- 
gine 1'  era  giuliana.  Essa  incomin- 
ciò Tanno  45  avanti  Gesù  Cristo. 
Pel  calcolo  regolare  de'  tempi  an- 
teriori a  detto  anno,  i  cronologisti 
si  servono  degli  anni  della  stessa 
era  giuliana,  benché  la  medesima 
non  esistesse  ancora,  ed  è  appun- 
to in  questo  caso,  che  si  chiama- 
no anni  dell'era  giuliana  proletti- 
ca.  Tanto  di  questa  era,  come  di 
diverse  delle  ere  qui  memorate,  si 
tratta  in  parecchi  ed  analoghi  ar- 
ticoli di  questo  Dizionario. 

Era  di  Spagna. 

Ebbe  origine  dalla  conquista  di 
tutta  la  Spagna  fatta  da  Augusto 
nell'anno  39  avanti  la  nascita  di 
Gesù  Cristo,  ed  incominciò  col 
primo  gennaio  dell'anno  38.  Fu 
quindi  di  uso  generale  nella  Spa- 
gna, in  Africa,  e  nel  mezzodì  della 
Francia.  L'  accettazione  generale 
poi  deli'  era  Cristiana  ne  fece  per- 
dere l'uso,  e  venne  questa  era  a- 
bolita  con  decreto  dell'  autorità 
pubblica  in  Catalogna  nel     1180; 


ERA  ir 

nell'Aragona  nel  1  35o  ;  in  Valen- 
za nel  1  358  ;  in  Portogallo  nel  1 393  ; 
in  Castiglia  nel  1/4.22 ,  ed  anco 
nel  1 4 1 5  secondo  altri  :  questa  era 
si  regolava  coll'anno  giuliano  or- 
dinario. 

Era  Aziaca. 

La  famosa  battaglia  d'Azio  die- 
de occasione  a  questa  era,  la  qua- 
le venne  ammessa  in  diverse  pro- 
vi ncie  del  romano  impero  con  le 
seguenti  differenze.  In  Egitto  dove 
l'era  fu  primieramente  istituita, 
il  suo  principio  venne  fìssalo  al 
primo  del  mese  tìiol3  ossia  al  3o 
di  agosto  immediatamente  ante- 
riore al  giorno  della  battaglia,  la 
quale  succedette  nel  2  settembre 
dell'anno  3o  avanti  Gesù  Cristo; 
essendo  il  3o  di  agosto  il  giorno 
giuliano  fisso  corrispondente  al 
primo  di  thotì  ovvero  primo  del- 
l'anno vago  egiziano  il  719  di 
Nabonassar.  I  greci  d' Antiochia 
incominciarono  l'era  aziaca  col  pri- 
mo settembre  del  medesimo  anno  . 
In  Roma  quest' islessa  era  princi- 
piò col  primo  gennaio  seguente, 
cioè  dell'anno  29  avanti  Gesù  Cri- 
sto. Quest'era  non  ebbe  lunga  du- 
rata, e  fu  confusa  collera  seguente. 


Era  degli  Augusti. 


Parecchi  sono  i  motivi  che  si 
danno  per  lo  stabilimento  di  que- 
st'era; fra  gli  altri  l'atto  del  se- 
nato che  conferì  ad  Augusto  la 
suprema  autorità.  Quello  però  che 
sembra  più  certo  è  lo  stabilimen- 
to medesimo  dell'uso  dell'anno  fìs- 
so da  Augusto  colT  intercalazione. 
L'anno  vago  egiziano  fu  renduto 
fisso  da  Augusto  colf  intercalazio- 
ne di  un  6.°  epagomeno,    od    uà 


i*  ERA 

306.°  giorno  ogni  quattro  anni; 
Teone  di  Alessandria  disse,  che 
questa  riforma  ebbe  luogo  quan- 
do il  primo  giorno  dell'anno  vago 
egiziano  corrispose  al  29  agosto 
giuliano,  il  quinto  anno  del  regno 
di  Augusto  secondo  gli  egiziani. 
È  uniformemente  riconosciuto  che 
l'Egitto  fu  soggetto  a  quel  prin- 
cipe fino  dall'anno  29  avanti  Ge- 
sù Cristo,  e  che  la  sua  autorità 
vigeva  in  Egitto  in  quel  medesi- 
mo anno.  Il  quinto  anno  di  que- 
sta autorità  equivaleva  al  i5  avan- 
ti l'era  cristiana;  in  questo  i5.° 
anno  il  29  agosto  giuliano  cor- 
rispose in  fatto  al  primo  thot  va- 
go egiziano;  il  29  agosto  giuliano 
dell'anno  25  avanti  Gesù  Cristo  è 
dunque  il  punto  iniziale  dell'era 
degli  Augusti,  di  cui  si  fece  uso 
dal  principio  dello  stabilimento 
dell'autorità  romana  in  Egitto,  e 
durante  il  corso  dei  primi  secoli 
dell'era  cristiana. 

Era  Cristiana ,  di  Gesù  Cristo  9 
ovvero  dell'  Incarnazione 3  od  Era 
volgare. 

Fu  ed  è  ancora  quest'  era  di 
uso  universale,  principalmente  nella 
chiesa  latina,  ed  in  occidente.  N'è 
l'origine  la  nascita  di  Gesù  Cristo, 
per  cui  fu  lungamente  disputato 
intorno  all'epoca  reale  di  questo 
grande  avvenimento,  e  le  più  ap- 
prezzabili ricerche  dimostrano  che 
dovrebbe  essa  incominciare  tre , 
quattro,  o  cinque  anni  prima  del- 
l'epoca fissatale  neh1*  attuale  nostro 
computo;  su  di  che  è  a  consul- 
tarsi l'opera  de  vulgaris  aerae  emen~ 
dottane  del  p.  Sanclemente  abbate 
camaldolese,  stampata  in  Roma  nel 
1793.  In  quest'opera  eruditissima, 
dimostra  1'  infaticabile  autore,  che 


ERA 
Cristo  nacque  net  747.°  anno  della 
fondazione  di  Roma ,  poiché  egli 
dice  non  poter  essere  nato  il  Mes- 
sia ne  prima  del  746,  ne  dopo  il 
749.  Non  dopo  il  749  perchè  Cri- 
sto nacque  vivente  Erode  il  gran- 
de.  Ma  Erode  morì  nella  prima- 
vera del  75o,  come  consta  dalle 
monete  di  Erode  Antipa,  e  dal  2  5 
dicembre  749  alla  primavera  del 
75o  non  poterono  accadere  quei 
fatti  della  prima  infànzia  del  Re- 
dentore; cioè  non  solo  l'adorazione 
de'  magi,  ma  la  fuga  in  Egitto , 
la  uccisione  degli  innocenti  ec,  fatti 
che  richiedono  ben  più  di  tre  me- 
si. Aggiungasi  essere  nato  Cristo 
mentre  Ponzio  Saturnino  era  pro- 
pretore della  Siria,  e  fu  tale  fino 
al  748.  Perciò  Gesù  Cristo  non 
nacque  dopo  il  749,  né  nell'anno 
stesso  749,  essendo  nato  ai  2  5  di- 
cembre come  porta  una  costante 
veneranda  tradizione.  Non  potè  na- 
scere prima  del  746,  poiché  Cristo 
nacque  essendo  il  mondo  in  pace, 
ciò  che  non  avvenne  avanti  il  746. 
Non  nacque  nell'anno  746  perchè 
si  deve  supporre  che  la  beata  Ver- 
gine il  concepisse  appunto  nel  tem- 
po della  pace  universale.  E  sicco- 
me la  pace  sotto  Augusto  avvenne 
nel  725,  nel  729,  e  nel  746  nel 
mese  sestile;  perciò  non  si  può  dire 
essere  stafo  concepito  il  Messia  nel 
746,  stando  alla  costante  tradizione 
della  sua  nascita  al  25  dicembre.  Non 
nacque  nel  748  poiché  rimanendo 
ferma  la  sua  nascita  nel  25  dicem- 
bre, siccome  nacque  sotto  Ponzio 
Saturnino  pro-pretore  della  Siria, 
e  di  già  nel  748  ebbe  Ponzio  per 
successore  Varo,  perciò  sarebbe  na- 
to Cristo  sotto'  Varo,  e  non  sotto 
Ponzio  Saturnino.  Dunque  non  es- 
sendo nato  il  Redentore  prima  del 
h\$>  non  nel   746,  non  nel    748, 


ERA 

non  nel  749,  né  dopo  il  749,  ri- 
mane, secondo  V  opinione  del  dot- 
tissimo camaldolese,  l'anno  747?  a^ 
quale  si  dovrebbe  attribuire  la  glo* 
ria  della  nascita  del  Messia.  Que- 
sta opinione  piacque  assai  al  Pon- 
tefice Pio  VI,  allora  regnante,  di- 
modoché credevasi  dai  dotti  di  quel 
tempo,  che  il  Papa  avrebbe  rinno- 
vato e  corretto  l'era  volgare,  chia- 
mandola Era  Cristiana- Pio.  Non 
devesi  ommettere  che  l'era  volgare 
incominciò  dal  primo  gennaio  del- 
l'anno Varroniano  754,  4^-°  à*el- 
l'impero  d'Augusto,  perciò  l'era 
Dionisiana  ha  origine  o  dal  754, 
o  dal  753. 

Ma  l'uso  prevalse  alla  scienza, 
ed  è ,  seguendo  un  tal  uso  ,  che 
contasi  presentemente  l'anno  i843 
di  detta  era.  11  suo  stabilimento 
non  risale  al  di  là  del  sesto  secolo 
di  Gesù  Cristo.  Dionigi  per  la  sua 
statura  appellato  il  piccolo  o  l'esì- 
guo, abbate  in  Roma,  di  nazione 
scita,  cominciò  il  primo  a  prendere 
la  data  degli  anni  dalla  nascita  di 
Gesù  Cristo,  nel  suo  ciclo  pasqua- 
le, verso  l'anno  527  secondo  al- 
cuni, o  54i  secondo  altri.  A  quel- 
l'epoca si  dà  il  nome  di  Era  cri- 
stiana, Era  volgare,  Era  Dioni- 
siana. Per  Taddietro  si  computa- 
vano gli  anni  del  cristianesimo, 
qualunque  ne  sia  stata  la  cagione, 
coll'era  di  Diocleziano.  Sembrò  al- 
l'ingegnoso Dionisio,  siccome  esper- 
to nelle  matematiche  ed  in  crono- 
logia, cosa  non  opportuna  alla  cri- 
stiana repubblica  il  computare  i  suoi 
anni  dal  nome  del  più  fiero  persecu- 
tore del  nome  cristiano,  pensò  egli 
dunque  a  formare  un'epoca,  la  quale 
incominciasse  dal  glorioso  nascimen- 
to di  Gesù,  e  da  questo  ne  trasse 
il  nome.  Dionisio  la  propose  in  Ita- 
lia, e  venne  accettata    nel   settimo 


ERA 


i3 


secolo  in  Francia  ed  in  Inghilter- 
ra. L'uso  in  Francia  però  non  fu 
bene  stabilito  se  non  nell'ottavo  se- 
colo, per  la  volontà  e  coll'esempio 
di  Pipino,  e  del  suo  figlio  Carlo 
Magno.  I  concili  di  Germania  del 
742,  di  Lestines  del  743 ,  e  di 
Soissons  del  744»  presero  la  data 
dagli  anni  dell'incarnazione;  dal 
qual  tempo,  e  massime  da  Carlo 
Magno,  gli  storici  sono  accostumali 
a  pigliare  la  data  dei  fatti  che  re- 
cano, dagli  anni  di  Gesù  Cristo , 
dappoiché,  dopo  il  regno  di  quel- 
l' imperatore  l'usanza  di  mettere  le 
date,  servendosi  degli  anni  della 
incarnazione,  diventò  quasi  genera- 
le. Da  ciò  rilevasi,  ch'essendo  stala 
l'era  cristiana  istituita  molti  secoli 
dopo  la  nascita  di  Gesù  Cristo,  fu 
facile  il  variare,  ed  anche  l'ingan- 
narsi intorno  l' anno  preciso  di 
quella  nascita  medesima.  Però  i 
calcoli  istorici  non  ne  soffrono  ve- 
run  detrimento,  ed  il  primo  anno 
dell'era  cristiana,  essendo  messo  in 
concordanza  coli'  anno  ben  cerio 
di  un'altra  era,  non  ne  può  risul- 
tare né  ommissione,  né  confusione. 
Il  p.  Lupi  nel  tom.  I  delle  sue 
Dissertazioni,  dice  che  la  nascila 
del  Redentore  si  deve  fissare  cin- 
que anni  e  sette  giorni  prima  del- 
l' era  comune ,  che  non  vi  è  mese, 
se  si  eccettui  luglio,  in  cui  non  vi 
sia  chi  sostenga,  essere  nato  Gesù 
Cristo,  la  cui  nascita  si  deve  fissare 
nella  notte  che  precede  il  dì  25 
dicembre.  Sull'epoca  dell'incarna- 
zione in  uso  ne'  secoli  ottavo,  no- 
no e  decimo  ci  dà  erudite  notizie 
il  Borgia,  Difesa  del  dominio  della, 
Sede  apostolica,  pag.  93  e  94. 

L'era  cristiana,  volgare,  comune, 
o  dell'  incarnazione,  è  composta  di 
anni  giuliani.  L'uso  d'incominciare 
questo  medesimo  anno,  fu  variabile 


tf\  ERA 

nel  medio  evo,  come  in  seguito  fu 
variabile  la  maniera  di  contare  la 
successione  degli  anni  secondo  Pe- 
ra  cristiana.  È  provato  dai  monu- 
menti scritti,  che  in  diversi  paesi 
incominciossi  l'anno,  i.°  al  primo 
di  marzo;  2.0  al  primo  di  gen- 
naio; 3.°  al  25  dicembre;  4*°  al 
25  marzo,  anteriore  al  primo  gen- 
naio del  numero  2.0;  5.°  nel  me- 
desimo giorno,  ma  contando  un 
anno  di  meno;  6.°  a  Pasqua  di  ri- 
surrezione; 7.0  al  primo  gennaio, 
ma  contando  un  anno  di  più  del 
numero  2.0  Su  questo  grave  pun- 
to si  possono  consultare  gli  articoli 
Anno,  Anno  del  Pontificato,  Bol- 
le, Calendario,  ed  altri  relativi  ar- 
ticoli del  Dizionario. 

Era  di  Costantinopoli. 

Ha  questa  per  origine  la  crea- 
zione del  mondo,  secondo  la  chie- 
sa greca,  la  quale  conta  55o8  an- 
ni avanti  il  primo  anno  dell'  era 
cristiana.  Sebbene  il  reciproco  rap- 
porto di  queste  due  ere  non  pre- 
senti alcuna  difficoltà,  nondimeno 
ve  ne  può  essere  alcuna  nella  con- 
cordanza precisa  degli  anni,  per  la 
ragione  che  l'era  di  Costantinopoli 
sembra  si  servisse  di  due  anni  di- 
versi nel  loro  cominciamento,  prin- 
cipiando l'anno  civile  col  primo 
settembre,  mentre  per  P  anno  ec- 
clesiastico il  primo  giorno  fu  il  2  r 
marzo,  od  il  primo  aprile.  È  egual- 
mente certo  che  gli  anni  dell'era 
mondana  di  Costantinopoli  comin- 
ciavano col  primo  settembre ,  se- 
condo i  greci,  ed  al  primo  gennaio, 
secondo  i  romani.  Trovasi  usata 
nel  settimo  secolo  per  le  date  dei 
concili,  ed  i  russi  la  conservarono 
fino  al  regno  del  czar  Pietro  il 
Grande,  epoca  in  cui  essi  sosti tui- 


ERA 
rono  l'era  cristiana,  con  quella  dif- 
ferenza che    notammo    all'  articolo 
Calendario. 

Era  di  Diocleziano,  o  de1  martiri. 

L'esaltazione  di  questo  principe 
all'impero  fu  per  gli  egiziani  il  mo- 
tivo, e  l'origine  dell'era  che  ne 
porta  il  nome.  11  calendario  egi- 
ziano era  già  regolato  da  un  anno 
fìsso,  ossia  di  giorni  365  ed  un  quar- 
to, sino  dai  tempi  di  Augusto.  E 
perchè  gli  egiziani  contavano  an- 
cora gli  anni  del  regno  degli  im- 
peratori, incominciando  dal  primo 
giorno  di  quello,  durante  il  quale 
saliva  ciascuno  di  essi  al  trono , 
così  essendo  stato  Diocleziano  pro- 
clamato imperatore  ai  17  settem- 
bre dell'anno  284,  il  29  agosto 
precedente  cioè  il  primo  giorno 
dell'  anno  egiziano ,  fu  da  essi  te- 
nuto come  il  primo  del  di  lui  re- 
gno; questo  stesso  giorno  del  me- 
desimo anno  fu  pure  il  primo  del- 
l'era che  istituirono  in  onore  di 
quel  principe.  L'era  di  Diocleziano 
fu  poscia  chiamata  era  de  martiri, 
a  motivo  delle  persecuzioni  sofferte 
dai  cristiani  pochi  anni  dopo.  Su 
questa  era  il  succitato  p.  Lupi  ec- 
co quanto  scrive.  Dionisio,  che  forse 
per  umiltà  prese  il  nome  di  pic- 
colo, per  quanto  la  rozzezza  del 
suo  secolo  il  comportava,  appli- 
candosi in  Roma  a  ristorare  le 
scienze,  prostrate  per  le  invasioni 
barbariche,  nel  tradurre  che  face- 
va dal  greco  nel  latino  idioma  vari 
opportuni  libri,  s'imbattè  nel  ciclo 
di  cui  la  chiesa  Alessandrina  ser- 
vivasi  per  regolare  la  Pasqua  ;  e 
giudicando  essere  opportuno  l'adat- 
tarlo al  calendario  romano,  lo  tras- 
portò dal  greco,  e  dimostrò  cori 
esso  a'  latini    il    vero    metodo    del 


FRA 
computo  orientale.  Ma  perchè  gli 
alessandrini,  secondo  il  costume 
molto  diffuso  in  que'  tempi,  con- 
tavano gli  anni  loro  tanto  solari, 
quanto  lunari  dal  primo  anno  del- 
l' impero  di  Diocleziano,  che  tanto 
insanguinossi  nel  sangue  de'  fedeli, 
fu  questa  era  chiamata  de'  marti- 
li.  Abborrendo  Dionisio  tal  epoca, 
e  giudicando  indegna  cosa,  che  do- 
vesse la  Chiesa  regolare  i  suoi  com- 
puti sulla  memoria  d'  un  persecu- 
tore sì  fiero,  salì  sopra  l' era  dei 
martiri,  per  quindici  Enneadecaele- 
ridi  o  dieci  novi  ne  d'anni ,  e  calco- 
lando essere  nel  primo  anno  di 
questa  nato  il  Signore,  fu  forse  il 
primo,  o  almeno  il  più  accredita- 
to ,  a  contare  gli  anni  dell'  incar- 
nazione del  Verbo.  Quindi,  essen- 
do bramosi  i  romani  Pontefici  di 
stabilire  un  metodo  certo  per  re- 
golare le  feste  mobili ,  promossero 
nella  chiesa  di  occidente  V  accetta- 
zione del  ciclo  orientale ,  secondo 
la  versione  fattane  da  Dionisio.  Per 
conseguenza  ne  venne  un  grande 
utile  alla  storia  ed  alla  cronologia, 
e  la  diffusione,  insieme  col  ciclo 
Dionisiano,  a  tutte  quante  le  na- 
zioni dell'  era  cristiana,  benemerita 
per  le  memorie  conservateci  e  di- 
stinte per  ben  tredici  secoli,  che 
da  quel  tempo  sono  trascorsi . 
Benemerita  altresì  potrebbe  chia- 
marsi in  riguardo  de'  tempi  a  lei 
antecedenti,  se  il  conto  fatto  dal- 
l' erudito  monaco  affine  di  trovare 
la  natività  di  Gesù  Cristo,  fosse 
stato  felice  egualmente,  che  labo- 
rioso. 

Era  dell'Ascensione, 

Il  greco  autore  della  cronaca 
Pasquale,  o  di  Alessandria,  volle 
servirsi  di   un'era,  il  cui  motivo  fu 


ERA  |0 

l'Ascensione  di  Gesù  Cristo  in  cie- 
lo. Secondo  questa  era,  per  le  date 
da  lui  stabilite,  il  primo  anno  cor- 
risponde al  trentanovesimo  dell'era 
cristiana. 


Era  degli  armeni. 


Questa  era  propriamente  detta , 
che  servì  vasi  di  un  anno  vago  di 
365  giorni  senza  intercalazione,  eb- 
be per  origine  la  separazione  della 
chiesa  armena  dalla  latina,  in  con- 
seguenza della  condanna  del  con- 
cilio di  Calcedonia,  e  per  epoca 
iniziale  il  9  luglio  dell'  anno  532 
di  Gesù  Cristo.  Inoltre  usavano  al- 
tresì gli  armeni  nella  loro  liturgia 
di  un  anno  fisso  od  intercalato.  Il 
loro  primo  giorno  di  questo  anno 
fu  fissato  agli  1  r  del  mese  di  ago- 
sto giuliano.  Adoperarono  in  se- 
guito il  computo,  secondo  questo 
anno  giuliano,  e  così  trovaronsi  in 
concordia,  per  i  giorni  coi  latini , 
colla  sola  differenza  di  cifra  per 
gli  anni,  a  motivo  della  differenza 
delle  due  ere  ec.  Talvolta  gli  ar- 
meni nei  loro  atti  servironsi  anche 
dell'era  volgare.  Questo  è  quanto 
si  raccoglie  dai  nostri  cronologisti, 
ma  a  voler  parlare  con  più  esat- 
tezza riporteremo  sull'  era  armena 
quanto  si  legge  nella  dotta  opera 
intitolata  Quadro  della  storia  let- 
teraria dì  Armenia,  del  rispettabile 
monsignor  arcivescovo  Sukias  So- 
mal,  abbate  generale  de'  monaci  ar- 
meni mecchitaristi  di  s.  Lazzaro  in 
Venezia,  a  p.  34  e  seg.  Parlando  egli 
della  letteratura  del  secolo  VI,  dice 
che  questo  fu  per  l'Armenia  af- 
fritto  da  politiche  turbolenze,  e  dal- 
le guerre  sino  dall'epoca  in  cui  il 
tiranno  Isderge  troncò  le  comuni- 
cazioni coi  greci.  Però  alla  metà 
di   tal  secolo    si    eifettuò    l'impor- 


16  ERA 

tante  correzione  del  calendario  ar- 
meno, nel  modo  seguente. 

Sì  erano  rettamente  computati 
i  tempi  pel  corso  de'  primi  532 
anni  dell'era  volgare,  ma  da  tale 
anno  sino  al  55 1  non  vi  era  che 
confusione.  A  determinare  un  or- 
dine fìsso  e  invariabile,  sì  pel  cle- 
ro che  pel  popolo,  e  per  rego- 
larsi intorno  alla  annual  ricor- 
renza della  Pasqua,  e  pegli  altri 
giorni  festivi,  si  applicò  di  propo- 
sito Mosè  II  Elivardense,  appena 
elevato  alla  dignità  patriarcale  di 
Armenia.  Per  sì  grave  argomento 
convocò  nell'  anno  552  di  Cristo 
un  sinodo  nella  città  di  Tevino,  o 
Duvina  nella  provincia  di  Arara t; 
e  siccome  versato  nella  cognizione 
de'  periodi  e  cicli  solari,  e  di  quan- 
to può  dare  norma  a  formar  un 
perfetto  calendario ,  così,  coll'aiuto 
di  parecchi  suoi  vescovi,  e  di  altre 
erudite  persone,  stabilì  alcune  re- 
gole fondamentali ,  che  all'  ardua 
impresa  servissero  di  base.  Primie- 
ramente, acciocché  in  avvenire 
procedessero  i  computi  colla  bra- 
mata regolarità,  nel  medesimo  an- 
no dell'era  comune  553,  agli  1 1 
luglio  fissò  il  principio  dell'era  ar- 
mena, cioè  il  primo  giorno  del  pri- 
mo anno ,  il  perchè  sino  all'  anno 
i32o  dell'era  volgare,  vi  è  tra 
questa  e  l'armena,  la  differenza  di 
552  anni.  Siccome  poi  col  volger 
dei  secoli,  a  cagione  dell'anno  bi- 
sestile, cresceva  l'era  armena,  e  di- 
minuiva la  detta  differenza,  fu  cre- 
duto opportuno  di  aggiungere  al- 
l'era  armena  nel  i32o  un  altro 
anno,  e  ne  risultò  la  differenza 
che  tuttora  sussiste  d'anni  55 1.  Ed 
è  perciò,  che  a  voler  trovare  a'  no- 
stri dì  l'era  armena  fa  d'uopo  dif- 
falcare 55 1  anni  dall'era  volgare, 
o    a  meglio  dire  devonsi  sottrarre 


ERA 
552  anni ,  e  il  resto ,  aumentato 
di  una  unità,  darà  l' era  armena. 
Quindi  è ,  che  il  corrente  anno 
i843  dell'era  volgare,  corrisponde 
all'anno   1292  dell'era  armena. 

Era  di  Hiesdedger. 

Presso  i  persiani  quest'era  ebbe 
origine  dall'esaltazione  di  Hiesded- 
ger al  trono  di  Persia,  che  vuoisi 
avvenuta  ai  6  giugno  dell'anno 
632  di  Gesù  Cristo.  Regolavasi 
allora  questa  era  coll'anno  vago, 
ossia  di  365  giorni.  Continuò  co- 
sì fino  a  Dagelaleddin,  sultano  di 
Khorasan .  Ma  questo  principe  nel- 
l'anno 4^7  dell'Egira,  1075  di 
Gesù  Cristo,  consultò  il  corpo  de- 
gli astronomi,  e  venne  quindi  con- 
chiuso che  l'anno  dell'era  sarebbe 
fisso.  Fu  determinato  l'ordine  dei 
giorni  che  sarebbero  per  questi 
effetti  intercalati,  fu  fissato  l'equi- 
nozio di  primavera  al  14  marzo 
giuliano,  ed  il  principe  ordinò  che 
questa  riforma  del  calendario  a- 
vrebbe  il  suo  principio  coll'anno 
471  dell'egira,  ossia  1079  di  Ge- 
sù Cristo.  Questa  era  fu  pure 
chiamata  Melikana,  essendo  cor- 
retta de  Melik-Sebah- Dagelaleddin. 
Del  resto  i  persiani  fanno  l'anno 
di  questa  era  di  365  giorni,  quat- 
tro ore,  49  l$  >  o",  48 "";  ed  al- 
cuni astronomi  la  considerano  co- 
me una  delle  ere  più  esattamente 
determinate. 

Era  dell'  Egira. 

Egira  è  una  voce  araba  che 
significa  fuga,  e  della  quale  gli 
storici,  e  i  cronologi  si  servono  per 
denotare  l'epoca,  da  cui  i  mao- 
mettani cominciano  a  contare  i 
loro  anni,  cioè  dal  tempo    in    cui 


ERA 
Maometto    fuggi    dalla    Mecca     e 
Medina.  Questo  avvenimento  ebbe 
luogo  la    notte    del    giorno    i5    o 
1 6  luglio,  di  venerdì,  nell'anno  622 
dell'era  cristiana.  Fino  da  quell'e- 
poca, stabilita  per  la  prima    volta 
da  Omar,  i  mussulmani  non  con- 
tavano gli  anni    loro  se    non    che 
dall'  ultima    guerra    considerabile 
eh'  essi  avevano  sostenuta.    Alcuni 
scrittori  arabi  la    incominciano    ai 
1 5  luglio  :  tutti    i    maomettani    si 
servono  di  questa  famosa  era  per 
le  loro  date,  ad  esclusione  di  qua- 
lunque altra.    Gli    anni    dell'  egira 
sono  lunari,  e    distribuiti    in  cicli 
di   3o     anni;    diecinove    di    questi 
trent'anni    sono     comuni,  ossia    di 
354  giorni  ;  gli  undici  altri    chia- 
matisi   intercalari    perchè    di    355 
giorni,  e  questi  anni  sono  il  2,  5, 
7,    10,    i3,    16,   18,  21,    24,    26, 
e  29.  I  mesi  di  queste  due  sorta 
d'anni  sono  in  numero  di    12,  al- 
ternativamente di  3o  e  di  29  gior- 
ni :  negli   undici  anni  intercalari  il 
12.0  mese  è  di  3o  giorni:  è  adun- 
que chiaro    che    i    rapporti    degli 
anni  dell'  egira,    con    gli  anni    del 
calendario  gregoriano   sono    varia- 
bilissimi, la  differenza  naturale  es- 
sendo di  undici    giorni  fra    questi 
due  anni,  e  la  diversità  delle  inter- 
calazioni   aumentando    ancora    le 
differenze    medesime.    Di    più:    i 
giorni  dell'anno    dell'egira  comin- 
ciano col    tramontar   del    sole.     A 
motivo  pertanto  di  sì  grandi  varie- 
tà succede    ben    di  rado,   che    un 
anno  dell'egira  incominci  e  termini 
nello  stesso    anno    dell'era    nostra 
"volgare.  Ecco  i  nomi  dei  mesi  tur- 
chi :    r.  Muharrem ,    2.    Sefer,   3. 
Reb-il-evvel}  4-  Reb-il-aker3  5.  Ge- 
masil-evvel3    6.    Gemasil-aker,    7. 
Regeb3  8.    Sciabar,    9.    Ramasan3 
10.  Scewal,   i\.Zilcade3   vii.  Zìi* 


ERA  17 

hagge.  Ecco  poi  nomi  dei  giorni 
della  settimana.  1.  el-Ahatì  2.  el- 
Thani,  3.  el-Theleth,  4.  el-Arba3 
5.  el-Khamis,  6.  el-Giumea,  7.  el- 
Sebt. 

Era  della  repubblica  Francese. 

Benché  di  corta  durata,  impor- 
ta farne  cenno,  segnando  molti  at- 
ti ancora  in  uso,  e  potendo  servi- 
re di  regola  per  trovare  la  con- 
cordanza degli  anni,  dei  mesi  e 
dei  giorni  fra  i  due  calendari  di 
Gregorio  XIII  ,  e  repubblicano. 
Se  ne  conoscono  altresì  molte  ta- 
vole già  fatte.  Col  12  settembre 
1792,  in  cui  fu  proclamata  la  re- 
pubblica francese  ,  si  promulgò 
una  nuova  era.  Contava  gli  anni 
da  esso  1792,  cominciandoli  la 
mezzanotte  del  giorno  che  succede 
all'equinozio  vero  d'autunno,  per 
l'osservatorio  di  Parigi.  L'anno  di 
quest'era  fu  di  365  giorni,  diviso 
in  dodici  mesi  di  trenta  giorni  per 
cadauno,  e  seguiti  da  cinque,  o 
sei  altri  complementari,  che  aggiun- 
gevansi  al  fine.  Un  sesto  giorno 
complementario  aggiunto  periodi- 
camente faceva  gli  anni  sestili.  Il 
mese  era  diviso  in  tre  decadi  di 
dieci  giorni  :  i  giorni  denomina- 
va nsi  primidì3  duodìf  tridì3  quarti  - 
dì  ec3  il  decadì  doveva  essere  di 
riposo.  I  mesi  erano  divisi  in  au- 
tunnali3  in  invernali,  in  primave- 
rili'_,  ed  in  estivi.  Gli  autunnali  e- 
rano:  Vendèmiaire,  Brumaire,  Fri- 
maire  .  Gli  invernali  erano:  Nivó- 
se3  Pluvióse,  Ventóse.  I  primave- 
rili erano  :  Germinai  3  Floreal, 
Prairial.  Gli  estivi  poi  :  Messidor, 
Thermidor,  Fructidor.  I  quali  no- 
mi flel  calendario  repubblicano 
rammentavano  il  progresso,  ed  i 
lavori   successivi    della    campagna, 


voi.    XXII. 


i8  ERA 

oppure  lo  slato  dell'atmosfera  nel- 
le diverse  epoche  dell'anno.  Il  pri- 
mo giorno  del  calendario  repub- 
Hicano  era  il  22  settembre  per 
gli  anni  I,  II,  III,  V,  VI,  e  VII 
repubblicani,    che    sono    il    1792, 

I793>1794,  '796>  J797>  e  *798 
gregoriani  ;  2 3  settembre  per  gli 
nnni  IV,  Vili,  IX,  X,  XI,  XIII, 
e  XIV  che  furono  il  1795,  1799, 
1800,  1801,  1802,  1804,  e  i8o5 
gregoriani  :  finalmente  il  primo 
vendemmiale  ,  corrisponde  al  24 
settembre  dell'anno  XII,  ch'era  il 
180 3.  L'anno  VII  avrebbe  dovu- 
to essere  comune  secondo  l'ordine 
gregoriano;  ma  invece  i  repub- 
blicani lo  fecero  bisestile,  il  che 
alterò  la  corrispondenza  coll'anno 
nostro.  Questo  calendario  durò 
meno  di  quattordici  anni  :  il  suo 
i4-°  anno  cominciando  nel  2  3 
settembre  i8o5,  terminò  col  3i 
dicembre  seguente,  il  quale  corris- 
pondeva al  giorno  io  nevoso  an- 
no XIV.  Un  decreto  del  senato 
del  2 1  fruttidor,  anno  XIII,  rista- 
bilì il  calendario  gregoriano,  inco- 
minciando dal  primo  gennaio  se- 
guente 1 806.  Della  durata  delTef- 
fimera  repubblica  romana,  procla- 
mala in  Roma  dai  repubblicani 
francesi  a'  i5  febbraio  1798,  e 
terminata  a5  28  settembre  del  se- 
guente anno,  si  parla  all'articolo 
Diario  ni  Roma. 

ERACLEA  0  ERACL1A.  V. 
Citta*  Nova  o  Eraclea. 

ERACLEA .  Città  vescovile  e 
metropolitana  della  provincia  di 
Europa,  nella  diocesi  di  Tracia, 
chiamata  Pcrinthus,  0  Per\nta3  ed 
anche  Pantiro.  Essa  fu  sotto  que- 
sto nome  celebre  per  l'anfiteatro 
di  marmo  formato  di  una  sola 
qualità  di  pietre,  il  quale  fu  tenuto 
per  una  delle  meraviglie  del  mon- 


ERA 
do.  Eraclea  è  situala  sul  mare  di 
Marmara  in  Romania,  distante  cin- 
quantadue miglia  da  Costantinopo- 
li, e  settanta  da  Gallipoli.  Ancora 
si  vedono  degli  avanzi  di  grandi 
muraglie  e  di  vecchi  fabbricati. 
Al  presente  è  una  citta  della  Tur- 
chia europea  nella  Romelia,  con 
duplice  porto  sul  mare  di  Mar- 
mara, chiamata  Erekli3  od  Hera- 
clea.   V.  Tracia. 

Eraclea,  o  Perinthus,  fu  celebre 
nelle  notizie  ecclesiastiche,  giacche 
il  vescovo  di  Bisanzio,  poscia  Co- 
stantinopoli (Fedi),  come  dicesi  a 
questo  articolo,  era  ad  Eraclea 
soggetto.  Fu  Eraclea  la  sede  del- 
l'esarcato di  Tracia,  che  pur  si 
disse  esarcato  di  Romania,  ed  il  suo 
arcivescovo  era  uno  de' più  conside- 
rabili della  chiesa  greca.  La  sua 
sede  vescovile,  eretta  nel  primo  se- 
colo, nel  secondo  divenne  metro- 
poli, e  nel  quarto  fu  elevata  al 
grado  di  esarcato  di  tutta  la  Tra- 
cia, colle  seguenti  sedi  vescovili 
per  suffraganee:  Phanarium,  o  Fa- 
nari,  che  poi  si  eresse  in  arcive- 
scovato; Bisia,  o  Bilsier,  anch'essa 
eretta  in  seguito  in  seggio  arcive- 
scovile; Gano,  Gallipoli  ed  Arcà- 
diopoli,  che  pur  furono  decorate 
del  grado  arcivescovile;  A  tira  o 
Metri,  Turulus,  Redasto,  Miriofì- 
ti,  Peristasi,  Cheropoli;  Apri  seu 
Teodosiopoli,  Drusipara,  e  Midia, 
tutte  e  tre  divenute  in  progresso 
arcivescovati.  Delcos,  o  Dercon  ;  Mai- 
ton,  la  quale  eziandio  ebbe  l'ono- 
re dell'arcivescovato;  Caclos  seu 
Cyla,  Sabadia,  Afrodisios,  Lisima- 
ca  o  Hexamili,  Pamphili,  Teodo- 
ropoli ,  Chalcis  }  Daonia  ,  Lizici, 
tSergentza,  e  Adriana.  Questa  sede 
conta  quarantotto  vescovi,  le  cui 
notizie  riporta  il  padre  Le  Quien, 
11  eli '  Oriens    Chrisl.,    lom.    I,    pag. 


ERA.  ERA  19 
11  or  e  seg.  Attualmente  Eraclea,  e  quelli  di  un  teatro  scavato  nel 
Hcracleen.,  è  un  titolo  arriverò-  monte.  Cinque  vescovi  vi  ebbero 
vile  in  partibus,  che  conferisce  la  sede,  cioè  Aploneto,  Dionisio,  Teo- 
Sede  apostolica,  con  quattro  sedi  doro,  Gregorio  1,  e  Gregorio  li, 
suffraganee  titolari,  cioè  Callipoli,  come  si  ha  dall'  Oriens  Christ., 
Dercon,  Medea,  e  Miropoli.  Su  toni.  I,  pag.  906.  Nella  Siria  sa- 
questa  Eraclea  o  Perinto  abbia-  gra,  a  p.  260,  sono  le  notizie  di 
mo  interessanti  notizie,  anche  ec-  Eraclea,  sede  vescovile  di  Palesti- 
clesiastiche,  dal  Eonarroli,  a  pag.  na,  città  meridionale  del  Libano, 
149  e  seg.  delle  sue  Osservazioni  sotto  la  metropoli  di  Cesarea,  il 
storiche  sopra  alcuni  medaglioni  cui  vescovo  Procopio  fu  presente 
antichi.  ad  un   sinodo   provinciale  di  Geru- 

ERACLEA    la     Grande.    Città  salemme,  celebralo    ne' pi  imi  anni 

vescovile    della    provincia    di     Ar-  del  sesto  secolo  dal    patriarca  Gio- 

oadia,    nel   patriarcato  di  Alessan-  vanni. 

dria,    nell'Egitto,    sotto  la    metro-  ERACLEA    di     S,ìlbace.    Città 

poli  di   Oxyrincus  seu  Behense,  la  episcopale  della   provincia    di    Ca- 

cui  erezione,  al    dire  di  Comman-  ria,  nella  diocesi    d'Asia,   sotto    la 

ville,  risale  al  nono  secolo.   Abbia-  metropoli     di    Stauropoli.     Questa 

mo  da  Sozomeno,  che  s.  Antonio  sede    nel     concilio    Calcedonese    è 

era  di  Coma,  villaggio  dipendente  chiamata     Heraclia    Lyncestidum. 

da  Eraclea  Magna,  h' Oriens  Christ.,  Policromo  che  intervenne  al  conci- 

nel  tom.    II,    pag.  579,    dice    che  Ho  d'Efeso,  Menandro  che  fu  a  quel- 

ne    furono     vescovi,     oltre    Pietro  lo  di  Calcedonia,   e  Basilio   che    si 

Meleziano,  Pottamon,  Ipaziano,  ed  recò   al   sinodo   di  Fozio,  ne  furo- 

Eraclide.  no  vescovi.   Oriens   Christ,  tom.   I, 

ERACLEA  sul  Latmo.  Città  ve-  p.  904. 
scovile  della  provincia  di  Caria,  ERACLEA  Sintica.  Città  vesco- 
nella  diocesi  d'Asia,  sotto  la  me-  vile  della  prima  provincia  di  Ma- 
tropoli  di  Afrcdisiade,  cosi  chia-  cedonia,  nell'esarcato  del  suo  no- 
mata per  essere  sul  monte  Latmo,  me,  diocesi  dell' llliria  orientale, 
quindi  sotto  Stauropoli.  La  sede  sotto  la  metropoli  di  Tessalonica, 
venne  eretta  nel  secolo  quinto,  ed  eretta  nel  quarto  secolo.  Nel  sesto 
è  pur  conosciuta  sotto  il  nome  di  divenne  arcivescovato  onorario  dcl- 
Hagio  Porto.  Questa  città  dell' A-  la  diocesi  di  Bulgaria.  Dicesi  pure 
sia  minore  nella  .Fonia,  è  situata  Pelagonia3  e  Xevosna.  Plinio  la 
in  fondo  al  golfo  Lalmico,  sulle  chiamò  Eraclea  Sintica, perchè  po- 
rive  del  Lalmus.  Fu  vittima  della  sta  nella  contrada  di  tal  nome, 
destrezza  di  Artemisia  regina  di  all'oriente  della  città  di  Scotusa, 
Caria,  che  non  avendo  potuto  e  poco  lontana  dallo  Strimone. 
prendeila  per  assedio,  usò  dell'ai-  De' sette  vescovi,  che  vi  ebbero 
tifìzio  per  sorprendere  i  suoi  abi-  sede,  di  soli  cinque  si  sa  il  nome, 
tanti  senza  difesa.  Restò  sotto  il  cioè  di  Evagrio,  Quintillo,  Beni- 
dominio  di  questa  regina  sino  alla  gno,  Teodosio,  e  Giovanniciot  di 
sua  morte.  Seguì  la  sorte  della  tutti  ne  dà  le  notizie  1'  Oriens 
Jonia,  e  tra  le  sue  rovine  distin-  Christ.,  tom.  II,  p.  82  e  seg. 
guevansi  gli  avanzi  di  un  tempio,  ERACLEA  del    Ponto    o    Por* 


20  ERA 

tici.  Città  vescovile  dell'Asia  mi- 
nore, della  provincia  Orioriade, 
nella  diocesi  di  Ponto,  sotto  la 
metropoli  di  Claudiopoli.  E  situa- 
ta sopra  un  piccolo  golfo  presso 
il  mare  di  Marinara,  col  nome  di 
Erekii,  o  Eregri.  Ora  è  una  città 
della  Turchia  asiatica  nell'Anato- 
lia, sangiaccato.  11  golfo  è  chiuso 
al  nord  da  una  piccola  penisola, 
anticamente  chiamata  Acherusia 
Chersonesus.  Erekii  è  cinta  da  un 
muro  fiancheggiato  di  torri,  e 
rinchiude  varie  moschee,  bagni  ed 
altri  edifizi;  ancora  esistono  avan- 
zi della  sua  passata  grandezza.  La 
rada  ed  il  molo  sono  sicuri  nell'e- 
state, a  cagione  delle  alture  che 
li  circondano. 

L'antica  Eraclea  stava  a  venti 
stadi  di  là  dal  Lycas,  sopra  una 
costa  elevata,  e  dominante  il  ma- 
re. Tutti  gli  scrittori  la  celebrano 
come  una  delle  più  belle  dell'o- 
riente. Si  mantenne  in  repubblica 
governata  dai  propri  magistrati  in 
mezzo  a  due  possenti  sovrani,  Mi- 
tridate e  Nicomede,  ai  quali  ser- 
viva di  comune  barriera.  Si  crede 
fondata  dai  milesii,  ed  accresciuta 
da  una  colonia  di  Augara,  alla 
quale  si  congiunse  un  popolo  di 
Beozia,  oriundo  di  Tanagra.  Que- 
sta colonia  si  mantenne  in  forma 
repubblicana  sino  a  che  Clearco 
se  ne  impadronì  tirannicamente, 
il  che  fecero  i  suoi  successori  per 
quasi  un  secolo.  Fu  esposta  alle 
invasioni  dei  gaulesi,  ma  riacquistò 
la  propria  libertà,  sino  al  tempo 
che  Mitridate,  sconfitto  da  Lucul- 
lo,  s'impadronì  di  essa  facendo 
uccidere  tutti  i  romani,  che  vi  si 
trovavano.  Il  suo  popolo  numero- 
so, e  le  sue  frequenti  navigazioni 
sul  Ponto-Eusino ,  la  misero  in 
grado  di  fondar  Colonie,  e  fra  le 


ERA 
altre    Chersoneso    nella    Tracia,   e 
Calatide  nella  Mesia.  Eraclea  som- 
ministrò alcuni   soccorsi    a    Tolo- 
meo contro    Antioco,    soccorrendo 
anche  i  romani  colla  sua  marina, 
il  che  però  non    impedì    a  Cotta, 
collega  di  Lucullo,   e    malgrado  il 
trattato   offensivo    e    difensivo    tra 
Roma     ed    Eraclea,    di    prenderla 
per  tradimento,    saccheggiarla,    e 
quasi  ridurla  in  cenere.    Sdegnato 
il  senato  romano  di  tale  turpissima 
azione,  rinviò    tutti    i   prigionieri , 
ristabilì  gli    abitanti    nel    possesso 
de'  loro  beni,    e   riparò    la    città. 
Augusto,  dopo  la  battaglia  d'Azio, 
pose  Eraclea  nel  dipartimento  del 
Ponto,  congiunto  alla    Bitinia,    ed 
in  tal  modo   fu    questa    città    in- 
corporata all'  impero,  sotto  al  qua- 
le crebbe  in  floridezza.  Passò  poscia 
sotto  l'impero  de' greci,  e  quando 
già  incominciava  a  declinare,  le  si 
diede    il  nome    di  Penderachi,    il 
quale  sembra  essere  un  nome  cor- 
rotto di  Eraclea  del  Ponto.    Teo- 
doro   Lascaris    la  tolse    a    David 
Comneno,  imperatore  di  Trebison- 
da.  Indi    i    genovesi    s'impadroni- 
rono di  Penderachi  nella  loro  con- 
quista di  oriente,    e  la   conserva- 
rono fino   che    Maometto  II,    im- 
peratore de'  Turchi,  gli    scacciò,    e 
da   tal  epoca  rimase  in  potere  degli 
ottomani. 

Le  notizie  ecclesiastiche  ci  dico- 
no, che  Eraclea  fu  elevata  a  seg- 
gio vescovile  nel  secolo  quarto,  e 
nel  decimoterzo  diventò  metropoli 
quando  Claudiopoli,  di  cui  era 
prima  sufFraganea,  cessò  di  esserlo. 
Conta  dodici  vescovi,  che  vi  ebbe- 
ro sede,  e  sono:  Eusebio,  Teodo- 
ro I,  Epifanio,  Stefano,  Giovanni 
I,  Paolo,  Melezio,  JMiceforo,  Teo- 
doro II,  Giovanni  II,  e  Metodio, 
giacché  del  decimo  vescovo  s'igno- 


ERA 
ra  il  nome.  Di  questo  e  degli 
altri  si  leggono  le  notizie  nell'  O- 
riens  Christ.,  tona.  I,  pag.  57 3.  Al 
presente  Eraclea,  Eracleen.,  è  un 
titolo  vescovile  m  partibus  infide- 
lium,  che  conferisce  il  Sommo 
Pontefice,  ma  dipendente  dall'  an- 
tica sua  metropoli  di  Claudiopoli, 
egualmente  sede  titolare  in  parti- 
bus.  Il  Bonarroti,  nelle  Osserva- 
zioni storiche  sopra  alcuni  meda- 
glioni antichi\  riporta  erudite  noti- 
zie sopra  Eraclea  di  Ponto,  da  pag. 
2j5  a  283. 

ERACLEOPOLI.  Città  episco- 
pale dell'  isola  di  Creta,  nella  dio- 
cesi dell'  llliria  orientale,  sotto  la 
metropoli  di  Gortina.  Teodoro  suo 
vescovo  sottoscrisse  al  VII  conci- 
lio generale.  Oriens  Christ.3  t.  II, 
pag.  268.  Tolomeo  la  chiamò 
Eracleo,  e  la  pone  sulla  costa  set- 
tentrionale di  Creta. 

ERACLIOPOLI.  Città  vescovi- 
le della  prima  Armenia,  nella  dio- 
cesi di  Ponto,  sotto  la  metropoli  di 
Sebaste.  Gli  atti  del  VII  concilio 
generale  la  chiamano  Didachtoe, 
e  le  storie  greche  ne  fanno  un 
arcivescovato.  Commanville  la  chia- 
ma Pedactoe  seu  Heracleopolis,  e 
la  crede  eretta  nel  nono  secolo,  e 
quindi  arcivescovato  onorario.  Que- 
sta città  fu  così  chiamata  quando 
l' imperatore  Eraclio  fece  la  guerra 
ai  persiani.  Ne  furono  vescovi  An- 
tenogene,  Giovanni,  e  Teodoro. 
Oriens   Christ.,    tom.  I,  pag.   4^7. 

ERARDO  (s.).  Nacque  in  Iseo- 
zia,  e  percorsi  gli  studi  sacri,  si 
recò  in  Germania  a  predicare  il 
vangelo.  In  Treveri  diede  lezioni 
di  sacra  Scrittura.  Avendo  il  santo 
vescovo  Idolfo,  nell'anno  753, rinun- 
ziato alla  sua  dignità  per  recarsi  nella 
solitudine  a  terminare  i  suoi  giorni, 
Erardo  sull'esempio  di  lui  si  mosse 


ERA  21 

verso  Ratisbona,  ed  ivi  fondò  un 
monistero.  Onorato  del  dono  dei 
miracoli,  ancor  vivente,  morì  in 
questa  città,  e  dopo  morto,  segna- 
lati prodigi  resero  celebre  la  sua 
tomba.  Gli  scozzesi  ricordano  il  gior- 
no 9  febbraio  sacro  alla  sua  me- 
moria. 

ERARIO  (Aerarium).  Tesore- 
ria del  pubblico;  e  dicesi  del  luo- 
go destinato  a  conservare  il  teso- 
ro, e  delle  persone,  che  custodi- 
scono ed  amministrano  esso  tesoro. 

ERARIO  PONTIFICIO.  ^.Te- 
soro Pontificio. 

ERASMO  (s.).  Illuminato  da  una 
viva  fede,  e  tutto  ardente  di  amo- 
re verso  Gesù  Cristo,  predicava  il 
santo  vescovo  Erasmo  le  verità  del 
vangelo  in  que'  tempi ,  nei  quali 
regnando  Diocleziano  e  Massimia- 
no, il  cristianesimo  veniva  fiera- 
mente perseguitato.  Non  andò  gua- 
ri, che  preso  Erasmo  e  condotto 
dinanzi  al  tiranno,  fu  obbligato  to- 
sto a  mutar  consiglio,  o  ad  assog- 
gettarsi ai  più  crudeli  martori. 
Niente  turbatosi  il  santo  vescovo 
ad  una  tale  intimazione,  tutto  gio- 
condo e  sereno,  sostenne  quanto  di 
più  atroce  immaginar  poteva  quel 
crudo.  Cacciato  dipoi  in  prigione 
tutto  pesto  e  piagato,  e  per  ec- 
cesso di  barbarie  fatto  persino  pri- 
vo di  alimento,  era  esposto  a  mo- 
rire di  fame.  Liberato  prodigiosa- 
mente dalla  prigione,  si  diresse 
verso  Lucrano,  terra  della  Puglia, 
e  sparse  anche  in  que'  luoghi  l'e- 
vangelica semente  con  non  dissi- 
mile zelo  di  prima.  Molti  e  rapi- 
di furono  i  vantaggi,  che  colla  pre- 
dicazione ivi  ritrasse;  recatosi  fi- 
nalmente in  Formiana,  città  non 
molto  lungi  da  Gaeta,  coli'  esem- 
pio, colla  voce ,  e  col  dono  dei 
miracoli,    santificò    que'  popoli   in- 


aa  ERA 

volti  dapprima  nelle  tenebre  del 
gentilesimo,  e  li  condusse  all'ovile 
di  Gesù  Cristo.  Indebolito  dagli 
anni,  e  molto  più  dalle  fatiche  e 
dalle  austerità,  mentre  un  giorno 
slava  in  orazione,  udì  una  voce 
dal  cielo,  che  gli  disse:  Erasmo 
mio  fedele,  perchè  come  buon  sol- 
dato hai  combattuto  per  me,  vieni 
a  riceverne  la  corona.  Subito  vide 
egli  una  corona  ricchissima,  che  gli 
**ra  portata  dal  cielo,  e  chinando 
il  capo  rispose:  Ricevi,  Signore,  in 
pace  il  mio  spirito:  e  con  questo 
in  figura  di  bianca  colomba,  ac- 
compagnato dagli  Angeli,  se  ne  vo- 
lò al  suo  Creatore ,  che  dato  gli 
avea  fortezza  nelle  battaglie,  e  li- 
berato lo  avea  tante  volte  da'  tor- 
menti e  dalla  morte.  Mori  li  i 
giugno  dell'anno  3o3.  Il  suo  corpo 
fu  deposto  nella  chiesa  di  Formia, 
e  dopo  trasferito  a  Gaeta,  ove  al 
presente  trovasi  onorato  con  gran 
divozione.  Il  martirologio  assegna 
il  2  giugno  solenne  alla  sua  me- 
moria. 

ERASMO  Desiderio.  Nacque  a 
Rotterdam,  verso  l'anno  i465,  e  di- 
venne poi  apostata  dell'  Ordine  a- 
gostiniano,  ed  autore  di  una  setta 
di  mille  eresie,  appena  potute  con- 
futare in  ventidue  libri  da  Alber- 
to Pio;  colle  quali  eresie  l'empio 
Erasmo  preparò  la  strada  in  Ger- 
mania a  Lutero,  per  disseminarvi 
le  sue  egualmente  perniciose,  e  il 
suo  astio  contro  i  religiosi,  arri- 
vando a  chiamar  giudaismo  la  teolo- 
gia. Sino  all'età  di  nove  anni  fu  chie- 
richetto nella  cattedrale  di  Utrecht. 
Morto  Gherardo  suo  padre,  i  suoi 
tutori  lo  costrinsero  a  prendere  l'abi- 
to di  canonico  regolare  di  s.  Agosti- 
no. Nel  chiostro  dimostrò  somma 
assiduità  allo  studio ,  e  grande  ca- 
pacità: anzi  compose    alcune    ope- 


ERA 
rette  di  pietà,  come  quella  del  dis- 
pregio del  mondo.  Nell'anno  i49* 
fu  ordinato  sacerdote,  quindi  passò 
a  Parigi  col  vestito  dell'  Ordine  a 
proseguire  i  suoi  studi.  Nel  corso 
di  pochi  anni,  andò  e  ritornò  varie 
volle  e  per  diversi  motivi  da  Pa- 
rigi in  Inghilterra.  Ma  mosso  fi- 
nalmente da  vivo  desiderio  di  ve- 
dere l'Italia,  nel  i5o6  si  recò  a 
Bologna,  ove  dimorò  un  anno,  e 
fu  laureato  in  teologia.  In  que- 
sto mentre  ottenne  dal  Papa  Giu- 
lio II  la  dispensa  da'  suoi  voti, 
e  quindi  da  Bologna  passò  a  Ve- 
nezia, come  correttore  nella  cele- 
bre stamperia  di  Aldo  Manuzio. 
Chiamato  a  Padova  dal  principe 
Alessandro  figliuolo  naturale  di  Ja- 
copo IV  re  di  Scozia,  lo  seguitò  a 
Ferrara  ed  a  Siena,  e  da  qui,  ec- 
citato da'suoi  amici,  si  condusse  a 
Roma,  ove  fu  benissimo  accolto  dal 
Papa  e  dai  Cardinali ,  e  special- 
mente dal  Cardinale  de'  Medici , 
poscia  Leone  X.  Dopo  avere  per- 
corso molti  altri  luoghi,  e  ricusati 
ovunque  onori  e  dignità,  si  stabilì 
in  Basilea.  Neil'  occasione  in  cui 
Leone  X  venne  elevato  alla  santa 
Sede,  col  consenso  di  lui,  gli  dedicò 
la  sua  edizione  greca  e  latina  del 
nuovo  Testamento,  la  quale  fu  gra- 
ve soggetto  di  molta  critica.  Tale  ei  a 
la  stima,  che  di  lui  avea  Carlo  V, 
che  lo  fece  consigliere  de'  suoi  stati 
d'Austria;  titolo  che  gli  accrebbe 
credito  e  riputazione.  Verso  l'anno 
i520  compose  le  sue  parafrasi  sul 
nuovo  Testamento,  per  cui  mol- 
tissimi eccitarono  la  facoltà  di  Pa- 
rigi a  censurare  i  suoi  colloqui 
familiari  ,  come  conlenenti  molti 
errori  contro  la  fede  ed  i  buoni 
costumi  :  ragione  per  cui  Erasmo 
pubblicò  con  somma  astuzia  ed  oc- 
culto dolo,  alcune  spiegazioni  e  di- 


ERA 
chiarazioni    sopra    ogni    censurata 
proposizione,    e    le    indirizzò    alla 
stessa  facoltà  ,    con  una  prefazione 
rispettosa    ed    onorevole    ad    esso 
corpo.  Non  è  vero  che  per  ammol- 
lire la  di  lui  durezza  Paolo  III  volesse 
innalzarlo  al  Cardinalato,    e  molto 
meno  che  gli  conferisse    una  pen- 
sione   di    seicento    scudi ,    essendo 
pur    falso    che    gli    offrisse    consi- 
derevoli   uffici.    Clemente    VII    ed 
Enrico  Vili,  re    d' Inghilterra  ,   di 
propria     mano    gli    scrissero,    per 
trarlo    ognuno   appresso    di    se.    Il 
re    Francesco    I,    Carlo    V,    Sigis- 
mondo re    di    Colonia,    Ferdinan- 
do   re    d' Ungheria    e    molti    altri 
principi,  tentarono  in  vano  di  rite- 
nerlo negli  stati  loro  con    notabili 
pensioni.  Dopo  averne  perduto  l'a- 
micizia, Lutero  cercò  colle  più  insi- 
nuanti espressioni  di  cattivarsi  il  suo 
animo,  anzi  stimolato  Erasmo  dagli 
amici  suoi  contro  l'opinione  di  Me- 
lantone,  compose    un    trattato    che 
intitolò:    Conferenza  sul  lìbero  ar- 
bitrio, in  cui    attacca    V  errore    di 
Lutero,  senza  punto  toccare  la  per- 
sona. Se    non  che    vedendo    final- 
mente che  il  corpo    de'  pretesi  ri- 
formatori diveniva  ogni  dì  più  po- 
tente   in    Basilea,    si    ritrasse    nel 
1529  a  Friburgo,  ove  diinorò  circa 
sett'anni  affaticando  continuamente. 
Nel    i536  ritornò  a  Basilea,    dove 
fu  onorato  con  la  dignità    di   ret- 
tore dell'  università.  Dappoiché  eb- 
be riveduti  i  suoi  scritti,  e  li  pose 
in  istato    d'essere    tutti    stampati, 
morì  d'una  dissenteria  a'  dì  12  lu- 
glio d'anni  settanta.    Fu  quivi    se- 
polto, e  nella  piazza  maggiore  gli 
fu  eretta    una    statua    di    bronzo, 
effetto    della   stima   e    venerazione*, 
che  di  lui  aveano  i  basileesi. 

Tutte  le  opere  di  Erasmo   ven- 
nero stampate  a  Basilea  nel  i5/±o 


ERB  *3 

in  nove  volumi  in  foglio,  con  una 
lettera  dedicatoria  all'  imperatore 
Carlo  V.  I  due  primi  tomi,  ed  il 
quarto  contengono  le  opere  gram- 
maticali,  rettoriche  e  filosofiche; 
il  terzo  comprende  le  sue  lettere; 
il  quinto  i  libri  di  pietà  ;  il  sesto 
la  versione  del  Testamento  nuovo 
con  le  sue  annotazioni  ;  il  settimo 
le  sue  parafrasi  parimenti  sui  nuo- 
vo Testamento;  l'ottavo  le  tra- 
duzioni di  alcune  opere  de'  Padri 
greci  ;  ed  il  nono  le  sue  geolo- 
gie. 

Ad  onta  della  riputazione  che  si 
procacciò  col  suo  ingegno  e  dot- 
trina, Erasmo  fu  un  perniciosissi- 
mo eretico,  e  li  principali  suoi  er- 
rori sono  notati  dal  Bernini  nel 
Compendio  delle  eresie,  a  pag.  596. 
Mise  in  derisione  i  santi,  e  chi  gli 
venerava,  così  fece  dei  divoti  pel- 
legrinaggi, delle  sagre  cerimonie,  ri- 
ti, feste,  reliquie  de' santi,  delle  chie- 
se, digiuni,  e  delle  indulgenze.  Scris- 
se contro  la  potestà  del  Papa,  chia- 
mò tirannide  de*  preti  le  decreta- 
li, aggravando  i  sagri  canoni  ;  ri- 
provò ne' sacerdoti  e  ne' vescovi  il 
celibato,  e  preferì  alla  verginità  il 
matrimonio  che  non  sempre  contò 
per  sagramento;  diceva  superflua 
la  confessione  auricolare  ;  illecita  la 
guerra  de'  cristiani  contro  il  turco; 
proibito  a' fedeli  il  giusto  giura- 
mento, e  lecita  la  bugia  ;  dubitò 
delle  sagre  Scritture,  approvò  l'a- 
rianesimo. Morì  da  mai  cattolico, 
non  però  da  luterano,  poiché  Ec- 
clesiae  judicio  se,  librosaue  sitos 
subjecil. 

ERBIPOLI  (Herbipolen.).  Città 
con  residenza  vescovile  nel  regno 
di  Baviera,  chiamata  anche  JVurtiur 
burg  o  Wurzburgo,  Virisburgum3 
capoluogo  del  circolo  del  Meno  in- 
feriore, e  di  due  presidiali.    E   ia 


24  ERB 

vaga  situazione  sul  Meno,  distante 
ventuna  leghe  da    Norimberga,    e 
quarantanove  da  Monaco .  E   sede 
di  un  commissariato   generale,    di 
una  corte  di  appello,  di  una  dire- 
zione di  polizia  ;  cinta  da  un  alto 
muro,    e    da  profonda  fossa,    con 
sei  porte.  La  città  è  divisa  in  due 
parti  dal  Meno ,  cioè  la  città  pro- 
priamente detta  che  sta  sulla  spon- 
da destra,  ed  il  quartiere  del  Me- 
no sulla  sinistra  sponda.    Il  fiume 
è  attraversato    da    un    bel   ponte. 
Dalla  parte  del  quartiere  del  Me- 
no, sorge  su  di  una  rupe  alta  quat- 
trocento piedi,  la  fortezza  di    Ma- 
rienberg,  o  Martinberg.  Non    è  la 
città  edificata  regolarmente;  tutta- 
via si  osservano  parecchie  parti  ele- 
ganti, ed  un  bel  castello  regio  con 
giardini.  Hannovi  trentatre   chiese, 
tra  le  quali  si  fa  distinguere  la  cat- 
tedrale antica  ;    ammirandosi    pure 
la    cappella  di    Schonborn.  Wurz- 
burgo    possiede    vari     utili   stabili- 
menti, come  la  casa  degli    orfani , 
molti  spedali,    università    cattolica, 
la  quale  prima  era  diretta  dai  ge- 
suiti, che  conta  circa  settecento  stu- 
denti, ed  alla  quale   appartengono 
una  biblioteca,  gabinetti    di   storia 
naturale  e  di  fìsica,  e   l'importan- 
te ospedale  Julius,  che  ha  un  isti- 
tuto   di    partorienti,    un    giardino 
botanico ,    un    anfiteatro    d' anato- 
mia ec.  Questa  città  contiene  inol- 
tre un  ginnasio,  un  seminario  nor- 
male ,    un    seminario  ecclesiastico , 
scuole  ec. ,  ed  un  teatro.  Erbipoli 
ha  bei  passeggi,  ed  i  dintorni  sono 
coperti  di  pingui    vigneti.    Antica- 
mente era  capitale    della    Franco- 
nia,  città  libera  ed  imperiale ,  ma 
poscia  ne  divennero  signori  i  suoi 
vescovi. 

La  fede  fu  predicata    sul    decli- 
nar del  secolo  VII,  dallo    scozzese 


ERB 

s.  Kiliano,  o  Chiliano,  cioè  verso 
l'anno  678,  e  s.  Bonifacio  arcive- 
scovo di  Magonza,  nell'anno  742, 
o  75 1,  ovvero  nel  760,  l'eresse  in 
sede  vescovile,  e  vi  stabilì  un  ve- 
scovo. Nella  vita  del  Pontefice  s. 
Zaccaria,  si  legge  ch'egli  nel  742 
confermò  l'erezione  di  questo  ve- 
scovato, sotto  la  metropoli  di  Ma- 
gonza.  Dopo  l'anno  u 65,  il  ve- 
scovo divenne  principe  del  sagro 
romano  impero,  e  duca  di  Fran- 
conia,  al  dire  di  Comman ville;  ma 
secondo  altri  il  re  Pipino,  in  ve- 
nerazione del  primo  vescovo  di  Er- 
bipoli, li  dichiarò  duchi  di  Fran- 
conia,  con  diritto  d'ogni  giurisdi- 
zione civile.  E  malgrado  1'  aliena- 
zione di  una  parte  della  Franco- 
nia,  fatta  dall'  imperatore  Enrico 
IV,  i  vescovi  di  Erbipoli,  sino  agli 
ultimi  del  secolo  decorso ,  sempre 
conservarono  la  sovranità  nella  lo- 
ro vastissima  diocesi. 

Il  primo  vescovo  fu  s.  Burcar- 
do.  Altri  santi  onorarono  questa 
illustre  sede  vescovile,  come  s.  Ar- 
none,  che  edificò  la  cattedrale ,  e 
venne  ucciso  dai  normanni  nell'89 1 , 
quando  sbaragliarono  le  truppe 
dell'  imperatore  Arnoldo.  S.  Bru- 
none,  figlio  di  Corrado  II,  duca 
di  Cario  tia,  rifabbricò  la  cattedra- 
le. Essendo  andato  in  Ungheria 
nell'anno  io45  coli' imperatore  En- 
rico III,  e  cenando  con  quel  prin- 
cipe, la  soffitta  della  sala  cadde 
improvvisamente  addosso  alle  per- 
sone quivi  riunite.  L'imperatore 
soltanto  n'andò  illeso,  e  s.  Bruno- 
ne  ne  mori  in  conseguenza  delle 
ferite  e  lacerazioni  riportate.  Al- 
cuni dicono ,  che  fu  canonizzato 
verso  l'anno  124^,  e  si  celebra  la 
sua  festa  a'  17  maggio.  In  quanto 
agli  altri  vescovi  di  Erbipoli ,  ne 
trattano  gli  scrittori  ecclesiastici  del- 


ERB 
la  Germania ,  massime  di  quelli 
della  Franconia.  Per  terminare  poi 
le  antichissime  differenze,  ch'erano 
fra  questo  potente  vescovo  (la  cui 
rendita  si  faceva  ascendere  ad  an- 
nui scudi  centomila)  e  l'abbazia 
di  Fulda, Benedetto XIV,  nel  l'jSi, 
eresse  questa  in  vescovato  ;  ed  in 
compenso  ai  vescovi  di  Erbipoli, 
per  lo  smembramento  che  per  ciò 
fece  d'  una  parte  della  loro  diocesi, 
coll'autorità  della  costituzione  Ro- 
mana Ecclesia,  data  a'  5  ottobre 
1 752 ,  presso  il  Bullar.  Bened. 
XIV,  tom.  IV,  p.  35,  concesse  il 
privilegio  del  pallio,  e  di  farsi  pre- 
cedere dalla  croce  astata  nella  lo- 
ro diocesi  soltanto,  come  gli  arci- 
vescovi, salve  le  prerogative  dell'ar- 
civescovo di  Magonza,  alla  cui  pre- 
senza, o  a  quella  de'Cardinali  e  dei 
nunzi  (  qualora  essi  non  glielo  per- 
mettessero), non  potrebbe  usare  di 
tali  distinte  insegne;  cosi  ancora  nei 
comizii  dell'  impero,  ai  quali  erano 
intervenuti  come  principi  di  esso,  e 
sovrani  di  Erbipoli  e  suo  dominio 
temporale.  Questo  vescovo,  col  cir- 
costante territorio,  componeva  un 
vescovato  sovrano,  con  superfìcie 
di  i65  leghe  quadre,  e  popolazio- 
ne di  circa  duecento  ottanta  mila 
individui,  che  dopo  il  trattato  di 
Presburgo  del  26  dicembre  i8o5, 
fu  dato  all'arciduca  Ferdinando  III 
gran  duca  di  Toscana,  in  cambio 
del  dominio  sul  vescovato  di  Salis- 
burgo accordato  alla  Baviera.  Ma 
restituiti  dopo  il  181 3  a  quel  so- 
vrano gli  etruschi  dominii,  rientrò 
Erbipoli  sotto  il  bavaro  regime, 
cui  era  stato  concesso  nelle  note 
politiche  vicende.  Finalmente  nel 
concordato  fatto  nel  18 17  tra  il 
Pontefice  Pio  VII,  e  il  re  di  Ba- 
viera Massimiliano  Giuseppe,  si  con- 
venne   l' erezione    della    chiesa    di 


ERB  25 

Bamberga  in  metropoli ,  Erbipoli 
in  di  lei  suffraganea,  e  che  la  parte 
bayarica  della  diocesi  di  Fulda  sareb- 
be aggiunta  alla  diocesi  di  Wirtzbur- 
go  o  Erbipoli,  venendo  stabilite  le 
rendite,  il  capitolo,  e  quanto  appartie- 
ne a  questo  vescovato.  Tuttociò  si  ef- 
fettuò colla  bolla  del  primo  aprile 
1 8 1 8,  Dei  ac  Domini  Nostri  Jesu 
Christi,  e  nel  concistoro  de'  2  ot- 
tobre, Pio  VII  preconizzò  in  vesco- 
vo di  Erbipoli,  monsignor  Adamo 
Federico  de  Gross  della  medesima 
città. 

La  cattedrale  è  dedicata  a  s. 
Andrea  apostolo  ;  l'antica  lo  era  al 
ss.  Salvatore,  il  cui  capitolo  com- 
ponevasi  di  ventiquattro  canonici 
capitolari ,  e  di  ventinove  domici- 
liari. Attualmente  è  composto  di 
due  dignità,  il  prevosto  ed  il  de- 
cano, di  otto  canonici  fra'  quali  il 
teologo,  ed  il  penitenziere,  di  sei 
vicari,  e  di  altri  preti  e  chierici 
addetti  al  servigio  divino.  Nella 
cattedrale,  in  cui  avvi  il  sacro  fonte 
battesimale,  esercita  le  funzioni  di 
parroco  un  sacerdote.  Nella  mede- 
sima si  venera  il  corpo  di  s.  Bru- 
none  vescovo  di  Erbipoli,  che  al- 
tri chiamano  e  confondono  con  s. 
Burcardo  (Vedi),  che  fu  il  primo 
vescovo  di  Erbipoli ,  o  Wurtzbur- 
go,  ed  ebbe  in  successore  Megin- 
gando.  S.  Burcardo  venne  seppel- 
lito prima  nella  cattedrale  di  Wurtz- 
burgo,  poscia  vicino  a  s.  Chiliano, 
sul  monte  s.  Maria,  dove  avea  fat- 
to edificare  un  monistero  col  titolo 
di  s.  Andrea.  11  vescovo  di  Erbi- 
poli, Ugo,  fu  quegli  che,  con  au- 
torizzazione del  Pontefice  Benedet- 
to Vili,  fece  la  traslazione  delle  re- 
liquie di  s.  Burcardo  ai  14  otto- 
bre del  983.  In  seguito  l'abbazia 
prese  il  nome  di  s.  Burcardo,  che 
poi  nel   i4^4  fu  cambiata   in    un 


±b 


ERB 


collegio  di  canonici.  Decente  è  l'e- 
piscopio. Oltre  la  cattedrale,  nella 
città  sonvi  altre  otto  chiese  par- 
rocchiali col  battisterio:  evvi  il  se- 
minario pei  chierici,  ed  alcune  con- 
fraternite. La  mensa  vescovile  ad 
ogni  nuovo  vescovo,  è  tassata  nei 
libri  della  camera  apostolica,  in 
fiorini  seicento. 

Concilii  di  TVurtzburgo,  o  Erbipoli. 

Il  primo  si  celebrò  neh'  anno 
1 080,  ed  in  esso  venne  ricevuto 
nella  comunione  della  Chiesa  En- 
rico IV  imperatore.  Regia  t.  XXVI, 
Labbé  toni.   X,  Arduino  tom.  VI. 

Il  secondo  ebbe  luogo  nel  ii3o 
in  ottobre,  contro  l'antipapa  Ana- 
cleto II,  ed  in  favore  del  legitti- 
mo Pontefice  Innocenzo  II,  che  vi 
la  riconosciuto  per  tale,  in  presen- 
za dell'arcivescovo  di  Ravenna  suo 
legato.  Pagi,  ad  hunc  an.,  Diz.  dei 
Concili. 

Il  terzo  si  adunò  a'  2  3  maggio 
11 65,  ma  non  è  riconosciuto;  al- 
tri lo  registrano  al  1  1 66  con  Len- 
glet.  L' imperatore  Federico  I,  e 
quaranta  vescovi,  compresi  quelli 
che  non  erano  ancora  consagrati , 
giurarono  che  non  riconoscerebbe- 
ro mai  il  legittimo  Pontefice  Ales- 
sandro III,  e  che  starebbero  invio- 
labilmente attaccati  all'antipapa  Pa- 
squale III.  Due  inviati  d'Inghilter- 
ra giurarono  a  nome  del  loro  re 
Enrico  II,  che  osserverebbero  tut- 
lociò,  che  1'  imperatore  avesse  giu- 
rato. Pagi,  ad  hunc  annum.,  Diz. 
de  Concili j  Mansi,  Suppltm.  t.  II, 
col.  555. 

Il  quarto  venne  celebrato  nel 
1287,  a' 18  marzo.  Lo  presiedette 
Giovanni  vescovo  di  Frascati ,  le- 
gato del  Pontefice  Onorio  IV  in 
Germania.   Gli  arcivescovi    di  Ma- 


ERB 

gonza,  di  Colonia,  di  Salisburgo, 
e  di  Vienna  con  molti  de'  loro  ve- 
scovi sulfraganei,  e  molti  abbati, 
vi  compilarono  un  regolamento 
composto  di  quarantadue  articoli 
o  canoni,  per  la  maggior  parte  ris- 
guardauti  la  disciplina  ecclesiastica. 
In  questi  canoni  si  veggono  i  dis- 
ordini, che  allora  regnavano  in 
Germania.  Tra  gli  altri  molti  ec- 
clesiastici frequentavano  le  osterie, 
giuocavano  ai  dadi,  entravano  nei 
monisteri  delle  religiose,  giuocava- 
no nei  tornei,  mantenevano  concu- 
bine, entravano  nei  benefìzi  per 
intrusione  fraudolenta,  e  riceveva- 
no benefizi  da  mani  laiche  senza 
la  collazione  dell'Ordinario.  I  ve- 
scovi trascuravano  in  guisa  la  vi- 
sita delle  loro  diocesi,  che  trova- 
vansi  persone  sessagenarie,  le  quali 
non  erano  cresimate.  Ne  minore 
era  il  rilassamento  presso  i  mona- 
ci: alcuni  vestivano  abiti  secolari; 
si  permetteva  troppo  alle  religiose 
di  uscire  dai  monisteri,  e  di  prov- 
vedere in  particolare  al  manteni- 
mento e  al  vestito  loro.  Per  l'al- 
tra parte  si  dilapidavano  i  beni 
degli  ecclesiastici,  oltraggiavansi  le 
loro  persoue,  erano  impunemente 
uccisi ,  feriti ,  mutilali  ,  carcerati  ; 
tutti  questi  disordini  erano  l'effetto 
almeno  in  parte  della  lunga  vacan- 
za dell'  impero  ,  della  deposizione 
di  Federico  II,  fatta  nel  concilio 
generale  di  Lione,  dal  Papa  Inno- 
cenzo IV,  ciocché  avea  ridotta  la 
Germania  in  istato  d' anarchia.  I 
concili  perciò  radunati  non  vi  op- 
ponevano che  delle  scomuniche  e 
degl'  interdetti  ;  deboli  rimedi  per 
mali  sì  gravi,  particolarmente  per 
le  violenze,  alle  quali  non  si  po- 
teva opporre  che  la  podestà  seco- 
lare. Regia  t.  XXVIII,  Labbé  t.  XI, 
Arduino  t.  VII,   e  Diz.  de  Concili. 


ERG 

Il  p.  Mansi,  nel  t.  Ili,  col.  129 
e  i3o  del  citato  supplem.,  crede 
che  debbasi  aggiugnere  agli  atti  di 
questo  concilio  quanto  si  legge  nel- 
la cronaca  di  Eccardo,  vale  a  dire 
che  il  vescovo  di  Toul,  già  fran- 
cescano, si  oppose  solo  in  questo 
concilio  a  ciò,  ch'esigeva  giusta- 
mente il  Papa  Onorio  IV  intorno 
ai  beni  ecclesiastici.  Di  più  :  un 
canone  nel  quale  fu  ordinato  agli 
abbati,  alle  abbadesse,  ai  priori  ec, 
che  ritenevano  alcuni  possedimen- 
ti ecclesiastici  per  cauzione,  avendo 
ricevuto  più  di  quello  che  aveva- 
no prestato,  dovessero  restituirlo  ai 
prelati  delle  chiese  cui  appartene- 
vano i  detti  beni  in  origine.  Lo 
stesso  p.  Mansi  nel  tom.  HI,  col. 
343  e  seg.  cita  un'  assemblea  te- 
nuta in  Erbipoli  pel  ristabilimen- 
to della  pace  in  Germania  nel 
i  1 2 1  ;  e  dice  che  non  va  confusa 
con  l' altra  di  cui  parla  Anselmo 
di  Gemblac,  dappoiché  in  questa 
nulla  fu  conchiuso,  ciò  ch'ebbe  luo- 
go neh'  altra. 

ERCAVICA,  o  ERGA  VIC  A.  Cit- 
tà vescovile  della  Spagna  Tarra- 
gonese,  già  abitata  dai  celtiberi , 
al  sud  di  Bilbilis,  ed  assai  una  vol- 
ta considerabile.  Tito  Livio,  par- 
lando della  campagna  di  Gracco , 
dice  che  Eigavica,  città  illustre  e 
possente,  cadde  in  potere  di  lui. 
Strabone  la  cita  come  una  di  quel- 
le, il  cui  territorio  fu  il  teatro  del- 
la guerra  tra  Sertorio  e  Marcello. 
Secondo  il  Morales,  Ercavica,  che 
altri  pur  chiamarono  Ergavico.,  era 
situata  tra  la  città  di  Cesarea  e 
quella  di  Malina,  dove  scorgesi  pre- 
sentemente un  luogo  chiamato  Mu- 
da di  s.  Giovanni,  nel  quale  tro- 
vansi  molte  vestigia  d'antichità  ro- 
mane. Queste  vestigia  sono  nel  re- 
gno d'  Aragona,  a  cinque  leghe  del- 


ERG  27 

la  città  d*  Albarazin ,  o  d'  Albari- 
zin,  fre  due  villaggi  chiamati  Grie- 
gos  e  Gualatiaz,  dove  secondo  l'an- 
tica tradizione  del  paese,  era  si- 
tuata la  città  di  Ercavica.  Si  tro- 
vava lungi  da  Segobriga  o  Arco- 
briga,  il  cui  vescovato  era  soggetto 
a  quello  di  Ercavica,  ch'eretto  nel 
sesto  secolo  venne  sottoposto  alla 
metropoli  di  Toledo.  Erangli  pure 
soggette  le  sedi  di  Compiuto,  pre- 
sentemente Alcalà  di  Henares,  Si- 
guenza,  e  Falera  o  Valeria,  sog- 
gettate poscia  a  Cuenca.  Ervarica 
fu  distrutta  interamente  dai  mori, 
ed  il  vescovato  venne  trasferito  in 
Albarizin,  Lobetum,  siccome  il  luo- 
go più  proprio,  ed  il  più  fotte  pei 
vescovi  e  pei  cristiani,  dopo  avere 
avuto  ventisette  vescovi.  Albarazin 
è  suffraganea  dell'  arcivescovo  di 
Saragozza  ;  la  sua  cattedrale  è  de- 
dicata al  ss.  Salvatore;  il  capitolo 
ha  quattro  dignità,  otto  canonici 
compreso  il  penitenziere,  e  diversi 
beneficiati.  Un  prete  esercita  ivi 
le  funzioni  di  parroco,  vi  sono  pure 
nella  città  due  altre  parrocchie, 
tutte  munite  di  battisterio.  L'epi- 
scopio è  contiguo  alla  cattedrale; 
vi  sono  quattro  monisteri,  e  con- 
venti di  religiosi,  ed  uno  di  mona- 
che, come  avvi  il  seminario,  l'ospe- 
dale, e  il  monte  di  pietà.  Ad  ogni 
nuovo  vescovo  la  mensa  è  tassata 
nei  libri  della  camera  apostolica  in 
fiorini  cinquanta. 

ERCOLAJNI  Luigi,  Cardinale. 
Luigi  Ercolani,  discendente  da  no- 
bile famiglia  di  Sinigaglia,  nacque 
in  Foligno  a'  17  ottobre  del  1758. 
Mandato  a  Roma  da'  suoi  sino  dai 
più  teneri  anni,  fu  educato  nel  no- 
bile collegio  Nazareno  dei  pp.  Sco- 
lopi ,  e  compì  i  suoi  studi  nella 
nobile  accademia  ecclesiastica ,  e 
quindi  continuò  a  dimorare    quasi 


*8  ERG 

sempre  nella  medesima  città.  Seb- 
bene egli  sia  stato  l'ultimo  super- 
stite maschio  di  sua  doviziosa  fa- 
miglia, nondimeno  restò  sempre 
celibe,  e  benché  secolare  fu  ognora 
più  intento  alla  pietà,  che  alle  cose 
mondane.  Allorquando  nel  1814 
felicemente  fu  ristabilito  in  Roma 
il  paterno  e  soave  governo  ponti- 
ficio, egli  per  la  fiducia  e  stima 
eh*  erasi  guadagnata,  meritamente 
fu  scelto  fra  i  membri  della  con- 
gregazione di  governo  temporanea- 
mente stabilita,  ed  ebbe  il  mini- 
stero delle  finanze,  avendo  già  fat- 
to parte  della  deputazione  delle 
medesime  finanze  al  cessare  dell'e- 
ra repubblicana.  Non  andò  guari, 
che,  senza  percorrere  veruna  car- 
riera prelatizia,  Pio  VII  lo  anno- 
verò tra  i  suoi  prelati  domestici, 
e  lo  promosse  alla  cospicua  carica 
di  tesoriere  generale.  Ne  funse  l'uf- 
fizio con  zelo,  integrità,  e  con  van- 
taggio de'luoghi  pii,  i  quali  pel  cam- 
biamento dell'amministrazione  stra- 
niera, che  li  avea  soppressi ,  suc- 
cessivamente andarono  a  ripristi- 
narsi. Rapida  perciò  ne  fu  la  pro- 
mozione alla  sagra  porpora;  laon- 
de Pio  VII  agli  8  marzo  1816  lo 
creò  Cardinale  diacono,  e  lo  riser- 
vò in  petto:  poscia  lo  pubblicò  nel 
concistoro  de'  11  luglio  del  mede- 
simo anno.  All'  articolo  Diaconie 
Cardinalizie  (Vedi),  dicemmo  co- 
me il  Cardinale  passò  all'ordine 
presbiterale  col  titolo  di  s.  Marco, 
essendosi  ordinato  sacerdote.  Il  me- 
desimo Papa,  nel  18 18,  lo  fece  ab- 
bate commendatario,  ed  ordinario 
dell'abbazia  di  s.  Maria  di  Farfa, 
e  di  s.  Salvatore  maggiore.  Di  que- 
sto pastorale  governo  fa  onorata 
menzione  il  eh.  monsignor  Marino 
Marini,  nella  Serie  cronologica  di 
questi  abbati,  a  pag.  28,  e  quali- 


ERC 
fica  il  nostro  Cardinale  uomo  re- 
ligiosissimo, e  degli  indigenti  largo 
sovvenitore.  Ebbe  egli  questa  ab- 
bazia per  alcun  tempo,  prima  in 
governo,  poi  in  amministrazione,  e 
dopo  di  lui  fu  dal  Papa  conferita 
al  Cardinal  Cavalchini.  Ma  questi, 
avendola  quasi  subito  abdicata,  ven- 
ne di  nuovo  Ercolani  destinato  a 
presiedervi,  e  la  ritenne  sino  alla 
morte.  Di  questa  abbazia  il  Cardi- 
nale fu  provvido  benefattore,  sia  col 
l'istaurare  le  chiese,  cui  fece  dono 
di  suppellettili  ed  arredi  sagri ,  e 
sia  col  migliorare  i  fondi  delle  pa- 
niceli i  e,  facendo  rifiorire  il  semi- 
nario di  s.  Salvatore,  coll'incorag- 
gi mento  accordato  ai  maestri,  e  col 
mantenervi  a  sue  spese  undici  gio- 
vanetti. Ai  suoi  diocesani  in  più. 
modi  fu  utile,  ed  estese  la  sua  ge- 
nerosità persino  alla  chiesa  di  s. 
Salvatore  in  Campo  di  Roma,  per- 
chè soggetta  all'abbazia  di  Farfa, 
operandovi  utili  ristauri.  Fu  inol- 
tre prefetto  dell'economia  della  sa- 
gra congregazione  di  Propaganda 
Fide,  e  fece  parte  di  quella  de' ve- 
scovi e  regolari,  del  concilio,  della 
correzione  de'  libri  della  Chiesa  o- 
rientale,  della  fabbrica  di  s.  Pie- 
tro, di  consulta,  del  buon  governo, 
della  lauretana  ,  e  dell'  economica. 
Eziandio  fu  visitatore  apostolico 
dell'  arciconfraternita  della  ss.  An- 
nunziata ,  e  del  monistero  de'  ss. 
Giacomo  e  Maddalena ,  non  che 
con  visitatore  della  pia  casa  de'  ca- 
tecumeni. Fra  le  sue  protettone, 
nomineremo  la  benemerita  congre- 
gazione di  s.  Ivo,  il  collegio  dei 
maroniti,  e  quello  dei  caudatari, 
le  arciconfraternite  degli  agonizzan- 
ti, del  ss.  Crocefisso,  di  s.  Girola- 
mo della  carità ,  del  monistero  di 
s.  Orsola  di  Foligno,  delle  bene- 
dettine di  Corneto,  e  delle  cappuc- 


ERE 

cine  di  Fabriano  ;  dell'  intero  Or- 
dine carmelitano  ;  della  congrega- 
zione del  buon  Gesù  di  Foligno , 
della  città  di  Sinigaglia,  di  Pergo- 
la e  di  Poggio  Mirteto.  Fu  an- 
che grande  di  Spagna,  e  gran  cro- 
ce dell'Ordine  della  Concezione. 
D'  animo  grande,  \isse  con  decoro 
corrispondente  alle  sue  ricchezze , 
e  con  una  carità  verso  i  poveri , 
la  quale  non  avea  altri  limiti,  che 
quelli  delle  proprie  forze.  Dopo  es- 
sere intervenuto  al  conclave  per 
l'elezione  di  Leone  XII,  e  di  aver 
beneficato  la  sua  chiesa  titolare,  al 
modo  che  dicemmo  al  voi.  XII, 
pag.  88  del  Dizionario,  nonché  i 
propri  famigliali,  assalito  da  una 
paralisi,  con  lenta  e  dolorosa  ma- 
lattia finì  di  vivere  a'  io  dicem- 
bre 1825,  nell'età  di  sessantotto 
anni,  e  fu  deposto  in  mezzo  alla 
detta  chiesa  titolare,  con  corrispon- 
dente e  decorosa  iscrizione  di  elo- 
gio. 

EREDIO  (di  s.)  Elia,  Cardina- 
le. Elia  di  s.  Eredio  volgarmente 
saint  Yrieix,  nacque  in  Attano,  og- 
gidì s.  Aredio  nel  Limosino,  e  pro- 
fessò nell'Ordine  di  s.  Benedetto . 
Nel  i335  divenne  abbate  di  s. 
Fiorenzo,  nella  diocesi  di  Samur, 
e  ricevette  la  laurea  nel  diritto  ca- 
nonico. Ma  spinto  dal  desiderio  di 
condurre  una  vita  più  austera,  co- 
me scrivono  parecchi  autori ,  ab- 
bracciò l'Ordine  minoritico,  presso  il 
quale  così  si  distinse  nella  più  pro- 
vetta virtù,  che  il  Papa  Clemente 
VI,  nel  i345,  lo  promosse  al  ve- 
scovado di  Uzes.  Non  mancano  pe- 
rò scrittori,  tra'  quali  Giorgio  Eggs, 
nel  Supplemento  alla  porpora  dot- 
ta, i  quali  dimostrano  con  forti 
prove  non  esser  vero  quel  passag- 
gio dalla  benedettina  alla  france- 
scana famiglia  ;    e    il  Baluzio  nelle 


ERE  29 

Note  alle  vite  de'  Papi  di  Avigno- 
ne, t.  I,  tacendo  questo  fatto,  scri- 
ve che  il  monaco  Elia  fu  uditore 
delle  contraddette.  Nel  novembre 
del  1 35 1  trovossi  presente  al  con- 
cilio provinciale  celebrato  nella  cat- 
tedrale di  Beziers  dal  Cardinale 
Pietro  del  Giudice,  arcivescovo  di 
Narbona.  Fu  promosso  quindi  al 
Cardinalato  in  Avignone  da  Inno- 
cenzo VI  a'  19  dicembre  del  i356, 
e  gli  fu  assegnato  il  titolo  di  s. 
Stefano  in  Montecelio.  Da  questo 
però,  nel  1 363,  dopo  la  morte  del 
Cardinal  Alberti,  passò  al  vesco- 
vado di  Ostia  e  di  Velletri.  Fu  an- 
che in  seguito  designato  coi  Car- 
dinali deputati  a  giudicare  la  cau- 
sa di  Riccardo,  arcivescovo  di  Ar- 
ni acano,  contro  i  frati  mendicanti. 
Innocenzo  VI  gli  diede  eziandio  la 
commissione  di  esaminare  la  con- 
troversia insorta  tra  il  vescovo  di 
Valence  e  Aimaro  conte  di  Poi- 
tiers,  a  cagione  del  castello  di  di- 
sta. Così  pure  Urbano  V  lo  de- 
stinò giudice  della  quistione,  che 
allora  si  agitava  tra  il  capitolo  del- 
la cattedrale  di  Parigi ,  e  quello 
della  collegiata  di  s.  Benedetto. 
Pose  fine  alla  mortale  carriera  in 
Avignone,  l'anno  1367,  e  in  quella 
cattedrale  ebbe  la  tomba.  Scris- 
se alcune  opere,  di  cui  al  presente 
non  si  ha  memoria  alcuna  :  anzi 
da  molti  scrittori  vengono  piutto- 
sto attribuite  al  Cardinale  Elia  di 
Nabilan  {Vedi). 

EREMBERTO  (s.).  Nacque  s. 
Eremberto  nel  contado  di  Poissy, 
e  sentitosi  chiamato  allo  stato  mo- 
nastico andò  a  ricoverarsi  nel  con- 
vento di  Fontenelle.  Clotario  UT, 
informato  della  santità  e  dottrina 
di  Eremberto,  lo  propose  alla  sede 
vescovile  di  Tolosa.  Obbedì  egli 
contro    sua    voglia ,  e  resse  quella 


la  eri: 

diocesi  con  saggio  ed  edificante 
governo  pel  corso  di  anni  dodici , 
in  capo  ai  quali,  attesa  la  sua  vec- 
chiaia e  i  molli  acciacchi,  non  po- 
tendo più  attivamente  disimpegna- 
re  il  gelosissimo  incarico,  si  dimi- 
se spontaneo,  e  tornò  di  bel  nuo- 
vo al  suo  monistero,  sotto  la  di- 
rezione di  s.  Lamberto,  successo  a 
s.  Vandrillo.  Morì  santamente  verso 
Tanno  671,  e  la  sua  festa  è  asse- 
gnata a'  14  maggio. 

EREMITA  (Eremita,  Anacho- 
reta,  vir  solitarius).  L'eremita  è  un 
uomo  divoto,  che  si  è  ritirato  nel- 
la solitudine,  per  meglio  dedicarsi 
a  Dio ,  attendere  alla  orazione,  ed 
alla  contemplazione  delle  cose  ce- 
lesti, ed  ivi  vivere  lontano  dal  con- 
versare del  mondo.  Eremita  è  voce 
greca,  che  significa  solitario.  Si  di- 
stingue T  eremita  dall'  Anacoreta 
(Vedi),  perchè  questi  discostandosi 
dalia  conversazione  umana,  vive  so- 
litario nei  deserti,  cibandosi  di  er- 
be, o  altri  prodotti  e  fruiti  della 
terra,  ad  imitazione  di  s.  Giovanni 
Battista.  Anacoreta  poi  si  chiama 
colui,  che  nel  proprio  monistero 
vive  separato  dagli  altri  monaci 
chiusi  nella  cella,  come  sono,  al 
dire  del  Macri,  i  camaldolesi  ere- 
miti, ed  i  certosini.  I  maroniti  li 
chiamano  Habis,  che  significa  im- 
prigionato. Appresso  di  essi  vi  sono 
anche  vescovi ,  che  nei  monisteri 
fanno  vita  da  anacoreti,  chiusi,  e 
separati  dagli  altri  monaci,  e  vi- 
vono in  perpetuo  silenzio.  Il  Mu- 
ratori, nelle  Dissert.  sopra  le  an- 
tichità Italiane,  nella  dissero  LXV, 
sull'erezione  de'  monisteri ,  e  del- 
l'istituto de'  monaci,  dice  che  una 
volta  furono  rinomati  anche  gì'//*- 
chiusi,  cioè  gli  eremiti  antichi  ,  la 
vita  austera  de'  quali  si  tirava  die- 
tro l'ammirazione  d'ognuno.    E   fu 


ERE 

dopo  il  terzo  secolo  della  Chiesa,  che 
cominciarono  a  vedersi  uomini  di 
tal  pietà,  che  si  confinavano  nel 
recinto  di  una  Cella  (I ''etli),  dove 
senza  uscirne  giammai  menavano 
il  resto  della  vita,  superando  coloro 
che  si  chiamavano  anacoreti.  Du- 
ro questa  sorte  di  monaci  per  più 
secoli,  e  quantunque  da  Cassiano, 
e  da  s.  Isidoro  non  sia  approvato 
l'istituto  loro,  pure  dal  popolo  ris- 
cuotevano una  gran  venerazione. 
Tali  si  possono  chiamare  anche  gli 
stiliti,  famosi  in  oriente.  Trovatisi 
ancora  vergini  e  donne,  che  chiu- 
se in  qualche  cella ,  seguitarono 
questa  maniera  di  vivere.  V.  Ere- 
mo, e  Disciplina  Regolare. 

Alcuni  fanno  rimontar  l'origine 
della  vita  eremitica  sino  ad  Elia, 
ed  a  s.  Gio.  Battista.  Però  l' opi- 
nione più  comune  è  che  s.  Paolo 
primo  eremita,  nativo  della  bassa 
Tebaide,  fosse  il  padre,  ed  il  pri- 
mo degli  eremiti.  Le  persecuzioni 
contro  i  seguaci  del  vangelo  die- 
dero occasione  ai  primi  cristiani 
d'ambo  i  sessi,  di  ritirarsi  nei  de- 
serti tanto  per  evitare  le  crudeltà 
dei  tiranni,  quanto  per  praticarvi 
gli  esercizi  della  vita  Asceta,  o  A' 
scetica  (Vedi).  Che  la  vita  solita- 
ria e  monastica  venisse  introdotta 
nella  Chiesa  sino  dai  suoi  primi 
tempi,  lo  si  legge  nel  Ruinart,  Atti 
sinceri  de  martiri.  Che  poi  lo  stato 
eremitico  sia  eccellente  in  sé  stesso, 
lo  abbiamo  dagli  scritti  de'  santi 
padri  pieni  di  elogi  su  questo  pun- 
to. Parecchi  fra  loro  vi  hanno  pas- 
sato una  parte  della  loro  vita,  ed 
ingiustamente  gli  eretici  la  condan- 
nano, come  dimostra  il  Bergier  al- 
la voce  Eremita.  Egli  dice  :  «  alla 
parola  Anacoreta  abbiamo  fatto 
1'  apologia  della  vita  solitaria  ,  ov- 
vero eremitica,  e  contro    la    stolta 


ERE 

censura  dei  filosofi  increduli,  mo- 
strammo, che  un  tal  genere  di  vi- 
ta non  è  un  effetto  di  misantro- 
pia, ne  una  violazione  dei  doveri 
della  società  e  dell'umanità,  ne  un 
esempio  inutile  al  mondo,  e  con- 
futammo i  tratti  satirici  lanciati  dai 
protestanti  contro  gli  eremiti  ". 
Forse  alcuni  scelsero  questo  gene- 
re di  vita  per  non  essere  dipen- 
denti, altri  per  nascondere  il  liber- 
tinaggio col  velo  della  pietà;  ma 
questi  abusi  non  sono  giammai  stali 
comuni ,  ed  assai  ingiustamente  gli 
increduli  ne  accusano  i  solitari  in 
generale.  Gli  antichi  storici,  ed  an- 
che i  romanzieri  parlano  con  ve- 
nerazione degli  eremiti  ;  compren- 
devasi  che  se  non  ne  fosse  stata 
sincera  la  pietà ,  non  avrebbero 
perseverato  lungo  tempo  nella  vita 
austera ,  che  avevano  intrapreso. 
Tra  gli  stessi  protestanti  si  forma- 
rono alcune  società,  che,  tranne  il 
celibato,  hanno  molta  rassomiglian- 
za colla  vita  degli  antichi  cenobi- 
ti:  tali  sono  gli  emuli,  o  ernute- 
rii  ,  setta  di  entusiasti  introdotta 
negli  ultimi  tempi  nella  Moravia  , 
nella  Veteravia,  nell'Olanda  e  nel- 
T  Inghilterra,  conosciuti  sotto  il  no- 
me di  fratelli  moravi. 

Si  distinguono  due  sorta  di  ere- 
miti ',  gli  uni  sono  attaccati  a  qual- 
che regola  appartenente  alla  Chie- 
sa, e  vivono  sotto  un  legittimo  su- 
periore ;  gli  altri  non  lo  sono ,  e 
portano  solamente  l'abito,  che  pos- 
sono dimettere  quando  loro  piace. 
I  primi  eremiti  sono  veri  religiosi, 
e  godono  dei  privilegi  propri  del 
elencato  ;  gli  altri  non  lo  sono,  e 
perciò  non  lì  godono.  Di  questi 
ultimi  ve  ne  sono  nelle  chiese  sub- 
urbane di  Roma,  e  in  qualche 
chiesa  di  titolo,  o  diaconia  cardi- 
nalizia, poste  ne'rimoti  luoghi  del- 


3ERE  3r 

la  città,  i  quali  hanno  la  custodia 
di  dette  chiese,  incedono  in  abito 
religioso  di  lana  naturale,  vivono 
di  questue,  ed  oltre  che  dai  supe- 
riori delle  rispettive  chiese,  sono 
dipendenti  dal  Cardinal  vicario. 
Qui  appresso  riporteremo  i  prin- 
cipali Ordini ,  e  congregazioni  di 
eremiti,  secondo  l'epoca  de' tempi, 
in  cui  furono  istituiti,  i  quali  però 
nella  maggior  parte  più  non  esi- 
stono. 

Eremiti  di  s.  Paolo.  V.  S.  Pao- 
lo rumo  eremita,  Ordine  religioso. 

Eremiti  di  Monte  Luco.  Rac- 
conta il  Bonanni ,  Catalogo  degli 
Ordini  religiosi,  par.  HI,  pag.  IX, 
che  in  un  monte  poco  distante  dal- 
la città  di  Spoleto,  chiamato  Mon- 
te Luco,  vivono  alcuni  eremiti,  i 
quali  riconoscono  la  loro  istituzio- 
ne da  s.  Giovanni  di  Antiochia. 
Questi  si  recò  in  Italia,  fu  creato 
vescovo  di  Spoleto  dal  Pontefice  s. 
Caio,  e  patì  il  martirio  sotto  Mas- 
simiano 1'  anno  3o4-  Ciascuno  di 
questi  eremiti  vive  ritirato  in  sepa- 
rate celle,  come  gli  eremi  de'  ca- 
maldolesi. Riconoscono  però,  e  di- 
pendono da  un  capo  chiamato  il 
priore,  che  eleggesi  ogni  anno  con 
voti  segreti  :  vi  sono  sacerdoti  e 
laici,  i  primi  chiamati  padri,  i  se- 
condi frali.  Però  tali  eremiti  pel- 
le vicende  de' tempi,  terminarono 
di  esistere  nel  secolo  decorso.  L'a- 
bito nella  forma  partecipava  di 
quello  dei  paololti,  ed  il  colore  era 
cannella  scuro.  Dopo  averlo  preso 
facevano  un  anno  di  noviziato,  in- 
di erano  ammessi  nella  congrega- 
zione senza  voli  ,  onde  potevano 
ritirarsi,  od  essere  licenziati.  Si  e- 
sercitavano  negli  esercizi  spirituali 
e  manuali  ;  potevano  possedere  be- 
ni stabili,  e  quanto  raccoglievano 
dai  benefattori  ponevasi    in  comu- 


39.  ERE 

«e.  Alcuni  di  questi  eremili  anda- 
vano scalzi ,  altri  usavano  scarpe 
o  zoccoli,  e  fuori  del  romitorio 
portavano  il  cappello ,  il  bastone 
e  la  sporta,  come  si  vede  nella  fi- 
gura, che  produce  il  Bonanni.  Di 
questi  religiosi  si  leggono  le  noti- 
zie storiche  nel  Jacobilli  nella  vita 
di  s.  Francesco  di  Paola,  nel  Leon- 
cilli,  e  nel  Campelli  nella  storia  di 
Spoleto.  Ma  da  ultimo,  nel  i836, 
vennero  compendiate  dottamente 
nell'  Orazione  accademica  illustra- 
ta con  erudite  notte,  e  detta  per 
la  solenne  distribuzione  de'  premi 
dell'  arcivescovile  seminario  Spole- 
tino.  Ivi,  a  pag.  22,  si  legge  che 
negl'impuri  boschi,  e  ne' delubri 
del  monte  Luco,  mercè  i  Benedet- 
ti e  gl'Isacchi,  ebbero  culla  i  ce- 
nobiti  di  occidente.  Si  celebrano  i 
superstiti  eremi,  e  pel  primo  quel- 
lo maggiore  di  Nostra  Signora  del- 
le grazie,  eretto  dal  vescovo  di 
Spoleto  Sanvitale,  e  dal  Cardinal 
Cibo  abbellito;  cosi  si  parla  del 
luogo  prescelto  a  sua  dimora  da 
s.  Isacco  e  suoi  compagni  e  con- 
sorti nel  martirio,  che  patirono 
sotto  Domiziano  e  Massimiano.  Si 
descrive  il  cenobio  di  s.  Giuliano, 
la  cui  chiesa  vuoisi  uno  de'migliori 
monumenti  dell'architettura  più  re- 
mota del  medio  evo.  Essa  fu  eretta  da 
un  altro  s.  Isacco,  abbate  coetaneo  di 
8.  Benedetto,  colla  sovvenzione  del- 
la santa  vergine  Spoletina  Grego- 
ria.  Ivi  dicesi  essere  questo  santo 
l' istitutore  di  quella  schiera  av- 
venturosa di  santi  eremiti,  che  po- 
polarono i  romitori  del  monte  Lu- 
co. I  cenobiti  di  s.  Giuliano  adot- 
tarono poscia  la  regola  benedettina, 
e  con  essa  fiorirono  per  lunga  età, 
ed  ebbero  santissimi  abbati  e  mo- 
naci sepolti  in  detta  chiesa,  mentre 
le  ceneri    di  s.   Isacco    riposano   in 


ERE 
quella  di  s.  Ansano.  S.  Isacco  vuoi- 
si scrittore  di  monastiche  regole 
pei  cenobiti  del  monte  Luco.  Negli 
eremi  pur  eretti  con  austeri  ordi- 
namenti, rinnovati  dal  celebre  Vi- 
gile vescovo  di  Spoleto,  fiorirono 
romiti  di  provata  santità,  tra'quali 
fra  Egidio  di  Gregorio  da  Spole- 
to, e  il  b.  Gregorio  di  s.  Brizio, 
che  oggi  si  venera  in  un  altare 
dedicatogli  nella  metropolitana  spo- 
letina. 

Eremiti  di  s.  Agostino.  V.  Ago- 
stiniani O  EREMITI  DI  S.  AGOSTINO, 
ED    AGOSTINIANI    SCALZI. 

Eremiti  Camaldolesi  di  Tosca- 
na. V.  voi.  VI,  pag.  297  del  Di- 
zionario s  tuttora  esistenti. 

Eremiti  fondati  da  s.  Guglielmo 
di  Vercelli.  V.  Monte  Vergine, 
tuttora  esistenti. 

Eremiti  fondati  da  s.  Gugliel- 
mo.  V.  Guglielmiti. 

Eremiti  di  Monte  Bello.  V.  Gi- 
rolamini  fondati  dal  b.  Pietro  Gam- 
bacorta, tuttora  esistenti. 

Eremiti  Girolamini.  V.  Girola- 
mini  istituiti  nel  secolo  XV  in  Fie- 
sole. V.  Girolamini  di  Fiesole,  non 
più.  esistenti. 

Eremiti  Camaldolesi  di  Monte- 
Corona.  V.  voi.  VI,  pag.  3oi  del 
Dizionario,  tuttora  esistenti. 

Eremiti  detti  Coloriti.  11  p.  Fi- 
lippo Bonanni  gesuita,  nella  sua 
parte  I  del  Catalogo  degli  Ordini 
religiosi,  a  pag.  CXXXVII,  tratta 
dell'  eremita  religioso  detto  colori- 
to, e  ce  ne  dà  la  figura  e  le  no- 
tizie. Racconta  egli,  che  nel  regno 
di  Napoli  eravi  un  Ordine  reli- 
gioso, il  quale  si  chiamava  de'  co- 
loriti da  un  colle  di  Calabria,  co- 
si detto,  situato  presso  la  terra  di 
Morano  nella  diocesi  di  Cassano, 
sul  qual  colle  era  un'antica  e  di- 
vota chiesa,  dedicata  alla  gran  Ma- 


ERE 

dre  di  Dio.  Un  pio  sacerdote,  chia- 
mato Bernardo,  nativo  della  terra 
di  Regiano,  fabbricò  presso  tal  chie- 
sa un  piccolo  tugurio,  dove,  ve- 
stito un  abito  aspro  di  eremita, 
viveva  in  continue  orazioni  e  peni- 
tenze, e  venerato  da  tutti  quelli 
che  visitavano  la  chiesa.  Perciò  al- 
cuni furono  allettati  a  vivere  seco 
lui,  e  quindi  la  principessa  di  Bi- 
signano  donò  loro,  nel  i552,  il 
colle  con  tutto  il  territorio. 

Questa  concessione,  venendo  con* 
fermata  da  Pio  IV,  nel  i56o,  si 
accrebbe  in  essa  il  numero  degli  e- 
remiti.  Avendo  poi  ordinato  s.  Pio 
V,  nel  1567,  che  tutti  quelli  i 
quali  vestivano  abiti  differenti  dai 
secolari,  o  li  lasciassero  o  profes- 
sassero i  voti  religiosi,  questi  ere- 
miti elessero  di  vivere  sotto  la  re- 
gola degli  eremiti  di  s.  Agostino; 
il  perchè  nel  1592  professarono 
pubblici  voti,  ritenendo  però  il 
nome  di  coloriti,  e  l'abito,  eh' è 
una  tonaca,  un  cappuccio  largo  e 
•  tondo,  sopra  del  quale  usavano  un 
mantello  corto,  il  tutto  rozzo,  e  di 
lana  dei  colore  naturale ,  come  di 
lana  era  la  cintura.  Volle  però 
monsignor  Fivizano,  allora  vicario 
generale  dell'  Ordine  romitano  di 
s.  Agostino,  che  portassero  sotto 
la  cintura  di  lana  quella  di  cuoio 
propria  degli  eremiti  agostiniani, 
e  che  gli  oblati  la  portassero  sul- 
la tonaca.  Questa  congregazione  con- 
fermata da  Clemente  Vili,  si  dilatò 
in  guisa  che  nei  primi  del  secolo  de- 
corso contava  undici  conventi,  go- 
vernati da  un  superiore  col  titolo 
di  vicario  generale.  La  vita  di  fr. 
Bernardo  fondatore  di  questi  ere- 
miti, nel  16 io  fu  pubblicata  colle 
stampe  da  Gio.  Leonardo  Tufa- 
rello. 

Eremiti    di    .9.   Giovanni    della 

VOL.     XXII. 


ERE  33 

penitenza.  Nel  regno  di  Navarra, 
e  principalmente  presso  la  città 
di  Pamplona,  fiori  questa  congre- 
gazione religiosa,  distribuita,  come 
riferisce  il  Maurolico,  in  cinque 
eremi,  in  ciascuno  de'  quali  vive- 
vano otto  eremiti  .  Il  primo  si 
chiamava  di  san  Clemente  ,  il 
secondo  della  Madonna  di  Mon- 
serrato,  il  terzo  di  s.  Bartolom- 
meo,  il  quarto  di  san  Martino, 
l'ultimo  di  s.  Fulgenzio.  Vivevano 
con  molta  austerità,  camminavano 
con  piedi  nudi,  vestivano  con  pa- 
no grosso  di  lana,  osservavano  con- 
tinuo silenzio,  cibavansi  di  legumi, 
e  bevevano  acqua;  si  disciplinava- 
no tre  volte  la  settimana,  ed  ogni 
giorno  nella  quaresima  ;  dormivano 
sulle  nude  tavole ,  e  portavano 
sempre  pendente  dal  collo  una  cro- 
ce di  legno  assai  pesante.  La  to- 
naca ,  che  cingevano  attorno  ai 
lombi  con  cintura  di  pelle,  era  di 
colore  lionato,  come  il  corto  man- 
tello, il  quale  ne  cuopriva  le  spal- 
le. Fiorì  questa  congregazione  di 
penitenti  per  molti  anni  soggetta 
al  vescovo  di  Pamplona;  ma  reca- 
tosi in  Roma  il  superiore,  ottenne 
da  Gregorio  XIII  l' approvazione 
delle  costituzioni,  e  l'esenzione  dalla 
giurisdizione  vescovile,  oltre  la  fa- 
coltà di  eleggere  un  provinciale  da 
cui  tutti  gli  eremiti  fossero  gover- 
nati. V.  il  p.  Bonanni,  Catalogo 
degli  Ordini  religiosi,  parte  I,  pag. 
CXXIII,  ove  pure  ce  ne  dà  la  fi- 
gura. Tratta  di  questi  eremiti  an- 
che il  Bergier,  al  proprio  articolo. 
Eremiti  di  Roma.  Narra  il  Fa- 
nucci,  nelle  Opere  pie  di  Roma, 
che  un  certo  Albenzio  Rossi  cala- 
brese, della  terra  di  Cedraro,  dopo 
avere  per  lungo  tempo  cercata  l'e- 
lemosina per  l'arciconfraternita  del- 
la Carità  dei  cortigiani,  e  per  le 
3 


34  ERE 

zitelle  del  Conservatorio  di  s.  Ca- 
ieri  fid.  dt  Fu  nari  (ledi),  fondò  coi 
soccorsi  di  pii  benefattori  in  Ro- 
ma, e  presso  la  porta  Angelica  nel- 
la città  Leonina,  un  piccolo  ospe- 
dale. Quivi  egli  riceveva  i  poveri 
romiti  forestieri  per  alloggiarli ,  e 
prmcipalmente  assisterli  se  infermi. 
Ad  aiuto  di  questa  opera  elesse 
de'  compagni ,  i  quali  cercassero 
l'elemosina,  dicendo  con  voce  alla: 
Facciamo  bene  adesso  che  abbia- 
mo tempo.  Vestivano  panno  grosso 
di  lana  bianca,  ed  incedevano  per 
Roma  co'  piedi  scalzi ,  e  col  cap- 
pello in  una  mano,  tenendo  nell'al- 
tra la  bussolelta  per  ricevere  l'ele- 
mosine. Appresso  1 l'ospizio,  o  speda- 
le, eravi  una  piccola  chiesa  dedi- 
cata all'  Ascensione  del  Signore , 
nella  quale  il  fondatore  di  questi 
eremili  co'  compagni,  recitava  le 
litanie  con  altre  orazioni.  Il  Paa- 
ciroli  dice,  che  la  chiesa  con  ap- 
provazione di  Sisto  V,  fu  fabbri- 
cata nel  1 588.  La  loro  congrega- 
zione, che  sembra  incominciata  nel 
i588,  successivamente  si  aumentò 
senza  professare  voti  religiosi,  per 
cui  molti  individui  presero  l'abito 
eremitico.  Nella  chiesa  Albenzio  po- 
se una  divota  immagine  della  b. 
Vergine,  la  quale  nel  1587  avea 
portato  da  Terra  santa,  e  pei  mi- 
racoli e  per  le  grazie,  che  Dio  ope- 
rava a  favore  di  quanti  con  divo- 
zione ad  essa  ricorrevano,  prese  la 
denominazione  di  s.  Maria  o  Ma- 
donna delle  Grazie,  e  pel  concor- 
so, e  per  1'  elargizione  dei  fedeli , 
massime  del  Cardinal  Laute,  si  po- 
tè edificare  la  bella  chiesa,  che  tut- 
tora sussiste ,  rimanendo  sempre 
l'immagine  in  particolar  venera- 
zione. Perchè  poi  rimanesse  la  me- 
moria dell'antico  titolo  della  chie- 
sa ,    Albenzio    le    dedicò   la  prima 


ERE 

cappella,  eh' è  sagra  nll'AsceiiMcnc. 
Gli  eremiti  vivevano  sotto  la  pro- 
tezione di  un  Cardinale  con  vita 
comune,  dando  ogni  giorno  da 
mangiare  a  tredici  poveri,  secondo 
l'istituzione  del  fondatore.  Celebra- 
vano la  festa  dell'Ascensione,  e  quel- 
la della  beata  Vergine  agli  1 1  giu- 
gno, perchè  in  tal  giorno  nell'an- 
no 16 18  fu  per  la  prima  volta 
esposta  alla  pubblica  venerazione , 
ovvero  perchè  fece  il  primo  mira- 
colo. L'abito  adottato  poscia  da 
questi  eremiti,  è,  come  si  vede 
nella  figura  riportata  dal  p.  Bo- 
nanni,  nel  Catalogo  degli  Ordini 
religiosi,  par.  111.  pag.  XIV,  ove 
riferisce  le  notizie  di  essi.  Consiste- 
va in  abito  di  tela  grossa  bianca 
corto,  mantello  pure  corto,  cap- 
pello bianco.  Siccome  poi  non  por- 
tai ano  calze,  usavano  scarpe  o 
sandali ,  come  scrive  il  Piazza , 
Opere  pie  di  Roma  _,  pag.  35, 
capo  X  Dello  spedale  dell' 'Ascen- 
sione de'  romiti  a  porta  Angelica. 
Questo  scrittore  aggiunge,  che  Cle- 
mente X  collocò  in  una  parie  del 
convento  dei  romiti  un  ospizio  pei 
convertendi  (Vedi),  eie  è  per  quelli 
che  recavansi  in  Roma  ad  abiura- 
re gli  scismi  e  le  eresie,  avendo 
contribuito  a  sì  lodevole  impresa 
il  Cardinal  Cesare  Rasponi  coli'  e- 
redità  a  tal  effetto  lasciata.  In  pro- 
gresso di  tempo  l' ospizio  venne 
trasferito  ove  ora  sta ,  presso  la 
chiesa  di  s.  Giacomo  Scossacavalli 
in  Borgo.  Cessando  poi  di  esistere 
gli  eremiti,  in  vece  la  chiesa  ed  il 
contiguo  convento  si  diedero  ai  re- 
ligiosi della  Penitenza  (Vedi),  delti 
degli  Scalzetti,  dopo  la  metà  del 
secolo  decorso.  A  detto  articolo  si 
riparlerà  della  Chiesa  di  s.  Maria 
delle  Grazie. 

Eremiti  di  monte    Senario.  Nel- 


ERE 
l'anno  150,3,  Lelio  Baglioni  fioren- 
tino, generale  dell'Ordine  de' servi 
di  Maria,  vedendo  che  nel  monte 
Settario,  ove  ebbe  principio  la  sua 
religione,  e  dove  erano  sepolti  i 
corpi  dei  beali  fondatori,  abitavano 
in  luogo  angusto  tre  suoi  religiosi, 
determinò  di  fabbricarvi  dappresso 
una  chiesa,  con  decoroso  convento. 
All'uopo  ottenne,  nel  1 601,  da  Cle- 
mente Vili,  mediante  la  bolla  De- 
cet,  facoltà  di  porre  ad  effetto  il 
suo  desiderio,  che  eseguì  a  tenore 
della  pontificia  prescrizione .  Nel 
nuovo  convento  pose  sette  sacerdoti 
con  alcuni  laici,  i  quali  vivessero 
conforme  alla  primitiva  fondazione, 
non  mangiassero  mai  carne,  digiu- 
nassero ogni  seconda  e  quarta  feria 
dell'  anno  e  il  venerdì  ,  ma  nella 
quaresima  ed  avvento  il  digiuno 
di  tali  tre  giorni  fosse  di  pane  ed 
acqua  ;  come  ancora  prescrisse,  che 
vivessero  in  perfetta  vita  comune. 
Questo  eremo  venne  dichiarato  a- 
derente  al  convento  di  Firenze,  det- 
to della  ss.  Annunziata,  e  soggetto 
al  generale  dell'  Ordine.  Dipoi  il 
medesimo  Clemente  Vili,  colla  bol- 
la In  his  rebus,  confermò  la  pre- 
cedente, ed  ordinò  che  tra  gli  e- 
remili  fosse  eletto  un  vicario,  auto- 
rizzandolo ad  accordare  agli  infermi 
di  mangiar  carne.  Indi  Paolo  V  ag- 
giunse col  disposto  della  bolla  Se- 
dis  Apostolicae,  emanata  nel  16 12, 
la  facoltà  di  accettare  i  novizi,  miti- 
gando il  digiuno  in  pane  ed  acqua 
nel  mercoledì.  Questi  eremiti  ve- 
stivano di  panno  nero,  con  to- 
naca, pazienza  e  cappuccio ,  con 
un  mantello  lungo,  e  colla  barba 
come  i  cappuccini.  Michele  Fioren- 
tino, ed  altri  storici  de  Serviti  {Ve- 
di), descrissero  questo  eremo,  ed 
i  religiosi  eremiti,  non  che  il  p.  Bo- 
natini,  Catalogo  degli  Ordini  religio- 


ÌLKE  35 

si,  p.  I,  pag.  CXXV1I,  ove  ne  riporta 
anche  la  figura.  Tali  eremiti  cessa- 
rono di  esistere  nel  decorso  secolo 
EREMO  (Eremiti).  Luogo  solita- 
rio e  deserto  ,  soliludo,  focus  de- 
serlus  ,  dove  abitano  gli  Eremiti 
[Fedi).  Pigliossi  ancora  sovente  il 
nome  di  eremo  per  solitudine,  o 
deserto  renoso,  ed  ancora  si  chiamò 
eremitaggio  o  remilaggio,  ed  anco  ere- 
mitorio  e  romitorio.  Anticamente  gli 
eremi  erano  in  luoghi  incolti  e  sel- 
vaggi, o  anche  nel  più  folto  o  nel 
più  cupo  delle  foreste  meno  frequen- 
tale. I  solitari,  che  vi  si  ritiravano, 
non  crede vansi  mai  abbastanza  lonta- 
ni dal  commercio  degli  uomini;  ma 
la  fama  delle  loro  virtù  si  spar- 
geva loro  malgrado,  e  procurava 
ad  essi  a  poco  a  poco  ammiratori, 
di  voti  e  discepoli,  co'quali  talvolta 
edificarono  un  monistero  {Vedi)  , 
coltivavano  e  mettevano  a  frutto 
i  terreni  che  trovavano  all'intorno, 
o  anche  diboscavano  le  foreste  vi- 
cine. Perciò  siffatti  diboscamenti,  e 
bonificazioni  agricole  furono  soven- 
te cagione,  che  vicino  a  quegli  e- 
remi  primitivi  si  riunissero  abita- 
tori, e  formassero  borghi  e  città. 
Loda  la  solitudine,  ne  dimostra  i 
pregi  con  opportuni  testi,  massime 
di  s.  Bernardo  de  laudibus  eremi, 
il  Sarnelli  nella  lettera  XLV1I  , 
Dell'amore  della  solitudine,  nel  t. 
VII  delle  sue  lettere  ecclesiastiche. 
Dal  p.  Menochio,  Stuore,  tom.  I,  p. 
604,  abbiamo  il  cap.  LVIII,  del 
Monserrato  di  Spagna,  dell'imma- 
gine di  Nostra  Signora,  che  quivi 
si  venera  ,  e  degli  eremiti,  che  spar- 
latamente  abitano  in  quel  monte. 
Degli  eremiti ,  e  della  loro  varia 
condizione,  e  tenore  di  vita,  eru- 
ditamente tratta  il  Garampi  nella 
dissertazione  III  delle  sue  Memorie 
ecclesiastiche. 


36  ERE 

Narra  il  Sarnclli,  loc.  cit.,  che  il 
celebre  gesuita  Toledo  procurò  in- 
darno presso  Clemente  Vili,  che 
l'avea  creato  Cardinale,  di  rinun- 
ziare a  tal  dignità  per  ritirarsi  in 
luogo  solitario,  e  gliene  scrisse  os- 
sequiosissima lettera.  Il  Papa,  che 
non  voleva  privare  il  sagro  Colle- 
gio d'un  uomo  sì  dotto  e  santo, 
lo  fece  chiamare  e  gli  disse ,  che 
Dio  voleva,  che  non  lasciasse  il  suo 
uffizio;  e  licenziandolo,  sorriden- 
do, soggiunse  che  insieme  andreb- 
bono  al  deserto.  Dalla  solitudine 
di  Majella  nell'Abruzzo,  fu  tolto  s. 
Celestino  V,  e  collocato  nella  cat- 
tedra apostolica,  ma  per  tornare  ad 
essa,  passati  cinque  mesi  ed  otto 
giorni ,  rinunziò  solennemente  al 
pontificato.  E  mentre  Amadeo  III, 
ultimo  conte,  e  primo  duca  di  Sa- 
voja,  rinunziati  i  suoi  stati,  viveva 
nel  romitaggio  di  Ripaglia,  dagli 
scismatici  del  conciliabolo  di  Basi- 
lea fu  eletto  in  antipapa  col  nome 
di  Felice  V,  che  poscia  virtuosa- 
mente rinunziò  per  la  pace  della 
Chiesa.  Del  tempo  in  cui  Amadeo 
stette  nel  romitaggio,  e  del  tenore 
di  vita  ivi  tenuto,  parla  nell'Isto- 
ria degli  antipapi  Lodovico  Agnel- 
lo Anastasio,  t.  II,  p.  2g5  e  seg. 
Al  presente  gli  eremi  regolari  so- 
no quelli  degli  eremili  camaldolesi, 
come  quello  sopra  Frascati,  onorato 
dalla  presenza  di  vari  sovrani,  e 
Cardinali,  e  da  Benedetto  XIV,  lo 
è  ogni  anno  dal  regnante  Grego- 
rio XVI.  In  quest'eremo,  come  nar- 
ra il  Cardella  nel  t.  VII,  p.  i42> 
nel  1666  fu  tenuto  un  capitolo  ge- 
nerale, composto  di  tutte  le  con- 
gregazioni dei  camaldolesi,  e  pre- 
sieduto dal  protettore  di  essi  Car- 
dinal Volunnio  Bandinelli. 

ERESIA    (Heresìs).    Questa  pa- 
rola greca,  che  al  presente  prende- 


ERE 

si  in  mala  parte,  e  che  significa 
un  errore  pertinace  contro  la  tede, 
non  che  i  falsi  e  perversi  domini 
e  le  opinioni  contro  il  cattolicismo, 
in  origine  indicava  una  scelta,  un 
partito,  una  setta  buona  o  cattiva. 
Tale  è  il  senso  del  greco  hacresis, 
derivato  da  aeromai,  prendo,  scel- 
go, abbraccio.  Dice  vasi  eresia  pe- 
ripatetica, eresia  stoica  per  indicare 
le  sette  di  Aristotile  e  di  Zenone  ;  e 
i  filosofi  appellavano  eresia  cristia- 
na la  religione  insegnata  da  Gesù 
Cristo.  L'apostolo  s.  Paolo  dichiara, 
che  nel  giudaismo  avea  seguito  L'e- 
resia farisea,  che  fra  gli  ebrei  era 
in  pregio  più  di  qualunque  altra. 
Veramente,  se  eresia  avesse  allora 
significato  un  errore,  questo  nome  for- 
se sarebbe  convenuto  più  alla  setta  dei 
sadducei,  che  a  quella  de'farisei.  An- 
che il  Macri,  nella  Not.  de  vocab. 
eccl. ,  dice  che  questo  nome  tal- 
volta fu  preso  in  buon  senso  dagli 
scrittori  ecclesiastici.  Sinesio  chiamò 
Haeresim  la  filosofia;  e  Costantino 
imperatore  servissi  di  questo  voca- 
bolo per  dinotare  la  religione  cri- 
stiana, la  quale  Tertulliano  ancora 
in  buon  senso  chiamò  divinavi  se- 
ctam,  de  pali.  cap.  ult.  L'eresia  si 
definisce  pertanto  un  errore  volon- 
tario e  pertinace  contro  qualche 
domma  di  fede.  Altri  la  definisco- 
no un  errore  volontario  ed  ostina- 
to di  un  cristiano,  riguardante  una 
o  più  verità  cattoliche,  vale  a  dire 
verità  rivelate  da  Dio,  e  proposte 
come  tali  ai  cristiani  dalla  Chiesa. 
Quelli  che  vogliono  scusare  questo 
delitto,  domandano  come  si  possa 
giudicare  se  un  errore  sia  volontario 
od  involontario,  colpevole  od  in- 
nocente, se  proceda  da  una  pas- 
sione viziosa,  piuttosto  che  da  una 
mancanza  di  lume.  Ecco  come  ri- 
sponde il  Bergiei  ;  i.°Che  come  la 


ERE 
dottrina  cristiana  è  rivelata  da  Dio, 
è  una  colpa  voler  conoscerla  da 
se  stessi,  e  non  per  mezzo  di  quel- 
li, cui  Dio  ha  stabilito  per  inse- 
gnarla ;  che  voler  scegliere  una  o- 
pinione  per  formarne  undomma,  è 
ribellarsi  contro  l'autorità  di  Dio; 
2.0  Poiché  Dio  ha  stabilito  la  Chie- 
sa, od  il  corpo  dei  pastori  per  am- 
maestrare i  fedeli;  quando  la  Chie- 
sa ha  parlato,  è  un  orgoglio  perti- 
nace per  parte  nostra  resistere  al- 
la di  lei  decisione,  e  preferire  i 
nostri  lumi  ai  suoi  ;  3.°  La  passio- 
ne, che  ha  guidato  i  capi  di  setta 
e  i  loro  partigiani,  si  è  manifesta- 
ta dalla  loro  condotta,  e  dai  mez- 
zi che  hanno  adoperato  per  istabi- 
lire  le  loro  opinioni.  Aggiunge  il 
Bergier,  che  Bayle  definendo  un 
Eresiarca  (Vedi),  suppone,  che  si 
possa  abbracciare  una  opinione  fal- 
sa per  orgoglio,  per  ambizione  di 
essere  capo  di  partito,  per  gelosia, 
e  per  odio  contro  un  antagonista,  ec. 
e  lo  pruova  colle  parole  di  s.  Pao- 
lo. Un  errore  asserito  per  tali  mo- 
tivi certamente  è  volontario  e  col- 
pevole. Non  può  dirsi  Eretico  (Ve- 
di) colui  che  sostiene  una  cosa 
contraria  alla  decisione  della  Chie- 
sa, allorquando  la  sostiene  in  buo- 
na fede  e  per  ignoranza.  I  teologi 
fanno  varie  distinzioni  sulla  eresia, 
come  la  formale,  la  materiale,  e 
l'obbiettiva.  La  formale  è  quella  di 
sopra  accennata,  vale  a  dire  l'asse- 
rire una  proposizione  contraria  alla 
fede,  e  questa  ha  tutti  i  caratteri  op- 
posti a  quella  materiale,  ed  è  in 
questo  senso  la  massima  .fuori  del- 
la chiesa  non  vi  è  salute.  La  ma- 
teriale ha  per  oggetto  una  cosa 
contraria  alla  fede,  che  non  si  sa 
essere  tale,  per  conseguenza,  senza 
pertinacia,  e  colla  sincera  disposi- 
zione   di    sottomettersi  al    giudizio 


ERE  37 

della  Chiesa  (Vedi).  L'obbiettiva  è 
pure  contraria  alla  fede,  sia  che  si 
conosca  tale,  o  che  non  si  conosca. 
I  medesimi  teologi  dividono  altresì 
l'eresia  formale,  in  eresia  mentale, 
o  puramente  interna,  la  quale  non 
apparisce  esternamente,  ed  in  ester- 
na che  si  manifesta  colle  parole, 
o  per  qualche  altro  segno. 

Iddio  permise,  che  vi  fossero  e- 
resie  sino  dal  principio  del  cristia- 
nesimo, e  nel  tempo  in  cui  ancora 
vivevano  gli  apostoli,  ad  oggetto  di 
convincerci  che  l'Evangelio  non  si  è 
stabilito  nelle  tenebre,  ma  nella 
luce;  che  gli  apostoli  non  sempre 
ebbero  uditori  docili,  ma  spesso 
trovarono  di  quelli  eh'  erano  di- 
sposti a  contraddirli;  che  se  avessero 
narrati  fatti  falsi,  dubbi,  o  soggetti  a 
disputa,  non  avrebbero  mancato  di 
confutarli,  e  convincerli  d'impostura. 
Gli  stessi  apostoli  se  ne  querelarono, 
dicendo  ch'erano  contraddetti  dagli 
eretici  sopra  i  donimi  (Vedi),  e  non 
sui  fatti.  Scrivendo  s.  Paolo  a'Co- 
rinti,  I,  Cor.,  v.  19,  disse  loro:  E 
necessario  che  vi  sieno  delle  eresie, 
affinchè  si  conoscano  quelli,  la  cui 
fede  è  messa  alla  prova.  Come  le 
persecuzioni  servirono  a  distingue- 
re i  cristiani  veracemente  attaccati 
alla  loro  religione,  dalle  anime  de- 
boli e  di  virtù  vacillante  ;  così  le 
eresie  separano  gli  spiriti  leggeri 
da  quelli  che  sono  costanti  nella 
loro  fede;  tanto  riflette  Tertulliano. 
Per  altro  era  d'uopo  che  la  Chiesa 
fosse  travagliata,  perchè  si  conoscesse 
la  sapienza  e  la  solidità  del  sistema 
che  Gesù  Cristo  avea  stabilito  af- 
fine di  perpetuare  la  sua  dottrina. 
Era  cosa  buona,  che  i  pastori  in- 
caricati d'insegnare,  fossero  obbli- 
gati a  fissar  sempre  i  loro  sguardi 
suir  antichità,  consultare  i  monu- 
menti,   ricominciare    senza  iuterru- 


36  ERE 

zione  la  serie  della  tradizione,  non 
istaucar.si  d'invigilare  sul  deposito 
della  tede,  ed  essere  stati  costretti 
a  farlo  pei  continui  assalti  degli 
eretici.  Senza  le  dispute  degli  ultimi 
secoli,  dice  il  Bergier,  forse  sarem- 
mo ancora  immersi  nello  stesso 
sonno,  che  i  nostri  padri:  dopo  la 
turbolenza  delle  guerre  civili  la 
Chiesa  suol  fare  conquiste.  Qualo- 
ra gl'increduli  vollero  fare  un  sog- 
getto di  scandalo  della  moltitudine 
di  eresie,  di  cui  fa  menzione  la 
storia  ecclesiastica,  non  videro:  i.° 
che  la  stessa  eresia  per  ordinario 
si  è  divisa  in  molte  sette,  e  alcu- 
ne volte  ebbe  dieci  o  dodici  no- 
mi diversi;  cosi  fu  de'gnostici,  dei 
manichei,  degli  ariani,  degli  euti- 
chiani,  e  dei  protestanti;  i.°  che 
l'eresie  degli  ultimi  secoli  furono 
una  ripetizione  degli  antichi  errori, 
come  i  nuovi  sistemi  di  filosofia 
non  sono  che  le  visioni  degli  anti- 
chi filosofi;  3.°  che  gl'increduli 
stessi  sono  divisi  in  diversi  partiti, 
e  non  fanno  che  copiare  le  obbie- 
zioni degli  antichi  nemici  del  cri- 
stianesimo. 

Si  osserva,  che  nel  secolo  de- 
cimo la  divina  Provvidenza  dispo- 
se, che  poche  eresie  turbassero  la 
pace  della  Chiesa,  in  un  tempo, 
che  per  la  rozzezza,  e  sterilità  del 
bene ,  e  per  l' abbondanza  della 
malvagità ,  fu  appellato  il  secolo 
di  ferro,  di  piombo  ed  oscuro.  La 
cattedra  romana  ne  andò  sempre 
esente,  ed  illibato  si  conserva  il  suo 
splendore,  dappoiché,  come  dice  il 
ven.  Bellarmino,  praefat.  in  lib.  de 
Rom.  Pont.,  »  il  Pontificato  roma- 
>»  no,  non  già  nel  consiglio  urna- 
«  no,  non  nella  prudenza,  non  nel- 
"  le  forze  per  tanto  tempo  si  è 
»»  conservato ,  ma  perchè  questa 
•   pietra  è  dal  Signore  siffattameu- 


ERE 
»  te  rinforzata,  divinamente  pian- 
«  tata,  dalla  custodia  degli  angeli 
*>  circondata,  e  dalla  Mugolar  prov- 
»  videnza  e  protezione  di  Dio  mu- 
»  Dita  siffattamente,  che  le  porte 
»»  dell'  inferno  in  ni  un  modo  po- 
»  Iranno  prevalere  contro  di  essa; 
«  e  queste  porte  vengono  figurate 
»  per  le  persecuzioni  de'  tiranni,  o 
»>  per  la  rabbia  degli  eretici,  o  pel 
»  furore  degli  scismatici,  o  per  la 
«  scelleraggine  e  malvagità  degli 
»  uomini  ".  Imi  in  uri-abili  sono  le 
provvidenze  prese  dai  romani  Pon- 
tefici contro  le  eresie,  ed  i  concili 
che  furono  perciò  celebrati,  come  la 
istituzione  della  Congregazione  del- 
la santa  romana  ed  universale  in- 
quisizione, detta  del  s.  Off/zio  (Fe- 
di), principalmente  preposta  alla 
estirpazione  delle  eresie,  che  sono 
di  grave  danno  pei  fedeli  e  per 
la  Chiesa.  Fu  il  Papa  Giulio  HI, 
che  pubblicò  una  bolla  contro  i 
secolari ,  i  quali  s' intromettessero 
nel  conoscere  i  punti  di  eresia  ;  ed 
allora  il  senato  veneto  ordinò,  che 
nei  domimi  della  repubblica ,  agli 
inquisitori  ecclesiastici  fossero  ag- 
giunti de'  secolari.  Prima  di  Giulio 

III,  già  il  predecessore  Alessandro 

IV,  de  haeret.  in  sexlo,  aveva  proi- 
bito a  qualunque  persona  laica, 
sotto  pena  della  scomunica,  di  dis- 
putare sulle  eresie.  V.  il  Bernini 
a  pag.  449>  cne  «porta  le  disposi- 
zioni di  Alessandro  IV  contro  gli 
eretici. 

11  p.  Menochio  poi,  nel  tomo  I 
delle  sue  Stuore,  a  pag.  586,  ci  dà 
il  cap.  XLV  Come  s'intendono  quel- 
le parole  che  la  Chiesa  dice  nel- 
lojfizio  della  beata  Vergine  :  Gau- 
de,  Maria  Virgo,  cunctas  haercses 
sola  interemisti  iu  universo  mundo. 
Fra  le  ragioni  che  riporta  ,  note- 
remo    essere    stata    la    Madre    di 


ERE 
Quello,  clie  ha  scacciato  le  tene- 
bre di  tutti  gli  errori,  quale  mae- 
stra degli  apostoli,  la  dottrina  dei 
quali  getta  a  terra  tutte  le  eresie; 
e  perchè  ha  dato  particolare  aiuto 
a  coloro,  che  sono  stati  i  campioni 
della  fede,  e  si  sono  opposti  all'e- 
retica perfìdia.  I  protestanti  soven- 
te accusarono  gli  autori  ecclesiasti- 
ci, che  fecero  il  catalogo  delle  e- 
resie,  come  Teodoreto,  s.  Epifanio, 
s.  Agostino,  Filastrio,ec.  di  averle 
moltiplicate  mal  a  proposito,  di 
avere  messo  fra  gli  errori  alcune 
opinioni  ortodosse  od  innocenti  ; 
ma  i  nemici  della  Chiesa  cattolica 
sono  cattivi  giudici  in  materia  di 
dottrina.  Parecchi  autori  posteriori 
fecero  la  storia  e  il  novero  delle 
eresie,  fra'  quali  faremo  menzione 
di  due.  Domenico  Bernini  ci  diede 
l' Istoria  di  tutte  l'eresie,  che  com- 
pendiata ed  accresciuta  da  Giusep- 
pe Lancisi ,  venne  per  la  prima 
volta  pubblicata  in  Venezia  nel 
1737,  coi  tipi  del  Salviati.  L'altra 
è  dell'abbate  Pluquet,  che  compilò 
il  Dizionario  delle  eresie,  degli  er- 
rori e  degli  scismi,  che  va  sotto 
il  nome  di  Tommaso  Antonio  Con- 
tin  C.  R.,  per  aver  tradotta  l'opera 
dal  francese,  ed  accresciuta  con 
nuovi  articoli,  note  ed  illustrazio- 
ni, di  cui  nel  j  77  r  fu  pubblicata 
in  Venezia,  nella  tipografìa  Garbo, 
la  seconda  edizione,  corretta  ed  au- 
mentata di  un  sesto  tomo  intorno 
le  frodi  degli  eretici,  per  cura  del- 
lo stesso  Conlin.  Jn  quest'opera  a 
pag.  XXVI  si  legge  un  erudito 
catalogo  degli  scrittori  eresiologi, 
dal  primo  secolo  al  decimosesto  e 
seguenti  inclusive  ;  quindi  seguono 
tre  classi  di  notizie  storiche  :  la 
prima  rammenta  i  principali  scrit- 
tori d'  istoria  ecclesiastica  ,  i  quali 
di  anno  in  anno ,    o    di  secolo  in 


ERE  39 

secolo  tanno  esposta  l'istoria  delle 
eresie;  nella    seconda    sono    nove- 
rati   gli    scrittori    eresiologi ,    che 
hanno  formata  l'istoria  di  tutte,  o 
di  buona  parte  delle  eresie;  nella 
terza  sono  notati    i  compendiatori 
d' istoria  ecclesiastica  ,    o  eresiolo- 
gia. Tale  opera  va  però  letta  con 
qualche  cautela,  avendovi  gl'intel- 
ligenti notata  qualche    inesattezza , 
ed  anche  qualche  errore.  Nel  tomo 
IV  del  supplimento  della  Bibliote- 
ca sacra  ec.  delle  scienze  ecclesia- 
stiche, dottissima  opera  pubblicata 
in  Milano  dall'editore    Fanfani,  a 
pag.   294  e  seg.,  si  legge  un  utile 
ed  erudito  catalogo  delle  eresie   e 
degli    eretici    principali    dal    secolo 
primo  dell'era  volgare    fino  al  se- 
colo decimottavo,  sino    al  numero 
di  duecento  ottantotto  ;  coll'avver- 
tenza  che  per  altre  novissime  sette 
discoperte  del  citato  decorso  seco- 
lo, e  in  principio  del  corrente,  pre- 
cise notizie  si  pubblicarono    a  Pa- 
rigi,   nel    18 14,  da    M.    Gregoire, 
coli' opera  intitolata:    Storia    delle 
sette  religiose,  che  dal  principio  del 
passato  secolo  fino  all'epoca  attua- 
le, sono  nate,  o  modificate,  o  estin- 
te nelle  antiche  quattro    parti  del 
mondo.  Però  è  noto,  che  se  Gre- 
goire   è  un  uomo  stimato    per  la 
dottrina,  è  però  un  autore,  il  quale 
si  deve  leggere  con    diffidenza,  es- 
sendo stato  un   vescovo    costituzio- 
nale, che  dicesi  sia  morto  senza  ri- 
trattare l'errore. 

Ulteriori  e  più  recenti  notizie 
finalmente,  oltre  quanto  dicesi  ana- 
logamente in  vari  articoli  di  que- 
sto Dizionario,  si  possono  vedere 
nella  Continuazione  della  storia  del 
Cristianesimo 3  proseguita  dall'  ab. 
Giovanni  Bellomo,  e  pubblicata  in 
Venezia  da  Girolamo  Tasso  nel 
i832  ;    e  nella    Istoria    universale 


4o  ERE 

della  Chiesa,  dalla  predicazione 
degli  apostoli  fino  al  pontificato  di 
Gregorio  XVI,  del  barone  Hen- 
rion,  di  cui  abbiamo  un*  edizione 
italiana  pubblicata  in  Mandrisio  nel 
i838,  dalla  tipografia  della  Miner- 
va Ticinese. 

I  fonti  cattolici,  donde  può  im- 
pararsi con  sicurezza  a  fuggire  l'er- 
rore, sono  i  concili,  massimamente 
i  generali,  e  le  costituzioni  ponti- 
fìcie. Siccome  gli  errori  dominanti 
tra  i  latini  sono  stati  principalmen- 
te condannati  dall'  ultimo  concilio 
generale  tenuto  in  Trento,  così  la 
santa  Sede  esige,  che  nel  professare 
la  fede  si  segua  il  medesimo  con- 
cilio, e  si  dichiari  colla  forinola 
detta  di  Pio  IV.  Gli  orientali  poi 
si  assoggettano  ad  una  professione 
di  fede  più  ampia,  che  scorre  per 
tutti  i  concili  generali  finora  cele- 
brati. Siccome  gli  errori  dei  gian- 
senisti sono  stati  condannati  spe- 
cificatamente da  Pio  VI,  colla  bolla 
Auctorem  fidei3  se  si  tratta  di  essi 
bisogna  riportarsi  a  tale  veneran- 
do documento;  e  bisogna  pure  ri- 
portarsi principalmente  alla  bolla 
del  medesimo  Pio  VI,  se  trattasi 
degli  errori  della  costituzione  det- 
ta civile  del  clero  di  Francia.  I 
Pontefici  successori  non  hanno  ces- 
sato di  emanare  gli  opportuni  de- 
creti, ai  quali  i  veri  cattolici,  figli 
docili  della  Chiesa,  attendono  per 
sapere  in  tutto  e  per  tutto  le  trac- 
eie,  secondo  le  quali  devono  nel 
credere  appuntino  regolarsi. 

ERESIARCA  (  Haeresiarchus , 
Haeresiarcha  ).  Inventore  o  primo 
autore  di  un'  Eresia  (Vedi),  ov- 
vero il  capo  di  una  setta  di  Ere- 
tici (Vedi).  Dissero  alcuni  prote- 
stanti, che  non  è  facile  sapere  che 
cosa  sia  un'eresia,  e  che  è  sempre 
una  temerità  trattare  un  uomo  da 


ERE 
eretico.   Ma,  come  osserva  Rergier, 
poiché  s.   Paolo    comandò    a    Tito 
di  schivare  un  eretico  dopo  averlo 
corretto  una  o  due  volte  (e.  3,  v. 
io),  egli  dimostra    che  si  può  co- 
noscere, se  un  uomo  sia  eretico,  o 
no,  se  il  di  lui  errore  sia  innocen- 
te o  volontario,  degno  di  perdono 
o  di  censura.  Quelli   che  pretesero 
doversi  tenere  come  eresie  soltanto 
gli  errori  contrari  agli  articoli  fon- 
damentali  del  cristianesimo,  niente 
hanno  guadagnato  ;  dappoiché  non 
v'  è  alcuna  regola  certa  per  giudi- 
care se  un  articolo    sia    o  non  sia 
fondamentale.    Un  uomo  dapprima 
può  ingannarsi  per  buona  fede;  ma 
tosto  che  resiste  alla  censura  della 
Chiesa,  cerca  far  proseliti,  formare 
un  partito,  congiurare,  fare  rumo- 
re, non  più  la  buona    fede    lo    fa 
operare,   ma  V  orgoglio     e  V  ambi- 
zione. Quegli  eh'  ebbe  la  disgrazia 
di  nascere  ed  essere  allevato  in  se- 
no all'eresia,  di  succhiare  sin  dal- 
l'infanzia   l'errore,    certamente    è 
molto    meno   reo;   ma  non  si   può 
conchiudere     che    sia     innocente  , 
specialmente  quando  può  conosce- 
re la  Chiesa    cattolica    ed  i  carat- 
teri, che  la  distinguono  dalle  diver- 
se sette  eretiche,  ovvero  sospettar- 
ne. Tanto  male,  tanto  grave  dan- 
no, tutto    si    deve   agli    eresiarchi* 
Nel  secolo  primo  della  Chiesa    in- 
sorsero gli  eresiarchi  Simone  il  Ma- 
go, Cerinto  ed  Ebione,  Menandro, 
Imeneo,  Filetto,  ec.    V.    Semidei, 
Compendio  della  storia    degli  ere- 
siarchi_,  Napoli    1737;    e  Travasa, 
Storia  critica  delle  vite  degli  ere- 
siarchi del  primo  secolo  della  Chie- 
sa, Venezia    1752. 

I  più  antichi  eresiarchi  sino  a 
Manete  capo  de'  manichei,  insorto 
nel  terzo  secolo,  inclusivamente  fu- 
rono   o    alcuni    Ebrei    (Vedi),  che 


ERE 
volevano  assoggettare  i  cristiani  al- 
ia legge  di  Mosè,  od  alcuni  paga- 
ni mal  convertiti ,  che  volevano 
sottomettere  la  dottrina  cristiana 
alle  opinioni  della  filosofia;  dap- 
poiché i  filosofi  di  que'  tempi  non 
videro  senza  gelosia  un  popolo  che 
dispregiavano,  divenuto  senza  stu- 
dio infinitamente  più  illuminato  di 
essi  sulle  questioni  più  interessanti 
il  genere  umano,  sulla  natura  di 
Dio  e  dell'  uomo  ,  siili'  origine  di 
tutte  le  cose,  sulla  provvidenza 
che  governa  il  mondo,  sulla  regola 
dei  costumi.  Cercarono  appropriarsi 
una  parte  di  queste  ricchezze,  per 
far  credere  che  si  dovevano  alla 
filosofia,  anziché  al  vangelo.  Una 
religione  rivelata  da  Dio,  che  pro- 
pone di  credere  dei  misteri ,  sot- 
tomettere la  ragione  e  la  curiosità 
al  giogo  della  fede,  vincolare  le 
passioni  colla  morale  severa  del 
vangelo,  questo  è  un  doppio  sagri- 
fì/io  penoso  alla  natura  ;  non  è 
perciò  meraviglia,  che  in  ogni  se- 
colo si  sieno  trovati  uomini  poco 
disposti  a  farlo,  o  che  dopo  di  a- 
verlo  fatto,  tosto  sieno  ritornati  ad- 
dietro. I  capi  dell'eresie  non  fece- 
ro che  portare  nella  religione  lo 
spirito  contenzioso,  inquieto,  gelo- 
so, il  quale  regnò  sempre  nelle 
scuole  di  filosofia.  Gli  eresiarchi 
più  antichi,  e  che  furono  in  istato 
di  verificare  i  fatti  riferiti  nell'e- 
vangelo,  non  ne  contrastarono  mai 
le  verità,  e  sebbene  impegnati  a 
screditare  la  testimonianza  degli  apo- 
stoli, non  ne  negarono  la  sincerità. 
ISe  un  eresiarca  potesse  preve- 
dere la  sorte  della  sua  dottrina , 
non  avrebbe  coraggio  giammai  di 
pubblicarla.  Non  v'  è  un  solo,  i 
cui  sentimenti  sieno  stati  fedelmen- 
te seguiti  dai  suoi  proseliti ,  che 
non  abbia  prodotto  guerre  intesti- 


ERE  41 

ne  nella  sua  propria  setta,  che  non 
sia  stato  confutato    e  contraddetto 
in   molti  punti  da   queglino    stessi, 
che  avea    sedotti  ;    gli    uni    dicono 
anatema  agli  altri,  ed  entrambi  ar- 
rossiscono del  nome  del    loro    fon- 
datore ;  i  luterani    non    seguono  i 
sentimenti  di  Lutero,  ne  i  calvini- 
sti quelli  di  Calvino.   Nel  terzo  se- 
colo Tertulliano,  nel  lib.  de  prete- 
script.y  descrisse  anticipatamente  gli 
eresiarchi  di  tutti  i  secoli  ;    ed  E- 
rasmo  ne  fece  un   ritratto    perfet- 
tamente simile.  Rigettano,  dice  Ter- 
tulliano, i  libri  della  Scrittura  che 
danno    loro    fastidio ,    interpretano 
gli    altri    alla    loro    foggia,  non  si 
fanno  scrupolo  di  cambiare  il  sen- 
so nelle  loro  versioni.    Per    acqui- 
stare un  proselito,  gli  predicano  la 
necessità  di  esaminar  tutto,  di  cer- 
care la  verità  da  sé  stessa  ;  quan- 
do lo  hanno  acquistato    non    per- 
mettono più  che  loro  contraddica. 
Lusingano  le  donne    e  gì'  ignoran- 
ti, col   far    loro    credere,    che  ben 
presto    sapranno    più    che    tutti    i 
dottori  ;  declamano  contro  la   cor- 
ruzione della  Chiesa    e    del  clero; 
i  loro  discorsi  sono  vani,  arrogan- 
ti, pieni  di  fiele;  camminano    die- 
tro a  tutte  le  passioni  umane  ec.  ec. 
Gli  eresiarchi  nello  spargere  gli  av- 
velenati loro  dommi  contro  la  pu- 
rità della  vera  fede,  presero  lo  spe- 
cioso titolo  di  riformatori,  con  dia- 
bolica astuzia  dimostrando  ad  ogni 
qualità  di  persone,   che    gli    eccle- 
siastici della  Chiesa  romana    vive- 
vano affatto  alieni  dalle  regole  del- 
la   primitiva     Chiesa,     come    dice- 
vano   Lutero    e    Calvino.    Per  tal 
guisa     gli     eresiarchi     acquistarono 
credito  e    concetto  in   modo  da  ti- 
rare molti  altri  al  loro  partito,  non 
tanto  dell'infima  plebe,    ma  anco- 
ra della  primaria    nobiltà ,    illustri 


4* 


ERE 


per  untali,  e  pei  vasti  loro  domi- 
mi, il  che  assai  contribuì  a  dilata» 
re  7Ìe  più  i  loro  errori.  Fede  rito 
11,  il  Grande,  re  di  Prussia,  ed 
anche  celebre  filosofo,  parlando  del 
protestantismo,  dice  che  Io  propa- 
gò in  Germania  l'avidità  de' prin- 
cipi per  occupare  i  beni  ecclesia- 
stici ;  in  Inghilterra  la  passione  del 
re  Enrico  Vili  per  le  donne:  in 
Francia  una  canzone,  che  aveva 
per  ritornello:  O  frati,  frali  do- 
vete ammogliarvi. 

ERETICO  (Haerelicus).  Segua- 
ce o  difensore  di  una  opinione 
contraria  alla  credenza  della  Chie- 
sa cattolica.  Sotto  epiesto  nome  non 
solo  si  comprendono  quelli  che  in- 
ventarono un  errore ,  e  che  per 
propria  elezione  l'anno  abbracciato, 
ma  quelli  ancora ,  eh'  ebbero  la 
sventura  d'esserne  fino  dall'infanzia 
imbevuti ,  e  perchè  nacquero  da 
genitori  eretici.  Eretico,  dice  Bos- 
suet,  è  quegli  che  ha  un'  opinione 
sua,  che  segue  il  suo  proprio  pen- 
siero, e  la  sua  particola r  opinione; 
un  cattolico  al  contrario  segue  sen- 
za esitare  il  sentimento  della  Chie- 
sa universale,  giacche  l'ereticità  è 
l'opposto  di  cattolicità  e  di  orto- 
dossia. Dicesi  ereticità,  o  meglio  e- 
resia,  perchè  appunto  significa  mar- 
ca di  eresia  impressa  ad  una  pro- 
posizione colla  censura  della  Chie- 
sa. Dimostrare  poi  l'ereticità  o  ere- 
sia di  un'opinione,  è  far  vedere 
eh' è  formalmente  contraria  ad  un 
domma  di  fede  deciso  e  professa- 
to dalla  Chiesa  cattolica.  Chiamami 
eretici  negativi,  quelli  che,  sebbe- 
ne convinti  di  eresia  con  prove 
incontrastabili,  stanno  sempre  sulla 
negativa,  dichiarano  di  avere  or- 
rore della  dottrina  di  cui  sono  ac- 
cusati, e  professano  di  credere  le 
verità  opposte. 


IBI 

L'eretico  è  propriamente  quegli 
che,  professando  il  cristianesimo  ; 
sostiene  con  ostinazione  un  erro- 
re contro  la  fede,  tanto  se  questo 
errore  tende  alla  speculazione,  quan- 
to se  tende  alla  pratica.  Tre  sono 
le  condizioni ,  che  qualificano  un 
eretico.  La  prima  è  la  professione 
del  cristianesimo,  ed  in  ciò  l'ereti- 
co differisce  dal  giudeo  e  dall'ido- 
latra ;  non  è  però  necessario  che 
un  uomo  sia  battezzato  per  essere 
eretico;  poiché  un  catecumeno,  il 
quale  faccia  professione  di  credere 
nel  vangelo,  e  che  negasse  ostina- 
tamente qualche  verità  di  fede,  sa- 
rebbe eretico  davanti  Dio,  quan- 
tunque non  lo  fosse  in  faccia  alla 
Chiesa,  in  modo  di  esserne  punito, 
perchè  non  vi  appartiene  ancora 
come  non  battezzato.  La  seconda 
condizione  necessaria  per  fare  un 
eretico,  è  di  rifiutare  di  credere 
una  verità  rivelata,  e  decisa  dalla 
Chiesa  ;  giacché  la  rivelazione,  e  la 
decisione  di  essa,  assolutamente  de- 
vono in  ciò  concorrere.  Non  basta 
per  un  articolo  di  fede  che  una 
cosa  sia  rivelata  e  contenuta  nella 
parola  di  Dio,  bisogna  pure  che 
Ja  Chiesa  abbia  dichiarato  che  vi  è 
compresa,  e  l'abbia  proposta  da 
credere  come  articolo  di  fede.  La 
terza  condizione  è  l'ostinazione,  per 
lo  che  la  buona  fede,  la  semplicità, 
V  ignoranza ,  la  volontà  di  abban- 
donare l' errore  se  si  conoscesse , 
impediscono  che  uno  si  chiami  ere- 
tico. Il  Bergier,  all'articolo  Eresia, 
in  proposito  ecco  come  si  esprime: 
«  Non  pretendiamo  asserire,  che 
non  vi  sieno  molti  uomini  na- 
ti nell'  eresia  ,  che  per  la  po- 
ca loro  cognizione  sono  in  una 
invincibile  ignoranza,  per  conse- 
guenza scusabile  innanzi  a  Dio;  ma 
per   confessione    di    tutti    i    teologi 


ERE 
sensati»  questi  ignoranti  non  devo- 
no essere  messi  nel  numero  degli 
eretici.  Quanto  a  quelli  che  difen- 
dono un'opinione  falsa  e  cattiva 
senza  pertinacia,  soprattutto  se  non 
I1  hanno  inventata  per  un'  audace 
presunzione ,  ma  se  l'hanno  avuta 
dai  loro  genitori  sedotti,  e  caduti 
nel!'  errore,  e  se  con  diligenza  van- 
no in  traccia  della  verità,  e  sono 
pronti  a  correggersi,  qualora  l'a- 
vranno trovata,  non  si  devono  met- 
tere tra  gli  eretici  ".  Tale  è  il  lin- 
guaggio dei  teologi  sulla  nozione 
degli  eretici.  Passeremo  ad  accen- 
nare, coll'autorità  de' medesimi  teo- 
logi, le  cose  principali  riguardanti 
gli  eretici,  sui  loro  giudicii,  pene, 
commercio,  libri,  dispute,  e  sulle 
provvidenze  prese  dai  sommi  Pon- 
tefici sui  seguaci  dell'eresia. 

Essendo  l' eresia  contraria  alla 
religione  ed  allo  stato,  ove  non  sia 
ammessa  la  libertà  e  tolleranza  dei 
culti,  è  un  delitto  ecclesiastico  e 
civile  insieme.  E  delitto  ecclesiasti- 
co perchè  combatte  la  dottrina  del- 
ta Chiesa,  lo  è  civile  perchè  dis- 
turba la  pace  de'  regni  ,  cagiona 
scandalo  ec.  Come  delitto  ecclesia- 
stico la  conoscenza  spetta  al  giudice 
della  Chiesa,  il  quale  deve  dichia- 
rare quali  sono  le  opinioni  contrarie 
alla  dottrina  della  Chiesa,  e  punire 
con  pene  canoniche  coloro  che  le 
sostengono  con  ostinazione;  come 
delitto  civile  la  cognizione  è  devo- 
luta ai  giudici  secolari,  che  hanno 
maggiori  o  minori  poteri  secondo 
i  luoghi. 

Le  pene  decretate  contro  gli  e- 
retici  si  dividono  in  temporali ,  o 
spirituali.  Le  temporali  erano  la 
confisca  de'  beni,  ì'infamia,  l'esilio, 
la  prigione,  la  morte  ec.  ;  le  spi- 
rituali consistono  nella  scomunica, 
nella  privazione  della  giurisdizione 


ERE  43 

ecclesiastica,  nell'irregolarità,  nella 
perdita  de' benefìzi  ,  e  nell'impo- 
tenza di  possederne  de'  nuovi.  Gli 
eretici  incorrono  pel  solo  fatto  nel- 
la scomunica  maggiore,  non  di  di- 
ritto divino,  ma  solamente  di  di- 
ritto umano,  secondo  il  parere  del- 
la maggior  parte  de'  teologi.  Que- 
sta scomunica  fu  pronunziata  nel 
concilio  generale  lateranen.se  IV, 
celebrato  dal  Pontefice  Innocenzo 
III,  contro  tutti  gli  eretici,  con 
riserva  al  Papa,  secondo  il  comu- 
ne diritto,  e  secondo  i  gradi  della 
eresia.  Le  prime  leggi  fatte  dai  pri- 
mi cristiani  contro  gli  eretici  risa* 
liscono  a  Costantino,  il  quale,  nel- 
l'anno 371,  proibì  con  un  editto 
le  assemblee  degli  eretici,  coman- 
dò che  i  loro  templi  fossero  dati 
alla  Chiesa  cattolica,  e  confiscati. 
Il  Bergier,  all'articolo  Eretico,  ri- 
porta le  successive  repressioni  de- 
gli eretici  fatte  da  altri  imperatori, 
e  le  leggi  perciò  pubblicate  pro- 
scrissero gli  errori  ,  e  ne  arresta- 
rono la  propagazione  lagrimevole. 
In  sostanza  egli  prova  ad  eviden- 
za ,  che  i  principii  e  la  condotta 
della  Chiesa  cattolica  furono  costan- 
temente gli  stessi  in  ogni  secolo; 
cioè  adoprare  le  sole  istruzioni,  e 
la  persuasione  per  ricondurre  gli 
eretici  quando  sono  pacifici  al  suo 
grembo;  implorare  contro  di  essi 
il  braccio  secolare  quando  sono  fe- 
roci, violenti  e  sediziosi.  V.  il  vo- 
lume XVIII,  pag.  3oi  e  seg.  di 
questo  Dizionario,  ove  si  parla  di 
alcune  crociate  contro  gli  eretici  e 
gli  scismatici.  Il  commercio,  ossia- 
no  i  matrimoni  cogli  eretici,  sono 
illeciti,  quantunque  validi,  ed  il 
Papa  può  colla  suprema  sua  au- 
torità permetterli,  su  di  che  sono 
a  vedersi  gli  articoli  Dispensa,  Di- 
vorzio, e  Matrimonio.  Sono  illeciti 


ii  ERE 

perché  proibiti  dalla  Chiesa,  nei 
concili  di  Calcedonia,  di  Elvira,  di 
Sardica,  dal  terzo  di  Cartagine,  e 
di  altri.  Non  sono  invalidi,  perché 
non  dichiarati  nulli,  né  dal  diritto 
naturale,  o  divino,  né  da  quello 
comune.  Il  matrimonio  contratto 
fra  due  cattolici ,  non  è  sciolto 
quanto  al  legame,  ma  solamente 
quanto  al  letto  ed  all'abitazione, 
quando  uno  de'  coniugi  si  fa  ere- 
tico. Il  concilio  Tridentino  senten- 
ziò l'anatema  contro  quelli,  i  quali 
dicono  che  un  tal  matrimonio  è 
sciolto  quanto  al  legame.  E  sciol- 
to dunque  quanto  al  letto  ed  al- 
l'abitazione soltanto,  come  pure  se- 
condo 1'  uso  della  Chiesa. 

E  proibita  la  lettura  de'  libri 
eretici  dal  diritto  naturale  a  tutti 
quelli  a'  quali  questi  libri  sono 
dannosi,  anche  allorché  avessero  il 
permesso  di  leggerli,  obbligando  il 
diritto  naturale  tutti  indistintamen- 
te, e  ciò  per  evitare  qualunque  oc- 
casione o  pericolo  di  perdersi.  I 
trattatisti  di  queste  materie  danno 
le  spiegazioni  sulla  estensione  e 
restrizione  di  siffatto  divieto.  Sino 
dal  nascere  della  Chiesa  gli  ereti- 
ci non  si  sono  contentati  di  com- 
por  libri  per  disseminare  i  lor  er- 
rori, ne  hanno  anche  inventato,  e 
composto  sotto  il  nome  dei  per- 
sonaggi i  più  venerabili  dell'anti- 
co e  del  nuovo  Testamento.  Il  No- 
vaes  nella  vita  di  Alessandro  VI 
dice,  che  questo  Pontefice  verso 
l'anno  i5oo  fece  delle  leggi  con- 
tro la  stampa  de'  libri  degli  ereti- 
ci. V.  il  Zaccaria,  citila  proibizione 
de9  libri.  Giulio  III,  a'  22  aprile 
i55o,  con  apostolica  costituzione, 
rivocò  a  tutte  le  persone,  eccettuali 
gì'  inquisitori,  le  facoltà  che  potes- 
sero avere  ottenute  da'  Pontefici 
suoi    predecessori ,    per    leggere    o 


ERE 
ritenere  libri  de'  luterani,  e  di  qual- 
sivoglia altri  eretici.  Perciò  fu  egli 
il  primo  Papa,  che  abbia  fatta  la 
prima  generale  proibizione  de'  li- 
bri eretici ,  poiché  prima  di  lui 
ninna  pontificia  legge  si  trova,  la 
quale  generalmente  proibisse  la  let- 
tura di  libri  simili,  sebbene  spesso 
ritrovatisi  proibiti  particolari  libri 
degli  eretici,  o  di  particolari  ere- 
sie.   V.  Indice  de'  libri  proibiti. 

Le  dispute  cogli  eretici  sui  punti 
controversi  sono  permesse,  giacche 
abbiamo  da  s.  Paolo,  Acl.  e.  17, 
ad  Tic  e.  1,  che  disputava  nelle  si- 
nagoghe cogli  ebrei  ,  eli' egli  vuole 
che  un  vescovo  sia  capace  di  cor- 
reggere, e  di  convincere  quelli  i 
quali  contraddicono  la  verità.  Nul- 
la di  più  comune  nell'antichità  ec- 
clesiastica, quanto  le  dispute  de'  pa- 
dri contro  gli  eretici,  cui  combat- 
tevano perpetuamente,  tanto  a  viva 
voce  quanto  in  iscritto,  come  lo 
provano  le  analoghe  opere  polemi- 
che; ma  vi  sono  le  debite  regole 
e  condizioni,  acciò  simili  dispute 
sieno  permesse.  Il  Bergier  all'articolo 
Controversi  a,  dopo  averla  definita, 
disputa,  o  in  voce  o  in  iscritto  sulle 
materie  di  religione  ,  aggiunge  : 
»  Questa  sorte  di  dispute  sono  ine- 
vitabili, perchè  il  cristianesimo  sem- 
pre ha  avuto  ed  avrà  dei  nemici  : 
sono  necessarie  perchè  niente  si  de-» 
ve  trascurare  per  ricondurre  nel 
buon  sentiero  i  traviati.  Se  distur- 
bano la  pace  bisogna  prendersela 
con  quelli  che  ne  sono  i  primi 
autori,  e  spiegano  bandiera  contro 
la  dottrina  della  Chiesa.  Perchè 
producano  buoni  effètti,  è  mestieri 
che  da  una  parte  e  dall'  altra  non 
solo  sieno  libere,  ma  sempre  tenute 
dentro  i  limiti  dell'  onestà  e  della 
moderazione".  Fra  i  controversisti 
nomineremo  a  cagion  di  onore,  il 


ERE 
ven.  Cardinale  Bellarmino  gesuita, 
il  quale  essendo  stato  mandato  da 
Gregorio  XIII  a  predicare  in  lin- 
gua latina,  contro  gli  errori  del 
luteranismo  nelle  Fiandre,  vi  an- 
darono ad  ascoltarlo  i  più  dotti 
protestanti,  d'Inghilterra  e  dell'O- 
landa. Quindi  il  Papa  lo  destinò 
ad  insegnare  le  controversie  contro 
i  protestanti,  nel  collegio  Romano 
da  lui  fondato:  quivi  lavorò  in 
que'  trattati,  che  ci  rimangono  in 
questa  importante  materia.  Fra  le 
opere  di  lui,  le  sue  Controversie, 
stampate  più  volte  in  quattro  to- 
mi, saranno  sempre  un  eterno  te- 
stimonio della  sua  vasta  dottrina, 
e  del  suo  impegno  per  la  difesa 
dell'autorità  pontificia,  essendo  que- 
st'  opera  l'ampio  arsenale,  donde  i 
teologi  dopo  di  lui  hanno  cavato 
le  loro  armi  contro  gli  eretici,  ai 
quali  niuno  fu  mai  tanto  formida- 
bile fra  tutti  i  contro versisti.  Van- 
no pur  lodali,  s.  Francesco  di  Sa- 
les  vescovo  di  Ginevra,  che  nelle 
sue  prediche  convertì  settantamila 
eretici  ;  il  gran  Bossuet ,  Piccole , 
Pelisson,  Papin,  i  fratelli  Wallem- 
bourg,  e,  per  non  dire  di  altri,  il 
dottissimo  Cardinal  Gotti  domeni- 
cano, ed  il  celebre  Cardinal  Gerdil 
barnabita. 

Intorno  poi  alle  principali  prov- 
videnze prese  dai  sommi  Pontefi- 
ci sugli  eretici,  abbiamo,  che  san 
Pio  I  Papa,  eletto  nell'anno  i58, 
ordinò  che  gli  eretici  venuti  dalla 
eresia  de'giudei  alla  religione  cat- 
tolica, vi  fossero  ricevuti,  e  battez- 
zati. Vi  fu  una  gran  controversia 
tra  il  Pontefice  s.  Stefano  1,  e  s. 
Cipriano  vescovo  di  Cartagine,  il 
quale  co' vescovi  africani,  e  dell'o- 
riente sosteneva  doversi  ripetere  il 
battesimo  dato  dagli  eretici,  ciò 
che  da  quel  Papa   venne  proibito, 


ERE  4> 

e  poi  confermato  dal  concilio  Pi- 
ceno. San  Stefano  I  insistè  sulla 
massima  di  nulla  doversi  alterare 
l'antica  tradizione  dalla  quale  con- 
stava che  gli  eretici  tornati  alla 
Chiesa,  dovevano  soltanto  purgar- 
si colla  imposizione  delle  mani,  e 
non  già  col  secondo  battesimo;  co- 
me ancora  constava  dalla  medesi- 
ma tradizione,  che  il  battesimo  am- 
ministrato colle  parole  evangeliche 
era  valido  benché  fosse  ammini- 
strato dagli  eretici  o  dagli  scisma- 
tici, e  costantemente  il  Pontefice 
protestò  che  il  battesimo  conferito 
colla  debita  forma  dagli  eretici , 
non  dovevasi  reiterare.  Molti  auto- 
ri sostengono,  che  questa  contro- 
versia non  fosse  dagli  orientali  e 
dagli  africani  riputata  cosa  appar- 
tenente al  domma  cattolico,  ma  so- 
lo da  essi  creduta  riguardare  la 
semplice  disciplina.  V .  il  Marchetti, 
Esercii.  Ciprianiche  circa  il  batte- 
simo degli  eretici.  Papa  s.  Caio  del 
283,  determinò,  che  nessun  pa- 
gano od  eretico  potesse  accusare  i 
cattolici.  Nel  concilio  lateranense, 
celebrato  1'  anno  3 1 3  dal  Papa  s. 
Melchiade,  venne  condannato  il  ve- 
scovo africano  Donato,  capo  dei 
donatisti,  i  quali  negavano  la  vali- 
dità del  battesimo  dato  dagli  ere- 
tici. 

Il  p.  Chardon,  nel  t.  I,  capitolo 
V  della  Storia  de' Sa  grani  enti,  tratta 
che  non  fu  mai  creduto  doversi  repli- 
care la  Confermazione  una  volta  ri- 
cevuta dalla  Chiesa,  e  che  dagli 
avvenimenti  si  esamina ,  se  siasi 
creduto  il  medesimo  circa  quella  data 
dagli  eretici,  con  le  diverse  discipli- 
ne su  questo  grave  punto,  intor- 
no a  che  può  vedersi  l'articolo  Con- 
fermazione (Vedi).  Il  medesimo 
Chardon  riporta  la  benedizione 
sopra  quelli  che  si  convertono  dal- 


46 


ERE 


l'eresia,  e  la  maniera  con  cui  la 
Chiesa  riceveva  prima  gli  eretici 
convertiti  colla  imposizione  delle 
mani,  accompagnata  dalla  invoca- 
zione dello  Spirito  santo,  giacché 
nella  maggior  parte  delle  chiese 
orientali  ed  occidentali ,  si  faceva 
l'unzione  col  crisma  a  quelli  che 
ritornavano  dall'  eresia  al  cattolici- 
smo.  Valfridio  Strabone,  il  quale  fiorì 
nel  nono  secolo,  afferma,  che  al 
suo  tempo,  e  prima  ancora,  gli  e- 
retici  si  riconciliavano  col  crisma, 
e  colla  imposizione  delle  mani. 
Conchiude  il  Chardon,  che  nel  più 
delle  chiese  gli  eretici  si  ricevevano 
alla  cattolica  unità  con  que'mede- 
simi  riti  con  cui  si  dava  il  sagra- 
meli to  della  Confermazione,  e  ciò 
forse  non  per  confermarli  di  nuo- 
vo, ma  solamente  per  impetrar  lo- 
ro la  grazia  dello  Spirito  santo  per 
unirli  interiormente  ed  utilmente 
al  corpo  della  Chiesa.  Col  ripeter- 
si tale  unzione  la  Chiesa  non  in- 
tendeva reiterare  il  sagramento 
della  Confermazione,  perchè  in  con- 
ferire questa  usava  il  termine  di 
segno  o  segnatilo,  e  quando  am- 
metteva gli  eretici  alla  sua  comu- 
nione adoperava  il  termine  consi- 
gliare. Con  questa  diversità  di  opi- 
nioni manifestava  la  Chiesa  le  sue 
differenti  intenzioni. 

Vittore  III,  del  1086,  in  un  con- 
cilio celebrato  a  Benevento,  "vie- 
tò con  pena  di  scomunica,  di  rice- 
vere dagli  eretici  i  sagramenti  del- 
la penitenza,  e  dell'Eucaristia.  Av- 
visato il  Pontefice  Giulio  III,  che 
molte  persone  di  tutte  le  condi- 
zioni, cadute  in  eresia  differivano 
la  loro  conversione  a  motivo  della 
pubblica  penitenza,  cui  secondo  le 
leggi  ecclesiastiche  dovevano  subire 
con  pregiudizio  della  loro  riputa- 
zione,  mediante   la  costituzione  II- 


ERE 

lius,  presso  il  Bull.  Rom.  t.  IV, 
par.  I,  pag.  2G7,  ordinò  che  tut- 
ti quelli,  i  quali  dentro  tre  mesi 
abiurassero  i  loro  errori,  eccettua- 
te le  persone  dipendenti  dalle  in- 
quisizioni di  Spagna  e  Portogallo, 
con  privata  penitenza  fossero  dagli 
inquisitori  riconciliati,  e  che  gl'im- 
penitenti si  costringessero  colle  pe- 
ne ordinarie,  a  soggettarsi  alla  Chie- 
sa cattolica.  Nel  pontificato  poi  di 
Clemente  VIII,  vedendo  Enrico  IV 
re  di  Na varrà,  calvinista-ugonotto, 
che  non  gli  sarebbe  riuscito  di  a- 
scendere  pacificamente  al  trono  di 
Francia,  se  persisteva  nella  sua  set- 
ta, domandò  a'suoi  ugonotti,  se 
poteva  salvarsi  nella  religione  ro- 
mana, ed  essendogli  stato  risposto 
affermativamente,  disse  :  sarà  dun- 
que meglio  eli  io  vada  in  cielo  re  di 
Franciaì  che  re  soltanto  di  Navar- 
ra.  Cominciò  quindi  ad  istruirsi 
ne' nostri  dommi,  ed  ai5  luglio 
i5o,3  abiurò  pubblicamente  in  Pa- 
rigi nella  chiesa  di  s.  Dionisio  il 
calvinismo,  professò  la  fede  catto- 
lica, e  ricevette  dall'arcivescovo  di 
Bourges  l'assoluzione  dalle  scomu- 
niche incorse  per  l'eresia,  lo  che 
convalidò  con  bolla  Clemente  Vili, 
Divinae  gratiae  _,  presso  il  Bull. 
Rom.  t.  V,  part.  Il,  p.  127,  dopo 
aver  dichiarata  nulla  quella  del- 
l'arcivescovo, perchè  data  senza  la 
autorità  della  santa  Sede.  In  que- 
sto tempo  Gondislavo  Ponze,  spa- 
gnuolo  di  gran  dottrina,  pubblicò 
in  Roma  un  Commentario,  nel 
quale  pretendeva  di  provare  che 
il  Papa  non  poteva  dispensare  un 
ricaduto  nell'eresia  per  poter  esse- 
re eletto  re,  al  quale  sentimento 
rispose  egregiamente  il  francese 
Arnoldo  Ossat,  poi  Cardinale,  con 
un'opera,  che  allora  però  non  ven- 
ne stampata. 


ERE  ERE                     4- 
Sapendo  Clemente  XII,  che  mol-  e    da    ogni    parte    eli    frequente    si 
ti  eretici  di  Germania  per  tempo-  odono  confortanti  e  stupende    con- 
iali   interessi     non    abiuravano    gli  versioni  dall'  eresia  r.lle  verità  dei- 
errori,   pubblicò     una    bolla,    nella  la   Chiesa    apostolica  romana;  e  il 
quale    concesse    ad    essi    il  pacifico  predominante  puseismo  d'Jnghilter- 
possesso    de'  beni    ecclesiastici    che  ra,    ravvicina  di    molto    gli    animi 
godevano,  i  frutti  de'quali  serviva-  alle  sante  pratiche  religiose  della  vera 
no  al  mantenimento  delle  loro  fa-  Chiesa.  Laonde  a  gran  passi  procedia- 
miglie,    purché  alla     religione  cat-  mo  per  un'era  nuova  e  tutta  gloriosa 
tolica     facessero    ritorno .      Questa  pegli    annali  del    mondo    cattolico, 
paterna  provvidenza  trasse  alla  ve-  qualora  il  divin    Padre  de'  lumi  e 
ra  fede  un  gran  numero  di  ereti-  delle  misericordie  continui  a  spai- 
ci. Volendo  poscia  nel    ij35  leva-  gere  le  sue    celesti  benedizioni    sui 
re  l'ostacolo  per  cui  alcuni   luterà-  membri  che  vivono  disgraziatamen- 
ui  dei  Palatinato,   e  del  ducato  di  te  separati  dal  centro  e  dall'unità, 
Neoburgo,  non  tornavano  al  giem-  fuori  della  quale  non  avvi  salvezza. 
bo  della    Chiesa    cattolica,    per  ti-  Florido    altresì    è    lo   stato  attuale 
more  di    perdere  i    benefizi    eccle-  delle  missioni  in  Europa,  Asia,  A- 
siastici  dai    loro  maggiori  usurpati,  frica,  America  ed   Oceania,  dove  i 
Clemente  XII  concesse  loro,  come  veri    discepoli    di  Gesù  Cristo,    in 
avea  pur    fatto    coi  sassoni,  la  fa-  virtù  della    missione   data    da  esso 
colta  di  poterli    godere  come  prò-  ai  suoi    apostoli,     e     trasmessa    di 
pri,  acciò  non  temessero  di  cadere  generazione    in    generazione    ai  Io- 
in  miseria.  Qui  noteremo,  che  tra  ro     legittimi  succesori    sino    ai  no- 
ie legr'  imperiali  sopraccennate,  ev-  stri  tempi,  non  cessino  di   obbedire 
vi  quella  riportata  dal  Bernini,  Sto-  alla    voce    divina;    essendo    intente 
ria  delle  eresie,  sec.  VI.  cap.     IV,  le  numerose   missioni  a  confermare 
cioè  di  Giustiniano  I,  il  quale  or-  nella  fede  i  cattolici,    a  promovere 
dinò  che  i  cattolica    figli  di  ereti-  e     predicare    la    dottrina    di    Gesù 
ci,  potessero  ereditare,  e  domandare  Cristo,  anche  dov'è  ignoto  il  nome 
gli  alimenti,  non  però  i  figli  ereti-  cristiano,    e    ad    illuminare  gli  sci- 
ci da'  padri    cattolici.  Delle    prodi-  smatici  e  gli    eretici    sulle    tenebre 
giose  e  repentine  conversioni  degli  de'loro  errori.   Le    nostre    missioni 
eretici,   tratta    il    Bernini,    il   quale  sono  perciò  un'opera  veramente  del 
fa    pur    menzione  dell'  Ospizio  dei  tutto  cattolica  ed  apostolica,  sia  ri- 
Convertendi  (Vedi),  eretto    in    Ro-  guardo  al  principio  ed  ai  mezzi,  sia 
ma  nella  città  Leonina,  nel  ponti-  riguardo     al    modo    e   all'  oggetto, 
ficato  di    Clemente    X,     pegli    ere-  Opportuno  ed  analogo  a  questo 
liei    convertendi ,     già    incomincia-  argomento,    ci    sembra    il    far  qui 
to    da    Giovenale  Ancina  e  Maria-  menzione    dell'  applaudita    disserta- 
no Soccino    prete    dell'Oratorio,  e  zione  del  Cardinal  Bartolomeo  Pac- 
poi  compito  coi  generosi    aiuti  dei  ca,  decano  e  principal    decoro    dei 
Cardinali Rasponi,  Nini  e  Gastaldi,  e  sagro    Collegio,  e  da  lui  stesso  con 
tuttora  fiorente.  forza    ed    eloquenza    recitata    nella 
In     questo    maraviglioso    secolo  sala     massima    dell'  università    Ro- 
emiuentemente    predomina    lo    spi-  mana,    per  la  solenne  apertura  del- 
l'ito e    la  tendenza  al  cattolicismo,  la   celebre  e  benemerita  accademia 


43  ERE 

di  Religione  cattolica,   a'  27  aprile 
i843.  Tolse  egli  a  subbietto  della 
dissertazione  appunto  la    esposizio- 
ne dello  stato  attuale   della  Chiesa, 
e  delle  credenze  religiose  nei  vari 
paesi  di  Europa,  con  quella  piena 
cognizione    storica    delle  cose,   che 
gli  danno   una    luminosa   e    lunga 
spcrienza  degli    affari,    come    delle 
persone,  l'erudizione  e  la    dottrina 
di  cui  è  eminentemente  adorno.  In- 
cominciando dalla  Germania,  disse, 
che  sebbene  abbia   a  deplorarsi  la 
perdita  de'  principati,  delle  badie  e 
delle  cospicue  rendite  fatta  dal  cle- 
ro nei  secoli  XVIII  e  XIX  in  quel- 
le contrade,  tuttavia  v'  era  oggi  un 
motivo  di  consolazione  nel  rilevare 
dal    confronto    di    quei    secoli    coi 
tempi  nostri  il  risvegliamento  dello 
spirito  ecclesiastico,    ed  il  riacceso 
zelo  in  quel  clero  ed    in  quei  pa- 
stori.  Dipoi,  analizzando    le  varia- 
zioni infinite  del  protestantismo,  in- 
dicò i  suoi  languori,  prevedendone 
lo  sfacimento.  Dalla  Germania  tra- 
passando   alla    Francia   vi    ritrovò 
cagioni  diverse,  altre  di  gioia,    al- 
tre di  dolore.  Sono  queste  il  deismo, 
che  debellato  imbaldanzisce    anco- 
ra, le  associazioni  del  Fourier,  del 
Saint-Simon,    del    Chàtel,  i  mille 
romanzi  che  guastano  ne'  giovanili 
intelletti  ogni  idea  di  moralità  :  so- 
no quelle  l' istituto    della    propaga- 
zione della  fede,  che  da  Lione,  ove 
nacque  e  si  valido,  promuove  con 
ogni  ragione  di  aiuti  i  trionfi  del- 
l' evangelio  ;  sono  la  dottrina  e  lo 
zelo    del    clero     e   dell'  episcopato  , 
che  stretti    con    intimo    nodo    alla 
cattedra  della  verità,  combattono  i 
nuovi  e  i    rinnovati  errori.  Poscia 
invitò    a    piangere    su    le  note  vi- 
cende della  chiesa  spagnuola  e  por- 
toghese, riferendo  l'origine  di  tan- 
to male  alle  iufluenze  dell'  Arancia 


ERE 
e  del  marchese  di  Pombal  :  peroc- 
ché costoro,    alleandosi    coi    filoso- 
fanti e  sofisti  della  Francia,   e  se- 
guitando le  teorie  dei    giansenisti , 
guastarono  il  pubblico  insegnamen- 
to, e  l'adito  aprirono   a  libri    pe- 
stiferi d'ogni  maniera.    Ancora    ri- 
guardò l' Inghilterra,  e  si    rallegrò 
del  numero  crescente    delle  chiese, 
de'  fedeli,  delle  regolari    congrega- 
zioni, a  fronte  del  vivo  impegno  e 
delle  forti  opposizioni  dell'anglica- 
no protestantismo.   Per   ultimo    a- 
nimò  gì'  italiani   a    tenersi    sempre 
più  stretti  alla  cattedra  di  Pietro, 
e  a  guardarsi  da  coloro    che    vor- 
rebbero   allontanare    questo    nodo 
soavissimo  di  unità  religiosa,  come 
si  guardarono    i    padri   nostri    dal 
contagio  calvinista  e  luterano.  Tal 
mirabile  discorso  fu  subito  reso  di 
pubblica  ragione  colle  stampe  di  Do- 
menico Ercole  in  Velletri,  bramando- 
sene da  tutti  avidamente  la  lettura. 
Alcune  cose    interessanti     e    ris- 
guardanti  gli  eretici,  si   leggono  al- 
la categoria  haeresis,  et  haercticos, 
nella  Nolitia  del  p.  Plettemberg  del- 
la compagnia  di  Gesù.  Gli  errori,  le 
costumanze  nefande     attribuite  ca- 
lunniosamente ai   cristiani    dagli  e- 
retici,   i  quali   più  volte  per  pravi 
fini    alterarono  gli    atti  dei  marti- 
ri, si  leggono  nel  p.   Ruinart,   Al- 
ti sìnceri  dei  primi  martiri   della 
Chiesa  cattolica.  Che  gli  eretici  fos- 
sero cagione  di  molte  e    gravi  dis- 
sensioni   sino    dal    principio    della 
Chiesa,  e  che  mai  sempre  i   catto- 
lici zelassero  con  grandissima  atten- 
zione   di   ri  condurli    alla    vera    fe- 
de ,  ne  tratta  il   p.  Mamachi,   Dei 
costumi  de3 cristiani.    Della  forinola 
che  usano  i  romani  Pontefici    scri- 
vendo agli  eretici,  e  della  benedizione 
apostolica,  che  alcuni   di  loro  non 
dubitarono    dare    ai    medesimi ,    si 


ERE 
può  vedere  nel  voi.  V,  pag.  65  e 
6G  del  Dizionario.  Finalmente  no- 
teremo, che  non  si  usa  più  di  ri- 
cevere gli  eretici  con  una  specie 
di  confermazione,  di  cui  parlam- 
mo di  sopra  .  Abiurano  i  loro 
errori,  s'impone  loro  una  peniten- 
za salutare,  e  poi  si  assolvono  dal- 
la scomunica  in  forma  Ecclesiae 
consueta. 

ERETRA  o  ERITREA  ( Ery- 
threa).  Città  vescovile  della  diocesi 
d'Asia,  e  nell'esarcato  del  suo  no- 
me ;  una  delle  dodici  della  Jonia, 
in  una  penisola  con  un  porto,  sot- 
toposta alla  metropoli  d'Efeso,  ed 
eietta  nel  quinto  secolo,  chiamata 
anche  Passaggio,  e  Ritrè.  Secondo 
Strabone,  diede  essa  il  nome  alla 
celebre  sibilla  Eritrea ,  ovvero  vi 
ebbe  i  natali.  Questa  città  fu  eret- 
ta da  Neleo,  figlio  di  Codro.  Pau- 
sania  pretende  che  avesse  per  fon- 
datore Eritreo  figlio  di  Radaman- 
to,  che  vi  condusse  una  colonia  ; 
ina  Cnopo  essendo  quivi  giunto  con 
una  quantità  di  jonii,  la  ingrandì, 
e  la  popolò  sempre  più.  Aveva  un 
tempio  di  Ercole,  e  due  porti,  uno 
chiamato  Casytes,  l'altro  Eritreo.  Si 
conoscono  cinque  vescovi,  che  vi 
ebbero  residenza  ,  cioè  Eutichio , 
Draconzio,  Teotisto,  Eustazio,  e  Ar- 
saflo.  Oriens  Christ.  t.  I,  p.  727. 
Eritrea  o  Colira,  Aerftren.,  al  pre- 
sente è  un  vescovato  titolare  in 
partibus  infidelium,  sotto  il  patriar- 
cato pure  in  partibus  di  Costanti- 
nopoli. 

ERETRIA.  Città  vescovile  di 
Eubea,  sulla  riva  del  mare^  poco 
distante  da  Calcide  o  Negroponte, 
in  faccia  alla  foce  deìVAsopus,  che 
sul  continente  formava  in  questo 
luogo  i  limiti  della  Beozia,  e  quel- 
li dell'Attica.  Si  congettura  essere 
stata  questa  città    eretta  da  alcuui 

VOt.    XXII, 


ERF  49 

ateniesi ,    avanti  di  Troja,   secondo 
Strabone,  e  posteriormente,  al  dire 
di    Erodoto.  Portò    prima  i    nomi 
di  Melaneis  e    di  Arobia;    fu  per 
lungo  tempo  considerabile^  ed    era 
in  uno  statò  florido  sotto  il  regno 
di  Dario  figlio  di    Itaspe.  Allorché 
i  Persiani  portarono  la  guerra  nella 
Grecia,    fu  questa  città  da  essi    di- 
strutta. Si   riedificò  ben  presto,  di- 
venne   ricchissima ,    e  sussìsteva    al 
tempo  di  Strabone.  Menedeo  vi  sta- 
bili una  scuola  di  filosofia,  i  cui  di- 
scepoli  chiamaronsi  Eretri.  Al  pre- 
sente non  resta  che  la  memoria    e 
la  persuasione    che    esistesse   in    un 
suolo   chiamato  dai  greci    moderni 
Gravalinais.  Al  presente  Eretria  e 
Vatia,  Eretrian.,  è  un  titolo  vesco* 
vile    ut    partibus ,  sotto    la    metro- 
poli egualmente  in  partibus  di  Cal- 
cide, ossia  Negroponte.    Il    regnali* 
te    Pontefice ,    ne    fece  vescovo  in 
partibus ,  monsignor  Andrea    Scott> 
ed    insieme    vicario    apostolico    del 
distretto    occidentale  di    Scozia,  vi- 
cariato   che  tuttora  funge ,    e    go- 
verna. 

ERFORT,  ERFURT  (Erfordia). 
Città  Vescovile  negli  stati  Prussia*- 
ni,  provincia  di  Sass,  capoluogo  di 
reggenza  e  di  circondario,  già  ca- 
pitale della  Turingia,  fra  Weimar 
e  Gotha,  altre  volte  chiamata  Bi- 
cungium  o  Bicorgium.  Questa  cit- 
tà viene  da  alcuni  posta  nella  Mi- 
snia.  Dicesi  inoltre,  che  Meroveo  re 
di  Francia  desse  ad  Erfort  il  suo 
nome,  e  perciò  venne  anche  chia- 
mata Merigisburgo.  E  cinta  di  mu- 
ra e  fosse,  non  che  difesa  da  una 
cittadella  chiamata  Petersberg ,  e- 
retta  sopra  la  collina  che  domina 
la  città,  e  dal  forte  Cyriaksburg. 
La  città  è  assai  estesa,  ma  una 
parte  del  luogo  che  occupa  è  com- 
posta di  soli  giardini,  oltre  sei  sob- 

4 


5o  ERF 

l)orglii.  Rinchiude  qualche  hel  cdi- 
fìzio,  e  fra  le  chiese  cattoliche  é 
degna  di  osservazione  l'antica  cat- 
tedrale. Vi  sono  utili  stabilimenti, 
come  un  monistero  di  orsoline,  due 
orfanotrofi,  ec.  Uno  di  questi  prima 
era  convento,  ed  ivi  Lutero  avea 
fatto  la  sua  professione  religiosa. 
Avvi  pure  un'accademia  di  scienze 
ed  arti,  una  biblioteca,  un  museo, 
un  gabinetto  di  storia  naturale,  ec. 
L'università  di  Erfort  fondata,  se- 
condo alcuni,  nel  i3(>2,  e  secondo 
altri  nel  i  392,  fu  riunita  a  quella 
di  Halle  nel  1816:  il  fondatore 
era  stato  Corrado  Winsperg,  ot- 
tantesimo arcivescovo  di  Magonza. 
L'origine  di  questa  città  risale  al 
quinto  secolo,  e  prese  il  nome  che 
porta  dal  castello  situato  nelle  sue 
vicinanze,  il  signore  del  quale  a- 
veva  un  diritto  di  pedaggio  dal 
castello  alla  città,  che  al  tempo  di 
s.  Bonifacio  era  già  considerabile. 
L'imperatore  Lodovico  II,  nell'852, 
vi  tenne  i  comizi  provinciali  ;  ed 
Enrico  I,  e  Ridolfo  I  vi  adunaro- 
no una  dieta  imperiale.  La  città 
fu  anticamente  alleata  coi  margra- 
vi e  landgravi  di  Misnia,  Assia  e 
Turingia,  cogli  arcivescovi  di  Mag- 
deburgo,  coi  duchi  di  Sassonia  ,  e 
con  altre  case  sovrane.  Benché  non 
sia  mai  stata  città  immediatamen- 
te, e  libera  dell'impero,  .ciò  non 
ostante  fu  in  possesso  di  vari  di- 
ritti signorili  e  privilegi.  Le  pre- 
tensioni, che  l'elettore  di  Magonza 
ebbe  sopra  questa  città ,  sino  dai 
tempi  dell'imperatore  Ottone,  il 
quale  donolla  agli  arcivescovi  di 
Magonza,  dopo  la  morte  di  Bur- 
cardo  signore  di  Turingia,  furono 
soggette  a  molte  controversie.  Do- 
po che  Erfort  abbracciò  il  lutera- 
nismo, gli  arcivescovi  perdettero  la 
loro  autorità,  ed  i  borghesi  si  po- 


ERF 
sero  sotto  la  protezione  dei  duchi 
di  Sassonia.  Il  re  di  Svezia  Gu- 
stavo se  ne  impadronì,  quindi  nel 
1648,  pel  trattato  di  Osnabrulv,  ri- 
tornò sotto  il  dominio  degli  arci- 
vescovi di  Magonza.  Gli  abitanti 
non  volendo  obbedire,  furono  dal- 
l' imperatore  posti  al  così  detto 
bando  dell'impero;  ed  il  re  di 
Francia  mandò  truppe  all'  arcive- 
scovo di  Magonza,  che  nel  1664 
lo  fecero  padrone  della  cittadella, 
la  quale  fu  per  lui  governata  da 
un  governatore,  ossia  Vìce-Domi- 
nus,  che  sceglieva  dal  suo  capito- 
lo, ed  al  quale  il  popolo  prestava 
giuramento  di  fedeltà.  Appartenne 
poscia  alla  Prussia  a  titolo  d' in- 
dennizzazione,  indi  fu  ceduta  alla 
Francia  nel  trattato  di  Tilsit.  Suc- 
cessivamente venne  riunita  alla  Sas- 
sonia ;  ma  dopo  la  battaglia  di  Je- 
na, la  città  cadde  nel  potere  dei 
francesi ,  con  un  parco  di  cento 
venti  pezzi  d'artiglieria.  Nel  1808 
quivi  ebbe  luogo  una  memorabile 
conferenza  fra  l'imperatore  di  Rus- 
sia ,  e  quello  di  Francia  ;  e  nel 
181 3  questa  piazza  protesse  forte- 
mente la  ritirata  dell'armata  fran- 
cese dopo  la  battaglia  di  Lipsia. 

La  sede  vescovile  venne  eretta 
in  Erfort,  verso  l'anno  742,  da  s. 
Bonifacio  apostolo  dell' Alemagna  , 
lo  che  approvò  il  Pontefice  s.  Zac- 
caria. S.  Bonifacio  vi  pose  per  ve- 
scovo il  beato  A  delardo,  che  ne  fu 
il  primo  e  l'ultimo  vescovo,  dappoi- 
ché essendo  egli,  insieme  a  s.  Bo- 
nifacio, stato  ucciso  nelle  missioni 
di  Frisia,  il  vescovato  di  Erfort  fu 
unito  a  quello  di  Magonza.  La 
chiesa  collegiale  principale  è  dedi- 
cata alla  beata  Vergine.  Prima  in 
Erfort,  e  nella  sua  diocesi  eranvi 
alcune  abbazie  e  monisleri.  Sicco- 
me questa  città  era  troppo   lonta- 


ERF 
na  dalla  sua  metropolitana,  gli  ar- 
civescovi di  Magonza  avevano  l'u- 
sanza di  nominare  un  suffraganeo 
che  risiedeva  e  faceva  le  funzioni 
episcopali  in  Erfort ,  e  nei  paesi 
vicini  di  Assia,  Turingia,  Eichsfeld 
e  Sassonia. 

Concili  dì  Erfort. 

Il  primo  fu  celebrato  Tanno  932 
il  dì  primo  di  giugno,  sotto  En- 
rico I  re  di  Germania.  Vi  si  fe- 
cero dai  vescovi  cinque  canoni.  Con 
essi  venne  vietato  di  patrocinar  le 
cause  ne'  giorni  di  domenica,  nelle 
feste,  e  ne'  giorni  di  digiuno;  ed 
ai  giudici  fu  imposto  di  non  rice- 
vere citazioni  di  alcuno  avanti  di 
loro,  nelle  settimane  che  precedono 
la  festa  di  Natale,  e  quella  di  s. 
Gio.  Battista,  ne  dalla  quinquage- 
sima fino  all'ottava  dopo  Pasqua. 
Venne  ordinata  la  celebrazione  del- 
le feste  dei  dodici  apostoli,  e  di 
digiunar  le  vigilie,  che  sino  allora 
erano  state  osservale.  Si  vietò  di 
presentar  libelli,  di  citare  in  giu- 
dizio quelli  che  vanno  alla  chiesa, 
o  che  vi  sono,  affine  di  non  distorli 
dalle  preghiere,  e  d' imporsi  da  per 
te  digiuni,  che  alcuni  facevano  più 
per  superstizione,  che  per  pietà. 
Pagi,  ad  hwic  annum;  Diz.  de  Con- 
cili. 

11  secondo  fu  tenuto  l'anno  1078, 
a'  io  marzo,  non  però  riconosciu- 
to. Vi  si  divisero  le  decime  di  Tu- 
ringia tra  Enrico  IV  re  de' roma- 
ni, e  Sigifredo  arcivescovo  di  Ma- 
gonza,  di  cui  le  principali  erano 
delle  abbazie  di  Fulda  e  di  Her- 
feld.  Diz.  de'  Concili.  Il  Mabillon, 
A nnal.  s.  Bened.  t.  V,  p.  72,  al- 
l'anno 1075,  lo  dice  celebrato  nel 
1074,  ed  accennato  come  di  Ma- 
gonza,  se  pure  non  è  il  seguente. 


ERG  Si 

Il  terzo  ebbe  luogo  nel  1074  in 
ottobre.  Sigifredo  arcivescovo  di 
Magonza  volle  assoggettare  gli  ec- 
clesiastici ai  decreti  del  concilio  ro- 
mano dello  stesso  anno  contro  la 
simonia,  e  la  incontinenza  de' chie- 
rici; gli  costrinse  a  non  più  indu- 
giare, ed  a  rinunziare  o  al  matri- 
monio, od  al  servigio  degli  altari. 
I  chierici  allegarono  molti  pretesti 
per  eludere  le  provvidenze  dell'ar- 
ci vescovo^  che  sarebbe  stato  ucci- 
so, se  i  suoi  vassalli  non  avessero 
quietato  i  più  furibondi.  In  que- 
sto concilio  volle  reprimersi  anco 
la  simonia.  Diz.  de'  Concili. 

Il  quarto  si  adunò  nel  11 49- 
Fu  presieduto  dall'arcivescovo  di 
Magonza,  Enrico,  che  vi  terminò 
le  vertenze  tra  l'abbate  di  Burgi- 
lin,  e  il  conte  Piron  eh' erasi  im- 
padronito di  alcuni  beni  dell'  ab- 
Jjazia.  Venne  inoltre  deciso  che  l'in- 
cestuoso conte  d'Hildensheim  non 
potesse  contrarre  matrimonio  prima 
di  aver  fatto  la  penitenza  che  gli 
verrebbe  imposta.  Venne  inoltre 
citato  l'abbate  di  Harevelde,  il  qua- 
le senza  consultare  l'arcivescovo  di 
Magonza,  aveva  accettato  l'abbazia 
di  Fulda.  Mabillon,  Annal.  s.  Be- 
ned. tom.  VI,  pag.  466  ;  Mansi , 
Suppl.  t.  II,  col.  47  2« 

Il  quinto  concilio  si  tenne  l'an- 
no 1^35.  Si  ordinò  che  venissero 
celebrate  tutte  le  feste,  le  quali  a- 
vevano  un  officio  proprio.  Mansi, 
Suppl.  t.  II,  col.  919. 

ERFORT.   F.  Herford. 

ERGASTOLO  oERGASTULO 
(Ergastulum).  Prigione  in  cui  si 
tenevano  anticamente  gli  schiavi 
incatenati  a  lavorare.  Oggi  si  pren- 
de per  carcere  ristrettissimo.  Bion- 
do da  Forlì,  nella  sua  Berna  trion- 
fante _,  a  png.  161,  parlando  delle 
diverse  carceri    dell'antica    Roma, 


5i  ERI 

dice  che  l'Ergastolo  era  un  luogo, 
ove  si  condannavano  i  colpevoli  a 
farvi  qualche  lavoro,  come  soleva- 
no essere  i  gladiatori,  e  quei  che 
segavano  i  marmi.  Il  Macri ,  alla 
voce  Ergasterium,  racconta  che  fu 
usata  per  significare  il  mouistero , 
un  luogo  di  lavoro,  il  pubblico 
tributo  che  pagavano  le  officine 
della  città,  ed  anche  il  postribolo. 
y.  Carcere,  e  Lipsio,  de  Ergastu- 
list  II,  i5.  Nello  stato  Pontifìcio, 
ed  in  Corneto,  avvi  il  carcere  pei 
chierici  colpevoli ,  che  appunto  si 
chiama  Ergastolo.  Di  esso  parlam- 
mo al  voi.  IX,  pag.  263,  ed  al 
voi.  XVII,  pag.  \hi  del  Diziona- 
rio; ma  colla  qualifica  di  Pia  ca- 
sa di  penitenza.  Gio.  Giorg.  Simon 
scrisse  de  Ergasteria  disciplinaria, 
Jenae   1678. 

ERIBERTO  (s.).  Trasse  i  natali 
da  un'illustre  famiglia  della  Ger- 
mania, e  compi  i  suoi  studi  nel 
monistero  di  Gorze  in  Lorena. 
Tornato  a  Worms  sua  patria,  di- 
venne prevosto  di  quella  chiesa,  e 
di  poi  cancelliere  dell'  imperatore 
Ottone  III.  Fu  chiamato  in  segui- 
to a  reggere  la  chiesa  arcivescovi- 
le di  Colonia.  Egli  si  recò  a  Ro- 
ma a  ricevere  il  sacro  pallio  dalle 
mani  del  Pontefice  Silvestro  II,  e 
partito  per  Colonia,  fu  ivi  conse- 
crato  il  dì  24  dicembre  999.  Con 
quella  sollecitudine,  eh' è  propria 
dei  più  santi  pastori,  resse  Eriber- 
to  la  chiesa  affidatagli ,  e  la  sua 
carità  verso  i  poveri,  la  sua  umil- 
tà, ed  il  suo  fervore  nella  preghiera, 
gli  attiravano  di  continuo  l'ammi- 
razione e  venerazione  dei  suoi  dio- 
cesani. Finalmente,  occupato  nella 
visita  pastorale,  fu  colto  da  grave 
malore,  e  dovette  fermarsi  nella 
piccola  città  di  Duitz,  ove  placida- 
mente  morì    li    16    marzo   1022. 


ERI 

L'atto  di   sua  canonizzazione    asse- 
gna la  di  lui   festa  ai    16  marzo. 

ERICO  di  Svezia  (s.).  Sino  dalla 
sua  prima  età  incominciò  Erico  a 
fornire  la  mente  collo  studio  delle 
scienze,  e  adornare  il  cuore  di  ogni 
cristiana  virtù.  Divenuto  adulto,  si 
unì  in  sacro  nodo  con  Cristina  fi- 
glia d' Ingone  IV,  re  di  Svezia. 
Morto  che  fu  Smerchero  II,  con- 
vocati gli  stati,  scelsero  gli  svedesi 
Erico  per  loro  re,  e  lo  collocaro- 
no sul  trono.  Governò  egli  da  sag- 
gio re,  vegliando  sopra  se  stesso 
coll'assidua  preghiera,  coll'austerità 
del  digiuno,  e  adoperandosi  verso 
i  suoi  popoli  affinchè  esattamen- 
te amministrata  fosse  la  giustizia, 
sbandita  la  prepotenza,  e  tolto  il 
mal  costume.  Di  spesso  si  recava 
al  letto  degli  infermi,  e  li  solleva- 
va, se  poveri,  con  larghe  limosine. 
Fabbricò  molte  chiese,  e  con  savie 
leggi  represse  gli  abusi,  ed  assicu- 
rò la  pubblica  tranquillità  ne'  suoi 
stati.  Benché  d' indole  pacifica,  non 
potè  sottrarsi  di  prender  l' armi  ; 
ma  noi  fece  mai  per  capriccio,  né 
per  voglia  d' ingrandimento ,  solo 
per  difesa  de'  suoi  popoli.  Assog- 
gettata la  Finlandia,  perchè  questa 
era  in  preda  al  paganesimo,  diede 
l' incarico  di  predicarvi  il  vangelo 
a  s.  Enrico  vescovo  di  Upsal ,  e 
fece  anche  innalzare  un  gran  nu- 
mero di  chiese. 

Magno,  figlio  del  re  di  Dani- 
marca, il  quale  vagheggiava  per 
mire  ambiziose  la  corona  di  Sve- 
zia, aizzato  da  alcuni  svedesi  osti- 
nati nel  paganesimo,  cospirò  contro 
i  giorni  del  santo  re  Erico,  e  rag- 
giuntolo nel  momento  che  usciva 
dalla  chiesa,  nel  giorno  dell'Ascen- 
sione, dopo  aver  udita  la  messa,  i 
congiurati  si  slanciarono  contro  di 
lui,  lo  rovesciarono   da  cavallo,  ed 


ERI 

offeso  in  mille  modi,  gli  mozzaro- 
no per  ultimo  il  capo  in  odio  dei- 
la  religione.  Il  suo  martirio  accad- 
de il  giorno  18  maggio  dell'anno 
1 1 5 1 .  Il  suo  corpo  si  conserva 
tuttora  incorrotto  nella  chiesa  di 
Upsal,  e  molti  miracoli  furono  o- 
perati  alla  sua  tomba.  La  festa  di 
lui  è  assegnata  ai    18   maggio. 

ER1MANNO,  Cardinale.  Non  ci 
e  chiaro  a  qual  titolo  e  diaconia, 
O  ordine  cardinalizio,  Erimanno  ap- 
partenesse,  perchè  il  suo  nome 
trovasi  scritto  semplicemente  in  una 
bolla  spedita  in  Cremona  da  Ur- 
bano II  nel  1095,  a  favore  dei 
monistero  di  s.  Egidio,  la  quale 
fu  anche  confermata  nel  concilio 
di   Piacenza. 

ERINDELA  (  Aeryndelen.).  Se- 
de episcopale  d'Asia,  nel  patriarca- 
to di  Gerusalemme,  sotto  la  me- 
tropoli di  Tarso.  Con  tal  qualifica, 
e  con  quella  di  titolo  vescovile  ira 
partibus  >  la  santa  Sede  conferisce 
questa  dignità.  V.  Mireo,  Not.  E- 
piscopatuurn. 

ERIOPOLI.  V.  Tripoli.  Sede  epi- 
scopale della  Fenicia  marittima,  e  ti- 
tolo vescovile  ira  partibus  infidelium. 

ERISSO ,  seu  Hierissus.  Città 
vescovile  della  provincia  di  Mace- 
donia nella  diocesi  dell' Illiria  orien- 
tale, sotto  la  metropoli  di  Tessa- 
lonica,  ed  eretta  nel  nono  secolo, 
al  dire  di  Commanville,  il  quale 
inoltre  aggiunge  che  divenisse  poi 
arcivescovato  onorario.  Era  situata 
a'  piedi  del  monte  Athos,  e  fu  pur 
chiamata  Agios  Oros3  Monte  San- 
to, ed  Apollonia.  Si  disse  Monte 
santo,  o  sagro,  dal  gran  numero 
di  monaci,  i  quali  vi  dimoravano, 
tutti  governati  dal  vescovo.  h'Oriens 
Christ.j  t.  II,  p.  100,  registra  tre 
vescovi.  Davide  del  1 564  ;  Euge- 
pio  suo  successore,  che  scrisse    al- 


ERI  53 

l'arciduca  Carlo  esponendogli  quan- 
to soffrivano  i  monaci  dagli  otto- 
mani; e  Daniele,  che  viveva  nel 
1720.  Al  presente  Erisso,  Aran- 
then.j  è  un  titolo  vescovile  ira  par- 
tibus}  che  conferisce  il  sommo  Pon- 
tefice, sotto  l'arcivescovato  egual- 
mente ira  partibus   di   Tessalonica. 

ERISSO ,  seu  Hierissus.  Sede 
vescovile  della  seconda  provincia 
dell'  isola  delle  Cicladi,  nell'esarca- 
to d'  Asia ,  eretta  nel  nono  secolo 
secondo  Commanville,  Hist.  de  tous 
les  arch.  et  évéq.9  e  fatta  suffra- 
ganea  della  metropoli  di  Mitilene. 

ERITREA.   V.  Eretrea. 

ERIVAN,  IREWAN,  o  REVAN 
(Revanum).  Città  arcivescovile  della 
Persia,  già  capitale  della  grande 
Armenia,  nel  patriarcato  di  Ezmia- 
zin ,  capo  luogo  di  provincia,  e  di 
distretto,  sulla  riva  sinistra  del 
Zenghi.  È  composta  di  circa  due 
mila  case  sparse  in  mezzo  a  campi 
fertili  e  deliziosi  giardini,  ed  è  di- 
fesa da  una  fortezza,  situata  sopra 
una  roccia  che  s'innalza  perpendi- 
colarmente a  cento  tese  al  di  sopra 
del  livello  del  Zenghi,  protetta  dal 
lato  opposto  da  una  larga  fossa,  a 
secco,  su  cui  si  gettarono  dei  ponti 
amovibili.  Questa  fortezza  ha  un 
doppio  recinto  di  terra ,  fiancheg- 
giato da  torri,  e  rinchiude  il  pa- 
lazzo del  governatore,  edifizio  so- 
lido ed  elegante,  una  bella  mo- 
schea, una  fonderia  di  cannoni, 
delle  caserme  ec.  Gli  abitanti,  per 
la  maggior  parte  armeni,  fanno 
un  commercio  considerabile  coi  rus- 
si ed  i  turchi.  Conta  circa  dieci 
mila  abitanti. 

Erivan,  secondo  l'opinione  degli 
armeni,  è  il  luogo  in  cui  ritirossi 
Noè,  dopo  essere  disceso  dal  mon- 
te Ararat,  ove  arrestossi  l'arca. 
L'istoria  de'  turchi  fa  provenire  la 


54  ERI 

paiola  Erivan  da  un  verbo  ar- 
meno che  significa  vedere,  e'  dice 
che  si  diede  un  tal  nome  alla  città, 
perchè  il  suo  territorio  fu  il  pri- 
mo scoperto  da  Noè,  appunto  quan. 
do  scese  dall' Ararat.  Altri  dicono, 
che  la  parola  Erigati  significa  ap- 
parizione, perchè  a  chi  discende  dal 
monte  Masis,  il  quale  nella  Scrit- 
tura è  detto  Ararat,  apparisce  sol- 
tanto la  pianura,  ed  il  paese  di  E- 
rivan  ;  ed  ancora  perchè  quivi  ap- 
parve, dopo  il  tremendo  diluvio , 
l'arca  di  Noè.  Non  vi  è  apparenza 
che  questa  città  sia  stata  eretta 
prima  della  conquista  degli  arabi 
in  Armenia,  mentre  non  vi  si  scor- 
ge nemmeno  segno  di  remota  an- 
tichità. Un  tempo  stava  un  terzo 
di  lega  più  lunge,  ma  avendo  mol- 
to sofferto  nelle  guerre  Ira  i  tur- 
chi ed  i  persiani,  ed  essendo  sta- 
ta quasi  distrutta  in  seguito  di  lun- 
ghi e  diversi  assedi ,  venne  riedi- 
ficata nel  i635,  sul  luogo  che  oc- 
cupa presentemente.  I  turchi  se  ne 
impadronirono  nel  i582;  e  costrus- 
sero  la  sua  fortezza ,  la  quale  fu 
presa  dai  persiani  nel  1604.  Però 
i  turchi  vi  rientrarono  dopo  la 
morte  di  Abbas  I,  nel  1629;  ma 
poscia  Cha-Sefi,  sultano  di  Persia, 
gli  scacciò  nel  i635.  Tuttavolta 
nel  1724  nuovamente  i  turchi  si 
impadronirono  della  fortezza  con 
grande  loro  sagrifizio ,  ma  venne 
ripresa  dai  persiani  nel  1748,  che 
la  conservarono  sempre,  respingen- 
do con  somma  perdita  anche  i  rus- 
si, i  quali,  nel  1808,  tentarono 
d' impadronirsene.  A  due  leghe  e- 
ravi  il  celebre  amnisterò,  detto  dai 
turchi  delle  tre  chiese,  ossia  Ezmia- 
zin.  Sui  confini  del  territorio  di 
Erivau  si  vedono  le  rovine  della 
città  chiamata  dagli  antichi  Arta- 
xala>  e  fra  esse  gli  avanzi  del  pa- 


ERK 
lazzo  di  Tiridate:  altri  però  asse- 
riscono, che  il  palazzo  di  Tiridate 
fosse  in  Valarsciabat;  cui  forse  al- 
cuni chiamarono  Artaxata,  ed  al- 
tri, che  Erivan  sia  subentrata  alla 
detta  città  di  Valarsciabat,  cosi 
chiamata  perchè  fu  edificata  dal 
re  armeno  Valars.  A  dodici  leghe 
dalla  parte  dell'oriente  vi  era  la 
famosa  montagna  volgarmente  det- 
ta di  Ararat,  e  che  i  turchi  chia- 
mano Agridg,  cioè  montagna  alta, 
e  gli  armeni  ed  i  persiani,  Macis. 

Erivan  è  registrato  da  Comman- 
ville  pel  primo  arcivescovato  della 
sede  patriarcale  di  Ezmiazin,  il  cui 
arcivescovo  risiedeva  ad  Armena- 
Perkìk. 

ERIZI  o  SIZON.  Città  vesco- 
vile della  Caria,  nell'esarcato  d'A- 
sia, sotto  la  metropoli  d'Afrodisia- 
de,  che  Commanville  disse  eretta 
nel  nono  secolo.  I  vescovi  Papia 
e  Magno  vi  ebbero  sede.  Oriens 
Christ.  t.  I,  p.  922. 

ERKONWALDO  (s.).  Trasse  i 
natali  da  un'illustre  famiglia  d'In- 
ghilterra. Egli  sentì  e  secondò  sino 
dalla  sua  infanzia  una  santa  incli- 
nazione al  servizio  del  Signore.  Per 
otteuere  perfettamente  lo  scopo,  se- 
guendo i  consigli  dell'evangelio,  di- 
venuto adulto,  abbandonò  la  pa- 
tria, e  si  recò  nel  regno  dei  Sas- 
soni orientali.  Venduti  i  propri  be- 
ni, converti  il  ricavato  nell 'erigere 
due  monisteri,  l'uno  a  Chertsey 
presso  il  Tamigi,  e  l'altro  a  Bar- 
king  nella  contea  di  Essex,  e  que- 
sto per  religiose.  Presiedette  Er- 
konwaldo  per  molti  anni  al  regi- 
me del  primo,  traendovi  la  sua 
santità  di  vita  gran  numero  di  di- 
scepoli. I]  re  Sebba,  che  domina- 
va in  quei  dì,  da  pari  fama  ecci- 
tato, chiamò  il  santo  solitario  a  se- 
dere   sulla    cattedra   episcopale    di 


ERL 
Londra,  e  venne  consecrato  da  s. 
Teodoro  vescovo  di  Cantorbery,  nel- 
l'anno 6j5.  Governò  egli  quella 
illustre  e  vasta  diocesi  pel  corso 
di  anni  undici,  con  ogni  sollecitu- 
dine, ed  evangelica  carità;  final- 
mente spiro  nel  bacio  del  Signore. 
Fu  seppellito  nella  sua  cattedrale 
di  Londra,  e  la  tomba  di  lui  di- 
venne celebre  pei  frequenti  mira- 
coli. Ricorre  la  sua  festività  li  3o 
aprile. 

ERLAUo  ERLAW  (Agrien.). 
Città  con  residenza  arcivescovile 
nel  regno  di  Ungheria.  Oltre  quan- 
to di  questa  illustre  metropolitana 
dicemmo  all'  articolo  Agria,  qui 
aggiungeremo,  che  al  suo  odierno 
patriarca  arcivescovo,  dal  regnante 
Pontefice  fu  dato  in  vescovo  au- 
siliare, monsignor  Carlo  Rajner  di 
Strigonia,  fatto  vescovo  di  Amoria 
in  partibus,  nel  concistoro  de'  17 
aprile  1840;  e  che  il  primo  ve- 
scovo fu  Catapranus  del  1099.  So- 
no poi  a  nominarsi  s.  Buldo,  il 
Cardinal  Tommaso  Bakacs  del  1 49^, 
il  Cardinale  Ippolito  d'  Este  del 
1 498  ,  Benedetto  Risdey,  fondato- 
re dell'accademia  Cassiovense,  del 
1648. 

La  cattedrale  è  dedicata  ad  o- 
nore  di  Dio,  ed  a  s.  Giovanni  a- 
postolo  ed  evangelista,  ante  Por- 
tam  La  ti nani  _,  ed  ha  il  fonte  bat- 
tesimale ,  esercitando  le  funzioni 
della  parrocchia  tre  cappellani.  Fra 
le  reliquie,  che  nella  medesima  si 
venerano,  avvi  il  corpo  di  s.  Sim- 
plicio martire.  Il  capitolo  si  com- 
pone di  sei  dignità,  la  prima  del- 
le quali  è  il  prevosto  maggiore, 
di  sei  canonici,  comprese  le  pre- 
bende del  teologo,  e  del  peniten- 
ziere, in  tutto  dodici  canonici,  ol- 
ire otto  onorari,  non  che  di  altri 
preti  e  chierici  per   l'officiatura.  Le 


EHM  5$ 

dignità,  oltre  il  preposto  maggiore, 
sono  il  lettore,  il  cantore,  il  cu- 
stode, il  preposto  della  B.  V.  Ma- 
ria de  Castro,  l'arcidiacono,  e  l'ar- 
cidiacono di  Pankota.  L'episcopio, 
vasto  edifizio,  è  vicino  alla  sontuo- 
sa e  ricca  cattedrale.  Nella  città 
vi  sono  cinque  conventi  pei  reli- 
giosi, il  seminario  cogli  alunni,  l'o- 
spedale, ed  altri  utili  e  pii  stabili- 
menti. Ogni  nuovo  arcivescovo  è 
tassato  ne'libri  della  cancelleria  a- 
postolica,  in  fiorini  tremila,  in  pro- 
porzione delle  pingui  rendite  della 
mensa,  e  della  sua  ampia  arcidio- 
cesi. 

ERLUFIO  (s.).  Mosso  dall'esem- 
pio di  vari  missionari,  che  percor- 
revano l'Alemagna  predicandovi  il 
vangelo  di  Gesti  Cristo,  abbandonò 
Erlufio  la  patria,  e  si  diede  con 
santo  zelo  a  raccogliere  frutti  co- 
piosi nella  mistica  vigna.  Promos- 
so dipoi  al  vescovato  di  Verden, 
egli  adempì  esattamente  ai  doveri 
dell'  episcopato ,  e  si  rese  degno 
sempre  più.  della  altrui  stima  e 
venerazione.  Alcuni  però  di  quei 
barbari,  in  vendetta  dell'abbando- 
no, che  ne  sentivano  i  falsi  loro 
idoli,  per  i  trofei  riportati  dalla 
predicazione  di  Erlufio,  il  trucida- 
rono in  Eppokstorp  l'anno  83o.  Il 
giorno  io  febbraio  è  sacro  alla  sua 
memoria. 

ERMANO  Giuseppe  (b.).  Da  po- 
veri genitori  nacque  in  Colonia 
sotto  l'impero  di  Federico  Barba- 
rossa.  In  età  assai  verde  si  ricovrò 
nel  monistero  di  Steinfeldt  diretto 
dai  canonici  regolari  di  Premonstra- 
to.  Attendendo  con  ogni  sollecitu- 
dine alla  vita  contemplativa ,  vi 
pervenne  egli  rapidamente  in  grado 
sublime,  a  mezzo  del  digiuno,  del- 
l'umiltà e  dell'orazione.  Molte  fu- 
rono le  tentazioni ,  a   cui  il   mali- 


56  EHM 

gno  spirito  volle  esposto  il  nostro 
santo,  ina  egli  seppe  rintuzzarle 
tutte  col  favore  della  grazia  cele- 
ste. Vivamente  divoto  alla  Vergine 
santissima,  ricordava  con  tenerezza 
di  affetto  a  Gesù.  Cristo  il  mistero 
di  sua  incarnazione,  e  si  sentiva 
in  soave  estasi  rapito,  ogni  qual- 
volta recitando  le  laudi,  giungeva 
al  cantico  Benedictus.  Giunto  al  ter- 
mine di  sua  vita,  vi  si  dispose  con 
quella  tranquillità,  che  non  può  esser 
sentita  se  non  da  chi  è  in  pace  col 
suo  Iddio.  Il  giorno  7  aprile  del  1236 
Etmano  volò  al  cielo,  e  fu  sopran- 
nominato Giuseppe  per  la  sua  ca- 
stità. È  onorato  nei  Paesi  Bassi, 
ed  il  suo  corpo  riposa  nell'abbazia 
di  Steinfeldt.  La  sua  festa  è  fissa- 
ta il  di  7  aprile. 

ERMANNO,  Cardinale.  Erman- 
no, creduto  da  alcuni  appartenente 
alla  famiglia  Cibo,  conseguì  dal  Pa- 
pa Alessandro  li,  del  1061  ,  il 
grado  di  Cardinale,  col  titolo  pre- 
sbiterale de*  Santiquattro  o  piutto- 
sto di  s.  Vitale ,  come  vogliono 
altri  autori.  Nel  pontificato  di  Ur- 
bano II  fu  arciprete  della  Chie- 
sa romana,  e  sebbene  fregiato  di 
tanta  dignità,  pure  per  volontà 
del  Pontefice,  portò  il  pallio  all'arci- 
vescovo di  Milano,  per  singoiar  di- 
stinzione di  quel  pastore.  S.  Gregorio 
VII  Io  spedì  legato  nella  Corsica,  do- 
ve ebbe  molto  a  sofferire  in  difesa 
della  giustizia  e  della  fede.  Si  fa 
menzione  di  Ermanno  negli  atti 
sinodali  promulgati  da  Urbano  II 
nella  città  di  Troja  nella  Puglia, 
e  così  pure  nella  vita  dell'anzidet- 
to Papa,  scritta  da  Pandolfo  Pi- 
sano. 

ERMANNO,  Cardinale.  Erman- 
no suddiacono  e  notaio  apostolico, 
al  quale  il  Panvinio  attribuisce  il 
titolo  di   maestro,  nei  principii  del 


E  KM 
pontificato  di  Alessandro  III  eser- 
citò l'ufficio  di  vice  cancelliere,  e 
fu  creato  prete  Cardinale  del  ti- 
tolo di  s.  Susanna  alle  due  case. 
Soscrisse  una  bolla,  nel  1  1 66,  spe- 
dita da  quel  Pontefice  a  favore  del 
monistero  di  s.  Croce  in  Gerusa- 
lemme di  Roma.  È  probabile  cosa, 
che  la  morte  di  lui  sia  accaduta 
nel  1172,  dopo  cinque  o  sei  anni 
di  Cardinalato.  Sappiamo  infatti 
che  il  suo  titolo  nel  1171  era  pas- 
sato ad  altro  soggetto. 

ERMANNO,  Cardinale.  Erman- 
no fu  creato  diacono  Cardinale  di  s. 
Angelo,  nella  sesta  promozione  fitta 
da  Alessandro  III,  nel  1179-  Stese 
di  sua  mano  una  bolla,  spedita  in 
Laterano  dal  nominato  Pontefice  a 
favore  della  chiesa  e  del  moniste- 
ro di  s.  Clemente  dell'isola  di  Pe- 
scara. L' Ughellio  ci  riferisce,  che 
l'originale  di  questa  bolla  si  con- 
servava presso  il  Cardinale  Giro- 
lamo Colonna,  commedatario  del- 
l'anzidetto monistero. 

ERMAS  (s.).  Romano  di  nasci- 
ta, e  da  illustre  famiglia  sortito, 
si  diede  Ermas  a  seguire  la  scuo- 
la degli  apostoli ,  e  meritò  che 
lo  stesso  s.  Paolo  lo  ricordasse  in 
una  sua  lettera  diretta  ai  Roma- 
ni. Pieno  di  fervore  e  molto  be- 
ne versato  nelle  divine  lettere,  com- 
pose un  libro  intitolato  del  Pasto- 
re. Questa  opera  è  scritta  in  uno 
stile  semplice  e  pieno  di  unzione,  ed 
è  divisa  in  tre  parti.  La  prima  e  la 
terza  rapportano  molte  rivelazioni 
in  forma  di  apologhi,  per  condurre 
i  cuori  alla  santità  de' costumi;  la 
seconda  poi,  divisa  in  dodici  capito- 
li, racchiude  le  principali  regole 
della  morale  cristiana.  A  questa 
seconda  parte  diede  Ermas  il  tito- 
lo del  Pastore;  perchè  il  di  lui 
angelo  tutelare    gli    appariva,    sotio 


ERM 
quella  figura  per  istruirlo,  quando 
egli  la  scriveva.  Una  gran  prova 
si  è  questa  dell'antichità  della  dot- 
trina cristiana  intorno  agli  Angeli 
custodi.  Visse  sotto  il  pontificato 
di  s.  Clemente  I,  è  ascritto  nel 
novero  dei  santi,  e  la  sua  festa  è 
assegnata  li  9   maggio. 

ERMELANDO  (•.).  Nacque  Ér- 
melnndo  in  Noyon  da  nobili  geni- 
tori, e  conobbe  per  tempo,    che  la 
vera  nobiltà  consiste  nel    seguir  la 
virtù.  Penetrato    di   questa   verità, 
nel  corso  de'suoi  studi  non  mai  si 
permise  di  accomunarsi  coi  giovani 
suoi  pari,  e  visse  sempre  a  se,  man- 
tenendosi   puro   ed    incontaminato. 
Spedito  alla  corte   di   Clotario   III, 
servì    quel    principe   in    qualità  di 
coppiere,    ed  accortosi    che    i    suoi 
si  adoperavano  per  provvederlo  di 
una    sposa ,    coll'assenso   del     re  si 
allontanò    dalla    corte.     Rifugiatosi 
nel  monistero  di    Fontanelle,  e  ri- 
cevuto da  s.  Lamberto,  intraprese 
il  suo   noviziato.   Compito    questo, 
fu  ammesso  alla  professione,  e  per 
la  sua  specchiata    virtù  venne  an- 
che ordinato  sacerdote  da  s.  Audeno 
arcivescovo  di  Rouen.    Alcuni  anni 
dopo  fu  spedito  a  Nantes  dal  santo 
vescovo    Pascano,    con     altri     suoi 
compagni ,    e    da    di  là     passarono 
nell'isola    di  Aindre,   ove    fabbrica- 
rono due  chiese,  che  divennero  poi 
celebri  sotto    il  nome    della    badia 
di  Aindre.  Governò  egli  santamen- 
te pel  corso  di  vari  anni  in  quali- 
tà di  abbate  quel  monistero,  e  final- 
mente sentendosi  dalle  fatiche,  dal- 
l'età, e  molto  più  da'  digiuni  vicino 
al   termine    di    sua    vita ,    rinunciò 
al  governo  a    lui  affidato.  Placida- 
mente   spirò    verso  l'anno  710.    Il 
martirologio     romano     assegna     la 
sua  festività  il  dì   i5  marzo. 
ERMELINDA  (s.).    Presso   Lo- 


ERM  57 

vanio,  città  del  Brabante,  trasse  i 
suoi  natali  Ermelinda  nel  sesto  se- 
colo. Nell'età  di  anni  dodici  consa- 
grò al  Signore  la  sua  virginità.  I 
genitori  di  lei  tentarono  inutilmen- 
te di  torla  dal  suo  divisamento,  e 
dopo  averne  sperimentata  la  co- 
stanza, le  diedero  un  pieno  assen- 
so. Per  sottrarsi  da  ogni  monda- 
na distrazione,  si  rifugiò  in  un  luo- 
go chiamato  Bevec,  ed  ivi  visse  in 
orazione  e  nel  digiuno,  per  viep- 
più piacere  al  celeste  suo  sposo. 
Passava  dal  ritiro  alla  chiesa,  e 
perchè  ebbe  a  conoscere  un  gior- 
no, che  due  giovani  tendevano  lac-* 
ci  alla  sua  virtù,  fuggì  di  subito 
da  Bevec,  e  si  recò  a  Meldrik,  ed 
ivi  consumò  il  resto  del  vivere  suo 
conducendo  una  vita  solitaria,  e 
tutta  spesa  in  austerità  e  vigilie. 
Spirò  santamente  il  dì  29  ottobre 
sul  terminar  del  sesto  secolo,  È  ono* 
rata  con  celebrità  a  Meldaert  nel 
Brabante,  e  la  sua  festa  ricorre  in 
tal  giorno. 

ERMENEGILDO  (s.).  Da  Leo- 
vigildo  re  de'  goti  in  Ispagna  nac- 
que Ermenegildo,  e  fu  allevato 
nell'arianismo.  Cresciuto  negli  anni, 
s'impalmò  con  Ingonda,  cattolica 
zelantissima,  e  figlia  di  Sigiberto 
re  d'Austrasia.  Il  padre  di  lui  as- 
sociatolo alla  dignità  reale,  gli  die- 
de a  governare  porzione  de'  suoi 
stati,  ed  ebbe  Siviglia  per  capitale. 
Le  virtù  di  Ingonda  e  le  continue 
ammonizioni ,  eh'  ella  dirigeva  al 
suo  sposo  ,  perchè  abbandonasse 
l'arianismo,  fecero  tale  impressio- 
ne nel  cuore  di  Ermenegildo,  che 
finalmente  si  arrese  alle  verità  del- 
la cattolica  fede,  e  dal  santo  ve- 
scovo di  Siviglia  Leandro  fu  rice- 
vuto nella  Chiesa,  ed  unto  col  san- 
to crisma.  Leovigildo  sdegnato  col 
figlio  per  un    tal   cangiamento    di 


EHM 

udienza,  lo    spogliò    della    corona 
non  solo,   ma   il  minacciò  altresì  eli 
...ilo    de' beni,    tifila    moglie    e 
della  vita   medesima,  se  non   muta- 
va consiglio.    Ermenegildo  ad   una 
tale  intimazione    cercò    l'appoggio 
di  vari  principi    per    contrapporre 
ia   forza  alle   violenze  paterne  ;    ma 
tradito  nella  implorala  assistenza, 
non  potendo  resistere  ad  un  asse- 
dio in  Siviglia,  che  durò  per    più 
di  un  anno,  si  diede  alla    fuga,  e 
si  rifugiò  a  Cordova,  e   poscia  ad 
Osselo.   In  questa  città    eravi   una 
chiesa  molto  bene  fortificata,  ed  in 
quella  si  rinchiuse  con  trecento  uo- 
mini scelti.    Non    fu    Ermenegildo 
neppur  salvo  in  questo  sacro    asi- 
lo, che  strappato  a  forza  dai    sol- 
dati del  padre  suo,  tu  caricalo  di 
catene,    tradotto    a    Siviglia    qual 
prigioniero,  e  posto  in    una  torre. 
Tentò  Leovigildo,  ora  colle  minac- 
ci e  ed  ora   colle  promesse,  di  con- 
durre il  figlio  a  rinunziare  al  cat- 
olicismo ;   ma  costante  il  principe 
nella  abbraeciata    credenza ,    stava 
impavido    attendendo    il    martirio. 
La    prigione    divenne    intanto    per 
lui  una  scuola  di  virtù;  col  digiu- 
no volontario  si  macerava,  col  ci- 
licio domava  ia   carne,  colla  fervi- 
da  prece  si    univa  a  Dio.    Il    Sab- 
ba to  santo  deiranno  586,  suo  pa- 
dre incaricò  un  vescovo    ariano    a 
recarsi  da  lui,  ed  offerirgli  la  sua 
grazia,  purché  volesse    ricevere    la 
comunione  dalle  vescovili  sue  ma- 
ni. Ermenegildo  rigettò  con  orrore 
una  siffatta  proposta,  e  rimproverò 
il   vescovo  cjual  seguace  di  un'em- 
pia dottrina.  Montalo    il    re    sulle 
fùrie  a  sì  franca  condotta,  ordinò 
che  gli  fosse  mozzata  la    testa,  ed 
Ermenegildo    senza     opporvi    resi- 
slenza  si  sottomise    al  fiero    colpo, 
il  che  seguì  il  giorno    i3    aprile  3 


EHM 
nel    quale    viene    dal    martirologio 
romano    assegnato    il    suo  glorioso 
martirio.  • 

ERMENEGILDO.  Ordine  tu/uc- 
sire  di  Spagna.  Nell'anno  1808, 
per  le  discordie  intestine  della  Spa- 
gna, e  per  le  armi  violenti  di  Na- 
poleone, il  re  Carlo  IV  dovette  ce- 
dere il  regno  a  Ferdinando  VII 
suo  figlio;  quindi  profittando  Na- 
poleone di  una  occasione  favore- 
vole, fece  rinunziare  ambedue  alla 
corona,  che  diede  al  proprio  fra- 
tello Giuseppe  Bonaparte.  Ma  de- 
clinata la  fortuna  di  Napoleone,  si 
risolvette  egli  nel  i8i3  di  resti- 
tuire la  Spagna,  che  mai  aveva  po- 
tuto domare,  al  legittimo  re  Fer- 
dinando VII,  ciò  che  effettuò  a'  i5 
dicembre.  Tornato  il  principe  nei 
suoi  stati,  dopo  essersi  occupato  a 
riordinarli ,  per  rendere  durevole 
a'  posteri  la  memoria  del  suo  ri- 
torno al  trono,  nel  18 14  eresse  l'or- 
dine cavalleresco  di  s.  Ermenegil- 
do ,  acciò  fosse  di  guiderdone  a 
que'  prodi  sudditi  che  sì  a  lungo 
e  con  sì  gran  coraggio  avevano 
sostenuto  i  suoi  diritti  alla  corona, 
contro  le  forze  del  formidabile  con- 
quistatore francese.  Fu  stabilita  per 
decorazione  a' cavalieri  una  croce, 
che  sospesa  ad  un  nastro  di  seta 
ondata  di  colore  rosso,  ma  con  orli 
colore  di  perla,  si  dovesse  portare 
nella  sinistra  parte  del  petto;  e  in 
pari  tempo  furono  pubblicati  i  sta- 
tuti dell'  ordine. 

ERMESIANI.  Seguaci  delle  dot- 
trine di  Giorgio  Ermes.  Questi  nac- 
que in  Dregerwald,  nel  principato 
eli  Munster  nella  Westfalia.  Studiò 
nel  collegio  o  ginnasio  di  Rheines> 
dal  1785  al  1792,  nel  quale  an- 
no passò  a  Munster  per  cominciar 
il  corso  di  filosofìa  nella  universi- 
tà. Nello  studiare  teologia    sorsero 


ERM 
in  lui  diversi  dubbi  intorno  a  Dio, 
alla  rivelazione,  e  alla  vita  eterna. 
Nel  i  798  ricevette  1' uffizio  di  pro- 
fessore nel  ginnasio  di  Miuister, 
continuando  in  pari  tempo  i  stu- 
di filosofici  e  teologici  ;  encomian- 
do grandemente  nelle  sue  lezioni 
Kant  e  Fichte.  Nel  declinar  del 
1798  ricevette  la  tonsura,  quindi 
gli  ordini  minori,  il  suddiaconato, 
e  nel  febbraio  1799  il  presbitera- 
to, a  titolo  della  mensa  così  detta 
del  principe.  Nel  1807  fu  fatto 
professore  ordinario  di  dommatica 
neir  università  di  Miinster,  ed  al- 
lora incominciarono  le  sue  verten- 
ze sul  metodo  dell'insegnamento, 
e  sull'  uso  della  lingua  tedesca , 
perchè  con  questa  alterava  il  sen- 
so del  rigoroso  parlare  teologico  ;  ed 
incominciò  successivamente  a  far 
conoscere  i  suoi  sentimenti,  massi- 
me in  un  suo  Parere  intorno  al- 
le controversie  tra  il  capitolo  di 
Miinster,  ed  il  vicario  capitolare , 
in  opposizione  ad  un  comando  di 
Pio  VII.  Nel  18  19  pubblicò  l' In- 
troduzione alla  filosofia,  e  passò 
all'  università  di  Donna  a  professo- 
re di  teologia  dommatica.  Ivi  nel 
seguente  anno  pubblicò  la  sua  In- 
troduzione alla  teologia  cristiano- 
cattolicaj  e  continuando  ad  inse- 
gnare la  teologia  in  quella  univer- 
sità sino  all'anno  i83r,  in  questo 
mori  a'  26  maggio,  nell'età  di  cin- 
quantasei anni.  Lungi  dal  fare  la 
storia  di  Ermes,  e  de'  suoi  segua- 
ci, premettemmo  questi  cenni  sto- 
rici ,  per  riportare  l' idea  gene- 
rale che  della  dottrina  di  Ermes 
ci  diede  il  dottissimo  p.  Giovanni 
Perrone  della  compagnia  di  Gesù, 
il  celebrato  autore  delle  tanto  ac- 
clamate Praelectioncs  theologicae , 
nel  toni.  VII  degli  Annali  delle 
scienze  religiose,  a  pag.   65. 


ERM  59 

Domesticatosi  Ermes,  come  si  è 
detto,  con  la  nuova  filosofìa  di  Kant 
e  di  Fichte,  e  al  nuovo  metodo 
introdotto  da  Stalller,  si  propose 
niente  meno  che  di  date  una  di- 
mostrazione compiuta  e  rigorosa  a 
priori,  colla  sola  ragione;  della  reli- 
gione cristiano -cattolica.  Rigettati 
perciò  tutti  i  metodi  seguiti  dai  santi 
padri,  dagli  scolastici  e  dai  teologi 
che  loro  tennero  dietro,  volle  tentare 
una  via  novella  onde  ottenere  il 
suo  scopo.  A  tal  effetto  risolvette 
di  fare  astrazione  da  tuttociò  che 
credeva,  e  da  tuttociò  che  sapeva; 
di  presuppone  che  non  vi  fosse 
ancora  per  lui  nulla  di  certo,  uè 
di  sicuro;  di  dubitare  di  tutto,  non 
pur  della  dottrina  cattolica,  ma  di 
qualsivoglia  verità,  dell'esistenza  di 
Dio,  di  quella  del  mondo,  e  della 
possibilità  stessa  ben  anco  di  giun- 
gere ad  una  cognizione  qualunque 
di  tutti  questi  oggetti.  Pose  perciò 
il  dubbio  positivo  qual  punto  don- 
de cominciare  le  ricerche  sue ,  e 
volle  far  prova  se  perverrebbe  alla 
perfine  a  superare  un  cotal  dub- 
bio col  suo  pensiero,  e  trovar  cos\ 
un  punto  d'appoggio  solido,  un 
primo  principio  di  cognizione  e  di 
certezza,  da  cui  potesse  in  processo 
dedurre  le  verità  tutte  della  reli- 
gione cattolica.  In  altri  termini 
cercò  di  stabilire  una  base,  e  uno 
stabile  fondamento  su  cui  potesse 
da  prima  innalzare  l'edificio  di  un 
sistema  delle  verità  generali  ,  indi 
successivamente,  e  per  una  conca- 
tenazione stretta  e  rigorosa ,  delle 
verità  religiose,  della  verità  cristia- 
na, e  della  verità  cattolica,  di  mo- 
do che  si  trovasse  in  istato  di  for- 
mare definitivamente  questo  dilem- 
ma :  o  non  si  dà  verità  alcuna,  o 
se  si  dà,  questa  verità  è  il  catto- 
licismo.  Tale  è  l' idea  generale  del 


6o  ERM 

lavoro  di  Ermes;  tale  lo  scopo 
ch'egli  si  propose,  al  quale  appli- 
cò l'animo  con  ostinata  costanza , 
e  a  cui  ottenere,  lottò,  com'egli 
confessa,  seco  medesimo  più  di 
venti  anni.  Fin  dal  i8o5  avea  egli 
gittato  il  germe  del  suo  sistema  in 
un  breve  scritto  che  comparve  al 
pubblico  sotto  il  titolo  di  Ricerche 
su  la  verità  interiore  del  cristia- 
nesimo. Piti  tardi  poi,  cioè  allor- 
ché credette  avere  raggiunto  il  fi- 
ne che  si  aveva  prefìsso,  diede  in 
luce  l'opera  grande  della  Intro- 
duzione, divisa  in  due  parti,  della 
quale  si  è  fatta  menzione.  Non  che 
però  ottenere  il  suo  scopo,  gli  fallì 
esso  intieramente,  e  tutto  capovolse 
l' insegnamento  cattolico,  e  tolse  le 
basi  della  certezza,  e  con  ciò  della 
dimostrazione  del  cristianesimo  e 
del  cattolicismo. 

Quindi  insorsero  due  partiti,  uno 
contrario  ad  Ermes,  l'altro  favore- 
vole :  il  primo  lo  accusò  come  au- 
tore di  novità  perniciose,  e  indu- 
centi allo  scetticismo  e  al  sovver- 
timento de'  principii  cattolici;  il 
secondo  che  da  lui  prese  il  nome  di 
Ermesiano,  sostenne  essere  anzi  il 
proprio  maestro  sommamente  or- 
todosso, e  sostenitore  della  vera  fe- 
de e  del  cattolico  insegnamento 
contro  il  protestantismo  ed  il  ra- 
zionalismo. La  lotta  andò  sì  avan- 
ti, che  ne  venne  in  cognizione  la 
santa  Sede,  la  quale  nel  i833  ne 
incominciò  1'  accurato  esame ,  che 
continuò  con  lentezza  e  maturità, 
richieste  dalla  gravità  della  cosa, 
dappoiché  la  dottrina  di  Ermes 
agitava  e  teneva  in  dissensione  di- 
verse provincie  della  Prussia,  e  spe- 
cialmente la  Westfalia.  Risultò  da- 
gli accurati  esami ,  contenere  le 
opere  di  Ermes  dottrine  sovversi- 
ve del  principio  cattolico,  e  in  gra- 


ERM 

do  più  o  meno  grave  erronee,  con- 
venendovi pienamente  i  più  cele- 
bri teologi  di  Germania;  laonde  il 
sommo  Pontefice  Gregorio  XVI  re- 
gnante, nel  settembre  1 835  emanò 
il  decreto  di  riprovazione  e  con- 
danna delle  opere  di  Ermes.  Nel 
voi.  IX  de' citati  Annali,  a  pag. 
32 1  e  seg.,  è  riportato  :  Ada  Her- 
mesiana,  ec.  scripsitt  p.  I.  Elve- 
nich,  in  cui  il  p.  Perrone  tolse  ad 
esaminare  il  sistema  filosofico  del- 
l'Ermes ;  e  nel  voi.  X,  a  pag.  6 1 
e  seg.,  abbiamo  :  Esamina  d'una 
diatriba  contro  il  R.  p.  Perrone, 
scritta  da  un  pseudo  Lucio  Sin- 
cero Ermesiano  vero.  Nel  voi.  XVI 
poi,  a  pag.  25 1,  sono  riportate:  Ri- 
flessioni sul  metodo  introdotto  da 
Giorgio  Hermes  nella  teologia  cat- 
tolica, e  sopra  alcuni  speciali  er- 
rori teologici  del  medesimo,  disser- 
tazione che  il  eh.  autore  p.  Per- 
rone recitò  nell'accademia  di  reli- 
gione cattolica  di  Roma,  meritan- 
do di  stamparsi  pure  separatamente. 

ERMETE  (s.).  Neil'  anno  1 32  , 
durante  la  persecuzione  di  Adria- 
no imperatore ,  Ermete  ricevette 
la  palma  del  martirio  in  Roma. 
Nella  via  Salaria  fu  deposto  il  suo 
corpo,  ed  ornata  la  sua  tomba  con 
grande  magnificenza  dal  supremo 
Gerarca  Pelagio  II.  Parecchie  chie- 
se vantano  di  essere  arricchite  del- 
le reliquie  di  lui,  ed  il  martirolo- 
gio romano  ne  riporta  la  festa  a'  dì 
28  agosto. 

ERMINONE  (  s.  ).  Nacque  in 
Laon.  Cresciuto  in  virtù  e  versato 
molto  nelle  scienze  ecclesiastiche , 
fu  promosso  all'ordine  sacerdotale. 
Divenne  in  appresso  abbate  di  Lo- 
bes  nell'  Hainaut ,  succedendo  de- 
gnamente a  s.  Ursmaro.  La  sua 
umiltà,  l'austerità  di  vita,  e  lo  spi- 
rito di  preghiera  edificarono  i  re- 


ERM 

ligiosi  a  lui  soggetti.  Consecrato 
vescovo,  fu  anche  dal  Signore  fa- 
Torito  del  dono  di  profezia.  San- 
tamente mori  il  dì  i5  aprile  del- 
l'anno 737,  ed  in  tal  giorno  il  ro- 
mano martirologio  ne  assegna  la 
festa. 

ERMOCAPELIA  (Hermocape- 
lia  ) .  Città  vescovile  della  pro- 
vincia di  Lidia,  nella  diocesi  d'A- 
sia, sotto  la  metropolitana  di  Sar- 
di, la  cui  erezione  risale  al  secolo 
nono.  Teopisto  e  Niceforo  ne  fu- 
rono vescovi.  Oriens  Christ.  t.  I, 
p.  890. 

ERMOGENE,  Cardinale.  Er- 
mogene  Cardinale  prete  della  S.  R. 
C.  e  del  titolo  di  s.  Prisca,  inter- 
venne ad  un  concilio  celebrato  nel 
761  dal  Papa  s.  Paolo  I.  Credesi 
che  sia  stato  elevato  a  quella  digni- 
tà dal  Pontefice  Stefano  II,  detto  III, 
antecessore  del  nominato  s.  Paolo  I. 

ERMOGENE,  pittore  di  profes- 
sione, innalzò  nel  secondo  secolo 
cattedra  di  eresie  in  Alessandria. 
Diceva,  che  la  materia  era  eterna  ed 
increata,  che  i  demoni  doveano  un 
giorno  riunirsi  alla  materia,  e  che 
il  corpo  di  Gesù.  Cristo  stava  nel 
sole.  Scrissero  contro  di  lui  Ter- 
tulliano, s.  Teofilo,  Eusebio  e  Lat- 
tanzio. 

ERMOPOLI  la  grande.  Città 
vescovile,  e  capitale  della  Tebaide, 
nel  patriarcato  di  Alessandria,  sot- 
to la  metropoli  di  Antinoe,  eretta 
nel  quinto  secolo,  che  Commanvil- 
le  dice  pur  chiamarsi  Benesuef.  Pli- 
nio la  chiama  città  di  Mercurio, 
Mercurii  oppidum,  perchè  vi  si 
onorava  questa  divinità  sotto  la  te- 
sta d'un  cane.  Alcuni  pretendono 
che  la  Reata  Vergine  e  s.  Giusep- 
pe ivi  si  recassero  con  Gesù  Cristo 
bambino,  nella  fuga  in  Egitto,  e 
che  vi  fosse  un  tempio,  i  cui  idoli 


ERM  61 

cadessero  a  terra  allorquando  vi  en- 
trò il  Signore  del  mondo.  A  minia- 
no Marcellino  asserice,  che  era 
una  città  celebre.  Le  sue  rovine 
si  vedono  nel  villaggio  d'Achu- 
munein,  nel  basso-Egitto.  Otto  ve- 
scovi vi  ebbero  sede,  cioè  Conone, 
Fasileo,  Andrea,  Gennadio,  Euge- 
nio, Paolo,  Severo,  Chail,  ed  un 
giacobita.  Oriens  Christ.  tom.  II, 
pag.   5g5. 

ERMOPOLI  la  piccola.  Città 
vescovile  del  primo  Egitto,  sotto  il 
patriarca  di  Alessandria,  e  la  me- 
tropoli di  tal  nome,  eretta  nel  se- 
colo quinto.  Strabone  dice,  eh'  è 
vicina  al  Nilo  dalla  parte  del  mon- 
te. Fu  ritiro  famoso  di  un  gran 
numero  di  monaci,  ch'erano  sotto 
la  giurisdizione  del  vescovo  della 
città.  Commanville  e  il  p.  Vansleb 
dicono  essere  presentemente  Demen- 
hour  presso  il  Delta  ove  non  sono 
più  vescovi  né  melchiti,  né  copti.  E- 
rodoto  narra,  che  fu  vicino  a  Sebe- 
nyte,  piuttosto  presso  al  mare,  al- 
l'est di  Ruto.  Abbiamo  dieci  ve- 
scovi i  quali  vi  ebbero  sede,  Am- 
mon,  Draconzio,  Isidoro,  Dioscoro, 
Isaia,  Gennadio,  Zaccaria,  Menna, 
Gabriele,  ed  un  altro  che  fiori  nel 
1  147.  Di  tutti  si  riportano  le  no- 
tizie dal  p.  Le  Quien,  Oriens  Christ. 
tom.  II,  pag.  5i4  e  seg.  Al  pre- 
sente Ermopoli,  Hermopolitan. ,  è 
un  titolo  vescovile  in  partibus , 
dipendente  dalla  metropoli  in  par- 
tibus di  Damiata,  che  suole  confe- 
rire la  santa  Sede.  Ne  portò  il  ti- 
tolo vescovile  il  celebre  monsignor 
Dionisio  Antonio  Luca  Frayssinous, 
l'autore  della  Difesa  del  Cristia- 
nesimo. Dopo  la  sua  morte,  il  re- 
gnante Gregorio  XVI,  nel  concisto- 
ro de' 27  gennaio  1842,  lo  con- 
ferì a  monsignor  Antonio  Fuathow- 
ski  di   Posnania,  che  in  pari  tem- 


IÌ2 


ERA 


po  lece  sufTraganeo   all'  arcivescovo 
di  Plosko  in  luogo  di  Pultow. 

ERNESTINO.  Ordine  equestre 
di  Sassonia.  A  seconda  degli  sta- 
tuti de'  i5  dicembre  i833,  i  du- 
chi della  linea  Ernestina,  Federi- 
co di  Sassonia- A Itenburg,  Ernesto 
di  Sassonia-Meiningen ,  e  Hildbur- 
ghausen,  per  onorare  la  memoria 
della  linea  speciale  di  Sassonia-Go- 
tha-A  Itenburg  ,  estinta  nel  1825, 
rinnovarono  1'  Ordine  dell'integrità 
germanica,  che  porta  per  divisa  : 
fideliter  et  constanter,  istituito  già 
nel  1690  da  Federico  I  duca  di 
Sassonia  -  Gotha  -  A  Itenburg  ,  come 
un'onorifica  distinzione,  ed  una  ri- 
compensa al  merito  ;  però  tutti  i 
principi  del  ramo  Ernestino,  appe- 
na nati,  per  diritto  sono  noverati 
alla  prima  classe  di  questo  ordine 
equestre.  L'ordine  si  divide  in  quat- 
tro classi,  cioè  di  gran  croci,  di 
commendatori  di  prima  classe,  di 
commendatori  di  seconda  classe,  e 
di  cavalieri;  rimanendo  stabilito  il 
numero  dei  membri  in  nove  gran 
croci,  dodici  commendatori  di  pri- 
ma classe,  diciotto  della  seconda , 
e  trentasei  semplici  cavalieri ,  non 
comprendendosi  nel  numero  gli  stra- 
nieri. Coloro  che  sono  fregiati  del- 
la gran  croce ,  nel  tempo  istesso 
sono  aggregati  alla  nobiltà,  tras- 
missibile ai  discendenti;  e  ciascuno 
dei  duchi  delle  tre  linee,  ha  il  di- 
ritto di  nominare  i  propri  sudditi 
a  tutte  le  menzionate  classi  dell'or- 
dine, sino  alla  concorrenza  del  nu- 
mero prestabilito.  Nell'ammissione 
degli  stranieri,  il  cui  numero  è  in- 
determinato ,  debbono  concertarsi 
almeno  due  delle  case  ducali  capi 
e  conferitrici  dell'ordine.  Oltre  le 
suddette  quattro  classi,  vi  è  anco- 
ra una  decorazione  aggiunta  all'or- 
dine medesimo   della    linea    Erne- 


ERS 

stina-.  questa  è  la  croce  di  merito 
in  argento,  e  la  medaglia  del  me- 
rito. I  gran  croci  portano  al  lato 
sinistro  del  petto  una  piastra  ot- 
tagona,  alternativamente  d'oro  e  di 
argento,  sulla  quale  si  trova  im- 
pressa la  croce  bianca,  e  nel  mez- 
zo un  campo  d' oro  colla  corona 
di  ruta  e  l'epigrafe:  fideliter  et 
constanter.  1  commendatori  della 
prima  classe  portano  la  croce,  ma 
senza  piastra  al  di  sotto.  Pei  sud- 
diti sassoni,  gl'impiegati  civili  han- 
no di  più  in  questa  decorazione 
una  corona  di  quercia,  e  i  soldati 
una  corona  di  alloro.  La  decora- 
zione comune  a  tutte  le  classi,  ma 
di  differente  dimensione,  è  una  cro- 
ce ottagona  smaltata  in  bianco,  e 
incrostata  d'oro:  lo  scudo  della 
faccia  principale  della  croce  rap- 
presenta il  busto  del  duca  Erne- 
sto Pio,  stipite  della  linea  Erne- 
stina  da  cui  piglia  nome  l'ordine, 
e  nel  rovescio  si  vede  lo  stemma, 
e  l'epigrafe  menzionata  dell'ordine 
stesso.  La  medaglia  poi  ha  sulla 
faccia  il  busto  del  fondatore  di 
quella  linea  che  la  conferisce,  e  nel 
rovescio  vi  è  il  motto. 

ERRHA,  ERRA,  seu  HERRI. 
Sede  vescovile  della  seconda  pro- 
vincia di  Arabia,  nel  patriarcato 
di  Gerusalemme,  sotto  la  metro- 
poli di  Boslra,  eretta  nel  secolo 
quinto.  Ebbe  un  sol  vescovo. 

ERSK1NE  Carlo,  Cardinale.  Car- 
lo Erskine,  oriundo  da  nobile  fa- 
miglia di  Scozia,  nacque  in  Roma 
ai  i3  febbraio  1743.  Sino  dai  tem- 
pi d'Innocenzo  VI  il  capo  della 
famiglia  Erskine  sedeva  nel  parla- 
mento d'Inghilterra  col  titolo  di  Pari 
sotto  il  nome  di  lord  Niellie.  Ricevuta 
una  buona  educazione  letteraria  e 
religiosa,  e  dedicatosi  al  servigio  della 
santa  Sede,  siccome  dotto  nella  giù- 


ERS 
imprudenza,  e  celebre  nell'esercizio 
dell'avvocatura,  in  Roma  meritò 
che  alcuni  lo  chiamassero  il  restau- 
ratore del  bello  scrivere  forense  nel 
latino  idioma,  prima  di  lui  alquan- 
to trasandato.  11  perchè  fu  da  Pio  VI 
annoverato  nel  collegio  degli  avvo- 
cati concistoriali,  quindi  fu  fatto  ca- 
nonico della  basilica  vaticana,  e 
promosso  alla  prelatura  domestica, 
ed  alla  rilevante  carica  di  suo  udi- 
tore ,  dandogli  poi  in  vice-uditore  , 
monsignor  Alessandro  Lacchi  ni  pro- 
tonotario  apostolico.  Divulgatasi  la 
voce  di  un  congresso  da  tenersi  dalle 
potenze  belligeranti  contro  la  Francia 
sulla  pace  generale,  il  Cardinal  de 
Zelada  segretario  di  stato,  in  data 
àe  6  giugno  1793,  deputò  e  nomi- 
nò monsignor  Erskh.e  a  rappre- 
sentare in  detto  congresso  la  santa 
Sede,  e  gli  spedi  conseguentemen- 
te le  credenziali ,  e  le  istruzioni. 
Il  medesimo  Pio  VI  lo  inviò  in 
Londra  colla  qualifica  diplomatica 
di  residente  presso  la  real  corte  di 
Inghilterra,  o v'ebbe  onorevole  acco- 
glienza, e  si  vide  ammesso  in  cor- 
te in  abito  nero  ecclesiastico,  cosa  a 
quel  tempo  singolarissima.  Essendo 
morto  nel  fine  di  agosto  1799  il 
Pontefice  in  Valenza  di  Francia,  mon- 
signor Erskine  a  sue  spese  gli  fece 
celebrare  nella  chiesa  di  s.  Patrizio 
di  Londra  solennissime  esequie ,  cui 
intervennero  tutti  i  ministri  delle 
corti  cattoliche ,  insieme  a  quello 
di  Russia,  come  si  legge  nel  No- 
vaes,  t.  XVII,  pag.  193,  che  nota 
fossero  allora  scorsi  circa  270  an- 
ni dacché  l'Inghilterra  si  era  sepa- 
rata dalla  Chiesa  cattolica,  nel  qual 
tempo  non  'eransi  più  praticati  si- 
mili omaggi  ai  Romani  Pontefici 
defunti;  ciò  che  pure  abbiamo  dal 
Cancellieri,  Possessi,  p.  ^.7.0.  Tal 
pompa  funebre,  che  non  crasi  più 


ERS  £3 

veduta  né  permessa  dopo  la  lagri- 
mevole  riforma,  fu  decorata  da  iscri- 
zioni lapidarie,  che  in  islilcpurgatissi- 
mo  ed  ottimo  gusto  furono  composte 
dallo  stesso  Erskine,  e  che  venne- 
ro collocate  intorno  al  tumulo;  ed 
inter  solcmnia  vi  si  recitò  l'elo- 
gio funebre.  L'orazione  poi  dal- 
l'Erskine  composta  in  lingua  in- 
glese per  tale  circostanza,  ebbe  sì 
generale  accoglienza  e  plauso,  che 
nella  medesima  città  di  Londra  fu 
obbligalo  darla  alle  stampe,  e  ven- 
ne poscia  tradotta  e  pubblicata  in 
italiano  da  monsignor  Pio  Ferrari. 
Nel  ritornare  da  Londra  a  Roma, 
passando  per  Parigi  ebbe  udienza 
da  Napoleone,  che  nel  congedarlo 
gli  disse:  mi  piacerebbe  esservi  u- 
tile3  perchè  vi  stimo  assai.  In  Lon- 
dra il  nostro  prelato  avea  sostenu- 
to la  corrispondenza  della  congre- 
gazione di  Propaganda  fide  colle 
missioni  orientali,  che  sovvenne  ge- 
nerosamente .  lasciando  poi  a  di- 
sposizione della  congregazione  la 
somma  di  1 34/  7  1  « ie  sterline.  11 
nuovo  Papa  Pio  VII  diede  all'Er- 
skine  per  coadiutore  nel!  avvocatu- 
ra concistoriale  monsignor  Agostino 
Valle,  quindi  volendone  rimunera- 
re i  meriti,  le  virtù,  e  i  servigi 
prestati  alla  santa  Sede,  mentre 
era  pure  suo  uditore,  nel  concisto- 
ro de'3  febbraio  1801  lo  creò  Car- 
dinale dell'ordine  de'diaconi,  pub- 
blicandolo in  quello  de' 17  gennaio 
i8o3, nella  settima  promozione  car- 
dinalizia. Indi  gli  conferì  per  dia- 
conia la  chiesa  di  s.  Maria  in  Cam- 
pitelli,  annoverandolo  alle  congre.- 
gazioni  del  concilio,  di  Propaganda 
fide,  deVili,  e  della  fabbrica  di  s. 
Pietro.  Divenne  protettore  del  re- 
gno di  Scozia,  del  collegio  scozzese 
in  Roma,  del  monistero  di  s.  Fran- 
cesco detto  di   Monte  Luce  di  Pe- 


64  tRS 

rugia  ;  come  ancora  fu  visitatore 
apostolico  del  monistero  de'ss.  A- 
gostino  e  Rocco  nella  terra  di  Ca- 
llaiola, e  per  un  tempo  fu  anche 
pro-segretario  de'brevi  pontificii.  In- 
vasa Roma  dagl'imperiali  francesi, 
il  nostro  Cardinale,  come  tutti  gli 
altri,  fu  deportato  in  Parigi,  dove 
morì,  nell'età  di  68  anni,  ai  20 
marzo  181 1,  e  venne  esposto  nel- 
la chiesa  di  s.  Tommaso  d'Aquino 
sua  parrocchia,  parata  a  lutto,  es- 
sendosi posto  sopra  il  letto  del 
cadavere  il  baldacchino;  e  dopo  le 
consuete  esequie  venne  sepolto  in 
quella  di  s.  Genovieffa.  Essendo  e- 
gli  morto  nel  giorno  stesso  che 
nacque  il  figlio  di  Napoleone,  chia- 
mato il  re  di  Roma,  ed  attese  le 
pubbliche  feste  che  per  tale  avve- 
nimento ebbero  luogo,  dovette  il 
suo  corpo  rimanere  nella  casa  quat- 
tordici giorni,  celebrandovisi  tutto 
dì  messe  ed  uflìzi.  11  decimottavo 
giorno  decretato  avendo  il  consi- 
glio di  stato  che  gli  si  rendessero 
gli  onori  come  ad  un  senatore,  fu 
perciò  trasportato  in  funebre  car- 
rozza con  grande  accompagnamento 
di  milizia  alla  chiesa  suddetta  di  s. 
Tommaso, destinata  dal  ministro  dei 
culti  a  tali  solenni  esequie,  coll'in- 
tervento  del  seminario  di  s.  Sul- 
pizio,  dei  preti  della  parrocchia,  e 
di  tutti  i  vescovi  e  Cardinali  che 
trovavansi  allora  in  Parigi,  prenden- 
do luogo  dopo  di  essi  il  mini- 
stro de' culti  in  grand'abito  di  eti- 
chetta. Cantò  la  solenne  messa  di 
requie  il  Cardinal  Giuseppe  Doria, 
e  dopo  le  consuete  cerimonie ,  fu 
trasportato  col  medesimo  corteggio 
in  s.  Genovieffa,  e  qui  ricevuto  da 
una  deputazione  del  capitolo  di 
nostra  Signora  ;  e  il  curato  nel 
consegnarlo  all'  arciprete  della  chie- 
sa ne  recitò  il  funebre  elogio  a  cui 


ERU 
l'arciprete  fece  una  bella  risposta. 
Venne  sepolto  in  una  camera  sot- 
terranea di  detta  chiesa  di  s.  Ge- 
novieffa, ov'  erano  già  stati  sepolti 
i  predefunti  Cardinali  Capraia,  e 
Vincenti;  ed  inbalsamato,  fu  ri- 
posto nelle  solite  tre  casse,  come  si 
costuma  coi  Cardinali.  Venne  scolpi- 
ta sopra  una  lastra  di  granito  la 
modesta  e  semplice  iscrizione  com- 
posta dal  medesimo  porporato  Er- 
skine,  e  trovasi  ripetuta  in  una  con- 
simile lastra  marmorea,  nella  men- 
tovata sua  chiesa  diaconale  di  s. 
Maria  in  Campitela,  o  in  Portico, 
di  Roma. 

ERUDIZIONE  (Eruditio,  Do- 
ctrìna  ).  Vocabolo  che  propriamen- 
te vale  dirozzamento ,  ma  si  usa 
anche  in  significato  di  dottrina,  e 
quindi  dai  nostri  antichi  scrittori 
si  accennano  uomini  di  grande  e- 
rudizione,  letterati  di  non  ordina- 
ria erudizione,  ec.  Pigliossi  poi  in 
men  largo  significato  l' erudizione 
per  filologia,  o  sia  dottrina  e  co- 
gnizione di  molte  cose,  acquistate 
non  per  argomentazione  o  discorso, 
ma  per  semplice  veduta  o  quasi 
veduta  de*  sensi  o  della  mente, 
conservata  nella  memoria.  Quindi 
si  disse  l'erudizione  rara,  vasta, 
meravigliosa,  profonda,  recondita, 
sacra,  ecclesiastica,  profana,  filosofi- 
ca, istorica,  filologica,  ec,  e  talvolta 
anche  triviale.  Così  il  Dizionario  del- 
la lingua  italiana,  e  il  Dizionario 
delle  origini.  Colle  nozioni  di  questa 
seconda  utilissima  opera,  e  coll'au- 
torità  di  altri  scrittori,  aggiunge- 
remo altre  erudizioni  sul  vocabolo 
erudizione,  titolo  di  questo  nostro 
Dizionario,  nel  quale  parecchi  so- 
no gli  articoli  eh'  espressamente  ri- 
guardano la  scienza  e  il  vocabolo 
erudizione ,  principalmente  quella 
della  antichità. 


ERU 

L'erudizione,  secondo  il  d'Alem- 
bert, è  un  genere    di    cognizioni, 
in  cui   i  moderni  si  sono  singolar- 
mente distinti  per  due  ragioni  :  più 
il   mondo  invecchia,    e  più    s'au- 
menta la   materia    dell'erudizione, 
e  per  conseguenza  dee  trovarsi  al 
presente  maggior  numero    di  eru- 
diti ,    come    maggiore    quantità  di 
ricchezze  trovasi,  allorché  avvi  mag- 
giore   abbondanza     di     numerario. 
D'altronde  l'antica  Grecia  non  fa- 
ceva gran  conto  se  non    che  della 
sua   storia    e  del  suo  idioma  ,    e  i 
romani  non  erano  se  non  che  ora- 
tori   e  politici  ;  lo  studio  adunque 
dell'erudizione  propriamente  detta, 
non  era  molto  coltivato  dagli    an- 
tichi.  Tuttavolta  trovossi  in  Roma 
sul  finire  della  repubblica,  e  poscia 
sotto  gl'imperatori,  un  piccolo  nu- 
mero   di    eruditi ,    come  il  celebre 
Vairone,  Plinio  il  naturalista,  ed 
alcuni  altri.  Però  il    trasferimento 
della  sede  dell'  impero    a    Costan- 
tinopoli,   la    divisione    dello  stesso 
impero,  e  in  seguito  la  distruzione 
di   quello  d'occidente,  annientarono 
ben  presto  in  quel  genere  qualun- 
que specie  di  cognizioni  in    questa 
parte  del  mondo,  massime    nel  se- 
colo decimo.  Al  secolo  decimoquin- 
to si  deve  il  risorgimento     e    glo- 
rioso incremento  delle  scienze,  seb- 
bene possa   fondatamente  dirsi  che 
in  Italia  rinato  già  fosse    il    gusto 
della  erudizione*  e  coltivato  gran- 
demente   quello    studio,     massime 
dopo  il  ritrovamento  e  la   pubbli- 
cazione   de'  classici  greci    e   latini. 
L' oriente    si    sostenne    per    lungo 
tempo  anche  nei    secoli    che    delti 
furono  della  barbarie,  e  la  Grecia 
più  o  meno    ebbe    sempre    alcuni 
uomini  dotti,  versali    nella    cogni- 
zione de  libri,  e  specialmente  nel- 
la storia.  Ma  que'  dotti  per  lo  più 

VOL.     XXII. 


ERU  65 

non  leggevano  e  non  conoscevano 
se  non  che  i  greci  scrittori,  ed  al- 
cuni fanno  loro  il  rimprovero  di 
avere  ereditato  dagli  antenati  loro 
una  specie  di  disprezzo  per  tutto 
quello  che  scritto  non  era  nella  lo- 
ro lingua.  Tuttavia  siccome  al  tem- 
po degl'  imperatori  romani,  ed  an- 
che avanti  quel  periodo,  molti  scrit- 
tori greci ,  come  Polibio  ,  Dione  , 
Diodoro  Siculo,  Dionigi  di  Alicaiv 
nasso  ed  altri,  avevano  scritta  la 
storia  romana ,  e  quella  di  altri 
popoli,  così  t'  erudizione  storica,  e 
la  cognizione  de'  libri  anche  sem- 
plicemente greci,  formato  aveva  si- 
no da  que'  tempi  un  oggetto  con- 
siderabile dello  studio  de'  letterati 
d'  oriente. 

Costantinopoli    ed     Alessandria 
avevano  due  biblioteche    riputatis- 
sime,  come  le  aveva  avute  Roma  : 
la    prima   fu    distrutta    nel    secolo 
Vili ,     per    ordine    dell'  insensato 
Leone    V  Isaurico,    la    seconda    fu 
bruciata  da'  saraceni  nel  secolo  pre- 
cedente. Fozio,  che  viveva  sul  de- 
clinar del  secolo  IX,  allorché  quasi 
tutto  l'occidente  era  immerso  nel- 
T  ignoranza   e    nella    barbarie    più 
profonda  ,    meno    quelle    eccezioui 
che  in  più  luoghi  abbiamo  notalo, 
ci  lasciò  colla  sua  famosa  bibliote- 
ca, o  ragguaglio  di  molti  libri,  ch'e- 
gli aveva  letti  attentamente,  un  mo- 
numento immortale  della    sua  va* 
sta  erudizione,  al  modo  che  dicem- 
mo  al    voi.  XX ,  pag.    8   del  Di- 
zionario.   Dal    gran  numero    del* 
le  opere,  delle  quali  egli  porta  giù* 
dizio,  o  delle  quali  riferisce  estrat- 
ti o  frammenti,  e  delle  quali  è  in 
oggi  perduta  una  grandissima  par- 
te, si  raccoglie  che  la  barbarie  del* 
T  imperatore  Leone,  e  dei    sarace- 
ni per  comando  di  Omar,  non  ave- 
va   ancora    potuto    distruggere    lì 

5 


66 


BRU 


gusto  dell'erudizione  nella    Grecia. 
Benché  i  dotti,  che  successivamen- 
te fiorirono  dopo  Fozio,    non    fos- 
sero egualmente  forniti    di    erudi- 
zione   quanto    quel    grand' uomo, 
tuttavia  per  lungo  tempo  appresso 
la  comparsa  di  quel  patriarca    sci- 
smatico, ed  anche  sino    alla  presa 
di  Costantinopoli    fatta    nel     i453 
da  Maometto    II,   la    Grecia    ebbe 
sempre    alcuni    uomini    istrutti,  o 
almeno  versati  nella  storia  de'  loro 
tempi,  e   nelle   lettere,    tra'  quali 
possono  annoverarsi  Psello,  Tzetze, 
Suida,  Eustazio    commentatore    di 
Omero,  che  fu  poi  arcivescovo   di 
Tessalonica,    non    che   Giorgio  da 
Trebisonda,  il  Cardinal  Bessarione, 
il  patriarca    Gennadio,  ec.    E   qui 
ad  onore  dell'Italia  nostra  va  notato, 
che  la  prima  versione    e    illustra- 
zione latina  del  commento  di  Eu- 
stazio sopra  l' Iliade  di  Omero,  fu 
pubblicata    in    Firenze    nel     iy3o 
dall'eruditissimo. p.  Alessandro  Po- 
liti fiorentino  delle  scuole  pie.  Cre- 
desi   comunemente    che  la    distru- 
zione dell'impero  orientale  sia  sta- 
ta la  cagione,  o  almeno  una  delle 
cagioni  che  promossero    il  rinasci- 
mento delle  lettere    in    Europa;  e 
si  vuole  da  alcuni,  che  i  dotti  del- 
la Grecia  cacciati  o  fuggiti  da  Co- 
stantinopoli e  ben  accolti    dal  Pa- 
pa Nicolò  V,  e  dai  Medici   di  Fi- 
renze col  loro  sapere,  e  colle  ope- 
re che  seco  portarono,  ricondusse- 
ro i  lumi  della  erudizione  nell'oc- 
cidente, il  che  (dice  il  citato  Alem- 
bert) non  è  vero  se  non  in  parte. 
Che  le  lettere  greche    e    latine 
avessero  da  Nicolò  V   una  grande 
protezione,  Io  abbiamo  dalManni, 
Storia  degli  anni  santi,  pag.  72  e 
seg.  Egli  dice  che   per    ordine    di 
quel  Papa,  e  con  convenienti  ono- 
rari vennero  a  beneficio  universale 


ERU 
tradotti  dal  Poggio  Bracciolino  dal 
greco  in  latino  Senofonte,   e  Dio- 
doro Siculo;  da  Flavio  Biondo  fu 
scritta  l' Italia  illustrata;  da  Anto- 
nio degli  Agli    s'incominciarono  a 
scrivere  gli  Atti  de*  santi j  da  Gre- 
gorio di  Trebisonda  si  voltò  in  la- 
tino Eusebio  della  preparazione  e- 
vangelica,  Platone  de  legibus,  VAI- 
mageston  di   Claudio  Tolomei,  ot- 
tantina omelie  di  s.  Gio.  Crisosto- 
mo sopra  s.  Matteo,  e  due  orazio- 
ni di   san    Gregorio  Nazianzenoj 
da  Nicolò  Peratto  si    tradusse  Po- 
libio;   da    Lorenzo    Valla    Tucidi- 
de (per    la    qual    versione    Nicolò 
V  gli  diede  di    sua    mano  cinque* 
cento  scudi  )  ed  Erodoto j  da  Gua- 
rino Veronese,  e  da    Gregorio    di 
Città  di  Castello,    la  Geografìa  di 
Strabone}    e    la    traduzione    de'  li- 
bri de  regno  di  Dionej  da  Pietro 
Bandidio  Decembrio,   Appiano  A- 
lessandrino;  da  Teodoro    Gaza  al- 
cune opere  di  Aristotile,  e  l' istoria 
delle  piante  di   Teofrastoj  da  Egi- 
dio Libellio  alcuni  opuscoli  di  FUo- 
ne  Ebreo;  e  da  Giannozzo  Manetti 
il  vecchio    e  il  nuovo   Testamento. 
E  laddove  il  Petrarca  cento    anni 
prima ,    per    la  lettura  che  faceva 
di  Virgilio,  veniva  chiamato  miscre- 
dente, nel  pontificato  di  Nicolò  V, 
l' Iliade,  e  V  Odissea  di  Omero ,  da 
Orazio  romano  e  da  un   altro,  di 
comando  del  dottissimo    Pontefice, 
munifico  mecenate  delle   lettere    e 
suoi  cultori,  in  latini  versi  furono 
tradotte.  Non  deve  tacersi  che  l'ar- 
rivo in  Europa  dei  dotti  dalla  Gre- 
cia era  stato  preceduto  dalla    uti- 
lissima invenzione  della   stampa,  e 
gli  stessi  francesi  osservano  che  pre- 
cedentemente   erano    comparse    le 
opere  di  Dante,    del    Petrarca     e 
del  Boccaccio,  le   quali    ricondotta 
avevano  in  Italia  l'aurora  del  buon 


ERU 
gusto  e  deir amore  allo  studio  dei 
classici. 

I  suddetti  greci  di  Costantino- 
poli riuscirono  sommamente  utili 
ai  letterati  di  occidente  per  la  pie* 
na  cognizione  della  lingua  greca , 
che  incominciarono  ad  insegnare 
con  regolare  metodo,  e  della  quale 
resero  comune  lo  studio,  forman- 
do allievi  talmente  ingegnosi,  che 
ben  presto  eguagliarono  e  supera- 
rono i  loro  maestri.  Lo  studio 
profondo  delle  lingue  greca  e  la- 
tina ,  e  degli  antichi  autori  che 
parlato  e  scritto  avevano  in  quelle 
lingue,  preparò  insensibilmente  gli 
spiriti  ai  buon  gusto  della  erudi- 
zione., e  della  bella  letteratura.  Fu 
allora  che  i  dotti  dell'occidente  si 
avvidero  che  Demostene  e  Cice- 
rone, Omero  e  Virgilio,  Tucidide 
e  Tacito,  seguiti  avevano  gli  stessi 
principii  nell'arte  di  scrivere,  e  fa- 
cilmente ne  trassero  la  conclusione, 
che  quei  principii  erano  i  veri  fon- 
damenti dell'arte.  Ciò  non  pertan- 
to i  veri  principii  del  buon  gusto, 
dice  il  citato  d'Alembert,  non  fu- 
rono ben  conosciuti  ed  accurata- 
mente sviluppati  se  non  quando  si 
ricominciò  ad  applicarli  alle  lin- 
gue viventi;  e  in  questo  ancora 
primi  furono  gì'  italiani.  Siccome  la 
memoria  tenace  è  il  principal  ca- 
pitale di  un  vero  erudito,  nell'in- 
titolare  l'eruditissimo  Cancellieri  al 
celebre  cav.  Millin  la  Dissertazio- 
ne intorno  agli  uomini  dotati  di 
gran  memoria,  ec,  cosi  gli  scrive- 
va: •>  Finche  ho  avuto  la  sorte  di 
•»  starvi  vicino  a  Parigi  ed  in  Ro- 
*  ma,  non  mi  facea  di  mestieri 
»  di  consultare  verun  libro.  Qua- 
»  loia  mi  occorreva  di  procurar- 
»  mi  qualche  notizia,  o  di  sapere 
»  quale  autore  avesse  scritto  sopra 
»   qualunque  materia,  bastava  che 


ERU  67 

»  a  voi  ricorressi,  trovando  un  ar- 
*  chivio,  un  museo,  una  bibliote- 
»  ca  sempre  aperta  nella  vostra 
y>  memoria.  Poiché  tenete,  per  dir 
«  così,  tutto  il  tesoro  ed  il  capi- 
•»  tale  dell'immensa  erudizione  che 
»  possedete,  in  pronto  e  lucidis- 
ti simo  contante,  da  dispensare,  e 
«  d'arricchire  chiunque  ne  abbiso- 
»  gna  ".  11  Muratori ,  il  Tirabo- 
schi,  l'Andres,  e  tanti  altri  sommi 
dotti,  furono  appellati  principi  dell'i- 
taliana erudizione,  nella  quale  fu  tan- 
to celebre  il  mentovato  Cancellieri. 
In  oggi  il  vocabolo  di  erudizio- 
ne si  applica  più  comunemente  a- 
gli  studi  della  filologia,  ossia  stu- 
dio delle  belle  lettere,  e  di  quello 
che  chiamiamo  appunto  erudizione, 
non  che  dell'antiquaria.  Egli  è 
perciò,  che  per  ultimo  accenneremo 
quanto  Filippo  Buonarroti  scrisse 
sullo  studio  e  sulla  difficoltà  del- 
l'erudizione, nel  suo  proemio  alle 
dotte  Osservazioni  istoriche  sopra 
alcuni  medaglioni  antichi.  Il  vero 
sapere  consiste  in  gran  parte,  non 
nell'avere  apprese  e  conservate  nel- 
la memoria  molte  cose,  ma  bensì 
nel  discernimento  di  conoscerne  il 
valore,  la  scienza  di  esse,  le  cose 
chiare  e  certe  dalle  dubbie,  e  la- 
sciare le  inutili.  E  se  veruna  scien- 
za ha  bisogno  di  un  sì  fatto  pre- 
paramento d' intelletto ,  e  cautela , 
lo  studio  dell'erudizione  e  della  an- 
tichità è  quello  che  ne  ha  una 
necessità  particolare,  non  solo  per 
le  cagioni  addotte,  ma  ancora  pel 
gran  numero  degli  scrittori,  e  per 
la  varietà  delle  opinioni  che  ci 
sono,  non  che  per  la  differenza 
degli  stili,  ond'  è  molto  difficile  in 
una  strada  tanto  frequentata  da 
ogni  sorte  d' ingegni  seguitare  le 
vestigie  che  conducono  alla  veri- 
tà. Ma  siccome  tali    cose    rendono 


68  ERU 

difficile  un  tanto  studio,  è  pur  ve- 
ro che  con  grandissima  utilità  si 
assuefa  l'intelletto,  e  lo  rende  più 
abile  ad  apprendere  e  seguire  in  ogui 
affare  la  verità;  imperocché,  se  l'e- 
sercizio delle  altre  scienze  ce  lo 
restringe,  per  così  dire,  ad  un  cer- 
to, solo  e  regolato  metodo ,  che 
non  è  tanto  a  proposito  per  gli 
altari  comuni,  lo  studio  dell'  eru- 
dizione dall'altro  canto  è  più  adat- 
tato ad  abilitarlo  a  ben  discernere 
e  giudicare  negli  accidenti,  e  nelle 
cose  umane,  le  quali  dipendono  da 
congiunture  e  cagioni  diverse  ed 
uràni  te,  per  la  ragione  che  questa 
scienza  dipende,  come  si  è  detto, 
da  molti  principi*!. 

ERULI  (Heruli).  Questi  anti- 
chi popoli  ebbero  l' origine  nella 
Germania  o  nella  Pomeriana,  se- 
condo S  trabone  e  Tacito,  e  furo- 
no prima  chiamati  Lemovii.  Tolo- 
meo nella  sua  geografia ,  dice  che 
gli  eruli  uscirouo  dalle  isole  del 
golfo  del  Codano  o  dell'Ellespon- 
to Danico.  Zosimo  e  Procopio  che 
ci  fanno  conoscere  i  principii  di 
questi  popoli ,  attribuiscono  loro 
un'estrema  ferocia.  Questi  popoli 
entrarono  in  Europa ,  dopo  aver 
passato  lunghesso  il  Ponto  Eussi- 
no.  Gli  uni  si  stabilirono  sulle  ri- 
ve del  Danubio,  altri  si  imbarca- 
rono, ma  vi  perirono  in  gran  nu- 
mero. Fecero  la  guerra  ai  lom- 
bardi, e  poscia  agi'  imperatori  gre- 
ci, per  cui  Anastasio  fece  loro  la 
guerra,  e  in  parte  li  sottomise. 
Giustiniano  1  accordò  loro  delle 
terre,  e  li  sollecitò  a  farsi  cristia- 
ni, siccome  poi  diremo.  Al  dire  di 
Procopio  gli  eruli  entrarono  in  I- 
talia  nell'anno  47^,  avendo  alla 
loro  lesta  Odoacre.  Narra  il  Ri- 
naldi, all'anno  47 5,  num.  3,  che 
Giulio  JXepote  imperatore  fu  quel- 


ERU 

lo,  che  per  vendicarsi  di  Oreste,  il 
quale  avea  proclamato  imperatore 
il  proprio  figlio  Romolo  Augusto, 
detto  per  dispregio  Momillo  Au- 
gustolo,  come  sdegnato  in  un  ai 
suoi  partigiani,  nulla  curando  la 
rovina  d'Italia,  chiamò  gli  eruli, 
popoli  della  Seandivania,  inviando 
a  tal  uopo  una  legazione  ad  Odoa- 
cre, cui  s.  Severino  avea  predetto 
il  suo  futuro  ingrandimento.  Odoa- 
cre dopo  poca  resistenza,  nel  47*> 
occupò  anche  Roma ,  depose  Ro- 
molo Augusto  rilegandolo  nella 
Campagna,  cioè  in  Luculiano,  ca- 
stello vicino  a  Napoli,  dando  cosi 
fine  al  romano  impero  cinque  se- 
coli dopo  la  sua  fondazione  >  e  la 
possente  dominazione  romana  fon- 
data da  Romolo,  e  stabilita  da 
Augusto  ebbe  fine  sotto  l' infelice 
e  debole  principe,  che  indegna- 
mente portava  il  nome  di  ambedue. 
Lungi  Odoacre  di  assumere  la 
porpora  imperiale,  prese  in  vece 
l' insegne  e  il  titolo  di  re  d'Italia, 
fissando  la  sua  sede  in  Ravenna 
(Fedi).  Allora  Roma  venne  consi- 
derata come  città  secondaria,  sot- 
toposta al  governo  dei  luogotenenti 
del  re,  e  le  sue  provincie  limitrofe 
formarono  il  ducato  romano.  Ri- 
cordevole Odoacre  del  vaticinio  di 
s.  Severino,  gli  scrisse  invitandolo 
a  domandare  ciò  che  avesse  volu- 
to. Odoacre  mostrò  molta  mode- 
razione, e  sebbene  seguace  dell'a- 
rianesimo, non  turbò  le  cose  sa- 
gre, e  concedette  varie  grazie  ai 
vescovi  cattolici.  L' erulo  conqui- 
statore mise  nel  suo  consiglio  il 
celebre  Cassiodoro ,  creandolo  nel 
485  conte  delle  rendite  private,  e 
tre  anni  dopo  conte  delle  sagre 
largizioni.  Indi  nell'  anno  487  vin- 
se Feba  re  de'  rughi,  e  lo  mandò 
schiavo  con  la  moglie  Gisa  in  Ita- 


ERU 
lia,  ove  trasportò  pure  le  sue  genti 
quando  superò  Federico  figliuolo 
di  Feba,  che  avea  ricuperato  il  pa- 
terno reame.  Mal  soffrendo  Teo- 
dorico re  degli  ostrogoti  o  visigoti 
in  Italia,  che  in  questa  nobile  e 
bella  regione  regnasse  pure  O- 
doacre,  ottenne  l'assenso  da  Zeno- 
ne imperatore  di  oriente  di  mar- 
ciar contro  di  lui  con  poderoso 
esercito  l'anno  489.  Lo  vinse  in 
due  battaglie,  lo  costrinse  a  rac- 
chiudersi in  Ravenna,  e  dopo  tre 
anni  di  assedio,  Teodorico  a'  5 
marzo  49/3  ebbe  per  capitolazione 
la  città,  indi  dopo  pochi  giorni  a 
tradimento  uccise  Odoacre,  termi- 
nando colla  sua  morte  il  regno 
degli  eruli  in  Italia.  Fu  dunque 
nel  493  che  Teodorico  assunse  il 
titolo  di  re  de'  goti  e  d' Italia,  e 
Roma  fu  a  lui  sottoposta.  Abbia- 
mo inoltre  dal  citato  Rinaldi,  al- 
l'anno 527,  num.  52,  la  conver- 
sione al  cattolicismo  degli  eruli,  ed 
essendosi  recato  il  loro  re  Getes  a 
Costantinopoli,  si  fece  battezzare,  e 
l' imperatore  Giustiniano  I,  ch'erasi 
servito  degli  eruli  nella  guerra  di 
Persia,  lo  tenne  al  sagro  fonte.  Di 
questa  conversione  degli  eruli  ne 
trattano  anco  Evagrio  e  Niceforo. 
ERULI  Eberardo,  ovvero  Ber- 
nardo, Cardinale.  Eberardo  Eruli 
nacque  in  Narni  l'anno  1409.  Giu- 
sta il  Ciacconio  e  l'Ughellio  ebbe 
i  natali  da  famiglia  volgare  ed 
oscura  ;  ma  secondo  lo  Sperandio, 
il  Marchesi  ,  il  Viviano,  sembra 
piuttosto  che  avesse  abbastanza  ci- 
vile casato.  Ciò  si  conferma  da 
quanto  disse  Pio  II  nel  concistoro 
in  riguardo  all'Eruli,  cioè  non  igno- 
bili loco  natus.  In  qualunque  mo- 
do però  siasi  la  cosa,  egli  è  certo 
che  fino  da'  primi  anni  si  rese  lo 
specchio  della    integrità    ne'  coslu- 


ERU  69 

mi,  e  la  meraviglia  comune  per  la 
profonda  sua  dottrina.  Fu  caro  as- 
sai a  Nicolò  V,  che  Io  fece  refe- 
rendario, e  lo  ammise  nel  palazzo 
vaticano,  affidandogli  liberamente  le 
cose  di  maggior  importanza.  Lo  di- 
chiarò quindi  uditore  di  rota,  e  nel 
i44^  gb'  conferì  il  vescovado  di 
Spoleti,  da  cui  lo  richiamò  l'anno 
seguente  per  eleggerlo  a  suo  vica- 
rio in  Roma.  Succeduto  poi  nel 
trono  pontificio  Calisto  III,  fu  egua- 
le il  grado  di  onore  eh'  ottenne 
presso  questo  Papa,  ed  anzi  da  lui 
sarebbe  stato  promosso  alla  sagra 
porpora,  se  le  umane  passioni  che 
talvolta  nascondonsi  anche  nelle 
persone  eminenti,  non  gli  avessero 
ingiustamente  opposto  de'  speciosis- 
simi obbietti.  Pio  II  però,  non  avu- 
to riguardo  a'  nemici  di  lui ,  a'  5 
marzo  1460  ,  lo  creò  Cardinale 
dell'  ordine  de'  preti ,  e  gli  asse- 
gnò il  titolo  cardinalizio  di  s.  Sa- 
bina e  l'abbazia  delle  tre  fonta- 
ne. Decorato  di  sì  cospicua  digni- 
tà, visse  con  mensa  frugale  ed  u- 
mile  suppellettile,  per  modo  di  ren- 
dersi il  modello  dell'altrui  condot- 
ta. Nondimeno  sapea  sostenere  i 
diritti  dell'alto  suo  grado  con  tale 
fermezza  da  lasciarne  le  più  lu- 
minose memorie,  e  raccontasi  nella 
vita  di  lui  che  non  abbia  voluto 
discendere  a  fare  pel  primo  la  vi- 
sita al  secondogenito  del  re  di  Na- 
poli recatosi  in  Roma ,  sebbene  i 
suoi  colleghi  l'avessero  già  fatta. 
In  Narni  avea  fondato  un  ampio 
monistero  ed  uno  spedale  pei  po- 
veri con  una  chiesa  in  Monterosi. 
Dimesso  il  primo  titolo,  nel  i474j 
sotto  Sisto  IV,  passò  al  vescovato 
di  Sabina,  e  quindi  sostenne  la  le- 
gazione di  Perugia  e  dell'Umbria. 
Ebbe  amicizia  col  Cardinale  di 
Pavia,  che  di  lui  parla  molto  nel- 


70  ERZ 

le  sue  lettere,  e  col  santo  arcive- 
m'(ivo  di  Firenze  Antonino,  il  qua- 
le spesso  usava  di  consultarlo  ne- 
gli affari  della  più  grande  impor- 
tanza. Morì  in  età  di  settanta  an- 
ni nel  i479>  e  *"  seP°'to  ne^a  ba- 
silica vaticana,  dove  ottenne  anche 
un'iscrizione,  che  venne  poi  illustra- 
ta dall'erudito  ab.  Dionisi  ne'  suoi 
Monumenti  delle  grotte  vaticane. 

ERUMNINA.  Sede  episcopale 
d'Africa,  il  cui  vescovo  Massimia- 
no intervenne  al  concilio  di  Cabar- 
susa  nell'anno  2  34-  Not.  Afr. 

ERYTRHAEA.  V.  Eretra. 

ERYTRHON.  Sede  vescovile  del- 
la Libia  Pentapoli,  nel  patriarcato 
Alessandrino,  sulle  coste  del  mare. 
Si  crede  stabilita  da  s.  Marco,  co- 
me pure  le  sedi  d'Idrace  e  di  Pa- 
lebisca;  luoghi  poco  considerabili, 
che  le  furono  aggiunti,  sebbene  nel 
quarto  secolo  avesse  ognuno  il 
proprio  vescovo.  È  noto,  che  il 
concilio  di  Sardica  avea  proibito  di 
erigere  vescovati  ne'  borghi.  Si  sa 
ancora  che  ad  onta  di  ciò  ve  ne 
furono  molti  nella  Pentapoli,  in 
altri  luoghi  d'Africa,  ed  in  Asia. 
Commanville  dice,  che  Erytrhon 
venne  eretta  nel  quinto  secolo ,  e 
dichiarata  suffragauea  della  metro- 
poli di  Cirene.  Neil'  Oriens  Christ. 
tom.  II,  pag.  625 ,  sono  le  notizie 
de*  quattro  suoi  vescovi  Orione , 
Sabazio,  Paolo  e  Teofilo. 

ERZERUM,  Erze-Roum,  Aziris, 
o  Teodosiopoli  ).  Città  arcivesco- 
vile dell'Asia  maggiore  nel  patriar- 
cato di  Ezmiazin,  della  nazione  ar- 
mena, la  quale  chiama  questa  cit- 
tà col  nome  di  Cariti  o  Garin.  s 
antica  capitale  dell'Armenia  mag- 
giore. Essa  appartiene  alla  Turchia 
asiatica  neh'  Armenia ,  ed  è  capo 
luogo  di  pascialatico  e  di  sangia- 
cato,  sorgendo  in   una    vasta   pia- 


ERZ 

nura,    a  piedi    di    un'alta   monta- 
gna, chiamala  Egarli-Dagh ,    e    di 
molte   colline,   distante  due    leghe 
dal  braccio  settentrionale   dell'Eu- 
frate. E  assai  grande,  cinta  di  mu- 
ra, e  fosse;  nel    centro    avvi    una 
cittadella  circondata  pur    di  fossa, 
e  da  doppia   muraglia    in    pietra , 
ed  è  fiancheggiata  di  torri.  Questa 
cittadella  ha  quattro  porte,  e  rin- 
chiude il  palazzo  del  pascià,  e  qua- 
si   tutta  la  popolazione    turca.    Si 
distingue  tra  le  sue  numerose  mo- 
schee l'Ulà  Giamì,  vastissimo  edi- 
fìzio.  Vi  sono  inoltre  molti    bagni 
pubblici,  bazar,  e  belle  piazze  :    la 
fabbrica  della  dogana  è  pur  vasta. 
Quivi    è   il    centro  del  commercio 
fra  la  Persia,  la  Turchia,  ed  altri 
luoghi  ,    perchè    è    assai    frequen- 
tata dalle   carovane.    Si    calcolano 
i  suoi  abitanti  a  circa  settantamila  , 
turchi,  armeni,  greci    ec.  Sebbene 
il  clima  sia  freddo ,  e  l'aria  pura, 
la  peste  vi  fece  delle  grandi  stragi 
nel    1807  :    precedentemente   avea 
provato  il    flagello    del    terremoto 
a' 9  luglio  1784.  Fuori  della  porta 
di  Tauris,  vi  sono  ameni  passeggi, 
molti  bei  sepolcri  di  santoni ,   che 
si  vanno  a  visitare,  e  sorgenti  mi- 
nerali assai  rinomate. 

Commanville,  nell'  Hist.  de  tous 
les  archèv.,  dice,  che  Erzerum  è 
residenza  di  un  arcivescovo  arme- 
no, che  prima  chiamavasi  di  Surp- 
Xrixor,  ossia  di  s.  Gregorio,  nel  pa- 
triarcato d'Ezmiazin  (Vedi),  e  nel 
monistero  di  tal  santo.  La  provin- 
cia d'Erzerum  si  componeva  del- 
l'arcivescovato d'  Erzerum,  e  di  tre 
vescovati  suffraganei.  Questi  vesco- 
vati erano  Surb-Astuasasin,  con  re- 
sidenza nel  monistero  della  Madre 
di  Dio,  quattro  leghe  lungi  da  Er- 
zerum ;  Ginisuvanch)  con  moniste- 
ro distante  otto  leghe  da  Erzerum  ; 


ESA 

e  filamruanavanch,  città  nel  Be- 
glerbei  d'Erzerum.  Oltre  a  ciò  e- 
ranvi  gli  arcivescovati  onorari  di 
Derganav  aneti,  residente  nel  mo- 
nistero  d'Erzerum,  e  di  Arsingam. 
Di  Erzerum  si  tratta  in  vari  ar- 
ticoli del  Dizionario ,  massime  al 
voi.  XVIII,  pag.  1 1 3  e  124,  ove 
dicesi  del  suo  stato  presente  sì  delle 
provincie  che  le  sono  soggette,  che 
degli  armeni  cattolici,  di  quelli  sci- 
smatici, ed  anche  dei  greci. 

ESALTAZIONE  della  ss.  Cuo- 
ce, Festa.  V.  il  voi.  XVIII,  pag. 
236  e  seg.  del  Dizionario. 

ESAME  (Examen,  inquisitio). 
L' esame  prendesi  generalmente  : 
i.°  per  la  ricerca  colla  quale  si 
procura  di  scuoprire  la  verità  di 
una  cosa  :  i.°  per  la  deposizione 
de'  testimoni  :  3.°  per  quello  della 
religione ,  dappoiché  gì'  increduli 
bene  spesso  hanno  insistito  sulla 
necessità  di  esaminare  le  prove  del- 
la religione,  la  quale  in  vece  di 
proibircelo,  e'  invita  anzi  a  farlo  : 
4-°  per  la  discussione  di  coscienza, 
o  il  riscontrare  che  devono  fare  i 
cristiani  tutti  i  giorni  alla  sera,  ed 
allorquando  essi  si  dispongono  a 
confessarsi ,  affine  di  conoscere  le 
loro  colpe  :  5."  per  la  prova  della 
capacità  di  quello  che  aspira  a 
qualche  carica,  od  a  qualche  gra- 
do nelle  scuole,  o  negli  ordini  sa- 
gri, ovvero  a  qualche  benefizio  a 
cura  di  anime.  Di  tutte  queste,  e 
di  altre  specie  di  esami ,  si  tratta 
a'  rispettivi  articoli.  Solo  qui  ag- 
giungeremo un  cenno  sull'-E^me 
deJ  vescovi. 

Gregorio  XIV  prescrisse  la  di- 
ligenza da  usarsi  nell'esame  de'  ve- 
scovi ;  quindi  Clemente  VIII  de- 
cretò, che  gli  eletti  ai  vescovati  di 
libera  provvisione  del  Papa,  com- 
presi quelli  di  Avignone,  e  del  con- 


ESA  71 

tado  Venosino,  allora  domini»  del- 
la Chiesa  romana,  ed  anche  quelli 
di  nomina  o  presentazione  di  prin- 
cipi sovrani  d' Italia  ed  isole  adia- 
centi, si  dovessero  esaminare  pub- 
blicamente alla  presenza  del  Papa, 
nella  sagra  teologia,  ovvero  in  sa- 
gri canoni.  Ed  è  perciò,  che  Cle- 
mente Vili  istituì  la  Congregazio- 
ne deW  esame  de*  vescovi  (Vedi), 
al  quale  articolo  si  riporta  quanto 
riguarda  la  congregazione  cardina- 
lizia, il  prelato  suo  segretario,  gli 
esaminandi,  ed  il  modo  pubblico  o 
segreto  col  quale  si  fa  l'esame.  Di- 
cesi inoltre  essere  soggetti  all'  esa- 
me tutti  i  vescovi  delle  parti  sud- 
dette, i  vescovi  coadiutori  e  suf- 
fraganei  (massimamente  dell'Italia), 
e  quelli  che  essendo  vescovi  tito- 
lari sono  trasferiti  ad  una  chiesa 
residenziale.  Ivi  pure  si  dice  chi 
gode  l'esenzione,  e  chi  n'è  dis- 
pensato. Altre  analoghe  notizie  so- 
no riportate  all'articolo  Concisto- 
ro, cioè  nel  voi.  XV,  p.  23oe  seg. 
del  Dizionario.  Aggiungeremo  qui, 
che  prima  d'incominciar  l'esame 
il  Papa  legge  l'orazione  che  suole 
recitarsi  al  cominciar  delle  con- 
gregazioni cardinalizie  \  e  che  gli 
esaminatori  de*  vescovi  essendo  Car- 
dinali ,  prelati  ,  e  distinti  reli- 
giosi ,  prima  esaminano  i  prela- 
ti, o  i  religiosi,  poi  i  Cardinali. 
Dall'esame  sono  dispensati  gli  esa- 
minatori, gli  uditori  di  rota,  i  con- 
sultori del  s.  offizio  ec,  ma  essi 
sono  tenuti  a  presentarsi  all'  atto 
dell'esame,  e  ad  inginocchiarsi  avan- 
ti il  Pontefice  alla  presenza  degli 
esaminatori.  Il  Papa  però  li  fa  su- 
bito alzare.  Lessi  in  carte  autenti- 
che, che  sono  pure  dispensati  dal- 
l' esame  ed  esentati  i  vescovi  di 
Gorizia,  di  Trento,  di  Macarska,  di 
Sardegna ,  di  Savoia  ec.  Fu  per  le 


72  ESA 

testimonianze  uffiziose  ilei  sovrani, 
e  la  considerazione  delle  spese  e 
dell'incomodo  dei  viaggi,  che  l'e- 
same dei  vescovi  fu  ristretto  ai  soli 
promossi  ai  vescovati  d'Italia.  Dal- 
ie medesime  carte  rilevai,  che  Cle- 
mente XI,  Benedetto  XIII,  e  Be- 
nedetto XIV  talvolta  approvarono 
alcun  vescovo,  il  quale  nell'esame 
si  smarrì  ;  anxi  Benedetto  XIV  e- 
saminò  in  privato  monsignor  Co- 
lombari, eletto  di  Bertinoro,  ch'era 
stato  riprovato  nell'esame  pubbli- 
co. In  questo  talvolta  esaminò  lo 
stesso  Papa,  come  fece  Pio  VI  ;  ne 
mancarono  esempi  sotto  Clemente 
XIII,  Clemente  XIV,  Pio  VI  e 
Pio  VII,  che  alcuni  eletti  vescovi, 
non  sostenendo  bene  l'esame,  non 
furono  approvati ,  e  perciò  non 
promossi  all'episcopato.  Non  solo  si 
dispensarono  alcuni  dall'  esame ,  e 
ad  altri  venne  accordato  quello 
particolare ,  ma  ad  altri  bastò  la 
sola  presentazione  nel  pubblico  esa- 
me, e  quindi  vennero  esentati  dal- 
l' indulgenza  pontificia,  per  ispecia- 
le  considerazione. 

Noteremo  per  ultimo,  che  anche 
gli  avvocati  concistoriali  promossi 
al  vescovato ,  credono  godere  il 
privilegio  di  esenzione  dall'  esame, 
e  ne  fecero  umile  rappresentanza 
al  Papa  Pio  VI  quando  promosse 
all'arcivescovato  di  Taranto  l'avvo- 
cato concistoriale  Capecelatro.  Non 
fu  data  allora  alcuna  risposta,  ma 
quando  il  detto  avvocato  si  pre- 
sentò all'  esame,  il  Pontefice  si  e- 
spresse  con  queste  parole  :  »  Ut 
>#  nostrani  erga  te  clementiam  o- 
>'  stendamus  placet  a  rigido  exa- 
»  mine  te  dispensare;  habemus 
»  enim  non  unum  sed  multiple* 
»  doctrinae  sapientiaeque  tuae  prae- 
»  clarum  testimonium  ;  idcirco  tuis 
»   ita  exigentibus  meritis  soliusCar- 


ESA 

»  dinalis  Marefusci  objectionibus 
»»  respondebis ,  sitque  hoc  perpe- 
>»  tuutn  nostrae  erga  te  benevolen- 
ti  tiae  monumentum  ". 

ESARCA,  o  ESARCO  (Exar- 
chus).  Questa  parola  significa  pro- 
priamente principe,  o  capitano.  E 
nome  di  uffizio  e  dignità  ecclesia- 
stica e  secolare ,  e  propriamente 
era  colui  che  dall'imperatore  di 
oriente  veniva  preposto  come  suo 
vicario  al  governo  delle  provincie 
d'Italia  soggette  all'impero,  e  che 
ordinariamente  risiedeva  in  Raven- 
na. V.  Esarcato  d'  Italia  o  di 
Ravenna  ,  ove  dicesi  che  X  Africa 
avea  il  suo  esarca,  ossia  governa- 
tore. La  dignità  ecclesiastica  di  tal 
nome  era  di  diverse  specie  ;  pri- 
mieramente per  officio  della  chiesa 
Costantinopolitana,  e  chi  lo  funge- 
va era  come  un  legato  del  patriar- 
ca. A  lui  spettava  raccogliere  le 
decime,  ed  eseguire  altri  negozi 
della  chiesa.  Secondo  il  Codino  ta- 
le esarca  era  uno  de'm inori  officia- 
li della  chiesa  di  Costantinopoli, 
giacche  egli  lo  registra  il  quaran- 
tunesimo, dei  quarantasei  che  no- 
mina nel  lib.  4-  Nel  pontificale 
della  Chiesa  greca  si  legge  una 
formola  dell'istituzione  degli  esarchi. 
Il  patriarca,  fatta  l'imposizione  del- 
le mani,  dà  loro  un  comando  o 
lettere  testimoniali,  che  contengono  la 
obbligazione  delle  loro  cariche.  Es- 
si dovevano  visitare  i  monisteri 
che  dipendevano  dal  patriarca,  cor- 
reggere i  superiori  e  gl'inferiori,  fa- 
re uno  stato  delle  rendite  dei  mo- 
nisteri, dei  vasi  sagri,  degli  orna- 
menti ec.  L'  esarca  inoltre  co- 
me legato  e  deputato  di  detto  pa- 
triarca, faceva  la  visita  delle  pro- 
vincie al  medesimo  sottoposte,  con 
potere  di  prevenire  e  di  correggere 
gli  abusi    con  saggi    ed    opportuni 


ESA 

regolamenti,  come  d'interdire  e  de- 
porre quelli  che  meritassero  puni- 
zione, e  di  assolvere  i  penitenti. 
Questa  non  era  che  una  autorità 
delegata,  e  non  propria  e  persona- 
le attaccata  ad  una  sede. 

Altra  specie  poi  d'esarchi  erano 
quelli  di  una  diocesi,  che  presie- 
devano a  molte  provincie.  Esso 
era  superiore  al  metropolitano,  ed 
inferiore  al  patriarca,  corrisponden- 
do la  sua  dignità  a  quella  del  Pri- 
mate (Vedi).  Chiamavansi  esarchi 
coloro  fra  i  vescovi  che  venivano 
scelti  dai  patriarchi ,  per  visitare 
in  loro  nome  una  parte  della  loro 
diocesi  o  provincia.  Il  Macri  nella 
Not.  de  vocab.  ecclesiastici,  dice 
che  questa  voce  Exarchus  Provin- 
ci ae ,  significava  il  metropolitano 
o  l'arcivescovo,  come  si  raccoglie  da 
queste  parole:  Exarchi  Provinciae 
dico  auttm  episcopi  metropolitani. 
Conc.  Sardicensis  can.  6.  Sopra 
questo  canone  Balsamone  dichiara, 
come  per  nome  di  esarca  in  que- 
sto luogo  s' intenda  il  primate,  il 
quale  nei  concili  si  sottoscriveva 
dopo  i  patriarchi,  e  prima  dei  me- 
tropolitani :  Exarchus  aulem  dioe- 
cesis  non  unius  cujusque  provinciae 
metropolitanus  est,  sed  metropo- 
litanus  totius  dioecesis  :  dioecesis 
vero  dicitur,  quae  multas  in  se 
provincias  contine!.  E  così  sotto 
il  patriarcato  Costantinopolitano  si 
enumeravano  tre  esarchi,  o  primati: 
l'Efesino  per  tutta  l'Asia;  quello  di 
Cesarea  di  Cappadocia  in  Ponto; 
il  terzo  era  il  prelato  di  Eraclea 
nella  Tracia,  e  perciò  esarca  del- 
l'esarcato di  Tracia.  Aggiunge  lo 
stesso  Macri,  che    di  cesi  Exarchus 

Dioeceseos,  in  significalo  di  prima-         ESARCATO  ECCLESIASTICO, 
te.  Si  auteni  cimi   ipsius  provinciae 
metropolitano    episcopus,   vcl    cleri- 
citSy  controversiam  habuerit,  veldioe- 


ESA  73 

ceseos  Exarchum  adeat,  etc.  Conc. 
Calced.  can.  9.  Finalmente  ripor- 
teremo su  questa  dignità  di  esar- 
ca, anche  quanto  ne  scrive  il  Sar- 
nellinel  tonti.  IX  delle  Lettere  cccl., 
nella  lettera  XL. 

La  polizia  ecclesiastica  della  chie- 
sa orientale  era  costituita  in  que- 
sta maniera,  che  i  vescovi  delle 
sedi  inferiori  erano  soggetti  ai  me- 
tropolitani di  ciascuna  provincia; 
sopra  i  metropolitani  vi  erano  gli 
esarchi,  che  in  occidente  sono  detti 
primati,  come  a  presidenti  di  più 
provincie  ecclesiastiche;  e  sopra  gli 
esarchi  i  patriarchi,  di  maniera  pe- 
rò che  la  potestà,  che  competeva 
a'vescovi  inferiori  intorno  ai  pro- 
pri sudditti,  e  la  loro  giurisdizione 
non  riceveva  detrimento  alcuno  dai 
gradi  superiori,  salvo  il  diritto  del- 
le appellazioni.  Gli  esarchi  più  ce- 
lebri di  tutto  l'oriente  furono  il 
nominato  Efesino  nella  diocesi  del- 
l'Asia; il  Cesariense  nella  Cappado- 
cia, a  cui  era  soggetta  la  diocesi 
di  Ponto  ;  il  Tessalonicense  nella 
diocesi  di  Macedonia;  e  il  vescovo 
di  Eraclea  nella  diocesi  di  Tracia, 
a  cui  nei  primi  tempi  era  sogget- 
to il  vescovo  di  Bisanzio  o  Costan- 
tinopoli (V.  Diocesi).  A  quell'ar- 
ticolo avvertimmo  che  in  orienle 
il  nome  di  diocesi  era  assai  più 
ampio  che  in  occidente,  dappoiché 
presso  gli  orientali  la  diocesi  ab- 
bracciava più  provincie,  che  ubbi- 
divano ad  un  esarca  o  patriarca; 
e  ciascuna  provincia,  cui  presiede- 
vano i  metropolitani,  si  chiamavano 
Esarchie,  e  quelle  di  ciascun  vescovo 
inferiore  dicevansi  parrocchie.  V. 
Esarcato  Ecclesiastico. 


Diocesi  composta  di  diverse  pro- 
vincie ,  presieduta  da  un  vescovo 
insignito    della    dignità    di    esarca, 


74  ESA 

essendo  egli  come  un  primate,  o 
come  un  metropolitano  non  di  una 
provincia  ma  di  più  provincie. 
/".  Esarca  e  Diocesi. 

ESARCATO  D'ITALIA,  o  di 
Ravenna.  Così  chiamavasi  quella 
parte  d'Italia  che  era  governata  dal- 
l'esarca, cioè  dal  vicario  o  prefetto 
per  l'imperatore  di  oriente,  il  qua- 
le risiedeva  ordinariamente  in  Ra- 
venna per  difenderla  in  un  ai  do- 
mimi ad  essa  annessi,  contro  i  lon- 
gobardi, che  avevano  conquistato  tut- 
ta l'Italia.  Dopo  che  Odoacre  re  degli 
Ertili  (Fedi),  ebbe  per  condiscenden- 
za de'goti  in  balia  l'impero  di  occi- 
dente, e  costrinse  l'inetto  imperatore 
Romolo  Augusto  ad  abdicare  l'impe- 
rio in  Ravenna  a'2  3  agosto  dell'an- 
no 47 5>  fissò  la  sua  sede  in  Ra- 
venna, per  cui  Roma  fu  considera- 
ta come  città  secondaria,  sottoposta 
al  governo  dei  luogotenenti  del  re 
Erulo_,  e  le  sue  provincie  limitrofe 
formarono  il  ducato  romano.  Ma 
Teodorico  avendo  poi  vinto  co'suoi 
goti  o  ostrogoti  Odoacre,  lo  spen- 
se a  tradimento,  restando  cosi  i 
goti  signori  d'Italia.  A  liberare  dal 
servaggio  questa  regione,  Giustinia- 
no I  inviò  contro  gl'invasori  pri- 
ma Belisario,  e  poi  Narsete,  che  ri- 
portarono sui  nemici  gloriose  vit- 
torie. Sarebbe  stata  felice  l'Italia  se 
i  trionfi  del  prode  Narsete  avesse- 
ro posto  termine  alle  sciagure  di 
lei;  ma  questo  medesimo  capitano 
che  era  stato  la  cagione  di  sua 
tranquillità,  divenne  invece  l'auto- 
re della  pubblica  rovina.  Narsete 
lodato  per  valore  ed  altre  virtù, 
ebbe  taccia  di  disordinato  amore  al- 
le ricchezze;  e  venuto  in  odio  ai 
patrizi  romani,  fu  da  essi  accusato 
all'imperatore  Giustino  II.  Gli  a- 
mici  di  Belisario  profittarono  del- 
la circostanza  per  vendicare  il  suo 


ESA 

richiamo  dal  comando  delle  armi  in 
Italia,  quando  gli  fu  sostituito  Nar- 
sete, che  per  essere  eunuco,  e  per- 
siano era  il  disprezzo  de'greci.  Gli 
emuli  pertanto  di  Narsete  rappre- 
sentarono all'imperatrice  Sofia,  che 
Narsete  profittava  de'tesori,  co'qua- 
li  potevasi  risarcire  il  depauperato 
erario  imperiale;  laonde  essa  co- 
me potente  presso  il  marito  Giu- 
stino II,  imprudentemente  scrisse 
a  Narsete, che  non  conveniva  ad  un 
eunuco  il  maneggio  delle  armi,  per 
cui  poteva  tornar  fra  le  ancelle  a 
filare.  Adontato  fieramente  Narsete 
continuò  l'allegoria,  rispondendo  a 
Sofìa,  ch'egli  a'suoi  comandamenti 
ubbidiva,  ma  che  del  filo  fatto 
dalle  sue  mani,  una  tela  tessuta 
avrebbe,  che  né  essa,  ne  il  suo 
marito  sviluppare  giammai  potreb- 
bero. Quindi  Narsete  sollecitò  Al- 
boino, re  de'longobardi,  ad  occu- 
pare l'Italia,  che  trepidava  al  solo 
loro  nome,  essendo  stata  testimone 
del  valore  di  quegli  scandiva  ni  , 
quando  ausiliari  di  Narsete  scaccia- 
rono i  goti.  Ad  evitar  l'odio  dei 
romani,  Narsete  da  Roma  si  con- 
dusse a  Napoli,  intanto  che  i  lon- 
gobardi riempirono  di  spavento  e 
di  stragi  l'Italia. 

Sedeva  sulla  cattedra  apostolica 
il  Papa  Giovanni  III,  amicissimo  di 
Narsete  perchè  aveagli  ottenuta 
da  Giustino  II  la  dignità  di  ex-con- 
sole. A  placar  l'ira  di  questo ,  re- 
cossi a  Napoli,  gli  riuscì  di  persua- 
derlo, e  seco  il  ricondusse  in  Ro- 
ma, ove  morì  di  dispetto  vedendo- 
si impotente  di  rimediare  alla  ro- 
vina d'Italia,  giacché  Alboino  avea 
fissata  la  sua  residenza  in  Pavia, 
e  dato  principio  al  regno  longobar- 
dico, che  durò  206  anni:  altri  dicono 
184,  ed  altri,  computandovi  il  tem- 
po che  governò  Narsete,  anni  218. 


ESA 

Giunse  in  questo  tempo,  spedito 
da  Costantinopoli  a  Ravenna,  Lon- 
gino patrizio,  fatto  successore  di 
Narsete,  seco  recando  per  mare  un 
esercito.  Udita  egli  la  morte  di 
Narsete,  trasmise  all'imperatore  il 
cadavere  di  lui  chiuso  in  cassa  di 
piombo,  ed  insieme  tutto  l'immen- 
so tesoro  del  defunto.  Essendo  sta- 
to Longino  spedito  in  Italia  con 
assoluto  arbitrio,  inventò  nuova  fog- 
gia di  governarla,  facendo  Raven- 
na, non  più  Roma,  sede  della  pre- 
fettura, né  chiarnossi  duca,  ma  e- 
sarca  dell'Italia,  a  somiglianza  del 
governatore  dell'Africa,  che  pari- 
menti esarca  nomavasi .  E  perchè 
della  venuta  de'longobardi  teme  va- 
si, fortificò  Longino  le  città  fron- 
tiere    d'  Italia    verso  Lamagna,  e 


ESA  f$ 

munì  di  valide  soldatesche  Roma  e 
Ravenna.  Cosi  ebbe  principio  l'esar- 
cato di  Ravenna,  di  cui  andiamo  a 
dire  di  quali  dominii  componevasi, 
rammentando  qualche  tratto  stori- 
co principale,  mentre  il  resto  si 
dice  all'articolo  Ravenna  (Fedi). 
Siccome  gli  esarchi  alcune  fiate  a- 
busivamente,  e  al  modo  che  di- 
cemmo ad  Elezione  de  sommi  Pon- 
tefici (Fedi),  influirono  all'elezio- 
ne dei  Papi,  e  talvolta  ne  ratifi- 
carono l'esaltazione  pegl'imperatori 
di  oriente,  speriamo  non  riuscirà 
discaro  che  qui  si  riporti  il  nove- 
ro de'medesimi  esarchi.,  che  pren- 
diamo dalla  celebre  opera  del  eh. 
Cesare  Cantù:  Cronologia  per  ser~ 
vire  alla  storia  universale^  a  pag, 
354. 


Esarchi  dì  Ravenna. 


Narsete,  duca  d'Italia dal  544 

Longino  primo  esarca «  568 

Smaragdo »  584 

Romano »  5o,o 

Callinico ....>»  597 

Smaragdo,  per  la  seconda  volta *»  602 

Lemigio • »  6 1  1 

Eleuterio »  616 

Isacco »  619 

Platone »  638 

Teodoro  I    Calliopa *  648 

Olimpio »  649 

Teodoro  I   Calliopa,  per  la  seconda  volta  .     .  *  652 

Gregorio «  666 

Teodoro  II »  678 

Giovanni  Platino »»  687 

Teofilace *»  702 

Giovanni  Rizocopo »  710 

Eutiehio »  7 1 1 

Scolastico »  7 1 3 

Paolo >»  727 

Eutiehio,  per  la  seconda  volta «  728 

Astolfo   pose   fine  all'esarcato il    752. 


al 


568 
584 
59° 
^97 
602 
611 
616 
619 
638 
648 

649 
652 

666 

678 

687 
702 
710 

711 

7i3 
727 
728 
752 


76  ESA 

Dal  Muratori,  e  dalla  seconda 
sua  dissertazione,  del  regno  d'Ita- 
lia e  de' suoi  confini,  rilevasi  quel- 
li dell'esarcato  di  Ravenna.  Egli 
pertanto  dice  che  lungo  la  spiag- 
gia dell'Adriatico  arrivava  il  domi- 
nio de'  longobardi  sino  ai  contini 
di  Ravenna ,  dove  risiedendo  gli 
esarchi,  cioè  i  ministri  ossia  go- 
vernatori postivi  dagl'  imperatori 
greci,  davano  il  nome  di  esarcato 
a  parte  dell'Emilia,  ed  a  Flaminia, 
tuttavia  suddite  del  greco  impero. 
Noteremo  che  l'Emilia  è  un'anti- 
ca contrada  d'Italia,  cui  la  strada 
Emilia  diede  il  nome,  situata  fra 
il  Po,  l'Apennino  e  la  Flaminia. 
Comprendeva  porzione  della  Lom- 
bardia di  là  dal  Po,  e  della  Ro- 
magna, si  estendeva  da  Rimini  si- 
no a  Piacenza,  rinchiudendo  por- 
zione degli  stati  della  Chiesa,  e 
dei  ducati  di  Parma,  Modena, 
Mantova  e  Mirandola,  colle  città 
di  Piacenza,  Parma,  Reggio,  Bolo- 
gna ed  Imola.  La  Flaminia  poi, 
altra  contrada  d'Italia,  cosi  chia- 
mata ne'primi  tempi.  I  popoli  di 
questi  paesi,  detti  lingoni  e  seno- 
ni,  erano  gaulesi  venuti  a  stabilir- 
■visi  dalle  provincie  di  Langres  e 
di  Sens,  per  lo  che  questa  parte 
di  Italia  prese  poscia  il  nome  di 
Gallia  Cisalpina,  quindi  di  Roman- 
diola  o  Romagna.  Noteremo  inoltre, 
che  sebbene  1'  Anastasio ,  in  Vii. 
Steph.  Ili,  ove  riporta  il  modo 
come  l'esarcato  fu  dato  alla  santa 
Sede,  non  vi  comprenda  la  pro- 
vincia del  Piceno,  tuttavolta  il 
Borgia  è  di  avviso  coi  geografi, 
che  ancor  essa  stesse  sotto  il  go- 
verno degli  esarchi  di  Ravenna . 
Il  Piceno,  contrada  dell'Italia  anti- 
ca, lungo  l'Adriatico,  abitato  dai 
picenti  originari  della  Sabina,  è  un 
paese  vagamente  variato  da  colline 


ESA 

e  fertili  piani.  Soggiungo  però  il 
Muratori,  che  alcuni  vollero  am- 
pliare r  esarcato  comprendendovi 
Piacenza,  Parma,  Reggio  e  Mode- 
na, ma  aggiunge  che  ciò  non  è 
vero.  Di  quelle  quattro  città,  e  per- 
sino d'Imola,  sul  principio  s'impa- 
dronirono i  longobardi  ;  e  Mauri- 
zio imperatore  nell'anno  5c)o,  col- 
legato co' franchi,  ricuperò  Mode- 
na, Mantova,  Aitino,  Cremona,  ed 
altri  luoghi.  Il  re  Agilulfo  in  ap- 
presso tutto  riprese,  e  il  confine 
degli  stati  tornò  ad  essere  fra  Mo- 
dena e  Bologna.  Presero  poi  altri 
re  longobardi  l' esarcato,  e  resta 
tuttavia  in  Bologna  un  monumen- 
to del  dominio  del  re  Luilpranclo  in 
quella  città.  Pipino  re  de'  franchi,  co- 
me meglio  diremo,  restituì  e  fece  un 
dono  dell'esarcato  al  Romano  Pon- 
tefice; e  perchè  il  re  Desiderio 
tornò  ad  occuparlo,  Carlo  Magno 
lo  ricuperò  alla  Chiesa  Romana, 
e  conquistò  per  se  il  regno  d'Italia. 
Fin  qui  il  Muratori.  Ma  di  altre 
interessanti  notizie  dell'  esarcato  di 
Ravenna,  oltre  quanto  dicesi  a  quel 
citato  articolo,  de' suoi  popoli  che 
si  posero  sotto  la  protezione  della 
santa  Sede,  del  dono  fattone  ad 
essa  da  Pipino,  e  quali  provincie 
abbracciasse,  lo  diremo  brevemen- 
te coll'autorità  del  Borgia,  Memo- 
rie isteriche  di  Benevento,  tom.  I, 
pag.  8  e  seg.  Di  questo  esarcato, 
come  dominio  pontificio,  si  parlò  an- 
cora all'articolo  Comacchio  (Fedi). 
L'empio  Leone  l'Isaurico  aven- 
do dichiarato  guerra  alle  sagre  im- 
magini, e  vessando  i  popoli  Italia- 
ni in  altre  guise,  questi,  all'udire 
che  l'imperatore  minacciava  d'im- 
prigionare il  zelante  Pontefice  s. 
Gregorio  II  siccome  difensore  del 
culto  delle  sagre  immagini,  si  sot- 
trassero dalla  sua   ubbidienza,  ricu- 


ESA 

saremo  di  pagaie  i  tributi,  ed  li- 
ni ti  ai  longobardi  signori  del  resto 
d'Italia,  presero  le  armi  in  difesa 
del  Papa.  Si  pensò  in  questo  tem- 
po dagl'italiani  di  eleggere  un  nuo- 
vo imperatore,  e  di  condurlo  spal- 
leggiato dalle  loro  armi  a  Costan- 
tinopoli; ma  il  saggio  s.  Gregorio 
li,  sperando  nel  ravvedimento  di 
Leone,  raffrenò  gli  spiriti.  Roma 
però,  e  i  luoghi  del  suo  ducato, 
soggetti  sino  allora  all'imperatore 
d'oriente,  verso  l'anno  y3o  si  sot- 
trassero anch'essi  dall'ubbidienza  di 
Leone,  e  de'  suoi  ministri ,  cioè 
dagli  esarchi  di  Ravenna ,  come 
narrano  Teofane,  Cedreuo ,  e  Zo- 
nara  presso  il  Bellarmino,  de  Rom. 
Poni.  cap.  8,  lib.  5.  Ponendosi  dun- 
que Roma  in  libertà  costituì  il  Pa- 
pa (l'autorità  temporale  del  quale 
da  molto  tempo  era  quivi  riverita) 
per  capo  suo  non  meno  che  del  du- 
cato romano.  Non  andò  guari  che 
s.  Gregorio  II,  con  coraggio,  dovè 
opporsi  al  re  Luitprando,  il  quale 
confederatosi  con  Eutichio  patrizio, 
ed  esarca  di  Ravenna,  macchina- 
va di  soggettare  a  sé  i  duchi  di 
Spoleto  e  Benevento,  e  la  città  di 
Roma  all'esarca,  che  ne  dovea  fa- 
re l'assedio.  Fu  allora,  che  il  Pa- 
pa ammansò  colla  sua  robusta  e- 
loquenza  il  re  longobardo,  lo  in- 
dusse a  rendere  omaggio  a  s.  Pie- 
tro, a  ritrocedere  coll'esercito,  e  ad 
implorare  il  perdono  all'  esarca 
come  il  Pontefice  gli  accordò.  I 
santi  Pontefici  Gregorio  III  e  Zac- 
caria difesero  contro  i  longobardi 
alcune  città  del  loro  dominio,  da 
essi  prepotentemente  occupate;  an- 
zi il  secondo,  come  padre  comu- 
ne, rivolse  le  sue  cure  sui  popoli 
dell'  esarcato,  e  della  Pentapoli  pro- 
vincia del  medesimo  esarcato,  che 
ancora  dipendevano  dall'impero  o- 


E  S  A  77 

rientale.  Venivano  questi  angustia- 
ti dalle  armi  vittoriose  di  Luit- 
prando, eh'  erasi  impadronito  di 
Ravenna  capitale  dell'esarcato,  e 
di  altri  luoghi,  mentre  le  forze 
dell'  esarcato  erano  ineguali  per  far 
fronte  al  nemico,  né  da  oriente  ri- 
ceveva aiuti,  perchè  Costantino, 
succeduto  nel  741  a  suo  padre 
Leone,  era  impegnato  a  reprime- 
re il  cognato  Artabano,  il  quale 
tentava  detronizzarlo.  Laonde  tan- 
to l'esarca  Eutichio,  che  Giovanni 
arcivescovo  di  Piavenna,  per  iscam- 
pare  mali  maggiori,  si  raccoman- 
darono a  s.  Zaccaria,  acciocché  qua- 
le amico  del  re  Luitprando  fa- 
cesse l'uffizio  di  mediatore.  Non  fu 
renitente  il  Pontefice  a  queste  do- 
mande, per  cui  prendendo  subito 
cura  e  sollecitudine  di  quelle  Pro- 
vincie, nelle  quali  sebbene  gl'im- 
peratori greci  ne  ritenessero  il  ti- 
tolo di  padroni,  non  ne  curavano 
la  conservazione  e  la  difesa.  Dopo 
avere  il  Pontefice  a  mezzo  de'suoi 
legali  pressato  il  re,  con  l'offerta 
di  molti  doni,  s'  incamminò  egli 
stesso  alla  volta  di  Pavia.  In  pas- 
sando per  Ravenna  vi  fu  salutato 
ed  accolto  con  questa  tenera  accla- 
mazione: Bene  venit  Pastor,  qui 
suas  relìquit  ovesi  et  ad  nos  qui 
perituri  eranius  liberandos  occurrit. 
Giunto  s.  Zaccaria  nella  regia  cor- 
te di  Pavia,  indusse  Luitprando  a 
restituire  alcuni  territorii  a  Raven- 
na, e  due  parti  del  territorio  a 
Cesena,  obbligandosi  di  restituire 
poi  Cesena  stessa,  ed  il  rimanente 
del  suo  territorio.  Ciò  venne  in 
cognizione  di  Costantino,  il  quale 
per  compensare  il  Papa  di  quanto 
avea  operato  per  la  quiete  dell'  e- 
sa reato,  concesse  all'apocrisario  del- 
la santa  Sede,  che  gliele  doman- 
dava, le  due  masse,  o  sieno  unio- 


7«  ESA  ESA 

ni  di  vari  predi  e  possessioni,  che  si  sotto  la  protezione  e  difesa  del- 
erano  di  ragion  pubblica,  appella-  la  sede  Apostolica,  implorò  ed  ot- 
te Ninfa  e  Norma.  tenne  l'aiuto  di  Pipino  re  di  Fran- 
Dopo  che  l'esarcato  di  Ravenna  eia,  ove  il  Papa  si  recò  nel  754. 
si  pose  sotto  la  protezione  dei  Pa-  In  questa  occasione  Stefano  III  un- 
pi,  successivamente  ne  sperimentò  se  re  di  Francia  Pipino,  insie- 
i  benefìci  effetti.  Il  medesimo  Zac-  me  co'  suoi  figli  Carlo  e  Car- 
caria  continuò  a  proteggere  i  pò-  lomanno,  dichiarandoli  patrizi  dei 
poli  dell'  esarcato,  conchiudendo  a  romani,  affinchè  s'impegnassero  ai- 
favore  di  esso  col  re  Rachisio  un  la  difesa  della  Chiesa  romana,  e 
trattato  di  pace  per  venti  anni,  degli  stati  suoi,  e  si  convenne  tra 
A  Rachisio  successe  nel  regno  lon-  Stefano  III  e  Pipino,  che  rito- 
gobardo  Astolfo  suo  fratello  nel  gliendo  questi  colle  armi  dalle  ma- 
749.  Questi  nel  pontificato  di  Ste-  ni  degli  usurpatori  longobardi  l'e- 
fano  lì,  detto  III,  e  nel  752  mos-  sarcato  di  Ravenna,  egli  per  mu- 
se le  sue  armi  contro  V  esarcato,  nifìcenza  degna  di  cattolico  prin- 
occupandone  la  capitale,  di  dove  cipe  lo  donasse  alla  Chiesa  Romana, 
scacciò  Eutichio  ultimo  degli  esar-  come  narra  il  de  Marca,  de  Cori- 
chi, ed  indi  orgogliosamente  le  ri-  cord.  lib.  I,  cap.  12,  §  3;  la  qua- 
volse  contro  le  città  del  ducato  le  Chiesa  da  tanti  anni  aveva  as- 
romano,  tentando  ogni  via  di  sot-  sunto  tutto  il  peso  di  quelle  pro- 
tomettere  ancora  queste  al  domi-  vincie,  e  tanto  si  era  affaticata  per 
nio  longobardo.  Adoperò  il  Papa  salvarle,  come  ora  per  ricuperarle 
donativi  e  preghiere,  ed  ottenne  dalle  mani  de'longobardi. 
capitoli  di  pace  per  quaranta  an-  Erano  stati,  siccome  abbiamo 
ni.  Ma  il  re  ponendo  in  non  cale  detto,  i  popoli  dell'esarcato  abban- 
la  giurata  fede,  tornò  a  minaccia-  donati  da'greci  in  preda  de'barbari, 
re  i  romani  ed  il  Papa,  volendo  e  perciò  costituiti  in  diritto,  a  fine 
che  ciascuno  del  ducato  gli  pagas-  di  provvedere  alla  propria  salvez- 
se  un  soldo  d'oro  in  tributo.  Al-  za  e  conservazione,  di  separarsi  dal 
lora  il  santo  Pontefice  credette  capo  dell'imperio;  e  vedendosi  pa- 
miglior  partito  far  uso  dell'autori-  droni,  o  di  rimanere  sotto  il  giogo 
tà  e  della  forza.  Ricorse  prima  a  Co-  dei  re  longobardi,  o  di  darsi  ad 
stantino,  cui  doveva  essere  a  cuo-  altri,  si  erano  già  donati  ai  Papi 
re  la  repressione  di  Astolfo,  che  ch'eglino  avevano  da  prima  eletti 
avea  occupata  Ravenna  e  buona  per  loro  duci  e  protettori.  Venne 
parte  dell'esarcato;  ma  quel  prin-  quindi  Pipino  in  Italia  nello  stes- 
cipe  impegnato  nel  sacrilego  pen-  so  anno  754  alla  testa  di  pode- 
siero  di  distruggere  le  sagre  imma-  roso  esercito  contro  del  re  Astolfo, 
gini,  dimentico  del  dovere  conna-  ed  assediatolo  in  Pavia,  il  Papa 
turale  ad  ogni  principe  di  difen-  per  liberarlo  dal  totale  esterminio 
dere  e  conservare  i  propri  stati,  fu  che  gli  sovrastava,  gli  offrì  la  pa- 
sordo  alle  richiesle  del  Papa.  Que-  ce  affine  di  risparmiare  anche  il 
sii  dunque  per  sottrarre  dall'ava-  sangue  cristiano  ,  purché  gli  re- 
rizia  de'  longobardi  il  ducato  10-  stituisse  quanto  aveagli  tolto,  e  gli 
mano  ed  i  popoli  dell'esarcato,  che  consegnasse  Ravenna,  eie  altre  città 
Zaccaria  suo  predecessore  avea  pie-  da  lui  occupale,  secondo  il  conve- 


ESA 

mito  col  re  Pipino.  Il  timore  di 
maggiori  disastri  indusse  Astolfo  ad 
accettar  con  giuramento  tali  condi- 
zioni; ma  appena  Pipino  tornò  in 
Francia,  e  Stefano  III  in  Roma, 
il  longobardo  re  con  infame  perfi- 
dia andò  ad  assediare  quella  città 
nel  7  55,  non  senza  grave  danno 
de'luoghi  suburbani.  Subito  il  Pa- 
pa fece  sapere  al  re  di  Francia  il 
temerario  procedere  di  Astolfo , 
laonde  volò  Pipino  ad  assediarlo 
in  Pavia,  obbligandolo  a  ridurre 
ad  effetto  tutte  le  condizioni  della 
precedente  pace.  Per  tal  modo  si 
stabili  il  dominio  temporale,  che 
la  Chiesa  Romana  gode  presente- 
mente, non  solo  colla  restituzione 
de'luoghi  intorno  a  Roma,  e  massi- 
me della  città  di  JMarni,  che  i  du- 
chi di  Spoleto  avevano  tolto  al 
ducato  romano;  ma  anche  colla 
cessione  di  Ravenna,  della  Penta- 
poli,  e  di  tutto  l'esarcato.  Allo 
strepito  di  queste  vittorie  ed  av- 
venimenti, si  scosse  l'imperatore 
Costantino,  ripetendo  con  promesse 
ed  offerte,  le  nominate  provincie  a 
Pipino;  ma  il  religioso  principe  ri- 
spose ,  che  per  niuna  ragione  a- 
vrebbe  permesso  che  quelle  città 
fossero  alienate  dal  diritto  della 
Chiesa  Romana,  giacche  non  per 
altro  fine  aveva  egli  intraprese  quel- 
le spedizioni,  come  si  legge  presso 
l'Anastasio,  in  Vit.  Steph.  III.  Quin- 
di con  ampio  diploma  Pipino  re- 
stituì e  donò  alla  Romana  Chiesa 
il  dominio  assoluto  dell'esarcato  di 
Ravenna,  e  perciò  osserva  il  Cenni, 
tu  praefat  tomo  IV  A nasi.  Bi- 
bliothec.  num.  21-22,  che  il  prin- 
cipato della  Chiesa  Romana  non  fu 
allora  istituito,  ma  bensì  amplificato. 
Sul  novero  delle  città  e  luoghi 
sottoposti  all'  esarcato  di  Ravenna, 
suoi  confini    ed  estensione,  il   citalo 


ESA  79 

Borgia,  a  pag.  18  e  seg.,  riporta 
quanto  ne  scrissero  l' Anastasio , 
Cencio  Camerlingo  presso  il  Mura- 
tori, Antiq.  italìc.  med.  aev.  diss. 
69,  l'epistole  contenute  nel  codice 
Carolino,  e  l'Ughelli  nel  t.  II,  Italia 
sacra.  Pel  resto  è  a  vedersi  Ravenna, 
e  Sovranità"   de'  romani  Pontefici. 

Il  Frizzi  nella  bella  storia  che  ci 
ha  dato  di  Ferrara,  al  tom.  II  eru- 
ditamente parla  dell'esarcato  detto 
anco  Emilia,  dei  suoi  confini ,  del 
modo  cui  passò  dai  greci  ai  lon- 
gobardi, e  come  donato  ai  roma- 
ni Pontefici;  quindi  come  usurpato 
dagli  arcivescovi  di  Ravenna,  e  da 
altri ,  e   come  tornato  alla  Chiesa. 

Per  ultimo  non  riuscirà  discaro 
aggiungere  quanto  il  p.  Antonio 
Brandimarte,  minore  conventuale, 
scrisse  dell'  esarcato  nel  suo  Piceno 
Annonario,  ossia  Gallia  Senonia 
illustrata,  a  pag.  1 2  e  seg.,  ove  par- 
la pure  della  summentovata  Pen- 
tapoli.  Distrutto  il  dominio  de'  go- 
ti in  Italia,  e  costituita  Ravenna 
città  capitale  dell'  esarcato,  il  Pi- 
ceno Annonario  o  Gallia  Togata, 
formante  ora  la  metà  della  .pro- 
vincia della  Marca,  mutò  allora 
nome,  e  la  parte  marittima  di  esso 
fu  chiamata  Pentapoli,  e  la  parte 
montana  fu  chiamata  Provincia  dei 
Castelli,  e  fu  divisa  in  due  pro- 
vincie. L'anonimo  ravennate  enu- 
merando le  regioni  d' Italia  dice , 
che  la  sesta  era  Annonaria  Pen» 
tapolensis,  cui  adnexa  pars  Pice- 
ni annonarii ,  septima  est  supra 
ipsam  Pentapolim,  idest  Provincia 

Castellorum,  quae  ab  antiquis 

Il  p.  Berretti  contro  il  Fontanini 
supplisce  la  parola  aggiungendo 
quae  ab  antiquis  dieta  est  Pice- 
niun,  e  crede  che  il  contado  Fer- 
mano sia  la  Provincia  de' Castelli, 
li  Catalani,  Stefano    Borgia,    ed  il 


8o  ESA 

Rallaclli  si  uniscono  a  lui.  11  Bran- 
di marte  però  pensa  diversamente, 
e  crede  che  la  Pentapoli  Annona- 
ria, a  cui  era  annessa  porzione  del 
Piceno,  l'osse  composta  in  principio 
da  cinque  città,  cioè  da  Rimino, 
da  Pesaro,  da  Fano,  da  Siniga- 
glia,  e  da  Ancona,  cioè  dalla  Gal- 
lia  marittimo,  e  che  la  Provincia 
de'  Castelli  situata  sopra  la  stessa 
Pentapoli,  che  dagli  antichi  fu  chia- 
mata Piceno,  fosse  composta  della 
Gallia  Montana,  cioè  da  Cameri- 
no, Maidica,  Attidio,  Tufìco,  Sen- 
tino,  Alba,  Ostia,  Suasa,  Pitulo, 
Jesi.  La  voce  Pentapoli  è  compo- 
sta da  due  parole  greche,  che  si- 
gnificano cinque  città.  Col  tempo  la 
provincia  di  Pentapoli  distese  i  con- 
fi ni  ;  imperocché  nel  sinodo  roma- 
no celebrato  nel  680  sotto  il  Pa- 
pa s.  Agatone,  gli  atti  del  quale 
furono  poscia  inseriti  nel  sesto  con- 
cilio Costantinopolitano ,  i  vescovi 
di  lumini,  di  Pesaro,  di  Fano,  di 
Numana,  di  Osimo,  di  Ancona,  tutti 
uniformemente  chiamano  se  stessi 
vescovi  Provinciae  Penlapolis.  Lu- 
dovico Pio,  confermando  le  dona- 
zioni e  restituzioni  fatte  alla  Chie- 
sa da  Pipino  e  da  Carlo  Magno, 
pone  molte  città  nella  Pentapoli , 
con  queste  parole  :  »  Similiter  et 
»  Pentapolim,  videlicet  Ariminium, 
»»  Pisaurum,  Fanum,  Senogalliam, 
»  Anconam,  Ausimum,  Hesim,  Fo- 
>»  rum  Sempronii,  Monte  Feretri, 
m  Urbinum ,  et  territorium  Bal- 
»  nense,  Callem,  Luciolis,  et  Eu- 
»  gubium  cum  omnibus  flnibus, 
»  ac  terris  ad  easdem  civitates  per- 
»  tinentibus".  Queste  città  non  e- 
rano  più  degl'imperatori  greci,  ma 
erano  passate  in  mano  dei  longo- 
bardi .  Pipino  re  di  Francia  le 
ritolse  al  re  Astolfo,  mandò  Fulra- 
do  abbate  di  s.  Dionisio  co'  depu- 


ESB 

tati  del  re  Astolfo  per  la  Penta- 
poli  e  per  l' Emilia,  come  narra 
Anastasio  Bibliotecario,  per  riceve- 
re le  chiavi  delle  città,  e  portatosi 
in  Roma  le  depositò  nella  confes- 
sione di  s.  Pietro ,  e  gli  donò  o 
restituì  le  città  di  Ravenna,  Ri- 
mini, Pesaro,  Conca,  Fano,  Cese- 
na ,  Sinigaglia ,  Jesi ,  Montefeltro  , 
Urbino,  Cagli,  Luccoli,  Gubbio  ec. 
Siccome  i  longobardi  divisero  l'I- 
talia in  ducati,  cos\  chi  sa  dire 
quanti  ducali  costituirono  colla  Pen- 
tapoli, che  loro  fu  ritolta,  e  po- 
scia donata  e  restituita  con  tal  no- 
me alla  santa  Sede  ?  Anastasio  Bi- 
bliotecario, nella  vita  di  Adriano  I, 
nomina  il  ducato  Fermano,  Osi- 
mano,  Anconitano,  e  dice  che  es- 
sendosi gli  abitanti  di  questi  vo- 
lontariamente dati  alla  santa  Sede, 
more  romanorum  tonsurali  sunt. 

ESBONA.  Città  vescovile  della 
provincia  di  Arabia,  nella  Samaria, 
diocesi  di  Antiochia,  sotto  la  me- 
tropoli di  Bostra.  Esbona,  Esboti 
o  Esebon  era  la  capitale  de'moa- 
biti  :  qui  regnò  Seon  re  degli  a- 
morrei,  che  poi  fu  vinto  ed  ucciso 
in  sanguinosa  battaglia  dagli  israe- 
liti. Gli  amorrei  l'avevano  conqui- 
stata dai  moabiti.  Era  nella  tribù 
di  Ruben,,  e  separata  pei  leviti,  ai 
confini  della  tribù  di  Gad,  incontro 
a  Gerico.  Nella  Sìria  sagra  si  leg- 
ge, eh'  era  lontana  dal  Giordano 
venti  miglia^  e  quaranta  dal  mare 
Asfaltide;  e  che  celebri  erano  le 
sue  fontane,  vaste.,  e  mirabili  pel 
modo  col  quale  erano  costrutte.  Gen- 
nadio,  Zosio  e  Teodoro  ne  furono 
vescovi,  Oriens  Christ.  toni.  II,  p. 
864-  Al  presente  Esbona,  Esbonen  , 
è  un  titolo  vescovile  in  parlibus, 
che  conferisce  la  sede  Apostolica, 
sotto  la  metropolitana  di  Bostra, 
altro  titolo  in  parlibus.  Attualmente 


ESC 

n'è  vescovo  monsignor  Antonio  Pez- 
zoni    dell'Ordine  de'niinori  cappuc- 
cini, promosso  a  tal  dignità,  ed  a  vica- 
rio apostolico  del  Thibet  ed  Indostan, 
a' 27  gennaio   1826,  da  Leone  XII. 
ESCART  (d')  DI   GIURY    An- 
na,  Cardinale.  Anna  d'Escart    di 
Giury  de'  conti  di   Limoges ,    con- 
giunti    colla     real    casa    di    Fran- 
cia   Tanno    i435,  nacque    in   Pa- 
rigi ,    e   fu  rigenerato    colle    acque 
battesimali  nella  chiesa  di  s.  Pao- 
lo. Professò  dapprima  nel  moniste- 
io    benedettino    di    s.    Benigno    di 
Bigione,  e  colà  diede    principio  ad 
esercitarsi    in  ogni    genere    di    cri- 
stiane virtù.  Riuscì    di  ammirazio- 
ne a    Caterina    de'  Medici  ,    regina 
di   Francia,  a  Carlo  IX,  e  ad  En- 
rico III,  il   quale  conosciuto    anco- 
ra il  profondo  sapere    di  lui ,    nel 
i584,  lo  nominò  al    vescovado  di 
Lisieux.  Assunto  il  reggime  pasto- 
rale, cominciò  con    ogni    potere    a 
purificare  la  sua  diocesi    dagli    er- 
rori che  v*  erano  disseminati,  e  ri- 
condusse in  ogni  luogo  la  pietà,  e 
la    purezza    della    fede.    In    alcune 
dissensioni    nate    tra    Ja    corte   e  i 
grandi  del  regno  si    rese    mirabile 
pel  suo  ben  misurato   contegno,  e 
per    la     sperienza    consumata    che 
mostrò  negli  affari.  Neil' interregno 
specialmente  dovette  fare  più  volte 
il  viaggio  di  Roma,  e  sono  indici- 
bili i  rischi  e  le  fatiche  che  in  tali 
incontri    sostenne    pel    bene    della 
Chiesa.  Clemente  Vili,  pesati  ch'eb- 
be tanti   meriti  di  quel  vescovo  in- 
signe ,   a'  5    giugno    1 5g6    lo  creò 
Cardinale    prete    di    s.    Susanna, 
e    gli    prescrisse    nel    tempo    stes- 
so   di     non     abbandonar     più    la 
Francia ,    la    quale    dalla  presenza 
di    lui    dovea  ripetere  i   più  gran- 
di vantaggi.  Ma  dopo  la    concilia- 
zione di  Enrico  IV,  recossi  in  Ro- 
vol.    xxu. 


ESC  8r 

ma,  e  vi  ottenne  la  protettola  del- 
l'Ordine cistercense   e    del    regno 
di    Francia ,    e    fu  ascritto  ancora 
alle  congregazioni    del    s.    officio  e 
de'  vescovi  e  regolari.  Nel  1608  fu 
destinato  al  vescovado  di  Metz  ;  e 
in  questa  diocesi  con  molto  impe- 
gno si  adoperò    alla    riedificazione 
della  Chiesa  quasi  abbattuta  dalla 
formidabile  eresia  di  Calvino.    Po- 
chi assai  erano  ivi  i  cattolici  quan- 
do egli  assunse  le  redini  dello  spi- 
rituale governo  ;  ma   pochi    ezian- 
dio erano  gli  eretici    quando    egli 
lasciò  colà  le  sue  spoglie    mortali. 
Predicava  con  ardentissimo  zelo,  ed 
era  infaticabile  nel  cercare  tutte  le 
vie    per    persuadere    e    convincere. 
Obbligò  ancora  tutti  gli  ebrei  della 
diocesi   a  trovarsi  presenti  ogni  sab- 
bato  alla  predica  che  si  faceva  nel- 
la chiesa  di  s.  Paolo ,  ne    mai  la- 
sciò cura    per   faticosa    che    fosse , 
quando  trattavasi  della    salute  dei 
suoi.  In  mezzo  a  tante  serie  e  gra- 
vissime occupazioni  trovava  il  tem- 
po di  consecrarsi    all'  orazione  ,  ed 
alla  contemplazione  de'  divini  mi- 
steri, non  meno  che  di    esercitarsi 
nelle  più  aspre  corporali    peniten- 
ze. Era  di  venerabile  aspetto,  ga- 
stigatissimo  nel  parlare,  e  assai  mode- 
sto nello  sguardo.  Vivea  separato  dal- 
le conversazioni,  contento  di  tratte- 
nersi soltanto  con  poche,    ma  sa- 
pienti persone.    Nondimeno  era  af- 
fabile, cortese  ed  umano  con  tutti. 
La  sua  mensa  riducevasi  al  neces- 
sario per  mantenere  la  vita,  il  suo 
corredo  era  ristretto  assai  per  quan- 
to chiedeva  il  decoro  della  sua  di- 
gnità, il  vestito  di  molto   dimesso, 
ma  ben  eloquente.  Non  usava  pre- 
dilezione pei  carnali  parenti,  ne  vi 
fu  esempio  eh'  egli    volesse    distin- 
guerli  nel  lasciare    loro    legati,    o 
abbazie,  0  benefìzi  ecclesiastici  pri- 
6 


8a  ESC 

ma  che  se  lo  avessero  meritato  coi 
ben  provati  servigi.  Che  se  qual- 
cuno lo  stimolava  a  superare  que- 
sti suoi  giusti  riguardi,  rispondeva 
con  franchezza  :  pensiamo  che  cosa 
avrebbe  fatto  s.  Carlo  Borromeo  in 
queste  circostanze.  Nel  conclave  di 
Paolo  V  poco  mancò  che  fosse  e- 
letto  Papa.  Questo  celebre  perso- 
naggio morì  nel  1 6 1 1 ,  e  fu  se- 
polto nella  sua  cattedrale.  Il  Suas- 
sy,  nel  suo  martirologio  Gallicano, 
fa  menzione  di  questo  Cardinale 
a'  i  g  aprile,  giorno  della  sua  morte. 
ESCHILLO  (s.).  Inglese  di  na- 
scita, allevato  e  cresciuto  nei  sodi 
principii  della  cattolica  religione,  ar- 
deva di  cocente  brama,  che  occa- 
sione se  gli  presentasse  per  semi- 
nare sul  campo  evangelico  le  ce- 
lesti dottrine.  Intesa  dall'arci  vesco- 
vo di  Yorch  s.  Sigifredo  l'aposta- 
sia della  Svezia,  deliberò  di  recarsi 
sul  luogo,  ed  Eschillo,  che  n'era 
anche  parente,  con  somma  alle- 
grezza gli  si  fece  compagno.  La 
santa  parola  enunciata  da  questi 
due  zelantissimi  apostoli ,  riportò 
copiosi  frutti  di  benedizione,  e  di 
salute.  Il  re  ed  il  popolo  concepi- 
rono per  essi  una  grande  venera- 
zione, e  dovendo  s.  Sigifredo  ritor- 
nare al  suo  gregge,  questi  fu  pre- 
gato dal  re  a  voler  lasciargli  Es- 
chillo, e  consecrarlo  per  loro  ve- 
scovo. Fu  quindi  dal  s.  arcivesco- 
vo conferita  ad  Eschillo  la  pienez- 
za del  sacerdozio ,  e  la  chiesa  di 
Svezia,  sotto  un  tanto  pastore,  cre- 
sceva ogni  dì  più  a  moltiplicare  i 
credenti  alle  verità  del  vangelo.  Per 
mala  ventura  trucidato  il  re  Ingon 
da  un'orda  d' infedeli,  fu  posto  su 
quel  trono  Swenone,  detto  il  San- 
guinario, ed  in  allora  la  novella 
chiesa  ebbe  a  sentirne  funestissimi 
eflEetti.  Introdottasi  di  nuovo  la  bar- 


ESC 
barie  e  l'empietà,  non  si  perdette 
però  di  coraggio  il  santo  pastore, 
ed  in  un  giorno  di  grande  festivi- 
tà idolatrica  in  Strengis_,  col  suo 
clero  si  presentò  in  mezzo  a  que- 
ll'infedeli. Perorò  con  forza,  rim- 
proverò la  loro  condotta,  e  veden- 
do inutili  le  sue  rimostranze,  pre- 
gò il  Signore  di  far  conoscere  la 
sua  possanza  con  qualche  visibile 
segno.  Una  grandine  all'improvviso 
si  suscitò,  ed  un  fulmine  atterrò 
l'ara  e  distrusse  tutto  quello  che 
servire  doveva  al  sagrifìzio  di  que- 
gl'  infedeli.  Un  tale  prodigio  fu  da 
que'  protervi  accagionato  a  magico 
spirito,  e  si  vendicarono  col  santo 
vescovo  mettendolo  a  morte  a  col- 
pi di  pietre.  Fu  seppellito  nello 
stesso  luogo,  ove  egli  sostenne  il 
martirio.  Ivi  indi  appresso  venne 
eretta  una  magnifica  chiesa ,  e  la 
tomba  del  santo  fu  onorata  da 
una  moltitudine  di  prodigi.  Morì 
s.  Eschillo  nell'undecimo  secolo,  e 
la  festa  viene  celebrata  in  Isvezia 
e  nella  Polonia  li    \i  giugno. 

ESCLUSIVA.  Avvertenza  paci- 
fica, cui  impropriamente  fu  dato 
il  nome  di  privilegio  e  di  prero- 
gativa; avvertenza  che  talvolta  le 
tre  corti  di  Vienna,  Parigi  e  Ma- 
drid esercitano  per  un  solo  indi- 
viduo nei  conclavi  per  la  elezione 
de'  sommi  Pontefici  ,  dichiarando 
non  riuscir  loro  gradita  la  esalta- 
zione di  un  Cardinale,  per  loro 
particolari  ragioni  e  motivi.  Nei 
primi  tempi  l'esclusiva  non  soleva- 
no darla  che  l'imperatore,  ed  il 
re  di  Francia,  come  quelli  ch'era- 
no intervenuti ,  al  modo  che  di- 
remo, alla  eiezione  pontificia.  A 
voler  conoscere  l'origine  della  con- 
suetudine delle  esclusive,  e  la  pru- 
denziale tolleranza  de'  Pontefici,  fa 
d'uopo  principalmente,   anzi  è  ne- 


ESC 
cessano  leggere  l'articolo  Elezione 
de'  sommi  Pontefici  Romani.  In  es- 
so si  vedrà  pel  corso  di  tredici  se- 
coli, qual  fu  la  maniera  di  creare 
i  Pontefici,  in  qual  modo  s'immi- 
sero nella  pontifìcia  elezione  i  re 
di  Italia  dapprima,  indi  gli  impe- 
ratori di  oriente,  o  per  essi  i  loro 
esarchi  di  Ravenna,  e  poi  gl'impe- 
ratori di  occidente,  trovandosi  per- 
ciò la  Chiesa  romana  per  molto 
tempo  soggetta  a  dolorose  vicende, 
fino  a  dover  pagare  un  tributo 
nella  pontificia  elezione,  e  consa- 
grazione. A  queste  vicende  fu  ella 
costretta  di  cedere  o  per  la  pre- 
tensione dei  sovrani  di  que'  giorni, 
o  per  la  necessità  della  pace ,  che 
a  cagione  de'  tempi  spesso  manca- 
va ne'  sagri  comizi ,  onde  alcuni 
Pontefici  dovettero  talvolta  ricor- 
rere all'assistenza  degli  ambascia- 
tori imperiali ,  per  essere  da  èssi 
garantiti  dai  contrari  partiti,  e  dal- 
le fazioni  nella  loro  consagrazione 
e  coronazione.  Sì  fatta  assistenza , 
che  vuoisi  secondo  alcuni  essere 
un  personale  privilegio  agi'  impera- 
tori Carolingi  accordato ,  fu  nuo- 
vamente praticata  dagl'  imperatori 
tedeschi,  i  quali  non  si  contenta- 
rono della  sola  assistenza  de'  loro 
ambasciatori,  ma  talora  vollero  al- 
tresì intromettersi  nell'elezione  me- 
desima de'  Pontefici ,  finche  essa 
dal  clero,  cui  si  univa  la  presenza 
del  popolo  romano,  fu  trasferita 
saggiamente  dai  Papi  a'  soli  Car- 
dinali, che  non  senza  contraddizio- 
ne degli  antichi  elettori  furono 
dopo  qualche  tempo  stabiliti  pa- 
cificamente in  questo  diritto.  V. 
Cardinali,  ed  Ambasciatori. 

L'  ultimo  Papa,  alla  cui  consa- 
grazione assistettero  gli  ambascia- 
tori, e  che  prima  di  questa  signi- 
ficasse la  sua  elezione    all'impera- 


ESC  83 

tore,  fu  s.  Gregorio  VII,  del  1073. 
Ma  per  la  pretensione  di  Enrico 
IV  sulle  investiture  ecclesiastiche 
(abuso  che  s.  Gregorio  VII  vole- 
va togliere  ),  nacque  la  famosa  dif- 
ferenza tra  il  sacerdozio  e  l' impe- 
rio, per  cui  il  Papa  fulminò  le  cen- 
sure e  pene  canoniche.  Irritato  per- 
ciò Enrico  IV,  in  un  conciliabolo 
pretese  di  deporre  il  Pontefice,  sur- 
rogandogli scismaticamente  1'  an- 
tipapa Clemente  III.  Da  questo 
scisma  nacque  1'  eresia  degli  En- 
ricliiani ,  condannati  nel  concilio 
Quintdineburgense  o  di  Quedlinbur- 
go  nell'anno  io85,  i  quali  osavano 
affermare ,  che  1'  imperatore  aveva 
somma  autorità  sopra  l'elezione  dei 
vescovi  e  del  Papa,  e  perciò  non 
si  doveva  conoscere  per  legittimo, 
se  non  se  l'eletto  dall'  imperatore, 
o  dal  re  di  Germania.  Fu  dunque 
dopo  s.  Gregorio  VII,  che  ricupe- 
rarono i  sagri  comizi  l'intera  loro 
libertà,  che  gli  eletti  non  aspettas- 
sero l'assenso  degli  imperatori  per 
effettuar  la  consagrazione  e  coro- 
nazione ;  indipendenza  mantenuta 
sino  ai  nostri  dì.  Resta  però  la 
connivenza  dell'avvertenza  pacifica 
delle  esclusive  che  l'imperatore  di 
Austria,  e  i  re  di  Francia  e  di 
Spagna  talora  danno  per  mezzo  dei 
rispettivi  ambasciatori  presso  la  san- 
ta Sede,  o  di  quelli  straordinari, 
che  spediscono  talvolta  in  sede  va- 
cante al  sagro  Collegio  de'  Car- 
dinali ,  adunali  in  conclave  per 
l' elezione  del  Pontefice  ;  manife- 
stando essi  l'esclusiva  direttamen- 
te al  Cardinal  decano,  acciò  lo 
partecipi  ai  Cardinali  elettori.  So- 
gliono ancora  i  medesimi  amba- 
sciatori dichiarare  siffatte  avverten- 
ze a  mezzo  di  qualche  Cardinale 
nazionale,  o  aderente  alla  corona, 
e  per  lo  passato  que'  Gardinali  ch'e- 


84  ESC 

rano  protettori,  ambasciatori,  o  mi- 
nistri dei  tre  nominati  monarchi , 
per  loro  facevano  noti  ai  colleglli 
i  sentimenti  del  sovrano,  cui  era- 
no addetti.  Del  modo  di  dar  1*  e- 
sclusiva  si  parlerà  al  suo  paragrafo. 

I.  Opinioni  sull*  esclusiva.  II.  E- 
sempì  di  quando  non  fu  attesa, 
o  venne  rivocata.  III.  Esclusiva 
de*  Cardinali.  IV.  Modo  di  da- 
re V esclusiva. 

I.  Il  Novaes,  nel  tomo  XIII,  p. 
9,  degli  Eleni,  della  storia  de*  som- 
mi Pontefici^  su  questo  argomento 
dice  quanto  qui  riportiamo.  Vo- 
gliono alcuni  che  il  preteso  privi- 
legio della  esclusiva,  che  oggi  qual- 
che volta  viene  esercitata  ne'  con- 
clavi dalle  tre  nominate  coiti,  ab- 
bia avuto  il  principio  dal  concilio 
lateranense,  celebrato  da  Nicolò  II 
nel  1059,  e  sia  compreso  nella 
Dislint.  a  3,  cap.  1.  Ma  quel  de- 
cantato privilegio  agi'  impelatoli 
accordato ,  come  bene  osserva  il 
Cenni,  Bull.  bas.  vatic  t.  Ili,  p. 
228,  risguarda  solamente  la  coro- 
nazione, non  già  l'elezione  dei  som- 
mi Pontefici.  Questo  punto  lo  spie- 
gammo al  citato  articolo  Elezione, 
nel  quale  dicemmo,  che  Nicolò  II 
non  concesse  ad  Enrico  IV  il  di- 
ritto di  eleggere  di  propria  auto- 
t  or  ita  il  Pontefice,  perchè  essendo 
l'elezione  pontificia  una  facoltà  spi- 
rituale ed  ecclesiastica ,  non  può 
essere  giammai  di  essa  capace  un 
principe  secolare  ;  ma  bensì  sem- 
bra che  in  parte  gli  permettesse  di 
confermare  l'elezione  fatta  dal  cle- 
ro romano,  ovvero  di  nominare  il 
Pontefice,  a  richiesta  però,  ed  a 
nome  soltanto  dello  stesso  clero,  a 
cui  allora  apparteneva  l'elezione. 
Ma  le  espressioni  usate ,  o  che  si 
attribuiscono    al    Pontefice    Nicolò 


TI,  hanno  un  scuso  ben  diverso  ed 
assai  piìi  limitato  ;  né  deve  tacersi 
che  vi  si  rinvengono  dai  dotti  cri- 
tici delle  viziature,  il  perchè  van- 
no consultati ,  Baronio  all'  anno 
1059,  cap.  i,  dist  23,  num.  23  e 
seg.,  ed  il  Berardi  ad  decret.  Gra- 
ttarli; par.  2,  cap.  82.  Egli  è  per- 
ciò, che  ripeteremo  col  p.  della  No- 
ce, Adnot.  in  Chron.  Cassin.,  pag. 
34i,  edit.  Parisiis,  1668,  che  se  gli 
imperatori  hanno  avuto  qualche 
concessione  sull'  elezione  de'  Ponte- 
fici, ciò  avvenne  o  per  rintuzzare 
gli  scismi,  o  per  difendere  la  s. 
Chiesa.  Nascendo  sempre  nuove  vi- 
cende, e  cessando  le  antiche,  ben 
poteva  annullarsi  qualunque  con- 
cessione, come  appunto  fecero  s. 
Gregorio  VII  nel  concilio  di  Late- 
rano,  e  Vittore  III  in  quello  di  Be- 
nevento. 

L' uso  dunque  delle  esclusive  , 
soggiunge  il  Novaes,  che  si  pratica 
da  circa  cent'anni  in  qua  (egli  pub- 
blicò la  sua  opera  nel  terminare 
del  decorso  secolo,  ma  dimostrere- 
mo co'  fatti  storici  in  appresso  che 
la  consuetudine  di  questa  pacifica 
avvertenza  ebbe  incominciamento 
molto  tempo  prima,  onde  forse  po- 
teva dire  il  Novaes  praticarsi  con 
maggior  frequenza  da  cento  an- 
ni ec.  ),  fondasi  nella  connivenza 
piuttosto  che  nell'  autorità  Ponti- 
ficia ;  dissimulazione  di  savia  prov- 
videnza, affinchè  il  supremo  capo 
del  mondo  cattolico  non  sia  eletto 
con  dispiacere  de'  sovrani,  avendo 
sempre  desiderato  la  santa  Sede , 
che  a  tutti  sia  accetto  il  loro  pa- 
dre e  pastore. 

Su  queste  e  molte  altre  ragioni 
appoggiato,  il  Cardinale  de  Lugo 
gesuita,  nel  conclave  del  i655,  in 
cui  fu  assunto  al  pontificato  Ales- 
sandro VII,  compose  sull'avverten- 


ESC 

za  dell'esclusiva  una  scrittura,  la 
quale  diede  motivo  ad  alcune  osser- 
vazioni per  parte  del  Cardinale  Al- 
bizi.  Abbiamo  ancora  il  Discorso 
istorico-politico-legale  e  teologico 
.sopra  V  esclusiva  dei  Papi,  per  i- 
siruzione  ai  signori  Cardinali  in 
conclave  per  la  morte  dJ Innocenzo 
XIII,  al  quale  rispose  l'avvocato 
Sozzini  con  alcune  riflessioni,  che 
vanno  unite  a  quel  discorso  nella 
descrizione  ms.  di  questo  medesi- 
mo conclave  fatta  dal  Cardinal  Zon- 
dadari,  che  si  conserva  in  Siena  pres- 
so la  sua  famiglia  de'marchesi  Chi- 
gi, dove  il  Novaes  la  lesse.  Questi 
invita  a  leggere,  nelle  sue  Dissert. 
stor.  critic,  Giangiorgio  Estor,  Com- 
mentario de  j'ure  esclusivae,  ut  ap- 
pellant  quo  Caesar  Aug.  uti  po- 
test,  quum  Patres  purpurati in  crean- 
do Ponti/ice  sunt  occupati,  Jenae 
1 740.  L' Oltieri  poi,  nella  Storia 
di  Europa,  tom.  Vili,  p.  5 io,  di- 
ce, che  l'esclusiva  la  quale  si  suole 
attendere  per  un  solo  soggetto  che 
possa  dispiacere  a  ciascuna  delle 
tre  corone,  l'imperio,  la  Francia  e 
la  Spagna,  talora  si  ammette  non 
per  patto  o  determinazione  alcuna, 
ma  soltanto  per  provvido  riguardo, 
acciò  non  nascano  guai  di  veruna 
specie  alla  Chiesa,  e  non  sia  di  pre- 
testo a  malcontento,  nel  caso  che 
alcuno  de' mentovati  principi,  come 
fra  i  cattolici  i  più.  potenti,  non 
volesse  avere  tutta  la  filiale  con- 
fidenza in  un  Papa  che  col  suo 
dispiacere  fosse  eletto.  Finalmente, 
quelli  eziandio  che  ammettono  la 
avvertenza  delle  esclusive ,  ripor- 
tano tra  le  altre  ragioni,  che  sic- 
come nei  primi  secoli  della  Chiesa 
concorreva  il  popolo  alla  elezione; 
e  siccome  Stefano  IV,  per  ovviare 
agli  scandali,  massime  nell'intrusione 
dell'antipapa  Costantino,  ordinò  che 


ESC  85 

si  facesse  alla  presenza  degli  amba- 
sciatori imperiali,  come  si  legge  nel 
capo  :  Quia  Sancta  Romana,  di- 
stin.  63  ;  cosi  vogliono  che  nei 
sovrani  cattolici  dell'imperio,  o  del- 
la Francia  forse  si  trasmettessero 
le  parti  del  popolo,  il  quale  se  e- 
sclusivamente  non  eleggeva  o  e- 
scludeva,  avea  grande  influenza, 
o  un  avanzo  palesava  di  quella  in- 
fluenza, in  certe  epoche  da  esso 
esercitata.  Oltre  ai  citati  autori 
suU'  esclusiva  possono  consultarsi: 
il  p.  Giuseppe  Tamagna.,  Origine 
e  prerogative  de'  Cardinali,  tom.  I, 
cap.  VII  ;  Dell'elezione  del  romano 
Pontefice  ai  Cardinali  della  S.  R. 
C.  riservata  ;  ed  il  Discorso  ano- 
nimo sopra  l'esclusiva  dei  Papi, 
Venezia   1722. 

II.  Che  talvolta  la  pacifica  avver- 
tenza dell'  esclusiva  non  sia  stata 
attesa,  ed  altre  volte  sia  stata  ri- 
vettata ,  ne  abbiamo  diversi  esempi, 
per  cui  ne  riporteremo  alcuni.  Nel 
i555,  per  morte  di  Marcello  II, 
nel  primo  ingresso  del  conclave, 
Mendoza  ambasciatore  di  Carlo  V 
imperatore,  e  re  di  Spagna  e  Na- 
poli, esortò  il  Cardinal  Giampietro 
Caraffa  napolitano  a  non  pensar 
punto  al  pontificato,  perchè  dal 
suo  sovrano  era  in  primo  luogo  e- 
scluso,  a  quel  modo  che  n'aveva 
ricevuto  l'esclusiva  ne'  due  prece- 
denti conclavi  per  morte  di  Paolo 
III,  e  Giulio  III,  siccome  narra  il 
Pallavicino  nella  Storia  del  conci- 
lio di  Trento.  A  questa  intimazio- 
ne, il  Cardinale  con  intrepidezza 
e  serietà  rispose  :  L'imperatore  non 
potrà  impedire  che  se  Dio  mi  vuol 
Pontefice,  io  non  lo  sia:  anzi  al- 
lora  sarò  pili  contento,  perche  non 
obbligato  di  questa  dignità  se  non 
che  a  Dìo  solo.  V.  L'Oldoino  in  Ciac- 
conio  ViL  Ponti/,  t.  Ili,  col.  824. 


8f>  ESC 

Otto  giorni  dopo  il  Cardinale  re- 
stò eletto  Papa  per  adorazione,  e 
prese  il  nome  di  Paolo  IV.  La 
scissura  fra  Carlo  V,  e  il  Cardinal 
Caraffa ,  accadde  quando  essendo 
vacata  la  sede  arcivescovile  di  Na- 
poli, a  lui  la  conferì  Paolo  III  ai 
9  novembre  i549;  ma  per  Top- 
posizione  del  viceré  Pietro  di  To- 
ledo non  potè  entrarne  in  possesso, 
se  non  in  tempo  di  Giulio  III,  il 
quale  per  ciò  ottenere,  a'21  set- 
tembre i55o,  scrisse  una  lettera 
assai  risentita  a  Carlo  V.  Tale  fu 
l'affetto  ch'ebbe  il  Cardinale  per 
la  sede  di  Napoli,  che  ne  ritenne 
il  governo  nel  pontificato. 

Nell'Istoria  de  conclavi  dei  Pon- 
tefici romani,  a  p.799,  si  osserva  es- 
sere costante  opinione,  già  dichiara- 
ta col  detto  comune,  semel  exclusus, 
semper  exclusus9  ed  ivi  si  aggiunge, 
che  siccome  gli  spagnuoli  si  oppon- 
gono alla  esaltazione  di  chi  una 
volta  fu  da  loro  impedito  che 
giungesse  al  pontificato,  cosi  ognuno 
tenne  sino  dalla  creazione  d'Inno- 
cenzo X,  che  le  loro  forze  si  sareb- 
bero in  tutti  i  conclavi  opposte 
all'esaltazione  del  Cardinal  Sacchet- 
ti; e  che  ben  potevano  mancare 
i  motivi  della  prima  esclusione,  ma 
sempre  sarebbe  durato  nel  suo  vi- 
gore quello  di  averlo  escluso  una 
volta.  Con  tuttociò  questa  regola 
ha  avuto  talora  la  sua  eccezione, 
come  quando  il  Cardinal  Aldo- 
brandino dichiarato  dissidente  di 
Filippo  II,  per  la  memoria  di  Sil- 
vestro suo  padre  ministro  favo- 
rito di  Paolo  IV  (il  quale  in  qua- 
lità di  avvocato  del  fisco  pon- 
tificio, a*  27  luglio  i556,  in  pub- 
blico senato  citò  il  re  come  reo  di 
violato  giuramento,  già  prestato  a 
Giulio  III  nel  ricevere  in  feudo  il 
regno    di    Napoli  ,    e    lo   dichiarò 


ESC 

decaduto  dalla  sovranità  di  esso 
per  la  suddetta  guerra)  in  tre  con- 
clavi provò  l'esclusiva,  e  nel  quarto, 
l'anno  i5git  venne  esaltato  col 
nome  di  Clemente  Vili,  con  l'in- 
clusione   dello    stesso    Filippo    li. 

Correndo  l'anno  1644»  nel  con- 
clave per  morte  di  Urbano  Vili, 
nel  quale  si  procedeva  all'elezione 
del  Cardinal  Pamphily,  non  ostan- 
te l'esclusiva  che  il  Cardinal  Anto- 
nio Barberini,  nipote  del  Papa  de- 
funto, e  potente  per  essere  capo  di 
cinquanta  e  più  Cardinali,  creature 
dello  zio,  gli  aveva  procurata  dalla 
Francia,  perchè  il  detto  Pamphily 
era  creduto  aderente  alla  Spagna 
siccome  stato  nunzio  presso  il  re 
Filippo  IV  ,  tuttavolta  1'  esclusiva 
fu  sospesa  dall'ambasciatore  france- 
se Sansciamon,  per  opera  del  Cardi- 
nal Theodoli,  e  del  marchese  suo 
fratello.  Quindi  avendo  il  Cardina- 
le Panciroli  guadagnato  colle  per- 
suasioni il  detto  Cardinale  Barbe- 
rini, ad  onta  della  valida  resistenza 
del  Cardinal  Bichi,  tutto  aderen- 
te della  corte  di  Francia,  il  Pam- 
phily venne  creato  Papa,  e  prese 
il  nome  d'Innocenzo  X.  Per  que- 
sta sospensione  di  esclusiva,  restò 
cosi  irritato  il  re  di  Francia  Lui- 
gi XIV,  che  privò  il  Cardinal  Bar- 
berini della  protezione  del  suo  rea- 
me, e  chiamò  in  Francia  l'amba- 
sciatore, non  perchè  il  re  fosse  con- 
trario alla  persona  d'Innocenzo  X, 
ma  perchè  il  cardinale  e  1'  am- 
basciatore ne  avevano  prima  da 
lui  procurato  l'esclusiva.  Pur  trop- 
po talvolta  le  brighe,  l'ambizione 
e  l'abuso  di  fiducia  di  qualche  Car- 
dinale ,  o  di  alcun  ambasciatore 
nei  conclavi  tradirono  la  propria 
coscienza,  non  che  i  propri  sovra- 
ni, e  sagrificarono  degnissimi  Car- 
dinali, cui  per  altro  Dio  non  avea 


ESC 
destinati  a  suoi  vicari.   Altra   volta 
i  ministri  delle  corti  furono   di  ciò 
cagione   con  detrimento  della  repu- 
tazione del    rispettivo  sovrano. 

Morto  Innocenzo  X  nel  i655,  nei 
primordi  del  conclave,  molti  sagri 
elettori  del  partito  Barberini,  con- 
correvano pel  Cardinal  Sacchetti, 
che  ricevette  l'esclusiva  dalla  Spa- 
gna.  Allora  divulgossi  una  scrittura 
che  si  attribuì  al  Cardinal  Albizi, 
ma  poi  si  seppe  essere  stato  lavo- 
ro dell'avvocato  Lini^  in  cui  si  vo- 
leva, che  i  principi  con  grave  colpa 
e  con  obbligo  di  risarcire  i  danni  si 
opponessero  all'  esaltazione  di  qual- 
che Cardinale;  e  che  gli  elettori 
ancora  peccassero  gravemente,  se 
per  compiacerli,  o  per  privato  in- 
teresse, negassero  il  voto  a'meri- 
tevoli.  Ebbero  luogo  in  allora  i 
suaccennati  scritti  dei  Cardinali  de 
Lugo  ed  Albizi.  Nella  citata  Storia 
dei  conclavi,  si  leggono  interessan- 
ti notizie  sull'esclusiva  del  Cardina- 
le Sacchetti,  che  dalla  medesima 
Spagna  l'aveva  ricevuta  nel  prece- 
dente conclave.  Vi  fu  pure  in  questo 
conclave  qualche  trattativa  pel  Car- 
dinale Bapaccioli ,  ma  sebbene  a  lui 
non  fosse  impedimento  l'essere  na- 
to da  un  bottegaio  di  Collescipo- 
li,  e  col  solo  merito  del  sapere  e 
dei  costumi  essere  giunto  alla  por- 
pora ;  tuttavia  era  di  fresca  età  , 
contando  quarantasei  anni  ,  ed 
aveva  un'abituale  malattia  di  calco- 
li, che  lo  faceva  riputare  di  corta 
vita.  A  questo  impedimento  si  ag- 
giunse l'esclusiva  della  Francia.  Fu 
tuttavia  rivocata  questa  esclusiva 
contro  il  Rapaccioli,  ma  il  trattato 
per  la  esaltazione  di  lui  non  pre- 
se perciò  maggior  vigore.  Quindi 
»  sagri  elettori  si  rivolsero  al  Car- 
dinal Chigi  di  Siena,  porporato  di 
Innocenzo  X,  che  sempre  avea  co- 


ESC  87 

piose  votazioni,  sebbene  avesse  a- 
vuto  l'esclusiva  della  Francia,  per- 
chè con  ecclesiastica  fermezza ,  nel 
congresso  di  Mmister,  qual  nunzio 
apostolico,  avea  parlato  della  poca 
inclinazione  del  Cardinal  Mazzarini 
primo  ministro  di  Francia ,  alla 
pace  che  ivi  si  procurava  conchiu- 
dere. Il  Cardinal  Sacchetti  però 
con  una  robusta  lettera,  scritta  allo 
stesso  Cardinal  Mazzarini,  ottenne 
che  l'esclusiva  fòss*e  ritrattata,  laon- 
de subito  il  Chigi  fu  eletto  Papa 
con  venticinque  voti  di  scrutinio  , 
e  trentanove  di  accesso,  non  man- 
candogli che  il  suo  voto,  il  quale 
nello  scrutinio  si  diede  da  lui  al 
Cardinale  Sacchetti,  e  nell'accesso 
al  Cardinal  Pallotta.  Egli  prese 
il  nome  di  Alessandro  VII.  Così 
terminò  questo  conclave,  la  cui  lun- 
ghezza fu  celebrata  da  Gregorio 
de  Pina,  ne'suoi  Componimenti,  pag. 
9.  Pei  dibattimenti  poi  relativi  al- 
l'esaltazione di  diversi  soggetti,  nel- 
la mattina  dell'elezione  uno  del 
conclave  graziosamente  disse:  «  Che 
stravaganza  è  mai  questa?  Gli  spa- 
gnuoli  vogliono  un  Papa  senza  in- 
teresse; i  francesi  uno  che  avevano 
escluso;  i  Cardinali  giovani  un  sa- 
nese;  ed  i  Barberini  uno  che  non 
è  loro  creatura  "  . 

III.  L'esclusiva  de'  Cardinali  ha 
luogo  quando  una  parte  di  essi  si 
oppone  costantemente  ad  altra,  che 
vuole  innalzare  al  pontificato  un 
soggetto,  il  quale  non  piace  alla 
prima,  per  cui  talvolta  ad  un  Car- 
dinale per  molti  giorni  mancò  un 
solo  voto  per  restar  eletto,  come 
avvenne  al  Cardinale  Aldovrandi, 
nel  conclave  in  cui  fu  eletto  Bene- 
detto XIV,  ed  al  Cardinale  Belliso- 
mi  nel  conclave  nel  quale  venne  crea- 
to Pio  VII.  Si  osserva  che  le  esclusi- 
ve reciproche  per  gl'interessi   tanto 


SS  FSC 

pubblici  che  particolari,  ritarderei 
no  T  elezione  di  Gregorio  X  coti 
trentatre  mesi  e  due  giorni  di  se- 
de vacante,  per  cui  quel  Papa  sta- 
bili il  Conclave  (Fedi);  non  po- 
tendo pone  rimedio  a  tal  vacanza 
di  sede,  e  alle  reciproche  esclusive 
dei  quindici  Cardinali,  che  allora 
componevano  il  sacro  Collegio,  la 
presenza  di  due  re,  ch'erano  a  par- 
te dell'impegno,  e  che  perciò  e- 
ransi  recati  in  Viterbo,  luogo  del- 
l' elezione.  Per  simili  reciproche 
esclusive  dei  Cardinali,  l'elezione  di 
Clemente  V  fu  preceduta  dalla  se- 
de vacante  di  dieci  mesi,  e  ven- 
totto  giorni:  ne  egli  né  Gregorio 
X  erano  Cardinali.  Le  esclusive  dei 
Cardinali,  che  per  morte  di  Cle- 
mente V,  ed  elezione  di  Giovanni 
XXII,  volendo  gli  uni  un  Papa  di 
Guascogna,  cui  altri  ripugnavano, 
fecero  durare  la  sede  vacante  ven- 
tinove mesi,  e  diciassette  giorni.  Fu 
da  alcuni  notato,  che  nel  conclave 
tenuto  pel  conciliabolo  di  Basilea 
nel  1439,  l'antipapa  Felice  V  dai 
trentatre  elettori  ,  benché  in  tre 
scrutini  sedici  di  essi  gli  avessero 
dato  l'esclusiva,  a' 5  novembre  con 
ventisei  voti  restò  eletto  pseudo 
Pontefice. 

Venne  da  alcuni  osservato,  che 
dopo  il  Pontificato  di  Paolo  II  ve- 
neziano, s'introdusse  una  politica 
comune  nel  sagro  Collegio,  contro 
i  Cardinali  veneti,  ma  questo  abu- 
so, s'è  vero  che  abbia  esistito,  fu 
tolto  nella  elezione  di  Alessandro 
Vili.  Si  nota  a  pag.  809  dell'Isto- 
ria de' 'conclavi >  che  l'esclusive  dei 
Cardinali  dal  secolo  XVI  in  poi 
pei  stretti  congiunti  de' Papi  sono 
manifeste,  non  volendosi  rinnova- 
ti gli  esempi  di  Eugenio  IV  e 
di  Paolo  II,  Sisto  IV  e  Giulio  II, 
di  Calisto  III  ed  Alessandro  VI,  di 


ESC 
Pio  II  e  Pio  III,  tutti  zii  e  nipoti, 
come  dei  cugini  Leone  X  e  Cle- 
mente VII,  non  volendosi  più  nel- 
le famiglie  raddoppiati  i  pontificati. 
Ne  valse  al  celebre  Cardinal  Ales- 
sandro Farnese  l'affetto  dei  Cardi- 
nali, la  stima  dei  principi,  e  l'in- 
teresse principalmente  del  redi  Spa- 
gna, per  sedere  sulla  sedia  occu- 
pata dallo  zio  Paolo  III.  Per  mor- 
te di  Adriano  VI  volle  il  Cardinal 
Colonna  promovere  l'elezione  del 
Cardinal  Giacovacci  o  Jacobazzi , 
ma  que'Cardinali,  ch'erano  del  suo 
stesso  partito,  gli  diedero  l'esclusiva, 
come  quegli  che  seguiva  le  parti 
dell'  imperatore,  e  in  conseguenza 
contrario  agl'interessi  di  altri  prin- 
cipi. Nel  conclave  in  cui  restò  e- 
lelto  Clemente  Vili,  doveva  eleg- 
gersi per  adorazione  il  Cardinal 
Santorio  detto  San  Severina  ;  ma  in 
quel  punto  surse  il  Cardinal  A- 
scanio  Colonna,  e  gli  diede  l'esclu- 
siva, dicendo  ad  alta  voce:  Asca- 
nio  Colonna  non  vuol  San  Severina 
Papa,  perche  non  e  dato  da  Dio. 
Ciò  bastò  per  istornare  la  elezio- 
ne di  lui,  che  tenevasi  come  fat- 
ta, ond'ebbe  anche  spogliata  la 
Cella  (Fedi).  Dopo  la  morte  di 
Urbano  Vili,  il  Cardinal  Montal- 
to  fermò  i  negoziati  diretti  alla 
esaltazione  del  Cardinal  Mazzmini, 
con  una  pubblica  e  costante  prote- 
sta. In  questo  conclave,  prima  che 
il  Cardinal  Sacchetti  avesse  la  for- 
male esclusiva  dalla  Spagna,  l'ave- 
va dai  Cardinali,  perchè  ventiquat- 
tro di  questi  aventi  alla  testa  il 
Cardinal  Albernoz  l'escludevano  dal 
pontificato.  Nel  conclave  di  Clemen- 
te X,  il  Cardinal  Conti  fu  escluso 
da  molti  suoi  colleghi,  perchè  avea 
troppi  parenti;  ed  il  Cardinal  Gri- 
maldi venne  escluso  per  opera  prin- 
cipalmente del  Cardinal  Altieri.  Era 


ESC 
\ agallo  del  re  di  Spagna  il  Cardi- 
nal Pigna  tei  li ,  ed  era  soggetto  di 
tanta  viriti,  che  i  ministri  di  Fran- 
cia non  si  avanzarono  a  dargli 
l'esclusiva;  e  pure,  al  diredi  alcu- 
ni, non  si  potè  conchiudere  la  sua 
esaltazione,  se  prima  non  si  conob- 
be la  neutralità  del  nuovo  Papa, 
che  prese  il  nome  d'Innocenzo  XII. 
Nel  conclave  di  lui  fu  dai  Cardi- 
nali escluso  il  Cardinal  Barberini. 
IV.  L'esclusiva  si  pratica  in 
questo  modo  nei  conclavi  da  chi 
è  incaricato.  Quel  Cardinale  che 
è  ministro  ,  ambasciatore  ,  ben 
affetto  ed  attinente  ad  una  del- 
le tre  corone  cui  è  concesso  di  e- 
metterla  per  un  soggetto,  il  quale 
sia  stato  dalla  sua  corona  incom- 
benzato  di  dare  l'esclusiva  a  quel 
porporato  Cardinale,  che  potesse 
divenir  Papa,  si  pone  sulla  soglia 
della  porta  della  cappella  dello 
scrutinio,  e  ad  ogni  Cardinale,  che 
per  essa  entra  nella  Cappella  rac- 
comanda di  prendere  in  conside- 
razione ,  che  il  Cardinal  N.  non 
sarebbe  gradito  al  suo  sovrano. 
Il  Cardinale ,  che  n'  è  incarica- 
to, dà  pure  l'esclusiva  col  recarsi 
alle  celle  dei  colleghi,  ed  avvisar- 
li dell'esclusiva,  se  concorressero  nel 
Cardinal  N.  Queste  manifestazioni 
vanno  fatte  avanti  che  i  Cardinali 
incomincino  l'atto  dello  scrutinio, 
giacche  quando  si  celebra  lo  scru- 
tinio, di  cui  trattasi  all'articolo  E- 
lezione,  già  citato,  e  molto  meno 
quando  leggonsi  i  voti,  l'esclusiva 
non  è  in  tempo  di  essere  presa  in 
considerazione,  ne  si  attende,  come 
raccontasi  essere  avvenuto  nel  1823, 
allorché  legge vansi  i  voti  per  la 
elezione  di  Leone  XII,  la  quale  ai 
Cardinali  francesi  Clermont,  e  de 
la  Fare,  che  dicesi  avessero  per  lui 
l'esclusione  della  Francia,  riuscì  nel- 


ESC  89 

lo  scrutinio  inopinata,  fino  a  teme- 
re de' rimproveri  della  loro  corte. 
Altri  dicono,  che  avessero  dimo- 
strato questo  dispiacere  affine  di  non 
essere  ripresi  dal  proprio  sovra- 
no, e  che  il  Cardinal  Haeffelin  li 
avesse  segretamente  avvisati  dell'e- 
lezione. La  maniera  poi  più.  con- 
veniente di  dare  l'esclusiva,  è  quel- 
la di  significarla  al  Cardinal  de- 
cano del  sagro  Collegio,  o  a  voce 
o  in  iscritto,  il  quale  a  mezzo  di  un 
biglietto,  o  in  altro  modo,  la  no- 
tifica a  tutti  i  Cardinali.  Siccome 
il  Cardinal  Giacomo  Giustiniani 
romano,  fu  l'ultimo  ad  avere  l'e- 
sclusiva, all'articolo  di  sua  biografia 
ne  riporteremo  il  modo,  e  il  di- 
scorso da  lui  perciò  pronunciato 
al  sagro  Collegio. 

Noteremo  per  ultimo,  che  la 
magnanimità  e  la  clemenza  de'Pon- 
tefìci  eletti  nei  conclavi  in  cui  qual- 
che Cardinale  ebbe  l'esclusiva,  fe- 
cero sì  che  per  essi  praticassero 
debitamente  tutti  i  riguardi.  Usa- 
rono quindi  ad  essi  distinzioni,  con- 
ferirono loro  benefizi  ecclesiastici, 
li  promossero  a  cariche  cospicue, 
ed  a  notabili  onorificenze,  e  li  con- 
sultarono ne'gravi  affari,  come  quel- 
li che  avevano  meritato  la  fiducia, 
il  rispetto,  e  l'alta  considerazione 
della  maggior  parte  del  sagro  col- 
legio. Di  alcuni  di  siffatti  Cardina- 
li, ch'ebbero  l'esclusiva,  e  che  poi 
furono  beneficati ,  e  meritamente 
distinti  dai  Pontefici ,  faremo  qui 
breve  menzione,  oltre  quanto  di 
essi  si  dice  alle  rispettive  biografie. 
Innocenzo  XIII  fece  vicario  di  Ro- 
ma, il  Cardinal  Paolucci  appena 
eletto,  il  qual  porporato  aveva 
avuto  l'esclusiva  dall'imperio,  e  po- 
scia Benedetto .  XIII  lo  promosse 
a  segretario  di  stato,  e  nella  sua 
assunzione  al   pontificato,  e  precisa- 


90  ESC 

incute  nell'atto  della  votazione,  vo- 
to in  favore  di  Ini  nello  sernlinio. 
Benedetto  XIV,  appena  seguila  la 
Mia  esaltazione,  conferì  la  cospicua 
e  urica  di  pro-datario  al  Cardinal 
Aldovrandi,  che  era  stalo  escluso 
<la  alcuni  Cardinali.  Altrettanto  pra- 
ticò Clemente  XIII  col  Cardinal 
Cavalchili),  (piando  la  Francia  Io 
escluse,  conferendogli  il  pro-dataria- 
io.  Questo  uffizio  si  diede  da  Leo- 
ne XII  al  Cardinal  Severoli  subito 
dopo  la  sua  elezione,  ricevuta  a- 
\endo  l'esclusiva  dall'imperatore  di 
Austria.  Da  ultimo,  divenuto  Pon- 
tclìce  il  regnante  Gregorio  XVI, 
dichiarò  il  suddetto  Cardinal  Giu- 
stiniani, che  avea  ricevuto  l'esclu- 
siva dalla  Spagna,  primieramente 
Cardinal  palatino  mediante  la  ca- 
rica'di  segretario  de'memoriali,  ed 
in  seguito  gli  aggiunse  quelle  altre 
cariche  ed  onorificenze,  che  ripor- 
teremo nella  sua  biografia. 

ESCOBLEAU  Francesco,  Car- 
dinale.   V.  Surdis  (de). 

ESENZIONE.  Privilegio  che  di- 
spensa da  alcuna  obbligazione;  exem- 
ptios  exceptio,  invmmitas.  Dicesi  poi 
esente,  esento,  per  privilegiato,  fran- 
co, libero,  inimunis.  L'esenzione  in 
generale  è  una  dispensa,  che  ec- 
cettua dalla  regola  comune.  L'esen- 
zione ecclesiastica  è  o  temporale,  o 
spirituale.  L'esenzione  temporale  è 
quella  che  il  principe  accorda  ;  l'e- 
senzione spirituale  è  quella  che  dà 
la  Chiesa:  questa  è  personale,  o 
reale,  o  mista,  od  universale,  o 
particolare.  L' esenzione  personale 
è  quella  che  dispensa  una  perso- 
na dall'obbedienza  del  suo  superio- 
re ordinario,  sottoponendola  alia 
giurisdizione  immediata  di  altro  su- 
periore. L'esenzione  reale,  o  locale, 
è  quella  che  cade  sui  luoghi,  co- 
me sulle  chiese,  e  sui  monisleri  coi 


ESE 
loro  abitanti.  L'esenzione  uni  verta 
le,  o  totale,  sottrae  pienamente  una 
persona,  od  una  cosa,  dalla  poten- 
za e  dalla  giurisdizione  dell'Ordi- 
nario, per  sottometterla  immedia - 
temente  alla  sede  apostolica.  L'e- 
senzione particolare  o  parziale  non 
sottraeva  in  tutto,  ma  in  parie 
solamente  un  luogo  od  una  per- 
somi dalla  giurisdizione  dell'Ordi- 
nario. Tale  è  la  definizione,  che  i 
canonisti  danno  della  natura  della 
esenzione,  e  sue  specie.  Essi  inol- 
tre trattano  della  proprietà,  degli 
effetti,  e  delle  prove  dell'esenzione  ; 
dell'esenzione  de'monisteri,  le  qua- 
li piene  ed  intere  furono  frequen- 
ti dall'ottavo  al  nono  secolo,  co- 
sì sui  sagramenti,  e  sulla  discipli- 
na esteriore  della  diocesi,  e  sul 
rispetto  dovuto  a'  vescovi;  e  del- 
l'esenzione de' capitoli,  le  quali  e- 
senzioni  sono  più  recenti  di  quel- 
le de'monisteri.  V.  il  Tomassini,  de 
vet.  et  nov.  Eccl.  di  sci  pi.  part.  I, 
lib.  3,  cap.  16  e  27,  e  de  la  Com- 
be,  Giurisprud.  canon.,  alla  parola 
Esenzione  ;  Benedetto  XIV ,  de 
Synod.  dioec;  l'articolo  Abbate,  ed 
altri  relativi  di  questo  Dizionario. 
ESEQUIE.  Cerimonie  e  pom- 
pe funebri,  che  si  fanno  nella  se- 
poltura o  mortorio  di  un  morto: 
exequia,  j usta  funebri  a,  parentalia. 
Questo  vocabolo  deriva  da  obse- 
quium,  perchè  le  esequie  sono  gli  e- 
slremi  doveri  o  servigi,  che  si  ren- 
dono ai  defunti.  Questa  parola  in 
latino  significò  eziandio  1'  uffizio  ec- 
clesiastico, o  la  messa  che  si  fa  ce- 
lebrare pei  morti.  Il  Macri,  alla 
parola  Exequiac .  dice  essere  cos'i 
chiamato  1'  uffizio  che  si  fa  pel 
defunto,  perchè  con  esso  si  esegui- 
sce la  sua  volontà,  come  insegna 
Mutio  cappuccino,  de  Off.  mori. 
cap.  6.  Durando    però    stima    che 


ESE 

V  etimologia  di  questo  vocabolo  si 
derivi  da  ciò,  che  1' uffizio  de' rnorti 
si  recita  extra  lioras  canonicas. 
Donato  poi  dice,  che  tal  nome  ha 
la  sua  origine,  perchè  i  defunti  so- 
no seguitati  dai  vivi  all'altro  mon- 
do. Jl  vescovo  e  martire  s.  Zeno- 
ne, nel  sermone  terzo  sopra  A  bra- 
mo, chiama  Isacco  Fivas  exequias, 
mentre  stava  in  procinto  di  esse- 
re sagrifìcato.  Carlo  V  volle,  che 
vivente,  e  disteso  sul  feretro  gli  si 
celebrassero  le  solenni  esequie.  V. 
Funerali. 

ESERCIZI  Spirituali.  In  ma- 
teria di  pietà,  cosi  si  chiamano  o 
le  pratiche  cristiane  giornaliere  dei 
fedeli ,  o  certi  giorni  di  ritiro , 
che  si  scelgono  per  meditare  e  far 
l'esame  della  propria  condotta,  o 
pei  libri  che  racchiudono  le  me- 
ditazioni destinate  a  questi  ritiri, 
per  la  riforma  della  vita,  o  per 
^ricevere  gli  ordini  sagri.  Il  p.  Me- 
noebio  nelle  sue  Stuore,  tomo  III, 
p.  207,  nel  capo  XXIII  tratta:  Quan- 
to sia  efficace  rimedio  per  rifor- 
mare la  vita  il  ritirarsi  per  alcu- 
ni giorni^  per  occuparsi  in  eserci- 
zi spirituali.  Dei  pregi  ed  utilità 
degli  esercizi  spirituali  ne  tratta 
pure  il  Piazza  ,  nell'  Eusevologio, 
trattato  XI,  capo  IX,  massima- 
mente di  quelli  composti  da  s.  Igna- 
zio nel  suo  libro  aureo  degli  Eserci- 
zi spirituali:  questi  dal  medesimo 
santo  furono  chiamali  un  mezzo 
potentissimo  per  mettere  in  cuore 
di  chi  che  sia  lo  zelo  per  la  propria 
eterna  salute,  e  per  quella  degli 
altri.  Il  citato  Piazza  riporta  le 
sentenze  e  gli  alti  elogi,  che  degli 
esercizi  di  s.  Ignazio  fecero  Pietro 
Ortiz,  celebre  dottore  dell'accade- 
mia di  Parigi,  e  fi*.  Luigi  di  Gra- 
nata grande  ornamento  dell'Ordine 
de' predicatori,    altro    teologo,    del 


ESE  91 

quale  disse,  che  stimava  pia  la  teo- 
logia degli  esercizi   di    s.  Ignazio, 
che  quella    dì  tutti  insieme    i   dot- 
lori    del   inondo.  Così    il   p.  mae- 
stro d'Avila,  con   simili  sentimenti 
diceva,    che  questi    erano    un   effi- 
cacissimo   istromento    della    divina 
grazia,  per    la  riforma    della  vita 
e  de 'costumi.  Ne  dubitò  s.  Carlo  Boi  - 
romeo  di  dichiarare,  che  dagli  eser- 
cizi di  s.  Ignazio  trasse  principalmen- 
te le  norme  per  porsi  nella  strada 
dell'  apostolica     perfezione.    Dal  li- 
bro degli  esercizi  san  Carlo   traeva 
ogni    giorno    l'ordinario     soggetto 
delle     sue     contemplazioni ,    alcune 
delle  quali  il  medesimo  Piazza  ri- 
porta a  pag.    218   e  seg.    Fu  san 
Francesco  Borgia  che    ottenne    da 
Paolo  III    la    bolla    Pastoralis    of- 
ficiij  con    l'approvazione    degli    e- 
sercizi  spirituali  di  s.   Ignazio. 

Questa  pia  opera  non  solo  fu 
praticata  di  frequente  da  molti 
santi,  e  servi  di  Dio,  ma  anche 
dai  Pontefici,  ad  onta  delle  im- 
mense cure  per  la  Chiesa  univer- 
sale. Clemente  IX  due  volte  all'an- 
no si  ritirava  a  fare  gli  esercizi 
spirituali  nel  convento  di  s.  Sa- 
bina. Benedetto  XIII  una  volta 
all'anno  ritira  vasi  nel  piccolo  con- 
vento del  suo  Ordine  domenicano 
a  Monte  Mario,  ed  ivi  faceva  i 
santi  esercizi,  dava  sfogo  alle  sue 
penitenze,  ai  suoi  digiuni,  confor- 
mandosi alle  religiose  pratiche  del- 
la comunità  sia  di  giorno  che  ói 
notte.  Benedetto  XIV,  prima  di 
celebrare  l'anno  santo  dell'  univer- 
sale giubileo,  per  maggiormente 
avvalorare  colla  sua,  la  disposizio- 
ne che  in  altri  eccitava  per  l'ac- 
quisto dell'indulgenza  del  giubileo, 
si  ritirò  per  dieci  giorni  a  fare  gli 
esercizi  di  s.  Ignazio,  sotto  la  di- 
rezione del  gesuita  p.  Duranti  per 


Vi  ESE  ESE 
niten/iere  della  basilica  vaticana,  cizi  per  dieci  giorni,  quindi  stabi- 
Clemenle  XIV,  avanti  di  farsi  con-  lirono  che  potessero  fruire  eguale 
Mgiwre,  non  essendo  vescovo,  si  indulgenza  quelli  che  gli  avessero 
ritirò  per  nove  giorni  al  ritiro  dei  fatti  per  cinque  giorni.  Ed  accioc- 
santi  esercizi,  affine  di  prepararsi  che  questo  gran  beneficio  fosse  co- 
a  sì  sublime  dignità.  mime  anche  alle  religiose  ed  alle 
Alessandro  VII,  nel  i656,  aven-  monache  di  qualsivoglia  istituto, 
do  fatti  venire  in  Roma  i  due  ni-  massime  alle  novizie,  eh*  entrano 
poti  Agostino,  e  Flavio  poi  Car-  ne'  monisteii  per  abbracciare  lo 
dinale,  li  mandò  a  fare  gli  eserci-  stato  religioso,  Innocenzo  XI  ordi- 
zi  di  s.  Ignazio  nella  casa  di  no-  nò,  che  ninna  fosse  ammessa  per 
viziato  de' gesuiti  presso  s.  Andrea  la  monacazione,  se  prima  non  aves- 
al  Quirinale,  ove  gli  avea  già  fat-  se  per  qualche  tempo  fatti  gli  e- 
ti  il  nipote  di  Pio  IV  il  Cardinal  sercizi  affine  d'ottenere  da  Dio  lu- 
s.  Carlo  Borromeo.  Questo  luogo  me  e  grazia  a  conoscere,  se  lo  sta- 
fu  destinato  per  gli  esercizi  spiri-  to ,  a  cui  si  dedicava ,  era  per 
tuali  dal  medesimo  s.  Francesco  procurare  ad  essa  1'  eterna  sai- 
Borgia,  generale  della  compagnia  vezza:  e  rinnovando  il  decreto  di 
di  Gesù,  pei  Cardinali,  prelati,  ec-  Alessandro  VII  ordinò,  che  quelli, 
clesiastici,  e  laici  di  nobile  o  civi*  i  quali  dovevansi  promovere  agli 
le  condizione.  Inoltre  Alessandro  ordini  sagri ,  prima  di  riceverli  si 
VII  prescrisse  con  sua  bolla,  eh' è  ritirassero  per  dieci  giorni  a  far 
la  169  del  Bull.  Rom.  tom.  V,  gli  esercizi  spirituali  di  s.  Ignazio, 
p.  366,  rammentata  dal  Lamberti-  Innocenzo  XII  poi  determinò,  che 
ni,  Istituzioni  io4,  che  tutti  gli  i  parrochi,  ed  i  nuovi  ministri  del 
ecclesiastici,  i  quali  in  Roma  si  do-  sagramento  della  penitenza,  si  do- 
vevano promovere  agli  ordini  sa-  vesserò  preparare  ad  un  così  im- 
gri,  per  trenta  giorni  dovessero  portante  ministero,  col  far  per  die- 
esercitarsi  nella  pia  casa  de'Signo-  ci  giorni  gli  esercizi  spirituali  di 
ri  della  Missione  sì  negli  esercizi  s.  Ignazio,  e  meditare  le  cose 
spirituali,  che  nelle  funzioni  de' sa-  eterne. 

gii  riti  e  delle  cerimonie.  S.  Vin-  Non  solo  Clemente  XI  avanti 
cenzo  de  Paoli,  fondatore  di  quel-  di  entrare  in  conclave  per  ordi- 
l' istituto  e  delle  missioni  ai  pove-  narsi  sacerdote  premise  il  riti- 
ri della  campagna,  nella  detta  ca-  ramento  degli  esercizi  spirituali  , 
sa  istituì  gli  esercizi  spirituali,  non  ma  dipoi,  essendo  Pontefice,  con 
solo  pei  chierici  ma  anche  pei  lai-  una  lettera  circolare  a'  vescovi  d'I- 
ci.  Diversi  vescovi  nelle  loro  dio-  talia,  data  il  primo  febbraio  17  io, 
cesi  introdussero  sì  fatta  utilissima  ponendo  in  vigore  il  decreto  d'In- 
opera,  come  pur  fece  in  Milano  il  nocenzo  XI ,  come  si  legge  nel 
detto  s.  Carlo,  col  nome  di  Asce-  Bull.  Maga.,  tom.  VIII,  p.  422> 
te  riunì  ossia  sacra  solitudine.  Tanto  comandò  loro,  che  gl'iniziandi  agli 
alle  case  della  compagnia  di  Gesù,  ordini  sagri  facessero  precedere  gli 
che  a  quelle  della  Missione  pegli  esercizi  spirituali  di  s.  Ignazio  per 
ordinandi,  e  per  tutti  gli  altri,  i  dieci  giorni;  inculcando  a' vescovi, 
Pontefici  accordarono  l'indulgenza  che  esortassero  i  canonici,  i  par- 
plenaria  a  chi  ivi  facesse  gli  eser-  rochi,  i  beneficiati,  i  sacerdoti  ec, 


ESE 

a  farli  almeno  una  volta  l'anno 
nelle  case  dei  gesuiti  o  dei  mis- 
sionari. Imperciocché  diceva  quel 
gran  Pontefice,  che  in  quel  sagro 
ritiro  si  lavava  facilmente  qualun- 
que macchia  di  polvere  mondana, 
si  ricuperava  lo  spirito  ecclesiastico, 
l'intendimento  dell'anima  s'innalza- 

tva  alla  contemplazione  delle  cose 
divine,  e  la  norma  del  retto  e  san- 
to vivere  o  s'imparava  o  si  confer- 
mava. Roma,  centro  del  cattolici- 
smo,  si  dislingue  anche  negli  eser- 
cizi spirituali,  che  in  più  volte  al- 
l' anno  si  fanno  in  vari  luoghi,  il 
perchè  accenneremo  i  principali. 

Narra  il  gesuita  p.  Memmi  nelle 
Notizie  istoricìie  dell'Oratorio  detto 
del  p.  Gravita,  pag.  146,  che  ivi 
nel  1673  si  cominciò  a  dare  pub- 
blicamente gli  esercizi  spirituali  di 
s.  Ignazio,  non  solo  ai  fratelli  del- 
l'oratorio, ma  a  quelli  che  voles- 
sero profittarne,  e  riporta  il  meto- 
do e  la  forma  di  essi.  Quindi,  a 
pag.  208,  per  le  cure  del  p.  Tyr- 
so  Gonzalez,  generale  della  compa- 
gnia, nel  1702,  col  l'approvazione  di 
Clemente  XI,  fece  istituire  gli  eser- 
cizi per  le  dame,  che  ne  furono 
sommamente  liete,  ed  il  Papa  con- 
cesse perciò  grazie  e  privilegi  spi- 
rituali. Va  notato  che  al  presente 
gli  esercizi  non  si  danno  più  dai 
gesuiti  nella  casa  del  noviziato,  ma 
in  quella  presso  la  chiesa  di  s.  Eu- 
sebio, dove  più  volte  all'anno  li  dan- 
no tanto  ad  ecclesiastici,  che  ai  re- 
ligiosi di  altri  Ordini ,  ed  ai  se- 
colari. V.  il  dott.  Agostino  Thei- 
ner  :  //  seminario  ecclesiastico,  o 
gli  otto  giorni  a  s.  Eusebio  di  Ro- 
ma. Questa  opera  fu  scritta  in  te- 
desco, e  dal  p.  Giacomo  Mazio  fu 
recata  in  italiano ,  e  stampata  in 
Roma  nel    1 834- 

Essendo    poi    il    ritiro    uno    dei 


ESE  p,3 

mezzi  i  più  opportuni  per  ascol- 
tare con  profìtto  la  voce  di  Dio, 
ed  essendo  diffìcile  il  conservarsi 
ben  raccolto  nello  spirito  dopo  a- 
ver  ascoltata  la  parola  del  Signore, 
quando  si  debba  andar  vagando 
per  affari,  o  per  domestiche  faccen- 
de, quindi  in  Roma  sono  molte 
case  religiose  e  laiche,  nelle  quali 
ricevonsi  le  persone  di  ambo  i 
sessi,  e  vi  si  fanno  trattenere  per 
un  numero  di  giorni  stabiliti,  man- 
tenuti e  serviti  di  tutto,  acciò  solo 
attendano  alla  contemplazione  del- 
le massime  di  nostra  santa  religio- 
ne, ed  al  pensiero  della  riforma  dei 
propri  costumi.  In  tal  modo  si 
danno  gli  esercizi  dalle  monache  del 
Bambino  Gesù,  del  Divino  Amore, 
dalle  Orsoline,  ed  in  genere  in  que- 
sta stessa  guisa  si  praticano  dagli 
Ordini  regolari  dell'uno  e  dell'altro 
sesso,  dagli  ospizi,  e  dai  conserva - 
toni,  desistendo  in  quei  giorni  da- 
gli studi  e  dai  lavori,  e  non  am- 
mettendo alcun  commercio  colle 
persone  estere.  Nella  casa  de'mis- 
sionari  di  s.  Vincenzo  de  Paoli  a 
Monte  Citorio,  si  danno  gli  eserci- 
zi spirituali  per  lo  spazio  di  dieci 
giorni  in  tutti  i  tempi  che  prece- 
dono le  ordinazioni  generali,  ed  ove 
debbono  ritirarsi  tutti  quelli  che 
sono  per  ricevere  qualunque  degli 
ordini  sagri,  quando  non  sieno  re- 
ligiosi, o  non  si  trovino  in  qualche 
seminario  o  collegio  dove  fanno 
gli  esercizi  sotto  la  direzione  di 
persona  a  ciò  destinata.  Nella  stes- 
sa casa  debbono  radunarsi  tutti  i 
parrochi  e  confessori  di  Roma,  non 
regolari,  per  lo  spazio  di  cinque 
giorni  ogni  due  anni  a  fare  gli  e- 
sercizi  spirituali.  Quivi  pure  si  dan- 
no gli  esercizi  ai  secolari  nella  set- 
timana santa,  oltre  di  che  vi  si 
ammettono  nel  corso  di   tutto  fan- 


94  ESO 

no  tanto  gli  ecclesiastici  che  i  lai- 
ci, i  quali  per  loro  divozione  vo- 
gliono, o  dai  superiori  sono  man- 
dati a  ri  ti  larvisi  ,  costituendosi  ad 
essi  in  tal  caso  un  parlicolar  di- 
rettore, che  assiduamente  si  accom- 
I  M^na  con  loro,  e  li  guida  nelle 
opere  proprie  di  tal  ritiro. 

Dai  religiosi  passionisti  sul  mon- 
te Celio,  e  dai  religiosi  francescani 
nel  ritiro  di  s.  Bonaventura  alia 
polveriera  antica,  presso  il  foro  ro- 
inaiio,  più  volte  fra  l'anno  trat- 
tengonsi  agli  esercizi  spirituali  per- 
sone anche  di  alta  portata,  e  tan- 
to gli  uni  che  gli  altri  ordinaria- 
mente una  volta  l'anno  ammettono 
agli  esercizi  i  soli  ecclesiastici.  Lun- 
go sarebbe  ad  enumerare  tutti  i 
luoghi,  le  chiese  e  gli  oratorii  di 
Roma,  in  cui  vi  si  fanno  gli  eser- 
cizi spirituali  per  ambo  i  sessi.  Di 
ciò  per  la  maggior  parte  si  parla 
ai  rispettivi  articoli,  come  del  pio 
luogo  di  Ponte  rotto,  di  s.  Pa- 
squale in  Trastevere,  di  s.  Galla, 
del  ritiro  de'  divoti  di  Maria  sul 
monte  Gianicolo,  ed  altri  molti,  e 
persino  dei  condannati  esistenti  in 
Castel  s.  Angelo;  de'quali,  e  di  al- 
tri, tratta  d.  Guglielmo  Costanzi 
neir  Osservatore  di  Roma,  tom.  I, 
lib.  XI,  capo  I,  e  seg.  V.  Cate- 
chismo, e  Dottrina  Cristiana. 

ESOCATACELI,  o  Exocatacoe- 
li.  Nome  generico  che  davasi  in 
Costantinopoli  al  grand' economo  , 
al  gran  sacellario,  o  gran  maestro 
della  cappella,  al  gran  scevofilace, 
o  custode  de'  vasi,  al  gran  carto- 
filace,  o  maestro  della  piccola  cap- 
pella, ed  al  proteedico,  o  primo 
difensore  della  Chiesa.  Gli  esoca- 
taceli  erano  in  principio  sacerdoti, 
ma  furono  poscia  ridotti  all'ordine 
di  diaconi,  giacche  avendo  siccome 
sacerdoti  le  loro  chiese,  in  esse  uf- 


ESO 

Oziavano  nei  giorni  solenni ,  men- 
tre in  questi  il  patriarca  di  Co- 
stantinopoli trova  vasi  all'altare  sen- 
za i  suoi  primari  utfiziali.  Benché 
diaconi,  erano  gli  esocataceli  di  u- 
na  grande  autorità,  avevano  il  di- 
ritto di  assumere  le  pianete ,  non 
la  stola,  erano  chiamati  Cardinali, 
e  godevano  quelle  prerogative,  che 
notammo  al  voi.  XIX,  pag.  3o8 
del  Dizionario.  Aggiungeremo,  che 
probabilmente  furono  chiamati  eso- 
cataceli per  quanto  si  racconta  dal 
Codino.  In  Costantinopoli  il  palaz- 
zo patriarcale  e  gli  appartamenti 
del  sincello,  e  di  tutti  i  monaci  , 
i  quali  erano  al  servizio  del  pa- 
triarca, occupavano  in  quella  città 
un  luogo  assai  basso  ;  mentre  i 
grandi  officiali  alloggiavano  fuori 
di  quella  valle,  e  in  altre  parti. 
Furono  questi  perciò  chiamati  e.?o- 
cataceli3  persone  cioè  che  sono  fuo- 
ri dei  calaceli,  ossiano  luoghi  bassi. 
ESOMOLOGESI  (Exomologe- 
sis).  Confessione,  secondo  la  parola 
greca.  Con  questo  nome  per  altro 
appresso  i  santi  Padri  ordinaria- 
mente non  s'intende  la  confessio- 
ne sagramentale ,  ma  la  pubblica 
confessione ,  e  gli  atti  conseguenti 
dei  penitenti ,  i  quali  sulla  porta 
della  chiesa  con  abito  vile,  confes- 
sando di  essere  miserabili  pecca- 
tori, ^domandavano  perdono  dai  fe- 
deli con  raccomandarsi  alle  loro 
orazioni.  V.  s.  Cipriano,  lib.  3,  e- 
pist.  27,  dal  quale  si  apprende  si- 
gnificare esomologesi  una  mera  ri- 
conciliazione colla  chiesa  dei  pub- 
blici penitenti,  poiché  in  caso  di 
necessità,  o  pericolo  di  morte,  qual- 
sivoglia diacono,  con  licenza  del  suo 
prelato,  poteva  assolvere  tali  peni- 
tenti, siccome  qualsivoglia  chierico 
di  ordine  del  prelato  può  assolve- 
re dalle  censure.  Tanto  dice  il  Ma- 


ESO 

cri  nella  Not.  de'  vocab.  ecci,  alla 
parola  Exomologesis. 

Per  lo  più  si  dava  principio  a 
questa  penitenza  pubblica  nel  pri- 
mo giorno  di  quaresima,  nel  quale 
i  penitenti,  coperti  di  cenere  e  ve- 
stiti di  cilicio,  si  fermavano  sotto 
i  portici  delle  chiese  per  udire  la 
messa  ed  i  divini  uffizi  ;  ma  poi 
al  tempo  della  consagrazione,  era- 
no riconciliati ,  come  si  raccoglie 
dai  rituali  antichi.  La  voce  esomo- 
logesi  significa  pure,  o  più  pro- 
priamente, quell'ultimo  atto  del 
pubblico  penitente,  quando  compi- 
ta la  soddisfazione  impostagli ,  era 
condotto  dal  vescovo  in  chiesa  ove 
prostrato  in  terra  alla  presenza  di 
tutto  il  clero  e  di  molto  popolo  , 
detestava  le  passate  colpe  promet- 
tendo di  non  commetterle  più.  V. 
Tertulliano,  de  Poenit.  cap.  91,  ed 
il  citato  s.  Cipriano  lib.  J,  epist. 
II.  La  confessione  de'  peccati  pro- 
priamente si  dice  in  greco  Exa- 
goreusìs.  Finalmente  talvolta  col 
vocabolo  Esomologesi  vuoisi  signi- 
ficare la  pubblica  processione,  con 
segni  di  penitenza,  per  placare  Id- 
dio ,  ed  implorare  la  sua  divina 
misericordia  in  tempo  di  qualche 
grave  gastigo,  come  si  ha  dal  con- 
cilio di  Toledo  XVII,  can.  6,  e  da 
quello  celebrato  sotto  s.  Leone  III, 
al  can.  3i.  V.  Chiesa,  Confessio- 
ne, Penitenza. 

ESORCISMO  (Exorcismus).  Ce- 
rimonia della  quale  si  serve  la 
Chiesa  per  iscacciar  i  demonii  dai 
corpi  ch'essi  possedono  o  che  im- 
portunano, o  dalle  altre  creature, 
di  cui  abusano  o  possono  abusarsi. 
Dice  Gesù  Cristo  nell'ultimo  capi- 
tolo di  s.  Marco:  questi  miracoli 
saranno  con  quelli  che  avranno 
creduto,  essi  scaccieranno  ì  demo- 
mi  in  mio  nome.    È    dunque  giu- 


ESO  $5 

sto  il  motivo  per  cui  la  Chiesa 
esorcizza  quelle  creature,  affine  di 
scacciarne  i  demonii,  che  di  esse  si 
abusano,  e  di  questo  potere  ella 
si  è  sempre  prevaluta.  Le  creatu- 
re che  la  Chiesa  esorcizza ,  ordi- 
nariamente sono  quelle  afflitte  da 
qualche  possesso  od  ossessione  del 
demonio,  i  luoghi  infestati  dal  de- 
monio; l'acqua,  il  sale,  l'olio,  e  le 
altre  cose  di  cui  ella  servesi  nelle 
sue  cerimonie.  Essa  esorcizza  pure 
i  bruchi  ed  altri  insetti  perniciosi 
per  le  piante,  le  cavallette,  le  tem- 
peste ec.  per  impedire  loro  di  nuo- 
cere ai  prodotti  della  terra.  Lo 
stesso  Gesù  Cristo,  che  con  un  sem- 
plice cenno  poteva  porre  in  fuga 
i  demonii,  volle  tuttavia  servirsi 
di  alcuni  segni  e  cerimonie  este- 
riori. Prudenzio,  in  Apoteos.  con- 
tra  Jud.,  compose  alcuni  versi,  nei 
quali  si  contiene  la  forinola  usala 
in  quei  tempi,  mentre  si  esorciz- 
zavano gì'  indemoniati  energume- 
ni. Gli  esorcismi  hanno  una  virtù 
indipendente  dalle  disposizioni  del- 
l' Esorcista  (Fedi) ,  e  producono 
infallibilmente  il  loro  effetto,  a  me- 
no che  non  incontrinsi  ostacoli  da 
parte  dell'esorcista  o  delle  perso- 
ne in  favore  delle  quali  si  fanno 
gli  esorcismi.  Il  perchè  gli  esorci- 
sti debbono  prepararsi  a  questa 
cerimonia  col  digiuno ,  colla  pre- 
ghiera ,  coli'  umiltà  ,  colla  purità  , 
astenersi  da  qualunque  questione 
curiosa  ed  inutile,  e  seguire  pun- 
tualmente tutto  ciò  eh' è  prescritto 
nel  libro  degli  esorcismi.  V.  Ener- 
gumeno. 

Il  Sarnelli,  nel  tom.  IX  delle 
Lett.  eccl.,  tratta  perchè  gli  esor- 
cismi hanno  la  conclusione,  Per 
Dominimi  Nostrum  Jesum  Christian, 
qui  venlurus  est  judicarc  vivos,  et 
morluosy  et    saeculum   per   ìgnem. 


96  ESO 

Amen.  Quindi  col  Micrologo ,  de 
observ.  Ecclesiae,  cap.  7,  dice  che 
i  demonii  niuna  cosa  temono  più, 
che  il  rammentar  loro  il  giorno 
del  giudizio,  quando  tutti  saranno 
ridotti  nell'inferno  in  sempiterno; 
imperocché,  sebbene  sieno  stati  dan- 
nati dal  principio  del  mondo,  su- 
bito che  peccarono,  e  sieno  conti- 
nuamente cruciati  dal  fuoco  infer- 
nale, che  per  l'onnipotenza  di  Dio 
sentono  anche  assenti,  nondimeno 
nel  giudizio  universale  saranno  da 
Gesù  Cristo  di  nuovo  coartati,  e 
carcerati  nell'inferno.  V.  Demonio. 
Soggiunge  il  medesimo  Sarnelli , 
che  anticamente  si  facevano  gli 
-esorcismi  non  nelle  case  private  per 
la  paura,  non  nelle  chiese  per  ri- 
verenza, ma  all'aria  aperta,  ciò  che 
non  si  pratica  più.  Si  domandava 
il  nome  del  demonio,  e  il  segno 
della  uscita,  il  che  si  fa  oggi  an- 
cora, e  si  stimava  utile  esorcizzare 
i  cibi  che  gli  ossessi  od  energu- 
meni mangiavano ,  come  si  vede 
dal  rituale  romano.  Sono  poi  gli 
esorcismi  certe  orazioni  e  coniu- 
razioni  usate  dalla  Chiesa,  come  si 
vede  nel  concilio  IV  cartaginese , 
il  quale  per  materia  dell'  ordine 
dell'  esorcista to  dà  il  libro  degli 
esorcismi,  dalla  Chiesa  approvati. 
Dell'ordine  degli  esorcisti  si  fa  men- 
zione da  s.  Ignazio  martire,  nel- 
l'epistola agli  antiocheni,  ed  in 
quella  di  s.  Cornelio  Papa  a  Fa- 
biano. Sino  dalla  nascente  Chiesa, 
si  usò  discacciare  i  demonii  cogli 
esorcismi,  come  in  unione  a  s.  Giu- 
stino martire,  de  ventate  Christia- 
na* religionis,  dicono  altri  antichi 
padri.  Fu  poi  particolare  ufficio 
dell'ordine  divinamente  istituito,  ed 
a  questo  effetto  destinato  dalla  Chie- 
sa, come  prova  il  Baronio  ne'  suoi 
Annali,  all'anno  56,  il  quale  inol- 


tre  nota,  che  talvolta  i  demonii 
s'ingegnarono  d'ingannare  gli  esor- 
cisti fingendo,  e  volendo  far  cre- 
dere, che  lo  spirito  ch'era  in  quel 
corpo,  era  l'anima  di  questo  o  di 
quello,  per  dare  ad  intendere  che 
non  tutte  le  anime  de' dannati  an- 
davano all'inferno,  e  per  turbare 
la  fede  sul  giudizio,  e  sulla  risurre- 
zione de' morti. 

11  p.  Menochio,  nelle  sue  Stuo- 
re  tom.  Ili,  p.  46*9,  cap.  LXXVI 
Degli  esorcismi  degli  ebrei,  nana 
che  il  Cardinal  Toledo,  sopra  il 
capo  II  di  s.  Luca,  all'annotazione 
4i,  osserva  come  anche  avanti  la 
venuta  di  Gesù  Cristo,  avevano  gli 
ebrei  i  loro  esorcismi  ed  esorcisti, 
i  quali  si  adoperavano  in  iscaccia- 
re  i  demonii  dai  corpi  ossessi  ed 
energumeni ,  e  che  tra  gli  ebrei 
eravi  la  tradizione  dello  scongiu- 
rare, essendo  stato  Salomone,  se- 
condo Gioseffo  ,  l' inventore  degli 
esorcismi  contro  i  demonii.  Sulla 
quale  autorità  riferisce  Beda,  che 
Salomone  ordinò  nel  tempio  alcu- 
ni esorcisti,  ed  insegnò  loro  il  mo- 
do di  scongiurare  in  un  libro  da 
lui  composto;  anzi  Origene,  nel  suo 
trattato  55  sopra  s.  Matteo,  affer- 
ma che  al  suo  tempo  conservavasi 
il  detto  libro.  Il  Rinaldi  all'  anno 
56,  num.  2,  narra  come  Eleazaro 
esorcizzò  in  presenza  dell'  impera- 
tore Vespasiano.  S.  Epifanio,  nella 
eresia  3o,  dice  essere  stata  comune 
opinione  fra  gli  ebrei,  che  se  al- 
cuno avesse  saputo  il  nome  di  quat- 
tro lettere,  cui  i  greci  chiamano 
Telragrammaton ,  e  gli  fosse  stato 
lecito  di  proferirlo,  avrebbe  avuto 
potestà  sopra  gli  spiriti  maligni. 
Noteremo  per  ultimo ,  che  non 
mancarono  anticamente  ingannato- 
ri,  i  quali  giravano  per  le  città, 
professando  per  guadagno  l'arte  di 


ESO 

cacciare  i  demonii ,  servendosi,  in 
vece  degli  esorcismi,  di  superstizio- 
ni ed  incantesimi,  de'  quali  parla 
Ulpiano  lege  j ,  ff.  de  variis  et  ex- 
traordinariis  cognìtionìbus.  V.  s. 
Dionisio  Areopagila  nel  lib.  de  Ec- 
clesiast.  hierarchia  al  cap.  3,  e  s. 
Cipriano  nell'  episl.  j6. 

ESORCISTA  (Exorcisla).  Chie- 
rico  tonsurato,    che    ha    ricevuto 
quello  tra  gli  ordini   minori ,    che 
porta  un  tal  nome.  Si    dà    questo 
nome  al  vescovo,  od    al    sacerdote 
delegato  dal  vescovo,  il  quale  esor- 
cizza   un    posseduto    dal  demonio, 
un  energumeno.  Questo  termine  di 
esorcista  deriva  dal  greco,   che  si- 
gnifica scongiurare,  invocare  il  no- 
me di  Dio  per  iscacciare   i  demo- 
nii dai  luoghi  o  dai  corpi   ch'essi 
posseggono.    Sembra    che    i    greci 
non  riguardino  la  funzione    di    e- 
sorcista  come  un  ordine,  ma  come 
un    semplice   ministero,    convenen- 
dovi s.  Girolamo.  Tuttavolta  il  p. 
Goar,  nelle  sue  note  sull'Eucologio 
de'  greci,  prova  coli'  autorità  di  s. 
Dionisio    e  di  s.    Ignazio    martiri , 
che  questo  era  un  ordine.    Questo 
ordine    dà    il    potere  agli  esorcisti 
appunto  di  scacciare  i  demonii  per 
mezzo    dell'  invocazione    del   nome 
di  Dio.  Sebbene  però  questa    fun- 
zione sia  riserbata  a'  sacerdoti,  nep- 
pure essi  possono  incaricarsene  sen- 
za licenza  del  vescovo.  Non  è  vie- 
tato di  darla  anche  ai  chierici  ca- 
paci ,   purché    possano ,   come  dice 
Fleury,    distinguere  gli   ossessi    ed 
energumeni    dai    fraudolenti.    Nei 
primi  tempi  erano  frequenti  le  in- 
vasazioni,  specialmente  fra  i  pagani. 
Per  testificare  poi  un  maggior  dis- 
pregio del  potere    dei    demonii,  si 
adoperò    per    discacciarli    uno    dei 
ministri  inferiori  della  Chiesa.  Nel 
quarto  concilio  cartaginese,  e  negli 
voi,.   XXH. 


ESO  97 

antichi  rituali  si  prescrìve  la  ceri- 
monia della  ordinazione  degli  esor- 
cisti. Essi  ricevono  il  libro  degli 
Esorcismi  (Vedi),  dalle  mani  del 
vescovo ,  che  loro  dice  :  prendi  e 
studia  questo  libro 3  ed  abbi  la  po- 
destà d'imporre  le  mani  sugli  e> 
nergumeni,  sieno  battezzati,  sieno 
catecumeni.  L'  ordinazione  dell'  e- 
sorcista  si  fa  durante  la  messa,  co- 
me le  altre. 

L'esorcista  deve  preparare  l'ac- 
qua, il  sale,  e  tuttociò  ch'è  neces- 
sario per  fare  I'  acqua    benedetta  , 
di  cui  servesi  la  Chiesa  per  iscac- 
ciare i  demonii,   ed    accompagnare 
il  sacerdote,  il  quale  fa  nella  chie- 
sa l'aspersione  dell'acqua  benedet- 
ta. Dice  il  Macri,  eh'  era  anco  of- 
fìzio  dell'  esorcista  di    esorcizzare  i 
catecumeni  prima  di  ricevere  il  san- 
to battesimo,    come    persone    sog- 
gette all'  impero    diabolico,    e   cita 
gli  scrittori   che  parlano  di  questa 
specie  di  esorcismi,  notando  che  s. 
Isidoro  chiamò  gli  esorcisti  Actores 
templi,  lib.  2,  cap.    i3  de   Eccles. 
off.  Secondo  il  pontificale    romano 
era  pure   officio    degli    esorcisti    di 
avvisare  quelli  che   non  comunica- 
vano, acciò  dessero  luogo    agli  ai- 
tri,  di  versare  l'acqua  pel  ministe- 
ro, d'imporre  le  mani  sopra  gli  os- 
sessi   e    gì'  infermi.    Il    Sarnelli ,  t. 
VI,  lett.  XVI,  num.  8,  osserva  che 
avendo  l' esorcista  la    potestà    del- 
l' ordine  di  esorcizzare,  può  far  an- 
che il  segno  della  cróce,  dove  l'e- 
sorcista   lo   richiede;   ed    aggiunge 
che  il  Marcanzio,  Hort.  past.   Can- 
delabr.  myslic.  trat.  5,  lect.  4»  as- 
serisce come  nella  chiesa    di  Liegi 
nel  sabba to  santo,  quando  si  por- 
tano gl'infanti  a  battezzare,  si  com- 
mettono gli  esorcismi,   che    si  fan- 
no prima  del  battesimo,  a' chierici 
d'ordini  minori,   acciocché    si    di- 
7 


93  ESO 

mostri    la    loro    potestà   in  qualità 
cT  esorcisti.  Dal  Rituale  romano  ap- 
parisce, che  detti  esorcismi  richie- 
dono molti  segni  di  croce.  Nel  to- 
mo X  tratta  nella  lett.  LXIII,  Co- 
me possano  gli  spiritati  intromette- 
re, e  mandar  fuori  del  corpo  lo- 
ro,  cose    solide    e  grandi.    Invita 
quindi    coloro  che    vogliono    esor- 
cizzare gli  energumeni,    a    leggere 
il  libro  delle  disquisizioni  magiche, 
di  Martin  del  Rio,  lib.  3,  sect.  6, 
ove  particolarmente  discorre  di  que- 
sta materia,  come  filosofo  e  come 
teologo;  ne  parla  nel  lib.    6,  sect. 
3,  de  Remediis  supernaturalibus  di- 
linis,  seti  ecclesiaslicis,    ove    nella 
pag.   719  fra  le  allre  cose   avvisa, 
che  gli  esorcisti  si  guardino  di  non 
ischerzare  col  demonio  ,    né  intro- 
durre con  lui  discorsi  giocosi,  dap- 
poiché il  cacciar  via  i  demonii  co- 
gli esorcismi  della    Chiesa    è   cosa 
santa:  e  però  si  deve  trattare  san- 
tamente, siccome  hanno  fatto  quan- 
ti da  principio  adoperarono  con  ef- 
ficacia il  rimedio  degli  esorcismi,  e 
se  talvolta  non  si  discacciò    il   de- 
monio, res   clara  est,    in  peccatis 
vel   obsessi ,    vel   abjurantis   posse 
contingere,  vel  ob    majorem    ipsius 
aegri    utilitatem,    Deique  gloriarli. 
Pegli    esorcismi ,   come    si   disse  al 
precedente  articolo,  molto  giovano 
i  digiuni,  l'orazione  ec.  Dal  Rinal- 
di, all'anno  56,  num.  6,  si  appren- 
de, che  talora  esorcizzarono  anche 
i  laici;  ma  i  concili  vogliono,  che 
i  vescovi  non  permettano  di  esor- 
cizzare ai  non  ordinati.  Si  stabili- 
rono poi  molte  cautele,  perchè  ne- 
gli esorcismi  non  si  frammetta  al- 
cuna superstizione.  Che  poi  la  fede 
dello  spiritato  aiuti  assai    la    virtù 
dell'esorcismo,  l'insegnano    s.    Ci- 
priano, de  idolatr.  vanit.,  ed  altri  ; 
e  che  gli  spiriti  maligni  sieno  soliti 


ESP 
stare  negli  invasi  pertinacemente, 
lo  esperimentarono  gli  apostoli,  e 
lo  dimostra  Origene,  in  Josue  ho- 
mil.  24.  Gli  stessi  apostoli  ci  fan- 
no sapere,  che  eranvi  esorcisti  giu- 
dei, i  quali  si  vantavano  di  scac- 
ciare i  demonii  in  nome  di  Gesù 
Cristo.  Marco  9,  37  ;  Luca  9,  49« 
V.  il  Psello,  Della  natura  dei  de- 
monii,  e  spiriti  folletti,  Venezia 
i645. 

ESORCISTA  o  ESORCISTA- 
TO.  11  secondo  degli  ordini  mino- 
ri, divinamente  istituito,  avvegnaché 
la  più  sana  opinione  è  quella  del 
dottore  angelico,  e  de'più  accredi- 
tati teologi,  che  anche  gli  ordini 
minori  abbiano  per  istitutore  nostro 
Signore  Gesù  Cristo.  V.  Ordine, 
Esorcismi,  ed  Esorcista. 

ESPEN   (Van)Zegero  Bernardo. 
Celebre    canonista  e    giureconsulto, 
nato  in  Lovanio  nell'anno  1646,  si 
diede  per  qualche  tempo  alla  teolo- 
gia scolastica;  ma  non  essendo  suffi- 
ciente questa  arida  scienza   ad  ali- 
mentare il  suo  intelletto,  si  dedicò 
allo  studio  della  disciplina  antica  e 
moderna  della   Chiesa,  e  ne  acqui- 
stò   profonda    e    vasta    cognizione. 
Nel    1675    gli    fu    data    la    laurea 
dottorale,  e  da  questo  tempo  in  poi 
insegnò  con  applauso  questa  scien- 
za   nel    collegio    di    Papa    Adriano 
VI.    Se    non  che  la   fama  cui  go- 
dea    di    uomo    celebre,  ed    i    suoi 
meriti  gli  destarono  non  pochi  in- 
vidiosi nemici,  né  più  godendo  del- 
la primiera  pace,  massime  per  aver 
approvata  la  consagrazione  di  Stee- 
noven  arciveseovp  scismatico  d' L1- 
trecht  come  canonica,  dovette  riti- 
rarsi   prima    in    Maestricht,  e  poi 
nella  città  d'Amersfort,  ove  finì  di 
vivere  nel    1728,   di  anni  ottanta- 
tre. Le  principali  sue  opere    sono  : 
i,°    Jus    ecclesia stianti    universum, 


ESP 

nella  quale  si  mostra  quanto  eru- 
dito altrettanto  zelante  di  quelle 
massime  erronee  sparse  in  tutte  le 
altre  sue  opere,  per  cui  meritarono 
di  essere  condannate,  e  proscritte  dal- 
l'Indice. 2.0  De  peculiarità  te,  et  si- 
monia. 3.°  De  officiis  canonicorum. 
4«°  Tractatus  historico  canonicus 
in  canones.  5.°  De  censuris.  6.°  De 
promulgatione  legum  ecclesiastica- 
rum.  7.0  De  recursu  ad  Princi- 
pem.  8.°  Alcune  scritture  sugli  af- 
fari de' suoi  tempi.  Opere  tutte,  le 
quali  offrono  chiara  prova  dell'as- 
sidua lettura  che  fatta  avea  della 
Scrittura  sacra,  de'padri,  de'conci- 
li,  del  diritto  civile  e  canonico.  Il 
Bergier  ci  avverte  che  questo  dotto 
giureconsulto  spesso  ripete  il  già  det- 
to dal  p.  Tomassino;  che  in  diverse 
opere  volle  servire  al  partito  dei 
nemici  della  Chiesa,  ch'egli  avea 
abbracciato  ;  e  che  i  suoi  senti- 
menti sul  Formulario,  e  I*  Apolo- 
gia dello  Steenoven,  come  riempi- 
rono dì  amarezza  i  suoi  giorni,  cosi 
lo  manifestarono  come  uno  de'  più 
zelanti  partigiani    del   giansenismo. 

ESPETTATI\E.  V.  Aspetta- 
tive. 

ESPETTAZIONE  del  parto 
della  b.  Vergine  [festa).  Celebrasi 
in  diverse  parli  della  cristianità , 
e  specialmente  in  Ispagna,  per  de- 
creto del  concilio  Toletano  X  del 
657,  a*  18  dicembre  la  festa  dell'In- 
carnazione del"  Verbo  divino,  essen- 
do vietato  ne'giorni  quaresimali,  se- 
condo il  costume  della  Chiesa  orien- 
tale, seguito  dall'ambrosiana,  di  ce- 
lebrare in  allora  veruna  festa,  come 
giorni  destinati  alla  cristiana  peni- 
tenza, ch'esclude  ogni  dimostrazio- 
ne di  allegrezza,  per  cui  la  Chie- 
sa non  usa  altri  abiti  sagri ,  se 
non  i  lugubri.  Così  il  Piazza,  E- 
merologìo,  a' 1 8  dicembre.  Parlando 


ESP  99 

il  Sarnelli,  nel  tom.  X,  lett.  XXif, 
della  festa  della  ss.  Annunziata 
(Vedi),  dice,  che  in  molte  chie- 
se costumavasi  celebrarla  agli  8  di- 
cembre, perchè  appunto  non  si  sti- 
mò celebrare  la  solennità  dell' inef- 
fàbile incarnazione  del  Verbo  eter- 
no in  quaresima ,  tempo  di  tri- 
stezza, come  si  ha  dal  detto  conci- 
lio, tenuto  dall'arcivescovo  Eugenio. 
Se  non  che  essendogli  succeduto 
S.  Idelfonso,  il  quale  difese  la  pu- 
rità della  Concezione  immacolata 
di  Maria  Vergine  (Vedi),  contro 
alcuni  eretici  i  quali  l'impugnava- 
no, volle  che  detta  festa  in  avve- 
nire si  celebrasse  col  nome  del- 
l' Espettazione  del  parto,  e  sette 
giorni  innanzi  il  Natale  (Vedi), 
non  nella  quaresima  destinata  agli 
esercizi  della  penitenza,  od  alla 
solennità  della  risurrezione  di  Ge- 
sù Cristo. 

ESPIAZIONE  (Expiatio).  Si  pren- 
de per  l'atto  od  azione,  colla  qua- 
le si  soffre  la  pena  decretata  con- 
tro il  delitto,  o  pei  sagrifizi  che 
si  fanno  a  Dio  per  la  remis- 
sione de'peccati;  si  dicono  anche 
espiazione  quelle  cerimonie,  che  Dio 
ha  istituite  per  purificare  gli  uomi- 
ni dalle  loro  colpe,  non  solo  coi 
sagrifizi,  ma  eziandio  co'sagramen- 
ti,  e  colle  opere  di  penitenza.  Qua- 
lunque espiazione  del  peccato  si  fa 
mediante  l'applicazione  dei  meriti 
di  Gesù  Cristo,  e  co'detti  mezzi 
da  lui  istituiti.  Le  altre  cerimonie, 
come  le  aspersioni  dell'acqua  be- 
nedetta, le  assoluzioni  ec.  non  sono 
altro  che  un  simbolo  ed  un  segno 
della  purificazione ,  cui  la  grazia 
divina  opera  nelle  anime  nostre; 
segni  stabiliti  per  avvertirci  di 
chiedere  a  Dio  questa  grazia.  Se- 
condo la  credenza  cattolica,  le  a- 
nime  di   quelli  che  muoiono  senza 


ioo  ESP 

avere    interamente  soddisfatto    alla 
giustizia    divina,    purgano  nel   pur- 
gatorio dopo    la  morte  le  reliquie 
od  avanzi  de'loro  peccati.  Gli  ebrei 
avevano  diverse  sorta  di  sagri fizi  di 
espiazione    pe'falli  commessi  per  i- 
gnoranza  contro  la  legge,  e  per  pu- 
rificarsi   da    certe    immondezze  le- 
gali,  ch'erano    ritenute  come    falli 
da  doversi  espiar  con  certe  vittime. 
Questi   sagriflzi    di    espiazione    non 
rimettevano  per  se  stessi  i  falli  reali 
commessi    contro    Dio;    riparavano 
semplicemente    la    mancanza    este- 
riore  o    legale ,    ed   assolvevano   i 
trasgressori    dalla  pena    temporale 
con  cui  Dio  od    i  giudici  puniva- 
no   questi    falli,    quando    trascura- 
vano d'espiarli    nel  modo  prescrit- 
to dalla  legge. 

La  festa  solenne  dell'espiazione 
celebra  vasi  dagli  ebrei  il  decimo 
giorno  del  mese  di  tìzri,  il  quale 
corrisponde  al  mese  di  settembre. 
Gli  ebrei  la  chiamano  festa  del 
perdono,  perchè  esp'ravansi  le  colpe 
di  tutto  l'anno.  Le  principali  ceri- 
monie erano,  che  il  sommo  sacer- 
dote dopo  essersi  lavato  tutto  il 
corpo,  vestivasi  di  semplice  lino, 
indi  offriva  un  torello  ed  un  arie- 
te pe'suoi  peccati,  e  per  quelli  de- 
gli altri  sacerdoti  :  poneva  le  ma- 
ni sulla  testa  di  tali  vittime,  e  con- 
fessava i  suoi  peccati  e  quelli  di 
sua  casa;  poscia  riceveva  dalle  ma- 
ni dei  capi  del  popolo  due  becchi 
o  capri  pel  peccato,  ad  un  ariete 
per  essere  offerto  in  olocausto  in 
nome  di  tutta  la  moltitudine.  Indi 
tiravasi  a  sorte,  quale  dei  due  bec- 
chi dovesse  essere  sagrificato,  e  qua- 
le posto  in  libertà.  Allora  il  som- 
mo sacerdote  incensava  il  santuario, 
ed  intingendo  il  dito  nel  sangue 
del  torello  già  sagrificato,  ne  get- 
tava sette    volte  fra  l'arca    dell'al- 


ESP 

leanza,  ed  il  velo  che  separava  il 
santo  dal  santuario.  Sacrificava  po- 
scia a  fianco  dell'altare  degli  olo- 
causti il  becco  destinalo  dalla  sor- 
te ad  essere  sagrificato.  Ne  portava 
il  sangue  nel  santuario,  e  sette  vol- 
te faceva  delle  aspersioni  col  suo 
dito  intinto  nel  sangue  fra  l'arca 
ed  il  velo,  che  separava  il  santo 
dal  santuario.  Dopo  ciò,  faceva 
delle  aspersioni  all'intorno  del  ta- 
bernacolo col  sangue  del  becco  ; 
quindi  recavasi  all'altare  degli  olo- 
causti, ne  bagnava  le  quattro  cor- 
na col  sangue  del  becco  e  del 
torello,  e  l'innaffiava  sette  volte  con 
questo  stesso  sangue;  metteva  la 
mano  sulla  testa  del  becco,  che 
era  destinato  ad  essere  libero,  con- 
fessava i  suoi  peccati  e  quelli  del 
popolo,  pregava  Dio  che  li  scari- 
casse sopra  di  lui ,  e  consegnava 
questo  becco  ad  un  uomo,  il  qua- 
le lo  conduceva  in  un  luogo  deser- 
to, e  lasciavalo  in  libertà,  ovvero 
lo  precipitava,  secondo  altri.  Per 
questo  si  chiamava  tal  becco  il 
Capro  emissario.  Fatta  questa  ce- 
rimonia il  sommo  sacerdote  si  la- 
vava tutto  il  cqrpo  nel  tabernaco- 
lo, e  vestendosi  di  altri  abiti,  im- 
molava in  olocausto  due  arieti, 
uno  per  se,  l'altro  pel  popolo.  La 
festa  dell'espiazione  solenne  era  u- 
na  delle  principali  festività  degli 
ebrei,  i  quali  in  tal  tempo  viveva- 
no nel  maggiore  riposo,  ed  osser- 
vavano un  digiuno  rigoroso.  Que- 
sto era  il  solo  giorno,  in  cui  fosse 
permesso  al  sommo  sacerdote  di 
entrare  nel  Santo  dei  Santi,  ove 
era  l'arca  dell'alleanza. 

La  quarta  solennità,  la  quale  9Ì 
celebra  al  presente  dalla  sinagoga, 
è  questa  delle  espiazioni ,  tenuta 
per  la  principale  che  abbia  luogo 
in  tutto  l'anno,  come  descrive  Pao- 


ESP 

lo  Medici,  Riti  e  costumi  degli 
ebrei,  capo  XXIII,  Del  digiuno  e 
festa  delle  espiazioni.  Primiera- 
mente passano  gli  ebrei  la  notte, 
che  precede  tal  festa,  nella  sinago- 
ga, intenti  nella  preghiera  e  negli 
esercizi  di  penitenza.  Si  vestono 
d'abiti  di  lutto,  di  bianco  o  di  ne- 
ro, ed  alcuni  indossano  l'abito  con 
cui  bramano  essere  seppelliti.  Van- 
no alla  sinagoga  senza  scarpe  e 
senza  calze,  ed  ivi  fanno  quattro 
preghiere  solenni,  cioè  alla  matti- 
na, al  mezzodì,  al  vespero  ed  alla 
sera.  Quando  è  notte,  e  veggonsi 
le  stelle,  suonano  il  corno  per  in- 
dicare che  il  digiuno  è  terminato, 
e  ritornando  allora  alle  proprie 
abitazioni,  si  vestono  di  abiti  bian- 
chi, e  rompono  il  digiuno  osser- 
vato per  tutta  la  giornata ,  ed 
in  quel  giorno  si  riconciliano  reci- 
procamente. Sogliono  confessarsi  si- 
no a  dieci  volte  in  un  giorno,  prin- 
cipiando dalla  vigilia  avanti  cena, 
in  memoria  del  nome  di  Dio,  che 
per  altrettante  volte  pronunziava  il 
sommo  sacerdote.  V.  su  questa  fe- 
sta il  Sarnelli,  Lettere  ecclesiasti- 
che, tomo  IV,  lettera  XXVII,  che 
la  chiama  Chipurim,  cioè  della  pro- 
piziazione, anche  in  espiazione  del 
peccato  commesso  dagli  ebrei  nel 
deserto,  adorando  il  vitello  d'oro. 
I  greci  e  i  romani  facevano 
espiazioni ,  col  mezzo  delle  quali 
pretendevano  di  purificare  i  colpe- 
voli ,  ed  anche  i  luoghi  profani. 
L'espiazioni  presso  gli  antichi  ro- 
mani consistevano  in  alcune  ceri- 
monie particolari,  colle  quali  inten- 
devano placare  Tira  di  Dio  mani- 
festata con  alcuni  prodigi.  Vi  ave- 
vano però  diverse  sorta  di  espia- 
zioni, e  ciascuna  aveva  cerimonie 
proprie.  Le  principali  erano  quelle 
che  si  praticavano  in  occasione  di 


ESP  101 

qualche  omicidio,  allorché  si  vede- 
va nel  cielo  qualche  prodigio,  ed 
allorché  espiare  volevansi  le  città, 
gli  eserciti,  i  templi ,  ec.  Apollo- 
nio Rodio  ha  minutamente  descrit- 
te tutte  le  cerimonie  delle  espia- 
zioni  pegli  omicidii,  ch'erano  le  più 
gravi  sino  dai  secoli  eroici.  Diffe- 
renti erano  le  cerimonie  romane 
da  quelle  de'  greci  sull'  espiazione, 
e  le  storie  ce  ne  danno  ampie  de- 
scrizioni. 

ESPINAY  (d')  Andrea,  Cardi- 
nale. Andrea  d' Espinay  nacque  di 
nobilissimo  lignaggio  nella  bassa 
Bretagna.  Fu  abbate  di  s.  Croce 
di  Bordeaux,  canonico  di  quella 
metropolitana,  priore  di  s.  Marti- 
no de'  Campi  a  Parigi,  e  licenzia- 
to nel  diritto  canonico.  Nel  i479> 
Sisto  IV,  per  favore  del  re,  lo  pre- 
pose alla  Chiesa  di  Bordeaux,  ed 
Innocenzo  Vili  nel  148 3  lo  creò 
a'  9  marzo  prete  Cardinale  di  s. 
Martino,  indi  per  singoiar  distin- 
zione gli  spedì  in  Francia  il  cap- 
pello cardinalizio,  destinando  per 
darglielo,  il  nunzio  di  quel  regno 
Leonello  Cheregato.  Alessandro  VI, 
nel  1 499,  Io  trasferì  all'arcivescovato 
di  Lione,  ma  gli  concesse  di  tenere 
ben  anco  la  Chiesa  di  Bordeaux  ; 
quindi  fu  nominato  governatore  di 
Parigi.  Fu  accettissimo  al  re  di  Fran- 
cia Carlo  Vili  e  Luigi  XII,  ai  quali 
rese  importanti  servigi.  Accompa- 
gnò Carlo  Vili  quando  prese  pos- 
sesso del  regno  di  Napoli,  e  nella 
battaglia  di  Fornonovo ,  accaduta 
nel  i49^>  colla  croce  nelle  mani, 
e  colla  mitra  in  testa,  volle  star- 
sene sempre  accanto  del  re.  Ripro- 
vò poi  altamente  la  condotta  di 
quegli  ecclesiastici ,  che  avevano 
prese  le  armi  contro  il  nemico,  in- 
segnando loro ,  che  pei  sacerdoti 
l'arme  più  sicura  è  la   croce.    Nel 


io2  ESS 

1 4^5  s*  era  trovato  presente  all'as- 
semblea del  clero  gallicano.  Mori 
in  Parigi  nel  castello  di  Tournel- 
les  l'anno  i5oo ,  e  fu  sepolto  nella 
chiesa  dei  celestini  presso  1'  altare 
maggiore. 

ESPOSIZIONE  dbl  SS.  Sacra- 
mento dell'Eucaristia.  V.  Euca- 
ristia §  IV.  Delle  esposizioni  della 
SS.  Eucaristia. 

ESSENI  o  ESSENIANI  (Essaci). 
Setta  celebre  fra  i  giudei  verso  il 
tempo  di  Gesù  Cristo.  Lo  storico 
Gioseffo  parlando  delle  diverse  set- 
te del  giudaismo,  ne  annovera  tre 
principali,  i  farisei,  i  saducei,  e  gli 
esseni,  ed  aggiunge  che  questi  ul- 
timi erano  di  origine  giudei;  per- 
ciò equivocò  s.  Epifanio  quando 
gli  annoverò  fra  le  sette  samarita- 
ne; il  loro  modo  di  vivere  si  av- 
vicinava molto  a  quello  de'  filosofi 
pitagorici.  Siccome  menavano  una 
vita  austera  ed  erano  divisi  dagli 
altri,  alcuni  li  riguardarono  come 
scismatici,  non  volendo  gli  esseni 
neppure  sagrificare  nel  tempio,  van- 
tandosi in  vece  di  praticare  ceri- 
monie più  sante.  In  quanto  ai  co- 
stumi furono  lodati  da  tutti,  e  te- 
nuti pei  più  virtuosi,  onde  anche 
i  pagani  ne  fecero  encomio.  Quelli 
però  dei  quali  parla  Filone,  sono 
differenti  da  questi,  perchè  secon- 
do il  sentire  di  s.  Girolamo,  parla 
Filone  dei  cristiani  di  Egitto,  di- 
scepoli di  s.  Matteo,  sotto  nome 
pure  di  esseni,  pensando  di  lodare 
la  sua  nazione,  mentre  vedeva  quel- 
la chiesa  ancora  giudaizzante.  Era- 
no chiamati  Essei,  o  Jessei  da  Ge- 
sù nostro  Salvatore ,  o  da  les- 
se padre  di  Davide ,  su  di  che 
va  letto  quanto  dicemmo  al  volu- 
me XVIII,  pag.  202  del  Diziona- 
rio. V.  il  p.  Calmct  nella  Biblio- 
teca sagra,    al    titolo:   Setta   degli 


EST 

Ebrei,    nel     suo    Dizionario    della 
Bibbia,  alla  parola  Esseniani. 

ESTAIN  (<T)  Pietro,  Cardi- 
nale. Pietro  d'Estain,  nobile  fran- 
cese, nacque  nel  castello  di  Estai n, 
diocesi  di  Rodez.  Fu  monaco  be- 
nedettino, e  poi  vescovo  di  s.  Flour, 
donde  nel  i368  fu  trasferito  al- 
l'arcivescovato di  Bourges.  Urbano 
V,  a' 7  giugno  1370,  lo  creò  prete 
Cardinale  di  s.  Maria  in  Trastevere, 
dalla  quale  passò  al  vescovato  di 
Ostia.  Indusse  con  altri  Cardina- 
li Gregorio  XI  a  trasferini  colla 
corte  in  Roma,  ed  ivi  egli  pure 
morì  nel  1377,  pie**0  di  meriti 
pegl'  incorrotti  suoi  costumi,  e  per 
l'ammirabile  sua  destrezza  nel  ma- 
neggio dei  più  difficili  affari,  e  di 
gloria  per  le  sue  legazioni  in  Ita- 
lia eseguite  con  gran  vantaggio 
della  santa  Sede. 

ESTAMPES  (d')  Achille,  Car- 
dinale. Achille  d'Estampes  di  Va- 
lensè,  nacque  in  Tours  di  nobile 
famiglia  nel  i584-  Fanciullo  anco- 
ra, fu  ascritto  all'Ordine  religiosa 
gerosolimitano,  e  nell'età  d'  anni  di- 
ciassette cosi  era  divenuto  esperto  nel 
combattere,  che  nell'assedio  di  Mal- 
ta, posto  dai  turchi,  egli  guerreggiò 
con  virile  calore  fino  a  che  vinto 
dalie  gravi  ferite,  e  perduta  la  me- 
tà d'un  orecchio  per  un  colpo  di 
moschetto,  depose  le  armi.  Riavu- 
tosi poi  in  sanità,  militò  nelle  Fian- 
dre e  nelle  Gallie;  e  nell'assedio 
di  Montalbano,  contro  gli  ugonotti 
riportò  quattro  mortali  ferite.  Si 
volle  premiare  il  di  lui  valore,  e 
venne  tosto  avanzato  al  grado  di 
capitano.  Passò  quindi  a  militare 
in  qualità  di  generale  sotto  le  ban- 
diere di  Carlo  Emanuello  duca  di 
Savoia,  dove  in  una  sortita  da  lui 
fatta  nell'assedio  di  Verrua,  contro 
gli  spagnuoli,    riportate  otto    ferite 


EST 

ed  abbandonato  da'suoi,  fu  fatto 
prigioniero  di  guerra.  Ricuperata 
poi  la  sua  libertà,  servi  in  quali- 
tà di  ammiraglio  al  re  Cristianis- 
simo, nel  famoso  assedio  della  Ro- 
cella,  dove  fece  tali  prodigi  di  va- 
lore, che  atterriti  gl'inglesi  non  osa- 
rono di  aiutare  gli  ugonotti,  e  la 
piazza  fu  ridotta  all'obbedienza  del 
legittimo  principe.  A  questo  fatto 
si  richiedeauna  ricompensa  ben  gran- 
de, e  in  vero  fu  egli  subito  dichia- 
rato generalissimo  di  tutte  le  trup- 
pe francesi.  Nelle  controversie  in- 
sorte tra  Luigi  XIII  e  la  madre 
di  lui,  l'Eslampes  tenne  il  partito 
di  questa,  e  n'ebbe  anzi  il  coman- 
do della  fortezza  ;  ma  temendo 
poscia  lo  sdegno  del  Cardinale  di 
Richelieu,  ritirossi  in  Malta,  dove 
diede  eguali  segni  del  suo  invitto 
valore.  Da  Malta  fu  chiamato  a 
Roma,  e  il  Pontefice  gli  affidò  il  suo 
esercito  sotto  la  dipendenza  del  Cardi- 
nal Barberini  per  la  guerra  d'Italia. 
Sotto  la  di  lui  condotta,  le  squadre 
pontificie  guerreggiarono  cosi  van- 
taggiosamente che  Urbano  Vili,  qual 
degna  ricompensa,  lo  vestì  della  sa- 
gra porpora,  dichiarandolo  a'  1 3  lu- 
glio i643  Cardinale  diacono  di  s.  A- 
driano.  Fece  due  volte  il  viaggio  di 
Francia;  ma  nella  prima  gli  fu  inti- 
mato di  non  entrare  neppur  in  Pa- 
rigi, che  troppo  il  re  era  adirato  con- 
tro di  lui  per  aver  imbrandite  le  ar- 
mi contro  il  duca  di  Parma  ;  nella 
seconda  poi  fu  ammesso  all'udienza, 
ma  senza  poter  ottenere  quello  che 
domandava.  Consumato  dalle  fati- 
che, morì  in  Roma  nel  1646,  e 
fu  sepolto  nella  chiesa  di  s.  Ma- 
ria della  Vittoria,  senza  alcuna  iscri- 
zione. 

ESTASI  (  Extasi s3  raptus  ani- 
mi extra  sensus).  Rapimento  dello 
spirito,  situazione  nella  quale  l'uo- 


EST  io3 

ino  è  come  trasportato  fuori  di  sé 
stesso  in  modo  che  sono  sospese  le 
funzioni  de'  suoi  sensi.  Il  rapimen- 
to di  s.  Paolo  al  terzo  cielo  era 
un'  estasi.  Abbiamo  dalla  storia  ec- 
clesiastica, e  dalle  vite  de'  servi  di 
Dio,  che  questi  furono  rapiti  in 
estasi  per  lungo  tratto  di  tempo, 
e  persino  per  intere  giornate.  Pu- 
re la  menzogna  e  l' impostura  pos- 
sono imitare  l'estasi  reale.  Mao- 
metto persuase  gli  arabi  ignoranti, 
che  i  parosismi  di  epilesia  cui  era 
soggetto,  erano  estasi  nelle  quali 
riceveva  le  divine  rivelazioni.  Di- 
cesi estasi  contemplativa ,  quando 
in  certe  persone  sono  sospese  le 
funzioni  de'  sensi  esterni,  gli  orga- 
ni interni  s' infiammano  ,  si  agita- 
no, e  mettono  l'anima  in  uno  sta- 
to di  riposo,  di  quiete,  che  le  sem- 
bra assai  dolce.  Siccome  ciò  in  al- 
cuni può  essere  effetto  di  tempe- 
ramento, devesi  usare  molta  pru- 
denza prima  di  decidere,  che  que- 
sto sia  un  effetto  soprannaturale 
della  grazia,  ed  una  elevazione  del- 
l'anima a  Dio. 

ESTE  (d')  Ippolito,  Cardinale. 
Ippolito  d'Este  detto  I  0  seniore, 
dei  duchi  di  Ferrara,  nacque  nel 
1478.  Sortì  le  più  felici  disposizioni 
naturali ,  e  giunto  appena  all'  età 
di  sette  o  nove  anui,  per  insinua- 
zione di  Beatrice  sua  zia,  e  moglie 
del  re  Mattia  d'  Ungheria  ,  fu  no- 
minato da  questi  ad  arcivescovo 
di  Strigonia.  Però  Innocenzo  Vili 
ricusato  avea  sulle  prime  di  con- 
fermare tale  prematura  elezione; 
ma  essendosi  egli  recato  in  Roma 
col  duca  Ercole  I  suo  zio,  ricevette 
la  pontifìcia  approvazione;  col  pat- 
to però  che  non  gli  fosse  data  l'e- 
piscopale consegrazione  prima  della 
età  canonica.  Per  sette  anni  si  trat- 
tenne presso    di    quel    sovrano,    e 


io4  EST 

colle  sue  gentili  ed  insinuanti  ma- 
niere si  rese  universalmente  ap- 
plaudito ed  amato.  Colà  apprese 
assai  bene  l'arte  militare,  e  riuscì 
a  meraviglia  nel  maneggiare  le  ar- 
mi più  difficili,  come  nel  coman- 
dare e  diriger  le  truppe.  In  età  di 
quindici  anni,  a'2i  settembre  i49^, 
fu  creato  da  Alessandro  VI  diacono 
Cardinale  di  s.  Lucia  in  Selci  ;  e 
a  titolo  di  commenda ,  come  si 
postumava  frequentemente  in  quei 
tempi ,  gli  vennero  assegnate  pa- 
recchie metropolitane  e  cattedra- 
li ;  anzi  il  prefato  Pontefice ,  nel 
1497,  gli  conferì  per  opera  di  Lo- 
dovico Moro,  la  chiesa  stessa  di 
Milano,  da  lui  governata  per  lo 
spazio  di  tredici  anni;  e  nel  i5o2, 
la  chiesa  di  Capua.  Pio  IH  ami- 
cissimo della  casa  d' Este,  un  anno 
dopo,  gli  diede  la  chiesa  di  Ferrara, 
e  nel  i5o7  Giulio  II  gli  conferì  il 
vescovato  di  Modena,  colla  dignità 
di  arciprete  della  basilica  vaticana, 
alle  quali  dignità  fu  aggiunta  l'ab- 
bazia di  Nonantola  con  qualche  al- 
tra. Recatosi  a  Roma  affine  di  rin- 
graziare Alessandro  VI  della  sua 
promozione  alla  porpora,  e  di  là 
quindi  partito  per  soddisfare  agli 
impegni  dell'alta  suo  condizione, 
vi  ritornò  poi  in  occasione  del  ma- 
trimonio del  principe  suo  fratello 
Alfonso  I  con  Lucrezia  Rorgia,  ed 
ivi  rimase  per  qualche  tempo.  Ma 
sotto  il  pontificato  di  Giulio  II  av- 
viatosi di  bel  nuovo  a  Ferrara , 
die  grande  aiuto  al  duca  Alfonso  I 
nei  pericolosi  cimenti  cagionati  dal- 
le armi  de'  veneziani  e  da  quelle 
del  Papa.  In  tale  incontro  si  di- 
resse con  tanta  prudenza  e  sveltez- 
za, che  meritossi  la  stima  de'  più 
gran  principi  dell'  Europa ,  e  sin- 
golarmente dell'imperatore  Massi- 
miliano, che  lo  regalò  di  graziosis- 


EST 

simi  doni,  e  gli  conferì  il  vicaria- 
to d'Italia,  nell'occasione  in  cui 
venne  spedito  col  carattere  di  le- 
gato a  Cesare,  come  eziandio  a 
Ladislao  re  di  Ungheria,  ed  a  Si- 
gismondo re  di  Polonia.  Sembra  che 
per  la  guerra  della  casa  d'Este  col 
Papa,  non  vi  fosse  un  perfetto  accor- 
do di  spirito  tra  lui  e  il  Pontefice 
Giulio  II.  E  infatti  chiamato  da  que- 
sto a  Roma,  finse  di  essere  stato 
assalito  da  grave  malattia  per  istra- 
da, e  così  deluse  il  Papa  presso  del 
quale  avea  saputo  colorir  molto 
bene  la  cosa.  Con  tuttociò  non  si 
tenne  abbastanza  sicuro  in  Italia, 
e  si  trasferì  quietamente  al  suo 
vescovado,  fattosi  con  un  pretesto 
chiamare  colà  dal  re  di  Ungheria. 
Che  egli  avesse  ragione  di  temere  il 
Pontefice,  lo  si  conobbe  di  poi  dalla 
maniera  onde  giustamente  venne  in 
Roma  trattato  il  duca  Alfonso  I.  Suc- 
ceduto però  Leone  X,  di  cui  go- 
deva la  più  intima  confidenza,  tor- 
nossene  a  Roma;  e  fatta  rinunzia 
della  chiesa  di  Milano ,  cangiò  la 
sede  di  Strigonia  con  quella  di  A- 
gria,  la  quale  non  obbligava  a  re- 
sidenza. Era  questo  Cardinale  mol- 
to amante  delle  arti  s  delle  scienze 
e  della  musica,  non  meno  che  de- 
gli esercizi  cavallereschi ,  ne'  quali 
profondeva  gran  parte  delle  sue 
rendite.  Manteneva  al  suo  servizio 
suonatori,  cacciatori,  buffoni  ed  al- 
tra gente  di  beli'  umore.  Stipen- 
diava eziandio  non  pochi  scienziati, 
oratori,  poeti;  cosicché  la  corte  di 
quel  libéralissimo  principe  si  potea 
dire  l'accademia  delle  scienze  e  delle 
arti.  Il  famoso  Lodovico  Ariosto,  ch'e- 
ternò la  memoria  di  questo  Cardinale 
nelle  sue  opere,  dopo  quindici  anni 
di  fedel  servitù,  perde  la  sua  gra- 
zia; ma  non  se  ne  seppe  mai  il 
vero  motivo.  Aveva  il  Cardinal  d'j^- 


EST 
ste  molte  belle  virtù  del  cristiano , 
oltre  ad  una  tenera  devozione  per 
la  beata  Vergine,  in  onore  della 
quale  ogni  giorno  recitava  l'officio, 
ed  ogni  anno  dotava  dieci  fanciul- 
le ;  egli  nudriva  una  singolare  ca- 
rità pei  poverelli,  che  ogni  di  pro- 
vedea  del  cibo  o  del  vestito.  Era 
poi  attaccatissimo  alla  santa  Sede,  e 
ne  diede  le  più.  chiare  prove,  quan- 
do nel  conciliabolo  di  Pisa  non 
volle  punto  aderire  alle  suggestioni 
dei  nemici  di  Giulio  II,  ohe  lo  ec- 
citavano a  dichiarategli  contrario. 
In  tale  incontro  si  condusse  con 
tale  saggezza,  che  la  corte  di  Fran- 
cia se  ne  chiamò  molto  contenta, 
e  assieme  a  qualche  altra  si  con- 
venne nello  assegnargli  il  glorioso 
titolo  di  sapiente.  Morì  in  Ferrara 
nel  i520,  e  fu  sepolto  in  quella  cat- 
tedrale; ma  nel  1607  venne  traspor- 
tato nella  medesima  chiesa  appiedi 
del  sepolcro  di  Urbano  III,  e  rin- 
chiuso in  un'urna  marmorea.  Scris- 
se la  battaglia  eh'  egli  stesso  con- 
dusse nel  dì  22  dicembre  i5og, 
alla  Policella ,  contro  alle  armate 
veneziane,  cui  sbaragliò  pienamen- 
te, e  spogliò  di  tredici  gallere  ed 
altri  legni  minori.  Tal  descrizione 
per  volontà  del  Cardinale  fu  vol- 
tata in  latino  dal  Calcagnini.  Di 
questo  magnanimo  Cardinale,  co- 
me degli  amplissimi  Cardinali  Ip- 
polito giuniore,  Luigi,  ed  Alessan- 
dro, se  ne  parla  molto  nell'articolo 
Ferrara  (Vedi),  ove  è  pure  la  sto- 
ria della  sovrana  casa  d'Este.  La 
vita  di  questo  Cardinale  fu  scritta 
con  grande  eleganza  da  Alessandro 
Sardi. 

ESTE  (d' )  Ippolito,  Cardina- 
le. Ippolito  d'  Este  detto  li  o  giu- 
niore, nipote  del  sullodato  Car- 
dinale, nacque  nell'anno  1 5oo,  , 
dalla   famiglia  dei  duchi  di  Ferra- 


EST  ,o5 

ra.  Si  coltivò  nelle  scienze  presso 
1'  università  di  Padova,  secondo  che 
ne  dicono  parecchi  autori,  o  piut- 
tosto in  Ferrara,  giusta  la  più  co- 
mune sentenza.  Frequentò  fino  da- 
gli anni  più  verdi,  oltre  la  corte 
paterna,  quella  ancora  di  Francia, 
e  ben  presto  crebbe  in  tutte  quelle 
doti,  le  quali  si  rendono  indispen- 
sabili al  governare.  Nel  i53o,  ebbe 
da  Paolo  III  l'arcivescovato  di  Lio- 
ne, e  nel  i5^6  la  chiesa  di  Au- 
tun.  Poi  Giulio  III  gli  conferì,  nel 
i55o,  la  metropolitana  di  Narbona, 
e  quattro  anni  dopo  quella  di  Aucb. 
Pio  IV,  nel  i562,  lo  assunse  alla 
sede  di  Arles;  ma,  nel  iSQj,  egli 
la  rinunziò  a  favore  di  Prospero 
Santacroce.  Ebbe  in  seguito  parec- 
chie abbazie;  ma  non  mai  la  chie- 
sa di  Ferrara,  come  alcuni  autori 
si  sono  adoperali  di  dimostrare.  Pel- 
le istanze  di  Francesco  I,  a'  20  di- 
cembre i538  fu  creato  da  Paolo  III 
diacono  Cardinale  di  santa  Maria 
in  Aquiro,  e  poscia  da  Giulio  III 
fu  fatto  governatore  di  Tivoli.  In 
appresso  venne  incaricato  della  le- 
gazione al  senato  veneto,  e  quindi 
presso  il  re  di  Francia  Enrico  II, 
ch'era  stretto  con  lui  in  parentela, 
dal  quale  ottenne  peculiar  protezio- 
ne a  favore  del  concilio,  che  allora 
celebravasi  in  Trento.  Finita  la  le- 
gazione, si  recò  nuovamente  in  Ro- 
ma ,  ed  ivi  ricevette  l' incarico  di 
governare  la  città  di  Siena  a  no- 
me del  re  di  Francia,  al  quale  s'era 
data  quella  città.  Pio  IV  Y  onorò 
per  due  volte  della  legazione  del 
Patrimonio,  e  di  quella  di  Germa- 
nia presso  T  imperatore  per  facili- 
tare la  via  della  pace.  Nella  va- 
canza della  santa  Sede  per  la  mor- 
te di  Paolo  III,  egli  era  quasi  per 
essere  eletto  Pontefice.  Questo  fat- 
to sarebbe  sufficiente  ad  annuncia- 


io6  EST 

re  quali  virtù  corredassero  la  bell'a- 
nima di  lui.  Infatti  era  libéralissi- 
mo co'  poveri,  generoso  assai  cogli 
uomini  di  merito,  cultore  delle 
scienze,  candido  ne'  costumi,  gran- 
de nelle  sue  idee,  e  celebre  assai 
pei  suoi  talenti.  A  tutto  ciò  univa 
poi  anche  una  splendidezza  nel  trat- 
to, un'  ospitalità  singolare,  e  molta 
prudenza  nel  maneggio  degli  affa- 
ri. In  Tivoli  con  somma  magnifi- 
cenza edificò  la  villa  d'Este,  cele- 
bre per  diversi  titoli ,  perchè  de- 
corata di  giardini,  di  fabbriche,  di 
un  palazzo  con  superbe  pitture,  ed 
ivi  accolse  anche  Enrico  II  di 
Francia,  che  trattò  con  isplendi- 
dezza  degua  di  tanto  sovrano.  Do- 
po la  sua  morte  quella  villa  venne 
in  potere  del  Cardinale  Luigi  suo  ni- 
pote, indi  del  Cardinale  Alessandro, 
che  dovette  poi  sostenere  una  lite 
col  Cardinale  decano  del  sacro  Col- 
legio, che  spiegava  non  pochi  di- 
ritti. La  veduta  di  questa  superba 
villa ,  della  quale  si  parla  all'  ar- 
ticolo Tivoli  (Fedi),  e  della  sua 
prospettiva ,  dà  al  palazzo  ed  al 
giardino  l'idea  d'un  castello  in- 
cantato, e  vuoisi  che  Torquato  Tas- 
so dimorando  in  questa  villa  alla 
splendida  corte  del  Cardinal  Ippo- 
lito II,  si  lasciasse  ispirare  da  que- 
sto delizioso  soggiorno  nella  descri- 
zione del  palazzo  di  Armida.  Non 
così  potè  accadere  all'Ariosto,  come 
alcuni  pretendono,  essendo  quell'in- 
signe poeta  morto  alcuni  anni  a- 
vanti  che  la  villa  fosse  fabbrica- 
ta. Mancò  a'  vivi  nel  i5ji3  e  da 
Roma  fu  trasferito  a  Tivoli,  e  se- 
polto nella  chiesa  di  s.  Maria  Mag- 
giore con  una  breve  iscrizione.  Ab- 
biamo di  lui  alcune  lettere  tradotte 
in  francese ,  che  dirette  aveva  al 
Papa  ed  al  santo  Cardinal  Borro- 
meo ,  tu  Ite    riguardanti   gli    affari 


EST 

che  gli  veui van  commessi.  Nel  to- 
mo   terzo    delle    vite    de'  principi , 
troviamo  anche  un'altra  sua  lette- 
ra al   vescovo  di  Caserta,  colla  da- 
ta i  gennaio   i562,  nella  quale  si 
legge    una    sua    discolpa    scritta  a 
cagione  di  una  certa  calunnia,  che 
gli  venne  data  presso  la  santa  Sede. 
Dal  cav.  Ercole  Cato  si  ha  V  Ora- 
zione falla  nelle  esequie   del  Car- 
dinal Ippolito  d'Esle,  che  fu  stam- 
pata a  Ferrara  pel  Baldini  nel  i  587. 
ESTE  (d')  Luigi,  Cardinale.  Luigi 
d'Este,  nipote  dell'anzidetto  Ippolito 
giuniore,  nacque  in  Arezzo  l'anno 
i5j8,    dalla    nobilissima    famiglia 
dei  duchi  di    Ferrara.    Giulio    III 
nel   i553  lo  creò  vescovo  della  sua 
patria.  Trasferitosi  poi    in  Francia 
presso  la  corte  di  Enrico  II,  otten- 
ne parecchie  abbazie  ed    anche  la 
chiesa  di   Auch ,    ri  inumatagli    dal 
detto  Cardinal  Ippolito  suo  zio.  Pio 
IV,  nel  concistoro  de'  26  febbraio 
i56i,  lo  creò  Cardinale  dell'ordi- 
ne de'  diaconi,  sebbene   assente,  e 
quindi    gli    diede    per    diaconia    la 
chiesa    de' ss.    Nereo   ed    Achilleo, 
e    dipoi    lo    fece    governatore    di 
Tivoli.    Quattro   anni    dopo  incon- 
trò a  Trento    la  sorella  dell'impe- 
ratore Massimiliano^  che  s'era  con- 
giunta   in   matrimonio    con    Alfon- 
so li   suo  fratello,  e  l'accompagnò 
sino  a  Ferrara.  Fu  poi  dichiarato 
protettore  della  Francia    presso  la 
santa  Sede,  e  in  quell'  ufficio  molto 
si    adoperò    per    la    concordia   dei 
principi  co'Pontefici  s.  Pio  V  e  Gre- 
gorio   XIII.    Per    commissione    di 
questo  Pontefice,  fece  due  volte  il 
viaggio  della  Francia  ;  nella  prima 
delle  quali,   vivente  Carlo  IX  ,  in- 
tervenne ad   un'  assemblea  a  nome 
della  sede  Apostolica  ,    e   nella  se- 
conda si  accinse  a  persuadere  En- 
rico III,  afliuchè  non  prestasse  al- 


EST 

cun  aiuto  al  suo  fratello  ii  duca 
di  Aleuson,  il  quale  faceva  guerra 
nelle  Fiandre  a  Filippo  11  re  di 
Spagna,  e  si  riconciliasse  piuttosto 
con  quel  monarca.  Presiedette  an- 
cora all'assemblea  del  clero,  tenu- 
ta in  Blois,  e  si  distinse  in  ogni 
incontro  pel  suo  intemerato  amore 
alla  giustizia  e  all'  equità.  Dimes- 
sa la  sua  diaconia,  ottenne  quella 
di  s.  Maria  in  Via  Lata,  e  diven- 
ne cosi  il  primo  dei  Cardinali  dia- 
coni. Fu  protettore  dell'  Ordine 
de'  cisterciensi ,  de'  canonici  di  s. 
Giorgio  in  Alga;  e  nel  i58i  pro- 
tesse Giovanni  Leves  de  la  Cossiè- 
re  granmaestro  di  Malta,  con  molti 
altri  cavalieri,  che  s' erano  recati  in 
Roma  per  giustificarsi  d'una  ca- 
lunnia. Egli  li  ricevette  in  sua  ca- 
sa a  Monlegiordano,  e  li  trattò 
con  molto  splendore,  somministran- 
do il  vitto  ancora  alle  persone  del 
loro  seguito,  che,  secondo  il  Car- 
della,  ascendevano  a  mille.  Fu 
mecenate  de'  letterati ,  ma  non  me- 
no benefattore  de'  poveri,  anzi  ver- 
sava nel  loro  seno  gran  somme  di 
danaro,  e  ne  prestò  ancora  a  tal 
oggetto  al  Cardinal  Osio,  che  da- 
va tutte  le  sue  sostanze  in  patri- 
monio dei  miseri.  Racconta  il  Sal- 
viati,  che  tra  le  altre  sue  benefi- 
cenze, diede  eziandio  cinquecento 
fiorini  ad  un  certo,  che  spinto  dal 
bisogno  aveva  derubato  nella  casa 
di  lui  qualche  materiale.  Riscosse 
questo  Cardinal  d'Este  le  più  bel- 
le lodi  de'  suoi  contemporanei,  che 
lo  dicevano  il  lume  del  sacro  se- 
nato, l'ornamento  della  corte  ro- 
mana, e  il  tesoriere  de'  poveri.  Po- 
se fine  a'  suoi  giorni  in  Roma  nel 
i586,  dopo  venticinque  anni  di 
Cardinalato.  Trasferito  a  Tivoli,  fu 
sepolto  nella  Chiesa  di  s.  Maria 
Maggiore  de' minori  osservanti,  con 


EST  107 

una  brevissima  iscrizione  postavi  da 
Cesare  d'Este,  che  fu  poi  duca  di 
Modena.  Da  Leonardo  Salviati  si 
ha  T  Orazione  delle  lodi  di  d.  Lui- 
gi d' Este  Cardinal 3  Firenze  1587; 
e  da  Sebastiano  Forno  Ardesi,  1 
Vari  lamenti  d'Europa  nella  mor- 
te di  d.  Luigi  Cardinal  d'  Estey 
Padova    i587. 

ESTE  (d')  Alessandro,  Cardina- 
le. Alessandro  d'Este,  cugino  di  Al- 
fonso 11,  duca  di  Ferrara,  e  fratello 
di  d.  Cesare  duca  di  Modena^  nacque 
nel  i568.  Cresciuto  negli  anni,  le 
belle  qualità  della  sua  persona  si 
svilupparono  per  maniera  ,  che  in 
breve  divenne  l'ammirazione  degli 
stessi  precettori  di  lui.  Era  di  modi 
soavissimi,  di  presenza  avvenente, 
e  d' ingegno  acutissimo.  Studiò  iu 
Padova  le  lettere  e  le  scienze,  e 
specialmente  quella  delle  leggi.  A- 
rnava  assai  gli  uomini  colti,  ed  anzi 
con  loro  era  sempre  impegnato 
nella  conversazione.  Clemente  Vili, 
nel  concistoro  de'  3  marzo  1 599,  lo 
creò  diacono  Cardinale  di  s.  Maria  in 
Via  Lata,  e  poscia  governatore  di 
Tivoli.  Visse  in  Roma  con  {splen- 
dida magnificenza,  e  fatto  di  poi 
ritorno  in  patria,  si  trasferì  in  Ispa- 
gna  a  visitare  Filippo  III,  dal  quale 
fu  accolto  con  sommo  onore.  Nel 
1621,  Gregorio  XV  lo  promosse 
al  vescovato  di  Reggio,  dove  mo- 
strò un  incomparabile  zelo  per  la 
salute  del  suo  popolo,  e  pei  van- 
taggi del  pubblico.  Visitò  la  diocesi, 
celebrò  sinodi ,  tolse  abusi ,  stabili 
regolamenti,  corresse  errori,  regolò 
la  clausura  delle  monache,  e  pre- 
pose degli  eccellenti  parrocchi  alla 
cura  del  suo  gregge.  Per  la  inter- 
cessione di  lui  i  chierici  regolari 
teatini  furono  introdotti  in  Mo- 
dena, e  ben  assai  provveduti.  Ne- 
gli   ultimi    anni  della  sua  vita  fis- 


io8  EST 

so  di  nuovo  il  suo  soggiorno  in 
Roma ,  dove  trattassi  con  mol- 
ta splendidezza  ;  ma  sofferendo  as- 
sai delia  salute ,  si  recò  a  Tivoli 
per  respirare  un' aria  migliore  ;  ed 
ivi  sorpreso  da  gravissima  malattia 
si  fece  portare  in  Roma,  dove, 
l'anno  1624,  spirò  nel  bacio  del 
Signore.  Il  cadavere  di  lui  fu  tras- 
ferito a  Tivoli ,  e  venne  sepolto 
nella  chiesa  di  s.  Maria  de*  minori 
osservanti  francescani,  presso  al  Car- 
dinal Luigi  d'Este.  Lasciò  alla  sua 
cattedrale  dei  doni  assai  preziosi , 
e  tutta  la  suppellettile  della  sua 
cappella  domestica. 

ESTE  (d')  Rinaldo,  Cardinale. 
Rinaldo  d'Este,  de'duchi  di  Mode- 
na, nacque  nel  1618.  Negli  anni  pri- 
mi di  sua  vita  si  dedicò  alla  carriera 
delle  armi,  e  molto  dava  a  sperare  di 
se  per  la  sperienza  ed  abilità  som- 
ma che  vi  mostrava,  e  per  l'acuto 
suo  intendimento,  e  forte  coraggio. 
Abbracciò  poscia  lo  stato  ecclesia- 
stico, e  venne  ad  istanza  dell'impe- 
ratore a'  io  luglio,  ovvero  a'  16  di- 
cembre 1641  creato  da  Urbano  Vili 
diacono  Cardinale  di  s.  Nicolò  in 
Carcere,  ed  ascritto  alle  congrega- 
zioni de'riti,  di  Propaganda,  de' ve- 
scovi e  regolari,  ed  altre.  Sebbene 
vivesse  in  mezzo  allo  splendore  del- 
la grandezza ,  pure  apparve  sem- 
pre sobrio,  pio,  continente  e  devo- 
to, come  pure  inalterabile  negl'in- 
contri sinistri.  Sembra  però,  da 
quanto  ne  scrive  il  Battaglini,  che 
fosse  d' un  carattere  alquanto  in- 
quieto. Alessandro  VII  lo  stimava 
assai,  e  i  due  Clementi  IX  e  X, 
per  l'esaltazione  de'quali  molto  con- 
tribuì, lo  amavano  teneramente.  Nel 
1 65 1 ,  creato  vescovo  di  Reggio  da 
Innocenzo  X,  si  mostrò  zelantissi- 
mo per  la  ecclesiastica  disciplina. 
Pose  le  fondamenta  ad  un  magnifl- 


EST 

co  episcopio,  ma  non  lo  vide  com- 
piuto. Trasferì  in  un  luogo  molto 
più  convenevole  le  sagre  reliquie 
de'santi  Grisanto  e  Daria.  Ma  oc- 
cupato assai  in  all'ari  di  altra  sor- 
ta, che  non  sono  gli  ecclesiastici, 
rinunziò  la  sede  nel  1 66 1  sotto  Ales- 
sandro VII,  riservandosi  una  pen- 
sione di  duemila  scudi,  e  l'uso  del 
palazzo  episcopale.  Aveva  contem- 
poraneamente ottenuto  il  vescovato 
di  Montpellier;  ma  Innocenzo  X, 
quantunque  sulle  prime  glielo  avesse 
accordato,  pur  volle  che  lo  dimet- 
tesse. Era  però  provveduto  di  pa- 
recchie abbazie  in  Italia  e  in  Fran- 
cia, e  tra  le  altre  quella  di  Clu- 
gny.  Fu  anche  protettore  della 
Francia  presso  la  s.  Sede.  Dimessa 
la  sua  diaconia,  ottenne  successiva- 
mente nel  167  1  da  Clemente  Xil 
vescovato  di  Palestrina;  ma  l'anno 
seguente  egli  compì  la  mortale 
carriera  in  Modena ,  ed  ivi  ebbe 
tomba  nella  chiesa  de' cappuccini. 

ESTE  (d')  Rinaldo,  Cardinale. 
Rinaldo  d' Este,  anch'esso  de'duchi 
di  Modena,  e  nipote  del  preceden- 
te, nacque  in  detta  città  a'  2 5  giu- 
gno i655.  Essendo  ancor  vivi  nel- 
la curia  romana  gli  affronti  recati 
ad  essa  dal  Cardinal  suo  zio  nel 
pontificato  di  Alessandro  VII,  pel 
notissimo  trambusto  de'  soldati  cor- 
si, e  dell'  ambasciatore  di  Francia 
Crequì ,  in  nessun  conto  volevasi 
il  nostro  Rinaldo  decorarsi  del  Car- 
dinalato. Quindi  per  le  vive  istan- 
ze del  suo  cognato  Giacomo  II  re 
cattolico  d'Inghilterra,  a'  2  settem- 
bre del  1686,  fu  creato  da  Inno- 
cenzo XI,  diacono  Cardinale  di  8. 
Maria  della  Scala.  Ma  essendo 
morto  nel  1 694  senza  successione  il 
di  lui  fratello  Francesco  II  duca  di 
Modena,  egli,  che  non  avea  ancora 
ricevuti  gli  ordini  sacri,  a'  2 1   mari 


EST  EST                   109 
zo   1695  dimise  la  porpora  Cardi-  stro  delle  sentenze  è  una   delle  mi- 
nalizia,  e  sposò  Carlotta  di   Brun-  gliori  teologie  che  abbiamo, 
svich  duchessa  di  Annover,  cognata  ESTOJN   Adamo,   Cardinale.    A- 
del  re  de'  romani,  per    continuare  damo  Eston,  nato  di  oscura  fami- 
la  successione    della    sua   nobilissi-  glia  nella  contea    di  Herford    nel- 
ma  famiglia.  Dopo  avere  ottenuto  l'Inghilterra,  professò  ancor  giova- 
da    essa    numerosa    prole,    il  duca  netto  nell'Ordine  benedettino  pres- 
Rinaldo  morì    di  apoplessia    a'  26  so  il  monistero    di  Nordvich.    Cre- 
ottobre    1737   d'anni  ottantadue.  sciuto  nella  pietà  del  pari  che  nel 
ESTEVENS    (d')    Giovanni    Al-  sapere,  lesse  teologia    nell'universi- 
fonso,  Cardinale.  Giovanni  Alfonso  tà  di  Oxford  ;  poscia  fu  nominato 
d'Estevens    nacque    in    Àzambuja ,  vescovo  di  Londra,  e  per  le  istan- 
castello    di    Portogallo,    diocesi    di  ze  di    Riccardo    II,  creato    da  Ur- 
Lisbona.  Sulle    prime  si  diede  alla  bano  VI,    a'  18    settembre    1878, 
carriera  delle  armi;  ma  poscia  da-  prete  Cardinale  di  s.   Cecilia.  Cad- 
tosi  allo  stato  ecclesiastico,  fu  prò-  de  in    sospetto  di  tradimento   con- 
mosso  al    vescovato    di    Silves  nel  tro    il    Pontefice  ,    e    perciò    nel 
1389,    dopo    due    anni    fu  trasfe-  1 385     fu   carcerato    nella   città  di 
rito    a    quello    di    Porto ,    poscia  Nocera  de'  Pagani  con  altri  cinque 
a  quello  di   Coimbra,  e  nel   1402,  Cardinali.  Vuoisi  che  desse  fonda- 
alla    metropolitana  di  Lisbona.  Fu  mento  a  tali    sospetti,    l'aver   lui 
due   volte    ambasciatore  in    Roma,  scritte    in    cifra  alcune    lettere     a 
Giovanni  XXIII  lo  creò  prete  Car-  Carlo  Durazzo  ,    re    di    Napoli,  le 
dinaie  di  s.   Pietro    in  Vincoli,  nel  quali  non  poterono  da  alcuno  ve- 
concistoro  de'  6  giugno  14.11.  Mo-  nir  mai  esplicate.  Siasi  però  la  co- 
ri nel   i4*5,   in  Bourges,  città  del-  sa  comunque  si  voglia,  egli   è  cer- 
le    Fiandre,    stimato  per    uomo  di  to  che,  sebbene  venisse   lasciato  in 
rara  prudenza  e  di  letteratura   di-  libertà  sotto  la  custodia  di  un  che- 
stinta,  rico  di    camera ,    di    nazione    fran- 
ESTIO  Guglielmo,  di  Gorenna  cese,    fu  nondimeno    deposto    dalla 
in  Olanda,  di  nobile  famiglia,  fece  di    lui    dignità.    Bonifacio    IX  pe- 
i  suoi  primi  studi  ad  Utrecht,  ed  rò ,    conosciuta   meglio    la  cosa ,  lo 
apprese    la    filosofia    e    teologia    a  restituì  ai  perduti  onori,  e  scrisse  al- 
Lovanio.  Nell'anno  i58oebbela  lau-  cune  lettere  vantaggiosissime  al  par- 
rea   di  dottore    in    teologia    nella  lamento    d'  Inghilterra.    Morì   con 
stessa  città.  Accadde  la  sua  morte  fama    di    singoiar    virtù    in  Roma 
a  Douay  nel  161 3,  mentre   conta-  nel    1398,    ed    ebbe   sepolcro    nel- 
va  setlantadue  anni  di  età.  Abbia-  la  sua  chiesa    titolare.    Due   secoli 
mo  di    lui  molte    dotte   opere    in  circa    dopo  la    di    lui    deposizione, 
latino.   1 .°  La  Storia  de  martiri  di  smosso  il  terreno  di    quella  chiesa 
Gorenna,    uccisi    nella   rivoluzione  per  istabilire  il   nuovo    pavimento, 
che  il  calvinismo  cagionò    in   quel  fu  trovata  la  salma  incorrotta,  che 
paese;  i.°  Alcuni  Commentari ,  in  1  venne  trasferita  con  grande   onore 
volumi  in  foglio;  3.°   Osservazioni  al  lato  sinistro  della  porta  di  quel- 
sui  passi  difficili  della  sagra  Scrit-  la  chiesa,  dove  si  vede  il  suo  an- 
tura3  stampati  a  Douay  ed  in  An-  tico  mausoleo,  colla  statua  rappre- 
versa.  Il  suo  commentario  sul  mae-  sentante  il  Cardinale  in  abili  pon- 


no  r.ST 

tificali  giacente  sull'urna.  L'Eston 
conosceva  assai  bene  le  lingue  o- 
rientali,  e  produsse  molte  opere 
sulla  divina  Scrittura,  facendone 
ancora  una  versione  dall'ebreo; 
cosa  che  da  s.  Girolamo  fino  a  quei 
tempi  non  era  stata  eseguita  da  alcun 
altro  autore.  Compose  ancora  l'uffi- 
zio per  la  festa  della  Visitazione 
di  Maria  Vergine,  come  si  può  ve- 
dere in  Lambertini,  De  feslis,  ec, 
la  cjual  festa  era  stata  istituita  da 
Urbano  VI  per  ottenere  1'  estinzio- 
ne dello  scisma  che  devastava  la 
Chiesa. 

ESTOUTEVILLE  Guglielmo  , 
Cardinale.  Guglielmo  de'  signori 
d'Estouteville  e  Vallemont,  di  san- 
gue regio,  nacque  in  Normandia  l'an- 
no 1402.  Professò  nel  monistero  del- 
la Congregazione  di  Clugny,  fu  dotto- 
re in  legge  canonica,  e  priore  di  s. 
Martino  de'  Campi  presso  Parigi.  In 
seguito  venne  arricchito  colle  pre- 
bende di  molte  chiese,  la  prima 
delle  quali  fu  quella  di  Mirepoix 
nella  Linguadoca,  che  ottenne  da 
Eugenio  IV  nel  1 4^  i,  e  ritenne 
per  due  soli  anni  ;  quella  di  Di- 
gne  nella  Provenza,  ch'ebbe  nel 
i43g,  e  possedè  fino  al  i44^; 
quella  di  Nimes,  che  gli  fu  confe- 
rita nel  i44*>  e  dipoi  nel  i45o 
ebbe  quella  di  Lodève  da  Nicolò 
V;  nel  i^5i  quella  di  Muriena 
nella  Savoja;  e  un  anno  dopo  il 
vescovato  di  Roano.  Alcuni  vorreb- 
bero che  avesse  avuta  anche  la 
chiesa  di  Béziers,  ma  pare  cosa 
più,  probabile  che  l'ottenesse  a  so- 
lo titolo  di  commenda.  Quando 
era  vescovo  di  Lodève,  istituì  nel- 
la chiesa  di  s.  Genesio  la  confra- 
ternita della  ss.  Annunciata,  e  re- 
stituì alla  cattedrale  di  Digne  tut- 
te le  rendite  che  aveva  da  essa 
percepite,  perchè  non  avea  assunto 


EST 
mai  il  reggime  di  quella  diocesi.  Ad 
istanza  del  re  cristianissimo,  a'  18  di- 
cembre 1439,  da  Eugenio  IV  fu 
creato  prete  Cardinale  di  san  Mar- 
tino; ma  egli  non  volle  assumere 
la  sacra  porpora,  se  prima  non 
ottenne  di  reggere  contemporanea- 
mente la  chiesa  di  Angers.  Nel  1 452, 
Nicolò  V  lo  spedi  legato  a  laterc 
presso  i  re  di  Francia  e  d'Inghil- 
terra per  conchiudere  tra  loro  la 
pace;  ma  tutto  fu  inutile.  In  quel- 
1'  occasione  però  diede  riforma  al- 
l'università  di  Parigi  ;  cosa  che  gli 
meritò  il  titolo  di  ristauratore  del- 
le lettere  e  delle  scienze.  Carlo 
VII,  re  di  Francia,  lo  desiderava 
suo  ambasciatore  presso  Calisto  IH; 
egli  però  non  volle  accettare  quel- 
l' incarico,  perchè  Io  credeva  in- 
compatibile col  suo  ministero.  Il 
re  nondimeno  l' ebbe  in  altissima 
stima,  ed  anzi  voleva  che  i  suoi 
ministri  in  Roma  non  imprendes- 
sero cose  di  grande  rilievo,  se  pri- 
ma noi  consultavano.  Il  Pontefice, 
valendosi  del  favore  che  godeva 
presso  quel  principe,  lo  mandò  in 
qualità  di  legato  presso  di  lui  af- 
fine di  eccitarlo  a  prender  parte 
nella  guerra  contro  i  turchi  ;  ma 
la  spedizione  riuscì  senza  effetto, 
perchè  il  re  dovea  impiegar  le  sue 
forze  nel  ricupero  della  Norman- 
dia e  della  Gujenna.  Fabbricò  in 
Roma  da'  fondamenti  la  chiesa  e 
il  convento  di  s.  Agostino  agli  ere- 
mitani, de'quali  aveva  la  protezione 
presso  la  santa  Sede,  e  ne  assegnò 
ancora  considerabili  rendite.  Quan- 
do era  arciprete  di  santa  Maria 
Maggiore,  risarcì  le  navi  laterali 
e  le  volte  di  quella  basilica,  do- 
nandole molti  sagri  vasi  d'argento 
e  d'oro,  e  parecchie  suppellettili  di 
gran  valore.  Abbellì  l'altare  della 
confessione,     e  l'ornò     di     quattro 


EST 

glandi  colonne  di  porfido  che  tut- 
tora esistono.  Fabbricò  anche  una 
cappella  dedicata  a'  santi  Michele 
Arcangelo  e  Pietro  Apostolo,  la 
quale  più  non  esiste,  ma  se  ne  ve- 
de però  qualche  traccia  nell' inter- 
no della  basilica.  Nel  14^2  con- 
sagrò solennemente  l'altare  della 
ss.  Annunziata  in  Firenze,  come  se 
ne  legge  memoria  in  quella  cap- 
pella. Sisto  IV  lo  elesse  Camerlen- 
go della  S.  R.  C,  carica  resa  va- 
cante per  la  morte  del  Card.  Or- 
sini. Fu  ancora  uno  di  que'  Car- 
dinali, che  accompagnarono  Pio  li 
i  n  Mantova.  Questo  Papa,  nel  1460, 
dal  vescavato  di  Porto,  che  aveva 
ottenuto  da  Nicolò  V,  lo  trasferì 
a  quello  di  Ostia  e  Velletri,  dove 
fabbricò  l'episcopio,  e  in  Cori,  cit- 
tà della  diocesi,  un  convento  di 
agostiniani.  Cessò  di  vivere  in  Ro- 
ma nel  i483,  ed  ebbe  la  tomba 
nella  chiesa  di  s.  Agostino.  Lasciò 
una  pingue  eredità  ai  suoi  nipoti, 
pei  quali  aveva  comperato  varie 
terre.  Nel  conclave  per  l'elezione 
di  Pio  li  poco  mancò  che  non  con- 
seguisse il  triregno  che  ambiva,  ri- 
manendo deluso  pei  motivi  che 
narrammo  al  volume  XV,  pag.  283 
del  Dizionario. 

ESTRÉES  (d')  Cesare,  Cardi- 
nale.  V.  Etrees. 

ESTREMA  UNZIONE.  Sagra- 
mento  istituito  per  sollievo  spiri- 
tuale e  corporale  degl'  infermi. 
Si  conferisce  loro  facendo  diverse 
unzioni  con  olio  benedetto  dal  ve- 
scovo nel  giovedì  santo  insieme 
col  crisma  e  1'  olio  de' catecumeni, 
accompagnate  da  certe  preghiere, 
che  esprimono  lo  scopo  ed  il  fine 
di  queste  unzioni.  V.  Olio  Santo. 
Meritamente  si  colloca  il  sagra- 
inento  della  estrema  unzione  dopo 
quello  della  penitenza,  di    cui  egli 


EST  1  ,  r 

è,  per  cosi  dire,  il  compimento  e 
la  perfezione,  ma  produce  lo  stesso 
effetto  in  riguardo  alla  cristiana 
vita  in  generale  rimirata,  dovendo 
essa  essere  una  perpetua  peni  lenza, 
giusla  l'espressione  del  concilio  di 
Trento,  sess.  14 ,  de  extr.  unct. 
L' estrema  unzione  è  un  sagramen- 
to,  che  contribuisce  a  procurare  la 
remissione  de' peccati  ai  fedeli  ma- 
lati pericolosamente,  che  dà  loro 
la  forza  di  ben  soffrire  e  ben  mo- 
rire, che  ravviva  loro  la  fede ,  e 
che  procura  loro  la  salute  ,  dove 
questa  sia  utile  all'anima  loro,  sic- 
come meglio  si  dirà.  Non  ministrasi 
ai  condannati  a  morte,  non  ispe- 
rando  essi  per  tal  mezzo  la  salu- 
te corporale.  Questo  sagramento 
non  ebbe  in  ogni  tempo  il  nome 
di  estrema  unzione,  ma  il  riportò 
dall'  abuso  introdotto,  e  troppo  co- 
munemente ricevuto  da  alquanti 
secoli  in  qua,  di  aspettare  agli  estre- 
mi a  riceverlo,  siccome  osserva  il 
p.  Chardon,  Storia  de'  sacramenti, 
tom.  II,  lib.  Ili,  dell'  Estrema  un- 
zione. 

5  I.  Denominazione  ,  natura  ed 
esistenza  della  estrema  unzione, 
e  suo  autore. 

L' estrema  unzione  è  chiamata 
dai  greci  olio  santo,  olio  con  ora- 
zione, perchè  1'  olio  n'  è  la  mate- 
ria. Dai  latini  si  chiama  olio  del 
sagro  crisma,  olio  di  benedizione, 
sagramento  della  sagra  unzione, 
unzione  degli  ammalati,  estrema 
unzione  perch'  è  l' ultima  unzione 
che  si  fa  sui  fedeli,  il  sagramento 
di  quelli  che  passano  da  questa 
vita  all'altra,  il  compimento  e  la 
consumazione  della  penitenza,  una 
celeste  medicina  per  l'anima  e  pel 
corpo.  In  un  antico  Manuale,  pres- 


uà  EST 

so  il  Borgia,  Memorie  t.  Ili,  pag. 
18  r,  si  contiene  l'ordine  Exlre- 
mae  unctionis,  e  secondo  tale  scrit- 
tore questo  sagramento  s' incomin- 
ciò così  a  chiamare  verso  la  line 
del  secolo  duodecimo,  poiché  pri- 
ma dicevasi  Sacramentimi  unctio- 
nis,  Unctio  infirmorum,  ec.  Alcu- 
ni attribuiscono  sì  fatto  cambia- 
mento di  nome  alla  variazione  al- 
lora seguita  dell'  antichissimo  rito 
di  ricevere  la  sagra  unzione  pri- 
ma del  sacrosanto  Viatico  (Vedi), 
con  posporla  a  questo,  chiedendola 
dopo.  Più  verosimile  però  sembra 
1'  opinione  di  quelli,  che  riferisco- 
no il  cambiamento  a  denotare  che 
questa  unzione  è  l'estrema  tra  quel- 
le cui  riceviamo,  prima  nello  sta- 
to di  catecumeni,  poi  quando  sia- 
mo battezzati ,  indi  nella  confer- 
mazione, e  finalmente  quando  sia- 
mo prossimi  a  far  passaggio  da 
questa  all'altra  vita.  Ed  in  fatti 
anche  dopo  che  l'uso  s'introdusse 
di  chiamare  questo  sagramento  E- 
strema  unzione,  leggesi  ammini- 
strata prima  del  viaLico ,  in  uno 
de'  più  antichi  documenti  presso  il 
Wabillon,  e  del  1209,  in  praefat. 
saec.  Is  Bcnedict.  n.  98. 

L' estrema  unzione  è  un  vero 
sagramento  della  legge  nuova.  Da- 
gli scritti  degli  apostoli  la  Chiesa 
trasse  ciò  che  crede  e  pratica  per 
rapporto  a  questo  sagramento.  Leg- 
giamo nel  XIV  versetto  del  V  ca- 
pitolo dell'  epistola  canonica  del- 
l'apostolo  s.  Giacomo:  «  S'infer- 
"  ma  alcuno  tra  voi?  chiami  i  sa- 
>>  cerdoti  della  Chiesa,  e  preghino 
>>  sopra  di  esso ,  facendogli  delle 
*>  unzioni  coli'  olio  nel  nome  del 
<>  Signore  ;  l' orazione  unita  alla 
»  fede,  salverà  l' infermo,  ed  il  Si- 
»  gnore  lo  solleverà,  e  se  ha  pec- 
*>  cati  gli    saranno   rimessi  ;    dun- 


EST 
»»  que    confessate    i    vostri  peccati 
«   gli  uni  agli  altri  ".   Il  concilio  di 
Trento    in    conformità   di    questa 
dottrina,  nella  sess.   i4,  can.  ^de- 
cretò: »»   Se  alcuno  dirà,    che  l'e- 
>»  strema  unzione  non  è  veramen- 
»   te  e  propriamente  un  sagramen- 
»   to    istituito    dal    nostro  Signore 
»   Gesù  Cristo,  e  promulgalo  dal- 
»*  l'apostolo  s.  Giacomo ,    ma   che 
«  solamente    è    una    consuetudine 
»   ricevuta  da'  padri,  oppure  un'in- 
n  venzione  umana ,  sia  anatema  ". 
Nel  can.  2  :  »   Se  alcuno  dirà,  che 
»   la  sagra  unzione,  la  quale  è  data 
»»   agl'infermi,    non    conferisce    la 
»   grazia,  non  rimette  i  peccati,  ne 
»  solleva  gl'infermi;    e   che   a' dì 
»   nostri    non    deve    più   essere  in 
»   uso,  come  se  un  tempo  non  fosse 
«  altro  stata  che  la  grazia   di  sa- 
»  nare  gì'  infermi ,   sia  anatema  ". 
Nel  can.   3  :  »  Se  alcuno  dirà,  che 
«   la  pratica  e  l' uso  della  estrema 
«   unzione    secondo    che    la    santa 
«   Chiesa  romana  1'  osserva ,  ripu- 
*»  gna  al  sentimento   dell'apostolo 
«   s.  Giacomo ,    e    che   per  questo 
m  bisogna    farci    qualche    cambia- 
«   mento,  e  che  i  cristiani  possono 
»   senza  peccato    disprezzarla ,    sia 
»  anatema  ".  Nel  can.  4  :  «Se  al- 
»  cuno  dirà,  che  i  preti  della  Chie- 
»  sa,  cui  s.  Giacomo  esorta  di  an- 
»  darsene  ad  unger  l' infermo,  non 
»   sono  i  preti  ordinati  dal  vesco- 
*  vo,  ma  i  più  antichi  di  età  d'o- 
«   gni  comunione,  e  quindi,  che  il 
m   ministro  della    estrema    unzione 
»  non  è  il  solo  prete,    sia   anate- 
»   ma  ".  Dopo  di  ciò   sembra    qui 
inutile    riportare    altri    anteriori  e 
posteriori   monumenti ,  anche   del- 
l'accordo della  Chiesa  greca  e  della 
Ialina  in  tutti  i    tempi ,    nel    rico- 
noscere il  sagramento   della    estre- 
ma unzione. 


EST 

Secondo  le  parole  di  s.  Giaco- 
mo, la  estrema  unzione  ha  le  tre 
condizioni  necessarie  e  sufficienti 
per  fare  un  sagramento  della  nuo- 
va legge:  i."  è  un  segno  sensibile 
e  sacro  che  consiste  nella  unzione 
dell'  olio,  e  nella  preghiera  del  sa- 
cerdote; 2.*  è  un  segno  che  pro- 
duce la  grazia,  poiché  rimette  i 
peccati,  i  quali  non  possono  essere 
rimessi  senza  la  grazia;  3.a  è  un 
segno  istituito  da  Gesti  Cristo,  giac- 
ché un  segno  sensibile  non  può 
produrre  la  grazia,  né  la  remissio- 
ne de'  peccati  senza  che  sia  istitui- 
to da  Dio,  potendo  egli  solo  dare 
agli  elementi  sensibili  la  virtù  di 
produrre  la  grazia.  Origene,  ho- 
mil.  i  in  Levita  parlando  delle  dif- 
ferenti maniere,  colle  quali  si  ri- 
mettono dalla  Chiesa  i  peccati,  u- 
nisce  1'  estrema  unzione  alla  peni- 
tenza, e  dice  che  il  peccatore  vie- 
ne purificato  quando  si  eseguisce 
ciò  che  prescrive  s.  Giacomo.  E  s. 
Gio.  Grisostomo,  lib.  Ili,  cap.  6, 
del  Sacerdozio 3  dice  che  i  sacerdoti 
rimettono  i  nostri  peccati,  non  solo 
quando  ci  battezzano,  ma  anche 
quando  fanno  sopra  di  noi  l' un- 
zione di  cui  parla  s.  Giacomo.  Os- 
serva il  Bergier,  eh'  egli  è  da  cre- 
dere, che  Gesù  Cristo  abbia  isti- 
tuito od  ordinato  questo  sagramen- 
to, poiché  gli  apostoli  niente  fece- 
ro che  pei  di  lui  comandi,  e  per 
l'ispirazione  dello  spirito  di  lui. 

Che  Gesù  Cristo  sia  l'autore  im- 
mediato dell'estrema  unzione,  co- 
me di  tutti  gli  altri  sagramenti  del- 
la nuova  legge,  vale  a  dire  che 
non  abbia  dato  solamente  l'ordine  ed 
il  potere  d' istituirlo  a'  suoi  aposto- 
li, nel  che,  siccome  si  esprimono 
i  trattatisti,  consiste  l'istituzione 
mediata;  ma  che  l'abbia  istituita 
egli    stesso    immediatamente    colla 


EST  n3 

sua  propria  bocca ,  lo  si  ha  dal 
concilio  di  Trento.  È  vero,  che  il 
concilio  non  disse  espressamente , 
che  Gesù  Cristo  abbia  istituito  im- 
mediatamente 1'  estrema  unzione , 
ed  è  perciò  che  non  devonsi  con- 
dannare gli  antichi  scolastici,  i  qua- 
li pretendevano  che  gli  apostoli  a- 
vessero  istituito  questo  sagramento 
per  ordine  di  Gesù  Cristo;  ma  nes- 
sun teologo  lo  ha  sostenuto  dopo 
il  concilio  tridentino.  Quindi  si  so- 
no accordati  tutti  col  dire,  che  Ge- 
sù Cristo  aveva  istituito  questo  sa- 
gramento con  tutti  gli  altri,  e  che 
gli  apostoli  l'avevano  pubblicato. 
È  inoltre  probabile,  che  Gesù  Cri- 
sto lo  abbia  istituito  nel  tempo 
che  passò  tra  la  sua  risurrezione 
e  la  sua  ascensione,  e  dopo  l' isti- 
tuzione del  sagramento  della  pe- 
nitenza, di  cui,  lo  ripetiamo,  l' e- 
strema  unzione  è  il  compimento 
e  la  perfezione. 

§  II.  Materia  e  forma  della 
estrema  unzione. 

Sonovi  due  sorta  di  materie  ne- 
cessarie dell'estrema  unzione,  la 
materia  remota,  e  quella  prossima. 
La  materia  remota  è  l'elemento 
di  cui  è  composto  il  sagramento 
della  estrema  unzione;  la  materia 
prossima  è  l'applicazione  di  questo 
elemento.  L'elemento  della  materia 
remota  è  l'olio  d'uliva,  indicato 
espressamente  da  s.  Giacomo ,  ed 
approvato  da  Eugenio  IV,  e  dal 
concilio  di  Trento.  E  pure  neces- 
sario per  la  validità  del  sagramen- 
to, che  l'olio  sia  benedetto,  secon- 
do il  parere  di  molti  teologi;  ma 
non  è  necessario  che  sia  benedet- 
to dal  vescovo,  bastando  la  bene- 
dizione di  un  semplice  sacerdote. 
Ciò  è  nella  Chiesa  greca ,  a  secon- 


vol.   x\it 


a 


n4  EST 

da  dell'approvazione    di    Clemente 
Vili,  ina  tra  i  latini  la  benedizio- 
ne dell'olio  pegl' infermi  è  devolu- 
ta ai  soli  vescovi.  Altri  teologi  opi- 
nano,   ch'espressamente    dev'  essere 
benedetto  per  questo  uso,   dicendo 
che    la    benedizione    particolare    è 
quella    che    lo    costituisce    materia 
valida  del  sagramento  della    estre- 
ma unzione.   La  materia   prossima 
poi  di  questo  sagramento   è    l'un- 
zione   che  il  sacerdote   fa    sull'  in- 
fermo, perchè  è  l'unzione    che   Io 
Spirito  Santo  ha  ordinata    nel  ca- 
pitolo   quinto    dell'  epistola   di  san 
Giacomo.  Questa  unzione  deve  far- 
si in  forma  di  croce,    perchè    tale 
è  l'uso  della  Chiesa,  ma  ciò  non  è 
necessario    per  la  validità    del   sa- 
gramento. Non  è  neppur    necessa- 
rio che  il  sacerdote  faccia  l'unzio- 
ne   col    pollice    immediatamente  , 
può  farla  con   qualche    istrumento 
secondo    l'uso    della    sua    chiesa; 
bisogna  però  che  1'  unzione  sia  tale 
da  poter  dire,  che  la  parte  del  cor- 
po alla  quale    si    applica    è    vera- 
mente unta.  Il  Ma  cri  riporta,   che 
in  tempo  di  peste  è  lecito    al    sa- 
cerdote unger    l'infermo    con   una 
bacchetta,  Diana,  traci.   4  de  Sa- 
crani.  Resol.  167;  anzi  alcuni  pen- 
sano che    basti    ungere    una   sola 
parte,  dicendo  la  solita  forma,  Sii. 
3  pari,  quaest.  32,    artic.   7,    opi- 
nione approvata  dall'  università  di 
Lovanio  l'anno  i588.   Il  medesimo 
Macri  deferisce    al   sentimento   del 
citato  p.  Diana,    il    quale     in    tal 
caso  stima  bene,    che    il  sacerdote 
unga  con    prestezza    un    orecchio, 
e  cosi  degli  altri  sentimenti,    pro- 
nunciando una  sola  volta  la  forma 
seguente  per  tutti:    Per  istas  san- 
clas  unclioneSj    et  suani  piisimam 
miserìcordiam  indulgeat   libi   Deus 
auidquid    per    visitili  3     auditum  , 


EST 

odoratimi ,  gustum ,    laclum    deli- 
<l  u  isti. 

La  pratica  dei  greci  è  di  unge- 
re la  fronte,  il  mento,  le  due  guan- 
ce, il  petto,    le  mani    ed   i    piedi. 
L' uso  più  comune  dei  latini   è  di 
ungere  gli    organi    de' cinque   sen- 
timenti: gli  occhi,  le    orecchie,   le 
nari,  la  bocca,  i  piedi    e  le  mani. 
In  molti  luoghi  si  ungono  pure  le 
reni,  ma  agli  uomini  soltanto.  Nel- 
la chiesa  di  Parigi  si  sostituisce   a 
quest'ultima    unzione,    quella    del 
petto  tanto    per    gli    uomini,    che 
per  le  donne:  In  foeminarum  un- 
ctione  tangat  tantum  sacerdos  par- 
lem   pectoris    superiorem,    come  si 
legge  nel  rituale  di  Parigi.  Il  Duran- 
do nota,    come    alcuni   del    tempo 
suo    insegnavano    non    doversi  far 
l'unzione    alle    spalle,    perchè    già 
fatta  nel  battesimo,  né  doversi  un- 
gere sulla  fronte,  ma  sulle  tempie, 
chi  era  stato  cresimato.    Quando  i 
sensi    e    le    membra    che   devonsi 
ungere    sono    doppi,    si    comincia 
dal  destro.  Quando  l'infermo  man- 
ca  di    qualche    membro,    dove    si 
deve  fare  l'unzione,    bisogna    farla 
nella  parte  del  corpo    la  più   vici- 
na, come  sarebbe  ai  polsi  se  Y  in- 
fermo avesse  le   mani  tronche.    Se 
r  infermo  spira  prima  che    le   un- 
zioni sieno  compite,  si  deve  cessa- 
re.   La  unzione  delle   mani    si  fa 
al  di  dentro  per    i  laici   o   secola- 
ri, ed  al  di  fuori  per  i  preti,  per- 
chè il  di    dentro    delle   loro   mani 
è  già  stato  consagrato  coli'  ordina- 
zione.   Non  si    fanno    unzioni    alle 
orecchie  de' sordi,  né  agli  occhi  dei 
ciechi  fino  dalla  nascita:  si  fa  l'un- 
zione sulle  labbra    dei  nati    muti, 
ma    dicendo    solamente    quidquid 
peccasti  per  gustum.    S.  Tommaso 
dice  necessaria  per  la  validità   del 
sagramento  l'unzione  de'cinque  or- 


EST 

gnni  dei  sentimenti  ;  ma  molti  teo- 
logi credono  valido  il  sagramento 
con  una  sola  unzione  sopra  uno 
degli  organi  de*  sensi,  almeno  quan- 
do si  ha  premura,  e  nelle  malat- 
tie contagiose,  pronunziando  que- 
sta formola  universale:  Indulgeat 
tibi  Deus  quidquid  peccasti  per 
sensus.  Ma  al  dire  del  Chardon, 
loc.  cit,  pag.  371,  in  quanto  alle 
parti  del  corpo  che  si  ungono 
neir  amministrazione  di  questo  sa- 
gramento, avvi  un'  infinita  varietà 
giusta  i  luoghi  e  i  tempi.  In  al- 
cuni si  ungevano  molte  parti,  in 
altri  pochissime.  Vi  sono  anche 
esempi  della  unzione  fatta  in  una 
sola  parte  del  corpo,  e  s.  Eugen- 
do  fu  unto  solamente  al  petto. 
Siccome  questa  unzione  ha  per  fi- 
ne, quantunque  men  principale,  la 
guarigione  dell'  infermo,  in  molte 
chiese  facevasi  specialmente  sulla 
parte  addolorata,  in  cui  era  la  se- 
de del  male,  come  si  può  vedere 
nei  rituali  presso  il  p.  Martène. 

La  forma  poi  dell'  estrema  un- 
zione consiste  in  queste  parole,  che 
il  sacerdote  pronuncia  facendo  le 
unzioni  :  »  Che  Dio  per  questa 
«  santa  unzione,  e  per  la  sua  piis- 
»  sima  misericordia ,  vi  perdoni 
>»  tutti  i  falli,  che  voi  avete  com- 
»  messi  colla  vista,  coll'udito,  col- 
l'odorato,  col  gusto,  col  tatto  ". 
Dicono  i  trattatisti ,  che  di  tut- 
te le  qui  riportate  parole,  non  vi 
sono  che  queste,  le  quali  repu- 
tinsi  essenziali:  che  Dio  vi  per- 
doni ,  indulgeat  tibi  Deus,  per  la 
validità  del  sagramento,  perchè  si- 
gnificano sufficientemente  la  causa 
principale  del  sagramento  eh'  è 
Dio;  l'effetto  del  sagramento  che 
è  la  remissione  de' peccati;  il  sog- 
getto ed  il  ministro  del  sagramen- 
to. La  forma  dell'estrema  unzione 


EST  1  i5T 

era  un  tempo  indicativa    ed   asso- 
luta, cioè  pronunciata  al  modo  in- 
dicativo, come  si  scorge  da  quella 
del  rito  ambrogiano    in    uso    sino 
dal  quarto  secolo,  e  citata  da  san 
Tommaso,  da    s.  Bonaventura,  da 
Riccardo  di    s.  Vittore   ec.    Anche 
il  Macri    dice,    che    la  forma    del 
rito  ambrogiano  nell'amministrazio- 
ne di  questo    sagramento,    non    è 
deprecatoria  o  deprecativa,  ma  in- 
dicativa, che    però    non  viene    ap- 
provata da  alcuni    dottori   fondati 
sulle  parole  di    s.  Giacomo,    orent 
super  eum:     con    tuttociò    non    si 
deve    condannare    la   forma    usata 
da    questa    Chiesa,    approvata    da 
altri,  come  dal  p.  Suarez  tom.  4> 
disput.   40,    sect.  3,  num.   8.  Una 
antichissima    formola    ambrogiana 
viene    recata    da     s.  Bonaventura, 
Dist.  23,  art.  1,  quaest.  4,  che  di- 
ce :     Ungo    te    oleo    santificato   in 
nomine  Patris3  ec.   Un   libro  sagra- 
mentale  di  Venezia,  approvato  dal 
Papa  Leone  X,  ha  :    Ungo  te  oleo 
sancto,    ut  hac   unctione  protectus 
fortiter3  stare    valeat  adversus  ae- 
reas    catervas3    in    nomine    Patris, 
ec.    La  forma  dunque  non    è  sta- 
ta sempre  deprecatoria  in  tutte  le 
Chiese  particolari.    Anche  presso  i 
latini,    non  sono   che    circa  cinque 
o  sei  secoli,  ch'è  universalmente  ri- 
cevuta.   Si  trova    anche    in  un  ri- 
tuale ms.    di  Jumieges,  ch'è  alme- 
no tanto  antico  :   Per  istam  unctio- 
nem  et  suarn   piissiniam  misericor- 
diam  indulgeat  tibi  Dominus  quid- 
quid  peccasti  per  visurri,  ec.     Essa 
è  simile  in  tutti  i  rituali.   Al  tem- 
po del  Pontefice  s.   Gregorio  I,  in 
Roma  si  faceva   uso  d' una  forma, 
che  in   parte  era    deprecatoria,    in 
parte  assoluta    ed  indicativa.  Essa 
comprendeva  queste  parole,  che  so- 
no assolute,    inunge    te,    e    queste 


n6  KST 

altre  che  sono  deprecatorie,  fri  te 
habitet  virtù*  Cliristi.  Nei  rituali, 
avverte  pure  il  Chardou,  le  parole 
della  forma  sono  estese  assoluta- 
mente, e  in  altri  deprecativamente, 
in  altri  in  un  modo  misto.  Diver- 
se forinole  si  leggono  in  un  sagra- 
mentano  di  Catalogna,  e  nell'anti- 
co pontificale  di  Naibona. 

Neil'  oriente  ancora  la  estrema 
unzione  è  noverata  tra  i  sette  sa- 
gramenli,  ed  il  Renaudot  c'istruisce 
della  credenza  dei  greci,  e  dei  loro 
riti  su  questo  punto,  lib.  V,  cap. 
i  ,  Delle  cerimonie  che  i  greci 
orientali  usano  per  la  estrema  un- 
zione, delle  quali  parleremo  al  § 
VI  di  questo  articolo.  Solo  qui 
noteremo,  che  i  greci  ed  orientali 
usano  olio  benedetto  non  dal  ve- 
scovo, ma  dai  sacerdoti  nella  ce- 
lebrazione di  questo  sagramento , 
come  si  disse  di  sopra;  ma  il  p. 
Goar  avverte,  in  not.  ad  Euchol., 
citando  1'  istruzione  di  Clemente 
Vili,  la  quale  porta  per  titolo  : 
Circa  oleum  sanctum  infirmorum3 
fatta  pei  greci,  ove  dice  che  nei 
luoghi  soggetti  ai  latini  essi  non 
sieno  obbligati  a  pigliar  l' olio  be- 
nedetto dal  diocesano,  perchè  giu- 
sta l'antica  consuetudine  della  loro 
chiesa,  essi  lo  benedicono  nel  me- 
desimo tempo,  che  lo  amministra- 
no. Inoltre  il  p.  Goar,  per  non 
lasciar  verun  dubbio  su  questa  ma- 
teria, si  fa  un  dovere  di  soddisfare 
alle  obbiezioni  dei  teologi  più  pre- 
venuti in  favore  de'principii  scola- 
stici, secondo  i  quali  egli  e  l' Ar- 
cudio  fanno  consistere  la  forma  di 
questo  sagramento  fra  i  greci  in 
una  orazione  che  comincia  :  Padre 
santo)  medico  delle  anime  ec,  la 
quale  spiega  i  principali  suoi  effetti, 
cioè  la  remissione  de'  peccati,  e  la 
guarigione  dei  corpi. 


EST 

I  greci  al  presente  si  servono  di 
una  forma  deprecatoria,  ina  la  for- 
ma deprecatoria  e  l'indicativa  od 
assoluta  sono  egualmente  convene- 
voli e  sufficienti  per  la  validità  del 
sagramento,  per  quelle  spiegazioni 
e  ragioni  che  ne  danno  gli  scrittori 
di  questo  argomento.  Il  sacerdote 
poi  deve  pronunciare  la  forma  del 
sagramento  nel  medesimo  tempo 
che  fa  le  unzioni,  di  modo  che  non 
deve  terminarla  se  non  quando 
termina  1'  unzione  de'  membri  che 
sono  doppi,  eccettuato  il  caso  che 
T  infermo  pel  grave  male  sia  estre- 
mamente in  pericolo. 

Deve  pure  asciugare  le  unzioni 
con  un  poco  di  cotone  o  di  stop- 
pa, od  altra  cosa  simile,  a  meno 
che  quegli  che  l'assiste  non  sia  negli 
ordini  sagri,  nel  quale  caso  gli  sa- 
rà permesso  di  asciugare  le  unzio- 
ni fatte  dal  sacerdote.  Ciò  che  ha 
servito  per  asciugare  le  unzioni , 
deve  essere  portato  in  chiesa  in  un 
bacino  pulito,  per  essere  abbrucia- 
to, e  le  ceneri  si  gettano  nel  sa- 
crario. Terminate  che  abbia  il  sa- 
cerdote le  unzioni,  egli  stropiccia 
il  suo  pollice  e  le  dita  che  hanno 
toccato  l'olio,  con  mollica  di  pane, 
quindi  si  lava  ed  asciuga  le  mani  : 
la  mollica,  e  l'acqua  della  lavanda 
per  le  mani,  secondo  le  prescrizio- 
ni de'  rituali,  devonsi  gettare  nel 
fuoco. 

§  III.  Ministro  dell'estrema 
unzione. 

I  soli  sacerdoti  sono  i  ministri 
capaci  di  conferire  validamente  il 
sagramento  dell'  estrema  unzione, 
punto  di  fede  deciso  dal  concilio 
di  Trento,  come  riportammo  di 
sopra,  nel  can.  4-  Questa  decisione 
del  concilio  è  appoggiata  alla  Scrit- 


EST 

tura,  ed  alla  tradizione.  Per  la 
Scrittura,  s.  Giacomo  dice  espres- 
samente, che  sono  i  sacerdoti  che 
debbono  amministrare  Y  estrema 
unzione;  per  la  tradizione  quella 
delle  due  Chiese,  le  quali  hanno 
tempre  riconosciuto  in  tutti  i  tem- 
pi i  soli  sacerdoti  per  ministri  del- 
la estrema  unzione,  come  si  può 
vedere  negli  Eucologi  de'  greci,  e 
ne'rituali  dei  latini.  È  dunque  inu- 
tile, che  i  novatori  pretendano  che 
il  vocabolo  presbiteri  significhi  gli 
antichi  Jaicij  perchè  evvi  unito  quel- 
lo di  ecclesiae.  Si  può  però  dire, 
secondo  il  parere  di  moltissimi  teo- 
logi, che  il  Papa  s.  Innocenzo  1 
permise  a  tutti  i  fedeli  anche  laici 
d'applicare  l'olio  sugl'infermi  in 
caso  di  bisogno,  ed  allorquando  non 
vi  sono  preti  per  farlo,  presso  a 
poco  come  possono  essi  servirsi  del- 
l'acqua del  fonte  battesimale,  o  di 
qualche  altra  cosa  benedetta;  ma 
in  questo  caso  l'unzione  non  è  mai 
sagramentale.  Il  Chardon  riporta  le 
parole  della  lettera,  che  s.  Inno- 
cenzo I  scrisse  a  Decenzio  vescovo 
di  Egubbio,  cioè  Gubbio,  il  quale 
dubitava  se  i  vescovi  potevano  am- 
ministrare l'estrema  unzione:  «  Che 
«  l'apostolo  avea  parlato  de' soli  sa- 
»  cerdoti  perchè  i  vescovi  occupati 
»  da  moltissime  brighe  non  pote- 
»  vano  andar  a  visitare  gl'infermi. 
»  Del  resto,  se  il  vescovo  può,  o 
»  vuole,  gli  è  lecito  benedirli  e  un- 
»  gerii,  anzi  ciò  gli  conviene  ". 
Indi,  in  prova  che  la  Chiesa  con- 
fidò mai  sempre  a' sacerdoti  o  ve- 
scovi un  tal  ministero,  il  Chardon 
così  traduce  l'altra  parte  della  pon- 
tifìcia decretale:  «  Non  vi  ha  dub- 
»»  bio,  che  il  testo  di  s.  Giacomo 
*  non  si  debba  intendere  de'fede- 
»  li  infermi,  i  quali  possono  esse- 
»   re  unti  col    santo   olio   del    cri- 


EST  117 

»  sma,  il  quale  consagrato  dal  ve- 
»  scovo  deve  essere  adoperato  non 
«  solo  pei  sacerdoti,  ma  per  tutti 
»  i  cristiani  nelle  infermità  loro 
*»   e  de' loro  attinenti  ". 

Qualunque  prete,  tanto  secolare 
quanto  regolare,  può  validamente 
amministrare  il  sagramento  della 
estrema  unzione,  perchè  questo  po- 
tere è  unito  al  carattere  sacerdo- 
tale ;  ma  non  vi  è  che  il  solo  par- 
roco, od  il  sacerdote  commesso  da 
lui  che  possa  amministrarlo  lecita- 
mente; e  se  qualche  altro  prete  seco- 
lare o  religioso  volesse  amministrarlo, 
oltre  al  peccato  mortale  che  com- 
metterebbero ambedue,  il  religioso 
incorrerebbe  la  scomunica  maggiore 
pel  solo  fatto,  non  potendone  essere 
assolto  che  dal  Papa.  Sono  però 
eccettuati  i  casi  di  necessità,  come 
se  il  parroco  fosse  assente  o  impe- 
dito, o  pure  se  ritardasse,  ed  allo- 
ra qualunque  prete  potrà  ammini- 
strare T  estrema  unzione.  Sebbene 
la  pluralità  de' sacerdoti  sia  stata 
altre  volte  necessaria  per  precetto 
ecclesiastico,  affine  di  amministrare 
l'estrema  unzione,  non  è  in  oggi, 
e  non  è  giammai  stata,  per  precet- 
to divino.  Le  parole  di  s.  Giaco- 
mo, le  quali  esigono  più  preti,  pre- 
sbyteros,  non  racchiudono  che  un 
dovere  di  convenienza  soggetto  alla 
disposizione  della  Chiesa,  d'altron- 
de non  avvi  nella  Scrittura  niente 
di  più  ordinario  e  comune,  quanto 
quello  di  prendere  il  singolare  pel 
plurale,  ed  il  plurale  pel  singolare. 
Tutta  volta,  dice  il  p.  Chardon,  ci- 
tando il  p.  Martène,  t.  II,  e.  VII, 
art.  IV,  che  questa  unzione  degli 
infermi  facevasi  da  uno  o  più  sar 
cerdoti,  e  gli  atti  de' santi  ne  re- 
cano esempli  ne'  due  modi;  anzi 
alcuni  rituali  prescrivono  che  si  fac- 
cia da  più  sacerdoti,  altri  suppon- 


n8  EST 

gono  che  si  faccia  da  uno  solo,  se- 
condo le  diverse  consuetudini  delle 
chiese,  e  la  comodità  de' luoghi  e 
de' tempi,  giacche  nelle  ville  era  dif- 
ficile radunar  molti  sacerdoti,  spe- 
cialmente in  tempi  che  il  loro  nu- 
mero non  era  grande.  Fra  questi 
sacerdoti,  soggiunge  il  p.  Chardon, 
alle  volte  uno  applicava  l'olio  san- 
to, e  l'altro  proibii  va  la  forinola 
delle  orazioni.  Altra  volta  tutti  in- 
sieme ungevano  le  parti  del  corpo 
consuete,  e  ciascuno  recitava  la  me- 
desima forma.  Altre  volte  infine  uno 
di  loro  ungeva  una  parte  del  cor- 
po dell'infermo,  e  un  altro  un'al- 
tra, recitando  ciascuno  le  forinole  a 
quella  parte  adattate.  Non  si  cre- 
deva però  essenziale  al  sacramento 
che  più  sacerdoti  lo  ministrassero, 
benché  si  credesse  più  conveniente 
e  più  conforme  al  precetto  aposto- 
lico, come  asserisce  s.  Tommaso. 


§  IV.  Soggetto  dell'  estrema  unzio- 
nej  ed  effètti  di  questa. 


L'  apostolo  s.  Giacomo  chiara- 
mente accenna  i  soggetti,  a*  quali 
si  dee  ministrare  l' estrema  unzione, 
quando  dice  :  Infirmatur  quis  in  vo- 
bis?  Il  soggetto  dunque,  o  la  per- 
sona, cui  devesi  dare  questo  sugl'a- 
mento, è  il  solo  adulto  battezzato, 
e  pericolosamente  malato.  I  fanciul- 
li, che  non  hanno  l'uso  della  ra- 
gione, non  sono  capaci  dell'effetto 
principale  dell'estrema  unzione,  il 
quale  consiste  nella  remissione  dei 
peccati,  o  degli  avanzi  de'  medesi- 
mi. £  il  solo  battezzato  che  possa 
riceverlo,  perchè  il  battesimo  è  la 
porta  degli  altri  sagramenti.  I  vec- 
chi decrepiti  sono  considerati  come 
pericolosamente  ammalati,  e  si  deve 


EST 

dar  loro  la  estrema  unzione,  quan- 
d'anche non  avessero  altra  malat- 
tia che  la  loro  decrepitezza.  Dice 
il  p.  Chardon,  che  questo  sagramen- 
to  non  fu  mai  dato  ai  sani,  ma  rac- 
conta come  lo  ricevesse  certa  Odila, 
cui  era  stata  predetta  la  morte,  seb- 
bene allora  sanissima.  Osserva  poi, 
che  se  s.  Giacomo  escluse  i  sani  da 
questo  sugramcnto,  escluse  ancora 
gl'innocenti,  come  sono  i  fanciulli 
ed  i  neofiti,  ne  si  trova  ver  un  esem- 
pio di  tale  unzione  data  a'  novelli 
battezzati,  finche  portavano  la  ve- 
ste bianca.  Nella  vita  dell'abbate 
Adelardo  si  legge  ch'eravi  dubbio 
se  dovesse  darsi  tal  sagrameli to  a 
coloro,  i  quali  erano  vissuti  con  tan- 
ta purità,  che  non  si  presumevano 
rei  d'alcun  peccato;  a  questi  tali 
d'ordinario  non  si  ministrava. 

In  quanto  poi  all'età  di  quelli 
che  debbono  riceverla,  gli  statuti 
di  Odone  vescovo  di  Parigi,  e  quelli 
di  Simone  e  Galone  legati  di  In- 
nocenzo III,  ordinano,  che  l'estrema 
unzione  si  dia  a  chiunque  abbia 
l'età  della  discrezione;  il  che  pare 
conforme  allo  spirito  della  Chiesa, 
poiché  in  quell'  età  i  figliuoli  sono 
capaci  di  peccato,  e  in  conseguenza 
di  un  sagramento  istituito  per  la 
remissione  de'  peccati.  Nondimeno 
vi  sono  autori,  tra'  quali  Durando 
di  Menda,  e  Federico  Nausea,  ve- 
scovo di  Vienna  in  Austria,  i  quali 
vogliono  che  non  si  dia,  se  non  in 
età  di  diciotto  anni,  e  questo  ulti- 
mo anche  dice  almeno  in  questa 
età.  Gli  statuti  della  chiesa  di  Pa- 
rigi proibiscono  che  si  dia  ai  gio- 
vani privi  dell'uso  della  ragione, 
a' furiosi,  agli  sciocchi.  Quanto  ai 
frenetici  e  furiosi  per  qualche  ac- 
cidente, si  darà  loro  l'estrema  un- 
zione, purché  non  vi  sia  pericolo 
attuale  d'irriverenza  da  parte  loro 


EST 

verso  il  sagramento.  Quelli  di  Vail- 
lant  di  Guisli,  vescovo  d'Orleans, 
n'escludono  anche  i  rei  condanna- 
ti a  morte,  i  fanciulli  innanzi  la 
prima  comunione,  i  pazzi,  e  quel- 
li che  non  l'hanno  mai  domandato. 
Le  Gouverneur,  vescovo  di  s.  Ma- 
lo, esclude  solamente  gli  stolti  na- 
ti, perchè  non  poterono  mai  pec- 
care, ma  se  hanno  avuto  qualche 
momento  di  ragione  si  deve  dare 
anche  ad  essi  l'estrema  unzione,  per- 
chè in  questi  momenti  possono  ave- 
re offeso  Dio,  e  cosi  sono  capaci 
dell'  effetto  del  sagramento.  Il  Car- 
dinal Monti,  arcivescovo  di  Milano, 
esclude  i  fanciulli,  i  pazzi,  gli  sco- 
municati denunciati,  gl'impeniten- 
ti pubblici  peccatori,  i  condannati 
a  carcere  perpetuo,  e  le  partorien- 
ti. Bit.  Ambr.  de  sacr.  Extr.  UncL, 
p.  170.  Ne  sono  esclusi  pure  i  sol- 
dati schierati  in  battaglia  contro  il 
nemico,  e  in  procinto  di  combat- 
tere ;  ed  escluse  ne  sono  pur  anche 
le  persone  le  quali  si  trovano  in 
pericolo  di   naufragare. 

Molti  autori  accusarono  i  greci, 
ed  altri  orientali,  de' grandi  abusi 
circa  questo  sagramento,  che  am- 
ministrano ai  sani  del  pari  che  agli 
infermi,  perchè  i  sacerdoti,  dopo 
aver  unto  l'infermo,  si  ungono  scam- 
bievolmente, ed  ungono  gli  astanti. 
Su  di  che  va  letto  il  p.  Chardon,  t.  II, 
p.  386  e  387,  ove  rapporta  la  di- 
fesa che  fa  degli  orientali  il  p. 
Renaudot,  col  raziocinio  del  Tour- 
nely,  de  sacr.  Extr.  Urici,  quaest.  3, 
p.  4^5.  Interessante  è  la  nota  ana- 
loga che  ivi  si  legge  del  p.  Ber- 
nardo da  Venezia  minor  riformato. 
Altri  teologi  dicono:  «  Agli  infer- 
mi che  ricercano  con  mente  sana, 
e  con  sentimenti  perfetti  questo  sa- 
gramento, o  verosimilmente  lo  chie- 
derebbero, ovvero    hanno    dato  se- 


EST  ug 

gni  di  contrizione,  e  poscia  abbia- 
no perduta  la  favella,  o  sieno  di- 
venuti pazzi,  o  delirassero,  oppure 
non  sentissero;  tuttavolta  si  am- 
ministri ". 

Circa  gli  effetti  della  estrema  un- 
zione, il  primo  è  quello  di  accre- 
scere la  grazia  santificante,  cioè  quella 
che  rende  il  giusto  ancora  più  giu- 
sto ;  rimette  i  peccati  tanto  morta- 
li che  veniali,  in  quanto  alla  colpa, 
ma  per  accidente  e  secondariamen- 
te, avendo  Gesù  Cristo  istituita  la 
estrema  unzione,  prima  per  santi- 
ficare vieppiù  un  moribondo  già 
santo,  per  fortificarlo  contro  le  ten- 
tazioni del  demonio,  contro  i  dolori 
della  malattia,  contro  la  languidezza 
dello  spirito;  ed  in  secondo  luogo 
per  rimettergli  i  peccati  veniali  od 
anche  mortali,  qualora  per  inno- 
cente dimenticanza  non  gli  fossero 
stati  rimessi  per  accidente  nel  sa- 
gramento della  penitenza;  terzo,  la 
estrema  unzione  rimette  almeno  una 
parte  della  pena  de'  peccati,  perchè 
è  il  compimento  della  penitenza,  e 
perchè  dà  al  cristiano,  in  quanto 
può,  l'ultima  disposizione  per  an- 
dar a  godere  della  gloria  del  pa- 
radiso; quarto,  cancella  il  rimanente 
de'peccati,  vale  a  dire  l'inclinazione 
al  male,  la  tiepidezza  nel  far  bene, 
l'inattitudine  nel  pensare  alle  cose 
celesti,  cagionate  dai  peccati  attua- 
li; finalmente  solleva  l'anima  del- 
l'infermo, e  la  fortifica,  eccitando  in 
lui  la  confidenza  nella  misericordia 
di  Dio;  gli  dà  dei  soccorsi  partico- 
lari per  evitare  tutti  i  pericoli,  e 
superare  tutti  gli  ostacoli  della  sa- 
lute dell'anima  in  quegli  ultimi  mo- 
menti della  vita;  gli  dà  qualche 
volta  la  salute  del  corpo,  quando 
è  pel  meglio  dell'anima  sua,  secon- 
do molti  teologi. 


ìio  EST 

§  V.  Proprietà,  disposizione ',  e  di- 
vertita dd  rito  dell  estrema  un- 
zione. 

Le  proprietà  dell'  estrema  unzio- 
ne sono  la  sua  necessità,  e  la  sua 
reiterazione.  L'estrema  unzione  non 
è  necessaria  alla  salute  di  necessità 
di  mezzo,  perchè  i  catecumeni  pos- 
sono essere  giustificati  dal  battesimo, 
ed  i  battezzati  dalla  penitenza.  Non 
è  necessaria  di  necessità  di  precetto 
divino,  poiché  l'apostolo  s.  Giacomo 
ne  comanda  il  ricevimento  a  tutti 
i  fedeli,  che  sono  pericolosamente 
malati,  e  le  sue  parole  sono  tenu- 
te un  vero  precetto  da  alcuni  teo- 
logi e  da'concili,  tra' quali  da  quel- 
lo di  Colonia  del  i538.  L'estrema 
unzione,  al  dire  di  altri  teologi,  è 
necessaria  di  necessità  di  precetto 
ecclesiastico,  e  questo  precetto  si  prova 
per  la  premura  che  la  Chiesa  ha 
sempre  avuto  di  conferire  questo 
sagramento  agli  ammalati ,  e  per 
l' ordine  che  ne  ha  dato  a'  suoi 
ministri  in  un  gran  numero  di 
concili.  Va  qui  avvertito,  coll'aulo- 
rità  di  s.  Alfonso  de  Liguori,  lib. 
5,  tract.  5,  e.  i  e  733,  che  non 
consta  né  del  precetto  divino,  né 
dell'  ecclesiastico  ;  laonde  la  comu- 
ne sentenza  de'  teologi ,  come  os- 
serva Io  stesso  autore,  nega  essere 
grave  peccato,  tolto  però  lo  scan- 
dalo ed  il  disprezzo,  il  non  rice- 
vere l'estrema  unzione.  Aggiunge 
però,  che  può  ben  gravemente  pec- 
care l'infermo  contro  la  carità  ver- 
so sé  stesso,  non  ricevendo,  allor- 
ché lo  può,  questo  sagramento. 

Si  dava  altre  volte  l'estrema  un- 
zione colla  comunione  alla  stessa 
persona,  nella  stessa  malattia,  e  nel 
medesimo  stato  della  malattia;  ma 
si  può  e  si  deve  dare  a  lui  più 
volte  nei  diversi  stati  della  mede- 


EST 
sima  malattia,  perchè  queste  diffe- 
renti situazioni  della  stessa  malat- 
tia, se  questa  è  lunga,  sono  come 
varie  malattie,  allorquando  per  in- 
tervalli accada  qualche  specie  di 
convalescenza,  che  abbia  posto  l'in- 
fermo fuori  del  pericolo  di  morte. 
Pio  II  mori  in  Ancona  a'  i4  ago- 
sto 1 464,  avendo  prima  doman- 
dati e  ricevuti  tutti  i  sagramenti. 
Egli  già  aveva  ricevuta  l'estrema 
unzione  quando  fu  attaccato  dalla 
peste  al  concilio  di  Basilea.  Alcuni 
teologi  che  opinavano  non  poter- 
si ricevere  due  volte,  furono  di 
sentimento  che  non  gli  si  dovesse 
reiterare.  Non  ignorava  il  dottissi- 
mo Pio  II,  che  questa  opinione 
era  stata  sostenuta  nel  secolo  XII, 
ma  sapeva  ancora  che  aveva  essa 
avuto  pochi  partigiani ,  e  perciò 
non  volendola  seguire,  si  fece  am- 
ministrare per  la  seconda  volta  an- 
che questo  sagramento.  V.  Berca- 
stel,  Hist.  de  l'Eglise,  tom.  XVI, 
pag.  1 69.  Gregorio  XIV ,  dopo 
una  lunga  infermità,  nella  quale 
tre  volte  fu  vicino  a  morire,  che 
perciò  per  altrettante  volte  spedi- 
ronsi  corrieri  ad  invitare  i  Cardi- 
nali al  conclave,  soccombette  alla 
violenza  del  male  a'  1 5  ottobre  1 5g  r , 
dopo  avere  ricevuta  la  estrema  un- 
zione, che  nella  sua  vita  gli  ven- 
ne amministrata  quattro  volte.  Cle- 
mente XIII  cessò  di  vivere  nel 
1769;  ma  nel  1765  a'  19  agosto, 
essendo  stato  sorpreso  da  forte  sin- 
cope, gli  furono  amministrati  i  sa- 
gramenti del  viatico  e  della  estre- 
ma unzione,  e  gli  fu  letta  la  for- 
inola della  professione  di  fede,  che 
secondo  l'uso  de'  Papi  sottoscrisse. 
Passati  però  pochi  momenti  ricu- 
però interamente  la  sanità,  per  cui 
la  colletta  prò  Ponlifice  infirmo, 
nelle  messe,  fu  cambiata  con  quel- 


EST 

la  prò  gratiarum  actione.  Ai  Pon- 
tefici la  estrema  unzione  soglio- 
no ministrarla  i  Cardinali  Peni- 
tenzieri Maggiori  (Vedi).  Abbia- 
mo dal  Macri,  che  nella  Spa- 
gna costumavasi  dedicare  in  per- 
petuo al  servizio  di  Dio,  coloro 
che  sopravvivevano  dopo  di  avere 
ricevuto  l'olio  santo,  come  perso- 
ne conservate  in  vita  per  miracolo 
e  grazia  singolare  del  Cielo;  il 
perchè  dal  concilio  Toletano  XIII 
fu  ordinato  che  non  si  conferisse 
questo  sagramento,  se  non  a  colo- 
ro, i  quali  lo  domandavano  con  sen- 
timenti perfetti,  ed  erano  sani  di 
mente. 

Dicemmo  poc'anzi  superiormen- 
te, che  l'estrema  unzione  altre  vol- 
te si  dava  colla  comunione,  e  d'or- 
dinario innanzi  al  viatico.  Questo 
è  l'argomento,  che  con  altre  par- 
ticolarità discorre  il  p.  Chardon 
nel  cap.  II,  insieme  al  tempo  in 
cui  terminò  1'  uso,  e  che  si  dava 
per  più  giorni  successivamente,  col- 
1'  opinione  de'  primi  dottori  scola- 
stici sopra  la  sua  reiterazione.  Ri- 
porla  pertanto  le  prove  dell'estre- 
ma unzione  data  innanzi  al  viati- 
co, confermandone  l' usanza  cogli 
antichi  rituali  citati  dal  p.  Mar- 
lene. Quest'  uso  durò  sino  al  prin- 
cipio del  secolo  XVI;  ed  il  Lati- 
nojo,  nel  suo  trattato  della  unzio- 
ne degli  infermi,  reca  le  testimo- 
nianze di  vari  rituali  di  Francia, 
in  cui  si  vede ,  che  tal  disciplina 
durò  sino  dopo  la  metà  del  secolo 
XVII.  Né  mancano  antichi  esem- 
pi, che  l' estrema  unzione  venne 
data  dopo  del  viatico.  Dagli  anti- 
chi rituali  si  ha  inoltre,  che  si  rei- 
terava 1'  estrema  unzione  per  set- 
te giorni  continui.  Questa  usanza 
si  trova  ridotta  in  pratica  nella 
persona  di  s.  Ramberto  arcivesco- 


EST  121 

vo  d'Amburgo,  leggendosi  nella 
vita  di  lui  :  »  che  sette  d'i  innanzi 
«  la  sua  morte  si  cominciò  ad  un- 
»  gerlo  coli'  olio  santo ,  e  che  ri- 
m  cevè  la  salutare  medicina  colla 
»  comunione  del  corpo  e  sangue 
*  di  Cristo  ogni  giorno,  finché  re- 
»  se  l'anima  a  Dio  ".  Ciò  dimo- 
stra qual  conto  si  debba  fare  del- 
l' opinione  di  quelli,  i  quali  inse- 
gnavano non  doversi  replicare  la 
unzione  degl' infermi,  non  solo  nel- 
la medesima  malattia,  ma  neppure 
in  tutta  la  loro  vita.  11  Chardon 
lascia  poi  ai  teologi  esaminare,  se 
un  infermo  che  abbia  ricevuta  una 
volta  l'estrema  unzione  dal  vesco- 
vo, debba  poi,  per  rispello  al  ca- 
rattere vescovile,  riceverla  da  un 
semplice  sacerdote. 

Passando  a  dire  sulle  disposi- 
zioni dell'  estrema  unzione,  diremo 
che  la  prima  disposizione  necessa- 
ria all'  infermo  per  ricevere  il  frut- 
to, o  l'effetto  del  sagramento,  è  lo 
stato  della  grazia,  perchè  l'estre- 
ma unzione  non  è  un  sagramento 
de'  morti,  ma  de'  vivi  ;  ed  è  per- 
ciò, che  quegli  il  quale  la  ministra 
deve  far  confessare  il  malato ,  o 
almeno  eccitarlo  alla  contrizione , 
se  non  può  confessarsi.  La  secon- 
da disposizione  è  la  virtù,  attuale, 
e  la  fede  nella  virtù  del  sagra- 
mento ,  accompagnata  dalla  confi- 
denza in  Dio,  dalla  rassegnazione 
alla  santa  sua  volontà,  dall'unione 
di  spirito  col  nostro  Signore  ago- 
nizzante nell'orto,  o  nel  Calvario  ; 
le  dimostrazioni  di  penitenza ,  che 
accompagnavano  il  ricevimento  del- 
l'estrema unzione  negl'  infermi ,  e 
sino  a  quando  essi  cuoprivansi  col- 
la cenere  e  cilicio,  è  quanto  trat- 
ta il  Chardon  nel  capitolo  V.  I  cri- 
stiani anticamente  credevano,  che 
la  miglior  maniera  di  prepararsi  a 


raa  EST 

comparire  al  tribunale  di  Dio,  Tos- 
se la  penitenza,  e  i  più  santi  tra 
loro  erano  i  più  persuasi  di  tal  ve- 
rità. Sulpizio  Severo,  narrando  la 
morte  di  s.  Martino,  dice  che,  quan- 
tunque consumato  da  febbre  arden- 
te, non  cessava  di  attendere  a  Dio, 
passando  le  notti  in  vigilie  ed  ora- 
zioni, coricato  in  letto  sopra  la  ce- 
nere e  il  cilicio,  dicendo  non  con- 
venir ad  uu  cristiano  morire  altri- 
menti, e  che  peccherebbe  se  desse 
altro  esempio.  Questo  pietoso  ed 
edificante  costume  passò  poi  in  leg- 
ge in  molti  luoghi  della  cristianità, 
e  divenne  in  qualche  modo  parte 
del  rito  della  estrema  unzione.  Da 
un  antico  Ordine  Romano  ms.  del- 
la biblioteca  di  Corina,  da  quello 
di  Kutoldo,  e  da  altri  viene  pre- 
scritto lo  stesso.  Nel  secondo  si  leg- 
ge così.  «  Tal  è  l'ordine  dell' lin- 
ai zione  degl'  infermi.  Il  sacerdote 
»  dice  all'infermo:  fratello  perchè 
«  mi  avete  chiamato.  Questi  rispon- 
»  de:  perchè  mi  diate  l'unzione.  Il 
»  sacerdote  gli  dice:  il  signor  Gesù 
»  Cristo  vi  dia  la  vera  unzione... 
»  Ma  s'ei  vi  rimira  pietoso,  e  vi  risa- 
n  na,  manterete  voi  questa  unzione  ? 
»  Ei  risponde:  la  manterrò.  Ailo- 
m  ra  il  sacerdote  gli  fa  una  croce 
»  colla  cenere  sul  petto,  e  gli  mette 
h  il  cilicio,  dicendo  ec.  ".  Un  an- 
tichissimo Pontificale  ms.  della  chie- 
sa di  Cambray  contiene  lo  stesso 
rito,  e  le  orazioni  per  la  benedi- 
zione delle  ceneri  e  del  cilicio;  ed 
il  Launoyo  ci  ha  dati  lunghi  estratti 
di  tali  mss.,  come  anche  di  rituali 
ed  altri  libri  su  questo  argomento. 
In  alcuni  luoghi,  come  nella  dio- 
cesi di  Vannes,  dopo  che  l'infermo 
aveva  ricevuto  il  viatico,  prima  di 
dargli  l'estrema  unzione,  se  gli  fa- 
ceva un  segno  di  croce  sul  petto 
colla  cenere  benedetta,  e  fluita  l' uu- 


EST 

zione  se  gli  metteva  il  cilicio  o  il 
cappuccio  sulla  testa,  dopo  averlo 
asperso  con  acqua  benedetta,  di- 
cendosi: «  Rivestitevi  della  veste 
»  candida  in  nome  dell'uomo  nuo- 
*  vo,  che  fu  creato  nella  giustizia 
h  e  santità  della  verità,  il  quale  è 
»  G.  C.  Signor  nostro,  che  vive  e 
»  regna  ec.  ".  Nel  XVI  secolo  in 
Rohan  ed  in  Evreux  si  costumava 
spargere  la  cenere  in  figura  di  croce 
sul  petto  dell'  infermo,  senza  coprir- 
lo di  cilicio,  e  ciò  facevasi  prima 
di  ungerlo,  e  dopo  di  averlo  co- 
municato, pronunciando  le  parole: 
Memento  homo,  quia  pulvis  est  et 
in  pulverem  reverteris.  V.  Ceneri, 
e  Cilicio. 

Giusta  il  Manuale  della  diocesi 
di  Limoges,  dopo  che  l'infermo  avea 
ricevuto  il  viatico  e  l' unzione,  si 
copriva  di  cilicio,  e  si  spargevano 
sopra  lui  ceneri  benedette,  accom- 
pagnando il  tutto  con  parole  mol- 
to commoventi;  e  questo  spargi- 
mento di  ceneri  si  faceva  fino  a 
tre  volte  in  figura  di  croce.  Fuvvi 
pure  l'uso  di  trai*  l'infermo  dal 
letto  dopo  ricevuti  gli  ultimi  sa- 
grameli ti,  e  distenderlo  sopra  un 
cilicio  coperto  di  cenere  benedetta. 
Questo  rito  trovasi  comandato  in 
tre  antichi  Pontificali  mss.,  e  si  ri- 
portano dal  p.  Chardon.  Tale  pia  ce- 
rimonia divenne  couiunissiraa  nella 
Chiesa,  massime  ne'  monisteri  ;  e  s. 
Ugone  abbate  di  Auny  ne  fece  una 
regola  per  tutti  i  religiosi  del  suo 
Ordine,  prescrivendo  a  quelli  che 
assistono  gl'infermi,  quando  li  veg- 
gono agli  estremi,  di  distendere  in 
terra  un  cilicio,  spargervi  sopra  la 
cenere  in  forma  di  croce,  indi  co- 
ricarvi l' infermo.  Altrettanto  adot- 
tarono i  certosini  ed  altri  religio- 
si, come  i  cisterciensi  ed  altri  con 
qualche   varietà,    cioè    un    sacco    o 


EST 

stuoia  in  vece  del  cilicio,  o  della 
paglia.  Tanto  fu  praticato  da  mol- 
ti cristiani  laici,  e  da  parecchi  prin- 
cipi, siccome  fecero  Luigi  il  Grosso, 
s.  Luigi  IX,  ed  Enrico  III  re  d'In- 
ghilterra. In  progresso  di  tempo  sif- 
fatte pratiche  penitenti  furono  tol- 
te, contentandosi  di  spargere  della 
cenere  sul  letto  del  moribondo,  e 
costumandosi  pure  involgere  i  ca- 
daveri ne'cilici,  sui  quali  eransi  di- 
stesi infermi.  Nel  manuale  della 
Chiesa  di  Venezia,  impresso  nel 
i555,  siccome  ivi  osservavasi  tal 
disciplina,  così  vi  è  la  benedizione  e 
gli  esorcismi  delle  ceneri,  e  la  be- 
nedizione del  cilicio  da  porsi  sopra 
l'infermo  o  sopra  il  defunto,  con 
analoghe  orazioni.  Nota  il  p.  Ber- 
nardo da  Venezia,  traduttore  ed 
annotatore  del  p.  Chardon,  che  for- 
se da  tali  riti  venne  il  costume  nei 
secoli  più  vicini  a  noi,  che  molti 
moribondi  chieggono  l'abito  fran- 
cescano, il  quale,  soggiunge,  è  un 
cilicio,  perchè  venga  steso  sopra  il 
loro  corpo  sul  letto,  e  muoiono  con 
esso  coperti;  al  qual  costume  avrà 
poi  dato  maggior  desiderio  l'acqui- 
sto delle  indulgenze  concesse  dai 
Papi  a  chi  muore  col  detto  abito 
in  dosso.  Tutto  ciò,  osserva  il  Char- 
don, prova  che  i  fedeli  in  molti 
luoghi  usavano  dare  chiari  segni  di 
penitenza  alla  loro  morte,  e  in  al- 
cune diocesi  innanzi,  o  dopo,  o  nel 
tempo  stesso  della  estrema  unzione; 
cosicché  si  può  dire  che  questa  ce- 
rimonia ne  fosse  parte  in  alcune 
chiese,  non  però  parte  essenziale 
del  sagramento:  dappoiché  ella  era 
usanza  lodevole  in  alcuni  paesi,  men- 
tre in  altri  era  sconosciuta.  Cosi  la 
Chiesa  risplende,  come  la  sposa  dei 
cantici,  per  questa  gradevole  varie- 
tà della  sua  disciplina. 


EST  123 

§  VI.  Altre  cerimonie  dell'  estrema 
unzione  _,  e  superstizioni  insorte 
su  di  essa. 


Il  sacerdote  accompagnalo  da  un 
chierico,  giunto  presso  l'infermo  col- 
l' olio  santo,  gli  fa  baciare  la  cro- 
ce, lo  asperge  d'acqua  santa,  in  uno 
cogli  assistenti,  l'esorta,  dice  l'ora- 
zione, poscia  immerge  il  pollice  del- 
la mano  destra  nell'olio  degl'infer- 
mi, e  fa  le  unzioni  in  forma  di 
croce  cominciando  dall'occhio,  es- 
sendo chiusa  la  palpebra.  Termina- 
te le  unzioni  il  sacerdote  recita  an- 
cora delle  preghiere,  le  quali  sono 
seguite  da  un'  esortazione  all'  infer- 
mo, e  l' eccita  a  raccomandarsi  al 
Crocefisso,  a  pensare  alla  sua  morte 
e  passione,  e  ad  unire  i  suoi  do- 
lori a  quelli  di  Gesù  Cristo,  ed  ap- 
plicarne il  frutto  con  cristiana  ras- 
segnazione. Per  quello  che  riguarda 
P  ordine ,  col  quale  bisogna  am- 
ministrare l'estrema  unzione,  è  dif- 
ferente secondo  le  diverse  diocesi. 
Anticamente  usavano  gl'infermi  di 
andar  alla  chiesa  se  potevano,  o  di 
farvisi  portare  per  ricevere  l'estre- 
ma unzione;  laonde  si  rileva  che 
gl'infermi  non  la  ricevevano  sem- 
pre distesi  in  letto,  come  ora  si  fa; 
e  da  molti  rituali  del  p.  Marlene 
sappiamo,  che  eziandio  ricevendola 
nelle  case  loro,  la  ricevevano  fre- 
quentemente inginocchiati  o  seden- 
do. Ciò  prescrive  il  rituale  di  Sa- 
lisburgo, dicendo:  »  L'infermo  si 
metta  in  ginocchione  alla  destra  del 
sacerdote,  e  si  canti  l' antifona,  ec.  " 
Osserva  il  p.  Chardon,  che  questa 
maniera  di  riceverlo  sarebbe  più 
conforme  allo  spirito  della  Chiesa, 
e  mostrerebbe  più  di  rispetto  per  un 
sagramento  sì  proficuo  alle  anime 
nostre;  ma  per  così  fare,  nou    bi- 


n4  EST 

sognerebbe  aspettare  a  chiederlo  nel- 
T  ultima  estremità,  come  si  fa  og- 
gidì, ma  in  tempo  che  l'infermo 
fosse  ancora  in  forze,  ed  avesse  la 
mente  libera,  per  conoscere  e  pro- 
fittare di  tanto  bene. 

Il  Chardon  riprova  Pattendere  pro- 
priamente il  punto  estremo,  per  l'am- 
ministrazione di  questo  sagramen- 
to,  quando  l' infermo  è  mezzo  mor- 
to, il  che  è  contrario  all'  intenzio- 
ne della  Chiesa.  Questo  abuso  eb- 
be origine  nel  secolo  XIII,  per  l'o- 
pinione sparsasi,  che  quelli  i  quali 
avessero  ricevuto  l'estrema  unzione, 
se  guarivano  non  potessero  più  usa- 
re il  matrimonio,  mangiar  carne,  e 
andar  scalzi.  Un  concilio  d'Inghil- 
terra ci  fa  sapere  essere  stata  dai 
falsi  dottori  sparsa  questa  opinione 
fra  la  plebe;  anzi  i  vescovi  per 
sradicarla  dichiararono,  che  ne  de- 
testavano e  scomunicavano  gl'in- 
ventori. Durando  queste  idee  false 
e  ridicole,  vennero  riprovate  dai 
concili  di  Worcester,  di  Winche- 
ster, di  Oxford  ec.  Anche  in  Fran- 
cia, o  almeno  in  Normandia,  si  sta- 
bilì tale  superstizione;  fallace  opi- 
nione, che  in  parte  sussisteva  ver- 
so la  fine  del  secolo  XV  nella  dio- 
cesi di  Verdun.  Affine  di  vincerla 
del  tutto,  si  volle  piuttosto,  per  non 
iscandalezzar  i  semplici,  aspettare 
quasi  l'imminente  pericolo  di  morte 
per  conferire  questo  sagramento,  e 
prevalse  un  tal  uso,  tuttora  in  pra- 
tica. Non  si  deve  tacere,  che  altro 
motivo  dell'abuso  di  ritardare  l'e- 
strema unzione,  fu  l'avarizia  d'al- 
cuni preti,  i  quali  esigevano  tante 
cose  da  quelli,  a  cui  la  ministrava- 
no, che  mettevano  i  poveri  nella 
impossibilità  di  riceverla,  e  distor- 
navano i  ricchi  dal  domandarla.  Il 
Chardon  riporta  l'esigenze  di  sif- 
fatti ecclesiastici    a    pag.    382,    in- 


EST 

sieme  alle  condanne  e  provvidenze 
prese  opportunamente. 

Il  sagramento  della  estrema  un- 
zione si  può,  anzi  si  deve  dare 
agi'  infermi  ancorché  privi  di  sensi, 
tranne  qualche  caso  straordinario, 
per  esempio  come  quello  di  un  pub- 
blico peccatore,  colpito  e  tolto  di 
sentimenti  in  tale  stato,  e  che  non 
abbia  dato  alcun  segno  di  pentimen- 
to, come  esprimesi  Benedetto  XIV,  de 
Synado  dioecesana  lib.  VII,  e.  2  3. 
L'adulto  battezzato,  benché  privato 
di  sensi  dalla  forza  del  male,  può 
ricevere  tutti  quegli  effetti,  che  que- 
sto sagramento  produce  di  sua  virtù, 
ossia,  come  dice  la  scuola,  ex  ope- 
re operato  j  non  quelli  ex  opere 
operanti?  sùbjecti,  come  avverrebbe 
se  l' infermo  accompagnasse  la  sa- 
cra unzione  coi  divoti  movimenti 
dell'animo.  La  Chiesa  poi  mai  non 
permise,  e  molto  meno  prescrisse, 
che  si  desse  la  estrema  unzione  ai 
fanciulli  non  ancora  giunti  all'uso 
della  ragione. 

Il  principale  effetto  di  questo  sa- 
gramento si  è  quello  espresso  da  s. 
Giacomo  colle  parole  :  et  si  in  pecca  - 
tìs  fuerit,  remittentur  e?',  giacche  l'ef- 
fetto principale  di  un  sagramento 
non  può  essere  la  fìsica  e  tempo- 
rale guarigione;  ma  i  fanciulli  pri- 
ma della  discrezione  del  bene  e 
del  male  morale  sono  incapaci  di 
commettere  peccato,  dunque  inca- 
paci di  questo  sagramento.  Che  se 
si  legge  alcuna  unzione  praticata  in 
alcuna  chiesa  co' pargoletti,  quella 
non  era  un  sagramento,  ma  una 
divota  cerimonia  per  impetrare  la 
sanità  del  fanciullo.  V.  Benedetto 
XIV,  de  Synodo  dioec.  lib.  VII,  cap. 
21,  ed  il  Tournely.  Il  p.  Martène, 
de  anliq.  Eccl.  ritibus  cap.  7,  art.  1, 
par.  2,  prova  il  medesimo  con  an- 
tichi monumenti.  Quanto  poi  al  Cai- 


EST 

dinal  Cusano,  epistol.  ad  Bohem., 
e  Maldonato,  de  Sacramenti?,  i  qua- 
li sembrano  asserire  il  contrario, 
dice  Cornelio  a  Lapide  aver  così 
parlato  senza  fermo  fondamento , 
come  risulta  da  certi  monumenti  ec- 
clesiastici ;  seppure  non  vadano  in- 
tesi quegli  autori  di  una  unzione 
divota  senza  la  pronunzia  della  for- 
ma sagra  menta  le  ;  unzione  la  qua- 
le consta  essere  stata  in  uso  nella 
Chiesa,  come  può  vedersi  nel  Tour- 
nely,  de  Ex  trema  Vnctione  quaer., 
3  in  addinone. 

Le  cerimonie  e  le  orazioni  che  an- 
ticamente accompagnavano  l'unzio- 
ne degli  infermi,  le  prenderemo  da 
un  Pontificale  ms.  del  monistero 
di  Jumieges  in  Inghilterra,  il  cui  ca- 
rattere è  di  circa  mille  anni.  «  Quan- 
«  do  i  sacerdoti  saranno  stati  chia- 
»  mati  alla  casa  dell'infermo  per 
«  fargli  l'unzione,  il  più.  degno  tra 
»  loro  si  vesta  di  cotta,  stola .... 
»  il  diacono,  che  porta  il  vangelo 
»  e  l'olio  degli  infermi,  e  così  i  ce- 
»  roferari,  si  vestano  ciascuno  giusta 
»  il  loro  ordine.  Un  ceroferario 
»  porti  nella  mano  dritta  un  cero, 
«  e  nella  sinistra  un  turibolo  con 
»  incenso.  Così  preparati,  quando 
»  entreranno  in  casa  dell'infermo,  il 
»  sacerdote  tenga  nella  mano  sini- 
«  stra  il  libro  che  contiene  le  ora- 
»  zioni  di  questo  uffizio,  e  colla 
»  destra  faccia  il  segno  della  cro- 
»  ce,  acciocché  possa  con  umiltà 
»  e  timor  di  Dio  compiere  quan- 
w  to  avrà  cominciato.  Nell'ingresso 
»>  dica  l' antifona  :  La  pace  sia  in 
»  questa  casa,  e  ne' suoi  abitanti, 
»  e  sopra  quelli  eh'  entrano  ed 
»  escono  da  essa  ".  Stando  il  sa- 
cerdote alla  porta  faceva  un'orazio- 
ne adattata  .  Poi  avanzandosi  asper- 
geva coli'  acqua  benedetta,  dicendo: 
asperges  me   ec.  Indi  si    accostava 


EST  n5 

all'infermo  con  somma  dolcezza, 
diceva  un'orazione  dopo  l'aspersio- 
ne dell'acqua  benedetta,  e  un'altra 
dinanzi  il  letto,  prima  di  parlargli. 
Mettendosi  poi  inginocchione  innan- 
zi all'infermo,  gli  domandava:  Fra- 
tello, perchè  ci  avete  voi  chiamali? 
Questi  rispondeva  :  Acciocché  vi 
piaccia  darmi  V estrema  unzione.  Al- 
lora il  sacerdote  doveva  con  poche 
e  soavi  parole  istruirlo,  e  dirgli  : 
Preparatevi  prima  a  fare  una  buo- 
na confessione,  e  poi  riceverete  l'un- 
zione. Se  era  un  secolare,  gli  di- 
ceva :  Assettate  gli  affari  di  vostra 
casa,  e  se  avete  livore  con  alcuno 
perdonategli,  acciocché  per  divina 
pietà,  e  virtù  di  questa  unzione  pos- 
siate ricevere  il  perdono  de' peccati. 
Seguiva  una  breve  orazione,  e  l'in- 
fermo si  confessava.  Si  dicevano  le 
litanie  coi  capitoli  e  l'orazione,  e 
un'antifona,  che  comincia:  An- 
gelus Raphael ,  ec.  Dopo  si  un- 
gevano le  ciglia ,  le  orecchie ,  le 
narici,  i  labbri,  il  collo,  le  spalle, 
il  petto,  le  mani,  e  i  piedi  in  for- 
ma di  croce,  aggiungendo  a  ciascu- 
na unzione  un'  orazione  adattata, 
come  per  esempio,  Ungo  te  oculos 
tuos  ec.  ;  la  quale  era  seguita  da 
un'  antifona  e  da  un  salmo.  Il  li- 
bro raccomanda  d'  ungere  la  parte 
afflitta,  o  la  sede  del  male.  Dopo 
tutte  queste  unzioni  e  formole,  il 
Pontificale  dice:  «  Si  fa  questo, 
m  acciocché,  se  i  cinque  sentimenti 
»  del  corpo  e  dello  spirito  sono 
»  macchiati,  si  mondino  con  que- 
»  sto  divino  rimedio  ".  Finalmente 
chiudevasi  la  cerimonia  con  otto  o 
nove  orazioni,  colle  quali  si  doman- 
dava a  Dio  per  l' infermo  la  re- 
missione de'  peccati  e  la  sanità.  Il 
Rituale  ambrosiano  del  Cardinal 
Monti,  pag.  168,  prescrive  bensì  la 
unzione  dopo  il   viatico,  ma    avver- 


126  EST 

te  i  parrochi,  clic  non  aspettino  a 
farla  quando  l'infermo  è  fuori  di 
se,  anzi,  se  v'ha  pericolo  che  dopo 
la  comunione  possa  egli  restar  pri- 
vo di  cognizione,  vuole  che  seco 
portino  il  vaso  dell'olio  santo,  as- 
sieme col  vaso  della  ss.  Eucaristia, 
per  ungerlo  subito,  dopo  averlo  co- 
municato. 

In  quanto  alle  cerimonie  che  i 
greci  ed  orientali  usano  per  l' estre- 
ma unzione,  riporteremo  quanto  ne 
scrive  il  dotto  Renaudot.  Queste  ce- 
rimonie consistono  in  un  maggior 
apparato  di  riti  e  di  orazioni  che 
non  nell'occidente.  L'uffizio  si  fa 
ordinariamente  da  sette  sacerdoti, 
in  che  pretendono  seguire  alla  let- 
tera le  parole  di  s.  Giacomo:  In- 
ducat  presbyleros,  ec.  Se  però  non 
si  trovano  sette,  lo  fanno  cinque,  o 
tre,  ma  non  mai  un  solo.  Siccome, 
giusta  la  loro  disciplina,  non  si 
aspetta  che  l'infermo  sia  agli  estremi 
per  dargli  l'olio  santo,  così  que- 
sta cerimonia  spessissimo  si  fa  nel- 
la chiesa,  ove  si  fa  portare  l'infer- 
mo. Si  può  tuttavia  in  casa  di  que- 
sto far  l'uffizio,  quando  non  sia  in 
istato  di  essere  trasferito.  Si  pren- 
de olio  di  oliva,  si  mette  in  una 
lampada  con  sette  lucignoli,  e  il 
più  anziano  de'  sette  sacerdoti  dice 
preghiere  e  benedizioni.  Poi  si  un- 
ge r  infermo  in  diverse  parti  del 
corpo,  dopo  aver  acceso  il  primo 
lucignolo,  e  così  degli  altri  conti- 
nuando le  orazioni,  e  facendo  il 
segno  di  croce.  Perciò  Tommaso 
di  Gesù,  ed  altri,  scrissero,  che  i 
cristiani  orientali  non  danno  l'estre- 
ma unzione  agl'infermi,  ma  li  un- 
gono coli'  olio  di  una  lampada,  per- 
chè non  avevano  presa  informazio- 
ne da  genti  di  quelle  parti,  e  mol- 
to meno  da'  loro  libri  ecclesiastici, 
che  tutti  contengono  questo  uffizio. 


EST 

Il  rituale  di  Gabriele  patriarca  dei 
cofti  prescrive  così:  «S'empie  d'o- 
lio buono  della  Palestina  una  lam- 
pada con  sette  stoppini,  che  si  col- 
loca dinanzi  l'immagine  della  B. 
Vergine,  appresso  l'è  vangelo  e  la 
croce.  Si  radunano  sette  sacerdoti, 
o  più  o  meno,  che  non  importa.  Il 
maggiore  comincia  l' orazione  del 
rendimento  di  grazie,  eh' è  nella  li- 
turgia di  s.  Basilio.  La  incensa  pri- 
ma di  leggere  1'  epistola  di  s.  Pao- 
lo. Poi  dicono  tutti  :  Kyrie  eleison, 
l'orazione  dominicale,  il  salmo  3i  , 
l'orazione  pegl' infermi,  eh 'è  nella 
liturgia,  ed  altre  particolarità  nota- 
te nell'uffizio  della  estrema  unzio- 
ne. Finite  le  quali,  accende  un  lu- 
cignolo facendo  la  croce  sopra  l'olio, 
e  gli  altri  frattanto  cantano  salmi. 
Quando  poi  ha  terminate  le  altre  o- 
razioni  pegl' infermi,  legge  la  lezione 
dell'  epistola  cattolica  di  s.  Giacomo 
in  lingua  cofta,  e  poscia  in  arabo. 
Poi  dice:  Sanctus,  Gloria  Patri, 
l'orazione  del  vangelo,  un  salmo 
alternativamente  con  un  altro  sa- 
cerdote, poi  un  evangelo  in  cofto, 
e  in  arabo  le  tre  orazioni  che  se- 
guono nella  liturgia,  una  al  Padre, 
l'altra  per  la  pace,  un'altra  gene- 
rale, il  simbolo  niceno,  e  l'orazio- 
ne che  gli  vien  dietro.  Comincia 
poi  il  secondo  sacerdote  dalla  be- 
nedizione del  suo  lucignolo,  accen- 
dendolo, e  facendo  il  segno  di  croce. 
Poi  dice  1'  orazione  dominicale,  e  il 
resto  come  il  primo.  Gli  altri  per 
ordine  fanno  lo  stesso;  cosicché,  giu- 
sta l'osservazione  dell'autore  della 
scienza  ecclesiastica,  in  questa  fun- 
zione si  dicono  sette  epistole,  sette 
evangeli,  sette  salmi,  e  sette  ora- 
zioni particolari,  oltre  le  comuni 
tolte  dalla  liturgia.  Finita  ogni  co- 
sa quegli  per  cui  si  fa  tal  benedi- 
zione, se  le  sue  forze  il    permetto* 


EST 

no,  si  accosta,  e  si  fa  sedere  colla 
faccia  rivolta  all'  oriente.  I  sacerdoti 
gli  tengono  alto  il  libro   de'vange- 
li  sopra    il    capo,    e    gì' impongono 
le  mani.  II  sacerdote  anziano    dice 
le  orazioni  proprie,  poi  fanno  alza- 
re l'infermo,  lo  benedicono  col  li- 
bro de' vangeli,  e  recitano  il  Pater 
noster.  Poi  si  apre  il  libro,  e  si  leg- 
ge sopra  di  lui  il  testo  che    a  ca- 
so   s'incontra.    Si    recitano    il  sim- 
bolo, e  tre  orazioni,  dopo  le  quali 
si  alza  la  croce  sopra  il  capo    del- 
l'infermo, e  allo  stesso  tempo  si  re- 
cita sopra  di  lui  l'assoluzione  gene- 
rale della  liturgia.  Se  il    tempo  il 
permette,  si  dicono   altre    orazioni, 
e  si  fa  la  processione  per  la   chie- 
sa colla  lampada  benedetta,  e  cande- 
le accese ,  chiedendo  a  Dio   la  sa- 
nità dell'infermo  per  l'intercessione 
de' martiri   ed  altri  santi.    Se  l'in- 
fermo non  può    andare    all'  altare, 
un  altro  fa  le  sue    veci.    Dopo    la 
processione,  i  sacerdoti  ungono  colle 
solite  unzioni  l' infermo.  Tali    sono 
i  riti  prescritti  dal  patriarca  Gabrie- 
le per  la   chiesa   Giacobita  di  Ales- 
sandria, il  che  affermano  anche  Eb- 
nassal    ed  Echmini.   I   giacobiti  so- 
riani hanno  riti  assai  somiglianti,  i 
quali  non  descrivo,  perchè   non  dif- 
feriscono essenzialmente,    come  an- 
che l'uffizio  de'greci  e  degli  etiopi  ". 
Finalmente,  circa    le  superstizio- 
ni insorte  in  occasione    della  estre- 
ma unzione,  oltre  quella  sum men- 
tovata, ci  fu  pure  l'immaginare  che 
questo  sagramento  diminuisca  il  ca- 
lore naturale,  faccia  cader  i  capelli, 
o  acceleri  la  morte,  o  che  le  donne 
incinte  che  lo  ricevono  soffrano  mag- 
giori dolori  nel  parto,  e  che  porti 
la  itterizia  ai  loro  figli,  ovvero  fac- 
cia morire  in  poco  tempo  le  api  le 
quali  sono  intorno  alla  casa  dell'am- 
malato, e  che    quelli    che   l'hanno 


EST  ,27 

ricevuto  moriranno  se  danzeranno 
nel  rimanente  dell'anno,  o  che  sia 
peccato  filare  nella  camera  dell'in- 
fermo moriente,  perchè  mona  se 
si  cessa  dal  filare ,  o  se  il  filo  si 
rompe,  o  che  non  si  debbano  lavar 
i  piedi,  se  non  molto  tempo  dopo 
che  si  ha  ricevuta  1'  estrema  unzio- 
ne, o  che  bisogni  aver  sempre  una 
lampada  od  un  cero  acceso  nella 
camera  del  malato  finché  dura  la 
malattia,  o  che  nel  tempo  in  cui 
si  amministra  sia  d'uopo  di  un  cer- 
to numero  di  candele  o  di  ceri  ac- 
cesi. Queste  ed  altre  sono  le  super- 
stizioni sulla  estrema  unzione,  ri- 
provate dalla  Chiesa,  di  che  tratta 
M.  Thiers  nel  Trattato  delle  supersti- 
zioni, tom.  XIV,  lib.  8.  Il  Chardon 
per  ultimo,  a  pag.  3 96  e  seg.,  ri- 
porta per  appendice  al  trattato  del- 
l'estrema  unzione  un  documento, 
che  ne  contiene  l'antichissimo  rito, 
e  il  modo  come  si  amministrava 
circa  nove  secoli  addietro,  chiama- 
to dal  p.  Morino  il  ms.  di  Sicilia. 
Del  Cardinal  Stefano  Eorgia,  ab- 
biamo l'erudita  dissertazione,  de 
Sacramento  Extremae  Unctionis, 
non  che  il  Compendium  ordinis  Ale- 
xandria illustratimi,  atque  latina  lin- 
gua donatimi,  una  cimi  caeteris  orien- 
talium  ecclesiarum  de  sacra  ELAJO 
lampade  officiis  editimi.  Ivi  il  eh. 
autore  si  propose  di  addimostrare, 
che  quantunque  i  copti  ossia  ales- 
sandrini amministrino  altramente 
il  sagramento  della  estrema  un- 
zione, nondimeno  in  ciò  convengo- 
no coi  greci  ortodossi  riguardo  al- 
l'essenza. 

ESTREVELD.  Luogo  d'Inghil- 
terra dove  fu  tenuto  un  concilio 
nell'anno  703,  di  cui  parla  il  p. 
Mabillon,  Annal.  s.  Bened.  t.  II,  p.  5. 

ESTUNICA  Giovanni,  Cardi- 
nale.   V.    ZUNIGA. 


1*8  ESU 

ESUPERIO  (s.).  Nativo  di  Aqui- 
tania,  crebbe  Esuperio  cogli  anni 
in  santità  e  dottrina,  per  cui  alla 
morte  di  s.  Silvio  fu  innalzato  al- 
la sede  di  Tolosa.  Quivi  fece  egli 
brillare  la  sua  carità  verso  i  po- 
veri, che  più  volte  lo  espose  a  sof- 
frire la  fame ,  per  provvedere  ai 
bisogni  de'  suoi  fratelli.  Sotto  il  suo 
episcopato  i  vandali ,  gli  svevi  e 
gli  alani  recarono  alle  Gallie  orri- 
bili guasti.  In  tanta  iattura  Esupe- 
rio con  sollecitudine  la  più  viva 
si  adoperò  a  soccorrere  gì'  infelici. 
S.  Girolamo  tenne  con  lui  corris- 
pondenza di  lettere,  e  molti  elogi 
faceva  in  quelle  della  sua  carità; 
e  lo  stesso  s.  Paolino  vescovo  di 
Nola,  scrivendo  nell'anno  4°9>  PUD_ 
blicava  Esuperio  per  uno  dei  più 
insigni  vescovi  delle  Gallie.  S'igno- 
ra il  luogo  e  l'anno  di  sua  morte. 
E  onorato  in  Tolosa  nel  giorno  28 
settembre. 

ESUPERIO  (s.).  Poche  sono  le 
notizie,  che  si  hanno  di  questo 
satito.  Romano  di  nascita,  predicò 
l'evangelio  in  Normandia,  eresse 
la  chiesa  di  Bayeux,  e  divenne  an- 
che il  primo  suo  vescovo:  mori 
verso  la  fine  del  quarto  secolo. 
Nell'anno  o,43  il  suo  corpo  venne 
trasferito  a  Corbeil,  sette  leghe  di- 
stante da  Parigi.  Ivi  è  in  grande 
venerazione  pei  molti  prodigi  ope- 
rati, e  la  sua  festa  si  celebra  il  dì 
primo  di  agosto. 

ETÀ'  del  mondo.  Sono  ordina- 
riamente tutti  i  tempi  che  prece- 
dettero la  nascita  di  Gesù  Cristo, 
che  dividonsi  in  sei  età.  La  pri- 
ma comincia  col  mondo,  termina 
al  diluvio  universale,  comprende 
i656  anni.  La  seconda  età  comin- 
cia col  diluvio,  termina  colla  vo- 
cazione di  Abramo,  nel  2082,  e 
comprende  426  anni.  La  terza  età 


ETÀ 
comincia  dalla  vocazione  di  Àbra- 
mo, termina  coll'uscita  degl'  israe- 
liti dall'Egitto  nell'anno  del  mon- 
do 25 1 3,  e  comprende  43 1  anni. 
La  quarta  età  comincia  coll'uscita 
dall'Egitto,  termina  colla  fondazio- 
ne del  tempio  di  Salomone  nel- 
l'anno del  mondo  2992,  e  compren- 
de 479  annì'  La  quinta  età  inco- 
mincia dalla  fondazione  del  tempio 
di  Salomone,  termina  colla  cattivi- 
tà di  Babilonia  nell'anno  del  mon- 
do 34i6,  e  comprende  4^4  anni- 
La  sesta  età  principia  dalla  catti- 
vità di  Babilonia,  termina  colla 
nascita  di  Gesù  Cristo ,  successa 
nell'anno  del  mondo  4°o°>  il  quar- 
to, o  secondo  altri  il  quinto  anno 
avanti  l'era  cristiana,  e  compren- 
de 584  anni-  Quindi  si  osserva 
una  notabile  differenza  tra  la  Bib- 
bia ebraica,  seguita  dalla  Volgata, 
e  la  Bibbia  dei  settanta  intorno 
la  cronologia  degli  anni  del  mon- 
do: la  Bibbia  greca  dei  settanta 
conta  dalla  creazione  del  mondo 
fino  alla  nascita  di  Abramo,  1 5oo 
anni  di  più  della  Bibbia  ebraica 
e  della  Volgata,  e  da  ciò  appunto 
proviene  la  divisione,  e  i  diversi 
opinamenti  dei  cronologi.  Su  que- 
sto argomento  si  possono  vedere 
gli  articoli  Epoca  ed  Era,  ove  sono 
riportati  alcuni  autori  che  trattano 
di  esso.  Inoltre  sulle  suddette  sei 
età,  si  può  vedere  il  gesuita  Mu- 
sanzio  nelle  sue  Tabulae  Chrono- 
logicae.  Sulle  età  del  mondo  nar- 
ra cose  erudite  il  Sarnelli  nelle 
Lelt.  eccles.,  tom.  Ili,  p.  91  e  92, 
e  tom.  IV,  pag.  3i,  num.  8. 

ETÀ*  dell'uomo.  Diversamente 
da  vari  autori  sono  stati  divisi  i 
gradi  dell'età  degli  uomini.  Aulo 
Gellio  nel  lib.  io,  cap.  28  ne  fa 
solamente  tre,  cioè  la  puerizia,  la 
gioventù,  e  la  vecchiaia,  seguendo 


ETÀ 
in  ciò  l'autorità  di  Tubcrone,  il 
quale  riferisce  clic  Servio  Tullio, 
sesto  re  di  Roma ,  putti  chiamò 
tutti  quelli  che  non  avevano  an- 
cora compiti  dieciselte  anni,  dopo 
del  qual  tempo  entravano  nella 
classe  da' giovani,  e  si  ascrivevano 
tra' soldati,  e  questa  età  sino  al- 
l'anno quarantesimo  sesto  si  esten- 
deva, indi  cominciava  la  vecchiez- 
za, ch'era  l'ultima,  e  durava  per 
tutto  il  restante  della  vita.  Gale- 
no, famoso  medico,  distinse  quat- 
tro gradi,  nel  suo  libro  Dcfinitiones 
mcdicae:  il  primo  è  dei  giovani j 
il  secondo  è  di  quelli  che  con 
voce  greca  chiamò  acmazontas , 
che  equivale  a  vigorosi,  il  che  ap- 
partiene alla  virilità;  il  terzo  di 
quelli  ch'erano  in  uno  stato  di 
mezzo  fra  questi  che  abbiamo 
detto,  ed  i  vecchi  che  metteva 
nell'ultima  classe.  A  Marco  Var- 
rone  però  parve  che  si  dovesse 
distinguere  in  cinque  gl'adi,  cioè: 
il  primo  è  dei  fanciulli  sino  al- 
l'anno decimo  quinto,  e  questi  con 
voce  latina  si  dicono  pueri3  quasi 
puri,  perchè  sono  impuberes;  il 
secondo  è  dei  giovani ,  l'età  dei 
quali  comprende  i  primi  trenta  an- 
ni della  vita,  e  questi  sono  da  Var- 
rone  detti  adolescens,  perchè  ado- 
lescunt,  stanno  in  crescere;  nel  ter- 
zo, che  dai  trenta  anni  si  estende 
sino  ai  quaranta  anni  compiti,  so- 
no quelli  appellati  juvenes,  giova- 
ni, perchè  possono  colle  forze  cor- 
porali giovar  alla  patria,  servendo 
alla  milizia;  il  quarto  grado  è  di 
quelli  che  hanno  passato  quaranta- 
cinque anni,  sino  ai  sessanta,  e  que- 
sti l'istesso  autore  chiama  seniores, 
perchè  già  si  vanno  avvicinando  al 
quinto  ed  ultimo  grado  di  quelli 
che  non  seniores,  ma  assolutamen- 
te si  dicono  senesj  vecchi  ;  e  que- 
vol.   mi. 


ETÀ  129 

sto  grado    dura    sino    ali 'estremità 
della  vita. 

Il  Pontefice  s.  Gregorio  I,  nel 
lih.  II  de'  suoi  Morali,  al  cap.  i5, 
fa  parimenti  cinque  gradi,  che  so- 
no questi:  infantici,  pueritia,  adole- 
scenza, Juventus,  senectus.  Ecco  poi 
come  si  esprime.  «  Prima  hominis 
«  aetas  infantia  est,  cura  et  sit  in- 
nocenter  vivit,  nescit  tamen  fari 
innocentiam  quam  habet;  ac  dein- 
de pueritia  sequitur,  in  qua  jam 
valet  dicere,  quod  vult;  cui  suc- 
cedit  adolescenza,  quae  videlicet 
prima  est  aetas  in  operatione  ; 
quam  Juventus  sequitur,  scilicet 
apta  fortitudini,  ac  postmodum 
senectus  etiam  per  tempus  con- 
grua maturi  tati  ".  Il  dottore  s.  Gi- 
rolamo nel  lib.  3  contra  Pelagia- 
nos,  seguendo  Filone  ebreo,  e  Pla- 
tone filosofo,  numera  sette  gradi  di 
età.  «  Quid  dicemus  de  utriusque 
»  sexus  aetate  diversa,  quae  juxta 
w  Philonem,  et  prudentissiraumphi- 
t»  losophorum,  ab  infantia  usque 
«  ad  decrepitarti  senectutem  septe- 
»  nario  ordine  devolvitur,  dum  si- 
»  h\  sit  invicem  aetatum  incremen- 
»  ta  succedunt,  ut  quando  tran- 
«  seamus  de  alia  ad  aliam  sentire 
»  minime  valeamus  ".  Il  medesimo 
s.  Girolamo  scrivendo  sopra  il  cap. 
6  di  Amos  profeta,  numera  que- 
ste sette  età  dicendo  :  infanzia,  pue- 
rizia, gioventù,  età  matura,  vecchiez* 
za,  età  decrepita.  La  medesima 
distinzione  fa  anche  Ippocrate  prin- 
cipe de' medici,  il  quale  dice  che  il 
primo  grado  finisce  ne'  sette  anni, 
il  secondo  ne' quattordici,  il  terzo 
ne' diciotto,  il  quarto  ne' trentacin- 
que, il  quinto  ne' quarantacinque,  il 
sesto  ne'  settantuno,  il  settimo  final- 
mente si  termina  colla  vita.  Solo* 
ne  ne' suoi  versi  elegiaci  divise  tut- 
to il  tempo  della  vita  umana  in 
9 


i3o  ETÀ 

dieci  parli,  e  Clemente  Alessandri- 
no riferisce  detti  versi,  ne' quali  non 
solo  si  pongono  i  gradi  dell'età, 
ma  ancora  quello  che  in  essi  occor- 
re agli  uomini,  mentre  che  per 
quelli  vanno  ascendendo  e  discen- 
dendo. Sono  tutti  questi  gradi  di- 
stinti per  settenarii  ;  nel  primo  set- 
tenario nascono  all'uomo  i  denti; 
nel  secondo  Jit  pube*,  ed  alto  alla 
generazione;  nel  terzo  spunta  sulle 
guancie  e  sul  mento  la  prima  la- 
nugine della  barba;  nel  quarto  l'uo- 
mo è  nel  maggior  vigore  delle  sue 
forze  corporali;  nel  quinto  è  in  età 
conveniente  a  pigliar  moglie,  per 
lasciar  prole,  che  poi  gli  succeda; 
nel  sesto  si  perfeziona  il  giudizio, 
ed  aspira  l'uomo  a  cose  grandi,  e 
sdegna  le  piccole;  nel  settimo  e 
nell'ottavo  cresce  tuttavia  il  sape- 
re, e  la  facoltà  di  spiegar  bene 
con  la  lingua  i  concetti  della  men- 
te; nel  nono  comincia  a  declinare 
il  vigore  dell'animo;  e  nel  decimo 
è  l'uomo  maturo  per  la  morte.  I 
versi  greci  di  Solone  sono  citati  dà 
Clemente  Alessandrino  nel  lib.  6 
Stromatuni,  e  prima  da  Filone  nel 
lib.    i    de  mundi  officio. 

L'età  competente  per  le  dignità 
ecclesiastiche,  la  decretò  il  concilio 
di  Trento,  sess.  24  de  Re  forni.,  e. 
12.  «  È  proibito  a' vescovi  di  am- 
»  mettere  un  ecclesiastico  ad  una 
»  dignità,  se  ei  non  ha  ordine  sa- 
»  grò  richiesto  da  quei  benefizi,  o 
w  almeno  se  non  ha  l'età  necessaria 
»  per  ricevere  quest'ordine  nel  tem- 
«  pò  prescritto  dal  gius,  e  dal  con- 
»  cilio  che  lo  ha  regolato  ad  un  solo 
»  anno  ".  Per  l'età  rispetto  a' be- 
nefizi, da'eanonisti  si  riportano  più 
regole,  come  per  l'età  ai  voti  solen- 
ni, pel  matrimonio,  e  rispetto  agli 
ordini  sagri,  di  che  se  ne  tratta  ai 
rispettivi  articoli,    laonde    solo   qui 


ETÀ 
ci  permetteremo  qualche  cenno  su 
tali  età  che  richiedonsi  per  ognu- 
no. E  primieramente,  per  riguardo 
a' benefizi,  ve  ne  sono  sacerdotali, 
cioè  che  non  possono  essere  confe- 
riti se  non  ai  preti,  gli  uni  per  la 
legge,  gli  altri  per  la  fondazione: 
relativamente  a  questi  ultimi,  che 
sono  le  cappelle  sacerdotali  ed  al- 
tri simili  benefizi ,  osservasi  alla 
lettera  la  legge  particolare  della  fon- 
dazione, e  non  si  possono  conferire 
se  non  a  quello  che  sia  già  prete. 
Rispetto  agli  altri  benefizi,  come  le 
prebende,  le  cappelle  o  semplici  prio- 
rati, o  le  commende,  bisogna  seguir 
l'uso,  a  norma  del  quale  ve  ne  so- 
no alcuni,  che  non  si  danno  se  non 
a  coloro  che  sono  negli  ordini  sa- 
gri, altri  a' semplici  chierici;  moti- 
vo per  cui  sonovi  tanti  chierici  che 
rimangono  semplici  tonsurati  o  sot- 
todiaconi. Da  una  tal  regola  derivò 
quella  dell'età  :  bisogna  avere  ven- 
ticinque anni  pei  benefìzi  sacerdo- 
tali, ventidue  per  quelli  che  obbli- 
gano in  sacrìs,  e  sedici  pei  bene- 
fizi regolari,  essendo  questa  l'età 
nella  quale  si  può  far  professione. 
Pei  benefizi  di  semplice  tonsura  la 
regola  non  è  tanto  certa  :  a  nor- 
ma del  concilio  di  Trento,  sess.  2  3, 
e.  6,  se  ne  potrebbe  ottenere  qual- 
cuno prima  dei  quattordici  anni, 
età  nella  quale  secondo  il  diritto 
romano  si  sorte  di  tutela.  In  Fran- 
cia seguivasi  una  regola  antica  dei- 
la  cancelleria  romana,  a  tenore  del- 
la quale  richiedevasi  undici  anni  per 
le  prebende  delle  cattedrali,  dieci 
per  le  collegiali,  bastando  soli  sette 
anni  pei  semplici  priorati  e  per  le 
semplici  cappellanie  :  la  ragione  od 
il  pretesto  era  di  mantenere  quei 
giovanetti  durante  i  loro  studi  nei 
collegi  o  seminari. 

L'età  pei   voti  solenni   onde  en- 


ETÀ 

(rare  in  qualche  ordine  religioso, 
fu  diversamente  regolata  :  dalla  pu- 
bertà sino  alla  piena  età  maggiore, 
che  è  di  venticinque  anni,  si  pote- 
va fare  tale  obbligazione.  11  con- 
cilio di  Trento,  sess.  i5)  e.  i5,  la 
determinò  a  sedici  anni,  dichiaran- 
do nulle  le  professioni  prima  di 
questa  età,  ed  obbligando  a  fare 
almeno  un  anno  di  noviziato.  Per 
riguardo  all'  età  del  matrimonio,  i 
canonisti  dicono  potersi  contrarre 
all'età  della  pubertà,  che  è  a  do- 
dici anni  per  le  fanciulle,  ed  a 
quattordici  pegli  uomini,  avvertono 
però  che  devesi  avere  riguardo  al- 
la vera  disposizione  del  corpo,  piut- 
tosto che  al  numero  degli  anni. 
Finalmente  per  conto  dell'età  ri- 
spetto agli  ordini  sagri,  per  la  ton- 
sura bisogna  aver  compiuti  i  sette 
anni  ed  essere  cresimato,  od  alme- 
no sei  colla  pontificia  dispensa,  co- 
me decretò  il  concilio  di  Trento, 
sess.  a3,  cap.  12.  Pei  quattro  mi- 
nori viene  rimesso  alla  prudenza 
de' vescovi;  mentre  pel  suddiacona- 
to fa  d'uopo  ventidue  anni,  pel  dia- 
conato ventitre,  pel  sacerdozio  ven- 
ticinque anni  cominciati,  e  pel  ve- 
scovato trenta,  od  almeno  ventiset- 
te cominciati. 

ETALONIA  o  ETALONE.  Se- 
de vescovile  della  Celisiria,  chiama- 
ta anche  Costantina,  posta  tra  i 
monti,  al  termine  della  terra  Pro- 
messa, ed  ove  l'Arabia  si  unisce  al- 
la Celisiria,  presso  la  città  di  Da- 
masco. La  sede  episcopale  fu  fon- 
data nei  primi  secoli  della  Chiesa, 
sotto  la  metropoli  di  B  ostia.  Chi- 
lone  suo  vescovo  intervenne  al  pri- 
mo concilio  di  Costantinopoli ,  e 
Solemo  a  quello  di  Calcedonia,  co- 
me si  legge  nella  Siria  sagra,  pag. 
ili.  Al  presente  Etalonia,  Heta- 
lanieri,  è  un  titolo  in  partibus,  che 


ETÀ  i3i 

conferisce  la  santa  Sede,  dipenden- 
te dalla  metropoli  di  Bostra  egual- 
mente in  partibus. 

ETAMPES  o  ESTAMPES  (Siam- 
pae).  Città  di  Francia,  dipartimen- 
to di  Senna  ed  Oise,  capoluogo 
di  circondario  e  di  cantone  in  li- 
na valle  fertile,  al  confluente  del- 
la Juine  e  dell'  Estampes  sulla  stra- 
da da  Parigi  ad  Orleans.  E  sede 
di  un  tribunale  di  prima  istanza, 
e  di  altri  stabilimenti.  Assai  ben 
fabbricata  è  questa  città,  ha  quat- 
tro chiese  parrocchiali,  uno  speda- 
le, un  collegio  comunale,  una  so- 
cietà di  agricoltura,  ed  un  teatro. 
Sonovi  intorno  la  città  belle  passeg- 
giate piantate  di  alberi,  e  sulle  ri- 
viere più  di  trenta  macine.  Etam- 
pes  è  una  città  antichissima,  che  fu 
fortificata,  e  nella  quale  il  re  Ro- 
berto gettò  i  fondamenti  di  un  ca- 
stello fortificato,  che  a  richiesta  de- 
gli abitanti  fu  distrutto  nel  princi- 
pio del  regno  di  Enrico  IV,  e  del 
quale  vedonsi  ancora  gli  avanzi.  Du- 
rante i  torbidi  del  16^2  questa 
città,  con  dispiacere  degli  abitanti 
sempre  fedeli  al  re,  fu  ceduta  al- 
l'esercito de'principi,  e  ben  tosto 
fu  assediata  da  quelli  di  Luigi  XIV, 
il  quale  dopo  sei  settimane  fu  obbli- 
gato di  levarne  l'assedio,  per  anda- 
re incontro  al  duca  di  Lorena,  che 
veniva  in  soccorso  de'principi.  In 
questa  città  Luigi  VII  il  giovane, 
prima  del  suo  viaggio  per  1'  orien- 
te, radunò  il  suo  parlamento,  la- 
sciando la  reggenza  del  governo  a 
Raoul  conte  del  Vérmandese,  ed  a 
Suggero  abbate  di  s.  Dionisio.  La 
città,  che  aveva  prima  il  titolo  di 
ba ronia,  fu  eretta  in  contea  nel 
1327  da  Carlo  IV,  a  favore  di 
Carlo  d'Evreux  suo  cugino,  e  quin- 
di da  Francesco  I  in  ducato  a  favo- 
re di  Giovanni  di   Brosse    di  Bre- 


i3*  ETÀ 

lagna,  e  d'Anna  di  Pessileu  sua 
sposa.  Enrico  II  li  spogliò  di  tal 
ducato  nel  1 553,  onde  rinvestirne 
Diana  di  Poitiers  sua  favorita  ;  ma 
Carlo  IX,  nel  i562,  lo  restituì  a 
Giovanni.  Morto  questi  senza  po- 
sterità, Enrico  111  nel  i5j6  negra- 
tifico  il  duca  Giovanni  Casimiro, 
che,  avendolo  tosto  rinunziato,  lo 
diede  alla  duchessa  di  Montpen- 
sier,  e  quindi  donollo  a  Marghe- 
rita di  Valois,  sua  sorella,  regina 
di  Navarro.  Questa  lo  cedette  qual- 
che anno  dopo  a  Gabriella  di  Es- 
trées,  duchessa  di  Bea  ufo  rt,  che 
lasciollo  a  Cesare  di  Vendotue,  fi- 
glio naturale  di  Enrico  IV. 

Concili    di  Etampes. 

Il  primo  fu  adunato  nel  1048 
da  Gerdoino  arcivescovo  di  Sens, 
come  si  legge  nelle  vite  degli  arci- 
vescovi di  quella  città. 

Il  secondo  celebrossi  nell'anno 
1091  o  1092,  in  cui  Richerio  ar- 
civescovo di  Sens,  ci  volle  deporre 
Ivone  od  Yves  di  Chartres,  ordinato 
da  Urbano  II,  per  istabilirvi  Go- 
fredo,  dicendo  che  Ivone  erasi  fat- 
to ordinare  in  Roma,  il  che  per 
suo  avviso  tornava  in  pregiudizio 
dell'autorità  reale,  perchè  erasi  re- 
so reo  di  lesa  maestà.  Ma  Ivone 
appellò  al  Papa,  e  arrestò  così  la 
procedura  del  concilio.  Ivo,  epist. 
12;  Labbé  tomo  X;  ed  Ardui- 
no tom.  VI. 

Il  terzo  fu  tenuto  nel  1099  so- 
pra la  disciplina.  Arduino  tona. 
VI,  ed  Ivo,  epist.  Altri  lo  registra- 
no all'anno  11  12,  e  dicono  che  vi 
si  fecero  degli  statuti  sulla  riforma 
de' costumi. 

Il  quarto  fu  concilio  nazionale, 
celebrato  nel  1 1 3o  per  cura  di  Lui- 
gi VI  il  Grosso,  re  di  Francia,  in 


ETE 

occasione  dello  scisma  dell'antipapa 
Anacleto  II,  contro  il  legittimo  In- 
nocenzo II.  Questo  principe  vi  fe- 
ce esaminare  quale  dei  due  fosse 
stato  canonicamente  eletto.  S.  Ber- 
nardo v'intervenne  ad  istanza  del 
re  e  dei  principali  vescovi,  ma 
trepidante  a  cagione  della  grave 
disputa.  Dopo  il  digiuno  e  le  pre- 
ghiere, il  re,  i  vescovi  e  i  signori 
convennero  tutti  di  comun  consen- 
so, di  riportarsi  all'abbate  Bernar- 
do, e  di  stare  al  parer  suo.  Allo- 
ra s.  Bernardo,  dopo  aver  accetta- 
ta la  commissione,  e  dopo  aver  ester- 
nato il  suo  gran  timore  ed  umiltà  in 
interloquire  in  sì  grave  affare,  con 
attenzione  scrupolosa,  esaminò  la 
forma  dell'elezione,  il  merito  degli 
elettori,  la  vita  e  la  riputazione  di 
quegli  che  il  primo  era  stato  elet- 
to, cioè  Gregorio  cardinal  di  s.  An- 
gelo, chiamato  Innocenzo  lì,  e  di- 
chiarò eh'  esso  era  quello  che  do- 
vevasi riconoscere  per  Papa,  e  tutta 
l'assemblea  applaudì  ;  quindi  s.  Ber- 
nardo intraprese  penosi  viaggi  per 
fare  riconoscere  Innocenzo  II,  e  vi 
riuscì.  Labbé  tom.  X  ;  Arduino  t. 
VI  ;  Diz.  dei  Concili. 

Il  quinto  ebbe  luogo  nel  1  1 47, 
sotto  il  pontificato  di  Eugenio  II  I,  ed 
il  regno  di  Luigi  VII,  e  fu  deter- 
minata la  crociata  di  Palestina.  Lab- 
bé tom.  X,  ed  Arduino  tom.  VI. 

ETELBERTO  (s.).  Sino  dai  te- 
neri suoi  anni  mostrò  Etelberto 
un  tenero  amore  verso  Iddio,  con- 
secrando  alla  religione  tutti  i  mo- 
menti, nei  quali  dallo  studio  non 
era  occupato.  Successo  nel  regno 
dell'Anglia  orientale  ad  Etelredo 
suo  padre,  con  molta  saviezza  e 
pietà  governò  egli  i  suoi  popoli 
pel  corso  di  anni  quarantaquattro. 
Quando  si  determinò  di  condur 
moglie  per  dar  successione  alla  co- 


ETE 

rona,  e  gettò  gli  occhi  sopra  la 
principessa  Alfreda,  figlia  di  Offa 
re  di  Mereia,  giovine  dotata  di 
specchiate  virtù.  Si  recò  a  tal  fine 
Etelberto  presso  Offa,  e  conchiuse 
di  celebrarvi  le  nozze.  La  regina 
Quendreda  non  contenta  di  un  tal 
matrimonio,  perchè  vagheggiava 
di  unire  a'  suoi  stati  il  regno  di 
Mereia,  col  mezzo  di  un  suo  fido 
uffiziale  fece  assassinare  Etelberto, 
ed  il  buon  principe  restò  vittima 
del  tradimento  nell'anno  793.  Fu 
segretamente  seppellito  a  Marden, 
ma  il  Signore  coi  miracoli  volle 
glorificare  il  suo  corpo,  e  questo 
disotterrato ,  fu  trasferito  in  un 
magnifico  tempio  a  Hereford.  La 
sua  festa  è  assegnata  il  giorno  20 
maggio. 

ETELBERTO  (s.) .  Pronipote 
Etelberto  di  Engisto,  capo  degli 
anglo-sassoni,  nell'anno  56o  salì 
sul  trono  di  Rent,  e  sposò  Berta, 
figlia  unica  di  Cariberto  re  di  Pa- 
rigi. Educato  e  cresciuto  nell'  ido- 
latria, lasciò  però  che  la  princi- 
pessa sua  sposa  seguisse  liberamente 
la  religione  cattolica,  ed  il  santo  ve- 
scovo Letardo  adoperavasi  a  tutto 
potere  per  sempre  più  assodarla 
nelle  cristiane  virtù.  La  divina  mi- 
sericordia, che  volea  salvo  Etel- 
berto, dell'  esempio  della  sposa  si 
valse  per  illuminarlo  ad  abbando- 
nare il  culto  delle  pagane  divini- 
tà, e  ad  abbracciare  il  vangelo. 
S.  Gregorio  Magno  facendo  l'elo- 
gio della  regina  Berta  la  parago- 
na a  s.  Elena  madre  di  Costanti- 
no. Divenuto  Etelberto  cristiano, 
parve  un  altro  uomo,  e  per  venti 
anni  da  che  egli  visse  convertito, 
tutti  furono  essi  da  lui  consegrati 
per  vantaggio  della  religione.  Col- 
le sante  virtù  dell'  umiltà,  della 
mortificazione,   e  con    una   assidua 


ETE  i33 

e  fervida  preghiera  rintuzzò  egli 
le  passioni  tutte  contro  il  mondo 
ed  il  demonio.  Abolì  le  pagane 
superstizioni,  profuse  in  limosine  a 
sovvenimento  de'  poveri,  fondò  la 
cattedrale  di  Kent,  non  che  l'ab- 
bazia di  s.  Pietro  e  di  s.  Paolo. 
Affievolito  dall'età  e  dalle  indefesse 
sue  cure  sostenute  per  cinquanta- 
sei anni  di  regno,  morì  santamen- 
te l'anno  616,  e  fu  seppellito  nel- 
la chiesa  dei  ss.  Pietro  e  Paolo.  La 
sua  festa  dal  martirologio  romano 
è  assegnata  li  24  febbraio. 

ETELBURGA  (s.).  Sorella  del 
santo  vescovo  di  Londra  Ercon- 
waldo,  e  principessa  anglo-sassone 
fu  Etelburga.  Consecratasi  al  Si- 
gnore fin  dalla  sua  fanciullezza,  si 
ritirò  nel  monistero  di  Barking , 
nel  paese  di  Essex,  e  divenne  po- 
scia badessa.  Etelburga  esercitò  il 
suo  incarico  con  somma  cura,  e- 
dificando  coli'  esempio  le  sue  con- 
sorelle religiose.  Di  nulla  altro  cu- 
rante che  di  piacere  al  suo  sposo 
celeste,  continuamente  anelava  di 
congiungersi  a  lui,  e  giunta  al  ter- 
mine di  sua  vita,  con  santa  gioia 
dolcemente  spirò.  Dopo  la  sua 
morte,  alcuni  segni  visibili  della 
divina  possanza  attestarono,  eh'  el- 
la era  a  godere  la  gloria  de'  bea- 
ti. La  sua  festa  ricorre  li  1 1  otto- 
bre. 

ETELDRITA  o  ALFREDA  (s). 
Nata  Eteldrita  o  Alfreda  da  Of- 
fa re  de'  Merciani,  anziché  segui- 
re l'invito  paterno,  che  la  voleva 
impalmata  ad  Etelberto  re  degli 
est-angli,  preferì  piuttosto  di  con- 
sagrarsi  al  Signore.  Per  esattamen- 
te riuscire  nel  suo  santo  progetto, 
lasciata  la  reggia  paterna,  si  recò 
in  mezzo  le  paludi  di  Crowland 
nella  contea  di  Lincoln,  ed  ivi  rin- 
chiusa in  una  cella  visse  santamen- 


i34  ETE  ETI 

te  pel  corso  di  quaranta  anni.  Una  secolo,  in  cui  v'ebbero  sede  i    vc- 

assidua  preghiera,  accoppiata  ad  una  scovi    Troilo,    Eutropio,    Eudosio, 

ricicla  penitenza  purificarono  l'ani-  Giovanni,  e  Pietro.    Oriens  Christ. 

ma  sua  in  modo  da  renderla    de-  torn.  I,  pag.    1004. 
gna    di  esser    portata    in  cielo,    il         ETERODOSSO  (  Heterodoxus  ). 

che  avvenne    l'anno    834-    La  sua  Dicesi  delle  persone,  e  dei  domini 

festa  è  assegnata  li  2   agosto.  che  sono  contrari  alla  dottrina  cat- 

ETELWOLDO  (s.).  Da  una  il-  tolica,  ed  è  l'opposto  di  ortodosso. 
lustre  famiglia  di  Winchester  sor-  Questo  nome  deriva  dal  greco,  che 
ti  Etelwoldo  i  natali.  Sino  dalla  sua  significa  altro  sentimento  o  opinio- 
giovinezza  ardeva  di  un  santo  a-  ne.  L'eterodosso  non  vuole  l'autorità 
more  di  Dio,  ed  intesa  la  buona  della  Chiesa,  vuol  essere  giudice  da 
fama,  che  di  sé  dava  s.  Dunstano  sé  stesso  delle  scritture,  e  rigetta 
in  Glastenbury,  si  recò  a  lui,  e  la  tradizione  e  le  verità  da  Dio  ri- 
dallo stesso  ricevette  l'abito  mona-  velate. 

cale.  Le  orazioni,  le  lacrime  ed  il  ETIOPIA.  Nome  che  fu  colmi- 
la voro  erano  le  più  gradite  sue  ne  a  diversi  paesi  dell'Africa  e  dei- 
occupazioni,  e  con  tali  mezzi  seni-  l'Asia,  perchè  i  greci  chiamarono 
pie  più  addentravasi  nella  perfe-  Etiopi  tutti  i  popoli  che  avevano 
/ione.  Amava  lo  studio  delle  scien-  la  pelle  nera  o  meticcia  ;  fu  dato 
ze  ecclesiastiche,  e  fu  ben  presto  però  più  particolarmente  ad  una 
promosso  a  decano  della  sua  comu-  contrada  dell'Africa,  che  gli  antichi 
nità.  Avanzando  negli  anni  e  sem-  divisero  in  forme  diverse.  Seguen- 
pre  più  acquistando  egli  merito  e  do  la  divisione  più  comune  con  To- 
riputazione,  fu  innalzato  al  grado  lomeo,  viene  divisa  in  tre  parti, 
episcopale,  e  consecrato  vescovo  col  nome  di  isola  di  Meroe,  Etio- 
della  sua  patria.  Con  zelo  indefes-  pia  sotto  l'Egitto,  e  Etiopia  interna, 
so  sostenne  egli  la  pastorale  digni-  Questa  ultima  comprendeva  tutto- 
tà,  sovvenendo  con  le  limosine  ai  ciò  che  stava  al  sud  del  fiume  jNì- 
bisogni  de' poveri,  istruendo  colla  ger,  ed  all'ovest  meridionale  della 
voce  il  suo  popolo  nella  scienza  Abissinia.  L'Etiopia  sotto  l'Egitto 
della  legge  evangelica,  e  visitando  corrisponde  alla  Nubia,  all' Abissi- 
gli infermi,  e  confortandoli  nei  lo-  nia,  ed  a  questa  Tolomeo  assegna 
ro  travagli.  Dagli  anni  oppresso,  e  la  Trogloditica  degli  antichi  che  cor- 
molto  più  dalle  sue  cure  apostoli-  risponde  alla  costa  di  Abesch.  A 
che,  venne  al  termine  di  sua  vita,  questa  parte  propriamente  si  diede 
e  chiuse  nel  bacio  del  Signore  i  il  nome  d'India  nell'antichità.  Lo 
suoi  occhi  il  di  primo  agosto  del-  stesso  Tolomeo  chiama  Barbarla 
l'anno  984.  La  sua  tomba  fu  ono-  una  provincia  dell'Etiopia,  che  cor- 
rata  di  vari  prodigi  operati  per  risponde  al  Zanguebar,  e  di  cui 
di  lui  intercessione,  ed  il  giorno  Rapta  era  la  capitale.  Chiama  egli 
primo  agosto  è  sacro  alla  sua  me-  Asania  il  moderno  regno  di  Adel, 
moria.  e  situa   una  piazza  marittima,  chia- 

ETENNA,  ETHENA,  *eu  Tena.  mata  l'Hippodromo  di  Etiopia,  ver- 

Sede  vescovile  della    prima    Panfi-  so  il  luogo  della    Guinea,    ove   sta 

lia,  nella  diocesi    d' Asia,    sotto    la  Christiansborg.  La  Etiopia  fu  illu- 

inetropoli  di  Sida,  eretta  nel  quinto  stre  nell'antichità  sì  per  la  ricchez- 


ETI 

za  del  suo  commercio,  che  per  la 
guerra  che  sostenne  contro  gli  egi- 
ziani. Produceva  oro,  rame,  ferro, 
ed  altri  minerali  mancanti  all'Egit- 
to, ma  soprattutto  il  primo  abbon- 
dantemente. Le  pietre  preziose  era- 
no pure  una  delle  ricchezze  dell'E- 
tiopia, trovandovisi  singolarmente 
molte  miniere  di  smeraldi.  Malgra- 
do tante  dovizie,  gli  etiopi  condu- 
cevano una  vita  trista,  perchè  abi- 
tavano un  terreno  ingrato,  respi- 
ravano un'aria  malsana,  ed  erano 
lontani  dagli  altri  popoli.  Questa 
nazione  però  fu  assai  possente,  ed 
estese  la  sua  dominazione  sino  alla 
Siria,  ma  Sesostri  la  soggiogò.  Più 
modernamente  sotto  il  generico  no- 
me di  Etiopia,  s'intende  l'Africa 
propriamente  di  mezzo,  e  si  divide 
in  alta  e  bassa.  La  prima  com- 
prende la  Nubia,  l'Abissinia,  e  por- 
zione della  Guinea  ;  la  seconda  i 
paesi  situati  al  sud  della  linea.  Per 
mare  di  Etiopia  intendesi  la  parte 
dell'oceano  atlantico  presso  l'equa- 
tore, e  specialmente  il  golfo  di  Gui- 
nea. Altri  dicono  che  l'Etiopia  oc- 
cupava poco  meno  della  metà  del- 
l'Africa, dividendosi  in  alta  e  bas- 
sa; che  l'alta  ha  il  nome  di  Abissinia; 
che  anticamente  il  suo  impero  era 
più  esteso,  ma  dai  turchi,  dagli 
arabi,  ed  altri  popoli  vicini  fu  per 
tal  modo  diminuita,  che  in  appresso 
appena  restarono  la  metà  de' suoi 
antichi  possedimenti.  Dell'Etiopia , 
di  ciò  che  riguarda  la  sua  storia 
civile,  politica  e  religiosa  se  ne  par- 
la anche  agli  articoli  Abissinia , 
Egitto,  ec.  ec.  (Vedi).  In  Parigi,  nel 
i55g,  l'Heliodoro  pubblicò  YHistoi- 
re  Aethiopique,  che  fu  tradotta  in 
italiano  da  Leonardo  Ghini,  e  stam- 
pata dal  Giolito  in  Venezia  nel 
»i56o.  Abbiamo  inoltre  Chaldeae, 
seu    Aethiopicae    linguae   institutio- 


ETI  i35 

nes,  Romae  i63o,  di  Vittorio  Maria- 
no. Nella  tipografia  di  Propaganda 
fide  vi  sono  varie  opere  in  idioma 
etiopico,  come  la  dottrina  cristiana 
del  Cardinal  Bellarmino,  YAlphabe- 
tum  Aethiopicuni,  ec. 

Nella  dirai  sagra  dell'abbate  Ter- 
zi di  Lauria,  a  pag.  390  e  seg., 
vi  è  la  descrizione  dell'Etiopia,  e 
sue  provincie.  Egli  dice,  che  il  va- 
stissimo impero  dell'alta  e  bassa 
Etiopia  consisteva  iti  quaranta  e 
più  provincie,  che  enumera,  o  sie- 
no  regni  qua  e  là  dalla  linea  equi- 
noziale, abitati  da  cristiani  scisma- 
tici, e  da  mori  idolatri,  divisi  in 
molte  lingue,  sebbene  nella  scrittu- 
ra convengano  in  una,  com'è  tra 
noi  la  latina.  Aggiunge  che  ubbi- 
divano gli  etiopi  ad  un  monarca 
da  loro  chiamato  Hugus,  e  dagli 
europei  Prete  Gianni,  voce  corrotta 
dalla  persiana  Pedes  Han,  che  se- 
condo lo  Scaligero  equivale  a  re 
apostolico.  Di  questo  sovrano,  che 
vantava  discendere  dal  re  Davide, 
pel  suo  figlio  Salomone  e  la  regi- 
na Saba,  come  dicemmo  al  citato 
articolo  Abissinia,  il  Terzi  ne  de- 
scrive le  forme,  gli  usi,  le  vesti- 
menta  e  le  insegne,  dicendo  che 
un  tempo  ebbe  settandue  re  tribu- 
tari. Indi  descrive  la  bassa  Etiopia 
colle  sue  provincie,  non  che  la  men- 
tovata celebre  isola  di  Meroe,  colle 
principali  città,  e  la  reggia  della 
regina  Candace;  parla  dei  due  ordini 
di  s.  Antonio  d  Etiopia,  de'  quali  si 
tratta  nel  voi.  II,  pag.  226  e  227 
del  Dizionario  ;  e  riporta  la  suc- 
cessione cronologica  degl'imperato- 
ri d'Etiopia,  dalla  regina  Saba  a 
Faciladas  persecutore  de'  cattolici , 
fiorito  nell'anno  1660.  Il  Rinaldi, 
all'anno  3i,  num.  i3,  ed  all'anno 
353  num.  27,  dice  che  gli  etiopi 
mangiavano  le  locuste  ;  che  appiè- 


i36  ETI 

sero  dagli  ebrei  la  circoncisione  ;  clic 
i  ciotti  etiopi  adoravano  un  Dio  im- 
mortale cagione  di  tutte  le  cose,  ed 
un  altro  mortale  senza  nome,  pri- 
ma che  l'eunuco  della  regina  Can- 
dace  (il  medesimo  Rinaldi  dice  che 
in  Etiopia  regnavano  le  donne  con 
tal  nome)  si  convertisse  al  cristia- 
nesimo, essendo  egli  il  primo  gen- 
tile che  ricevette  il  battesimo.  Si 
aggiunge  che  l'Etiopia,  eccettuata 
l'Abissinia,  o  regno  del  gran  Negus, 
non  fu  conosciuta  dagli  antichi  ro- 
mani; e  che  fu  principalmente  sot- 
to l'impero  di  Costantino  il  gran- 
de, che  questa  parte  d'Etiopia  venne 
scoperta  dai  romani.  Ora  passeremo 
a  dire  compendiosamente ,  come 
s'introdusse  la  fede  in  Etiopia,  non 
che  della  sua  chiesa,  de'  suoi  erro- 
ri e  principali  avvenimenti. 

In  due  modi  il  vangelo  si  pro- 
pagò nell'Etiopia,  il  primo  fu  a 
mezzo  dell'  eunuco  della  regina 
Candace,  o  Giudich,  della  quale  par- 
lano gli  atti  apostolici.  Risiedeva 
essa  in  Cachsumo,  città  metropoli 
del  regno  di  Goiam,  ove  istrutta 
de' divini  oracoli ,  fondò  un  magni- 
fico tempio,  diviso  da  cinque  gran- 
di navi,  in  onore  di  Dio  e  di  s. 
Maria  di  Sion.  L'eunuco,  dopo  ave- 
re ricevuto  il  battesimo  dall'aposto- 
lo s.  Filippo,  passò  ad  annunziar 
il  vangelo  nelle  provincie  littorali, 
nell'Arabia  Felice,  nell'Eritrea  e  nel- 
l'isola Tapobrana.  Il  secondo  mez- 
zo si  riconosce  dall'apostolo  s.  Mat- 
teo, nel  tempo  istesso  che  s.  Mattia 
lo  portò  nell'Etiopia  inferiore,  e  s. 
Tommaso  ai  parti,  medi,  battìi, 
ircani,  magi,  ed  altri  popoli  dell'In- 
die. Di  altro  efficace  mezzo  si  servì 
Dio  per  illuminare  questi  popoli,  e 
fu  che  un  tal  Meropio  filosofo  di 
Tiro,  ad  esempio  di  Menodoro,  in- 
traprese il  viaggio   delle    Indie  con 


ETI 

due  fanciulli  suoi  congiunti ,  uno 
chiamato  Edesio,  Tallio  Fruuienzio, 
istruiti  di  parecchi  linguaggi  :  ciò 
avvenne  negli  ultimi  anni  dell'im- 
pero di  Costanzo  e  Massimiano 
ne'primi  del  quarto  secolo.  Ma  ri- 
bellatisi gli  etiopi  ai  romani,  Me- 
ropio venne  ucciso,  ed  i  fanciulli 
furono  presentati  al  re,  che  aven- 
doli presi  ad  amare,  cresciuti  di  età 
conferì  loro  cariche  onorevoli  nella 
corte,  ove  si  acquistarono  tanto  cre- 
dito, che  alla  morte  del  re  fu  lo- 
ro affidata  la  reggenza  del  regno, 
e  la  cura  dell'erede  del  trono.  Di- 
venuto questi  maggiore  di  età,  Ede- 
sio ritornò  in  Tiro,  ove  fu  ordina- 
to sacerdote,  e  Frumenzio,  giunto 
in  Alessandria,  ragguagliò  dello  sta- 
to dell'Etiopia  il  santo  patriarca 
Atanasio  da  cui  fu  consagrato  ve- 
scovo, e  rimandato  nelle  Indie  per 
la  conversione  degli  etiopi,  laonde 
penetrando  nelP  alta  Etiopia  quivi 
pure  meravigliosamente  propagò  il 
cristianesimo,  regnando  allora  Abrà. 
Tanto  si  legge  nella  Geografia  sa- 
gra del  p.  Carlo  di  s.  Paolo,  e  nel- 
YHistor.  di  Rufino  lib.    r,  e.  9. 

Frumenzio  «/chierici  che  s.  Ata- 
nasio gli  avea  dati,  stabilì  la  sede 
sua  in  Ausuma,  o  Axwn  (Fedi), 
ch'era  già  la  metropoli  civile  di 
questo  regno,  e  al  dire  di  Com- 
inan ville  questa  capitale  del  regno 
del  Tigre,  nel  IV  secolo  divenne 
sede  vescovi les  e  nel  VII  patriarcato 
ma  senza  suffragane*!,  per  cui  av- 
venne sovente,  che  in  questo  paese 
non  vi  fu  alcun  vescovo,  ma  sol- 
tanto alcuni  preti,  particolarmen- 
te dopo  che  il  patriarca  di  Ales- 
sandria cessò  di  mandarvene,  come 
molte  volte  successe.  In  fatti  dopo 
quel  tempo  non  vi  furono  altri  ve- 
scovi che  quelli  mandati  dal  patriarca 
alessandrino,  e  neWOriens   Christt 


ETI 

lom.    II,  pag.    6^1  e    seg.,    si    ha 
la     serie    e    le    notizie    di    quaran- 
ta metropolitani  di  Etiopia.  Va  qui 
notato,  che  gli  etiopi  non  pensano 
a  scegliere  un  patriarca  tra  i   loro 
dottori,  dice  il  cinquantesimo  secon- 
do canone  arabico,  perchè    il    loro 
patriarca  è  sotto  la  dipendenza   di 
quello  d'Alessandria,  e  perchè  spet- 
ta a  lui  il    nominare   ed    ordinare 
il  loro  Cattolico  (Fedi)   che    gli  è 
inferiore,  e  perchè    non    ha   alcun 
diritto  di  stabilire  dei  metropolita- 
ni come  il  patriarca.   Ne   ha   però 
gli  onori,  non  già  il   potere.    Que- 
sto cattolico  è  dunque  il  patriarca 
degli  etiopi,  ma  non  è  se   non  co- 
me vicario  del  patriarca  d'Alessan- 
dria. Gli  fu  ingiunta    ancora  altra 
regola    da    osservare,    cioè   di    non 
poter  ordinare  più  di  sette  vescovi 
in  tutta  la  sua  dipendenza.    11  Re- 
naudot,  de  Alex,  patriarchi   num. 
1 08,  dice  che  gli  etiopi  vollero  ob- 
bligare il  loro  metropolitano,  men- 
tre  era    patriarca    di    Alessandria 
Gabriele  Jarik,  ad  ordinare  più  di 
sette  vescovi;   lo  che  egli  rifiutò  co- 
stantemente,   perchè    sarebbe    stato 
contro  l'antico   costume,    e    contro 
la  legge  che  lo    proibisce,    per    ti- 
more che  se  vi  fossero  nella   chie- 
sa d'Etiopia  dodici  vescovi,  nume- 
rò che  gli  orientali  richieggono  per 
ordinare  un  patriarca,  non  iscuotes- 
sero  il  giogo  della  Chiesa    alessan- 
drina, e  non  eleggessero  un  patriar- 
ca. Da  ciò  ne  provenne  che  gli  etio- 
pi hanno  conservato  sempre  lo  stes- 
so   credito   e  rispetto    pel   patriar- 
ca alessandrino    che    li   mandava  e 
che  li  ordinava;    ed    è    perchè    la 
sede   d'Alessandria,    rimasta  poscia 
vacante  circa  ottanta  anni,  non  es- 
sendo quindi  occupata    che   da  un 
patriarca   giacobita ,    questi    popoli 
si  avvezzarono  a    ricusale    la   fede 


ETI  137 

del  concilio  di  Calcedonia,  e  poscia 
fecero  lo  scisma  colla  Chiesa  ro- 
mana. Perciò  che  concerne  la  di- 
gnità di  questo  metropolitano,  Io 
stesso  canone  arabico  citato,  porta, 
che  se  avviene  che  si  riunisca  un 
concilio  sulle  terre  dell'impero  ro- 
mano, il  patriarca  o  cattolico  di 
Etiopia,  avrà  l'ottavo  rango  nell'as- 
semblea, dopo  il  cattolico  di  Per- 
sia e  delle  Indie. 

Ritornando  ai  progressi  della  fe- 
de in  Etiopia,  essi  non  mai  si  a- 
vanzarono  senza  opposizioni.  Nei 
primi  anni  del  sesto  secolo,  regnan- 
do Elesbaana,  chiamato  anche  Cha- 
leb,  principe  di  eminente  pietà,  e 
residente  in  Axum  ,  avvenue  che 
un  giudeo,  chiamato  Dunaan ,  di 
somma  autorità,  nella  città  di  Na- 
gran  fece  morire  il  santo  Areta 
con  trecento  quaranta  cristiani,  ed 
incrudelendo  cogli  altri,  l'impera- 
tore Giustino  I  con  alto  risenti- 
mento, e  col  mezzo  di  Asterio  pa- 
triarca d'Alessandria,  ne  scrisse  ad 
Elesbaana,  il  quale  con  poderose 
forze  uccise  in  battaglia  il  tiran- 
no; quindi  rinunziando  al  regno, 
inviò  il  suo  diadema  al  santo 
sepolcro,  e  ritirassi  a  vita  contem- 
plativa nel  monistero  di  Ascuma, 
sotto  la  regola  di  s.  Basilio,  ove 
poi  fu  sepolto.  In  quanto  all'in- 
troduzione della  vita  monastica  in 
Etiopia,  alla  moltiplicità  de' moni- 
steri,  ed  al  copioso  numero  di  mo- 
naci, vuoisi  promossa  dai  monaci 
della  Tebaide  e  dell'  Egitto.  Di 
molti  monisteri  fa  menzione  il  Ter- 
zi a  pag.  3cp,  come  delle  vesti  usa- 
te da'  monaci ,  e  dello  scopo  dei 
loro  istituti  ;  così  parla  dell'  eresia 
introdottasi  anche  tra  essi,  seguaci 
degli  errori  di  Eutiche  e  di  Dio- 
scoro,  dappoiché  l'eresia  eutichiana, 
che  separò   dall'  unità    cattolica    la 


i38  ETI 

Chiesa  alessandrina,  perverti  anche 
l'Etiopia  e  1'  Abissinia  che,  come 
dicemmo,  faceva  parte  di  quel  pa- 
ti sforato.  I«  questo  impero  sì  va- 
sto, benché  circondato  da  popoli 
barbari  quasi  per  ogni  parte,  gli 
abitanti  furono  sempre  benigna- 
mente riguardati  dalla  pietà  del- 
l'Altissimo ,  che  così  nel  vecchio 
come  nel  uuovo  Testamento  diffuse 
sopra  di  essi  bellissimi  raggi  della 
vera  e  santa  religione  ;  ma  invol- 
to poi  nelle  tenebre  dell'  eresia,  e 
privo  delle  necessarie  assistenze  di 
chi  gliele  sradicasse,  non  conservò 
la  purità  della  fede,  della  quale  seb- 
beue  più  volte  si  mostrassero  de- 
siderosi, e  più  volte  ancora  fosse 
dai  romani  Pontefici  usata  ogni 
cura  e  diligenza  per  ritornarvela, 
non  se  ne  ritrasse  mai  che  poco  e 
brevissimo  frutto. 

1  principali  errori  de'  popoli  di 
Etiopia  intorno  alla  religione,  sono 
la  circoncisione,  la  purificazione,  la 
sautificazione  de'  sabbati,  il  digiu- 
no fino  alla  sera,  1  astenersi  dalla 
carne  porcina,  leprina,  soffocata,  e 
da  pesce  che  non  abbia  squame, 
la  poligamia,  che  però  non  si  os- 
serva generalmente,  ed  il  ripudio. 
Gli  etiopi  negano  il  purgatorio , 
credono  che  lo  Spirito  Santo  pro- 
ceda solo  dal  Padre,  e  che  l'uma- 
na natura  di  Cristo  sia  eguale  alla 
divina.  Non  ammettono  in  Cristo 
che  una  volontà,  rinnovano  il  bat- 
tesimo, e  dicono  che  le  anime  dei 
giusti  non  godono  Dio  prima  della 
fine  del  mondo  ;  non  costumano  il 
viatico,  reputano  superfluo  il  confes- 
sare il  numero  e  qualità  de' peccati, 
e  credono  che  l'anime  si  cavino  dalla 
materia,  e  non  si  creino.  Riprova- 
no pure  il  concilio  Calcedonese  per 
aver  condannato  il  patriarca  a- 
lcssundrino  Dioscoro ,  e  negano    il 


ETI 
primate  della  Chiesa  apostolica  ro- 
mana. Amministrando  il  battesimo 
segnano  qualche  parte  del  volto 
con  un  ferro  rovente.  Qui  ram- 
menteremo che  molle  regioni  del- 
l' Asia  e  dell'  Africa  portarono  il 
nome  di  Etiopia,  laonde  non  si 
può  precisare  le  contrade  in  cui 
successivamente  venne  sparso  il  cri- 
stianesimo. Al  dire  del  Bergier  si 
tiene  per  certo  che  gli  abitanti  del- 
la Nubia,  eh' è  la  parte  dell'Etio- 
pia più  vicina  all'Egitto,  sieno  stali 
convertiti  alla  fede  da  s.  Matteo , 
che  il  cristianesimo  si  sia  conser- 
vato fra  essi  sino  verso  ranno  1 5oo, 
e  che  dopo  quel  tempo  sieno  di- 
velluti maomettani  per  mancanza 
di  pastori  che  gì'  istruissero.  Quan- 
to ai  popoli  dell'alta  Etiopia,  che 
si  chiamavano  Axuniiti,  e  eh'  ora 
si  chiamano  Abissini,  si  sa  che  fu- 
rouo  convertiti  al  cristianesimo  da 
s.  Frumenzio,  stato  loro  dato  per 
vescovo  da  s.  Atanasio  patriarca 
d'Alessandria  verso  l'anno  329,  e 
che  l'arianesimo  non  fece  alcun 
progresso  fra  essi.  Sempre  soggetti 
al  patriarca  alessandrino ,  conser- 
varono la  fede  pura  sino  al  terzo 
secolo,  nei  qual  tempo  furono  tra- 
scinati nello  scisma  di  Dioscoro,  e 
negli  errori  di  Eutiche,  o  de'  Gia- 
cobili  (Vedi\.  Essi  vi  perseverarono 
perchè  non  ebbero  altri  vescovi,  se 
non  quello  che  sempre  loro  fu  spe- 
dito dai  patriarchi  copti  di  Ales- 
sandria successori  di  Dioscoro.  Cre- 
demmo opportuno  questa  specie  di 
riepilogo  ed  opinione  del  Bergier 
per  salvare  possibilmente  le  tante 
su  questo  argomento. 

Il  primo  romano  Pontefice  che 
si  adoperasse  a  distorre  gli  etio- 
pi od  abissini  dai  loro  errori,  fu 
Alessandro  III,  Bandinelli,  e  n'eb- 
be occasione  da  un  tal  maestro  Fi- 


ETI 

lippo,  che  portatosi  in  quelle  par- 
ti, e  veduto    che  vi    si   professava 
la  religione  cristiana,  benché  discor- 
dante in  molte  cose  dalla  romana 
Chiesa,  risvegliò  nel  re  di  que' po- 
poli ,    detto    volgarmente    il    Prete 
Gianni,  un  desiderio  di  conoscere  la 
verità.  Questo  principe  volle    per- 
ciò spedire  ai  Papa  Filippo,  che  il 
trovò  in  Venezia  per  la  pace  con- 
chiusa a  mediazione  del  doge  Zia- 
ni  coli'  imperatore  Federico  I.  Al- 
lora Alessandro  III,  a'  27    settem- 
bre  1177,  gli  scrisse   una    lettera, 
nella    quale    paternamente   gli  di- 
chiarò la  consolazione    provata    in 
sentire  che  il  re  ed  i  magnati  del 
reame  bramavano  di  essere  istrui- 
ti ne'  misteri  della  vera  fede,  sug- 
gellandola col   pontificio    sigillo ,  e 
consegnandola  a  Filippo.    Nel  for- 
molario  il  Papa  a  consolazione  del 
re  lo  trattò  come  sovrano  cattoli- 
co, usando  quella  di   Carissimo  fi- 
glio in  Cristo,  salute   ed  apostoli- 
ca benedizione.  Siccome  il  principe 
aveva  richiesto  ad    Alessandro    III 
una  chiesa  in  Roma  per  la  nazio- 
ne etiopica,  ed  altra  in  Gerusalem- 
me affine  d' istruire  nelle  discipline 
cattoliche  gli  etiopi  che  vi  avrebbe 
inviati ,  quindi  si  apprende  a  detto 
anno  dal  Baronio,   che  Alessandro 
III  die  la   Chiesa    e    monistero    di 
s.  Stefano  deJ  Mori  (  Fedi),  dietro 
la   basilica    vaticana,    alla    nazione 
etiopica.  Non  si  riconoscono    i  ri- 
sultati di    siffatte    relazioni.    Certo 
è  che  Papa  Innocenzo  IV  del  1243 
destinò  i  religiosi  dell'Ordine    dei 
predicatori  per  missionari  agli  etio- 
pi ed  abissini,  ed  i  successori  di  lui 
scrissero  premurose  lettere  ai  prin- 
cipi dell'Etiopia,  cioè  Alessandro  IV 
del    1254,   il    quale   per    ottenere 
anche    1'  unione    co'  greci     aveagli 
permesso  ommeltere  la  parola  Fi Ho- 


ETI  i39 

que  nel  simbolo  della  fede  ;  Urba- 
no IV  del  1261,  Clemente  IV  del 
1265,  Innocenzo  V  del  1276,  e 
Nicolò  III  del  1277,  zelatore  d'illu- 
minare pure  i  greci  sui  loro  errori. 
Altrettanto  pur  fecero  Nicolò  IV 
del  1  288,  Benedetto  XI  del  i3o3, 
Clemente  V  del  i3o5,  e  Giovan- 
ni XXII  del  1 3  16.  Quest'ultimo  ad 
istanza  di  Carlo  Roberto  re  d'  Un- 
gheria approvò  l'ordine  di  s.  Paolo 
primo  eremita  della  Tebaide,  fiorito 
nel  terzo  secolo.  Tutti  in  somma 
i  nominati  Pontefici  furono  solle- 
citi della  salute  spirituale  degli  etio- 
pi ed  abissini.  Il  medesimo  Giovanni 
XXII, scrivendo  al  re  di  Etiopia,  si 
servì  del  titolo  solito  praticarsi  co- 
gli infedeli,  cioè  :  gratiam  in  prae- 
sentij  quae  producat  gloriarli  in  fu- 
turo j  né  meno  sollecito  della  loro 
conversione  fu  il  Pontefice  Urbano  V, 
che  nel  1370  confermò  i  greci  ed 
altre  nazioni  orientali  neli'  ubbi- 
dienza alla  Chiesa  romana. 

Nell'anno  i439  Eugenio  IV  ce- 
lebrò il  concilio  generale  di  Fi- 
renze, ed  in  esso  pubblicò  il  de- 
creto dell'  unione  de'  greci  co'  la- 
tini, alla  presenza  di  quattro  de- 
putati del  re  di  Etiopia  Zara  Gia- 
cob.  Intervenne  pure  al  concilio  Ni- 
codeino  abbate  degli  abissini,  il 
quale  ammesso  in  quella  sagra  ed 
augusta  assemblea ,  vi  pronunziò 
una  bella  orazione ,  assicurando  i 
padri,  che  tanto  lui,  quanto  il  mo- 
narca d'Etiopia  altro  ardentemen- 
te non  bramavano  ,  che  1'  unione 
colla  santa  Sede.  Fu  dunque  Eu- 
genio IV  il  primo  Papa  a  tentare 
1'  unione  de'  copti,  invitando  amo- 
revolmente il  loro  patriarca  Gio- 
vanni al  concilio,  al  quale  avea 
inviata  la  sua  professione  di  ihi\^ 
a  mezzo  di  Andrea  abbate  di  s. 
Antonio  nell'  Egitto,    come    abbia- 


iio  ETI 

ino  dal  Labbé  torri.  XIII,  ove  ri- 
portasi la  lettera  del  patriarca,    il 
quale    fra    i    titoli    clie    usa   v'  ha 
quello    di    Etiopia.    Quindi    Euge- 
nio IV  nel    i442  ebbe  ^a  paterna 
soddisfazione  di  riunire  alla    catto- 
lica Chiesa,  ed  alla  sede   apostoli- 
ca i  giacobiti,    a'  quali    diede    per 
questo  fine  un  istruttivo  ed  esem- 
plare decreto,  non    che    gli    etiopi 
col  loro  monarca  Zara    Giacob    o 
Jacopo,  volgarmente  detto    il   Pre- 
te    Gianni .     11    Rinaldi    all'  anno 
i44!>    num.   2,  3  e  4>  tratta   del 
suddetto  abbate  Andrea  ambascia- 
tore de'  giacobiti  di  Egitto,  del  pa- 
triarca loro,  e  di    Costantino    im- 
peratore   d' Etiopia ,    non   che  del 
suo  compagno  Pietro  diacono  ;  par- 
la pure    dell'ambasciatore    di    JNi- 
codeino  abbate  degli  etiopi    dimo- 
ranti in  Gerusalemme,  il  quale  am- 
basciatore, come  Andrea,  fece  un'o- 
razione   al    concilio    per    l' unione 
delle  due  Chiese.    All'anno   i442> 
num.  2  e  8,  dice  della    condanna 
delle  eresie,  che  avevano  contami- 
nato l'Etiopia,  l'Egitto  e  la  So- 
na ,  e    dà    altre  analoghe   notizie. 
Dipoi,  e  mentre  la  crescente  eresia 
luterana    poneva    a    soqquadro    la 
religione  cattolica  in    Germania,  e 
lacerava  l'animo  di  Clemente  VII, 
David  re  degli  etiopi  negando  ub- 
bidienza al    patriarca    di    Alessan- 
dria, collegandosi  prima  con  Em- 
manuele  re  di  Portogallo,  spedi  al 
Papa  per  suo  ambasciatore  il  por- 
toghese   Francesco     Alvarez,    che 
trovando    Clemente  VII    in    Bolo- 
gna per  coronare  Carlo  V,  gli  con- 
segnò   due  lettere    del    re,    nelle 
quali  lo  riconosceva  come  capo  del- 
la  Chiesa  universale,  e  lo  pregava 
a  sollecitare  dai    principi    cristiani 
la  sua  difesa  contro    i    turchi,    al 
che  il  Pontefice  rispose  con  espres- 


ETI 

sioni  benigne.  Narra  il  Terzi  nella 
Stria  sagra,  che  l' imperatole  Da- 
vid ,    volendo    decorare    la    chiesa 
di  Etiopia  del  suo  primate,  vi  no- 
minò   Giovanni    Bermodez ,    e    fu 
confermato  con  preminenza  patriar- 
cale. Il  citato  Rinaldi,  all'anno  1 533, 
num.   29  e  3o,  riporta  la  sommis- 
sione degli  etiopi  alla    Chiesa    ro- 
mana, mediante  pubbliche  scrittu- 
re promulgate  in  pieno  concistoro. 
Morto    il  re  David,    gli    successe 
Claudio   suo  figlio,    che  vedendosi 
minacciato  da' turchi,  ricorse  a  Gio- 
vanni III  re  di  Portogallo,  il  qua- 
le prima  col  Pontefice    Paolo    III, 
e  poi  con  Giulio  III,  e  con  s.  Igna- 
zio fondatore  della    compagnia    di 
Gesù,  incominoiò  a  trattare  di  man- 
dar nell'  Etiopia  dodici    gesuiti ,  e 
di    costituirne   uno    patriarca    del- 
l'Etiopia, e  due  altri  in  coadiutori 
con  futura  successione.   Giulio    III 
fece  pertanto  patriarca  il    p.    Gio- 
vanni   Nugnez    Bareto  portoghese, 
di    detta    compagnia,   per    nomina 
del  re  Giovanni  III,  ed  in  coadiu- 
tori Andrea  Oviedo,    e   Melchior- 
re Carnero.  Non  andò    guari    che 
Claudio  mostrò  la  sua  contrarietà,  il 
patriarca  non  potè  entrar  in  Etiopia, 
ed  avendovi  penetrato  l'Oviedo  fu 
bersaglio  di  persecuzioni,  senza  po- 
ter giovare  alla  religione.  Al  Nugnez 
successe  sotto  Gregorio  XV,  come 
diremo,  il  p.   Alfonso  Mendez,  che 
poscia  pel  troppo  suo  zelo    ne    fu 
espulso.  Claudio  nel   i55o;   fu    uc- 
ciso, ed  il  suo    fratello    Neva   che 
salì    al   trono,  si  mostrò  talmente 
nemico  della  Chiesa  romana ,    che 
avendo  fatto  imprigionare   l'Ovie- 
do, meditava  di  farlo  uccidere  ;  ma 
essendo  morto  nel   i562,    gli  suc- 
cesse il  figlio    Serezza    Dengal ,    il 
quale  benevolo  coi    cattolici,    asse- 
gnò   loro    certi  luoghi    per  vivere 


ETI 

pacificamente  ne'  loro  riti.  Frattan- 
to terminandosi  in  Trento  la  ce- 
lebrazione del  concilio  generale,  il 
Papa  Pio  IV  con  sue  lettere  esor- 
tò il  re  Serezza  ad  inviarvi  amba- 
sciatori ;  e  bramoso  di  riunire  i 
copti  alla  vera  fede,  perchè  col  lo- 
ro patriarca  seguivano  gli  antichi 
errori,  spedì  a  Gabriele  patriarca 
XGV ,  il  p.  Cristoforo  gesuita,  ma 
senza  fruito,  sebbene  si  fosse  di- 
mostrato desideroso  di  rinnovare 
1'  unione  colla  santa  Sede.  Il  Pon- 
tefice s.  Pio  V  scrisse  al  pio  re 
Sebastiano  di  Portogallo  ,  ed  allo 
zio  Cardinal  Enrico,  che  poscia  di- 
venne re,  per  interporsi  col  re  de- 
gli etiopi  ;  ma  vedendo  la  ripu- 
gnanza di  quel  principe  e  di  quei 
popoli,  comandò  al  patriarca  Ovie- 
do di  trasferirsi  nel  Giappone,  ma 
non  potendo  uscire  dall'  Etiopia  , 
dovette  passare  una  vita  misera- 
bile in  Fremona  nei  regno  di  Ti- 
gre, ove  successivamente  morirono 
i  suoi  compagni.  Gregorio  X1IF  , 
che  successe  a  s.  Pio  V,  zelante 
della  propagazione  del  vangelo,  con 
opportune  esortazioni  e  grazie  spi- 
rituali confortò  il  patriarca  Ovie- 
do. Nel  1 597  mori  in  Etiopia  il 
p.  Lupi  gesuita,  e  tentando  i  suoi 
confratelli  di  penetrarvi  furono  uc- 
cisi dai  turchi ,  fatti  padroni  di 
molti  porti  del  paese.  Tutta  volta 
nel  i6o3  riuscì  al  p.  Paes  d' in- 
trodursi a  Fremona  ,  ove  ammae- 
strò alcuni  giovani  portoghesi  nel- 
le verità  cattoliche,  ciò  che  sapu- 
tosi dal  re  Zadanghel,  volle  inter- 
venire alle  loro  dispute,  ed  ascol- 
tar la  messa  nel  rito  romano,  non 
che  la  predica,  restando  pieno  di 
divozione  per  la  santa  Sede.  Com- 
mise quindi  al  p.  Paes,  di  scrive- 
re al  Papa  che  gli  mandasse  un 
patriarca,  ciò  che  fece  egli    stesso  : 


ETI  141 

ma  r  Abuna  o  metropolita,  aven- 
do promossa  la  ribellione ,  il  re 
venne  ucciso. 

Susneo  ascese  al  trono ,  e  per 
acquistarsi  l'amicizia  de'  portoghesi, 
accarezzò  i  gesuiti,  e  richiamò  a 
corte  il  Paes.  Scrisse  al  Papa  per 
aver  missionari,  mentre  il  fratello 
Zela  pubblicamente  professava  il 
cattolicismo  ,  seguito  da  molti  etio- 
pi. Vedendosi  poi  dal  re  che  i  ge- 
suiti riuscirono  vittoriosi  nelle  di- 
spute sulle  due  nature  di  Gesù  Cri- 
sto, comandò  con  editto  che  ad 
esse  dovesse  credersi.  Represse  i 
monaci,  gli  ecclesiastici ,  e  il  me- 
tropolitano che  perciò  avevano  co- 
spirato contro  la  sua  vita  ;  indi 
ordinò  l'osservanza  del  sabba to,  ed 
allontanandosi  dagli  antichi  errori, 
si  confessò  all'  uso  della  Chiesa  ro- 
mana, licenziò  le  concubine,  e  for- 
malmente dichiarò  non  riconoscere 
altra  sede  che  la  pontificia,  e  che 
al  solo  Papa  ubbidiva.  Queste  cose 
saputesi  a  Roma,  Gregorio  XV  che 
avea  istituito  per  dilatare  e  pro- 
pagare la  fede  la  congregazione  di 
Propaganda  ,  istituto  che  riconosce 
la  sua  infanzia  da  Gregorio  XII l 
(  il  quale  avea  data  l' ispezione 
in  ciò  che  risguardava  l'Egitto  e 
l'Etiopia  a  tre  Cardinali),  nel  con- 
cistoro de'  19  dicembre  1622,  creò 
patriarca  di  Etiopia  il  gesuita  p. 
Alfonso  Mendez,  il  quale  fu  corte- 
semente ricevuto  dal  re  Susneo, 
che  colla  famiglia  imperiale,  e  con 
tutto  il  regno  giurò  fedeltà  al  ro- 
mano Pontefice ,  e  fece  edificare 
una  chiesa  pel  patriarca.  In  pro- 
gresso essendo  insorti  gravi  tumulti, 
perchè  i  popoli  amavano  le  anti- 
che abitudini,  il  re  ebbe  la  debo- 
lezza di  ripristinare  lo  scisma  ales- 
sandrino, con  dire  che  la  Chiesa 
alessandrina    era    la    stessa  clie  la 


142  ETI 

romana,  e  perciò  ognuno  potesse 
conoscere  per  suo  pastore  quel  pa- 
triarca. Tutti  i  grandi  spiegarono 
la  loro  contrarietà  ai  gesuiti,  e  do- 
po la  morte  di  Susneo  gli  euro- 
pei furono  banditi  dall'  Etiopia,  ed 
il  Mendez  fu  l' ultimo  patriarca 
che  pose  piede  in  queste  regioni. 
Urbano  Vili  intese  con  dolore  tali 
avvenimenti,  come  quello  che  avea 
ricevuto  il  solenne  giuramento  del- 
l'Etiopia, di  ubbidienza  alla  roma- 
na Sede  :  però  ebbe  la  consolazio- 
ne di  ricevere  una  lettera  di  som- 
missione da  Matteo  patriarca  dei 
copti.  Aggiungiamo  col  Terzi,  che 
successore  al  Mendez  fu  nominato 
il  patriarca  Apollinare  d'Almeida, 
che  vi  fu  trucidato  nel  i638,  e 
che  di  poi  il  re  di  Portogallo  Pie- 
tro II  nominò  primate  il  p.  Luigi 
de  Silva. 

Riuscirono  inutili  le  sollecitudi- 
ni di  Innocenzo  X  in  favore  degli 
etiopi,  ma  sotto  il  successore  Ales- 
sandro VII  si  concepì  speranza  di 
veder  tornare  all'ubbidienza  del  Pa- 
pa il  patriarca  alessandrino,  per- 
chè gli  avea  scritto  con  venerazio- 
ne, e  perchè  a  mezzo  del  p.  Sa- 
lemme  de'riformati  avea  emessa  la 
professione  di  fede,  avea  confessa- 
ta l'unione  delle  due  nature  in 
Gesù  Cristo  realmente  distinte  in 
umana  e  divina,  ed  unite  in  una 
divina  persona,  e  professata  avea 
ubbidienza  alla  santa  Sede.  Ma  la 
paura  de'turchi,  e  la  solita  mali- 
zia ed  incostanza  degli  etiopi,  tolse 
questa  allegrezza  alla  Chiesa.  Mos- 
so a  compassione  degli  etiopi  In- 
nocenzo XII,  donò  per  le  missio- 
ni di  tante  anime  abbandonate 
cinquanta  mila  scudi,  laonde  furo- 
no dichiarati  missionari  dell'Etio- 
pia i  pp.  riformati  francescani  di 
s.  Pietro  Montorio  di    Roma,    ve- 


ETI 

nendo  nominato  superiore  della 
missione  il  suddetto  p.  Sa  lem  me, 
che  dal  Papa  fu  inviato  nell'Egit- 
to con  lettere  apostoliche,  e  gene- 
rosi donativi  pel  patriarca,  acciò 
si  riunisse  alla  cattolica  comunione. 
Le  lettere  e  i  doni  furono  a  lui 
consegnati,  ma  egli  si  contentò  ri- 
spondere, che  nutrendo  sentimen- 
ti di  unità,  non  poteva  effettuarli 
per  le  guerre  che  allora  ardevano 
nell'Egitto,  e  per  la  disunione  dei 
principali  della  nazione;  laonde  la 
congregazione  di  Propaganda  fide, 
si  limitò  a  mandar  missionari  al 
Cairo.  Con  apostolico  zelo  Clemen- 
te XI,  oltre  che  sull'Egitto,  prese 
sollecitudini  stili'  Etiopia,  esortan- 
do il  re  Dodemannt,  affinchè  se- 
guendo l'esempio  del  genitore,  che 
mostrava  prima  di  morire  propen- 
sione ad  unirsi  alla  Chiesa  ro- 
mana, professasse  eguali  sentimenti, 
e  definitivamente  effettuasse  la  bra- 
mata riconciliazione,  al  quale  fine 
gli  mandò  il  p.  Giuseppe,  minore 
riformato  di  s.  Francesco,  che  cal- 
damente raccomandò  all'arcivesco- 
vo di  Etiopia,  ed  all'abbate  gene- 
rale de'monaci  di  s.  Antonio.  Va- 
rie volte  la  santa  Sede  tentò  in- 
viare in  Etiopia  i  carmelitani,  i 
cappuccini  e  i  suddetti  religiosi  ;  ma 
tutti  furouo  mal  visti,  venendo 
uccisi  molti  missionari  dai  turchi, 
ed  anche  dagli  etiopi.  Sono  pur 
noti  gli  inutili  sforzi  fatti  eziandio 
dai  re  di  Portogallo,  per  ricondurre 
questi  popoli  alla  fede  della  Chie- 
sa, essendo  una  delle  principali 
difficoltà  l'ignoranza  de'medesimi. 
Le  ultime  notizie  ecclesiastiche 
dell'Etiopia  sono,  che  da  circa  un 
mezzo  secolo  nell'Abissinia  non  era 
entrato  alcun  missionario  cattolico. 
Riuscì  finalmente  nel  i838  al  si- 
gnor Giuseppe  Sapeto,  prete  della 


ETR 
congregazione  della  missione,  di 
penetrarvi  accompagnalo  dai  dnc 
benemeriti  cavalieri  Abbadie,  che 
colà  viaggiavano  per  oggetto  scien- 
tifico. Il  missionario  trovò  delle 
buone  disposizioni,  ne  gli  fu  mol- 
to difficile  d'insinuare,  e  far  gu- 
stare le  massime  più  essenziali  del 
caltolicismo.  Quindi  recandosi  in 
Europa  uno  de'  cav.  Abbadie,  gli 
furono  affidati  due  abissini,  e  fra 
questi  un  monaco  con  la  commissio- 
ne di  presentare  al  regnante  Pon- 
tefice Gregorio  XVI  gli  omaggi  di 
quel  clero,  al  modo  che  dicemmo 
al  citato  articolo  Abissini.*.  Al  Sa- 
peto  vennero  aggiunti  due  altri 
distinti  missionari  della  medesima 
congregazione  di  s.  Vincenzo  di 
Paoli,  vale  a  dire  il  signor  De 
Jac(  bis,  già  superiore  della  casa  di 
Napoli ,  dichiarato  prefetto  della 
missione,  ed  il  sig.  Luigi  Montuori. 
Arrivati  al  loro  destino,  il  primo 
si  stabilì  in  Adua,  ed  il  secondo 
a  Gondar  città  capitale  dell' Abis* 
sinia;  inoltre  il  signor  Sapeto  pns- 
sò  fra  i  Gallas,  per  profittare  delle 
buone  disposizioni  che  que' popoli 
infedeli  mostravano  verso  il  cato- 
licismo. Della  deputazione  di  etiopi 
spedita  al  medesimo  Papa  che  re- 
gna dal  signor  del  Tigre,  ed  accom- 
pagnata in  Roma  nel  1 84 1  dallo 
stesso  signor  De  Jacobis,  se  ne  trat- 
ta al  volume  XIII,  pag.  4^  del 
Dizionario.  Nel  1839  'a  sag>  a  con- 
gregazione di  Propaganda  co' suoi 
tipi  pubblicò  una  chiara  e  prezio- 
sa Istruzione  sulla  dottrina  della 
Incarnazione  per  uso  degli  abissini t 
dietro  le  traccie  che  su  questo  cat- 
tolico domina  voleva  compilare 
monsignor  Lercari,  onde  agevolare 
ad  essi,  ai  copti  ed  agli  etiopi  il 
ritorno  alla  Chiesa  cattolica. 

ETREES  Cesare, Cardina le.  Ce- 


ETR  143 

sare  Etrees,  o  d'Estrees,  nacque  nel 
16*27,  ^i  nobilissima  famiglia  dedu- 
cili di  questo  nome,  in  Parigi.  De- 
dicatosi nella  tenera  età  allo  stato 
ecclesiastico,  ebbe  dal  re  di  Fran- 
cia l' abbazia  di  s.  Germano,  e  nel 
i655  il  vescovato  di  Laon  nella 
Piccardia  e  l'abbazia  di  Staffardn. 
Nel  1660  raccoltasi  l'assemblea  del 
clero,  egli  compose  gli  animi  divi- 
si per  insorte  quistioni  col  nunzio 
pontificio,  e  conchiuse  la  pace.  Il 
re  cristianissimo  in  seguito  a  tanto 
merito,  gli  conferì  altre  insigni  ab- 
bazie e  lo  creò  commendatore  del- 
l'ordine dello  Spirito  Santo.  Cle- 
mente X  nel  1671,  a'24  agosto,  lo 
assunse  alla  dignità  di  Cardinale 
per  le  istanze  del  re  di  Francia, 
e  della  vedova  regina  di  Portogal- 
lo di  cui  era  stretto  parente^  e 
gli  assegnò  il  titolo  della  santissi- 
ma Trinità  nel  Montepincio;  ol- 
tre a  ciò  lo  costituì  ancora  pro- 
tettore e  ministro  del  Portogallo 
presso  la  santa  Sede.  Nel  pon- 
tificato d'Innocenzo  XI,  l'anno  1 68  r , 
si  trasferì  di  nuovo  in  Parigi  per 
finire  molte  controversie  eccitatesi 
per  le  regalie  tra  il  Papa  e  Lui- 
gi XIV.  Eletto  Clemente  XI,  sta- 
bilì la  sua  dimora  in  Roma,  e  gio- 
vò assai  il  Papa  nel  trattare  rile- 
vantissimi affari  colla  repubblica 
veneta  e  con  altri  principi  d'Italia, 
del  pari  che  nelle  dissenzioni  di  bel 
nuovo  insorte  nel  clero  di  Francia. 
Dopo  la  morte  del  di  lui  fratello 
ambasciatore  di  Francia  presso  la 
santa  Sede,  fu  surrogato  in  qnell'uf- 
zio,  e  destinato  insieme  a  seguire 
Filippo  V  re  di  Spagna  e  disporre 
gì'  interessi  di  quel  vasto  dominio. 
Nel  i665  celebrò  le  nozze  di  Ma- 
ria di  Nemours,  sua  nipote,  col  du- 
ca di  Savoja  Carlo  Emanuele  ;  e 
nell'anno  seguente  quelle  di  Maria 


i44  euc 

Francesca  Elisal>elta,  altra  nipote, 
con  Alfonso  re  di  Portogallo.  Di- 
messo il  suo  primo  titolo,  fu  tra- 
sferito da  Innocenzo  XII  al  vesco- 
vato di  Albano.  Ivi  assegnò  la  cu- 
ra del  seminario  a' religiosi  delle 
scuole  pie,  e  molto  operò  al  bene 
spirituale  di  quella  diocesi.  Versa- 
to, com'era,  nelle  scienze  e  nelle 
lettere,  dolce  e  gentile  del  tratto, 
lepido  assai  nel  conversare,  veniva 
da  tutti  amato  e  molto  venerato; 
cosicché  la  sua  morte,  accaduta  in 
Parigi  nel  1 7  1 4^  produsse  molto 
duolo  nell'animo  di  ciascheduno. 
Ebbe  la  tomba  nella  chiesa  di  s. 
Germano  ed  una  prolissa  iscrizione. 

EUBERTO  (s.).  Fu  compagno 
Euherto  nelle  evangeliche  fatiche 
di  s.  Piatone  apostolo  di  Tournay. 
Nel  terminar  del  terzo  secolo  sof- 
ferse varie  torture,  e  finalmente  fu 
martirizzato.  Le  virtù  da  lui  pra- 
ticate, ed  il  martirio  sostenuto  gli 
procurarono  nelle  Fiandre  un  ce- 
lebre culto.  Con  molta  venerazio- 
ne si  conservano  a  Lilla  le  sue  re- 
liquie. Nel  martirologio  romano 
viene  assegnata  la  di  lui  festa  il 
dì   primo  febbraio. 

EUBOLO  (s.),  martire  di  Pale- 
stina. Nel  settimo  anno  della  per- 
secuzione di  Diocleziano,  Eubolo 
partito  da  Mangane  per  recarsi  a 
Cesarea,  onde  visitare  i  confessori 
del  vangelo,  venne  alle  porte  del- 
la città  interrogato  quale  fosse  l'og- 
getto che  il  conduceva.  Non  esitò 
«gli  punto  a  dichiararlo,  e  tosto 
dal  governatore  fu  ordinato  che 
fosse  straziato  il  suo  corpo  con  un- 
ghie di  ferro,  e  condannato  per 
ultimo  alle  fiere.  Sostenne  egli  con 
invitto  coraggio  il  martirio  il  dì  5 
marzo  dell'anno  309,  ed  in  tal 
giorno  si  ricorda  la  sua  festa. 
EUC  ARISTI A    (  Eucharislia  ) . 


EUC 

Sagramcnto  o  mistero  della  nuova 
legge,  in  cui  Cesò  Cristo  fece  ri- 
splendere  con  tanta  magnificenza 
la  sua  divina  sapienza,  la  sua  su- 
blime possanza,  e  la  sua  adorabi- 
le carità.  La  santa  eucaristia  è  il 
più  grande  miracolo  dell' onnipo- 
tenza divina;  perocché  essa  è  la 
conlinuazione  del  mistero  ineffàbi- 
le della  sua  incarnazione,,  e  della 
sua  dimora  tra  noi.  E  un  mistero 
che  le  creature  non  avrebbero  mai 
riguardato  come  possibile,  median- 
te la  divina  rivelazione,  se  veduto 
non  lo  avessero  ad  elfettuarsi.  Ma 
è  insieme  un  mistero  tanto  più 
degno  di  un  Dio  infinito  in  tutto 
ciò  ch'egli  è,  quanto  esso  supera 
infinitamente  le  intelligenze  create, 
le  più  sublimi  in  iscienza  e  lu- 
mi, siccome  esprimono  i  teologi. 
La  santissima  eucaristia  è  un  sa- 
grifizio e  un  sagramento  in  cui 
Gesù  Cristo  esaurisce  tutto  il  suo 
amore  per  gli  uomini.  Gesù  Cri- 
sto istituì  la  santa  eucaristia,  per 
rendere  perenne  la  memoria  del 
cruento  sacrifizio  da  esso  offerto 
una  volta  sul  Calvario,  e  perchè 
ella  ne  fosse  un  sagrifizio  memo- 
rativo, benché  sia  insieme  un  sa- 
grifizio reale,  incruento,  od  una 
rinnovazione  del  sagrifizio  della 
croce,  senza  spargimento  di  san- 
gue, affine  di  rendere  permanente 
e  continua  l'applicazione  de' suoi 
frutti.  Egli  lo  ha  stabilito  come 
un  sagramento,  od  un  segno  sa- 
gro di  sua  presenza,  nascosta  sot- 
to veli  misteriosi,  ai  quali  si  dà 
il  nome  di  specie  o  di  accidenti, 
benché  il  contengano  realmente  ; 
dappoiché  egli  vi  è  in  modo  in- 
visibile ed  inaccessibile  ai  nostri 
sensi,  onde  adattarsi  alla  debolez- 
za nostra. 

A  cagione,  e  per  rispetto  e  ve- 


EUC 
Iterazione  di  questo  sublime  argo- 
mento, ci  limiteremo  a  qui  riu- 
nire le  principali  erudizioni  che 
lo  riguardano,  anche  nel  riflesso 
che  in  molti  articoli  del  Diziona- 
rio si  tratta  della  ss.  eucaristia, 
come  Messa,  Ostia,  Vino,  Sangue 
prezioso  di  Gesù  Cristo,  ec  ec. 
Della  celebrazione  della  sua  festa 
sì  può  vedere  il  voi.  IX,  pag.  44 
e  seg.  ;  della  consacrazione  della 
ss.  Eucaristia,  se  ne  tratta  al  voi. 
XVI,  pag.  3o4  e  seg.  ;  de'  luoghi 
ove  custodivasi,  ed  al  presente  si 
custodisce,  oltre  all'  articolo  Cibo- 
rio, possono  leggersi  Pisside,  Ta- 
bernacolo, Calice  ec,  e  principal- 
mente all'articolo  Comunione  sono 
molte  nozioni  sulla  ss.  eucaristia, 
giacche  trattammo  al  §  I.  Comu- 
nione eucaristica,  o  sacramentale. 
§  II.  Comunione  sotto  le  due  spe- 
cie. §  III.  Comunione  Pasquale. 
§  IV.  Comunione  de3  fanciulli. 
§  V.  Comunione  degli  infermi . 
§  VI.  Principali  disposizioni  alla 
Comunione,  e  della  Comunione 
frequente,  §  VII.  Delle  cerimonie 
ed  usi  antichi  della  Comunione. 
Da  questo  breve  riepilogo  si  com- 
prenderà di  leggieri,  come  molti 
interessanti  punti  sulla  ss.  eucari- 
stia, già  furono  trattati  ne' luoghi 
citati. 

§  I.  Nomi,  definizione,  figure,  e 
verità  dell' eucaristia,  e  presen- 
za reale  in  essa  di  Gesù  Cri" 
sto;  decreti  de3 concili  su  questo 
sagramento. 

Il  sagramento  augusto  dell'eu- 
caristia ha  varie  denominazioni . 
i.°  Chiamasi  Eucaristia  con  voce 
greca,  che  significa  azione  ó  ren- 
dimento di  grazie,  a  buona  gra- 
zia :  dicesi    rendimento   di    grazie, 

\OL.     XXII. 


EUC  i45 

perchè  Gesù  Cristo  rese  grazie  a 
Dio  istituendolo.  Leggiamo  nei 
vangeli,  che  Gesù  Cristo  nella  vi- 
gilia della  sua  morte,  corrispon- 
dente al  giovedì  santo,  fatta  la  cena 
co' suoi  apostoli,  prese  del  pane 
e  del  vino,  rese  grazie  a  suo  Pa- 
dre, benedisse  il  pane,  lo  spezzò, 
distribuillo  ai  suoi  apostoli,  loro 
dicendo:  prendete,  mangiate,  que- 
sto e  il  mio  corpo  ;  di  poi  diede 
loro  il  calice  del  vino,  e  loro  dis- 
se: bevetene  tutti,  questo  e  il  mio 
sangue  ec,  fate  questo  in  memo- 
ria di  me,  laonde  dicesi  grata  me- 
moria. L'eucaristia  è  il  principale 
mezzo  con  cui  noi  cristiani  rendia- 
mo grazie  a  Gesù  Cristo  del  se- 
gnalato benefizio  della  redenzione. 
Dicesi  buona  grazia,  perchè  contie- 
ne realmente  Gesù  Cristo,  sorgen- 
te di  tutte  le  grazie.  2.0  Si  chia- 
ma Eulogia  o  benedizione  (Vedi) 
perchè  Gesù  Cristo  impiegò  la  be- 
nedizione istituendolo,  e  perchè  i 
sacerdoti  della  nuova  legge  la  u- 
sano  ancora  consagrandolo.  3.°  Si 
chiama  il  Santo  de  Santi,  il  corpo 
6  il  sangue  di  Gesù  Cristo,  perchè 
rinchiude  e  l'uno  e  1'  altro.  4« 
Chiamasi  Pane  (Vedi)  a  motivo 
della  sua  materia  ;  e  frazione  del 
pane  per  la  maniera  colla  quale 
si  distribuisce.  5.°  Chiamasi  co- 
munione, comunicazione,  sinossi, 
tanto  perchè  ricevendo  noi  questo 
sagramento  ci  comunichiamo  con 
Gesù  Cristo,  e  con  i  fedeli,  quan- 
to perchè  per  riceverlo  si  usa  di 
riunirsi  in  uno  stesso  luogo.  Dice 
il  Macri  che  chiamasi  Synaxis,  in 
significato  di  assemblea  o  radunan- 
za, perchè  i  fedeli  si  congregavano 
nei  primi  secoli  nelle  case  private 
per  ricevere  l'eucaristia,  nel  tem- 
po delle  persecuzioni,  come  adesso 
si  fa  nelle  chiese.  1  greci  sono 
io 


i46  EUC 

quelli  che  particolarmente  appella- 
no Sinassi  (Pedi);  la  celebrazione 
di  questo  mistero,  e  lo  chiamano 
Euhgia,  mentre  le  altre  sette  o- 
ricntali  lo  chiamano  Anforas  cioè 
oblazione.  Il  Piazza  nel  suo  Menolo- 
gio  aggiunge,  che  dicesi  Comunione 
perchè  in  esso  si  comunica  ai  cri- 
stiani il  corpo  e  il  sangue  del  Re- 
dentore. 6."  Chiamasi  vita  e  salu- 
te perchè  contiene  Gesù  Cristo , 
l'autore  della  vita  spirituale  delle 
nostre  anime,  e  della  nostra  salu- 
te. 7.0  Chiamasi  ftalico  (fedi), 
perchè  è  un  nutrimento  che  sostie- 
ne e  fortifica  i  fedeli  nel  pellegri- 
naggio di  questa  vita,  e  soprat- 
tutto perchè  si  dà  per  provvisione 
nel  passaggio  pericoloso  di  questa 
all'altra  vita.  8.°  Si  chiama  Cena 
del  Signore  (fedi),  perchè  è  un 
banchetto  divino  di  Gesù  Cristo 
colla  Chiesa;  perchè  Gesù  Cristo 
l'ha  istituito  la  sera  dopo  la  cena 
legale,  e  perchè  è  una  commemo- 
razione dell'  ultima  cena  di  Gesù 
Cristo.  9.0  Si  chiama  Pasqua  (  Ve- 
di), perchè  fu  istituito  al  tempo 
pasquale,  e  perchè  contiene  Gesù 
Cristo  nostra  vera  pasqua,  io.0 
Chiamasi  la  tavola  del  Signore, 
perchè  Gesù  Cristo  stava  seduto  a 
tavola  allorquando  lo  istituì.  1  r.° 
Chiamasi  Augustissimo  Sagrameli- 
lo,  ed  il  Sagramenlo  del  nuovo 
Testamento  per  eccellenza,  e  per 
i  profondi  misteri  in  esso  racchiu- 
si. Di  cesi  Santo  Sagramenlo,  e 
presso  i  greci  santi  misteri,  perchè 
questo  è  il  più  augusto  dei  segni 
stabiliti  da  Gesù  Cristo  per  do- 
narci la  grazia.  12.0  Dicesi  Ostia, 
perchè  si  offerisce  al  Padre  Eterno 
l'ostia  viva  dell'unigenito  suo  fi- 
gliuolo. i3.°  Dicesi  Sagrifizioj  per- 
chè in  esso  si  fa  il  vero  ed  incruen- 
to sagrifizio  dell'Agnello  immaco- 


EUC 

lato.  [4°  Si  chiama  metalessi, 
vale  a  dire  assunzione,  perchè  in 
certo  qual  modo  c'innalza  al  di 
sopra  di  noi  stessi,  per  unirci  a 
Gesù  Cristo;  o  partecipazione,  per- 
chè ci  fa  partecipi  della  divinità; 
o  transmutazione  e  transustanzia- 
zione, perchè  il  pane  e  il  vino 
sono  cambiati  fisicamente  nel  cor- 
po e  nel  sangue  di  Gesù  Cristo, 
e  perchè  i  fedeli  che  lo  ricevono 
sono  cambiati  e  trasformati  spiri- 
tualmente in  lui.  Dice  il  Macri 
che  Eucharistia  Hierarchica  vie- 
ne chiamato  il  simbolo  della  fede 
da  s.  Dionisio;  e  che  questo  me- 
desimo vocabolo  di  Eucaristia  ap- 
presso s.  Cipriano  significa  qualsi- 
voglia sagramento. 

I  teologi  definiscono  l' eucaristia 
un  sagramento  della  nuova  legge, 
che  contiene  sotto  le  specie  del  pane 
e  del  vino,  il  corpo  e  il  sangue  di 
Gesù  Cristo,  per  la  refezione  spi- 
rituale del  cristiano,  secondo  l'isti- 
tuzione di  Gesù  Cristo  stesso.  È 
un  articolo  di  fede  che  l'eucari- 
stia sia  un  sagramento,  avendolo 
cosi  definito  il  concilio  generale 
lateranense  IV,  celebrato  dal  Pon- 
tefice Innocenzo  III,  nel  capit.  de 
summa  Trinit.,  e  nel  concilio  di 
Trento  cap.  1  e  2.  Dei  decreti 
de' concili  sulla  eucaristia,  ne  par- 
leremo al  termine  di  questo  para- 
grafo. Quantunque  poi  l'eucaristia 
sia  composta  di  due  materie,  le 
quali  sono  il  pane  ed  il  vino,  e 
di  due  forme,  l'ima  per  la  consa- 
grazione  del  pane  e  l'altra  per 
quella  del  calice  o  del  vino,  non  è 
però  che  un  solo  sagramento,  per- 
chè forma  un  solo  convito,  e  per- 
chè la  moltiplicità  di  materie  e  di 
forme  non  basta  nella  nuova  leg- 
ge, onde  ne  risulti  una  moltiplici- 
tà   di    sagramenti .    Sulle    figure 


EUC 

dell' eucaristia,  i  teologi  ne  distin- 
guono quattro.  Le  prime  spettano 
alla  sua  materia,  cioè  al  pane  ed 
al  vino:  e  tali  erano  il  pane  ed 
il  vino  che  Melchisedech  offrì  in 
sagrifìzio;  i  pani  di  proposizio- 
ne; quelli  delle  primizie;  il  pa- 
ne cotto  sotto  la  cenere,  che  man- 
giò il  profeta  Elia.  Le  seconde  fi- 
gure spettano  al  corpo  ed  al  san- 
gue di  Gesù  Cristo:  e  tali  erano 
tutti  i  sacrifizi  antichi.  La  terza 
specie  di  figure  rappresentava  l'ef- 
fetto dell'eucaristia:  tale  era  l'al- 
bero della  vita,  e  la  manna.  La 
quarta  specie  di  figure  rappresen- 
tava 1'  eucaristia  tutta  intiera  :  tale 
era  la  pasqua,  o  1'  agnello  pasquale 
degli  ebrei,  che  Gesù  Cristo  man- 
giò la  vigilia  della  sua  morte  co- 
gli altri  ebrei,  siccome  può  veder- 
si all'articolo  Pasqua.  Sulla  verità 
dell'  eucaristia  poi,  o  presenza  rea- 
le di  Gesù  Cristo  in  questo  sa- 
gramento,  due  specie  d'eretici  in- 
sorsero. Gli  uni  l'hanno  combat- 
tuta indirettamente,  e  sono  quel- 
li, i  quali  hanno  negato  che  Ge- 
sù Cristo  abbia  avuto  un  vero 
corpo  :  tali  sono  stali  i  discepoli 
di  Simone,  di  Menandro,  di  Ma- 
nete  ec.  Gli  altri  hanno  negato 
direttamente  la  presenza  reale  :  e 
questi  sono  stati  Giovanni  Scoto 
Erigene ,  Berengario ,  Pietro  di 
Bruis,  i  gnostici,  i  montanisti,  i 
priscillanisti,  gli  artoriti,  i  giaco- 
bini, gli  ebioniti,  gli  encratiti ,  i 
pepuziani,  i  collirio1  ia ni ,  i  catari , 
gli  albigesi,  i  viclefisti,  i  valdesi, 
i  cariciani,  i  pauliciani,  i  calvini- 
sti, i  sociniani  ec,  come  si  può 
vedere  a' loro  articoli.  I  luterani 
poi  ammettono  la  presenza  reale, 
ma  negano  la  transustanziazione,  e 
vogliono  la  impanazione,  cioè  la  coe- 
sistenza del  corpo  di  G.  C.  col  pane. 


EUC  147 

Gesù  Cristo  può  essere  presen- 
te in  tre  maniere  Dell'  eucaristia  : 
i.°  per  impanazione,  ch'è  l'unione 
ipostatica  del  Verbo  divino  col  pa- 
ne; 2.°  per  consustanziazione,  ch'è 
la  presenza  locale  del  corpo  di  Ge- 
sù Cristo  col  pane,  di  modo  che 
sussistono  ambedue,  senza  alcun 
cambiamento  di  sostanza,  nel  me- 
desimo sagramento;  3.°  per  tran- 
sustanziazione, ch'è  il  cambiamento 
fisico  della  sostanza  del  pane  e  del 
vino  nel  corpo  e  nel  sangue  di 
Gesù  Cristo  ;  ed  è  così  che  il  di- 
vino Salvatore  è  presente  realmen- 
te nella  santa  eucaristia.  Seguono 
alcuni  de'principali  canoni  e  de- 
creti de'concili  sull'eucaristia. 

«  Non  si  conserverà  il  eorpo  di 
»  Nostro  Signore  più  di  otto  gior- 
»  ni  :  né  sarà  portato  agli  infer- 
»  mi  che  da  un  sacerdote  o  da 
>»  un  diacono  ".  Concilio  di  Lon- 
dra an.    1 1 38,  can.    i. 

t*  Non  si  darà  l'eucaristia  tern- 
»  piata,  sotto  pretesto  di  rende- 
»  re  più  completa  la  comunione". 
Id.  il 75,  can.  16.  11  che  prova, 
che  fin  d'allora  l'uso  più  comune 
era  di  non  comunicare  che  sotto 
le  specie  del  pane. 

«  Non  si  consacrerà  la  ss.  euca- 
»  ristia,  che  in  un  calice  di  oro 
»  e  di  argento,  e  non  di  stagno  ". 
Id.  can.    17. 

«  Non  si  porrà  il  corpo  del  Si- 
»  gnore  senza  lumi,  croce  e  ac- 
»  qua  benedetta,  e  senza  che  vi 
«  sia  un  prete  presente,  fuori  del 
»  caso  di  estrema  necessità  ".  Con- 
dì, di  Roano  an.  1190,  e.  3.  Lo 
stesso  canone  del  concilio  di  Yorck, 
an.    1 195,  can.    1. 

Canoni  di  dottrina.  «  Nel  sa- 
«  grifizio  dell'eucaristia,  Gesù  Cri- 
»  sto  è  egli  stesso  il  sacerdote  e 
»   la  vittima.  Il  suo  corpo  e  il  suo 


i48 


EUC 


••>  lancile  sono  veramente  conte- 
n  nuli  nel  sagramento  dell' aitine. 
»  Il  pane  essendo  transostanziato 
»  nel  corpo,  e  il  vino  nel  sangue 
»  per  onnipotenza  divina;  e  que- 
»  sto  sacramento  non  può  essere 
»  fitto  che  dal  sacerdote  ordina- 
»  lo  legittimamente ,  in  virtù  del 
»*  potere  della  Chiesa,  accordato  da 
»»  Gesù  Cristo  agli  apostoli  e  a'ioro 
»  successori".  IV  concil.  gen.  La- 
ter,  an.    i2t  3,  e.    i. 

«  Se  alcuno  negherà,  che  il  cor- 
>*  pò  del  Nostro  Signore  Gesù  Cri- 
»>  sto,  coll'anima  e  colla  divinità, 
»  e  per  conseguenza  Gesù  Cri- 
»  sto  tutto  intero,  non  sia  conte- 
»  mito  veramente,  e  realmente,  e 
»  sostanzialmente  nel  sagra  mento 
»  della  ss.  eucaristia;  ma  dirà  che 
»  vi  sia  solamente  come  in  un 
»  segno,  oppur  in  figura  e  in  vir- 
»>  tu,  sia  anatema  ".  Concil.  di 
Trento,  sess.    i3,  can.    i. 

«  Se  alcuno  dirà,  ehc  la  so; 
»  stanza  del  pane  e  del  vino  ri- 
ti mane  nel  ss.  sagramento  del- 
«  l'eucaristia,  insieme  col  corpo  e 
«  sangue  del  Nostro  Signore  Ge- 
»  su  Cristo,  e  negherà  questa  con- 
»  versione  ammirabile  e  singola- 
»  re  di  tutta  la  sostanza  del  pane 
»  nel  corpo,  e  di  tutta  la  sostan- 
»  za  del  vino  nel  sangue  di  Gc 
«  su  Cristo,  non  restando  sola- 
»  mente  che  la  specie  del  pane  e 
m  del  vino,  la  qua!  conversione  è 
»  chiamala  dalla  Chiesa  cattolica 
«  coi  nome  proprissimo  di  transu- 
«   stanziazione,  sia  anatema  ".Can. 2. 

«  Se  alcuno  negherà ,  che  nel 
»  venerabile  sagramento  dell'  euca- 
»  ristia,  Gesù  Cristo  tutto  intero 
«  sia  contenuto  sotto  ciascuna  spe- 
»  eie,  e  sotto  ogni  parte  di  cia- 
»  scuna  specie  dopo  la  separazio- 
»   ne,  sia  anatema".  Can.  3. 


EUC 

«  Se  alcuno  dirà,  che  dopo  l'al- 
ti la  consa grazi one,  il  corpo  e 
iì  sangue  del  Nostro  Signore 
Gesù  Cristo  non  è  nell'ammi- 
rabile sagramento  della  eucari- 
stia, ma  che  v'è  solamente  nel- 
l'uso, mentre  si  riceve,  e  non 
prima  né  dopo;  e  che  nell'  ostie 
o  particole  consagrate,  che  si 
conservano,  o  che  restano  dopo 
la  comunione ,  non  rimane  il 
vero  corpo  di  Nostro  Signore, 
sia  anatema  ".  Can.  5. 
»  Se  alcuno  dirà,  che  il  frutto 
principale  della  ss.  eucaristia  è 
la  remissione  de'peccati,  o  che 
ella  non  produce  altri  effetti,  sia 
anatema  ".  Can.  5. 
«  Se  alcuno  dirà,  che  Gesù  Cri- 
sto, figliuolo  unico  di  Dio,  non 
deve  essere  adorato  nel  sagra- 
mento dell'eucaristia  con  culto 
di  latria,  nemmeno  esteriore;  e 
che  per  conseguenza  non  biso- 
gna nemmeno  onorarlo  con  una 
festa  solenne  e  particolare,  né 
portarlo  con  pompa  e  con  ap- 
parato nelle  processioni,  secon- 
do il  lodevole  costume  e  l' uso 
universale  della  santa  Chiesa,  o 
che  non  bisogna  esporlo  pub- 
blicamente al  popolo  per  essere 
adorato,  e  che  quelli  che  lo  a- 
tlorano  sono  idolatri,  sia  anate- 
ma ".   Can.  6. 

«  Se  alcuno  dirà,  che  non  è 
permesso  conservare  l'eucaristia 
in  un  vaso  sacro,  ma  che  su- 
bito dopo  la  consacrazione  bi- 
sogna necessariamente  distribuir- 
la agli  astanti,  o  che  non  è 
permesso  di  portarla  con  onore 
e  rispetto  agl'infermi,  sia  ana- 
tema ".  Can.  7. 
«  Se  alcuno  dirà ,  che  Gesù 
Cristo  presentato  nell'eucaristia, 
è  mangiato  soltanto  spiritualmen- 


EUG 

»  le,  e  non  così  sagrnmentalmen- 
»  te  e  realmente,  sia  anatema". 
Can.  8. 

«  Se  aldino  negherà,  che  ogni 
»  e  ciascuno  de'fedeli  cristiani  del- 
»  l'uno  e  dell'altro  sesso,  essendo 
»  giunti  all'età  della  discrezione, 
»  sieno  obbligati  a  comunicarsi 
»  ogni  anno,  almeno  da  Pasqua, 
»■  secondo  il  comandamento  della 
»  nostra  santa  madre  la  Chiesa, 
6   sia  anatema  ".  Can.  9. 

«  Se  alcuno  dirà,  che  non  è 
»  permesso  a  un  sacerdote  cele- 
'  beante  di  comunicarsi  da  sé, 
»   sia  anatema  ".   Can.     io. 

«  Se  alcuno  dirà,  che  la  «ola 
»  fede  è  una  preparazione  baste- 
«  vole  per  ricevere  la  ss.  eucari- 
>■   stia,  sia  anatema  ".  Can.    ti. 

«.-  E  per  impedire,  che  un  tati- 
*s  to  sacramento  non  sia  ricevuto 
»  indegnamente,  e  in  conseguenza 
»  a  condannagione,  il  concilio  or- 
»   dina  e  dichiara,  che  quelli   che 

*  si  sentono  la  coscienza  aggrava- 
ta da  qualche  peccato    mortale, 

'   per  quanto  si  credano    contriti, 

*  sono  necessariamente  obbligati, 
»  se  possono  avere  un  confessore, 
»  di  far  precedere  la  confessione 
»  sagrarnentale;  e  se  alcuno  aves- 
•>  se  la  temerità  d'insegnare  o   di 

*  sostenere  il  contrario  in  pubbli- 
»  ca  disputa,  sia  da  quel  punto 
»  scomunicato  ".  Can.    12. 

§  II.  Materia,  forma ,  proprietà, 
necessità,  effetti,  e  disposizioni 
per  la  ss.  eucaristia. 

La  materia  necessaria  dell'euca- 
ristia, senza  la  quale  non  si  può 
consacrare  validamente,  è  il  pane 
di  frumento,  ed  il  vino  di  vite. 
Era  pane  di  frumento,  e  vino  di 
vile,  che  Gesù  Cristo  consagrò,    e 


EUC  149 

che  comandò  agli  apostoli.  Perchè 
il  pane  possa  essere  validamente 
consagrato,  bisogna  che  sia  sensi- 
bile e  presente  al  sacerdote  d'una 
presenza  fìsica  e  morale.  Gesù  Cri- 
sto non  avendo  determinato  la 
quantità  del  pane,  che  il  prete  può 
validamente  consagrare,  tutto  il 
pane  che  trovasi  a  lui  moralmen- 
te presente,  può  essere  da  lui  con- 
sagrato. Il  pane  azimo  o  senza 
lievito,  ed  il  pane  fermentato  o 
con  lievito,  sono  egualmente  buo- 
ni per  la  validità  della  cousagra- 
zione;  nulladimeno  il  pane  azimo 
sembra  più  conveniente.  I  dotti 
sono  divisi  sull'uso  del  pane  azimo, 
e  del  pane  fermentato  nella  Chie- 
sa greca  e  nella  latina.  Che  il  pane 
di  grano  sia  materia  valida,  non 
vi  è  questione.  La  questione  sta 
se  Nostro  Signore  consagrasse  nel- 
l'azimo  o  nel  fermentato.  La  Chie- 
sa greca  usò  il  secondo,  e  la  la- 
tina il  primo.  Bisogna  mischiare 
un  poco  d'acqua  col  vino  nella  con- 
sagi azione;  ma  questo  miscuglio 
d'acqua  non  è  altro  se  non  un 
precetto  ecclesiastico  fondato  sul 
fatto  da  Gesù  Cristo,  come  si  ha 
dalla  tradizione  de'padri.  È  -mol- 
to probabile,  quantunque  non  sia 
di  fede,  che  l'acqua  si  cangi,  come 
il  vino,  nel  sangue  di  Gesù  Cristo; 
ma  questa  è  questione  da  lasciar- 
si ai  teologi. 

La  forma  dell'eucaristia,  comu- 
nemente dai  teologi  si  fa  consiste- 
re (vale  a  dire  la  forma  essenzia- 
le della  consag razione)  nelle  sole 
parole  evangeliche:  Questo  b  il  mio 
corpo,  questo  è  il  mio  sangue,  le 
quali  parole  dai  santi  padri  sono 
chiamate  preghiera,  invocazione  e 
benedizione.  Iu  quanto  alla  pro- 
prietà dell'eucaristia,  i  teologi  spie- 
gano se  devesi  adorare,   se    consi- 


i5o  EUC 

ste  solamente  nell'uso,  dimodoché 
Gesù  Cristo  non  sia  più  presente 
dopo  la  comunione  attuale;  se  è 
necessaria,  e  come  Io  sia.  Quindi 
all'crmano  che  si  deve  adorare  l'eu- 
caristia interiormente  ed  esterior- 
mente, poiché  contiene  Gesù  Cri- 
sto tutto  intero,  il  quale  è  adora- 
bile in  qualunque  luogo  si  trovi, 
e  perchè  la  Chiesa  lo  ha  sempre 
adorato.  Gesù  Cristo  è  nell'euca- 
ristia fuori  del  tempo  della  comu- 
nione attuale,  e  per  conseguenza 
questo  sagramento  non  consiste  nel 
solo  uso,  ma  in  una  cosa  perma- 
nente, perchè  il  divin  Salvatore  ha 
detto  le  surriferite  parole:  Questo 
è  ec,  prima  che  gli  apostoli  si  co- 
municassero. D'altronde  la  Chiesa 
ha  riservata  l'eucaristia  in  tutti  i 
tempi,  perchè  fosse  mandata  dai 
Pontefici  a' vescovi  lontani,  come 
il  sigillo  della  reciproca  comunio- 
ne, acciò  i  fedeli  la  portassero  nelle 
loro  case  per  nutrirsene  in  parti- 
colare, per  portarla  agli  infermi, 
per  portarla  in  viaggio,  per  servi- 
re alla  messa  de' presantificati,  che 
celebrasi  presso  i  greci  in  tutti  i 
giorni  di  digiuno,  e  presso  i  lati- 
ni uua  volta  l'anno,  nel  venerdì 
santo,  come  si  disse  al  citato  ar- 
ticolo Comunione.  In  quanto  al  por- 
tare in  viaggio  la  ss.  eucaristia,  al 
seguente  articolo,  Eucaristia  porta- 
ta avanti  ai  Papi  nt  viaggi  (Fedi), 
si  dirà  che  Stefano  II  detto  III  fu 
il  primo  Papa  che  valicando  le 
Alpi  si  facesse  precedere  da  essa,  e 
che  questo  rito  essendosi  anche 
talvolta  praticato  nelle  solenni  ca- 
valcate de'  Pontefici  pel  solenne 
possesso,  cessò  ne'possessi  dopo  Leo- 
ne X,  il  quale  fu  l'ultimo  Papa 
che  lo  prese  con  essere  vestito  chi 
faceva  parte  della  cavalcata,  e  che 
ne  aveva  1'  uso,  cogli    abiti    sagri 


EUC 

e  colle  mitre  ;  mentre  Benedetto 
XIII  fu  l'ultimo  che  l'usò  nei  viag- 
gi nel  modo  che  si  dirà.  Sulla 
necessità  dell'  eucaristia,  dicono  i 
teologi,  che  non  è  di  necessità  di 
mezzo,  perchè  il  battesimo  basta 
solo  per  la  salute  dell'anima  :  que- 
gli che  crederà  e  sarà  battezzalo 
sarà  salvo j  ma  è  necessaria  agli 
adulti  per  il  precetto  divino,  e  per 
il  precetto  della  Chiesa,  che  pre- 
scrive a'fedeli  di  comunicarsi  al- 
meno una  volta  l'anno,  alla  Pa- 
squa, per  adempirlo.  Circa  agli  ef- 
fetti di  questo  sagramento,  s.  Tom- 
maso ne  attribuisce  tre  principali, 
cioè  la  remissione  de'  peccati,  la 
grazia  e  la  gloria.  Per  i  peccati 
s'intendono  i  veniali,  non  imme- 
diatamente, ma  a  mezzo  degli  at- 
ti fervorosi  di  carità,  che  l'uomo 
fa  pe'  soccorsi  che  riceve  da  Dio 
in  virtù  del  sagramento.  Per  la 
grazia  s'intende  quella  che  aumen- 
ta e  conferma  quella  ricevuta  dal 
battesimo  e  dalla  penitenza  ,  la 
quale  di  giusto  rende  ancora  l'uo- 
mo più  giusto  ;  quella  che  nutre 
spiritualmente  l' anima  di  coloro 
che  si  comunicano,  che  gli  unisce 
strettamente  a  Gesù  Cristo,  e  li  fa 
vivere  della  sua  vita;  che  produce 
finalmente  la  gloria  e  la  vita  e- 
terna,  in  quanto  che  somministra 
diritti  e  soccorsi  particolari  per 
giungervi,  quantunque  non  operi 
mai  l'impeccabilità.  Le  disposizioni 
necessarie  poi  per  ricevere  l'effetto 
dell'eucaristia,  riguardano  l'anima 
od  il  corpo,  e  di  esse  pur  si  par- 
lò all'articolo  Comunione. 

5  III.  Ministro  e  soggetto  dell'eu- 
caristia ;  cerimonie  ed  usi  di 
questo  sagramento,  ed  altre  no- 
zioni relative. 

Si    distingue    il    ministro    della 


EU  C 

consacrazione,  e  quello  della  dis- 
pensazione o  distribuzione  dell'eu- 
caristia. 1  ministri  della  consacra- 
zione sono  i  soli  sacerdoti,  perchè 
questi  sono  i  soli,  cui  Gesù  Cri- 
sto ha  dato  il  potere  e  l'ordine  di 
consacrare  con  quelle  parole  che 
diresse  loro  a  mezzo  degli  aposto- 
li: Fate  questo  in  memoria  di  me. 
]n  tal  modo  lo  ha  inteso  la  Chie- 
sa in  tutti  i  tempi,  poiché  non  ha 
permesso  a  niuno  di  consacrare, 
neppure  agli  uomini  apostolici,  ai 
più.  santi  solitari,  ai  martiri,  ai 
monaci  che  non  fossero  sacerdoti; 
ed  essa  ha  condannato  al  contra- 
rio tutti  quelli  che  senza  questa 
qualità,  osavano  tentare  la  consa- 
crazione, siccome  si  ha  da  molti 
concili,  e  santi  padri.  In  quanto 
al  ministro  della  dispensazione  del- 
l'eucaristia, i  preti  ed  i  vescovi 
ne  sono  i  ministri  ordinari,  come 
lo  sono  della  sua  consacrazione 
per  diritto  divino.  I  diaconi  erano 
in  passato  i  ministri  della  dispen- 
sazione dell'eucaristia:  potrebbero 
distribuirla  ancora  col  permesso 
del  vescovo,  o  del  parroco  in  caso 
che  non  potesse  egli  portarla,  né 
farla  portare  da  un  sacerdote  ad 
un  infermo.  Anche  sul  modo  di 
dispensare  e  ricevere  l'eucaristia, 
ne  trattammo  all'articolo  Comunio- 
ne. Pei  soggetti  dell'eucaristia  in- 
tendonsi  le  diverse  persone  che 
sono  capaci  di  riceverla,  come  si 
disse  al  detto  articolo.  Le  cerimo- 
nie finalmente  dell'  eucaristia  ri- 
guardano o  la  materia  di  questo 
sagramento,  o  la  forma,  od  il  mi- 
nistro che  lo  distribuisce,  od  il 
soggetto  che  lo  riceve,  o  la  situa- 
zione del  corpo  colla  quale  devesi 
ricevere,  od  il  luogo  della  sua  di- 
stribuzione. 

Abbiamo    dal    Macri ,    che    nel 


EUC  ,5r 

giorno  di  Pasqua  niuno  può  am- 
ministrare l' eucaristia  ai  popoli, 
se  non  nella  chiesa  parrocchiale, 
ancorché  avessero  soddisfatto  al  pre- 
cetto ,  o  avessero  intenzione  di 
adempierlo  in  un  altro  giorno,  co- 
me si  dichiara  nella  costituzione 
di  Gregorio  XIII,  del  i585.  Il  pa- 
ne che  doveva  essere  consagrato, 
veniva  scelto  in  passato  fra  i  pa- 
ni che  i  fedeli  olili  vano,  e  ch'essi 
portavano  alla  chiesa,  allorquando 
vi  si  raccoglievano.  Dipoi  i  chie- 
rici, o  le  vergini  consagrate  a  Dio 
fecero  le  ostie  cantando  salmi.  Era 
il  sacerdote  che  presiedeva  all'as- 
semblea, che  distribuiva  alle  per- 
sone presenti  il  sagramento  dell'eu- 
caristia. Nella  chiesa  di  Gerusalem- 
me i  fedeli  s'appressavano  alla  sagra 
mensa  inchinati  profondamente,  ed 
in  quella  di  Costantinopoli  vi  si 
appressavano  in  piedi,    ec.  ec. 

Nelle  processioni,  dice  il  Macri, 
la  eucaristia  si  deve  portare  in 
mano  dal  sacerdote,  e  non  sopra 
le  spalle,  com'è  stato  dichiarato 
dalla  sagra  congregazione  de'riti 
a'2  gennaio  1 618  :  tuttavolta,  egli 
aggiunge,  in  alcune  chiese  di  Fran- 
cia si  pratica  la  cerimonia  di  por- 
tare sulle  spalle  dei  sacerdoti  l'eu- 
caristia, nella  solenne  processione 
del  Corpus  Domini,  rito  antichis- 
simo di  cui  fa  menzione  il  conci- 
lio di  Praga  III,  al  can.  5. 

Non  si  può  portare  l'eucaristia 
agl'infermi,  i  quali  non  possono 
comunicarsi,  soltanto  per  adorarla, 
giacché  ciò  fu  proibito  da  s.  Pio 
V.  L'eucaristia  davasi  subito  dopo 
il  Battesimo  (Vedi),  non  solo  agli 
adulti,  ma  ai  bambini,  siccome  di- 
cemmo a  quell'articolo,  ed  il  Piaz- 
za nel  suo  Fmerologìo,  p.  42>  di- 
ce altrettanto  con  altre  erudizioni. 
L'uso    di    conservare    nel    giovedì 


iJi  EUC 

santo  l'eucaristia  dopo  il  sagrifìzio, 
e  fuori  dell'altare  ove  è  stato  ce- 
lebrato, e  di  riporta  dentro  un  ca- 
lice, in  qualche  cappella,  oratorio, 
o  nella  sagrestia,  secondo  il  Maz« 
/incili  è  un  rito  assai  antico.  Di 
quello  che  chiamasi  il  Sepolcro,  se 
ne  parla  nel  voi.  Vili,  a  pag.  289 
e  seg.,  ed  a  pag.  3o4  e  seg.  Qui 
aggiungeremo,  che  terminato  nel 
giovedì  santo  il  sagrifìzio,  e  tolta 
dall'altare  la  ss.  eucaristia,  secon- 
do l'uso  più  comune,  si  piegano 
le  tovaglie,  e  l'altare  resta  senza 
ornamento;  laonde  il  discoprimen- 
to degli  altari,  ed  il  trasferimento 
dell'ostia  consagrata  in  altro  luo- 
go, è  un  resto  di  quel  rito  che 
facevasi  anticamente  ogni  giorno 
con  minor  pompa  ecclesiastica. 

Il  Sarnelli  nel  tomo  VI  delle 
Lettere  eccl,  lett.  XXV,  num.  io, 
parla  dell'antico  uso  di  conserva- 
re in  un  calice  la  ss.  eucaristia, 
il  quale  calice  tene  vasi  pendente 
sopra  l'altare  ;  e  che  in  tempo  delle 
persecuzioni  si  custodiva  nelle  ca- 
se particolari  in  una  scatola  di  le- 
gno. Quindi  narra  ch'era  vietato 
il  parlare  di  questo  sagramento  ai 
gentili  in  presenza  de'catecumeni; 
che  la  ss.  eucaristia  non  guasta  il 
digiuno;  e  se  si  debba  dare  agli 
ossessi. 

Era  solito  Alessandro  VI  tene- 
re il  ss.  Sagramento  in  una  scato- 
la d'oro  fatta  a  modo  di  palla,  e 
lo  portava  seco  familiarmente  sen- 
za che  altri  se  ne  accorgesse;  ed 
il  Cardella  nel  tom.  IV,  p.  162, 
Memorie  de'  Cardinali,  racconta  la 
premura  del  Papa  di  averla  seco, 
un  giorno  in  cui  trovavasi  negli 
orti  del  Cardinal  Adriano  Castel- 
li senza  averla  portata,  per  cui  spe- 
di a  prenderla  Giampietro  Caraffa, 
poi  Papa  Paolo  IV.    Fulvio    Se*- 


EUC 

vanzio,  nel  suo  Diario  <!<!t'iino- 
roteazione  di  Alessandro  P/l,  pres- 
so il  Gattico,  Ada  cacrem.  p.  4i7> 
racconta  che  nella  comunione  del- 
la messa,  la  quale  dal  Pontelìce 
si  riceve  al  trono,  Alessandro  VII, 
in  vece  di  genullettere  sullo  sga- 
bello della  sedia  della  cattedra , 
quando  gli  fu  portata  la  ss.  euca- 
ristia, ed  ivi  rimanere  sino  alla 
consumazione  delle  specie  sagra- 
mentali,  volle  in  vece  genuflettere, 
comunicarsi,  e  comunicare  anche  il 
diacono  e  suddiacono  latino,  al  ri- 
piano dello  stesso  trono,  per  mag- 
gior riverenza  ed  umiltà.  Nel  1742 
Benedetto  XIV,  col  disposto  della 
costituzione  Certiores  effecli,  data 
a'  1  3  novembre  presso  il  Bull.  Maga. 
tom.  XVI,  pag.  1 1 7,  tolse  la  con- 
troversia nata  in  Crema  e  propa- 
gata in  Italia,  dell'obbligo  che  si 
pretendeva  avessero  i  sacerdoti  di 
amministrare  nella  loro  messa  pri- 
vata l'eucaristia  a'fedeli  che  la  do- 
mandassero. Il  dotto  Pontefice,  con 
molte  sode  ragioni,  dimostrò  non 
esservi  quest' obbligo  ne' sacerdoti, 
laonde  esortava  i  vescovi  a  per- 
suadere su  questo  punto  i  loro 
diocesani,  massime  colle  testimo- 
nianze dell'antica  disciplina,  in  cui 
dovendo  i  soli  parrochi  ammini- 
strare i  sagramenti,  alla  sola  loro 
messa  si  dovessero  comunicare  1 
fedeli.  Dipoi,  uel  ij55,  il  vice-cu- 
rato della  chiesa  di  s.  Nicolò  in 
Carcere  di  Roma,  a  cagione  di 
un  vicino  incendio  che  minacciava 
estesa  propagazione,  vestito  de'sa- 
gri  paramenti,  trasse  la  pisside  dal 
ciborio  colle  ostie  consagrate,  e  con 
essa  diede  la  benedizione  al  fuoco. 
Molti  approvarono  questa  benedi- 
zione, altri  la  disapprovarono,  per 
cui  Benedetto  XIV  a' 17  luglio  di- 
resse al  Cardinal  Vicario  il  breve 


EUC 

Cam  ut  recte,  loco  citato,  toni. 
\l\,  p.  167,  ed  espose  colla  so- 
lita erudizione  le  ragioni  degli  uni 
e  degli  altri;  ma  la  conclusione  fu 
la  sua  disapprovazione  nell'operato 
tlel  vice-parroco,  vietando  siffatte 
benedizioni .  Copiosamente  tratta 
della  ss.  eucaristia  il  p.  Chardon, 
Storia  deSagramenli  toni.  I,  p. 
2o5  e  seg.;  Genebrardo,  il  Cardinal 
Bona,  d.  Claudio  Vert,  il  Marna- 
chi,  il  Bergier,  e  specialmente  il 
p.  Le-Brun.  Delle  arciconfraternite, 
ed  altri  sodalizi  istituiti  in  onore 
del  ss.  Sagramento,  se  ne  parla 
a'rispettivi  articoli,  così  degli  or- 
dini e  congregazioni  religiose  isti- 
tuite per  meglio  venerare  la  ss. 
eucaristia. 

§  IV.   Dell'esposizione  del  ss.  Sa* 
gramen  to  dell' eucaristia . 

Quantunque  sia  molto  probabi- 
le, che  la  processione  solenne  del- 
la festa  del  Corpus  Domini  abbia 
dato  origine  al  pio  e  divoto  co- 
stume di  portarlo  pubblicamente, 
e  di  esporlo  nelle  chiese;  tuttavia 
non  è  facile  assegnare  con  preci- 
sione il  tempo,  in  cui  questo  se- 
condo sagro  uso  fu  ricevuto,  e  M. 
Thiers,  che  perciò  ha  fatte  tante 
ricerche,  assicura  che  non  si  po- 
trebbe dimostrare  essere  nate  am- 
bedue queste  venerabili  cerimo- 
nie ad  un  tempo,  ed  inoltre  dice 
essere  molto  verosimile,  che  quan- 
do le  prime  volte  si  fece  la  pro- 
cessione del  Corpus  Domini,  non 
si  portasse  il  Sagramento  esposto, 
ma  nella  maniera  in  cui  si  usa- 
va portarlo  nelle  altre  processioni 
avanti  tal  festa,  cioè  in  una  bara 
o  cassa,  racchiuso  nel  ciborio,  den- 
tro il  calice,  ce.,  ovvero  coperto  e 
velalo,  o  chiuso  dentro  una  borsa. 


EUC  i53 

Nondimeno  l'usanza  di  esporre  il 
ss.  Sagramento  è  antichissima  in 
alcune  chiese ,  e  in  antichità  non 
la  cede  molto  alla  istituzione  della 
processione  del  Corpus  Domini,  la 
quale,  come  si  disse  al  suo  luogo, 
non  incominciò  al  tempo  medesimo 
della  festa,  ne  hi  ogni  luogo  in- 
sieme, ma  si  è  introdotta  nelle 
chiese  in  diversi  tempi,  ed  insen- 
sibilmente, siccome  pensa  il  p.  Char- 
don. Ma  il  suo  traduttore  ed  an- 
notatore, p.  Bernardo  da  Venezia, 
è  di  sentimento  che  il  rito  della 
esposizione  del  ss.  Sagramento  sia 
più  antico,  almeno  non  come  par- 
ticolare funzione,  in  vasi  traspa- 
renti, o  racchiuso  in  opachi,  cioè 
in  Oslensorii  (Vedi),  o  in  pissidi; 
ostensorii  che  per  essere  raggianti, 
e  per  la  loro  forma  furono  chia- 
mati sole,  e  ve  ne  furono  di  ve- 
triati. 

Il  Thiers  assegna  la  propaga- 
zione  della  pubblica  esposizione  della 
santissima  eucaristia  dopo  la  me- 
tà del  XIV  secolo,  cioè  la  dimo- 
strazione scoperta  delle  specie  eu- 
caristiche fuori  del  sagrilìzio.  Nel 
concilio  provinciale  di  Colonia  del 
i4^2j  presieduto  dal  Cardinal  le- 
gato di  Nicolò  V,  si  trova  il  pri- 
mo regolamento  che  sia  stato  fat- 
to per  la  esposizione  del  ss.  Sagra- 
mento, dappoiché  prima  di  allora 
non  si  trova  nessuna  legge  eccle- 
siastica in  tal  proposito;  egli  è 
concepito  così.  «  Per  rendere  più 
»  onore  al  ss.  Sagramento,  ordi- 
«  niamo  che  in  avvenire  non  sia 
«  in  qualunque  maniera  essere  si 
»  voglia  esposto,  né  portato  pro- 
*>  cessionalmente  alla  scoperta  in 
«  certi  ostensorii  trasparenti  ,  in 
»  quibusdam  monstrantiis,  se  non 
«  durante  la  festa  del  Corpo  del 
»   Signore,  e  la  sua  ottava,  e  fuor 


i54  EUC 

»»   eli  quel  tempo  una  volta  all'an- 
»   no  solamente,  in    ogni    città    o 
»   borgo,  ovvero  parrocchia;  e  que- 
»>  sto  con  permissione  espressa  del- 
»   l'ordinario,  come  a  dir    per    la 
»   pace,  o  per   qualche    altra    ur- 
»»   gente  necessità,  dovendosi  anche 
»>  allora    far    questo    con    somma 
«  riverenza  e  con  grandissima  di- 
»   vozione".  Tal  concilio,  secondo 
alcuni  autori,  ha  preteso    con  sif- 
fatte disposizioni,  di  sopprimere  la 
esposizione  frequente  del  ss.  Sagra- 
mento,  come  anco   la  processione, 
vale  a  dire  di  ridurre  l'una  e   l'al- 
tra a  due  esposizioni  e  a  due  pro- 
cessioni solamente,   il  giorno   della 
festa  del   Corpus  Domini,    e   della 
ottava;  affinchè  rendendo  più  rara 
questa  divozione,  i   fedeli    vi    assi- 
stessero con  più  rispetto  e  religione. 
Al  presente    il    ss.    Sagramento, 
detto    ancora    Venerabile,    ordina- 
riamente  si     espone    in    giorni    di 
pubbliche  divozioni,  ed  in  occasio- 
ni importanti,  o  per  liberarsi  dalle 
calamità,  o  per  impetrare  il  divino 
soccorso  negli  affari   di  conseguen- 
za, ed  anco  nelle    gravi    infermità. 
Le  divozioni  pubbliche  sono  il  tem- 
po del  giubileo,  le  indulgenze  ple- 
narie, le  pubbliche  orazioni  che  si 
fanno  per  distornare  le  minacciate 
o  presenti    calamità,    e    finalmente 
la    orazione    delle    Quaranta    Ore 
(Vedi).   Si  può  vedere  quanto  dice 
sopra  questa  ilThiers  nel  suo  lib.  IV, 
e  vi  si  troveranno   infinite  cose  de^ 
gne  da  sapersi,   e  importanti.  Tra  le 
altre  vi  si   vedrà  che    i  prelati  ec- 
clesiastici per  la  maggior  parte  usa- 
rono molto  sobriamente  della  loro 
autorità  in  permettere  l'esposizione 
del  Sagramento  in  simili  occasioni. 
11  Cardinal  s.   Carlo  Borromeo,  in 
occasione  delle  quaranta  ore,   pre- 
scrisse mia  regola  molto  prudente, 


EUC 

che  moltissimi  prelati  dipoi  hanno 
seguila.  Nel  rituale  ambrogiano  so- 
no distinte  due  sorta  di  quaranta 
ore  :  alcune  che  si  fanno  per  ca- 
gione pubblica  ed  importante,  ed 
altre  per  altri  motivi.  In  quel  ri- 
tuale si  permette  la  esposizione  del- 
l' eucaristia  in  quelle,  ma  non  in 
queste.  Le  prime  e  più  antiche 
quarant'ore,  dice  il  Thiers,  essere 
quelle  istituite  dal  p.  Giuseppe  di 
Milano  cappuccino,  in  memoria  del 
tempo  che  Gesù  stette  nel  sepolcro. 
Le  seconde  sono  quelle  che  altre 
volte  ogni  mese  si  facevano  in 
Roma  dall'  Arciconfraternita  del- 
l'Orazione, o  della  Morte  (Fedi), 
ad  imitazione  del  digiuno  di  qua- 
ranta giorni  osservato  dal  Reden- 
tore nostro  nel  deserto,  e  dagli 
apostoli  e  primitivi  padri  della 
Chiesa,  che  oravano  senza  inter- 
missione. Queste  furono  conferma- 
te ed  approvate  a' 17  novembre 
i56o  dal  milanese  Pio  IV,  colla 
bolla  Divina  disponente  clementia, 
dalla  quale  rilevasi  che  i  confrati 
supplicavano  il  Papa,  che  conce- 
desse loro  di  portare  in  processio- 
ne il  ss.  Sagramento  nella  penul- 
tima domenica  di  ogni  mese,  o  in 
altro  giorno  al  principio  delle  qua- 
rant'ore, ma  che  il  Papa  non  ri- 
spose loro  su  questo  articolo.  Inol- 
tre queste  quarant'  ore  non  erano 
istituite  per  causa  pubblica,  ma 
per  soddisfare  alla  pietosa  inclina- 
zione de'  confratelli.  Le  terze  sono 
quelle  che  si  fanno  tutto  l'anno 
giorno  e  notte,  senza  interruzio- 
ne, alternativamente  nelle  chiese 
di  Roma,  di  Venezia,  di  Milano, 
e  di  altre  città.  Clemente  Vili  le 
istituì  il  i5  novembre  1^92,  col- 
l'autorità  della  bolla  Graves  et 
diuturnae,  a  cagione  delle  rivolu- 
zioni di  Francia,  e   per    implorare 


EUC 

la  divina  assistenza  contro  gli  ero- 
tici e  i  turchi.  Quindi  confermate 
furono  da  Paolo  V  nel  1606,  stan- 
do esposto  il  ss.  Sagramento  du- 
rante tali  orazioni.  E  ciò  sembra 
conforme  alle  mire  che  si  ebbero 
in  principio,  quando  s'  istituì  la 
esposizione,  poiché  queste  furono 
introdotte  per  motivi  pubblici  e 
ingenti.  In  Francia  però  si  fecero 
molte  volte  l'esposizione  del  Sagra- 
mento. La  quarta  sorte  di  qua- 
rant'ore è  quella  che  si  fa  dalla 
domenica  di  quinquagesima  sino 
al  martedì  seguente  inclusive.  Que- 
ste furono  istituite  per  contrappor- 
le alle  sfrenatezze  ed  eccessi  che 
si  commettono  d'ordinario  in  tali 
giorni  del  carnovale.  S.  Carlo  fu 
zelantissimo  per  questa  divota  os- 
servanza ,  contrapposta  ai  sollazzi 
ed  alle  dissolutezze  di  tal  tempo. 
Non  fu  però  il  primo  san  Carlo 
Borromeo,  che  abbia  introdotta  que- 
sta divota  usanza.  Il  p.  Nicolò  Or- 
landini,  della  Compagnia  di  Gesù, 
narra  che  nel  i556  i  gesuiti  espo- 
sero il  ss.  Sagramento  a  Macerata 
per  le  quarant'ore  in  quei  tre  ul- 
timi giorni  del  carnovale  per  lo 
stesso  fine,  e  narra  che  la  maggior 
parte  de'  cittadini  vi  concorse,  e 
che  si  seguitò  negli  anni  seguenti, 
e  che  finalmente  s' introdusse  tal 
costume  in  tutte  le  case  della  com- 
pagnia. 

Non  solo  il  Chardon  tratta  che 
non  si  può  fare  di  frequente  la 
esposizione  del  ss.  Sagramento,  ma 
ciò  venne  anche  deciso  dalla  sagra 
congregazione  de'  riti,  ai  4  marzo 
1606,  con  queste  parole:  «  Eu- 
»  charistia  non  est  singulis  diebus 
«  exponenda  super  altare,  sed  in 
»  quibusdam  tantum  solemnitati- 
«  bus",  cioè  nell'orazione  delle 
quarant'ore,  secondo  il  Talù,  e  nel- 


EUC 


i55 


la  festa  con  tutta  l'ottava  del  Cor- 
pus Domini  3  come  dichiararono 
Clemente  XI,  Benedetto  XIII,  e 
Clemente  XII.  Dice  per  altro  il  p. 
Cristiano  Lupo,  in  dissert.  de  sa- 
cris  processionibus >  cap.  12,  che 
non  è  però  da  biasimarsi  la  fre- 
quenza, come  mezzo  di  distrarre  il 
popolo  dalle  cose  vane,  di  chia- 
mare il  concorso  de' fedeli  alle  chie- 
se, e  di  muovere  i  fedeli  medesi- 
mi a  fare  atti  di  virtù,  e  chiedere 
a  Dio  perdono  delle  loro  colpe. 
Ma  il  p.  Raynaud,  Heteroclita 
spirilualia,  tom.  XV,  pag.  83,  non 
■volendo  decidere  su  questo  punto, 
per  rimetterne  la  risoluzione  a  chi 
governa,  ecco  come  si  esprime: 
h  Timendum  est,  ne  majestas  my- 
«  sterii  fidei  tam  crebra,  ve!  etiam 
>»  assidua  ejus  vulgalione  detera- 
*>  tur,  nec  adeo  facile  percellat 
«  contuentium  mentes,  quam  si  in- 
»  frequentius,  et  quod  fere  conse- 
«  quens  est,  majore  cum  appara- 
»  tu,  et  accuratione  proponeretur. 
*»  Viderent  ii,  ad  quos  attinet,  quid 
>»  magis  in  hac  re  sit  et  Dei  glo- 
«  ria,  et  bono  animarum;  nam 
**  meum  hic  judicium  interponere 
»  consultum  non  foret  ".  Così  per- 
plesso pure  rimase  il  ven.  Cardinal 
Tommasi,  come  si  legge  nella  sua 
vita,  al  cap.  VII.  Dovendo  egli 
rispondere  intorno  a  questo  argo- 
mento all'arciprete  di  Palma,  così 
disse:  «  In  quanto  poi  all'esposi- 
»  zione  del  ss.  Sagramento  ogni 
»  domenica ,  è  cosa  da  pensarvi, 
»  prima  di  risolverla  ;  perchè  la 
»  frequente  esposizione  non  sempre 
>»  viene  a  gloria  di  Dio,  e  a  fiut- 
>»  to  de'  popoli  ".  Dubbioso  però 
non  rimase  su  questo  medesimo 
punto  monsignor  Albergati,  nunzio 
apostolico  nella  città  di  Liegi,  co- 
me si     apprende    dalla    sua     vita, 


i56 


EUC 


giaci  he  francamente  disse:  »  Multo 
>y  melius  est,  ut  non  ita  frequente* 
n»  éiponatur,  et  Urne  cimi  debita 
»  ivvcrentia,  qtuini  ut  frequenlius, 
»  et  siue  debito  obsequio,  et  reve- 
»  reatine  signifìcatione  id  Hat  :  ut 
w  cura  nostra  animi  commolione 
»  limilo  in  locis  ex  poni  vidimus  , 
«  et  iuvenimus  ".  Comunque  siasi 
pero  di  siffatte  opinioni ,  certo  è 
clic  non  si  può  fare  pubblica  espo- 
sizione del  ss.  Sagramento,  cioè 
eoli' ostensorio,  di  privata  autorità 
del  rettore  o  superiore  di  una  chie- 
sa; ma  si  esige  l'espressa  licenza 
«KM  ordinario,  come  si  ha  dai  sino- 
di di  quasi  tutte  le  diocesi.  Osser- 
va inoltre  il  citato  Chardon,  che 
i  nostri  maggiori  erano  si  gelosi 
del  mistero  della  ss.  eucaristia,  che 
non  vollero  mai  mutare  condotta 
m.ilgrado  le  atroci  calunnie,  con 
cui  gì' infamavano  i  nemici  della 
lede,  tentando  di  renderli  odiosi 
ai  popoli  per  celare  con  diligenza 
(pasto  adorabile  mistero.  Aggiun- 
ge ancora  che  avrebbouo  potuto 
dissipar  lecaluuuie  spiegandosi  chia- 
t  aulente  sopra  questo  mistero,  e 
celebrandolo  in  presenza  di  quelli, 
presso  a' quali  venivano  accusati; 
ma  noi  fecero  mai,  e  vollero  piut- 
tosto sopportar  con  pazienza  per 
tre  secoli  le  persecuzioni  suscitate 
loro  contra  dall'odio  de'  prevenuti 
avversari,  che  non  violare  il  segre- 
to de'loro  misteri. 

L'altare  di  un  santo,  di  cui  ce- 
lebrasi la  festività,  non  può  essere 
maggiormente  adornato  di  quello 
dove  sta  esposta  la  ss.  eucaristia. 
11  Bauldry  dice,  che  non  è  da  ap- 
provarsi la  consuetudine,  da  pochi 
anni  iuvalsa,  di  esporre  il  ss.  Sa- 
cramento nelle  maggiori  solennità 
dei  santi,  poiché  altra  solennità  esi- 
gono  le  festività  de'  santi,  ed  altra 


EUC 
diverta  e  speciale  esige  l'esposizio- 
ne di  Gesti  Cristo.  Imperciocché, 
presente  il  sommo  Dio,  cessar  de- 
ve l'onore  che  al  servo  si  tributa, 
e  presente  il  sole  tutti  gli  astri  del 
firmamento  perdono  il  loro  splen- 
dore. E  per  questa  ragione  ciò  vie- 
ne proibito  dagli  atti  della  chiesa 
di  Milano,  e  molti  vescovi  un  tal 
costume  abrogarono,  come  nota  il 
medesimo  Bauldry,  e  come  opina- 
no Lambertini,  noti/le.  3o ,  n.  4  > 
il  Thiers,  lib.  IV,  cap.  23,  ed 
altri  ancora.  La  sagra  congregazio- 
ne dei  riti  poi  prescrisse  »  Eucha- 
»  ristia  non  est  singulis  diebus  ex- 
«  poneuda  super  altare  "  ec.  ,  come 
dicemmo  di  sopra.  Ora  dunque , 
couchiudouo  i  liturgici ,  se  non  si 
permette  di  esporre  Gesù  Cristo 
nelle  solennità  de'  santi,  onde  non 
si  diminuisca  per  nulla  quel  culto 
che  ad  Esso  è  dovuto;  come  sos- 
tenere    si   potrà,  che  seguendo  un 


tal  abuso,  fornir  sia  lecito  con 


più 


lumi  l'altare  de'  santi,  in  paragone 
a  quello,  su  cui  alla  pubblica  ado- 
razione sta  esposto  il  vero  Dio?  Qui 
noteremo  che  l'uso  di  esporre  le 
reliquie  dei  santi,  massime  dei  san- 
ti martiri,  e  di  benedire  ancora 
con  esse  i  fedeli  è  antichissimo. 
V.  il  Trombelli,  de  calta  sancto- 
rum,  toni.  II,  p.  I,  diss.  VII  e 
Vili. 

Avverte  il  Macri ,  Nat.  de  vo- 
cab.  eccles.,  che  mentre  sta  esposta 
sopra  l'altare  la  ss.  eucaristia,  oc- 
correndo celebrare,  il  sacerdote  non 
solo  scenderà  fuori  dell'altare  per 
lavarsi  le  mani,  ma  anco  volterà 
la  faccia  al  popolo,  secondo  il  Cae- 
rem.  episcop.  I.  II,  e.  33.  Pompeo 
Sarnelli,  Lettere  ecclesiastiche,  to- 
mo Vili,  tratta  nella  lett.  XXVI, 
che  il  celebrante,  il  qaale  incensa 
il  ss.  Sagramento  esposto,  deve  gè- 


EUC 
nuflettefe  sopra  il  primo  gradino 
dell'altare.  Noteremo  inoltre,  che 
sebbene  la  ss.  eucaristia  non  si 
possa  esporre  ove  sono  le  sagre  im- 
magini alla  pubblica  venerazione  ; 
nella  celebre  cappella  Borghesiana 
della  patriarcale  basilica  di  s.  Ma- 
ria Maggiore  di  Roma,  la  ss.  eu- 
caristia si  espone  anebe  in  forma 
di  quarant'ore,  colla  venerabile  im- 
magine della  beata  Vergine  sco- 
perta per  ispecial  privilegio.  Ed  è 
perciò,  che  avendo  fatto  il  defunto 
principe  d.  Marcantonio  Borghese 
una  macchina,  che  dicesi  gli  co- 
slasse  quattordici  mila  scudi,  e  che 
cuopriva  l' immagine  cui  tutti  pro- 
fessano particolar  divozione,  il  ca- 
pitolo della  basilica  impedì  che  la 
macchina  per  1'  esposizione  si  po- 
nesse in  opera.  Per  altre  nozioni 
sulla  ss.  eucaristia  può  vedersi  il 
Thiers,  Traile  de  Vesposition  du 
s.  Sacrament  de  V  Aulel  3  Paris 
1668. 

Dell'antico  costume  di  ritenersi 
da'  fedeli  1'  eucaristia  nelle  private 
case,  e  di  trasmetterla  agli  astanti, 
abbiamo  il  trattato  di  Francesco 
Antonio  Vitale,  stampato  in  Roma 
nel  1779.  Da  Francesco  Antonio 
Mondelli  si  ha  una  dissertazione 
sopra  il  rito  di  conservare  l' eu- 
caristia nelle  case  e  nelle  chiese , 
praticato  dagli  antichi  fedeli,  nella 
Decade  di  dissertazioni  ecclesiasti- 
che, Roma  1786.  Il  summentova- 
to  p.  Chardon,  nel  tomo  I,  pag. 
3oi,  parla  al  capitolo  io,  della  se- 
verità con  cui  punivansi  nella  Chie- 
sa, e  tra  gli  orientali  si  puniscono 
ancor  al  presente,  le  irriverenze  com- 
messe contro  il  ss.  sagramento  del- 
l' eucaristia.  Copiosissime  erudizio- 
ui  si  leggono  sull'eucaristia,  nei 
preziosi  indici  ragionati  degli  An- 
nali ecclesiastici,  tratti  dal    p.    O- 


EUC  1T7 

dorico  Rinaldi  da  quelli  del  Car- 
dinale Baronio. 

EUCARISTIA  (ss.)  che  precedi: 
1  Papi  nei  viaggi.  All'articolo  Cro- 
ce Pontificia  (Fedi)  si  è  detto  che 
viene  essa  presa  dal  sommo  Pon- 
tefice tutte  le  volte  che  compari- 
sce in  pubblico,  vestilo  con  moz- 
zetta  ed  istola  ,  0  co' sagri  para- 
menti. Così  quando  suole  intra- 
prendere lungo  viaggio  si  fa  pre- 
cedere dalla  ss.  eucaristia,  con  ec- 
clesiastica pompa,  avendo  ciò  fallo 
per  ultimo  nel  decorso  secolo  Be- 
nedetto XIII.  Solevano  altresì  i 
romani  Pontefici  portarla  anche  in 
brevi  viaggi,  come  nei  loro  solen- 
ni possessi,  ed  eziandio  in  qualche 
pubblica  cavalcata.  Prima  però  di 
parlare  dell'  origine  di  questa  pia 
usanza ,  della  pompa  sagra  colla 
quale  eseguivasi,  e  della  maggior 
parte  de'  Pontefici  che  ne'  viaggi 
sì  brevi  che  lunghi,  ne'  possessi  ed 
in  alcuna  cavalcata  si  fecero  pre- 
cedere dalla  ss.  eucaristia,  colf  au- 
torità del  p.  Chardon,  Storia  dei 
Sagr  amenti ,  tom.  I,  p.  108  e  seg., 
per  cercare  l'origine  di  tal  rito,  di- 
remo brevemente  de'  vari  usi  del- 
l'eucaristia  fra  i  primitivi  cristia- 
ni, de'  vescovi  che  se  la  manda- 
vano reciprocamente  in  segno  di 
comunione,  del  serbarsene  una  por- 
zione dal  sagrifìzio  precedente  pel 
seguente  giorno,  e  dell'averla  in 
Roma  mandata  il  Papa  a  tutte  le 
chiese  titolari;  parlando  ancora  del 
quando  portavasi  ne'  viaggi  dal  Pa- 
pa perchè  servisse  di  salvaguardia, 
giacche  da  tali  riti  vuoisi  derivato 
quello  di  cui  è  argomento  questo 
articolo. 

I  vescovi  dei  primitivi  secoli  del- 
la Chiesa  avevano  il  costume  di 
mandarsi  scambievolmente  1'  euca- 
ristia in  segno  di  unione,  e  la  man- 


;s 


EUG 


davano  ai  più  vicini  non  solo,  ma 
eziandio  ai  più  lontani  dalla  loro 
residenza,  come  alle  chiese  eli  Asia, 
non  ostante  la  varietà  delle  disci- 
pline che  seguivano;  usanza  pero 
che  proibì  nei  primordi  del  quar- 
to secolo  il  concilio  Laodiceno,  poi- 
ché la  spedizione  della  ss.  Euca- 
ristia non  si  poteva  fare  senza 
grandi  inconvenienti,  specialmente 
in  tempo  delle  persecuzioni.  Quin- 
di all'uso  dell'eucaristia  fu  sosti- 
tuito quello  di  mandare  pani  or- 
dinari e  benedetti,  i  quali  espri- 
messero la  reciproca  unione  de'cri- 
stiani.  Questi  pani  si  chiamavano 
Eulogie  (Fedi).  Dalle  antiche  glose 
sopra  le  decretali ,  citate  dal  p. 
Mabillon,si  apprende  che  i  sacer- 
doti, a'  quali  il  vescovo  mandava 
quella  particella  di  ostia  consa- 
grata, la  mettevano  nel  calice  al- 
lora quando  nella  messa  dicevano: 
Pax  Domini  sii  semper  vobiscum, 
al  qual  tempo  anche  al  presente 
s' intinge  una  particella  dell'  ostia 
nel  calice.  Se  il  predetto  uso  fosse 
un  simbolo  della  comunicazione  dei 
vescovi  co"  sacerdoti,  e  di  questi 
e  quelli  coi  cristiani  ,  un  altro 
uso  mentovato  nel  primo  Ordine 
romano,  pubblicato  dal  p.  Mabillon, 
era  simbolo  dell'  unità  del  sagra- 
melo ed  insieme  del  sagrifìzio. 
Ecco  in  che  consisteva  questo  uso. 
Quando  il  vescovo  o  il  celebrante 
sortiva  dalla  sagrestia  per  andare 
all'altare,  onde  cominciare  la  mes- 
sa, era  preceduto  dal  corpo  di  Ge- 
sù Cristo,  che  due  accoliti  porta- 
vano in  una  cassetta  dinanzi  a  lui. 
Procedeva  così  fino  all'altare,  dove 
arrivato  adorava  questo  divin  sa- 
gra mento,  adorabat  scinda }  e  poi 
cominciava  la  confessione.  Le  spe- 
cie consagrate,  che  si  portavano  in 
tal  modo  all'altare,  erano  state  ser- 


EUC 
bate  dal  sagrifìzio  precedente  a 
quetto  clfetto,  per  indicare  sensi- 
bilmente essere  sempre  la  medesi- 
ma vittima  quella  che  si  offeriva 
sui  nostri  altari,  la  quale  durerà 
in  tutti  i  secoli. 

Un  altro  uso  molto  antico  e  che 
lungamente  si  è  conservalo  nella 
Chiesa,  era  quello  di  portar  seco 
il  corpo  del  Signore  ne'  viaggi  lun- 
ghi, perchè  occorrendo  qualche  pe- 
ricolo di  morte,  avessero  pronto  il 
viatico,  e  perchè  difendesse  contra 
tutti  i  pericoli  di  corpo  e  d'anima, 
a'  quali  uno  si  espone  in  tali  oc- 
casioni. S.  Ambrogio  ne  diede  un 
esempio  assai  noto,  nella  persona 
di  Satiro  suo  fratello,  il  quale  tro- 
vandosi in  pericolo  di  naufragio,  e 
temendo  non  tanto  la  morte,  quan- 
to morire  senza  il  battesimo,  che 
non  aveva  ancora  ricevuto,  doman- 
dò »  ai  fedeli,  ch'erano  con  lui 
«  nella  nave,  il  divin  sagramento, 
«  non  per  pascere  la  sua  curio- 
si  sita ma  per  ottenere  soc- 

«  corsi  dalla  sua  fede.  Ottenutolo 
»  sei  fece  legare  al  collo  in  una 
«  fascia  ,  in  orario  (  o  fazzoletto , 
»  ossia  Unicum  abslergendae  faciei 
»  deslinatum  ),  e  si  gittò  così  al 
»>  mare,  non  cercando  neppure 
»  qualche  tavola  dello  sconnesso 
»  naviglio  per  aiutarsi,  perchè  met- 
»  teva  tutta  la  sua  confidenza  nel- 
»  le  armi  della  fede  ".  Il  Ponte- 
fice s.  Gregorio  I,  nel  lib.  Ili  dei 
suoi  Dialoghi  riporta  un  consimile 
fatto;  e  s.  Birino  vescovo  di  Dor- 
chester,  mandato  da  Onorio  I  nel- 
la gran  Bretagna  per  predicarvi 
l'evangelo ,  ricevè  da  questo  Papa 
il  corporale,  sopra  cui  consagrava 
1'  eucaristia,  e  nel  quale  la  invol- 
geva per  portarla  sempre  al  collo 
sospesa.  Questo  costume  era  molto 
esteso    nelle    chiese    di    Bretagna , 


EUG 

donde  poi  si  sparse  in  altri  paesi 
della  cristianità.  Nell'Alemagna  l'in- 
trodusse s.  Bonifacio,  ordinando  nel 
quarto  de'  suoi  statuti,  che  i  mo- 
naci non  andassero  mai  per  viag- 
gio senza  l'eucaristia,  e  che  i  sa- 
cerdoti portassero  mai  sempre  seco 
loro  in  campagna  l'  eucaristia,  l'o- 
lio degl'infermi,  e  la  cresima.  In 
Francia  lo  introdussero  i  discepoli 
di  s.  Colombano.  Essi  costumava- 
no di  serbare  in  un  vaso,  chiama- 
to crismale  ,  una  parte  dell'  ostia  , 
alla  quale  davano  il  nome  di  sa- 
gri/iziOy  e  portarla  con  loro  nei 
viaggi  ;  costume  che  s.  Colombano 
aveva  preso  dal  monistero  di  Ben- 
chor  in  Irlanda,  dove  era  stato  e- 
ducato,  e  dove  si  usava.  Adalber- 
to di  Praga  avendo  offerto  il  divin 
sagrifizio,  fece  raccoglierne  gli  avan- 
zi dopo  essersi  comunicato,  e  dopo 
aver  comunicato  i  neofiti  ;  ed  in- 
voltili in  un  candidissimo  pannoli- 
no li  custodi  per  valersene  come 
di  viatico,  cioè  per  portarli  ne'  viag- 
gi, ai  quali  l'obbligavano  le  sue 
missioni  tra*  gentili .  Questo  san- 
to apostolo  dell'Ungheria,  della 
Polonia  e  della  Prussia ,  ove  fu 
martirizzato,  viveva  nel  decimo  se- 
colo, lo  che  fa  vedere  che  in  quel 
tempo  si  serbava  comunemente  la 
eucaristia  per  tale  uso.  Il  Rocca, 
come  meglio  si  dirà ,  prova  che 
prima  e  dopo  di  allora  i  Papi  ave- 
vano questo  religioso  costume,  ed 
alcuni  ne'  loro  viaggi  portavano 
anche  l'eucaristia  pendente  dal  col- 
lo sopra  il  petto.  Questo  uso  non 
era  solo  proprio  dei  Pontefici,  per- 
chè s.  Tommaso  di  Cantorbery , 
nel  ritirarsi  in  Fiandra,  portò  se- 
gretamente addosso  il  corpo  del  Si- 
gnore, per  ricevere  nuova  fortezza 
nel  combattimento  che  doveva  sos- 
tenere   con  Enrico  li.    Contempo- 


EUC 


% 


rancamente  si  narra  nella  vita  di 
s.  Lorenzo  di  Dublino,  che  quat- 
tro sacerdoti  portando  il  ss.  Sagra- 
mento  furono  spogliati  dagli  assas- 
sini, i  quali  provarono  gli  effetti 
della  divina  vendetta,  per  aver  pro- 
fanato i  santi  misteri. 

JXon  solo  i  sacerdoti  e  i  vesco- 
vi ,  ma  i  laici  ancora  credettero 
dover  prevalersi  di  tal  patrocinio 
ne'  loro  viaggi ,  come  pur  fecero 
Roberto,  e  s.  Luigi  IX  re  di  Fran- 
cia: avutane  licenza  questo  secon- 
do nella  spedizione  della  crociata  , 
dal  vescovo  Tusculano  legato  della 
santa  Sede.  Sembra  però,  che  d'al- 
lora in  poi  il  privilegio  di  portare, 
o  far  portare  in  viaggio  1'  eucari- 
stia, non  fosse  più  accordato  né  ai 
vescovi,  né  a'  sovrani,  ne  a'  gran- 
di personaggi,  e  perciò  soltanto  sia 
stato  riservato  al  Papa.  In  fatti 
quando  Nicolò  V,  nel  1 449?  assol- 
vè dalle  censure  l'antipapa  Felice 
V,  che  avea  rinunziato  il  pseudo- 
pontificato, benché  in  premio  gli 
concedesse  alcune  insegne  pontifi- 
cie, espressamente  eccettuò  il  farsi 
precedere  dalla  ss.  eucaristia.  E 
prima  di  tal  tempo  l'antipapa  Be- 
nedetto XIII,  come  quello  che  trat- 
tavasi  come  legittimo  Pontefice,  pra- 
ticò simile  usanza  nel  viaggio  da 
lui  intrapreso  nella  Spagna ,  per 
esigere  maggior  rispetto ,  mentre 
temeva  il  furor  del  popolo,  come 
racconta  Paolo  Emilio,  nel  lib.  X 
de  rebus  gestis  Francorum.  Quin- 
di Paolo  II,  nel  1466,  represse 
l'orgoglio  degli  arcivescovi  di  Be- 
nevento, i  quali,  oltre  ad  altri  pri- 
vilegi usurpatisi  nella  loro  arcid io- 
cesi,  si  facevano  portare  davanti  la 
ss.  eucaristia.  Di  tali  privilegi  ne 
parlammo  nel  volume  V,  pag.  1  \l\, 
del  Dizionario.  Il  Marini  ne'  suoi 
Archiatri,    tom.    II,    pag.    161,  ci 


iGo  EUC 

avverto  che  la  bolla  fu  spedita  nel- 
lo (Blende  ili  giugno  a  Nicolò  ala- 
ndoli l'iccolomini  sancse,  allora  ar- 
civescovo di  Benevento,  e  non  da 
Sisto  IV,  come  scrisse  1'  Ughelli. 

Nc'pacsi  orientali  ciò  si  usava 
più  comunemente.  L' Arcudio  dice 
cliiaramentc,  che  i  monaci  greci, 
quando  intraprendono  un  lungo 
viaggio,  portano  seco  loro  il  ss» 
sagramento  dell'eucaristia.  E  Ga- 
briel Sionita  afferma  che  i  maro- 
niti, quando  vanno  alla  guerra,  o 
quando  vogliono  fare  qualche  viag- 
gio lungo  e  pericoloso,  hanno  at- 
tenzione di  recarsela  seco  sotto  la 
sola  specie  del  pane,  per  poter  co* 
inimicare  in  alcune  fastidiose  con- 
giunture, nelle  quali  fosse  la  loro 
vita  in  pericolo.  Il  Cancellieri,  De 
Secretariis  Chris tianorum,  p.  1 1 4> 
§  IX,  de  Eucharislia  ante  Pontifi- 
ceni  e  secretano  praelata,  ha  di- 
mostrato, colla  testimonianza  del 
primo  Ordine  Romano,  la  remo- 
tissima antichità  dell'uso  di  porta- 
re avanti  il  Papa,  in  luogo  della 
croce,  dalla  sagrestia  V  eucaristia, 
ch'egli  adorava  mentre  gli  veniva 
mostrata  da  due  accoliti,  che  poi 
la  collocavano  sopra  l'altare,  in  cui 
doveva  celebrare.  Ivi  ancora  fa  os- 
servare con  altri  passi  degli  Ordi- 
ni X,  XI,  e  XIV,  che  si  esegui- 
va questo  rito  specialmente  nel 
venerdì  santo,  in  cui  l'ultimo  Car- 
dinal prete  portava  dentro  una 
cassa  il  corpo  del  Signore  innanzi  al 
Papa ,  il  quale  andava  a  piedi  scal- 
zi dal  Laterano  alla  basilica  di  s. 
Croce  in  Gerusalemme.  Quindi  ri- 
leva, mantenersi  un  vestigio  di 
questo  uso  nella  consuetudine,  che 
è  in  vigore  anche  a'nostri  tempi, 
di  adorare  il  ss.  Sagramento  pub- 
blicamente esposto  in  un  altare, 
prima  che  il  Papa  portato  in  se- 


F.UC 

dia  gestatoria  vada  per  assistere 
o  per  celebrare  il  divìn  sagri fìeio  in 
qualche  chiesa.  Dal  qual  uso  non 
v;i  disgiunto  anche  l'aliro  di  rite- 
nere il  Papa  il  sagramento  nella 
sua  cappella  domestica  ,  di  che 
parlammo  nel  volume  IX,  pag. 
i5a  e  1 53,  del  Dizionario,  ove 
pur  si  disse  come  Paolo  IV  or- 
dinò che  nelle  lampade  di  dette 
cappelle,  in  venerazione  al  ss.  Sa- 
gramento, dovessero  ardere  lumi  di 
cera  bianca,  e  che  nelle  cappelle 
maggiori  del  palazzo  apostolico  era- 
vi  anticamente  nel  ciborio  il  ss. 
Sagramento  tanto  in  particola  che 
in  ostia  grande.  Nel  volume  X,  a 
pag.  i5,  notammo  che  i  Pontefici 
adoravano  il  ss.  Sagramento,  non 
solo  nell'ingresso  ma  anche  nel  re- 
gresso, e  talvolta  solamente  nel  re- 
gresso. V.  il  p.  Gattico,  Acla  se- 
lecta:  ss.  Eucharistia  ad  Lalcramini 
soleniniter  equilantem,  p.  367;  eun- 
tem  ad  Ecclesiam  s.  Crucis,  p.  1 1  o  ; 
in  copiano  servata,  p.  44»  ^ar' 
dinalis  in  parascevc  ad  altare  il- 
lam  deferebat,  p.  34- 

Il  Bonanni,  nella  Gerarchia  ec- 
clesiastica, coli'  autorità  del  sagri- 
sta  pontificio  Angelo  Rocca,  a  pag. 
382,  ci  dà  il  capo  LXXXX1IJ, 
del  sagramento  della  santa  euca- 
ristia portata  avanti  al  Papa,  ed 
indagando  le  ragioni  sopra  questo 
rito,  stima  essere  proceduto  dall'u- 
so di  portarsi  dai  Pontefici  l'euca- 
ristia pendente  dal  collo  sopra  il 
petto,  e  nel  tempo  delle  persecu- 
zioni, e  quando  intraprendevano 
viaggi,  siccome  era  portata  da  qual- 
sivoglia persona  costituita  in  dignità 
ecclesiastica,  anzi  dai  laici  di  ogni 
condizione,  a'quali  era  prima  lecito 
portarla  seco  alle  loro  case  priva- 
te. Costume  che  in  progresso  di 
tempo  fu  abolito,  quando  resa   la 


EUC 

pnce  alla  Chiesa,  restò  più  tardi  in 
uso  soltanto  presso  i  Romani  Pon- 
tefici, massime  in  occasione  di  fa- 
re lunghi  viaggi,  portandosi  avanti 
ad  essi  lontano  per  molte  miglia, 
con  divota  pompa.  In  quale  anno 
si  cominciasse  ciò  a  praticare  non 
si  può  con  certezza  stabilire,  leg- 
gendosene la  più  aulica  memoria 
in  Anastasio  Bibliotecario,  parlan- 
do di  Stefano  li  detto  III,  il  qua- 
le non  potendo  ottennere  da  A- 
stolfo  re  de'Longobardi,  che  ces- 
sasse di  far  più  stragi  nella  pro- 
vincia romana,  partì  da  Roma  ai 
i4  ottobre  del  753  per  doman- 
dare in  Francia  soccorso  al  re  Pi- 
pino, il  quale  gli  andò  incontro  a 
Ponthieu  colla  famiglia  reale,  e  fe- 
ce da  scudiere  al  pontifìcio  cavaljo. 
Ecco  però  come  scrive  l'Anastasio: 
«  Venientem  Romam  Aistulpho 
n  longobardorum  rege,  ut  eam  de- 
»  vastaret,  Pipini  regis  auxilium 
»  poslulavit,  et  Roma  Galliam  ver- 
»  sus  discessi t,  assumens  secum  ex 
»  hac  sancta  Ecclesia  quosdam  sa- 
»  cerdotes,  proceres  etiam  et  caete- 
»  ros  clericorum  ordines,  nec  non 
»  ex  mililiae  oplimatibus,  Christo 
»  praevio  captum  prosequutus  est 
«  iter  "  Nelle  quali  parole  Chri- 
sto praevio,  sebbene  possa  intender- 
si l'immagine  del  crocefisso,  la  qua- 
le suole  precedere  il  Pontefice, 
nulladimeno  il  Vittorelli  nelle  Ad- 
dizioni al  Ciacconio,  tom.  II,  pag. 
733,  scrisse:  «  Anastasium  allusis- 
»  se  ad  morem  priscum  euchari- 
«  stiae  ante  Pontificem  iter  haben- 
>'  tem.  "  Altra  notizia  più  antica 
il  Rocca  non  rinvenne,  persuaden- 
dosi che  anco  precedentemente  fos- 
se dai  Papi  portata  ne'viaggi,  ma 
avanti  al  petto  con  privata  divo- 
zione. 

Essere  portata  la    ss.    eucaristia 

VOL.     XXII. 


EUC  i6r 

pubblicamente  da  Gregorio  XI  nel 
1377,  affermò  Pietro  Amelio  sa- 
grestia del  palazzo  apostolico,  di- 
cendo che  dovendo  il  Papa  anda- 
re in  Anagni  ,  si  trasferì  dal  pa- 
lazzo vaticano  alla  basilica  co- 
stantiniana, ed  ivi,  dicendo  messa 
«  reservata  eucharistia^  repositaque 
«   per  suas  manus  sacratissimas  in 

»   custodia primo   mane  junii 

«  Corpus  Christi  omnibus  viam  pa- 
»  tefecit  " .  Da  questo  veridico 
racconto,  il  dotto  Rocca  giusta- 
mente argomentò,  che  se  nel  bre- 
ve viaggio  da  Roma  ad  Anagni, 
quaranta  miglia  distante,  volle  Gre- 
gorio XI  che  lo  precedesse  il  ss.  Sa- 
gra mento,  molto  più  si  deve  cre- 
dere essersi  praticalo  dagli  ante- 
cessori, i  quali  fecero  lunghi  viaggi, 
benché  non  si  trovi  ciò  riferito. 
Che  l'eucaristia  fosse  stata  portata 
da  altri  Pontefici  ne'viaggi,  pen- 
dente al  collo  sopra  il  petto,  il  p. 
Chardon  riporta  gli  esempi  di  Ste- 
fano IV  detto  V,  dell'8j6,  quan- 
do portossi  in  Francia,  di  s.  Gre- 
gorio VII,  del  1073.  di  Urbano  li, 
del  1088,  degli  immediati  succes- 
sori Pasquale  II  e  Gelasio  II,  non 
che  di  Alessandro  111,  del  1 1  59. 
Più  antico  di  Gregorio  XI  anche 
altri  stimano  il  rito  di  portarsi  la 
ss.  eucaristia  dai  Papi  nei  viaggi, 
fondati  eziandio  sopra  un  passo 
della  vita  di  Urbano  VI,  che  nel 
1378  era  succeduto  a  detto  Pon- 
tefice, nel  quale  l'autore  della  se- 
conda vita  di  Gregorio  XI,  appres- 
so il  Bai uzio,  fa  Vitis  Po parum 
Avenion.  tom.  I,  pag.  4^4?  cnce> 
che  Urbano  VI  uscì  di  Roma  a 
cavallo  come  uno  stolto  senza  la 
croce  avanti,  e  senza  il  corpo  di 
Cristo,  le  quali  parole  come  uno 
stolto,  non  avrebbe  egli  dette,  se 
tal  costume  non  fosse  più  antico 
1 1 


iG2  EUG 

(ii  Gregorio  XI.  Quando  poi  Ur- 
bano VI,  nel  i38b\  ritornò  in 
Roma,  per  iscortu  lo  precedeva 
nell'aria  l'immagine  di  s.  Pietro, 
simile  a  quella  che  allora  stava 
nel  portico  vaticano,  la  qual  visio- 
ne essendo  tenuta  occulta  dai  suoi 
familiari,  dopo  la  sua  morte  fu 
pubblicata  in  un  sermone  dal  ve- 
scovo di  Todi,  confessore  del  me- 
desimo Urbano  VJ. 

Fu  quindi  questa  pratica  lode- 
volissima  usata  ne' viaggi  da  Pio 
II,  come  si  legge  ne'suoi  Commen- 
tari, ove  si  trova  che  portandosi 
nel  i458  a  Mantova  per  ivi  sta- 
bilire una  crociata  contro  la  cre- 
scente potenza  de'turchi,  nel  gran 
congresso  che  vi  avea  convocato, 
era  egli  preceduto  da  una  piccola 
arca  d'oro,  portata  da  un  cavallo 
bianco,  e  circondata  da  lumi,  e  nel- 
la quale  era  vi  la  ss.  eucaristia, 
sericum  desuper  umbraciilum.  Nel 
i494  Alessandro  VI  usò  il  mede- 
simo rito  nel  viaggio  che  fece  si- 
no a  Vicovaro  presso  Tivoli,  per 
parlare  ad  Alfonso  II  re  di  Napo- 
li, leggendosi  nel  tomo  li  dei  Dia- 
ri del  Burcardo:  «  Coram  Sum- 
«  mo  Ponlifìce  sanctissimum  Sa- 
»  cramenlum  super  achineam  de- 
«  latum  fini  ".  Della  speciale  di- 
vozione di  Alessandro  VI  alla  ss. 
eucaristia,  e  del  portarla  che  sem- 
pre facea  seco  in  una  scatola 
d'  oro,  dicemmo  al  precedente  ar- 
ticolo Eucaristia  (  Fedi ),  §  III. 
Così  Paride  de  Grassis,  maestro 
di  cerimonie,  affermò  di  Giulio  li, 
il  quale  avendo  ricuperato  alla  san- 
ta Sede  diverse  città  usurpate  da 
Cesare  Borgia,  per  riavere  Peru- 
gia e  Bologna  nel  i5o6  vi  si  por- 
tò in  persona,  preceduto  dalla  ss. 
eucaristia.  Leone  X  parimenti  l'u- 
sò nel  viaggio  fatto  nel  i5i5  a  Fi 


EUC 

renze  ed  a  Bologna,  pel  congresso 
con  Francesco  '  I  re  di  Francia; 
anzi  avvicinandosi  a  Bologna,  gli 
abitanti  avendogli  mandato  incon- 
tro un  magnifico  baldacchino,  ed 
altro  meno  ricco  pel  ss.  Sagramen- 
to,  il  Papa  saggiamente  destinò  il 
più  ricco  alla  ss.  eucaristia,  e  per 
riguardo  a  se  rinunziò  l'altro.  Cle- 
mente VII  fece  lo  stesso  quando, 
nel  1529,  si  avviò  per  Bologna 
onde  coronarvi  Carlo  V,  come 
scrive  Biagio  da  Cesena  maestro 
delle  cerimonie  pontificie;  ed  al- 
trettanto praticò  quando  fece  ri- 
torno in  Bologna,  per  abboccarsi 
con  Carlo  V,  che  avea  fatto  ri- 
torno in  Italia.  Paolo  III  nel  i538 
andando  a  Nizza  di  Provenza  per 
conferire  con  Carlo  V  e  con  Fran- 
cesco I  onde  pacificarli,  e  stabili- 
re la  lega  contro  i  turchi,  si  fece 
precedere  dal  ss.  Sagramento,  co- 
me aveva  pur  fatto  nel  1 535  quan- 
do recossi  a  Perugia  per  liberarla 
dai  sediziosi.  In  seguito,  avendo 
risoluto  Gregorio  XIII  di  visitare 
la  sua  patria  Bologna,  ordinò  che 
si  preparasse  quanto  era  necessario 
per  la  pompa  sagra  del  trasporto 
della  ss.  eucaristia,  e  fece  ricama- 
re una  preziosa  coperta  da  impor- 
si sopra  il  tabernacolo,  in  cui  do- 
veva essere  il  ss.  Sagramento,  fre- 
giata colle  sue  armi  gentilizie  ; 
coperta  che  restò  nella  sagrestia 
pontifìcia,  non  essendosi  effettuato 
tal  viaggio. 

Nei  detti  viaggi  non  sempre  fu 
portata  la  ss.  eucaristia  nel  mede- 
simo modo,  poiché  alcune  volte, 
essendo  le  strade  disastrose,  fu  por- 
tato il  tabernacolo  ov'era  racchiusa, 
sopra  il  dorso  di  muli,  come  si 
portano  le  lettighe;  altre  volte,  e 
per  lo  più,  da  un  cavallo,  coli' ac- 
compagnamento che  si  dirà,  e  co- 


EUC 

me  sì  vede  nelle  due  figure  che 
riporta  il  citato  p.  Boriarmi  a  pag. 
385,  tolte  dall'opera  di  monsignor 
Rocca.  Prima  di  narrare  il  ceri- 
moniale usato  da  Clemente  Vili, 
e  da  Benedetto  XIII,  che  furono 
gli  ultimi  Papi  che  si  facevano  pre- 
cedere ne'viaggi  dalla  ss.  eucaristia, 
aggiungeremo  col  medesimo  Bonan- 
ni,  che  il  motivo  per  cui  gli  anti- 
chi cristiani  conservavano  in  casa, 
o  portavano  ne'viaggi  il  ss.  Sagra- 
meli to  per  viatico,  era  di  cibarse- 
ne in  pericolo  di  morire,  ed  i  Pon- 
tefici ciò  praticavano  per  riceverlo 
nel  viaggio,  dove  in  questo  fossero 
stati  sorpresi  da  mortale  infermità. 
Si  può  per  altro  obbiettare,  che  se 
a  tal  fine  portavasi  il  ss.  Sagra- 
mento  quando  i  Papi  viaggiavano, 
per  qual  cagione  venivano  da  es- 
so preceduti  per  un'intera  giorna- 
ta, e  non  si  portava  piuttosto  vi- 
cino o  in  compagnia  dei  medesi- 
mi? Rispose  a  questa  obbiezione 
il  Rocca,  a  p.  i5  del  suo  trattato, 
dicendo  ciò  farsi  per  evitare  gli 
incomodi  soliti  a  patirsi  da  chi 
viaggia  per  istrade  fangose  o  sas- 
sose, affinchè  portandosi  il  ss.  Sa- 
gramento  avanti  il  Papa  alcune 
miglia,  si  potesse  facilmente  evitarli, 
e  mantenere  il  decoro  e  la  ve- 
nerazione dovuta  al  sagramentato 
Signore  :  che  se  accadeva  doversi 
fermare  il  Pontefice  in  alcun  luo- 
go, subito  a  mezzo  d'un  corriere 
si  avvisava  monsignor  sagrista,  cu- 
stode della  ss.  eucaristia,  acciocché 
non  proseguisse  il  viaggio  sino  a 
nuovo  avviso.  In  quanto  alla  pom- 
pa ed  accompagnamento  del  ss.  Sa- 
gramento,  ciò  non  fu  senza  miste- 
ro, dappoiché  ne  fu  tolta  l'idea  da 
quella  colla  quale  il  popolo  ebreo 
precedeva  ed  accompagnava  l'Ar- 
ea da  Dio  ordinata,    in    cui    con- 


EUC 


63 


servavasi  la  manna,  figura  vivissi- 
ma del  sagramento  dell'altare.  Dei 
due  chierici  della  cappella  ponti- 
fìcia che  accompagnavano  il  ss.  Sa- 
gramento, portando  lumi,  e  suo- 
nando il  campanello  ec,  se  ne  tratta 
al  volume  XI,  pag.  io,3  del  Di- 
zionario. All'articolo  Famiglia  Pon- 
tificia (Vedi),  nel  riprodurre  alcu- 
ni antichi  ruoli  di  essa,  si  vedrà 
che  prima  eranvi  tra  i  famigliari 
pontifìcii  il  cappellano,  e  i  pala- 
frenieri del  ss.  Sagramento.  Il  Can- 
cellieri, nelle  sue  Disseriazioni  epi- 
stolari, pag.  3 1 6,  ci  dice  che  vo- 
leva pubblicare  una  Dissertazione 
intorno  al  canonico  don  Ruffino 
Fisregno  nobile  novarese,  palafre- 
niere della  chinea  destinata  a  por- 
tare la  ss.  Eucaristia  nel  solenne 
possesso ,  e  ne  viaggi  de3 sommi  Pon- 
tefici Giulio  II,  Leone  X3  e  Cle- 
mente VII,  con  un'appendice  di 
settantasei  documenti,  e  col  diario 
inedito  di  Gio.  Paolo  Mucanzio, 
sopra  il  viaggio  di  Clemente  Vili 
a  Ferrara.  Fu  in  occasione  di  que- 
sto, che  monsignor  Angelo  Rocca 
agostiniano,  sagrista  di  tal  Pontefi- 
ce, e  che  accompagnò  la  ss.  Eu- 
caristia che  Io  precedeva,  pubblicò 
sopra  siffatto  rito  il  trattato  eru- 
dito :  De  sacrosanto  Christi  Corpore 
Romanis  Pontificibus  iter  conficicn- 
ti bus  pra eferendo  Commentarius,  Ro- 
mae  1 5o,g.  Questo  commentario  fu 
riprodotto  a  pag.  35  del  tom.  I, 
Opera  omnia,  Roma  17  19. 

Dovendo  trasferirsi  Clemente  Vili 
a  Ferrara  nel  i5g8,  per  prender 
possesso  di  quel  ducato,  ricaduto 
nel  pieno  dominio  della  santa  Sede 
per  morte  di  Alfonso  II,  celebrò 
messa  privatamente,  e  consagrate 
due  ostie,  ne  collocò  una  nella  cu- 
stodia, che  doveva  essere  portata 
nel  viaggio,    dando  poi    la    chiave 


164  EUC 

a  monsignor  Rocca  come  sagrista. 
La  detta  custodia  fu  da  tal  pre- 
lato descritta  con  queste  parole. 
«  Capsula  lignea  est  longitudine 
h  palmorum  circiter  quatuor,  lati- 
ti tudine  duorum,  altitudine  autem 
>,  unius  palmi,  et  amplius,  holose- 
«  rico  rubri  coloris  panno  intuì 
*>  forisque  conglutinato  cooperta; 
«  ejus  operculum  habet  foris  in 
»  medio  basini  quandam  ex  aere 
»  aurato,  intra  quam  statuitili 
»  Crucis  aerae  pes  auratae  cum 
v  sacra  Cbristi  imagi  ne  unius  palmi, 
»  et  eo  amplius,  eidem  cruci  ere- 
»  ctae  super  illam  basim  affixa. 
»  Haec  interea  capsula  habet  intus 
«  in  fundi  medio  sericeum  rubri 
«  coloris  sacculum  desuper  con  tra - 
«  bendimi  ,  et  funiculis  sericeis 
»  coustringendum,  in  quo  vasculum 
*•  sive  bosliaria,  vel,  utajunt,  custo- 
m  dia  cum  sacratissima  hostia  a 
»  sacrista  de  septimo  in  septimo 
»  diem,  ut  jam  diximus,  mutan- 
ti  da    reconditur,  et   custoditur. 

«  Extat  etiam  super  capsulam 
»  opertorium  ex  tela  aurea,  seu 
«  potius  ex  serico,  et  auro  conte- 
>*  xta,  in  quatuor  partes  divisum, 
«  atque  hinc  inde  pendens,  partim 
>*  vero  extremitatis  laciniis,  item 
h  sericeis  et  aureis  distinctae,  et 
«  ornatae  sunt,  nec  non  Ecclesiae 
»  sanctae  s  uni  mi  Poutifices,  et  so- 
«  cietatis  Corporis  Christi  insigni- 
»  bus  decoratae.  Ad  quatuor  ca- 
»  psulae  angulos,  quatuor  virgae 
«  ferrae,  et  auratae  palmorum  cir- 
«  citer  quatuor  columnarum  in» 
w  star  ad  tres,  et  amplius  palmos 
«  saprà  capsulae  operculo  emi- 
»  nentes  aptatae  cernuntur;  super 
»  quarum  summitatibus  umbel- 
»  la,  quam  vulgo  baldacchinurn 
»  appellant,  ex  serica  item,  et  au- 
h  ro  contexta  sustentatur,  bine  in- 


EUC 

»»  de  pendens,  laciniis,  et  lcmniseis 
*>  seu  flocculi*  tum  sericeis,  tuoi 
»>  aureis  distincta ,  et  ornala,  in 
»  eujus  vertice  ad  quatuor  an- 
*>  gulos  lotidem  stellulae  ex  aere 
*  inaurato  super  glandes  ilern  au- 
»  reas,  et  auratas,  ac  satis  quidem 
«  grande*  collocatae  magnani  ertì- 
»  ciunt  venustatem.  Hunc  in  mo- 
»   dum,  etc. 

Tale  macchina  cosi  preparala 
fu  portata  sopra  le  spalle  di  otto 
canonici  della  basilica  vaticana.  Pre- 
cedevano molti  ascritti  aH'arcicou- 
fraternita  delta  del  ss.  Sagrainenlo, 
con  torcie  accese,  e  i  religiosi  di 
ciascun  ordine.  Dopo  venivano  i 
musici  della  cappella  di  s.  Pietro, 
quindi  seguiva  la  croce  con  il  cle- 
ro, e  dopo  il  clero  era  portata  la 
macchina  suddescritta  ,  sotto  un 
grande  baldacchino  sostenuto  da 
otto  camerieri  segreti  del  Pontefi- 
ce, e  veniva  accompagnata  dagli 
scudieri,  e  svizzeri  del  medesimo. 
Seguiva  poi  il  sommo  Pontefice 
con  torcia  accesa  in  mano,  e  dopo 
lui  i  Cardinali,  i  prelati  e  i  nobili 
romani,  portando  parimenti  le  tor- 
cie accese.  Giunse  tal  processione 
al  luogo  ov'era  un  cavallo  bianco 
riccamente  coperto  con  sella  e  gual- 
drappa lunga  sino  a  terra  di  colo- 
re rosso,  con  campanello  di  argen- 
to dorato  pendente  dal  collo,  so- 
pra del  quale  fu  imposta  la  mac- 
china, e  bene  stabilita  nella  sella 
a  detto  effetto  disposta,  e  fabbri- 
cata con  viti  e  ferri  in  modo  che 
più  non  si  potesse  muovere,  ne 
cadere  da  essa.  Montò  poi  il  sa- 
grista sopra  una  mula  bianca,  ve- 
stito di  mantelletta  e  mozzetta , 
con  un  bastone  bianco  in  mano,  e 
con  cordone  di  seta  nera  ornato  in 
segno  della  cura  a  lui  commessa, 
e    s'incarnino   verso  la  porta  detta 


EUG 
Angelica,  ov'erano  pronte  le  per- 
sone destinate  per  il  viaggio.  Il 
Pontefice  intanto  genuflesso,  non 
si  alzò  finché  non  perde  la  vista 
del  Santissimo  portato  dal  cavallo, 
e  poi  si  ritirò  nel  palazzo  vati- 
cano. Segue  l'ordine  del  viaggio,  e 
treno. 

Precedevano  i  carriaggi    e    mu- 
lattieri  portando  i  sagri  arredi  co- 
perti con    panni    rossi,    ornati    coi 
pontificii  stemmi  ;  seguiva  con  una 
tromba  una  squadra  di  uomini    a 
cavallo,  dopo  i  quali    otto    cavalli 
con  selle  vuote,  ornate  di   preziose 
gualdrappe  di  colore  rosso,  e  due  di 
essi  portavano  scalini  per    uso  del 
sagrista,    quando    doveva     operare 
nel  tabernacolo.  Dopo  succedevano 
a  cavallo  i  servitori  e  famiglie  dei 
prelati,  due  cursori  portando  in  ma- 
no una   verga  rossa,  e    venti    can- 
tori della    cappella   pontifìcia,  due 
scudieri,  e  due  mazzieri  con  mazze 
di  argento  in    mano.    Seguiva    un 
maestro    di     cerimonie ,     con    due 
chierici    della    cappella    pontificia , 
vestiti  con  veste  paonazza,  portan- 
do a  cavallo  due  lanterne  in  cima 
ad  un'asta,  sostenuta  da  una  staffa 
a  detto  fine    adattata    nel    fianco, 
dentro  le  quali  erano  facelle  di  ce- 
ra accese.  Dopo  essi  seguiva  il  ca- 
vallo che  portava   il  ss.  Sagramen- 
to,  tenuto  per  il  freno  da  due  pa- 
lafrenieri del  Pontefice,  e  nelle  par- 
ti laterali  camminavano  gli  svizzeri 
armati.  Dopo  il  Sagramento  caval- 
cava il  sagrista,  che  teneva  un  ba- 
stone bianco  in  mano  in  segno  del- 
la sua  giurisdizione,  e  poi  seguiva- 
no molti  prelati    referendari,  i  ca- 
merieri, ed  i    cappellani    pontificii, 
cogli  scudieri  ;  e  con  tal  ordine  fu 
fatto  il  viaggio   precedendo    d' una 
giornata  avanti  il  Pontefice ,  sem- 
pre dicendosi  dalla  comitiva  i  sal- 


EUC  i65 

mi,  o  altre  divote  orazioni.  In  qua- 
lunque luogo,  ove  terminava  nella 
sera  il  viaggio ,  era  il  ss.  Sagra- 
mento incontrato  da  uomini  arma- 
ti in  distanza  d'un  miglio,  e  dopo 
dal  clero  secolare  e  regolare  del 
luogo,  alla  porta  del  quale  si  tro- 
vava il  magistrato  con  trombe,  e 
tutti  accompagnavano  la  ss.  euca- 
ristia alla  chiesa,  cantando  inni,  ed 
ivi  la  notte  si  custodiva  con  l'assi- 
stenza di  ecclesiastici,  e  con  lumi 
accesi.  Concorrevano  da  tutti  i  vi- 
cini luoghi  alle  pubbliche  strade  i 
popoli  per  adorare  la  ss.  eucari- 
stia, e  i  magistrati  facevano  a  ga- 
ra coi  nobili  per  riceverla  sotto  il 
baldacchino.  Con  simile  pompa  si 
giunse  a  Ferrara,  e  da  questa  cit- 
tà si  tornò  a  Roma.  Si  può  leg- 
gere il  minuto  dettaglio  di  siffatto 
viaggio  nel  Rocca,  a  pag.  55  sino 
al  fine. 

Il  p.  Gattico,  Ada  Caerem.  pars 
secunda,  p.  204,  dice  che  nelle  chie- 
se ove  si  esponeva  il  ss.  Sagramento 
che  portavasi  nel  viaggio,  dopo 
datasi  col  medesimo  al  popolo  la 
benedizione,  dalla  parte  del  vange- 
lo dal  superiore  della  chiesa  si  pub- 
blicava l'indulgenza  concessa  da 
Clemente  Vili,  con  questa  formo- 
la.  m  La  Santità  di  N.  S.  Cleraen- 
«  te  Papa  Vili,  dà  e  concede  a 
m  tutti  quelli  che  hanno  incontra- 
»  to,  ovvero  accompagnato  il  ss. 
«  Sagramento,  ed  a  quelli  che  nel 
»  partire  T  accompagneranno ,  ed 
»  a  tutti  quelli  che  si  trovano 
»  presenti  sette  anni,  ed  altret- 
»  tante  quarantene  di  vera  indul- 
»  genza  in  forma  della  Chiesa. 
>»  Pregate  dunque  Dio  per  il  feli- 
»  ce  stato  di  s.  Chiesa,  <$  della  San- 
»  tità  Sua  ".  Avverte  però  il  me- 
desimo padre  Gattico  che  tale  era 
T  indulgenza  che  dal  Papa  si  con- 


166  EUC 

cedeva  quando  il  ss.  Sagramento 
.si  posava  prò  omnibus  terris,  op- 
pidh,  et  locis.  Pro  civitatibus  ve- 
ro concessi l  annos  X  et  totidem 
quadragenas. 

L'ultimo  Pontefice  che  usò  nei 
viaggi  farsi  precedere  dalla  ss.  eu- 
caristia, fu  Benedetto  XIII,  e  seb- 
bene Pio  VI  si  conducesse  a  Vien- 
na, e  Pio  VII  a  Parigi,  non  l'u- 
sarono, come  non  l'usò  il  regnante 
Pontefice  Gregorio  XVI  ne'  suoi 
viaggi  (V.  Viaggi  de*  sommi  Pon- 
tefici). Benedetto  XIII,  volendo 
visitare  il  suo  antico  arcivescovato 
di  Benevento,  che  continuava  a  go- 
vernare, partì  da  Roma  a'  24  mar- 
zo 1727,  e  giunto  a  Terracina , 
nella  chiesa  di  s.  Salvatore ,  posta 
fuori  della  città,  celebrò  la  messa, 
ed  ivi  si  fece  precedere  dalla  ss. 
eucaristia,  perchè  solo  fuori  dello 
stato  pontificio  volle  usare  di  que- 
sto rito,  e  perciò  se  ne  servì  sino 
a  Benevento.  Entro  una  cassetta 
portata  da  un  cappellano  segreto, 
fu  collocata  la  s.  Ostia  consagrata 
dal  Papa,  descrivendosene  il  modo, 
alquanto  diverso  dai  precedenti , 
nel  volume  Vili,  pag.  108  del  Di- 
zionario. Precedeva  altresì  a  Bene- 
detto XIII  la  croce  pontificia,  con 
due  cavalleggierì,  ed  alcune  perso- 
ne per  vanguardia,  vestite  con  abi- 
ti da  viaggio.  Giunto  il  Papa  a 
Cervi nara,  diocesi  di  Benevento,  ai 
3 1  marzo ,  lasciò  fuori  di  essa  e 
nella  chiesa  de'  religiosi  Serviti,  il 
ss.  Sagramento.  Dipoi  a'  12  mag- 
gio ripartì  per  Roma,  ed  a  Ceri- 
gnano  si  fece  nuovamente  prece- 
dere dalla  ss.  eucaristia,  e  si  avviò 
per  Monte  Cassino;  indi  a' 21  mag- 
gio passò  ad  Aquino,  e  giunto  al 
convento  degli  agostiniani  scalzi, 
un  miglio  distante  da  Frosinone, 
ivi  fece  riporre  il  ss.    Sagramento, 


EUC 

che  non  fu  più  ripreso  viaggiando 
ne'  suoi  dominii.  Nel  1729  Bene- 
detto XIII  tornò  a  visitare  la  sua 
amata  arcidiocesi  Beneventana ,  e 
passato  il  Garigliano,  fu  ossequiato 
per  parte  del  vice-re  di  Napoli, 
offerendogli  per  servirlo  ed  accom- 
pagnarlo cento  militari  granatieri  ; 
ma  il  Papa  li  ringraziò  dicendo 
che  quando  il  sommo  Pontefice  viag- 
gia senza  la  ss.  eucaristia,  deve 
dispensarsi  da  tanti  onori.  Fin  qui 
abbiamo  detto  de' viaggi  fatti  per 
terra,  laonde  è  necessario  fare  un 
cenno  di  quelli  fatti  per  mare. 

Pio  II,  avendo  destinato  nel 
1 4^4  di  partire  da  Ancona  alla  testa 
d' una  possente  spedizione  navale 
contro  i  turchi,  volle  che  per  mare 
eziandio  il  precedesse  ed  accompa- 
gnasse la  ss.  eucaristia,  leggendosi 
perciò  ne'  suoi  Commentari,  a  pag. 
34 1:  »»  Stabimus  in  alta  puppe, 
«  aut  in  aliquo  montis  supercilio, 
*  habebimusque  ante  oculos  di- 
h  vinam  eucharistiam ,  id  est  D. 
«  N.  J.  C.,  ab  eo  salutem ,  et  vi- 
»  ctoriam  puguantibus  nostris  mi- 
»  litibus  implorabimus  ".  Clemen- 
te VII,  a'9  settembre  i533,  parti 
da  Roma  alla  volta  di  Pisa ,  ove 
montato  sulle  galere  francesi,  nel- 
la prima  di  esse,  ch'era  la  capita- 
na, si  fece  precedere  dal  ss.  Sa- 
gramento, portandosi  a  Marsiglia 
per  mare  ,  per  trattare  col  re  di 
Francia  Francesco  1  la  conversione 
di  Enrico  VIII  re  d'Inghilterra 
dallo  scisma,  e  fare  il  matrimonio 
di  sua  nipote  Caterina  de'  Medici, 
con  il  duca  d'Orleans,  poi  Enrico 
II.  Dell'  uso  di  portare  anche  per 
mare  la  ss.  eucaristia,  sono  a  con- 
sultarsi l'eruditissime  note  del  Car- 
dinal Stefano  Borgia,  air  orazione 
di  Pio  II,  de  bello  Turcis  inferen- 
do, pag.  49-    Non   solo   ne'  viaggi 


EUC 

per  terra  e  per  mare  i  Pontefici 
si  fecero  precedere  dalla  ss.  euca- 
ristia, ma  eziandio  per  città,  mas- 
sime ne'  solenni  possessi.  Prima  ne 
accenneremo  alcuni  esempi,  e  dire- 
mo per  quali  circostanze  i  Papi 
l' usarono  nelle  città ,  poi  diremo 
dell'uso  che  ne  facevano  prenden- 
do possesso  alla  basilica  lateranense. 
Oltre  quanto  dicemmo  all'  arti- 
colo Cavalcala  (  Vedi),  cioè  di  quel- 
la fatta  per  Bologna  nel  i53o  da 
Clemente  Vii  ,  e  da  Carlo  V  in 
occasione  che  questi  ricevette  da 
quel  Pontefice  le  insegne  imperia- 
li, qui  aggiungiamo  quanto  ne  scris- 
se Paolo  Giovio  nel  lib.  XXVII. 
"  Nec  multum  inde  succedebat  eu- 
»   charistia  sub  aurea    umbella  lo- 

*  culo  •cbrystallino  inclusa,  et  sella 
»  generosi ,  et  tainen  parali  equi 
w  super  imposila.  Lanterna  ingens 
d  ante,  et  circum  dena  fanalia  fe- 
«  rebantur  ".  Agostino  Patrizio , 
nel  descrivere  la  solenne  cavalcata 
fatta  per  Roma  da  Paolo  li  nel 
1468,  per  la  venuta  dell'impera- 
tore Federico  III,  racconta  al  n.° 
'zi:  «  Incedebat  subdiaconus  cru- 
w  cem  praeferens  ....  Crucem  ve- 
m  ro  sequebaulur  primo  clerici  pon- 
»  tificalis  cappellae^  quorum  alter 
;>  lanternam  cum  lumine  praefere- 
}•-  banl  in  lionorem  ss.  Eucharisliae 3 
s>  alter  vero  loculum  pontifìcalis 
»>  mitrae  ....  Post  hos  ducebatur 
»  equus  albus  s aerati ssimum  Clivi- 
»  sti  Corpus  vehens  in  capsula  or- 
n  natissima  reconditum,  quem  prae- 

*  cedebat  sacrista  Pontificis,  ba- 
»  culum  teretem  manu  ferens,  et 
»  supra  sacram  hostiam  sericeum 
»  umbraculum  ferebatur;  circum- 
»  circa  vero  fanalia  multa  accensa  ". 
Il  Quii-ini,  Vindiciac  PauliJI,  capo 
IV,  narra  della  messa  celebrata  in 
tal  circostanza  dal  Papa    nella  ba- 


EUC  167 

silica  lateranense,  e  degli  atti  di 
ossequio  che  volevagli  tributare 
l'imperatore.  Nel  i522  Adriano 
VI  fu  eletto  mentre  era  assente  da 
Roma.  Giunto  alla  basilica  ostiense, 
entrò  in  città  a'  29  agosto  a  ca- 
vallo, preceduto  dal  ss.  Sagramento 
si  avviò  al  Vaticano  ove  venne  co- 
ronato, come  narra  il  Rinaldi,  men- 
tre l'Ortis ,  che  scrisse  l' itinerario 
del  viaggio  di  Adriano  VI ,  non 
fece  menzione  della  ss.  eucaristia. 
Ma  Biagio  Martinelli  che,  qual 
maestro  di  cerimonie,  diresse  la  ca- 
valcata, ecco  quanto  scrisse.  «  Qui- 
»  bus  fìnitis,  omnes  ad  equitan- 
»  dum  iverunt  cum  multa  confu- 
f>  sione,  et  malo,  sine  baldacchini 
»  prò  ss.  Sacramento  ,  et  Papa  ". 
Ma  questo  rito  molto  più  fu  in 
uso  nelle  cavalcate,  come  prescrive 
il  Cerimoniale  al  §  XIX,  pei  so- 
lenni possessi  che  ogni  nuovo  Pa- 
pa prende  della  basilica  lateranense, 
prima  partendo  dalla  basilica  va- 
ticana, e  poi  dal  palazzo  che  abita, 
come  rilevasi  dalle  relazioni  dei 
medesimi  possessi ,  pubblicale  dal 
Cancellieri,  de'  quali  faremo  men- 
zione di  alcuni.  Sembra  che  il  pri- 
mo ad  usarlo  in  questa  solenne 
funzione,  fosse  Nicolò  V,  allorché 
cavalcando,  e  portando  la  Rosa 
d'oro  (Fedi)  in  mano,  essendo  la 
domenica  Laetare  3  a'  19  marzo 
i447j  prese  solenne  possesso,  fa- 
cendosi precedere  dal  Corpo  di  Cri- 
sto, circondato  da  molti  lumi.  Ai 
12  settembre  i4^4  prese  possesso 
Innocenzo  VIII,  leggendosi  nell'or- 
dine della  descrizione  quanto  se- 
gue: «  Subdiaconum  cum  cruce, 
»  sive  ceroferariis ,  et  thuribulo, 
»  secum  habens  alios  subdiaconos 
»  collegas  suos.  Duodecim  familia- 
»  res  Papae  vestibus  rosaceis  in- 
*   duti,  qui  duodecim  magna  intor- 


168  EUC 

»  ticia  alba  accensa  ante  Corpus 
»  Chrisli  ferebant  pedestres.  Unus 
«  familiaris  sacristae  equester,  si 
»  recte  menimi,  super  pellicio  in- 
»  dutus,  qui  super  bacalo  inau- 
m  rato  lan ternani  ferebat  cum  can- 
»>  dela  accensa  prò  Corpore  Chri- 
v  sti.  Cantores  cappellae  nostrae 
w  super  pelliciis  indunt,  secretarli, 
p  et  advocati  mixtum  cum  suis 
«  pluvialibus,  acoliti  Papae,  omnes 
»  in  albis.  Clerici  camerae,  audito- 
»  res  Rotae,  etc.  ".  Giulio  II  prese 
il  possesso  colla  solita  solenne  ca- 
valcata a*  5  dicembre  i5o3  ,  ove 
per  T  argomento  nostro  si  legge  : 
«  Praelati  quatuor  servi  tores  di- 
«  versi  modo  vestitos,  et  major 
«  pars  sine  baculo,  excepto  sacri - 
»  sta,  qui  habebat  sex  servitores 
*>  juxta  se  in  vestibus  rosaceis,  et 
«  ambo  clerici  cappellae  equita- 
«  runt  in  cocta  ante  Sacramentum, 
«  et  Finus  a  dextris  cum  lanter- 
*>  na,  et  Federicus  a  sinistris,  ejus 
«  vicarius  ....  Papa  descendi t  de 
«  equo ,  quem ,  et  baldaccbinum 
»  receperunt  romani  portantes  pa- 
»  cifice,  et  quiete,  quia  fuit  cum 
»  eis  ita  conventum,  ut  retineret, 
«  et  Papa  esset  eis  aliquid  dona- 
»  turus  prò  baldacchino  Sacramen- 
»  ti  .  ..."  e  parlandosi  della  di- 
stribuzione del  presbiterio,  si  dice 
che  a  Baldassare,  famigliare  del  sa- 
crista Pontifìcio,  fu  dato  un  du- 
cato. Leone  X,  agli  1 1  aprile  i5i3, 
si  recò  al  Laterano  per  prendere 
il  possesso,  leggendosi  nella  descri- 
zione :  «  XII  parafrenarii  con  XII 
»  luminaribus  pedites.  Duo  fami- 
»  liares  sacristae  equites  cum  lan- 
»»  ternis.  Equus  cum  Sacramento. 
t»  Baldacchinum  super  Sacra  men- 
»  tum  per  cives  romanos  Vili  vi- 
»  cissim.  Sacrista  cum  baculo  in 
v   manu  ",    In  altra    relazione  poi 


EUC 

é  scritto:  »»  Ilostiarj  con  un  baculetto 
»  in  mano  per  uno,  coperto  di 
»  velluto  chermusi,  in  segno  di  lo- 
»  ro  oflìzio.  Et  drieto  a  loro  tre 
»  subdiaconi  apostolici ,  li  quali , 
»  quel  di  mezzo,  portava  sopra  de 
»  un  gran  bastone  argenteo ,  et 
»  deaurato  la  santissima  croce.  Se- 
»»  guiva  poi  una  bianchissima  chi- 
»  nea;  et  quella  sopra  del  dorso 
>♦  suo  aveva  un  tabernaculetto,  a- 
»  domato  di  broccato  d'oro,  nel 
m  quale  dentro  si  posava  la  sacra 
a  eucharistia,  onde  sopra  era  un 
«  bellissimo  baldacchino ,  et  cir- 
»  cumcirca  forse  venticinque  para- 
»#  frenieri,  con  torcie  di  purissima 
»  cera  bianca  accesa  in  mano,  et 
»  dietro  il  sacrista  con  un  baculo 
»  ligneo  in  mano  per  custodia  di 
»  Cristo".  Finalmente,  essendosi 
cessato  dopo  Leone  X  di  prendere 
il  possesso  cogli  abiti  sagri ,  colle 
mitre,  coli'  incontro  de'  turiboli  del- 
le chiese,  dinanzi  le  quali  passava 
la  cavalcata,  terminò  anche  il  rito 
di  farsi  precedere  i  Papi  in  questa 
funzione  dalla  ss.  eucaristia,  e  mai 
più  fu  quindi  ripreso,  come  osser- 
vano il  Rocca  a  pag.  46,  ed  il  Ca- 
talani nel  tom.  I  del  Cerimoniale, 
pag.    126. 

Nel  codice  della  biblioteca  Za- 
luski  di  Varsavia  si  rappresenta  il 
viaggio  del  Papa  Giovanni  XXIII 
a  Costanza,  e  si  vedono  tre  cavalli 
bardati ,  sopra  uno  de'  quali  è  il 
ciborio  del  ss.  Sagramento  fra  due 
candellieri  con  candele  accese.  Alla 
sinistra  cavalca  il  crocifero,  vestito 
di  tonaca  azzurra  con  cappuccio 
e  mozzetla  bianca,  ma  a  capo  sco- 
perto. Alla  destra  altro  cavallo  con 
sacchi  e  valigie  sul  dorso.  Antolo- 
gia Rom.s  tom.  II,  p.  267.  In  al- 
tra tavola,  in  cui  si  rappresenta 
l' ingresso  degli  elettori  in  conclave 


EUC 

agli  8  novembre  1^17,  si  vede  una 
turba  di  laici  con  ceri  accesi,  ed 
un  cavallo  bardato  col  ss.  Sacra- 
mento sopra  di  esso,  e  il  crocifero 
pure  a  cavallo.  Ivi,  tom.  II,  pag. 
275.  Su  questo  argomento,  oltre 
i  citati  autori,  sono  a  consultarsi  : 
il  Sarnelli,  nel  Lume  a*  principian- 
ti, a  pag.  1  io,  ove  tratta  come  al 
Papa  che  fa  viaggio  preceda  la  ss. 
eucaristia;  Cristiano  Lupo,  de  Pro- 
cessionibus  cap.  11,  tom.  II,  Ope- 
re, p.  34o  ;  il  p.  Gattico,  Acta  se- 
lecta  caerimonialia,  sia  per  le  ca- 
valcate in  qualunque  luogo,  che 
per  quelle  che  facevansi  al  Lutera- 
no, si  può  leggere  l'indice  per  rin- 
venire le  analoghe  nozioni.  Altre 
se  ne  leggono  nelle  relazioni  stam- 
pate per  l'andata  di  Clemente  Vili 
a  Ferrara,  accompagnato  da  ven- 
tisei Cardinali;  per  cui  abbiamo: 
Annibale  Banordini,  Narrazione  del- 
l' entrata  pontificale  fatta  da  Cle- 
mente ì  III  in  Ferrara  ec,  Roma 
1598;  Breve  ragguaglio  del  ss.  Sa- 
gramento  a  Ferrara,  con  li  rice- 
vimenti, onori,  ed  archi  fatti  dalle 
comunità,  ed  altri  signori,  Roma 
1598;  Annibale  Mareggia,  Rela- 
zione delle  accoglienze  fatte  dal 
duca  di  Urbino  a  Clemente  Vili, 
ivi  ;  Odoardo  Magliani,  Ordini  te- 
nuti nell'andata  del  ss.  Sagramen- 
to,  e  di  Papa  Clemente  FUI  da 
Roma  per  Ferrara,  ivi  ;  Domeni- 
co Amici,  //  bellissimo  ordine,  che 
si  e  tenuto  nel  partire  il  ss.  Sagrar 
mento  da  Bologna  il  dì  3o  novem- 
bre 1598,  ivi;  Entrata  di  Clemen- 
te FUI  nella  città  di  Bologna, 
ivi. 

EUCARPIA.  Sede  vescovile  della 
prima  provincia  della  Frigia  Salutare, 
nell'esarcato  e  diocesi  d'Asia,  sotto 
la  metropoli  di  Sinna,  e  la  cui  ere- 
zione risale  al  quarto  secolo.  1  suoi 


EUC  169 

abitanti  si  chiamarono  Eucarpii,  e 
ne  fanno  menzione  Tolomeo  e  Stra- 
bone.  Dall'  Oriens  Clirist.,  tom.  1, 
p.  845,  si  apprende  che  cinque  ve- 
scovi vi  ebbero  sede,  cioè  Eugenio, 
Auxamano,  Ciriaco,  Dionisio,  e  Co- 
stantino. Al  presente  Eucarpia,  Eu- 
carpien ,  è  un  titolo  vescovile  in 
partibus  della  gran  Frigia,  sotto- 
posto a  Sinna,  arcivescovato  in  par- 
tibus, che  suol  conferire  la  sede 
apostolica. 

EUCHAITA  seu  Euchetae.  Se- 
de episcopale  della  provincia  di  El- 
lesponto, nella  diocesi  ed  esarcato 
di  Ponto,  dipendente  dalla  metro- 
poli di  Amasia,  eretta  nel  nono 
secolo.  Le  notizie  greche  ne  fecero 
un  arcivescovato,  e  quelle  di  Leone 
una  metropoli,  ma  onoraria.  Fu 
pur  chiamata  Teodoropoli  dall'im- 
peratore Giovanni  Zimisce,  a  ca- 
gione d'una  gran  vittoria  che  avea 
riportata  il  giorno  della  festa  di  s. 
Teodoro  Tyron  contro  i  russi  ,  a- 
vendo,  com'egli  diceva,  veduto  quel 
santo  combattere  pei  romani  o  gre- 
ci, e  rompere  i  battaglioni  de'  ne- 
mici. Ed  è  perciò  che  vi  fece  edi- 
ficare una  magnifica  chiesa  sotto 
T  invocazione  di  tal  santo  martire, 
nel  luogo  istesso  ove  riposavano  le 
sue  ceneri.  Il  p.  Le  Quien,  nell'O- 
riens  Christ.,  tom.  I,  p.  544  e  seg  > 
ci  dà  le  notizie  de'  sedici  suoi  ve- 
scovi, che  furono  :  Epifanio,  Teo- 
fìlatto,  Eufemiano  ì,  Teodoro  San- 
tabareno,  Eufemiano  li,  Simeone, 
Filoteo,  Michele,  Nicola,  Giovanni, 
Basilio,  Costantino,  ed  Alessio,  de- 
gli altri  tre  se  ne  ignora  il  nome. 

EUCHANIA.  Sede  vescovile  del- 
la provincia  di  Europa,  nella  dio- 
cesi di  Tracia,  sotto  la  metropoli 
di  Eraclea.  Alcuni  la  confondono 
con  Euchaita,  e  sembra  secondo  al- 
tri che  divenisse  metropoli.  Dall'  O- 


j7o  1ÌUC 

riens  Chrìst.y  tom.  I,  p.  1  44>  s'  ha 
che  vi  ebbero  sede  i  vescovi  Gre 
^orio,  Giovanili  1,  Nicola,  e  Gio- 
vanni II. 

EUCHERIO  (s.).  Ebbe  per  pa- 
tria Orleans,  ed  i  suoi  genitori  ap- 
pena nato  il  consecrarono  al  Si- 
gnore. Vi  corrispose  egli  mirabil- 
mente facendo  rapidi  progressi  col 
crescere  dell'età  nelle  scienze  divi- 
ne, e  nelle  cristiane  virtù.  Medi- 
tava sovente  l'epistole  di  s.  Paolo, 
e  quella  fra  le  altre,  in  cui  l'apo- 
stolo consiglia  a  disprezzare  le  ric- 
chezze. Ammaestrato  da  tale  dot- 
trina abbandonò  il  mortelo,  e  si  ri- 
tirò nell'abbazia  di  Jumieges  in  Nor- 
mandia, circa  l'anno  7  1 4.  Passali 
dolcemente  sette  anni  in  quella  so- 
litudine, il  clero  ed  il  popolo  di 
Orleans,  rimasti  senza  vescovo,  sì 
rivolsero  a  Carlo  Martello  ad  og- 
getto di  ottenere  Eucherio  per  lo- 
ro prelato.  Intesa  tal  nuova  da  Eu- 
cherio, fece  quanto  più  potè  per 
esimersi  da  un  sì  grave  incarico , 
ma  per  nulla  valsero  le  sue  istan- 
ze, e  dovette  cedere  per  spirito  di 
ubbidienza.  Nell'anno  721  fu  egli 
consegrato,  e  posta  ogni  sua  fidan- 
za nel  sommo  Pastore  Gesù  Cristo, 
si  diede  con  tutto  il  zelo  a  regge- 
re il  gregge  affidatogli.  Colla  pre- 
dicazione ammaestrava  il  suo  po- 
polo, con  le  limosine  sovveniva  ai 
poveri,  colle  sue  visite  agli  infer- 
mi inspirava  loro  la  rassegnazione, 
e  confortavali  colle  sue  ammonizio- 
ni. Ebbe  le  sue  contraddizioni ,  e 
Carlo  Martello  si  credè  autorizza- 
to di  allontanare  il  sauto  vescovo 
Eucherio  dalla  sua  sede,  ed  esiliarlo 
in  Colonia,  indi  nel  castello  di  Ha- 
spengaw,  per  essere  stato  con  evan- 
gelica libertà  rimproverato  di  va- 
lersi dei  beni  della  Chiesa  senza 
scrupolo,  per  riparare  le  spese  del- 


tue 

la  guerra.  11  governatore  di  Liegi 
però  edificalo  dalla  pietà  del  santo 
vescovo  lo  trattò  con  tulli  i  riguar- 
di, lo  elesse  a  suo  elemosiniere, 
e  gli  permise  di  ritirarsi  nel  mo- 
nistero  di  s.  Tradone,  ove  ai  20 
febbraio  dell'anno  743  santamente 
spirò.  Il  martirologio  romano  as- 
segna  in   tal  giorno  la  sua  festività. 

KDCHERIO  (s.).  Vescovodi  Lio- 
ne, era  stato  prima  ricchissimo  se- 
natore. Sposò  una  fanciulla  chia- 
mala Galla,  da  cui  ebbe  due  fi- 
gliuoli, Salone  e  Verano,  i  quali 
furono  vescovi  vivente  ancora  il 
padre,  dopo  essere  slati  da  lui 
medesimo  educati  nella  vera  pie- 
tà e  virtù.  Cessò  di  vivere  verso 
l'anno  4^4>  ignorasi  in  quale  età. 
11  primo  degli  scritti  suoi  che  ci 
rimangono,  è  un  Tratlato  a  fog- 
gia di  lettera  indirizzalo  a  santo 
Ilario  }  e  contiene  un  grande  elo- 
gio del  deserto,  e  della  utilità  della 
solitudine.  Poi  una  Lettera  a  Va- 
leriano  suo  parente,  i  cui  ragiona- 
menti pieni  di  vigore  e  forza  dan- 
no chiara  idea  della  vanità  e  ca- 
ducità delle  cose  terrene,  e  quindi 
dell'  inganno  di  chi  le  apprezza  ; 
un  Trattato  delle  formole,  il  quale 
altro  non  è  che  una  spiegazione 
d'alcuni  passi  della  Scrittura ,  ad 
uso  del  suo  figlio  Verano;  i  due 
libri  delle  Istituzioni,  i  quali  sono 
d'una  maggiore  utilità  dell'anzi- 
detto trattato,  spiegandosi  in  essi 
un  gran  numero  di  difficoltà  della 
Scrittura;  finalmente  la  Storia  di 
s.  Maurizio  e  degli  altri  martiri 
della  legione  tébana. 

EUCOLOGIO  (Euchologium).U* 
bro  di  preghiere,  così  chiamato 
dai  greci,  e  contenente  le  preghie- 
re, le  benedizioni,  il  rituale  e  le  ce- 
rimonie di  cui  si  servono  nell'am- 
minislrare  i  sagrameati,  e  nella  li- 


EUC 

lurgia,  come  nella  collazione  degli 
ordini  sagri.  L'Eucologio  è  pei  gre- 
ci propriamente  il  Rituale  e  il 
Pontificale,  contenente  tutte  le  fun- 
zioni sacerdotali  ed  episcopali.  Lo 
stamparono  i  greci  scismatici  nel 
1 63 1  pieno  di  errori,  laonde  i 
greci  cattolici ,  sudditi  di  Filippo 
JV  re  di  Spagna,  ne  avvisarono 
questo  principe ,  il  quale  ricorse 
ad  Urbano  Vili,  che  perciò  depu- 
tò una  congregazione  particolare 
di  teologi,  a  cui  ascrisse  i  più  dot- 
ti, fra 'quali  il  p.  Gio.  Morino  del- 
l'oratorio di  Francia,  ed  il  celebre 
gesuita  Dionisio  Petavio,  che  per 
la  provetta  sua  età  non  potè  re- 
carsi a  Roma:  poscia  vi  furono 
aggregati  Luca  Olstenio,  e  Leone 
Allazio.  Alcuni  vi  trovarono  errori 
e  cose  che  loro  sembravano  rende- 
re nulli  i  sagramenli;  altri  dimo- 
strarono che  i  riti  contenuti  Dello 
Eucologio  erano  più  antichi  dello 
scisma  di  Fozio,  e  che  non  si  po- 
tevano condannare,  senza  compren- 
dere nelle  censure  l'antica  Chiesa 
orientale.  Ottanladue  congressi  eb- 
bero luogo  fino  all'  anno  ì6^5, 
senza  che  i  membri  della  concie- 
gazione  compissero  il  loro  lavoro, 
che  però  fu  continuato  lentamente 
sotto  Innocenzo  X,  ed  altri  Ponte- 
fici, sino  a  Benedetto  XIV.  Ma  que- 
sti, avendo  rinnovata  tale  congre- 
gazione, di  cui  avea  fatto  parte,  e 
volle  averne  nei  successivi  lavori, 
ebbe  la  gloria  di  portare  a  fine 
l'opera.  Quindi  l' Eucologio,  egre- 
giamente corretto,  coll'aiuto  di  quel- 
lo pubblicato  in  Parigi  nel  1647, 
greco-latino,  con  note  ed  eccellenti 
giunte,  dal  dotto  domenicano  Gia- 
como Goar,  intitolato  Euchologìum 
«Ve  Rituale  graecorum,  e  di  molti 
altri  mss.  che  si  conservavano  in 
diverse  biblioteche,   lo  fece  pubbli» 


EUD 


7* 


care  nel  1754  dalla  celebre  tipo- 
grafia della  congregazione  di  Pro- 
pagandante, col  titolo  Euchologium 
ec.  Benedetto  XIV  il  propose  a 
tutti  i  vescovi  ed  ecclesiastici  del 
rito  greco,  per  uso  delle  loro  chie- 
se, con  una  lettera  loro  diretta  il 
primo  marzo  1756,  Ex  quo  ec. , 
Bull.  Magn.  tom.  XIX,  p.  192, 
nella  quale  il  Pontefice  die  saggio 
di  quella  sagra  erudizione  che  lo 
rese  immortale. 

EUDE  (di)  Giovanni,  Cardinale. 
Giovanni  di  Eude,  soprannominato 
Caramagna, della  famiglia  de'viscon- 
ti  di  Caramagna,  pronipote  di  Gio- 
vanni XXII,  nacque  in  Chaors  nel- 
l'Aquitania.  Fu  dapprima  canoni- 
co della  metropolitana  di  Tours, 
protonotario  apostolico ,  e  quindi 
nel  i35o  a' 18  dicembre,  da  Cle- 
mente VI  creato  diacono  Cardina- 
le di  s.  Giorgio  in  Velabro.  Cle- 
mente VI  lo  promosse  anco  a  con- 
templazione della  parentela  con- 
tratta tra  la  sua  famiglia  Roger, 
e  quella  di  Caramagna,  pel  matri- 
monio del  proprio  nipote  Gugliel- 
mo con  Eleonora  della  casa  di 
Caramagna.  Innocenzo  VI  lo  amava 
molto,  e  ne  facea  di  lui  altissima 
considerazione.  Morì  in  Avignone 
pel  contagio,  l'anno  i36i,  ed  ivi 
ebbe  eziandio  onorevole  sepolcro. 

EUDISTI.  Congregazione  di  pre- 
ti secolari  destinati  a  dirigere  i 
seminari,  ed  a  fare  le  missioni,  i- 
stituita  dal  p.  Giovanni  Eude ,  il 
quale  era  fratello  di  Mézeray  isto- 
riografo  di  Francia.  Il  padre  Eu- 
de era  stato  prete  della  congre- 
gazione dell'oratorio,  e  uscì  da  es- 
sa per  formare  la  sua.  Dapprima 
la  stabilì  a  Caen  li  25  marzo  i643, 
e  di  là  la  congregazione  si  estese 
in  molte  provincie  della  Francia, 
principalmente    in    Normandia  ,    a 


i7a  EUD 

Roano ,  a  Lisieux ,  ad  Evrctix,  a 
Coutanccs,  ce.  Questo  istituto  ha 
per  iscopo  di  formare  alla  Chiesa 
dei  zelanti  preti,  e  dei  buoni  ec- 
clesiastici nei  seminari ,  allorché  i 
vescovi  ne  affidano  ad  essi  la  di- 
rezione, prendendo  il  nome  di  Con- 
gregazione di  Gesù  e  Maria,  det- 
ta degli  Eudisti.  Il  fondatore  fece 
una  particolare  professione  di  di- 
vozione alla  santissima  Vergine ,  e 
dispose  che  i  suoi  religiosi  vestisse- 
ro come  gli  ecclesiastici  secolari,  e 
che  il  generale  risiedesse  nella  casa 
di  Parigi.  Gli  eudisti  si  applicano 
con  frutto  alla  educazione  de' gio- 
vani chierici  nello  spirito  ecclesia- 
stico, nel  ricevere  quelli  che  vo- 
gliono fare  ritiri  ed  esercizi  spiri- 
tuali per  avanzarsi  nella  perfezione, 
o  per  emendarsi  dai  loro  disordi- 
ni dopo  aver  condotta  una  vita 
mondana,  e  in  fare  delle  missioni 
massime  nelle  campagne.  Professa- 
no gli  eudisti  di  essere  sottomessi 
agli  ordinari  de' luoghi  ove  sono 
stabiliti,  e  meritarono  per  il  loro 
zelo  e  benemerenze  gli  elogi  e  le 
benedizioni  de'  vescovi.  In  Vincen- 
nes,  negli  Stati  Uniti  di  America, 
gli  eudisli  hanno  un  collegio.  Sic- 
come il  p.  Eude  fu  chiamato  anche 
Odone,  cosi  gli  eudisli  furono  ap- 
pellati da  alcuni  Odonisti.  Il  padre 
Eude  è  pur  fondatore  dell'ordine 
religioso  di  nostra  Signora,  ossia 
della  congregazione  delle  religiose 
della  Madonna  della  Carità,  della 
quale  si  parla  nel  volume  X,  pag. 
36,  del  Dizionario. 

EUDOCIA.  Città  vescovile  della 
seconda  Pamfìlia.,  nella  diocesi  di 
Asia,  sotto  la  metropoli  di  Pirgi  , 
che  Com  man  ville  dice  eretta  nel 
quinto  secolo.  Vuoisi  che  prendesse 
il  nome  dalle  imperatrici  Eudossie, 
mogli  di    Teodosio    e    di    Arcadio. 


EUF 

L' Oriens  Christ. ,  tom.  I,  pag.  102  r, 
assegna  cinque  vescovi  a  questa 
città,  cioè  Timoteo,  Sabiniano,  In- 
nocenzo, Costantino,  e  Calisto. 

EUDOCIA.  Sede  episcopale  di 
Licia,  nell'esarcato  e  diocesi  d'Asia, 
sottoposta  alla  metropoli  di  Mira, 
che  Comman ville  dice  eretta  nel 
nono  secolo.  Anche  questa  città 
vanla  di  aver  preso  il  suo  nome 
dall'  imperatrice  Eudossia  ,  moglie 
di  Teodosio  II.  Abbiamo  dall' O- 
riens  Chrislianus,  tom.  I,  p.  908, 
che  vi  ebbero  sede  i  vescovi  Ti- 
moteo,   Zenodoto,  e  Fotino. 

EUDOSSIA.  Città  vescovile  del- 
la seconda  Cappadocia  ,  nella  dio- 
cesi di  Ponto ,  sotto  la  metropoli 
di  Pessinunte:  altri  la  pongono  nel 
Ponto  di  Galazia,  o  nella  seconda 
Galazia.  Ne\Y  Oriens  Christ.,  tom. 
I,  pag.  4ì)5j  sono  registrati  suoi  ve- 
scovi   Aquila,  e  Menna. 

EUDOSSIOPOLl  (  Eudoxiopo. 
lis  ).  Sede  vescovile  di  Pisidia  , 
nella  diocesi  d'Asia,  sotto  la  me- 
tropoli di  Antiochia ,  secondo  le 
notizie  di  Jerocle.  Teodoro  ne  fu 
vescovo,  vedendosi  il  suo  nome  sot- 
toscritto nella  lettera  de'  vescovi 
della  sua  provincia  all'imperatore 
Leone. 

EUFEMIA  (s.).  Verso  l'anno 
307,  nella  città  di  Calcedonia,  ebbe 
Eufemia  a  sostenere  i  più  barbari 
strazi,  e  finalmente  la  morte  per 
amore  di  Gesù.  Cristo.  Sino  da 
fanciulla  aveasi  ella  con  voto  di 
virginità  consegrata  al  Signore. 
Colle  dimesse  sue  vestimenta,  e  col- 
l'esercizio  della  penitenza  e  santa 
umiltà  si  fece  ella  conoscere  ben 
presto  di  appartenere  alla  sequela 
del  divino  Riparatore.  Scoperta  per 
tale,  e  tradotta  dinanzi  al  magi- 
strato, fu  ordinato  tosto  che  fosse 
crudelmente  percossa,  uncinata,  ed 


EUF 

in  mille  modi  tormentata.  Eufemia 
il  tutto  sofferse  con  eroica  costan- 
za, e  condotta  di  poi  in  prigione 
lodava  il  Signore  con  canti  i  più 
soavi  e  giocondi.  Infuriato  vieppiù 
il  tiranno  per  la  fermezza  di  Eu- 
femia, ordinò  ch'ella  fosse  vittima 
delle  fiamme,  e  senza  punto  alte- 
rarsi ad  una  sì  barbara  intimazio- 
ne, Eufemia  montò  sul  rogo  da 
per  se  stessa,  dando  a  divedere  a- 
gli  astanti  la  gioia  eh'  ella  sentiva 
di  entrare  nella  gloria  di  Gesù 
Cristo.  Questa  santa  è  onorata  in 
tutto  l'oriente  anche  dalla  Chiesa 
greca,  e  le  sue  reliquie  sono  spar- 
se in  vari  luoghi,  come  pure  la 
chiesa  della  casa  di  Sorbona  in 
Parigi  ne  conserva  una  porzio- 
ne. La  sua  festa  si  celebra  ai  16 
settembre. 

EUFEMIA.  Sede  episcopale  dei 
Giacobiti  della  Mesopotamia,  sotto 
la  metropoli  di  Antiochia.  Il  p. 
Le  Quien  ne  riporta  le  notizie  nel- 
YOriens  Chris t. ,  tom.  II,  p.  i44tj 
dicendosi  che  ne  furono  vescovi 
Giovanni,  Elia,  Anastasio,  e  Ser- 
gio. 

EUFRASIA  o  EUFRASSIA  (s.). 
Nacque  Eufrasia  da  un  ragguarde- 
vole personaggio  addetto  alla  corte 
dell'  imperatore  Teodosio  il  giovi- 
ne, del  quale  era  anche  stretto  pa- 
rente, ed  appena  ella  comparve  al 
mondo,  fu  da'  pii  suoi  genitori  con- 
sagrata al  Signore.  Morto  il  padre 
l'anno  seguente,  la  madre  per  cu- 
stodire più  gelosamente  la  propria 
prole,  si  ritirò  da  Costantinopoli, 
e  recatasi  in  Egitto,  ove  si  trova- 
vano i  ricchi  suoi  poderi,  andò  ad 
abitare  nelle  vicinanze  di  un  mi- 
nistero di  cento  e  più  religiose,  le 
quali  spandevano  il  buon  odore  di 
santità.  La  giovinetta  Eufrasia  non 
ancor   giunta    al    settimo  anno    di 


EUF  i73 

età,  sentì  fortemente  gl'inviti  della 
grazia,  che  la  chiamava  al  ritiro,  e 
richiesto  l'assenso  alla  madre  sua 
di  servire  a  Dio  in  quel  moniste- 
ro,  non  senza  lagrime  dalla  tene- 
rezza scaturite,  le  accordò  quanto 
ricercava,  ed  ella  stessa  la  pre- 
sentò alla  superiora ,  perchè  fòsse 
accettata.  Rimasta  orfana  Eufrasia 
anche  della  madre  non  molti  an- 
ni dopo  il  suo  ingresso  nel  moni- 
stero  ,  l' imperatore  Teodosio,  cui 
spettava  di  tutelare  la  giovanetta, 
pensò  al  di  lei  collocamento,  e 
mandò  a  prenderla  per  consegnar- 
la al  ritrovato  sposo.  La  santa 
fanciulla,  bene  rassodata  nella  sua 
vocazione,  con  fermezza  ammirabile 
mandò  all'  imperatore  la  seguente 
risposta.  «  Siccome  è  di  già  noto 
«  a  voi,  o  invitto  imperatore,  ch'io 
»  ho  promesso  a  Gesù  Cristo  di  vi- 
»  vere  in  perfetta  castità,  vorrete 
«  voi  obbligarmi  a  violare  la  mia 
«  promessa ,  sposandomi  ad  un 
n  uomo  mortale,  il  quale  diverrà 
»  presto  pasto  dei  vermi  ?  Vi  sup- 
»  plico  adunque,  per  quella  vostra 
m  bontà  onde  onoraste  i  miei  ge- 
«  nitori,  a  disporre  dei  beni  ch'es- 
«  si  mi  hanno  lasciato,  in  favore 
*•  dei  poveri,  degli  orfani  e  delle 
»  chiese.  Date  la  libertà  a  tutti  i 
«  miei  schiavi,  a'miei  affiliamoli  con- 
«  donate  quant' essi  mi  devono, 
«  onde  sciolta  affatto  da  ogni  pen- 
»  siero  degli  affari  temporali,  pos- 
»  sa  senza  alcun  impedimento  ser- 
»  vire  a  Dio.  Pregate  il  Signo- 
>*  re  che  mi  renda  degna  di  lui, 
»  e  la  stessa  grazia  oso  doman- 
«  dare  all'imperatrice  vostra  spo- 
»  sa".  Letta  dall'imperatore  una  tal 
lettera,  non  potè  trattenere  le  la- 
crime ,  e  piansero  con  lui  tutti 
quelli  che  degnò  mettere  a  par- 
te di  sì  nobili  e  religiosi  sentimen- 


i74  ELF 

li.  L'imperatore  eseguì  prontamen- 
te i  voleri  eli  Eufrasia,  e  disciolta 
ella  da  ogni  cura  terrena  si  adden- 
trò sempre  più  nella  perfezione  c- 
vangclica,  e  santamente  morì  nella 
fresca  età  di  anni  trenta,  nel  410. 
Fu  onorata  del  dono  dei  miracoli 
prima  e  dopo  la  sua  morte,  ed  il 
martirologio  romano  assegna  la  di 
lei  festa  li    1 3   marzo. 

EUFRATESIA  o  EUFRATEN- 
SE.  Provincia  dell'Asia  nella  Siria, 
lunghesso  il  fiume  Eufrate,  avendo 
questo  all'oriente,  al  ponente  la 
prima  Siria,  ed  al  nord  il  monte 
Tauro  e  l'Eufrate,  secondo  la  geo- 
grafia sagra.  Questa  provincia  di- 
pendeva dal  patriarcato  d'Antio- 
chia, e  fu  prima  chiamata  Coma- 
gene,  ed  in  ordine  gerarchico  è 
l' ottava  provincia  di  detta  diocesi 
Antiochena.  L'  imperatore  Cesare 
Augusto  ne  fece  una  provincia  ro- 
mana, e  la  chiamò  Eufratesia,  per- 
chè, come  si  disse,  termina  col  fiu- 
me del  suo  nome.  Di  essa  spesso 
se  ne  fa  menzione  negli  atti  dei 
concili;  aveva  Jerapoli  per  metro- 
poli civile  ed  ecclesiastica,  chiama- 
ta anche  Membisc,  che  eretta  in 
vescovato  nel  IV  secolo,  nel  V  di- 
venne metropoli  con  sedici  vesco- 
vati per  suffraganei,  tre  de' quali 
in  progresso  furono  elevati  al  gra- 
do arcivescovile.   V.  Jerapoli. 

EUFRAZIO  (s.).  Brevi  sono  le 
notizie  di  s.  Eufrazio ,  e  nulla  di 
più  ci  è  dato  a  conoscere.  Fu  egli 
vescovo  di  Al vergna,  sede  che  ven- 
ne in  seguito  trasferita  a  Clermont. 
Nell'anno  5o6,  nel  concilio  diAgde, 
si  fece  rappresentare,  ed  in  quello 
di  Orleans,  nel  5ii,  vi  assistè  in 
persona.  Ricovrò  in  sua  casa  il 
santo  vescovo  di  Rodez  Quinziano, 
e  provvide  con  liberalità  ai  suoi 
bisogni.  Morì  santamente  nell'anno 


EUF 

5 1 4»  ed  è  registrato    nei  martiro- 
logi  il  giorno    |5  maggio. 

EUFRONIO  (s.).  Dotato  Eufro- 
nio  di  somma  piudcnza,  e  di  pro- 
fonde cognizioni  fornito,  fu  da  sem- 
plice sacerdote,  ben  presto  chia- 
mato a  reggere  la  chiesa  vescovile 
di  Autun.  Assunto  a  tale  dignità 
occupossi  ad  edificare  il  suo  greg- 
ge coli'  esempio  di  una  santa  vita 
e  colla  voce.  I  più  celebri  prelati 
della  Chiesa  gallicana  erano  suoi 
amici  ed  ammiratori.  Sottoscrisse 
al  concilio  radunato  in  Arles  nel 
475.  Ignorasi  in  qualanno  sia  mor- 
to, ma  il  suo  sepolcro  è  onorato 
nella  chiesa  di  s.  Sinforiano.  La  sua 
festa  si  celebra  il  giorno  4  di  ago- 
sto. 

EUFRONIO  solitario  (s.).  Lom- 
bardo di  origine,  ebbe  Eufronio 
sino  dalla  più  fresca  età  una  te- 
nera divozione  a  s.  Martino  vesco- 
vo di  Tours.  Recatosi  nel  Limosi- 
no, e  fattosi  seguace  di  s.  Aredio, 
si  ritirò  poi  presso  T  reveri,  e  si 
costrusse  un  romitorio.  Viveva  Eu- 
fronio di  pane,  acqua  ed  alcune 
erbe  soltanto,  ed  innalzata  una  co- 
lonna, su  quella  predicava  agli  abi- 
tanti circonvicini,  ch'erano  pagani, 
esortandoli  ad  abbattere  i  loro  ido- 
li. Erasi  determinato  di  condurre 
i  suoi  giorni  sopra  quella  colonna, 
ma  alcuni  vescovi  il  consigliarono 
a  rientrare  nel  suo  monistero,  ed 
egli  obbediente  vi  si  sottomise.  Mo- 
rì in  pace  nel  termine  del  sesto 
secolo,  e  fu  seppellito  nel  moniste- 
io  da  lui  eretto.  Le  sue  reliquie 
si  onorano  nella  città  di  Yvois,  e 
la  festa  si  celebra  li  21   ottobre. 

EUFRONIO  (s.)  ,  vescovo  di 
Tours.  Dedicatosi  assai  giovine  allo 
stato  ecclesiastico,  le  sue  virtù  ed 
il  suo  sapere  gli  fecero  strada  al- 
l'episcopale dignità.    Fu    a    questa 


EUF 

chiamalo  dal  voto  del  clero  e  del 
popolo,  e  venne  consegrato  nel- 
l'anno  556,  e  nel  susseguente  as- 
sistette al  concilio  di  Parigi.  Con- 
tribuì non  poco  alla  riedificazione 
della  città  di  Tours,  dalle  guerre 
civili  quasi  distrutta,  e  provvide 
alla  sussistenza  de' poveri,  versando 
in  seno  a  questi  i  frutti  della  sua 
mensa  episcopale .  Nell'anno  566 
convocò  Eufronio  un  concilio,  chia- 
mato il  secondo  di  Tours,  nel  qua- 
le si  fecero  ventisette  canoni  di 
disciplina.  Quantunque  assai  stima- 
to dal  re  Cariberto,  rare  volte,  e 
con  ripugnanza,  si  recava  alla  sua 
corte.  Disimpegnate  con  perseveran- 
te sollecitudine  le  cure  episcopali, 
finì  egli  di  vivere  li  4  agosto  del 
^7  3,  ed  ebbe  a  successore  s.  Gre-» 
gorio,  suo  congiunto,  il  quale  vie- 
ne riguardato  come  il  padre  del- 
l' istoria  di  Francia.  La  festa  di 
s.  Eufronio  nel  martirologio  roma- 
no è  notata   li  4  agosto. 

EUFROSINA  (s.).  Figlia  di  Paf- 
nuzio,  personaggio  illustre  di  Ales- 
sandria, spiegò  Eufrosina  sino  dai 
verdi  suoi  anni  ardente  brama  di 
consagrarsi  al  Signore,  e  segregar- 
si dal  mondo.  Il  padre  suo  attra- 
versava a  tutto  potere  le  sante  in* 
t.enzioni  di  lei,  ed  ella  vedendo 
impossibile  in  via  ordinaria  di  con- 
seguire lo  scopo  prefissosi,  in  età 
di  diciott'anni  abbandonò  il  tetto 
paterno,  e  travestita  da  uomo  si 
presentò  all'abbate  Teodosio,  che 
dirigeva  un  monistero  presso  Ales- 
sandria, di  circa  trecento  cinquan- 
ta religiosi.  Il  savio  abbate  la  con- 
sigliò di  chiudersi  sola  in  una  cel- 
letta,  e  la  assoggettò  ad  un  abile 
direttore.  Quivi  divideva  ella  il  suo 
tempo  nelT  esercizio  della  pietà  cri- 
si urna,  nella  pratica  della  mortifi- 
cazione,   e    nelle    opere    delle     sue 


EUG  i75 

mani.  11  padre  suo  naturale  visi- 
tava di  spesso  quel  monistero,  e 
senza  riconoscerla,  riceveva  da  lei 
dei  savi  consigli  per  la  condotta 
spirituale  di  sua  vita.  Giunta  ella 
al  termine  de'suoi  giorni  si  scoper- 
se al  padre,  e  santamente  morì  fra 
le  sue  braccia  nel  quinto  secolo, 
avendo  scorsi  trenta  anni  in  quella 
solitudine.  Una  tale  scoperta  fatta 
da  Pafnuzio  diede  l'ultima  mano 
per  determinarlo  a  lasciare  anch'egli 
jl  mondo  e  morire  santamente 
presso  quei  religiosi.  Dal  martiro- 
logio romano  è  ricordata  s.  Eufro- 
sina il  primo  gennaio. 

EUGENDO  (s.).  I  due  santi  fra- 
telli Romano  e  Lupicino,  fondatori 
del  monistero  di  Condat  nella  Fran- 
ca Contea,  allevarono  Eligendo  sino 
dall'età  di  sette  anni.  Corrispose 
egli  mirabilmente  alle  loro  cure,  ed 
in  progresso  di  tempo  divenne  an- 
che abbate  di  questo  monistero. 
Austerissirna  conduceva  la  vita,  un 
solo  pasto  al  giorno  ci  faceva,  do- 
po il  tramonto  del  sole,  e  mangia- 
va assai  poco.  Una  sola  era  la  ve- 
ste che  usava  in  ogni  stagione,  ed 
un  perpetuo  cilicio  lo  stringeva. 
Sereno  sempre  il  suo  volto,  dimo- 
strava a  tutti  quanto  era  egli  tran- 
quillo, ed  il  suo  tratto  dolce  lo  ren- 
deva caro  ad  ognuno.  Con  una 
continua  orazione,  Eligendo  era 
sempre  a  Dio  intento,  e  tanto  a 
lui  si  univa,  che  piti  volte  ne  di- 
veniva estatico.  Sentito  prossimo  il 
suo  fine,  chiamò  a  se  un  sacer- 
dote, e  lo  pregò  di  amministrargli 
l'estrema  unzione,  e  cinque  giorni 
dopo  in  età  di  sessantun  anno  mo- 
ri dolcemente  nel  bacio  del  Signo- 
re, l'anno  5i4«  I  grandi  miracoli 
operati  per  di  lui  intercessione  gli 
procurarono  una  fama  estesissima 
in  quelle  contrade,    ed    è    onorata 


176  EUG 

la  sua  memoria  il    di  primo  gen- 
naio con  culto  speciale. 

EUGENIA  (s.).  Poco  ci  è  da- 
to di  riferire  di  questa  santa  vergi- 
ne, e  ci  limiteremo  soltanto  a  di- 
re, che  sostenne  in  Roma  il  mar- 
tirio l'anno  tx58  all'incirca.  S.  Avi- 
to di  Vienna  asserisce  che  il  no- 
me di  Eugenia  era  nella  Chiesa 
assai  celebre  nel  quinto  secolo.  Il 
suo  sepolcro,  secondo  gli  antichi 
martirologi,  era  nel  cimiterio  di 
A  promano,  nella  via  Latina.  La 
sua  festa  dai  latini  è  celebrata  ai 
2  5  dicembre,  e  dai  greci  il  dì  24. 

EUGENIA  (s).  Questa  santa 
vergine  fu  figlia  di  Adalberto  du- 
ca di  Alsazia,  e  divenne  badessa 
nella  badia  dell'alto  Hodenbourg. 
Pel  corso  di  quindici  anni  sostenne 
Eugenia  il  governo  di  quel  moni- 
stero,  mantenendo  sempre  la  pace 
ed  il  buon  ordine  fra  quelle  reli- 
giose, e  dando  sempre  di  se  prove 
non  dubbie  di  specchiata  santità. 
La  sua  morte  fu  conforme  al  suo 
vivere,  e  si  addormentò  nel  Signore 
li  16  settembre  dell'anno  735,  ed 
in  tal  giorno  viene  celebrata  la  sua 
festività. 

EUGENIO  (s.).  Questo  santo  fu 
discepolo  di  s.  Dionigi  primo  ve- 
scovo di  Parigi,  sofferse  il  martirio 
a  Deuil  nel  Parisis,  ed  ivi  fu  an- 
che sepolto.  Molti  anni  dopo  seguì 
la  sua  traslazione  nella  badia  di  s. 
Dionigi.,  La  di  lui  festa  è  assegna- 
ta li    i5  novembre. 

EUGENIO  (s.).  Vescovo  di  Car- 
tagine. Unnerico  re  demandali,  nel- 
V  anno  48 1  permise  ai  cattolici  di 
Cartagine  di  eleggersi  un  vesco- 
vo, dopo  ventiquattro  anni  ch'era- 
no rimasti  senza  pastore.  Eugenio 
dotato  d'  ogni  sapere,  zelo  e  pru- 
denza fu  scelto  a  tal  dignità,  e  si 
procacciò  colla  sua  condotta  l'amo- 


EUG 

re  de'  suoi,  ed  il  rispetto  degli  stes- 
si eretici.  Grandi  furono  le  sue  li- 
mosine  versate  io  seno  degli  indi- 
genti, e  quanta  pietà  sentiva  pel 
suo  simile,  altrettanta  austerità  e- 
sercitava  con  se  stesso.  Ogni  gior- 
no digiunava,  e  parco  era  il  suo 
pranzo  sulla  sera.  Gli  ariani ,  che 
a  mal  cuore  vedevano  i  rapidi  pro- 
gressi, che  Eugenio  faceva  nella 
diffusione  delle  cattoliche  verità , 
suggerirono  al  re  Unnerico  di  or- 
dinare, che  si  unisse  in  Cartagine 
pel  primo  febbraio  dell'anno  4^4 
una  conferenza  di  vescovi  ariani, 
e  che  a  quella  dovesse  concorre- 
re anche  Eugenio.  Con  evangelica 
fermezza  protestò  che  egli  vi  assi- 
sterebbe semprechè  fossero  chia- 
mate anche  le  chiese  di  oltremare, 
e  segnatamente  quella  di  Roma , 
capo  e  centro  di  tutte  le  altre.  A- 
perta  la  conferenza  il  giorno  sta- 
bilito, si  presentò  Eugenio,  e  fece 
sentire  a  tutta  l'adunanza  quanto 
era  egli  fermo  nei  veri  principii  di 
credibilità  del  tutto  opposti  all'a- 
rianesimo ;  ma  come  il  maggior 
numero  de' convocati  erano  segua- 
ci di  quell'  eresia,  così  si  disciolse 
la  conferenza,  senza  nulla  conclu- 
dere, anzi  inferociti  sempre  più  gli 
ariani  contro  i  veri  credenti.  La 
persecuzione  incominciò  a  spiegare 
il  suo  furore  contro  il  santo  ve- 
scovo Eugenio,  e  strappato  dal  suo 
gregge,  fu  esiliato  dalla  città,  e 
confinato  in  Linguadoca,  ove  san- 
tamente morì  in  un  monistero  da 
lui  fatto  fabbricare  a  Vianza  pres- 
so Albi.  11  giorno  i3  luglio  del- 
l'anno 5o5  volò  egli  al  cielo ,  ed 
in  tal  dì  se  ne  celebra  la  festività. 
EUGENIO  I  (s.)  Papa  LXXVII. 
Primo  fra'Pontefìei  di  questo  no- 
me, fu  romano  del  Monte  Aven- 
tino,   figliuolo  di  RuttiniauOj  e  co* 


EUG 

me  credono  alcuni  della  famiglia  Sa- 
velli, fu  fatto  chierico  mentre  ancor 
era  nella  culla,  come  si  esprime  il 
Marlene,  de  Antiquit.  Eccl.  ritib.  Kb. 
i ,  cap.  8,  art.  3,  n.°  2,  il  quale  perciò 
cita  il  libro  Pontificale.  A'dì  8  set- 
tembre del  654  venne  eletto  Pon- 
tefice dal  clero  romano  mentre  vi- 
vea  ancora  Martino  I,  attese  le  mi- 
nacele di  Teodoro    esarca    di    Ra- 
venna, il  quale  per  espresso  coman- 
do di  Costante  imperatore  erasi  re- 
cato a  Roma  per  fare  eleggere  un 
successore  allo  stesso  Martino  I  an- 
cor vivente.  Trovavasi  allora  que- 
sto Pontefice    in  esilio,  e  per    be- 
ne   della    Chiesa     di     buon     gra- 
do approvò  l'elezione  del  suo  suc- 
cessore    fatta     dal     clero     romano 
in  Eugenio  I,  per  tema  che  l'im- 
peratore non    esaltasse    al    pontifi- 
cato qualche  fautore    dei    monote- 
li li.  Per  altro  il  Baronio  (Ann.  ec- 
cles.3  ad  an.  652,  num.    1  1  )  è   di 
opinione,  che  Eugenio  I,  mentre  vi- 
vea  Martino  I,  fosse  soltanto  vicario, 
e  ne  prendesse  1'  assoluto    governo 
solamente  dopo  la   morte  di  lui,  e 
col  rinnovato  consenso  del  clero.  Ben 
tosto  fu  messa  alla    prova    la    fer- 
me/za e  vigilanza  del  nuovo  Pon- 
tefice.  Pietro  patriarca  Costantino- 
politano, successore  di  Pirro,  e  non 
meno  di  lui  fautore  de'  monoteliti, 
spedì  ad  Eugenio  I,  secondo  l'antico 
costume,  la  pistola  sinodica,  piena 
di  astuzie  e  sentimenti  dolosi  sulle 
volontà  ed  operazioni  di  Gesù  Cri- 
sto.   Mosse  ella  a  sdegno  ed  a  vivo 
zelo  il  clero  e  popolo  di  Roma,  in 
guisa   tale,  che  non    si  permise    al 
Papa  di  celebrare  la  messa  nella  ba- 
silica di  s.  Maria  Maggiore,  s'egli 
prima   non    l'avesse    solennemente 
ricusata.   Il  santo  Padre  quindi  ani- 
mato da   magnanima  santità  e  co- 
stanza  la   rigettò  come  dubbiosa  ed 

VOL.      XXII. 


EUG  177 

occultamente  eretica,  e,  secondo  il 
costume,  spedì  all'imperatore  la 
propria  sua  sinodica,  facendolo  con- 
sapevole del  suo  esaltamento.  Gli 
apocrisari  del  Pontefice,  che  gliela 
recarono,  sedotti  ed  ingannati  dal 
patriarca ,  approvarono  i  suoi  er- 
rori, e  quindi  dallo  stesso  Eugenio  I 
furono  condannati  come  apostati 
della  vera  fede.  (V.  Baronio,  An- 
noi, ad  Mariyrol.  Rom.,  IV  Non. 
Jun.).  Questo  Pontefice  ordinò  che 
i  vescovi  avessero  delle  carceri,  nel- 
le quali  fossero  puniti  i  delitti  de- 
gli ecclesiastici.  Creò  in  due  ordi- 
nazioni ventidue  vescovi  :  governò 
due  anni,  otto  mesi  e  ventiquattro 
giorni  dalla  sua  elezione,  e  un  an- 
no, otto  mesi,  quindici  giorni  dal- 
la morte  di  Martino  I.  Morì  distinto 
per  la  sua  pietà,  dolcezza  e  libe- 
ralità a'  2  giugno  del  65 7  ,  e  fu 
sepolto  nel  Vaticano.  La  santa  Se- 
de vacò  due  mesi  e  nove  giorni. 

EUGENIO  II  Papa  CU.  Nacque 
in  Roma  da  Boemondo.  Fu  cano- 
nico regolare,  come  vuole  il  Ciac- 
conio,  e  rendutosi  insigne,  come 
scrive  il  Cardella,  per  le  doti  dello 
spirito,  non  meno  che  per  l'eccel- 
lenza della  dottrina,  e  per  l' ele- 
ganza e  maestà  della  persona,  fu 
arciprete  della  Chiesa  romana,  e  Car- 
dinale di  s.  Sabina,  creato  da  Leone 
III.  A' dì  16  febbraio  dell' 824 
successe  nel  pontificato  a  Pasquale  I. 
Non  ignorasi  com'egli  con  sommo 
onore  ricevesse  in  Roma  X  Augu- 
sto Lottano  I,  quivi  spedito  da  suo 
padre  Lodovico  I  imperatore,  per 
togliere  lo  scisma ,  che  si  era  ec- 
citato dall'  antipapa  Zinzinio  nella 
sua  esaltazione,  onde  prese  Lotta- 
rio  1  1'  occasione  per  dare  fuori  una 
legge  o  costituzione  sulla  elezione 
de' Pontefici.  Da  un  canone  del 
concilio  che  celebrò  in  Roma,  ri- 
12 


i78  EUG 

ci  vano  alcuni  l'istituzione  de'  se- 
minari de'  chierici.  Non  pochi  eru- 
diti gli  attribuiscono  la  purgazione, 
o  prova  dell'  innocenza  per  mezzo 
dell'acqua  fredda.  Mori  a* 27  di 
agosto  dell' 827,  dopo  tre  anni,  sei 
mesi  ed  undici  giorni  di  pontifica- 
to. La  magnificenza  e  la  liberalità 
co'  poveri  gli  meritarono  il  nome 
di  padre  comune.  11  Vaticano  rac- 
colse le  ceneri  di  lui.  Vacò  la  san- 
ta Sede  quattro  giorni. 

EUGENIO  III  Papa  CLXX1V. 
Chiamato  prima  Pietro  Bernardo, 
nacque  in  Monte  Magno  nella  To- 
scana, dall'illustre  famiglia  de' Pa- 
ganelli. Dopo  essere  egli  stato  ca- 
nonico di  Pisa ,  indi  monaco  ci- 
sterciense  ed  abbate  prima  de'mo- 
naci  ches.  Bernardo  mandò  all'ab- 
bazia di  Farfa  (Vedi),  poi  nel  mo- 
nistero  de'  ss.  Vincenzo  ed  Anasta- 
sio alle  tre  Fontane,  due  miglia 
da  Roma  tra  la  via  Ardeatina  e 
l'Ostiense,  ove  avealo  pure  collo- 
cato s.  Bernardo,  di  cui  era  stato 
discepolo,  sebbene  non  fosse  Car- 
dinale, come  avea  prescritto  Stefa- 
no III,  fu  innalzato  alla  sede  di 
Pietro  nella  chiesa  di  s.  Cesario 
a'  27  febbraio  ii4^>-  In  quest'anno 
medesimo  Eugenio  111  approvò  l'Or- 
dine militare  di  s.  Giovanni  di  Ge- 
rusalemme, volgarmente  chiamato 
di  Malta,  ed  in  Viterbo  fece  la 
prima  promozione  di  quattro  Car- 
dinali. Nell'anno  seguente  1 146  ne 
nominò  altri  cinque,  fra  i  quali  Ni- 
colò Brekspear,  poscia  Pontefice 
nel  li 54,  col  nome  di  Adriano 
IV. 

Non  appena  Eugenio  III  era  stato 
eletto  a  Pontefice  che ,  tre  giorni 
dopo,  temendo  l' impertinenza  de- 
gli a  maidici  congiurati  a  deporlo, 
se  non  avesse  loro  confermato  l'u- 
surpato senato,  fuggì   di  notte  coi 


EUG 

Cardinali  nel  suo  antico  moniste- 
ro  dell'  abbazia  di  Farfa  nella 
Sabina,  venticinque  miglia  lontano 
da  Roma,  ove  fu  consecrato  a'  4 
marzo.  Quindi  passò  a  Città  di  Ca- 
stello, poscia  a  Viterbo,  ove  sog- 
giornò diciotto  mesi.  Sedata  intan- 
to la  rivoluzione  degli  arnaldisti,  e 
ricevute  da  essi  le  più  belle  pro- 
messe, a  ridonare  la  primiera  pa- 
ce a  Roma,  ed  abolire  ogni  loro 
innovazione,  il  santo  Padre,  in  mez- 
zo alle  pubbliche  acclamazioni  ed 
esultanze,  nel  dicembre  dello  stes- 
so anno  11 4^,  fece  ritorno  in  Ro- 
ma, ove  celebrò  colla  solita  mae- 
stà la  festa  della  Natività  di  Gesù 
Cristo. 

Se  non    che   nell'anno    seguente 
datisi  que' sediziosi  a  nuova  rivolta, 
Eugenio  III  partì  alla  volta  di  Fran- 
cia ,    ove    fu   ricevuto  con    grande 
onore  dal  re  Lodovico  VII,  ma  sol- 
tanto vi  giunse  nel    1  i47>  essendosi 
soffermato  per  via  in  vari  luoghi. 
In  Parigi  celebrò  la  Pasqua  col  re, 
e  radunò  un  concilio  per  trattarvi 
la  causa  di  Gilberto  Porretano,  ve- 
scovo di  Poitiers,  accusato  di  alcu- 
ni errori  sul  mistero  della  Trinità, 
la  quale  fu  rimessa  al  concilio   che 
nell'anno  seguente  si  sarebbe  cele- 
brato in  Reims,  Frattanto  Eugenio  III 
da  Parigi  andò  a  Meaux,    dov'era 
a*  26  di  giugno,  e  dopo  avere  tras- 
corso altre  città  passò    a    Treveri, 
e  vi  celebrò  un  concilio,  nel  quale 
si  prese  anche  a  disamina  gli  scritti 
di  s.  Ildegarda.    Sul    fine    di  feb- 
braio del   1 1 48  da    Treveri    passò 
a  Reims,  dove  nel  mese  di  marzo 
ebbe  luogo  il  preordinato   concilio 
a  condanna  del  vescovo  di  Poitiers, 
il  quale ,    confessati  i  suoi  errori , 
ritornò  al  governo  della  sua  chiesa. 
Poco  dopo  celebrato  questo  con- 
cilio, Eugenio  III  si  trasferì  al  suo 


EUG 

anlico  monisterodiCistello,  nel  qua- 
le consertando  nascosto  l'abito  di 
monaco,  si  trattenne  pochi  giorni 
nell'esercizio  delle  più  rigide  virtù. 
Quindi  passò  a  Langres,  e  da  qui 
scrisse  ad  Alfonso  Vili  re  di 
Leone  e  Castiglia  una  lettera  col- 
la quale  confermava  il  primato 
della  chiesa  di  Toledo,  e  diceva 
di  mandargli  la  rosa  d'oro.  Da 
Langres  fece  ritorno  in  Cistello,  in- 
di s' avviò  alla  volta  d' Italia  e 
soffermossi  a  Frascati  per  reprimere 
le  sollevazioni  che  in  Roma  avea  di 
nuovo  suscitato  Arnaldo  di  Bre- 
scia. E  vi  riuscì,  giacche  sostenuto 
dalle  truppe  del  re  Ruggero,  trion- 
fò degli  arnaldisti  romani,  co'quali 
stabilita  la  pace,  entrò  in  Roma 
circa  la  fine  del  i  i^g.  Ma  insorti 
nell'anno  seguente  altri  tumulti 
contro  di  lui,  fu  costretto  nuova- 
mente ad  uscire ,  e  dimorare  per 
non  breve  tempo  nella  Campagna 
romana.  Frattanto  nell'anno  stesso 
fece  la  promozione  di  altri  quin- 
dici Cardinali,  molti  de'  quali  mo- 
rirono in  odore  di  santità. 

Nel  suo  soggiorno  nella  Cam- 
pagna romana  il  santo  Padre,  nel 
1 1 Si,  ricevè  i  due  vescovi  di  Co- 
lonia e  di  Magonza ,  chiamati  a 
render  conto  della  loro  condotta. 
Conoscendo  essi  a  pieno  il  gran 
bisogno  a  cui  l'avevano  ridotto  i 
ribelli  romani,  seco  portarono  gran 
somma  di  denaro,  cui  egli  costan- 
temente ricusò  a  fronte  delle  re- 
plicate offerte.  Dopo  lungo  esame 
della  loro  causa  ,  fu  riconosciuta 
l' innocenza  dell'  arcivescovo  di  Co- 
lonia Arnolfo  ;  il  Pontefice  quindi 
lo  assolse,  e  con  diploma  dato  in 
Segni  agli  8  gennaio  i  i5i,  accor- 
dò ad  esso  e  di  lui  successori  il 
diritto  di  coronare  i  re  de'  roma- 
ni   entro    i    confini    della    propria 


EUG 


79 


giurisdizione,  e  di  tenere  ne'  con- 
cistori il  primo  luogo  dopo  il  Pon- 
tefice. Acconsentì  inoltre  che  nella 
chiesa  di  Colonia  vi  fossero  sette 
preti  Cardinali,  i  quali  vestiti  colla 
dalmatica  e  colla  mitra  ,  ne'  due 
principali  altari  di  quella  chiesa  ce- 
lebrassero il  divino  sacrifizio,  assi- 
stiti da  altrettanti  diaconi  e  sud- 
diaconi, coli' uso  de'  sandali.  Cre- 
desi  poi  che  circa  questo  tempo 
Eugenio  III  unisce  al  vescovato 
d'Ostia  quello  di  Velletri,  giacché 
Ostia  mancante  di  abitanti  lasciò 
di  essere  città. 

Nell'anno  seguente  11 52,  Euge- 
nio III  canonizzò  s.  Enrico  I  im- 
peratore, e  II  re  di  Germania  ,  ele- 
vò nell'Irlanda  al  grado  arcivesco- 
vile le  chiese  vescovili  di  Armadi, 
Dublino  ,  Cashel  ,  Tuamense  o 
Gallowai,  e,  ad  istanza  di  Gra- 
ziano, monaco  benedettino  a  Bo- 
logna, stabilì  nelle  accademie  i  gra- 
di di  baccelliere,  licenziato,  e  dot- 
torato nei  decreti,  ec,  con  diversi 
privilegi  per  animare  la  gioventù 
allo  studio  del  diritto  canonico. 

Conchiuse  poi  finalmente,  come 
aveagli  predetto  la  s.  vergine  Il- 
degarda ,  la  pace  cogli  arnaldisti , 
neh"  ottobre  del  ii52,  e  ritornò  in 
Roma.  Ne  qui  è  a  dirsi  con  quali 
e  quante  magnanime  azioni  preve- 
nisse il  momento  di  sua  morte,  e 
cercasse  di  confondere  l' ingratitu- 
dine de'  romani.  Egli  li  ricolmò 
di  segnalati  benefizi  :  abbellì  colla 
sua  munificenza  Roma,  ove  eresse  dei 
superbi  edifici  i.  ristaurò  la  chiesa 
di  s.  Maria  Maggiore  aggiungen- 
dovi un  portico  corrispondente  alla 
sua  maestà,  del  quale  parlammo, 
come  della  tradizione  del  miraco- 
lo della  neve  caduta  nel  luogo  ove 
fu  eretta  quella  basilica,  al  volu- 
me XII,   pag.    116    del    Diziona- 


i8o  EUG 

rio.  Non  si  dimentico  della  sua 
famiglia,  cioè  dell'  Ordine  dei  ci- 
stcrciensi :  confermò  i  suoi  statuti, 
e  le  accordò  tutti  i  privilegi  che 
potea  mai  desiderare.  Mentitegli 
era  in  Francia  intervenne  al  ca- 
pitolo generale  di  questi  monaci  , 
come  se  fosse  stato  uno  di  loro.  Il 
zelo,  la  pietà,  la  saviezza,  il  disin- 
teresse ,  T  applicazione  al  governo 
della  Chiesa,  al  progresso  della  re- 
ligione, alla  estirpazione  dell'errore, 
virtudi  tutte,  V  unione  delle  quali 
forma  Vi  idea  d'  un  gran  Pontefice, 
trovaronsi  a  meraviglia  congiun- 
te nella  persona  di  Eugenio  III , 
che  sulla  carne  portava  una  tona- 
ca di  lana,  e  dormiva  sul  nudo 
terreno.  Non  poteva  essere  altri- 
menti la  sua  gloriosa  condotta,  co- 
me quello  che  si  regolò  secondo  i 
consigli  del  dottore  s.  Bernardo, 
che  per  lui  scrisse  il  celebre  libro 
De  Consideratìone.  Egli  amò  la  gente 
studiosa  ,  ricompensò  le  persone  dot- 
te, ravvivò  lo  spirito  dello  studio, 
fece  rinascere  l'emulazione,  procurò 
la  traduzione  de'  libri  di  s.  Gio. 
Damasceno  sopra  la  fede  ortodos- 
sa, e  diede  una  nuova  forma  alle 
scuole  di  teologia  e  di  legge.  Egli 
ricuperò  Terracina,  Sezza,  Norma 
e  la  Rocca  di  Fumone,  e  fabbricò 
un  palazzo  in  Segni,  ed  un  altro 
in  Roma  presso  il  Vaticano,  che 
si  crede  il  principio  di  quella  va- 
stissima macchina,  che  oggi  serve 
di  abitazione  a'  Pontefici  ed  a  tutta 
la  numerosa  loro  corte. 

Eugenio  III  governò  otto  anni, 
quattro  mesi  e  dieci  giorni.  Tivoli 
fu  il  luogo  della  sua  morte,  quivi 
recatosi  per  sollevare  il  suo  animo 
dalle  cure  pontificie.  Il  giorno  8 
luglio  del  ii 53  fu  l'ultimo  della 
sua  vita.  Ugone  vescovo  d'Ostia 
lo  chiama    ornamento    della   Chie- 


EUG 
sa,  padre  detta  giustizia,  amatore 
e  protettore  della  religione.  Fu  se- 
polto nel  Vaticano,  ove  il  suo  se- 
polcro fu  illustrato  da  molti  mi- 
racoli, ed  il  suo  nome  si  trova  nei 
Calendari  cisterciensi  (V.  il  Papc- 
brochio,  in  Propylaeo,  part.  II,  pag. 
22,  num.  7).  Non  vacò  la  Sede 
romana. 

EUGENIO  IV  Papa  CCXVII. 
Chiamato  prima  Gabriele,  fu  pa- 
trizio veneto.  Trasse  sua  origine 
dalla  famiglia  Condulmieri,  venu- 
ta da  Pavia  in  quella  città ,  co- 
me dicemmo  all'  articolo  Condul- 
mieri (  Vedi).  Nacque  da  Angelo 
Condulmieri  e  da  Beriola  Corra- 
ro.  Appena  morto  suo  padre,  Ga- 
briele diede  ben  tosto  a  conoscere 
come  infastidisse  della  terrena  gran- 
dezza, ed  a  tesoro  si  avesse  la  vera  ca- 
rità, distribuendo  a'poverelli  venti 
mila  ducati  del  suo  ricco  patrimonio, 
e  facendosi  canonico  della  congre- 
gazione Celestina  di  s.  Giorgio  in 
Alga.  Vuoisi  che  fino  da  questo 
punto  due  romiti  gli  predicessero 
il  suo  futuro  pontificato  non  solo, 
ma  anche  la  durata  e  le  tristi  vi- 
cende che  ne  lo  avrebbero  accom- 
pagnato (Vespasiano  Fiorentino, 
nelle  Gesle  dì  Eugenio;  Enea  Sil- 
vio, in  EuKop.  cap.  58  ).  Anzi  (co- 
me nota  Filelfo,  Orat.  ad  Jaeob. 
Anton.  Marcellum  )  glielo  predisse- 
ro ancora  i  ss.  apostoli  Pietro  e 
Paolo,  neir occasione  che  prodigio- 
samente lo  guarirono  da  grave 
malattia.  11  Cardella  aggiunge  che 
glielo  predisse  pure  s.  Giovanni  da 
Capistrano.  E  questa  si  fu  la  via 
per  la  quale  giunse  al  soglio  pon- 
tificio. 

Gregorio  XII,  suo  zio  materno, 
da  canonico  di  Verona  lo  fece  suo 
tesoriere,  indi  vescovo  di  Siena  nel 
1407,    quand'egli    non    avea   che 


EUG 

ventiquattro  anni  di  età.  Ma  accortosi 
che  i  senesi  bramavano  piuttosto  un 
vescovo  della  loro  nazione,  dopo  un 
anno  rinunziò  all'episcopato,  e  passò 
a  chierico  di  camera,  ed  alla  cospi- 
cua carica  di  tesoriere  generale:  po- 
scia nel  1408  a' 9  maggio  fu  innal- 
zato a  prete  Cardinale  di  s.  Cle- 
mente, nel  qual  grado  rimase  sino 
all'anno  i424>  m  cui  Martino  V 
Io  dichiarò  legato  prima  della  Mar- 
ca, sconvolta  dalle  sedizioni  dei 
malcontenti,  e  poi  di  Bologna  da 
lui  ridotta  all'ubbidienza  e  divo- 
zione della  romana  Chiesa.  Dopo 
la  morte  di  questo  Pontefice,  tre- 
dici Cardinali  si  rinchiusero  a'2  di 
marzo  i43i  nel  conclave,  che  si 
era  preparato  nel  convento  della 
Minerva,  e  quivi  nel  giorno  se- 
guente elessero  concordemente  Ga- 
briele Condulmieri  in  età  di  anni 
quarantotto,  il  quale  col  nome  di 
Eugenio  IV  fu  solennemente  coro- 
nato nella  scalinata  della  basilica 
vaticana  dal  Cardinale  Santi  Quat- 
tro Coronati  agli  1  i  dello  stes- 
so mese. 

Fu  in  quest'anno  medesimo  del  suo 
innalzamento  che  si  aperse  quella 
per  lui  funesta  sorgente  di  avver- 
sità e  contraddizioni,  le  quali  ne  lo 
accompagnarono  in  tutto  il  suo 
pontificato,  che  passò  nella  mag- 
gior parte  in  più  luoghi  errante 
pel  corso  di  nove  anni,  tre  mesi  e 
venti  tre  giorni ,  per  evitare  le  in- 
sidie dei  suoi  nemici. 

Tre  Colonnesi,  Antonio  princi- 
pe di  Salermo,  Odoardo  conte  di 
Celano,  e  Prospero  Cardinale,  ni- 
poti di  Martino  V,  s'impadronirono 
del  tesoro  che  lo  zio  aveva  radu- 
nato per  somministrare  le  spese 
a'  greci,  i  quali  dovevano  condursi 
al  concilio  in  cui  si  dovea  conchiu- 
dere  l'unione  loro  co'  latini,  e  per 


EUG  181 

fare  la  guerra  a'turchi,  servendosi 
così  di  questo  denaro,  per  ammas- 
sare della  gente,  affine  di  oppri- 
mere il  nuovo  Pontefice,  e  di  re- 
care in  poter  loro  la  città  d'i  Roma. 
E  ciò  sarebbe  ad  essi  riuscito  il 
giorno  22  d'aprile,  se  i  Colonnesi 
non  fossero  stati  respinti  da'soldati 
della  Chiesa,  uniti  alle  truppe  man- 
date al  santo  Padre  da' fiorentini  e 
da'veneziani,  allorché  videro  la  gen- 
te spedita  in  loro  soccorso  contro 
di  Eugenio  IV  dalla  regina  di  Na- 
poli Giovanna  II,  corrotta  dal  de- 
naro de'Colonnesi  e  voltata  a  favo- 
re di  questi.  Il  Papa  scomunicò  i 
Colonnesi;  ma  avendo  eglino,  dopo 
sparso  molto  sangue,  restituito  alla 
Chiesa  parte  del  tesoro,  e  le  terre 
occupate,  furono  ancor  essi  restitui- 
ti alla  comunione  de'fedeli. 

Pochi  mesi  dopo  la  sua  inco- 
ronazione il  nuovo  Pontefice  pro- 
mosse i  due  primi  Cardinali;  e  Fran- 
cesco Condulmieri,  nobile  veneziano, 
figlio  di  suo  fratello,  fu  tra  que- 
sti. Siccome  stava  oltiemodo  a  cuore 
ad  Eugenio  IV  la  riduzione  degli 
ussiti  alla  vera  fede,  così  nell'an- 
no slesso  i43 1  confermò  la  lega- 
zione del  Cardinale  Giuliano  Cesa- 
rmi, già  deputato  da  Martino  V, 
a  celebrare  in  suo  nome  nella  cit- 
tà di  Basilea  il  concilio  generale 
da  lui  stabilito.  Ed  infatti  nel  gior- 
no 23  luglio  dell'anno  medesimo 
avea  avuto  principio;  quando  il 
Papa,  per  nuove  ragioni  insorte, 
ordinò  che  fosse  sospeso  e  fra  due 
anni  trasferito  da  Basilea  a  Bolo- 
gna. Si  opposero  a  tale  decreto  i 
padri  di  Basilea,  e  però  nel  i432 
lo  continuarono,  come  aveano  co- 
minciato. 

Mosso  Eugenio  IV  dal  più  forte 
timore  di  un  nuovo  scisma  ne  per- 
mise la  continuazione,  e  tanto  più 


i8a  EUG 

che  tale  era  il  desiderio  di  Sigi- 
smondo re  de 'romani,  cui  egli  co- 
ronò in  Roma  coll'insegne  imperiali, 
nell'ultimo  giorno  di  maggio  i433, 
cerimonia  che  fu  soggetto  all'immen- 
so affollato  popolo  della  più  viva 
commozione  e  meraviglia  nel  ve- 
dere che  T  imperatore,  giusta  il 
consueto  rito,  colla  corona  d'oro 
in  capo  serviva  di  palafreniere  a 
sua  Santità  mentre  montava  a 
cavallo,  e  glielo  conducea  per  tre 
passi ,  montando  poscia  anch'egli 
sul  suo  destriere  alla  sinistra  del 
Papa  ed  accompagnandolo  fino  a 
Castel  sant'  Angelo,  ove  preso  da 
lui  commiato,  Cesare  prosegui  fi- 
no al  palazzo  lateranense,  dopo 
avere  creato  sul  ponte  più  cava- 
lieri. 

Nell'anno  i4^4  Eugenio  IV  ri- 
mise nel  primiero  stato  i  Cardinali 
Ugo  Lusignano  fratello  del  re  di 
Cipro,  Giovanni  da  Casanuova,  e 
Domenico  Capranica,  quando  i  ro- 
mani sollevaronsi  contro  di  lui,  per 
li  danni  che  riportarono  da  Nicolò 
Fortebraccio  ;  quindi  gli  tolsero  a 
forza  dal  suo  lato  il  Cardinale 
Condulmieri  suo  nipote,  lo  posero 
in  custodia,  ed  attorniarono  di  gen- 
te armata  il  palazzo  pontificio.  E 
già  aveano  premeditato  il  reo  dise- 
gno di  dare  il  Papa  in  mano  di  Fi- 
lippo duca  di  Milano  insieme  colla 
città  di  Roma,  e  nel  palazzo  tradur- 
lo de'ss.  apostoli  abitato  già  da  Mar- 
tino V,  e  quivi  tenerlo  prigione  finche 
il  duca  ed  il  concilio  di  Basilea  a- 
vessero  stabilito  ciò  che  di  lui  dovea- 
si  fare;  se  non  che  fatto  Eugenio 
IV  consapevole  di  tutta  la  trama, 
travestito  da  monaco,  in  una  barchet- 
ta giù  pel  Tevere  se  ne  fuggì.  Giunto 
ad  Ostia,  ma  inseguito  da'romani, 
salì  su  di  una  galera,  colla  quale 
per  Civitavecchia  prese  terra  in  Pi- 


EUG 

sa,  quindi  pochi  giorni  dopo  passò 
a  Firenze,  ove  giunse  a'^3  di 
giugno,  mandando  così  a  vuoto  le 
insidie  dei  romani,  i  quali  anzi 
furono  poscia  soggiogati  dalle  trup- 
pe pontificie,  comandate  da  Gio- 
vanni Vitelleschi  degli  Orsini,  ve- 
scovo di  Recanati ,  uomo  de'più 
periti  negli  affari  di  guerra,  che 
allora  si  trovasse  in  Italia.  Cadde 
ben  tosto  la  giusta  pena  sopra  il 
capo  de' sediziosi  chiamato  Poncel- 
letto,  e  fu  innalzato  all'  onore  di 
maresciallo  di  Roma  Gaspare  di 
Gio.  di  Lello  Petroni,  pei  distinti 
servigi  prestati  al  Pontefice  nella 
ricuperazione  della  città,  e  libe- 
razione del  Cardinale  Camerlengo 
suo  nipote.  Se  non  che  ben  pre- 
sto nell'anno  seguente  i435  nuovi 
disastri  insorsero  ad  agitare  l'ani- 
mo del  buon  Pontefice.  Mentre  Eu- 
genio IV  stava  in  Firenze,  ivi  pure 
trova  vasi  il  vescovo  di  Novara,  spedi- 
to come  ambasciatore  dal  duca  di 
Milano  per  trattare  col  santo  Padre 
della  pace.  Sedotto  questi  da  cer- 
to Riccio  spagnuolo,  astuto  maestro 
di  tradimenti,  tese  insidie  ad  Euge- 
nio IV,  e  mentre  trovavasi  a  s.  An- 
tonio fuori  delle  mura,  lo  voleva 
tradurre  col  soccorso  di  Nicolò  Pic- 
cinino, nello  stato  del  duca  Filip- 
po Maria;  ma  scoperta  la  trama 
perchè  trattata  fra  molti,  il  vesco- 
vo fellone  fu  accomiatato  dalla  cor- 
te, esperimentando  la  generosa  cle- 
menza del  Pontefice ,  ottenutagli 
dal  b.  Cardinale  Albergati.  Poco 
dopo  ebbe  Eugenio  IV  il  conforto  di 
vedere  ritornati  alla  sua  ubbidien- 
za i  bolognesi,  e  restituitagli  con 
pubblica  scrittura  la  signoria  di 
quella  città,  ciò  che  altresì  fecero 
quelli  di  Città  di  Castello,  ed  i 
Malatesta,  che  aveano  occupata  la 
città  di  Pesaro. 


ELG 

Successe  in  questo  mentre  il  gior- 
no   1 1    di  febbraio  la  morte    della 
regina  di  Napoli  Giovanna  II,  e  le 
ragioni  di    questo  reame    apparte- 
nevano alla   santa    Sede,  non  solo 
per    l'accordo    fatto   tra  la  Chiesa 
romana  e  Carlo  I  d'Angiò,   ma  si 
ben  anche    per  quello    confermato 
da  suoi    successori  e  da   Giovanna 
medesima,  ultima    della    stirpe    di 
Carlo.  Tornato  quindi  Eugenio  IV 
al  potere  supremo  di  questo  regno, 
ne  stabilì  amministratore  il  Vitel- 
leschi,  vescovo  di  Recanati,  avver- 
tendo i    napoletani  a  non  ricevere 
come    re,    se   non    chi   egli  stesso, 
secondo  l'antico  costume,  avesse  no- 
minato.   Ma  questi    poco    curando 
le  ragioni  del   Pontefice,  parte  in- 
vitarono   allo    scettro  Renato,  fra- 
tello del  defunto  Lodovico  d'Angiò, 
e  parte  Alfonso  V,  re  di  Aragona,  il 
quale,  accompagnato  da' suoi  fratel- 
li Giovanni  II,  re  di  Na varrà,  Enri- 
co,  e  Pietro,  assediò  con  numerosa 
armata  la  città  di   Gaeta,  ove  essi 
con    molti    altri    signori    restarono 
prigioni  dell'armata  de'genovesi  che 
vi  avea  inviato  il  duca  di  Milano,  il 
quale  generosamente  li  trattò  e  ri- 
mise nella  primiera  libertà.  Il  san- 
to Padre   colla    maggior  parte  del 
regno  si  mise  a  proteggere  Renato, 
ne  lo  invitò    con  lettere  al  posses- 
so di  quel  regno,  e  perciò  replica- 
te istanze    diresse   a    Filippo  duca 
di  Borgogna,  onde  dalla    prigionia 
lo  sciogliesse,  in  cui  giaceva. 

Oppresso  da  tante  cure  il  Pon- 
tefice, il  giorno  18  aprile  del  i436, 
da  Firenze  si  portò  a  Bologna.  Fu 
in  questo  tempo  che  i  cittadini  di 
Forlì,  essendo  stati  sconfitti  da  Fran- 
cesco Sforza,  generalissimo  dell'e- 
sercito della  Chiesa  e  gonfalonie- 
re di  essa,  si  sottoposero  dr  nuovo 
ad  Eugenio  IV,  e  n'ebbero  l'assolu- 


EUG  i83 

zione  da  ogni  pena  contro  di  essi 
stabilita.  11  prode  Vitelleschi  poi 
soggiogò  la  città  di  Palestrina,  e  do- 
mò Lorenzo  Colonna,  abbattendone 
interamente  la  rocca,  c'entro  delle 
sue  scorrerie  sul  territorio  romano. 

In  tutte  queste  mosse  altro  non 
avea  a  fine  il  santo  Padre  che  la 
pace  non  solo  propria,  ma  bensì 
anche  universale.  E  fu  perciò  che 
tutto  si  diede  all'opera  di  pacifi- 
care i  francesi  cogli  inglesi  ;  ma  la 
pertinacia  degli  odii  o  1' ambizione 
mandarono  a  vuoto  ogni  suo  sfor- 
zo. Accordò  benignamente  con  sua 
bolla  ad  Odoardo  re  di  Portogal- 
lo di  fare  la  sacra  guerra  agli  a- 
fricani ,  ma  colla  condizione  che 
non  tornasse  a  pregiudizio  di  ve- 
run  altro  re  cristiano ,  ne  fosse 
quindi  causa  di  nuove  dissensioni. 
Neil'  occasione  della  lite  insorta  fra 
Giovanni  re  di  Castiglia  ed  il  pre- 
detto re  portoghese  sulle  isole  Ca- 
narie, ove  viveano  schiavi  i  neofiti 
sottommessi  da'  cristiani,  Eugenio 
vietò  tale  servitù,  sotto  gravissime 
pene,  intimando  puranche  con  le 
piti  forti  minaccie  ad  Odoardo  ed  a 
Jacopo  II  re  di  Scozia,  eli  rivocare 
gli  editti  pubblicati  contro  l'immu- 
nità ecclesiastica.  Nel  giorno  poi 
9  agosto  del  i4^7  innalzò  al  Car- 
dinalato il  solo  Giovanni  Vitelli  Vi- 
telleschi, celebre  nella  storia  di  quei 
tempi. 

Tale  si  era  e  così  infelice  la  si- 
tuazione di  Eugenio  IV,  che  gli  fu 
d'uopo  approvare  tutto  quanto  sta- 
bilivasi  nel  concilio  di  Basilea.  E 
già  coi  suo  estorto  consenso  dalla 
sessione  XVII  erano  giunti  que'pa- 
dri  alla  XX V  celebrala  a  7  maggio 
1437.  Quando  insorta  questione 
fra  essi  sopra  il  luogo  in  cui  do- 
veasi  celebrare  il  concilio  per  la 
riunione  de'greci,  i  quali  aveanori- 


184  EUG 

fiutato  BariUn,  Eugenio  IV  trovan- 
dosi in  Bologna,  nel  primo  ili  ot- 
tobre del  1437  ordinò  che  si  riu- 
nisco il  concilio  in  Ferrara,  ove 
trasferi rotisi  la  maggior  parte  dei 
padri,  e  nel  principio  dell  anno  se- 
guente vi  si  diede  principio.  11  Pa- 
pa medesimo,  ai  1 5  di  febbraio, 
assistè  alla  seconda  sessione  con 
settautadue  vescovi  :  e  nel  giorno 
4  di  marzo  vi  giunse  puranche 
Giovanni  VII  Paleologo,  impera- 
tore d'oriente,  accompagnato  da 
suo  fratello  Demetrio,  da  cinquanta 
e  più  arcivescovi  ed  altri  prelati 
greci,  e  da  più  di  settecento  per- 
sone di  comitiva.  Narrasi  ch'egli 
avesse  montato  sulle  galere  del  Pa- 
pa, rifiutando  quelle  inviategli  dai 
padri,  ch'erano  ostinatamente  ri- 
inasti  in  Basilea,  come  abbiamo  da 
Andrea  di  s.  Croce,  pag.  70  Ad. 
conc.  Fior. 

Assalita  in  questo  tempo  la  cit- 
tà di  Ferrara  dalla  peste,  Eugenio 
IV  fu  costretto  a  trasferire  il  con- 
cilio in  Firenze  nell'anno  14^9, 
ov'  egli  stesso  si  condusse  dopo  se- 
dici sessioni  tenute  in  Ferrara.  A 
questo  nuovo  concilio  generale  XVI 
presedette  il  Papa  coli' intervento 
di  centoquaranta  vescovi ,  e  del 
suddetto  imperator  greco.  In  esso 
si  pubblicò  il  decreto  dell'  unione 
de'  greci  sottoscritto  dal  Papa,  dai 
deputati  delle  due  Chiese  greca  e 
latina,  e  dallo  stesso  Paleologo,  che 
lo  segnò  con  inchiostro  rosso  al- 
l' uso  degl'  imperatori  greci.  Ma 
riuscì  vana  ogni  cosa.  Mentre  ri- 
tornati i  greci  alla  loro  patria,  mos- 
si da  Marco  vescovo  d' Efeso,  il 
quale  avea  ricusato  di  sottoscriver- 
ne il  decreto,  nel  1 44^  ritornaro- 
no all'antico  scisma,  nel  quale  in- 
sistono tutt'ora,  dopo  la  decima- 
quinta  volta,  secondo  alcuni,    che 


EUG 

s'  erano    riconciliati  colla  Chiesa  la- 
tina. 

Intanto  si  proseguiva  il  concilio 
di  Basilea,  divenuto  conciliabolo  do- 
po la  partenza  del  Cardinale  Ce- 
sarmi legato.  Carlo  VII  re  di  Fran- 
cia, nel  i438,  estrasse  da'  decreti 
di  questo  conciliabolo  la  celebre 
prammatica  sanzione  divisa  in  tren- 
totto articoli  e  condannata  da  Eu- 
genio IV.  Nell'anno  seguente  i439, 
i  pochi  padri  di  Basilea,  cioè  undi- 
ci vescovi,  sette  abbati  e  quattor- 
dici dottori  col  presidente  Lodovi- 
co Alamand  Cardinale  d'Arles,  do- 
po avere  dichiarato  come  verità  di 
fede  nell'ultima  sessione  33,  che 
l'autorità  del  concilio  generale  era 
superiore  a  quella  del  sommo  Pon- 
tefice, ed  opposti  ad  Eugenio  IV 
diversi  capi  di  accusa,  lo  degradaro- 
no dal  pontificato  ,  sostituendogli 
l'antipapa  Felice  V.  Intrepido  il 
buon  Pontefice,  nel  i44°  scomu- 
nicò l'antipapa  co' suoi  fautori,  ed 
annullò  tutte  le  sentenze  date  dai 
basileesi  dopo  la  transazione  del 
concilio  a  Ferrara. 

Nell'anno  1 439,  a' 18  dicembre, 
mentre  celebrava  il  concilio  in  Fi- 
renze, fece  il  santo  Padre  la  terza 
promozione  di  diciassette  Cardina- 
li, ed  ai  22  di  giugno  dell'anno 
seguente  la  quarta  di  altri  due; 
cioè  del  famoso  Scara m pò  Mezza- 
rota,  e  del  suo  nipote  Pietro  Bar- 
bo, poi  Pontefice  Paolo  11.  Confer- 
mò tutti  i  privilegi  dell'  università 
di  Padova,  concessi  da  Urbano  IV 
e  Clemente  VI,  ed  institui  in  Fi- 
renze una  scuola  di  chierici  gra- 
tuitamente mantenuti  ed  istruiti 
perchè  avessero  ad  assistere  ai  di- 
vini uffizi.  Durante  il  medesimo  con- 
cilio, dopo  la  partenza  dei  greci 
da  Firenze,  Eugenio  IV  pubblicò 
il   rinomalo  decreto,  in    cui  islrui- 


EUG 
va  e  riceveva  nella  Chiesa  roma- 
na gli  armeni  ,  che  per  ambascia- 
tóri gliel'avevano  richiesto.  V .  Ber- 
nino,  Storia  dell'  eresìe,  tom.  IV, 
p.  1 34-  Perchè  poi  questo  conci- 
lio acquistasse  sempre  più  di  au- 
torità io  trasferì  da  Firenze  a  Ro- 
ma nell'anno  i442?  ove  1°  si  Pr0" 
seguì  di  una  sola  sessione  nella  ba- 
silica lateranense. 

In  quest'anno  stesso  partendo 
Eugenio  IV  da  Firenze,  si  portò  con 
ventiquattro  Cardinali  a  Siena,  do- 
v'era  stato  vescovo.  Vi  soggiornò 
sei  mesi ,  e  quindi  passò  al  con- 
vento di  Lecceto ,  a  cui  con  due 
bolle  dei  6  settembre  i442  con" 
cesse  molti  privilegi,  e  così  purea 
tutta  la  congregazione  agostiniana. 
In  Siena  benedisse  la  rosa  d'  oro  , 
e  la  donò  a  Rinaldo  signore  di 
Piombino,  generale  de'  senesi.  Qui- 
vi fu  visitato  da'  signori  di  Man- 
tova e  di  Urbino,  e  vi  fece  pace  e 
lega  col  re  Alfonso  di  Napoli,  e 
col  duca  di  Milano,  secondochè 
narra  il  Gigli,  Diar.  Sanese,  tom. 
II,  pag.  1 64-  Quindi  si  restituì  in 
Roma  a' 21   settembre    i443- 

In  mezzo  alle  tante  angoscie  da 
cui  era  di  continuo  oppresso,  ebbe 
in  quest'anno  il  Pontefice  la  con- 
solazione di  riunire  alla  nostra  re- 
ligione prima  i  giacobiti ,  a'  quali 
diede  per  quest'oggetto  un  istrut- 
tivo ed  esemplare  decreto,  e  po- 
scia gli  abissini  o  siano  etiopi,  l'im- 
peratore de'  quali  Costantino  Zara 
Jacopo,  volgarmente  detto  Pre- 
te Gianni,  invitato  dal  santo  Pa- 
dre a  ricevere  la  benedizione  cat- 
tolica, gli  spedì  a  tale  effetto  i 
suoi  ambasciatori,  che  da  Eugenio 
furono  accolti  in  Roma  con  parti- 
colare tenerezza.  Nelle  porte  di 
bronzo  della  basilica  vaticana,  fat- 
te da    questo    Pontefice,    leggonsi 


EUG  i85 

quei  versi  che  analogamente  a  tale 
ambasceria  riportammo  al  voi.  I, 
pag.  1*6  del  Dizionario. 

Se  non  che  nuovi  perigli  ed  am- 
bascie  insorsero  ad  affliggere  l' a- 
nimo  del  Pontefice.  Alfonso  V  re 
di  Aragona,  dopo  di  avere  nel  i442 
stretta  di  assedio  la  città  di  Na- 
poli, ai  28  di  giugno  vi  entrò  trion- 
fante a  fronte  del  rinforzo  cui  per 
ordine  di  Eugenio  IV  vi  recarono  i 
genovesi.  Mancando  quindi  il  santo 
Padre  di  forze  bastevoli  a  scac- 
ciamelo dall'usurpato  regno,  ed  a 
riacquistare  le  molte  città  dello  sta- 
to ecclesiastico  da  lui  per  frode  oc- 
cupate, tentò  ogni  mezzo  a  vin- 
cerlo colla  dolcezza.  Quindi  creollo 
bentosto  gonfaloniere  della  Chiesa  : 
ma  proseguendo  egli  nelle  sue  ree 
imprese  e  tradimenti,  Eugenio  IV 
ne  lo  privò  dell'uffizio  di  gonfalonie- 
re, lo  spogliò  d'ogni  diritto,  che 
come  feudatario  della  Chiesa  ro- 
mana avea  acquistato,  e  lo  sotto- 
mise ad  altre  pene.  Vedendo  però 
il  santo  Padre  che  nulla  di  ciò 
rimuoveva  l'Aragonese,  e  temendo 
ch'egli  si  unisce  all'antipapa  Feli- 
ce V,  col  quale  già  di  ciò  comin- 
ciava a  trattare,  nel  i44^  prese 
il  consiglio  di  dargli  in  feudo  il 
regno  di  Napoli,  ch'egli  a  forza 
s'era  sottom  messo,  con  una  bolla  si- 
mile a  quella,  con  cui  Clemente  IV 
l'avea  dato  a  Carlo  I,  siccome  si 
legge  nel  Biondo,  dee.  4j  nD«  I* 

Quantunque  da  simili  ed  altre 
cure  occupato  ed  oppresso  il  Pon- 
tefice, stavagli  oltremodo  a  cuore 
l'abbattimento  de'  turchi ,  già  vin- 
ti dal  prode  Scanderberg.  A  tale 
fine  nell'anno  1 44^  inviò  lettere 
interessantissime  a  tutti  i  cristiani, 
perchè  avessero  a  prendere  le  armi 
contro  di  essi.  Quindi  nell'  anno  se- 
guente somministrò  ad  Uladislao  re 


i86  EUG 

di  Ungheria ,  con  cui  il  soldano 
Amurat  11  guerreggiava,  grande 
copia  eli  denaro,  col  quale  si  as- 
soldò un  possente  esercito  nella 
Dalmazia ,  nel  regno  di  Napoli,  e 
nella  Fiandra,  diviso  in  due  cor- 
pi ,  uno  per  mare,  V  altro  per  ter- 
ra, al  primo  de'quali  fu  destinalo 
come  legato  il  Cardinal  Condulmie- 
ri,  al  secondo  il  Cardinale  Giulia- 
no Cesarini,  il  quale  nella  vittoria 
de'  turchi  restò  ucciso  coll'anzidetto 
Uladislao ,  il  giorno  io  novembre 
del  i444>  come  abbiamo  da  Enea 
Silvio,  Europ.,  e.  4-  Fu  circa,  que- 
sto tempo  che  il  santo  Padre  de- 
cise la  lite  fra  gli  ambasciatori  del 
re  di  Castiglia  e  di  Aragona,  so- 
pra la  preminenza  del  luogo  nel- 
le cappelle  papali,  rimanendo  per 
sentenza  di  Eugenio  IV  il  Casiglia- 
no nel  possesso  del  primo  luogo  : 
come  pure  fece  la  quinta  promozio- 
ne creando  Cardinale  Alfonso  Bor- 
gia, che  fu  poscia  Pontefice  col 
nome  di  Calisto  III. 

Nell'anno  i44^  arrido  il  re  Ste- 
fano Tommaso  abiurati  gli  errori 
de'  manichei,  ebbe  Eugenio  IV  il 
dolce  conforto  di  ricevere  nell'unio- 
ne della  Chiesa  romana  gli  scismatici 
dell'  isola  di  Cipro,  e  della  Bosnia. 
Se  non  che  gli  sopraggiunsero  ben 
tosto  nuove  afflizioni  per  parte  de- 
gli scismatici  di  Basilea,  quantun- 
que colla  maggiore  dolcezza  e  di- 
ligenza procurasse  di  ridurneli  alla 
vera  pace.  Ed  infatti  avea  egli  be- 
nignamente assolto  dalle  incorse 
censure  Ottone  vescovo  di  Tortosa, 
il  quale  abbandonato  l'antipapa, 
rifiutò  il  falso  titolo  cui  avea  ricevuto 
di  Cardinale:  e  simile  perdono  con- 
cesse ad  Enea  Silvio  Piccolomini, 
invialo  ambasciatore  a  Roma  da  Fe- 
derico III  re  dei  romani,  il  quale  era 
incorso  nelle  censure  per  avere  spal- 


EUG 
leggiate   il    conciliabolo    di  Basilea 
(  V.  Enea  Silvio,   Comment.  de.  re- 
bus Basileae  gestis,  pag.  108).  An- 
che nella  Germania  nell'anno  1446 
suscitaronsi  nuovi  nemici  contro  di 
Eugenio  IV,  per  la  deposizione  da  lui 
fa  Ha  dei  due  arcivescovi    di  Colo- 
nia e  di  Treveri,  per  essere    stati 
favorevoli  al  concilio  di  Basilea  ed 
a  lui  nemici.   Efficacissima    fu   per 
allro  la  mediazione  di  Enea  Silvio, 
ambasciatore  di  Cesare  appresso  il 
Pontefice,    a  rimetterneli,  in  vista 
appunto    della    cotanto    desiderata 
concordia ,    la    quale    fu  conchiusa 
per  opera  di  Giovanni  Carvajal    e 
di    Tommaso  Parentuccelli.     Colla 
bolla  pubblicata  al  solito  nel   gio- 
vedì santo  contro   gli    eretici,   sci- 
smatici ed  usurpatori  delle  ragioni 
della  Chiesa,  furono  colpiti  l' anti- 
papa, e  Francesco  Sforza    usurpa- 
tore della  Marca,   sostenuto  e  soc- 
corso   dai    fiorentini  ;    motivo    per 
cui  il  santo  Padre,  riuscendo   inu- 
tile ogni  sua  preghiera,  incitò  Al- 
fonso V  re  di  Aragona  perchè    ne 
li  facesse  desistere  dal  soccorrerlo. 
Nel  giorno    16  di  dicembre  del 
i446  Eugenio  IV  fece  la  sesta  pro- 
mozione di    quattro  Cardinali,  fra  i 
quali  il  detto  Tommaso  Parentuc- 
celli, che  fu  suo  immediato  succes- 
sore, col  nome  di  Nicolò  V.  Nell'an- 
no seguente   poi,  al  primo  di  feb- 
braio, canonizzò  nella  basilica    va- 
ticana s.  Nicolò    di  Tolentino  [V. 
Ridolfìno  Venuti,  Numism.  Pontif. 
Roman.  ,  pag.  9  ).  Consumato  da- 
gli affanni  del   suo    torbido    ponti- 
ficato, cadde  finalmente  Eugenio  IV 
nello  stesso  mese  ed  anno  ammala- 
to,   e   per    molti    giorni    contrastò 
colla  morte.  Ed  essendogli  già  im- 
minente, per  non  lasciare  occasio- 
ne a  continuarsi    lo  scisma,  aven- 
do   riprovati  i    decreti  di    Basilea, 


EUG 

formati  col  nome  di  concilio  gene- 
rale, ordinò  con  sua  bolla,  che  il 
suo  successore  fosse  eletto  a  nonna 
delle  leggi  di  Gregorio  X  nel  con- 
cilio di  Lione,  e  di  Clemente  V 
in  quello  di  Vienna,  esortando  nel 
tempo  stesso  i  Cardinali  ad  eleg- 
gere un  Pontefice  degno  di  soste- 
nere la  dignità  della  santa  Sede. 
Munito  quindi  dei  ss.  sagramenti 
mori  nel  bacio  del  Signore,  fra  le 
braccia  di  s.  Antonino,  nel  giorno 
23  febbraio  i447>  contando  anni 
sessantaquattro  di  età,  e  quasi  se- 
dici di  governo,  cioè  meno  dieci 
giorni.  Fu  egli  l'unico  Pontefice 
a  cui  ricorsero  due  Augusti  greco 
e  latino,  per  riconoscerlo  padre  e 
pastore  universale  ,  come  osserva 
Paolo  Emilio,  De  reb.  gestis  Frati- 
cor. ,  lib.  io,  pag.  225.  L'udi- 
tore di  rota  Malatesta,  ed  il  Car- 
dinale Parentuccelli  gli  fecero  l'o- 
razione funebre ,  ed  il  suo  cor- 
po fu  in  piana  terra  sepolto  nel 
Vaticano,  accanto  al  sepolcro  di 
Eugenio  III,  com'  egli  avea  ordi- 
nato a'suoi  famigliari,  in  un  mo- 
destissimo avello,  il  quale  poi  dal 
Cardinale  Condulmiero  suo  nipote 
fu  ridotto  in  magnifico  deposito; 
ma  nella  riedificazione  di  questa 
basilica  fu  questo  deposito  traspor- 
tato alla  chiesa  di  s.  Salvatore  in 
Lauro,  ove  officiarono  per  duecento 
sessantasei  anni  i  canonici  di  san 
Giorgio  in  Alga  da  lui  medesimo 
istituiti. 

Era  Eugenio  IV  di  statura  grande 
e  di  animo  sempre  eguale,  di  aspet- 
to grave  ed  estenuato,  di  poca  let- 
teratura, ma  insigne  storico;  ma- 
gnifico nel  ristoramento  delle  chie- 
se e  ornamenti  di  Roma,  in  mezzo 
alla  quale  alzò  1'  edifìcio  dell'uni- 
versità chiamata  Sapienza j  protetto^ 
re  de'virtuosi  e  de'letterali  ;  disinle- 


EUG  187 

ressato  copnrenli  ;  mantenilore  del- 
la pace  e  della  giustizia,  zelante 
propagatore  della  religione  cattoli- 
ca, e  pronto  in  ogni  occasione  al 
soccorso  de'poverelli.  Ebbe  presso 
di  lui  onestissimi  e  zelanti  fami- 
gliari, da  cui  voleva  essere  infor- 
mato delle  cose,  per  prenderne 
provvidenza.  In  una  parola  Euge- 
nio IV  fu  uno  de'più.  grandi  Pon- 
tefici, benché  uno  de' meno  felici, 
siccome  pur  notò  sant'  Antonino, 
part.  3,  tit.  22,  cap.  2.  Vacò  la 
santa  Chiesa  dieci  giorni. 

EUGENIO  Romano,   Cardinale. 
V.  Eugenio  II  Papa  CU. 

EUGENIO,  Cardinale.  Eugenio 
assunto  al  vescovato  di  Ostia,  fu 
delegato  nell'878  da  Giovanni  Vili 
alla  corte  dell'  imperatore  Basilio 
in  qualità  di  legato  Pontificio,  assie- 
me al  vescovo  di  Ancona,  per  ri- 
chiamare all'antico  lustro  quel  cle- 
ro decaduto  nel  costume,  e  nel 
domma,  e  per  togliere  le  dissen- 
sioni che  incominciavano  a  produr- 
re i  nuovi  insegnamenti  dell'em- 
pio Fozio  ,  e  riordinare  la  di- 
sciplina ecclesiastica.  Sedotto  però 
da  quell'eresiarca,  finse  di  essere 
stato  spedito  per  deporre  il  pa- 
triarca legittimo  s.  Ignazio,  e  so- 
stituirvi il  già  discacciato  Fozio. 
Presiedette  ancora  al  conciliabolo 
per  tal  motivo  raccolto;  ma  fu  se- 
veramente condannato  dal  Pontefi- 
ce, il  quale  tuttavolta  perchè  ri- 
parasse al  mal  fatto,  lo  destinò 
nella  nuova  legazione  pel  medesi- 
mo oggetto,  e  in  quella  presso  ai 
bulgari,  nelle  quali  si  diportò  con 
zelo  e  sollecitudine  veramente  ec- 
clesiastica, e  riparò  agli  scandali 
che  dato  aveva.  Né  altro  dice  il 
Cardella  di  lui. 

EULALIA   da    Barcellona    (s.). 
Al     tempo     della    persecuzione    di 


i88  EUL 

Diocleziano,  sostenne  questa  santa 
vergine  il  martirio  in  Barcellona. 
Ella  è  la  principale  protettrice  di 
<|tusla  città,  ed  ivi,  come  dicemmo 
all'articolo  Barcellona  (Vedi),  con 
mnm  venerazione  si  custodiscono 
le  sue  reliquie.  La  sua  festa  viene 
celebrata   il  dì    1 1   febbraio. 

EULALIA  (s.).  In  Merida,  ca- 
pitale della  Lusitania  in  Ispagna , 
nacque  Eulalia.  Allevata  nella  cat- 
tolica religione,  dotata  di  un'in- 
dole dolce,  e  di  una  rara  mode- 
stia, diede  ancor  giovinetta  a  co- 
noscere quanto  ella  amasse  la  vir- 
ginità. Non  avea  Eulalia  ancor 
tocchi  gli  anni  dodici,  che  dall'im- 
peratore Diocleziano  sentì  intima- 
to a  tutti  i  cristiani  un  editto  di 
sacrificare  agl'idoli.  Eulalia  anziché 
spaventarsi,  sentì  in  suo  cuore  l'ar- 
dore del  martirio,  e  trascurando 
le  premure  della  madre,  che  vole- 
va sottrarla  dal  pericolo,  di  notte- 
tempo ella  fuggì,  ed  il  dì  vegnen- 
te si  presentò  al  tribunale  del  giu- 
dice per  nome  Daciano.  Ivi  con 
eroica  fermezza  lo  rimproverò  di 
perseguitare  i  seguaci  della  vera 
religione  e  lo  rinfacciò  di  sua  em- 
pietà. Daciano  sorpreso  da  un  sì 
generoso  ardimento,  volle  lusingar- 
la sulle  prime  a  mutare  consiglio, 
ina  inutili  riuscendo  le  sue  am- 
monizioni, passò  alle  minaccie,  e 
posti  sotto  gli  occhi  di  lei  gli 
stromenti,  coi  quali  sarebbe  tor- 
mentata, la  invitò  ancora  ad  ob- 
bedire al  sovrano  comando.  Eula- 
lia a  tutto  resistè,  ed  intanto  che 
due  carnefici  con  uncini  di  ferro 
le  laceravano  i  fianchi,  e  le  scopri- 
vano le  ossa,  ella  vide  in  quelle  pia- 
ghe i  trofei  di  Gesù  Cristo,  e  die 
gloria  al  suo  Signore,  senza  man- 
dare un  lamento.  Assoggettata  per 
ultimo    a    morire    fra    le    fiamme, 


EUL 

ella  spirò,  ed  è  onorata  dalla  Chie- 
sa per  vergine  e  martire  il  dì  20 
dicembre. 

EULALIO,  Cardinale.    V.   Eu- 
lalio   Antipapa. 

EULALIO  Antipapa.    V.   Anti- 
papa III. 

EULOGIE  (Eulogia).  Questa 
parola  deriva  da  un  vocabolo  gre- 
co che  significa  benedizione  o  mu- 
nificenza; e  siccome  tal  nome  si 
diede  ai  pani  benedetti,  dalla  be- 
nedizione che  si  faceva  con  orazio- 
ni, si  prese  il  segno  per  la  cosa 
segnata.  L'apostolo  s.  Paolo  die 
questo  nome  all'eucaristia,  Cor.  I, 
cap.  io,  v.  16;  ma  poscia  si  chia- 
marono eulogie  diverse  cose  bene- 
dette, come  il  pane,  il  vino,  ed 
altre  vivande  che  si  distribuivano 
(ed  il  pane  finita  la  messa)  a  quel- 
li ch'erano  presenti  alla  chiesa,  co- 
me una  specie  di  supplimento  del- 
l'eucaristia,  o  che  si  mandavano 
agli  assenti  in  segno  di  comunio- 
ne. Le  eulogie  che  davansi  come 
un  supplimento  dell'  eucaristia,  e 
che  consistevano  in  pani  benedetti, 
si  distribuivano  colle  stesse  cerimo- 
nie esterne  dell'  eucaristia  medesi- 
ma. Bisognava  essere  digiuni  per 
mangiarne,  non  si  davano  né  agli 
infedeli,  ne  ai  cristiani  scomunicati. 
Quello  che  davasi  a'eatecumeni,  che 
sant'Agostino  chiama  Eulogia,  ed 
una  specie  di  sagramento,  era  il 
sale  benedetto  che  loro  ponevasi  nel- 
la bocca,  il  latte  e  il  mele  che  pur 
davansi  loro  benedetti,  per  denotare 
la  loro  infanzia  nello  spirito.  V. 
l'Albaspina,  nelle  sue  Osservazioni 
de' sagri  riti,  lib.  2,  osserv.  35 
e  36.  Il  Berlendi,  con  altri,  è  di 
opinione  che  la  Chiesa  latina  desse 
le  eulogie  pure  a'eatecumeni,  seb- 
bene fossero  congedati  dalla  chiesa 
prima  della  presentazione  delle  ob- 


EUL 

blazioni,  ed  opina  che  come  con- 
servavasi  l'eucaristia  per  comuni- 
care gli  energumeni,  che  non  era- 
no presenti  ne  alle  obblazioni,  né 
al  sagrifizio,  così  potessero  conser- 
varsi pei  catecumeni,  e  che  fossero 
quegli  alimenti  chiamati  minuti  sa- 
gramene, mentre  il  sale  davasi  so- 
lo ne'giorni  solennissimi  di  Pasqua. 
Avverte  il  medesimo  Berlendi,  che 
veramente  l'eulogie  erano  di  solo 
pane,  distribuendosi  il  vino  ed  al- 
tro quale  eulogia  solo  dalla  Chiesa 
alessandrina,  e  da  poche  altre  chiese. 
Siccome  in  progresso  di  tempo 
non  si  poteva  spedire  l'eucaristìa 
tanto  ai  vicini,  che  ai  lontani,  per 
gl'inconvenienti  che  potevano  acca- 
dere, specialmente  nel  tempo  delle 
persecuzioni,  così  verso  il  quarto 
secolo,  e  nel  suo  principio,  venne- 
ro sostituiti  i  pani  benedetti,  o  eu- 
logie, in  segno  dell'unione  de'cuori 
che  regnava  tra  le  diverse  Chiese, 
e  la  reciproca  unione,  credenza  ed 
amicizia  de'cristiani,  e  qual  simbo- 
lo di  carità  e  di  pace;  tali  pure 
essendo  i  motivi  della  precedente 
trasmissione  della  eucaristia.  Al 
Pontefice  s.  Melchiade,  eletto  l'an- 
no 3 ii,  viene  attribuita  l'istituzio- 
ne delle  eulogie,  ossia  la  distribuzio- 
ne del  Pane  benedetto  [Vedi),  la 
quale  fu  poi  similmente  comandata 
da  s.  Silicio  Papa  del  385,  e  da 
s.  Innocenzo  1  del  402.  V.  il  San- 
dini, Vitae  Font.  t.  I,  p.  84.  Pe- 
rò riporta  il  Macri,  che  già  avea 
decretato  s.  Pio  I,  del  i58,  col 
cap.  4-  u  Ut  de  oblationibus  quae 
«  offeruntur  a  populo  et  consecra- 
»  tioni  supersunt,  vel  de  panibus, 
»  quos  deferunt  fideles  ad  Ecclesiam, 
»  vel  certe  de  suis  conveniente!* 
•'  partes  incisas  habeat  in  vaso  11  i- 
•>  tido ,  et  convenienti  ,  et  post 
«   missarum  solemnia,  qui  comuni- 


EUL  189 

«•  care  non  fuerint  parati,  eulogias 
»  omni  die  dominica,  et  in  die- 
»>  bus  festis  ex  inde  accipiant  ". 
V.  Eucaristia,  nonché  l'articolo  Mes- 
sa. Nella  liturgia  armena  si  dichia- 
ra, come  questa  distribuzione  di  pa- 
ne benedetto  sia  un  vivo  simbolo 
delle  molliche  che  desiderava  la 
Cananea  cadute  dalla  mensa  di  Cri- 
sto. 

Inoltre  il  Papa  san  Melchiade 
ordinò  che  i  preti  delle  parrocchie 
di  Roma  pigliassero  in  segno  di 
comunicazione  il  pane  dal  Pontefice 
benedetto,  per  quindi  distribuirlo 
al  popolo;  ed  Innocenzo  III  attesta 
che  tal  pane  lo  recavano  ai  preti 
da  parte  del  Papa,  gli  accoliti.  I 
Papi  usavano  mandare  delle  eu- 
logie ai  vescovi  più  lontani;  ed  i 
vescovi  e  i  sacerdoti  se  ne  man- 
davano pure  a  vicenda  gli  uni  a- 
gli  altri,  principalmente  nelle  gran- 
di feste,  come  al  Natale,  alla  Pa- 
squa ec.  I  semplici  fedeli  e  le  don- 
ne stesse  se  ne  mandavano  del  pa- 
ri. Ne'  monisteri  distribuivansi  le 
eulogie  nel  refettorio,  giacche  tutti 
i  religiosi  offrivano  alla  messa  con- 
ventuale dei  pani,  di  cui  consacra- 
vasi  una  parte  per  comunicare 
alcuni  fratelli.  Gli  altri  erano  be- 
nedetti per  essere  distribuiti  nel 
refettorio  a  quelli  che  non  si  era- 
no comunicati,  e  che  doveano  co- 
minciare dal  mangiar  questo  pane 
prima  del  pranzo.  Abbiamo  dal 
Surio,  i.°  marzo,  che  trovandosi  nel 
concilio  Aurelianense,  celebrato  nel 
54o,  fu  pregato  s.  Albino  vescovo 
Andegavense,  perchè  volesse  bene- 
dire alcune  eulogie  da  mandarsi 
ad  uno  scomunicato,  avendole  già 
benedette  altri  vescovi  ;  rispose  che 
lo  avrebbe  fatto  perchè  gli  si  co- 
mandava, ma  che  Dio  vi  avrebbe 
provveduto,  siccome  avvenne,  gtac- 


1 90  B  I    I  i 

che    lo    scomunicato     mori     piÌÈM 

ili  ricevere  le  dilogie. 

Nana  il  Baronio,  all'anno  645* 
che  il  Pontefice  Teodoro  1,  rice- 
vendo alla  comunione  cattolica  il 
penitente  Pirro  patriarca  Costanti- 
nopolitano, protettore  dei  monote- 
lili,  poi  convertito,  e  convinto  in 
pubblica  disputa  da  s.  Martino, 
non  solo  gli  restituì  la  dignità  pa- 
triarcale, ma  in  segno  di  maggior 
unione  e  comunicazione  lo  fece  se- 
dere sopra  la  cattedra  vicino  all'al- 
tare, e  distribuire  al  popolo  le  eu- 
logie. 

In  quanto  al  tempo  della  di- 
stribuzione, ordinò  il  concilio  Lao- 
diceno  col  can.  4*  cne  s*  faccia 
questa  distribuzione  di  pane  bene- 
detto dopo  la  messa,  eccettuando  il 
giorno  di  Pasqua  (  nel  quale  tutto 
il  popolo  doveva  ricevere  l'eucari- 
stia), e  il  tempo  quaresimale  per 
non  rompere  il  digiuno.  Allora, 
in  vece  del  pane,  il  sacerdote 
diceva  l' orazione  sopra  il  popolo, 
come  si  costuma  sino  al  presente  do- 
po la  comunione,  avendo  il  diaco- 
no pronunciato  le  parole  :  Humilia- 
te  capila  vestra  Deo.  Parlando  il 
Berlendi,  delle  obblazioni  all'altare, 
pag.  22,  del  cucchiaio  col  quale  si 
raccoglievano  i  frammenti  delle 
obblazioni  che  si  distribuivano  ai 
comunicanti,  dice  che  queste  par- 
ticole del  pane  consagrato  si  tro- 
vano, negli  antichi  secoli,  talvolta 
chiamate  col  nome  di  eulogie,  seb- 
bene ordinariamente  non  fossero  le 
eulogie  particole  della  sagra  comu- 
nione che  davasi  al  popolo,  ma 
una  semplice  loro  rappresentanza. 
Dappoiché  facendosi  tre  divisioni 
del  pane  che  veniva  offerto  all'al- 
tare, una  pel  celebrante,  l'altra  per  i 
comunicanti,  la  terza  che  sopra- 
vanzava, con  rito  solenne  benedetta, 


EUL 
tagliandi  in  molte  parti,  e  nel  fine 
«Itila  messa  distribuivasi  a  quelli 
ohe  non  volevano  o  non  potevano 
comunicarsi  ;  benché  si  legga  esse- 
re state  talvolta  date  anche  a  chi 
si  era  comunicato.  Queste  pro- 
priamente chiamavansi  eulogie,  che 
al  dire  del  Berlendi  significano  cibi 
benedetti,  a  questo  fine  introdotte, 
acciocché  facendo  le  veci  dell'eu- 
caristia, rappresentassero  quella  co- 
munione più  frequente,  che  prati- 
cavasi  per  innanzi  da'fedeli,  e  per- 
ciò chiamate  dai  greci,  Sacrimi  an- 
tidorum,  hoc  est  vice  doni,  dice  il 
p.  Morino. 

Abbiamo  detto  di  sopra  che  del- 
le eulogie  non  potessero  partecipa- 
re se  non  coloro  eh' erano  digiuni, 
e  che  avevano  diritto  alla  comu- 
nione, e  perciò  non  fu  stimato  de- 
gno Leudasse  di  riceverle  da  s. 
Gregorio  di  Tours  ;  tuttavolta  si 
davano  dai  greci  anche  ai  catecu- 
meni ed  agli  scomunicati  :  prò  cri- 
mine obstrictis,  dice  Germano  pa- 
triarca, haec  oblatio  sanctitate  re- 
dundans  alterili*  vice  sanctioris  in 
missa  solemnitalibiis,  substiliritiir,  et 
qfferturj  anzi  comandò  Niceforo  Ca- 
no,  dovere  i  delinquenti  partecipare 
Eidogiae  et  pani  confracto,  alla 
quale  eulogia  del  pane  univano  i 
greci  anche  quella  dell'acqua,  per 
imitare  la  comunione  sotto  le  due 
specie,  che  intendevano  coll'eulogie 
di  rappresentare.  Si  legge  nel  cita- 
to Macri,  che  la  cerimonia  di  di- 
stribuire il  pane  benedetto  si  man- 
tiene al  presente  nella  Chiesa  greca 
ed  armena.  E  ciò  esse  fanno  an- 
cora in  Roma  nelle  funzioni  solen- 
ni dopo  la  messa  cantata,  ed  in 
alcune  parti  si  fanno  ancora  dalla 
Chiesa  latina  particolarmente  nella 
Francia,  dove  con  molta  solennità 
nel  tempo  dell'  offertorio  viene  por- 


EUL 

Info     il     pane    por    essere     bene- 
detto. 

La  voce  dilogia  finalmente  si  disse 
in  altri  significati,  come  di  limosi- 
na, o  altro  donativo.  Così  chiama- 
ronsi  eniogie  le  cene  benedette  dai 
vescovi  e  dai  sacerdoti,    ed  i  sem- 
plici doni  non  benedetti.  S.  Leone 
IV  proibì    ai    vescovi   di  Bretagna 
di  obbligare  i  loro  sacerdoti  a  por- 
tar loro    dei  doni,  eulogias,  quan- 
do vengono  ai  sinodi;  ed  Incmaro 
di   Reims    proibì  ai  suoi  arcidiaco- 
ni  di    ricevere  eulogie    o  doni  dai 
sacerdoti    di  loro    giurisdizione,    se 
non  vengono  offerti  volontariamen- 
te. Eulogie  furono    pur  detti  i  di- 
ritti e  le  rendite  annuali.   Il  Rinal- 
di, all'anno    3i4,  num.  56,  parla 
delle    eulogie    pubbliche,  segno    di 
cattolica    comunione,  e    di    quelle 
private  che  gli  amici  ebbero  in  co- 
stume per  antico  di  mandarsi  uno 
all'altro,  del    qual  costume  ne    ri- 
porta diversi  esempi.  Delle  eulogie 
pubbliche    e    private,    e    perchè   il 
diacono    nelle    messe    feriali    della 
quaresima      dica     humiliate    capi- 
ta   veslra  Deo  3    ne  tratta    il  Sar- 
nelli,  tom.  VI,  pag.  38  delle  Leti, 
ecclesiastiche. 

EULOGIO  m  CoimovA  (s.).  Da 
una  delle  più  cospicue  famiglie  di 
Cordova  in  Ispagna  sortito  Eulogio, 
i  primi  suoi  anni  visse  fra  i  chie- 
rici della  chiesa  di  s.  Zoilo.  Dive- 
nuto in  progressso  sacerdote,  fu  de- 
stinato a  presiedere  alla  scuola  ec- 
clesiastica della  sua  patria.  Col  di- 
giuno, veglia  ed  orazione  santifica- 
va i  suoi  studi,  e  coll'umiltà,  dol- 
cezza e  carità  si  procurava  l'ami- 
cizia e  venerazione  di  ogni  persona. 
Suscitatasi  una  fiera  persecuzione 
ncir  anno  85o  contro  i  cristiani, 
furono  posti  in  carcere  il  vescovo 
e  molti    preti,    fra'  quali    anche  il 


EUL  i9f 

nostro  Eulogio,  per  avere  incorag- 
giato i  martiri    a    sostenere  i  tor- 
menti. In    prigione    si    occupò  egli 
a    scrivere    la    sua     esortazione    al 
martirio,    e    posto  dipoi  in  libertà 
non    si    occupò  che  di    annunziare 
la    divina    parola.   Morto    nell'858 
l'arcivescovo   di    Toledo,    Eulogio 
fu  eletto  ad  una  voce  per  successo- 
re.   Sopravvisse  però  di  poco    alla 
sua  elezione,    e  sofferse  il  martirio 
per  aver    ricoverata    una   figlia  di 
un  mussulmano,   la    quale    istruita 
da  un     proprio    parente  nella  reli- 
gione cristiana,  e  ricevuto  anche  il 
battesimo,    avea  implorata  assisten- 
za dal  santo  vescovo.   Tradotto  Eu- 
logio al  cospetto  del  giudice,  e  rim- 
proverato   di  aver  dato  mano  alla 
insubordinata  fanciulla,  rispose  fran- 
camente, e     provò,    che  in    questa 
cosa     la    disobbedienza    a'  genitori 
tornava    dovere;    e  si  mise    poscia 
ad    istruire   il  giudice,  e    a  dimo- 
strargli   quanto    grande    impostore 
era  Maometto.  Sommamente  irrato 
il    regio    ministro,    fece     condurre 
Eulogio  al  cospetto  del  re,  il  qua- 
le sull'appoggio  soltanto  delle  depo- 
sizioni   del    suo    ministro,    non  de- 
gnando neppur  d'un  ascolto  il  san- 
to vescovo,  ordinò  che  fosse  decapi- 
tato. Eulogio  condotto  al  luogo  del 
supplizio  consumò  gloriosamente  il 
suo  martirio  li     i  i    marzo  dell'an- 
no 809,  e  la  Chiesa  in  tal  giorno 
ricorda  la  sua  festività. 

EULOGIO  (s.).  Nativo  Eulogio 
di  Siria,  assai  giovane  abbracciò  in 
patria  lo  stato  monastico.  Agitate 
in  quei  dì  le  chiese  di  Siria  e  di 
Egitto  dagli  eutichiani,  divisi  nelle 
loro  eresie  in  varie  sette,  seppe  Eu- 
logio preservarsi  dal  guasto  gene- 
rale ,  e  con  una  vita  pura,  farsi 
da  tutti  ammirare  per  vero  segua- 
ce   della    cattolica   dottrina.   Datosi 


19*  EUM 

egli  a  tutto  uomo  allo  studio  citi- 
le teologiche  verità,  alla  lettura  del- 
la sacra  Scrittura,  e  degli  scritti 
de'  padri ,  fornito  di  un  ingegno 
penetrante,  fece  rapidissimi  progres- 
si, e  giunse  ben  presto  a  porsi  in 
ìstato  di  combattere  l'eresia  domi- 
nante, e  divenne  uno  dei  più  bril- 
lanti lumi  della  Chiesa  di  quei  gior- 
ni. S.  Anastasio  patriarca  di  An- 
tiochia, conosciuto  il  pressante  biso- 
gno, chiamò  a  se  Eulogio,  ed  or- 
dinatolo sacerdote  divise  con  lui  le 
cure  dell'  apostolico  ministero.  Ti- 
berio Costantino,  principe  saggio, 
volendo  riparare  i  mali  cagionati 
alla  Chiesa  da'suoi  predecessori,  in- 
formato delle  virtù  e  meriti  di 
Eulogio  il  volle  a  reggere  la  chie- 
sa di  Alessandria,  ed  elettolo  pa- 
triarca, fu  consagrato  sul  finire  del- 
l'anno 583.  Due  anni  dopo,  obbli- 
gato a  recarsi  in  Costantinopoli,  ivi 
trovò  per  apocrisario  pontificio  san 
Gregorio  il  grande,  e  con  lui  si 
strinse  nella  più  intrinseca  ami- 
cizia. Separatisi  dipoi  ,  continua- 
rono a  tenere  una  santa  corrispon- 
denza. Con  zelo  e  con  carità  reg- 
gendo ed  ammaestrando  il  suo  po- 
polo mori  santamente  Eulogio  nel- 
l'anno 608.  La  sua  festa  è  asse- 
gnata ai    i3  settembre. 

EUMENIA.  Città  vescovile  della 
prima  Frigia  Pacaziana,  nella  dio- 
cesi ed  esarcato  d' Asia,  sotto  la 
metropoli  di  Laodicea,  che  Com- 
manville  dice  eretta  nel  quinto 
secolo.  Si  vuole  fabbricata  sul  Clu- 
drus  da  Eumene  fratello  di  Atta- 
lo,  e  Stefano  di  Bisanzio  la  chia- 
ma Eumcneia.  Cinque  vescovi  vi 
ebbero  sede,  Trasea,  Teodoro,  Leo- 
ne ,  Paolo ,  ed  Epifanio  .  Orù'tis 
Clirist.  tom.  I,  p.  807.  Al  presente 
Eumeni»,  Éumetuem,  è  un  titolo 
in  parlibus ,    che  si    conferisce    dai 


EUN 
romani  Pontefici,  appartenente  alla 
metropoli  pur   titolare  di  Laodicea. 
EUNOMIAN1  (Eunomiani).    Gli 
Eunomiani  erano  i  discepoli   diEu- 
nomio,  vescovo  di  Cizico,  il    quale 
sosteneva    gli    errori    d'Ario,    e   ve 
n'aggiugneva  degli  altri.  Vanta  va- 
si di  conoscere  Iddio  tanto  perfet- 
tamente, come  Iddio  conosceva    sé 
stesso.  Osava  dire  che  il  Figlio  di 
Dio   non   era   Dio    che    di    nome  ; 
che  non  si     era     unito    sostanzial- 
mente   all'umanità,  ma    solamente 
per  la  sua  virtù  e  per  le  sue  ope- 
razioni.   Condannava    il    battesimo 
dato    in    nome    della    ss.     Trinità, 
e  ribattezzava    quelli    che  lo  erano 
stati  con  quella  forma.    S.  Girola- 
mo   lo   accusa    di  avere  disprezzato 
le  reliquie  de'santi  martiri,  e  di  a- 
vere  sostenuto    che     non    potevansi 
onorare  senza    delitto,  e  che  i  mi- 
racoli, che  facevansi  alle  loro  tom- 
be, non  erano  se  non   illusioni  del 
demonio.   S.  Basilio  ci  lasciò  cinque 
libri  contro  Eunomio,  e  venne  al- 
tresì confutato  da  s.  Gregorio  Na- 
zianzeno,  e  da   s.  Gregorio  Nisseno. 
EUNUCO    (Eunuchus).  Vocabo- 
lo derivato    da  due  parole    greche 
indicanti  la  persona  che  ha  la  cu- 
ra o  la    guardia    del  letto  nuziale 
o  del    talamo.   I  diversi    significati 
di    questo  termine    diedero  motivo 
ad  alcune    false  critiche  sopra    al- 
cuni testi  della  sagra  Scrittura  .  Fa- 
vorito   osserva    che    la   parola    eth 
nuco,  significa  custodire  il  letto,  o 
l'interno  di  un  appartamento,  anzi 
vuoisi  che  questo     in  origine  fosse 
il  titolo  di  tutti  i  camerieri  del   re. 
Nella  Scrittura  prendesi    frequente- 
mente per  un  ulliziale  di  un  prin- 
cipe, che  serve   alla  sua    corte,  ed 
occupato    nell'  interno    del   palazzo, 
sia  che  fosse  veramente  eunuco,  sia 
che  non  lo    fosse.  Era   pine  nume 


EUN 
di  uffizio  e  di  dignità,  come  fu 
Putifar  eunuco  di  Faraone  e  pa- 
drone di  Giuseppe,  che  aveva  mo- 
glie e  figli.  Iddio  avea  proibito  al 
suo  popolo  d'Israele  di  fare  gli  eu- 
nuchi e  di  castrare  anche  gli  ani- 
mali, come  si  legge  nel  Levitico  22, 
24,  e  nel  Deuteronomio  2  3.  Il 
Salvatore  in  s.  Matteo  19,  12,  par- 
la d'una  specie  di  eunuchi  differen- 
ti da  questi,  e  sono  quelli  che  si 
sono  fatti  eunuchi  pel  regno  dei 
cieli,  vale  a  dire,  che  per  un  mo- 
tivo di  religione  hanno  rinunziato 
al  matrimonio,  e  ad  ogni  piacere 
della  carne,  e  non  già  che  siensi 
effettivamente  castrati  da  se  medesi- 
mi, siccome  intendeva  Origene,  pren- 
dendo rigorosamente  alla  lettera 
le  parole  di  Gesù  Cristo.  Nell'an- 
no 25o  fu  tenuto  un  concilio  nel- 
l' Acaja  contro  i  valesiani  o  eu- 
nuchi. Baluzio  in  Collectio.  I  va- 
lesiani imponevano  per  precetto 
l'evirazione,  così  il  Bernini,  Storia 
delle  eresìe,  pag.  5o.  Già  la  Chie- 
sa aveva  detestata  siffatta  mutila- 
zione, come  consta  dai  canoni  apo- 
stolici 22  e  23.  V.  Jo.  Lami,  de 
eruditìone  aposlolorum,i6i.  Il  con- 
cilio di  Nicea,  del  325,  condannò 
coloro  che  si  facevano  eunuchi  da 
se  medesimi.  «  Se  alcuno  è  stato 
«  fatto  eunuco  da'  chirurghi  in  ma- 
n  lattie,  ovvero  da'barbari,  resti  nel 
«  clero  ;  ma  quegli  che  mutilò  se  stes- 
«  so  essendo  sano,  deve  essere  inler- 
»  detto,  se  trovasi  nel  chiericato,  e 
»  d'ora  innanzi  non  se  ne  dee  pro- 
si movere  nessuno".  Can.  1.  Il  per- 
chè quelli  che  si  erano  castrati  da 
sé  medesimi,  vennero  esclusi  da- 
gli ordini  sagri. 

L' uso  barbaro  di  mutilare  gli 
uomini  risale  nell'  oriente  alla  più 
rimota  antichità  ;  e  gli  scrittori  sa- 
gri e  profani  e'  insegnano  che  i  re 

VOL.    XXII. 


EUN  i93 

dell'Asia  avevano  eunuchi  presso 
le  loro  persone  ;  che  questi  dive- 
nivano i  loro  favoriti,  o  i  loro  pri- 
mari uffìziali,  e  che  ad  essi  confi- 
davasi  sovente  l'amministrazione 
de'  pubblici  affari,  ed  anche  il  co- 
mando delle  armate.  Fu  la  corru- 
zione de'  costumi ,  che  introdusse 
fra  gli  orientali  la  pluralità  delle 
donne,  e  la  gelosia  de'  mariti  por- 
tò i  grandi  a  far  mutilare  gli  uo- 
mini che  servivano  nel  loro  palaz- 
zo, ed  allora  il  termine  di  eunuco 
cambiò  di  significato ,  e  qualificò 
quelli  che  venivano  privati  della 
virilità.  Nessun  esempio  di  questa 
barbarie  forniscono  le  repubbliche 
greca  e  romana,  qualora  però  si 
eccettuino  i  sacerdoti  di  Cibele,  e 
quelli  di  Diana  Efesina,  i  quali 
spontaneamente  mutilaronsi  da  sé 
medesimi.  Soltanto  più  di  trecen- 
to anni  dopo  V  istituzione  della  re- 
pubblica ,  gli  imperatori  romani , 
che  mai  non  avevano  avuto  presso 
di  loro  gli  eunuchi,  lasciando  l'I- 
talia per  trasportare  la  sede  del- 
l' impero  in  oriente,  contrassero  il 
costume  di  avere  uomini  snaturati 
al  loro  servigio,  che  sovente  pose- 
ro nel  numero  de'  loro  grandi  uf- 
fìziali ad  imitazione  degli  asiatici. 
Abbiamo  dal  Rinaldi,  all'anno  £29, 
num.  18  e  19,  che  gli  eunuchi 
per  la  camera  imperiale  si  soleva- 
no pigliare  tra' popoli  absagi.  Bion- 
do da  Forlì,  nella  Roma  trionfan- 
te, p.  1 65,  tratta  del  disprezzo  cui 
erano  tenuti  nella  repubblica  ro- 
mana gli  eunuchi,  escludendo  Ge- 
nuzio,  eunuco  e  sacerdote  di  Ci- 
bele, da  una  eredità  eh' eragli  sta- 
ta lasciata,  non  essendo  considera- 
to né  uomo  né  femmina.  Il  Ma- 
cri,  Notiz.  de'  vocab.  eccl.3  dice  che 
Tertulliano  chiamò  Archigallus,  il 
capo  degli  eunuchi.  Domiziano , 
i3 


ig4  ELN 

Nerva,  Adriano,  ed  altri  imperato- 
ri proibirono  ogni  mutilazione,  tan- 
to da  per  se,  che  per  mezzo  di 
altri.  Alcuni  vietarono  pure  la  Cir- 
concisione (Fedi).  Costantino  Ma- 
gno proibì  che  agli  eunuchi  fosse- 
ro conferite  le  prefetture  o  magi- 
strature; Teodosio  II  ordinò  con 
legge  che  non  potessero  divenire 
patrizi,  e  Giustiniano  I  proibì  ezian- 
dio la  castrazione. 

Dubitano  alcuni,  che  l'uso  pro- 
babilmente antichissimo  nell'Egitto 
di  castrare  gli  animali,  aprisse  la 
strada  alla  barbarie  di  formare  gli 
eunuchi.  Ai  lidii  si  attribuisce  la 
prima  invenzione  della  castrazione, 
o  dello  snaturamento  del  sesso  del- 
le femmine ,  e  quella  scoperta  si 
ascrive  ad  Andramiri  re  di  Lidia, 
il  quarto  che  regnato  avesse  in 
quel  paese  avanti  Onfale.  La  ca- 
strazione si  pratica  comunemente 
in  Asia,  e  specialmente  dai  turchi, 
i  quali  mutilano  tutti  quelli  tra 
gli  schiavi  loro  che  destinano  alla 
custodia  delle  donne  ;  a  questi  an- 
cor tolgono  con  una  orribile  cru- 
deltà tutti  i  segni  distintivi  del  ses- 
so al  quale  appartengono.  Noto  è 
che  gli  eunuchi  non  hanno  barba, 
e  la  voce  loro,  benché  assai  forte, 
non  è  mai  grave.  Non  è  ancora 
scorso  molto  tempo  che  si  prati- 
cava il  barbaro  uso  di  privare  i 
giovanetti  destinati  al  canto,  de- 
gli organi  della  generazione,  per 
conservare  loro  quella  voce  acu- 
ta che  ottimamente  riesce  nelle  par- 
ti chiamate  alte  e  soprano.  Seb- 
bene per  l'uso  introdotto  si  am- 
mettessero castrati  nella  cappella 
pontifìcia,  vuoisi  che  nel  secolo  de- 
corso il  Pontefice  Clemente  XIV 
proibisse  severamente  quella  ope- 
razione, e  minacciasse  gli  autori  o 
fautori  della  medesima  della  pena 


EUN 

della  scomunica.  Il  perchè  ora  i 
musici  e  cantori  eunuchi  sono  po- 
chi ,  essendo  tali  soltanto  quelli , 
che  per  qualche  disgrazia,  infer- 
mità, o  caso  fortuito  vennero  pri- 
vati delle  parti  genitali.  Nel  Dizion. 
enciclop.  pubblicato  sotto  la  dire- 
zione di  Saint-Laurent,  ecco  come 
è  definito  l'eunuco.  «  Castrato, 
»  nome  dato  ad  un  cantante  in 
«  voce  di  contralto  o  di  soprano, 
»  che  nella  sua  infanzia  o  avanti 
m  la  pubertà  è  stato  privato  degli 
»  organi  della  generazione,  nello 
»  scopo  d'impedire  i  cangiamenti 
»  che  fanno  subire  alle  voci  i  fe- 
»  nomeni  della  pubertà,  e  di  con- 
*»  servare  al  cantore  una  voce  fles- 
«  sibile  ed  acuta.  La  voce  di  que- 
»  sti  cantori  aveva  un  metallo  e 
«  un  accento  molto  più  penetran- 
ti te  di  quello  delle  donne  ".  Il 
Sarnelli,  Lett.  eccl.  tom.  V,  lett. 
XIV,  num.  i  o,  dice  che  la  castra- 
zione dell'  uomo  è  vietata  dalle  leg- 
gi divina  ed  umana;  e  nel  tom. 
VII,  lettera  XXIV,  tratta  di  qual 
pena  sia  meritevole  colui  che  si  ca- 
stra, perchè  niuno  è  padrone  delle 
sue  membra  e  della  sua  vita,  ma 
solo  Iddio.  Dotta  poi  ed  assai  in- 
teressante è  la  lettera  suddetta  XIV 
del  tom.  V:  Se  tutù  gli  eunuchi 
sono  irregolari  ?  Risponde  di  no , 
perchè  quello  solo  è  irregolare,  che 
essendo  sano,  volontariamente  si 
castrò,  o  si  fece  castrare,  qualun- 
que ne  fosse  il  fine,  anche  per 
amore  alla  castità;  quindi  sono  ir- 
regolari anco  quelli  che  cooperano 
alla  castrazione;  riportando  per  ul- 
timo le  sei  cagioni  per  le  quali  i 
sagri  canoni  tanto  detestano  il  ca- 
slramento  degli  uomini,  perchè  dis- 
pongono: Qui  sili  virilia  amputa- 
vcrit3  clericus  non  efficetur,  sui  e- 
nim  ipsius  homicida  est,  et  minti- 


EUN 
cus  creationi  Dei.  V.  il  citato  Ber- 
nini a  pag.  42-  Nelle  nostre  vi- 
genti leggi,  l'evirazione  dolosa,  che 
produce  la  morte  del  paziente,  è 
punita  colla  galera  perpetua. 

Anticamente  nella  Spagna  erano 
frequenti  i  matrimoni  degli  eunu- 
chi, dai  quali  con  gravissimo  scan- 
dalo nascevano  pubblici  disordini, 
a  cagione  del  divorzio,  che  le  in- 
gannate spose  chiedevano  al  tri- 
bunale di  quella  nunziatura  apo- 
stolica. Ricorse  il  nunzio  a  Papa 
Sisto  V,  supplicandolo  d' opportu- 
no provvedimento,  perchè  oltre  lo 
scandalo  e  le  risse,  non  poteva  egli 
resistere  al  disbrigo  di  tante  simili 
cause.  Allora  Sisto  V  convocò  una 
congregazione  composta  di  medici 
e  di  teologi,  da' quali  fu  conchiu- 
so, che  gli  eunuchi  non  erano  atti 
al  fine  preciso  del  matrimonio,  e 
però  coll'autorità  della  costituzione 
Cum  frequenterà  data  a*  i  3  aprile 
1587,  Bull.  Rom.  tom.  IV,  part. 
IV,  p.  319,  dichiarò  nullo  il  con- 
tratto, e  gli  eunuchi  inabili  a  con- 
trarre il  matrimonio  ;  perchè  im- 
potenti ad  essere  genitori  ed  aver 
figliuoli,  che  è  il  preciso  ed  unico 
fine  del  matrimonio.  Divenuto  l'eu- 
nuco Eutropio  consoie  potentissi- 
mo, alcuni  barbari  si  fecero  eu- 
nuchi per  emularlo  e  giungere  ad 
eguali  onori,  ma  ne  morirono.  Eu- 
nuchi furono  i  santi  fratelli  martiri 
Nereo  ed  Achilleo,  battezzati  da  s. 
Pietro.  Il  Papa  s.  Liberio  rifiutò 
dall'  eunuco  Eusebio,  uno  dei  pri- 
mi ministri  dell'  imperatore  Costan- 
zo, una  somma  che  voleagli  dare 
quando  fu  esiliato  per  sostenere  s. 
Atanasio.  L'eunuco  Eutichio  atten- 
tò alla  vita  di  s.  Gregorio  II,  quan- 
do era  esarca  di  Ravenna.  Leon- 
zio antiocheno  fu  privato  del  sa- 
cerdozio, perchè    erasi    evirato.,    il 


EUN  i95 

Pontefice  s.  Nicolò  I  scomunicò  e 
depose  il  famoso  eunuco  Fozio , 
eh'  erasi  intruso  nella  sede  di  Co- 
stantinopoli. Giovanni  Vili  Papa 
dell'  872  radunò  un  concilio  in  Ra- 
venna di  settantaquattro  vescovi, 
in  cui  venne  composta  la  contro- 
versia insorta  tra  Orso  Partecipa- 
zio  doge  di  Venezia,  e  Pietro  pa- 
triarca di  Grado,  che  ricusava  di 
consagrare  vescovo  di  Torcello  Do- 
menico abbate  del  monistero  Ai- 
binate,  perchè  si  era  eunucato.  Nel- 
1'  epistola  che  Leone  IX  scrisse  nel 
io54  a  Michele  Cerulario  patriar- 
ca di  Costantinopoli,  gli  rinfacciò 
l'obbrobrio  di  questa  chiesa ,  nel- 
1'  ordinare  degli  eunuchi  per  suoi 
vescovi,  per  cui  fra  questi  fu  tro- 
vata una  femmina.  Nella  splendi- 
da corte  del  Cardinal  Ippolito  d'E- 
ste,  de'  duchi  di  Ferrara,  fatto 
Cardinale  da  Alessandro  VI,  era  ri- 
vi de'  suonatori,  de'  musici  e  degli 
eunuchi.  L'infame  delitto  delia  pe- 
derastia, che  fu  in  orrore  anche 
presso  di  molti  gentili  ,  e  che  fu 
in  abbominevole  uso  tra  i  greci , 
come  rilevasi  dalle  pene  decretate 
su  tal  reato,  e  da  Luciano  nel  tom. 
II,  cum  notis  Reilhii,  p.  411?  ® 
stato  condannato  pur  colla  pena 
dell'evirazione  dalle  leggi  dei  visi- 
goti. 11  Cancellieri  nelle  Dissert. 
epist.  bibliografiche,  a  pag.  392  , 
riporta  le  pene  fulminate  contro  la 
pederastia,  chiamata  delictum  spi- 
nae  dorsum,  e  giustamente  anche 
punita  col  rogo,  e  novera  molli 
autori  che  ne  hanno  trattato;  men- 
tre sugli  eunuchi,  oltre  i  citati,  pos- 
sono consultarsi:  Gio.  Bonifacio, 
nell'  Arte  de  cenni,  del  tagliarsi  i 
genitali;  Petri  Zornii,  Dissert.  de 
eunuchismo  Origenis  Adamantii  3 
Gissae  1708;  s.  Epifanio,  Haeres. 
58,  lib.   I,    tom.  Il  ;   s.    Agostino , 


i96  EUP 

fiacre*.  18 -,  Theoph.  Raynnmli , 
Minitela  nati,  farti,  my siici,  ex  sa- 
cra, et  huniana  litteratura  illustra- 
ti, Divion  i655;  C.  d' Ollincan 
(Ancillon),  Traile  des  eunuques, 
Trevoux,   1707. 

EUPLIO  (s.).  Il  santo  martire 
ili  Sicilia  Euplio  era  diacono  in 
Catania ,  e  nella  persecuzione  di 
Diocleziano  fu  egli  fatto  prigione 
e  condotto  dinanzi  al  governatore 
Calvisiano.  Euplio  tenendo  in  ma- 
no il  libro  de'  santi  evangeli,  non 
esitò  punto  a  dichiararsi  in  faccia 
al  giudice  per  seguace  di  Gesù 
Cristo.  Calvisiano  sdegnato  della 
franca  confessione  di  Euplio ,  per 
rimuoverlo  ordinò  che  fosse  sotto- 
posto alle  più  crudeli  carnifìcine. 
Euplio  con  invitta  costanza  le  sos- 
teneva, anzi  in  cambio  di  mover 
lamento,  andava  leggendo  le  divi- 
ne scritture.  Calvisiano  vedendo 
riuscir  inutili  i  suoi  sforzi,  onde 
indurre  Euplio  a  sagrificare  agli 
dei,  ordinò  che  fosse  decapitato. 
Nel  mentre  che  Euplio  veniva  con- 
dotto al  luogo  del  supplizio,  an- 
dava egli  ripetendo  per  istrada  le 
seguenti  parole  :  vi  ringrazio,  o  Si- 
gnore Gesù:  confermate  ciò  che 
avete  in  me  operatoj  e  giunto  al 
palco,  postosi  in  ginocchio  pregò 
alquanto,  indi  esibito  il  collo  al 
carnefice,  fu  decapitato.  I  cristiani 
raccolsero  il  suo  corpo,  ed  imbal- 
samato Io  seppellirono  con  grande 
venerazione.  I  martirologi  di  occi- 
dente ricordano  la  sua  festa  ai  12 
agosto. 

EUPSICHIO  (s).  Giuliano  Fa- 
postata  irritato  contro  Cesarea , 
capitale  della  Cappadocia  per  aver 
distrutto  il  tempio  della  Fortuna, 
unico  al  culto  del  paganesimo,  in- 
fierì contro  tutti  quelli  che  pro- 
fessavano la  religione  di  Gesù.  Cri- 


EUR 

sto.  Spogliò  le  chiese  d'ogni  suo 
avere,  impose  tasse  enormi  ai  lai- 
ci, arrolò  il  clero  alla  milizia,  e 
condannò  i  più  zelanti  confessori  a 
suggellare  col  proprio  sangue  la  lo- 
ro credenza.  Fra  questi  generosi 
campioni  vi  fu  compreso  Eupsi- 
chio,  uomo  per  natali  illustre,  e 
da  poco  congiunto  in  matrimonio. 
I  suoi  concittadini  gli  contestarono 
la  propria  venerazione,  coli'  erigere 
a  suo  onore  un  tempio ,  e  s.  Ba- 
silio, otto  anni  dopo,  celebrò  la  di 
lui  festa,  invitando  tutti  i  vescovi 
del  Ponto  a  concorrervi,  e  fissan- 
dola li  8  aprile. 

EURIA  o  EUROMA,  seu  Do- 
natiana.  Sede  episcopale  della  Gre- 
cia, nell'Epiro  antico,  nell'esarcato 
di  Macedonia,  che  vuoisi  fosse  ove 
poi  surse  il  borgo  di  s.  Donato  in 
Albania.  Nel  concilio  di  Calcedo- 
nia  si  fa  frequente  menzione  di  Eu- 
ria; e  s.  Gregorio  VII  indirizzò  la 
seconda  lettera,  eh' è  nel  XII  libro, 
al  vescovo  di  Euria,  che  altri  im- 
propriamente chiamarono  Isauria. 
Commanville  dice  che  fu  eretta  in 
vescovato  nel  quinto  secolo,  sotto 
la  metropoli  di  Cassiopea  ossia  Jan- 
nina.  Al  presente  è  un  titolo  ve- 
scovile in  partibus,  che  conferisce 
la  santa  Sede,  e  Pio  VII  lo  con- 
ferì a  monsignor  Gioachino  Sal- 
vetli  dell'Ordine  de'  minori  osser- 
vanti di  s.  Francesco,  attuai  vica- 
rio apostolico  di  Xansi  e  Xensi  nel- 
la Cina. 

EURIQUEZ  Enrico.  Gesuita  por- 
toghese, prese  l'abito  della  compa- 
gnia, vivente  ancora  il  suo  fonda- 
tore. Fu  impiegato  con  felice  suc- 
cesso specialmente  nell'  insegnare. 
Abbiamo  di  lui  una  Somma  di 
teologia  morale.  Morì  in  Tivoli  nel 
i6o3. 

EUROPA.  La  terza  delle  cinque 


EUR 

parli  del  mondo,  e  di  questo  la 
meno  estesa,  ma  la  meglio  colti- 
vata, la  più  civilizzata ,  e  propor- 
zionatamente alle  altre,  la  più  po- 
polata. Questa  è  un'  antica  parte 
del  globo  rispetto  all'  America,  e 
che  nuova  regione  può  dirsi  ri- 
guardo all'  Asia,  prima  parte  del 
Mondo,  ed  all'  Africa  eh'  è  la  se- 
conda. E  sebbene  anco  a  questa 
ceda  l'Europa  in  ampiezza,  tutta- 
volta  ha  innumerabili  titoli  per  es- 
sere alle  altre  nell'  ordine  preferi- 
ta. In  fatti,  osservano  i  geografi 
che  l'Europa  non  è  che  la  conti- 
nuazione del  continente  asiatico , 
come  bene  indica  la  confusione  ed 
incertezza  de'  suoi  confini  orientali, 
e  nelle  antichissime  emigrazioni 
marittime,  che  la  politica  domina- 
zione dei  grandi  imperi  precedet- 
tero, ebbe,  secondo  alcuni,  il  suo 
nome  da  Europa  figliuola  di  Age- 
nore, celebre  capo  delle  genti  feni- 
cie, e  famoso  tra  i  nautici  avven- 
turieri. Di  Europa  in  quella  mi- 
tologica età  assai  si  decantò  l'alle- 
gorico rapimento,  o  più  veramen- 
te il  maritaggio  con  Aslerio  re  del- 
l' isola  di  Creta  ;  sebbene  altri  fac- 
ciano derivare  il  nome  di  questa 
nobilissima  parte  del  globo,  da  un 
piccolo  paese  in  vicinanza  dell'El- 
lesponto. Ma  gli  autori  che  hanno 
fatto  derivare  il  nome  di  Europa, 
dalla  principessa  Europa  figlia  di 
Agenore,  e  rapita  da  Giove,  ap- 
poggiarono questa  congettura  sopra 
una  favola,  che  distesamente  si  leg- 
ge nella  mitologia.  La  spiegazione 
di  Gi  bel  in  sembra  la  più  verosi- 
mile. Egli  fa  venire  il  nome  di 
Europa  dalla  voce  JVrab}  ovvero 
la  occidentale,  il  che  presenta  un 
duplice  carattere  di  verità,  tanto 
riguardo  al  suono  materiale  delle 
due  voci,  quanto  alla  posizione  del- 


EUR  197 

Y  Europa  ,  relativamente  all'  Asia. 
Altri  poi  dicono  che  la  provincia 
d' Europa  (Vedi),  diede  il  suo  no- 
me a  tutta  l'Europa.  L'Europa  si 
comprende  nella  zona  temperata 
settentrionale  fra  il  33°,  45°,  ed  il 
71°,  ii°,  lat.  nord,  e  si  estende 
dal  22°  1.  ovest,  ed  il  48°  1.  est 
del  meridiano  di  Roma ,  ossia  fra 
l'8°  el'8i°l.  est  dell' isola  di  Fer- 
ro. La  sua  maggior  lunghezza  pre- 
sa dal  sud-ovest  verso  il  capo  San 
Vincenzo  fino  al  nord-est  verso  i 
monti  Urali  ascende  a  mille  leghe 
circa,  e  la  larghezza  dal  capo  Nord 
nella  Lapponia  svedese  al  capo  Ma- 
lapan  nella  Grecia  non  eccede  le- 
ghe novecento.  Nella  varietà  delle 
misure  della  superficie  europea  (che 
solo  basta  a  far  conoscere  quanto 
nella  scienza  geografica  si  desideri 
di  esattezza),  Mac-Carthy  stabilisce 
295,735  leghe  geografiche  qua- 
drate, popolate  in  ragione  di  sei- 
cento sessantasei  individui  circa  per 
ciascuna  lega. 

La  superficie  dell'Europa  è  di- 
visa in  due  versatoi  generali,  l'uno 
oceanico,  l'altro  mediterraneo.  Se 
il  suolo  dell'  Europa  non  eguaglia 
nei  luoghi  più  fertili  le  contrade 
dell'  Asia ,  dell'Africa,  o  dell'  Ame- 
rica, è  almeno  più  equabile  e  con- 
forme che  le  altre  parti  del  mon- 
do. I  limiti  poi  che  contrassegna- 
no 1'  Europa,  sono  al  nord  il  ma- 
re gelato,  da  cui  la  Lapponia  vie- 
ne circondata  ;  all'est  la  linea  del 
fiume  Kara,  i  monti  Urali,  il  fiu- 
me Ural,  e  que'  seni  del  Mediter- 
raneo, i  quali  assumono  il  nome 
di  mar  di  Marinara,  Nero,  e  d'A- 
zof;  al  sud  la  linea  del  Mediter- 
raneo stesso,  che  dall'Arcipelago 
greco  continua  fino  allo  stretto  di 
Gibilterra,  per  mezzo  del  quale  è 
separata  1J  Europa  dall'  Africa  ;  ed 


198  EUR 

all'ovest  quella  parte  del  grande 
Oceano,  che  col  nome  di  Atlanti- 
co si  distingue.  Attorniata  per  tal 
modo  l'Europa  in  tre  lati  dalle  ac- 
que, ha  diversi  mari  che  in  essa 
s'internano,  ed  una  moltitudine  di 
golfi  e  baie,  medianti  i  quali  age- 
voli si  rendono  le  comunicazioni, 
animato  il  commercio ,  coltissimi 
gli  abitatori.  Noteremo  che  gli  an- 
tichi geografi  non  conoscevano  le 
parti  di  Europa  al  di  là  del  60. ° 
grado  di  latitudine,  se  se  ne  eccettui 
T  isola  Tole  al  nord  dell'  isole  Bri- 
tanniche. I  confini  dell'Europa  era- 
no gli  stessi  che  gli  attuali,  come 
devono  esserlo;  ma  gli  antichi  che 
pervennero  a  conoscere  quelli  del 
sud  e  dell'  ovest ,  non  conobbero 
mai  bene  quelli  del  nord,  non  a- 
vendone  che  idee  confuse.  Quanto 
all'Europa  adottarono  quasi  gene- 
ralmente la  opinione  che  il  Tanai 
separasse  l'Europa  dall'Asia.  Tolo- 
meo divise  l' Europa  in  due  parti, 
occidentale  ed  orientale.  La  Eu- 
ropa è  generalmente  bene  innaffia- 
ta; tutte  le  sue  acque  vanno  a 
perdersi  parte  nei  mari  interni ,  e 
parte  nelP  Oceano  ;  il  mare  Nero 
riceve  esso  solo  il  doppio  di  ciò 
che  riceve  ciascun  altro  mare.  L'O- 
ceano assume  le  varie  denomina- 
zioni secondo  i  paesi  che  va  ba- 
gnando. Dal  Reno  fino  all'estremi- 
tà della  Norvegia,  dicesi  mare  d' A- 
lemagna,  perchè  bagna  tutte  le  ri- 
ve occidentali  dell'antica  Germa- 
nia, e  con  poca  proprietà  va  pur 
chiamandosi  mare  del  Nord.  Il 
tratto  che  dalla  parte  settentrio- 
nale della  Scozia  si  estende  ver- 
so il  circolo  polare,  è  l'antico  ma- 
re di  Calcedonia,  che  appellasi  e- 
ziandio  mar  de'  Sarmati.  Quella 
parte  poi  che  comprendesi  fra  il 
circolo  polare  suddetto  ed  il  polo, 


EUR 

è  nota  sotto  il  nome  di  mar  Già* 
ciale,  ovvero  Oceano  artico.  Enor- 
mi ammassi  di  ghiaccio  fluttuimi  e 
lo  rendono  quasi  impraticabile  ai 
naviganti,  e  vani  si  resero  fin  qui 
gli  sforzi  arditi  degli  olandesi  e 
degli  inglesi  per  aprirsi  di  là  un 
passaggio  al  grande  Oceano,  non 
essendosi  potuto  mai  trascorrere  il 
78. °  grado  di  latitudine.  Il  risul- 
ta mento  pero  di  questa  scoperta  , 
quando  anche  avvenisse,  dicono  i 
geografi  che  non  avrebbe  una  som- 
ma importanza  geografica,  mentre 
l'inaccessibilità  osterebbe  sempre  ad 
ogni  commerciale  vantaggio.  Nul- 
1  adi  meno  immensi  tesori  da  que- 
sta solitaria  parte  di  Oceano  ri- 
traggono le  circostanti  nazioni  col 
mezzo  della  pesca.  Ricchissima  è 
quella  delle  balene ,  e  di  tutti  i 
mammiferi  marini,  abbondante  so- 
pra ogni  altra  è  quella  delle  a- 
ringhe  e  merluzzi ,  i  quali  sboc- 
cando ne'  dati  tempi  dalla  regio- 
ne polare,  innondano  le  baie  di  Nor- 
vegia, d' Inghilterra,  di  Alemagna 
e  di  Olanda. 

Fra  i  mari  interni  il  Mediter- 
raneo primeggia,  limitando  l'Euro- 
pa al  sud,  ed  è  con  siffatto  nome 
distinto,  per  essere  situato  .nell'in- 
terno delle  terre.  Il  Mediterraneo 
dalle  rupi  Ab'da  e  Colpe  ì  ossia  dril- 
lo stretto  che  custodisce  l'africa- 
na fortezza  di  Ceuta,  e  l'europea 
di  Gibilterra,  già  tanto  note  sotto 
il  nome  di  Colonne  d'Ercole,  giun- 
ge fino  alla  Siria  per  la  lunghez- 
za di  mille  settecento  e  venti  miglia 
secondo  le  più.  recenti  misure.  Di- 
cesi mar  Tirreno,  o  Toscano,  e 
presso  gli  antichi  Mare  inferum 
nella  parte  che  bagna  il .  lato  sud- 
ovest  dell'  Italia.  L'  Arcipelago  gre- 
co, o  mar  Egeo,  è  uno  de'  vasti 
golfi,  che  dal  più  ampio  suo  bacino 


EUR 
fra  l'Asia  e  l'Europa  penetra  in  mez- 
zo alle  terre  di  Grecia  e  di  Turchia, 
mentre  lo  spazioso  golfo  Adriatico, 
o  Veneto  bagna  la  parte  orientale 
d'Italia,  e  l'occidente  dell' Illiria. 
Dal  fondo  dell'Egeo  apresi  il  Me- 
diterraneo la  via  mediante  l' Elles- 
ponto ,  oggi  stretto  de  Dardanelli , 
e  forma  il  mar  di  Marinara,  che 
ha  sessantatre  leghe  nella  sua  mag- 
gior lunghezza,  e  fu  già  noto  sotto 
il  nome  di  Propontide.  Per  mezzo 
poi  del  famoso  Bosforo  Tracio,  o 
stretto  di  Costantinopoli,  comunica 
col  Ponto  Eusino,  o  mar  Nero,  il 
quale  riceve  dai  circostanti  fiumi 
copioso  tributo.  Finalmente  oltre 
Io  stretto  dì  Coffa  terminano  il 
corso  le  acque  mediterranee,  pro- 
ducendo de'  bassi  fondi,  che  Palu- 
de Meotide  si  dissero  ne'  tempi  an- 
dati ,  e  mar  d'Azof,  o  mar  di  Za- 
bacche  chiamatisi  nei  moderni.  Fra 
la  Danimarca  e  la  Svezia  s'inter- 
na l'Oceano  a  formare  il  golfo  di 
Skager  Rack,  o  canale  di  Jutlan- 
dia,  che  nel  volgersi  poi  al  sud 
prende  il  nome  di  Categat,  e  me- 
diante gli  stretti  del  grande  e  pic- 
colo Belt,  i  quali  s' intromettono 
a  separare  il  Jutland,  e  le  isole  di 
Fionia  e  di  Seeland,  non  che  per 
l'altro  angusto  stretto  di  Sund  pas- 
sa a  formare  il  mar  Baltico.  Scor- 
re questo  in  mezzo  ai  dominii  prus- 
siani, russi  e  svedesi,  e  si  divide 
poi  ne'  due  golfi  di  Botnia  e  di 
Finlandia,  soggetti  al  gelo  nell'in- 
vernale stagione.  La  parte  artica 
dell'  Oceano  si  addentra  nelle  ter- 
re di  Lapponia  e  di  Russia  a  mo- 
do di  golfo,  che  dilatandosi  nella 
sua  estremità  costituisce  il  cosi  det- 
to mar  Bianco,  sparso  di  piccole 
e  mal  note  isolette. 

I  principali  golfi,  che  non  trac- 
ciano mare  interno,    sono    que'  di 


EUR  199 

Guascogna  e  di  Biscaglia  nell'A- 
tlantico, ed  i  minori  di  Lione  e  di 
Genova  nel  Mediterraneo:  l'Ocea- 
no Atlantico  che  i  limiti  stabilisce 
dell'  Europa  all'  ovest,  riceve  il  suo 
nome  dal  monte  Atlante  situato 
nell'  Africa,  e  chiamasi  pure  Ocea- 
no occidentale. 

Oltre  i  mentovati  stretti ,  sono 
pure  rimarchevoli:  i.°  il  passo  di 
Calais,  tra  Calais  e  Douvres,  che 
l' Inghilterra  dividendo  dalla  Fran- 
cia, dà  principio  al  marittimo  ca- 
nale della  Manica,  che  fra  quei 
due  regni  sino  a  Brest  si  prolun- 
ga ;  2.0  il  faro  Messinese  per  cui 
la  bella  isola  di  Sicilia  viene  dal 
rimanente  d' Italia  separata.  Ma 
sebbene  questi  due  sieno  i  princi- 
pali, quindici  sono  gli  stretti  di 
Europa  degni  di  osservazione.  Si 
distinguono  in  fine  i  due  rinomati 
istmi ,  di  Corinto  che  la  Morea  con- 
giunge alla  Grecia,  e  di  Precop, 
pel  quale  la  Crimea  si  unisce  al 
continente  russo. 

I  principali  e  più  cospicui  laghi 
di  Europa,  sono  que'  di  Ladoga 
e  di  Onega  nella  Russia,  di  TVen- 
ner  nella  Svezia  ;  di  Neusiedler  nel- 
T  Ungheria  ;  di  Costanza  nel  paese 
di  Baden  ;  di  Losanna  e  di  Gine- 
vra nella  Svizzera  ;  di  Garda,  di 
Como  o  Lago  maggiore  nell'  alla 
Italia  ;  il  Fucino,  il  Trasimeno,  ed 
il  Lago  di  Bohena  nella  bassa  Ita- 
lia, per  non  nominarne  altri. 

Nel  novero  dei  molti  fiumi  in 
Europa  sono  per  l'ampiezza  loro 
e  per  il  lungo  corso  degni  di  men- 
zione, nella  Russia  il  Volga,  il  Don, 
il  Dnicper,  ed  il  Dniesterj  nell'In- 
ghilterra il  Tamigi;  nella  Germa- 
nia il  Reno,  \Elba,  e  il  Danubio; 
nella  Polonia  e  nella  Prussia  la 
Vistola;  nella  Francia  il  Reno,  il 
Rodano,    la    Loira,    la    Senna,  la 


200  EUR 

Gaivnnaj  nell'  Italia  il  Po,  X  Arno, 
ed  il  Tevere;  nella  Spagna  YEbro, 
la  Guadiana,  e  il  Tago,  il  quale 
scorre  pure  nel  Portogallo;  lo  Schei- 
da  ne' Paesi  Bassi,  ec. 

I  canali  più  distinti  sono  quelli 
della  Russia  e  della  Francia,  fra 
i  primi  quello  primeggia  che  sta- 
bilisce la  comunicazione  fra  il  mar 
Baltico,  il  Ponto  Eusino  ed  il  mar 
Caspio  ;  tra  i  secondi ,  famoso  è 
il  canale  del  mezzodì,  ossia  della 
Linguadoca,  che  il  Mediterraneo 
congiunge  coli' Oceano  Atlantico. 

Indipendentemente  dalle  isole  Bri- 
tanniche l'Europa  molte  altre  ne 
contiene,  come  l'Islanda,  Ivica,Ma- 
jorica  e  Minori ca ,  la  Corsica,  la 
Sardegna,  la  Sicilia,  le  isole  Jonie, 
quelle  di  Candia ,  Malta ,  ec.  ec. 
Dicono  i  geografi  che  la  penisola 
Danese,  la  Crimea  e  la  Morea  sa- 
ranno forse  un  giorno  contate  nel 
numero  delle  isole  europee,  giac- 
che non  sono  unite  al  continente 
che  coi  mezzo  de'  terreni  bassi,  in 
parte  sommersi  o  continuamente 
rumati  dai  flutti. 

In  generale  frequenti  catene  di 
montagne  attraversano  in  diversi 
sensi  l'Europa:  la  più  grandiosa  è 
quella  delle  Alpi  (nome  col  quale 
gli  antichi  celti  designavano  una 
elevata  cima  ),  che  dalla  Francia 
si  estendono  fino  alla  estremità  del- 
la Schiavonia.  Le  diramazioni  as- 
sumono il  nome  di  Alpi  Maritti- 
me dal  Varo  al  Po;  di  Cozie  dal 
monte  Cemelione  a  Susa;  di  Graje 
da  Susa  al  grande  s.  Bernardo; 
di  Pennine  da  s.  Bernardo  a  s. 
Gottardo  ;  di  Rezie  da  s.  Gottar- 
do fino  alla  sorgente  della  Drava  ; 
di  Noriche  dalla  Drava  al  Lison- 
zo;  di  Cantiche  dal  Lisonzo  alle 
sorgenti  di  Laubach  e  del  Riza- 
no,  di   Giulie  fino  alla  sorgente  del 


EUR 
\\  ipacìo;  di  Svcve  in  una  linea  di 
venti  leghe  parallela  al  Danubio, 
nel  lato  orientale  de'  monti  della 
Selva  nera,  e  di  Transigane  fra 
Clausemburgo  ed  Abrobania.  Tie- 
ne il  secondo  rango  la  catena  dei 
Pirenei ,  che  dal  Mediterraneo  al- 
l'Atlantico si  prolungano  per  no- 
vanta leghe,  e  separano  la  Fran- 
cia dalla  Spagna.  Sebbene  le  cime 
ne  sieno  coperte  di  ghiaccio,  ed 
offrano  ne'  loro  declivii  immensa 
varietà  di  climi  e  di  produzioni, 
\i  si  contano  cinquanta  passaggi 
adatti  a'  pedoni,  e  cinque  comode 
vie  per  vetture.  Il  Canigù  e  il 
Monteperduto,  il  Vignemale  ed  il 
Pico  di  mezzogiorno  vantano  le  som- 
mità più  elevate.  Viene  poscia  la 
catena  de'  monti  Dofrins,  forse  gli 
antichi  Rifei  nella  Scandinavia,  che 
formano  il  limite  naturale  fra  la 
Svezia  e  la  Norvegia,  e  diraman- 
dosi quindi,  intersecano  la  Lappo- 
nia  svedese  e  la  danese.  Minore  è 
l'altezza  de'  subalterni  monti  Kra- 
packs  o  Carpazi,  che  dal  mar  Ne- 
ro si  estendono  fino  alle  frontiere 
della  Sassonia,  e  dividono  Ja  Mo- 
ravia dalla  Slesia,  la  Transilvania 
e  l'Ungheria  dalla  Bukowina  e  dal- 
la Galizia,  e  la  Vallachia  dalla 
Moldavia  :  sono  queste  ricche  di 
miniere  d'oro  e  d'argento,  ed  han 
copiose  saline.  S'innalzano  sopra 
ogni  altra  le  cime  del  Lomnitzera- 
Spitze,  del  Zeutschetrich,  e  del  gran 
Kriwan  a  sette  in  otto  mila  piedi 
sopra  il  livello  del  mare.  Nella  in- 
feriore categoria  trovansi  finalmen- 
te gli  Apennini,  i  quali  si  consi- 
derano come  una  ramificazione  del- 
le Alpi,  e  dal  ducato  di  Genova 
percorrono  e  partono  l'Italia  in 
tutta  la  sua  lunghezza,  terminando 
all'estremità  meridionale  del  regno 
di  Napoli.  Il  famoso  Vesuvio,  l'Etna, 


EUR 
o    Gibele    de'  Siculi,    l' Ekla    nella 
remota  Islanda,  sono  i  tre  vulcani 
più  noti  delle  montagne  europee. 

La  varietà  centrale  dell'  antico 
continente  appartiene  all'Europa, 
tranne  la  Lapponia,  e  però  si  am- 
mira negli  abitanti  il  colorito  bian- 
co e  vermiglio,  che  soltanto  nelle 
parti  meridionali  talor  s' imbruna, 
e  l'aggiustatezza  e  proporzione  dei 
lineamenti  avvicinano  l'europeo  al- 
la perfezione  dell'umana  natura. 
Strabone  ,  qual  geografo  filosofo  , 
parla  col  maggior  elogio  delle  ric- 
chezze naturali  dell'  Europa,  e  dei 
suoi  abitanti,  gli  uni  propri  alla 
guerra,  come  i  greci,  i  romani,  i 
macedoni;  gli  altri  più  utili  in  pa- 
ce, perchè  occupantisi  dei  lavori 
delle  campagne.  La  temperatura 
atmosferica  va  esente  da  quegli  ec- 
cessi di  calore  e  di  freddo,  che 
sono  ordinari  nelle  altre  parti  del 
mondo.  Diverse  cause  modificano 
in  Europa  il  clima,  il  quale  preso 
generalmente,  è  temperato,  ad  ec- 
cezione delle  due  estremità  :  la 
quantità  di  pioggia  che  cade  nel- 
le diverse  contrade  di  Europa,  va- 
ria necessariamente  i  climi  ;  così 
dicasi  della  neve,  ove  cade  in  gran 
copia,  ed  ove  di  rado  apparisce  e 
subito  si  discioglie.  L'atmosfera  è 
generalmente  salubre  in  Europa. 
E  superfluo  narrare,  che  il  suo- 
lo è  proprio  ad  ogni  sorta  di  col- 
tura di  cereali ,  legumi  e  frutta  , 
che  vi  prosperano  dovunque  le  viti 
e  gli  ulivi,  se  si  eccettuino  le  par- 
ti settentrionali,  e  che  non  solo  vi 
è  gran  copia  di  canape  e  di  lino, 
ma  ne'  paesi  meridionali  si  fanno 
con  successo  utili  saggi  della  ve- 
getazione del  cotone,  del  caffè,  e 
di  altre  piante  esotiche.  Oltre  le 
summentovate  preziose  miniere  car- 
pazie ,   ve   n'  ha  pure  sparse  nelle 


EUR  201 

altre  montagne  di  varie  specie,  co- 
me di  piombo,  di  ferro,  di  rame, 
di  cobalto  e  zinco  ec.  ec.  ;  molte 
pur  sono  le  cave  di  differenti  inai- 
mi, alabastri,  ed  altre  pietre:  però 
il  regno  minerale  non  è  tanto  ric- 
co in  Europa,  come  lo  è  nell'A- 
merica. Vi  sono  parecchie  salutife- 
re sorgenti  di  acque  termali  e  sul- 
furee ;  e  le  foreste,  che  servono  di 
ricovero  ad  un  gran  numero  di  sil- 
vestri animali,  e  prive  sono  di  quel- 
le tante  belve  e  venefici  rettili,  i 
quali  infestano  il  rimanente  del  glo- 
bo, somministrano  pure  eccellen- 
te legname  da  costruzione.  L'Eu- 
ropa ha  minor  numero  di  generi 
e  di  specie  di  animali  che  le  al- 
tre parti  del  mondo,  e  fra  questi 
in  proporzione  ve  n'hanno  pochi 
che  sieno  pericolosi.  Vi  si  alleva- 
no quasi  tutti  gli  animali  dome- 
stici conosciuti,  giacché  molti  ani- 
mali sono  stati  egualmente  impor- 
tati e  naturalizzali  in  Europa  . 
Strabone  parla  delle  ricchezze  na- 
turali dell'  Europa  ,  dicendo  che 
rinchiude  nel  suo  seno  ogni  sorta 
di  metallo,  produce  alla  sua  su- 
perfìcie vegetabili  di  ogni  genere, 
e  nudrisce  una  grandissima  varie- 
tà di  animali. 

L' Europa  è  la  sede  delle  scien- 
ze e  delle  arti,  venendo  chiamata 
l' Italia  il  giardino  dell' Europa^  e 
la  più  nobile  parte  di  essa.  Si  no- 
verano in  Europa  più  di  ottanta- 
cinque  università,  e  vi  si  pubbli- 
cano più  di  due  mila  giornali ,  e 
fogli  periodici.  Il  suo  commercio 
abbraccia  tutto  l'intiero  globo.  Ol- 
tre le  antiche  lingue  greca  e  la- 
tina, che  si  coltivano  dall'universa- 
le de'  dotti,  sonovi  nell'Europa  ot- 
to principali  idiomi,  cioè  l'italia- 
no ,  il  francese ,  proprio  non  solo 
della  nazione,  ma  altresì  della  di- 


aoa  EUR 

plomazia  europea,  lo  spagnuolo  col 
portoghese  suo  derivativo,  l'inglese, 
il  teutonico  suddiviso  nei  vavi  dia- 
letti germanici  e  scandinavi,  ed  e- 
steso  alla  Svizzera  ed  a  gran  parte 
de'  Paesi  Bassi,  lo  slavo  comune  ai 
russi,  a'  polacchi,  agi'  illirici,  il  tur- 
co, ed  il  greco  moderno  che  dal 
primitivo  essenzialmente  differisce. 
Le  diverse  razze  europee  possedo- 
no  tante  così  dette  famiglie  di  lin- 
gue che  si  suddividono  in  un  nu- 
mero infinito  di  lingue  derivate, 
di  dialetti  e  di  Ternacoli.  L'Eu- 
ropa durante  gli  ultimi  secoli,  ha 
posseduto  colonie  importanti  nelle 
altre  parti  del  mondo,  ed  oggidì 
ancora  i  principali  popoli  maritti- 
mi posseggono  vasti  stati  o  fertili 
isole  in  America,  in  Asia,  in  Afri- 
ca, nelP  Oceania  e  terre  Australi. 
Questi  possedimenti  alimentano  il 
commercio  di  Europa,  singolarmen- 
te nel  cambio  delle  derrate  colo- 
niali contro  i  prodotti  e  le  mer- 
canzie europee.  Gli  europei  si  sono 
stabiliti  in  copioso  numero  nelle 
altre  parti  del  mondo,  massime  in 
America,  che  si  può  dire  per  loro 
ripopolata. 

La  popolazione  di  Europa  da 
molti  geografi  si  fa  ascendere  a 
circa  193,420,000  abitanti.  Però 
la  popolazione  è  molto  inegual- 
mente sparsa  nel  suolo  di  Euro- 
pa, secondo  il  clima,  la  qualità  del 
territorio,  la  libertà  e  il  carattere 
degli  abitanti,  ed  i  mezzi  del  com- 
mercio e  dell'  industria ,  non  che 
in  proporzione  della  fecondità  dei 
matrimonii ,  tra  il  mezzodì  e  il 
nord  di  Europa,  essendo  le  donne 
più  prolifiche  nel  primo  clima. 

Le  cinque  grandi  potenze  mo- 
narchiche dell'Europa,  cioè  l'Au- 
stria, la  Francia,  Y  Inghilterra,  la 
Russia,  e  la    Prussia,    rinchiudono 


EUR 
piìi  di  due  terzi  della  popolazione 
e  del  territorio  europeo  :  e  vi  so- 
no compresi,  al  dire  dei  geografi, 
più  di  centoquaranta  milioni  d'a- 
bitanti. 

Sotto  il  rapporto  della  religione 
più  di  undici  dodicesimi  dell'  Eu- 
ropa professano  il  cristianesimo  in- 
trodottovi dagli  apostoli,  i  princi- 
pi de'  quali,  cioè  i  ss.  Pietro  e  Pao- 
lo, si  portarono  anche  in  Roma  che 
illustrarono  colla  predicazione  del 
vangelo ,  e  con  glorioso  martirio. 
Il  primo  qual  sommo  Pontefice  vi 
stabilì  la  santa  Sede  ;  il  perchè 
Roma  è  il  centro  del  cattolicismo 
che  tanto  lustro,  vantaggi  e  splen- 
dore derivò  all'Europa,  più  che  in 
qualunque  altra  parte  del  mondo, 
sebbene  per  ognuna  costantemente 
sieno  state  rivolte  le  indefesse  e 
zelanti  cure  de'  romani  Pontefi- 
ci. All'articolo  Diocesi  (Vedi),  ev- 
vi  il  numero  di  quelle  di  Europa, 
colle  rispettive  distinzioni  del  loro 
grado,  coli'  indicazione  degli  stati 
in  cui  sono.  In  Europa  non  vi  so- 
no che  i  turchi  e  gli  ebrei  i  quali 
professano  culti  opposti  al  cristia- 
nesimo coli' islamismo  o  maomet- 
tismo, e  col  giudaismo.  Nel  nord 
e  nell'  est  dell'  Europa,  alcune  po- 
polazioni barbare  sono  ancora  pa- 
gane, o  piuttosto  senza  alcuna  re- 
ligione. Se  si  vuole  esaminare  gli 
europei  cristiani  si  trova  prima  la 
Chiesa  greca  od  orientale  che  com- 
prende i  russi,  i  greci,  gli  albane- 
si, i  bulgari,  gì'  illirici,  i  serviani, 
gli  schiavoni,  i  serbi  o  rezi,  i  mol- 
davi, ed  i  vallachi,  sebbene  tra  essi 
un  gran  numero  sieno  di  rito  la- 
tino. Indi  la  Chiesa  latina  od  oc- 
cidentale, la  cui  sede,  come  dicem- 
mo, è  in  Italia,  e  nell'alma  Roma, 
ed  alla  quale  appartengono  pure 
il  Portogallo,  la  Spagna,  la  Frau- 


EUR 

eia ,    una    parte    della    Svizzera    e 
dell' Alemagna,    l'Ungheria,  la  Boe- 
mia,   la    Polonia,    il    Belgio,    e  la 
maggior  parte  dell'Irlanda.  La  Chie- 
sa protestante,  che  negli  ultimi  tem- 
pi ha  pure  in  parte  assunto  il  ti- 
tolo di  Chiesa    evangelica,  abbrac- 
cia la  Gran  Bretagna,    una    parte 
dell'  Alemagna,  1'  Olanda,  la  Dani- 
marca, la  Norvegia   e  la  Svezia.  In 
mezzo  ai  protestanti  vivono  altresì 
parecchie   differenti  sette.    AH'  arti- 
colo Congregazione  di  Propaganda 
fide  sono  noverati  i  vicariati,    de- 
legazioni    e    prefetture    apostoliche 
stabilite  dalla  santa  Sede  nei  paesi 
acattolici  dell'Europa,  ove  il  culto 
cattolico  non  è  dominante.  In  con- 
clusione la  religione  ed  unità    cat- 
tolica serbasi  illesa  nelle  regioni  me- 
ridionali, e  in  alcune  centrali,  men- 
tre la  riforma  protestante  è  diffu- 
sa in  gran  parte   della    Germania, 
e    ne'  regni    settentrionali.    11   rito 
greco  scismatico  si  esercita  nel  va- 
sto impero  russo,  e  nelle   parti  o- 
rientali.    Intorno    all'  enumerazione 
degli  stati  di  Europa,  alle   diverse 
forme  de'  loro  governi,  ed  altro,  se 
ne  parlerà  per  ultimo  ;  ora  passe- 
remo compendiosamente    ad    indi- 
care i  principali    avvenimenti    sto- 
rici della  nostra   parte  del  mondo, 
premettendo  alcune    generiche  no- 
zioni sul  popolamento    ed    incivili- 
mento di  Europa. 

I  popoli  che  abitano  1'  Europa 
appartengono  a  differenti  razze, 
delle  quali  molte  traggono  eviden- 
temente l'origine  dall'Asia.  La  sto- 
ria fa  menzione  di  molte  emigra- 
zioni di  popoli  asiatici  in  Europa, 
e  se  ne  sono  senza  dubbio  verifi- 
cate anche  delle  altre  che  fuggiro- 
no alla  conoscenza  degl' istorici.  E- 
gli  è  perciò  che  le  idee  religiose, 
e  le  lingue  dei  popoli  i  più.  famosi 


EU  il  5.o3 

dell'Asia  ebbero  un'  influenza  mar- 
cata nella  civiltà  dell'Europa.  Que- 
st'  ultima  rimase  sepolta  lungo  tem- 
po nella  barbarie,  e  non  fu  che  in 
grazia  del  suo  contatto  coli' Egitto 
da  una  parte,  e  con  l'Asia  dall'al- 
tra,   che    la    Grecia    esci  la  prima 
da  quello    stato  generale    di    tene- 
bre, e  dalla  vita  selvaggia  che  me- 
navano tutti    i  popoli  dell'Europa. 
Le  belle  arti,  le  lettere,  le  scienze, 
le  forme  del  governo,   le  virtù,  so- 
ciali, tutto  fu  portato    ad  un    alto 
grado  di   perfezione  dai    greci,  po- 
polo felicemente  organizzato  e    ca- 
pace del  più  grande  sviluppo  dello 
spirito     e     della    immaginazione.   I 
fenici    apportarono     dall'  Asia     nel 
mezzodì    dell'Europa    il  gusto  del 
commercio  e  della  navigazione,  fon- 
dandovi   depositi    di    mercanzie    e 
colonie  mercantili.  Ebbero  per  suc- 
cessori i  cartaginesi,  popolo  più  con- 
quistatore   e  più  militare  ;  indi  dal 
canto  loro  i  greci  si  stabilirono  in 
folla  neh'  Italia,  ove  sorse  ben  pre- 
sto una  nuova  potenza,  quella  dei 
romani.  Anche  la  religione  cristia- 
na, come  si  accennò,  penetrò    dal- 
l'Asia in  Europa,  ma  scorsero  molti 
secoli  avanti    che    questa    religione 
fosse  portata  e    stabilita    nel    nord 
dell'Europa. 

Jafet,  uno  de'  tre  figli  di  Noè , 
per  consenso  generale  degli  erudi- 
ti, fondati  sulla  fede  dovuta  alla 
tradizione,  viene  salutato  qual  pa- 
dre delle  genti  europee,  conosciute 
sotto  le  originarie  denominazioni , 
che  ciascuna  provincia  dal  suo  fon- 
datore assumeva.  Allorquando  poi 
incominciarono  a  sorgere  le  diver- 
se popolazioni,  i  celti  occuparono 
la  parte  occidentale,  comprese  le 
sue  isole  dalle  Alpi  all'Atlantico,  e 
dieremo  vita  ai  galli,  agi' iberi,  ai 
batavi,  ai  pitti,  ed  ai  calcedoni  ;  i 


ao4  EUR 

finlandesi  si  diffusero  nel  centro, 
e  nella  parte  orientale,  e  quindi 
derivarono  i  germani,  i  geti,  i  tra- 
ci, i  cimmeri  ;  i  lapponi  poi,  affi- 
ni agli  asiatici  samojedi  ed  agli 
americani  esquimesi,  abitarono  la 
parte  settentrionale  3  ove  poscia 
comparvero  i  sarmati,  gli  sciti,  e 
gli  scandi  vani,  mentre  gli  autoctoni 
e  gli  aborigeni ,  così  detti  quasi 
primigeni,  furono  dal  lato  meridio- 
nale progenitori  de'  greci  e  degli 
italiani.  Alle  ripetute  incursioni  dei 
goti,  e  degli  eruli  asiatici  sono  de- 
bitori della  loro  origine  gli  odier- 
ni russi,  polacchi  ed  alemanni  :  co- 
lonie di  Iberia  e  di  Mauritania 
accrebbero  la  popolazione  delle 
Spagne,  ed  i  pelasghi  d' incerta  e 
controversa  origine,  col  qual  nome 
secondo  il  più  sensato  moderno 
pensamento  tutti  indistintamente 
vogliono  indicarsi  i  nautici  avven- 
turieri ,  sparsero  in  molte  par- 
ti i  primi  semi  della  coltura  so- 
ciale. 

Mentre  tutto  il  rimanente  del- 
l'Europa trovavasi  avvolto  nella 
rozzezza  e  nella  barbarie,  né  co- 
nosceva altri  esercizi  che  quelli 
della  caccia  ,  della  pesca  ,  d'  una 
continua  guerra  depredatrice,  con- 
ducendo vita  noma  da  ed  errante, 
Cadmo,  Inaco,  Lelege,  Prometeo, 
Ogige  e  Saturno  lasciarono  tra- 
vedere, in  mezzo  alla  oscurità  del- 
le mitologiche  finzioni  ed  allegorie, 
la  civiltà,  e  le  leggi  edificarono  il 
seggio  nei  vari  regni  dell'Egialea, 
dell'Emonia,  e  nella  federazione 
dell'etnische  Lucumonie.  Dopo  l'an- 
no 3oo4  del  mondo,  circa,  ossia 
dieci  secoli  innanzi  l' era  volgare, 
incominciò  a  dissiparsi  il  velo  che 
ottenebrava  le  ricordanze  de'  tem- 
pi precedenti,  ed  il  linguaggio  de- 
purato della  storia  c'indica  eleva- 


EUR 

te  in  isplendida  fuma  le  greche 
repubbliche  di  Atene,  di  Sparta, 
di  Corinto,  di  Tebe,  e  la  luce  da 
quelle  contrade  nella  Trinacria  e 
nella  Magna  Grecia  mirabilmente 
si  diffuse. 

Nell'anno  776  avanti  la  nascita 
di  Gesù  Cristo,  gli  storici  stabili- 
scono colla  prima  olimpiade  l'epo- 
ca principale  della  cronologia  gre- 
ca, mentre  sulle  rive  del  fiume 
Albula,  ch'ebbe  poi  il  nome  di  Te- 
vere, ov' erano  già  noti  i  piccoli 
regni  d'Alba  e  del  Lazio,  nasceva 
l' immortale  fondatore  di  Roma, 
Romolo.  Questa  città,  edificata  nel- 
l'anno quarto  della  sesta  olimpia- 
de, o  settecento  cinquantatre  anni 
prima  della  divina  incarnazione , 
asilo  ne'  suoi  principii  di  profughi 
e  di  avventurieri,  contrasse,  col 
famigerato  ratto  delle  sabine,  i  so- 
ciali legami,  ed  ebbe  dai  primi 
suoi  re  la  religione,  e  le  civili  isti- 
tuzioni. Dopo  l'espulsione  del  re 
Tarquinio,  il  Superbo,  Roma  adot- 
tò nell'anno  5 12,  ch'era  il  241 
della  sua  fondazione,  le  severe  for- 
me repubblicane,  e.  colle  guerre, 
non  meno  che  colle  scaltrite  al- 
leanze, dilatò  ampiamente  i  suoi 
confini.  Gli  albani  dapprima ,  e 
quindi  i  latini,  gli  equi,  gli  eroi- 
ci, i  volsci,  i  fidenati,  i  sabini,  gli 
etruschi  furono  distrutti  o  doma- 
ti. La  famosa  cadula  di  Vejo,  e  le 
successive  sconfitte  de'  sanniti  com- 
pirono di  spargere  il  tenore  del 
nome  romano  ne'  popoli  circostan- 
ti, che  colla  soggezione,  coll'allean- 
za,  e  colla  cittadiuanza  romana  ne 
ricercarono  1'  amicizia  e  la  pace. 
Nella  istallazione  del  nuovo  magi- 
strato decemvirale,  il  breve  e  suc- 
coso codice  di  giurisprudenza  con- 
tenuto nelle  dodici  tavole,  compi- 
lale per   ordine  dell'attica   saggez- 


EUR 

za,  proclamò  il  gius  scritto  della 
repubblica.  Alla  tirannide  de'  de- 
cemviri successero  i  tribuni  mili- 
tari con  potestà  consolare,  ed  i 
censori;  ed  i  celtogalli  indi  offriro- 
no largo  campo  al  valore  romano. 
Dopo  essersi  i  celtogalli  propagati 
nel  territorio  cisalpino,  e  fatti  pa- 
droni della  Liguria  e  dell' Jnsu- 
bria,  nell'anno  390  invasa  Roma 
sotto  il  comando  di  Brenno,  resta- 
rono sconfìtti  pel  coraggio  di  Ca- 
millo. Allora  in  Roma  furono  e- 
manate  le  due  rinomate  leggi  pu- 
blia3  e  petelia:  colla  prima  il  dit- 
tatore Publio  Filone  cangiò  in  po- 
polare l'aristocratico  reggimento,  e 
Cajo  Petelio  colla  seconda  distrus- 
se i  diritti  di  vassallaggio,  che  sui 
debitori  plebei  vantavano  i  patri- 
zi. A  quell'epoca  la  monarchia 
macedone  avea  assorbito  tutti  i 
greci  potentati ,  ed  esteso  per  A- 
lessandro  Magno  i  conquisti  nel- 
1'  Asia.  Dopo  la  morte  di  quell'e- 
roe, i  successori  si  divisero  gli  sta- 
ti, ma  la  Grecia  per  le  sue  vicen- 
de formò  la  lega  achea.  Pirro  re 
dell'  Epiro  pel  primo  inviò  i  greci 
contro  i  romani,  s'impadronì  della 
Sicilia;  ma  poscia  i  romani  lo  de- 
bellarono insieme  ai  tarentini ,  ai 
senoni,  ai  boi  ed  altri  popoli  col- 
legati: Taranto  e  Brindisi,  in  un 
alle  altre  città  sicule  ed  alle  pi- 
cene, furono  ridotte  in  provincie 
romane. 

Animati  i  romani  da  tanti  trion- 
fi sfidarono  i  potenti  cartaginesi, 
che  da  tre  secoli  imperavano  sul 
mare,  e  dettavano  leggi  al  Medi- 
terraneo coi  loro  navigli.  La  pri- 
ma guerra  punica  segnò  l'epoca 
del  loro  colossale  imperio.  Dopo 
la  battaglia  navale  e  la  vittoria 
di  G.  Duillio,  ed  il  trionfo  di  Me- 
tello,   la   storia  di    Roma    divenne 


EUR  2o5 

quella  non  solo  di  Europa  ma  di 
tutto  il  mondo  allora  conosciuto. 
Distrutta  Cartagine,  conquistata  la 
Grecia,  l'Insubria ,  la  Liguria,  le 
Spagne,  la  Lusitania,  la  Carnia,  Pil- 
line e  la  Tracia,  furono  quindi 
vinti  i  numidi  3  i  cimbri ,  ed  i 
teutoni .  Ma  nel!'  apice  di  sì  for- 
midabile possanza,  già  Roma  nu- 
driva  in  se  i  primi  semi  di  sua 
decadenza.  Siila  portò  la  guerra  a 
Mitridate,  e  Lucullo  a  Tigrane, 
mentre  Cinna,  Mario  e  Sertorio 
cercavano  di  opprimere  la  patria. 
Siila  ne  li  punì,  e  Tullio  Cicerone 
sventò  le  prave  macchinazioni  di 
Catilina;  però  non  andò  guari  che 
Cesare,  Pompeo  e  Crasso  si  di- 
visero il  potere  col  primo  fatai 
triumvirato.  Successero  le  rapide 
vittorie  che  Cesare  riportò  sugli 
elvezi,  sui  belgi,  sui  sassoni,  su- 
gli svevi,  sui  britanni,  e  sui  galli. 
La  sua  ambizione  lo  fece  nemico 
della  patria.  Passa  il  Rubicone,  in 
Farsaglia  vince  Pompeo,  e  giunge 
alla  dittatura  perpetua  :  se  non  che 
l'amore  alla  libertà  di  alcuni  ne 
terminarono  la  dominazione  col- 
Pucciderlo.  Tuttavolta  i  destini  di 
Roma  non  variarono:  l'armata  re- 
pubblicana fu  dispersa  a  Filippi, 
per  cui  Ottaviano  nipote  di  Cesa- 
re, Marc'  Antonio  e  Lepido  costi- 
tuirono il  secondo  triumvirato;  il 
primo  prevalse,  Io  stato  di  Roma 
fu  cangiato,  alla  repubblica  succes- 
se l'impero,  ed  Ottaviano  col  nome 
di  Augusto  venne  solennemente 
proclamato  imperatore.  Fu  sotto 
di  lui  che  il  mondo  fruì  i  vantag- 
gi d'una  lunga  pace,  e  che  nacque 
il  sospirato  Messia  Gesù  Cristo  Si- 
gnor nostro,  il  cui  avventuroso  na- 
scimento die  incominciamento  alla 
corrente  era.  I  successivi  secoli  sot- 
to   diversi    imperatori,    ciascuno  si 


206  EUR 

distinse  por  svariati  avvenimenti. 
La  brutalità,  la  crudeltà,  la  cor- 
ruttela, e  qualche  raro  lampo  di 
f.juità  e  di  clemenza  si  confusero 
colle  prodezze  dei  romani  eserciti, 
parte  in  mantenere  le  conquiste, 
parte  in  farne  delle  nuove.  Surscro 
quindi  imperatori  saggi  e  filosofi, 
come  Trajano,  Adriano,  Antonino 
e  Marc'Aurelio,  che  fecero  alquan- 
to dimenticar  le  precedenti  sciagu- 
re; ma  nel  terzo  secolo  le  milizie 
pretoriane  usurpando  il  potere,  a 
capriccio  crearono  e  deposero  gli 
imperatori,  per  cui  al  pubblico  in- 
canto vendevano  obbrobriosamente 
l'impero,  e  la  sorte  di  tanti  diffe- 
renti popoli  e  nazioni.  La  fortuna 
delle  aquile  romane  incominciò  a 
piegare,  e  gli  stessi  governatori  del- 
le provincie  innalzarono  lo  stendar- 
do della  ribellione,  disputandosi  il 
supremo  potere. 

1  saggi  e  valorosi  Aureliano  e 
Probo,  degni  di  tempi  migliori,  rav- 
vivarono ancora,  co'trionfi  che  ri- 
portarono, gli  estremi  tratti  d'una 
luce  ch'era  vicina  al  tramonto.  Gli 
stessi  imperatori  nel  quarto  secolo 
prepararono  la  caduta  della  quasi  u- 
niversale  monarchia  col  dividere  la 
unità  della  dominazione,  ciò  che 
pei  primi  fecero  Diocleziano  e  Mas- 
simiano, succedendosi  sanguinarie  e 
civili  discordie.  Nei  pontificati  di  s. 
Melchiade  e  di  s.  Silvestro  I  ces- 
sarono le  persecuzioni  contro  il  cri- 
stianesimo, e  Costantino  il  grande 
restituì  la  pace  alla  Chiesa,  pro- 
fessando pubblicamente  l'evangelo, 
mentre  in  quasi  tutte  le  provincie 
dell'impero  le  arti  e  le  lettere,  u- 
scite  da  un  focolare  comune,  ci- 
vilizzavano i  barbari,  e  la  lingua 
latina  si  confuse  cogl'idiomi  degli 
indigeni.  Ma  il  pio  Costantino  che 
sotto  l'insegne  del  labaro  avea  riu- 


EUR 

nito     l'impero,  in   vece  di  consoli- 
darlo lo    minò    da'fondamenti   col- 
l'averne  trasportalo  la  sede  da  Ro- 
ma a  Bisanzio,   che    per    lui  prese 
il    nome  di    Costantinopoli,    quindi 
eternò  la  divisione  coll'aver  dispo- 
sto dell'impero,  come  di   privata  e- 
redità,  ne'tre  suoi    figliuoli.  Laon- 
de dipoi    Valentiniano    e     Valente 
resero    sistematica     la     separazione 
dell'impero  d'oriente,  o  di  Costan- 
tinopoli, dall'impero  d'occidente,  o 
di   Roma,  dopo    che  per  circa  do- 
dici secoli    nella    grandezza  di  Ro- 
ma  erano  fissati  gli  sguardi   dell'u- 
niverso.   L'  impero    romano    dopo 
una  lunga  serie  di  rivoluzioni  sem- 
pre più.  andò    in  decadenza;  popo- 
li  barbari  avendo  invaso  l'est    del- 
l'Europa, ed  essendo  seguiti  da  quel- 
li   del    nord    s'  impadronirono    di 
quell'impero    per    l' addietro    così 
potente,  e  ne    saccheggiarono  per- 
sino la  capitale.  Fu  il  quinto  seco- 
lo che    fece    cessare  la  storia  uni- 
versale europea,  ed  a  quella  viene 
surrogata     l'altra  de'  nuovi    popoli, 
che  dagli     avanzi    della  squarciata 
monarchia   pullularono.  L'Italia  ri- 
mase aperta  a  un  diluvio  di   bar- 
bari,   che    ne    fecero    ogni   strazio, 
deponendosi   da  Odoacre    re    degli 
eruli,  Momillo    Augustolo    l'ultimo 
degli  imperatori  d'occidente. 

Le  invasioni  de'popoli  barbari  fe- 
cero nascere  nell'Europa  nuovi  sta- 
ti, e  nuove  dinastie  sovrane;  i 
franchi  ed  i  borgognoni  si  stabi- 
lirono nelle  Gallie  ;  i  visigoti  e 
gli  svevi  occuparono  la  Spagna  ; 
i  sassoni  e  gli  angli  fondarono 
piccoli  regni  nella  gran  Bretagna  ; 
i  varequi,  che  si  credono  origina- 
ri della  Scandinavia,  diedero  vari 
dominatori  alla  Russia  ;  i  pirati 
normanni  venuti  dalla  Danimarca  e 
dalla    Norvegia ,     si    fecero    cedere 


EUR 

una  provincia  della  Francia;  i 
mori  dell'Africa  traversarono  lo 
stretto  di  Gibilterra,  invasero  una 
gran  parte  della  Spagna  e  si  spar- 
sero persino  nella  Francia  ed  in 
Sicilia;  gli  unni,  i  goti,  i  vanda- 
li, gli  eruli,  i  visigoti,  i  longo- 
bardi ed  altri  barbari  successiva- 
mente dominarono  sull'Italia,  meno 
qualche  brano  dipendente  dalla  de- 
bole dominazione  del  greco  im- 
pero. 

L'eresia  di  Leone  l'isaurico  fece 
perdere  a'  greci  i  possedimenti  di 
Italia,  le  principali  città  si  sottras- 
sero dalla  loro  ubbidienza,  ed  il 
ducato  romano,  con  Roma,  e  se- 
dici città  della  Campania  si  diero- 
110  verso  l'anno  7 3o  al  sommo 
Pontefice,  e  perciò  sotto  s.  Gre- 
gorio li  ebbe  origine  la  sovranità 
de'Papi,  ch'è  la  più  antica  di  qua- 
lunque altra  dinastia  europea.  Ste- 
fano II  detto  III,  coli' invocare  i 
soccorsi  di  Pipino  re  di  Francia , 
contro  i  longobardi ,  diede  motivo 
al  successivo  debellamento  di  que- 
sti, e  alle  conquiste  che  di  una  gran 
parte  dell'impero  romano  fece  Car- 
lo Magno  figlio  di  Pipino;  il  per- 
chè s.  Leone  III  nell'anno  800  rin- 
novò in  lui  l'impero  d'occidente 
coronandolo  solennemente  nella  ba- 
silica vaticana  :  impero  che  Carlo 
Magno  divise  poscia  tra'suoi  figli. 
Le  chiese  e  i  monisteri  si  erano 
moltiplicati  in  tutti  i  punti  dell'Eu- 
ropa; le  lettere  trovarono  un  asi- 
lo nei  chiostri,  in  mezzo  alle  guer- 
re ed  alle  istituzioni  feudali  che 
pesarono  su  tanti  popoli,  mentre 
l'ignoranza,  la  superstizione  e  la 
barbarie  ne'secoli  chiamati  di  fèrro 
oppressero  l' Europa.  Fu  nel  me- 
dio evo  (questo  tempo  de'  secoli 
barberi  principiò  l'anno  5oo  della 
nostra    eia    cristiana,    e    durò    per 


EUR  207 

T  intero  corso  di  mille  anni,  sino 
al  i5oo  secondo  l'autore  dellV7po- 
logia  de'  secoli  barbari),  che  princi- 
palmente si  formarono  e  si  consolida- 
rono le  diverse  monarchie  che  com- 
pongono oggidì  l'Europa  ;  e  le  città 
marittime  dell'Italia  divennero  stati 
potenti  sul  mare.  La  celebrata  caval- 
leria dell'undecimo  secolo,  e  il  fer- 
vido zelo  delle  crociate  non  addi- 
tano che  fugaci  lampi  di  virtù 
passeggiera,  mentre  le  ragioni  feu- 
dali, l'accanimento  delle  differenti 
fazioni,  gli  scismi,  e  le  religiose  di- 
scordie provocarono  sanguinose  guer- 
re e  carnificine.  Nel  XIV  secolo 
sette  Pontefici  risiedettero  in  Avi- 
gnone, con  grave  danno  di  Roma 
e  d'Italia,  cui  successe  il  lungo  sci- 
sma che  tenne  divisi  tanti  popoli 
e  nazioni.  Tuttavolla  in  quel  se- 
colo, prima  o  dopo,  i  ritrovamen- 
ti della  bussola,  della  polvere,  del- 
la stampa,  ed  il  risorgimento  del- 
le lettere,  delle  scienze  e  delle  ar- 
ti ,  segnano  incomparabili  van- 
ti all'Europa.  1  mori  furono  final- 
mente espulsi  dalla  Spagna,  ma  i 
turchi  invasero  l'impero  greco,  e  lo 
hanno  sino  d'  allora  conservato;  e 
i  tartari  furono  per  qualche  tempo 
padroni  della  Russia. 

La  scoperta  dell'  America  fatta 
nel  declinar  del  XV  secolo  dagli 
europei  assoggettò  loro  un  nuovo 
mondo,  ove  fondarono  immense 
colonie,  e  da  dove  apportarono  in 
Europa  immensi  tesori,  ed  una  fol- 
la di  prodotti  sconosciuti.  L'altra 
scoperta  del  Capo  di  buona  speran- 
za pose  il  commercio  europeo  in 
relazione  diretta  con  l'Africa,  e 
colla  più  bella  parte  dell'Asia;  la 
navigazione  si  perfezionò,  e  si  vi- 
dero distinguersi  parecchi  stati,  e 
sopra  tutti  l'Inghilterra,  per  la  for- 
za della  loro    marina.    Deplorabile 


2o8  EUR 

fu  il  secolo  decimosesto  per  le  la- 
grimevoli  eresie  di  Lutero,  di  Cal- 
vino, ec. ,  e  per  la  riforma  d'En- 
rico Vili,  e  funestissime  ne  furo- 
no le  conseguenze  che  tuttora  de- 
ploriamo. Nel  decimo  settimo  se- 
colo un  trattato  di  pace,  quello  di 
Vestfalia  parve  imporre  un  termi- 
ne alle  guerre  dei  sovrani  dell'Eu- 
ropa intorno  al  soggetto  della  loro 
religione,  e  delle  loro  pretensioni 
di  dominio,  giacche  la  memorata 
riforma  religiosa  introdotta  dagli 
errori  di  Lutero  aveva  staccato 
dall'unita  della  Chiesa  romana  qua- 
si tutto  il  nord  dell'Europa.  L'im- 
pero di  Russia  accresciutosi  di  tut- 
ta l'Asia  settentrionale,  e  degli 
stabilimenti  cosacchi,  cominciò  ad 
influire  sui  destini  dell'  Europa; 
quest'impero  è  divenuto  il  più  e- 
steso  di  tutti  gli  stati  di  questa 
nostra  parte  di  mondo.  L'Inghil- 
terra dal  suo  lato  fu  il  più  ricco 
degli  stati  europei,  pel  valore  di 
sue  colonie,  che  moltiplicò  in  ap- 
presso sino  alla  quinta  parte  del 
mondo.  Alla  fine  del  secolo  deci- 
mottavo  la  rivoluzione  che  scoppiò 
in  Francia,  cangiò  in  parte  la  fac- 
cia dell'Europa.  Antiche  dinastie 
furono  rovesciate,  e  parecchi  stati 
vennero  incorporati  nella  repubbli- 
ca francese,  che  al  principio  del 
decimonono  secolo  si  eresse  in  im- 
pero. Napoleone  primo  imperatore 
de' francesi,  conquistò  ed  invase  una 
gran  parte  dell'Europa  ;  ma  aven- 
do sollevato  contro  di  lui  i  princi- 
pali sovrani,  fu  rovesciato  dal  tro- 
no, e  l'antico  ordine  di  cose  fu  ri- 
stabilito almeno  in  parte.  Solamen- 
te le  nuove  costituzioni,  create  in 
conseguenza  della  rivoluzione  fran- 
cese, e  fondate,  al  dire  di  alcuni, 
sui  bisogni  dei  popoli,  e  sui  de- 
cantati lumi  del  secolo,  furono  con- 


EUR 

servate  la  maggior  parte.  In  questa 
lotta  generale  in  Europa,  una  parte 
considerabile  delle  colonie  in  Ame- 
rica scosse  l'antico  giogo,  la  indu- 
stria fece  rapidi  progressi,  e  la  po- 
polazione meno  esposta  alle  stragi 
del  vaiuolo,  a  merito  della  vacci- 
nazione, e  godendo  d'altronde  di 
una  lunga  pace  mercè  la  saggez- 
za de'sovrani,  si  accrebbe  ben  pre- 
sto malgrado  le  emigrazioni  veri- 
ficatesi pel  nuovo  mondo. 

I  popoli  di  questa  bella  parte 
del  globo,  vengono  politicamente 
divisi  dai  geografi  in  tre  grandi 
sezioni  geografiche  formanti  tutta 
l'Europa.  La  prima  settentrionale 
comprende  il  vasto  impero  russo, 
coll'unito  regno  di  Polonia,  la  Sve- 
zia a  cui  è  unita  la  Norvegia,  la 
Danimarca,  e  le  Isole  Britanniche. 
Alla  seconda  centrale  si  tribuisco- 
no  l'imperio  austriaco,  insieme  ai 
regni  che  ne  dipendono,  la  confe- 
derazione germanica,  cogli  stati  che 
la  compongono,  i  Paesi-Bassi,  ossia 
l'Olanda  ed  il  Belgio,  la  Francia, 
e  la  Svizzera.  La  meridionale  rac- 
chiude l'impero  ottomano  co' suoi 
accessorii ,  il  regno  ellenico  della 
Grecia ,  l'Italia  colle  sue  partizio- 
ni ,  la  Spagna ,  ed  il  Portogallo. 
Nell'Europa,  complessivamente  con- 
siderata, si  numerano  cinquanta 
stati  sovrani,  cioè  i  tre  imperi  di 
Russia,  di  Austria,  e  di  Turchia; 
i  sedici  regni  di  Francia,  d'Inghil- 
terra, di  Spagna,  di  Portogallo,  di 
Sardegna,  delle  due  Sicilie,  di  Prus- 
sia, di  Olanda,  del  Belgio,  di  Bavie- 
ra, di  Sassonia,  di  Grecia,  di  Wit- 
temberga,  di  Anno  ver,  di  Dani- 
marca, e  di  Svezia  cui  è  unita  la 
Norvegia;  l'elettorato  d'Assia;  i  sei 
gran  ducati  di  Toscana,  di  Baden, 
d'Assia-Darmstadt,  di  Weimar,  di 
Meclenburgo-Schwerin,  e  di    Stre* 


EUR 

litz;  i  tredici  ducati  di  Modena, 
di  Parma,  di  Lucca,  d'Oldemburgo, 
di  Gotha,  di  Meiningen ,  d' Ilde- 
burgausen,  di  Coburgo,  di  Brun- 
swick, di  Nassau,  di  Dessau,  di 
Bernburgo  e  di  Roeten;  i  dieci 
principati  di  Hohenzollern-Hechin- 
gen  e  Sigmaringen,  di  Lictenstein, 
Schwarzeburgo-Rudolstadt  e  Son- 
dershausen,,  di  Reuss  ramo  prin- 
cipale, e  cadetto,  di  Lippa-Detmold 
e  Schauenburgo ,  e  di  Waldeck  ; 
lo  stato  ecclesiastico  ;  le  quattro 
repubbliche  della  Svinerà,  delle 
Isole  Jonie,  di  San-Marino,  e  di 
Cracovia;  e  le  quattro  città  ansea- 
tiche di  Francfort  sul  Meno,  Lu- 
becca,  Brema  ed  Amburgo. 

Quanto  ai  governi  l'Europa  ne 
presenta  di  tutte  le  forme,  dal 
dispotismo  il  più  assoluto,  sino  al- 
la democrazia  pura  ;  egli  è  però 
vero  che  le  repubbliche,  altra  vol- 
ta così  numerose ,  sono  state  la 
maggior  parte  distrutte;  quelle  che 
abbiamo  nominate,  e  che  tuttora 
sussistono,  non  possono  essere  an- 
noverate tra  gli  stati  possenti. 

Il  potere  assoluto  domina  an- 
cora ne'  grandi  stati,  ma  il  potere 
moderato  e  costituzionale  ha  pre- 
so in  questo  secolo  un  gran  ascen- 
dente. L'impero  di  Turchia  è  gover- 
nato il  più  dispoticamente,  ed  i  cul- 
ti che  prevalgono  sono  il  maomet- 
tano ed  il  greco.  L'  impero  di 
Russia  è  sottomesso  egualmente  al 
potere  assoluto;  ed  i  culti  di  quel- 
l'impero sono  il  greco,  il  cattoli- 
co ed  il  luterano:  il  regno  di  Po- 
lonia dipendente  dalla  Russia  sog- 
giace al  suo  potere  assoluto.  L'im- 
pero d'Austria  mantiene  il  princi- 
pio del  potere  assoluto,  ma  al- 
cune provincie  del  suo  impero 
hanno  corpi  rappresentativi,  e  l'Un- 
gheria ha  un'antica  costituzione; 
vol,    xxu. 


EUR  209 

i  culti  dell'impero  austriaco  sono 
il  cattolico,  il  greco ,  il  riformato 
e  il  luterano.  Il  regno  di  Prussia 
è  assoluto,  cogli  stati  provinciali; 
i  culti  suoi  sono  luterano,  catto- 
lico, e  riformato.  I  regni  di  Sve- 
zia, della  gran  Bretagna,  di  Olan- 
da, del  Belgio,  di  Francia,  di  Por- 
togallo, ellenico  di  Grecia  sono  go- 
vernati costituzionalmente  ;  la  Svezia 
segue  il  culto  luterano;  la  gran  Bre- 
tagna V  episcopale,  il  presbiterale  e 
il  cattolico;  l'Olanda  il  cattolico  e  il 
riformato  ;  il  Belgio  il  cattolico  ; 
la  Francia  il  cattolico,  il  rifor- 
mato e  il  luterano;  il  Portogallo 
il  cattolico;  ed  il  regno  di  Grecia 
o  ellenico  il  culto  cattolico  e  quello 
greco.  Costituzionalmente  pur  si  go- 
vernano i  regni  di  Baviera,  di  Wur- 
temberg,  e  tale  è  la  forma  de'  piccoli 
stati  di  Alemagna,  ove  il  culto  è  cat- 
tolico, luterano,  riformato,  evangeli- 
co ec.  Il  regno  di  Spagna  al  presente  è 
costituzionale,  ed  il  cullo  è  cattoli- 
co. I  re  di  Sardegna  e  delle  due  Si- 
cilie, il  Pontefice,  ed  il  re  di  Dani- 
marca, e  molti  principi  di  Alema- 
gna e  d'Italia  regnano  senza  con- 
trolleria con  potere  assoluto  :  nei 
primi  stati  il  culto  dominante  è  il 
cattolico,  in  Danimarca  il  luterano. 
La  Svizzera,  composta  di  cantoni 
liberi,  ha  repubblicano  federativo 
il  governo,  ed  il  culto  riformato, 
e  cattolico.  Neil'  isole  Jonie  il  go- 
verno è  repubblicano,  sotto  il  pro- 
tettorato dell'Inghilterra,  coi  culti 
greco,  cattolico ,  ed  episcopale.  I 
ducati  d'Italia  sono  di  governo  as- 
soluto, con  culto  cattolico;  ed  il 
principato  di  Monaco  è  sotto  il 
protettorato  della  Sardegna.  La 
repubblica  di  Cracovia  è  protetta 
dalla  Russia,  Prussia,  ed  Austria, 
con  culto  cattolico,  senza  nomina- 
re altri  stati  già   mentovati. 

»4 


qjo  EUR 

EUROPA.  Provincia,  ed  anti- 
chissima contrada  dell'  Illiria,  nel- 
la parte  orientale  della  Tracia, 
lungo  la  costa,  che  guarda  l'Asia 
minore,  dal  Ponto-Eusino  fino  al- 
l'Arcipelago. Le  città  principali  e- 
rano  Costantinopoli,  Selivreè,  Ru- 
disto,  Apri  ec.  Secondo  alcuni  ap- 
parentemente questo  paese  comu- 
nicò il  suo  nome  a  tutta  l' Euro- 
pa, come  l'Asia  minore  diede  il 
.suo  nome  al  restante  dell'Asia,  e 
l'Africa  propria  a  tutta  l'Africa. 
Eraclea  (Fedi),  era  altre  volte  la 
metropoli  della  provincia  ecclesia- 
stica di  Europa,  come  poi  lo  fu 
di  tutta  la  Tracia:  a  quell'artico- 
lo notammo  gli  arcivescovati  ed 
j  vescovati  della  provincia  di  Eu- 
ropa, sotto  il  patriarcato  di  Co- 
stantinopoli, del  quale  fu  la  prima 
provincia. 

EUROPA,  EUROPI,  o  EURO- 
PO.  Città  vescovile  dell'Asia,  nel- 
la Siria,  nella  provincia  di  Eufra- 
te, diocesi  di  Antiochia ,  sotto  la 
metropoli  di  Gerapolh  che  secondo 
Commanville  fu  eretta  nel  quinto 
secolo.  Era  situala  sulla  riva  del- 
l'Eufrate all'est  di  Gerapoli,  ed  al 
sud  di  Zeugma.  Fu  chiamata  con 
diversi  nomi,  come  di  Amphipo- 
lis,  Thapsacum ,  e  Turmeda,  se- 
condo la  Siria  sagra.  Al  dire  di 
Procopio,  l'imperatore  Giustiniano 
I  vi  edificò  una  fortezza.  De' suoi 
vescovi  non  si  conosce  che  David, 
riportando  il  p.  Le  Quien,  nel- 
1'  Oritns  Christ.  tom.  II,  p.  4q5j 
ch'egli  non  intervenne  al  concilio, 
ma  fu  ivi  rappresentato  dall'arci- 
vescovo di  Gerapoli,  che  sottoscris- 
se pegli  altri  suoi  vescovi  suffra- 
gaci siccome  assenti.  Attualmente 
Europa,  Europe/i,  è  un  titolo  ve- 
scovile 7/1  partibus  che  si  dà  dai 
sommi  Pontefici,  sotto  la  metropo- 


li US 

li  di  Gerapoli  pure  in  partibus.  II 
Tapa  che  regna,  a'  7  giugno  i83<), 
fece  vescovo  d'Europa  monsignor 
Lodovico  di  s.  Teresa  de'  carmeli- 
tani scalzi,  non  che  coadiutore  del 
vicario  apostolico  di  Gerapoli. 

E  USE  Jacopo,  Cardinale.  V. 
Giovanni  XXII  Papa. 

EUSEBIA  (s.).  Neil'  anno  63  7 
nacque  Eusebia  da  nobili  e  vir- 
tuosi genitori.  Fu  educata  sotto  la 
direzione  della  propria  avola  la 
beata  Gertruda,  la  (piale  governa- 
va in  quei  giorni  in  qualità  di  ba- 
dessa il  monistero  di  Hamaige. 
Cresciuta  negli  anni,  ed  informato 
il  suo  cuore  ad  ogni  esercizio  di 
virtù  cristiana,  venne  eletta  a  suc- 
cedere nel  ministero  dell'avola.  Una 
profonda  umiltà,  accoppiata  aduna 
inalterabile  dolcezza,  la  rendette 
cara  a  tutte  le  sue  conreligiose. 
Colla  austerità  mantenne  puro  il 
suo  corpo  ed  il  suo  spirito,  e  nel- 
la fresca  età  di  anni  venti  tre,  il 
giorno  16  marzo  dell'anno  660 
volò  al  cielo  a  cogliere  il  premio 
dei  giusii.  In  questo  giorno  me 
desimo  nel  martirologio  di  Fran- 
cia e  dei  benedettini  è  ricordata 
la  sua  festività. 

EUSEBIAM  (Eusebiani).  Gli  eu- 
sebiani  erano  eretici  ariani  che 
furono  così  chiamati  da  Eusebio  di 
Nicomedia,  principal  difensore  della 
dottrina  e  della  persona  d'Ario. 
Essendosi  Eusebio  lasciato  sorpren- 
dere dagli  errori  di  questo  eresi  ar- 
ca., finse  di  abiurarli  al  concilio 
di  Nicea,  per  non  cadere  in  so- 
spetto dell'imperatore  Costantino; 
ma  i  vescovi  cattolici  avendolo  fat- 
to conoscere,  siccome  per  uno  dei 
principali  fautori  d'Ario,  quel  prin- 
cipe l'esiliò  dappoi.  Il  partito  aria- 
no avendo  ottenuto  il  suo  richiamo, 
diventò  egli  il  più  gran  nemico  di 


EUS 

s.  Atanasio  primario  difensore  del 
cattolicismo  ;  fecelo  quindi  esiliare, 
riunì  diversi  concili  contro  di  lui, 
circondò  l'imperatore  Costantino  fino 
alla  sua  morte,  ed  infettò  dell'eresia 
ariana  Costanzo  suo  figlio  e  tutta 
la  famiglia  imperiale.  Fecesi  poi 
eleggere  per  forza  vescovo  di  Co- 
stantinopoli, dopo  aver  fatto  esilia- 
re Paolo ,  prelato  ortodosso,  nel 
338,  egli  in  fine  si  eresse  incapo  di 
partito.  Dopo  la  morte  d'Ario,  i  pu- 
ri ariani  lo  consideravano  come  loro 
apostolo,  e  si  diedero  a  gloria  di 
portare  il  nome  d'eusebiani.  Fu  egli 
pure  che  compose  quasi  tutte  le  for- 
inole ariane.  Disprezzò  tutte  le  sco- 
muniche scagliate  contro  di  lui  dai 
vescovi  cattolici,  e  morì  nello  scisma 
e  nell'eresia,  l'anno  34 1. 

EUSEBIO  (s.)  Papa  XXXII.  Gre- 
co, medico,  o  figlio  di  medico,  il  gior- 
no 5  febbraio  del  309  fu  innalzato 
alla  sede  di  s.  Pietro.  Confermò 
il  decreto  di  Stefano  I  riconcilian- 
do tutti  gli  eretici  che  trovò  in 
Roma  colla  sola  imposizione  delle 
mani.  Battezzò  s.  Eusebio,  illustre 
vescovo  di  Vercelli,  a  cui  impose  il 
suo  nome.  Sostenne  la  legge  dei  santi 
Pontefici  Cornelio  e  Lucio  suoi  pre- 
decessori, per  la  quale  veniva  pre- 
scritto ai  caduti  nell'apostasia  di  far 
penitenza,  ond'essere  restituiti  alla 
pace  e  comunione  ecclesiastica.  Dice- 
si aver  egli  prescritto  che  i  corpo- 
rali non  fossero  di  seta,  ma  sola- 
mente di  lino  benedetto  dal  vesco- 
vo, e  che  la  cresima  fosse  ammi- 
nistrata soltanto  dai  vescovi,  a'  qua- 
li determinò  la  moderazione,  che 
dovevano  usare  alla  loro  mensa.  Fe- 
ce una  sola  ordinazione  nella  quale 
creò  quattordici  vescovi,  tredici  preti 
e  tre  diaconi.  Patì  a'26  settembre 
del  3ii,  e  fu  sepolto  nel  cimite- 
rio  di  Callisto,  dopo  avere  gover- 


EITS  2.  ir 

nato  due  anni,  sette  mesi,  e  sedi- 
ci giorni.  Vacò  la  santa  sede  sei 
giorni. 

EUSEBIO  (s.).  Nacque  Eusebio 
in  Sardegna,  da  nobili  genitori.  Ri- 
masto privo  del  padre  in  tenera  età, 
la  madre  sua  si  trasferì  in  Roma  con 
lui.  Educato  colà  nella  pratica  delle 
cristiane  virtù,  e  nello  studio  delle 
ecclesiastiche  scienze,  fu  dal  Ponte- 
fice s.  Eusebio  battezzato,  per  cui 
gì'  impose  il  proprio  nome,  e  po- 
scia dal  Papa  s.  Silvestro  I  ordi- 
nato lettore.  Passato  in  progresso  a 
reggere  la  chiesa  di  Vercelli,  fu  egli 
il  primo  suo  vescovo.  Con  la  mag- 
gior pastorale  sollecitudine  governò 
Eusebio  il  gregge  alla  sua  cura  affi- 
datogli, ed  in  breve  la  città  di  Ver- 
celli  avvampò  tutta  di  sacro  fuoco 
verso  Gesù  Cristo.  Nell'anno  354  fu 
dal  Pontefice  s.  Liberio  mandato 
Eusebio  ad  Arles  nelle  Gallie,  ove 
trova  vasi  allora  T  imperatore  Co- 
stanzo, per  stabilire  con  quel  prin- 
cipe la  convocazione  di  un  con- 
cilio, che  fu  in  Milano  radunato 
nell'  anno  seguente.  Recatosi  Euse- 
bio in  Milano,  gli  ariani,  che  assai 
lo  temevano,  sostenuti  però  dal 
dominatore  di  quel  tempo,  riusci- 
rono per  dieci  giorni  d'impedirgli 
l'ingresso  al  concilio,  ma  final- 
mente vi  fu  ammesso.  Prima  di 
dar  cominciamento  all'affare  di  s. 
Atanasio,  per  cui  si  erano  convo- 
cati, volle  il  sauto  prelato  che  tutti 
i  vescovi  accettassero  in  iscritto  il 
simbolo  di  Nicea,  per  dare  così  un 
colpo  decisivo  alle  calunnie  inven- 
tate a  carico  del  santo  vescovo  A- 
tanasio.  Il  commendevole  zelo  di  Eu- 
sebio per  la  causa  di  s.  Atanasio  gli 
procurò  l'esilio  dall'  imperatore  Co- 
stanzo in  sul  declinare  dell'anno  36 1 . 
Dipoi  dal  suo  successore  fu  richia- 
mato   Eusebio    a    reggere    la    sua 


212  EUS 

chiesa,  ed  egli  recatosi ,  cercò  con 
ogni  premura  ed  instancabili  atti 
di  virtù  di  riparare  ai  guasti  oc- 
casionativi da  una  sì  lunga  assen- 
za. Dagli  anni  e  molto  più  dalle 
fatiche  logorato  mori  il  santo  ve- 
scovo il  primo  agosto  dell'anno 
370,  e  le  sue  spoglie  mortali  sono 
con  gran  venerazione  conservate 
nella  cattedrale  di  Vercelli.  Il  Bre- 
viario romano  assegna  la  sua  festa 
li  i5  dicembre  a  cagione  della  tu- 
mulazione fatta  in  tal  giorno  delle 
sue  reliquie. 

EUSEBIO  (s.).  Nell'anno  366  il 
santo  vescovo  Eusebio  occupò  la 
sede  di  Samosata  in  Siria,  e  nello 
stesso  anno  assistette  al  concilio  di 
Antiochia.  Molta  fu  l' influenza  che 
egli  ebbe  nella  elezione  di  s.  Mele- 
zio  patriarca  di  Antiochia.  Gli  aria- 
ni, quantunque  contrari  a  lui  per 
principii  religiosi,  avevano  però 
grande  venerazione  per  la  sua  pro- 
bità. Nel  370  concorse  all'elezione 
di  s.  Basilio  arcivescovo  di  Cesa- 
rea, e  si  legò  strettamente  a  lui, 
mantenendo  un'amichevole  ed  apo- 
stolica corrispondenza.  Destatasi  in 
que'  dì  dall'imperatore  Valente  una 
fiera  persecuzione  contro  i  cattoli- 
ci, il  santo  vescovo  Eusebio  si  ado- 
però con  tutto  potere  a  garantire 
il  proprio  gregge  dal  veleno  del- 
l'eresia. Incontrò  viaggi  per  la  Si- 
ria, Palestina  e  Fenicia  per  ordi- 
nar sacerdoti,  per  assistere  vesco- 
vi, per  rimetter  pastori  nelle  cure 
vacanti,  per  rassodare  finalmente  i 
credenti  nelle  verità  della  fede. 
Una  tale  vigilanza  operosa,  gli  pro- 
curò dalla  setta  ariana,  che  in  quei 
giorni  dominava,  un  odio  impla- 
cabile, e  questa  condusse  l'impera- 
tore ad  esiliare  Eusebio  nella  Tra- 
cia. Il  santo  obbedì  all'  imperiale 
comando,    e  raccomandata    al    Si- 


EUS 

gnore  con  fervente  preghiera  la  sua 
greggia,  si  mosse  verso  il  luogo  di 
sua  destinazione.  Accortisi  i  suoi 
dell'allontanamento  del  proprio  pa- 
dre e  pastore,  si  diedero  in  fol- 
la a  seguirlo ,  e  raggiuntolo  a 
Zeugma,  lo  scongiurarono  di  non  ab- 
bandonarli al  furore  dei  lupi.  Som- 
mamente commosso  Eusebio,  li 
benedisse,  eccitandoli  ad  adorare 
le  divine  disposizioni,  né  volle  ac- 
cettare niente  di  quanto  in  denaro 
essi  gli  offrirono  pe'suoi  bisogni. 
Nell'anno  379,  daudo  i  goti  gua- 
sto alla  Tracia,  fu  accordato  ad 
Eusebio  di  ritornare  alla  sua  sede 
per  cogliere  la  corona  del  marti- 
rio; ma  passando  per  Dolico,  pic- 
cola città  della  Comagena,  infetta 
allora  dell'arianismo,  una  femmina 
eretica  gli  scagliò  una  tegola  sul 
capo,  che  in  brevi  giorni  lo  con- 
dusse a  morte.  Prossimo  il  santo 
vescovo  a  spirare,  fece  viva  istanza 
che  non  si  facesse  alcun  male  a  chi 
gli  toglieva  la  vita,  imitando  così  il 
divino  nostro  Redentore,  il  quale 
dalla  croce  pregò  pe'suoi  crocefis- 
sori.  Dai  greci  è  onorato  Eusebio 
li  22  giugno,  e  dai  latini  il  gior- 
no 21. 

EUSEBIO  Abbate  (s.).  In  un 
monistero  fra  Berea  ed  Antiochia 
condusse  Eusebio  la  santa  sua  vi- 
ta. Chiamato  a  presiedervi  in  qua- 
lità di  abbate,  seppe  col  suo  esem- 
pio conservar  pura  la  disciplina,  e 
condurre  i  suoi  conreligiosi  nella 
via  della  perfezione.  L'austerità  di 
sua  vita  si  rendette  celebre  in  quei 
dintorni,  e  molti  allievi  procurò  al 
monistero.  Carico  di  anni  e  di 
meriti  riposò  nel  Signore  li  23 
gennaio  nell'anno  4°°>  ea*  in  tal 
giorno  se  ne  celebra    la  memoria. 

EUSEBIO  Prete  (s.).  Fu  Eu- 
sebio prete  e  confessore  in   Roma, 


EUS 

ed  ebbe  molto  a  combattere  l'a- 
rianismo  sotto  il  regno  di  Costan- 
zo. Confinato  prigione  nella  sua 
propria  stanza  per  ordine  dell'im- 
peratore, egli  si  santificò  in  quella 
col  mezzo  di  una  continua  orazio- 
ne. Morì,  e  fu  sepolto  nel  cimite- 
ro di  Calisto.  Il  suo  culto  fu  sem- 
pre celebre  in  Roma,  e  la  sua  fe- 
sta è  assegnata  ai    i4  di   agosto. 

EUSEBIO  Prete  e  martire  (s.). 
Sotto  il  regno  di  Diocleziano  e  Mas- 
simiano viveva  il  sacerdote  Euse- 
bio addentrato  in  grado  eminente 
nello  spirito  della  preghiera,  ed  in 
tutte  le  apostoliche  virtù.  Colla  pre- 
dicazione molti  furono  da  lui  con- 
vertiti; e  gl'idolatri  irritati  dai  gran- 
di progressi  ch'egli  faceva  a  sca- 
pito del  loro  culto,  provocarono  il 
preside  Massenzio  ad  assoggettar- 
lo all'inquisizione.  Comparso  Euse- 
bio al  tribunale,  con  eroica  fermez- 
za non  si  lasciò  sedurre  dalle  lu- 
singhe, né  vincere  dalle  minaccie 
del  tiranno,  che  indurlo  voleva  a 
sacrificare  agi'  idoli.  Quindi  si  as- 
soggettò al  martirio,  e  venne  de- 
capitato il  giorno  i4  agosto  circa 
il  terminare  del  terzo  secolo,  ed  in 
tal  giorno  è  ricordata  la  sua  festi- 
vità negli  antichi  martirologi. 

EUSEBIO  Prete  (s.).  V.  Mar- 
cello (s.). 

EUSEBIO  Martire  (s.).  V.  Ne- 

STABLO  (S.). 

EUSEBIO,  Cardinale.  Eusebio 
Cardinal  prete  del  titolo  di  s.  Lo- 
renzo in  Lucina,  si  trovò  presente 
al  concilio  celebrato  dal  Pontefice 
s.  Paolo  I  nel  761. 

EUSEBIO  di  Cesarea.  Per  quan- 
to si  crede  nacque  nella  Palestina 
verso  la  fine  dell'  impero  di  Gal- 
lieno. Durante  la  persecuzione  di 
Diocleziano  ebbe  a  maestro  s.  Pan- 
filo, sotto  del  quale   molto   profit- 


EUS  ai3 

tò.  Credesi  falsamente  che  nel  tem- 
po di  sua  prigionia  offerisse  incen- 
so agli  idoli  per  evitare  il  mar- 
tirio. Quando  venne  restituita  la 
pace  alla  Chiesa,  Eusebio,  il  quale 
avea  aperta  una  famosa  scuola  a 
Cesarea,  fu  eletto  vescovo  in  quel- 
la città  nell'anno  3i3.  In  questo 
tempo  in  cui  produceva  grande 
guasto  nella  Chiesa  1'  arianesimo  , 
Eusebio,  sedotto  dal  suo  parente 
Eusebio  di  Nicomedia,  prese  a  di- 
fendere Ario,  e  fece  ogni  sforzo 
per  ristabilirlo  appresso  Alessandro 
suo  vescovo.  Cotale  caduta  d'Eu- 
sebio fu  al  suo  nome  una  macchia 
tanto  maggiore,  quanto  più  tentò 
occultarla  colla  dissimulazione.  Nel 
concilio  di  Nicea  durò  grande  fa- 
tica a  sottoscriversi  nella  condan- 
na degli  errori  d'Ario,  ne  volea 
ammettere  il  termine  consustanzìa' 
le  aggiuntovi  dai  padri.  Indotto 
dai  vescovi  ariani  ,  intervenne  al 
concilio  d' Antiochia  nel  33o ,  in 
cui  Eustazio  vescovo  di  questa  cit- 
tà venne  ingiustamente  deposto: 
e  così  pure  nel  335  a  quello  di 
Tiro  tenutosi  contra  s.  Atanasio. 

Morì  poco  tempo  dopo  nel  338, 
e  senza  dubbio  ariano,  tale  essen- 
do, contro  l'opinione  di  alcuni  mo- 
derni, la  testimonianza  di  s.  Eu- 
stazio, s.  Atanasio,  s.  Ilario,  s.  Epi- 
fanio, e  s.  Girolamo.  Abbiamo  di 
lui:  i.°  la  Confutazione  di  J erode, 
il  quale  metteva  Apollonio  Tia- 
neo  al  di  sopra  di  Gesù  Cristo  ;  2.0 
la  Preparazione  evangelica,  in  quin- 
dici libri  ;  3.°  la  Dimostrazione  e- 
vangelica,  divisa  in  venti  libri,  del- 
la quale  non  ci  rimangono  altro 
che  i  primi  dieci;  4«°  un  Trattato 
di  storia  ecclesiastica,  dopo  la  ve- 
nuta di  Gesù  Cristo  fino  al  primo 
concilio  universale;  5.°  una  Cro- 
naca, eh'  è  un  indice  di  storia  uni- 


2j4  EUS 

versale  da  Adamo  fino  all'  anno 
ventesimo  di  Costantino;  6.°  la 
Vita  di  Costantino,  in  quattro  li- 
bri ;  7.0  alcuni  Commenti  sui  sal- 
mi pieni  del  veleno  dell'arianesi- 
mo, ma  veleno  mascherato  con 
grande  artifizio;  8.°  certi  Commen- 
ti sopra  Isaia,  che  si  trovano  nel- 
la collezione  delle  opere  d' alcuni 
padri  greci,  pubblicata  a  Parigi  nel 
1706. 

EUSIZIO  (s.).  Da  poveri  geni- 
tori sortì  Eusizio  i  natali  nel  Pe- 
rigueux,  e  si  ricoverò  in  qualità 
di  laico  nel  monistero  di  Percy, 
nella  diocesi  di  Burges.  Servita  la 
comunità  per  alcun  tempo,  fu  ac- 
cettato poscia  nel  numero  de'  mo- 
naci, ed  ordinato  sacerdote.  Coll'as- 
senso  del  superiore  si  staccò  dai 
suoi  conreligiosi,  e  si  ritirò  nel  Ber- 
rì  in  un  luogo  solitario.  Fece  in 
progresso  fabbricare  nel  luogo  del 
suo  romitaggio  un  monistero,  che 
prese  il  nome  di  celle,  e  vi  concor- 
sero molti  allievi.  Il  santo  eremita 
finì  in  pace  i  suoi  giorni  nell'anno 
542,  li  27  novembre,  ed  in  tal  dì 
se  ne  celebra  la  sua  festa. 

EUSTACHIO  (s.).  V.  Antonio, 
Giovanni  ed  Eustachio  (ss.). 

EUSTACHIO  (s).  Regnando  in 
Roma  l'imperatore  Adriano,  Placido, 
che  tale  era  il  nome  di  Eustachio 
prima  di  sua  conversione,  viveva 
ascritto  alla  romana  milizia.  Dedito 
egli  alla  caccia,  si  recò  un  giorno  a 
diporto  in  una  folta  boscaglia,  e  nel 
silenzio  di  quel  luogo,  scoprì  in  un'al- 
tura un  cervo,  avente  fra  le  corna 
l'immagine  di  Gesù  Crocefisso.  Ad 
un  tanto  prodigio  Placido  si  arre- 
stò maravigliato,  ed  intesa  in  quel 
mentre  una  voce  che  lo  invitava 
a  farsi  cristiano,  si  prostrò  bocco- 
ne, e  da  quell'istante  si  dichiarò 
seguace  di  Gesù,  rinunziando  al  fi- 


ELS 

no  allora  professato  gentilesimo.  Ri- 
tornato Placido  in  sua  casa,  rac- 
contò a  sua  moglie  Taziana ,  che 
poscia  chiamossi  Teopista,  l' avve- 
nuto, ed  invitata  a  seguire  l'im- 
pulso divino,  abbracciò  anch' ella 
di  buona  voglia  il  consiglio  del  suo 
sposo,  ed  insieme  ai  due  figli  A- 
gapio  e  Teopisto  si  fecero  tutti 
ammaestrare  nei  santi  principii  del- 
la morale  cristiana,  e  quindi  colle 
acque  battesimali  rigenerati,  diven- 
nero figli  adottivi  dell'  autore  del- 
la grazia.  Viveva  Eustachio  con  la 
sua  famiglia  tranquillo  e  sereno  nel 
novello  suo  stato,  quando  occorren- 
do all'imperatore  Adriano  valersi  di 
lui  in  una  militare  impresa,  fu  chia- 
mato all'  esercito  in  qualità  di  ca- 
pitano generale.  Eustachio  obbedi- 
sce prontamente  ai  comandi  del 
principe,  assume  l'incarico  affidato- 
gli, va  al  campo,  fuga  i  nemici,  e 
vittorioso  ritorna  in  Roma.  L'im- 
peratore grato  ai  servigi  prestati 
da  Eustachio,  lo  onora  di  sua  gra- 
zia, e  Io  invita  altresì  a  rendere 
tributi  di  laude  agli  dei  per  l'otte- 
nuta vittoria.  Eustachio  per  esser 
divenuto  cristiano,  si  rifiuta  di  ob- 
bedire; l'imperatore  che  ignorava 
il  novello  stato  di  lui,  s'inquieta; 
vuole  eseguiti  ad  ogni  modo  i  suoi 
ordini,  ed  Eustachio  vi  resiste  fer- 
mamente. La  grazia  ed  il  favore 
sovrano  di  prima  si  cangia  in  fu- 
rore, ed  ordina  Adriano  che  Eu- 
stachio con  la  moglie  e  i  figli ,  sie- 
no  esposti  nel  parco  de'  leoni,  per 
esser  da  quei  divorati.  Si  eseguisce  il 
comando,  vengono  essi  tradotti  sul 
luogo,  e  quelle  fiere,  anziché  segui- 
re l'istinto  proprio,  mansuete  si 
avvicinano  a  lambire  i  loro  piedi. 
Adriano  vieppiù  infuriato  per  l'av- 
venuto, comanda  che  sieno  essi  po- 
sti in  un  bue  grande    di    metallo , 


E  US 

e  chiusi  in  quello,  vengano  dal  fuo- 
co sottopostovi  arrostiti  ed  incene- 
riti. Colla  rassegnazione  dei  veri 
n lieti  di  Cristo  si  assoggettarono 
tutti  a  tale  barbaro  comandamen- 
to. Tre  giorni  vi  stettero  rinchiu- 
sa in  capo  ai  quali,  aperto  il  bue 
si  trovarono  i  loro  corpi  intatti,  e 
senza  alcuna  lesione,  pel  quale  pro- 
digio molti  sul  fatto  ebbero  a  con- 
vertirsi. JVel  giorno  20  settembre 
dell'anno  120  subirono  essi  il  mar- 
tirio, ed  in  tal  giorno  il  martiro- 
logio romano  assegna  la  loro  fe- 
stività. Agli  articoli  Chiesa  di  s. 
Eustachio,  e  Conti  famiglia,  sono 
riportate  diverse  erudizioni  risguar- 
danti   questo  santo. 

EUSTACHIO,  Cardinale.  Eu- 
stachio Cardinal  prete,  fu  uno  dei 
padri  componenti  il  concilio  Roma- 
no celebrato  da  s.  Zaccaria  nel 
745. 

EUSTAZIANI.  Nome  d'una  set- 
ta eretica  del  IV  secolo.  Se  si  cre- 
de a  Socrate  ed  a  Sozomeno,  que- 
sti eretici  ebbero  per  patriarca  Eu- 
stazio,  vescovo  di  Sebaste  in  Ar- 
menia, il  quale  non  essendo  che 
semplice  prete,  fu  deposto  da  suo 
padre  chiamato  Eulogio,  arcive- 
scovo di  Cesarea  in  Cappadocia , 
perchè  vesti  vasi  da  filosofo  paga- 
gano,  e  faceva  portare  a'  suoi  di- 
scepoli abiti  straordinari.  Baronio 
crede  che  l'eresiarca  Eustazio  sia 
quell'Eutacto  di  cui  s.  Epifanio 
parla  come  d'  un  impostore ,  che 
era  monaco  d'Armenia,  il  di  cui 
nome  è  stato  alterato  e  cangialo 
in  Eustazio.  L'opinione  la  più  co- 
mune è  che  fosse  un  monaco ,  il 
cui  amore  eccessivo  per  la  sua  pro- 
fessione lo  fece  cadere  in  molti  er- 
rori. Condannava  il  matrimonio 
come  contrario  alla  salute,  e  divi- 
deva le  donne  dai  loro  marili.  Ab- 


EUS  2i5 

bandonava  le  pubbliche  adunanze 
delle  chiese  per  farne  delle  priva- 
te, ed  appropriavasi  le  obblazioni 
dei  fedeli.  Credeva  che  non  si  po- 
tesse niuno  salvare  senza  abbandona- 
re tutti  i  propri  beni;  divideva  i  fi- 
gli dai  loro  padri  ed  i  domestici 
dai  loro  padroni,  sotto  pretesto  di 
far  condur  loro  una  vita  più  per- 
fetta, e  ricusava  le  obblazioni  dei 
preti  ammogliati.  Sosteneva  ch'era 
vietato  in  tutti  i  tempi  il  mangiar 
carne,  disprezzava  i  digiuni  ordinari 
della  Chiesa  come  inutili,  pratican- 
done degli  altri  a  suo  capriccio, 
anche  negli  slessi  giorni  di  dome- 
nica. Aveva  in  orrore  i  luoghi  san- 
ti ed  i  sepolcri  dei  martiri.  Que- 
sti eretici  furono  condannati  nel 
concilio  di  Gangra  in  Paflagonia  , 
l'anno   342. 

EUSTAZIO  (s.).  Era  della  città 
di  Sida  in  Panfilia.  11  suo  merito 
lo  innalzò  alla  sede  vescovile  di  Be- 
rea,  ove  si  distinse  fra  i  più  zelan- 
ti difensori  de'dommi  apostolici.  Ciò 
animò  s.  Alessandro  vescovo  d'  A- 
lessandria  ad  unirsi  seco  nella  guer- 
ra, cui  avea  intrapresa  contro  l'e- 
resiarca Ario.  Con  generale  appro- 
vazione de'  vescovi,  del  clero  e  del- 
la provincia,  fu  trasferito  da  Berea 
in  Antiochia.  Tali  e  tante  furono 
le  persecuzioni  alle  quali  fu  sog- 
getto Eustazio  per  parte  degli  a- 
riani,  e  specialmente  di  Eusebio  di 
Cesarea,  eh' erasi  acquistato  il  glo- 
rioso titolo  di  Confessore.  Sedotto 
finalmente  Costantino  dagli  ariani, 
lo  esiliò  nella  Tracia,  dove  morì 
pieno  di  meriti  e  santità  l' anno 
338.  Tra  le  opere  che  ci  riman- 
gono di  lui  vi  sono  :  1 .°  le  Ome- 
lie ;  2.0  alcuni  trattati  dell'anima; 
3.°  una  dissertazione  sulla  Pito- 
nessa ;  4-°  un'  allra  dissertazione 
coulro    Origene;    5."    molte   opere 


ai6  EUS 

contro  gli  ariani.  Secondo  s.  Gi- 
rolamo, Eustazio  fu  il  primo  che 
scrivesse  contra  tali  eretici. 

EUSTAZIO  Abbate  di  Luxeu(s.). 
Da  nobile  famiglia  di  Borgogna 
sortiti  i  natali,  con  molta  cura  fu 
Eustazio  educato  dal  proprio  zio 
Migeto  vescovo  di  Langres.  Di 
buon'ora  conobbe  quanto  periglio- 
so sia  il  seguire  il  mondo  e  le  sue 
vanità ,  e  quindi  ricoveratosi  nel 
monistero  di  Luxeu  sotto  la  dire- 
zione di  s.  Colombano,  si  die  tut- 
to con  lo  spirito  all'  orazione ,  al- 
l' umiltà,  ed  alla  celeste  contem- 
plazione. Nell'anno  612  successe  a 
s.  Colombano,  e  si  vide  capo  di 
seicento  monaci,  che  lo  riguarda- 
vano come  loro  padre.  Per  puro 
spirito  evangelico  si  allontanò  al- 
cun tratto  dal  suo  monistero  per 
diffondere  nella  Baviera  e  nella 
Franca  Contea  la  morale  cristiana, 
e  la  divinità  di  Gesti  Cristo,  com- 
battuta dagli  errori  di  Folino  e 
di  Bonoso.  Egli  si  procacciò  su  tutti 
la  stima  e  la  venerazione.  Morì 
santamente  nel  625,  e  nel  marti- 
rologio romano  è  ricordato  il  dì 
29   marzo. 

EUSTOCHIA  (s.).  Eustochia  era 
figlia  di  s.  Paola,  e  vera  seguace 
della  madre,  seppe  sotto  la  dire- 
zione di  s.  Girolamo,  tanto  perfe- 
zionarsi nelle  cristiane  virtù,  da 
meritare  gli  elogi  i  più  estesi  da 
un  sì  grande  dottore  della  Chiesa. 
Soccorreva  ella  ai  bisogni  dei  po- 
veri, e  dava  ad  essi  tutto  quello 
che  le  altre  del  suo  sesso  profon- 
dono in  vanità  ed  in  lusso.  Visi- 
tava di  spesso  s.  Marcella,  la  pri- 
ma fra  le  matrone  romane,  che 
praticasse  la  vita  ascetica ,  e  verso 
l'anno  382  si  consecrò  al  Signore 
con  voto  solenne.  Accompagnò  Eu- 
stochia la    madre    sua    nei    viaggi 


EUS 

che  intraprese  per  la  Siria,  l'Egit- 
to e  la  Palestina ,  e  ricoveratasi 
nel  monistero  di  Betlemme,  nel 
4o4,  morta  sua  madre,  fu  eletta 
a  superiora  di  quel  sacro  ritiro. 
Dopo  avere  edificato  col  suo  esem- 
pio quelle  vergini  spose  di  Gesù 
Cristo,  e  rigorosamente  mantenuta 
ed  osservata  la  disciplina ,  morì 
santamente  nell'anno  4*9»  e  la 
sua  festa  è  assegnata  ai  28  set- 
tembre. 

EUSTOCHIA  (beata).  Nella  cit- 
tà di  Messina  l'anno  i43o  trasse 
Eustochia  i  natali  da  una  illustre 
famiglia.  Spiegò  ella  sino  dall'in- 
fanzia un  cuore  inclinato  alla  vir- 
tù, ed  oltre  a  questo  pregio  dello 
spirito  accoppiava  anche  quello  di 
una  rara  avvenenza.  Cresciuta  ne- 
gli anni,  e  vieppiù  aumentando  i 
suoi  meriti,  parecchie  famiglie  del 
luogo  anelavano  alle  sue  nozze  ;  ma 
ella  non  acconsentì  mai  ad  alcun 
partito,  risoluta  di  dedicarsi  intie- 
ramente a  Gesù  Cristo,  e  superate 
da  forte  tutte  le  opposizioni  de'suoi 
genitori,  riuscì  finalmente  a  rico- 
verarsi nel  monistero  di  s.  Chiara 
di  Bassicano.  Fatti  i  voti  di  reli- 
gione si  diede  con  ogni  austerità  a 
farsi  modello  alle  sue  compagne. 
Esattissima  nell'osservanza  delle  re- 
gole del  proprio  istituto,  chiese  al 
supremo  Gerarca  Calisto  III  la  per- 
missione di  fondare  un  nuovo  mo- 
nistero. Ottenuto  l'assenso  fondò  la 
casa  detta  il  Monte  delle  Vergi- 
ni, e  ne  divenne  poscia  badessa.  Ac- 
cesa sempre  di  santo  zelo  nella 
pratica  delle  virtù,  e  di  una  tene- 
ra e  costante  divozione  pel  santo  sa- 
cramento dell'altare,  e  per  la  Bea- 
ta Vergine,  passò  la  sua  vita  sino  al 
cinquantesimo  quarto  anno  di  età, 
e  morì  li  30  gennaio  del  1484. 
I  miracoli  operati   alla  sua  tomba 


EUT 

mossero  il  Pontefice  Pio  VI  ad  ap- 
provare il  di  lei  culto,  e  la  sua 
festa  si  solennizza  li  27   febbraio. 

EUSTOCHIO  (s.).  Uscito  Eusta- 
chio da  nobile  famiglia  dell*  Al  ver- 
gila ,  si  rese  celebre  colla  pratica 
delle  cristiane  virtù.  Elevato  nel 
444  al'a  sede  episcopale  di  Tours, 
si  mostrò  subito  zelantissimo  nel 
concilio  di  Angers  a  sostenere  i  di- 
ritti della  Chiesa,  turbati  da  una 
legge  di  Valentiniano  III.  Accreb- 
be il  numero  delle  parrocchie  nel- 
la sua  diocesi,  e  fece  anche  col 
proprio  edificare  una  chiesa  in  cit- 
tà, nella  quale  depose-  le  reliquie 
de'ss.  Gervasio  e  Protasio,  recate 
dall'Italia  da  s.  Martino.  Dopo  di- 
ciasette  anni  di  regime  il  più  atti- 
vo morì  santamente  nell'anno  4^r> 
e  le  sue  spoglie  furono  deposte 
nella  chiesa  di  s.  Brizio.  Il  marti- 
rologio romano  accenna  la  sua  fe- 
sta ai  19  settembre. 

EUSTRASIO  ovvero  EUSTA- 
CHIO, Cardinale  vescovo  di  Al- 
bano, creato  da  s.  Stefano  III  Pa- 
pa. Di  questo  Cardinale  sappiamo 
solo  che  nel  767  contribuì  alla  ele- 
zione dell'antipapa  Costantino,  e 
quindi  con  altri  vescovi  lo  consa- 
grò Pontefice.  Intervenne  però  al 
concilio  Romano,  celebrato  nel  769 
dall'anzidetto  Stefano  III  detto  IV, 
per  lo  che  sembra  che  abbando- 
nato lo  scisma,  sia  ritornato  all'ub- 
bidienza del  legittimo  Pontefice. 

EUSTRASIO,  Cardinale  prete 
del  titolo  di  s.  Anastasia,  visse  nel 
pontificato  di  s.  Gregorio  III  del 
73i. 

EUTICHE.  Fu  monaco  e  sacer- 
dote, ed  anche  abbate  generale  o 
archimandrita  di  un  celebre  mo- 
nistero  di  trecento  monaci  presso 
Costantinopoli.  Nell'anno  44^  spar- 
se i  suoi    errori,    mentre   poc'anzi 


EUT  217 

avea  ricevuto  dal  Pontefice  s.  Leo- 
ne I  lettera  di  grande  encomio  per 
la  guerra  che  faceva  a'  nestoriani. 
Negava  egli  le  due  nature  in  Gesù 
Cristo,  asserendo  essere  la  di  lui 
carne  celeste,  e  solo  passata  per 
le  viscere  di  Maria,  senza  prende- 
re T  umanità.  Indi  soggiungeva  , 
che,  avanti  1*  unione,  Cristo  avea 
due  nature,  ma  non  dopo,  essen- 
do stata  assorbita  l' umana  dalla 
divina ,  e  che  questa  poi  patì  in 
Cristo  Dio,  e  non  uomo.  Di  più, 
negando  le  tradizioni,  e  male  spie- 
gando la  sacra  Scrittura,  sostenne, 
che  i  corpi  umani  nella  risurrezio- 
ne dovessero  rendersi  impalpabili 
e  sottili.  Questi  suoi  errori  furono 
condannati  in  più  sinodi  e  con- 
cili, come  dal  concilio  generale  di 
Calcedonia. 

EUTICHIANI  (Eutychiani).  L'e- 
resia degli  eutichiani,  discepoli  di 
Eutiche,  fece  gran  progressi  nell'  o- 
riente,  e  si  divise  in  molti  rami, 
che,  quantunque  differenti  fra  di 
loro  in  alcuni  articoli,  s' accordava- 
no tutti  a  non  ammettere  se  non 
una  sola  natura  in  Gesù  Cristo , 
cioè  la  divina,  pretendendo  che  la 
divinità  e  l'umanità  fossero  state 
mescolate  in  Gesù  Cristo,  di  modo 
che  la  divinità  aveva  assorbita  l'u- 
manità ,  non  essendo  rimasta  che 
la  divinità.  Niceforo  fa  menzione 
di  dodici  rami  d'eutichiani.  Gli  uni 
furono  chiamati  Schematici  od  Ap- 
parenti, i  quali  non  attribuivano  a 
Gesù  Cristo  se  non  una  immagi- 
ne di  carne  ;  altri  furono  chiamati 
Teodosiani,  da  Teodosio  vescovo 
di  Alessandria  ;  oppure  Giacobiti, 
da  un  certo  Giacomo  di  Siria.  Ve 
ne  furono  che  si  dissero  Acefali, 
cioè,  senza  capo,  e  Severiani,  da 
un  monaco  detto  Severo  che  s'im- 
possessò della  sede  della   chiesa  di 


218  EUT 

Antiochia  nel  V?..'».  Questi  ultimi 
si  divisero  in  cinque  fazioni ,  ò?A- 
gnoeti  t  che  attribuivano  qualche 
ignoranza  a  Gesù  Cristo,  eli  setta- 
tori di  Paolo  Nero,  d'Angeli  ti,  d'A- 
driti,  di  (.Innoviti.  V.  Eutiche,  e  tutti 
gli  articoli  riguardanti  questo  ere- 
siarca, i  suoi  errori,  ed  i  suoi  se- 
guaci. 

EUTICHIANO(s.)Papa  XXVIII. 
In  Limi  nello    stato  di  Genova,  cit- 
tà peraltro    ora    distrutta ,   ebbe  i 
natali  Eulichiano,  e  il  di  lui  padre 
si  chiamò  Marino   o  Martino.    Fu 
creato  Pontefice  a'  dì  4  giugno  del 
275.  II  Burio  (Romanor.  Ponti f.  bre- 
vi* nolitia,  p.  4o),  insieme  con  mol- 
ti altri,  attribuisce  ad     Eulichiano 
la    istituzione    dell'  offertorio    nella 
messa;  la  benedizione  de' rami  d'al- 
beri e  delle  frutta;    la    scomunica 
degli   ubbriachi   fino  all'emenda,  e 
la  libertà  dei  fedeli  di  ritenere  o  no 
la  moglie  cheaveano  presa  prima  di 
essere  battezzata.  Colle  proprie  mani 
diede  sepoltura    a    più  di  trecento 
quarantadue  martiri,  ed  ordinò  che 
fossero  sepolti  col  colobio,    o  dal- 
matica di  colore  rosso,  mentre  pri- 
ma   seppellivansi     co'  lini    bianchi 
aspersi  del  loro  sangue.  Tenne  cin- 
que ordinazioni,  e  creò    nove    ve- 
scovi, quattordici  preti,  cinque  dia- 
coni. Governò  otto  anni,  sei  mesi, 
quattro  giorni.  Cessò  di  vivere  agli 
8  di   dicembre    del    283.    Conser- 
vatisi  le  sue  ceneri  nella    cattedra- 
le di  Sarzana  nello  stato  di  Geno- 
va, perchè  essendo  stato  sepolto  il 
suo  corpo  nel  cimiterio  di  Calisto, 
fu  poi  trasferito  in  patria.  Ma  que- 
sta   distrutta ,    dalla    cattedrale  di 
Limi  venne  collocato  in   quella  di 
Sarzana,  che  a  Luni    fu    sostituita 
nella  sede  vescovile.  Vacò  la  santa 
Sede  sette  giorni. 

EUTICIIIO,    Cardinale.    Euti- 


EUT 

chio  Cardinale  di  s.  Adriano,  fu  pro- 
mosso a  tale  dignità  da  Alessandro 
III  nell'anno  1  180.  Di  questo  Car- 
dinale non  abbiamo  più  estese  no- 
zioni. 

EUTIMIO  (s.).  Dal  ritiro  del  chio- 
stro, Eutimio  fu  innalzato  alla  sede 
vescovile  di  Sardi  in  Lidia.  Nell'an- 
no 787    intervenne    al    concilio  di 
Nicea,  ove  fece  sommamente  cono- 
scere la  sua  dottrina  e  santità.  Per 
ordine  dell'  imperatore  Niceforo  fu 
strappato  dalla  sua  sede,  per  ave- 
re consegrato  una  giovine,  la  qua- 
le con    la  fuga  erasi  sottratta   dai 
lacci  tesi  alla  sua  castità.  Rimesso 
dappoi  nella  sua  sede,  corresse  con 
grande  attività  tutti  que'  disordi  ni, 
eh'  erano  corsi    nella   sua    assenza, 
e  con  tanta  libertà  evangelica  che 
di  nuovo    venne    esiliato    sino    al- 
l'anno 81 3.  Richiamato  per  la  se- 
conda volta  non    iscemò  punto  di 
zelo,  e  si  diede    a    rassodar   la  fe- 
de di  quelli,  ai  quali    la    persecu- 
zione avea  intiepidito  l'ardore,  e  a 
combattere  gli  errori  degli  iconocla- 
sti, e  quindi  fu  per  la  terza  volta  esi- 
liato. Capo  d'Ucrito  in  Bitinia  fu  il 
luogo  destinato  per   sua   rilegazio- 
ne, e  quivi  per  ordine  del  princi- 
pe posto  in  prigione,  e  crudelmen- 
te con  nervi  di  bue  pesto  e  squar- 
cialo, morì  finalmente  in  capo  ad 
otto  giorni  verso  l'anno  820.    Nel 
martirologio  romano    è    accennato 
per  martire,  e  la  sua  festa  ricorre 
agli    1  i    marzo. 

EUTIMO  (s.).  Da  Melitena  nella 
piccola  Armenia  Eutimio  sortì  i  na- 
tali. Fu  educato  sotto  la  direzione  di 
quel  vescovo,  e  crebbe  in  dottrina 
non  meno,  che  in  purità  di  costu- 
mi. Entrato  nella  clericale  milizia, 
ed  ordinato  dipoi  sacerdote,  fu  de- 
stinato superiore  generale  dei  mo- 
nisteri  di  quella  diocesi.   In    età  di 


EUT 

anni  ventinove  uscì  dal  proprio 
paese  per  recarsi  in  Palestina,  alla 
visita  de' santi  luoghi  di  Gerusa- 
lemme. Per  ben  cinque  anni  si 
ricoverò  egli  in  una  cella  due  le- 
ghe lontana  da  quella  città,  ed  ivi 
morto  al  mondo,  ed  a  se  stesso, 
conversava  unicamente  col  suo  Id- 
dio per  mezzo  dell'orazione.  Da 
quel  luogo  recatosi  poscia  verso 
Gerico,  s'associò  ad  un  santo  ro- 
mito per  nome  Teotisto,  e  con 
questo  visse  Eutimio  unito,  abitan- 
do in  una  caverna,  e  di  sole  erbe 
cibandosi,  sino  a  tanto  che  scoper- 
ti ambedue,  in  folla  la  gente  ve- 
niva a  visitarli.  Allora  Eutimio 
verso  l'anno  411  s'  determinò  di 
fabbricare  un  monistero,  e  ne  die- 
de il  governo  a  Teotisto.  Molti 
furono  i  discepoli  che  accorsero  ad 
arruolarsi  in  questo  novello  romi- 
toio.  Raccomandava  Eutimio  di 
spesso  a'  suoi  discepoli,  la  mortifi- 
cazione, e  riprovava  in  essi  i  digiu- 
ni particolari  ed  estraordinari,  giu- 
dicando questi  più  propri  a  fomen- 
tare la  vanità,  che  a  perfezionarsi 
nella  santa  umiltà.  Fu  Eutimio  fa- 
vorito ancor  vivente  del  dono  dei 
miracoli,    e   tanta    venerazione    ri- 


da    si 


scosse  da  si  speciale  concessione, 
che  molti  accorrevano  processio- 
nalmente  alla  sua  celletta  per  im- 
plorare soccorso  nelle  pubbliche 
calamità.  Anche  il  dono  di  profe- 
zia gli  venne  concesso  da  Iddio 
Signore;  ed  infatti  nel  giorno  i3 
gennaio  47  3,  Elia  e  Macario  suoi 
discepoli  venuti  a  visitarlo,  per  ac- 
compagnarlo quindi  nel  deserto, 
dove  era  solito  passare  la  quare- 
sima, ebbero  ad  intendere  da  lui 
medesimo,  che  la  sua  morte  si  ve- 
rificherebbe nel  sabato  susseguente, 
lo  che  successe  infatti  il  dì  20, 
coniando  egli  l'età  di    novantacin- 


EUT  2, 9 

que  anni,  sessantotto  de'quali  vis- 
suti nella  solitudine.  Molti  furono 
i  prodigi  operati  per  di  lui  inter- 
cessione. San  Sabba,  uno  dei  suoi 
più  cari  discepoli,  celebrò  la  di  lui 
festa  subito  dopo  la  morte.  Ed  il 
giorno  20  gennaio  è  dai  latini  e 
dai  greci  consagrato  alla  sua  me- 
moria. 

EUTROPIA  (s.).  Dall'Alvergna 
sortì  i  natali  Eutropia ,  e  fiorì  nel 
quinto  secolo.  Rimasta  vedova,  ella 
si  ritirò  dal  mondo,  per  clonar- 
si a  Iddio,  praticando  la  peni- 
tenza ,  ed  altre  opere  pie.  Ebbe 
a  soffrire  delle  tribolazioni,  tutte 
però  sostenute  con  cristiana  rasse- 
gnazione. Morì  santamente,  ed  è 
ricordala  la  sua  festività  il  giorno 
i5  settembre. 

EUTROPIO  (s.).  Mosso  da  puro 
e  santo  zelo  di  episcopal  ministero, 
Eutropio  primo  vescovo  di  Saintes, 
predicò  il  vangelo  ai  galli,  ma  que- 
sti in  allora  immersi  nell'idolatria, 
si  avventarono  contro  il  santo  pa- 
store e  gli  fracassarono  il  capo.  Di 
lui  ci  lasciò  scritto  s.  Gregorio  di 
Tours.  «  Palladio  vescovo  di  Sain- 
«  tes,  il  quale  assistè  al  quarto 
»  concilio  di  Parigi,  ed  al  secondo 
»  di  Mac.on,  avendo  fatto  edificare 
»  una  chiesa  in  onore  di  s.  Eu- 
«  tropio,  volle  trasportare  le  sue 
»  reliquie.  Invitò  molti  abbati  alla 
m  cerimonia  di  questa  transazione  : 
»  e  come  fu  discoperto  il  feretro, 
»  due  di  costoro  scorsero  una  feri- 
«  ta  d'accetta  nella  testa  del  santo. 
w  La  notte  seguente  lo  stesso  san- 
«  t'Eutropio  apparì  loro,  e  disse  di 
»  essere  per  un  colpo  stato  tolto 
«  di  vita.  In  questa  guisa  si  ri- 
«  conobbe  ch'egli  era  martire,  per- 
»  che  allora  non  era  vi  più  la  storia 
»  de'  suoi  patimenti  ".  iNelIa  catte- 
drale di    Saintes  si  venera  il  capo 


220  EUX 

di  questo  santo,  e  la  sua  festa  dai 
martirologi  è  assegnata  ai  3o  aprile. 

EUTROPIO  (s.).  Sotto  il  regno 
dell'imperatore  Onorio  nacque  Eu- 
tropio in  Marsiglia  da  nobile  e 
ricca  famiglia.  Rimasto  vedovo  si 
consagrò  al  servigio  di  Dio,  ed  in 
tale  stato  vieppiù  brillando  le  sue 
virtù,  si  determinò  il  santo  vescovo 
Eustachio  di  associarlo  al  suo  clero, 
benché  la  modestia  di  Eutropio  vi 
resistesse.  Ordinato  diacono,  si  die- 
de ad  una  austerissima  penitenza. 
Piangeva  dì  e  notte  dirottamente 
le  passate  mancanze,  ed  ebbe  final- 
mente a  conforto  due  misteriosi  so- 
gni, ne' quali  il  Signore  si  degnò 
accertarlo  dell'  ottenuto  perdono. 
Morto  il  vescovo  d'Orange,  tutto 
il  clero  ed  il  popolo  di  quella  cit- 
tà acclamarono  Eutropio  a  succe- 
dergli. Consecrato  in  tal  dignità,  si 
diresse  subito  alla  cura  del  suo 
gregge,  ma  atterrito  dappoi  nell'e- 
sercizio di  sì  grave  ministero,  volea 
soltrarsene  colla  fuga;  ma  fu  da 
una  visione  avvertito,  che  questa 
sua  risoluzione  era  dal  demonio 
provocala,  e  che  piuttosto  si  pro- 
ponesse a  modello  s.  Paolo,  il  qua- 
le vuole,  che  il  vescovo  lavori  col- 
le proprie  mani  per  provvedere 
ai  suoi  bisogni,  ed  a  quelli  degli 
altri.  Si  determinò  allora  Eutropio 
a  rimanere  nel  suo  episcopal  mini- 
stero, e  darsi  tutto  alla  santifica- 
zione de'suoi  diocesani.  Governò  la 
sua  chiesa  per  dodici  anni,  condu- 
cendo una  vita  austera,  e  dividendo 
coi  poveri  i  redditi  della  sua  men- 
sa. Morì  santamente  nell'anno  47  5, 
ed  è  onorato  il  dì  27  maggio  con 
pubblico  culto. 

EUTROPIO  (s.).  V.  Martino 
ed  Eutropio  (ss.). 

EUX  (d')  Bertrando,  Cardina- 
le.  V.  D'Euio  o  Deucio. 


EVA 

EVANGELARIO  od  EVANGE- 
LI STA  RIO  (  Evangeliarium,  Eva  ri- 
geli.stari  uni).  Chiamasi  con  questo 
nome  appresso  i  greci  ed  i  latini 
un  libro  che  racchiude  tutti  gli 
evangeli  che  diconsi  ogni  giorno 
nella  messa.  Narra  il  Rinaldi  al- 
l' anno  8 1 3,  num.  1 4 ,  che  l' im- 
peratore Carlo  Magno  fece  ottima- 
mente emendare  co'  testi  greci  e 
soriani  i  libri  scritti  de'  quattro 
vangeli.  Osserva  il  Bonarroti,  nel- 
la sua  opera  sui  Fasi  antichi  di 
vetro,  pag.  57,  che  talvolta  gli  ar- 
tisti denotarono  in  quattro  volumi 
gli  evangeli,  ed  a  pag.  9 3  dice  che 
furono  pure  espressi  in  forma  di 
volumi  e  di  libri,  ornati  di  gioie 
nelle  coperte,  e  talvolta  sovrastati 
da  corone.  Per  queste  corone  vuoi- 
si significare,  che  Iddio  è  Y  unica 
corona  e  mercede  di  tutti  gli  elet- 
ti, seguaci  della  sua  dottrina  e  dei 
suoi  insegnamenti  contenuti  ne'  li- 
bri evangelici.  V.  Jos.  Catalani, 
de  cod.  s.  Evangelii,  Romae  1750; 
Joh.  Matth.  Hammerich,  de  uso 
evangelici  codicis  apud  Christìanos, 
Hauniae  1 78 1  ;  Andr.  Schmid,  de 
cultu  Evangeliorum.  In  Triga  exer- 
citationum,iex\&e  1692.  Monsignor 
Francesco  Antonio  Mondelli,  nella 
sua  Decade  di  ecclesiastiche  disser- 
tazioni, trattò  nella  X  della  de- 
corosa custodia  in  che  tenevansi 
i  sagri  libri,  e  della  pompa  con 
cui  al  popolo  leggeasi  massima- 
mente il  vangelo.  V.  Messale,  ed 
Evangelio,  massime  nel  paragrafo 
ultimo:  Altre  nozioni  sulV evange- 
lio, e  sul  libro  che  lo  contiene. 

EVANGELICO.  Che  è  secondo 
la  dottrina  di  Gesù  Cristo  e  del- 
l' evangelio.  I  protestanti  assumo- 
no il  titolo  di  evangelici  perchè 
disprezzano  la  tradizione  da'  padri, 
e  perchè  fanno  professione  di  non 


.       EVA 

attenersi  se  non  al  vangelo .  che 
ciascuno  di  essi  interpreta  alla  sua 
maniera,  e  secondo  il  suo  senso 
particolare.  I  cantoni  Svizzeri  di- 
vidonsi  in  cattolici,  e  riformati  od 
evangelici.  Evangelico  è  pure  il 
culto  dominante  negli  stati  d'An- 
halt-Bernbourg,  di  Baden,  di  An- 
nover,  di  Nassau ,  di  Prussia ,  di 
Heuss,  di  Waldeck,  ec. 

EVANGELIO  o  VANGELO 
(Evangelium).  Questo  vocabolo  de- 
riva dal  greco  Evangelion,  che  si- 
gnifica buona  novella,  annunzio  al- 
legro e  felice,  annunzio  di  felici- 
tà, di  beatitudine,  e  di  regno  ce- 
leste; ovvero  secondo  l'etimologia 
della  voce  ebraica  Eban,  che  signi- 
fica pietra  Ghellion,  che  vuol  dire 
manifesta,  perchè  in  esso  si  mani- 
festa al  genere  umano  il  vero  Mes- 
sia, pietra  angolare  riprovata  dalla 
sinagoga,  come  spiega  il  Macri  nel- 
la Not.  de'  vocab.  eccl.  Evangelio 
si  prende,  i.°  per  la  dottrina  di 
Gesù  Cristo  compresa  nel  vangelo  ; 
2.°  pel  libro  che  contiene  quella 
dottrina  ;  3.°  pel  libro  che  contie- 
ne gli  evangeli,  chiamato  Evange- 
larìo  (Vedi),  che  leggonsi  nel  corso 
dell'anno;  4*°  Per  gn  estratti  dei 
vangeli  che  portansi  sopra  di  se, 
o  che  si  recitano  sopra  altre  per- 
sone. La  Chiesa  non  riconosce  che 
quattro  evangeli  canonici,  cioè  di 
s.  Matteo,  di  s.  Marco,  di  s.  Lu- 
ca, e  di  s.  Giovanni;  ma  ve  ne 
sono  in  gran  numero  di  apocrifi, 
e  senza  autorità ,  i  quali  secondo 
alcuni  ascendono  a  circa  quaranta. 
Il  Bergier  dice  che  evangeli  o  van- 
geli apocrifi  furono  chiamate  al- 
cune storie  composte  ad  imitazio- 
ne dei  nostri  evangeli,  o  da  alcu- 
ni cristiani  male  istruiti,  o  da  al- 
cuni eretici,  che  volevano  imporre 
a'  loro    seguaci ,     e    questo    nome 


EVA  ii\ 

vuol  dire  che  ignoravasi  1'  origine 
e  gli  autori  di  questi  scritti.  Al- 
cuni pervennero  sino  a  noi,  alme- 
no in  parte,  altri  sono  del  tutto 
periti  ;  non  se  ne  conosce  che  il 
titolo,  né  si  ha  motivo  di  doler- 
sene, quindi  ne  riporta  i  principa- 
li. Né  lascia  di  avvertire  che  molti 
di  questi  pretesi  evangeli  portaro- 
no diversi  nomi  differenti ,  e  che 
forse  si  potrebbero  ridurre  a  do- 
dici, o  quindici  al  più.  Aggiunge 
ancora,  che  sembra  che  la  più. 
parte  fossero  catechismi,  o  profes- 
sioni di  fede  degli  eretici,  piuttosto 
che  le  storie  delle  azioni  e  discor- 
si di  Gesù  Cristo.  V.  il  Fabricio, 
nel  suo  Codex  apocryphiis  novi 
Teslamenti3  e  il  p.  Calmet,  nella 
sua  Dissertazione  sugli  evangeli  a- 
pocrifi.  Noi  qui  parleremo  dell'e- 
vangelio per  la  dottrina  di  Gesù 
Cristo,  oltre  quanto  su  ciò  è  detto 
in  vari  articoli  del  Dizionario,  co- 
me Cristianesimo  ,  Dottrina  cri- 
stiana, ec.  ec,  quindi  dunque  dire- 
mo quanto  riguarda  l'evangelio  della 
messa,  con  altre  relative  erudizioni. 
Evangelio  significando  buona  nuo- 
va, questo  è  il  nome  che  si  dà, 
nel  senso  proprio,  alla  storia  delle 
azioni  e  della  predicazione  di  Ge- 
sù Cristo,  e  in  un  senso  più  esteso 
a  tutti  i  libri  dei  nuovo  Testa- 
mento, perchè  questi  libri  ci  an- 
nunziano la  buona  nuova  della  sa- 
lute degli  uomini,  e  della  reden- 
zione fatta  da  Gesù  Cristo.  L'e- 
vangelio può  essere  considerato  co- 
me un  libro  di  cui  si  deve  sape- 
re l' origine,  come  una  storia  del- 
la quale  giova  esaminare  la  veri- 
tà, come  una  dottrina  di  cui  si 
devono  ponderare  le  conseguenze. 
Il  Bergier  lo  considera  sotto  que- 
sti tre  rapporti,  ma  noi  ci  limite- 
remo al  primo,  e  solo  diremo  qual- 


222  I  V  i 

che  cosa  de'  secondi,  giacche  le  a- 
nalo-he  nozioni  sono  sparse  in  pa- 
recchi articoli  del  Dizionario.  La 
società  cristiana,  ed  anche  gli  ete- 
rodossi, avvegnaché  divisi  su  molti 
punti  di  credenza  dalla  vera  Chie- 
sa di  Gesù  Cristo,  ricevono  quat- 
tro evangeli  come  autentici  e  ca- 
nonici, cioè  quelli  di  s.  Matteo,  di 
s.  Marco,  di  s.  Luca,  e  di  s.  Gio- 
vanni, chiamati  Evangelisti  (Pedi) 
perchè  li  scrissero.  A  queir  artico- 
lo si  dice  della  mirabile  concor- 
dia e  consonanza  de'  quattro  evan- 
geli, e  del  disegno  tuttavia  parti- 
colare che  sembra  avere  avuto  o- 
gnuno  di  essi. 

Quello  di  s.  Matteo  fu  scritto 
l'anno  36  della  nostra  era ,  altri 
dicono  nell'anno  41  >  Per  conse- 
guenza tre  ovvero  ott'  anni  dopo 
1'  ascensione  di  Gesù  Cristo,  in  un 
tempo  nel  quale  la  memoria  dei 
fatti  era  del  tutto  recente.  Fu  com- 
posto nella  Palestina,  forse  in  Ge- 
rusalemme, in  ebraico o  siriaco,  lin- 
gua volgare  del  paese,  per  conse- 
guenza pei  giudei  ;  o  per  confer- 
male nella  fede  quelli  che  già  e- 
rano  convertiti ,  o  per  condurvi 
quelli  che  non  per  anche  si  erano 
convertiti.  Jl  testo  originale  subito 
fu  tradotto  in  greco,  e  la  versio- 
ne latina  non  è  molto  meno  an- 
tica :  non  si  sa  quali  fossero  gli 
autori  dell'  una  e  dell'  altra.  L'  e- 
braica  esisteva  ancora  al  tempo  di 
s.  Epifanio  e  di  s.  Girolamo.  Cre- 
dettero alcuni  autori  che  fosse  sta- 
la conservata  dai  si  ri  i  ;  ma  con- 
frontando il  siriaco  che  oggi  esiste, 
col  greco ,  scorgesi  che  il  primo 
non  è  che  la  traduzione  del  se- 
condo, come  Mi II  ha  provato,  Pro- 
leg.  p.  1237  e  seg.  V'ha  però  l'o- 
pinione non  disprezzabile  di  chi 
ha  creduto  greco  l'originale    di  s. 


EVA. 

Matteo;  rendendo  ragione  di  quel- 
lo che  dicesi  originale  ebraico.  V\ 
Domenico  Diodati,  di-  Cliristo  grae- 
ce  loqutnte,  nell'appendice. 

Molti  critici  pensarono,  che  8. 
Marco  avesse  scritto  il  suo  evan- 
gelio in  latino,  perchè  lo  compose 
in  Roma,  sotto  gli  occhi,  e  secon- 
do le  istruzioni  di  s.  Pietro  verso 
l' anno  44  °  4^  della  medesima 
era  cristiana.  Ma  è  probabile  che 
lo  scrivesse  in  greco,  lingua  allora 
familiarissima  ai  romani.  Questo 
è  il  sentimento  de'  ss.  Girolamo 
ed  Agostino.  La  questione  sarebbe 
terminata,  se  i  quaderni  di  questo 
evangelio,  che  si  conservano  in  Pra- 
ga, e  questo  stesso  vangelo  intero, 
che  si  custodisce  a  Venezia  in  la- 
lino,  fossero  lo  stesso  originale  scrit- 
to dalla  mano  di  s.  Marco.  Fu  so- 
lo nel  i355  che  l'imperatore  Car- 
lo IV,  avendo  trovato  negli  archi- 
vi di  Aquileja  un  preteso  autogra- 
fo di  s.  Marco,  in  sette  quaderni, 
ne  levò  due  che  spedi  a  Praga. 
Quello  di  Venezia  si  conservò  sol- 
tanto dopo  l'anno    1420. 

San  Luca,  nato  in  Antiochia,  e 
convertito  da  s. ,  Paolo,  scriveva  in 
greco,  lingua  tanto  comune  in  quel- 
la città  come  il  siriaco  :  ciocché  fu 
verso  l'anno  53  o  55  dell'era  cri- 
stiana. Lo  stile  di  lui  è  più  puro 
che  quello  degli  altri  evangelisti  ; 
tuttavolta  ha  mantenuto  alcune 
frasi  che  sanno  del  siriaco.  Perchè 
fu  unito  a  s.  Paolo,  e  lo  seguì  nei 
di  lui  viaggi,  credettero  alcuni  au- 
tori che  s.  Paolo  stesso  avesse  fat- 
to questo  evangelio;  altri  pensano 
che  s.  Pietro  vi  avesse  presiedu- 
to :  ma  queste  sono  semplici  con- 
getture. 

Comunemente  si  pensa  che  s. 
Giovanni  abbia  composto  il  suo 
evangelio,  dopo  ritornato  dall'isola 


EVA 

di  Patmos,  verso  P  anno  96  o  98 
di  Gesù  Cristo,  il  primo  anno  del- 
l'impero  di  Trajano,  sessanlacin- 
(jue  anni  dopo  l'ascensione  del  Sal- 
vatore, ed  allora  s.  Giovanni  ave- 
va circa  novantacinque  anni  ;  lo 
compose  per  opporlo  alle  nascenti 
eresie  di  Cerinto,  Ebione,  ed  altri, 
alcuni  de'  quali  negavano  la  divi- 
nità di  Cristo,  altri  la  realtà  della 
di  lui  carne.  L'originale  greco,  o 
l'autografo  di  s.  Giovanni,  si  con- 
servava ancora  in  Efeso  nel  secolo 
settimo,  od  almeno  nel  quarto,  se- 
condo quello  che  dice  Pietro  Ales- 
sandrino. Fu  tradotto  in  siriaco, 
e  la  versione  latina  è  di  una  gran- 
dissima antichità. 

Questi  quattro  evangeli  sono  au- 
tentici, e  furono  veramente  scritti  dai 
quattro  autori  dei  quali  portano 
il  nome;  il  Bergier,  ed  altri  mol- 
ti compiutamente  lo  provano.  Al- 
trettanto fanno  sulla  divinità  del 
cristianesimo,  la  quale  è  fondata 
sulla  verità  dei  fatti  riferiti.  Quan- 
do dicesi  che  gli  apostoli  hanno 
predicato  l'evangelio,  stabilito  a  co- 
sto della  lor  vita,  che  i  popoli  ab- 
bracciarono l'evangelio  ec. ,  inten- 
desi  non  solo  i  fatti  scritti  nell'e- 
vangelio, ma  la  dottrina  di  Gesù 
Cristo ,  i  cui  dommi  e  la  morale 
comandò  agli  apostoli  che  insegnas- 
ro.  Osservano  però  i  teologi ,  che 
sebbene  santa  e  sublime  fosse  que- 
sta dottrina,  gli  apostoli  non  sa- 
rebbero mai  riusciti  a  persuader- 
la, se  i  fatti  riferiti  nell'  evangelio 
non  fossero  stati  di  una  certezza  e 
notorietà  incontrastabile.  Gli  apo- 
stoli non  provarono  la  dottrina  che 
predicavano  con  raziocini,  ma  coi 
fatti.  Lo  dichiara  s.  Paolo,  2  Cor. 
e.  2.  Questi  medesimi  fatti  faceva- 
no parte  della  dottrina,  e  sono  in- 
dicati nel  simbolo:  per  essere  cri- 


EVA  223 

stiano  era  d'uopo  cominciare  da1- 
l'esser  convinto.  Dunque  non  è  la 
dottrina  che  fece  credere  i  fatti , 
anzi  i  fatti  provarono  e  persua- 
sero la  dottrina  ;  questo  è  ciò  che 
gì'  increduli  non  vogliono  intende- 
re. Nel  supplemento  al  giornale 
ecclesiastico  di  Roma  dell'  anno 
1795,  a  pag.  4°4  e  seS">  s*  trat" 
ta  con  critica  in  quale  anno,  in 
quale  lingua,  e  perchè  vennero  scrit- 
ti i  quattro  evangeli,  discorren- 
dosi a  pag.  4^9  della  conferma , 
che  i  veri  vangeli  prendono  dagli 
stessi  scritti   apocrifi. 

Leggiamo  nel  vangelo,  Joan.  r, 
1 8,  che  il  Figliuolo  unico  che  è  nel 
seno  del  Padre,  ce  lo  ha  fatto  co- 
noscere, e  ci  ha  insegnato  le  più 
sublimi  verità.  Questo  ha  fatto  di- 
re a  s.  Agostino,  Tr.  3o  in  Joan., 
che  noi  dobbiamo  ascoltare  la  let- 
tura di  questo  libro  divino,  come 
ascolteremmo  Gesù  Cristo  stesso  se 
fosse  in  mezzo  di  noi  :  s.  Tomma- 
so d'Aquino  Io  leggeva  sempre  in 
ginocchio.  Noi  ci  troviamo  non  so- 
lo le  divine  istruzioni  del  Salvato- 
re, ma  ancora  la  storia  della  sua 
vita  sulla  terra,  la  quale  ci  è  pro- 
posta per  esemplare.  S.  Basilio,  in 
Constit.  monast.  e.  2,  dice:  «  Ogni 
»  azione,  ogni  parola  del  Salvato- 
»  re,  è  una  regola  di  pietà.  Egli 
«  si  è  rivestito  della  natura  uraa- 
«  na ,  affine  di  metterci  sensibil- 
»  mente  innanzi  agli  occhi  il  mo- 
»  dello  propostoci  da  imitare 
Tanto  è  il  rispetto  che  dobbiamo 
avere  per  il  vangelo.  In  questo  li- 
bro divino  immense  ne  sono  le  bel- 
lezze :  ivi  si  ammira  in  concerto 
l'armonia  della  verità,  della  sa- 
pienza, della  misericordia,  della  ca- 
rità, e  della  giustizia  di  Dio.  Que- 
sti attributi  vi  compariscono  in  una 
maniera  degna  di  lui,  e  in  una  lu- 


3*4  EVA 

ce    risplendentissima ,    quantunque 
incomprensibili    sieno   alle    creatu- 
re. Quivi  noi  scopriamo  le  incom- 
parabili meraviglie  del  divino  amo- 
re, l'orridezza  e  l'enormità  del  pec- 
cato, la  felicità    inestimabile    della 
nostra    liberazione    dalla    tirannia 
delle  potenze  dell'inferno,  e  della 
nostra  società  o  comunione  con  Dio, 
della  nostra  intrinsichezza  con  Ge- 
sù Cristo,  e  per  ultimo  dell'eleva- 
zione della  nostra  natura,  sì  fievo- 
le e  sì  meschina  per  sé  stessa,  poi- 
ché fu  fatta  partecipe  e  come  con- 
sorte   della    divinità.    Quanti    beni 
non  possediamo  noi  1  quale  sorgen- 
te inesausta  di  lumi,  di   virtù,    di 
consolazioni    non    troviamo    nella 
dottrina    e    negli    esempli    di   No- 
stro Signore,  massime  nella  medi- 
tazione de'  suoi  patimenti,   e  nella 
contemplazione  de'  suoi  gloriosi  mi- 
steri I  Qual  impressione    non  deve 
fare  su  noi  la  cognizione  e  la  con- 
siderazione di  tuttociò  che  s.  Pao- 
lo chiama,  Rom.   i,    16:   ««il  van- 
»  gelo  di  Gesù  Cristo,  la  virtù  di 
«  Dio  per  la  salute  di  tutti  quelli 
*   che  credono  "  ?  Tali  sono  le  bel- 
lezze dell'evangelio.  Maraviglisi  poi 
furono  i  suoi  progressi,  dappoiché 
il  disegno  di  convertire  il    mondo 
divenne  un'impresa  assai  più  me- 
ravigliosa ancora  per  la  scelta  de- 
gli stromenti  che  Dio  adoperò  per 
compirla.  I  banditori   del    vangelo 
per  tutto  menan  trionfo,    e    chiu- 
dono la  bocca  ai  dottori   della  si- 
nagoga, agli  oratori,    e    ai   filosofi 
del  gentilesimo.  I  progressi  che  fe- 
ce il  vangelo  sino  dai  primi  secoli 
della  Chiesa  sono  tanto  più  mara- 
vigliosi,  quanto  che  la  sua    dottri- 
na per  la  sua  sublimità  non    può 
capire  in   mente  umana,  ed    è  in- 
sieme affatto  contraria  alle  passio- 
ni, alle  massime,  ai  pregiudizi,  al- 


EVA 

le  inclinazioni ,  ed  alle  leggi  del 
mondo;  né  fu  stabilita  che  col 
trionfare  delle  opposizioni  de'prin- 
cipi,  de'  sapienti,  e  de'  filosofi  del- 
la terra,  osservando  s.  Agostino 
che  al  vangelo  si  arrese  tutto  il 
mondo  per  aperto  ed  irresistibile 
convincimento:  ciò  è  uno  de'  più 
stupendi  e  più  visibili  prodigi  che 
abbia  mai  operato  il  braccio  di 
Dio.  Della  venerazione  cui  fu  sem- 
pre tenuto  il  libro  del  vangelo, 
diremo  in  appresso,  e  ciò  pel  suo 
venerabile  contenuto. 

Evangelio  della  Messa. 

Questi  sono  tratti  cavati  dal  li- 
bro degli  evangeli,  e  relativi  all'uf- 
fizio del  giorno  che  il  sacerdote 
legge,  e  il  diacono  canta  nelle  mes- 
se alte ,  ed  anticamente  su  d'  una 
tribuna,  pulpito  od  Ambone  (Vedi), 
acciocché  meglio  s' intendesse.  Del- 
l'ambone  si  parla  anche  all'artico- 
lo Chiesa  (Vedi).  Questo  pulpito 
venne  pur  chiamato  Analogium, 
perchè  in  esso  si  leggeva  il  van- 
gelo. Osserva  il  Macri  che  è  cosa 
ragionevole,  e  piena  di  misteri,  la 
lettura  del  santo  vangelo  in  luogo 
pubblico  ed  eminente  acciò  sia  da 
tutti  udito,  perchè  la  dottrina  di 
Gesù  Cristo  dev'  essere  promulgata 
in  pubblico,  non  nei  nascondigli, 
come  quella  degli  eretici,  perchè  lo 
stesso  Cristo  promulgò  la  legge  e- 
vangelica  sul  monte,  e  finalmente 
perchè  la  sapienza  del  vangelo  è 
alta,  sublime  e  celeste.  S.  Germa- 
no, nella  sua  teoria,  dice  che  il  pul- 
pito, sopra  il  quale  il  diacono  in- 
tuona l'evangelio,  allegoricamente 
può  denotare  la  pietra  ,  sopra  la 
quale  l'angelo  sedeva  alla  porla  del 
santo  sepolcro,  annunziando  la  ri- 
surrezione del  Salvatore.  Jo.  Chiist. 


EVA 

Vlichius,  scrisse,  de  Ambonìbus  ve- 
teris  Ecclesiae,  Lipsiae   1687. 

L'evangelio  si  dice  nella  messa 
dopo  il  graduale,  o  l' alleili ja  :  il 
celebrante  dalla  parte  dell'altare  ove 
ha  letto  T  epistola,  se  la  messa  è 
privata,  passa  all'altra  chiamata  a 
cornu  evangelii  3  e  passando  per 
mezzo  dell'altare  china  il  capo  al- 
la croce;  indi  stando  colle  mani 
giunte  innanzi  al  petto,  alzati  gli 
occhi  a  Dio,  e  tosto  dimessi,  e 
profondamente  chinato,  dice  segre- 
tamente il  Munda  cor  menni  3  e 
il  Jube  Domine  benedicere3  ec.  Do- 
po ciò  va  ai  messale  per  leggere 
l'evangelio  con  voce  bassa,  cantan- 
dosi nella  messa  solenne  con  voce 
alta  dal  diacono.  Ciò  per  altro  non 
fu  sempre.  Imperocché  ne'  più  ri- 
moti tempi  il  vangelo  leggevasi  dal 
lettore,  come  si  raccoglie  dalle  let- 
tere 33  e  34  di  s.  Cipriano,  e 
dai  concilio  Toletano  I,  al  capo  2  ; 
essendo  poi  per  l'onore  dovuto  al 
vangelo,  stato  dato  al  diacono  l'in- 
carico di  leggerlo.  Quindi  è  che  s. 
Girolamo,  nella  lettera  a  Sabinia- 
no,  scrisse:  Evangelium  Chrisli  qua- 
si diaconus  lectitabasj  e  s.  Boni- 
facio vescovo  di  Magonza,  nella  let- 
tera al  Pontefice  s.  Zaccaria,  si  la- 
gnò di  alcuni  diaconi,  che  benché 
avessero  più  concubine,  osavano  di 
leggere  il  vangelo.  I  greci  moder- 
ni però  ritengono  l'antico  costume, 
che  il  vangelo  pubblicamente  si  leg- 
ga dai  lettori.  Il  Rinaldi  all'  anno 
253,  num.  93,  afferma,  che  pure 
nella  Chiesa  africana  il  vangelo  leg- 
gevasi dai  lettori.  Ugo  di  s.  Vittore 
poi,  in  Specul.  eccl.  cap.  7,  rico- 
nosce nel  trasporto  del  libro  dalla 
destra  alla  sinistra,  dell'altare,  la 
predicazione  evangelica,  che  dalla 
Giudea  passò  tra  i  gentili. 

Incominciò  l'evangelio  a  leggersi 

VOL.    XXII. 


EVA  225 

nel  principio  della  Chiesa.  S.  Pao- 
lo, nella  seconda  lettera  ai  corinti 
al  cap.  8,  parlando  di  s.  Luca  com- 
pagno de'  suoi  viaggi,  dice  :  Cujus 
laus  est  in  evangelio  per  omnes 
Ecclesias.  Eusebio,  nel  lib.  2  del- 
la Storia  eccl.  cap.  i5,  racconta,, 
che  da  s.  Marco  fu  scritto  il  suo 
vangelo,  cosi  pregato  dai  romani; 
e  s.  Giustino  martire,  nell'apologia 
2,  attesta,  esser  la  lezione  del  van- 
gelo apostolica  istituzione  :  né  vi  è 
antica  liturgia,  ove  non  sia  pre- 
scritta la  lezione  del  vangelo,  co- 
me attesta  il  p.  Le  Bruii  nel  tom. 

1,  pag.  21 4-  Il  p.  Morino,  nella 
par.  3,  esercitaz.  9,  cap.  1,  num. 
1 2,  riportando  la  lettera  di  s.  Gre- 
gorio I  a  Giovanni  vescovo  di  Si- 
racusa, in  cui  si  dice  essere  stato 
costume  degli  apostoli  di  consa- 
grare l'Ostia,  dopo  aver  solo  reci- 
tato il  Pater  noster,  vuole  che  pel 
corso  di  molti  anni  nella  messa 
non  si  leggesse  il  vangelo.  Ma  il 
Cardinal  Bona,  Rerum  liturg.    lib. 

2,  cap.  7,  num.  1,  saviamente  in- 
terpreta il  detto  di  s.  Gregorio  I, 
come  ristretto  a  quel  tempo  in  cui 
per  anco  non  eia  scritto  il  vange- 
lo; ed  il  p.  Lupo,  nel  tom.  5  so- 
pra i  concili  generali  e  provinciali, 
alla  pag;  376,  dopo  aver  portate 
le  antiche  autorità  de'  primi  pa- 
dri circa  la  messa,  conchiude  :  «  I- 
»  tem  liquet,  eos,  qui  a  Domini- 
»  co  Corpus  consecrantibus  aposto- 
»  lis  existimant  fuisse  adhibitam 
n  solam  Dominicam  orationem,  in- 
»  signiter  labi  ".  Nelle  messe  so- 
lenni il  diacono  porta  il  libro  de- 
gli evangeli  con  cerimonia,  accom- 
pagnato dall'incenso  e  da  cerei  ac- 
cesi, il  coro  si  alza  per  riverenza; 
il  diacono  incensa  il  libro  prima 
di  leggere  l'evangelio  del  giorno  ec. 
E  queste  cerimonie  sono    quasi  le 

i5 


226  EVA 

stesse  nelle    diverse    chiese    orien- 
tali. 

Stando  il  sacerdote  al  messale, 
colle  mani  giunte  innanzi  al  petto, 
dice,  con  voce  intelligibile  il  solito 
saluto  :  Dominus  vobiscum,  cui  vie- 
ne risposto ,  Et  cum  spiritu  tuo. 
Indi  col  pollice  della  mano  destra 
col  segno  di  croce  segna  primiera- 
mente il  libro  sopra  il  principio 
del  vangelo  che  è  per  leggere,  poi 
sé  stesso  nella  bocca  e  nel  petto, 
dicendo  :  Sequentia,  o  Inìtium  san- 
ed  Evangelii,  cioè  Initium  quan- 
do incomincia  uno  de'  quattro  e- 
vangeli ,  Sequentia,  quando  è  il 
proseguimento  d'uno  di  questi  san- 
ti libri,  e  ne*  quattro  giorni  della 
settimana  santa,  ne'  quali  si  recita 
la  passione  del  Signore,  in  luogo 
di  dire  Sequentia,  si  annunzia  con 
un'  unica  espressione  adattata  al 
soggetto  il  più  importante  della 
nostra  religione,  che  si  va  a  reci- 
tare la  passione  di  Gesù.  Cristo  : 
Passio  Domini  Nostri  Jesu  Chri- 
sti.  Recitandosi  il  vangelo,  dopo  il 
titolo  o  Initium  o  Sequentia,  il 
ministro  risponde  Gloria  tibì  Do- 
mine. Qui  noteremo  che  il  dotto 
Sarnelli  nel  tom.  IX  delle  Leti, 
eccl.,  nella  lett.  LXXII  tratta  del- 
ia epistola,  del  vangelo,  e  del  sa- 
luto Dominus  vobiscum,  quindi  par- 
la del  dubbio  se  In  diebus  illis, 
che  dicesi  in  molte  epistole,  ed  In 
ilio  tempore,  che  si  dice  nel  prin- 
cipio del  vangelo,  sono  di  signi- 
ficati differenti,  dichiarando  essere 
lo  stesso  in  quanto  al  significato, 
e  ne  riporta  erudite  ragioni:  av- 
verte però  che  si  debbono  eccettua- 
re i  principii  de'  sagri  libri,  come 
In  principio  erat  verbum  ;  Liber 
generationis  Jesu  Christi,  ec.  Così 
nell'epistola,  Primum  quidem  ser- 
moneni  :  mukìfariam.   Inoltre    non  ' 


EVA 

solo  negli  atti  apostolici,  ma  quasi 
in  tutto  il  Testamento  vecchio  non 
trovasi  che  In  diebus  illis  ;  ma  s. 
Matteo,  da  cui  si  prendono  più 
frequentemente  le  lezioni  evangeli- 
che, usa  In  ilio  tempore,  che  si 
premette  sempre  al  vangelo.  Ag- 
giunge il  Sarnelli,  che  il  vangelo 
è  Ja  cosa  principale  di  quante  altre 
se  ne  dicano  nella  messa ,  conve- 
nendo ancor  esso  sull'introduzione 
a'  tempi  apostolici  ;  e  siccome  il 
capo  ha  la  preminenza  su  tutte  le 
altre  membra,  e  tutte  queste  con- 
sentono al  medesimo  capo ,  cosi 
all'  evangelio  tutto  1'  uffizio  della 
messa,  di  cui  dice  Ruperto,  1.  i, 
e.  37  :  Verbum  Verbi  est,  sermo 
sermonis,  et  sapientia  sapientiae. 

Dopo  aver  detto  il  sacerdote  Se- 
quenza, o  Initium,  giunte  di  nuo- 
vo le  mani  al  petto,  prosegue  1'  e- 
vangelo  sino  al  suo  termine.  Men- 
tre si  legge  il  vangelo  tutti  per  ri- 
verenza sorgono  in  piedi,  notando 
il  Macri  nella  Not.  de'  vocab.  eccl., 
che  il  vescovo  nella  Chiesa  greca 
in  quel  tempo  si  leva  il  pallio, 
simbolo  della  pecorella  smarrita,  e 
lo  dà  al  diacono,  perchè,  dice  Si- 
meone Tessalonicense,  mentre  Cri- 
sto pasce  con  la  sua  divina  parola 
le  pecorelle,  cessa  il  prelato  da 
questa  cura.  I  maroniti  stanno  nel- 
la chiesa  col  capo  coperto  sempre, 
solamente  si  scoprono  nel  tempo 
della  consagrazione,  e  mentre  si  leg- 
ge il  vangelo.  Al  diacono  precede 
il  suddiacono  con  le  mani  vuote, 
perchè  comparendo  la  chiara  luce 
del  vangelo  svanirono  le  tenebre 
del  testamento  antico,  di  cui  è  fi- 
gura il  suddiacono,  come  spiegano 
Innocenzo  III,  e  Durando  Jib.  4, 
e.  24-  Questo  ultimo  anzi  aggiun- 
ge, che  in  alcune  chiese  prima  del 
vangelo  si  canta  un'antifona    chia- 


EVA 

mata  ante  evangelium,  della  quale 
fa  menzione  Rodolfo  Tungrense,  af- 
fermando che  non  era  in  uso  nel- 
la Chiesa  romana,  come  anco  Y  al- 
tra, che  si  cantava  dopo  il  vange- 
lo., riportando  il  Macri  le  stesse 
parole,  de  Canon.  observ.3  prop.  23. 
Il  diacono  poi  bacia  la  mano  pri- 
ma di  cantar  il  vangelo,  e  il  sud- 
diacono dopo  letta  l'epistola,  per- 
chè la  legge  vecchia  ebbe  termine 
in  Cristo,  dal  quale  principia  la 
nuova.  Inoltre  il  diacono  quando 
leggeva  il  vangelo,  voltava  la  fac- 
cia verso  la  parte  meridionale,  do- 
ve stavano  gli  uomini,  come  si  ha 
da  Micro  log. ,  de  Eccles.  observ. 
cap.  9.  Questi  pur  dice,  che  per 
abuso  si  cominciò  a  voltarsi  verso 
acquilone,  dal  vedere  il  sacerdote 
voltato  verso  quella  parte  mentre 
diceva  il  vangelo,  perchè  non  era 
tenuto  ad  osservare  questa  cerimo- 
nia, non  essendo  intorno  all'  alta- 
re donne,  ma  solamente  ministri 
ecclesiastici.  Vedi  Innocenzo  III, 
lib.  2  de  myst.  Missae,  cap.  43, 
il  quale  in  tal  sito  riconosce  un 
misterioso  significato. 

Il  Pontefice  s.  Anastasio  I,  nel- 
1'  anno  398  ordinò  che  gli  stessi 
sacerdoti  stessero  in  piedi  e  chi- 
nati al  leggersi  dai  diaconi  l'evan- 
gelio nella  messa,  per  dimostrare 
la  prontezza  con  cui  come  servi 
sono  disposti  ad  eseguire  ciò  che 
in  esso  si  promulga.  Con  questo 
decreto  quel  Papa  volle  terminar 
le  dissensioni  eh'  erano  insorte  tra 
di  loro  (Vedi  Diaconi  ).  Neil'  Isto- 
ria delle  parrucche,  a  p.  i56  si 
legge,  che  talvolta  la  Chiesa  dis- 
pensa i  sagri  ministri  di  assistere 
all'uffizio,  e  di  celebrar  la  messa 
colla  testa  nuda,  ma  non  in  tem- 
po della  lettura  del  vangelo,  per- 
chè   vuole    che    si    uniformino    al 


EVA  227 

resto  de' fedeli  che  allora  hanno  il 
capo  nudo  :  indi  riportasi,  che  il 
secondo  Ordine  Romano  della  mes- 
sa pontificale ,  pubblicato  dal  p. 
Mabillon,  t.  I,  Mus.  hai.  p.  4&> 
dice  positivamente,  che  quando  si 
legge  il  vangelo  alla  messa,  i  fede- 
li lasciano  i  bastoni  che  portano  nel- 
le loro  mani  per  sostenersi.  Sul 
doversi  tenere  il  capo  nudo  alla 
lettura  del  vangelo,  se  ne  parla 
pure  a  pag.  161  e  164.  Dice  s. 
Girolamo,  che  quando  si  leggeva 
il  vangelo  in  tutte  le  chiese  di  o- 
riente,  si  accendevano  i  cerei,  ben- 
ché risplendesse  il  sole,  e  ciò  in 
segno  di  allegrezza.  Il  citato  s.  A- 
gostino,  lib.  5o,  komil,  26,  assicu- 
ra, che  la  parola  di  Dio  non  è 
meno  stimabile,  che  il  corpo  di 
Gesù  Cristo.  Sull' alzarsi  in  piedi 
alla  lettura  del  vangelo  è  a  ve- 
dersi Joh.  Sigismundum  Susckium, 
De  more  surgendi,  standique  in 
ecclesia,  quum  divina  verba  reci- 
tantur.  In  trìfolio  publico,  3,  p. 
197,  Magdeburgo  1732.  Antichis- 
simo è  l' uso  che  leggendosi  il  van- 
gelo il  popolo  stia  in  piedi,  per 
denotare  eh' è  pronto  ad  eseguire 
i  comandi  del  Signore,  che  si  leg- 
gono nel  vangelo. 

11  medesimo  Macri  aggiunge,  che 
prima  precedeva  al  diacono  la  croce 
quando  andava  a  leggere  il  vangelo, 
per  denotare  che  predicava  Cristo 
crocefisso.  V.  Durando  1.  4»  caP- 
14.  Questa  cerimonia  osservano 
pure  i  domenicani,  come  si  legge 
nelle  rubriche  del  loro  messale.  Né 
deve  tacersi  che  l'evangelio  legge- 
vasi  sopra  un  leggio  fatto  a  forma 
di  aquila,  e  questa  di  pietra,  di 
bronzo,  o  di  altra  solida  materia, 
ovvero  sopra  i  pulpiti  od  amboni. 
In  quanto  all'accendersi  i  lumi  por- 
lati  dagli  accoliti,  ciò  si  fa  non  per 


228  EVA 

Scacciar  le  tenebre  che  allora  non 
vi  sono,  ma  per  denotare  la  luce 
del  santo  vangelo,  e  il  gaudio  ap- 
portato dallo  sposo  già  presente  ai 
fedeli,  come  si  esprime  s.  Girolamo, 
cont.  Vigilali.  Altro  significato  mo- 
rale vi  riconosce  Innocenzo  III  in 
questa  cerimonia,  ut  proxhnis  o- 
pera  lucis  ostendat,  lib.  i  de  myst. 
Missae,  cap.  3.  Inoltre  il  diacono 
prima  di  cominciare  a  leggere,  ed 
anche  tutti  ^li  astanti  si  segnano 
colla  croce  nella  fronte  per  mostra- 
re di  non  vergognarsi  del  vangelo, 
nella  bocca  per  confessarlo,  e  nel 
cuore  acciocché  le  suggestioni  dia- 
boliche non  impediscano  l'uberto- 
so frutto  del  seme  evangelico.  V. 
il  detto  Innocenzo  III,  loco  citato, 
lib.  2,  cap.  4^,  il  quale  aggiunge: 
«  Signare  se  debet  in  fronte,  sigua- 
«  re  se  debet  in  ore,  in  pectore,  ac 
»  si  dicat.  Ego  Crucem  Christi  non 
n  erubesco;  sed  corde  credo,  quod 
«  ore  praedico  ".  L'uso  antico  di 
segnarsi  colla  croce  è  pure  ram- 
mentato da  Amatorio,  su  di  che 
possono  consultarsi  l' Eisengrein,  de 
Crucis  frequenti  apud  veteros  in  se 
signandi  usu,  Ingolstadii  1572;  il 
Wilduogelius,  de  venerab.  signo  Cru- 
cis, Jenae  1690;  il  Collin,  Traile 
du  signe  de  la  Croix  fait  de  la 
mairi,  Paris   1 775,  ec. 

Lo  stesso  Innocenzo  III  sul  ba- 
cio che  si  fa  del  vangelo  in  fine 
di  esso,  dice  che  ciò  si  fa  affine 
di  ricevere  la  pace  da  Cristo  cro- 
cefisso ,  per  quam  reconciliationis 
recepimus.  Finito  dunque  il  van- 
gelo, il  ministro  stando  in  cornu 
cpistolae ,  giù  dell'infimo  grado 
dell'altare,  risponde:  Laus  libi 
Chrisle,  ciò  che  non  si  dice  nel 
venerdì  santo  dopo  letta  la  Passio- 
ne, essendo  quello  stato  il  tempo 
degli  improperi  di  Cristo.  Una  vol- 


EVA 

ta  finito  il  vangelo  si  diceva  Àmen 
(Vedi),  il  che  ancora  si  dice  se- 
condo il  rito  mozarabo.  Altre  vol- 
te dicevasi  Deo  gratias  (Vedi),  ed 
oggi  dicesi  Laus  libi  Chrisle,  come 
può  vedersi  nella  4  parte  della 
somma  del  trattato  de  officio  Mis- 
sae  dell'AIense.  «  Perlecto  evangelio 
>>  diclini  assistentes  Amen,  quasi 
»  dicant:  Faciat  nos  Deus  perseve- 
«  rare  doctrina  evangelii.  Alii  di- 
»  cunt  Deo  gratias  in  gratiarum 
»>  actionem  prò  beneficio  tantae 
«  doctrinae  et  tam  saluterà.  Non 
»  dicimus  Laus  tibi  Chris  te  ".  Sog- 
giunge poi  il  sacerdote,  alzando  un 
po'  il  libro,  e  baciando  per  rispetto 
nel  principio  del  vangelo  ov'è  im- 
pressa la  croce  :  Pro  evangelica 
dieta  deleantur  nostra  delieta,  sopra 
le  quali  parole  riflette  il  p.  Le  Bruii, 
al  tom.  I,  p.  240,  che  quantunque, 
generalmente  parlando,  la  parola 
delictum  significhi  mancamento  e 
peccato,  quando  però  la  Chiesa 
non  propone  il  sagramento  della 
penitenza  per  cancellare  i  peccati, 
s'intende  che  parli  de' peccati  leg- 
geri e  veniali. 

Le  parole  :  Pro  evangelica,  ec.  si 
dicono  sempre,  fuorché  nelle  messe 
dei  defunti, e  quando  celebrasi  innan- 
zi al  sommo  Pontefice,  o  Cardinale, 
e  legato  della  santa  Sede,  oppure 
innanzi  al  patriarca,  o  arcivescovo, 
ovvero  vescovo  nelle  loro  residen- 
ze, nel  qual  caso  il  libro  si  porterà 
a  baciare  a  qualunque  de'predetti; 
e  il  celebrante  allora  non  lo  ba- 
ci era,  ne  dirà  :    Pro  evangelica  ec. 

Secondo  il  decretode'riti,  1 8  otto- 
bre 1 6 1 8,  al  vescovo  fuori  della  sua 
diocesi  non  si  compete  il  detto  bacio. 
Il  Lamberti  ni,  della  santa  Messa, 
sez.  I,  cap.  IX,  §  ri,  dice  che  del 
bacio  che  si  dà  dal  celebrante  al 
vangelo,  parla  Giona  vescovo  d'Or- 


EVA 

leans  nella  prefazione  del  lib.  2 
de  eulta  imaginum,  ove  osserva 
ciò  farsi  per  culto  e  adorazione  di 
quello,  di  cui  sono  le  parole  del 
vangelo  eh' è  stato  letto.  Il  citato 
Macri  sul  bacio  dice,  che  al  fine 
del  vangelo  si  bacia  il  libro  o  mes- 
sale per  pigliar  la  pace  di  Cristo; 
ma  se  vi  sarà  presente  qualcke 
persona  di  quelle  prescritte  nella 
rubrica,  non  baderà  il  sacerdote 
il  libro,  ma  lo  si  darà  a  baciare 
alla  persona  più  degna,  e  non  ad 
altre,  ed  essendo  di  egual  dignità 
non  si  dovrà  dare  ad  alcuna  di 
esse,  perchè  Cristo  è  un  solo,  ne 
si  può  dividere,  Gau.  p.  2,  tit.  6. 
Questo  è  l'uso  di  Roma,  dove  tro- 
vandosi nelle  cappelle  cardinalizie 
molti  Cardinali,  a  niuno  si  dà  a 
baciale  il  libro.  Onorio  III  in  una 
lettera  decretale  che  incomincia:  Ad 
audientiam,  data  nel  1221,  vietò 
sotto  pena  di  scomunica  il  dare  a 
baciare  il  vangelo  ai  principi  seco- 
lari, se  non  fossero  re  unti  col- 
l' olio  santo,  come  ampiamente  di- 
mostra il  p.  Merati  tom.  I,  part. 
*j  pag-  444  e  seg. 

Avverte  però  monsignor  Peri- 
mezzi,  Dissert.  eccl.  part.  1,  dissert. 
8,  pag.  237,  che  pel  rito  moder- 
no si  tollera,  che  si  porti  ancora 
il  messale  a  baciare  a'  principi,  non 
però  ai  laici  inferiori.  Sul  canto 
o  lettura  del  vangelo  nei  pontificali 
del  Papa,  quando  assiste  alle  mes- 
se solenni  o  private,  vanno  letti  i 
voi.  Viri,  p.  247,  e  IX,  p.  21 
e  i5i  dei  Dizionario,  ove  (come 
in  diversi  luoghi  dell'  articolo  Cap- 
pelle Pontificie)  dicesi  quanto  ri- 
guarda le  cerimonie  ed  altro  nei 
diversi  tempi  in  cui  si  canta  o  leg- 
ge l'evangelio,  ed  il  tempo  in  cui 
lo  si  canta  in  latino  ed  in  greco. 
Anticamente  però  si  porgeva  a  tut- 


EVA  229 

to  il  popolo  il  libro  per  essere  ba- 
ciato. Gem.  lib.  1,  cap.  119.  Nel- 
la chiesa  Remense,  quando  il  sud- 
diacono nel  principio  della  messa 
porge  il  libro  degli  evangeli  al- 
l' arcivescovo  celebrante  per  ba- 
ciarlo, gli  dice:  Haec  est  lex  scin- 
da, Pater,  ed  esso  risponde  :  Cre- 
do et  confiteor.  Va  notato.,  che 
quando  nel  vangelo  nominasi  Ge- 
sù, o  il  nome  di  Maria,  o  di  quel 
santo,  di  cui  si  celebra  la  messa, 
o  di  cui  si  avrà  fatta  commemo- 
razione, si  deve  chinare  il  capo 
verso  il  libro,  come  si  deve  genu- 
flettere  quando  nel  vangelo  sarà 
indicato.  V.  il  Mondelli,  Decade 
di  eccl.  dissert.,  dissertazione  Vili, 
sopra  il  rito  di  leggere  V  epistola 
ed  il  vangelo  nella  messa. 

In  Costantinopoli  nelle  messe  so- 
lenni si  leggevano  l'epistola  e  il 
vangelo  in  latino,  ed  in  greco, 
quia  aderant  et  graeci,  quibus  igno- 
ta erat  lingua  latina;  aderant  et  la- 
tini, quibus  incognita  erat  graeca, 
et  propter  unanimitatem  utriusque 
populi.  Nella  stessa  chiesa  di  Co- 
stantinopoli, come  attesta  il  Goar 
neìì'Eucologìo,  allorché  nel  giorno 
di  Pasqua  cantavasi  il  vangelo:  In 
principio  erat  Verbum,  che  secondo 
il  rito  greco  cade  in  quel  dì,  i 
vescovi,  gli  arcivescovi,  e  i  metro- 
tropolitani  di  qualunque  rito,  tutti 
vestiti  con  abiti  greci,  si  dispone- 
vano in  linea  retta,  secondo  il  lo- 
ro ordine.  Il  patriarca  greco  dava 
principio  al  primo  versetto  in  lin- 
gua greca,  che  si  ripeteva  da  cia- 
scuno, un  dopo  l'altro,  nel  proprio 
idioma,  finche  si  dava  fine  a  tut- 
to il  vangelo,  che  così  veniva  tra- 
dotto in  ogni  periodo  in  diverse 
lingue.  Nel  concilio  generale  di  Lio- 
ne li,  adunato  nel  1274  sotto  Gre- 
gorio  X,    cui    intervenne    Michele 


a3o  EVA 

Paleologo,  imperatore  di  oriente, 
nella  messa  solenne  che  il  Papa 
celebrò,  in  argomento  della  sincera 
sua  riconciliazione  colla  Chiesa  gre- 
ca, furono  cantati  il  vangelo,  e 
l'epistola  greca  in  abiti  greci,  e  dai 
Cardinali  e  prelati  latini  cantato 
il  simbolo  della  fede  in  latino,  ri- 
petuto in  greco  dal  patriarca  di 
Costantinopoli ,  e  da'vescovi  greci 
della  Calabria ,  come  leggesi  in 
Rodotà,  Origine  del  rito  greco  in 
Italia^  t.  Ili,  p.  243.  Questo  stes- 
so uso  di  tradurre  il  vangelo  si 
conserva  ancora  in  Roma  nella 
chiesa  di  s.  Girolamo  degli  Schia- 
voni,  in  cui  cinque  volte  l'anno  si 
canta  il  vangelo  nella  lingua  lati- 
na, e  poi  nell'  illirica. 

Negli  Ordini  Romani  XI,  XII, 
XIII,  XIV  e  XV,  si  legge  il  co- 
stume ne'solenni  pontificali  che  ce- 
lebra il  Papa,  del  cantarsi  l'epi- 
stola e  l'evangelio  prima  in  latino, 
poi  in  greco  :  secondo  il  Rodotà, 
un  tal  rito  fu  ammesso  nella  cap- 
pella pontificia  nel  secolo  IX,  co- 
me tratta  nel  cap.  XVI,  t.  Ili, 
dell'origine  del  rito  greco  in  Italia. 
Questo  rito  non  solo  fu  seguito 
nel  concilio  di  Pisa  l'anno  i4°9> 
nell'incoronazione  di  Alessandro  V, 
ma  di  più  fu  cantata  nella  catte- 
drale l'epistola  e  l'evangelio  anche 
in  ebraico,  come  consta  dagli  atti 
del  concilio  pubblicati  dall'Ardui- 
no, t.  Vili,  p.  92,  e  dal  Dachery, 
nel  tom.  VI  dello  Spicilegio,  334- 
Questi  nel  t.  VI,  p.  i3j,  dimostra 
quanto  fosse  gradito  in  Roma,  e 
nella  Magna  Grecia  il  greco  idio- 
ma, ed  a  ciò  attribuisce  la  consue- 
tudine del  canto  dell'  epistola  e 
vangelo  greco  nella  cappella  papa- 
le :  altri  dicono  denotarsi  l'unione 
delle  due  Chiese,  indicandosi  il  pri- 
mato della  Chièsa  latina  sulla   gre- 


EVA 

ca,  col  canto  che  si  fa  prima  in 
latino  sì  dell'epistola  che  del  van- 
gelo, e  ciò  pratica  vasi  pure  in  Co- 
stantinopoli. Siccome  nel  cantare 
messa  il  sommo  Pontefice  riuni- 
sce in  parte,  in  segno  della  co- 
munione con  tutti  i  cattolici  del 
mondo,  i  riti  latino  e  greco,  cosi 
in  queste  due  lingue  si  canta  l'e- 
pistola e  il  vangelo.  Talvolta  an- 
che da'Cardinali  è  stato  esercitato 
il  ministero  del  diacono  greco  nel- 
la messa  pontificale  :  di  fatti  ab- 
biamo nel  cerimoniale  di  Paride 
de  Grassis,  ad  graecum  evangelium 
duo,  nisi  sit  et  ipse  Card,  diaco- 
nia, quo  casu  simililer  septem  lu- 
minaria adhibentur,  ut  olim  fieri 
solebat.  Sed  tamen  nostro  tempo- 
re Card,  diaconus  in  graeco  non 
cantat.  E  però  al  canto  del  vange- 
lo greco,  ora  restano  due  soli  can- 
delieri. Nell'Ordine  Romano  XIV 
del  Cardinal  Gaetano,  si  legge  che 
due  monaci  basiliani  dell'abbazia 
di  Grottaferrata,  nella  cappella  pon- 
tificia cantavano  anticamente  il 
vangelo  e  l'epistola  in  greco.  Nel- 
la coronazione  di  Nicolò  V,  nel 
i447  ì  *l  Cardinal  di  s.  Angelo 
cantò  il  vangelo  latino ,  e  un  ab- 
bate basiliano  il  greco.  In  progres- 
so questo  onore  fu  accordato  ad 
altri  religiosi,  o  sacerdoti  secolari. 
Giacomo  Volaterrano,  nel  suo  dia- 
rio, dice  che  nel  i4^r,  nel  giorno 
di  Pasqua,  epistola  ab  Isaacio  Ar- 
gyropulo  cubiculario  ;  evangelium 
ab  abbate  s.  Balbinae  graece  can- 
tatimi fuit.  Che  tale  uffizio  venis- 
se esercitato  pure  da  un  vescovo, 
lo  dicemmo  al  voi.  Vili,  pag.  1 44 
del  Dizionario,  mentre  al  voi.  XIV, 
pag.  169,  si  disse  come  Sisto  V 
attribuì  a  due  alunni  del  collegio 
greco  l'onorevole  incarico  di  fare 
da    diacono    e   da    suddiacono    nei 


EVA 

pontificali ,  cantando  in  greco  sì 
l'epistola  che  l'evangelo.  V.  il  Mar- 
celli, Sacrarum  cerimonìarum  lib. 
Ili,  tit.  X,  p.  i32,  de  evangelio  et 
epistola  graece  legendis.  Nella  co- 
ronazione poi  e  possesso  d'  Inno- 
cenzo VIII,  del  i484>  recandosi 
questi  dopo  la  prima  funzione  se- 
guita nel  Vaticano,  con  solenne  ca- 
valcata per  la  seconda  al  Laterano, 
dopo  gli  uditori  di  Rota  si  legge  : 
Subdiaconus  latinus,  diaconus  et 
subdiaconus  graeci,  sacrìs  vestibus 
indiai,  quorum  medius  erat  diaco- 
nus _,  a  dextris  e/us  latinus,  et  a  sì- 
nistris  graecus,  subdiaconi. 

Racconta  il  Macri ,  che  nella 
chiesa  del  santo  sepolcro  di  Geru- 
salemme ,  il  diacono  che  leggeva 
nella  solennità  di  Pasqua  il  santo 
vangelo,  quando  pronunziava  le 
parole  :  Surrexit  non  est  hic,  mo- 
strava col  dito  il  s.  Sepolcro,  e  che 
in  una  terra  del  Friuli,  detta  Ci- 
vidal,  eravi  una  collegiata,  nella 
quale  nel  giorno  dell'Epifania  il 
diacono  cantava  il  vangelo  con  la 
spada  sfoderata  in  mano,  e  l'elmo 
in  capo,  per  denotare  il  mero  e 
misto  impero  della  Chiesa.  Su  que- 
sto proposito  rammentiamo ,  che 
parlando  nel  voi.  XIX,  p.  3o5 
del  Dizionario,  di  alcune  funzioni  da 
diacono  che  esercitarono  nella  cap- 
pella pontificia  gl'imperatori,  dicem- 
mo che  nel  cantare  il  vangelo  im- 
pugnavano la  spada  nuda:  però 
non  lo  cantavano  che  per  la  solen- 
nità del  Natale,  come  non  lo  cantò 
Cailo  IV,  quando  nel  dì  d'  Ognis- 
santi del  i368,  esercitò  alcuni  uf- 
fizi diaconali,  alla  messa  pontificata 
da  Urbano  V.  Osserva  il  citato 
Lamhertini ,  che  i  religiosi  degli 
ordina  equestri,  mentre  si  dice  il 
vangelo,  mettono  la  mano  sopra  la 
spada,  e   la  levano  dal  fodero^  per 


EVA  s3i 

dimostrare  che  sono  pronti  a  spar- 
gere il  sangue  per  la  fede  di  Ge- 
sù Cristo.  Può  consultarsi  il  Car- 
dinal Bona,  Rerum  liturg.  lib.  2, 
cap.  7,  num.  3.  Nella  città  di  Na- 
zaret, nella  chiesa  dedicata  alla 
Beata  Vergine,  edificata  nel  mede- 
simo sito,  nel  quale  un  tempo  era 
stata  la  santa  Casa  che  ora  si  ve- 
nera neh"  avventurosa  Loreto,  in 
venerazione  del  mistero  dell'Incar- 
nazione operato  in  quel  luogo,  si 
possono  giornalmente  celebrare  le 
messe  dell'Annunziazione,  nella  qua- 
le si  recita  il  vangelo  colla  forino- 
la: Missus  est  Gabriel  Angelus  in 
hanc  civitatem,  cosi  ancora  nell'ul- 
timo vangelo  di  s.  Giovanni  si  pro- 
nuncia :  Et  Verbum  caro  hic  factum 
est.  Anticamente,  come  avanti  le 
altre  lezioni  della  sagra  Scrittura, 
così  pure  avanti  quelle  del  vange- 
lo intimavasi  pubblicamente  il  si- 
lenzio :  tale  pratica  della  Chiesa 
greca ,  venne  adottata  da  alcune 
chiese  latine,  ed  in  quella  di  Mila- 
no sussisteva  a'tempi  di  s.  Ambro- 
gio, che  ne  fa  qualche  menzione,  in 
psalm.   I. 

IlLambertini,  della  santa  Messa, 
sez.  I,  cap.  IX,  dice  che  dopo  la 
lezione  della  legge ,  e  de'  profeti, 
nelle  sinagoghe  degli  ebrei  era  so- 
lito che  si  parlasse  al  popolo,  e  s. 
Luca  al  e.  4  del  vangelo,  racconta 
che  essendo  Gesù  entrato  in  gior- 
no di  sabato  nella  sinagoga ,  lesse 
Isaia  profeta,  e  sermoneggiò.  Ne- 
gli Atti  al  e.  1 3  si  vede,  che  dopo 
la  lezione  i  ss.  Paolo  e  Barnaba 
furono  invitati  dai  principi  della 
sinagoga  a  fare  una  esortazione 
al  popolo.  Nella  seconda  apologia 
di  s.  Giustino  martire^  e  nel  1.  8 
delle  costituzioni  apostoliche,  al  e. 
4,  si  vede  che  1'  omelia,  ossia  il 
sermone   di  esortazione    al    popolo 


a32  EVA 

facevasi  dopo  che  era  stato  Ietto  il 
■vangelo;  e  s.  Cipriano  nella  vita 
di  s.  Cesareo  d'Arles,  al  e.  14,  nar- 
ra che  faceva  chiudere  le  porte 
della  chiesa  dopo  il  vangelo,  ac- 
ciocché ognuno  restasse  a  sentire 
il  sermone.  Abbiamo  da  s.  Ambro- 
gio, epistol.  io  ad  Marceli.  4>  che 
dopo  la  lezione  del  vangelo,  il  ve- 
scovo dava  principio  al  suo  trat- 
tato o  discorso,  cui  non  solamen- 
te intervenivano  i  fedeli,  ma  pote- 
vano anco  assistervi  i  catecumeni, 
i  penitenti,  ed  i  gentili  stessi.  Tut- 
ti questi  però  terminato  il  discorso 
venivano  licenziati.  I  giorni  in  cui 
il  vescovo  soleva  ragionare  al  po- 
polo romano  erano  le  solennità  e 
le  domeniche.  Oltre  il  sermone  si 
facevano  ancora  alcune  ammonizio- 
ni al  popolo,  delle  quali  parla  il 
concilio  d' Orleans  appresso  Ivone, 
nella  part.  2  del  decreto  al  e.  1 20. 
Dura  ancora  questo  costume  nella 
Francia  ;  e  questa  parlata  ossia 
ammonizione  si  chiama  prone,  la 
qual  parola  francese  deriva  dal 
greco  pronao  s,  che  significa  quella 
parte  della  chiesa,  che  dall'ingres- 
so si  estende  al  coro,  nella  quale 
Stavano  i  laici,  stando  i  chierici 
nel  coro  e  nel  presbiterio.  Ed  in 
Italia  ancora  i  parrochi  nella  mes- 
sa parrocchiale  delle  feste,  dopo  il 
-vangelo  fanno  il  sermone  al  popo- 
lo, in  cui  gl'insegnano  ciò  che  cia- 
scuno deve  sapere  e  fare  per  con- 
seguire l'eterna  salute.  Benedette; 
XIII,  in  conformità  de' decreti  del 
concilio  di  Trento,  cap.  2,  sess.  5 
de  reform. ,  nel  1724  ordinò  ai 
curati,  che  in  tutte  le  domeniche  e 
feste  solenni,  dopo  il  vangelo  nel- 
la messa  parrocchiale  istruissero  il 
popolo  con  chiaro  modo,  nelle  co- 
se appartenenti  all'eterna  salute,  e 
perciò   concesse  cento   giorni  d'in- 


EVA 

dulgcnza  non  solo  a'  curati,  ma  a 
quelli  ancora  che  v'intervenissero. 
V.  Lambertini,  Notijicaz.  io  del 
tom.  I.  Il  Ferrari  compose  due  e- 
ruditi  tomi  delle  sagre  concioni.  Su 
quelle  che  si  pronunziano  nella  cap- 
pella pontifìcia,  dopo  il  vangelo, 
ne  tenemmo  proposito  nel  citato 
voi.  Vili  del  Dizionario)  a  pag. 
236  e  seg. 

L'annunzio  delle  feste  fra  la  set- 
timana facevasi  pure  dopo  il  van- 
gelo :  il  diacono  ne  riceveva  la  no- 
ta dal  vescovo,  e  dal  pulpito  od 
ambone  ne  faceva  dopo  il  vangelo 
la  pubblicazione.  Dal  terzo  concilio 
di  Milano  questo  uffizio  è  stato  af- 
fidato a'parrochi,  a' quali  fu  pure 
ingiunto  di  denunziare  nelle  dome- 
niche le  stazioni,  le  processioni,  i 
digiuni,  le  indulgenze,  le  orazioni, 
e  gli  uffizi  dei  defunti,  che  nella 
susseguente  settimana  avevano  luo- 
go, come  pure  di  dover  promul- 
gare i  decreti  notati  nel  calendario. 
Tuttavolta  nella  medesima  chiesa 
Ambrosiana,  al  diacono  è  stato  ri- 
serbato l'antico  uso  di  annunziare 
nel  dì  dell'Epifania,  cantato  il  van- 
gelo, il  giorno  della  futura  Pasqua. 
Finalmente,  quando  ha  luogo,  dopo 
il  vangelo  si  recita  o  si  canta  il 
Credo  o  la  professione  di  fede.  Pre- 
tendesi  che  un  tempo  l'imperatore 
si  levasse  il  diadema  per  riveren- 
za quando  dicevasi  l'evangelio.  Cer- 
to è  che  ora  se  è  vestito  coll'abi- 
to  dell'alta  sua  dignità,  al  vangelo 
alzasi  in  piedi,  impugna  lo  scet- 
tro con  una  mano,  tenendo  coll'al- 
tra  il  globo.  Nella  festa  della  Can- 
delora, e  nella  domenica  delle  pal- 
me, al  canto  del  vangelo  e  del 
passio,  si  sostengono  alzate  le  can- 
dele accese,  e  le  palme.  L'  Ordine 
Romano  prescrive  a'ehierici,  che  si 
levino  la  berretta  dal  capo,  alla  let- 


EVA 

tura  o  canto  del  vangelo.  Oltre 
quanto  abbiamo  detto  sul  bacio  del 
vangelo,  qui  aggiungeremo,  che  in 
alcune  chiese  ne' giorni  solenni  il 
diacono  porta  questo  libro  a  ba- 
ciare a  tutto  il  clero,  dicendo  : 
queste  sono  le  parole  sante  j  e  cia- 
scuno risponde  :  lo  credo  di  cuor e , 
e  lo  confesso  colla  bocca.  Con 
queste  diverse  cerimonie.,  il  senso 
delle  quali  compendiosamente  di- 
chiarammo, la  Chiesa  professa  di 
credere  che  l'evangelio  sia  la  pa- 
rola di  Dio,  e  la  regola  della  sua 
fede. 


Evangelio  di    s.   Giovanni. 


Non  si  ommette  mai  in  fine 
della  messa,  se  non  che  quando  si 
fa  de  festo  in  qualche  domenica  o 
feria  che  abbia  l'evangelio  proprio, 
il  quale  si  legge  in  vece  di  esso. 
Nella  terza  messa  di  Natale  si  leg- 
ge in  fine  il  vangelo  dell'Epifania: 
Cum  natus  esset  Jesus,  e  nella  do- 
menica delle  palme  nella  messa 
privata  si  legge  l'evangelio  che  si 
è  letto  nell'uffizio.  Nelle  vigilie  che 
occorrono  nella  quaresima,  o  nelle 
quattro  tempora,  non  si  legge  l'e- 
vangelio della  vigilia  nel  fine  della 
messa.  Similmente  nelle  messe  vo- 
tive mai  non  si  legge  nel  fine  altro 
vangelo  che  quello  di  s.  Giovanni. 
Tanto  rilevasi  dal  Messale  romano 
[Vedi),  nella  parte  I,  rubr.  i3, 
num.   i. 

Data  la  benedizione  dal  cele- 
brante, o  dopo  il  Placeat  nelle 
messe  de'morti,  il  sacerdote  va  nel- 
la parte  del  vangelo,  dice  il  Do- 
minus  vobiscum,  e  risposto  dal  mi- 
nistro: Et  cum  spiritu  tuo,  fa  u;n 
segno    di    croce  sul    principio    del 


EVA  233 

vangelo,  ovvero  sull'altare,  ne  fa 
un  altro  sopra  la  sua  fronte,  so- 
pra la  sua  bocca,  e  sopra  il  suo 
petto,  e  dice:  Initium  sancii  Evan- 
gelii  sccundum  ec. ,  e  risposto  dal 
ministro  Gloria  tibi  Domine,  colle 
mani  giunte  legge  il  vangelo  di  s. 
Giovanni,  o  il  vangelo  di  qualche 
festa,  della  quale  si  fa  l'uffizio,  se 
essa  cade  nella  domenica,  doven- 
dosi allora  leggere,  come  dicemmo, 
l'evangelio  del  giorno,  e  non  quel- 
lo di  s.  Giovanni  ;  e  leggendosi  il 
vangelo  di  s.  Giovanni ,  quando 
arriva  alle  parole:  et  Verbum  ca- 
ro factum  est,  s'inginocchia  per  a- 
dorare  il  Verbo  divino,  che  si  è 
voluto  abbassare  fino  a  prendere 
la  nostra  carne.  Il  ministro,  stando 
dalla  parte  dell'epistola,  dice  Deo 
gratias,  acciocché  la  inessa  finisca 
sempre  col  rendimento  di  grazie. 
Gilberto  Grimaud,  nella  sua  Litur~ 
già  sagra }  alla  part.  3,  e.  17,  por- 
ta molti  documenti  per  dimostra- 
re la  gran  divozione,  che  altre  vol- 
te avevasi  al  santo  vangelo  In  prin- 
cipio j  avvegnaché  una  volta  legge- 
vasi  in  alcune  chiese,  dopo  che  si 
era  dato  il  battesimo  ai  fanciulli, 
il  viatico  e  l'estrema  unzione  agli 
ammalati  ;  ma  confessa  di  non  a- 
ver  potuto  ritrovare,  per  ordine 
di  chi  si  reciti  nel  fine  della  mes- 
sa. Ciò  però  oggi  non  ammette  dif- 
ficoltà, imperocché  concordano  gli 
eruditi,  che  s.  Pio  V  fu  quel- 
lo, che  stabili  la  regola  di  dover 
recitare  nel  fine  della  messa  il 
vangelo  di  s.  Giovanni,  mentre  pri- 
ma di  lui  alcuni  lo  recitavano,  al- 
tri l'ommettevano,  come  si  legge  nel 
citato  Cardinal  Bona,  Rerum  litur. 
lib.  2,  cap.  20,  num.  5;  nel  p.  Le 
Brun  al  tom.  I,  p.  687  e  seg.;  nel 
Pouget  al  tom.  II  Insti t.  Cathol. 
p.    890,    ove    dice,    che   nemmeno 


*34  EV4 

oggidì  si  legge  tlai  certosini  ;  nel 
p.  Meiati  al  tom.  I,  par.  I,  pai». 
■243,  ove  alla  seguente  attesta  non 
recitarsi  il  vangelo  di  s.  Giovanni 
nel  fine  della  messa  da  chi  anche 
oggidì  canta  la  messa  nella  cappel- 
la pontificia,  i  quali,  come  osserva 
il  Novaes,  t.  VII,  p.  247,  comin- 
ciando la  recita  del  vangelo  nel 
partire  dall'altare ,  la  proseguono 
fino  alla  sagrestia.  Va  però  notato 
che  se  ha  luogo  la  lettura  di  altro 
evangelio,  il  celebrante  lo  legge  in 
mezzo  all'altare,  assistito  dai  mini- 
stri. Il  Burio,  nella  sua  Brevis  noti- 
ti a  Bom.  Pont.,  così  scrive  nella 
vita  di  s.  Pio  V:  «  Inter  alia  or- 
*»  dinavit,  in  fine  missae  a  sacer- 
*  dotibus  dici  evangeli um  s.  Joan- 
»  nis  (quod  ante  non  ex.  manda- 
ci to  hinc  inde  dicebatur),  quia  est 
«  veluti  compendium  mysteriorum 
«  princi  paliti  cu  fidei  nostrae  ss.  Tri- 
»  nitatis,  creationis  mundi,  Incar- 
ti nationis  Christi,  quae  profitetur 
**  tUnc  sacerdos  suo  et  totius  Eccle- 
»   siae  nomine  ". 

Erudita  è  la  lettera  XIX,  Del- 
l'evangelio di  s.  Giovanni  infine 
della  messa  pontificale^  del  Sar- 
nelli ,  Lett.  eccl.  tom.  VII ,  di- 
cendo che  s.  Pio  V  ne  coman- 
dò stabilmente  la  recita  nel  suo 
messale  riformato ,  per  una  con- 
tinua memoria  dell'  ineffabile  mi- 
stero della  Incarnazione ,  recitan- 
dosi prima  ad  arbitrio,  il  perchè 
non  ne  parlano  gli  antichi  rituali, 
benché  s'insinui  doversi  leggere, 
almeno  in  qualche  cosa,  nella  li- 
turgia di  s.  Pietro  ov'  è  detto: 
Deinde  plenitudo  legis,  et  prophe- 
taruni.  Lindano  cita  la  liturgia  di 
s.  Simeone  siracusano,  che  fioriva 
nell'anno  800,  nel  cui  fine  si  pre- 
scrive la  lezione,  per  la  quale  al- 
cuni usavano  l'evangelio  di  s.  Gio- 


EVA 

vanni.  Ma  il  concilio  Triburiense, 
cap.  Quidam  de  celebr.  missarum, 
proibì  di  leggersi  quotidianamente 
tal  vangelo,  come  le  messe  parti- 
colari, per  la  superstizione  di  al- 
cuni, che  credevano  in  quel  gior- 
no nel  quale  udivano  alla  messa 
l'evangelio  di  s.  Giovanni,  non  do- 
ver morire  senza  confessione,  e  per 
quelle  messe  particolari,  dover  ot- 
tenere abbondante  raccolta  di  bia- 
de, ovvero  perchè  alcuni  poneva- 
no tanta  divozione  in  quel  santo 
di  cui  sentivano  la  messa,  che  cre- 
devano quello  poter  più.  esaudire 
le  loro  preghiere,  che  se  sentissero 
Ja  messa  del  giorno  per  la  riveren- 
za di  Dio,  come  se  il  sagri  fi  zio  non 
si  offrisse  a  Dio  solo,  il  quale  so- 
lamente si  deve  adorare  con  culto 
di  latria.  Quindi  aggiunge  il  me- 
desimo Sarnelli,  che  nell'antico  or- 
dinario de'  domenicani  si  leggeva  : 
«  Evangelium  s.  Joannis  :  In  prin- 
«  cipio;  cum  collecta,  poteri  di- 
»  cere  deponendo  vestes,  vel  post 
»  depositionem  ".  La  colletta  era: 
«  Omnipotens  sempiterne  Deus,  di- 
»>  rige  actus  nostros  in  beneplaci- 
ti to  tuo;  ut  in  nomine  dilecti  Fi- 
»  lii  tui  mereamur  bonis  operibus 
«  abundare  ".  Altrettanto  è  pre- 
scritto in  alcuni  messali  mss.  del- 
la biblioteca  vaticana  ;  e  questo  è 
quello  che  oggi  si  pratica  nelle 
messe  pontificali.  Né  si  bacia  il  li- 
bro, o  la  tabella  detta  volgarmen- 
te cartagloria^  ove  è  riportato 
tutto  il  vangelo  di  s.  Giovanni , 
perchè  la  recitazione  di  questo  evan- 
gelio è  in  certo  modo  privata  ,  ed 
esclude  la  solennità,  onde  neppure 
si  canta  nelle  messe  solenni,  come 
avverte  Lopez,  de  ritu  Missae.  Non 
sarà  qui  superfluo  il  dire  se  sia 
lecito  portare  addosso  l' evangelio 
di   s.  Giovanni  :    In  principio ,    ec. 


EVA  EVA                   a35 

secondo  l'antico  uso  de*  primi  cri-  Altre  nozioni  sull'evangelio,  e  sul 
stiani,  i  quali  portavano  appeso  al  libro  che  lo  contiene. 
collo  il  testo  vangelico  scritto,  co- 
me preziosissima  reliquia.  Iiispon-  Fu  sempre  e  in  tanta  venera- 
de  s.  Gio.  Grisostomo,  hom.  4^>  zione  il  santo  vangelo,  che  veniva 
super  Math.y  in  Opere  imperfecto:  ricevuto  dai  sagri  ministri  della  se- 
«  Quidam  aliquam  partem  evan-  de  apostolica,  dalle  mani  de'  Pon- 
»>  gelii  scriptam  circa  collimi  por-  tefici,  per  la  conversione  delle  gen- 
»  tant  :  sed  nonne  quotidie  evan-  ti,  come  narra  il  Rinaldi  all'anno 
«  gelium  in  Ecclesia  legitur,  et  4^ii  num>  ICJJ«  Il  medesimo  al- 
«  auditur  ab  omnibus?  Cui  ergo  l'anno  232,  num.  1 3,  dice  che  s. 
«  in  auribus  posita  evangelia  ni-  Cecilia  usava  portare  in  petto  l'e- 
»»  hil  prosunt,  quomodo  possunt  vangelio  di  Cristo,  come  facevano 
«  eum  circa  collum  suspensa  sai-  altri,  della  quale  antica  consuetu- 
w  vare?  Dicne,  ubi  est  virtus  e-  dine  fa  menzione  s.  Gio.  Grisostomo 
»  vangelii,  in  figuris  litterarum,  an  summentovato;  ed  è  mirabile  quan- 
»  in  intellectu  sensuum  ?  Si  in  fi-  to  analogamente  narra  pure  il  Rinal- 
>»  guris,  bene  circa  collum  suspen-  di  di  s.  Teofilo,  all'anno  3or,num. 
»  dit.  Si  in  intellectu  :  ergo  me-  34-  Fu  inoltre  costante  costume 
*>  lius  in  corde  postea  prosunt ,  della  Chiesa  universale  nei  concili 
m  quam  circa  collum  suspensa  ".  di  ergere  in  mezzo  del  consesso 
S.  Tommaso  però  nella  2.  2.  qa.  un  trono,  sopra  il  quale  ponesi  il 
9.  7,  art.  4  ad  4>  dice  doversi  inten-  libro  del  vangelo.  Di  ciò  parlam- 
dere  s.  Gio.  Grisostomo  di  quelli  che  mo  all'articolo  Concilio  (Vedi),  ed 
hanno  maggiore  rispetto  alle  fìgu-  altrove.  Il  Rinaldi  all'anno  325, 
re  scritte,  che  alla  intelligenza  del-  num.  5g,  discorrendo  del  primo 
le  parole:  «  Dicendum,  quod  Chry-  concilio  generale,  dice  che  a  secon- 
»  sost.  loquitur,  quando  respectus  da  dell'uso,  nel  mezzo  del  conses- 
»  habetur  magis  ad  flguras  seri-  so  fu  collocato  in  real  trono  l' e- 
»  ptas,  quam  ad  verborum  intel-  vangelio,  come  rappresentante  la  di- 
»  lectum  ".  Conchiude  il  Sarnelli,  vina  persona,  come  se  gridasse  nel- 
che  se  è  lecito  portar  pendente  dal  l'orecchio  de'  vescovi,  secondo  che 
collo  qualche  reliquia,  colla  fidu-  si  esprime  s.  Cirillo  Alessandrino 
eia  in  Dio,  e  ne'  santi ,  di  cui  è  in  JpoL:  Justum  judicium  j udiente j 
la  reliquia,  molto  più  è  lecito  por-  e  secondo  le  parole  del  salmo  8 1  : 
tar  le  parole  sacre,  non  essendo  Deus  stetit  in  synagoga  deoruni; 
di  minor  santità  la  parola  di  Dio,  in  medio  miteni  Deos  dijudicat. 
che  le  reliquie  de'santi  dicendo  s.  Negli  atti  del  concilio  Fiorentino, 
Agostino  «  quod  non  minus  est  celebrato  da  Eugenio  IV,  si  legge 
h  verbum  Dei,  quam  corpus  Cini-  che  sopra  l'altare  maggiore,  vi  era 
»  sti  ".  Si  deve  finalmente  sapere,  il  codice  de  sacri  evangeli,  in  mez- 
come  si  raccoglie  dal  Registro  di  s.  zo  alle  sagre  teste  de' ss.  apostoli 
Gregorio  I,  lib.  12,  epistol.  7,  che  Pietro  e  Paolo,  ivi  esposte  fra  ce- 
anticamente  si  soleva  per  divozio-  rei  ardenti.  Per  tali  teste  debbon- 
ne  riporre  nei  reliquiari  il  testo  si  intendere  le  immagini  loro.  Del- 
del  santo  vangelo.  l'antico  rito  di  porre   in  mezzo  ai 

concili    il  grande  e    giusto  giudice 


*££  EVA 

Gesù  Cristo  figurato  nel  vangelo, 
egregiamente  ne  diede  spiegazione 
Gio.  Battista  Casali,  de  vet.  sacris 
christianoruni    ritìbus ,    pag.    177  e 

4.8. 

Era  poi  sì  grande  la  riverenza 
de'  primitivi  cristiani  verso  questo 
libro ,  che  non  osavano  toccarlo, 
se  prima  non  si  lavavano  le  mani, 
come  rilevasi  daH7io//zf7.  7  ad  pò- 
pul.  di  s.  Gio.  Grisostomo.  I  mo- 
scoviti, prima  di  toccar  il  detto 
libro  si  fanno  il  segno  della  croce 
con  profondissima  riverenza,  e  col 
capo  scoperto.  Anche  i  barbari  ri- 
spettarono l'evangelio.  Si  legge  nel 
p.  Severano,  Memorie  sagre,  pag. 
170,  che  avendo  preso  Roma  nel 
547  Totila  re  de'  goti,  nondime- 
no recossi  ad  orare  nella  basilica 
vaticana,  dove  Pelagio  diacono  por- 
tando nelle  mani  il  libro  degli  evan- 
geli, se  gli  fece  incontro  :  indi  pro- 
stratosi a'  suoi  piedi,  gli  domandò 
in  grazia  che  non  fossero  offesi  i 
romani,  e  l'ottenne,  almeno  per  al- 
lora. Quando  nell'anno  657  s<  Vi- 
taliano partecipò  la  sua  assunzione 
al  pontificato  all'  imperatore  Co- 
stante, questo  donò  ai  legati  apo- 
stolici per  la  basilica  di  s.  Pietro 
un  libro  dell'  evangelio  coperto  d'o- 
ro, e  tempestato  di  gemme.  Nel 
celebre  concilio  di  Costanza,  dopo 
la  deposizione  di  Giovanni  XXI H, 
e  dell'antipapa  Benedetto  XIII,  e  la 
generosa  rinunzia  di  Gregorio  XII, 
si  deliberò  dai  mille  padri  compo- 
nenti quell'augusta  assemblea,  che 
i  sagri  elettori  procedessero  all'ele- 
zione del  legittimo  Pontefice.  Al- 
lora Sigismondo  re  de'  romani,  as- 
siso nel  suo  soglio,  avendo  tocca- 
to colla  mano  la  croce  e  gli  evan- 
geli ,  recatigli  da  due  Cardinali , 
giurò  solennemente,  che  avrebbe 
difesi  gli  ordini  che  il  concilio  avea 


EVA 

l'orinato  riguardo  al  conclave,  con- 
formi alle  costituzioni  di  Gregorio 
X.  Antichissimo  è  il  rito  di  giu- 
rare sull'evangelio,  come  si  dirà  a 
suo  luogo.  Accusato  il  Pontefice 
Pelagio  I  dal  popolo  romano,  di 
fazione  contro  l' immediato  prede- 
cessore Vigilio  morto  nell'anno  555, 
celebrate  con  Narsete  capitano  im- 
periale le  litanie,  ascese  il  pulpito 
nella  basilica  di  s.  Pietro,  ed  aven- 
do sul  capo  l' evangelio,  si  purgò 
con  giuramento  dalle  accuse,  come 
già  avea  fatto  Sisto  III  nel  ^2  , 
e  dopo  di  lui  fece  ancora  s.  Leo- 
ne III  nell'anno  800:  per  sì  fatto 
giuramento,  cessò  subito  il  tumul- 
to del  clero  e  popolo  romano. 

Abbiamo  dal  Macri,  che  il  libro 
del  vangelo  solevasi  portare  nelle 
processioni,  massime  in  quella  del- 
la domenica  delle  palme,  nella  qua- 
le con  maggior  solennità  dell'ordi- 
nario, sopra  una  bara  ornata  era 
portato,  cioè  sulle  spalle  de'  dia- 
coni, e  ciò  per  rappresentare  Cri- 
sto trionfante.  Cencio  Camerario, 
nell'Ordine  XI,  pag.  176,  descri- 
ve il  rito  di  portare  in  processione, 
sulle  spalle  de'  diaconi,  tra  le  pal- 
me ,  gì'  incensieri ,  i  candelieri ,  e 
dopo  gli  stendardi  delle  scuole  di 
Roma,  una  bara  ben  ornata,  che 
chiamavasi  feretrum  o  portalorium, 
col  testo  de'  sagri  evangeli ,  affin- 
chè si  usasse  al  vangelo  un  onore 
consimile  a  quello  ricevuto  da  Ge- 
sù Cristo.  V.  il  Catalani,  Evange- 
Lium  in  processionibus  delatum  3 
praecipue  dominica  palmarum,  p. 
137.  Questo  rito  si  propagò  in  al- 
cune chiese,  e  T  origine  si  rinvie- 
ne nei  sagramentari  Gelasiano,  e 
Gregoriano,  e  in  antichissimi  ca- 
lendari. I  greci  non  solo  usano  di 
portar  il  detto  libro  quando  il  sa- 
cerdote entra  nel  sagro  altare,  ma 


EVA 

anclie  in  qualsivoglia  processione. 
Nella  chiesa  di  Costantinopoli  era 
chiamato  praefectus  evangelii}  quel- 
lo che  soleva  portarlo  nelle  proces- 
sioni. Nelle  grandi  solennità  faceva 
questo  uffizio  l'arcidiacono  patriar- 
cale, e  in  questa  chiesa  era  appel- 
lato doctor  ev angelii 3  quello  che 
àvea  la  cura  di  ragionare  in  pub- 
blico, con  ispiegar  il  testo  evange- 
lico. Nella  chiesa  Andegavense,  quan- 
do si  fanno  le  processioni,  oltre  il 
segno  della  croce,  si  porta  il  libro 
degli  evangeli,  quella  come  guida, 
questo  come  luce.  Il  delinearsi  i 
sagri  evangeli  nei  bicchieri  di  ve- 
tro degli  antichi  cristiani,  ci  ricor- 
da che  le  loro  mense  erano  ac- 
compagnate dalla  lezione  spiritua- 
le de'  medesimi,  onde  pascere  l'a- 
nima. 

Filippo  Buonarroti ,  nelle  sue 
Osservazioni  sui  vasi  antichi  di 
vetro,  riporta  diverse  erudite  noti- 
zie sugli  evangeli  e  loro  libri  rap- 
presentati dagli  artisti,  che  qui  ac- 
cenneremo. Quei  libri  degli  evan- 
geli ,  come  si  legge  in  Anastasio 
Bibliotecario,  donati  alle  basiliche 
di  Roma  ed  ornati  d' oro,  di  ar- 
gento e  di  gemme,  doveano  esser- 
lo nelle  coperte.  Di  questi  orna- 
menti de'  sagri  codici ,  prima  di 
tutti  se  ne  trova  fatta  menzione 
da  s.  Girolamo  nell'  epist.  19  ad 
Eustochìuni. 

San  Lorenzo  ed  altri  diaconi 
vennero  rappresentati  col  volu- 
me de'  santi  evangeli  nella  sini- 
stra mano  ,  perchè  era  offizio  dei 
diaconi  il  portarlo  e  il  leggerlo. 
Furono  rappresentati  i  santi  vesco- 
vi, aventi  nella  sinistra  lo  stesso  li- 
bro, perchè  devono  custodire  con 
ogni  cura  quel  santo  deposito,  rac- 
comandato loro  con  grandissima 
premura  in  persona    di    Timoteo , 


EVA  237 

dall'Apostolo,  siccome  eglino  sono 
i  vigilanti  mantenitori  nel  popolo 
della  purità  della  dottrina  del  Sal- 
vatore, ed  i  principali  promulgato- 
ri,  e  fedeli  interpreti  della  medesi- 
ma; onde  in  riguardo  di  ciò,  per 
rito  antichissimo,  accennato  anche 
dall'autore  delle  costituzioni  apo- 
stoliche, e  dall'  altro  della  gerar- 
chia ecclesiastica  nell'  ordinazione 
de'  prelati,  è  tenuto  sopra  il  capo 
loro  il  divin  codice  del  vangelo. 
Dei  volumi  poi  che  sono  in  mano 
dei  santi  apostoli  ne  hanno  parla- 
to molti  autori,  e  significano  le  o- 
pere  canoniche  lasciateci  dai  me- 
desimi, ovvero  la  facoltà  di  predi- 
care il  vangelo  data  loro  da  Gesù 
Cristo.  Per  tal  volume  posto  tal- 
volta in  mezzo  de'  ss.  Pietro  e  Pao- 
lo, vuoisi  dimostrare  che  l'evange- 
lio è  un  solo,  benché  egli  sia  ri- 
partito in  varie  scritture,  e  per  si- 
gnificare altresì  l' uniformità  della 
predicazione  degli  apostoli.  Ma  il 
Bernini,  //  tribunale  della  Rota,  a 
pag.  14,  rende  ragione  perchè  gli 
evangelisti  e  gli  apostoli  si  dipin- 
gono con  il  rotolo  o  scrittura  in 
mano  spiegata,  e  i  profeti  e  i  pa- 
triarchi complicata  :  i  primi  sono 
cosi  rappresentati  per  significare 
Evangelium  revelatum  3  i  secondi 
s' indicano  così,  Evangelium  vela- 
tum,  in  conformità  di  quanto  scris- 
se s.  Paolino  nell' epist.  29:  Chri- 
stus  in  le  gè  ve  latti  r,  et  in  lege  re- 
velatura  perchè  al  dire  di  s.  Ago- 
stino, 1.  de  cons.  evangeli  Prophe- 
tia  est  evangelium  velatimi  :  evan- 
gelium vero  est  prophetia  revelata. 
V.  il  Barbosa,  Tractatus  in  evaii* 
geliumj  il  p.  Zaccaria,  Onomasti- 
con  rituale,  in  Evangelari,  et  Evan- 
gelium j  ed  il  p.  Menochio,  che 
nelle  sue  Stuore,  tratta  del  vange- 
lo se  sia  stato    predicato  nelle   In- 


i3S  EVA 

die  occidentali,  ossia  in  America , 
prima  che  il  Colombo  la  scuopris- 
se ,  tratta  ancora  del  vangelo  por- 
tato dagli  antichi  presso  di  loro , 
come  venerato.,  e  de'  miracoli  ope- 
rati da  Dio  con  esso.  Inoltre  van- 
no consultati  gli  articoli,  Collegio 
Urbano,  Congregazione  di  propa- 
ganda fide  ,  e  Missioni  apostoli- 
che, per  la  diffusione  e  propaga- 
zione del  vangelo  in  tutto  il  mondo. 

EVANGELISTA  o  VANGE- 
LISTA (Evangelista).  Nome  dato 
ai  quattro  discepoli  che  Dio  ha 
scelti  ed  ispirati  per  iscrivere  Y  E- 
vangelio  (Fedi),  o  la  storia  del  no- 
stro Signore  G.  C.  Questi  sono  i  ss. 
Matteo,  Marco,  Luca,  e  Giovanni.  11 
nome  Evangelista  significa  colui 
che  annunzia  una  buona  notizia  ; 
quindi  chiamatisi  evangelisti  gene- 
ralmente tutti  coloro  che  annun- 
ziano qualche  felice  notizia,  ma  più 
particolarmente  quelli  che  predica- 
no il  vangelo  di  Gesù  Cristo,  ed 
in  ispecie  le  dette  quattro  persone 
che  lo  hanno  scritto,  autrici  dei 
quattro  vangeli  che  sono  i  soli 
dalla  Chiesa  riconosciuti  per  cano- 
nici. Diconsi  pure  evangelisti  i  sa- 
cerdoti che  recitano  certi  evangeli, 
mettendo  un'  estremità  della  stola 
sulla  testa  delle  persone  che  fan- 
no dire  questi  evangeli. 

I  ss.  Matteo  e  Giovanni  erano 
apostoli,  i  ss.  Marco  e  Luca  di- 
scepoli ;  non  si  sa  positivamente  se 
questi  due  ultimi  fossero  del  nu- 
mero dei  settantadue  discepoli  se- 
guaci di  Gesù  Cristo,  se  lo  abbia- 
no udito  predicare  ,  o  se  sieno 
stati  soltanto  istruiti  dagli  apostoli. 
Nella  primitiva  Chiesa  da  vasi  il  no- 
me di  vangelisti  a  quelli  che  si 
portavano  a  predicare  l'evangelio 
qua  e  là,  senza  che  fossero  uniti 
ad  alcuna  chiesa  particolare.    Pen- 


EVA 

sano  alcuni  interpreti  che  in  que- 
sto senso  sia  chiamato  evangelista 
il  diacono  s.  Filippo,  Art.  e.  21, 
v.  8,  e  che  s.  Paolo  raccomandi 
a  Timoteo  di  adempiere  le  funzio- 
ni di  evangelista,  1  Timot.  e.  4> 
v.  5,  e  Io  stesso  apostolo  nella  sua 
epistola  agli  efesii,  e.  4>  v«  n» 
mette  gli  evangelisti  dopo  gli  apo- 
stoli e  i  profeti.  V.  il  Rinaldi  al- 
l' anno  35,  num.  8,  che  rende 
ragione  come  Filippo  che  annunziò 
il  vangelo  a' samaritani,  abbia  il 
nome  di  evangelista.  V.  gli  arti- 
coli Matteo,  Marco,  Luca,  e  Gio- 
vanni. Fu  Bonifacio  Vili  che  nel 
1295  ordinò,  che  in  tutta  la  Chie- 
sa si  celebrassero  con  rito  doppio 
le  feste  de' ss.  apostoli  ed  evan- 
gelisti. 

Molti  increduli  fecero  ogni  sfor- 
zo per  provare  che  gli  evangelisti 
non  si  accordano  punto  nella  sto- 
ria che  fanno  delle  azioni  di  Gesù 
Cristo  ;  e  che  su  molti  punti,  e  in 
molte  circostanze  si  contraddicono. 
Osserva  il  Bergier  che  questi  cri- 
tici per  riuscirvi  fecero  uso  di  un 
metodo  che  si  avrebbe  rossore  di 
adoperare  per  attaccare  la  storia 
profana.  Quando  s.  Matteo,  per 
esempio,  riferisce  un  fatto  od  una 
circostanza,  della  quale  gli  altri 
evangelisti  non  parlano,  dicesi  che 
sono  in  contraddizione  con  esso. 
Ma  in  qual  senso  un  autore  che 
tace,  contraddice  quello  che  parla? 
Forse  l'ommissione  d'un  fatto  ne 
prova  la  falsità?  Se  ciò  fosse,  di 
tutte  le  storie  che  furono  fatte  da 
diversi  autori,  neppure  una  ve  ne 
sarebbe  che  non  fosse  piena  di 
contraddizioni.  Quando  si  voglia 
avere  la  cura  di  leggere  la  con- 
cordia od  armonia  degli  evange- 
listi, si  scorgerà  che  i  quattro  testi 
uniti  s' illustrano    T  uno   1'  altro,  e 


EVA 

formano  una  storia  esatta  ed  or- 
dinata. Il  citato  Rinaldi,  all'  anno 
3i,  num.  2,  rimarca  la  mirabile 
convenienza  tra  gli  evangelisti,  si- 
gnificati ne' quattro  animali  miste- 
riosi da  Dio  mostrati  ad  Ezechie- 
le, e  come  scrivessero  i  vangeli  in 
diversi  luoghi  e  tempi,  e  con  varie 
occasioni.  Tuttavia  per  divin  consi- 
glio avvenne,  che  con  mirabile  con- 
sonanza quello  che  fecero  tutti,  fece 
nello  scrivere  ciascun  di  loro,  con- 
forme all'enimma  profetico.  Diversi 
autori  poi  composero  la  concor- 
danza de' quattro  evangeli,  facendo- 
ne di  quattro  uno,  come  fra  gli  an- 
tichi sono  a  nominarsi  Teofilo  ve- 
scovo antiocheno,  Taciano,  Ammo- 
nio, ed  Eusebio,  che  scrissero  al- 
cuni canoni  della  convenienza  de- 
gli evangelisti.  Tali  canoni  furono 
da  s.  Girolamo  in  latino  tradotti. 
Fra'  moderni  e  fra  quelli  che  si 
sono  occupati  dello  stesso  argomen- 
te,  sembra  che  tenga  il  primo  luo- 
go Cornelio  Giansenio  vescovo 
Gandavense. 

Ciascuno  degli  evangelisti  pa- 
re che  abbia  avuto  un  disegno 
particolare,  ed  analogo  alle  circo- 
stanze in  cui  si  trovava,  essendosi 
già  detto  al  citato  articolo  Evan- 
gelio in  qual  tempo  ciascuno  ab- 
bia scritto  il  suo.  Quello  di  s.  Mat- 
teo era  di  provare  ai  giudei  che 
Gesù  Cristo  è  il  Messia.  Mostra 
colla  di  lui  genealogia  che  è  nato 
dal  sangue  di  Davide  e  di  Àbra- 
mo. Cita  ai  medesimi  giudei  le 
profezie,  giusta  il  senso  che  dava- 
no i  loro  dottori,  ed  in  tal  guisa 
ne  cava  un  argomento  personale. 
Sembra  che  s.  Marco  non  abbia 
avuta  altra  intenzione,  se  non  di 
fare  un  compendio  delle  azioni 
e  dei  discorsi  di  Gesù  Cristo  per 
istruirne  i  fedeli,  almeno  delle  cose 


EVA  a&g 

più  essenziali.  S.  Luca  si  propone  di 
dare  questa  storia  più  particola- 
rizzata,  di  raccogliere  tuttocìò  che 
aveva  appreso  da  testimoni  ocula- 
ri, e  di  supplire  a  tuttociò  che  eia 
stato  ommesso  nei  due  precedenti 
evangeli.  S.  Giovanni  ebbe  princi- 
palmente per  oggetto  di  confutare 
l'eresie  che  cominciavano  ad  in- 
sorgere sulla  divinità  di  Gesù  Cri- 
sto, e  sulla  realtà  della  di  lui  car- 
ne. Questo  è  pure  il  soggetto  del- 
le sue  lettere.  Pertanto  con  mag- 
gior estensione  degli  altri  riferisce 
i  discorsi  ne'  quali  Gesù  Cristo 
parla  della  sua  persona,  e  della 
sua  unione  col  suo  Padre.  Ma  nes- 
suno dei  quattro  ebbe  in  animo 
di  riferire  ogni  cosa,  e  niente  om- 
mettere.  S.  Giovanni  attesta  abba- 
stanza il  contrario  nel  fine  del  suo 
vangelo. 

In  questa  maniera,  senza  che  tra 
essi  siavi  stato  un  premeditato  con- 
certo, ciascuno  dirige  il  suo  stile 
e  la  sua  maniera  al  fine  che  si  pro- 
pone. Nel  confrontarli  si  conosce 
perchè  uno  ommetta  la  cosa  che 
riferisce  l'altro;  soprattutto  si  scor- 
ge che  nessuno  dei  quattro  teme 
di  essere  contraddetto  sui  fatti  che 
racconta,  perchè  erano  fondati  sul- 
la notorietà  pubblica.  Anche  il  Ri- 
naldi all'anno  34,  num.  164  e  223, 
nota  che  gli  evangelisti  non  pre- 
sero a  narrare  tutte  le  cose  latte 
dal  Signore,  ma  quante  bastassero 
a  far  fede  di  lui,  usando  un  mo- 
do comune  di  parlare.  In  quanto 
ai  quattro  misteriosi  animali  de- 
scritti da  Ezechiele,  I,  10,  e  nel- 
l'Apocalisse, IV,  7,  i  ss.  Ireneo, 
Girolamo,  Agostino,  e  gli  altri  pa- 
dri trovano  raffigurati  gli  evange- 
listi. Si  conviene  generalmente  che 
l' aquila  è  il  simbolo  di  s.  Giovan- 
ni,   il    quale  sino  dai  primi    versi 


2.\o  EVA 

del  suo  vangelo,  s' innalza  fino  al 
seno  della  divinità  per  conlcmplu- 
plarvi  la  generazione  del  Verbo. 
Si  conviene  che  il  vitello  o  bue  è  il 
simbolo  di  s.  Luca,  il  quale  comin- 
cia dal  far  menzione  del  sacerdozio 
del  Salvatore.  Secondo  s.  Agostino 
s.  Matteo  è  rappresentato  dal  leo- 
ni', perchè  egli  spiega  la  dignità 
reale  di  Gesù  Cristo;  ma  altri  dan- 
no questo  simbolo  a  s.  Marco , 
perchè  comincia  dalla  missione  di 
s.  Giovanni,  e  dalla  sua  voce  che 
grida  nel  deserto:  in  tal  caso  Va- 
mimate  che  aveva  la  figura  qua- 
si d'uomo  dovrà  appropriarsi  a 
s.  Matteo,  che  comincia  il  suo  van- 
gelo dalla  generazione  temporale 
«lei  Salvatore.  Questo  uomo  si  suo- 
le rappresentare  anche  in  forma 
d'angelo  e  colle  ali.  Ordinariamen- 
te ognuno  de' quattro  evangelisti 
si  sogliono  effigiare  in  atto  di  scri- 
vere, cioè  col  libro  nella  sinistra 
in  ci  no,  e  colla  penna  nella  destra, 
come  altre  loro  caratteristiche.  V. 
Just.  Wessel  Rumpai,  Isagoge  ad 
lectionr.m  novi  Testamenti,  pag.  »i; 
Jac.  ThomasiuSj  De  insignibus  qua- 
tuor  evangelistarunij  Lipsiae  1667 
et  1672;  Dan.  Guill.  Mollerus, 
De  insignibus  IV  evangelistarum, 
Alldorhi  1699  et  1700;  Jo.  Ihr- 
mann,  De  insignibus  IV  evange- 
listarum,  Upsalae  1728;  Jo.  de 
Ayalo,  Pictor  christianus  eruditus, 
Matriti    1730. 

E  VARI  A  od  EVARÌO.  Sede 
vescovile  della  Fenicia  del  Libano, 
nella  diocesi  di  Antiochia,  sotto  la 
metropoli  di  Damasco,  la  cui  ere- 
zione, al  dire  di  Commanville,  ri- 
sale al  quinto  secolo,  e  chiamasi 
anche  Giustinianopoli.  Altri  dissero 
essere  Errea  di  Epiro,  che  fu  fab- 
bricala dall'imperatore  Giustiniano. 
Uno     de'  suoi    vescovi     per     nome 


EVA 

Tommaso  assistette  e  sottoscrisse 
al  concilio  di  Calcedonia,  ed  alla 
lettera  dei  vescovi  della  sua  pro- 
vincia all'imperatore  Leone.  Al 
presente  Evaria,  Evarien,  è  un  ti- 
tolo vescovile  in  partibus  sotto  la 
metropoli  di  Damasco  egualmente 
in  pai-tibiiSj  che  conferisce  la  san- 
ta Sede. 

EVARISTO  (santo),  Papa  VI. 
Nacque  in  Betlemme  di  Palestina,  il 
di  lui  padre  chiamavasi  Giuda,  e 
fu  innalzato  alla  sede  pontifìcia  il 
giorno  27  luglio  dell'anno  112.  Si 
crede  che  seguisse  la  tradizione  a- 
postolica  ìiell'  ordiuare  che  i  ma- 
trimoni fossero  fatti  pubblicamen- 
te, e  colla  benedizione  del  sacerdo- 
te, e  che  sette  diaconi  assistessero 
il  vescovo  mentre  predicasse,  affin- 
chè i  loro  emuli  non  gì'  imputas- 
sero alcuni  errori ,  come  vuole  il 
Ciacconio,  oppure  perchè  imparas- 
sero lo  stile  della  verità  nel  mini- 
stero della  predicazione,  come  in- 
terpreta il  Bianchini.  Molti  ripetono 
l'origine  de'titoli  de'Cardinali  preti 
dalla  divisione  cui  fece  Evaristo 
delle  chiese  di  Roma  a'preti  stes- 
si. Aggiunse  alcune  cerimonie  al 
rito  della  consagrazione  delle  chie- 
se. In  tre  o  quattro  ordinazioni, 
creò  quindici  o  cinque  vescovi,  sei 
o  diciasette  preti  e  due  diaconi. 
Durò  il  suo  governo  nove  anni  e 
tre  mesi,  e  pati  a' dì  26  ottobre 
del  121.  La  santa  Sede  vacò  di- 
ciotto giorni. 

Contra  l'opinione  de'  napoletani, 
i  quali  vantano  di  possedere  il 
suo  corpo,  è  certo  essere  egli  sta- 
to sepolto  nel  Vaticano  (  V.  Ol- 
doino  t.   I,  pag.   99). 

EVASA  seu  Teodosiopolì.  Sede 
episcopale  dell'  Asia  minore,  nella 
diocesi  d'  Asia,  sotto  la  metropoli 
di  Efeso,  eretta  nel  quinto  secolo. 


EVO 

h'Oiìens  Chrht.,  nel  t.  I,  p.  y32, 
fa  menzione  di  sei  vescovi  che  vi 
ebbero  sede,  cioè  di  Eutropio,  di 
Bassiano,  del  suo  successore,  di 
Olimpio,  di  Gregorio  e  di  Nico- 
mede. 

EVOCAZIONE.  Formola  di  pre- 
ghiera, o  di  scongiuro  col  quale  i 
pagani  invitavano  gli  dei  protetto- 
ri di  una  nazione,  o  di  una  città 
nemica  ad  abbandonarla^  o  portar- 
si ad  abitare  tra  essi,  promettendo 
d'  innalzar  loro  templi  ed  altari. 
Questa  cerimonia  pagana  fu  erudi- 
tamente descritta  dal  p.  Casto  In- 
nocente Ansaldi  domenicano,  con 
questo  titolo  :  de  Diis  multo  rum 
gentium  Romani  evocati*,  Brixiae 
1743.  Evocazione  si  dice  pure  de- 
gli spettri  che  fanno  apparire  gli 
stregoni  ed  i  maghi,  i  quali  per- 
suadono che  sieno  anime  o  demo- 
ni che  fanno  venire  dall'altro  mon- 
do. La  pitonessa  evocò  il  defunto 
Samuele,  per  farlo  vedere  ai  re 
Saulle.  SuU'  evocazione  de'  morti 
V.  Negromanzia. 

EVODIO  (s.).  Neil'  anno  56o 
circa  Evodio  successe  a  s.  Paulia- 
no  nel  vescovato  di  Puy  in  Lingua- 
doca.  Fabbricò  egli  in  distanza  di 
due  leghe  una  chiesa  dedicata  alla 
B.  Vergine,  ed  in  quella  fu  poscia 
trasferita  la  sede  episcopale.  S'igno- 
ra in  qual  anno  morisse  questo 
santo  vescovo,  è  onorato  però  agli 
1 1  di  novembre,  ed  esiste  a  Puy 
una  chiesa  dedicata  al  suo  nome, 
nella  quale  conservansi  le  sue  re- 
liquie. 

EVODIO  (s.),  vescovo  di  Rouen. 
Seguendo  la  più  comune  opinione 
Evodio  fu  figlio  di  Fiorentino,  e  di 
Celina,  e  fu  addetto  sino  da  fanciullo 
alla  chiesa  di  Rouen,  sotto  la  direzio- 
ne di  s.  Vittricio.  Vuoisi  che  sia  egli 
morto  ad  Andelis,  e  poscia  sepolto 

voi.      XXII. 


EVO  a#i 

nella  chiesa  di  Rouen.  Fu  trasfe- 
rito dipoi  a  Braine,  nella  diocesi  di 
Soissons,  e  quivi  avvi  un'abbazia  de- 
dicata al  suo  nome.  Visse  nel  quin- 
to secolo,  ed  è  onorato  il  dì  8  ot- 
tobre. 

EVORA  (Elboren).  Città  con  re- 
sidenza arcivescovile  nel  Portogal- 
lo, capitale  della  provincia  di  Alen- 
tejo.  È  considerata  come  la  secon- 
da città  del  regno,  ed  è  capo  luo- 
go di  provincia  ,  e  di  comarca. 
Sorge  questa  antichissima  città  so- 
pra unJ  altura,  in  mezzo  di  una 
vasta  e  fertile  pianura,  fra  i  mon- 
ti della  Sierra  Alpedreira.  Essa  è 
cinta  di  bastioni  rovinosi,  e  muni- 
ta di  vecchie  fortificazioni,  cioè  da 
una  cittadella,  e  dai  forti  s.  An- 
tonio, e  s.  Barbara.  Le  strade  so- 
no strette  e  tortuose,  e  le  case  an- 
tiche e  mal  fabbricate.  Rinchiude 
splendide  chiese,  degli  spedali,  uno 
de' quali  magnifico,  e  caserme  di 
regolare  costruzione,  non  che  alcu- 
ni stabilimenti.  Aveva  un  tribuna- 
le dell'inquisizione,  ed  una  univer- 
sità fondata  dal  magnanimo  Car- 
dinal Enrico  prima  che  fosse  re 
di  Portogallo .  L'  università  restò 
soppressa  nel  secolo  passato  sotto 
il  regno  di  Giuseppe  I.  Fra  i  suoi 
antichi  monumenti ,  avanzi  della 
romana  dominazione,  si  distingue 
un  grandioso  acquedotto  ancora  ben 
conservato,  e  gli  avanzi  di  un  tem- 
pio di  Diana:  edifìzi  che  si  attri- 
buiscono al  celebre  Sertorio,  il  qua- 
le fece  cingere  la  città  di  mura, 
allorché  divenne  la  capitale  del 
suo  governo  :  egli  per  lungo  tempo 
vi  dimorò. 

Evora  è  un'antichissima  piazza 
di  guerra  del  regno,  che  chiamos- 
si  un  tempo  Ebora.  I  romani,  se- 
condo Plinio,  la  chiamarono  Libe- 
ralità* Julia.  Essendo  stata  occu- 
16 


242  EVO 

pata  dai  mori,  riuscì  ad  Alfonso 
f,  redi  Portogallo,  di  espugnarla; 
e  in  memoria  di  tal  vittoria  nel 
il 47  o  nel  1162,  istituì  l'ordine 
equestre  di  Avis,  i  etti  cavalieri 
da  principio  si  chiamarono  cavalie- 
li  di  s.  Maria  d*Evora.  Presso  di 
questa  città  gli  spagnuoK  furono 
sconfìtti  dai  portoghesi,  sotto  gli 
ordini  del  duca  di  Schomberg. 

La  sede  vescovile  fu  eretta  ver- 
so l'anno  4oo,  quindi  ristabilita  ver- 
30  l'anno  11 80.  Prima  era  stata 
suffraganea  di  Merida,  poi  lo  fu 
di  Compostella.  Ma  il  Pontefice  Pao- 
lo III,  per  secondare  le  pie  brame 
del  re  di  Portogallo  Giovanni  III, 
nel  i54o  l'eresse  al  grado  di  me- 
tropoli, assegnandole  per  suffraganee 
le  sedi  vescovili  di  Elvas,  Porto, 
Algarvia,  e  Lacobriga,  e  ciò  in  gra- 
zia dell'  infante  sullodato  Enrico  di 
Portogallo,  che  ne  fu  fatto  primo 
arcivescovo,  e  poscia  nel  i5/\5  dal 
medesimo  Papa  fu  creato  Cardina- 
le. Questo  degno  figlio  del  re  Em- 
manuele  fu  quello  che  come  su- 
premo inquisitore  del  regno  stabi- 
lì in  Evora  il  tribunale  dell'inqui- 
sizione. Ivi  a' gesuiti  fabbricò  un 
collegio,  poi  dichiarato  università, 
nel  quale  un  tempo  abitò  esemplar- 
mente come  uno  di  essi.  Per  morte 
del  suo  nipote  il  re  Sebastiano,  montò 
sul  trono  portoghese,  ed  essendo  po- 
scia morto  nel  i58o  in  Ahneirim, 
nel  giorno  stesso  in  cui  era  nato  ses- 
santotto anni  prima,  ordinò  che  il 
suo  corpo  fosse  trasportato  nella 
chiesa  di  detto  collegio,  donde  Fi- 
lippo II  re  di  Spagna  lo  fece  tras- 
ferire nelle  tombe  reali  di  Belem. 
Andrea  Resendio  ha  fatto  il  cata- 
logo de' vescovi  di  questa  città.  Me- 
rita inoltie  tra  i  pastori  di  questa 
illustre  chiesa  speciale  rimembran- 
za il  successore  del  Cardinale  En- 


EVO 

rico,  d.  Antonio  di  Braganza,  figlio 
del  duca  di  Braganza,  perchè  si 
rese  venerando  per  la  sua  vita  il- 
libata ed  adorna  di  tutti  i  pregi 
che  fanno  un  vescovo  degno  di  me- 
moria. Ebbe  corrispondenza  epi- 
stolare con  s.  Teresa,  e  con  s. 
Carlo  Borromeo,  morendo  in  odo- 
re di  santità  nel  1602.  Si  deve 
pur  notare,  che  prima  la  sede  ve- 
scovile di  Tanger  era  suffraganea 
di  questa  metropoli,  ma  cessò  di 
"  esserlo  dopo  che  il  re  di  Portogal- 
lo Alfonso  VI,  nel  1662,  die  la 
città  in  dote  all'infante  d.  Cateri- 
na, quando  sposò  Carlo  II  re  d'In- 
ghilterra. 

Al  presente  la  metropolitana  di 
Evora  ha  tre  vescovati  in  suffra- 
ganei,  Faro,  Elvas,  e  Beja,  oltre 
Villa  Vicosa  (Vedi).  La  sua  gran- 
de e  bella  cattedrale  è  dedicata  a 
Dio,  ed  alla  Assunzione  in  cielo 
della  beata  Vergine  Maria,  deco- 
rata di  fonte  battesimale,  ricca  di 
insigni  reliquie,  e  precipuamente  di 
un  significante  pezzo  di  legno  del- 
la vera  croce.  Il  capitolo  si  com- 
pone di  quattro  dignità  essendo  la 
prima  quella  del  decanato,  e  di  ot- 
to canonici  compresa  la  prebenda 
teologale.  Vi  sono  più  baccalaurei 
e  beneficiati,  non  che  altri  preti 
e  chierici  addetti  al  divino  servi- 
zio. Il  palazzo  arcivescovile  è  con- 
giunto alla  cattedrale,  la  cui  cura 
d'anime  alternativamente  è  disim- 
pegnata dai  quindici  baccalaurei,  e 
dai  dieci  beneficiati  mentovati.  Ol- 
tre la  cattedrale,  nella  città  esisto- 
no altre  quattro  chiese  parrocchia- 
li, che  sono  pure  collegiate,  e  tut- 
te munite  del  battisterio.  Sette  so- 
no i  monisteri  e  conventi  di  reli- 
giosi, ed  otto  i  monisteri  delle  mo- 
nache, oltre  diversi  sodalizi.  Ad 
ogni   nuovo   vescovo    la    mensa   è 


EVR 
tassata  ne' libri  della    camera  apo- 
stolica in  fiorini  mille  trecento  set- 
tantasette. 

EVORSIO  (s.),  vescovo  d'Or- 
leans. Sotto  il  regno  di  Costantino 
il  grande  fiorì  Evorzio,  e  mori 
poi  verso  l'anno  34o.  Nessuna  au- 
tentica storia  si  ha  della  sua  vita, 
egli  però  è  assai  onorato  negli  an- 
tichi martirologi  dell'occidente.  Le 
sue  reliquie  si  conservano  nella 
badia  di  Orleans,  la  quale  porta 
anche  il  suo  nome.  La  di  lui  festa 
è  segnata  li   7   settembre. 

EVREMONDO  (s.).  Nacque  E- 
vremondo  a  Bayeux  da  ricca  e 
nobile  famiglia.  Presso  il  re  Teo- 
dorico III  si  procacciò  amore  e  sti- 
ma, e  si  unì  in  matrimonio  con 
una  donna  virtuosa.  La  grazia  del 
Signore  istillò  in  Evremondo  il  di- 
sprezzo delle  umane  grandezze,  e 
dalla  moglie  virtuosamente  secon- 
dato, tutti  e  due  abbandonarono 
il  mondo,  l'uno  fondando  nel  Bes- 
sio  vari  monisteri,  e  l'altra  votan- 
dosi religiosa.  La  fama  delle  vir- 
tù di  Evremondo  pervenuta  all'o- 
recchie di  s.  Auberto  vescovo  di 
Suez,  fé'  sì  che  a  se  il  chiamasse, 
e  lo  eleggesse  abbate  del  monistero 
di  Montmaire,  ove  egli  santamen- 
te chiuse  gii  occhi,  circa  l'anno  del 
Signore  720.  Il  giorno  io  giugno 
è  sacro  alla  sua  memoria. 

EVREUX  (Ebroicen).  Città  con 
residenza  vescovile  nel  regno  di 
Francia,  dell'alta  Normandia,  capo 
luogo  del  dipartimento  dell' Eure, 
di  circondario  e  di  cantone,  in  una 
valle,  sull'Iton  o  Yon,  che  si  divi- 
de in  tre  rami  prima  di  entrare 
in  città.  La  sua  posizione  sopra 
tre  grandi  strade  le  apre  delle  re- 
lazioni colle  principali  città  di  Fran- 
cia, e  favorisce  il  suo  commercio. 
Vi  risiedono   la   corte  di  assise,  il 


EVR  243 

tribunale  di  prima  istanza,  le  di- 
rezioni delle  contribuzioni  e  de'de- 
manii,  la  conservazione  delle  ipo- 
teche ec,  oltre  una  società  di  me- 
dicina, di  chirurghia  e  di  farma- 
cia .  Avvi  pure  un  collegio  comu- 
nale, ed  una  biblioteca  pubblica, 
un  giardino  botanico,  un  teatro  ec. 
Questa  antica  città  è  grande,  ed 
assai  bene  fortificata.  Fra  i  suoi 
^difìzi  degni  di  osservazione  v'  è 
la  cattedrale,  che  può  annoverarsi 
fra  le  più  belle  chiese  della  Fran- 
cia. È  fabbricata  in  forma  di  cro- 
ce, con  istile  gotico,  è  sostenu- 
ta da  sedici  pilastri  da  ciascuna 
parte,  e  vi  sorge  nel  mezzo  una  cu- 
pola ottagona  sostenuta  da  quat- 
tro pilastri.  Fu  Luigi  XI  che  fe- 
ce innalzare  questa  chiesa  per  cu- 
ra del  Cardinal  Balve,  in  allora  ve- 
scovo di  Evreux.  Vanno  pure  ri- 
cordati il  palazzo  vescovile,  quello 
della  prefettura,  le  prigioni  ec. 
Questa  città  ha  belle  passeggiate, 
ed  all'estremità  di  uno  de'suoi  sob- 
borghi sta  il  bel  castello  di  Navar- 
ra,  un  tempo  appartenente  al  du- 
ca di  Bouillon,  le  cui  superbe  di- 
pendenze aggiungono  nuovo  pre- 
gio alla  sua  magnificenza. 

Il  nome  di  questa  città  si  tro- 
va ne'  commentari  di  Cesare,  ed 
in  altri  autori  latini  che  la  chia- 
mano Mediolanum  Aulercoruni  , 
Ebroeca,  Ebroìcam,  civitas  Ebu- 
ronicum  od  Ebroicorum,  ed  Ebu- 
ro.  Più  non  si  dubita  che  Evreux 
non  rimpiazzi  un'antica  città  roma- 
na il  cui  nome  primitivo  era  Me- 
diolanum, ma  che  fu  poscia  can- 
giato in  quello  di  Eburovices,  no- 
me dei  popoli  che  abitavano  anti- 
camente nel  suo  territorio,  e  dal 
quale  senza  dubbio  derivò  quello 
di  Evreux.  Questa  città  diede  il 
nome  ad  una  celebre  famiglia.  Sos- 


i44  EVR 

tenne  molti  assedii,  e  fu  saccheg- 
giata da  Enrico  I  re  d'Inghilterra, 
poscia  fu  abbruciata  alla  fine  del 
secolo  XII  dal  re  Filippo  Augusto. 
Fu  già  capo  luogo  della  contea 
di  Evreux,  uno  degli  antichi  do- 
minii  della  corona,  per  cui  talvol- 
ta ne  portarono  il  titolo  e  fu  da- 
ta ai  principi  reali.  Questa  con- 
tea, nel  celebre  ministero  del  Car- 
dinal Richelieu,  fu  ceduta  al  duca 
di  Bouillon,  in  cambio  del  prin- 
cipato di   Sedan. 

La  sede  vescovile  appartenne  al- 
la seconda  provincia  Lionese,  nel- 
l' esarcato  dei  gauli,  sotto  la  me- 
tropoli di  Rouen,  di  cui  è  tutto- 
ra suffraganea.  La  diocesi,  la  di 
cui  origine  risale  fino  al  terzo  se- 
colo, contava  nella  sua  giurisdizio- 
ne cinquecento  cinquanta  parroc- 
chie, quattordici  abbazie,  più  di 
trenta  priorie,  molte  chiese  colle- 
giate, ed  un  gran  numero  di  cap- 
pelle :  quanto  alle  congregazioni  re- 
ligiose, aveva  sei  stabilimenti.  Il 
vescovo  di  Evreux  godeva  di  ven- 
timila lire  di  rendite.  Ne  fu  il  pri- 
mo s.  Taurino ,  il  quale  occupò 
la  sede  vescovile  verso  l'anno  412: 
tutti  si  accordano  a  dire,  ch'egli 
fu  pure  il  primo  che  predicasse  il 
vangelo  nel  territorio  di  Evreux. 
Gli  successe  s.  Valdo  il  quale  an- 
nientò gli  avanzi  delle  superstizio- 
ni pagane,  e  si  disegnò  a  succeder- 
gli il  prete  Maurusione.  Indi  ne 
furono  vescovi  Landolfo,  Eterno  od 
Eterio,  ed  Aquilino,  venerati  dal- 
la Chiesa  per  santi.  Gisleberto  II 
fu  mandato  come  ambasciatore  al 
Pontefice  Alessandro  II  da  Gugliel- 
mo duca  di  Normandia;  ed  Enri- 
co II  re  d'Inghilterra  con  tal  qua- 
lifica spedì  in  Roma  nel  1171  il 
vescovo  Egidio  dei  conti  di  Perche, 
ed    intervenne  al    successivo  conci- 


EVR 
lio  lateranense.  Giovanni  II  fece 
collocare  le  reliquie  de'suoi  prede- 
cessori, i  ss.  Taurino  e  Landolfo, 
in  casse  di  argento ,  per  esporle 
alla  venerazione  de' fedeli;  e  nel 
1255  fu  inviato  al  Pontefice  per 
difender  i  religiosi  mendicanti.  Pao- 
lo Capranica  romano,  segretario  di 
Martino  V,  fu  da  questi  nel  1420 
fatto  vescovo  di  Evreux.  Gabriele 
Le  Veneur  si  distinse  al  concilio 
di  Trento,  fece  restaurare  la  catte- 
drale danneggiata  dal  fuoco,  e  la 
beneficò  con  parecchi  donativi.  Du 
Perron,  splendore  della  chiesa  di 
Francia,  fu  consagrato  vescovo  in 
Roma,  e  nel  1604  Clemente  Vili 
il  creò  Cardinale. 

La  cattedrale  è  dedicala  alla 
Beata  Vergine,  e  munita  del  sagro 
fonte  battesimale.  Il  capitolo  si  com- 
pone di  otto  canonici,  fra'  quali  avvi 
la  dignità  del  decano,  il  teologo,  ed 
il  penitenziere,  di  diversi  canonici 
onorari,  sacerdoti,  e  puerì  de  cho- 
ro  per  Y  ufficiatura.  Un  canonico 
esercita  le  funzioni  parrocchiali. 
Prima  il  detto  capitolo  era  assai 
più  numeroso,  avendo  trentuno  ca- 
nonici. Eranvi  pure  quattro  vicari 
per  supplire  alle  incumbenze  dèi 
canonico  ebdomadario,  quando  que- 
sti era  impotente,  od  assente.  In- 
oltre vi  erano  quarantacinque  cap- 
pellani che  dovevano  assistere  al- 
l'uffizio, la  maggior  parte  de'quali 
fruiva  alle  distribuzioni  inter  prae- 
sc.ntes.  L'episcopio  è  contiguo  alla 
cattedrale,  e  come  dicemmo  è  un 
edifizio  decoroso.  Nella  città  sonovi 
due  altre  parrocchie  coi  battisteri, 
diversi  monisteri  di  religiose,  i  be- 
nemeriti fratelli  delle  scuole  cri- 
stiane, delle  confraternite ,  l'ospeda- 
le, e  due  seminarii  con  alunni.  La 
mensa  ad  ogni  nuovo  vescovo  è 
tassata  nei  registri  della  camera  a- 


EXC  EXC                   245 

postolica  in  fiorini  trecento  set-  Devonshire ,  cioè  di  Cridia  e  di 
tanta.  Cornubia,  ch'erano  smembramen- 
EVROEA.  Città  vescovile  dell'an-  ti  di  quello  di  Skrewsbury:  sede 
tico  Epiro,  nella  diocesi  dell'Ill'iria  che  fu  suffraganea  della  metropo- 
01  ientale,  sotto  la  metropoli  di  Ni-  litana  di  Cantorbery.  Vi  ebbero  re- 
copoli,  che  credesi  sia  il  borgo  chia-  sidenza  trentatre  vescovi,  il  primo 
malo  s.  Donato  in  Albania,  dove  fu  Leofrico,  borgognone  di  origine, 
per  le  preghiere  di  tal  santo  coni-  segretario  di  detto  re,  e  l'ultimo 
parve  una  sorgente  di  acqua.  Al-  fu  Giacomo  Tuberville,  nominato 
tri  la  confusero  con  Isauria,  ed  dalla  regina  Maria,  morta  la  qua- 
Isoria.  Il  p.  Le  Quien  ne\\' Oriens  le  nel  i558  abbandonò  la  sede. 
Cìirìst.  toni.  II,  p.  i43,  riporta  le  La  cattedrale,  la  cui  fabbrica  du- 
notizie  de'  suoi  sei  vescovi,  cioè  s.  rò  cinquecento  anni,  rinchiude  bei- 
Donato,  Marco,  Eugenio,  Teodo-  le  pitture  sul  vetro,  e  statue  di 
ro,  Giovanni  I,  e  Giovanni  II.  patriarchi,  monarchi,  ed  eroi   del- 

E\ALUS.  Città  episcopale  della  le  crociate.   L'episcopio  è  cinto  di 

seconda   Palestina,    nella  diocesi    di  alto  muro.    Evvi  un  palazzo  della 

Gerusalemme,  sotto  la  metropoli  di  città  assai  vasto,  così  uno  di  giusti- 

Scitopoli,  alle  falde  del  monte  Ta-  zia,  un  bel  circo,  un  teatro,   delle 

bor.  Partenio  suo  vescovo  interven-  prigioni    con    un    elaboratorio,   un 

ne  e  sottoscrisse  nel  536  al  conci-  grande  spedale,    case    di  carità,   e 

lio  di  Gerusalemme.  molte    scuole   gratuite    ben   dotate. 

EXCESTER  o  EXETER.  Città  Vi  è  pure  uno  spedale  pei  demen- 
vescovile  d'Inghilterra,  capoluogo  ti,  la  nuova  prigione  della  contea, 
della  contea  di  Devon,  deliziosa-  ed  una  caserma  per  la  cavalleria, 
mente  situata  sul  declivio  di  un  Dell'  antico  castello  eretto  sulla 
monticello,  e  sulla  riva  destra  del-  montagna,  e  soggiorno  di  qualche 
l'Ex  o  Isca,  che  si  attraversa  so-  re  sassone,  non  restano  che  alcuni 
pia  un  ponte  di  pietra.  È  grande,  pezzi  di  mura  esteriori.  Ha  un  buon 
e  figura  un  parallelogramma;  le  porto  sopra  un  canale  navigabile., 
muraglie  che  la  circondano  sono  e  la  dolcezza  del  suo  clima,  ed  ai- 
in  parte  rovinate.  E  sede  di  molte  tri  pregi  hanno  attirato  a  stabilir- 
corti  di  giustizia  dei  contado.  Ha  visi  moltissime  famiglie.  Questa 
circa  quindici  parrocchie  nella  città,  città,  con  titolo  di  contea,  manda 
alcune  ne' sobborghi,  molte  cap-  due  membri  al  parlamento, 
pelle  ed  una  sinagoga.  La  catte-  Excester  occupa  il  luogo  del- 
drale  è  un  grande  e  bello  edifi-  l' Isca  Damnoriorum  o  Dumnorio- 
zio,  la  cui  costruzione  devesi  al  rum  dei  romani.  Fu  distrutta  due 
re  sassone  Etelstano,  che  la  eres-  volte  dai  danesi,  presa  da  Gugliel- 
se  in  onore  di  s.  Pietro  l'anno  ino  il  conquistatore,  ed  in  progres- 
g32,  non  essendo  però  allora  cat-  so  assediata  da  Stefano  ed  Odoar- 
tedrale,  perchè  questa  città  non  do  IV.  Sotto  il  regno  di  Enrico 
divenne  sede  episcopale,  che  sotto  VII  fu  assediata  da  Perkin-War- 
il  regno  di  s.  Edoardo  il  confesso-  beck;  ma  gii  abitanti  si  difesero 
re.,  che  nel  1075  vi  fece  trasferi-  allora  tanto  valorosamente,  che  hi 
re  i  due  vescovati  di  s.  Germano  obbligato  di  ritirarsi,  ed  il  re  per 
in    Cornovaglia,    e   di    Kirton    nel  ricompensare  tanta   fedeltà  e  vaio- 


a46  EXU 

re  donò  loro  la  propria  spaila, 
raccomandando  al  podestà  di  cin- 
gerla a  tutte  le  processioni.  Ric- 
cardo II  la  eresse  in  ducato  in 
favore  di  Giovanni  Jolando,  conte 
di  Hungtinton  ;  Tommaso  Cecili 
l'ebbe  a  titolo  di  contea  sotto  Gia- 
como I,  dal  quale  passò  ne' suoi 
discendenti.  Nell'anno  1286  a' 16 
aprile  Pietro  Quivil  vescovo  di 
Excester  adunò  un  concilio,  e  vi 
fece  delle  costituzioni  in  cinquan- 
ta articoli,  sopra  tutti  i  sagra  men- 
ti, e  sopra  varie  materie.  Diz. 
de  Concili. 

EXEQUATUR  REGIO,  o  Pla- 
citum  Regium,   V.  Regio  Exequa- 

TUR. 

EXOCATACOELI.    V.    Esoca- 

TACELI. 

EXTRA  TEMPORA.  Dispensa 
che  concede  il  sommo  Pontefice 
a  mezzo  della  segreteria  de' brevi 
pontificii,  della  dataria  apostolica,  e 
della  sagra  congregazione  di  propa- 
gandante a  coloro  che  sono  sogget- 
ti alla  sua  giurisdizione,  non  che 
a  mezzo  di  qualcuno  specialmente 
autorizzato  dalla  santa  Sede,  con 
limitate  concessioni.  Questa  ò\s- 
pensa  serve  per  ricevere  gli  ordi- 
ni sagri  fuori  del  tempo  prescrit- 
to dai  canoni,  epctra  tempora,  e 
per  riceverli  prima  della  fine  de- 
gl'interstizi. La  Chiesa  ha  fissato 
un  tempo  per  conferire  gli  ordini, 
ma  questo  tempo  non  è  sempre 
stato  il  medesimo,  come  si  potrà 
vedere  agli  articoli  Ordinazioni, 
ed  Ordini  sagri.  Solo  qui  notere- 
mo, che  le  dispense  extra  tempora 
contengono  sempre  la  clausola  che 
riguarda  la  capacità  dell'ordinato, 
e  le  facoltà  legittime  dell'  ordi- 
nante. 

EXULTET.  Inno,  o  preconio 
pasquale,  cioè  benedizione    o    pre- 


EXU 

ghiera  che  cantasi  dal  diacono  al- 
la benedizione  del  Cereo  pasqua- 
le (Vedi),  nel  sabato  santo,  della 
quale  pure  si  parla  nel  volume 
Vili,  p.  319.  Alcuni  fanno  autore 
di  questo  inno  s.  Ambrogio,  altri 
s.  Agostino,  altri  s.  Leone  I,  altri 
Io  attribuiscono  a  Pietro  diacono , 
ma  senza  sufficienti  ragioni  per  ac- 
certarne l'autore.  V.  Alex.  Lesla- 
cum,  in  Mi s  sali  mixto  mozarabico 
p.  52i  ;  Stor.  leti.  t.  XII,  p.  45>2  ; 
Geminiano  lib.  Ili,  cap.  102;  e 
Durando,  Rationale  de  dìvin.  offic. 
lib.  VI,  cap.  80.  Osserva  il  Macri 
nella  Notizia  de'  vocab.  ecci,  che 
questa  benedizione ,  toltone  il  prin- 
cipio, discorda  molto  dall'  ambro- 
giana,  onde  altri  ne  fanno  autore 
s.  Agostino,  come  si  raccoglie  da 
un  messale  gotico  antichissimo  nel 
tom.  VI  della  Bibliot.  de*  Padri, 
ove  si  dice,  che  fosse  composta  dal 
medesimo  santo  ancor  diacono,  or- 
dinato da  Valerio  vescovo  Ippo- 
nense,  anzi  fu  da  esso  cantata  ;  e 
sebbene  si  chiami  preconio  per  le 
prime  parole,  con  tuttociò  è  vera 
e  real  benedizione,  poiché  quando 
si  comincia,  Vere  dignum  et  ju- 
slum  est,  ec,  si  legge  il  seguente 
titolo  nel  medesimo  messale:  Con- 
secratio  cerei.  Fa  quindi  meraviglia 
al  Macri  come  alcuni ,  per  altro 
professori  de'  sagri  riti ,  abbiano 
voluto  ostinatamente  affermare  non 
essere  questa  una  vera  benedizione, 
contro  1'  avviso  di  tutti  gli  antichi 
scrittori  de'  riti  :  Cereus  a  diacono 
benedici,  et  consecrari  oportet,  non 
autem  a  sacerdote,  vel  episcopo 
etiam  si  sint  praescntes,  quantum- 
vis  minoris  sit  ordinis ,  et  dignita- 
tpr9  come  esprimesi  il  Celeth,  de  di- 
vìn.  offic.  e.  106:  la  medesima  dot? 
trina  fu  insegnata  da  Durando  ne] 
luogo  citato.  Né  questo  rito    deve 


EXU 

sembrar  slrano  ,  poiché  ,  come  si 
legge  nell'Ordine  romano,  l'arci- 
diacono benediceva  gli  Agnus  Dei 
di  cera,  e  li  distribuiva  al  popolo, 
come  scrivono  Alcuino  e  Amala- 
rio,  anzi  il  medesimo  Beleth  ag- 
giunge, che  nella  festa  di  s.  Ste- 
fano un  diacono  faceva  l'officio  in 
coro,  e  dava  la  benedizione  alle  le- 
zioni :  Noclurnus3  et  universum  of- 
fidimi  crastinum  celebrabunt  dia- 
coni, gitoci  Stephanus  fuerit  diaco- 
nus,  ad  lectiones  concedunt  bene- 
dictiones.  Loco  citalo  cap.  70.  L'Zi- 
jLidtet  jam,  ec.  è  composta  di  due 
parti,  una  che  comincia  con  que- 
ste parole,  e  l' altra  con  Sursum 
corda,  che  determinano  a  cantare 
quest'ultima  parie  come  una  prela- 
zione, anche  nelle  chiese  dove  leg- 
gesi  semplicemente  sul  re  la  prima 
parte.  Si  canta  questa  benedizione 
dal  diacono  presente  il  sacerdote, 
perchè  tocca  all'  inferiore  annun- 
ziare la  risurrezione  di  Gesù  Cri- 
sto, la  quale  fu  promulgata  dalle 
donne,  di  natura  più  debole,  agli 
apostoli,  tanto  a  cagione  del  sesso 
che  del  grado  ad  esse  superiori, 
Ruperto  lib,  VI,  cap.  3o  ;  e  Duran- 
do predetto. 

L' Exultet  si  canta  a  Besanzone 
nel  sabato  vigilia  della  Penteco- 
ste, come  nel  sabato  santo ,  om- 
messo  ciò  che  riguarda  lo  Spirito 
Santo,  come  abbiamo  dal  de  Vert, 
Cerimonie  della  Chiesa,  t.  I,  pag, 
33 1  e  342.  Avverle  lo  stesso  Ma- 
cri,  che  nell'anno  i5io„  nel  ponti- 
ficato di  Leone  X ,  fu  disputalo 
come  si  dovesse  cantare  la  solita 
acclamazione  dell'  imperatore  allo- 
ra morto,  essendo  stati  alcuni  di 
parere,  che  si  dovesse  lasciare,  co- 
me riferisce  Paride  de  Grassis  mae- 
stro delle  cerimonie,  il  quale  dopo 
matura  ponderazione    stimò   essere 


EZE  247 

bene  che  si  mutassero  le  parole, 
dicendosi  :  Respice  etiam  ad  ro- 
manum  imperium,  cuj'us  tu  Deus 
fidelium  vota  praenosces.  Fu  que- 
sto sentimento  approvato  dal  Pa- 
pa, come  scrisse  Angelo  Rocca  sa- 
grista  pontificio,  ne'  suoi  mss.  che 
si  conservano  nella  biblioteca  An- 
gelica di  Roma.  Il  medesimo  caso 
avvenne  nel  i658  nel  pontificato 
di  Alessandro  VII,  dopo  la  morte 
di  Ferdinando  III,  ed  allora  si  du- 
bitò se  si  doveva  lasciare  la  detta 
acclamazione,  ma  fu  ommessa  per 
consiglio  del  Macri,  ciò  che  appro- 
vò il  Papa,  e  la  congregazione  dei 
riti.  Fu  posta  in  pratica  con  dar- 
ne avviso  a  tutte  le  chiese,  ordi- 
nandosi di  più,  che  nelle  orazioni 
del  venerdì  santo  si  cantasse:  Ore- 
mus, et  prò  romano  imperio,  ut  tu 
Deus,  ec.  Dopo  lo  scioglimento  del- 
l'impero  romano  od  occidentale, 
tali  acclamazioni  e  preghiere  ter- 
minarono interamente  di  pronun- 
ziarsi. Delle  acclamazioni  se  ne 
tratta  agli  articoli  Domestico,  uf- 
fizio della  chiesa  di  Costantinopoli, 
e  Dominus  (Fedi).  11  Ferrari  ci 
die,  De  veterum  acclamationibus  , 
et  plauso,  Mediolani  1627.  Sull'/?- 
xultet  sono  a  vedersi,  il  Martène, 
de  ant.  eccl.  disc.  e.  24;  Azevedo, 
de  dw.  officio,  exerc,  XIV,  261  ; 
Joh.  Climax,  de  necessitate  pecca- 
ti  Adae,  et  felicitate  culpa  ejus- 
dem,  Parisi is  i5ig  ;  De  necessita- 
te peccati  Adae,  et  felicitati  culpae 
ejus,  apologetica  disceptatio,  auct. 
Jodoco  Chlichtovaro,  Parisiis  i56i  ; 
Camelli  tom.  X  delle  Lettere  eccl., 
lett.  LXXIX  :  Come  la  colpa  di 
Adamo  si  possa  dire  felix  culpa, 
e  della  benedizione  del  cereo  pa- 
squale, che  citammo  altrove. 

EZERO.    Sede    vescovile    della 
seconda  provincia  di  Tessaglia,  nel- 


*48  EZM 

la  diocesi  dell'  llliria  orientale  os- 
sta  dell'esarcato  di  Macedonia,  sot- 
to lav  metropoli  di  Larissa  ,  la  cui 
erezione  risale  al  nono  secolo,  al 
dire  di  Conimanville,  il  quale  ag- 
giunge essere  anche  chiamata  Bae- 
be,  o  Esero.  Era  situata  verso  il 
monte  Olimpo,  e  verso  il  campo 
di   Magnesia. 

EZM1AZIN,  ECSMIASIN,  o  E- 
schmiazw.  Patriarcato  armeno  sci- 
smatico, o  monistero  celebre  d'Ar- 
menia, situato  alla  distanza  di  tre 
leghe  da  Erivan  verso  ponente. 
Questa  è  la  sede  principale  del 
cattolico ,  o  patriarca  d'  Armenia 
nella  Persia,  considerato  dai  suoi 
soggetti  come  il  centro  e  il  san- 
tuario della  religione.  Autore  di 
questo  monistero  si  fa  il  patriar- 
ca Nierse,  il  quale  lo  eresse  verso 
l'anno  65o.  Il  fabbricato  è  com- 
posto di  quattro  corpi  di  abitazio- 
ne, disposti  sopra  un  quadrilungo. 
Tutte  le  camere  sono  terminate 
con  una  specie  di  piccola  cupola. 
Sono  destinate  tanto  per  l'alloggio 
de'  religiosi  (che  hanno  circa  ot- 
tanta celle,  benché  il  loro  numero 
sia  molto  inferiore),  quanto  pegli 
stranieri.  La  residenza  ed  apparta- 
mento del  patriarca  trovasi  alla 
destra  entrando  nella  corte.  È  mol- 
to più  elevato,  ed  ha  una  più  bel- 
la apparenza  degli  altri  fabbricati. 
La  chiesa  patriarcale  trovasi  situa- 
ta nel  mezzo  della  gran  corte,  ed 
è 'dedicata  all'apostolo  dell'Arme- 
nia s.  Gregorio  Illuminatore.  La 
chiesa  termina  con  tre  grandi  cap- 
pelle, essendo  situato  l'altare  in 
quella  di  mezzo.  Le  altre  due  ser- 
vono 1'  una  di  sagrestia,  e  V  altra 
per  il  tesoro,  già  ricchissimo  per 
ornamenti  preziosi  d'oro  e  di  ar- 
gento. Avvi  un  campanile  con  sei 
campane.  Degli  antichi   patriarcati 


EZM 

armeni,  questo,  uno  dei  due  sot- 
to il  dominio  persiano,  era  il  pri- 
mo e  principale,  detto  ancora  Va- 
garsciabat,  e  dalla  capitale  del  pae- 
se ove  sta,  Artaxiasala  o  Arta- 
xata:  l'altro  è  quello  di  Ganzar, 
di  cui  parleremo  all'articolo  Pa- 
triarcati armeni  (Vedi).  La  parola 
Ezmiazin,  in  latino  suona  descen- 
sus  unigeniti,  ed  in  italiano,  la  di- 
scesa del  figliuolo  di  Dio,  perchè 
si  pretende  essere  questo  il  luogo 
dove  il  Figliuolo  di  Dio  si  fece  ve- 
dere da  s.  Gregorio  V  Illuminato- 
re, giacché  questa  sede  è  quella 
medesima  ove  stette  quel  santo,  e 
primo  patriarca  degli  armeni.  Si 
dice  ancora  che  Gesù  Cristo  gli 
apparve  con  predirgli  quanto  do- 
vea  avvenirgli,  come  si  legge  nella 
sua  vita  scritta  da  Metafraste,  pres- 
so il  Surio.  Ezmiazin  dicesi  pure 
in  lingua  turca  iucikilise,  cioè  tre 
chiese,  perchè  dal  re  Tiridate  fu- 
rono fatte  edificare  tre  chiese  nel- 
la medesima  città,  fra  loro  distanti 
circa  centocinquanta  passi  :  una  di 
s.  Cajana ,  1'  altra  di  s.  Ripsime , 
che  il  medesimo  re  a  vea  già  fatto 
uccidere  in  odio  della  fede,  e  la 
terza  detta  propriamente  la  pa- 
triarcale di  Ezmiazin,  e  suddescrit- 
ta  brevemente.  Queste  chiese  sono 
state  sempre  in  molta  venerazione 
presso  gli  armeni,  e  perciò  di  fre- 
quente risarcite  ne'  diversi  avveni- 
menti :  rovinate  le  due  minori,  su- 
perstite n'è  la  sola  prima. 

La  città  ove  slava  la  chiesa  di 
Ezmiazin,  fu  chiamata  Vagarscia- 
bat  o  Valarsciabat  perchè  fu  fab- 
bricata da  Valars  re  armeno,  e 
fatta  sua  residenza,  poscia  distrut- 
ta, ed  in  suo  luogo,  cinque  miglia 
distante,  subentrò  la  città  di  Eri- 
vati,  capitale  dell'Armenia  maggio- 
re o  persiana.    Ciò    non   pertanto, 


EZM 
benché  della  regia  città  di  Vaiar- 
svinimi  non  sia  restato  vestigio  al- 
cuno, i  patriarchi  proseguirono  a 
chiamarsi  d'Ezmiazin.  Il  p.  Butler 
dice  nel  mese  di  settembre  a  pag. 
4*5,  che  il  primate  di  Armenia , 
che  anticamente  prendeva  l'onori- 
fico titolo  di  cattolico,  piglia  ora 
quello  di  patriarca  ;  che  la  chiesa 
fu  fondata  dal  patriarca  s.  Grego- 
rio nel  palazzo  del  re  Tiridate.  I 
patriarchi  di  Sis  pretendono  di 
avere  la  successione  non  interrot- 
ta, ma  quelli  di  Ezmiazin  affer- 
mano di  occupar  la  sede  dal  loro 
primo  apostolo  stabilita  a  centro 
di  loro  religione.  E  siccome  in  pro- 
gresso di  tempo  si  trovarono  le 
t\i\e  Armenie  soggette  a  diversi 
principi ,  appartenendo  la  piccola  , 
ove  trovasi  il  patriarca  di  Sis,  al- 
l'impero ottomano,  e  la  grande,  ove 
risiede  quello  di  Ezmiazin,  per  la 
maggior  parte  a' persiani,  cosi  potè 
ciascuna  sede  contro  l'altra  sostener- 
si, senza  che  mai  fosse  stato  possibi- 
le di  riunirle.  È  d'  uopo  confessare 
che  il  patriarca  di  Ezmiazin  pre- 
valse a  quello  di  Sis  non  solo  per 
la  venerazione  degli  armeni  al  luo- 
go di  sua  dimora,  ma  ben  anche 
pel  numero  delle  chiese,  e  per  la 
moltitudine  di  quelli  che  sono  sot- 
to la  sua  giurisdizione.  Tavernier 
disse  che  tal  patriarca  avea  sotto 
di  se  quarantasette  arcivescovati,  i 
quali  contavano  circa  centocinquan- 
ta vescovati  in  suffraganei,  parti- 
colarmente sparsi  nella  grande  e 
piccola  Armenia ,  nella  Georgia , 
nella  Cappadocia,  nella  Mesopota- 
mia,  e  nella  Persia.  Commanville 
nell'  Histoire  de  tous  les  archevé- 
clu's,  et  évèckès  de  Funìvers,  a  pag. 
33 1  e  seg.  parla  degli  arcivescovi 
e  vescovi  degli  armeni  di  Persia, 
uon  the  della  chiesa  patriarcale  di 


EZM  249 

Ezmiazin,  di  quelle  ad  essa  sotto- 
poste, e  delle  diverse  provincie  e 
diocesi  comprese  nella  sua  giuris- 
dizione.  11  p.  Le  Quien    nel    tom. 

I  dell'  Oriens  Chris t.,  oltre  le  noti- 
zie ecclesiastiche  di  Ezmiazin ,  ri- 
porta  la  serie    de'  suoi    patriarchi. 

II  patriarca  di  Ezmiazin  ha  il  po- 
tere di  consagrare  il  sagro  crisma 
per  tutte  le  chiese  da  lui  dipenden- 
ti ;  è  proposto  all'  osservanza  della 
fede,  della  disciplina,  e  delle  isti- 
tuzioni, essendo  il  principale  vesco- 
vo tra  gli  armeni  scismatici,  dopo 
che  nel  concilio  di  Calcedonia,  ve- 
nendo condannata  l'eresia  di  Euti- 
che,  molti  di  essi  separar  onsi  dalla 
cattolica  comunione,  e  dalla  Chie- 
sa romana.  Passeremo  a  dire  al- 
cuna cosa,  dei  principali  patriarchi 
d'Ezmiazin. 

S.  Gregorio  soprannominato  Y Il- 
luminatore, apostolo  e  primo  cat- 
tolico o  patriarca  della  Chiesa  ar- 
mena, fu  consagrato  in  Cesarea  da 
Leonzio  arcivescovo  di  quella  città, 
quindi  si  portò  in  Roma  dal  Pon- 
tefice s.  Silvestro  I,  per  avere  la 
conferma  delle  sue  facoltà,  ed  ap- 
provazione di  tutti  i  riti  e  leggi 
ecclesiastiche  pegli  armeni  .  Gli 
armeni  pretendono  che  il  corpo  di 
s.  Gregorio  sia  stato  trasportato  a 
Costantinopoli  sotto  l' imperatore 
Zenone.  Non  è  certo  però  che  il 
suo  braccio  destro,  del  quale  ser- 
vi vasi  nella  consagrazione  dei  cat- 
tolici, per  denotare  con  tal  cerimo- 
nia, eh'  erano  essi  i  veri  e  legit- 
timi successori  di  s.  Gregorio,  esista 
tuttora  in  Ezmiazin.  La  chiesa  di 
Sis  ne  possiede  1'  altro  braccio.  Me- 
liteo,  XVI  patriarca,  discepolo  di 
s.  Isacco,  stabili  la  sede  patriarcale 
a  Tuin  o  Thevin,  trasportandovi  il 
mentovato  braccio,  ciò  che  avven- 
ne verso  Tanno  4^2-  H  di  lui  sue- 


sìo  EZM 

tvssore,  dopo  Ire  altri  patriarchi, 
Giovanni  Mantacunense ,  pose  in 
buon  ordine  le  preghiere,  e  la  li- 
turgia armena.  Nierse  II,  XXVII 
patriarca,  riunì  un  concilio  in  com- 
pagnia di  dieci  vescovi  a  Tuin  per 
ordine  del  re  di  Persia,  fattosi  il 
primo  a  sinodalmente  dichiararsi 
contra  il  sacrosanto  concilio  di 
Calcedonia,  ed  a  separarsi  intiera- 
mente dai  greci.  Sotto  Mosè,  XXIX 
patriarca,  insorse  lo  scisma  tra  i 
vescovi  di  Armenia,  che  non  vol- 
lero andare  a  Costantinopoli  per 
unirsi  in  comunione  coi  cattolici, 
ossia  ortodossi.  Esdra  o  Jeser , 
XXXV  patriarca,  tenne  un  conci- 
lio a  Carni,  o  a  dir  meglio  Carili, 
ora  detta  Erzerum  {Vedi},  cui 
intervennero  tutti  i  principi ,  e  i 
vescovi  di  Armenia,  e  molti  dotti 
della  Grecia,  regnando  l' imperato- 
re Eraclio.  Ivi  gli  armeni  accetta- 
rono solennemente  il  concilio  di 
Calcedonia,  e  si  concordarono  coi 
greci,  rigettando  i  canoni  di  Tuin. 
Nierse  III,  che  gli  successe,  fondò 
il  monistero  di  Ezmiazin.  Giovan- 
ni VI,  soprannominato  Vahano 
Vasburacense,  LXIII  patriarca,  fu 
pio  e  dotto,  e  tentò  la  riunione 
delle  Chiese  sotto  gli  imperatori 
Basilio,  e  Costantino,  e  spedi  a 
questo  fine  legati  al  Papa  s.  Gre- 
gorio VII,  il  quale,  a  mezzo  dei 
medesimi,  diresse  un  affettuosissimo 
breve  al  patriarca,  esortandolo  a 
significare  precisamente  la  credenza 
del  suo  popolo.  E  benché  non  esi- 
sta presentemente  la  di  lui  risposta, 
Uittavia  dalla  condotta  degli  arme- 
ni di  quel  tempo,  e  dall'assistenza 
eh'  essi  prestarono  alle  crociate  sot- 
to il  di  lui  successore  Gregorio  III, 
si  rileva  la  perfetta  loro  unione 
colla  santa  Sede.  In  quanto  al  pa- 
triarca Gregorio  III,  egli  fu  di  tanta 


EZM 

religione  e  dottrina,  che  il  Papa 
Innocenzo  II,  in  segno  della  sua 
benevolenza,  gli  spedi  le  insegne 
patriarcali ,  accompagnate  da  un 
breve  pieno  di  paterne  espressioni. 
Gregorio  III  continuò  nel  suo  gran- 
de attaccamento  alla  Sede  aposto- 
lica, e  mandò  una  solenne  legazio- 
ne al  sommo  Pontefice  Eugenio 
III  sopra  alcune  differenze  che  gli 
armeni  avevano  coi  greci.  Il  di  lui 
fratello  e  successore  JVersete  Cla- 
jense,  e  dopo  lui  Gregorio  IV,  e 
Gregorio  V,  furono  egualmente  at- 
taccatissimi  alla  santa  Sede.  Il  pri- 
mo di  essi  scrivendo  al  patriarca, 
ed  all'imperatore  dei  greci,  nomina 
il  Pontefice  romano  cogli  epiteti, 
primo  e  capo  di  lutti  quanti  i  metro- 
politani. Gregorio  VI,  che  in  or- 
dine è  il  LXXVIII  patriarca,  scris- 
se al  sommo  Pontefice  Innocenzo 
III,  per  T  unione  della  sua  chiesa 
colla  santa  Sede.  Nel  1239  Costan- 
tino I,  che  fu  1'  LXXXII  patriar- 
ca, ebbe  dal  Papa  Gregorio  IX  il 
pallio,  e  gli  altri  ornamenti  pon- 
tificali. Il  XCIV  patriarca  chiama- 
to Giacomo  li,  nel  i333  fu  cac- 
ciato dalla  sua  sede  pei  disordini 
insorti  nella  Chiesa  armena,  ma 
subito  dopo  fu  restituito  al  suo 
grado.  In  questa  epoca  la  Chiesa 
armena  contemporaneamente  ebbe 
tre  patriarchi  o  cattolici ,  de'  quali 
però  quello  che  risiedeva  a  Sis  fu 
sempre  considerato  il  principale,  si- 
no al  tempo  del  patriarca  Ciriaco 
o  Siriaco  verso  l'anno  i447«  fedi 
Sis,  e  il  volume  XIII,  pag.  i36 
del  Dizionario,  ove  si  accennano  i 
vari  trasferimenti  della  sede  patriar- 
cale di  Ezmiazin,  e  l'origine  del 
patriarcato  ortodosso  di  Cilicia. 
Tuttavolta  qui  è  indispensabile  un 
analogo  schiarimento. 

Il  zelante  Pontefice  Eugenio  IV 


EZM 

risolvette  di  operare  efficacemente 
la  riunione  delle  chiese  di  oriente 
alla  Sede  apostolica ,  quindi  nel 
1439  celebrò  il  concilio  generale 
di  Firenze,  al  quale  l'Armenia  in- 
viò molti  legati  per  le  sollecitudi- 
ni del  patriarca  Costantino  VI;  ed 
i  legati  sottoscrissero  il  celebre  de- 
creto della  unione  della  Chiesa 
orientale  alla  latina.  Ed  una  ver- 
sione armena  del  sullodato  decreto 
esiste  tuttora  nella  biblioteca  di 
Firenze  in  un  codice  antico.  La 
porta  maggiore  della  basilica  di  s. 
Pietro,  come  dicemmo  altrove,  rap- 
presenta in  bassorilievo  i  legati 
armeni  ivi  intervenuti. 

Morto  intanto    il    patriarca    Co- 
stantino VI,  non  che  il  di  lui  succes- 
sore Giuseppe  III,  si  rinnovarono  le 
dissensioni ,  e  ne    furono  cagione  i 
cambiamenti    ulteriori    della    sede 
patriarcale.    Avvegnaché  nel   prin- 
cipio i  patriarchi,  come  dicemmo, 
risiedevano    in    Ezmiazin    sotto    il 
dominio    persiano,    e    vi    rimasero 
circa    un    secolo    e    mezzo,    finche 
\ennero  discacciati  dalla  spada  dei 
conquistatori    nel     suddetto     anno 
452.  Rifuggiaronsi  prima  in  Tuin, 
città  che  divenne  capitale  del  regno 
armeno,  e  dove  i  patriarchi  rima- 
sero sino  all'anno  924,  in  cui  ven- 
ne occupata  dai  turchi.  Allora  il  re 
Aschod  III  trasferì  ad  Ani  la  pro- 
pria corte,  e  vi  chiamò  i  patriar- 
chi,   che    sembra  vi  si  stabilissero 
propriamente  verso  V  anno  993,  e 
vi    dimorarono    sino    al    1064.    A 
quell'  epoca  la  necessità  delle  vicen- 
de obbligò  i  patriarchi  a  cambiar 
spesso   soggiorno,    come    di    errare 
talvolta  per  le  città  poste  sulla  ri- 
va dell'  Eufrate,  stabilendosi  prima 
a  Tav-plur,  poscia    e   nel   1 1 1 3    a 
Monte  Nero  in  Cilicia  ,    nonché  a 
Hr-omgla  o  Romela  nel  1 1 47-  Ma 


EZM  25i 

siccome  il  sultano  di  Egitto  s'im- 
padronì nel  1294  di  questa  ulti- 
ma città,  i  patriarchi  seguirono  a 
Sis  il  re  Leone  II,  né  mutarono 
la  sede  fino  al  mentovato  patriar- 
ca Giuseppe  III,  cioè  nel  i447- 
Gregorio  IX,  suo  successore,  fece 
alcune  innovazioni  nella  propria 
chiesa,  laonde  quattro  vescovi  della 
Cilicia  indirizzarono  una  lettera  a 
tutto  il  clero  armeno,  colla  quale 
dolendosi  sulla  incapacità  di  quel 
pastore,  e  sullo  stato  deplorabile  a 
cui  aveva  ridotta  la  sede  di  Sis, 
fu  risoluto  di  restituire  nuovamen- 
te ad  Ezmiazin  il  seggio  patriar- 
cale. Con  tale  scopo  si  raccolse  in 
quella  città  numerosissima  assem- 
blea, composta  di  vescovi,  di  su- 
periori di  monisteri,  di  eremiti,  e 
di  semplici  sacerdoti,  i  quali  depo- 
sero Gregorio  IX,  e  passarono  al- 
l' elezione  di  un  patriarca  cattolico, 
cioè  universale.  La  sorte  cadde  so- 
pra Siriaco  o  Ciriaco,  abbate  del 
monistero  di  Virap,  che  riunì  in 
se  il  voto  delle  quattro  prime  chie- 
se particolari  dell'  Armenia,  il  cui 
assenso  era  necessario,  onde  legit- 
timarne l'elezione,  fu  riguardato 
come  il  vero  e  supremo  patriarca, 
e  quindi  decorato  del  titolo  di  cat- 
tolico. 

Da  quell'epoca  i  patriarchi  di 
Ezmiazin  esercitarono  una  piena 
giurisdizione  spirituale,  né  quelli 
di  Sis  altro  ebbero  che  il  secon- 
do posto,  ad  onta  che  conservas- 
sero il  diritto  di  nominare  un  cat- 
tolico che  esercita  la  sua  giuris- 
dizione nella  Cilicia,  nella  Cappado- 
cia,  e  neJ  paesi  circonvicini.  Va  qui 
rammentato  che  David  arcivesco- 
vo d'Agatmar,  piccola  città  situa- 
ta nel  mezzo  del  lago  di  Van  in 
una  isola  dello  stesso  nome,  fin 
dal   111 3,    allegando    la    giovanile 


2S2  EZM 

ci  i  del  legittimo  patriarca  Grego- 
rio III,  nominato  Ralilavuni,  ra- 
dunò un  certo  numero  de  varia  - 
l'itti ',  col  maneggio  dei  quali  inti- 
tolossi  cattolico,  e  si  rese  indipen- 
dente dal  patriarca  universale.  Co- 
sì la  Chiesa  armena  trovossi  divisa 
in  tre  chiese  distinte,  di  Sis  cioè, 
di  Agatmar,  e  di  Ezmiazin,  aven- 
ti ciascuna  la  propria  rivalità,  i 
propri  interessi,  ed  il  rito  proprio, 
funeste  sorgenti  di  scissura  e  di 
dispute  senza  fine:  e  ciascuna  di 
quelle  chiese  conservò  i  suoi  pa- 
triarchi. Tali  dissensioni  e  turbo- 
lenze erano  state  predette  da  s. 
Gregorio  Illuminatore ,  e  da  s. 
Nierse  ne'  suoi   versi  profetici. 

Nel  i5o,3  Melchisedecco,  CXXX 
patriarca ,  fu  nominato  coadiutore 
con  futura  successione  dal  suo  an- 
tecessore Davide.  Fu  a  quest'epo- 
ca che  il  re  di  Persia  portò  ad 
Ispahan  il  braccio  di  s.  Gregorio, 
né  volle  restituirlo  che  contro  il  pa- 
gamento di  due  mila  scudi.  Non 
potendo  Melchisedecco  sborsare  quel- 
la somma  per  riscattare  la  san- 
ta reliquia,  si  ritirò  a  Costantino- 
poli, quindi  portassi  in  Polonia  ove 
morì  nel  1629.  Altri  chiamano 
Melchisedecco  col  nome  di  Mosè, 
e  dicono  che  fosse  il  primo  che 
senza  elezione  sedesse  nella  chiesa 
patriarcale  ;  egli  era  di  Gami, 
villaggio  dov'esisteva  un  celebre 
monistero  di  monache,  e  gli  si  dà 
il  merito  di  aver  sopite  le  dissen- 
sioni vedute  con  mal  animo  dagli 
armeni.  Tanto  egli,  quanto  il  suo 
predecessore  Davide,  ne' loro  ulti- 
mi anni  scrissero  lettere  di  som- 
missione àfla  santa  Sede;  il  primo 
nell'anno  1622  a  Gregorio  XV,  e 


EZM 
nell*  anno  seguente  ad  Urbano  Vili, 
mentre  quelle  di  Davide  portano  la 
data  del  i6o5,  e  vennero  anterior- 
mente ricevute  da  Paolo  V.  Gli 
successe,  dopo  tre  altri  patriar- 
chi, Filippo  tenuto  in  concetto  di 
politico,  che  visse  nella  sede  venti- 
due anni;  fu  per  intercessione  di 
questo  prelato,  che  il  re  di  Per- 
sia restituì  il  braccio  di  s.  Grego- 
rio, permettendogli  in  pari  tempo 
di  ristabilire  la  chiesa  di  Ezmiazin, 
che  era  stata  rovinata  da  Schah- 
Abbas.  Filippo  morì  nel  i655,  ed 
a  lui  sottentrò  Giacob,  che  dopo 
ventidue  anni  di  patriarcato,  si 
risolvette  di  portarsi  in  Roma,  per 
effettuare  colla  santa  Sede  l' unio- 
ne per  tanto  tempo  sperata,  ma 
sempre  veduta  lontana.  Il  p.  Gaspa- 
re Dupuy  della  compagnia  di  Ge- 
sti,  missionario  di  Erivan,  ciò 
scrisse  alla  sagra  congregazione  di 
propaganda  fide ,  dicendo  che  il 
patriarca  Giacob  era  uomo  per 
autorità,  per  ingegno,  e  per  ogni 
altra  cosa  così  potente,  che  da  po- 
chi suoi  predecessori  era  stato  egua- 
gliato, e  che  avea  ridotte  le  cose 
di  Armenia  così  disposte  a'  suoi 
voleri,  che  professando  egli  la  fe- 
de ortodossa,  avrebbe  tirato  al  suo 
partito  tutti  quanti  gli  armeni. 
Quindi  nel  1G62  il  patriarca  scris- 
se al  Pontefice  Alessandro  VII 
una  lettera  piena  di  divozione,  di 
rispetto,  e  di  desiderio  di  portarsi 
in  Roma,  accompagnato  da  venti- 
cinque vescovi  ed  altrettanti  varta- 
bieti  ;  ma  mentre  egli  ciò  si  met- 
teva ad  effettuare  morì  in  Costan- 
tinopoli. Dopo  di  questo  tempo, 
mancano  notizie  importanti  sui 
patriarchi  di  Ezmiazin. 


F 


FAB 


FAB 


FABBRICA,  e  FABBRIC1ERE,  ministrazione  agli  arcivescovi,,  ai 
(  fabrica ,  aediftcium  ).  In  termine  vescovi,  agli  arcidiaconi,  ai  parro- 
ecclesiastico   dicesi   fabbrica,  quella     chi,  o  a    corporazioni,    come  capi- 


rendita  che  serve  al  mantenimen- 
to di  una  chiesa,  massime  delle 
chiese  cattedrali  ed  insigni,  tanto 
per  le  riparazioni ,  manutenzione 
del  sagro  edifizio,  ed  ornamenti, 
quanto  per  tuttociò  che  abbisogna 
per  la  celebrazione  dei  divini  uffi- 
zi ;  quindi  si  chiamano  fabbricieri 
coloro  che  amministrano  tali  ren- 
dite, che  sopraintendono  alle  ac- 
cennate lavorazioni,  alla  economia, 
ed  altre  temporalità,  sieno  eccle- 
siastici 3  che  laici.  Dicemmo  all'ar- 
ticolo Beni  ecclesiastici  (Vedi),  che 
questi  prima  erano  divisi  in  quat- 
tro parti,  una  delle  quali  era  asse- 


toli,  confraternite,  ed  altri  luoghi 
pii,  secondo  i  luoghi  e  le  pie  i- 
stituzioni.  Gli  obblighi,  l' autorità 
e  i  privilegi  dei  fabbricieri  sono 
secondo  V  importanza  degli  affari 
che  disimpegnano,  e  le  consuetudi- 
ni de'luoghi.  Sono  responsabili  dei 
fondi  che  amministrano,  e  in  mol- 
te cose  devono  riportare  il  consen- 
so del  superiore  ecclesiastico,  e  del- 
le pie  corporazioni.  Concilio  di  Tren- 
to, sess.   22,  de  reform.  e.  g. 

Benché  l'amministrazione  di  sì 
fatti  beni  di  chiesa  e  delle  fabbri- 
che sia  passata  nelle  mani  dei  lai- 
ci, sono  però  essi  sempre  beni  eccle- 
gnata  per  la  fabbrica  della  chiesa,  siastici,  quindi  partecipano  ancora 
e  ciò  sino  dai  primi  secoli  della  di  tutti  i  privilegi  accordati  ai  beni 
Chiesa.  Sono  comprese  in  questa  del  clero.  In  Roma  avvi  la  Congre- 
sorta  di  rendite,  anche  le  obblazio-  gazione  cardinalizia  della  reverenda 
ni  religiose,  che  per  la  fabbrica  fabbrica  di  s.  Pietro  {Vedi),  aven- 
ricevonsi  dalla  pietà  de'fedeli  nelle     te    per    prefetto    il    Cardinal   arci- 


questue,  e  nei  donativi  volontari 
e  spontanei.  Anticamente  gli  stessi 
vescovi  si  occupavano  dell'ammi- 
nistrazione economica  delle  rendi- 
te per  le  fabbriche,  come  della  lo- 
ro erogazione;  poscia  questa  cura 
fu  successivamente  affidata  agli  ar- 
cidiaconi ed  ai  parrochi  ;  ma  non 
potendo  il  più  delle  volte  questi 
attendere  con  eguale  impegno  ed 
esaltezza  agli  affari  temporali  e  spi- 
rituali della  propria  chiesa,  la  cu- 
ra dei  primi  data  venne  finalmente 
a  idonei  e  distinti  secolari,  cono- 
sciuti per  zelo  e  probità,  i  quali 
come  i  fabbricieri  ecclesiastici  sono 
obbligati  a  rendere  conto  dell'am- 


prete  di  quella  patriarcale  basili- 
ca,  ed  in  economo  e  segretario 
un  prelato  canonico  della  mede- 
sima. Questa  rispettabile  congre- 
gazione ,  oltre  l' economica  ammi- 
nistrazione delle  rendite  della  ba- 
silica vaticana,  e  di  tuttociò  che 
riguarda  la  conservazione,  ornamen- 
to, e  restauri  di  quel  sontuoso  tem- 
pio e  sue  adiacenze  e  pertinenze, 
gode  ancora  il  singoiar  privilegio 
della  gelosa  cura  a"  invigilare  al- 
la esecuzione  ,  ed  esatto  adempi- 
mento dei  legati  pii,  ed  analoghe 
disposizioni.  In  molti  luoghi,  in 
molte  chiese  e  capitoli  il  fabbri- 
cieri è  un  ecclesiastico,   addetto  ai 


?U  FAB 

medesimi.  Delle  indulgenze  con- 
cesse dai  Papi  a  coloro  che  a- 
vessero  concorso  ai  restauri  ed  al- 
la edificazione  di  chiese,  se  ne 
tratta  al  volume  XI,  pag.  237  e 
2 38.  In  quanto  propriamente  al- 
l' arte  di  fabbricare  e  di  edifi- 
care ,  è  noto  che  si  riguardano 
gli  egizi ,  come  i  primi  popoli,  in 
cui  siasi  posto  in  uso  l'arte  del 
muratore,  cui  succedettero  gli  as- 
siri, gli  ebrei,  i  greci,  e  i  romani  che 
colla  straordinaria  solidità  che  die- 
dero ai  loro  edilìzi  vollero  emular- 
li e  superarli,  unendo  alle  scoper- 
te degli  egizi  e  de' greci  un  sin- 
golare artifizio.  - 

FAB1  ANO  (santo),  Papa  XXI.  Eb- 
be a  padre  Fabio,  ed  a  patria  Roma. 
Era  ancora  canonico  regolare,  se- 
condo alcuni,  quando  a' 16  gennaio 
del  2  38  venne  creato  Papa.  Ciò  che 
indusse  gli  elettori  a  promoverlo  fu 
la  prodigiosa  visione  di  bianca  colom- 
ba, la  quale  spiccatasi  dall'alto  nel 
tempo  della  elezione,  dopo  avene 
girato  qua  e  là  sopra  le  teste  di 
quel  sacro  consesso,  si  soffermò  so- 
pra Fabiano  che  ne  formava  par- 
te (Eusebio,  Hist.  eccl.  lift».  6,  cap. 
29,  pag.  186).  Provvide  questo 
Pontefice  al  processo  dei  martiri, 
aggiungendo  a' sette  notali,  stabili- 
ti da  s.  Clemente  I  per  raccoglierne 
gli  atti,  sette  suddiaconi,  perchè  li 
assistessero  in  un'opera  così  inte- 
ressante e  pia.  Inoltre  destinò  sette 
diaconi  perchè  gli  atti  stessi  dei 
martiri  fossero  segnati  al  disteso, 
non  già  con  abbreviature,  come 
per  lo  avanti  si  praticava  (  V. 
Bollando,  in  Praefal.  gener.  ad  vi- 
tas  ss.,  tom.  I,  pag.  4)-  Ridusse  a 
soli  sette  rioni  i  quattordici ,  nei 
quali  Augusto  avea  diviso  Roma , 
e  volle  che  gli  stessi  sette  diaco- 
ni avessero  la  cura  dc'poveri  in  al- 


FAB 

trettante  chiese.  Da  questa  divi- 
sione ecclesiastica  ebbero  poscia  o- 
rigine  i  titoli  de' Cardinali  diaco- 
ni, perciò  chiamati  anche  regionari. 
Gli  si  attribuiscono  diversi  decre- 
ti, come  la  rinnovazione  del  cri- 
sma nel  giovedì  santo;  che  niuno 
fosse  ordinato  prete  prima  di  ave- 
re trenta  anni  di  età  ;  che  niuno 
in  giudizio  potesse  essere  accusato- 
re, e  giudice,  o  testimonio;  che  i 
fedeli  si  comunicassero  tre  volte 
Tanno;  che  i  preti  idioti  non  po- 
tessero celebrare  ;  che  niun  fedele 
potesse  contrarre  il  matrimonio 
con  parente ,  che  fosse  dentro  il 
quarto  grado,  ec. 

Molti  fra  i  moderni  critici  sos- 
tengono che  s.  Fabiano  battezzas- 
se Filippo,  primo  cristiano  fra  gli 
imperatori  romani ,  unitamente  a 
suo  figlio  dello  stesso  nome.  In 
cinque  ordinazioni  creò  all' incirca 
quattordici  vescovi,  ventitre  preti 
ed  otto  diaconi.  Patì  nella  settima 
persecuzione  della  Chiesa  (Orosio 
lib.  7,  e.  21),  a' 20  gennaio  cfel 
2 53,  dopo  quindici  anni  e  quattro 
giorni  di  governo,  e  la  santa  Se- 
de rimase  vacante  più  di  sedici 
mesi.  Fu  riposto  il  suo  corpo  nel 
cimiterio  di  Calisto.  Ciò  che  for- 
ma la  maggior  gloria  di  questo 
santo  Pontefice  fu  il  zelo  e  la  fer- 
mezza con  cui  dilatò  e  sostenne  la 
cattolica  Chiesa. 

FABRI  o  LE  FERRE  Giovanni, 
Cardinale.  Giovanni  Fabri  o  le  Fer- 
re,  dottore  in  ambe  le  leggi,  nato  a 
Limoges,  era  cugino  di  Papa  Gre- 
gorio XI,  il  quale  nel  i37i,  lo 
creò  Cardinale  prete  del  titolo  di 
s.  Marcello.  L'anno  innanzi,  essen- 
do decano  della  chiesa  d'Orleans, 
era  stato  da  Urbano  V  innalzato 
alla  sede  vescovile  di  Tulle.  Morì 
in  Avignone   nel   1372,  nove  mesi 


FAB  FAB                    255 

dopo  la  sua  promozione  ai  cardi-  Jlbacina,  accrebbero  1'  importanza 
«alato.  Non  è  da  confondersi  que-  di  Fabriano.  Va  qui  notato,  che 
sto  con  un  altro  Giovanni  Fabri  la  regione  Sentinate,  indi  Fabria- 
che  fu  vescovo  di  Chartres.  nese,  e  talvolta  la  Camerte,  ossia 
FABRIANO  ( Fabrìanen).  Città  Camerinese,  non  si  compresero  nel 
con  residenza  vescovile  dello  stato  Piceno  memorato,  ma  nel  duoato 
pontificio,  nella  Marca,  delegazione  .Spoletino,  nell'Umbria  transapen- 
apostolica  di  Macerata,  e  propria-  nina,  che  i  sennoni  invasero,  e  che 
mente  nel  Piceno  antico,  detto  da  dal  fiume  Esi  al  fiume  Foglia 
Augusto  quinta  regione  d'  Italia,  venne  poi  racchiusa  dentro  i  limiti 
e  poscia  Piceno  suburbicario,  con-  della  Marca  Anconitana, 
finante  coli' Umbria.  Questa  antica  Ingrandimento  ed  abbellimento 
città  è  posta  a  pie  degli  Apen-  ebbe  principalmente  Fabriano  dal 
nini,  fra 'quali  si  apre  l'estesa  pia-  Pontefice  Nicolò  V  con  fabbriche 
mira ,  ond'  è  circondata  da  dolci  e  decorazioni.  Tra  i  suoi  edifìzi 
colli,  con  aria  buona.  La  bagna  e  la  cattedrale  è  pregevole  per  va- 
quasi  divide  per  mezzo  il  fiume  stità,  pei  dipinti,  e  per  altri  orna- 
Ciano ,  che  vuoisi  prendesse  tal  menti  che  l'adornano.  Ivi  ancora 
nome  da  un  sagrifizio  fattogli  da  si  custodiscono  i  sagri  paramenti 
Decio,  ed  è  influente  dell'Esi.  Nel  di  arazzi,  ricamati  in  seta  ed  oro, 
suo  stemma  municipale  si  vede  il  donati  ad  essa  da  Nicolò  V,  e  che 
fabbro  Giano,  che  alza  sopra  l'in-  per  l'antichità  e  pregevole  lavoro 
cudine  il  martello ,  dal  culto  del  sono  tenuti  in  estimazione.  Quel 
quale  pretende  di  aver  sortito  il  Pontefice  li  adoperò  quando  vi 
proprio  nome.  Ha  pure  altro  stem-  pontificò  nel  giorno  dell'  Assunta 
ma  onorevole,  di  un  campo  metà  del  i449-  Insigne  è  la  collegiata 
rosso  e  metà  bianco,  in  memoria  sagra  a  s.  Nicola  di  Bari,  di  bella 
della  pacificazione  del  i524  fra  i  architettura,  e  decorata  di  un  ca- 
guelfi  ed  i  ghibellini,  rappresen-  pitolo  con  un  priore,  dodici  cano- 
tati  in  que'due  colori,  come  quelli  nici,  oltre  i  mansionari,  e  fra  gli 
che  in  vari  tempi  l'ebbero  strazia-  altri  venerandi  suoi  templi,  sono  da 
ta  colle  fazioni.  Dalle  rovine  di  encomiarsi  i  seguenti.  Il  santuario  os- 
Attidio,  celebre  municipio  romano  sia  chiesa  di  s.  Biagio  con  moni- 
distrutto  verso  la  metà  del  seco-  stero  dei  camaldolesi,  ove  in  ricco  e 
lo  quinto,  come  poi  meglio  si  dirà,  nobile  sotterraneo  riposa  il  corpo  del 
ebbe  origine  il  castello  di  Fabria-  fondatore  di  loro  benemerita  ed  il- 
no,  che  per  molti  secoli  fu  uno  lustre  congregazione,  il  patriarca  s. 
de'quattro  più  celebri  d'Italia,  an-  Romualdo:  nella  chiesa  superiore 
dando  del  pari  cogli  altri  rinoma-  si  ammirano  belle  cappelle,  con 
ti  tre  castelli ,  cioè  di  Crema  in  qualche  interessante  dipinto.  Avvi 
Lombardia,  di  Prato  in  Toscana,  pure  la  chiesa  e  monistero  dei 
e  di  Barletta  nella  Puglia;  castel-  monaci  silvestrini,  eh' è  il  princi- 
li  che,  come  Fabriano,  furono  eie-  pale  della  loro  congregazione  :  la 
vati  al  grado  di  città,  ed  all'ono-  chiesa  è  dedicata  a  s.  Benedetto, 
ranza  d'illustri  seggi  vescovili.  Le  i  cui  recenti  restauri  fanno  risplen- 
rovine  di  Sentino,  e  dell'altro  mu-  dere  le  molte  sue  decorazioni,  e 
nicipio  romano  Tiifico3  ov'  è   oggi  pitture   affresco.    Lodato  n'è  Tar- 


?.56  FAB 

chitelfo,  perche  superando  le  cliffì- 
eoltà  dell'arte,  seppe  erigere  soli- 
damente, a  cagione  dell'area,  sopra 
un  sagro  sotterraneo,  una  bella 
chiesa.  Questi  monaci  in  Monte  Fa- 
nof  poco  distante  dalla  città,  cu- 
stodiscono con  molta  venerazione 
il  corpo  di  s.  Silvestro  abbate  loro 
fondatore,  essendo  il  luogo  ov'egli 
morì.  Il  convento  e  la  chiesa  di 
s.  Francesco  de'minori  conventuali: 
questa  è  antichissima,  e  di  gotico 
stile;  nel  secolo  decorso  fu  benefica- 
ta e  riedificata  da  Clemente  XIV,  ad 
istanza  del  p.  Giuseppe  Bontempi, 
eh'  era  figlio  di  quel  convento  e 
benaffetto  a  quel  Pontefice,  il  qua- 
le avea  appartenuto  al  suo  ordine 
de'convèntuali .  Il  prospetto  late- 
rale di  questo  tempio  è  ornato  di 
grandiose  loggie,  che  Nicolò  V,  nel- 
la lunga  stazione  che  fece  in  Fa- 
briano, a  mezzo  dell'architetto  Ber- 
nardo Rossellini  fece  costruire  al- 
lorquando rifabbricò  tal  chiesa  dai 
fondamenti,  e  fece  ingrandire  la 
gran  piazza.  Queste  loggie  metto- 
no nell'istessa  piazza,  che  la  co- 
mune nel  1088  adornò  con  vaga 
fonte,  ed  a  proprie  spese,  ciò  che 
altri  attribuiscono  falsamente  a  Ni- 
colò V,  o  ad  Alessandro  VI,  o  ad 
un  Chiavelli.  L' ampiezza  di  tal 
piazza  serve  a  divertire  il  popolo 
col  giuoco  del  pallone  ;  ed  altre 
volte  colla  caccia  del  toro,  cioè 
prima  che  Pio  Vili  provvidamen- 
te abolisse  nello  stato  ecclesiastico 
sì  fatta  specie  di  giostre.  Di  fron- 
te antichi  portici  introducono  al- 
l'ampio palazzo  vescovile,  essendo 
il  palazzo  della  comune  alle  mede- 
sime loggie  congiunto.  Contiguo  al 
palazzo  comunale  evvi  1'  oratorio 
denominato  della  Carità,  apparte- 
nente all'istessa  comune.  In  questa 
chiesa  esistono  diecinove  dipinti  di 


V  A  B 
Filippo  Bellini,  celebrati  dal  Lnnzi 
nella  Storia  (iella  pittura,  ed  una 
tavola  di  Ambrogio  monaco  greco, 
lodata  anche  dall' Agincourl.  Poco 
lungi  è  un'altra  piazza  assai  più 
grande ,  ma  non  lastricata,  la  quale 
giunge  vicino  al  fiume,  che  vi  stra- 
ripò cagionando  molti  danni  nel 
settembre  1807,  con  alcuni  por- 
tici all'intorno  pei  settimanali  incr- 
eati. 11  ponte  sul  Giano  fu  costrui- 
to dallo  stesso  Rossellini,  che  me- 
ritò di  essere  ricordato  dall'  Agin- 
court  nella  Storia  delle  arti,  e 
regge  molti  edifici  su  ambi  i  suoi 
lati,  proseguendo  l'andamento  della 
contrada. 

Vi  sono  in  Fabriano:  uno  speda- 
le pegli  esposti  ,  eretto  dal  celebre 
s.  Giovanni  della  Marca  nell'  an- 
no i456,  ponendovi  la  prima  pie- 
tra, come  si  ha  dallo  stesso  Agin- 
court,  monsignor  Orsini  arcivesco- 
vo di  Taranto  presidente  del  Pice- 
no; un  altro  pegli  infermi  già  fioren- 
te nel  1 3 1 6,  ed  a  cagione  della 
pestilenza  allora  afìidato  alla  cura 
dei  cavalieri  dei  ss.  Maurizio  e  Laz- 
zaro; il  monte  di  pietà,  uno  de'più 
antichi  in  Italia,  perocché  fu  eret- 
to nel  1496  dal  b.  Marco  di  s. 
Maria  in  Gallo;  il  monte  fìu- 
mentario,  ed  altri  pii  stabilimenti. 
Nel  pontificato  di  Pio  VI  fu  eietto 
l'orfanotrofio,  per  cui  le  medaglie, 
che  nella  pontificia  zecca  si  conia- 
rono nel  1783,  da  una  parte  ave- 
vano l'efligie  del  Papa,  colle  paro- 
le in  giro  :  providentia  pii  vi  font, 
max.  anno  viii  ,  e  nel  rovescio 
l'edifizio  dell'orfanotrofio,  coll'epi- 
grafe:  gynecaeum  pupillarum  fabria- 

NI    EXCITATUM. 

Due  musei  di  storia  naturale, 
e  di  bellissime  opere  in  avorio 
si  posseggono  dai  nobili  Rosei , 
e    Possenti  ;  musei  che    acquistano 


FAB 

giornaliero  incremento.  Il  musco 
o  collezione  di  avori  in  Fabriano, 
per  la  sua  copiosa  e  squisita  raccol- 
ta presenta  la  storia  progressiva 
dell'arte  in  questo  genere,  essen- 
dovi avori  superbamente  lavora- 
ti al  tornio  ,  allo  scalpello  ,  a 
graffio,  a  tarsia,  ad  impressione,  ed 
in  un  modo  misto,  che  degli  altri 
cinque  partecipa.  Di  ognuno  di 
que'sei  generi  è  la  raccolta  dovi- 
ziosamente fornita.  11  benemerito 
della  patria,  il  conte  Girolamo  Pos- 
senti, senza  risparmio  d'ingenti  spe- 
se e  d'indefesse  cure,  divisò,  e 
col  consiglio  di  parecchi  artisti  e 
letterati  venne  meravigliosamente 
a  capo  di  riunire  una  sceltissima 
serie  di  avori,  unica  che  possa  pre- 
sentare al  pubblico  un'idea  di  quan- 
to in  varie  epoche  fu  fatto  dagli 
uomini  in  questo  genere,  siccome 
si  espresse  il  chiaro  storico  della 
nobile  arte  scultoria,  il  celebre  Ci- 
cognara.  Va  notato,  che  il  conte 
Cesare,  padre  di  Girolamo,  avea  la- 
sciata al  figlio  una  limitata  quan- 
tità di  oggetti  scolpiti  in  avorio. 
Al  gusto,  alla  generosità  si  unì  nel 
conte  Possenti  l'amor  patrio,  e  con 
saggia  antiveggenza,  perchè  cotan- 
to raro  e  prezioso  museo  conti- 
nuasse per  sempre  a  decorare  Fa- 
briano, e  giammai  fosse  da  essa 
rimosso,  vi  stabilì  un  fidecommis- 
so,  a  cui  chiamò  pel  primo,  sic- 
come privo  di  prole,  il  nipote  con- 
te Gio.  Battista  Pettoni-Possenti  ; 
e  volle  che  in  lui  continuasse  il 
nome  della  famiglia  Possenti,  prov- 
vedendo a  un  tempo  alia  perpetua 
conservazione  d'un  prezioso  monu- 
mento di  eburnei  lavori  di  ogni  spe- 
cie. A  prendere  un'  idea  di  questo 
tesoro  va  letto  l'opuscolo  intitola- 
to :  Vùìta  al  museo  di  avori  in 
Fabriano,  ove  dicesi  da  quali  ope- 

VOL.    XXII. 


FAB  257 

re  è  siffatto  opuscolo  rammentato. 
11  Tiberino,  distinto  giornale  ro- 
mano ,  con  quarantadue  articoli 
dell'  autore  dell'  opuscolo,  illustrò  il 
museo,  cui  dagl'intendenti  non  si 
dubita  di  attribuire  il  primato  su 
quelli  di  simile  genere,  esistenti 
nelFItalia. 

In  Fabriano  l'industria  è  stata 
sempre  operosa,  e  gli  si  attribui- 
scono (sebbene  da  taluno  contesi) 
i  primi  sperimenti  del  prezioso  ri- 
trovato di  ridurre  a  carta  gl'inu- 
tili stracci  di  lino.  Ne'  suoi  archivi 
si  vedono  protocolli  in  carta  di  li- 
no, che  portano  la  data  del  fine 
del  secolo  XIII  ;  ed  il  celebre  Bar- 
tolo., che  scriveva  verso  la  metà 
del  secolo  XIV,  fa  menzione  delle 
carte  di  Fabriano,  che  unitamente 
alle  pergamene  conservano  tuttavia 
la  loro  rinomanza .  La  cartiera 
dei  Miliani,  è  già  giunta  ad  imi- 
tare le  carte  forastiere,  ottenendone 
della  maggior  grandezza  per  le  im- 
pressioni de' rami. 

11  Tiraboschi  dà  ai  fabrianesi 
il  vanto  di  aver  scoperto  l'arte  di 
fabbricare  la  carta  collo  straccio 
di  lino,  la  quale  a  parer  suo  è 
compresa  in  quella  sotto  il  nome 
di  carta  di  papiro,  come  si  legge  nel 
tom.  V,  part.  1,  pag.  99  e  100 
della  Storia  leti.  d'Italia,  e  ne'do- 
cumenti  che  sono  citati  nel  Pice- 
num  del  Pamphili  colle  note  del 
Durastanti  a  pag.  LVII.  Quelli  poi 
che  disputano  a  Fabriano  sì  fatto 
merito,  non  negano  che  i  fabria- 
nesi furono  i  primi  a  seguire  con 
impegno  l'invenzione,  e  che  la  con- 
dussero al  maggior  perfezionamen- 
to, diffondendola  i  primi  in  altre 
parti  d'Italia,  come  Soia,  Bologna, 
Firenze,  Trevigi  ec,  e  conducendo- 
la al  maggiore  perfezionamento , 
tentando  pure  per  i  primi  in  Ita- 
17 


258  FAB 

lia  la  sostituzione  di  altre  materie 
allo  straccio,  siccome  fece  il  colto 
fabrianese  Carlo  Campioni,  che 
l'ottenne  dalla  paglia,  dalla  malva, 
dal  grano  turco,  dai  fagiuoli,  da  mol- 
ti altri  vegetabili,  e  sino  dalla  se- 
gatura di  legno  mista  ad  un  terzo 
di  straccio,  come  si  legge  nel  Gior- 
nale Arcadico  tomo  XIV,  p.  3o5. 

Non  più  venticinque^  come  negli 
scorsi  secoli,  ma  tuttavia  sono  mol- 
ti e  grandiosi  gli  opificii  delle  car- 
tiere in  Fabriano,  i  quali  un  tem- 
po fornirono  nou  solo  gran  parte 
d' Italia,  ma  eziandio  i  paesi  di 
oriente,  divenendo  inesausta  sor- 
gente di  ricchezze.  Ancora  la  scelta 
carta  fabrianese  si  diffonde  per 
molti  luoghi  dello  stato  pontificio 
e  dell'estero,  essendone  vivo  ed 
ubertoso  il  corrispondente  commer- 
cio. In  Fabriano  sono  in  oltre  di- 
verse fabbriche  di  vari  oggetti.  E 
se  può  dirsi  ora  affatto  perduta 
l'arte  della  lana,  è  a  sapersi  che 
la  sua  università  nel  medio  evo  ten- 
ne commercio  fiorente  col  levan- 
te,  ed  a  ciò  deve  Fabriano  il  suo 
ingrandimento  e  molte  opere  pub- 
bliche: l'arte  della  lana  nata  sotto 
il  nome  di  arte  delle  pannine 
o  rascie,  di  cui  vi  erano  venti- 
cinque fabbriche,  oltre  quella  delle 
calzette  a  mano  lavorate,  ebbe 
inutilmente  a  suo  favore  nel  1784 
la  mano  benefica  di  Pio  VI.  Sus- 
sistono tuttora  le  fabbricazioni  del- 
le pelli,  pergamene  ec,  e  quella  del 
cremor  di  tartaro,  sostituite  alle 
altre  del  nitro  e  della  polvere;  final- 
mente quella  delle  terraglie  portate 
ora  a  molta  finitezza  per  le  cure 
del  cav.  Antonio  Ronca,  comeehè 
anni  prima  se  ne  lavorassero  con 
que' pregevoli  dipinti  allora  in  co- 
stume. 

La  giurisdizione,  ossia  il  regime 


FAB 

di  Fabriano  fu  un  tempo  presso 
due  consoli  eletti  per  un  anno  fra 
i  cittadini,  secondo  l'uso  delle  no- 
bili città  d' Italia,  come  particolar- 
mente apparisce  da  varie  tavole 
del  secolo  sesto  e  duodecimo,  non 
che  dal  processo  fatto  ad  istanza 
del  senato  fabrianese  in  occasio- 
ne di  lite  per  giurisdizione  coi 
presidi  della  Marca,  nel  quale  si 
portano  più  di  cinquanta  teslimo- 
ni.  Dopo  i  consoli  nel  secolo  de- 
cimoterzo ogni  sorta  di  amministra- 
zione occuparono  nobili  personag- 
gi giureconsulti,  col  titolo  di  po- 
destà, da  principio  fabrianesi,  quin- 
di esteri,  che  dagli  stessi  fabriane- 
si si  sceglievano  nelle  nobili  città 
d'Italia,  e  quindi  soltanto  nelle 
persone  soggette  alla  santa  roma- 
na Chiesa,  per  sei  mesi,  come  ri- 
levasi dalla  bolla  del  Pontefice 
Sisto  IV,  data  in  Foligno  a'  17 
settembre  1 47^-  Al  dire  del  eh. 
Calindri,  Saggio  statistico-storico 
dello  stato  pontificio,  fu  Sisto  IV 
che  nel  i474  decorò  Fabriano 
del  titolo  di  città,  quindi  confer- 
mato nel  1728  da  Benedetto  XIII. 
La  dignità  poi  dei  memorati  po- 
destà fu  tanta,  che  Mattia  Conti 
romano,  nipote  di  Gregorio  IX, 
Giovanni  Visconti  consanguineo  di 
Gregorio  X,  Orso  degli  Orsini  ni- 
pote di  Nicolò  III,  Marco  Corna- 
lo nobile  veneto,  ed  altri  molti 
della  primaria  nobiltà,  ebbero  per 
sommo  onore  la  pretura  di  Fabria- 
no. Nel  secolo  seguente,  ossia  il 
decimoquarto ,  la  funsero  Bevineo, 
Ciuccio,  Pietro  Elamberte,  de  Pur- 
lati  Aretini  di  Pietramazza,  Claret- 
to Gentile  signore  di  Fermo,  Nelfo 
conte  di  Montefeltro,  Magliardo 
degli  Ubaldini,  ed  altri  nobili  e 
valorosi  personaggi.  Nel  secolo  de- 
cimosesto Leone  X  elesse  a  perpe- 


FAB 

tuo  governatore  di  Fabriano  il  Car- 
dinal Innocenzo  Cibo  suo  nipote, 
come  consta  dal  breve  pontifìcio, 
Alma  Metter  Ecclesia,  col  quale 
però  Leone  X  revocò  Ja  detta  for- 
ma di  governo,  esprimendovi  alcu- 
ne cose.  Tutta  volta  siccome  i  fa- 
brianesi  mai  poterono  piegarsi  a 
riconoscere  col  dovuto  ossequio 
tal  perpetuo  governatore,  non  ebbe 
effetto .  Ciò  non  pertanto  otten- 
nero di  poi  da  Leone  X  il  governo 
di  Fabriano,  il  proprio  cugino 
Cardinal  Giulio  de' Medici,  poscia 
Papa  Clemente  VII,  e  l' altro  ni- 
pote Cardinal  Salviati.  Quindi  Cle- 
mente VII  nominò  a  governatore 
Varino  vescovo  di  Nocera,  e  suc- 
cessivamente i  vescovi  di  Tivoli, 
e  dell'Aquila,  e  finalmente  il  con- 
te Nicolò  Piccini  di  Siena.  Piitornò 
poscia  la  giurisdizione  ai  pretori, 
e  presidenti  del  Piceno  ,  finché 
Paolo  V,  cosi  esigendolo  il  biso- 
gno del  popolo,  ordinò  che  fosse 
retto  dai  prelati  della  santa  Sede, 
colla  dignità  e  nome  di  governa- 
tore. Tali  prelati  governarono  sino 
al  declinare  del  secolo  decorso, 
ed  ai  primi  del  corrente,  finché 
occupato  di  nuovo  lo  stato  ponti- 
fìcio dai  francesi,  nel  1808,  Fa- 
briano divenne  vice- prefettura  e 
capo  luogo  di  un  circondario  del 
dipartimento  del  Musone:  estenden- 
dosi il  suo  territorio  a  Sassoferrato, 
Arcevia,  Barbara,  Serra  de'  Conti, 
Fossato,  e  Sigillo.  Stabilito  vi  fu 
1'  uffizio  del  bollo  e  registro,  e  can- 
celleria del  censo,  che  vi  restano 
tuttora;  e  dopo  il  18 14  venne 
stabilito  un  governatore  secolare. 
Oggi  ha  ne' limiti  del  suo  distret- 
to anche  i  governi  di  Sassoferrato, 
e  de' castelli  che  nomineremo. 

Prima  la  città  mandava  rappre- 
sentanti alla  congregazione    gover- 


FAB  2% 

nativa  delle  Marche  in  Loreto. 
Elesse  un  giudice  di  appellazione., 
ed  ebbe  talora  il  privilegio  della 
zecca,  intorno  a  cui  possono  leg- 
gersi i  Cenni  storici  pubblicati  dal 
eh.  Camillo  Bamelli  in  Fabriano 
pel  Crocetti,  nel  i838,  con  disegni 
di  monete.  Al  governo  di  Fabria- 
no soggiacciono  le  comuni  di  Ser- 
ra s.  Quirico,  cogli  appodiati  Do- 
mo, Rotorscio,  e  Sasso.  Dalla  am- 
ministrazione sua  municipale  inol- 
tre dipendono  gli  appodiati  Albacina 
con  tre  villaggi  annessi,  Cancelli, 
Cerreto,  Colle  Amalo  con  due  su- 
balterni casali,  e  San  Donalo.  An- 
ticamente Fabriano  aveva  ed  ha 
tuttora  sotto  di  sé  moltissime  vil- 
le, e  principalmente  i  seguenti 
quindici  castelli:  Albacina,  Cerreto, 
Colle  Amato,  Belvedere,  Cancelli. 
Bastia,  San  Donato,  la  Genga  feu- 
do della  famiglia  di  Leone  XII, 
e  vera  patria  di  quel  Pontefice, 
come  si  vedrà  a  quell'  articolo , 
31  o?ite  Orso,  Tor ricella,  Piero- 
sara,  Porcicchie,  Por car ella,  Ca- 
stelletta,  e  Duomo.  Di  questi  castel- 
li andiamo  a  dare  un  cenno  sto- 
rico mentre  della  Genga  (Vedi) 
se  ne  parla  a  quell'articolo. 

Albacina  fu  edificata  dopo  che 
i  longobardi ,  forse  a*  tempi  di 
Desiderio,  distrussero  l'antica  e  no- 
bile città  di  Alba  che  non  fu  ai 
piedi  dell'altissimo  monte  Sanvici- 
no  o  Suavicino,  o  dove  sorge  ora 
Albacina,  spettando  al  municipio 
di  Tufico  gli  antichi  avanzi  ,  i 
marmi  e  le  medaglie  che  si  ritro- 
vano colà  presso  la  riva  del. fiume 
od  in  Fabriano;  ma  sibbene  special- 
mente in  un  colle  detto  Cavalalbo, 
tra  Sassoferrato,  Arcevia  e  Genga, 
siccome  mostrò  il  p.  Brandimarte 
nel  suo  Piceno  annonario,  cap.  5.  Di- 
cesi che  Albacina  aveva    tre  rocche 


260  FAB 

chiamate  Altiera,  di  s.  Giorgio,  e 
Fonte,  che  la  difendevano.  Avvi 
la  chiesa  di  s.  Venanzio  vescovo 
di  Luni,  col  suo  corpo,  fiorito  nel 
VI  secolo,  la  cui  festa  celebrasi 
a' 7  giugno.  Venne  questo  castello 
sotto  la  giurisdizione  di  Fabriano 
nel  12  io  o  121 1,  facendone  dona- 
zione, altri  dicono  vendita,  Gentile 
del  conte  Franco,  il  quale  fu  dal- 
la repubblica  rimeritato  ne' discen- 
denti coli'  esenzione  da  tutte  le 
gravezze .  Il  castello  di  Cerreto 
fu  fabbricato  a' tempi  de*  goti  per 
opera  del  famoso  Belisario,  alle 
radici  del  monte  Sanvicino ,  cosi 
chiamato  dall' adorarsi  ivi  la  dea 
Cerere:  Innocenzo  III  volendo  com- 
pensare i  fabrianesi  per  l'aiuto  da- 
togli contro  Enrico  VI  imperatore 
donò  loro  il  castello  nel  1 2 1 1 .  Ivi 
fiorirono  diversi  capitani ,  e  Teo- 
baldo Starnotti  in  premio  fu  da 
Clemente  VII  fatto  comandante  di 
Castel  s.  Angelo  (Fedi).  Nelle  Me- 
morie di  Matelica,  a  pag.  68,  si 
legge  che  il  castello  di  Cerreto  fu 
venduto  a  Fabriano  a'  26  aprile 
12 io  da  Appilliaterra  figlio  del 
conte  Guarniero.  Colle  Amato,  co- 
sì detto  dalla  sua  amena  posizio- 
ne, vanta  l'origine  dagli  attidiati , 
o  dai  milanesi  profughi  dopo  l'ec- 
cidio fatto  della  loro  patria  da  Fe- 
derico I,  o  dai  fabrianesi  :  soffrì 
molto  negli  anni  11 99  pei  mate- 
licani,  e  nel  i34g  per  Alberghet- 
to  Chiavelli,  mentre  Chiavello  IV, 
signore  di  Fabriano,  nel  1421  ri- 
fece le  muraglie  che  lo  cingono. 
Colle  Amato,  per  autorità  di  Pa- 
pa Giovanni  XX,  verso  il  io33, 
passò  sotto  la  giurisdizione  di  Fa- 
briano. Belvedere  fu  dai  nocerini 
edificato  fra  l'apennino  e  il  mon- 
te Regedano  sotto  l'impero  di  Tra- 
jano,  quindi  sotto  quello   di  Gor- 


FAB 

diano  lo  venderono  per  sei  mila 
scudi  a  Camerino,  dal  quale  passò 
ai  gualdesi,  indi  di  nuovo  a  Ca- 
merino, finché  nel  io43  lo  com- 
prò Fabriano  per  ottomila  fiorini. 
Vengono  Saradica,  Cacciano t  Can- 
celli. I  due  primi  castelli  furo- 
no edificati  verso  l'anno  1129,  da 
due  mercadanti  pisani  fuggiti  dalla 
rovina  che  i  genovesi  avevano  fat- 
to di  loro  patria ,  ed  Ufred uccio, 
uno  di  essi,  li  donò  a  Fabriano, 
giacche  aveano  bene  accolti  e  fatti 
cittadini  lui  ed  i  compagni  suoi. 
Nel  i349  i  due  castelli  si  ribella- 
rono ai  fabrianesi,  il  perchè  Al- 
berghetto  I  ne  spianò  le  mura,  e 
divennero  ville.  In  quanto  a  Can- 
celli fu  una  villa,  che  per  opera 
de'  fabrianesi  divenne  castello ,  e 
perciò  cinto  di  mura,  avendo  due 
miglia  distante  la  sorgente  del  fiu- 
me Giano,  poi  chiamato  Esio.  Ba- 
stia 3  Monte  Orso  3  Torricella: 
il  primo  è  un  castello  che  alcu- 
ni fanno  salire  ad  un'epoca  roma- 
na, ed  il  cui  nome  falsa  mente  ri- 
petono dal  Busta  Gallonivi  di  Pro- 
copio, ed  altri,  quantunque  siavi 
l'avanzo  di  un'antica  strada  che  da 
Luccoli  menava  al  Senlino,  dicono 
ch'ebbe  nel  i443  l'ingrandimen- 
to da  Francesco  Sforza.  Ingrandi- 
to fu  pure  da  Tommaso  Chiavelli 
il  secondo  castello,  verso  l' anno 
i423,  ed  il  terzo  nel  1243  lo  fu 
principalmente  per  Gualtiero  Chia- 
velli. San  Donato  ebbe  principio 
con  Sassoferrato  e  Fabriano ,  cioè 
dopo  la  distruzione  di  Sentino  e 
di  Attidio,  prendendo  il  nome  che 
porta  perchè  s'  incominciò  a  fab- 
bricarlo nel  dì  sagro  a  tal  santo, 
venendo  ceduto  a  Fabriano  verso 
il  1220.  Pierosara  è  un  castello 
antichissimo  edificato  sulla  sinistra 
sponda  dell'Esio  da  alcuni  cittadi- 


FAB 

ni  romani,  fuggitivi  dalla  crudeltà 
di  Nerone,  anche  per  conservare 
la  fede  cristiana  che  avevano  ab- 
bracciata. Da  qui  passa  la  strada 
detta  la  Rossa,  tra  altissime  mon- 
tagne; e  Perosara  nel  1284,  per 
concessione  di  Martino  IV,  venne 
data  a*  fabrianesi.  Duomo  vuoisi 
edificato  dai  goti,  o  da  alcuni  osi- 
rnani  l' anno  546,  quindi  si  pose 
sotto  la  protezione  di  Fabriano  a 
cui  poi  lo  die  Gregorio  XI  in 
premio  di  fedeltà,  ovvero  Leone 
X  nel  i52o.  Le  Procicchie  e  Por- 
carella  ebbero  signori  particolari, 
donde  passò  nel  1094  ai  fabria- 
nesi. Finalmente  il  castello  di  Ci- 
vita sul  monte  di  tal  nome ,  non 
ha  che  vetuste  reminiscenze. 

Che  la  religione  cattolica  abbia 
sempre  fiorito  in  Fabriano,  oltre 
quanto  si  dirà  in  progresso,  baste- 
rà il  riflesso  che  prima  del  mille 
aveva  tutto  all'  intorno  moltissimi 
monisteri  di  benedettini,  i  quali 
vi  ebbero  potenti  abbazie;  che  nel 
secolo  XIII  vi  ebbe  culla  ed  in- 
grandimento la  congregazione  sil- 
vestrina  ;  che  vi  prosperò  in  modo 
particolare  la  francescana ,  special- 
mente in  Valle  Romita,  luogo  ce- 
lebrato da  molti  scrittori,  ed  ono- 
rato del  soggiorno  dei  santi  Fran- 
cesco d'Assisi,  Bernardino  da  Sie- 
na, Giacomo  della  Marca,  Giovan- 
ni da  Capistrano,  ed  altri  ;  che  nel 
XVI  secolo  vanta  in  s.  Maria  del- 
l'Acquarella presso  Abbacina  l'isti- 
tuzione dei  cappuccini,  i  quali  ori- 
ginati nel  modo  che  dicemmo  al 
loro  articolo,  tennero  nel  1529  in 
quel  convento,  stato  per  essi  il  ter- 
zo, il  primo  capitolo,  ove  statui- 
rono le  loro  costituzioni,  ed  elesse- 
ro il  primo  superiore  generale;  e 
finalmente  ch'entro  le  proprie  mu- 
ra, sino  alle    note    ultime  vicende, 


FAB  26! 

ebbe  dieciotto  case  religiose  d'am- 
bo i  sessi,  delle  quali  dieci  ne  so- 
no superstiti,  con  grande  utile  del- 
la città. 

Oltre  l'industria,  fiorì  in  Fa- 
briano pure  la  pittura,  che  a  giu- 
dizio del  Lanzi  fu  una  scuola  mol- 
to antica  del  Piceno.  Nel  secolo 
XV  ivi  si  fondò  un'accademia  det- 
ta dei  Disuniti,  nella  quale  fiori- 
rono molti  uomini  insigni,  e  nel 
1725  tì  fu  fondata  una  colonia 
d'Arcadia,  chiamata  Giania.  Del- 
l'accademia di  Fabriano  ne  parla 
Giuseppe  Garuffi  Malatesta  nella 
sua  Italia  accademica  ec,  Rimini 
1688.  Giuseppe  Colucci  poi  ci  ha 
dato  (  exst.  nel  tom.  XVII  dell'^rc- 
tichità  picene),  Degli  uomini  illustri 
di  Fabriano,  con  una  memoria  del 
governo  politico  di  essa  città,  e  la 
serie  dei  podestà  estratta  dai  zi- 
baldoni di  Francesco  Lancellotti. 

Qui  riporteremo  i  principali  fa- 
brianesi degni  di  special  menzione. 
Leonardo  Venimbeni,  dottissimo  fi- 
losofo, astrologo  e  poliglotto  ;  Giu- 
lio Argentino,  giureconsulto;  Tom- 
maso Agostino  Benigni,  erudito  in 
varie  scienze;  Agostino,  Giambat- 
tista, e  Girolamo  Brunetti;  Gio- 
vanni Caldoro  frate  agostiniano;  il 
classico  Gentile,  il  più  famoso  tra 
i  dipintori  della  fabrianese  scuola  : 
scuola  che  molto  fiorì  dal  XIV  al 
XVIII  secolo;  il  b.  Costanzo  da 
Fabriano  domenicano ,  il  cui  culto 
fu  approvato  da  Pio  VII  ;  fr.  Fran- 
cesco Festo  de'  minori,  santo,  e 
dotto;  diversi  della  famiglia  Flo- 
rio, e  di  quella  dei  Giampè;  Ono- 
frio Gilii  ;  Margherita  Niccolini,  di 
cui  parleremo,  e  le  poetesse  Livia 
Chiavelli ,  Ortensia  di  Guglielmo , 
Eleonora  della  Genga ,  Giovanna 
Fiori,  una  delle  prime  a  scrivere 
commedie    in    italiano;  fr.    Nicolò 


262  FAB 

da  Fabriano  ,  fatto  anticardina- 
le  dal  pseudo-pontefice  Nicolò  V 
nello  scisma  di  Lodovico  di  Ba- 
viera, filosofo,  teologo,  e  predicato- 
re esimio  ;  alcuni  lo  dicono  della 
famiglia  Chiavelli,  altri  dicono  che 
abbia  dimesso  la  dignità,  ed  altri 
che  a  lui  la  concedesse  il  Papa 
Giovanni  XXII.  Vanno  inoltre  lo- 
dati Mambrino  Roseo,  Gio.  An- 
drea Gilio,  Agostino  Angelelli,  Giu- 
seppe Favorini  Clavari ,  Antonio 
Possenti  vescovo  di  Montefeltro  ec, 
Andrea  Petrolini  camaldolese,  Sal- 
vatore Severini  agostiniano,  Anni- 
bale Stelluti,  e  Francesco  Stelluti, 
uno  de'  primi  tre  compagni  di  Fe- 
derico Cesi  nella  fondazione  della 
celebre  accademia  de'  lincei.  Ma 
su  di  questo  insigne  letterato,  va 
letto  il  dotto  Discorso  intorno  a 
Francesco  Stellati  da  Fabriano  , 
del  chiarissimo  suo  concittadino,  il 
professore  Camillo  Ramelli  acca- 
demico linceo,  e  membro  di  al- 
tre accademie,  Roma  iSzj-i-  Final- 
mente meritano  special  menzione 
il  Cardinal  Giuseppe  Vallemani 
(Vedi)3  nato  da  Francesco,  e  da 
Maddalena  de'  conti  della  Genga, 
ch'ebbe  la  sagra  porpora  da  Cle- 
mente XI  ;  Francesco  Corradini , 
vescovo  de'Marsi,  oltre  altri  di  que- 
sta famiglia;  Reginaldo  Archibu- 
gieri, abbate  generale  de' camaldo- 
lesi ;  Alberghetto  Chiavelli,  erudi- 
tissimo in  tutte  le  scienze;  Vin- 
cenzo Petrolini,  vescovo  di  Mura- 
no; Pietro  degli  Anselmi,  filosofo 
dottissimo  a  cui  la  morte  involò 
la  porpora  cardinalizia;  Vincenzo 
Pierini  medico;  Adriano  Bussi,  e 
Andrea  Vallemani,  abbati  camal- 
dolesi ;  e  sul  fine  dello  scorso  se- 
colo il  Buti,  il  Saraceni,  il  Cinotti, 
il  Marcellini,  il  Casini,  ed  i  pre- 
lati Carlo  Vallemani,  Carlo  ed  At- 


FAB 

tone  Benigni,  Silvestro  Bargagna- 
ti  ec.  ec,  senza  nominare  altri  che 
fiorirono  per  dignità  ecclesiastiche 
e  civili,  nelle  arti,  nelle  scienze,  e 
in  santità  di  vita,  e  persino  nelle 
armi.  Fra  i  santi  però  sono  a  ri- 
cordarsi il  b.  Costanzo,  il  b.  Gio- 
vanni dal  bastone,  i  beati  Gio- 
vanni e  Pietro  fratelli  Becchetti 
agostiniani ,  il  b.  Venimheni ,  il  b. 
Andrea  Sanucci,  il  b.  Ranieri,  ed 
altri  trenta  de'  quali  si  pregia  que- 
sta città. 

Fabriano  ebbe  origine  nel  se- 
colo Vili ,  dopo  che  i  longobardi 
furono  vinti  dalle  armi  di  Carlo 
Magno,  e  dopo  che  fu  distrutto  il 
loro  regno.  Non  ebbe  origine  dalla 
distruzione  di  Sentino  fatta  da  quei 
barbari,  ma  sibbene  dalle  rovine 
di  Attidio  manomessa  da  Alarico 
re  de' goti,  o  dagl'istessi  longo- 
bardi, o  da  quelli  di  Tufico,  altro 
municipio  appartenente  alla  tribù 
Affentina  di  sopra  ricordato ,  che 
soggiacque  alla  stessa  sorte,  di 
cui  parla  il  Colucci  nelle  Antichi- 
tà picene,  t.  II,  e  di  cui  si  dette- 
ro non  ha  guari  alcune  lapidi  ine- 
dite nel  Tiberino ,  e  nell'Arcadico 
giornali  romani,  dal  lodato  Ramel- 
li. Attidio  o  Attiggio  fu  antica  e 
nobile  città,  non  che  municipio  dei 
romani,  appartenente  alla  tribù  Le- 
monia,  come  attestano  molti  sto- 
rici, le  medaglie,  ed  altri  avanzi 
di  sua  esistenza  rinvenuti  nel  ca- 
stello di  Attiggio ,  posto  nel  sito 
ove  sorgeva  la  città,  cioè  nella  pia- 
nura eh'  è  tra  Fabriano  e  Colle 
Amato.  Sembra  che  nel  novembre 
del  41 19  Alarico  la  facesse  distrug- 
gere, ma  non  si  può  affermare. 
Certo  è  che  il  castello  che  gli  suc- 
cesse, col  territorio,  fu  donalo  al 
comune  di  Fabriano  nell'  anno 
ii 65;  come  è  altresì  vero,  che  i 


FAB 
fabriauesi  ebbero  per  lungo  tempo 
e  sino  al  1216  il  fonte  battesimale 
nel  castello  di  Attidio.  Dell'antica 
città  di  Attidio  parla  Giuseppe  Co- 
lucci  nelle  Antichità  picene  ,  tom. 
IV. 

Dopo  la  vittoria  Carlo  Magno 
restituì  al  Pontefice  Adriano  I  le 
terre,  che  i  longobardi  avevano 
usurpate  alla  Chiesa  romana,  tra 
le  quali  quelle  di  questa  regione. 
Gli  abitanti  di  Altiggio  ed  altri 
de'  dintorni,  tratti  dalla  temperan- 
za dell'  aria,  dalla  comodità  delle 
acque  e  dalla  bellezza  del  sito  co- 
minciarono la  edificazione  di  Fa- 
briano, verso  l'anno  776  o  777, 
e  siccome  vi  esistevano  egualmen- 
te che  in  Sentino  e  Tufìco  ricchi 
e  celebrati  collegi  di  artisti  (alla 
latina  Fabrorum),  che  il  Murato- 
ri interpretandone  i  marmi,  e  i 
decreti  tuttora  esistenti  ,  giudicò 
essere  dei  Cen tonarli,  ossia  facito- 
ri di  schiavine  ed  altri  lavori  vili 
di  lana  (  arte  principalissima  in 
Fabriano  dalla  sua  origine  a  tutto 
lo  scorso  secolo  siccome  dicemmo), 
e  dei  Denaro  fori  ,  ossia  sacerdoti 
di  Cibele  ed  A  ti  o  Attide,  tanto 
perciò  connessi  con  Attidio  sacro 
a  quella  seconda  divinità  ;  cosi  si 
reputa  con  fondamento  che  dai 
collegi  sopraddetti  Fabriano  venis- 
se fabbricata  e  traesse  il  nome,  os- 
sia come  Pompejanum  da  Pom- 
pei ,  Lucullianum  da  Lucullo,  Tul- 
lianum  da  Tullio,  ed  altri  molti 
luoghi  che  furono  alla  latina  chia- 
mati. Egualmente  lo  sarà  stato 
Fab rianimi  da  Fabri ,  cioè  artisti 
ed  artigiani  di  Attidio  e  Tufico. 
Ne  qui  va  taciuto,  sebbene  poco 
appoggiata  dalla  critica,  sulla  ori- 
gine di  questa  città,  la  costante  tra- 
dizione storica  tramandata  sino  a 
noi   dalla  remota  antichità,   dicen- 


FAB  263 

dosi  che  primieramente  si  compose 
di  due  castelli,  uno  chiamato  Pog- 
gio, ov'è  ora  il  monistero  di  s.  Mar- 
gherita, l'altro  appellato  il  Castel 
vecchio,  cioè  dove  sorge  il  moni- 
stero  di  s.  Caterina.  Essendo  tra 
le  genti  di  questi  due  luoghi  tan- 
to vicini,  divisi  solo  da  piccola  val- 
le, frequenti  discordie  ed  inimi- 
cizie, un  buon  vecchio,  per  nome 
chiamato  mastro  Marino,  che  go- 
deva presso  gli  abitanti  de'  due 
luoghi  qualche  reputazione,  ed  eser- 
citava sul  fiume  Giano  ,  poco  più 
da  basso  nella  valle,  ov'è  ancora 
il  ponte  antico,  il  mestiere  della 
fabreria,  spesse  volte  gli  mise  d'ac- 
cordo, e  gli  riuscì  persino  a  for- 
mare dei  due  castelli  un  solo,  affin- 
chè godessero  gli  abitanti  perpe- 
tua pace.  Gli  abitanti  allora  inco- 
minciarono a  dilatarsi,  ed  a  for- 
mar la  terra  che  poi  chiamarono 
Fabriano,  come  quella  che  per  ope- 
ra del  fabbro  dimorante  sul  fiume 
Giano,  ebbe  principio,  ciocché  cor- 
risponde all'  impresa  araldica  della 
comune  di  cui  facemmo  di  sopra 
parola.  Si  narra  ancora  che  i  sen- 
tinati,  e  gli  altri  abitatori  di  que- 
sti luoghi  ottenessero  a  Fabriano 
da  Adriano  I,  e  da  Carlo  Magno  il 
mero  e  misto  impero;  che  per 
agevolare  l' erezione  degli  edilizi, 
per  dieci  anni  fossero  esentati  da 
ogni  pubblica  gravezza;  e  che  Lo- 
dovico vescovo  di  Sentino  ponesse  la 
prima  pietra  ne'  fondamenti ,  rile- 
vandosi che  sino  da'  suoi  principii 
la  città  prese  quella  celebrità,  che 
la  fece  noverare  come  uno  de'  quat- 
tro nobili  e  grandi  castelli  pri- 
mari d'Italia. 

Sino  all'anno  io  io  non  si  han- 
no certe  notizie  storiche  del  suc- 
cessivo stato  di  Fabriano,  se  non 
che    a    detto    anno    figurarono    in 


a64  FAB 

aiuto  della  repubblica  di  Firenze, 
e  contro  Fiesole,  i  capitani  fabria- 
nesi  Antonio  e  Federico  alla  testa 
di  trecento  concittadini ,  che  coo- 
perarono alla  disfatta  di  Fiesole. 
Quando  1'  imperatore  Enrico  IV 
rivolse  le  sue  armi  contro  Firen- 
ze, colla  quale,  non  meno  che  con 
Genova,  Fabriano  per  Farle  della 
lana,  principaJe  anche  in  quelle  fa- 
mose repubbliche,  ebbe  comuni  in- 
teressi, reggimento  e  perfino  il  sau- 
to protettore  Gio.  Battista,  fu  da 
duecento  fabrianesi  sussidiata  Fi- 
renze stessa,  che  li  ricolmò  di  do- 
nativi dopo  aver  respinto  l' impe- 
ratore. Non  solo  Fabriano  divenne 
confederata,  pel  valore  de'  suoi,  di 
Firenze,  ma  anche  di  Foligno,  e 
di  Perugia.  Nella  occupazione  che 
fece  l'imperatore  Federico  I,  dei 
dominii  della  santa  Sede,  un  suo 
parente  capitano  di  cinquecento  uo- 
mini, chiamato  Ruggiero  di  Chia- 
velli, s' impadronì  di  Fabriano ,  e 
trattolla  sì  soavemente  che  gli  abi- 
tanti presero  ad  amarlo,  il  perchè 
Ruggiero  li  protesse  presso  Fede- 
rico I,  ed  in  vece  di  seguirlo  nella 
spedizione  dell'Asia,  si  elesse  Fa- 
briano per  patria,  congiungendosi 
in  matrimonio  colla  figlia  del  si- 
gnore della  rocca  chiamata  la  Ca- 
pretta. Da  questo  maritaggio  deri- 
varono quelli  che  in  progresso  po- 
tentemente dominarono  Fabriano. 
II  benemerito  storico  di  Fabria- 
no Scevolini,  domenicano  di  Ber- 
tinoro,  dice  che  la  famiglia  Chia- 
relli è  antica  d'Italia,  non  prove- 
niente da  Germania ,  muovendolo 
a  ciò  affermare,  la  memoria  della 
beata  Filomena.  E  perciò  a  saper- 
si, che  in  Sanseverino  a'  5  luglio 
i526,  facendosi  nella  chiesa  di  s. 
Lorenzo  di  nuovo  l'altare  maggio- 
re,   si    rinvenne    nel   muro  antico 


FAB 

una  cassa  di  legno,  che  sembrava 
fatta  da  poco  tempo,  con  entro  un 
corpo  tutto  intero,  colle  treccie  dei 
capelli  al  capo  avvolte  con  vari  fio- 
ri ed  erbe,  che  sembravano  allora 
colte,  e  con  questo  scritto  :  «  Cor- 
»  pus  sanctae  Philomenae  ex  nobi- 
h  li  Clavellorum  prosapiae  septem- 
»  pedanae  tempore  gothorum  trans- 
Ai  latura  in  ecclesia  s«  Severini 
»  post  aliare  majus  ";  e  nel  fine 
Severinus  episcopus  maini  propria. 
Da  ciò  si  vede  che  la  famiglia  Chia- 
velli già  era  nobile  ed  antica  in 
Settempeda ,  dalle  cui  reliquie  si 
edificò  Sanseverino,  al  tempo  dei 
goti,  e  che  verso  l' anno  \\i  si 
portarono  in  Roma  ;  od  almeno 
che  nelle  vicende  politiche,  i  Chia- 
velli passarono  in  Germania,  dove 
s'imparentarono  colla  famiglia  di 
Federico  I,  e  ritornati  con  lui  nel- 
le loro  parti,  vi  si  vollero  ristabi- 
lire. 

Subito  i  fabrianesi  nel  1179 
provarono  gli  effetti  del  valore  e 
perizia  militare  di  Ruggiero  Chia- 
velli, contro  Camerino,  Rimini,  ed 
Ancona.  Quindi,  essendo  morto  nel 
1197,  fu  sepolto  onoratamente  nel- 
la chiesa  ora  cattedrale  di  s.  Ve- 
nanzio. Qui  noteremo  che  la  pri- 
ma alleanza  che  fecero  i  matelica- 
ni  coi  fabrianesi  nobili  e  plebei, 
fu  nel  1191,  ma  fu  rotta  di  poi 
nell'anno  1 199,  indi  ristabilita  con 
solenne  concordia  con  diversi  ca- 
pitoli nel  121 1.  Intanto  conser- 
vandosi Fabriano  fedele  alla  santa 
Sede,  mentre  Marcualdo  generale 
dell'impero  teneva  tirannicamente 
la  provincia  della  Marca ,  supera- 
rono il  nemico  con  forte  esercito  , 
guidato  dal  prode  Gualtiero  figlio 
di  Ruggiero.  Indi  nel  i23i  s.  Sil- 
vestro Gozzolini  d'  Osimo ,  fondò 
nel  monistero  di  Monte   Fano,  da 


FAB 
lui  edificato  presso  Fabriano ,  la 
congregazione  monastica ,  che  da 
lui  prese  il  nome  di  Sìlvestrina 
(Fedi).  Disgustatosi  il  Pontefice 
Gregorio  IX  coli'  imperatore  Fede- 
rico II,  nacquero  o  per  dir  meglio 
si  aumentarono  le  celebri  e  mal- 
augurate fazioni  de'  Guelfi  (Vedi), 
e  de'  Ghibellini  (Vedi),  i  primi  se- 
guaci del  Papa,  i  secondi  dell'im- 
peratore. Ne  provò  i  funesti  effetti 
lungamente  anche  Fabriano,  dappoi- 
ché Alberghetto  Chiavelli ,  con  la 
parte  de'  più  nobili,  si  diede  a  se* 
guir  la  fazione  ghibellina,  tentando 
d' insignorirsi  della  città,  e  il  po- 
polo si  accordò  co'  guelfi  ;  per  lo 
che  molte  volte  fu  cacciato  Alber- 
ghetto ,  e  molte  volle  da  lui  fu 
presa  Fabriano  e  governata  a  suo 
modo.  3Nel  1255  Frollando  nipote 
di  Alessandro  IV,  rettore  e  legato 
della  Marca,  permise  ai  fabriane- 
si,  ed  ai  matelicani  di  poter  guer- 
reggiare coi  camerinesi;  indi  Al- 
berghetto ingrandì  le  mura  di  Fa- 
briano, comprendendovi  il  moni- 
stero  degli  agostiniani  eretto  dal 
suo  genitore  Gualtiero,  ingrandi- 
mento che  la  comune  compi  nel 
i3oo.  Passati  sei  anni  Alberghet- 
to fu  dalla  città  cacciato,  nel  qual 
tempo  furono  creati  in  Fabria- 
no sedici  gonfalonieri,  quattro  cioè 
per  ogni  quartiere,  per  opera  d'un 
podestà  pisano,  che  diede  il  nome 
alla  porta  verso  s.  Antonio,  onde 
conservar  la  pace  e  la  libertà  del- 
ta terra.  Contemporaneamente  fu 
segnalo  il  trattato  di  pace  tra  Ca- 
merino da  una  parte,  e  Matelica, 
Sanseverino  e  Fabriano  dall'  altra. 
Non  andò  guari,  che  nel  1 3 1 7  Al- 
berghetto con  trecento  cavalleggie- 
ri  ritirandosi  dal  servigio  che  avea 
preso  nell'  esercito  del  re  di  Napo- 
li, occupò  Fabriano,   e  profittando 


FAB  265 

delle  cittadine  discordie,  volle  es- 
serne chiamato  signore.  Ampliò 
quindi  le  muraglie  per  compren- 
dervi le  case  edificate  al  di  fuori, 
e  mentre  la  cappella  di  s.  Nico- 
lò convertiva  in  una  chiesa ,  do- 
vette fuggire. 

Afflitta  l'Italia  per  la  residenza 
che  i  Pontefici  sino  dal  1 3o5  fa- 
cevano in  Avignone,  fu  messa  a 
scompiglio  dallo  scismatico  Lodo- 
vico di  Baviera,  ed  allora  Alber- 
ghetto profittando  delle  circostan- 
ze, ed  essendo  stato  fatto  vicario 
di  Fabriano  da  Lodovico,  come  si 
ha  dal  Borgia,  Memorie  isteriche, 
t.  Ili,  p.  3oo„  costrinse  i  fabria- 
nesi  a  ribellarsi  alla  Chiesa  ro- 
mana, e  ad  unirsi  ai  ghibellini,  ma- 
nomettendo con  essi  più  luoghi , 
finche  l'esercito  ecclesiastico,  coman- 
dato da  Tanò  signore  di  Reggio, 
distrusse  quello  de'fabrianesi,  e  la 
città  trovossi  in  profondo  lutto  im- 
mersa, per  tanti  morti,  e  tante 
perdite  fatte,  non  che  involta  nel- 
la lagrimevole  eresia  de'  Fraticelli 
(Vedi),  che  sussistettero  sino  al 
pontificato  di  Martino  V,  ed  in 
Fabriano  sino  a  Nicolò  V.  Nella 
coronazione  eh'  ebbe  luogo  in  Ro- 
ma del  suddetto  Ludovico,  fr.  Ni- 
colò da  Fabriano  eremitano  di  s. 
Agostino,  montò  in  un  luogo  emi- 
nente, invitò  a  difendere  l'impe- 
ratore, che  il  Pontefice  Giovanni 
XXII  avea  scomunicato,  quindi  in- 
veì con  un  discorso  contro  di 
lui,  e  in  favore  di  Ludovico.  Al- 
lora questi  dichiarando  decaduto 
Giovanni  XXII,  creò  in  antipapa 
Nicolò  V,  il  quale  tra  i  sette  Car- 
dinali che  promulgò,  vi  comprese 
fr.  Nicolò  da  Fabriano,  e  spedi 
nuovi  vescovi  in  varie  parti.  Non 
deve  però  tacersi,  che  nelle  citate 
Memorie  di  Matelica,  a  pag.  1 1 7, 


266  FAB 

è  detto  all' unno  i326,  che  io  tal 
lillà  i  frabrianesi,  da  Amelio  ret- 
tore furono  riconciliati  col  Ponte- 
fice Giovanni  XXII.  11  Colucci  nel- 
la sua  Trcjity  a  pag.  i  17  e  seguen- 
ti, narra  come  il  detto  Papa  fa- 
cesse assolvere  i  fabrianesi,  dopo 
che  essi  cogli  altri  ribelli  ebbero 
giurato  fedeltà  nelle  mani  di  Pie- 
tro vescovo  Mirapiscense,  a  ciò  de- 
stinalo dal  Cardinale  Bertrando  ret- 
tore della  provincia,  di  abbando- 
nare il  partito  ghibellino,  e  quello 
del  principe  bavaro,  che  avea  spe- 
dito nella  Marca  il  conte  di  Chia- 
lamonle  per  guadagnar  genti.  Con- 
linuando  le  rappresaglie  di  Alber- 
ghetti) su  Fabriano  e  circostanti 
terre  dalla  rocca  di  Bellario  ove 
crasi  fortificato,  il  legato  della  Mar- 
ca per  Benedetto  XII,  nel  1 338 
inviò  a  Fabriano  Lipazzo  di  Osi- 
mo  per  una  tregua  e  pace  gene- 
rale, il  quale  colla  sua  persuasiva 
facondia,  ricompose  gli  animi.  Al- 
berghetto  restituì  la  rocca  di  Bel- 
lario alla  comunità,  e  questa  a  lui 
le  possessioni,  e  la  calma  fu  resti- 
tuita a  Fabriano  ;  sol  per  poco 
turbata  da  molti  banditi  ,  dalia 
carestia  del  1 34o,  e  dalla  succes- 
siva pestilenza.  Passati  sei  anni, 
Alberghetto,  tratto  dalla  cupidità 
di  dominare,  si  congiunse  con  Nol- 
fo  conte  di  Urbino,  si  portò  ad 
occupar  la  città  contro  la  data  fe- 
de, e  per  tre  anni  pacificamente 
la  dominò,  superando  il  colpo  di 
mano,  che  avea  tentato  per  oppri- 
merlo M.  Salimbene  dottore  e  ca- 
valiere bandito  da  Fabriano,  e  i 
suoi  seguaci.  Per  sì  fatto  emergen- 
te, alcune  famiglie  stanche  dai  fre- 
quenti tumulti  che  gravitavano  sul- 
la patria,  passarono  a  stabilirsi  in 
Grecia,  in  Schiavonia,  ed  altrove, 
vedendo  l'Italia   tutta  sossopra  per 


FAB 

la    dimora    dei    Pori  telici    in    Avi- 
gnone. 

Correndo  l'anno  1 347  Bel  MU:_ 
se  di  deccmbre  ,  Fabriano  accolse 
con  grandissima  pompa  Lodovico 
I  re  d'  Ungheria,  il  quale  con  po- 
deroso esercito  recavasi  nel  regno 
di  Napoli  per  vendicare  la  vitu- 
perosa morte  del  fratello  Andrei, 
marito  della  famosa  regina  Gio- 
vanna I.  Il  re  fu  incontrato  sino 
a  Sassoferrato ,  e  magnificamente 
trattato  da  Alberghetto  signore  del- 
la città,  il  quale  profittando  del- 
l'assenza de' Pontefici  per  consoli- 
darsi nel  potere,  mosse  i  cittadini 
ad  offrire  al  re  il  loro  governo,  e 
ad  implorare  la  sua  protezione.  Lo- 
dovico I  accettò,  promise  difesa 
e  protezione,  regalò  con  ricchi  pre- 
senti Alberghetto  e  la  repubblica; 
indi  da  Napoli  inviò  in  governa- 
tore, con  diploma  dato  a'  22  feb- 
braio i348,  Giovanni  figlio  di  Lan- 
cislao  di  Rade,  colla  provvisione  di 
sessanta  fiorini  d'oro  per  ogni  me- 
se, raccomandandogli  il  buon  go- 
verno, tutela,  e  cura  di  Fabriano, 
sue  terre  e  castella.  Alberghetto, 
co'  fratelli  Giovanni  e  Crescenzio 
Chiavelli  furono  invitati  dal  re  a 
seguirlo  colle  loro  belle  truppe  al- 
la conquista  del  regno  di  Napoli, 
ove  si  distinsero  in  Sulmona,  e  nel- 
le altre  vittorie  riportate  dai  regi 
eserciti.  In  progresso  Alberghetto, 
imitando  gli  Ottoni  di  Matelica,  i 
Scala  di  Sanse  veri  no,  entrato  in  le- 
ga con  Giovanni  Visconti  ghibellino 
che  aspirava  al  regno  di  Italia,  co- 
me da  istromento  de'  2  5  marzo 
i353,  sostenne  la  sua  dominazio- 
ne contro  i  banditi,  contro  le  ri- 
belli terre,  e  contro  i  perugini  col 
ricuperare  Rocca  Contrada,  mentre 
la  peste  imperversò  sui  fabrianesi, 
e  fece  molte  vittime;    tutlavolta   la 


FAB 
città  ebbe  da  Alberghetto  de' miglio- 
ramenti, e  la  chiesa  di  s.  France- 
sco ebbe  principio,,  non  facendo  più 
menzione  gli  storici  dell'  ungherese 
domina/ione.  Bramoso  il  Pontefice 
Innocenzo  VI  di  liberare  i  dominii 
della    santa    Sede    dai   tiranni   che 
li  signoreggiavano,  spedì  in  Italia  il 
valoroso  Cardinal  Egidio  Albori  ioz 
con    grande   autorità,  il  perchè  fu 
sollecito  Alberghetto  di  portarsi  ad 
Orvieto,    ed    accomodossi  con  lui; 
ma  però  il  Cardinal    legato,    giun- 
to a  Sassoferrato,  fece  rimettere  in 
Fabriano  i  banditi  da  Alberghetto 
che  per  sicurezza  si    ritirò.  Ed  es- 
sendo Fabriano  indifeso,  nel    i358 
Anichino    Mongrado    capitano    dei 
sanesi,  minacciò  di  rovinarlo  e  sac- 
cheggiarlo,   onde    il  legato  avendo 
le    sue   genti    rivolte  ad    altre  im- 
portanti  imprese,  gli  die  quaranta 
mila  fiorini    acciò  tornasse  in    To- 
scana. Nel     1 363    la   pestilenza   ri- 
comparve a  Fabriano,  e  nel    i365 
vi  ritornò  Alberghetto,  facendo  tron- 
car   il  capo   a    coloro  ch'erano    ri- 
corsi al  Cardinal  Albornoz;  e  quan- 
do questi  fu  da  Urbano  V  riman- 
dato in    Italia,  Alberghetto    se  ne 
procurò  il  favore.  Ma  morto  poco 
dopo  il  legato,    M.  Ghino  Presen- 
tacelo con  altri  labrianesi  recaron- 
si  a  Viterbo    a'  piedi  del   Pontefice 
Urbano  V,    supplicandolo   che  vo- 
lesse liberar    Fabriano  dalla  tiran- 
nide di  Alberghetto,  il  quale  per- 
ciò col  figlio  Guido  passò  al  servi- 
zio della  signoria  di  Venezia,  dopo 
che   un    pontificio    commissario    in 
nome  di  Urbano  V,  e  del  sagro  Colle- 
gio l'avea  invitato  a  presentarsi  in  Vi- 
terbo. Narra  il  Colucci  citato,  a  pag. 
i3g,  che  nel    1367  le  armi  pontifì- 
cie espugnarono  Fabriano,  e  col  l'aiu- 
to de'  montecchiesi  lo  ridussero  alla 
divozione  della  Sede  apostolica. 


FAB  267 

M.  Ghino,  pagati  5oo  ducati,  ot- 
tenne la  rocca  di  Fabriano ,  e  si 
fece  signore  della  patria;  ma  dopo 
due  anni  venne  deposto,  e  temen- 
do il  ritorno  di  Alberghetto,  gli 
domandò  perdono,  e  procurò  che 
rientrasse  al  dominio  nel  1370. 
Però  Urbano  V  l'obbligò  a  resti- 
tuire Fabriano  alla  Chiesa,  altri- 
menti l'avrebbe  punito  colla  mor- 
te in  Viterbo  ov'erasi  portato,  quan- 
do ivi  lo  richiamò  il  Pontefice.  In 
questa  città,  a' 7  luglio,  Alberghet- 
to morì  d'anni  cento  dodici,  e  pla- 
cidamente, dopo  aver  esortato  il  fi- 
glio Guido  a  non  usurpar  le  giu- 
risdizioni di  s.  Chiesa.  Fu  sepolto 
onorevolmente  nel  duomo,  ed  Ur- 
bano V  fece  capitano  il  detto  fi- 
glio, con  stipendio,  perchè  aveagli 
promesso  ricuperare  alla  Chiesa  il 
vicariato  di  Rimini,  con  speranza 
di  riavere  Fabriano.  Intanto  i  la- 
brianesi tentarono  di  porsi  in  li- 
bertà, mentre  Gregorio  XI  era  in 
guerra  co' fiorentini,  i  quali  ambiro- 
no signoreggiarlo  in  concorrenza  di 
Ridolfo  da  Camerino,  che  fecero 
nelle  piazze,  e  sulle  porte  della 
città  dipingere  come  traditore,  per 
averli  abbandonati ,  affine  di  seguir 
il  partito  del  Papa.  Indi  benché 
Gregorio  XI  avesse  restituita  a  Ro- 
ma la  residenza  papale,  nel  1378 
Guido  di  notte  tempo  occupò  im- 
provvisamente Fabriano,  e  dopo 
parecchi  fatti  d'  armi  coi  bretoni 
ed  altre  milizie  della  Chiesa,  Fabria- 
no fu  orrendamente  saccheggiato, 
e  Guido  potè  signoreggiarlo  senza 
contrasti  per  tre  anni,  nel  qual  tem- 
po edificò  il  monistero  di  s.  Cate- 
rina de'  monaci  Olivetani ,  ove  nel 
i383  ebbe  sepoltura,  avendo  pri- 
ma sostenuto  molti  combattimenti 
co'vicini  castelli.  Qui  va  notato  che 
alcuni  tolgono    a    Guido  il  merito 


268  FAB 

di  tal  edificazione,  come  sì  ha  da- 
gli   A anali  camaldolesi    t.    VI,  p. 
i43.  Tommaso  suo  figlio  amò   la 
pace,  fu  lontano  di  tiranneggiar  la 
patria,  che  perciò    l'onorò  sempre, 
e  l'aggregò    al    consiglio.  Stette  in 
questo    tempo    Fabriano    per    ben 
venti  anni    senza  guerre,  il  perchè 
fiorì  in    ogni  maniera ,  e  per    ric- 
chezze.   Nel    1401    si   trovavano  ivi 
ventiquattro  cavalieri  aurati,  altret- 
tanti dottori,  sette  medici  eccellen- 
ti, e   nove    valorosi  capitani.    Suc- 
cessero quindi  discordie  tra'cittadi- 
ni  per  la  forma  del  reggimento,  ed 
a    rimediarvi    fu   eletto    Tommaso 
Chiavelli  a  capo  del  magistrato,  che 
avendo  pienamente  corrisposto  alla 
confidenza    di  sua    patria,  ad    onta 
della  sua  virtuosa  ripugnanza,  ven- 
ne obbligato  e  costretto  dal  popo- 
lo a  conservare  il  potere,  e  Boni- 
facio IX,  nel  i4°4>  1°  dichiarò  vi- 
cario della  Chiesa  in  Fabriano.  Tom- 
maso si    die  tutto    alle   opere  pie  : 
edificò    a'  domenicani    il    convento 
di  s.   Lucia,  nella  qual  chiesa  era- 
no le    sepolture    de'Chiavelli;   fece 
un  ospedale  pei  poveri;  dotò  mol- 
te  donzelle,    e  procurò    al    popolo 
l'abbondanza,  la  libertà  e  la  pace, 
per  cui  fu  amaramente  pianto,  quan- 
do la    morte  troncò    i  suoi    giorni 
nel   i4°9- 

Gli  successe  nel  potere  il  fratel- 
lo Alberghetto  II,  pieno  di  belle 
doli,  e  di  maturo  consiglio,  dotto, 
giusto  e  valoroso.  Prospero  fu  il 
suo  governamento  :  aggrandì  la 
muraglia  di  porta  Cervara,  e  quel- 
la del  Piano,  e  indi  fino  a  s.  Ni- 
colò ;  ma  mentre  era  stato  chia- 
mato a  Milano  per  capitano  dal 
duca  Filippo  Maria  Visconti ,  e 
mentre  nutriva  intenzione  di  ricu- 
perare lo  stato  degli  avi  suoi,  nel 
14^1 5  terminò  di  vivere,  lasciando 


FAB 
tre    figliuoli,   Guido,    Chiavello,    e 
Tommaso  II,  i  quali  un  dopo  l'air 
tro  ebbero  il  principato  di  Fabria- 
no. Guido,  per  malsana  salute,  fe- 
ce   governare    Chiavello,    e    morì 
dopo    due    anni.    Chiavello   corag- 
gioso,   e  di  singoiar  giudizio  nelle 
cose  militari,    riuscì    mirabilmente 
in  ogni  impresa,  e  stette  alquanto 
allo  stipendio  del  duca  di  Milano, 
donde  ne    partì    per   ricomporre  i 
fabrianesi,    che    volevano  insorgere 
contro  la  sua  famiglia.  Parlò  gra- 
vemente nel    consiglio    delle  bene- 
merenze de' suoi    antenati,   ciò  che 
nel  popolo   produsse  a    un   tempo 
amore  e  spavento;  e  gli   riuscì  bo- 
nariamente far    ritornare  all'ubbi- 
dienza i  castelli    ch'eransi  ribellati 
a  Fabriano ,  e  superare  alcuni  po- 
tenti   nemici  di  esso.    Indi  passato 
allo  stipendio  de' veneziani  con  buo- 
na compagnia    di  cavalli,    morì  in 
Venezia  nel    14^8,  venendo  trasfe- 
rito   il    suo    corpo   a    Fabriano,    e 
sepolto  al  luogo  della  Romita,  pres- 
so le  ceneri  di  sua  consorte  Livia. 
Allora  prese  la  signoria  di  Fabriano 
Tommaso  II  benché    avanzato  nel- 
l'età, per  cui  visse  senza  far  nulla 
degno    di     memoria ,     ed     avendo 
molti  figliuoli,  al  primogenito  Bat- 
tista die  il  governo  della  terra;  ma 
questi,  giovine  senza  esperienza,  si 
regolò  secondando   il  furore  e  l'im- 
peto giovanile.    Immerso  in  amori 
disonesti,  gravò  il  popolo  di  contri- 
buzioni, e  spendeva  con  prodigalità 
oltre  le  sue  forze.  Per  queste  cose 
nell'anno  i435  fu  da  molti  del  po- 
polo fatta  una    congiura    a  danno 
della  famiglia  Chiavelli,  che  scoppiò 
nella  chiesa  di  s.  Venanzio,  mentre 
tutta  la  famiglia-  assisteva  nel  coro 
alla  messa,  essendo  il  dì  dell'Ascen- 
sione. Sedici  masnadieri   congiurati 
si  condussero  a  tal  effetto  nel  coro, 


FAB 

ma  indugiando  nell'atroce  disegno, 
Jacomo  di  Nicola  ne   die  la    mos- 
sa,   saltando  nel  coro  e  gridando, 
viva  la  libertà,  e  muoiano  i  tiran- 
ni. Spaventate  le  donne,  e  il  resto 
del   popolo  si    diedero    alla    fuga , 
mentre  i  congiurati  uccisero  Tom- 
maso, ad  onta  della  difesa  che  op- 
pose, indi  Battista  e  Borgato  suoi 
figli,  mentre  si  cantavano  le  paro- 
le  del  simbolo  :    et    incarnatus  est 
de  Spinili  sanclo.  Gli  altri  figli  sì 
di  Tommaso,  che  di  Borgato  e  di 
Battista,    due    fuggirono    verso    la 
sagrestia,    cioè   Guido    Antonio,    e 
Alberghetto,  ma   raggiunti  da  due 
congiurati   furono  ammazzati.    Al- 
tri tre  fanciulli,  Ridolfo,  Chiavello, 
e  Marco,  nascosti  presso  l'altare  ove 
celebravasi    la  messa,    non    furono 
allora  trovati,    essendo  stati  occul- 
tati dai   canonici  di   s.    Venanzio; 
in  una   parola  furono    poscia    tru- 
cidati, ed  avvelenati  gli    altri  figli. 
Le  donne  ripararono  ad  Urbino  ;  e 
di    Guido,    e  Nolfo,    altri    figli    di 
Tommaso,    che    trovavansi    fuori , 
non    se    ne    seppe    altro  .     Vuoisi 
che  in  una    famiglia    di    contadini 
della  Castelletta  solo  esista  un  ram- 
pollo del    chiaro    sangue   de' Chia- 
velli.    Venne  per    ultimo    saccheg- 
giato  ed  incendiato   tutto  ciò    che 
loro  apparteneva ,  e  senza  onore  i 
cadaveri  furono    tumulati    in  certi 
fondamenti,  che  allora  per  fabbri- 
care   si    facevano    a    s.    Venanzio. 
Sulla  famiglia  Chiavelli  può  veder- 
si il  Sansovino  nell' Origine  e  fatti 
delle  famiglie  illustri  d'Italia. 

A  cagione  delle  parentele,  che 
gli  estinti  Chiavelli  avevano  colle 
più  illustri  famiglie  d'Italia,  come 
i  Varani,  i  Montefeltro,  i  Malate- 
sla  ec,  non  essendo  la  repubblica 
in  sicuro,  i  fabrianesi  invocarono 
la  protezione  del   prode  Francesco 


FAB  269 

Sforza,  che  avea  tolto  a  Papa  Eu- 
genio   IV  la    Marca,    col   patto  di 
conservargli  la  libertà,  e  n'era  po- 
scia   stato    istituito    dal    medesimo 
in  marchese.  Per  questo  lo  Sforza 
ne  pretese    il  dominio,    anziché  la 
protezione,  e  bisognò  cedere,  nulla 
calcolandosi  che  la  santa  Sede  n'era 
la    suprema  signora  ;    ed  al  suono 
della  campana  del  comune,  convo- 
catosi   tutto  il    popolo,    il    dì    3o 
agosto,  si  gridò:  viva  il  gran  Fran- 
cesco  nostro    marchese.    Nell'anno 
seguente  lo  Sforza  con  grandissimo 
onore    fu   ricevuto  in  Fabriano,    e 
dalla  comunità  gli    furono  presen- 
tate le  chiavi    della    terra.    Quindi 
accordò  a'nemici  de'Chiavelli  esen- 
zioni, che  poscia  furono  tolte  dalla 
repubblica,    e  considerando   i  sin- 
golari pregi  del  luogo,  e  trovatolo 
degno  di  pareggiare  con  molte  no- 
bili città  di  Italia,  ordinò  lo  Sfor- 
za   1'  erezione     d'  una    rocca    alla 
porta    del  Piano,    ed  altre    fortifi- 
cazioni. Dopo  aver  difeso  Francesco 
i  fabrianesi  dal  celebre  Nicolò  Pic- 
cinino,   ritornò  a    loro  con  Bianca 
Visconti  sua  moglie,  e  fu  ricevuto 
principescamente,  e  con  archi  trion- 
fali. Non  potendo  lo  Sforza  difen- 
dere Fabriano   dalle  armi   di  Eu- 
genio IV,  esso  ritornò  al  dominio 
della  Chiesa  nel    i444>  godendone 
i  pacifici  effetti,  e  solo  agitato  da- 
gli   avanzi    dell'eresia   de' fraticelli. 
Intanto,  a  cagione  della   pestilenza 
che  infieriva   nel   i449  m    Roma, 
il    Pontefice    Nicolò    V,    accompa- 
gnato da  dieci  Cardinali  e  da  mol- 
ti   prelati,  a'  24  luglio  si  portò  in 
Fabriano,  ricevuto  con  somma  ve- 
nerazione dalla  repubblica,  dal  ve- 
scovo di  Camerino  suo  pastore,    e 
da  tutto  il  clero  con  torcie  accese, 
il  quale  processionalmente  l'incontrò 
fino  a   s.    Antonio.   Cento  fanciulli 


270  FAB 

leggiadramente  vestiti,  con  palme 
in  mano  precedettero  il  clero,  ed 
imo  recitò  al  Papa  analoghi  versi 
Ialini.  Giunto  Nicolò  V  a  s.  An- 
tonio, discese  da  cavallo,  e  ponti- 
ficalmente vestito,  entrò  nella  chie- 
sa adornata  dalla  comunità  super- 
bamente. Indi  ricevuto  sotto  bal- 
dacchino di  velluto  paonazzo  con 
fregi  d'oro,  passò  sotto  un  arco 
trionfale  alla  porta  Pisana,  in  cui 
erano  dipinte  l'opere  del  Papa  con 
bellissime  allegorie.  Tutte  le  strade 
per  ove  passò  erano  coperte  di 
panno  bianco,  e  in  diversi  luoghi 
furono  eretti  altari  riccamente  de- 
corati; e  per  un  altro  arco  trion- 
fale entrando  nella  piazza  de'prio- 
ri,  giunse  a  s.  Venanzio,  ove  be- 
nedì  il  popolo,  concedendogli  mol- 
ti anni  d' indulgenza,  e  prendendo 
alloggio  nell'  antico  palazzo  dei 
Chiavelli. 

Nicolò  V,  siccome  zelante  del- 
l'apostolico  ministero,  volle  estir- 
pare la  setta  de' fraticelli,  e  dodici 
pertinaci  nell'errore  furono  puniti 
col  fuoco,  restando  così  liberata 
Fabriano  da'  loro  pestiferi  errori. 
Fu  in  questo  tempo  che  Nicolò  V 
fece  la  loggia  di  s.  Fancesco,  e  le 
altre  cose  di  cui  facemmo  disopra 
menzione.  Margherita  Nicolini  figlia 
di  Anselmo,  e  di  già  memorata, 
rese  grande  onore  a  Fabriano  nel- 
la stazione  di  Nicolò  V;  dappoiché, 
essendo  dottissima  in  lettere  Iali- 
ne, ivi  perorò  con  forbita  orazione 
innanzi  al  Pontefice,  mitigando  il 
suo  risentimento  per  l' eresia  dei 
fraticelli  sino  allora  esistente.  La 
regalò  di  mille  scudi,  e  1'  udì  con 
piacere  disputar  più  volte  in  filo- 
sofia col  dottissimo  Poggio.  Risie- 
dendo Nicolò  V  in  Fabriano,  fece 
molti  atti  di  sua  pontificia  autori- 
tà come   Papa,    e  come    sovrano, 


FAB 

ciò  che  risulta  dai  diplomi  e  bolle 
che  abbiamo  colla  data  di  Fabria- 
no, delle  quali  ne  fa  menzione  il 
Novaes  al  tom.  V,  p.  i£5  e  seg. 
Ritornato  a  Roma  per  la  celebra- 
zione dell'anno  santo,  a  motivo 
della  peste  dovette  ritornare  nella 
Marca,  ed  a'  4  luglio  di  nuovo  o- 
norò  di  sua  presenza  Fabriano,  e 
colle  medesime  ossequiose  distin- 
zioni fu  accolto.  Indi  nel  i456 
venne  edificato  l' ospedale  di  s. 
Maria  del  buon  Gesù;  ma  la  pa- 
ce fu  a  Fabriano  interrotta  per  la 
tirannica  prepotenza  di  Guerriero, 
che  la  travagliò  in  ogni  maniera, 
e  meritò  essere  bandito  due  volte 
da  Pio  II,  cui  il  popolo  ricorse. 
Questo  Papa,  avendo  nel  1464 
stabilito  porsi  in  Ancona  alla  testa 
della  crociata  contro  i  turchi , 
passò  per  Fabriano  con  religioso 
tripudio  degli  abitanti,  che  in  ogni 
modo  ne  celebrarono  l'avvenimen- 
to, giungendo  ad  Ancona  a'  19 
luglio. 

Memorabile  fu  per  Fabriano  Te- 
poca  del  pontificato  di  Sisto  IV, 
non  solo  per  averla  dichiarata  cit- 
tà, ma  per  avere  acquistato  il  sa- 
gro tesoro  del  corpo  di  s.  Romual- 
do fondatore  de'  camaldolesi.  A- 
vendolo  due  malvagi  monaci,  con 
molti  argenti  ed  altre  cose  pre- 
ziose, portato  nascostamente  dal- 
l' abbazia  di  Val  di  Castro,  ov'  e- 
gli  morì  a'  19  giugno  del  1027, 
eh'  era  posta  sotto  il  castello  del- 
la Porcarella,  alla  città  di  Jesi  nel 
r  48 1 ,  fu  nell'  anno  seguente  a'  7 
febbraio  con  molta  pompa  e  solen- 
nità di  tu  Ito  lo  stato  fabrianese, 
portato  in  Fabriano  nella  chiesa 
di  s.  Biagio  de'  medesimi  camaldo- 
lesi. Intorno  a  questo  va  letto 
quanto  si  disse  nel  voi.  VI,  pag. 
291  del  Dizionario.  Si  narra  inol- 


FAB 
tre,  che  il  sacco  ove  i  sacrileghi 
monaci  avevano  poste  le  ossa  del 
santo,  mandasse  fiamme,  le  quali 
discoprirono  il  l'urto,  e  che  ripe- 
tendolo i  camaldolesi  dai  jesini, 
il  sagro  corpo  venne  posto  su  di 
un  carro  tirato  da  giovenche  che 
mai  avevano  provato  il  giogo,  e 
lasciatesi  in  loro  libertà  si  ferma- 
rono avanti  la  chiesa  di  s.  Biagio, 
suonando  miracolosamente  le  cam- 
pane della  citlà,  quando  il  carro 
entrò  in  Fabriano.  Certo  è  che 
fatta  causa  tra  i  jesini,  ed  i  fa- 
brianesi  su  tal  preziosa  reliquia,  il 
Cardinal  legato  della  Marca  decise 
in  favore  de' secondi,  lasciando  a 
loro  il  corpo,  e  dando  a'primi  per 
memoria  un  braccio  che  tuttora 
venerano  nella  cattedrale. 

Mentre  Fabriano  tranquillamente 
attendeva  alle  arti  ed  al  traffico, 
a' 9.0  settembre  i5iy  fu  crudelis- 
simamente saccheggiato  da  circa 
diecimila  soldati  dell'  esercito  di 
Massimiliano!  re  de' romani,  per  la 
maggior  parte  spagnuoli,  i  quali  es- 
sendo all'impresa  di  Verona,  era- 
no furibondi  per  essere  stati  licen- 
ziali in  uno  a  Francesco  Maria 
della  Rovere  duca  di  Urbino,  spo- 
gliato de' suoi  stati  da  Leone  X. 
Si  racconta,  che  mentre  le  dette 
soldatesche  danneggiavano  la  Mar- 
ca e  l'Umbria,  costrinsero  il  Papa 
a  permetter  loro  il  sacco  di  Fa- 
briano, o  di  Foligno,  nel  qual 
caso  si  sarebbero  ritirale.  Foligno 
si  difese  con  guardie,  ma  Fabria- 
no inerme  ne  fu  la  viltima  anche, 
al  dir  di  alcuni,  perchè  Leone  X 
non  avea  per  esso  premura*  dap- 
poiché per  sostenere  i  loro  dirit- 
ti, non  avevano  accettato  per  go- 
vernatore perpetuo,  e  vicario  del- 
la santa  Sede  il  Cardinal  Cibo  ni- 
pote del   Pontefice  e  da   lui  investi- 


FAB  tft 

to  della  terra.  L' esercito  nemico 
era  comandato  da  d.  Ugo  Mon- 
cada  vice-re  di  Napoli,  e  molti 
furono  i  fìibrianesi  che  restarono 
morti  e  feriti.  Salvate  furono  le 
donne  nella  rocca  e  nei  moniste- 
ri,  ma  le  case  furono  interamente 
spogliate,  in  un  al  monte  di  pietà. 
In  tarila  desolazione  la  città  spedì 
quattro  oratori  a  Leone  X,  che 
pateticamente  esposero  le  deplora- 
bili calamità  che  gravila  vano  sulla 
infelice  patria.  11  Papa  ne  restò 
commosso,  e  fulminò  la  scomuni- 
ca a  chi  avesse  acquistato  cose 
appartenenti  ai  fabrianesi,  ma  po- 
chi ne  fecero  la  restituzione  ;  indi 
le  concesse  la  quarta  parte  delle 
taglie,  benefìcio  che  durò  poco  più 
di  un  anno.  Tra  le  conseguenze 
del  disgraziato  avvenimento,  è  da 
notarsi  il  di  scaccia  mento  fatto  per 
consiglio  del  vescovo  di  Camerino 
a' 9  novembre  i5i8  delle  mona- 
che di  s.  Tommaso,  di  s.  Romual- 
do, e  di  s.  Margherita,  perchè  vi- 
vevano poco  osservanti.  La  comuni- 
tà non  si  occupò  di  loro,  per  cui 
raminghe  erano  per  essere  raccol- 
te nell'ospedale,  quando  Leone  X 
impose  al  legato  della  Marca  di 
far  loro  restituire  i  monisteri,  e 
poscia  vennero  riformate  dal  Car- 
dinal  Santiquattro. 

Tra  le  altre  disgrazie  che  pro- 
vò Fabriano,  vanno  noverate  le 
discordie  intestine,  e  il  rancore  che 
il  popolo  avea  contro  il  magistrato, 
che  lo  avea  lasciato  indifeso  all'av- 
vicinarsi degli  spagnuoli,  laonde  se- 
guirono uccisioni  e  saccheggi.  Cer- 
to Zubicco  signoreggiò  la  pallia, 
e  potè  imporre  al  Cardinal  legalo 
Armellini,  e  respingere  l' escreilo 
della  Chiesa,  pel  valore  ed  alla 
reputazione  eh'  erasi  guadagna  ir, 
Leone   X  preferì    allo    spargimene 


27*  FAI) 

di  sangue  il  chiamare  in  Roma 
il  potente  Zubieco,  e  Teobaldo 
capo  di  fazione.  Sulle  prime  sem- 
brava tutto  quietato,  ma  scuoprcn- 
dosi  che  il  Zubieco  meditava  di 
sollevar  la  Marca,  gli  fu  mozzata 
la  testa  sul  ponte  di  Castel  s.  An- 
gelo. 

Intanto  i  fabrianesi  domandaro- 
no un  governatore,  che  separata- 
mente li  governasse,  rivolgendosi 
perciò  al  Cardinal  Giulio  de' Me- 
dici, che  fu  poi  Clemente  VII.  Il 
Papa  condiscese  alla  inchiesta,  e 
fece  governatore  il  medesimo  Car- 
dinale, e  per  luogotenente  France- 
sco Chieregato  vicentino,  commissa- 
rio pontifìcio,  con  gran  soddisfa- 
zione di  tutti  per  l'esatta  ammini- 
strazione che  fu  quindi  resa  della 
giustizia. 

Nella  sede  vacante  per  Leone 
X,  in  Fabriano  si  rinnovarono  tu- 
multi, poi  puniti  negli  autori  da 
Adriano  VI  ;  ma  la  concordia  e 
la  pace  generale  si  fece  nel  i5i^ 
regnando  Clemente  VII,  dopo  es- 
sere stata  edificata  una  nuova  roc- 
ca in  forma  di  triangolo,  poco  lun- 
gi da  quella  fabbricata  dallo  Sfor- 
za, rimpetto  al  monte  di  Civita. 
Clemente  VII,  nel  i528,  confer- 
mò ai  fabrianesi  tuttociò  che  loro 
avea  concesso  nel  i520  Leone  X. 
Gli  animi  si  quietarono,  restando 
la  città  divisa  nello  spirito  in  due 
parli,  una  chiamata  ecclesiastica, 
l'altra  cliiavellesca  per  l'elezione 
de' ci  vici  magistrati.  Nella  sede  va- 
cante di  detto  Papa,  e  ne' primor- 
di del  pontificato  di  Paolo  III,  la 
pace  fu  interrotta  dalle  discordie 
suscitatesi  fra  la  comunità,  e  i  conti 
della  Genga,  per  cui  quel  castello 
andò  bruciato  per  opera  de'  fabria- 
nesi, cui  seguì  un  fiero  saccheggio, 
colla  morte    di  due  della   famiglia 


FAB 
de'  conti  della  Genga.  Paolo  III 
ne  fu  irritato,  e  multò  Fabriano 
di  pagar  alla  camera  apostolica 
sedici  mila  fiorini,  e  dodici  mila  ai 
conti  pei  danni  sofferti  ;  altri  dico- 
no che  tale  avvenimento  costasse 
a  Fabriano  più  di  sessanta  mila 
fiori  ni.  x  Ma  la  solida  pace  tra  la 
comunità  ed  i  conti,  si  deve  al- 
l'interposizione del  nipote  del  Pa- 
pa, Pier  Luigi  Farnese  duca  di 
Parma,  ch'essendo  nato  in  Fabria- 
no, la  chiamava  sua  patria,  e  le 
era  affezionato.  Paolo  III  non  so- 
lo fu  benemerito  di  Fabriano , 
per  aver  confermato  ed  ampliato 
i  privilegi,  ma  per  aver  onorato 
nel  i5/j.3  di  sua  presenza  la  città, 
in  occasione  ch'ei  portossi  a  Bolo- 
gna, e  poi  a  Busseto,  tra  Parma 
e  Cremona,  per  abboccarsi  con 
Carlo  V,  e  pacificarlo  con  Fran- 
cesco I,  come  narra  il  Ferlone, 
de' viaggi  de  Pontefici,  pag.  3 12. 
Sotto  Giulio  III  il  vescovo  di 
Camerino,  nel  i554,  rimosse  da 
Fabriano  i  monaci  silvestrini,  che 
però  a  mezzo  del  Cardinal  Crispi, 
protettore  della  congregazione,  nel 
seguente  anno  furono  reintegrati 
da  Paolo  IV.  Lo  Scevolini  dice 
che  Giulio  III  era  inclinato  a  di- 
chiarar città  Fabriano,  onde  sem- 
bra che  la  concessione  di  Sisto 
IV  non  sia  vera.  Si  legge  nel  me- 
desimo storico,  che  il  Cardinal  di 
Ravenna  fu  ricevuto  in  Fabriano 
cogli  onori  degni  d'un  Papa,  giac- 
che tra  le  altre  cose  gli  fabbrica- 
rono quattro  archi  trionfali.  Altri 
fatti  memorabili  non  presenta  la 
storia  di  Fabriano,  godendo  gli 
effetti  del  soave  dominio  della  san- 
ta Sede ,  esercitato  a  mezzo  di 
prelati,  e  poscia  di  governatori,  e 
godendo  altresì  della  protezione  di 
un  Cardinale.  Patroni    della   città 


FAB 

e  diocesi  sono  i  ss.  Gio.  Battista, 
Romualdo  e  Silvestro  abbati ,  ed 
altri  santi. 

Clemente  XII  nel  1734  fece  la 
strada  consolare,  chiamata  per  lui 
Clementina,  che  per  Fabriano ,  e 
per  Jesi  conducesse  per  Nocera  ad 
Ancona.  All'epoca  repubblicana  del 
1799,  Fabriano,  siccome  attaccata 
al  pontificio  governo,  non  voleva 
sottomettersi  a  quello  degl'invaso- 
ri, per  cui  soffrì  molti  guasti,  e 
fu  quindi  saccheggiata,  e  in  parte 
arsa  dai  francesi,  che  distrussero 
in  tal  modo  interamente  il  palaz- 
zo Valleruani;  indi  fece  parte  del 
dipartimento  del  Musone,  nella  do- 
minazione dell'  impero  francese. 
Nell'anno  poi  184.1,  e  nei  giorni 
18  e  19  settembre,  il  regnante 
Pontefice  Gregorio  XVI,  nella  vi- 
sita che  fece  di  alcuni  santuari  del 
suo  stato,  onorando  di  sua  presen- 
za Fabriano,  pose  il  colmo  alla 
religiosa  consolazione  dei  fabria- 
nesi,  il  perchè  qui  ne  riporteremo 
la  breve  descrizione  di  sua  stazio- 
ne, accennando  le  principali  dimo- 
strazioni tributategli  dall'esultante 
popolo. 

Partendo  Gregorio  XVI  da  Jesi 
la  mattina  de'  18  settembre  per 
Fabriano,  via  facendo  passò  sotto 
archi  di  verdura,  o  padiglioni  fatti 
in  comune  dai  tripudiane  e  divoti 
abitanti  di  Monte  Roberto,  Castel 
Bellino,  Majolati  (beneficata  patria 
del  valente  maestro  di  musica  com- 
mendatore Gaspare  Spontini),  Mon- 
te Carotto,  Castel  del  Piano,  Ro- 
sola, Margo,  e  finalmente  quello 
preparato  a  Serra  San  -  Quirico, 
ov'  erano  riuniti  il  clero,  la  ma- 
gistratura, e  la  popolazione.  Disce- 
so in  questo  luogo  il  santo  Padre, 
venerò  nella  chiesa  di  s.  Lucia  la 
reliquia  di  una  sagra  spina  che  ivi 

VOL.     XXII. 


FAB  a73 

si    custodisce,    e    santificata    dalla 
passione  di  Gesù    Cristo,    colman- 
do poscia  di  benedizioni   tutti    gli 
astanti.  Presso  Fabriano  il  comune 
di  Albacina,  fece  ancor  esso  le  sue 
dimostrazioni  di  festa  per   l'augu- 
sto passaggio.    Dopo    mezzogiorno, 
festeggiato  per  tutto,  giunse  il  Pon- 
tefice a  Fabriano.  Presso  la  porta 
della  città  sorgeva  un  maestoso  ar- 
co trionfale  con  iscrizioni    di    feli- 
citazione,   e    di    fedele  sudditanza. 
Era  esso  sovrastato   dal    pontifìcio 
stemma,  non  che  decorato  da  bas- 
sorilievi a  chiaro  oscuro,  da  fame 
alate,  da  due  candelabri  ,    e  dalle 
statue  de'  ss.  Pietro    e   Paolo.    Ivi 
permise  il  Papa  che    si    traesse  la 
sua  carrozza    da    un    drappello  di 
giovani  decentemente  vestiti,  di  no- 
bile e  civile  condizione.    Alla  por- 
ta Pisana,    ov' era  stato  eretto  un 
decoroso  padiglione,    gli  si  presen- 
tarono con  omaggio  di  rassegnazione 
e    di    rispetto,    monsignor  Domeni- 
co Savelli    vigilantissimo    delegalo 
della  provincia  di  Macerata,    Giu- 
seppe Gubbiani    governatore    della 
città  ,     e    il    gonfaloniere    Alessan- 
dro Altini  colla    magistratura    che 
gli  presentò  le  chiavi  della   mede- 
sima.   Lungo    il    corso    pendevano 
dall'uno  all'altro  lato  della    via  a 
foggia  di  festoni  molti  ricchi  drap- 
pi di  vario  colore    con    frangie  di 
seta   intrecciate  d' oro.    Altro  arco 
più  grande  del  precedente  era  sta- 
to eretto  presso  la  piazza  maggio- 
re, decorato  dal  pontificio  stemma, 
sorretto  da  fame  alate,    ed  avente 
nelle  due    parti    dell'  attico    corri- 
spondenti iscrizioni.  Nell'istessa  piaz- 
za fu  innalzala  nel  mezzo  una  gran- 
diosa colonna  trionfale,  invenzione, 
come  degli  altri    monumenti,    del 
fabrianese  Tommaso  Rossetti.  Sette 
iscrizioni  celebranti  le    virtù    e    le 
18 


ay4 


FAB 


gesta  del  Pontefice ,  erano  state 
collocate  attorno  la  colonna ,  nei 
rettangoli  della  base,  ed  in  mezzo; 
sotto  stavano  i  geni  delle  quattro 
parti  del  globo,  personificate  in  al- 
trettante statue;  agli  angoli  poi  del- 
la gradinata  corrispondevano  quat- 
tro statue,  rappresentanti  la  for- 
tezza, la  prudenza,  la  giustizia,  e 
la  sapienza,  con  analoghe  iscrizio- 
ni; finalmente  decorava  la  base  del- 
la colonna  l' arme  pontificia  tra 
due  fame,  e  la  gradinata  aveva  dei 
leoni  per  abbellimento.  Altre  allu- 
sive iscrizioni  poi,  erano  nella  fac- 
ciata esterna  del  palazzo  governa- 
tivo ;  in  quella  della  chiesa  de'  ca- 
maldolesi, sopra  la  porta  dell'ap- 
partamento del  contiguo  moniste- 
ro, che,  come  diremo,  fu  abitazio- 
ne del  Papa;  neh' interno  del  mo- 
nistero delle  monache  cassinesi  di 
s.  Margherita;  sull'atrio  dell'ora- 
torio comunale,  ove  fu  raccolta  una 
collezione  di  eccellenti  dipinti  fa- 
brianesi,  per  opera  dei  proprietari 
cittadini;  sull'ingresso  al  famige- 
rato museo  di  avori  Possenti;  sul- 
la porta  della  cartiera  Miliani  ; 
sulla  torre  della  comune  in  piaz- 
za ;  e  nella  facciata  del  duomo. 
Tali  iscrizioni,  con  una  dedicato- 
ria del  gonfaloniere,  magistrati,  e 
concittadini,  a  chi  n'era  glorioso 
argomento,  colle  incisioni  della  co- 
lonna, e  dei  due  archi  furono  im- 
presse in  un  opuscolo  e  dispensate. 
Tra  le  più  vive  acclamazioni  e 
sensi  di  pura  gioia,  il  sommo  Pon- 
tefice discese  dalla  carrozza  alla 
chiesa  di  s.  Biagio  de'  camaldolesi, 
ove  venne  debitamente  ricevuto  dal 
Cardinal  d.  Ambrogio  Bianchi,  già 
abbate  di  quelP  attiguo  monistero, 
ed  allora,  come  al  presente,  abba- 
te generale  della  congregazione  ca- 
maldolese, e  da  tutta  la    monasti- 


FAB 

ca  famiglia.  Ivi  pur  Irovavasi  mon- 
signor Francesco  Faldi,  zelante  ve- 
scovo di  Fabriano  e  Matelica,  col 
capitolo  della  cattedrale.  Dopo  di 
avere  orato,  e  ricevuto  dal  mede- 
simo monsignor  vescovo  la  bene- 
dizione colla  ss.  Eucaristia  prece- 
dentemente esposta,  passò  il  Pon- 
tefice all'alloggio  preparatogli,  nel- 
l' annesso  monistero,  dagli  antichi 
suoi  correligiosi,  come  quegli  che 
avea  prima  professata  la  regola  del 
s.  padre  Romualdo,  ed  anche  avea 
dimorato  nel  medesimo  monistero, 
allorché  essendo  abbate  camaldo- 
lese si  portò  due  volte  a  Fabria- 
no per  venerare  le  ceneri  del  san- 
to, alla  cui  chiesa,  all'esaltazione 
al  pontificato,  donò  i  sagri  para- 
menti che  adoperava  da  Cardinale, 
oltre  altre  beneficenze.  Anzi  in 
questa  circostanza  avendo  appreso 
che  per  aggrandire  la  piazza,  ch'è 
dinanzi  al  monistero,  occorse  demo- 
lire un  piccolo  oratorio  della  con- 
fraternita del  ss.  Sagramento,  som- 
ministrò una  generosa  somma  in 
compenso  al  sodalizio,  colla  quale 
il  medesimo  ha  un  poco  più.  indie- 
tro edificato  un  bell'oratorio  sul 
disegno  del  eh.  Rossetti,  sodalizio 
che  dal  medesimo  Pontefice  venne 
ulteriormente  beneficato  con  per- 
petua dotazione.  Nella  seguente 
mattina  Gregorio  XVI  calò  a  ce- 
lebrare la  messa  all'altare  maggio- 
re della  chiesa,  assistito  da  due 
abbati  camaldolesi,  da  alcuni  mo- 
naci, e  dagli  individui  di  sua  cor- 
te, e  lasciò  alla  chiesa  per  dona- 
tivo il  nobile  paramento  bianco  ri- 
camato in  oro,  e  il  bel  calice  di 
argento,  colla  coppa  e  patena  d'o- 
ro che  avea  adoperati  nel  sagrifi- 
zio;  indi  al  medesimo  altare  ascol- 
tò la  messa  di  monsignor  Giusep- 
pe Arpi  nobile  fabrianese,  suo  pri- 


FAB 

mo  cappellano  segreto  e  caudata- 
rio. Accompagnato  poi  dal  suo  de- 
coroso corteggio  recossi  il  Papa  al- 
la cattedrale,  ov'era  decorosamen- 
te esposto  il  ss.  Sagramento,  col 
quale  die  la  triplice  benedizione 
monsignor  vescovo  di  Fabriano. 
Passando  poscia  nel  contiguo  epi- 
scopio, benedì  solennemente  i  fa- 
brianesi  e  l' immenso  popolo  divo- 
ta mente  accorso  dai  circostanti  luo- 
ghi, che  assordarono  l'aria  coi  gridi 
di  letizia  di  cui  erano  religiosamen- 
te penetrati.  Asceso  poscia  in  tro- 
no in  una  delle  sale  dell'episcopio, 
avendo  a  fianco  il  Cardinal  Bian- 
chi, monsignor  vescovo  presentò  al 
comun  padre  e  sovrano  il  clero  se- 
colare, e  per  il  primo  il  capitolo 
della  cattedrale,  quello  regolare,  ed 
altre  distinte  persone.  Essendo  va- 
cante la  prima  dignità  della  cat- 
tedrale, ossia  il  priore,  in  quella 
circostanza  il  Pontefice  ne  investì 
il  canonico  penitenziere  della  me- 
desima d.  Antonio  Bracci,  prò- vi- 
cario generale,  siccome  zelante,  pio 
e  dotto  ecclesiastico  ;  e  in  pari 
tempo  conferì  il  di  lui  canonicato 
ad  altro  rispettabile  soggetto.  Se- 
guito da  monsignor  vescovo ,  dal 
governatore  e  dalla  magistratura, 
il  santo  Padre  si  portò  ad  orare 
nella  chiesa  di  s.  Benedetto  de'mo- 
naci  silvestrini,  ove  venne  ricevu- 
to dal  Cardinal  Mario  Mattei,  be- 
nemerito protettore  di  quella  con- 
gregazione, dal  p.  generale ,  e  da 
tutta  la  religiosa  famiglia,  che  pa- 
ternamente ammise  ai  bacio  del 
piede.  Uscito  il  Pontefice  dalla  chie- 
sa passò  ad  onorar  la  casa  del 
conte  Girolamo  Possenti,  dove  am- 
mirò la  tanto  stimata  collezione 
di  lavori  antichi  in  avorio,  e  si 
congratulò  col  benemerito  conte , 
raccoglitore  industre    e  intelligente 


FAB  275 

de'medesimi,  pel  decoro  che  ne  ri- 
sultava alla  città ,  rimarcando  il 
nobile  e  prezioso  incremento  di  sii 
importante  collezione  e  museo,  da 
quando  l'avea  visitato  allorché  era 
abbate  camaldolese.  Fu  allora  che 
il  conte  Possenti,  pieno  di  giubilo 
per  l'onore  singolare  compartito- 
gli, e  per  le  parole  benignissime 
che  a  lui  rivolse  il  supremo  Ge- 
rarca, gli  umiliò  l'opuscolo  che  de- 
scrive il  suo  museo,  di  cui  facem- 
mo superiormente  menzione,  con 
apposita  dedica  relativa  alla  lieta 
circostanza,  e  ne  fece  contempora- 
neamente dispensare  al  nobile  di 
lui  seguito.  Essendo  di  detto  opu- 
scolo autore  il  eh.  Camillo  Ramel- 
li,  che  colla  coltura  delle  scienze 
onora  la  patria,  così  ebbe  l'onori- 
fica soddisfazione  di  fare  al  Papa 
la  descrizione  erudita  dei  principali 
oggetti,  che  fermarono  1'  attenzio- 
ne del  Pontefice,  siccome  intelli- 
gente mecenate  delle  arti  belle,  che 
perciò  esternò  eziandio  il  suo  com- 
piacimento al  dotto  illustratore  del- 
la collezione  di  avori  (  Il  conte  Gi- 
rolamo nell'agosto  i843  morì,  e 
nel  num.  72  del  Diario  di  Roma, 
si  legge  un'  onorevole  necrologia 
dettata  dal  concittadino  monsignor 
Emidio  Gentilucci).  Dipoi  si  tras- 
ferì il  Pontefice  alla  primaria  car- 
tiera del  Miliani,  osservò  il  gran 
lavorio  ivi  attivato,  lodò  la  perfe- 
zione cui  è  giunta,  e  cui  va  sem- 
pre più  ad  aumentare,  ammise 
tutta  la  famiglia  e  lavoranti  al  ba- 
cio del  piede,  ed  accettò  un  omag- 
gio d'ogni  specie  di  carta  che  gli 
venne  presentato.  E  qui  noteremo, 
che  Leone  XII  ad  incoraggire  sì 
utile  e  fiorente  opificio,  dall'estero 
e  da  Fabriano  fece  portare  a  Ro- 
ma campioni  delle  carte  più  bel- 
le, laonde  si   potè  allora  conoscere 


276  FAB 

che  la  cartiera  Miliani  non  teme- 
va verun  confronto,  e  superava  le 
estere  cartiere  nella  qualità  e  gran- 
dezza della  carta  per  imprimere  i 
rami  ;  il  perchè  rendendo  ciò  noto 
al  pubblico  con  articolo  inserito  nel 
Diario  di  Roma,  premiò  i  tre  fra- 
telli Miliani  con  altrettante  meda- 
glie d'oro  colla  sua  pontificia  effi- 
gie, e  con  epigrafe  incisa  in  lode 
dei  premiati.  Nelle  ore  pomeridia- 
ne sua  Santità  consolò  di  sua  pre- 
senza i  monisteri  delle  domenicane 
di  s.  Caterina,  delle  cassinesi  di 
s.  Margherita,  delle  benedettine  di 
s.  Luca,  e  delle  cappuccine  di  s. 
Giuseppe.  Nella  sera ,  come  nella 
precedente,  nella  città  vi  fu  gene- 
rale illuminazione ,  distinguendosi 
particolarmente  quella  delle  faccia- 
te degli  archi  eseguita  a  lampadi- 
ni  colorati,  ed  ebbe  pur  luogo  l'in- 
cendio di  un  vago  fuoco  artifizia- 
le.  Finalmente  dopo  aver  dispen- 
sato varie  beneficenze,  e  divoti  do- 
»  ni,  decorati  della  croce  cavallere- 
sca di  s.  Gregorio  il  gonfaloniere, 
e  Giuseppe  Miliani,  nella  mattina 
seguente  del  dì  20  il  Pontefice,  as- 
sistito da  due  abbati  camaldolesi , 
celebrò  la  inessa  nel  nobile  sotter- 
raneo della  chiesa ,  ove  sono  in 
gran  venerazione  le  ceneri  di  s. 
Romualdo ,  e  poscia  compartendo 
ai  fabrianesi  di  nuovo  la  benedi- 
zione apostolica,  e  rivolgendo  parole 
benevoli  e  di  pieno  gradimento  e 
soddisfazione  a  monsignor  vescovo 
ed  al  magistrato,  s'avviò  alla  volta 
di  Gualdo  Tadino,  essendosi  al- 
quanto fermato  a  Cancelli  ed  a 
Fossato  per  benedire  il  popolo  che 
impaziente  lo  attendeva. 

Della  storia  di  Fabriano  scrisse- 
ro i  seguenti  autori.  L'Arsenio,  nel- 
la Censura  sopra  la  cattedra  li tà 
di    Fabriano j    Giovanni     Blavio , 


FAB 

Tliealrum  civitatum  et  admirando- 
runi  Italiae;  Nintoma  accadèmico 
disunito,  Lettera  sopra  la  batta- 
glia tra  i  romani,  e  i  galli  e  san- 
niti nel  contado  Seminate,  Vene- 
zia 1749-  Sotto  tal  nome  è  na- 
scosto quello  del  fabrianese  monsi- 
gnor Filippo  Montani,  del  quale 
inoltre  abbiamo  :  Seconda  lettera 
sopra  la  battaglia  tra  Narsete  ca- 
pitano di  Giustiniano  I  imperato- 
re,  e  Totila  re  de' goti;  e  Terza 
lettera  sopra  il  nome  di  Giano  da 
un  ramo  dell'Esio,  che  passa  per 
Fabriano,  con  annotazioni,  Vene- 
zia 1754;  e  Quarta  lettera  postu- 
ma intorno  alcune  iscrizioni  di  Sen- 
tino,  Tufico,  ed  Attidio,  Jesi  pel 
Bonelli  1775.  Fr.  Gio.  Domenico 
Scevolini,  Dell'istorie  di  Fabriano , 
colle  annotazioni  del  Colucci,  Fer- 
mo 1792;  oltre  gli  altri  autori 
succitati,  e  che  da  ultimo  note- 
remo. 

Fabriano  restò  nella  diocesi  di 
Camerino  sino  al  pontificato  di  Be- 
nedetto XIII,  senza  distinzione, 
ma  essendone  vescovo  Cosimo  Sil- 
vio Torelli  di  Forlì  sino  dal  17 19, 
quel  Pontefice  avuti  in  considera- 
zione i  tanti  pregi  che  distingue- 
vano Fabriano,  nel  concistoro  dei 
i5  novembre  1728,  e  coll'autori- 
tà  della  costituzione  Notoriae  situi, 
che  si  legge  nel  Bull.  Iìom.  tom. 
XII,  pag.  332,  diede  il  titolo  di 
città  a  Fabriano,  ed  eresse  in  cat- 
tedrale la  sua  principale  chiesa  di 
s.  Venanzio,  e  dichiaratala  vesco- 
vato, la  unì  a  quello  medesimo 
di  Camerino,  per  cui  il  nominato 
vescovo  s' intitolò  vescovo  di  Ca- 
merino e  Fabriano.  V.  Bcncdictus 
XIII  bulla  super  erectione  insignis 
collegiatae  s.  Venantii  in  cathedra- 
leni,  et  terrae  Fabriani  in  civìla- 
tem,  Romae    1732,  typ.  R.  C.  A.; 


FAB 

Franciscus  Corazza,  Restrictio  farti, 
et  juris  cur?i  summarìo  prò  capi- 
tulo,  et  ecclesia  s.  Venandì  Fa- 
brianij  contro,  capitulum3  et  eccle- 
siam  cath.  Camerini,  ejusque  co- 
muni totem,  ac  capitulum  s.  Nico- 
lai civitatis  Fabriani,  Romae  typ. 
Mainateli  ij3i;  Sanctis  Josephus 
Philippus,  de  Camerinen,  et  Fa- 
brianen  ,  praetensae  cathedralita- 
tis,  1732;  Pacomio,  Lettera  istrut- 
tiva sopra  la  pretesa  cattedralità 
di  Fabriano  al  capitolo  e  magi- 
strato di  Camerino;  Aurelio  Sa- 
nucci,  Risposta  sopra  quanto  ha 
scritto  l'arciprete  Pacomio  in  pro- 
posilo della  cattedralità  di  Fabria- 
no, Roma  1732;  Pacomio,  Lettera 
di  replica  alla  risposta  di  Aure- 
lio San  ucci  circa  la  pretesa  catte- 
dralità di  Fabriano.  Si  può  anche 
consultare  1'  Ughelli,  Italia  sacra s 
non  che  Octavius  Turchius,  De 
ecclesiae  Camerinensis  Pontificibus 
libri  VI,  praecedit  de  civit.  et  ec- 
cL  Camerinensi  dissertatio,  Romae 
1762.  Cagione  di  sì  fatte  scrittu- 
re furono  i  camerinesi,  che  avendo 
in  Camerino  l'insigne  collegiata  di 
s.  Venanzio  loro  patrono,  la  cui 
chiesa  ora  si  sta  magnificamente 
riedificando,  con  dispiacere  videro 
eretta  in  cattedrale  la  chiesa  che 
al  medesimo  santo  era  dedicata  in 
Fabriano. 

11  sommo  Pontefice  Pio  VI,  vo- 
lendo erigere  nuovamente  in  sede 
vescovile  Maidica  (Fedi),  e  ad  essa 
unirvi  quella  di  Fabriano  eretta  da 
Benedetto  XIII,  e  da  lui  unita  a  Ca- 
merino col  carattere  non  di  figlia, 
ma  di  eguale,  udite  prima  le  con- 
trarie rimostranze  di  monsig.  Luigi 
Amici  camerinese,  vescovo  di  Ca- 
merino e  Fabriano,  e  l'esatta  rela- 
zione dello  stato  così  civile  che  ec- 
clesiastico della  città  di    Fabriano, 


FAB  277 

fatta  da  monsignor  Vinci  arcivesco- 
vo di  Berito,  mandato  colà  in  vi- 
sitatore apostolico,  conobbe  ch'era 
utilissimo  alla  salute  spirituale  del- 
le numerose  popolazioni,  lo  smem- 
bramento di  due  città,  che  rimane- 
vano troppo  lontane  da  Camerino, 
cioè  Matelica  e  Fabriano,  conti- 
nuando tuttavia  ad  essere  la  dio- 
cesi camerinese  molto  vasta.  Nel- 
1'  esonerare  Pio  VI  il  vescovo  di 
Camerino  del  governo  pastorale 
di  Matelica  e  Fabriano,  conservò 
a  quella  mensa  intatte  le  sue  ren- 
dite, obbligando  in  vece  la  città  di 
Matelica  e  Fabriano  all'  onesto  e 
decoroso  mantenimento  del  nuovo 
vescovo,  ed  incorporando  alla  men- 
sa diverse  parrocchie  camaldolesi 
dell'abbazia  di  Val  di  Castro.  Quin- 
di, con  bolla  data  a'7  luglio  1785, 
effettuò  il  ripristinamento  del  seggio 
vescovile  di  Matelica,  1'  unì  a  quel- 
lo di  Fabriano,  staccandoli  ambe- 
due da  Camerino,  e  dichiarandoli 
immediatamente  soggetti  alla  san- 
ta Sede.  V .  Sanctissimus  in  Chrì- 
sto  Patris,  et  Domini  nostri  Pii 
divina  providentia  Papae  sexli  lit- 
terae  apostolicae,  quibus  Fabria- 
nensis  episcopatus  a  Camerinensis 
sejungitur,  et  Mathelicensis  civitas 
in  episcopalem  reintegratur,  et  quate- 
nus  opus  sii  de  novo  erigitur,  eaque 
Fabrianensis  ecclesiae  aeque  prin- 
cipe liter  unilur,  Romae  1785,  ex 
typ.  R.  C.  A.  Nel  concistoro  poi 
de' 26  settembre  1785,  Pio  VI 
preconizzò  per  primo  vescovo  di 
Fabriano  e  Matelica,  monsignor 
Nicola  Zoppetti  patrizio  di  Foli- 
gno, ex.  provinciale  degli  eremita- 
ni di  s.  Agostino.  A  questi  pro- 
gressivamente successero  i  monsi- 
gnori Gio.  Francesco  Cappelletti 
nobile  di  Rieti,  fatto  da  Pio  VII 
agli    1  1     agosto     1800;    Domenico 


278  FAB 

Buttaoni  di  Tolfa,  nominato  dal 
medesimo  Papa  a' 26  agosto  1806; 
Pietro  Balducci  forlivese  ,  della 
congregazione  della  missione,  trasla- 
to da  Sarsina  dallo  stesso  Pio  VII, 
3*27  settembre  1822;  e  l'odierno 
monsignor  Francesco  Faldi  di  Bolo- 
gna, fatto  vescovo  dal  regnante  Gre- 
gorio XVI  nel  concistoro  de'  2  ot- 
tobre dell'anno   1837. 

La  chiesa  cattedrale  di  Fabriano  è 
dedicata  a  Dio,  e  in  onore  di  s.  Ve- 
nanzio martire,  avendo  tra  le  reli- 
quie il  capo  del  b.  Costanzo  do- 
menicano fabrianese:  ha  il  fonte 
battesimale,  e  la  cura  d'anime  è 
affidata  al  parroco.  Il  capitolo  si 
compone  della  dignità  del  priorato, 
di  tredici  canonici  cui  sono  unite 
le  prebende  del  teologo  e  del  pe- 
nitenziere, nonché  di  otto  cappella- 
ni, ed  altri  preti  e  chierici  addetti 
all' uffiziatura.  Oltre  la  cattedrale 
in  Fabriano  sonovi  tre  altre  parroc- 
chie, tutte  munite  di  battistero, 
una  delle  quali  è  la  collegiata  di 
s.  Nicola.  Inoltre  vi  sono  sette  con- 
venti e  monisteri  di  monaci  ed 
altri  religiosi,  compresi  quelli  di 
s.  Silvestro  sunnominato,  e  di  Val- 
le Eremita;  cinque  monisteri  di 
monache,  comprese  le  maestre  pie; 
Torfanatrofìo  di  donzelle,  il  con- 
servatorio delle  esposte,  l'ospedale 
pegli  infermi,  diverse  confraternite, 
il  monte  di  pietà,  il  mónte  fru- 
mentario,  e  il  seminario  per  am- 
bedue le  diocesi.  Ad  ogni  nuovo 
vescovo  la  mensa  di  Fabriano  e 
Matelica  è  tassata  ne' libri  della 
cancelleria  apostolica  in  fiorini 
duecento.  Le  due  città  hanno  o- 
gnuna  l'episcopio,  per  cui  il  ve- 
scovo risiede  alternativamente,  per 
l'ordinario,  sei  mesi  per  cadauna. 
FABRONI  Cablo  Agostino,  Car- 
dinale.    Carlo    Agostino    Fabroni , 


FAB 
nacque  nel   i65i   in  Pistoia  da  no- 
bilissima e  chiara  famiglia.  Percorre 
nella  patria  i  primi  studi,  li  prosegui 
in  Roma  nel  collegio  romano,  e  li 
compì  nella  celebre  università  di  Pi- 
sa, dove  ottenne  la  laurea  nelle  civili 
e  nelle  ecclesiastiche   discipline.  In 
questa  città  fu  ammesso  più  volte 
alla  corte  di  Cosimo  111,  grandu- 
ca   di    Toscana ,   il    quale  dovette 
ammirare  nel  Fabroni  le  più  scelte 
doti  di  spirito,  e  non  comune   vi- 
vacità   dell'  ingegno.    Si    acquistò 
quindi  l'affetto    di    quel    principe , 
che  adoperò  tutti  i  mezzi  per  aver- 
lo seco  in  Toscana  ;  ma  non  aven- 
do potuto  distorlo  dal  suo  propo- 
sito di  stabilirsi  in  Roma,   conser- 
vò secolui  nondimeno  familiare  car- 
teggio ,    scrivendogli    quasi  sempre 
di  propria  sua  mano.  Recatosi  per- 
tanto  nella    capitale    del    cattolico 
mondo,  sotto  la  protezione  dei  Car- 
dinali Jacopo  e  Felice  Rospigliosi , 
suoi  concittadini  e  parenti ,  si  con- 
ciliò la  benevolenza  di  tutti  gì'  il- 
lustri personaggi  e  specialmente  del 
Cardinale  Gianfrancesco  Albani,  che 
fu    poi    Clemente    XI;    i   quali  in 
molte  letterarie  adunanze,  e  in  par- 
ticolare in  quelle  che  tenevansi  nel 
collegio  di  propaganda,  ebbero  a  co- 
noscere il  di  lui  sapere  molto  profon- 
do e  maturo.  Fu  incaricato  dall'arci- 
vescovo   di    Napoli ,    il    Cardinale 
Cantelmo,  di  assumere    le    sue   di- 
fese contro  i  regi  ufficiali,  che  gli 
contrastavano    alcuni     punti    sulla 
episcopale  giurisdizione,  e  tal  affa- 
re così  felicemente  condusse  a  fine 
che    Innocenzo   XII ,    prevenutone 
dalla  fama,  lo  promosse  alla    cari- 
ca  di  segretario  de'  memoriali.    In 
quest'ufficio  fece  risplendere  le  bel- 
le qualità  che  adornavano  l'animo 
di  lui,  sempre  attento  ad    onorare 
ed  esaltare  le  virtù  degli  altri ,  ed 


FA13 
occultare  i  propri  suoi  meriti.  As- 
sai egli  infatti  si  adoperò  per  l'e- 
saltamento degli  onorati  soggetti  ; 
ma  quando  trattavasi  della  gloria 
propria,  non  permise  mai  che  al- 
cuno facesse  una  sola  parola  a  suo 
favore.  Ad  onta  di  tanta  virtù , 
chi  '1  crederebbe  ?  si  attirò  le  sa- 
tire de' maligni  ed  invidiosi  super- 
bi, e  non  poca  agitazione  dovette 
sostenere  quell'  animo  ben  avventu- 
rato, che  riuscì  peraltro  sempre  vit- 
torioso delle  petulanti  maldicenze 
ini  miche.  Col  pretesto  di  onorevo- 
le promozione,  lo  si  fece  passare, 
nel  1695,  all'ufficio  di  segretario 
di  propaganda,  allora  impiego  dif- 
ficile assai  pel  decadimento  nella 
economia,  accaduto  per  le  turbo- 
lenze di  Pietro  Codde,  vicario  apo- 
stolico nelle  missioni  di  Olanda.  Il 
Fabroni  però  così  bene  seppe  de- 
ludere le  insidie  degli  avversari 
suoi,  che  non  solo  ridusse  al  ter- 
mine la  causa  di  quel  perturbato- 
re, ma  ottenne  ben  anco  dal  Pa- 
pa un  dono  di  centomila  scudi , 
colla  qual  somma  rimise  l' equili- 
brio negli  affari  sbilanciati  di  quel- 
la congregazione.  Clemente  XI,  pe- 
netrato vivamente  del  merito  rea- 
le di  lui,  volle  ricompensarlo,  ascri- 
vendolo al  sacro  collegio.  Siccome 
però  non  avea  ricco  patrimonio,  il 
Cardinale  Sperelli  gli  presentò  la 
rinunzia  di  una  ricca  abbazia,  co- 
sa che  il  Papa  non  volle  permet- 
tere. Disposte  però  le  cose  diver- 
samente,  a'  17  maggio  1706  lo 
creò  prete  Cardinale  di  s.  Agosti- 
no, e  poscia  lo  nominò  prefetto  del- 
la congregazione  dell'indice,  e  mem- 
bro della  congregazione  del  s.  offi- 
zio,  dei  vescovi  e  regolari,  di  propa- 
ganda, de'  riti,  e  protettore  de'ca- 
nonici  lateranensi  e  de'  monaci  di 
Vallombrosa.  Ebbe  gran  parte  uel- 


FAC  279 

la  costituzione  Vnigenilus ,  in  cui 
si  studiò  che  fossero  esposte  nel 
modo  il  più  chiaro  le  insidie  del 
perverso  Quesnello.  Fu  destinato 
ancora  a  trattare  gli  affari  col  sig. 
d'Amelot,  spedito  a  Roma  da  Lui- 
gi XIV,  il  quale  tornato  in  Fran- 
cia, non  cessava  di  fare  magnifici 
elogi  del  Cardinale  Fabroni.  Oltre 
di  tuttociò ,  venne  impiegato  in 
molti  diversi  affari  della  Chiesa , 
come  apparisce  da  parecchi  bigliet- 
ti, scritti  di  mano  propria  del  Pa- 
pa, e  conservati  dall'abbate  Alfon- 
so Fabroni  di  lui  nipote  ed  ere- 
de; ne'  quali  fu  sempre  costante 
la  sua  saggezza  ,  nonché  l'ottimo 
disinteresse.  Cultore  delle  scienze, 
e  protettore  degli  studiosi ,  lasciò 
alla  patria  la  sua  biblioteca  ben 
numerosa  e  scelta,  per  la  quale  fe- 
ce erigere  una  bellissima  sala,  e 
destinò  una  parte  delle  annue  sue 
rendite.  La  maggior  quantità  però 
delle  sue  facoltà ,  impiegò  nelle 
opere  pie,  tra  le  quali  il  perpetuo 
mantenimento  di  due  chierici  nel 
seminario  di  Pistoia.  Una  vita  cosi 
utile  alla  Chiesa  e  allo  stato  con 
universale  dolore  fu  tolta  in  Ro- 
ma l'anno  1727;  e  le  spoglie  mor- 
tali consegnate  furono  ad  una  tom- 
ba dinanzi  l' aitar  maggiore  nella 
chiesa  di  s.  Agostino,  dove  si  leg- 
ge a  perpetua  memoria  la  più  lo- 
devole iscrizione.  L' orazione  fune- 
bre in  lode  di  questo  Cardinale  fu 
stampata  a  Firenze  nel   1729. 

FACCHINETTI  Giannantonio. 
V.  Innocenzo  IX  Papa. 

FACCHINETTI  Antonio,  Car- 
dinale. Antonio  Facchinetti  della 
Noce,  de'  marchesi  di  Vianino,  pa- 
trizio bolognese,  e  dal  canto  ma- 
terno pronipote  d'Innocenzo  IX, 
nacque  nel  iSj^.  Non  tardò  a 
spiegarsi   nel  giovanetto    un'  indole 


280  FAC 

la  più  soave,  un'  illibatezza  di  co- 
stume, e  una  prudenza  maggiore 
assai  dell'età,  per  cui  molte  cose 
si  dovettero  sino  da'  più  teneri  an- 
ni predire  di  lui.  Nell'età  di  anni 
dieciotto  dal  medesimo  Innocenzo 
IX  a*  18  dicembre  i5()i  fu  creato 
diacono  Cardinale  de'Santiquattro, 
ed  ascritto  alle  primarie  congregazio- 
ni. Nelle  sedute  che  si  tengono  in 
queste,  fece  ammirare  la  sua  sag- 
gezza e  dottrina,  di  modo  che  più 
volte  se  ne  destò  la  meraviglia  co- 
mune. Ma  un'  immatura  morte 
recise  il  filo  di  tante  speranze  che 
sopra  di  lui  fondava  la  Chiesa,  e 
il  orna  nel  1606  dovette  piagne- 
re la  sua  perdila.  Due  giorni  pri- 
ma della  sua  morte  scrisse  una 
lettera  assai  commovente  alla  ma- 
dre ;  e  il  dì  prima  di  morire  in- 
torno a  sé  raccolti  i  domestici  suoi, 
tenne  loro  fervoroso  sermone,  esor- 
tandoli all'esercizio  delle  cristiane 
virtù.  Lasciò  la  suppellettile  della 
sua  cappella  alla  diaconia  da  lui 
posseduta.  Le  spoglie  mortali  fu- 
rono deposte  nella  chiesa  di  s.  Ma- 
ria della  Scala. 

FACCHINETTI  Cesare,  Cardi- 
nale. Cesare  Facchinetti  bolognese, 
nipote  del  Cardinale  Antonio,  e  pro- 
nipote di  Innocenzo  IX,  ebbe  i  na- 
tali nel  1608.  In  età  di  ventiquat- 
tro anni  recatosi  in  Roma ,  inco- 
minciò subito  la  carriera  degli  ono- 
ri, che  sostenne  sin  dal  principio 
con  massimo  decoro  e  virtù.  Ur- 
bano VIII,  allora  regnante,  cono- 
sciutone il  di  lui  beli'  ingegno  e 
l'ottimo  cuore,  lo  nominò  segreta- 
rio della  congregazione  de'  vescovi 
e  regolari.  In  quest'  impiego  con 
tale  saggezza  pose  fine  a  parecchie 
dillcrenze,  insorte  in  qualche  reli- 
giosa comunità,  che  molte  cause 
venivano    dalla    congregazione    ri- 


FAC 

messe  al  solo  suo  arbitrio.  Fu  po- 
scia annoverato  tra  i  prelati  del 
buon  governo,  ed  ebbe  non  poche 
importanti  incombenze,  tra  le  qua 
li  quella  che  in  dataria  si  appella 
il  Conccssum.  Col  carattere  di  nun- 
zio straordinario  si  trasferì  alla 
corte  di  Madrid  presso  Filippo  IV, 
per  trattare  la  lega  de'  principi 
cristiani  contro  i  turchi.  In  appres- 
so poi  fu  confermato  in  quella  de- 
stinazione, come  nunzio  ordinario, 
nel  qual  officio  sostenne  con  fortis- 
sima intrepidezza  i  diritti  della 
santa  Sede.  Circa  tre  anni  dacché 
fungea  quell'offizio,  fu  chiamalo  in 
Roma,  e  dopo  un  anno  da  Urba- 
no Vili  a'  i3  luglio  i643,  ascritto 
al  sacro  collegio  col  titolo  de' Santi- 
quattro.  Nel  i645,  venne  eletto  a 
vescovo  di  Sinigaglia,  dalla  qual  se- 
de, nel  i655,  fu  trasferito  al  ve- 
scovato di  Spoleti.  Quivi  accrebbe 
le  rendite  del  seminario  e  contri- 
buì considerabili  somme  pel  ristau- 
ro  della  cattedrale,  che  arricchì  di 
sacre  suppellettili.  In  questa  chiesa 
accolse  con  ecclesiastica  pompa  la  re- 
gina di  Svezia  Cristina,  che  recavasi 
in  Roma.  Egualmente  aveva  amplia- 
to ed  arricchito  la  cattedrale  di  Si- 
nigaglia, alla  quale  vi  aggiunse  la 
tribuna.  Siccome  sagacissimo  vesco- 
vo, usava  gran  diligenza  nella  scelta 
de'  parrochi,  e  nessuno  ammette- 
va alla  cura,  quando  non  lo  avesse 
prima  esaminato  severamente  nel- 
la scienza  e  ne'  costumi.  Era  ele- 
mosiniere per  modo  che  si  acqui- 
stò il  bel  titolo  di  padre  de  po- 
veri. Dolce  assai  di  maniere,  affa- 
bile con  ogni  qualità  di  persone, 
protettore  degli  studiosi,  cultore 
delle  scienze,  rigido  osservatore  del- 
la giustizia,  venia  insieme  amato 
da  ciascheduno  e  temuto  da'  ma- 
levoli. Dopo  la  morte    del    Cardi- 


FAE 

nal  Barberini ,  sostenne  provviso- 
riamente il  carico  di  vice-cancellie- 
re della  S.  R.  C,  e  dimesso  il  primo 
titolo,  ebbe,  nel  1G80,  il  vescovato 
di  Ostia  e  Velletri,  divenendo  anco- 
ra decano  del  sacro  collegio.  Tre 
anni  dopo  morì  in  Roma,  ed  ebbe 
sepolcro  nella  cappella  di  s.  Tere- 
sa in  s.  Maria  della  Scaia.  Era 
stato  egli  presente  a  cinque  con- 
clavi, e  più  d'una  volta  avea  avuti 
parecchi  voti  per  la  cattedra  pon- 
tificia. 

FACOLTÀ'  (  Facultas).  In  ter- 
mine di  scuola,  si  dice  dei  membri 
di  una  università,  divisi  secondo  le 
diverse  arti  o  scienze  che  ivi  in- 
segnano. Sonovi  diverse  facoltà  det- 
te facoltà  delle  arti  liberali,,  che 
comprendono  la  umanità  e  la  fi- 
losofìa, quelle  di  medicina,  di  giu- 
risprudenza, di  teologia  ec.  V.  Dot- 
tore  ed    Università'. 

FACUSA.  Città  vescovile  della 
prima  Augustamnica,  sotto  il  pa- 
triarcato di  Alessandria,  che  altri 
chiamano  con  più  nomi,  cioè  Pha~ 
cusa,  o  Phacussa  dai  greci,  e  Tall- 
Faqous  o  semplicemente  Faqous 
dagli  arabi.  Commanville  la  dice 
eretta  nel  quarto  secolo,  e  sottopo- 
sta alla  metropoli  di  Pelusio,  seu 
Belbais  o  Damietla.  Tolomeo  rac- 
conta che  Facusa  fu  città  capitale 
di  un  Nomo,  ossia  prefettura  del- 
l' Arabia,  che  al  dire  dei  geografi 
appellavasi  Tarabia.  Questa  città 
era  situata  sulla  riva  orientale  del 
ramo  più  considerabile  del  Nilo, 
dello  pelusiaco  ;  e  le  sue  rovine 
sono  vicino  a  B ubaste*  Di  Mosè  suo 
vescovo ,  ne    fa    menzione  Melezio. 

FAENZA  (Faventin).  Città  con 
residenza  vescovile  degli  stali  pon- 
tificii, nella  legazione  apostolica  di 
Ravenna,  e  in  quella  parte  d'Italia 
oggidì    chiamala    Romagna,    e    in 


FAE  281 

antico  Gallia  Togata,  indi  Flaminia, 
e  poscia  Emilia.  Questa  nobile  ed 
antica  città  è  attraversata  dalla  via 
Emilia,  così  detta  perchè  Marco 
Emilio  Lepido,  continuò  la  strada 
Flaminia,  che  da  Roma  conduceva 
a  Rimini,  sino  a  Piacenza.  È  po- 
sta in  fiorente  pianura  bagnata  dal 
fiume  Amone,  che  volgarmente  ap- 
pellasi Lamone,  e  da  Plinio  è  deno- 
minato Alleino,  e  nelle  antiche  scrit- 
ture Amo,  perchè  in  molti  luoghi 
della  terra  erano  templi  sacri  a 
Giove  Ammone,  uno  de' quali  era 
dappresso  a  Brisighella.  Dai  gioghi 
dell'  Apennino  deriva  tal  fiume,  il 
quale  decorrendo  a  levante  della 
città,  quasi  ne  bagna  da  quel  la- 
to le  mura,  e  la  separa  dal  borgo 
di  Urbecco  mediante  un  bel  ponte 
antichissimo  di  marmo,  ch'era  sor- 
retto da  tre  grandi  archi,  sopra 
de' quali  si  elevavano  due  massic- 
cie ed  alfe  torri  merlate,  che  per 
la  loro  costruzione  indicavano  la 
rozzezza  de'  tempi  in  cui  vennero 
edificate.  Questo  ponte,  ritenuto 
già  uno  de'  più  importanti  monu- 
menti di  Faenza,  e  che  dava  co- 
municazione alla  città  col  borgo, 
cadde  fatalmente  a'  i4  settembre 
1842,  a  cagione  delle  alluvioni,  che 
ingrossando  i  torrenti  i  quali  uni- 
scono le  loro  acque  a  quelle  del 
Lamone,  con  impeto  il  rovescia- 
rono, e  rompendo  gli  argini  in- 
nondarono le  campagne,  recando 
immensi  danni,  anche  in  qualche 
parte  della  città,  ove  le  sue  acque 
penetrarono,  per  non  poter  il  fiu- 
me, per  ristraordinaria  piena,  aver 
il  consueto  regolar  corso  sino  al- 
l'Adriatico, ove  mette  foce.  L'im- 
magine della  B.  V.  Annunziata 
ch'era  affissa  nella  detta  torre,  pro- 
digiosamente si  salvò.  Ora  venera- 
si in  una  cappella  del  duomo. 


282  FAE 

A'tempi  di  Costantino  imperato- 
ri*, in  vece  del  caduto  ponte  altro 
ne  sorgeva  ad  un  solo  arco,  di  mi- 
rabile lavoro,  e  degno  di  quel  l'e- 
poca. Per  molti  secoli  si  ammirò 
quella  colonna  che  i  grati  faentini 
aveano  ivi  eretta  a  memoria  del- 
l'edilizio, e  di  quel  pio,  ed  anco 
per  loro  magnanimo  principe.  Dal 
Lamone  si  partono  le  acque  del  ca- 
nale Zanetti^  che  agevola  le  comu- 
nicazioni mercantili  col  Po  di  Pri- 
maro.  Va  qui  notato  che  la  città 
di  Faenza  nel  secolo  XIV  godeva 
il  beneficio  della  navigazione,  e  di 
un  porto,  ed  è  perciò  che  i  faen- 
tini nel  declinar  del  secolo  XVII, 
persuasi  dei  vantaggi  che  sareb- 
bero derivati  alla  patria  rinnovan- 
do l'antico  commercio  per  un  ca- 
nale navigabile,  non  dubitarono  di 
affidarne  il  progetto  al  valente  ma- 
tematico Pietro  Maria  Cavina,  il 
quale  colle  slampe  del  Zarafagli, 
nel  1682,  pubblicò  in  Faenza  l'o- 
puscolo intitolato:  Commercio  dei 
due  mari  Adriatico  e  Mediterra- 
neo per  la  più  breve  e  spedita  stra- 
da dell'Italia  occidentale 3  conside- 
rato neW  antichissima  strada  per 
V  Apennino,  e  sopra  il  pensiero  di 
un  nuovo  canale  navigabile  da 
Faenza  all'Adriatico.  Ma  a  cagio- 
ne delle  circostanze  de'  tempi,  la 
città  non  fu  in  grado  di  mandare 
ad  effetto  sì  utile  ed  ingegnoso  pro- 
getto. Negli  ultimi  anni  del  seco- 
lo seguente  il  conte  Scipione  Za- 
nelli,  non  potendo  persuadere  ne  il 
governo,  né  il  civico  magistrato,  che 
il  suo  analogo  progetto  presentava 
facile  riuscita,  ed  era  migliore  del 
primo,  deliberò  di  assumerne  da 
se  l'impresa,  che  portò  a  compi- 
mento sotto  gli  auspicii  del  Pon- 
tefice Pio  VI,  a  cui  era  in  paren- 
tela come    cugino.    11  sovrano    fa- 


FAE 

vorc  appianò  gli  ostacoli,  laonde 
col  benefico  aiuto  del  magistrato, 
fece  il  canale  che  dal  suo  cogno- 
me è  chiamato  Zanetti,  lungo  ot- 
to leghe,  fornito  di  ponti,  di  mu- 
lini, di  barche  da  trasporto,  di 
magazzini,  e  d*  una  darsena  vicino 
alla  città.  Lungo  le  rive  sonvi  ver- 
deggianti pioppi ,  e  maceratoi  di 
canape  e  di  lino,  il  quale  è  molto 
stimato. 

E  qui  noteremo ,  che  Faenza 
abbonda  di  tutte  le  rurali  produ- 
zioni, e  feracissime  sono  le  sue  vi- 
ti, per  cui  gli  antichi  stemmi  del- 
la città,  erano  adorni  di  foglie  di 
viti.  Nel  secolo  XIII,  e  prima  che 
Faenza  sostenesse  il  micidiale  asse- 
dio di  Federico  II,  la  città  com- 
prendevasi  nello  spazio  di  cinque  e 
più  miglia,  e  in  modo  che  il  fos- 
sato che  al  presente  la  cinge  alia 
distanza  d'un  miglio,  e  che  appel- 
lasi la  Cerchia ,  mostra  essere  ciò 
che  rimane  dell'antico  recinto  de' 
molti  e  importanti  borghi  che  sor- 
gevano in  que'  giorni,  come  si  ve- 
dono i  luoghi  ov'  erano  le  porte 
della  città.  Ma  Federico  II  impera- 
tore fatte  atterrare  le  borgate  e  i 
diversi  bastioni,  ne  diminuì  così  la 
forza  e  l'ampiezza.  Se  non  che  giun- 
ti dappoi  i  Manfredi  a  signoreg- 
giare la  città  e  il  territorio.,  ne  ri- 
fecero la  muraglia  con  fortificazio- 
ni, e  fu  circoscritta  entro  il  re- 
cinto di  quasi  tre  miglia.  La  stra- 
da chiamata  il  Corso  è  spaziosa  e 
rettilinea,  qualità  che  risaltano  pu- 
re nelle  altre  strade  principali.  A 
cagione  delle  guerresche  devasta- 
zioni, non  vi  sono  in  Faenza  avan- 
zi di  edifizi  anteriori  alla  gotica 
dominazione  ;  sebbene  negli  scavi 
si  rinvenissero  colonne,  statue,  la- 
pidi con  romane  epigrafi,  da  cui 
si    congettura    che    l' odierna   città 


FAE 

sia  nata  dalle  rovine  dell'  antica. 
Faenza  è  decorata  di  parecchi  edi- 
lìzi leggiadri  e  magnifici;  facendo 
mostra  d'anfiteatro  la  piazza  mag- 
giore, pel  duplice  loggiato  ch'e- 
stendesi  da  ambo  i  lati.  In  una 
delle  loggie  superiori,  ove  pur  fu- 
rono le  pubbliche  scuole,  vi  fecero 
residenza  i  podestà  di  Faenza,  ed 
era  vi  contiguo  l'antico  teatro,  cui 
presiedeva  l' accademia  de'  Remoti. 
Ivi  pur  sorgeva  un'alta  torre,  che 
per  decreto  magistrale  fu  demo- 
lita nel  1776,  esistendo  altra  tor- 
re, ad  altro  angolo  della  piazza, 
più  sontuosa,  sulla  quale  nel  i6i5 
fu  collocata  l'immagine  della  Bea- 
ta Vergine  di  marmo  bianco  e  ben 
lavorata.  Il  palazzo  della  comune 
è  ampio  e  magnifico,  ed  ivi  at- 
tualmente risiedono  il  governatore 
e  il  magistrato  della  città,  coi  loro 
uffizi  e  dipendenti.  In  questo  pa- 
lazzo, già  abitazione  dei  potenti 
Manfredi ,  si  ammirano  leggiadri 
dipinti  a  fresco,  anche  recenti.  Mol- 
ti e  vasti  appartamenti,  due  ampie 
sale,  e  gallerie  decorano  l'edifizio. 
Da  una  di  queste  gallerie  si  passa 
al  nuovo  teatro ,  opera  pregevole 
dei  cav.  Pistocchi,  architetto  faenti- 
no, che  il  compi  nel  1788;  essen- 
do encomiato  sì  per  la  struttura 
che  per  gli  eleganti  abbellimenti 
che  lo  nobilitano.  Raro  e  vago  or- 
namento della  medesima  piazza 
maggiore,  è  la  fontana  che  sta  da 
un  lato,  circondata  di  cancelli,  de- 
corata da  tre  grandi  leoni,  simbo- 
lo del  civico  stemma,  nonché  da 
varie  aquile  e  draghi  di  bronzo 
che  ricordano  quello  di  Paolo  V 
sotto  del  quale  la  fontana  fu  ter- 
minata. Dalle  bocche  ed  altre  par- 
ti del  corpo  degli  animali  zampil- 
la l'acqua,  che  insieme  agli  altri 
gettiti   cade  neh"  ampio    sottoposto 


FAE  283 

lavacro  di  marmo.  Ne  fu  architet- 
to il  p.  Paganelli  domenicano,  ed 
illustre  faentino.  Carlo  Cesare  Sca- 
letta celebrò  i  singolari  pregi  di 
questo  fonte,  coll'opuscolo  intito- 
lato: Il  fonte  pubblico  di  Faenza, 
e  la  descrizione  dì  ogni  sua  parte, 
col  modo  di  mantenere  e  di  rego- 
lare le  acque,  aggiuntavi  un  ap- 
pendice che  serve  di  scuola  agli 
architetti  per  comporre  simili  fab- 
briche, Faenza  17 19,  per  GiosefFo 
Antonio  Archi. 

Sugli  avanzi  dell'  antica  rocca, 
già  dai  vicari  della  santa  Sede 
innalzala  a  valido  propugnacolo  del- 
la città,  il  faentino  monsignor  Can- 
toni, vescovo  della  città,  eresse  il 
pubblico  e  grandioso  ospedale,  con- 
tribuendovi eziandio  altri  ospedali 
e  pii  stabilimenti.  Avvi  inoltre  l'o- 
spedale de'proietti,  l'ospizio  pei  po- 
veri fanciulli,  l'orfanotrofio  pei  ma- 
schi, ed  altri  lodevoli  pii  luoghi. 
Cospicua  è  la  pubblica  biblioteca, 
ora  esistente  entro  il  novello  pur 
pubblico  ginnasio ,  ed  il  fiorente 
seminario  venne  fondato  dal  vesco- 
vo de  Grassi  nel  1077,  e  perciò 
uno  de' primi  istituiti  dopo  il  con- 
cilio di  Trento.  Nel  ginnasio  è  col- 
locata una  serie  di  pregevoli  pit- 
ture, prima  esistenti  nella  pinaco- 
teca del  liceo.  Copioso  è  il  nume- 
ro delle  belle  chiese,  che  formano 
il  principale  ornamento  di  Faenza, 
delle  quali  ci  limiteremo  ad  un 
cenno  delle  primarie,  mentre  è  no- 
to che  nel  secolo  XVII,  settanta- 
due erano  i  sagri  templi.  La  cat- 
tedrale,  ossia  il  duomo,  fu  inco- 
minciata nel  147  3  dal  vescovo  Fe- 
derico, figlio  di  Astorgio  Manfredi 
signore  di  Faenza ,  compiendola 
Galeotto  suo  fratello:  vuoisi  archi- 
tettata da  Bramante  Lazzeri,  con  tre 
navate  grandi,  come  grande  n'è  la 


284  FAE 

cupola.  Venti  sono  le  cappelle  la- 
terali, oltre  l'altare  maggiore.  Tra 
i  tanti  suoi  pregi  e  decorazioni, 
sono  a  nominarsi  i  marmi,  le  co- 
lonne, i  dipinti  ec.  ,  mentre  tra  le 
cappelle  merita  special  menzione 
quella  elegante  di  Maria  Vergine 
delle  Grazie,  speciale  protettrice 
de'faentini,  i  quali  sempre  a  lei  ri- 
corsero con  prodigiosi  successi.  Des- 
sa  fu  coronata  alla  presenza  del 
Cardinal  Cennini  vescovo  di  Faenza 
nel  1 63 1  ,  ed  i  pubblici  rappre- 
sentanti gli  offrirono  le  chiavi  del- 
la città  per  averla  liberata  dalla 
peste,  ciò  che  avea  fatto  prima,  e 
fece  anche  dopo;  sperimentando  per 
simile  flagello,  come  pel  terremoto, 
il  suo  patrocinio  anche  altre  cit- 
tà. Prima  la  sagra  immagine  si 
venerava  nella  chiesa  de'  domeni- 
cani, donde  liei  1760  fu  traspor- 
tata nella  cattedrale.  Va  qui  no- 
tato, che  sopra  la  porta  della  cit- 
tà a  dimostrazione  di  gratitudine, 
fu,  anni  sono,  posta  in  plastica  l'effi- 
gie in  grande  dell'istessa  Beata  Ver- 
gine delle  Grazie  per  cura  del  ma- 
gistrato comunale,  e  ciò  per  la  pre- 
servazione del  cholera. 

Inoltre  avvi  nella  cattedrale  la 
cappella  di  s.  Pier  Damiano,  o- 
norevolissimo  monumento.  Orna- 
ta essa  è  di  buoni  stucchi  e  buo- 
ni dipinti.  L'urna  di  marmo  fino, 
dove  sono  gli  avanzi  del  santo  dot- 
tore, è  di  bel  lavoro,  e  se  ne  de- 
ve lode  al  reverendissimo  capitolo, 
ed  al  vescovo  Stefano  Bonsignore, 
che  concorsero  nella  spesa;  grande 
è  la  divozione  de'faentini,  verso  di 
sì  gran  santo.  Questa  chiesa  di- 
venne cattedrale,  dopo  che  Luit- 
prando  re  de' longobardi  rovinò  la 
città  ;  e  da  ultimo  coi  tipi  del  Mon- 
tanari e  Marabini,  nel  i838,  in 
Faenza    il  dotto  can.  della  medesi- 


FAE 

ma  d.  Andrea  Strocchi  faentino 
pubblicò  le  eruditissime  Memorie 
isloriche  del  duomo  di  Faenza,  e 
de  personaggi  illustri  dì  quel  capi- 
tolo, corredate  di  XIV  tavole  in- 
cise, il  tutto  con  isplendida  edizio- 
ne. Ma  il  primo  tempio  cattolico 
di  Faenza  si  è  la  chiesa  di  s.  Ma- 
ria vecchia  o  ad  Nives,  chiamata 
già  foris  Portam,  perchè  esisteva 
fuori  dei  sobborghi,  e  che  avanti 
la  detta  rovina,  e  innanzi  l'anno 
j /\o,  serviva  di  cattedrale.  Succes- 
sivamente 1'  ebbero  in  custodia  i 
benedettini  neri,  i  monaci  dell'A- 
vellana, e  i  cisterciensi.  Abitano  al 
presente  l'attiguo  monastero  le  don- 
zelle esposte:  pia  istituzione  che  ri- 
sale all'anno  i43o  circa.  Delle  al- 
tre chiese,  delle  parrocchiali,  di  quel- 
le pertinenti  a  vari  istituti  religio- 
si d'  ambo  i  sessi,  come  di  quelle 
di  juspatronato,  ne  fa  la  descri- 
zione il  eh.  Bartolommeo  Righi 
faentino,  nel  voi.  I,  pag.  23  e  seg. 
de'suoi  importanti  e  applauditi  an- 
nali della  città  dì  Faenza,  e  qui- 
vi pubblicati  nel  1840.  Del  con- 
vento e  chiesa  di  s.  Girolamo  dei 
pp.  osservanti  ne  tratta  il  p.  Fla- 
minio da  Parma  nel  tom.  Ili  del- 
le sue  Mem.  storielle  ;  del  moni- 
stero  e  chiesa  di  s.  Maglorio  ve- 
scovo scozzese,  delle  monache  ca- 
maldolesi, ch'ebbero  ivi  origine  nel 
1 3 1 7  dalla  cella  del  b.  Lorenzo 
camaldolese,  abbiamo  da  Giovanni 
Grilli  1'  Origine  delle  monac/ie  ca- 
maldolesi di  s.  Maglorio  di  Faen- 
za succintamente  esposta,  Faenza 
1747,  pel  Maranti;  e  da  Giacomo 
Laderchi  abbiamo  V Inventario  del- 
le reliquie  e  reliquiari  di  s.  Lucia 
di  Faenza  dell'ordine  cistcrciense, 
Faenza   1733,  per  l'Archi. 

Tra  gli  opificii    di    Faenza   pri- 
mieramente va  fatta  distinta  men- 


FAE 
zione  delle    manifatture    e  fabbri- 
cazione delle  stoviglie  di    maiolica 
ad  imitazione  delle  porcellane,  che 
qui  ebbe  principio,  e  dilatatasi  poi 
nella    Francia    e     nell'  Inghilterra 
portò    seco    il    nome    di    Fayence 
derivatole    da  questa  città  :    nome 
che    danno    gli    esteri    ai    vasi    di 
quella  foggia  lavorati;  e  comunque 
dall'odierno  raffinamento  sieno  es- 
si   migliorati  notabilmente,    ninno 
può    toglierne  a    Faenza  il  pregio 
dell'invenzione.    Osserva    il   lodato 
Righi,   che    forse  alle  ottime  con- 
dizioni   di    cotale    manifattura    ha 
cospirato  grandemente  una  qualità 
di  terra,  che  nel  faentino   territo- 
rio   si  trova  in  gran    copia,    ed  è 
mirabilmente  idonea  a  venire  ma- 
neggiata, e   a  ricevere  qualsivoglia 
forma  e  impronta.  Comunque  legge- 
rissima   essa  diviene  di  tanta  soli- 
dità   che    regge    costantemente    al 
fuoco  e  a'  bollenti  umori.  Aggiun- 
ge poi  che  gli  scolari  di    Raffaello 
non    isdegnarono    di  dipingere    so- 
pra vari  pezzi  della  faentina  maio- 
lica, di  guisa  che  invalse    l'opinio- 
ne,   benché    fallace,    che    Raffaello 
stesso  vi  dipingesse;  opinione    pur 
bastevole  a  far  sì  che  tali    dipinti 
vasi  si  guardino    tuttavia  del  pari 
alle  più  mirabili  pitture  in  alcune 
gallerie.    Il  Cavina  porta  opinione 
che  nel    secolo  XI  "V    fiorissero    e- 
sperti  maestri  di  maiolica  in  Faen- 
za ;  e  le  recenti  manifatture  hanno 
aumentato  V  antico  suo  lustro,  tan- 
to nelle  stampe,    che  nel    disegno, 
dipinture  e  dorature.  Va  pure  ri- 
cordato l'ingegnoso  filatoio,  inven- 
tato nel    i559  da  Paolo  Ponteghi- 
no,    cui    certi     negozianti    francesi 
domiciliali  in  Faenza,  nel  1670   ri- 
dussero al  più  alto  grado    di  perfe- 
zione. E  pregiala  la  cartiera  eretta 
nel  1687,  per  ^a  carta  cne  v' s'  'av0' 


FAE  285 

ra,  la  quale  ha  il  credito  di    una 
delle    migliori.     Le  arti  e    l'indu- 
stria   vi  fioriscono,   forse  più    del- 
le altre  città  di  Piomagna.  Vi  ab- 
bondano eccellenti  ebanisti  ed    in- 
tarsiatoli, massime  l'officina  di  cer- 
to   Mingozzi,     in    cui    s'imitano    i 
pregiati  lavori  antichi  in  legni  co- 
lorati   e  in    pietre    dure;  e    bravi 
carrozzieri,  tra' quali  hanno  acqui- 
stato speciale    rinomanza  i  fratelli 
Casalini,  che  non  lasciano  invidia- 
re alla    patria  e    allo  stato    ponti- 
ficio   le    carrozze    di     Milano,     di 
Parigi  e  di  Londra.  Faenza    gode 
aria  salubre,  ed  ha  fecondo  terri- 
torio; né  manca  di  acque  termali. 
A  quattro    miglia    della  città  sca- 
turiscono quelle  dette  di  s.  Cristo- 
foro, delle  quali  abbiamo  da  Blan- 
chelli  Menghi,  De  baltico  s.   Chri- 
stoforì      Faventiae.    Extat     inler 
scriptor.  de    balneis3  etc.    Venetiis 
i553.    Inoltre     venne     dimostrala 
la    salutifera    virtù   di    tali     acque 
dal  dottore   Corsieri   con    opuscolo 
stampato     nel     1761.     Alla    stessa 
distanza    della    città    nel     1819   s* 
discoprirono  sorgenti  d'acque  mi- 
nerali,   che    tengonsi    più    efficaci 
che  quelle  di  Rio-lo-Secco.  Si  rin- 
vengono   in    alcuni    strati    di   ter- 
ra    diversi    minerali ,    pietre ,    ec. 
V.    V  opuscolo    di     scelta   erudizio- 
ne di  Pietro  Maria  Cavina  :  Faveti- 
iia  anti qui ssìma  regio  rediviva  co- 
uatu  hislorico-geographico,    Faven- 
tiae   1670,  ex    calcografia    Josephi 
Zanofallii,  con  figure.  Qui  notere- 
mo che    ad    un    Giorgio  Zara  fagli 
riminese  si  attribuisce  l' introduzio- 
ne della  stampa  in  Faenza,  cioè  al 
i623;  ma  è  a  sapersi,  che  ivi  un 
secolo  prima    l'avea    introdotta    il 
cremonese    Gio.    Maria    de'  Simo- 
netti,  che  vi  durò  a  stampare  pa- 
recchi anni.   Inoltre    la  descrizione 


&86  FAE 

(Iella  citlà  di  Faenza  fu  stampata 
ìiell'  Itinerario  italiano  nel  i8o5, 
pregiato  lavoro  del  eh.  faentino 
eonte  Francesco  Ginnasi. 

La    città    di    Faenza     stese    un 
tempo  i  suoi  domimi  fino  alle  Al- 
pi ,  signoreggiando     da    quel     lato 
Brisighella,    Modigliana,   Marradi, 
eia  città    d'Imola.  Al  piano    do- 
minava  Lugo,    Cotignola,    Bagna- 
ea vallo,    Solarolo,    e     Russi ,    oltre 
parecchi    castelli,    e    munite    torri, 
che  ne'  diversi  luoghi  del  territorio 
sorgevano.   Forlimpopoli  e  Meldola 
erano    anch'esse    soggette  per  mol- 
ti rispetti  a  Faenza,  in  quanto  che 
erano    tenute   a  ricevere  un    citta- 
dino   di  Faenza  per  loro  podestà; 
al  che  eziandio  Forlì  ebbe  ad  accon- 
sentire. Cervia  venne  pure   aggre- 
gata alla  signoria  di  Faenza,  quan- 
do quei  cittadini  abbisognavano  di 
aiuto    contro  i  ravennati;    i    quali 
dai  faentini  furono  sconfitti,  ed  in- 
seguiti   sin   dentro  Ravenna,    e  al 
luogo    detto    allora    Pai  Chiavato, 
che  dovettero  soggettare  alla    giu- 
risdizione spirituale  del  vescovo  di 
Faenza,    oltre    lo    smantellamento 
di  parecchie  castella.  Combattendo 
Carlo  Magno  il  re    Desiderio  rin- 
chiuso   in    Pavia,    Faenza    mandò 
al    primo  poderose   forze.  Quando 
i  generosi    lombardi   formarono  la 
rinomata  confederazione  contro  Fe- 
derico I  imperatore,  Faenza  fu    la 
sola  città  di  Romagna  che  entras- 
se in    sì    pericolosa  impresa.    Deg- 
gionsi   pure  rammentare  gli    eletti 
giovani  affidati  da  Faenza  al  zelan- 
te   vescovo   Giovanni,  per  la    cro- 
ciata di  Palestina.  Confederata    ai 
bolognesi  diede  essa  validi  soccor- 
si, ed  essendo  seco  loro  in  guerre, 
due    volte    li    pose  in    fuga.     Tre 
memorabili    assedii  intrepidamente 
sostenne,     cioè    nel     ii85,    e     nel 


FAE 

ia4»  dagli  imperiali,  e  nel  i5oo 
dal  famoso  duca  del  Valentinois. 
11  Garampij  nelle  Memorie  istori- 
che,  p.  3,  enumerando  i  fuochi 
delle  principali  città  di  Romagna, 
dopo  Rimini,  dà  la  preferenza  a 
Faenza,  che  ne  avea  più  di  Ra- 
venna, Forlì,  e  Cesena.  Che  Faen- 
za avesse  la  zecca,  lo  si  ha  da  Gui- 
do Zanetti,  Delle  zecche  d'Italia 
t.  II,  dalla  quale  opera  fu  estra- 
to l'opuscolo  intitolato:  Delle  mo- 
nete di  Faenza  dissertazione,  Bo- 
logna 1777.  Quando  Astorgio  IH 
Manfredi,  a  persuasione  del  beato 
Bernardino  da  Feltre  istituì  a  sol- 
lievo degli  indigenti  il  sagro  mon- 
te di  pietà  per  le  gratuite  pre- 
stanze di  denaro,  per  memoria  fu 
in  Faenza  coniata  una  moneta  di 
argento  del  valore  di  paoli  due 
circa,  coli' effìgie  di  Astorgio  III 
da  una  parte,  e  dall'  altra  l' inse- 
gna della  cristiana  pietà. 

In  quanto  ai  dominatori  della 
città  di  Faenza,  vuoisi  che  gli  at- 
tici ne  fossero  i  primi  reggitori, 
e  che  il  governo  sentisse  del  po- 
polare come  quello  de' greci.  Suc- 
cessi a  quelli  gli  etruschi,  è  pro- 
babile che  toscano  ne  fosse  il  go- 
vernamento;  e  caduta  Faenza  al- 
la signoria  de' galli,  indi  migliorò 
la  sua  sorte,  divenendo  municipio 
romano.  Nei  diversi  'avvenimenti 
della  repubblica,  Faenza  talvolta 
seguì  le  parti  degli  ambiziosi,  che 
meditavano  impadronirsi  del  pote- 
re, poiché  fu  seguace  di  Pompeo. 
Dopo  la  distruzione  dell'  impero 
occidentale,  e  lo  smembramento 
della  potenza  greca  in  Italia,  pas- 
sò Faenza  sotto  il  paterno  regime 
pontifìcio  con  proprie  leggi,  e  pel- 
le circostanze  eie'  tempi  divenne 
poi  preda  di  alcuni  dominatori.  Lo 
fu  temporaneamente  d'un  Mainar- 


FAE 

rio  Pagana  da  Sussenana  nel  i3oo, 
e  dal  1 3  1 3  sino  ai  primi  del  i5oo 
fu  soggetta  alla  potenza  dei  Man- 
fredi, finche,  dopo  la  breve  usur- 
pazione di  Cesare  Borgia  ed  oc- 
cupazione de' veneti ,  nel  1 5 io  tornò 
al  pieno  dominio  della  santa  Sede. 
Vario  fu  il  reggimento  civico  di 
Faenza,  ed  a  seconda  delle  suddet- 
te dominazioni.  Quando  reggevasi 
a  popolo,  la  suprema  potestà  era 
nelle  mani  de'  consoli  ;  poscia  dei 
podestà  ch'erano  cittadini  di  altre 
città,  ivi  chiamati  a  fungere  l'uf- 
fizio di  rettori.  Venne  pure  retta 
dai  capitani  del  popolo,  che  ordi- 
nariamente venivano  eletti  fra  i 
principali  cittadini  ;  ma  dessi  abu- 
sando del  potere  divennero  assolu- 
ti dominatori.  Dal  i5oo  in  poi, 
facendo  intera  parte  del  governo 
pontificio,  fu  sottoposta  ai  Cardina- 
li legati  di  Romagna,  tranne  il  bre- 
ve periodo  della  repubblica  cisal- 
pina, e  quello  del  regno  italico. 
Ora  è  dipendente  dalla  legazione 
apostolica  di  Ravenna,  e  governata 
da  un  pontificio  governatore.  Nel 
distretto  di  Faenza  sono  compresi 
i  governi  di  Brisighella,  e  di  Rus- 
si. Nel  proprio  governo  poi  si  nu- 
merano quaranta  casali.  Brisighel- 
la,  già  rinomato  castello,  è  oggi 
un  importante  borgo  nella  valle  del 
Lamone,  e  presso  la  riva  sinistra 
di  questo  fiume.  Risale  la  sua  ori- 
gine all'anno  goo  dalle  rovine  del 
castello  di  Beccagnano,  ed  ingran- 
dita fu  quindi  nel  1277  dal  Pa- 
gano. Gli  uomini  de'  dintorni  nei 
bassi  tempi  furono  prodi  guerrieri 
ed  eccellenti  condottieri  di  eserciti. 
Fiorirono  anche  uomini  per  digni- 
tà ecclesiastiche  preclari,  come  i 
Cardinali  Galantina  Agostino  (Ve- 
di), e  Spada  Bernardino  (  Vedi). 
A  tal  onore  era  vicino  il  rispetta* 


F  A  E  287 

bile  monsig.  Domenico  Cattani,  as- 
sessore della  sagra  romana  ed  uni- 
versale inquisizione,  se  la  morte  in 
patria  non  troncava  i  suoi  preziosi 
giorni.  Le  sue  preclare  virtù  meri- 
tarono di  essere  lodate  coli'  Elo- 
gio stampato  pel  Conti  in  Faenza 
nel  i838,  e  dedicato  dai  fratelli 
dell'  illustre  defunto  all'  odierno 
monsignor  vescovo,  che  ne  fu  l'a- 
morevole scrittore.  Le  vecchie  mu- 
ra di  Brisighella  attestano  la  sua 
antica  fortezza;  ma  nel  i5oo,  l'op- 
posizione che  fece  alle  armi  di  Giu- 
lio II,  le  produsse  molti  guasti. 
Vi  è  la  collegiata  di  san  Miche- 
le arcangelo,  e  la  chiesa  di  san 
Giovanni  Battista  va  rammenta- 
ta ,  insieme  a  quella  de'  mino- 
ri osservanti.  Nel  governo  di  Bri- 
sighella evvi  il  villaggio  Fognano 
sulla  riva  del  Lamone,  presso  il 
toscano  confine,  in  cui  fiorisce  in 
bellissimo  fabbricato  l' educandato 
delle  fanciulle,  fondato  dalla  pia 
generosità  del  faentino  Giuseppe 
Maria  Emiliani.  La  chiesa  ricevet- 
te per  la  fabbrica  la  somma  di  sei 
mila  scudi  dal  Cardinal  Giuseppe 
Fesch,  suo  munifico  protettore;  ma 
il  lodato  Emiliani  vi  spese  il  triplo 
per  condurla  a  termine.  In  quanto 
al  governo  di  Russi,  questo  è  un 
borgo  posto  nella  bassa  pianura 
fra  il  Montone  ed  il  Lamone,  alla 
sinistra  del  torrente  Via  Cupa,  che 
influisce  ne'due  fiumi  sotto  Ra- 
venna. Russi  venne  eretto  nell'an- 
no 963,  poi  ingrandito  nel  1 37 1 
da  Guidone  di  Polenta,  e  nel  i5i?, 
era  un  paese  assai  forte:  è  circon- 
dato di  mura,  con  bella  piazza,  e 
rimarchevoli  edifizi.  In  Bagnaca- 
vallo  (Fedi)  sono  i  conventuali, 
e  due  monisteri  di  cappuccine. 

Lo  stemma  della  città  di  Faen- 
za è  figurato  da  un  leone  rampante, 


288  FAE 

con  la  spada  nella    destra    zampa, 
con    corona    in    capo  di    foglie  di 
quercia,  e  sopravi  tre  gigli  d' oro. 
Delle  antiche  famiglie  illustri  della 
città  di  Faenza  ne  tratta  il  Righi, 
loco   citato,    pag.   5o    e    seg.,    ove 
principalmente  parla  delle  famiglie 
Terenzia;  Claudia,  donde  uscì  l'im- 
peratore Tiberio  Claudio;    Cejonia 
Vera  ;  e  Domizia.  Lucio  Elio  Vero 
Ccjonio  Comodo  vuoisi  faentino,  e 
prese  in  moglie  Domizia  Lucilla  pur 
faentina,  da  cui  nacquero  Lucio  Au- 
relio Vero  Antonino,  che  imperò  con 
Marc'Aurelio,  e  Cejonia  che  fu  im- 
palmata   da    Marco  Aurelio  Anto- 
nino :  Domizia   si    fece  cristiana,  e 
col  nome  di  Emiliana  sostenne  glo- 
rioso martirio.   Il  Papa  s.  Calisto  I 
romano,  creato  l'anno  221,  era  del- 
la famiglia  Domizia,  la  quale  fiorì 
in  Faenza  sino  al   1200  col  nome 
di  Caminizia;    mentre    la    Cejonia 
ivi  sussistette    sino    all'anno    74°- 
Dell'origine  e  gesta  delle  altre  no- 
bili famiglie  faentine,  il  medesimo 
Righi  ne  parla   in  vari  luoghi  de- 
gli Annali,  con  importanti  notizie; 
ed  il  can.  Strocchi  nei  suoi  Primor- 
dii    della    chiesa  faentina,    ci    dà 
preziose  notizie  sui  cospicui  perso- 
naggi sunnominati,  che  fiorirono  nei 
primi  secoli  della  corrente  era.  Fra 
le    moderne    nobilissime    famiglie , 
oltre  quella  di  Pietro  Pagano,  già 
possente  nel  1  o45,  ci  limiteremo  ad 
accennar    quella    de'  Manfredi    che 
divennero  signori  della  città,  e  che 
alzossi    sopra    ogni    altra    pel    suo 
slato  principesco,  protestando  però 
che  la  sua  origine  si  tiene  favolo- 
sa .  Narrasi  pertanto  che  un  nobi- 
le   cavaliere    per   nome  Manfredo, 
essendo  in   Bisanzio    alla    corte    di 
Costantino  s'  innamorò  di  sua  figlia 
Emide,   colla    quale    fuggì,    unen- 
dosi in  matrimonio.  Stabilitisi  na- 


FAE 

scostamente  nel    territorio    di    Mo- 
dena, acquistarono    su^li    abitatori 
autorità    ed  impero.    Dai    loro    fi- 
gliuoli derivarono  parecchie  nobili 
famiglie   in   quelle    parti,    massime 
quella  che  divenne  signora  di  Faen- 
za.  V.  il  Sansovino,  Origine  delle 
famiglie  ec,  della  famiglia  Man- 
fredi j  e  M.r   de   Chasoiv,    Génea- 
log.  historiq.  3  Seigneurs  de  la  mai- 
son   de    Manfredi,    tom.    II,    pag. 
54i.  Faenza  fiorì  per  letterati,  ar- 
tisti, guerrieri,  ed  altri  uomini  in- 
signi. Andrea  Zanone  ci  ha  dato  : 
Lettera   ad   un    amico    in    cui   si 
parla  dell'  opuscolo   de   lille ra tur a 
Favenlinorum ,  data  in  Faenza  i.° 
febbraio    1775.    Tale   opera  è  del 
p.   Gio.  Benedetto    Mittarelli,    che 
porta    per    titolo  :    De    litteralura 
Favenlinorum  3    sive  de    viris    do- 
ctis,    et  scriptoribus     urbis  Faven- 
tiae.  Appendix  ad  accessiones  hi- 
storicas  faventinaSjYenelidLe  1775. 
Sull'accademia    poi  de' Remoti ',  ab- 
biamo l'opuscolo    intitolato  :    Fon- 
dazione   e   progressi    dell'  accade- 
mia de'  signori  Remoti  di  Faenza, 
ivi    1G81.    Il  eh.  Righi,    nel  tom. 
Ili   de'  suoi  Annali,   a    pag.    199, 
discorre  dell'accademia  de' Filoponi, 
cioè  di  amatori  della  fatica  ;  acca- 
demia che  fiorì  per  lungo    tempo, 
e  la  cui  fondazione  risale  al    16 19; 
ed  a  pag.   262,  dell'accademia  de- 
gl'  Incitati,   eh'  ebbe   principio    nel 
i685.  11  Garuffi  nell'  Italia    acca- 
demica, ove  parla  di#diverse  acca- 
demie dello  stato  pontifìcio,  discor- 
re pure  dell'  accademia  di  Faenza. 
Corre   già    felicemente  il  IV  anno 
che  con  pubblica  lode  e  gradimen- 
to   periodicamente    si    pubblica  in 
Faenza  l'utile,  dilettevole  e  dotto 
giornale  letterario,  intitolato   Y Im- 
parziale,   di   cui    sono    benemeriti 
e  zelanti  i   chiarissimi  abbate  Giù- 


FAE 

seppe  Macco! ini  coestensore,  e  Vin- 
cenzo Rossi  direttore  proprietario  ; 
nomi  che  risuonano  onorati  e  di- 
stinti nella  repubblica  letteraria. 

A  tali  due  valenti  scrittori  mi 
corre  tenero  obbligo  di  eterna  ri- 
conoscenza, per  essere  di  quelli  che 
presero  amorevole  parte  alle  mie 
molte  e  calde  lagrime,  sparse  al- 
lorché piacque  a  Dio  privarmi 
dell'unico  figlio  maschio,  fra  sei 
figlie  femmine  di  cui  pur  sono 
padre,  cioè  dell' amabilissimo  e  di- 
letto Gregorio  Moroni  romano  ; 
grave  perdita  che  tanto  più.  mi 
colpì  e  trafisse,  sì  per  la  brevità 
del  male  che  lo  rapì,  sì  per  le 
liete  e  grandi  speranze,  ch'egli  mi 
dava.  Non  solo  egli  meritò  essere 
compianto  nel  lodato  faentino  Im- 
parziale dai  eh.  Maccolini  e  Rossi, 
ma  nel  medesimo  foglio  da  ultimo 
lo  fu  eziandio  con  cordialissimi 
cenni  biografici  dal  eh.  professore 
Gaetano  Lenzi. 

Distinguevasi  l'egregio  mio  fi- 
glio novenne  per  regolari  forme  e 
statura  vantaggiosa,  animandone  il 
volto  belli  e  nerissimi  occhi  :  in- 
genuo e  grato  n'  era  l' aspetto,  in 
cui  traspariva  il  candore  del  suo 
pieghevole  animo,  tutto  inclinato 
alla  compassione  del  suo  simile  ; 
distinguevasi  inoltre  per  aurea  in- 
dole, per  senno  superiore  alla  sua 
età,  per  piacevolezza  e  lepidezza  ; 
in  fine  per  pronto  e  felice  ingegno, 
dandone  chiare  prove,  non  senza 
sorpresa  de'  suoi  maestri,  nel  pro- 
gresso mirabile  e  rapido  eh'  egli 
fece  negli  studi .  Laonde  per  sì 
pregevoli  qualità,  e  pel  singoiar 
complesso  delle  circostanze  che  pre- 
cedettero, accompagnarono,  e  se- 
guirono il  triste  inatteso  avveni- 
mento, sarà  sempre  per  me  funesto 
il  dì  22  agosto,  giorno  in  cui,  con 
vol.  xxii. 


FAE  289 

inesprimibile  ed  immenso  dolore, 
nel  1842  fui  privato  quasi  repen- 
tinamente del  tanto  pianto,  e  degno 
mio  figlio.  A  pubblica  testimonian- 
za di  verace  stima,  e  di  sviscera- 
to amore  verso  di  esso,  e  del  cordo- 
glio che  mi  accompagnerà  alla  tom- 
ba, giammai  tralascerò  di  ulterior- 
mente e  con  tutti  i  mezzi  possibili, 
renderne  vieppiù  illustre,  distinta  e 
perenne  la  ricordanza.  La  sua  ca- 
ra memoria  fu  già  resa  eminente- 
mente tale  in  vari  modi  da  diversi 
primari  artisti  di  Roma,  e  con 
decoro  venne  celebrata  da  chiaris- 
sime penne,  con  stupendi  ed  ele- 
ganti necrologici  componimenti ,  è 
con  soavi  poesie,  piene  tanto  di  con- 
forto per  me,  e  di  giusto  elogio  pel 
defunto,  quanto  di  belle  immagini 
ed  affettuosi  concetti.  Desse  non  si 
ponno  leggere  dagli  animi  gentili, 
senza  provarne  sensibile  commo- 
zione :  dappoiché  i  cortesi  ed  insi- 
gni autori,  penetrati  dell'  acerbità 
del  caso ,  fecero  proprio  il  dolor 
mio.  Abbiano  perciò  essi  anche  qui 
un  ringraziamento,  che  vorrei  espri- 
mere colle  più  splendide  parole,  e 
tali  che  significassero  il  sentimento 
dell'animo.  Sì  fatte  amorevoli,  pub- 
bliche e  solenni  dimostrazioni,  nel- 
la maggior  parte  graziosamente  rac- 
colte da  mano  amica,  vennero  con 
pietoso  divisamento ,  siccome  fiori 
non  caduchi,  ed  ancor  tiepidi  delle 
mie  lagrime ,  sparsi  sulla  tomba 
del  figlio ,  a  me  intitolate,  e  col 
ritratto  del  giovanetto  in  fronte  ed 
in  fine  del  libro,  furono  decorosa- 
mente e  con  bella  edizione  pub- 
blicate in  Roma  dalla  rinomata 
tipografia  Salviucci,  nel  primo  an- 
niversario della  morte  del  mio  fi- 
glio Gregorio,  epoca  di  mia  gra- 
vissima sventura  ;  ed  epoca  infelice 
che  pur  volle  rammemorare  colla 
!9 


290  FA  E 

suddetta  biografia  l'ottimo  e  rispet- 
tabile Lenzi.  L'amabile  giovinetto 
pei  copiosi  doni  di  cui  gli  fu  lar- 
gì natura  e  fortuna,  non  solamente 
fu  avventuroso  vivente,  ma  lo  fu 
pure  dopo  morto,  percbè  assai  o- 
norato,  encomiato  ed  applaudito 
per  le  sue  eccellenti  non  comuni 
qualità.  Di  grazia  si  condoni  beni- 
gnamente ad  un  desolato  e  af- 
flitto genitore  questo  sfogo,  forse 
abbondante,  caduto  per  gratitudine 
naturalmente  dalla  penna  in  que- 
sto mio  Dizionario,  molti  articoli 
del  quale  scrissi  appositamente  pel 
defunto,  che  vide  con  piacere  pub- 
blicato il  XIV  volume.  Però  ri- 
torno sommesso  a  chinare  rive- 
rente il  capo  alle  venerate  dispo- 
sizioni e  voleri  di  Dio,  e  a  bene- 
dirne, glorificarne,  e  magnificarne 
il  sagrosanto  suo  nome. 

Ritornando  sulle  opere  che  trat- 
tarono di  Faenza  e  che  le  danno 
nobile  rinomanza,  dirò  che  per 
conto  ai  santi  e  beali  faentini  si 
può  leggere  quanto  pubblicò  Ro- 
mualdo Maria  Magnani.  Nel  174* 
egli  ci  diede  per  l'Archi ,  le  Vile 
de  santi  e  beati  della  città  di 
Faenza,  ove  si  tratta  delle  imma- 
gini della  Beata  Vergine,  e  di  va- 
rie memorie  sagre  di  essa  città,  ec. 
Nel  discorso  preliminare  dà  egli 
cognizioni  sulle  famiglie  illustri  di 
Faenza,  e  di  vari  storici  della  me- 
desima. Quindi  nell'anno  seguente 
e  per  lo  stesso  tipografo,  il  Ma- 
gnani pubblicò:  J' ite  de' santi  e  bea- 
li della  diocesi  di  Faenza  con  una 
descrizione  proemiale  di  tutte  le  ter- 
re e  castelli  esistenti  in  essaj  il 
medesimo  scrittore  parla  di  alcuni 
santi  martiri  anonimi  faentini  sot- 
to Diocleziano  e  Massimiano  l'an- 
no 290.  Meritano  pure  speciale  ri- 
cordanza s.  Umiltà  istitutrice  del- 


FAE 

le  monache  vallombrosane ,  la  b. 
Margherita  sua  compagna  ,  il  b. 
Giacomo  Filippo  Bertoni  servita, 
e  il  b.  Andrea  Bovi  domenicano 
martire,  de' quali  trattano  i  boi- 
landisti  e  il  Magnani.  In  fine  av- 
vi un  supplimento  di  alcuni  sog- 
getti tralasciati  nel  tomo  degli 
uomini  illustri  per  santità  di  Faen- 
za. Tra  quelli  che  fiorirono  nelle 
dignità  ecclesiastiche,  a  cagione  d'o- 
nore, nomineremo  i  Cardinali  Bo- 
schi Gio.  Carlo  (Fedi),  Severoli 
Antonio  Gabriele  (Fedi),  che  fu 
vicino  al  pontificato,  e  Zauli  Giam- 
battista (Fedi).  Qui  va  notato  che 
il  Cardinal  Boschi  lasciò  alla  cat- 
tedrale molti  arredi  sagri,  ricama- 
ti in  oro  e  ricchi  di  pietre  pre- 
ziose; e  procurò  che  fossero  au- 
mentate le  rendite  della  fabbrica  e 
della   sagrestia. 

Quanto  alle  arti  belle,  Faen7a 
ebbe  sempre  valenti  professori  fino 
dai  tempi  del  Giotto,  di  cui  furo- 
no discepoli  Pace  e  Ottaviano  da 
Faenza.  Giovanni  Battista  Bertucci 
il  vecchio  n'  è  forse  il  più  loda- 
to pittore;  poi  Jacopone  suo  figlio 
discepolo  di  Raffaello,  insieme  con 
Marco  Marchetti  detto  Marco  da 
Faenza,  di  cui  furono  contempo- 
ranei Sigismondo  Folchi,  imitato- 
re, e  forse  scolare  del  Frate,  non 
ricordato,  non  si  sa  il  perchè,  dal 
Lanzi;  e  Giulio  Cesare  Tonducci, 
chiamato  il  Figurino,  scolare  di 
Giulio  Romano;  e  Gio.  Battista 
Armellini  disegnatore  esimio  e  pit- 
tore, che  scrisse  i  lodatissimi  e  più 
volte  stampati  Veri  precelti  della 
pittura.  Al  principio  del  secolo 
XVII  fiori  il  cav.  Ferrati  Fono- 
ni ,  e  un  Manzoni  degno  scolare 
e  imitatore  de'  Caracci.  E  tacen- 
done più  altri  può  nominarsi  il 
cav.  Tommaso  Minardi ,    che  vi  ve 


FAE 

in  Roma  per  gloria  di  questa  cit- 
tà, e  dell'  Italia.  Pietro  Barilotti, 
di  cui  tace  im meritamente  il  Ci- 
cognara,  dopo  il  principio  del  se- 
colo XVI  esercitò  con  molta  lode 
la  scultura,  e  ci  restano  monumen- 
ti di  suo  scalpello  assai  pregiati. 
Agli  architetti ,  oltre  i  nominati 
cav.  Giuseppe  Pistocchi,  e  p.  Do- 
menico Paganelli  che  fu  maestro 
del  sagro  palazzo,  e  matematico,  e 
architetto  de'  Papi  Leone  XI,  e 
Paolo  V,  potrebbesi  aggiugnere  il 
p.  servita  Andrea  de'  Manfredi  si- 
gnori di  Faenza,  che  architettò  e 
costruì  a  sue  spese  nel  1377  il 
portico  de'Servi  di  Bologna,  e  dise- 
gnò gli  stalli  del  coro  dell'annes- 
sa chiesa,  che  fu  deputato  a  di- 
ligere il  modello  della  chiesa  di  s. 
Petronio  di  quella  città,  e  meritò 
per  la  dottrina  e  bontà  sua  di 
essere  eletto  generale  del  suo  or- 
dine. A  compir  la  serie  degli  ar- 
tisti, non  è  da  tacere  Giuseppe 
Santi,  che  si  annovera  fra  i  clas- 
sici maestri  di  musica.  Venendo  ai 
letterati,  sono  a  ricordarsi,  fra  gli 
scrittori  ecclesiastici,  i  due  dome- 
nicani Luca  Castellini  e  Girolamo 
Armellini,  e  il  francescano  Filippo 
Fabbri ,  che  già  ebbero  nome  di 
grandi  teologi;  e  Giacomo  Lader- 
chi,  prete  dell'  Oratorio  di  Roma, 
che  continuò  gli  annali  del  Baro- 
nio  e  del  Rinaldi  ;  e  il  canonico 
Filippo  Rondinini.  Nella  filosofia  si 
segnalarono  Pier  Nicolò  Castellani, 
e  il  nipote  monsignor  Giulio  Ca- 
stellani, che  fu  anche  oratore  e 
letterato  insigne,  e  mori  in  R.oma 
nel  i586,  poco  dopo  essere  stato 
eletto  vescovo  di  Cariati  ;  e  Gre- 
gorio Zuccoli,  già  nominato  fra  gli 
storici,  e  ultimamente  il  dottor  An- 
tonio Bucci.  Il  gran  Torricelli  è  no- 
tissimo a  tutto  il  mondo.   Furono 


FAE 


291 


pur  buoni  matematici  i  ricordati 
Pier  Maria  Cavina  e  Carlo  Cesare 
Scaletta.  Furono  chiari  medici  i 
due  Vettori  Leonello,  e  Girolamo; 
Mengo  Bianchelli  ;  Antonio  Cittadi- 
ni,  che  dopo  aver  professato  in 
più  università  italiane  l' arte  sua, 
acquistossi  in  Parigi  il  nome  di 
grande  italiano;  Pietro  Sali  Diver- 
si ;  e  Domenico  Masotti  (  detto  ma- 
lamente fiorentino  dal  Lombardi 
continuatore  della  storia  del  Ti- 
raboschi  ),  il  quale  professò  in  Fi- 
renze la  chirurgia,  e  pochi  scritti 
pubblicò ,  lasciando  manoscritte 
molte  cose,  delle  quali  dopo  lui 
altri  forse  si  sarà  fatto  bello.  Co- 
me giureconsulti  si  segnalarono 
Bartolommeo  Ercolani  ;  Ercole  Se- 
veroli,  che  fu  uno  de'promotori 
del  concilio  di  Trento;  Gabriele  An- 
tonio Calderoni  ;  e  monsignor  Zauli 
Teseo vo  di  Veroli.  Fra  i  poeti  let- 
terati ed  eruditi  sono  a  nominarsi 
Ugolino  d'Azzo  Ubaldini,  encomia- 
to da  Dante;  Alessandro  Caldero- 
ni; Lodovico  Zuccoli;  Gio.  Battista 
Zarattini  Castellini;  monsignor  Mar- 
cello Severoli  ;  Porporino  Baroncini 
monaco  celestino;  il  parroco  An- 
tonio Laghi  che  in  eleganti  versi 
latini  voltò  i  salmi  ed  altri  libri 
scritturali,  e  molte  poesie  italiane; 
e  il  giovane  morto  testé  in  Pari- 
gi, discepolo  di  Champollion,  Fran- 
cesco Salvolini,  che  parecchi  scrit- 
ti ha  dato  in  luce  ad  illustrazione 
delle  antichità  egiziane;  e  vive  tut- 
tavia in  Ravenna  con  vigoria  di 
mente  e  di  corpo  il  Nestore  dei 
letterati  italiani,  il  eh.  cav.  Dio- 
nigi Strocchi,  traduttor  di  Callima- 
co, e  delle  Buccoliche  e  Georgiche 
di  Virgilio. 

L'origine  di  Faenza  probabilmente 
si  deve  agli  attici,  i  quali  in  com- 
pagnia dei   tessali  e  di  altri  popoli 


lyi  FAE 

della  Grecia,  dopo  il  diluvio  di 
Deucalione,  dalle  loro  contrade  na- 
vigando pel  mare  Adriatico ,  ap- 
prodarono ne' dintorni  di  Ravenna 
circa  1200  anni  avanti  l'era  cristia- 
na. Indi  si  narra  che  i  tessali  po- 
sero le  fondamenta  di  Ravenna,  e 
gli  attici  avanzandosi  verso  i  colli, 
nello  spazio  più  acconcio,  gettaro- 
no le  fondamenta  della  città,  ove 
radunando  i  rozzi  abitanti  de'  din- 
torni la  chiamarono  con  greco  vo- 
cabolo Splendeo,  per  denotare  la 
magnificenza  e  il  lustro  cui  dovea 
salire  la  comune  patria,  che  poi 
prese  il  nome  di  Faenlia ,  donde 
provenne  l'odierno  di  Faenza.  Non 
si  può  stabilire  come  questo  venne 
imposto  alla  città,  o  ciò  seguisse 
per  opera  degli  etruschi,  che  di- 
scacciando gli  attici  estesero  la  do- 
minazione per  molta  parte  del 
paese,  che  oggidì  appellasi  Emilia 
o  Romagna  ;  ovvero  più  probabil- 
mente ciò  avvenisse  per  opera  dei 
romani,  i  quali  dagli  abitanti  eb- 
bero validi  soccorsi  in  gente  ed 
armi  all'epoca  della  seconda  guer- 
ra punica,  che  per  significare  i 
rilevanti  aiuti  conseguiti  contro 
Annibale,  mutarono  l' appellativo 
Faentia  in  Favenlias  acciocché  sì 
fatto  nome  facesse  per  sempre  pub- 
blica testimonianza  del  favore  che 
i  romani  trassero  dai  faentini  nel- 
la memorata  impresa.  Altri  dicono 
che  fu  fondata  dagli  umbri,  che 
Flavio  romano  la  eresse,  che  fu 
fatta  città  nell'anno  3i3,  e  circon- 
data di  mura  nel  1 286  :  così  il 
Calindri  nel  Saggio  statistico  stori- 
co dello  stato  pontificio,  pag.  1 1 6. 
Altri  finalmente  asseriscono  che 
questa  antichissima  città,  sino  al 
tempo  di  Costantino  il  Grande  chia- 
mossi  Flavia,  e  prese  allora  il 
nome  di  Faventia,  per  ordine  dello 


FAE 

stesso  imperatore  che  l'avea  sem- 
pre   favorita,    e   che  da    questo  si 
formò    per   corruzione   il  suo  mo- 
derno nome  di  Faenza.  Tutta  volta 
vuoisi  dai  critici, che  di  Faenza,  seb- 
bene città  antichissima,  se  ne  igno- 
ri   affatto  l'origine  ;  e   che  quanto 
dicesi  di  sua  fondazione,  e  del  primo 
suo    nome    sia    mera  congettura. 
Che  avesse  il  nome  di  Flavia  da 
un  Flavio  romano,  cambiatole  poi 
in  quello  di  Faventia    da   Costan- 
tino si  vuole  indubitatamente  falso, 
Tito  Livio  ne  fa  menzione  parlan- 
do della  sconfitta  che  vi   ricevette 
Carbone,  poscia  costretto  da   Siila 
a  fuggirsene  dall'  Italia.  Vellejo  Pa- 
tercolo  parla  di  una  vittoria  quivi 
riportata    da    Metello    Pio;  Plinio 
fa  l' elogio  dei  lini    del    territorio, 
parlando  dei  faventini ;  e  Silio  Ita- 
lico dei  pini  che  coronavano  le  sue 
ubertose  campagne.  Quivi  Negrino 
da  Faenza,  console  in  Roma,  della 
famiglia    Domizia,    nell'anno    118 
fu  ucciso  per  gelosia  e  malevolen- 
za del   romano    senato,  con    ram- 
marico di  Adriano  imperatore  che  lo 
avea  designato  in  successore.  Qui  fu  il 
tradimento   fatto  da  Tufa  generale 
dell'erulo  Odoacre  re  d' Italia,  con- 
tro Teodorico  re  de'goti  nel  489; 
e  poi  nel  542  fu  quivi  la  vittoria 
de'  goti  contro  i  greci,  a'  tempi  del  re 
Totila  ;  e  nel  medesimo  secolo  ven- 
ne dai  goti  saccheggiata.  Non  andò 
guari,  che  chiamati  da  Narsete  in 
Italia  i    longobardi ,  gì'  imperatori 
d'oriente  furono  costretti  di  gover- 
nare Roma  per  capitani,  e  Raven- 
na   per    Esarchi    (Vedi);    laonde 
Faenza  soggiacque  alle  vicende  del- 
l'esarcato, in  cui  trova  vasi  compre- 
sa, e  siccome  l'esarcato  si  sottopose 
alla  protezione  della  Chiesa   roma- 
na   nel    pontificato  di  s.  Zaccaria, 
sino  d'allora  incominciò  Faenza  a 


FAE 

sperimentare  le  paterne  sollecitu- 
dini de*  romani  Pontefici,  per  l'ab- 
bandono che  fecero  dell'  esarcato  i 
greci  imperatori. 

Mirando  il  re  de'longobardi  Luit- 
prando  all'  ingrandimento  del  suo 
regno.,  ed  al  conquisto  della  flori- 
da provincia  di  Romagna,  secondo- 
che  racconta  il  Tolosano,  seguendo 
un'incerta  tradizione,  nell'anno  740 
strinse  d'assedio  Faenza,  e  non  riu- 
scendogli prenderla  colle  armi,  tras- 
se in  inganno  i  cittadini,  e  nel  sa- 
bato santo,  mentre  erano  raccolti 
nella  cattedrale  di  s.  Maria  Foris 
Portavi,  intenti  ai  divini  uffici,  il 
nemico  penetrò  nella  città,  ponen- 
do ogni  cosa  a  ferro  ed  a  fuoco,, 
non  perdonando  a  sesso  e  ad  età, 
né  rispettando  neppure  le  chiese; 
indi  ne  furono  smantellate  le  mu- 
ra. Venne  poscia  reintegrata  in 
parte  la  città,  quando  destò  com- 
passione al  barbaro  re.  Ristorati  in 
qualche  modo  i  gravissimi  danni 
cagionati  da  Luitprando,  e  riedifi- 
cata la  cattedrale  e  l'episcopio  in 
luogo  più  opportuno  ,  coi  mezzi 
somministrati  nel  743  da  Papa  s. 
Zaccaria,  venne  eletto  ad  occupar 
la  vedova  sede  Giovanni  I,  ottavo 
vescovo  di  Faenza.  In  appresso 
non  potendo  il  Pontefice  Stefano 
li  detto  111  ottenere  da  Astolfo  re 
de'  longobardi ,  che  cessasse  di  far 
stragi  nei  dominii  della  Chiesa  ro- 
mana, implorò  ed  ottenne  che  Pi- 
pino re  di  Francia  nel  754  co- 
stringesse Astolfo  a  restituire  l'e- 
sarcato, laonde  die  alla  Chiesa  le 
ricuperate  terre,  compresa  Faenza, 
come  afferma  il  Borgia,  Memorie 
isteriche  tom.  I,  p.  19.  Vero  è  pe- 
rò che  Astolfo  non  restituì  allora 
tutte  le  città  dell'esarcato,  ma  es- 
sendo morto  nel  756,  il  Papa  po- 
tentemente   contribuì    che  gli  suc- 


FAE  393 

cedesse  nel  trono  Desiderio,  col 
patto  che  gli  restituisse  le  città  ri- 
tenute dal  predecessore  contro  la 
data  fede,  fra  le  quali  Faenza,  ed 
altre  cinque  primarie  città;  ma  so- 
lo Faenza  e  il  ducato  di  Ferrara 
1'  ingrato  Desiderio  restituì.  Che 
Faenza  e  il  ducato  ferrarese  fosse- 
ro effettivamente  restituite  al  Pa- 
pa, lo  afferma  anche  il  Rinaldi, 
all'anno  756,  num.  5.  Minaccian- 
do Desiderio  al  Pontefice  Adriano 
I  la  rovina  di  Roma  se  non  ade- 
riva a'  suoi  ambiziosi  disegni,  ed 
insieme  d'  invadere  le  altre  terre 
della  Chiesa,  nel  772  incominciò  a 
mandar  ad  effetto  il  suo  prepo- 
tente divisamento,  sulla  città  di 
Faenza ,  e  generale  fu  la  strage  e 
la  devastazione;  ma  Adriano  I  ri- 
corse alle  armi  di  Carlo  Magno , 
e  questi  pose  fine  nell'anno  773  al 
regno  longobardico,  facendo  prigio- 
ne T  indegno  Desiderio,  contro  il 
quale  pugnarono  alcune  città  della 
Chiesa,  in  un  ai  faentini .  Questi  aiu- 
tarono pures.  Leone  III,  quando  con 
Carlo  Magno  nell'  800  conquise  i 
di  lui  nemici ,  rinnovando  allora 
quel  Papa  nel  principe  francese  l'im- 
pero occidentale,  eh' erasi  spento  dal 
re  Odoacre. 

Correndo  l'anno  935,  Manasio, 
colle  sue  ricchezze,  s'impadronì 
della  signoria  di  Faenza,  ma  la 
sua  audacia  fu  punita  colla  morte. 
Verso  l'anno  967,  essendosi  mos- 
so l'imperatore  Ottone  I  contro 
di  Berengario,  che  travagliava  il 
Pontefice  Giovanni  XII,  i  faentini 
seguirono  le  parti  del  primo,  per 
cui  poscia  assegnò  loro  dominii  e 
privilegi  ,  riformandone  il  civile 
reggimento  coli' istituzione  de' ma- 
gistrati appellati  conti,  che  ivi  du- 
rarono sino  al  1069.  Nel  io45 
Faenza  fu  in  gran  parte  consunta 


2<)4  FAE 

da    incendio,    e    trenta  anni  dopo 
incominciarono  inimicizie  e  odii  mu- 
nicipali   tra     Ravenna    e    Faenza  , 
ch'ebbero    funestissime    conseguen- 
ze.     Vantando    la    prima    gloriose 
ricordanze    vedeva    di   mal   occhio 
che  Faenza    gareggiasse  in    Roma- 
gna colle  primarie  città,  in  poten- 
za   e  valore,    quindi    zuffe  e    dan- 
neggiamenti si  alternarono  per  mol- 
ti secoli  da  ambo  le  parti,  e  mol- 
to sangue    si  versò    in  diverse    in- 
fauste   epoche,  che  lungo    sarebbe 
descrivere,    di    cui    sono    piene    le 
pagine  delle  patrie  storie.  Nel   i  io3 
insorsero     gravi     discordie    tra    la 
plebe  e  i    nobili,    i  quali  in    gran 
numero  furono  cacciati  dalla  città, 
quindi    arse  e  smantellate  le    loro 
case,    fra'  quali    Alberico  di  Guido 
di  Manfredo.   Sì  fatti  bandi  per  le 
gare   tra  popolani  e  nobili,  disgra- 
ziatamente di  frequente  per  lunga 
pezza  di  tempo  rinnovaronsi,  dan- 
neggiando   talvolta    i   fuorusciti    il 
territorio    faentino,    e    ad    armata 
mano  rivolgendosi  o  co*  ravennati 
o  con    altri   popoli  a  danno    della 
patria.  Fu  nel     ii32,  che    veden- 
dosi Imola    assaltata  dai   bolognesi 
e  dai  ravennati,  preferì  invocar  la 
protezione    de'  faentini,  e    ne    rag- 
giunse   l'intento.    Così   pur    lungo 
sarebbe    il    riportare    gli    assalti   e 
le     distruzioni    di     diversi    castelli 
e  ville,  ciò  narrandosi  distesamen- 
te negli  encomiati  Annali  del  Ri- 
ghi.   Nel    1 1 87  i  faentini  a  media- 
zione   dell'imperatore   Lottano    II 
patteggiarono  co'  bolognesi  sul  do- 
minio   d'Imola,  la    quale    dovette 
annualmente  tributare  due  pallii  sì 
a    Faenza,    che    a    Bologna.    Indi 
nel     1141    i    bolognesi    aiutati  dai 
faentini  fecero  guerra  ai  modenesi, 
mentre    i    cesenati    ottennero    soc- 
corso   da    Faenza,  la  quale  poscia 


FAE 
aiutò  pure  il  conte  Guido  di  Mo- 
digliana  contro  ai  fiorentini,  at- 
teso i  molti  obblighi  che  aveva  la 
città  con  essolui,  che  poi  aiutò  i 
faentini  a  danno  d' Imola,  in  qua- 
lità di  capitano  delle  milizie,  però 
il  di  lui  figlio  chiamato  pur  Gui- 
do, s'inimicò  con  Faenza,  onde 
ebbe  atterrata  la  rocca  di  Celia- 
la no. 

Per  le  dissensioni  insorte  tra  il 
Papa  Adriano  IV,  e  Federico  I 
imperatore,  i  popoli  presero  un 
partito  :  chi  seguì  il  primo,  più 
tardi  si  disse  guelfo;  chi  parteggiò 
pel  secondo  nomossi  ghibellino;  e 
Faenza  anch'  essa  fu  divisa  da  ta- 
li tremende  fazioni.  Nel  ii6t>,  in 
passando  Federico  I  coli'  impera- 
trice Beatrice  per  Faenza,  fu  al- 
loggialo da  Guido  ed  Enrico  fra- 
telli Manfredi  :  il  popolo  festeggiò 
con  pubblici  segni  di  gioia,  con 
giostre  e  tornei  cotali  ospiti,  che  si 
dimostrarono  oltremodo  soddisfat- 
ti de' faentini,  anzi  pacificandosi 
1*  imperatore  con  Rimini,  e  pro- 
mettendo difenderla  da  qualunque 
nemico,  ne  volle  eccettuata  Faenza. 
Quindi  nelle  case  de'  Manfredi  se- 
guì la  riconciliazione  deJ  faentini 
col  giovine  conte  Guido  di  Modi- 
gliana  suddetto:  i  faentini  altresì 
si  amicarono  in  quell'anno  e  col- 
legarono co'  ferraresi.  Dopo  vari 
fatti  d'armi  coi  forlivesi,  nel  1  170 
seguì  fìerissima  battaglia^  in  cui 
riportarono  vittoria  i  faentini.  Nel- 
l'anno seguente  seguì  il  quarto 
incendio  di  Faenza,  che  aiutò  il 
conte  Guido  contro  il  conte  di  Ga- 
strocaro. Nell'anno  1 174  un  turbine 
roviuoso  afflisse  la  città,  che  non 
era  entrata  colle  altre  di  Roma- 
gna nella  confederazione  lombarda, 
in  difesa  del  legittimo  Pontefice 
Alessandro  III,  e  per  combattere  la 


J  f  A  E 
crescente  possanza  di  Federico  I. 
Non  entrarono  i  faentini  nella  le- 
ga, perchè  a  comando  dell'impera- 
tore, dice  il  Righi,  l'arcivescovo 
di  Magonza  avea  rilegato  l'antipapa 
Pasquale  nella  loro  città,  guardata 
da  numeroso  presidio,  per  assicu- 
rarsi a  un  tempo  dell'  antipapa 
e  de' faentini.  Qui  noteremo  che 
per  opera  di  Federico  I  fu  eletto 
l'antipapa  Pasquale  III,  il  quale 
morì  in  Roma  nel  i  167,  succe- 
dendogli nell'  antipapato  Calisto 
III  nel  1168.  Non  solo  nel  1174 
era  morto  Pasquale  III,  ma  di  sì 
fatta  rilegazione  in  Faenza,  ne  di 
lui,  né  del  successore  niuna  men- 
zione ne  fa  l'accuratissimo  Lodo- 
vico Agnello  Anastasio,  nell'  Isto- 
ria degli  antipapi,  tomo  II.  Seb- 
bene nel  11 77  in  Venezia  fosse 
conchiusa  la  pace  fra  Alessandro 
III  e  Federico  I,  per  cui  l'Italia 
riposò  alquanto  dalle  militari  fa- 
zioni e  civili  discordie,  pure  le 
città  della  lega  lombarda  veden- 
do l'arcivescovo  di  Magonza  inca- 
ricato del  reggimento  militare  e 
civile  delle  regioni  italiane,  repu- 
tarono opportuno  tenersi  armate 
e  stringersi  in  alleanze,  e  i  faenti- 
ni prontamente  vi  aderirono,  mas- 
sime con  Bologna. 

Dopo  aver  i  faentini  co' bolo- 
gnesi assediato  Imola,  fu  convenu- 
la la  pace,  e  rinnovato  il  tributo 
cui  dessa  erasi  sottratta,  come  suc- 
cesse la  concordia  col  conte  Guer- 
ra; indi  nel  1181  i  faentini  uni- 
ti ai  ravennati  sottomisero  Bagna- 
cavallo  con  severi  patti.  Nel  11 83 
la  plebe  insorse  a  tumulto,  non 
per  sospetto  che  il  clero  brigasse 
cambiamento  di  reggimento,  o  ne 
volesse  far  parte,  ma  piuttosto 
mossa  dalla  fame,  per  cui  saccheg- 
giò   i  granari    e    le    cantine    della 


FAE  a95 

cattedrale,  e  quelle  degli  spedali 
e  monisteri  :  in  tal  modo  le  cose 
giunsero  agli  estremi,  e  il  vesco- 
vo Giovanni  solennemente  fulmiuò 
V  interdetto  per  frenar  il  furore 
della  moltitudine.  Nel  11 83  Fe- 
derico I  in  Costanza  stabilì  la  pa- 
ce colla  Chiesa  romana,  e  co' po- 
poli di  Lombardia,  Romagna  ec, 
secondo  le  convenzioni  conchiuse 
dai  commissari  d'ognuna  a  Pia- 
cenza, dichiarando  l' imperatore  di 
concedere  alle  città,  compresavi 
Faenza,  ciò  che  non  gli  era  più. 
dato  d'impedire,  libertà  di  regger- 
si a  proprie  leggi  e  col  mezzo  di 
cittadini  magistrati,  e  che  doves- 
sero riconoscere  simil  privilegio 
da  lui  e  successori;  ma  nel  ri- 
partimento  del  tributo  imposto  dal- 
l' imperatore,  si  ribellarono  i  mon- 
tanari, T  antico  magistrato  de'  con- 
soli fu  deposto,  e  surrogato  un 
podestà,  ne  ciò  potè  impedire  al- 
tri dissidi  tra  la  plebe  e  i  nobili. 
Dappoi,  nel  1187,  il  vescovo  Gio- 
vanni, cedendo  alle  esortazioni  di 
Papa  Clemente  III,  con  quattro- 
cento faentini  e  ravennati,  e  que- 
sti col  loro  arcivescovo,  partirono 
per  la  Soria;  ma  sotto  Tolemaide 
valorosamente  la  maggior  parte 
perirono  co' loro  pastori.  Rimar- 
chevole fu  l'alleanza  che  i  faen- 
tini fecero  nel  1194  co' ravennati 
e  riminesi,  sempre  nemici  per  lo 
avanti.  Intanto  neh'  anno  seguente 
soggiornò  l'imperatore  Enrico  VI 
alcuni  giorni  in  Faenza,  abitando 
il  pubblico  palazzo,  lietamente  fe- 
steggiato perchè  ivi  era  nato,  quan- 
do il  padre  Federico  I  era  con  la 
moglie  in  Italia,  ciò  che  il  princi- 
pe recava  a  vanto.  Dopo  la  mor- 
te di  quel  principe,  Marcualdo  oc- 
cupò il  ducato  di  Ravenna  e  il  mar- 
chesato di  Ancona;  ma  divenuto  nel 


*96  FAE 

1198  Pontefice  Innocenzo  III,  vol- 
le ricuperare  i  domimi  della  Chiesa, 
e  per  quelli  di  Romagna  inviò  un 
Cardinal  legato  colle  milizie  papa- 
li, invitando  i  vescovi  a  prestargli 
aiuto,  ciò  che  fecero  i  bolognesi 
e  i  faentini,  massime  contro  i  for- 
livesi, co'  quali  poscia  ricomincia- 
rono le  guerre,  sopite  nel  i2o3 
per  accordi  di  pace.  Indi  Faenza 
soccorse  i  reggiani  contro  Manto- 
va; incontrò  l'imperatore  Ottone 
IV  che  recavasi  a  Roma  a  pren- 
dere la  corona  imperiale,  nella 
qual  circostanza  i  bagnacavallesi  ot- 
tennero di  riedificare  la  loro  terra; 
e  nel  febbraio  12 io  l'imperatore 
reduce  da  Roma  con  que'  faentini 
che  l'avevano  accompagnato  e  di- 
feso, ripassò  festeggiato  per  Faenza. 
In  quel  tempo  era  podestà  di 
Faenza  con  autorità  di  pretore  Al- 
berico Manfredo,  il  primo  de'nobi- 
li  faentini  che  in  patria  conseguis- 
se tanta  autorità,  che  servì  a  pre- 
parare la  futura  potenza  di  sua 
famiglia.  Dopo  varie  guerresche  a- 
zioni,  alleanze  ed  accordi,  nel  1218 
assaltarono  Lugo,  e  il  rovinarono. 
Nel  1220  i  municipali  si  recarono 
ad  incontrar  l'imperatore  Federico 
II,  gli  presentarono  i5oo  marche 
d'argento,  e  prezzo  il  ponte  di  s. 
Proculo  gì'  imbandirono  lauta  men- 
sa, facendone  pur  godere  alle  sue 
legioni,  il  perchè  quel  principe  con- 
fermò a' faentini  i  loro  dominii. 
Però  non  andò  guari  che  contro 
la  promessa  protezione  fece  sman- 
tellare il  castello  di  Cosina  ;  delle 
quali  cose  venuto  in  cognizione 
Onorio  III,  al  dir  del  Tolosano, 
non  volle  colle  sue  mani  coronare 
Federico  II,  facendone  le  veci  per 
suo  ordine  il  Cardinal  d' Ostia. 
Altri  affermano  che  Onorio  III 
l'unse    e    coronò   a' 22    novembre 


FAE 
1220.  Imola  fu  di  nuovo  presa  dai 
faentini ,  che  poscia  mutarono  luo- 
go all'antico  canale  di  città,  ed  in 
appresso  rappacificaronsi  co'forlive- 
si.  Ai  flagelli  del  terremoto  e  del- 
la peste,  successe  la  rinnovazione 
della  lega  lombarda,  a  garanzia 
delle  mire  di  Federico  II,  cui  non 
riuscì  staccarne  Faenza,  che  nelle 
sue  mura  accoglieva  Giovanni  di 
Brenna  re  di  Gerusalemme,  suo- 
cero dell'  imperatore,  ed  assaliva  le 
milizie  imperiali,  quando  tentarono 
passare  per  la  città.  In  questo  tem- 
po il  Pontefice  Gregorio  IX,  co- 
noscendo le  frodi  di  Federico  II 
a  danno  della  Chiesa,  lo  scomuni- 
cò nel  1227,  ed  allora  le  fazioni 
guelfa  e  ghibellina  si  misero  in  ru- 
more; per  cui  il  Papa  parti  da 
Roma  creando  conte  della  Marca 
e  Romagna  il  detto  re  di  Gerusa- 
lemme nemico  del  genero.  Nell'an- 
no seguente  notabilmente,  non  sen- 
za danni  di  Faenza,  strariparono 
il  Lamone  ed  il  Senio;  e  per  le 
vicende  de'  tempi  i  faentini  aiuta- 
rono con  armi  i  bolognesi ,  e  il 
vescovo  di  Forlimpopoli  contro  i 
forlivesi,  e  n'  ebbero  il  perpetuo 
titolo  e  privilegio  di  cittadini  di  For- 
limpopoli. Nel  1234  i  faentini  soc- 
corsero i  cesenati,  distrussero  Raf- 
fanara,  e  s' impadronirono  di  Cer- 
via, per  riporre  nella  sede  il  ve- 
scovo Orsarola.  Dopo  parecchi  van- 
taggi riportati  dai  faentini  su  di- 
versi luoghi,  in  città  vi  furono  uc- 
cisioni tra  nobili  di  contraria  fa- 
zione, guelfi  e  ghibellini,  avendo 
i  primi  a  capi  i  Manfredi,  e  i  se- 
condi   Zambrasio  e  gli  Accarisii. 

Sebbene  Faenza  si  fosse  ricusata 
di  porgere  aiuto  ad  Enrico  figlio 
di  Federico  II,  che,  se  dobbiamo 
credere  ad  alcuni,  a  lui  erasi  ri- 
bellato, pure  l' imperatore  nutren- 


FAE 

do  male  umore  contro  la  citta,  nel 
settembre  1240  rivolse  contro  di 
essa  le  sue  genti.  I  faentini  come- 
chè  inferiori  di  forze,  ne  aiutati 
in  quel  frangente  dalle  città  lom- 
barde ,  animosamente  le  affronta- 
rono. Allora  Faenza  co' suoi  borghi 
era  protetta  da  forti  mura,  e  con- 
tava quarantamila  abitanti  ;  e  il 
podestà  Michele  Morosini  veneto, 
col  cittadino  Farolfo  Severoli,  con- 
citarono il  popolo  a  valida  difesa, 
contro  sessantamila  imperiali  ,  tra 
i  quali  molti  ghibellini  italiani . 
Quindi  Federico  li  strinse  di  ri- 
goroso assedio  la  città,  per  lo  che 
uè  il  Cardinal  legato,  né  i  colle- 
gati poterono  aiutarla.  Dopo  otto 
mesi  di  assidui  travagli  per  l'una 
e  l'altra  parte,  ed  in  cui  per  man- 
canza di  denaro,  l'imperatore  do- 
vette servirsi  di  monete  di  cuoio, 
penuriando  Faenza  di  viveri,  a'r4 
aprile  1241  deliberò  di  arrendersi 
salve  le  vite  e  le  robe.  Ma  appe- 
na Federico  II  entrò  nella  città, 
dimentico  della  convenzione,  fece 
atterrar  le  mura,  demolir  i  sob- 
borghi, uccidere  ed  esiliare  quelli 
che  aveano  consigliato  resistergli; 
ed  a  sostenimento  de'  suoi  disegni, 
presso  la  chiesa  di  s.  Agostino  fe- 
ce erigere  una  munita  cittadella, 
e  la  diede  in  guardia  a  forte  pre- 
sidio. Poscia  affidò  il  reggimento 
di  sua  conquista  ai  forlivesi  Orde- 
Jaffi  ed  Orgogliosi,  guiderdonando 
i  ghibellini  che  lo  avevano  aiuta- 
to, ciocché  servi  ad  imbaldanzire 
in  Romagna  simili  partigiani,  ed 
abbattere  i  guelfi,  che  solo  ripre- 
sero animo  nell'assunzione  al  pon- 
tificato d'Innocenzo  IV;  il  quale 
molti  esuli  benignamente  accolse, 
e  il  faentino  Napoleone  Butrigari 
meritamente  s'ebbe  da  lui  il  grado 
di  nobile  e  cavaliere. 


FAE  297 

Intanto  Innocenzo  IV  sentenziò 
decaduto  dall'  impero  Federico  II, 
nel  concilio  di  Lione  ,  laon- 
de fu  eletto  in  sua  vece  ,  ai 
17  maggio  dell'anno  1246,  En- 
rico landgravio  d'Assia  e  Turin- 
gia,  il  quale  subito  ordinò  che  i 
fuorusciti  di  Romagna  liberamen- 
te potessero  ripa  tri  a  re,  e  reinte- 
grati fossero  nelle  facoltà.  In- 
tanto il  Cardinal  Ubai  di  no  alla 
testa  di  un  esercito ,  per  Inno- 
cenzo IV  ricuperò  Imola,  ed  al- 
tre città  di  Romagna.  Poi  accam- 
patosi presso  Faenza ,  gì'  inlimò 
sottomettersi  alla  Chiesa ,  ciocche 
ebbe  luogo  passati  quindici  giorni, 
cadendo  così  in  Romagna  la  breve 
potenza  de'  ghibellini  ;  e  siccome 
Bologna  era  la  prima  città  guelfa 
e  la  più  forte,  gli  furono  conce- 
duti molti  privilegi,  come  di  dare 
ad  ogni  città  guelfa  un  suo  con- 
cittadino per  podestà. 

Seguita  la  morte  di  Federico  II, 
i  magistrati  di  Faenza  convennero 
in  Cesena  ad  un  congresso  a  dan- 
no delle  città  ghibelline;  fecero 
pace  co'  ravennati  ;  e  Bagnacavallo 
loro  si  sottopose,  mentre  i  Man- 
fredi discacciarono  gli  Accarisii . 
Questi  coli'  uccisione  di  Calzaro 
Manfredi  riuscirono  a  cacciar  dalla 
patria  tal  famiglia,  che  non  molto 
tempo  dopo  soffrì  una  seconda  cac- 
ciata, essendo  innumerevoli  i  di- 
versi politici  avvenimenti,  che  si 
succedettero  a  cagione  delle  fazio- 
ni de' guelfi  e  ghibellini.  Nel  1275 
riuscirono  i  ghibellini  d'impadronir- 
si di  Cervia  e  di  Cesena,  e  rice- 
vettero un  legato  di  Ridolfo  im- 
peratore, che  loro  manifestò  la  bra- 
ma di  coronarsi  re  d'Italia;  ma 
a  mezzo  di  Tibaldello  Zambrasi 
prevalsero  in  Faenza  i  guelfi  nel 
1280.  A  provvedere  tanti  disordi- 


2tjB  PAE 

ni  Papa  Martino  IV,  colla  qualifi- 
ca di  conte  di  Romagna,  in  questa 
provincia  spedì  Giovanni  d'  Apia 
per  difendere  i  diritti  della  Chiesa, 
e  collegarsi  con  diverse  città  per 
proteggere  Faenza  dalle  frequenti 
scorrerie  de' ghibellini.  I  Manfredi 
sollersero  ancora  una  momentanea 
espulsione  ;  in  Romagna  si  ridestò 
l'amore  di  libertà  contro  il  civile 
governamento  della  Chiesa;  e  frate 
Alberico  Manfredi  cavaliere  gau- 
dente, fece  uccidere  a  tradimento 
Manfredo  Manfredi  suo  consangui- 
neo, per  vendicarsi  d' una  ceffata 
che  avea  da  lui  ricevuto;  quindi 
unito  ad  altri  nei  1286  discacciò 
da  Faenza  i  ministri  pontifìcii.  Ma 
il  nuovo  conte  di  Romagna  Pie^ 
tro,  esiliò  e  i  Manfredi  e  gli  Ac- 
carisii,  e  solo  dappoi  li  richiamò 
per  tema  di  popolari  tumulti  ;  e 
più  tardi  tornarono  a  prevalere  i 
ghibellini,  che  dopo  alcuni  vitto- 
riosi successi,  favorirono  il  papale 
reggimento.  Indi  a  ridurre  tutte  le 
città  alla  divozione  della  Chiesa, 
Bonifacio  Vili  mandò  in  Romagna 
legato  il  Cardinal  d'  Acquasparta, 
tacendo  poi  altrettanto  Benedetto 
XI  nella  persona  di  Tebaldo  Bru- 
cati di  Brescia,  mentre  i  bianchi 
e  i  neri  travagliavano  la  Toscana; 
e  i  faentini  riconobbero  per  go- 
vernante chi  fu  loro  offerto  dal 
senato  di  Bologna,  accrescendosi  le 
guerre  civili,  per  aver  Clemente  V 
stabilito  nel  1 3o5  la  pontificia  re- 
sidenza iu  Avignone. 

I  vicari  del  re  di  Napoli  che 
pel  Papa  governavano  la  Romagna, 
furono  di  diversa  tempra;  e  la  se- 
verità di  Giberto  Santillo  fu  caldo 
sprone  ai  Manfredi,  e  loro  ade- 
renti di  alzare  la  testa,  ed  inco- 
minciare a  signoreggiare  Faenza. 
Laonde  fu  Francesco  Manfredi,  uo- 


FAK 

mo  di  senno  e  di  valore,  che  nel 
novembre  i3i3,  armata  mano  si 
fece  tiranno  ossia  arbitro  della  pa- 
tria, edificò  la  rocca  di  Granatolo, 
e  fornì  soldatesche  a  Giovanni 
XXII  per  assoggettare  le  Marche 
alla  Sede  apostolica.  Nel  1 32 1  i 
molti  dotti  faentini,  od  almeno  i 
poeti  probabilmente,  piansero  ama- 
ramente la  morte  di  Dante  Ali- 
ghieri ,  avvenuta  in  Ravenna.  A 
Francesco  per  riprovevole  tradi- 
mento successe  nella  signoria  il  di 
lui  figlio  Alberghettino  Manfredi, 
che  allontanò  da'  pubblici  uffici  i 
ministri  scelti  dal  genitore.  Indi 
Riccardo  suo  fratello  capitano  d'I- 
mola, fu  costretto  in  questa  per 
occulte  pratiche  ghibelline  a  rin- 
tuzzare colla  forza  i  ribelli.  Intan- 
to il  Cardinal  legato  Bertrando,  che 
per  Giovanni  XXII  vendicava  le 
ragioni  della  Chiesa,  fece  cedere 
ad  Alberghettino  figlio  di  Fran- 
cesco l'usurpata  dominazione,  e  ri- 
legatolo a  Bologna,  ivi  poi  fu  de- 
capitato. Riccardo  ricevè  dal  lega- 
to la  suprema  magistratura  di 
Faenza,  e  mancando  di  prole  ma- 
schile, adottò  due  figli  naturali , 
Giovanni  e  Guglielmo,  eh'  erangli 
nati  dall' imolese  Zefirina  Norciili, 
e  ciò  con  approvazione  de'congi un- 
ti, e  di  Francesco  Manfredi  suo 
genitore.  Nel  1  34o  morì  Riccardo, 
cedendo  le  signorie  d'  Imola  e  di 
Faenza  a' detti  due  figli.  Fu  com- 
pianto dai  faentini,  che  affida rono 
la  reggenza  del  governo  a  Fran- 
cesco ;  indi  il  mentovato  Giovanni 
fu  eletto  capitano  del  popolo.  Morì 
Francesco  lasciando  eredi  i  due 
nipoti  adottivi,  ne' quali  fu  conso- 
lidata la  discendenza  de'  Manfredi, 
che  ressero  lo  stato  sino  al  1 5oo, 
non  quella  di  Giovanni  d' Alber- 
ghettino,   come  taluno  scrisse.  Nel 


FAE 

1 347  Astorgio  Duraforte  fu  da 
Clemente  VI  mandato  rettore  in 
Romagna,  e  come  aveano  fatto  al- 
cuno de'suoi  predecessori,  stabilì  in 
Faenza  la  sua  dimora.  Questi  fiac- 
cò il  potere  de'  Manfredi,  cagionò 
malcontento  pe' suoi  duri  modi,  e 
giunse  a  negare  il  passaggio  per 
Faenza  a  Lodovico  1  re  d'  Unghe- 
ria che  portavasi  a  Napoli  per  ven- 
dicar l'uccisione  del  fratello  Andrea. 
La  pestilenza  afflisse  la  città,  che 
nei  i349  Vi<^e  ^Stabilita  l'autorità 
di  Giovanni  Manfredi,  il  quale  colle 
armi  ne  slo^iò  il  luogotenente  del 
Duraforte,  che  rifuggiossi  in  Imola, 
mentre  il  Duraforte  allora  viveva 
nella  corte  papale  in  Avignone. 
Divenuto  Pontefice  Innocenzo  VI, 
come  quello  che  divisò  togliere 
dagl'  invasori  le  terre  della  Chiesa, 
vedendo  che  le  censure  ed  inter- 
detti fulminati  dal  predecessore 
Clemente  VI,  pur  contro  Giovan- 
ni e  Guglielmo  Manfredi,  niun 
effetto  avevano  prodotto  ,  spedì 
legato  in  Romagna  il  celebre 
Cardinal  Albornoz,  mentre  Gio- 
vanni d'Alberghettino  inutilmente 
cospirò  in  Faenza  a  danno  de'  cu- 
gini- 

Nel  i356  il  Cardinal  Albornoz 
strinse  d'assedio  Faenza  ,  che  durò 
quattro  mesi  per  la  bravura  e  il 
coraggio  degli  assediati.  Se  non  che 
interpostisi  i  legati  del  mentovato 
re  d'  Ungheria,  si  conchiuse  la  pa- 
ce con  alcune  condizioni ,  essendo 
le  principali  che  il  legato  avrebbe 
il  reggimento  della  città,  e  il  Man- 
fredi in  compenso  de'  dominii  che 
gli  si  lasciarono,  pagherebbe  annui 
fiorini  d' oro  cinquanta.  Indi  An- 
droiuo,  nuovo  pontificio  legato,  pas- 
sò a  dimorare  in  Faenza,  assol- 
vendo dall'interdetto  i  fratelli  Man- 
fredi, i  quali  avendo    poscia  cospi- 


FAE  299 

rato  contro  il  ministro  del  Papa, 
n'ebbero  atterrato  il  palazzo  che  a- 
vevano  presso  la  cattedrale,  ov'  è 
ora  il  monte  di  pietà,  e  vennero  di 
nuovo  allacciati  dalla  scomunica. 
Al  Cardinal  Androino  successe  nel- 
la legazione  il  Cardinal  Grimoaldi 
fratello  d' Urbano  V,  ben  accolto 
dai  romagnoli  e  dai  Manfredi.  In- 
tanto nel  1369  nella  terra  di  Co- 
tignola  ,  allora  distretto  faentino, 
nacque  Giacomuccio  o  Muzio  Al- 
tendolo,  che  poi  fu  cognominato  lo 
Sforza  quando  divenne  celebras- 
simo capitano,  raro  ornamento  di 
Cotignola  e  di  Faenza,  e  capo  di 
una  sovrana  e  potente  famiglia  dal- 
la quale  uscirono  uomini  sommi  e 
gloriosi  per  ogni  maniera,  su  cui 
si  può  vedere  il  Ratti,  della  fami- 
glia Sforza;  il  Zazzera,  della  /zo- 
biltà  d'Italia,  il  Villelmo,  de  fa- 
mìlia  Sforna,  extat  in  Histor.  gc- 
nealog.  Italiae,  p.  219,  ed  il  San- 
so vi 00^  delle  famiglie  illustri  di  I- 
talia.  Di  Cotignola  poi,  ora  terra 
illustre  della  provincia  di  Ferrara, 
collocata  quasi  nel  centro  della  Ro- 
magna, ce  ne  permetteremo  qui,  co- 
me de'principali  sforzeschi  un  bre- 
ve cenno  storico. 

Cotignola  trovasi  alla  sinistra  del 
fiume  Senio,  in  distanza  circa  ot- 
to miglia  al  nord  di  Faenza.  Dap- 
prima si  chiamava  Mazzafrena,  ed 
anche  Mala  furia;  ma  nel  1  1 77 
già  chiamavasi  colf  odierno  nome, 
forse  dalla  copiosa  quantità  di  fra- 
grantissimi cotogni  che  abbondano 
nel  suo  esteso  e  fertilissimo  suolo. 
La  sua  origine  risale  alla  remota 
antichità,  probabilmente  avanti  l'e- 
ra volgare,  ed  appartenente  alla 
romana  famiglia  patrizia  di  Dione. 
Vuoisi  che  nell'anno  4°7>  g'à  f°sse 
dominio  d'Azzolino  Caveglia,  men- 
tre   nel    701    Romualdo    Caveglia 


3oo  FAE 

la  restaurò  e  fortificò  ;  laonde  i  di- 
scendenti sembrano  averla  possedu- 
ta sino  al  1217,  in  cui  il  Tolo- 
sano  ammette  i  faentini  al  suo  go- 
verno sino  al  1243,  in  cui  cadde 
nelle  mani  di  Federico  II.  Questi, 
nel  1248,  m  compenso  di  militari 
servigi,  la  cede  al  conte  Malabcc- 
ca  signore  di  Bagnacavallo,  al  qua- 
le poco  dopo  fu  tolta  dal  Cardi- 
nal Ubaldini  legato  pontificio,  per 
darla  ai  bolognesi  in  compenso  de- 
gli aiuti  militari  a  lui  dati.  Nel 
1276  Guido  conte  di  Montefeltro, 
e  caldo  capo  de'ghibellini,  avendo 
trionfato  de'bolognesi,  pose  al  pre- 
sidio di  Cotignola  soldati  forlivesi 
e  faentini,  costruendovi  un  castello. 
In  seguito  i  faentini  ne  ripresero 
il  governo,  e  la  restaurarono  nelle 
mura  e  negli  edifìzi  rovinati  dal 
terremoto.  Nel  13^8  fu  governata 
dal  Cardinal  legato  di  Bologna,  che 
per  timore  dei  Polentani  di  Ra- 
venna, nel  i32g  la  cedette  ai  me- 
desimi ;  ma  Benedetto  XII  nel 
1 34 1  1'  accordò  in  feudo  ai  Mai- 
nardi  di  Bertinoro.  Ritornata  po- 
scia al  pieno  dominio  della  santa 
Sede,  Gregorio  XI  l'accordò  all'in- 
glese Giovanni  Aucut  suo  capita- 
no e  gonfaloniere,  insieme  cogli  al- 
tri paesi  della  Romagnola,  in  pre- 
mio di  militari  imprese,  il  quale 
dappoi  in  un  alle  altre  terre  la 
vendè  per  ventimila  fiorini  ai  mar- 
chesi estensi  di  Ferrara.  Allora 
Manfredi,  signore  di  Faenza,  subito 
l'occupò,  e  la  tenne  sino  al  i38i, 
in  cui  fu  espulso  dagli  estensi  che 
la  governarono  a  tutto  il  1 4oo,  nel- 
la qual  epoca  se  ne  impossessaro- 
no i  conti  di  Cunio  e  di  Barbia- 
no.  Nel  i4°9  tornò  in  potere  de- 
gli estensi,  dai  quali  nel  i4'i  fa 
ceduta  in  compenso  di  guerreschi 
servigi  al  lodato  cotignolese  Giaco- 


FAE 

111  uccio  o  Muzio  Attendolo  detto  Io 
Sforza,  capitano  di  gran  nome, 
contestabile  di  Napoli  e  gonfalo- 
niere di  s.  Chiesa,  con  approva- 
zione di  Giovanni  XXIII,  che  inol- 
tre lo  dichiarò  conte  della  mede- 
sima. Francesco  Sforza  suo  figlio, 
insigne  per  ventidue  vittorie,  nel- 
l'anno i44°  ottenne  il  tanto  sospi- 
rato dominio  di  Milano.  Cos'i  la 
famiglia  Sforza  umilmente  sorta  da 
Cotignola,  nobilitata  singolarmente 
da  due  suoi  individui,  Sforza  pa- 
dre, e  Francesco  figliuolo,  colle  più 
eminenti  virtù ,  sole  fonti  della 
vera  nobiltà,  potè  salire  in  brevis- 
simo periodo  ad  uno  de'  più  rag- 
guardevoli principati.  Il  medesimo 
Francesco  Sforza,  ottenne  da  Pio 
II  accrescimento  all'antico  territorio 
di  Cotignola,  con  aggiungervi  quelli 
de'distrutti  castelli  di  Cunio  e  di 
Barbiano,  rinomati  nell'istoria,  con 
frazione  di  Zagonara.  I  duchi  Sfor- 
za-Visconti  governarono  la  loro  pa- 
tria per  anni  novantuno,  sino  al 
i5o2,  onorandola  col  titolo  di  loro 
città  diplomatica,  di  molti  privilegi, 
e  statuti  particolari.  In  detto  anno 
Cotignola  ritornò  agli  estensi,  nel 
i5io  di  nuovo  alla  Chiesa,  nel 
1 5i  3  venne  rivendicata  dagli  esten- 
si; ma  nel  i5g8  essendo  mancata 
la  linea  legittima  degli  estensi,  Cle- 
mente Vili  insieme  al  ducato  di 
Ferrara  la  sottopose  all'intero  do- 
minio della  santa  Sede,  seguendo 
quindi  i  destini  di  Ferrara.  Il  go- 
vernatore lo  nominava  la  s.  con- 
sulta. Sono  in  essa  molti  benefìci 
istituti,  e  tra  le  chiese  primeggia 
quella  di  s.  Stefano,  già  decorata 
di  ricco  capitolo,  il  cui  superstite 
arciprete  gode  Y  uso  della  cappa 
maglia.  Cotignola  divenne  pur  ce- 
lebre pegli  uomini  illustri  che  ci 
ha  dato.    Alberico    il  grande ,  che 


FAE 

iiberb  V  Italia  dai  barbari,  fu  suo 
signore;  come  preclarissimo  fu  Sfor- 
za il  grande.  A  Francesco  suo  fi- 
glio, cinque  discendenti  successero 
nel  ducato  di  Milano,  e  Bianca 
pronipote  sposò  Massimiliano  impe- 
ratore. Molti  poi  furono  gli  Sfor- 
za vice  re,  come  i  Cardinali  i  qua- 
li hanno  biografie  nel  Dizionario. 
Caterina  figlia  del  duca  Galeazzo 
sposò  Riario  nipote  di  Sisto  IV, 
conte  di  Forlì  e  d'Imola,  indi  spo- 
sò un  Medici  di  Firenze;  e  lungo 
sarebbe  parlare  della  sforzesca  fa- 
miglia. Inoltre  Cotignola  ebbe  di- 
versi grandi  uomini,  come  Gra- 
ziani  arcivescovo  di  Raglisi,  sepolto 
nella  collegiata;  la  b.  Cecilia  fran- 
cescana ;  il  b.  Alberto  Marchesi 
francescano,  tumulato  in  patria; 
d.  Gaspare  Bolis,  istitutore  in  pa- 
tria del  collegio  de'  gesuiti,  delle 
Clarisse,  e  del  conservatorio  delle 
orfane;  i  Zarabbini,  uno  celebre 
nelle  armi,  due  nell'  eloquenza,  ed 
Onofrio  autore  di  varie  opere,  sen- 
za nominar  altri  che  fiorirono  nel- 
le scienze  e  nelle  arti.  V.  Giro- 
lamo Bonoli ,  Storia  di  Cotignola 
terra  della  Romagna  inferiore^  Ra- 
venna 1734  per  il  Landi;  ed  il 
p.  Flaminio  da  Parma ,  del  con- 
vento di  s.  Francesco  de'  minori 
osservanti,  nel  tom.  I  delle  sue  Me- 
morie isteriche. 

Ritornando  alla  nostra  Faenza, 
ed  all'epoca  del  pontificato  di  Ur- 
bano V ,  i  Manfredi  divennero 
causa ,  per  le  prepotenze  ed  ava- 
nie  che  commettevano ,  che  molte 
famiglie  faentine  spontaneamente 
abbandonassero  la  patria.  Giovan- 
ni Manfredi  morì  in  Bologna ,  la- 
sciando due  figliuoli,  Astorgio  e 
Francesco,  senza  l' avito  dominio, 
meno  le  poche  possessioni  lasciate- 
gli dal  Papa  ;  e  Gregorio  XI  fece 


FAE 


3oi 


costruire  la  rocca  presso  porta  Imo- 
lese.  Frattanto  in  Faenza  penetrò 
la  pestilenza,  i  fiorentini  fecero  ri- 
bellare Astorgio  Manfredi  per  ricu- 
perare la  signoria  ;  ma  Aucut  ca- 
pitano pontifìcio,  e  signore  di  Co- 
tignola,  portatosi  colle  sue  milizie 
in  Faenza,  1'  abbandonò  al  saccheg- 
gio ed  alle  violenze,  non  rispar- 
miandosi le  sagre  vergini.  Le  que- 
rele de' faentini  giunsero  in  Avi- 
gnone a  Gregorio  XI,  il  quale  nel 
ristabilire  in  Roma  la  residenza 
pontificia,  seppe  che  l' Aucut  con- 
segnava Faenza  venalmente  al  mar- 
chese Nicolò  d'Este.  Allora  Astor- 
gio si  pose  in  cuore  di  togliergliela, 
e  coli' aiuto  di  altri  nel  1379  po- 
tè averla ,  a  patto  di  pagare  in 
quattro  anni  ventiquattro  mila  fio- 
rini ,  conseguendo  da  Urbano  VI 
il  titolo  e  l'autorità  di  vicario  del- 
la Chiesa  per  tutto  il  dominio  di 
Faenza.  Superò  quindi  Astorgio 
una  congiura  ordita  in  favore  del 
fratello  Francesco  ;  prese  Russi,  su- 
però i  forlivesi ,  e  riedificò  il  pa- 
lazzo pubblico  in  Faenza.  Ebbe 
inoltre  la  gloria  di  aver  vinto  e 
fatto  prigione  Azzone  d'Este,  e  da- 
ta in  moglie  al  figlio  Gio.  Galeaz- 
zo, la  bella  Gentile,  sorella  di  Car- 
lo Malatesta  signore  di  Rimini, 
dopo  essere  stato  in  Roma  con 
cento  cinquanta  cavalli  per  esser 
confermato  nel  vicariato  dal  nuo- 
vo Papa  Bonifacio  IX,  che  il  re- 
galò con  cose  di  valore,  cui  A- 
stoigio  passò  in  dono  alla  cattedrale. 
Incominciò  il  secolo  XV  colla 
guerra  de'  bolognesi,  e  con  ostilità 
col  duca  di  Milano;  ma  quel  che 
fu  peggio  per  Astorgio,  venne  bra- 
ma a  Bonifacio  IX  di  ricuperare 
alla  Chiesa  Bologna  e  Faenza,  com- 
mettendone l'impresa  al  Cardinal 
Cossa,  che  fu  poi  Giovanni  XXI 11^ 


3o2  FAE 

come  legato  di  Romagna,  cui  die 
per  compagno  e  capitan  generale 
dell'esercito  il  conte  di  Cunio  Al- 
berico, gran  contestabile  del  regno 
di  Napoli.  Occupata  agevolmente 
Bologna,  si  avanzò  a  Faenza  ove 
n*  era  assente  Astorgio,  e  la  ebbe 
dal  figlio  Galeazzo,  cbe  la  cedette 
per  dieci  anni,  coli' annuo  compen- 
so alla  sua  famiglia  di  due  mila 
quattrocento  fiorini;  quindi  accusa- 
to Astorgio  di  segrete  intelligenze, 
il  Cardinale  gli  fece  mozzare  il  ca- 
po. Alcune  famiglie  faentine  abban- 
donarono la  patria,  e  mentre  nello 
scisma  die  funestava  la  Chiesa  si 
elesse  Giovanni  XXIII,  contro  Gre- 
gorio XII,  questi  restituì  il  vica- 
riato di  Faenza  a  Gio.  Galeazzo, 
conferendogli  il  titolo  e  privilegio 
di  conte  su  tutte  le  castella  di  Val 
di  Lamone;  laonde  a' 28  giugno 
i4»o  il  Manfredi  s'impadronì  del- 
la città,  venendo  congratulato  dai 
signori  del  territorio,  da  Alberico 
di  Cunio,  e  da  Sforza  di  Cotigno- 
la.  Gio.  Galeazzo  fu  il  primo  di 
sua  illustre  prosapi  a  ad  essere  in- 
signito del  titolo  di  conte  di  Val 
di  Lamone,  come  il  primo  a  con- 
ferire il  nome  di  visconte  a  chi 
inviò  al  governo  de'castelli  di  sua 
signoria,  separando  la  contea  dal 
rimanente  del  territorio  faentino, 
e  soggettandola  a  speciali  statuti, 
che  poi  approvò  qual  pontifìcio  vi- 
cario. In  detto  anno  i/fio  la  città 
fu  liberala  dalla  Beata  Vergine 
delle  Grazie  da  fierissima  pesti- 
lenza. 

Seguendo  Gio.  Galeazzo  le  parti 
del  benefico  Gregorio  XII,  si  col- 
legò alle  milizie  eh'  erano  in  di  lui 
favore,  che  per  altro  furono  debel- 
lale presso  Faenza.  Essendo  egli 
morto  nel  i4i7>  il  Pontefice  Mar- 
tino V  investì  del  vicariato  i  figli 


FAE 

Carlo,  Guido  Antonio,  Astorgio,.  e 
Gio.  Galeazzo ,  dandone  la  tutela 
alla  vedova  Gentile,  e  il  reggimen- 
to. Indi  i  Manfredi  acquistarono 
facoltà  di  eleggere  i  podestà  per 
Faenza,  che  assediata  dal  duca  di 
Milano,  dopo  la  sua  ritirata  ivi  si 
concliiuse  la  generale  concordia. 
Nel  l4*9  i  bolognesi  ribellaronsi 
a  Martino  V,  che  inviò  i  signori 
di  Romagna  a  soggiogarli,  concor- 
rendovi Gio.  Galeazzo  ,  1'  ultimo 
de'  fratelli  Manfredi.  Vari  avveni- 
menti si  successero:  il  valoroso  Gui- 
do Antonio  condusse  i  fiorentini 
contro  Lucca,  ma  poscia  alleossi 
col  duca  di  Milano  nemico  di  Eu- 
genio IV;  Astorgio  II  fatto  pri- 
gione si  vendicò  poi  con  Gamba- 
corta di  Pisa  ;  ed  alla  morte  di 
Guido,  Astorgio  li  gli  successe  nel 
principato,  mentre  Taddeo  figlio 
del  defunto  s'ebbe  la  signoria  d'I- 
mola ,  ciò  che  produsse  momen- 
tanei dissapori  tra  zio  e  nipote.  In 
questo  tempo  ancora  molti  illustri 
guerrieri  faentini  onorarono  la  pa- 
tria, e  Taddeo  caduto  prigione  in 
un  fatto  d'  armi  tra  le  milizie  na- 
poletane e  i  fiorentini,  questi  ge- 
nerosamente il  posero  in  libertà, 
e  largheggiarono  secolui  con  pri- 
vilegi, dichiarando  loro  capitano 
generale  lo  zio  Astorgio  II,  pel  va- 
lore ond'  era  chiaro,  e  ne  die  pro- 
ve ai  fiorentini  nelle  conquiste  di 
lombardia.  Indi  questo  signore  ri- 
fece le  mura  e  le  fortificazioni  a 
Faenza,  a  Russi,  a  Brisighella,  edi- 
ficando la  sua  rocca,  nel  pontifi- 
cato di  Nicolò  V  zelatore  della  pa- 
ce. Nella  vita  di  questo  Papa  si 
legge,  che  ai  2 3  febbraio  i453 
minacciò  con  gravi  pene  Taddeo 
Manfredi,  per  aver  usurpato  la  cit- 
tà di  Faenza,  disprezzando  l'imperio 
della  santa    Sede,  da    cui    l' aveva 


F  AE 

con  Imola  in  governo.  Quando  Pio 
li  recossi  nel  1 4^9  al  congresso  di 
Mantova,  Gio.  Galeazzo  lo  accom- 
pagnò a  Bologna,  e  riuscì  al  Papa 
di  pacificar  Taddeo  con  Astorgio 
II,  ciò  che  ebbe  corta  durata,  per- 
chè il  primo  armata  mano  tentò 
occupar  Faenza,  ed  impadronirsi 
dello  zio.  TuttavoltaPioII  colla  sua 
autorità  riconciliò  ambedue  stabil- 
mente, ed  allora  Astorgio  li  pre- 
stò utili  servigi  al  Papa.  Per  mor- 
te di  Astorgio  II,  nel  1468,  gli 
successe  il  figlio  Carlo,  il  quale  su- 
bito ottenne  il  principato  di  Faen- 
za, con  generale  esultanza  de'citta- 
dini,  mentre  il  fratello  Federico 
divenne  vescovo  della  diocesi ,  ed 
in  Imola  Taddeo  era  in  aspra  dis- 
sensione col  suo  figlio  Guidacelo 
Manfredi,  ed  il  primo  fu  dal  duca 
di  Milano  spogliato  della  signoria 
d' Imola,  compensandolo  con  altri 
domimi. 

Il  principe  Carlo  intento  ad  ab- 
bellire Faenza,  demolì  i  portici  che 
la  ingombravano,  quietando  il  ma- 
le umore  con  compensi  ai  danneg- 
giali. Più  tardi,  nel  i4?75  i  faen- 
tini insorsero  contro  di  lui  ;  e  seb- 
bene Federico  avesse  ottenuto  da 
Sisto  IV  la  successione  al  principato 
ad  Ottaviano  primogenito,  Galeotto 
fratello  de'  due  primi  fu  salutato 
signore,  ond'essi  uscirono  dalla  cit- 
tà, subito  mutando  Galeotto  i  ca- 
stellani delle  rocche ,  e  ricevendo 
Tinvestitura  da  Sisto  IV.  Indi  Ga- 
leotto si  strinse  in  amicizia  con  Gi- 
rolamo Riario  conte  d'Imola,  e  do- 
po vari  politici  avvenimenti,  sposò 
Francesca  Benlivoglio  figlia  del  si- 
gnore di  Bologna.  Tentò  poscia 
impadronirsi  di  Forlimpopoli,  e  do- 
po la  morte  di  Carlo,  e  del  vesco- 
vo Federico  suo  fratello,  avvenuta 
in  Riurini,  gli  nacque  con  gran  tri- 


FAE  3o3 

pudio    de'  faentini    il    primogenito 
Astorgio.  Stanca  la    moglie    Fran- 
cesca della  disonesta  tresca  che  Ga- 
leotto menava  colla  ferrarese  Cas- 
sandra, prima  fuggì  presso    il    pa- 
dre ,  e  poi  covando  tremenda  ven- 
detta, rappacificatasi    in    apparenza 
col  marito,  lo  fece  trucidare  in  sua 
presenza,  immergendogli  per  ultimo 
ella    stessa    un    pugnale   nel  petto, 
ed     immediatamente    col    figlio    si 
rifugiò  nella  rocca.  Il    padre   suo, 
eh'  era  venuto  in    Faenza    co'  suoi 
per    proteggerla,  fu    fatto   prigione 
dal   popolo   inviperito  per  ì'  atroce 
misfatto,  e  solo   a    mediazione   dei 
fiorentini    fu   lasciato    ritornar  con 
Francesca  illeso  a  Bologna.  Astor- 
gio III  proclamato  principe  ebbe  a 
superare    una    congiura  ordita    da 
Ottaviano  suo  cugino,  e  i  fiorenti- 
ni ne  curarono  gl'interessi.  In  tan- 
ti  trambusti  i    cotignolesi  rinnova- 
rono le  antiche  pretensioni  di  am- 
pliar i  loro  confini  in    detrimento 
di   Faenza,  non  però  vi  riuscirono. 
Riconciliati  i  partiti  cittadini,  esaspe- 
rati pel  barbaro  avvenimento,  pero- 
pera  del  magistrato,  e  pel  credito  del 
canonico  Rondinini,  contemporanea- 
mente in  Italia  nacquero  nuovi   dis- 
turbi, mentre  diveniva  Pontefice  A- 
lessandro  VI  Borgia;  e  siccome  il  cen- 
so annuo  di  2016  ducati  che  il  signor 
di  Faenza  pagava  alla  camera  apo- 
stolica, per  due  anni  non  era  stato 
soddisfatto,  il  Cardinal  Riario  ne  as- 
solvette   Astorgio     III.    Giovandosi 
Ottaviano    Manfredi    della    venuta 
di    Carlo    VIII    re   di    Francia  in 
Italia  per  la  conquista    del    regno 
di    Napoli ,  e   delle    altre    vicende 
che  ne    furono  conseguenza ,    nuo- 
vamente    aspirò     a     signoreggiare 
Faenza  ;  ma  non  ebbe  riuscita,  an- 
zi fu  imposta  la  taglia  a  suo  estre- 
mo danno,  e  mentre    nel   i49&   i 


3o{  FAE 

fiorentini  lo  movevano  contro  Astor- 
gio HI,  restò  ucciso  allo  alpi  ili  s. 
Benedetto,  con  indignazione  dell'e- 
mulo, e  de' faentini 

Frattanto  Alessandro  VI  non  la- 
sciava mezzo  per  ingrandire  la  po- 
tenza di  suo  figlio  Cesare  Borgia, 
già  Cardinale,  indi  duca  del  Valen- 
ti nois  per  concessione  del  re  di 
Francia  Luigi  XII,  e  formargli  un 
principesco  stato  in  Romagna.  Tre- 
pidando la  repubblica  di  Venezia 
della  calata  in  Italia  che  meditava 
il  re  di  Francia  per  congiungere 
le  sue  armi  coli' audace  ed  agguer- 
rito Cesare  Borgia,  rinunziò  alla 
prolezione  che  sino  allora  aveva 
usata  allo  stato  di  Faenza,  richia- 
mando il  suo  procuratore  che  ivi  ri- 
siedeva. Al  soprastante  pericolo  pro- 
curò di  riparare  Astorgio  III,  collo 
sborso  de*  censi  scaduti  e  non  pagati, 
interponendo  gli  uffici  dell'oratore 
veneto  in  Roma,  e  quelli  di  alcu- 
ni Cardinali.  Luigi  XII  invase  il 
ducato  di  Milano,  e  dati  a  Cesare 
Borgia  alcuni  squadroni  perchè  fa- 
cesse l' impresa  d' Imola,  tornosse- 
ne  in  Francia,  ciò  che  vide  volen- 
tieri il  duca  Valentino:  Imola,  For- 
lì e  Cesena  caddero  in  suo  potere, 
e  Caterina  Sforza  vedova  Riario, 
da  Forlì  fu  mandata  in  Roma  nel- 
la prigione  di  Castel  s.  Angelo, 
donde  poi  fu  tratta  da  Ivo  d'  Al- 
lègre capitano  degli  ausiliari  fran- 
cesi. Il  duca  si  condusse  trionfan- 
te in  Roma,  con  somma  compia- 
cenza del  Papa.  Ripigliata  la  guer- 
ra di  Romagna,  Pesaro  e  Ri  mi  ni 
gli  aprirono  le  porte,  sola  Faenza 
gli  oppose  generosa  resistenza.  Ma  il 
tradimento  fece  cedere  le  rocche , 
e  quella  della  città  fu  affidata  ad 
altri,  perchè  eravi  penetrato  egual 
maneggio  ;  laonde  al  primo  assalto 
che  il  duca   operò    nell'  assedio  di 


FAE 

Faenza  nel  novembre  i5oo,  fu  va- 
lorosamente respinto,  e  costretto  a 
ritirarsi  coli'  esercito  a'  quartieri 
d' inverna  Nel  gennaio  del  seguen- 
te anno  il  Borgia  tornò  a  stringe- 
re Faenza,  e  nel  terzo  assalto,  ai 
21  detto,  non  senza  segrete  intel- 
ligenze di  dentro ,  fu  nuovamente 
respinto.  Rivolse  egli  allora  le  sue 
forze  contro  Russi  ed  altri  castelli 
che  occupò.  A'2  r  aprile  fece  ritor- 
no su  Faenza,  ed  a'24  ordinò  un 
generale  assalto,  che  fu  fiero,  e  du- 
rò sei  ore,  perchè  ogni  ordine  di 
cittadini ,  senza  riguardo  d' età  e 
di  grado,  pugnarono  in  difesa  del- 
la patria,  per  cui  grande  fu  la 
perdita  de'nemici.  Tuttavolta  con- 
siderando i  faentini  che  ad  altro 
assalto  non  trovavansi  in  grado  di 
fare  resistenza,  a'  26  aprile  inco- 
minciarono trattative  di  dedizione 
salvo  l'onore,  la  vita  e  gli  averi 
de'  faentini  ,  o  abitanti  de'  luoghi 
soggetti  alla  signoria,  e  che  Astor- 
gio III  fosse  lasciato  pacifico  pos- 
sessore del  paterno  retaggio. 

Acconsentì  a  tali  patti  il  duca 
Valentino,  ma  non  sembrandogli 
essere  sicuro  nel  dominio,  finché 
fosse  libero  e  vivo  un  Manfredi , 
avvezzo  ai  tradimenti  e  allo  sper- 
giuro ,  fece  prendere  Astorgio ,  e 
Gio.  Evangelista  suo  fratello  na- 
turale, e  diede  loro  in  Roma  la 
morte,  gettandone  i  corpi  nel  fiu- 
me Tevere.  Così  terminò  la  nobi- 
lissima e  possente  famiglia  de'Man- 
fredi,  che  per  lunga  età  tenne  il 
principato  di  Faenza,  e  di  altre 
signorie.  Il  Borgia  conlento  di  a- 
versi  assicurato  il  dominio  faenti- 
no, vi  pose  un  luogotenente,  men- 
tre il  Cardinal  legato  a'  29  aprile 
rimetteva  lettere  patenti  alle  città 
romagnuole,  colle  quali  Alessandro 
VI  dichiarò  Cesare  Borgia  duca  di 


FAE 

Romagna.  Il  Papa  maritò  quindi 
Lucrezia  Borgia,  sorella  del  Valen- 
tino, a  d.  Alfonso  primogenito  del 
duca  d' Esle  Ercole  I,  ricevendo 
dal  fratello  per  giunta  di  dote , 
Russi  ed  altre  castella  del  dominio 
faentino.  Indi  il  Valentino  atterrò 
le  mura  di  Castel  Bolognese,  e  ob- 
bligò Faenza  a  far  leva  di  solda- 
ti. Frattanto  morì  a'  18  agosto 
i5o3  Alessandro  VI,  e  la  potenza 
del  Valentino  fu  al  tramonto  :  i 
deposti  signori  tornarono  a'  loro 
dominii,  e  Faenza  salutò  principe 
Francesco,  figlio  naturale  di  Ga- 
leotto Manfredi,  e  gì' impose  il  no- 
me di  Astorgio  IV.  Insorsero  però 
de*  rivali,  ed  occultamente  fu  in- 
trodotto nella  rocca  Cristoforo  Mo- 
ro con  trecento  soldati,  inalberan- 
do la  veneta  bandiera,  e  rivolgen- 
do le  artiglierie  contro  la  città , 
tutta  sorpresa  di  stupore  per  sì 
inattesa  invasione.  Allora  i  faenti- 
ni ricorsero  a  Giulio  II,  il  quale 
accogliendo  benignamente  Y  inchie- 
sta spedì  prontamente  a  Venezia 
il  vescovo  di  Tivoli,  per  rimuovere 
il  senato  da  quell'  impresa.  Ma 
questi  francamente  rispose  che  Faen- 
za era  stata  ceduta  in  pieno  con- 
cistoro con  altre  città  di  Romagna 
al  duca  Valentino,  che  la  repub- 
blica non  voleva  discutere  su  i  di- 
ritti della  santa  Sede,  e  che  i  faen- 
tini, avvezzi  al  dominio  de'  natu- 
rali signori,  non  desideravano  l'ec- 
clesiastico. Giulio  II  ciò  fece  sape- 
re a'  faentini,  che  si  disposero  a 
cessar  l' opposizione  alle  milizie  ve- 
nete, con  diverse  condizioni,  do- 
vendo passare  i  superstiti  Manfredi 
a  Venezia;  laonde  a'  19  novembre 
i5o3  l'esercito  veneto  co'  provve- 
ditori presero  possesso  della  città. 
Dappoi  Giulio  II  s' inimicò  co'  ve- 
neti ,  procurò  il   ricuperamento  di 

VOL.    XXII. 


FAÈ  3o5 

Faenza,  che  prudentemente  tenne 
fede  ai  dominanti  ;  indi  il  Papa 
s' impadronì  di  Perugia  e  di  Bo- 
logna, e  tornando  in  Roma  passò  per 
Faenza,  nel  febbraio  i5oy  per  non 
dar  mostra  di  risentimento  verso  i 
veneziani.  Disgustato  tuttavolta  con 
essi  per  la  conquista  fatta  delle  cit- 
tà romagnole,  si  collegò  in  Cam- 
bray  col  re  di  Francia  a  loro  dan- 
no, I  veneti  vollero  farne  la  re- 
stituzione, ma  il  Papa  non  volle 
accettare,  pose  in  campagna  forte 
esercito,  ed  i  veneti  furono  vinti 
ad  Agnadello ,  ed  allacciati  dalle 
censure. 

Il  Cardinal  Alidosi ,  legato  di 
Bologna  e  di  Romagna,  fu  inca- 
ricato del  ricuperamento  di  Faen- 
za. Brisighella  provò  la  ferocia  del- 
l'esercito di  Francesco  Maria  della 
Rovere,  capitano  generale  della 
Chiesa  ;  ed  anche  Russi  soggiacque 
al  suo  dominio.  A  mezzo  del  ca- 
nonico Rondinini,  Faenza  si  diede 
al  pontifìcio  legato,  dopo  diverse 
trattative  e  concessioni  per  parte 
del  Cardinale  e  di  Giulio  II ,  ve- 
nendo reintegrato  il  comune  di  al- 
cune antiche  possessioni  spettanti  ai 
Manfredi.  Fatto  legato  di  Roma- 
gna il  Cardinal  de'  Medici,  si  portò 
a  Faenza,  poi  fu  prigione  de'  fran- 
cesi, che  occuparono  le  città  di 
Romagna,  Russi,  ed  altri  castelli , 
preferendo  i  faentini  alla  dedizio- 
ne un  tributo  di  buona  copia  d'o- 
ro. Fu  in  questa  occasione  che  Faen- 
za si  tolse  a  protettori  i  ss.  Savi- 
no vescovo  e  martire ,  Emiliano 
vescovo,  Pier  Damiano  vescovo  di 
Ostia  e  Cardinale,  e  Terenzio  con- 
fessore. Nel  i5i3,  a  Giulio  II  suc- 
cesse il  Cardinal  de'  Medici,  col  no- 
me di  Leone  X,  che  subito  con- 
fermò al  comune  le  concessioni  del 
predecessore  ;  ma  gli  svizzeri  che  a- 
20 


3o6  FAE 

vca  preso  al  suo  soldo,  alloggiando 
parte  di  essi  in  Faenza,  furono  ca- 
gione di  grave  e  memorando  tram- 
busto. Il  magistrato  nel  i52  2  prov- 
vide alla  pubblica  quiete.  Adria- 
no VI  fu  a  Faenza  largo  di  pri- 
vilegi, come  gli  fu  benefico  Cle- 
mente VII  già  legato  di  Roma- 
gna. Intanto  Carlo  duca  di  Bor- 
bone chiese  di  entrare  in  Faenza 
col  suo  esercito,  e  venendogli  ri- 
cusato, per  le  montagne  del  faen- 
tino si  portò  a  Roma  che  fu  or- 
rendamente saccheggiata.  Rappaci- 
ficatosi Clemente  VII  con  Carlo 
V,  dopo  di  averlo  coronato  in  Bo- 
logna, al  3i  marzo  i53o  onorò 
Faenza  di  sua  presenza ,  dimorò 
nel  palazzo  comunale,  festeggiato 
ossequiosamente  dal  magistrato  e 
dal  popolo,  che  in  seguito  ottenne 
soccorsi  per  rifare  le  mura  della 
città.  Nel  pontificato  di  Paolo  III 
la  città  si  procurò  in  protettore  il 
Cardinal  Cesi  diacono  di  s.  Eusta- 
chio ;  e  Faenza  due  volte  ebbe  ad 
ospite  quel  gran  Pontefice:  la  pri- 
ma quando  nel  i54*  portossi  in 
Lucca  per  abboccarsi  con  Carlo  V, 
alloggiando  nel  palazzo  comunale 
li  18  e  19  ottobre,  da  tutti  fe- 
steggiato oltre  ogni  dire;  la  secon- 
da nel  i543  in  occasione  che  si 
recò  a  Brussetto  dall'  istesso  impe- 
ratore, ed  in  marzo  giunse  in  Faen- 
za ove  dimorò  la  notte ,  e  il  se- 
guente giorno.  Nel  pontificato  poi 
di  Paolo  IV,  per  la  guerra  tra 
questi  e  il  re  di  Spagna,  ricusò  di 
ricevere  entro  le  sue  mura  l'eser- 
cito francese  sebbene  collegato  al 
Papa. 

Pio  IV  confermò  a  Faenza  gli 
antichi  privilegi,  e  gliene  concesse 
di  nuovi,  esentandola  da  alcune  im- 
poste affinchè  restaurasse  le  sue  mu- 
ra, Dal  successore  s.  Pio  V,  i  faen- 


FAE 
tini  ottennero  la  revoca  d' un  de- 
creto, che  sottraeva  al  loro  domi- 
nio il  castello  di  Russi.  Indi  furo- 
no spaventali  dal  terremoto.  Ri- 
cevettero con  ogni  sorla  di  distin- 
zione i  Cardinali  legati  Sforza,  od 
Alessandrino  ossia  Bonelli ,  e  po- 
scia ebbero  a  governatore  il  Cardi- 
nal di  Vercelli,  che  ne  ottenne  da 
Gregorio  XIII  il  governo  a  vita  , 
ciò  che  confermò  Sisto  V.  Questi 
fece  sentire  il  suo  giusto  rigore? 
anco  contro  i  banditi  di  Romagna, 
ed  eguale  sollecitudine  ebbe  Gre- 
gorio XIV.  AH'  esaltazione  di  Cle- 
mente VIII,  nel  1592,  Faenza  ben 
a  ragione  tripudiò,  non  solo  per- 
chè nel  cardinalato  n'era  stato  pro- 
tettore, ma  eziandio  per  esservi 
stato  educato  nella  sua  prima  gio- 
vinezza, quando  vi  si  rifugiò  il  di 
lui  genitore  famoso  giurisconsulto 
Silvestro  Aldobrandino  dopo  il  ban- 
do inflittogli  da  Firenze  sua  pa- 
tria. Vacando  la  protettoria  della 
città,  l'accettò  il  Cardinal  Sforza 
legato.  Nel  recarsi  poi  Clemente 
Vili  a  prender  possesso  del  duca- 
to di  Ferrara  (  al  quale  artico- 
lo si  descrive  la  convenzione  se- 
guita in  Faenza  per  la  ricupera 
di  quel  ducato),  il  magistrato  inviò 
tre  ambasciatori  per  ossequiarlo  a 
Rimini,  supplicandolo  della  resti- 
tuzione degli  antichi  privilegi  e  giu- 
risdizioni concessi  da  Giulio  II, 
poscia  diminuiti  e  tolti.  Indi  per 
Bagnacavallo ,  Cotignola  e  Lugo 
Clemente  Vili  giunse  a  Ferrara 
li  8  maggio  1^98,  e  ne  partì  ai 
26  novembre.  Giunto  alle  porte  di 
Faenza  a'  2  dicembre,  e  smontato 
di  carrozza,  o  come  altri  dicono 
dalla  lettiga,  cavalcò  una  bianchis- 
sima chinea,  e  sopra  essa  entrò  in 
città  tra  le  più  magnifiche,  pom- 
pose e  riverenti  accoglienze  di  tutti. 


FAE 

Tra  i  molti  segni  di  singoiar  ono- 
ranza, venticinque  giovani  delle  più 
nobili  famiglie,  vestiti  di  ricchi  e 
vaghi  panni  uniformi  nel  colore 
e  nella  foggia,  presentarono  al  Pon- 
tefice sopra  altrettanti  bacili  squi- 
siti confetti  e  canditure  di  Geno- 
va e  Venezia.  La  via  Emilia  dal- 
l'una all'altra  porta  fu  tutta  ad- 
dobbata a  festa,  e  vari  archi  trion- 
fali ed  altre  divote  dimostrazioni 
si  tributarono  al  comun  padre  e 
sovrano.  Dopo  alcune  ore  di  ripo- 
so Clemente  Vili  riprese  il  cam- 
mino alla  volta  di  Roma,  fra  le 
più  vive  acclamazioni. 

Nel  pontificato  di  Urbano  Vili, 
pei  bisogni  dello  stato,  la  comune 
fece  un'offerta  in  denaro,  e  poscia 
il  territorio  pati  una  straordinaria 
innondazione  ;  ed  in  quello  di  Ales- 
sandro VII  ricevette  con  solenni 
onorificenze  la  regina  Cristina  di 
Svezia,  accompagnata  dal  dottissi- 
mo Olstenio;  indi  la  città  provò 
i  tristi  effetti  della  pestilenza  e 
delle  civili  discordie ,  mentre  nel 
pontificato  di  Clemente  X  fu  af- 
flitta con  Romagna  tutta  dal  ter- 
remoto, gastigo  che  rinnovossi  in 
un  modo  spaventevole  per  Faen- 
za sotto  Innocenzo  XII.  In  questo 
frattempo  alloggiò  nel  palazzo  del 
conte  Dionigio  Naldi,  Maria  Casi- 
mira,  vedova  di  Giovanni  III  re  di 
Polonia,  accompagnata  dal  vec- 
chio suo  genitore,  il  Cardinale 
d'  Archien.  Poco  dopo,  e  nel  pa- 
lazzo del  marchese  Muzio  Spa- 
da, albergarono  Teresa  Gonegon- 
da  vedova  dell'elettore  di  Bavie- 
ra ,  e  Violante  moglie  del  pri- 
mogenito di  Cosimo  III;  e  nel  1717 
Giacomo  III  re  d'  Inghilterra  fu 
trattato  ospitalmente  dal  conte  Ga- 
spare Ferniani.  Ma  il  soggiorno 
che  fece  Pio  VI  nel   1782  a  Faen- 


FAE  307 

za,    nel  viaggio  che  intraprese  per 
Vienna,    rallegrò    tutti    i  faentini, 
per  più  riflessi.   Vi  giunse  a' 7  mar- 
zo, smontò  nel  palazzo  del  suo  cu- 
gino conte  Scipione  Zanelli,  ove  in 
ampia    sala     ammise    al   bacio  del 
piede  il    capitolo  preceduto  dal  ve- 
scovo, il  clero   secolare  e  regolare, 
il  magistrato  ,  la    nobiltà,  e  parec- 
chie dame;  indi  sotto  ricco  baldac- 
chino Pio    VI  si  condusse    a  piedi 
alla   cattedrale,  ed  ivi  solennemen- 
te benedi  il  popolo,  e  tornato  al  det- 
to palazzo,  dopo  breve  riposo  con- 
tinuò   il    suo    viaggio    per    Imola. 
Ritornando  il  Pontefice  da  Vienna 
rallegrò  di  nuovo  colla  sua  presen- 
za   i    faentini  a' 29  maggio,  e    nel 
palazzo     Zanelli    ricevè    1'  omaggio 
del    vescovo ,  del    governatore,  del 
magistrato,   della    nobiltà,  e  di  al- 
tri. La  porta  della  città  era  sovra- 
stata   d' analoga    iscrizione,    la    via 
Emilia    fu    decorosamente    ornata , 
mentre  da    un  balcone  del  mento- 
vato   palazzo    compartì  l'apostolica 
benedizione ,    fra   le    più    divote    e 
clamorose    acclamazioni.    Dipoi     a- 
scese  il  Papa  in  carrozza,  s'incam- 
minò   verso    il    canale    naviglio  in 
costruzione    a  spese   del    medesimo 
conte,    come    dicemmo    di    sopra, 
benedicendo     nel     tragitto    le    mo- 
nache   di  s.  Cecilia  e  le    suore    di 
s.    Chiara    schierate    appositamente 
sulla  corte.    Pervenuto    col   corteg- 
gio all'  arco  trionfale ,    discese  Pio 
VI     dalla,   carrozza,    e  in    compa- 
gnia   di    monsignor  vescovo     si    a- 
vanzò    verso    il    detto   canale,   ove 
parecchi    gondolieri    vestiti  a  gial- 
lo  tenevano    preparati      due    pali- 
schermi   da   lanciare    in    acqua  ad 
un    convenuto    segnale.  Ciò    fatto, 
comparvero    le    due    barche   piene 
di  suonatori,  che  con  piacevoli  ar- 
monie fecero    più  lieta   quella    so- 


3o8  FAE 

lennità.  Indi  fu  presentato  al  Pa- 
pa il  disegno  della  porta  che  vo- 
levasi  erigere  rimpetto  al  canale, 
ed  egli  ciò  approvando,  volle  che 
fosse  chiamata  Pia  dal  suo  vene- 
rato nome.  Risalito  in  carrozza, 
passò  al  loggiato  del  palazzo  co- 
comunale  magnificamente  ornato, 
e  quivi  il  Pontefice  tornò  a  bene- 
dire il  foltissimo  popolo,  avviando- 
si poscia  per  Forlì,  uscendo  dal- 
l'altra parte  della  città  sulla  quale 
si  leggeva  altra  corrispondente  iscri- 
zione. 

Nel  1 789  incominciarono  i  me- 
morabili sconvolgimenti  di  Francia., 
che  commossero  tutta  l'Europa,  ed 
oscillarono  grandemente  sullo  stato 
pontificio,  risentendone  anche  Faen- 
za le  triste  conseguenze.  Al  pas- 
saggio delle  diverse  truppe,  succes- 
se per  opera  de'  repubblicani  fran- 
cesi l'invasione  di  Romagna.  Na- 
poleone Bonaparte,  supremo  coman- 
dante dell'esercito  d'Italia,  occupò 
Bologna  a'  19  giugno  1796;  ed 
ai  2 4  delio  stesso  mese  il  genera- 
le Augereau  entrò  co' suoi  in  Faen- 
za, obbligando  i  cittadini  alla  con- 
segna d'ogni  sorta  di  armi,  ed  im- 
ponendo gravose  contribuzioni,  ol- 
tre lo  spoglio  del  monte  di  pietà. 
Lugo  e  Cotignola  avendo  opposta 
resistenza,  furono  severamente  pu- 
nite, e  saccheggiate.  Allora  il  Pa- 
pa inviò  molte  milizie  a  Faenza 
capitanate  dal  colonnello  Ancaiani, 
dappoiché  Pio  VI,  sebbene  avesse 
convenuto  nell'armistizio  di  Bolo- 
gna, firmato  colà  a' 23  giugno 
1796,  diverse  umilianti  condizioni, 
e  la  cessione  delle  legazioni  di  Bo- 
logna e  di  Ferrara,  e  della  città 
di  Faenza,  pure  avendo  bene  com- 
preso le  mire  de' francesi,  secondo 
l'obbligo  di  principe  sovrano,  in 
difesa   de*  sudditi ,    volle   opporre 


FAE 

forza  alla  forza.  A'2  febbraio  1797 
il  general  Victor,  coi  generali  Sau- 
ghet,  Rusca,  e  Sgambelli,  per  Imo- 
la si  diressero  contro  1'  esercito  pon- 
tificio, e  sulle  sponde  e  presso  il 
ponte  del  Senio  ebbe  luogo  l'infelice 
pugna.  Al  primo  assalto  degli  ag- 
guerriti francesi,  il  guado  sulle  pri- 
me fu  impedito  con  molto  valore; 
ma  la  furia  degli  ardenti  italiani 
di  lombardia,  ausiliari  dei  francesi, 
cagionò  un  istantaneo  sbigottimen- 
to, e  tradite  le  milizie  papali  da 
alcuni  ufììziali  guadagnati  dal  ne- 
mico, perderono  subito  il  posto  ed 
il  coraggio,  e  si  abbandonarono  al- 
la fuga  con  disordine  e  confusio- 
ne. In  potere  de'  francesi  restarono 
alcune  centinaia  di  prigionieri  , 
quattordici  pezzi  di  cannone,  e  otto 
bandiere:  mentre  i  francesi  vi  per- 
dettero un  qualche  centinaio  di 
uomini,  tra  morti  e  feriti.  Osser- 
va il  Pistoiesi,  nella  Vita  di  Pio 
VII,  tom.  I,  p.  35,  che  da  mol- 
ti si  pose  in  ridicolo  cotal  combat- 
timento; ma  ufììziali  di  rango  si 
francesi  che  cisalpini  lo  trovarono 
ben  differente,  e  diedero  la  meri- 
tata lode  a  que' valorosi  soldati, 
che  sebbene  di  nuova  leva,  e  non 
avvezzi  al  fuoco,  mostrarono  ciò 
non  pertanto  un  coraggio  poco 
comune,  e  ben  si  avvide  il  nemi- 
co in  quel  primo  militare  cimento 
che  l'antico  valore  nei  nostri  non 
era  spento. 

Allora  il  generale  Victor  continuò 
la  sua  marcia  sopra  Faenza,  apren- 
dosi la  porta  fatta  chiudere  dal- 
l' Ancaiani,  a  colpi  di  cannone;  ed 
i  cavalleggieri  inseguirono  verso 
Forlì  i  fuggitivi.  Il  general  Bona- 
parte alloggiò  nel  palazzo  Mazzo- 
lane e  il  cavaliere  Annibale  di 
questa  famiglia  venne  dichiarato 
capo    della   municipalità.  Il  dì  se- 


FAE 

guente  nella  pubblica  piazza  fu 
eretto  l'albero  dell'effimera  liber- 
tà, ossia  una  lunga  pertica  avente 
in  cima  un  berretto  rosso,  e  pen- 
dente, raccomandata  a  tre  nastri 
tricoloràti,  una  ghirlanda  d'alloro 
frammischiata  a  diversi  fiori,  oltre 
i  molti  eguaglianza,  giustizia,  liber- 
tà, ec,  quindi  ebbero  luogo  tutte 
quelle  cose  contro  il  pontificio  re- 
gime a  tutti  note,  e  nel  1798,  il 
passaggio  di  quelle  truppe,  che 
prepotentemente  strapparono  da 
Roma  Pio  VI.  Frutto  del  nuovo 
ordine  di  cose  furono  forzose  con- 
tribuzioni, demolizione  de' stemmi, 
discacciamento  de' religiosi  e  delle 
monache  dai  loro  chiostri,  la  co- 
scrizione, ostilità  d'ogni  genere, 
vessazioni  ec.  Posero  momentaneo 
termine  a  sì  fatti  avvenimenti  la 
prevalenza  degli  austro-russi,  che 
entrarono  in  Faenza  a'  1 4  maggio 
1799,  finche  ai  12  luglio  1800 
rientrarono  nuovamente  i  francesi 
nella  città  per  la  vittoria  ottenuta 
a  Marengo.  Di  nuovo  nei  seguen- 
te novembre  gli  austriaci  ricupe- 
rarono Faenza  ;  ma  ritornativi  i 
francesi,  sino  al  1 8 14  ne  restarono 
possessori,  facendo  dapprima  la  cit- 
tà parte  della  repubblica  cisalpina, 
poscia  del  regno  italico,  e  nel  1 8 1 5 
venne  ridonata  al  pacifico  dominio 
della  santa  Sede  nel  glorioso  pon- 
tificato di  Pio  VII.  Non  devesi  qui 
tacere,  che  ritornando  questo  Pa- 
pa ne'  suoi  stati  dopo  lunga  catti- 
vità, passò  per  Faenza  a'  i5  aprile 
i8i4j  visitò  la  cattedrale,  ed  in 
sagrestia  ammise  al  bacio  del  pie- 
de il  canonico  Andrea  Strocchi, 
allora  vicario  generale,  e  tutti  gli 
individui  componenti  il  capitolo , 
che  a  memoria  di  tanto  onore,  e 
del  fausto  trionfo  di  Pio  VII,  so- 
pra la    porta  della  sagrestia    eres- 


FAE  309 

sero  il  di  lui  busto,  con  relativa 
iscrizione.  Grandissima  fu  altresì 
la  letizia  de'  faentini,  di  essere  be- 
nedetti da  sì  santo  Pontefice. 

Sulla  storia  di  Faenza,  e  sue 
pertinenze,  oltre  i  succitati  scritto- 
ri abbiamo  le  seguenti  opere.  Dal 
dotto  e  sunnominato  camaldolese 
p.  Mittarelli,  che  come  abbate  ge- 
nerale de'  camaldolesi  risiedette  nel 
rnonistero  di  Faenza,  abbiamo:  Ad 
scriptores  rerum  italicarum  Mura- 
tori accensiones  historicae  Faven- 
tiae,  quarum  elenchus  ad  calcem 
legitur.  Il  Mittarelli  però  ebbe  a 
compagno  in  questa  collezione  l'al- 
tro celebre  camaldolese  p.  d.  An- 
selmo Costadoni,  ambedue  i  quali 
con  note  e  prefazioni  illustrarono 
le  seguenti  opere  :  I.  Chronìcon  To- 
losani  nunc  primum  editum;  II.  Pe- 
tti Cantine  Ili  Chronicon  Faventi- 
num;  III.  Chronica  brevioria,  alia- 
que  monumenta  Faventina  a  Ber- 
nardino Azzurinio  collecta  ;  IV. 
Appendix  monumenlorum  Faven- 
tinorum:  Statutum  Faventinwn  cir- 
ca offtciales  custodiae  anni  1^0,1-, 
Vilae  ss.  Terentii,  Sabini,  etc.  ali- 
dore Jo.  Ant.  Flaminio^  ejusdem 
Flaminii  epistola,  et  altera  Zacha- 
riae  Ferrerii  de  Laudibus  urbis 
Faventiaej  Epistola  Hieronymi  Fer- 
ri de  Tabulano  Azzuriniano ,  et 
alia  Petri  Nicolai  Castellani  ad 
Clementem  VII,  Venetiis  1771. 
Julius  Caesar  Tondutius,  Faven- 
tiae  historiae  breviarium:  accessit 
in  fine  epistola  responsoria  ad  al- 
ter ani  Sertorii  Ursati,  quae  im- 
pressa legitur  libro  cui  titulus  :  i 
Marmi  eruditi,  fol.  1 17,  Faventiae 
typ.  Josephi  Zarafagli  1670.  Di 
più  del  medesimo  si  hanno  1'  Hi- 
storie  di  Faenza  pubblicate  dopo 
la  di  lui  morte  da  Girolamo  Mi- 
nacci, in  Faenza  per  Gioselfo  Za- 


3io  FAE 

1  alagli  i6y5t  con  figure.  Vent'anni 
impiegò  il  Tonduszt  nel  comporre 
questa  storia  della  sua  patria,  che 
arriva  sino  al  1600.  Essendo  mor- 
to l'autore  mentre  la  stampa  era 
inoltrata  fino  al  i44°>  u  Cavina 
si  occupò  della  correzione  del  pro- 
seguimento, ed  aggiunse  l'indice 
generale  e  i  particolari.  Gregorio 
Zuccoli  ci  ha  dato  la  Cronica  par- 
ticolare delle  cose  falle  nella  città 
di  Faenza  cominciando  dal  700 
in  circa  sino  al  1  i34,  Bologna 
\5j5.  Questa  cronica  è  un  ristret- 
to di  quella  del  Tolosano.  Il  me- 
desimo Zuccoli  lasciò  ms.  una  sto- 
ria compiuta  della  città,  che  recen- 
temente, cioè  nel  i836,  senza  no- 
me d'autore  e  non  intera,  è  stata 
pubblicata  in  Milano,  fra  le  storie 
de'  municipii  italiani  di  Carlo  Mor- 
bio,  nella  stessa  lingua  italiana  co- 
me la  scrisse  il  Zuccoli.  Finalmen- 
te trattarono  di  Faenza  l'Amade- 
sio,  l'Azzurini,  il  Blavio,  il  Canti- 
nello,  il  Riceputi ,  il  Torsano,  il 
Marchesi,  ed  altri  nelle  istorie  d'I- 
talia, di  Ravenna,  di  Forlì,  e  del- 
l' Umbria  ec,  non  che  quelli  notati 
dal  benemerito  annalista  Bartolom- 
meo  Righi  sullodato.  Il  Monti  nelle 
Notizie  sloriche  sulV  origine  delle 
fiere  nello  slato  ecclesiastico t  a  pag. 
38  tratta  della  fiera  di  Faenza,  e 
dice  che  questa  celebre  città  gode- 
va il  privilegio  della  fiera  sino  dal 
i5oo,  cioè  di  un  solo  giorno  nella 
festa  degli  apostoli  ss.  Pietro  e  Pao- 
lo, ed  era  franca  da  ogni  dazio 
anche  per  le  merci  estete.  Dice  an- 
cora che  nel  1786  cessò  la  cele- 
brazione della  fiera  franca  pei  più 
regolari  sistemi  di  finanza  intro- 
dotti da  Pio  VI,  e  che  nel  18 16 
gli  fu  in  vece  accordata  l'annua  fie- 
ra di  otto  giorni  da  incominciarsi 
nel  di  della  nominata  festa. 


FAE 

I  primordii  della  chiesa  illustre 
faentina,  sono  congiunti  a  queliti 
metropolitana  di  Ravenna,  come  si 
esprime  il  benemerito  delle  noti- 
zie ecclesiastiche  di  Faenza,  il  sul- 
lodato canonico  Andrea  Strocchi, 
nel  suo  opuscolo  nitidamente  stam- 
pato dalla  tipografia  Montanari  e 
Marabini  nel  i83g,  ed  intitolato: 
/  primordii  della  chiesa  faentina. 
Abbiamo  pertanto  da  lui ,  che  la 
nazione  faentina  è  debitrice  dello 
stabilimento  della  fede  allo  zelo  di 
s.  Apollinare,  discepolo  del  princi- 
pe degli  apostoli  e  primo  Pontefi- 
ce s.  Pietro.  Questi  lo  consagrò 
vescovo  di  Ravenna,  e  lo  spedi 
nell'Emilia  l'anno  46  della  nostra 
era,  a  predicare  il  vangelo  nelle 
diverse  città  di  quella  florida  pro- 
vincia; ed  all'anno  60  si  attribui- 
sce la  fortunata  epoca  della  con- 
versione al  cristianesimo  di  Faen- 
za, per  opera  del  medesimo  vesco- 
vo di  Ravenna,  non  pubblicamen- 
te a  cagione  delle  persecuzioni,  ma 
privatamente;  onde  que'  primitivi 
cristiani,  come  in  Roma  ed  altro- 
ve, radunavansi  in  luoghi  segreti. 
Quindi  i  faentini,  come  gì' imolesi 
elessero  s.  Apollinare  in  protetto- 
re, e  gli  eressero  chiese  ed  altari 
sì  in  città  che  nella  diocesi;  e  da 
ultimo  il  regnante  Gregorio  XVI, 
nel  i832,  accordò  alla  provincia 
di  Emilia,  cioè  in  tutto  V  arcive- 
scovato di  Ravenna  di  celebrarne  la 
festa  con  rito  doppio  di  seconda 
classe.  Il  primo  vescovo  poi  della 
chiesa  faentina  è  il  martire  s.  Sa- 
vino, che  fiorì  oltre  la  metà  del 
terzo  secolo.  Di  esso,  come  di  tutti 
gli  altri  che  la  governarono,  il  me- 
desimo canonico  Strocchi  ha  arric- 
chito la  storia  ecclesiastica  d'Italia, 
col  pubblicare  nella  sua  patria 
Faenza,  l'anno    1841  ,    eoa   nobile 


FAE 

edizione ,  e  pegli  encomiati  tipi 
Montanari  e  Marabini ,  la  Serie 
cronologica  storico-critica  de  ve- 
scovi faentini,  corrispondendo  cosi 
a  quel  desiderio  che  1'  immortale 
Minatori  dichiarò  su  sì  fatti  im- 
portantissimi argomenti  al  canoni- 
co Manzoni  per  l'istoria  de'  vesco- 
vi d'Imola,  dappoiché  gli  diceva 
avere  il  sommo  Ughelli  in  tanti 
luoghi  camminato  alla  buona.  Lun- 
gi pertanto  di  tesserne  la  serie , 
solo  ci  permetteremo  indicare  i  ve-  ' 
scovi  venerati  dalla  Chiesa  per  san- 
ti, quelli  che  in  numero  di  dieci 
furono  decorati  della  dignità  car- 
dinalizia, tra'  quali  primeggia  In- 
nocenzo XII,  e  pochi  altri  degui 
di  speciale    menzione. 

San  Savino  nativo  di  Sulmona, 
in  età  giovanile,  e  verso  l'anno 
260  di  nostra  era,  si  portò  a  con- 
durre vita  solitaria  nella  selva  Li- 
ba, presso  il  luogo  ove  fu  poi  fab- 
bricato il  castello  di  Fusignano, 
già  territorio,  ora  diocesi  di  Faen- 
za. Ivi  visse  santamente,  e  rallen- 
tate le  persecuzioni  della  Chiesa, 
compì  l' opera  che  due  secoli  pri- 
ma avea  incominciato  s.  Apollina- 
re, illuminando  il  residuo  degli 
abitanti  della  vicina  Faenza,  che 
per  tal  beneficio  lo  acclamò  suo 
vescovo,  forse  verso  l'anno  280; 
altri  lo  riguardano  anche  vescovo 
di  Spoleto,  Assisi,  Chiusi  ec.  Patì 
il  martirio  nel  3o3  a  Spoleto,  ed 
il  suo  sagro  corpo  fu  trasportato 
nella  selva  Liba  l'anno  3 11,  ove 
fu  eretta  una  chiesa,  e  sotto  Astor- 
gio  II,  nel  i438,  venne  trasferito 
nella  cattedrale.  Gli  successe  Costan- 
tino o  Costanzo  I,  che  alcuni  dissero 
primo  vescovo  di  Faenza  :  interven- 
ne al  concilio  che  Papa  s.  Melchia- 
de  celebrò  in  Roma  l'anno  3x3. 
A  quello  poi  che  nel  649  ivi  pur 


FAE  3n 

tenne  il  santo  Pontefice  Martino  I, 
vi  si  portò  il  vescovo  s.  Leonzio 
per  la  condanna  dei  monoteliti,  e 
riprovazione  dell'  editto  Tipo ,  il 
perchè  vuoisi  soffrisse  il  martirio. 
Il  vescovo  Paolo,  nell'anno  920, 
istituì  il  cospicuo  capitolo  di  trenta 
canonici,  e  perciò,  afferma  lo  Stroc- 
chi,  fu  il  primo  che  istituì  capito- 
lo di  canonici  nello  stato  pontifi- 
cio. Inoltre  eresse  in  vicinanza  del- 
la cattedrale  quella  grandiosa  abi- 
tazione, che  dal  loro  nome  si  chia- 
mò canonica  ;  visse  in  comunità 
col  suo  clero,  per  meglio  attendere 
al  diurno  e  notturno  salmeggia- 
mento,  e  celebrazione  de' divini  uf- 
fizi nella  cattedrale.  Gli  si  attri- 
buisce ancora  l' istituzione  del  col- 
legio de'  parrochi  di  Faenza,  co- 
me generose  assegnazioni  pel  detto 
capitolo,  cui  i  successivi  vescovi  ag- 
giunsero ulteriori  beneficenze,  ed 
anche  giurisdizione  sopra  molti  ca- 
stelli, cioè  Pedrignano  nel  forlive- 
se }  Fontanamoneta ,  Fornaciauo,  e 
Guillarino  in  quel  di  Faenza,  ed 
altri. 

Descrivendo  lo  Strocchi  le  me- 
morie del  vescovo  Roberto ,  dice 
che  in  questo  tempo  fatalmente 
Faenza  seguiva  le  parti  dell'  anti- 
papa Clemente  III,  ossia  Guiberto 
arcivescovo  di  Ravenna,  fatto  eleg- 
gere contro  s.  Gregorio  VII  dal- 
l'imperatore Enrico  IV,  e  quindi 
passa  a  parlare  di  un  concilio  con- 
vocato in  Faenza,  di  cui  sinora 
rimase  incerta  1'  epoca,  nel  qua- 
le venne  abrogata  la  facoltà  con- 
cessa ad  alcuni  monaci  di  affidare 
nelle  loro  possessioni  la  cura  d'  a- 
nime  ai  preti  secolari  senza  con- 
sentimento de'  vescovi.  Narra  poi. 
che  siccome  il  Pontefice  Urbano 
II,  a' 3o  aprile  1099,  nel  concilio 
Romano  confermò  la    sentenza    di 


3ll 


FAE 


scomunica  emanata  da' suoi  prede- 
cessori contra  Y  eresiarca  Giliberto 
pseudo-papa,  e  gli  altri  di  lui  com- 
plici, e  dichiarò  nulle  le  ordina- 
zioni fatte  dal  medesimo  posterior- 
mente all'inflitto  anatema,  sembra 
quindi  che  il  relativo  canone  do- 
vesse essere  intimato,  o  in  qualche 
modo  reso  noto  al  capo  dello  sci- 
sma, e  a' di  lui  fautori  e  seguaci, 
non  meno  che  agli  ecclesiastici  da 
lui  ordinati.  Ciò  non  potevasi  me- 
glio effettuare  che  mediante  un 
concilio  provinciale  da  tenersi  in 
prossimità  ai  luoghi  ove  si  aggi- 
ravano e  avevano  stanza  i  suddet- 
ti scismatici  coli'  antipapa,  che  po- 
co prima  erasi  ridotto  nel  castello 
di  Argenta.  Si  reputa  perciò  che 
immediatamente  dopo  il  concilio 
Romano  del  1099,  d'ordine  dello 
stesso  Pontefice  Urbano  II  fosse 
convocato  il  concilio  apud  Faven- 
tiani ,  del  quale  dovettero  proba- 
bilmente far  parte  i  suffraganei  del- 
l'arci vescovato  di  Ravenna  ,  che.  si 
conservarono  fedeli  alla  santa  Sede, 
come  lo  era  certamente  il  nomi- 
nato vescovo  Roberto  di  Faenza, 
che  allora  teneva  questa  cattedra 
vescovile  suffraganea  sino  dalla  isti- 
tuzione della  metropolitana  di  Ra- 
venna. Da  quanto  dottamente  scris- 
se de'  precedenti  concili  il  citato 
storico  faentino,  sembra  che  nel 
concilio  di  Faenza,  oltre  la  confer- 
ma della  scomunica  al  sedicente 
Clemente  III  e  suoi  complici,  siasi 
anche  trattato  della  riforma  essen- 
ziale della  disciplina  ecclesiastica, 
ripetendo  i  canoni  analoghi  degli 
ultimi  concili  di  Clermont,  e  di 
JNimes.  Ne  certamente  si  ommise 
il  canone  riguardante  il  diritto  epi- 
scopale d' insti  tuire  i  parrochi  per 
le  chiese  situate  ne'  possedimenti 
de'monasteri,  colla  prescrizione  che 


FAE 

detti  parrochi  dipendessero  nello 
spirituale  direttamente  da' vescovi, 
e  soltanto  fossero  tenuti  a  rendere 
ragione  agli  abbati  dell'amministra- 
zione delle  cose  temporali  appar- 
tenenti ai  monasteri.  La  quale  di- 
sposizione era  maggiormente  neces- 
saria all'Emilia,  perchè  in  questa 
provincia  abbondavano  gli  stabili- 
menti monastici  pio.  ricchi  che  al- 
trove. Finalmente  in  conferma  che 
il  concilio  apud  Faventiam  sì  con- 
vocò sul  declinare  del  secolo  XI, 
dopo  il  concilio  Romano  III  del 
1099,  è  a  sapersi  che  l'arcivesco- 
vo di  Ravenna  ebbe  il  dominio 
temporale  di  diverse  città,  terre, 
castelli,  ed  anche  di  esso  venne 
più  volte  investito  dagl'  imperatori, 
come  de' contadi  di  Bologna,  Imo- 
la, Faenza,  e  Cervia,  nonché  confer- 
mato dai  Pontefici.  Tra  questi  domi- 
ni i  era  vi  Oriolo,  oppidum  Aureoli, 
città  o  castello  nella  diocesi  di  Faen- 
za, e  quattro  miglia  da  essa  distante, 
il  quale  appunto  vuoisi  essere  stato 
destinato  alla  radunanza  de'padri, 
per  la  celebrazione  del  concilio,  sicco- 
me luogo  idoneo  al  grave  atto,  sicu- 
ro da  ogni  spirito  di  parte,  e  protet- 
to contro  le  insidie  de'  nemici  del 
sommo  Pontefice;  luogo  in  cui  poste- 
riormente si  tennero  altri  congres- 
si diplomatici.  Adunque  con  criti- 
ca e  molteplice  erudizione,  prova  Io 
Strocchi,  che  nell'  istoria  patria,  e 
nella  collezione  de' concili,  si  possa 
aggiugnere  questa  annotazione:  Con- 
cìLium  apud  Faventiam  in  oppido 
Aureoli,  anno  MXCIX  Pontificato 
Urbani  II  anno  XII. 

Successe  a  Roberto  nel  vescova- 
to, Cono,  sotto  il  quale  passò  per 
Faenza  nel  11 06  il  Papa  Pasqua- 
le II,  recandosi  in  Germania  a  ce- 
lebrare il  concilio  di  Augusta  per 
la  riforma  delle  cose  ecclesiastiche; 


FAEL 
ed  i  faentini  tributarono  a  lui  gli 
onori  dovuti  al  capo  della  Chiesa. 
Pasquale  II  a'  28  ottobre  del  me- 
desimo anno  tenne  un  concilio  nu- 
meroso in  Guastalla,  dove  tra  le 
altre  cose  decretò  che  i  vescovati 
dell'  Emilia  non  sarebbero  più  sot- 
toposti al  metropolitano  di  Raven- 
na ;  ma  l'immediato  suo  successo- 
re Gelasio  II,  con  ampio  diploma 
de'  7  agosto  1  1 19,  restituì  all'ar- 
civescovo Gualtiero  la  giurisdizione 
metropolitica  sulle  sedi  già  suffra- 
ganee  a  Ravenna,  e  fra  queste  quel- 
la di  Faenza.  A  Cono,  nel  1 1 1 6, 
fu  dato  per  successore  il  faentino 
Pietro  II  di  Bembo,  che  donò  al- 
cuni beni  al  capitolo. 

Dopo  che  Giovanni  II  interven- 
ne al    concilio    generale    lateranen- 
se  tenuto  da  Alessandro  III,  il  suc- 
cessore di    questi  Lucio  HI,  recan- 
dosi   nel    1184  a   Verona,    giunse 
in  Faenza  nella    vigilia  della  festa 
di    s.   Pietro,   per  cui    nel   di   se- 
guente celebrò  solennemente  la  mes- 
sa nella  cattedrale,  concedendo  in- 
dulgenza per  ciascun  anno  in  det- 
ta  ricorrenza.  A  Giovanni    li,   nel 
1 1 92  ,  fu  eletto    successore  s.  Ber- 
nardo Balbi  di  Pavia,  che  a  mol- 
ta dottrina  accoppiò  quella  pietà  e 
virtù  eroiche  che  l'innalzarono  al- 
l'onore degli    altari;    però  dopo  a- 
vere    per    sei    anni    governato    con 
universale    applauso    la    diocesi    di 
Faenza,  fu  da'suoi  concittadini  chia- 
mato   a    reggere  la  sede  di  Pavia. 
Ugolino    faentino   divenne  vescovo 
di  sua  patria  l'anno   i3ir,  e  ben- 
ché semplicemente    eletto  interven- 
ne al    concilio    provinciale    di  Ra- 
venna, tenuto  dall'arcivescovo  Rai- 
naldo.  Nel    i3i2  nella  sala   dell'e- 
piscopio   adunò    un     sinodo  ;    indi 
scomunicò   Francesco   Manfredi,    e 
sottopose  la  città  all'interdetto,  per 


FAE  3i3 

comando  dell'arcivescovo  di  Raven- 
na    suddetto,    in    punizione    della 
lesa  giurisdizione  del  castello  di  O- 
riolo:  altro  sinodo  pieno  di  santis- 
sime leggi  Ugolino  celebrò  nel  i32i. 
Il    primo    vescovo    di    Faenza    che 
fu  promosso  al  cardinalato,  non  pe- 
rò mentre  ne  governava  la  diocesi, 
è  Francesco  Uguccioni  o  Aguzzoni 
Brandi    da    Urbino,   che    fatto  ve- 
scovo nel    i38o,    fu  trasferito  alla 
sede  di  Benevento    nel    1 384  »  P0' 
a    quella    di     Bordeaux,    creandolo 
Cardinale  nel    i4o5  Innocenzo  VII. 
Nella    bolla    di    promozione  al   ve- 
scovato   del  suo    successore  Angelo 
da  Ricasoli,  fatta  nel    1 383  da  Ur- 
bano   VI,  viene    chiamata    la  sede 
di  Faenza  immediatamente  sogget- 
ta alla    santa    Sede;    altrettanto  si 
legge  nella  bolla    che  il  medesimo 
Papa    diresse    al    capitolo,    parteci- 
pandogli tale   promozione.  Rodolfo 
Pio  de'signori  di    Carpi  nel    i528 
fu    fatto    vescovo    di    Faenza,     nel 
i533  promulgò   le   costituzioni  si- 
nodali   della    chiesa    faentina ,    che 
fece  poi  stampare;  indi  nel     i536 
fu  creato    da  Paolo   III  Cardinale, 
lasciando    la    sede    di    Faenza    nel 
i544>  rinunciando  a  favore  di  Teo- 
doro suo  fratello  naturale.   A  que- 
sti nel    1^62   Pio    IV  die  in   suc- 
cessore Gio.    Battista  Sighicelli,  già 
vicario  generale  della  diocesi,  e  me- 
ritamente, perchè    fu  uno    di  quei 
prelati    che    per  ingegno,  dottrina 
e  zelo  si    distinsero    in  questa  cat- 
tedra   episcopale,  onde    venne  am- 
mirato   al    concilio    di  Trento,  se- 
condo   i  decreti    del    quale  compi- 
lò le  regole  per  lo  stabilimento  del 
seminario    ecclesiastico,  e   tenne  un 
sinodo  diocesano,  che  pubblicò  col- 
le   stampe.    Dopo  il    Cardinal  Pio, 
il    secondo    vescovo  di  Faenza  che 
fu    decorato  di  sì    sublime  dignità 


3i4  FAE 

è  Giovanni  Francesco  di  ».  Gior- 
gio, de'conli  di  lilantlrala,  anzi  e- 
gli  il  primo  Cardinale  fatto  ve- 
scovo, giacche  Clemente  Vili  nel 
1 5»t)6  lo  annoverò  al  sagro  colle- 
gio, e  nel  i6o3  gli  conferì  questa 
chiese:  esso  venne  sepolto  nella  cat- 
tedrale da  lui  beneficata.  Erminio 
Valenti,  fatto  da  Clemente  Vili 
nel  i()o4  Cardinale,  e  nel  i6o5 
vescovo,  gli  successe;  promulgò  due 
sinodi,  fu  benemerito  in  più  ma- 
niere, e  venne  sepolto  in  s.  Maria 
delle  Grazie.  Marc' Antonio  Gozza- 
dini,  dal  cugino  Gregorio  XV  fu 
creato  Cardinale,  e  per  petizione 
della  città  di  Faenza  Urbano  Vili 
nel  1623  lo  fece  suo  vescovo;  ma 
egli  morì  prima  del  possesso;  ed 
Urbano  Vili  nominò  in  sua  vece 
il  Cardinal  Francesco  Cennini  dei 
Salamandra  Passando  questi  al  ve- 
scovato di  Sabina,  il  detto  Papa 
a'4  marzo  1643  nominò  vescovo  di 
Faenza,  e  a'  1 3  luglio  Cardinale 
Culo  Rossetti;  questi  celebrò  sinodi 
che  diramò  colle  stampe,  zelò  il 
suo  ministero,  beneficò  la  diocesi, 
e  per  l'amore  che  gli  portava,  l'ot- 
tenne in  amministrazione,  quando 
Innocenzo  X  lo  promosse  alla  sub- 
urbicaria  di  Frascati  ,  e  quando 
Innocenzo  XI  il  trasferì  all'altra 
di  Porto  :  dopo  trentaolto  anni 
di  vescovato ,  epoca  cui  non  era 
giunto  alcun  vescovo  di  Faenza, 
morì  nel  1681,  e  fu  sepolto  nella 
cattedrale  nella  tomba  de'  vescovi. 
Venne  destinato  da  Innocenzo  XI 
a  rimpiazzarlo  il  Cardinal  Anto- 
nio Pignattelli,  con  grande  allegrez- 
za della  città,  perpetuata  con  a- 
naloga  iscrizione ,  collocala  nella 
loggia  del  pubblico  palazzo;  ma  il 
medesimo  Papa  nel  1687  lo  tras- 
latò  alla  chiesa  arcivescovile  di 
Napoli ,    da   dove    meritò  che    nel 


FAE 

1691  foste  sollevato  alla  cattedra 
di  s.  Pietro,  col  nome  d'Innocen- 
zo XII. 

Innocenzo  XI  al  Cardinal  Pi- 
gna! lelli  diede  in  degno  successore 
il  benefico  Cardinal  Gio.  France- 
sco Negroni,  per  lo  zelo  cui  fun- 
se il  suo  ministero,  e  per  le  ge- 
nerose dimostrazioni  latte  alla  dio 
cesi.  Innocenzo  XII  all'antica  sua 
chiesa  fece  dono  del  Cardinal  Mar- 
cello Durazzo  nell'anno  1697,  dap- 
poiché tra  i  vescovi  faentini  che 
si  distinsero  in  compartire  benefizi 
a' diocesani,  ninno  superò  la  di  lui 
munificenza,  siccome  descrive  lo 
Strocchi  nella  succitata  serie  de' ve- 
scovi faentini.  Nel  1710  i  diocesa- 
ni ne  piansero  amaramente  la  per- 
dita, e  tuttora  ne  ripetono  il  no- 
me jcon  benedizione,  conservandone 
le  spoglie  mortali  nella  cattedrale. 
Ristorò  Clemente  XI  tanta  perdila 
col  nominar  vescovo  Giulio  Piazza, 
che  nel  1  7  1 2  fece  Cardi  naie,  con  gran 
tripudio  de' faentini;  questi  ampliò 
ed  abbellì  l'episcopio,  celebrò  il  si- 
nodo, ingrandì  il  seminario,  e  fu 
largo  di  altre  beneficenze;  e  mo- 
rendo nel  1726  fu  tumulato  coi 
suoi  predecessori.  Passati  duecento 
e  quattordici  anni,  nuovamente  eb- 
be Faenza  nel  17^1  da  Benedetto 
XIV  un  suo  concittadino  per  ve- 
scovo nella  persona  di  Antonio  Can- 
toni :  umile,  zelante,  caritatevole, 
meritò  che  Clemente  XIII  nel  1767 
lo  promovesse  alla  sede  arcivescovile 
di  Ravenna,  che  ancora  ne  conserva 
grata  memoria.  E  per  non  dire  di 
altri  ottimi  pastori,  il  regnante  Pon- 
tefice (  Gregorio  XVI,  nel  concisto- 
ro de' 2  luglio  i832,  consolò  Faen- 
za col  dichiarare  per  ottantesimo 
suo  vescovo  monsignor  Giovanni 
Benedetto  de'conti  Folicaldi  di  Ba- 
gnacavallo,    città    della    diocesi,    il 


FAE 

quale  essendosi  onoratamente  eser- 
citato colla  sua  anteriore  carriera 
prelatizia,  bene  apprese  l'arte  diffi- 
cile di  governare,  e  potè  guadagnar- 
si i  cuori  de'  suoi  diocesani  che 
fanno  voti  per  la  sua  diuturna  con- 
servazione. Ciò  luminosamente  si 
confermò  quando  il  medesimo  Pa- 
pa che  regna  deterrainossi  cede- 
re alle  istanze  del  zelante  vescovo, 
coll'accettare  la  di  lui  rinunzia  al- 
la chiesa  faentina,  ad  onta  dell'a- 
more che  leale  e  forte  il  prelato 
al  gregge  portava.  Fu  allora  che 
ogni  ordine  di  persone,  spontanea- 
mente, e  a  gara  rivolse  fervorose 
suppliche  al  pontifìcio  trono,  acciò 
non  venisse  privato  dei  dato  da 
Dio,  dell'  amato  pastore.  Alla  bene- 
vola interposizione  dell'augusto  ca- 
po della  Chiesa,  monsignor  Folical- 
di  sclamò:  Dei  voluntatem  venere- 
unir  cernili,  e  cedette  con  genera- 
le edificazione  ;  sagrifìcando  la  pro- 
pria volontà,  al  tenero  affetto  che 
sempre  nutrì  pe'suoi  diocesani,  tri* 
pudianti  oltre  ogni  dire  per  non 
vedersi  privi  di  cotanto  vescovo  e 
padre,  che  i  faentini  pur  conside- 
rano come  loro  concittadino,  per 
averlo  aggregato  all'ordine  de' pa- 
trizi. Quindi  l'egregio  prelato  a'3 
aprile  i843  diresse  al  gregge  ana- 
loga e  tenerissima  lettera,  che  non 
senza  commozione  si  legge  nel  num. 
i  1 8  dell'  applaudito  Imparziale  di 
Faenza. 

La  bella  cattedrale  di  Faenza, 
eretta,  come  dicemmo,  di  nuovo  nel 
i474>  e  solennemente  consagrata 
a'  i5  ottobre  i58i  dal  vescovo 
Annibale  Grassi,  è  dedicata  a  Dio 
sotto  l'invocazione  del  principe  de- 
gli apostoli  s.  Pietro.  Ivi  si  vene- 
rano le  ossa  de' quattro  santi  pro- 
lettori  della  città,  cioè  s.  Savino 
vescovo  e  martire,  &  Emiliano  ve- 


FAE  3i5 

scovo  e  confessore,  s.  Terenzio  dia- 
cono, s.  Pier  Damiano  vescovo, 
Cardinale,  e  dottore  di  s.  Chiesa, 
non  che  del  b.  Nevolone  camaldo- 
lese faentino,  oltre  altre  reliquie; 
conservandosi  nella  sagrestia  il  pre- 
zioso reliquiario  di  s.  Savino,  ch'è 
un  antico  ostensorio  in  forma  di 
torre.,  pregevole  per  la  sua  an- 
tichità e  decorazioni.  Nella  catte- 
drale evvi  il  battisterio,  e  la  cura 
delle  anime,  la  quale  è  annessa 
alla  cattedrale,  non  è  affidata  al 
parroco,  ma  ad  un  cappellano  amo- 
vibile, il  quale  non  fa  però  parte 
del  collegio  de'parrochi,  che  sono 
sedici:  l'episcopio  e  il  seminario 
sono  contigui  alla  cattedrale.  Il 
capitolo  si  compone  di  diciasette 
canonici,  inclusevi  la  prepositura, 
ch'è  la  prima  delle  tre  dignità, 
l' arcidiaconato,  juspatronato  della 
famiglia  Severoli,  e  l'arcipretura 
canonicale  istituita  dalla  famiglia 
Majoli  di  Ravenna  :  tra  gli  altri 
canonici  vi  sono  le  prebende  del 
teologo  e  del  penitenziere.  Vi  sono 
inoltre  tredici  mansionari,  sei  dei  qua- 
li eleggonsi  a  vita,  e  sono  deno- 
minati Durazzi  dal  loro  benefatto- 
re Cardinal  Durazzo  sum mentova- 
to; gli  altri  sette  appellati  capito- 
lari sono  amovibili.  Inoltre  sonovi 
altri  preti  e  chierici  addetti  all'uf- 
fiziatura.  Dell'arcidiacono  della  chie- 
sa faentina,  se  ne  trova  menzione 
all'anno  883  ;  riuniti  i  due  titoli 
di  arcidiacono  e  di  preposto  nel 
i  o45,  venne  dichiarata  in  quest'ul- 
timo la  prima  dignità  del  capito- 
lo. Ripristinato  dipoi  l'arcidiacono 
come  seconda  dignità,  ne  ottenne 
il  juspatronato  la  nobile  famiglia 
Severoli  nel  1 5 1  7,  mediante  bolla 
di  Leone  X.  L' arcipretura  nella 
sua  origine  era  dipendente  dall'ar- 
cidiacono, ed  esisteva  nel  gii:  do- 


3i6 


FAE 


pò  la  metà  del  secolo  XII  cessò 
tal  dignità,  ripristinata  poscia  nel 
1647  dal  nobile  faentino  Giuseppe 
Majoli,  e  da  Innocenzo  X  dichia- 
rata terza  dignità.  Un  tempo  vi 
fu  pure  la  dignità  del  custode  o 
cimiliarca,  cui  era  all'alata  la  custo- 
dia de'  vasi  sagri  e  de'  tesori  della 
chiesa,  come  delle  ohblazioni,  li- 
inosine,  e  decime  da  dividersi  tra 
il  clero.  Il  decanato  poi  è  soltan- 
to un  titolo  che  si  accorda  a  quel- 
lo che  tra  i  canonici  è  il  più  an- 
ziano. 

I  canonici  della  cattedrale  sono 
posti  sotto  la  tutela  e  protezione 
di  s.  Pietro,  mediante  bolla  di  Ni- 
colò II,  confermata  da  Onorio  II, 
Innocenzo  lì,  e  Lucio  II.  Nel 
1667  Clemente  IX  gli  concesse 
l'uso  della  cappa  grande  paonazza 
cogli  armellini  ;  ed  il  regnante 
Gregorio  XVI,  ad  istanza  dell'  o- 
dierno  vescovo  per  il  decoro  della 
sua  chiesa  e  capitolo,  nel  i835 
concesse  al  preposto,  come  prima 
dignità,  di  poter  vestire  il  rocchet- 
to, la  mantelletta,  e  la  veste  tala- 
re paonazza,  non  che  il  collare  e 
fiocco  al  cappello  del  medesimo  co- 
lore, da  usarsi  tanto  in  coro  che 
fuori  ec.  in  perpetuo;  agli  altri 
canonici  poi  Gregorio  XVI  accor- 
dò l'uso  della  veste,  del  collare,  e 
del  fiocco  nel  cappello  di  color 
paonazzo,  da  usarsi  tanto  in  coro 
che  fuori,  e  nelle  altre  funzioni 
ec.  Nella  sagrestia,  sotto  al  ritrat- 
to del  Pontefice,  una  iscrizione  ri- 
corda tali  beneficenze.  Delle  digni- 
tà e  privilegi  del  capitolo  ne  trat- 
ta il  can.  Strocchi  nelle  sue  Me» 
morie  isteriche  part.  I,  cap.  IV; 
nella  parte  II,  cap.  I  e  II,  discor- 
re de' personaggi  illustri  del  capi- 
tolo faentino,  e  principalmente  di 
s.  Fulco  primo  preposto,  poi  elet- 


FAE 

to  vescovo  di  Piacenza ,  e  consa- 
grato di  Pavia.  11  medesimo  scrit- 
tore, nel  i835,  pei  tipi  del  Conti, 
pubblicò  in  Faenza  un  opuscolo  su 
s.  Fulco.  Diversi  arcidiaconi,  pre- 
posti ,  arcipreti  e  canonici  della 
cattedrale  divennero  vescovi  di 
Faenza.  Il  Cardinal  Giuliano  della 
Rovere  nel  i49^  fu  da  Alessandro  VI 
fatto  canonico,  prebenda  che  riten- 
ne sino  al  i5o3  in  cui  fu  assunto 
al  pontificato  col  nome  di  Giulio 
II.  Agostino  Oreggi  fu  canonico 
teologo ,  poi  Cardinal  arcivescovo 
di  Benevento .  Antonio  Gabriele 
Severoli  di  Faenza  fu  arcidiacono, 
indi  vescovo  di  Fano,  di  Viterbo, 
e  Toscanella,  non  che  Cardinale. 
Carlo  Cesare  Scaletta  nel  1726 
pubblicò  per  l'Archi  :  Notizia  della 
chiesa  e  diocesi  di  Faenza.  Su 
di  che  può  consultarsi  l'Ughellio, 
nell'Italia  sacra  tono.  II,  pag. 
492,  nov.  edizione,  colle  note  di 
Nicola  Coleti.  Nella  città,  oltre  la 
mentovata  parrocchia,  ve  ne  sono 
altre  sedici ,  comprese  quelle  dei 
borghi  ;  quattro  sono  i  conventi  e 
monasteri  di  religiosi,  cioè  de'  do- 
menicani ,  de'  minori  conventuali, 
de'minori  riformati,  e  de'cappucci- 
ni;  due  i  monisteri  di  monache, 
le  camaldolesi,  e  le  vallombrosa- 
ne  ;  non  che  parecchie  confrater- 
nite, e  pii  istituti.  Vi  è  pure  un 
monastero  di  Clarisse ,  che  diri- 
gono un  rinomalo  e  fiorente  edu- 
candato di  fanciulle  nobili  e  citta- 
dine ;  e  quello  delle  suore  della 
Carità.  Evvi  ancora  la  congrega- 
zione di  beneficenza,  l'orfanatrofio 
de' maschi,  quello  delle  femmine, 
e  il  conservatorio  Ghidieri  eretto 
dal  parroco  Ghidieri,  ove  vivono 
ritirate  un  buon  numero  di  donne 
che  attendono  ai  lavori,  e  di  spec- 
chiata   condotta.     Nel    cosi    detto 


FAE 

ospilaletto  si  riceverono  in  luoghi 
separati  i  fanciulli  abbandonati  di 
ambo  i  sessi.  Finalmente  avvi  la 
casa  ossia  collegio  de'  Gesuiti,  ri- 
pristinati in  Faenza  nell'  ottobre 
1 84o  con  generale  tripudio.  L'an- 
nessa chiesa  di  s.  Maria  dell'An- 
gelo è  di  buona  architettura,  e 
dove  la  principesca  famiglia  Spada 
ha  il  patronato  della  cappella  mag- 
giore ,  e  la  nobile  e  rispettabile 
famiglia  Mazzolani  faentina  ha  il 
patronato  della  cappella  dedicata 
a  Dio  in  onore  di  s.  Francesco 
Saverio,  ov' è  una  lampada  gran- 
dissima d'argento,  di  finissimo  la- 
voro del  cav.  Filippo  Borgognoni 
romano,  come  di  bel  disegno,  fat- 
ta a  spese  di  detta  famiglia.  Il 
locale  del  collegio  fu  di  molto  am- 


FAE  317 

pliato,  e  le  spese  furono  sostenute 
dall'eredità  lasciata  dal  benemerito 
conte  Cesare  Naldi  faentino  alla 
compagnia  di  Gesù.  La  mensa  ad 
ogni  nuovo  vescovo  è  tassata  nei 
libri  della  cancelleria  apostolica  in 
fiorini  quattrocento,  perchè  rende 
annui  scudi  settemila,  ed  è  per 
aumentarsi  pei  bonifici  fatti  negli 
ultimi  anni.  La  diocesi  è  estesa, 
conta  162  parrocchie  e  centomila 
anime,  ventimila  delle  quali  appar- 
tengono alla  città  compresi  i  sob- 
borghi. Quarant'otto  di  dette  par- 
rocchie sono  nello  stato  toscano, 
essendovi  in  Modigìiana  i  padri 
delle  scuole  pie,  i  cappuccini,  e  le 
monache  agostiniane ,  mentre  in 
Marradi  sono  le  religiose  domeni- 
cane. 


FINE    DEL    VOLUME    V1GES1MOSECONDO.   ^ 


ZQbVòf 


BX  841  .M67  1840 

SMCR 

fioroni  ,  Gaetano, 

1802-1883. 

Dizionario  di  erud 

iz  ione 

stor ico-ecc les  i  as 

t  ica 

AFK-9455  (awsk)