C 37**
DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORICO-ECCLESIÀSTICA
DA S. PIETRO SINO AI NOSTRI GIORNI
SPECIALMENTE INTORNO
AI PRINCIPALI SANTI, BEATI, MARTIRI, PADRI, AI SOMMI PONTEFICI, CARDINALI
E PIÙ CELEBRI SCRITTORI. ECCLESIASTICI, AI VARII GRADI DELLA GERARCHIA
DELLA CHIESA CATTOLICA , ALLE CITTA PATRIARCALI , ARCIVESCOVILI E
VESCOVILI, AGLI SCISMI, ALLE ERESIE, AI CONCILII , ALLE FESTE PIÙ SOLENNI,
AI RITI, ALLE CEREMONIE SACRE, ALLE CAPPELLE PAPALI, CARDINALIZIE E
PRELATIZIE, AGLI ORDINI RELIGIOSI, MILITARI, EQUESTRI ED OSPITALIERI, NON
CHE ALLA CORTE E CURIA ROMANA ED ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA, EC. EC. EC.
COMPILAZIONE
DEL CAVALIERE GAETANO MORONI ROMANO
PRIMO AIUTANTE DI CAMERA DI SUA SANTITÀ
GREGORIO XVI.
VOL. XXV.
Bfterwrvfr, fio*.
IN VENEZIA
DALLA TIPOGRAFIA EMILIANA
MDCCCXL1V.
*%^t. n
DIZIONARIO
DI ERUDIZIONE
STORICO -E CC LE SI ASTICA
F
FIR
FIR
r 1RENZE (Fhrentin). Grande,
bella ed antichissima città d' Italia
con residenza arcivescovile, capita-
le del granducato di Toscana, che
giace nell'amenissima valle dell'Ar-
no, in una fertile e ridente pianu-
ra, attorniata da amene colline
tutte sparse di villaggi e castelli,
in poca distanza dalle falde dell'A-
pennino, ed in forma di un pen-
tagono. Il fiume Arno maestosa-
mente attraversandola divide il
minor tratto orientale dalla parte
maggiore che si estende a ponente,
ove la città propriamente detta
anticamente restringevasi, mentre
oltre l'Arno si noveravano tre di-
stinti sobborghi, che nel declinar
del secolo XIII furono cinti di
mura, con che venne a compiersi
il perimetro di due leghe e mezza.
Lello ed imponente era il vedere
tale recinto quando era munito di
torri, molte delle quali avevano
eretto gli architetti Arnolfo di La-
po, ed Andrea Pisano, torri che
furono demolite nel i5iy quando
si vollero eguagliare alle mura,
mentre per cura di Michelangelo
Buonarroti sursero gli esterni an-
tiporti, e l'antica fortezza del Mon-
te s. Miniato, detto anche Monte
del re, che riuscirono vani propu-
gnacoli alla potenza delle armate
imperiali di Carlo V. Tuttora esi-
stono più ad ornato che a difesa
le due fortezze erette dai Medici,
delle quali quella chiamata il ca-
stello di s. Gio. Battista s'innalza
all'ovest, l'altra detta di Belvedere
o di s. Giorgio all'est graziosamen-
te torreggia, siccome situata nella
parte montuosa della città, che tut-
ta la domina, ed ha comunicazio-
ne col real giardino de' Boboli ; e
de'bastioni che servirono alla metà
del secolo XVI al granduca Co-
simo I, per difendersi dagli assalti
esterni, appena ne rimangono scarsi
avanzi. Prima la città aveva sedi-
ci porle, ora uè ha otto e una
postierla. Le quattro principali poi
6 FIR
ricordano epoche ragguardevoli al-
la patria istoria, e mostrano es-
sersi fatte dove le belle arti ebbero
costantemente illustre sede. La por-
ta occidentale a s. Frediano per
a Livorno non solo rammenta le
rivalità e le guerre delle due re-
pubbliche fiorentina e pisana, ma
eziandio il solenne ingresso, che
all'Italia fu tanto funesto, di Car-
lo Vili re di Francia nel 1 494-
La porta boreale a s. Gallo per a
Bologna, fu eretta nel 1284, quin-
di ridotta nell'odierna forma l'an-
no 1661, quando vi passò col cor-
teggio nuziale Margherita d'Orleans,
sposa del granduca Cosimo III ;
l'elegantissima epigrafe del Salvini
ricorda l'entrata di Federico IV re
di Danimarca, e l'arco trionfale che
risente nelle sue parti della celerità
con cui fu condotto a termine,
quella del granduca Francesco II,
il primo sovrano di Toscana della
dinastia di Lorena. La porta Ro-
mana al sud-est, denominata a s.
Pier Gattolini, rammemora come
nel i5i5 pomposamente fu rice-
Tuto in patria Leone X, mentre
moveva ad incontrarlo, superati gli
A pennini, Francesco I re di Fron-
da; non che la venuta dell' impe-
ratore Cario V, massimo sosteguo
della stirpe de' Medici. La quarta
porta è quella di s. Nicolò nel
lato sud-est; si pregia dell'antichis-
sima basilica di s. Miniato posta in
cima all'ameno colle, che gli s'in-
nalza a sinistra, basilica che pree-
sislendo al tempo dei longobardi, fu
dotata da Carlo Magno. Le quattro
minori porte si dicono al Prato, a
Pinti, alla Croce, a s. Miniato, o al
Monte, e tutte, se n'eccettui l'ulti-
ma, non mancano di eleganza, e tutte
vantano nelle vaghe lunette pregia-
tissime pitture a fresco. La postierla
FIR
si trova poco prima della porta al
Prato, e conduce ai prossimi inoliai.
Le strade di questa città sono per
la maggior parte larghe, dritte, e
tutte ben lastricate; il Lung' Arno
dalla parte di mezzodì, dal ponte
Vecchio a quello della Carraia, è
bellissimo. Quattro grandiosi ponti
agevolano col rimanente della città
le comunicazioni al quartiere di
Oltr'Arno : il più orientale è me-
morabile per una delle paci o piut-
tosto tregua de' guelfi e de' ghibel-
lini che ivi fu segnata : conserva il
nome del milanese Rubaconte da
Mandella podestà di Firenze, che
nel 1236 vi pose la prima pietra,
ed al quale si debbono pure il bel
lastricato delle vie : chiamasi però
comunemente il ponte alle Grazie
da una piccola cappella ivi eretta
a Maria Santissima sotto il titolo
della Madonna delle Grazie, fre-
quentatissima dal popolo fiorentino,
ed anche dai forestieri. Segue poi
il ponte Vecchio, l'unico che vici-
no alle antiche mura, prima anco-
ra dell'epoca romana si crede esi-
stito, ove di qua dall'Arno sorgeva
la statua di Marte, a piedi della
quale fu ucciso Buondelmonte; su
questo ponte sono a destra e a si-
nistra le botteghe degli orefici e
dei gioiellieri. Quello a s. Trinità ,
che sebbene desuma dal secolo
XIII l'origine, sopra tutti gli altri
ponti si distingue, perchè dopo tre
secoli fu maestrevolmente rifatto in
tre archi dall' Ammannati, ed è
ornato all' estremità colle quattro
stagioni bene scolpite. Dallo stesso
celebre artista fu pure rimoderna-
to il ponte più occidentale alla
Carraia, che si disse anche Nuovo,
per essere stato il primo del qua-
le la repubblica ordinasse la co-
struzione, allorquando esisteva il
I" ! R
solo Vecchio. Anche le piazze sono
selciate con pietraforte e macigno.
Noverare gli edilìzi ragguardevoli
sarebbe lo stesso che descrivere
Firenze dettagliatamente; belli e
sontuosi sono i suoi edilìzi, ricchi
e doviziosi di molte pitture e scol-
ture eccellenti, non solo degli sta-
bilimenti pubblici, ma pure di case
particolari ; laonde accenneremo
brevemente le cose, e le fabbriche
principali.
Magnifiche e decottissime sono
le numerose chiese di Firenze, che
il gesuita p. Giuseppe Richa egre-
giamente illustrò colle Notizie iste-
riche delle chiese fiorentine, divise
ne' suoi quartieri, Firenze 17^4,
per non rammentare altri scrittori
di esse. L'antichissimo tempio det-
to di s. Giovanni, perchè dedicato
a s. Gio. Raltista principale pro-
tettore di Firenze, e nel quale è
il fonte battesimale, sorge isolato
dirimpetto alla cattedrale. E di
lòrma ottagona, all' esterno incro-
stato di marmi bianchi e neri, ed
è di marmi parimente pavimenta-
talo. Il suo interno è fregiato di
sedici colonne di granito, di pre-
giati mosaici , sculture , pitture ,
e del sepolcro magnifico di Bal-
dassare Costa , o Cossa, già Gio-
vanni XXIII, eretto per opera
del Donatello, e d' un antico gno-
mone illustrato dal p. Ximenes. Le
sue tre porte però superano ogni
elogio. Sono queste di bronzo, ed
esprimono varie storie dei due Te-
stamenti. Andrea Pisano gettò nel
i33o quella dalla parte del mezzo-
giorno; nel i/foo Lorenzo Ghi-
berti fece l'altra volta a settentrio-
ne, e quindi la terza a levante di
fronte alla cattedrale, la più mi-
rabile di tutte, e di cui disse Mi-
chelangelo : esser degna di servir
F1R 7
di porta al paradiso. Se questo
magnifico tempio fosse nella sua
origine dedicato a Marte, o se piut-
tosto sia opera dei longobardi , noi
lo lasciamo indeciso, e concludiamo
che le due colonne di porfido, del-
le quali 6i raccontano tante storiel-
le dal popolo, che sorgono laterali
alla più bella porta del Ghiberti,
furono donate ai fiorentini dai pi-
sani dopo la conquista delle isole
Baleari, e che le statue di bronzo
sopra i cornicioni delle porte me-
desime, sono opere di Vincenzo
Dantù, di Vincenzo Rustici, e di
Andrea Contucci detto dalla sua
patria il Sansovino.
Dalla contigua antichissima pieve
di s. Reparata, per opera di Arnolfo
di Lapo, sul finir del secolo XIII, surse
in forma di croce latina la magnifica
metropolitana dedicata a s. Maria
del Fiore, ove l'arcivescovo ha la
sua sede. Di questo edilìzio che
vince in pregio e ricchezza tutti gli
altri della città, e che con la sua
magnificenza attesta i tempi felici
della repubblica in cui fu innalzato,
ne riparleremo verso il fine dell'ar-
ticolo. Fanno bella e maravigliosa
mostra al di fuori i marmi tosca-
ni di vario colore, che rivestono
l' intero edificio, tranne la facciata,
essendo bianchi quelli che nell' in-
terno formano la traforata ringhie-
ra che sovrasta alle pareti. Mira-
bile e famosa è la cupola del Bru-
nelleschi; né ha pari l'altissima tor-
re campanaria accanto a tal tem-
pio, innalzata da Taddeo Gaddi col
disegno del suo maestro Giotto,
ov' egli e tanti altri artisti eserci-
tarono i loro scalpelli ne' bassi ri-
lievi e statue che l'adornano; iso-
lata da ogni parte, ha centoqua-
rantaquattro braccia di altezza e
cento di circuito, ed è incrostata
8 FIR
di marmi di vari colori; i fonda-
menti di questa mole ebbero prin-
cipio nel 1 334- Questa è tenuta
per una meraviglia , e il Biondo
disse eh' è il più bel campanile di
quanti forse ve n'abbia il mondo:
dicesi che l'edilizio costò undici mi-
lioni di fiorini. Sette sono le cam-
pane, l'armonia delle quali risulta
concorde per le consonanze delle
ottave, delle quinte, e delle terze.
La maggiore, fusa nel 1-475, si rup-
pe nel 1704, e subito vi fu sostitui-
ta l'odierna di mirabil pregio. Al
declinar del quarto secolo primeg-
giava la chièsa di s. Lorenzo già
consagrata da s. Ambrogio, che poi
nolPundecimo fu ampliata quando
già era fregiata del titolo di basi-
lica, e servi talvolta alle adunanze
de' guelfi ; ma venendo distrutta
da furioso incendio nei primi anni
del secolo XV, cioè nel 1 4- T 7 > f"
dalla munificenza di Giovanni di
Bicci de' Medici, e quindi dal gran-
de Cosimo il Vecchio suo figlio ,
ridotta con tre navate all' odierna
eleganza e solidità, perchè costrut-
ta tutta di macigno, egualmente
coli' opera del Brunelleschi. In que-
sta basilica si ammira la bella sa-
grestia, che fu la prima a costruir-
si, perchè nell'incendio dell'ante-
riore basilica, avea maggiormente
sofferto ; la principale cappella or-
nata dal granduca Leopoldo, ove i
fini marini del pavimeuto gareg-
giano colle pietre dure, e co' lavori
in bronzo dorato del magnifico al-
tare; l'altra sontuosa cappella che
da Leone X ideata, venne poi da
Clemente VII condotta a fine, e
destinata ai depositi della famiglia
de' Medici, che ora sono ne' sotter-
ranei: quest' ultima cappella è uno
de.' gloriosi monumenti del gonio
di Michelangelo, sì per la felio: ar-
FIR
ditemi dell'architettura, che per le
quattro superbe statue che ador-
nano i mausolei, fra le quali si
distingue la Nolte, che gl'intelli-
genti tengono per unica ; final-
mente divenuti i de Medici sovra-
ni, idearono, ma non totalmente
mandarono ad elfetto, il ricco edi-
fizio chiamato la cappella de' prin-
cipi, ciò eh' eseguì il granduca Fer-
dinando I, che per la sua splen-
didezza è tenuta qual meraviglia
italiana, per la quantità e preziosità
delle pietre e dei rari marmi : la
dipintura della cupola che Leopol-
do I aveva allogata al celebre Mengs,
fu portata a felice compimento dal-
la perizia del cav. Benvenuti, per
ordine del granduca Leopoldo li.
V. la dotta Esposizione delle cap-
pelle de' sepolcri Medicei in s. Lo-
renzo di Firenze, e della grande
cupola ivi dipinta dal commenda-
tore Pietro Benvenuti, di Melchiorre
Missirini, Firenze 1 836 , pel Ciar-
deili. Nell'annesso locale con la
celebratissima biblioteca Mcdicea-
Laur'enziana, che contiene i codici
in lingue orientali, greci, latini ed
italiani, raccolti dalla munificenza
dei de Medici, e degli altri gran-
duchi. Il vaso della libreria è di-
segno di Michelangelo, e vi si è
unita ultimamente una nuova stan-
za per collocarvi una libreria di
prime edizioni, raccolta dal conte
Angelo d'Elei, e da esso donata
generosamente alla patria.
Del grandioso tempio di s. Cro-
ce, la cui origine risale al i2g4j
ne fu architetto Arnolfo, e poscia
Giorgio Vasari nel i566 ne ri-
modernò la cappella maggiore: ivi
sono i primi dipinti di Cimabue,
di Giotto, di Lippi, padri della
scuòla pittorica di Toscana ; ed ivi
pure ammiransi le magistrali scoi-
FIR
ture che decorano i mausolei di
Michelangelo Buonarroti, di Fran-
cesco da Barberino, di Leonardo
Bruni aretino, di Carlo IVIai zuppi-
li!, di Giovanni Lami, di Galileo
Galilei , di JN'icolò Macchiavelli ,
dell' architetto Alessandro Galilei ,
del Nardini, del Fantoni, del Coc-
chi, del Micheli, del Taranti, del
Lanzi, del Filicaia, dell'Alfieri ese-
guito dal Canova, del Magnifico,
di Dante eseguito dallo scultore
Stefano Ricci, e di tanti altri in-
signi dotti ed artisti che rendono
quel tempio doppiamente famige-
rato. L' interno chiostro poi de're-
ligiosi conventuali, che l'hanno in
cura, presenta nella cappella della
famiglia Pazzi eretta dal Brunei-
leschi i primi saggi del risorgi-
mento dell'architettura. Questa gran-
diosa chiesa e convento di s. Cro-
ce è un altro luminoso attestato
della pietà e splendidezza de' fio-
rentini ; anzi sembra impossibile
come un piccolo numero di mer-
canti abbia potuto erigere si costo-
sa fabbrica, che può chiamarsi il
Pantheon de' fiorentini ; i suoi nu-
merosi altari sono tutti adorni di
tavole dei più celebri dipintori del-
la scuola fiorentina, come dicem-
mo. Davanti questa chiesa esiste
una bella piazza con una fontana,
ove nei tempi antichi si eseguiva
il giuoco del calcio : ora è circon-
data di sedili ben disposti per go-
dervi il fresco nell' estate.
Nella chiesa di s. Marco in ima
medesima tomba giacciono sepolti
Gio. Pico della Mirandola, e Girola-
mo Benivieni; nel lato opposto avvi
quella di Angelo Poliziano: l'ar-
chitetto Giovanni Bologna salì ad
alta fama pel riordinamento di
questo tempio, e per la sontuosa
cappella di s. Antonino arciveseo-
Fin 9
vo di Firenze, erettavi nel i *>88 :
Eugenio IV prima di ritornare in
Roma consagrò questa chiesa. La
superba chiesa dei domenicani di
s. Maria Novella, che Michelange-
lo chiamava la sua sposa, fu inco-
minciata nel H2I sotto la dire-
zione e col disegno di fra Ristoro
da Campi, fra Sisto, e fra Gio-
vanni conversi del convento unito
dello stesso nome. La facciata è
disegno di Leon Battista Alberti.
Su di essa stanno due monumenti
astronomici, eseguiti colla direzio-
ne del p. Ignazio Danti, religioso
di questo convento , che al pari
della chiesa abbonda di egregi mo-
numenti di belle arti. Esiste nel
primo una celebre fonderia , e la
chiesa guarda due piazze : la Nuo-
va, ove si eseguisce la corsa dei
cocchi, cui servono di mela le due
guglie di marmo, e l'altra latera-
le, detta la piazza Vecchia. Nel
contiguo convento vi abitarono Mar-
tino V, ed Eugenio IV nella loro
dimora in Firenze. Il primo a' 7
settembre i42o solennemente ne
consagrò la chiesa ; il secondo co-
me il predecessore vi celebrò va-
rie pontificie funzioni, e nella not-
te del Natale i435 benedì lo stoc-
co e il berrettone , e donollo al
gonfaloniere della repubblica, men-
tre Martino V avea donato alla
signoria la rosa d' oro benedetta.
Simile dono fece nel 1 4-3(3 Euge-
nio IV a s. Maria del Fiore. Nel
convento di s. Maria Novella Eu-
genio IV tenne le conferenze e le
dispute per le sessioni del concilio
generale che celebrò nella catte-
drale. In s. Maria Novella egli ce-
lebrò l'unione colla Chiesa armena,
le promozioni de' cardinali, ed il
ricevimento degli ambasciatori del
re ci' Etiopia. Ultimamente nella
io Fia
chiesa di s. Maria Novella è stato
eretto tutto di nuovo un magnifi-
co altare maggiore, che è costato
molte migliaia di lire, ricavate dal-
la famosissima spezieria di quei re-
ligiosi. La magnifica chiesa di s.
Spirito degli agostiniani, nella qua-
le la sagrestia disegno del Crona-
ca è un vero capo d'opera, ha tre
navate con altare maggiore, e coro
nel mezzo. E eseguita col disegno
del Brunelleschi , ed è adorna di
statue e bronzi : questa chiesa ed
il convento guardano una piazza
che ha la fontana.
La grandiosa e ricca chiesa del-
la ss. Annunziata, con convento
dei religiosi serviti, è tutta incro-
stata di marmi, e stucchi messi a
oro, contenendo una quantità di
bellissimi quadri e statue. La sua
cupola, lodato lavoro del Volterra-
no, la rende assai vaga. Si venera
in questa chiesa l' immagine della
beata Vergine Annunziata, oggetto
di particolare divozione del popolo
fiorentino. La sua cappella fu dalla
pietà dei granduchi Medici fatta
tutta incrostare di pietre dure, e
vedesi arricchita d' un superbo al-
tare di argento, e di molti cande-
labri, candelieri e lampade di si-
mile metallo, il tutto offerto dalla
venerazione dei divoti. Il chiostro
che serve d'introduzione alla chie-
sa è adorno di superbe lunette di-
pinte a fresco da Andrea Del Sar-
to, e nel chiostro laterale, oltre a
bellissime lunette di buoni mae-
stri , si ammira pure la celebre
Madonna detta del Sacco, dipinta
dallo stesso Del Sarto, e che vie-
ne giudicata come un capo d'ope-
ra dell'arte. La piazza adorna di
tre belli loggiati, in uno de' quali
sta l'ospedale degl'Innocenti, con-
tiene due vaghe fontane di bron-
FIR
zo, e la statua equestre di Ferdinan-
do I, fusa coi cannoni conquistati
sui turchi dai cavalieri di s. Stefano.
Ove la repubblica ordinò nel i 284
un magnifico portico per servire
di mercato alle biade, esiste ora la
chiesa prepositura di Orsanmiche-
le, o s. Michele in Orto, che è
una grandissima torre quadrata, la
cui parte superiore serve per pub-
blico archivio, in cui si depositano
i protocolli si dei contratti, che dei
testamenti dello stato. La parte in-
feriore serve di chiesa, e vi si ve-
nera un'antichissima immagine di
Maria Vergine a cui l'Orcagna,
che ridusse la loggia a chiesa, fece
un sontuoso tabernacolo di marmi
sul gusto gotico. L'esterno di que-
sta chiesa ricco di pietrami, è ador-
no di sedici nicchie che contengono
le statue dei santi protettori delle
arti, alcune di bronzo ed altre di
marmo, fra le quali si ammira il
s. Giorgio, scolpito in marmo dal
Donatello, che si annovera tra le
più pregiate statue moderne. Si de-
ve deplorare la perdita del tempio
di s. Maria degli Angeli, ordinato
da Filippo Scolari, tanto celebre
sotto il nome di Pippo Spano , e
dal Brunelleschi con un nuovo ma-
gistero insino al cornicione condot-
to, e che ove avesse avuto il com-
pimento sarebbe certamente ripu-
tata l'opera di lui più perfetta.
Oltre alle qui noverate , Firenze
possiede molte altre nobilissime
chiese degne di essere ammirate,
al paro de' suoi stupendi palazzi,
adorni tutti di capi d'opera di bel-
le arti, tra' quali primeggia il pa-
lazzo vecchio, colle annesse sue
fabbriche, e quello de' Pitti ove
risiede il sovrano, innalzato da Lu-
ca Pitti rivale dei de Medici.
11 palazzo vecchio fatto edificare
FIR
dalla repubblica per la residenza
de' suoi magistrati nel 1298, col
disegno del più. volte nominato Ar-
nolfo di Lapo, servi poscia di abi-
tazione al duca Cosimo, che col
disegno di Giorgio Vasari vi fece
superbi accrescimenti, fra i quali il
magnifico salone, adorno di statue
e pitture, uno de' più grandi ed or-
nati d' Italia. Ora serve per le reali
segreterie di stato, scrittoio delle
reali possessioni, uffizio dei sinda-
cati, real depositeria e guardaroba
generale, e per altri uffizi. Il piano
terreno dalla parte laterale è la
dogana della città. La torre di que-
sto palazzo è alta braccia 160.
Lateralmente alla porta che guar-
da la piazza, sta la bella statua del
David del Buonarroti, ed il gruppo
di Baccio Bandinelli, rappresentan-
te Ercole che uccide Caco. Accan-
to al palazzo vi è la gran fontana,
con un Nettuno di marmo di sta-
tura gigantesca, fatto dall'Amman-
nati, che vedesi in un carro mari-
no tirato da quattro cavalli. II gran
vaso della vasca è adorno di sati-
ri, e deità marine tutte di bronzo
e di meraviglioso lavoro. In mezzo
alla piazza vi è la statua equestre
pur di bronzo di Cosimo I, lavoro
sublime di Giovan Bologna, di cui
sono pur opera pregiata gli stupen-
di bassi rilievi che rappresentano i
fatti principali della vita di quel
sovrano. La loggia detta dei Lanzi,
innalzata dalla repubblica nel 1 355,
col disegno dell' Orcagna, è di so-
li tre archi, e per la sua sveltezza,
ampiezza e solidità si ammira come
un miracolo dell' arte. Essa è ador-
na di bellissime statue antiche e
moderne, tali essendo le quattro
colossali di donne, e i due leoni,
che Pietro Leopoldo fece trasporta-
re da Roma dalla villa Medici.
FIR ti
Quivi pure si vede la Giuditta in
bronzo di Donatello, il Perseo
egualmente in bronzo di Benvenu-
to Cellini, ed il celebre gruppo del
l'atto delle Sabine, scolpito in mar-
mo da Giovan Bologna. Contigua
sta la fabbrica e loggiato degli uf-
fizi, eseguito d' ordine di Cosimo I
da Giorgio Vasari, che seppe in-
corporarvi l' antica fabbrica della
regia zecca. 11 piano terreno dei
quartieri corrispondenti a questi va-
sti loggiati serve per i tribunali,
il piano di mezzo per vari uffizi,
ed alla biblioteca Magliabecchiana;
ed il piano superiore per la regia
galleria, incominciata già dal car-
dinal Leopoldo, e sempre arricchita
dai successivi granduchi. Ne' suoi
vasti corridoi, e nelle molte stan-
ze annesse si ammira una gran
quantità delle più belle statue an-
tiche, fra le quali la Venere Me-
dicea ec. ec, ed oltre i capi d' o-
pera dei migliori artisti maestri di
pittura, in cui fra le tante classiche
fra le prime si distinguono la Ve-
nere del Tiziano, il s. Giovanni di
Raffaello, la Madonna del Correg-
gio : quindi mirabile è la classifi-
cazione de' dipinti secondo le di-
verse scuole, e la camera dei ritratti
di artisti da essi medesimi eseguiti.
Evvi ancora il museo ed una magni-
fica collezione di gemme, carnei, me-
daglie, disegni, stampe, antichi mo-
numenti egizi, etruschi, e di altri po-
poli antichi, bronzi, iscrizioni ec,
che troppo ci vorrebbe per darne
anche una succinta descrizione.
Nel 11 4o Luca Pitti ricchissimo
cittadino ordinò al Brunelleschi la
fabbrica del gran palazzo che pre-
se il suo nome, e che dopo l'estin-
zione della repubblica fu venduto
da Bonaccorso Pitti nel i549 a
Cosimo I, non esistendo allora che
,1 FIR
la sola porzione di mezzo. Cosi-
mo I colla perizi;! dell'Atti manuali
il rese degno di addivenire la re-
sidenza sovrana, non avendo ces-
sato tutti i suoi successori sino al
dì d' oggi , di accrescerne le ma-
gnificenze, e di ridurlo a quell'am-
piezza che si ammira. Il maestoso
cortile riputato un' architettonica
meraviglia , memorando per le feste
datevi, especialmente per la grandiosa
naumachia nelle nozze di Ferdinan-
do I, la collezione sorprendente di
molti capo-lavori di pittura delle scuo-
le italiane ed estere, ove primeggia
la celebre Madonna della Seggiola
di Raffaello, i pregevoli dipinti a
desco, fra' quali sono degni di men-
zione quelli della sala , in cui il
cuv. Benvenuti dipinse i fasti di
Ercole. Vanno pure ricordate le
preziose sculture, e fra queste la
famosa Venere di Canova, i qua-
dri a mosaico in pietra dura, e le
sedute dell'accademia del Cimento
ivi 'tenute dopo il i65y sino al
1667, Pr'ma ancora che Parigi e
Londra adottassero una somiglian-
te istituzione; e la palatina ricchis-
sima biblioteca, ove si accumulano
ognora novelli tesori. A. compierne
la decorazione intese il granduca
Cosimo I, facendo costruire il ma-
gico e delizioso giardino de'Boboli,
aperto per concessione sovrana al
pubblico passeggio, in un collo spa-
zioso anfiteatro, coll'eininente casi-
no, e con tanti altri pregi ivi rac-
colti dalla natura e dall'arte. An-
che di questo veramente reale sog-
giorno lungo troppo sarebbe il
descrivere le bellezze e sontuosità
di ogni sua parte. Dall' inferior lato
sorge il pregevolissimo gabinetto
di storia naturale, che le dovizie
inesauribili contiene de' tre regni
ordinatamente disposte, e che per
FIR
le anatomiche preparazioni in ara
ottenne sopra ogni altro celebrità
ed eccitò in altri atenei nobile emu-
lazione. Vi è pure formato l'osser-
vatorio astronomico , e non solo
può dirsi il tutto annesso al real
palazzo, ma una praticata galleria,
che attraversa il quartiere di Ol-
tr' Arno, ed il fiume sormonta so-
pra il ponte s. Trinità o ponte
Vecchio , congiungc il medesimo
coli' altro palazzo della signoria o
palazzo vecchio.
Fra i tanti pubblici stabilimenti
di beneficenza di cui veramente
abbonda questa città, ci limitere-
mo a ricordare i principali. È am-
mirabile la compagnia ed arcicon-
fra tenuta della Misericordia, che
accorre al soccorso di tutte le dis-
grazie della città, come morti, ca-
scati ec, trasportando anche i ma-
lati dalle case agli ospedali : ebbe
questa compagnia origine fino dai
tempi della repubblica da una so-
cietà di artigiani , e rese col suo
zelo ed esemplar carità grandi ser-
vigi alla patria , specialmente in
tempo di mortalità o di pestilenza.
Ella non ha punto degenerato dal-
l'antico fervore e primiero istituto.
In ogni stagione a qualunque ora,
anche della notte, appena la cam-
pana coi convenuti segni avvisa
doversi trasportare infermi dalle
proprie case allo spedale, o esservi
feriti, caduti, colpiti da mali im-
provvisi, morti per la città e luo-
ghi circonvicini, accorrono prontis-
simi i fratelli a raccoglierli e render
ad essi i convenienti uffizi. E van-
no anche a mutare i malati nelle
loro case, ed assisterli nella notte,
e non mancano in ogni occasione
di dare ai bisognosi larghe limo-
Si ne. Questa benemerita società è
una di quelle istituzioni sole prò-
fir l'in ry
prie del enttolieismo, e eh' egli solo straordinari. L'ospedale di s. (iio-
può ispirare e dirigere. Siccome vanni di Dio, duello dai religiosi
ì' istituto è celebratissimo e notorio, Lenii nielli, non riceve che uomini,
sono pochi anni che da «ina illu- i quali vi sono bene assistiti e cu-
stre capitale del nord furono man- rati. Lo spedale degli Innocenti,
dati a chiedere i di lei regolarne*- grande stabilimento incominciato
li. La compagnia della Misericor- anticamente, e poscia ampliato a
dia ha ultimamente fondato un spese dell'arte della seta per gli
ben inteso campo-santo vicino alla esposti nel secolo XV, mantiene
città fuori della porta a Pinti u per circa seimila individui sparsi la mag-
sepoltura de'fratelli. Al grandioso giof parte per la campagna in be-
arcispedale di s. Maria Nuova, ove nefizio dell'agricoltura. Annesso a
si cura ogni sorta di malattia ine- quest'ospedale sta l'ospizio di Ma-
dica e chirurgica stanno annesse le temila fondato da Ferdinando III
cattedre di tutte le scienze, che vi per l' istruzione delle levatrici, che
hanno relazione, un eccellente la- vi sono mantenute dalla comunità
bora torio chimico, un teatro ana- dello stato. A questo presiede un
tomico, un gabinetto patologico, professore, che dà lezione di oste-
ttua biblioteca a comodo della gio- tricia teorico-pratica ; e sonovi al-
ventù addetta agli stuelli medico- brasi delle stanze apposite in cui le
chirurgici , ed un orto botanico, povere donne sono ricevute a par-
Bello è il frontespizio pei scolpiti torire. Lo spedale del Bigallo rac-
marmij e pegli affreschi del Poma- coglie gli abbandonati. Oltre a mol-
rancio e de' suoi scolari: della fon- ti altri stabilimenti di beneficenza
dazione dell'arcispedale di s. Maria si annoveva una pia casa di lavo-
Nuova l'antica famiglia Portinai-i è ro, sotto il titolo di s. Ferdinando,
benemerita, e per tre secoli ne con- fondata da Ferdinando III: si man-
servo il giuspatronalo , finché nel tengono in essa circa mille indivi-
1617 la corona ne acquistò le ra- dui dei due sessi, tolti dalla men-
gioni, e ne imprese la tutela. dicità, che vi sono esercitati in arli
Nell'ospedale di Bonifacio Lupi e mestieri, ed anco vengono istruiti
fiorentino marchese di .Soregna,suo nel leggere, nello scrivere, nell'arit-
istilutore, egualmente magnifico, si metica, e nella letteratura e belle
curano i militari , e tutte le ma- arli, se mostrano per esse della ca-
lattie cutanee, e si mantengono in pacità. La congregazione di s. Mar-
separate stanze un numero di uo* tino pel soccorso de' poveri vergogno-
mini e donne incurabili ed invali- si, fondata dall' arcivescovo s. Anto-
di. In questo stabilimento è com- nino nel secolo XV, è forse la più
preso, quantunque in quartieri to- antica d'Italia. Quella di s. Gio.
talmente separati , lo spedale dei Battista distribuisce soccorsi ai po-
pazzi: i dementi si tengono in veri, specialmente letti e vesti-
santa Maria Nuova, in cui con menti.
istupendi metodi si curano mol- Esiste in questa città un' acca-
tissimi di questi infelici. Presso al demia di belle arti, magnifico sta-
medesimo e sotto la stessa animi- bili mento eh' è situato in un gran-
nistrazione sta lo spedale di s. Lu- dioso spazio sulla piazza di s. Mar-
cia, per le purghe, e pei bisogni co. Vi si insegna disegno, scuola
*4 FIR
del nudo, pittura, ornato, architet-
tura, ed intaglio in rame: oltre
alle scuole ha due grandi e pre-
giate gallerie , una che contiene i
gessi delle più belle statue anti-
che, ed in fondo alla quale esiste la
famosa pittura a fresco di Giovan-
ni da s. Giovanni , rappresentante
la fuga in Egitto, che il granduca
Pietro Leopoldo fece trasportare
tutta in un pezzo dal regio giar-
dino della Crocetta. L'altra galle-
ria contiene una serie di pitture
della scuola toscana , e di altre
veramente pregevoli. Evvi una spa-
ziosa sala per le esposizioni de' qua-
dri in occasione de' concorsi. L'an-
nesso istituto è situato pure nella
piazza di s. Marco; in esso sta una
biblioteca di belle arti , il cui bi-
bliotecario è segretario dell' acca-
demia : vi sono pure dei professo-
ri di meccanica e d'idraulica, chi-
mica applicata alle arti, disegno di
fiori, contrappunto, musica, piano-
forte e violino, oltre una scuola
di declamazione. In questa floridis-
sima città denominata l'Atene d'I-
talia ed il giardino di Europa, il
Pontefice Clemente VI, con bolla
data ad Avignone a'3i maggio
1 349, eresse l'università di Firen-
ze, che ornò di privilegi: ne fu
professore Francesco della Rovere,
eh' ebbe nome di teologo acutissi-
mo e di oratore egregio, il quale
nel i^fi divenne Papa col nome
di Sisto IV. Oltre le quattro pri-
marie biblioteche della città, si de-
ve aggiungere quella del benefico
prelato Francesco Marucelli da cui
trae il nome , a profitto special-
mente dei letterati bisognosi. In
Firenze ove le scientifiche e lette-
rarie accademie ebbero principio,
tuttora fiorisce la Crusca restaura-
ta, la cui origine risale al i58?. :
FIR
ad essa fu riunita la suddetta uni-
versità fondala nel 1 438 : è suo
scopo principale il conservare ed
affinare la lingua italiana. Notabi-
le è pure l'accademia o sia la so-
cietà reale economica dei georgo-
fìli diretta ai progressi dell' agri-
coltura, delle arti e del commer-
cio, i cui alti servirono di model-
lo alje agrarie adunanze che oggi
veggonsi in lustro ; il dipendente
giardino de' semplici è opportuno
alle sperienze di coltivazione. Fu
altresì sino dal r 744 istituita l'ac-
cademia di Teologìa morale prati-
ca per cura del p. Ferdinando Ma-
niglia ; ma oggi più non esiste.
Fra gli studi della sopraddetta ac-
cademia delle belle arti, avvi quel-
lo rinomato del lavoro in pietre
dure e mosaico. Fioriscono inoltre
la società medico-fisica ; il lettera-
rio gabinetto , d'onde si diramava
l'Antologia ; il collegio diretto dai
chierici regolari scolopii, che hanno
un bell'osservatorio astronomico: bi-
sogna confessare che il maggior bene
in materia d' istruzione viene fatto
dai padri delle scuole pie, che oltre
i principii di scrittura e di aritme-
tica insegnano belle lettere , filo-
sofia e matematica, ricevendo nel
collegio a gratuita istruzione più
di mille individui. Tra i teatri no-
mineremo i quattro principali e
più magnifici : quello degli acca-
demici Immobili, detto la Pergola,
i cui accademici sono i primi si-
gnori della città, che fu ultimamen-
te ristorato, e ridotto uno de' più
belli d' Italia ; quello degli Intre-
pidi, teatro nuovo di grande e lo-
devole costruzione, vagamente or-
nato e messo a oro; quello degli
Infuocati, o del Cocomero, di bel-
la architettura; e quello di Gol-
doni.
Flit
E la sede Firenze del granduca
di Toscana e della reale famiglia ,
dell'arcivescovo della diocesi e cit-
tà, eh' è il metropolitano della To-
scana , del vescovo di Fiesole (Ve-
di), delle segreterie civili e milita-
ri , di tutte le direzioni ammini-
strative delle finanze, e di tutti i
tribunali, di un supremo consiglio
di ultime appellazioni per tutto lo
stato, di una ruota civile per il
circondario fiorentino , e di una
ruota criminale per tutta la To-
scana, esclusa la provincia inferio-
re sanese. Firenze ha una came-
ra ed un tribunale di commercio,
una cassa di sconto, una cassa di
risparmio , ed altre istituzioni. Il
corpo dei pompieri è assai bene
esercitato per l'estinzione degli in-
cendi: esso dipende dal gonfalo-
niere, ed il loro magazzino è ben
provveduto di macchine e tutt' altro
occorrente. Tutte le comunioni re-
ligiose vi sono tollerate, e gli ebrei
e gli evangelici hanno i loro cimi-
teri ; i primi oltre il ghetto abi-
tano pure in vari luoghi della cit-
tà. Vi sono vari conservatorii per
l'educazione delle fanciulle, fra i
quali è notabile quello della ss. An-
nunziata, fondato con regia muni-
ficenza dal padre del regnante gran-
duca, aperto a' 24 ottobre 1823,
e diretto da signore secolari , di
cui la granduchessa n'è la protet-
trice. Oltre la scuola esterna per
le ragazze povere, che tengono an-
nessa al loro conservatorio le mo-
nache salesiane, vi sono pubbliche
scuole per le fanciulle povere nel-
le quali s'insegnano tutti i lavori
donneschi ; quivi le fanciulle che
dimostrano buona condotta e fan-
no profitto nei lavori sono inco-
raggile con premi e sussidi dolali.
Ogni quartiere ha scuole gratuite,
F I R i 5
ove s'insegna leggere, scrivere e
l'aritmetica ai poveri ragazzi, oltre
ad alcune scuole di mutuo inse-
gnamento , mantenute a spese di
particola!" società. "Vi sono anche i
così detti asili infantili, ne' quali
s' istruiscono i teneri bambinelli
dell'uno e dell'altro sesso con ca-
rità, a spese dei benefattori, e vi
s' istruiscono nella mattina, e si ha
cura eziandio della loro salute, e
diligentemente gli s'insegna oltre i
primi erudimenti di leggere e scri-
vere, la dottrina cristiana. Nel se-
minario arcivescovile, in cui è una
numerosa e scelta biblioteca , si
educano i chierici della diocesi.
Mentre Eugenio IV nel i435 li o-
vavasi in Firenze, istituì una scuo-
la di chierici, i quali dovessero as-
sistere ogni giorno alle messe can-
tate e agli uffizi divini, sotto un
maestro che li potesse istruire nel-
la grammatica, nel canto gregoria-
no , e ne' costumi. Dispose inoltre
che dovessero abitare un locale vi-
cino alla cattedrale , nel quale sa-
rebbero ricevuti all'età tra i dieci
e quindici anni, e vi si manterreb-
bero fino a ricevere il sacerdozio
dal vescovo della città ; che i con-
soli dell'arte della lana fossero gli
amministratori delle rendite della
scuola, con altre paterne ed uti-
lissime provvidenze. S. Antonino
arcivescovo di Firenze, e lo Spon-
dano vi osservano la pratica, o for-
se l'origine de' seminari dipoi pre-
scritti dal concilio di Trento. Ma
siccome quel concilio ordinò che
nessun chierico si possa promuove-
re agli ordini sagri , se non ha il
patrimonio o benefizio ecclesiastico,
ed avendo Eugenio IV autorizzato
l'arcivescovo di Firenze di ammet-
tere i chierici della scuola agli or-
dini sagri, ad litulum paupertaiis,
i6 fir
u' quali poi il capitolo darebbe le
cappellanie vacanti di suo patro-
nato, cosi questo supplicò s. Pio V
perchè confermasse il privilegio di
Eugenio IV, ciò che fece con bol-
la de' 24 ottobre 1567.
Al complesso delle bellezze fin
qui accennate è d'aggiungersi la
memoria dei principali magnifici
palazzi. E primieramente nella via
deliziosa Lung'Arno si ammirano i
magnifici palazzi Gianfigliazzi, oggi
casino de' Nobili, Corsini e Ricaso-
li , e lo splendidissimo albergo di
Schneider, coi palazzi Lanfredini ,
oggi Corboli, e Riccardi, non che
la casa de' signori della missione.
Sulla piazza di santa Trinità, si e-
leva la rara colonna di granito
orientale, che il Pontefice Pio IV
tolse dalle terme Antoniane di Ro-
ma, e donò a Cosimo I, il quale
vi fece porre sopra il simulacro
della giustizia ; ivi dappresso è il
magnifico palazzo Strozzi : tutto
questo recinto servì sempre di a-
menissimo teatro alle gaie feste po-
polari di Firenze , ma fu sovente
ne' bassi tempi dalle stragi delle fa-
zioni iniquamente bruttato. La via
Larga vanta il magnifico palazzo
che i de Medici eressero , quando
erano ancora privati cittadini , è
che servì di seggio all' accademia
Platonica, e di albergo a molti so-
vrani. Posseduto dipoi dai Riccar-
di, venne assai ampliato un secolo
addietro, onde per la ricca sup-
pellettile , pei moltiplici oggetti di
arte, per l'insigne galleria, per la
biblioteca Riccardiana , è degnò
della sovrana proprietà, che vi ha
destinato alcune camere per le ses-
sioni dell'accademia della Crusca,
e vi ha trasportato diverse ammi-
nistrazioni, del catasto, d'acque e
strade , arruolamento militare ec.
FIR
Distinto posto meritano pure i pa-
lazzi Uguecioni , Pandolfìni, Gino-
ri, vSalviati, Kucellai, Altovili. bor-
ghese, Gherardesca, e quel d' An-
tella pegli affreschi che adornino la
facciata. Il palazzo ove attualmen-
te sono le pubbliche carceri, chia-
masi del Podestà, perchè questo stra-
niero amministratore della giusti-
zia vi ebbe lunga residenza : nel
suo cortile alla promulgazione del
codice Leopoldino furono bruciati
tutti gì' istrumenti che prima ser-
vi vati alla tortura degli inquisiti.
Altre case si rimarcano in Firen-
ze, che non per la struttura , ma
per famose rimembranze esigono
speciale menzione. Così la casa di
Dante al n. 647 nella piazzetta
de' Donati; quella di Beatrice Por-
tinari da lui commendata , che fa
parte del palazzo Ricciardi ; quelle
di Guicciardini, di Macchiavelli, e
d'Alfieri; quella di Mannelli abi-
tata dal Boccaccio; quella di Ber-
nardo Buontalenti, oggi Michelozzi,
in via Maggio n. 1888, onorata
dalla presenza del Tasso; quella di
Frosini in via de' Servi, ov' ebbe al-
loggio e studiò Raffaello d'Urbino;
quella di Michelangelo in via Ghi-
bellina n. 9588, coli' annessa galle-
ria fondata dai suoi discendenti ;
l'altra di Leon Battista Alberti;
quella di Galileo Galilei, oggi Nel-
li, in via dell' Amore ; 1' altra di
Vincenzo Viviani suo discepolo , e
quella di Amerigo Vespucci, distin-
ta da una iscrizione nel convento
di s. Giovanni di Dio; quella di
Federigo Zuccaro in via del Man-
dorlo ; quella ove nacque e abitò
pei primi suoi anni Benvenuto Cel-
imi, in via Chiara nel popolo di
s. Lorenzo; quella di s.Filippo Be-
nizzi, in via Guicciardini; del b. Ip-
polito Galantini, in via della Sca-
Fin
la , e quella dove abitò per qual-
che tempo l' angelico giovanetto
s. Luigi Gonzaga in via degli Al-
fani ec, per non dire di altre.
Le loggie che adornavano gli
edilizi delle più stimabili famiglie,
e che erano destinate al traffico, e
specialmente alle operazioni del
cambio, attestano qual cura i fio-
rentini sempre posero alla nego-
ziazione. I religiosi Umiliati, che
da Milano si diramavano in To-
scana, avendo ottenuto nel I25i
il convento d'Ognissanti, furono
quelli che vi attivarono e perfe-
zionarono le manifatture di lana.
11 Muratori nella XVI delle Dis-
sertazioni sopra le antichità ita-
liane, a pag. 178, tratta dei fa-
mosi banchieri fiorentini e della
loro mercatura. Narra l'esorbitante
lucro che perciò colava nella cit-
tà di Firenze, onde giunse il po-
polo a tal potenza nel secolo XII
e XIII, che incominciò e seguitò
sempre più a dar legge ed impor-
re il giogo alle altre circonvicine
città. Tornando in patria carichi
d'oro i cittadini, fabbricarono son-
tuosi palazzi, aumentarono le arti,
e dal buon regolamento di que-
ste procedeva poi l'aumento del po-
polo, e la necessità di allargare
la città, e la forza del denaro per
fare o sostenere le guerre. Quelle
compagnie che da Giovanni Vil-
lani sono dette degli Scali, de'Pe-
ruzzi, Acciaiuoli, Bardi, Amman-
nati ec. , tutte sotto nome di ban-
chieri specialmente si applicavano
al traffico del denaro; e quando
sì fatte compagnie fallivano, veni-
vano surrogate da altre. Il fiori-
no d'oro battuto in Firenze, per
la sua bontà e bellezza salì in tan-
to pregio e stima che estinse o-
gni altra moneta d'oro che per lo
FIR 17
innanzi correva; e dando il «uo
nome a tutte le altre di che co-
nio elleno si fossero, divenne qua-
si moneta comune del cristianesi-
mo : ond' è che da grandissimi re
e principi in tutte le provincie fu
battuto. Lasciando di ricercare se
per puro provvedimento de' citta-
dini, o per altro si deliberasse di
battere il fiorino d'oro in Firen-
ze, basterà solo il dire, fissando
l'epoca già assegnata a questa mo-
neta anche dal Borghi ni , eh' ella
si coniò la prima volta P anno
1252, nel mese di gennaio, al
tempo di messer Filippo Ugoni
da Brescia, cioè tornando i fio-
rentini vittoriosi de' pisani e dei
sanesi. Da uno dei lati fu impres-
so il giglio, dall' altro s. Giovanni
Battista. Chiamossi questa moneta
fiorino dal nome della città, e fu
secondo la maestria degli artefici
di quei tempi egregiamente lavo-
rato. Avanti di tal tempo in Fi-
renze eransi coniate diverse mo-
nete, ed anche prima dell'impe-
ratore Federico I. Costumarono i
fiorentini in tutte le loro monete
di farci l'impronta coli' immagine
del loro protettore s. Gio. Batti-
sta da una parte, e dall' altra il
giglio ; e tal costumanza si vede
essere stata praticata sino agli ul-
timi tempi della repubblica, senza
averla mai sostanzialmente mutata.
Non sempre però espressero il
santo precursore in un atteggiamen-
to: ora lo rappresentarono in pie-
di, ora sedente in ornatissima se-
de o trono; e talvolta il solo bu-
sto, tale altra nell' atto che nel
Giordano battezzò il Salvatore; quin-
di col pallio o clamide oltre la tu-
nica di pelle, e in atto di tenere
una cartella svolazzante nelle ma-
ni, come aveano praticato i greci
voi. xxv.
ij8 FI il Fili
nel figurare i santi., massime i prò- parte vermiglia, die' egli, era l'au-
leti. II Papa Giovanni XXII, nel fica insegna de' fiorentini, la qna-
i322, in Avignone battè il fiorino le ebbero dai romani: awegnaehè
d' oro a somiglianza di quelli eo- pel nome della città nel detto cam-
niati in Firenze. V. Denari, e Mo- pò vermiglio portavano un fiore
nete, non ebe la dotta opera del di giglio bianco; e l'insegna dei
Vettori : II Fiorino d'oro antico il- iìesolani era un campo bianco en-
lustrato; il Villani 1. 9, e. 170; trovi una luna celeste; e levato il
l'Ammirato, p. I, 1. 6 ; e l'Orsini, giglio e la luna, fecero di quei
Storia delle monete della repub- due campi una sola insegna. Il
blica fiorentina, Firenze 1760. Burghini nel discorso delle armi
Nota il Muratori citato, nella delle famiglie fiorentine volle si-
dissert. XXVII , ebe Firenze per milmente additare questo cambia-
essere stata la prima a battere fio- mento di colori, il che fece pure
ri ni d'oro, divenne celebre per Francesco Belcario vescovo di Metz,
tutta l'Europa, e fino per l'Asia e ma non senza abbaglio, dicendo
per l'Africa; che mantenne sem- che i fiorentini cambiarono il gi-
pre la stessa figura di tali monete, glio rosso antico ne' gigli d'oro di
se non ebe vi si cominciò ad ag- trancia. Parlano molti altri scrit-
giungere in uno scudetto l'arme tori di questo cambiamento di co-
uel gonfaloniere. Del sigillo della lori, e Bartolommeo Scala nelle
città di Firenze, il Muratori ne Storie fiorentine dice, che sciu-
parla nella dissertazione XXXV, brando al popolo fiorentino di a-
ed il Vettori a pag. 5 dice che ver già composto una ben ordi-
fu il giglio, antica insegna della nata repubblica , mutò l' insegne
città di Firenze , e fu primiera- della città di bianco in rosso, ri-
mente d'argento in campo rosso, tenendone i ghibellini sbanditi l'an-
Rimutossi poi nel it.5i nel giglio tico giglio di argento,
rosso d'oggi giorno in campo d'ar- La campagna che circonda Fi-
geuto, dacché segui la morte di renze, mirabilmente descritta dal-
Federico II imperatore, e seonfìt- l' Ariosto, e industriosamente col-
ti nel mese di luglio i pistoiesi , tivata, può riguardarsi come una
cacciati ne furono i caporali ghi- continuazione della città stessa, per
bellini di Firenze, ed il popolo e le ville ed i palazzi in amena for-
i guelfi dentro ne rimasero alla ma sparsi qua e là e bellamente
signoria, ed allora si mutò l'arme disposti, oltre le magnifiche ville
del giglio candido in rosso per reali di Careggi, di Castello, di Pog-
contrario. Ricordano Malespini rac- gio imperiale, il celebre monastero
conta nelle Storie fiorentine , che della Certosa ec. Firenze o il Fio-
dopo la distruzione di Fiesole si rentino è la prima delle tre pro-
unirono le insegne de'horentini con vincie del granducato di Toscana,
quelle de'liesolani, per tenersi mag- di cui forma la parte settentrioua-
giormente in fede, e che fecesi le, ed offre un'amena varietà di
allora un'insegna divisa per lo lun- monti, valli e pianure; il clima è
go bianca e rossa, la quale si por- quivi generalmente sano, fertile è
tavu in occasione di qualche vit- il terreno, che racchiude miniere
toria sul carroccio a suo tempo. La di varie specie, non che cave di
FTR
marmo, alabastro e pietra dura.
Fuori di Firenze si ammira la bel-
la fabbrica di porcellane del Gino-
ri. La provincia di Firenze che
prese il nome dal suo capoluogo,
contava ultimamente trentaquattro
suddivisioni e trentatre vicariati ;
ma nel i838 con moto-proprio
reale de' i agosto, fu creato il
tribunale collegiale di prima istan-
za con giurisdizione mista civile e
criminale, che decide in turni civili
e criminali. Nella divisione gover-
nativa sanzionata col real moto-pro-
prio mentovato, il governo di Fi-
renze vi si legge diviso così : tre
commissariati in città, e per il di-
stretto fiorentino sette vicariati, e
ventuna potesterie. So'to l' impero
francese il Fiorentino formò il di-
partimento dell'Arno, e la porzione
orientale di quelli del Mediterraneo
e dell' Ombrane. I fiorentini anche
in Roma fondarono pie istituzioni,
com'è la benemerita Arciconfrater-
nita della Misericordia di s. Gio-
vanni Decollato (Vedi), e la chie-
sa nazionale di s. Giovanni de' fio-
rentini nel rione V Ponte, con ora-
torio ed Arciconfraternita della
Pietà de 'fiorentini ( Vedi). Oltre
quanto del sodalizio, della chiesa
e dell' oratorio abbiamo detto a
quel!' articolo, non riusciranno su-
perflue le seguenti analoghe no-
tizie.
Il Bovio nella Pietà trionfante,
o della basilica di s. Lorenzo in
Damato, a pag. 173, dice che fi-
liale di essa fu la chiesa di s. Pan-
taleone, oggi s. Giovanni de' fio-
rentini. La piccola chiesa di s. Pan-
taleone fu smembrata dalla basilica
di s. Lorenzo, ed in vece venne
sottoposta alla chiesa de' ss. Celso
e Giuliano allorché fu eretta in
collegiata, dalla quale ancora pò-
FIR ,9
scia fu sottratta. Indi narra co-
me nell' anno i44^> ne' ponti-
ficato di Eugenio IV, essendo il
giorno di s. Gio. Battista, dopo un
grande e spaventoso eclissi del sole,
fu Roma da terremoti e pestilenza
in tal maniera abbattuta , che si
lasciavano insepolti i morti, parti-
colarmente i poveri, per le pubbli-
che strade. Mossi di ciò a compas-
sione molti fiorentini, si riunirono
in compagnia, e invocando la pro-
tezione di s. Gio. Battista princi-
pale patrono di loro nazione, ca-
ritatevolmente seppellivano tutti i
cadaveri che trovavano abbando-
nati, laonde la compagnia prese il
titolo della Pietà de' Fiorentini, ed
assunse sacchi neri, che poi cam-
biò in turchini. Nel i448 fu loro
concessa la chiesa di s. Pantaleone,
che per la sua vecchiezza e picco-
lezza demolirono, e nel 1488 ri-
fabbricarono. Michele fece per la
nuova cinque disegni, e di quello
scelto che somigliava al Pantheon,
ma non eseguito per la spesa, che
dicesi fosse il più meraviglioso, si
conservò sino al 1720 il modello
nell'oratorio del sodalizio, poscia
dichiarato arciconfraternita, come
narra Ridolfino Venuti, Roma mo-
derna, tom. I, par. II, pag. 4?-6
e seg. Il disegno dell'attuale chie-
sa da alcuni si attribuisce al San-
sovino come prescelto da Leone
X, da altri a Giacomo della Por-
ta, tranne la facciata esterna edi-
ficata da Clemente XII a mezzo
dell' architetto Alessandro Galilei.
Non si deve tacere che alcuni di-
cono che al Sansovino fu data real-
mente la cura della fabbrica, ma
avendo quindi incontrate difficoltà
non lievi nel fondare contro il fiu-
me Tevere per circa quindici can-
ne, lasciata l'impresa fu questa prò-
ao FIR
seguita da Antonio da Sangallo; ma
più tardi fa mutato 1' antico di-
segno, e fu adottato quello di Gia-
como della Porta. Rifatta la chie-
sa i conflati la dedicarono al san-
to precursore Gio. Battista, ed il
Panciroli ne' Tesori nascosti, a pag.
357 aggiunge che pur la dedica-
rono ai ss. Cosma e Damiano.
Carlo Bartolomeo Piazza, nel suo
Eusevologio romano, trattato V,
capo XXXVI, Del convitto eccle-
siastico a s. Giovanni de' fiorentini,
dice che nel i5i 9 avendo il soda-
lizio ricevuta la conferma da Leo-
ne X, i confrati perchè vi risplen-
desse il divin culto stabilirono che
dieci degni sacerdoti l' offiziassero,
ed avessero cura delle anime del-
la parrocchia , che tuttora vi esiste.
Indi nel i564 i superiori del so-
dalizio affidarono la direzione dei
sacerdoti come della chiesa a s.
Filippo Neri fondatore della con-
gregazione dell' oratorio, il quale
co' suoi compagni e discepoli illu-
stri santificarono il luogo, al mo-
do che descrivemmo all' articolo
Filippini [Vedi). II santo si stu-
diò d'introdurre presso questa chie-
sa un convitto di ecclesiastici, fa-
cendo delle regole pei dieci sacer-
doti chela servivano, per l'unifor-
mità di vivere , di vestire, come
di mangiare a comune mensa in
refettorio, permettendo loro di ri-
cevere con tenue mensile paga-
mento altri sacerdoti o individui
che bramavano divenir preti; ed
uno dei dieci sacerdoti fu incari-
cato di assistere la suddetta ar-
ciconfraternita di s. Giovanni De-
collato. 11 convitto de'sacerdoti sus-
sistette sino alle ultime politiche
vicende, ed al presente la chiesa
è uffiziata dai sagri ministri che
vi prepone il sodalizio.
FIR
Dal medesimo Panciroli si ap-
prende che nella chiesa si venera-
no parecchie reliquie, massime i
corpi de' ss. martiri Proto e Gia-
cinto quivi trasportati con solennis-
sima pompa a' 21 giugno 1^92,
per benigna disposizione di Cle-
mente VIII, dalla chiesa parrocchia-
le di s. Salvatore a ponte s. Ma-
ria. Di questa magnifica processio-
ne abbiamo da Cristoforo Castel-
letti un opuscolo intitolato: Tras-
lazione de' corpi de' beatissimi mar-
tiri Proto e Giacinto ec. , Roma
nella stamperia Vaticana 1592.
L' Alveri nella sua Roma in ogni
stalo, a pag. 4oo e seg. della par-
te II, non solo ci dà le notizie
della chiesa di s. Salvatore eretta
nel quinto secolo, e rifabbricata
nel \^5 da Sisto IV, ma ezian-
dio fa la descrizione della decoro-
sa traslazione di detti sagri corpi
in giorno di domenica, col soda-
lizio ed altri della nazione fio-
rentina. V'intervennero pure tutti
gli ordini religiosi di Roma, e i
diversi cleri, molta nobiltà, la fa-
miglia pontificia, il cardinal Aldo-
brandini nipote del Papa. I santi
corpi furono portati dai prelati,
dai conservatori di Roma, e dai
fiorentini sotto baldacchino di tela
d'oro. Furono ricevuti da tutto il
sagro collegio, e le artiglierie spa-
rarono nel passaggio di Campido-
glio, e nel giugnere in chiesa, ove
nel dì seguente fu celebrata messa
solenne coli' assistenza di sei cardi-
nali, e del vescovo di Macon. Il
lodato Piazza nella medesima ope-
ra, trattato II, capo XXVII, parla
dello Spedale de' fiorentini a stra-
da Giulia, che nel 1606 eressero
i fiorentini garzoni di fornai colle
raccolte limosine, quindi sottoposto
all' amministrazione dell'arciconfra-
F1R
ternita della Pietà, presso la quale
venne edificato. Vi pose nel 1607
la prima pietra con grande solen-
nità il cardinal Ottavio Bandini,
coli' intervento dell'ambasciatore di
Toscana, e di tutta l'università del-
la nazione fiorentina , ponendolo
sotto l' invocazione della ss. Trini-
tà, della Beata Vergine, e di s. Gio.
Battista. Ne fu principale benefat-
tore Antonio Coppoli, non che An-
tonio Cepparelli, e Pietro Cambi,
tutti fiorentini, a' quali il sodalizio
per riconoscenza nella sala dell'ospe-
dale eresse marmorei busti con ana-
loga iscrizione. Oltre la comune
sala, si tenevano alcune stanze se-
parate pe' nazionali di condizione
civile. Attualmente l'ospedale ha
sei letti, riceve gl'infermi poveri e
nazionali che vi ammettono i su-
periori dell'arciconfraternita, essen-
do le sue rendite unite con quelle
del sodalizio e della contigua chie-
sa. Passando alia descrizione delle
principali cose di questa, diremo,
che delle statue che adornano il
frontespizio della porta maggiore
ne fu scultore Filippo Valle; il
frontespizio è tutto di travertino
con alcuni ornati di marmo, divi-
so in due ordini di architettura,
ambedue corinti , con colonne di
travertini, e bassorilievi di marmo.
Per corona poi e testata si veggo-
no collocate sopra i suoi piedistalli
sei statue di santi nazionali, e re-
stano riservate le altre nicchie per
collocar le altre statue di marmo dei
santi più cospicui della medesima
nazione, secondo l'idea dell'edifi-
catore.
L interno della chiesa è a tre
navate divise da grandi pilastri ,
con cappelle ricche di marmi e di
pitture. Nella prima cappella a de-
stra è un buon quadro rappresen-
FIR ai
tante *. Vincenzo Ferreri, della
scuola del Zuccari, forse del Pas-
signani ; nella seconda il s. Filip-
po Benizzi fu colorito a Firenze;
il quadro di s. Girolamo della ter-
za è di Sante Tito ; di fianco so-
no due quadri del Cigoli e del
Passignani, e gli affreschi li fece
Stefano Pieri. Nella quarta cappel-
la il quadro rappresenta la Beata
Vergine, Gesù. Cristo, e s. Filippo
Neri, copia di quello del Maratta
trasportato a Firenze. L'altare del-
la crociera ha il bel quadro di Sal-
vator Rosa de' ss. martiri Cosma
e Damiano. Nella cappella appres-
so sagra alla Madonna della Mise-
ricordia, la cui immagine coronò
il capitolo vaticano ai 22 marzo
1648, il Fontebuoni colorì la di
lei natività, ed il transito, essendo
il rimanente del Ciampelli. L'alta-
re maggiore edificato con disegno
di Pietro da Cortona, e prosegui-
to da Ciro Ferri, devesi alla mu-
nificenza della famiglia Falconieri,
ed ivi riposano i corpi de' ss. Pro-
to e Giacinto martiri. Le sculture
rappresentanti il battesimo di Cri-
sto , le eseguì Antonio Raggi ; la
statua della Fede è di Ercole Fer-
rata; quella della Carità di Dome-
nico Guidi; gli stucchi sono di Fi-
lippo Carcano, Pietro Sanese, Fran-
cesco Aprili , e Michelangelo An-
guier : quest' ultimo, e Leonardo
Reti, sono gli autori delle Virtù.
La memoria sepolcrale del prelato
Corsini è dell' A lgardi ; l'altra del
prelato Acciaiuoli è del mentovato
Ferrata. La seguente cappella è
della famiglia Sacchetti : il Croce-
fisso di metallo fu eseguito sul mo-
dello di Prospero Bresciano , da
Paolo Sanquirico parmigiano, il cui
fondo è una tavola di un solo pez-
zo di basalto o nero antico ; le
22 F1R
pitture della volta e de' suoi lati
sono del cav. Lan franchi, che vi
effigiò vari fatti della vita e pas-
sione del Redentore, ed è lodatis-
sima la di lui Ascensione al cielo,
sia per lo sfondo che per lo scor-
cio: ivi sono sepolti i cardinali Giu-
lio Sacchetti che papeggiò, ed Ur-
bano Sacchetti di lui nipote. 11
quadro della crociera rimpelto a
quella de' ss. Cosma e Damiano,
dedicato a s. Maria Maddalena, è
di Baccio Ciarpi, o di Alfonso Pe-
trazzi : la cappella è della famiglia
Capponi. In quella che segue di s.
Francesco d'Assisi, il quadro è del
Tito, e le altre pitture del Poma-
rancio. Il deposito del prelato Sam-
miniato lo scolpì il nominato Val-
le ; e quello del marchese Alessan-
dro Capponi fu lavorato da Stoldtz
co' disegni del cav. Fuga. Il qua-
dro dell' altra cappella di s. Anto-
nio abbate è di Ciampelli; gli af-
freschi della volta colle storie di
s. Lorenzo sono di Antonio Tem-
pesti : Gio. Angelo Canini colorì i
due grandi quadri co' fatti de' ss.
Pietro e Paolo. Il gran quadro in
cui è espressa la predica di s. Gio.
Battista, e eh' esiste presso la por-
ta di fianco, si reputa del Naldini.
Quello nella cappella seguente di
s. Maria Maddalena de' Pazzi è del
fiorentino Corradi, di cui sono pu-
re il s. Giuseppe, e la s. Anna dai
lati ; le storie a fresco di s. Egi-
dio, e le altre pitture sono di Gio.
Battista Cosci. Finalmente nell' ul-
tima cappella evvi il s. Sebastia-
no morto, di Gio. Battista Vanni,
ed il fonte battesimale.
In questa chiesa Urbano VIII
agli 8 maggio 1626 beatificò s.
Maria Maddalena de' Pazzi , cano-
nizzata poi da Clemente IX. Quivi
sotto sepolti vari illustri personaggi
F1R
ed artisti, e fra questi nomineremo
Carlo Maderno, celebre arebitetto ;
vi sono anche i depositi dei cardinali
Lelio ed Alessandro Falconieri. Le
feste principali che quivi si cele-
brano, sono quelle della Natività di
s. Gio. Battista, de'ss. Cosma e Da-
miano, de'ss. Proto e Giacinto, e di
s. Zenobio vescovo di Firenze. Al
presente la chiesa è in restaura-
zione, massime ne' fondamenti, per
cui l'arciconfraternita fa l'uffiziatu-
ra nel suo vicino oratorio di cui
andiamo a parlare. L'immagine poi
miracolosa della Beata Vergine del-
la Misericordia , eh' è nella cap-
pella Nerli dalla parte sinistra
dell'altare maggiore , ed ove ri-
posano le reliquie di s. Eugenia,
la sottrasse la pietà del cardinal
Bessarione dal tempio di s. Sofia di
Costantinopoli, quando gli ottoma-
ni s'impadronirono di quella città.
Questa immagine in seguito fu po-
sta sulle pareti del vicolo della
Palla, e da un sacrilego giuocalo-
re infuriato per la perdita che ave-
va fatto , fu percossa nella guan-
cia destra con una boccia, per cui
ancora se ne vede la lividura. Dio
punì l'esecrando misfatto, col fare
assiderare al reo il braccio colpe-
vole. Vedendo di non poterne ri-
cuperar 1' uso, dopo quaranta gior-
ni prostrato avanti l'immagine con
un profluvio di lagrime contèsso
pubblicamente il fallo, e domandò
fervorosamente perdono. Consegui-
tolo colla liberazione del braccio,
il popolo appellò l' immagine Ma-
ria della Misericordia. Accorrendo
tutti a venerarla, la nazione fio-
rentina ottenne di poterla trasfe-
rire in questa sua chiesa, ov' è o-
norata nella cappella anzidetta, di-
spensando di continuo grazie a chi
ricorre al suo patrocinio. La di lei
FIK
mentovata coronazione con corona
(I oro, seguì per le mani dei ca-
nonici di s. Pietro Ugo Ubalditù
nipote di Leone XI, e Felice Gon-
telori celebra tifisi ma per l'erudite
sue opere.
Nel medesimo rione Ponte, poco
fonge ila Ila chiesa di s. Giovanni
de' fiorentini , entro il vicolo che
conduce al banco di s. Spirito tro-
vasi una piazzetta ov' è l'oratorio
della Pietà de' fiorentini. Quivi era
prima, come narrano il Panciroli
a pag. 7g5, ed il Bovio a pag.
1^3, la chiesa parrocchiale de' ss.
Tommaso e Orso ossia Orsola a
Ponte, filiale della basilica di s.
Lorenzo in Damaso , la cui par-
rocchia fu trasferita alla detta chie-
sa di s. Giovanni. Il Venuti a pag.
4^5 narra che Clemente VII con
bolla del i526 concedè la chiesa
alla nazione fiorentina, ed al so-
dalizio della Pietà, il quale la ri-
dusse al modo che si vede. Le
pittore a fresco nelle pareti sono
di Girolamo Sicciolante da Sermo-
neta ; le storie della Passione nella
volta furono condotte da Taddeo
Zucca ri ; e il quadro dell'altare
della Beata Vergine, che sostiene
il Figliuolo morto , è del medesi-
mo Sicciolante. Leone X nel i5i5
e nel 1 5 1 9 concedè al sodalizio
l'uffizio annesso, col proprio nota-
ro per le cause de' mercadanti e
negozianti fiorentini in Roma, e
per le loro adunanze, col nome di
Consolato, donde prese quello la
•via ove sta: indi nel 1 73 r Cle-
mente XII, coll'autorità della co-
stituzione Exponi nobìs, che si leg-
ge nel Bull. Rom. toni. XIII, pag.
159, restituì alla nazione fiorenti-
na tale uffizio notarile.
Prima di parlare dell'origine di
Firenze, e de' principali avvem-
F1R *3
inenti della città, giacché le altre
mie vicende sono riportate all'arti-
colo Toscana (Vedi), non che del-
la sua sede arcivescovile, de' suoi
vescovi e metropolitani, accenne-
remo soltanto i suoi più celebri
cittadini, i Papi, e i cardinali fio-
rentini, essendo argomento lunghis-
simo il dovere trattare dei molti
santi e beati dei due sessi, tra' quali
ve ne sono alcuni degni della più
gran celebrità, come dei fondatori
e riformatori di ordini e congrega-
zioni religiose. Così non intendia-
mo neppure parlare dell' immenso
numero di fiorentini patriarchi, ar-
civescovi e vescovi, e di altri ele-
vati a sublimi dignità ecclesiasti-
che; dei marescialli di Francia, dei
generali di armata di terra e di
mare, e dei ministri famosi. Innu-
merevoli sono gli scrittori delle bio-
grafie de' santi e personaggi illustri
dell' uno e dell'altro sesso, che do-
viziosamente hanno illustrato Fi-
renze, che sarebbe lungo argomen-
to se ne dovessimo trattare. Ciò
che rende Firenze più famosa e ri-
nomala, si è che nel suo seno prin-
cipalmente hanno avuto la culla le
lettere, le scienze e le arti belle, e
che da lei venne la scintilla di
quel fuoco che dopo le barbarie
divenir fece 1' Italia la sede del ge-
nio, portandola a tanta celebrità.
Dante, Petrarca, Boccaccio, i due
Villani ec. squarciarono in gran
parte le tenebre dell'ignoranza, e
Cosimo detto Padre della patria ,
e Lorenzo il Magnifico, ambidue
della casa Medici , co' loro talenti
e colle loro immense ricchezze pro-
tessero ed animarono il vero risor-
gimento del valore italiano. L'Ale-
manni, Adriani, il Berni, Borghi-
ni, Cecohi, Compagni, Guicciardi-
ni, Varchi, Menzini, Malespini, JNar-
24 FIR
di, Grazini detto il Lasca, Macchia -
velli, Poggio, i Pucci, il Rucellai,
Salviati , Salvini, Segni, Velluti,
Vettori ec. sono celebri istorici e
poeti. Rinomati matematici e na-
turalisti celebri , nati pure a Fi-
renze, sono: Bellini, Galilei, Maga-
lotti, P. A. Micheli, Redi, Targio-
ni, Toscanelli, i Viviani ec. Leon
Battista Alberti, Arnolfo di Lapo,
Andrea del Sarto, fr. Bartolomeo
della Porta, Brunellesco, Buonar-
roti, Cellini, Donatello, Finiguerra,
Giotto, Ghilberti, Masaccio, Orca-
gna , Tacca ec. , sono celebri nel-
l' architettura, pittura e scoltura,
ed anco nell' avere alcuni di essi
dettati i precetti dell' arte. Firenze
diede pur nascita negli antichi tem-
pi a rinomati viaggiatori, ma ba-
sti il far distinta ed onorevole men-
zione di Americo Vespucci, che se
non fu il primo a scuoprire una
nuova parte di mondo, fu certa-
mente il primo, che dietro le trac-
ce del sommo navigatore Cristofo-
ro Colombo, scuoprì il vasto con-
tinente di quella nuova porzione
che dal suo nome fu detta Ame-
rica. Sei romani Pontefici sedet-
tero sulla veneranda cattedra di
s. Pietro. Leone X de' Medici elet-
to nel i5i3, che die il nome au-
reo al suo secolo ; Clemente VII
de' Medici creato nel i523; Cle-
mente Vili Aldobrandini subli-
mato al triregno nel i5g2; Leo-
ne XI de' Medici che fu assunto al
pontificato nel i6o5; Urbano Vili
Barberini sollevato al trono del Va-
ticano nel 1623 ; e Clemente XII
Corsini collocato sulla cattedra apo-
stolica nel 1730. V. X Ursulini, In-
ditele nationi Florenlinae familiae
suprema Romani Pontificatila ac
sacra cardinalatus dignitate illu-
stratac, Romae 1706.
FIR
In quanto poi ai cardinali fio-
rentini, secondo i computi del Car-
della, e le ricerche da me fatte ,
sono i seguenti, che dividendoli per
secoli , pongo avanti ad ognuno
l' anno di loro esaltazione al car-
dinalato, ed ognuno ha la sua bio-
grafìa in questo Dizionario. Non
sono compresi gli aretini, i pisani,
i sanesi ec. , ma i soli fiorentini.
Secolo XI.
1073 s. Pietro Igneo Aldobrandini.
1097 b. Bernardo degli Uberti.
Secolo XII.
11 38 Guido Bellagio.
1 175 Laborante di Panormo, o di
Pontolmo.
1 1 90 Gregorio Alberti.
Secolo XIII.
1244 Ottaviano Ubaldinu
Secolo XIV.
1342 Andrea Gini Malpighi , o
Malpigli.
i366 Pietro Tornaquinci.
1370 Pietro Corsini.
1378 Bernardo Tarlati.
i38i Angelo Acciaiuoli.
Secolo XV.
i4o8 b. Luca Manzoli.
i4o8 Ottaviano Ottaviani.
i4o8 b. Domenico Bianchini.
14.11 Alamanno Adimari: nel ca-
talogo de'can. fiorentini è re-
gistrato al i42 5.
1439 Alberto Alberti: nel detto
catalogo si dice cardinale al-
l'anno 1 4 i-9 •
fui
1489 Giovanni de' Medici poi Leo-
ne X.
Secolo XVI.
i5o3 Francesco Soderini.
i5j 1 Pietro Accolti.
1 5 1 3 Lorenzo Pucci.
i5i3 Giulio de' Medici poi Cle-
mente VII.
i5i3 Bernardo Di vizi o Bibbiena.
1 5 1 7 Giovanni Salviati.
i5i7 Nicolò Pandolfìni.
i5i7 Nicolò Ridolfi.
1 5i 7 Xuigi de Rossi.
i5 1 7 Ferdinando Ponzetti o Puo-
cetti o Poccetti.
i5ij Nicolò Gaddi.
1527 Benedetto Accolti oriundo
d' Arezzo.
i52g Ippolito de' Medici.
i53t Antonio Pucci.
1 544 Nicolò Ardinghelli.
i54g Giovanni Medici.
i552 Roberto Pucci.
i55j Lorenzo Strozzi.
i55j Taddeo Gaddi. *
i55q Leonardo Deti.
i56i Bernardo Salviati.
i563 Ferdinando de' Medici poi
granduca di Toscana.
i565 Angelo Niccolini.
1570 Giovanni Aldobrandino
i583 Alessandro de' Medici poi
Leone XI.
1 583 Antonmaria Salviati.
i585 Ippolito Aldobrandini poi
Clemente VIII.
i5g3 Pietro Aldobrandini.
1596 Ottavio Bandini.
Secolo XVII.
1606 Maffeo Barberini poi Urba-
no Vili.
161 1 Pietro Bonsi.
16 15 Roberto Ubaldini.
FUI a5
161 5 Carlo de' Medici.
1621 Ippolito Aldobrandini.
1622 Ottaviano Ridolfi.
1623 Francesco Barberini seniore.
1624 Antonio Barberini seniore.
1626 Giulio Sacchetti.
1627 Antonio Barberini giuniore.
i64' Francesco Maria Macchia-
velli.
1642 Lorenzo Magalotti.
i643 Lelio Falconieri.
i644 Neri Corsini.
1644 Gio. Carlo de' Medici.
l652 Carlo Barberini.
i65i Baccio Aldobrandini.
1667 Leopoldo de' Medici.
1669 Nicolò Acciaiuoli.
1669 Francesco Nerli seniore.
1672 Gio. Battista Bonsi.
1673 Francesco Nerli giuniore.
1686 Francesco Maria de' Medici,
che rinunziò nel 1709 per la
successione di sua famiglia.
1686 Domenico Maria Corsi.
1690 Francesco Barberini giuniore.
1690 Bandino Panciatici.
Secolo XVIII.
1706 Lorenzo Corsini poi Clemen-
te XII.
1706 Francesco Martelli : nel men-
tovato catalogo si fa promos-
so nel 1698.
1724 Alessandro Falconieri.
1730 Alamanno Salviati.
1730 Alessandro Aldobrandini.
1730 Neri Maria Corsini.
173 1 fr. Giannantonio Guadagni:
Bernardo è detto nel catalo-
go de' canonici fiorentini.
1734 Jacopo Lanfredini.
1743 Girolamo Bardi.
1745 Antonio Girolami: Raffaello
è chiamato nel predetto ca-
talogo.
1753 Luca Melchior Tempi.
a6
FIR
1753 Giuseppe Maria Ferroni.
1753 Luigi Maria Torregiani.
17^9 Filippo Acciaiuoli.
1 j5q fr. Giuseppe Agostino Orsi.
1777 Gregorio Salviati.
1794 Giovanni Rinuccini.
Secolo XIX.
I 84 1 Cosimo Corsi.
Firenze soprannominata la bella,
in latino chiamasi Florentia, e gli
abitanti Firentini o Fiorentini, In-
vestigando il succitato Vettori don-
de Firenze fu cosi detta, dice che
ad essa tu attribuito tal nome, se-
condo che scrive Bartolomeo Sca-
la, da quel prato ad Munionis ri-
parti, che germogliava fiori in ab-
bondanza, e precisamente gigli nel-
la primavera ; sicché essendo stato
racchiuso dentro le mura della nuo-
va città per augurio di felicità, die
poi il nome alla città stessa , e
quindi si prese l' insegna del giglio,
che ancor oggi conserva. Non sem-
bra valutabile l'opinione del Ma-
lespina e del Villani , che fecero
derivare questo vocabolo da un
certo Fiorino capitano de' romani.
II medesimo Vettori aggiunge che
il p. Stefano Menochio spiega la
parola Florentia in questo modo :
Jlores liliorum in. candelabris ; e
che nella glossa interlineare si os-
serva, che vi ha una specie di gi-
gli ne' candelabri, sopra i quali po-
nevano le lucerne gli antichi. Tut-
lavolta sembra che questa sia opi-
nione più strampalata di quella del
Malespina, alla quale può almeno
dar qualche tuono l'osservare, che
i fiorentini han voluto chiamar
fiorino la lor moneta improntata
«lei giglio. La fondazione di Firen-
ze alcuni ia fecero derivare da Er-
F1R
cole Libio ; altri all'anno Hf) a-
vanti l'era volgare, con alcune case
che si costrussero i soldati di Sii-
la. L'origine di Firenze tuttora in-
certa, sembra però che abbia avu-
to principio dagli abitanti di Fie-
sole, che scendendo dal monte fie-
solano nella pianura a fare i loro
mercati, circa cento anni prima del-
l'era volgare, principiassero a fab-
bricarvi delle abitazioni, ed inco-
minciassero a stabilirvisi , allettati
dalla comodità del sito, che vi at-
tirò in progresso degli altri abita-
tori. Quelli che attribuiscono ai
soldati di Siila i primordii di Fi-
renze, narrano che quarantadue an-
ni dopo l'epoca accennata, gli abi-
tanti di Fiesole scelsero ad abitare
le case che avevano costruito per
tenervi i loro mercati , e che essi
chiamaronla Fluenlia, dal corso del-
le acque del fiume che costeggiava
la pianura detta Villa Amina, no-
me che poi cambiò per quello di
Florentia, forse dalla floridezza del
sito. Altri infine dicono piuttosto
che le colonie sillane aumentarono
la fìesolana emigrazione, ed amplia-
rono il nuovo paese, che andò sem-
pre più prosperando. Secondo altri
diventò colonia romana al tempo
de' triumviri Ottaviano Augusto,
Marc'Antonio, e Lepido. Delle sue
grandezze in epoca romana poche
ed incerte vestigia vi sono, sebbe-
ne avesse avuto terme, il campo
Marzio, l' ippodromo , il campido-
glio ec. e gli altri edifizi propri
delle colonie romane. Il suo mag-
gior ornamento però consisteva nel-
l'anfiteatro, di cui si hanno tracce
nelle vicinanze di Santa Croce, il
quale a niun altro cedeva per am-
piezza: evvi tradizione che in esso
s. Miniato, e moltissimi altri mar-
tiri vi sieuo stati esposti alle fiere.
FIR
Gli antichi e solidi acquedotti eb-
bero pure celebrità
I primi abitanti di Firenze uni-
camente occupali a godere i van-
taggi di una deliziosa situazione di-
ventarono preda di tutti i barba-
ri, che scorsero ferocemente l'Ita-
lia, e le vittime della gelosia dei
loro vicini, segnatamente dei fie-
solani da cui ripetevano l'origine,
i quali più volte la molestarono
ed inquietarono. Verso la metà del
testo secolo, i soldati di Totila re
dei goti, si dice, saccheggiarono e
rovinarono Firenze. Ai tempi di
Carlo Magno e dopo l'estinzione
del dominio longobardico, la cit-
tà risorse sotto i di lui auspicii :
venne riedificata, e cinta di mura,
decorata di chiese e palazzi ad i-
mitazione delle altre principali cit-
tà d'Italia, giacché i fiorentini nel-
1' anno 802 poterono ristabilir il
municipio, e richiamar gli abitan-
ti dispersi lungo l' Arno. La città
si ripopolò rapidamente, e divenne
potente, erigendosi in repubblica :
già la Toscana governata dai con-
ti e dai duchi nel nono e nel de-
cimo secolo soggiacque al potere
de' marchesi di Toscana, e pel pri-
mo di Bonifacio di Baviera, men-
tre da altro Bonifacio nacque
la celebratissima Contessa Matilde
(Vedi) , che ingrandì il dominio
temporale della santa Sede colle
sue donazioni. Nel io55 fu onora-
ta la città dalla presenza di Vit-
tore II romano Pontefice, e del-
l'imperatore Enrico III. 11 Papa
vi fece ritorno nel 1057, ed ivi
morì a'28 luglio , venendo sepolto
nella chiesa di s. Reparata, come
attestano il Papebrochio in Pro-
pylaeo pag. 191 , num. 3, ed il
Baronio a detto anno, num. 9. Gli
successe Stelano X di Lorena, fi-
F1R 27
glio del duca Gozzolone; nel io58
si recò a Firenze, e morì tra le
braccia di s. Ugone abbate di Clu-
ny a' 29 marzo, e fu tumulato
in s. Reparata. V. Leone Ostien-
se 1. 2, Chron. Cassiti., e. 97.
Nel suo sepolcro operò Iddio mol-
ti miracoli, ed il suo nome tro-
vasi in alcuni martirologi col tito-
lo di santo: anzi vivente ne operò
due in virtù di Dio, venendo in-
vaso dal demonio quel suddiacono
che aveagli avvelenato il calice con-
sagrato, come narrammo altrove,
e quindi liberò il suddiacono dal
diabolico spirito con istupore dei
fiorentini. Indi fu creato Papa Ge-
rardo vescovo di Firenze, che pre-
se il nome di Nicolò II, il quale
nel 1060 fece ritorno a questa cit-
tà, che pur visitò altra volta, e vi
lasciò di vivere a' 22 luglio tofii,
e fu sepolto nel duomo. Tuttavol-
ta il Panvinio ueìì'Epit. Rom. Pont.
lib. Il, p. 66 , sostiene che morì
in Roma, e che fu seppellito in
Vaticano. Il fatto si è che non si
trovano in duomo i sepolcri di
questi Papi.
Intanto Firenze sempre più mi-
gliorando, nel 1078 si trovò nel-
la necessità di ampliarsi con un se-
condo circuito di abitazioni e di
mura. Nell'anno 1 104, o iio5,
o 1 106 Firenze venerò il Pontefi-
ce Pasquale II , nel concilio che
ivi come diremo celebrò. Fu verso
l'anno 1 i io, che vinta Fiesole dai
fiorentini, quando che fosse, e gli
abitanti a poco a poco abbandonan-
dola, e passando a dimorare in
Firenze, si vide questa città andar
sempre più crescendo, e meravi-
gliosamente progredire in tutte le
virtù civili e militari , come nelle
scienze, nelle arti e nelle lettere.
^ ero si è però che debbe priu-
*8 FIR
cipaltnente, come abbiamo detto
di sopra, la sua grandezza ed o-
pulenza , alla mercatura ed alle
arti, essendo prima della scoperta
di America, tra le città italiane
l' emporio del traffico e della ric-
chezza. Firenze, come dicemmo, con
la sua arte del cambio faceva gran
commercio di denaro , e l'arte del-
la lana e della seta mantenevano
gran numero di manifattori nel
popolo. La forma del suo antico
governo era repubblicana - demo-
cratica, ma per risiedere nel su-
premo magistrato, composto di un
gonfaloniere e di alcuni priori, con-
veniva essere ascritto alle arti, che
si dividevano in maggiori e mino-
ri, quindi anche i potenti nobili
di contado vi si facevano ascrive-
re. Dopo che nel 1 1 1 3 Firenze
guerreggiò contro Enrico V impe-
ratore, nemico de'Pontefici per la
questione delle investiture ecclesia-
stiche, la città fu annoverata tra
quelle aderenti al Papa, ed av-
verse all'imperatore. Nel 1 1 38 il
vescovo Gotti fredo prese le armi
per difendere dai fiorentini pre-
potenti le ragioni e beni del ve-
scovato, assistito dall'autorità di
Papa Innocenzo II. Firenze seb-
bene fosse sempre del partito guel-
fo, parteggiando pel Papa, fu spes-
se volte travagliata dal partito ghi-
bellino , seguace dell' imperatore',
che tenevano alcune delle sue prin-
cipali famiglie; quindi al prevale-
re di un partito erano frequenti
le espulsioni, le rilegazioni, gli e-
silii, gl'incendi, le confische, le uc-
cisioni, che tante volte barbara-
mente travagliarono questa città.
Fu nel 1 2 1 5 che le fazioni dei
guelfi e ghibellini incominciarono
a macchiare di sangue civile Fi-
renze, in occasione che Buondel-
FIR
monte di voto al Papa, doveva in
questa città sposare una giovine
della famiglia Amidei ligia all'im-
peratore. Disuaso Buondelmonte di
cotal matrimonio , nel di di Pa-
squa fu trucidato da Mosca Lam-
berti ghibellino: e seguirono in Fi-
renze trentatre anni di massacri.
Per la grave discordia insorta nel
1233 tra i sanesi ed i fiorentini,
il Pontefice Gregorio IX s'inter-
pose a pacificarli. Nel 1256 i fio-
rentini avendo rotto i pisani a
Val di Serchio, fecero quivi ta-
gliare un gran pino, sopra il cep-
po del quale fecero battere il fio-
rino d' oro , con allusione alla ri-
portata vittoria. Nell'anno 1258
ai i4- di settembre i guelfi in
piazza di s. Apollinare empiamen-
te mozzarono il capo al beato car-
dinale Tesauro Beccaria, il quale
essendo legato per pacificarli coi
ghibellini, a questi i guelfi lo cre-
devano favorevole. I fazionari non
si contentavano di spingere fuori
della patria gli emuli, inferocivano
contro i loro palazzi, torri e ca-
se, diroccandole sino dai fonda-
menti, la qual detestabile frenesia
non poco sformò la bellezza di
alcune città. Ciò specialmente av-
venne in Firenze, Bologna, Cre-
mona, per tacere di alcune altre.
Famoso è poi quanto fecero in
questo tempo i fuorusciti di Fi-
renze. Dacché essi ebbero nel 1260
a Monte Aperto data una gran
rotta ai guelfi dominanti in Firen-
ze , e furono vincitori rientrati
nella città , nulla men pensarono
che di spianarla tutta per toglie-
re così ricovero ai loro avversari.
Poco mancò che non eseguissero
sì furiosa risoluzione ; ma costante-
mente si oppose Farinata degli
Uberti, uomo saggio, pel quale re-
FIR
sto salva da quel pezzo furore
Firenze. V. Guelfi. Nel 1273 il
b. Papa Gregorio X, accompagna-
to dai cardinali , da Baldovino II
imperatore di Costantinopoli , da
Carlo I d' Angiò re di Sicilia, e
da molti magnati, si condusse in
Firenze ove si trattenne tre mesi,
sperando di riconciliare perfetta-
mente i guelfi coi ghibellini, ch'e-
ransi divisi in bianchi e neri .
Sembrava che avesse raggiunto l'in-
tento, per cui in s. Reparata ai
12 giugno rese pubbliche e solen-
ni grazie a Dio di tal concordia;
quando i guelfi, come più potenti,
furono i primi a rompere l'accor-
do, il perchè molto ne soffri il
buon Pontefice che tutto coruc-
ciato partì dalla città, che punì
coll'interdetto. Indi si recò in Lio-
ne a celebrale il concilio generale
dopo il quale giunse a Firenze ai
17 dicembre 1275; e siccome non
vi voleva entrare per cagione del-
l' interdetto, nel passaggio che vi
fece, perchè 1* inondazione dell'Ar-
no gì' impediva tragittare per le
mura, e mentre traversava il pon-
te, col segno della croce assolve-
va la città dall'interdetto, che poi
subito rimise e vi perseverò per
tre anni , finché morto Gregorio
X in Arezzo nel 1276, a'21 gen-
naio , il successore Innocenzo V
riconciliò colla Chiesa i fiorentini
e tolse l'interdetto a Firenze.
Nel 1 284 fu per la terza volta
accresciuta ed ampliata la città,
come di presente si vede. A giu-
sta gloria de' fiorentini non si de-
ve passare sotto silenzio , che nel
1295 si trovarono davanti a Bo-
nifacio Vili dodici ambasciatori
fiorentini, inviati a congratularsi
col Papa per la sua esaltazione, a
nome di altrettanti potentati, on-
F1R 29
de quel gran Pontefice esclamò : ì
fiorentini nelle cose umane sono il
quinto elemento. V. Crist. Landi-
no nella sua Apologia premessa
al Commento di Dante j Pietro
Monaldi, Storia delle famiglie fio-
rentine; Paolo Mini, Discorso del-
la nobiltà di Firenze. Il Murato-
ri nella dissertazione LI, parlan-
do dell' origine e progresso delle
fazioni guelfa e ghibellina in Ita-
lia, osserva che grandi e continui
furono gli studi della potente re-
pubblica fiorentina, che ognor più.
estendeva i suoi limiti per lo più
attaccata alla setta de' guelfi, per
abbattere la contraria, per incita-
re i collegati, ed anche i principi
lontani a far fronte agl'imperatori.
Non si può credere, quanto oro
impiegasse in questo l' industriosa
ed accorta nazione : questo special-
mente essa operò nei primi anni
del secolo XIV, allorché calò in
Italia l'imperatore Enrico VII, in
unione con Bologna, Lucca, Siena,
Modena, Reggio, ed altre città e
guelfi. Il perchè nel i3i2 l'impe-
ratore in Pisa fulminò una fiera
sentenza contro i comuni di Firen-
ze, Siena, Lucca ec, perchè gli ne-
gavano ubbidienza; di Bologna non
parlò come città pontificia. All'in-
cominciar di questo secolo , e nel-
l'anno i3oo crebbero in Firenze
le dissensioni tra i Bianchi [Fe-
di), e i neri. Prevalendo in Firen-
ze i ghibellini , spedirono i guelfi
ambasciatori a Bonifacio Vili, ac-
ciò pel bene della città seguace
del Papa, vi ponesse l'ordine. Quin-
di Bonifacio Vili nel giugno spe-
dì a tale effetto per legato il car-
dinale Matteo d'Acquasparta, il qua-
le voleva provvedere alle inimi-
cizie de' bianchi e de'neri, eleggen-
do tra loro a sorte i priori, da
3o FUI
cambiarsi ogni due mesi ; ma i
bianchi che guidavano la signoria
della città, per timore di perdere
il potere non vollero ubbidire, on-
de il legato lasciò la città coll'in-
terdetto ecclesiastico. Il Papa aven-
do chiamato in Italia Carlo di Va-
lois per l' impresa di Sicilia , en-
trò nel i3oi in Firenze colle
sue genti onoratamente accolto ;
ma mentre si occupava di pacifi-
care le fazioni, insorsero tumulti
e cospirazioni contro il principe
francese dalla parte bianca, che
perciò fu umiliata, e messa in ban-
do; ed allora andò pure con es-
sa in esilio Dante Alighieri, che
tutto l'animo rivolse alle lettere, e
divenne eccellente e sommo poeta.
Successe nel pontificato Benedetto
XI, il quale bramoso di pacifica-
re i guelfi e i ghibellini, i bian-
chi e i neri, creò legato il cardi-
nal Albertini di Prato. Firenze lo
ricevette con festa a' io marzo, ed
egli nella pubblica piazza di s. Gio-
vanni, in un discorso dichiarò le
facoltà di cui era munito, ed e-
spose l' intendimento paterno del
Pontefice per pacificare i fiorenti-
ni, massime quelli che reggevano
la città. Questi allora gli diedero
piena autorità di accomodare le
cose, e di far priori e gonfalonieri.
Il cardinale quindi rinnovò l'or-
dine di diecinove gonfalonieri so-
pra altrettante compagnie, secon-
do 1' antico costume di Firen-
ze. Però alcuni potenti veden-
do con ira che ai fuorusciti bian-
chi e ghibellini venivano resti-
tuiti i beni e la libertà di ripa-
triare, provocarono grave tumulto,
per cui fu il cardinale consigliato
a riconciliare insieme quei di Pra-
to. Quivi ancora i faziosi provoca-
rono dissidi, temendo che il legato
FIR
favorisse i bianchi e i ghibellini,
per cui parti dalla città lasciando-
la interdetta. Ritornato a Firenze
bandì contro i faziosi pratesi la
crociata; ma ingelositisi i guelfi
fiorentini , il cardinale vedendosi
male corrisposto, parti a' 4 ghigno
da Firenze, dicendo ai fiorentini
queste parole: » Dappoiché volete
» essere in guerra e in maledizio-
« ne, e non volete udire, né ub-
» bidire al messo del Vicario di
« Dio, né avere riposo né pace
» fra voi, rimanete colla maledi-
» zione di Dio , e con quella di
« santa Chiesa ". Scomunicando i
cittadini colpevoli, e lasciando l'in-
terdetto alla città.
Partito da Firenze il cardinal
Alberimi, la città cadde in iscom-
piglio per le feroci cittadinesche
battaglie, e per l'incendio appic-
cato ad alcune case , narrando il
Rinaldi che fra palazzi, torri e ca-
se ne perirono mille settecento e
più a' io giugno, per cui molte fa-
miglie spogliate di tutto divennero
povere. Giunto il cardinale in Pe-
rugia, ov'era Benedetto XI, si dol-
se in concistoro di coloro che reg-
gevano la città di Firenze, raccon-
tando il disonore e il tradimento
che avevano fatto alla santa Sede
mentre occupavasi del loro bene :
ciò produsse l'indignazione del Pa-
pa e dei cardinali, laonde Benedet-
to XI fece formalmente citare sotto
pena di scomunica i fiorentini, a
mandare a lui procuratori ed al-
cuni caporali di parte guelfa e ne-
ra , che guidavano tutto lo slato
della città. I fiorentini ubbidirono,
ma come dicemmo altrove, la mor-
te che seguì del Papa si attribuì
a loro o ad altri. Né deve tacersi
che verso l'anno i3o6 il vescovo
Lottieri della Tosa, fattosi capo de.
FIR
bianchi per difendersi dalla fazione
dei neri, ridusse il suo palazzo ve-
scovile ad una piazza d'armi, riem-
piendolo di armati seguaci del suo
pallilo; armò la torre del vesco-
vato a guisa di fortezza o rocca ,
rizzandovi un edifizio in forma di
manganella . Inlanto inutilmente
l'imperatore Enrico VII pose l'as-
sedio a Firenze, che si vide libera
da sì potente nemico quando mo-
rì nel 1 3 1 3 : alla difesa di Firen-
ze si distinse con valore militare
Antonio d'Orso. Nel i3i5 i fio-
rentini vedendosi minacciati dal ghi-
bellino Uguccione della Faggiuola
signore di Pisa e di Lucca, che si
nccampò a Monte Catini, invocaro-
no l' aiuto di Filippo principe di
Taranto, fratello del re Roberto,
che vi accorse col suo figlio Carlo
alla testa di cinquecento cavalieri
assoldati dai fiorentini. Nell'agosto
si venne a memoranda battaglia
nella valle di JNievole : Uguccione
vi perdette il figlio , riportò vitto-
ria, e prese il castello di Monte
Catini. 1 fiorentini ebbero morti
Pietro fratello di detto re, il men-
tovato Carlo, e molti di loro, con
numerosi prigionieri. Fra le inte-
ressanti cartapecore che si custo-
discono nella canonica fiorentina ,
avvi la bolla di Giovanni XX 11 ,
del r 333, per la quale si sospende
l'interdetto fulminato contro la cit-
tà e diocesi di Firenze, ad istanza
del cardinal Giovanni di s. Teodo-
ro per conto della pieve di s. Ma-
ria Jmpruneta. Il vescovo Angelo
Acciainoli nel 1 343 fu il liberato-
re della città dalla tirannia del duca
di Atene Gualtieri, che reggeva la
città pel duca di Calabria cui erano
ricorsi i fiorentini contro Uguccione.
Il vescovo dunque nel dì festivo a
s. Anna, si mostrò a cavallo per le
FIR 3r
vie e piazze di Firenze, animando
i cittadini ad armarsi e seguirlo,
ed obbligò il duca a fuggirsene, e
restituire la libertà alla repubblica.
Dipoi , come racconta il Vettori ,
i fiorentini dai conti Guidi com-
prarono Monte Murlo, Lucca colle
castella del contado, ed occuparo-
no Volterra ; e dal Rinaldi all'an-
no 1376 abbiamo come il comu-
ne di Firenze avendo coli' autorità
de' romani Pontefici acquistato la
libertà, e dilatata la signoria, co-
minciò ad aspirare anche a quella
dello stato ecclesiastico, profittando
dell'assenza da Roma dei Papi che
risiedevano in Avignone. Quindi i
fiorentini stimolarono i vassalli del-
la Chiesa alla ribellione, mandan-
do loro stendardi } ne' quali a let-
tere grandi era scritto: Libertà. Ma
Gregorio XI scomunicò i fiorentini
per tali mene, per non aver rein-
tegrato la Chiesa dei danni fatti ,
e per aver maltrattati i legati apo-
stolici ; perlocchè li condannò se-
condo l' ordine giudiziale di quei
tempi, alla confìsca di tutti i beni
in favore di quelli che se ne fos-
sero impossessati, e abbandonando
le loro persone a servitù. Gravi fu-
rono i danni perciò sofferti dai fio-
rentini, mentre si narra che il loro
legato Salvadori, fieramente in Avi-
gnone rispondesse al Papa, che dal-
le sue censure appellava al tribu-
nale di Dio. Ciò accrebbe il risen-
timento di Gregorio XI, ma placa-
to da s. Caterina da Siena, che i
fiorentini spedirono colle credenziali
di ambasciatrice in Avignone, il
Papa restituì loro la pace, che di
poi si turbò non agendo i fioren-
tini con sincerità , perchè il magi-
strato ingannò lui e la santa. A
pacificarsi Gregorio XI co' fiorenti-
ni, nel 1 3yy, poco dopo di essere
3^ FIR
giunto in Roma, li richiamò all'ub-
bidienza; ma essi in vece divenen-
do peggiori, non solo disprezzarono
l'ecclesiastiche censure, ma voleva-
no uccidere s. Caterina, che per or-
dine del Papa procurava il loro
bene; e nei primi del 1378 si fece
in Lucca un solenne parlamento di
ambasciatori per riconciliare i fio-
rentini colla Sede apostolica.
Dopo la morte di Gregorio XI,
avvenuta in detto anno, i fioren-
tini sotto Urbano VI ritornarono
all'ubbidienza della Chiesa, e nel
lungo e lagrimevole scisma insorto
contro quel Pontefice, restarono a
lui fedeli. Dipoi nel i4o5 i fioren-
tini sottomisero Pisa alla loro si-
gnoria; città che nel i4°9 conces-
sero per la celebrazione del conci-
lio , a quei cardinali eh' eransi ri-
bellati a Gregorio XII, perchè con-
tro le promesse aveva creato nuo-
vi cardinali, comandando inoltre i
fiorentini che ninno più ubbidisse
a quel Papa , ed in vece riconob-
bero Alessandro V eletto in quel
concilio. Nel i4'0 colle armi i fio-
rentini repressero gli sforzi di La-
dislao re di Napoli, che voleva do-
minare sui d 0111 i 11 ; i della Chiesa ,
e ne furono lodati da Alessandro
V, cui morto gli successe Giovan-
ni XXIII. Sotto di questi Ladislao
minacciando occupare Roma , co-
strinse il Pontefice a fuggire nel
1 4 J 3 : a' 22 giugno era a Siena,
quindi si trasferì a Firenze, e poi
nel principio della seguente qua-
resima si recò a Bologna. Siccome
ad un tempo vivevano pure Gre-
gorio XII , e 1' antipapa Benedetto
XIII , per estinguere lo scisma fu
celebrato il concilio di Costanza, ove
Gregorio XII rinunziò al pontifi*-
cato, Giovanni XXIII vi fu depo-
sto, Benedetto XII I scomunicato,
FIR
ed in vece eletto agli 1 1 novem-
bre i4'7 Martino Y , il quale in
appresso si portò in Firenze, fa-
cendovi solennissimo ingresso a' 26
febbraio i4ic)> entrando per la
porta di s. Gallo, ricevuto da tutti
i magistrati, e da cento giovanetti
di nobili famiglie vestiti riccamente.
Indi con solenne processione del clero
il Papa si portò al duomo. Mentre
quivi si tratteneva Martino V,il depo-
sto Giovanni XXIII, essendo sempli-
cemente Baldassare Cossa, fuggì dalla
sua prigione, e si gettò a' piedi del
legittimo Martino V. Fu da lui ac-
colto colle maggiori dimostrazioni
di tenerezza ed affabilità ; assolto
dalle scomuniche , e perdonato di
sua contumacia. Lo creò il Papa
vescovo di Frascati, cardinal deca-
no del sagro collegio, destinandogli
sedia più. eminente di quella degli
altri cardinali : siccome vuoisi che
ottenesse tal dignità ad istanza dei
fiorentini, il Cossa fu poi chiamato
il cardinal di Firenze. Di questi
onori il Cossa poco godè : passati
sei mesi, di cordoglio o di veleno
morì in Firenze a' 22 dicembre
i4'9? e gli furono fatte non nella
chiesa di s. Gio. Battista , ma in
s. Maria del Fiore solennissime ese-
quie per nove giorni, coll'interven-
to della signoria, con tutti i ma-
gistrati, i cardinali, i vescovi e tut-
ti i prelati della corte pontificia.
Bensì in s. Gio. Battista fu sepolto
in ricco deposito, nella cui iscrizio-
ne essendosi posto quondam Pa-
pam, Martino V fece delle forma-
li lagnanze che si togliesse, essen-
do morto cardinale, ma inutilmen-
te. Di questo sepolcro di marmo
ne riporta la figura l'Oldoino, tom.
II, pag. 794, il quale soggiunge,
essergli stato eretto da Cosimo de
Medici il Vecchio, suo amicissimo ,
FIR
che per merzo di Giovanni XXIII
era divenuto l'uomo piti ricco che
rilava ci fosse. Qui noteremo che
dell' origine della famiglia Medici
( l'edi), potentissima in Firenze, la
quale poi ne divenne sovrana , se
ne tratta a quell' articolo, come
delle relative vicende che riguar-
dano questa città.
Narra l'In fessura nel suo Dia-
rio, presso il Muratori, Script, rer.
uni. tom. Ili, par. II, pag. 1123,
che Martino V dimorò in Firenze
per due anni e due mesi ( altri di-
cono soltanto dieciotto mesi); ed il
Rinaldi dice, che mentre egli slava
per partirne, esaltò la chiesa vescovi-
le al grado di metropoli , a' 2 mag-
gio, dopo aver cantato solennemen-
te la messa nella cattedrale; indi
il primo arcivescovo Amerigo Cor-
sini ricevette il pallio in Roma agli
11 dicembre i/f^o, per mano del
cardinal Rinaldo Brancacci. A' 9
settembre 1420, secondo la richie-
sta fattale dai romani , Martino V
si pose in viaggio per Roma. Del-
la sua partenza, e degli onori fat-
tigli dai fiorentini ne tratta Felice
Contelori nella di lui vita. Il co-
mune elesse otto de' maggiori cit-
tadini, i quali accompagnarono il
Pontefice per tutto lo stato della
repubblica, alloggiandolo splendida-
mente ne' luoghi ove si fermava ,
addestrandogli il cavallo il gonfa-
loniere di giustizia allorché uscì per
la porta di s. Pietro dalla città,
mentre ventiquattro de' principali
cittadini sostenevano su di lui un
pallio d'oro : a detta porta Marti-
no V benedì que' signori , ed av-
viossi per Viterbo alla capitale del
mondo cattolico. Qui noteremo, che
nel 1422 tre personaggi fiorentini
della famiglia Strozzi si ritrovaro-
no in Venezia ambasciatori di tre
FIR 33
diversi governi a quella repubblica.
A Martino V successe Eugenio IV,
contro il quale essendosi nel i434
sollevati molti romani , pei danni
che ricevevano da Nicolò Forte-
braccio , fuggì pel Tevere a Pisa ,
e nella vigilia della festa di s. Gio.
Battista onorato da tutto il popo-
lo fiorentino entrò in Firenze, ove
da tutte le parti accorsero i pre-
lati e i cortigiani per stargli dap-
presso. Mentre che il Pontefice Eu-
genio IV risiedeva in questa città,
siccome quando vi giunse trovò
vacante la sedia arcivescovile per la
seguita morte di Amerigo Corsini
ultimo vescovo ed insieme primo
arcivescovo, per sé la ritenne qua-
si due anni, ne' quali fra le mag-
giori cose che operò a decoro di
essa, nomineremo l' istituzione del
collegio de' chierici dal suo nome
detto Eugeuiano, di cui parlammo
superiormente; scuola che divenne
famosa , ed assai utile pei chierici
onde formarsi ottimi ecclesiastici.
La fondazione la fece colla bolla
Ad exequtndum Stimmi Pontificis
officii debitum , spedita nel 1 435 ,
mentre con altra del i44r aog'un"
se molte grazie ai chierici di que-
sta scuola , per la quale neh" isti-
tuirla assegnò la somma di nove-
mila novecento fiorini d'oro. Il p.
Ridia nel tomo VI, pag. 102 e se-
guenti , non solo fa la storia di
questa scuola Eugeniana, ma altre-
sì della compagnia di s. Zanobi, e
del cimitero. Intanto la presenza
di Eugenio IV in Firenze , valse
nel i434 ad impedire lo spargi-
mento di torrenti di sangue a ca-
gione di Rinaldo degli Albizii com-
petitore del potere di Cosimo de'Me-
dici, che per un anno patì il ban-
do dalla città. Il governo di Cosi-
mo fu pacifico e prospero.
3
14 FIR
Mentre Eugenio IV nel i435 di-
inorava in s. Antonio fuori le mu-
ra della citlà, scampò run tradi-
mento ordito da certo Riccio spa-
gnuolo, famoso per l'insidie, onde
consegnarlo al suo nemico Filippo
Maria Visconti duca di Milano. Stan-
do in Firenze Eugenio IV, a' 9 a-
gosto 1437, celebrò la seconda pro-
mozione, .in cui creò cardinale il ce-
lebre Giovanni Vitelleschi. Le dis-
grazie che incontrò questo Papa
appena salito al trono, l'avevano
costretto ad approvare quanto si
faceva nel concilio di Basilea {Ve-
di). Questo tuttavia si proseguiva
con suo estorto consenso , quando
insorta discordia tra i padri conci-
liari sopra il luogo ove si aveva da
trasportare il concilio per la riu-
nione de' greci che avevano rifiu-
tato Basilea, essendo alcuni di pa-
rere che si dovesse adunare o a Fi-
renze, o ad Udine, Eugenio IV tro-
vandosi in Bologna, il primo otto-
bre i437 ordinò che si trasferisse
a Ferrara ( Fedi) ; ma ostinandosi
j padri di Basilea di non dipartir-
si, e continuando co' loro perversi
decreti , la loro adunanza divenne
vero conciliabolo.
Mentre in Ferrara celebravasi
la continuazione del concilio gene-
rale , fu la città assalita dalla pe-
ste, onde il Papa che lo presiede-
va fu costretto trasportarlo in Fi-
renze nel 14^9, ed egli vi si con-
dusse nel gennaio. A questo cele-
bre concilio, come si dirà in fine,
intervennero l'imperatore d'Orien-
te Giovanni Paleologo, che abitò la
casa dei Peruzzi, il di lui fratello
despota di Morea, un gran nume-
ro di cardinali e di vescovi delle
chiese latina e greca. Vi si pubblicò
il decreto dell' unione delle due
chiese, e quello pegli armeni, gia-
FIR
cobiti, abissini ec.j vi morì nella
confessione romana il patriarca di
Costantinopoli, e vi fu condannalo
il conciliabolo basileese. Mentre ce-
lebravasi in Firenze il concilio ge-
nerale, Eugenio IV a' 18 dicembre
1439 fece la terza promozione in
cui creò dieciselte cardinali, fra i
quali nomineremo i seguenti. Isi-
doro di Tessalonica arcivescovo ru-
teno di Kiovia. Bessarione di Tre-
bisonda arcivescovo di Nicea. Anto-
nio Martino de Chaves portoghese.
Giovanni le Jeune francese, amba-
sciatore del duca di Borgogna al con-
cilio fiorentino. Guglielmo d'Estou-
teville, del regio sangue di Fran-
cia. Giovanni Turrecremata teolo-
go insigne , ed esimio canonista di
questo concilio. Continuando Euge-
nio IV a dimorare in Firenze, a' 11
giugno i44° f*ece la quarta promo-
zione di due cardinali, cioè Lodo-
vico Scarampo Mezza rota, valoroso
militare ; e il proprio nipote Pie-
tro Barbo, poi Paolo li. Perchè poi
questo concilio ricevesse maggiore
autorità, Eugenio IV volle tener
l' ultima sessione nella basilica la-
teranense, per cui parti da Firen-
ze con ventiquattro cardinali , e
giunse in Roma a' 2 1 o 22 set-
tembre i443, dopo aver impegna-
to a' fiorentini la sua mitra pre-
ziosa per quarantamila scudi , che
diede a' greci per le loro spese. In
Roma Eugenio IV rinnovò la sco-
munica contro l'antipapa Felice V
eletto dai basileesi, e contro Fran-
cesco Sforza invasore delle terre
della Chiesa. E siccome egli veni-
va aiutalo dai fiorentini , non ce-
dendo questi alle ammonizioni del
Pontefice, gli mosse contro Alfonso
V re di Aragona, assolvendolo dal
giuramento di non invadere la To-
scana, per mezzo del cardinal lega-
FIR
to Scarnmpo. 11 re assalì nel 1 447
i fiorentini nella speranza d' insi-
gnorirsi della Toscana ; ma essi in
unione ai sanesi si difesero egregia-
mente, laonde altro non potè fare,
che occupare alcuni piccoli castelli,
e dar il guasto alla campagna.
Pio II volendo abbassare la cre-
scente potenza degli ottomani , in-
timò un general congresso di prin-
cipi italiani da tenersi in Mantova
nel i4^9- Bramoso di presiederlo,
a' i5 aprile giunse a Firenze, trat-
tato con regia splendidezza da Co-
simo de' Medici padre della pa-
tria, allora reggente della repub-
blica fiorentina, ed il più opulen-
to ed onorato signore de' suoi tem-
pi. Stando Pio II in Firenze, ed
essendo morto l'arcivescovo s. An-
tonino, il gonfaloniere di giustizia
Bernardo Gherardini, con eloquen-
za e spirito, in s. Maria Novella
ottenne dal Papa un fiorentino per
successore nella persona di Orlan-
do Bonarli, pubblicato poscia nel
concistoro che Pio li tenne in Bo-
logna a' 12 maggio. Il Papa or-
dinò in s. Maria del Fiore a sue
spese pubbliche esequie al defunto
arcivescovo, coli' assistenza de'car-
dinali, de' vescovi, e della sua cor-
te, in maniera che sembrò piutto-
sto una canonizzazione che un fu-
nerale, essendosi conceduta da Pio
Il l'indulgenza di sette anni ed
altrettante quarantene a tutti quelli
che fossero andati in s. Maria del
Fiore a baciar il santo corpo, che
sulla sera fu trasferito nella chie-
sa di s. Marco, dove per otto gior-
ni dai religiosi si replicarono l'ese-
quie. Dopo avere Pio II ricevuto
in Firenze diversi ambasciatori ,
per Bologna proseguì il viaggio a
Mantova, ove nel congresso anche
i fiorentini promisero contribuire
FIR 35
alla sagra guerra. Di ritorno nel
i46o Pio 11 onorò di nuovo Fi-
renze di sua presenza, trattato nuo-
vamente con magnificenza, per la
quale mai aveva tanto speso la re-
pubblica. Nel 1468 morì Cosimo
de' Medici dopo aver governato la
repubblica più anni. Pietro suo fi-
glio fece ogni sforzo per continuar-
la lui, ma vi si opposero anche i
suoi amici, perchè la signoria non
si stabilisse in una famiglia, con
pregiudizio della comune libertà; e
cacciati in esilio dalla parte dei
Medici ricorsero a Bartolomeo da
Bergamo, e venuti a battaglia, re-
stando dubbiosa la vittoria, se ne
partirono. Riuscì a Paolo li nel
1468 di porre line a tali guerre
cittadine, stabilendosi che Bartolo-
meo da Bergamo prode e valente
in armi, volgesse queste contro i
turchi colla qualifica di capitano
generale della lega, e collo stipen-
dio di centomila fiorini d'oro al-
l'anno.
Nel seguente pontificato di Si-
sto IV le due famiglie potentissi-
me di Firenze de'Pazzi, e de' Me-
dici che tutte le altre ecclissavano
per le loro ricchezze, si disputava-
no il dominio dello stato; i Pazzi
fondati sulla antichità di loro no-
biltà, e i Medici sulla preponde-
ranza del credito che gli avea acqui-
stato il loro avo Cosimo il Vec-
chio, a cui la gloria e la prospe-
rità erangli state senza interruzio-
ne compagne sino al sepolcro. Le
intestine guerre della repubblica
nelle quali presero più o meno
parte le primarie famiglie di Fi-
renze, terminarono col portare al
supremo potere ed alla magistra-
tura di essa la casa de' Medici, i
cui individui cransi distinti nell'e-
sercizio delle virtù, e nella magni-
36 FUI FIR
licenza colle loro ricchezze, per cui era corso al palazzo per impadro-
il detto Cosimo, Pietro e Lorenzo nirsene , ed uccidere i magistrati
il Magnifico furono successivamen- che vi si opponessero, fu preso da
te principi della repubblica , seb- questi ed appeso ad una finestra
bene semplici cittadini. E fama che con altri pochi, che con lui erano
il Papa Sisto IV non potesse sof- in compagnia; quindi imprigiona-
frire i de Medici, perchè frastorna- rono il cardinal Riario. I fioren-
vano l' ambizione del suo nipote tini dierono a Lorenzo de' Medici
Girolamo Riario divenuto signore una guardia per sicurezza, e Tarn-
di Forlì, e che per tal cagione i ministrazione del pubblico erario;
Pazzi ne avessero acquistata la di indi a di lui incitazione tentarono
lui benevolenza. Presero dunque di occupare alcune città dello sta-
questi la risoluzione di cospirar to ecclesiastico. Neil' istesso anno
contro la vita dei de Medici, ed i47$ Sisto IV die sentenza di
invitarono il giovane cardinal Raf- scomunica contro i complici di si
faele Sansoni Riario, altro nipote fatti delitti, e pose sotto T inter-
del Pontefice, a portarsi in Firen- detto la città di Firenze, col mo-
ze per osservarvi tutto il bello del- tivo della morte violenta dell' ar-
ia città, senza fargli cenno della ci vescovo di Pisa. I fiorentini non
trama. Il cardinal vi si portò, e dierono importanza alle pontificie
ricevè molte finezze e sontuosi censure, come se fulminate fossero
banchetti da Lorenzo e Giuliano per vendetta, né misero in libertà
fratelli de Medici, i quali assisten- il cardinale se non dopo lungo
do col cardinale alla messa solen- tempo; ed il Lami, nella prefazio-
ne che si celebrava nel duomo ai ne alle sue Lezioni di antichità
26 aprile 1478, al segno del San- toscane, parla di una contro sco-
clus , i congiurati si scagliarono munica, che il clero fiorentino sca-
contro i de Medici , restando mor- gliò per le dette censure. Allora il
to nel tumulto Giuliano, e fé- Papa si collegò con Ferdinando re
rito leggermente Lorenzo suo fra- di Napoli , ed inviò contro i fioren-
tello maggiore, che si salvò nella tini un esercito composto di napo-
sagrestia tirando a sé la porta di litani comandati da Alfonso figlio
bronzo, che vi aveva fatta l'avo, e del re , e dalle sue milizie capita-
poi preservato dall'autorità del nate da Federico duca di Urbino:
cardinale, che sedando il tumulto ne fu conseguenza una forte lega
fece beu conoscere al popolo eh' e- che molti principi fecero in favo-
gli di tutto era insciente ; ma tale re de' fiorentini. Mentre l'esercito
fu la paura che provò, che quel faceva diverse conquiste sopra lo
pallore di cui si cuopri allora il stato della repubblica, il re Ferdi-
di lui volto gli restò per tutta la nando avendo più a cuore le cose
vita. sue, che la causa del Pontefice, trat-
La maggior parte de' congiurati, tò in Napoli la pace con Lorenzo
col capo loro Giacomo Pazzi fu- de' Medici, il quale riparò così l'im-
rono presi, e dati all'ulLimo sup- minente eccidio della patria. Nell'an-
plizio. Francesco Sai vinti arcive- no 1480 con tutta solennità spedi-
scovo di Pisa, uno de' più ardenti rono i fiorentini dodici cittadini am-
fra essi, e che dopo il massacro basciatori a Sisto IV, pregandolo
FIR
riconciliarli colla Chiesa, offrendoci
ricevere con sommissione tutte le
coedizioni che a lui fossero piaciu-
te. Ed è perciò die nella prima do-
menica deli' Avvento gli ambascia-
tori attesero in ginocchioni nel por-
tico di s. Pietro il Papa , il quale
gli assolvè battendoli leggermente
con una bacchetta,, secondo il rito
consueto, e dopo aver ascoltata la
messa , furono restituite le terre e
castella ch'erano state tolte al co-
mune; dopo di che Sisto IV fece
alleanza co' medesimi fiorentini , e
col re Ferdinando contro i vene-
ziani che assediavano Ferrara. Nel
pontificato di Alessandro VI il ve-
scovo di Arezzo, Cosimo de'Pazzi, poi
arcivescovo di Firenze sua patria,
nel iooi colle armi gagliardamen-
te si oppose a Cesare Borgia duca
Valentino, che marciava con po-
deroso esercito contro Firenze per
metterla a sacco, e l'obbligò a ri-
tirarsi; quindi Cosimo adempì util-
mente varie ambascerie per la re-
pubblica: in quella a Lodovico XII
ottenne a' fiorentini la restituzione
di Pisa; ed in quella al viceré di
Napoli Cardona, liberò Prato dal
formidabile esercito spagnuolo.
A Lorenzo successe nel reggi-
mento il suo figlio Pietro de' Me-
dici, ma per la cessione di Fivizza-
no a Carlo Vili re di Francia, do-
vette salvarsi colla fuga. Tornata
allora Firenze al governo popolare,
elesse gonfaloniere a vita Pietro So-
derini, il quale avendo favorito gli
eserciti di Lodovico XII re di Fran-
cia_, si trovò poi esposto al risen-
timento di Giulio II, dal quale eb-
be origine il ritorno, e il nuovo
ingrandimento dei de' Medici ; col-
la deposizione del Soderini, venen-
do dichiarato gonfaloniere tempo-
raneo. Ma il cardinal Giovanni
FIR 37
de' Medici figlio del defunto Loren-
zo il Magnifico, e il di lui nipote
Lorenzo aspirando al potere, a' 16
settembre i5i2 provocarono un
movimento, e costituirono capo del-
la repubblica Giuliano de' Medici,
a cui fu poi associato Lorenzo ,
mentre nel i5i3 il cardinale dive-
nendo Pontefice col nome di Leo-
ne X, consolidò il dominio nella fa-
miglia. Nel i5i5 dopo essersi ab-
boccato in Bologna con Francesco I
re di Francia, dice il Fellone, Dei
viaggi de Pontefici, p. 282, prece-
duto dalla ss. Eucaristia passò a
Firenze sua patria per trattenervisi
qualche mese, e finito il rigore del
verno ritornò a Roma ove giunse
a* 18 o 19 febbraio i5i6. II Papa
era stato ricevuto solennemente in
Firenze dal cardinal de' Medici ar-
civescovo, e suo cugino, alla testa
del capitolo, che gli die a baciare la
croce neh' ingresso alla porta Ro-
mana. Il p. Ridia dice ch'entrò in
Firenze a' 3o novembre i5i5 per
la porta di s. Pietro in Gattolino,
e tra il plauso generale venne con-
dotto alla cattedrale, nella quale da
giovinetto era stato canonico. In
Firenze celebrò Leone X molte fun-
zioni, come la solenuità di Natale,
in cui benedì lo stocco e berretto-
ne che donò al gonfaloniere Ridol-
fi. Donò al capitolo una preziosis-
sima mitra, valutata dieci mila du-
cati d' oro, l'autorità di poter crea-
re notari , e legittimare bastardi ;
gli aumentò le rendite , ed ai ca-
nonici concesse le insegne prelati-
zie dei protonotari apostolici. Ai
sette altari di s. Maria del Fiore,
assegnò in certi giorni le indulgen-
ze che in Roma si lucrano in tem-
po di quaresima nelle sette chiese.
Nella detta solennità di Natale il
capitolo, ad imitazione di quelli di
38
FIR
Roma, offrì al Papa il presbiterio,
consistente in un borsotto con va-
rie monete fiorentine. Lo stesso
capitolo donò 700 lire a monsignor
Adimari cubiculario del Papa, por-
tatore della suddetta mitra. Ma
questa mitra ebbe breve vita, per-
chè nel i529, in tempo dell'assedio,
la repubblica la vendè, come nar-
rano il Varchi Storia Fiorent. , e
il Migliore, pag. 46. Vedi l'Ammi-
rato, Storia Fiorent, p. 3 18. JVel
medesimo Fellone si legge che tra
gli accordi che seguirono tra Leo-
ne X e Carlo V imperatore fuvvi
quello che il medesimo augusto
dovesse proteggere la sua famiglia
de' Medici, ed accordare ad Ales-
sandro un principato di dieci mila
ducati di rendita; ma sul più. bel-
lo delle sue speranze , la morte
troncò i suoi giorni nel i52i. Al
breve pontificato di Adriano VI
successe quello di Clemente VII nel
15^3, già Giulio de' Medici, figlio
di Giuliano ucciso nella congiura
de' Pazzi, e cugino di Leone X che
l'aveva fatto arcivescovo e cardi-
nale legato di Firenze.
Nel i526 Clemente VII ammise
nella Sagra lega che aveva conchiuso
contro Carlo V i fiorentini, ma questi
quando videro il Papa soccomben-
te nella guerra, ed assediato in Ro-
ma dalle truppe imperiali , torna-
rono a cacciate i de' Medici da Fi-
renze. Procurarono i fiorentini col-
legarsi coli' imperatore, ma furono
rifiutati^ e solo invitati di venire a
concordia con Clemente VII , ciò
che ricusarono , anzi deposero il
gonfaloniere della repubblica Nico-
lò Capponi , perchè proponeva la
pace. In vece fu eletto Francesco
Carducci uomo temerario che op-
presse gli ecclesiastici , e commise
sacrilegi coatro le cose sagre. ludi
FIR
occuparono il supremo maestrato
uomini vilissimi, che usarono molte
tirannie. Rappacificatosi il Papa col-
l' imperatore nella lega di Barcel-
lona, venne stabilito di ripristinar
in Firenze la sovranità di casa Me-
dici, e di dare in isposa ad Alessan-
dro Margherita d'Austria, figlia na-
turale di Carlo V; ciò che fu con-
fermato nel congresso tenuto in Bo-
logna, ove il Papa incoronò l'im-
peratore, e nella funzione Alessan-
dro portò il globo imperiale; ed
intanto il principe Filiberto d'Oran-
go fu inviato all'assedio di Firen-
ze. Clemente VII si fermò in Bo-
logna finché Firenze fu domata dal-
le truppe imperiali, e cambiato il
governo politico da repubblicano in
monarchico, fu costretta a ricevere
per suo signore e duca il suddet-
to Alessandro de' Medici, e suoi di-
scendenti. Il Papa fu lietissimo del-
l' umiliazione de' suoi concittadini ,
e dell'esaltamento di sua famiglia.
Nel lungo assedio accaddero diver-
se aspre battaglie combattute dai
fiorentini con coraggio, in una del-
le quali vi restò ucciso il principe
d' Orange , che tanto male avea
fatto a Roma nel famoso sacco.
AH' assedio di Firenze sottentrò al
comando dell'esercito Ferrante Gon-
zaga, dopo la partenza del marche-
se del Vasto comandante supremo.
I fiorentini furono condannati a
gravose contribuzioni ; e Malatesta
Baglione fu lasciato alla guardia
della città con duemila fanti. Gli
amici della libertà furono esiliati,
altri decapitati, fra' quali Francesco
Carducci. Alessandro primo duca di
Firenze era figlio naturale di Lo-
renzo II, e nipote, o, come altri vo-
gliono, figlio di Clemente VII prima
che fosse cardinale. Questo giovine
destro ed animoso s'impadronì del-
TIR
la suprema magistratura in unione
ad un senato, formato da quaran-
totto cittadini delle prime fami-
glie, che rappresentavano 1' estinta
repubblica. Durò però poco la sua
rappresentanza e supremazia, men-
tre o per gelosia di governo, o ve-
ramente perchè irritati i cittadini
dal suo dispotismo e dalle sue de-
pravazioni, sorse nell'animo di Lo-
renzo de' Medici detto Lorenzino ,
il divisamente di liberare la patria
da questo tiranno; e tiratolo a' suoi
voleri , sotto pretesto di condurlo
ad illeciti amori , 1' uccise nel suo
proprio palazzo in Via larga nel
j 537 , con l'aiuto d'un suo fido
sicario , e poscia se ne fuggì. Ri-
mase per qualche ora occulto il
misfatto al popolo, ed adunatosi il
senato, non avendo il defunto la-
sciata successione ad eccezione d'un
figlio naturale, chiamò al gover-
no della repubblica Cosimo 1, figlio
di Giovanni de' Medici detto del-
le bande nere , che giovinetto di
circa dieciotto anni viveva in Mu-
gello , luogo originario della fami-
glia Medici, alla sua villa di Treb-
bio , sotto la cura di sua madre
eh' era una Salviati. Questo giovi-
ne di sommo ingegno e di gran-
de animo , seppe governare il na-
scente stato, aumentarlo di terri-
torio specialmente collo stato sane-
se, ed in mezzo a molte congiure
e pericoli, dopo aver vinto i fuor-
usciti guidati da Filippo Strozzi ,
nella battaglia combattuta a Monte-
murlo il primo agosto dell' an-
no i53j , ebbe la ventura di
fondare la dinastia sovrana nella
sua famiglia, che dal grado duca-
le fu innalzata nel i56o, a quello
granducale dal Pontefice s. Pio V,
in benemerenza precipuamente dei
servigi resi alla cristianità dalle sue
FIR 3g
galere contro i turchi, nelle quali
l' ordine equestre de' cavalieri di
s. Stefano, da lui fondato, si rese
formidabile e celebre per le sue
marittime imprese. Non deve ta-
cersi che il predecessore di s. Pio V,
Pontefice Pio IV Medici milanese ,
vantandosi del ceppo de' Medici
fiorentini, nel prodigare a Cosimo I
i suoi favori , la morte gì' impedì
di conferirgli il detto titolo di gran-
duca; ciò che fece il successore
malgrado l'opposizione degli Esten-
si e dell'imperatore Massimiliano li.
Cosimo I fabbricò Porto-Ferraio nel-
l'isola dell'Elba, asciugò le campagne
di Val di Chiana, e di altri pae-
si dello stato , e sebbene sempre
inquietato dai fuorusciti fin presso
le mura della sua capitale, non vi
fu opera che intraprendesse, che
non conducesse a buon termine.
Erede delle ricchezze e del genio
della sua famiglia, fece magnifiche
fabbriche nella capitale Firenze, ed
abbellì altre del granducato. Pro-
tesse i letterati e gli artisti, e sot-
to il suo regno fiorirono in Firen-
ze que' famosi uomini , che fe-
cero stare in forse se fosse tornato
il secolo di Leone X.
Cosimo I nel i5y4 rinunziò il
regno a Francesco Maria I suo fi-
glio, cui nel 1587 successe Ferdi-
nando I suo fratello , avendo per
la di lui morte rinunziato alla di-
gnità cardinalizia. Questo grandu-
ca emulò la magnificenza paterna,
proteggendo le lettere e gli artisti:
sotto di lui, e nel i6o5, al fioren-
tino Clemente VIII successe Leo-
ne XI de' Medici , cugino di Cosi-
mo I, già arcivescovo di questa sua
patria. Indi nel 1608 a Ferdinan-
do I gli successe il figlio Cosimo II;
a questi nel 1621 Ferdinando II,
principe virtuoso e magnanimo,
4o FIR
che si distinse per l'amore ai suoi
popoli, specialmente nelle pestilen-
ze del i63o e i633 che furono le
ultime a travagliare Firenze: que-
ste pestilenze furono descritte da
Francesco Bandinelli, e stampate
in Firenze dal Landini nel 1634.
Suo figlio Cosimo III nel 1670 eb-
be a succedergli, ma dissimile dal
genitore, rese malcontenti i suddi-
ti; i contrasti con la moglie Mar-
gherita d'Orleans portarono la lo-
ro separazione, ed accelerarono il
termine di questa dinastia. Nel suo
regno Cosimo III ebbe il dispiace-
re di veder morire senza eredi Fer-
dinando suo figlio , principe che
dava le più belle speranze. Nel
1 709 diede moglie al suo vecchio
fratello Francesco Maria, che per-
ciò rinunziò la porpora di cardi-
nale, ma non ebbe figli. II suo se-
condogenito Giovanni Gastone che
erasi ammogliato in Germania ,
però diviso dalla moglie, gli suc-
cesse al trono , ma sempre visse
malato ed angustiato sin al 1737,
nella quale epoca cessò di vivere,
terminando in lui l' augusta e ri-
nomata famiglia de' Medici , meno
il ramo stabilito in Napoli de' prin-
cipi di Ottajano. Nel 1730 salì al
pontificato il fiorentino Clemente
XII Corsini, che regnò sino al 1 740.
La Toscana per i trattati tra le
grandi potenze europee passò nel
1731 all'infante di Spagna Carlo
di Borbone, ma poscia fu in vece
data nel 1737 a Francesco di Lo-
rena, duca di Bar, che aveva spo-
sata l' arciduchessa Maria Teresa
d'Austria , figlia ed erede dell' im-
peratore Carlo VI, che fu poi di-
chiarata imperatrice, assumendo il
granduca Francesco li, nel 174^, il
titolo e la dignità d'imperatore, ma
col nome di Francesco I. Da questi
FIR
ebbe principio la dinastia austriaca-
lorenese, che domina tuttora nella
Toscana. Nel 1765 divenne grandu-
ca -il figlio Pietro Leopoldo I, che
nel 1790 abdicò per essere stato
eletto imperatore. Il suo secondo-
genito Ferdinando III lo successe
nel granducato : sotto di lui Pio
VI detronizzato dagli invasori fran-
cesi fu a' 20 febbraio 1 798 strap-
pato da Roma, e portato prigione
a Siena, ove il terremoto die gra-
ve scossa. Giuntane la notizia a
Ferdinando III , spedì a Roma il
suo maggiordomo Manfredini al ge-
nerale Saint-Cyr , proponendogli di
far trasferire il Pontefice nella Cer-
tosa di Firenze, della quale si fe-
ce cenno al volume XI, pag. 102
del Dizionario. Convenendovi il
generale francese, Pio VI il primo
di giugno fu portato nella Certo-
sa, ed ivi subito fu a visitarlo Fer-
dinando III, confortandosi scambie-
volmente sui comuni disastri, ed a
soffrire le avversità che si presagi-
vano. Il principe più volte visitò
il Papa nella sua dimora nella
Certosa, preveniva i di lui bisogni,
e gli procurava ogni comodità e
religiosa soddisfazione.
Intanto Firenze era divenuta nel
1 799 ricovero ad altri monarchi
detronizzati. Carlo Emmanuele IV
re di Sardegna fu costretto ad ab-
bandonar la sua reggia di Torino,
ed a passare in Sardegna colla re-
gina sua moglie , la ven. Maria
Adelaide Clotilde di Borbone, sorel-
la del decapitato Luigi XVI , e di
madama Elisabetta. Questi princi-
pi furono da Ferdinando III con-
dotti a Pio VI, ed il loro incon-
tro e colloquio riuscì veramente
tenero. Temendo però il direttorio
francese sulla dimora del Papa nel-
la Toscana, e vicino a Roma, co-
F 1 R
me cagione di qualche rovescio ili
guerra , risolse di condurlo nel
cuore della Francia , mentre nulla
evirando la neutralità pattuita con
Ferdinando III, lece entrare le sue
annate in Firenze , intimando al
sovrano la partenza dai suoi sfati,
per cui il granduca dovè colla fa-
miglia reale passare in Germania.
Dopo tal partenza il general Gaul-
tier, ed il ministro Rheynard, che
avevano assunto il comando della
Toscana, si presentarono a Pio VI
nella Certosa , e con a^pri modi
gì' intimarono di prepararsi ad ab-
bandonare quel tranquillo soggior-
no, che dovette lasciare a' 17 mar-
zo 1799 , dopo aver dimorato nel
sacro recinto nove mesi e ventolto
giorni. Valenza di Francia fu il
luogo ove ebbero termine i pati-
menti di Pio VI, perchè ivi a' 29
agosto 1799 terminò di vivere.
Pio VII, che gli successe, avendo do-
mandato alla Francia il di lui ve-
nerando cadavere, questo nel pas-
saggio della Toscana fu per tutto
ricevuto onorevolmente, e con di-
vozione : ma appena i certosini di
Firenze ne appresero la morte , in
attcstato di gratitudine alla singo-
lare benignità con cui erano stati
trattati dal defunto gli eressero sul-
la porla principale ove abitò, un
busto marmoreo scolpito dal Belli,
con analoga iscrizione, ed a' 16 gen-
naio 1800 gli celebrarono solenni
esequie , nelle quali cantò la mes-
sa monsignor Eunnanuele De Gre-
gorio allora nunzio di Firenze, poi
amplissimo cardinale.
Intanto la Toscana dopo le tem-
pestose reazioni del 1800, fu nel
seguente anno eretta in regno di
Etruria a favore di Lodovico I
di Borbone, duca di Parma, cui
successe Carlo Lodovico , odier-
FIR 4*
no duca di Lucca, sotto la reggen-
za della madre Maria Luisa sino
al 1 807 , dopo la deposizione di
Ferdinando 111 che divenne in ve-
ce duca di Salisburgo, e poi gran-
duca di Vurtzburgo. Mentre era
regina di Etruria Maria Luisa, due
•volte Pio VII onorò di sua pre-
senza Firenze, cioè nel viaggio che
fece a Parigi. A' 5 novembre 1804
giunse il Papa alla villa reale pres-
so s. Casciano, alla cui porta ritro-
vò la detta piissima regina reggen-
te; quindi alla chiesa di s. Gaggio,
un miglio distante dalla città ven-
ne incontrato dal conte Selvatico,
da molta nobiltà, dall'uflìzialilà ma 2-
gioie, e dalle mute di corte, nelle
quali salì il Papa col suo seguito
dopo aver fatto breve orazione in
chiesa. Giunto in Firenze smontò
dinanzi alla chiesa di s. Spirito , la
quale era perciò magnificamente, e
con vaghezza illuminata: ivi fu ri-
cevuto dall' arcivescovo Martini in
piviale , e da sei vescovi che por-
tavano le aste del baldacchino sot-
to di cui fu accolto. Nella chiesa
si cantò con solennità il Te Deum3
assistendovi in coretto la regina
coli' infante Carlotta sua figlia, e
colle sue dame di corte , la quale
dopo la benedizione data dall'arci-
vescovo col ss. Sagramento espo-
sto, partì subito per ricevere nel
suo palazzo il capo augusto della
Chiesa. Esso vi giunse tra la lieta
moltitudine, il festivo suono delle
campane , e il fragore delle salve
di artiglieria a due ore di notte.
Nel dì seguente alle ore undici an-
timeridiane, Pio VII cresimò il det-
to re Carlo Lodovico nella cap-
pella eretta nella gran sala degli
stucchi , facendole da padrino per
volere della regina il cardinal An-
tonelli, come il più anziano de' por-
4-i FIR
poratì che accompagnavano il som-
mo Pontefice. Dopo questa sagra
funzione il Papa ammise alla sua
presenza , ed al bacio del piede
tutta la nobiltà di Firenze; in-
di avendo assunto gli abiti pon-
tificali, dalla loggia del palazzo Pit-
ti , tra le acclamazioni divole del-
l' immenso popolo fiorentino, com-
parti a tutti T apostolica benedi-
zione. Nelle ore pomeridiane Pio
VII in compagnia dei cardina-
li Antonelli e Borgia salì in una
muta di corte, e seguito dai pre-
lati maggiordomo, maestro di ca-
mera , sagrista ed altri di sua
corte, col duca Braschi, e il prin-
cipe Altieri capitani delle guar-
die nobili pontificie , si trasferì al
monistero delle monache di s. Ma-
ria Maddalena, scortato dalle sue
guardie nobili , e da un distacca-
mento di cavalleria regia. Si tro-
varono a riceverlo la regina, ed il
nunzio monsignor Morozzo , poi
cardinale, e visitò i corpi di s. Ma-
ria Maddalena de' Pazzi , e della
beata Maria Bagnesi ; quindi il Pa-
pa ammise al bacio del piede tut-
te quelle monache, e le educande
che vi si erano trasferite da due
conservatorii , ed alcune signore.
Nella sera fu illuminato splendida-
mente il palazzo reale, non che
tutta la città, e vi fu il circolo a
corte. Nella seguente mattina la re-
gina, come nella precedente, col re
suo figlio , e coli' infante Carlotta
sua figlia, ora duchessa vedova di
Sassonia, ascoltarono la messa del
Pontefice, insieme al nunzio di Fi-
renze, a molti vescovi, e magnati
del regno. Indi tra le più di vote
dimostrazioni de' fiorentini, il Papa
continuò il suo viaggio per Pa-
rigi , ed in Pistoia ricevette la
grata e inaspettata visita della
FIR
medesima regina reggente di E-
truria.
Ritornando Pio VII a Roma ,
giunse di nuovo a Firenze a' 6
maggio i8o5, al confine del cui
territorio, come nella precedente
gita, per parte della regina Maria
Luisa fu ad incontrarlo il senato-
re Salvelti, le guardie nobili ed il
corriere. Alla real villa di Caffàs-
o
giolo la regina ricevette con osse-
quio il Papa, ed insieme desinaro-
no. L' arrivo del Pontefice a Fi-
renze fu preceduto da quello del-
la regina, e nell'avvicinarsi sull' im-
brunir della sera alla città, il Papa
trovò le carrozze di corte su cui
ascese col pontificio corteggio, ed
ammirò poi Io spettacolo clie pre-
sentava Firenze tutta riccamente
illuminata. Pio VII smontò alla
chiesa di s. Maria Novella decoro-
samente illuminata , ricevuto dal-
l'arcivescovo, dal clero, dalla pri-
maria nobiltà ed uffizialità: fu can-
tato l' inno della riconoscenza , e
data la benedizione col Venerabile.
Terminato ciò, il Papa rimontò in
carrozza coi cardinali Antonelli
e di Pietro , e si condusse al pa-
lazzo Pitti, ch'era superbamente il-
luminato, ed ove con tutta la cor-
te la regina in cima alle scale ri-
cevette Pio VII , e nei tre giorni
che questi si fermò in Firenze pran-
zarono insieme. In questa dimora
il Papa visitò diverse chiese e ino-
nisteri, ove sempre si trovò ad os-
sequiarlo la regina. Nella mattina
dei 9 maggio celebrò la messa al-
l' altare della ss. Annunziata nel-
la chiesa dei servi di Maria, am-
ministrando con generale edificazio-
ne la comunione alla pia sovrana;
poscia cogli abiti pontificali, da un
loggiato del palazzo decorosamente
parato, il Papa die al foltissimo ed
FIR
esultante popolo l'apostolica bene-
dizione : la regina, la corte, la pri-
maria nobiltà e il corpo diploma-
tico la ricevettero sotto un padi-
glione nel vicino terrazzo. Nella
mattina de' io maggio Pio VII par-
tì da Firenze per Arezzo , e per
Roma. Nell'anno 1807 l'imperato-
re Napoleone privò del regno di
Etruria la dinastia borbonica di
l'arma, riunì la Toscana all'impero
francese, ne formò i tre diparti-
menti dell'Arno, del Mediterraneo
e dell' Ombrone , mentre ne fece
granduchessa la propria sorella E-
lisa, sovrana di Lucca e Piombino,
e moglie del principe Felice Ba-
ciocchi. Anche Pio VII non tardò
ad essere dall' imperatore detroniz-
zato, venendo portato via da Ro-
ma a' 6 luglio 1809 precipitosa-
mente, per cui grandi furono i pa-
timenti del Papa, sì perchè ebbe a
rovesciarsi la carrozza vicino a Pog-
gibonzi, come ancora per essere sta-
to rinchiuso in una carrozza nella
stagione più calda, onde fu assalito
in viaggio da una violenta colica.
In tale abbattimento di forze Pio
VII fece il viaggio, ed agli 8 giun-
se alla Certosa di Firenze , ove
prese alcune ore di riposo, ma fu
impedito a quegli esemplari reli-
giosi di parlargli. Colà fu alloggia-
to nell'appartamento stesso, dove
dieci anni prima era stato tenuto
in ostaggio Pio VI; e riposò sopra
quel letto medesimo usato dal pre-
decessore. Nel dì seguente di buon
mattino si portò alla Certosa il ge-
neral Mariotti da parte della gran-
duchessa Elisa per dire al Papa,
che attese le attuali circostanze do-
veva subito tirare innanzi nel viag-
gio di Pisa, siccome fece, venendo
diviso dal cardinal Bartolomeo Pac-
ca, col quale era partito da R.oma.
FIR 43
Questo temperamento la duchessa
lo prese, perchè allarmata del po-
polare di voto movimento per dove
era passato il Papa, rifiutossi ve-
gliare sopra un deposito sì perico-
loso, che atterriva come l'arca por-
tata in trionfo dai filistei.
Quando poi col termine della po-
tenza di Napoleone le cose pubbli-
che si ricomposero, tornò il grandu-
ca Ferdinando III nel 1814 a feli-
citare i fiorentini ed i suoi stati ; e
tranne l'inconsiderato movimento del
re Murat, nulla turbò il pacifico suo
vivere. Avendo Napoleone evaso
dall'isola dell'Elba, ov'era stato con-
finato, ed approdato in Francia per
impadronirsi di quel trono , da
cui era stato deposto , credè be-
ne Pio VII di porsi in luogo di
sicurezza, partendo da Roma ai
22 marzo del i8i5_, seguito dal
sacro collegio , e dal corpo diplo-
matico. Approssimandosi a Firenze
trovò alla distanza di tre miglia il
o
gran ciamberlano del granduca ,
una carrozza di corte , ed un nu-
mero di persone del real servigio
con torcie accese per accompagnar-
lo. Con esse entrò nella città a tre
ore di notte de' 20 marzo, in mez-
zo a numerosissimo popolo che
aveva illuminate le vie. Il clero in
abiti sagri lo ricevè all' ingresso
della città fra il suono delle cam-
pane , lo sparo de' mortari , e gli
evviva di tutti. Fermatasi la car-
rozza al palazzo Pitti , il grandu-
ca scese ad aprirne lo sportello ,
co' più sinceri ed ossequiosi atte-
stati di cordiale ospitalità; indi ac-
compagnò il Papa al preparato ap-
partamento. Il giorno seguente es-
sendo la solennità di Pasqua di
Risurrezione, Pio VII celebrò la
messa nella cappella di corte, alla
quale assistè Ferdinando III ed il
4i FiR
suo nobile corteggio , e nel decor-
so della giornata ammise alla sua
presenza ed al bacio del piede il
pUro , la nobiltà , e comparti piti
volte la benedizione al popolo fio-
i-entino, massime verso il mezzodì
in cui sulla piazza si trovò il po-
polo eziandio delle vicine campa-
gne, perchè monsignor vicario ar-
civescovile avea notificato al pub-
blico cotal benedizione papale. Ce-
dendo il Papa alle istanze del so-
vrano , ed ai voti de' suoi sudditi
si trattenne in Firenze pure nel
seguente giorno, e con mula di cor-
te si portò ad un monistero di da-
me, chiamato la Quiete, tre miglia
distante, e nella sera provò la sod-
disfazione di vedersi raggiunto dal
cardinal Bartolomeo Pacca camer-
lengo, e suo pro-segretario di stato.
La mattina del 28 il Pontefice ce-
lebrò la messa nella chiesa della
ss. Annunziata, partendo la sera
per Livorno, dopo i più affettuosi
abbracciamenti seguiti con Ferdi-
nando III.
Debellato nuovamente Napoleo-
ne, e rilegato nell'isola di s. Ele-
na, il Papa si dispose a fare ritor-
no alla sua capitale, e sentendo il
granduca che si avvicinava alla
Toscana, spedi ad incontrarlo alle
frontiere i due ciamberlani cava-
lier Ferdinando Riccardi , ed il
priore Leopoldo Ricasoli. A' 27
inaggio Pio VII entrò in Pistoia ,
ed a' 29 passò Prato donde si re-
cò a Firenze ove giunse alle ore
nove. Fuori della porta di Prato
si trovò a riceverlo colle carrozze
di corte il gran ciambellano Ame-
rigo Antinori. Ivi la famiglia Ma-
gi e Turchini ebbe l'onore per la
seconda volta di ricevere Pio VII
nella propria abitazione, allorché
scese dal legno di viaggio. II suo-
FIR
no di tutte le campane annunziò
a Firenze V ingresso del sommo
Pontefice. Alla testa del corteggio
precedeva uno squadrone di dra-
goni, seguitato da un corpo di fu-
cilieri, quindi tutto lo stato mag-
giore della piazza , in seguito la
muta ov' era Pio VII, e ai di lui
lati marciavano a cavallo il gene-
ral Bava , e il tenente colonnello
d'Havet: chiudeva il corteggio al-
tro distaccamento di fanteria. Per
la spontanea illuminazione della
città, e per quei divoti fiorentini,
che con torcie accese accompagna-
rono il Papa al palazzo Pitti, la
notte si trasformò in giorno. Alla
chiesa di s. Maria Novella super-
bamente parata ed illuminata si
diresse il corteggio. Ivi erano ad
attendere il Pontefice gli arcive-
scovi e vescovi di Toscana, il cle-
ro di Firenze, i cardinali Opizzo-
ni e Litja, e monsignor Arezzo in-
caricato di una commissione al
granduca. Pio VII si recò ad ora-
re avanti il ss. Sagramento espo-
sto, e ne ricevette dall'arcivescovo
di Firenze la benedizione, dopo il
canto dell' inno Te Deum con scel-
to coro. Indi il corteggio colla ban-
da musicale si avviò al palazzo
Pitti, al cui ingresso riceverono il
Papa, Ferdinando III coli' augusta
famiglia e corte, non che il car-
dinal Pacca che avea preceduto il
suo arrivo: l'entusiasmo e il con-
corso del popolo fu superiore a
qualunque racconto. Ricorrendo
nel dì primo di giugno l' ottava
d<'l Corpus Domini, il Papa si portò
a dire messa in duomo, e a venerar-
vi le ceneri e la testa di s. Zanobi,
e poi passò nel capitolo, e ammise
al bacio del piede i canonici, e il
clero, trattenendovisi in affabilissi-
mo colloquio ; nel giorno tornò al-
FIR
ki metropolitana , e accompagnò
con torcia Ja processione consueta.
Nella seguente mattina il Papa ac-
colse benignamente i principali per-
sonaggi della città, e in quella ap-
presso fu a celebrale la messa nel-
la chiesa dì s. Maria Madda-
lena , quindi al regio conserva-
torio di Ripoli, e nelle ore po-
meridiane a quello di s. Agata , e
poscia si pose in viaggio per Ro-
ma. Finalmente noteremo, che alla
morte di Ferdinando 111, a' 18 giu-
gno 1824 gli successe il figlio Leo-
poldo II regnante granduca : la po-
polazione supera cento mila abi-
tanti , senza noverare i numerosis-
simi esteri, che di continuo si re-
cano ad ammirare Firenze, che nel
secolo XIV contava fra le sue mu-
ra molto più del doppio degli a-
bitanti, poiché nella pestilenza del
i348, piìi di novantasei mila in-
dividui mancarono alla sola Fi-
renze.
La fede cristiana sembra che sia
stata predicata in Firenze, o dagli
apostoli, o dai loro discepoli, e si
conoscono vari martiri fiorentini
anteriori all' epoca di Costantino.
Giovanni Villani seguito da altri ,
scrisse che s. Frontino , forse verso
l'anno 56, sotto l'impero di Nerone,
insieme a Paolino, ambedue discepo-
li ili s. Pietro, furono da questo man-
dati a promulgare in Firenze la re-
ligione di Gesù Cristo, mentre a
Fiesole vi aveva inviato s. Romolo,
ordinando per primo vescovo di
Firenze lo stesso s. Frontino o
Frentino. Con buone ragioni il Bor-
ghini alla pag. 358 del suo trat-
tato Della chiesa e de vescovi
fiorentini, dice che ciò non si può
con sicuro fondamento affermare,
ed in vece assicura che il primo
vescovo di cui si ha certezza è s.
FIR 45
Felice, che intervenne l'anno 3i3
al concilio romano celebrato da
s. Melcbiade, soggiungendosi dal
p. Richa, Notizie isteriche ec. toni.
VI, pag. 267, che tutta volta Fi-
renze può gloriarsi essere la prima
delle città toscane , che avesse il
suo vescovo, imperciocché ne Pisa,
né Siena, né Fiesole, né Chiusi,
né altre città, stando a documen-
ti autorevoli, non hanno avuto un
vescovo prima del quarto secolo ,
ed alcune anche più tardi. A ca-
gione delle irruzioni degli unni ,
de'goti, e di altri barbari, diverse
città toscane rimasero colla chiesa
senza pastore , o col pastoie senza
gregge. La prima lacuna della se-
de fiorentina fu di quasi cento an-
ni, vale a dire dopo il vescovo An-
drea mancato alla metà del quinto
secolo, sino a s. Maurizio martiriz-
zato nel 55o dai soldati di Totila.
Dopo questo martire abbiamo la
seconda interruzione ancor piìi lun-
ga della prima, non trovandosi ve-
scovi sino al 676, nel quale si ha
Reparato sottoscritto nel concilio
romano sotto Agatone, ed a Repa-
ralo si trova immediato successore
Specioso nel 724. Tommaso fu ve-
scovo nell'anno 743, e Rambaldo
nell' 826 : le sedi vacanti posterio-
ri avvennero per qualche difficoltà
insorta nell'elezione del vescovo, o
per dissensione negli elettori. Fu im-
memorabile privilegio dei canonici
della cattedrale di Firenze l'elezio-
ne del proprio vescovo sino a Cle-
mente VI, coll'approvazione dell'e-
letto dipendente dal Papa. Ma aven-
do i canonici eletto nella sagrestia
della canonica nel 1 34 1 in succes-
sore al vescovo Silvestri il priore
Filippo d'Antella, nominarono quin-
di due deputati a Benedetto XII
per la pontificia approvazione , i
46 Firn
quali Io trovarono morto ed in
vece creato Clemente VI , che con
bolla elesse in vescovo di Firenze
fr. Angelo Acciaiuoli , dichiarando
nulla 1' elezione dell' Antella , to-
gliendo per sempre al capitolo il
privilegio di eleggere il suo pasto-
re. In seguito la repubblica fioren-
tina principiò a supplicare i Papi
per soggetti nazionali e degnissimi,
a mezzo de' suoi oratori in Roma.
L' arcivescovo di Firenze gode
singolari onori e prerogative, co-
me il titolo illustre di principe del
sagro romano impero, che meritò
il primo per sé e suoi successori
il vescovo Pietro Corsini dall' im-
peratore Carlo IV nel 1 364- H se-
condo segnalato onore fatto alla
chiesa fiorentina fu l' essere stata
innalzata al grado di metropolita-
na da Martino V nel i42°> a' 2
maggio, riconoscente quel Papa alla
graziosa accoglienza , ed ai moltis-
simi contrassegni di filiale alletto
fattigli dalla repubblica fiorentina
nel di lui grato soggiorno in Fi-
renze ; attribuendogli per suffraga-
ne! i vescovi di Fiesole e di Pi-
stoia. In progresso simili suffraga-
ne! si accrebbero , e Comman ville
registra per tali i vescovi di Fie-
sole , Borgo s. Sepolcro , Pistoia ,
Prato, Arezzo, Montepulciano, Cor-
tona, San Miniato al tedesco, Col-
le, e Volterra, cioè nella provincia
fiorentina, giacché nota di esenzio-
ne Arezzo, Cortona, Montepulcia-
no, Colle, e Volterra. Al presente
cinque sono i vescovi suffraganei
dell'arcivescovo di Firenze, cioè di
Borgo s. Sepolcro, Colle, Fiesole ,
Pistoia unita a Prato, e s. Miniato
al tedesco. Il Papa Leone X con-
cedè all' arcivescovo di Firenze il
privilegio di vestire di porpora in
alcune solennità dell'anno. E tra le
FIR
molte altre onoranze non è da o-
mettersi quella ormai da lungo
tempo cessata , usata nel possesso
de' nuovi vescovi, nella chiesa delle
monache benedettine di s. Pier Mag-
giore, la quale funzione è descritta
p. Richa nel t. I, p. 124 e seg-5 Pc'
suoi particolari pregi di antichità ,
e per quelli del suo clero ; laon-
de questa chiesa (rovinata nel 1772,
e quindi soppresso il convento ) nel
possesso de' nuovi arcivescovi era la
prima a ricevere in città il suo pa-
store, il quale nel suo solenne in-
gresso facendo la prima visita a
questa chiesa, dal suo priore e cap-
pellani era servito in tutte le sue
funzioni ecclesiastiche, e dai mede-
simi collocato in un trono a tal fi-
ne al vescovo alzato, e con quel
cerimoniale stabilito nel i385 dal-
la signoria. Le principali cose del
cerimoniale consistevano come se-
gue.
I guardiani, o custodi, o visdo-
mini del vescovato e chiesa fioren-
tina con corone di erbe in capo,
con guanti e bastoni si recavano
alla porta della città per la quale
doveva fare il pubblico ingresso il
vescovo, che ivi trova vasi vestito
de' sagri paramenti. Indi portavansi
ad ossequiare il vescovo, il magi-
strato della città, ed i cleri seco-
lari e regolari, le croci de' quali
venivano baciate dal vescovo. Al-
lora incominciava la processione in
cui il vescovo cavalcava sotto pa-
lio o baldacchino, le cui aste sos-
tenevano i medesimi guardiani ,
preceduto da un canonico a ca-
vallo, che vestito di camice o di
altro paramento, pollava in mano
il pastorale vescovile. Il cavallo,
mula, o chinea veniva addestrata
dai guardiani; e giunto alla porta
della chiesa, discendeva il vescovo
FIR
dal cavallo, e subito i guardiani
(altri dicono gli uomini della fami-
glia Strozzi) saccheggiavano i lini-
menti e sella del cavallo, ch'erano
ricchissimi, ed il cavallo cos'i nudo
restava all' abbadessa e monache
benedettine del monistero di s. Pier
Maggiore. 11 vescovo entrando in
chiesa veniva incensato ed asper-
so di acqua benedetta dai sacer-
doti e priore della medesima ; po-
scia recavasi ad orare avanti l'al-
iar maggiore, e veniva accompa-
gnato ad un palco ove 1.' attende-
vano l' abbadessa colle monache,
ponendosi a sedere su sedia ricca-
mente parata , mentre quella per
la badessa era di nobile drappo di
velluto verde, ed ambedue sotto
baldacchino ricchissimo di tela d'o-
ro. Dopo questa insediazione, l'ab-
badessa si prostrava dinanzi al ve-
scovo, che la faceva sedere alla sua
destra in detta chiesa, ed alla pre-
senza delle monache e di tutti gli
spettatori seguiva lo sposalizio del
vescovo colla badessa , figurandosi
quello del nuovo pastore colla chie-
sa fiorentina. Perciò il vescovo po-
neva un anello d'oro con ricco dia-
mante, zaffiro o altra gemma in
dito all'abbadessa, la cui mano ve-
niva sostenuta dai suoi parenti o
dai più vecchi della parrocchia. La
badessa rendeva grandissime grazie
al vescovo, e poi caldamente gli
raccomandava la chiesa fiorentina,
quella di s. Pier Maggiore, e il suo
monistero ; baciatagli la mano, e
ricevuta l'episcopal benedizione si
ritirava dalla parte del coro. Tutte
le monache con velo nero e bian-
co portavansi a baciar la mano al
vescovo, ed a riceverne la sua par-
ticolare benedizione. Dopo di che
il vescovo si alzava, benediceva il
popolo, pubblicava la perdonanza,
FIR 47
e passava a desinare in una ca-
mera del contiguo monistero, con
quattro canonici, col priore, cap-
pellani, guardiani, e l' abbadessa,
rimanendo ivi pure a dormire. Nel-
la seguente mattina il vescovo por-
tavasi colla stessa formalità alla
cattedrale di s. Reparata, ove do-
po l' orazione si poneva a sedere
sulla sedia a modo d' insediazione
ed istallazione. Indi i guardiani
l'accompagnavano alla chiesa di s.
Gio. Battista, ove seguiva la terza
insediazione, celebrando poscia la
messa, dopo la quale i guardiani
giuravano fedeltà , vassallaggio , e
guardianeria, e restavano secolui a
desinare, tornando poscia alle loro
case. Giunto il vescovo all' episco-
pio, riceveva il ricco letto con tutti
i suoi fornimenti di gran valore,
ove aveva dormito, per donativo
dell'abbadessa. Tali erano le anti-
che solennità dei possessi de' ve-
scovi ed arcivescovi di Firenze, pre-
scritte dalla signoria e repubblica
fiorentina, ed il p. Richa ne tratta
al citalo tom. I, pag. i32 e seg.,
cioè dello sposalizio ; ed il p. Pie-
tro Ricordati neWIstoria monasti-
ca a pag. 368. In progresso di
tempo il pranzo e la dormita furono
tolti, e si lasciò sussistere il solo
sposalizio in chiesa; indi anche que-
sto rito fu in appresso abolito da
Gregorio XIII, essendo stato 1' ul-
timo quello figurato dall'arcivesco-
vo Altoviti, collabbadessa suor Bri-
gida Albizii, secondo le testimonian-
ze di Modesto Rastrelli, nel tom.
II, pag. ig della Storia di Ales-
sandro de' Medici, Firenze 1781.
Dal can. Domenico Moreni fu pub-
blicato il libro: De ingressu Anlo-
nii A Uovi ti archiepisc. Fiorentini,
historica descriplio incerti auctoris,
Florentiae 1 8 1 5.
48 F 1 R
Seguendo l'ordine tenuto dal p.
Ridia, registreremo i vescovi ed
arcivescovi di Firenze santi. Ponte-
fici, cardinali, ed altri celebri. Seb-
bene tal dotto scrittore, non con-
viene, come si disse, sull'episcopato
di s. Frontino, pure facendosene
memoria a' i5 ottobre in vari mar-
tirologi, da lui incomincia le noti-
zie sui vescovi ed arcivescovi santi.
Si celebra pertanto lo strepitoso
miracolo di avere Iddio per suo
mezzo e col bastone di s. Pietro
risuscitato certo Gregorio, o Gior-
gio, come scrisse Francesco Maria
Fiorentine, De sacra Etruriae an-
tiauitate: il Baronio attribuisce tal
miracolo a s. Marziale, altro di-
scepolo di s. Pietro. Quindi si fa
memoria di s. Felice prete e ve-
scovo fiorentino, il quale dilatò la
fede in Firenze con la predicazio-
ne, dottrina e santità de' suoi co-
stumi. Noteremo qui, che il Vet-
tori dice che i fiorentini abbrac-
ciarono la fede cattolica in tempo
di s. Silvestro I, che nel 3 1 3 suc-
cesse nel pontificato di s. Melchia-
de, a' tempi appunto di s. Felice.
Aggiunge il medesimo Vettori, che
volendosi sapere in quale epoca la
città di Firenze assumesse per suo
padrone, protettore , e tutelare il
glorioso s. Gio. Battista, può ap-
prendersi da Giovanni Villani, il
quale nella par. I, lib. I, cap. IX
della Storia, scrive che appena ab-
bracciarono i fiorentini il cristia-
nesimo, che convertirono il culto
di Marte in quello di s. Giovanni;
ed allora in vece di quell'abbomi-
nevole tempio dedicato a Marte,
uno ne consagrarono a Dio in ono-
re di s. Gio. Battista, e chiama-
ionio duomo di s. Giovanni, or-
dinando che si celebrasse la festa
il dì della sua natività con solenni
FIR
oblazioni. E nel cap. LIX asseri-
sce lo stesso Villani, clic circa l'an-
no 3 20, nel pontificato di s. Sil-
vestro I, abbandonata la paganica
superstizione, la legge di Cristo fu
abbracciata ; onde a quel tempo si
deve riferire la consagrazione del
suddetto tempio di Marte in onore
di s. Giovanni. Dante chiamò la
cilladinanza di Firenze ovile dì s.
Giovanni, e Firenze la città del
Battista.
A s. Felice succede immediata-
mente nella cattedra vescovile Teo-
doro pure santo: né si dubita pun-
to che s. Zanobi non fosse battez-
zato da lui, che poscia lo fece ar-
cidiacono. Sepolto s. Teodoro nel-
l'antica catacomba in mezzo alla
cattedrale, gli successe s. Zanobi
insigne protettore della città, pro-
babilmente della famiglia Girolami.
Dopo di lui fu vescovo s. Andrea,
sotto del quale sembra aver avuto
origine il capitolo fiorentino di do-
dici preti, sebbene già esistevano
l'arcidiacono, il diacono, e il sud-
diacono del vescovo. Nell'anno 55o
il santo vescovo Maurizio patì glo-
rioso martirio a' 28 giugno. Nel
martirologio romano a' 28 maggio
è registrato s. Podio vescovo di
Firenze, figlio del marchese di To*
scana': il santo fece parecchie do-
nazioni, come la badiola di s. An-
drea, e concesse alcuni privilegi al
suo capitolo, e morì nel 1002 se-
condo l'Ughelli. Nell'anno 1028
governava questa chiesa il beato
Lamberto, che poi rinunziò al ve-
scovato. L' ultimo santo è 1' arci-
vescovo s. Antonio , che per la
gracilità e piccolezza della perso-
na era chiamato nel suo ordine
de' predicatori frate Antonino: egli
fu eletto arcivescovo da Eugenio IV,
a' io febbraio i44^> e ueue sue
FIR
braccia il Pontefice rese l'anima a
Dio, essendo il santo e dottissimo
arcivescovo suo confessore, ch'era
della famiglia Frilli. 11 santo arci-
vescovo Antonino a' 3 dicembre
1841 fu elevato al grado di com-
patrono della città e arcidiocesi di
Firenze dal regnante Pontefice Gre-
gorio XVI, alle istanze del clero e
popolo fiorentino, e specialmente
dell'attuale zelante arcivescovo. In
oltre il medesimo Papa ha accor-
dato che si aggiunga nella messa
il simbolo Niceno. Oltre questi santi
vescovi si aggiunge preclaro lustro
alla chiesa fiorentina ne' seguenti
tre sommi Pontefici stati suoi pa-
stori.
il primo è Gherardo di Borgo-
gna , o meglio savoiardo siccome
nato in Bethlaeis di Savoia ; nel-
r anno 1046 fu fatto vescovo di
Firenze, si distinse e fece conosce-
re il suo gran merito nel concilio
ivi tenuto da "Vittore II, onde i
padri riconobbero in lui quelle
qualità che lo resero degno del
pontificato. Ripreso da s. Pier Da-
miani d'un leggero difetto di giuo-
care talora agli scacchi, se ne asten-
ne, e finche visse per penitenza la-
vò ogni giorno i piedi a dodici
poveri, dando loro limosina e ce-
na. A' 28 dicembre io58 fu elet-
to Papa col nome di Nicolò II,
ma per l'amore che conservava al-
la sua chiesa di Firenze ne riten-
ne il governo, visitandola due vol-
te nel suo pontificato ch'ebbe ter-
mine in questa città a' 22 luglio
J061. (Successore nel vescovato a
Nicolò lì nel 1062 fu Pietro Ti-
cinese o di Pavia , infetto di ere-
sia e di simonia, per cui insorsero
nella città grandissime discordie che
s. Pier Damiano speditovi da Ales-
sandro 11 non potè quietare, come
voi. xxv.
FIR 49
si legge nel Rinaldi all'anno io63,
n. 6 eseg.). Nicolò II riedificò il con-
vento e la chiesa, che pur consagrò,
di s. Felicita, alla cui badessa Tesber-
ga con bolla gli donò beni sta-
bili , e gli concesse de' privilegi.
Con altra bolla diretta a Giovan-
ni priore de' canonici regolari di
s. Andrea a Mosciano, confermò la
donazione che avea fatto da vesco-
vo della chiesa ai canonici, egual-
mente da lui consagrata e dotata
perchè i canonici vivevano in co-
mune , come risulta da altra sua
bolla. Da altra rilevasi aver fatto
consagrare nel io5g la chiesa dei
ss. Michele e Jacopo.
Il secondo Pontefice arcivesco-
vo di Firenze fu Giulio de' Me-
dici , cugino di Leone X, che lo
dichiarò tale nel giorno di sua
coronazione a' 19 marzo del i5i3,
e nello stesso anno a' 2 3 settem-
bre o a' 24 dicembre lo creò
Cardinale, indi nel i5i4 legato di
Bologna e di Toscana. Giulio ot-
tenne da Leone X segnalati onori
e privilegi a' canonici fiorentini, e
salito al pontificato accrebbe nuo-
vi benefìzi al capitolo e stabili ren-
dite. Nel i52o essendo comparso in
Italia un funestissimo male , pro-
mosse la fondazione dell' ospedale
degl'incurabili, dichiarandolo arci-
spedale, colle analoghe prerogative.
Si trova una piccola moneta col-
l'arme de' Medici , e col cappello
sopra da cardinale , e l' iscrizione :
iulius card, medices , e nel ro-
vescio l' effigie di san Gio. Bat-
tista. Sembra che la facesse batte-
re da legato, con licenza della re-
pubblica fiorentina, anco in rifles-
so alla parte che aveva nei gover-
no, mediante il favore di Leone X,
unito alla potenza di sua famiglia
de' Medici. A' 18 novembre i523
4
5o F I R
questo cardinal arcivescovo fu su-
blimato al triregno col nome di
Clemente VII, ed agli 8 gennaio
dell' anno i5i/\. fece arcivescovo
di Firenze il cardinal Nicolò Ri-
dolfo' fiorentino. Sebbene il Papa
fece perdere a Firenze la liber-
tà , procurò mitigare il rancore
di sua patria con diverse grazie ,
le quali furono il dono delle insi-
gni reliquie che mandò da Roma,
la libreria Laurenziana che aprì, i
privilegi, e le donazioni fatte a
s. Maria del Fiore, colle unioni di
chiese e benefizi alla mensa del ca-
pitolo di s. Lorenzo, e finalmente
le molteplici concessioni, che accor-
dò a vari monisteri, come di s. Sal-
vi, di s. Clemente, di s. Giovan-
nino ec.
Il terzo Papa già pastore e
concittadino di Firenze come il
precedente , fu uno de' piò illustri
arcivescovi di questa chiesa : egli è
Alessandro de' Medici, ambasciatore
in Roma a s. Pio V ed a Grego-
rio XIII di Cosimo I suo cugino.
Il secondo Pontefice prima lo fece
vescovo di Pistoia, e dopo pochi
mesi a' i5 gennaio \5rj/\ lo trasfe-
rì all'arcivescovato di sua patria,
di cui prese possesso nel i583, es-
sendo stato creato cardinale in que-
st'anno dal medesimo Gregorio XI IT.
Celebrò due sinodi diocesani nel
i58g e nel i6o3; e consagrò le
chiese di s. Frediano, di s. Clemen-
te, di s. Elisabetta delle convertite,
e nella compagnia di Gesù in s.
Croce l'altare maggiore. Nel primo
di aprile i6o5 venne creato Pon-
tefice, e s' impose il nome di Leo-
ne XI. Presago della brevità del
suo pontificato, durato soli ven-
tisette giorni, da giovine erasi scel-
ta per impresa un fàscetto di rose,
col motto : Sivjlovui. Scrive il Mi-
FIR
gliore a pag. 1 f>2 che se viveva
più lungamente la cattedrale di Fi-
renze l'avrebbe elevata al grado di
patriarcale, ed in camera gli si
trovò la relativa bolla incomincia-
ta. Supplicato agonizzante dai cardi-
nali a dar la porpora al nipote figlio
del fratello, sempre si rifiutò, solo
dicendo : Qttae utililas in sanguine
meo dum descendo in corruptio-
nem. Seguono i fiorentini cardina-
li , in numero di quindici tra ve-
scovi ed arcivescovi, non compresi i
due precedenti Giulio ed Alessan-
dro de Medici.
Il primo cardinale vescovo di
Firenze fu Francesco Atti da Todi,
che alcuni vogliono cittadino fiorenti-
no. Egli sembra che non prima del
1 354 fosse eletto vescovo, dignità che
nel i356 rinunziò con dispiacere
d' Innocenzo VI. Il secondo cardi-
nale è Pietro Corsini, che fu da In-
nocenzo VI trasferito nel i36i da
Volterra a Firenze, e per le quat-
tro nunziature che egregiamente
disimpegnò in Germania con van-
taggio della santa Sede, e soddis-
fazione della Germania , ottenne
dall' imperatore Carlo IV il me-
morato diploma per sé e successo-
ri in questa sede , di principe del
sagro romano impero, come pure
il pregiatissimo privilegio allo stu-
dio fiorentino , che fu dichiaralo
università generale, con autorità ui
vescovi di addottorare in ogni scien-
za. Ritornato in Firenze dopo sì
gloriose legazioni , fu chiamato da
Urbano V nel i36g in Montefia-
scone, ed ivi creato cardinale : mo-
rì nel i4o5 in Avignone, e trasfe-
rito in Firenze per decreto della
repubblica fu collocato nel duomo.
Chiamò a suoi -eredi il fratello Fi-
lippo, e il monistero di s. Gaggio ,
cioè s. Caio, fondato da Touimuso
FIR
suo padre. Terzo vescovo di Fi-
renze e cardinale è Nicolò Accia-
inoli detto il secondo, fatto da Ur-
bano VI nel i384 vescovo, e nel
i385 cardinale. Pei suoi grandi
meriti fu molto occupato dai Papi,
e governò il regno di Napoli nel-
la minorità di Ladislao, per cui in
quel regno fiori la pace e l'abbon-
danza, ed in Gaeta quale legato di
Bonifacio IX coronò il giovine re :
fu sepolto nella metropolitana , e
poscia trasferito alla Certosa di Fi-
renze fondata dal gran siniscalco
Nicolò Acciaiuoli nel 1 364- Dona-
to Acciaiuoli ne restaurò il sepol-
cro, con l'effigie del cardinale in
basso rilievo. Il quarto cardinale è
Bartolomeo Uliari od Olivieri di
Padova, de' minori osservanti, ebe
Bonifacio IX fece vescovo nell'anno
1387^ e due anni dopo cardinale:
morì legato apostolico in Gaeta nel
1 396. Il quinto fu Alamanno Adi-
mari nominato vescovo nel 140 1
da Bonifacio IX : mai ne prese pos-
sesso, e nel 1402 passò alla chie-
sa di Taranto. Il sesto fu France-
sco Zabarella di Padova , lettore
pubblico di canoni nello studio fio-
rentino, insigne in letteratura. Ales-
sandro V nel 1409 lo prepose alla
cbiesa fiorentina, e nel i4- 1 * Gio-
vanni XXlll l'esaltò al cardinala-
to. Il Papa l' inviò legato all' im-
peratore per la convocazione del
concilio di Costanza, in cui venen-
do deposti Gregorio XII, Giovan-
ni XXIII e l'antipapa Benedetto
XIII, tutti i voti per l'elezione del
nuo\o Pontefice riunivansi nel no-
stro cardinale, quando Dio lo chia-
mò a sé a' 27 ottobre 1 41 7 > con
uuiversal dispiacere di quell'augu-
sta assemblea, e dell' imperatore Si-
gismondo, che onorò le di lui ese-
quie, e udì 1' orazione funebre re-
F1R 5i
citata dal Poggio: il cadavere fu
portato alla cattedrale di Padova.
Col settimo cardinale evvi ac-
coppiata la dignità arcivescovile ,
perchè Martino V eletto in Costan-
za agli 11 novembre i4*7> dipoi
nel 1420 dichiarò metropoli la chie-
sa di Firenze , come si disse. Nel
1 435 Eugenio IV fece arcivescovo
il patriarca di Alessandria Giovan-
ni Vitelleschi, celeberrimo guerrie-
ro, e ricuperatore delle terre della
Chiesa, che tolse ai debellati tiran-
ni , per cui Roma gli eresse una
statua in Campidoglio, e il Papa
nel 1437 lo creò cardinale. Colla fa-
miglia fu aggregato alla cittadinan-
za di Firenze , e se ne gloriava ;
ma abusando di sua grande auto-
rità, e venendo in grave sospetto
ad Eugenio IV, col consiglio di Co-
simo il Vecchio fu da Firenze ove
risiedeva il Papa spedito a Roma
Luca Pitti per ordinare ad Anto-
nio Rido castellano di Castel s. An-
gelo di arrestare il cardiuale vivo
o morto. 11 castellano nel passare
il ponte s. Angelo tal cardinale ,
calata la seracinesca della porta, ed
alzata una catena, con diversi ar-
mati s'impadronì del cardinale, che
volendosi difendere colla spada, da
molti soldati fu coperto di ferite ,
e per forza tratto prigione in ca-
stello , dove mentre si medicava
una gran ferita nel capo , Luca
Pitti percuotendo colla sua mano
la tenta ossia strumento col quale
il chirurgo esaminava la ferita, glie-
la ficcò nel cervello, e subito mo-
rì. Altro arcivescovo cardinale nien-
te inferiore al precedente per fa-
ma militare , si fu Lodovico Sca-
rampi Mezzarola , nominato arci-
vescovo da Eugenio IV nel 1 4^7 >
e cardinale nel 1 44°> perchè essen-
do amato dal Papa, era stato fat-
5a FIR
to generale di sue truppe dopo la
morte del Vitelleschi: vinse il fa-
moso Nicolò Piccinino, e sconfisse
i turchi sotto Belgrado. In Firen-
ze fece la solenne traslazione del
corpo di s. Zanobi dall'antica cata-
comba alla uuova cappella sotter-
ranea nel fondo della maggior tri-
buna , e con immense fatiche alla
celebrazione del concilio ecumenico
si adoperò per l'unione co' greci.
I fiorentini per l'amore che a lui
portavano, gli donarono il palazzo
degli Ardinghelli, e lo ascrissero
co' suoi parenti alla cittadinanza.
In suo onore fu coniata una me-
daglia col suo ritratto, e nel ro-
vescio una piazza con uomini a
cavallo che si avviano al tempio ,
coll'epigrafe: ecclesia kestituta ex
alto. Il nono cardinale, ed ottavo
arcivescovo fu fr. Pietro Riario
dell'ordine de'minori, nipote di Si-
sto IV, patriarca di Costantinopoli,
e nel i472 arcivescovo di Firenze.
Fece la funzione dello sposalizio
dell'abbadessa di s. Pier Maggiore
nel suo ingresso nella città, e fece
qualche vantaggio all' episcopio :
mori nel 1 474 m Roma, e fu se-
polto in deposito di marmo ai
ss. Apostoli. Il cardinal Pietro che
trovossi alla congiura de' Pazzi, era
suo nipote. Indi viene il cardinal
Nicolò Ridolfi , cui Clemente VII
gli rinunziò l' arciyescovato come
suo parente : altrettanto fece lui
nel i532 con riserva ad Andrea
Buondelmonti, alla cui morte av-
venuta nel i542 ritornò il cardi-
nale alla sua sede che nuovamente
nel i548 con riserva cede ad An-
touio Altoviti, e mori nel i55o in
conclave, nel giorno in cui i cardi-
nali trattavano di crearlo Papa .
Nel i65i da Pistoia fu traslalato
a questa chiesa Francesco Nerli, il
FIR
quale pel suo zelo celebrò quattro
sinodi, nel 1 656, nel 1 663, nel 1666
enei 1669, nelqual anno Clemente
IX lo creò cardinale, e nel seguente
inori in Roma , e gli fu data se-
poltura nella chiesa di s. Giovanni
de' fiorentini , nella cappella de' ss.
Cosma e Damiano patronato di
sua famiglia. Gli successe il nipo-
te Francesco Nerli il giuniore, che
Clemente X nel 1673 creò cardi-
nale, e fece segretario di stato, e
morì nel 1708. L'ultimo cardinale
arcivescovo fu Jacopo Antonio Mo-
rigia fatto arcivescovo nel 1682,
creato cardinale nel 1695, e pub-
blicato nel 1698; assistè alla tras-
lazione del corpo di s. Zanobi e di
s. Maria Maddalena de' Pazzi, non
che a quella di s. Andrea Corsini,
oltre la ricognizione dell' incorrot-
to suo corpo. Diede inoltre pro-
va di sua cura pastorale in due si-
nodi, e nel desiderio di aprire un
seminario: mori nel 1708 vescovo
di Pavia.
I vescovi ed arcivescovi di Fi-
renze, singolarmente chiari per le
virtù sono i seguenti. Da un di-
ploma del vescovo Specioso del 724
rifulge la sua generosità, colla quale
dona alla chiesa e canonici di s.
Giovanni alcune possessioni. Il di-
ploma di Specioso è datato coiran-
no 724, anno XII del re Luitpran-
do, è una delle più insigni perga-
mene dell'Italia per la sua anti-
chità, e per la notizia dell'esisten-
za de' canonici fino dal principio
dell' ottavo secolo, checché ne dica
contro il Fleury, ed altri francesi.
L'autografo, che tale è ad onta di
qualche scrupolo del Muratori, che
fu pubblicato più volte colle slam-
pe, e ultimamente dal Brunetti, si
conserva gelosamente nell' archivio
segreto del capitolo fiorentino do-
FIR
•viziosissimo di vetustissime perga-
mene. Il vescovo Grasulfo dell'898,
per le sue virtù ebbe dall'impera-
tore Lamberto una gran quantità
di terreno, che passò ai canonici ,
i quali ne cederono parte a mo-
nache e frati , e parte a murar
case. Il vescovo Raimbaldo altresì
accrebbe nel o,3o l'entrale capito-
lari colla pieve di Signa, e nel-
l' istromento si vedono pure sotto-
scritti sedici canonici, sette de'quali
col titolo di preti cardinali. Stu-
penda ancora fu la generosità d'a-
nimo del vescovo Ildebrando alla
basilica di s. Miniato da lui riedi-
ficata, e dotata: della liberalità di
altri vescovi coi canonici parlere-
mo nel far menzione del capitolo.
Andrea de Mozzi fu assai beneme-
rito del vescovato avendo ricupe-
rato i beni della mensa dai pre-
potenti cittadini, vera origine delle
gravi malevolenze suscitatesi con-
tro di lui, in modo tale che nel
1294 supplicò s. Celestino V di
accettare la sua rinunzia , ed in
vece fu fatto vescovo di Vicenza.
Il cardinal Morigia, e l'arcivescovo
Tommaso de' conti della Gherar-
dtsca furono impegnati per l' ere-
zione del seminario : il primo dopo
aver preparato il necessario per
tal fabbrica, benedì la prima pie-
tra, e la gettò solennemente nei fon-
damenti a' 20 aprile 1687; Tom-
maso ebbe la sorte di proseguirlo
con molta spesa, e di aprirlo con
festa nel 1 7 1 2 a'4 novembre, gior-
no sagro a s. Carlo Borromeo alla
cui protezione Io raccomandò. Fra i
chiarissimi nelle scienze, va prima
notato Rinieri vissuto quarantadue
anni nel vescovato cui ascese nel
1071 , la cui eloquenza persuase
duemilacinquecento fiorentini a par-
tire con Gottifredo o Goffredo di
FIR 53
Buglione per la crociata : cadde pe-
rò nell'opinione che fosse nato l'an-
ticristo, opinione eh' ei ritrattò sin-
ceramente ai moniti di Pasquale
lì. S. Antonino fu collocato tra i
primari scrittori ecclesiastici , per
le tante ammirabili opere sue. In-
di è degno di grandi elogi Anto-
nio A Itovi ti, e per non dire di al-
tri Francesco Gaetano Incontri, ce-
lebre non meno che per la sua
pietà, per la sua dottrina che spic-
ca nelle sue opere, e specialmente
ne' suoi Atti umani; e monsignor
Antonio Martini fatto arcivescovo
nel 1781 da Pio VI, fra le cui
opere rammentiamo con distinzione
la traduzione della storia dell'anti-
co e nuovo Testamento , sì com-
mendata da Pio VI, e che per la
fedeltà della versione, per la op-
portunità delle note, e per la pu-
rezza della lingua italiana ha avu-
to già moltissime ristampe, e ne
ha tutto giorno. Al presente go-
verna questa metropolitana il ze-
lante, dotto e prudente monsignor
Ferdinando Minucci fiorentino, fat-
to arcivescovo da Leone XII nel
concistoro de'28 gennaio 1828. Lu-
ca Ceracchini ci ha dato: Crono-
logia sacra de vescovi ed arcive-
scovi di Firenze, ivi 17 16.
L' episcopio degli arcivescovi di
Firenze è sulla piazza stessa della
cattedrale. Il magnifico palazzo e
curia ordinaria dell'arcivescovato an-
ticamente chiamavasi Palatium s.
Johannis, o Episcopium s. Johan-
nis, si ve sanctae Repara tae. Nei
primi quattro secoli della Chiesa,
in cui la religione era perseguita-
ta, i vescovi ascondevansi nelle grot-
te, nelle catacombe, e nelle selve,
massime in quella chiamata Elisbot.
La prima memoria che trovasi di
episcopio è nel 724 ; certa n'è l'è-
14 F1R
sistenza al nono secolo ; nel deci-
mosecondo era edifizio notabile ed
ampio, alloggiandovi l'imperatore
Baldovino II. Ebbe parecchi ingran-
dimenti e dai visdomini, e dagli stessi
vescovi una volta ricchissimi pei
molti vassallaggi de' magnati fio-
rentini. I visdomini o vicedomini
custodi e difensori del vescovato
fiorentino, come di ogni altro ve-
scovato, erano in sede vacante gli
amministratori delle entrate vesco-
vili? senza obbligazione di rendi-
mento di conti, facendo per solito
delle rendite della mensa tre parti,
una applicandola alle esequie del
-defunto vescovo, la seconda pei ri-
sarcimenti del palazzo, e la terza
per le spese dell' ingresso del nuo-
vo prelato, il quale da essi ricevu-
to alla porta della città, e servito
come si disse per tutta la solenne
cavalcata, condotto finalmente era
dai medesimi al palazzo vescovile
sino alla cappella di s. Vincenzo,
ove a pie del vescovo sedente fa-
cevano i visdomini il giuramento
di fedeltà e di custodia. Tale anti-
chissima cappella esisteva nel i 199,
e nel 1 344 fu consagrata dal ve-
scovo Angelo Acciaiuoli, in riguar-
do che era cappella nella quale si
facevano varie funzioni dai vesco-
vi, e massimamente dai visdomini.
Nel i32i i visdomini restaurarono
ed abbellirono il cortile, e nel i/^i 1
il vescovo Zabarella operò all'ester-
no alcuni restauri. Volendo poi la
repubblica rendere l' episcopio de-
gna residenza d'un arcivescovo, ot-
tennero da Pio II licenza d' impor-
re sugli ecclesiastici una tassa di
quindicimila fiorini, erigendo per
gratitudine la sua arma nella tor-
re, ove sonovi altre arme pontifi-
cie. Nel i523 un incendio abbru-
ciò sì bella fabbrica, e le fiamme
F I II
arsero la parte piti magnifica del
palazzo verso e. Giovanni, meno
la cella di s. Antonino: con que-
sto disastro restarono incenerite le
più antiche memorie di Firenze,
della Toscana, e di altri paesi. A
riparo di sì grave danno rivolse
l'animo l'arcivescovo Andrea Buon-
delmonti, ma maggiori e più splen-
dide cose fece l'arcivescovo Alessan-
dro de' Medici con disegno del va-
lente Gio. Antonio Dosi. Altri no-
tabili benefizi operarono gli arci-
vescovi Marzimedici, Niccolini, Ner-
li giuniore, Morigia, Tommaso della
Gherardesca, Martelli, ec Inquanto
ai visdomini fiorentini, si spensero
nel principio del secolo XVIII colla
famiglia Cortigiani cui apparteneva
tal preminenza ed uffizio.
Risponde nel cortile dell' episco-
pio la ragguardevole chiesa di s.
Salvatore nell'arcivescovato, la cui
origine risale circa al mille, eoa
parrocchia sino al i44r > *a cm
restò semplice ma pubblica cap-
pella dell'arcivescovato. Indi nel
i5j^. fu rinnovata dall'arcivescovo
Alessandro de' Medici, che la ornò
di rare pitture a fresco colorite da
Gio. Battista Naldini, rappresentan-
do la tavola dell'altare il Salvato-
re sedente con a pie la città di
Firenze, messa in mezzo dalla Beata
Vergine, e da s. Gio. Battista in
atto di raccomandarla al medesi-
mo Cristo ; rimpetto Sante di Tito
fece una Nunziata con arme dei
Medici iu alto della tribuna, la
quale era inquartata con quella di
Gregorio XIII da cui il detto ar-
civescovo aveva ricevuto la porpo-
ra. Ma a questa pittura, ed a quel-
la in cui Naldini figurò il peccato
de' nostri primi parenti fu dato di
bianco nella splendida restaurazio-
ne. Nel 1662 vi ebbe principio la
FIR
congregatone de' sacerdoti del ss.
Salvatore, per lo zelo del sacerdo-
te Lorenzo Antinori, col fine d'i-
struire ì chierici ne' ministeri eccle-
siastici di prediche, di missioni, ed
altri uffizi apostolici; come a dare
a' secolari, ed a' chierici ordinandi
gli esercizi di s. Ignazio, al quale
oggetto fu acquistato il convento
della Calza, già de' gesuati. Nel
1737 l'arcivescovo Giuseppe Ma-
ria Martelli dai fondamenti con
magnificenza la riedificò con dise-
gno dell' ingegnere Bernardino Ciu-
rmi che vi fece una cupolina che
dà grazia e vaghezza alia tribuna.
Questa fu data a dipingersi a fre-
sco a Giovanni Ferretti, il quale
vi colon all' altare la Natività di
Gesù. Cristo co' pastori, e fece pu-
re a fresco i dodici apostoli di chia-
roscuro intorno alla chiesa , in
mezzo alla quale dalla parte del
palazzo vi è una deposizione di Cri-
sto colla Beata Vergine Addolora-
ta dipinta da Mauro Soderini, ed
incontro si vede la Risurrezione del
Signore, lodala opera di Vincenzo
M eucci, di cui è pure lo sfondo
della volta dove rappresentò l'A-
scensione del Redentore. Pietro An-
derlini fece le pitture giottesche, e
l'architettura della chiesa. Magni-
fiche poi sono le stanze a terreno
dell'episcopio, aventi un ampio cor-
tile adorno d' iscrizioni, ed armi di
vescovi ed arcivescovi, de' visdomi-
ni, e degli Ughi avvocati dell'ar-
civescovato. La primaria sala è
quella dell'udienza, fatta circa il
i3oo, e serve di foro alla chiesa
fiorentina, ove ammiravansi egre-
gie dipinture del Ferrucci, essen-
done superstite quella della Beata
\ ergine co' ss. Zanobi e Antonino.
Sonovi altre stanze nobili pel vi-
cario generale, l'archivio, ec.
FIR 55
Venendo ora a parlare della ca-
nonica e del capitolo insigne dei
canonici della cattedrale, diremo
che questi nei primi tempi convi-
vevano in comune, osservando san-
te e rigide regole, laonde i zelan-
ti vescovi per tenere in vigore tale
esemplare vita, sino dal 724 scor-
porarono talvolta, come accennam-
mo di sopra , i propri beni della
mensa per unirli alla canonica, con
replicate donazioni , anzi secondo
l'antica disciplina della Chiesa i ve-
scovi convissero coi canonici come
loro capi e direttori principali. Nuo-
ve entrate furono attribuite ai ca-
nonici dal vescovo Attone nel io36,
col motivo lodevole di mantenere
l' osservanza di vivere i canonici
insieme, ed avendo egli a tal fine
ordinate le abitazioni in comune ,
e date loro nuove entrate, ne av-
visò il Papa Benedetto IX che tut-
to confermò, insieme alle donazio-
ni de' vescovi predecessori. Ma nel
io63 raffreddatosi forse quel fer-
vore, Alessandro II ad istanza di
s. Pier Damiani, zelantissimo di que-
sto modo di vivere , lo rinvigorì
con nuove e severe costituzioni,
raccomandando il santo ai canoni-
ci l'uso della disciplina. Altre co-
stituzioni furono prescritte dal ve-
scovo Ardigno nel I23i, il quale
volle che tutti avessero lo stesso
refettorio e dormitorio, che ognu-
no facesse septimanam ' suam, tam
in choro , quam ad altare secun-
dum ordinem suum; e che gli as-
senti per cagione di studi, o altra
da approvarsi dal capitolo, doves-
sero sostituire un vicario, le quali
costituzioni poi furono anche con-
fermate da Gregorio IX nel 1252,
con bolla data in Rieti. Questa non
fu delle ultime cattedrali d'Italia
a lasciar l'uso di convivere insie-
56 FIR FIR
me, perchè, secondo l'Uglielli, gli cedendole privilegi, ricche pievi,
ultimi furono i canonici eli Peni- oratorii, ed eziandio la signoria di
già e di Gubbio al tempo di Leo- terre e castella. Ad onta poi di
ne X, che vissero in comune re- quel che ne cantò il Berni nel suo
gola claustrale come i frati. Alla Orlando innamoralo, il capitolo fio-
mensa canonicale l'imperatore Lam- reatino è stato sempre adorno di
berto e Ageltrude sua moglie nel- uomini grandi: basti il rammenta-
l'8p,8 donarono il campo del re, re Marsilio Ficioi, Angelo Ambio-
oggi Camporeggi, ciò che coofer- gini di Poliziano, Leone Battista
marono altri augusti. Il luogo del- Alberti, Scipione Ammirato, Fiati-
la prima ed antica canonica sem- cesco Berni , Lorenzo Panciatichi ,
bra che fosse nelle vicioaaze del- Francesco Ubaldini. Leone X nel
l'odierna. i5i6 con bolla data in Firenze
JNel i34o si concesse al vescovo agli 8 gennaio concesse ai canoni-
Salvestri da Cingoli di edificar la ci alcuni privilegi anche giurisdi-
canonica verso piazza de' Bonizzi , zionali. Di poi Clemente XII a' i
ch'era quella che veniva a lato gennaio 1 73 1 , colla costituzione A-
della chiesa di s. Benedetto: non postol. presso il Bull. Rom. tom.
essendo compita, nel i44$ Nicolò XIII, pag. 157, confermò la bolla
V per maggior comodo dei cano- di Leone X in favore de' canonici,
nici cresciuti di numero, gì' incor- principalmente il privilegio de' pro-
porò la chiesa di s. Pietro Celorum, tonotari della Sede apostolica, col-
istituito avendo delle entrate della l'uso del rocchetto, cappa magna
chiesa una cappellania in duooio , paonazza, cordone rosso al cappe! -
e abolito il titolo di parrocchia, lo, calze e collare paonazzo, eh' è
ch'era una delle piò antiche cure appunto l'abito de' protonotari par-
di Firenze, dappoiché vuoisi edifi- tecipanti ec. : prima di Leone X i
cata dal vescovo Specioso , o dal canonici usavano le cotte e le ai-
re Luitprando ad imitazione di muzie.
quella di Pavia, e da quella dipen-» Anticamente il capitolo compo-
dente. In questa chiesa Beatrice ma- nevasi di quarantadue canonici, poi
die della contessa Matilde, nel 1072 si diminuirono a trentanove. Al
vi fece promulgare la donazione che presente il capitolo si compone di
faceva a Trasmondo vescovo di Fie- cinque dignità, cioè dell' arcidiaco-
sole, con la solennità del porsi la no, dell'arciprete, del decano, del
carta dell' istromento sull' altare, prevosto e del suddiacooo, dignità
Questo^, luogo voleva dedicarsi a istituita nel 1293. Vi sono trenta-
pubblica libreria _, comune a tutti otto canonici comprese le cinque
gli abitanti di Firenze , il perchè dignità , le prebende teologale e
molti donarono libri pregevoli; ma penitenziaria, e due canonici ab
in vece venne destinato per l'archi- extra; sessantasei cappellani, che
vio del capitolo , che vi conserva formano un corpo detto la Carità,
numerose scritture originali molto e cento chierici : la cura è in ca-
preziose, dalle quali si rileva come pitolo, ma l'amministra la secooda
parecchi Pontefici, imperatori, car- dignità dell'arciprete, assistito da
dinali, vescovi ed altri benefattori due curati amovibili, e da due ca-
furouo generosi colla canonica, con- nonici detti curaioli che ogni an-
FIR
no si eleggono del rapitolo a voli
segreti; e questi hanno in curala
parrocchia della cattedrale, la qua-
le non ha fonte hattesiiuale, per-
chè l' ha la prossima hasilica di
s. Gio. Battista, di cui si parlò di
sopra. La cattedrale è dedicata a
Dio, ed in onore della Beata Ver-
gine Maria, e di s. Reparata ver-
gine. Ivi si venerano insigni reliquie,
fra le quali il corpo di s. Zanobi
patrono della città e di tutta la
diocesi, di s. Eugenio diacono, e
di s. Crescenzio suddiacono.
Avevamo promesso tornare a dire
qualche altra cosa di quel tanto che
dir si potrebbe dell' immensa metro-
politana fiorentina, uno de'più rimar-
chevoli edilizi dell'Europa, e la
prima chiesa fabbricata fuori del
gusto gotico, quantunque non tut-
ta all'atto nel gusto antico; ma es-
sendo di soverchio cresciuto in que-
sto Dizionario V articolo Firenze ,
ed essendo altronde da mille par-
ti descritto il detto duomo, ci tro-
viamo costretti a dare soltanto al-
cun cenno dello stato moderno ,
premettendo ciò che riguarda l'an-
tico, coli' autorità del padre Ridia.
Nel principio del secolo Vili si tro-
va nominata come semplice chiesa
la cattedrale di s. Reparata ; e la
chiesa supposta antichissima del
ss. Salvatore, non sembra che sia
stala mai cattedrale. Piuttosto s.
Gio. Battista pare che si possa di-
re il primo duomo, o sia cattedra-
le di Firenze dal quarto secolo si-
no al decimosecondo. La chiesa di
s. Reparata, checché sia del suo
principio, o nell'anno 4°8, o trecen-
to anni dopo, non trovasi che ab-
bia goduto il titolo di cattedrale
o di duomo prima del duodecimo
secolo, avanti il qual tempo trova-
si appellata pieve. E siccome i fio-
FTR 57
rentini nel quinto secolo agli 8 ot-
tobre riportarono gloriosa vittoria
sui goti , giorno in cui cade il dì
natalizio della santa vergine e mai-
tire Reparata, dipoi in memoria dì
quell'avvenimento accaduto nel gior-
no a lei sagro, gì' innalzarono il
maggior tempio. Da un documen-
to rilevasi che nel 1128 s. Repa-
rata da pieve già era divenuta duo-
mo e cattedrale, non essendolo an-
cora nel 1099. Né si deve far caso
che si trovino in s. Reparata indi-
zi di chiesa cattedrale innanzi al
tempo in cui fu dichiarata tale, co-
me la sedia episcopale murata, la
visita che vi faceva il vescovo nel
suo possesso prima di andare a
s. Giovanni , due concili ivi pure
celebrati, e parecchie funzioni fat-
tevi dal comune. Imperocché o a-
vevano luogo proteste senza pregiu-
dizio delle antiche ragioni e dirit-
ti di s. Giovanni , o precedeva il
consenso de' canonici che la riguar-
davano come loro chiesa e concat-
tedrale. Anzi il popolo riguardan-
dola come sua chiesa , la eleggeva
per alcune feste, siccome adatta al-
le cerimonie e sagre solennità. Con-
clude il p. Richa che il tempio di
s. Giovanni può riguardarsi come la
prima fabbrica de' fedeli in Firen-
ze, e che l'antica chiesa di s. Pie-
parata fosse assai grande e magni-
fica.
Divenuta nel secolo XII la chie-
sa di s. Reparata duomo e catte-
drale della capitale di principato e
repubblica indipendente, e trasferite
le preminenze ad essa da s. Giovan-
ni , questa divenne pieve. Quindi
sembrando conveniente di ridurre
la chiesa di s. Reparata a maggior
grandezza e magnificenza, secondo
quanto avevano praticato varie cit-
tà d'Italia colle loro cattedrali, me-
58 Flit
diante le buone regole di architet-
tura, come ammiravasi in Firenze
stessa nelle belle chiese del Carmi-
ne, di s. Maria Novella e di s. Cro-
ce, perciò con giusto divisamen-
to i fiorentini deliberarono di co-
struire una fabbrica splendidissima,
in un tempo che Firenze pel fio-
rente commercio, e per la riforma
del governo era tenuta I' erario
d' Italia , epoca che dai fiorentini
fu chiamata l'età dell'oro. Indi
nel 1294 s'incominciò a trattare
di rendere la chiesa di s. Repara-
ta, allora molto dì grossa forma ,
degna di sì illustre nazione, rifa-
cendola totalmente di pianta , cor-
rispondente alla maestà e grandez-
za della repubblica , venendo pre-
scelto 1' architetto Arnolfo di Lapo»
Se ne die partecipazione a Bonifa-
cio Vili, che ne provò sommo con-
tento , e non potendo recarsi di
persona a benedir la prima pietra,
inviò a farne le veci un cardinale
legato, che vuoisi sia stato Pietro
Valeriani di Piperno, ed agli 8
settembre 1298 ebbe luogo con tut-
te le formalità la benedizione del-
la prima pietra. Però il Nelli nel
libro intitolalo, Piante od alzati
interiori ed esterni dell' insigne chie-
sa di s. Maria del Fiore ec. , con
buone ragioni attribuisce tal funzio-
ne all'anno 1296. Il titolo imposto
alla nuova chiesa dal cardinale nel-
l'atto di buttare ne' fondamenti la
pietra, ad istanza della repubblica,
fu di s. Maria del Fiore, che allu-
de al nome della città, ed all'ar-
me della medesima, qual è un gi-
glio in campo bianco, come dicem-
mo superiormente. Il popolo non
potè dimenticare l' antico nome di
s. Reparata, e gli fu proibito nel
j4-I2, restando il nome della san-
ta solo contitolare alla chiesa, per
F1R
cui se ne celebra Y annuale festa
con 1' ottava , e solennemente col-
l' intervento di tutto il clero , con
tutti i priori e rettori delle chiese
di Firenze, in segno di sua antica
preeminenza. Oltre la repubblica
contribuirono alle immense spese
del grandioso edifizio , V arte della
lana , ed anche i capitani di Or s.
Michele , le maestranze fiorentine
delle ventidue arti , le comunità
de' cleri e congregazioni religiose ,
e la pietà de' particolari cittadini,
accesa dalla liberalità delle indul-
genze a tal fine concesse dai som-
mi Pontefici. Per morte di Arnol-
fo proseguì la sospesa fabbrica ver-
so il 1 3 3 1 l'altro eccellente archi-
tetto Giotto, e poscia vi operaro-
no il Gaddi, 1' Orcagna, Filippo di
Lorenzo, Filippo Brunellesco , che
voltò la bellissima cupola, ed altri.
La facciata esterna eretta da Ar-
nolfo, la rinnovò il Giotto nel i334»
ma nel iSSS incominciò a disfarsi,
onde fu proposta la demolizione.
Così deforme restò per varie cause
sino al i636, in cui dal grandu-
ca Ferdinando II fu gettata la pri-
ma pietra per la nuova, che lenta-
mente venne proseguita. L' opera
di s. Maria del Fiore ha cura del-
la conservazione dell' edifizio ; i de-
putati e magistrati della medesima
ebbero privilegi e concessioni da
Gregorio XII, da Eugenio IV, da
Nicolò V e da altri Papi. Pieno di
venerazione Eugenio IV per que-
sta cattedrale, solennemente la con-
sagrò a' 25 marzo 1 4^6.
Passando allo stato presente del
duomo, furono demolite nel 1824
le miserabili casupole, che fiancheg-
giavano quel maestoso edifizio dal-
la parte meridionale , e vi furono
eretti, col "disegno del cav. Giovan-
ni Baccani , grandiosi palazzi, pre-
FIR
bendo e abitazioni de canonici , e
da ciò -venne ad acquistare la sa-
gra fabbrica nuovo lustro, e nuo-
va bellezza. Pocbi anni dopo soilo
uno de' nuovi palazzi furono collo-
cate le statue colossali di Arnolfo
di Lapo e di Filippo Brunellesco,
quasi contemplando l'uno il suo
duomo., l'altro la sua cupola; com-
ponimento sublime, e lavoro am-
mirabile dell'egregio scultore Lui-
gi Painpaloni. 11 duomo è stato
ultimamente circondato per l'intie-
ro, come da un cancello,- da cate-
ne, spranghe e colonnette di fer-
ro fuso nella reale oflicina di Ful-
lonica. In quanto alla facciata ri-
petiamo che non 1' ha , e aggiun-
giamo non restarvi che leggerissi-
me tracce di quella che in fretta
e furia fecero a fresco alcuni pit-
tori bolognesi , per le nozze del
principe Ferdinando figlio di Cosi-
mo 111 nel 1688. Di questa pittu-
ra cosi si trova scritto sotto l' an-
no citato nel Pastoso, diario mss.
della libreria de' canonici : costò sei
mila scudi, e perchè fatta in fret-
ta, e in tempi umidi, cominciò su-
bito a guastarsi. Neil' interno, cioè
nelle sagrestie, una de' canonici, l'al-
tra dei cappellani , nel grosso dei
piloni con gran fatica ed ottima
riuscita si praticarono , non sono
molti anni, due comodi stanzini, la
mancanza de' quali era al clero di
gran disagio, e di non poca brut-
tura al contorno del tempio. Nel
ripulimento finalmente di tutta la
chiesa, compiuto nel 1842, demo-
liti i due altari di fondo, e scari-
cato il bellissimo coro di quella
selva di colonne, che tanto fuor
di luogo parvero al gran Canova,
e ridotta a miglior forma l' ara
massima, e sormontatala col celebre
crocifisso di Benedetto da Majano, so-
FIR 59
no stale dipinte con somma accortez-
za, nel corso delle navate laterali, due
finestre per parte, che quantunque
finte sembrano riflettere viva luce
come le vere formate dai famosi
vetri colorali. Vi è stala rivendi-
cata dal suo squallore, e circonda-
ta di vaghissima cornice l'antica
pittura, che rappresene Dante, e
nel campo da una parte l'antica
Firenze, dall'altra un simbolo del-
le tre parti della Divina Comme-
dia , e sotto il famigerato tristico
di Coluccio. Sono stati quindi più
simmetricamente disposti i quadri,
le statue, l'arche e le quattro pit-
ture a fresco , cioè Pietro Corsini
arcivescovo, Luigi Marsili teologo,
Giovanni Acuto inglese, e Nicolao
da Tolentino, glandi capilani de' fio-
rentini , trasportate felicemente in
tela col suo nuovo metodo dal ce-
lebre Giovanni Rizzoli della pieve
di Cento, nell'anno 1842: sono sta-
te sospese le prime due nella cap-
pella della Madonna della Neve
nella terza tribuna, e le altre due
una di qua e una di là sulle due
porte laterali alla porta maggio-
re. E stato pure costruito un nuo-
vo coro per l'inverno nella detta
terza tribuna, ammirabile per la sua
struttura, e per il suo vantaggio.
Ora si vanno ad abolire le due
cantorie dei due organi per co-
struirvene due che più armonizzi-
no colla moderna ristaurazione; e
facciamo voti che alla fine sia co-
struita degna di tanto tempio la
facciata, il cui disegno venne or-
dinato nel decorso anno, e perciò
molti ne furono presentati da egre-
gi artisti. Fra questi nomineremo
quello pubblicato nell' istesso anno
in Firenze con magnifica edizione,
e belle stampe, pei tipi della so-
cietà tipografica, con questo titolo;
6o F1R
Dimostrazione del progetto dell'ar-
chitetto cav. Nicolò Matas, per com-
piere colla facciala l' insigne basi-
lica di s. Maria del Fiore, me-
tropolitana della città di Firenze.
Questo progetto fu da molti in-
telligenti grandemente encomiato.
Oltre la cattedrale in Firenze
sonovi trentaquattro parrocchie, sen-
za fonte battesimale; quella di s.
Lorenzo, basilica imperiale e reale,
è pure collegiata insigne ; s. Fre-
diano è semplice collegiata ; Or s.
Michele prepositura. In tutta l'ar-
cidiocesi le parrocchie sono circa
quattrocento sessantuna. V. Sta-
tistica ecclesiastica della città, su-
burbio e pivieri dell' arcidiocesi di
Firenze, di Luigi Santoni primo
cancelliere della curia arcivescovile
fiorentina, 184.2- Ad ogni nuovo
arcivescovo la mensa è tassata nei
libri della camera apostolica in
fiorini mille cinquecento quarantu-
no. Inoltre nella città evvi il monte
di pietà, nove conservatorii o educa-
torii per le donzelle, cioè la ss. An-
nunziata (eretto, come sopra accen-
nammo, dalla munificenza di Fer-
dinando III padre dell'attuale gran
duca), Ripoli, le Mantellate già Chia-
rito, s. Agata, gli Angiolini, il Con-
ventino, le Giovacchine, Fuligno e
le Filippine. La ss. Annunziata, e
Foligno sono sotto donne secolari;
Ripoli, le Mantellate, s. Agata, gli
Angiolini , e il Conventino delle
oblate, che però vi accenneremo
tra gli ordini religiosi, le Giovac-
cliine e le Filippine sono una spe-
cie di pinzochere, le ultime delle
quali non sono riconosciute dal go-
verno, e che si possono aggiungere
alle Filippine accennate da noi al
proprio articolo, perchè convivono
6otto la regola di s. Filippo Neri,
da cui hanno il nome. Il conser-
FIR
vatorio di Ripoli ebbe per fonda-
trice la ven. Eleonora Ramirez
Montalvi, dalla quale fu pure fon-
dato il celebre conservatorio ed
educatorio, la Quiete, poco più di
un miglio distante da Firenze per
la porta di s. Gallo. Avvi pure il
conservatorio in piazza detto di s.
Felice per le mal maritate, e il
rifugio delle convertite in s. Am-
brogio, e il ritiro delle fanciulle
pericolanti presso la detta porta a
Orbetello per infelici sedotte, e
l'ospizio delle vedove in borgo s.
Frediano. Quindi il Bigallo per i
poveri orfanelli d'ambo i sessi, l'or-
fanotrofio di s. Filippo Neti, l'o-
spizio de' poveri albergati in s. O-
nofrio. I monisteri e conventi di mo-
nache e religiosi sono i seguenti.
Va però avvertito, che quantun-
que i cappuccini abbiano il loro
convento a Montughi fuori di Fi-
renze, abitano però anche negli spe-
dali di s. Maria Nuova, e di Bo-
nifazio, in numero sufficiente ad
assistere spiritualmente gì' infermi.
Monaci : Monaci benedettini cassi-
nensi nella celebre badia. Vallom-
brosani in s. Trinità. Camaldolen-
si in s. Maria degli Angeli. Frati:
Agostiniani eremiti calzati in s. Spi-
rito. Domenicani in s. Maria No-
vella. Domenicani della stretta os-
servanza, o Gavotti in s. Marco.
Carmelitani calzati in s. Maria del
Carmine. Carmelitani scalzi in san
Paolino. Francescani minori con-
ventuali in s. Croce. Francescani
minori osservanti in Ognissanti. Ser-
vi di Maria nella ss. Annunziata.
Chierici regolari: Padri delle scuo-
le pie in s. Giovannino, che han-
no pure da pochi anni in qua casa
e scuole in s. Carlo già de' barna-
biti. Padri ministri degl' infermi in
s. Maria Maggiore. Congregazioni:
FIR
Signori sacerdoti delle missioni, o
di s. Vincenzo de'Paoli in s. Ja-
copo oltr'Arno. Preti dell'oratorio
di s. Filippo Neri in Firenze. Spe-
dali : I fate bene fratelli, o speda-
lieri di s. Gio. di Dio, in s. Gio. di
Dio. Vi sono poi molti ospizi di
religiosi , che hanno' conventi per
la Toscana. Monache: Agostiniane
in s. Martino. Benedettine in s. A-
pollonia, e in s. Silvestro. Carme-
litane scalze in s. Teresa. Carme-
litane o barberine della stretta os-
servanza in s. -Maria Maddalena.
Domenicane in s. Croce, volgarmen-
te la Crocetta, e in s. Domenico
nel Maglio. Francescane in s. Giro-
lamo. Clarisse in s. Elisabetta. Cap-
puccine riformate in s. Coletta. Val-
lombrosiane in s. Spirito sulla co-
sta santa Verdiana. Oblate: Inser-
vienti all' arcispedale di s. Maria
Nuova, e allo spedale di Bonifa-
zio. S. Agata, conservatorio e edu-
candato. Montalva in Ripoli, con-
servatorio. Mantellate in Chiarito,
conservatorio servite. S. Maria de-
gli Angeli, o gli Angiolini, con-
servatorio e educandato. Terziarie:
le Suore, dette le Suorine, in via
della Scala, francescane; le Vedo-
ve in via de' Banchi, domenicane.
Concili di Firenze.
Il primo fu tenuto neh' anno
io55, nella cattedrale allora appel-
lata s. Reparata, verso la solenni-
tà di Pentecoste, cui alcuni scrit-
tori fiorentini diedero il nome di
gpnerale, perchè celebrato dal som-
mo Pontefice Vittore li, alla pre-
senza dell'imperatore Enrico 111,
e di Beatrice madre della contessa
Matilde, secondo il Fiorentini. Vi
si trattarono molti punti di disci-
plina ecclesiastica; vi si corressero
FIR 61
parecchi abusi, come gli scandali
prodotti da diversi vescovi ed ec-
clesiastici, nel costume e nella si-
monia. Si provvide con pena di
scomunica al dissipamento de' beni
di chiesa , alle alienazioni e do-
nazioni che ne facevano i prelati,
laonde furono interdetti gli usur-
patori de' medesimi beni, rinnovan-
dosi le anteriori censure e proibi-
zioni. Vennero di nuovo condan-
nati gli errori di Berengario, capo
degli eretici sagramentari. Diz. dei
concili; Regia tom. XXV; Labbé
tom. IX; ed Arduino tom. V.
Il secondo fu celebrato nel 1 062
contro l'antipapa Cadalao , che a-
vea preso il nome di Onorio II,
protettore dei simoniaci, dei con-
cubinari, e degli incontinenti. Re-
gia tom. XXV; Labbé tom. IX;
ed Arduino tom. V.
Il terzo ebbe luogo nelP anno
1 104, 1 io5, 1 106, ovvero tra il 1099
e il 1 1 17, ed anche questo da alcuni
scrittori fiorentini venne qualificato
generale, forse perchè lo convocò
Papa Pasquale II, coli' intervento
di trecento quaranta vescovi, ad
onta dello scisma che sulle investi-
ture turbava la Chiesa, sostenuto
successivamente da tre antipapi. Il
vescovo di Firenze Rinieri , non
Fluenzio come altri il chiamarono,
vedendo sossopra il mondo per la-
grimevoli avvenimenti, più per ipo-
condria che persuasione si indusse
a predicare essere nato l'anticri-
sto , congetturandolo dal cumulo
de' disastri forieri della fine del
mondo. Ciò recando grave pregiu-
dizio nelle opinioni, giudicò Pasqua-
le li di porvi riparo celebrando
questo concilio , ove con quel-
la dottrina e soavità che lo distin-
guevano, persuase il vescovo del-
1 errore, il quale domandò ed ot-
€a Fll\
tenne il perdono ricredendosi for-
malmente delle sue assertive. Quin-
di il concilio dichiarò condannata
tale dottrina , come condannò e
scomunicò Enrico IV. Dìz. de' con-
cili; ed il p. Mansi tom. II, col.
32r e 222.
11 quarto concilio tenuto in Fi-
renze, fu una continuazione di quel-
lo adunato in Ferrara, ed è l'i-
guardato generale ed ecumenico
fino alla partenza de' greci : il con-
cilio generale fiorentino è il XVI
in ordine di concili generali , se-
condo il calcolo di quelli che non
contano per tale il concilio di
Costanza (Fedi). Ad intender me-
glio ciò che diede origine alla
convocazione del concilio di Fer-
rara , e prosecuzione in Firenze ,
vanno letti il citato articolo , non
che gli articoli Basiiea e Fer-
rara. Tuttavolta qui daremo un
ulterior cenno delle cagioni che
indussero Eugenio IV a promul-
gare il concilio di Basilea, indi a
trasferirlo prima a Ferrara, e poi
a Firenze. Era gran tempo dac-
ché la Chiesa romana od occiden-
tale, per molle giuste cagioni erasi
separata dalla greca o orientale,
benché lo zelo de' Pontefici avesse
più volle tentato di convenire in-
sieme ad una vera e stabile unità
di fede. Cinque fra gli altri erano
gli articoli che fomentavano la con^
turnazione dello scisma, i.9 La
processione dello Spirito Santo dal
Padre e dal Figliuolo, biasimata
da' greci, i quali mal consigliati la
predicavano come cosa incogni-
ta ai padri del concilio JNiceno.
Il 2.0 verteva circa la consagra-
zione del corpo di Cristo in pane
fermentato. Il 3.° riguardava l'esi-
stenza del purgatorio, e se le ora-
zioni dei vivi giovino a' morti. Il
FIR
4-' era, se chi ha purgato vivendo
le sue colpe, o non mai era in-
corso in peccati, morendo andasse
immediatamente in paradiso. E l'ul-
timo di gran gelosia a' greci , era
se il romano Pontefice abbia il
principato della Chiesa universale,
e sia il vero Vicario di Gesù Cri-
sto. A torre via dunque queste di-
visioni, e per istabilire una perfet-
ta concordia, si presentò un'oppor-
tuna occasione, la quale fu l'in-
grandimento formidabile della po-
tenza ottomana, che riportando
vittorie e conquiste sugl'imperato-
ri greci , quel!' impero , come lo
splendore di quella chiesa erano
in decadenza. Ed è perciò che il
saggio imperatore greco Giovanni
Paleologo , e i prelati orientali si
persuasero a riunirsi ai latini, dai
quali speravano potenti soccorsi
contro i turchi. Ripugnando i gre-
ci di portarsi a Basilea, perchè
l'adunanza era divenuta concilia-
bolo, si portarono invece a Ferra-
ra da Eugenio IV, avendo alla te-
sta l' imperatore, il suo fratello De-
metrio despota di Morea, e il pa-
triarca di Costantinopoli Giuseppe,
con gran consolazione del Papa ,
e dei padri della Chiesa latiua.
Dopo sedici sessioni tenute in Fer-
rara, la peste costrinse Eugenio IV
a trasferire il concilio in Firenze,
con indicibile gioia de' fiorentini, i
quali apparecchiarono lutto l' oc-
corrente, per ricevere ospiti si au-
gusti, venerandi e rispettabili.
Cosimo de' Medici il Vecchio ,
siccome figurava il primo in Fi-
renze, per dimostrazione del suo
animo pieno di religione e genero-
sità, a' 22 o 2 3 gennaio i438 ri-
cevè con grandi onori il Papa ac-
compagnato da tre cardinali, e da
molti prelati, servito alla porta di
FIR
.«. Gallo dai priori tt dal clero fino
alla sala pontifìcia in s. Maria No-?
velia. A' 1 3 febbraio il medesimo
Cosimo andò ad incontrare il pa-
triarca Giuseppe , uomo per l'età ,
per la dottrina e pel grado molto
venerando. Egli entrò in Firenze
in mezzo del cardinal Colonna, e
del cardinal fermano di s. Maria
in Via Lata; passò per la piazza
de' Signori discesi nella ringhiera,
a nome de' quali parlò in greco
Lionardo Aretino, e fu il patriar-
ca onorevolmente alloggialo nella
casa de' Ferrantini in Finii. Tre
giorni dopo giunse l' imperatore ,
ricevuto con magnificenza conve-
niente alla sua dignità, secondo il
costume grandioso de' fiorentini nel
ricevimento de' principi. Tutti i ma-
gistrati andarono alla porla della
città, ove pure il detto Lionardo
in idioma greco fece all'imperato-
re un elegante sermone; e per re-
sidenza imperiale dal gonfaloniere
di giustizia Filippo Carducci gli fu
data tutta l'isola delle case de' Pe-
ruzzi; e poco dopo giungendo De-
metrio fralello dell'imperatore, pas-
sò ad abitaie il palazzo de'Castel-
lani; ed a misura del grado si or-
dinarono a tutti i prelati splendi-
de accoglienze. Circa al cerimonia-
le tenuto nella cattedrale di s. Ma-
ria del Fiore nell' ordine delle se-
die di tanti personaggi, tolte alcu-
ne difficoltà mosse dall' imperatore
circa il trono pontifìcio, si dispo-
sero coll'ordine seguente. Sull'alla-
re tra i lumi eranvi le immagini
de' ss. apostoli Pietro e Paolo, in
mezzo alle quali era collocala la
sagia Scrii Una, quattro passi di-
stante dall'altare. Diversi autori
scrissero che non le immagini ma
le sagre teste de' principi degli a-
postoli furono esposte in questa
FIR G3
venerabile assemblea. Ciò non è
vero, perchè mai sì preziose reli-
quie, dopo che Urbano V dal Sari-
età Sanctorum le collocò sul cibo-
rio che sovrasta l'altare papale del-
la basilica lateranense, furono da
questo luogo rimosse, come dimo-
stra il Cancellieri a pag. 3o delle
Memorie storiche delle sagre teste
de' ss. apostoli Pietro e Paolo. Fal-
la parte del vangelo era vi il soglio
del Pontefice, dopo del quale un pas-
so veniva il trono dell'imperatore di
Germania vacante; seguivano lesedie
per otto cardinali, per due patriar-
chi latini, a lato a' quali eranvi i
prelati ambasciatori di re e prin-
cipi. Seguivano otto arcivescovi, e
quarantasette vescovi, quattro ge-
nerali de' regolari , e quarantuno
abbati, tutti della Chiesa latina,
componenti un maestoso semicir-
colo. Dall'altra banda, cioè dalla
parte dell'epistola, vedevasi il tro-
no dell' imperatore greco, di por-
pora e d' oro ricchissimo, con alla
sua destra uno sgabello pel despo-
la suo fratello; di poi la sedia del
patriarca di Costantinopoli, quat-
tro palmi inferiori alla pontificia,
ornata di rosso, e coperta di por-
pora ; alquanto discosti da questa
sedevano due vicari de' patriarchi
assenti, dieciotto metropolilani, cin-
que dignità ecclesiastiche, e sette
abbati, tutti della chiesa orientale.
Sessione I. Sedutosi Eugenio IV
nel suo trono, andarono a baciar-
gli la mano i greci e i latini. Qui
noteremo che nel volume XIX ,
pag. 3o8 del Dizionario, ed all'ar-
ticolo Exocatacoeli [Vedi), par-
lammo dell'omaggio che resero ad
Eugenio IV i diaconi patriarcali di
Costantinopoli, e di grande auto-
rità, considerati come i cardinali
della chiesa greca. Indi si cantò in
64 FIR
greco l'inno : Veni Creator Spiri-
tus, dopo il quale il Papa celebrò
la messa. Siccome il patriarca di
Costantinopoli non potè intervenir-
vi, essendo caduto infermo, tutta
la disputa passò tra l' imperatore
de' greci , il quale al riferire de-
gl' istorici era dotto, e il cardinal
Giuliano Cesarmi, già presidente
del concilio di Basilea ; e fu con-
chiuso, che si studierebbe da una
parte e dall' altra qualche ripiego
per riunirsi.
Sessione II e III. Vi si aggirò
la materia intorno alla processio-
ne dello Spirito Santo. Giovanni
Turrecremata di Monte Negro pro-
vinciale de' domenicani di Lom-
bardia, insigne teologo de' latini ,
con sodi argomenti, colla Scrittura,
e colla tradizione provò che lo Spi-
rito Santo procede dal Padre e
dal Figliuolo. Spiegò dottamente
che cosa si deve intendere pel ter-
mine di processione, e disse che
procedere era ricevere la propria
esistenza da un altro. Marco ar-
civescovo d' Efeso avendo questa
proposizione accordata, Giovanni ar-
gomentando da questa disse: » Que-
j> gli, da cui lo Spirito Santo ri-
:> ceve l'essere delle Persone divi-
» ne, ne riceve anche la proces-
» sione; or lo Spirilo Santo rice-
« ve l'essere dal Figliuolo; dun-
>! que ei ne riceve ancora la proces-
» sione, secondo la propria signi-
>' flcazione di questo termine ".
Ma Marco avendo negato che lo
Spirito Santo riceve 1" essere dal
Figliuolo, Giovanni lo provò con
molti argomenti ; e confutò sì pie-
namente le obbiezioni di Marco ,
che lo fece ammutolire. A maggior
chiarezza di questo punto delica-
tissimo, non riuscirà discaio esporlo
come si legge nel Becchetti, all'ali*
FIR
no 1 4^9 della sua Storia ecclesia-
stica. Egli pertanto dice, che nella
11 e 111 sessione vi si aggirò la
materia intorno alla processione
dello Spirito Santo. Giovanni di
Monte Negro sostenne la disputa
per parte dei latini, e Marco d'E-
feso fu quegli che gli rispose a no-
me dei greci. Convennero da prin-
cipio ambedue che la voce proces-
sione si attribuiva egualmente al
Figliuolo, e allo Spirito Santo, seb-
bene si fosse dai teologi fatta pro-
pria dello Spirito Santo, ed al Fi-
gliuolo si fosse attribuita la voce
di generazione. Convennero pari-
menti che lo Spirito Santo si di-
ceva procedere da quella persona,
dalla quale riceveva ab eterno, ciò
che era. Ma quando Giovanni co-
minciò a provare che esso Spirito
Santo riceveva il suo essere dal
Figliuolo come dal Padre, e che
in conseguenza da esso ancora pro-
cedeva, e dimostrò che ciò si era
chiaramente insegnato da s. Epifa-
nio, Marco d'Efeso cominciò a so-
fisticare, e fu d'uopo per convin-
cerlo di replicare a quelle molte
sottigliezze e sofismi, che gli piacque
di produrre per non dichiararsi
convinto. Così il Becchetti.
Sessione IV. Lo stesso teologo
Giovanni mostrò in parecchi esem-
plari di s. Basilio, ch'erano stati
trasportati apposta da Costantino-
poli, che il santo dottore dice in
termini formali nel libro terzo con-
tro Euuomio, che lo Spirito Santo
procede non solamente dal Padre,
ma ancor dal Figliuolo.
Sessione V, VI e VII. Si agitò
ciò che risguardava l'autorità e le
testimonianze di s. Basilio.
Sessione Vili e IX. Giovanni
Turrecremata vi parlò lungamente
con molta erudizione e precisione,
FIR
e fece vedere che di tutti i padri
greci che hanno parlato della pro-
cessione dello Spirito Santo, molti
hanno detto , o in termini formali
o equivalenti , procedere dal Padre
e dal Figliuolo, e che tutti quelli
che hanno detto: Procede dal Pa-
dre; non hanno mai escluso il Fi-
gliuolo. Inoltre spiegò come si pos-
sono intendere queste due prepo-
sizioni , per ed ex , delle quali si
fa uso per esprimere la processio-
ne dello Spirilo Santo: e diede in
iscritto il compendio del suo di-
scorso.
I greci furono divisi : altri era-
no per la unione, tra' quali l'im-
peratore , e Bessarione arcivescovo
di Nicea e poi cardinale; gli altri
vi erano contrari, e tra questi Mar-
co d'Efeso. S'intavolarono de' ma-
neggi, si esaminò lo scritto di Gio-
vanni. Marco lo tacciava di eretico:
Bessarione per lo contrario prote-
stò altamente, che bisognava dar
gloria a Dio, e confessare sincera-
mente che la dottrina de' latini
era la stessa che quella degli an-
tichi padri della chiesa greca ; e
che si doveano spiegar quelli che
aveano parlato più oscuramente,
pegli altri che si erano spiegati
con più chiarezza. Giustificò poi
in un lungo discorso , che si ha
negli atti del concilio, il sentimen-
to de' latini sopra la processione
dello Spirito Santo, confutò le ob-
biezioni de' greci , e conchiuse poi
esortando i suoi confratelli alla riu-
nione. 11 suo parlare fu sostenuto
da quello di Giorgio Scolari, uno
dei teologi greci.
L'imperatore essendo convenuto
col Papa , che si nominerebbero
persone da una parte e dall'altra
per deliberare intorno ai mezzi di
arrivale all' unione , furono propo-
VOL. XXV.
FIR 65
sti diversi pareri, niuno de'quali
fu accettato d'ambe le parti. Dopo
molti maneggi si stese una profes-
sione di fede sopra la processione
dello Spirito Santo 3 nella quale è
detto: » Noi latini e greci confes-
m siamo ec. , che lo Spirito Santo
m è eternamente dal Padre e dal
» Figliuolo, e che ab eterno ei
» procede da entrambi, come da un
» solo principio , e per una sola
»j pi'oduzione, che chiamasi spira-
» zione. Noi dichiariamo altresì che
» ciò che hanno detto alcuni santi
« padri, che lo Spirito Santo pro-
» cede dal Padre per il Figliuolo,
»> deve essere preso in questo sen-
» so, che il Figliuolo è come il Pa-
» die, e unitamente con lui il prin-
w cipio dello Spirito Santo. E per-
« che tutto ciò che ha il Padre ,
» ei lo comunica al Figlio, toltane
m la paternità che lo distingue dal
» Figliuolo, e dallo Spirito Santo,
« quindi è, che dal Padre suo ha
» ricevuto il Figliuolo ab eterno
» questa virtù produttiva, onde lo
»» Spirito Santo procede dal Figliuo-
» lo non meno che dal Padre ".
Questa definizione fu Jetta, ap-
provata e sottoscritta agli 8 giu-
gno dagli uni e dagli altri, tolto-
ne Marco d' Efeso , il quale du-
rò nella sua ostinazione. Poscia tut-
ti si diedero il bacio di pace in
segno della riunione. Terminato
così questo affare, si trattò la qui-
stione del pane azimo , e f greci
convennero, che si poteva consa-
grare anche con questa sorte di
pane
egualmente che col fermenta-
to. Lo stesso seguì intorno alla cre-
denza del purgatorio. Fu conve-
nuto, che le anime de' veri peni-
tenti , morti nella carità di Dio ,
prima di aver fatto frutti degni di
penitenza, sono purificate dopo la
5
66 FIR
morte colle pene del purgatorio, e
che sono sollevate da quelle pene
pei suffragi de' fedeli viventi, come
sono il sagrifizio della messa, le li-
mosi ne, ed altre opere di pietà.
Si disputò lungamente intorno
al primato del Papa, finalmente i
vescovi greci stesero un progetto ,
che fu accetto al Papa ed ai car-
dinali, ed è concepito cosi : » Quan-
w to al primato del Papa, noi con-
« fessiamo , ch'egli è il Sommo
» Pontefice, e il vicario di Gesù
--> Cristo, il pastore e il dottore di
•> tutti i cristiani ; il quale gover-
" na la Chiesa di Dio, salvi i pri-
« vilegi e i diritti de' patriarchi
m d' Oriente ".
Dopo parecchie conferenze il de-
creto di unione fu steso, e fu mes-
so in netto in greco e in latino.
11 Papa lo sottoscrisse, e dopo di
lui i cardinali al numero di dieci-
otto, due patriarchi latini, quel di
Gerusalemme e quel di Grado, due
vescovi ambasciatori del duca di
Borgogna, otto arcivescovi, quaran-
tasette vescovi quasi tutti italiani ,
quattro generali di ordini religiosi,
e quarantauno abbati mitrati. Per
parte dei greci l' imperatore Gio-
vanni Paleologo sottoscrisse il pri-
mo, ma con inchiostro rosso secon-
do 1' uso de' suoi predecessori , e
dopo di lui i vicari de' patriarchi
di Alessandria, di Antiochia, e di
Gerusalemme. Quel di Costantino-
poli era morto, come diremo , poco
prima. Parecchi metropolitani sotto-
scrissero in loro nome, e a nome di
un altro assente. Questo decreto fu
pubblicato in nome del Papa , e
in data del nono anno del suo pon-
tificato. I greci al numero di tren-
ta partirono da Firenze a' 16 ago-
sto i43g, associati sino fuori di Fi-
renze da tutto il sacro collegio dei
FIR
cardinali, tre de' quali vollero ser-
vire 1' imperatore sino ai confini
del territorio fiorentino; i greci ar-
rivarono a Costantinopoli il primo
di febbraio i44o. Non solo l'im-
peratore compartì ai fiorentini mol-
ti onori in gratitudine della cor-
tese ospitalità, ma fece conte di
palazzo il gonfaloniere Carducci ,
tolse la metà delle gabelle e pas-
saggi che i fiorentini pagavano in
Costantinopoli e in tutto il suo im-
pero per le loro mercanzie , e do-
nò alla nazione un'abitazione , che
solevano avere i pisani pel conso-
le loro in Costantinopoli, oltre al-
tre grazie e favori dispensate ai
priori in compenso degli onori ri-
cevuti da loro.
Prima di dire della continuazio-
ne del concilio, sia permesso nota-
re alcuna cosa intorno alle ultime
operazioni de' greci, morte del pa-
triarca, e contegno di Marco d'E-
feso. Matteo Palmieri oratore del-
la repubblica fiorentina, fu presen-
te a tutte le sessioni elei concilio.
La concordia, o decreto di unione
delle due chiese fu pubblicata a' 6
luglio i4^9 nella cattedrale, con
tanto concorso di popolo, che non
ve n'era memoria. La pubblicazio-
ne si fece alla presenza di tutti
quelli che facevano parte del con-
cilio, in questo modo. Il Papa can-
tò solennemente la messa, e dopo
la comunione, coll'ampolla gli mi-
se l'acqua nel calice il gonfalonie-
re di giustizia Giovanni Carducci.
Dopo la messa il cardinal Cesarini
ascese il pergamo, ch'era nel mez-
zo del coro , insieme ad un dotto
vescovo greco, ed avendo in mano
una carta pecora, il cardinale lesse
le risultanze de' sunnominati cin-
que articoli principali, e ad ognu-
no tutta 1' assemblea rispondeva •.
FIR
esser contenti. Indi il vescovo gre-
co prese !a detta carta, e in greco
la lesse a tutti i greci, che con
alla voce rispondevano : esser con-
tenti, allora di tutto fecero forma-
le rogito quattro notari greci, ed
altrettanti latini , poscia ebbe luo-
go un analogo discorso, e la fun-
zione durò sei ore, solennizzandosi
in Firenze tal giorno come la do-
menica. Narra il Migliore, che il
decreto dell' unione colle legali sot-
toscrizioni fu in una cassetta d'ar-
gento portato in palazzo dal car-
dinal Cesarmi a donare alla signo-
ria, perchè restasse in Firenze la
memoria del grande atto; ed ag-
giunge che simile copia 1' ebbe poi
il cav. Zanobi Bettini, come la fe-
ce pur fare Leone X per la biblio-
teca Vaticana, ed altra il cardinal
Nerli la fece eseguire per Clemen-
te X. Inoltre si sa che due copie
se ne procurò il convento di s. Ma-
ria Novella , ed una i francescani
di Fiesole. Di poi nel i49^ Costan-
tino re de' giorgiani domandò al
Papa Alessandro VI per mezzo del
suo ambasciatore, copia del decre-
to di questo concilio sulla condan-
na degli errori de' greci , e quello
che stabilì la Processione dello Spi-
rito Santo dal Padre e dal Figliuo-
lo , e del riconoscimento del pri-
mato del romano Pontefice su
tutte le chiese del mondo.
Il patriarca di Costantinopoli
Giuseppe morì agli 1 1 giugno 14^9,
e fu sepolto con sontuose esequie
in s. Maria Novella. La tristezza
che produsse tal mancanza a' padri
del concilio, fu compensata dalla
protesta sincera ed umile confessio-
ne di fede , conforme agli articoli
della Chiesa latina, da lui sottoscrit-
ta prima di morire. Che poi i ve-
scovi greci per gelosia , incostanza
FIR 67
ed altri motivi, secondati dall'osti-
nato Marco d' Eleso , ritornati nel
loro paese riaccesero lo scisma con
maggior vo'enza di prima, abban-
donando vergognosamente la giu-
rata kàe, lo accenna il Ciacconio
all'anno i44^ con queste parole-
» Obii t Costantinopoli Joannes Pa-
ss leologus imperato»1 , qui concilio
m Fiorentino interfuerat , cui suc-
» cessit Constantinus XV, sub quo
» episcopus Ephesinus vix re versus
» ad propria apostala vi t cum epi-
» scopis , qui cum eo Florentiam
» profecti fuerant; inde ruina im-
»j perii Constantinopolitani , expu-
» gnatio sequuta est, et multa il-
» lis adversa successerunt ".
La memoria e principali cose
storiche di questo concilio, Euge-
nio IV le fece scolpire nelle porle
di bronzo della basilica vaticana ;
e l' incostanza de' greci appena fi-
nito il concilio , quel Pontefice la
espresse nella bolla , Post quam ,
data Florentiae i44r 'd. aprilis.
Ritornando alla continuazione
del concilio fiorentino, che il Papa
ordinò dopo la partenza de' greci ,
si tenne la prima sessione a' 14 di
settembre i43o, , ed i padri del
conciliabolo di Basilea, che sacrile-
gamente avevano deposto Eugenio
IV, ed eletto l'antipapa Felice V,
furono trattati come eretici e scisma-
tici. Nella seconda sessione, tenuta
a' 22 novembre, Eugenio IV fece il
celebre decreto estesissimo per riu-
nire gli armeni alla Chiesa roma-
na. Questo decreto è in nome del
solo Papa. Oltre alla fede della
Trinità e dell' Incarnazione , spie-
gate dai concili generali, che vi
sono accennati, contiene ancora la
forma e la materia di ogni sagra'
mento , esposta alquanto diversa-
mente da quel che sogliono i gre-
68 FIR
ci, e da quel che spiegano molti
teologi , perchè l' esposizione non
risguarda la sostanza, ma il modo
di esprimersi. Nella III sessione ce-
lebrata a' 23 marzo i44° Euge-
nio IV dichiarò Felice V per anti-
papa, eretico, scismatico, e tutti i
suoi fautori rei di lesa maestà •
promettendo tuttavia il perdono a
quelli che dentro il termine di cin-
quanta giorni si ravvedessero. Nel-
la IV a' 5 febbraio i44* s' ^ece
un decreto di riunione coi giaco-
biti, che fu sottoscritto dal Papa
e da otto cardinali. L' abbate An-
drea deputato del patriarca Gio-
vanni , ricevette ed accettò questo
decreto in nome di tutti i giaco-
biti etiopi , e promise di farlo os-
servare esattamente. Nella V ed ul-
tima sessione, tenuta a' 26 aprile
i442j il Papa propose la traslazio-
ne del concilio a Roma, affinchè ri-
cevesse maggior autorità, nella ba-
silica lateranense , come propria e
prima sede del romano Pontefice,
laonde partendo da Firenze a' io
marzo i443 con ventiquattro car-
dinali, arrivò a Roma a' 21 o 28
settembre, e con due sessioni a' i3
ottobre lo compì definitivamente.
Nella detta V sessione vi si fecero
de' decreti intorno la pretesa riu-
nione de' siri, de' caldei e de"" ma-
roniti alla Chiesa romana. Da tut-
tociò rilevasi quanto fece lo zelo
del gran Pontefice Eugenio IV per
riunire tutte le chiese di oriente
alla santa Sede, volendole convin-
cere colle testimonianze della sagra
Scrittura, de' concili e de' santi pa-
dri. A queste riunioni alludono quei
versi che sono incisi nelle suddet-
te porte vaticane, e da noi ripor-
tati nel volume I, pag. 28 del Di-
zionario. Veggasi Gennadio, detto
prima Giorgio Scolari o Scolarlo,
FIR
nella sua Defentio quinque capi-
timi , quae in sanata aeeumenna
fiorentina continentur, pubblicata in
Roma nel 1637; Giuliano Cesari-
ni, nella Dissertalio de inserenda
in Symbolum particula Filioque ,
habita in concilio fiorentino, la qua-
le fu stampata in Firenze nel 1762
dal dotto p. d. Rodesindo Aiuìosil-
la vallombrosano ; Orazio Giusti-
niani pubblicò gli atti del conci-
lio di Firenze in Roma nel i638
con questo titolo: Ada s. aecu-
menici concilii fiorentini , etc. col-
icela, disposila, illustrata. Regia
tom. XXXII; Labbe' tom. XIII; ed
Arduino tom. IX.
Il quinto concilio , detto comu-
nemente delle lettere rosse, fu ce-
lebrato in Firenze nel 1 5i 7 dal
cardinal Giulio de' Medici arcive-
scovo della medesima , all' oggetto
di stabilire molti regolamenti nel-
la disciplina , che vennero appro-
vati da Leone X. Da questo con-
cilio sommi vantaggi spirituali ne
derivarono, ed è perciò grandemente
lodato dagli scrittori. Gli atti si
stamparono in Firenze nel i5i8,
ed evvi pure la bolla di Leone X.
Mansi tom. V, pag. 407. Notano
gli scrittori fiorentini che il quin-
to e sesto concilio di Firenze non
sono che i sinodi 1 e II provincia-
li fiorentini. V. Hetruria sacra,
F. Ildephonsi a s. Moisio, Firenze
1782 pel Cambiagi.
Il sesto concilio si adunò nel
1073 per dare esecuzione al con-
cilio di Trento, essendo arcivesco-
vo Antonio Altoviti. Questo conci-
lio, nel quale si tennero quattro
sessioni, contiene sessantatrè articoli
relativi alla sacra Scrittura, ai set-
te sagramenti, al culto dei santi,
alle indulgenze , alla supremazia
della Chiesa romana , al rispetto
FIR
dovuto alle reliquie ec. Trattasi
pure ne' medesimi articoli della ce-
lebrazione delle feste , della disci-
plina ecclesiastica , dei doveri del
clero secolare e regolare ; come an-
cora prescrive molti regolamenti
pel buon ordine dei monisteri , e
per le procedure contro gli eccle-
siastici. Mansi toni. V, pag. 9i5 e
seguenti.
L'assemblea poi de' vescovi to-
scani, che nel 1787 si tenne in Fi-
renze nel regno del granduca Leo-
poldo I, essendo arcivescovo di que-
sta città Antonio Martini, ebbe luo-
go a cagione del famoso sinodo di
Pistoia (Vedi), celebrato dal ve-
scovo Scipione Ricci, ardente segua-
ce de' giansenisti , che godeva la
protezione del sovrano nel conve-
nire sulle lagrimevoli innovazioni e
riforme ecclesiastiche. Appena ter-
minato il nominato funesto sinodo,
incontrò subilo nella stessa Tosca-
na fortissime opposizioni, per sopi-
re le quali risolvette il granduca di
convocare un'assemblea dei tre ar-
civescovi , e dei quattordici vescovi
de' suoi stati , nella quale si pre-
parassero le materie da trattare in
un concilio nazionale 3 e si dispo-
nessero quei prelati a favorire i
fatali cangiamenti che il Ricci de-
siderava introdurre, ed a fare poi
in grande ciò eh' egli eseguiva in
piccolo a Pistoia. Degli altri motivi
che determinarono questa assemblea,
degli ordini dati dal sovrano per la
medesima, ed altro che gli è rela-
tivo , ne tratta il continuatore del
Bercastel , nella Storia del cristia-
nesimo , tom. XXXV, pag. 190 e
seg. dell'edizione veneta dell'Anto-
nelli. Il granduca con moto-pro-
prio de' 14 marzo 1787 elesse un
commissario all' assemblea , accioc-
ché in suo nome soltanto conser-
FIR 69
vasse in essa la libertà, il buon or-
dine e le reciproche convenienze ;
a cui aggiunse due professori di
diritto canonico nell' università di
Pisa , quattro teologi e due segre-
tari , questi per registrar le deli-
berazioni e discussioni, gli altri con
libertà di parlare, senza aver però
voce deliberativa. La riforma degli
abusi introdotti nella disciplina, lo
stabilimento di buone massime per
la istruzione del popolo , 1' unifor-
mità della dottrina e degli studi ,
la quiete dello stato erano gli og-
getti che il principe proponeva in
generale ai suoi vescovi. L' assem-
blea venne fissata pel giorno 2 3
aprile 1787 in una sala del palaz-
zo dei Pitti detta de' Novissimi , e
molti vasti conventi della città fu-
rono allestiti per alloggio de' vesco-
vi. Gli arcivescovi erano quelli di
Firenze , di Pisa e di Siena ; e i
vescovi quelli di Colle, di Fiesole,
di s. Miniato, di Pistoia e Prato, di
Chiusi e Pienza, di Borgo s. Sepol-
cro, di Massa e Populonia, di Soana,
di Montalcino, di Arezzo, di Cor-
tona, di Montepulciano, di Volter-
ra, e di Pescia, mancandovi quello
di Grosseto, che pei suoi incomo-
di e decrepitezza non potè inter-
venirvi.
L' assemblea si disciolse dopo
diecinove sessioni , a' 5 giugno ,
non avendo voluto gli arcivescovi
e vescovi sentire parlare del sino-
do pistoiese , mostrando contro di
esso fortezza e petto sacerdotale.
Dopo i preliminari usati in questa
assemblea, furono proposti i seguen-
ti ed altri articoli. i.° Che si rifor-
merebbe il breviario ed il messa-
le, restando i tre arcivescovi della
Toscana incaricati di questo lavo-
ro. 2.0 Che si tradurrebbe in vol-
gare il rituale, perciò che riguar-
7o FIR
da l'amministrazione de' sagrameli*
ti, ad eccezione delle parole sagra-
mentali , che si direbbero sempre
in latino. 3.° Che i curati avreb-
bero sempre la preferenza sopra i
canonici , anche della cattedrale.
4-° Che la giurisdizione de' vescovi
è di diritto divino. Ricci voleva di
più, che si rendesse all'episcopato
ciò eh' egli appellava suoi diritti
primitivi. Quattro de' suoi colleghi
l'appoggiarono, ma gli altri ricusa-
rono d' intavolare una discussione,
messa sol per somministrar un mez-
zo di querele e di discordie. Fu-
rono ancora discordi i suffragi sul
piano degli studi ; sulla moltiplici-
tà degli altari nella stessa chiesa ,
ciò che sembrava al Ricci un abu-
so enorme , che il medesimo non
poteva soffrire : sulla soppressione
degli altari privilegiati ec. Avendo
questo vescovo proposto di cambia-
re il giuramento che al Papa fan-
no i vescovi nella loro consagra-
/ione, dodici de' suoi colleghi riget-
tarono questa nuova riforma. 11 ve-
scovo di Chiusi sperando di trova-
re in questa assemblea de' giudici
meno severi che a Roma, sottopo-
se la sua pastorale all' esame dei
prelati : ma questi pronunziarono,
come avea fatto Pio VI , eh' essa
era piena di errori, e di uno spi-
rilo di scisma e di eresia , e colla
stessa fermezza censurarono gli scrit-
ti che il Eicci faceva stampare a
Pistoia per pervertire l' Italia. Sic-
ché vedendo questo disgraziato in-
novatore, che nulla poteva sperare
dai vescovi attaccati alla santa Se-
de, nemici dello scisma, della di-
scordia , e che tanto piìi si crede-
vano obbligati a rintuzzare le in-
novazioni, quanto queste più erano
protette, prese il partito di far scio-
gliere l'assemblea. Il granduca fe-
FIR
ce stampare a sue spese quanto ri-
guardava questa assemblea in set-
te tomi in quarto, oltre altro in
ottavo. Il primo volume contiene
i regolamenti inviati dal grandu-
ca a' vescovi, colla loro risposta. Il
secondo, le deliberazioni dell'assem-
blea. Il terzo le memorie de' pre-
lati. Il quarto le risposte a queste
memorie. 11 quinto l' esame della
pastorale del vescovo di Chiusi so-
pra molte verità della religione. Il
sesto l'apologia degli scritti pubbli-
cati a Pistoia contro la censura
che i quattordici vescovi ne aveva-
no fatto. Il settimo un esame cri-
tico di una lettera di monsignor
Franzesi vescovo di Montepulciano.
E l'ultimo l' istoria dell' assemblea
distesa, come lo poteva essere, dal-
l' autore della collezione medesima.
Nel 1788 fu stampata a Firenze
in tre tomi V Istoria dell' assem-
blea degli arcivescovi e vescovi del-
la Toscana tenuta in Firenze l'an-
no 1787.
FIRMIAN Leopoldo Ernesto,
Cardinale . Leopoldo Ernesto di
Firmian nacque da nobile famiglia,
nella città di Trento, a'22 settem-
bre 1708. Compiti egregiamente
i suoi studi, avendo inclinazione
per lo stato ecclesiastico, si ordinò
sacerdote, e per la sua lodevole
condotta e cognizioni meritò di es-
sere elevato al grado episcopale.
Ed è perciò che il Pontefice Be-
nedetto XIV lo fece vescovo di Se-
covia nella Stiria, donde il succes-
sore Clemente XIII, nel concistoro
de' 26 settembre 17G3, lo trasferì
alla chiesa di Passavia. Quindi il
Papa Clemente XIV nella sua no-
na promozione cardinalizia, fatta
nel concistoro de' 1 4 dicembre 1772,
lo creò cardinale dell' ordine dei
preti, destinando monsignor Pietro
F I R
Antonio Tioli suo cameriere segre-
to e guardaroba, a portargli la ber-
retta rossa. In occasione poi che
il Pontefice Pio VI nel 1782 si
recò a Vienna dall'imperatore Giu-
seppe II, nel concistoro che tenne
in quel palazzo imperiale a' 19 a-
prilc, impose al cardinale il cap-
pello cardinalizio, dipoi fece la ce-
ìiuioiiia di chiudergli ed aprirgli
la bocca, gli die per titolo la chie-
sa di s. Pietro in Mon torio, e l'a-
nello cardinalizio; indi nella sera
per monsignor Caleppt uditore del-
la nunziatura di Vienna rimise al
cardinale colle solite formalità il
cappello cardinalizio, venendo re-
golato 1' ablegato di una scatola
d'uro contornata di brillanti. Poscia
Pio VI lo annoverò alle congre-
gazioni cardinalizie di propaganda
fide, de' vescovi e regolari, delle
indulgenze e sagre reliquie. Con
lode di vigilante pastore, siccome
adorno di molte belle virtù, morì
questo porporato nell'età di settanta-
cinque anni in Passavia a' i3 mar-
zo 1783^ venendo decorosamente
esposto, e sepolto in quella catte-
drale. Di questo insigne porporato
vescovo e principe di Passavia, del-
l'antichità di sua nobilissima fami-
glia di Trento, e del celebre con-
te Carlo suo nipote fatto educare
dal cardinale in Salisburgo, ne
tratta il Cancellieri a pag. 3i del-
le Notizie della vita di monsignor
Tioli, ec.
FIRMINO (s.) , primo vescovo
d'Amiens. Predicò la fede nel ter-
ritorio di Albi, ad Agen, poi in
Alvergna, neh' Angiò, a Beauvais
ed in Amiens, e sparse il suo san-
gue per essa verso l'anno 287.
Scorgesi da' suoi atti, ch'ebbe per
patria Pamplona, ove è onorato co-
me principale patrono. S, Firmino
FIR 71
detto il Confessore, gli fabbricò una
chiesa ove Faustiniaoo suo padre
lo aveva seppellito, la quale fu de-
dicata alla santa Vergine. Questo
santo martire onorasi il 25 settem-
bre.
FIRMINO (s.), detto il Confes-
sore. Figlio di Faustiniano , uno
dei primi magistrati delle Gallie ,
il quale avendolo fatto battezzare
da s. Firmino martire, volle che
portasse il nome di quello che Io
avea rigenerato. Fu eletto vesco-
vo di Amiens, verso la metà del
quarto secolo, e governò la sua chie-
sa per quarant'anni. Sepolto nella
chiesa della santa Vergine ch'egli
Gvea fatta fabbricare , fu di là tra-
sferito alla cattedrale nel settimo
secolo, da s. Salvio. Otgero, vesco-
vo d'Amiens, donò nell'893 parte
delle sue ossa alla collegiata di s.
Quintino, e il cardinale Simone le-
gato apostolico, nel 1279 pose le
di lui reliquie in un' arca nuova,
le quali furono verificate da Pie-
tro Sabbatier, vescovo della stes-
sa città, nel 1 7 15. Alla fine del-
l'ultimo secolo alcuui critici volle-
ro contendere alla cattedrale di
Amiens l'onore di possedere le re-
liquie di s. Firmino confessore ,
ma furono solidamente confutati.
E onorato il primo settembre.
FIRMINO (s.). Nacque nella
Gallia uarbonese, e forse a Narbo-
na, da ragguardevoli genitori, che
lo posero, in età di dodici anni,
sotto la guida di suo zio Norizio
vescovo di Usez. Firmino corrispo-
se pienamente alle cure di questo
prelato, per cui fu ordinato prete
prima dell'età prescritta da'eanoni,
e di venlidue anni successe a suo
zio nel vescovato. L' orazione e la
mortificazione furono i principali
mezzi di cui si servì per santifi-
72 F1R
carsi nel suo ministero. Resse sag-
giamente la chiesa di Usez, assistè
al quarto ed al quinto concilio di
Orleans, nel 54 1 e 549, non cne
al secondo di Parigi, circa il 55 1.
Mori agli 1 1 di ottobre del 553
di trentasett' anni. La sua festa è
indicata in questo dì nei martiro-
logi, ed anche ai i di maggio,
senza dubbio a cagione della tras-
lazione del suo corpo.
FIRMINO, Cardinale. Firmino
fu aggregato al sacro collegio dei
cardinali di santa Romana Chie-
sa da Alessandro II, col quale si
trovò nel 107 1 in Montecassino
alla solenne dedicazione di quella
chiesa. Fu il primo tra i cardi-
nali preti che sottoscrissero la me-
moria dell'anzidetta dedicazione.
FIRRAO Giuseppe seniore, Cardi-
nale. Giuseppe Firrao, nato di no-
bile famiglia in Napoli, nel 1669,
ancor giovanetto si recò a Roma,
cominciò gli studi nel seminario, e
prosegui poi nella giurisprudenza,
di cui ottenne la laurea nell'archi-
ginnasio romano. Nel i6g5 s'in-
trodusse nella carriera prelatizia, e
poco dopo fu incaricato della vice-
legazione di Urbino, e del governo
di alcune città dello stato pontifi-
cio, cioè Loreto, Ancona, Civita-
vecchia, Viterbo e Perugia. Com-
piuto quest'officio con soddisfazione
di Clemente XI, ottenne il posto
di ponente di consulta e votante
di segnatura, non che la carica di
visitatore apostolico delle provincie
dell' Umbria e della Marca. Nel
1714 fu spedito nunzio straordi-
nario alla corte di Portogallo, per
recare le fasce benedette al prin-
cipe del Brasile, e dopo due anni
nunzio ordinario agli svizzeri, dove
molto si adoperò per ristabilire la
disciplina ne' monaci e nei regola-
FIR
ri, e specialmente nel celebre mo-
nistero di Catnpidona. Trasferito
dipoi qual nunzio ordinario anche
nel Portogallo, dovette trattenersi
sui confini di quel regno e della
Spagna per tutto il pontificato di
Benedetto XIII, per motivo di al-
cune controversie insorte colla san-
ta Sede. Clemente XII però lo pro-
mosse al vescovato di Aversa, ed
a' 24 settembre del l'jZi lo creò
cardinale prete di s. Tommaso in
Parione, il qual titolo cangiò nel
1740 con quello di s. Croce in
Gerusalemme. Fu ascritto quasi a
tutte le congregazioni di Roma, ed
ebbe la proteltoria della religione
gerosolimitana, e de' romitani di s.
Agostino. Ma sperimentato il clima
di Aversa poco confacente alla sua
salute, rinunziò quella chiesa, e
tornatosi a Roma fu eletto segre-
tario di stato in luogo del defun-
to cardinal Antonio Banchieri. Mo-
rì nel 1744) e venne deposto nella
chiesa del suo titolo, nel sepolcro
dinanzi l'aitar maggiore, che vi-
vente ancora si avea preparato.
FIRRAO Giuseppe giuniore, Car-
dinale. Giuseppe Firrao ebbe i nata-
li da famiglia nobile in Napoli a' 20
luglio 1736, e corrispondente ne fu
l'educazione e gli studi. Bramoso
di dedicarsi in servigio della santa
Sede si portò in Roma, e fu col-
locato nel collegio Nazareno; indi
abbracciò la vita clericale, e fu
fatto da Clemente XIII suo ca-
meriere segreto soprannumerario ,
e nel 17^9 dichiarato ablegato a-
postolico per portare in dono alla
repubblica di Venezia la rosa d'o-
ro da lui benedetta. Annoverato
nella romana prelatura fu dichia-
rato vicelegato a Ravenna , e suc-
cessivamente venne aggregalo tra i
prelati addetti alle sagre congre-
FIR
razioni dell' immunità ecclesiastica,
e della reverenda fabbrica di s.
Pietro, non die ponente di quella
di consulta di cui divenne decano,
e più volte fece le veci di segre-
tario. Il cardinal Casali diacono
della insigne cbicsa di s. Maria ad
Martyres, ivi lo nominò suo vi-
cario. Il Papa Pio "VI prendendo
in considerazione le sue qualità ,
affabilissime maniere , e carriera
prelatizia, nel concistoro de'2 5 feb-
braio 1782 lo dichiarò arcivesco-
vo di Petra in partibus, .indi no-
minollo nunzio apostolico alla re-
pubblica di Venezia, da dove nel
1 792 lo richiamò in Roma per
farlo segretario della sagra congre-
gazione de' vescovi e regolari, don-
de l'avrebbe promosso al cardina-
lato se le note politiche vicende
non l'avessero impedito. Finalmen-
te ne premiò i meriti il successo-
re Pio VII nel concistoro de' 2 3
febbraio 1801, creandolo cardinale
dell'ordine presbiterale, conferen-
dogli per titolo la chiesa di s. Eu-
sebio, e le congregazioni de' vesco-
vi e regolari, della residenza dei
vescovi, della disciplina, e della sa-
gra consulta, indi lo die in pro-
tettore alla terra di Belvedere nel-
la Marca. Benché in progresso di
tempo sia giunto ad essere primo
cardinale prete , siccome dimorò
quasi sempre in Napoli, non passò
al titolo di s. Lorenzo in Lucina,
che sogliono avere i cardinali pri-
mi dell'ordine presbiterale. Visse
in quella città sino alla morte vi-
ta tranquilla e ritirata, e solo por-
tossi in Roma pei sagri comizi in
cui furono eletti Leone XII, e Pio
Vili. Morì adunque in Napoli di
circa novantaquattro anni di età ,
e venlinove di cardinalato, a' 24
gennaio i83o, dopo quaranta gior-
FIS 73
ni di penosa malattia, venendo tu-
mulato nel sepolcro di quegli ar-
civescovi nella chiesa metropolita-
na. Francesco Cancellieri, che go-
deva la stima di questo porporato,
celebra i suoi pregi e quelli del
fratello d. Tommaso principe di
Luzj, a pag. 487 de' suoi Possessi
de' Pontefici.
FISCALE GENERALE, e Pro-
curatone generale del fìsco della
reverenda camera apostolica. V.
Fisco.
FISCHER Giovanni, Cardinale.
Giovanni Fischer, soprannominato
il cardinale Roifense, nacque in
Boverlac, diocesi d' York , 1' anno
i45g. Ebbe il grado di dottore
nell'università di Cambridge, e poi
ne fu cancelliere e presidente. La
contessa Margherita, madre di En-
rico Vili, lo trascelse a suo con-
fessore , e direttore spirituale di
tutta la famiglia. A di lui persua-
sione quella pietosa principessa e-
resse in Castiglia i due collegi di
s. Salvatore e di s. Giovanni e-
vangelista, non che la nuova catte-
dra di teologia dommatica nell'u-
niversità di Oxford. Enrico VII lo
volle a precettore del suo figliuo-
lo Enrico Vili, e nel i5o4> sotto
Giulio II, lo nominò alla chiesa
di Rochester , eh' egli poi ritenne
sino alla morte, rifiutandosi di ri-
cever mai sempre qualche altra
sede per la vista di migliorare il
benefizio. Divenuto sovrano il suo
discepolo Enrico Vili, non mancò
di ammonirlo con sacerdotal li-
bertà per le scostumatezze oude
scandalezzava il suo regno, ed anzi
in un pubblico concilio raccolto in
York dal cardinal Volseo , legato
d'Inghilterra, gli chiese conto della
disciplina del clero, che per la in-
dolenza di lui andava sensibilmen-
74 FIS
te declinando. 1" «[nello stesso con-
cilio rimproverò al legato il fasto
eccessivo della sua corte, e gli stessi
suoi gravi del itti ; ma tanto zelo
ed amore pel bene della Chiesa ,
fu appunto un grande incentivo
«Iella gelosia e della invidia, per
cui alla fine egli divenne l'odio
dello stesso monarca. Infatti avea
scritto assai forte contro il dete-
stabile divorzio fatto dal re contro
Caterina sua legittima consorte ;
e composto un erudito volume sul-
l'autorità unica e suprema del ro-
mano Pontefice in riguardo allo
scioglimento de' matrimoni , non
ebbe tema di sorta a presentarlo
ai legati della santa Sede , che
forse in qualche parte propende-
vano a favorire le parti del princi-
pe. E quando Enrico Vili, giunto
al colmo de' suoi eccessi , diehia-
ì-ossi capo universale della chiesa
d'Inghilterra, levò egli altamente
la voce, e vi si oppose con tutto
il fuoco di un animo che null'al-
tro sentiva in fuori del bene della
cattolica Chiesa. E vero che da
principio avea prestato il giuramen-
to di supremazia, senza ben cono-
scerne il delitto, ed aggiugnendovi
questo correttivo, salva l'ubbidien-
za dovuta alle leggi di Dioj ma
poco dopo se ne pentì acerbamen-
te, ed in pieno consiglio ricusò di
sottoscrivere l'atto legale, che sta-
biliva codesto primato, adducendo
con tutta fermezza che la coscien-
za, e l'amore della propria salute,
e il dover dell'esempio non l'avreb-
bero giammai permesso. Indarno
si tentò di vincere la sua costan-
za : e quando gli fu detto eh' ei
dovea riformare la sua coscienza
ingannatrice sopra il gran consi-
glio del regno, rispose che dovea
piuttosto guardarsi dal dividersi
FIS
dal consiglio di tutta la cristiani-
tà cattolica , la quale non vede
che il solo suo capo nel romano
Pontefice. Sdegnatosi Enrico Vili di
tanto valore, lo fece chiudere in una
oscurissima carcere, ordinò che gli
fossero tolte tutte le rendite ve-
scovili, e che non gli fossero la-
sciate che alcune povere vesti, col-
le quali appena si potea guaren-
tire dal rigido freddo. Paolo IH
fatto consapevole della di lui in-
trepidezza e del coraggio onde tol-
lerava tanta persecuzione, nel con-
cistoro de' 2 i maggio 1 535 lo creò
cardinale prete di s. Vitale. 11 Pa-
pa aveva in mira d' ispirar con
ciò una maggior venerazione per
quell'illustre prigioniero, e d'im-
pedire almeno che si attentasse al-
la di lui vita. Ma questo passo al-
l' incontro non giovò che a rad-
doppiare le diffidenze del principe,
il quale ordinò di ricercare se il
prelato avesse richiesto di sua vo-
lontà un tal onore, oppure se da
prima ne avesse avuto notizia II
santo vecchio gli mandò a dire ,
che grazia al cielo non aveva avu-
ta mai alcuna ambizione negli an-
ni suoi più floridi, e che quand'an-
che vi fosse stato in altri tempi
qualche sospetto, lo stato in cui si
trovava, indipendentemente dall'a-
vanzata sua età , la sua prigione ,
le sue catene, la morte di cui in
ogni istante veniva minacciato, lo
giustificavano bastantemente. 11 re,
lungi dal calmarsi ad una tal re-
lazione, disse, insultando il Papa:
» Ebbene mandi egli pure il suo
» cappello, quando più vorrà ; ma
» quando desso arriverà qui, sarà
« caduta la testa che dee por-
» tarlo ". Immediatamente fece fa-
re il processo al santo confessore,
il quale quattro giorni dopo, cioè
FIS
a' 11 di 8'uSn0 ^e' ! 535, fu con-
dannato al supplizio de' rei di le-
sa maestà. Al momento che si do-
vca compiere la sentenza , dicesi
eli' egli si \estisse de' migliori abi-
ti che avesse avuti, come un dì
di allegrezza , esclamando eh' egli
doveva andare alle nozze. Monta-
to quindi il palco , e recitato il
Te Deum, dichiarò pubblicamen-
te che moriva in difesa della cat-
tolica religione, e come di lei ub-
bidientissimo figlio. Poscia raccol-
tosi in Dio, raccomandogli calda-
mente il suo spirito, e pose subito
il capo sotto alla mannaia del car-
nefice. Quella veneranda testa, per-
chè fosse compiuto il sacrilegio or-
rendo, fu posta per quindici gior-
ni, appesa ad un'asta, sul ponte di
Londra, e corre tradizione che il
Signore la conservasse cosi viva e
bella, come fosse stata nel vigore
della più robusta gioventù. Aveva
egli governata la chiesa di Ro-
chester con somma edificazione pel
corso di trent'anni, emulando gli
esempli e le virtù dei vescovi del-
l'età apostolica. Era ospitale coi
pellegrini, compassionevole dei po-
verelli, degl'infermi, de' carcerati ,
liberale co' giovanetti di buon ta-
lento, protettore de' letterati, e de-
votissimo di Maria. Con sé stesso
poi spiegava molla rigidezza , di-
giunando sovente e flagellandosi
senza compassione. La di lui dot-
trina pareggiava la sua virtù. A
giudizio de' più dotti critici, egli
è tenuto per lo scrittore che me-
glio di ogni altro ha confutato gli
errori di Lutero, di Ecolampadio
e degli altri novatori del suo tem-
po. Si crede che avesse molta par-
te nel trattato di Enrico Vili con-
tro Lutero , ed anzi che avendo
egli impreso a farne tutta la fati-
Fi S fS
ca , ne abbandonasse poi tutta la
gloria al suo principe. E questa
certamente la ragione per cui que-
st'opera intitolata Difesa de selle,
sacramenti ', è stata messa alla te-
sta di quelle di Fischer, le quali so-
no raccolte in un \oluine in foglio,
stampato in Wirtzburgh nel i5o,7.
Era egli eccellente teologo, consu-
mato nello studio della Scrittura,
de' padri, delle lingue dotte, pie-
no di buon senso e d'intendiinen-
to, uno de' più eruditi, de' più e-
satti, de' più concludenti disserta-
tori del secolo decimosesto. S. Car-
lo Borromeo avea per questo mar-
tire tanta venerazione quanta ne
nudriva pel dottore s. Ambrogio,
ed anzi fece dipingere la sua im-
magine per averlo sempre dinanzi
agli sguardi.
FISCO. Deriva dalla parola la-
tina Jlscus, che significa un panie-
re di vimini ; e perchè in esso si
riponeva il denaro , i romani a
tempo degl' imperatori , chiamaro-
no Fisco il tesoro del principe, per
distinguerlo dal tesoro pubblico ,
chiamato sErarium, onde non con-
fondere il tesoro degli imperatori ,
col denaro destinato alle spese del-
lo stato. Per fisco s'intende: i.°
l' interesse pubblico de' minori, de-
gli ospedali , delle comunità che
sono sotto la protezione del sovra-
no e degli officiali a ciò da lui de-
stinati ; i.° per tutti i beni appar-
tenenti al principe, di qualunque
natura essi sieno , ed in particola-
re il regio patrimonio j 3.° il teso-
ro dello stato. 11 Dizionario della
lingua italiana, definisce il fisco :
» Pubblico erario, al quale s' ap-
» plicano le facoltà, e le condan-
» nagioni de' malfattori, e le ere-
« dita di coloro che muoiono sen-
» za legittimo erede ". Il fiscale è
yfi FiS
ii capo e soprantcndente del fìsco.
Bella, dotta, ed erudita è la XVII
dissertazione del Muratori, Del fi-
sco e della camera de' re, vesco-
vi, (lucili, e marchesi del regno d l'I-
talia, che riporta nel tom. I delle
sue Dìssert. sopra le antichità ita-
liane, della quale noi daremo qui
appresso un sunto, unendovi l' e-
rudizioni analoghe di altri scrittori.
Dacché cominciarono sulla terra
ad esservi de' re, ebbe origine an-
che il fìsco, ed è sempre durato
dipoi. Al tempo degli antichi im-
peratori romani si chiamava sac-
cus, cioè borsa o tesoreria del prin-
cipe, per distinguerlo dall'altro del-
la repubblica appellato aerarium.
Saccus in questo senso si trova
adoperato da s. Agostino, e da al-
tri. All'articolo Sacellario {Vedi),
parleremo d'uno de' primi ufficiali
antichi della santa Sede che por-
tava tal nome, e che fungeva l'of-
fìzio di tesoriere. V. Tesoro pon-
tificio. 11 Rinaldi all'anno 112, n.
5, parlando del titolo fiscale, nar-
ra che il Papa s. Evaristo a detto
anno divise in Roma ai preti i ti-
toli, per cagione dell'ingrandimen-
to della religione cristiana. Quindi
aggiunge che in quanto alla voce
titolo, pare che tale denominazio-
ne sia stata presa dalle cose fisca-
li, perocché soleva il fisco appro-
priarsi i beni, e consecrarli, come
dicevano, al principe con porvi il
titolo. Erano questi titoli certi veli
con l'immagini o co' nomi degl'im-
peratori, che s. Ambrogio chiamò
regie cortine ; ma appresso i cri-
stiani il titolo con che s' applicava
qualche cosa al culto divino , era
la croce. Il medesimo Rinaldi al-
l'anno i34, n. 2, racconta che
1' imperatore Adriano fece 1' editto
dell'applicarsi al fisco la ventesima
FIS
parte dell'eredità, e da esso sem-
bra eh' egli abbia preso occasione
d'istituire, secondo che ne scrive
Sparziano, l'avvocato del fisco. Bion-
do da Forlì, nella sua Roma trion-
fante, tratta del fisco a pag. 188
e seg., ove dice che l'erario di Ro-
ma fu nel tempio di Saturno, per-
chè nel regno di tal deità non fu
commesso furto alcuno , ovvero
perchè ivi lo costituì Valerio Pu-
blicola come luogo sicuro e forte,
e perciò ivi pure custodi vansi gli
atti pubblici, dicendoci Svetonio che
Cesare bruciò tutte le obbligazioni
di coloro eh' erano debitori al fi-
sco, ch'egli trovò nell'erario.
L' avvocato Martinetti nel suo
Codice universale de' doveri, a pag.
338, ci dà alcuni cenni sull'origi-
ne del fisco e sua storia, come se-
gue. L' idea del fisco e dell'erario
l'avevano pure i nostri antichi, non
già il nome sinonimo , e per dir
meglio essenziale che gli si dà og-
gidì , nel vocabolo camera, e beni
camerali. Non s' incontrano tali e-
spressioni nelle pandette, nel codi-
ce o nelle novelle, ina solo nelle
costituzioni degli imperatori Fede-
rico I, Enrico VII e Federico III si
cambia la denominazione del fisco
in quella della camera, su di che
va consultato Pietro Mullero nella
dissertazione De camera principi».
Nelle quistioni fiscali o camerali ,
nacque quella, se in caso dubbio,
e nel procedimento di una verten-
za contenziosa, debba il fisco o la
camera eguagliarsi ai privati, e ser-
virsi del commi diritto, senza ac-
cordargli né privilegi, né rescritti.
L'economia pubblica sembra deci-
dere la cosa contro il fìsco, e non
manca di autorevoli appoggi de-
sunti dalla storia e dalle leggi. Au-
relio Vittore, Epit. cap. 3g, ripor-
FIS
ta che Ponipca Platina moglie di
Traiano, assai rimproverando V im-
peratore che autorizzasse le vessa-
zioni fiscali delle provincie , fece
l'arguto paragone del fisco alla
milza: qued ea crescente arlus re-
liqui tabeseerent. Egualmente face-
to è il paragone tra il fìsco ed il
ventre del poeta Corippo presso il
Denipslero, in not. ad Rositi, oniiq.
lib. 1, e. 36. Di fatti venendo alle
leggi, si offre in primo luogo la
novella 161 , cap. 2, che si attri-
buisce a Giustiniano, ma che i giu-
reconsulti Antonio Agostini ^ Enri-
co Agileo, ed Enrico Scrimgero con
maggior critica rendono all' impe-
ratore Tiberio , ed in essa sono
belli precetti di vera economia pub-
blica. E tornando alla storia, Giu-
lio Capitolino nella vita dell' impe-
ratore Antonino , cap. 1 2 , riferisce
per lode : Quod in compendio cait-
sìs judicans, numquam Jisco fave-
ril. Lampridio parlando di Alessan-
dro Severo narra : Quod ad au~
mm colligendiim attenta s, ad ser-
vanduni cautns , ad invenienduni
sollicitus fuerit , sede sine cujus-
quarn excidio. Plinio nel panegiri-
co a Traiano, non poco gli dà lode
dicendo : Praecipua gloria tua est ,
saepius vincilur fiscus, cuj'its causa
numquam mala est, nisi sub bono
principe. Né minor lode meritò
Giustiniano nella 1. 7 , § 4 » c°d-
De cad. toll. E siccome tale au-
gusto non abbandonò il parere di
Molestino, che interrogato un gior-
no (1. io, § De jure fìsci) se nel
dubbio dovesse opinarsi per il fì-
sco, rispose : Non cum delinquere,
qui in duliis quaestionibus centra
fiscum facile risponderli. Finalmen-
te gl'imperatori Teodosio e "Valen-
tiniano nell'anno 429 emanarono
la celebre 1. 4, cod. De kg. et con-
FIS 77
stit. princ. : Digna vox e$t maje-
state regnantis, legibus alligatimi
se principini profìteri. Adco de au-
ctoritale j'uris nostra pendei et au-
cioritas , et revera majus imperio
est submittere legibus prineipalum.
Et orando praesentis nostri edicti,
quod in nobis licere non palimur,
aliis indicamus. E lo stesso Teodo-
sio (1. 68, cod. De app. et con-
sult. ) consagrò il principio : Salva
enim nostrae reverenda majestatis ,
jus nobis cum privatis non dedigna-
mur esse comune. Samuele Slriihio,
nella disserfazione che pubblicò nel
i634 ad Piala, De scnlentia con-
ila fìscum ferenda , strettamente
prova questi due precetti. 1 .° Che
in un caso dubbio il fìsco non go-
de alcun privilegio , né deve abu-
sare di alcun rescritto per far pre-
ponderare il giudizio a suo favore.
2.0 Che in dubbio il fìsco deve giu-
dicare con le regole del gius co-
mune, e riputarsi come un priva-
to. Altra consimile dissertazione da
Enrico Bergero venne stampata
nel i635 a "WittemLerga con chie-
sto titolo : De jure fisci in dubiis
quaestionibus, ove al § 1 3 ponesi
questa parola : Fiscus quotìes res
ambigua discutienda est, ulitur ju-
re comuni.
Ebbero non meno il loro fìsco i
re longobardi , franchi e tedeschi
in Italia ; e colavano colà i tribu-
ti, si per mantenere la corte, co-
me per la difesa del regno, e per
altre occorrenti guerre. Sotto i lon-
gobardi spesso è fatta menzione
Curtis regiae : con questo nome
designavano il fìsco. Nella legge
157 di Rotali, si ha : Si intendo
fuerit centra Corfem regis. Nella
1 58 : Curdi regia ipsas duas un-
oias suscipiat. Nella 1 85 : Compo-
noni pio culpa in Curie regis so-
78 FIS
lidos ctntutn. Lo stesso significava
la voce Palatiwn, e di quella so-
vente si servirono gì' imperatori
francesi. In un privilegio concedu-
to nell'anno 83o, alle monache del-
la Posteria di Pavia da Lotario I
imperatore è intimata ai trasgres-
sori la pena di sessanta libbre d'oro
ottimo , da applicarsi mecìictatem
Palatìo nostro, et medietatem par-
li cjusdem monasterii. Lo stesso
abbiamo in vari diplomi di Carlo
il Grosso , di Guido e Lamberto ,
e di altri imperatori. Del pari u-
savano essi la parola Fiscus, e mas-
simamente nelle donazioni fatte ai
monisteri ed altri luoghi sagri, col-
la seguente formola , che si legge
in un diploma di Lodovico II im-
peratore, con cui nell'anno 854
conferma a Dodone vescovo di No-
vara tutti i suoi beni e diritti: Et
quidquid de praefatae Ecclesiac
rebus jus Fisci exigere poterai etc.,
integrimi praefatae concedimus Ec-
clesiae. Senza di questo privilegio
allora i beni della Chiesa avrebbe-
ro pagato tributo al fisco. Perciò
di tal formula ed indulto abbon-
dano tanto in Italia, che in Fran-
cia e Germania i privilegi conce-
duti alle chiese. Anche ne' vecchi
secoli per significare il fìsco fu a-
doperata la voce Camera. Viene
riferito da Eginardo il testamento
di Carlo Magno , in cui quel piis-
simo monarca ordinò, che le chie-
se e i poveri si compartissero tlie-
sauros suos et pecuniam , quae in
illa die in Camera ejus inventa estj
et omnem substantiam, atque supel-
ìectilem suam, quae in auro, et ar-
gento gemmisque, et ornatu regio
in Camera ejus inveniri poterat. Il
Du Cange nel glossario latino scri-
ve , usata qui la parola Camera
prò fisco imperiali. Tultavolta sem-
bra al Muratori , che non prima
di Lodovico li imperatore si co-
minciasse ad usare la parola Ca-
mera in vece di fisco. V. Camer\
Apostolica, e Corti. Passiamo ora
a vedere, se oltre ai nominati mo-
narchi godessero altri una volta il
diritto del fìsco , o per dir meglio
della camera , perchè questa paro-
la pare avere avuto un significato
più largo.
Dopo che i re e gì' imperatori
donarono e trasportarono ne' ve-
scovi ed abbati tanta copia di re-
galie , non è da maravigliarsi , se
anch' essi giunsero ad avere la pro-
pria camera , a cui si pagassero i
censi , i tributi e le condanne do-
vute prima al fisco regale. E pri-
mieramente dacché i romani Pon-
tefici ottennero da Pipino e da
Carlo Magno la restituzione dell'e-
sarcato , e l' ampliazione del loro
principato, non è a dubitare, che
cominciassero ad avere la camera,
o sia il fisco per li paesi soggetti.
Le anteriori memorie sono dubbie
per la strage che il tempo ha fat-
to di tanti documenti. Forse Ve-
stiarìum fu il nome significante una
volta la camera pontificia; dappoi-
ché Adriano I in una bolla data
nel 772 ai monaci di Farfa, ordi-
na che in avvenire Priores veslia-
rìi sanctae Romanae Ecclesiac ,
sieno giudici nelle cause del moni-
stero farfense. Ne' secoli seguenti
l'arcidiacono della santa Chiesa ro-
mana si osserva presidente della
camera pontificia. Nata una con-
troversia tra il detto monistero, e
quello di Mica Aurea a' tempi di
Alessandro II Papa del 1061, Do-
minus Hildebrandus venerabilis ar-
chidiaconus, l'ascoltò e decise. Acto-
res ed Actionarii erano una volta
appellati quei , che ora sono detti
FIS
Chierici di camera ( Ve di ). E sic-
come dicemmo , che il nome Va-
Ultima ne' vecchi tempi significava
il fìsco , di questo si servivano an-
cora i sommi Pontefici. In una bol-
la del Pontefice Benedetto Vili, ri-
portala nella cronaca farfense, si
legge : lnsupcr et conipositurum se
sciat auri optimi libras cenlum ,
medùtatrm in sacrosancto Lafera-
vensis Valatio, et medietatem in su-
prascripto nwnasterio. Altra bolla
dello stesso Papa, spettante all'an-
no io 17, fa espressa menzione del-
la camera pontificia . Qui facete
hoc praesumpserit eie. , sciat se
composilurum centvm aureos man-
cosos, medietatem Camerae nostrae,
et medietatem, ec. Ter altro abbon-
dano le carte, nelle quali i roma-
ni Pontefici anticamente intimaro-
no non già pene pecuniarie, ma
bensì la scomunica contro i tras-
gressori de' loro decreti , donazioni
e privilegi. Onofrio Panvinio fu di
parere , che sino dai tempi di s.
Gregorio VII 1' arcidiacono della
santa romana Chiesa presiedesse a
questa camera; e che da fi in-
nanzi fosse istituito l'uffizio di Ca-
merario, chiamato poi Camerlengo
di s. Chiesa ( Vedi). Trovasi in uno
strumento del 1 1 59 Dominus Bo-
xo venerahilis cardinalis ss. Cos-
viae et Damiani Domini Papae
camerarius.
Che anco alcuni vescovi ed ab-
bati una volta avessero la loro ca-
mera, si può provare colle antiche
memorie, cioè di quelli che aveva-
no ottenuto il comitato delle città,
ed altre regalie, in vigore delle
quali potevano esigere tributi ed
altri pubblici diritti. Par bene che
certi vescovi godessero il diritto
della camera, dove si portassero le
rendite dianzi dovute al conte, o
FIS 79
pure al donatore. Se anco i duchi,
marchesi, e conti avessero tal pre-
rogativa non apparisce chiaro. Non
mancò però il diritto della camera
o sia del fisco ai principi di Be-
nevento, i quali se si eccettua il
titolo di re, godevano l'autorità
regia non il nome. Altrettanto fe-
cero di poi anche i principi di
Salerno, e i conti di Capua che
signoreggiavano una parte smem-
brata del vasto ducato di Bene-
vento. Quanto ai duchi e marchesi
di Toscana , essi ebbero la loro
particolar camera e fìsco, come si
ha da documenti del X e XI se-
colo. Da questi apparisce eziandio,
che non mancò ai duchi di Spo-
leto la camera. Però non si sa be-
ne intendere, che qualora i duchi
e marchesi di Toscana tenevano
de' placiti, e decidevano liti, allora
imponevano la pena pecuniaria da
pagarsi, non alla sua, ma alla ca-
mera dell' imperatore. Forse ciò av-
veniva perchè i tributi, le gabelle,
le condanne ed altre rendite del
principato appartenevano al sovra-
no diretto, sia re o imperatore, ed
è noto che gli stessi sovrani ne
assegnavano la sua parte al mar-
chese, al duca, presidente di tutta
la provincia, e al conte governato-
re della città, affinchè con ciò man-
tenessero la loro famiglia e digni-
tà. Se erano poi devoluti al fisco
regio i beni altrui, i duchi o mar-
chesi ne disponevano talvolta a lo-
ro arbitrio, come di cosa propria,
e li donavano alle chiese. Proba-
bilmente anche i conti, cioè i go-
vernatori delle città, ebbero una
specie di camera : si sa che la ter-
za parte delle condanne pervenien-
te al fìsco, apparteneva ai conti :
di modo che pare che il fisco fos-
se del re od imperatore , ma in
Ho F1S
certa maniera anche del conte. E
fuori di dubbio che i dogi di Ve-
nezia ne' vecchi secoli godessero i
diritti della camera e del fisco.
Nel tom. V dell' Italia sacra del-
l' Ughelli, si legge un decreto di
Tribuno doge di Venezia 3 appar-
tenente all' anno 982, dove è de-
terminata la pena pagabile Came-
rae nostri palatii. Del pari in un
privilegio conceduto nel 11 16 da
Ordelafo Faletro si legge , che il
trasgressore pagherà per pena om-
nia quae possidel fisco ducali, et
regali. Come cosa distinta è detto
cpù il fisco regale, perchè già quel-
la repubblica avea conquistata la
Dalmazia e Croazia che portava-
no la denominazione di regno.
Erano poi molti i ministri del
fisco, deputati a raccogliere i tri-
buti, e gli altri proventi della ca-
mera regia, o imperiale, che si
chiamavano Actionarii, Exactores
tributorum , Exactores reipublicae,
o pure Exactores rerum publica-
rum, Aclores fisci regii, Actores
patrimonii regii, ovvero curtis re-
giae, i quali ultimi, siccome anche
sotto i primi imperatori, attende-
vano solamente ai beni patrimoniali
del principe, e ne riscuotevano le
rendite. Alla regia camera pare
che fossero presidenti i gastaldi ,
eh' erano i ministri , procuratori
ed economi delle corti, poderi ed
altri effetti patrimoniali del prin-
cipe regnante. Né mancavano Ad-
vocati curtis regis, cioè avvocati
fiscali, che nascendo controversie,
sostenevano i diritti della camera
regia. In un placito tenuto nel-
1' anno 806 da Guillerado vescovo
di Pistoia, da uno scabino , e da
un Vasso Domai regis , si dispu-
tava il possesso di una chiesa fra
la corte del re, e il mouistero di
FIS
s. Bartolomeo di quella città. Gi-
silari figlio del fu Gisone, qui cau-
sani curtis domai regis peragebat,
produsse le ragioni assistenti al fi-
sco ; ma fu giudicato contro di
lui. In Roma vi sono i tre cospi-
cui uffìzi, di avvocato generale del
fisco e della reverenda camera a-
postolica, che è sempre un avvo-
cato concistoriale, prelato di man-
tellettone ; di procuratore generale
del fisco e della reverenda camera
apostolica, prelato di mantelleltone;
e dell' avvocalo fiscale della ca-
mera capitolina, e tribuaale sena-
torio, di cui si parlerà all'articolo
Seaato Romano ( Fedi) ; degli al-
tri avvocati e procuratori fiscali ne
faremo qui menzione, con un cen-
no sul pontifìcio fisco.
In Roma la parola Fìsco equivale
in gran parte a ciò che altrove si
chiama pubblico ministero. Esso è af-
fidato a tre uffìziali superiori di no-
mina sovrana con apposito breve
apostolico; e sono un avvocato gene-
rale del fìsco e della camera apo-
stolica, un procuratore generale del
fìsco, ed un commissario generale
della camera. Questo ultimo eser-
cita le azioni dell' erario, ed ha tre
sostituti commissari. Il procurato-
re del fisco è addetto alla parte
criminale; esercita l'azione pubblica
per la punizione dei delitti, ed ha
un sostituto. L' avvocato generale
è un consultore nelle materie di
diritto, e specialmente ove trattasi
d' interpretazioni, applicazioni o in-
novazioni legislative, e degli affari
che riguardano le ragioni del go-
verno pontifìcio^ e della santa Se-
ve. Anticamente esercitava inoltre
la carica di promotore della i'tàe,
ma Benedetto XIV nella sua co-
stituzione Inter conspicuos , sulla
riforma del collegio degli avvocali
FIS
concistoriali , ne formò un offizio
particolare, da conferirsi ad un al-
tro membro del collegio. 11 com-
missario è tratto dal collegio dei
procuratori del sagro palazzo apo-
stolico ; il procuratore del fisco dal
ceto dei giureconsulti addetti al
foro ed alla magistratura crimina-
le; l'avvocato generale dal colle-
gio degli avvocati presso il sagro
concistoro. Tutti, come dicemmo,
godono del titolo e degli onori pre-
latizi con veste paonazza chiamata
manlelletlone, ben diversa dal man-
tellone, e simile a quella degli al-
tri prelati, se non che piti lunga
e senza rocchetto. In Roma vi so-
no pure altri fiscali. La congrega-
zione della rev. fabbrica di s. Pie-
tro ha un procuratore del suo fì-
sco, tratto dal ceto de' curiali del
collegio degli avvocati concistoriali.
Hanno inoltre i loro fiscali la ca*
mera capitolina ed il tribunale se-
natorio, come si è detto, la sagra
congregazione del s. offizio, e la
congregazione del buon governo,
e delle acque, finalmente la pre-
fettura generale delle acque e stra-
de ha un fiscale tratto esso pure
dal ceto dei procuratori di colle-
gio. Nelle provincie dello stato
pontifìcio presso ciascun tribunale
vi è un procuratore del fisco di
nomina sovrana, e presso ciascun
governo distrettuale ve n' è un al-
tro, che si nomina dal procuratore
generale del fisco. Le di lui facol-
tà sono limitate alla parte crimi-
nale. Per gli affari dell' erario vi
è un procuratore camerale nomi-
nato ed amovibile ad mutuai del
prelato tesoriere.
Dell'avvocato generale del fisco,
e del procuratore generale del fì-
sco se ne parla ancora al volume
VII, pag. i4 e i5del Dizionario,
VOL xxv.
FIS 81
al volume Vili, pag. 219, ed al-
trove, non che agli articoli Avvo-
cali concistoriali, Difensori, ed al-
tri, mentre al volume IX, pag. 72,
73, 76, 77, 81 e 82, come all'ar-
ticolo Chinea ( Vedi), si tratta
delle solenni proteste che l' avvo-
cato e il procuratore fanno al Pa-
pa nella vigilia e festa de' ss. Pie-
tro e Paolo pei censi e tributi non
soddisfatti. Nelle Brevi indicazioni
per le attribuzioni de cerimonieri
pontificii, è notato che l'antica
protesta pei tributi dei ducati di
Parma e Piacenza, fu rinnovala
da monsignor Sabatucci fiscale, co-
me anche la risposta del Pontefi-
ce ; e che il quinto e sesto maestro
delle cerimonie debbono assistere
alle esequie dell'avvocato de' pove-
ri, dell'avvocato fiscale, del pro-
curatore fiscale, e del commissario
generale della camera apostolica,
che sono i quattro prelati di man-
tellettone, cosi detti perchè come si
avvertì, per distinzione da' prela-
ti di Mantellone ( Vedi), usano
questo più ampio e dignitoso. 11
Cohellio, Nolilia cardìnalatus, a
pag. 27, cap. XLV De Advoca-
to , et Procuratore Fisci, discu-
te questi punti: Àdvocatus fisci ab
Hadriano imperatore primum in-
stitutus; offìcium differt ab officio
procuratoris fisci ; officio ohm an-
nale erat, deinde a Leone impe-
ratore prorogatum ; offìcium in
Urbe perpetuum est , et ordinis
advocatorum concistorialium ; of-
fìcium in Urbe conceditur ab im-
memorabili uni ex advocatis con-
cistorialibus ; preeminentia quales,
qualeq. ipsius munus; àdvocatus
quidam fìscalis a Paulo III vepre -
hensus ; fisci procuratoris, et pro-
curatoris Caesaris differentia ; fìsci
procuratoris iu Urbe qualitates que-
6
82 FIS
nam esse debeant, et de ipsius mu-
nere; fisci procurator precedi t com-
missarium camerae, del quale offizio
il Cohellio ne discorre a pag. 274,
cap. XLVI, De generali Cam. Apost.
commissario. Quanto riguarda al fi-
sco in curia romana, il Cohellio ne
tratta agli articoli Confiscatio, e Fi-
scus nell'Index rerum select arimi.
Il De Luca egualmente nelle sue
opere parla dell'avvocato del fisco,
del procuratore del fisco, e del com-
missario della camera.
Di questi tre rispettabili uffizi,
come di que' personaggi che l' e-
sercitarono, erudite notizie ci dà
il cardinal Garampi ne' Saggi di
osservazioni sul valore dell' anti-
che monete pontificie. A pag. 1 47
dice che antico si è nella curia
romana l' ufficio di avvocato del
fisca Prima però noteremo, che
oltre Benedetto Caetani poi Papa
Bonifacio Vili, furono avvocati ge-
nerali del fìsco, Lante, Santacroce,
Baroncelli, che intervenne al conci-
lio generale di Firenze ; Gabrielli,
autore delle celebri conclusioni di
diritto ( opera che fu chiamata
Calepinus doctorum); Silvestro Al-
dobrandini padre di Clemente Vili;
Orazio Borghese fratello di Paolo
V, poscia uditore della camera;
Cerasi poi tesoriere generale ; Bot-
tini uditore di Clemente X, ch'eb-
be tra i suoi discepoli Lamberti ni
poi Benedetto XIV ; Sacripanti, e
Valenti poi cardinali ; un Burani,
un Benetti, ed un Barlolucci. Al
presente è avvocato generale del fisco
e della camera monsig. Giuseppe Lui-
gi cav. Bartoli ; procuratore genera-
le del fisco e della camera, monsig.
Francesco cav . Leggeri ; e commis-
sario generale della camera, mon-
sig. Angelo Maria cav. Vannini.
Abbiamo dunque dal Gnrampi,
FIS
che Giovanni XXII Papa residen-
te in Avignone, a' dì i5 agosto
i320, deputò Carlo de Madalberti
da Cremona, juris civilis professo-
rem in Rom. Curia advocatum in
avvocato fiscale: te apud sedem
A post, nostra rum et sedis ej'usdcni
fìscalium advocatum, nec non et
crimìnalium causarum, c/ue per
appellationes eoru/n, qui de terris
Ecclesiae Rom. existunt, ad sedem
deferunlur eamdem, audilorem con-
stituimus generalem, diclasque. cau-
sas appellationum audicndi ac
edam termina/idi platani concedi-
mus potestatem. Similmente nel-
l' anno 1 363 era avvocato del fi-
sco pontificio Nicolò Spinelli. Ivi
il Garampi avverte, che non deve
confondersi, come fece il De Ru-
beis, Defensor rediviv. pag. 22 3 ,
coli' avvocato fiscale della camera
apostolica, quello della camera fi-
scale della città di Roma : nel qua-
le offìzio vacato per la morte del
celebre Andrea Santacroce avvoca-
to concistoriale, fu da Sisto IV ai
i3 dicembre i4?3, surrogato Co-
ronato de Planca parimenti avvo-
cato concistoriale, de' quali ambe-
due può vedersi il Cartari, Syllab.
adv. concisi, pag. 35, 54- Il det-
to Andrea, che annoverasi fra i
primi che cominciarono a coltiva-
re Io studio delle antiche iscrizio-
ni, compilò eziandio uno speciale
trattato per la spiegazione delle
sigle che in esse incontransi. Indi
a pag. 291 il Garampi dice che
Francesco Cultello fu già commis-
sario genenerale della camera apo-
stolica ( del quale uffizio se ne
tratta pure all' articolo Tesorieri
generali, Vedi), dal quale ufficio
passò a' dì 3i gennaio i552 a
quello di procuratore del fisco.
Ne fu poi egli rimosso da Paolo
FIS
IV che gli sostituì Alessandro Pal-
lantieri a' 3 di luglio 1 555, che poi
divenne governatore di Roma. 11
Coltelli fu nuovamente restituito
all'uffizio da Pio IV nel dì i.°
maggio del i563, e in esso morì;
essendogli poi successo a'i3 set-
tembre 1 564 Giambattista Bizzoni
da Lodi. Per supplire la serie dei
procuratori, che sono sovente e-
nunciati nei documenti riportati
dal Gai-ampi nelle sue Osservazioni,
cade in acconcio di qui notare, che
Nicolò degli Ariani, rassegnò que-
sto ufficio nel dì i.° settembre del
1497. Ottennelo allora Mariano
Coccini romano, chierico coniuga-
to, e procuratore in curia, cóme si
legge ne' libri di Alessandro VI, e
sebbene nella sede vacante dopo
la morte di quel Papa, Pandolfo
da Sanseverino tentasse di compe-
rale un tale ufficio, ciò non ostan-
te il Coccini seguitò ad esercitarlo
sino all'anno i5i?.. In sua morte
lo successe Mario Peruschi di cui
si ha menzione nel 1 5 1 4> e lie'
monitorii e sentenze pubblicatesi nel
1527 contro i Colonnesi. Fu indi
conferito questo ufficio a Benedet-
to Valenti da Trevi, e se ne fa
menzione nel i52g, e nel i54o.
Indi successero Pietro Antonio An-
gelini, e Camillo Mentovati ; poi
Siila Goti destinatovi da Paolo III,
nel i544j al quale successero Ni-
colò Farfaro, il Coltelli, e il Pal-
lantieri summentovati. Paolo IV
rimosse il Pallantieri da tale uf-
ficio, e diedegli per successore a'7
di ottobre i557 Sebastiano Atra-
cino. All'articolo Famiglia ponti-
ficia ( Fedi), si fa memoria del-
l' avvocato e procuratore del fisco,
per la parte che un tempo ebbero
dal palazzo apostolico, considerati
come famigliari pontificii. Nelle
FIS 83
Notizie di Roma , eh' ebbero ori-
gine nel 1716, si ha il novero
degli avvocati e procuratori del
fisco della camera apostolica, come
dell'avvocato del fisco della came-
ra capitolina, e tribunale senatorio,
e de' fiscali di alcune congregazioni
ai cui articoli pur" se ne tratta.
Noteremo che nel pontificato di
Clemente XI li era Promotore del-
la fede ( Vedi ) monsignor Gaeta-
no Forti di Pescia, il quale era
pure avvocato fiscale della R. C.
Apostolica, e prelato domestico:
ma a cagione della precedente di-
sposizione di Benedetto XIV, fu l'ulti-
mo a riunire i due cospicui uffizi.
Nella raccolta delle leggi e di-
sposizioni di pubblica amministra-
zione dello stato pontificio, vi sono
le norme di quanto riguarda il fi-
sco pontifìcio, l' avvocato fiscale, il
procuratore fiscale, non che l'avvo-
cato fiscale di Campidoglio, ed
eziandio quanto concerne i procu-
ratori fiscali e camerali, l' istitu-
zione de' loro uffizi presso ogni
tribunale dello stato, sotto la di-
pendenza di monsignor tesoriere
generale ec. ec.
FISSANO. Sede vescovile d'Africa,
di cui ignorasi la provincia , facendone
menzione la conferenza di Cartagine.
FISTOLA, o CANNA. Strumen-
to il quale chiamavasi anticamen-
te Calamus, Pugillaris , Siphon,
Armido, Pipa, Virgula, Cannolust
Cannadella , Nasus, come abbiamo
dal Du Cange, dal Carpentier, dal
Macri, e da altri, come dimostra
monsignor Giorgi nel tom. I, Lit.
Rom. Pont, in disserl. de saero
ministerio, pag. 100, e nel tom.
Ili, pag. 164, il quale ha confu-
tato il Dalleo che crede introdot-
to quest'uso dai cisterciensi, verso
il fine dell'XI secolo, quando fu
84 FIS
proibito da Urbano II di distribui-
re l'Eucaristia intinta nel sangue
per impedirne la effusione. Questo
canaletto o fistoletta fu adottata
per sorbire il calice nella comu-
nione appunto perchè non si ver-
sasse. 11 I3erlendi, Delle oblazioni
aW aliare antiche e moderne, pag.
89, parlando della comunione del
calice che i primi fedeli facevano,
dice che in progresso, crescendo il
numero de'fedeli, non bastò un so-
lo calice, ma fu d'uopo di valer-
sene tal volta di molti, ed allora
prima che il divin sangue si di-
spensasse a' fedeli, il diacono dal
calice del sacerdote lo rifondeva
in un altro calice chiamato mini-
steriale o comunicale, a' quali cali-
ci negli ordini romani è dato il
nome di bicchiere, Scyphus, ed a-
vevano due manichi a fine di po-
ter con più di comunità e sicurez-
za maneggiarli ed offerire per essi
il divin sangue al popolo. Da que-
sti calici ne5 tempi più. antichi i
fedeli immediatamente bevevano il
divin sangue, con cui poscia anche
si consagravano gli occhi, la fronte
e gli organi degli altri sensi, rito
che particolarmente praticossi nella
chiesa di Antiochia e di Gerusa-
lemme. Non bevevano però dal
calice del popolo i principi , ma
erat consuctudo, dice s. Gregorio
Turonense, ut ad altarium vcnien-
tes de alio calice reges communi-
cent, et de alio populos. Tal co-
stume restò dipoi mutato, e sen-
za accostare a' detti calici imme-
diatamente le labbra , si praticò
per mezzo di una fìstola, o sia
canna d' argento o d'oro chiamata
sifone, colla quale succhiavasi dai
fedeli il divin sangue come si ha
dagli ordini romani I, II e VI ri-
feriti dal p. Mabillone, e questa
FIS
non si chiama ivi comunione, ma
confermazione. Dappoiché siccome
il sagramento dell'unzione col sa-
gro crisma , considerato come un
tal qual compimento del battesimo,
si chiama confermazione; così se-
condo la frase di quei tempi la be-
vanda del divin sangue, stante l'u-
so di allora di comunicarsi i fe-
deli sotto l'una e l'altra specie,
consideravasi qual compimento del-
la comunione, e chiamavasi con-
fermazione. Delle dette fistole fa
ricordanza Corrado vescovo nella
cronaca di Magonza : Erant fistu-
lae quinque ad communionem ar-
genteae deauratae; ne parla Ditma-
ro : Calicem cum patena simul,
et fistxda deditt ed anche molti
altri scrittori.
Il medesimo Berlendi afferma
che un tal rito si trova praticato
nella comunione pasquale fatta dal
Papa anche nel secolo XIV, qual-
mente si legge nell'ordine romano
di Pietro Amelio vescovo di Sini-
gaglia : Diaconus remanet in alta-
ri tenendo cum manu sinistra super
cornu dextrum altaris calicem, et
cimi dexlera Jistulam , cum qua
dat ad bibendum omnibus, qui
communicaverunt de manu Papae,
de Christi sanguine, dicendo cuili-
bet: Sanguis Domini Nostri Jesu
Christi cuslodìat aniinam titani in
vitam aelernam. Amen. Vi era pu-
re la costumanza d'infondere in un
vaso grande di vino una piccola
parte del vino consagrato, e così
mescolato si porgeva a bere ai fe-
deli, la qual infusione facevasi nel-
la Chiesa romana dall'arcidiacono,
secondo che prescrivesi negli or-
dini romani I, e III: Venit ar-
chidiaconus .... et refuso parimi
de calice in scyphum. Nelle altre
chiese e luoghi ciò non facevasi se
FIS
nou nell'incontro che il puro san-
gue consagrato non fosse stato ba-
stevole al numero di quelli ch'era-
no per comunicarsi, nel qual caso
si andava aggiungendo secondo il
bisogno. Conchiude il Berlendi che
il sorbire il sangue colla fìstola ,
esponendo a pericolo d'irriverenza
il Sagramento, e riuscendo di nau-
sea al popolo, specialmente nel
tempo di contagio, il dovere met-
tere le labbra sopra il calice, o so-
pra la fistola, ove altri le avevano
notte, fu una delle cagioni che a
poco a poco tralasciato il costume
si contentarono i fedeli di comu-
nicarsi sotto la specie del pane, co-
me di poi ordinarono alcuni Pon-
tefici e concili, massime quello di
Costanza nella sessione XIII, di
Basilea nella XXX, e di Trento
nella V, essendo solamente in qual-
che chiesa restato l'uso in certe
circostanze, ovvero festività, di por-
gersi col calice dell'altare a' fedeli
il vino benedetto. L' uso generale
di comunicarsi sotto le due spe-
cie durò fino al secolo XII, come
meglio dicemmo nel volume XV,
pag. 1 1 i e seg. del Dizionario, ove
facemmo menzione del privilegio
che rimase ad alcune chiese e
monarchi. Oggi il solo sommo
Pontefice sorbisce il sangue con
una fistola d'oro, quando celebra
solennemente , il qual privilegio
fu concesso anco all'abbate di Mon-
te Cassino, ove mostravasi una fi-
stola per la detta cerimonia non
più usata. Ce ne dà la figura il
Berlendi, insieme a quella usata
anticamente dalla Chiesa romana,
ed a quella del Papa coli' ago o
stilo d'oro per purificarla. Sino agli
ultimi tempi nella sagrestia pon-
tificia si conservava la fistola d'o-
ro formata da tre cannellini, le-
FIS 85
gati insieme da capo e da piedi,
de' quali era più lungo quello di
mezzo, col quale il Papa stando
in trono sorbiva il sangue: aveva
una tazzetta nella parte superiore
con due buchi', che servivano per
purificarla; nel mezzo aveva il po-
mo ornato da piccoli rubini e sme-
raldi, colf iscrizione : Clemeits vii
Pont. Max. An. vi. Lo stilo ossia
embolo era pur d'oro, con un zaf-
firo da capo. La fistola d'oro che
al presente adopera il Pontefice
è eguale alla descritta, meno l'or-
namento delle gemme. Le antiche
fistole furono d'oro, di argento, di
avorio, e di stagno, le usarono ed
erano comuni a tutti i preti, ed an-
che come dicemmo ai laici.
Della comunione del Papa, e
del sorbire il sangue ch'egli fa col-
la fistola ne'pon tifi cali, e dopo lui
il cardinal diacono, e il prelato
suddiacono ministranti, se ne trat-
ta al volume IX, pag. 29 e 3o
del Dizionario. Angelo Rocca sa-
grista pontificio nel tom. I del suo
Thesaurus ci ha dato il trattato :
dir sacrosanctae Eucharìstiae me-
dietasj hoc est, Christi corporis et.
sanguinis pars a Summo Ponti/Ice,
altera eorumdem pars ìnter dia-
conum cardinalem 3 et subdiaco-
num apostolicum dispertila in so-
lemni comunione ab eisdem suman-
tur ? Cur Sum/nus Ponti/ex ca-
lamum in sumendo Christi sangui-
ne adhibere soleat , nec non mi-
nistri, cardinalis videlicet diaconus
et subdiaconus apostolicus inter so-
lemniter communicandum calamo
eodem utantur. Veggasi il Lindano,
Panopl. evangelica I. 4* c- 56 ;
e Samuele Verner, De reliquiis
per Eucharistiae administrationem
remanentibus, ut ex fragmentis in
ifisa Caenae adminislratione in
ò<] FIS
terrarn decìdentibus , Regioraonte
1688. Del medesimo strumento
della fistola parla il Davantria nel
suo Cerimoniale mss. descrivendo
la comunione de' cardinali diaconi,
i quali dopo di avere ricevuto il
corpo di Cristo dalle mani del Pon-
tefice andavano all'altare dove col-
la fìstola succhiavano il sangue dal
Calice (Fedi), sostenuto dal dia-
cono celebrante, il quale pronun-
ziava la forinola suddetta: Sanguis
Domini ec. E se nella cappella pa-
pale si trovava presente qualche
re, faceva la medesima cerimonia,
ed era accompagnato all'altare dal
secondo vescovo cardinale, chiamato
sottopriore dal Davantria, il qua-
le inoltre testifica essersi praticata
questa cerimonia nel i355, a'tem-
pi d'Innocenzo VI, quando nel gior-
no di Pasqua si comunicò Pietro
IV re d'Aragona, accompagnato dal
cardinal vescovo Albanese all' al-
tare.
Il Macri nella Notizia de' vocab.
eccl. dice che la fistola fu chiama-
ta Pugillaris , per essere in forma
di quello stromento con cui si scri-
veva. Dice inoltre che questa fistola
soleva tenersi involtata sotto il ve-
lo con la patena dall'accolito, come
fa oggi il suddiacono che tiene la
sola patena. Negli antichi statuti
de'monaci certosini si fa menzione
della fistola : Ornamenta aurea,
vel argentea praeter calicem , et
calamum, quae Sanguis Domini
swnitur, in Ecclesia non habe-
mus. Che si usava dai Certosini
lo afferma pure J. B. Casali, De
vet. sacris Christ. ritibus e. 81.
Secondo il sentimento del citato
Bocca, la fìstola significa la canna
con la quale fu dato l'aceto e il
fiele nella sponga al moribondo
Cristo confitto in croce. Scrive e-
FLA
ziandio II Davantria che nel gior-
no del giovedì santo, il Papa non
si comunicava nel soglio, ma nel-
l'altare, dove non adoperava la fi-
stola prendendo il sangue dal calice,
per imitare l'umiltà del Salvatore, di-
mostrata singolarmente in quel gior-
no. V, Joh, Voghtius, De hist.Jìslii-
lae eucliaristicae, cujus ope sugi solet
e calice vinum benedictum, Bre-
mae 1740: et in Nov. ad. erud.
Supplem. tom. V, pag. 2 3 9. Ma-
billon in tom. II Mus. lidi, in
Comm. praevio e. 9; Borgia, Meni,
ist. di Benevento tom. I, pag. 72
e 162 ; Cancellieri, De Secretariis,
pag. 399 ; De comm. Pont. pag.
27; e Benedetto XIV, De festis
D. N. J. C. pag. 229.
FITIA , FITEO , o FITEA
(Phytea). Sede vescovile della pri-
ma provincia della Frigia Saluta-
re, sotto la metropoli di Sinnada,
che al dire di Commanville fu e-
retta nel IX secolo, nella diocesi
d' Asia. Si conoscono due vescovi :
Nicola che sottoscrisse al settimo
concilio generale, e Teodegeto che
intervenne al concilio di Fozio, nel
pontificato di Giovanni Vili, come
abbiamo dall' Oriens Christ. tom.
I, pag. 844.
FLABELLO (Flabellum). Ven-
taglio o paramosche, detto da al-
tri Flabrum , stromento e suppel-
lettile sagra, che nelle festività usa
il sommo Pontefice, e pochi altri
per privilegio. Questo stromento
fu chiamato Ventilabrum ministe-
riorum , nella vita di s. Epifanio
vescovo, nella quale si legge : » Pri-
*> mus observat diaconum , qui a
» sinistris tenebat ventilabrum mini-
y> steriorum ". Tali ventagli o gran
pennacchi sono composti di una
lunga asta o bastone, lungo circa
palmi nove, foderalo di velluto in
FLA
seta cremisi ossia rosso , ornato di
una zagana d' oro a tortiglione
per tutta la lunghezza dell'asta, al-
la cui cima in forma di ventaglio
sono penne bianche di struzzo, a-
venti nell'estremità altrettante pen-
ne occhiute di pavone, insitate alle
prime in due ordini , che fanno
elegante comparsa da ambo i lati,
e sono fermate su base coperta del-
lo stesso velluto delle aste, decora-
ta da due galloncini trinati d'oro,
e da una guida di fronde e fiori
pure ricamati in oro , e nel mezzo
evvi un ricamo d' oro rappresen-
tante il triregno pontifìcio colle
chiavi incrociate: le due estremità
superiori delle aste sono guarnite
di metallo dorato con fogliami , e
le inferiori da un cerchio. 11 Papa
li usa soltanto incedendo nelle sa-
gre funzioni sedente sulla sedia ge-
statoria, e quando sul talamo por-
ta processionalmente il ss. Sagra-
mento per la festa del Corpus Do-
mini. 1 flabelli si portano ai lati
del Pontefice da due camerieri se-
greti partecipanti, ovvero da due
camerieri segreti soprannumerari o
di onore in abito paonazzo , vesti-
ti di cappe rosse. Sono loro con-
segnati dai palafrenieri e sediari
pontificii portatori della sedia ge-
statoria , che li custodiscono insie-
me a questa nei luoghi ove si ado-
perano.
Nota delle cappelle e pontificie
funzioni ove occorrono i flabelli, o
puramente il baldacchino con la
sedia gestatoria, secondo le antiche
e stabilite consuetudini, restando a
beneplacito de' Papi il comandare
diversamente.
Cattedra di s. Pietro , sedia ge-
statoria senza flabelli e senza bal-
dacchino.
Purificazione , sedia gestatoria
FLA ò>
senza flabelli , con baldacchino
rosso.
Annunziata, sedia gestatoria con
flabelli , senza baldacchino.
Domenica delle Palme, sedia ge-
statoria senza flabelli , con baldac-
chino rosso.
Giovedì santo , sedia gestatoria
con flabelli e baldacchino bianco.
Venerdì santo, baldacchino ros-
so, senza sedia gestatoria e senza
flabelli.
Pasqua di Risurrezione, sedia ge-
statoria con flabelli e baldacchino
bianco.
Ascensione , sedia gestatoria con
flabelli , senza baldacchino.
S. Filippo, sedia gestatoria, sen-
za flabelli e senza baldacchino : il
Papa che regna in questa cappella
fa uso dei flabelli.
Corpus Domini, talamo, 'flabelli
e baldacchino bianco.
Vespero per la festa de' ss. Pie-
tro e Paolo, sedia gestatoria con
flabelli, senza baldacchino : lo stesso
per quella di Natale. Però va av-
vertito che il regnante Pontefice
usa i flabelli in questi due ve-
speri.
Ss. Pietro e Paolo, sedia gesta-
toria, flabelli e baldacchino rosso.
Natività di s. Giovanni Battista ,
sedia gestatoria con flabelli, senza
baldacchino.
Assunta, sedia gestatoria con fla-
belli, senza baldacchino.
Natività della B. Vergine , sedia
gestatoria, senza flabelli e senza
baldacchino.
S. Carlo , sedia gestatoria con
flabelli, senza baldacchino.
Domenica prima dell'Avvento,
baldacchino bianco, senza sedia ge-
statoria e senza flabelli.
Natale, sedia gestatoria con fla-
belli e baldacchino bianco.
88 FLA
Funzione nella quale il novello
Pontefice va a ricevere nella basi-
lica vaticana la terza adorazione ,
sedia gestatoria.
Coronazione e consagrazione del
nuovo Papa , sedia gestatoria con
flabelli e baldacchino bianco che
prende neh' uscire dalla cappella
Clementina dopo il canto di Terza.
Possesso, sedia gestatoria con fla-
belli e baldacchino bianco portato
dai canonici della basilica latera-
nense.
Apertura e chiusura della porta
santa, sedia gestatoria con flabelli.
Canonizzazione , sedia gestatoria
con flabelli e baldacchino bianco ;
i flabelli, il baldacchino e la sedia
gestatoria il Papa l'usa anche qua-
lunque volta celebra pontificalmen-
te per circostanze straordinarie.
La Sedia gestatoria ( Vedi) si
usava anche in altre feste e fun-
zioni, come si dirà a quell' artico-
lo, ma in esse non avevano luogo
uè i flabelli, ne il baldacchino. Pe-
rò ne' concistori pubblici il Papa
usava la sedia gestatoria ed i fla-
belli , per cui questi ne' detti con-
concistori si pongono appoggiati al-
la coltre o dossello lateralmente al
trono pontificio, subito dopo i car-
dinali diaconi.
I primi flabelli furono di penne
di pavone , o di sottilissime pelli ,
o di finissima tela , coi quali il
diacono scacciava le mosche dall'al-
tare nel tempo del santo sagrificio
della messa. La loro istituzione ri-
sale ai tempi apostolici, giacche nel-
le Conslit. Apost. di s. Clemente,
lib. 8, cap. 12, si legge : » Duo dia-
« coni ex utraque parte altaris
» (cioè nel tempo, che vi si cele-
» bra la messa) teneant flabella ex
» tenuissimis membranis, aut ex
» pennis pavonis, aut ex linteo, ut
FLA
» parva ammalia volilantia abigant,
» ne in calicem incidant ". L' istes-
so rito si prescrive nella liturgia
di s. Basilio. Laonde in tutta la
Chiesa orientale fu ritenuto questo
costume, e appresso il Marlene, De
antìquis Ecclesiae ritibiis lib. I, cap.
8, si riferisce l'ordinazione de' ma-
roniti tradotta da Giovanni Mori-
no, in cui fa menzione del venta-
glio, dicendosi : « Episcopus preca-
« tur, diaconus procedi t in pace,
» egrediuntur cum pompa decente
« tenentes thuribulum , et diaconi
«flabella". Vogliono alcuni, che
sieno stati istituiti pel medesimo
fine da s. Giacomo apostolo , e
perchè furono prescritti o di pen-
ne di pavone, o di membrane sot-
tili, o di pannicelli di lino, quindi
è proceduta la varia forma usata
in diverse chiese. I greci, i maro-
niti, e gli armeni 1' usano di lastra
sottile di ottone o di argento in
forma tonda, alla quale aggiungono
campanelli o sonagli, con un velo
pendente dall' asta che li sostiene ;
perchè riconoscono in essi le ali
de' cherubini, come riferisce s. Ger-
mano patriarca di Costantinopoli,
in Theoria non eccles. , veduti da
Isaia cap. 6, le quali coprivano la
faccia della maestà divina. 11 p.
Lupi nel tom. I delle sue Disseria-
zioni , pag. 246» osserva col detto
patriarca, essere ben di ragione
che si facesse a Dio nascosto nel
Sagramento, quell'onore che a lui
nel trono eccelso della sua maestà
facevano i serafini veduti da Isaia :
« Dominum sedentem super solium
« excelsum, et elevatum Seraphim
« stabant super illud sex alae uni,
» et sex alae alteri duabus vela-
» bant faciem ejus ". 11 Novaes nel
tom. I delle sue Dissertazioni, pag.
1 1 6, dice che i greci nel conferire
FLA
l'ordine del diaconato, fra le altre
cose consegnano anche il flabello,
leggendosi nella vita di s. INiceta ,
presso il Surio, Vitae Sanctoium,
die 3 aprìlis : » Sanctus vero Atha-
* nasius assistebat cogitai ione et
» mente tota intentus, minislerii
» flabellum tenens; erat eoi ni dia-
» conus ". I greci li formano di
sottili membrane, nelle quali dipin-
gono cherubini , e nel tempo del
sacrifizio movendoli in due lati
deil'altaie, con maestosa cerimonia
impediscono che le mosche volan-
ti non cadano nei calici. Tanto ri-
ferisce Durando lib. 1 de Rit. cap.
io, e perchè più chiaramente si
comprendine le diverse forme dei
flabelli, è a vedersi il p. Bonanni
nella sua Gerarchia ecclesiastica,
il quale trattando al capo XCV1II,
Dell'i ventagli, coJ quali suol essere
accompagnato il sommo Ponte/ice
portato in sedia, ci dà una tavola
con tre figure di flabelli, cioè il
greco, il latino e l'arabo. Il pri-
mo consiste in un'asta alla cui ci-
ma è la testa di un cherubino con
sei ali; il secondo parimenti forma-
si di un'asta alla cui estremità in
forma di ventaglio sono due dop-
pi ordini di penne occhiute di pa-
vone; il terzo ha sull'asta un di-
sco cou lastra di ottone intorno al-
la quale sono quindici sonagli, con
velo o panno pendente da un lalo.
Dal Gaetano a pag. 3o5 del Ri*
tuale si ha che i flabelli usavansi
anticamente pure nella Chiesa la-
tina , e per due ragioni , una ad
refrigerandum aerem, l'altra ad a-
bigendas muscas , e nella vita di
Fulgenzio antico vescovo ruspense,
si legge, che essendo monaco spes-
so s' impiegava in tessere ventagli
con le foglie di palma, delle qua-
li fece anche menzione Cirillo mo-
FLA 89
naco nella vita di Eutimio abbate,
coni' è registrato nell1 Analeclorum
graecorum , pag. 60 , e si riferisce
dal p. Mabillon nel commento agli
ordini romani, pag. 47- Inerendo
il citato Gaetano a questo antico
costume, nel cap. 58 del suo ritua-
le, dice che quando il Pontefice
siede con la mitra »> si opportu-
» mira videbitur , is qui niitram
» servat stans juxta Pontificem, et
» flabellum tenens abigat ab eo
» muscas", e con ragione poiché
il Pontefice in tal tempo tiene im-
pedite le mani sotto una tovaglia
« quam Pontifex semper habere
» debet cura sedet " secondo l'an-
tico rito, ove si dice: » uno de aco-
* lythis espandente supra gremium
« ejus pulchram tobaleam etc. ".
Che sia stato usato tal rito nel tem-
po di celebrare la messa nella Chie-
sa latina, tra gli altri ne fa fede
Uldarico nel lib. 3 Consuetudinum
cluniacensium cap. 3o ; così dice
anche nelle consuetudini di s. Be-
nigno Divionese cap. 12, non che
Ilidelberto arcivescovo di Tours
nella lett. 8, il quale aggiunge che
siccome con questo stromenlo si
cacciavano le mosche dai sagrifìzio,
cosi devonsi ributtare dalla mensa
eucaristica gli assalti delle tenta-
zioni col ventolo della santa fede.
Presso i greci fungevano questo uf-
fìzio i diaconi , ed appresso i lati-
ni qualsivoglia ministro, e in essi
perseverò l'uso sino al secolo XIV,
come prova il detto Gaetano nel
cap. V del Rituale, in cui fa men-
zione di due ventagli , uno porta-
to dal ministro che conservava la
mitra, l'altro da un cappellano o
chierico minore. L'antichità del-
l' uso de' ventagli , la provò puro
nelle sue liturgie il cardinal Bona,
lib. !_, e. XXV. Che si usassero nel
90 FLA
pontificato di Nicolò V, si ha dal
cerimoniale mss. di quel tempo,
conservato nella biblioteca Barbe-
rini, in cui leggesi: » De his quae
« servanda sunt circa ministerium,
« quando episcopus cardi nalis mis-
» sae solemnia celebrai; referant
» quoque aeslivo tempore flabella
» ad ejiciendas muscas in ministe-
n rio". Al • presente non si usano
i ventagli o flabelli neppure quan-
do il sommo Pontefice celebra la
messa solenne, ma solamente si por-
tano nel tragitto eh' egli fa in se-
dia gestatoria^ dalla camera de' pa-
ramenti, o dal luogo ov' è asceso in
sedia, sino all'altare ove deve cele-
brare la messa, fare od assistere
altra funzione, non che alle sum-
mentovate processioni del Corpus
Domìni, Canonizzazioni , apertura
e chiusura delle porte sante ec.
Il Macri parlando di tali ven-
tagli, nella Notizia de vocabol. eccl.
riferisce che non solo sono usati
dal romano Pontefice nelle solenni
funzioni, ma anche dal priore con-
ventuale dell'ordine gerosolimitano
de' cavalieri di Malta, dall'arcive-
scovo di Messina allorché celebra-
no pontificalmente, e dal vescovo
di Troia nella Puglia, quando si
celebra la processione della festa
del Corpus Domini. Aggiunge di
essere stato prescritto il medesimo
rito nel cerimoniale de' religiosi do-
menicani al num. 6, ove si legge :
>■> Tempore quoque muscarum de-
» bet eas diaconus flabello amove-
» re, ne molestent sacerdotem, et
» abigere a sagrificio". Questa ru-
brica però non fu praticata in Ita-
lia, ma in alcuni luoghi della Spa-
gna. Dei flabelli molto ne parlò il
Sarnelli nel cap. 38 della sua Ba-
silicografia, e più. di ogni altro l'e-
rudito Giuseppe Maria Suarez ve-
FLA
scovo di Vaison , che pubblicò
una dotta dissertazione su tali ven-
tagli , De flabellis pontificiis seti
muscariis pavonicis , Vasioni et
Lugduni i652. Per essere questo
libro raro, ne riferiremo le prin-
cipali cose. Conviene siili' origine
dai tempi apostolici, come prescrit-
ti dalla liturgia di s. Giacomo, ri-
ferita anche da s. Gio. Grisostomo,
essendo altresì noverati tra le sup-
pellettili sagre della .chiesa Alessan-
drina, nel codice dei tempi di Era-
clio. Quattro ragioni rinvenne il
Suarez sull'uso dei flabelli, la pri-
ma per refrigerare l'aria ne' tempi
caldi, principalmente nell'estate, e
e nel tempo in cui i sommi Pon-
tefici solevano andare scalzi, vesti-
ti di pesanti addobbi sacerdotali, che
perciò vi era l' uso nelle diverse
stazioni ove si fermavano di tener
pronta l'acqua calda, acciocché re-
stassero i piedi mondati dalle soz-
zure raccolte nel viaggio colla pol-
vere e il fango , adoperandosi an-
cora il pettine per ripulire i capel-
li dalla polvere: su di che può ve-
dersi 1' articolo Letto de' paramen-
ti, giacché solevano riposarsi su
dei letti. La seconda per tenere
lontane le mosche e altri anima-
letti, massime quando vi era l'uso
nella Chiesa di partecipare ai laici
il vino consagrato , che perciò si
usavano calici capaci di molto vi-
no, che ad essi era distribuito, on-
de tali animali solevano restare im-
mersi in quello allettati dall'odore,
ma con il moto di tali ventagli
n'era impedito l'accesso. La terza
ragione misteriosa, dice essergli sta-
ta suggerita da ciò che scrisse a
Marcello s. Girolamo. « Quod au-
» tem, et matronis offertis musca-
« ria parva, parvis animalibus even-
» tilaudis, elegans siquidem signifì-
FLA
» catio est , debere luxuriam cito
• restinguere, quia muscae moritu-
» ne oleum sua vitata exterminant,
« Belzebut, nempe Deus niuscarum
« exponitur, quia ab crebras victi-
» marum caedes in ejus sagri ficiis
- exundante largius animantium
» cruore infecta , et uda humus ,
» respersumque , et madens pavi-
*> mentum, sordibusque immolatitii
» sanguinis iniquitatum niuscarum,
« et culicum numerosas invitabat
». turmas ". Un'altra misteriosa ra-
gione gli fu suggerita da Jobio mo-
naco con le seguenti parole. » Do-
» minico corpore proposito super
m sacra mensa, idcirco his, qui u-
h trinque sacris ministrans flabella
t» ex. alis facta prolatis veneran-
u dis misteriis admovent, quae sex
n alas habentium referunt fìguras ,
« ut ne sinant sagrifìcos his, quae
* videntur immorari , sed super
» omnem materiam elatos mentis
» oculos, et visus in invisibilem con-
» templationem, et inexcogitabilem
» illam pulchritudinem, ut decui'-
*> rere valeant, praeparent; etenim
« corporaliter adstanti Domino cum
» timore, ac tremore Seraphim in-
ai serviunt; cujus timoris , ac tre-
» moris signum esse factum per
»> alas motum, quem qui ministrant
» ciunt".
A tutto ciò aggiunge l' erudito
prelato, che sostenendo il sommo
Pontefice le veci di Dio in terra,
si manifesta al popolo la di lui
dignità, mentre è circondato dalle
penne di pavone, conforme al det-
to d' Isaia profeta riportato di so-
pra. E simboleggiandosi ne' detti
ventagli tremuli i serafini riverenti
al trono di Dio, vollero i greci e
i maroniti alludere ad essi adope-
randoli con un moto di mano tre-
mante attorno il sacerdote saqrifi-
FLA 91
caute , da cui è significato Iddio.
Oltre di che, mentre il romano
Pontefice è portalo verso l'altare,
non potendo volgere gli sguardi nel-
le parti laterali, tiene fissi gli oc-
chi verso il luogo ove deve offe-
rire il sagrifizio, ed a quello tene-
re la mira con tutti i suoi pen-
sieri ed affetti. Cercando poi il
Suarez le ragioni per le quali piut-
tosto delle penne di pavone, che
di altri uccelli sieno composti tali
ventagli, dopo aver indicato molti
pregi di tale uccello, conclude es-
sere proprietà di esso il porre in
fuga col suo canto i serpenti , on-
de insegnasi con le di lui penne
l'odio che si deve avere contro il
vizio e il demonio, oltreché nel pa-
vone ottimamente si esprime il me-
desimo Salvatore, come insegnò s.
Antonio d'i Padova riferito dal Bo-
sio nella Roma sotterranea. Però
Domenico Macri nel Hierolexicon,
verbo Flabdlum, dice che le pen-
ne occhiute del pavone significano
che il Pontefice deve camminare
molto circospetto nelle sue azioni,
essendo attorniato da numerosissi-
mi occhi del suo popolo, che Io
notano; e quali e quanti occhi gli
sieno necessari per non perder mai
di vista gli affari di tutta la Chie-
sa. Il medesimo Macri nota, che i
flabelli usati dai maroniti, armeni,
ed altri orientali con vari campa-
nelli, sono vicino al celebrante agi-
tati da due chierici o diaconi, nel
pronunziare l'inno cherubico: San-
ctuSj Sanctus ec, rappresentando
col tremore delle mani quello dei
beati spiriti assistenti al trono del-
la divina maestà cum timore, et
tremore, che in alcune chiese si
esprime ancora col suono dell'or-
gano. Al Pontefice Pio VII la mar-
chesa Nicoletta Durazzo da Geno-
9» FLA
va, nata Mari, donò chic flabelli ,
che quel Papa usò nel 1 8 1 5 nel-
le sagre funzioni che celebrò nel
Genovesato, ed in Roma nella cap-
pella della ss. Annunziata nella
chiesa di s. Maria sopra Minerva
nel 1816, in un alla sedia gesta-
toria di elegante e ricco lavoro ,
regalatagli dalla nazione genovese
per mezzo del loro arcivescovo il
cardinal Spina.
Oltre i nominati autori scrisse-
ro sui flabelli il p. Pacciaudi nel
Commentar, de umbella e gest ado-
ne, Romae 1752; il citato p. Bo-
nanni, Numìsm. Rom. Pont. tom.
II, p. 672 ; Sebastiano Pauli, De
patena argentea Forocorneliensis s.
Petri Chrisologi pag. 78; Sarnelli,
Lettere eecl. tom. X, lett. XLVI1I,
Del ventaglio che il vescovo greco
dà all'ordinato diaconoj il p. Me-
nochio, Dell'uso de' ventagli nella
Chiesa e. 55, p. 86, centur. 6 del-
le sue Stuore; e Michele Ardito ,
Dissertazione sopra la materia, e
l'uso de' ventagli appo gli antichi,
Napoli 1790. Dalla Storia de' so-
lenni possessi del Cancellieri, a pag.
36, si ha che in quello preso nel
i/^o5 da Gregorio XII, avanti la
ss. Croce « duo eliani praemittun-
>; tur equites , qui in longissimis
-■' bastis geminos cherubinos inge-
» runt, in qui bus cadesti um coni-
ti mercia regnorum repraesentan-
» tur ". Il Macri nel Hierolexicon
qui crede indicati i flabelli, che
talvolta furono chiamati Cherubini
o Cherubini. V. il Goar neh' Eu-
cliologium. Nella descrizione poi del
possesso preso nel 1 644 c'a Inno-
cenzo X si legge che fu alzato in
sedia gestatoria con due ventagli
di penne, con l' arme sue. Final-
mente riporta il Buonarroti, nelle
Osservazioni sui vasi di vetro j che
FLA
tra gli ornamenti con cui gli antichi
cristiani nelle feste addobbavano le
chiese, vi ponevano dei flabelli sul-
le colonne negli angoli, che i greci
chiamarono ripidi, e che nella chie-
sa di s. Sabina di Roma, per imi-
tazione di sì fatti ornamenti, ve-
devansi nelle feste, negli angoli fra
arco e arco, molti di questi flabelli
fatti di commesso di piccole lastre
di marmo.
FLAGELLANTI. Eretici che
comparvero a Perugia dopo la me-
tà del secolo XIII, e si propagaro-
no in tutta l'Italia, e in molte altre
patti dell'Europa,! quali furono così
chiamati perchè uomini e donne im-
modestamente, e sino a sangue si di-
sciplinavano pubblicamente andando
per le città ed i villaggi. Essi spar-
sero molti errori. Riprovavano l'u-
so de' sagramenti, volendo che la
flagellazione supplisse per tutti, e
fosse vero martirio, perchè volon-
tario, e che nessuno senza questa
si potesse salvare. Dicevano : 1 e-
vangelio avere da loro la perfe-
zione ; cessata l' adorazione delle
croci e delle immagini ; aboliti i
digiuni, fuorché quelli della vigilia
di Natale e dell'Assunzione di M.
V. ; l' acqua benedetta non avere
nessuna virtù; il battesimo d'acqua
essere inutile, e perciò necessaria
la flagellazione; favola il purgato-
rio; lecito il giuramento; e che
con una flagellazione di trenta-
quattro giorni acquistavasi il per-
dono di tutti i peccati. Gerson
scrisse un trattato contro le fla-
gellazioni pubbliche, ed il concilio
generale di Lione II, celebrato da
Gregorio X, condannò i flagellanti:
dipoi anche il Papa Clemente VI
condannò questa setta nel i349-
De' flagellanti scrisse molte cose il
p. Gretseio nel toni. IV delle sue
FLA
Opere, de disciplinis. Ne scrisse an-
cora la storia Giacomo Boileau ,
della quale fece una bella critica
il celebre Gio. Battista Thiers , a-
vendo l'opera questo titolo : JJistoi-
re des J/agellans, Paris 1703.
FLAGELLAZIONE ( Flagella-
tio). Questo cb'è l'atto di flagel-
lare, come punizione era in uso
presso gli ebrei; facilmente s' in-
correva in questa pena, ma essa
non era disonorante. Subivasi di
ordinario nella sinagoga; il peni-
tente era attaccato colle mani ad
una colonna, o ad un pilastro ed
aveva le spalle nude; d'uopo era
però die a questa specie di disci-
plina, assistenti fossero Ire giudici,
de' quali uno leggeva le parole
della legge, un altro contava i col-
pi o le percosse, e il terzo inco-
raggiava l'esecutore, ch'era d'or-
dinario il sacerdote ebdomadario.
Fu pure conosciuta la pratica del-
la flagellazione dai greci e dai ro-
mani, ma questo era supplizio più.
crudele della fustigazione. Si fla-
gellavano previamente coloro che
dovevano essere crocefissi, ma non
si crocifìggevano tutti coloro che
venivano flagellati. Gesù Cristo
prima di essere crocefisso fu aspra-
mente flagellato dagli ebrei. Si at-
taccavano i delinquenti ad una
colonna nel palazzo dove ammini-
stra vasi la giustizia, o pure si fa-
cevano girare nei circhi i rei che
condannati erano alla flagellazione.
All' articolo Colonna relìquia in-
signe ( Vedi ) parlammo di quella
su cui fu flagellato Gesù Cristo, e
dell' uso di flagellare. Era più igno-
minioso 1' essere flagellato, che non
essere battuto colle verghe ; i servi
erano battuti coi flagelli, i liberi
con verghe e bastoni. I flagelli
erano talvolta armati di ossa di
FLA 93
piedi di montone, e allora il fla-
gellato spirava d' ordinario sotto le
percosse. All'articolo Disciplina pe-
nitenziale (Vedi), non solo si è
detto della flagellazione volontaria,
ma delle diverse specie di flagelli,
e di alcune opere che di essi trat-
tano. Il p. Mamachi nel tom. II
De' costumi dei primitivi cristiani,
o pag. 288 e seg. discorre sulla
diversità de' flagelli co' quali erano
battuti i cristiani dai tiranni; ed
il p. Ruinart negli Atti sinceri dei
primi martiri della Chiesa cattoli-
ca, nel tom. I, p. i\ 3, parla della
flagellazione, tormento dei servi; a
pag. 348, dei bestiari che prima
si flagellavano; ed a pag. 37 1, dei
condannati a morire a colpi di
scure. Sebbene non era lecito fla-
gellare, o battere con verghe un
cittadino romano, questo riguardo
non si usò coi martiri del cristia-
nesimo : i principi degli apostoli i
ss. Pietro e Paolo furono flagellati
prima del loro glorioso martirio,
ad onta che il secondo fosse citta-
dino romano. Qui noteremo che
nel trionfo di M. Furio Camillo
dittatore, vincitore dei veienti, fu
attaccato al suo carro trionfale una
campana ed un flagello, per av-
vertirlo a non insuperbirsi del suo
trionfo, e a ricordarsi che poteva
essere anche flagellato e condotto
anche al patibolo, costumandosi
appendere una campana piccola al
collo di quelli che vi erano stra-
scinati, acciò niuno si accostasse
loro per timore di malefìzio.
La flagellazione diventò poi una
pena canonica. Narra il Rinaldi al-
l'anno 5iZ, num. 5 e 6, che i
flagelli furono adoperati ne' giudi-
zi ecclesiastici per far confessare
la verità, e in pena; quindi dice
che il Papa s. Ormisda trovando
gli eretici manichei ostinati nei loro
errori, dopo averli fatti esaminare
per via di battiture, li mandò in
esilio, bruciando avanti la porta
della basilica Costantiniana i loro
libri. Ecco qui la pratica del giu-
dizio ecclesiastico, cioè cavarsi pri-
ma dai nascondigli somiglianti fie-
re, e poi essere esaminati e flagel-
lati, perchè confessino la verità.
Né solamente a far confessare il
vero, ma anche in pena furono so-
liti i vescovi di adoperare i flagel-
li, come si vede appresso s. Gre-
gorio I in più luoghi, di che il
Pontefice stesso ordinò a Pascasio
vescovo, che privando un tal Ilario
dell' ufficio del suddiaconato, del
(piale n'era indegno, e pubblica-
mente castigandolo con battiture,
il facesse condurre ad esempio de-
gli altri in esilio. Ma benché fosse
a' vescovi ciò conceduto, pur non-
dimeno sovrastava a tutti, siccome
discreto arbitro il sommo Ponte-
fice, acciocché non usassero in que-
sto troppo rigore. Ed è perciò che
il medesimo s. Gregorio l fece di-
vieto ad Andrea vescovo di Fe-
rentino, che per due mesi non
potesse celebrare messa, perocché
aveva fatto troppo crudelmente
battere una donna. Assicura, inol-
tre il Rinaldi che anco agli abbati
fu conceduto di punire con verghe
i colpevoli. Indi si flagellavano i
penitenti ; ne' monasteri s'introdus-
se la .flagellazione, e questa soven-
te si amministrò anche ne' tribu-
nali di penitenza. In Francia tro-
vasi sino dall'anno 5o8 stabilita
la flagellazione, come pena applicata
alle religiose indocili, in una regola
stesa da s. Cesario d'Arles. Molti
fondatori di ordini e congregazioni
religiose stabilirono dappoi la stes-
sa disciplina nei loro ordini ; ma
FLA
non sembra ad alcuni scrittori che
si desse luogo a flagellazioni volon-
tarie avanti il secolo XI; e questo
può riferirsi pure alla Francia ,
perchè si citano s. Luigi, e s. Pop-
pone, altri dicono s. Guyone ab-
bate di Pomposa, e s. Pompone
abbate di Stavela, come i primi
che si sottoposero volontariamente
a quella macerazione, e questi mo-
rirono l'uno nel io4o, l'altro nel
1048. Quello che più si distinse
nella pratica della flagellazione vo-
lontaria fu s. Domenico Loricato
( Fedi ).
In Italia si conservò lungamen-
te nei secoli bassi il costume della
flagellazione amministrata ai peni-
tenti dopo la confessione sagramen-
tale, e il celebre marchese Boni-
facio padre della contessa Matilde,
andando annualmente a deporre
le sue colpe presso l'abbate del-
l' abbazia di Pomposa, diceva che
quell'abbate punto non lo rispar-
miava, e che una volta specialmen-
te lo aveva crudelmente flagellato.
Da questo derivò secondo alcuni
1' uso tuttora sussistente, che i pe-
nitenzieri, massime delle cattedrali
e de' santuari, tengono una lunga
bacchetta fuori del loro tribunale
o confessionale, la quale però in
oggi ad altro non serve se non
che ad indicare le facoltà loro più
estese di assolvere anche dai casi
riservati. Ma del significato di ta-
li bacchette è a vedersi 1' articolo
Confessionale. Il p. Menochio nel-
le sue Stuore, tomo II, pag. 553,
tratta del flagellare come si faces-
se dagli antichi. Che i flagellanti
diedero 1' origine alle pie confra-
ternite dei laici, lo si dice all'ar-
ticolo Confraternite (Fedi). Il Can-
cellieri nella Settimana santa, pag.
106, descrivendo la lavanda del-
FLA
l'altare che si fa nel giovedì santo
nella basilica vaticana , per mez-
zo di aspergilli fatti con rami di
tasso o di busso, ma comunemen-
te di sanguinella , tutti arricciati
e aggiustati a guisa di diadema,
dice che secondo i liturgici pos-
sono indicare la corona di spine
messa sul capo del Redentore., ov-
vero co' loro rami divisi e tagliati
in più fila, i flagelli con cui fu
percosso. V. il Bergier, Dizìon.
Encidop. , all'articolo Flagellanti.
FLAGELLI. V. Flagellazione.
FLANDRIN1 Pietro, Cardinale.
Pietro Flandiini trasse origine in
Bourca, oscuro castello delle Gal-
lie, nella diocesi di Viviers, circa
l'anno i3oo. Riuscì celebre nel di-
ritto civile ed ecclesiastico , e fu
perciò eletto uditore di rota, de-
cano della chiesa di Bazas, refe-
rendario apostolico, e poi da Gre-
gorio XI, nell'anno 1 37 1, diacono
cardinale di s. Eustachio. Ebbe la
commissione col cardinal Noelet-
ti o Noellet d' istituire processo
contro 1' eretico fr. Pietro Bona-
geta francescano; e così pure in
società di altri personaggi ebbe l'in-
carico di esaminare la dottrina
di Raimondo Lullo. Seguì il Pon-
tefice da Avignone a Roma, e fu
anche esecutore testamentario di
quel Papa, il crnale lo avea lascia-
to vicario pontificio nella Toscana.
Ma eletto Pontefice Urbano VI, il
Flandiini si ribellò, e aderì all'an-
tipapa senza lasciarci sicuri segni del
suo ravvedimento. Morì in Avigno-
ne nel i38i, ed ivi pure fu sep-
pellito.
FLANGINI Luigi, Cardinale.
Luigi Flangini nobile veneziano ,
da Marco conte del sagro romano
impero, e da Cecilia Giovanelli nac-
que in Venezia a' 26 luglio 1733,
FLA 95
ed ebbe l' educazione conveniente
al suo grado. Coltivate le scienze
e particolarmente la filosofia, si
esercitò pure nella eloquenza, per
cui successivamente fu fatto giudi-
ce nella quarantia, avogadore del
comune, censore, senatore, consi-
gliere, correttore straordinario, dan-
do in tutti gì' impieghi prove di
abilità, e di zelo per la patria. Si
attribuisce a lui principalmente il
merito della proibizione de'giuochi
di azzardo, e la chiusura dell'abbo-
minevole casa denominata Pudotto.
Essendo nel 1762 morta la mo-
glie Laura Maria Donato, lascian-
dogli una figlia per nome Cecilia,
che poi maritò col conte Giulio
Panciera, dimostrò inclinazione di
dedicarsi in servigio della santa
Sede. La veneta repubblica il no-
minò a tal riguardo uditore di
rota per la sua nazione in Pioma,
e Clemente XIV ne approvò la
scelta, facendolo poi uditore Pio
VI a' 2 6 febbraio 1777. Fu questa
la prima volta che la repubblica
volle usare del privilegio accorda-
togli dal concittadino Clemente XIII,
mentre in avanti l'uditore di rota
per Venezia era scelto dal Papa
sopra quattro nomi di dottori citta-
dini a lui assoggettati dalla repub-
blica. Si vuole che da Sisto V avesse
origine tale nominazione, ciò che me-
glio si dirà all'articolo Uditori di ro-
ta (Vedi).\n questo nuovo incarico si
mostrò prelato di grande sapere in
giurisprudenza, e 'di molta integri-
tà nell'amministrazione della giu-
stizia. Per le istanze della repub-
blica Pio VI voleva crearlo car-
dinale nella sua XV11I promozio-
ne de'3o marzo 1789; ma poi si
ricusò finché la stessa repubblica
non lo avesse provveduto di asse-
gnamento bastante a mantenere il
96 FLA
decoro della porpora. Avendogli
poi la repubblica assegnato per
provvista annui dodicimila ducati ,
il Papa nella seguente promozione
dei 3o agosto lo creò cardinale
dell'ordine de'diaconi, e poscia gli
conferì per diaconia la cbiesa dei
ss. Cosimo e Damiano, annoveran-
dolo alle congregazioni del concilio,
dell'esame de' vescovi, de'riti, e del-
l'immunità. Indi passò alla diaco-
nia di s. Agata alla Suburra, e
poi all'ordine presbiterale, ed al
titolo prima di s. Marco, poi di
s. Anastasia } intervenendo già sa-
cerdote nel conclave tenuto in Ve-
nezia all'elezione di Pio VII. Nel pri-
mo concistoro cbe questi tenne nel
monistero di s. Giorgio Maggiore
a' i aprile, dall' ordine diaconale
trasferì al presbiterale il cardinale.
Questo Papa, per nomina dell'im-
peratore Francesco II, fatta a'i 4 di
novembre 1801 , lo dicbiarò pa-
triarca di Venezia e primate della
Dalmazia, cui l'imperatore aggiun-
se le onorificenze di conte del sa-
gro romano impero, di consigliere
intimo attuale di stato, e di gran
croce dell' ordine di s. Stefano di
Ungheria. Mori in detta città ai
29 febbraio 1804, e fu esposto e
sepolto in quella chiesa patriarcale
ora concattedrale di s. Pietro di
Castello, ove la figlia e la sorella
gli eressero un'onorevole iscrizione.
Lasciò alcuni monumenti lettera-
ri del suo ingegno e coltura, che
pubblicò colle stampe; e sono:
Annotazioni alla corona poetica di
Quirino Telpasinio in lode della
repubblica di Venezia, sotto il suo
nome arcadico di Agamiro Pelo-
pideo, Venezia 1750. Col medesi-
mo nome, Rime di Bernardo Ca-
pello con annotazioni , Bergamo
1753; Orazione per l'esaltamento
FLA
del doge Marco Foscarini, Vene-
zia 1761; Lettera patriarcale per
la sua assunzione al patriarcato,
stampata in Vienna nel 1802, ol-
tre altra pubblicata in Venezia nel
1 8o4 ; Apologia di Socrate scritta
da Platone, traduzione dal greco,
inserita nel Corso ragionalo di
letteratura greca dell' ab. Cesarot-
ti; Argonauti di Apollonio Rodio,
traduzione in versi con note, Ro-
ma 178 r. II p. Giovanni Lamen-
ti nella Storia della diaconia di
s. Agata, a pag. LVII, descrive i
benefizi dal cardinale fatti a detta
chiesa, e delle due portiere di drap-
po giallo, colle sue arme ricamate.
A pag. XI poi descrive gli uffizi
da lui esercitati prima di dedi-
carsi allo stato ecclesiastico, e fa
il novero delle sue produzioni let-
terarie.
FLAVIADOMITILLA(s.). Figlia
della sorella del console Flavio Cle-
mente, martirizzato per la fede.
L' imperator Domiziano, tuttoché
suo parente, la bandi nell' isola
Ponzia; sulla costiera di Terracina,
dopo averne condannato a morte
lo zio. Ella visse in quell' esilio
negli esercizi della pietà cristiana,
co' suoi eunuchi Nereo ed Achil-
leo ; e le cellette nelle quali abi-
tavano separati gli uni dagli altri,
sussistevano ancora trecento anni
dopo il martirio. Troviamo negli
atti de' santi Nereo ed Achilleo,
che Domi lilla andò a Terracina, e
che vi fu abbruciata d' ordine di
Traiano, perchè ricusò di sagri-
fìcare agi' idoli. Le sue reliquie
si venerano in Roma con quelle
di questi santi, che suoi servitori
in terra, furono fatti compagni del-
la sua gloria in cielo. Se ne cele-
bra la festa ai 1 1 di maggio.
FLAVI ANO (s.). Prete e teso-
FLA
riere della chiesa di Costantinopoli,
ne fu assunto alla dignità di arci-
vescovo l' anno 447- Questa ele-
zione dispiacque all' eunuco Crisa-
fio, ciambellano dell'imperatore Teo-
dosio il Giovane, e procurò in va-
rie guise la rovina dell'arcivescovo,
approfittando dell'ascendente che
avea sul debole principe. Avendo
poscia Flaviano, nel concilio da lui
radunato a Costantinopoli l'anno
448, condannato gli errori di Eu-
tiche, eh' era parente di Crisafio,
l' odio di costui non ebbe più li-
miti. Stimolò F imperatore di or-
dinare la revisione degli atti del
concilio ; ma 1' esame che se ne
fece non servi che a maggior con-
fusione di Eutiche, e a gloria del-
l' arcivescovo. Il perverso Crisafio,
vieppiù adirato, scrisse a Dioscoro
patriarca d' Alessandria, uomo im-
petuoso e violento, promettendogli
la sua amicizia e protezione, s'egli
volesse prendere la difesa d' Euti-
che, e far lega con lui contro Fla-
viano ed Eusebio da Dorilea che
l'avevano accusato. Poiché ebbe su-
bornato il patriarca, procurò di
guadagnare l'imperatrice Eudossia,
la quale gli aderì per mortificare
Pulcheria sorella dell' imperatore,
cui sapeva essere protettrice del
santo arcivescovo. Teodosio sedotto
s'indusse a convocare un concilio ad
Efeso per la pretesa necessità di
metter fine a tutte le contenzioni.
Ordinò a Dioscoro di recarvisi a
presederlo, e condur seco dieci dei
suoi metropolitani, altri dieci ve-
scovi e l'archimandrita Barsumas,
eh' era tutto de' nemici di Flaviano.
Gli altri patriarchi ed il Papa s.
Leone I furono altresì invitati al con-
cilio ; ma il Papa non ebbe che
assai tardi la lettera dell' impera-
tore, tuttavia mandò quattro lega-
vol. xxv.
FLA 97
ti per rappresentarlo . Agli 8 di
agosto del 449 s' aPei'se 4ue^ v'°"
lento concilio, ove dopo lunghe
contese Dioscoro pronunziò la sen-
tenza di deposizione contro Flavia-
no ed Eusebio da Dorilea. I le-
gati del Papa protestarono contro
questa sentenza, e molti vescovi
scongiurarono Dioscoro, allorché "si
mise a leggerla, di non andare più
innanzi ; ma egli lungi dal piegarsi
chiamò i commissari dell' impera-
tore, e Proclo proconsolo d' Asia
entrò seguito da una compagnia di
soldati con catene, bastoni e spa-
de. Il più de' vescovi spaventati so-
scrissero, ma i legati del Papa fu-
rono sempre fermi contro queste
violenze. Flaviano consegnò ad essi
1' atto della sua appellazione. Dio-
scoro furioso si avventò contro il
santo, in un con Barsumas ed al-
tri del suo partito, lo gettarono a
terra, e lo maltrattarono in modo
che ne mori poco dopo presso E-
pipe, ov' era stato esiliato. L'anno
seguente, succeduta al trono Pulche-
ria, dopo la morte di Teodosio, ordinò
che il corpo del santo fosse solenne-
mente trasportato a Costantinopoli, e
seppellito cogli arcivescovi suoi pre-
decessori. Il concilio generale di
Calcedonia nel 4^' annoverò Fla-
viano fra i santi ed i martiri, ri-
mise Eusebio da Dorilea sul pro-
prio seggio, e condannò Dioscoro. Il
Papa s. Ilario, il quale era stato uno
dei legati di s. Leone I ad Efeso,
avea tanta venerazione pel santo
arcivescovo, che fece rappresentare
il suo martirio nella chiesa ch'egli
eresse in onore della croce del
Salvatore. La festa di s. Flaviano
si celebra il 17 febbraio.
FLAVIANO (s.). V. Monta-
no (s.).
FLAVIOPOLI o FLAVIA. Cit-
98 FLA
là vescovile dell' Asia nella Cilicia,
situata a' piedi del monte Tauro,
ed assai vicina alla sorgente del
Calycadnus. Deve il suo nome al-
l' imperatore Flavio Vespasiano. È
chiamata Flavia* nelle notizie di
Jerocle, ed è verisimilmente la stes-
sa detta Flavìada nell' itinerario
di Antonino, ov'è marcata sulla
strada di Cesarea di Cappadocia
ad Anazarbo. In oggi chiamasi pu-
re Vico Filìopoli , in Caramania ,
dominio della porta ottomana. Ap-
partenne al patriarcato di Antio-
chia, ed alla seconda provincia ec-
clesiastica di Cilicia. Nel quinto se-
colo vi fu eretta la sede vescovile
suffraganea della metropolitana di
Anazarbo detta anche Aesar o Ac-
seraì. I suoi vescovi furono, 'A-
lessandro che fu altresì vescovo di
Gerusalemme sotto l' imperatore A-
lessandro Severo figlio di Mam-
mea; Niceta che intervenne ai con-
cili di Nicea e di Antiochia ; Gio-
vanni che fu al concilio di Calce-
donia ; Andrea che trovossi al con-
cilio di Mopsueste, radunato per
ordine dell' imperatore Giustiniano
I a cagione di Teodoro di Mop-
sueste, e trovossi pure al quinto
concilio ecumenico ; Giorgio che as-
sistè al sesto concilio ecumenico;
ed Eustrato che venne designato
patriarca di Costantinopoli dall'im-
peratore Niceforo Foca. Al presen-
te Flaviopoli, Flaviopolitan, è un
titolo vescovile in partibus, sotto
la metropoli pure in partibus di
Anazarbo, che conferisce la santa
Sede. Ne furono ultimi vescovi
monsignor Giovanni Wilkychi , e
monsignor Epifanio Maria Tunisi
di Cefalo, fatto dal regnante Pon-
tefice nel concistoro de' 1 7 settem-
bre i838.
FLAVIOPOLI. Città vescovile
FLE
dell'Asia nella Bitinia , nominata
da Tolomeo, e chiamata pure Cra-
tea, e Cratia. Nelle notizie eccle-
siastiche è registrala nella provin-
cia di Onoriade, sotto l'esarcato di
Ponto. Fu eretta in vescovato nel
quarto secolo, e dichiarata sufFra-
ganea di Claudiopoli.
FLECHIER Spirito. Vescovo di
Nimes, nacque a Pernes nella dio-
cesi di Carpenlrasso l'anno i63"2.
Entrò di sedici anni nella congre-
gazione de' padri della dottrina cri-
stiana, nella quale era generale Er-
cole Audifret suo zio. Quivi co' piìi
rapidi progressi si educò d'ingegno
e di cuore, essendosi dedicato spe-
cialmente allo studio delle belle
lettere , e degli oratori antichi e
moderni. Piattristato- poscia per la
morte di suo zio, passò a Parigi ,
ove colle sue poesie, panegirici, e
funebri orazioni rese celeberrimo il
suo nome. Per volontà del duca
di Montausier avea scritta la vita
di Teodosio il Grande per am-
maestramento del gran delfino ,
quando nel i685 fu sollevato al
vescovado di Lavaur. Ma non pas-
sarono due anni che contro la sua
volontà fu trasferito a quello di
Nimes, diocesi ripiena di calvinisti.
Ma siccome suo carattere era la
mansuetudine, sua principale dote
T eloquenza , così nel suo regime
riportò sopra di essi innumerevo-
li trionfi. Morì questo illustre, vir-
tuoso , e saggio prelato a Mon-
pellieri nel 17 io, d'anni settan-
totto, fra le lagrime de' suoi dio-
cesani, e la slima degli stessi suoi
nemici. Le principali sue opere
sono: i.° Orazioni funebri ; i.° Fa-
negiricij 3.° alcuni Sermonij /L
Storia dell' imperatore Teodosio d
Grandej 5.° Fifa del cardinal
Coinmendoiu', tradotta dal Ialino
FLE
ilei Grazi ani; 6." Vita del cardi-
nale. Ximcnes; y.° Pastorali, ec.
Fu pure autore di alcune Lettere,
nelle quali si trovano cose curiosis-
sime sulle turbolenze di Cevennes.
La sua orazione funebre pel Tu-
renna è ritenuta da' dotti come la
principale fra le sue produzioni.
FLEURY, o S. Benedetto sulla
Loira in Francia. Abbazia dell'or-
dine di s. Benedetto, eli' era situa-
ta in un borgo del medesimo no-
me, stilla riva destra della Loira ,
nella diocesi d' Orleans ,' tra Sully
e Targeau. Fu fondata verso la
metà del secolo VII da Leodebaldo
abbate di s. Aignan, sotto l'invo-
cazione di s. Pietro, ma in seguito
preso il nome di s. Benedetto, quan-
do le reliquie di questo gran san-
to, patriarca de' monaci di occiden-
te, furono ivi trasportate da Mon-
te Cassino nel medesimo secolo,
dall'abbate s. Mommolo per timo-
re de' barbari. Se il corpo od al-
cune reliquie furono realmente da
Monte Cassino (Vedi) portate a
Fleury, lo si dice in quell'articolo.
Certo è che in considerazione di
tale prezioso deposito i Papi, i re
e molti prelati accordarono il loro
favore a questa abbazia , la quale
fu altre volte capo dell'ordine, non
solamente in rapporto ai moniste-
ri ch'erano da essa dipendenti, ma
altresì per la preeminenza che gli
fu accordata dai sommi Pon telici
sopra tutti gli altri monisteri. 11
Papa Leone VII la chiamava il
primo ed il capo di tutti i moni-
steri, ed Alessandro li accordò al-
l' abbate la qualifica di primo tra
gli abbati di Francia. Inoltre Leo-
ne VII esentò il monistero dalla
giurisdizione dell'ordinario, e per-
mise all'abbate di farsi benedire, e
di fare ordinare i suoi religiosi da
FLE 99
quel vescovo che gli fosse piaciuto.
L* osservanza regolare fu lungo
tempo in vigore in questa abbazia:
vi s' insegnavano le scienze divine
ed umane , e questa casa fu sem-
pre in grandissima venerazione in
tutte le provincie vicine; ma le de-
vastazioni de' normanni avendo co-
stretto molte volte i religiosi a sor-
tirne , il rilassamento s' introdusse
fra essi, non restando loro che il
nome di monaci. Quando s. Odo-
ne abbate di Cluny presentossi lo-
ro per ristabilirvi la riforma, i mo-
naci si armarono per respingerlo coi
vescovi che lo accompagnavano,
come se si trovassero ancora in
faccia ai normanni. Quel savio e
prudente abbate seppe raddolcirli ,
e potè ristabilire la regolarità e
gli studi con tanto successo, che
furono ben presto invitati i religio-
si di Fleury a fare negli altri mo-
nisteri ciò che aveva egli fatto
nel loro.
Secondo le antiche costumanze
in Fleury facevansi abbondanti li-
mosine. Questo insigne monistero
ebbe fino a trenta priorati o pre-
positure nella sua dipendenza. Tal-
volta ponevansi delle tasse sui prio-
rati per comprare libri alla biblio-
teca, a cui ogni scolaro era obbli-
gato di regalarne due alla fine dei
suoi studi. Si può quindi con fa-
cilità giudicare quanto numerosa
essere doveva quella biblioteca , a-
vendo l'abbazia di Fleury avuto
sino cinquemila scolari. La biblio-
teca fu saccheggiata nel i56i e
i56"2 dai calvinisti, che portarono
via tutto ciò eh' era stato lasciato
nel monistero dai satelliti dell'in-
degno cardinal Odet di Chatillon
deposto da Pio IV , che era stato
abbate commendatario, e che avea
scandalosamente abbandonata la re-
ioo FLE
ligione cattolica. La maggior parte
de' libri di cui era composta la bi-
blioteca di Fleury , e che furono
portati via e venduti a vii prezzo
da quei fanatici eretici, dopo di a-
verli acquistati la regina di Svezia
Cristina, passarono poi nella biblio-
teca vaticana. In seguito il moni-
stero di Fleury fu unito alla con-
gregazione degli esenti, ossia no sa-
cerdoti privilegiati, nel i588, quin-
di a quella di s. Mauro nel 1627.
In Fleury furono tenuti due con-
cili, il primo nel 1107 in occasio-
ne della traslazione del corpo , o
piuttosto delle reliquie di s. Bene-
detto, sebbene altri dicono essere
accaduto il trasporto delle reliquie
nel settimo secolo. Il secondo con-
cilio ebbe luogo nel ino risguar-
dante la chiesa di Mauriac. Ivo di
Chartres fa menzione di questi due
concili, nell'epistole 216 e 2 18; il
Lenglet parla solo del secondo. Il
p. Mansi nel tom. II, col. 241 e 242,
dice che di questo ne tratta una
lettera del cardinal Riccardo lega-
to della santa Sede, colla quale il ve-
scovo di Arras con circolare invitò
gli abbati di sua diocesi a trovar-
si in quel concilio, colla minaccia,
in caso di renitenza, d' interdizione
da tutte le funzioni. Baluzio tom.
V, pag. 35 delle sue Memorie.
FLEURY (di) Andrea Ercole,
Cardinale. Andrea Ercole di Fleu-
ry nacque in Lodeve nella Lingua-
doca l'anno 1680. Si applicò allo
studio delle' lettere e delle lingue
nel reale collegio di Navarra , e
spiegò poi qual profitto eccellente
ne avesse fatto in quelle pubbliche
conclusioni di filosofia che sosten-
ne e difese nella greca lingua. La
fama del di lui ingegno si sparse
assai presto, ed anzi , avutone un
canonicato nella cattedrale di Mont-
FLE
pellier, la regina Maria Teresa d'Au-
stria per averlo più davvicino e
giovarsene del di lui sapere, lo le-
ce suo elemosiniere, e poscia il re
di Francia stesso Io nominò a tal
carica ed alla badia di s. Maria di
Ripatorio nella Sciampagna. I suoi
dolci modi e la sua bella modestia
così gli guadagnarono l'animo dei
grandi di Parigi, eh' egli potea di
loro disporre a suo piacimento ; e
in vero se ne valse non poche volte
per comporre le discordie recipro-
che, e unire i cuori alla pace. Tra
gli altri conciliò assieme i celebri
JBossuet e Fénclon , assai tra loro
discordi per la diversità delle opi-
nioni in fatto di scienze che am-
bedue coltivavano e difendevano.
Innocenzo XII gli conferì il vesco-
vato di Frejus nelle Gailie, ed ivi
si diede con uno zelo ripieno del
fuoco di carità a correggere i gran-
di abusi di quella diocesi. Celebrò
un sinodo, e stabilì in quello la
residenza de' parrochi sino allora
trascurata, e riformò la perieli tante
disciplina del clero. Seguì poscia
a celebrare il sinodo in ogni an-
no, prendendo ad esame ogni ar-
gomento, e nulla lasciando correre
che offender potesse la delicatezza
di sua coscienza. Predicava al po-
polo egli stesso, spiegava l'evange-
lio, insegnava la dottrina a' fan-
ciulli, per animare gli ecclesiastici
a non abbandonare quest' impor-
tantissimo ufficio, visitava la dio-
cesi e più di frequente dov'erano
maggiori i bisogni: cosicché in po-
co di tempo la sua chiesa diven-
ne una delle più ben ordinate e
fiorenti della Francia. Fondò un
secondo seminario a proprie spese,
e audava in persona ad invigilare
sulla condotta e sul profitto dei
chierici. Vivea poi con molta ri-
FLE
strettezza per giovare co' suoi ri«
spninii a' poverelli, che veniano da
lui beneficati con grande liberalità,
e sovvenire gì' inFernii, le vedove,
le fanciulle esposte, per le quali
fece aprire stabilimenti di lavoro
del loro sesso. Glie se gli venia
fallo di sapere che un qualche ec-
clesiastico degno di premio per vir-
tù e sapere venia trascurato per
la villa de' natali, come general-
mente da' superbi si usa, egli con
somma premura non dubitava di
sollevarlo al di sopra de' nobili
stessi. Subito che fu divulgata in
Francia la bolla Unigenitus , egli
ne dimostrò la sua obbedienza ,
e impugnò con fortezza gli er-
rori serpeggianti di Quesnello e
de' suoi seguaci. E quando la cit-
tà di Frejus fu desolata dalla guer-
ra, non lasciò d' impiegare ogni
mezzo per impedire i disordini
dei saccheggi , come infatto riu-
scì, ed è degna di essere ricordata
la bella risposta che diede al re di
Sardegna e al duca di Savoia, quan-
do entrarono cogli eserciti nella
città e domandavano al vescovo il
giuramento di fedeltà. » Non sono
>» più di tre giorni, lor disse, che
>» voi siete nella mia diocesi, e for-
» se non vi tratterrete molto a
» lungo; non vogliate perciò ob-
»» bligare un vescovo a mancare
»» di fede al suo sovrano. Voi stes-
si si non vorreste che i vostri ve-
» scovi in simili incontri fossero
y» inconcussi ne' loro doveri "? In-
fatti piegò così bene l' animo di
que' principi, che non osarono più
di tentare quella illibata coscienza.
Governata quella chiesa sino all'an-
no 171 5, ne fece rinunzia per mo-
tivi di salute, che gì' impedivano
di vegliare con quella accuratezza
che domandava il suo grande ani-
FLE 101
mo. Ricusò poscia nel 1722, per
la stessa ragione, l'arcivescovato di
Reùns; ma riavutosi alquanto, ri-
cevette da Luigi XIV le abbazie
di Tournus nella diocesi di Cavail-
lon, e di s. Stefano nella diocesi
di Bajeux, e assunse l'educazione
di Luigi XV figliuolo del re. Que-
sto monarca supplicò il Pontefice
a crearlo cardinale , e infatti Be-
nedetto XIII, nell'anno 1726 a-
gli 1 1 di settembre, con universa-
le soddisfazione gli conferì la sa-
cra porpora. Dipoi lo nominò suo
primo ministro, e provvisore della
casa di Sorbona e del collegio di
Navarro. In questo sublime posto
il Fleury diedesi tosto a pacificare
la Francia sconvolta dalle guerre,
dilatò il commercio, favorì le arti,
promosse le scienze, e sopra ogni
cosa servi la religione , collocando
personaggi forniti di eminenti pre-
rogative al governo delle abbazie
e delle diocesi. Ampliò la bibliote-
ca reale per maniera eh' essa di-
venne una delle più rinomate di
Europa, e in ogni officio cosi res-
se il governo che la Francia risto-
rala per lui , dovrà benedire per
sempre la di lui ben augurata me-
moria. Infermatosi in Issy , luogo
non lontano da Parigi, fu visitato
tre volte dal re, una volta dalla
regina e dal delfino. Ma era com-
piuto il corso delle fatiche di quel
grand'uomo : egli nell'età di no-
vantanni spirò nel Signore , e fu
deposto nella chiesa di s. Luigi del
Louvre, dove si eresse alla sua
gloria un grande e magnifico mau-
soleo. Nei quattordici anni che go-
vernò la Francia in qualità di pri-
mo ministro, con centomila lire di
rendita, viveva parcamente, distri-
buendo il resto segretamente ai bi-
sognosi ; ed avea impiegate così
103 FLE
le sue ricchezze, che dopo morte,
la vendita delle sue suppellettili
non bastarono neppure a supplire
ai legati ed alle spese de' funerali.
Abbiamo le riflessioni storiche e
politiche sulla condotta gloriosa del
Fleury, stampate in Utrecht nel
1741 j ed il ritratto dello stesso
cardinale, composto da Luigi Fe-
derico Hudmann, nelle Mèmoires
de Trèvoux del 1739, pag. 284.
11 p. de Neuville gli fece l'orazio-
ne funebre, che tradotta dal fran-
cese in italiano , fu stampata in
Venezia nel 1747-
FLEURY Claudio, nacque nel
1640 a Parigi, ed ebbe a padre
un avvocato al consiglio. Pel corso
di nove anni si dedicò al foro, e vi
si diportò valorosamente, forman-
done unico suo diletto ed occupa-
zione giurisprudenza e letteratura.
Se non che vera umanità di costu-
mi, piacere al ritiro, e costante
pietà ne lo predispose alla profes-
sione ecclesiastica , nella quale en-
trò, e fu ben tosto sollevato al sa-
cerdozio. Dopo tale mutazione di
stato abbandonò ogni altro studio
che non avea relazione alle scienze
ecclesiastiche, e si diede a studiare
a tutt'uomo la teologia, la sacra
Scrittura , la storia ecclesiastica, il
diritto canonico, i santi padri, po-
nendo a parte il pubblico di quan-
to rapidamente andava acquistando.
Tale si fu in breve tempo la fama
del Fleury, che nel 1672 venne elet-
to precettore de' principi di Conti
fatti allevare dal re con monsignor
delfino suo figliuolo; indi nel 1680
gli venne affidata la guida del
principe di Vermandois ammiraglio
di Francia ; dopo la morte del
quale il re lo propose all'abbazia
di Loc-Dieu. Nell'anno i68q co-
operò coli' illustre Féuélon all' isti-
FLE
tu/ione de' duchi di Borgogna, di
Angiò e di Beni, ed intanto l'ac-
cademia francese lo scelse quale
nuovo suo membro in luogo del
La-Bruyère. Annoiato della corte si
ritirò onde attendere con più di
calore e tranquillità ai suoi studi.
Ma il duca d' Orleans, reggente
del regno, nel 17 16 lo chiamò al-
la corte per confessore di Lodovico
XV, poich' egli non era, secondo
il detto di quel principe, né gian-
senista, né in ol ini sta , ne oltra-
montano. Disimpegnò con tutta
saggezza e fervore l'assunto diffici-
lissimo suo incarico, fino a che nel
1722 per l'avanzata sua età fu
costretto a ritirarsi, e nell' anno se-
guente a' 14 di luglio morì nell'età
d'ottantatre anni, lasciando di sé la
gloriosa memoria di un uomo assai
dotto. Abbiamo di lui : i.° la Storia
del gius francese j a.°i Costumi degli
israeliti j 3.° i Costumi de' cristia-
ni j 4-° il Catechismo storico, nel
quale dà una idea della storia
della religione dalla creazione fino
a Gesù Cristo e da Gesù Cristo fino a
noi. Non appena uscì quest'opera che
Arnaldo pregò Dodart ad obbligare
l'autore a correggere quanto avea
detto nella lezione 48 del catechismo
grande siili" attrizione. Impercioc-
ché pareagli che 1' autore adottasse
1' errore di coloro, i .quali preten-
dono che si possa essere giustifica-
to nel sacramento della confessio-
ne col solo timore delle pene, sen-
za amore veruno ; cosa che non
si può sostenere, dice Arnaldo, sen-
za rovesciare dal fondo la mo-
rale cristiana. Quantunque sia ella
un'opera stimata, non è questo
il solo difetto di esattezza, che si
nota in questo catechismo; 5.° la
l'ita della madre d' Arbuze rifor-
matrice di Fai di-Grazia j G." Irai-
FLT
tato di-Uà scelta e del metodo de-
gli studi ; j.° l' Insti tuzione al di-
ritto ecclesiastico; 8." gli Obblighi
de' padroni e de' servi j g.° uà
corpo di Storia ecclesiastica. Il p.
Biagi nelle aggiunte al Dizionario
del Bergier, fa un articolo su Clau-
dio Fleury storico della Chiesa, ed
avverte che appena nel 1690 venne
in luce il primo tomo della Storia
ecclesiastica del medesimo, ne si-
gnificò le sue doglianze in partico-
lare la chiesa di Francia, giudican-
do questa storia poco favorevole al-
l'autorità ecclesiastica, e dannosa
al cristianesimo. Indi soggiunge,
che proseguendo i lamenti de' cat-
tolici rapporto a tale istoria, più
di un francese pubblicò delle opere
in confutazione, e tra gì' italiani
confutatori della medesima nomina
il p. Zaccaria minore osservante, e
monsignor Marchetti, con ragione-
voli critiche. Anche il p. Orsi, poi
cardinale, nell' intraprendere la com-
pilazione della sua Storia ecclesia-
stica, ebbe per singoiar iscopo di
opporsi alle falsità di Fleury, e fu
seguito dal p. Becchetti, e dal p.
Saccarelli, benemeriti come 1' Orsi
della Chiesa. Quindi il p. Biagi ri-
leva i principali errori, ed avverte
che altre opere del Fleury furono
proscritte dalla santa Sede.
FLIO (Phlius). Città vescovile
del Peloponneso, situata in mezzo
alla Sicionia secondo alcuni, men-
tre altri dicono che sia il Vico-
Yri, o 'Rupela. Forse fu suffraga-
li ea di Corinto, e si conoscono se-
dici suoi vescovi. Commanville dice
che Flium fu una importante città
d'Egitto,, presso Arsinoe, e ch'era
abitata da gran numero di copti.
Al dire degli arabi fu fabbricata
Flium sulla riva d' un piccolo brac-
cio del Nilo da uno dei Faraoni.
FLO io3
Vedi il p. le Quien nell' Oriens
Christ. tom. II, pag. 327.
FLORA e MARIA (ss.). Nacque
Flora a Cordova, di padre maomet-
tano, ma di madre cristiana che
segretamente allevolla nella vera
religione. Accusata da suo fratello,
fu citata davanti al cadì, il quale
la fece vergheggiare, e tanto fu
battuta nella testa, che le si vedea
in molte parti scoperto il cranio ;
quindi la consegnò al fratello per-
chè la inducesse a rinunziare al
cristianesimo. Ella ebbe modo di
fuggire da lui, e si ritirò per qualche
tempo ad Ossaria presso una sua
sorella. Ritornata a Cordova, andò
pubblicamente ad orare nella chie-
sa del santo martire Aciscolo, ove
trovò Maria, sorella del diacono
Valabonso che avea poco prima
sofferto il martirio. Queste due
vergini piene di' zelo per la fede,
convennero tra loro di presentar-
si alla corte del cadi. Ivi furo-
no chiuse in una oscura prigio-
ne, e dopo un altro interrogatorio
condannate a perdere la testa. Ri-
cevettero la corona del martirio ai
24 novembre dell' 85 r, e in tal
giorno sono menzionate nel marti-
rologio romano.
FLORA o FLORENSE, Con-
gregazione monastica. V. il voi.
XIII, pag. 217, 218 e 219 del
Dizionario.
FLORENTINIO ed ILARIO (ss ).
Abitavano nella citta di Pseudun,
nella diocesi di Autun, della quale
non rimane più che il villaggio di
Semont, e facevano gara tra loro
nei digiuni, nell' orazione, e nella
pratica delle cristiane virtù. Allor-
ché piombarono i barbari sulle
Gallie, al cominciare del quinto
secolo, essi furono spogliati dei loro
beni e messi a morte per la fede.
io4 FLO
I loro corpi furono trasportati a
Lione alla metà del nono secolo,
e deposti nel monastero di Aisnay.
Furono in seguito fatte molte di-
stribuzioni delle loro reliquie; la
parrocchia di Bremur sulla Senna
a una mezza lega da Semont, pre-
tende di possedere il corpo di s.
Florentinio. Ricordasi il loro mar-
tirio ai 27 di settembre.
FLORENZI o FIORENZI A-
driano, Cardinale. V. Adriano VI,
Papa CCXXVI1I.
FLORERIA APOSTOLICA .
Guardaroba pontificia esistente nei
due palazzi apostolici vaticano e
quirinale, ove dal fioriere, uffìzia-
le palatino dipendente dal foriere
maggiore, si custodiscono le mas-
serizie, le suppellettili, i mobili, le
biancherie, le argenterie, i servigi
di tavola, le ramerie, gli addobbi,
e tutto l' occorrente per tutte le
pontifìcie funzioni, in una parola
tuttodì) che di amovibile appar-
tiene ai palazzi apostolici ; meno
gli arredi e paramenti sagri, la cui
custodia è devoluta a monsignor sa-
giisla, ed al p. sotto- sagrista; le mu-
nizioni di legnami, ferramenti, pietre
ed altri cementi che hanno parti-
colari custodi dipendenti pure dal
foriere maggiore, e ciò che si ap-
partiene alle scuderie e sellerie, af-
fidate in consegna dal cavallerizzo
maggiore al sopraintendente delle
scuderie pontificie. La vasta doreria
del palazzo vaticano ha 1' ingresso
nel cortile detto di s. Damaso, la
cui descrizione in un alle pitture
che vi sono, si legge nello Chat-
tard, voi. H. pag. 455, 468, e
4^4 della Nuova descrizione del
Faticano. La floreria del palazzo
quirinale ha l' ingresso nel gran
cortile dell' orologio : prima stava
sotto alle due branche della scala
FLO
regia, ma da ultimo fu trasferita
poco distante, cioè in parte del
locale prima occupato dalla segre-
teria di stato ; per cui ora rac-
chiude la bella cappella del Pre-
sepio, con stupendi dipinti a fresco,
che descrivemmo al volume IX,
pag. 161 del Dizionario. Nella
floreria apostolica si conservano
pregevoli registri antichi, e le pian-
te delle cappelle palatine, come
delle basiliche e chiese di Roma,
ove il Papa suole celebrare ed as-
sistere alle sagre funzioni ordinarie
e straordinarie; colla prescrizione
degli addobbi e di tuttociò che
deve fornire la floreria pontificia,
anche per ornare e preparare le
aule palatine pei concistori, con-
gregazioni, prediche., ec. ec. Laon-
de 1' officina della floreria è in
tutto l'anno in attività, ed il suo
capo si chiama fioriere, addetto al
Foriere maggiore [Vedi), primario
ministro del palazzo apostolico, do-
po il prelato maggiordomo del
Papa prefetto de' palazzi apostolici.
Altrove, ed ai rispettivi articoli,
abbiamo detto , che in sede va-
cante la custodia delle florerie pon-
tificie, e di tutto altro appartenen-
te ai palazzi apostolici, è devoluta
ai chierici della camera apostolica.
Dal Bernini, Del tribunale della
rota pag. 124» si apprende, che
nel pontificato di Severino eletto
l'anno 640, erano custodi della
guardaroba de' paramenti pontificii
i cappellani uditori di rota, come
antichissimi cubiculari!. AH' articolo
Vestarario (Vedi) diremo di que-
sto no hi le ed antico uffizio del pa-
triarchio lateranense, custode del
vestiario pontificio, e delle cose più
preziose, come delle ricche suppel-
lettili della chiesa romana, e. del
danaro che si conservava pei biso-
FLO
gni straordinari, massime per sol-
levare il popolo. All'articolo Sa-
crista [Fedi), parleremo del suo
uffizio di prefetto della sagristia
pontificia, e di quello del p. sotto-
sagrista sotto-prefetto della medesi-
ma, ambedue dell' ordine romitano
di s. Agostino, ed il primo deco-
rato della dignità di vescovo tito-
lare. Ambedue sono custodi di tut-
te le sagre suppellettili del sommo
Pontefice, e delle cappelle pontifì-
cie. Questa custodia sembra che
incominciasse coli' origine della ca-
rica di sagrista. quando cioè Gio-
vanni XXII nel 1 3 1 9 stabilì che
un religioso del detto ordine romi-
tano dovesse esercitare gli uffizi di
bibliotecario della santa Sede cu-
stode de' suoi libri ( F. Biblioteca
Vaticana^, di confessore del Papa,
e di sagrista. Sotto Sisto IV que-
sti tre impieghi furono tolti all'or-
dine, ma Alessandro VI con bolla
del ?497 restituì all' ordine il pri-
vilegio perpetuo del sagristato pon-
tifìcio. Questa custodia si esercita
pure in tempo di conclave, per cui
sì monsignor sagrista, che il p. sot-
to-sagrista vi sono ammessi in ser-
vigio de' cardinali. Pio IV per la
prima volta ammise il sagrista in
conclave colla nota bolla : Sacrista
quoque cum uno clerico coadjutore
in officio sacristiae. Dal Rocca si
apprende che dopo il 1600 fu isti-
tuito da Clemente Vili 1' altro of-
ficio di sotto-sagrista, sotto-prefètto
o sotto-custode della pontificia sa-
gristia, col come allora di Cappel-
lano o compagno del sagrista ,
concedendo a questo 1' aiuto di un
individuo da scegliersi anche tra il
clero secolare ; indi il cappellano
dai successivi Pontefici col nome di
sotto - sagrista di Nostro Signore
tu annoverato al loro diretto ser-
FFO to5
vizio ed a quello del sagro palazzo
apostolico, dovendo firmare an-
ch' esso con monsignor sagrista l' in-
ventario delle cose affidate alla lo-
ro custodia, con responsabilità ad
entrambi. Già sotto Clemente X
si legge dal breve spedito nella no-
mina . del p. sotto-sagrista agosti-
niano il titolo di sub praefecti sa-
crarli apostolici j e siccome al
nominato fr. Carlo Bonetti fu im-
pugnato il diritto di votare nei ca-
pitoli del suo ordine romitano, co-
me nelle congregazioni del proprio
convento, due risoluzioni della sa-
gra congregazione del concilio ac-
cordarono del 1674 ai pp. sotto-
sagrista pro-tempore il controverso
suffragio : attento servitio quod
praestat sanctissimo Domino No-
stro. Talvolta i Papi concessero ad
alcun religioso agostiniano anche
la coadiutoria con futura successio-
ne, al sotto-sagristato, il quale si
nomina dal Papa con biglietto del-
la segreteria di stato, come il sa-
grista, ambedue officiali del palaz-
zo apostolico , custodi della sa-
gra guardaroba. Del cameriere se-
greto guardaroba se n' è parlato
agli articoli Camerieri del Papa, e
Famiglia pontificia (Fedi)j del
bussolante sotto-guardaroba, egual-
mente se n' è detto a quest' ultimo
articolo, ed a quelli di Bussolanti,
e Cappellani comuni ( Vedi ). Ma
al sotto-guardaroba non è rimasta
che la custodia degli Agnus Dei
benedetti, delle impronte per farli,
ed attrezzi per la loro benedizione;
é la custodia della falda e della
stola pei concistori. Al medesimo
articolo Famiglia pontificia, si di-
ce di vari custodi di oggetti ap-
partenenti al Papa, come dei roc-
chetti, delle gioie ec, essendo il
Maestro di camera (Fedi), il cu-
io6 FLO
stode dell' anello piscatorio. Il pri-
mo aiutante di camera del Pon-
tefice è il custode generale delle
sue vesti, biancherie, ed altro. Dal-
la canonizzazióne di s. Brigida fat-
ta nel i3gi da Bonifacio IX, si
legge che a cagione di certo inco-
modo incominciò la funzione nella
cappella grande del palazzo vatica-
no, pel quale effetto fu parata da
tutti i lati di panni, ed ornata di
fronde di mirto dal Maestro del-
la floreria apostolica. Da ciò si
rileva, che a quel tempo la guar-
daroba pontificia già si chiama-
va floreria _, ed aveva il capo
col nome di maestro. Neil' opera
del p. Galtico, Ada selecta caeri-
vionialia, è riportato un codice va-
ticano, ove sono descritti gli offì-
zi palatini al tempo di Alessan-
dro V, eletto nel i4oc), del Fol-
rarius Palatii, e della floreria,
chiamata dal codice Folrarìa j ec-
co quanto si dice, che noi ripor-
tiamo tradotto dal latino in italiano.
- In questo officio si deve porre
un ecclesiastico o un secolare one-
sto e fedele, e idoneo a tale uffi-
cio. Questo ha la custodia di tut-
ti i paramenti per le sedie ponti-
fìcie o cattedre, dei sopra-teli, dei
banchi, e dei parati delle camere,
delle seterie, dei tappeti , e di si-
mili altre cose appartenenti alla
persona del sommo Pontefice, ed
all' ornamento del suo palazzo.
Inoltre ha la custodia dei letti, dei
materassi, delle coltri, delle coper-
ture, dei cuscini, delle tele, dei
panni rosati e rossi, e di altre si-
mili cose appartenenti tanto alle
camere di Nostro Signore, che al-
le altre per uso del detto palazzo,
eccettualo però quelle cose che so-
no specialmente commesse alla cu-
stodia dei camerieri segreti ".
FLO
« Conviene però capere, che a
nessuno abitante in palazzo si som-
ministrano li materassi, le coper-
ture, e le altre cose necessarie per
dormire, ma ciascuno deve prov-
vedersele del proprio nel modo die
più gli piace. Inoltre questo deve
avere due servitori giovani , forti,
idonei ed abili ad addobbine le
camere, il concistoro, il tinello (ti-
nellutn prò caenaculo), le cattedre
ed ogni altra cosa, quando bisogna,
secondo le occorrenze. Inoltre de-
ve avere nel palazzo una camera
adatta per conservare le suddette
cose, e alloggiamento (cioè abita-
zione) per sé e per i suoi servito-
ri. Inoltre anche ad esso appar-
tiene nelle chiese ove va Nostro
Signore, nella sua cappella, nelje
camere papali, e in qualunque al-
tro luogo, ove gli avvenga di a-
scoltare le messe, di pranzare, di
cenare, e di dare udienza, di pa-
rare le cattedre con panni d'oro,
distendere i tappeti, i panni rosa-
ti, o di broccato ne' luoglii e nel-
le pareti in cui fosse creduto de-,
cente di porveli. Inoltre nel tem-
po invernale deve munire di stuo-
re le camere papali, e illumina-
re le cappelle di notte; e nella
solennità quando il Papa mangia
nel tinello , deve lo stesso tinel-
lo ncir inverno coprire, e span-
dere il pavimento di fieno, e nel-
l' estate di erba verde . Inoltre
se per ragione di uffizio faccia
delle spese, come per esempio
per le cose sopraddette, per la
riparazione de' panni, o cose simi-
li , deve queste spese scrivere par-
tilamente, e almeno ogni mese pre-
sentarle al maestro del sagro ospi-
zio, o alle genti di camera. " Il
medesimo Gattico col detto codice
descrive pure gli offizi de custode
FLO
' vasellai, de magistro cerae, de cu-
stode aharìortun, ce. ec.
li Marini ne'suoi Archiatri pon-
tificii tom. II, pag. 1G6, dice, che
nelle bolle di Giovanni XX111 de-
gli anni i4io e i4ii se ne tro-
vano due pel maestro della For-
raria del 'palazzo apostolico; por-
tando poi il novero de'ministri ed
officiali del palazzo di Pio II del
]/|.6o, de secundo tinello, dopo i
custodi di prima porta, e gli scrit-
tori, registra: Jacquetus, Andreas,
lleuricus, Thomas, Johannes sartor
de Foraria. Nota qui il Marini,
che altrove si legge Andrea de
Ferrarla D. N. e del maestro Fer-
rane, e che Foreria in questi mo-
numenti è chiamata quella che
ora dicesi Floreria. Nel Diario del
Burcardo leggiamo reposito in fo-
reria Papae, cioè nella guardaro-
ba, ed è un tal luogo citato dal
Carpeiìtier, nelle aggiunte al Les-
sico del Du Cange. Nel i4^4 sot-
to Paolo II era presidente della
foreria un Alessandro. Finalmente
il Marini a pag. 35g ci avverte,
che Foreria diceasi la guardaroba
pontificia anche nel secolo XVI, e
nell' archivio vaticano trovasi V In-
ventario della foreria della Sede
apostolica fatto alli 3o aprile del
i524- Nel ruolo di Giulio III del
i55o, nella categoria degli officia-
li de palatio a tutto vitto, dopo
lo scrittore delle spese sono nota-
ti due forerì della camera ; in
quello di Paolo IV del i555, nel-
la categoria degli officiali maggio-
ri, sono per ultimo segnati due fo-
reri della camera di N. S. Al-
trettanto si legge nel ruolo di Pio
IV del i56o; più si legge ch'era-
no tre i custodi del palazzo in Ro-
ma. Nel medesimo pontificato sono
notati quattro forieri della camera
FLO ro7
di N. S. Indi sotto s. Pio V e-
ranvi due furieri di camera; sot-
to Sisto V nel ruolo del r58r),
e nel paragrafo Foraria, sonovi
due furieri, e due aiutanti, ed un
servitore, indi il custode del pa-
lazzo: in altri ruoli di Sisto V, la
floreria sta fra i Diversi maggiori.
Sotto questa categoria nel ruolo
del i5g7 di Clemente Vili sono
scritti due forieri della camera e
tre aiutanti di foreria. Fra le iscri-
zioni sepolcrali, che riporta l'Alve-
ri nella chiesa di s. Marta presso
il Vaticano, ve ne ha ima di Co-
sma Quarli florentinus, Clementis
FUI ac Camerae Apostolìcaeflo-
rerius. Nel ruolo del 1 6 1 5 di Pao-
lo V tra gli offiziali di palazzo
è la Foreria, e i custodi del pa-
lazzo. Nel ruolo del i633 di Ur-
bano Vili, tra gli officiali minori
sta Francesco Armanni fioriere con
un servitore, ed un cavallo per
suo uso, e cibarie pel medesimo,
la parte di pane, vino, olio, can-
dele, sale, aceto, legna, ec., e scu-
di tre pel companatico secondo
l'antico sistema della corte ponti-
fìcia; più evvi Paolo de Statis suo
compagno, con due aiutanti di
floreria, indi sonovi i custodi di
Monte Cavallo ossia del palazzo
quirinale; ed altro custode di pa-
lazzo. Nel ruolo del i643 tra gli
offiziali comuni si legge la flo-
reria, il custode di palazzo, il cu-
stode di Monte Cavallo, ed il cu-
stode di robe vecchie. Sotto Cle-
mente X, nel 1675, quattro erano
i forieri, due con scudi cinque e
bai. 42 e mezzo per compana-
tico, e due con scudi quattro e
bai. 62 e mezzo, più tre aiutanti.
Pietro Gigli fu il fioriere di Cle-
mente XI nel 1700 con scudi cin-
que e bai. 22 e mezzo per coni-
io3 FLO
imttatico, e la solita parie di pa-
lazzo, più altra parte con' scudi
quattro e bai. 62 e mezzo pel
companatico, con tre aiutanti di
f loreria con parte di palazzo e scu*
di tredici e baioc . 37 e mezzo pel
companatico. Però nel 1 706 essen-
do diminuite le parti di palazzo
e solo restato alquanto pane, fu
stabilito il mensile onorario, com-
preso il compenso per la casa, al
fioriere scudi quattordici, e bai.
yi, a due aiutanti scudi sei e bai.
60 per cadauno , uno scudo me-
no al terzo aiutante, e scudi tre
e mezzo al facchino. Più o meno,
così si procedette a tutto il secolo
passato.
Pio VII nel 1800 col moto-
proprio: L'economia del pubblico
erario, nella generale riforma del-
la famiglia pontificia, dispose: « La
floreria resta riformata a sem-
plice guardaroba, in cui altro non
si .dovrà ritenere, conservare e som-
ministrare, se non che le robe
occorrenti per la sagra persona di
Nostro Signore, per le cappelle,
concistori, altre sagre funzioni, e
congregazioni, il mobilio per gli
appartamenti, e gli utensili per la
lavanda , e tavola degli apostoli
nel giovedì santo. Gli impiegati nel-
la guardaroba suddetta dovranno
essere un guardaroba colla men-
sual provvisione di scudi venticin-
que, un giovane con scudi quindi-
ci, ed un facchino con scudi no-
ve, restando soppresse ed abolite
tutte le ricognizioni anche straor-
dinarie, che gli si somministrava-
no anche dal palazzo apostolico
in qualunque circostanza, sia in de-
naro, sia in generi. Resta inoltre
stabilito, che allorquando si do-
vranno scartare le robe, che si
giudicheranno inservibili, dovran-
FLO
no queste vendersi, e deputarsene
il ritratto a favore del palazzo a-
postolico, ed a disposizione di mon-
signor maggiordomo , d'ordine del
quale potranno anche erogarsi col-
V oracolo di Sua Santità a favore
delle parrocchie, de' luoghi pii, e
de' poveri. 11 guardaroba riceverà
la consegna di tutte le robe per
mezzo di un esatto inventario, che
da lui sottoscritto si conserverà
in computisteria. Tale inventario
sarà rinnovato ogni anno, ed in
qualunque tempo a piacimento di
monsignor maggiordomo. Sarà in-
oltre obbligato il guardaroba di
conservare e custodire da una sta-
gione all'altra il vestiario della fa-
miglia, facendone a ciascuno indi-
viduo la ricevuta, la quale poi ri-
tirerà riell' atto che consegnerà il
vestiario medesimo. Ricevuti che
avrà i vestiari suddetti, li esamine-
rà attentamente, e trovandoli in
cattivo stato ne darà parte al mae-
stro di casa, che resta incaricato
di farli raccomodare per indi re-
stituirli servibili alla fine delle ri-
spettive stagioni ".
Ritornato nel 1814 Pio VII al-
la sua sede, la floreria apostolica
per le cambiate circostanze dei
tempi migliorò condizione, tanto
nel suo capo, che ne'suoi addetti.
Il primo riebbe il titolo di fiorie-
re, e nel pontificato di Leone XII
ebbe l' onore di essere pubblicato
nelle annuali Notizie, di Roma, al-
l'articolo Famiglia pontificia; e
sì lui che i suoi subalterni frui-
rono significante aumento di ono-
rario. All' articolo Famiglia ponti-
ficia (Vedi) di questo Dizionario,
essendosi riportato un cenno sul
riordinamento dell'azienda ed am-
ministrazione palatina, mediante il
moto-proprio de' 2 3 novembre 1824
FLO
dì Leone XII, quello del regnatile
l'nntt'fìce Gregorio XVI, de' io
dicembre i832, le disposizioni del-
l'ottobre 1 838 per formare i pre-
ventivi, e il regolamento per gli
uffizi eentrali dell'azienda palatina
pubblieato a' 2 maggio 184», si
vedranno le attribuzioni e prero-
gative del fioriere, e quanto ad
CSM ed alla floreria apostolica ap-
partiene. Questa ora formasi dal
fioriere col mensile assegno di scu-
di cinquanta, del primo giovane
con scudi ventiquattro, dèi secon-
do con scudi dieci, del soprastan-
te ai lavori con scudi undici e
bai. 87 e mezzo, di tre facchini
con scudi quattordici per cadauno,
e di altrettanti soprannumeri con
scudi sedici. In Castel Gandolfo
avvi il guardaroba con mensili
scudi dodici e l' abitazione, ed il
sotto-guardaroba con scudi otto.
E qui va avvertilo che quando i
l'api si recano alla villeggiatura di
quel palazzo, lo segue il fioriere
con un inserviente della floreria,
siccome pure fa ne' viaggi, prestan-
do que' servigi che disimpegna in
Roma : passiamo ora ad accennare
le sue principali incombenze; Pe-
lò come si è dello al citalo arti-
colo Foriere maggiore, a questi
spetta il precedere il Pontefice nei
viaggi, la sopraintendenza generale
di essi, e il preparare gli alloggi e
tutto l'occorrente sì pel Pontefice
ebe pel suo corteggio: quando
poi egli non esercita tale uffizio
viene supplito dal maestro di ca-
sa del palazzo apostolico , e dal
fioriere sotto l'immediata direzio-
ne di monsignor maggiordomo.
Il fioriere è un officiale palatino
che appartiene alla famiglia nobi-
le pontificia, e fa parte di quella
camera segreta che precede e se-
FLO 109
guc il Papa quando vestilo di moz-
zetto e stola recasi in qualche chie-
sa, monastero, od altro luogo, co-
me nelle cappelle palatine. Atten-
dendo l'ora della uscita, si ferma
nella camera d'onore del pontifi-
cio appartamento: e giunta quel-
la, nel frullone con monsignor sa-
grista precede il treno del Papa,
in un ad un giovane, e ad un
facchino di floreria per preparare
nella chiesa ove portasi il Ponte-
fice lo strato e i cuscini per ora-
re; quando però si ritorna al pa-
lazzo apostolico, il frullone segue
il treno al modo che dicesi all'ar-
ticol Tkenf. L'abito del fioriere è
tutto nero e di panno, cioè sotto-
abito corto, gonnella, e vestito,
sul quale assume il ferraiuolone di
seta nera; usa calze di seta nera,
scarpe con fibbie, manicbelli e col-
lare di merletto. I giovani della
floreria vestono l'abito corto di ne-
ro, e i facchini l'abito comune a
quelli della bassa famiglia palati»
na, consistente in vestito bleu, cor-
petto, e calzoni corti simili con
asole rosse , cappello appuntato, e
calze rosse, con fibbie alle scarpe.
Dai citali registri di floreria si ri-
leva, che quegli inservienti di es-
sa che nelle pontificie funzioni do-
vevano fare qualche cosa , come
lo scuoprimenlo dell'arazzo dell'al-
tare nel sabbaio santo, levare il ta-
lamo dopo la processione del Cor-
pus Domini, e simili, vestivano le boe-
mie di panno dette ancora zimarre.
Siccome il fioriere presiede agli ad-
dobbamenti delle cappelle e chic-e
ove il Papa celebra od assiste alle sa-
gre funzioni, così in queste egli sem-
pre si trova pronto per qualunque
occorrenza, e disimpegna tutte le
incumbenze proprie del suo posto,
inerenti a quanto di sopra accen-
no FLO
narnmo, il perchè ha molte re-
sponsabilità ed occupazioni. Ed è
perciò che gode 1' abitazione al
quirinale, e l'uso del legno pala-
tino, per quando deve adoperarti
pel suo uflìzio. Partecipa delle di-
stribuzioni delle medaglie di ar-
gento in numero di sei nella ri-
correnza del solenne possesso del
Papa, e per quella annuale della
festa de'ss. Pietro e Paolo : prima
in tali epoche aveva una medaglia
d'oro, ed altra di argento. Final-
mente il fioriere è custode del-
l' appartamento pontifìcio quando
non è abitato dal Papa, come dei
luoghi mobiliati. Altre notizie sulla
floreria apostolica e sul fioriere si
possono leggere nei relativi articoli
del Dizionario, massime Palazzi
apostolici, e Famiglia pontificia.
FLORIA, o FLOXIANUM. Se-
de vescovile della Mauritialia Ce-
sariana, nell'Africa occidentale, sot-
to la metropoli di Giulia Cesarea.
Not. Afvic.
FLÒR1ANI. V. Fioriani.
FLORO ( s. ). Poche notizie ab-
biamo della sua vita; ma è cer-
to eh' ei fu il primo vescovo di
Lodeve, e l'apostolo di questa par-
te della Linguadoca. Ei non. si con-
tentò di predicare soltanto nella
Gallia narbonese, ma penetrò fino
alle Ce venne e in Alvergna. Si po-
ne la sua morte circa l'anno 339;
e nel luogo ove fu seppellito fab-
bricossi una chiesa. S. Oddone vi
fondò una badia , che poscia Gio-
vanni XXII ridusse in vescovado.
Le reliquie di s. Floro sono nella
cattedrale della città del suo no-
me. V. Flour (Saint). La sua
festa si celebra a' 3 di novembre
ed anche al primo di giugno, che
fu certamente il giorno della sua
traslazione.
FLO
FLOSCLLO o FLUSCOLO (s),
volgarmente s. Flou. Viveva verso
1' anno 4^o, e fu il decimo vesco-
vo d'Orleans. Trovasi il suo nome
nel martirologio di Usuardo sotto
il dì i febbraio. Nel 1029 le sue
reliquie furono solennemente tras-
portate , per ordine del re Rober-
to, nella chiesa di s. Agnan, dove
sono ancora custodite in un'urna.
Egli è protettore titolare d' una
chiesa d'Orleans, appellata per lo
passato santa Maria, ed oggidì del-
la Concezione.
FLOUR (Saint) (s. Fiori). Città
con residenza vescovile in Francia,
nel dipartimento di Cantal, nell'al-
ta Alvergna di cui Saint- Flour fu
capitale, capoluogo di circondario
e di cantone, giace sopra una roc-
ca scoscesa basaltica , già detta
Mons I udiri anus , alla quale non
si accede che per un solo lato. 11
fiume Auzon ne rade gli orli col
suo corso. È pur sede della corte .
di assise del dipartimento , e del
tribunale di prima istanza e di
commercio. Ha pure la conserva-
zione delle ipoteche , la direzione
delle contribuzioni indirette, ed una
società di agricoltura. Avvi il col-
legio comunale con biblioteca e ga-
binetto di fisica. E patria di pa-
recchi uomini illustri, come di I)u
Belloy poeta drammatico, autore
dell'assedio di Calais, e del gene-
ral Desaiz , morto nella battaglia
di Marengo. Le minerali sorgenti
di Rumhaud scaturiscono nelle sue
vicinanze, il perchè vi sono molle
fabbriche di oggetti di rame. È
pur chiamata Floriopolis , e Fa-
nnia sancii Fiori.
Questo luogo chiamalo prima
Indiciax prese il nome di s. Flo-
ro, che credesi abbia predicato il
vangelo neh' Alvergna nel quarto o
FLO
quinlo secolo, por cui fu a suo o-
nore ivi eretta una cappella. Que-
sta alla fine del decimo secolo es-
sendo stata concessa al monistero
di Soucillanges, dell'ordine di Clu-
ny, s. Oddone abbate cluniacense,
fece circondare di muro il borgo
di Saint-Flour, ed innalzovvi una
bella chiesa che il Pontefice Urba-
no li dedicò nel 1096. In progres-
so di tempo il monistero divenne
assai considerabile, per cui il Papa
Giovanni XXII residente in Avi-
gnone l'eresse in cattedrale, con
vescovo suffraganeo della metropo-
li di Bourges, di cui lo è tuttora,
hcIP anno 1 3 1 7 , la cui rendita fu
stabilita a dodici mila lire. 11 suo
capitolo restò regolare dell'ordine
di s. Benedetto fino ai 1&6, ne^
quale anno fu secolarizzato da Si-
sto IV : i primi tredici suoi vesco-
vi furono tutti benedettini. Il pri-
mo fu Raimondo de Moustuejouls
de Vehens, fatto dallo stesso Gio-
vanni XXII, che nel i3 19 lo tras-
ferì alla sede di Saint-Papoul, e
nel i3:>7 il creò cardinale del ti-
tolo di s. Eusebio. Quanto ai suc-
cessori fino alla metà del secolo
XVI II -veggasi la Gallio. Christiana,
nel tomo II ; gli altri sono ripor-
tati nelle annuali Notizie di Ro-
ma. In principio del corrente se-
colo molti vescovi furono successi-
vamente nominati a questa sede,
senza però che ne potessero pren-
dere possesso. Finalmente fu nomi-
nato ed istituito canonicamente Lui-
gi SifTreno Giuseppe di Salmon,
già internunzio del Papa Pio VI
presso il re Luigi XVI fino alla
sua morte, poscia amministratore
apostolico della diocesi di Rouen,
Lvreivx, Bayeux e Coutanccs; chia-
nuito a Roma nel 1806 da Pio VII,
Mime nominato vescovo in parti-
FLU ni
bus di Ortosia, ed alla restaurazio-
ne dei Borboni sul trono di Fi-an-
cia fu mandato nell' istessa città
colla nomina di uditore di rota.
10 però non lo trovo nel numero
de' prelati di quel rispettabile tri-
bunale, presso le citate Notizie di
Roma, che anzi a quell'epoca per
la Francia era uditore di rota
monsignor Isoard poi cardinale.
Certo è che Pio VII nel concisto-
ro de' 29 maggio 1820 il dichiarò
vescovo di Saint-Flour, non aven-
do elfetto l' uditorato di rota es-
sendo piena la sede.
La cattedrale è buon edilìzio sa-
gro a Dio sotto l' invocazione del
primo vescovo di Lodeve s. Floro.
11 capitolo non ha dignità, ne pe-
nitenziere. Esso formasi di otto ca-
nonici , fra' quali la prebenda di
teologo; di alcuni canonici onora-
ri, di preti per servigio della chie-
sa, e dei pueri de choro (enfants
de choeur). Prima era decorato di
tre dignità, e di diciassette canoni-
cati. Annesso alla cattedrale vi è
l'ampio e decente episcopio. Kclla
città vi sono due chiese parroc-
chiali col sagro fonte battesimale,
due confraternite, tre monisteii di
monache, l'ospedale, il grande ed
il piccolo seminario. Anticamente
eravi nella città una insigne chie-
sa collegiata composta di un pre-
vosto , e di diciotlo canonici. Ad
ogni nuovo vescovo la mensa è
tassala ne' libri della cancelleria a-
postolica in fiorini trecento settanta.
FLUWE1NCISPA o flumen-
PISCA (Flumen Piscis). Sede ve-
scovile della Mauritiana di Sitifì,
nell'Africa occidentale, sotto la me-
tropoli di Sitifì. Se ne fa memo-
ria nella conferenza di Cartagine,
perchè v' intervenne Vittore suo
vescovo.
ii2 FOC
FLUMEN-ZERITA. Sede ve-
scovile della Mauritiana Cesariana,
nell'Africa occidentale, sotto la me-
tropoli di Giulia Cesarea.
FOCA (s. ). Abitava presso la
porta di Sinope, città del Ponto,
e vivea coltivando un orto. Nell'u-
mile sua condizione imitava le vir-
tù de' grandi patriarchi , albergava
i viandanti che non sapeano dove
riparare, e sovveniva i poveri col
frutto delle sue fatiche. Le sue vir-
tù vennero coronate dal martirio
in una crudele persecuzione, che
crederi esser quella suscitata da
Diocleziano nel 3o3. Gli fu dedi-
cata poscia una chiesa, che diven-
ne celebre in tutto l'oriente, e vi
si depose la maggior parte delle
sue reliquie. S. Asterio, véscovo di
Amasea verso l'anno 4°°» ne^ Pa"
«egirico di questo santo martire di-
ce che il magnifico tempio di Si-
nope, ove si custodisce il suo cor-
po, conforta gli afflitti,, e reca sa-
nità agli ammalati; che tutti i luo-
ghi ove si serba qualche porzione
delle sue reliquie, sono celebri per
molti miracoli e formano l' obbiet-
to della venerazione de' cristiani ;
che i romani , i quali possedono
nella loro capitale il capo del san-
to, l' onorano nella stessa maniera
che s. Pietro e s. Paolo; che i ma-
rinai, tratti spesso per lui da gra-
vi pericoli, cantano degl'inni in sua
lode, e mettono in serbo parte del
loro guadagno che chiamano parte
di Foca. La sua festa cade a' 3
di luglio.
FOCEA (Phocaea). Città vesco-
vile dell'Asia minore che Tolomeo
situa nell'Eloide e la Jonia, sulla
costa meridionale del golfo di Cu-
mes, con due sicuri porti. La dis-
sero alcuni una colonia di atenie-
si, credendo che abbia preso il no-
FOG
me dalla quantità di vitelli mari-
ni che vi si pescavano, perchè ph<>-
ca in greco significa vitello inali-
no. In oggi è un piccolo villaggio
chiamato Fochia o Foja vecchia ,
per distinguerlo da Fochia nova ,
distante da esso sole dieci miglia.
La città di Focea ha la gloria di
aver data origine alla città di Mar-
siglia, antica colonia de' focesi e
porto di mare, ed a molte altre co-
lonie greche stabilite sulla costa dei
mare Mediterraneo in Italia, nelle
Gallie, ed in Ispagna. La sede ve-
scovile vi fu eretta nel quinto se-
colo sotto la metropoli di Efeso ,
donde passò a quella di Smirne nel-
l'esarcato d'Asia. Dall' Orieits Christ.
tom. I, pag. 736, abbiamo gli otto
seguenti vescovi: Marco, Teotisco ,
Quinto, Giovanni, Leone, Niceta,
Paolo,, un anonimo che olfri il pae-
se a Tamerlano come adatto alla
caccia. Il p. Bremond nel suo Boll.
tom. Il, pag. 706, ed altri notano
questi altri vescovi dal secolo XIV
in poi : Bartolomeo di Cassino ,
Giovanni carmelitano, Giovanni de
Rubeis , Nicolò da Todi, Luigi di
Foro , Stefano Chaan , Egidio di
Porto, ec.
FOELANO (s.). V. Felaxo (s.).
FOGARAS (Fogaracsien). Cit-
tà con residenza vescovile in Tran-
silvania , capoluogo del distretto del
suo nome, marca di Mundra, sulla
riva sinistra dell'Aiuta, che si attra-
versa sopra un bel ponte di 864 pie-
di di lunghezza. Fogaras o Fagaras
e assai ben fabbricata, ed ha un vec-
chio castello fortificato, molte chie-
se di diversi culti, una piazza bel-
lissima, ec. Ebbe a sostenere due
assedi l'anno 1661, uno dal prin-
cipe Kemeni , successore di Bar-
skay, l'altro dagli ottomani che pro-
teggevano Michele Apaffi. Fogaras
FOG
si rese a Remeni, e resistette ai
turchi ; ina morto questo principe
nel 1662, non tardò a riconoscere
Apafli per padrone. Nel 1774 una
parte di Fogaras fu interamente
incenerita, laonde fu poscia rifab-
bricata sopra un piano migliore.
Tuttavolta il vescovo ordinariamen-
te risiede in Balasfalta , Balasfalva
o Blascndorf, borgo del gran prin-
cipato di Transilvania, comitato di
Weissenburgo inferiore, al confluen-
te del grande e del piccolo Kokel,
in una fertilissima contrada'. E que-
sto il capoluogo della mensa del
vescovo di Fogaras. Vi sono due
chiese unite, un ginnasio, ed una
stamperia. A qualche altezza ve-
donsi ancora le rovine di un ca-
stello.
La sede vescovile di rito greco
unito alla santa romana Chiesa, fu
eretta nei primi anni del secolo
XVIII. La più antica notizia dei
suoi vescovi che mi è riuscito rin-
venire, è di d. Giovanni Innocenzo
Klaja dell'ordine di s. Basilio, nato
in Transilvania nel 1700, e fatto
vescovo da Clemente XII nel con-
cistoro degli 11 settembre 1780,
ove lo propose il cardinal Cienfue-
gos come ministro e protettore de-
gli stati di Carlo VI imperatore ,
che nominò tal soggetto al vesco-
vato di Fogaras. I di lui successo-
ri sono registrati nelle annuali No-
tizie di Roma , lutti suffragatici
dell'arcivescovo di Gran ossia Stri-
gonia. Il regnante Pontefice per
nomina dell' imperatore d' Austria
Francesco I, nel concistoro dei i5
aprile del 1 833, dichiarò vescovo
di rito greco di Fogaras monsignor
Giovanni Lemeny, nato in Dezmer,
diocesi di Fogaras, nel 1780. La
cattedrale è in Balasfalta, edilizio
di elegante struttura, dedicata alla
vol. xxv.
FOG n3
ineffabile ed individua Trinità. Il
capitolo si compone della dignità
dell'arciprete, di sei canonici, di
quattro preti regolari e di alcuni
chierici secolari addetti all' ufficia-
tura del divino servizio. La cura
delle anime della cattedrale, giusta
la regola prescritta nella fondazio-
ne, confermata dal sovrano, e ra-
tificata dal Papa Pio VII, si appar-
tiene ai canonici. In altra chiesa
parrocchiale munita di battisterio
la cura delle anime si esercita dal
parroco del luogo , che da ultimo
era un canonico della cattedrale.
La chiesa cattedrale è fornita di
tutto l'occorrente , meno l'organo,
non essendo in uso nelle chiese di
rito orientale. Nella medesima si
venera l'insigne reliquia della mano
di s. Gregorio Nisseno. L'episcopio
resta duecento passi distante dalla
cattedrale, cioè tra gli avanzi del-
l'antico castello. Vi sono i monaci
dell'ordine di s. Basilio Magno con
loro monistero ed il seminario. Va-
sta è la diocesi ; ed ogni nuovo
vescovo in proporzione della men-
sa, è tassato ne' libri della camera
apostolica in fiorini duecentottanta-
sette.
FOGLIANTI o FUGLIENSI,
Congregazione monastica. V. il vo-
lume XIII, pag. 2ip„ 220 e 221
del Dizionario.
FOGLIANTINE o FOGLTAN-
TI, Monache. V. il volume XIII,
pag. 225 e 226 del Dizionario.
FOGLIETTO (di) Ugo, Car-
dinale. Ugo di Foglietto, francese
di nazione , fu canonico regolare
nel monistero di s. Pietro di Cor-
bia nella Sassonia , e priore di s.
Lorenzo d'Amiens, ovvero giusta
l'opinione di altri autori, monaco
di s. Benedetto nella Piccardia. La
profonda sua scienza, l'estesa erudi-
8
V CU 1 fi /
n4 POI
zione, e Ja integerrima pietà così
gli meritarono la stima universale,
che Innocenzo II, nel dicembre del
i 1 4o, Io creò prete cardinale della
S. R. C. Scrisse parecchie opere ,
stampate in Parigi, le quali falsa-
mente vengono attribuite a Ugone
da s. Vittore. S' ignora il tempo
preciso della di lui morte, e vuoisi
che godesse soli venticinque mesi
il cardinalato, sebbene alcuni lo
fanno morire nel 1 1 64.
FOILLANO (s.). Figlio di Fin-
tano re di Munster in Irlanda , e
fratello di s. Ultano e di s. Fur-
seo, dal qual ultimo ebbe il go-
verno del monistero di Rnobbers-
burg da esso fondato nel regno
degli angli orientali. Morto s. Fur-
seo, circa il 65o, passò in Francia
con Ultano. Leggesi in alcuni scrit-
tori, che Foillano fece un viaggio
a Roma, e che vi fu consecrato ve-
scovo regionario. Se ciò fu, non tar-
dò peraltro a riunirsi a suo fra-
tello, poiché si recarono assieme a
Nivelle nel Brabante, dove s. Ger-
trude nel 652 donò ad Ultano un
tratto di terra tra la Mosa e la
Sambra, ch'era l'abbazia di Fos-
sej per edificare uno spedale ed un
monistero, ed affidò a Foillano l'i-
struzione delle religiose delle qua-
li era badessa. Il santo si prese an-
che la cura d'istruire il popolo nei
villaggi vicini. Postosi in cammino
con tre compagni per andar a vi-
sitare suo fratello nel 655, fu tru-
cidato dai ladri o dagli infedeli nel-
la foresta di Sonec, oggidì Carbo-
nera, .neh" Hainaut. Le sue reliquie
si venerano nella chiesa di Fos-
se, ed egli è onorato a' 3i di ot-
tobre.
FOIX (Fuxumo, Fuxium). Cit-
tà di Francia, antica capitale del-
la contea di tal nome , ora capo-
FOL
luogo del dipartimento dell' Ariege,
di circondario e di cantone, a pie-
di de' Pirenei , sulla* riva sinistra
dell'Ariege, al confluente del Lar-
get. Ha vari edifizi e stabilimenti
rimarchevoli ; vi si vede l' antico
ponte di due archi, che attraversa
l'Ariege, e tre torri di gotica co-
struzione, situate sopra una ripida
roccia che domina la città. Cre-
dono taluni che questa città sia
stata eretta dai focesi, che gli a-
vrebbero dato il nome di Phoccs,
da cui sarebbe venuto per corru-
zione quello di Foix. I conti di
Carcassona vi fondarono la chiesa
di s. Volusio, che divenne in pro-
gresso un'abbazia. Appartenne que-
sta città al capitolo di s. Volusio,
ed i conti di Foix, che successero
ai conti di Carcassona, non posse-
dettero che il castello. Neil' anno
1226 vi si tenne un concilio, do-
ve il cardinal di S. Angelo, legato
del Pontefice Onorio III nella Lin-
guadoca, assolvette dall'eresia Ber-
nardo conte di Foix che avea se-
guito il partito degli eretici albi-
gesi, e che finse per allora di con-
vertirsi e di far penitenza. Labhé
tom. X, ed Arduino tom. VII. Ce-
lebre si fu la dispensa matrimo-
niale , che Martino V concesse a
Giovanni conte di Foix , come fu
celebre il cardinal Pietro di Foix
fiorito nella prima metà del seco-
lo XV.
FOIX Pietko, Cardinale. V.
Fuxo.
FOLIGNO o FULIGNO (Ful-
ginaten ). Città con residenza ve-
scovile dell'Umbria nello stato pon-
tificio, delegazione apostolica di Pe-
rugia, che giace in mezzo alla fer-
tilissima umbra pianura , purgata
da ogni palustre infezione, per o
per
a del sommo idraulico inligna-
FOL
te Francesco Jacobilli. Da questa
città antica e nobile, quasi da cen-
tro si spartono quattro grandi stra-
de nazionali o corriere di Roma ,
Toscana, Marche per Loreto e Fa-
briano, Flaminia per il Furio e
Romagna, oltre alle minori. Sorge
Foligno su di un'area presso che
quadrata, cui quattro porte corri-
spondenti ai nominati punti gli
danno l'accesso , essendo cinta al-
l'intorno da opportune muraglie:
anticamente erano sei le porte del-
la città. Il fiume Topino o Tinna
scorre all'ovest lambendone colle
sue acque il recinto, ed un manu-
fatto canale, che da quello si dipar-
te, reca una porzione delle acque
per mezzo all'abitato, le quali dan-
no moto ed attivano molte fabbri-
che ed opifici, gualchiere, mole a
grano ed olio, conce ec, e rendon-
si opportunissime all' esercizio di
molte altre manifatture ed indu-
strie, mentre con quelle del rapi-
do fiume Menotre, e di varie for-
me e fossi vengono irrigati non
solamente i circostanti orti, ma al-
tresì condotta l'acqua sotto le prin-
cipali interne vie, le quali per tal
mezzo vengono assai facilmente al-
l'uopo rese nette, e rinfrescate dal
corso di esse. Da ultimo le strade
nell' essere state perfettamente la-
stricate con pietre quadrate, ven-
ne accresciuto nuovo pregio alla
loro agiatezza, ed alla figura ret-
tilinea con che nel Trivio vengo-
no a concentrarsi, ed anche le subal-
terne non lasciano a desiderare co-
sa alcuna per la regolarità e co-
modo che presentano. La piazza
quadrilunga è chiusa dai tre pa-
lazzi governativo, municipale e ca-
pitolare , essendo stato il secondo
non ha guari convenientemente ri-
fabbricato: i ori vati edifizi ne com-
FOL kj
piono l' ornato , oltre la facciata
esterna del duomo, e le due tor-
ri destinate alle due maggiori cam-
pane del pubblico, e della mento-
vata cattedrale, il di cui principal
ingresso sì apre in una piazzetta
poco distante. Di questa insigne
chiesa, e de' suoi notabili abbelli-
menti e restauri ne parleremo ver-
so il fine di questo articolo, col-
l'autorità principalmente del Sag*
gio storico artistico della chiesa
cattedrale di s. Feliciano di Foli-
gno, dell'ingegnere Antonio Rutili
Gentili, Fuligno tipografia Tomas-
sini 1839.
Dopo la chiesa cattedrale sono
meritevoli di speciale menzione le
insigni collegiate di s. Maria infra
Portasi e di s. Salvatore, la bella
chiesa del seminario già intitolata
a s. Agostino, e quella di s. Do-
menico ufficiata dai domenicani.
Vincenzo Maria Fontana, de Ro-
mana provincia ord. praed. ci die-
de le Notizie storiche della chiesa
e convento di s. Domenico. Vi so-
no ancora le chiese di s. Nicolò
degli eremitani, di s. Agostino, e
di s. Giacomo de' serviti , oltre i
diversi monisteri di monache , ed
altre chiese minori, fra le quali è
a nominarsi quella dell'oratorio del
Ruon Gesù, ove adempie agli eser-
cizi di cristiana pietà una congre-
gazione di preti secolari istituita
dal p. Giambattista Vitelli. In am-
pio spedale sono curati gli infer-
mi , ed hanno asilo ne' conser-
vatoci le orfane, e le donne peni-
tenti, non che religiosa educazione
le donzelle dalle orsoline dette della
Madre Paola, e dalle maestre pie.
Sono pochi anni che il benemeri-
to sacerdote Simeone Fongoli cano-
nico della cattedrale, fondo un de-
cente ospizio, che mancava agli or-
n6 FOL
fani maschi. Dell'istruzione pub-
blica erano benemeriti ab antico i
chierici regolari barnabiti, che a-
vevano il collegio di s. Carlo, in
mancanza de' quali furono surro-
gati maestri stipendiati dal comu-
ne; però il seminario ha le sue
scuole particolari. Non ha guari
con beneplacito del Papa regnan-
te, e sua benigna cooperazione, a
cura e spese del comune stesso si
è aperto, e si mantiene un vasto
e ben adatto stabilimento delle tan-
to benemerite ed utili scuole cri-
stiane per la morale e civile istru-
zione de' giovanetti. Sono delizio-
se le esterne passeggiate del Pome-
rio, e molto più vaga quella in-
terna detta dei Canapè ornata di
alberi, ove ottantuno sedili costrut-
ti di materiale circondano un am-
pio prato, nel quale nei giorni i4,
i5 e 16 settembre ha luogo una
fiera detta di s. Magno, per ogni
sorta di merci, e specialmente di
stoviglie, mentre idonea sottostan-
te località viene assegnata alla con-
trattazione del numeroso bestiame
che vi concorre, e lungo la via
della passeggiata suol praticarsi le
corse equestri dette del fantino ,
ed altre popolari feste. Un bel tea-
tro, negli ultimi anni fu eretto con
architettura dell' ingegnere Luigi
Fedeli, e coll'opera di Brizi d' As-
sisi. Alle accademie letterarie degli
Umbri e de' Forlì è ora sostituita
l'accademia Fulginia, che tiene pe-
riodicamente le sue tornate. V.
Jacopus Blancanus, De Diis Topi-
cis Fulginantium ad XII viros, ac
caetutn fulginalìs academiae epi-
stola, Fulginii 1761, typ. Feliciani
et Philippi Campitelli. Fra i pa-
lazzi si distinguono quelli di Bar-
nabò , Candiotti , Orfìni , Gentili-
Spinola, Morotti, ed altri più ino-
FOL
derni: della famiglia Barnabò ne
tratta il Gamurrini nel tom. HI
dell' Ist. gen. delle fam. umbre; e
di quella degli Orfìni, il Frenfa-
nelli nell' Orazione recitata nell'ac*
cademia Fulginea. I terremoti del
i832 arrecarono a Foligno e suoi
dintorni immensi danni, ma le po-
steriori riparazioni ne migliorarono
l'esteriore apparenza.
Poche città mediterranee posso-
no vantare il titolo di emporio
commerciale, che Foligno ha sino
da epoca remota meritato, ed è
ben difficile trovare altrove quella
operosità instancabile e quel con-
tinuato movimento industriale, che
ne forma il migliore elogio, e che
gareggiando colle cure indefesse
della classe agricola, vi moltiplica
a fronte anche delle avverse circo-
stanze le sorgenti d'opulenza. Quin-
di parecchi sono i fondachi mer-
cantili , importanti le operazioni
bancarie , estese le corrispondenze
de' spedizionieri, ed incalcolabile lo
spaccio in dettaglio delle merci
straniere , e dei generi coloniali
importati, il perchè è di ciò il più
vasto deposito dell'Umbria. Vi so-
no tuttora in prospero stato cin-
que fabbriche di ottima cera lavo-
rata, le quali verso la fine del pas-
sato secolo erano tredici ; tra le al-
tre fabbriche rinomatissime sono
quelle delle stupende confetture,
ed i minuti folignati tutti di zucca ro
sono perciò assai noti. Il Jacobilli
a pag. 9 del suo Discorso, riporta
gli scrittori che celebrarono i con-
fetti di Foligno. Tra gli opifici
primeggiano quelli delle cartiere,
che si estendono anche ne' subur-
bani villaggi di Vescia , Belfiore ,
e Pale, essendo la più conosciuta
la cartiera delle Ripe, ove l'abile
meccanico Antonio Rutili -Gentili
FOL
siJIodatOj v'introdusse il metodo di
lavorazione oltramontana sì nelle
macchine, che ne' processi special-
mente per incollare al tinello, cioc-
ché non erasi in avanti praticato
in altre cartiere dello stato ponti-
fìcio, per cui somministra carta di
particolare bellezza. Abbondanti so-
no le produzioni de' fertili terreni,
pel qual complesso di cose in Fo-
ligno da tempo immemorabile fu
istituita la celebre fiera de' Sopra-
stanti, che dal 21 maggio si pro-
traeva al 21 luglio con immensi
privilegi, fra' quali il massimo di
cessare per que' due mesi la giu-
risdizione ordinaria de' governatori,
devolvendosi in vece a cinque con-
siglieri municipali, investili anco del
diritto di sangue. E sebbene tal
privilegio confermato da molti Pon-
tefici siasi mantenuto in pieno vi-
gore sino al nuovo impianto am-
ministrativo del 1816, eccettuata
soltanto l'epoca dell' invasione fran-
cese, pur tuttavia la fiera stessa in
ciò che risguardava specialmente il
numeroso estero concorso fin da
epoca remota passò quindi in An-
cona per comodità maggiore, e di
là a Sinigaglia ove tutt'ora conti-
nua con gran celebrità. Una terza
fiera si tiene tuttavolta in Foligno
a' 25 febbraio, posteriore alla festa
di s. Feliciano. Della processione
notturna poi in cui si porta il si-
mulacro del santo patrono con sfar-
zo di cerei offerti dalle diverse arti
e mestieri, con l'intervento delle
magistrature e rappresentanze dei
limitrofi castelli e ville fin d'anti-
co tributari e dipendenti dal co-
mune, ne parleremo in fine del-
l' articolo.
Da tempo antichissimo ebbe que-
sta città l'onore della zecca, su di
che è a vedersi Giovanni Mengoz-
FOL 117
zi, Stilla zecca, e sulle monete di
Foligno dissertazione epistolare di-
retta ad Annibale Olivieri, Bolo-
gna 1775. In questa zecca Pioli
vi fece coniare monete d'oro e d'ar-
gento, per la meditata spedizione
e crociata navale contro gli otto-
mani. Eugenio IV, e Pio II di-
chiararono presidenti della zecca
di Foligno, non che di quelle del
ducato di Spoleto, e di Roma fi-
rn iliano Pier Matteo, e Costantino
Orfìni nobili folignati. Il primo di
tali personaggi fu benemerito della
patria per avere animato e favo-
rito la stampa nei primordi di
questa importante invenzione , co-
me pochi anni prima era stata lar-
gamente protetta in Roma dalla
nobilissima famiglia de' Massimi. Fu
nel 1469 che Emiliano accolse il
tipografo tedesco Giovanni Numei-
ster in sua casa, ed ivi furono
impresse e pubblicate per la pri-
ma volta le rarissime e nitide edi-
zioni delle Epistole di Cicerone, le
opere di Leonardo Aretino, De bel-
lo italico adversus gotlws , e la
Divina Commedia di Dante, la qua-
le uscì quivi per la prima volta
alla luce nel i472j poscia diffusa
per l'Europa. All'incominciar del
corrente secolo rimaneva ancora in
piedi la gran ruota della zecca ,
messa all'uopo in movimento dal-
le acque del canale, per le quali
movevansi pure molte mole da
grano, da olio, da tabacco, mac-
chine grandiose di mangano, e gual-
chiere. Fuligno diede ne' suoi con-
cittadini, santi, beati, Papi, cardi-
nali, vescovi^ valenti uomini d' ar-
mi , ed altri illustri personaggi nel-
le scienze e nelle arti. Federico
II imperatore, nato in Jesi, vi eb-
be l'educazione, e se ne mostrò con
suo autografo assai soddisfatto , e
n8
1 OL
riconoscente. Lodovico Jacobilli ci
die la Vita di s. Eeliciano mar-
tire, vescovo e protettore della città
di Foligno insieme alle vite de 've-
scovi successori, Foligno 1626 pres-
so Agostino Alteri. Ci die pure le
Vite de' santi e beati di Foligno,
ivi 1628 pel detto tipografo. Ab-
biamo poi da Julius Lucentius, Ful-
gor Fulginii in splendoribus san-
ctorum, sive quae beatitudine eoe-
lilum, qua sanctimoniae laude il-
lustrami personarum Fulgìnae ci-
vitatis propalarti edit sacra, qua
cogitava elogia cum suis nolis, Ro-
mae 1703.
Di Foliguo furono i santi mar-
tiri Eraclio, Giusto, e Mauro;
Messalina vergine e martire, tutti
martirizzati nell' impero di Decio.
11 b. Tommaso martire francesca-
no, che co' suoi compagni ridusse
al grembo della Chiesa gran nu-
mero di eretici di Bulgaria ed
Ungheria, s. Rainaldo, e i beati
Filippo e Giovanni, tutti e tre ve-
scovi di Nocera. I beati Ermanno
e Leonardo discepoli di s. Fran-
cesco. Il b. Angelo fondatore del
couvento di s. Agostino. Il b. Gi-
rolamo degli Atti domenicano. Il
b. Placido fondatore del convento
di s. Giovanni di Recanati. I beati
Matteo e Martino de' minori. Il
b. Giovanni eremita fondatore del-
la chiesa ed eremo di s. Giovan-
ni evangelista di Celano, e di al-
tre chiese ed eremi. II b. Leviano
il quale per divina ispirazione sep-
pellì nel Trivio folignate fuori di
porta Romana, il corpo di s. Co-
stanzo vescovo di Perugia. S. Do-
menico abbate di Sora, detto di Cu-
culio per i motivi che dicemmo
alla sua biografia, ove celebrammo
la pietà degli odierni magistrati
civici di Foligno , nel restituire al
FOL
monastero fondato dal santo con-
cittadino in Sora, l' annua oblazione
per le corde delle campane. Il b.
Paolo Trinci autore della riforma
nel i368 de' minori osservanti, e
fondatore di quattro conventi. La
beata Angela vedova, proteggitri-
ce di Foligno, e celebre terziaria
francescana, della quale parliamo
all' articolo Francescano Ordine
[Vedi), e di cui si hanno vari
scritti, fra' quali pienissimo di di-
vota unzione ed affetto è l' opu-
scolo intitolato De libro vitae qui
est Chrislus, volgarizzato di recen-
te (Torino pel Marietti i83g); e
sua discepola fu la b. Pasqualina
fondatrice dei monasteri di s. A-
gnese di Foligno da lei chiamato
della b. Margherita, e di s. Cate-
rina di Spoleto, ambedue sotto il
terzo ordine di s. Francesco. La
b. Paola, una delle fondatrici dei
monasteri di s. Elisabetta, e del
Corpo di Cristo della città d' A-
quila. Il b. Pietro Cresci nobile
laico, ed altri venerabili servi, e
serve di Dio, oltre quelli di cui
in appresso faremo memoria. Dalla
famiglia Onofri, detta dell'Antico
Romano, trassero 1' origine i ss. Pon-
tefici Silvestro I, e Siricio. Par-
lando il Novaes di questi due Pa-
pi, dice nelle loro vite che furono
romani , e soggiunge : pretendono
alcuni che s. Silvestro e s. Siricio
sieno della nobile famiglia Onofri
di Foligno, dove passò nell' anno
45 1 Valerio, della nobile famiglia
Ruffia romana, e che perciò in
Foligno continuasse a chiamarsi col
cognome dell' Antico Romano, fin-
ché da Onofrio , celebre vescovo
della medesima prosapia, dato a
Foligno da Adriano II nell' 870,
lo cambiarono con quello degli
Onofri, come si legge nell'Ughelli,
FOL
Italta sacra, tona. I, col. 738. I
cardinali di Foligno sono, Luciano
o Lucino Trinci , creato l' anno
S | ~> da s. Leone IV ; Gio. Do-
menico Trinci, fatto da Innocenzo
III nel 121 1 ; Giovanni Vitelleschi,
il cui avo era di Foligno, che nel
1 354 andò ad abitare in Corneto
ove nacque Giovanni, che Eugenio
IV fece cardinale nel 1 4^7 ; Pio
VII creò due cardinali folignati,
Luigi Ercolani nel 18 16, e Vivia-
no Orfini nel 1823. Le notizie di
questi cinque cardinali, sono ripor-
tate alle loro biografie in questo
Dizionario. '
La gerarchia episcopale conta un
gran numero dei vescovi di Foligno.
11 Jacobilli che pubblicò il suo Di-
scorso nel 1646, dice che trenta
folignati furono vescovi della loro
patria, quindi enumera altri foli-
gnati vescovi di diverse diocesi, ed
altri fregiati di parecchie dignità
ecclesiastiche e civili. Nelle armi
si distinsero principalmente i se-
guenti. Corrado generale di Adal-
berto duca di Spoleto, che per
avere nell'anno C)i5 in una trin-
ciera trinciato e fatti in pezzi molti
saraceni presso il Garigliano nella
Puglia, si acquistò il soprannome di
Trincia, per cui i di lui discendenti
furono cognominati Trinci ; dal-
l' imperatore e da detto duca ot-
tenne alcuni castelli ne' territorii
di Foligno, di Spoleto, di Nocera,
e di Gubbio. Monaldo del conte
Mainardo, pel suo valore, nel 1 i55,
con Napoleone suo figlio, fu creato
dall' imperatore Federico I, conte
di Corco rone, castello da cui poi
sorse Montefalco, e di altri luoghi,
non che capitano principale nel-
l' Umbria. Robba Castelli conte di
Gallano e di Castel reale fu nel
ii 58 generale de' milanesi, e sul
FOL 119
ponte che da lui prese il nome
respinse le armi di Federico I, e
stabilitosi a Milano, la sua discen-
denza si chiamò Castelli. Ranaldo
figlio del suddetto conte Monaldo,
occupò eminenti cariche sotto Fe-
derico I, ed Enrico VI suo figlio.
Della stessa famiglia vi fu Gerardo
di Masseo, da cui discesero i Trinci
signori di Foligno; essendo capita-
no di Federico \, nel e 1 89 fu
fatto conte di Vignole già forte
castello del territorio folrgnate. A-
brunamante altro figlio del conte
Monaldo, pel suo coraggio fu da
Corrado duca di Spoleto nel iio,5
dichiarato generale ed economo,
dandogli in moglie la propria fi-
glia. Napoleone figlio del conte Ra-
naldo, divenne capitano di Ottone
IV, e poi di Federico II, pel qua-
le si fece capo de' ghibellini di Fo-
ligno e dell' Umbria, conquistando
diversi castelli. Il suo fratello Ar-
maleone, co' suoi figli fu fatto da
Federico II signore di vari luoghi.
Corrado figlio di Trincia II dei
Trinci nel i25o era capitan ge-
nerale di Corradino figlio di Fe-
derico II, suo coppiere e mastro
giustiziere; il suo fratello Trin-
cia III nel 1254 qual capo dei
guelfi scacciò da Foligno i ghibel-
lini, e sottomise la città al domi-
nio della Chiesa romana. Naldo di
lui figlio capo de' guelfi e de' no-
bili, discacciò da Foligno gli Ana-
stasi capi de' ghibellini, e de'popo-
lani che la tiranneggiavano. Ugo-
lino figlio di Nallo nel i322 fu
generale de' perugini ; respinse nel
1328 Lodovico il Bavaro, e ven-
ne creato cavaliere, e capitano di
mille soldati da Lodovico I re di
Ungheria nell' impresa del regno di
Napoli. Il suo figlio Trincia IV
nel 1371 da Gregorio XI venne
iao FOL
nominato generale della Chiesa, co-
me lo fu poi il figlio Ugolino II
nel i3g5 da Bonifacio IX, rice-
vendo in guiderdone Nocera, Be-
vagna, Trevi, Montefalco ed altri
luoghi. Inoltre Ugolino II, col fi-
glio Nicolò Trinci furono generali
de' fiorentini, conquistando Bettona,
Leonessa, Montecchio, ed altri luo-
ghi dell' Umbria. E per non dire
di altri insigni guerrieri, Alessan-
dro e Giambattista Orfini furono
generali di credito, e il secondo
marciò col duca Valentino Cesare
Borgia al conquisto di Romagna.
In lettere e dottrina uscirono
da Foligno dotti teologi, filosofi,
medici, giureconsulti, canonisti, let-
tori di cospicue cattedre, predica-
tori, istorici, poeti, ec, dandone
le notizie di molti lo stesso Jaco-
billi nel libro De scriptoribus pro-
vincìae Umbriae, e nelle Cronache
di Foligno. Da ultimo fiori il dot-
tissimo cav. Feliciano Scarpellini
presidente dell'accademia de' Lin-
cei, la di cui biografia si legge nel
tom. VII, pag. 337 dell' Album,
giornale letterario di Roma. Nella
pittura eziandio si distinsero non
pochi folignati sino dal secolo XIV
e XV in cui acquistarono rino-
manza un Andrea Cagni, Bartolo-
meo di Tommaso, Pietro Mazza-
forti, Cristoforo e Nicolò Libera-
tore, Pietr' Antonio Mesastris, chiu-
dendo quell' ultimo secolo Nicolò
Alunno, due quadri del quale si
ammirano presso gli eremitani di
s. Agostino : questo celebrato pit-
tore fu pure maestro a Pietro Pe-
rugino, per lo che Foligno median-
te la mentovata scuola ebbe parte
alla gloria del risorgimento della
pittura in Italia. Molte altre eccel-
lenti tavole di famigerati pittori
si conservano in Foligno e soprat-
FOL
tutto pregevolissima « quella di
Pietro Perugino esprimente il bat-
tesimo di Gesù, Cristo, che si con-
serva nella piccola chiesa della «s.
Annunziata, cappella del comune ;
ed il barone de' Gregori addita
una sagra famiglia dell' immortale
Raffaello da Urbino, cui mancò di
dare quel sommo l'ultima mano.
Il famoso quadro dipinto dal me-
desimo, detto la Madonna di Fo-
ligno, al presente uno de' princi-
pali ornamenti della galleria vati-
cana, sino al 1799 appartenne al-
le monache di s. Anna, dette le
Contesse, per le quali fu lavorato
dall' incomparabile artista, a dili-
genza di Sigismondo de Comitibu9,
benemerito concittadino, storico in-
signe, e segretario intimo di cinque
Pontefici, il di cui ritratto vestito
di cappa rossa vedesi a pie del
quadro. Qui noteremo, che il det-
to monastero di s. Anna fu fon-
dato nel i3g5 dalla b. Angelina
contessa di Corbara e di Civitella
nell' Abruzzo, per le monache ter-
ziarie in osservanza, e sotto i tre
voti essenziali dei clauslri, che fu
il primo eretto in Italia sotto tal
istituto ; mentre nel 1 4^5 nel mona-
stero di s. Lucia di Foligno princi-
piò la riforma del secondo ordine di
s. Chiara. Di altri uomini illustri
di Foligno ne tratta il Frenfa-
nelli nella sua erudita Orazione
accademica.
Fu dominata questa città da
diversi signori, e primieramente dal
suo edificatore e suoi discendenti,
quindi dai re di Toscana, che ad
un tempo signoreggiarono tutta
l'Umbria. L'anno 488 dell'edifi-
cazione di Roma fu sottoposta con
tutta l' Umbria e Toscana ai ro-
mani, che la dominarono sino al-
l' anno 7 1 o, cui successe Giulio
FOL
Cesare o gl'imperatori suoi succes-
sori. Nel detto anno /{.SS Foligno
fu dai romani elevata al grado di
prefettura, e nel 492 a quello di
municipio , divenendo una delle
quindici città dell' Umbria confe-
derate de' romani , che nel 668
aggregarono i folignati alla loro
cittadinanza, e alla tribù Cornelia;
indi, come meglio si dirà, Foligno
passò sotto il dominio degli inva-
sori d'Italia, de' duchi di Spoleto,
e de' romani Pontefici, signoreg-
giandola pure i Trinci, il Jacobilli
nel più volte citato Discorso, a
pag. 4° e seg- riporta l' erudito
cata ogo de* governatori e rettori di
Foligno, come di quelli che in vari
tempi hanno dominato la città.
Nel governo dopo l' espulsione
de' Trinci i Pontefici vi spedirono
un prelato o vescovo coli' antico
grado di prefetto di Foligno, con
giurisdizione su Nocera ed altri
luoghi dominati prima dai Trinci.
Indi successero i governatori luo-
gotenenti dei cardinali legati, ve-
nendo fatto governo separato nel
i5ig, il perchè da Clemente VII
in poi fu retta dai governatori ef-
fettivi, siccome lo è tuttora. Il
medesimo Jacobilli a pag. 5g e
seg. ci dà il catalogo de' podestà
di Foligno, avvertendo che i Papi
costumarono governare Foligno per
un prelato governatore, e per un
dottore in legge di sperimentata
idoneità per podestà. L' offizio e il
tribunale del podestà fu eretto in
Foligno nel i i g8 con suprema
potestà di mero e misto impero.
L' elezione spettava ai consiglieri
del comune. Il podestà durava
nella carica un anno, indi soli sei
mesi a beneplacito de' medesimi
consiglieri, promovendosi per 1' or-
dinario a tale offizio personaggi
FOL i2i
ciliari per nobiltà e valore : tal-
volta erano eletti a podestà gli stessi
cittadini di Foligno delle più be-
nemerite famiglie , ed in seguito
divenne si onorevole la dignità,
che l' esercitarono signori potenti,
e persino imperatori, e re di Na-
poli, invitandone i Papi i consi-
glieri ad eleggerli. L' autorità e
tribunale del podestà era differen-
te da quello di capitano del po-
polo, e del gonfaloniere di giusti-
zia, o signore e poi governatore
della città ; poiché al podestà spet-
tavano le prime cause, e quelle
sentenziar per giustizia : al capita-
no appartenevano le appellazioni
delle seconde istanze, e però quan-
do verso il i4oo fu soppressa la
dignità di capitano, in sua vece
venne stabilito il giudice delle ap-
pellazioni. Al signore e poi al go-
vernatore spettava la cognizione
definitiva delle terze istanze, come
il far grazia, segnar le suppliche,
e simili. In progresso di tempo fu
ristretta l'autorità e la provvisione
del podestà, continuandosi l'elezione
dai consiglieri, mediante l'approva-
zione della sagra consulta, o del
cardinale sopraintendente dello sta-
to ecclesiastico. Di poi anche 1' uf-
zio e tribunale di giudice del-
le appellazioni restò abolito, con-
centrandosi la giurisdizione nel go-
vernatore della città.
Il magistrato civico della città
componevasi di sei priori del po-
polo, i quali vestivano di scarlatto
rosso , con residenza nel palazzo
del comune, ove amministravano
la giustizia : il consiglio de' nobili
denominato centumvirale ammini-
strava quelle cose spettanti alla sua
giurisdizione della città e territo-
rio. Al presente avvi il gonfalonie-
re capo del magistrato civico, coi
deputati e consiglieri, come hanno
tutte le città dello stato pontificio,
secondo le odierne leggi. La città
prese per arme un giglio d' oro in
campo rosso ; altri dicono che
avendo i folignati ricevuto con ono-
revoli distinzioni Carlo Vili re di
Francia, questi gli dasse per im-
presa un giglio d' oro risplendente
in campo rosso. AH' invasione de-
j;li imperiali francesi, nel 1809, Fo-
ligno divenne capoluogo d'un cir-
condario del dipartimento del Tra-
simeno, e sede d' un tribunale di
prima istanza. Vi fu poi stabilita
la direzione centrale delle dogane,
che tenne lungamente gli uffizi di
amministrazione negli ameni casini
faldella, entro il piccolo villaggio
di Pescara, lontano per una lega
all' est della città. Vi si istallò ezian-
dio il tribunale prevostale pei con-
trabbandi di estesissima giurisdizio-
ne. Un liceo di privata fondazione
militarmente organizzato nel con-
vento eremitano di s. Nicolò ac-
quistò in pochi anni qualche fama.
L' alta mercatura però, attese le
circostanze della guerra, decaduta
col secolo XVIII, non è più risali-
ta all'apice, che aveva sì felicemen-
te attinto , e delle antiche casse
bancarie note all'Europa intera,
non rimane che l'onorevole rimem-
branza. Attualmente in Foligno
oltre il governatore distrettuale di
prima classe, avvi il tribunale di
prima istanza, erettovi dal Papa
che regna, per le cui generose con-
cessioni non solo vi si è ampliato
il tribunale di commercio di anti-
chissima istituzione, ma aggiunta
puranco una camera di commer-
cio, pregi i più singolari cui città
mediterranea possa aspirare.
Al distretto di Foligno appar-
tengono ancora i governi di Spd-
FOL
lo, Assisi t fiorerà, e Gualdo Ta-
dino (Fedi). Il proprio governo poi
non comprende che gli appodiati
di Colfiorito, Rasiglia, e Scopoli.
Novera poi nella sua amministra-
zione municipale sessanta villaggi,
fra i quali sono a ricordarsi Pale,
situato all' est in distanza di due
leghe, per le sue grotte ripiene
di stallatiti, e pei diversi opifici
attivati dal piccolo fiume Meno-
tre, che nella sottoposta valle vi
forma varie cadute d'acqua; Ca-
podacqua, per elevarvisi dappres-
so l' eminenza chiamata Colfonaro
ove nacque s. Domenico abbate; e
s. Eraclio al sud con antico castello
e torre, ove le truppe acquartiera vali-
si, perciò detta Statio Fulginas, per
trovarsi ad una lega assai scarsa
dalla città, sulla strada romana, ed
essere ornato da due vaghe chie-
se, tenendovisi fra l'anno parecchie
fiere. Questo paese rispetto al mu-
rato castello, esisteva ancora nel
3oo, giacché in quell'epoca vi fu
martirizzato Eraclio, uno de'solda-
ti pagani del castello stesso . Del
territorio di Foligno, come di quel-
lo della sua diocesi, de' principali
suoi prodotti, de' fiumi che l'in-
naffiano, ed altre cose relative, ne
discorre il Jacobilli nel menzio-
nato libro, a pag. i i e seg. Nei
suburbani dintorni di Foligno si
trovano, il monastero cassinese in-
titolato a s. Feliciano, il quale fu
posto sull' eculeo nella colonna di
marmo, che esiste alla croce bian-
ca, e fu quindi trascinato sino a
quel campo che denominossi Mor-
monzone ove spirò, in memoria di
che a pubbliche spese fu edificala
la chiesa, e data poi ai monaci in
cura ; il monistero degli Olivetani,
assai grandioso, posto in mezzo al-
la prima campagna, e detto perciò
FOL
di s. Maria in Campis. Lodovico
Jacobilli ci die la Cronaca della
chiesa e monistcro di s. Maria
in Campis, detta ancìie di s. Ma-
ria Maggiore fuori della città di
Foligno, ivi i653 appresso Ago-
stino Alteri. Avvi il convento dei
minori osservanti posto su d' una
vaga collina, e denominato di s.
Bartolomeo , da dove , varcandosi
angusta valle, si giunge alla Fon-
te-Marana di limpidissime e salu-
berrime acque; poco distante, ed in
situazione più amena ed elervata avvi
il convento de' cappuccini. Nel so-
vrapposto monte vi è 1' antica ab-
bazia e monistero di s. Croce di
Sassovivo, costruita verso il 1070
o 1080 da Mai nardo monaco cas-
sinese di santa vita, e di mol-
ta dottrina, istitutore di una ri-
forma di monaci benedettini, che
poi divenne capo di congregazione,
prendendo il nome di Congrega-
zione di Sassovivo di Foligno, con
parecchi monisteri sotto di sé. In
questa abbazia a' 17 luglio 1 3 1 3
mori il b. Alana di Germania mo-
naco dottissimo, e tra quelli che vi
fiorirono rammenteremo il b. Al-
berto, Giovanni, Dionisio, Pietro,
Michele abbati e monaci della me-
desima, in cui menarono vita e-
semplarissima. Inoltre l'abbazia fu
grandemente arricchita dai Trinci;
nel pontificato di Benedetto XII
passò in potere de' cisterciensi, e
quindi degli abbati commendatari,
fra' quali il cardinal Marco Barbo
che la divise in commenda cardi-
nalizia, ed in abbazia monastica.
La prima fu da Pio VII riunita
alla mensa arcivescovile di Spoleto,
e la seconda fu dal regnante Gre-
gorio XVI conceduta per aumen-
to di dotazione alla mensa episco-
pale di Foligno. 11 suddetto Jaco-
FOL 1^3
billi coi memorati tipi nel i653
pubblicò la Cronica della chiesa
e monistcro di s. Croce di Sasso-
vivo nel territorio di Foligno.
Nel territorio di dipoli, fra i
monti, a tre leghe di distanza da
Foligno è il santuario di s. Pie-
tro detto de' Cancelli, ove pia tra-
dizione addita una pietra santifi-
cata dal contatto del principe de-
gli apostoli nel suo pio pellegrina-
re, concorrendovi con fiducia ad
implorare la sanità le persone af-
flitte da malori reumatici. Non ab-
bonda Foligno di archeologici mo-
numenti, ma pure ne' dintorni di
s. Maria in Campis si sono ope-
rati utilmente degli scavi, e si sco-
prirono alcune camere lastricate
a mosaico, gli avanzi d'un tempio
dedicato ad Ebe dea della gioven-
tù, avanzi di acquidotti , strade
dette ab antico di ferro, iscrizio-
ni, marmi figurati, e lumi eterni.
Di altri avanzi d'antichità ne par-
la il Jacobilli a pag. 17 del suo
Discorso, il quale inoltre afferma
che in questo antichissimo sobbor-
go eranvi sontuosi casini di deli-
zie, con amenissimi giardini, che
le belle arti avevano adornati ma-
gnificamente. A due leghe dalla
città per la via consolare di Noce-
ra trovasi sul Topino il ponte Cen-
tesimo , designato da Giulio Cesa-
re per additare la distanza pre-
cisa di cento miglia da Roma.
Dei pregi della città e diocesi di
Foligno il concittadino Lodovico
Jacobilli, nel 1646, colle stampe
di Agostino Alteri, pubblicò il me-
morato Discorso della città di Fo-
ligno, colla cronologia de' vescovi,
governatori e podestà ; ed il cata-
logo de' suoi conventi e monisteri,
con l' indice de' castelli e villaggi
del territorio e diocesi folignate.
i*4 FOL
Che Foligno In alcun tempo mai
cercò fama prepotente di domi-
nazione sulle vicine città, ma solo
ne' civili consigli della pace, negli
studi piacevoli ed utili delle let-
tere, nelle laboriose investigazioni
delle scienze, nell'attività dell'in-
dustria, e che contenta si manten-
ne di un nome onorato e tran-
quillo, il dimostrò il patrizio fo-
lignate Giacomo Frenfanelli, nella
erudita Orazione, che nell'accade-
mia Fulginia de' 6 aprile 182 3
pronunziò per l'esaltazione del car-
dinal Viviano Orfìni , pubblicata
nel 1829 in Foligno dalla rino-
mata tipografia Totnassini.
Foligno o Fuligno, in latino
Fulminea o Fulginium , forse da
fulgeo per Ja sua splendidezza, o
Fulci aia , da fulcire, per la sua
fortezza, nomi di cui rende ragio-
ne il Jacobilli a pag. 3 e 4> d
quale pur dice essergli derivato da
Fulginio fondatore della città, ivi
riportando il nome degli storici
e geografi che parlano del sito ove
sorge, e non altrove come alcuni
opinarono ; cosi a pag. 9 discor-
re della sua deliziosa posizione, mu-
raglia, fortificazioni e temperatu-
ra, come della sua topografica di-
visione civile ed ecclesiastica. Tut-
tavolta va notato , che il lodato
ingegnere Rutili- Gentili, nel suo
Saggio storico, ai capi I e II, con
giuste osservazioni ci dà molti
interessanti schiarimenti sulla po-
sizione dell'antica Fulginia, e sue
attenenze suburbane, alquanto di-
versa dalle testimonianze de'prece-
denti storici, come della situazione
e struttura del primitivo tempio.
3Von si deve tacere che alcuni scrit-
tori contrastarono alla città di Fo-
ligno una propria e rimota origi-
ne; ma le testimonianze veridiche
FOL
ed onorevoli di Marco Porzio Ca-
tone , di Marco Tullio Cicerone,
di Giulio Cesare, e di altri tolgo-
no ogni dubbio a qualunque con-
traria opinione, come di quegli sto-
rici che ne attribuirono la fonda-
zione ai celti della Liguria, che
poi si dissero umbri, 727 anni
avanti l'origine di Roma. Il Jaco-
billi narra, coll'autorità di parec-
chie storie e monumenti antichi,
che Foligno fu edificata dagli an-
tichi umbri, discacciati dai tirreni,
detti poi tusci o toscani , e che il
principale edificatore suo chiamos-
si Fulginio , o Fulcinio, uno dei
loro primi capitani, donde ne pre-
se la denominazione, ovvero perchè
ben presto rifulse e risplendette
tra le città e luoghi della regione.
Assegna a tale edificazione 1' epoca
dell'anno circa il 2482 della creazio-
ne del mondo, al tempo di Tirreno
re di Toscana, e poi d'Italia. Per il
lustro che si procacciò la città vuoi-
si che dominasse sui popoli di
dieci limitrofe città. Dicemmo già
che Foliguo venue dai romani no«
verata tra le quindici città umbre
loro confederate, e ch'ebbe succes-
sivamente gli onori della cittadi-
nanza romana, con ascrizione alla
tribù. Cornelia, e i gradi di pre-
fettura e municipio. I folignati som-
ministrarono ai romani di frequen-
te armate genti, massime nella
spedizione africana di Pisone, ne-
gli aiuti che questi portò a Pu-
blio Cornelio Scipione , e nel-
la battaglia di Canne combattuta
dal cartaginese Annibale. Lucio
Roscio da Foligno fu valoroso
cavaliere , e generale di Giulio
Cesare nella guerra contro le
Gallie.
Più volte la città fu saccheggia-
ta e rovinata. La prima fu l'anno
FOL
di Roma 44^» quando i folignati
uniti ad altri umbri e toscani mar-
ciarono contro quella città, e ve-
nendo disfatti dal console Fabio
Massimo, questi portò poi la rovi-
na sui luoghi nemici, che rinnovò
l'anno 4^8 per essersi uniti i foli-
gnati a danno de' romani anche
coi galli-senoni e coi sanniti. Dopo
che Annibale l'anno 536 di Roma
Tinse i suoi eserciti , ed uccise il
console C. Flaminio, avviandosi per
Roma punì la resistenza di Foli-
gno con {smantellarne le mura, e
manomettere il territorio. La città
venne poi restaurata da Scipione
vittorioso de' cartaginesi. Nell'anno
566 di Roma C. Flaminio figlio
del precedente, colle pingui spoglie
delle vittorie che riportò sui ligu-
ri frisinati ed apuani , edificò nel-
l'Umbria, circa due miglia distante
da Foligno, una città che dal pro-
prio nome chiamò Foro Flaminio;
riedificò le mura di Foligno rovi-
nate dai cartaginesi , e dai suoi
schiavi fece lastricare la strada che
per lui fu detta Flaminia, incomin-
ciata già da Roma dal di lui ge-
nitore. Ricevè Foligno altri gravi
danni e saccheggiamenti dalle fa-
zioni contrarie nelle guerre civili
de' romani, dappoiché nell'anno di
Roma 663 aderì con altre città
dell' Umbria ai marsi , popoli del
Lazio, nella guerra sociale a dan»
no de' romani , per cui L. P. Ca-
tone molto la danneggiò. Tre an-
ni dopo aderì a Caio Mario, con-
tro il dittatore Siila; nell'anno 704
di Roma parteggiò per Pompeo,
ed otto anni dopo seguì il trium-
viro Marc'Antonio. Altri danneg-
giamenti provò Foligno nella no-
stra era , siccome posta in luogo
per cui si passa recandosi a Roma.
Alarico re de'visogoli nel 4 12, Gtn-
FOL 12J
serico re de' vandali nel 4^2> At-
tila re degli unni nel 4^3, Odoa-
cre re degli eruli nel 47^, occu-
parono un dopo l'altro, e rovina-
rono Foligno, come pur fece il re
Teodorico. Totila re degli ostrogo-
ti nel 546 se ne impadronì , ma
Relisario la ricuperò all' impero
l'anno 55o, facendo altrettanto Nar-
sete quando la prese a Teia ulti-
mo re goto. Nel 571 Alboino re
de' longobardi avendo occupato tut-
ta l'Umbria, costituì il ducato di
Spoleto comprendendovi Foligno ,
ove i duchi mandarono a gover-
narlo sino al 11 98 un luogotenen-
te e giudice. Agilulfo eLuitprando,
altri re longobardi, portarono dan-
ni alla città. Quest'ultimo portò la
rovina alle città di Foligno e di
Foro -Flaminio nella guerra che
fece al duca di Spoleto Trasmon-
do , cui tolse il ducato per dovlo
al suo fedele Ildebrando. Quindi
si può fissare la riedificazione di
Foligno verso la metà o termine
dell' Vili secolo. Questa città rice-
vè notabile accrescimento dagli a-
bitanti di F01 o- Flaminio , la cui
città nel 740 fu pure rovinata dai
longobardi, le cui vestigia si vedo-
no tuttora ne' dintorni della rura-
le parrocchia, che corrottamente si
disse Forflamma , ed oggi s. Gio-
vanni-Profiamma, restando una le-
ga distante sulla destra riva del
Tupino : si racconta che neh' epo-
ca longobardica Foro-Flaminio so-
stenesse lungo assedio con sommo
valore ed intrepidezza. Nel 781
Carlo Magno donò alla Chiesa ro-
mana il ducato di Spoleto , colle
sue dipendenze , insieme a questa
città.
Molto soffrì Foligno nell!84o dai
saraceni, e dagli ungari nel 910 e
nel 924. Yerso l'anno 1160, ai
iiG FOL
tempi di Federico I imperatore, Fo-
ligno fu ampliata con altra contra-
da allora fuori della porta dell'ab-
bazia, che però si chiamò nova ci- •
vitas Fulminei, vcl nova civitas Ab-
baliae, per essersi edificati gli edi-
fici presso un'abbazia de' benedet-
tini, ch'era nella chiesa di s. Sal-
vatore. Divenuto nel i 198 Ponte-
fice Innocenzo III , rivolse il suo
grande animo a ricuperare alla Se-
de apostolica tutta l'Umbria, com-
presa la città di Foligno. D'allora
in poi i Papi governarono il du-
cato di Spoleto per un rettore, il
quale delegava al governo di Fo-
ligno un luogotenente. Di poi Cor-
rado Guiscardo, capitano di Fede-
rico II, con grosso esercito entrò
nell'Umbria, e per quell'impera-
tore nel 1227 occupò Foligno, e
ne fu fatto signore, discacciando
molti folignati di parte guelfa. Ma
nell'anno seguente il cardinal Gio-
vanni Colonna legato di Gregorio
IX, alla testa delle milizie della
Chiesa , e coll'aiuto di questi foli-
gnati , capo de' quali Trincio di
Berardo Trinci già capitano di O-
norioIII, discacciò Corrado dalla
città, e la restituì al dominio pon-
tificio. Non andò guari che nel I235
la riprese Federico II , e vi lasciò
per suo vicario e prefetto il me-
desimo Corrado, che nel 1239 i
guelfi dell' Umbria e di Orvieto
espulsero, restituendo la città a
Gregorio IX. Tuttavolta nell' istes-
so anno Enzio re di Sardegna, fi-
glio di Federico II , la sottopose
alla sua dominazione. Tommaso di
Aquino napoletano, conte d'Acerra
ed avo di s. Tommaso, capitano ge-
nerale di Federico II, entrò in Fo-
ligno l'ultimo di gennaio 1240, in
compagnia dell'imperatore, che fu
ricevuto con grande onore qual si-
FOL
gnore della città; quindi l'augusto
ne nominò vicario il conte Tom-
maso, discacciandone Trincio di Be-
rardo capitano de' guelfi, i quali si-
no al 12,54 furono infrenati dal
conte. Nel giugno di quest'anno,
Bonifacio Fogliani da Reggio di
Lombardia, rettore del ducato di
Spoleto per Alessandro IV, con l'a-
iuto de' spolelini, de' perugini e di
Trincio Trinci figlio del preceden-
te e capitano de' guelfi , ritolse la
città agli imperiali per la Chiesa ,
stabilendo suo vicario e vice-retto-
re Trincio, che restituì i guelfi che
n'erano stati discacciati. Anastasio
di messer Filippo Anastasi foligna-
te, essendo priore delle arti e del
popolo, nel 1264 si pose alla testa
de' ghibellini, e con l' aiuto degli
imperiali occupò la città , reggen-
dola con molta asprezza col titolo
di gonfaloniere di giustizia del po-
polo di Foligno sino al 1288, epo-
ca di sua morte. Verso questo tem-
po Foligno si collegò con Terni e
con parecchie altre città umbre, e
nel 1281 i perugini l'aveano posta
interamente a soqquadro.
Dall'anno 1280 sino al 1291 si
fabbricarono le nuove mura di pie-
tre, tolte da Moutaroni, luogo del-
la villa di Carpello. Dentro a que-
ste mura furono inclusi tutti i bor-
ghi ch'erano fuori della città, mas-
sime le contrade del ponte di Ce-
sare, de'Pugilli abitato da quelli
di Fuligni o Fulignano, e di Ca-
stel vecchio di Todi : vi fu pur
compresa la contrada dell'Abbadia
fuori di porta Romana, colle anti-
che porte della città delle quali se
ne edificarono altre quattro. In tal
maniera la città ad un tempo fu
ampliata , abbellita e fortificata. I
folignati dal r 289 in poi attribui-
scono al patrocinio del loro pria-
FOL
cipale protettore s. Feliciano, che
la città non fosse più rovinata. Ad
Anastasio nell'oftìzio e tirannia suc-
cesse il figlio Corrado , che domi-
nò sino al 1 3o3 in un ai fratelli
Gerardo, Ermanno e Filippo, che
essendo nemici de'Trinci, tra di lo-
ro e guelfi e ghibellini successero
molte battaglie e danneggiamenti.
Però a Nallo figlio di Trincio, coi
suoi guelfi e perugini , nel luglio
i3o5 riuscì di liberar la patria dal
giogo degli Anastasi : fu quindi
creato gonfaloniere e capitano del
popolo , con libero dominio sulla
città e territorio di Foligno, pro-
fittando dell' assenza di Clemente
V che avea stabilita la residenza
in Avignone. A Nallo nel 13^3 suc-
cesse nell'offizio e nel dominio il
figlio Ugolino Trinci , ed a questi
nel i34H il figlio Trincio Trinci
che divenne vicario della santa Se-
de. Questa qualifica nel i36o gli
fu confermata dal celebre cardinal
Egidio Albornoz spagnuolo, legato
d'Italia. Verso l'anno i3fio coll'au-
torità del cardinale fu eretta in Fo-
ligno una rocca, chiamandosi cas-
sare con voce spagnuola , la con-
trada ove fu edificata : questa roc-
ca fu demolita nel 1 4^9j dopo l'e-
spulsione de', Trinci. Urbano V ai
3o novembre 1367 creò vicario di
Foligno e suo contado per la san-
ta Sede, il detto Trincio , coll'an-
nuo tributo di uno sparviere; ed
il successore Gregorio XI, come di-
cemmo, lo dichiarò generale della
Chiesa, e signore di Bevagna, Li-
misano e Giano. Nel 1 377 gli suc-
cesse nel dominio Corrado Trinci.
Ugolino primogenito di Trincio ,
dopo lo zio prese le redini della
città nel i386: Bonifacio IX a' 1 7
agosto 1 392 lo creò vicario di Fo-
ligno , di Nocera e di Bevagna ,
FOL 127
Trevi, Giano, Montecchio , Casta-
gnola, Colle del Marchese, e della
rocca del ponte di Cerreto nell'Um-
bria , coll'annuo censo alla camera
apostolica di mille fiorini d'oro.
Frattanto essendo i perugini stan-
chi delle fazioni di Bucarino e Ba-
spante , pregarono Bonifacio IX di
consolarli colla sua pontificia pre-
senza. Il Papa vi si recò, e in pas-
sando per Foligno fu da Ugolino
ricevuto col più grande onore. Giun-
se a Perugia a' 1 7 ottobre 1 392 ,
donde poi mal soddisfatto ne par-
tì , fermandosi in Assisi sino a' 4
settembre 1 3g3 , donde per Foli-
gno fece ritorno in Boma a' i5
settembre. Grato Bonifacio IX agli
omaggi ricevuti da Ugolino ed agli
aiuti contro i perugini, lo distinse
col donativo della rosa d'oro be-
nedetta. Al medesimo Ugolino il
Papa Giovanni XXIII nel i4i3
confermò il vicariato de' suddetti
luoghi, aggiungendovi le terre di
Bettona e di Montefalco , ed i ca-
stelli di Collemancio , Gualdo-Cat-
tano, Castel-buono e Limisano. In
oltre Ugolino acquistò Fiano, Stia-
no, le rocche di Andolina, di Ga-
lestro , di Pasano e di Amandola.
Ladislao re di Napoli ne cercò l'a-
micizia, e gli die a vita in gover-
no Lionessa. Nicolò Trinci primo-
genito di Ugolino gli successe nel-
la signoria a' 2 giugno 1^1 5 ; indi
nel seguente anno acquistò la ter-
ra di Nolfa, e i castelli di Melace
e Polino: ma per la sua tirannia
co' sudditi, fu ucciso agli 1 1 genna-
io i42r> con Bartolomeo suo fra-
tello, nella rocca di Nocera. Succes-
se l'altro fratello Corrado II, il qua-
le nel i4^5 comprò la terra di Pie-
deluco col suo lago, ed il castello
di Miranda, e nel i43i Vissuta.
Ma Corrado II per favorire i ri-
i28 FOL
belli di santa Chiesa , esercitando
duro dispotismo e tirannia co' sud-
diti, determinò il Pontefice Euge-
nio IV di mandargli contro colle
milizie ecclesiastiche il celebre e va-
loroso cardinal legato d' Italia Gio-
vanni Vitelleschi patriarca di Ales-
sandria, arcivescovo di Firenze, il
quale co' famosi capitani di santa
Chiesa Rinaldo Orsini, conte Ever-
so dell' Anguillaia, Nicolò Vitelli ,
Paolo della Molara ed altri, mos-
se contro i Trinci con settemila
cavalli e cinquemila fanti, forman-
do quattro campi , e si impadronì
di Bevagna , Nocera e Trevi ; ma
Foligno sostenne vigorosamente per
lungo tempo l' assedio , finché gli
stessi cittadini richiamando l'antica
divozione, e stanchi della tirannica
dominazione de' Trinci, risolvettero
darsi volontariamente al Pontefice
sotto speciali condizioni espresse
nella capitolazione ( il cui contesto
conservasi nell' archivio comunale,
e finora mai pubblicato), che pro-
posta a detto legato, e pienamente
da questo accettata, i medesimi a-
gli 8 settembre i4^9 posero al
possesso di Foligno il cardinale le-
gato , che fece prigione Corrado
Trinci ultimo signor di Foligno ;
indi fece decapitare Corrado II
co' suoi tre figli. Così Foligno con
tutti i luoghi dominati dai Trinci,
tornò al pieno e diretto dominio
della Chiesa romana , dopo avere
i Trinci signoreggiato in Foligno
per 1 34 anni. Dorio Durante scris-
se V Istoria della famiglia Trinci
con memorie di Foligno , Nocera ,
Gualdo, Foligno i638 per Agosti-
no Alteri. INel 1648 si fece una
seconda edizione di questa genea-
logica storia della potente famiglia
Trinci.
Eugenio IV dichiarò rettore di
FOL
Foligno e del ducato di Spoleto,
a'g settembre 1439, il cardinal Vi-
telleschi, il quale vi lasciò per luo-
gotenente in Foligno, Pietro Vitel-
leschi cavaliere gerosolimitano, suo
parente. Nel i44° venne fatto go-
vernatore e prefetto di Foligno, e
di tutti i luoghi già dominati dai
Trinci , Mattia Fusci vescovo di
Rieti, cui successe nel i44f Loren-
zo di Andrea degli Atti da Todi ,
scudiere di onore di Eugenio IV.
Quando il cardinal Domenico Ca-
pranica venne dichiarato legato di
Perugia e del ducato di Spoleto ,
deputò in suo luogotenente e com-
missario di Foligno Troilo Verdi-
lotti di Ascoli, ch'era giudice del-
le appellazioni di Foligno. Nel i4^i
ne fu governatore Cesare Conti di
Lucca , marito di Caterina Lucani
sorella del Papa Nicolò V. Pier
Luigi Borgia di Valenza nipote di
Calisto III, e generale di s. Chiesa,
fu nominato governatore nel 1^.56, .
11 conte Giacomo Tolomei di Sie-
na, cognato di Pio II fu da que-
sti nel i4% fatto governatore, e
nel 1460 gli die per successore l'al-
tro suo congiunto Nanni Piccolo-
mini sanese. Allorché era legato di
Perugia e dell' Umbria il cardinal
R-affaele Riario, il quale avea pre-
posto suo luogotenente in Foligno
Francesco Rutilioni , il di lui zio
Sisto IV per la pestilenza che fla-
gellava Roma , in compagnia di
molti cardinali, a' 23 agosto i47^
si recò ad Assisi, ed a' 27 detto a
Foligno , da dove s'avviò per Ro-
ma a' 7 ottobre. Il di lui succes-
sore Innocenzo VIII vedendo che
ne'dominii della Chiesa i guelfi e
ghibellini rinnovavano le antiche
fazioni, massime in Todi ed in Fo-
ligno, nel 1488 invitò Massimilia-
no I re de' romani a porvi energi-
FOL
co riparo. Indi nel i49° Innocen-
zo Vili fece governatore eli Foli-
gno, e sue pertinenze, non che di
Spoleto ed Assisi, il proprio fratel-
lo Maurizio Cibo genovese , presi-
dente dello stato ecclesiastico. Ales-
sandro VI fece governatore nel
i4p,5 il cardinal Raimondo Pe-
rauld francese, vescovo di Gurck,
che nel i5oo tornò ad esserne gover-
natore. E qui merita pure di ve-
nire ricordato, come lo stesso Ales-
sandro VI , con moto-proprio del
i4g3 confermato da molti, posterio-
ri Pontefici., concedesse alla città di
Foligno a titolo di feudo baronale il
castello di Gualdo-Catlano, ed ai ma-
gistrati il governo perpetuo del me-
desimo, il quale per effetto di devo-
to ossequio, e per uniformarsi alle
sagge viste del nuovo impianto am-
ministrativo del 1816, venne spon-
taneamente con solenne istromento
della medesima città riceduto, re-
stando tuttavia conservato al co-
mune l' onore del titolo baronale
su detto feudo. Nel i5iq Clemen-
te VII nominò governatore il suo
parente Giacomo de' Medici di Fi-
renze. Pio IV nel i56o conferì tal
carica al cardinal Lorenzo Strozzi
nipote di Leone X, il quale portos-
si a risiedere in Foligno. Anche
molli distinti prelati, poi elevati al
cardinalato , furono governatori di
questa città e suo territorio. Per
la sua topografica posizione Foli-
gno ricevette nelle sue mura un
grandissimo numero di sovrani , e
di sommi Pontefici, de' quali ci li-
miteremo a far menzione degli ul-
timi tre Papi che l' onorarono di
loro presenza.
Recandosi nel 1782 Pio VI a
Vienna dall'imperatore Giuseppe li,
pernottò la prima sera del suo
"viaggio } a' 28 febbraio , nel con-
vol. xxv.
FOL 129
vento di s. Agostino di Foligno ,
ove giunse alle ore 24. Fu rice-
vuto colla debita venerazione da
monsignor vescovo Gaetano Zinan-
ni, da altri vescovi, e dal capitolo
e magistrato della città. Nella mattina
seguente ascoltò nella contigua chiesa
la messa, ammettendo in sagristia
al bacio del piede molti della no-
biltà di ambo i sessi, ed altre di-
stinte persone; indi alle ore 12 pro-
seguì il viaggio. Reduce da Vien-
na arrivò a Foligno lunedì io giu-
gno ad ore 22, venendo incontra-
to alla porta del convento di s. A-
gostino dai nominati personaggi, e
dal cardinal Antamori vescovo di
Orvieto : nella sera vi fu generale
illuminazione. Nella mattina ap-
presso dopo avere assistito nella
medesima chiesa al santo sagrifizio,
e di avere ammesso nella sagristia
al bacio del piede gran numero di
persone, asceso in carrozza si por-
tò al palazzo pubblico , ove diede
all'affollato popolo l' apostolica be-
nedizione ; indi Pio VI continuò il
suo viaggio, fra le acclamazioni dei
folignati. Questo gran Pontefice ter-
minò il suo glorioso pontificato col
vedere occupati i suoi dominii dal-
le armi repubblicane di Francia.
Nel 1797 i francesi fissarono in Fo-
liguo il quartiere generale , e per
la sua comoda situazione vi restò
per lungo tempo , divenendo per
la sua centralità piazza d'armi. La
città si mostrò in tutte le calamitose
vicende amica dell'ordine e della pub-
blica salvezza, né le cittadine spa-
de permisero, che i molti anarchi-
ci ond'era circondata, s'insinuasse-
ro dentro le sue mura, ponendo
anche a perigliosi cimenti l'ardita
gioventù, le proprie vite, mentre i
seniori della patria sul di lei peri-
colo tenevano consulta. In Foligno
9
i3o FOL
le truppe regolai-i di ogni nazione
vi ebbero sempre ospitale accoglien-
za. Intanto la divina provvidenza
permise cbe al defunto Pio VI, nel
1800 si eleggesse in Venezia per
successore Pio VII, a cui venivano
restituiti i doni ini i della santa Se-
de, meno le legazioni.
Avendo stabilito Pio VII di re-
stituirsi a Roma, parti da Venezia,
ed ai 27 giugno, avendo seco in
carrozza i cardinali Doria e Bra-
schi, giunse in Foligno tra il tripu-
dio de' cittadini , ricevuto dal ve-
scovo Marc' Antonio Moscardini, dal
civico magistrato, e dalle altre au-
torità , non cbe da diversi perso-
naggi massime della gerarchia ec-
clesiastica. Recatosi alla cattedrale
all' adorazione del ss. Sagramento,
fi trovò il pio Carlo Emmanue-
le IV re di Sardegna, colla regina
sua sposa la ven. Maria Adelaide
Clotilde, e madama Felicita, i qua-
li compiuta la sagra funzione , in
cui il detto cardinal Giuseppe Bo-
ria die la benedizione colla ss. Eu-
caristia, nell'atto che Pio VII sta-
va per alzarsi dal genuflessorio ,
con tanta prontezza e divozione
prostraronsi a baciare i di lui pie-
di, eh' egli non potè impedirlo, re-
standone commosso ed edificato
ciascuno de' numerosi spettatori.
Indi il Papa si recò in sagristia
ove s'intrattenne coi nominati tre
reali personaggi , ammettendo al
bacio del piede diversi arcivescovi
e prelati, non che il capitolo, ma-
gistrato, nobiltà, e molti del clero
e di altri ceti. Di poi il Pontefice
passò ad alloggiare nell'episcopio in
cui dette udienza a più distinte
persone. La seguente mattina 28
giugno ricevette varie deputazioni
de' circostanti luoghi , e gran nu-
mero di nobiltà d'ambo i sessi, e
FOL
nuovamente i magistrati , capitolo e
clero della città. Nelle ore pomeridia-
ne il Papa permise che le monache
di tutti i monisteri di Foligno in
due più ampli e comodi si riunisse-
ro : si portò a quello della ss. Tri-
nità in Annunziata di francescane,
ove eransi precedentemente recate
in processione coll'accompagnamen-
to di parecchie dame, le religiose
benedettine dal monistero detto di
Betlemme, le domenicane da quel-
lo del Popolo, le agostiniane dette
le Nere da quello di s. Elisabetta,
e le altre dello stesso ordine da
quello della Croce , le francescane
del terzo ordine da quel di s. An-
tonio, e le altre dette le Contesse
da quel di s. Anna, unitamente al-
le maestre pie della dottrina cri-
stiana, tutte ammesse dal Pontefice
al bacio del piede. In questo istes-
so giorno, vigilia della festa dei
ss. Pietro e Paolo, in considerazio-
ne del gran concorso de' forestieri,
e ad istanza del vescovo Pio VII
accordò l'uso de' latticinii ; e resti-
tuì la visita ai nominati reali per-
sonaggi. E siccome nel giorno se-
guente ricorreva la festività dei
ss. Pietro e Paolo, celebrò priva-
tamente nella cattedrale la messa ,
assistendovi i lodati coniugi. In
questa circostanza nella cattedrale
comparve più risplendente la gran
statua di argento del patrono s. Fe-
liciano, che da patrio zelo era sta-
ta preservata dall' avidità repubbli-
cana degli stranieri invasori. Dopo
la messa il Papa ascese il trono
eretto nella piazza, e comparti al-
l'immenso popolo l'apostolica bene-
dizione; indi come nel giorno pre-
cedente ammise alla sua mensa i
tre reali personaggi , i quali poi
a' 2 luglio partirono per Roma.
Nelle ore pomeridiane nel moniste-
FOL
io delle suddette francescane, ossia
delle cappuccine di s. Lucia, si riu-
nirono le francescane di s. Cateri-
na , le monache urbaniste di s.
Claudio, ed i tre conservatorii del-
le oblate di s. Orsola, delle o-
blate filippine ed orfane, e delle
penitenti, vi si portò pure Pio VII
e le ammise tutte al bacio del pie-
de, insieme a molte dame ed altre
donne : tornato all'episcopio ricevè
la uffizialità sì imperiale austriaca,
che la urbana. Nella sera come
nelle precedenti ebbe luogo gran-
de illuminazione. Pio VII benedet-
ti replicatamele i buoni folignati,
continuò nella mattina dei 3o giu-
gno il suo viaggio per Spoleto.
Nel i8o5 Pio VII di ritorno da
Parigi , onorò nuovamente di sua
presenza questa città, a'i3 maggio,
venendo incontrato dal vescovo Mo-
scardini, dal prelato Viviano Orfi-
ni folignate, dal magistrato, e dal-
le altre autorità, avendo avuto luo-
go la presentazione delle chiavi del-
la città. Smontò alla cattedrale, ove
ricevette col venerabile la benedi-
zione da monsignor Gregori, prima
dignità del capitolo, e passato nel
palazzo priorale, da una loggia ben
addobbata bened\ il popolo., e po-
scia ammise al bacio del piede il
clero , il magistrato , le autorità ,
molti nobili, dame, ed altre perso-
ne, partendo dopo le ore 19 per
SpoletOj tra il plauso de' folignati,
il suono delle campane , e della
banda militare. Il magistrato ebbe
l'onore di servire di mensa nel sud-
delio suo palazzo priorale il Pon-
tefice: in altra tavola di sessanta
coperte furono splendidamente trat-
tati tre cardinali, il nobile ponti-
ficio corteggio ed altri personaggi ;
mentre la seconda tavola più nu-
merosa fu contemporaneamente ser-
FOL .3r
vita. Nel partire dal palazzo prio-
rale, Pio VII vide nelle scale con
gradita sorpresa, che il gonfalonie-
re nobile Giacomo Frenfanelli col-
la magistratura, aveano eretto una
iscrizione per eternar la memoria
dell'alto onore concesso al pubbli-
co folignate. Ancora un'altra volta
Pio VII fu a Foligno, cioè nel i8i4j
ciò che andiamo a narrare.
Avendo gl'imperiali francesi pre-
potentemente occupato lo stato pon-
tificio, nel 1809 osarono imprigio-
nare Pio VII, trascinandolo qua e
là per cinque anni, finché nel 181 4
fu restituito alla sua sede ed ai
suoi sudditi. Questo ritorno fu un
vero trionfo per la religione, e
per quell'immortale Pontefice. Nel
viaggio che questi imprese per Ro-
ma, dimorò in Foligno nel palazzo
della nobile famiglia Vitelleschi fat-
to preparare dal marchese Carlo
Giberti, per le ragioni che si leg-
gono a p. 25 della Relazione che
citeremo, cioè ne' giorni 17, 19 e
20 maggio, con inesprimibile en-
tusiasmo di tutta Foligno per si
fausta circostanza, in cui il vescovo
Moscardini ebbe per la terza vol-
ta la compiacenza di ricevere Pio
VII. Una deputazione di cavalieri
si umiliò al Pontefice alla case
nuove; ed un miglio distante dal-
la città molti fra i più distinti
cittadini, vestiti di uniforme, stac-
cando i cavalli dalla carrozza pon-
tificia, vollero con cordoni di seta
tirarla sino la menzionato palazzo.
Si riunirono in quel punto ancora
tutte le confraternite con croci di
argento, e toixie accese, le quali
con banda musicale precedettero
il treno pontificio processionalmen-
te. Alla porta della città il ceto
nobile eresse un elegantissimo arco
trionfale, con iscrizione analoga,
i3a FOL
e statue simboleggianti l' una e l'al-
tra podestà. Giunto Pio VII a det-
ta porta fu ricevuto da monsignor
delegato, dal governatore, e reg-
genza provvisoria : ricevette alla
custodia di sua sagra persona tren-
ta guardie nobili vestite di unifor-
me nero, e con fascia traversa di
seta gialla e bianca. Con questo
corteggio il Papa discese dalla
carrozza, ed entrò nella chiesa del-
la confraternita di s. Maria del
Pianto, ove adorato il ss. Sagra-
mento ne ricevè la benedizione.
Rimontato in carrozza e giunto al-
la gran piazza, ove a spese dei
signori mercanti era stato eretto
un magnifico tempio sacro alla fe-
de, e adornato delle statue dei ss.
apostoli , e da triplici iscrizioni,
sopra un trono posto nel mezzo
del tempio compartì l' apostolica
benedizione all'affollato popolo esul-
tante ; indi passò al suo alloggio.
Nella seguente mattina il Papa ce-
lebrò la messa bassa nella catte-
drale, e recatosi al palazzo pubbli-
co, vestito pontificalmente benedì
solennemente il popolo. Ivi e nel
palazzo di sua residenza ammise al
bacio del piede ogni ceto di per-
sone. Fra le molte grandiose di-
mostrazioni di giubilo, ed i nume-
rosi archi di trionfo, i vari obe-
lischi, e le altre superbe moli in-
nalzate dal magistrato e popolo
folignate, meritano di essere cele-
brati i tre magnifici archi costruiti
interamente di cera levantina. Il
primo arco era in vicinanza della
chiesa del Pianto, poco lungi dalla
porta Lauretana, o dell'Abbadia,
e s' innalzava per 59 palmi, aven-
done 16 d'ampiezza, formando due
frontoni 1' uno a quadri, l' altro a
cugni bianchi e gialli , soprastati
dai pontificii stemmi, e sorgendo
FOL
dal mezzo una guglia con vasi e
fiori di minuto elegantissimo la-
voro, da cui pendeva un fanale. II
suo peso fu di duemila cinque-
cento libbre. Ai lati del gran tem-
pio semicircolare eretto nella mag-
gior piazza per rappresentare il
trionfo della religione, sorgevano
gli altri due splendidissimi archi,
formati con libbre quattromila ot-
tocento di candida cera, tratta in-
teramente dalla fabbrica Piermarini,
dell'altezza di palmi 58, e della lar-
ghezza di palmi 34. Posavano poi su
quattro piedistalli dinanzi al tempio
altrettanti vasi di fiori, dell' altez-
za di palmi nove, ciascuno acqua-
li pesava trenta libbre, e sì egre-
giamente lavorati in cera, che for-
marono pel loro maestrevole lavoro
l'attenzione del Papa, al quale dal
ceto de' mercanti vennero offerti,
ed egli ne presentò poscia in Roma
l' augusto suo ospite Carlo IV re
di Spagna. E qui va notato che a
mezzo di monsignor Sala poi car-
dinale, Pio VII con onorifica let-
tera fece esternare a Domenico
Spezi, uno de' più. zelanti deputa-
ti del ceto de' mercanti di Foligno,
il suo gradimento pel dono de'quat-
tro vasi e per tutte le dimostrazio-
ni fatte dal medesimo ceto, e ad
esso deputato rimise due medaglie,
1' una d'oro, l'altra d' argento, cul-
la sua pontificia effigie. Nella di-
mora di Pio VII a Foligno am-
mise alla sua presenza i primari
della città , visitò vari luoghi, e
benedì più volte il popolo : a spe-
se del pubblico fu incendiata nella
piazza dei Canapè una superba
macchina di fuochi artificiali , e
lungo il passeggio vi fu corsa di
cavalli. Si ritenne che la metà del-
l'Umbria, oltre i moltissimi tosca-
ni e marchegiani, si recasse per
FOL
sì fausto avvenimento in Foligno.
1J sabbato 21 maggio Pio VII pro-
segui il suo viaggio per Roma. V.
la Relazione delle feste , e delle
pompe fatte in Fuligno in occa-
sione del passaggio del sommo Pon-
tefice Pio Papa FU per la mede-
sima città succeduto nell'anno 1 8 1 4,
Fuligno 1814 pei' Gio. Tomassini.
Tante dimostrazioni di fedeltà e
di attaccamento de' folignati ai ro-
mani Pontefici rinnovaronsi per
ben due volte nel settembre 1841,
al regnante Gregorio XVI, nel viag-
gio intrapreso in alcune provincie
de' suoi stati, per visitare diversi
santuari de' medesimi. Vari nume-
ri del Diario di Roma, e della
Gazzetta universale di Foligno,
(la quale ebbe principio nel 1799
appenna cessata la repubblica, fu
interrotta all' invasione francese nel
1809, e venne ripristinata nel mag-
gio 1814 al risorgimento del go-
verno pontificio, la cui giunta stra-
ordinaria con suo decreto la qua-
lificò per fedelissima e degna di
particolar privilegio ) descrissero la
dimora del Papa in questa città,
ma noi desumeremo il seguente
compendioso racconto dall' opuscolo
intitolato : Brevi cenni delle pub-
bliche dimostrazioni di esultanza
in Fuligno quando la Santità di
Nostro Signore Gregorio XVI la
onorava dell' augusta sua presenza
nei giorni 4» 5, 6, 21 e 22 settem-
bre 1841, dati dal redattore della
Gazzetta universale Francesco Sa-
verio Tomassini ai suoi signori
associati. Venendo il magistrato ci-
vico di Foligno in cognizione del
viaggio che intraprendevasi dal co-
mmi pache de' fedeli, e loro bene-
fico sovrano, allorché egli giunse
a' 3 settembre in Spoleto, una de-
putazione presentò al Pontefice gli
FOL i33
omaggi d'ogni ordine di persone
della città, impaziente di venerarlo
tra loro. In fronte alla porta Ro-
mana, un' epigrafe ciò confermava :
il suo interno era decorato a festa,
e la bella via che conduce alla
piazza grande fu cospersa di fiori,
essendo ornate le finestre di da-
maschi. Ivi si eresse dal collegio
de' mercanti, istituito dal medesimo
Gregorio XVI , un arco trionfale
tutto di cera levantina bianca e
gialla ( colori dello stato ), ridotta
a spugna col gettito nell' acqua,
con due analoghe iscrizioni. Gialla
grezza la cera che costituiva tutto
il masso della costruzione ; bianca
in gragnuola era quella che ne
formava le decorazioni. Inoltre ave-
va pilastrure con trabeazioni joni-
che. Scompartito nell' archivolto se-
micircolare a cassettoni col fondo
giallo e rosoni bianchi , foggiati
a basso rilievo per la particolarità
dell' industria nel gettito delle cere
il fregio dell' ordine, la fronte del-
l'archivolto, e tutti gli ornamenti
del pontificio stemma. Quest' arco
fu disegnato e diretto dall' archi-
tetto del comune Vincenzo Vitali.
Lungo la strada Romana infini-
to era il popolo accorso dalle cir-
costanti città e castelli : i paesani
del castello di s. Eraclio avevano
eretto un arco a damaschi bianchi
e rossi, decorato di bosso e di al-
loro con iscrizione, la quale in un
a tutte le altre che qui accennere-
mo, dal zelante e benemerito fo-
lignate autore del citato opuscolo
sono in questo riportate. Intanto
il suono di tutte le campane, e
quello musicale della banda de' di-
lettanti della città, accompagnato
dallo sparo de' mortari annunzia-
rono sul mezzodì de' 4 settembre
l'arrivo dell' augusto viaggiatore.
i34 FOL
Alla porta Romana il gonfaloniere
della città conte Alessandro Or-
fini gli presentò le chiavi su ricco
cuscino, con omaggio di parole di-
vote e filiali, cui fecero eco le ac-
clamazioni del popolo giubilante.
Ivi pure trovaronsi ad ossequiar il
Pontefice monsignor Pecci delega-
to apostolico della provincia, il
conte Ferdinando Dandini de Sylva
governatore della città, il presiden-
te del tribunale di prima istanza
avv. Francesco INicoletti, e le ma-
gistrature de' vari ordini, i capi
della guarnigione militare, co' ri-
spettivi corteggi. Frattanto un drap-
pello di giovani appartenenti a no-
bili e distinte famiglie, vestiti a
nero , e cinti di fascio bianche e
gialle, ottennero dal Papa d'essere
sostituiti ai cavalli per trarne col-
le braccia la carrozza, che venne
circondata da un coro di bellissimi
fanciulli inghirlandati, vestiti a so-
miglianza di aerei genietti, i quali
spargevano a piene maui timi e
rose; queste ed altri fiori a guisa
di pioggia caddero dalle finestre,
mentre le più. vive acclamazioni
intenerirono il cuore paterno del
Pontefice , che con benedizioni ed
affettuosi modi chiaramente dimo-
strò commozione e gradimento.
Giunto alla chiesa cattedrale, deco-
rosamente illuminata con sfarzo di
cerei per cura del capitolo, trovò
disposte ordinatamente le croci di
argento delle confraternite, molto
pregevoli per la squisitezza del la-
voro; fu ricevuto con ogni manie-
ra di ossequio dallo stesso capito-
lo, dal collegio dei beneficiati delle
due insigni collegiate della città,
dai seminaristi e dai chierici, es-
sendo alla testa di tutti 1' ottimo
vescovo monsignor Arcangelo Poli-
dori, che meritamente fu onoralo
FOL
dal Papa di cordiali amplessi, e di
parole confortanti ed amorevoli.
Ivi pure trovossi il cardinal Mario
Mattei segretario per gli affari di
stato interni, come sopraintendente
al pontificio viaggio, non che di-
versi vescovi limitrofi, e quello di
Nocera die col ss. Sagramento pre-
cedentemente esposto, la trina be-
nedizione. Quindi i canonici prese-
ro le aste del baldacchino, sotto
il quale procedette al palazzo mu-
nicipale il Pontefice, da dove be-
nedi l'immenso popolo accorso,
consolandolo con atti e sguardi
benevoli. Decorosamente era ad-
dobbato tal palazzo , e nella sala
del medesimo chiamata delle ar-
mi, per le pitture dei blasoni del
patriziato, si leggevano sette gran-
di iscrizioni non solo celebranti
l'avvenimento, ma i benefizi con-
cessi da Gregorio XVI ai foligna-
ti col far rifiorire il tribunale di
commercio, con quelli compartiti
nel i835 alla camera commercia-
le, co' soccorsi dati alla città nelle
rovine cagionategli dal terremoto,
colla decorazione del restaurato
palazzo pretoriale, cogli aiuti dati
allo stabilimento dei benemeriti
religiosi delle scuole cristiane, colla
concessione nel 1842 del tribuna-
le di prima istanza donde proven-
nero ai cittadini tanti vantaggi,
per mediazione del vescovo zelante
che allora governava la diocesi ,
ora cardinal Ignazio Giovanni Ca-
dolini arcivescovo di Ferrara. Qui-
vi con distinzione ricevette il Pa-
pa al bacio del piede la magistra-
tura civica, giustamente esultante
del compartitole onore, come di
vedere tanta benigna amorevolez-
za nel principe e padre.
Dal decoroso palazzo municipale,
Gregorio XVI si avviò all'episco-
FOL
pio, tuo ospizio, ove ammise al ba-
cio del piede il capitolo, gl'indi-
vidui delle due collegiate, il clero
secolare e regolare, i membri com-
ponenti il tribunale di prima istan-
za , quelli della camera di com-
mercio ed altri pubblici funziona-
ri. La sera per la città vi fu ge-
nerale, brillante e splendida illu-
minazione, quasi tutta eseguita con
mirabile profusione di cera ; pri-
meggiando i principali edifizi si
pubblici , che privati, leggendosi
sul prospetto di quello del tribu-
nale di prima istanza il sentimen-
to della curia riconoscente, con la-
tina epigrafe. Nella mattina seguen-
te, dopo avere il Papa ammesso
alla sua presenza diverse corpora-
zioni della città, si recò a visitare
i moniste!? delle Clarisse di s. Lu-
cia, e di s. Claudio, e nuovamen-
te a benedire il popolo dalla log-
gia del palazzo municipale. Fece
ritorno nella cattedrale a venerare
il simulacro di s. B'eliciano, e mos-
so dall'antica e pronfonda divozio-
ne che i folignati professano al
medesimo, per le istanze del capi-
tolo e della civica magistratura,
concesse nuovamente indulgenza ple-
naria perpetua ogni qualvolta ven-
ga il simulacro esposto per qua-
lunque bisogno alla pubblica vene-
razione , dichiarando il Pontefice
che se ne facesse pubblica memo-
ria, indicando precisamente la cir-
costanza del luogo, del giorno e
dell' ora in cui 1' aveva concessa.
lodi restituitosi all'episcopio, s'in-
trattenne coll'amato vescovo, come
delizia del gregge commessogli da
lui. Nelle ore pomeridiane Grego-
rio XVI rallegrò colla sua presen-
za i monisteri delle monache della
ss. Annunziata, e quello di Betlem-
me, ove le orfanelle in cura delle
FOL i3~
oblate filippine gli baciarono il
piede. La pioggia impedì nella se-
ra la festa popolare disposta alla
passeggiata dei Canapè, come l'in-
cendio de' fuochi artifiziali. Nella
mattina del giorno 6 il Papa s'av-
viò alla volta di Camerino.
Tra le città, che nel memorato
viaggio ebbero la ventura di ac-
cogliere nelle sue mura il Ponte-
fice, soltanto Foligno ebbe quella
di riceverlo due volte. Restituen-
dosi egli in Roma, sul mezzodì del
2 1 settembre ritornò tra i foligna-
ti, che con adatta epigrafe posta
in fronte alla porta dell' abbadia,
ciò rimarcarono , venendo incon-
trato ossequiosamente dalle auto-
rità civili e militari, ed alla te-
sta di queste ultime era il gene-
ral Zamboni, ed il maggior Ca-
raffa comandante della piazza. L'en-
tusiasmo nel popolo fu maggiore
della venuta, e l'esultanza fu per-
tanto universale. Nel mezzo della
piazza di s. Agostino , per volere
della confraternita di s. Lionardo,
si trovò eretta una statua equestre,
in cui figuravasi personificato il
celebre colle Quirinale , una delle
due residenze pontificie in Roma ,
luogo da dove era partito e dove-
va ritornare Gregorio XVI : la sta-
tua era armata a foggia cavallere-
sca, avente nelle mani le chiavi ,
insegna della Chiesa romana, leg-
gendosi nel basamento un'epigrafe
dedicatoria dello stesso sodalizio.
Poco lungi dalla chiesa di s. An-
na, il Papa vide con piacere altro
monumento in cera ivi innalzato.
Esso consisteva in un arco trion-
fale tutto di cera bianca a opera
finita, lucida e regolare. L'arco po-
sava la sua curva semicircolare so-
pra otto colonne scanalate d' ordi-
ne ionico antico, che sorgevano
i36 FOL
grandiose da due plinte quadrate.
Alle colonne era corrispondente l'ar-
chitettura, ed il soffitto ornato di
grande rosone fra i quattro capi-
telli. L'arcata adorna di fascie re-
golari era costrutta a tredici gran-
di cunei, ai quali corrispondeva lo
scompartimento del soffitto in al-
trettanti cassettoni con rosone. Di
glandi massi regolarmente distri-
buiti in costruzione d'opera finita
e lucida sembrando marmo, erano
ambedue le fronti e i corniciaraen-
ti, essendo le fronti dell'attico a
scaglioni. Dal mezzo dell'attico sor-
geva lo stemma pontificio, e sui
fianchi in corrispondenza degl' in-
tercolunni due grandi faci. Ad o-
gni fianco dell'arcata s'incrociava-
no due palme a ghirlanda. E le
iscrizioni, e le palme, e i fregi del-
lo stemma vagamente dorati. Que-
st' arco tutto cera bianca, pure in-
ventato e diretto dall'architetto del
comune Vincenzo Vitali, offri in-
sieme un monumento grandioso ,
svelto e robusto. Due brevi epi-
grafi l' inaugurarono in nome del-
la città a Gregorio XVI, il quale
per la singoiar materia dell' arco,
come per la sua magnifica e ra-
gionata forma, grandemente lo lodò
ed ammirò.
Fra lo spargimento de' fiori dei
fanciulli, il suono delle campane e
della banda, le strepitose acclama-
zioni, progredì il treno pontificio
per la via che dal Trivio mette
alla piazza grande. Questa si vide
abbellita da altro maraviglioso mo-
numento in cera, eretto dagl'im-
piegati governativi e camerali. Su
di un gran basamento era una sta-
tua colossale pur di cera, di circa
diecisette palmi, raffigurante al vi-
vo lo stesso sommo Pontefice, ve-
stito co' sagri indumenti e col tri-
FOL
regno in capo, in atto di maesto-
samente benedire il popolo, di sor-
prendente lavoro. La sedia ezian-
dio tutta di cera, ridotta a piena
cordellina, si vide decorata di belli
ornati, primeggiando nel postergale
l'arma del Papa. 11 concepimento
devesi al lodato Vitali, la direzio-
ne della statua all'ingegnere An-
tonio Rutili-Gentili , e la meravi-
gliosa esecuzione a Filippo Berar-
di; mentre la sedia fu inventata
ed eseguita da Vincenzo Agostini.
Ai quattro lati del basamento si
leggevano in altrettante iscrizioni ,
l' encomio delle principali virtù, e
i fasti di Gregorio XVI. La statua
e l'arco di cera vennero mantenuti
otto giorni al desiderio pubblico ,
venendo da molti stranieri dise-
gnati. Pieno di soddisfazione il
Pontefice nell' osservare la novità
del difficile lavoro, dessa di molto
si aumentò, quando rivolgendo gli
occhi in fondo alla istessa piazza,
vide figurata la facciata esterna
della cattedrale di sua fortunata
patria Belluno, ed al sopravvenu-
to cardinal Niccola Grimaldi ne
dichiarò le affettuose sensazioni che
aveagli prodotto siffatta prospetti-
va, e la corrispondente iscrizione.
L' idea fu tutta del gonfaloniere
conte Orfìni, che colla civica ma-
gistratura fece di tutto per solen-
nizzare la presenza sovrana. Indi
il santo Padre ascese al palazzo
comunale, per benedire il popolo.
Le illuminazioni della sera furono
più brillanti delle precedenti, e tra
esse nomineremo 1' illuminazione
della prospettiva della bellunese
cattedrale, quella della colonna a
spira del tribunale di prima istan-
za e della curia, e le facciate della
chiesa di s. Anna e dell'ospedale,
oltre quelle della cattedrale, delle
FOL
canoniche, e de' palazzi di giusti-
zia e del gonfaloniere. Per tanti
lumi magico fu l'effetto della sta-
tua colossale del Papa, e tale re-
sero l'arco le quattro faci di ceri
che gli ardevano dintorno.
La festa data al popolo nella
passeggiata dei Canapè riuscì bellis-
sima, e molte faci rischiararono la
via che dalla porta Romana per
entro le mura conduce : un gran-
de arco di siile gotico a tre arca-
te di verzura, illuminato, e sovra-
stato dallo stemma pontificio ne
dava l'ingresso, per non dire di
altre vaghe illuminazioni lungo i
canapè. Le circostanti colline con
frequenti fuochi, tre globi aposta-
tici, ed un ben inteso fuoco arti-
ficiale accrebbero letizia alla festa.
li Papa si degnò spargere varie
beneficenze e ricompense, ed inol-
tre dichiarò monsignor Felicissimo
Salvini decano del capitolo in ca-
meriere d'onore (da ultimo lo
promosse al vescovato di Acqua-
pendente ), commendatore dell' or-
dine di s. Gregorio il gonfaloniere
conte Orfìni, e cavaliere del me-
desimo Francesco de' marchesi Bar-
nabò. Onorò di medaglia i mem-
bri della civica magistratura, quelli
che si occuparono del regolamen-
to sull'alloggio dell'episcopio, i
quattro artisti del simulacro di ce-
ra ec. ; ed i giovani che aveano
tirato la sua carrozza, e i fanciulli
che aveano sparso i fiori ebbero
testimonianze di amorevolezza. Gli
ultimi nella mattina de' 11 settem-
bre alla partenza del Papa, in un
alle rappresentanze di vari ordini,
inaspettatamente trovaronsi alla por-
ta Fiorentina, e con riverenti versi
stampati gli dierono Y Addio. No-
teremo per ultimo, che avendo
Vincenzo Agostini umiliato al Pon-
FOL i37
tefìce un elegante vaso di cera con
variati e bellissimi fiori di tal ma-
teria, non che l'arco eretto dal col-
legio de' mercanti, e la statua se-
dente sulla sedia, in piccole di-
mensioni ed egualmente di cera, il
Papa perchè tutto si conservasse ne
fece dono alle monache camaldo-
lesi di Roma , facendo prima ri-
cuoprire i tre oggetti con campa-
ne di cristallo.
Per altre notizie storiche su Fo-
ligno, oltre i citati autori, si possono
consultare i seguenti : Bonaventura
Benvenuti, Fragmenta fulginatis hi-
sloriae ab anno 1 1 98, usque ad
1 34 1 , cum notis doetissimi viri Justi-
niani Pagliarini fulginatis _,exstat in
tom. IV Antiq. Ital. medii aevi; Filip-
po Gregorii, Origine dell'officio del-
la custodia di Foligno, con diverse
scritture concernenti la traslazione
di esso ne' Gregorii di Foligno, e
le prerogative spettanti al medesimo
officio, con le ragioni di esso a fa*
vore de3 suddetti Gregorii, 1 743 ;
Giorgio Marchesi, Della città di
Foligno, nell'opera intitolata : La
galleria dell'onore ec, Forlì l'j'/S :
tra le quattro famiglie che ricorda,
parla particolarmente degli Orfini
e Vitelleschi. Il Gamurrini nell' I-
storia delle famiglie umbre, nel
tom. I tratta della famiglia Bon-
compagni, e nel tom. II di quella
de' Giustiniani, parimenti folignate.
A questi storici si può aggiungere
il dotto ed erudito Discorso, pro-
nunziato dal vescovo sullodato Ca-
dolini li 4 gennaio i832 per la
inaugurazione del novello tribuna-
le di prima istanza, che si legge
nel voi. I, pag. 42 e seg. delle Ope-
re del medesimo prelato, raccolte
e pubblicate da Francesco Saverio
Tomassini. Nelle note di tal Discor-
so il chiaro autore ha riportato
i3tf FOL
preziose erudizieni sloriche su Fo-
ligno, con critica e corredo di au-
torità: in esse parla dell'origine di
Foligno, del suo municipio, de' suoi
pregi e vanti che lo distinguono,
del novero di sue franchigie e pri-
vilegi; degli uomini illustri che l'o-
norarono in santità di vita, nell'e-
sercizio delle virtù, in dignità ec-
clesiastiche, nelle scienze, nelle ar-
ti, e nelle armi ; dei fasti della
chiesa Fulginate, la cui diocesi dice
comprendere quattro antichi vesco-
vati, cioè di Ftdginia, di Foro-
Flaminio, di Spello, e di Plestia;
del vicariato di Foligno dato dai
Papi in signoria alla famiglia Trìn-
ci, noverandone i luoghi che ne
dipendevano, ec. ec.
La fede cristiana fu predicata in
Foligno verso l'anno 51/ di Cristo,
dai santi Bricio di Spoleto, e Cri-
spoldo di Foligno discepoli di s.
Pietro. L' Ughelli ed altri scrittori
aggiungono che l'apostolo s. Pao-
lo divulgasse il vangelo nel terri-
torio foligriate. 11 Jacohilli nel ca-
talogo de' vescovi di Foligno, che
riporta a pag. 3i e seg. del suc-
citato suo Discorso , dice che s.
Crispoldo era di Gerusalemme , e
che da s. Pietro per mezzo di s.
Bricio, egualmente di Gerusalemme,
vescovo metropolitano dell'Umbria,
fu creato l'anno 58 vescovo di Bet-
tona o Vetlona città dell' Umbria,
aiìidandogli la cura delle chiese di
Foligno e di Nocera ; e che poi
nell'anno 93 sotto l'impero di Do-
miziano fu martirizzato a' 1 2 mag-
gio. Aggiunge che immediatamen-
te lo successe nella cura pastora-
le di dette chiese, come di quel-
le di tutta l' Umbria lo stesso s.
Bricio, il quale mori a* g settem-
bre dell'anno 97 in Spoleto sua
residenza, ove fu sepolto nella chie-
POL
sa di s. Pietro. Gli successe nel
vescovato un di lui discepolo, a
questi altro soggetto nell'anno 1 3o,
indi nel 174 fu creato vescovo di
Foligno un uomo di somma pietà.
San Feliciano originario di Foli-
gno, ma nato in Foro-Flaminio
nel j5g, meritò che il Papa s.
Vittore I l'anno 197 lo consagrasse
vescovo di Foligno, e ne divenne
poi anche il principale protettore.
Egli fu un vero apostolo dell' Ita-
lia, e colla sua virtù, dottrina, pre-
dicazione, e miracoli propagò il
culto del vero Dio nella sua città
e diocesi, insieme ai luoghi di cin-
que provincie limitrofe. Vuoisi che
ottenesse da Dio che giammai nei
fulignati fosse denigrato l' illibato
candore della fede cattolica, per
cui si osserva che 1' eresia non mai
allignò in Foligno. E qui va nota-
to che i folignati furono religiosi
anche nel gentilesimo, e per tali
vennero celebrati da Cicerone. Nel-
la vera fede la loro pietà fece tali
progressi, che non dubitò il Pon-
tefice Paolo 111 di chiamare Foli-
gno il Seminario della fede, ed il
santuario del cristianesimo. Il ve-
scovo s. Feliciano fu martirizzato
a' i4 gennaio del 2 53 sotto Decio
imperatore, ed il suo corpo fu se-
polto nella cattedrale che a lui fu
dedicata. Alcune sue reliquie si ve-
nerano in Metz città di Francia,
ed in Minden città della Sassonia
inferiore. La sede di Foligno sino
dalla sua erezione fu dichiarata
immediatamente soggetta alla san-
ta Sede, e Io è tuttora. Comman-
ville nell' Hist. de tous les eveschez,
assegna 1' erezione di questo vesco-
vato l'anno 4^4- Questo vescovato
fu soppresso con decreto de' 5 ago-
sto 18 io dall'imperatore de' fran-
cesi Napoleone, mentre n' era ve-
FOL
scovo »ino dal 1796 monsignor
Moscardini., che continuò ad esser-
lo, dappoiché il Papa Pio VII nel
18 15 dichiarò di niun valore co-
tal decreto.
Il medesimo Jacobilli dà in suc-
cessore a s. Feliciano un suo di-
scepolo, ed a questi nell' anno 296
Feliciano li dà Foligno, che in-
tervenne ai concili di Suessa del
3o3, e di Roma del 337. Paolo
da Foligno fu creato vescovo l'an-
no 35o ; e Urbano da Foligno
l'anno ^5: questi assistè al con-
cilio adunato in Roma nel 4^7
dal Papa s. Felice II detto III.
Fortunato da Foligno divenne ve-
scovo della patria l' anno 49§, e
si trovò presente a cinque concili
romani tenuti dal Pontefice s.
Simmaco, insieme a Bonifacio ve-
scovo di Foro -Flaminio, e di altri
vescovi dell' Umbria. Il Papa s.
Giovanni I uel 52 3 fece vescovo
s. Vincenzo da Laodicea, che morì
ai 24 maggio del 55 1. Riportandoci
alle serie de' vescovi folignati che
ne fanno 1' Ughelli, il Jacobilli, e
le annuali Notizie di Roma, qui
appresso ci limiteremo a registrare
i più insigni, e degni di special
menzione. Floro da Foligno ne di-
venne vescovo Panno 676, e con
Decenzio vescovo di Foro-Flaminio,
ed altri vescovi d' Umbria e d' I-
talia nel 680 si portò al VI con-
cilio di Costantinopoli. Eusebio da
Foligno era vescovo nel 740 nel
pontificato di s. Gregorio III, quan-
do i longobardi assalirono questa
città : morì nel 760. Eurico da
Foligno personaggio di gran nome,
canonico regolare di s. Agostino,
creato vescovo nel io3t, donò mol-
te possessioni e beni ai canonici
della cattedrale. Azzone degli Atti
folignate de' conti di Morano, eletto
FOL 1 3o
vescovo nel ioj7, intervenne al
concilio tenuto in Laterano da Ni-
colò II uel 1059, contro l'eresia
di Berengario. San Bonfilio Bonfi-
lii da Osimo monaco ed abbate be-
nedettino di s. Maria e di s. Sil-
vestro, fu eletto vescovo nel 1078
sotto s. Gregorio VII. Di poi pas-
sò in oriente con la crociata di
Goffredo di Buglione, ma temendo
di soccombere nei disagi di quella
spedizione fece ritorno a Foligno.
Donò molte terre e beni per la
mensa de' canonici della sua catte-
drale; e ritiratosi in uu'abbazia di
canonici regolari di s. Agostino, vi
mori santamente a' 27 settembre
1 1 15, venendo collocato il suo
corpo in una chiesa edificata in
suo onore presso Cingoli. Marco da
Foligno creato vescovo nel 1128
eresse nel 1129 la facciata della
cattedrale verso la piazza piccola.
Benedetto monaco di Fonte Avel-
lana, fatto vescovo nel ii3o dal
cardinal Giulio romano legato apo-
stolico, a' io marzo 1 146 fece con-
sagrare la cattedrale in onore di
s. Feliciano. Anselmo degli Atti, o
de' Nuti da Foligno de' signori di
Rocca di Flebeo e del castello di
Pignoli divenne vescovo l' anno
1 160, e come benemerito della Se-
de apostolica, nel 1 1 63 Alessandro
III gli concesse anche il vescovato
di Nocera : ampliò la cattedrale,
e morì in Foligno nel 1201.
Egidio degli Atti di Foligno ,
monaco di Sassovivo, divenne ve-
scovo nel 1 2 1 o, ed eresse molti
monasteri e conventi nella città e
diocesi. Fr. Paparone Paparoni d'il-
lustre famiglia romana, Clemente
IV lo nominò vescovo nel 1264;
introdusse i suoi religiosi domeni-
cani in Foligno, difese i folignati
dal dispotismo dei Trinci, e li per-
i4o FOL
suase a rifabbricar le mura della
città, comprendendovi i borghi: nel
1285 fu trasferito a Spoleto. Be-
rardo secondo figlio di Monaldo
de' conti di Antignano e di Ga-
gliole, detti poi de Comitibus di
Foligno, fratello del b. Giovanni
vescovo di Nocera : essendo priore
della cattedrale, e cappellano di
Urbano IV fu da lui fatto vescovo
nel 1280. Paolo figlio di Nallo
Trinci da Foligno, fu creato ve-
scovo nel i326. Rinaldo figlio di
Ugolino, e fratello di Trincio e di
Corrado Trinci signori di Foligno,
essendo priore della cattedrale di-
venne vescovo nel i363. Onofrio
figlio di Trincio Trinci signore di
Foligno, da priore della collegiata
del ss. Salvatore fu promosso nel
i3g7 al vescovato. Fr. Federico
Frezzi folignate, provinciale dell'or-
dine de' predicatori, nel i4o3 di-
venne vescovo, fu al concilio di
Costanza, e mori nel 1416. Giaco-
mo Berti folignate, priore di s. Ma-
lia, vescovo nel 14^3, mori nel
1437. Rinaldo Trinci, figlio di Cor-
rado ultimo signore di Foligno ,
pretendeva in questa occasione di
essere nominato vescovo di Foli-
gno ; quindi procurò che un gran
numero di sediziosi suoi fautori lo
eleggessero a' 18 settembre i4^7
mentre era priore della cattedrale.
Ma Eugenio IV non riconobbe la
turbolenta e forzosa elezione del
capitolo, e proibì che si consagras-
se ; tutta volta Rinaldo col titolo di
eletto governò sino agli 8 settem-
bre i4^9j epoca dell'espulsione dei
Trinci. 11 Papa aveva in vece dichia-
rato vescovo Cristoforo di Berto Bo-
scari o Boschari, poi de' Ruberti di
Foligno, de' conti del Poggio nella
Val topina, monaco di Sassovivo, ve-
ueudo consacrato in Ferrara a' 18
FOL
maggio i438. Il Boschari non si
portò alla sua sede se non dopo
la cacciata de' Trinci dalla città,
operata d'ordine di Eugenio IV
dal cardinal Vitelleschi legato a
latere: cosi la città fu restituita al
pacifico dominio della santa Sede,
con general approvazione di tutte
le classi de' suoi cittadini; quindi
il Boschari governò tranquillamente
la sua chiesa. Nel i444 gn succes-
se Antonio di Nicolò Bolognino fo-
lignate, che morì a' i4 gennaio
1 46 1 : per la vacanza della sede
la governò con titolo di vicario
apostolico Bartolomeo d' Antonio
Tonti da Foligno canonico della
cattedrale, che per la sua bontà e
dottrina il clero 1' elesse in vesco-
vo, ciò che disapprovando Pio II,
questi nominò vescovo il beato
Antonio d' Agostino Bettini sane-
se , dell' ordine de' gesuati, il qua-
le fuggì a Milano per non accet-
tare la dignità. Fu però suo mal-
grado ordinato, e fece ben to-
sto vedere eh' egli era dotato d'un
grandissimo talento per esercitare
la dignità ecclesiastica a lui con-
ferita. Riformò in Italia i cister-
ciensi, e con permesso d' Innocenzo
Vili si ritirò nel convento di s.
Girolamo di Siena, ove d'anni or
morì a' 22 ottobre 1497, venendo
tumulato in quella chiesa. Isidoro
da Chiari nel Bresciano, abbate cas-
sinese di s. Maria di Cesena, di sin-
golare bontà e dottrina, fu il terzo
vescovo che Paolo III diede a Fo-
ligno ; intervenne al concilio di
Trento, e nel 1 548 pubblicò alcu-
ne costituzioni sinodali. Gio. An-
gelo de Medici milanese, cardinale
del titolo di s. Stefano al monte
Celio, Paolo IV a' 25 giugno i5ì6
lo creò vescovo di Foligno, chiesa
che governò per mezzo d' idonei
FOL
-vicari per circa undici mesi, con
ordine espresso, che tutte le ren-
dite della mensa episcopale fossero
impiegate in sovvenimento de' po-
veri, come narra il Cardella nel
tom. IV, pag. 293 delle sue Me-
morie. Indi dopo avere alla dio-
cesi concesso altri benefizi, coli' as-
senso di Paolo IV, la rinunziò al
nipote Gio. Antonio Sorbelloni di
Milano. Gio. Angelo nel i55^ di-
venne Papa col nome di Pio IV,
e nell'anno seguente fece cardinale
di s. Giorgio il nipote. Tommaso
di Pier Orfino degli Orfini foli-
gnate, essendo stato fatto da s. Pio
V vescovo di Strongoli, dopo aver-
lo incaricato della visita e riforma
delle chiese nel regno di Napoli
e Calabria, poscia nel i568 fu
fatto vescovo di sua patria dal me-
desimo s. Pio V, e mori con fama
di rara fermezza d' animo e di
gran bontà a' i5 gennaio i5y6:
venne sepolto nella cattedrale in
nobile deposito, e fu egli uno dei
primi a pubblicar colla stampa
dotte ed utili costituzioni sinodali.
Troilo Boncompagni folignate, Gre-
gorio XUI nel 1 58 1 dal vescova-
to di Ripa Transone lo trasferì in
questo di sua patria. Porfirio di
Gio. Battista Felieiani da Gualdo
Tadino,segretario delle lettere a'piin-
cipi di Paolo V, che nel 1 6 1 1 lo fece
vescovo. Gio. Battista Pallolta fu
fatto vescovo nel 1684 da Inno-
cenzo XII. Giosafatte Battistelli ve-
scovo di Ripa Transone, nel 1717
Clemente XI lo trasferì a Foligno,
ove acquistò molta lode e rinomanza
per il suo sinodo reso di pubblica
ragione: a questi nel 1736 Cle-
mente XII die in successore Fran-
cesco Maria Alberici di Nocera, già
vescovo di Città della Pieve. Filippo
Trenta di Ascoli, promosso a que-
FOL 141
sto vescovato da Pio VI nel 1 78$,
fu Iodato per virtù e dottrina. Per
non dire di altri vescovi, d'alcuni
de' quali se n' è fatta superiormente
menzione, ci limiteremo per distin-
zione a nominare monsignor Ar-
cangelo Polidori di LoretOj che per
la sua dottrina, pietà, e bel corredo
di virtù, ad onta della sua ripu-
gnanza, meritò che il Pontefice che
regna, nel concistoro de' 3o settem-
bre i834, il dichiarasse vescovo di
Foligno, ove morì nel generale com-
pianto, per cui gli furono celebrate
solenni esequie, ed il pubblico lut-
to si manifestò colle iscrizioni ed
altre necrologiche dimostraziom
pubblicate colle stampe. Tanta per-
dita venne dal medesimo Papa
riparata coli' odierno vescovo mon-
signor Nicola Belletti di Cesena,
che nel concistoro de'jo, giugno
i843 traslatò dalla sede d' Acqua-
pendente. Fedi l'Ughelli, Italia sa-
cra tom. I, pag. 681 e seg., e toni.
X, pag. 2 65 e seg.
La cattedrale è dedicata a Dio,
sotto l'invocazione di s. Feliciano
vescovo e martire, bellissimo tem-
pio , d' interessante memoria. La
sua prima origine risale all' epoca
del tempietto, sacrario o testimonio
eretto da s. Feliciano nel suo pic-
colo campo, situato nel principal
sobborgo dell' antica Fulginia, che
bordeggiava la strada principale
che da essa conduceva a Bevagna
presso il trivio nominato negli at-
ti di alcuni martiri dell'Umbria, e
delle strade di Foligno, di Beva-
gna, e di Spello, nel quale s. Le-
vanio folignate raccolse il corpo
di s. Costanzo vescovo di Perugia.
Il trivio folignate, probabilmente
destinato al martirio de' principali
campioni della fede, sembra che
fosse il luogo in cui s. Felician o e- •
ifa FOL
rosse il suo piccolo tempio, facen-
dolo seguo alla perpetua pietà del
popolo di Foligno. Lo edificò in
onore di s. Gio. Battista, e si cre-
de che la confessione o sagro sot-
terraneo dell'odierna cattedrale, sia
appunto il luogo del primitivo
tempietto, il quale aveva l'ingresso
dalla parte della strada, volto al-
l'occidente, secondo 1' antico stile
de' cristiani, ed ove probabilmente
fu sepolto s. Feliciano. Si dice che
fosse munito di porticato per di-
fendere le pitture di cui era or-
nato, e quelli che lo visitavano
dalla pioggia o altre intemperie.
Oltre a questa chiesa, contempo-
rancamente in Foligno eravi la
basilica palatina , forse la sala del
palazzo pubblico de'gentili conver-
tita in chiesa , la quale andò di-
strutta per la rammentata guerra
di Luitprando nell'ottavo secolo.
Alla riedificazione della città, del
pari si eseguì quella del piccolo
tempio di s. Feliciano, ossia il suo
ingrandimento, probabilmente coi
materiali della vecchia basilica pa-
latina, tenendosi il tempio qual
segno centrico alla rinnovata città,
e nella forma ripartito in nave,
confessione, e presbiterio: la nave
era divisa in tre navate, da due
fila di colonne, in tutte otto, e la
confessione si formò coll'antico tem-
pietto , elevandosi su di esso il
pavimento del nuovo. In egual
tempo in forma ottagona gli fu
dappresso eretto il battisterio , e
la canonica in forma di casa forte
o di castello, della quale struttura
se ne fa menzione in alcuni pri-
vilegi concessi dall'imperatore En-
rico IV alla chiesa e capitolo di s.
Feliciano nel 108-2, e in altri do-
cumenti dell' antica canonica: pochi
• avanzi ne esistono. Nel 1 1 89 il ve-
FOL
scovo Marco riformò ed ampliò in
cattedrale, tolse al tempio la for-
ma di basilica, lasciando intatta la
confessione; rinnovò il prospetto e-
sterno, ed il tutto con semplicità
e precisione; die finalmente alla
chiesa maggior longitudine ed e-
levatezza, lasciando che alla con-
fessione si potesse accedere diret-
tamente dalla banda della piazza
grande, pel suo primitivo ingresso.
A questa epoca si attribuisce l'ere-
zione della torre campanaria o cam-
panile, almeno sino ad una certa
altezza.
Altro ingrandimento, cioè la co-
struzione del braccio verso la piaz-
za grande, lo ricevette nell' anno
1201 dal celebre vescovo Anselmo,
insieme all' erezione delle due fac-
cie esterna ed interna , abbellite
da intagli, basso-rilievi, ed ornati,
molti de' quali simboleggianti a-
nimali, volatili, figure umane, vi-
ti d'uva, ed altre cose mistiche
e storiche, in un alle effìgie del-
l'imperatore Federico li, del ve-
scovo Anselmo, del podestà di Fo-
ligno, e del priore del capitolo.
E qui noteremo che nel medesimo
secolo XIII fu decorato il battiste-
rio, vago ed elegante edificio di
forma ottagona-elittica, cui è fama
che ne fosse stato architetto il ce-
lebre Lapo. Ma la rinnovazione to-
tale della cattedrale si deve al se-
colo XV, avventurosa epoca del
risorgimento delle arti, coll'opera
del famigerato Bramante Lazzari,
che nel 1^.56 ridusse a volta tut-
ta la fabbrica, ed eresse la cu-
pola o tribuna non senza stupore
degl'intelligenti, attesoché allora in
Italia esiteva la sola cupola di s.
Maria del Fiore in Firenze. Oltre
a ciò Bramante adornò l' interno
della chiesa con pilastri dorici in
FOL
riquadri, corrispondenti agli scom-
parti del volto, ina per mancanza
di mezzi il compimento si procra-
stinò oltre l'anno i5i3, e n'ebbe
il merito l'encomiato vescovo Luca
Borsciani folignate, creato da In-
nocenzo Vili , che gli die il suo
cognome Cibo, e lo stemma per-
chè era suo confessore: egli inter-
venne al concilio generale lalera-
nense V, Fu egli cbe ridusse la
cattedrale alla presente forma di
perfetta croce latina, con erigere
di pianta il braccio destro verso
1' episcopio, secondo il progetto di
Bramante. Quindi successivamen-
te furono adornate le numero-
se cappelle con marmi , dipinti
ed altro. Verso la metà poi del-
l' istesso secolo decimosesto il ca-
pitolo eresse la cappella del ss.
Sagramento, ossia curetta, una vol-
ta dedicata ai ss. Feliciano e Fran-
cesco d'Assisi, attribuendosene il
disegno all' immortale Michelangelo
Buonarroti. La somiglianza della
cattedrale alla basilica vaticana, per
la forma della croce latina e della
cupola, ispirò all'insigne pietà di
Dionisio Biscioli , il desiderio di
vedervi iu mezzo trionfare, come
in delta basilica , la tribuna col
baldacchino, con davanti quel vano
a foggia dell'antica confessione, ac-
cessibile dal piano della chiesa. Com-
mise pertanto al celebre Andrea
Pozzi architetto gesuita, la copia
fedele della tribuna vaticana, ciò
che a sue spese venne eseguito nel
1698 con molte decorazioni. Cono-
scendosi in appresso il bisogno di
rinnovarsi con architettura moder-
na l'interno della cattedrale, ciò fu
eseguito con ordine ionico da Salva-
tore Cipriani, nella parte del coro,
l'anno 1727, sotto il degno vesco-
vo Battistclli, essendo autori degli
FOL 143
stucchi i bolognesi Mazza e Pier-
lana, e dei dipinti il Mancini.
L' ultima rinnovazione della cat-
tedrale si deve al Vanvitelli, la ri-
forma al Piermarini folignate, e il
compimento al cav. Clemente Fol-
cili, tutti insigni architetti. 11 pri-
mo incominciò l'opera nel 1770,
il secondo la proseguì con miglior
successo ; e nel vescovato del ze-
lante monsignor Stanislao Lucche-
si, nel 18 19, il cav. Folcili inco-
minciò il suo compimento, coll'ar-
ricchire il tempio di nuove bellez-
ze, rimovendone i difetti; e sicco-
me per erigere il Bramante uno
de' contro-forti alla chiesa , venne
distrutto il battisterio , il cavaliere
lo rifece , e iteli' esterior facciata
eresse comoda loggia per la bene-
dizione papale, come inoltre rial-
zò il coro. Il pavimento di pietra,
eseguito a spese del comune, si
deve pel disegno all' esperto d.
Luigi Landini, con l'opera di Fran-
cesco Madami; essendo stato pritt-
cipal promotore degli ultimi restau-
ri e decorazioni memorate, d. Fi-
lippo de' marchesi Barnabò , deca-
no della cattedrale. I migliori qua-
dri che adornano questo tempio,
sono s. Feliciano che libera Foli-
gno dalla peste, pittura del Gan-
dolfi ; la sagra Famiglia , colorita
dal Lazzarini; s. Giovanni che bat-
tezza il Bedentore, opera del pen-
nello del cav. Vicar ; e il dipinto
del folignate cav. Trabalza, in cui
sono effigiati il b. Pietro Crisci, la
b. Angela, e s. Domenico da Fo-
ligno. In fondo alla tribuna eleva-
si la cattedra episcopale, per sin-
goiar privilegio sopra sette gradini.
E qui rammenteremo il famoso
simulacro per la materia, per il
lavoro, e per la venerazione che
gli tributano i folignati , cioè la
i44 FOL
grandiosa statua tutta d'argento di
s. Felieiano, che vestito cogli abiti
pontificali, è in atto di benedire.
Egli è sedente su mirabile sedia
pur di argento con cesellature nei
basso- rilievi di eccellente lavoro,
avendovi nel postergale il fiammin-
go Adolfo operata in rilievo la
storia del martirio del santo, che
segui in compagnia dei santi re per-
siani Abdon e Sennen, e della s.
vergine Messalina ; quindi ogni an-
golo ridonda d'impareggiabili fregi
ed ornamenti, che vincono il pre-
zioso metallo. Questo ricco monu-
mento di religiosa divozione, sovra-
stato da una specie di baldacchi-
no sostenuto da due angeli, viene
trasportato con solenne pompa per
le principali contrade della città ,
alle ore due pomeridiane de' 2 3
gennaio. Egualmente splendido è
l'apparato delle sette confraternite,
che inalberano altrettante croci d'ar-
gento di squisito lavoro, essendo
generoso lo sfarzo de' cerei , che
consistono in corone di candelotti
disposti in cerchio, sopra macchine
ornate, di facile trasporto: tali ce-
rei ardono con profusione, ed il
numero delle macchine corrisponde
a quello delle diverse arti, cui ne
fanno la di vota offerta. Inoltre nel-
la cattedrale vi sono ampi sotter-
ranei, comodamente praticabili, per
dar sepoltura ai defunti , ed ono-
rarne con epigrafi e depositi la
memoria. Dei corpi santi e reli-
quie che si conservano nella cat-
tedrale con gran venerazione, oltre
quanto si è detto , noteremo che
ne parla il Jacobilli a pag. 7.5 del
suo Discorso, ove pur dice de' cor-
pi santi e reliquie che sono nei
diversi luoghi della diocesi.
Il rapitolo si compone di quat-
tro dignità, essendo la principale
FOL
quella di priore, poi vi sono il de-
cano, l'arciprete, già istituite fino
dalla più rimota antichità, a cui
aggiunse il regnante Pontefice una
quarta col titolo di primicerio, do-
tandola coi beni tutti della sop-
pressa parrocchiale e priorale chie-
sa di s. Maria Maddalena, rovina-
ta totalmente per l' orribile terre-
moto de' i3 gennaio i832, vo-
lendo che fruisse di tutti gli onori
e privilegi , non che d' indossare
mantelletta negra e rocchetto sulla
foggia delle altre dignità. Inoltre
componesi il capitolo con sedici ca-
nonici, con le prebende di teologo
e penitenziere, otto canonici ono-
rari, dieci mansionari, ed altri preti
e chierici addetti al divino servi-
gio. Questo capitolo gode di di-
versi privilegi e prerogative. Bene-
detto XIV con breve de' 2 3 mar-
zo 1741 concesse al priore della
cattedrale , e ai di lui successori
l'uso della mantelletta paonazza in
tutte le funzioni ecclesiastiche si
nella città che nella diocesi. Ai ca-
nonici il regnante Gregorio XVI
ha concesso l'uso della mitra , ed
altre insegne prelatizie ; fanno uso
della mitra bianca, in tutte le ec-
clesiastiche funzioni quando indos-
sano i paramenti sagri, entro i li-
miti però della diocesi. Hanno pu-
re il privilegio del canone e bu-
gia, e cantando la messa, del pre-
te assistente in piviale, e questo
anche fuori di diocesi. Le insegne
prelatizie poi accordate dal Papa
che regna al capitolo di Foligno
consistono nel fiocco paonazzo al
cappello, potendo i canonici dell'u-
no e dell'altro far uso in ogni tem-
po ed in ogni luogo, come appa-
risce dal breve che si conserva nel
loro archivio.
La cura delle anime della cat-
FOL
tediale è affidata al priore , e a
tre sacerdoti a ciò eletti dal capi-
tolo. Nella città vi sono altre sei
parrocchie, ma senza Iònie battesi-
male, ch'è nella sola cattedrale. Vi
sono pure le due sum mentovate
collegiate, sei monisteri e conventi
di religiosi, sei monisteri di mona-
che, due conservatorii, l'orfanotro-
fio, l'ospedale, il monte di pietà,
il seminario cogli alunni, ed altri
pii stabilimenti. II Jacobilli a pag.
85 ci dà il catalogo de' luoghi di
tutta la diocesi, la quale al pre-
sente si estende per circa trenta
miglia. Il palazzo vescovile è pros-
simo alla cattedrale, venne restau-
rato ed ampliato nei vescovati di
monsignor Cadolini, ora amplissi-
mo cardinale, e di monsignor Po-
lidori defunto. La mensa episcopale
ad ogni nuovo vescovo è tassata
ne' libri della camera apostolica in
fiorini cento: questa mensa a cura
del prelodato cardinale e per mu-
nificente generosità del Pontefice
regnante , è stata considerevolmen-
te accresciuta nelle rendite, mercè
la riunione alla medesima dei be-
ni del soppresso monistero dei mo-
naci Olivetani di Sassovivo. Diremo
per ultimo che questo zelante por-
porato pel flagello del terremoto
pubblicò una notificazione per l' os-
servanza del voto fatto dalla città
per tale peripezia, più un'omelia
piena d' unzione , e diversi editti ,
ed il tutto venne pubblicato colle
stampe nell' opuscolo : Voto solen-
ne della città di Foligno, fattosi il
19 febbraio i832, Foligno, tipo-
grafia Tomassini. Il voto consiste
in un digiuno locale da farsi ogni
anno, per anni cento, la vigilia della
commemorazione della beata Ver-
gine del Pianto , e nell' assistenza
del magistrato alla messa , che si
VOL. XXV.
FOL i45
celebra nel d'i della commemora-
zione detta, nella chiesa della con-
fraternita in cui si venera tale im-
magine. Il terremoto di Foligno
fu descritto in terza rima dal eh.
G. F. Rambelli, pubblicato prima
dal giornale L' Amico della gio-
ventù, nel fascicolo 4^ > e V01 a
parte con lettera dedicatoria al cav.
Luigi Sassoli persicetano.
FOLMARO, Cardinale. Folmaro
in Verona nel sabbato di Pentecoste
del 1 1 86 fu creato cardinale da Ur-
bano III; fu arcivescovo di Tre-
viri, e legato nella provincia di
Sciampagna. S'ignora in qual an-
no avesse fine la sua mortale car-
riera.
FOLQUINO (s.) Figlio di Gi-
rolamo, fratello del re Pipino. Ab-
bandonò gì' impieghi che aveva alla
corte, per abbracciare lo stato ec-
clesiastico. Eletto nell' 817 vesco-
vo di Terovana, corresse gli abusi
ivi originati dalle scorrerie dei bar-
bari, e rimise per tutto la purità
de' costumi e della fede. Egli ten-
ne dei sinodi, e assistette a parec-
chi concili che si ragunarono a' suoi
dì. Fece la traslazione delle reli-
quie di s. Audomaro, il più cele-
bre de' suoi predecessori , e per
timore delle incursioni dei norman-
ni, nell' 846 nascose il corpo di s.
Berlino sotto l'altare di s. Marti-
no. Morì facendo la visita della
sua diocesi a' i4 dicembre dell'855.
Il suo corpo fu portato nel mo-
nistero di s. Bertino , e seppellito
presso a quello di s. Audomaro ;
fu poi dissotterrato a' i3 novem-
bre del 928. La sua festa princi-
pale si celebra a' 14 dicembre; ma
egli è ancora onorato a' 7 di giu-
gno e a' 1 3 di novembre, in me-
moria delle traslazioni delle sue
reliquie.
io
i4<3 FON FO AF-
FONDI. Città vescovile del re- di Fondi), erano assai celebri tra
gno delle due Sicilie, nella provin- gli antichi, e furono lodali da Stra-
cia di Terra di Lavoro, capoluogo bone, da Plinio e da Marziale ; ed
di cantone, e del contiguo villag- anche al presente sono rinomatis-
gio di San Magno , giace presso le simi. Vi si coltivano da per tutto
frontiere dello stato pontificio dal- olivi e cedri. Presso la città si ve-
la parte di Terracina, in una pia- de la bella fontana detta di Pe-
nula bassa alquanto paludosa, ma tronio, e alcuni avanzi di bagni
deliziosa, ai piedi del sub-apenni- antichi. In vicinanza al lago di
no romano. E attraversata dalla Fondi , Lacus Fttndanus, si vede
via Appia, eh' è assai bene conser- la grotta nella quale, secondo Ta-
vata e che ne forma la strada prin- cito, Seiano salvò la vita a Tibe-
cipale, incrociandosene altre due da rio imperatore,
angoli retti. La detta via vi man- Fondi era un'antica città mnni-
tiene il traffico, e ne rende meno cipale del Lazio nuovo, nel canto-
disaggradevole il soggiorno: parec- ne degli ausonii, indi appartenne
chi torrenti , ed un pestifero lago alla Campania. Alcuni dicono che
sboccano nel vicino mare Mediter- fosse una delle città degli aurun-
raneo. Il lago vi dà foce per due ci. La Chiesa romana ebbe fino
canali ; esso abbonda di anguille, e dai primi secoli grandi poderi nel
si estende per circa quattro miglia, territorio di Fondi, i quali trovan-
aventi le rive coperte di mirti e si mentovali da s. Innocenzo I clct-
pioppi . Fondi è di forma qua- to Papa nel 4°2> allorché diede ai-
drata, sono notabili le sue mura, la basilica di s. Vitale e de' ss. Ger-
perchè si pretende che la parte in- vasio e Protasio, edificata in I\o-
feriore di esse preceda l'epoca della ma per munificenza di Vestina il-
fondazione di Roma. La cattedra- lustre femmina, possessionem Fan-
le dedicata a s. Pietro apostolo è danensem in territorio Fundano rum
di gotico disegno: avvi pure una adiacentibus attiguis XV ,praestan-
collegiata, cioè s. Maria della Piaz- tem solid. CLXXXI , et tremisscm.
za, cui presiede un arciprete con Sopra di questi, e forse di altri
otto canonici, un monistero di he- beni, che la Chiesa romana pos-
nedettine, tre conventi di religio- sedeva in Fondi, ella acquistò l'uso
si, due case di carità, ed altri pii delle regalie superiori, le qunli poi
stabilimenti. Si mostra a'forestie- estese a tutto il territorio, ed anco
ri dai domenicani la camera ove alla città sino al grado di averla
studiava, e dava le sue lezioni di alla piena sua ubbidienza. Il Pon-
teologia il dottore san Tommaso tefice Giovanni Vili donò a Doci-
d' Aquino, come nella chiesa del- bile e Giovanni suo figliuolo, dil-
la ss. Annunziata un bel quadro chi ed ipati di Gaeta, e loro suc-
rappresentante il saccheggio dato cessoli in perpetuo, nell'anno 882,
a questa città dal pirata Earba- l'inclito patrimonio di Traclto, e
rossa. I dintorni sono fertili , ma la città e territorio di Fondi in
l'acqua stagnante rende l'aria mal- pieno dominio, acciocché gucrreg-
sann : i suoi vini , massime dei giassero contro i saraceni , come
monti Caerubi (cosi chiamando i poi fecero. Questa donazione fu Io-
romani le montagne dei contorni ro confermata dal Pontefice Gio-
FON
Maini X nei 916, il quale aiutato
da eletti «lucili alla testa dell' eser-
cito, sconfisse interamente i sarace-
ni, che da quaranta anni si erano
annidati nel castello di Garigliano
nella Terra di Lavoro. V. il Borgia,
Breve istoria del dominio tempora-
le delia Sede apostolica nelle due Si-
cilie,§§ XXXIII, XXXIV e XXXV.
Quindi abbiamo dal Rinaldi all'an-
no 12 12, num. 2, che la contea di
Fondi fu donala alla Chiesa ro-
mana. Racconta poi il Novaes nel-
la vita di Innocenzo III, che aven-
do questi scomunicalo nel 12 io
l'imperatore Ottone IV perchè a-
vea usurpato molle terre della Chie-
sa , sciolse dal giuramento i suoi
vassalli, onde i principi della Ger-
mania elessero in suo luogo Fede-
rico II re di Sicilia, il quale si mi-
se subito in viaggio per Roma, e
nel 12 12 fu ricevuto da Innocen-
zo III con somma onorificenza. Fe-
derico II allora confermò alla san-
ta Sede la donazione che poco pri-
ma gli avea fatto della contea di
Fondi, ed allre baronie , il signo-
re di esse Riccardo dell'Aquila, che
in sua morte ne avea istituito cre-
de la Chiesa romana.
In progresso di tempo Fondi fu
concesso alla nobilissima famiglia
Ca etani (Pedi), e mentre n'era
conte Onorato, ivi fu eletto V Anti-
papa Clemente VII (Vedi), al mo-
do che dicemmo a quell'articolo,
ed agli articoli Anagni ed Avigno-
ne ( Vedi). Per dar qui un cenno
dello strepitoso avvenimento, ch'eb-
be per conseguenza il lagrime vole
scisma, che dal 1 378 ebbe fine nel
1 4 1 7 colla rinunzia di Gregorio
XII, deposizione di Giovanni XX III,
scomunica dell'antipapa Benedetto
X11I successore di Clemente VII,
e coll'clezione di Martino V , dire-
FON i/Ì7
ino quanto segue. Restituita in Ro-
ma da Avignone da Gregorio XI
la residenza pontificia , alla sua
morte nel 1378 gli fu dato poi-
successore Urbano VI, contro il qua-
le poco dopo ribellaronsi alcuni car-
dinali, che portatisi in Anagni, osa-
rono deporre il legittimo Papa ;
quindi essendo stati cacciati dal po-
polo di Anagni, profittando del dis-
gusto che eravi tra Urbano VI ed
Onorato Caetani conte di Fondi ,
passarono in questa cittàj ove co-
gli aiuti di Giovanna I regina di
Napoli, a' 20 settembre scismatica-
mente elessero in pseudo-pontefice
il cardinal Roberto di Ginevra che
prese il nome di Clemente VII. Ciò
saputosi da Urbano VI, a' 6 novem-
bre lo depose e privò del cardina-
lato e dei benefizi ecclesiastici con
altre pene, scomunicandolo insieme
ai 16 cardinali adunati in Fondi,
ed ai principali autori dello scisma.
A' 29 dello stesso mese fulminò le
censure contro i fautori dell'antipa-
pa, e contro Onorato Caetani, An-
tonio di Caserta ed altri signori.
Clemente VII era stato coronato
nella cattedrale di Fondi alla pre-
senza di Ottone di Brunswick ma-
rito di Giovanna I, del principe di
Taranto, di Nicolò Spinelli am-
basciatore di delta regina, del con-
te Onorato , e di molta nobiltà
del regno di Napoli. Dopo un fat-
to d' armi tra le truppe pontifìcie
e quelle dell'antipapa, essendo sta-
te le seconde disfatte, Clemente VII
risolvette di ritirarsi a Fondi a' 18
maggio 1379, nel qual giorno Ur-
bano VI rinnovò in Roma la sen-
tenza di scomunica contro lui, t
suoi seguaci , promulgando a loro
danno la crociata, con amplissima
indulgenza a chi gli avesse impri-
gionati. Non vedendosi ClcmeuteVH
i48 FON
sicuro in Fondi passò a Napoli ; ma
ribellandosi poscia quel popolo, il
costrinsero a fuggire, laonde pas«
so in Avignone a fondarvi una cat-
tedra di pestilenza. Intanto Urba-
no VI avendo deposto Giovanna I,
die il suo regno al re Carlo III Du-
razzo, colla cessione di varie signo-
rie, e tra queste le contee di Ca-
serta e di Fondi, al proprio nipote
Francesco Prignani, siccome si leg-
ge in Lodovico Agnello Anastasio,
Istoria degli antipapi tom. II, cap.
XV. Morto Urbano VI nel i389,
non andò guari che dovette repri-
mere una ribellione che in Roma
avea tramata Onorato conte di Fon-
di, ed altra superò nel 1397 pro-
vocata dal re Martino d' Aragona
e dal medesimo conte, fautori del-
l'antipapa Benedetto XIII. Quindi
nel i3gg Bonifacio IX ordinò un
rigoroso processo contro Onorato
Caetani primario sostenitore dello
scisma, dichiarandolo reo di apo-
stasia , di lesa maestà , e di ribel-
lione, e pubblicando una crociata
contro di lui. Tuttavolta Onorato
nel seguente anno unito coi Colon-
nesi , tentò di occupare Roma , e
di arrestare il Papa, ciò che sareb-
be avvenuto, se le guardie del Cam-
pidoglio non l'avessero respinto al
primo assalto. Di poi il buon Pon-
tefice nel 1401 assolvette dalle cen-
sure i Colonnesi, Giacomello Caeta-
ni figlio del defunto Onorato, e gli
restituì i castelli di Ninfa, Bassano
e Sermoneta già confiscati e inca-
merati ; e nel 1 402 creò cardinale
Antonio Caetani de' conti di Fondi.
Mentre il Papa Gregorio XII lot-
tava coli' antipapa Benedetto XIII ,
e con Alessandro V eletto nel i4°9
dal concilio di Pisa , fuggitivo si
recò presso Ladislao re di Napoli,
passando per Ortona e per Fon-
FON
di. Questa città nel secolo XVI fu
donata da Ferdinando V re di Spa-
gna e di Napoli, a titolo di feudo,
al generale Prospero Colonna. Nel
i534 fu sorpresa dai turchi, co-
mandati dal famigerato ammiraglio
Ariadeno o Arouch soprannomina-
to Barbarossa, irritato per non aver
potuto rapire Giulia Gonzaga, bel-
lissima fra le donne d'Italia, la qua-
le rimasta vedova di Vespasiano
Colonna conte di Fondi, ivi stava
ritirata e piangendo la sua disgra-
zia. Il Barbarossa improvvisamente
di notte sbarcò sulla vicina spiaggia,
ed appena ebbe tempo la misera Giu-
lia di porsi in salvo. Furente perciò
il mussulmano versò l'ira sua sull'in-
tera città, mettendola a sacco, ro-
vesciandone la cattedrale, e facen-
do schiavi molti de' suoi abitanti.
Ad un secondo saccheggio per par-
te de' turchi, Fondi soggiacque nel
1 5g4 . Appartenne poscia questa
città colla sua contea, e col titolo di
principato, alla casa di Sangro. Due
volte il Papa Benedetto XIII ono-
rò di sua presenza Fondi , essen-
done vescovo Antonio Carrara di
Sora. Volendo nel 1727 quel Pa-
pa visitare la sua antica chiesa ar-
civescovile di Benevento, che anco-
ra continuava a governare, partì da
Roma a' 24 marzo. A Terracina si
fece precedere dal ss. Sagramen-
to, ed al confine trovò il cardinal
d' Althan viceré di Napoli, che pre-
se seco in carrozza sino a Fondi ,
dove restò a dormire nel conven-
to de' domenicani , tra' quali era
stato religioso, e nel seguente gior-
no di sabbato, onorato dalle milizie
napolitane, prosegui il viaggio per
Itri. Nel 1729 Benedetto XIII si
recò a Benevento per celebrarvi il
terzo concilio provinciale, giungen-
do a Fondi il primo di aprile, pren-
FON
derido alloggio, e riposando la not-
te dai medesimi domenicani : nel
dì seguente riprese il \iaggio suo.
Nel restituirsi a Roma , la dome-
nica de' 29 aprile si fermò dai do-
menicani dove pranzò e dormì, ed
il lunedì passò a Terracina.
Dicesi che s. Sotero eletto Papa
a' 4 magS'° dell'anno 175, cui
molti danno il pronome di Con-
cordio, nacque in Fondi; e che
s. Paterno di Egitto soffrì il mar-
tirio in questa città , de.ducendosi
da ciò che la fede cristiana fu pre-
dicala in Fondi sino dai primi tem-
pi della Chiesa. Ignoto è il nome
del primo vescovo , e solo si sa
che il Papa s. Antero l' ordinò ,
quando passò da Fondi, ritornan-
do dalla Sardegna in Roma. Nelle
vite de' Papi si legge che s. Ante-
ro fu eletto a' 3 dicembre dell' an-
no 287, che creò un solo vescovo,
cioè questo per Fondi , e governò
la Chiesa appena trenta giorni. Non
si deve tacere che Commanville affer-
ma essere stata eretta la sede ve-
scovile di Fondi verso l'anno 5oo,
la quale venne dichiarata imme-
diatamente soggetta alla santa Se-
de. L' Ughelli nell' Italia sacra ,
tom. I, pag. 719, aggiunge che Vi-
tale fu il secondo vescovo, il qua-
le assistè ai concili di Roma sotto
il pontificato di s. Felice II detto
III , e sotto il Papa s. Simmaco
negli anni 489, 5o 1 , 5o2 e 5o4.
Tra i vescovi di Fondi noteremo i
seguenti. S. Andrea di cui parla
s. Gregorio I nel libro 3 , cap. 7
Dial. L' annalista Baronio lo dice
vescovo nel 585. Mariano il qua-
le depose nella cattedrale di Fon-
di il corpo di s. Mauro martire
d Àfrica. Giovanni che fu legato
pontificio in Francia, speditovi dal
santo Pontefice Nicolò I nell' 862 ,
FON 149
sulla domanda del re Lotario I,
per celebrare un concilio a Metz.
Giovanni che intervenne al conci-
lio generale, che Alessandro III ten-
ne in Laterano nel 1179: a que-
sto vescovo Riccardo conte di Fon-
di concesse alcuni privilegi, esten-
sivi ai di lui successori. A Daniele
vescovo nel 1180 il capitolo die in
successore Giovanni de Pastina, che
Innocenzo III riprovò, facendo in-
vece vescovo Benedetto. Roberto di
Pi perno , priore de' cisterciensi di
Fossanova, dotto e virtuoso, diven-
ne vescovo nell'anno 12 io. Leonar-
do Tacconi nobile di Piperno, illu*
stre per virtù., fu fatto vescovo nel
1 348 da Clemente VI. Sembra che
al tempo dello scisma la sede fosse
vacante, giacché non dice 1' Ughel-
li quando il vescovo Raimondo
morisse , notando che il successore
fu Stefano de Sardis pisano, fatto
nel 1 3gi da Bonifacio IX. Rinun-
ziò per entrare tra i canonici re-
golari di s. Antonio di Vienna nel
1399, laonde quel Papa gli die in
successore Domenico Astalli roma-
no, che morì nel i4*4 m Roma
in casa di Cristoforo Caetani, nella
regione di Campitelli. Nel i47^
Sisto IV dichiarò vescovo Pietro
Caetani, che morì nel i5oo.
Francesco commendatore di s.
Antonio in Roma, nominatovi da
Leone X nel i520. Giacomo Pel-
legrini, nipote di Nicola Pellegrini
( già vescovo di Fondi dal 1 5oo al
i52o), occupava questo seggio epi-
scopale, quando nel i534 i turchi
saccheggiarono la città : rinunziò a
Paolo III la dignità nel i537. Fau-
sto Caffarelli romano , eletto nel
i555 da Paolo IV, intervenne al
concilio di Trento, e morì nel 1 566.
Matteo Guerra di Cosenza, uno
de' più dotti teologi che hanno as-
I jo F O N
sislito al concilio di Trento, nomi-
nato da s. Pio V nel i56j, fu poi
trasferito al vescovato di s. Marco
in Calabria da Gregorio XIII nel
1576. Fr. Gio. Pietro da Teano,
dell' ordine de' minori , confessore
della moglie del viceré di Napoli,
vescovo nel 1640 fatto da Urba-
no Vili, cessò di vivere nel 1661.
Vittore Felice Conci di Todi, de-
cano della cattedrale di Montelìa-
scone, Clemente XI lo fece ve-
scovo di Fondi nel 1703. L'ul-
timo vescovo fu Gennaro Vincenzo
Tortora di Nocera de' Pagani, fat-
to vescovo da Pio VI nel concisto-
ro de' 27 febbraio 1792, dappoiché
nella nuova circoscrizione delle dio-
cesi fetta da Pio VII , questi colle
lettere apostoliebe, De utiliori do-
minicele, quinto Ralendas julii 1 8 18,
soppresse la sede vescovile di Fon-
di, e 1' uni a quella di Gaeta [Ve-
di). Il capitolo della cattedrale coni-
ponevasi di dodici canonici , com-
prese le dignità di primicerio, di
tesoriere e di decano, non che del-
le prebende di teologo e peniten-
ziere. Il decano faceva da parroco
nella cura della cattedrale.
FONSECA Pietro, Cardinale.
Pietro Fonseca, nato in Portogallo
da illustre famiglia, fu creato pseu-
docardinale dall'antipapa Benedetto
XIII. Però disingannatosi del suo
errore, nel 1 4 ' 9 si recò in Firen-
ze a' piedi di Martino V, il quale
lo creò diacono cardinale di s. An-
gelo, e commendatario del vescova-
do di Siguenza, non che legato a
latere in Costantinopoli per la unio-
ne della chiesa greca. Altri però
dicono che Martino V con diplo-
ma del primo agosto i4'8, dato
in Ginevra, dichiarasse il Fonseca
per vero cardinale. Tal legazio-
ne poi non ebbe il suo effetto, per-
che ammalatosi gravemente in I-
spagna, dove avea implorata la
protezione del re, si distolse dal
viaggio nella Grecia. Ebbe anche la
commissione di procedere contro
l' antipapa rifugiato in Ispagna ;
ma fosse la grave malattia, ovvero
le segrete arti del re di Aragona
che vi si opponessero, è certo che
non se n' ebbe alcun buon effetto.
Portatosi quindi a Ruma , venne
impiegato nella legazione di Napo-
li, dove fu incontrato non solamen-
te dalle galere del re, ma dallo
stesso Alfonso d' Aragona, il quale
avea concepito il disegno di occu-
pare le provincie di Napoli. 11 le-
gato però seppe richiamarlo a cou-
sigli di pace, e diradare que' torbi-
di che poteano produrre de' fune-
stissimi effetti. Ma nel ritornare dalla
sua legazione, fermatosi in Vicovaro,
diocesi di Tivoli, per respirare un'a-
ria più pura, ovvero per visitare
il Papa dimorante in quel castel-
lo, cade per accidente da una scala
del convento de' frati minori in
cui alloggiava, e fu sì grave la per-
cossa che ne riportò, che poche ore
dopo passò di questa vita. La sua
morte accadde nel 1422. Trasferito
poscia in Roma , fu seppellito in
una tomba di marmo adorna di co-
lonne e di statue, nella basilica va-
ticana, al manco lato della cappel-
la di s. Tommaso apostolo. Uà co-
desto luogo poi, nel 1608, fu tra-
sferito nelle grotte vaticane, presso
i sepolcri d' Innocenzo IV e Mar-
cello II , dove si vede la sua efijgie
in marmo cogli abiti propri del
suo ordine.
FONTANA Francesco LuiGr,
Cardinale. Francesco Luigi Fonta-
na nacque in Casal Maggiore da
pii, onesti, ed agiati genitori, il 28
agosto 1750. Giunto all'età disc-
FON
dici anni seguir volle l' esempio di
(lue altri suoi fratelli col consagrarsi
al Signore nella congregazione dei
chierici regolari di s. Paolo, detta
volgarmente de' barnabiti, nella qua-
le professò i voti solenni l' anno
1 767, dopo di ebe passò allo stu-
dio della filosofìa, e quindi a quel-
lo di teologia, ne' quali fece mara-
vigliosi progressi. Nel 1772 chia-
mato dall'imperatrice Maria Teresa
il p. d. Ermenegildo Pini celebre
naturalista a visitare le miniere di
Ungheria, gli fu dato a compagno
il giovane Fontana, alla salute del
quale l' intensità dello studio reca-
to avea qualche nocumento. Essen-
do egli in Vienna conobbe vari
letterati, tra' quali il rinomato Pie-
tro Metastasio, e quantunque in
età di soli ventidue anni la sua
pietà, la sua prudenza, il suo sa-
pere, il finissimo suo gusto in ogni
maniera di letteratura trassero in
ammirazione di sé ognuno che il
trattò. Ritornato che fu dopo un an-
no in Italia, suo fratello d. Maria-
no, nome caro alle scienze ed alle
lettere (abbiamo dal p. Grandi,
De vita et scrìptis Mariani Fon-
tanile commentar. Komae 1 8 1 1 ),
lo volle per circostanze scabrosis-
sime socio nella reggenza del col-
legio di s. Luigi di Bologna già
de' gesuiti, in cui si diportarono i
due fratelli in guisa da riscuoterne
comune applauso, in modo che la
congregazione poco appresso affidò
loro eziandio il collegio de' nobili
di s. Saverio, e il ginnasio di s.
Lucia. Poco dopo fu destinato
Francesco ad insegnare l' eloquenza
e la poesia prima nel ginnasio o
scuole Arcimbolde di s. Alessandro,
e poi nel collegio superiore di Mi-
Inno , detto imperiale de' nobili ,
dove tanto avanzò nella perizia
FON ijl
dello scrivere nelle tre difficilissi-
me lingue, italiana, latina e gre-
ca , da gareggiare co' primi lette-
rati d'Italia allora viventi; e nel-
la greca singolarmente tanto si era
addestrato, da giungere perfino a
comporre in quella estemporanea-
mente in versi. E già scritte in cia-
scuno de' detti tre linguaggi si hau-
110 alle stampe operette di lui, e in
verso e in prosa, le quali vennero
assai bene accolte; ed è soprattutto
degno di essere rammentato I' elo-
gio che scrisse di Benedetto Mar-
cello, posto dal Fabbroni nella
serie degli elogi che pubblicò, e
trasportato poi dall' idioma latino
nel!' italiano. In questo medesimo
tempo coltivò pure le scienze, e
particolarmente le sagre, nelle quali
quanto fosse profondamente versa-
to, lo dimostrò iu seguito l' uso
che ne fece in vantaggio della
Chiesa di Dio. La sua congregazio-
ne, da cui assaissimo era stimato
e riguardato come un oracolo, at-
tesa particolarmente quella rara
prudenza con che soleva adoperar-
si nel disbrigo dagli affari più dif-
fìcili e delicati, come per la dolcezza
del suo tratto, lo elesse a superio-
re della fiorentissima provincia di
Milano, eh' egli governò in turbo-
lentissimi tempi, cioè nell' invasione
francese, e con successo tanto felice,
che salvò tutti i collegii di quella
provincia dal minacciante univer-
sal naufragio in cui il governo de-
mocratico tutti voleva avvolti i cor-
pi regolari. Fu in Milano, e nel
1790 che pubblicò le interessanti
vite di molti uomini dotti italiani,
inserite nei tomi IX, X, e XI del-
le Vitae italorum doclrina prac-
slantium del Fabroni citato. Seda-
te alcun poco le politiche vicende
di que' difficili tempi, ed eletto a
,5a FON
capo della Chiesa il glorioso Pio
VII, fu per opera dell'immortale
cardinale Gerdil, già alunno de' me-
desimi barnabiti, chiamato nel 1801
a Roma il Fontana, siccome giusto
estimatore del suo merito. Ivi giun-
to appena fu fatto procuratore ge-
nerale dell'ordine suo, indi consul-
tore de' riti, e non molto dopo an-
che del s. offizio, non che segreta-
rio della correzione de' libri della
chiesa orientale ; e con unanime
applauso il 1807 proposito genera-
le della sua congregazione. 11 Pon-
tefice che vedeva nel Fontana un
uomo secondo il suo cuore, lo ama-
va con tenerezza, e seco il volle
nel viaggio che fece a Parigi per
coronare V imperatore Napoleone,
in qualità di teologo. Egli però vi
menò vita ritirata, né comparve
mai ad alcuna pubblica cerimonia.
Ritornato in Roma, intraprese nel
1806 unitamente al p. Scati, una
edizione completa delle opere del
cardinal Gerdil dedicata al sommo
Pontefice in venti volumi in foglio,
colla vita dell' autore. Questa edi-
zione interrotta dalle vicende poli-
tiche, fu più tardi continuala dal
p. Grandi. Raccolse ampie memo-
rie per servire alla storia letteraria
di sua congregazione, ed avendo
fatto una dotta scrittura per il
ven. Antonio Maria Zaccaria, la sua
causa fu introdotta per la beatifi-
cazione. Fu in seguito adoperato in
affari importantissimi per la santa
Sede. Occupato nel 1809 dalle ar-
mi francesi di Napoleone lo stato
pontificio, e strappato dalla sua se-
de l'invitto Pio VII, il Fontana
insieme cogli altri capi degli ordi-
ni religiosi fu tradotto in Francia,
e rilegato ad Arcis-sur-Aube, da
dove fu chiamato a Parigi per es-
sere adoperato in una commissione
FON
ecclesiastica, in negoziati di somma
rilevanza. Continuando però egli a
difendere con petto sacerdotale i
diritti della santa Sede, sia col no-
tificare al cardinale Maury il bre-
ve pontificio col quale venivagli in-
giunto di abbandonare la sede di
Parigi a cui 1' avea nominato Na-
poleone, sia col disapprovare il se-
condo matrimonio da questi con-
tratto , fu posto in stretta prigio-
ne nelle torri di Vincennes, nelle
quali non è a dire quanto soffrisse,
ma con tal rassegnazione, che me-
ritò dallo stesso custode della car-
cere il soprannome di virtuoso, e da
altri quello di santo. Stette in pri-
gione il Fontana per tre anni e
tre mesi, avente per compagno fe-
dele de' patimenti fratel Carlo Sam-
biagio barnabita, che meritò la sua
stima , fiducia ed affezione . Non
deve passarsi sotto silenzio, che fra
i prigionieri che onorarono tal car-
cere, sono a nominarsi i cardinali
Opizzoni, Gabrielli, di Pietro, mon-
signor de Gregorio poi amplissimo
cardinale, ed il barone di Geramb,
al presente abbate e procuratore
generale de' trappisti, come si legge
nell'Elogio storico del cardinal Etn-
manuelc de Gregorio, scritto dal
cav. Giulio Barluzzi, massime alle
pag. 23 e 24» ove parla di tali
illustri compagni di sventura del
Fontana. Questi riacquistò la liber-
tà quando le armi vittoriose dei
sovrani alleati entrarono in Parigi.
Tornò egli in Italia con pensiero di
ritirarsi a Monza, ove avea assunto
la veste religiosa de' barnabiti. Ma
Pio VII il volle a Roma, dove su-
bito lo aggregò alla sagra congre-
gazione della riforma, e nell' istesso
anno 18 14 il fece segretario con
voto della congregazione sugli affa-
ri straordinari della Chiesa, con
FON
quell'onorevole biglietto del cardi-
nal Pacca, che riportammo al voi.
XVI, pag. i56 del Dizionario j
non accettando 1* arcivescovato di
Torino, che gli venne offerto dal re
di Sardegna, credendo di non me-
ritar nulla.
Alla ricomparsa del detronizzato
Napoleone in Francia, e all'avvi-
cinamento a Roma di Murat re
di Napoli, obbligato per cautela a
partir di nuovo da Roma Pio VII
nel i8i5, ed andarsene a Geno-
va, ebbe ordine di seguirlo colà
ancora il Fontana, il quale ciò fece
in compagnia del p. reverendissi-
mo Luigi Lambruschini, ora am-
plissimo cardinale segretario di sta-
to, ed in allora correligioso, ed uno
de' maggiori e più stimati amici
del Fontana. Ritornata dopo non
molto tempo colla prigionia di Na-
poleone la calma, si restituirono il
Papa alla sua Sede, e il Fontana
a Roma, dove nel concistoro del
primo marzo 1816 lo creò cardi-
nale dell' ordine de' preti, dignità
che accettò per obbedienza, e bello
fu il vedere bagnar di lagrime e
scaldar di baci la veste regolare,
quando gli fu tolta di dosso per
ricoprirlo colla porpora, e pregò i
suoi confratelli che in morte lo
tumulassero colla veste religiosa ;
il medesimo Pio VII poscia gli die
in titolo la chiesa di s. Maria so-
pra Minerva. Insignito egli di di-
gnità tanto cospicua, in nulla can-
giò il tenore di sua vita religiosa,
continuando a vivere nella casa di
s. Carlo a' Catinari in mezzo ai
suoi figli e confratelli che tenera-
mente amava, in piccole stanze
addobbate con moderazione religio-
sa, solo ricche di libri e di scritti.
Fu fatto prefetto della sagra con-
gregazione dell' indice, e poscia di
FON i53
quella di propaganda fide e sua
stamperia, alla quale si aggiunsero in
seguito anche la prefettura degli stu-
di del collegio romano, e della
correzione de' libri della chiesa o-
rientale, essendo pur membro del-
la congregazione del s. offizio, dei
vescovi e regolari, della disciplina
regolare, degli affari ecclesiastici, e
degli studi. Sostenne egli tutti que-
sti pesi senza mentovare i gravis-
simi straordinari, ed in particolare
l'arduo e scabroso di propaganda fi-
de, in modo che la fama della sua
integrità, della sua giustizia, del suo
amore per la verità, del suo disin-
teresse, della sua prudenza, e del
suo finissimo accorgimento nella
decisione degli affari furono cono-
sciuti ed ammirati in tutto l'orbe
cattolico. Intanto oppresso dalle con-
tinue fatiche andava decadendo ogni
giorno di forze, fino a che assalito
da una febbre acuta dovette soc-
combere sotto la gravezza del ma-
le. Munito de' ss. sagramenti rice-
vuti con edificante pietà in mezzo
alle lagrime de' religiosi suoi figli,
di cui era vicario generale, e al
dispiacere di tutta Roma, rese l'a-
nima al Signore il giorno 19 mar-
zo 1822, alle ore 21, siccome pia-
mente da più anni desiderava, giac-
ché soleva dire, che se gli fosse
accordato di morire nel giorno sa-
gro a s. Giuseppe, gli parrebbe que-
sto un segnale di futura felicità ,
essendo quel santo protettore dei
moribondi. Egli fu sepolto come
avea desiderato in vita, colla veste
di barnabita, colla quale celebrava
privatamente la messa nella sua
cappella domestica. Così terminò il
corso di sua vita mortale il car-
dinal Fontana , le di cui gloriose
gesta non mai si cancelleranno dal-
la memoria de' posteri. Se di lui
i54 l'Otf
pub formarsi in tutto l'idea del
perfetto cardinale, va commendato
il paterno amore, la carità, l'affa-
bilità, e le benelicenze di cui fu
largo in qualunque bisogno colla
sua famiglia domestica. Mirabile fu
il metodo e regolamento che ad
essa prescrisse nelle giornaliere e
serali orazioni, nell'assistenza alla
santa messa, nella frequenza de' sa-
gramene, e nella cristiana condot-
ta, di cui si faceva loro modello
ed esempio, sino all' intervento nel-
le mentovate pratiche di pietà, od
alla celebrazione stessa della messa.
Prudente e modesto, fu alieno di
accettare protettone, e solo fu pro-
tettore de' monaci maroniti anto-
niani del Monte Libano. In una
parola il Fontana ademp"i nel tem-
po stesso i doveri del cardinale e
del regolare, sembrando che si fosse
proposto di copiar il modello che
uvea offerto del suo compagno e
confratello cardinal Gerdil , il cui
nome è un elogio , nella orazione
funebre che recitò e pubblicò colle
stampe componendo anche il di lui
epitaffio. Umile, quanto dotto, fe-
ce lungo e severo studio de' doveri
che a' cardinali sono propri, in
que' libri che ne trattano partico-
larmente ; e siccome avea voluto
conoscere la storia di quelli che
colle virtù avevano onorato la por-
pora, si rattristava in riflettere che
di tanto numero la Chiesa non ac-
cordò che a pochi il culto o di
santi o di beati che noi enume-
rammo all'articolo Cardinale (Ve-
ili). E la stanza delle sue orazioni
e de' suoi studi ne avea in altret-
tanti quadretti l'effigie, fatte dipin-
gere ad olio da lui, e nel guar-
darle supplicava Dio di concedergli
1.» grazia d'imitare almeno alcuna
delle individuali virtù praticale da
FON
quelli che rappresentavano. Il cardi-
nale era in corrispondenza con vari
dei più distinti scienziati del suo tem-
po, fu membro di molte cospicue
accademie, ed uno de' fondatori in
Roma della celebre accademia di
religione cattolica. Il cardinale eb-
be lunga, costante , affettuosa sti-
ma, ed inlima amicizia col p. ab-
bate d. Mauro Cappellani camal-
dolese, ora Papa Gregorio XVI, e
n'era in tutto corrisposto piena-
mente. Raro fu quel giorno che
tra loro non conversassero. Ogni
giorno il cardinale recavasi a pren-
dere l'amico colla sua carrozza, e
ìiell' innocente e breve sollievo del-
l'autunnale stagione, che effettua -
vasi anche per ragione di salute
ne* tranquilli e religiosi luoghi del
monistero di Grottaferrata de' ba-
siliani, e nell'eremo camaldolese di
Frascati, il cardinale volle sempre
seco il p. abbate, trovando nella
sua compagnia, amicizia e collo-
quio, conforto, soddisfazione e te-
nera compiacenza : dappoiché la
profonda ed estesa scienza, e le no-
te virtù del p. abbate erano al
cardinale di pascolo ed ammira-
zione sempre più crescente.
M 23 marzo nella chiesa di s.
Carlo a' Culinari de' barnabiti si
tennero le consuete solenni esequie
pel cardinale, coli' intervento del
sagro collegio, della prelatura, ed
altri che vi hanno luogo, celebran-
do la messa e facendo le solite as-
soluzioni il cardinale Emmanuele
de Gregorio; dopo di che, secondo
la disposizione del defunto, fu nel-
la medesima chiesa tumulato il suo
cadavere nel sepolcro de' suoi cor-
religiosi : a fianco poi della cap-
pella di s. Biagio, la sua congre-
gazione coll'opera del valenle scul-
tore cav. Giuseppe Fabro beu ai-
FON
fetto al cardinale, gli eresse un
marmoreo deposito, dal medesimo
artista immaginato ed eseguito. Es-
so consiste in una base che stando
a ridosso del destro pilastro della
cupola, regge il bassorilievo in cui
è la Fama con un ginocchio pie-
gato in atto di scrivere in carat-
teri d'oro le virtù morali, i me-
riti letterari, le cariche e le ono-
revoli vicende del cardinale , ed
alludono a tali virtù gli analoghi
simboli ivi pure scolpiti. Sopra ev-
vi in bassorilievo una specie di
sarcofago, il quale termina in cima
con una sepolcrale cimasa ; e nel
mezzo vi si apre una sferica nic-
chia che racchiude il busto al na-
turale del defunto, fatto dal me-
desimo artista somigliantissimo per
ossequio mentre era in vita il car-
dinale; termina il monumento in
alto con frontespizio, ove nel mez-
zo si vede lo stemma del porpo-
rato, il tulio di marmo. La stessa
congregazione nel giorno 26 del
medesimo mese di marzo gli volle
dare un pubblico attestato della
venerazione , alta stima , e della
profonda riconoscenza verso la sua
illustre memoria, facendo celebrare
nella loro nominata chiesa un so-
lenne funerale onde pregar pace
alla di lui anima. Monsignor Pie-
tro Caprano arcivescovo d'Iconio,
poi cardinale, cantò la messa, do-
po la quale il p. abbate d. Placi-
do Zurla camaldolese, poi cardi-
nale , lesse il funebre elogio del
defunto, in cui con somma mae-
stria, con soda eloquenza, e con
prudente finissimo giudizio rilevò
i rari pregi, ed i meriti distinti
del medesimo, e che poscia fu pub-
blicato colle stampe. Il p. d. An-
ton Maria Grandi, pro-vicario ge-
nerale pel cardinale nella cougrc-
FON i55
gazione de' barnabiti, e procurato-
re di essa, ne scrisse la vita che
voleva stampare colle opere del de-
fuulo, ma la morte che colpi sì
rispettabile barnabita ne impedì
l'ellettuazione. Questa la dobbiamo
al p. d. Carlo Maria Narducci bar-
nabita, che nel 1823 pubblicò in
Roma coi tipi del Bourliè la Fitti
ed operette divote del cardinal Fran-
cesco Luigi Fontana, dedicando
l'opuscolo al cardinal Emmanuele
de Gregorio. Inoltre il p. Grandi
compose l' epigrafico elogio che si
legge nel suddescritlo monumento
sepolcrale.
FONTANA o FONTANIS. Luo-
go della diocesi d'Elna, ove nel-
l'anno 947 fu tenuto un concilio
sulla disciplina ecclesiastica. Lab-
bé tom. IX; Arduino tom. VI;
Lenglet, Tavolette cronol.
FONTANA o FONTE. Luogo
donde scaturiscono le acque. UMil-
liu definisce la fontana, luogo pre-
parato dalla natura o dall'arte, nel
quale si riunisce l'acqua di una o
di diverse sorgenti, affinchè servir
possa ai bisogni dell'uomo. Talvolta
sotto il vocabolo fontana s'indica un
edifizio destinato a ricevere, e a di-
stribuire l' acqua che vi è condot-
ta naturalmente o artificialmente.
Le fontane erano uno degli orna-
menti di cui le città greche pi-
gliavano grandissima cura onde ab-
bellire i diversi loro quartieri. I
greci dierono a quelle fontane un
aspetto esteriore piacevole, affinchè
si trovassero in armonia colle belle
statue, e i sontuosi edilìzi pubbli-
ci che ciascuna città condecorava-
no. Ciascuna di esse per lo meno
aveva una fontana celebre, consa-
giata a qualche divinità, o indi-
cata col nome del suo fondatore,
o con quello talvolta del luogo
i56 FON
in cui trovavasi situata; alcune fon-
tane avevano anche un nome,
che alla memoria richiamava qual-
che grande avvenimento che av-
venuto fosse nelle vicinanze. Pau-
saniu parlò molto delle fontane
principali della Grecia; e di mol-
te di queste fontane ne facemmo
menzione ai rispettivi articoli. Del-
le odierne e più rinomate egual-
mente se -ne fa parola in parec-
chi articoli di questo Dizionario, e
di quelle di Roma all'articolo Fon-
tane di Roma (Vedi). Ne si deve
tacere che antichissimo è l'uso di
distribuire il vino al popolo per
mezzo di fontane di vino, in occa-
sione di gioia e di festeggiamenti.
In Italia si fece scorrere sovente
il vino per le fontane nelle feste
puhhliche: sovente di fontane di
■vino parlano i nostri storici, e que-
ste vedevansi a Roma sino al de-
clinar del secolo passato, nella piaz-
za o cortile ove abitava 1' amba-
sciatore del re delle due Sicilie, in
occasione della solenne presenta-
zione al Papa del tributo della
chinea, per quel regno. Nei pos-
sessi de' Pontefici, e in quelli del
senatore di Roma, in questa città
più volte le fontane di Campido-
glio gettarono gran copia di squi-
sito vino, e talora dispensavasi con-
temporaneamente a' poveri il pane:
il vino poteva beverne chiunque.
Nelle relazioni dei possessi presi
della basilica lateranense da Leone
X, ed altri Papi, in alcuni luoghi
le fontane gettavano vino : in quel-
li di Urbano Vili, Innocenzo X,
Clemente IX, Clemente XI, Inno-
cenzo XIII ec. le fontane dei leo-
ni di basalto che sono alla scalina-
ta di Campidoglio egualmente get-
tarono vino. Anzi ne' possessi di
Clemente IX e di Clemente X,
FON
lo gettò pure la fonte a pie della
scalinata del palazzo senatorio. Pen-
ta I funzione Alessandro VII fece
dispensar gran quantità di vino
nel palazzo apostolico. Per l'ele-
zione dell'imperatore Ferdinando
III, il cardinal Maurizio di Savoia
al suo palazzo a monte Giordano
fece da un fonte uscir vino. Per
quella del gran maestro di Malta
Zondadari, gettò vino la fontana
del mascherone di Farnese. Che le
fontane della piazza di tal nome
gettarono vino, lo dicemmo all'ar-
ticolo Farnese Famiglia. Quando
nel 1841 il regnante Pontefice si
portò a Montefiascone, una fonta-
na gettava vino, per gioia e tri-
pudio di quegli abitanti. V. Acqua
e Vino. 11 Ghezzi scrisse sulPOn-
gine delle fontane , e dell'addolci-
mento dell'acqua marina, Venezia
1742; ed il cav. Filippo Scolari
da ultimo nel 1840 ci diede l'e-
rudita Memoria delle lodi dell'ac-
qua comune, e del saper beveria
e farne uso a presidio e riparo
dell' umana salute.
Nella sagra Scrittura questo vo-
cabolo fontana, fonte, o pozzo è
usato in diversi significati , cioè
per ogni sorta di sorgenti d'acqua,
ed anche con significato mistico
ed allegorico. Nelle medesime sa-
cre carte si legge di varie fontane,
celebri alcune anco a' nostri gior-
ni, come la fontana del Giudizio
o di Misphat, quella di Eliseo,
quella di Agar, di Rogel, del Dra-
gone, di Sansone, d'Etiope, la fon-
tana o pozzo di Giacobbe presso
la città di Sichem o Sicar, ed al-
tre, come di Siloe ec. Il Rinaldi
parla di molte fontane miracolose,
delle quali se ne fa menzione in
alcuni luoghi del Dizionario, e ne-
gli articoli delle Chiese m Roma:
FON
in quello della Chiesa di s. Maria
a Trastevere, si dice del fonte di
olio, prodigiosamente ivi scaturito
alla nascita di Gesù. Cristo. V .
Fo^te Battesimale, ove dicesi di
quelli miracolosi. Eranvi già delle
fontane avanti alle antiche chiese,
destinate per lavarsi le mani ed i
piedi. Oltre di quanto dicemmo
sull'uso di queste fonti, nel volu-
me XI, pag. 228 del Dizionario,
aggiungeremo che il Rinaldi al-
l'anno 57, num. io5, afferma che
gli antichi cristiani oltre all'acqua
benedetta che tenevano nei pili
all' ingresso delle chiese, solevano
edificare dappresso a queste le fon-
tane, cioè avanti le porte delle chie-
se, negli atri o portici, per lavar-
si le mani e la faccia prima di
entrare nella casa di Dio. Cerimo-
nia che derivò dai riti osservati
dagli ebrei, che lavavansi le mani
avanti di orare, ed i loro sacer-
doti si lavavano pure i piedi a-
vanti di entrar nel tabernacolo
e recarsi all'altare. Anche i genti-
li si lavavano nel recarsi ai loro
templi , essendo ammaestramento
di natura, non dover 1' uomo ac-
costarsi a Dio se non puro: i gen-
tili per le purificazioni fuori delle
porte de' templi, in mancanza di
fonti, tenevano vasi con acqua. Che
costumassero i cristiani sì della
Chiesa greca, che della latina la-
varsi le mani avanti l'orazione,
l'insegnano le antiche testimonianze
degli scrittori ecclesiastici, sebbene
non mancano molti santi padri di de-
clamar contro quelli che si lavavano
le mani, e non la coscienza. Altri
opinano che in luogo del lavacro
è succeduta l'acqua benedetta [Ve-
di), che tuttora si tiene nell'ingres-
so delle chiese. Il Sarnelli ne! toni.
VI delle Lettere ecclesiastiche, lett.
FON i57
XXV, num. 9, dice che stavano le
fonti avanti la chiesa affinchè quelli
che dovevano ricevere la ss. Eu-
caristia si lavassero le mani, per-
chè secondo gli antichi riti por-
gevasi in mano anco de' laici , e
per porsela in bocca, e per por-
tarsela a casa, ed ivi conservarla
privatamente, come rilevasi da s.
Cipriano, De lapsis, ove riporta mol-
ti esempi di castighi divini, dati
a coloro che con indegne mani ri-
cevevano la ss. Eucaristia.
Sì fatti fonti presso le chiese vo-
glionsi eretti anco per comodila dei
poveri ; tale fu quello che eresse il
Papa s. Damaso I nell'atrio della
basilica vaticana. Questo fonte per
comodo de' poveri e de' pellegrini
era diverso da quello dal medesi-
mo Pontefice e nell'istesso luogo
edificato pel battesimo , come av-
verte il Severano, Memorie sagre,
pag. j5 e seg. Dell'origine ed uso
di questi fonti, colle testimonianze
de' padri e degli storici antichi, il
Severano ne parla a p. 62, dicen-
do che Papa s. Simmaco n'eresse
uno nell'atrio della Jxisilica di s.
Paolo, e che il Pontefice s. Uaio
nel fabbricare presso il battisterio
lateranense l'oratorio della Croce,
dinanzi fece fare un fonte nel por-
tico, circondato di cancelli di bron-
zo, e di colonne di porfido forate,
le quali gettavano l'acqua nell'istes-
so fonte. Il p. Lupi che nel tom. I
delle sue Dissertazioni discorre eru-
ditamente degli antichi fonti delle
chiese, come dei pili per l'acqua
benedetta, distinguendo gli uni da-
gli altri, dice che tali fonti presso
le basiliche furono pure chiamati
bagni pei pellegrini e pei poveri ,
come fu quello del patriarchio la-
teranense, della basilica vaticana di
s. Leone III, del monistero di s. Pao-
ìóltt FON
10 sulla via Ostiense, e in s. Loren-
zo al campo Verano. Circa il rap-
presentarsi dagli antichi artisti nel-
le pitture e mosaici delle chiese
simbolicamente fonti e fiumi, il Se-
vcrano ci dà la spiegazione de' fiu-
mi e del fonte rappresentato nel
mosaico della tribuna lateranense.
11 Buonarroti nelle Osservazioni sui
vetri antichi j dice che quando si
simboleggiano i fiumi del paradiso
terrestre che scaturiscono dal mon-
te, in cui è Cristo, o l'agnello, si-
gnificano gli evangelisti ; nelle sue
Osservazioni sui medaglioni antichi,
a pag. 94 parla de' fiumi o striscie
rosse in certe vesti de' greci chia-
mate mandia. Parlando allegorica-
mente delle fonti, con esse venne-
nero indicati i figliuoli e tutta la
posterità d' Israele ; la purità del-
la dottrina della Chiesa cattolica,
quella cioè degli apostoli mandati
dal Salvatore; il santo battesimo,
la vera e celeste sapienza; la gra-
zia santificante che ha seco la ca-
rità e gli altri doni dello Spirito
Santo, e per non dir di altre mi-
stiche allegorie, i fonti sono figure
di Cristo stesso, da cui derivano
tutte le salutifere e limpidissime
acque per dissetar coloro che vi-
vranno eternamente.
FONTANE di ROMA. Delle Ac-
que ed acquedotti di Roma , come
della Congregazione, cardinalizia
delle acque, ne parlammo a quegli
articoli. Volendo ora qui dire qual-
che altra cosa sulle acque, e com-
pendiosamente trattare delle fonta-
ne e fontanili della città di Roma,
principalmente facciamo notare il
comune opinamento, che non av-
vi città in tutta 1' Italia dove le
acque, le fontane, e i fontanili sie-
no più abbondantemente e più ric-
camente all' uso pubblico esposti ,
FON
alla delizia, all'ornamento, al de-
coro della città, alla salute de' suoi
abitanti, come Roma e le sue vil-
le e giardini. La natura, gli anti-
chi romani , e i sommi Pontefici
cooperarono progressivamente con
indefesso zelo a rendere anche con
le acque , meravigliosa la capita-
le del mondo, ed ora del cri-
stianesimo, ricca comunque di ve-
ne limpide e perenni, ed alcu-
ne di scaturigine incerta. Ne vi
ha abituro o cortile, non viale o
giardino senza che un sonante fon-
te lo animi e rallegri. Svariate, ra-
pide ed in buon numero sono le
sorgenti indigene delle acque, che
la natura avea già predisposte nel-
le sue viscere, avanti pure che dal-
la vigilanza e munificenza de' Papi
venissero di quando in quando rial-
lacciate tali vene. Contansi in fatti
tra le scaturigini proprie del suo
terreno molte vene serpeggianti nel-
le cisterne , le più profonde delle
quali sembrò ad alcuno che fosse-
io quelle che si versano dentro ai
pozzi del famigerato colle Palati-
no, innalzandosi a mano a mano
dentro gli altri non men celebri
colli Pincio, Aventino, Esquilino e
Viminale. Questi interni ruscelli
che sono pur limpidi e freschi, e
che poco o nulla di minerale con-
tengono in soluzione, nascono tutti
dal suolo romano; ed è opinione
dei naturalisti che il volume di
tante acque basterebbe da per sé
solo a dissetare gli abitanti, e ser-
virebbe ai comodi ancora, quando
coli' opera dei noti pozzi artesiani
fosse con giusta bilancia distribui-
to. Anticamente le sorgenti indige-
ne erano in maggior numero e vo-
lume, tutte però potabili per la
loro saluberrima qualità.
Scile sono le principali vene che
FON
olire a ci?» manda fuori il suolo «li
Roma , le acque delle quali pure,
chiare e dolcissime, si raccolgono
in altrettante fonti ad uso pubblt-
ro. La prima di queste si chiama
1* acqua del Grillo, perchè uscendo
fuori ni la falda meridionale del col-
le Quirinale cade in una fontana
posta dentro al palazzo di proprie-
tà de' signori Grillo, situato presso
l'arco de' Pantani, d'onde tiene tal
nome. Chiamasi la seconda di s.
Felice, perchè nel fabbricato di quel
cortile posto alla làida occidentale
del Quirinale ed incontro la date-
ria, ove dimora parte della fami-
glia pontifìcia, essendo stato il con-
vento de' cappuccini prima che pas-
sassero ove sono, avevano essi costrui-
to la fonte, ed insieme al fabbricato
ed al cortile prese il nome dal
convento ch'era detto di s. Felice.
Al principio della salita di s. Ono-
frio, che conduce sul celebralo col-
le Gianicolo , sorge fuori I' acqua
Lancisiana , dal suo ritrovatole
Lancisi archiatra di Clemente XI
cos'i appellata. Siccome acqua uti-
le persuase il Papa a concederla
nel 1720 in vantaggio del vicino
arcispedale di s. Spirito in Sassia ;
e siccome dicemmo altrove, per
cura del commendatore di quello
stabilimento monsignor Antonio
Cioia , sgorga in un recipiente al
lato sinistro del porto Leonino a
beneficio pubblico sino dal i83o,
essendo decorato delle armi mar-
moree di Pio Vili, e del suo se-
gretario di stato cardinal Giuseppe
Albani, al tempo de' quali il fon-
te fu eretto. Qui però noteremo
che il porto Leonino ha nel suo
mezzo un altro fontanile, decoralo
da un gran mascherone di marmo,
da cui discende la Pia : acrjua che
sorge alla laida del Gianicolo, sot-
FON ìru)
io la villa Marescotti, e che prima
messa a speco da Pio IV in picco-
Io fonte a porta Cavai leggieri, ma
poscia smarrita, fu da Clemente XI
ricuperata, e da Pio VII rintrac-
ciata e riallacciata di nuovo: fi-
nalmente Leone XII nel 1827 ne
condottò una porzione dentro la
città per uso del detto arcispeda-
le , e per comodo pubblico nella
mentovata fonte di mezzo al por-
to , per suo ordine fabbricato in-
contro il palazzo Salviati. Altrove
pur si disse, che dal Gianicolo pro-
viene I' acqua Jnnocenziana , per-
chè incondottata da Innocenzo XI
od isgorgare in una pubblica va-
sca per comune utilità al principio
della salila che conduce alla chie-
sa di s. Pietro Montorio. La sesta
acqua è poi quella di s. Damasp,
di antico corso, come rilevammo in
alcuni articoli , e che circa un mi-
glio distante dalla porta Cavalleg-
gicri si rinvenne nel quarto secolo:
di quest' acqua è il fonte del cor-
tile del palazzo vaticano detto per-
ciò di s. Damaso, ed anche delle
loggie di Raffaello, per quelle ivi
dipinte da quel sommo artista. In-
nocenzo X la diramò nel 1649, ed
eresse il fonte in discorso. La set-
tima è Y acqua delle Api, che ha
le scaturigini alle radici del colle
Vaticano, pregevole per la salubri-
tà e leggerezza, fu scoperta nel
giardino papale nel 1 G37 sotto Ur-
bano Vili, il quale la fece condur-
re in una fonte del portico del
gran cortile di Relvedere, e dal
suo slemma gentilizio scolpilo nel
fonte chiamasi delle Api. Dopo ses-
santa anni dacché fu trovala la)
sorgente, venne quest'acqua deri-
vata in parte fuori del palazzo va-
ticano, e passa nell'atrio della vi-
cina chiesa di s. Maria delle Gra-
160 FON
zie presso la porta Angelica. Da
ultimo, e nell'odierno pontificato,
mediante una macchina idraulica ,
l'acqua delle Api è slata distribui-
ta in buona parte per comodo del-
le diverse abitazioni, facendola sa-
lire sino al tetto del medesimo son-
tuoso palazzo, con grandissimo uti-
le de' famigliari pontificii.
Tutte le suddette acque sono
potabili, e devono reputarsi delle
migliori per le loro proprietà fisi-
che, di natura benigna, tersa e
limpida. Il eh. dottore Pietro Car-
pi professore di mineralogia e sto-
ria naturale neh' università roma-
na, avendo analizzato le acque di
Roma trovò in esse qualità tali da
annoverarle fra le acque potabili
le più pure che si conoscono. Dal-
la sua analisi chimica pubblicata
nel 1 83 r, risulta, che in una lib-
bra medicinale delle medesime ac-
que, composta di grani 6912, tro-
vami appena da due a quattro gra-
ni di sostanze fisse, cioè di principii
stranieri che vi sono disciolti. Dal
che concluse quel dotto, analizzan-
do ancora le acque avventizie, non
esservi città in cui le acque pota-
bili sieno tanto abbondanti e tanto
salubri quanto Roma. E la natura,
che a largo mano profuse di che
dissetare gli abitatori del suolo ro-
mano, non fu avara nemmeno di
acque acidule e minerali alla pur-
gazione de' visceri, ed a riacquistar
la salute, anche usate come bagno
sono buone. Tali sono 1' acqua ace-
tosa, V acqua santa, e l' acqua di
s. Giorgio : ma le chimiche quali-
tà di questa, ultima non corrispon-
dono alla fiducia che ne ha il vol-
go, ed ha le proprietà dell' acqua
naturale e comune. Il ruscello del-
l' acqua di s. Giorgio in VelabrOj
presso la chiesa di tal nome, va a
FON
perdersi nella cloaca massima. Di
queste tre acque ne parlammo nel
citato articolo Acque, per cui qui
faremo cenno dell' edilìzio delle due
prime. L' acqua acetosa, così delta
dal suo sapore acidulo, ha la sor-
gente fuori della porta Flaminia ,
lungo il Tevere presso il ponte
Milvio , ed esce da tre bocche.
La fonte deve la sua costruzione
al cavalier Lorenzo Bernini , ed
i Pontefici Paolo V , Innocenzo
X, Alessandro Vìi, e Clemen-
te XI , ebbero cura di mante-
nerla a vantaggio della città , i
cui abitanti in gran numero vi
concorrono nelle prime ore del
mattino della primavera, e di esta-
te principalmente, dappoiché si pre-
ferisce di beveria ove sorge per
provarne gli utili effetti. Tre mi-
glia circa fuori della porta s. Gio-
vanni, nella via Appia nuova, a
a destra, si trovano i bagni del-
l'acqua minerale detta acqua santa,
il di cui comodo locale è proprie-
tà dell' arcispedale di s. Giovanni
in Laterano. Questa è un' acqua
che ha la sorgente in fondo alla
valle, per le cui qualità è eccellen-
te anche in bevanda, della quale
ordinariamente se ne intraprende
la cura nella stagione estiva. La
detta acqua poi di s. Giorgio, che
molti bevono nell' estate ove sorge,
come limpida e leggera, vuoisi che
sia 1' acqua medesima chiamata da-
gli antichi acqua di Mercurio, che
scaturiva poco distante dalla por-
ta Capena. Dicesi ancora che sia
l' acqua celebre di Argentina, e
quella che animava l' antico e no-
to fonte di Giuturna. Il dottissimo
avv. Fea commissario delle antichi-
tà romane, trovò le due sorgenti in
un antico bottino situato nell'orto
o vigna del monastero di s. Gre-
FON
gorio sul monte Celio, di proprietà
de' monaci camaldolesi.
Le acque del fiume Tevere (Ve-
di) che attraversa la città di Roma,
potrebbero usarsi depurate in ci-
sterne per bevanda, come ne fece-
ro uso gli antichi romani sino al
quinto secolo di Roma. Più tardi
1' usarono molti abitanti della re-
gione di Trastevere, ed i Papi Cle-
mente VII, Paolo III, e Gregorio
XIII; acqua assai superiore a quel-
le del Tamigi e della Senna, se-
condo le interessanti analisi del eh.
Antonio Chimenti professore .degli
elementi di chimica nell' università
romana, pubblicate nel i83o. Ciò
è quanto la natura seppe insinua-
re di fluido nel terreno del suo-
lo romano, e a meglio esprimersi
quanto il caso e l' industria seppe-
ro trarre fuori dal suo seno. Ma
non se ne contentarono gli antichi,
ai quali forse una maggiore popo-
lazione, o un timore d' incendio e
assalto, richiedevano maggiori co-
se. Trassero in fatti i sagacissimi
romani antichi tante' sorgenti di
acqua nella loro patria, che al dire
degli idraulici più sensati, i loro
acquedotti conducevano tanto liqui-
do in Roma, quanto ne conduce
giornalmente la Senna in mezzo a
Parigi, quando le sue acque non
soverchiano il loro ordinario livello.
Secondo una statistica, oltre i cin-
que acquedotti, le fontane pubbli-
che monumentali si fanno ascendere
a cinquanta, e le piccole fonti pub-
bliche a cento. Il Fontana ci diede
in Roma nel 1647: Raccolta delle
principali fontane di Roma. Mon-
signor Nicolò Maria Nicolai nel
1829 stampò in Roma : Opera sul-
la presidenza delle strade ed ac-
que e sua giurisdizione economica.
Contiene il lesto delle relative leg-
vol. xxv.
FON 161
gi, i regolamenti, l' istruzioni, e i
dettagli di esecuzione. Finalmente
1' avvocato d. Carlo Fea, lume ed
onore anche di questo argomento,
pubblicò in Roma nel i832: Sto-
ria delle acque antiche sorgenti in
Roma perdute, e modo di ristabi-
lirle j e storia dei condotti antico-
moderni delle acque Vergine , Fe-
lice e Paola, e loro autori. Con
suggerimenti per aumentare le loro
acque, e migliorarne la qualità ;
loro analisi chimica , unitavi quel-
la delle acidule e termali nelle vi-
cinanze della città. Con un codice
diplomatico delle costituzioni dei
sommi Pontefici restauratori delle
medesime. Delle provvidenze prese
finora dalle congregazioni destinate
sopra di esse, dai cardinali camer-
lenghi, presidenze delle acque, ca-
mera capitolina ec. ; colla relazione
delle iscrizioni antiche, ultimamente
scoperte delle acque Claudia, o Tra-
iana ; ed altre moderne relative ai
condotti attuali, parte inedite, parte
stampate inesatte.
Le fontane pubbliche e monu-
mentali di Roma vengono alimenta-
te principalmente da tre diverse ac-
que, cioè la Felice, la Paola, e la
Vergine detta anche di Trevi. Pri-
ma parleremo dell' acqua Felice,
poi della Paola, indi della Vergine,
e per ultimo delle principali fon-
lane pubbliche e monumentali di
Roma. Nel pontificato di Gregorio
XIII, come indicammo di sopra,
gli abitanti della regione di Tras-
tevere, ed altri erano costretti di
bere 1' acqua del fiume Tevere, che
i benedettini di s. Calisto, e i car-
melitani scalzi di s. Maria della
Scala, dimoranti nella slessa regio-
ne, per non dire di altri, depurava-
no entro apposite cisterne: in tem-
pi anteriori giravano per Roma i
1 1
iC2 FON
■venditori di acqua, anzi vuoisi che
per mancanza di fonti ciò durasse
sino a Sisto V, e il famoso tribu-
no Cola di Rienzo, era figlio di
una donna che vendeva l' acqua
per Roma. Fu pertanto nel i58i
proposto a quel magnanimo Pon-
tefice di restituire ai colli di Roma,
ridotti in gran parte disabitati e a
vigne, le acque che anticamente
godevano, progettandosi di far de-
posito presso le terme Diocleziane
di quelle acque che copiosamente
scorrevano a rivoli nelle alture di
Pantano de' Griffi dappresso al ca-
stello della Colonna, unendovi le
acque già servite all'acquedotto del-
l'imperatore Alessandro Severo per
le sue terme. Mentre il Papa vo-
leva mandare ad esecuzione il piano
colla cooperazione dei conservatori
di Roma, che ne volevano acqui-
stare porzione per condurla al Cam-
pidoglio, morì nel i585. Gli suc-
cesse Sisto V d' animo grande e
nato fatto per strepitose imprese,
il quale approvò il progetto con
alcune modificazioni , e si accinse a
farlo eseguire per vantaggio della
città, ed anche per servirsi di tali
acque nelle sei fonti della villa vi-
cino alle terme Diocleziane da lui
fabbricata, ed ora del principe Mas-
simo, il quale nel 1 836 pubblican-
done le Notìzie storiche, in argo-
mentò ci die analoghe ed erudi-
tissime nozioni. Quindi a' 4 giugno
1^87, dopo avere Sisto V visitato
le sorgenti, a' i5 dello stesso me-
se l' acqua si vide fare magnifica
mostra di sé sulla piazza di Ter-
mini presso le terme memorate : ne
furono arebitetti Matteo Bartolani,
e Giovanni Fontana che compì l'o-
perazione, nella quale s' impiegaro-
no da due mila a tre mila lavo-
ranti per le livellazioni ed acque-
FON
dotti. L' universal tripudio de' ro-
mani per aver guadagnato 700 on-
de d'acqua, e la medaglia fatta
perciò coniare dal Papa colla sua
effigie, e l'epigrafe: unda sempf.h fe-
iix, resero più celebre questa ma-
gnifica provvidenza. Le medaglie fu-
rono dispensate da Sisto V ai prin-
cipali signori della città, a' suoi fa-
migliari, ed a quelli che avevano
avuto parte nell' opera. Dal suo
nome battesimale, il Pontefice cbia-
mò Felice tale acqua, ma non es-
sendo stato eretto nel condotto al-
cun purgatorio, come usavano gli
antiebi, restò il difetto della sua
poca purezza, il quale si aumentò
dopo l'unione ad essa delle due ri-
folte de' mulini di Pantano, una
delle quali, cioè la nuova spettante
al principe Borghese, fu tolta nel
1828, sotto Leone XII.
Nel 1621 Gregorio XV fece al-
lacciare nel territorio della sua fa-
miglia Ludovisi, oggi appartenente
ai Pallavicini , due vene di circa
4o oncie , tutte e due delle Pan-
tanelle e fontana Galla , la quale
acqua riconosciuta buona fu ag-
giunta alla Felice. Nel 1642 Ur-
bano Vili ne raccolse altre 3oo
oncie in un bottaccio rimanente
dietro la rifolta verso la mola di
Pantano , e trovatele egualmente
buone fece introdurle nel condot-
to. Da ultimo e nel 1 838 a cagio-
ne della poca buona costruzione ,
il condotto dell'acqua Felice, un
miglio circa fuori la porta Maggio-
re, rovinò un tratto ch'è nella vi-
gna de' religiosi serviti. Il Papa
che regna accorse a riparare il gra-
ve danno colla direzione del va-
lente capo degli ingegneri cav. Lui-
gi Brandolini , facendo rifare di
nuovo quindici archi con ottima
opera muraria. Accioccbè il hvoro
FON
progredisse con diligenza e pron-
tezza, di frequente vi si porto Gre-
gorio XVI, non risparmiando ascen-
dere sull'acquedotto, ed incoraggi-
re gli esecutori del lavoro : a me-
moria del benefìzio, sui nuovi ar-
chi fu collocata una marmorea i-
scrizione. Già sino dai 6 agosto
i834 il medesimo Pontefice, col
chirografo L' evidente di/iiiiiuzione,
diretto al cardinal Gazzoli, prefet-
to della congregazione delle acque
e strade, e presidente d'ella com-
missione deputata per l'acqua Fe-
lice , provvide all' uniformità del
metodo e regolarità di sistema da
osservarsi nella distribuzione del-
l'acqua Felice fra coloro che per
diritto ne godono l' uso. Di fianco
alla fontana di Termini , vi è il
nuovo castello fatto costruire dal
lodato Pontefice, quando die ope-
ra all' accennata distribuzione del-
l' acqua Felice , e sulla porta una
marmorea iscrizione tramanda ai
posteri sì fatta misura. E qui no-
teremo che nella Raccolta delle leg'
gì e disposizioni di pubblica animi-
lustrazione dello stato pontifìcio,
sono riportati altri regolamenti e
provvidenze emanate negli ultimi
tempi non solo sull' acqua Felice ,
ma ancora sulle acque Paola e Ver-
gine. Ivi sono pure riportati i re-
golamenti e le provvidenze pub-
blicate per le fontane di Roma ,
comprese quelle soggette alla giu-
risdizione del magistrato romano.
L'acqua Paola è l'antica acqua
Traiana che l' imperatore Traiano
fece condurre in Roma onde for-
nire di acque salubri la regione
trasteverina, la quale era ridotta a
servirsi dell'acqua Alsieatina, luri-
da e poco salubre, e ch'era sta-
ta condottata da Augusto per la
sua naumachia. Le sorgenti dell'ac-
FON itì3
qua Traiana sono venticinque mi-
glia lungi da Roma fra il lago Sab-
batino poi detto Bracciano , e le
terre di Bassano e dell'Oriolo, do-
ve si vedono le antiche allacciatu-
re ed i ricettacoli che riuniscono
le acque presso Vicarello in uno
speco comune. Questa acqua fu di-
retta a Roma sul colle Gianicolo ,
ove giungeva per mezzo di un'ope-
ra arcuata, le cui vestigia veggon-
si a sinistra fuori la porta s. Pan-
crazio, ed in Roma sotto il casino
di villa Spada , dove l' acquedotto
terminava formando una magnifica
fontana. L' acqua continuò a flui-
re sino all'anno 537 dell'era no-
stra, ed una parte di essa era
particolarmente destinata a far gi-
rare le mole erette sulle falde del
Gianicolo, per cui Vitige all'assedio
di Roma troncò l' acquedotto per
privar la città di macinazione, ed
obbligarla alla resa. Quindi Belisa-
rio ristaurò l' acquedotto , che nel
752 fu di nuovo troncato da Ai-
stulfo re longobardo , restando in-
terrotto vent'anni, finche Adriano I
nel 772 lo ristaurò, e cosi ristabi-
lite vennero le mole. Nel secolo IX
l' acquedotto restò di nuovo inter-
rotto, venendo nell'827 l'istaurato
da Gregorio IV; e dopo le irru-
zioni de' saraceni dell' 846, essendo
di nuovo rimasto troncato , fu da
s. Nicolò 1 ristabilito. Altro non si
sa di questo acquedotto, che tutta-
volta proseguiva a fluire nel Vati-
cano nel i56i sotto Pio IV. Men-
tre era in pieno deperimento , il
grandioso Paolo V nel 1607 inco-
minciò a trattare co' conservatori
di Roma il ripristinamento di tale
acqua, che nell'anno seguente per
la maggior parte acquistò dagli
Orsini , mentre nel 1 6 1 1 portò a
compimento l'operazione a mezzo
164 FON
di Giovanni Fontana e di Carlo
Maderno. Il Papa fece riedificare
dai fondamenti porzione del con-
dotto colla spesa di scudi quattro-
cento mila, in parte ricavati dalla
vendita dell'acqua a scudi duecen-
to 1' oncia , avendone donata mol-
tissima. Cosi Paolo V ridonò il
corso alla sola e pura acqua Traia-
na in once mille e cento, dirigendo-
ne 800 alla sua mostra principale
presso la chiesa di s. Pietro Mon-
torio, e 3oo al Vaticano : due me-
daglie celebrarono queste provvi-
denze, una col fontanone della gran
mostra , l' altra coli' acquedotto ri-
pristinato, oltre diverse iscrizioni in
marmo collocate in differenti luoghi.
11 Fea, nella Storia delle acque,
dice che Paolo V ricondusse in
Roma la maggior parte dell'acqua
Traiana, e che la comprò coi con-
dotti antichi per ignoranza, o per-
chè non si volle valere del diritto
pubblico.
Di poi essendosi rotti i condot-
ti della gran mostra mentovata,
insinuandosi l'acqua nel monte Gia-
nicolo , cagionò la caduta dell' in-
ferior parte di esso con ispavento dei
trasteverini, e pericolo della chiesa
e convento di s. Pietro in Molito-
rio : Urbano Vili prontamente ne
riparò il danno. In seguito le ac-
que si aumentarono, avendone nel
1646 raccolte buona quantità In-
nocenzo X nel territorio dell' An-
guillaia, nel luogo chiamato Am-
polline. Indi nel pontificato di Ales-
sandro VII, venendo nel i658 mi-
surala 1' acqua da Luigi Bernini ,
se ne trovarono oncie 1752 e mez-
za, cioè oncie 337 e mezza anda-
vano al Vaticano, e 707 al Gia-
nicolo, le quali venivano dimedia-
te avanti di giungere alla gran mo-
stra per la quantità d' acqua ven-
FON
duta o regalata a parecchie vigne,
giardini e ville, fra le quali oncie
37 donate da Urbano Vili, e da
Innocenzo X alla villa Pamphily,
della famiglia del secondo. Paolo V
per la manutenzione dell'acquedot-
to e condotti assegnò in luoghi di
monti annui scudi 900, a cui ne
aggiunse altri Innocenzo X; ma es-
sendo poi diminuita tal rendila, la
supplenza venne ripartita a coloro
che usavano dell'acqua Paola. Alla
custodia di questa amministrazione
delle rendite fu istituita la congre-
gazione dell'acqua Paola, compo-
sta dai prelati tesoriere, commen-
datore di s. Spirito , da un chieri-
co di camera, e dal commissario
della medesima , sotto la presiden-
za d' un cardinale: però questa
presidenza Clemente XI la riunì a
quella dell'acqua Vergine e Feli-
ce, sebbene l'acqua Paola conser-
vò 1' offizio separato di notare Nel
1659 il duca Ferdinando Orsini
esibì ad Alessandro VII l'acqua
del lago Sabbatino, detto dell' An-
guillaia o di Bracciano, per nutrir
le grandi fontane della piazza Va-
ticana. L' offerta fu ricusata per
l' impurità dell' acqua del lago , e
poscia dal duca Flavio nel 1672
venne offerta, ed accettata da Cle-
mente X, nel quantitativo di mille
oncie. Fu stabilito che giunta l'ac-
qua a Roma, la metà appartenes-
se al tribunale dell'acque, e le al-
tre 5oo oncie a disposizione del
duca. L' acquedotto camerale del-
l'acqua Paola di circa 1809 oncie
dividesi in due rami al luogo chia-
mato la Tedesca : il ramo princi-
pale si dirige a s. Pietro Montorio,
per la gran mostra , distribuzione
agli utenti, movimento di mole,
cartiere, gualchiere ec. , ed entran-
do nella botte de' Sette dolori, si
FON
sparge in moltissimi luoghi pub-
blici e privati. L'altro ramo di on-
ce 780 si conduce al palazzo e
giardino Vaticano, non che ad al-
tri luoghi sì pubblici che partico-
lari. Da ultimo nel 1829 alle ac-
que del lago Sabbatino si aggiun-
sero quelle di un lago minore det-
to Marsignano, alquanto più alto,
e ciò per supplire nelle stagioni di
gran siccità alla scarsezza delle ac-
que del lago Sabbatino.
L'acqua Vergine si deve a Mar-
co Vipsanio Agrippa, il quale mol-
to operò essendo edile in vantag-
gio degli acquedotti per abbellire
i suoi deliziosi giardini che avea
nel Campo Marzio ne' dintorni del
Pantheon, e principalmente per for-
nire di acqua perenne le terme ivi
da lui edificate. Senza profittare
delle acque già introdotte in Ro-
ma, costrusse un nuovo acquedot-
to allacciando le sorgenti che for-
mavano pantani nell'agro Lucullano,
otto miglia distante dalla città sul-
la via Collatina, l'anno di Roma
727, che corrisponde a 27 anni
avanti la nostra era. Marco diede
a questa acqua il nome di Vergi-
ne, perchè andando i suoi soldati
in traccia delle sorgenti, una ver-
ginella ne mostrò alcune che ser-
virono di guida a conoscere le al-
tre. Questa è la stupenda acqua
che viene tuttora in Roma in gran-
de abbondanza , ed è purissima :
comunemente chiamasi di Trevi
dal nome della contrada dove og-
gi forma la gran fontana. L'acque-
dotto ha circa quattordici miglia
di giro, ed entra in R.oma moder-
na traversando il monte Pincio sot-
to la villa Medici , indi alle Ter-
me. Quest'acqua ch'era di livello
inferiore all'Amene vecchio, anche
anticamente era la più apprezzata
FON iG5
fi-a le acque di Roma per la grata
sua temperatura. Siccome l'acque-
dotto veniva fuori della città qua-
si sempre sotterra, ebbe a soffrire
meno l'anno 537 nel'a memorata
devastazione di Vitige. La trascu-
ratezza però de' secoli seguenti ri-
chiamarono la munificenza di A-
driano I, che nel 786 lo risarcì in
modo che restituì a Roma le ab-
bondanti sue acque. Nicolò V, ver-
so la metà del secolo XV ristaurò i
suoi condotti prossimi ad essa an-
dati in rovina, ed ornò la princi-
pale fonte entro la città. I condot-
ti furono pure rislaurati da Sisto
IV , e di poi Pio IV incominciò
1' opera di riportare in Roma l'ac-
qua Vergine dalla sua sorgiva di
Salone , compiendone l' impresa s.
Pio V, il quale diede corso a vari
ristagni dell'acqua Vergine, ossia
di Salone, specialmente nelle vici-
nanze di monte Pincio , con che
venne pure a purgarsi le strade, ed
a farsi migliore l'aria. Questa ope-
razione ebbe ad esecutori Luca Pe-
to, Giacomo della Porta, e Bar-
tolomeo Gritti. Quindi s. Pio V
con moto -proprio del 1570 com-
mise la custodia dell' acquedotto ,
l'amministrazione e la distribuzio-
ne dell' acqua Vergine a due car-
dinali, ed ai conservatori di Roma,
oltre tre cavalieri.
Il successore Gregorio XIII nel
i574 cominciò e proseguì la distri-
buzione dell'acqua per tutta la cit-
tà, ciò che la morte impedì effet-
tuare al predecessore. Il medesimo
Gregorio XIII diresse la gran condot-
tura per sei ampi condotti subalterni,
esistenti ne' rioni di Ponte, di Pa-
rione, di Campo Marzio e di s. Eu-
stachio, in servigio de' privati e del
pubblico, come pure in ornamento
singolare di Roma. A Gregorio XIII
166 FON
pure si attribuisce il costoso lavo-
ro del secondo ramo del condotto
annesso, il quale diviso in tre tubi
uniti entro un masso di muro, dal-
la botte in piazza di Spagna detta
di s. Bastianello, si dirige lungo la
via Condotti alla botte di Gaetani,
da dove per gli accennati sei tubi
si diffonde in tante diverse parti
della città; mentre il primo ramo
antico del condotto, di sotto il Pin-
cio passando, conduce l'acqua alla
principale sua mostra presso al Tri-
vio. Va notato die il ramo dell'ac-
qua Vergine proveniente dal Pin-
cio , da Gregorio XIII diretto per
la via Condotti alla botte de' Gae-
tani , fu fatto scorrere entro tre
condotti, uno grande nel mezzo, for-
mato da due lastre di travertino
1' una sull' altra , e due laterali di
terra cotta, detti doccioni, il tutto
circondato da un gagliardo masso
di muro. Nel pontificato di Leone
XII però , nella parte superiore
della via Condotti, venne sostituito
ai tre mentovati condotti un solo
grosso tubo di piombo, e nell'odier-
no del regnante Gregorio XVI, nel-
la parte inferiore della via stessa ,
ad esso tubo se ne congiunsero tre
altri pure di piombo, che cammi-
nando entro una comoda forma,
vanno a far capo alla ridetta bot-
te Gaetani. E qui aggiungeremo
che entrando l' antico acquedotto
nel Campo Marzio sopra archi, va-
ri monumenti contava, dove questi
traversavano pubbliche vie, ed uno
ancora ne rimane presso il collegio
Nazareno. Consiste questo monu-
mento in un arco interrato di tra-
vertino , analogo per la costruzio-
ne e per "io stile a quello grandio-
so dell'acqua Claudia a porta Mag-
giore ( il quale è stato isolato e reso
al primiero splendore dal Papa re-
FON
gnante ). Dalla sua iscrizione rile-
vasi che Claudio l' anno di Roma
799, e dell'era nostra 46, avea ri-
fatto dalle fondamenta gli archi
dell'acqua Vergine, distrutti dal
suo predecessore Caligola impera-
tore. Ora passeremo a indicare, col
medesimo ordine alfabetico, le prin-
cipali fontane pubbliche di Roma
fregiate di qualche decorazione, sen-
za parlare delle moltissime erette
a solo comodo de' cittadini , inco-
minciando da quelle alimentate dal-
l' acqua Felice , proseguendo con
quelle che derivano dall'acqua Pao-
la, terminando con quelle nutrite
dall' acqua Vergine. Sulle località
ove sono erette tali fontane, sono
a vedersi gli articoli delle chiese ,
piazze ed edilizi presso cui sono.
Di altre fontane degne di speciale
menzione esistenti in Pvoma, e luo-
ghi suburbani , ne' palazzi , giardi-
ni, ville ed altri edilizi, se ne trat-
ta a' rispettivi articoli, in molti dei
quali facemmo pur menzione del-
le seguenti fonti. Per le fontane di
Roma, oltre gli autori succitati, e
quelli mentovati all' articolo Ac-
que, fra' quali si distinse Alberto
Cassio , nella sua dotta opera che
trattando del corso delle acque an-
tiche portate sopra quattordici ac-
quedotti da lontane contrade nelle
XIV regioni o rioni di Roma, del-
le moderne e di altre nascenti nel
1757, parla con piena cognizione
delle fontane di Roma; di queste
ne scrissero pure egregiamente Ri-
donino Venuti nella sua Roma mo-
derna, ed Antonio Nibby nella sua
Roma nell'anno 1 838 descritta,
opera mai abbastanza Iodata per
erudizione e critica: nella parte
prima antica ha trattato degli ac-
quedotti antichi , e de' monumenti
superstiti relativi alle acque, castelli
FON
di divisione, fontane, ninfei, pisci-
la ee. ; nella seconda moderna ha
descritto le fontane pubbliche di
Roma, con tavole incise delle prin-
cipali. In quanto alle medaglie co-
niate per le fontane di Roma, sono
a vedersi le opere dei niunismati
pontificii.
Fontane dell'acqua Felice.
Fontana di Ter/nini. Forma la
mostra principale di tale acqua, ed
è situala nel rione Mónti sulla
piazza di s. Susanna, lungo la stra-
da che conduce a porta Pia. E
chiamata corrottamente di Termini
dalle vicine terme di Diocleziano.
Sisto V la fece edificare dall'ar-
chitetto cav. Domenico Fontana,
tutta di travertini, con l'ornamen-
to di quattro colonne ioniche, due
di cipollino, e due di breccia gri-
gia, le quali coi loro contropilastri
reggono l'architrave. Su di questo
s'alza l'attico, terminato da una
cornice sostenuta da due pierritti,
sopra la quale si vede l'arme Pe-
retti di quel Pontefice , retta da
due angeli, e sovrastata da una
croce posta su tre monti, essendo
ai due lati due piccole guglie. In
mezzo all'attico viene celebrata da
un'iscrizione l'acqua Felice, porta-
la in Roma da Sisto V. Tra le
quattro colonne apronsi tre grandi
nicchie sfondate e decorate : le due
laterali contengono altrettanti bas-
sorilievi in marmo, rappresentanti
quello a destra Gedeone, il qua-
le fa esperimento, dal modo di be-
re, de suoi migliori soldati, scolpi-
to da Flaminio Vacca ; quello a
manca Aronne che guida il po-
polo alle acque sospintissime dopo
lunga e crudel sete, scoi tura di
Gio. Battista della Porta. La nic-
FON 167
chia di mezzo contiene la statua
di Mosè, il quale accenna colla
mano dritta le acque scaturite
prodigiosamente dal sasso a risto-
ro del popolo d'Israele, opera del-
lo scultore Prospero Bresciano. Se
Della Porta cadde nell' errore di
rappresentare Aronne vestito degli
abiti sacerdotali, mentre il sacer-
dozio non era stabilito, Prospero
pose nella mano sinistra di Mosè
le tavole della legge che non a-
veva ancora ricevute, ed in fron-
te que'raggi che Dio gli fece spun-
tare dappoi, e quel eh' è peggio
esegui la statua più corta del bi-
sogno, ad onta che ne fosse repli-
catamente avvertito nel lavorarla :
quando si persuase del grave er-
rore, ne morì in giovanile età di
malinconia, perchè in' essa perde
l'onore ch'erasi acquistato colle pre-
cedenti scolture. Per di sotto alla
statua di Mosè ed ai due basso-
rilievi sgorgano tre grosse bocche
d'acqua, la quale va a cadere in
tre vasche sottoposte , tramezzate
da quattro leoni di marmo bianco
gittanti acqua dalla bocca, entro
altre tre vasche poste innanzi alle
prime. Questi leoni appartenevano
alla villa che la famiglia Cibo, già
signora di Carrara, aveva in Ca-
stel Gandolfo, che essendo stata
acquistata da Clemente XIV, in
un alle altre statue divennero pro-
prietà del palazzo apostolico, per
cui Pio VII li fece insieme tras-
portare nel pontificio giardino del
Quirinale. Da questo li rimosse il
regnante Gregorio XVI, e li fece
collocare ad ornato del fonte Sisti-
no, in luogo di que' quattro leoni
che nella sua erezione vi si po-
sero, reputando quelli di grauito
piuttosto degni del Museo -Egizio
(Fedi), che in Vaticano ha eretto,
i68 FON
per meglio conservarli, per il loro
distinto pregio, e per le iscrizioni
<> geroglifici egizi che hanno nelle
basi; mentre gli altri due leoni per
la loro decadenza non erano più.
convenienti ad ornare il fonte, per
cui a cagione del loro cattivo stato
furono posti nel detto giardino Qui-
rinale. I primi due leoni sono di
granito egiziano bigio, più duro del
granito orientale; ed anticamente
stavano sulla piazza del Pantheon,
e si crede che servissero di deco-
razione al sepolcro di Marco Agrip-
pa. Gli altri due leoni sono di mar-
mo statuario, ed esistevano ai lati
della porta di s. Giovanni in La-
terano, prima che Sisto V li to-
gliesse per porli coi due altri leo-
ni in questa sua fontana, che ha
all'intorno una balaustrata di tra-
vertini. L' edilizio ha un aspetto
nobile ed imponente. Il Novaes nel-
la vita di Sisto V, tom. Vili,
p^g. n3 e 1 1 43 nel descrivere l'ac-
qua da lui portata in Roma, e
questa maggior mostra della me-
desima, dice che nella medesima
piazza di Termini eresse una pub-
blica vasca d'acqua, affinchè in es-
sa le donne potessero lavare i pan-
ni comodamente.
Le quattro fontane. Sono nel
rione Monti, agli angoli del qua-
drivio formato dalle quattro stra-
de, delle quali una conduce al Qui-
rinale; l'altra a piazza Barberina,
via Felice, e monte Pincio; la ter-
za a porta Pia; e la quarta a s.
Maria Maggiore. Queste quattro
fontane l'eresse Sisto V: ciascuna
è contenuta entro una nicchia sca-
vata appositamente. Due di queste
nicchie sono quadre, e due girate
io arco: quelle stanno ai lati del
palazzo Barberini, e del palazzo
Galoppi, queste agli angoli della
FON
chiesa di g. Carlino, e del palaz-
zo Albani. Le statue 6ono giacenti,
di travertino, maggiori del vero,
avente ciascuna dappresso un pic-
colo getto d'acqua, che si versa
in sottoposta vasca di egual pietra.
La prima statua l'appresenta la
Fedeltà, che ha vicino il cane sim-
bolo della medesima ; la seconda
la Fortezza, che appoggiasi ad un
leone, e vicino una palma ed uno
struzzolo; la terza e la quarta fi-
gurano due fiumi, versanti acqua
da un'urna, forse l'Aniene e il
Tevere. Pietro Berrettini da Corto-
na architettò la fonte sotto il pa-
lazzo Barberini; delle altre ne fu
architetto Domenico Fontana. Que-
ste quattro fonti danno il nome
alla contrada, una delle più belle
di Roma.
Fontana del Tritone. Questo
vaghissimo fonte posto nel rione
Colonna, si ammira in mezzo alla
piazza Barberini, così detta dal vi-
cino e sontuoso palazzo della fami-
glia di tal nome, della quale fu
Urbano Vili, che ivi la fece erigere
dal cav. Lorenzo Bernini. Questi
siccome spiritoso nelle invenzioni,
pose quattro delfini colla testa in
basso e le code rivolte in su, fra
cui sono due arme del Pontefice, e
sulle quali collocò una gran con-
chiglia aperta. Da questa esce con
tutto il busto un gigantesco trito-
ne, il quale ha la faccia rivolta al
cielo, e alzando le braccia dà fiato
vigorosamente ad una buccina, e
da essa si slancia in alto con im-
peto un grosso zampillo d'acqua,
che con mirabile effetto ricade in
ispruzzo nella conchiglia, da dove
si versa dentro un'ampia vasca cen-
linata, chiusa all'intorno con ispran-
ghe di ferro, in parecchie colonnine
di marmo. Nella piazza medesima,
FON
sul canto destro di via Felice, Ur-
bano Vili eresse un altro minor
fonte, pei bisogni del popolo. 11
Bernini lo compose di una conchi-
glia di marmo bianco, dentro la
quale dalle bocche di tre api sgor-
gano le acque, e nel cui coperchio,
che figura d' essere aperto, e per-
ciò appoggiato alla parete, in me-
moria del benefizio fu scolpita una
iscrizione in cui essendo segnato
1' anno XXII del suo pontificato, e
morendo il Papa prima che vi en-
trasse, fu cassato un numero e ri-
dotto a XXI. Ciò die motivo ad
una satira del frizzante Pasquino,
che il Novaes descrive nel tom. IX,
pag. 274 e seg. in un all'iscri-
zione.
Fontana incontro a Villa Me-
dici sul Pincio. Sotto un ombroso
cocchio di antichissime querce, e nel
rione Campo Marzio, si vede que-
sto fonte. Componesi d' una tazza
di granito con piede di marmo, po-
sato su d' un piedistallo simile ot-
tangolare. Nel centro della tazza da
una grossa palla, e prima da un
giglio, sgorga un getto d' acqua, che
poi cade nella tazza, e da essa in
una vasca interrata di forma otta-
gona con fasce di travertino. II
fonte fu fatto erigere dal cardinal
Alessandro de' Medici, poi Leone
XI, dinanzi alla villa di sua nobi-
lissima famiglia, con disegno di An-
nibale Lippi.
Fontana del Quirinale. V. Obe-
lisco Quirinale.
Fontane del Campidoglio . V.
Campidoglio.
Fontana in piazza d' Aracoeli.
Questa nel rione Campitelli rimane
incontro al palazzo Muti-Bussi, e fu
fatta erigere da Sisto V. Sorge nel
piano sopra due gradini di traver-
tino ovali e centinati. Si compone
FON 169
d' una tazza di forma simile, ma
di marmo bianco, ornata con cin-
que teste di leone. Su questa taz-
za ve n'è altra di simile marmo,
ma di forma rotonda, con suo pie-
de in cui sono le arme del senato
e popolo romano, oltre quelle di
Alessandro VII, che fece ristorare
la fontana, aggiungendovi in poca
distanza un abbeveratoio per pub-
blico comodo. In mezzo alla tazza
superiore vi è un gruppo di quat-
tro putti in marmo bianco, tenente
ognuno un' anfora, ed insieme sos-
tenendo sulle spalle tre monti, fa-
centi parte della stemma di Sisto
V, mentre dal più alto monte sgor-
ga l' acqua in uno zampillo, rica-
dendo poi nella tazza rotonda, e da
questa per quattro bocche di mo-
stri riversandosi nella tazza ovale.
Fontana in piazza di s. Maria
in Portico o Campitelli. Nel rione
di tal nome è tal piazza, nella, cui
estremità orientale a' tempi di Si-
sto V fu eretto il fonte, con ar-
chitettura di Giacomo della Porta.
Si compone d' un basamento otta-
gono centinato, sul quale posa una
tazza di simile forma, in cui sono
le armi del senato e popolo roma-
no, il tutto di pietra tiburtina. Den-
tro la nominata tazza ne sorge al-
tra rotonda di marmo bianco, il
cui piede è adorno di qualche fre-
gio : da questa sgorga in alto 1' ac-
qua, che poi si riversa nella prima,
da dove per la bocca d' un mostro,
cade poscia in un piccolo abbeve-
ratoio a vantaggio pubblico. Il fonte
appartiene al senato romano, che
più volte lo fece restaurare, ed è
chiuso all' intorno da colonnine di
travertino, e spranghe di ferro.
Fontana detta delle Tartarughe.
Fu edificata nel rione s. Angelo,
nel 1 585, dal magistrato di Roma,
i7o FO|
co' disegni di Giacomo della Porta.
Questa bella ed elegante fontana
esiste propriamente sulla piazza
Matlei detta delle Tartarughe, da
quelle che adornano il fonte, ed
incontro alla porla che mette alla
giunta fatta al ghetto degli ebrei da
Leone XII, come dicemmo a quel-
l' articolo. Consiste in una vasca
centinata di travertini, con basamen-
to interno di marmo bianco a quat-
tro faccie, con suoi ornamenti. Sul
basamento posa una tazza rotonda
<iJ cgual marmo con piede liscio
ed alto. Ciascun angolo del ba-
samento ha una statua in bronzo
rappresentante un giovane intera-
mente nudo, e tutti e quattro sono
in varie attitudini, tenendo ciascuna
statua uo piede sul capo d'un del-
fino, che sgorga acqua dentro la
sottoposta conchiglia di marmo
bianco, e sollevando un braccio mo-
stra di tenere una tartaruga di
metallo sul labbro della tazza supe-
riore, quasi per farla bere. Tanto
1' acqua che in questa tazza ricade
dal getto saliente, quanto quella
che rigurgita dalle conchiglie va a
riversarsi nella vasca inferiore. Tut-
to il monumento è chiuso in giro
ila spranghe di ferro, ferme in pic-
cole colonne di travertino, e dalla
parte del ghetto avvi congiunto un
abbeveratoio per uso del popolo,
nel 1750 eretto dal senato romano.
Matteo bandi ai modellò le quattro
belle statue dei giovani, ed Ales-
sandro VII nel 1661 fece restau-
rare il fonte.
Fontana di piazza Giudea. V.
EfiSSL
Fontana in piazza Montanara.
Rimane nal rione Ripa, poco di-
stante del teatro di Marcello, ed è
formata di due tazze di travertino,
una maggiore sorgente dal piano,
FON
minore l' altra, e collocata sulla
prima, posandosi su piedistallo, da
cui sgorgano quattro bocche d' ac-
qua per servizio del popolo, men-
tre il getto superiore serve di ab-
bellimento. Il fonte appartiene al
magistrato romano come si vede
dagli stemmi, e dal medesimo fu
più volte ristorato, ciò che pur fe-
ce Innocenzo XII. V. Chiesa di s.
Nicola in Carcere, ove parlasi di
questo luogo.
Fontana della bocca della ven-
ta. Nel rione Ripa, sulla piazza
della chiesa di s. Maria in Cosine-
din, Clemente XI nel 1 7 i5 l'eres-
se con architettura di Carlo Biz-
zacchcri, con bella immaginazione.
Sul piano della piazza si vede una
vasca amplissima di travertino cen-
tinata, con sottoposto gradino di
egual pietra. Nel mezzo della vasca
è un aggruppamento di scogli,
egregio lavoro di Filippo Bai : que-
sti scogli servono di base a due.
giganteschi tritoni scolpili da Fran-
cesco Moratti in travertino, i quali
appoggiano le loro code sul masso
intrecciandole bizzarramente fra lo-
ro, ed alzando le braccia mostrano
di reggere sul dorso due conchiglie
aperte e congiunte, ove sono le ar-
me di Clemente XI. I monti, parte
del medesimo suo stemma, sono
nel mezzo delle conchiglie, e dal
più alto sgorga con impeto l'acqua
che ricade poi sulle conchiglie, e
nella gran vasca. Poco lungi, a
pubblico vantaggio, Clemente XI
fece erigere un vasto ed ampio fon-
tanile, per cui i conservatori di Ro-
ma proibirono 1' abbeverare gli ani-
mali nel fonte nobile, che per cau-
tela fu circondato da molte colonne
di travertino. I canonici della men-
zionala chiesa celebrarono 1' erezio-
ne del fonie e 1' appianamento del-
FON
la piazza, con iscrizione in marmo,
che posero sotto il portico.
Fontana in piazza di s. Maria
de Monti. Nel rione di tal nome e
sulla piazza di fianco a questa chie-
sa, nel pontificato di Sisto V il
senato romano la fece erigere da
Giacomo della Porta. Su tre gra-
dini di pietra tiburtina, ricinti da
piccole colonne con isbarre di ferro,
sorge la vasca ottagona di egual
marmo, in cui sono scolpite le ar-
mi del detto civico magistrato.
Dentro sono due tazze di travertino
co' loro piedi 1' una sopra 1* altra :
dall'ultima più eminente, esce il
getto d'acqua, che ricade in essa e
si riversa poi nella seconda più
bassa, da cui per la bocca di quat-
tro teste leonine piove nella vasca
ottagona. Dal lato orientale il fon-
te ha un piccolo abbeveratoio, nel
quale sgorga l'acqua per tre monti,
porzione dello stemma di Sisto V.
Dal canto opposto, di rimpetto al
fianco della chiesa, esiste nella va-
sca ottagona un distico fattovi scol-
pire dal senato romano, ed allusi-
vo ai restauri procurati al fonte da
Innocenzo X.
Fontana in piazza di s. Gio-
vanni in Luterano. V. Obelisco
Lateranense.
Fontana in piazza di s. Maria
Maggiore. Nel rione Monti ed in-
contro alla facciata esterna di tal
chiesa, congiunta alla colonna, di
cui parlammo al volume XIV, pag.
3 1 5 del Dizionario^ si eleva il fonte
sopra quattro gradini, cou vasca di
forma oblunga centinaia di traver-
tino, avente nei lati maggiori due
piccole tazze con getto d' acqua per
pubblico uso. Nel centro della va-
sca sorge sul suo piede una tazza
rotonda, di mezzo a cui sgorga in
alto un zampillo che in essa rica-
FON ,7.
de, e per otto listole si diffonde
poi nella sottoposta vasca. Ne fu
architetto Carlo Maderno, per or-
dine di Paolo V che l'eresse.
Fontane dell'acqua Paola.
Fontana o Fontanoni di s. Pie-
tro in Molitorio. Dietro questa chie-
sa, nel rione Trastevere, sulla vetta
del colle Gianicolo, si vede questo
imponente fonte, che è la mostra
principale dell'acqua Paola o Tro-
iana, la quale prende il nome dal
luogo. Questa amplissima fontana
fu fatta erigere dal munifico Pao-
lo V con architettura di Giovanni
Fontana e di Carlo Maderno. Il
suo magnifico prospetto è .tutto di
pietra tiburtina con l'ornamento di
sei colonne ioniche poste sopra al-
te basi, le quali quattro sono di
granito rosso, e due di bigio : tutte
insieme sostengono l'architrave e i
suoi membri d' intaglio , nel cui
fregio è il nome del Pontefice, e
l'anno 1612, epoca in cui l'opera
fu eseguita. Sopra l'architrave s'in-
nalza un attico che ha all' estre-
mità due draghi, parte dello stem-
ma Borghesiano di Paolo V, e nel
mezzo uno specchio o tavola di
marmo con cornice sostenuta da
due pierritti, ove si celebra V ac-
qua restituita a Roma, con analo-
ga iscrizione. Sulla cornice dell'at-
tico elevasi una nicchia in arco ,
ornata ne' fianchi con cartocci ed
aquile, nel cui centro è Io stem-
ma di Paolo V retto da due geni
alati, e sovrastato da una croce
posta tra due fanali. Nei cinque
vani che ricorrono fra le sei co-
lonne, apronsi altrettante nicchie
sfondate, tre maggiori nel mezzo,
e due minori dai canti. In fondo
alle prime sono tre vani, corrispon-
*7*
FON
denti ad un amenissimo orto , e
per di sotto le acque sgorgano a
guisa di tre fiumi in grosso volu-
me, cadendo con fragore in tre
conche sottoposte, da dove poi con
strepito crescente si precipitano nel-
l'immensa vasca di marmo bianco
che dà finimento alla fontana, e
costruita con quelli del foro di
Nerva. Le nicchie laterali minori
contengono due draghi, dalla cui
bocca esce l'acqua con prodigiosa
veemenza, e si versa nella gran
vasca. Dipoi nel 1691 Alessandro
Vili, volendo perfezionare l'opera
meravigliosa di Paolo V, non solo
fece purgar il condotto ed aggiun-
gervi nuove acque, ma per accre-
scere la magnificenza di questa mo-
stra principale, dilatò l'ampia con-
ca, ingrandì l'area dinanzi ad essa,
che stava sull'orlo del precipitoso
monte, assicurandone il ripido de-
clivio con parapetto di gagliardo
muro; in memoria di che dentro
la nicchia di mezzo fu posta l'ar-
me degli Oltobuoni, ai quali ap-
parteneva Alessandro Vili , con
corrispondente iscrizione. Nel pon-
tificato del successore Innocenzo
XII , monsignor Paolo Borghese
fece erigere un fontanile lateral-
mente al giardino, allora botanico,
oggi nobile sede dell'inclita Acca-
demia d'Arcadia ( Fedi), per ab-
beverare le bestie onde non più
ciò facessero alla gran vasca , che
a meglio difenderla Con basse co-
lonne di marmo la cinse, e saldi
ripari di ferro. V^. Chiesa di s.
Pietro Mortorio.
Fontana in piazza di s.' Maria
in Trastevere. Nella piazza e rio-
ne di tal nome, Adriano I eresse
un fonte, forse alimentato dalle
acijue del prossimo monte Giani-
colo, ristorato poi da Alessandro
FON
VI, e da Giulio li nel i5io. In-
di essendo rimasto privo d'acque,
i conservatori di Roma lo nutri-
rono con quelle della Felice, con-
dottevi pel ponte antico senatorio
rifatto da Gregorio XIII, ed ot-
tenute in dono da Gregorio XIV
nel 1 59 1. Però a cagione d'una
furiosa inondazione del Tevere ,
spezzatosi il condotto, dovè risar-
cirlo Clemente Vili, contribuen-
dovi il romano magistrato, con di-
segno del Fontana. Essendosi di
nuovo spezzato il condotto del pon-
te, Alessandro VII vi condusse l'ac-
qua Paola , restaurando ed abbel-
lendo il fonte, ciò che pur fece
Innocenzo XII a mezzo di Carlo
Fontana, che totalmente lo rinno-
vò. In tal modo la fontana diven-
ne una delle più ragguardevoli di
Roma, sia per l'elegante forma, sia
per la copia e ragionata distribu-
zione delle acque. Dal piano della
piazza elevasi una gradinata otta-,
gona di quattro scaglioni, circon-
data da ventiquattro colonnine, nel-
la più parte di granito bigio e rosso :
su di essa posa l'ampia vasca di tra-
vertino a quattro facce con risalti ne-
gli angoli, formanti quattro altre fac-
ce minori. Nel centro di questa vasca
è una base coll'arme de' conservato-
ri di Roma, su cui posa il piede
d'una tazza rotonda di granito;
dal mezzo della tazza elevasi un
grosso gettito saliente d'acqua, la
quale poi ricade in essa, e per la
bocca di quattro teste di lupo zam-
pilla in altrettante conchiglie , da
dove si riversa nella sottoposta va-
sca. Le conchiglie sono situate agli
angoli, ed hanno il coperchio che
si rovescia in fuori , contenendo
nella parte esteriore quattro tar-
ghe ornate di festoni , il tutto di
pietra tiburtina. Sotto alle targhe
FON
si leggono quattro iscrizioni , che
l'anno la storia del fonte. Sulla
stessa piazza , poco distante dalla
chiesa, evvi un abbeveratoio pub-
blico, con acqua abbondante.
Fontana di ponte. Sisto. Accan-
to al ponte di tal nome , nel rio-
ne Regola, incontro alla spaziosa
■via Giulia, Paolo V feccia erigere
da Giovanni Fontana , con 282
once d'acqua condottavi sopra gli
archi del ponte. Ha il prospetto
di travertino a bugne con grande
nicchia sfondata e girata in arco,
ai cui lati sono due colonne ioni-
che di marmo venato, le quali sor-
reggono l'architrave. Su questo s'al-
za un attico con ornato ai fianchi
di cartocci , e terminato da un
frontespizio acuto, tagliato in mez-
zo per contenere l'arme del bene-
fico Papa : nello specchio dell'atti-
co si vede una iscrizione monu-
mentale. In fondo alla nicchia, nel-
la parte superiore, sgorga il mag-
gior volume dell'acqua per larga
bocca, e dopo essere caduta nella
sottoposta conca retta da menso-
la, cade con molto strepito e bel-
l'effetto dentro la vasca di traver-
tino a centine, situata a livello
della strada. In questa vasca en-
trano pure i due violenti zampilli
uscenti dalle bocche dei draghi a-
lati, scolpiti nell' imbasamento del-
le colonne, come pure vi si ver-
sano quelle che sgorgano dalla boc-
ca di due teste leonine, poste ai
lati de' draghi. Tutto il monumen-
to è cinto in basso da ringhiera
di ferro, assicurata su sei mezze
colonne di granito rosso.
Fontana del mascherone di Far-
nese. V. Farxese famiglia.
Fontana sulla piazza Farnese.
V. Farnese famiglia.
Fontana dentro il ghetto degli
ebrei. V. Ebrei. .
FON i73
Fontana di piazza di Castello.
Nel rione Borgo, al principio della
Città Leonina (Fedi), dappresso il
Castel s. angelo (Fedi), e tra le
due strade di Borgo vecchio, e di
Borgo nuovo, cioè nell'angolo for-
mato dalla casa che le divide, è
la fonie edificata da Paolo V con
architettura di Carlo Maderno. Dal
piano della strada s'alza la vasca
centinaia di travertino, incassata nel
muro della casa, e chiusa innanzi
con ispranghe di ferro, fermate in
cinque colonnine di marmo, aventi
scolpito un drago, parte inferiore
dello stemma di quel gran Papa.
Cade l'acqua nella vasca, rigurgi-
tando da una conchiglia superiore,
ove la versa, formando un venta-
glio, la bocca d'una maschera, or-
nata nei lati di cartocci , e sopra
dall'aquila borghesiana. Più in al-
to, entro cornici, fregiata d'ornati
diversi, e sormontata dall'arme di
Paolo V, avvi l'iscrizione a suo
onore.
Fontana in piazza dì s. Giaco-
mo Scossa cava Ili. Nella piazza di
tal nome nel rione Borgo, rimpet-
to al palazzo Torlonia, già Giraud,
con lodevole disegno di Carlo Ma-
derno, Paolo V innalzò sì elegan-
te fonte. Su due scaglioni di pie-
tra tiburtina elevasi l'ampia vasca
sferica centinata, avente ne' quat-
tro lati altrettanti zampilli, che
sgorgano in alto. Nel mezzo della
vasca , è un imbasamento quadro
su cui è posta una tazza rotonda
cogli stemmi di Paolo V, veden-
dosi nel centro una specie di pian-
ta acquatica da dove esce il getti-
to saliente. La fonte è chiusa in
giro da sedici colonnine, quasi tut-
te di bigio, munite di spranghe di
ferro. A comodo poi del pubblico
il medesimo Papa fece erigere due
174 FON
fontanelle agli angoli del palazzo
laterale, sulla via di Borgo vecchio,
abbellite cogli ornati suoi stemmi.
Fontane sulla piazza dì s. Pie-
tro in Faticano. Questa magnifica
piazza, posta nel rione Borgo, sino
dagli antichi tempi fu ornata con
alcune fonti. Una se ne ammirava
nel quadri portico della prossima
basilica vaticana, decorata colla pi-
gna e pavoni di bronzo, al modo
che si disse all'articolo Chiesa di
s. Pietro in Praticano (Vedi). Di-
seccata tal fontana , Adriano I la
nutrì di nuove acque prese dal
lago Sabbatino, come scrissero al-
cuni, ma piuttosto da quelle Tra-
iane da lui ricondotte in Roma.
Un'altra fonte rimaneva sulla piaz-
za innanzi alla basilica , a piedi
delle sue scale , con tazza di gra-
nito, eretta d'ordine del Papa s.
Simmaco. Una terza fonte nel mez-
zo della piazza l' innalzò Innocen-
zo Vili, assai bella ed adorna. Il
successore Alessandro VI la ridusse
in miglior forma , e Paolo V con
disegno di Carlo Maderno l'abbel-
lì, e coll'acqua Paola ne arricchì lo
sgorgo. Di poi questa fonte fu da
Alessandro VII, colla direzione del
cav. Bernini, trasportata in quel la-
to della piazza che risponde al pa-
lazzo pontificio, ove oggi si vede,
avendogli impedito la morte di co-
struirne un'altra simile dall' oppo-
sta parte. Ne eseguì però il conce-
pimento Clemente X, coli' opera del
cav. Carlo Fontana, e nella vigilia
dell'anno santo 1675 gettò acqua
con applauso universale. Alla po-
chezza delle accpie in proporzione
di sì grandiose foriti supplì Inno-
cenzo XI, aggiungendovi nuove ac-
que prese dal lago Sabbatino. Que-
ste due fonti sono eguali in tutto
e per tutto nella forma ; hanno
FOX
palmi sessanta di altezza, e pongo-
no in mezzo degnamente 1' Obelì*
sco Vaticano (Fedi). La loro fi-
gura è ottangolare, e si compongo-
no di una gran vasca centinaia di
travertino, che gira 12G palmi, e
si estolle dal piano della piazza poi-
palmi quattro. L' attorniano venti
colonnette di granito con isbarre
di ferro, per servirgli di riparo.
Dal centro della vasca si alza un
piedistallo a otto facce con arme,
negli specchi principali, de' Pontefici
che le fecero costruire, cioè di Cle-
mente X in quella dalla parte del
s. offizio , e di Paolo V nell'altra
dall'opposto canto. Posa sul piedi-
stallo una tazza di granito orien-
tale di un sol pezzo, con suo pie-
de rotondo, la quale ha palmi set-
tantadue di circonferenza e cinque
di altezza. In mezzo ad essa è col-
locato uno zoccolo o base, pure di
otto facce, ornato ne' lati da quat-
tro cartocci a guisa di mensole ro-
vesciate , il quale sostiene un cap-
pello di marmo a squamine della
circonferenza di circa palmi cin-
quantaquattro, e tre di altezza. So-
pra tale cappello scaturiscono per
molte fistole le acque salienti mi-
rabilmente e con magico effetto,
le quali a guisa d'impetuosa gran-
dine, tutte spumanti, per circa pal-
mi trenta in aria alzandosi , rica-
dono poi sul cappello e nella taz-
za, da dove con gagliardo strepito
sonoro si rovesciano nella vasca in-
feriore. Di queste lontane pure se
ne parla al citato articolo, e mas-
sime al volume XII, pag. 166 e 267;
notando qui clie quella dalla par-
te del palazzo apostolico vuoisi più
regolare ne! disegno dell'altra, es-
sendo la tazza di miglior gusto del-
l'altra. Noteremo che nella piazza
Rusticucci, congiunta a quella Va-
FON
licann, e die gli serve quasi d'in-
gresso, quando nel i8?.5 venne sel-
ciata a spese della rev. fàbbrica
di s. Pietro, fu rimossa la fontana
di pietra di forma quadrilunga, che
ivi sorgeva ad uso pubblico (che
ora vedesi inoperosa dietro le fon-
damenta della basilica vaticana), ed
in vece Leone XII eresse il fonte,
eh' è al destro lato dell'arco eret-
to da Pio IV al principio della stra-
da, che dal colonnato di s. Pietro
conduce a porta Angelica. Questo
fonte è incassalo nel muro; dalla
bocca d' un mascherone di marmo
sgorga l'acqua, che cade su ampia
vasca semicircolare, mentre da due
minori cannelle esce quella per at-
tingersi a mano.
Fontane dell' acqua tergine
o di Trevi.
Fontana di Trevi. Nel rione di
tal nome , e nella piazza dinanzi
alla chiesa de'ss. Vincenzo ed Ana-
stasio, ammirasi questa sontuosa
e principal mostra dell'acqua Ver-
gine o di Trevi. Avanti il ponti-
ficato di Urbano Vili l'acqua Ver-
gine aveva il suo maggiore emis-
sario per tre bocche nel luogo
stesso ove ora trovasi, ma rivolta
all'occidente, quasi di fianco alla
chiesa di s. Maria in Trivio, giusta
denominazione , essendo corrotta
quella di Trevi. (Di questa chiesa,
ora de' chierici regolari minori, è
a vedersi il volume XI, pag. 2o5
del Dizionario). Però Urbano Vili
verso l'anno 1627, volendo render
l' emissario più. visibile ai passeg-
gieri, lo volse dal lato meridiona-
le in cui sta ancora. Inoltre aveva
stabilito di abbellire l'emissario o
castello, con parecchie statue, ma
venne impedito d' eseguirlo dalle
FON 175
guerre che afflissero l'Italia. Rima-
sero le tre bocche dell' emissario
disadorne, versandosi T acqua in
semplice e bassa conca. Innocenzo
XIII Conti de' duchi di Poli, nel
suo breve pontificato non potè se-
condare alle premure de' parenti
di ornare la mostra di questo fon-
te, il cui condotto scorreva nasco-
sto lungo l'intero suo palazzo pa-
terno, del quale si parlò all'artico-
lo Conti Famiglia (Vedi). Nell'ul-
timo anno del suo pontificato, be-
nedetto XIII volendo nobilitare il
fonte, si propose di erigere sui tre
canali la statua di Maria Vergine,
con allusione al nome dell'acqua;
ma la morte ne impedì l'effettua-
zione. Gli successe Clemente XII,
che siccome d' animo grande, tro-
vando disdicevole che mentre l'ac-
qua Paola sul Gianicoto, e la Fe-
lice sull' Esquilino avevano ma-
gnifici monumenti , la sola acqua
Vergine, sebbene più di quelle
pregevole , e nel cuore di Roma
situata, si rimanesse assai negletta.
Quindi ordinò ai migliori architet-
ti un condegno modello per l'e-
dilìzio che voleva costruire. Molti
esperti artisti avendo corrisposto
al pontificio desiderio, ed esibite
al pubblico le loro opere, con ap-
plauso fu prescelto il disegno di
Nicola Salvi architetto romano, e
prefetto dell'acqua medesima. Dis-
posto l' occorrente , e condotta a
fine la maggior parte dell' edifizio,
sperava Clemente XII di presto
farvi scorrere l'acqua al nuovo pro-
spetto, nel quale fece porre le sta-
tue che dovevano esservi, lavorate
in istucco, finché fossero scolpite
quelle di marmo. Intanto nel 1736
fece coniar la medaglia coll'epigra-
fe : FONTE AQUAE VIRGIMS ORNATO,
e sull' alto del prospetto ordinò
,76 FON
che si collocasse analoga iscrizio-
ne. Tuttavolta a cagione delle oc-
correnti spese , nel 1 740 morì il
Pontefice senza la bramata soddis-
fazione, dovendosi abbassare l'an-
tico speco per renderlo capace di
maggior quantità d'acqua, necessa-
ria a mostrar nella sua uscita il
mare Oceano. Benedetto XIV che
gli successe, non potè sino al 1 744
mandar l'acqua, accresciuta di vo-
lume, nella nuova e magnifica sua
mostra. Mentre però lavoravansi
dagli scultori la maggior parte del-
le statue in marmo, quel gran
Papa passò nel 1758 agli eterni
riposi. Appena Clemente XIII sa-
lì sul pontificio soglio, die opera
all'ultimazione dell'edifìzio, che nel
1761 finalmente ebbe il suo splen-
dido compimento , e fu discoperto
in sua presenza a' 22 maggio, con
generale tripudio.
Questo imponente edilìzio è po-
FON
sto dal lato di mezzogiorno del
palazzo Poli , ora proprietà del
principe Boncompagno. L' intero
prospetto è murato in travertini,
e sorge da terra su imbasamento
a bugne, in cui apronsi parecchie
finestre con inferriate, rispondenti
dal lato orientale nel castello del-
l'acqua , e dall'occidentale in al-
cune stanze a terreno. L'ampia fac-
ciata è adorna ai fianchi di sei
pilastri corinti , e nel mezzo ove
forma un risalto, da quattro co-
lonne simili, quelli e queste sorreg-
genti un architrave con fregio a
cornice, al quale è sovrapposto un
attico finestrato nelle parti laterali,
ed in quella di mezzo un attico
sporgente, terminato da balaustra-
ta che ha nel centro lo stemma
di Clemente XII, retto da due fa-
me, il tutto scolpito in marmo da
Paolo Benaglia, e sotto la seguente
iscrizione :
CLEMENS . XII . PONT . MAX.
AQVAM . VIRGINEM
COPIA . ET . SALVBRITATE . COMMENDATAM
CVLTV . MAGNIFICO . ORNAVIT
ANNO . DOMINI . MDCCXXXV . PONT . VI
Nel fregio dell'architrave, proprio nella parte risultante, si legge:
PERFECIT . BENEDICTVS . XIV . PONT . MAX.
Framezzo ai pilastri, tanto da una
banda quanto dall'altra, apronsi due
ordini di finestre, che corrispondo-
no alle camere del palazzo. II ri-
salto del centro del prospetto con-
tiene tre nicchie scavate fra le co-
lonne: quella di mezzo è in for-
ma di tribuna, ed ha per ornato
quattro colonne ioniche sostenenti
l'architrave su cui girasi la calot-
ta abbellita da un gentile scom-
parto di cassettoni. Le due nicchie
laterali sono assai minori e di for-
ma quadra : nel fregio che ricor-
re su tutte tre le nicchie sono que-
ste parole allusive al compimento
dato all'opera da Clemente XIII:
POSITIS SIGNIS ET ANAGLYPHIS TABU-
LIS JUSSU CLEMENTIS XIII PONT. MAX.
OPUS CUM OMNI CULTU ABSOLUTUM.
A. domini mdcclxi. La nicchia gran-
de ossia tribuna contiene la statua
colossale in marmo bianco, scolpita
da Pietro Bracci, rappresentante Ì'O-
FON
cenno. Egli personificato sta in pie-
di sul carro composto di conchi-
glie, e sembra che in quel punto
esca dalla propria reggia, in atteg-
giamento maestosissimo. Il carro è
tirato da due smisurati cavalli ma-
rini condotti da due tritoni, quelli
e questi pure scolpiti dal Bracci.
Il cavallo a dritta dell' Oceano è
in atto d' impennarsi, 1* altro pro-
cede placido e quieto, con ciò vuoi-
si alludere all' incostanza del mare
ora tempestoso ed ora calmo. Per
di sotto al carro scaturisce l'acqua
in prodigiosa copia, la quale a so-
miglianza d'un rapido fiume entra
in una conca, da dove frangendosi
precipita in un' altra più ampia, e
da questa entro una terza più
vasta ancora , cadendo poi nella
sterminata vasca inferiore con istre-
pito sempre crescente.
Nella nicchia laterale, a diritta di
chi osserva, è collocata la statua
colossale della Salubrità coronata
d' alloro, ed avente nelle mani una
verga ed una coppa in cui si ab-
bevera un serpe; l'altra nicchia a
manca contiene la statua della Fer-
tilità, presso la quale è un vaso
rovesciato versante acqua, mentre
essa tiene colle mani un cestello
ricolmo di frutta d' ogni specie :
queste statue furono scolpite da Fi-
lippo Valle fiorentino. Sopra la
Fertilità vedesi un bassorilievo qua-
dro esprimente Agrippa che osser-
va la pianta degli acquedotti del-
l' acqua Vergine, scoltura di Gio.
Battista Grossi romano; 1' altro
bassorilievo sopra la Salubrità rap-
presenta la vergine ninfa in atto
di mostrare agli assetati soldati di
Agiippa la scaturigine dell'acqua
stessa, opera di Andrea Bergondi
romano. L'attico sovrapposto al ri-
salto del prospetto ha quattro sta-
vo!, xxv.
FON 177
tue assai grandi, rispondenti al vivo
delle colonne, che significano le
quattro stagioni co' loro attributi.
La Primavera fu scolpita da Bar-
tolomeo Pincellotti , l'Autunno dal
cav. Queriolo , 1' Estate dal Ludo-
visi , e l' Inverno dal Corsini. Dai
lati del gruppo di mezzo e delle
tre conche si allargano due immen-
se scogliere bizzarrissime, sparse di
piante aquatiche e di arbusti, fra
le quali in modo diverso scorrono
acque abbondanti, ora in ruscelli
nascosti, ora in zampilli palesi, sem-
pre però con varietà mirabile e bel-
la distribuzione. L' edilìzio dalla
banda d' occidente è chiuso da un
ricinto di piccole colonne di marmo
bianco con isbarre di ferro, il quale
prosiegue anche nella faccia meridio-
nale, se non che in questo ve n' è
un secondo, posto più in basso :
dal canto di oriente rimane chiuso
da un saldo muro che sostiene la
strada, e forma parapetto. Al fine
di questo muro, verso la piazza,
è un abbeveratoio per uso pubbli-
co, con grosso gettito d' acqua, aven-
done anche due altre copiose boc-
che per disotto entro il recinto. Dal
mezzo della faccia orientale per die-
ci gradini si scende al piano ov' è
la gran vasca centinata di marmo
bianco in cui tutte le acque del
fonte si raccolgono. La fontana di
Trevi per l'imponenza dell'edilìzio,
per l' incessante spettacolo del fra-
goroso gettito di fiumi d' acqua
spumeggiante, e pel complesso dei
suoi pregi, non dubitarono gì' in-
tendenti di giudicarla il più no-
bile e decoroso fonte, e forse l' u-
nico di tal genere che sia al
mondo, sebbene i critici dell'arte
vi rinvennero alcuni difetti per di-
chiararla opera perfetta. Dal fianco
orientale poi della gran mostra del-
12
i7B FON
l' acqua Vergine è situato il suo
castello, su cui è l'arme di Bene-
detto XIV, con marmorea iscrizione
che ne dichiara la sua beneme-
renza.
Fontana in piazza di Venezia.
Nella piazza di- tal nome, nel rione
Pigna, sotto il palazzo di Venezia,
accanto alla porta dell' oratorio di
s. Maria in s. Marco, evvi il fonte
che componesi di un' urna ovale di
granito rosso egiziano, versandosi
entro l' acqua per due tubi latera-
li. Questa preziosa urna balnearia,
come dicemmo all' articolo Farnese
Famiglia ( Fedi), fu trovata nel
pontificato di Paolo III in una vi-
gna fuori di porta s. Lorenzo, ed
il cardinal Alessandro Farnese ni-
pote del Papa ne fece l'acquisto,
onde surrogarla a quella che prima
ivi avea eretta Paolo II edificatore
del contiguo palazzo, e che il car-
dinale collocò nella piazza del suo
palazzo Farnese, accompagnandola
ad altra simile. Ciò essendo avve-
nuto con beneplacito di Clemente
Vili, e del magistrato romano, in
mezzo al prospetto semplice di
marmo bianco, è scolpita l' arme
del senato e popolo romano , con
analoga iscrizione.
Fontana detta del Facchino. Nel
rione Trevi, all' angolo meridionale
del palazzo de Carolis, poscia Simo-
netti, ed oggi Boncompagno, qua-
si rimpetto alla chiesa di s. Mar-
cello , la fece erigere Gregorio
XIII Boncompagno. SI compone
d' una mezza figura di marmo
bianco appoggiata alla parete, rap-
presentante un facchino vestito se-
condo il costume del XVI secolo,
il quale colle mani tiene avanti di
sé un barile, dal cui buco o coc-
chiume esce 1' acqua e si versa in
una sottoposta conca, poco più al-
FON
ta del livello della strada, che è la
nobile via del Corso.
Fontana di piazza Colonna. In
questa, nel rione del suo nome, ed
incontro alla colonna di Marco
Aurelio Antonino, ed al palazzo
Boncompagno, Gregorio XIII di
questa famiglia la fece erigere con
gentile disegno di Giacomo della
Porta. Su due gradini di traverti-
no, muniti attorno con colonnette
di granito bigio a sbarre di ferro,
evvi una bella vasca ovale centina-
ia, composta di più pezzi di mar-
mo detto porta santa, a quel tem-
po trovato in abbondanza nell'isola
sacra di Porto; ed ornata in giro
con fasce di marmo bianco e teste
leonine. Ai lati settentrionale e
meridionale della vasca, sono due
piccoli scogli , con sopravi due
delfini per ciascuno intrecciati col-
le code in una conchiglia rial-
zata , il tutto di marmo bian-
co : i quattro delfìni gettano ac-
qua dalla bocca, e di essa due
zampilli n' escono ancora da due
colonnine situate ne' canti orientale
ed occidentale della vasca. In mez-
zo elevasi una piccola tazza rotonda
di travertino da cui scaturisce uà
getto saliente. All' occasione che nel
1829 ne fece incominciare il re-
stauro Leone XII, fuvvi posta nel
mezzo la tazza rotonda, e vi furo-1
no collocati i gruppi dei delfini,
scoltura di Achille Stocchi.
Fontana in piazza della Roton-
da. V. Obelisco della. Rotonda.
Fontana in piazza di campo
de' Fiori. Nella piazza di questo no-
me, nel rione Campo Marzio, Gre-
gorio XIII la fece erigere a bene-
fizio pubblico ; e perchè il livello
dell'acqua Vergine rimaneva assai
più basso del luogo, così l' archi-
tetto pose la fonte circa uà uomo
FON
sotterra. Su ri" un ripiano lastricato
di travertini, a cui si scende per
due scaglioni, è una tazza ovale di
marmo bianco, con suo piede si-
mile, ai lati della quale sgorga
l' acqua per quattro bocche. La taz-
za ha il coperchio di pietra tibur-
tina con suoi corniciamenli, termi-
nato sull' alto da una palla. Gre-
gorio XV la fece interamente re-
staurare; e lo scarpellino, di sua
volontà o comandato, sulla cima del
coperchio sotto la palla scolpì que-
sta sentenza morale : Ama Dìo e
non fallire. Fa del bene e lassa
dire. MDCXXI.
Fontane di piazza Navona. V.
Obelisco di piazza Navona.
Fontana detta della Scrofa. Nel
rione s. Eustachio, sotto al conven-
to de' religiosi agostiniani, lungo la
via che da s. Luigi de'francesi con-
duce a Ripetta, e nella località del
suo nome. Sì compone della tazza
di marmo, sollevata dal piano in
cui cade l'acqua, che sgorga dalla
bocca d' una piccola scrofa, scolpi-
ta di basso rilievo in marmo , e
murata nella parete.
Fontana di Ripetta. V. Porto di
Ripetta.
Fontana sotto il palazzo Val-
dambrini. Nel rione Campo Mar-
zio , presso la chiesa di s. Rocco ,
Clemente XIV nel 1774 l'eresse
nell'angolo settentrionale del nomi-
nalo palazzo, già de' Fioravanti, e
del marchese Correa. Consiste in
una nicchia quadrata , con orna-
menti di architettura ed analoga
iscrizione. Dentro la nicchia è mu-
rata in alto una bizzarra testa di
uomo, scolpita in marmo bianco ,
dalla cui bocca sgorga l' acqua in
piccola tazza, da dove per due fi-
stole cade in un imbuto o mastel-
lo , che la trasmette pel buco o
FON 179
cocchiume entro una botte di mar-
mo bianco, posata in una specie di
vasca, e contornata di alcuni scogli.
Fontane in piazza del popolo.
V. Piazze di Roma.
Fontana del Babuino. Nel rione
Campo Marzio, nella via che dalla
piazza del Popolo conduce a piaz-
za di Spagna , a mezzo cammino
dal manco lato, Gregorio XIII fe-
cela erigere. Nella parete di una
casa apresi una nicchia girata in
arco , ornata ne' fianchi con due
pilastri a bugne rustiche , sorreg-
genti una cornice architravata a cui
sono posti parecchi scogli sparsi di
piante acquatiche , ed abbelliti al-
l' estremità da due grandi delfini ,
il tutto di pietra tiburtina. Nella
nicchia è seduto su alcuni scogli
un satiro in figura al naturale ,
presso cui è un gettito d' acqua
che si versa nell' urna quadrilunga
di granito bigio, retta da due pie-
di o zoccoli. La statua è di tra-
vertino, e per la sconcia sua figu-
ra , il popolo la chiamò Rabuino ,
nome che prese la contrada.
Fontana detta della Barcaccia.
V. Piazza di Spagna.
FONTE RA.TTESIMALE o SA-
GRO FONTE. Rattisterio chiama-
si l' edificio che contiene il fonte
battesimale, il quale è un vaso di
pietra, di marmo, o di bronzo, in
cui si conserva l' acqua benedetta
che si adopera per battezzare. So-
no bacini ordinariamente di forma
rotonda , ed elevati da terra, posti
sopra una base o pilastro. I fonti
battesimali sono chiamati fontes lit-
strales, fontes sacri, fontes bapli-
smatìs. Nella Chiesa romana due
volte all'anno si fa solennemente la
benedizione delle fonti : cioè la vi-
gilia di Pasqua di Risurrezione, e
la vigilia di Pentecoste. Le ceri-
180 FON
inotiie e le orazioni che si adope-
rano sono relative all'uso antico di
battezzare principalmente in quei
giorni ; e questa è una professione
di fede eloquentissima degli effetti
del battesimo, e delle obbligazioni
che s'impongono a quelli che l'han-
no ricevuto. In fatti la Chiesa chie-
de a Dio che faccia discendere sul-
l' acqua battesimale la virtù dello
Spirito Santo, e che doni a quella
il potere di rigenerare le anime,
di cancellarne le macchie, e render
loro la primitiva innocenza. Si me-
schia con quest'acqua il santo Cri-
sma (Fedi), che è il simbolo del-
l'unzione della grazia; vi si aggiun-
ge dell'olio de' catecumeni, per in-
dicare la fortezza da cui dev' esse-
re animato il battezzato; vi s'im-
merge il cereo pasquale, che colla
sua luce rappresenta lo splendore
delle buone opere e delle virtù
che il cristiano deve praticare, ec.
Questa benedizione delle fonti è an-
tichissima; e s. Cipriano dice che
si usava nel terzo secolo, e s. Ba-
silio nel quarto la riguardava co-
me una istituzione apostolica. Es-
sendo costume presso che generale
delle chiese, almeno romane, che
nel sabbato santo celebrano con
solennità la funzione della benedi-
zione del fuoco e del Lumen Cìiri-
sti ( delle quali parlammo ai volu-
mi VII, pag. 202, e VlII,pag. 319
del Dizionario), di coronar l'asta
triangolare che lo sostiene dei fiori
più odorosi e gai, cadendo tal fun-
zione appunto nei bei giorni di
primavera ; quindi nella stessa mat-
tina avendo luogo la benedizione
del fonte battesimale , è costume
dei canonici e clero vaticano , che
dopo celebrata tale benedizione se
ne ritornano in processione verso
il coro, portando in mano un maz-
FON
zetto di fiori freschi, che loro viene
distribuito dal maestro delle ceri-
monie nel venire che fa il clero
dalla cappella del fonte, il luogo
del quale è pure asperso di fiori
e di verzure.
Va però qui rammentato, come
si disse altrove, che il battesimo
non solo conferivasi nei due sabba-
ti santi di Pasqua , e Pentecoste ,
ed anticamente dai soli vescovi nel-
la cattedrale, ma eziandio nella fe-
stività dell' Epifania (Fedi), per
cui è ancora in vigore in alcuni
luoghi e diocesi la lodevole con-
suetudine , secondo il rito greco ,
eh' è già il gregoriano romano an-
tico, di benedir l' acqua nella vi-
gilia dell' Epifania. Dilatatasi la cri-
stianità fu d'uopo permettere non
solo che anco fuori di necessità
ogni giorno si amministrasse il bat-
tesimo, ma che altresì si estendes-
se più oltre della cattedrale la fa-
coltà d' amministrarlo , e quindi in
varie chiese della diocesi si eriges-
se il fonte battesimale, dando ai
sacerdoti che presiedevano ad es-
se lo specioso titolo di decani. In-
di a tali chiese si die il nome
di matrici, alle quali dovessero an-
dar soggette tutte quelle che non
hanno il sagro fonte, benché par-
rocchiali , ingiungendo ai decani
de' parrochi il dovere di portarsi
nei detti due sabbati alla sagra so-
lenne benedizione dell'acqua batte-
simale. Ed è perciò che in ogni
diocesi trovasi una legge sinodale
su tal proposito. E che non è pro-
prio se non delle matrici il bene-
dir il sagro fonte , lo prescrivono
pure parecchi decreti della sagra
congregazione de' riti, riportati dal
Cardellini. V. Battisterii, e il vo-
lume XI del Dizionario a pag.228,
ove se ne parla.
FON
Il Marangoni, Delle eose genti-
lesche e profune trasportate ad uso
ed ornamento delle chiese, tratta
pure de' fonti battesimali, narran-
do a pag. 2 1 1 come il fonte di
Diana fu commutato in chiesa e
sagro battisterio miracoloso, men-
tre a pag. 293 discorre di alcuni
fonti battesimali delle chiese, for-
mati colle urne, sarcofaghi e mar-
mi de* gentili, e del fonte di Fau-
no cangiato in battisterio dall'apo-
stolo s. Pietro. 11 Buonarroti nelle
Osservazioni de' medaglioni antichi,
descrive le fonti adornate con te-
ste di leone per bocchette , e coi
cervi dai romani Pontefici ne' bat-
tisterii ; come ancora della bocchet-
ta per i medesimi, fatta in forma
di maschera scenica. Alberto Cas-
sio nel tora. II del Corso delle acque
antiche, con l' illustrazione di mol-
te antichità, eruditamente ragiona
del fonte perchè vicino ai templi; del
fonte di Pastore ove situato dal
Nardini ; de' fonti santificati dai
ss. Pietro e Paolo per battezzare in
via Lata, o nel carcere Mamerti-
110; simile di s. Felice IV Papa nel-
la chiesa de'ss. Cosimo e Damiano,
non che di altri fonti. Per non di-
re di altri, abbiamo dall'annalista
Rinaldi molte analoghe nozioni, co-
me dei fonti miracolosi battesimali.
Sulla benedizione del sagro fonte
veggasi il Diclich, Dìz. sacro-litur-
gicOj all'articolo Sabbato santoj ed
il Supplemento del Ferrigni-Piso-
ne, al medesimo articolo.
FONTE AVELLANA. Congre-
gazione monastica , ora monistero
de' monaci Camaldolesi ( Fedi ).
Inoltre sono a consultarsi gli arti-
coli Avellala e Pergola, nella
cui diocesi esiste quell' insigne ed
antichissimo monistero, tanto be-
nemerito della Chiesa.
FON 181
FONT-COUVERT (Fons Coo-
pertus). Luogo della diocesi di Nar-
bona, ove fu celebrato un concilio
nella chiesa di s. Giuliano martire,
l'anno 911, relativo alle questioni
insorte tra il vescovo d'Urgel ed
un altro, per i limiti delle loro
diocesi. Gallia Christ. tom. VI,
pag. 2 3 e 53 ij e Lenglet, Tavo-
lette cronologiche.
FONT-EVRAULT o FONTE-
BRALDO. Congregazione monastica
benedettina, composta di monaci e
monache. Il beato Roberto d'Ar-
brissel ne fu il fondatore nel 1 1 00,
il quale consagrò le sue fatiche alla
conversione delle zitelle dissolute ;
ne congregò un gran numero nel-
l' abbazia di Font-Evrault, e loro
inspirò il proposito di consagrarsi
a Dio : si associò alcuni compagni
per cooperatori, che riunii pure coi
voti monastici. Questo pio e zelan-
te uomo fece riflessione alla con-
dotta tenuta da Gesù Cristo sulla
croce, allorché vicino a spirare rac-
comandò a Maria Vergine sua ma-
dre di prendere il suo diletto di-
scepolo, l' apostolo s. Giovanni, per
suo figlio, ed a questi di riguardar
quella per madre, e d' ubbidirgli
interamente. Volendo seguire que-
sto esempio, costituì una religiosa
per direttrice e superiora generale
di tutto l' ordine, o congregazione
da sé fondala, colla regola di s.
Benedetto. Questa congregazione si
compose di molti monasteri d' uo-
mini e di donne che ubbidivano
tutti alla superiora. I monaci assi-
stevano le monache in tutti i loro
bisogni spirituali, e ciò non deve
recar sorpresa, sebbene in alcuni
luoghi ai religiosi furono sostituiti
de' cappellani, direttori, e confessori
stipendiati, che assistevano i moni-
steri delle medesime monache. Que-
sii sacerdoti secolari erauo soggetti
al sistema e regolamenti dei mona-
steri, né potevano da questi uscire
ed allontanarsi senza l' approvazio-
ne delle superiori locali. Non erano
stabili ma amovibili, e dipendenti
dai vescovi diocesani. Ciò che que-
sti sacerdoti facevano era per ac-
condiscendere a' loro prelati, mentre
i religiosi l' adempivano per istitu-
to, e sotto l' immediata dipendenza
del sommo Pontefice, e sotto la
vigilanza d' un visitatore apostolico.
Il benemerito fondatore non andò
esente da calunnie, con cui fu at-
taccato il suo ordine, contro il qua-
le scrissero Marbodo vescovo di
Rennes, Geoffredo abbate Vindobo-
nense, e l' eretico Roscelino con-
dannato anche dal concilio di Sois-
sous. Essi vennero confutati dal p.
Giovanni Mainferme, celebre religio-
so di questa congregazione, in una
opera in tre volumi intitolata : Cly-
peus nascenlis Fontebralclensis ordì-
nis. Tuttavolta non si deve tacere
che Marbodo e Geoffredo si disin-
gannarono, e divennero in seguito
intimi amici del b. d'Arbrissel, e
suoi benefattori, come per l' addie-
tro. Inoltre la condotta di questo
santo, fu pure giustificata dalle
testimonianze degli storici contem-
poranei, dai Papi, dai loro legati
apostolici, dai vescovi, dai principi,
e da tutta la chiesa di Francia.
Avverte il Bergier che altra soda
apologia del b. Roberto, e del suo
ordine contro i motteggi di Bayle,
fu stampata in Anversa nel 1701.
11 b. Roberto diede al suo or-
dine la regola di s. Benedetto, con
alcune particolari costituzioni da lui
aggiunte, e ne accrebbe la gloria
col zelo delle sue predicazioni, colla
santità della sua vita, e col gran
numero de' suoi miracoli. Il b. Ro-
FOiN
berlo nel 1106 ottenne l'approva-
zione del 6uo istituto dal Pontefice
Pasquale II, e prese il nome di
FoiiL-Evrault , Fons-Ebraldi, dal
primo monastero da lui fondato
nel 1100 nella foresta di tal no-
me, nella diocesi di Poitiers, a tre
leghe da Saumur, sui confini del
Poitou, dell' Anjou e della Turrena.
Il medesimo Pontefice approvò nuo-
vamente l'ordine nel 1 1 1 3. Molte
principesse si posero sotto la dire-
zione di questo santo uomo, il qua-
le ispirò loro il disprezzo delle gran-
dezze umane, per cui dopo la sua
morte alcune religiose, ed un gran
numero di principesse, cercarono
religioso asilo in Fontebraldo, e vi
si consegrarono al Signore, laonde
non è meraviglia, se quel moniste-
ro giungesse a possedere l' annua
rendita di centomila lire. Dopo la
morte del beato, divenne superiora
generale la vedova Petronilla di
Craon de Chemillé. Tra le sue
trentasei abbadesse che hanno go-
vernato l'ordine si annoverano quat-
tordici principesse, cinque delle qua-
li della real casa di Borbone. Sono
a ricordarsi s. Matilde figlia del
conte d' Angers ; Giovanna di Bren-
na nipote di Roberto, figlia di Lo-
dovico VI re di Francia; Anna
d' Orleans sorella del re Lodovico
XII, ed altre di nobilissimo sangue,
rammentate dal Baronio all' anno
1117. Va pure per distinzione ram-
mentata l' abbadessa Maria Mad-
dalena di Rochechovalt, sorella del
maresciallo di Vivonne, morta ai
i5 agosto 1704. L'abbate Suger
scrivendo a Papa Eugenio III, cir-
ca cinquantanni dopo la fondazione
di questa congregazione, narra ch'e-
rasi talmente propagato l'istituto, che
contava da cinque a sei mila reli-
giose. Di poi Sisto IV la riformò
FON
■d istanza dell' abbadessa generale,
e vi ristabilì la purità della rego-
la di s. Benedetto, con le costitu-
zioni del fondatore. De' privilegi
dell' abbedessa generale di Font-
Evrault, ne tratta il p. Chardon,
Storia de' Sagramene, toni. II, pag.
3o. L' ordine era diviso in quattro
provincie, cioè di Francia, d' A-
quitania, d' Alvernia, e di Bretagna,
ed in tutto comprendeva cinquan-
tasette priorati. A Font-Evrault
mettevasi d'ordinario le dame di
Francia, come le figlie dei re, per
educarle, durante la loro giovi-
nezza.
11 p. Bonanni nel suo Catalogo
degli ordini religiosi parte I, pag.
ii 4, trattando di quest'ordine ne
racconta 1' origine in questo mo-
do. Il monastero principale di que-
sti religiosi prese il nome da un
l'onte elei luogo, che fu fondato da
un nobile giovane chiamato Ebral-
do, il quale essendo di cattivi co-
stumi, con alcuni compagni facinoro-
si infestava i viandanti ; ma per l'e-
sortazioni dell' insigne predicatore
Roberto Blesio teologo parigino,
non che monaco benedettino, chia-
mato pure Arbrissel o Arbicello,
mutò costumi verso l'anno iioo.
Acceso quindi di menar vita au-
stera, fondò un monastero sì per
gli uomini, che per le donne nel
pontilìcato di Urbano li. In quan-
to all'abito dice ch'era nero, e ne
riporta la figura, come quelle che
nel 1666 pubblicò il p. Lodovico
Beurrier celestino. Lo stesso p. 13o-
nanui nella parte II, a pag. 5o,
parla delle monache di Fonte-E-
braldo, e ne dà l' origine alle pa-
role succennate del Redentore: Ec-
eo la madre tua j ecco il figlio tuo.
Ne riporta la figura vestita di ne-
ro, con velo e sotloguLi bianco.
FOR 183
Indi nella seg. pag. 5i discorre
delle monache di Fonte-Ebraldo
riformate, dicendo che il citato Ba-
ronio racconta che mentre Maria
Brittanna era abbadessa di Fonte-
Ebraldo, a di lei istanza fu rifor-
mata la congregazione con l'auto-
rità pontificia di Sisto IV, che a
tale effetto deputò gli arcivescovi
di Lione e di Bourges. Avverte
che il b. Arbrissel dedicò tutti i
monasteri dei monaci a s. Giovan-
ni apostolo ed evangelista, e quelli
delle monache alla santa Vergine
Maria, il perchè fu chiamato l'or-
dine della Madonna e di s. Gio-
vanni evangelista. Ivi ancora il p.
Bonanni riporta altra figura di det-
te monache, ma con il mantello e
col velo nero su quello bianco del
capo. I romani Pontefici hanno
accordato a quest'ordine, che cessò
colle note politiche vicende, molte
grazie e privilegi, come si può leg-
gere ne' seguenti autori che ne trat-
tarono. Il suddetto p. Maio ferme
nell' opera mentovata ; il Martiro-
logio gallicano ai 27 decembre ;
Benedetto Gonone celestino, nella
Crònica della Beata Vergine^ al-
l'anno 1099; la cronaca di Tours;
Onorato Niquet, scrittore della sto-
ria di quest' ordine, ed altri. Font-
Evrault al presente è un borgo del
dipartimento di Maina e Loira, nel
quale evvi porzione dell' antica ab-
bazia, cioè quella parte avanzata
dalle distruzioni che soffrì, che serve
di casa centrale di detenzione.
FORANTONIANA (Forum An-
tonianum). Sede vescovile della Bi-
zacena nell' Africa occidentale, che
Commanville chiama Foratiana e
Frontoniana, sotto la metropoli di
Adramito. Forse è la medesima cit-
tà di cui si fa menzione dal Bol-
lando nella vita di s. Fulgenzio,
184 FOR
al primo gennaio, sebbene il me-
desimo Bollando legga Forum Nun-
tortini, ed il Surio Vintorum. Fe-
lice è l' unico vescovo conosciuto
di questa città, e trovasi notato
tra i vescovi della provincia Biza-
cena, i quali nel 4^4> per un edit-
to del re de' vandali Unnerico, fu-
rono esiliati da Cartagine, per aver
con fermezza sostenuta la fede di
G. C. contro la setta de' donatisti.
FORATIANA, FORTIA o FO-
RATIA. Sede vescovile della Biza-
cena nelF Africa occidentale, sotto
la metropoli d' Adramito, chiamata
pure Foria. Bonifazio, unico vesco-
vo che si conosca, si trovò al con-
cilio di Cartagine, celebrato l' anno
484j ed è il terzo dei quattro ve-
scovi che dichiararono ad Unnerico
re de' vandali la professione di fe-
de de' vescovi cattolici contro la
setta dei donatisti.
FORCHEIM o FORCHAIN. Cit-
tà della Baviera, circondario del
Meno superiore, capoluogo di pre-
sidiale, sulla riva destra della Re-
gnitz al suo confluente colla Wie-
sent. Prima apparteneva al circolo
di Franconia, e dagli scrittori lati-
ni è chiamata Forchetta, Fartovia,
Locoritum, Frutavia. E cinta di
mura e fosse, avendo qualche altra
fortificazione : ha una collegiata,
due altre chiese, un ospedale ec.
Vi si tenne un concilio nell' anno
890, ed un altro nell'anno 1077
a'i3 marzo, in cui Rodolfo duca
di Svevia, in vece di Enrico IV,
vi fu eletto re de' romani a' 1 5 di
detto mese, e consagrato a Magon-
za dodici giorni dopo ; il Pontefice
s. Gregorio VII per allora non ap-
provò la sua elezione, ma poscia
gli mandò in dono una real coro-
na. Gallio. Christiana tom. Ili, pag.
649, e Diz. de' concili.
FOR
FOREST (de la) Pietro, Car*
dinaie. Pietro de la Forest nacque
in Susa, diocesi di Mans. Pare
che da principio fosse monaco e
poi archimandrita di s. Dionigi e
professore del diritto civile ed ec-
clesiastico. Recatosi a Parigi , fu
dichiarato dal re avvocato del par-
lamento, e canonico di quella cat-
tedrale. Nel i349 fu eletto vesco-
vo di Tournay, e l'anno dopo tra-
sferito alla chiesa di Parigi. Da
questa sede, nel i352, passò a queb
la di Roan colla carica di Cancel-
liere del regno. Sostenne anche
l'ambasceria del re cristianissimo
presso la santa Sede. Fu creato a's3
dicembre 1 356 cardinale assente del
titolo dei santi apostoli da Innocenzo
VI, dimorante allora a Villanova,ed
il quale ad istanza de' due porpo-
rati legati nelle Gallie, gli mandò
il cappello cardinalizio. Ebbe la le-
gazione nella Sicilia e nell' InghiU
terra per conciliare la pace tra -
questo regno e la Francia. Fu vit-
tima d'anni quarantasette del con^
tagio in Avignone, dove ebbero se-
polcro le mortali sue spoglie nel
i36r.
FORFIAMMA o FORIFIAM-
MA ( Forum Flaminii). Città epi-
scopale antica d' Italia nell'Umbria,
che fu rovinata dai longobardi ver-
so l'anno 74° : fu pur chiamata
s. Giovanni iti Forifiamma, e per
altre notizie va letto 1' articolo
Foligno, presso di cui giaceva, ed
ove fu trasferita e riunita la sua
sede. Neil' Italia sagra del p.
Ughelli, tom. X, pag. 101, sono
nominati due soli vescovi di For-
fìamma, cioè Bonifacio che inter-
venne nell' anno 5o3 al concilio
che celebrò in Roma il Pontefice
s. Simmaco; e Decenzio che nel
pontificato di s. Agatone fu al con-
FOR
cilio romano , tenuto nell' anno
G89. Lodovico Jacobilli riporta
molte notizie di questa città e ve-
scovato , nell' opuscolo intitolato :.
Discorso della città di Foligno,
ec. suo territorio e diocesi, Foligno
1 646. Commanville nell' Histoire
de tous les archcvesehcz et ève-
schez de Vunivers dice che Forum
Flaminii fu fatta vescovato nel
quinto secolo.
Il p. Brandimarte nel suo Pice-
no annonario, a pag. l47> dice
che Foro Flaminio rimaneva nella
via Flaminia tra Bevagna e Pon-
tecentesimo piccolo villaggio della
valle Topina, e precisamente pres-
so la chiesa parrocchiale di s. Gio-
vanni Profiamma, distante dall'o-
dierno Foligno circa due miglia e
mezzo : essendo situata in una pia-
nura,, e venendo ridotti i campi
a coltura, poche memorie vi si os-
servano; e che dalle di lei rovine,
e da quelle dell' antico Fulgineo
ne sorse Fuligno , mentre i vesti-
gi dell'antico si osservano intorno
alla chiesa di s. Maria in Campis
distante quasi un miglio da delta
città. Aggiunge che ivi trovanti
anticaglie e pezzi dell'antiche stra-
de romane dette di ferro. Ivi pas-
sava la via Flaminia , e da Ful-
gineo andava a Foro Flaminio.
Dall' essersi discostata la via pre-
sente dall' antica non si contano
più da Roma a Pontecentesimo
cento miglia, ma cento quattro.
FORGACH Francesco, Cardi-
nale. Francesco Forgach ebbe i
natali nel i566, nella città di
Slrigonia, regno d' Ungheria. Sor-
tito un felice talento e un'indole
assai dolce, si affezionò 1' animo
dell'imperatore Rodolfo II, cosi che
ben volentieri affldogli affari di
grande rilievo, e lo incaricò di pa-
FOR i85
rccchie ambascerie , specialmente
per cose risguardanti l'interesse di
quel regno. Rodolfo lo nominò da
prima al vescovato di Vesprin, e
poi a quello di Nitria. Nel iGof>
fu trasferito all' arcivescovato di
Strigonia colla dignità di primate
e di gran cancelliere del regno ,
cosa che gli procurò non pochi
nemici. Ma la virtù che lo accom-
pagnava in qualunque si fosse il
di lui avanzamento, seppe vincere
qualunque maldicenza e contrarie-
tà che avesse fatto sorger l' invi-
dia. Ad istanza dello slesso prin-
cipe, Paolo V nel 1607 a' io di-
cembre, altri dicono nel 1608, lo
creò prete cardinale della S. R. C,
e nell'anno seguente, metropolilano
dell'Ungheria e regio luogotenente.
Celebrò il sinodo in Tirnavia con
grande vantaggio della ecclesiastica
disciplina. Molto adoperossi per pa-
cificare 1' imperatore colf arciduca
Maltia, ch'egli avea solennemente
coronato, e indusse il primo a ce-
dere, il regno di Ungheria all'arci-
duca. Fu causa eziandio che co-
desto principe emanasse nelle sue
provincie un severo decreto contro
de* protestanti. Sostenne grandi fa-
tiche per l'incremento della santa
Sede, e superò con molta fran-
chezza tutti quegli ostacoli che san-
no gli eretici opporre a' zelanti a-
postoli dell' evangelio. Morì santa-
mente ne' bagni di Santacroce in
Ungheria, l'anno 161 5, e trasfe-
rito in Moravia, quantunque egli
avesse altrimenti disposto, fu sepol-
to ad istanza del capitolo nella
chiesa di s. Nicolò.
FORIERE MAGGIORE DEL
PAPA (Forerius major). 11 primo
uffiziale palatino, dopo il prelato
maggiordomo del Papa, ed il se-
condo cameriere segreto laico par-
186 FOR
tecipante di spada e cappa. Anti-
chissimo è il nobile uffizio del fo-
riere maggiore, come rilevasi dai
ruoli della Famiglia pontificia [Ve-
di), ove in quelli di Giulio III, e
ili Paolo IV, che sono i più an-
tichi degli archivi del palazzo apo-
stolico, è annoverato tra i primi
uilìziali della famiglia nobile del
sommo Pontefice. In fatti si legge
ne' ruoli di Paolo IV, nella cate-
goria Diversi famigliari maggio*
ri, il Forerò. Sotto Pio IV, e sot-
to s. Pio V si chiamò Foriere
maggiore, venendo registrato fra
gli scudieri. Inoltre sotto Paolo
IV eranvi quattro forieri della
camera di Nostro Signore ; nel
Pontificato di s. Pio V sono no-
tati due forieri di camera , che
sotto s. Pio V, e Sisto V prese-
ro luogo tra i Diversi maggiori o
gli ufficiali maggiori. Nel ruolo di
Clemente Vili, del i5g3, il forie-
re maggiore si vede registrato tra
i camerieri segreti; ed il simile
venne praticato ne' successivi pon-
tificati , massime in quello del
j633 di Urbano Vili. In quanto
ai due, tre, quattro, o sei forieri
della camera di Nostro Signore il
Papa, che leggonsi in diversi ruo-
li, essi erano famigliari addetti al
sagro palazzo apostolico , ed alla
cma e custodia delle sue camere
e robe, per cui si leggono notati
sotto la categoria di Offiziali di
palazzo, e perciò nulla di comu-
ne col foriere maggiore, anzi da
lui dipendenti come individui del-
la Floreria apostolica (Vedi). Sic-
come questo rispettabile ministro
per impotenza, assenza, o vacanza
di monsignor maggiordomo ne sup-
plisce le veci nella direzione del-
l'azienda palatina, e per essere il
suo itnpiegu a vita, cosi allorché
FOR
dal Papa a mezzo di un suo bre-
ve apostolico è prescelto e nomi-
nato alla carica di foriere maggio-
re, presta il giuramento nelle ma-
ni dello stesso Pontefice genufles-
so, e vestito in abito di città, leg-
gendo la seguente forinola, e giu-
rando col tatto de' santi evan-
geli.
» Juramentum Forerii majoris.
» Ego N. N. futurus Forerius
» apostolicus major, ab hac hora
»» deinceps fidelis, et obediens ero
« beato Petro apostolo, sanctaeque
« Romanae Ecclesiae et Vobis Do-
« mino meo Domino N. divina
» providentia Papa N. Vestrisque
»> successoribus canonice intranti-
» bus, ac officium Forerii majoris
» a Sanctitate Vestra mihi com-
» missum promitto, et juro bene,
« et fideliter exerciturum , et ad-
» ministraturum.
» Sic me Deus adjuvet, et haec
» sancta Dei evangelia.
Sembra che il ragguardevole uf-
fizio del foriere maggiore sia suc-
ceduto in molte incumbenze pala-
tine che prima si fungevano dal
Maestro del sagro Ospizio (Vedi),
essendo le sue principali ingerenze
sotto la dipendenza del prelato
maggiordomo, non solo di fare
parte della congregazione ammini-
strativa palatina, ma di avere cura
delle fabbriche dei palazzi aposto-
lici ed edilizi che gli appartengo-
no, e perciò deve verificare ed ap-
provare i prezzi de' conti degli ar-
tisti , in cui è aiutato dal busso-
lante sotto-foriere, come ancora si
occupa della conservazione, rinno-
vazione di condotti» re, e concessio-
ni di acque. Sopraiuteude pure al-
FOR
le suppellettili, mobili, masserizie
ed altro de' medesimi palazzi apo-
stolici, venendo in ciò rappresen-
tato dal fioriere. Nel voi. VII, a
pag. 38 del Dizionario } dicemmo di
altre sue attribuzioni, anche risguar-
danti i Viaggi [Vedi), e le Vii-
foggiature de Papi (Vedi)3 come
ancora che nei tieni di città e
nobile prende luogo nel frullone
col Cavallerizzo maggiore (Fedi),
terzo cameriere segreto laico par-
tecipante, col quale incede anche
a piedi, e con lui ha comuni tan-
to l'abito nero di spada, che le
monture, essendo ivi descritto il
primo e le seconde. AH' articolo
Cavallerizzo , sono riportate di-
verse notizie che riguardano il fo-
riere maggiore. Il foriere mag-
giore non solo nei treni di città
precedeva a cavallo il Papa , ma
nelle gite alla villeggiatura di Ca-
stel Gandolfo , egli col cavalleriz-
zo maggiore cavalcavano agli spor-
telli della carrozza del Pontefice :
ne' luoghi ove incombe al cavalle-
rizzo aprire tali sportelli, nella sua
assenza li apre il foriere maggio-
re, non perchè sia minore in gra-
do gerarchico del cavallerizzo, ma
perchè a lui spettava prima tale
uffizio; e quando il Pontefice in-
cede in carrozza con due cardina-
li , lo sportello viene aperto dal
prelato maggiordomo, come il pri-
mo magistrato della corte ponti-
fìcia. Questo prelato a pie delle
scale del palazzo apostolico, in com-
pagnia del foriere maggiore, apre
lo sportello della carrozza ove so-
no i sovrani che recansi a visitare
il Pontefice : ciò prima faceva il
foriere maggiore, il quale antica-
mente pure a pie delle scale del
palazzo apostolico riceveva i no-
velli cardinali, che si recavano a
FOR 187
prendere la berretta rossa dalle
inani del Papa. Di altre mansioni
del foriere maggiore se ne parla
in parecchi articoli del Dizionario,
come di Cappelle pontificie, Pran-
zi, Palazzi pontificii ec. ed altri
i-elativi, Viaggi, ec, ne' quali è of-
flzio del foriere maggiore il pre-
cedere il Papa ne' suoi viaggi on-
de allestire gli alloggi per la sua
sagra persona, e per tutta la sua
corte, come fece il marchese Sci-
pione Sacchetti nel viaggio intra-
preso da Pio VII quando si recò
a Parigi a coronare Napoleone, nel
quale il foriere maggiore ebbe l'in-
tero carico della direzione del viag-
gio ed alloggiamenti, e la soprain-
tendenza generale. Nel 1724 per
impotenza del maggiordomo, il fo-
riere maggiore d. Girolamo Colon-
na ne supplì le veci , in ciò che
il maggiordomo fa al cadavere del
defunto Pontefice prima di chiu-
dersi la cassa, cioè nel cuoprire il
cadavere con drappi , e porre ai
di lui piedi le tre borse di vellu-
to colle monete e medaglie conia-
te nel suo pontificato. Qui notere-
mo che il maggiordomo quando
vi è il cardinal nipote o padrone
non cuopre il volto del defunto ,
ne pone le tre borse nella cassa ,
toccando tali cose a farsi dal car-
dinale; almeno così praticavasi an-
ticamente, come ho letto nei re-
gistri della floreria apostolica. EJ
nel 1732 il foriere maggiore mar-
chese Capponi pose la prima pie-
tra fondamentale con alcune me-
daglie, nei fondamenti del maesto-
so palazzo della consulta sulla piaz-
za del Quirinale. A' nostri giorni
poi, quando il regnante Pontefice
nel i838 volle affidare la custo-
dia e cura del celebre museo Ca-
pitolino d magistrato roumuo, sic-
,88 FOR
come esso apparteneva alla imme-
diata giurisdizione di monsignor
maggiordomo, per questi esegui la
consegna il marchese Scipione Sac-
chetti foriere maggiore, u' 3 otto-
bre, a tale atto specialmente de-
putato, come diremo all'articolo
Museo Capitolino, ove riporteremo
la formalità con cui venne esegui-
ta l'onorifica commissione. Il Can-
cellieri nella Lettera al dottor Ko-
rejfy in più luoghi parla del fo-
riere maggiore , per ciò che ri-
guarda il luogo che prese nelle gi-
te a Castel Gandolfo , come alle
pag. 123, 1 47> i5'> 180,186,225,
228, 239 e 248, riportando gli
analoghi estratti de' Diari di Ro-
ma. A pag. igo e seg. poi ripor-
ta la descrizione del solenne con-
vito imbandito sotto la direzione
del foriere maggiore il marchese
Patrizi Chigi Montori, nell'aula del
palazzo di Castel Gandolfo, per la
consagrazione che Clemente XIII
fece in vescovi, de' cardinali Erba
Odescalchi , e Valenti ; quindi a
pag. 204 dice che il marchese a-
vendo fatto rappresentare in due
quadri la consagrazione ed il con-
vito, fece dono di tali dipinti al
Pontefice.' Nelle cavalcate pubbli-
che per le cappelle della ss. An-
nunziata, di s. Filippo, della Na-
tività di Maria Vergine, e di s.
Carlo, in principio di esse dopo i
cavalleggieri e le lancie spezzate
cavalcavano il foriere maggiore, e
il cavallerizzo maggiore del Papa,
con abiti guarniti di maglia ossia
merletto nero, massime il mantello,
indi seguivano due sopraintendenti
alle scuderie pontificie, e i came-
rieri de' cardinali colle valigie.
Anche nelle cavalcate dei solen-
ni possessi de' Pontefici il cavalle-
rizzo iu un al foriere maggiore
FOR
cavalcavano. In quello del iGGj
di Clemente IX, si legge che mon-
signor Accarigi foriere maggiore
cavalcò co' camerieri d'onore in a-
biti rossi, seguito dal guardaroba
e sotto-guardaroba. Lo stesso posto
presero Urbano Rocci foriere mag-
giore di Clemente XI, nel possesso
che questi prese l'anno 1700; e d.
Girolamo Colonna foriere maggio-
re d'Innocenzo XIII, nel possesso
da questi preso nel 1721, con bel
cavallo bardato, e ornato di fet-
tuccie con nobile livrea: nel pos-
sesso di Benedetto XIII, l'anno
1724, il medesimo d. Girolamo ca-
valcò pure come foriere maggiore.
Nel 1730 pel possesso di Clemen-
te XII cavalcò il foriere maggiore
marchese Gregorio Alessandro Cap-
poni ; nel 1741 per quello di Be-
nedetto XIV, cavalcò il marchese
Gio. Patrizi Chigi Montori, coa-
diutore del foriere maggiore, in-
sieme al marchese Gio. Antonio
Vasè Pietramelata, coadiutore del
cavallerizzo. Clemente XIII nel
1758 si recò alla basilica latera-
nense con nobile cavalcata per pren-
dervi il possesso : dessa secondo il
solito si apri dai cavalleggieri, dal-
le lancie spezzate , dal marchese
Gio. Patrizi Chigi Montori suo fo-
riere maggiore, unitamente al conte
Petroni romano cavallerizzo, i quali
erano succeduti dai valigeri de' car-
dinali : i medesimi soggetti in egual
modo incederono nella cavalcata
del possesso del 1769 di Clemen-
te XIV. Nel 1775 pel possesso di
Pio VI cavalcarono in tale luogo
il marchese Girolamo Serlupi Cre-
scenzi cavallerizzo. Il marchese Sci-
pione Sacchetti foriere maggiore,
ed il barone Giuseppe Testa Pic-
coloinini cavallerizzo, nel loro abi-
to di maglia nera di gran forma
FOR
liti», cavalcarono nel possesso che
prese nel 1801 Pio VII. Ne'susse-
guenli possessi non avendo avuto
più luogo la cavalcata solenne, il
foriere maggiore ed il cavalleriz-
zo precedettero come nei treni di
città e nobili la carrozza del Pon-
tefice, cioè nel solito frullone pa-
latino in compagnia del prelato e-
lemosiniere.
A voler nominare alcuni forieri
maggiori pontificii, di Pio IV fu
certo Andrea; di s. Pio V, Alber-
to Franchino ; di Sisto V, Girola-
mo Grassis; di Urbano Vili, Gia-
como Gittio ; d'Innocenzo X, Bac-
cio Aldobrandino che nel 1602
creò cardinale ; di Clemente IX ,
monsignor Clemente Accarigi , già
coppiere del predecessore Alessan-
dro VII, continuando ad apparte-
nere ai camerieri segreti ecclesia-
stici partecipanti in abito paonaz-
zo, e con titolo di monsignore.
Alessandro Vili nel 1690 fece fo-
riere maggiore Urbano Rocci, che
continuò ad esserlo con Innocenzo
XII, e con Clemente XI. Innocen-
zo XIII nel 1721 nominò foriere
maggiore il suddetto d. Girolamo
Colonna, che continuò ad eserci-
tare la carica sotto Benedetto XIII.
Nel 1730 Clemente XII promosse
a questo uffizio il nominato mar-
chese Capponi, al quale nel 1740
Benedetto XIV nominò in coadiu-
tore il marchese Gio. Patrizi Chi-
gi Molitori, che nel 1 746 diven-
ne effettivo per morte del prede-
cessore, e servì pure Clemente XIII,
e Clemente XIV sino al 1772 in
cui morì, ed il Pontefice ne riem-
pì la vacanza col marchese Camil-
lo Massimo generale delle poste.
Pio VI nel 177 5 fece foriere mag-
giore il marchese Gio. Battista Col-
ligola, e nel 1794 per sua morte
FOR 109
gli die per successore il marchese
Scipione Sacchetti, allora suo ca-
vallerizzo maggiore; promozione che
meritò per le sue doti, e funse la
nobile carica anche nei pontificati
di Pio VII, di Leone XII, di Pio
Vili, e di Gregorio XVI, il quale
in benemerenza delle sue egregie
qualità, e di quelle del degno fi-
glio marchese Girolamo, nel 1 838
a' 26 gennaio glielo die in coa-
diutore, e poi il successe a' 18 no-
vembre 1839, come si legge nel
numero 94 del Diario di Roma
di quell'anno; mentre il marchese
Scipione cessò di vivere a'23 gennaio
del 1840. Le di lui esequie furono
celebrate nella chiesa di s. Giovanni
de' fiorentini, coll'assistenza ed in-
tervento della famiglia nobile pon-
tificia tanto in abito paonazzo, che
di spada. Il numero i3 del Dia-
rio di Roma di detto anno ripor-
ta una bella necrologia di sì vir-
tuoso signore, e la descrizione del-
le solenni esequie, assistite dal mag-
giordomo, dal maestro di camera,
e dalle cariche palatine; avendo
cantato la messa monsignor sa-
grista.
La funzione delle esequie dei fo-
rieri maggiori è descritta nei Dia-
ri di Roma, ai numeri che citere-
mo. Il numero 2068 dell' anno
1730 descrive quelle di d. Giro-
lamo Colonna celebrate in s. Ca-
terina de' Funari , ove cantò la
messa monsignor Leoni guardaro-
ba, coll'assistenza de' cantori della
cappella pontificia, e l'intervento
di tutta la camera segreta, com-
presi i camerieri di onore, e i ca-
valieri di spada e cappa. Il nu-
mero 4^4 dell'anno 1746 ripor-
ta la descrizione de' funerali fatti
nella chiesa di s. Giovanni de' fio-
rentini al marchese Capponi, il cui
iqo FOPt
cadavere fu esposto in alto letto ,
circondato da ventisei candele e
quattro torcie: monsignor Bocca-
paduli elemosiniere cantò la messa
solenne, servito dai ministri, e dai
cappellani cantori della cappella
pontifìcia, e con l'assistenza della
camera segreta a cornu evangelii,
e dei camerieri segreti e di onore
di spada e cappa a cornu epistolae.
Il numero 8384 dell'anno 1772
narra il funere fatto nella basilica
di s. Maria Maggiore al marchese
Patrizi Chigi Molitori, ove oltre quel
reverendissimo capitolo, assistè alla
messa di requiem tutta la camera
segreta. Ed il numero 2020 del-
l'anno 1794 ci dà la descrizione
delle esequie pel marchese Colli-
gola. Il suo cadavere vestito in a-
bito di città venne prima esposto
nel suo appartamento, ove si eresse
un altare per la celebrazione delle
messe, e che Pio VI dichiarò pri-
vilegiato. L' esequie ebbero luogo
nella chiesa di s. Maria in Monte
Santo ; da monsignor Dini prefet-
to delle cerimonie pontificie gli fu
cantata la messa solenne, accom-
pagnata dai pontificii cantori, con
l' intervento di monsignor Vinci
maggiordomo, e di tutta la came-
ra segreta, di cui il foriere maggio-
re fa parte.
Il foriere maggiore ritrae dal pa-
lazzo apostolico l' onorario mensile
di scudi settantaquattro , e gode
l'abitazione nel palazzo apostolico:
dell'abitazione del foriere maggio-
re nel palazzo vaticano ne tratta
lo Chattard nel tom. Il, pag. 72
e 73 della Descrizione del palaz-
zo apostolico vaticano. Nella dispen-
sa annuale delle medaglie di ar-
gento, e per il possesso ne perce-
pisce quattro ( prima ne aveva co-
me il cavallerizzo una d'oro ed
FOR
una di argento), non che la di-
stribuzione delle candele, delle pal-
me, e degli Agnus Dei benedetti :
tanto il foriere maggiore, che il
cavallerizzo nelle canonizzazioni han-
no per emolumento scudi cinquan-
ta per cadauno. Tra gli uffizi del
foriere maggiore nelle funzioni che
celebra od assiste il Papa, va ram-
mentata la direzione della Sedia
gestatoria (Vedi)t sulla quale ve-
stito co' sagri paramenti dai pala-
frenieri è portato il Pontefice. A
tale effetto a lui incombe, dopo
che il Papa si è assiso sulla sedia,
ordinarne l'innalzamento colla pa-
rola alzate^ come l'abbassamento
colla parola abbassale: precede la
stessa sedia, e diligentemente invi-
gila che sia portata in piano, con
uniformità e con sicurezza : altret-
tanto dicasi della macchina o ta-
lamo, sul quale il Pontefice porta
il ss. Sagramento nella processione
del Corpus Domini. Quando il
Pontefice incedendo a piedi in moz-
zetta e stola, genuflette avanti il
ss. Sagramento chiuso nel ciborio,
è uffizio del foriere maggiore por-
gere e levare il cuscino per tal
genuflessione. Prima tanto il fo-
riere maggiore, che il cavallerizzo
maggiore godevano della parte di
palazzo consistente in pane, vino,
legna, cera, ed altre cose, come
di cavalli e cibarie per il loro man-
tenimento. I privilegi e prerogati-
ve del foriere maggiore sono in-
dicali nel volume VII, pag. 27 e
28 del Dizionario, e meglio al ci-
tato articolo Famiglia pontificia,
ove sono pure riportate le prov-
videnze prese dai Pontefici sull'a-
zienda palatina , massime di Pio
VII, Leone XII, e Gregorio XVI,
sia col moto-proprio de' io dicem-
bre i83?., sia colle dilucidazioni
FOR
emanate nell'ottobre 1 838 , che
col regolamento per gli uffizi cen-
trali dell'azienda palatina, pubbli-
cato a' i maggio 1840.
11 sotto- foriere poi è un uffìziale
palatino che appartiene alla famiglia
Debile, ed alla classe dei Bussolanti
pontifìcii (Vedi), addetto inti-
mamente quale aiuto del foriere
maggiore. Ed è perciò che il
bussolante sotto-foriere invigila sul-
la esecuzione delle fabbriche dei
palazzi apostolici e sue apparte-
nenze, loro restauri ed' abbelli-
menti ; ne riscontra e misura i la-
vori, e rivede i conti degli artisti.
Allorquando il Papa va in sedia
gestatoria, e sul mentovato talamo,
siccome il foriere maggiore n'è il
regolatore, il sotto-foriere n'è il
sor vegliatore, per cui in veste ros-
sa con cappa, cioè coli' abito di
bussolante, veglia nella parte di
dietro, perchè sia portata dai pon-
tificii palafrenieri e sediari , con
egualità e sicurezza. Col medesimo
abito nelle distribuzioni che fa il
Papa delle candele e palme be-
nedette, genuflesso sul ripiano del
trono in un ad altro bussolante, rice-
ve dal sotto - maestro di casa le
candele e palme benedette , che
somministra al prelato chierico di
camera, il quale le porge al car-
dinal secondo diacono, e questi le
presenta al Pontefice: altrettanto
faceva prima degli Agnus Dei, pe-
rò sono dati ora dal bussolante
sotto - guardaroba , all'uditore del-
la rota genuflesso. Allorquando i
bussolanti debbono intervenire nel-
la cappella pontificia, o in qualche
basilica o chiesa per sostenere le
torcie nelle processioni, incombe al
sotto - foriere il destinare con bi-
glietto i bussolanti che debbono
portarle («jue' bussolanti poi the
FOR 191
debbono fare un' ora di orazione
ncll' annuali divozioni delle qua-
ran l'ore e del sepolcro, che si fan-
no nella cappella pontificia, sono
avvertiti con biglietto del segre-
tario della elemosineria apostolica,
la quale è incaricata delle spese
dell'illuminazione), come per quei
bussolanti che nei palchi del corpo
diplomatico e delle dame, nelle
funzioni che assiste e celebra il
Pontefice, sono destinati a custodir-
ne l' ingresso coi camerieri segreti
e di onore soprannumerari di spada
e cappa ; i quali biglietti il sotto-
fioriere rimette al decano della sa-
la pontifìcia, perchè sieno diramati
ai bussolanti destinati alle mento-
vate incombenze. Però va notato
che pel servizio dell' anticamera del
Papa, che si presta dai medesimi
bussolanti, n' è regolato il turno
dal decano degli stessi bussolanti : e
che monsignor maggiordomo è quel-
lo che stabilisce i bussolanti che
debbono assistere i sovrani, o prin-
cipi sovrani, come altezze reali ec.
nelle sagre funzioni. 11 sotto-foriere
inoltre esercita altre onorifiche in-
combenze, gode 1' abitazione al qui-
rinale, e l'uso del legno palatino
per quando deve adoperarsi pel
suo uffizio. Partecipa delle distri-
buzioni delle medaglie di argento
in numero di tre, e gode il mensile
onorario di scudi cinquantacinque.
Prima il sotto-foriere, come gli al-
tri famigliari del Papa, godeva la
parte di palazzo, consistente in pa-
ne, vino ed altro, e talvolta ebbe
la medaglia d' oro, come apparten-
ne al ceto dei camerieri extra mu-
WS, riuniti poscia ai bussolanti. Al-
tre notizie sul sotto-foriere si pos-
sono leggere negli articoli che lo
riguardano, massimamente in quel-
lo della Famiglia pontifìcia.
nj2 FOR
All'articolo Maggiordomo (Ve-
di), si riporta come il foriere
maggiore ed il sotto-foriere accom-
pagnano tal prelato nella visita
eh' egli fa nella vigilia della festa
del Corpus Domini, dei luoghi per
dove nel dì seguente deve passare
la solennissima processione, in cui
il Papa porla sul talamo il ss. Sa-
grameli to. Ivi pur si dice come
prima ciò facevasi con cavalcata,
incendendo a destra del maggior-
domo il foriere maggiore, ed a si-
nistra un cerimoniere pontificio, e
Ira gli scudieri e camerieri extra
cavalcava il sotto-foriere. Inoltre si
descrive la cavalcala che aveva luo-
go se il maggiordomo non v' in-
terveniva, in cui pei primi caval-
cavano il cerimoniere in mezzo al
sotto-foriere in abito paonazzo di
soltana di seta con fascia simile, e
mantellone di saia, ed al primo
giovane di floreria in abito di cit-
tà ed in collarone. 11 tutto estratto
dalle Brevi indicazioni per le at-
tribuzioni ed esercizio dei cerimo-
nieri pontificii, compilate dai mon-
signori Giovanni Fornici, e Giu-
seppe de Ligne, presso analogo e
più ampio lavoro fatto da monsi-
gnor Giuseppe Dini primo maestro
delle cerimonie di Pio VI.
FORLÌ' (Forolivien). Città con
residenza vescovile nello stato pon-
tificio , capoluogo della provincia
e legazione apostolica del suo no-
me, della quale daremo prima un
cenno storico, come della sua po-
sizione topografica. La legazione
apostolica e provincia di Forlì co-
fina al nord-est ed al nord con
quella di Ravenna, all'est col ma-
re Adriatico, al sud colla legazio-
ne di Urbino e Pesaro e la repub-
blica di s. Marino, ed all' ovest col-
la Toscana. Parlando il eh. avv.
FOR
Castellano nell'opera intitolata Lo
stato pontifìcio, della legazione for-
livese, dice che molti furono i no-
mi, varie le vicende, ed illusili si-
no da remotissimi tempi le gesta
de' popoli, che oggidì compongono
le quattro legazioni , cioè fra 1' A-
pennino ed il mare, dai fiumi Po,
Panaro e Conca circoscritte. Felsi-
nei campi, da Felsina capitale, chia-
marono un lungo tratto di paese
gli etruschi fondatori delle dodici
città transapennine, edificate a si-
militudine delle dodici Lucumonie.
Nella posteriore irruzione de' galli
sull' Italia settentrionale, tutta que-
sta regione entrò a far parte del-
la Gallia Cisalpina, la quale at-
traversata dal Po, subì la natu-
rale divisione di Traspadana e
Cispadana; e la parte Cispada-
na si distinse anche col nome di
Gallia Togata , dalle toghe, che
que' barbari nell' apprendere il vi-
vere civile incominciarono ad in
dossare. Però secondo le diverse tri
bù che vollero stabilirvisi, le diver
se parti assunsero un titolo specia
le ; verso la montagna i boi, e nel
la marittima spiaggia i lingoni v
presero sede. Quando poi i roma
ni vincitori incominciarono in tem
pò di pace ad edificare nei princi
pali luoghi monumenti degni d
loro coll'opera de'propri operosi sol
dati , fu il primo il console Caio
Flaminio, il quale da Roma a Ri
mini costruì la strada che pre
se il di lui nome, detta perciò Fio
minia come la porta di Roma ove
la via incominciava, anzi la stess;
provincia Flaminia fu appellata
Poco dopo il console Marco Emi
lio Lepido edificò l'altra strada
Rimini a Piacenza, la quale per li
fu detta Emilia, nome che si este
se anco alla corrispondente regione
POR
Le barbariche irruzioni ne cam-
biarono i destini, e dopo l' eccidio
de' goti, mentre i longobardi dispu-
lavano a' greci gli spaisi brani del-
lo sfaceli a to impero romano, spal-
leggiati i cisalpini dalle milizie clel-
\ Esarcato (fedi), e protetti dai
sommi Pontefici, che meno Tallo
dominio quasi nominale degli im-
peratori greci, esercitavano sui po-
poli di cpiesta parte d'Italia la prin-
cipale influenza, si distinsero nella
fedeltà al nome romano, né cedet-
tero che alle violenze del re dei
longobardi Astolfo, dopo la totale
espulsione degli esarchi, e n'ebbe-
ro in premio il nuovo nome di
Romagna (Romandiola) che rima-
se alla contrada in perpetuo dopo
il trionfo di Carlo Magno, sebbe-
ne in più stretto senso i soli abi-
tatori del lato sud-est sieno chia-
mati Romagnuoli. E quella di Forlì
la legazione più meridionale, che
ha il seguito dell' Apennino all'o-
vest , per cui dalla Toscana è di-
visa, mentre l'Adriatico bagna al-
l' est la sua spiaggia , ed al nord
una linea ideale tirata da Cervia a
Faenza la separa dalla legazione
Ravennate. Sono suoi fiumi il Con-
ca già Cruslumio , che scaturisce
dai monti di Carpegna , e per le
terre feltresche alla stazione posta-
le della Cattolica discende, presso
cui in riva al mare si veggono gli
avanzi dell' antica città di Conca
sommersa dalle onde. Gli altri fiu-
mi sono l' Amavano , che sarebbe
un torrente , se dalle pendici di
s. Marino non si gettasse nell'Adria-
tico senza rendersi d' altrui tribu-
tario ; il Marecchia, detto prima
Arimino , che sgorga dal toscano
monte della Verna, e vicino alla
foce lambisce le mura della città',
che ne conserva il nome antico; il
voi,, xxv.
FOR iq3
Luso, torrente anch'esso, che scor-
re direttamente al mare; il Fiu-
micino, famoso per le alte sue ri-
membranze, tanto perchè presso la
sua foce. la più probabile opinione
pone l'isoletta triumvirale formata
dagli inlluenti Riosalto e Rigossa ,
nel luogo detto oggi la Cagnona
dal nome degli attuali proprietari
del fondo, sì perchè nel più borea-
le degli influenti suoi si riconosce
il celebre Rubicone ( celebrato con
quelle opere che sono registrate
nella Bibliografia storica delle cit-
tà dello stalo pontificio , alcune
delle quali indicheremo parlando
di Savignano), che ritiene ancora
presso la sua sorgente il corrotto
nome di Urgone , e dicesi poi jRf-
scialello dui fondo Piscinianuniy
quando prossimo a confondere col
mare le proprie acque, volgesi al
sud per ingrossare il suo vicino.
Attraversano inoltre il territorio di
questa provincia il Savio, il Roncot
il Montone, passando poi ad innaf-
fiare la confinante.
I doni della natura sono profu-
si per tutta la provincia forlivese
a lax-ga mano, essendo il suolo fer-
tilissimo, e principalmente abbon-
dante di ottimo e vigoroso vino.
Sono dappresso i monti considere-
voli miniere di zolfo, e cave di
pietra : la industria manifatturiera
è assai animata. La legazione apo-
stolica di Forlì secondo l' ultimo
riparto territoriale fino al i833^
conta nella sua popolazione 194,399
abitanti, ne' tre distretti di Forlì,
di Cesena e di Rimini in cui è di-
visa. Formasi della parte meridio-
nale dell' antica Romagna ; e sotto
il regno italico costituiva la mag-
gior parte del dipartimento del Ru-
bicone. P. Sigismondo Marchesi ,
Supplimento storico dell'antica cìt-
i3
,94 FOll
tà di Forlì , MI cui si descrive la
provincia della Romagna, cori la
serie in fine delle armi gentilizie
di tutte le famiglie nobili 3 e del
catalogo de vescovi e governatori
della medesima città, Forlì 1678
per Giuseppe Selva. Da Giorgio
Marchesi abbiamo : Monumenta vi-
rorum illuslrium Galliac Togalae,
Forolivii ex typ. Pauli Silvae, an-
no 1727. Si può consultare Ange-
lus Torzanus M., Orationes quae
de Umbriae , Romandiolaeque ce-
leberrimarum regionum Italìae, ur-
biumque suarum praecipuarum lati-
dibus agunt, Venetiis i562. Il di-
stretto di Forlì contiene oltre For-
lì', Bertinoro , Polenta , Forlimpo-
poli, Meidola e Ci vi Iella. 11 distret-
to di Cesena, oltre Cesena contie-
ne Cesenatico, Sarsina, Sogliano e
Savignano. Il distretto di Rimini
contiene oltre Rimini , Verucchio ,
Sant'Arcangelo, Coriano, Saludec-
cio e la Cattolica. Col medesimo
ordine de' luoghi componenti i tre
distretti, passiamo a dare di tutti
un semplice cenno storico, incomin-
ciando da quello di Forlì.
Bertinoro (Vedi), città vescovile.
Polenta. Villaggio piccolo ma fa-
moso per aver da esso desunta l'o-
rigine i Polentani che dominarono
Ravenna ( Vedi) dopo la cessazio-
ne degli esarchi. Trovasi in ame-
na altura innaffiata dal torrente
d'Avesa. Da Polenta dipende l'al-
tro villaggio di Collinella.
Forlimpopoli [Vedi), città ve-
scovile, al presente abbazia nullius.
Meidola, Meldula. A sinistra del
Ronco, che si trapassa per un pon-
te di pietra, è situato questo bor-
go, il quale primeggiò fra i castel-
li de' bassi tempi. Non mancano di
regolarità i suoi templi e gli edi-
lìzi; vi è la collegiata di s. Nico-
FOR
lo di Bari , che dipende dal capi-
tolo della patriarcale basilica vati-
cana, perchè Meidola sta nella dio-
cesi dell' abbazia di Forlimpopo-
li. Sono famosi nella Romagna i
suoi mercati, che somministra il
territorio in gran copia tutti i ru-
rali prodotti. I Malatesta signori di
Rimini vi dominarono, indi la re-
pubblica di Venezia per la cessio-
ne che ad essa ne fece Pandolfo
Malatesta, quindi tornò al pieno
regime de' Pontefici. Però Leone X
ne investì Alberto Pio de' signori di
Carpi, fratello di Leonello signore
di Bertinoro, che l'ebbe poscia iu
retaggio. Meidola soffrì gravi disav-
venture dall'esercito di Carlo con-
testabile di Borbone nel 1527 ,
quando recavasi ad assediare Roma.
Vuoisi che fosse l'antico Mutilimi,
e Pasquale Amati nel 1776 pub-
blicò in Bologna : Dissertazione so-
pra il passaggio dell' Spennino fat-
to da Annibale, e sopra il castel-
lo Mutilo degli antichi galli. Essa
fu scritta contro la Dissertazione
sopra il passaggio dell' A pennino
per Modigliana fatto da Annibale
cartaginese, di Pietro da Modiglia-
na, che l'avea pubblicata colle stam-
pe in Faenza nel 1 7 7 1 . Del suo
convento di s. Rocco ne tratta Fla-
minio da Parma, nelle sue Memo-
rie istoriche.
Civitella. Borgo posto alle radi-
ci dell' Apennino , presso i limiti
della Romagna toscana , e bagna-
to dal Bidente, detto poi Viti, vi-
cino a Meidola, che in fine presso
Forlì assume il nome di Ronco.
Civitella era luogo forte, ma delle
sue fortificazioni ora non si vedo-
no che avanzi. I forlivesi vi ebbe-
ro uno scontro favorevole, co' fio-
rentini capitanati da Guido Selva-
tico. Per questa terra corre la
!
F 0 R
strada provinciale , che da Forlì
porta al gran ducato di Toscana ,
dalla parte di Galeata, servendo al
commercio di Romagna colla pro-
vincia del Casentino. Questa strada
nell' XI secolo chiama vasi Vìa Ro-
mipetarum , perchè, come la più
breve, era frequentata dai pellegri-
naggi ; essendo allora a comodo dei
pellegrini fornita di frequenti ospi-
zi di gratuito alloggio. Secondo il
dottor Amati di Savignano, per
questa via passò Annibale nella me-
morabile sua spedizione contro Ro-
ma, e per questa passò il contesta-
bile di Borbone nel iSij , quando
andava a guerreggiare con formi-
dabile esercito contro il Papa Cle-
mente VII. Dipoi nel 1642 Odoar-
do Farnese duca di Parma , alla
testa di cinquemila cavalli per ricu-
perare Castro, fece allo in Civitella,
vi si trattenne tre giorni, e la sac-
cheggiò, perchè dalla famiglia Ma-
la testa, che teneva le parti di Ur-
bano Vili, gli fu ucciso un alfiere.
E qui noteremo che quella fami-
glia cotanto potente pel dominio
esercitato su varie città di Roma-
gna , restò già estinta colla morte
del conte Lamberto , ultimo figlio
del conte Cesare, feudatario di Val-
doppio, avvenuta nel 1757. Pel ter-
ribile terremoto del 22 marzo 1661,
Civitella rimase quasi interamente
distrutta ne' suoi edilìzi, colla mor-
te di cento venlidue persone ; solo
vi restò illeso il santuario di s. Ma-
ria della Suasia. Concorse allora a
rifabbricarla il governo pontificio ,
coli' esenzione dai tributi per ven-
t' anni : il nominato santuario è di
molta venerazione e concorso. Sul
confine toscano, alla distanza di un
miglio, si vedevano le vestigia del
palazzo, che per suo diporto verso
l'anno 5 16 fece fabbricare il goto
FOLI kj7
Teodorico re d'Italia. Ad altro mi-
glio sopra detto palazzo eravi l'in-
signe monistero di s. Ellero, i cui
abbati furono un tempo signori
temporali di questa contrada, mo-
nistero che il Papa Adriano I rac-
comandò con lettera a Carlo Ma-
gno. La collegiata rimase soppres-
sa nelle vicende repubblicane ; avvi
un ospedale, e presso la sponda del
Bidente una sorgente d'acqua me-
dicinale. È sede di governo, ed ha
soggette le comuni di Mortano ,
paese con buoni fabbricati, coll'ap-
podiato Spinello ; di Predappio ,
coli' appodiato Rocca d'Elmicij e
di Fiumana. Dall' amministrazione
municipale poi dipendono gli ap-
podiati Cuscrcoli , antico castello
de' conti Malatesta, stato poi sino
al 1797 feudo de' marchesi Guidi
del Bagno di Mantova, e Valdop-
piOy distrutto forte degli stessi couti.
Cesena ( Fedi), città vescovile ,
e distretto cui soggiacciono i seguen-
ti luoghi.
Cesenatico. Borgo importante
lungo la spiaggia marittima, eh' è
attraversato dalla strada che con-
duce da Rimini a Ravenna. Fu e-
difìcato nel pontificato di Giovan-
ni XXIIJ, nei primi anni del seco-
lo XV , e nelle sue vicinanze al
sud-est si additano le nuove Ta-
verne Cossuziane ( ad novas Ta-
bernas Cossuntianas ) eh' erano le
frontiere Cispadane della repubbli-
ca romana. JNe' suoi dintorni è il
luogo della città di Ficocle sulla
via Reginia , che dagli Apennini
giungeva all'Adriatico : qui va no-
tato, come si disse all'articolo Cer-
via, che sembra questa città vesco-
vile essere succeduta all' antica Fi-
cocle. Ha una rocca presidiata, che
gì' inglesi nel 1 8 1 3 in uno sbarco
incendiarono. Su questo borgo e
i96 FOR
porlo del territorio di Cesena, Mat-
teo Zacchiroli pubblicò nel 1783
un opuscolo in Cesena intitolato :
Saggi sopra l'aria del Cesenatico.
Sarsina (Fedì), città vescovile.
Sogliano, Sullianum. Borgo si-
tuato sopra un colle , a pie del
quale scorre il Fiumicino , che ad
una stessa foce col Pisciatello si get-
ta nell'Adriatico. Secondo l'Amati,
Sogliano deriva dalla gente Sullia,
o da Siila , ovvero die cjuesta
provenne da Sogliano. E cinto di
muraglia , ed ha una bella chiesa
parrocchiale, dedicata a s. Lorenzo,
e nominata dal Pontefice Lucio li
in una sua bolla^ oltre alcuni edi-
flzi di qualche rilevanza. Abbraccia
le comuni di Borghi e di Ronco-
freddo j l'etimologia di Roncofred-
do venne da un'altissima torre che
quivi esisteva in tempi antichi , e
chiama vasi la Rocca fredda per la
sua altezza; qui fu assassinato alla
mensa il conte di Chiazzolo dallo
zio Patidolfo Malalesta nel iZi^.
Vi sono gli appodiati Monte Co-
druzzo, Monte Leone e Sarrivoli ,
non che vari montani casali qua e
là sparsi. Dipendono poi dalla comu-
nale amministrazione gli appodiati
Montebello, Monte Gelli, Monte Tiffì
e Rontagnano con diversi villaggi mi-
nori , oltre sette rurali parrocchie.
Alberto Fortis, scrisse la Memoria
sopra la miniera di carbone di So-
gliano, Cesena 1790. Il p. Flami-
nio da Parma, nelle sue Memorie
isloriche delle chiese e conventi dei
riformali della provincia di Bolo-
gna, stampate in Parma nel 1760,
non solo tratta del convento di
s. Croce di Sogliano, ma sull'ori-
gine, progressi e signori di Soglia-
no stesso.
Savignano, Sabinianum. Borgo
posto in piano, già esteso latifon-
FOll
do, che la romana famiglia Sabi-
niarta vi possedeva, la quale dal me-
desimo borgo antichissimo ripete
la sua origine, e probabilmente da
un Caio Sabino. Dapprima fu edi-
ficato il borgo nel rurale villaggio
che ora dicesi S. Maria in Castel
Secchio, e quindi trasferito nell'a-
rea odierna. V^i scorre il Fiumici-
no, sopra il quale è il ponte di mar-
mo costruitovi da Ottaviano Au-
gusto nel suo settimo consolato, sot-
to il qual ponte credè taluno che
vi passasse l'antico Rubicone. Dal
secolo XIV in poi si è menato gran
rumore per riconoscervi il Rubi-
cone a preferenza del Luso rimi*
nese e del Pisciatello. Viene loda-
to il dotto savignanese Basilio Ama-
ti , che per amore di storica veri-
rità, nelle sue ricerche non conven-
ne colle opinioni del degno geni-
tore, né nella sentenza del rispet-
tabile arciprete Nardi, che aggiudi-
cato sia per sempre il Rubicone
a' savignanesi , invece si decise per
1' Urgone o Pisciatello, Piscinia-
num. Vedi Pasquale Amati , Dis-
sertazioni tre sopra alcune let-
tere del doti. Bianchi , e sopra la
moderna iscrizione savignanese , e
il Rubicone degli antichi, Faenza
1761. Dissertazione seconda sopra
alcune lettere del doti. Bianchi , e
sopra il Rubicone, Faenza 1763.
Gabriele Maria Guastuzzi, Confer-
ma e difesa del parere sopra il
Rubicone degli antichi. Lettera di-
retta al p. Calogerà contro una
lettera scritta al Randelli in con-
futazione della scrittura del p. Ser-
ra contro i riminesi ed i sarcange-
lesi in proposito del Rubicone. Si
legge nel tona. I della nuova raccol-
ta degli Opuscoli scient. Parere so-
pra il Rubicone degli antichi, Ve-
nezia 1749- A. carte tor v'ha la
descrizione del ponle di Sa vignano.
Nella questione nata tra i cesena-
ti, i ri ni inesi e i savignanesi per
attribuirsi ognuno il Rubicone, il
Guastimi difende i savignanesi. 11 p.
Gio. Angelo Sena gli si oppose con
l'opera intitolata: Fiume Rubico-
ne difeso dalle ingiuste pretensioni
delle due comunità di Ri/nini e
s. Arcangelo, stampata in Faenza.
Abbiamo pure di Pietro Borghesi,
Lettera in difesa della sua iscrizio-
ne posta al fiume diSavignano, con-
tro il dottor Giovanni Ciancili di Pii-
uiini. Checché ne sia, non abbiso-
gna Savignano di questi causali van-
ti, per essere anuoverata tra le più
celebri terre.
Nel secolo XIII Savignano era
ben noto e popoloso ; ma verso la
metà del seguente venne per cura
del cardinale legato Albornoz cin-
to di turrite mura, e munito di
fosse per la pericolosa sua posi-
zione in mezzo alla via consola-
re. Queste fortificazioni ebbero fi-
ne nel i36i nel pontificato d'in-
nocenzo VI. Fu assai lodevole l'an-
tiveggenza di quel gran cardinale
in que' tumultuosi tempi per la re-
sidenza dei Papi in Avignone, laon-
de il paese in seguito maggiormen-
te si aumentò s essendovisi dilatati
i due ampi borghi , uno de' quali
ne forma oggi quasi la miglior par-
te. Molti vani assalii furono suc-
cessivamente dati a Savignano, e
ne fu respinto Barnabò Visconti
colle milizie pontifìcie guidate dal
conte Carlo di Davadola, il quale
però pagò cara la vittoria colla per-
dita della propria vita. Tutta volta
i viscontiani nel principio del seco-
lo XVI gli diedero furioso sacco; e
Francesco Maria della Rovere duca
d'Urbino, co' suoi alleati chiesero
a moderate condizioni il passaggio
FOR TQ7
per le sue mura. Insigne è la sua
collegiata di s. Lucia, alla quale do-
nò Clemente XIII il quadro che
adorna l'altare maggiore; la chie-
sa matrice è antichissima d'origine.
Vi sono pure altre belle chiese, co-
me quelle di s. Rocco, di s. Salva-
tore, di s. Giuseppe , ed un con-
vento di osservanti. Il succitato p.
Flaminio da Parma, nelle sue Me-
morie, tratta del convento di s. Se-
bastiano. Le strade , le piazze , i
frequenti palazzi abbelliscono il ma-
teriale aspetto di Savignano. Co-
piose sono le benefiche istituzioni, e
fra queste nomineremo il monte di
pietà; l'ospedale già convento dei
girolamini; una fiorentissima biblio-
teca eretta nel secolo XVII, ed aper-
ta alla pubblica istruzione, dovizio-
sa di più di diecimila volumi; una
collezione numismatica forse la più.
completa d' Italia quanto alle me-
daglie consolari, senza mancare del-
l' imperatorie e d' ogni altro gene-
re, adorna il palazzo dei Borghesi;
né manca di teatro convenientemen-
te decorato. Il eh. Calindri nel Sag-
gio statistico storico dello stato pon-
tificio , dice che il museo Borghe-
siano numismatico di trentamila
medaglie consolari ed imperiali ro-
mane, è stato trasportato a s. Ma-
rino, ove si è stabilito l'illustre
suo proprietario. Caldi di amor
patrio i savignanesi, ed amanti del-
la coltura dell'ingegno, con lode-
vole divisamento hanno voluto e-
ternare la gloria dell'avervi avuto
i natali il sommo filologo Giulio
Perticari a' i5 agosto 1779, co^a
istituzione in suo onore dell'acca-
demia de' Simpemeni-filopatridi-ru-
biconii, nella prima adunanza della
quale, tenuta a' 17 maggio 1825, s'in-
nalzò l'analoga lapide del dotto e eh.
Bartolomeo Borghesi savignanese.
ic.,8 FOR
In prossimità poi di Savignano
era l'antica Compitimi, o ad Con-
Jluentes , città secondo alcuni , o
grosso paese secondo altri, situato
ove incrociando la via Emilia col
Decumano , eh' era un ramo della
■via Regima , formavasi un ampio
quadrivio, su del quale sorgeva il
magnifico tempio Compitale aper-
to da quattro lati, nel quale a ce-
lebrare le compitali feste concor-
correva la moltitudine: tal tempio
dicesi eretto due secoli avanti l'era
volgare. D. Luigi Nardi nel 1827
pubblicò in Pesaro, Dei Compiti,
feste e giuochi compitali degli an-
tichi, e dell'antico Compito savi-
gnanese in Romagna. La chiesa di s.
Giovanni in Compito n'era l'antica
pieve, ed ebbe il suo capitolo, che
fu poi riunito alla collegiata di Sa-
vignano. Rimase in fiore sino ai
tempi di Giustiniano I, e fu dipoi
nelle guerre de' longobardi distrut-
to, essendo derivati dalle sue ro-
vine i due paesi del nuovo e vec-
chio Savignano, e al dire di alcu-
ni Gaggio o sia Gaio, donde sur se
l' odierno Savignano. Negli scavi
fatti ne' dintorni trovaronsi anelli,
armille, colonne scanalate del graiv
tempio Compitale, idoletti , meda-
glie e sepolcri. Il Nardi ci dà e-
ruditissime notizie sull'origine, fe-
racità, pregi, fortezza, e vicende di
Savignano. Come ancora dichiara
che Compitimi era un antichissi-
mo paese vicino a Savignano ; che
fu grossissimo paese e municipio;
che sempre si appellò così, e chia-
mato pure Confluentes j che vi con-
fluivano l'Emilia e la Regima; par-
la della sua amena situazione, del
magnifico suo tempio, degli ogget-
ti antichi ivi trovati ; cli'era cinto
di grosse mura, e termine del po-
polo romano; eranvi de' bagni, la
F O R
Mutalio o posta antica ; che esistè
intero sino al VI secolo, che va-
sto era il suo territorio, e che dal-
l'immense monete ed anticaglie ivi
trovate si formò il museo del lodato
letterato Borghesi. In poca distanza
da Savignano vi è la superba vil-
la del conte Ginnani. Dipendono
dall'attuale governo di Savignano
le comuni di Gatteo , di Gambet-
lola, che viene generalmente deno-
minato il Bosco, e di Longiano ,
coll'appodiato s. Mauro, e con mol-
te rurali parrocchie. Longiano si dis-
se ancora Lonzano, e si vuole fab-
bricato fra il VII e 1' Vili secolo
dagli avanzi Compitani, la cui pie-
ve antichissima era nel territorio ,
secondo il citato Calindri. Vi è un
santuario del ss. Crocifisso nella
chiesa de' francescani , dipinto in
tela, di greca maniera, il quale si
rese prodigioso nel maggio 1 49^.
Vi è una ricca e scelta libreria ,
fabbriche ed opifici. Nel territorio
seguirono molti fatti d'arme: i fab-
bricati sono belli e vasti, con mu-
ra all'intorno, e borghi all'esterno.
Ewi la collegiata di s. Cristoforo
martire, già esistente nel 1 r 44- Ab-
biamo da Cristoforo Giovanni Ar-
naduzzi, Longiani devoluti o , ad
S. R. E. sub Gregorio XIII per
Octavianwn Longianensem conscri-
pta narratio, quam ex apogranho
secretioris Tabularii Arcis Adria-
nae depromsit. Exst. in tom. Ili
Anedoct. litter.
Rimini [Vedi), città vescovile e
distretto cui sono soggetti i luoghi
seguenti :
Verucchio. Città posta su di
elevato colle in aria buonissima,
alla destra del Marecchia, assai
nominata nelle storie per essere
stato il primo luogo ove i Ma la te-
sti stabilirono il loro dominio, e
FOR
fu il primo seggio di Malatestino
Mabtesta I, datogli dall' imperatore
Otlone T, allorché venne questa fa-
miglia con lui dalla Germania: an-
cora si vedono avanzi delle sue
antiche fortificazioni. Nell'esteriore
villaggio di Cor polo, nell'estate si
ravvisano sgorgare salutifere acque,
1' uso delle quali si sperimenta ec-
cellente pei bagni. Antichissima è
l' origine di Verucchio, credendosi
da alcuni eretta dai popoli dell' i-
sola di Chio. Leone X prima, poi
Clemente VII a'i5 settembre \5i5,
Paolo III a' 5 dicembre i53g, e
s. Pio V nel dì primo aprile i566
la chiamarono e dichiararono città,
anzi Leone X vi prepose a gover-
natore e conte Giovanni Maria ec-
cellente suonatore di lui. In questa
città vi è la collegiata di s. Mar-
tino. Di Verucchio, Veraculum, si
ha da Filippo Antonini : Discorso
in cui si ribatte l' opinione che i
Malatcsà abbiano avuto la loro
origine da Rimi ni ; exstat a pag.
78 dell'opera seg. dell' istesso au-
tore : Supplemento alla cronica di
ì e nicchio terra della diocesi di
Ri/nini, Bologna 161 8.
Santo arcangelo. Città il cui ter-
ritorio è in colle e in piano di
aria ottima, posta sopra una colli-
na alla destra «riva del Luso, non
lungi dalla via Emilia. È di origine
antichissima, e fu un vico della
colonia romana di Ri mini. Fu già
uno de' più fortificati castelli che
avessero i Mala testi ; e Leone XII
la fece città agli 8 agosto 1828.
Il tempio di Giove fu consagrato
in chiesa nell' anno 345, venendo
dedicato a s. Michele Arcangelo. A
questo è dedicata l' insigne colle-
giata. Nel territorio si rinvennero
rottami di antichi edifizi, idoli, va-
si lacrimali, monete, e statuette.
FOR 199
La principale piazza è regolare, ed
ha diversi moderni edifizi di bella
apparenza: vi è pure un'antica
canonica di solitarii che più non
vi abitano. Qui nacque il b. Simo-
ne Ballacchi domenicano, ed un
copiosissimo numero di uomini il-
lustri , noverati con dottrina ed
erudizione da monsignor Marino
Marini prefetto del pontificio archi-
vio vaticano, in una sua disserta-
zione letta nell' accademia romana
d' archeologia. Gio. Vincenzo An-
tonio Ganganelli, oriundo di Borgo-
pace, nella diocesi e distretto di
Urbania, a'3i ottobre 1705 nacque
in s. Arcangelo, progressivamente
divenne cardinale, e nel 1769 Pa-
pa col nome di Clemente XIV
( Vedi ) : i concittadini per eternar-
ne la memoria gli eressero un ar-
co in marmo. A Sant' Arcangelo
soggiacciono le comuni di Poggio
de' Berni, e di Scorticata, con pa-
recchi casali, otto de' quali vanno
uniti alla sua amministrazione mu-
nicipale. Poggio de' Berni fu gover-
nato dai duchi di Urbino sino dal-
la più rimota età di quella possente
famiglia, che terminò di signoreg-
giarlo nel i63i. E una terra la
cui origine è assai antica, con ter-
ritorio in monte ed in piano. Nel
1 765 la reggenza di Toscana ven-
dè Poggio de' Berni alla camera
apostolica, nel pontificato di Cle-
mente XIII, per la somma di scudi
cinquecentomila, comprensivamente
ad altri beni allodiali.
Coriano. Borgo posto nella pia-
nura innaffiato dal fìumicello Ama-
rano, e cinto di vecchie mura. La
principal chiesa matrice non manca
di eleganza, né v' ha particolarità
alcuna rimarchevole nei rimanenti
edifici. Presso il borgo è la villa
de' conti Zollio, che inerita osser-
200 FOR
vazione. Abbraccia le comuni di
Monte Scucialo (da Clemente VII
concesso ai conti Bagno, con forte
torre, e borgo con buoni fabbrica-
ti ), coli' appodiato Albereto j di s.
Clemente, coll'appodiato Marciano ;
di Monte Colombo, con alcuni ca-
sali; e di Milano : non lungi dal
mare ha due scaturigini d' acqua
dolce, limpida, abbondante e fre-
sca. Vi sono poi direttamente com-
presi a Coriano gli appodiati Ce-
rasolo, e Mulazzano, con diversi
"villaggi, cinque de' quali fanno par-
te di sua popolazione.
Saludeccio. Borgo situato in col-
lina tra il Conca ed il Foglia, per
l' libertà assai noto nelle terre circo-
stanti ; e visi tengono grosse fiere di
bestiami. E opinione di alcuni che
Decio imperatore essendo malato ,
quivi si ritirasse per migliorare aria,
e che allora nascesse il paese. Altri
poi lo vogliono originato dall'essere a
quell' epoca dieci miglia lungi dal
mare, e che però debba chiamarsi Sai-
tusdecimus. Era questo un feudo
deirantica famiglia Ondedei, passata
poi in Pesaro. Si possono consul-
tare il Clementini, l' Adimari, ed
il Grandi nelle vite dei beati Ama-
to ed Omodeo Omodei, corrotto in
Ondedei. Tra i suoi belli fabbricati
va notata la chiesa matrice, ove
riposa il corpo del beato Amato.
Saludeccio, o Salodeccio è tutto
cinto di mura, ed ai 18 agosto
i344 tornò al dominio dei Mala-
testa. Novera le comuni di Mon-
daino, ove sono avanzi di sontuosi
bagni molto antichi, da' quali do-
vè nascere questo paese, col suo
piccolo borgo; di Monte Gridolfo,
edificato nel 1 337, perchè Tanti-
co paese crollò in gran parte ; di
Monte Fiore, che nella sua origine
fu molto fortificato, ed è una delle
FOR
quattro terre più, antiche della Ro-
magna, essendo il suo archivio an-
teriore di 37 anni a quello di Ri-
mini : vi fu di residenza un prelato
di mantelletta, ed un tribunale di
segnatura, e ciò prima del 1462;
a tal prelato fu ancora unito il
governo di Fano. Inoltre Saludeccio
ha sotto di sé le comuni di Gem-
mano , di s. Giovanni in Mali-
gnano, fortificato nel i442» Pei" cul
assediandolo il Piccinino noi potè
prendere colla numerosa sua arma-
ta, è cinto di mura con due bor-
ghetti, e tra i suoi belli fabbricati
nomineremo la chiesa matrice, e
l' altra di s. Maria della Scuola
spettante alla comune , e di Catto-
lica di cui parleremo qui appresso.
Direttamente poi soggiace a Salu-
deccio l' appodiato Meleto. Ridon-
da la campagna di sparsi casali.
Cattolica. Villaggio posto nella
via Flaminia fra due torrenti, che
precedono il Conca. Havvi una de-
cente chiesa parrocchiale dedicata
a s. Apollinare, pochi rimasugli
delle antiche mura, con una porta,
e la stazione postale. Prese la de-
nominazione di Cattolica allorché
quivi si ritirarono i venti vescovi
o padri cattolici, perchè seguaci
della dottrina ortodossa, quando si
separarono dagli ariani nel concilio
di Rimini. Vicino al mare sono le
rovine della città di Conca , la
quale nella più, parte venne som-
mersa ; altri poi credono che quel-
le rovine non sieno di Conca, ma
bensì di Crustumio ; comunque sia
la cosa, sembra certo che una por-
zione di que' popoli fabbricarono
questo paese. Accennate le princi-
pali cose che riguardano la provin-
cia e legazione di Forlì, ed i luoghi
principali esistenti ne' suoi tre di-
stretti, passiamo a parlare della sua
FOR
capitale, quanto antica, altrettanto
celebre.
Forlì, Forum Lh'ii, bella ed il-
lustre città, giace in una spaziosa,
ridente, ed aperta pianura, alta di
sito, esposta a tutti i venti, che
col loro spirare allontanano ogni
cattivo vapore, e perciò in aria
mollo salubre. Questo monumento
della consolidata romana grandez-
za trovasi fra i due fiumi Ronco
e Montone, ambedue presso gli an-
tichi celebrati. Le vecchie .mura co-
stituivano un tempo la sua difesa,
e le rocche di porta Ravaldina e
di porta Scbiavonia sono abbando-
nate. Grande per 1' area, e magni-
fica -pel disegno e pei nobili edi-
fìzi è la maggior piazza, la quale
ha vanto fra le più belle cY Italia.
Ne forma la principale decorazione
l'amplissimo palazzo governativo,
che deve la fondazione al valoroso
legato il cardinal Egidio Albornoz
spagnuolo, agli Ordelaffi ed ai Riari
molti abbellimenti, ed il suo ridu-
cimento nell'odierna maestosa ed
elegante forma ai nuovi destini ed
onorificenze che le toccarono, dopo
essere tornata al rango di metro-
poli provinciale e di legazione apo-
stolica, e perciò residenza del car-
dinal legato di Forlì. Il salone che
serviva una volta ai consigliati ra-
dunamenti , era dipinto non da
Raffaello, come molti crederono, ma
da Livio Agresti , insigne artista
forlivese, quasi contemporaneo di
Raffaele medesimo. Le pitture in
legno poste al soffitto vennero con
moderni trova menti estratte per
intero, ed altrove trasportate. Det-
to salone ridotto a nuova foggia
e oggi frapposto agli appartamenti
occupati dal cardinal legato.
Nel febbraio i3c)4 sulla torre del
pubblico palazzo venne per la prima
FOR 20 1
volta posto l' orologio , opera di
irate Gaspare domenicano, profes-
sore eccellente ed ingegnere. Di poi
il famoso meccanico Arbario Praga
fabbricò il grande orologio della
pubblica torre in cui segnava sette
mostre, quattro cioè sulla facciata
della stessa torre, due all' arco prin-
cipale della piazza in oggi atterrato,
e la settima in mezzo alla gran
volta del pubblico salone del palaz-
zo governativo: nel 179J questo
artefice restaurò l'opera sua. Nel
1824 si die compimento al locale
pel giuoco del pallone, eretto nella
più parte colle offerte spontanee
de' cittadini, di fianco alla barriera
di porta Gotogni oggi Pia. Nel
1827, a spese del conte Domenico
Matteueci, si terminò la facciata
dell' ospedale. Anco le vie ingran-
dite e raddrizzate , specialmente
quella del Corso, ne rendono l' a-
spetto imponente; e grato campo
al giocondo trattenimento e pas-
seggio de' cittadini offrono i pub-
blici giardini pochi anni addietro
aperti. Dopo l'antichissima chiesa
Ravennate, ha nella Romagna la
sede episcopale di Forlì i primi
onori, siccome diremo per ultimo.
La chiesa cattedrale risponde alla
maestà della sua destinazione, e vi
si venera la prodigiosa immagine
della Beata Vergine Maria detta
del Fuoco, per essere stata preser-
vata dalle fiamme, verso la quale
massimamente coli' annua rimem-
branza, i circostanti popoli in gran
numero concorrono. Sontuosa è la
cappella che s'incominciò a costrui-
re nell'anno 1619 con disegno del
p. Paganelli domenicano, architetto
di Paolo V, per gli ornati d'oro
e d' argento, per le dipinture, mar-
mi, ed altri pregi : il bolognese Car-
lo Cignani col suo esimio pennello,
2oi FOk
vagamente effigiò l'Assunzione della
B. Vergine in cielo; e condotta al
suo termine vi si collocò la men-
zionata miracolosa immagine. Deve
avvertirsi che il Cignani dopo aver
dipinto in Forlì la cupola, fu fatto
nobile della città, ove essendo mor-
to ed avendovi piantato famiglia,
viene chiamato forlivese. Mentre
era vescovo di Forlì monsignor
Giacomo Teodoli, ai 20 ottobre
i636 segui la traslazione di tal sa-
gra immagine nella tribuna costrut-
ta appositamente, con apparato so-
lenne di ecclesiastica pompa. Di
Giuliano Becci abbiamo : II fuoco
trionfante, racconto della traslazio-
ne della immagine delta la Ma-
donna del fuoco, solennizzata dal-
la città di Forlì sotto il 20 otto-
bre i636, Forlì per Giovanni Ci-
matti 1 636, con figure. Questo poe-
ta ed oratore egregio, in detto li-
bro descrive pure la superba cap-
pella ov' è riposta. Fu per sì lieta
circostanza, che nella piazza mag-
giore fu eretta la colonna di mar-
mo, colla statua della B. Vergine
in bianco marmo di Carrara, ope-
ra di Clemente Molli famoso scul-
tore.
Per la sua altezza e per la sin-
golare sua architettura si distingue
la torre che serve di campanile
al tempio abbaziale eretto in ono-
re del patrono della città s. Mer-
curiale, già posseduto dai cliinia-
censi, e dopo il i4$7 dai valloni-
brosani. Paolo Bonoli, nella Storia
di Forlì, all'anno 1178 narra che
si principiò la fabbrica della torre
di s. Mercuriale , con architettura
di Francesco Deddi, ed ebbe ter-
mine nel 1 180; edilìzio che per
l' altezza, proporzione, e comodità
di scale,, polendovi anche un giu-
mento salire sino alle campane,
1 OR
merita di essere, per fabbrica di
mattoni, fra le torri principali an-
noverato, ed aggiungo che servirà
a perenne testimonianza dell' opu-
lenza e potere della città di Forlì
in quei tempi. Le molte altre chie-
se sono pur grandiose, e ricca-
mente dotate, molte essendovene
in cura dei vari ordini religiosi di
ambedue i sessi, come poi si dirà.
Vi si osservano vari dipinti dei
forlivesi Melozzo, Palmezani, Livio
Agresti , Francesco e Pier Paolo
Menzocchi, Andrea Felice Bondi,
non che di Guido, del Guerrino,
del Maratta , di Carlo, Felice, e
Paolo Cignani, e di altri eccelleiì-
ti artisti; come pure opere di
scultura di Desiderio da Setignano,
di Benedetto da Maiano, di Do-
nalo fratello di Donatello, di Gia-
como Tatti detto il Sansovino, del
Bernini, di Leandro Bilioski. e di
Gaetano Lombardini. Le pie fon-
dazioni, i benefici istituti offrono
asilo e sovvenimento di ogni spe-
cie all'umanità sofferente. Il mon-
te della pietà eretto co'denari pub-
blici è un bel monumento della
sensibilità de' forlivesi verso i cit-
tadini; l' edilizio venne cretto nel
i5l4. Gli istituti di beneficenza
che ancora esistono in Forlì dan-
no una rendita di quarantaquattro
mila scudi. V. le Memorie sloriche
intorno ai forlivesi benemeriti del-
l'umanità e degli sludi nella loro
patria, e sullo stato attuale degli
stabilimenti di beneficenza e d' i-
struzione in Forlì, del conte Sesto
Matteucci forlivese, Faenza 1 84-3
pel Conti. Vi ha pure una cassa di
risparmio, la quale fiorisce al pari
di qualunque altraj serbata la de-
bita proporzione in tutto.
Nella pregiata ed interessante o-
pcra del conte Sesto Matteucci si
FOR
fa la storia degli spedali di Forlì,
di quello degli esposti , del monte
di pietà, della congregazione gene-
rale dei pii istituti comunali ; del-
le condotte mediche e chirurgiche
della città ; dell' istituto s. Carlo
Borromeo , antica compagnia della
carità ; dell' ospizio de' pellegrini ;
dell'eredità Orsi, cioè di quella la-
sciata nel 1771 dal conte Checco,
con la quale dispose che si cele-
brassero delle messe, e si sovvenis-
sero annualmente i poveri della
città, ma Clemente XIV autorizzò
che invece delle messe s'istituissero
due mansionerie per la cattedrale
col fondo di tremila scudi, ed e-
gual somma si erogasse per le det-
te limosine; dell'istituto de' men-
dicanti sotto il titolo di s. France-
sco Regis ; del conservatorio delle
mendicanti sotto quello di s. Anna;
dell'orfanotrofio d'ambo i sessi;
della congregazione generale de' pii
istituti ecclesiastici; dell'istituto per
dotare le zitelle; della spezieria pei
poveri; dei ricoveri privati Albici-
ni, Maioli e Matteucci ; dell'istitu-
to Teodoli ; della cassa di rispar-
mio; della confraternita della Bea-
ta Vergine del fuoco. Delle scuole
normali; del ginnasio Cesarmi Maz-
zoni ed unite scuole comunali; del
seminario vescovile ; deli' eredità
Tartagli] Mervelli; delle istituzioni
per mantenimento di giovani a
studio ; della libreria pubblica ed
unita pinacoteca ; delle accademie
letterarie de' Filargiti , di quella
Ecclesiastica fondata nel 1699 dal
can. Maldenti, di quella dell'Odor
letterario istituita nel iyiodall'ab.
Pellegrino Dandi, di quella degl'/e-
neutici eretta nel 17^9, di quella
di Giove Crelense fondata nel iy55t
de' Monomonici eretta nel 1 784 ,
de' Ponerasti, dell' ateneo forlivese
FOR ao3
o istituto accademico forlivese sta-
bilito nel 1818, ec. , ec.
Il fiume Montone oltre irrigare le
mura della città dalla banda di mez-
zogiorno ed occidente, passa per
mezzo la città un canale delia sua
acqua, che comincia dalla villa
Calanco da uno de' due rami o
fiumi, de'quali è composto il Mon-
tone, e finisce nel fiume Ronco
nella villa detta Coccolia. Antica-
mente con un ramo, e poi tutto
intero, il borgo Schiavonia attra-
versava , sopra la ripa del quale
era situato il tempio della ss. Tri-
nità, antico duomo, scorrendo sot-
to il ponte d' un sol arco, detto
de' Morattim, per avere questa fa-
miglia ivi intorno abitato: ponte
che per la sua bellezza , mostra
che fu fatto in quel secolo, quan-
do all' ombra della grandezza ro-
mana fiorivano le scienze e le ar-
ti più nobili. Egli era tutto di
sotto intonacato di marmo, e co-
sì bene unito, ch'era lodato da-
gl'intelligenti, come si vedeva in
quelle parti non corrose dall'acqua
e dal tempo: questo ponte è oggi
interrito, e se ne vede solo un
magnifico vestigio nel cortile d'una
casa privata, posta sul menzionato
borgo di Schiavonia. Questo pon-
te di antichissima costruzione ro-
mana essendo formato d' un solo
arco non poteva contenere che
le acque del torrente Acquacheta,
ricordato dal poeta Dante nel XVI
canto dell'Inferno. Siccome poi a
motivo delle forti pioggie strari-
pando innondava sovente la stra-
da della città, Scarpetta II Oide-
laffi nel 1042 fece condurre l'ac-
qua di questo nell'altro in poca
distanza, chiamato Rabbi , e per
l'unione de' medesimi formando il
corpo intero del fiume la figura
so; FOll
di una testa di montone , venne
poi in seguito chiamato con tal
nome. Il traflìco di Forlì è molto
animato, sia pei prodotti del suo
fertile territorio, che il citato Bo-
noli descrive al lib. f, sia per es-
sere posto fra la riva adriatica ed
il confine toscano, il quale non è
lungi che due leghe dalle mura
della città, mediante la vallata di
Montone, ov'è il toscano distretto
di Eliopoli o Terra del Sole. Og-
gidì il detto traffico è pur assai
ampliato per le fabbriche e ma-
nifatture introdotte , cui non è
nostro scopo parlare.
Onorevoli prerogative vanta For-
lì, ch'ebbe dominio e giurisdizioni
sopra diverse città e luoghi intor-
no ad essa, e sino dai tempi an-
tichi fu appellata città potente,
ed ai tempi di Augusto s'ebbe
il grado di municipio romano.
Jn vari tempi Forlì è stato capo
della provincia di Romagna, e se-
de de'legati, si è retta a repubbli-
ca, ed ha conseguito notabilissime
vittorie, e fu sì potente, che per
soggiogarla partirono in diversi tem-
pi da remote contrade poderosi
eserciti; è stata sede di principi, ed
ha, come diremo, dato parecchi uo-
mini segnalati per lettere e pel-
armi. Vuoisi che l'imperatore Fe-
derico II accordasse al magistra-
to e senatori forlivesi di vestir
porpora foderata di pelli di dosso
conforme vestivano; dipoi si dirà
del grande consiglio civico di For-
lì, sua istituzione , stabilimento e
riforma. Gli statuti furono emen-
dati o riformati, con giunta di
nuove leggi dai dottori Antonio
Denti, Assalonne Savorelli, Pier-
paolo Agostini, Ottaviano Aspini,
e Bernardino Albicali , e dietro
superiore approvazione si pubblica-
la)!!
rono nel 1616. Gli ordini, le
leggi, le concessioni, e privilegi
d(4 magistrato di novanta Pacifici
di Forlì, furono stampati nel l55q
in Venezia, e nel 17 19 in Cese-
na. Per istemma ebbe Forlì dai
romani, come solevano praticare
colle città da essi edificate, il cam-
po vermiglio. Dall'aver fatto parte
i forlivesi nel declinar dell' XI se-
colo della prima crociata di Pa-
lestina, per le prodezze ivi eserci-
tate, e pel glorioso combattimento
di Sigismondo Brandolini con un
arabo, cui rapì l'impresa degli scor-
pioni, e cooperò alla vittoria di
Ottone Visconte, che tolse l'im-
presa del tortuoso serpente, insegna
dell' abbattuto nemico, i forlivesi
ben a ragione aggiunsero al pro-
prio stemma la bianca croce, e do-
po il 124.1 l'aquila imperiale in
campo d'oro, per concessione di
Federico II imperatore. La parola
poi Liberlas che si legge nel me-
desimo stemma, 1' adottò Forlì in
segno d' essersi retta un tempo a
repubblica. In segno di essere For-
lì tornata all'ubbidienza della san-
ta Sede, Onorio IV gli donò la
sua impresa, cioè il gonfalone col-
le chiavi incrociate in campo ros-
so. Pei benefizi poi che la città
avea conseguito dal concittadino s.
Valeriano, non solo lo annoverò
tra i suoi protettori, ma lo effigiò
nel sigillo del comune, rappresen-
tandolo a cavallo , con lo scudo
in braccio, e su di esso scolpita
la croce; sull'elmo ha l'aquila, e
nello stendardello della lancia la
parola Libertas. Intorno al sigillo
prima eranvi queste parole: sigil-
LUM COMMUXITATIS FOROLIVII, e po-
scia : sanctus valerianus martyr
PROTECTOR C1V1TATIS FOROLIVII. Il me-
desimo imperatore die facoltà alla
FOR
città di battere moneta, laonde nel-
l'anno «496 Caterina Sforza si-
gnora di Forlì, si valse di tal pri-
vilegio facendo coniare moneta di
argento e rame a diverse impron-
te e valore. V. Guido Zannctti,
Delle monete forlivesi, dissertazio-
ne, Bologna 1778. Dessa è dedi-
cata al duca Raffaello Riario Sfor-
za di Napoli, e nella lettera dedi-
catoria vi sono delle note, le qua-
li ci danno un saggio storico di
questa illustre famiglia un dì si-
gnora di Forlì , d' Imola, e di al-
tri luoghi.
Nel 1 574 essendo Forlì stata
sempre feconda di letterati, di o-
ratori e di poeti, si fondò la ce-
lebre accademia de' Filargitì stata
molto utile all'istradamento dei gio-
vani disposti alle scienze, e da cui
ne uscirono ad ogni tempo uomi-
ni di gran rinomanza; ove si so-
no fatte erudite adunanze al co-
spetto di principi e gran prelati;
ove si sono esposte tante ingegno-
se imprese, e dati in luce tanti
parti di felice ingegno ; ed alla
quale in fine non isdegnarono ve-
nire aggregati i primi soggetti di
Italia. In progresso di tempo es-
sendosi diminuito il lustro di que-
sta antica accademia, e quasi an-
data in disuso, fu con saggio con-
siglio nel i652 ravvivata median-
te le cure di molti virtuosi della
medesima, e particolarmente di Si-
gismondo Marchesi cavaliere di
Pisa, e primo principe all'accade-
mia, laonde potè nel i655 cele-
brare le lodi della detta Cristina
di Svezia degnamente, ed alla sua
presenza quando passò per Forlì
nel recarsi a Roma. Giuseppe Ga-
vulTi Malatesta, nella sua Italia
accademica, ha trattato pure del-
l' Accademia di Fora. Giorgio
FOR 2o5
Marchesi per cura di Ottaviano
Petrignani segretario dell' accade-
mia, ci ha dato le Memorie isto-
riche dell' accademia de Filargiti
di Forti, ivi 1 7 4 1 • Inoltre nella
colta Forlì vi sono e fioriscono
le accademie de Filarmonici, l'al-
tra da' Filodrammatici, e l'ultima
de'Filoginnaslici. Le scieme fisico-
matematiche, 1' economico-morali ,
le lettere ed arti, l'industria e mec-
canica occupano distintamente le
quattro sezioni de'Filargiti, né man-
cano tutte le accademie d' intra-
prendere dotte investigazioni ne-
gli esercizi che chiamansi di espe-
rimento, ed offrile gioconde insie-
me ed istruttive conversazioni ne-
gli esercizi delti di turno, dando
poi in solenni occasioni pubblico
saggio de'commendevoli loro lavo-
ri. Tali accademie trovavansi riu-
nite nell'ateneo forlivese, che ri-
splendè pel novero degli scienziati
che le composero. L' ateneo non
esiste più, essendo stato soppresso
nel 1 83 1 : anche tutte le accademie
recenti de' filoginnastici, dramma-
tici, ec. sono egualmente soppres-
se. In ogni tempo Forlì ha dato
personaggi chiari per santità di
vita, per dignità ecclesiastiche e ci-
vili, per dottrina, per arti, per va-
lore nelle armi, e per altre egre-
gie qualità lodati e famosi. Il no-
minato Giorgio Marchesi ci diede
le Vitae virorum illustrium Foro-
liviensium, Forolivii typ. Pauli Sil-
vae anno 1726. In Forlì per An-
tonio Barbiani nel 1757 fu stam-
pato il libro che porta per titolo:
Lustri antichi e moderni della
città di Forti, colle memorie dei
suoi più celebri cittadini.
A voler far menzione degl' illu-
stri forlivesi sarebbe argomento as-
sai copioso, per cui qui ci limite-
206 FOR
remo accennare dopo i santi, beali,
e cardinali, solamente i principali,
mentre di altri se ne fa memoria
nel progresso dell'articolo. Molti
forlivesi furono pretori, podestà,
prefetti, governatori, e capitani del
popolo delle più nobili e potenti
città d' Italia, occupandone le prin-
cipali magistrature. I santi sono s.
Mercuriale, s. Grato, s. Marcello,
s. Valeriano e compagni martiri di
cui si parlerà, e s. Pellegrino La-
gosi de' servi di Maria. I beati so-
no Marcolino Arnanni domenicano,
morto nel 1397, cui il vescovo Ni-
colò Asti eresse un nuovo deposi-
to ; Nicolò Solombrini minor con-
ventuale, morto in Cingoli nel i443
circa ; Bonaventura Tornitili servi-
ta , grande teologo e predicatore
apostolico, morto nel 1490 io U-
dine, da dove fu trasferito il suo
corpo in Venezia nella chiesa dei
Servi : i beati poi Geremia Lam-
bertenghi comasco , Giacomo da
Venezia, Giacomo Ungarelli pado-
vano, ed altri servi di Dio, mori-
rono in Forlì, ed ivi si venerano
i loro corpi. I .cardinali forlivesi
sono Alberto Teodoli crealo da
Onorio II nel 1 127 ; Gregorio Teo-
doli fatto da Innocenzo III nel 1 2 1 3;
Stefano Nardini promosso da Sisto
IV nel i473, fondatore in Roma
del Collegio Nardini, in cui i for-
livesi godevano cinque posti ; Cri-
stoforo Numai, creato da Leone X
nel i5i 7; Francesco Paolucci, fatto
da Alessandro VII nel 1657; Ste-
fano Agostini, esaltato da Innocen-
zo XI nel 168 1 ; Fabrizio Paoluc-
ci, promosso da Innocenzo XII, nel
1697; Giulio Piazza, fatto da Cle-
mente XI nel 1 7 12 ; Camillo Mer-
lali Paolucci, esaltato da Benedetto
XIV nel 1743; Lodovico Merlini,
creato da Clemente XIII nel 1759,
POR
le notizie de* quali sono riportate
nel Dizionario alle loro biografie;
e Paolo Orsi Mangelli dal regnan-
te Gregorio XVI annoverato al sa-
gro collegio nel concistoro de' 27
gennaio i843. Per la di lui pro-
mozione al cardinalato il magistrato
di Forlì colle stampe del Bordun-
dini pubblicò un opuscolo in cui
sono raccolti i poetici componimen-
ti che celebrarono si meritata esal-
tazione. Né va qui taciuto che sino
dai 2 febbraio del 1822 siede ono-
ratamente nel sagro tribunale della
rota il forlivese Giuseppe Bofondi,
eh' essendone divenuto il decano ,
giusta il costume de' benefìci Pon-
tefici, ancor lui sarà fregiato della
dignità cardinalizia. Questo rispet-
tabile prelato fu sostituito nell' u-
ditorato di rota, per la provincia
di Romagna, a monsignor Zinuani
ravennate defunto in Cesena.
Il più antico illustre forlivese è Cor-
nelio Gallo, dall'imperatore Augusto
fatto pretore e legato o primo pre-
fètto di Egitto, non che luogotenen-
te e tribuno : fu valoroso in armi
e nelle lettere, ma da favorito per
essere troppo libero nel dire cadde
in disgrazia del principe, e si pri-
vò di vita. Gerardo abbate gene-
rale de' monaci camaldolesi sinché
visse. Tra i migliori discepoli di
Giotto è notato Guglielmo degli
Organi, fiorendo a quella età 1' al-
tro pittore Guglielmo Baldassare
Carfari. Andrea Saffi o Ziaffi dot-
tore in legge. Paolo Salazio fisico
e chirurgo. Guglielmo Baletti arci-
diacono di Forlì, cappellano e lega-
to di Giovanni XXII. Rinalduccio
romitano di s. Agostino, teologo e
filosofo. Checco di Mileto de Rossi
segretario di Francesco Ordelaffi il
grande; e Nerio Morandi segretario
dell' imperatore Carlo IV, ambedue
FOR
legisti insigni e poeti famosi. Marco
vescovo Vandalense, celebre predi-
catore. Giuliano Numai medico e
filosofo: tale fu pure Giacomo Al-
legretti, poeta egregio, che pubbli-
cò una buccolica e molte composi-
zioni di Cornelio Gallo. Benedetto
abbate di s. Giusto, e Clemente ge-
nerale a vita, entrambi monaci ca-
maldolesi. Baiozzo Ponliroli caio a
Nicolò marchese d' Este ed a Gio-
vanni XXI li di cui fu cameriere
segreto. Tito Torelli destro nelle
ambascerie. Pietro Vitali dotto mi-
nore osservante. Flavio Biondo se-
gretario di più Papi , autore di clas-
siche opere storiche, sì dell'Italia, che
delle antichità di Roma, ove fu se-
polto in chiesa d' A racoeli. Carlo Nar-
di ni arcivescovo di Milano. Nicolò Asti
vescovo di Recanati e Macerata, già
arcidiacono di Forlì , di somma
dottrina. Marco Melozzi o Melozio
architetto valente pittore, massime
nella prospettiva e negli scorci ; in
Roma sono varie sue opere. Mar-
co Palmeggiani, altro eccellente pit-
tore, che servì i Riari e Caterina
Sforza nelle loro cappelle. Guido
Peppo dello della Stella medico e
letterato. Leone Cobelli pittore ,
storico e suonatore. Pace Bomba-
ci il primo ricamatole de' suoi tem-
pi, architetto di Alessandro VI, es-
sendo suo disegno la canonica di
s. Sebastiano. Fausto Andrelini dot-
tore in legge, ristoratore della lin-
gua Ialina in Francia, e coronato
dal re Lodovico XII con corona
poetica di lauro. Palmerio versato
in molte lingue. Antonio da For-
lì gran letterato, canonico ed alta-
rista vaticano. Guglielmo Lamber-
telli dottore di legge ed uditore di
rota in quella istituita dal duca
\ alenlino in Cesena. Bartolomeo
Lombaidiui filosofo e medico, cu-
FOR 207
io Federico III imperatore, Giro-
lamo Riario, il duca Valentino ed
altri personaggi : in s. Francesco
(il Pantheon forlivese), nella sua
nobile cappella è il suo bel depo-
sito di marmo. Va qui notato che
la chiesa fu fatta demolire dai fra-
li per farla costruire sul disegno
di altre esistenti in Roma, e il det-
to bel deposito scolpito dal Bari-
lotti di Faenza fu in parie traspor-
talo nel casino Monsegnani nella
pieve di Quinto, ed in parte nel-
la certosa di Bologna. Per della
demolizione perirono molti capi di
opera tanto di pittura che di scol-
tura, massime del tempo de' primi
Ordelaffi.
Nicolò Tornielli dottore in leg-
ge e grande politico; fu sepolto in
s. Domenico con molta pompa nel-
la cappella degli avi suoi, nel sito
ove riposa il corpo del b. Giaco-
mo da Venezia. Gianfrancesco Ber-
ti detto Codio, distinto letterato,
discepolo di Pomponio Leto. Paolo
Guari ni poeta e storico, e Madda-
lena di lui consorte. Filippo Erco-
lani vescovo di Alatri, ed Antonio
Ercolani vescovo di Cariali ; il lo-
ro fratello Cesare divenne prode
capitano di Carlo V, e pel primo
ferì il cavallo di Francesco I quan-
do' fu fatto prigioniero, per cui eb-
be uno de' suoi speroni d' oro e
una falda del giubbone : l' impera-
tore lo creò barone , Io decorò di
privilegi, e dell' aquila imperiale ;
fu sepolto in s. Girolamo con ono-
revoli memorie. Lodovico Vannini
detto de' Teodoli morì vescovo di
Berlinoro al concilio di Trento.
Piergiovanni Aleotti fu guardaroba
di cinque Pontefici, e da Giulio 111
fatto custode del tesoro di Castel
s. Angelo: divenne vescovo di For-
lì, e maestro di camera di Giulio
2o8 FOR
III e di Pio IV; ebbe molta par-
te nell'erezione de' Pacifici. Fran-
cesco Marcolini disegnatore, eccel-
lente negli intagli di stampe a le-
gno e tipografo erudito. Francesco
Menzocchi insigne nel colorire. Li-
vio Agresti si rese immortale nel-
la pittura , e fu sepolto in s. Spi-
rito di Roma. Marcolino Monse-
gnani, e Pierpaolo Torelli prelati.
Guglielmo Gaddi dottore in legge
ed uditore di s. Carlo Borromeo.
Francesco Gaddi medico e filosofo,
e canonico di s. Maria Maggiore.
Delia famiglia Padovani, già Mon-
lirosi, fiorirono dotti medici. Girola-
mo Mercuriali , onorato da Massi-
miliano 11 imperatore in più guise,
celeberrimo medico, e grande let-
terato: si mantenne splendidamen-
te, e fece raccolta di superba gal-
leria di quadri ; il magistrato l' o-
norò di visita nel punto estremo ,
e gli decretò una pubblica statua
da erigersi in piazza. Fu sepolto
nella cappella da lui eretta in s.
Mercuriale , ove riposano le ceneri
di questo santo. Delle sue opere e
scienza ne tratta il Marchesi , Vi-
tae vìrorwn iUustrium forolivensium.
In santità fiorì il p. Francesco Or-
selli domenicano. Il vescovo di Cit-
tà della Pieve Fabrizio Paolucci :
morì in Roma e fu sepolto con
bell'epitaffio in s. Maria in Vallicella.
D. Aurelio Casali, tre volte gene-
rale de' vallombrosani. Andrea Fac-
chinei ; Livio Sordi; il p. Marcan-
tonio Macinelli gesuita; il p. Vin-
cenzo Serughi, altro gesuita, tutti
distinti letterati. Pomponio Mattei,
per la scienza militare. Cesare Ros-
setti medico. Clemente Merlali udi-
tore di rota, meritando un epitaf-
fio da Alessandro VII al suo sepol-
cro in s. Maria Maggiore di Roma.
Giovanni Moratti ni ed Alessandro
FOR
Padovani medici e letterati. Anto-
nio Porri giurista , collaterale di
Campidoglio, sepolto in Aracoeli.
Piermartire Meritai ; Baldas «are ,
Melchiorre e Guglielmo Gaddi, ed
Andrea Mangelli, tutti prelati. An-
tonio Merenda enciclopedico. Bar-
tolomeo Moraltini medico. Gio-
vanni Paolucci prode militare se-
polto nella cattedrale di Ratisbona.
Tommaso Serughi altro valente ca-
pitano della Chiesa. Lungo sareb-
be a tessere l'ulteriore elenco degli
uomini illustri forlivesi, tanto più che
di alcuni se ne fa memoria nel de-
corso dell'articolo. Però rammen-
teremo il principe degli anatomici,
1' uomo europeo dello scorso seco-
lo, Gio. Ballista Morgagni, medico,
letterato e filosofo insigne, profes-
sore cattedratico all' università di
Padova, membro di tutte le socie-
tà scientifiche d' Europa, dichiara-
to principe degli anatomici non so-
lo dal celebratissimo anatomico ba-
rone de Haller , ma ancora dalle
accademie di Londra e di Parigi ,
principato che niuno de' posteri po-
tè mai contendergli , essendo stato
come il creatore della anatomia pa-
tologica , avendo l' intera Europa
seguito le sue tracce, ed essendosi
valsa de'suoi travamenti ed insegna-
menti immortali : onore tanto più
singolare, in quanto che gli esteri
furono sempre gelosi della gloria
italiana. Nel 1774 a spese del co-
mune gli fu eretto un monumen-
to nella cappella della ss. Conce-
zione, nella chiesa di s. Girolamo,
ora parrocchia di s. Biagio. Inol-
tre il vivente cavaliere Giorgio Re-
gnoli forlivese cattedratico di cli-
nica chirurgica alla università di
Pisa, del quale è un grande elo-
gio l'essere in essa cattedra degno
successore del famigerato Vacca
FOR
Bcrlinghieri, è uomo assai beneme-
rito della umanità per la sua dot-
trina, per la stima che gode dei
più grandi uomini de' tempi nostri,
che è ascritto alle primarie scien-
tifiche accademie d' Italia , d' In-
ghilterra, di Francia e di Germa-
nia, e che in fine onora molto la
patria per la fama a cui ha saputo
arrivare.
Antichissima è 1' origine di For-
lì , per cui il Sigonio di Forlì dis-
se esserne incerto l'autore, e Fla-
vio la chiamò civitas vetusti nomi-
nis , potendo essere stata fondata
con altro nome di quello che an-
diamo a narrare, per molti anni
innanzi, a cagione della memorata
fertilità del terreno , dolcezza del-
l'aria salubre, e bontà delle sue
acque. Si vuole che prima del Sa-
linatore, Forlì fosse già di non or-
dinaria considerazione, e forse ori-
ginata dagli antichi etruschi. Cer-
to è che il suo nome è Forum Li-
vii, o come altri dicono Forolivìum
o Forlivium, e nel nostro idioma
Forti, Furti, e Forolivio, cioè Foro
di Livio, perchè ivi esistendo un
Foro (Fedi), fosse da un Livio
pretore, il cui officio era di ren-
der ragione e mantenere i popoli
delle provincie di Roma alla sua di-
vozione, o principiato o frequentato.
Si osserva che il nome di Fora ,
contiene le sole sillabe di Forum
Livii. Debellati dai romani per mez-
zo di L. Emilio ed Attilio conso-
li, l'anno di Roma 528, i galli boi
che possedevano queste parti, l'an-
no seguente fu ridotta la Roma-
gna, allora Gallia Togata, in pro-
vincia , massime per opera di T.
Manilio e Q. Fulvio consoli ; quin-
di vi spedirono i ministri per go-
vernarla, fra' quali due Livii si tro-
vano, M. Livio Salinatore, e C. Li-
vol. xxv.
FOR 209
vio pur Salinatore, ed uno di que-
sti due die principio alla città di
Forlì. Marco Livio Salinatore, fu
così detto dall' imporre pel primo
in Roma, essendo censore, il dazio
del sale, ed il suo cognome passò
negli altri della famiglia. Marco
dopo avere nell' anno 545 di Ro-
ma superato il cartaginese Anniba-
le, qual proconsole in Toscana fu
mandato con l' esercito ad unirsi
con Spurio Lucrezio pretore a Ri-
mini, per opporsi a Magone, che si
diceva far quella strada per con-
giungersi col fratello il formidabi-
le Annibale nell' ultima Calabria ,
ove l'Otto Asdrubale si era ritira-
to. Essendo dunque stato M. Livio
in questa regione un anno e mez-
zo senza far la guerra , probabil-
mente avrà reso ragione ai soldati
ed ai paesani, e avrà a ciò desti-
nato il foro ov' è Forlì, giacché
1' autorità di proconsole era come
quella del pretore. Caio Livio Sa-
linatore fu console con M. Valerio
Messala l'anno 562 di Roma; ven-
ne in questa provincia con eserci-
to a rendere ragione , essendogli
toccata in sorte. Potrebbe essere
che Marco Livio cominciasse il fo-
ro, e Caio Livio lo continuasse, cioè
diciassette anni dopo , del cui au-
mento non è da dubitare per l'a-
menità del sito. Incominciandosi
l'edificazione da Marco Livio, fu
fondato Forlì 206 anni avanti la
nascita di Gesù Cristo. La mag-
gior parte degli scrittori danno
l'onore della fondazione di Forfì
a M. Livio trionfatore di Asdru-
bale; quindi aggiungono che edifi-
cato il foro, nel partire Io donò
ad Evonio suo centurione e solda-
to veterano benemerito; e ad altri
soldati vecchi, in premio delle lun-
ghe fatiche della guerra , alcuni
>4
aio FOR
terreni distanti dal foro più. d' un
miglio e mezzo, secondo la consue*
ta romana generosità.
Lucio Ermio ricordevole del be-
neficio , co' suoi compatriotti fece
fabbricare per loro stanza molte
abitazioni col nome di Livia , per
cui venendo il sito frequentato dai
popoli circostanti, divenne popola-
to e civile. Intanto allorché Au-
gusto recossi da queste parti , for-
se quando mosse le armi contro
gli schiavoni ribellati, e contro i
pannonii , fece trasferire in Forlì
gli abitatori di Livia e di altre ter-
re vicine, per compiacere a Livia
sua moglie ed a Cornelio Gallo
forlivese suo favorito. Di ciò ne
die cura al pretore Clodio, il qua-
le , seppure non fu il popolo , ad
onorare la memoria di Livio Sa-
linatore, fondatore primario della
città , eresse sulla piazza la statua
del benemerito Livio , con questi
versi.
Livhis ecce : fuit romanus con-
dì tor Urbis
Hujus, et liane voluti terram in-
coluisse Quirites
Magnanimos ; populisque deciti
cognomen et arma.
Ed è perciò che Plinio parlando
di questa città nell'ottava regione,
la chiamò Forum Clodii Livii , per
averla Clodio ingrandita, afferman-
dolo nelle correzioni pliniane Er-
molao Barbaro, che aggiunse a det-
te parole, quelle di UH Populi ,
perchè quattro luoghi e comuni ,
tra'quali Livia, concorsero all'ac-
crescimento di Forlì, de' quali luo-
ghi se ne rinvennero poscia diver-
si avanzi ne' dintorni della città ; e
le -pitture che sino al ifòi esiste-
vano nella sala maggiore del pa-
FOR
lazzo pubblico, rappresentavano Au-
gusto e Livia sua moglie, benefat-
tori e ristoratori di Forlì, giacché
Livia discendeva dai Salinatori. Non
si deve tacere che prima di tale
epoca , in questi luoghi erano ac-
cadute non poche battaglie e sac-
cheggi tra i partigiani di Mario e
quelli di Siila, perchè quivi erasi
contagiato Carbone, che colla Ro-
magna favoriva Mario, che poi re-
stò perditore; ciocché produsse a
Forlì notabile decadimento ; che
per aver da Augusto ricevuto ri-
parazione ed incremento, in riguar-
do di Gallo e di Livia, e da quel-
la Livia riunita città , furono an-
che detti i forlivesi Livienses e Li-
vìadae. In memoria di che il quar-
tiere di s. Valeriano anticamente
era appellato Livia, né mancarono
chi suppose essere esistiti in quel-
le vicinanze gli abitatori della di-
strutta Livia, confermandolo il ri-
trovamento ivi fatto di molte an-
tichità , iscrizioni ec. Da una di
queste volle dedurai essere stata
Forlì città, che si reggeva con pro-
prie leggi e statuti, che fosse di-
chiarata municipio dai romani , e
che quindi partecipasse degli ono-
ri e dignità di Roma. Alcuni di-
cono che Forlì fosse dichiarata cit-
tà 35o anni avanti Gesù Cristo, e
nell'anno ?.qi colonia romana, ve-
nendo ammessi i cittadini con vo-
to nel senato, attribuendogli Augu-
sto gli onori di municipio.
Sinché la grandezza romana si
conservò formidabile al mondo,
Forlì sotto la sicurezza di quella
si mantenne e conservò. Ma tras-
portando Costantino la sede del-
l'impero in Bisanzio, e diviso esso
in orientale ed occidentale , prese-
ro ardire le straniere nazioni , per
invadere la loro antica dominatri-
FOR
ce , lasciata indifesa dai successori
di Costantino, laonde i goti aven-
do invasa l' Italia, sotto la condot-
ta del loro re Alarico, presero Ro-
ma nell'anno 4°9- Fra le provin-
cie che soffrirono le barbarie dei
goti, una fu l' Emilia; ed in For-
lì, saccheggiati i borghi, i prigio-
nieri in numero di circa duemila
furono mandati schiavi nelle parti
della Spagna concesse dall'impera-
tore Onorio ad Alarico. Questo re
essendo mortalmente malato, aven-
do ricuperato la sanità per le ora-
zioni del santo vescovo Mercuriale,
alle preghiere di quel santo rese
la libertà ai nominati forlivesi im-
prigionati, per cui essendo essi tor-
nati con gran giubilo in patria, il
borgo ove erano stati fatti schiavi
prese il nome di Schiavonia che
tuttora conserva. Ataulfo, che suc-
cesse nel regno ad Alarico, per av-
ventura di Forlì celebrò ivi con
pompa sovrana le sue nozze con
Galla Placidia , giacché gli furouo
restituite le sue leggi municipali ,
colle quali proseguì a reggersi. A-
vendo l'imperatore Onorio stabili-
ta la sua sede in Ravenna, soven-
r
te portossi a Forlì per la benigni-
tà dell'aria. In Ravenna pure abitò
il successore Valentiniano 111, sotto
il quale gli unni infestarono l'im-
pero in molte parti , ed il feroce
loro re Attila marciò alla volta di
Roma, veuendone però distolto dal
Papa s. Leone I ; ma la città ben
presto soggiacque alle distruzioni
di Genserico re de' vandali , dopo
la partenza del quale e la morte
dell' imperatore, molti si fecero in
Italia proclamar successori , che
piuttosto accidentali imperatori, che
occidentali potevansi chiamare, l'ul-
timo de' quali, A ugustolo, fu depo-
sto da Odoacre re degli eruli.
FOR iti
Teodorico re de' goti disfece O-
doacre, cui ubbidiva la Romagriii
e Forlì, e fissò come il preceden-
te la sua residenza in Ravenna ,
distribuendo il resto de' suoi goti
nelle circonvicine città; laonde in
Forlì il borgo da loro abitato pre-
se il nome di Gotogni. Renefico fu
il re Teodorico con Forlì, dappoi-
ché accrebbe privilegi alle sue leg-
gi municipali. Ma Giustiniano I col
valore di Relisario liberò l'Italia
dal dominio de' goti, il qual prode
condottiero premiò la prodezza di
Rrando col dono della terra di Ra-
gnacavallo , pegli aiuti che nella
guerra avea recato , nel far parte
del collegato esercito erulo. Rran-
do die origine alla nobile famiglia
forlivese, che chiamandosi Rrando-
li e poi Rrandolini fiorì per molti
celebri guerrieri. Frattanto nel 568
venne istituito l'esarca di Ravenna
o supremo governatore, e Longino
ne fu il primo. Narsete disgustato
coli' imperatrice Sofia, chiamò in
Italia il re Alboino co' suoi longo-
bardi , per cui l'esarca fortificò le
terre dell' esarcato che governava
per duci, fra le quali Forlì. Alboi-
no conquistò la Gallia Cisalpina ,
che per lui prese il nome di Lom-
bardia, e Forlì che restò fedele
agli imperatori d'oriente , soggiac-
que alle scorrerie longobardiche.
Infelice avvenimento fu per Forlì
l'assunzione al trono longobardico
di Clefi, per opera di Rosmunda
vedova di Alboino, perchè soggiac-
que a nuova e deplorabile inva-
sione, dovendo sostenere periglioso
assedio, da cui liberossi per celeste
favore ; e mantenne di poi lunga
fede agli esarchi ravennati, che in
nome degli imperatori d'oriente
amministravano la cosa pubblica
in queste parti. Nel 648 Lupo ca-
2i2 FOR
pitano de' forlivesi agognava di sog-
giogare l' Italia , ma colle truppe
fu tagliato a pezzi dai bavari gui-
dati da Caccano per ordine del re
Grirnoaldo : i vincitori saccheggia-
rono quindi Forlì, ed uccisero con
molti schiavi Arnesco figlio di Lu-
po, che aspirava al ducato pater-
no. Inoltre dicesi che Grirnoaldo
in egual tempo saccheggiò Forlim-
popoli, come meglio si esporrà a
quell'articolo, ed interamente la ro-
vinò col ferro e col fuoco, il perchè
i superstiti abitanti ricoveraronsi in
Forlì. Mentre Forlì ad onta di con-
trarie circostanze si aumentava , ver-
so l'anno 725 il re Luitprando oc-
cupò quasi tutto l' esarcato , meno
Ravenna, per cui le città come
Forlì erano in continua agitazione,
perchè l'imperatore Leone l'Isau-
rico , e i longobardi a vicenda le
occupavano e perdevano ; ma Leo-
ne per la persecuzione che dichia-
rò alle sagre immagini , perde la
più gran parte d'Italia, e il duca-
to romano e le città di Campania
si dierono al Pontefice s. Gregorio
II , sotto del quale incominciò il
dominio temporale de' Papi. Dipoi
vedendosi l'esarcato in balia di e-
ventuali dominatori, si pose sotto
la protezione del santo Pontefice
Zaccaria. Questi dimenticando le
ingiurie ricevute dal perfido Leo-
ne e suoi ministri , si adoperò in
guisa con Luitprando , che lo in-
dusse a restituire al greco dominio
ciò che teneva nell'esarcato.
Correndo l' anno 748 Zenone
capitano imperiale insolentemente
baciò Faustina, moglie di Alberto
Alvini nobile forlivese, mentre an-
dava alla messa. Il popolo solle-
vossi, uccise Zenone, e fece in pez-
zi quasi tutta la sua compagnia,
né l'esarca Eutichio per la sua de-
FOR
bolezza e per la forte provocazione
potè fare alcuna dimostrazione. Eu-
tichio fu 1' ultimo esarca, perchè
Astolfo re de' longobardi, insigno-
ritosi di tutto 1' esarcato, die termi-
ne al dominio de' greci imperatori.
Non contento di ciò occupò molti
luoghi spettanti all' immediato do-
minio della santa Sede. Il Pontefi-
ce Stefano II detto III non poten-
do ottenere da Astolfo la liberazio-
ne dell' esarcato, che come dicemmo
era passato sotto la protezione del-
la Chiesa romana, e de' suoi do-
mimi occupati, domandò ed ottenne
il poderoso aiuto di Pipino re di
Francia, che prima coi trattati e
poi colle armi, neh' anno 755 co-
strinse Astolfo non solo a restituire
al Papa le occupate terre di ra-
gione della Chiesa, ma eziandio l'e-
sarcato., avendo conosciuto l'impo-
tenza de' greci di mantenere in
Italia alcun dominio, e la dedizio-
ne alla santa Sede dei popoli dei-
medesimo. Così Pipino ingrandì il
principato della Sede apostolica con
tutte le città dell' Emilia, e con
altre ventidue città compresa For-
lì, come leggesi in Anastasio Bi-
bliotecario in Vita Stephani III,
coli' autorità del diploma di Pipi-
no, che in gran parte si legge nel
Borgia, Memorie isteriche tom. I,
pag. 18. Quindi Foldrado abbate,
lasciato dal re di Francia all'ese-
cuzione del pattuito con Astolfo,
cogli ambasciatori di questi portò
a Roma le chiavi de' luoghi rila-
sciati, tra' quali Forlì; sebbene A-
stolfo ritenendo Faenza, Bagnaca-
vallo e Ferrara, i patti non adem-
pisse interamente. Alla sua morte,
coli' aiuto di Stefano III lo succese
Desiderio, che ingratamente sotto
frivoli pretesti attaccò il Forlivese
colle piazze vicine, e s' impossessi
Fon
«li molte città. 1 Pontefici $. Paolo
I, e Stefano IV ricorsero al re di
Francia, e siccome nel 772 Deside-
rio minacciava l'eccidio di Roma stes-
sa, perciò Adriano I, implorò la pro-
tezione di Carlo Magno, il quale
■vinse i longobardi, e pose termine
al loro regno coli' imprigionare nel
773 il re Desiderio; quindi Carlo
Magno confermò alla romana Chie-
sa le donazioni e restituzioni fat-
tegli dal suo padre Pipino, come
dell'esarcato e della pentapoli.
La pentapoli eomponevasi di cin-
que città , cioè Ravenna, Classe,
Forlì, Cesena e Forlimpopoli, ed
era così delta con voce greca. Al-
lora Carlo Magno volle che la pro-
vincia che prima si chiamava Emi-
lia e Flaminia, per l'avvenire si
nominasse Romagna, come fra tutte
le altre la più (Ida all' impero ro-
mano, per essere stata più costante,
ed ultima ad uscire dalla sua si-
gnoria ; benché altri stimino che
Romagna significhi quasi Roma ma-
gna, che se quella veniva composta
da sette colli, questa di sette città,
compresa Forlì. In questa città e
provincia più tardi inviò la santa
Sede ministri ecclesiastici a gover-
narla. Il Papa s. Leone III nell'an-
no 800 ripristinò in Carlo Magno
l' impero d' occidente, imponendo-
gli solennemente in s. Pietro la
imperiale corona. Dopo lunga guer-
ra ch'egli ebbe coli' imperatore di
Oriente Niceforo, chiedendo questi
la pace per ambasciatori, Carlo Ma-
gno ne spedì pur lui per confer-
marla, tra' quali Aigone conte for-
livese. Di questi conti in Forlì,
qual ne fosse il governo, non potè
conoscerlo il Bonoli, che però av-
verte, sia per la lontananza de' mo-
narchi francesi conservatori degli sla-
ti della Chiesa romana, sia perchè i
FOR 2.3
Pontefici in queste parti non eser-
citavano ancora il loro pieno do-
minio, principiarono le città a poco
a poco a reggersi a repubbliche,
e a modo loro, insorgendo non po-
chi tiranni a signoreggiarle. Ai fran-
chi imperatori successero i due
italiani Berengari, che alcuni scris-
sero di stirpe forlivese, per essere
stata in Forlì una famiglia di co-
gnome Berengari, e per altre' ragio-
ni e testimonianze che si possono
leggere negli scrittori, e nel Bonoli
al lib. II della Storia di Forlì, che
racconta come un Berengario Be-
rengari avendo salvato la patria
coli' aiuto de' principali cittadini
contro le mire de' bolognesi, e per
la generosità delle donne, in com-
penso ottenne parte dell'esercito
vincitore. Quindi postosi al soldo
de' franchi imperatori s' ebbe il du-
cato del Friuli in compenso, e po-
scia fu elevato all' impero. Qui va
notato che tra gli altri Berengario
arrolò con alcune truppe un capi-
tano di Germania, chiamato Aloro
dell' Affla ossia d' Alfia, che lasciò
governatore delle armi in Forlì
quando passò al ducato, mentre
Aloro fu lo stipite degli Ordelaffi,
cognome derivato da Aloro d' Alfia,
che come si vedrà divennero po-
tentissimi, e lungamente signoreg-
giarono Forlì ed altri luoghi.
Inoltre si ha che Aloro tolse in
moglie l'anno 910 l'unica figlia
di Tiberio Berengari, colla dote del-
le terre Poggio, Cuimano e La-
dino, e si stabilì in Forlì, ove nac-
quero tre figliuoli. In progresso
tentò d' insignorirsi della città, ed
evitando il furore popolare si ri-
fugiò prima in Bavenna, poi in
Venezia ove morì. I figli temendo
insidie voltarono il cognome in Fa-
ledro, che al rovescio suona Or-
214 FOR
deiafj ma richiamati a Forlì con
la ricupera de' loro castelli e pa-
lazzo de' Berengari, uno de'fratelli,
di nome Filippo, restò a Venezia
e diede principio alla chiarissima
dinastia de' Faledri o Falieri, dal-
la quale tra gli altri uscì il famoso
doge Ordelaffo Faledro. Dal rifu-
giarsi 1' Aloro e i figli in Venezia,
diversi storici dissero da quella cit-
tà originati gli Ordelaffi signori di
Forlì. Della famiglia Ordelaffi, tra
gli altri ne scrisse il Sanso vi no,
Origine e fatti delle famiglie illu-
stri cC Italia ; e 1' autore delle Gé-
nèalogies hist., Seigneurs de Forlì
de la maison d' Ordelaffo . 11
Cancellieri riporta alcuni autori che
trattarono di questa famiglia, nella
Dissert. intorno agli uomini dotati
di gran memoria, ec, a pag. 7,
parlando dell' incendio del palazzo
di Pino degli Ordelaffi in Forlì. Il
citato Francesco Sansovino, nel suo
Ristretto delle più notabili e famo-
se città d' Italia, parla pure della
città di Forlì. Questa città e terri-
torio non solo furono confermati in
sovranità della santa Sede da Lo-
dovico I imperatore, ma passato
l'impero dagli italiani Berengari nei
tedeschi, altrettanto fecero Ottone
I, Rodolfo ed altri imperatori, co-
me si ha da Giacomo Cohellio,
nella sua Notitia.
Neil' anno 997 tra alcuni prin-
cipali della città di Forlì, anch' essa
alle fazioni e guerre civili di quei
tempi sottoposta, suscitaronsi tali
nimicizie e discordie che col favore
di molti cittadini e parenti de' di-
scendenti d' Aloro, furono introdot-
ti Scarpetta e Sinibaldo Ordelaf-
fi, e fu allora che seguì la resti-
tuzione a tal famiglia de' suoi beni
e castella. La prudenza però di
Scarpetta lungi dal fomentar le dis-
roR
sensloni, si studiò di tranquillare
e riconciliare il torbido degli animi,
con tanta soddisfazione del popolo,
che lo elesse in proprio capitano;
dignità che seguitò poi lungo tem-
po nella repubblica forlivese, e ven-
ne dalle primarie città d'Italia adot-
tata. Narra il Bonoli che sotto il
magistrato di Scarpetta decretossi
di riedificare Forlim popoli spianato
come dicemmo dai longobardi, mos-
si i cittadini dalle preghiere di
que' pochi, che nelle sparse reliquie
di quella città erano rimasti, e
dalla gloria che perciò avrebbero
conseguita. Nel io44 s'incominciò
il lavoro, benché poi non vi ritor-
nassero i cittadini in varie parti ri-
fuggitisi. Avverte il Bonoli che la
storia di Forlimpopoli non ammet-
te che la riedificazione fosse opera
dei forlivesi, ma solo la ristorazio-
ne, adducendo in prova che For-
limpopoli dopo la rovina cagiona-
tagli da Grimoaldo continuò ad
avere i suoi vescovi, e nel 709
fornì considerabili soccorsi all'arci-
vescovo di Ravenna ; però non
manca di addurre altre prove che
favoriscono la riedificazione di For-
limpopoli fatta dai forlivesi. Lo
Scarpetta fece pure tagliare il fiu-
me A equa vi va, ed unirlo all'altro
ramo del Montone sopra Forlì mez-
zo miglio, mescolandosi prima con
quello, passata la città verso set-
tentrione; e dove in parte scorreva
il fiume, mandò poscia il canale,
sopra cui fabbricò due ponti con-
tigui alla piazza maggiore, uno
detto del pane, 1' altro de' cavalie-
ri : quello del pane essendo caduto
fu riedificato nel I2i4- Divenuto
imperatore nel io56 Enrico IV,
questi per la sua condotta s' inimi-
cò colla santa Sede, che travagliò
colle armi, e fu cagione di scisma.
FOR FOR 2i5
Era suo partigiano l'arcivescovo ili ti collocati nel cimiterio di s. Mer-
Raveuna, benché il resto di Ro- curiale, provarono gli effetti della
magna disapprovasse la sua con- divina vendetta. Indi nel 1087 il
dotta. Si vuole che l' imperatore borgo di Gotogni per le orazioni
donasse all' arcivescovo la detta del b. Bernardo vallombrosano, poi
provincia, ovvero Forlì, Forlimpo- cardinale, restò liberato da furio-
poli e Sarsina : ma tal donazione so incendio. Alla crociata pub-
o non fu vera, o non venne rico- blicata da Urbano II per liberare
nosciuta dai popoli ; e quando nel dai maomettani i santi luoghi di
10)8 i ravennati sorpresero Forlì, Palestina, Forlì si distinse tra le
benché la città fosse a cagione di città romagnole nell'inviarvi croce-
contagiosa malattia poco popolata, signati, fra' quali non pochi delle
essendosi ritirati buona parte degli famiglie principali , non che pel
abitanti sui colli e nelle vicine vii- valore con cui si diportarono, co-
le, furono valorosamente con loro me si è detto parlando dello stem-
confusione respinti. In questo tem- ma della città. Presa dai crocesi-
po i faentini temendo l'audacia dei guati Gerusalemme , tra le alle-
ravennati prestarono soccorsi ai for- grezze che si fecero in Forlì, fu
livesi, né sembra probabile il favo- eretta in piazza una rocca di le-
loso racconto che i ravennati aven- gno, per figurar tale espugnazione,
do distrutto una parte di Forlì Indi nel 1099 si aumentò il tri-
vi seminassero il sale , e che i pudio de' forlivesi per l'esaltazione
faentini ne operassero la riedifica- al pontificato di Pasquale II, che
zione. Anzi i forlivesi a quell' epoca gli storici forlivesi dicono nativo
fecero molte cose proprie alle cit- del distretto e giurisdizione di For-
là libere e potenti, e non temendo lì, dalla parte montuosa che mira
ie armi imperiali , sovvennero il verso Toscana, nel castello di Bie-
Pontefice s. Gregorio VII con gente da o Beda non lungi da Galeata:
ed altri soccorsi. altri storici fanno Pasquale II di
Nel 1080 i ravennati furono pò- Bieda nella contea Galliata, diocesi
sti in fuga dai faentini allorché di Viterbo, nella Toscana pontifì-
infestavano il proprio territorio; eia, e perciò non di Romagna, co-
già nel 1075 in uno scontro d'ar- me affermano Panvinio,Papebrochio,
nù avevano i faentini imprigionato Novaes ed altri, contro il Platina,
molti ravennati , a cui tagliarono I medesimi storici forlivesi aggiun-
le dita per levarne le anella, per gono che Pasquale II era stato
il che venne poscia decretato non monaco nero in s. Mercuriale, e
doversi più portare anella, massi- nel monistero di s. Maria di Fiu-
me in guerra. Nel 1084 Enrico maua, e che divenuto Papa creas-
IV fece eleggere in antipapa l'ar- se molti cardinali e vescovi di
civescovo di Ravenna Guiberto , questa provincia e forlivesi ; ma il
che prese il nome di Clemente sottoscriversi che facevasi allora coi
III, indi s'avviò per Roma contro soli titoli e diaconie delle chiese,
il legittimo Pontefice, al quale ub- e la penuria di memorie certe, ne
bidivano i forlivesi. Avendo i sol* fanno ignorare i nomi,
dati imperiali manomesso gli ar- Cresceva intanto più che mai
menti che per sicurezza erano sta- la libertà nelle terre di Romagna,
216 FOR
e per conseguenza la discordia fra
loro, ed i forlivesi uniti ai raven-
nati marciarono contro i faentini.
Intanto in mezzo a sì fatto stato
di cose, per assicurare nell'unione
i propri interessi, nel 1 1 38 i for-
livesi e ravennati convennero tra
loro con nodo di strettissima ami-
cizia, in guisa tale che sembrò
Forlì e Ravenna riunite in una
sola città. Diede molto a sospettare
al resto di Romagna un tale ac-
cordo, nel quale non facendosi
alcuna menzione del Papa o della
romana Chiesa, suprema signora
d'ambedue, sembra che da essa
allora avessero alieno l'animo loro,
e che i Pontefici non esercitassero
la sovrana autorità , per cui reg-
gevansi a talento. Nel 1 142 i for-
livesi, i ravennati e i riminesi en-
trarono in guerra coi faentini col-
legati coi bolognesi, laonde ebbe-
ro luogo per Cesena e per Ca-
stelleone vari fatti d'armi; inoltre
i forlivesi aiutarono i ravennati
nella guerra contro i veneziani, ter-
minata nel n45. In questo tem-
po Forlì, Ravenna, Rimini ed al-
tre città meditarono la distruzione
del contado dei faentini, i quali
soccorsi da Bologna e da Cesena
uscirono a battaglia e posero in
disordine il nemico. Inaspriti gli
animi con nuovi conflitti, si riac-
cesero le antiche offese, il perchè
nel n 49 i forlivesi co' ravennati
per difender i conti di Cunio e
Bagnaca vallo ebbero nuova crude-
lissima pugna coi faentini e bo-
lognesi, e fu tale che il rio ove
seguì prese il nome sanguinario
che porta, sebbene la vittoria ri-
mase incerta. Nel 1 155 accadde in
Faenza un incendio distruttore, men-
tre fra Bologna e Forlì seguirono
nuovi disturbi pel transito di al-
FOR
cune strade, rifiutandosi i bologne-
si di pagar le gabelle pel sale di
Cervia: l'imperiai protezione si spie-
gò in favore de' forlivesi, onde Bo-
logna venne ad oneste convenzioni.
Essendo Federico I imperatore in
discordia col Pontefice Alessandro
III, la Romagna aderì al primo,
particolarmente Forlì e B.avenna,
e l' imperatore mandò nella pro-
vincia un suo residente col titolo
di conte, volendo con tal mezzo
a poco a poco riassumere l'antica
giurisdizione dell' impero in que-
ste parti. Il nuovo ministro in pro-
va di assoluto dominio, vedendo
che Cesena non era molto affezio-
nata all'augusto, ivi fabbricò una
forte rocca. Per accomodarsi alle
circostanze , Guido arcivescovo di
Ravenna si mostrò di voto all'im-
peratore che gli concesse giurisdi-
zioni sul Forlivese, Pompiliese, Sar-
sinatense, e Castelnuovo, città e
luoghi tutti del dominio di Forlì,
come risulta da documenti, che
provano qual fosse ancora la po-
tenza di questa città.
I ministri imperiali usando di
troppa autorità e modi severi fu-
rono cagione che molti luoghi si
ritirarono dalla loro amicizia; ed
i faentini senza far caso di tali
ministri si prepararono nuovamen-
te ad assediare Castelleone, dai for-
livesi edificato in sito eminente, e
sì vicino a Faenza, che coll'onibra
sua quasi ne cuopriva gli edifizi.
Allora i forlivesi vedendo assediato
Castelleone da forze collegate ed
imponenti, si mossero col loro e-
sercito e gli aiuti de'ravennati, ri-
minesi, bertinoresi ed altri amici;
tanto bastò perchè i faentini pron-
tamente abbandonassero l'assedio,
e sebbene poscia fecero delle scor-
rerie, si conchiusero pacifici aceor-
FOR
di, anche vedendo avvicinarsi Fe-
derico I che ambiva il dominio
d'Italia. Al suo arrivo molte città
per amore o per tema si dierono
a lui, ma Forlì, Faenza, Imola e
i luoghi adiacenti negarono sotto-
porsi al suo dominio, preferendo
mitigare con denari l'animo cru-
dele ed avaro di quel principe,
per cui parve si mostrasse in se-
guito più benigno a'romagnoli. In-
tanto ad Alessandro III essendosi
collegate le città lombarde, Fede-
rico I riportò tali rotte, che con
poca sua gloria ritornò in Ger-
mania, e le città italiche alle pri-
miere discordie. Faenza minacciata
con assedio dai ravennati e bo-
lognesi, fu soccorsa dai forlivesi,
riportando a s. Procolo completo
trionfo de' nemici ; e grata al be-
neficio ricevuto, convenne di pren-
dere dai forlivesi il pretore ed il
capitano nel 1169. Nell'anno se-
guente tornarono i bolognesi su
Faenza, con poderoso esercito, e
col carroccio, di cui parlammo al-
l'articolo Carrozze {Vtdi)^ la pri-
ma volta da loro adoperato: i faen-
tini ebbero la peggio, e di for-
livesi vi restarono prigioni Pietro
di OrdelalTo Ordelaffi , Giovanni
Gherardini, Alberto degli Offizi, ed
Ugo Berardenghi, che alla conclu-
sione della pace furono restituiti.
Nel 1 1 7 3 un incendio tra le altre
cose consumò gran parte dell'ar-
chivio dell' insigne abbazia di s.
Mercuriale, mentre Cristiano arci-
vescovo di Magonza, con grosso e-
sercito imperiale per rendere le
città ossequiose a Federico I, ed
aiutato dai forlivesi e dal resto di
Romagna, die notabile rotta ai bo-
lognesi, concedendogli tregua per
sei anni quando dovè partire in
{.occorso dell' imperatore sconfìtto
FOR 217
in Lombardia. Dipoi 6eguì la pace
generale, per cui nel 1 1 83 Fede-
rico I fu lietamente ricevuto in
Italia, meno che dai faentini, per
il che vennero puniti dai cesarei
a'quali eransi uniti i forlivesi e i
cesenati.
Nel 11 90 divenuto imperatore
Enrico VI, dichiarò il suo scalco
Marcoaldo duca di Romagna e mar-
chese d'Ancona, ciò che equivalen-
do a feudo non toglieva a'popo-
li la propria autorità all'uso di
repubbliche, non avendo l' investi-
to che certe regalie, solite darsi
agl'imperatori. Divenuto però nel
11 98 Pontefice Innocenzo III, sic-
come dotato di molta energia, vol-
se l'animo alla ricupera delle an-
tiche giurisdizioni e proprietà del-
la sede Apostolica, mandando Car-
sidonio con un esercito in Roma-
gna, i di cui popoli siccome avvez-
zi alla libertà ed all' ubbidienza
degl'imperatori si mostrarono con-
trari ; laonde dopo le scomuniche
supplì alla deficienza di sue trup-
pe con quelle de' bolognesi, i qua-
li e per abbassar la potenza di
Marcoaldo, e per acquistarsi la gra-
zia del Papa uscirono col carroccio
pronti ad ogni tentativo, sotto il
comando di Ubertino Visconti lo-
ro pretore. Indi Carsidonio prese
alcune castella, portossi coll'arma-
ta ne'dintorni di Forlì, ma il po-
polo si sollevò contro il preto-
re Roberto romano, che coi suoi
partigiani voleva introdurre gli
ecclesiastici nella città, e supera-
tolo 1' uccise , facendo il simile
col nipote del Pontefice ch'era en-
trato in F01T1 per combinar gli
accordi col pretore; oltre a ciò i
forlivesi si portarono a saccheggiar
il territorio di Ravenna, togliendo-
gli Cervia per essersi dati i ra-
3 1,8 FOil
vcnnali col resto di Romagna a
Carsidonio. Questi però congiunse
alle sue le forze de' bolognesi e
delle città che avevano riconosciu-
ta la dominazione papale, astrin-
se anche Forlì all'ubbidienza, che
nell'anno seguente concorse a co-
stringere Marcoaldo di cedere alla
Chiesa romana il dominio e le ra-
gioni che appartenetegli. Mitissimo
fu 1' esercizio della pontificia so-
vranità, dappoiché Innocenzo III
si contentò del giuramento di fe-
dii là, d'un semplice tributo, e l'ob-
bligo alle città riconquistate di pre-
slare all'occorrenza soccorso di mi-
lizie: del resto le città di Roma-
gna continuarono come libere a
governarsi , ed a disporre della
pace e della guerra, per cui po-
scia ripullularono gli antichi ri-
sentimenti colle città limitrofe e
confinanti, come tra Forlì, Faen-
za e Cesena , continuando però
l'amicizia della prima con Ravenna.
Non mancarono calamità che
al principio del secolo XII l afflis-
sero la provincia di Romagna, co-
me del contagioso morbo che de-
cimò le popolazioni, pel flusso con-
tinuo del sangue dal naso. Mo-
mentaneo fu il conquisto di Cer-
via fatto da' forlivesi per la prov-
visione de'sali, cui segui la guerra
coi bolognesi e faentini , perchè
questi quasi sui confini del Forli-
vese eressero il castello di Cosina,
e ricusarono demolirlo, se prima
Forlì non faceva altrettanto su Ca-
stelleone, che sovrastava Faenza.
Varie furono le conseguenze della
guerra, Castelleone fu preso e de-
solato a' io ottobre 1202, ed è il
presente Castione; il fortino di Co-
sina fu spianato dagli stessi bologne-
si disgustati dei faentini per l'ec-
cidio di Castelleone fatto senza lo-
FOli
ro intesa, sebbene altri storici at-
tribuiscono ai bolognesi, che aspi-
ravano a dominar sulla Romagna,
il diroccamento di Castelleone, co-
stringendo di più i faentini a pa-
gar mille lire ai forlivesi, non so-
lo perchè questi si preparavano
a nuovi attacchi, ma per aver il
vescovo dì Forlì fulminato la sco-
munica, essendo il castello sua dio-
cesi , ove possedeva casa che so-
vente abitava nelle turbolenze del-
la città: per togliere ogni dissen-
sione pure il castello della Cosina
fu demolito. Dopo la rotta che
patirono i faentini alla Frattaria,
seguì la pace, restituendosi Cervia
ai ravennati correndo il 1202,
chiamato l' anno della fame per
la carestia di tutta Italia. Frutto
della concordia goduta dai forlive-
si fu la restaurazione delle mura
della città, edificandole in quelle
parti ch'erano, di bastioni soltanto,
e condurre il canale per mezzo,
della città. In questo mentre l'im-
peratore Ottone IV mandò in Ro-
magna per suo vicario Leonardo1
da Tricano col solo titolo di con-
te; ma per la discordia suscitatasi
col Pontefice svanirono i disegni
de' ministri imperiali. Lunga lite
si agitò tra il pubblico di Forlì
e Pietro abbate di s. Mercuriale al-
la presenza di Oddone vescovo di
Cesena, e di Clemente abbate di s.
Lorenzo, giudici apostolici, intorno
al campo dell'abbate, oggi piazza
pubblica , ove si faceva mercato.
L'accordo che seguì agli 1 1 dicem-
bre 1 2 1 2 nel palazzo del consiglio,
fu che l'abbate dovesse concedere
l'investitura del campo alla comu-
nità di Forlì per cento anni, e
questa pagare ogni anno nel mese
di marzo una libbra di cera al-
l' abbate. Inoltre i forlivesi riedi-
FOR
ficarono le Caminate, terra nobi-
le sui monti di Forlì, già distrut-
ta dagl'imperiali quando vi espul-
sero i Belmonti che n'erano i si-
gnori: edificarono pure o amplia-
rono Melidonio o Melidolo forse
Meldola.
L'anno 121 3 fu l'epoca in cui
Castrocaro fu debellato dai forlivesi.
Questo luogo detto Salsubium da
un vicino fonte di acqua salsa, so-
vrastando al territorio di Forlì,
considerandosi qual frontiera ne fu
creduto spediente 1' acquisto. I for-
livesi n' erano stati signori prima
della discesa de' longobardi in Ita-
lio, indi concesso in feudo ad una
famiglia particolare, trovandosi dal-
l' Anastasio enumerato tra i luoghi
dati da Pipino a Stefano III. Alle
censure emanate da Innocenzo III
contro Ottone IV, seguì la sua
deposizione, e l'elezione all'impero
di Federico lì. Non andò guari che
i forlivesi con altri collegati guer-
reggiarono con Cesena ., che temendo
soccombere si sottopose ai bologne-
si, con riceverne il pretore, finché
il Papa Onorio III tranquillò gli
animi. I forlivesi divertirono poscia
il corso del fiume Montone con
danno di Faenza ; e qui nuove dis-
sensioni si suscitarono, non senza
spargimento di sangue. Nel 1220
fu coronato in Roma Federico II,
il quale incominciò a ledere le giu-
risdizioni ecclesiastiche particolar-
mente in Romagna, di cui fece
conti prima Ugolino, poi Golfredo
Blanderate, indi Alberto vescovo di
Magdeburgo, che minacciò di guer-
ra i bolognesi e faentini che di-
mostravansi alieni dal suo partito;
giacché a quell' epoca le tremende
fazioni de' guelfi e ghibellini, vera
peste d'Italia, ripresero vigore, per-
chè favoriti i secondi contro il Pon-
tefice dall'Imperatore. Ritornato pei
conte di Romagna Blanderate, For-
lì, Ravenna, ed altre città si di-
chiararono per Federico II, e la
prima fornì il conte di soccorsi a
danno de' bolognesi, opinandosi da
alcuni essere allora Forlì capo di
provincia. Nel i23o l'imperatore
si recò in Romagna, fece il suo so-
lenne ingresso primieramente in
Foilì, e dopo lunga dimora passò
in Ravenna, ove intimò un consi-
glio generale degli oratori e pri-
mati della città, sotto pretesto di
voler comporre le cose d' Italia. Ma
essendo stato Federico JI scomuni-
cato da Gregorio IX per mancan-
za ai giuramenti di partir per la
crociata di Palestina, e per invade-
re le terre della Chiesa, i forlivesi
implorarono ed ottennero le pon-
tificie assoluzioni dalle censure per
1' arcivescovo di Ravenna. Non com-
parso alcuno al consiglio, l' impe-
ratore tornò in Germania, lascian-
do conte di Romagna Carnesale o
Carnevale, mentre la lega de' prin-
cipi di Lombardia preparavasi con-
tro di lui.
Trovandosi nel 1282 pretore di
Forlì Rinaldo di Belmonte signore
delle Caminate e Brisighella, tentò
di farsi signore della città, ma ven-
ne prontamente espulso, ed uccisi
alcuni suoi fautori, quindi resi va-
ni gli ulteriori sforzi di Rinaldo.
Nel 1233 Forlì come altre città
pagò sei mila scudi a Federico II,
restando così affatto libera, per al-
tro col semplice annuo tributo, in
segno di ricognizione, di cento lire
alla camera imperiale. Perchè poi
Bologna, Faenza, Cesena, ed altri
luoghi di Romagna stavano per la
parte guelfa divola al Papa, i for-
livesi siccome ghibellini in senato
si unirono ai ravennati, riuiinesi,
o.xo FOR FOR
berli noresi ed altri, col patto di usurpò non poche terre della santa
reciproco soccorso ed unione in ca- Sede, il perchè inorgogliti i elu-
so di guerra, e per sostener l' o- bellini, in ogni luogo prevalsero,
nore dell' impero in Romagna. La come in Romagna, meno Ravenna
momentanea irruzione su Faenza, che soggiacque al guelfo Paolo
il comporre le differenze de' ra- Traversare In questo tempo i for-
vennati, per cui i forlivesi furo- livesi avendo assediata Faenza, fu-
no dichiarati arbitri, e l'occupa- rono rotti ed imprigionati ; e con-
zione del castello di Solarolo fu- temporaneamente il cardinal legato
l'oiio i principali avvenimenti di Montelonghi prese Ferrara, e de-
Forlì dopo il 1235, castello che presse i partigiani dell' imperatore,
rilasciarono a mediazione de' bolo- in modo che la Romagna si con-
gnesi. La discrepanza degli storici, vertì in guelfa, eccetto Forlì in cui
particolarmente patrii, produce non risiedendovi il conte della provin-
poca contraddizione negli avveni- eia, questi vi conservava l'autorità
menti, facendo talvolta vincitori i imperiale.
perditori : così accade ne' fatti sue- Conoscendo Federico II necessa-
cessi tra Faenza e Forlì, nella fre- ria la sua presenza in queste par-
quenza delle loro discordie, né trat- ti, partì coli' esercito ; e fatta inas-
tandosi di erudizioni compendiate, sa a Forlì, ove molto si trattenne,
è facile mostrare la verità o alme- prese Ravenna, e gli altri luoghi
no la probabilità dei successi, in riconobbero la sua autorità, eccet-
tui parzialità, prevenzioni ed altro tuata Faenza che perciò venne da
diressero la penna di non pochi lui col figlio Corrado assediata da
scrittori. I ravennati coi forlivesi, tutte parti, co' soccorsi de' forlivesi,
forlimpopolesi, e bertinoresi nel Penuriando l' imperatore a tale as-
1235 predarono il territorio di Ce- sedio di moneta ne fece battere in
sena, ma s' ebbero la peggio, per- Forlì di corame, a condizione del
che i cesellati non solo li scompi- cambio in oro terminata l' impresa,
gliarono, ma fecero prigione Sclat- Superata Faenza, l' imperatore vi
ta Uberti pretore di Forlì, mentre mandò a governarla i forlivesi Te-
i faentini fecero saccomanno sino baldo Ordelaffi per pretore, e Su-
alle porte di Forlimpopoli e di perbo Orgogliosi per capitano del
Piavenna; quindi successero altri fatti popolo, volendo così premiare For-
d'armi tra i forlivesi, faentini ed altri, lì per la fedeltà, ed aiuti ricevuti ;
con diversa fortuna : ma il castello quindi eresse una rocca in Cesena,
delle Caminate fu dai primi spianato, depresse le altre città, ed accrebbe
in punizione di Rinaldo suo signo- di dominio, di riputazione, e di
re. Frattanto Gregorio IX senten- privilegi Forlì. La città di Cervia
do il vituperevole accordo fatto in passò in dominio de' forlivesi, così
Palestina dall' imperatore co' sarà- la loro giurisdizione dal giogo del-
céni, spedì con gente di Romagna l'Apennino, al dir del Ronoli, si
e di Lombardia all'acquisto per la estendeva sino all'Adriatico, e tut-
Chiesa della Puglia, Giovanni di to il paese frapposto a detti mon-
Brenna già re di Gerusalemme. Ciò ti ; Matelica e la via Flaminia tro-
saputosi dall'imperatore, calò in vavasi sotto la signoria di Forlì,
Italia, ricuperò il perduto, e si che di nuovo, col tributo ordinario
FOR
di cento lire, Federico II aveva di-
chiarata libera, per cui pretendono
si reggesse a governo democratico.
Tra questi luoghi eravi compresa
MeldoJa, terra nobile non solo sog-
getta, ma ancora aggregata e fatta
territorio forlivese, e vi durò sino
al 1282, dopo il qual tempo ebbe
a soffrire or sotto Forlì e suoi prin-
cipi, or sotto d' altri varie vicende.
Seguì nel 1242 grave questione
in consiglio tra senatori , ed in
piazza restarono uccisi Nicolaccio
Segafèni, e Marino Rafhnelli. L'an-
no seguente i veneti all'improvvi-
so assediarono Forlì, ma usciti dal-
le porte gli abitanti, con danno ri-
tiraronsi gli aggressori, i quali po-
scia gli tolsero Cervia : non si co-
nosce qual mira avesse la repub-
blica di Venezia, e si congettura
che facesse ciò a persuasione del
legato del Papa, ovvero per am-
pliare il suo dominio, per cui len-
tamente procurava insignorirsi del-
la Romagna, potendogli fare osta-
colo la crescente possanza de' for-
livesi.
Sconfìtto l'imperatore sotto Par-
ma, e deposto nel concilio gene-
rale celebrato in Lione da Innocen-
zo IV, questi inviò in Italia il car-
dinal Ottaviano Ubaldini, il quale
coi bolognesi e fuorusciti guelfi
tentò di ridurre la Romagna al
partito della Chiesa, e per la pri-
ma s'impossessò di Forlì, come
sede principale de' ghibellini, ciò
che agevolò 1' occupazione delle al-
tre città : i forlivesi capitolarono
con onorevoli convenzioni , e rico-
nobbero nel 1248 per legato del
Papa il cardinale. Restituì questi
i guelfi fuorusciti alla patria , ed
espulse i più sospetti ghibellini ,
praticandosi altrettanto nelle altre
città ghibelline. In tale occasione
FOR 221
Rinaldo Delmonli ricuperò il diru-
to castello delle Cantinate. Morto
Federico II i forlivesi si solleva-
rono e cacciarono dopo lunga con-
tesa la parte guelfa, giacché Forlì
poteva dirsi allora metropoli dei
ghibellini, nò sembra probabile che
soggiacesse al dominio de' bologne-
si, anzi i forlivesi ricusarono da lo-
ro il pretore, che per solito se-
condo l'uso doveva essere stranie-
ro, per impedir le gare fra i cit-
tadini per divenirvi. Rensì Rolo-
gna ad eccezione di Forlì e di Ri-
mini, soggiogò le altre città di R.o-
magna. All'esaltazione all'impero
di Rodolfo d' Absburgo , nel con-
fermare alla satita Sede le sue pos-
sessioni, vi comprese la Romagna,
ma non perciò gl'irrequieti ghibel-
lini si quietarono, che in Rologna
erano capitanati dai Lambertazzi
amici de' forlivesi, mentre capi dei
guelfi bolognesi erano i potenti Ge-
remei. Questi volendo togliere ai
ghibellini di Romagna i forlivesi
debilitandone le forze, s'adoprarono
in senato perchè gli fosse spedito
contro un esercito, e col carroccio
portaronsi ad assediar la città, che
trovarono ben difesa da Guido da
Montefeltro, perchè i forlivesi dai
loro amici avevano penetrato la
tempesta che gli sovrastava; laon-
de con qualche perdita dovettero
ritirarsi i bolognesi. Nel 1273 giun-
se in Forlì Odoardo re d' Inghil-
terra di ritorno dalla sagra spedi-
zione di Terra Santa, ed infruttuo-
samente s' interpose a pacificare i
Geremei coi Lambertazzi. Tutla-
volta Guido da Montefeltro mar-
ciò su Faenza, la prese in un a
Solarolo ov' eransi ritirati i Man-
fredi, e fece molti prigioni.
Intanto i Geremei provocarono
una seconda spedizione contro Forlì,
222 FOB
quando sul punto di partire il car-
roccio, la fazione contraria con
molti forlivesi si cacciarono sugli
emoli, e seguirono gravi zuffe, lin-
cile giunta a Bologna grossa mano
di guelfi lombardi , i principali
Lambertazzi colle loro famiglie fu-
rono discacciati, che accolti in For-
lì molti di essi vi si fermarono.
Allora Bologna regolata interamen-
te dai Geremei decretò la rovina
di Forlì, la cui potenza sempre
bramò deprimere, congiungendo al-
le sue forze quelle di Bavenna, di
Cesena, d'Imola, e de' fuoruscili
guelfi di Lombardia ed altre parti,
sotto il comando di Malatesta Ma-
latesti di Bimini. A tanto appara-
to i forlivesi fecero i maggiori sfor-
zi e continuando a tenere assolda-
to il prode Guido, caldo ghibellino,
gli associarono molti periti capi-
tani, non che Superbo Orgogliosi e
Teodorico Ordelalii forlivesi. Oltre
il ponte di s. Procolo nel 1275
seguì l' asprissima mischia, in cui
la vittoria si dichiarò pei forlivesi,
che tagliarono a pezzi ottomila
nemici, s'impadronirono di tremila
carri di bagagli e munizioni, e del
gonfalone, la cui asta per molto
tempo fu conservata in s. Giaco-
mo poi chiesa di s. Domenico. Il
carroccio sul quale salì Montefel-
tro, fu fatto tirare da cinquecento
prigioni, e condurre a Forlì, con
quella pompa militare che vedesi
dipinta nella sala del general con-
siglio. Becatisi poi i forlivesi sul
territorio di Bologna, saccheggia-
rono alcune ville, ed occuparono
molte castella ; incendiarono Castel
s. Pietro, e riconquistarono Cervia
e la sua rocca. Indi si mossero a
danno di Cesena soggetta ed allea-
ta de' bolognesi, s'insignorirono del
castello di Bovcrsano, e sbaraglia-
FOB
rono compiutamente il nemico , il
perchè Cesena aprì le porte ai fol-
li vesi, giurò fedeltà ed obbedienza,
ricevendo in governatori l'Ordelaf-
fi e l'Orgogliosi. Non restava al
partito guelfo di Bologna che Ra-
venna, al soccorso della quale mar-
ciarono i Geremei, ed anco per te-
nerla nella divozione de' bolognesi.
Frattanto i forlivesi assediarono
Bagnacavallo, ed edificarono Coti-
gnola, per assicurare da quella par-
te il territorio faentino, e porre in
maggiori angustie detta terra. Nar-
ra il Bonoli che gli fu dato il no-
me di Cotignola perchè i nuovi
abitanti furono tolti da Forlì dal
borgo di Cotogni o Gotogni , tal-
ché Cotignola divenne colonia di
forlivesi : questa terra produttrice
d'uomini segnalati die i natali a
Sfor/a Atlendolo, da cui derivò la
polente e nobilissima casa Sforza ,
che trasse origine da un ramo dei
Calboli forlivesi colà mandato. Ma
su Cotignola, e sulla più antica sua
edificazione, va letto quanto dicem-
mo al volume XXII, pag. 299 e seg.
del Dizionario.
Bagnacavallo non potendo soste-
nere l'assedio si die ai forlivesi, che
furono puniti coli' interdetto da
Bonifacio arcivescovo di Bavenna,
perchè Bagnacavallo era raccoman-
data a quella chiesa. Frattanto i
fiorentini raccolto numeroso eser-
cito guelfo, ne dierono la direzio-
ne a Guido Selvatico conte di Bo-
mena, che attaccò lo stato forlive-
se dalla parte del confine , impa-
dronendosi di parecchi castelli, i
cui signori feudali erano guelfi
fuorusciti. Ma il senato forlivese
spedì a quella volta 1' esercito , e
non lungi da Civitella di tanto im-
peto venne assalito il campo ne-
mico, che dopo poche ore di coni-
FOR
battimento, con propizia sorte dis-
siparono e ruppero; quindi all'au-
ra della vittoria agevole fu il ri-
cupero delle castella, come l'ac-
quisto di alcuni luoghi di dominio
fiorentino. Seguirono altri fatti d'ar-
mi, tra' quali fu arso e spianato
Calboli, castello poscia dai suoi si-
gnori riedificato nel pontificato di
Martino IV, come famiglia poten-
te fatta ricca di privilegi dall'im-
peratore Ottone III, ed in Forlì
capi della fazione guelfa. In vista
di avvenimenti sì prosperi, resa a
tutti formidabile la potenza de'fòr-
livesi , Ravenna e Rimini a loro
sicurezza e quiete pensarono strin-
gere secolei amicizia e confedera-
zione, e già l'arcivescovo Bonifacio
avea sciolti dalle censure i mede-
simi forlivesi. Allora i bolognesi
implorarono il soccorso del Pon-
tefice ìNicolo III, che inviò loro il
nipote Bertoldo Orsini, il quale
rappresentando il padre comune,
con molto zelo conchiuse la pace
fra i guelfi e ghibellini di Bolo-
gna. Dopo la morte del Papa si
riaccesero le discordie, e i ghibel-
lini bolognesi cacciali rifugiati ven-
nero dai forlivesi in Faenza, ma
poscia per diverse cagioni stacca-
rono questa città alla divozione
di Forlì, che spedì il generale Mon-
tefellro a saccheggiarne il territo-
rio, quindi fece altrettanto su quel
di Ravenna, ch'era divenuta l'asilo
de' guelfi e de' ribelli di Forlì ,
anzi udita la sedizione di Faenza
avea danneggiato i confini dello
stalo forlivese.
Vedendosi i ravennati impotenti
a sostenersi contro Forlì, dopo va-
rie conferenze cogli oratori de'Ge-
remei, dei 3Ialatesta ed altri guel-
fi, e più di tulli co' faentini che
temevano un nuovo assedio dai for-
FOR 11$
livesi, cooperarono presso il nuovo
Pontefice Martino IV di nazione
francese, a far sì che i fuorusciti
come perturbatori fossero totalmen-
te sterminati, che si dovesse umi-
liar il soverchio potere de' forlive-
si, che spettando le città circostanti
per antiche ragioni alla romana
Chiesa, non doversi i suoi nemici
proteggere da Forlì , e che sog-
giogati i forlivesi, gli altri ghibel-
lini venivano ad un tempo doma-
ti. Il Papa pertanto bramoso di
riprendere le antiche giurisdizioni
di santa Chiesa ( che i forlivesi im-
pugnavano riconoscendo solo l'im-
pero a superiore, né valutando le
confermate donazioni di Rodolfo
siccome non coronato in Roma per
mano del Papa ) , e cedendo ai
guelfi s' indispose contro i ghibel-
lini, intimò guerra a Forlì, che a
mezzo de' suoi ambasciatori, lungi
dal prendere perniciose brighe col-
la Chiesa, voleva discendere ad o-
neste condizioni. Gli emuli de' for-
livesi impedirono che gli oratori
in Orvieto potessero eseguir col
Papa la loro missione ; in vece
nel pontifìcio nome fu fatto loro
intendere, che se Forlì voleva pa-
ce cacciasse i bolognesi Lambertaz-
zi, e non convenire al Papa pegh
antichi diritti che avea su Forlì e
suo stato, capitolar coi sudditi.
Provarono i forlivesi inviare a Mar-
tino IV altra ambasceria compo-
sta di ragguardevoli personaggi, al-
meno per assegnar alcun luogo ni
Lambertazzi per loro rifugio, ma
dalla fazione contraria, alla cui te-
sta era Carlo I d'Angiò re di Si-
cilia, non fu permesso avvicinar il
Papa, per cui i forlivesi si prepa-
rarono alla guerra. Teneva Mar-
tino IV preparalo un ordinario
esercito, in cui primeggiavano ot-
2^4 F0R
tocento nobili ed agguerriti fran-
cesi; dichiarò generale e conte, os-
sia presidente di Romagna Guido
d' Appia , che altri erroneamente
chiamano Giovanni di Pa o di A-
pia, uno de' primi capitani di Fran-
cia, ed a cui il Pontefice avea
dato in moglie una nipote: due
furono i valorosi capitani pontifi-
cii di cognome Appia , il primo
Guido , il secondo Giovanni , ciò
die motivo che alcuni dissero es-
sersi Guido chiamato anche Gio-
vanni.
Guido per Firenze portossi a
Bologna coli' esercito, spesato per
la più parte da Filippo III re di
Francia , che ivi s' ingrossò colle
truppe de' bolognesi, imolesi, faen-
tini, ravennati, perugini, de' Mala-
testa, e del marchese Obizzo d'E-
ste, il quale mandò mille fanti fer-
raresi, guidati da Ciaccolo Ciacco-
li : tra i prodi capitani figurava
anche Taddeo Novello Montefeltri,
cugino del conte Guido generale
de' forlivesi , ma di lui nemico.
Dalla città di Forlì si allestirono
que' preparamenti che si potè mag-
giori, per affrontare sì temuto e-
sercito. L' Appia nel 1281 si avan-
zò all'assedio della città, incomin-
ciando dalla porta di s. Valeriano,
il cui borgo fu dai francesi incen-
diato ; ma i forlivesi attaccando di
fianco i papalini, dopo lungo con-
trasto , con grave loro perdita li
costrinsero alla ritirata. Pieni i for-
livesi di contento per la vittoria,
la porta di s. Valeriano fu poi
nomata della Rotta. Vedendo l'Ap-
pia la difficoltà di prendere Forlì
con assedio e di forza , intese ad
averla per fame; laonde nel se-
guente anno 1282 ne saccheggiò
il distretto, e pose vari presidii ad
impedire l'ingresso alle vettovaglie,
FOR
né lasciò di profittare dell' interne
corrispondenze de' guelfi, che disco-
perti, furono puniti con inusitato
supplizio. Quindi divise l'Appia l'e-
sercito in due campi , ne piantò
uno a s. Martino, l' altro alla Ro-
vere presso i prati del Cassirano.
Intanto Guido da Montefeltri ge-
nerale de' forlivesi, dopo una gio-
stra bellissima rappresentata il gior-
no di s. Mercuriale, con la com-
parsa di trecento forlivesi a ca-
vallo riccamente abbigliati, profit-
tando del buono spirito ch'era nei
suoi , che fidavano ne' favorevoli
prognostici loro dichiarati da Gui-
do Bonatti, volle provarsi a tentar
fortuna, e liberar la città già ves-
sata dalla fame. Nel dì primo mag-
gio Guido fece generale rassegna ,
animò il popolo e l'esercito a spe-
rar bene, e riflettendo non potersi
superare un nemico con forze co-
tanto maggiori, senza qualche stra-
tagemma, lasciando in aguato par-
te de' suoi presso le mura, fece spa-
lancar le porte dal canto di mezzo-
giorno, e per quelle munite di s.
Biagio e di s. Pietro, in atto di
fuga portossi sull'alba ad assalir il
campo alla Rovere, eh' era sepolto
nel sonno. Quelli del campo s.
Martino avvedendosi delle due
porte abbandonate ne dierono av-
viso all' Appia dicendo che il conte
era fuggito. Senza perder tempo
l'Appia mosse il campo, e perven-
ne a Forlì, nel tempo stesso che
il conte attaccava l'altro campo. 1
capitano francese dubitando di qual-
che inganno, fece occupare la por-
la Ravaldino, e far alcune esplo-
razioni, quindi determinossi all'in-
gresso , abbandonandosi i francesi
al saccheggio ed alla crapula , in
cui furono imitati dagl'italiani, tra-
cannando a gara il vino. Stando
FOR FOR 2^5
il Bonatti vigilante, vedendo il tem- benedire, appellata perciò volgar-
po opportuno, die il segno conve- mente la Crocetta, che descrive il
nulo all'agnato, suonando a mar- succitato Giuliano Becci. Colle spo-
tello la campana maggiore su la glie de' francesi fu acquistato un
torre di s. Mercuriale Allora i na- podere, col frutto del quale ogni
scosti si gettarono con impeto sugli settimana a loro suffragio si cre-
sparsi francesi, ed aiutati persino brava una messa ; quando poi nel
dalle donne ne uccisero molti. 1616 alla cappelletla fu sostituita
In tal frangente l'Appia con una la colonna marmorea di cui par-
scelta mano de'più intrepidi, fecesi lammo, il pio legato venne sod-
forte in piazza, uccise duemila for- disfatto dai vallombrosani. Gli sto-
livesi, per cui gli altri erano per rici attribuiscono gran parte del-
darri alla fuga, quando giunse il l'onore delle due memorabili vit-
conte Montefeltri vincitore del cam- torie, una in città, l'altra fuori, ai
pò alla Rovere, quindi inasprita consigli del gran filosofo ed astro-
la zuffa, questa durò tutto il gior- logo Guido Bonatti che pur fanno
no, e gran parte della notte, coin- forlivese; il Bonatti col Montefel-
battendo in confusione per le pinz- tri si fecero religiosi di s. France-
se e per le vie, su cui i vecchi e sco, e l'eredità dei discendenti del
le donne scagliavano sassi e tego- primo pervenne alla romana fa-
le. con orrendo danno de' nemici, miglia Rondoni, per essersi ad uno
che cedendo a tante forze unite, di loro impalmata la superstite Bo-
furono quasi tutti tagliati a pezzi, natti. Immensi poi sono gli elogi
fra' quali Guido Appia, e Taddeo che furono tributali alla sagacità,
Montefeltri. 11 numero de' morti antiveggenza e prodezza di Guido
d'ambe le parli ascese a dieciotto- da Montefeltro, il quale è altamente
mila. In tal modo il Bonoli narra encomiato da Dante nella Divina
il fatto d'armi tra Guido da Mon- Commedia, dall'Ariosto, e da altri,
tefeltro, e Giovanni d'Appia; ma Udita eh' ebbe Martino IV la
sulla più esatta veridicità può con- strage de' suoi , ordinò nuova re-
sultarsi la descrizione che ne pub- colta di genti , e spedì s. Filippo
blicarono i fratelli Mamiani di Pe- Benizzi generale de' serviti a predi-
saro prima del i83o, coi tipi del care ai forlivesi l'ubbidienza; però
]NTobili, tratta dalle cronache di Gui- non ebbe ascolto , e fu cacciato
do Bonalti (nel qual fatto d'armi fuori delle mura da cento giovani,
vi ebbe grandissima parte) e ridotto tra i quali era Pellegrino Laziosi,
a buona lezione dal rinomatissimo uno de' nobili principali del paese,
Bernardino Baldi. Viveva a quest'e- il quale poi pentito di tale eccesso,
poca in Forlì il b. Giacomo Sa- vestì l'abito de' serviti , e meritò
lomoni domenicano veneto, al cui d'essere solennemente canonizzato
suggerimento i forlivesi eressero per santo da Benedetto XIII. Quin-
in mezzo alla piazza maggiore, in di il Papa dichiarò Giovanni d'Ap-
cui erano stali seppelliti molti dei pia generale dell'esercito, che fu
francesi uccisi, una cnppelletta, sul ingrossato colle truppe del re Car-
cui altare era una croce sostenuta lo I, e con tremila fanti de'bologne-
da un leone scolpito in marmo, e si, oltre gli aiuti di Ravenna, Faen-
nel mezzo una mano in atto di r.a e delle altre città guelfe. Di
voi. xxv. i5
226 FOR
primo arrivo Giovanni scorse da
tutte le parti il territorio forlive-
se, dando il guasto all'imminente
raccolto per affamare al più presto
la piazza , e sovente occupando
qualche castello vicino, sebbene i
forlivesi uscissero spesso a scaramuc-
ciare, non senza riportare de' van-
taggi, coli' uccisione di persone di-
stinte. Indi Giovanni sloggiando il
presidio di Cervia, avendo corrot-
ti i difensori con sedicimila fiorini
d'oro , se ne impadronì. Laonde i
forlivesi stanchi, e mal ridotti dal-
la fame, dalla nuova guerra, e da
tanti nemici sovrastanti all'intorno,
allettati dalle lusinghe de' pontifi-
cii, determinarono arrendersi con
patti onorevoli, salvo le persone e
gli averi, consegnata la terra di
Meldola ai fuorusciti ed al Monte-
feltri. Con Forlì acquistatosi dal
conte Giovanni anche il suo stato,
esiliò i principali ghibellini, rimet-
tendo all'opposto i guelfi fuorusciti,
e poscia assediò que' ghibellini che
erano in Meldola, dopo aver scam-
pato grave pericolo. Lieto Marti-
no IV per tali successi, mandò in
Romagna il cardinal Girolamo ve-
scovo di Palestrina, ed il cardinal
Giacomo Colonna , per comando
de' quali, e secondo gli ordini del
Pontefice, furono spianate le mu-
ra, e riempiute le fosse della città di
Forlì in castigo dell' uccisione di
Guido Appia , e privata di molte
giurisdizioni e castella. Continuan-
do Giovanni l'assedio di Meldola,
costrusse a ricovero de' suoi solda-
ti un fortino , che dal suo cogno-
me fu chiamato Pietra d'Appio ,
ridotto poi a castello della giuris-
dizione di Forlì. Guido di Monte-
feltro dopo lunga resistenza si ar-
rese, ed umiliato a' piedi del Papa
n'ebbe il perdono, mentre i fupr-
FOR
usciti furono esiliati dalla Roma-
gna , ma la provincia non restò
perciò tranquilla.
Avvezze le citta romagnole, ed
in ispecie Forlì, a comandare, mal
soffrivano il dispotismo dell'Appia,
che col cardinal vescovo di Porto
legato in tutto s'intrigava, e dispo-
neva a capriccio delle cose, men-
tre per lo avanti la provincia non
era tenuta che ad alcuni piccoli
tributi , ed a somministrare se ri-
chiesta un contingente di milizie.
Conseguenza di che furono violen-
ti avvenimenti. Malatesta da Rimi-
ni quantunque guelfo diede pel
primo il segnale al sollevamento
de' popoli contro l'Appia. Già i for-
livesi incominciavano ad ammuti-
narsi, solo trattenuti dalle domesti-
che discordie, e lo stesso dicasi dei
faentini; laonde trasferitosi Mala-
testa a Forlì, riconciliò gli Orgo-
gliosi ed Ordelaffi coi Calboli, quel-
li ghibellini, e questi guelfi , tut-
te famiglie assai ragguardevoli. An
che l' arcivescovo di Ravenna era
malcontento, perchè dovette con
gnar all'Appia le ricuperate caste
la di sua giurisdizione; si era com
posto co' forlivesi, e li aveva assol
dalle censure pe' danni recati
Tudorano, con ricevere novem
lire di compenso. Agli accennati
motivi di disgusto si aggiunse l'im
posizione di nuove gabelle , ond
la provincia in gran parte diven
tumultuante. Sapendo l' Appia l
mene del Malatesta, lo assalì me
tre tornava a Rimini, fece prigi
ne Giovanni Malatesta, indi sott
pose a processura e condanne i fo:
livesi e faentini più caldi. Martin
IV in sostenimento di sua autori
tà inviò in Romagna considerabi
presidio francese, sotto la condott
di Guido da Manforte; venne ri
ira
I
m-
ila
FOR
s cai tato il Malatesta, i faentini e
ferii vesi dierono cauzione, l'Appia
si condusse con maggiore pruden-
za, ed il lutto restò pacificato. Se
non clic morto nel 1285 Martino
IV, l'Appia partì, restando al co-
mando di tutto il cardinale legalo
•vescovo di Porto , che pel primo
impose alla provincia un tributo ,
per pagar le truppe di presidio.
Onorio IV espulse di Romagna il
Montefellri che indisponeva i po-
poli, e benevolo con Forlì., gli die
per insegna quella della romana
Chiesa, e nel 1286 spedì a gover-
natore, rettore o conte della pro-
vincia Guglielmo Durando sommo
legista, ch'ebbe nella sede -vacante
in successore Pietro di Stefano, che
si mostrò severo co'Polenlani e Ma-
latesta. Nicolò IV promosse al go-
verno della provincia prima Er-
manno Monaldeschi, e poi Stefano
Colonna , in compagnia di Pietro
Saraceno vescovo di Vicenza, le-
gato e superiore negli affari eccle-
siastici e spirituali. Il nuovo conte
convocò in F01T1 la dieta di pro-
vincia, e ricevette dagli oratori del-
le città de' luoghi al suo governo
soggetti , il giuramento solito di
fedeltà.
Stefano rimise i Malatesta in Ri-
mini , ma volendo toglier la rocca
di Ravenna ai Polentoni , per far-
la custodire ai ministri pontifìcii, ai
16 novembre 1230 fu imprigiona-
to colla famiglia, e gravi tumulti
seguirono. I Malatesta insignoriron-
si di Rimini, i Calboli sebbene per
lo innanzi parziali alla Chiesa can-
giarono partito, ed il vescovo Pie-
tro d'ordine del Papa pubblicò in
Forlì la crociala contro i contu-
maci e nemici della Chiesa. Ma ai
20 dicembre con pena potè salvar-
si colla fuga, quando i faentini , i
FOR 227
ravennati e i riminesi, d'accordo
coi malcontenti di Forlì, s'introdus-
sero nella città, che elesse in pre-
tore Guido Polentani, poi Mainar-
do di Susinana già pretore di Faen-
za. Udite Nicolò IV sì fatte rivolu-
zioni ed eccessi , spedì Ildebrando
o Aldobrandino vescovo di Arezzo,
che Mainardo accorto ghibellino ri-
cevè con onore in Castrocaro, e gli
donò il castello di Baccanano per
disarmarne lo sdegno, ed averlo fa-
vorevole. Le stesse affettuose acco-
glienze Ildebrando ricevè dal rima-
nente della provincia , ed in F01T1
fu accollo con regia magnificenza,
ove pubblicata la consueta adunan-
za, intervennero gli ambasciatori di
tutte le città, tranne Ravenna. Il-
debrando promettendo proscioglie-
re i Polentani delle pene spiri-
tuali e temporali, ottenne oltre la
scarcerazione del conte, il compen-
so a questi di tremila fiorini. Ste-
fano Colonna e la famiglia a' 24
gennaio 1291 furono rilasciati. Indi
Ildebrando intimò un'altra dieta in
Forlì, in cui rese ostensibili le pon-
tificie patenti di sua potestà , e si
convenne dagli oratori a nome del-
le città di estrarre dalla provincia
ventimila fiorini per la paga dei
soldati, guardia del conte ed altre
spese ; nello stesso tempo Ildebran-
do vietò alle città d' imporre tri-
buti, acciò prive di danaro non po-
tessero assoldar gente, e sollevarsi.
Dipoi Ildebrando conciliò in Imola
i Nordilii cogli Alidosii, alcuni dei
quali stabilironsi in Forlì, da dove
passarono a Siena. Di ritorno a
Forlì Ildebrando dissimulò l'affron-
to fattogli da Mainardo , nel chiu-
dergli in faccia le porte di Faenza.
Morto Nicolò IV i Polentani e Mai-
nardo costrinsero Ildebrando a fug-
gir colla parte guelfa in Cesena, che
»9Ò FOR FOR
subito assediarono, dopo aver im- tuale, non che conte nel fempora-
prigionato il di lui fratello conte le, Pietro arcivescovo, il quale ben
Aghinolfo di nomena : Malatesta diverso dai precedenti, colle «ne
consigliò Ildebrando a ritirarsi in maniere nella sessione provinciale
Castrocaro come luogo più sicuro, tenuta in Imola a' io aprile no5
e questi qual conte e legato della pacificò i Manfredi con Mainardo e
provincia colpì di scomunica i coni- gli altri ghibellini, rimettendoli in
plici di tante sedizioni, non che i Faenza; a Guido Montefeltri ginn-
bolognesi per aver occupata Imola to a Forlì, restituì i beni confisca*
ed espulsi gli Alidosii, sebbene poi ti al tempo di Onorio IV. Ciò non
placato gliela concesse. Quindi segui- pertanto Pietro fu accusato al Pa-
rano multe e bandi della vita con- pa di favorir i ghibellini, e perciò
tro i principali ribelli. gli successe Guglielmo Durando,
Inutilmente s'intromisero i ho- stato altra volta conte di Roma-
lognesi colle città , siccome quelli gna, il quale trovò i guelfi avvili-
che aspiravano al dominio di no- ti, e i ghibellini ovunque baldan-
magna; soltanto i forlivesi elessero zosi per la presenza di Montefeltri,
nell'agosto 1292 a pretore per sei per lo più dimorante in Forlì, che
mesi il cardinale Napoleone Orsini, teneva in conto di patria. Gugliel-
che abitava in casa del pretore mo intimò il congresso di provini
Bandino Conteguidi, conte di Mo- eia in Cesena, dove riconosciuto
digliana. Faenza si fortificò, e coi ministro del Papa, poscia si con-
popoli circostanti pose in armi tren- dusse alla solila residenza in Forlì.
tamila fanti e mille cavalli, venen- Qual conte di Bomagna era pur
do considerata qual frontiera di no- marchese della Marca, come i pre-
magna, e facile ad essere attaccata decessori; laonde nel portarsi a vi
dai bolognesi : fu fatto generalissi- sitare la seconda, lasciò qui in si
mo il pretore Bandino, ma i bo- vece Guido vescovo di Pavia. Que
lognesi non fecero alcuna mossa, sii ricevè ordine di rivocare i bei
In Forlì ebbe luogo la riconcilia- al Montefeltri, e di togliere a li
zione con Ildebrando, giacché i col- ed a qualunque di sua famiglia
legati non desideravano l'espulsione dignità e magistrature che nell
dei ministri pontificii, ma solo di limi- provincia esercitavano. Ciò bast?
farne la preponderanza ; ma azzuf- per suscitar nuove turbolenze e ri
fati gli Orgogliosi e i Calboli_, que- voluzioni, come a provocare alla
sti vennero cacciati. Il Papa s.Ce- scoperta nuove confederazioni dei
lestino V rimosso Ildebrando, nel- ghibellini d'ogni luogo; anzi a-
l' ottobre 1294 dichiarò conte del- vendo in non cale i bandi e le
la provincia noberto Gernaio: que- censure, per rendersi più. formida-
sti si portò a Forlì, poi a Faenza bili trassero al loro partito il mas
ed Imola ove destinò la provincia- cliese d' Este, che aspirava alla si-
le adunanza ; ma perchè esigeva gnoria di Bologna. Quindi nella
che il Pontefice fosse libero nel do- dieta generale tenuta in Argenta, i
minio della provincia, la Bomagna forlivesi e soci per compiacere all'E-
passò in aperta sedizione. Divcnu- stense si offrirono a procurar che
to Papa Bonifacio Vili costituì nuo- Imola si togliesse ai bolognesi, e fo*-
to rettore e vicario per lo spiri- sero iLambertazzi ritornati in patria.
FOR
Venuto Durando in cognizione
di tanti maneggi, ne fece avvertiti
i bolognesi , che non seppero gio-
varsene , perdendo Imola mentre
Durando pubblicò rigoroso proces-
so, in cui comprese i principali for-
livesi, e quelli delle altre città fe-
derate, alcuni de' quali posero in-
tanto l'assedio a Castelnuovo del-
la famiglia Calboli capi de' guelfi,
fuorusciti forlivesi. Questi allora im-
maginarono il tentativo di sorpen-
ilere per assalto Forlì, e rimettersi
in patria. Raccolti dunque gli op-
portuni aiuti entrarono in città uc-
cidendo molti ghibellini, tra'quali un
Ordelafli ed un Orgogliosi. Avutosi
di ciò notizia dagli assedianti, Scar-
petta Ordelaffi assunse l' incarico di
liberar la patria, e giungendovi
precipitosamente, dopo lungo com-
battere col favore del popolo, fu-
gò ed uccise i nemici, fra' quali
due Calboli, in tutto mille e tre-
cento nemici, facendo così memo-
rando il 12 luglio 1296. Nel se-
guente anno i forlivesi fecero sul
territorio ravennate liceo bottino,
poscia praticarono altrettanto sul
bolognese. 11 Pontefice licenziato il
Durando, creò conte di Bologna e
del resto di Romagna Massimo Pri-
vernale, il cui fratello cardinal Pie-
tro Duraguerra fece legato; ma sul-
le prime poco poterono operare, es-
sendo gli animi troppo esasperati ,
e la Romagna divisa in partili. Fu
in questo anno che Guido Monte-
feltri con ammirazione di tutti, al-
lorché la sua fazione predominava,
vestì l'abito di s. Francesco. Entra-
to il 1297, al generalato del ghi-
bellino Mainardo fu sostituito U-
guccione Fagioli, continuandosi o-
vunque le scorrerie e le conquiste
sui guelfi. Non mancavano il con-
te ed il legato all'ufficio loro, e
FOR 2>-9
vennero a rigorose condanne, mul-
te e processi ; inquisirono e pro-
cessarono molti forlivesi. Venendo
poi alla condanna generale, per la
particola!1 punizione de' misfatti e
delle pene inflitte, essa è descritta
minutamente dai Rossi nella storia
di Ravenna , e dal Ronoli al libro
quinto, essendo un documento in-
teressante. Nelle quali condanne ,
ascendenti le multe a venticinque
mila marche d'argento, non facen-
dosi menzione che della città di
Forlì e suoi abitanti, si deduce es-
sere stati i forlivesi capi e diret-
tori degli avvenimenti, anzi soli
disponenti del resto degli alleati _,
per la fòrza in cui fioriva la città,
ad onta delle calamità soiferte nel
pontificato di Martino IV.
Di poca efficacia riuscirono le
anzidette minacce, per esserne com-
messa la esecuzione alla sbirraglia
semplicemente, laddove erano sul-
le armi intere squadre. Indi Ugitc-
cione prese Lugo e Castel s. Pie-
tro, ed i forlivesi predarono il ter-
ritorio di Rimini. A mediazione di
Bonifacio Vili seguì la tregua tra
gli alleati e i bolognesi, subentran-
do al comando dei primi Uberto
Malatesta ghibellino, cui successe
Zappettino Oberimi ; ma termina-
ta la tregua ebbe luogo tra i so-
praddetti grossa scaramuccia al fiu-
me Silero, mentre Fulcherio Cal-
boli eletto generale della Chiesa per
la spedizione della Marca, domò il
tiranno di Osimo, e ridusse la cit-
tà ed altre terre all'antica domi-
nazione del Papa. Finalmente nel
1 299 i bolognesi si pacificarono
co' confederati, essendo nominati in
primo luogo i forlivesi; e nel se-
guente anno il cardinal Matteo d'Ae-
quasparta legato di Romagna pro-
sciolse le città alleate dalle seuten-
2 3o FOR
ze contro loro pubblicate, sommi-
nistrando opportunità maggiore a
cancellare le colpe l'universale giu-
bileo ripristinato da Bonifacio Vili.
Questa indulgenza trasse a Roma
Carlo di Valois fratello di Filip-
po IV re di Francia, che dal Pa-
pa venne nominato conte di Ro-
magna , nello scopo forse d' infre-
nare le città col timore di tanto
principe, essendo quasi tutte domi-
nate da particolari signori o dai
ghibellini , meno Cesena ed altri
luoghi. Carlo in sua vece mandò
al governo di Romagna Giacomo
Pagani vescovo di Rieti , munito
eziandio dell'autorità di vicario pon-
tificio nello spirituale; ma rimosso
nel i3o2, gli successe il b. Rinal-
do Concoreggio vescovo di Vicen-
za. Espulsi in questo mentre di
Firenze i Bianchi ( Vedi), tra cui
Dante Alighieri, dalla contraria fa-
zione dei Nerij ebbero tutti rico-
vero in Forlì, giacché bianchi e
ghibellini erano una fazione. Per
ingerirsi il conte Rinaldo con trop-
po di libertà nelle faccende pub-
bliche e politiche, fu dal popolo
geloso del potere espulso di città
e mortalmente ferito. Bologna do-
minata dai ghibellini strinse allean-
za coi forlivesi, faentini e Can del-
la Scala, contro Carlo II re di Na-
poli, per opera del quale erano sta-
ti cacciati i bianchi da Firenze, ed
intendeva allo sterminio del nome
ghibellino. Poscia fu fatto genera-
le dell'esercito confederato Scarpet-
ta Ordelaffi forlivese, avviandosi a
soccorrere con seimila fanti ed ot-
tocento cavalli i bianchi di Firen-
ze, ove era pretore Fulcherio Cai-
boli di parte nera o guelfa; ma es-
sendosi ritirati i bolognesi temen-
do le mire del marchese d' Este ,
inefficace fu tale spedizione.
FOR
Morto Bonifacio Vili , e creato
Benedetto XI , questi mandò conte
di Romagna Tebaldo Brusati, ma
con poca gente, operando allora i
Papi e loro ministri più col mez-
zo delle leggi, che con quello del-
le armi. Ad onta di ciò Tebaldo a
punire Forlì di quanto fece al b.
Rinaldo, e per l'ospitalità accor-
data ai bianchi j come pure a ren-
derla ubbidiente, raccolse coll'assi.-
stenza de' Malatesti un sufficiente
esercito. Ma per la morte di Be-
nedetto XI, il conte nella lunga se-
de vacante sospese qualunque di-
mostrazione, ond' ebbero agio di as-
sodarsi nel dominio delle giurisdi-
zioni di s. Chiesa i tiranni che le
signoreggiavano, tanto più che l'e-
letto Clemente V avendo stabilita la
residenza pontifìcia ad Avignone in
Francia, non poteva per la lonta-
nanza tenerli in freno. Successiva-
mente Faenza ritornò al partito
guelfo, Forlì fu divisa da cittadi-
ne guerre , ed in Bologna i Lam-
beitazzi di nuovo furono cacciati
tornando anch' essa a' guelfi , eie
che aumentò gli abitanti di Fori
pei ghibellini e bianchi fuoruscii
che accolse. Di nuovo i faentini
vennero superati dai ghibellini
quando Clemente V spedì in Ro-
magna il cardinal Napoleone Orsi-
ni, in qualità di amplissimo legate
nello spirituale, anche della Lom-
bardia, Marca, Toscana, Liguria ec,
e nel temporale qual conte e mi ■
nistro supremo sui luoghi del de
minio della Chiesa. Laonde i foi
livesi fidati nella sua amicizia de
posero ogni timore , e fu accolte
con dimostrazioni di molto giubi
lo nella città, ov' egli tenne la die
ta provinciale. Trasferitosi a Bole
gna per ricomporre gli animi,
fu espulso per sospetto di aderei
FOR
ze coi Larabertazzi e coi bianchi, il
perchè in Imola il cardinale sco-
municò i bolognesi, privandoli del-
lo studio ed altri privilegi. Frat-
tanto i Calboli furono tolti da Ber-
tinoro, che occupò Pino Ordelaffi
valoroso capitano, e vi fabbricò
molte delizie per Ja stagione esti-
va; ed essendo in Forlì prefetto,
ingrandì ed ornò il palazzo pub-
blico.
Il cardinal Napoleone nella se-
conda dieta di Forlì, luogo di sua
residenza, rappresentando il padre
comune, trattò di rimettere i bian-
chi in Firenze , e per conseguirne
l' intento si recò in Toscana. Fi-
renze gli negò l'ingresso, onde sco-
municata la fazione contraria, di
forza voleva introdurre i bianchi
nella città coll'aiulo di Arezzo; ma
in questa si vide assediato da' fio-
rentini, laonde i forlivesi con Fe-
derico Montefellri accorsero a sal-
varlo. Assaliti però in istrada dai
guelfi a Montecchio, poi se ne ven-
dicarono incendiando ai cesenati
Monte Saraceno, cui per pariglia
Malatesta signore di Cesena tentò
l'occupazione di Bertinoro, ma vi
perdette oltre i morti mille otto-
cento prigioni, che i forlivesi porta-
rono a Forlì in trionfo. Nel i3o8
il fuoco divorò nel palazzo pub-
blico molte preziose memorie sto-
riche, continuandosi le scorrerie sul
territorio di Cesena, finché la pa-
ce ricompose gli animi. In questo
tempo abitava in Forlì il poeta
Dante, qual segretario di Scarpet-
ta Ordelaffi, cogli altri bianchi fuor-
usciti. Nel i3o9 le città di Iesi e
d'Osimo, col soccorso de' forlivesi ,
riportarono gloriosa vittoria sugli
anconitani; essendo conte della pro-
vincia Raimondo d' Aspello, che di-
morando nel castello d' Oriolo, dal-
FOR a3i
la Romagna contribuivasi il solito
danaro pei pochi soldati di sua cu-
stodia. Questo conte vegliava con-
tinuamente sui ghibellini , che fa-
cevano di tutto per reprimerne il
potere , e coi forlivesi, non senza
strage, imprigionarono ih Faenza il
pretore postovi dal conte. Per tut-
tociò il Pontefice Clemente V ve-
dendo i suoi ministri di Romagna
in disistima, odiati coloro che si
mostravano papalini, e tiranneggia-
te le giurisdizioni della Chiesa, die-
de per certo tempo la provincia
in governo a Roberto re di Napo-
li, che l'amministrò pe* suoi vicari,
il primo de' quali fu Nicolò Carac-
cioli, avendo il re con circolari am-
monito le città all'ubbidienza. Gli
abitanti ricevettero con onore Ni-
colò, che informatosi in Forlì del-
lo stato delle cose, piegò alla pace
gli Ordelaffi, gli Orgogliosi ed al-
tri ghibellini , coi Calboli e guelfi
fuorusciti : altrettanto praticò in
Faenza, tra i Rauli, Manfredi ed
Accarisi, comprendendo nella pace
Scarpetta Ordelaffi, che vuoisi di-
venisse siniscalco del re Roberto.
Nelle altre città addimostrossi Ni-
colò tutto propenso alla quiete,
perdonò le anteriori delinquenze ,
e ad affezionarsi vieppiù gli ani-
mi, di consenso del re donò a mol-
te famiglie i gigli d'oro coi rastel-
li rossi in campo azzurro, impresa
di quel monarca, e solita a dispen-
sarsi a quelli di fazione guelfa.
I forlivesi in gran numero si de-
dicarono al servigio del re , parte
in corte, parte negli eserciti, fra i
quali si distinse Nardo Nardi va-
loroso soldato, che divenne vice-re
di Napoli, e dalla cui scuola usci-
rono altri prodi capitani forlivesi.
L' autorità del Caraccioli fu gran-
de, ma breve perchè il re lo voi-
a3a FOR
le presso di sé , sostituendogli Si-
mone de Bellox cavaliere gerosoli-
mitano; ed indi a non molto Ni-
colò Gilberto Santillo di Catalogna,
il cui governo fu aspro e severo.
Giunse in questo mentre in Italia
nel 1 3 i i Enrico VII per coronarsi
imperatore a Roma, colla brama
di riassumere l'antica giurisdizione
imperiale, e con eleltrizzamento
de' ghibellini. Ciò indusse il re Ro-
berto a spedir in Romagna buon
nerbo di cavalleria e d' infanteria
catalana , con ordine al Santillo
che cacciali i bianchi e fuoruscili
fiorentini, carcerasse i capi ghibel-
lini, acciocché all'arrivo dell'impe-
ratore non avessero a tumultuare.
Furono dunque in Forb imprigio-
nati i fratelli Scarpetta e Pino Or-
delaffi, con Bartolomeo' loro ni-
pote; non che Nero e Marchese
Orgogliosi , Fulcherio e Nicoluccio
Calboli, a' quali poi die il Santil-
lo i governi di alcune città per af-
fezionarseli: le fosse di Forlì ven-
nero riempite, e le nuove fortifica-
zioni diroccate , per togliere cosi
ogni difesa alla metropoli de' ghi-
bellini. Il re Roberto spedì pure
molte genti di Romagna in favore
degli Orsini a Roma; ma Enrico
VII avendo inutilmente assedialo
Firenze, morì nel 1 3 1 3, troncando
le speranze de' ghibellini. Nel i 3 1 4-
gli Ordelaffi ebbero accanita baruf-
fa coi Calboli , cui imputavano la
loro prigionia. Intanto per la lun-
ga sede vacante cagionata dalla
morte di Clemente V, insorsero in
Romagna gran cambiamenti, men-
tre il Santillo era in Firenze per
opporsi ad Uguccione Fagioli si-
gnor di Pisa ed ardente ghibelli-
no. Allora i Calboli per togliere
Forlì alla divozione del re, e ban-
dire gli Orgogliosi, con diecimila
FOR
fanti e cinquecento cavalli entra-
rono in Forlì il giorno di s. Pao-
lo; ma gli Orgogliosi ritiratisi nel
palazzo pubblico, tanto si difesero,
che il Santillo ebbe campo di giun-
gere al soccorso, e tutti uniti cac-
ciar gli aggressori, colla morie tra
gli altri di Viviani Calboli, e il fe-
rimento di Luigi Calboli , uomo
saggio e letterato.
1 trambusti di Forlì oscillavano
in Romagna , onde il re Roberto
procurò spegnere quelle dissensioni,
pacificando le nominate famiglie ,
multandosi i Calboli di diecimila
lire di bologniui. Così il Santillo
vide difesa la città dai ghibellini ,
ed oppressa dai guelfi tanto da lui
beneficati ; del resto ambedue le
fazioni in cuore non erano né pa-
palini, né imperiali , ognuna aspi-
rava a dominare, ed alla circostan-
za si mostrava nemica di quello,
cui in apparenza figurava seguir-
ne le parti, e talvolta per privali
vantaggi da una fazione passava
all'altra. I nomi di guelfi e ghi-
bellini , di bianchi e di neri non
servivano che a palliare le inten-
zioni e le passioni degli uomini del
secolo XI li, XIV e XV. Tutti era-
no nell'animo nemici principalmen-
te ai ministri ecclesiastici , laonde
faceva di mestieri alla quiete co-
mune, ed alla sicurezza del princi-
pe estirpare entrambe le fazioni ,
ma sarebbe ciò stato un distrug-
gere le città. Tale era la condizio-
ne di quegli infelici tempi, che non
vedevasi di meglio che tenerli in
modo equilibrali , che fossero gli
uni d'impedimento e freno agli al-
tri , ed impotenti alla ribellione.
Vedi Guelfi, e Ghibellini. Ed et
co che nel seguente anno i3i5,
rottasi la pace, o per nuovi dis-
gusti insorti, o stimolati da ambi-
FOR FOR 233
zinne c sete di dominare con pie- governatori disponevano del ci-
potenza, i Calboli concertarono di vile e del criminale, mentre che
sorprendere con nuovo insulto ed il prefetto, detto ancora capitano
improvviso assalto la patria , di del popolo, aveva cura ed era pre-
consenso cogli Ordelafli, e a dan- posto alle armi. D'ordinario avau-
no degli Orgogliosi. Questi infatti ti quest'epoca per capitani del po-
furono costretti a cedere colla mor- polo s' istituivano individui foie-
tedi Orgoglioso Orgogliosi; e seb- stieri , per prudenti riguardi ad
bene Scintillo co' suoi catalani sia evitare abuso di potere. Frattanto
subito accorso per reprimere i nemi- Marchese Orgoglioso, essendosi coi
ci appena entrati in città, vedeu- suoi ricoverato in Faenza, con l'a-
do la strage de' suoi , e il popolo iuto di Manfredi tentò scalare
in favore degli Ordelafli, voltò le le mura di Forlì; ma discoperto,
spalle e se ne parti. La vittoria molti furono dati a morte, men-
non fu senza tristezza, essendovi ri- tre Marchese di cordoglio mancò
inasto ucciso il celebre Riniero Cai- di vita in Faenza. Egli fu uomo
boli signore della rocca s. Cassia- per molli fatti illustre, ed escrci-
no, di Castelnuovo ed altri luoghi, tò la pretura e prefettura in mol-
ISè ebbe lunga durata l'alleanza te città principali, fra le quali Fi-
de' Calboli cogli Ordelafli, i quali renze. Scacciali i Calboli e gli Or-
aspirando al dominio assoluto, pas- gogliosi, i quali conteudevansi il pil-
lati due mesi scacciarono i Calbo- ino posto nella città, vennero, co-
li, incauti e lontani ad aspettarse- me si disse, invece innalzati gli
lo, dalla città, che restituirono al- Ordelafli, ciò che per la quiete del
l'antica divozione e preponderanza popolo fu mezzo più spediente e
de' ghibellini. sicuro. Nel i3i6 giunse in qualità
Cecco Ordelafli di Zampettino di nuovo vicario regio Diego della
fu fatto capitano a vita dai forli- Ralta spagnuolo, e sotto ì'ubbidien-
vesi, trovandosi per vecchiezza ina- za del re Roberto stavano solo Ce-
bile al governo Sinibaldo di lui sena, Bertinoro , Meldola e Ca-
padre, e dandosi in tal modo prin- strocaro , essendo i Malatesli più,
cipio al dominio degli Ordelafli in amici che sudditi. A questi unito
questa città, la quale, bencbè più ideando Diego l'attacco della città
tardi, seguì finalmente il destino di Forlì. l'Ordelaflò pel primo, coi
delle altre, col vedersi signoreggiata forlivesi ed alcune compagnie te-
dai propri cittadini. Dappoiché quan- desche licenziate da Uguccione, as-
tunque per alcun tempo tenessero saltò e prese la Pionla, castello dei
gli Orgogliosi il primo posto nel- cesenati ; indi Diego assalì i fol-
la repubblica e vi esercitassero mol- livesi astringendoli alla ritirala, e
ta autorità, non usurparonsi però portossi co' fuorusciti ad assediare
mai l'assoluta padronanza, e il ti- Forlì. Durò per lungo tempo l'as-
tolo perpetuo di capitani del pò- sedio, con alcune scaramuccie, ed
polo. E qui noteremo, che prima a cagione delle vendemmie, per l'en-
i pretori, poi i podestà, formavano Irate grandi che si traevano dal
il magistrato supremo nelle repub- vino, si venne alla concordia,
bliche italiane, e di maggiore au- Nel pontificato di Giovanni XXIf,
tonta dei podestà. I pretori come l'anno i3i8, nuovo vicario in Ro-
234 ViJ&
magna fu spedilo Rinieri orvieta-
no, l'ultimo de'ministri del re Ro-
berto, essendo presso che al line
il termine degli ott'anni, accordato-
gli dal defunto Clemente V all' am-
ministrazione della provincia. Sot-
to il regime di Cecco Ordelafiì le
cose progredirono con molta quie-
te. Cessato il governo del re, nel
1 3 1 9 Giovanni XXII mandò per
conte di Romagna Americo da
Castel Lucio, il quale non ebbe tan-
to di forza d'impedire che gli Ar-
ticlini, fuorusciti di Cesena, pren-
dessero il castello di Formignano;
scelto a sua residenza Bertinoro,
vi fabbricò una rocca, che oltre
la detta terra non teneva alla sua
ubbidienza che Meldola e Castro-
caro. Le altre appena sembravano
parteggiare per la Chiesa, dominan-
do i Polentani in Ravenna e Cer-
via, i Manfredi in Faenza, gli Or-
delaffi in Forlì e Forlimpopoli,
ed i Malatesta in Cesena e Rimi-
ni. Nel i3s4 fu represso in Ce-
sena un tentativo di Claudello
Articlino, favorito dagli Ordelaffi
ed ospite in Forlì, unico rifugio
in Romagna de'ghibellini, per cui
si accrebbero gli odii tra gli Or-
delafli e i Malatesti. Per le ver-
tenze tra il Papa e Lodovico di
Baviera, in favore di questo im-
peratore molti stati d'Italia si col-
legarono, per il che i ghibellini
ovunque fecero audaci dimostra-
zioni, ed in Romagna i forlivesi pre-
sero momentaneamente Lugo , ciò
che die motivo alla guerra con
Faenza cui spettava. A mediazione
del cardinal Bertrando Pouget, le-
gato di Bologna , si convenne alla
pace. Intanto i forlivesi inviarono
all'imperatore i loro ambasciatori
in Trento , ove comparvero quel-
li de' Visconti, Estensi, Scaligeri,
FOR
ec. Nel i3a8 le scorrerie delle
squadre pontifìcie invasero i terri-
torii forlivese e ravennate, talché
temendo l' Ordelaffi la potenza del
legato alleossi coi Polentani. Questi
per assodarsi nel potere, quantun-
que guelfi, s'unirono coi ghibellini
e coi forlivesi , perchè Lodovico,
che aspirava alle antiche imperiali
giurisdizioni , mandasse i conti di
Romagna. Subito furono esauditi,
inviando Chiaramonti di Sicilia, il
quale da Cecco e dai Polentani
fu ricevuto con regia magnificenza.
La prima impresa del conte fu
contro Cesena, benché il suo porto
detto Cesenatico sia rimasto preda
de' forlivesi e ravennati, che il co-
strinsero con ottocento cavalli ed
ottomila fanti alla dedizione ; né
paghi di ciò appiccatogli il fuoco,
ed interrato il canale lo dirocca-
rono affatto, acciò con la sua ca-
duta crescesse di riputazione e
traffico il porto di Ravenna. Ri-
tornato Lodovico in Germania, gli
Estensi d'ordinario partigiani della
Chiesa, con questa si composero;
laonde scorgendo i Polentani l'in-
grandimento del Papa , a lui si
vollero unire , mandando il lega-
to persona, che a nome della Chie-
sa risiedesse in Ravenna. Solo For-
lì, in cui dimorava il conte impe-
riale, punto non temendo le forze
ecclesiastiche, con 1' Ordelaffi per-
sisteva contumace , e sarebbe sta-
ta stretta d'assedio dal cardinal Ber-
trando, se ad impedir il soverchio
potere di questi, i principi alleati
di Lombardia, non gli avessero con-
tro mosse le armi. Ma nel i33i
il legato, dopo avere ridotto alla
sua divozione Rimiui, assediò For-
lì iu due punti coi cesenati, rimi*
nesi, ravennati, faentini, imolesi e
bolognesi. Otto mesi durò l'assedio,
FOR
e la città reggevasi da Francesco
Ordelaffi fratello di Cecco defunto;
ma essendosi preso Folli mpopoli ,
a'26 marzo i33a capitolò la resa,
a condizione che avesse a restargli
Forlimpopoli; ed il tutto si stabi-
lì in Faenza, ove il cardinale ave-
va pubblicato la dieta provinciale.
Bertrando si portò a prender pos-
sesso di Forlì, con solenne ingresso
equivalente ad un trionfo, col tre-
no di mille cinquecento cavalli, ed
accompagnato da molta nobiltà.
Cessate le guerre esterne , i for-
livesi tornarono alle intestine di-
scordie, avvegnaché privati gli Or-
delaffi del dominio, i loro nemici
uccisero Paolo fratello a Francesco,
ed Andrea Pontiroli loro congiunto.
A nuovo conte in provincia giun-
se il conte d' Armagnac, mentre il
cardinal legato volendo occupare
in pieno dominio Ferrara, l'assediò
con l'aiuto de' romagnoli, i princi-
pali de' quali, come Francesco Or-
delaffi e il conte d'Armagnac, re-
starono prigioni nella disfatta ebe
gli Estensi fecero degli ecclesiastici.
A tale indiscreta aggressione si sa-
rebbero ribellati i bolognesi, se Gio-
vanni re di Boemia, ch'era in Ita-
lia, non l'impediva. A rovesciar la
potenza del legato, l'Estense ri-
lasciò i prigioni, specialmente i ti-
ranni di Romagna, con tacito ac-
cordo di soccorrerli al riacquisto
degli antiebi domimi.
Il primo ad eseguir il concerta-
to fu Francesco Ordelaffi, il quale
appiattatosi in un carro di fieno, ai
19 settembre 1 333 s'introdusse in
Forlì, ove gridatosi dagli amici il
suo nome, si sollevò il popolo, che
espulse i ministri pontificii, ritenne
prigione Guglielmo Truello tesorie-
re della provincia, lacerò ed arse
tutte le scritture e decreti del le-
FOR
a35
gato. Anche i Malatesti occuparo-
no Rimini, mentre il legato man-
dava i rettori alle città, contro l'an-
teriore costume, secondo il quale
senza l'influenza del legato, o del
conte, si eleggevano i pretori solo
dalle città. Per mezzo de' ghibellini
si ribellò pure Cesena, che istilla
pretore il conte di Ghiazzolo, e ca-
pitano Francesco Ordelaffi, ambedue
di parte imperiale, anzi il secondo
corifeo del ghibellinismo, come lo
furono tutti di sua famiglia, ed
inutilmente il cardinale soccorse la
rócca. B.avenna imitò l'esempio di
Forlì, ed Astagio Polentani se ne
rese signore in un a Cervia: Berti-
noro eziandio fu tolta alla ubbidien-
za pontificia. Il marchese d'Este po-
se l'assedio ad Argenta in compa-
gnia di Francesco Ordelaffo, il qua-
le per sospetti fece deporre il con-
te di Ghiazzolo dal pretorato di
Cesena per governarla lui solo, giac-
ché oltre la prefettura venne eletto
pretore. In tal guisa egli divenne
padrone di quella città, cui ristorò
le mura, e signore non solo di
Forlì sua patria e residenza, ma
di Forlimpopoli, loro castella ed al-
tri luoghi, divenendo il più possen-
te signore di Romagna; e sposan-
do Marzia di Vanni Ubaldini di
Susinana, soprannominata Zia o Cia,
dunna di coraggio virile e degna
di tal marito. Vinta Argenta il
cardinale cadde di riputazione ; i
bolognesi pure lo cacciarono, de-
molendo il forte Galliera che avea
edificato per freno al popolo. Nel
1 335 fu creato pretore di Cesena
Giovanni Ordelaffi, nato dalla pri-
ma moglie di Francesco, il quale
guerreggiava con Francesco Calbo-
li vescovo di Sarsina, signore tem-
porale di vari castelli, aiutato da
Francesco Consolila arcidiacono di
a36 FOR
quella chiesa, nemico del vescovo,
per avergli tolto Monte Pielra. In-
tanto l' Ordelaffi signore di Forlì
si diportava con clemenza, amo-
revolezza, e rigore per farsi amare
e temere; tuttavolta cogli alleati
inutilmente assediò lungamente Mel-
dola, difesa pel Papa dai fiorenti-
ni. Indi prese Riolo in un all'arci-
vescovo di Ravenna, che colla sua
corte condusse a Forlì, ove intima-
to un general consiglio, fece mori-
re diversi nobili forlivesi che vi
erano intervenuti, per rendersi più
temuto a' popoli; indi munì la roc-
ca di Cesena, e fece spianar le con-
tigue case dei canonici.
Benedetto Xll da Avignone nel
i33G mandò conte della provincia
Guglielmo dalla Quercia, cortese-
mente accolto da Manfredi in Faen-
za, ove pubblicò il congresso pro-
vinciale; ivi i più potenti conven-
nero di pagar lo stipendio dei sol-
dati per la guardia del conte, gli
altri di minor forza, e più divoti
alla santa Sede, giurarono ubbidi-
re agli ordini del conte. Questi pas-
sò a risiedere a Meldola , incontra
alla quale per disprezzo l'Ordeiaf-
fo eresse il forte di Castelnuovo,
ed acquistò Yaldinoce. Nel 1 337
si fece sentire un orribile terremo-
to, e morì Sinibaldo Ordelaffi. Al-
tro conte di Romagna fu Giovan-
ni Ambuccio, e fatto il consiglio in
Faenza ivi restò, divenuta Meldola
mal sicura pel castello fabbricato
da Francesco Ordelaffi. Esso nul-
ladimeno fu rimesso in grazia, ed
insieme al fratello Alessandro, ven-
ne dichiarato feudale, vicario per-
petuo di Forlì, Cesena e Folli m-
popoli , col peso d'annui tremila
fiorini d'oro in tributo alla Chiesa,
e di cinquecento fanti e duecento
cavalli richiestone all'occorrenza. In
FOR
questo tempo fiori nelle aliai Pao-
lo di Fulcherio Calboli pretore del-
la repubblica di Siena; e nelle let-
tere Riniero Arsendi, già uditore
in Roma del sagro palazzo, lettore
nello studio di Padova, come gran
legista ; egli fu consigliere di Car-
lo IV imperatore, e maestro del
famoso Bartolo da Sassoferrato. In-
tanto l' Ordelaffi s'ebbe il castello
di Taibo, e da Nino Petrelano la
rocca della città di s. Leo, che pe-
rò cede a Nicolò Monteleltri oc-
cupatola di s. Leo. Avendo Ful-
cherio Calboli, fratello di Onestina
madre di Francesco Ordelaffi, ven-
duto per sei mila fiorini Castroca-
so a Francesco Manfredi, l' Orde-
laffi che lo desiderava arùontemen-
te, pose Taxodio a Calboli ì.°n
munito Ja Fulcherio, che inoltre
eras» collegato ai bolognesi, estensi,
ed altri, in modo che per due fà-
i nglie forlivesi tutta Romagna fu
ulle armi ; sinché a mediazione dei
fiorentini, dopo un sanguinoso con-
flitto colia peggio dell' Ordelaffi, fu
conchiusa la pace. Comparendo nel
1 34o in Trento Lodovico di Ba-
viera, il Papa Benedetto XII, ac-
ciocché da esso non riconoscessero
Io stato che signoreggiavano molti
potenti de'dominii ecclesiastici, li
dichiarò e confermò vicari , come
fece cogli Ordelafìi, venendo così
tutti ad essere legittimi signori del-
le città e luoghi che occupavano.
Anzi molti si allearono contro Lo-
dovico, come allacciato dalle censu-
re, e deposto.
In Romagna però l'Ordelaffi coi
forlivesi ostinati per la fazione ghi-
bellina, si tennero dalla parte del
Bavaro, uniti coi Visconti, Gonza-
ghi, Canari, ' e pisani, assoldando
la compagnia di tedeschi comanda-
ti da Gerneiio. Essendo per la Cine-
roii
m rettore della provincia Petronci-
no vescovo di Vercelli, Taddeo Po-
poli co' bolognesi mosse le armi
contro l'Ordelaffi, ma con sinistro
successo. Nel 1 34 1 Bonifacio e Fi-
lippo de'Tornielli germani, famiglia
che nell'anno i?.54 mediante un
Obizzo da Novara si trapiantò in
Forlì, sposarono due sorelle figlie
del cav. Lelio Berengari , della ce-
lebre famiglia mentovata superior-
mente. Nel i343 Clemente VI spe-
dì conte di Romagna Almerico o
Armingone, cui unironsi molti di
parte guelfa contro i ghibellini, tra'
quali primeggiarono Cesena e For-
lì. 11 conte credendo agevole sog-
giogarle, raccolto grossissimo eserci-
to, in un ai confederati da ambe-
due venne respinto. Nel i346 go-
dendo l'Ordelaffi senza disturbi la
signoria, il Papa nominò nuovo conte
Astorgio Duraforte; indi nel dicem-
bre del seguente anno passò per Ro-
magna Lodovico ìj re d'Ungheria,
che andava a vendicar la morte di
suo fratello Andrea re di Napoli.
Festeggiato in Bologna dal Pepoli,
venitegli fatta splendida accoglienza
da Francesco Ordelaffi, che l'incon-
trò a' confini con trecento nobili
giovani a cavallo, e cinquecento fan-
ti. Nel tempo che si trattenne in
Forlì il re, dichiarò cavalieri Gio-
vanni e Lodovico figli di France-
sco, il quale volle accompagnarlo
alla conquista di Napoli. Ma dovè
quindi correre in Romagna, perchè
il conte Astorgio aveva invasa la
città di Forlì, pel censo dall' Orde-
laffi non pagato ; laonde Francesco
subito pagò il tributo, invocò l'as-
soluzione dalle censure, e la pace,
non potendo sperare in Lodovico
il Bavaro defunto, cui era succedu-
to Carlo IV alieno dalle fazioni
italiche. 11 conte Astorgio reduce
FOR *3?
da Avignone, ove erasi portato nel
i35o, trovò Manfredi in Faenza ri-
bellato, ed unito agli Ordelaffi, ai
Polentani, ed ai Pepoli che -vende-
rono Bologna ai Visconti. Poco do-
po Bertinoro , il tanto bramalo
Castrocaro, Meldola e Castelnuovo
caddero in potere di Francesco ,
ed il primo e l'ultimo a mezzo
del figlio Lodovico divenuto valo-
rosissimo. Nel ritorno il re d'Un-
gheria si trattenne due giorni in
Forlì tra i conviti, i festini e i
tornei. Indi Francesco mediante il
prode figlio e col solito di sua for-
tuna , tolse lo stato al conte di
Ghiacciolo. I Visconti, i Manfredi
e i Polentani, benché di opposte
fazioni, temendo il risentimento del
Papa si confederarono, e strinsero
poi alleanza coli' Ordelaffi , e in-
darno assediarono il conte Astorgio
in Imola difeso dagli Alidosi.
Nel i352 divenne Pontefice In-
nocenzo VI, il quale con pieni po-
teri acciò ricuperasse in Italia lo
stato ecclesiastico usurpato dai ti-
ranni, spedì legato il cardinal E-
gidio Cardio Albornoz, perito nella
scienza militare. Nel i353 Rober-
to e Luigi principi di Taranto ,
fermandosi alcuni giorni in Forlì,
furono splendidamente alloggiati da-
gli Ordelaffi, che poscia liberarono
dall' assedio Gentile da Mogliano
signore di Fermo oppresso dal
Malatesta, ed a cattivarsi Bernar-
dino Polentani signor di Ravenna
gli cederono le ragioni su alcune
terre. Intanto il Visconti accolse
con isfarzo il cardinal Albornoz, che
gli confermò Bologna coli' annuo
tributo di dodici mila fiorini. Il
legato avendo poi conquistata tut-
ta la parte verso Roma, e la Mar-
ca, e confermati vicari alcuni che
rinvenne obbedienti, intimò a com-
a38 FOR
parire tra gli altri Mala testa , e
l' Ordelaffi, i quali unironsi con
Gentile da Mogli a no, che coll'aiuto
di Lodovico figlio del cognato Fran-
cesco Ordelaffi, ritolse Fermo al
cardinale. Trovandosi l' imperatore
Carlo IV in Pisa di transito per
Roma, andarono l' Ordelaffi e il
Malatesta a visitarlo, e gli si di-
chiararono suoi vicari, sperando a-
iuto contro il Pontefice; ma resta-
rono mal soddisfatti , giacché al
dire del Rinaldi non volle neppu-
re vederli come nemici del Papa.
In questo mentre il legato nominò
suo generale Ridolfo Varani signo-
re di Camerino, avendo seco po-
deroso esercito di spagnuoli, fran-
cesi, ungheri, bretoni e teutonici,
ed insieme condottieri di esperimen-
tata bravura, fra' quali il nipote
Gomez Albornoz ed altri personag-
gi di gran valore. Il cardinale for-
tificò Recanati assediato poi da
Galeotto Malatesta generale della
lega, che dal Varani fu sconfitto
e fatto prigione, laonde domandò
per lui la pace, restituendo le cit-
tà tutte al di là del Metauro, e
ritenendo per anni dodici a titolo
beneficiario Rimini', Pesaro, Fano,
e Fossombrone, ed unendosi col
legato contro 1' Ordelaffi. Fermo
fu ripreso, e Gentile imprigionato
dai pontificii. Gli Ordelaffi uniron-
si al Manfredi signor di Faenza, e
maltrattarono vari luoghi dei Ma-
latesta. .
A' 17 agosto i355 seguì nel Ce-
sellate grossa scaramuccia coli' e-
sercito legatizio ; ma essendo alla
custodia di Cesena Cia o Zia mo-
glie di Francesco Ordelaffo, arma-
tasi montò a cavallo, ed animando
il popolo uscì con iscelta mano di
gente contra il nemico, e lo rup-
pe, colla morte di vari signori al-
l'OH
leali. Sembra che anche Lodovico
pretore di Cesena fosse benemerito
di tal vittoria. Intanto Innocenzo
VI, oltre le censure, bandì la cro-
ciata contro Forlì e l' Ordelaffi, a
predicar la quale tra gli altri de-
stinò Vitale Avanzi bolognese ge-
nerale de' serviti. Allora Francesco
fece demolire alcune fortezze per
non indebolirsi in tante difese, ed
occupate non divenissero propu-
gnacoli a' nemici, intimandosi dal
cardinale la guerra pel marzo i356.
Morto in Cesena Lodovico, con gran
solennità fu portato il cadavere in
Forlì, e sepolto in s. Francesco:
alcuni attribuirono tal morte al di
lui padre, perchè il figlio lo con-
sigliava a sottomettersi al Papa.
Fortificatasi da Francesco Cesena,
e la rocca sul vicino monte, con cit-
tadella per fosse e bastioni assai
forte, lasciovvi in guardia la mo-
glie Marzia, ed egli si restituì a
Forlì, mentre il cardinale attacca-
ta la guerra scorreva ovunque per
affamare il paese, venendo però
disturbato dal conte Landi a favo-
re dell' Ordelaffi, che si dilatò sul
Ravennate per punire i Polentani
rappattumati col legato. Inoltre il
conte Landi cogli aiuti di Barnaba
Visconti, indispettito per la pro-
mulgata crociata , colle genti di
Forlì piombò sul Riminese recan-
dogli grave danno. Faenza cede
al legato, mentre Francesco si pre-
parò a difendere Cesena, Forlim-
popoli, gli altri suoi castelli, e For-
lì sino all' ultimo : fatta la rassegna
de' suoi, trovò ascendere le squa-
dre a novecento, i cavalli a quat-
tromila, non compresi i venturieri
specialmente ghibellini che da molte
parti accorrevano. In questo frattem-
po giunse d' Avignone il legato
Androino abbate di Cluny, richia-
for
mando il Papa 1' Alboraoz per aver
bisogno di lui, essendo infestato
dalla magna compagnia del conte
Savoiardo ad istanza dell' Ordelaffi,
che il tentò per distrarre le forze
della Chiesa, o almeno per allon-
tanar d' Italia il valoroso ed accor-
to cardinale. Ma essendo pregato
dal nuovo rettore a ricuperar lo
stato tenuto da Francesco, il car-
dinale l'esaudì, e fatta mostra di
sue genti dichiarò suo consigliere
e commissario di campo Francesco
Calboli vescovo di Sarsina, il qua-
le con tutti di sua casa, cogli Or-
gogliosi ed altri fuorusciti di For-
lì, trovavansi nell' esercito ponti-
ficio.
Ai 5.4 aprile i356 incominciò
la guerra all' Ordelaffi, occuparonsi
due castelli, si fecero scorrerie sul
Forlivese, e si assediò Cesena, per
cui gli abitanti all'insaputa di Marzia
cedettero. Costretta essa a ritirarsi
nella rocca, la difese da più as-
salti con stupore de' nemici, che
vedevano prontamente riparati i
danni che facevano alle fortificazio-
ni, diportandosi quella femmina
egregiamente e qual valentissimo
capitano. Crollata la torre princi-
pale della cittadella, Cia passò
nella rocca, che dal legato giorno
e notte con macchine ed assalti
venne battuta; mentre l'invitta
guerriera con nuovi ripari prolun-
gava la dedizione. 11 di lei padre
Vanni eh' era al servigio del car-
dinale , entrato nella rocca, dopo
aver altamente encomiata la figlia
l' esortò ad arrendersi , facendogli
considerare im manchevole la per-
dita, grande l' indulgenza del car-
dinale, e che già erasi resa abba-
stanza immortale. Cia rispose al ge-
nitore, che quando la concesse al
consorte, 1' esortò all' ubbidienza, e
FOR 23n
che avendogli esso ingiunto non
cedere la piazza senza suo cenno,
noi farebbe a costo della vita : pre-
so il padre da meraviglia se ne
partì. Tanto ardire non diminuì
quando i propri soldati, che sino
allora avevano esposta la vita, ve-
dendo inevitabile la loro rovina,
deliberarono di cedere ; il perchè
Cia ai soli riflessi di vedersi ab-
bandonata, e amando di salvare
chi per lei aveva sostenuto tanti
travagli, in fine patteggiò col car-
dinale di rendere la rocca, e che
i soldati e gli altri fossero tutti li-
beri. Essa poi fu contenta rimaner
prigione col figlio Sinihaldo, la fi-
glia, i due nipoti Giovanni e Te-
baldo figli del defunto Lodovico,
che li ebbe da Caterina Malatesta,
con altri tre nipoti Cecco, Pino, ed
Isabella nati da Giovanni , esso
pure figlio di Francesco Ordelaf-
fi, e da Taddea sorella di detta
Caterina, non che con due altre
nipoti, figlie di Gentile Mogliani, i
quali tutti perchè in tenera età era-
no affidati in custodia a donna sì
illustre. Seguì la resa a' 1 1 giugno
i357, ed a' 24 luglio quella della
rocca di Bertinoro, ceduta da Gio-
vanni Ordelaffi, salve le persone!
Intanto i fiorentini mandarono ni
legato poderosi aiuti, e con dispia-
cere videro che il cardinale avea
promesso cinquanta mila fiorini al
conte Landi padrone della magna
compagnia, acciò per un triennio
non molestasse lo stato della Chie-
sa e quello de' collegati.
Neil' agosto 1 357 f" posto l' as-
sedio a Forlì, ed il cardinale e-
sortò Francesco ad arrendersi, né a
volersi ostinale contro le forze sì
poderose del Papa , specialmente
per aver nelle mani la di lui mo-
glie e figli. Vuoisi che ne riportas-
240 FOR
se por fiera risposta, che ti faceva
meraviglia come per imporre di-
cesse avere nelle sue mani la sorte
della moglie, de' figli, e de' nipoti,
mentre che se egli avesse preso il
cardinale, dopo tre giorni lo avreb-
be fatto appendere per la gola.
«Si racconta ancora che una figlia
di Francesco, scongiurandolo ad
arrendersi per veder libera dal
carcere la madre, l'uccidesse; ma
ciò non è sicuro. Il Rinaldi al-
l'anno i355 narra le crudeltà e
bizzarrie dell' Ordelafìì, dicendo che
fece strangolare sette sacerdoti per-
chè rifiutavano di violare l'inter-
detto cui soggiaceva, e scorticarne
altri sette per mettere spavento ne-
gli altri ; ed avendo saputo di es-
sere stato scomunicato, fece accen-
dere un gran fuoco e bruciare
l'immagine del Papa e de' cardi-
nali ; e facendosi beffe delle scomu-
niche, diceva ironicamente quelle
non mutare punto il sapore degli
squisitissimi cibi, né punto offende-
re la sanità del corpo. Pressato il
cardinale con nuove lettere di ritor-
nare ad Avignone, fu costretto par-
tire a' i4 settembre, rimanendo la
cura del conquisto di Forlì al det-
to abbate di Cluny, con l'esercito
composto di due mila cavalli e
venti mila fanti, il quale avea già
dato il guasto al contado forlivese
per indurre carestia negli assedia-
ti : ma Francesco avea espulso dal-
la città i più vecchi ed i fanciulli,
a conservarsi più a lungo coi viveri
ch'avea provvisto. L'Ardoino o An-
droino dunque insieme al capitano
Galeotto Ma la testa continuò l'assedio
in cui seguirono molte scaramuccie
tra gli assedianti e i forlivesi gui-
dati da Francesco, il quale pre-
miando i valorosi, e tutti animan-
do, tutte le volte che usci a com-
FOR
battere restò vincitore, con poche
perdite. Ripresi dai pontificii i quar-
tieri d'inverno, all'ultimo di apri-
le i3T8 s'accostarono di nuovo a
Foilì, e prevedendo un lungo as-
sedio costruirono un castello sul
fiume Ronco, lungi due miglia dal-
la città, detto s. Croce, perchè l'e-
rezione incominciò il giorno dell'In-
venzione della croce, in cui abitò
quasi sempre il legato, ed un altro
ne costrussero tra Forlì a Faenza
per impedire il transito de' viveri
nella città, e così più presto affa-
marla, trovandosi il resto dell'eser-
cito intorno a Forlì. Frequenti era-
no gli assalti, indomabile la forza
e costanza degli assediati, e grande
l'animo di Francesco, che princi-
palmente dimostrò quando respinse
i nemici, che a' 17 giugno per tra-
dimento di alcuni erano entrati in
città. Tra i prigioni nobili che fe-
ce 1' Ordelaffi , a quelli eh' erano
decorati di croce, con ferri infuo-
cati fece scolpir croci sulla fronte
e sul petto, e ad altri fece trarre
la pelle. Più di fortuna ebbe il le-
gato nella presa di Meldola, e la
rocca salve le persone poscia si
arrese.
Almerico Cavalletti con una sua
compagnia, col bottino fatto sul Ra-
vennate e Cervese ristorò i forlivesi
già vessati dalla penuria de' viveri,
i quali si accrebbero con altre in-
cursioni, giacché i pontificii eransi
ritirati dall'assedio e fortificati ne
luoghi vicini, onde le zuffe eranc
frequenti. Vedendo il Papa Innc
cenzo VI non essere per anco dal-
l' Ardoino presa Forlì, determinò,
così consigliato da' cardinali in cor
cistoro, di spedir nuovamente il
cardinal Albornoz, che a' 17 di-
cembre giunse in Romagna, accolte
magnificamente in Castel s. Pietr
FOR
dilli' Oleggio signore di Bologna.
Venuta Ja primavera del i35g
cinse nuovamente d' assedio la città,
ed in una scaramuccia Francesco
restò ferito d'una mazza nella testa,
da >icoluccio Calholi ; guarito che
fu operò altra sortita, ma sover-
chiato da maggiori forze venne
costretto a ritirarsi. Questo fu l'ul-
timo sforzo dell' OrdelalFo, giacché
stanco, e crescendo la fame nella
città, cominciò tinalmente e pensar
di cedere, e per mezzo dell' Oleg-
gio si concluse l'accordo 'colle se-
guenti condizioni. Che Francesco
cedesse al legato Forlì e tutti i
presidii e castelli ; che il legato
rendesse all' OrdelalTo la moglie, i
figli e nipoti, ed il prosciogliesse
dalle censure e scomuniche ; e gli
avesse a concedere per un decen-
nio Forlimpopoli e Castrocaro (al-
tri aggiungono Meldola e Bertino-
ro ), ma che le fortezze si mante-
nessero col presidio in comune del
Papa e dell' Orde latto, il quale con
nuovo giuramento fosse tenuto di-
chiararsi suddito della Chiesa: il
Rinaldi dice che le fortezze doves-
sero affidarsi alla guardia di amici
comuni. Nella città di Forlì, 1' ul-
tima dello stato pontificio ad ar-
rendersi, entrò il cardinal Albornoz
a' 4 luglio con letizia universale
del popolo, debilitato dal lungo as-
sedio ; ed arrivato alla porta del
palazzo creò cavaliere Albertaccio
Ricasoli fiorentino consultore di
guerra. Quindi ordinata la guardia
alla città, e lasciatovi un suo vi-
cario, andò in Faenza, ed ivi in
pubblico parlamento, alla presenza
di parecchi personaggi, Francesco
Ordelaffò già capitano di Forlì ,
umilmente riconobbe e confessò tut-
ti i suoi falli ed errori commessi
contro la romana Chiesa ed i Pa-
voi.. xxv.
FOR ?4r
pi, invocando perdono e misericor-
dia. 11 legato ripetendo le ingiurie
e 1' eresie dell' OrdelalFo, con le pe-
ne nelle quali era incorso, il privò
d' ogni dignità ed onore, gli fece
la convenevole riprensione, e per
penitenza gì' impose la visita di al-
cune chiese in Faenza in certa for-
ma ; e ciò fatto il legato cavalcò
ad Imola ove venne il signore di
Bologna, e dopo lungo colloquio,
a' 1 7 luglio il cardinale coi con-
sueti riti ricomunicò nella messa
Francesco, e nominatamente tutti
i suoi fautori ed aderenti, e resti-
tuitolo agli onori della cavalleria,
gli perdonò tutte le colpe : il tutto
fu formalmente confermato in A-
vignone da Innocenzo VI.
Muniti i luoghi più forti e i
posti più considerabili, il cardinale
ordinò 1' arresto di dodici preti che
neh' assedio di Forlì avevano osato
celebrare la messa nella città sco-
municata, e con essi Giacomo Bian-
chi che avea esortato i cittadini a
non darsi al Pontefice. Assai piacque
al legato Forlì, talché la elesse per
sua dimora, e vi riponeva la mo-
neta esatta dai domimi ecclesiastici
pel Papa, e composevi varie leggi
accennate di frequente nello statuto
di Forlì, col nome di Egidiane.
Edificò il pubblico palazzo, la cui
fronte venne poi decorata di por*
tico dagli Ordelaffi, e- più tardi
perfezionato dal cardinal Donghi le-
gato di Romagna. Lastricò pure la
piazza con puliti mattoni, e fece
altre cose degne di lui; per le qua-
li, e per aver insignito molte nobili
famiglie di privilegi, loro donando
la sbarra cerulea del proprio stem-
ma, il cardinale si rese general-
mente oggetto di amore e di rive-
renza. Tentando Barnaba Visconti
prender Bologna, 1' Oleggio la cede
16
*4* FOR
al legato, ricevendo in cambio Fer-
mo con cinquanta mila fiorini. Al-
lora Barnaba dichiarata la guerra
al Pontefice, istigò Francesco Or-
delaffo, proclive all' armi e d' indo-
le turbolenta, e Giovanni Manfredi
a tentar la ricupera di Forlì e
Faenza col dar loro molta gente.
Il cardinal discoprì le mene, punì
severamente i traditori, ed intento
alla guerra di Bologna, diede in cu-
stodia Forlì a Malatesta Guastafami-
glia, colla dignità di pretore. L'Or-
delaffi assediato in Forlimpopoli
implorò l' indulgenza del legato, ed
ottenne salvacondotto di portarsi
ad Ancona ove trovavasi il cardi-
nale ; ivi rompendo la data fede fu
posto in carcere, e minacciato di
vita, per salvarla dovè cedere asso-
lutamente Forlimpopoli e le altre
terre, ed essere confinato a Chiog-
gia. Uscito di prigione ruppe di
nuovo gli accordi, ed accostatosi al
Visconti , fu eletto generale alla
guerra di Bologna, riuscendogli va-
no il tentativo fatto 6U Forlì. Le
ostilità dell' Ordelaffo furono imi-
tate dai forlimpopolesi , resisten-
do al cardinale, che a tremendo
esempio delle altre città, nel 1 36o
fece miseramente spianare Forlim-
popoli, e sull' area seminarvi il sa-
le. Gli annali forlivesi aggiungono,
che Forlimpopoli soggiacque a tan-
ta pena, per aver i cittadini tu-
multuariamente ucciso il proprio
vescovo Ugolino, mentre gli esor-
tava a rendersi al legato. Dell' ec-
cidio di Forlimpopoli, e della pre-
tesa uccisione del vescovo meglio se
ne tratta all'articolo Forlimpopoli.
Gran parte de' forlimpopolesi si
ricoverò in Forlì, da cui soprattut-
to si fece acquisto del corpo di s.
Rufillo primo vescovo e protettore
di Forlimpopoli, che non creden-
FOR
dosi sicuro in quella città desolata,
da Bartolomeo vescovo di Forlì, Ro-
berto vescovo di Bertinoro, e Gio-
vanni Numai vescovo di Sarsi na
con divota pompa, e coli' interven-
to del senato forlivese fu riposto
in s. Giacomo in Strada, poi chie-
sa di s. Lucia. Nel detto anno mo-
rì il vescovo di Sarsina Francesco
Galboli forlivese, che con egual va-
lore trattò la spada e il pastorale,
riverito in pace e temuto in guer-
ra. Bologna era per essere superata
dagli Ordelaffi, senza il pronto aiu-
to dei Malatesta, che costrinsero il
Visconti ad abbandonar l' assedio,
mentre l' Ordelaffo avea fatto una
scorsa su Lugo o Rimini. Ma nel
pontificato di Urbano V, l' anno
i362, seguì la pace, dopo aver il
cardinale sconfitto sul Modenese Vi-
sconti, che restituì Lugo. Nel 1 364
il cardinale tornò in Avignone, e
il successe I' Androino divenuto car-
dinale, il quale è conosciuto meglio
sotto il nome di Androino de la
Roche o Rocca, ovvero della Ru-
pe. Questi a mezzo del cav. Giret-
ti rettore particolare della provin-
cia , die esecuzione alle benigne
istruzioni di Urbano V nel man-
tener i patti del cardinal Albornoz,
col perdonare a' ribelli pentiti, re-
stituendo loro i beni tolti per la
guerra del Visconti, e ciò per quie-
te di Romagna. Fu perciò reitegra-
to Francesco Ordelaffo il grande
di Castrocaro, e del territorio di
Forlimpopoli-, ma cessato di vivere
in Venezia, il di lui figlio Sinibal-
do e i suoi nepoti entrarono in
possesso. 11 cadavere di Francesco
e quello di Marzia, Cia o Zia sua
moglie furono poscia nel i38o da
Sinibaldo trasferiti a Forlì con mol-
ta magnificenza, e deposti nell' an-
tico sepolcro degli Ordelaffi in s.
FOR
Francesco. Fatto nuovo rettore del-
la provincia, con titolo di vicario,
1 Vtioncino o Petruccino arcivesco-
vo di Ravenna, convocò in Fori)
i provinciali, prestando visi per mez-
zo di procuratori la solita ubbidien-
za dai titolati e beneficiati della
Chiesa in temporale, salvo il vigore
de* privilegi rispettivi. Praticarono
altrettanto le città governate dal
Papa a mezzo di governatori par-
ticolari ; nel resto eleggevano i ma-
gistrati loro a tenore del sistema
di prima. Nel 1 366 Urbano V
fece legato d' Italia, e vicario di
tutto Io stato ecclesiastico, il fra-
tello cardinal Angelico Grimoardi,
mentre Forb godeva tranquilla pa-
ce, e moriva Petroncino rettore
della provincia. Ma siccome cosa
di quaggiù passa e non dura, colla
morte del Pontefice cessò la quiete
clic aveva rallegrato tutta la Ro-
magna.
Gregorio XI spedì legato in I-
talia Pietro cardinale Bituricense ,
il quale a suggerimento di Galeot-
to generale della Chiesa prese a
soldo Giovanni Aucuto inglese, ca-
po d'una compagnia, il quale ca-
gionò gravi disastri nella provin-
cia ed in Italia, e primieramente
fece insorgere sospetti a danno dei
fiorentini, mentre in Forlì nel 1872
s' incominciò a fabbricar la fortez-
za di Ravaldino. A Giovanni Nu-
mai forlivese vescovo di Sarsina
fu restituita la temporale giurisdi-
zione che godevano i suoi prede-
cessori ; indi uel 1 37 3 il cardinal
Grimoardi fu di nuovo preposto a
legato, ma il suo contegno rigoro-
so , e quello de' soldati inglesi e
nazionali, cagionò malcontento. Col
negare ai fiorentini viveri nella ca-
restia che soffrivano, quelli si con-
fermarono del male umore cui ve-
FOR »4*
nivano riguardati, ed unendosi coi
Visconti dichiararono la guerra , fo-
mentando segretamente la ribellio-
ne de' popoli. Forlì disgustata de-
gP inglesi fu la prima a dar il se-
gnale della rivolta nella vigilia di
s. Tommaso, ad onta dei provve-
dimenti dell'accorto legato: dopo
essersi per quindici giorni retta a
governo popolare, essendosi divisa
in fazioni, i ghibellini richiamaro-
no gli Ordelafìì, e Pino vi entrò
a' 5 gennaio i3y6 ; indi con molta
gente Sinibaldo, con Cecco e Tebal-
do nipoti. Ma oppostasi la parte
guelfa, che prese a difendere il pa-
lazzo e le strade con barricate di
catene, ebbe principio crudel ba-
ruffa colla peggio de' guelfi che
andarono espulsi dalla città, e Si-
nibaldo qual figlio di Francesco
Ordelaffi ne assunse il pieno do-
minio. Nel tumulto furono sac-
cheggiate le case, e proscritti i be-
ni de' guelfi fuorusciti, i cui nomi
si leggouo in principio del settimo
libro del Bonoli, Storia di Forti,
e pei primi i Calboli e gli Orgo-
gliosi appellati pure Argogliosi.
Chiamato in Faenza dal vescovo
tarragonese rettore della provincia
l' Aucuto j commise stragi e sac-
cheggi orribili, dai quali non an-
dò esente Cesena. 1 forlivesi re-
spinsero gì' inglesi e bretoni, ribel-
landosi i ravennati per isfuggir le
loro barbarie. Venuto Gregorio XI
in cognizione di sì fatti avvenimen-
ti, mentre preparavasi egli stesso a
tornar in Italia restituendo a Ro-
ma la residenza pontificia, nel giu-
gno 1376 spedì nuovo legato il
cardinal Roberto di Ginevra, poscia
antipapa Clemente VII, con seimi-
la cavalli britanni, detti bretoni, ed
altri ottocento italiani, che uniti
agi' inglesi, ed ai rinforzi de' pria*
244 FOR
cipi amici, in tutto formavano cir-
ca ventimila combattenti. I fioren-
tini però ed il Visconti mandaro-
no a Sinibaldo loro alleato alcune
compagnie di armigeri.
La prima intrapresa del legato
fu diretta contro Bologna, ma sen-
za frutto; onde per quartieri d' in-
verno distribuì le truppe a Faenza,
Bertinoro e Cesena, non che ne-
gli altri luoghi ubbidienti al Pon-
tefice. L'insolenza de' soldati britan-
ni, tollerata dai ministri per man-
canza di mezzi a pagarli, ridusse i
cesenati a tumultuare scannando
ottocento bretoni ; fingendo il car-
dinaie di aver ciò gradito in re-
pressione della militare rapacità,
per tema che chiamassero i forli-
vesi e i fiorentini. Ma avendo in-
trodotto nella rocca l'esercito, que-
sto in vendetta commise tali atro-
cità che rifugge la penna descrive-
re, già accennate all'articolo Cesena
ed altrove : a cinque mila persone
fu tolta la vita, il resto disperso
come narra s. Antonino. Partiti i
bretoni da Cesena, il legato pose
nella rocca un presidio d' italiani,
ripatriando i miseri e superstiti
cesenati. A' 17 gennaio 1377, giun-
se in Roma Gregorio XI, che ivi
morto nell'anno seguente, fu eletto
a succedergli Urbano VI, cui ben
presto ebbe a funestissimo compe-
titore il cardinal di Ginevra, col
nome di Clemente VII; il quale
ardi mantenersi nello scisma , e
pseudadignità, coli' inviare contro
il vero Papa il proprio nipote Mon-
zoja coi suoi bretoni. Dessi furono
tagliati a pezzi a Marino dal ro-
magnolo Alberico conte di Barbiano
colle truppe pontificie, e da Mo-
starda Perilio o della Strata, e dal
Brandolini esperti capitani forlivesi ;
mentre Urbano VI pacificavasi coi
FOR
fiorentini, i quali protestarono aver
guerreggiato contro i crudeli mini-
stri, non contro la Chiesa. Intanto
Forlì procedeva tranquillo sotto Si-
nibaldo Ordelaflì, per aver saputo
difender la patria dall' anglo furo-
re ; la letizia si accrebbe quando
sposò Paola Bianca, figlia del già
Pandolfo Malatesta signore di Pe-
saro e sorella di Galeotto, la cui
condotta egregia per la santa Se-
de, gli avevano da essa procacciata
la signoria di Cesena, acciò non ca-
desse nelle mani di principe nemi-
co. In fatti Astorgio Manfredi che
s' era insignorito di Faenza, col Vi-
sconti s'accinse a sorprenderla ; ma
nel passar che fece pel territorio di
Forlì, Sinibaldo se gli fece incon-
tro col popolo armato, e Io costrin-
se a retrocedere.
Galeotto a compensare il cogna-
to di favore sì grande, col Ponte-
fice, appresso cui molto poteva, tan-
to si adoperò, che Sinibaldo Orde-
laffi riebbe il favore pontificio, e
venne dichiarato nel 1 379 per do-
dici anni vicario della Chiesa in For-
lì, e confermato nella signoria di
Castrocaro, e territorio di Forlim-
popoli, conforme ai capitoli già con-
venuti col padre. Contemporanea-
mente Cecco o Francesco di Gio-
vanni Ordelaffi, e nipote a Sinibal-
do, creato primo capitano dell'e-
sercito veneto, da valoroso portava-
si nella guerra di Chioggia contro
i genovesi , né dava saggio mi-
nore di sua crescente bravura Gio-
vanni di Lodovico Ordelaffi, cugi-
no di Cecco, qual colonnello a quel-
la guerra, ed acquistò sì onorata
rinomanza, che molti principi gli
affidarono i loro eserciti. La guerra
di Chioggia in cui dai genovesi e
Carraresi si minacciava Venezia, fu
famosa pel mirabile uso delle bona-
FOR
barde, ivi adoperate per lii prima
volta dai veneti, che come furono di
molto spavento al mondo, furono
pure causa di vittoria ai veneziani,
i quali riacquistato il perduto pa-
cificaronsi coi genovesi. E quindi
una delle glorie di Forlì, che le bom-
barde, oggidì la forza più formida-
bile degli eserciti, si adoperassero
la prima volta sotto il comando
di forlivesi. Nel i38o Sinibaldo co-
minciò a riedificare Forlimpopoli,
ed ivi il giorno di s. Gio. Battista,
tra molte feste si fece la corsa di
cavalli alla sua presenza ed a quel-
la di molti di sua famiglia e cor-
te ; aggregò Forlimpopoli al terri-
torio forlivese, ed accorciò la citta-
dinanza di Forlì ai pompiliesi ossia
forlimpopolesi. Così Forlimpopoli
per ben due volte fu n'edificata dai
forlivesi, e in ambedue v' ebbero
parte gli Oidelaflì: le castella delle
Caminate e di Belfiore furono pu-
re ristorate per Sinibaldo, amante
di fabbricare . In questo tempo
Carlo III Durazzo, detto della Pa-
ce, del real ceppo di Roberto re
di INupoli, con l'esercito avuto dal
re d' Ungheria, recandosi a soggio-
gare di regno di Napoli ed a soc-
correre Urbano VI, a' 16 agosto
passò pel territorio forlivese, e ven-
ne accolto con molto onore nella
città, alloggiato in s. Varano. Po-
co dopo il senato di Siena elesse
Giovanni Ordelaffi a suo pretore
e prefetto, e conservatore della pa-
ce e del popolo sanese. La peste
nel 1082 fece strage in Modiglia-
na, Castrocaro, e Forlì ove mori-
vano cento persone al giorno. In
pari tempo Lodovico d' Angiò con-
tro Carlo III con poderosissimo
esercito passò per la via di Roma-
gna, per conquistare il di lui re-
gno, essendo partigiano dell' anti-
FOft 245
papa che aveva in Avignone stabi-
lito una cattedra di pestilenza, alla
quale obbedivano varie città e na-
zioni.
Grande si era il tumulto e spa-
vento d'Italia per esercito così im-
ponente, per cui il Pontefice spedi
in Romagna colla compagnia di
s. Giorgio, Alberto conte di Cu-
nio, il quale distribuita parte dei
soldati nei dominii de'Malatesti, con
trecento scelti cavalli si pose in
Forlì, in faccia alle cui porte com-
parve l'esercito francese a' i 3 ago-
sto. NenJico all'Ordelaffi, Guido Po-
lentani signor di Ravenna aderiva
all'antipapa Clemente VII e a Lo-
dovico, che da lui veniva provvi-
sto di viveri; quindi Lodovico a
suggerimento del Polentani attaccò
Forlì dalla parte di porta Schia-
vonia, ma in vano perchè brava-
mente difeso da Sinibaldo , da
Alberico e dai forlivesi, laonde
Lodovico si sfogò nel saccheggiar
le ville; ma restò punito, poiché
inseguito da Alberico colle squadre
del Papa e di Carlo III, fu disfatto
in una battaglia, per cui dall'an-
goscia, e da una ferita riportata
mori Lodovico nel i384- Alberico
venne salutato liberatore d'Italia,
e ristoratore dell' antica milizia ,
neh' istituzione della qompagnia di
s. Giorgio in cui non erano am-
messi che italiani, i quali colle lo-
ro eroiche imprese dimostrarono
che non era più bisogno ricorrere
al venale estero braccio. Morì Giu-
liano Numai, causa principale del
ritorno degli Ordelaffi, e Tebaldo
di questa famiglia. I Polentani fu-
rono scomunicati da Urbano VI,
esponendo la di lui signoria ch'era
feudo della Chiesa, all'invasione e
dominio di chi la volesse; ed è
perciò che Galeotto Malatesta, eoa
246 FOR
Pino Ordelaffi ed altri forlivesi ,
occupò Cervia. Vacando la sede
forlivese, l'antipapa Benedetto XIII,
ch'era successo a Clemente VII, da
Avignone nominò certo Ortando,
e ciò per provare audacemente la
sua falsa autorità. Un soldato del
principe di Conciato signore di Cosse,
parente del re di Francia, nel di lui
passaggio per Forlì, vendè a Siili-
baldo la testa di s. Donato vesco-
vo e protettore di Arezzo, fregiata
d' oro e di gemme, e dal mede-
simo depredata negli anteriori sac-
cheggiamenti al passaggio de' fran-
cesi per Arezzo coll'armata di Lo-
dovico d'Angiò nel i384- L'Orde-
lafìi per pagamento fece carcerare
ed impiccare il soldato. Indi Si-
nibaldo scampò nel i385 per pro-
digio la vita alla caduta di parte
del tempio delle monache di s.
Giuliano, poi s. Caterina. Nel me-
desimo tempo Pino celebrò con
pompa le nozze con Branca de'
Brancaleoni di Castel Durante, don-
na di singolare bellezza; ma Ga-
leotto Malatesta, personaggio d'im-
mortal memoria, finì di vivere. Nel
giugno Sinibaldo con pubbliche al-
legrie di giostre, corse e corte ban-
dita solennizzò il dì festivo di s.
Donato, il di cui capo avea ripo-
sto nella chiesuola del proprio pa-
lazzo con molta venerazione; e con-
fermò la consuetudine che si con-
tinuasse a celebrar il giorno di s.
Mercuriale con torneamene, gio-
stre e" pubblici spettacoli.
Sinibaldo iniquamente si appro-
priò tremila lire ch'erano state ru-
bate ad Andrea Orselli, e con pre-
testi e falsità condannò questi a
prigione perpetua, confiscando per
la stessa ingordigia i beni del fra-
tello ; tal fatto attirò l'odio comu-
ne sopra Sinibaldo , laonde Pino
FOR
Ordelaffi per ismania di dominare
congiurò con Cecco di lui fratello,
simulando quando Sinibaldo loro
zio per avvertenza di Giacomo Al-
legretti voleva metterli a parte del
dominio. Fatta numerosa congiura la
notte de' 1 3 dicembre 1 385, mentre
Sinibaldo colle sue genti erano im-
mersi nel sonno, i congiurati for-
zarono la porta del palazzo, e lo
fecero prigioniero nel forte Raval-
dino. I nipoti vollero dallo zio i
contrassegni d'ogni rocca, e nel
giorno seguente scorsa la città ne
vennero acclamati capitani e signo-
ri; indi alla morte di Giovanni Nu-
mai vescovo di Sarsina s' impadro-
nirono della città e luoghi vicini ,
di cui poscia ne vennero per dodici
armi infeudati vicari da Bonifacio
IX nel i3go : s' impadronirono pu-
re del castello di Ciola ed altre
terre alla morte del vescovo di
Todi Benedetto. Nel i386 si scuo-
prì una congiura contro i fratelli,
alla cui testa era Giovanni, altro
nipote di Sinibaldo, per ristabilir
questi nella signoria : molti furono
puniti, altri fuggirono. Ai 28 ot-
tobre morì in carcere Sinibaldo,
non senza sospetto di veleno, e per
togliere forse con la sua morte o-
gni speranza e tentativo a riporlo
in signoria. L'ultimo regime di sua
vita gli fa poco onore, ma del r<
sto fu eloquente, affàbile, sagace,
divoto, di acuto ingegno e di cuc
re magnanimo; con solenne poi
pa il suo cadavere fu sepolto
s. Francesco. Gli aretini coll'intei
posizione della repubblica di Firer
ze ricuperarono la testa del loro
trono s. Donato, che fu riposta m
l'antica sua chiesa con di vota coi
solazione di que' cittadini, come si
legge nel Burali, Vite de'vescovi
aretini pag. 88 ; e nel libro ititi-
FOR
tolato Monumenti e notìzie istori-
che riguardanti la chiesa vescovile
di Arezzo p. 1 08, § XXXI, stampa-
to in Lucca nel 1755. Nel seguente
anno 1 387 Pino e Cecco sconfis-
sero la compagnia dei conti Lan-
dò e Corrado, facendo prigione il
secondo, perchè minacciavano oc-
cupare F01T1 in unione di Giovan-
ni Ordelaffi. 11 Visconti pel suo
valore lo creò colonnello e gli die
facoltà di portarsi all' acquisto di
Forlì, ma inutilmente; passando al
servigio dei Malatesti signori di
Rimmi. L'anno 1 388 Cecco Orde-
laffi sposò Caterina figlia del si-
gnore di Reggio Guglielmo Gon-
zaga : si celebrarono in Forlì gran-
di feste ed allegrezze, ed a palazzo
vi fu corte bandita; di queste cor-
ti bandite se ne parla all' articolo
Corte ( Fedi). Nel i38g si fecero
nella città solenni esequie ad Ur-
bano VI, il cui successore Bonifa-
cio IX partecipò la sua elezione a-
gli Ordelaftì, quali vicari della Chie-
sa, come apparisce dalla lettera di
proprio pugno, e da quella del sa-
gro collegio de' cardinali; per cui
gli Ordelaffi spedirono a Roma
Tommaso Pontiroli prete , detto
per nobiltà domicello, e Baldo Bal-
di notaio, per ambasciatori al Pon-
tefice ad esternargli sensi di esul-
tanza per la sua esaltazione. Bo-
nifacio IX concesse agli ambascia-
turi la conferma per Cecco e Pi-
no intorno alla signoria di Forlì,
Forlimpopoli, Sarsina, Castrocaro,
Riolo ed altre terre, essendo de-
corsi i dodici anni dell'investitura
fatta a Sinibaldo. Riolo fu poi in-
vocato come giurisdizione della
chic>a di Ravenna, uuliadimcno
pubbliche e solenni furono le di-
mostrazioni di giubilo in Forlì
per tal pontificia conferma.
FOR 347
Cecco Ordelaffi nel i3()i si por-
tò in Roma con Alberto d'Este,
che nel ritorno in Ferrara si trat-
tenne in Forlì. Divenuti gli Or-
delaffi signori di Roversano, i Ma-
latesta s' inimicarono, recando dan-
ni al Forlivese. Tentò Pino sorpren-
dere inutilmente Bertinoro, la cui
rocca era in custodia di Antonio
Tomacelli parente del Papa, il qua-
le gli scrisse con risentimento, non
cessando i Malatesta di nuocere ai
forlivesi. A terminar tali disunio-
ni, Bonifacio IX spedì in Romagna
il cardinal di Bari, il quale con
prudenza singolare compose gli a-
nimi alla pace. In Romagna il Pa-
pa non possedeva libera che Ber-
tinoro, che volle vendere per pe-
nuria di numerario. Gli Ordelaffi
fatta una colletta generale per lo
stato, offersero ventimila fiorini, ma
Antonio Tomacelli loro nemico im-
pedì che il Papa gli cedesse Berti-
noro, e ad onta della data parola,
per ventidue mila fiorini la fece
concedere ai Malatesta. Egualmen-
te per bisogno di danaro Bonifa-
cio IX vendè ai fiorentini le ragio-
ni che aveva su Castrocaro, e que-
sti nell' impossessarsene ebbero a sos-
tenere gravi fatti d'armi. Nel 1 3<)t)
si eccitò ne' popoli un fervore di-
voto , incedendo vestiti di bianco
processionalmente di città in città,
di chiesa in chiesa disciplinandosi
e facendo orazioni : con questo spi-
rito di pietà e di perdonanza gli
Cjrdelaffi richiamarono in patria
molti esuli , tra' quali i Calboli e
gli Orgogliosi , cui restituirono i
beni ; ed inoltre invitarono nella
città e a parte della signoria il lo-
ro cugino Giovanni Ordelaffi di-
morante in Rimini , ma poco so-
pravvisse; egli nacque di Lodovico,
uno de' figli di Francesco il gran-
248 FOR
de. Nel i4oi morì pure Pino, che
conoscendo 1' inerzia del fratello
Cecco, e quanto era odiato dai cit-
tadini, prima di spirare diede i con-
trassegni delle fortezze al vescovo
di Forlì Scarpetta Ordelaffi, figlio
naturale di Francesco, ed alla pro-
pria moglie Venanzia; laonde di-
visa la città in partiti , molti ac-
clamarono Cecco , altri Scarpetta ,
il quale più prudente, e calcolan-
do le conseguenze cede i contras-
segni ricevuti, ed allora fu promul-
gato assoluto signore Cecco. Que-
sto sul principio dissimulò lo sde-
gno, ma poi pose nella rocca di
Ravaldino il vescovo , ed oppresse
e rovinò molli cittadini ; dopo due
mesi il vescovo morì prigione ,
e venne il cadavere trasferito in
duomo.
Agli 8 dicembre r4oi Cecco eb-
be da Bonifacio IX Ja conferma
dello stato che governava: ricevet-
te pure la notizia che Antonio di
lui figlio naturale , giusta la fatta
inchiesta, era stato espulso dall'or-
dine gerosolimitano , onde poter
nella signoria succedere al padre
in mancanza di prole legittima.
Immerso Cecco ne' vizi fece stroz-
zare certo Pietro ministro delle
sue estorsioni ed angarie, avocan-
do a sé i ricchi di lui averi ; indi
die l' unica sua figlia Lucrezia in
isposa a Malatesta , ma poco so-
pravvisse al matrimonio. Così per
stravizzi morì il padre Cecco nel
i^o5, determinando che Antonio
suo figlio naturale diventasse prin-
cipe, prima di rendere 1' ultimo re-
spiro , a cagione degli aspiranti al
potere, fra' quali eravi Giorgio Or-
delaffi figlio naturale del defunto
Tebaldo. Superata la congiura di
questi, Cecco radunò nelle sue stan-
ze i principali della città, e per
FOR
un suo segretario gì' invitò ad ac-
cettar il figlio Antonio per princi-
pe. Sopraffatti gli astanti da sì ina-
spettato discorso, mancò loro la pa-
rola per contraddire ; ma usciti
di palazzo riflettendo all'odio che
portava il popolo a Cecco , e
vergognandosi che avesse loro da
imperare un giovane che ne' vizi
somigliava il padre, si dimostraro-
no malcontenti. Quindi passati ven-
tiquattro giorni , che fu a 3 set-
tembre, sparsasi voce Cecco esser
morto, il popolo entrò a forza nel
palazzo, ove Cecco giacente in let-
to lottava colla morte. A tal vista
la plebe s' inasprì, strascinò per le
scale il suo corpo che fra mille lu-
dibrii spirò infelicemente. In tal
sommossa fu saccheggiato 1' erario
e il palazzo, imprigionandosi Cate-
rina figlia di Giovanni Ordelaffi e
Francesca la madre : Antonio si
salvò nella rocca di Ravaldino , e
poscia trasportato a palazzo gli fu-
rono tolti i contrassegni di essa e
di quella di Forlimpopoli, e quin-
di di nuovo tradotto prigione in
Ravaldino. II popolo assunse il go-
verno della città, si giurò libertà
sotto la protezione della Chiesa ,
cui protestarono pagare quel tri-
buto istesso che Cecco annualmen-
te soddisfaceva; e si elessero dodi-
ci priori pegli affari di guerra e
di pace, rivestiti perciò di poteri
amplissimi : in loro nome fu pre-
sidiata la rocca , svolazzandovi il
vessillo del pubblico.
In tempo di tali rivolte Giorgio
Ordelaffi stimolato dai suoi aderen-
ti si avvicinò a Forlì, ma tentan-
do l'ingresso in Forlimpopoli lo
impedirono i forlivesi , che a ca-
stigo de' pompiliesi saccheggiaro-
no le case; così mira esito ebbe il
tentativo su Forlì, come fu repres-
1 OR
so quello de' fautori di Azzo di
Castelbarco , figlio di Onesiina di
Francesco Ordelaflì. In Roma fu
da Paolo Orsini ucciso Moscardo
o Mostarda illustre capitano forli-
vese, già compagno d'Alberico ci ì
Barbiano, nelle cui truppe, al dire
del Bonoli , introdusse pel primo
1' uso d'armare i soldati di ferra ,
ebe prima lo erano di cuoio, don-
de ne derivò il nome di corazze;
servi per lungo tempo la Cbiesa e
n' ebbe in premio alcuni castelli
nella Marca, giacebè espugnò Asco-
li ed Assisi, e meritò d' essere se-
polto nella basilica vaticana. Inte-
sa la morte di Cecco, il cardinal
Cossa legalo di Bologna, poi Gio-
vanni XXI II, si recò a Faenza, e
quindi ordinò ebe si spedissero am-
basciatori a Forlì a cbiedere la
città per la Cbiesa, come ad essa
devoluta per la mancanza de' suc-
cessori legittimi nella casa Orde-
laih"; ma fu risposto che avrebbe-
ro i forlivesi pagato alla Cbiesa lo
slesso censo degli Ordelaflì, ed an-
co altri pesi salvo il regime at-
tuale, quindi il consiglio e i priori
decisi di difendersi, inviarono am-
basciatori ad Innocenzo VII. A'i7
ottobre il cardinal per due trom-
bettieri intimò la guerra, togliendo
alcune castella ai forlivesi, mentre
Forlimpopoli si die alla Chiesa. Il
legato fece mozzar la testa ad A-
sloigio Manfredi che di tutto av-
visava i forlivesi, i quali pei loro
oratori implorando soccorso e pro-
tezione dalla repubblica di Vene-
zia, gli offrirono in dominio la cit-
tà, in più. luoghi della quale fece-
ro dipingere l'impresa veneta di
s. Marco. Ma i saggi veneziani, co-
me i fiorentini, si ricusarono, cono-
scendo per esperienza essere van-
taggioso godere il favore della san-
FOR 249
ta Sede. Nel 14.06 il Malatesta al-
leato del cardinale prese diverse
castella de' forlivesi, e questi gli re-
sero la pariglia sul Cesellate. Bal-
do Baldi fece un tentativo in città
a favore del Papa , ma ne restò
vittima, ed aspra barufla seguì col
saccheggio di varie case. A' 20 a-
prile con sue genti tornò il cardi-
nale all'assedio di Forlì., occupan-
do il castello di Riolo, nel mentre
che ritornavano da Pioma gli am-
basciatori di Innocenzo VII, il qua-
le per tema che le repubbliche di
Firenze e Venezia assumessero la
protezione dello stato di Forlì, con-
cesse la pace alle seguenti condi-
zioni.
Che venisse tolto l'interdetto;
che la città rimanesse libera col
dominio delle sue castella, ma a
contrassegno di ossequio e divozio-
ne pagasse alla Chiesa l'annuo censo
solito a pagarsi dagli Ordelaflì; che
in emergenza di guerra fosse tenu-
ta prestar soccorso alla Chiesa con
fanti e cavalli ; che Forlimpopoli,
come era attualmente, restasse nel-
le mani del Papa, e nella cui roc-
ca si ponesse presidio per la Chie-
sa insieme e pei forlivesi; finalmen-
te che in Forlì avesse di continuo
a risiedere un oratore pel Ponte-
fice. 11 cardinale ritornò a Bologna
accompagnato da una squadra di
forlivesi vestila a verde, e da una
di faentini a bianco e rosso, e colà
per tre giorni vi si fece giostre e
torneamenti , l'onore di cui ripor-
♦tarono i forlivesi sempre destri ne-
gli esercizi cavallereschi. Dipoi Gior-
gio ed Antonio Ordelaflì, il quale
per la pace con bando perpetuo
erasi posto in libertà, senza suc-
cesso provarono occupar Sadurano,
indi abbandonarono la Piomagna.
Vivevasi nella città tranquillamea-
:,m FOR
te quando Giovanni di P. Largia-
uo fuoruscilo forlivese persuase il
legato d'impadronirsi a' 18 luglio
della rocca di Ravaldino, ove spie-
garono la bandiera del Papa, ac-
clamando il di lui nome e quello
de' guelfi , inlantochè avvicinavasi
col l'esercito il cardinale, con Albe-
rico di Balbiauo. Il popolo sopraf-
fatto dall'inatteso avvenimento si
sollevò, mentre il cardinale per la
rocca entrò in città , che si vide
presa avanti di essere assalita. Il
legato subito fece decapitare i più
pertinaci della fazione ghibellina ,
indi fece eostruire alla porta Sehia-
vonia una fòrte rocca per meglio
infrenare i forlivesi , la quale po-
scia il cardinal legato Ri vaiola nel
secolo XVII fece smantellare per
abbellire la porta. Collocati i pre-
sidii ebe giudicò opportuni, il car-
dinal Cossa esiliò i cittadini prin-
cipali e più sospetti, e se uè tornò
a Bologna, lasciando in sua vece a
governatore Guido Torelli capitano
del marebese Nicolò d'Este, confe-
derato ed amico della Sede aposto-
lica. Forlì per alcun tempo sotto
Gregorio XII, ed Alessandro V eb-
be a godersi una quiete insolita;
ma Giorgio Ordelalli, che vegliava
sempre a' propri interessi, tanto si
adoperò che nel 1^.10 Forlimpo-
poli si die a lui, cacciato il presi-
dio ecclesiastico, e inutilmente tentò
il conquisto di Forlì; più. tardi
acquistò Fiumana e Riolo, come
Faenza fu occupata da Giangaleaz-
zo Manfredi.
Divenuto il cardinal Cossa Gio-
vanni XXIII , spedì in Romagna
per legato e rivestito di estesi po-
teri, il cardinal Lodovico Fieschi,
il quale subito si accinse a pren-
dere Forlimpopoli, ma non senza
perdita dovette ritirarsi. Trovan-
FOR
dosi Giovanni XXIII agitato dalle
guerre, e dallo scisma che ancora
lacerava la Cbiesa, non solo perchè
tuttora viveva l'antipapa Benedet-
to XIII, ma eziandio perchè Gre-
gorio XII era sostenuto dai Mala-
testa e da altri, volle compiacere
gli Ordelaffi dell'antico dominio o
per cattivarsi la loro amicizia, o per
non poter tra tante angustie divertir
le sue forze a difesa di questo sta-
to. Adunque agli 11 maggio 1 4-1 1
Giorgio ed Antonio Ordelafti furo-
no accolti in Forlì e riammessi nel-
la solita signoria, ed entrarono per
porta s. Pietro con duemila caval-
li, tutti esuli ghibellini, con letizia
universale; disputandogli poscia i
guelfi la consegna delle fortezze,
per cui accaddero alcune baruffe e
morti. Assicurato in tal modo lo
stato, Giorgio meditò la perdita
d'Antonio, e lo fece tradurre nella
rocca di Ravaldino ; indi sposò Lu-
crezia di Lodovico Alidosi signore
d Imola, al quale consegnò la cu-
stodia d'Antonio. Nel i4-i3 Gior-
gio si trasferì a Forlimpopoli, ove
ricevè il possesso della rocca tenu-
ta dai guelfi, ed al fanciullo che
ivi nacque gì' impose il nome di
suo padre Tebaldo. Nel 1 4 ■ 5 Gio-
vanni XXIII o perchè di nuovo
aspirasse al dominio di Romagna,
o perchè questi popoli aderissero
al suo competitore Gregorio XII
che risiedeva in Rimini, vi mandò
Braccio da Montone suo capitane
con l'esercito, il quale recò gravi
danni, e prese il castello di Sa-
durano, che Giorgio soccorso di
denari dal pubblico di Forlì po-
scia riscosse ; e riavuto il favo-
re di Giovanni XXUI venne con-
fermato vicario della signoria da lui
posseduta, purché riammettesse in
patria, e ne' loro beni gli esuli di
FOR
guelfo partito. Intanto nel concilio
di Costanza adunato per togliere
lo scisma, ed al quale Giorgio avea
spedito il forlivese fr. Guglielmo,
celebre teologo agostiniano, Gio-
vanni XXI 11 fu deposto ed impri-
gionato, Gregorio XII generosa-
mente rinunziò, l'antipapa Bene-
detto XIII fu scomunicato, ed agli
li novembre 1 41 7 fi* eletto di
comun consenso Martino V Colon-
na romano. Questi per la via di
Ravenna nel marzo i4x-9 giunse
a F01T1, ove con molto onore ven-
ne ricevuto da Giorgio Ordelaffi,
e per quattro giorni con somma
letizia trattenuto, scorsi i quali il
Pontefice prosegui il suo cammino
per Firenze.
Siccome i bolognesi si mantene-
vano pertinaci contro il Papa, per-
chè sottratti dall' ubbidienza della
Chiesa nel 1^.16, 1' Ordelaffi e gli
altri principi di Romagna spedi-
rono oratori a Bologna a fine d'in-
durre quel senato a riconoscere
Martino V a supremo signore, al-
trimenti le loro forze unite a quelle
della Chiesa tentato avrebbero colle
armi, quanto non ottenessero col-
le parole. Ma persistendo i bolo-
gnesi nello stesso sentimento, il Pa-
pa aiutato dai predetti mandò l'e-
sercito su Bologna, per cui atterriti
gli abitanti si diedero tosto al le-
gato apostolico. La quiete di Forlì
cessò nel i4^i colla morte di Gior-
gio, che lasciò sotto la tutela della
moglie Lucrezia il figlio Tebaldo
d'anni dieci, e come dicono alcuni
sotto la protezione del duca di Mi-
lano, e del marchese di Ferrara.
Lucrezia mandò Tebaldo ad Imola
per l'educazione e custodia, indi a
governatori imolesi consegnò l'am-
ministrazione, ed a' soldati imolesi
le fortezze dello stato con gran dis-
FOR a5'i
piacere de' forlivesi , che ne fe-
cero pubbliche rimostranze. Lu-
crezia esasperò gli animi con im-
prigionar Paolo Laziosi cittadino
riputato, sottoponendolo a rigoroso
processo. Caterina Ordelaffi moglie
di Bartolomeo Fregoso pensò pro-
fittar delle turbolenze , comprando
a tal effetto Castel Bolognese, ove
accolse i malcontenti. Ma i saggi
cittadini considerando che il pas-
sar da una femmina ad altra non
conveniva , per aver Tebaldo in
Forlì ricorsero a Filippo Maria
Visconti duca di Milano, che aspi-
rando al dominio d' Italia accettò
la mediazione. Lucrezia però si po-
se in guardia, mentre il cardinal
Alfonso Carillo legato espulse da
Castel Bolognese Caterina col ma-
rito ; ma quando pronunziò sen-
tenza di morte contro il Laziosi
il popolo si sollevò, liberò il cit-
tadino , chiuse in buona camera
Lucrezia , trucidò molti de' suoi ,
cacciando gì' imolesi, ovunque pro-
clamando il nome di Tebaldo. In-
di si elessero otto consiglieri di
cui fu fatto capo Gianiaeopo Tor-
nielli per prender le redini del go-
verno in nome di Tebaldo Orde-
laffi, avvisando in pari tempo a
Lugo le milizie del duca di Mi-
lano, i cui comandanti con quelli
dell'Estense occuparono Forlì per
Tebaldo, e la rocca di Ravaldino
dai milanesi.
Lucrezia fuggì per una finestra
a Forlimpopoli, ed ivi si fece por-
tar da Imola Tebaldo, per tenere
in fede il popolo. I fiorentini vi-
dero con rancore le mire del Vi-
sconti, e subito si dierono a soc-
correre Lucrezia per cacciare i mi-
lanesi, provocati eziandio dalle pre-
mure dell' oratore pontificio, e dai
Malatesta. Le milizie giunsero a
25; FOR
Forlimpopoli inalberando le in-
segne degli Ordelaflì, e gridando
il nome di Tebaldo, riè valse l'in-
tervenzione per la pace del mar-
chese d'Este. Incominciata la guer-
ra sotto Forlimpopoli, i fiorentini
ebbero la peggio. Allora i fio-
rentini stabilirono di proseguir-
la con tutto il vigore, e taccian-
do di parzialità il cardinale ne ot-
tennero da Martino V la remo-
zione, che in vece vi mandò il
cardinal Gabriele Condulmieri, ni-
pote di Gregorio XII, e poscia
Papa Eugenio IV. Con un esercito
di sei mila cavalli , e quattro mi-
la fanti sotto il comando del ge-
neralissimo Carlo Malatesta, i fio-
rentini proseguirono la guerra. In
questo mentre il duca Visconti al
suo comandante Cecco da Mouta-
gnana, aggiunse Agnolo della Per-
gola , valoroso capitano., il quale
con rinforzi arrivò a Forlì nel
i424> ea* a punire l'Alidosi vicario
in Imola pel Papa , e promotore
di questi disturbi, i milanesi sor-
presero la rocca, e s'impadronirono
della città, mandando prigione a
Milano 1' Alidosi che poi si fece
religioso francescano. Presa cosi
Imola, venne tratto dalle carceri
Antonio Ordelaffi , che recossi a
ringraziare il duca, presso il quale
restò alcun tempo. Jl cardinal le-
gato fu dolentissimo per tanti av-
venimenti , ed il Papa come prin-
cipe supremo vietò il passaggio
tanto ai fiorentini che ai milane-
si; indi mandò a Bologna in luo-
go del cardinale l'arcivescovo di
Arles cardinal Alamanni che fece
al duca ogni male. I fiorentini con
più di calore continuarono la guer-
ra sul Forlivese occupando Fiuma-
na, e Sadurano da loro spianato
per la resistenza opposta dagli a-
FOR
tritanti; indi assediarono Forlì, ma
furono interamente sbaragliati, e
fatti prigioni i capi, fra' quali il
Malatesta, ed altri uccisi. Seguen-
do Agnolo della Pergola il corso
della vittoria riacquistò a' forlivesi
Fiumana , le Cantinate, Belfiore,
ed altre terre; ebbe pure Forlim-
popoli con la rocca, Berti noro, Sa-
vignano, Verucchio, Santarcangelo,
Dovadola, Rocca s. Cassiano, Por-
tico, e Bagno con immenso botti-
no. I fiorentini storditi di veder
disfatto un possente esercito, fecero
molte alleanze, mentre altrettanto
faceva il duca Visconti con Mar-
tino V, col Malatesta che liberò da
prigione, e con Giovanna li regi-
na di Napoli; quindi dichiarò la
guerra al Manfredi, il quale nei
primi vantaggi che riportò si eb-
be molti prigioni forlivesi , che
coi fiorentini portò a Faenza.
Francesco Sforza mandato dal
duca Visconti per capitano, asse-
diò in detta città il Manfredi, ma
trasferita dagli alleati la guerra
in Lombardia, fu costretto richia-
mar l'esercito di Romagna, ed es-
sendo morto di peste in Ri mini
Tebaldo Ordelafìi, consegnò al Pa-
pa Forlì , Imola e Forlimpopoli,
delle cui città a nome della Chie-
sa ne prese possesso il cardinale
Alamanni. Il Papa mandò poi pre-
sidente di Forlìj Imola, Forlimpo-
poli, e di tutti i dominii di que-
ste provincie spettanti alla santa
Sede il celebre Domenico Caprani-
ca vescovo di Fermo, poi cardi-
nale, il quale con applauso straor-
dinario venne accolto in Forlì, che
fece sua residenza nel 1426. Di-
poi nella notte de'4 febbraio 1428,
mentre il dottissimo Lombardino
da Ripetrosa insegnava pubblica-
meute umane lettere nella sua
FOR FOR 2^3
scuola, questa fu investila da un in Lugo colle genti di Visconti,
incendio. Ivi era l' immagine di Tommaso accrebbe il rigore, e fe-
Nostra Signora effigiata in carta e ce entrare in Forlì con molta sol-
sovrapposta su tavoletta, cui in ogni datesca Gattamelata generale del-
sabbato i discepoli recitavano le li- la Chiesa.
tanie, la quale prodigiosamente re- Nel i433 si macchinò nuova
sto illesa in mezzo alle fiamme congiura, che sollevando il popolo,
divoratrici che consunsero tutta la corse a palazzo, presero Tommaso
casa, anzi ne fu visto il luogo col- cui imputarono di voler cedere la
pito da celeste splendore. A con- città ai veneziani, e lo dierono in
siglio dei Capranica venne la sa- custodia ai Laziosi, i parenti dei
già immagine portata solennemen- quali erano stati da lui preceden-
te in duomo, ove a' divoti subito temente carcerati, mentre Gattame-
incominciò ad essere larga dispen- lata era passato a Bologna. Subito
satrice di grazie. In questa con- per corriere s'invitò Antonio Or-
giuntura la cattedrale intitolata delaffi, che si portò di notte in
alla santa Croce, a motivo di con- Forlì, tra i fuochi e le illumina-
servarvisi un grosso pezzo della ve- zioni fatte a gara dal popolo. Alle
ra croce, venne molto ingrandita preghiere dei Polentani il vescovo
per le pie largizioni de' fedeli a Tommaso fu lasciato andare in Ra-
detta immagine, che dal portento- venna, mentre il vescovo Caffarelli
so miracolo fu poi chiamata la che avea impedito il riforno del-
Madonna del fuoco. È qui da no- 1' Ordelafli, si esentò dalla sede;
tarsi che nel luogo della casa ove per la qual cosa dal clero e capi-
fu l'incendio, nel 1819 a cura e tolo forlivese venne dichiarato imo-
spese del canonico penitenziere d. vo vescovo Giovanni Bevilacqua, a
Angelo Poggiolini si eresse un mediazione del quale Battista Ca-
tempietto ad onore della stessa poferri castellano della rocca Ra-
Madonna del fuoco. Intanto a mez- valdino, vedendo Eugenio IV im-
zo del Capranica Martino V ri- pegnato nella guerra contro Nicolò
chiamò a dovere gl'insorti bolo- Fortebraccio, il giorno ultimo di
gnesi, venendo fatta in Forlì la rac- dicembre la consegnò all' Ordelaf-
colta dell' esercito pontificio forte fi. Ne seguirono 1' esempio Forlim-
di dieci mila armigeri. Costretti popoli e le altre castella ; quindi
nel 1429 i ribelli all'ubbidienza nel marzo l'Ordelaffi tolse in mo-
de'ministri della Chiesa, ne fu no- glie Caterina di Gherardo Rango-
minato vice-legato Giovanni Calla- ni, dal popolo festeggiata. Eugenio
relli romano vescovo di Forlì. Al- IV essendosi ritirato a Firenze,
l'insigne preside Capranica, succes- quivi spedì ambasceria 1' Ordelam,
se Tommaso da Venezia vescovo ad implorar perdono, e l' investi-
Traconense , che all' elezione di tura dello stato, ma inutilmente,
Eugenio IV fece celebrare in For- perchè adirato il Pontefice sì per
lì straordinarie allegrezze. Mal con- l'intrinsichezza che Antonio avea
sigliato il nuovo preside divenne col Visconti, sì per aver privato
odioso, per cui si scoperse e pu- del vescovato il CalTarelli. Nuova-
«1 la congiura che voleva dar la mente ribellata Bologna dai Cane-
città ad Antonio Ordelaffi eh' era toli, e datasi Imola ai milanesi, il
s54
FOR
Papa inviò un esercito in Roma-
gna, che presso Castel Bolognese
restò disfatto da Nicolò Piccinino ca-
pitano del duca. Allora Eugenio
IV confermossi nell' alleanza coi
veneti e fiorentini, e vi aggiunse
i Malatesti e i Manfredi , dichia-
rando generale e gonfaloniere del-
la Chiesa Francesco Sforza capita-
no di sommo valore, cui die nella
Marca grossa signoria con titolo di
marchese; ordinandogli insieme di
liberare il Lazio dalle incursioni
del Fortehraccio, soldato di gran
fama, che unito a' Visconti operava
a' danni della Chiesa, la quale in
un agli alleati avea prodi forlivesi
per capitani, come i Brandolini,
i Mostarda, gli Scaramuccia, e gli
Arni uzzi o Za m peschi.
AH' Ordelaffi nel i435 nacque
un figlio cui impose il nome del
genitore Cecco, mentre lo Sforza
lasciato il patriarca Vitelleschi nel-
1 Umbria volò in Romagna per
impedir 1' unione di Fortehraccio
al Piccinino, e quando questi en-
trava in Forlì egli giunse in Ce-
sena, indi seguirono reciproci dan-
ni : nondimeno per la venuta del
Gattamelata, lo Sforza impedì a
Piccinino progredir più oltre, ed
ambedue schivarono un combatti-
mento, per tema di porre tutto a
repentaglio. Intanto il Fortehraccio
nella Marca restò ucciso in un con-
flitto da Cristoforo da Forlì, essen-
done conseguenza la pace, col re-
stituirsi dal duca Imola alla Chie-
sa, ed il ritiramento delle sue gen-
ti. A questo tenne dietro la ricon-
ciliazione di Antonio Ordelaffi con
Eugenio IV, e lo Sforza he fu il
mediatore , laonde il Papa con
paterno affetto Io assolvette da tut-
te le pene costituite contro i ribel-
li ; per cui Onofrio e Mainardo
FOR
Carpentieri andarono ad ossequiar
il Pontefice, dal quale ne riporta-
rono la bolla che dichiarava l'Or-
delaffi vicario della Chiesa, a con-
dizione però del ritorno del Gaffa -
felli al vescovato, e della rifazione
de' danni a Tommaso vescovo Traco-
nense. Il gaudiosi raddoppiò alla na-
scita ad Antonio d' un figlio, che
chiamò Pino, tenuto a battesimo dal-
lo Sforza. Ma questi nel seguente an-
no i436 ebbe ordine di marciar con-
tro 1' Ordelaffi, perchè oltre di par-
teggiare pel duca che avea rotto
la pace., non eseguiva gli accordi .
Forlim popoli, Ronco, e Fiumana
subito caddero in potere dello Sfor-
za, ma Pietra d'Appio si difese va-
lorosamente. In seguito assalito For-
lì fu vicino lo Sforza ad entrarvi,
ed in altra volta poco gli mancò a
restar prigione. Anche i fiorentini
danneggiarono 1' Ordelaffi, e prese-
ro Rocca s. Cassiano. Benché l'Or-
delaffi senza speranza di soccorso si
ostinasse alla resistenza, i cittadini
pensando ai danni che ricevevano
dallo Sforza, e al pericolo evidente,
nel luglio arrestarono sul ponte del
Pane Antonio Ordelaffi, e lo con-
dussero in casa di Ducciolo Lazio-
si, ove furono pur condotti la mo-
glie e i figli, indi a mezzo di An-
drea Becci capitolata la resa col-
lo Sforza, l' introdusse in città cor
Renzio tudertino presidente del Pa-
pa nella provincia. La fortezza Ra-
valdino non fu consegnata, che
patto di lasciar libero Antonio col
le masserizie e famiglia, ritirandc
si a Ferrara. Eugenio IV con giu-
bilo accolse gli ambasciatori forli
vesi, e mandò governatore della
città e di tutto il dominio di Ro-
magna monsignor di Capua vescovc
di Tropea, che con Riniero da To-
di podestà fece solenne ingresso.
FOR
Appena tornò Forlì sotto il re-
gime della Chiesa, rimosso il bevi-
lacqua, fu dato a vescovo Lodovico
Piranni forlivese, e Giovanni Caf-
farelli ebbe la sede d' Ancona per
prudenziali riflessi : Lodovico fu
persona eccellente per bontà e dot-
trina, per il che nel concilio inco-
minciato a Ferrara, e compito in
Firenze, gli fu dato incumbenza
con altri sei teologi di esaminare e
decidere le dispute de' greci in mol-
ti punti riguardanti la fede. Frat-
tanto Nicolò Piccinino simulando
amicizia col Papa, perchè lo Sforza
suo capital nemico sembrava ade-
rire al Visconti, si ridusse in Pio-
magna sotto colori mendicati, sor-
prese Ravenna, ma Forlì lo co-
strinse a ritirarsi con Antonio Or-
delaffi eh' eravi con lui accorso. Nel
i438 Eugenio IV vedendo male
amministrato l'ospedale de' poveri
della casa di Dio ( che suppone-
va juspatronato della comunità ed
anziani di Forlì) fa col lizzò i frati
e monache del terz' ordine di s.
Francesco ad assistervi gì' infermi,
come si legge nella bolla Eximiae
devotionis affeclus eie, data in Fer-
rara nonis maji, e diretta agli An-
lianìs et Consilio civitatis nostrae
Forolivien. Dopo alcuni prosperi
successi del Piccinino nella Marca
sui domimi dello Sforza, alla sco-
perta di nuovo si chiarì nemico
del Papa, e tentò l'acquisto di Ro-
magna. Presa Imola, con parte di
sue truppe spedì Antonio Ordelaf-
fi verso Forlì, per vedere qual mo-
vimento facessero i cittadini ; di
fatti la plebe assai affezionata al
suo nome e governo, gli si offerse,
e superati gli ostacoli l' Ordelaffi
col Piccinino entrarono in città, ed
il primo di bel nuovo fu proclamato
signore di Forlì, Forlimpopoli, e di
FOR
255
tutto il primiero dominio. Poco dopo
il Piccinino tolse Bologna ancora
all'ubbidienza della Chiesa, indi la-
sciato in Romagna Francesco di
lui figlio, si recò in Lombardia per
servire il duca contro i veneti. De-
luso lo Sforza dalle promesse del
duca, si accostò di nuovo alla lega,
per la quale si recò in Lombardia,
sorprendendo Forlimpopoli, e sca-
ramucciando intorno a Forlì, che
abbandonò per portarsi al suo de-
stino, secondo le nuove premure
della lega. Mentre il Visconti ebbe
due grandi sconfitte in Lombardia
e Toscana , il cardinal Lodovico
Scarampi in questa capitano del-
l'armata pontifìcia e fiorentina pas-
sò in Romagna, ove i Malatesta
tornarono alla divozione del Papa,
prendendo Massa, Lugo, Bagnaca-
vallo, Mortano, e Castel Guelfo;
quando i ravennati dai Polentani
e dal duca si diedero alla repub-
blica di Venezia. A tali avvenimen-
ti il duca convenne alla pace ge-
nerale, che si concluse senza 1' in-
tervento del Pontefice.
Eugenio IV malcontento dello
Sforza intendeva privarlo dei do-
mimi a lui concessi nella Marca,
e voleva muover le armi contro
1' Ordelaffi : chiamò al ruo soldo il
Piccinino che di buon grado ab-
bandonò il Visconti, perchè avea
dato la sua figlia Bianca in moglie
al suo emulo Sforza. Nel 1 4-4 *
Sigismondo Malatesta, e Francesco
Piccinino fecero un tentativo su
Forlì, ma vennero respinti, e ri-
coverandosi in Forlimpopoli, questa
città fu poi ricuperata dagli Orde-
laffi. Nel seguente anno i44?- 1°
Sforza con la sposa Bianca passa-
rono per la città , onoratamente
accolti dall' Ordelaffi , che inoltre
gli die una squadra di forlivesi per
■2Ì6 FOR
la difesa dei dominii marchegiani,
tanto più che il Visconti erasi di-
chiarato in favore del Papa e contro
il genero. Nel 1 447 morì Eugenio
IV e gli successe Nicolò V, che per
amore della pace, usando molta
indulgenza co' baroni e co' popoli
tributari alla santa Sede, con di-
ploma de' 27 maggio dichiarò An-
tonio Ordelaffi vicario per la me-
desima della città e contado di
Forlì, con annuo censo determina-
to, riconciliandolo colla Chiesa; ma
iiell' agosto del seguente anno, An-
tonio cadde vittima della peste.
Tale perdita fu pianta dal popolo
per la sua umanità, ed ebbe splen-
didi funerali da Cecco e Pino suoi fi-
gli, che gli successero pure nel prin-
cipato. Si ritiene che fosse Antonio
che cominciasse il palazzo del po-
destà, poi luogo di pubblica istru-
zione, lavorato con diligente preci-
sione ; e vi furono posti il suo
stemma e quello di Caterina Pian*
goni sua moglie, a' quali i figli che
il compirono, vi aggiunsero lo stem-
ma de' Manfredi cui s' imparenta-
rono. Nell'anno i/f^o ebbe prin-
cipio in Fornovo il magnifico tem-
pio di s. Maria delle Grazie, di
figura rotonda, per la manifestazio-
ne dell' immagine eh' era nella me-
desima villa di Fornovo appesa ad
un tronco ; e ciò principalmente
per opera di certo Pietro da Du-
razzo città d' Albania d' Epiro, fa-
moso corsaro, eh' erasi convertito
per detta immagine, per cui ivi
cominciò a menare vita penitente
ed eremitica. E qui noteremo che
questo Pietro detto 1' eremita por-
tandosi spesso in Forlì esemplar-
mente, presso le mura costruì un a-
bituro con chiesuola, appellata la
cel Ietta dello Zoppo, perchè zoppi-
cava da un piede. In egual tempo
FOR
Francesco Sforza per la morte del
Visconti ereditò lo stato di Milano,
quando i veneti gli dichiararono
guerra, militando per loro Cecco
Ordelaffi, con una mano floridissi-
ma de' suoi sudditi, e per France-
sco l' altro forlivese Tiberto Bran-
dolini adottato nella famiglia Vi-
sconti, che fece prigione Cecco:
questi fu subito liberato a patto
che Pino e Cecco togliessero al go-
verno di Forlì Ugo Rangoni uomo
severo e detestato. La famiglia di
Tiberto soggiacque a persecuzioni
e confische, il popolo fece tumul-
to, e i pregiudicati reclamarono a
Papa Calisto III, per essere gli
Ordelaffi feudatari della Cbiesa, che
deputò nel i/±56 due cardinali per
1' esame delle cose.
Cecco sposò Elisabetta di Astor-
gio Manfredi signore di Faenza ,
ma la gelosia di comando tra fra-
telli compariva più scopertamente;
indi nel 1 4^9 Cecco si portò a
Ferrara ad ossequiare il nuovo
Pontefice Pio li. Nel 1 465 Pino
dopo aver scampato gravissima in-
fermità , di cui è memoria in un
altare di s. Francesco, prese in mo-
glie Barbara di Astorgio Manfredi
con quattro mila fiorini larghi di
dote, la cui sorella teneva Cecco.
Questi a'22 aprile i46fi> non sen"
za sospetto di veleno per le accen-
nate dissensioni , terminò i suoi
giorni. Avvi medaglia di Cecco col-
la sua effigie^ ed intorno l' iscrizio-
ne : Ciccus III Orddaphus For-
livii P. P. ac Princeps; nel rove-
scio è un Curzio nell'atto di pre-
cipitarsi nella voragine, coli' epigra-
fe: Sic mea vitali Patria est mihi
carior aura. Terminati i fune
rati del fratello, Pino confermar
do i sospetti di sua morte, toste
ne fece imprigionare i figli Antt
FOR
Ilio o A ntonmarin, Francesco, e Lo-
dovico spurio, i quali poi in un
con la madre se ne fuggirono , e
con essi i Teodoli e i Bifolchi, fa-
miglie principali e partigiane di
Cecco. Nel medesimo anno a' 7 ot-
tobre mori Barbara moglie di Pi-
no, clic siccome bellissima e di bon-
tà impareggiabile, fu dal marito
pianta a lagrime inconsolabili , fa-
cendola seppellire in s. Girolamo
con isplendidi funerali; e per ono-
rarne la memoria gli eresse un
magnifico ed elevato mon.umento
di marmo, colla statua giacente,
ed analogo epitaffio. Nel seguente
anno mori pure Caterina madre
di Pino, ebe gli fece celebrare ma-
gnifiche esequie. Mentre la città
godeva quiete sotto il governo di
Pino, a' 27 agosto 1^6$ il fuoco
distrusse nella torre del pubblico
palazzo la campana maggiore del
popolo e quella de soldati ; si scom-
pose l'orologio di bellissimo lavo-
ro, e notabili furono gli altri dan-
ni. Nel i4^9 Paolo II continuando
la guerra contro i Malatesta, per
le forti alleanze da questo fatte, i
veneziani compatrioti! del Papa lo
aiutarono con truppe sotto il co-
mando di Pino signore di Forlì ,
il quale unitosi all' altro forlivese
Zampeschi e agli altri capitani del-
la Chiesa, s'ebbero la peggio, e da
offensori dovettero pensare a di-
fendersi. Tuttavolta Pino spianò le
Calumate, castello de'riminesi Bei-
monti, i quali davano asilo ai mal-
contenti di Forlì, e facevano scor-
rerie sul suo territorio ; quindi nel
gennaio i4?° partì per Roma ad
inchinare il Pontefice Paolo II, da
cui ricevette accoglienza molto ono-
rifica, e conferma nella signoria di
Forlì. Ritornato in patria prese in
moglie Zaffiro figlia di Taddeo
VOL. XIV.
FOIl 2.7 7
Manfredi .signore d' Imola , dotala
di amabili prerogative.
Il duca di Milano nel 1 .{7 1 e-
les^e Pino Ordelaffi suo generale
in Romagna e conservatore de'do-
minii clic vi aveva, in quella par-
te cioè che chiamano Romagnuo-
la, per lo che furono fatte pub-
bliche dimostrazioni di allegrezza :
s'aggiunse aver Pino nel tempo stes-
so rimesso gli esuli guelfi, e dato
general perdono. Immuni per lun-
go tempo queste parti dagli erro-
ri guerreschi, Pino volle far cono-
scere essere la pace che conserva
ed abbellisce le città , e più ma-
gnifiche le rende; dappoiché non
avendo più le soldatesche che il
gravassero di spese, diedesi nel ter-
ritorio forlivese a ristorare le ca-
stella dalle guerre ne' tempi anda-
ti stranamente malconcio; fortificò
eziandio Forlimpopoli, e con som-
ministrare quattro mila lire del
proprio fece restaurare le mura di
Forlì, ed ove mancavano le rifece.
La piazza pubblica ornò di ampie
loggie sostenute da colonne lavo-
rate con artifizio e spesa, ma ri-
maste imperfette le compì il car-
dinal legato Donghi. Pino rese il
palazzo copioso di stanze, abbellì
le sale con oro e dipinture, e nel-
le finestre vi pose marmi foggiati
in varie guise , ove fece scolpire
gli stemmi Ordelaffi, de' Manfredi
sua consorte , e quello de' Rango-
ni di lui madre sotto il portico.
Questo principe per la sua giu-
stizia , liberalità ed affabilità fu
sommamente amato e caro ai sud-
diti; abbellì e beneficò molti luo-
ghi pii , accomodò e lastricò varie
strade, diede cominciainento alla
cittadella di Ravaldino , anzi con
immenso dispendio ne ricostruì la
rocca., ridicendola foltissima, come
«7
i58
FOR
dal suo lato rese la città inespu-
gnabile. Nella prima domenica del
i473 in s. Francesco furono lette
le bolle di Sisto IV, che in ampio
tenore confermavano nella città vi-
cario della Chiesa Pino e i di lui
figli legittimi o naturali, e in loro
mancanza Sinibaldo di lui spurio.
Tal gaudio fu turbato dalla mor-
te di Zaffira consorte di Pino, senza
prole, come non l'ebbe dalla terza
moglie Costanza de'conti Pichi della
Mirandola. Pino Ordelaffi nel i474
ricevette dal Papa il titolo di ge-
nerale della Chiesa alla conquista
di Città di Castello, dentro la qua-
le Nicolò Vitelli ostinatamente si
difendeva contro Sisto IV; la città
dovette cedere, e l'Ordelaffi si man-
tenne nella carica militare ne' sus-
seguenti anni. In Forlì nel i^j5
venne stabilito un consiglio com-
posto di quaranta individui i più
distinti per nobiltà e prudenza, con
approvazione del principe: tale si-
stema essendosi poi lasciato, nuo-
vamente fu introdotto da Caterina
Sforza, e vi durò sin che la città
al tempo di Giulio li venuta affat-
to sotto la Chiesa si formò poi il
consiglio al modo che trovasi.
Pino nel i477 m eletto genera-
le dei fiorentini con provvisione in
tempo di guerra di sei mila scu-
di, e di quattro mila in tempo di
pace; ma essendo Pino incomo-
dato di salute, si fece rappresen-
tare dal forlivese Lodovico del-
l'Orso- Disgustato Sisto IV co'fio-
reutini, ciò fu causa che l'Orde-
laffi qual feudatario del Papa si
togliesse dal servigio della repub-
blica. Ma non così diportossi il ce-
lebre capitano Antonello Zampe-
sebi, il quale si accostò ai fioren-
tini in un a Malatesta signore di
Rimini, scelto generale in luogo di
FOR
Pino, e che nel ricevere la ver-
ga di comando nel duomo di Ri-
mini, creò cavaliere Brunoro fi-
glio d'Antonello. 11 Papa al con-
trario, preso di alto sdegno, spe-
cialmente per aver riportata una
sconfitta sul Perugino, privò lo
Zampeschi de'feudi s. Mauro, Ta-
lamello ec. , investendone il pro-
prio nipote Girolamo Riario, e col-
pito di scomunica il Malatesta gli
interdisse eziandio lo stato, per cui
egli paventando l'ira del Pontefice
rassegnò la carica di generale, che
i fiorentini diedero al forlivese An-
tonello. In questo mentre contro
i fiorentini, co' veneti e milanesi,
1' Ordelaffo imperava in Toscana
alle schiere della Chiesa, colla so-
praintendenza per altro di Girola-
mo Riario; ma ricaduto Pino ma-
lato, a' io febbraio 1480 mori, la-
sciando erede Sinibaldo suo figlio
naturale, cui essendo di pochi an-
ni destinò a curatori Sisto IV e
Ferdinando re di Napoli, e a tu-
trice Costanza sua consorte. Lasciò
vari pii legati , e il suo cadavere
in s. Girolamo con cinquecento
scudi per l'erezione del sepolcro:
la quiete goduta sotto di lui dai
forlivesi si convertì in turbolenze,
e cambiamento di stato. Furono
fatte correre per la piazza e vie
principali di Forlì a nome di Si-
nibaldo alcune squadre di cavalle-
ria ed infanteria, che tal era in quei
tempi la formalità praticata dai
principi novelli nel prender posses-
so dello stato; indi a cattivarsi la
nobiltà, Costanza scelse sedici gen-
tiluomini-a consiglieri, e per sicu-
rezza si condusse con Sinibaldo
ad abitare nella rocca. Il Papa
ad attestare la sua gratitudine per
la confidenza in lui riposta dal
principe defunto, confermato Sini-
FOR
baldo a Signore di Forili, spedì a
sua difesa cinquecento finiti, man-
dandogliene altrettanti la repubbli-
ca di Venezia. Si credeva a tutto
provveduto quando Antonio, Fran-
cesco e Lodovico Ordelaffì nipoti
di Pino, che dopo l'espulsione vi-
vevano presso lo zio Galeotto Man-
fredi, cominciarono a tentare delle
novità, a ciò stimolati dai Teodo-
li, bifolchi ed altri esuli, perchè
Cecco loro genitore, qual primo-
genito era stato infeudato co' figli
da Paolo II in signore di Fpriì.
I forlivesi di mal animo si ve-
devano da una donna governali,
e loro pur dispiaceva la fanciullezza
di Sinibaldo che ritardava quegli
spettacoli e feste di cui il popolo
fu sempre avidissimo, da'quali spet-
tacoli era aliena Costanza. Questa
fatta accorta delle popolari macchi-
nazioni in favore de'tre fratelli, or-
dinò 1' arresto di alcuni che poi
fece rilasciare, raddoppiando però
le guardie alla piazza e al maggior
palazzo. Finalmente i partigiani de-
gli Ordelaffi, ch'eransi assembrati
in casa di Graziolo dell' Orso in
compagnia di alcuni da Forlitn-
popoli, assalirono il palazzo, e tut-
ta la città si diede ad Antonio,
Francesco e Lodovico , che falli
consapevoli dell' avvenuto furono
subito in Forlì co' fuorusciti e le
genti di Manfredi, incontrati dal
popolo liipudiante. Le guardie di-
sperse, la rocca fu assediala dagli
Ordelaffì , mentre quella di For-
limpopoli stette fedele a Sinibaldo.
Si racconta che Costanza in vede-
re Anlonio all'assedio tentasse far-
selo marito, donandogli le superbe
divise militari del consorte, per
cui l'assedio fu l'allentato. Altri di-
cono che ciò fosse politica in Co-
stanza, per guadagnar tempo fin che
FOR 2Ò9
giungessero i soccorsi del Papa o del
re di Napoli; ma colto Sinibaldo
da mortale infermità terminò di
vivere nella rocca di Piavaldino ai
i4 luglio 1480. Allora Sisto IV
considerando devoluto lo slato al-
la Chiesa, non dovendosi valutare
l' investitura di Paolo II a Cecco
e di lui figli, ritenendosi più. valida
la posteriore a favor di Pino, la
cui linea era già mancata, e che
le prime disposizioni dalle susse-
guenti restano abrogate, spedì a
Forlì con l' esercito Federico duca
d'Urbino. Avanzandosi questi con
Roberto Malatesta , a Pozzecchio
disperse alcune squadre di forli-
vesi, e le inseguì sino alla porta di
Gotogni. Vedendosi gli Ordelaffì
con deboli fòrze, ricoveraronsi a
Faenza, mentre i forlivesi spediro-
no destri deputati al duca di Ur-
bino, col quale stabilirono con ge-
nerale soddisfazione, che Gio. Fran-
cesco da Tolentino assumesse il
possesso di Forlì per la Chiesa, con
l'esenzione dalle gabelle di maci-
na, delle doti, delle divisioni, e da
ogni dazio di consumo, e che l'e-
sercito si allontanasse dal terri-
torio in vista de' danni che ne se-
guivano: a tutto si die esecuzione,
e il Tolentino se ne impadronì
il giorno di s. Lorenzo. Costanza
rese la rocca a patto che gli ve-
nose lasciato libero il tesoro e sup-
pellettili di Pino, sicché portò seco
oltre trenta caira di mobili, e cir-
ca duecento mila scudi, in un
alle scritture degli Ordelaffi, che
ripose nell'archivio della Miran-
dola.
Sisto IV impossessatosi di Forlì
e di Forlimpopoli come sotto la
sua giurisdizione, ne investì Giro-
lamo Riario da Savona suo nipo-
te, perchè nato da Violante della
26o FOll
Rovere di lui sorella, i) quale era
già generale della Chiesa, e signore
d'Imola avula per dote di Cate-
rina Sforza sua consorte, e iìglia
naturale di Galeazzo Maria dùca
di Milano, nelle mani di cui era
essa città pervenuta per le dissen-
sioni de' Manfredi che n' erano si-
gnori. Dai forlivesi ad ossequiare
in Roma il novello principe ven-
nero spediti quattro ambasciatori,
i quali riportarono la ratifica del
capitolato anzidetto, con altri pri-
vilegi ed esenzioni. Frattanto il Pa-
pa ed il re di Napoli pacificatisi
co' fiorentini ed alleati, Antonello
Zampeschi riebbe il favore di Sisto
IV, ed il Riario gli sborsò mille
ducati per s. Mauro e Talamello,
castelli da lui posseduti, di cui lo
Zampeschi n' era slato signore. 11
conte Girolamo Riario nel 1481
ordinò in Forlì che si edificasse la
cittadella alla rocca di Ravaldino,
avendo poco progredito dopo la
morte di Pino, per cui l'onore del-
la fabbrica viene giustamente at-
tribuito al Piiario. A' 14 di giugno
si ricominciò il lavoro dall'abile
architetto Giorgio Fiorentino, che
avea servito gli Ordelaffi nella co-
struzione delle mura ed altri edi-
fizi, e il conte Girolamo in Imo-
la. Perchè poi venne Forlì dal no-
vello signore destinata a sua resi-
denza, volle pure ingrandire il pa-
lazzo pubblico, e in tutte guise a-
dornarlo. Indi ad emettere in perso-
na gli ordini più. opportuni, a ri-
formare il governo e consolare il
popolo di sua presenza si recò in
Romagna con la consorte ed una
comitiva di baroni, fra cui Gio-
vanni Colonna, Giordano e Paolo
Orsini, e Gabriello Cesarmi, e con
questi buon numero di armali dal
conte abbigliati superbamente, e
FOll
paggi in vistoso numero in ricche
livree, con altri uomini e palafre-
nieri , sicché formavusi corteggio
reale e maestoso. Fecero di tutto
i forlivesi per onorare i nuovi prin-
cipi, gli andarono incontro con tal
pompa ed apparato che maggiore
non poteva farsi; quindi oltre gli
archi, le statue, le pitture, gli em-
blemi, i carri trionfali, le musiche
e salve d'artigliere, costrussero in
piazza un castello di legno, che a
giubilo infinito degli astanti venne
assalito dalle lande spezzate e da al-
cuni forlivesi, e preso in difesa da-
gli uomini d'arme; ed il primo a
salirvi e riportarne il premio, seb-
bene colla perdita d'un occhio, fu
Francesco forlivese marescalco di
Pino.
Girolamo e Caterina sua moglie
alla porta della città vennero ri-
cevuti dal maestra to, che loro pre-
sentò le chiavi; e circa un miglio
fuori del paese aveali incontri
il clero, ed una turba di gio\
netti vestiti a bianco e aventi
mano rami d' ulivo. Molti noi
in abili di seta ricamali d' or<
portarono a vicenda le aste
baldacchino , sotto il quale acce
scro il conte e la signora , che
scesa dalla lettiga era montala su
d' una chinea learda con gual-
drappa e bardatura d'argento: que-
sta fu donna veramente grande
per somma prudenza, viril valore
ed avvenenti forme, le cui gesta
furono celebrate da parecchi scrit-
tori rammentati dal Bonoli, Storia
di Fora, lib. IX. In sì lieta oc-
casione furono liberati tutti i pri-
gioni, e richiamati gli esuli; indi si:
riformò e diede sesto ad ogni bi-
sogno dello stato. Dipoi il conte
fece annunziare una pubblica e so-
lcnnissima giostra sotto la dire-*
FOR
rione di Giordano Orsini, e Gio.
Francesco da Tolentino, ed alla
quale tra gli altri vi concorsero
molli gentiluomini bolognesi abili
a tale esercizio. Dcssa ebbe riuscita
assai vaga, sì pel corredo de'cava-
iieri, che per l'ampiezza e como-
dità della piazza di Forlì, molto
acconcia a spettacoli di simil sor-
ta. 11 palio, che fu una pezza di
velluto cremesino con fodera di vaio,
toccò a Giuliano uomo d'arme del
conte: questi protrasse per un me-
se in Forlì la sua dimora, é per
tal tempo bello fu il vedere la si-
gnora e sue damigelle ogni giorno
cangiar vesti, ed il credenziere per
una settimana intiera variar sem-
pre 1' apparecchio de' piatti e vasel-
lami d'oro e d'argento, essendo
immensa la ricchezza dei coniugi,
mentre il conte poteva dirsi, spe-
cialmente in molte guerre impor-
tanti, generale amministratore del-
lo stato pontificio, e Caterina po-
teva moltissimo. Oltre a ciò, il
conte era stato erede delle ricche
suppellettili ed argenterie del car-
dinal Pietro suo fratello, considera-
to per isplendidezza e profusione
uno de' più ricchi di quel secolo.
11 conte con quelli di sua corte
parti per Venezia, ove venne di-
chiarato nobile di quella repubbli-
ca, oltre varie altre onoranze ivi
conseguite, tra le quali la di lui
aggregazione al maggior consiglio.
Scopo di tal viaggio fu il dise-
gno di stabilire a nome del Papa
la lega contro Ercole I duca di
Ferrain, per cui nel 1482 Rober-
to Malatesta fu creato generale dai
veneti, e il conte col grado di ge-
nerale della Chiesa fu spedito da
Sisto IV coli' esercito ai confini, per
impedire ad Alfonso duca di Cala-
bria d' aiutar i' Estense già altac-
FOR a6(
cato dai veneziani, che per altro
crasi unito ai fiorentini, al duca di
Milano, a Giovanni Bentivoglio si-
gnor di Bologna, al marchese di
Mantova, ed a Manfredi signor di
Faenza. A distornare il conte Gi-
rolamo, gli alleati decretarono in-
vadere Forlì in unione d' Antonio
Ordelafìi, ma inutilmente due vol-
le ne fecero il tentativo, avendo il
vescovo d'Imola Magnani, governa-
tore della città, fatto suonare a
martello la campana del pubblico,
e i forlivesi non curando l'Orde-
laffo con gran valore bravamente
respinsero i nemici, finché ricevet-
tero soccorsi dal Papa e dai vene-
ziani, ed il conte gli mandò con
supremi poteri Gianfrancesco da To-
lentino. Intanto la guerra progre-
diva, quando il Malatesta unitosi al
Riario venne a Velletri alle mani
colle truppe del duca di Calabria,
le sconfìsse interamente e ricuperò
le piazze perdute. Commosso il Pa-
pa della sorte dell'Estense si paci-
ficò, ed ebbe luogo la concordia
tra le parti, rinunciandosi da Er-
cole I il Polesine di Rovigo a' ve-
neziani. Ciò avvenne al i483, me-
morabile ai forlivesi anche per l'or-
ribile terremoto che li funestò agli
1 r agosto ad un' ora della notte :
suonarono da sé le campane di s.
Mercuriale, la pigna del campanile
si aprì e bisognò rifare due torri-
cini ; caddero altri torricini e torri
della città, un pezzo di chiostro che
a s. Francesco faceva lavorare il
conte Riario, ed alcune chiese del
contado. Questo flagello continuò
a farsi sentire per Io spazio circa
d' un mese. Nel seguente anno ac-
cadile la morte di Sisto IV, che
pose in profondo cordoglio il conte
nipote, per cui passò da Roma al
governo de' suoi dominii ed alla sua
26a FOR
residenza in Forlì, ove erano tor-
nati i seguaci degli Ordelaffi, ed
ove a ristorare alquanto il popolo
de' danni sofferti nella guerra pas-
sata abrogò il dazio delle carni, e
fece abbondante provvista di fru-
mento, essendovene penuria. Eletto
Innocenzo Vili, questi confermò il
Riario a generale della Cbiesa, e
ne' feudi da lui posseduti in Ro-
magna ; per la qual cosa si diero-
no in tutto lo stato pubbliche di-
mostrazioni di giòia. I figli di An-
tonello Zampeschi non valutando
la vendita fatta dal suo genitore al
conte delle ragioni di s. Mauro, lo
invasero a viva forza, senza farse-
ne dal conte rimostranza, temendo
che vi fosse intervenuto il consen-
so del Papa.
Caterina si sgravò di un figlio,
con molta pompa battezzato a s.
Mercuriale, col nome di Giovanni
Livio per allusione a Forlì , onde
far cosa grata ai sudditi; al sagro
fonte fu tenuto dal duca di Fer-
rara, dal marchese di Mantova, e
dal Malatesta: il Riario trova vasi
già padre di tre figli, cioè Otta-
viano, Cesare e Bianca avuti in
Roma; in seguito ebbe in Forlì
Galeazzo e Sforza. Aveva Innocen-
zo VIII intimata la guerra a Fer-
dinando re di Napoli, perchè ricu-
sava il pagamento de' censi dovu-
ti alla santa Sede per quel reame;
laonde per Forlì marciò il Sanse-
verino in aiuto del Papa coll'eser-
cito veneto , ed Ettore Zampeschi
fece altrettanto colla sua spada ,
per cui videsi confermato ne' feu-
di di s. Mauro , Giovedio ec. , ciò
che fu indizio del consenso ponti-
ficio nell! anteriore invasione del
primo. Nel 1 485 in compagnia di
alcuni vescovi si recò a Forlì dal
parente Girolamo, il cardinale Raf-
FOR
faele Sansoni-Riario , ricevuto con
molto decoro, col quale eziandio fu
trattato per quel tempo che si fer-
mò nella città. Il dispendio a questi
tempi del conte era veramente esor-
bitante, dappoiché oltre la numero-
sa corte, e la copia de' provvigio-
nati, maggiore di quando ammini-
strava i redditi di Sisto IV, ed ol-
tre ai presidii aumentati per l'oc-
cupazione improvvisa di s. Mauro,
spendeva eziandio in edilizi immo-
deratamente. Fece la volta alla na-
vata di mezzo della cattedrale, ove
pose il suo stemma, cioè Ja rosa
inquartata alla vipera, arme di Ca-
terina, perchè la casa Sforza era
adottata in quella de' Visconti. Die
compimento al monistero delle mo-
nache osservanti detto della Torre,
cominciato a' tempi di Pino Orde-
laffi; altrettanto ordinò pel chio-
stro de' frati di s. Francesco, il qua-
le caduto in gran parte appena ter-
minato, si rifece di nuovo. Ciò non
pertanto continuava il conte prin-
cipalmente a dar opera incessante
per compire la cittadella, facendo-
vi quartieri, spaziosi appartamenti,
ampie stalle, e fosse profondissime
tutte selciate; lavoro in cui con-
sumò immensa somma di danaro,
per cui si ridusse ad averne penu-
ria. Spinto dalla necessità adunò il
consiglio, ove con acconcio discorso
richiese i cittadini a volergli accor-
dale i dazi già da lui annullati,
ma che pagavano a Pino Ordelaffi,
e comechè erasi cattivati gli animi
de' gentiluomini principali , ne ri-
portò l'approvazione generale. 11
popolo però vide ben diversamen-
te la cosa, sia per la sua istabilità,
sia perchè dimenticando facilmente
i benefizi si ferma a ciò che non
gli aggrada senza riflessione, e fo-
mentatori non mancano per accen-
FOR
dere le passioni. Incominciò dun-
que il popolo a guardar di cattivo
occhio Girolamo, e ordire congiu-
re, che promoveva Antonio Orde-
laffi capitano de' veneti nella vici-
na Ravenna, macchinando sempre
il ritorno al paterno dominio.
Nel 1 486 Caterina erasi portata
in Milano dai fratello Gio. Galeaz-
zo che ivi l' avea invitata, ma la
grave infermila che colse il mari-
to in Imola, ov'eia andato nel tem-
po dell' esazione delle gabelle in
Forlì , la richiamò in Romagna.
Intanto 1' ione-tese Innocenzo Co-
dronchi, capo de'provvigionati os-
siano laucie spezzate del conte, oc-
cupò la fortezza di Ravaldino, uc-
cidendone il castellano Melchiorre
da Genova ; ma essendo corsa Ca-
terina in Forlì, con promessa di
perdono potè ricuperarla, e darla
in custodia a Tommaso Feo da
Savona nuovo castellano. Di mag-
gior importanza e pericolo fu la
trama ordita da Antonio Ordelaf-
fi, e avvalorala da Lorenzo de' Me-
dici nemico del conte per la con-
giura famosa de' Pazzi, siccome uno
de' promotori di essa al modo che
narra il Giovio; in questa trama
riuscì a Domenico Rolli impadro-
nirsi di porta Gotogni, ma con in-
felice successo, e punizione di lui
ed aderenti, pel rigore che usò Ca-
terina anche neh' esiliarne molti .
Misure tanto severe aumentarono
la malevolenza contro il conte, il
quale ristabilito in salute era tor-
nato in Forlì. A' 17 agosto 1 4^7
da Caterina nacque un altro figlio
che si chiamò Sforza, tra le gran-
di allegrie che perciò «i fecero: in
questo anno tra il duca di Ferra-
ra e il conte Girolamo insorsero
alcune differenze sui confini terri-
toriali, che alcuni arbitri accomo-
FOR 263
darono. Ma ecco che tremenda con-
giura ne fa vittima il conte, ed
immerge lo stato in guai e peri-
pezie. Nel 1488 Checco figlio di
Andrea del Deddo, che sopranno-
minato Orso, per essere di natura
peloso, trasmise alla famiglia il co-
gnome Orsi , andando debitore al
conte di alquante rate dovutegli
pel dazio delle carni preso in ap-
pallo da Andrea , aveva ricevuto
per tale morosità delle minacce dal
medesimo conte. Temendo egli del
loro effetto, o per altro motivo che
non si conosce, determinò di ucci-
derlo. Trasse Checco nella congiu-
ra Lodovico di lui fratello dotto-
re in legge, che fu senatore in Ro-
ma nel 1482, i figli d'entrambi,
Giacomo Pionchi e Lodovico Pansec-
co, già amici al Riario e consiglieri al
riattivamento de' dazi. Quindi gli
Orsi empirono il loro palazzo di si-
cari e di partigiani armati senza
nulla svelare ; e come potenti nella
città avvisarono i molti parenti ed
amici, ad esser pronti di loro aiu-
to, allontanando Orso vecchio ge-
nitore dalla città.
Era costume del conte termina-
ta la cena licenziar i servi perchè
si cibassero , e sovente ammetteva
all' udienza qualcuno. Tal tempo
stabilirono i congiurati opportuno
al loro pravo disegno, e nella sera
dei i4 aprile occuparono la porta
e le scale del palazzo presso la tor-
re che guidava all'appartamento di
Caterina. Checco, Pansecco e Ron-
chi si avviarono alla stanza detta
delle Ninfe , ove il conte con un
gomito appoggiato alla finestra che
guarda la piazza ragionava con un
savonese. Checco entrò senza am-
basciata, perchè usava parlare a
quell'ora al conte, e come riguar-
dato famigliare. 11 conte al di lui
264 F0R
arrivo gli si fece incontro dicen-
dogli: e. che va facendo Chccco
mio? e n'ebbe in risposta ferita mor-
tale nel fianco destro , per cui al-
zando grida in atto di rifuggirsi in
altra stanza , fu sopraggiunto da
Pausecco e dal Ronchi, e percosso
di più colpi, talcbè stramazzato sul
pavimento spirò. Sbalorditi il sa-
vonese , il cancelliere e un came-
riere cb' erano presenti dall'orren-
dezza del caso, e per sé stessi temen-
do, mancò loro lena di soccorrer-
lo. Intanto alle grida del conte tardi
accorsero molti di sua famiglia, ed
azzuflàronsi sanguinosamente coi
congiurati, i quali dalle finestre gri-
dando libertà sollevarono il popoio;
e per l' aiuto degli amici i corti-
giani dovettero cedere colla morte
di alcuni. Non giovò a Caterina
l'essersi assicurata in una camera,
colla propria madre Lucrezia , coi
figli e le damigelle prigioniera fu
condotta dai congiurati alla casa di
Cbecco. Ad avvenimento sì spieta-
to, pendeva il popolo irresoluto,
allorché Marco Scossaearro di For-
limpopoli e Carlo da Imola con
altri sicari degli Orsi iniquamente
gittarono dalla finestra in piazza il
cadavere del Riario : fu allora che
la volubile plebe fattasi insolente,
senza ritegno entrò in palazzo, e
con furia lutto pose a sacco , in
un ai denari della gabella e del
salano, chiamando i congiurati con
^schiamazzo liberatori della patria
dalle mani del tiranno; ed il ghet-
to degli ebrei fu lutto quanto de-
rubalo dalla popolare rapacità ed
ingordigia. Frattanto con edificante
pietà la confraternita della morte,
trasportò il sanguinoso cadavere del-
l'infelice conte Girolamo all'ospe-
dale, poi luogo delle monache con-
vertile , ed il ripose in sagristia.
FOR
Era Girolamo Riario d" umore ipo-
condria), e solo dalla ciccia pren-
•deva piacere. La sua effigie con
quella della consorte , e a" alcuni
de'suoi figliuoletti si vede in s. Gi-
rolamo di Forlì dei minori osser-
vanti, nella cappella de'lliari, pei
dogli Acconci, dedicata a s. Caldi-
na, in un dipinto di Marco Pal-
meggiani, il quale neh' istcssa chie-
sa effigiò Caterina in abito di pel-
legrinaggio nella cappella di Giaco-
mo Feo, poi dei conti Gaddi.
Checco dell' Orso e il rimanen-
te de' congiurali vedutisi all'aura
del favore popolare instarono per
l'adunanza del consiglio, e dei capi dei
quartieri s. Mercuriale, s. Croce, s.
Pietro, es. Biagio. In presenza di essi
i congiurali procurarono giustifi-
care il commesso omicidio, provan-
do con ragioni la necessità da cui
furono guidati a pubblico bene, di-
chiarando necessaria la morte del
conte; quindi per tema che Inno-
cenzo Vili avesse a x'isentirsene,
concordemente tutti conchiusero si
avesse la -città a sottoporre alla
Chiesa ; e vedendo propenso anche
il popolo a tal determinazione, in-
viarono a Cesena un ambasciatore
per offrire Forlì a monsignor Gia-
como Savelli governatore pontificio
di quella città. Saggiamente il pre-
lato titubò nell' accettare l'invito,
non solo pel poco conto che deve-
si fare d'un popolo ammutinato,
ma perchè ragionevolmente temeva
le lòrze dei duca di Milano fratel-
lo a Caterina, e di Govanui Ben-
tivogli tiranno di Bologna , i quali
avrebbero sostenuto il partito e le
ragioni de' Ria ri, a nome de' quali
custodivansi tuttora le fortezze. Ri-
flettendo poi che Caterina e i figli
potevano essere esposti a gravi in-
sulti, che forse in caso di rifiuto i
FOR
forlivesi nel calure della circostan-
za si sarebbero pillali nelle brac-
cia di allro principe, e temendo la
taccia di vile per ciò ebe riguarda
i diritti della Sede apostolica , ac-
cettò il partito e si condusse a For-
lì, ove il popolo spiegate le papali
insegne, acclamò per tutto il nome
«.Iella romana Chiesa . La prima
cosa l'atta dai favelli fu una visita in
casa degli Orsi alla illustre vedova
ornerà, la quale siccome d'ani-
mo invitto, ad onta del grandissi-
mo dolore di cui era trafitta, non
fece in tante sventure trapelar se-
gno di avvilimento; per cui am-
mirando il Savelli la virtù di que-
sta eroina , a maggior sicurezza e
per ogni buon bue, ordinò ebe as-
sieme ai figliuoli si custodisse nel-
la piccola rocca di porta s. Pietro,
sotto la guardia di Bartolomeo Ca-
poferri, Bartolomeo Serugbi nipote
all'Orsi, Francesco di Filippo Den-
ti, ed altri.
Tornato il Savelli a palazzo die-
de opera a stabilire il governo del-
la città, eleggendo otto cittadini ri-
vestiti di ampio potere. Vedendo
poi non potersi assolutamente man-
tener la città nello stato attuale
senza le fortezze , monsignore coi
congiurati progettarono di tentare
i castellani col mezzo di Caterina,
a questa coi figli promettendo la
liberazione se li avesse disposti al-
la resa , e avvenendo il contrario
minacciarla di strazi e di più dura
servitù. Condotta Caterina alla roc-
ca di Ravaldino parlò al castellano
Feo in senso de' mentovati, ma que-
sti conoscendo ebe Caterina dissi-
mulava, ed essendo certo che i soc-
corsi non potevano mancare, prese
tempo a risolvere. Venne quindi
condotta Caterina alla rocca di
Scbiavonia sul Montone , e fu ri-
FOR
^65
sposto dal castellano che si sareb-
be regolalo come Feo. Allora Ca-
terina accortamente potè convince-
re il prelato e gli altri, che se libe-
ra la lasciassero nella rocca di Ra-
valdino era sicura dell' intento, la-
sciando loro in ostaggio i figli. En-
trata Caterina nella rocca dichiarò
non volerne uscire, se non veniva
guarentita da ogni offesa coi figli.
Scherniti così i congiurati condus-
sero alla fortezza Ottaviano e Ce-
sare figli di Caterina , minaccian-
dola di ucciderli se non mantene-
va la promessa. Si racconta che la
gran donna dai merli della rocca
rispondesse : che se le avessero spen-
to i figli , non le era d ostacolo
V età a poter tornar madre , per
non aggiungere altre parole che ad
essa attribuiscono alcuni storici. La
verità poi si è, che temendo il ca-
stellano che la vista de figli trion-
fasse sull'animo di Caterina, finse
minacciare scarica di spingarde se
non partivano, essendo la signora
a letto indisposta di salute; e al-
lora i congiurati se ne andarono.
Vedendo il Savelli che nulla con-
cludevasi, risolvette prendere le for-
tezze di viva forza ; fece venir da
Cesena artiglierie, nella cui rocca
rinchiuse i cittadini sospetti , e ri-
chiamò quelli esiliati dal conte. Per
consolidare poi il tutto, si spediro-
no due ambasciatori al Papa per
rendergli ubbidienza a nome della
città, implorando conferma ai ca-
pitoli stabiliti col Savelli, non che^
aiuto. Indi il Bentivogli per tener
in freno gl'imolesi, e sgomen-
tare i forlivesi inviò un araldo mi-
nacciandoli se Caterina non fosse
riconosciuta signora , e co' figli ri-
lasciata libera. Ravaldino vigorosa-
mente si difendeva, quando la roc-
ca di Schiavonia si arrese salvi gli
266 FOR
averi, le persone e il dono di mil-
le duecento ducati al castellano.
Tosto vi si inalberarono le bandie-
re colle chiavi di s. Pietro, e vi si
pose il presìdio con due castellani,
uno per la Chiesa , l' altro per la
città. Poco dopo la rocca di For-
limpopoli fece altrettanto.
Dalla rocca di Ravaldino non
mancava Caterina di animar gli
aderenti, e di assicurarli che vici-
no era il soccorso. Difatti un trom-
bettiere del duca di Milano intimò
la guerra, indi giunsero a Castel
Bolognese le truppe di lui e del
Bcntivogli, ascendenti a circa dodi-
ci mila combattenti, oltre un gran
numero di venturieri allettati dal-
la speranza di saccheggiare Forlì.
Eranvi in persona Giovanni Benti-
vogiio, Galeazzo Sanseverino ed al-
tri prodi, che inutilmente tentaro-
no un accordo, perchè attende vasi
risposta e soccorso da Roma. Non
■vedendo il popolo nulla, preso da
timore pel pericolo imminente cui
avealo esposto pochi congiurati, ces-
sò dal proteggere i sediziosi, i qua-
li cumulate le cose più preziose, ri-
solvettero salvarsi colla fuga, per-
chè l'inimico poteva entrar in cit-
tà dalla rocca di Ravaldino. Pri-
ma però da disperati macchinaro-
no di uccidere i figli del conte;
quindi Lodovico Orsi e Giacomo
Ronchi si presentarono alla rocca
di porta s. Pietro domandando in no-
me del Savelli di parlare ai fanciulli
^prigioni ; ma i sunnominati custodi
penetrando il pravo disegno, e cal-
colando la rovina che sovrastava
alla patria si rifiutarono. Allora vo-
lendo essi ricorrere alla forza, con
questa furouo respinti malconci, e
co' propri figli fuggirono a Cesena
ed altrove, non curando la salvez-
za del vecchio Andrea che innoceu-
FOR
te era ritornato iu Forlì. Veden-
dosi il popolo libero dai congiurati,
diedesi apertamente a sostenere i
Riari, gridando per le piazze il no-
me del primogenito Ottaviano e
di Caterina,, per il che gli anziani
recaronsi alla rocca ad ossequiare
Ottaviano guidalo dal Serughi , e
a visitar Caterina, ed indi giunse
il Capoferri cogli altri figli che a-
veva in custodia, salutati meri-
tamente ambidue que' gentiluomi-
ni , liberatori e padri della patria.
Le truppe dello Sforza erano già
pervenute alle mura della città, e
Caterina fatte entrare due squadre
di cavalli ordinò di percorrere la
città a nome di Ottaviano.
Accompagnata da una parte del-
l'esercito, Caterina a' 29 aprile en-
trò in città recandosi subito a reu-
der grazie a s. Mercuriale del pro-
spero evento. Tosto vennero arre-
stati monsignor Savelli e i capitani
della Chiesa , non che alcuni par-
tigiani de' congiurali, Andrea Orsi
e le donne di questa famiglia. Ca-
terina ricevette le congratulazioni
dal Bentivogli, passò in casa di
Francesco Numai, essendo il palaz-
zo spogliato d'ogni arredo , e cu-
rando la cessione delle rocche, con-
venne sulla salvezza delle persone
ed averi; indi nel giorno seguente
ordinò nella chiesa di s. Francesco
le esequie al defunto marito, dopo
le quali fece trasferire il cadavere
dal cimitero del duomo di Forlì
nella cattedrale d'Imola, nella cap-
pella de' Riari sagra a s. Maria
Maddalena, non giudicando conve-
nevole avesse sepoltura iu Forlì
ov' era stato barbaramente ucciso.
Venne poscia affisso un editto in
cui ordina vasi la restituzione degli
effetti tolti di saccheggio al palaz-
zo, e tutlo Caterina riebbe, Lamie
FOR
alcune ricche suppellettili, cui di-
cono portassero seco i congiurati ,
contro i quali si emanarono ordi-
ni pieni di rigore, e vennero im-
poste grossissinie taglie. Intanto il
palazzo Orso fu dato a sacco e spia-
nato, ad onta delle suppliche di
Carlo Grati, onde venisse rispar-
miata fàbbrica sì bella, capace a
servire per alloggi e quarlierare le
truppe: sulle di lei rovine si eres-
sero il monte di pietà, e la chie-
sa e casa dei filippini. Fecesi lo
slesso alla vicina casa di Graziolo
fratello di detto Orso , il quale si
condusse a veder la distruzione del
suo palazzo, indi fatto morire ven-
ne trascinato attorno alla piazza a
coda di cavallo. Tal fu pure la fi-
ne di Andrea nell'età di 85 anni,
infelice nella morte quanto avven-
turoso in vita ; uomo di tale au-
torità che in sette rivoluzioni v'eb-
be alcuna parte; rispettato da' prin-
cipi , la di lui casa fu dichiarata
luogo di sicurezza e d'asilo ; molto
dovizioso di beni di fortuna , e di
gran seguito in patria. Confiscali i
di lui beni unitamente a quelli de-
gli altri congiurati, cui vennero pur
spianate le case e fatte molte altre
cose di rigore. Tuttavolla Caterina
soltanto la perdonò alle doune. 11
Scossacarro fu appiccato alla fine-
stra per ove gittò il cadavere del
conte , ed altri lo furono ai merli
della rocca, ed alle finestre del pa-
lazzo del podestà: il bando fu da-
to a parecchi, morendo molti Del-
l' esilio. In grazia del Benlivogli fu
rilasciato monsignor Savelli co' per-
sonaggi ch: erano seco , ritenendosi
le artiglierie condotte da Cesena.
Di nuovo si riconobbe con giu-
ramento Ottaviano signore di For-
lì, e a tale oggetto uno per ogni
casa si portò alla cittadella. Kuu
FOR 267
essendo la sua tenera età atta al
governo, Caterina di lui madre as-
sunse la di lui tutela e quella de-
gli altri figli, e l'amministrazione
dello stato, prestandosi a di lei gua-
rentigia alcuni gentiluomini forlive-
si, essendo presente allatto il car-
dinal Raffaele Sansoni-Riario , che
intese le descritte sciagure, erasi da
Roma trasferito a Forlì. Non è a
dire con quanta equità reggesse lo
stato Caterina, appellata d'ordina-
rio Madama, e con quanta destrez-
za si portasse co' principi, e trat-
tasse cogli ambasciatori affari di
somma importanza in guerre , ed
in congiunture pericolose; con quan-
ta .amorevolezza accogliesse le sup-
pliche degli infelici, e tutti rendes-
se contenti. Ordinò solenne proces-
sione ed altre religiose funzioni a
rendimento di grazie de' pericoli
evitati, piacendole così al suo regi-
me dar cominciamento con Dio.
Licenziò il Bentivogli colle truppe, e
nominò governatore di Forlì Giam-
pietro Bergamini, stabilendo quattro
squadre per sua guardia. Anche gli
imolesi con giuramento riconobbero
Ottaviano a loro signore, il quale
erasi perciò recato ad Imola col
Bentivogli, e da Papa Innocenzo Vili
ebbe conferma di vicario di Forlì,
per cui pubbliche furono le dimo-
strazioni di gioia. A consiglio del
cardinal Riario , per guadagnarsi
vieppiù l'amore del popolo, Cateri-
na diminuì i dazi della pesa, del sa-
le, e le tasse. In questo tempo
in Lombardia restò ucciso France-
sco Ordelallì , fratello di Antonio.
Nel i49° furono richiamati gli e-
brei ch'erano partiti dopo il sac-
cheggio , con pregiudizio del com»
mercio; essi vi tornarono col pat-
to che il comune li guarentisse da
ogni dauuo ed interesse, per gucr-
268 FOR
ra o cangiamento tli stato. Nel 1491
Caterina represse alcuni movimenti
rivoluzionari in Imola ed iu For-
lì , essendo ne' secondi implicato
l' Orde lafli al servizio de' veneziani;
indi ripristinò il consiglio de' qua-
ranta istituito da Pino, cioè dieci
individui per ognuno de' quattro
quartieri. Nel seguente anno fu su-
blimato al triregno Alessandro VI
Borgia , che da cardinale avea te-
nuto al sagro fonte Ottaviano: Ca-
terina spedì due ambasciatori a con-
gratularsene, ricevuti benignamente,
e rinviati cou un plenario giubileo
per tre anni.
L'odio che Lodovico Sforza du-
ca di Milano avea contro Alfon-
so re di Napoli, trasse Carlo Vili
re di Francia in Italia ad invadere
quel regno, mentre Alfonso fece al-
leanza col Papa e coi fiorentini. Le
parti procurarono guadagnar Cate-
rina, che tutto ponderato, e col
consiglio del cardinal Riario, si unì
agli alleati di Alessandro VI; ma
provando già i funesti effetti dei
nemici francesi per sopravvenute
circostanze, a questi e al signore
di Milano suo zio si collegò. Nel
passaggio delle truppe i francesi
videro con risentimento nella piaz-
za di Forlì la memoria della Cro-
cetta, contro Appia loro conna-
zionale, di cui parlammo superior-
mente. I più prudenti opinarono
per la demolizione del monumen-
to, ad evitare futuri affronti, altri
vi si opposero. Intanto nel i49^
si celebrarono le nozze di Astorgio
Manfredi signore di Faenza con
Bianca Riario sorella di Ottaviano,
con molta soddisfazione de' sudditi.
A Tommaso Feo da Savona, Ca-
terina avea dato in successore nel-
la casteilama di Ravaldino il fra-
tello Giacomo, che dicesi segreto
F O II
marito di Caterina, e a sua inchie-
sta crealo conte e barone dal re
di Francia, per cui oltremodo inor-
goglito erasi a molti del popolo
fatto esoso. Or mentre ritornando
in carrozza dalla caccia Caterina ed
Ottaviano, Giacomo li seguiva a
cavallo, quando giunse al ponte dei
Brighieri poi de' Morattini venne
ucciso da Gio. Antonio e Dome-
nico di Ghia imolesi, e da altri se-
guaci. Irritata acerbamente Cate-
rina, ne prese aspra vendetta cogli
uccisori e complici, non perdonan-
dosi per l' estremo rigore neppure
ai fanciulli ; indi fece celebrare a
Giacomo un superbo funerale in s.
Girolamo ov' ebbe sepoltura, ed
erigere una memoria di bronzo,
dicesi coli' opera del celebre scultore
Donatello, nella rocca di R.avaldi-
no, poscia distrutta dai soldati del
duca Valentino. Rallenne alquanto
il risentimento di Caterina 1' an-
nunzio della promozione in arcive-
scovo di Pisa di Cesare Riario suo
figlio, giovane di grandi speranze,
che da pochi mesi erasi ,dato alla
Chiesa, ed il quale con Tommaso
Asti vescovo di Forlì recossi per-
ciò a Roma a ringraziar Alessan-
dro VI. D'ordine di Caterina nel
1496 si cominciò a demolir il pa-
lazzo dalla parte verso s. Gugliel-
mo, luogo ove nella congiura de-
gli Orsi era rimasta prigioniera ,
avendo in orrore l'abitarvi per la
memoria dell'ucciso consorte. Si at-
terrarono pure altre parti, valendosi
dei materiali per la nuova fabbrica
del Revellino, la quale unisce la porta
della citlà alla rocca di Ravaldi-
no ; luogo per la magnificenza e
bellezza da lei chiamato Paradiso,
e che scelse ad abitazione, come più
sicuro ad ogn' incontro ; ma di tal
fabbrica non ve ne sono più vesti-
Fon
già. Dalla parte poi verso oriente
contigua alla cillà, Caterina fece
costruir nell' esterno un parco pel-
le fiere di più di tre miglia di cir-
conferenza, e nel mezzo edificò un
palazzo per 1' estate, dipinto a ver-
zura, con logge, e cinto all'intorno
da un boschetto di cipressi per la
caccia di lepri e caprioli.
Valendosi Caterina del privilegio
accorciato da Federico II ai forlivesi,
di poter battere moneta, ne fece
coniare in argento e in rame a
diverse impronte e valore. In al-
cune delle di lei monete eravi da
un latos. Mercuriale con le parole:
S. MERCURIALE FORL. FROT. ed al 10-
vescio effigiata la fortezza e citta-
della coli' iscrizione : cater. sfor-
tia vicecom. ; altre portavano la
parola forumlivii, ovvero octavia-
nus riar. comes; ed alcune altre
un semplice C con un S a tenore
della grandezza delle monete. Il
Ratti nella part. II, pag. 5r, Del-
la famiglia Sforza, narrando l' e-
ducazione data dalla contessa Ca-
terina ad Ottaviano, massime nel-
la politica e nell'arte della guerra,
dice che mentre Ottaviano eserci-
tavasi nelle armi sotto i fiorentini,
fu coniata una medaglia avente nel
diritto 1' effigie di Ottaviano col
busto armato, ed intorno : octa-
VIAN'US SF. DE EIARI0 FORLIVII, IMO-
iae q. c ., e nel rovescio il me-
desimo a cavallo avente nella de-
stra una spada in atto di guerrie-
ro, e nell' esergo octavius ri. Di
due medaglie poi coniate in onore
della contessa Caterina lo slesso
Ratti ce ne dà la descrizione a
pag. 44- £*e' contagio e carestia
che molti luoghi provarono nel
1496, per la vigilanza di Caterina
poco ne risentirono i sudditi ; ed
a sovvenir le famiglie povere e
FOR 269
vergognose, ella a mezzo del ve-
scovo Tommaso Asti istituì la
congregazione della Carità, e se ne
dichiarò preside. Nel i497 morì
Lodovico Orsi podestà di Camerino,
uno de' congiurati contro Girola-
mo ; ed in Forlì dietro assenso di
Lodovico Sforza e di Ottaviano,
Caterina si rimaritò a Giovanni
da altri chiamato Giordano dei
Medici, commissario de' fiorentini
nel dominio che tenevano in Ro-
magna, però con matrimonio se-
greto, acciocché divulgandosi, se-
condo le leggi non venisse esclusa
dall'amministrazione. Subito n'eb-
be un figlio di nome Lodovico, ma
colto poi Giovanni da grave malat-
tia, spirò nelle braccia di Cateri-
na ; il di lui cadavere dal fratello
Lorenzo si trasferì a Firenze, e
Caterina in Forlì pubblicò il ma-
trimonio, ed assunse la tutela di
Lodovico, facendone malleveria Ot-
taviano con Luffio Numai. Lodovi-
co in memoria del padre si chia-
mò egli pure Giovanni, e divenne
il più valente capitano della casa
Medici, e fu appellato delle bande
nere, Y invincibile^ ed il folgore di
guerra. Da lui e da una Salviati
nacque Cosimo il Grande, e sicco-
me Lorenzo de' Medici detto Lo-
renzino uccise Alessandro primo
duca di Firenze, il quale morì sen-
za lasciar eredi, dal popolo fioren-
tino fu eletto Cosimo I successore
in quel ducato, poscia da s. Pio
V dichiarato e coronato granduca.
Laonde Forlì a buon diritto vanta
che i granduchi di Toscana della
gloriosa casa Medici, derivano da
uno, il quale in essa ebbe i natali.
Proseguiva la guerra con vario
successo tra il duca di Milano e i
fiorentini , contro i veneti , nella
quale ebbe qualche parte Caterina,
270 FOR
che colla sua attività ben presto fece
cessare il micidial contagio del
1499. ^e' seguente anno alleossi
Alessandro VI a Lodovico XII re
Francia, colla condizione che occu-
pato il ducato di Milano, avrebbe
soccorso il suo figlio naturale Ce-
sare Borgia al conquisto di Roma-
gna, per motivo di non essere dai
principi di queste città stati pagati
i censi dovuti alla Chiesa, e per-
ciò aver stabilito scacciameli per
render poi Cesare duca di Roma-
gna, di cui erane questi ambizio-
sissimo. Avendo Caterina appreso
tali maneggi, e vedendosi priva di
appoggi perchè gli affari dello zio
duca dì Milano peggioravano, e
priva dell'appoggio del defunto ma-
rito Giovanni su cui molto contava,
previde la catastrofe che avvenne.
Spedì al Papa in ambasciatore Gio-
vanni dalle Selle, ma non fu rice-
vuto , ricusandosi da Alessandro VI
di ammettere in compenso quanto
Caterina doveva avere dalla Chiesa
in conto degli assegni dovuti a Gi-
rolamo Riario di lei marito, somma
d' assai maggiore al dehito preteso
dai ministri pontifìcii pei censi non
soddisfatti. Conoscendo Caterina es-
sere inevitabile la guerra, volle co-
noscere la volontà del popolo, me-
diante un'allocuzione pronunziata
dai figlio Ottaviano, che tutti li
esortò alla difesa. Indi pose mano
a fortificar la città ne' luoghi più
deboli, lavorandovi lo stesso Otla-
viano, il quale esplorò eziandio l'a-
nimo degl' imolesi, e ad assicurarsi
vieppiù dell' amore della plebe tolse
il dazio della macina e delle car-
ni. Fecesi la rassegna di tutte le
truppe, distribuissi al popolo co-
razze, elmi e lande, e si fece prov-
visioni di viveri, sovvenendo Cate-
rina chi mancava de' mezzi, ed ella
FOR
in persona assisteva all' opera delle
fortificazioni. Pose idonee persone
nelle rocche, e alla difesa ile' luo-
ghi de'Riari, e fece molte altre co-
se che lungo sarebbe il narrare.
Cesare Borgia duca Valentino,
partitosi dallo stato di Milano oc-
cupato dai francesi, con trecento
lande sotto il comando d' Ivone
Allegri o Allegre, quattro mila sviz-
zeri sotto il bali di Digiuno, ed al-
tre genti componenti un esercito
di dieci mila fanti e tre mila ca-
valli, venne in Romagna, ove per la
prima assediò Imola, la quale pel-
le dispari forze presto si rese, e la
fortezza rovinata dalle artiglierie
si diede, salve le persone e le ro-
be, al Valentino. La caduta di que-
sta piazza trasse seco quella delle
altre da essa dipendenti, per cui Ca-
terina che in Firenze avea già posti
in sicuro gli altri figli e gli effetti più
preziosi, mandò colà anche Ottavia-
no, ed ella ritiratasi nella rocca, la-
sciò il conte Alessandro Sforza (suo
fratello ed uno de'naturali di Galeaz-
zo Maria Sforza ) ad intendersela
coi cittadini, ed a scuoprirne l'ulti-
ma loro intenzione, capo de' quali
era allora Nicolò Tornielli. Questi
alla presenza degli anziani e prin-
cipali della città descrisse i spro-
porzionati mezzi di difesa della città
contro nemico sì poderoso, sebbene
si avesse coraggio di tentar l' e-
stremo di loro forze per serbar il
dominio in potere de'Riari ; né fi-
darsi delle soldatesche, sì perchè
composte di molti francesi, sì per
aver altri contrastato col popolo
per la loro militare licenza, e che
faceva d'uopo consultare anche il
consiglio de' quaranta. Alessandro
riferì tutto a Caterina, che ben
comprese non potersi sostener la
città, per cui volse l'animo a cu-
FOR
stcnliie la sola fortezza di Ravaldi-
110. Intanto i cittadini si decisero
per la volontaria dedizione ed in-
viarono al Valentino il vescovo Asti
e Giovanni dalle Selle, e il duca
ne fece prendere possesso in suo
nome da Ercole Benlivogli, Achille
Tiberti da Cesena, e Bernardino
di Ghia imolese con alquanti ca-
valli. Ad annunzio di tal sorta Ca-
terina prese a bersagliare la città
non 1' artiglierie ; quindi a' i 7 de-
cembre 1 499 Cesare Borgia pre-
ceduto dall' esèrcito entrò in Forlì
per la porta s. Pietro. Era arma-
to e cavalcava generoso destriero,
una gran . piuma candida gli sor-
montava la berretta; stringeva nel-
la destra sguainalo lo stocco, ed
uno il precedeva col vessillo spie-
gato della Chiesa. L'armata venne
ripartita per la città con grave in-
comodo de' cittadini, ed egli prese
alloggio in casa di LulFo IVurnai.
Prontamente incominciarono le
soverchierie de' soldati, saccheggian-
do le ^ptteghe intorno alla piazza,
e distruggendosi dai francesi attor-
no alla Crocetta le memorie del
trionfo contro di essi riportato ver-
so la fine del secolo XIII. Molti
cittadini furono maltrattati, tutti
disarmati, e presa la rocca di Schia-
vonia il Valentino si accinse a bat-
tere l'altra, non essendo giovate le
lusinge colle quali aveva invitato
Caterina a cederla, lusinghe che
non meritavano fidanza per la no-
ta mala fede di quel fortuna-
to duca. Piantò sulla chiesa di san
Giovanni Battista una batteria di
sette cannoni e dieci falconetti con-
tro il Revellino del Paradiso, ma
non se ne fece uso, succedendo una
sospensione d' armi. Entrato l'anno
i5oo il Valentino fece piantare al-
tra batteria contro la cortina del-
FOR 271
la rocca dalla parte esterna della
città, che fu sì gagliarda che diroc-
cò gran parte del muro i cui rot-
tami riempirono il fosso ; laonde
ad onta dell' incredibile diligenza
di Caterina, dopo lungo contrasto
entrarono dentro i soldati del Va-
lentino, che inoltre fece circondar
la rocca di cavalleria a debita di-
stanza. I difensori tentarono ripa-
rare nella cittadella, ma nella con-
fusione alla rinfusa vi entrò pure
il nemico, mentre il castellano dan-
do fuoco alla polvere ne fece stra-
ge. Caterina rifugiossi nella torre
da quella parte chiamata Inferno,
allorché uno delle lancie del bali
di Digiuno la fece prigioniera in
un alle sue donne a' 12 gennaio,
giorno memorabile anche per la
morte di diversi prodi cittadini, ve-
nendo tagliata a pezzi tutta 1' in-
fanteria; tra i prigionieri sono a
nominarsi Scipione figlio naturale
del conte Girolamo, Giovanni da
Casale castellano, il conte Alessan-
dro Sforza, e diversi nobili forli-
vesi, tutti riscattati con somme vi-
stose. Dalla parte del Valentino
morirono circa cinquecento soldati,
ed altrettanti feriti; tra le persone
di conto vi perderono la vita Fer-
nando dalla Maida portoghese se-
polto nella cattedrale con pompa
solenne, Perotino da Crevalcore
francese, e Giovanni Piccinino, che
ebbero sepoltura nella chiesa del
Carmine. Caterina in mezzo al du-
ca, ed all' Allegri fu condotta iu
casa Numai, e la rocca di Forlim-
popoli cedette, quando il castellano
seppe caduta quella di Ravaldino.
Indi il duca confermò il consiglio
de'quaranta, a condizione che aves-
sero a cambiarsi annualmente, e
dispose che l' antico magistrato col
nome d'anziani sussistesse iu uu-
272 FOR
moro di dodici, che dovessero du-
rare in carica un anno ; e questa
adunanza e magistrato rivesti di
supremo potere negli affari riguar-
danti il pubblico, i cui individui
prestarono in mano al Valentino
il consueto giuramento di fedeltà,
ed a tal effetto spedirono in Roma
ad Alessandro VI in ambasceria
Gaspare Moratlini, Lodovico Or-
ceoli, Giovanni dalle Selle, e Ber-
nardino Paulucci.
Intanto il bali di Digiuno tolse di
notte all'impensata Caterina dalle
mani del Valentino, dicendo a lui
appartenergli perchè arrestata da un
suo soldato, aver essa detto arren-
dersi prigioniera ai francesi e loro
re, e non convenir il carcere a da-
ma di tanta onoranza, e vietarlo le
leggi di Francia. Altamente ne re-
stò adontato il Valentino, a segno
di ordinare agl'italiani e spagnuo-
li del suo esercito di vendicarne l'af-
fronto, ed altrettanto essendosi fat-
to da' francesi, si schierarono tutti
sulla piazza in ordinanza guerresca.
Mentre i cittadini trepidavano sul-
le conseguenze dell'avvenimento, da
Forlimpopoli sopraggiunse l'Allegri,
e seppe sì destramente operare, che
il bali fu contento avesse il Valen-
tino a ritener Caterina sinché la
chiedesse il re di Francia, e che
quindi la rimettesse al Papa. In fat-
ti per la legge in favore delle don-
ne vigente allora in Francia, men-
tre l'Allegri passò per Roma per
l'impresa di Napoli, ne ottenne co-
me diremo la liberazione, facendo-
ne istanza a nome del re Lodovi-
co XII. Il duca allora, lasciando
governatore della città Ramiro del-
l'Orca spagnuolo, castellano di Ra-
valdino Cousai vo Mirafonte, ed Er-
cole Bentivogli in custodia del pae-
se, s'avviò alla conquista di Pesa-
FOR
ro. Saputosi peiò che Lodovico Sfor-
za marciava per la ricupera di Mi-
lano co' rinforzi di Germania, il re
di Francia richiamò la sua arma-
ta in Lombardia, laonde il Valen-
tino prese la via di Roma, ove a
guisa di trionfo seco menò Cateri-
na avvinta con catene d'oro, pre-
giandosi egli d'aver soggiogata que-
sta rara donna più che qualunque
altro temuto guerriero. Fecela cu-
stodire nel Vaticano dalla parte di
Belvedere, forse nella torre Borgia
fatta edificare da Alessandro VI, ma
avendo tentato di fuggire corrom-
pendo la guardia, il Papa ordinò
che si trasportasse in Castel s. An-
gelo ed ivi fosse strettamente cu-
stodita, finché nel t5o2, per volere
del monarca francese, dopo dieciol-
to mesi, a' 26 giugno venne riposta
in libertà , ottenuta la quale si ri-
tirò a Firenze ov'erano i di lei fi-
gli, dandosi interamente alla pietà;
ed ivi nel 1 509, non a' 24 ma a
29 maggio, terminò la vita, e ven-
ne sepolta nella chiesa dell^ mona-
che benedettine, tra le quali da
qualche tempo viveva in ritiro. Non
sussiste che Caterina avesse tentato
avvelenare il Papa a mezzo d'una
lettera, e nel forgiai il processo si
scuoprì la falsità dell'accusa.
Il Ratti succitato, a pag. 35 e
seg., riporta la biografia di Cateri-
na Sforza con molte notizie riguar-
danti la nobile famiglia Riario. Que-
sta gran donna sorprendente per
bellezza, senno, eloquenza, virtù e
valore guerriero, è paragonata a
Marzia moglie di Francesco Orde-
laffo il grande, anzi se non nel do-
minio, almeno nella prodezza un'al-
tra Semiramide e Zenobia . Dei
di lei figli avuti dal conte Girola-
mo Riario, Ottaviano dopo la mor-
te d'Isotta Benlivoglio sua moglie,
FOR
dalla quale non ebbe successione,
abbracciò la vita ecclesiastica, e nel
i5o8 da Giulio II fu fatto vesco-
vo di Viterbo, pei* cessione fattane
dal cardinal Raffaele Riario; inter-
venne al concilio generale latera-
nense V, e governò saviamente quel-
la chiesa sino al i522, epoca di
sua morte. Cesare oltre l'arcivesco-
vato di Pisa summentovato, fu fat-
to patriarca di Alessandria, e nel
i5i8 sotto Leone X dalla prima
chiesa per cessione del cardinal Ria-
rio passò al vescovato di Malaga ;
mori in Padova e restò sepolto nel
convento de' frati di s. Antonio.
Bianca come si disse sposò il signore
di Faenza. Per non dire degli altri,
che superiormente nominammo, Ga-
leazzo tenuto al sagro fonte dagli
ambasciatori del duca d'Urbino, di
Lorenzo de' Medici, e del signore
di Carpi (avendo avuto l'onore di
recarlo alla chiesa di s. Mercuriale
il nobile forlivese Sigismondo Erco-
lani) continuò l'illustre discenden-
za della famiglia Riario, che fiorì
nei duchi Riario-Sforza senatori di
Bologna, e al presente, essendosi
la famiglia trasferita a Napoli, nei
principi napolitani, dal primogenito
de'quali oltre il titolo di duca, si
porta il titolo di marchese di Cor-
leto feudo della famiglia. In Bolo-
gna i Riari ebbero due palazzi, uno
ornato di belli fregi in terra cotta,
nella strada s. Donato, oggi de' con-
ti Scarselli; l'altro che fu già dei
Loiani nella strada maggiore, ador-
no di un bel fregio dipinto da Gio.
Battista Cremonini colle gesta di
Riario-Sforza, poi rimodernato a
spese del conte Aldini, ora possedu-
to da Donzelli. Di questa cospicua
prosapia Riario-Sforza, in Roma
sono il cardinal Tommaso Riario-
Sforza, primo dell'ordine de'dia-
vot. xxr.
FOR 273
coni, da Pio Vili fatto legato
di Forlì, e dal regnante Pontefi-
ce Gregorio XVI prima dichiara-
to legato di Urbino e Pesaro, e poi
camerlengo di s. Chiesa; e monsi-
gnor Sisto Riario-Sforza nipote del
cardinale, dal medesimo Pontefice
promosso a suo cameriere segreto
partecipante, e segretario d'amba-
sciata, non che canonico della ba-
silica vaticana. V. Rovere Fami-
glia, dalla quale uscirono Sisto IV
e il suo nipote Giulio II; e il Bur-
niel, Vita di Caterina Sforza- Ria-
rio contessa d' Imola e signora di
Forti, Bologna 1793 in tre tomi.
Ritornando agli ambasciatoli for-
livesi che partirono per Roma,
quivi resero ubbidienza ad Ales-
sandro VI, venendo accolti con di-
stinzione ed onore, ottenendo la
conferma de' soliti privilegi della
città, di cui e delle altre che te-
neva in Romagna il Papa nel me-
desimo anno i5oo ne creò duca
Io stesso Cesare Borgia romano,
duca del Valentinois in Francia,
già cardinale. Indi portossi in Ro-
magna un commissario a pubbli-
care tale investitura, ed insieme a
recare ai forlivesi il breve ponti-
fìcio delle grazie ed esenzioni ac-
cordate; cioè l'estinzione di alcu-
ne gabelle, tra le quali le tasse
dei cavalli pe' villici, ed il pedag-
gio del tragitto del Ronco devolu-
to alla comunità a motivo di ri-
costruirvi il ponte, durando allora
quello di Schiavonia sul Montone.
Dipoi in nome di Cesare, Baldas-
sare Morattini prese possesso di
Sarsina, Meldola, e castelli adia-
centi consegnatigli da Pandolfo Ma-
latesta pel prezzo di cinque mila
scudi; e Roberto Bancini commis-
sario del medesimo Cesare, prese
quello della rocca di Rimini per
18
2?4 F°R
due mila cinquecento ducati. Nel
i5oi il duca s'insignorì di Faenza,
e godendo quindi momentanea quie-
te la Romagna sotto un , solo prin-
cipe , nel 1 5o2 passò per Forlì
Lucrezia Borgia sorella di Cesare,
che andava in Fei'rara sposa ad
Alfonso d' Este, primogenito del
duca Ercole I: fu incontrata da
tutte le truppe comandate da Fran-
cesco Pontiroli, e da cento zitelle
vestite a bianco e paonazzo, con
un drappello di dame riccamente
abbigliate. Intanto nell'agosto i5o3,
come dicemmo agli articoli Ales-
sandro VI , e Borgia famiglia
[Vedi), venne ecclissata la grandez-
za di Cesare per la grave malat-
tia di questo , e per la» morte del
Papa; laonde in sede vacante su-
bito gli Orsini e i Colonnesi riac-
quistarono il toltogli da Cesare ,
serbandosi fedele la Romagna, co-
noscendo vantaggioso il suo domi-
nio. Tuttavolta il duca ordinò al
suo luogotenente Diagomiro spa-
gnuolo, d'imprigionare alcuni prin-
cipali forlivesi per sicurezza del-
la città ; e già Antonio Ordelaffi.
ancor vivente, col favore de'veneti
aspirava dì ritornar al dominio,
come avea fatto in Rimini Pandol-
fo Malatesta.
Assunto al pontificato Pio III, se
non del tutto favorevole a Cesare
non eragli interamente contrario;
ma l'alleanza convenuta tra i vene-
ziani, spagnuoli, Colonnesi, Orsini,
Savelli, ed altri diede l'ultimo crol-
lo al vacillante dominio del duca,
compiendosi la sedizione quando
i baroni romani fugando le trup-
pe di Cesare, costrinsero questi a
rifugiarsi con beneplacito del Pa-
pa in Castel s. Angelo. Cesena ri-
tornò alla Chiesa, restando al du-
ca la rocca; Faenza fu occupata
FOR
dai veneziani ; Pesaro chiamò Gio-
vanni Sforza; Imola nella perples-
sità di darsi alla Chiesa, o di ri-
chiamare i Riari, non prese alcu-
na risoluzione; ma in Forlì, avutasi
con astuzia la rocca di Schiavonia
dal Palmeggiani a nome dell' Or-
delaffi, venne tosto dai fautori di
questa famiglia acclamato il nome
di Antonio, il quale non fidandosi
dei veneti, col soccorso de'fiorentim
trovavasi a Castrocaro; per cui en-
trò in Forlì a' 22 ottobre, fulmi-
nando col cannone sì la rocca di
Ravaldino che la città, con danno
enorme degli edifizi. Dal popolo
si prestò ad Antonio il consueto
giuramento nella cattedrale, dopo
di che creò suo capitano generale
Nanni Morattini, e richiamò Lo-
dovico suo fratello illegittimo da
Ghiaradadda , eh' era al servigio
della repubblica di Venezia. Alle
trincere intorno della rocca ala-
cremente si lavorava sotto la di-,
rezione di Girolamo Albicini é
Paolo Guarini, per rendere sicuro
da quella parte il paese, quando
per sospetto 1' Ordelaffi licenziò le
truppe fioi'entine. Dopo ventisei
giorni di pontificato morì Pio III,
a cui passati dodici giorni gli fu
dato in successore Giulio li. A
questi Antonio spedì per amba-
sciatori Nicolò Tornielli , e Gio-
vanni dalle Selle, onde impetrare
la conferma della paterna inve-
stitura. Ed è perciò che in Roma-
gna al duca Valentino non resta-
vano che le rocche di Forlì, Ce-
sena, Bcrtinoro e Forlimpopoli, la
quale ultima indi a poco dal ca-
stellano venne per ottocento scudi
consegnata all' Ordelaffi. Tornati
gli ambasciatori riferirono che Giu-
lio II avea risposto, come non
potendo l'Ordelaffi tenersi sicuro del
FOR
domìnio prima d' aver la rocca ,
non poter egli per conseguenza con-
fermarvelo. Essendo Berto di Gia-
como Orioli tesoriere del Valentino,
sospetto ad Antonio, ed essendo
fuggito, questi ne fece saccheggiar
le case.
Frattanto l' Ordelaffi patteggiò
per quindicimila scudi con Consal-
vo Miratònte castellano di Raval-
dino la cessione della piazza, quan-
do Antonio preso da grave infer-
mità, con universale cordoglio mo-
ri a' 6 gennaio i5o4, e^ ebbe se-
poltura nella canonica del duomo.
Terminati i funerali gli animi dei
cittadini erano incerti a chi avesse
a devolversi la signoria : i Mo rat-
tini e loro seguaci si dichiararono
per l'illegittimo Lodovico Ordelaf-
fi, che subito corse in città; i Nu-
mai armata mano co' loro aderenti
vi si opposero, ma arrestati e con-
dotti nella rocca di Forlimpopoli ,
le loro case furono saccheggiate,
incominciando così una terribile
guerra civile, che fu quasi lo ster-
minio di Forlì. Divenuto principe
Lodovico ordinò la liberazione dei
prigioni, e la restituzione del tolto,
per cattivarsi famiglie sì potenti, e
mentre da lui cumu lavasi il dena-
ro per la resa della rocca , si co-
nobbe che Cesare Borgia era stato
mandato prigione in lspagna, mo-
rendo poscia in Navarra , e che
Giulio II procedeva alla ricupera
di Romagna. Quindi gì' imolesi si
dierono ai ministri pontificii , fa-
cendo il simile que' di Forlimpo-
poli, meno la rocca custodita da
Bartolomeo Ercolani fratello uteri-
no dell'Ordelaffi. Il Papa spedì sul
Forlivese con truppe Guidobaldo
duca d' Urbino, il quale danneggiò
molti villaggi, scaramucciò con vari
cittadini, tra' quali insorsero molte
FOR 27$
discordie. Gli Orsi temendo non
tornasse la città a ricadere sotto i
Riari, si opposero al partito eccle-
siastico, e con Lodovico, che non
si conosceva da tanto per difen-
dere Forlì, proponevano accostarsi
ai veneti allora potenti in Roma-
gna ; dai Fiorini si parteggiava per
la Chiesa ; i Morattini e i Teo-
doli esortavano il popolo in favo-
re d' Ordelaffi. In questo tempo
tratto in inganno l' Ercolani con-
segnò a monsignor Giovanni arci-
vescovo di Ragusi e legato del Papa
la rocca di Forlimpopoli, al cui
esempio Nicolò Teodoli cede Pie-
tra d'Appio, per cui in Forlì mol-
to soffrì la di lui casa. Avvicinan-
dosi le milizie pontificie, e ricu-
sando i veneziani ricevere l'offerta
città. Lodovico Ordelaffi per non
irritar di più Giulio II lasciò in
loro balia i forlivesi, che spediro-
no due oratoli al legato, col qua-
le capitolarono la resa, riservando
all' Ordelaffi alcune pensioni per
sostentamento di Lodovico. Allora
questi diede l'estremo addio alla
città di Forlì posseduta sì lunga-
mente dai suoi maggiori ; casa no-
bile, illustre e di grande splendore
al paese, che ne pianse la perdita,
stabilendosi poscia i discendenti in
Pesaro ed in Mantova.
Dopo la partenza dell' Ordelaffi,
i Morattini percorsero la città per
la Chiesa, il cvii vessillo venne dis-
piegato alle finestre del pubblico
palazzo, e nell'avviciuarsi di mon-
signor legato a prenderne il pos-
sesso, furono ad incontrarlo il cle-
ro e i conservatori. Intanto a' 6
aprile verso le ore ig insorse in
città grave sconvolgimento , pro-
dotto dal temersi da alcuni che il
legato colla comitiva alloggiasse a
descrizione, o che il dominio da
276 FOR
lui si prendesse non per la santa
Sede, ma per consegnarlo ai Ria-
ri. Raccontavano i tumultuanti cer-
te pretese convenzioni tra il Pa-
pa, e i cardinali Ascanio Sforza e
Raffaele Riario, credute per vere
dal popolo, per cui i nemici dei
Riari, ed i fautori degli Ordelaf-
fi pubblicamente se ne lagnavano,
preferendo i secondi dopo il Pon-
tefice. Il legato impose ai capi tran-
quillarsi, e replicalamente assicurò
tutti prendere la città esclusiva-
mente per la romana Chiesa, cioc-
ché attestò pure il commissario a-
postolico. Gridandosi pertanto con
evviva il nome della Chiesa, il le-
gato entrò in compagnia di Gio-
vanni Sassatelli, e Ramazzotto ca-
pitani pontificii, ricevè alla porta
le chiavi della città, ed alla porta
del palazzo fu piantata la di lui
bandiera; e compita nella catte-
drale l' ultima cerimonia, si recò
ad abitar in casa Numai. Indi il
legato per quindicimila ducati ot-
tenne la consegna della cittadella e
rocca di Ravaldino, dal castellano
Consalvo : in tal guisa la città di
Forlì tornò sotto il benigno regi-
me della Chiesa, e non ne fu sot-
tratta che al declinar del decorso
secolo , e al principio del corren-
te per alcuni anni , e per po-
chi giorni nella nota insurrezione
del i83i. Subito il legato si ap-
plicò agli affari governativi, ed alla
riforma del paese, compiacendo il
popolo che amava essere governa-
to come a' tempi del cardinal Al-
bornoz, ed adunossi il gran consi-
glio presso di lui, che poi si sciol-
se quando Giulio II lo accrebbe e
confermò nel i5o8, poi riformato
nel 1 5 1 3 ; indi si estrassero in con-
servatori Baldi per capo, Micheli-
na Neri, Tornielli , Denti, e Car-
FOR
pentieri, e si divenne alla scelta
degli altri ufficiali del comune. Il
nuovo magistrato civico fece il so-
lenne ingresso, preceduto giusta il
costume da una guardia d'alabar-
dieri in uniforme, da molti don-
zelli in livrea , e da alcuni che
portavano mazze d'argento, a guisa
de'fasci consolari tenuti dagli an-
tichi littori ; avevano inoltre vari
gonfaloni, trombettieri, ed altro.
A Giulio II si diressero amba-
sciatori Morattini, Bici, Xelio, e
Sassi, i quali riportarono la con-
ferma de' convenuti capitoli, e va-
ine esenzioni, cioè che appartenesse
alla città il terminar le prime e
seconde cause d'appello, reclami,
nullità ec, e le seconde ed ultime
al governatore o suo luogotenente
prò tempore, il qual governatore
deputato dal Pontefice avesse ad
essere prelato, e si stipendiasse dal-
la camera apostolica; che la città
e contado fossero esenti da qualsi-
voglia dazio e gabella, vale a dire
di macina, bocche, ponti, doti, di-
visioni, e di tutto altro di vitto e
vestito, e liberi pure dalle tasse ec;
che gli altri dazi e gabelle di
inoliti di navi , trasporto di robe
e merci, ed altri proventi soliti ad
esigersi dalla città a questa pure
appartenessero : al comune poi la
macelleria, il danno dato, e la balìa;
che i contadini non venissero gra-
vati d'alloggi militari ; che al co-
mune fosse devoluta la metà d'o-
gni condanna sì in città, che nel
distretto ; facendosi pure allo stes-
so comune donazione di tutti i be-
ni e stabili già posseduti dai ces-
sati dominatori, per non dire di al-
tre esenzioni : fra i detti stabili ven-
ne compreso il palazzo comunale,
come ricavasi dalla bolla di Gii
lio II, data li 25 giugno i5o4.
FOR
ftel resto la città sarebbe tenuta
pagar annualmente alla camera a*
postolica mille fiorini d'oro in quat-
tro rate, il tutto rilevandosi dalla
suddetta bolla di Giulio 11, la cui
copia s'inserì nello statuto della cit-
tà. Solo non accordò il Papa che
Forlimpopoli fosse giurisdizione e di-
stretto forlivese, né com'era di stile
precedente , gli si potesse mandare
il pretore, mentre il volle immedia-
tamente soggetto alla santa Sede.
Concesse però ai forlivesi .per det-
ta terra, e dal suo territorio il
transito ed estrazione delle derra-
te senza pagamento di gabelle. As-
sodatosi in Forlì il dominio eccle-
siastico, i cittadini cui pei continui
cambiamenti mancava il travaglio,
e la presenza insieme del principe
di massimo freno, e governati in
vece dai soli ministri che rinnova-
vansi frequentemente, presero a su-
scitare le primiere adesioni di par-
tito, e queste fomentate da sdegno
d'alcune famiglie principali, conse-
guenza de' precedenti avvenimenti,
che non è nostro proposito ripor-
tare, benché diremo che talora si
usò anche le artiglierie, il barricare
le strade, il saccheggio , lo spiana-
mento di case, proditorie uccisioni
ed altri lagrimevoli orrori ; come
ancora i diversi furibondi partiti
facevano leghe con intere nume-
rose famiglie, col nome di confra-
ternita, con giuramenti, solennità,
rogiti notarili, lambendo il sangue
degli uni e degli altri, che face-
vano stillar dalle loro braccia. E
siccome i magistrati facevano de-
molir le case di quelli che aveva-
no diroccate le altrui , e la città
vedevasi in procinto di rimaner de-
serta, alcuni neutrali e saggi cit-
tadini eressero poscia il collegio
de' Pacifici per arrecarvi provve-
FOR 2-7
dimento, e fu salutare e gloriosa
istituzione.
Continuando Giulio II a ricu-
perare le ragioni della Chiesa, e
quanto ad essa era stato usurpato,
a togliere Bologna ai Bentivogli
con un esercito si parti da Roma
a' 2 3 agosto i5o6: per Cesena e
Forlimpopoli giunse a Forlì con
ventiquattro cardinali, molti signo-
ri e prelati. Venne solennissima-
mente incontrato ed ebbe presenti
ricchissimi dal pubblico, ferman-
dosi nella città circa quindici gior-
ni, essendo ivi visitato da molti
principi ed ambasciatori di vari
potentati ; il Papa fece al suo co-
spetto convocare i principali par-
tigiani, e confermar le paci delle
sanguinose e tremende discordie
che poc'anzi erano state sopite da
monsignor Traiano Bertoni di Je-
si, vescovo d'Asti e governatore di
Forlì, tra i Morattini, Numai e
loro numerosi e potenti seguaci.
Intesa ch'ebbe Giulio II la fuga
di Giovanni Bentivoglio, lasciò Forlì,
e per Imola entrò in Bologna ai
i o novembre , da dove ne partì,
a' 20 o 22 febbraio i5o7. In que-
sto ritorno Giulio II visitò la chie-
sa di s. Maria delle Grazie in For-
no nel territorio forlivese, tratte-
nendosi alcuni giorni nel contiguo
convento, per cui ivi fu eretta una
memoria, e la sua effigie fu posta
presso la porta della cappella mag-
giore. E perchè poi temeva che i
cittadini di diversa opinione, giac-
ché i nomi e le tendenze de'guelfi
e ghibellini tuttora duravano, col
frequente conversare ritornassero a
turbar la pubblica quiete, Giulio
li ordinò principalmente ai Numai
ed ai Morattini, che si allontanas-
sero dalla patria, laonde dieronsi al
mestiere delle armi, e divennero
278 FOK
eccellenti soldati. Giulio II intimò
pure una nuova erezione del gran
consiglio , in centotredici senatori,
individui di scelte famiglie allora
fuoruscite. Oltre al gran consiglio
per grazia speciale ebbe Forlì an-
che il consiglio detto segreto, per-
chè scelto dal primo di molti se-
natori, per trattar i pubblici affa-
ri. Frattanto il Pontefice entrato
nella lega di Cambrai formata
contro i veneziani, non mancò di
usare le armi spirituali e tempo-
rali per indurli a lasciare quanto
in Romagna tenevano della Chie-
sa; indi da Francesco Maria della
Rovere duca d'Urbino, generale e
nipote del Papa, que' luoghi ven-
nero assaliti, e in breve nella mag-
gior parte ricuperati , e gli altri
avuti a legittimo diritto di guerra.
Ma poscia come padre comune
Giulio li si ritirò dalla lega e pa-
cificossi coi veneti ; mentre per giu-
ste ragioni mosse guerra al duca
di Ferrara, ed acciocché procedes-
se con energia, volle il Pontefice
assistervi di persona, facendo ri-
torno in Romagna con quattordici
cardinali nel 1 5 1 o ; e dopo essersi
per alcun tempo fermato a Forlì,
sul finir di settembre passò a Bolo-
gna, figurando ne' suoi eserciti alcuni
valorosi forlivesi; altri de'quali Giulio
Une promosse, come un Morattini a
vescovo di Bertinoro, ed un Teodoli
in arcivescovo di Cosenza, ma que-
sti, come diversi di sua rispettabile
famiglia, essendo ghibellino, non fu
più creato cardinale com'erasi sta-
bilito da Clemente VII.
Per le accennate guerre, in cui
presero parte spagnuoli e francesi,
soffrì la Romagna non pochi gua-
sti, anzi dopo la famosa battaglia
di Ravenna in cui ebbero la peg-
gio i pontificii, per evitare la pro-
FOR
pria rovina, tranne le rocche di
Forlì ed Imola si arrese al nemi-
co, ed ai cardinali ribelli ch'eransi
adunati in conciliabolo a Pisa. Ta-
li sconvolgimenti porsero occasione
in Forlì ad alcuni fuorusciti di ten-
tare delle novità a pregiudizio del-
la pubblica quiete, e a danno dei
Morattini ed altri guelfi , i quali
con uccisioni resero la pariglia ai
ghibellini. Assunto al pontificato
nel i5i3LeoneX, questi prescris-
se a monsignor Girolamo Campeg-
gi governatore di Forlì la riforma
del gran consiglio , il quale elesse
sedici idonei cittadini che lo ri-
formarono. Ordinò pure il Papa ,
mediante Lorenzo de' Medici , che
di nuovo dovessero pacificarsi i Nu-
mai coi Morattini , paci che ven-
nero stabilite in Castel s. Angelo,
in presenza di Leone X, a' 7 lu-
glio, indi ratificate e confermate in
Forlì dinanzi a monsignor Nicolò
Pandolfini vescovo di Pistoia, pre-
sidente di Romagna e governato-
re di Forlì, nel pubblico palazzo.
Siffatte concordie non ebbero dura-
ta, ed in seguito si tornò alle inimi-
cizie, uccisioni, stragi e saccheggia -
menti, e ad ogni genere di turbo-
lenze, incendi, ec, ad onta dell'au-
torevole interposizione de'presidi che
talvolta furono rimossi per le bri-
ghe cittadine. Nel 1 5 1 6 non con-
tento Antonio di Giovanni Sassi di
aver ucciso il bargello perchè vo-
leva arrestarlo, d'ordine del presi-
dente e vicelegato di Romagna mon-
signor Alessandro vescovo alessan-
drino, tolse a questi e a tre di sua
famiglia la vita, volendosi ricuo-
prir il misfatto come effetto di ge-
losia. Ammutinato giustamente il
popolo per sì enorme e inaudite
attentalo, il Sassi e correi fuggiro-
no, venendo spedito per nuovo pre-
FOR
fidente monsignor Bernardo de' Ros-
si da Parma, essendo governatore
di Forlì monsignor Antonio de' San-
ti. Rallentate le ostilità per l'esilio
volontario di molti cittadini, come
partecipi della mentovata catastro-
fe, la quiete al solito ebbe corta
durata. Morì nel 1 5i i Lepue X
con dolore de' forlivesi da lui bene-
ficati, che al successore Adriano VI
inviarono tre oratori, che furono
fregiati de' privilegi con la confer-
ma delle grazie accordate .dai pre-
decessori ; indi nel i523 incomin-
ciarono le zuffe colla peggio de'Mo-
rattini, e perciò del partito guelfo,
restando uccisi sessanta di quel par-
tito nella prima baruffa , giocan-
dosi a piastrelle colle teste mozza-
te, e demolendosi più di quaranta
case con dolore di Clemente VII
che deputò presidente in Romagna
Francesco Guicciardini. Fatti al so-
lito i processi vennero restituiti i
fuorusciti guelfi, esiliati e morti
molti ghibellini , e spianato il pa-
lazzo Teodoli edificato di recente
con superba munificenza presso s.
Domenico ; sulle cui vestigie i su-
perstiti Teodoli fabbricarono alcu-
ne case , essendo stato dato il re-
sto agli agostiniani , a' quali tal
famiglia fu larga di beneficenze ,
e poscia fu trapiantata in Roma
ove fiorisce, esseudo da essa usci-
ti Alberto, Gregorio, e Mario Teo-
doli degnissimi' cardinali, ed altri
chiari personaggi.
Clemente VII non solo confer-
mò i privilegi de' forlivesi , gli sta-
tuti ed ordini, ma pure il collegio
de' dottori, concedendo al monte
di pietà le prerogative che gode-
vano altri primari. Nel i527 re-
candosi a guerreggiare contro Roma
il coutestabile di Borbone, Forlì
ne scampò le conseguenze per la
FOR 279
moderazione del forlivese Andrea
Serughi capitano nell'esercito ne-
mico ; ma Meldola andò saccheg-
giata. Roma come ognun sa vide
morto al primo assalto il Borbone,
ma poi fu vittima del più barba-
ro spogliamento, come delle più
crudeli barbarie, colla prigionia del
Pontefice. Acquistò la libertà sot-
to diverse dure condizioni , fra le
quali la consegna a Carlo V di
Ostia, Civitavecchia, Civitacastella-
na, e la rocca di Forlì. A Paolo
III i forlivesi spedirono i consueti
ambasciatori , e il conte Antonello
Zampeschi nel i535 permutò s. Ar-
cangelo con Forlimpopoli , col di
più di dieci mila scudi, sposando-
si in Roma con Lucrezia Conti.
Dopo il i53g avendo i guelfi Pau-
lucci ucciso Francesco Teodoli pro-
de capitano, e Nicolò Bruni, resta-
rono morti due di loro, cui segui-
rono carnificine tra i partigiani ;
ciò mosse nel seguente anno, in-
coraggiti dallo zelo del presidente
monsignor Giovanni Guidiccioni ,
diversi saggi cittadini all'istituzione
del celebre e benemerito collegio
de' novanta Pacifici, di cui era of-
ficio sedar le discordie, conservare
in tranquillità il paese , alla circo-
stanza frapporsi colle armi* a ter-
minar litigi, e tener lungi dalla pa-
tria i sediziosi. A tal effetto for-
marono un corpo di cinquecento
soldati , che al tocco della campa-
na a martello dovevano con l' ar-
mi accorrere ove li chiamasse il bi-
sogno, e secondo i comandi ; si de-
stinò inoltre al palazzo una guar-
dia perenne d'uomini forlivesi, che
in divisa e con alabarde precede-
vano il governatore e il magistra-
to quando uscivano in forma pub-
blica. Il capo del collegio si eleg-
geva ogni due mesi col nome di
a8o FOR
priore, ed il comune assegnò all' i-
stituto molti slabili ed entrate, e gli
ailidò le mura e porte della città,
abbandonandosi alle sue paterne
cure. I Pontefici fecero frequenti
encomi a sì santa assemblea, e
Paolo III nel transitar che fece per
F01T1 nel 1 54 « volle esser chiama-
to del numero; albergò nella loro
residenza, concesse alla chiesa mol-
te indulgenze, e privilegi e grazie
ai Pacifici. La pace da tanto tem-
po sbandita in Forlì, si riacquistò
per sì avventurosa istituzione che
venne imitata con eguale vantag-
gio da Ravenna ed altri luoghi vi-
cini. Dopo la fondazione del col-
legio Forlì fiori vieppiù per dovi-
zie, popolazione, edilizi e uomini
illustri in lettere ed armi, essendo
divenuto Bello Belli castellano di
Castel s. Angelo di Giulio III , e
Matteo Aleotti maestro di campo
di Paolo IV, ed altri al servigio di
possenti monarchi.
Neil' aprile i5/\.t i beni tut-
ti degli spedali delle confraternite
dette de' battuti, vennero uniti ed
assegnati all' ospedale della casa di
Dio, in cui oltre la cura degl' in-
fermi vi si allevavano gli esposti ;
si conservò lo spedale di s. Pietro
de' battuti bigi per albergo ai pel-
legrini , ove alloggiavano le don-
ne prive di abitazione, in un ai fi-
gli mendicanti. Eranvi pure in que-
sto tempo il convento pegli orfa-
ni, e quello delle orfane spettanti
a' battuti bianchi; le case per le
femmine d' infelice maritaggio , e
quelle delle zitelle pericolanti det-
te di s. Giuseppe, erette e custodite
dalla famiglia dei marchesi Albicini.
Alle confraternite poi de' battuti neri
incombeva la sepoltura de' forestieri
e persone estere uccise e morie nel-
le strade e piazze, e de' giustiziati.
FOR
Fattosi permanente il dominio
della Chiesa, terminate le civili di-
scordie, la storia di Forlì non pre-
senta avvenimenti straordinari de-
gni di particolar menzione , e di
questi cenni , laonde ci limiteremo
accennar le cose più importanti.
Nel 1578 moti il forlivese Bruno-
10 Zampeschi signore di Forlimpo-
poli , glorioso capitano , che sicco-
me l'ultimo di sua casa, i di lui
domimi ricaddero alla santa Sede:
fu compianto dai pompiliesi, nella
cui chiesa di s. Rullilo, Battisi ina
Savelli di lui consorte gli fece eri-
gere un magnifico monumento con
statua equestre che lo rappresenta
in atto di comandare l'armata. In
Forlì gli vennero celebrati solenni
funerali , dai Numai , Asti ed Al-
bicini suoi stretti parenti. Indi la
pestilenza , la carestia , i terremoti
ed i banditi fecero provare non
poche calamità alla Romagna. Es-
sendo nel i5g4 presidente di Ro-
magna monsignor Fantino Petri-
gnani , prelato di cortesissimi modi,
al palazzo pubblico si aggiunse l'ap-
partamento elegaute corrisponden-
te a piazza s. Carlo , chiamate ìp
camere Fantine dal medesimo pre-
side, per averle abitate quasi in tut-
to il tempo del suo governo. Mor-
to il duca di Ferrara Alfonso II,
quel ducato in un alla bassa Ro-
magna per mancanza di legittima
discendenza fu devoluto alla santa
Sede , per cui recossi a prenderne
possesso Clemente VIII, il quale
nel suo ritorno l'anno i5g8 pas-
sò per Forlì, ove si trattenne una
notte alloggiato nel palazzo pub-
blico, accolto dai cittadini con in-
contro magnifico, e con pubbliche
dimostrazioni di archi trionfali ec
altri contrassegni di giubilo. Ne
i6o5 la città spedì Antonio Don-
FOR
ti e Nicolò Marciane» ambasciato-
ri al nuovo Pontefice Paolo V, ri-
portandone grazie ed onori. Nel
1616 di ritorno da Lombardia
passò per Forlì Cosimo II de' Me-
dici granduca di Toscana, col car-
dinal di lui fratello, e d'ordine del
cardinale legato fu atterrata la me-
moria della Crocetta, ed in sua ve-
ce si eresse la colonna pur sudde-
scritta. Dopo lunghissima quiete la
guerra di Urbano Vili contro O-
doardo Farnese duca di Parma, ne
alterò alquanto la tranquillità.
Con un esercito agguerrito di
quattromila cavalli , il duca si ac-
ciuse alla ricupera del ducato di
Castro, ne' pontificii dominii, quan-
do nel settembre 1642, mentre i
forlivesi erano tutti intenti alla ven-
demmia, essi non credettero all'av-
viso di star vigilanti nell' approssi-
marsi del nemico , dato per parte
del cardinal legato Frangiotti resi-
dente in Imola. Ad onta che non
si avessero mezzi sufficienti di dife-
sa , fu negato l' ingresso al duca
nella città, come il detto cardinale
glielo avea concesso per Imola e
per Faenza , ciò che ignoravano i
forlivesi, almeno in quanto alle con-
seguenze. Il duca irritato da tale
ripulsa, avente l'esercito malconcio
dalla pioggia, non si arrese alle ri-
mostranze di alcuni deputati a pla-
carlo , né del vescovo , ed allora
venne concesso l' ingresso e l'allog-
gio di transito, salve le persone,
onore ed averi de' cittadini. Il du-
ca abitò nel palazzo Paulucci già
de' Mercuriali , e tranquillamente
parti nel giorno seguente, prenden-
do la volta di Mcldola; in questo
mentre arrivò l'armata papale co-
mandata da d. Taddeo Barberini
nipote di Urbano Vili, per cui in-
coraggiti i forlivesi danneggiarono
FOR 281
il retroguardo del duca. Accesa così
apertamente la guerra, tutto si po-
se in opera a difesa della cit-
tà, ove giunto il cardinal Antonio
Barberini fratello di d. Taddeo ,
dopo aver ivi con cerimonia solen-
ne preso il bastone di generale, e
l' amministrazione delle tre lega-
zioni di Romagna, Bologna e Fer-
rara , volle il disegno della pianta
topografica di Forlì per porla in
grado di sostener gli attacchi del
granduca di Toscana cognato del
Farnese , ed insieme assicurare la
Romagna ; indi nominò castellano
il bolognese valoroso Macchiavel-
li, e generale di Romagna il fran-
cese di Cotré capitano coraggioso ,
che risiedendo in Forlì ne fu fat-
to cittadino e gentiluomo. Fra i
forlivesi eh' ebbero grado militare
nell'esercito pontificio nomineremo
a cagione d' onore Serughi, Orsi ,
Monsagnani, e Fondi, il quale libe-
rò il cardinale quando fu circon-
dato dal nemico. Così vanno loda-
ti Valeri, Agostini, Rolli, Mattei,
Stelladoro, Maldenti, Briccioli, Piaz-
za, Aspini, Saffi ed altri, talché il
cardinal Antonio pubblicamente si
disse soddisfattissimo de' forlivesi.
La città fu pure encomiata dal car-
dinal Francesco Barberini soprain-
tendente di tutto lo stato ecclesia-
stico, e fece grandi allegrezze quan-
do Urbano Vili creò cardinale Ma-
rio Teodoli oriondo forlivese, per-
sonaggio di merito sublime, laonde
a perenne monumento ne fu posta
memoria nel pubblico pretorio. Sta-
bilita finalmente la pace, e morto
il duca Odoardo, quantunque nel
pontificato d'Innocenzo X si susci-
tassero altri germi di guerre, la
Romagna non ne risentì danno.
Nel i655 onoratamente ricevette
Forlì Cristina regina di Svezia, che
2'8a FOR
albergo nel palazzo pubblico, essen-
do incontrata con treno magnifico
dal cardinal legato Acquaviva, e dai
cittadini con quaranta carrozze a
sei cavalli , oltre due compagnie
d'uomini d'armi, ed una di gen-
tiluomini a cavallo, i quali con
monsignor Fulvio Petrozi gover-
natore incedevano di scorta alla re-
gia carrozza. Allorché fu sull'en-
trare in città fu salutata da diver-
si colpi di cannone , ed essendo
notte le vie erano decorosamente
illuminate, coi regi stemmi e fuo-
chi d'artifizio, i quali s'incendiaro-
no dopo che la regina giunta nel
palazzo fu ossequiata dalle princi-
pali dame; il trattamento fu splen-
dido, e la cattedrale fu addobbata
a festa, quando nel dì seguente vi
ascoltò la messa. Nel i656 di ri-
torno da Roma la regina di Sve-
zia lietissima del precedente tratta-
mento, transitò per Forlì accompa-
gnata dal cardinal Acquaviva, e pre-
se alloggio nel palazzo del marche-
se Giuseppe Albicini. Successero a
queste allegrezze quelle fatte per
l'esaltazione al cardinalato del for-
livese Francesco Paulucci, e di Ni-
colò de' Contiguidi Bagni patrizio
della città, per benignità di Ales-
sandro VII. Nel 1661 pel terremo-
to le campane suonarono da per
sé, soffrirono le torri di s. Mercu-
riale, di s. Agostino, del duomo e
del pubblico; mentre nel territorio
v' ebbero da settanta chiese e case
totalmente diroccate, ed altre mol-
to rovinate, con morte di persone
e bestiame; indescrivibile fu la ro-
vina delle torri più alpestri, e Ci-
vitella col suo territorio restò di-
roccata affatto. Quello che accreb-
be la desolazione, e fece morir mol-
ti di disagio , fu una pioggia ec-
cessiva e di lunga durata. Dopo il
FOR
terremoto del 1279 m cui restaro-
no diroccate tutte le castella di Ro-
magna, non ve n* era stato in que-
sti luoghi altro più micidiale.
Nel dì primo dicembre 1705 ri-
mase afflitta Forlì per la morte del
conte Luigi Paulucci de' Calboli ge-
nerale delle armi di s. Chiesa, indi
a' 24 marzo 1 706 gli furono fatte
solenni esequie nella chiesa di s. Gi-
rolamo , ove poi gli venne eretto
magnifico monumento. Dopo la fa-
mosa battaglia di Torino seguita
nel 1706, le armi austriache si ri-
volsero alla conquista di Napoli, e
sebbene il Pontefice Clemente XI
facesse ogni sforzo onde impedire
il passaggio di quelle de' suoi sta-
ti, pure il giorno 23 maggio 1707
giunsero a Forlì i generali Dahum,
Paté e Wetzel con circa ventimila
uomini d' infanteria, ed il generale
Waubon con cinquemila di caval-
leria. I primi furono alloggiati nei
diversi conventi della città, ed i
secondi accampanatisi lungo il fiu-
me Ronco, riducendosi gli ufficiali
die comandavano in diversi casini
situati poco lungi al fiume istesso.
Il comune fu gravato di tutte le
spese pel vino, carne, legna, biade,
foraggi ec. Dopo tali vicende nac-
quero le vertenze del ducato di
Parma fra Clemente XI e l' impe-
ratore Giuseppe I, il quale avendo
già pronte nello stato pontificio le
sue armate, a' 7 novembre 1708
quelle papali si posero^ in fuga, ciò
che produsse grave timore negli a-
bitanti , ed ognuno procurò porre
in salvo le cose preziose. In fatti
dodici compagnie nemiche seguite
da altre fecero provare alla città
gli effetti di una forza militare e
prepotente; anzi a' 20 giugno 1709
furono saccheggiate parecchie case,
e malmenati diversi cittadini, che
FOR
dal governatore monsignor degli
Onofri erano stati invitati a difen-
derle. Poco dopo fu eonchiusa la
pace tra il Papa e gì' imperiali ,
che perciò ritiraronsi da Forlì, la
quale sino al i 796 godè d' una per-
fetta tranquillità. Nel 1728 i forti*
' vesi festeggiarono per molti giorni
l'ammissione fra il novero de' san-
ti del loro concittadino il b. Pelle-
grino Laziosi ; e di poi nel 1759
quella tra il sagro collegio dell al-
tro concittadino mousignqr Lodo-
vico Merlini presidente d' Urbino ,
al quale gli portò come ablegato
apostolico la berretta cardinalizia
il suo parente monsignor Merlini.
Essendo protettore della città il
cardinal Enrico duca d' Yorck, vol-
le egli stesso fare l' imposizione del-
la berretta al suo nuovo collega in
Forlì, nella cappella maggiore del-
la chiesa di s. Pellegrino, a memo-
ria di che , nella sala del comune
fu posta un' iscrizione che nel 1 796
fu tolta. Di poi nel 1770 rovinò il
ponte sul fiume Ronco, costruito
fino dal ia63: era stato già di-
strutto nel I745 dagli spagnuoli
nella guerra per l'occupazione del
regno di Napoli, battuti dai tede-
schi a Campo Santo nel Modenese,
quindi malamente ricostruito , per
lo che si provvide con edificar al-
tro ponte di legno che sussiste. Nel
1772 fu condotta a compimento
ed inaugurata la chiesa dei poveri
della Misericordia : i dipinti d' or-
nato li eseguì il bolognese David ,
quelli di figure il forlivese Mar-
chetti; ivi il conte Ferrante Orsel-
li patrizio della città raccolse più
di duemila reliquie autentiche. Nel-
l'anno seguente il vescovo Rizzarri
prese possesso del collegio de' ge-
suiti , e Mercuriale Prati forlivese
fu fatto da Clemente XIV genera -
FOR a83
le dei vallombrosaui : per la morte
del qual Papa la città celebrò so-
lenni esequie nel duomo , e spedì
oratori al successore Pio VI ad u-
miliare i voti di fedele sudditanza
anche a nome della popolazione.
Nel 1776 si condusse a compimen-
ta il teatro comunale, e siccome il
cardinal Rorromeo legato residente
in Ravenna avea favorito l'erezio-
ne di tal fabbrica , fu onorato di
un busto sopra la sala maggiore
del palazzo apostolico, esistente tut-
tora. Questo teatro di poi nel 1809
fu ristaurato ed ampliato, non che
dipinto dai famosi Gaetano Rerto-
lani ornatista , e Felice Gianni fi-
gurista.
Nel 1777 si aprì il nuovo gin-
nasio di cui fu benemerito Cesarmi
Mazzoni, e la spezieria pei poveri
ordinata per testamento della con-
tessa Eufemia Marchesi Pabizzi. Nel
1779 i cappuccini celebraVono in
Forlì il capitolo provinciale; mal-
grado la siccità, il comune spedì
diecimila staia di grano all' abbon-
danza frumentaria di Roma. Nel
1781 si ripetè il terremoto straordi-
nario del 1778, e in modo il più.
orribile, scuotendo tutti i fabbrica-
ti : le monache del Corpus Domini
dovettero traslocarsi al seminario
vecchio, già casa de' gesuiti ; e nel-
le chiese di s. Agostino, di s. Fran-
cesco, e di s. Domenico si dovet-
tero sospendere i divini offtzi. Nel
totale i danni si valutarono a cir-
ca mezzo milione di scudi. Monsi-
gnor Dini nel Diario del viaggio
fatto a Vienna da Pio VI, nel
1782, dice che a' 7 marzo da
Cesena passò per Forlì e Faen-
za, recandosi a pernottare ad Imo-
la, donde nel ritorno a' 26 maggio
per Faenza e Forlì giunse a Cese-
na sua patria. In questo tempo
28| FOR
essendo tuorlo il vescovo di Forlì
Giuseppe Vignoli, il granduca di
Toscana Leopoldo I fece sapere al-
l' arcidiacono Livio d' Aste vicario
capitolare di non ingerirsi per l'av-
venire nelle chiese, parrocchie e po-
polo della parte di diocesi forlivese
situata negli slati toscani, di cui ve-
niva rimessa l'amministrazione al
vescovo di Borgo s. Sepolcro. Si
finirono in detto anno le due can-
torie di marmo fino nella cappella
della Madonna del fuoco, si perfe-
zionò l' organo, e si provvide det-
ta cappella di musici. Terminaron-
si anche di dipingere le chiese di
s. Domenico e del Carmine, si re-
staurò la chiesa e cupola del Suf-
fragio, ornandosi con magnifici di-
pinti dal celebre Serafino Barozzi.
Morendo il notaio Sebastiano Nico-
la Mazzoni , lasciò quindici mila
scudi alla compagnia di Carità. 11
vescovo Mercuriale Prati forlivese,
nel 1785 a' 19 aprile fece aprire il
sarcofago di rozzo marmo, esistente
nella cappella di s. Valeriano nel-
la cattedrale, ove si rinvennero le di
lui ossa e quelle de' suoi compagni,
coi teschi dei ss. Grato e Marcel-
lo, e furono riposte in altra ur-
na di marmo finissimo. Nel 1786
l' ex gesuita d. Pietro Michel ini
avendo ottenuto dalla santa Se-
de di ridurre sotto altra regola
le monache cosi dette converti-
te , ne restaurò il monastero , e
le mise in possesso del medesimo
a' i o dicemhre, volendo che assu-
messero il nome di Clarisse dell' a-
dotazione perpetua. A cura di que-
sto sacerdote ed a sue spese fu fab-
bricato l' eremo di Montepolo sul
territorio toscano non molto disco-
sto da Forlì, ove si vuole che s.
Antonio di Padova vi sia slato riti-
rata alcun tempo. Nel 1787 i cano-
FOR
nici regolari renani di Forno avendo
fatto acquisto dell' antico locale dei
gesuiti si portarouo ad abitarlo, sor-
tendone i seminaristi che vi erano
andati dopo che avea servito d' epi-
scopio al vescovo Giuseppe Vignoli.
Dalla città si celebrò la centenaria
funzione della Beata Vergine che si
venera sotto il titolo della ferita,
in una delle due principali cappelle
della cattedrale, ed anche detta del-
la canonica. Nel 1791 passarono
per Forlì le zie dell' infelice re Luigi
XVI ; nell'anno seguente a cagione
delle politiche circostanze Pio VI rac-
colse truppe, e ne affidò in questa
provincia il comando al marchese
Fabrizio Paulucci de' conti di Cai-
boli. Nel medesimo anno si presero,
parte col fucile e parte con basto-
ni, venti pellicani, uccelli straordi-
nari in questo clima.
Nel Pontificato di Pio VI, men-
tre Forlì era governata da un pre-
lato governatore, e faceva parte
della legazione apostolica di Roma-
gua, il cui cardinale legato risiede-
va iti Ravenna, scoppiò la funesta
rivoluzione di Francia, rimbombò
per tutta V Europa, e tra gli stali
che ne provarono le tristi conse-
guenze uno principalmente si fu lo
stalo pontificio. Proclamata in Fran-
cia la repubblica, successe l'invasio-
ne d' Italia, e s' incominciò quella
dei dominii della Chiesa al modo
che dicemmo in tanti articoli, come
in quello di Ferrara [Vedi). A re-
spingere la temuta invasione, il go-
verno ordinò nel 1793, che tutti
gli uomini di forza dovessero essere
pronti ad opporsi, al tocco della se-
conda campana della torre del pub-
blico, dato col martello. Nel 1793
si vide per la prima volta giunge-
re in Forlì la carrozza della dili-
genza dello stato a sei cavalli, del-
FOR
la capacità di otto passeggieri ; e
Tenne istituita l' accademia dei fi-
larmonici, di cui fu fatto primo
presidente il marchese Francesco
Paulucci. Nel 1796 non potendosi
contare sui duecento soldati del
sagro numero per mantenimento
della quiete, si formò la guardia
civica, giacché i tumultuanti vole-
vano forzare il monte di pietà. In-
tanto il generale francese Aligera u
da Bologna si portò in Ravenna,
ove tenne congresso colle deputa-
zioni delle città romagnole, le quali
invitò ad unirsi colla Romagna in-
sieme al Ferrarese e Bolognese oc-
cupato dai francesi, e n' ebbe ri-
pulsa. Indi il generale passando per
Forlì fu da alcuni insultato, e il
popolo di forza accorse al deposito
delle armi e se ne impadronì. La po-
polazione facoltosa spaventata dai
sovrastanti pericoli, nella maggior
parte fuggì dalla città. Intanto al-
cuni francesi spogliarono il monte
di pietà del più prezioso del va-
lore di circa cento sessantacinque
mila scudi, indi tassarono la pro-
vincia di Forlì per ottanta mila
scudi, per essere questa la somma
che la città , territorio e distretto ♦
pagavano alla camera apostolica.
Se ne pagarono ventidue mila scu-
di, ma dovettero i forlivesi sommi-
nistrar molte cose all' esercito fran-
cese : le contribuzioni che allora
ritirarono i francesi dalla Romagna,
ed in ispecie da Ravenna, si calco-
lano cinquecento mila scudi.
La prima città che i francesi inva-
sero fu Bologna, nella quale a*2 3 giu-
gno 1796 fu conchiuso colla media-
zione della Spagna un armistizio, in
cui Pio VI oltre ad altri sagrifizi do-
vette convenire alla cessione delle
provincie e legazioni di Bologna e
di Ferrara, e della città di Faen-
FOR 28 >
za. Allora le truppe francesi si ri-
tirarono al di là del ponte del Se-
nio presso Castel Bolognese, e nel
mese di luglio il cardinal Dugnani
legato di Ravenna, e il vescovo
Prati avvertirono i popoli che nin-
no ardisse insultare i francesi. In
questo tempo vuoisi che nella città
diverse sagre immagini della Ma-
donna aprissero gli occhi. Nuova-
mente i francesi volendo porre ad
effetto l'intenzione dell'occupazio-
ne di tutto lo stato pontificio, que-
sto si pose in guardia vedendo inu-
tili gli immensi sagrifizi fatti nel
trattato di Bologna; laonde con edi-
to governativo degli 8 ottobre si
ordinò ai forlivesi, che al tocco del-
la campana a martello, tutti do-
vessero prendere le armi per op-
porsi agli invasori ; indi si pose in
circolazione la moneta erosa, per
far fronte alle ingenti spese dello
stato. Intanto il Papa mandò trup-
pe ed artiglieria a Faenza, ed in-
caricò il marchese Tiberio Albicini
di Forlì, d' investigare quanti ar-
mati poteva fornire il territorio,
con ordine a tutti i parrochi di
far suonar la campana a martello
e a stormo al primo segnale, elegge-
re un capo-massa, e tener pronte
Je loro genti a disposizione del go-
verno. Avendo il governo ponti-
ficio esaurito tutti i mezzi di paci-
ficazione coi francesi inutilmente,
quindi volendo Pio VI tentare la
forza per respingere la forza, le
sue truppe furono dal nemico fu-
gate a' 2 febbraio 1797 presso
il ponte del fiume Senio, al mo-
do che accennammo all' articolo
Faenza ( Pedi). Fu allora che il
general Victor senza fatica s'impa-
dronì di Forlì, in cui a' 3 giunse
il general Rusca comandante della
Romagna, e nel dì seguente il gè-
9.86 FOR
neral in capo Napoleone Bonaparte
preceduto da un migliaio di fanti,
e prese alloggio in casa del conte
Melchiorre Gaddi da Schiavonia.
Chiamò a sé il vescovo, la muni-
cipalità, e i più notabili, a cui ener-
gicamente parlò, invitandoli a con-
dursi pel pubblico bene, altrimenti
avrebbe usata la forza. Intanto or-
dinò alla giunta della repubblica
Cispadana di portarsi a Ravenna
per organizzarvi una centrale am-
ministrazione, ed ai 5 si recò a
Cesena : alcuni militi dei tremila
dell'esercito d'occupazione erano ve-
stiti di verde, aventi lustri di otto-
ne sul cappello in cui era scritto :
Rigenerazione italiana, libertà, o
morte. Alcuni signori furono tras-
portati da Forlì a Bologna come
ostaggi della tranquillità de' loro
concittadini. Da Ravenna giunse in
Forlì il conte Antonio Colomhani,
memoro della centrale dell'Emilia,
ad organizzare la municipalità. Il
nuovo governo vietò le vesti cleri-
cali a chi non era ecclesiastico, on-
de gli avvocati, i procuratori, i
notari ec, comparendo in abito se-
colaresco mossero il popolo alle risa.
Ai 22 febbraio transitò nuova-
mente per Forlì il generale Bona-
parte proveniente da Tolentino, ove
aveva stipulato coi plenipotenzia-
ri di Pio VI la cessione di questi
alla sovranità delle tre legazioni di
Bologna , Ferrara e Romagna, e
progredì il suo viaggio per Campo
Formio onde stipulare il trattato
colla casa d' Austria, dopo che i
francesi avevano espugnato Manto-
va. In seguito i francesi emanarono
diverse provvidenze in Forlì, man-
darono 1' orologio pubblico secondo
il metodo francese, ed ai 28 feb-
braio fecero piantare l'albero della
libertà nella piazza di Forlì. L'ara-
FOR
ministrazione centrale dell'Emilia
residente in Ravenna, per disposi-
zione del generale in capo Bona-
parte, trasportò la sua residenza in
Forlì a' 28 aprile del medesimo an-
no 1797. Tra le cose che fece,
sciolse la guardia del sagro nume-
ro, per essersi ricusata al giura-
mento di fedeltà ; molti però si ar-
rollarono tra i volontari della pri-
ma coorte dell' Emilia, e la guardia
nazionale assunse il servizio della
città. Indi a' 9 luglio il general su-
premo Napoleone Bonaparte riunì
in una sola le due repubbliche da
sé prima formate, Cispadana e Tras-
padana sotto il nome di repubbli-
ca Cisalpina poscia regno d' Italia,
di cui poi egli ne fu coronato re in
Milano, divenendo Forlì capoluo-
go del dipartimento del Rubicone,
nel quale si comprendeva anche la
legazione di Ravenna. Provvistosi
il governo di facoltà pontificie per
secolarizzare i regolari, intimò a
questi di abbandonare le loro case,
ove furono posti militari, uffizi, ed
occupate in altre guise, quindi mol-
te chiese andarono demolite ; la
stessa sorte toccò alle confraternite,
e ad altri luoghi pii. Decretò che
i cadaveri si trasportassero al se-
polcro senza accompagnamento, e
questo si vietò persino al ss. Via-
tico ; fece consegnare alla coorte
Emilia della guardia nazionale la
bandiera repubblicana; pose in ven-
dita i beni delle soppresse corpo-
razioni religiose, che quel governo
chiamava nazionali ; requisì tutte le
argenterie delle chiese, tranne le
necessarie ; abolì il dritto d' asilo
ed immunità ecclesiastica; coman-
dò l'espulsione del vicario di For-
limpopoli, e l' incorporazione alla
diocesi di Forlì delle parrocchie di
Busecchio, Carpena, Maiano, Gii-
Fon
sognano, Collina, ed il Ronco ; Mel-
dola poi fu devoluta alla diocesi di
Bei l inoro.
Nel novembre 1797 essendosi
abolite le centrali sovrane, la pro-
vincia fu divisa nei due diparti-
menti del Lamone e del Rubi-
cone, e capoluogo furono le città
di Faenza e di Rimini , laonde
Forlì spedì per rappresentanti, un
deputato a Milano, l'altro alla cen-
trale di Faenza. In seguito della
nuova organizzazione territoriale ,
tutto il potere amministrativo e po-
litico restò devoluto alla rappre-
sentanza municipale. Dalla chiesa
di s. Agostino minacciante rovina,
si trasportarono le ceneri di s. Si-
gismondo duca di Borgogna alla
cattedrale nella cappella di s. An-
drea Avellino, ove poi furono de-
positate anche le ceneri di s. Se-
verina vergine e martire, che più
tardi il legato cardinal Sanseverino
donò alla medesima cattedrale. Nel
seguente anno a Forlì fu restituito
il grado e prerogativa di capoluo-
go del dipartimento del Rubicone.
Completatasi dai francesi V invasio-
ne di tutto Io stato della Chiesa,
detronizzarono Pio VI, che a' 20
febbraio 1798 tradussero prigionie-
ro in Francia dove morì. Nel
maggio del seguente anno 1 799 i
tedeschi s' impadronirono di Raven-
na, indi di Forlì, e nella prima
stabilirono l' aulica imperiale reg-
genza austriaca . Allora i monaci
e i domenicani, con autorizzazione
del vescovo munito di apostoliche
facoltà, ritornarono nelle loro case.
Si celebrarono i funerali al defun-
to Pio VI ; e redatto il conto del-
la distrazione dei beni ecclesiastici
fatta dalla repubblica, si trovò ascen-
dere a piò di quattrocento ottan-
totto mila scudi. Eletto nel 1800
FOR 287
Pio VII gli furono restituiti i soli
domimi ritenuti dal predecessore
nel trattato di Tolentino, e si por-
tò dal conclave di Venezia in Ro-
ma. Non andò guari che avendo
il generale Bonaparte salito le Al-
pi con settanta mila uomini, For-
lì fu di nuovo occupato dai fran-
cesi , pel generale Salignac, e di
nuovo fu eretto 1' albero della liber-
tà , ed eletta altra municipalità.
Passati pochi giorni i tedeschi ri-
presero Forlì, ma presto l'abban-
donarono ai francesi, onde la mal-
menata popolazione provvista di
differenti coccarde usava quella del-
la circostanza. L'albero della libertà
si rialzò, e i religiosi di nuovo furono
espulsi. Indi nel dicembre i tede-
schi entrarono nuovamente in For-
lì, innalzandovi gli stemmi imperiale
e pontificio; ma nei primi del
1801 i francesi riposero piede nel-
la città, erigendo per la quinta ed
ultima volta l'albero della libertà.
Col trattato d'Amiens i francesi
rimasti signori delle legazioni, isti-
tuirono in Forlì il tribunale d'ap-
pello dipartimentale, e quello di-
strettuale sotto il nome di pretura.
Nel 1 8o3 ebbe luogo per la pri-
ma volta l' illuminazione notturna
dei lampioni, a' 16 aprile. La co-
scrizione fu estesa nella provincia,
che ricusandosi dovè somministra-
re il doppio conlingente di mille
e cinque, uomini. A' 25 maggio
i8o5 essendo stato coronato in re
d'Italia l'imperatore Napoleone, l'al-
bero della libertà fu atterrato, ed
elevata invece l' aquila napoleoni-
ca, proseguendosi a governare For-
lì per un prefetto . Continuando
le politiche vertenze tra l'impero
e la santa Sede, le provincie resta-
te a questa poco a poco furono
dai francesi occupate; ma non pò-
288 FOR
tendo convenire Pio VII nelle esi-
genze politiche e religiose dell'im-
peratore Napoleone Bonaparte, pre-
potentemente fu spogliato de' su-
perstiti stati, e nel 1809 qual pri-
gioniero tolto via da Roma. Sotto
il governo imperiale fu completa-
ta la strada "dalla porta Pia al
Ronco con filoni d'alberi; si for-
mò il Campo Santo fuori la por-
ta s. Pietro; si fece la strada al
di là del ponte della Schiavonia ,
per non dire di altro. Nel settem-
bre 181 3 gli austriaci cogli ingle-
si occuparono Ravenna, ed ai 26
dicembre Forlì, essendo investito
del superiore comando il general
Nugent residente in Ravenna, poi
fatto dal Papa principe romano.
Fu cambiato il governamento del
regno italico; ed i napoletani u-
nitisi alle potenze alleate occupa-
rono nel 1814 i dipartimenti del
Rubicone e del Reno, giungendo
in Forlì nel febbraio il re Gioa-
cbino Murat; indi i napoletani oc-
cuparono i dipartimenti del Tron-
to, del Musone , e del Metauro.
Non si deve tacere che nel detto
anno 18 14 la comune donò al
colonnello Gavenda uno stendardo
ricamato con l'effigie di s. Vale-
vano e l'arme della città, perchè
questa col suo reggimento austria-
co avea tenuto quieta. Avendo poi
la provvidenza disciolto 1' impero
francese, ed incenerilo il trono di
Napoleone, Pio VII gloriosamente
fu restituito a'suoi sudditi restati-
gli per la predetta pace di To-
lentino. Le truppe francesi con at-
to solenne consegnarono alle armate
austriache e napoletane alla linea del
Taro presso Borgoforte, a' i5 marzo
1 8 1 4j la sagra persona del Pontefice, e
questa lieta notizia propagatasi a For-
lì dispose il popolo a somma gioia.
FOR
Neil' aprile 1 8 1 4, proseguendo il
Papa il viaggio per Roma, si fermò
alquanti giorni in Imola suo anti-
co vescovato, ove si recò una de-
putazione del capitolo forlivese ad
ossequiarlo. Ai 1 5 di detto mese
un distaccamento di ti-uppa civica
e una compagnia scelta di cac-
ciatori, e monsignor vescovo Brat-
ti col suo vicario generale e cap-
pe nere, si recarono al confine del
comune alla volta di Faenza, ad
attendere Pio VII, che da Imola
procedeva alla direzione di For-
lì. Il Papa poco avanti al mezzo-
dì in vicinanza della città, fu pu-
re incontrato dal prefetto della
medesima, marchese Lodovico Bei-
monti : il popolo accorse in folla,
staccò con entusiasmo i cavalli
della carrozza, e volle tirarla a brac-
cia. Alla porta di Schiavonia il
podestà e corpo municipale, e tut-
te le autorità civili e militari pre-
sentatasi al sommo Pontefice. Era
un' ora circa pomeridiana allor-
ché Pio VII fece il suo ingresso
in Forlì , annunziato dal suono
generale delle campane. Scese al-
la cattedrale, e dopo avere ivi ora-
to, processionalmente salì al palaz-
zo attuale della legazione, ove pu-
re risiede la magistratura, ed im-
partì all' adunata moltitudine 1' a-
postplica benedizione; poscia andò
a smontare alla casa del conte
Antonio Gaddi , allora in borgo
Ravaldino, che aveva per moglie
donna Teresa de' marchesi Chiara-
monti di Cesena, nipote del Papa.
Nella notte la casa Gaddi ebbe
sempre a continua guardia la trup-
pa civica, che scortò Pio VII quan-
do alle ore nove antimeridiane del
giorno seguente partì per Raven-
na, indi per Cervia giunse a Ce-
sena sua patria, ove battezzò una
FOR
bambina, nata ai suoi nipoti d.
«Scipione Chiara monti, e principes-
sa d. Teresa Barberini i ne furono
padrino e madrina i coniugi mar-
chese Luigi dei Calboli Paul ucci
di Forlì, e la principessa donna
Maria Beatrice Albani, e gli s'im-
posero i nomi di Maria Beatri-
ce Pia Barbara Luigia Veronica.
Si ha dal Placucci , Memorie isto-
riche sul passaggio della città di
Forlì di sua Santità Pio Papa
f II. Faenza 1822. Dai francesi
essendo passato il Forlivese come
la Romagna in potere degli au-
striaci, come si è detto, e poi agli
alleati napoletani, questi al termine
della guerra, essendo slato stabilito
Napoleone all' isola dell'Elba, la-
sciarono i due dipartimenti del
Reno e Rubicone , ritirandosi a
Pesaro, continuando ad occupare
i tre memorati dipartimenti delle
Marche, Metauro, Musone, e Tron-
to. In Forlì ritornarono gli au-
striaci, onde tornandosi ad abolire
i prefetti, essi ristabilirono i delega-
ti di governo, secondo i loro si-
stemi. Nel 181 5 Napoleone fuggì
dall' isola dell' Elba in Parigi, il
re di Napoli Murat invase parte
dello stato pontificio, onde Pio VII
per sicurezza passò in Genova. Gli
austriaci furono costretti ritirarsi
da Forlì, ove entrò il re Murat
a'3i marzo, proclamando l'indi-
pendenza italiana; pernottò in ca-
sa del marchese Paulucci, e con-
tinuò il viaggio per Bologna. Non
tardò molto ad avere i napole-
tani la peggio, e ai 22 aprile fu-
rono obbligati dai tedeschi a ri-
tirarsi da Cesena, per cui di nuo-
vo fu in Forlì impiantato il go-
verno austriaco. Caduto Napoleone a
Yaterloo,nel mese di luglio furono re-
stituiti alla santa Sede i suoi domimi.
voi. xxv.
FOR 289
Fu dunque nel 181 5, che es-
sendo state restituite a Pio VII
quelle provincie ritenute dopo la
seconda invasione, e le tre legazioni
di Romagna, Bologna e Ferrara,
quel gran Papa a voler meglio
ripartire il governamenlo delle le-
gazioni apostoliche, col moto-pro-
prio de' 6 luglio 18 16 pubblicò la
classificazione delle medesime lega-
zioni e delegazioni apostoliche. Ed
è perciò che delle tre legazioni ne
furono formate quattro, cioè Bolo-
gna, Ferrara, Forlì e Ravenna, a-
venti ognuna un cardinale per legato
residente in ciascuna delle mentova-
te città, siccome capi-luoghi d' ogni
legazione. Così Forlì fu elevata al
grado di legazione con residenza
permanente d'un cardinale, co' ri-
spettivi vantaggi che ne derivano, e
con quelle provvidenze emanale pu-
re da Leone XII, e dal regnante
Gregorio XVI , che dichiarammo
all' articolo Delegazioni e legazio-
ni aposloliclie dello slato pontificio
[Fedi). Però rientrata la santa Sede
in potere di Forlì, vi mandò per
delegato monsignor Tiberio Pacca,
cui successe monsignor Cesare Nem-
brini-Pironi poi cardinale, e por as-
sessore civile l'avvocato Anton Do-
menico Gamberini, poscia elevato
alla stessa dignità. Appena Forlì si
vide nuovamente sotto il pacifico
regime pontifìcio, il clero spedì a
Roma una deputazione capitolare
ad pedes Pontfficis ad umiliargli le
proteste della duplice sudditanza
ecclesiastica e temporale, e ne ot-
tennero i canonici della cattedrale la
decorazione d' una croce d'oro appe-
sa al petto con nastro rosso, avente
nel centro da una parte l' effigie del
martire s. Valeriano, e dall' altra
quella di Pio VII. Il nastro di egual
colore per il cappello, ed il collare
•9
ago FOR
paonazzo ai detti canonici, fu dal
Papa pur concesso unitamente all'uso
della bugia per la celebrazione della
messa; la distinzione però del col-
lare paonazzo venne estesa anche ai
mansionari e cerimonieri. 11 capito-
lo eresse per riconoscenza a Pio VII
nella residenza capitolare, un busto
marmoreo, con apposita epigrafe;
il consiglio comunale alla porta Co-
togni di Forlì impose il nome di
Pia, in occasione che ne venne in-
grandito il piazzale. Più tardi Pio
VII ordinò che si ripristinassero le
antiche istituzioni pie. Per primo
cardinale legato Pio VII spedì a
Forlì il rispettabile cardinale Giu-
seppe Spina di Sarzana, che vi giun-
se a' 12 novembre 1816, e per vi-
ce-legato il prelato Lodovico Con-
ventati, al presente decano de' votanti
di segnatura; indi nel 18 18 nominò
successore al primo l'applaudito car-
dinal Stanislao Sanseverino napoli-
tano, ed al secondo il prelato Gio-
vanni Rusconi. Morì il cardinal
Sanseverino in Forlì agli 1 1 mar-
zo del 1826 con dispiacere di tut-
ti i forlivesi (che a lui intitolarono
una strada, essendo benemerito dei
restauri ed abbellimenti del palaz-
zo pubblico), per cui Leone XII
nominò pro-legato di Forlì mon-
signor Giovanni Antonio Benve-
nuti di Sinigaglia , poi cardina-
le , ed in vice-legato monsignor
Giacomo Luigi Brignole, al presen-
te cardinale. Qui noteremo che il
Benvenuti nella sede vacante del
1823 dal sagro collegio fu prepo-
sto a pro-legato delle quattro lega-
zioni di Bologna, Ravenna, Ferra-
ra e Forlì, con residenza in Bolo-
gna. Allorché nel dicembre 1828
fu creato cardinale, assunse il gover-
no il cardinal Macchi legato di
Ravenna. Nella sede vacante del
FOR
1829 i cardinali elessero in pro-
legato monsignor Giovanni Benedet-
to Folicaldi ora vescovo di Faen-
za; quindi il nuovo Papa Pio Vili
promosse a questa legazione il car-
dinal Tommaso Riario Sforza di
Napoli, della medesima sunnomina-
ta famiglia che signoreggiò nel For-
livese, che restò soddisfatto del go-
verno benevolo del discendente di
Girolamo Riario e Caterina Sforza.
Per vice-legato Pio Vili nominò
monsignor Gregorio Caracciolo San-
tobuono nel i83o, carica vacante
sino dal 1826.
Nella Sede vacante del i83o-
1 83 1 i cardinali elessero in pro-le-
gato di Forlì monsignor Lodovico
Gazzoli ora cardinale. Negli ultimi
giorni della sede vacante scoppiò
in Bologna la fatale rivoluzione,
che pose a soqquadro la maggior
parte dello stato pontifìcio, e che
si propagò anche in Forlì a' 5 feb-
braio i83i; ignorandosi ne' paesi
insorti che ai 2 dello stesso mese
era stato eletto in sommo Pontefi-
ce il regnante Gregorio XVI; quin-
di come negli altri luoghi ribellati
si costituì in Forlì e sua provincia
un governo secondo il notissimo
nuovo ordine di cose, delle così dette
provincie unite italiane, il cui centro
fu Bologna. Da tutte le parti i ri-
voluzionari armati accorsero a For-
lì, come a luogo centrale; indi ai
12 febbraio la maggior parte della
turba armata marciò da Forlì a
Forlimpopoli, e quindi a Cesena,
donde direttisi ad Ancona la occu-
parono, e poscia si erano proposti
dirigersi alla volta di Roma. Intanto
recaronsi a Forlì Napoleone, e Lui-
gi Napoleone figli dell'ex re d'Olan-
da, ora conte di san Leu, fratello
di Bonaparte; il primo de' quali si
infermò e morì. Ma in Ferrara
POR
gli austriaci a' 6 marzo fecero ces-
sare il detto governo, ed il simile
ottennero in Bologna a' 2 1 marzo,
mentre i ribelli in numero di cir-
ca tre mila, compresi i fuggitivi di
Modena, condussero in Ancona il
cardinal Benvenuti legato a Intere.
Fino però dai 24 febbraio gli au-
striaci comandati dal general Gep-
per erano entrati in Forlì, inseguen-
do i ribelli a Rimini. Allora il Pa-
pa dichiarò il cardinal Opizzoni
arcivescovo di Bologna legato a In-
tere delle quattro legazioni. In For-
lì e in altri luoghi si crearono le
guardie civiche, per mantenimento
dell'ordine pubblico, presto però
manifestarono il loro spirito rivo-
luzionario ed esaltato, donde pro-
venne la così detta lega anarchica.
Il cardinal Opizzoni legato delle
quattro legazioni, nel giugno cessan-
do tal sua rappresentanza, dal Pon-
tefice in cadauna fu nominato un
pro-legato e la congregazione go-
vernativa, ed in Forlì fece pro-le-
gato il marchese Luigi Paulucci de'
Calboli, e consiglieri della congre-
gazione l'avv. Luigi Pani, il con-
te Antonio Albicini, il marchese Fer-
dinando Ghini, e il conte Vincen-
zo Mangelli ; mentre a vice-presiden-
te provvisorio del tribunale di pri-
ma istanza prepose Luigi Petrucci.
Già sino dai i3 maggio la città di
DO
Forlì aveva conseguito l'onore che
la sua deputazione umiliasse al re-
gnante Pontefice l'omaggio di sua
fedele sudditanza, non che le più,
vive e rispettose congratulazioni pel
di lui innalzamento al pontificato.
La deputazione si compose di mon-
signor Albertino Bellenghi arcivesco-
vo di Nicosia, vicario e • visitatore
apostolico della chiesa e diocesi di
Forlì, e dei conti Vincenzo Savo-
relli, e Francesco Mangelli patrizi
POR 2t)t
forlivesi. La ritirata delle truppe te-
desche seguita nel luglio fu danno-
sa alle legazioni, dappoiché in quel-
le di Bologna, Ravenna e Forlì, e
nella Romagnola soggetta alla lega-
zione di Ferrara, per opera di al-
cuni ebbero luogo delle sedizioni, e
quasi una nuova rivoluzione. In
Forlì molta gioventù insorse in
drappelli, e la lega anarchica si fe-
ce più minacciosa, per cui il mar-
chese pro-legato a' 7 agosto si riti-
rò a Firenze, sebbene occupasse Ri-
mini il conte colonnello Bentivoglio
colle milizie pontificie. Intanto a lui
successe nel comando il tenente co-
lonnello Barbieri, ed a' 22 dicembre
ripatriò il marchese pro-legato. Nel
seguente anno i832 essendosi con-
centrate le truppe pontifìcie, in nu-
mero di quattromila circa, ai con-
fini delle quattro legazioni, ebbero
ordine nel gennaio di marciare nel-
le medesime, onde porre termine
ai disordini che vi accadevano, es-
sendo stato dichiarato commissario
apostolico delle medesime e con be-
nigne intenzioni del Pontefice, Il
cardinal Giuseppe Albani protetto-
re di Forlì. Questi si avanzò col-
le medesime truppe, che i civici ri-
belli bolognesi, forlivesi ec, in nu-
mero di mille cinquecento osarono
affrontare a Cesena, ma prontamen-
te disfatti e posti in fuga ; le trup-
pe dopo aver traversato Forlimpo-
poli incominciarono il loro ingres-
so in Forlì, ove nacque grave tram-
bustOj ignorandosene tuttora il ve-
ro motivo: nella fucilita gli uffizia-
li procurarono contenere la solda-
tesca irritala, che onninamente vo-
leva sparare i cannoni sulla pubbli-
ca piazza, il perchè furono dal car-
dinale richiamate le truppe austria-
che a coadiuvar le papali, che dal-
la parte di Modena e di Ferrara
292 FOR
entrarono nelle legazioni ed in For-
lì a'27 gennaio, e così fu dato rior-
dinamento alle cose pubbliche, riti-
randosi le milizie pontificie a Pe-
saro. II governo papale nominò i
nuovi consiglieri comunali, fece ar-
restare i faziosi che ciò stornavano,
la quiete tornò nella città, e i con-
sigli comunali ebbero il loro pieno
effetto. Nel dicembre i832 nell'e-
remo di s. Bernardo di Lugano
morì il marchese d. Ottavio Albi-
cini, ivi ridottosi a penitenza sotto
il nome di Valeriano. Nel commis-
sariato delle legazioni successe nel
declinare del i832monsig. Giacomo
Luigi Brignole, e nel principio del
i833 fu dato tale incarico al car-
dinale Ugo Pietro Spinola, conti-
nuando nelle medesime legazioni i
pro-legati secolari, tranne Ferrara,
che aveva un prelato: in quest'an-
no a' 1 2 gennaio arrivarono iu For-
lì ottocento svizzeri assoldati dalla
santa Sede. Nel i834 nelle legazio-
ni furono istituiti i volontari pon-
tificii, e nel seguente anno il car-
dinal Vincenzo Macchi ebbe la no-
mina al predetto commissariato, pas-
sando a Forlì a' 3o settembre nel
recarsi a Bologna sua residenza. Fi-
nalmente questo fu sciolto dal Pa-
pa a' 16 luglio i836, che inoltre
ristabilì i cardinali legati in Bolo-
gna, Ferrara., Forlì e Ravenna, e
i separati governi delle rispettive
legazioni; ed i volontari pontifìcii
divisi in quattro brigate sotto la
dipendenza di ciascun legato. Quin-
di Forlì vide con piacere eletto in
nuovo legato il cardinal Nicola Gri-
maldi di Treia, ch'ebbe a successore
il cardinal Alessandro Spada roma-
no; dopo il quale fu legato di Forlì
il cardinal Luigi Vannicelli-Casoni
d Amelia: finalmente nel corrente
anno 1 844> '1 Pontefice ha no-
FOR
minato per legato, il cardinal Pa-
squale Gizzi di Ceccano. Tra i be-
nefizi poi di cui il regnante Gre-
gorio XVI è stato largo con Forlì,
rammenteremo la ripristinazione del
tribunale di prima istanza, e dei
consultori di legazione, e la conces-
sione del consiglio ed amministra-
zione provinciale sedente a Forlì.
Oltre i citati scrittori delle cose di
Forlì abbiamo i seguenti. Aunales
Forolivienses ab anno 1275 usrjue
ad annum i^jS anonymo auctore,
nunc primum prodtuntex mss. Codi'
ce corni tis Brandolini de Brandolinis.
Exst. in ter Rerum ital. Scriptor. t.
XXII. Hieronymus Foroliviensis ,
Chronicon Foroliviense ab anno 1397
usque ad annum i433, mine pri-
mum in lucem editimi ex mss. Co-
dice comitis Brandolini de Brando-
linis. Exstat inter Rerum italic.
Script, tom. XIX. Cristoforo Cicco,
Cronica di Forti, Venezia «574*
Paolo Bonoli, Istorie della città di
Forti intrecciale di vari accidenti
della Romagna e dell'Italia, F01P1
1661, per il Cimati e Saporetti. Nel
1826 il tipografo forlivese Bordandi-
ni, caldo di amor patrio, ha ristam-
pato in due volumi la Storia di Fora
scritta da Paolo Bonoli, corretta ed
arricchita di nuove addizioni ; e
siccome questa celebre storia, che
servì a noi di guida principale alla
compilazione di quest' articolo, ar-
riva sino all'anno 1661, il mede-
simo editore fa voti perchè sia con-
tinuata, ciò ch'egli avrebbe fatto
se fosse stato un Aldo. Bartolomeo
Riceputi, La verità rediviva a fa-
vore della città di Forlì, ovvero
difesa delle antiche ragioni dell' ì-
stessa città già della Rediviva
Faenza del Cavina, Forlì 1673 per
Gioseffo Selva. Giorgio Marchesi,
Compendiuni kistoricum celeberri-
por
rune eìvilalis Forolivii, i ! > i ci . 1722
excudebat Alexander de Fabiis. Il
medesimo Marchesi nella Galleria
deli' onore parla della città di For-
lì, e delle sue famiglie distinte,
massime degli Albicini, Augustini ,
Manfredi, Marchesi, Numai, Orselli,
Paolucci, e Torcili.
La fede cristiana in Forlì è as-
sai probabile che sia stata predi-
cata molto per tempo, come nei
suoi dintorni, dagli apostoli o dai
loro discepoli, essendo poi certo che
s. Apollinare discepolo del principe
degli apostoli s. Pietro predicò il
vangelo di Gesù Cristo in Roma-
gna, mandatovi da quel primo Pon-
tefice. Non si trova fatta menzio-
ne alcuna dei vescovi di Forlì pri-
ma dell'anno 35<), non devesi non-
dimeno conchiudere, che non ve
ne sieno stati anche prima di tal
epoca, potendo anche per avanti es-
sere stata Forlì decorata della cat-
tedra episcopale, fiorendo il primo
suo vescovo s. Mercuriale, nativo di
Albania d'Armenia, verso l'anno
4oo , ed alcuni sostennero avere
esistilo due ed anche tre s. Mer-
curiali. Secondo il Bonoli un s. Mer-
curiale visse nell'anno i3o: sembra
però più verisimile, che nei primi
secoli della Chiesa , tutta questa
provincia fosse affidata alle cure di
s. Apollinare e de' suoi successori,
e che solo dopo la pace data alla
Chiesa da Costantino avesse anche
questa città il proprio vescovo. Il
Marchesi ammette due s. Mercuria-
li, il primo quello del secondo se-
colo; mentre l'altro santo vescovo
di tal nome intervenne nel 35g al
celebre concilio di Rimini, con s.
Ruffillo vescovo di Forlimpopoli ,
contro P ariana eresia protetta in
esso dall' apostata Tauro , prefetto
dell' imperatore Costanzo principal
FOR ao,3
fautore dell errore. Con s. Mercu-
riale fiorirono i forlivesi ss. Grato
e Marcello, 1' uno diacono , 1' altro
suddiacono. Il santo vescovo Mer-
curiale dopo aver liberato per vir-
tù di Dio il popolo da un orribi-
le drago, volle visitare i santi luo-
ghi di Gerusalemme, da dove por-
tò in Forlì preziose reliquie, come
la mascella di s. Giacomo apostolo,
gran porzione del cranio di Gere-
mia profeta , le ossa di tre santi
Innocenti ec. Queste reliquie si ve-
nerano nella chiesa già sagra a
s. Stefano, poi a s. Mercuriale, coi
corpi de' ss. Grato e Marcello, che
morirono ancor vivente il santo
pastore, sebbene anche la cattedrale
pretenda possederli sotto l'altare di
s. Valeriano. Forse avrà parte dei
loro corpi, come ha sino dal 1576,
e per opera del vescovo Giannotti
un braccio di s. Mercuriale , un
pezzo del legno della vera croce ,
delle ossa di s. Matteo apostolo ed
evangelista, ed altre reliquie. Dopo
avere s. Mercuriale guanto Alarico
re de' goti da gravissimo male, e per-
ciò liberati circa duemila forlivesi
tratti in ischiavitù , volò al cielo
verso l'anno /\o6 a' 3o aprile, ve-
nendo sepolto nella detta chiesa di
s. Stefano, che prese il di lui no-
me quando con molta magnificen-
za venne ingrandita. Non manca
chi asserisce essere il cadavere di
s. Mercuriale sepolto nella chiesa
della ss. Trinità, antico duomo, e
poi trasferito in s. Stefano , certo è
che ivi si custodisce la sua testa ;
fu poi traslatato il corpo di s. Mer-
curiale dall' aitar maggiore di sua
chiesa, alla cappella a lui dedica-
ta, e magnificamente eretta dal ce-
lebre filosofo e medico Girolamo
Mercuriali forlivese.
L' imperatore Valentiniano III,
s94 FOR
•verso l'anuo 4^i dispose che fos-
sero suffraganei della chiesa me-
tropolitana di Ravenna dodici ve-
scovati, tra' quali Rimini, Cesena,
Foriimpopoli, Forlì, Sarsina, Faen-
za, Imola, città di Romagna: que-
sti vescovati e la loro suffraganei-
tà a Ravenna, l' anno 5g4 furono
confermati con autorità apostolica
dal Pontefice s. Gregorio I il Gran-
de. Sotto l'imperio di Maggiorano,
tra le rigidezze d'un eremo, fiorì
il giovine forlivese s. Valeriano, ce-
lebre per miracoli , massime nel
liberare gli invasi dal demonio ,
come liberò un figlio d' Olibrio pa-
trizio romano poi imperatore d'oc-
cidente. Ciò saputosi da Leone I
imperatore d'oriente Io chiamò in
Costantinopoli perchè liberasse un
suo figlio o nipote ossesso. Avendo
Dio glorificato il suo servo Vale-
riano colla bramata liberazione ,
1' imperatore dichiarollo capitano
contro gli eretici ed infedeli, in cui
il santo operò non poche prodezze,
conseguendo anche altri onori dal-
l' imperatore. Ritornato poi Vale-
riano in patria , fu destinato capi-
tano di una squadra in difesa del-
la città e distretto; ma opponen-
dosi egli a Leo Bachio proconsole
nella provincia e governatore dì
Forlì, che siccome crudele e fana-
tico seguace dell'arianesimo oltrag-
giava i cittadini nell'onore e nelle
robe, fu sorpresso dai satelliti di
costui mentre orava, con ottanta
compagni. Quindi in odio parti-
colarmente della cattolica fede, Leo
fece tutti tormentare, ed a' i4 mag-
gio del 460 decapitare ; le loro ve-
nerande ossa furono riposte in luo-
go distinto, massime quelle di s. Va-
leriano , nella chiesa di s. Croce ,
che poscia nel 1267 furono solen-
nemente riconosciute dal vescovo
FOR
Richelmo. Da una chiesa al suo
nome dedicata derivò quello della
villa di s. Valeriano, poi s. Vara-
no, dicendosi in quelle parti mar-
tirizzato. La Madonna del fuoco ,
s. Mercuriale vescovo, s. Valeriano
martire, e s. Francesco Saverio ge-
suita confessore, sono i protettori
della città e diocesi di Forlì.
Il secondo vescovo di Forlì che
si conosca è s. Crescenzio, che nel-
l'anno 649 intervenne in Roma al
concilio adunato dal Papa s. Mar-
tino I ; in quello lateranense cele-
brato dal santo Pontefice Agatone
nel 680, vi fu presente il vescovo
di Forlì Vincenzo , prelato di sin-
goiar bontà. Altri fanno secondo
vescovo di Forlì Teodoro, che fio-
rì nel 4^2 > dando poi per terzo
vescovo nel 648 il mentovato Cre-
scenzio. In quanto ai successori ne
fa il catalogo 1' Ughelli nell'Italia
sagra tom. II , pag. 5j^. e seg. , e
toni. X, pag. ?,65, continuato dalle
annuali Notizie di Roma, oltre gli
storici della città e diocesi di For-
lì. Noi solo faremo menzione dei
vescovi di Forlì meritevoli di spe-
cial memoria. Primieramente note-
remo che Bartolomeo dell' 887 ,
e Paolo che fiorì nel 939, ambidue
vescovi di Forlì , non trovatisi or-
dinariamente nel catalogo de' vesco-
vi forlivesi , come in alcun altro.
Neil' anno 910 al vescovo Rug-
giero successe s. Apollinare o Apol-
lonio. Nel g63 viveva Uberto for-
livese, vigilantissimo pastore : a tal
epoca vuoisi che i vescovi soggior-
nassero frequentemente in s. Maria
di Schiavonia , chiesa che dai ca-
nonici fu lungamente ufficiata, fin-
ché furono tutti alla cattedrale ag-
gregati. Nel 11 16 Pasquale II, ad
istanza della contessa Matilde, di-
chiarò vescovo di Forlì Pietro I.
FOR
Mentre era vescovo Alessandro I ,
l'imperatore Federico I concesse ai
vescovi di Romagua il privilegio
di non poter essere costretti, nep-
pure dall' intei nunzio imperiale, ad
alcuna angheria, tranne le cose ri-
guardanti opere pie , e decretate
dalle antiche leggi: il vescovo Ales-
sandro I intervenne al concilio ge-
nerale convocato da Alessandro III
romano Pontefice , dopo il quale
cede s. Martino ed altri beni al
convento di s. Mercuriale, donazio-
ne poi confermata nel 12 33 da Ri*
naldo commissario di Papa Grego-
rio IX. Inoltre Alessandro I fu fat-
to suo vicario nel 1 1 88 da Gerar-
do arcivescovo di Ravenna, quando
parti per la crociata di Palestina :
nell'archivio di s. Mercuriale, pri-
ma che si bruciasse nel 1173, esi-
steva un istromento , in cui appa-
riva che l'abbate di tal chiesa avea
date al vescovo di Forlì tredici tor-
na ture di terreno per fabbricarvi il
palazzo episcopale , ricevendo iu
cambio altrettanta terra dal vesco-
vo presso la torre de' Fiorentini ;
tanto asserì Alessandro I ai più
vecchi della città. Nel 122.5 fu con-
sagrato vescovo Ricciardello Bei-
monti de' signori delle Caminate,
amato assai; e nel 1237 lo diven-
ne il forlivese Enrico I di Pelle-
grino Bulgarello Carbonesi.
Nel 1255 divenne vescovo Ri-
chelmo arcidiacono della cattedra-
le, che intervenne al sinodo di Ra-
venna , per rimediare ai disordini
di quella chiesa, e delle suffraganee,
e per reprimere la violazione delle
giurisdizioui ed immunità di dette
chiese, per cui i forlivesi furono
scomunicati dall'arcivescovo Filip-
po. Venuto il senato di Foiii nel
1264 ad un accordo coli' arcive-
scovo, fu stabilito eh' egli doves-
FOR ig5
se essere cittadino e nobile di For-
lì ; che i forlivesi dovessero in
Romagna difendere la giurisdizione
della chiesa ravenuate, e viceversa
questa proteggere la città di Forlì
contro chiunque volesse opprimer-
la, tranne il Papa e l'imperatore,
ed altre cose che il Bonoli riporta
a detto anno. Indi l'arcivescovo di
Ravenna nel 1267 convocò in s.
Mercuriale il sinodo provinciale, e
con altri nove vescovi fu presente
alla consagrazione che fece Richel-
mo dell' altare di s. Valeriano nel-
la cattedrale, apri l'arca e fece la
ricognizione delle ossa di quel san-
to martire e glorioso patrono di
Forlì. Questo benemerito vesco-
vo nichelino edificò 1' episcopio
nell'anno 1260, in seguito am-
pliato dai successori. Nel 1270
gli successe Rodolfo I, che al capi-
tolo e canonici di s. Croce cede la
chiesa di s. Valeriano in Castruccio
con le sue pertinenze e ragioni che
aveva sulla pieve di s. Maria del-
l'Acquedotto. Nel 1285 o 1286 fu
fatto vescovo Rinaldo, e Bonifacio
arcivescovo di Ravenna celebrò il
sinodo provinciale nelle stanze di
s. Mercuriale, coll'intervento de' ve-
scovi di Forlimpopoli, Cesena, Sar-
sina, Faenza, Imola, Adria, e Ri-
naldo di Forlì , e de' procuratori
de' vescovi di Parma, Modena, Bo-
logna e Cervia, tutte chiese suffra-
ganee. In esso si trattò di molte
cose pertinenti al divin culto, alla
immunità delle chiese, autorità dei
vescovi e simili. Per morte del ve-
scovo Taddeo, venne eletto alla se-
de di Forlì dal capitolo , Peppo
Ordelaffi arciprete di s. Martino;
ma Rinaldo conte della provincia
vietò a nome di Bonifacio Vili ad
Obizzio arcivescovo di Ravenna di
consagrarlo, e di approvarne l' e-
?96 FOR
lozione: eletto ancora dai pompi-
liesi alla sede di Forlimpopoli, ven-
ne egualmente riprovato da Bene-
detto XI.
Nel 1 346 divenne vescovo di
Forlì Raimondo, che non appari-
sce ne' cataloghi de' vescovi di que-
sta chiesa. Nel i348 si dice vesco-
vo Pietro di Pino beneventano; ma
questi o fu solamente eletto vesco-
vo di FoiTi, o poco dopo la sua
elezione a questa cattedra fu tras-
portato a quella di Viterbo. Paolo
da s. Rufììlloera vescovo nel 1379,
e nel 1 384 ebbe a successore Si-
mone de Pagani da Reggio di Lom-
bardia , già vescovo di Volterra ;
quantunque 1' antipapa Benedetto
XIII a provare giuridica la pro-
pria scismatica autorità nominasse
nel 1 3go certo Ortando, che quale
intruso fu deposto da Bonifacio IX.
Nell'anno seguente, a Simone fu
dato in successore il forlivese Scar-
petta Ordelaffi figlio naturale di
Francesco, che fece suo vicario l'ab-
bate di s. Mercuriale Giovanni Numai
pure di Forlì, personaggio di som-
ma prudenza , che di poi lo suc-
cesse nel vescovato; intervenne al
concilio di Pisa nel i4°9> e morì
in Roma nel i4ir> essendo anche
abbate commendatario di s. Mer-
curiale: fu sepolto in s. Maria Mag-
giore. In suo luogo Giovanni XXII I
elesse il forlivese Matteo, che alcu-
ni dicono de' Fiorilli, e morendo nel
1 4- ' 3> <]uel Papa nominò in sua vece
Alberto III de'Boncristiani : non potè
prenderne possesso, giacché Grego-
rio XII ch'era in Ri mini creò ve-
scovo Giovanni Strafa imolese di
potente e ricca famiglia , il quale
essendosi presentato prima dell'al-
tro ottenne il possesso, enei 1 4- 1 8
fu confermato da Martino V. Avan-
ti questo Papa, Alberto nel conci-
FOR
lio di Costanza, e nel venerdì san-
to 1418 recitò una solenne orazio-
ne latina, e fu fatto vescovo di Co-
macchio. Al detto Giovanni V nel
i4^7 successe Giovanni VI Caffa-
relli romano, il quale fu al conci-
lio generale di Ferrara; elesse in
vicario Ugolino orvietano, arcidia-
cono di s. Croce, il primo del suo
tempo nella scienza musicale, di
cui lasciò molti pregiati libri, e fu
l' inventore delle note sugli artico-
li delle dita: sotto il vescovato del
Cantarelli accadde nel 1428 il pro-
digio della Beata Vergine del fuo-
co. Nel i433 Guglielmo Bevilacqua
forlivese s'intruse nella sede, e fu
deposto da Eugenio IV. Nel i437
fu fatto vescovo il forlivese Lodo-
vico Pi ranni minore conventuale.
Nel i449 Maria*10 vescovo passò
alla sede di Sarsina, e viceversa il
vescovo di quella città Daniele d'A-
lunno da Lodi ebbe la cattedra ve-
scovile di Forlì; lodato per sapere
e consiglio. Gli successe nel 1 463
Giacomo Paladini, nobile ed arci-
diacono della cattedrale di Forlì,
che venne consagrato con molta
pompa in s. Francesco dai vescovi
di Bertinoro, Cesena e Faenza. Il
di lui vicario Alessandro Numai for-
livese, di grande letteratura e già
arcidiacono di Forlì e protonotario
apostolico, fu da Paolo II fatto ver
scovo nel 1470. Indi Sisto IV Io
spedì nunzio all'imperatore Federi-
co III, che al di lui fratello Luffo
concesse diversi privilegi : fu il pri-
mo ohe in Germania accordò nel
1476 facoltà ai domenicani di pro-
mulgar la recita del rosario pub-
blicamente, e ciò alla presenza del-
l' imperatore.
Tommaso Asti forlivese nel i48t>
fu fatto vescovo da Innocenzo VIIF,
e pel suo sapere e destrezza fu dai
FOR
Pontefici adoperato in molti affa-
ri; già si disse che sotto di lui eb-
be origine la congregazione di ca-
rità: mori in Roma nel 1 5 12, e
con onorevole memoria fu sepolto
in s. Tommaso in Parione presso
il collegio JVardini. Giulio II elesse
in vece Pietro II Griffi, prelato egre-
gio cui furono affidate importanti
nunziature e legazioni: morì in Ro-
ma nel i5i6, dove Leone X creò
vescovo Bernardo di Antonio Me-
dici canonico di Firenze} ma aven-
do questi rassegnata la sede, Cle-
mente VII nel 1 5 ?.6 la conferì al
celebre cardinal Nicolò Ridolfi fio-
rentino, suo parente, perchè nato
dalla sorella di Leone X. Il Car-
della nelle Memorie sloriche dei
cardinali tóm. Ili, pag. 267, dice
che il cardinal Alessandro Farnese
poi Paolo III, fu fatto nel i533 ve-
scovo di Forlì; altrettanto nella vi-
ta di Paolo III scrive il Novaes, ci-
tando l'Oldoino nelle Acid, al Ciac,'
conio tom. Ili, col. 555. L'UghelIi
narra che il cardinal Ridolfo nel
i59,8 rassegnò la chiesa di Forlì a
Bernardo Medici nipote all'altro di
egual nome; e che rinunziando an-
cor lui nel i55r, fu in vece elet-
to il forlivese Pietro Giovanni Aleót-
ti, senza far memoria del vescovato
del cardinal Farnese. Il vescovo Aleot-
ti ebbe gran parte nell'erezione del
collegio de'novanta Pacifici, donò alla
cattedrale molte suppellettili e il pre-
zióso tabernacolo, ed introdusse in
Forlì i gesuiti. Antonio Giannótti
padovano cameriere di Pio IV, nel
i563 fu da questi esaltato a que*
sta cattedra , e ristorò e di molto
abbellì il palazzo episcopale. Sisto V
nel 1587 dichiarò vescovo di Forlì
l'egregio prelato Fulvio Teodoli ro-
mano, della famiglia oriunda di que-
sta città; morì nel i5g4, e fu se-
FOR 3c,7
pollo nella cattedrale , ove al lata
destro della pòrta maggiore fu col-
locata la sua effigie con onorevole
iscrizione. Clemente Vili allora fe-
ce vescovo Alessandro de France-
schi romano, dell'ordine de' predi-
catori , e siccome di ceppo ebreo
cognominato 1' Ebreino : in fanciul-
lezza fu conosciuto da s. Ignazio, e
per umiltà ed amor di quiete pas-
sati tre anni rinunziò. Inoltre Cle-
mente VIII nel 1^99 e'evo a que-
sta sede Corrado Tarlarmi di Città
di Castello , il quale coronò solen-
nemente la Beata Vergine del fuo-
co. Cesare Bartolelli perugino, nel
1601 fatto vescovo da Clemente
Vili, trasportò le ceneri di s. Mer-
curiale dall' altare maggiore nella
DO
nuova cappella erettagli nella chie-
sa de' vallombrosani, e pose la pri-
ma pietra della cappella della Beata
Vergine del fuoco; governò trenta-
tre anni, fu prelato di grande ripu-
tazione e dottrina, e governatore di
Roma; morì nel i635, per cui Ur-
bano VIII elesse vescovo Giacomo
Teodoli, già arcivescovo d'Amalfi,
ed oriundo forlivese, che abdicò nel
i665 lasciando diverse onorevoli
memorie : essendo vescovo il Teo-
doli si riaprì il seminario di s. Giu-
liano, da qualche tempo quiescen-
te, il di cui luogo ne' tempi an-
teriori era lo spedale de' sacerdoti
itineranti sulla via Gatogni , alla
qual misura si devenne in vista di
trovarsi altro spedale a ciò destina-
to, oltre l'ordinario de' pellegrini ; e
dopo pel seminario si scelsero a-
cune case presso il monte di pietà,
come più comode alla cattedrale.
Si fecero sotto il vescovo Teodoli
le solenni traslazioni della Beata
Vergine del fuoco, e di s. Pellegri-
no Laziosi dalle antiche alle nuove
cappelle; la prima nel i6363 e la
298 FOR
seconda nel iG38. Alessandro VII
lece vescovo Claudio Ceccolini di
Macerata, morto nel 1688. Inno-
cenzo XI gli die a successore Gio-
vanni de conti Rasponi di Raven-
na, il quale fece il coro e il pul-
pito nella cattedrale. Tommaso Lui-
gi Silvio Torelli di F01T1 fu elevato
a questo seggio nel 1 7 1 4 da Cle-
mente XI, e visse sino al 1760
con lunghissimo vescovato; era nato
nel 1673. Clemente XIII gli die
in successore il concittadino Fran-
cisco Piazza. Altro forlivese fu d.
Mei curiale Prati monaco valloin-
Li osano, fatto vescovo nel 1784
da Pio VI ; ed essendo morto nel
1807 sotto Pio VII, gli successe il
canonico preposto Andrea Bratti di
Capo d Istria, del quale vescovo, no-
minalo dall' imperator JNapoleone, e
riconosciuto dal Papa, e pubblicato in
concistoro, paria il Pistoiesi nel tom.
IH, pag. 193 della Fila di Pio
P II. Monsignor Bratti a' 1 2 sette-
bie 1819 consagrò la chiesa una
volta dei carmelitani scalzi, sotto
il titolo di s. Anna, in oggi par-
rocchia e chiesa di s. Antonio ab-
bate di Ravaldino: questo prelato
fu richiamalo in Roma, indi passò
in Fi lenze, e terminò i suoi giorni
nella propria patria agli 1 1 novem-
bre i835. Leone XII nel 1826
die a questa diocesi per vicario e
visitatore apostolico Filippo de An-
gelis d' Ascoli vescovo di Leuca in
partibus, al presente cardinale, che
ebbe nello stesso grado in successo-
ri nel i83o monsignor Albertino
Bellenghi nativo di Forlimpopoli,
arcivescovo di Nicosia in partibus,
per volere di Pio Vili; e monsi-
gnor Stanislao Vincenzo Tomba del-
la congregazione di s. Paolo detta
de' barnabiti di Bologna, dal re-
gnante Gregorio XVI fatto egual-
FOR
mente vicario e visitatore apostoli-
co, e uel concistoro de' 17 dicem-
bre i832 preconizzato vescovo di
Rodiopoli in parlibusj quindi essendo
morto il vescovo Bratti in Capo
d Istria ov' erasi ritirato, allora pel
saggio e zelante suo governo me-
ritò monsignor Tomba che il me-
desimo Gregorio XVI nel concistoro
del primo febbraio 18 36 lo dichia-
rasse vescovo di Forlì che al pre-
sente provvidamente governa. Veg-
gasi {'Allocuzione che recitò in oc-
casione del suo possesso solenne pre-
so a' 19 marzo 1 836, e pubblicata
in Forlì colle stampe da Luigi Bor-
dandoli. Questi co' suoi tipi die al-
la luce 1' Omelia che il medesimo
monsignor vescovo pronunziò a' 4
maggio di detto anno, giorno sagro
ai martiri ss. Valeriano e compa-
gni protettori della città.
L' antica cattedrale era dedicata
alla ss. Trinità, l'odierna lo è alla
ss. Croce dalla preziosa reliquia che
di questa ivi si venera, essendovi
pure come si è detto i corpi di s.
Valeriano e compagni martiri, ed
altre insigni reliquie : vi sono pure
reliquie della vera croce in altre
chiese della città. Questa cattedrale
fu eretta nei primi secoli del cristia-
nesimo e prima dell'anno 572:
non pare tuttavia che la chiesa di
s. Croce sia stata allora cattedrale,
lo fu però certamente alcuni secoli
prima del 1000, e sembra che dap»
prima fosse pure di forma basilica-
le, come lo era ultimamente, per
quanto si è potuto raccogliere da-
gli scavi fatti per le fondamenta
della nuova chiesa, che ora come
diremo si sta riedificando, ma di
assai minore capacità della presen-
te. In seguito alzatosi il suolo della
città, fu riedificata con disegno più
ampio, sempre però a tre navi,
FOR
con archi a sesto acuto, siccome si
conobbe da alcuni di essi archi,
che ancora si scorgevano al di so-
pra delle volte. L' opera ebbe mag-
gior incremento nei primi del se-
colo XV, quindi fu ingrandita no-
tabilmente dopo il 1428, il perchè
dal vescovo Alessandro Numai for-
livese fu consagrata a' 20 marzo
i475. Questo tempio si aumentò
progressivamente, massime per le pie
largizioni fatte da' fedeli, per esser-
vi stata nel i42°* detto trasportata
la prodigiosa immagine della Beata
Vergine del fuoco, di cui come del-
la sua cappella se ne tenne di so-
pra proposito. All' incremento della
cattedrale contribuì pure il favore
de' magistrati, e principalmente di
Monsignor Capranica allora gover-
natore di questa provincia, il qua-
le concorse col suo peculio al-
l'abbellimento della medesima. Fu
in appresso che si aggiunsero le
cappelle laterali, e principalmente
le due maggiori dette della Ferita
o Canonica, e della Beata Vergine
del fuoco, che davano alla Chiesa
una ceita cotal forma di croce gre-
ca. Di poi verso il 1 469 'a porta
maggiore di questa cattedrale o duo-
mo venne ornata delle statue dei
santi protettori Mercuriale e Vale-
riano, postovi nel luogo più alto
lo stemma degli Ordelaffi : la por-
ta fu lavorata da Marino Cedrini
veneziano. L immagine della Beata
Vergine detta anche la Madonna
della Canonica, per esser dipinta so-
pra un muro della strada antica-
mente abitata dai canonici vicino
alla cattedrale, facendo continui mi-
racoli mosse nel i49° Caterina
Sforza contessa di Forlì, in un al
divoto popolo che di frequente vi
concorreva lasciando copiose limosi-
ne, ad erigerle una magnifica tri-
FOR ago.
buna nella cattedrale, ed ivi tras-
portarla. Quindi a' 27 settembre
diedesi incominciamento all'edilizio,
col quale si aumentò il numero
delle cappelle della cattedrale. A
tale lavoro si destinarono soprain-
tendenti quattro gentiluomini for-
livesi, cioè i due canonici Mattei e
Belli, e due secolari Denti e Mo-
ratlini. Grandi furono le oblazioni
che fece tutta la Romagna, per cui
la cappella riuscì magnifica : dal-
l'Istria e da altri luoghi si fecero
venire i marmi lavorati da Gia-
como di Lanfranco da Caravaggio,
e da altri scultori; essendo lodati
specialmente i fogliami capricciosi, e
le figure della porta che guarda a
ponente, opera di Simone fratello
di Donatello. Ne furono secondo il
Bonoli gli architetti Pace Bombaci,
di cui è il disegno, Cesare da Car-
pi , Silvestro de' Sarti da Lago
Maggiore, e Cristoforo da Forlì,
perchè trascorse del tempo per por-
tare a compimento la fabbrica, es-
sendo terminata la cupola nel i52 1 :
non si deve lacere, che alcuni di-
cono, che la cappella sia disegno
del Brunelleschi, ovvero del pitto-
re Melozio da Forlì. Nel secolo
XVII la cappella venne ampliata,
e fattovi 1' ornato di sasso con co-
lonne di paragone, essendo dentro
e fuori nel resto quasi tutta di
marmo: questa è la cappella in cui
officia il capitolo, e perciò chiama-
ta la Canonica, ed è la prima
delle due cappelle maggiori ; 1' al-
tra, come di sopra accennammo, fu
incominciata nel 1619, e fu con-
dotta a termine con limosine pub-
bliche e private. Fu fatta presso
a poco del medesimo disegno del-
l' altra, e ne fu architetto il ram-
mentato p. Paganelli faentino. Que-
sta cappella fu di poi arricchita; e
feto FOfe
la tribuna poi ove si venera de-
corosamente la Madonna del fuoco,
ebbe compimento nel i636, anno
in cui segui ivi il suo collocamen-
to. Nel 1706 vi fu collocato il su-
perbo dipinto, capo d'opera di Car-
io Cignani ; indi nel 1716 il Car-
dinal Fabrizio Paolucci vi fece l'al-
tare di marmi preziosi, e di bron-
zi dorati; e negli ultimi anni po-
steriori, a spese dei divoti e del san-
tuario stesso, fu tutta la cappella
rivestita di marmi e di stucchi
dorati, e sostituite alle due orche-
stre di legno due altre di marmo.
Fra i vescovi benemeriti della cat-
tedrale summentovati, Piergiovan-
ni Aleotti donò alla medesima de-
gli arredi sagri di valore, una cro-
ce ornata di gemme preziose, ed una
tiara , o mitra gioiellata degna di
un Papa, non che un tabernacolo
per la custodia della ss. Eucari-
stia, opera del divino Michelange-
lo Buonarroti, tutto ripartito in va»
rie intarsiature di pietre finissime,
abbellito da intagli, cornici, colon-
ne e statuette : fu collocato all'al-
tare maggiore, e poscia trasferito
nella contigua cappella del ss. Sa-
giamento, decorata dalle pitture del
valente forlivese Livio Agresti. Ne'
Precetti di pittura di Giambattista
Armenini, questo tabernacolo è lo-
datissimo. Ma la cattedrale per la
sua antichità minacciando rovinare
nel 184° per l'abbassamento di al-
cune colonne, e portare grave pre-
giudizio alla nobilissima cappella
della Madonna del fuoco, l'odierno
vescovo monsignor Tomba, pieno di
fiducia in Dio, nella B. Vergine
del fuoco, e ne' santi protettori di
Forlì, con religioso coraggio si pro-
pose riedificarla, col consentimento
del capitolo facendola demolire, ec-
cettuandone le due sontuose cap-
FOR
pelle della Canonica, e di quel!
della Madonna del fuoco. A tal
uopo si stabili di atterrare tutto
il corpo di mezzo della chiesa ,
e di aprire un concorso di ar-
chitetti, onde presentassero un pro-
getto di ricostruzione, con che ri-
manessero illese le due grandi cap-
pelle, e si riparasse a qualche difet-
to di simmetria, che si scorge nel-
le medesime. Presentati i progetti,
e sottoposti al giudizio dell'accade-
mia pontificia di s. Luca, fu pre-
scello quello del forlivese Giulio Jan-
bianchi. Quindi ai 3 maggio 1841
con solenne cerimonia ed ecclesia-
stica pompa, con gran concorso di
popolo, pose la prima pietra nelle fon»
damenta secondo i consueti riti con
medaglia di argento appositamente
coniata : questa da un lato ha scol-
pita la ss. Croce raggiante, sotto
la quale è 1' iscrizione : greg. xvi
p. m. auspice. All'intorno si legge:
CRUCI D. N. F0R0LIVIEIVSIUM PRAESIDIO
coivsensu ord. et civ. Nel rovescio
poi avvi questa iscrizione: novum
TEMPLUM MAX. RITE INCHOATUM AS-
NO MDCCCXXXX1. VINC. TOMBA. PONT.
n. praeeunte. Vi fu posta ancora
una piccola medaglia d'argento, che
porta 1' effìgie della B. Vergine del
fuoco, e di s. Valeriano, e che ha
nel margine inciso intorno : v. ivo-
nas mah an. mdcccxli. Fu conia-
ta nell'anno 1828 in occasione del-
la solenne centenaria celebrata con
grandissima pompa da monsignor
de Angelis, ora cardinal arcivesco-
vo di Fermo, ed allora vicario e
visitatore apostolico, giacché a quel-
1' epoca fu trasportata la santa im-
magine all' altare maggiore dell'an-
tica cattedrale magnificamente ad-
dobbata sino a parere una nuova
chiesa. Si celebrò solenne triduo
cui intervennero i monsignori Ca-
FOR
dolini vescovo di Cesena, ni presen-
te cardinal vescovo di Ancona, e
Falconieri arcivescovo di Ravenna,
ora cardinale. Alla detta piccola
medaglia di argento fu incisa la
memorata iscrizione nel iHzJt, al
momento del gettito della prima
pietra della nuova fabbrica del
duomOj perchè si volle anch' essa
porre ne' fondamenti, per dedicarsi
il risorgente edifizio alla ss. Cro-
ce, e alla B. Vergine ed a s. Ya-
leriano.
La nuova chiesa è pure in for-
ma di basilica, siccome la più con-
veniente ad una cattedrale, e la
più adatta a nascondere le accen-
nate irregolarità delle due cappel-
le superstiti. Essa è d' ordine co-
rintio, decorata di portico, e sì nel-
l' interno, che neh' esterno ornata
di marmi a maggior solidità ed
eleganza di questo sagro edificio.
Questo oggidì trovasi pervenuto
alla cornice ; e se la nota pietà dei
forlivesi non manca all'impresa,
sperasi di vederlo presto giunto al
suo compimento. Va qui altamen-
te lodata la religiosa specialissima
divozione che il popolo forlivese
ha sempre professato , e tuttora
ferventemente professa alla sua prin-
cipal protettrice Maria santissima
del fuoco. E cosa commovente il
vedere il concorso onde si affolla
il popolo alla chiesa in tutti i gior-
ni della novena preventiva alla fe-
sta, che si celebra il giorno anni-
versario del miracolo, eh' è il 4
febbraio. Già in tutto l' anno la
cappella del santuario è in tutte
l'ore frequentata, e specialmente
poi nei due giorni 28 maggio e
20 ottobre, nel primo de' quali si
canta messa pel volo fatto pel ter-
remoto, e che cessato si continua
a solennizzare quel giorno, e vi è
FOR 3<ri
processione con un paliolto della
Beata Vergine simboleggiata por-
tante in mano la città di Forlì, e
con un concorso grandissimo; l'al-
tro in cui si fa l'ofhzio della tras-
lazione della santa immagine mi-
racolosa alla presente sua cappella,
e quando occorrono tridui per al-
cun pubblico bisogno. Ma nei gior-
ni poi della novena , e della fesla
solenne non è a dire quale e quan-
ta sia J 'affluenza del popolo, e la
divozione e i trasporti di lui verso
Maria santissima. Già per tu Ito
quel tempo si tronca il carnovale,
moltissimi digiunano la intera no-
vena, quasi tutti ne fanno la vi-
gilia e per lo più in pane e vino,
tuttoché non sia obbligatoria, e
ne osservano rigorosamente la fe-
sta, sebbene non prescritta , colla
chiusura delle botteghe, cessazione
de' lavori, assistenza alla messa ec,
e sebbene alcun anno, venendo
presto la quaresima rimangono pri-
vi del carnovale, non per questo
se ne lagnano o violano per nien-
te la novena, la quale per como-
do delle {unzioni incominciasi sem-
pre il 24 gennaio , e così poi vi
sono disgiunti tre altri giorni di
gran concorso e divozione, cioè la
Purificazione, la vigilia e la festa
nella quale quasi lutto il popolo
si accosta ai ss. Sagramenti. Una
tale divozione si è latta poi vede-
re straordinaria in questi quattro
ultimi anni, mentre dovendosi tras-
portare la miracolosa immagine
nei giorni della novena e festa
nella chiesa di s. Mercuriale, a mo-
tivo della fabbrica del nuovo duo-
mo, che non dava luogo a con-
corso di popolo, pure si è veduta ac-
crescere la divozione, e il popolo in
folla accorrere lutto 'I giorno a
venerare la sagra inani, gine, e ve-
3o2 FOR
gliarvi in parte la notte, e quasi
per dir così la intera città uscire
ad accompagnarla nel trasporto, in
mezzo ai plausi, ed alle grida non
interrotte di Viva Maria, ed al
pianto quasi universale: ne hanno
impedito questi segni di divozione
affettuosa ne' primi due anni le
nevi a dirotto cadenti , che abbi-
sognava portare la santa immagi-
ne in carrozza , che anzi pareva
che facessero a gara i di voti in
mezzo ai ghiacci e alle nevi a ti-
rare la carrozza, e coi lumi e coi
plausi e colla molta folla del po-
polo addimostrare il loro fervore.
Il capitolo della cattedrale si
compone di due dignità, cioè del-
l'arcidiacono e del primicerio, i
quali per privilegio vestono l'abito
prelatizio, di sedici canonici fra i
quali vi è il penitenziere ed il teo-
logo, di nove beneficiati o mansio-
nari, e di altri preti e chierici ad-
detti al servigio divino : un cano-
nico coadiuvato da un prete ha
la cura delle anime della cattedra-
la , ov'è il fonte battesimale. In
quanto all' antico capitolo è a sa-
persi, che sino al iit^S dal vesco-
vo di Forlì unitamente al legato
a lalere del Papa erasi stabilito ,
che attesa la tenuità delle rendite
della chiesa, non si avesse ad au-
mentare il numero dei canonici a
più di nove, compresovi l' arcidia-
cono ; e tale decreto ebbe confer-
ma da Innocenzo IV. Poscia que-
sto Pontefice concesse facoltà di ac-
cettare in canonici due sacerdoti :
conforme a tale licenza nomina-
ronsi a cane liei un sacerdote ed
un chierico in minoribus, ed il Pa-
pa cui si ricorse e ch'era Clemen-
te IV, nel 1266 approvò in Vi-
terbo tal elezione. In progresso il
capitolo s'\ compose delle dignità
FOR
dell'arcidiacono, del preposto, e del
primicerio , oltre i canonici e man-
sionari; quindi nel i5ig Leone X.
vi aggiunse la dignità di arcipre-
te. Oltre la cattedrale vi sono ita
Forlì altre sette parrocchie : prima
del pontificato di Benedetto XIV
aveva il battisterio ancora la chie-
sa arcipretale della ss. Trinità, già
antica cattedrale, come rilevasi dal-
l' iscrizione esistente nel luogo ove
era il battisterio, fatta dal p. Gua-
stimi abbate camaldolese. Al pre-
sente oltre il sagro fonte della cat-
tedrale, ve ne ha uno nell'antica
chiesa primiceriale di s. Tommaso
apostolo in s. Mercuriale, ed altro
nella piccola chiesina dello Speda-
le, che serve soltanto per gli espo-
sti. Le corporazioni religiose che
sono ora in Forlì si riducono a
sette di regolari, e tre di monache.
I primi sono i domenicani, i mo-
naci camaldolesi, i carmelitani cal-
zati, i servi di Maria ripristinati
per le cure di monsignor Grati
vescovo di Callinico del medesimo
ordine nel santuario di s. Pelle-
grino Laziosi dietro rescritto pon-
tificio, per cui fu subito ceduta la
chiesa ai serviti, i quali compra-
rono il contiguo convento; i mi-
nori osservanti, i cappuccini, e i
gesuiti che hanno pubbliche scuo-
le con grande vantaggio della gio-
ventù. Le religiose sono le mona-
che camaldolesi di s. Caterina, le
Clarisse del Corpus Domini, e le
francescane. L' origine dei religiosi
d'ambo i sessi in Forlì , tanto di
quelli sussistenti, che di quelli che
a cagione delle politiche vicende
non sono più, la riportiamo al ter-
mine di questo articolo. Vi sono
pure due orfanotrofi, diverse con-
fraternite e pie istituzioni di ca-
nta cristiana, l'ospedale , il monte
FOR
di pietà, e il seminario: da ulti-
mo nel 1 834 andò in attivila la
compagnia del Redentore nella chie-
siua dell' ospedale maggiore. Sugli
stabilimenti di beneficenza e d'i-
struzione trattò il sullodato Sesto
Matteucei. L' episcopio è distante
dalla cattedrale, ed ogni nuovo ve-
scovo è tassato ne' libri della came-
ra apostolica in fiorini centocinquan-
ta. Segue per ordine alfabetico lo
stabilimento dei regolari d'ambo i
sessi in Forlì.
agostiniani eremitani. Antichis-
sima è la loro introduzione in
Forlì, ed ebbero la chiesa di s. Si-
gismondo detta poi s. Agostino.
In questa chiesa l'anno 1 38 1 fu-
rono celebrate solenni esequie ai
cadaveri di Francesco Ordelaflfo il
Grande, e di Maria sua consorte
trasferiti da Venezia, coll'assistenza
dei seicento agostiniani ivi adunati
per la celebrazione del capitolo ge-
nerale ; ma venuti tra loro in gra-
te questione, nel giugno la chiesa
e il convento fu dato agli agosti-
niani riformati della congregazione
di Lombardia. Questi religiosi au-
torizzati dal cardinal Cossa legato
di Innocenzo VII , a' 2 maggio
i4o5 rimossero il corpo di s. Si-
gismondo martire e re di Francia
o duca di Rorgogna, collocato sul-
l'altare principale posto nel mezzo
della chiesa, e lo trasferirono nel
nuovo altare maggiore in capo alla
chiesa, a quella parte che si u-
nisce al coro.
Camaldolesi. Nel 1202 Oliviero
Migliocci forlivese donò una pos-
sessione con casale ai monaci ca-
maldolesi, per cui con altri sussi-
dii del vescovo Giovanni, eressero
il loro monistero con chiesa sotto
il titolo di s. Maria, e nell'anno
seguente essendo Sanguigno preto-
FOR 3o3
re della città, gli furono concessi
dal pubblico molti privilegi ed e-
senzioni. Dipoi nel 12.40 venne il
monistero a miglior forma ridotto,
e dichiarato dal vescovo Richelmo
esente ed assoluto in perpetuo dal-
la giurisdizione episcopale, per ro-
gito di Giacomo Segaferri in data
i3 ottobre. In seguito il luogo si
appellò Camaldoli e Camaldolino ,
dappoiché verso il 1 f\$o essendo
diminuito il monistero, venne ri-
dotto dentro la città , e concesso
ai monaci quello di s. Salvatore, già
monistero di monache camaldolesi,
le quali restate poche di numero su-
perstiti alla peste, furono aggrega-
te al monistero di s. Caterina. In
tal modo rimasto s. Salvatore ai
monaci crebbe e fu ampliato, tal-
ché nella riforma della congrega-
zione l'anno i5i 3, si annovera per
uno de'diciassette monisteri prin-
cipali de' camaldolesi. E qui va
avvertito eh' erano in Forlì altri
due monisteri di monache camal-
dolesi, cioè di s. Caterina, e di s.
Mattia ; diminuiti questi per le ci-
vili discordie furoro incorporati a
quello di s. Salvatore circa il 1 433 ;
in seguito per la peste, come di-
cemmo, avvenuto altrettanto a quel-
lo di s. Salvatore fu unito a s.
Caterina, e s. Salvatore dato ai
monaci. All'epoca repubblicana le
ceneri del beato Geremia Lamber-
tenghi, dalla chiesa del di lui or-
dine di s. Francesco di Valverde
furono trasportate nella chiesa dei
camaldolesi, indi a qualche anno
dopo, a cura e spese del canonico
Gaspare Guiducci, già provinciale
del terz'ordine, fatte depositare a
pubblica venerazione nella cappel-
la della Beata Vergine della Fe-
rita, detta comunemente della Ca-
nonica, in cattedrale. L'epoca in
3o4 FOR
cui tornarono i camaldolesi in For-
lì, dopo le suddescritte vicende,
appellati monaci bianchi dal co-
lore dell'abito loro, è il 7 luglio
1822.
Canonici regolari. Morto l'ere-
mita Pietro Durazzo, di cui parlam-
mo di sopra, la chiesa della Ma-
donna delle Grazie, ove quello di-
morava ed ebbe onorata sepoltura,
con l'abitazione e sue pertinenze,
da Pino Ordelaffi a1 6 aprile 1 477
fu concessa alla congregazione dei
canonici regolari del ss. Salvatore ,
die a' 29 maggio ne domandarono
ed ottennero la conferma da Sisto
IV. Ne fu primo superiore d. Lo-
dovico Orlandiui da Forlì , di tal
dottrina ed integrità di vita che
dieci volte fu eletto generale di sua
congregazione. Ricusò la mitra di
sua patria, ed intervenne al conci-
lio di Trento. In questo moniste-
ro, come si disse, vi fu Giulio II
per alcuni giorni.
Cappuccini. Verso l'anno i55i
si stabilirono in città, mentre pri-
ma stavano fuori le mura, non lun-
gi a porta Gotogni nel luogo det-
to i Cappuccini. Ebbero la chiesa
di s. Gio. Battista, ove edificarono
il convento con numerosa famiglia
di frati. Molti forlivesi cappuccini
ivi si sono distinti per santità e dot-
trina , come due frati Angeli , fr.
Modesto, fr. Giovanni , ed in par-
ticolare fr. Girolamo Torelli insigue
predicatore, morto nel i566. Fr.
Girolamo Paolucci, chiamalo l'apo-
stolo della Madonna, per la divo-
zione che ne propagava, e per es-
sere stato il primo a coronare so-
lennemente le sagre immagini, e
per avergli eretto chiese e cappel-
le colla sola limosina raccolta in
una predica, nelle quali era valen-
tissimo: morì in Parma nel 1260.
FOR
Nel i564 i cappuccini tennero in
questo convento il XII loro ge-
nerale capitolo, in cui restò eletto
generale fr. Evangelista da Carnolio.
Dopo che i cappuccini nelle politi-
che vicende andarono soppressi, ri-
tornando in Forlì nel 1822 ebbe-
ro non l'antico convento, ma quel-
lo dei religiosi trinitari del riscat-
to, così delti della Madonna de' fio-
ri, fuori di porta s. Pietro, con la
chiesa de' ss. Vito e Modesto, dai
cappuccini acquistato dal marche-
se Luigi Paulucci de' Calboli.
Carmelitani. Nel 1 3 48 Peppo di
Orabone Oraboni e Caterina coniu-
gi , dierono incominciamento nelle
proprie case alla chiesa e convento
della ss. Annunziata in Forlì , in-
troducendovi i carmelitani ; questo
fu il primo convento che tali reli-
giosi ebbero nella provincia, la qua-
le comprende la Romagna e la
Marca.
Domenicani. Verso il 1229 que-
sti religiosi incominciarono in Forlì
il loro convento, in seguito accre-
sciuto ed abbellito, ed in cui fio-
rirono religiosi insigni in virtù e
letteratura. A mediazione del p.
Tommaso Massa forlivese priore,
Giulio Antonio Fiorini eresse una
magnifica cappella in detta chiesa
ai beati Marcolino e Carino, i cui
corpi vi furono collocati nel 1659:
in egual tempo in mezzo al chio-
stro fu eretta una colonna di mar-
mo, con sopravi la statua di s. Do-
menico di metallo dorato.
Eremitani girolamini. Questi re-
ligiosi di s. Girolamo della congre-
gazione del b. Pietro da Pisa, nel
i5io ebbero la chiesa di s. Maria
fuori le mura vicino a porla Schia-
vonia, ove edificarono il convento.
Siccome poi da quel lato si domi-
nava la città, perciò la chiesa e
FOR
convento nel i55i6 vennero demoliti
d'ordine di Antonio Caraffa nipo-
te di Paolo IV e generale della
Chiesa, e ciò per sospetto di guer-
ra, stante 1' esercito francese calato
in Italia, e che poi si effettuò con
quella che Fdippo II re di Spagna
dichiarò al Pontefice. Quindi a' 2 1
settembre i girolainini vennero in-
trodotti in città, e loro data la
chiesa di s. Michele de' battuti ros-
si. Rifabbricata poi nel 1D70 la
chiesa fuori di Forlì sotto il titolo
della Madonna del Voto, per vari
prodigi ivi operati da un'immagi-
ne della ss. Vergine, nel iS'jZ ven-
ne di nuovo con cura di anime
concessa ai medesimi eremitani gi-
rolamini. Nel secolo XVII rovinata
di nuovo la chiesa e il convento
dall'impeto del vicino fiume, si
riedificò in forma più. angusta, ed
un solo vi rimase de' religiosi alla
cura delle anime, e questo tolto
per decreto d' Innocenzo X , come
per altri dichiarati conventiui av-
venne ad altre congregazioni reli-
giose sì in Forlì che altrove, per
cui ai girolamini restò il solo con-
vento di s. Michele in città.
Filippini. Fabrizio dall'Aste pre-
te forlivese fu il fondatore della
congregazione di s. Filippo in que-
sta città, erigendo colle sue indu-
strie e sussidi sulle rovine del pa-
lazzo Orsi l'elegante chiesa e l'an-
nesso convento: in odore di santi-
tà morì nel i655.
Gesuiti. Nel \5Zf s. Francesco
Saverio, uno de' primi soci di s. 1-
gnazio fondatore della compagnia
di Gesù, eletto poi per protettore
di Forlì, portandosi a Bologna, si
fermò nell' ospedale, donde lo tras-
se a casa sua il canonico Girola-
mo Casalini forlivese rettore di s.
Lucia, ove poi i gesuiti fondarono
voi. xxv.
FOR fcl
un magnifico collegio. Indi nel
i558 s'introdusse la compagnia in
Forlì dal vescovo Piergiovanni Aleot-
ti forlivese, il quale gli fece dota-
zione e dono tra le altre cose del
prezzo di uno scrigno o sia studio-
lo già annesso, dicono, a quello che
serve di tabernacolo in duomo, sti-
mato dagli intendenti sei mila scu-
di, e venduto a Paolo III o IV che
lo mandò al re di Spagna. I gesuiti
prima dimorarono in s. Gio. Bat-
tista , poi dato ai cappuccini , indi
nel 1567 dai battuti turchini che
trasferironsi alla chiesa di s. Ber-
nardo, per cui gli cederono la pro-
pria chiesa di s. Antonio nel bel
mezzo di Forlì sulla contrada di
Schiavonia. Questa fu dai gesuiti
ampliata, dando cominciamento ad
un nobile edifizio ed al collegio sot-
to gli auspicii di s. Francesco Bor-
gia allora generale della compagnia;
e fu il primo collegio che fondaro-
no i gesuiti in Romagna, com' era
accaduto ad altre religioni che da
Forlì diramaronsi poscia per la
provincia. Nel i584 Dorotea figlia
del duca di Lorena i e moglie del
duca Enrico di Brunswick -Lune-
burgo, denò ai gesuiti di Forlì la
statuetta della ss. Vergine detta di
Germania, la quale sagra imma-
gine essendo in un monistero di
quella provincia, che fu preso e pro-
fanato dagli eretici, fu da Dorotea
involata. In occasione che nel 1600
i religiosi dalla sagrestia trasferirono
in chiesa la statuetta, si avvidero che
racchiudeva un pezzo della destra
manica dell'abito della B. Vergine
Maria, la quale insieme ad un pezzo
della fascia di Gesù infante, e ad
alcune anella della catena di s. Pie-
tro si stabilì esporsi alla pubblica
venerazione. Dei prodigi fatti dalla
detta sagra immagine, ne tratta il
20
3o6 FOK
sommario stampato nel iGo3 dal
collegio Partenio di Forlì, e ne fa
menzione anche il p. libò gesuita
ne' suoi Sabati ed esempi della Ma-
dot ina.
Minori conventuali. Il convento
e custodia de'miuori conventuali di
Forlì, già esistente in queste parti
sino ai tempi di s. Francesco e s.
Antonio, per beneplacito d' Inno-
cenzo., IV fu di fuori cb' egli era
introdotto in città ; ed ebbero la
celebrazione del loro capitolo ge-
nerale nel contiguo convento di
s. Francesco nell' anno 1 42 i e
nel i5ii. L'antica chiesa dei con-
ventuali era nella piazza di s. Fran-
cesco ; i religiosi la demolirono, e
ne fabbricarono una nuova, che
nel tempo dell' invasione francese
fu distrutta.
Minori osservanti. Nel 1422 fon-
darono il convento nelle case di
Francesco Ordelaffì, dipoi accresciu-
to, essendone stato fondatore il p.
Giacomo Primadicci bolognese , di
«anta vita. Dipoi nel i65g il p.
Angelo Soriano guardiano di que-
sto convento lo migliorò, e in det-
to anno ivi si tenne il concilio pro-
vinciale con molto concorso e so-
lennità. Fedì Meni, islor. de'conv.
de'miuori riformati della provincia
di Bologna, del p. Flaminio da
Parma : del convento di s. Giro-
lamo. Dopo le narrate vicende, re-
stituendosi i minori osservanti in
Forlì, non ritornarono in s. Giro-
lamo, ma bensì nel locale o chiesa
di Valverde già dei religiosi Tre-
beccanti, o sia del terz' ordine di
s. Francesco.
Paolotti. Nel 161 4 s'introdusse-
ro in Forlì, edificando sul borgo
Gotogni ora Pio il loro convento
e chiesa : questa al presente è la
chiesa paroccbiale di s. Giacomo
Maggiore, detta di s. Lucia, ■ cui
nel 1829 il più conte Domenico
Matteucci terminò la farcia ta esterna.
Servi di Maria. \ uoUi che il
loro convento avesse principio nel
19.84, e perciò uno de' più antichi
della Romagna. Ivi nella eliiesa fu
tumulato il corpo di Ir. Pellegrino
Laziosi nel i34t>, poi beatificato e
canonizzato, anzi il di lui corpo iu
nel 1640 trasferito solennemente
nella magnifica eappella a lui eret-
ta. In questo convento nel 1 5 1 1
si -tenne dai serviti il capitolo ge-
nerale. Agli 11 novembre 1 83 5 i
serviti furono ripristinati in Forlì,
come si è detto, non neli' antico
convento , ma nella casa attigua
alla loro chiesa, da essi religiosi
acquistata.
Terziari. 11 terzo ordine di s.
Francesco nel 1*221 da esso fon-
datore immediatamente istituito, da
Nicolò IV confermato nel 1289, e
nel i3oo dichiarato ordine reli-
gioso, nel tempo stesso venne in-
trodotto in Forlì, avendosi la chie-
sa di s. Maria di Valverde dall'ab-
bate di s. Mercuriale. Fra Pietro
Negri da Sernia n'ebbe investitura
a vita, del 1 4-72 n< Ambrogio da
Milano, e morto questi il p. Gio-
vanni da Verona generale l'ebbe
con orti e case in dono per sé
stesso e suoi religiosi successori. I
religiosi rifabbricarono ia chiesa an-
nessa, che fu poi consagrata, aven-
do nell'altare della ss. Annunziata
il corpo del b. Geremia Lamber-
teughi del medesimo ordine , in
elegante cappella.
V allombrosani. Pochi anni dopo
la morte dì s. Gio. Gualberto fon-
datore della congregazione de' mo-
naci vallombrosani benedettini, la
quale verso il 1080 conseguì nel
territorio forlivese s. Manu di Fin-
FOR
orano, e poi la pie\e di s. Stefano
<na s. Mercuriale e -già abbazia, ad
aiuunnUtrorvi i sacramenti. Gio-
\ m tini Nomai \esco\o ili Forlì, mor-
to nel 141 1, era stato iibbate com-
mendatario di s. Mercuriale, giac-
ché non essendosi i monaci uniti
alla congregazione, quando questa
abolì le abbazie separale, l'abbazia
di s. Mercuriale era stata dichiara-
la commenda . Così procederouo le
(<>>e tino ai tempi di Girolamo
Riaria, allorché l'abbate Nicola Bar-
loliui forlivese, nel 1487 'a rinunziò
ccn pernione d'annui trecento du-
cali ai monaci della congregazione,
i quali vivevano a Fiumana, ed
allora tornarono ad abitare in For-
lì. Nel contiguo monastero nell' a-
prile del 1 5/yo i valìombrosani ten-
nero il loro primo capitolo, in cui
si devenne alia elezione de' primi
generali di triennio.
In quanto alle monache, dei tre
monasteri delle carnoldolesi, lo di-
cemmo parlando dei monaci delia
medesima congregazione. Ai 1 3 ot-
tobre 1245 il capitolo di Foilì
accordò facoltà alle monache di s.
Domenico di edificare il loro mo-
nastero, dotalo la prima volta dal-
la comune; per cui le monache si
obbligarono somministrare al capi-
tolo una libbra d' incenso per la
lesta dell' Invenzione deila ss. Cro-
ce, assuntosi tale obbligo F. On-
dedeo lòndatore del monastero .
Questo monastero nel i5ì2, fu
soggetto alla riforma per introdur-
vi quella di Lombardia, per la qua-
le vennero mandate dal monastero
di s. Caterina da Siena di Ferrara
selle monache, la prima delle qua-
li fu Samaritana Calcagnine Pino
Ordelaffi cominciò il monastero
delle monache osservanti , dette
della Torre, che poi compì verso
FOR 307
il i486 Girolamo Riario. Nel i653
ebbe principio il monastero delle
monache cappuccine sul borgo Go-
togni, e poscia la chiesa dedicata
a s. Elisabetta regina d' Ungheria.
11 monastero delle monache di
s. Febronia s'incominciò nel 166 1 ,
mentre le monache di s. Chiara a
tale anno diedero termine alla loro
chiesa. Le monache di s. Febronia
dette comunemente le Paoline, nel
i8o5 furono concentrate ed unite
colle monache di s. Cecilia in s.
Chiara, le quali non erano state
soppresse neh' epoca repubblicana.
Nell'anno 1810 l'imperatore Na-
poleone emanò il decreto della
soppressione de' regolari d'ambo i
sessi restati in Forlì, cioè dei mi-
nori osservatili di s. Girolamo, dei
cappuccini, dei filippini, non che
delie monache cappuccine , delle
adoratrici del ss. Sagramento , e
di queste di s. Cecilia in s. Chiara.
Vi ha pure il monastero delle
monache Clarisse del Corpus Do-
mini, francescane così dette perchè
adoralrici del ss. Sagramento, eret-
to dall'ex gesuita d. Andrea Miche-
lini di Bologna nel 1786, onde
da lui furono pur chiamate Miche-
line, nel luogo ove era quello delle
monache convertite: l'antica chiesa
ristorata , e la nuova fabbricata
ebbero compimento nel 170,4.
FORLIMPOPOLI. Citta già ve-
scovile, ed ora abbazia nullius del-
la basilica di s. Pietro, dello stato
pontificio, nella legazione di Forlì.
Questa antichissima città della Gal-
lici Togata, fu uno dei quattro Fo-
ri sulla strada Emilia , dei quali
fa menzione Plinio, cioè Forum Li-
vii ossia Forlì, Forum Pompi Hi o
Forlimpopoli, Forum Cornrìii o I-
mola, e Forum Novum ora Forno
o Forno vo, ov'è il maguifico tempio
3o3 FOR
di s. Maria delle Grazie, di cui
parlammo all' articolo Forti [Fe-
di). Forlim popoli è posta in una
pianura sulla via Emilia, a poca
distanza dagli ameni colli di Ber-
tinoro, ad otto miglia da Cesena,
a cinque da Forlì per dove si at-
traversa sopra un ponte di legno
(il quale si ha speranza che quanto
prima si rifabbrichi di pietra a
mezza strada) il fiume Ronco, me-
morabile per le vittorie de' forlive-
si sui Malatesta: a sinistra di esso
era un forte castello detto del Ron-
co, ove stanziò Francesco Sforza mo-
vendo contro gli Ordelaffi, essendo-
vene vestigio in una chiesuola. For-
limpopoli fu una di quelle città in
cui i magistrati romani tenevano
le loro corti di giustizia, ed una di
quelle de' quattro loro tribunali su-
periori. Ma distrutta, come diremo,
dai longobardi, e sebbene venisse poi
dai forlivesi, ed anche dai Pontefi-
ci rifabbricata, e munita pure di
fortificazioni, non potè più tornare
all'antico suo lustro e florido sta-
to. E tuttavia popolata nel mura-
to suo recinto di un miglio da
ben duemila e duecento abitanti,
oltre ad altrettanti sparsi ne! suo con-
tado, ristretto ma fertile assai di bia-
de, vini, seta e canapa; laonde tra
per questo, e per la vicinanza delle
altre città e terre per le comode
strade che ogni di si restaurano, è
fatta centro a floridissimi mercati
settimanali, pei quali n'ebbe privi-
legio fino da Giulio II nel i5o4-
Ha una insigne collegiata sagra a
s. Rumilo, il primo vescovo di cui
si abbia chiare notizie, con quin-
dici canonici , con altre sette chie-
se, e un monastero con educandato
di monache agostiniane, unico or-
dine regolare ripristinato dei tre
che prima vi erano. Conta dodici
FOR
ben corredate confraternite, di cui
alcuna numerosa di oltre a cento
individui. Possiede un dovizioso
monte di pietà, un ospedale già
prima destinato a solo ricovero dei
pellegrini, e che ora per pia libe-
ralità del suo cittadino d. Luigi Sal-
laghi, defunto nel i832, può ricet-
tare e soccorrere tutti gì' infermi e
invalidi della città e suo territorio.
Altro benefico concittadino, il dot-
tore Ippolito Massi, nel 1840 prov-
vide largamente alla istruzione del-
la gioventù, legando il suo ricco
patrimonio di oltre quaranta mila
scudi al mantenimento di giovani
nei collegi ed università dello stato.
A premure del rispettabile capi-
tolo vaticano ordinario, si ottenne
dai pompiliesi e dal Pontefice Cle-
mente XIII, con sua bolla del pri-
mo ottobre 1767 l'erezione dell'o-
pera pia, e l'erogazione dei redditi
di alcuni pingui benefizi ecclesiastici,
di che piuttosto abbondava la cit-
tà, alla istruzione cioè di alcuni
chierici in taluno dei più rinoma-
ti seminari. La sua piazza è vasta,
quadrata, adorna di regolari edifi-
zi, e le sue strade sono ampie, di-
ritte, pulite. Vi si vedono ancora
gli avanzi della forte sua rocca, ove
Giulio II e Paolo III pernottarono
nel transitare per questa città. Do-
po che Sinibaldo Ordelaffi riedifi-
cò Forlimpopoli, e dopo esservi ri*
entrata buona parte dei dispersi
cittadini, ciò che avvenne nel i38o,
il Pontefice Urbano VI confermò
il titolo di città che precedentemen-
te godeva, non come altri scrisse-
ro , allora la dichiarò città, ciò
che confermò pure Leone XII ai
2 3 dicembre del 1828, perchè tal
titolo col tempo era andato in di-
menticanza. Della famosa abbazia
detta di s. Rumilo dal suo primo
FOR
vescovo e patrono, già dell' ordine
di s. Benedetto, ora soggetta al ca-
pitolo vaticano , che vi tiene un
vicario generale, la cui chiesa ere-
desi eretta sulle rovine d'un tem-
pio d'Ercole, e ricolmata di privi-
legi da Benedetto VII, Alessandro
HI ed altri Papi, non che da Ot-
tone III ed altri imperatori, se ne
tratta in fine di questo articolo. In
quanto alla città altri molti ponte-
fici romani furono generosi di gra-
zie e privilegi verso d'essa, special-
mente Giulio II, Leone X, Adria-
no VI, Paolo III, Pio IV, e Si-
sto V.
Forlimpopoli venne denomina-
ta Popilia, o Foro di Popilio, o
Pompilio, e perciò i suoi abitanti
popiliesi o pompiliesi, dal suo fon-
datore di tal nome, su di che av-
vi questione, nel sapere cioè qual
fosse questo Popilio o Pompilio,
L'Ughelli néY Italia sagra toni. II,
pag. 589 asserisce essere stato Mar-
co Popilio Lena, console per la quar-
ta volta, che ne gettò i primi fon-
damenti dopo aver debellato i li-
guri, ch'egli vendette con tutte le
loro sostanze verso l' anno 58 1 di
Roma ; ma i romani non erano
ancora penetrati a quel tempo nel-
la Gallia, e non trovasi nella storia
alcuno di questo nome che moves-
se guerra ai galli. Egli è vero che
Popilio vendette, come in pubblico
mercato, i prigionieri da lui fatti
nella guerra contro i liguri, e che
quest'atto dispiacque sommamente
ai romani, i quali gliene fecero gra-
a i rimproveri, e lo costrinsero a ricu-
perarli, ed a rimandarli alle loro ca-
se. La storia aggiunge che il senato
gli ordinò di uscire dalla liguria sen-
za dilazione, e di ritornare a Ro-
ma. Quale apparenza pertanto che
questo console abbia voluto darsi
FOR 309
vanto di una azione che la repub-
blica riputava a sé ignominiosa, e
che altamente rimproverò? E egli
a credersi che Popilio volesse per-
petuarne la memoria colla fondazio-
ne di una città che avrebbe rinfac-
ciato a' romani la loro crudeltà, ed
a lui slesso la propria perfìdia ?
Quei popoli dopo la vittoria con-
seguita da Popilio Lena o Levate,
come altri il chiamano, gettate le
armi si arresero al vincitore. E dun-
que a presumersi con maggior pro-
babilità, che i liguri stessi edificas-
sero la città, e gli dessero un tal
nome in memoria del tragico av-
venimento. Ma sulla sua origine e
progresso si consultino queste ope-
re. Giacomo Besi, Bertinoro rimpro-
verante , riflessioni sloriche sopra
un discorso in difesa di Forlimpo-
poli, composto da Matteo Vecchiaz-
zani, Cesena "per il Neri 1660.
Matteo Vecchiazzani, Historia di
Forlimpopoli con varie rivoluzioni
delle altre città di Romagna, Ri-
mino 1647 pel Simbeni. Orazio il
figlio aggiunse alla parte prima il
catalogo de' consiglieri in allora vi-
venti con il loro stemma. Matteo
Vecchiazzani, La verità difesa con-
tro Bertinoro rimproverante, rispo-
sta alle riflessioni istoriche di Gia-
como Besi, Faenza pel Zarafagli 1 66 1 .
Forompopiliensi jurisdictionis, Ro-
mae typis Monetae 1776. E una
scrittura con la quale si dimostra
contra il Besi, che sebbene Forlim-
popoli sia alquanto decaduta dal-
l'antico splendore, non per questo
deve perdere il nome di città ve-
scovile.
Sebbene al citato e precedente
articolo Forlì si siano compendio-
samente narrati i principali avve-
nimenti risguardanti Forlimpopoli,
pel legame che hanno con quelli
3 io FOR
di Forlì, qui riepilogheremo con
semplici cenni le cose meritevoli
di particola!" menzione. Forlimpo-
poli seguA i! destino del romano
impero, e cadde con Ini. Grimoal-
do re de' longobardi verso l'anno
669 saccheggiò la città, uccise gran
parte de' cittadini, l'incendiò rovi-
nandola interamente; chi potè fug-
gire si rifugiò in Forlì. Nel pon-
tificato di Stefano II detto III a-
vendo Pipino re di Francia li he
rato questi luoghi dalla domina-
zione di Astolfo re de' longobardi,
nel 7 56 restituì alla santa Sede
i luoghi di sua ragione, ed altri
ne donò a s. Pietro, fra' quali si
novera Forlimpopoìi . In seguito
circa l'anno ioj4 ' forlivesi alle
istanze de' pompi liesi riedificarono
Forlimpopoìi. La storia pompiliese
però non ammette l'autorità di co-
loro, che affermano essere stato dai
forlivesi riedificato; ma pretende
fosse solamente ristorato, adducen-
do per ragione l'avere Forlimpo-
poìi a' tempi addietro i vescovi, e
contribuito soccorso considerabile ai
ravennati in favore dell'arcivescovo
nell'anno 709. I ribelli contro la
romana Chiesa nel 1 268 sorprese-
ro Forlimpopoìi e Bertinoro. Nel
1291 i Polentani disubbidienti al
conte Aldobrandino ministro pon-
tificio, da Vitale Bagnoli, fecero
all'improvviso nel 1291 occupar
Forlimpopoìi, non riuscendo fare
altrettanto su Bertinoro. Signoreg-
giata Forlimpopoìi dagli Ordelaffi
dominatori di Forlì, nel 1 33 1 fu
loro tolta dall'esercito del cardinal
legato Bertrando, e restituita nel-
l'anno seguente a Francesco per
convenzione. Nel cedere Forlì Fran-
cesco Ordelaffi nel i36o fu as-
sediato in Forlimpopoìi dal car-
dinal Albornoz, dal quale fu co-
FOU
stretto abbandonarla; avendo i pom-
piliesi sostenuto il ribelle, e al di-
re di alcuni ucciso il vescovo fr.
Ugolino, mentre li esortava ad ar-
rendersi, la città fu spianata, se-
minandovisi il sale. Gran parte del
popolo ricov'rossi in Forlì, e la se-
de vescovile fu trasferita in Ber-
tinoro {Vedi). Dipoi nel 1367 con-
siderando* Bartolomeo vescovo di
Sartina che il venerando corpo di
s. Rullìi lo primo vescovo e patro-
no di Forlimpopoìi quivi non era
sicuro, giudicarono trasferirlo nel-
la chiesa di s. Giacomo della Stra-
de, poi s. Lucia in Forlì, perchè
tal chiesa era sotto la giurisdizio-
ne deli' abbazia di s. Rufhilo di
Forlimpopoìi, e nella quale erano
le spoglie di s. Mercuriale suo com-
pagno in vita: veramente sull'epo-
ca di questa traslazione gli storici
sono un poco discordi.
Ma sull'eccidio di Forlimpopoìi,
e sulla pretesa uccisione del vesco-
vo, ci permettiamo una breve di-
gressione. Francesco Ordelaffi nel
i36o fu assediato in Forlimpopoìi
dal cardinal Egidio Alboino/ lega-
to d'Innocenzo VI, il quale por
vendicarsi degli Ordelaffi distrusse
la città, adeguandone al suolo le
sagre e profane abitazioni, e so-
pra seminandovi il sale, e disper-
dendone gli abitanti. I principali
di essi posero dimora chi in F01T1
come i Teodoli, i Belli, gli Artusini,
gli Armuzzi, i Salimbeni, ed altri:
quali in Faenza, cioè i Ronda ni-
ni, gli Avarisi, i Paganelli ec. , e
quali a Ferrara ed in Modena, (ili
Spada ricoverarono in Val d'Arnio-
ne, e furono stipite dell'attuale
principesca famiglia Spada. Il ve-
scovo poi, ch'era un tal Roberto,
si rifugiò nel vicino Bertinoro ca-
stello di sua giurisdizione, ove du-
for
rendogli profondo dolore per l'ec-
cidio del suo gregge, e la rovina
della sua città, nel i36ì sponta-
neamente rassegnò il suo grado
nelle mani del cardinale legato di
Urbano V, che fu pure il cardi-
nal Albornoz, come si ha dai re-
gistri vaticani. Da ciò ci pare evi-
dente L'errore di alcun troppo cre-
dulo storico, che asserisce avere i
forlimpopolesi in tali circostanze
ucciso il loro vescovo di nome fra
Ugolino, mentre è fuor di dubbio,
che questi era morto nel i35o,
cioè dieci anni avanti tal catastro-
fe: e meno poi poterono aver com-
messa tanta empietà nella persona
del nominato Roberto I che in
quell'epoca n'era realmente vesco-
vo, se questi viveva ancora nel
l365, vale a dire cinque anni do-
po; e a lui rinunciante venne so-
stituito Roberto li de' Resinelli ,
come si rileva da una lettera del-
l' Ughelli al Vecchiazzani che la in-
serì nella sua Verità difesa con-
tro Berliiìoro rimproverante, pag.
GH, e ciò dietro accurato esame
dei registri del vaticano, e del li-
bro delle provvigioni dei prelati
sotto Urbano V. Dopo questa e-
poca fatale a Forlimpopoli, si ri-
masero, come diremo, i vescovi in
Rertinoro, conservando però il ti-
tolo della vera loro antica chiesa
per buon tratto di tempo. In se-
guito vi aggiunsero anche l'altro
di Bertinoro, come testifica il ci-
tato Libelli, Italia sagra par. i, p.
323, 3^4, che riferisce i vescovi suf-
fragane! al metropolitano di Raven-
na nel 1647. Più tardi essi vescovi
s'intitolarono unicamente di Berti-
noro, sebbene allo stesso diligente
Ughelli non venisse fatto di rinve-
nire alcuna bolla che stabilisca l'e-
rezione di Berli noro in vescovato.
FOR 3n
Sinibaldo Ordelaffl signore e
vicario pontificio di Forlì riedificò
Forlimpopoli, ma in un giro più
ristretto di due terzi, ciò eh' es-
sendo terminato nel i38o in un
al recinto delle mura, Sinibaldo
vi celebrò alcune feste, aggregando
al territorio forlivese, ed accordan-
do la cittadinanza di Forlì ai pom-
piliesi, e fu allora che Urbano VI
riconfermò alla ricostrutta Forlim-
popoli il titolo di città. Dopo la
morte di Cecco Ordelaffi, nel 1 4o 1
Forlimpopoli si diede nuovamente
alla Chiesa, poscia la riprese Gior-
gio Ordelaffi, assediato indarno nel
i4io dalle milizie papali. Agnolo
dalla Pergola nel 1 4^4 l'occupò pel
duca di Milano Visconti, in un a
Bertinoro; indi fu di nuovo assog-
gettata dagli Ordelaffi, i quali nel
i4^6 dovette consegnarla insieme
agli altri dominii al cardinal Ala-
mand legato di Martino V. Ripre-
sa dagli Ordelaffi, ad Antonio la ri-
tolse nel i436 Francesco Sforza,
generale di Eugenio IV; ma nel
1 44 r Antonio la riprese. Dopo va-
rie vicende, fece parte dei dominii
dei Riari, e del duca Valentino,
quando Giulio II s'impossessò del-
la città e della rocca nel i5o4,
e nel i5o6 vi si portò in per-
sona, mentre reduce da Bologna
nel seguente anno l'onorò un'altra
volta di sua presenza, fermandosi
alcuni giorni in s. Maria delle
Grazie di Forno. In seguito ne fu
investita la celebre famiglia Zam-
peschi, l'ultimo de' quali Brunoro
Zampeschi signore di Forlimpopo-
li, s. Mauro e Giovedio, mori nel
1578. Ma la vedova sua consorte
Battistina, figlia del principe ro-
mano d. Gio. Battista Savelli, don-
na virile e magnanima , propo-
stasi per modello la celebre Ca-
3.2 FOR
terina Sforza già signora di Forlì,
alla testa di gente armata ebbe il
coraggio di resistere all'esercito ec-
clesiastico portatosi per ordine di
Gregorio XIII ad occupare gli stati
di Brunoro devoluti alla santa Se-
de per mancanza di successione.
Tuttavolta a mediazione dei car-
dinali Savelli e Farnese, Battisti-
ria ottenne dal Papa la rocca, il
fìscOj ed altre prerogative a di lei
■vita.
Il Ratti nella Storia della fa-
miglia Sforza, parlando a pag. 3 1 6
e 34i della parte li della fami-
glia Savelli, osserva die Battistina
non aveva tutti i torti di preten-
dere sull'eredità del marito. Dap-
poiché non solo era stata lasciata
erede universale del medesimo, nel
caso che non avesse avuto figli
maschi, purché vivesse in istato ve-
dovile; ma con un moto -proprio
di s. Pio V de' g giugno i5ji gli
era stato concesso il governo e la ren-
dita di Forlimpopoli sua vita duran-
te, sopravvivendo al marito; e ciò
tanto pei meriti di Brunoro, quan-
to principalmente per quelli di An-
tonello Zampeschi di lui padre, e
rispettivamente suocero di Battisti-
na, che tra gli altri servigi presta-
ti alla Sede apostolica nel pontifi-
cato di Paolo III, somministrò al-
la medesima dieci mila scudi d'oro
del sole per la guerra contro il
turco. I beni di Battistina esistenti
in Romagna passarono al principe
d. Paolo Savelli, che nel 1623 ai
28 gennaio li vendette per scudi
settantacinque mila al cardinal Cap-
poni. Così Forlimpopoli ritornò pie-
namente al paterno regime de'som-
mi Pontefici, cui fu tolto quando
nel 1797 i repubblicani francesi
invasero la Romagna, facendo par-
te della repubblica Cispadana e
FOR
Cisalpina, come anche del regno
italico del dipartimento del Rubi-
cone. Finalmente restituita nel 181 5
la Romagna a Pio VII (che nel-
l'anno precedente nel restituirsi al-
la sua sede si credeva avesse ono-
rato questa città di sua presenza,
per cui eransi preparate le maggio-
ri dimostrazioni di giubilo dai pom-
piliesi; ma il di voto desiderio non
ebbe effetto , perchè il Papa nel
recarsi alla sua patria Cesena, pas-
sando per Ravenna, lasciò fuori
Forlimpopoli), ritornò sotto la do-
minazione della romana Chiesa.
La fede in Forlimpopoli sembra
predicata ne' tempi apostolici da
s. Apollinare discepolo di s. Pietro.
S. Ruffillo greco di Atene, per la sua
modestia fino da fanciullo fu dai
6uoi compagni chiamato il vescovo;
in pellegrinaggio si recò a Roma ,
ove colle sue virtù acquistò tanto
credito, che dal Pontefice s. Silve-
stro I verso l'anno 33o fu creato
vescovo pompiliese, ove recatosi con-
vertì molti gentili alla fede, facen-
do altrettanto nei dintorni. Il tem-
pio d' Iside lo ridusse in chiesa per
onorare il vero Dio, e la B. Ver-
gine Assunta in cielo , sotto il pa-
trocinio del principe degli apostoli
s. Pietro. Nell'anno 359, con S- ^bsr-
curiale vescovo di Forlì, s. Ruffillo
intervenne al concilio di Rimini, e
con ecclesiastico zelo vi difese la
credenza apostolica, e poscia santa-
mente morì a' 5 luglio dell' anno
383. Il secondo vescovo di Forlim-
popoli fu Grato, che fiorì nel 4^4i
indi gli successe Sabino nel 494 5
poi Agello che intervenne al con-
cilio romano celebrato dal Papa
s. Simmaco l'anno 5oo, e quei ve-
scovi che riporta l' Ughelli loco ci-
tato: qui faremo memoria de' più
distinti. Stefano che fu al concilio
FOR
provinciale di Ravenna del 649 ;
Giovanni fiorito nell' 898, che fu
presente al concilio celebrato da
s. Nicolò I ; Guinicino del 980 ,
sotto del quale il Papa Benedetto
A II emanò un diploma in favore
dell'abbate di s. Ruflìllo; Sergio fio-
rito ne' primi anni del secolo XII,
imo de' principali benefattori del-
l' abbazia di s. Ruflìllo ; Ausarico
del 1 i52, e Gregorio suo successo-
re; Guelfo Belmonti eletto nel i2o3,
ed Ubertello che il successe ; Desi-
gnato che nel i25i alloggiò nella
vigilia de' ss. Simone e Giuda il
Pontefice Innocenzo IV reduce dal-
la Francia ; Almerico camaldolese
abbate di Classe, promosso nel 1262.
Peppo Ordelaffi eletto dal capitolo
di Forlì , non fu riconosciuto da
Bonifacio VIII, indi scelto a proprio
vescovo dai pompiliesi venne egual-
mente rigettato da Benedetto XI, il
quale in vece creò vescovo di For-
limpopoli nel 1 3o4 fr. Pietro del-
l'ordine de' minori , succedendogli
Pietro abbate di s. Ruflìllo; Ugoli-
no Gabrielli di Gubbio , che nel
i323 ebbe in successore fr. Ugoli-
no domenicano, traslato dalla sede
vescovile di Sinigaglia ; dopo Ugo-
lino per molti anni governò la dio-
cesi il vescovo Roberto, sotto di
cui r Ughelli pone l'eccidio della
città spianata al suolo, per cui ri-
fuggitosi il vescovo in Bertinoro ,
morì nell' afflizione l' anno 1 364-
Sotto fr. Roberto de Resinella, ere-
mitano di s. Agostino, seguì coll'au-
torilà del Pontefice Urbano V , e
del successore Gregorio XI ì' ere-
zione della chiesa vescovile di Ber-
tinoro, coli' unione di questa di
Forli inpopoli. Veramente si dubita
che Urbano V, Gregorio XI ed Ur-
bano VI abbiano eretto il vescovato
di Bertinoro, e niuna bolla in pro-
FOR 3i3
posito potè rinvenire l'Ughelli tanto in
ciò giustamente interessato. Sembra
piuttosto ch'essi Pontefici approvas-
sero la traslazione della sede di
Forlimpopoli in Bertinoro, giacché
a lungo questi vescovi mantennero
il titolo solo della prima sede, co-
me è dimostrato più sopra. Sicco-
me poi la chiesa di Bertinoro fu
unita a quella di Sarsina ( Vedi') ,
a questo articolo nomineremo gli
altri vescovi. Passiamo ora a dare
alcuni pochi cenni intorno all'ab-
bazia di s. Buflìllo.
Essendosi dalla pietà dei ricono-
scenti pompiliesi eretta fuori delle
mura della città, sulle rovine d'un
antico tempio d'Ercole, una chiesa
al -loro s. Ruflìllo, ove far deporre
le sagre sue spoglie mortali, fu pen-
siero del vescovo Fortunato di affi-
darne la cura ai monaci benedet-
tini che quivi nel 582 fondarono
una loro abbazia. E questa col tem-
po, e pei privilegi e donazioni di
tanti Pontefici , e specialmente di
Benedetto VII, di Alessandro III, e
poscia di Onorio III , non che dei
vescovi locali Giumizio, Onesto,
Sergio ed Ubertillo , come anche
degli imperatori Ottone III del 995,
ed Enrico V del 1 1 1 1, che nel loro
transitare per Forlimpopoli abita-
rono presso queJ monaci e ne ser-
barono sempre affettuosa ricordan-
za, crebbe a molta ricchezza non
solo di beni temporali, ma fu ezian-
dio conferita ai suoi abbati giuris-
dizione episcopale in molta parte
dell' in allora vastissima diocesi ,
che si estendeva fino agli Apenni-
ni , non che in tanta parte della
città , ove pur ebbero cura d'ani-
me; il che si rileva dalle bolle
de' ricordati Pontefici, e dai diplo-
mi dei memorati imperatori. Do-
po la riedificazione di Forlimpopo-
3i4 FOU
li del i38o, per opera di Sinibal-
do Ordelaffi ritornarono anche i
benedettini, ed eressero il loro mo-
nistero ed il tempio a s. Ruffillo
sulle rovine della cattedrale che lo
stesso santo da tempio d'Iside aveva
convertito a chiesa in onore pure
dell'Annunziamone della B. Vergi-
ne. Fino ad un secolo circa dopo
tale epoca si trova sempre men-
zione del mouistero e dei monaci;
ma da indi in poi non si rinviene
più parola di essi , ma sihbene di
commendatori dell' abbazia di s.
Ruffillo, fra i quali nel 1^65 d'un
Tommaso dall' Aste vescovo anche
di Forh sua patria, che incorporò
nella propria diocesi la parrocchia
di s. Giacomo in Strada dentro For-
lì, di pertinenza già di questa ab-
bazia , e dove era stato traslato il
venerando corpo di s. Ruffillo; di
un Ascanio Raffini patrizio roma-
no vescovo di Melfi, che nel i52i
eresse il campanile dell'abbazia; del
cardinal Alessandro Farnese, che
fu poi il Papa Paolo III, e ch'era
anco protettore della città: il no-
minato Ruffini dall' Ughelli è chia-
mato Marino, lo dice affine di Pao-
lo IH, prelètto della Mole Adriana
o Castel s. Angelo di Roma, ove
morì nel i548. Marino aveva ras-
segnato al suo fratello Alessandro
Ruffini l'abbazia di Fori im popoli ,
eri il Papa aveva fatto questi coa-
diutore con futura successione al
precedente nella sede di Melfi, di-
venendone vescovo effettivo alla
morte del predetto Marino.
Mentre dunque era abbate com-
mendatario di s. Ruffillo il vesco-
vo di Melfi Alessandro Ruffini ro-
mano, parente di Paolo III, sicco-
me il capitolo della patriarcale ba-
silica di san Pietro in Vaticano,
andava creditore della camera a-
Fon
postolica di cinquanta mila ducati
d'oro, che in varie epoche, e col
frutto del cinque per cento avea
somministrati pei bisogni dell' era-
rio pontificio (che altri fanno de-
bitore de! capitolo di soli quaran-
ta mila ducati d'oro), il Pontefice
Pio IV, ottenendo dal capitolo la
rinunzia al suo credito, in compen-
so l'investì in perpetuo dell abba-
zia e commenda di s. Ruffillo di
Forlimpopoli, alla quale aveva ri-
nunziato il commendatario Ales-
sandro Ruffini vescovo di Melfi.
Questa investitura al capitolo va-
ticano Pio IV la fece coli' autorità
della bolla Insnpcr eminenti di-
gnitatis Apostolicae specula , ema-
nata a' 20 giugno 1 5 6 4 > la qi,fd
bolla si conserva neh' archivio del-
la basilica vaticana , in un alle
carte eh' erano appartenenti all'ab-
bazia. In detta bolla non si fa pa-
rola del trapasso dell' abbazia dai
monaci benedettini ai commenda-
tari , solo si dice quanto accennam-
mo sul credito del capitolo, rasse-
gna di Marino ad Alessandro, e
rinunzia di questi, dichiarandosi pe-
rò dal Pontefice, che l'abbazia da
regolare la ridusse a secolare: e
qui noteremo che Alessandro Ruf-
fini avendo pure nel i5y4 rinun-
ziato al vescovato di Melfi, Grego-
rio XIII lo nominò canonico della
basilica di s. Pietro. Con tale dis-
posizione di Pio IV il capitolo va-
ticano venne in possesso deità giu-
risdizione quasi episcopale di quella
metà di Forlimpopoli che fu già
degli abbati e dei commendatari di
s. Ruffillo, mentre l' altra spettava
ai suoi vescovi in Rertinoro. Que-
sta circostanza di due ordinari iri
una stessa sola ristretta città era
cagione di molti inconvenienti ed
imbarazzi, per cui il Pontefice Pio
1 Oli
% li, con bolla de' 5 novembre 1816,
unì alla diocesi nullità la parte di
città soggetta a Bertinoro, cóntro
un compenso di parecchie parroc-
chie di campagna, dal capitolo va-
ticano a quel vescovo accordale. La
bolla di Pio VII incomincia con
queste parole: « In supremo A po-
ti itolatus fastigio ex omnipotentis
-•' Dei benigni tate licct immerentes
" constiluli legittima Ecclesiarum o-
m mnium jura vindicari adigimur, ac
■> prolueri, ne prava caeterorum ma-
» cbinalione aut alterius commen-
•> tatione fallaci non sine ammarimi
•' discrimine turbealur -•>. Di pre-
sente questa diocesi nulli ust oltre
Forlimpopoli tiene nella sua giu-
risdizione ancora la grossa e ricca
terra di Meldola, di cui parlammo
all' articolo Forlì, e altre sei par-
rocchie, con una popolazione in
totale di circa dodici mila anime.
Diremo per ultimo, che di non
pochi uomini di rinomanza in ar-
mi, in scienze, e in lettere si glo-
ria Forlimpopoli , e fra essi più
specialmente come di rinomati ca-
pitani, oltre i ben celebri Zampe-
sebi,, anche di due Mignani, di un
Agostino Mazzolini, dei due Giro-
lami e Antonio Briganti, di un Gia-
como Ricci Spazzoli ed altri. E
nelle scienze ebbe chiari un Maz-
zolini fisico, un Vecchiazzani, un
Camillo Uccellini eletto vescovo di
Parma, e morto mentre avviavasi a
Roma per esserne consagrato. Fe-
ce pure onore a questa patria il
canonico dell' insigne chiesa e basi-
lica di s. Maria ad Martyrcs o
Pantheon di Roma, d. Benedetto
Righini (allievo e nipote del cano-
nico d. Paolo Ossio di ancor viva
memoria ), non solo per specchiata
vita ecclesiastica, somma prudenza,
e vaste cognizioni, ma perchè i cai
I -OR 3i5
«liliali Casoni, Braschi nipote di Pio
VI, Fontana, e De Gregorio, i cui
nomi fanno splendore al sagro col-
legio, il vollero per intimo segreta-
rio, uditore, consigliere, e confiden-
te, essendo personaggio di maturo
consiglio, e di sperienza felice nei
più. gravi affari. Il regnante Pon-
tefice Gregorio XVI da moltissimi
anni ebbe col canonico benevola
amicizia, e grandemente lo stima-
va ; ed io mi vanto di avergli pro-
fessato servitù fino dalla più tenera
età, e di avere poscia appreso dal-
le sue frequenti ed affettuose istru-
zioni, non comuni nozioni riguar-
danti la nobile arte del segretario,
nella quale forse egli al suo tempo
tenne il primo posto in Roma, ove
fu assai compianta la sua perdita
quando morì nel i833. Essa destò
tristezza profonda nell' amato e de-
gno suo fratello , il cav. Giuseppe
Righini allora presidente del tri-
bunale di prima istanza in Came-
rino, ove per due anni fu pro-de-
legato sotto Pi'o VII; e dipoi sotto
Leone XII e Pio Vili luoaotenen-
o
te, riconosciuto mai sempre per in-
tegerrimo magistrato. Egual dolore
provò il cugino e concittadino Lui-
gi Righini, d' animo grande e be-
nefico, vero genio nell' esecuzioni
più difficili dell' arte di edificare,
per cui meritò la grazia ed onore-
voli commissioni dal celebre cardi-
nal Consalvi segretario di stato di
Pio VII nel pontificato di questo,
ed il sullodato Gregorio XVI lo
propose alla cura dei lavori di ma-
nutenzione e grandi riparazioni dei
magnifici stabilimenti del Vaticano.
Finalmente per ultimo faremo
menzione distinta del dottissimo ca-
maldolese monsignor Albertino bel-
lenghi arcivescovo di Nicosia , che
ebbe i natali in Forlimpopoli a'9.4
3i6 FOR
settembre 17^8, come risulta dal-
la fede battesimale della chiesa
parrocchiale ed abbaziale di s. Buf-
filo, essendo stato il di lui primo
nome Filippo. Di questo egregio
prelato ci diede una bella , detta-
gliata ed interessante biografia il
eli. cav. Francesco Fabi Montani,
che col novero delle di lui molte
opere pubblicate, e somigliante ri-
tratto, inserì neh' Àlbum, giornale
letterario di Roma, distribuzione X
del i83g, non che negli Annali
delle scienze religiose, nei fascicoli
di settembre ed ottobre del medesi-
mo i83g. Il Bellenghi appartenne
a famiglia antica, civile, e possi-
dente di Forlimpopoli, ma siccome
il di lui padre Francesco si trasfe-
rì in seguito a Forlì, dove apri
casa, e fermò domicilio , cosi fu
detto forlivese monsignor Bellen-
ghi. Divenne egli non solo abbate
di governo della rispettabile con-
gregazione camaldolese, ma anche
vicario generale, e procuratore ge-
nerale ; e del 1 isorgrmento di essa
dopo le note politiche vicende, ed
anco per altro, fu perciò beneme-
rentissimo dell'ordine suo. Meritò
quindi di essere fatto per nomina
pontificia consultore di varie con-
gregazioni cardinalizie, e presidente
del collegio filosofico in Peonia. Leo-
ne XII lo elevò al grado arcivesco-
vile, nominandolo con ampie fa-
coltà delegato e visitatore aposto-
lico nella Sardegna per riordinar-
vi la disciplina dei regolari ; inca-
rico che esercitò con zelo e pru-
denza. Nel t83o Pio Vili lo man-
do a Forlì per vicario e visitatore
apostolico di quella diocesi ; ma
mentre per annuenza del medesi-
mo Papa che regna, già suo anti-
co ed alfettuoso compagno di vita
monastica, in Roma viveva Iran-
FOR
quilli i suoi giorni, la morte con
dispiacere universale li troncò a' 2 1
marzo i83g. Fu tumulato nella
cappella Salviati della celebre chie-
sa di s. Gregorio al Monte Celio
de' camaldolesi, e per le cure del
p. d. Ambrogio Bianchi abbate ge-
nerale di essi, ed ora cardinale, gli
fu eretta onorevole e meritata iscri-
zione marmorea, che pur si legge
nella ricordata biografìa. Il suo no-
me sarà sempre chiaro e conosciu-
to dai dotti, per le molte opere
da lui scritte, nelle quali ebbe o-
gnora in mira o la religione, o la
pubblica utilità, siccome fornito di
singolare e vasta erudizione d'ogni
genere; profondo nelle teologiche
discipline, nell'archeologia sagra e
profana, come nelle scienze natu-
rali. Appartenne a quindici acca-
demie, nelle quali lesse parecchie
dissertazioni , e ne fu vero orna-
mento. Lasciò moltissimi manoscritti
di varie materie, de'quali in un alla
collezione delle sue opere stampa-
te, ed a tuttociò che possedeva, ne
fece donativo al monistero di s.
Biagio in Fabriano di cui era sta-
to abbate. Ammiratore dalla più
giovanile età delle virtù e del ra-
ro sapere di sì venerando uomo,
ed onorato sempre di sua benevo-
lenza , mi sia graziosamente con-
donato se alquanto mi diffusi in
questo cenno.
FORMA. Sede episcopale della
Mauri liana Cesariana, nell' Africa
occidentale, sotto la metropoli di
Cirta, presso la città d'Idcirca, For-
inenses ad Idcircam. Si conoscono
tre vescovi: Urbano; Giusto, che
morì nel 41 l mentre recavasi alla
conferenza di Cartagine, alla quale
in sua vece sottoscrisse Marziale
vescovo d'Idcirca ; e Politicano, uno
de' vescovi di Numidia esiliati da
FOR
Unnerico re de' vandali nell' anno
484.
FORMA. Sede episcopale della
Mauri tiana Cesariana , nell'Africa
occidentale , chiamata Forma di
Missore, Formenscs Missoris, dal
nome del suo vescovo Missoreo
Messore. Questo vescovo è uno di
quelli di Numidia esiliati dal re
de' vandali Unnerico, dopo la con-
ferenza di Cartagine. Ritornò Mis-
sore nella sua sede l' anno 5i5 ;
fu egli altresì primate di Numi-
dia, e ricevette diverse lettere da
Bonifacio di Cartagine riportate
dall' Arduino, Concil. tom. II, pag.
1072; e negli atti del concilio di
Cartagine leggonsi varie sue let-
tere a Bonifacio, assai importanti.
FORMALE. Gemma o lamina
d' oro o di argento gemmata, la
quale portano il Papa e i vescovi
nel petto, dove si ferma ed affib-
bia il Piviale (Fedi). Il Macri nel-
la Notizia deJ vocaboli eccl., verbo
Formalium, dice che fu pur chia-
mate Firmale o Firmaculum , per-
chè esso allude al razionale dell'an-
tico sacerdote, il perchè in alcuni
antichi rituali viene chiamato Ra-
tionale. Pompeo Sarnelli nel tomo
HI delle sue Lettere eccl., lettera
XXV, Del gioiello pettorale, che u-
sano i vescovi adoperando il pivia-
le, aggiunge che il Cerimoniale dei
vescovi chiama questo gioiello Pe-
ctorale a riguardo del sito in cui si
pone, dicendosi nel lib. II, capo I :
» Episcopus, etc. capiet sacra in-
» dumenta, videlicet, amictum, al-
« barn, cingulum, crucem pectora-
» lem, stolam a collo pendentem,
« deinde pluviale cuna pectorali in
>» conjunctura iilius, etc. " Quindi
rileva che si chiamò Formalium
dalla voce toscana fermaglio, lib. I,
cap. 7, laddove parla del prete as-
FOR 3i7
sistente: « Super eo pluviale tem-
m pori congruum, sine tamen for-
» malio ad pectus. " Il formale dei
vescovi consiste in un fermaglio,
ciarpa, bottone, o fibbia per chiu-
dere sul petto le due parti del pi-
viale. Si sogliono fare di piastra di
metallo inargentato o dorato, di ar-
gento e di oro , con una o più
gemme o con bassorilievi rappre-
sentanti qualche sacra immagine. In
Roma i vescovi non sogliono usar-
lo , meno, come diremo, i sei car-
dinali vescovi delle chiese suburbi-
carie, che ne fanno uso uniforme.
Non appartiene al prete assistente
tale ornamento, perchè non è or-
namento semplice, ma misterioso,
figurando 1' antico razionale del
sommo sacerdote degli ebrei, e pe-
rò ne' rituali antichi, come si è det-
to, venne chiamato Rationale. Cosi
il sommo sacerdote antico vestiva
prima la veste di lino, indi la to-
nica di giacinto, sopra questa il so-
praumerale, ed appresso il raziona-
le, che al sopraumerale si attene-
va, su di che è a consultarsi s.
Tommaso nella prima della 2, que-
stione 102, art. 5. V. Efod ove
parlasi del razionale.
Il sommo Pontefice sino al de-
clinare del secolo passato usava tre
formali, cioè il formale usuale, nei
tempi che diremo parlando di quel-
lo di Clemente Vili, il formale pre-
zioso, ne' tempi che diremo descri-
vendo quello di Cosimo I, ed il for-
male preziosissimo di Clemente VII,
nei vesperi pontificali, e nel recar-
si a celebrare solennemente la mes-
sa, deponendolo col piviale dopo
essersi cantata l'ora di terza : al
letto de' paramenti glielo mette il
cardinale primo diacono, e se ivi lo
depone glielo leva lo stesso cardinal
primo diacono; al trono dopo l'ora
3i8 FOR
di tei-za il formale viene levato al
Papa dal cardinal diacono mini-
stranie. I cardinali suburbicari, che
com'è nolo sono sei, quando nel-
le cappelle pontificie assumono il
piviale, usano il formale, il quale
formasi di tre pigne in linea per-
pendicolare di metallo coperte di
perle orientali. Micbiel Lonigo, Del-
le vesti purpuree de cardinali ec,
Venezia 1 6-23, a pag. 3i, dice che
i cardinali assumono i paramenti
sagri bianchi, rossi e paonazzi nei
tempi che noia, e che i vescovi
cardinali suburbicari portano i plu-
viali con il pastorale o formale di
oro, coi tre nodi di perle: da ciò si
apprende altro nome, come fu chia-
mato il formale , ed altra forma
dell'ornamento triplo di perle. A
pag. 32, come noi pure notammo
altrove, riferisce che anticamente ai
vesperi solenni tutti i cardinali, ve-
scovi, preti e diaconi portavano i
piviali del colore conforme al tem-
po ed alla festa corrente. La più
antica memoria del formale usato
dai romani Pontefici, è quella che
si legge nella vita di Lorenzo Gili-
berto presso il Vasari, il quale nel
tom. II, p. 78, File de' pittori, scul-
tori ec, narra che Giliberto fece a
Martino V del 1 4i 7 un bottone
d oro, che quel Papa teneva nel
piviale, con figure tonde di rilievo,
e fra tutte gioie di grandissimo
prezzo, essendo cosa molto eccellen-
te. Il medesimo bottone è espresso
nel piviale della sua medaglia, ri-
portata dal p. Bonanni , Numism.
Pontificum Rom. tom. I, p. 3. Am-
brogio Teseo racconta che il Cara-
dosso non avea l'eguale nella co-
gnizione delle gemme e pietre pre-
ziose, e che avendo Giulio II ac-
quistato un diamante pel prezzo di
ventiduemila e cinquecento scudi
POR
d'oro, il legò con lamine d'oro e
d'argento iu cui ciano con finissi-
mo lavoro scolpiti i quattro dolio-
ri della Chiesa; del qual diamante
soleva valersi il sommo Pontefice
ne' solenni pontificali. Fedi il Tira-
boschi tom. X, pag. 3 12, nelle
giunte al toni. II, par. Ili, pag.
46o. Il Cancellieri nella Descrizio-
ni di tre pontificali, riporta la sto-
ria del formale preziosissimo, che
Clemente VII lece fare al celebre
Benvenuto Cellini. Rappresentava il
Padre Eterno sedente, sopra un dia-
mante di tondo di 1 36 grani, cui
fingevano di sostenere vari angelel-
ti e cherubini fra due zaffiri orien-
tali di rara purezza, e due balasci
orientali con varie gioie. Il detto
Vasari nella vita di tale artista,
nel descrivere questo bottone da pivia-
le, dice che oltre il pagamento ebbe in
dono da Clemente VII l'ufficio di
una mazza, cioè il posto di maz-
ziere pontificio, che allora rendeva
più di duecento scudi V anno. Fu
tanta la fama del merito di questo
lavoro, che 1' imperatore Carlo V
portatosi in Roma sotto il succes-
sore Paolo III disse al Cellini, co-
in' egli stesso narra nella sua cu-
riosissima vita, aver veduto quel
bottone del piviale di Papa Cle-
mente VII, dove avea falle tante
mirabili ligure. Questo formale fu
guastato per ordine di Pio VI nel-
le lagrimevoli vicende in cui tro-
vossi lo stato pontificio nel decli-
nar del secolo passato. Quando s.
Pio V nel 1 569 dichiarò e coronò
granduca di Toscana Cosimo I ,
fra i regali offerii a quel Papa, e
da lui disposti in vari bacili d'o-
ro, era vi pluviale cani formaho
pretiosiisinto cum adamantìbus ma-
gnae aestiniatioiiis. Aveva due fi-
gure d' 010 di Adiamo ed Eva, che
FOR
«[elidevano le mani in alto di pren-
dere il pomo vietato, e col nome
di Gesù Cristo in lettere gotiche,
tutto ornato di diamanti, rubini, e
perle orientali all' intorno. Questo
formale chiamato il prezioso 1* u-
sarono i Papi sino ed inclusive a
Pio VI in tutte le solennità, ma
custodivasi con quello preziosissimo
in Castel s. Angelo, coi triregni, e
colle mitre preziosissime : cjuesto
formale prezioso si adoperava dal
Papa in tutte le solennità in cui
portava la mitra di tela d' oro,
cioè in quelle non pontificali, in cui
si usava il preziosissimo, mentre le
altre eccettuazioni le andiamo a
dire nel descrivere il formale usua-
le. Clemente Vili del 1-^92 fece
fare un formale detto usuale tutto
d' oro con un ramo d' olivo dello
stesso metallo, smaltato di verde, che
serviva di ornamento, e circondava
tre pigne grosse, composte di perle
orientali, (ormate in forma trian-
golare, a differenza del formale dei
cardinali vescovi suburbicari , che
come dicemmo portano le tre pi-
gne ili perle in linea perpendico-
lare. Questo formale di Clemente
Vili nel 1781 iu rinnovato da Pio
VI per usarsi nelle funzioni meno
solenni, come nelle domeniche di
quaresima tranne la IV, nella pri-
ma, seconda e quarta dell'avvento,
e nella commemorazione de' fedeli
defunti, e iu tutte le ailre di ese-
quie e funerali.
Al presente il Papa usa tre for-
mali, cioè quello con le perle, il
comune ed il prezioso, non essen-
dovi più alcuno de' suddesci itti : i
formali hanno nella piastra di den-
tro due grandi uncinelli, i quali
servono per fermarli sul piviale.
Quello con le perle lo usa quando
assume la mitra d'argento, vale a
I OR 319
dire nelle domeniche di quaresima,
ad eccezione della IV, in quella,
dell'avvento meno la 111, e nelle
funzioni in cui deve usarsi tal mi-
tra ; usa inoltre il formale con le
perle nelle cappelle di esequie. Esso
è formato di una piastra ovale di
metallo dorato avente intorno l'or-
nalo di un perle, e di una guida
di fiondi di vite con grappoli d'uva,
e in mezzo tre pigne dello stesso
metallo coperte di perle, le quali
pigne sono situate in forma trian-
golare. Il formale comune adope-
iasi dal Pontefice nelle altre fun-
zioni, eccettuati i vesperi e messe
pontificali in cui si usa il formale
prezioso. 11 formale comune consi-
ste in una piastra di metallo do-
rato, di forma ovale, decorato di
un perle, e di una guida di fion-
di di vite con grappoli d'uva, es-
sendo scolpito nel mezzo sotto fi-
gura di colomba raggiante lo Spi-
rito Santo : tra i raggi, e la gui-
da di frondi souo disposte in giro
dodici pietre preziose, cioè rubini,
smeraldi ed amaliste . Il formale
prezioso che si usa dal Papa iu
tutti i vesperi e messe pontificali,
e in qualche altra solennissima
funzione dev'essere uno dei dodici
formali, che possedeva il palazzo
apostolico o sagrestia pontificia a-
vanti le accennale vicende politiche,
giacché nel di dietro ev'vi scolpilo
la B. Vergine del Rosario, e le
immagini di s. Domenico fondato-
re dell'ordine de' predicatori, e di
s. Filippo Neri fondatore della cou-
gregazione dell' oratorio, tutti pro-
tettori di Benedetto XIII, e perciò
fatto sotto il di lui pontificato, e
da lui uso; essendovi altresì scol-
piti il cane e la torre, la rosa e
le sbane, slemma dei domenicani
cui era egli appartenuto, e della sua
3ìo FOR
casa Orsini, confermandolo l' iscri-
zione: Anno Domini MDCCXX1X.
Questo formale prezioso di argento
doralo, rappresenta nel centro di
una piastra cesellata ad arabeschi
in rilievo, lo Spirito Santo in for-
ma di colomba, abbellito di pietre
e gemme preziose, cioè di amatiste,
acque marine, smeraldi, giacinti,
rubini ed altre gemme. Questo
formale si ricuperò dalla eredità
del cardinal Giuseppe Albani mor-
to nel 1 834-
FORMATE. Lettere, litlerae for-
matele, che il Macri nella Notizia
de vocaboli eccl. dice pure chia-
mate Cotnnauiicatoriae,o Canonicae,
con le quali si mostrava la comu-
nione ed unione colla Chiesa ; e
dai greci nominate Pacificae, e
da altri Ecclesiaslicae. Di queste
parla Ottato Milevitano, dicendo:
Cam quo nobis totus orbis com-
mercio formaturum in una com-
munioiiis societate concordat, lib. i
contra Parmen. Delle lettere for-
mate parla pure s. Agostino, quan-
do scrive : Quaerebam utrum epi-
slolae communicatorias, quas for-
mata* dirimila possent, quo vellent
dare. August. epist. i63. Erano
chiamate queste lettere formate,
cioè sigillate, coma dichiara la Glos-
sa vaticana antica. La forinola di
queste lettere fu prescritta dal con-
cilio Niceno I e pubblicala da At-
tico vescovo costantinopolitano, re-
gistrata nel fine del concilio Cal-
cedonese, nella quale al principio
di lettera si ponevano queste pa-
role : Pater, Filìus, Spiritai San-
ctus, Petrus, nominando il principe
degli apostoli per riverenza della
Sede romana, secondo il Baronio,
su di che non conviene il citato
Macri. Il Novaes nella vita di s.
Sisto I del i32, dice che deter-
FOR
minò secondo il libro pontificale,
che niun vescovo chiamato in Ro-
ma e ritornato nel suo vescovato,
vi fosse ricevuto senza presentare
al popolo le Lettere apostoliche
(Fedi) chiamate formate, colle qua-
li significavansi e mantenevausi l'u-
nità della fede e il mutuo e scam-
bievole amore fra il capo e le
membra della Chiesa: aggiunge il
medesimo Novaes che furono dette
formate o dal loro sigillo, o dalla
particolare forma con cui seri ve vasi
ad impedire ogni frode. Il Rinaldi,
Annali eccl., parla di queste lettere
all'anno 142, num. 6, 7 ; ed al-
l'anno 3i5, num. 162 riporta
(pianto su di esse ordinò il conci-
lio di Nicea, per provvedere alla
loro idoneità, ed alle astuzie degli
eretici, dicendo che l'epistola chia-
mata formata prese tal nome co-
me simbolo di comunicazione cat-
tolica il contenuto. Indi spiega
perchè dal concilio fu stabilita la
formola colle parole narrate dal
Macri, dicendo che le lettere gre-
che iniziali dovessero essere quelle
del Padre, del Figliuolo, e dello
Spirito Santo per significare la ss.
Trinità contro gli ariani, e che la
prima del nome Pietro per deno-
tare, che nella sede di s. Pietro
dimora il principato di tutta la
Chiesa cattolica, per cui provavasi
esser vero cattolico quello il quale
era unito per comunione col Papa
successore del principe degli apo-
stoli. Ed ancora con quattro altre
lettere greche s' indicavano i nomi
della persona che scriveva , di
quello a cui si scriveva, dell' al-
tro su cui scriveva, e del luogo
da cui si scriveva. A dichiararsi
meglio aggiungeremo che si pren-
deva la prima lettera di chi scri-
veva l'epistola, la seconda di colui
FOR
cui si scriveva, la terza da chi la
riceveva, la quarta della città don-
de si scriveva, e il numero dell' in-
dizione corrente; e colla somma
dei numeri corrispondenti a cia-
scuna delle lettere greche inserite
nella formata, e nel fine ponevasi
Amen. 1 quattro caratteri , cioè
Padre, Figlio e Spirilo Santo, Pie-
tro, e YAmen non si dovevano mai
mutare; ma gli altri significanti i
nomi di chi scriveva, di chi por-
tava la lettera, di chi la riceveva,
del tempo ch'era scritta, e del luo-
go dond' era scritta la formata ,
mutavansi secondo le occasioni del-
le persone diverse, de' luoghi, e
de' tempi. Trovò il concilio JViceno
questa nota Pater, Filius, Spiritus
Sanctus, Petrus, Amen, ad imita-
zione degli apostoli ; imperocché
s. Paolo soleva aggiungere alle sue
epistole : Gratta Domini ec. ; e s.
Ignazio : Amen, Grada.
Ma l'erudizione e la critica colla
quale ha scritto sulle lettere for-
mate monsignor Marino Marini nel-
la sua dottissima dissertazione inti-
tolata: Diplomatica pontificia, è ta*
le da potersi congetturare dai se-
guenti cenni che dalla sua opera
ricavammo. 11 Maffei nella Storia
diplorn. pag. 8g, scrive che dai sug-
gelli ebbero nome di formate le
lettere per l'uso di autenticarle con
bollo o sigillo in cui erano figure;
derivando la parola formate da for-
ma. Diversi autori ne' loro lessici
tanti altri significati danno alla vo-
ce forma, che come sarebbe ridico-
lo volere da alcuni di essi trarre
l'origine delle formate , cosi è in-
certo, o anzi di quasi niun fonda-
mento,, debbasi dedurre dall'imma-
gine impressa ne' sigilli. I Manritti
scrivono che le lettere ecclesiastiche,
che i greci appellano canoniche e
vol. xxv.
FOR 3ai
i latini formate, posero alla tortu-
ra la critica dei dotti dell'ultimo
secolo; e che oggi però da tutti si
conviene eh' esse deducano il loro
nome dal tipo o dalla forma del
sigillo , che v' è impresso. Anche
l'abbate Zaccaria nel suo Onotna-
sticon deriva dal suggello la de-
nominazione delle formate; è vero
che forma dicevasi qualunque im-
magine dipinta o scolpita , come
l'usò Onorio Auguslodonense , co-
sì forma appellavasi anche la figu-
ra o tipo che imprimevasi sulle mo-
nete e suggelli, vedendosi in più leg-
gi, scrive Maffei, che formar le mo-
nete valeva effigiarle. Tutta volta for-
mata non si disse la moneta, bensì
pecunia. Riflette il eh. Marini, che
se tante ecclesiastiche lettere da tut-
to altro trassero il loro nome che
dal suggello, perchè le sole forma-
te lo avrebbero dedotto, che furo-
no una medesima cosa delle dimis-
sorie , dette apolitiche nel canone
XVII del concilio di Trullo, delle
commendatizie ossia sistatiche, del-
le pacifiche ossia ireniche e delle
comunicatone? Anzi scriveva il me-
desimo Maffei che a specie di ec-
clesiastici diplomi possono anche ri-
dursi l'epistole formate; e Sandini
disse che le formate furono pur
chiamate canoniche, comunicatone,
ecclesiastiche e pacifiche; e questa
medesimezza delle formate con al-
tre lettere fu riconosciuta da pa-
recchi autori. Cosicché se alcuna
differenza le distingueva fra esse,
consisteva nel nome , in qualche
espressione, ed in ciò che le com-
mendatizie, le dimissorie, le forma-
te si rilasciavano ai soli chierici e
a persone di maggior distinzione :
lis solis personis quae honoratiores
sunt praeberi oporlel, come prescri-
ve il canone XI d' un concilio del
21
322 FOR
45 1 ; e le altre a tutti in testimo-
nianza della fede che professavano,
e della pace che aveano col pro-
prio vescovo. Per conseguenza le
formate, che furono una cosa stes-
sa di quelle lettere, non ripetono
il loro nome dall'impressione del
sigillo, ma dall'affare su cui versa-
vano, dal fine a cui erano dirette,
dalle persone e particolari circostan-
ze che le qualificavano, concluden-
do il prelato Marini, che le forma-
te neppure debbono trarlo, ma dal-
le formole, dall'argomento e dal
fine proposto.
Sirmondo però scrive nelle Glos-
se vaticane, Formatam epistolam,
s' interpreta sigillatavi , del quale
sentimento è il citato Zaccaria; ma
il Garampi nella dissertazione sulle
lettere formate recitata alla Miner-
va nel I747> nell'accademia del p.
Mamachi , dice non doversi fare
gran caso di quelle glosse, perchè
ignora a qual tempo appartenga-
no, e perchè in esse la voce sigil-
latam non sta come spiegazione ma
come aggiunto; e l'altra di forma
vi ha due sensi, di scritta cioè, e
di sigillata; e finalmente con mag-
gior ignoranza vi si spiega la voce
formata per firmata, attesa l'analo-
gia che passa tra formare, e firma-
re j che tutto al più da quelle glos-
se si rileverebbe, che quando esse
comparvero , si suggellavano le
pontifìcie lettere. A sostenimento
del parere di Garampi, il Marini
riporta quanto lesse nel codice va-
ticano i5S6, a pag. 4°> ch'è una
glossa anonima del decreto di Gra-
ziano, distin. 5g6, ove si dice: si-
ne signatis apicibus ; addii auod
Sedes apostolica quamlibet legacio-
nem suscipere non solet sine litte-
ris sigillatis ; e alla distinzione 397:
hodie sufficit si singuli episcopi
FOR
unàm epistolam formatam habeant,
sicut supra dictum est; mentre i
chierici dovevano almeno presentar-
ne cinque. Si distingue dunque la
formata dalle lettere sigillate; ne
si allude nella glossa ai primi tem-
pi delle formate. Dopo avere il Ma-
rini parlato perchè le leggi e le
epistole degl' imperatori si appellas-
sero forme, conchiude che le for-
mate cosi denominaronsi, sia che
si scrivessero con certe e stabilite
formole; sia fosse in esse la for-
mola ovvero simbolo alla fede che
si professava.
Il Pontefice s. Gelasio I scrisse
a Lorenzo vescovo di Macedonia :
quia mos est Romanae Ecclesiae
sacerdoti noviler constituto formam
fidei suae ad sanctas Ècclesias
praerogare. Niuno credè mai di
poter essere vero membro della
cattolica Chiesa, e per tale rico-
nosciuto, ove non godesse di una
perfetta comunicazione colla santa
Sede: questa scambievole alleanza
ed unità solevasi dimostrare coi
presenti colle tre comunioni dette
ecclesiastica, laica e peregrina ; co-
gli assenti, come dicemmo altrove,
dichiaravasi o col trasmettere loro
del pane consagrato, ovvero con
uno scambievole commercio di ec-
clesiastiche lettere, le quali servi-
vano per testimoniali della comu-
nione, che intendevasi avere con
quelli a' quali erano dirette. Non
si può perciò adottare l' opinione
di quelli che dai sigilli vorrebbero
ripetere il loro nome. Tuttavolta
non si nega che anco le lettere ec-
clesiastiche siensi dette un tempo
formate, suggelli, sfragides in gre-
co, bolle; e che cotale denomina-
zione sia loro venuta dall' impres-
sione del suggello dalla bolla pen-
dente. Questa strana derivazione
FOR
d'improprietà di nomi le rammen-
tano Goffredo Yindocinense, e Mar-
col fo monaco , che vivevano nel
VI e VII secolo; laddove le for-
mate sino dall' incominciare del se-
condo tali si appellavano, sebbene
allora di suggello non fossero mu-
nite, che certamente prima non
erano a suggelli raccomandate. Né
deve tacersi che il Buonarroti nel-
le Osservazioni sui vasi antichi di
vetro, a pag. 29, dice che le let-
tere pacifiche avevano il mono-
gramma di Cristo, conforme per
testimonio di Papia l' avevano le
lettere formate, e ne' primi tempi
s'intese sempre aver la pace del
Signore chi avesse la comunione
della Chiesa, significata come si
disse anche a mezzo delle lettere,
la qual comunione fu chiamata
specialmente pace, onde nelle iscri-
zioni de' cristiani in pace vuol di-
re, che il defunto morì nella co-
munione della Chiesa : così il Buo-
narroti. Che se queste lettere si
dissero formate e formali, ciò non
fu che ad imitazione degli antichi,
che da forinole particolari, e dal
contenuto ne dedussero il nome, e
così dalle forinole e dalla forma
debbonsi denominarle. Finalmente
ad escludere la derivazione del no-
me delle formate dal suggello, è
noto che l'apposizione de' suggelli
fu posteriore di molto alla esisten-
za di esse. Le formate rimontano
a' tempi apostolici, ove si vogliano
considerare una cosa stessa colle
Commendatizie, e colle Dimissorie.
Delle formate se ne ha menzione
in s. Sisto I al modo che dicem-
mo , anzi Coustant suppone che
prima di quel Papa tali lettere fos-
sero in uso. Della memorata pre-
scrizione di s. Sisto I, è deposita-
rio il pontificale attribuito al Pa-
FOR
323
pa s. Damaso I del 367 , ove si
legge che l'arcidiacono della Chie-
sa romana rilasciava la formata ai
vescovi, affinchè al clero a cui fa-
cevano ritorno, recassero testimo-
nianza di loro consagrazione. V.
Sigilli e Diplomi Pontificii.
FORMIAE o FORMIES (ffor-
miae). Città vescovile della Cam-
pania, di antica origine, all'est del
golfo di Cajeta, ed all' ovest del
Min turno. Fondata da Lamur o
secondo altri dai lacedemoni , fu
l'antica dimora dei lestrigoni, po-
poli feroci e selvaggi. Discacciati
e distrutti i lestrigoni , Formies
venne fabbricata dai laconiani, in-
di conquistata dai romani. Sotto
di loro divenne considerabile, e
Cicerone aveva nelle sue vicinan-
ze una casa di campagna chiama-
ta Formianum, e poscia Cicerone:
ma gli arabi saraceni distrussero
questa città nell'anno 84o. La sua
sede vescovile eretta nel terzo se-
colo, per tale disastro fu dal Pon-
tefice Gregorio IV trasferita a quel-
la di Gaeta, la qual città si ac-
crebbe colla superstite popolazione
di Formies. 11 piccolo borgo del
molo di Gaeta è costrutto sopra
una parte dell'antica città, in ame-
nissima situazione. Undici sono i
vescovi citali dall'Ughelli nel tom.
X, pag. 97 dell' Italia sacra. Il
primo si chiamò Probo , ignoran-
dosi l'epoca in cui visse. Marti-
niano è il secondo che intervenne
al concilio romano celebrato nel
487 dal Papa s. Felice II detto
111. Adeodato fu a tre concili adu-
nati dal Pontefice s. Simmaco in
Roma. Bacuado fiorito nel ponti-
ficato di s. Gregorio 1, cui gli suc-
cesse nel 5g7 Albino. Indi Bonito
fu al concilio romano del 649.
Adeodato che nell'anno 680 in-
3a4 FOll
tervenne, e si sottoscrisse al con-
cilio di Roma di s. Agatone. Cani-
pio di Gaeta del 790. Giovanni
al quale successe Leone vescovo di
Minturno e di Formia nell' 840 ; e
Costantino dell' 846.
FORMOSO Papa CXIV, prima
chiamato Daruaso, nacque da Leo-
ne, e come afferma contro ogni al-
tra opinione 1' Oldoini nell' Ate-
neo Ligustico, pag. 181, nella
Corsica. Altri lo dicono romano, o
della città di Porto; e Luitprando
di Pavia. Mentre era canonico re-
golare venne creato da s. Nicolò I,
nell' 864, vescovo cardinale della
chiesa di Porto. Cosa di non lieve
rimarco si è nella vita di Gio-
vanni VIK la scomunica cui ripor-
tò Formoso da questo Pontefice
essendo vescovo di Porto, ed è
questa, per quanto sembra, la cau-
sa, che narra il Mabillon, in Praeph.
ad saec. V : dicesi dunque, che
essendo stato Formoso legato di
s. Nicolò I nell'866, insieme con
Paolo vescovo di Populonia, a Mi-
chele re dei Bulgari , per istruire
lui e il popolo nei misteri della
fede, e per consegnare la risposta
del Papa a centosei questioni ,
avea costretto quel re a giurar-
gli, che dopo la morte di quel
Pontefice non avrebbe riconosciuto
altro Papa che lui, ed avea ambito
contro i canoni di passare dalla
chiesa di Porto alla Romana, e che
anzi senza licenza del Papa avea
abbandonata la sua chiesa, cospi-
rando contro il bene della repub-
blica e dell' impero. Fu ancora
il cardinal Formoso accusato al
Papa Giovanni Vili, cioè mentre
era nella sua seconda legazione di
Francia, di altre gravi mancanze,
come di essersi unito a Gregorio
Nomenclatore della Chiesa roma-
FOR
na, e ad alcuni personaggi in una
congiura tramata contro Carlo il
Calvo, e contro lo stesso Giovanni
Vili, come narrano il p. Turselli-
no nel libro 7 delle sue Storie , <;
l'Oudin nel suo Commentario degli
scrittori ecclesiastici a pag. 564,
opera che va letta con particolar
cautela, come apostata della reli-
gione e della fede. Il Platina riferi-
sce l'opinione di coloro, che pen-
sarono essere stato Formoso con-
sapevole della prigionia., in cui fu
stretto Giovanni Vili in Roma.
Atterrito Formoso della severità
del Pontefice, ricusò di comparire,
per lo che irritato Giovanni Vili,
comminò contro di lui l'anatema,
e con sentenza provvisionale lo
privò del vescovato di Porto in un
sinodo tenuto in Roma nella chie-
sa di s. Maria ad Martyres, e ripor-
tato dal Becchetti nella Storia ec-
clesiastica tom. VI, p. 4^7- Que-
sta sentenza il Papa confermò nel-
la quarta sessione di un numeroso
sinodo tenuto da lui, dopo il suo
passaggio in Francia, in Troyes di
Sciampagna nell' 878. Aggiunge il
Muratori nel tom. V de'suoi An-
nali, parte I, che Giovanni Vili
avuto nelle mani il cardinale, seco
lo condusse nelle Gallie, dove lo co-
strinse a giurare di contentarsi della
sola comunione laica, e di non mai
ritornare più né a Porto, né a Roma.
Sappiamo poi, come scrive l'Eggs,
Ponti ficium doctum , pag. 273,
che avendo il Pontefice Marino I
o Martino II riconosciuta la di lui
innocenza e la specchiata virtù, lo
assolse dall' estorto giuramento e
lo restituì alla pristina dignità; co-
me pure fu distinto ed onorato
dai due Pontefici Adriano III e
Stefano V detto VI. II p. Nardi
nelle Vite de' Pont. tom. II, pag.
FOR
18, 23, in me77o alle tante e sì
variate opinioni sopra le accuse
contra Formoso, adduce tali ar-
gomenti che ne lo giustifica va-
lorosamente da tutti i delitti che
gli furono imputati; conchiudendo,
che il tempo alla fine pose in chia-
ro l'innocenza di quel cardinale,
il quale dopo tante peripezie fu e-
letto sommo Pontefice a' 19 set-
tembre 89 r, il primo che da ve-
scovo di determinata chiesa salisse
al pontificato, come osserva il Pan-
vinio nelle annotazioni- al Platina,
pag. 112. E ben lo meritava, co-
me quello, che nella legazione ai
bulgari eseguì il suo ministero con
sommo decoro e riputazione, e
pari contentezza di que' popoli, di
cui ne guadagnò a Cristo una mol-
titudine innumerabile, ed essi di
comun consenso a loro pastore con
grandi istanze il richiesero a san
Nicolò I, come riporta il Cardella
nella sua biografia, Memorie sto-
riche de' cardinali, tomo I, parte
I, pag. 5g e seg. Questi aggiunge
che Flodoardo chiama Formoso
uomo religiosissimo, d'illibato co-
stume, illustre per la scienza delle
divine scritture, chiaro per la san-
tità di vita. A tante difese sull'in-
nocenza di Formoso, conchiude il
Novaes nella sua vita, che non sa-
rebbe lontano dal persuadersi, che
Giovanni Vili colla stessa debo-
lezza, con cui restituì Fozio alla
sede di Costantinopoli, condannò
ancora Formoso, prestando subito
fede alle calunnie che gì' imputa-
rono, tanto più che i coetanei di
Formoso lo encomiarono come uo-
mo di gran virtù e religione.
Formoso dunque succedette nel
pontificato a Stefano V detto VI,
e siccome questi avea ricevuto let-
tere dall'imperatore Leone VI, che
FOR 3ì"
Fozio avea di sua voglia rinun-
ziato al vescovato, e tutto al con-
trario i vescovi di oriente , col
pregarlo inoltre di ricevere alla co-
munione della Chiesa gli ordinati
dal medesimo Fozio, Papa Formo-
so ricevette queste lettere essendo
già morto il predecessore, e accon-
sentì alla preghiera de' vescovi, pur-
ché gli ordinati da Fozio, protestasse-
ro in iscritto di aver commessa reità,
e ne domandassero il perdono. Ri-
dotte a soqquadro nell' 8g5 le
cose d' Italia, attesa la morte del-
l'imperatore Guido, Formoso chia-
mò occultamente a Roma il re
della Germania Arnolfo, per repri-
mere la fazione che gli era con-
traria di Lamberto figlio di Gui-
do, e nell' anno stesso lo coronò
imperatore in benemerenza, che col
suo pontificio consenso avea preso
la città di Roma, e scacciati i
suoi nemici. Tanto riporta il Pagi,
Breviar. Pont., in Vita Formosi,
num. 12. Morì il Pontefice For-
moso a' 4 di aprile dell'896, do-
po avere governato quattro an-
ni, sei mesi e diciassette gior-
ni. Significante è l'elogio che a
lui fece Ausilio, ricavato da un
codice mss. fiscanense, in cui si
afferma che Formoso in tutta la
vita non beve mai vino, né man-
giò carne, e morì vergine come
era vissuto. Fu sepolto nel Vati-
cano, ma Stefano VII con inaudi-
to sacrilegio fece dissotterrarne il
cadavere, e fattolo vestir cogli abi-
ti sagri, l'insultò al modo che di-
cemmo ai volumi V, pag. 67, e
VI, pag. 2o5 del Dizionario, ove
pure si descrisse come fu poi ono-
rato tal cadavere, e come viene
scusato Stefano VII. Dopo la mor-
te del Pontefice Formoso, vacò la
santa Sede sei giorni.
286031
3a6 FOR
FORMOSO, Cardinale. V. For-
moso Papa.
FORNERIO o FOURNIER Ja-
copo, Cardinale. V. Benedetto
XII Papa.
FORNO SACRO (Furnus Sa-
cer). Presso i greci chiamavasi for-
no sagro una piccola apertura o ca-
vità praticata sotto l'altare, e nella
quale deponevano le cose sagre, che
erano usate o corrotte. Presso i cat-
tolici in tutte le chiese avvi pure
un luogo, dove si buttano e ver-
sano le lavature dei vasi, dei pan-
ni o simili, che servono immedia-
tamente al sagrifizio, ed è quel luo-
go chiamato Sacrario. Il p. Sicard
gesuita dice che nelle chiese de' co-
pti avvi dietro le loro sagristie un
FOR
forno fatto espressamente per cuo-
cere i pani destinati pel sagri-
fizio.
FORO {Forum). Giurisdizione :
primieramente si distingue in foro
interno ed in foro esterno ; il foro
interno è il tribunale di Dio, il foro
esterno è il tribunale degli uomini.
Vi sono due sorte di foro interno, il
foro della coscienza ed il foro della
penitenza o della confessione sagra-
mentale. Per esempio 1' assoluzione
dalle censure pub darsi nel foro
delia coscienza anche fuori della
confessione sagramentale. Vi sono
altresì due sorta di foro esterno, il
civile e l'ecclesiastico. 11 foro ester-
no tollera molte cose, le quali sono
condannate dal foro interno.
FINE DEL VOLUME V1GES1MOQU1NTO.
BX 841 .M67 1840
SMCR
fioroni , Gaetano,
1802-1883.
Dizionario di erudizione
storico-ecclesiastica
AFK-9455 (awsk)