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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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C  37** 
DIZIONARIO 

DI  ERUDIZIONE 

STORICO-ECCLESIÀSTICA 

DA  S.  PIETRO  SINO  AI  NOSTRI  GIORNI 

SPECIALMENTE      INTORNO 

AI  PRINCIPALI  SANTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI,  AI  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ  CELEBRI  SCRITTORI.  ECCLESIASTICI,  AI  VARII  GRADI  DELLA  GERARCHIA 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA  ,  ALLE  CITTA  PATRIARCALI  ,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONCILII  ,  ALLE  FESTE  PIÙ  SOLENNI, 
AI  RITI,  ALLE  CEREMONIE  SACRE,  ALLE  CAPPELLE  PAPALI,  CARDINALIZIE  E 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI,  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NON 
CHE    ALLA    CORTE  E  CURIA  ROMANA    ED  ALLA  FAMIGLIA    PONTIFICIA,  EC.    EC.    EC. 

COMPILAZIONE 

DEL  CAVALIERE  GAETANO  MORONI  ROMANO 

PRIMO  AIUTANTE  DI  CAMERA  DI  SUA  SANTITÀ 

GREGORIO      XVI. 


VOL.  XXV. 
Bfterwrvfr,  fio*. 


IN     VENEZIA 

DALLA     TIPOGRAFIA     EMILIANA 
MDCCCXL1V. 


*%^t.  n 


DIZIONARIO 


DI  ERUDIZIONE 


STORICO -E CC LE SI ASTICA 


F 


FIR 


FIR 


r  1RENZE  (Fhrentin).  Grande, 
bella  ed  antichissima  città  d'  Italia 
con  residenza  arcivescovile,  capita- 
le del  granducato  di  Toscana,  che 
giace  nell'amenissima  valle  dell'Ar- 
no, in  una  fertile  e  ridente  pianu- 
ra, attorniata  da  amene  colline 
tutte  sparse  di  villaggi  e  castelli, 
in  poca  distanza  dalle  falde  dell'A- 
pennino,  ed  in  forma  di  un  pen- 
tagono. Il  fiume  Arno  maestosa- 
mente attraversandola  divide  il 
minor  tratto  orientale  dalla  parte 
maggiore  che  si  estende  a  ponente, 
ove  la  città  propriamente  detta 
anticamente  restringevasi,  mentre 
oltre  l'Arno  si  noveravano  tre  di- 
stinti sobborghi,  che  nel  declinar 
del  secolo  XIII  furono  cinti  di 
mura,  con  che  venne  a  compiersi 
il  perimetro  di  due  leghe  e  mezza. 
Lello  ed  imponente  era  il  vedere 
tale  recinto  quando  era  munito  di 
torri,  molte  delle  quali  avevano 
eretto  gli  architetti  Arnolfo  di  La- 
po,   ed    Andrea    Pisano,    torri  che 


furono  demolite  nel  i5iy  quando 
si  vollero  eguagliare  alle  mura, 
mentre  per  cura  di  Michelangelo 
Buonarroti  sursero  gli  esterni  an- 
tiporti, e  l'antica  fortezza  del  Mon- 
te s.  Miniato,  detto  anche  Monte 
del  re,  che  riuscirono  vani  propu- 
gnacoli alla  potenza  delle  armate 
imperiali  di  Carlo  V.  Tuttora  esi- 
stono più  ad  ornato  che  a  difesa 
le  due  fortezze  erette  dai  Medici, 
delle  quali  quella  chiamata  il  ca- 
stello di  s.  Gio.  Battista  s'innalza 
all'ovest,  l'altra  detta  di  Belvedere 
o  di  s.  Giorgio  all'est  graziosamen- 
te torreggia,  siccome  situata  nella 
parte  montuosa  della  città,  che  tut- 
ta la  domina,  ed  ha  comunicazio- 
ne col  real  giardino  de'  Boboli  ;  e 
de'bastioni  che  servirono  alla  metà 
del  secolo  XVI  al  granduca  Co- 
simo I,  per  difendersi  dagli  assalti 
esterni,  appena  ne  rimangono  scarsi 
avanzi.  Prima  la  città  aveva  sedi- 
ci porle,  ora  uè  ha  otto  e  una 
postierla.   Le  quattro  principali  poi 


6  FIR 

ricordano  epoche  ragguardevoli  al- 
la patria  istoria,  e  mostrano  es- 
sersi fatte  dove  le  belle  arti  ebbero 
costantemente  illustre  sede.  La  por- 
ta occidentale  a  s.  Frediano  per 
a  Livorno  non  solo  rammenta  le 
rivalità  e  le  guerre  delle  due  re- 
pubbliche fiorentina  e  pisana,  ma 
eziandio  il  solenne  ingresso,  che 
all'Italia  fu  tanto  funesto,  di  Car- 
lo Vili  re  di  Francia  nel  1 494- 
La  porta  boreale  a  s.  Gallo  per  a 
Bologna,  fu  eretta  nel  1284,  quin- 
di ridotta  nell'odierna  forma  l'an- 
no 1661,  quando  vi  passò  col  cor- 
teggio nuziale  Margherita  d'Orleans, 
sposa  del  granduca  Cosimo  III  ; 
l'elegantissima  epigrafe  del  Salvini 
ricorda  l'entrata  di  Federico  IV  re 
di  Danimarca,  e  l'arco  trionfale  che 
risente  nelle  sue  parti  della  celerità 
con  cui  fu  condotto  a  termine, 
quella  del  granduca  Francesco  II, 
il  primo  sovrano  di  Toscana  della 
dinastia  di  Lorena.  La  porta  Ro- 
mana al  sud-est,  denominata  a  s. 
Pier  Gattolini,  rammemora  come 
nel  i5i5  pomposamente  fu  rice- 
Tuto  in  patria  Leone  X,  mentre 
moveva  ad  incontrarlo,  superati  gli 
A  pennini,  Francesco  I  re  di  Fron- 
da; non  che  la  venuta  dell'  impe- 
ratore Cario  V,  massimo  sosteguo 
della  stirpe  de'  Medici.  La  quarta 
porta  è  quella  di  s.  Nicolò  nel 
lato  sud-est;  si  pregia  dell'antichis- 
sima basilica  di  s.  Miniato  posta  in 
cima  all'ameno  colle,  che  gli  s'in- 
nalza a  sinistra,  basilica  che  pree- 
sislendo  al  tempo  dei  longobardi,  fu 
dotata  da  Carlo  Magno.  Le  quattro 
minori  porte  si  dicono  al  Prato,  a 
Pinti,  alla  Croce,  a  s.  Miniato,  o  al 
Monte,  e  tutte,  se  n'eccettui  l'ulti- 
ma, non  mancano  di  eleganza,  e  tutte 
vantano  nelle  vaghe  lunette  pregia- 
tissime pitture  a  fresco.  La  postierla 


FIR 
si  trova  poco  prima  della  porta  al 
Prato,  e  conduce  ai  prossimi  inoliai. 
Le  strade  di  questa  città  sono  per 
la    maggior  parte    larghe,  dritte,  e 
tutte  ben  lastricate;  il  Lung' Arno 
dalla  parte   di  mezzodì,    dal  ponte 
Vecchio    a  quello    della   Carraia,  è 
bellissimo.    Quattro  grandiosi  ponti 
agevolano  col  rimanente  della  città 
le    comunicazioni    al    quartiere    di 
Oltr'Arno  :    il  più  orientale  è  me- 
morabile per  una  delle  paci  o  piut- 
tosto tregua  de' guelfi  e   de' ghibel- 
lini che  ivi  fu  segnata  :  conserva  il 
nome  del  milanese    Rubaconte    da 
Mandella   podestà   di  Firenze,    che 
nel    1236  vi  pose  la  prima  pietra, 
ed  al  quale  si  debbono  pure  il  bel 
lastricato  delle    vie  :    chiamasi  però 
comunemente    il  ponte  alle  Grazie 
da  una  piccola   cappella  ivi  eretta 
a  Maria   Santissima   sotto  il    titolo 
della  Madonna  delle  Grazie,    fre- 
quentatissima dal  popolo  fiorentino, 
ed  anche   dai  forestieri.    Segue  poi 
il  ponte  Vecchio,  l'unico  che  vici- 
no alle  antiche  mura,  prima  anco- 
ra dell'epoca  romana  si  crede  esi- 
stito, ove  di  qua  dall'Arno  sorgeva 
la    statua  di    Marte,  a    piedi   della 
quale  fu  ucciso  Buondelmonte;  su 
questo  ponte  sono  a  destra  e  a  si- 
nistra  le    botteghe    degli    orefici    e 
dei  gioiellieri.  Quello  a  s.  Trinità , 
che     sebbene    desuma     dal    secolo 
XIII  l'origine,  sopra  tutti  gli  altri 
ponti  si  distingue,  perchè  dopo  tre 
secoli  fu  maestrevolmente  rifatto  in 
tre    archi    dall'  Ammannati,    ed    è 
ornato    all'  estremità    colle   quattro 
stagioni  bene  scolpite.  Dallo  stesso 
celebre  artista  fu  pure  rimoderna- 
to   il    ponte    più    occidentale    alla 
Carraia,  che  si  disse  anche  Nuovo, 
per  essere  stato  il  primo   del  qua- 
le  la    repubblica   ordinasse    la    co- 
struzione,   allorquando    esisteva    il 


I"  !  R 
solo  Vecchio.  Anche  le  piazze  sono 
selciate  con  pietraforte  e  macigno. 
Noverare  gli  edilìzi  ragguardevoli 
sarebbe  lo  stesso  che  descrivere 
Firenze  dettagliatamente;  belli  e 
sontuosi  sono  i  suoi  edilìzi,  ricchi 
e  doviziosi  di  molte  pitture  e  scol- 
ture eccellenti,  non  solo  degli  sta- 
bilimenti pubblici,  ma  pure  di  case 
particolari  ;  laonde  accenneremo 
brevemente  le  cose,  e  le  fabbriche 
principali. 

Magnifiche  e  decottissime  sono 
le  numerose  chiese  di  Firenze,  che 
il  gesuita  p.  Giuseppe  Richa  egre- 
giamente illustrò  colle  Notizie  iste- 
riche delle  chiese  fiorentine,  divise 
ne' suoi  quartieri,  Firenze  17^4, 
per  non  rammentare  altri  scrittori 
di  esse.  L'antichissimo  tempio  det- 
to di  s.  Giovanni,  perchè  dedicato 
a  s.  Gio.  Raltista  principale  pro- 
tettore di  Firenze,  e  nel  quale  è 
il  fonte  battesimale,  sorge  isolato 
dirimpetto  alla  cattedrale.  E  di 
lòrma  ottagona,  all'  esterno  incro- 
stato di  marmi  bianchi  e  neri,  ed 
è  di  marmi  parimente  pavimenta- 
talo. Il  suo  interno  è  fregiato  di 
sedici  colonne  di  granito,  di  pre- 
giati mosaici ,  sculture  ,  pitture  , 
e  del  sepolcro  magnifico  di  Bal- 
dassare  Costa ,  o  Cossa,  già  Gio- 
vanni XXIII,  eretto  per  opera 
del  Donatello,  e  d' un  antico  gno- 
mone illustrato  dal  p.  Ximenes.  Le 
sue  tre  porte  però  superano  ogni 
elogio.  Sono  queste  di  bronzo,  ed 
esprimono  varie  storie  dei  due  Te- 
stamenti. Andrea  Pisano  gettò  nel 
i33o  quella  dalla  parte  del  mezzo- 
giorno; nel  i/foo  Lorenzo  Ghi- 
berti  fece  l'altra  volta  a  settentrio- 
ne, e  quindi  la  terza  a  levante  di 
fronte  alla  cattedrale,  la  più  mi- 
rabile di  tutte,  e  di  cui  disse  Mi- 
chelangelo :    esser    degna   di  servir 


F1R  7 

di  porta  al  paradiso.  Se  questo 
magnifico  tempio  fosse  nella  sua 
origine  dedicato  a  Marte,  o  se  piut- 
tosto sia  opera  dei  longobardi ,  noi 
lo  lasciamo  indeciso,  e  concludiamo 
che  le  due  colonne  di  porfido,  del- 
le quali  6i  raccontano  tante  storiel- 
le dal  popolo,  che  sorgono  laterali 
alla  più  bella  porta  del  Ghiberti, 
furono  donate  ai  fiorentini  dai  pi- 
sani dopo  la  conquista  delle  isole 
Baleari,  e  che  le  statue  di  bronzo 
sopra  i  cornicioni  delle  porte  me- 
desime, sono  opere  di  Vincenzo 
Dantù,  di  Vincenzo  Rustici,  e  di 
Andrea  Contucci  detto  dalla  sua 
patria   il  Sansovino. 

Dalla  contigua  antichissima  pieve 
di  s.  Reparata,  per  opera  di  Arnolfo 
di  Lapo,  sul  finir  del  secolo  XIII,  surse 
in  forma  di  croce  latina  la  magnifica 
metropolitana  dedicata  a  s.  Maria 
del  Fiore,  ove  l'arcivescovo  ha  la 
sua  sede.  Di  questo  edilìzio  che 
vince  in  pregio  e  ricchezza  tutti  gli 
altri  della  città,  e  che  con  la  sua 
magnificenza  attesta  i  tempi  felici 
della  repubblica  in  cui  fu  innalzato, 
ne  riparleremo  verso  il  fine  dell'ar- 
ticolo. Fanno  bella  e  maravigliosa 
mostra  al  di  fuori  i  marmi  tosca- 
ni di  vario  colore,  che  rivestono 
l' intero  edificio,  tranne  la  facciata, 
essendo  bianchi  quelli  che  nell'  in- 
terno formano  la  traforata  ringhie- 
ra che  sovrasta  alle  pareti.  Mira- 
bile e  famosa  è  la  cupola  del  Bru- 
nelleschi;  né  ha  pari  l'altissima  tor- 
re campanaria  accanto  a  tal  tem- 
pio, innalzata  da  Taddeo  Gaddi  col 
disegno  del  suo  maestro  Giotto, 
ov'  egli  e  tanti  altri  artisti  eserci- 
tarono i  loro  scalpelli  ne'  bassi  ri- 
lievi e  statue  che  l'adornano;  iso- 
lata da  ogni  parte,  ha  centoqua- 
rantaquattro  braccia  di  altezza  e 
cento  di  circuito,    ed    è    incrostata 


8  FIR 

di  marmi  di  vari  colori;  i  fonda- 
menti di  questa  mole  ebbero  prin- 
cipio nel  1 334-  Questa  è  tenuta 
per  una  meraviglia  ,  e  il  Biondo 
disse  eh' è  il  più  bel  campanile  di 
quanti  forse  ve  n'abbia  il  mondo: 
dicesi  che  l'edilizio  costò  undici  mi- 
lioni di  fiorini.  Sette  sono  le  cam- 
pane, l'armonia  delle  quali  risulta 
concorde  per  le  consonanze  delle 
ottave,  delle  quinte,  e  delle  terze. 
La  maggiore,  fusa  nel  1-475,  si  rup- 
pe nel  1704,  e  subito  vi  fu  sostitui- 
ta l'odierna  di  mirabil  pregio.  Al 
declinar  del  quarto  secolo  primeg- 
giava la  chièsa  di  s.  Lorenzo  già 
consagrata  da  s.  Ambrogio,  che  poi 
nolPundecimo  fu  ampliata  quando 
già  era  fregiata  del  titolo  di  basi- 
lica, e  servi  talvolta  alle  adunanze 
de'  guelfi  ;  ma  venendo  distrutta 
da  furioso  incendio  nei  primi  anni 
del  secolo  XV,  cioè  nel  1 4- T  7 >  f" 
dalla  munificenza  di  Giovanni  di 
Bicci  de'  Medici,  e  quindi  dal  gran- 
de Cosimo  il  Vecchio  suo  figlio , 
ridotta  con  tre  navate  all'  odierna 
eleganza  e  solidità,  perchè  costrut- 
ta tutta  di  macigno,  egualmente 
coli'  opera  del  Brunelleschi.  In  que- 
sta basilica  si  ammira  la  bella  sa- 
grestia, che  fu  la  prima  a  costruir- 
si, perchè  nell'incendio  dell'ante- 
riore basilica,  avea  maggiormente 
sofferto  ;  la  principale  cappella  or- 
nata dal  granduca  Leopoldo,  ove  i 
fini  marini  del  pavimeuto  gareg- 
giano colle  pietre  dure,  e  co'  lavori 
in  bronzo  dorato  del  magnifico  al- 
tare; l'altra  sontuosa  cappella  che 
da  Leone  X  ideata,  venne  poi  da 
Clemente  VII  condotta  a  fine,  e 
destinata  ai  depositi  della  famiglia 
de'  Medici,  che  ora  sono  ne'  sotter- 
ranei: quest'  ultima  cappella  è  uno 
de.'  gloriosi  monumenti  del  gonio 
di  Michelangelo,  sì  per  la  felio:  ar- 


FIR 
ditemi  dell'architettura,  che  per  le 

quattro  superbe  statue  che  ador- 
nano i  mausolei,  fra  le  quali  si 
distingue  la  Nolte,  che  gl'intelli- 
genti tengono  per  unica  ;  final- 
mente divenuti  i  de  Medici  sovra- 
ni, idearono,  ma  non  totalmente 
mandarono  ad  elfetto,  il  ricco  edi- 
fizio  chiamato  la  cappella  de'  prin- 
cipi, ciò  eh'  eseguì  il  granduca  Fer- 
dinando I,  che  per  la  sua  splen- 
didezza è  tenuta  qual  meraviglia 
italiana,  per  la  quantità  e  preziosità 
delle  pietre  e  dei  rari  marmi  :  la 
dipintura  della  cupola  che  Leopol- 
do I  aveva  allogata  al  celebre  Mengs, 
fu  portata  a  felice  compimento  dal- 
la perizia  del  cav.  Benvenuti,  per 
ordine  del  granduca  Leopoldo  li. 
V.  la  dotta  Esposizione  delle  cap- 
pelle de'  sepolcri  Medicei  in  s.  Lo- 
renzo di  Firenze,  e  della  grande 
cupola  ivi  dipinta  dal  commenda- 
tore Pietro  Benvenuti,  di  Melchiorre 
Missirini,  Firenze  1 836  ,  pel  Ciar- 
deili.  Nell'annesso  locale  con  la 
celebratissima  biblioteca  Mcdicea- 
Laur'enziana,  che  contiene  i  codici 
in  lingue  orientali,  greci,  latini  ed 
italiani,  raccolti  dalla  munificenza 
dei  de  Medici,  e  degli  altri  gran- 
duchi.  Il  vaso  della  libreria  è  di- 
segno di  Michelangelo,  e  vi  si  è 
unita  ultimamente  una  nuova  stan- 
za per  collocarvi  una  libreria  di 
prime  edizioni,  raccolta  dal  conte 
Angelo  d'Elei,  e  da  esso  donata 
generosamente  alla   patria. 

Del  grandioso  tempio  di  s.  Cro- 
ce, la  cui  origine  risale  al  i2g4j 
ne  fu  architetto  Arnolfo,  e  poscia 
Giorgio  Vasari  nel  i566  ne  ri- 
modernò la  cappella  maggiore:  ivi 
sono  i  primi  dipinti  di  Cimabue, 
di  Giotto,  di  Lippi,  padri  della 
scuòla  pittorica  di  Toscana  ;  ed  ivi 
pure  ammiransi  le  magistrali   scoi- 


FIR 

ture  che  decorano  i  mausolei  di 
Michelangelo  Buonarroti,  di  Fran- 
cesco da  Barberino,  di  Leonardo 
Bruni  aretino,  di  Carlo  IVIai  zuppi- 
li!, di  Giovanni  Lami,  di  Galileo 
Galilei  ,  di  JN'icolò  Macchiavelli  , 
dell'  architetto  Alessandro  Galilei  , 
del  Nardini,  del  Fantoni,  del  Coc- 
chi, del  Micheli,  del  Taranti,  del 
Lanzi,  del  Filicaia,  dell'Alfieri  ese- 
guito dal  Canova,  del  Magnifico, 
di  Dante  eseguito  dallo  scultore 
Stefano  Ricci,  e  di  tanti  altri  in- 
signi dotti  ed  artisti  che  rendono 
quel  tempio  doppiamente  famige- 
rato. L' interno  chiostro  poi  de're- 
ligiosi  conventuali,  che  l'hanno  in 
cura,  presenta  nella  cappella  della 
famiglia  Pazzi  eretta  dal  Brunei- 
leschi  i  primi  saggi  del  risorgi- 
mento dell'architettura.  Questa  gran- 
diosa chiesa  e  convento  di  s.  Cro- 
ce è  un  altro  luminoso  attestato 
della  pietà  e  splendidezza  de'  fio- 
rentini ;  anzi  sembra  impossibile 
come  un  piccolo  numero  di  mer- 
canti abbia  potuto  erigere  si  costo- 
sa fabbrica,  che  può  chiamarsi  il 
Pantheon  de'  fiorentini  ;  i  suoi  nu- 
merosi altari  sono  tutti  adorni  di 
tavole  dei  più  celebri  dipintori  del- 
la scuola  fiorentina,  come  dicem- 
mo. Davanti  questa  chiesa  esiste 
una  bella  piazza  con  una  fontana, 
ove  nei  tempi  antichi  si  eseguiva 
il  giuoco  del  calcio  :  ora  è  circon- 
data di  sedili  ben  disposti  per  go- 
dervi   il    fresco  nell'  estate. 

Nella  chiesa  di  s.  Marco  in  ima 
medesima  tomba  giacciono  sepolti 
Gio.  Pico  della  Mirandola,  e  Girola- 
mo Benivieni;  nel  lato  opposto  avvi 
quella  di  Angelo  Poliziano:  l'ar- 
chitetto Giovanni  Bologna  salì  ad 
alta  fama  pel  riordinamento  di 
questo  tempio,  e  per  la  sontuosa 
cappella  di  s.    Antonino    arciveseo- 


Fin  9 

vo  di  Firenze,  erettavi    nel   i  *>88  : 
Eugenio  IV   prima  di   ritornare  in 
Roma   consagrò    questa    chiesa.    La 
superba  chiesa  dei    domenicani    di 
s.  Maria  Novella,  che   Michelange- 
lo chiamava  la  sua  sposa,  fu  inco- 
minciata nel    H2I    sotto    la    dire- 
zione e  col   disegno  di  fra   Ristoro 
da    Campi,    fra    Sisto,    e    fra  Gio- 
vanni  conversi   del  convento    unito 
dello    stesso    nome.    La   facciata  è 
disegno  di    Leon    Battista    Alberti. 
Su  di  essa  stanno  due  monumenti 
astronomici,  eseguiti   colla   direzio- 
ne del  p.   Ignazio  Danti,    religioso 
di    questo    convento ,    che    al    pari 
della  chiesa  abbonda  di  egregi  mo- 
numenti di   belle    arti.     Esiste    nel 
primo   una  celebre  fonderia  ,    e   la 
chiesa   guarda   due  piazze  :   la  Nuo- 
va,   ove    si    eseguisce    la  corsa  dei 
cocchi,   cui   servono  di  mela  le  due 
guglie  di    marmo,  e  l'altra    latera- 
le,   detta     la    piazza    Vecchia.    Nel 
contiguo  convento  vi  abitarono  Mar- 
tino   V,  ed  Eugenio  IV   nella  loro 
dimora   in   Firenze.    Il  primo    a'  7 
settembre    i42o    solennemente    ne 
consagrò  la  chiesa  ;    il  secondo  co- 
me il  predecessore    vi    celebrò   va- 
rie pontificie   funzioni,  e  nella  not- 
te del  Natale    i435  benedì  lo  stoc- 
co   e    il    berrettone ,    e  donollo  al 
gonfaloniere  della  repubblica,  men- 
tre Martino    V    avea    donato    alla 
signoria    la    rosa  d' oro    benedetta. 
Simile  dono  fece  nel    1 4-3(3    Euge- 
nio  IV  a  s.  Maria  del  Fiore.    Nel 
convento  di   s.    Maria  Novella  Eu- 
genio IV   tenne  le  conferenze  e   le 
dispute  per  le  sessioni  del  concilio 
generale    che    celebrò    nella    catte- 
drale.   In   s.   Maria  Novella  egli  ce- 
lebrò l'unione  colla  Chiesa  armena, 
le   promozioni  de'  cardinali,    ed    il 
ricevimento    degli  ambasciatori   del 
re    ci'  Etiopia.     Ultimamente   nella 


io  Fia 

chiesa  di  s.  Maria  Novella  è  stato 
eretto  tutto  di  nuovo  un  magnifi- 
co altare  maggiore,  che  è  costato 
molte  migliaia  di  lire,  ricavate  dal- 
la famosissima  spezieria  di  quei  re- 
ligiosi. La  magnifica  chiesa  di  s. 
Spirito  degli  agostiniani,  nella  qua- 
le la  sagrestia  disegno  del  Crona- 
ca è  un  vero  capo  d'opera,  ha  tre 
navate  con  altare  maggiore,  e  coro 
nel  mezzo.  E  eseguita  col  disegno 
del  Brunelleschi ,  ed  è  adorna  di 
statue  e  bronzi  :  questa  chiesa  ed 
il  convento  guardano  una  piazza 
che  ha  la  fontana. 

La  grandiosa  e  ricca  chiesa  del- 
la ss.  Annunziata,  con  convento 
dei  religiosi  serviti,  è  tutta  incro- 
stata di  marmi,  e  stucchi  messi  a 
oro,  contenendo  una  quantità  di 
bellissimi  quadri  e  statue.  La  sua 
cupola,  lodato  lavoro  del  Volterra- 
no, la  rende  assai  vaga.  Si  venera 
in  questa  chiesa  l' immagine  della 
beata  Vergine  Annunziata,  oggetto 
di  particolare  divozione  del  popolo 
fiorentino.  La  sua  cappella  fu  dalla 
pietà  dei  granduchi  Medici  fatta 
tutta  incrostare  di  pietre  dure,  e 
vedesi  arricchita  d' un  superbo  al- 
tare di  argento,  e  di  molti  cande- 
labri, candelieri  e  lampade  di  si- 
mile metallo,  il  tutto  offerto  dalla 
venerazione  dei  divoti.  Il  chiostro 
che  serve  d'introduzione  alla  chie- 
sa è  adorno  di  superbe  lunette  di- 
pinte a  fresco  da  Andrea  Del  Sar- 
to, e  nel  chiostro  laterale,  oltre  a 
bellissime  lunette  di  buoni  mae- 
stri ,  si  ammira  pure  la  celebre 
Madonna  detta  del  Sacco,  dipinta 
dallo  stesso  Del  Sarto,  e  che  vie- 
ne giudicata  come  un  capo  d'ope- 
ra dell'arte.  La  piazza  adorna  di 
tre  belli  loggiati,  in  uno  de'  quali 
sta  l'ospedale  degl'Innocenti,  con- 
tiene due  vaghe  fontane    di    bron- 


FIR 
zo,  e  la  statua  equestre  di  Ferdinan- 
do I,  fusa  coi  cannoni    conquistati 
sui  turchi  dai  cavalieri  di  s.  Stefano. 

Ove  la  repubblica  ordinò  nel  i  284 
un  magnifico  portico  per  servire 
di  mercato  alle  biade,  esiste  ora  la 
chiesa  prepositura  di  Orsanmiche- 
le,  o  s.  Michele  in  Orto,  che  è 
una  grandissima  torre  quadrata,  la 
cui  parte  superiore  serve  per  pub- 
blico archivio,  in  cui  si  depositano 
i  protocolli  si  dei  contratti,  che  dei 
testamenti  dello  stato.  La  parte  in- 
feriore serve  di  chiesa,  e  vi  si  ve- 
nera un'antichissima  immagine  di 
Maria  Vergine  a  cui  l'Orcagna, 
che  ridusse  la  loggia  a  chiesa,  fece 
un  sontuoso  tabernacolo  di  marmi 
sul  gusto  gotico.  L'esterno  di  que- 
sta chiesa  ricco  di  pietrami,  è  ador- 
no di  sedici  nicchie  che  contengono 
le  statue  dei  santi  protettori  delle 
arti,  alcune  di  bronzo  ed  altre  di 
marmo,  fra  le  quali  si  ammira  il 
s.  Giorgio,  scolpito  in  marmo  dal 
Donatello,  che  si  annovera  tra  le 
più  pregiate  statue  moderne.  Si  de- 
ve deplorare  la  perdita  del  tempio 
di  s.  Maria  degli  Angeli,  ordinato 
da  Filippo  Scolari,  tanto  celebre 
sotto  il  nome  di  Pippo  Spano ,  e 
dal  Brunelleschi  con  un  nuovo  ma- 
gistero insino  al  cornicione  condot- 
to, e  che  ove  avesse  avuto  il  com- 
pimento sarebbe  certamente  ripu- 
tata l'opera  di  lui  più  perfetta. 
Oltre  alle  qui  noverate ,  Firenze 
possiede  molte  altre  nobilissime 
chiese  degne  di  essere  ammirate, 
al  paro  de' suoi  stupendi  palazzi, 
adorni  tutti  di  capi  d'opera  di  bel- 
le arti,  tra' quali  primeggia  il  pa- 
lazzo vecchio,  colle  annesse  sue 
fabbriche,  e  quello  de'  Pitti  ove 
risiede  il  sovrano,  innalzato  da  Lu- 
ca Pitti  rivale  dei  de  Medici. 

11  palazzo  vecchio  fatto  edificare 


FIR 
dalla    repubblica    per    la    residenza 
de' suoi    magistrati    nel    1298,    col 
disegno  del  più.  volte  nominato  Ar- 
nolfo di  Lapo,  servi  poscia  di  abi- 
tazione  al    duca    Cosimo,    che   col 
disegno  di  Giorgio  Vasari  vi    fece 
superbi  accrescimenti,  fra  i  quali  il 
magnifico  salone,  adorno  di  statue 
e  pitture,  uno  de' più  grandi  ed  or- 
nati d' Italia.  Ora  serve  per  le  reali 
segreterie   di    stato,    scrittoio    delle 
reali  possessioni,    uffizio  dei  sinda- 
cati, real  depositeria  e  guardaroba 
generale,  e  per  altri   uffizi.  Il  piano 
terreno    dalla    parte    laterale    è   la 
dogana  della  città.  La  torre  di  que- 
sto   palazzo    è     alta    braccia     160. 
Lateralmente  alla  porta  che  guar- 
da la  piazza,  sta  la  bella  statua  del 
David  del  Buonarroti,  ed  il  gruppo 
di  Baccio  Bandinelli,  rappresentan- 
te Ercole  che  uccide  Caco.  Accan- 
to al  palazzo  vi  è  la  gran  fontana, 
con  un  Nettuno  di  marmo  di  sta- 
tura gigantesca,  fatto  dall'Amman- 
nati,  che  vedesi  in  un  carro  mari- 
no tirato  da  quattro  cavalli.  II  gran 
vaso  della  vasca  è  adorno  di  sati- 
ri, e  deità  marine  tutte  di  bronzo 
e  di  meraviglioso  lavoro.  In  mezzo 
alla  piazza  vi  è  la  statua    equestre 
pur  di  bronzo  di  Cosimo  I,  lavoro 
sublime  di  Giovan  Bologna,  di  cui 
sono  pur  opera  pregiata  gli  stupen- 
di bassi  rilievi    che  rappresentano  i 
fatti  principali  della    vita    di    quel 
sovrano.  La  loggia  detta  dei  Lanzi, 
innalzata  dalla  repubblica  nel  1  355, 
col  disegno    dell'  Orcagna,   è  di  so- 
li tre  archi,  e  per  la  sua  sveltezza, 
ampiezza  e  solidità  si  ammira  come 
un  miracolo  dell'  arte.  Essa  è  ador- 
na di   bellissime    statue    antiche    e 
moderne,    tali    essendo   le   quattro 
colossali  di  donne,  e  i    due    leoni, 
che  Pietro  Leopoldo  fece  trasporta- 
re   da    Roma    dalla    villa    Medici. 


FIR  ti 

Quivi  pure  si  vede  la  Giuditta  in 
bronzo    di    Donatello,    il     Perseo 
egualmente  in  bronzo  di  Benvenu- 
to Cellini,  ed  il  celebre  gruppo  del 
l'atto  delle  Sabine,  scolpito  in  mar- 
mo da  Giovan  Bologna.    Contigua 
sta  la  fabbrica    e  loggiato    degli  uf- 
fizi, eseguito  d'  ordine  di  Cosimo  I 
da  Giorgio   Vasari,  che   seppe    in- 
corporarvi   l' antica    fabbrica    della 
regia  zecca.    11    piano    terreno    dei 
quartieri  corrispondenti  a  questi  va- 
sti   loggiati  serve  per    i    tribunali, 
il  piano  di  mezzo  per    vari    uffizi, 
ed  alla  biblioteca  Magliabecchiana; 
ed  il  piano  superiore  per  la  regia 
galleria,  incominciata  già   dal  car- 
dinal Leopoldo,  e  sempre  arricchita 
dai    successivi    granduchi.    Ne'  suoi 
vasti   corridoi,  e  nelle  molte  stan- 
ze    annesse    si    ammira    una    gran 
quantità  delle  più  belle  statue  an- 
tiche, fra  le  quali  la  Venere   Me- 
dicea ec.  ec,  ed  oltre  i  capi    d' o- 
pera  dei  migliori  artisti  maestri  di 
pittura,  in  cui  fra  le  tante  classiche 
fra  le  prime  si  distinguono  la  Ve- 
nere del  Tiziano,  il  s.  Giovanni  di 
Raffaello,  la  Madonna  del  Correg- 
gio :  quindi  mirabile  è    la    classifi- 
cazione de'  dipinti    secondo    le    di- 
verse scuole,  e  la  camera  dei  ritratti 
di  artisti  da  essi  medesimi  eseguiti. 
Evvi  ancora  il  museo  ed  una  magni- 
fica collezione  di  gemme,  carnei,  me- 
daglie, disegni,  stampe,   antichi  mo- 
numenti egizi,  etruschi,  e  di  altri  po- 
poli antichi,    bronzi,   iscrizioni    ec, 
che  troppo  ci   vorrebbe  per   darne 
anche  una  succinta  descrizione. 

Nel  11 4o  Luca  Pitti  ricchissimo 
cittadino  ordinò  al  Brunelleschi  la 
fabbrica  del  gran  palazzo  che  pre- 
se il  suo  nome,  e  che  dopo  l'estin- 
zione della  repubblica  fu  venduto 
da  Bonaccorso  Pitti  nel  i549  a 
Cosimo  I,  non  esistendo  allora  che 


,1  FIR 

la  sola  porzione  di  mezzo.  Cosi- 
mo I  colla  perizi;!  dell'Atti  manuali 
il  rese  degno  di  addivenire  la  re- 
sidenza sovrana,  non  avendo  ces- 
sato tutti  i  suoi  successori  sino  al 
dì  d' oggi  ,  di  accrescerne  le  ma- 
gnificenze, e  di  ridurlo  a  quell'am- 
piezza che  si  ammira.  Il  maestoso 
cortile  riputato  un'  architettonica 
meraviglia  ,  memorando  per  le  feste 
datevi,  especialmente  per  la  grandiosa 
naumachia  nelle  nozze  di  Ferdinan- 
do I,  la  collezione  sorprendente  di 
molti  capo-lavori  di  pittura  delle  scuo- 
le italiane  ed  estere,  ove  primeggia 
la  celebre  Madonna  della  Seggiola 
di  Raffaello,  i  pregevoli  dipinti  a 
desco,  fra'  quali  sono  degni  di  men- 
zione quelli  della  sala ,  in  cui  il 
cuv.  Benvenuti  dipinse  i  fasti  di 
Ercole.  Vanno  pure  ricordate  le 
preziose  sculture,  e  fra  queste  la 
famosa  Venere  di  Canova,  i  qua- 
dri a  mosaico  in  pietra  dura,  e  le 
sedute  dell'accademia  del  Cimento 
ivi  'tenute  dopo  il  i65y  sino  al 
1667,  Pr'ma  ancora  che  Parigi  e 
Londra  adottassero  una  somiglian- 
te istituzione;  e  la  palatina  ricchis- 
sima biblioteca,  ove  si  accumulano 
ognora  novelli  tesori.  A.  compierne 
la  decorazione  intese  il  granduca 
Cosimo  I,  facendo  costruire  il  ma- 
gico e  delizioso  giardino  de'Boboli, 
aperto  per  concessione  sovrana  al 
pubblico  passeggio,  in  un  collo  spa- 
zioso anfiteatro,  coll'eininente  casi- 
no, e  con  tanti  altri  pregi  ivi  rac- 
colti dalla  natura  e  dall'arte.  An- 
che di  questo  veramente  reale  sog- 
giorno lungo  troppo  sarebbe  il 
descrivere  le  bellezze  e  sontuosità 
di  ogni  sua  parte.  Dall' inferior  lato 
sorge  il  pregevolissimo  gabinetto 
di  storia  naturale,  che  le  dovizie 
inesauribili  contiene  de'  tre  regni 
ordinatamente  disposte,  e  che  per 


FIR 

le  anatomiche  preparazioni  in  ara 
ottenne  sopra  ogni  altro  celebrità 
ed  eccitò  in  altri  atenei  nobile  emu- 
lazione. Vi  è  pure  formato  l'osser- 
vatorio astronomico ,  e  non  solo 
può  dirsi  il  tutto  annesso  al  real 
palazzo,  ma  una  praticata  galleria, 
che  attraversa  il  quartiere  di  Ol- 
tr'  Arno,  ed  il  fiume  sormonta  so- 
pra il  ponte  s.  Trinità  o  ponte 
Vecchio ,  congiungc  il  medesimo 
coli'  altro  palazzo  della  signoria  o 
palazzo   vecchio. 

Fra  i  tanti  pubblici  stabilimenti 
di  beneficenza  di  cui  veramente 
abbonda  questa  città,  ci  limitere- 
mo a  ricordare  i  principali.  È  am- 
mirabile la  compagnia  ed  arcicon- 
fra  tenuta  della  Misericordia,  che 
accorre  al  soccorso  di  tutte  le  dis- 
grazie della  città,  come  morti,  ca- 
scati ec,  trasportando  anche  i  ma- 
lati dalle  case  agli  ospedali  :  ebbe 
questa  compagnia  origine  fino  dai 
tempi  della  repubblica  da  una  so- 
cietà di  artigiani ,  e  rese  col  suo 
zelo  ed  esemplar  carità  grandi  ser- 
vigi alla  patria ,  specialmente  in 
tempo  di  mortalità  o  di  pestilenza. 
Ella  non  ha  punto  degenerato  dal- 
l'antico fervore  e  primiero  istituto. 
In  ogni  stagione  a  qualunque  ora, 
anche  della  notte,  appena  la  cam- 
pana coi  convenuti  segni  avvisa 
doversi  trasportare  infermi  dalle 
proprie  case  allo  spedale,  o  esservi 
feriti,  caduti,  colpiti  da  mali  im- 
provvisi, morti  per  la  città  e  luo- 
ghi circonvicini,  accorrono  prontis- 
simi i  fratelli  a  raccoglierli  e  render 
ad  essi  i  convenienti  uffizi.  E  van- 
no anche  a  mutare  i  malati  nelle 
loro  case,  ed  assisterli  nella  notte, 
e  non  mancano  in  ogni  occasione 
di  dare  ai  bisognosi  larghe  limo- 
Si  ne.  Questa  benemerita  società  è 
una  di  quelle  istituzioni    sole  prò- 


fir  l'in                ry 

prie  del  enttolieismo,  e  eh' egli  solo  straordinari.    L'ospedale  di    s.   (iio- 
può    ispirare    e    dirigere.    Siccome  vanni  di  Dio,   duello  dai    religiosi 
ì' istituto  è  celebratissimo  e  notorio,  Lenii nielli,  non   riceve  che  uomini, 
sono  pochi    anni    che  da   «ina  illu-  i  quali  vi  sono  bene  assistiti  e  cu- 
stre  capitale  del  nord  furono  man-  rati.    Lo    spedale    degli    Innocenti, 
dati    a  chiedere  i  di  lei  regolarne*-  grande     stabilimento     incominciato 
li.  La  compagnia    della    Misericor-  anticamente,    e  poscia    ampliato  a 
dia     ha    ultimamente    fondato    un  spese    dell'arte    della    seta    per    gli 
ben   inteso  campo-santo  vicino  alla  esposti    nel    secolo    XV,     mantiene 
città  fuori  della   porta  a  Pinti u per  circa  seimila  individui  sparsi  la  mag- 
sepoltura    de'fratelli.    Al    grandioso  giof  parte  per  la  campagna  in  be- 
arcispedale  di  s.  Maria  Nuova,  ove  nefizio    dell'agricoltura.  Annesso   a 
si   cura  ogni  sorta  di   malattia  ine-  quest'ospedale  sta  l'ospizio  di  Ma- 
dica  e  chirurgica  stanno  annesse  le  temila  fondato  da    Ferdinando  III 
cattedre  di  tutte  le  scienze,  che  vi  per  l' istruzione  delle  levatrici,  che 
hanno  relazione,    un  eccellente  la-  vi  sono  mantenute  dalla   comunità 
bora  torio    chimico,    un  teatro  ana-  dello  stato.    A    questo   presiede  un 
tomico,    un    gabinetto    patologico,  professore,  che  dà  lezione    di  oste- 
ttua   biblioteca  a  comodo  della  gio-  tricia  teorico-pratica  ;  e  sonovi  al- 
ventù    addetta    agli    stuelli   medico-  brasi   delle  stanze  apposite  in  cui  le 
chirurgici ,    ed    un    orto    botanico,  povere  donne  sono  ricevute  a  par- 
Bello    è    il  frontespizio    pei  scolpiti  torire.   Lo  spedale  del  Bigallo   rac- 
marmij  e  pegli  affreschi  del  Poma-  coglie  gli  abbandonati.  Oltre  a  mol- 
rancio  e  de' suoi  scolari:  della  fon-  ti  altri  stabilimenti  di    beneficenza 
dazione    dell'arcispedale  di  s.  Maria  si  annoveva  una  pia  casa  di  lavo- 
Nuova  l'antica  famiglia  Portinai-i  è  ro,  sotto  il  titolo  di  s.  Ferdinando, 
benemerita,  e  per  tre  secoli  ne  con-  fondata  da  Ferdinando  III:  si  man- 
servo    il  giuspatronalo  ,    finché  nel  tengono  in  essa   circa    mille  indivi- 
1617   la  corona  ne  acquistò  le  ra-  dui  dei  due  sessi,  tolti  dalla  men- 
gioni,  e  ne  imprese  la   tutela.  dicità,  che  vi  sono  esercitati  in  arli 
Nell'ospedale   di  Bonifacio  Lupi  e  mestieri,  ed  anco  vengono  istruiti 
fiorentino  marchese  di  .Soregna,suo  nel  leggere,  nello  scrivere,  nell'arit- 
istilutore,  egualmente  magnifico,  si  metica,   e  nella  letteratura  e  belle 
curano  i  militari ,    e    tutte  le  ma-  arli,  se  mostrano  per  esse  della  ca- 
lattie  cutanee,  e  si  mantengono  in  pacità.  La   congregazione  di  s.  Mar- 
separate  stanze  un  numero  di  uo*  tino  pel  soccorso  de' poveri  vergogno- 
mini  e  donne  incurabili  ed  invali-  si,  fondata  dall'  arcivescovo  s.  Anto- 
di.  In    questo    stabilimento  è  com-  nino  nel  secolo  XV,  è  forse  la  più 
preso,  quantunque    in  quartieri  to-  antica  d'Italia.   Quella    di    s.    Gio. 
talmente    separati ,    lo    spedale  dei  Battista  distribuisce  soccorsi  ai  po- 
pazzi:     i   dementi    si    tengono    in  veri,    specialmente    letti    e    vesti- 
santa    Maria    Nuova,    in    cui    con  menti. 

istupendi  metodi  si  curano  mol-  Esiste  in  questa  città  un'  acca- 
tissimi  di  questi  infelici.  Presso  al  demia  di  belle  arti,  magnifico  sta- 
medesimo  e  sotto  la  stessa  animi-  bili  mento  eh' è  situato  in  un  gran- 
nistrazione  sta  lo  spedale  di  s.  Lu-  dioso  spazio  sulla  piazza  di  s.  Mar- 
cia,   per   le  purghe,  e  pei    bisogni  co.   Vi  si  insegna    disegno,    scuola 


*4  FIR 

del  nudo,  pittura,  ornato,  architet- 
tura, ed  intaglio  in  rame:  oltre 
alle  scuole  ha  due  grandi  e  pre- 
giate gallerie ,  una  che  contiene  i 
gessi  delle  più  belle  statue  anti- 
che, ed  in  fondo  alla  quale  esiste  la 
famosa  pittura  a  fresco  di  Giovan- 
ni da  s.  Giovanni ,  rappresentante 
la  fuga  in  Egitto,  che  il  granduca 
Pietro  Leopoldo  fece  trasportare 
tutta  in  un  pezzo  dal  regio  giar- 
dino della  Crocetta.  L'altra  galle- 
ria contiene  una  serie  di  pitture 
della  scuola  toscana ,  e  di  altre 
veramente  pregevoli.  Evvi  una  spa- 
ziosa sala  per  le  esposizioni  de' qua- 
dri in  occasione  de'  concorsi.  L'an- 
nesso istituto  è  situato  pure  nella 
piazza  di  s.  Marco;  in  esso  sta  una 
biblioteca  di  belle  arti ,  il  cui  bi- 
bliotecario è  segretario  dell'  acca- 
demia :  vi  sono  pure  dei  professo- 
ri di  meccanica  e  d'idraulica,  chi- 
mica applicata  alle  arti,  disegno  di 
fiori,  contrappunto,  musica,  piano- 
forte e  violino,  oltre  una  scuola 
di  declamazione.  In  questa  floridis- 
sima città  denominata  l'Atene  d'I- 
talia ed  il  giardino  di  Europa,  il 
Pontefice  Clemente  VI,  con  bolla 
data  ad  Avignone  a'3i  maggio 
1  349,  eresse  l'università  di  Firen- 
ze, che  ornò  di  privilegi:  ne  fu 
professore  Francesco  della  Rovere, 
eh'  ebbe  nome  di  teologo  acutissi- 
mo e  di  oratore  egregio,  il  quale 
nel  i^fi  divenne  Papa  col  nome 
di  Sisto  IV.  Oltre  le  quattro  pri- 
marie biblioteche  della  città,  si  de- 
ve aggiungere  quella  del  benefico 
prelato  Francesco  Marucelli  da  cui 
trae  il  nome ,  a  profitto  special- 
mente dei  letterati  bisognosi.  In 
Firenze  ove  le  scientifiche  e  lette- 
rarie accademie  ebbero  principio, 
tuttora  fiorisce  la  Crusca  restaura- 
ta, la  cui    origine  risale  al  i58?.  : 


FIR 

ad  essa  fu  riunita  la  suddetta  uni- 
versità fondala  nel  1 438  :  è  suo 
scopo  principale  il  conservare  ed 
affinare  la  lingua  italiana.  Notabi- 
le è  pure  l'accademia  o  sia  la  so- 
cietà reale  economica  dei  georgo- 
fìli  diretta  ai  progressi  dell'  agri- 
coltura, delle  arti  e  del  commer- 
cio, i  cui  alti  servirono  di  model- 
lo alje  agrarie  adunanze  che  oggi 
veggonsi  in  lustro  ;  il  dipendente 
giardino  de'  semplici  è  opportuno 
alle  sperienze  di  coltivazione.  Fu 
altresì  sino  dal  r  744  istituita  l'ac- 
cademia di  Teologìa  morale  prati- 
ca per  cura  del  p.  Ferdinando  Ma- 
niglia ;  ma  oggi  più  non  esiste. 
Fra  gli  studi  della  sopraddetta  ac- 
cademia delle  belle  arti,  avvi  quel- 
lo rinomato  del  lavoro  in  pietre 
dure  e  mosaico.  Fioriscono  inoltre 
la  società  medico-fisica  ;  il  lettera- 
rio gabinetto  ,  d'onde  si  diramava 
l'Antologia  ;  il  collegio  diretto  dai 
chierici  regolari  scolopii,  che  hanno 
un  bell'osservatorio  astronomico:  bi- 
sogna confessare  che  il  maggior  bene 
in  materia  d' istruzione  viene  fatto 
dai  padri  delle  scuole  pie,  che  oltre 
i  principii  di  scrittura  e  di  aritme- 
tica insegnano  belle  lettere ,  filo- 
sofia e  matematica,  ricevendo  nel 
collegio  a  gratuita  istruzione  più 
di  mille  individui.  Tra  i  teatri  no- 
mineremo i  quattro  principali  e 
più  magnifici  :  quello  degli  acca- 
demici Immobili,  detto  la  Pergola, 
i  cui  accademici  sono  i  primi  si- 
gnori della  città,  che  fu  ultimamen- 
te ristorato,  e  ridotto  uno  de'  più 
belli  d'  Italia  ;  quello  degli  Intre- 
pidi, teatro  nuovo  di  grande  e  lo- 
devole costruzione,  vagamente  or- 
nato e  messo  a  oro;  quello  degli 
Infuocati,  o  del  Cocomero,  di  bel- 
la architettura;  e  quello  di  Gol- 
doni. 


Flit 
E  la  sede  Firenze  del  granduca 
di  Toscana  e  della  reale  famiglia  , 
dell'arcivescovo  della  diocesi  e  cit- 
tà, eh' è  il  metropolitano  della  To- 
scana ,  del  vescovo  di  Fiesole  (Ve- 
di), delle  segreterie  civili  e  milita- 
ri ,  di  tutte  le  direzioni  ammini- 
strative delle  finanze,  e  di  tutti  i 
tribunali,  di  un  supremo  consiglio 
di  ultime  appellazioni  per  tutto  lo 
stato,  di  una  ruota  civile  per  il 
circondario  fiorentino ,  e  di  una 
ruota  criminale  per  tutta  la  To- 
scana, esclusa  la  provincia  inferio- 
re sanese.  Firenze  ha  una  came- 
ra ed  un  tribunale  di  commercio, 
una  cassa  di  sconto,  una  cassa  di 
risparmio ,  ed  altre  istituzioni.  Il 
corpo  dei  pompieri  è  assai  bene 
esercitato  per  l'estinzione  degli  in- 
cendi: esso  dipende  dal  gonfalo- 
niere, ed  il  loro  magazzino  è  ben 
provveduto  di  macchine  e  tutt'  altro 
occorrente.  Tutte  le  comunioni  re- 
ligiose vi  sono  tollerate,  e  gli  ebrei 
e  gli  evangelici  hanno  i  loro  cimi- 
teri ;  i  primi  oltre  il  ghetto  abi- 
tano pure  in  vari  luoghi  della  cit- 
tà. Vi  sono  vari  conservatorii  per 
l'educazione  delle  fanciulle,  fra  i 
quali  è  notabile  quello  della  ss.  An- 
nunziata, fondato  con  regia  muni- 
ficenza dal  padre  del  regnante  gran- 
duca, aperto  a' 24  ottobre  1823, 
e  diretto  da  signore  secolari ,  di 
cui  la  granduchessa  n'è  la  protet- 
trice. Oltre  la  scuola  esterna  per 
le  ragazze  povere,  che  tengono  an- 
nessa al  loro  conservatorio  le  mo- 
nache salesiane,  vi  sono  pubbliche 
scuole  per  le  fanciulle  povere  nel- 
le quali  s'insegnano  tutti  i  lavori 
donneschi  ;  quivi  le  fanciulle  che 
dimostrano  buona  condotta  e  fan- 
no profitto  nei  lavori  sono  inco- 
raggile con  premi  e  sussidi  dolali. 
Ogni  quartiere  ha  scuole  gratuite, 


F I  R  i  5 

ove  s'insegna  leggere,  scrivere  e 
l'aritmetica  ai  poveri  ragazzi,  oltre 
ad  alcune  scuole  di  mutuo  inse- 
gnamento ,  mantenute  a  spese  di 
particola!"  società.  "Vi  sono  anche  i 
così  detti  asili  infantili,  ne' quali 
s'  istruiscono  i  teneri  bambinelli 
dell'uno  e  dell'altro  sesso  con  ca- 
rità, a  spese  dei  benefattori,  e  vi 
s' istruiscono  nella  mattina,  e  si  ha 
cura  eziandio  della  loro  salute,  e 
diligentemente  gli  s'insegna  oltre  i 
primi  erudimenti  di  leggere  e  scri- 
vere, la  dottrina  cristiana.  Nel  se- 
minario arcivescovile,  in  cui  è  una 
numerosa  e  scelta  biblioteca ,  si 
educano  i  chierici  della  diocesi. 
Mentre  Eugenio  IV  nel  i435  li  o- 
vavasi  in  Firenze,  istituì  una  scuo- 
la di  chierici,  i  quali  dovessero  as- 
sistere ogni  giorno  alle  messe  can- 
tate e  agli  uffizi  divini,  sotto  un 
maestro  che  li  potesse  istruire  nel- 
la grammatica,  nel  canto  gregoria- 
no ,  e  ne'  costumi.  Dispose  inoltre 
che  dovessero  abitare  un  locale  vi- 
cino alla  cattedrale ,  nel  quale  sa- 
rebbero ricevuti  all'età  tra  i  dieci 
e  quindici  anni,  e  vi  si  manterreb- 
bero fino  a  ricevere  il  sacerdozio 
dal  vescovo  della  città  ;  che  i  con- 
soli dell'arte  della  lana  fossero  gli 
amministratori  delle  rendite  della 
scuola,  con  altre  paterne  ed  uti- 
lissime provvidenze.  S.  Antonino 
arcivescovo  di  Firenze,  e  lo  Spon- 
dano  vi  osservano  la  pratica,  o  for- 
se l'origine  de' seminari  dipoi  pre- 
scritti dal  concilio  di  Trento.  Ma 
siccome  quel  concilio  ordinò  che 
nessun  chierico  si  possa  promuove- 
re agli  ordini  sagri ,  se  non  ha  il 
patrimonio  o  benefizio  ecclesiastico, 
ed  avendo  Eugenio  IV  autorizzato 
l'arcivescovo  di  Firenze  di  ammet- 
tere i  chierici  della  scuola  agli  or- 
dini sagri,  ad  litulum  paupertaiis, 


i6  fir 

u'  quali  poi  il  capitolo  darebbe  le 
cappellanie  vacanti  di  suo  patro- 
nato, cosi  questo  supplicò  s.  Pio  V 
perchè  confermasse  il  privilegio  di 
Eugenio  IV,  ciò  che  fece  con  bol- 
la de'  24  ottobre    1567. 

Al  complesso    delle    bellezze  fin 
qui  accennate    è    d'aggiungersi    la 
memoria     dei    principali    magnifici 
palazzi.  E  primieramente  nella  via 
deliziosa  Lung'Arno  si  ammirano  i 
magnifici   palazzi  Gianfigliazzi,   oggi 
casino  de' Nobili,   Corsini  e  Ricaso- 
li  ,  e   lo  splendidissimo    albergo   di 
Schneider,  coi  palazzi   Lanfredini  , 
oggi  Corboli,  e  Riccardi,   non  che 
la  casa  de'  signori   della    missione. 
Sulla  piazza  di  santa  Trinità,  si  e- 
leva    la    rara    colonna    di    granito 
orientale,  che  il  Pontefice  Pio  IV 
tolse  dalle  terme  Antoniane  di  Ro- 
ma, e  donò  a  Cosimo  I,  il  quale 
vi   fece    porre    sopra    il    simulacro 
della    giustizia  ;    ivi    dappresso  è  il 
magnifico     palazzo    Strozzi  :     tutto 
questo  recinto   servì   sempre  di  a- 
menissimo  teatro  alle  gaie  feste  po- 
polari di  Firenze ,    ma  fu  sovente 
ne' bassi  tempi  dalle  stragi  delle  fa- 
zioni iniquamente  bruttato.  La  via 
Larga    vanta    il    magnifico  palazzo 
che  i  de  Medici    eressero ,  quando 
erano    ancora    privati    cittadini  ,  è 
che  servì    di  seggio    all'  accademia 
Platonica,  e  di   albergo  a  molti  so- 
vrani. Posseduto  dipoi  dai  Riccar- 
di, venne  assai  ampliato  un  secolo 
addietro,   onde   per    la   ricca   sup- 
pellettile ,  pei   moltiplici  oggetti  di 
arte,  per   l'insigne   galleria,  per  la 
biblioteca    Riccardiana ,    è     degnò 
della  sovrana  proprietà,  che  vi  ha 
destinato  alcune  camere  per  le  ses- 
sioni dell'accademia  della  Crusca, 
e  vi   ha  trasportato  diverse  ammi- 
nistrazioni, del    catasto,  d'acque  e 
strade ,   arruolamento   militare   ec. 


FIR 
Distinto  posto  meritano  pure  i  pa- 
lazzi Uguecioni ,  Pandolfìni,  Gino- 
ri,  vSalviati,  Kucellai,  Altovili.  bor- 
ghese, Gherardesca,  e  quel  d'  An- 
tella  pegli  affreschi  che  adornino  la 
facciata.  Il  palazzo  ove  attualmen- 
te sono  le  pubbliche  carceri,  chia- 
masi del  Podestà,  perchè  questo  stra- 
niero amministratore  della  giusti- 
zia vi  ebbe  lunga  residenza  :  nel 
suo  cortile  alla  promulgazione  del 
codice  Leopoldino  furono  bruciati 
tutti  gì'  istrumenti  che  prima  ser- 
vi vati  alla  tortura  degli  inquisiti. 
Altre  case  si  rimarcano  in  Firen- 
ze, che  non  per  la  struttura  ,  ma 
per  famose  rimembranze  esigono 
speciale  menzione.  Così  la  casa  di 
Dante  al  n.  647  nella  piazzetta 
de'  Donati;  quella  di  Beatrice  Por- 
tinari  da  lui  commendata  ,  che  fa 
parte  del  palazzo  Ricciardi  ;  quelle 
di  Guicciardini,  di  Macchiavelli,  e 
d'Alfieri;  quella  di  Mannelli  abi- 
tata dal  Boccaccio;  quella  di  Ber- 
nardo Buontalenti,  oggi  Michelozzi, 
in  via  Maggio  n.  1888,  onorata 
dalla  presenza  del  Tasso;  quella  di 
Frosini  in  via  de' Servi,  ov' ebbe  al- 
loggio e  studiò  Raffaello  d'Urbino; 
quella  di  Michelangelo  in  via  Ghi- 
bellina n.  9588,  coli'  annessa  galle- 
ria fondata  dai  suoi  discendenti  ; 
l'altra  di  Leon  Battista  Alberti; 
quella  di  Galileo  Galilei,  oggi  Nel- 
li, in  via  dell'  Amore  ;  1'  altra  di 
Vincenzo  Viviani  suo  discepolo ,  e 
quella  di  Amerigo  Vespucci,  distin- 
ta da  una  iscrizione  nel  convento 
di  s.  Giovanni  di  Dio;  quella  di 
Federigo  Zuccaro  in  via  del  Man- 
dorlo ;  quella  ove  nacque  e  abitò 
pei  primi  suoi  anni  Benvenuto  Cel- 
imi, in  via  Chiara  nel  popolo  di 
s.  Lorenzo;  quella  di  s.Filippo  Be- 
nizzi,  in  via  Guicciardini;  del  b.  Ip- 
polito Galantini,  in  via  della  Sca- 


Fin 

la  ,  e  quella  dove  abitò  per  qual- 
che tempo  l' angelico  giovanetto 
s.  Luigi  Gonzaga  in  via  degli  Al- 
fani  ec,  per  non  dire  di  altre. 

Le    loggie    che    adornavano    gli 
edilizi    delle  più  stimabili  famiglie, 
e  che  erano  destinate  al  traffico,  e 
specialmente    alle     operazioni    del 
cambio,    attestano  qual  cura  i    fio- 
rentini   sempre    posero    alla   nego- 
ziazione.   I    religiosi    Umiliati,    che 
da    Milano    si   diramavano  in  To- 
scana,  avendo    ottenuto  nel    I25i 
il    convento    d'Ognissanti,    furono 
quelli    che    vi    attivarono    e   perfe- 
zionarono  le    manifatture  di    lana. 
11  Muratori    nella   XVI  delle  Dis- 
sertazioni  sopra    le    antichità    ita- 
liane,   a  pag.    178,    tratta    dei    fa- 
mosi   banchieri    fiorentini     e    della 
loro  mercatura.  Narra  l'esorbitante 
lucro   che    perciò  colava  nella    cit- 
tà di   Firenze,    onde    giunse  il  po- 
polo a  tal  potenza    nel  secolo  XII 
e  XIII,    che    incominciò  e    seguitò 
sempre  più  a  dar  legge  ed  impor- 
re il  giogo   alle    altre    circonvicine 
città.    Tornando    in  patria    carichi 
d'oro  i  cittadini,  fabbricarono  son- 
tuosi palazzi,  aumentarono  le  arti, 
e  dal    buon    regolamento    di  que- 
ste procedeva  poi  l'aumento  del  po- 
polo,   e   la    necessità   di    allargare 
la  città,  e  la  forza  del  denaro  per 
fare  o  sostenere   le  guerre.    Quelle 
compagnie   che  da    Giovanni  Vil- 
lani sono  dette  degli  Scali,   de'Pe- 
ruzzi,    Acciaiuoli,  Bardi,    Amman- 
nati  ec. ,  tutte  sotto  nome  di  ban- 
chieri   specialmente  si    applicavano 
al  traffico    del    denaro;  e    quando 
sì  fatte  compagnie    fallivano,  veni- 
vano   surrogate  da   altre.    Il  fiori- 
no d'oro    battuto    in  Firenze,  per 
la  sua  bontà  e  bellezza  salì  in  tan- 
to pregio    e   stima    che  estinse  o- 
gni  altra  moneta  d'oro  che  per  lo 


FIR  17 

innanzi    correva;    e    dando    il  «uo 
nome  a  tutte    le   altre  di  che  co- 
nio elleno  si  fossero,  divenne  qua- 
si moneta    comune  del    cristianesi- 
mo :  ond'  è   che  da   grandissimi  re 
e  principi  in  tutte  le  provincie  fu 
battuto.   Lasciando    di  ricercare  se 
per    puro    provvedimento  de' citta- 
dini, o  per    altro  si   deliberasse  di 
battere  il    fiorino    d'oro  in  Firen- 
ze, basterà    solo    il    dire,    fissando 
l'epoca  già  assegnata  a  questa  mo- 
neta   anche    dal  Borghi  ni ,  eh'  ella 
si    coniò    la    prima    volta  P  anno 
1252,    nel    mese   di    gennaio,    al 
tempo    di    messer    Filippo    Ugoni 
da    Brescia,    cioè   tornando    i    fio- 
rentini   vittoriosi    de'  pisani   e    dei 
sanesi.    Da  uno  dei  lati  fu  impres- 
so il  giglio,  dall'  altro  s.  Giovanni 
Battista.  Chiamossi  questa  moneta 
fiorino    dal  nome  della  città,  e  fu 
secondo  la    maestria    degli  artefici 
di  quei    tempi    egregiamente  lavo- 
rato. Avanti    di    tal  tempo    in  Fi- 
renze   eransi    coniate    diverse    mo- 
nete,   ed    anche   prima    dell'impe- 
ratore   Federico  I.  Costumarono  i 
fiorentini    in  tutte  le  loro    monete 
di   farci   l'impronta  coli'  immagine 
del    loro    protettore    s.   Gio.  Batti- 
sta   da    una  parte,    e    dall'  altra  il 
giglio  ;    e    tal    costumanza  si    vede 
essere  stata  praticata  sino  agli  ul- 
timi tempi  della    repubblica,  senza 
averla  mai  sostanzialmente  mutata. 
Non    sempre     però    espressero     il 
santo  precursore  in  un  atteggiamen- 
to: ora  lo  rappresentarono   in  pie- 
di, ora  sedente    in    ornatissima  se- 
de o  trono;  e  talvolta  il   solo  bu- 
sto,   tale    altra    nell'  atto   che    nel 
Giordano  battezzò  il  Salvatore;  quin- 
di col  pallio  o  clamide  oltre  la  tu- 
nica di  pelle,    e    in  atto  di  tenere 
una  cartella    svolazzante   nelle  ma- 
ni, come    aveano   praticato  i  greci 


voi.  xxv. 


ij8  FI  il  Fili 
nel  figurare  i  santi.,  massime  i  prò-  parte  vermiglia,  die'  egli,  era  l'au- 
leti. II  Papa  Giovanni  XXII,  nel  fica  insegna  de'  fiorentini,  la  qna- 
i322,  in  Avignone  battè  il  fiorino  le  ebbero  dai  romani:  awegnaehè 
d'  oro  a  somiglianza  di  quelli  eo-  pel  nome  della  città  nel  detto  cam- 
niati  in  Firenze.  V.  Denari,  e  Mo-  pò  vermiglio  portavano  un  fiore 
nete,  non  ebe  la  dotta  opera  del  di  giglio  bianco;  e  l'insegna  dei 
Vettori  :  II  Fiorino  d'oro  antico  il-  iìesolani  era  un  campo  bianco  en- 
lustrato;  il  Villani  1.  9,  e.  170;  trovi  una  luna  celeste;  e  levato  il 
l'Ammirato,  p.  I,  1.  6  ;  e  l'Orsini,  giglio  e  la  luna,  fecero  di  quei 
Storia  delle  monete  della  repub-  due  campi  una  sola  insegna.  Il 
blica  fiorentina,  Firenze  1760.  Burghini  nel  discorso  delle  armi 
Nota  il  Muratori  citato,  nella  delle  famiglie  fiorentine  volle  si- 
dissert.  XXVII ,  ebe  Firenze  per  milmente  additare  questo  cambia- 
essere  stata  la  prima  a  battere  fio-  mento  di  colori,  il  che  fece  pure 
ri  ni  d'oro,  divenne  celebre  per  Francesco  Belcario  vescovo  di  Metz, 
tutta  l'Europa,  e  fino  per  l'Asia  e  ma  non  senza  abbaglio,  dicendo 
per  l'Africa;  che  mantenne  sem-  che  i  fiorentini  cambiarono  il  gi- 
pre  la  stessa  figura  di  tali  monete,  glio  rosso  antico  ne'  gigli  d'oro  di 
se  non  ebe  vi  si  cominciò  ad  ag-  trancia.  Parlano  molti  altri  scrit- 
giungere  in  uno  scudetto  l'arme  tori  di  questo  cambiamento  di  co- 
uel  gonfaloniere.  Del  sigillo  della  lori,  e  Bartolommeo  Scala  nelle 
città  di  Firenze,  il  Muratori  ne  Storie  fiorentine  dice,  che  sciu- 
parla nella  dissertazione  XXXV,  brando  al  popolo  fiorentino  di  a- 
ed  il  Vettori  a  pag.  5  dice  che  ver  già  composto  una  ben  ordi- 
fu  il  giglio,  antica  insegna  della  nata  repubblica ,  mutò  l' insegne 
città  di  Firenze ,  e  fu  primiera-  della  città  di  bianco  in  rosso,  ri- 
mente d'argento  in  campo  rosso,  tenendone  i  ghibellini  sbanditi  l'an- 
Rimutossi  poi  nel  it.5i  nel  giglio  tico  giglio  di  argento, 
rosso  d'oggi  giorno  in  campo  d'ar-  La  campagna  che  circonda  Fi- 
geuto,  dacché  segui  la  morte  di  renze,  mirabilmente  descritta  dal- 
Federico  II  imperatore,  e  seonfìt-  l' Ariosto,  e  industriosamente  col- 
ti nel  mese  di  luglio  i  pistoiesi ,  tivata,  può  riguardarsi  come  una 
cacciati  ne  furono  i  caporali  ghi-  continuazione  della  città  stessa,  per 
bellini  di  Firenze,  ed  il  popolo  e  le  ville  ed  i  palazzi  in  amena  for- 
i  guelfi  dentro  ne  rimasero  alla  ma  sparsi  qua  e  là  e  bellamente 
signoria,  ed  allora  si  mutò  l'arme  disposti,  oltre  le  magnifiche  ville 
del  giglio  candido  in  rosso  per  reali  di  Careggi,  di  Castello,  di  Pog- 
contrario.  Ricordano  Malespini  rac-  gio  imperiale,  il  celebre  monastero 
conta  nelle  Storie  fiorentine ,  che  della  Certosa  ec.  Firenze  o  il  Fio- 
dopo  la  distruzione  di  Fiesole  si  rentino  è  la  prima  delle  tre  pro- 
unirono le  insegne  de'horentini  con  vincie  del  granducato  di  Toscana, 
quelle  de'liesolani,  per  tenersi  mag-  di  cui  forma  la  parte  settentrioua- 
giormente  in  fede,  e  che  fecesi  le,  ed  offre  un'amena  varietà  di 
allora  un'insegna  divisa  per  lo  lun-  monti,  valli  e  pianure;  il  clima  è 
go  bianca  e  rossa,  la  quale  si  por-  quivi  generalmente  sano,  fertile  è 
tavu  in  occasione  di  qualche  vit-  il  terreno,  che  racchiude  miniere 
toria  sul  carroccio  a  suo  tempo.  La  di   varie  specie,    non    che    cave    di 


FTR 
marmo,  alabastro  e  pietra  dura. 
Fuori  di  Firenze  si  ammira  la  bel- 
la fabbrica  di  porcellane  del  Gino- 
ri.  La  provincia  di  Firenze  che 
prese  il  nome  dal  suo  capoluogo, 
contava  ultimamente  trentaquattro 
suddivisioni  e  trentatre  vicariati  ; 
ma  nel  i838  con  moto-proprio 
reale  de'  i  agosto,  fu  creato  il 
tribunale  collegiale  di  prima  istan- 
za con  giurisdizione  mista  civile  e 
criminale,  che  decide  in  turni  civili 
e  criminali.  Nella  divisione  gover- 
nativa sanzionata  col  real  moto-pro- 
prio mentovato,  il  governo  di  Fi- 
renze vi  si  legge  diviso  così  :  tre 
commissariati  in  città,  e  per  il  di- 
stretto fiorentino  sette  vicariati,  e 
ventuna  potesterie.  So'to  l' impero 
francese  il  Fiorentino  formò  il  di- 
partimento dell'Arno,  e  la  porzione 
orientale  di  quelli  del  Mediterraneo 
e  dell'  Ombrane.  I  fiorentini  anche 
in  Roma  fondarono  pie  istituzioni, 
com'è  la  benemerita  Arciconfrater- 
nita della  Misericordia  di  s.  Gio- 
vanni Decollato  (Vedi),  e  la  chie- 
sa nazionale  di  s.  Giovanni  de'  fio- 
rentini nel  rione  V  Ponte,  con  ora- 
torio ed  Arciconfraternita  della 
Pietà  de 'fiorentini  (  Vedi).  Oltre 
quanto  del  sodalizio,  della  chiesa 
e  dell'  oratorio  abbiamo  detto  a 
quel!'  articolo,  non  riusciranno  su- 
perflue le  seguenti  analoghe  no- 
tizie. 

Il  Bovio  nella  Pietà  trionfante, 
o  della  basilica  di  s.  Lorenzo  in 
Damato,  a  pag.  173,  dice  che  fi- 
liale di  essa  fu  la  chiesa  di  s.  Pan- 
taleone,  oggi  s.  Giovanni  de' fio- 
rentini. La  piccola  chiesa  di  s.  Pan- 
taleone  fu  smembrata  dalla  basilica 
di  s.  Lorenzo,  ed  in  vece  venne 
sottoposta  alla  chiesa  de'  ss.  Celso 
e  Giuliano  allorché  fu  eretta  in 
collegiata,  dalla    quale   ancora    pò- 


FIR  ,9 

scia    fu    sottratta.    Indi   narra  co- 
me   nell'  anno    i44^>    ne'    ponti- 
ficato   di    Eugenio  IV,  essendo  il 
giorno  di  s.  Gio.  Battista,  dopo  un 
grande  e  spaventoso  eclissi  del  sole, 
fu  Roma  da  terremoti  e  pestilenza 
in  tal  maniera    abbattuta ,    che   si 
lasciavano  insepolti  i  morti,    parti- 
colarmente i  poveri,  per  le  pubbli- 
che strade.  Mossi  di  ciò  a  compas- 
sione molti  fiorentini,  si    riunirono 
in  compagnia,  e  invocando  la  pro- 
tezione di  s.   Gio.    Battista    princi- 
pale patrono  di   loro    nazione,    ca- 
ritatevolmente   seppellivano    tutti  i 
cadaveri    che  trovavano    abbando- 
nati, laonde  la  compagnia  prese   il 
titolo  della  Pietà  de'  Fiorentini,  ed 
assunse  sacchi  neri,  che    poi    cam- 
biò in  turchini.  Nel   i448  fu  loro 
concessa  la  chiesa  di  s.  Pantaleone, 
che  per  la  sua  vecchiezza  e  picco- 
lezza demolirono,  e    nel    1488  ri- 
fabbricarono. Michele    fece    per  la 
nuova  cinque  disegni,   e  di  quello 
scelto  che  somigliava  al  Pantheon, 
ma  non  eseguito  per  la  spesa,  che 
dicesi    fosse  il  più  meraviglioso,  si 
conservò  sino  al    1720    il  modello 
nell'oratorio    del     sodalizio,    poscia 
dichiarato    arciconfraternita,  come 
narra  Ridolfino  Venuti,  Roma  mo- 
derna,  tom.   I,    par.  II,    pag.   4?-6 
e  seg.  Il  disegno  dell'attuale   chie- 
sa da  alcuni  si  attribuisce  al  San- 
sovino    come   prescelto   da    Leone 
X,  da  altri    a   Giacomo  della  Por- 
ta, tranne  la    facciata    esterna  edi- 
ficata   da    Clemente    XII    a  mezzo 
dell'  architetto     Alessandro    Galilei. 
Non  si  deve  tacere   che  alcuni  di- 
cono che  al  Sansovino  fu  data  real- 
mente la    cura  della    fabbrica,  ma 
avendo  quindi   incontrate  difficoltà 
non  lievi  nel  fondare  contro  il  fiu- 
me Tevere  per  circa  quindici  can- 
ne, lasciata  l'impresa  fu  questa  prò- 


ao  FIR 

seguita  da  Antonio  da  Sangallo;  ma 
più  tardi  fa  mutato  1'  antico  di- 
segno, e  fu  adottato  quello  di  Gia- 
como della  Porta.  Rifatta  la  chie- 
sa i  conflati  la  dedicarono  al  san- 
to precursore  Gio.  Battista,  ed  il 
Panciroli  ne' Tesori  nascosti,  a  pag. 
357  aggiunge  che  pur  la  dedica- 
rono ai  ss.  Cosma  e  Damiano. 
Carlo  Bartolomeo  Piazza,  nel  suo 
Eusevologio  romano,  trattato  V, 
capo  XXXVI,  Del  convitto  eccle- 
siastico a  s.  Giovanni  de' fiorentini, 
dice  che  nel  i5i 9  avendo  il  soda- 
lizio ricevuta  la  conferma  da  Leo- 
ne X,  i  confrati  perchè  vi  risplen- 
desse il  divin  culto  stabilirono  che 
dieci  degni  sacerdoti  l' offiziassero, 
ed  avessero  cura  delle  anime  del- 
la parrocchia ,  che  tuttora  vi  esiste. 
Indi  nel  i564  i  superiori  del  so- 
dalizio affidarono  la  direzione  dei 
sacerdoti  come  della  chiesa  a  s. 
Filippo  Neri  fondatore  della  con- 
gregazione dell'  oratorio,  il  quale 
co'  suoi  compagni  e  discepoli  illu- 
stri santificarono  il  luogo,  al  mo- 
do che  descrivemmo  all'  articolo 
Filippini  [Vedi).  II  santo  si  stu- 
diò d'introdurre  presso  questa  chie- 
sa un  convitto  di  ecclesiastici,  fa- 
cendo delle  regole  pei  dieci  sacer- 
doti chela  servivano,  per  l'unifor- 
mità di  vivere ,  di  vestire,  come 
di  mangiare  a  comune  mensa  in 
refettorio,  permettendo  loro  di  ri- 
cevere con  tenue  mensile  paga- 
mento altri  sacerdoti  o  individui 
che  bramavano  divenir  preti;  ed 
uno  dei  dieci  sacerdoti  fu  incari- 
cato di  assistere  la  suddetta  ar- 
ciconfraternita  di  s.  Giovanni  De- 
collato. 11  convitto  de'sacerdoti  sus- 
sistette sino  alle  ultime  politiche 
vicende,  ed  al  presente  la  chiesa 
è  uffiziata  dai  sagri  ministri  che 
vi  prepone  il  sodalizio. 


FIR 
Dal  medesimo  Panciroli  si  ap- 
prende che  nella  chiesa  si  venera- 
no parecchie  reliquie,  massime  i 
corpi  de' ss.  martiri  Proto  e  Gia- 
cinto quivi  trasportati  con  solennis- 
sima  pompa  a' 21  giugno  1^92, 
per  benigna  disposizione  di  Cle- 
mente VIII,  dalla  chiesa  parrocchia- 
le di  s.  Salvatore  a  ponte  s.  Ma- 
ria. Di  questa  magnifica  processio- 
ne abbiamo  da  Cristoforo  Castel- 
letti un  opuscolo  intitolato:  Tras- 
lazione de' corpi  de'  beatissimi  mar- 
tiri Proto  e  Giacinto  ec. ,  Roma 
nella  stamperia  Vaticana  1592. 
L' Alveri  nella  sua  Roma  in  ogni 
stalo,  a  pag.  4oo  e  seg.  della  par- 
te II,  non  solo  ci  dà  le  notizie 
della  chiesa  di  s.  Salvatore  eretta 
nel  quinto  secolo,  e  rifabbricata 
nel  \^5  da  Sisto  IV,  ma  ezian- 
dio fa  la  descrizione  della  decoro- 
sa traslazione  di  detti  sagri  corpi 
in  giorno  di  domenica,  col  soda- 
lizio ed  altri  della  nazione  fio- 
rentina. V'intervennero  pure  tutti 
gli  ordini  religiosi  di  Roma,  e  i 
diversi  cleri,  molta  nobiltà,  la  fa- 
miglia pontificia,  il  cardinal  Aldo- 
brandini  nipote  del  Papa.  I  santi 
corpi  furono  portati  dai  prelati, 
dai  conservatori  di  Roma,  e  dai 
fiorentini  sotto  baldacchino  di  tela 
d'oro.  Furono  ricevuti  da  tutto  il 
sagro  collegio,  e  le  artiglierie  spa- 
rarono nel  passaggio  di  Campido- 
glio, e  nel  giugnere  in  chiesa,  ove 
nel  dì  seguente  fu  celebrata  messa 
solenne  coli'  assistenza  di  sei  cardi- 
nali, e  del  vescovo  di  Macon.  Il 
lodato  Piazza  nella  medesima  ope- 
ra, trattato  II,  capo  XXVII,  parla 
dello  Spedale  de'  fiorentini  a  stra- 
da Giulia,  che  nel  1606  eressero 
i  fiorentini  garzoni  di  fornai  colle 
raccolte  limosine,  quindi  sottoposto 
all'  amministrazione  dell'arciconfra- 


F1R 
ternita  della  Pietà,  presso  la  quale 
venne  edificato.  Vi  pose  nel  1607 
la  prima  pietra  con  grande  solen- 
nità il  cardinal  Ottavio  Bandini, 
coli'  intervento  dell'ambasciatore  di 
Toscana,  e  di  tutta  l'università  del- 
la nazione  fiorentina ,  ponendolo 
sotto  l' invocazione  della  ss.  Trini- 
tà, della  Beata  Vergine,  e  di  s.  Gio. 
Battista.  Ne  fu  principale  benefat- 
tore Antonio  Coppoli,  non  che  An- 
tonio Cepparelli,  e  Pietro  Cambi, 
tutti  fiorentini,  a'  quali  il  sodalizio 
per  riconoscenza  nella  sala  dell'ospe- 
dale eresse  marmorei  busti  con  ana- 
loga iscrizione.  Oltre  la  comune 
sala,  si  tenevano  alcune  stanze  se- 
parate pe'  nazionali  di  condizione 
civile.  Attualmente  l'ospedale  ha 
sei  letti,  riceve  gl'infermi  poveri  e 
nazionali  che  vi  ammettono  i  su- 
periori dell'arciconfraternita,  essen- 
do le  sue  rendite  unite  con  quelle 
del  sodalizio  e  della  contigua  chie- 
sa. Passando  alia  descrizione  delle 
principali  cose  di  questa,  diremo, 
che  delle  statue  che  adornano  il 
frontespizio  della  porta  maggiore 
ne  fu  scultore  Filippo  Valle;  il 
frontespizio  è  tutto  di  travertino 
con  alcuni  ornati  di  marmo,  divi- 
so in  due  ordini  di  architettura, 
ambedue  corinti  ,  con  colonne  di 
travertini,  e  bassorilievi  di  marmo. 
Per  corona  poi  e  testata  si  veggo- 
no collocate  sopra  i  suoi  piedistalli 
sei  statue  di  santi  nazionali,  e  re- 
stano riservate  le  altre  nicchie  per 
collocar  le  altre  statue  di  marmo  dei 
santi  più  cospicui  della  medesima 
nazione,  secondo  l'idea  dell'edifi- 
catore. 

L  interno  della  chiesa  è  a  tre 
navate  divise  da  grandi  pilastri , 
con  cappelle  ricche  di  marmi  e  di 
pitture.  Nella  prima  cappella  a  de- 
stra è  un  buon  quadro  rappresen- 


FIR  ai 

tante  *.  Vincenzo  Ferreri,  della 
scuola  del  Zuccari,  forse  del  Pas- 
signani  ;  nella  seconda  il  s.  Filip- 
po Benizzi  fu  colorito  a  Firenze; 
il  quadro  di  s.  Girolamo  della  ter- 
za è  di  Sante  Tito  ;  di  fianco  so- 
no due  quadri  del  Cigoli  e  del 
Passignani,  e  gli  affreschi  li  fece 
Stefano  Pieri.  Nella  quarta  cappel- 
la il  quadro  rappresenta  la  Beata 
Vergine,  Gesù.  Cristo,  e  s.  Filippo 
Neri,  copia  di  quello  del  Maratta 
trasportato  a  Firenze.  L'altare  del- 
la crociera  ha  il  bel  quadro  di  Sal- 
vator Rosa  de'  ss.  martiri  Cosma 
e  Damiano.  Nella  cappella  appres- 
so sagra  alla  Madonna  della  Mise- 
ricordia, la  cui  immagine  coronò 
il  capitolo  vaticano  ai  22  marzo 
1648,  il  Fontebuoni  colorì  la  di 
lei  natività,  ed  il  transito,  essendo 
il  rimanente  del  Ciampelli.  L'alta- 
re maggiore  edificato  con  disegno 
di  Pietro  da  Cortona,  e  prosegui- 
to da  Ciro  Ferri,  devesi  alla  mu- 
nificenza della  famiglia  Falconieri, 
ed  ivi  riposano  i  corpi  de'  ss.  Pro- 
to e  Giacinto  martiri.  Le  sculture 
rappresentanti  il  battesimo  di  Cri- 
sto ,  le  eseguì  Antonio  Raggi  ;  la 
statua  della  Fede  è  di  Ercole  Fer- 
rata; quella  della  Carità  di  Dome- 
nico Guidi;  gli  stucchi  sono  di  Fi- 
lippo Carcano,  Pietro  Sanese,  Fran- 
cesco Aprili ,  e  Michelangelo  An- 
guier  :  quest'  ultimo,  e  Leonardo 
Reti,  sono  gli  autori  delle  Virtù. 
La  memoria  sepolcrale  del  prelato 
Corsini  è  dell' A lgardi ;  l'altra  del 
prelato  Acciaiuoli  è  del  mentovato 
Ferrata.  La  seguente  cappella  è 
della  famiglia  Sacchetti  :  il  Croce- 
fisso di  metallo  fu  eseguito  sul  mo- 
dello di  Prospero  Bresciano ,  da 
Paolo  Sanquirico  parmigiano,  il  cui 
fondo  è  una  tavola  di  un  solo  pez- 
zo   di   basalto    o    nero   antico  ;   le 


22  F1R 

pitture  della  volta  e  de'  suoi  lati 
sono  del  cav.  Lan franchi,  che  vi 
effigiò  vari  fatti  della  vita  e  pas- 
sione del  Redentore,  ed  è  lodatis- 
sima  la  di  lui  Ascensione  al  cielo, 
sia  per  lo  sfondo  che  per  lo  scor- 
cio: ivi  sono  sepolti  i  cardinali  Giu- 
lio Sacchetti  che  papeggiò,  ed  Ur- 
bano Sacchetti  di  lui  nipote.  11 
quadro  della  crociera  rimpelto  a 
quella  de' ss.  Cosma  e  Damiano, 
dedicato  a  s.  Maria  Maddalena,  è 
di  Baccio  Ciarpi,  o  di  Alfonso  Pe- 
trazzi  :  la  cappella  è  della  famiglia 
Capponi.  In  quella  che  segue  di  s. 
Francesco  d'Assisi,  il  quadro  è  del 
Tito,  e  le  altre  pitture  del  Poma- 
rancio.  Il  deposito  del  prelato  Sam- 
miniato  lo  scolpì  il  nominato  Val- 
le ;  e  quello  del  marchese  Alessan- 
dro Capponi  fu  lavorato  da  Stoldtz 
co'  disegni  del  cav.  Fuga.  Il  qua- 
dro dell'  altra  cappella  di  s.  Anto- 
nio abbate  è  di  Ciampelli;  gli  af- 
freschi della  volta  colle  storie  di 
s.  Lorenzo  sono  di  Antonio  Tem- 
pesti :  Gio.  Angelo  Canini  colorì  i 
due  grandi  quadri  co'  fatti  de'  ss. 
Pietro  e  Paolo.  Il  gran  quadro  in 
cui  è  espressa  la  predica  di  s.  Gio. 
Battista,  e  eh'  esiste  presso  la  por- 
ta di  fianco,  si  reputa  del  Naldini. 
Quello  nella  cappella  seguente  di 
s.  Maria  Maddalena  de'  Pazzi  è  del 
fiorentino  Corradi,  di  cui  sono  pu- 
re il  s.  Giuseppe,  e  la  s.  Anna  dai 
lati  ;  le  storie  a  fresco  di  s.  Egi- 
dio, e  le  altre  pitture  sono  di  Gio. 
Battista  Cosci.  Finalmente  nell'  ul- 
tima cappella  evvi  il  s.  Sebastia- 
no morto,  di  Gio.  Battista  Vanni, 
ed  il  fonte  battesimale. 

In  questa  chiesa  Urbano  VIII 
agli  8  maggio  1626  beatificò  s. 
Maria  Maddalena  de'  Pazzi ,  cano- 
nizzata poi  da  Clemente  IX.  Quivi 
sotto  sepolti  vari  illustri  personaggi 


F1R 
ed  artisti,  e  fra  questi  nomineremo 
Carlo  Maderno,  celebre  arebitetto  ; 
vi  sono  anche  i  depositi  dei  cardinali 
Lelio  ed  Alessandro  Falconieri.  Le 
feste  principali  che  quivi  si  cele- 
brano, sono  quelle  della  Natività  di 
s.  Gio.  Battista,  de'ss.  Cosma  e  Da- 
miano, de'ss.  Proto  e  Giacinto,  e  di 
s.  Zenobio  vescovo  di  Firenze.  Al 
presente  la  chiesa  è  in  restaura- 
zione, massime  ne'  fondamenti,  per 
cui  l'arciconfraternita  fa  l'uffiziatu- 
ra  nel  suo  vicino  oratorio  di  cui 
andiamo  a  parlare.  L'immagine  poi 
miracolosa  della  Beata  Vergine  del- 
la Misericordia ,  eh'  è  nella  cap- 
pella Nerli  dalla  parte  sinistra 
dell'altare  maggiore  ,  ed  ove  ri- 
posano le  reliquie  di  s.  Eugenia, 
la  sottrasse  la  pietà  del  cardinal 
Bessarione  dal  tempio  di  s.  Sofia  di 
Costantinopoli,  quando  gli  ottoma- 
ni s'impadronirono  di  quella  città. 
Questa  immagine  in  seguito  fu  po- 
sta sulle  pareti  del  vicolo  della 
Palla,  e  da  un  sacrilego  giuocalo- 
re  infuriato  per  la  perdita  che  ave- 
va fatto ,  fu  percossa  nella  guan- 
cia destra  con  una  boccia,  per  cui 
ancora  se  ne  vede  la  lividura.  Dio 
punì  l'esecrando  misfatto,  col  fare 
assiderare  al  reo  il  braccio  colpe- 
vole. Vedendo  di  non  poterne  ri- 
cuperar 1'  uso,  dopo  quaranta  gior- 
ni prostrato  avanti  l'immagine  con 
un  profluvio  di  lagrime  contèsso 
pubblicamente  il  fallo,  e  domandò 
fervorosamente  perdono.  Consegui- 
tolo colla  liberazione  del  braccio, 
il  popolo  appellò  l' immagine  Ma- 
ria della  Misericordia.  Accorrendo 
tutti  a  venerarla,  la  nazione  fio- 
rentina ottenne  di  poterla  trasfe- 
rire in  questa  sua  chiesa,  ov'  è  o- 
norata  nella  cappella  anzidetta,  di- 
spensando di  continuo  grazie  a  chi 
ricorre  al  suo  patrocinio.  La  di  lei 


FIK 
mentovata  coronazione  con  corona 
(I  oro,  seguì  per  le  mani  dei  ca- 
nonici di  s.  Pietro  Ugo  Ubalditù 
nipote  di  Leone  XI,  e  Felice  Gon- 
telori  celebra  tifisi  ma  per  l'erudite 
sue  opere. 

Nel  medesimo  rione  Ponte,  poco 
fonge  ila  Ila  chiesa  di  s.  Giovanni 
de'  fiorentini ,  entro  il  vicolo  che 
conduce  al  banco  di  s.  Spirito  tro- 
vasi una  piazzetta  ov'  è  l'oratorio 
della  Pietà  de'  fiorentini.  Quivi  era 
prima,  come  narrano  il  Panciroli 
a  pag.  7g5,  ed  il  Bovio  a  pag. 
1^3,  la  chiesa  parrocchiale  de' ss. 
Tommaso  e  Orso  ossia  Orsola  a 
Ponte,  filiale  della  basilica  di  s. 
Lorenzo  in  Damaso ,  la  cui  par- 
rocchia fu  trasferita  alla  detta  chie- 
sa di  s.  Giovanni.  Il  Venuti  a  pag. 
4^5  narra  che  Clemente  VII  con 
bolla  del  i526  concedè  la  chiesa 
alla  nazione  fiorentina,  ed  al  so- 
dalizio della  Pietà,  il  quale  la  ri- 
dusse al  modo  che  si  vede.  Le 
pittore  a  fresco  nelle  pareti  sono 
di  Girolamo  Sicciolante  da  Sermo- 
neta  ;  le  storie  della  Passione  nella 
volta  furono  condotte  da  Taddeo 
Zucca  ri  ;  e  il  quadro  dell'altare 
della  Beata  Vergine,  che  sostiene 
il  Figliuolo  morto ,  è  del  medesi- 
mo Sicciolante.  Leone  X  nel  i5i5 
e  nel  1 5 1 9  concedè  al  sodalizio 
l'uffizio  annesso,  col  proprio  nota- 
ro  per  le  cause  de'  mercadanti  e 
negozianti  fiorentini  in  Roma,  e 
per  le  loro  adunanze,  col  nome  di 
Consolato,  donde  prese  quello  la 
•via  ove  sta:  indi  nel  1 73  r  Cle- 
mente XII,  coll'autorità  della  co- 
stituzione Exponi  nobìs,  che  si  leg- 
ge nel  Bull.  Rom.  toni.  XIII,  pag. 
159,  restituì  alla  nazione  fiorenti- 
na tale  uffizio  notarile. 

Prima  di  parlare  dell'origine  di 
Firenze,    e    de'  principali    avvem- 


F1R  *3 

inenti  della  città,  giacché  le  altre 
mie  vicende  sono  riportate  all'arti- 
colo Toscana  (Vedi),  non  che  del- 
la sua  sede  arcivescovile,  de'  suoi 
vescovi  e  metropolitani,  accenne- 
remo soltanto  i  suoi  più  celebri 
cittadini,  i  Papi,  e  i  cardinali  fio- 
rentini, essendo  argomento  lunghis- 
simo il  dovere  trattare  dei  molti 
santi  e  beati  dei  due  sessi,  tra' quali 
ve  ne  sono  alcuni  degni  della  più 
gran  celebrità,  come  dei  fondatori 
e  riformatori  di  ordini  e  congrega- 
zioni religiose.  Così  non  intendia- 
mo neppure  parlare  dell'  immenso 
numero  di  fiorentini  patriarchi,  ar- 
civescovi e  vescovi,  e  di  altri  ele- 
vati a  sublimi  dignità  ecclesiasti- 
che; dei  marescialli  di  Francia,  dei 
generali  di  armata  di  terra  e  di 
mare,  e  dei  ministri  famosi.  Innu- 
merevoli sono  gli  scrittori  delle  bio- 
grafie de'  santi  e  personaggi  illustri 
dell'  uno  e  dell'altro  sesso,  che  do- 
viziosamente hanno  illustrato  Fi- 
renze, che  sarebbe  lungo  argomen- 
to se  ne  dovessimo  trattare.  Ciò 
che  rende  Firenze  più  famosa  e  ri- 
nomala, si  è  che  nel  suo  seno  prin- 
cipalmente hanno  avuto  la  culla  le 
lettere,  le  scienze  e  le  arti  belle,  e 
che  da  lei  venne  la  scintilla  di 
quel  fuoco  che  dopo  le  barbarie 
divenir  fece  1'  Italia  la  sede  del  ge- 
nio, portandola  a  tanta  celebrità. 
Dante,  Petrarca,  Boccaccio,  i  due 
Villani  ec.  squarciarono  in  gran 
parte  le  tenebre  dell'ignoranza,  e 
Cosimo  detto  Padre  della  patria  , 
e  Lorenzo  il  Magnifico,  ambidue 
della  casa  Medici ,  co'  loro  talenti 
e  colle  loro  immense  ricchezze  pro- 
tessero ed  animarono  il  vero  risor- 
gimento del  valore  italiano.  L'Ale- 
manni, Adriani,  il  Berni,  Borghi- 
ni,  Cecohi,  Compagni,  Guicciardi- 
ni, Varchi,  Menzini,  Malespini,  JNar- 


24  FIR 

di,  Grazini  detto  il  Lasca,  Macchia  - 
velli,  Poggio,  i  Pucci,  il  Rucellai, 
Salviati ,  Salvini,  Segni,  Velluti, 
Vettori  ec.  sono  celebri  istorici  e 
poeti.  Rinomati  matematici  e  na- 
turalisti celebri ,  nati  pure  a  Fi- 
renze, sono:  Bellini,  Galilei,  Maga- 
lotti, P.  A.  Micheli,  Redi,  Targio- 
ni,  Toscanelli,  i  Viviani  ec.  Leon 
Battista  Alberti,  Arnolfo  di  Lapo, 
Andrea  del  Sarto,  fr.  Bartolomeo 
della  Porta,  Brunellesco,  Buonar- 
roti, Cellini,  Donatello,  Finiguerra, 
Giotto,  Ghilberti,  Masaccio,  Orca- 
gna ,  Tacca  ec. ,  sono  celebri  nel- 
l' architettura,  pittura  e  scoltura, 
ed  anco  nell'  avere  alcuni  di  essi 
dettati  i  precetti  dell'  arte.  Firenze 
diede  pur  nascita  negli  antichi  tem- 
pi a  rinomati  viaggiatori,  ma  ba- 
sti il  far  distinta  ed  onorevole  men- 
zione di  Americo  Vespucci,  che  se 
non  fu  il  primo  a  scuoprire  una 
nuova  parte  di  mondo,  fu  certa- 
mente il  primo,  che  dietro  le  trac- 
ce del  sommo  navigatore  Cristofo- 
ro Colombo,  scuoprì  il  vasto  con- 
tinente di  quella  nuova  porzione 
che  dal  suo  nome  fu  detta  Ame- 
rica. Sei  romani  Pontefici  sedet- 
tero sulla  veneranda  cattedra  di 
s.  Pietro.  Leone  X  de'  Medici  elet- 
to nel  i5i3,  che  die  il  nome  au- 
reo al  suo  secolo  ;  Clemente  VII 
de' Medici  creato  nel  i523;  Cle- 
mente Vili  Aldobrandini  subli- 
mato al  triregno  nel  i5g2;  Leo- 
ne XI  de'  Medici  che  fu  assunto  al 
pontificato  nel  i6o5;  Urbano  Vili 
Barberini  sollevato  al  trono  del  Va- 
ticano nel  1623  ;  e  Clemente  XII 
Corsini  collocato  sulla  cattedra  apo- 
stolica nel  1730.  V.  X Ursulini,  In- 
ditele nationi  Florenlinae  familiae 
suprema  Romani  Pontificatila  ac 
sacra  cardinalatus  dignitate  illu- 
stratac,  Romae   1706. 


FIR 
In  quanto  poi  ai  cardinali  fio- 
rentini, secondo  i  computi  del  Car- 
della,  e  le  ricerche  da  me  fatte , 
sono  i  seguenti,  che  dividendoli  per 
secoli  ,  pongo  avanti  ad  ognuno 
l' anno  di  loro  esaltazione  al  car- 
dinalato, ed  ognuno  ha  la  sua  bio- 
grafìa in  questo  Dizionario.  Non 
sono  compresi  gli  aretini,  i  pisani, 
i  sanesi  ec. ,  ma  i  soli  fiorentini. 

Secolo  XI. 

1073  s.  Pietro  Igneo  Aldobrandini. 
1097  b.  Bernardo  degli  Uberti. 

Secolo  XII. 

11 38  Guido  Bellagio. 

1 175  Laborante  di  Panormo,  o  di 

Pontolmo. 
1 1 90  Gregorio  Alberti. 

Secolo  XIII. 

1244  Ottaviano  Ubaldinu 

Secolo  XIV. 

1342  Andrea    Gini    Malpighi ,    o 

Malpigli. 
i366  Pietro  Tornaquinci. 
1370  Pietro  Corsini. 
1378  Bernardo  Tarlati. 
i38i   Angelo  Acciaiuoli. 

Secolo  XV. 

i4o8  b.  Luca  Manzoli. 

i4o8  Ottaviano  Ottaviani. 

i4o8  b.  Domenico  Bianchini. 

14.11  Alamanno  Adimari:  nel  ca- 
talogo de'can.  fiorentini  è  re- 
gistrato al    i42  5. 

1439  Alberto  Alberti:  nel  detto 
catalogo  si  dice  cardinale  al- 
l'anno   1 4  i-9  • 


fui 

1489  Giovanni  de' Medici  poi  Leo- 
ne X. 

Secolo  XVI. 

i5o3  Francesco  Soderini. 

i5j  1    Pietro  Accolti. 

1 5 1 3  Lorenzo  Pucci. 

i5i3  Giulio  de'  Medici  poi  Cle- 
mente VII. 

i5i3  Bernardo  Di  vizi   o  Bibbiena. 

1  5 1  7   Giovanni  Salviati. 

i5i7  Nicolò  Pandolfìni. 

i5i7  Nicolò  Ridolfi. 

1 5i 7  Xuigi  de  Rossi. 

i5 1 7  Ferdinando  Ponzetti  o  Puo- 
cetti  o  Poccetti. 

i5ij  Nicolò  Gaddi. 

1527  Benedetto  Accolti  oriundo 
d'  Arezzo. 

i52g  Ippolito  de'  Medici. 

i53t   Antonio  Pucci. 

1 544  Nicolò  Ardinghelli. 

i54g  Giovanni  Medici. 

i552  Roberto  Pucci. 

i55j  Lorenzo  Strozzi. 

i55j  Taddeo  Gaddi.  * 

i55q  Leonardo  Deti. 

i56i   Bernardo  Salviati. 

i563  Ferdinando  de'  Medici  poi 
granduca  di  Toscana. 

i565  Angelo  Niccolini. 

1570  Giovanni  Aldobrandino 

i583  Alessandro  de'  Medici  poi 
Leone  XI. 

1 583   Antonmaria  Salviati. 

i585  Ippolito  Aldobrandini  poi 
Clemente  VIII. 

i5g3  Pietro  Aldobrandini. 

1596  Ottavio  Bandini. 

Secolo  XVII. 

1606  Maffeo   Barberini   poi  Urba- 
no Vili. 
161 1   Pietro  Bonsi. 
16 15  Roberto  Ubaldini. 


FUI  a5 

161 5  Carlo  de' Medici. 

1621  Ippolito  Aldobrandini. 

1622  Ottaviano   Ridolfi. 

1623  Francesco  Barberini  seniore. 

1624  Antonio  Barberini  seniore. 

1626  Giulio  Sacchetti. 

1627  Antonio  Barberini    giuniore. 
i64'    Francesco     Maria     Macchia- 
velli. 

1642  Lorenzo  Magalotti. 
i643  Lelio  Falconieri. 
i644  Neri  Corsini. 
1644  Gio.  Carlo  de'  Medici. 
l652   Carlo  Barberini. 
i65i  Baccio  Aldobrandini. 
1667  Leopoldo  de'  Medici. 
1669  Nicolò  Acciaiuoli. 
1669  Francesco  Nerli  seniore. 

1672  Gio.  Battista  Bonsi. 

1673  Francesco  Nerli  giuniore. 
1686  Francesco  Maria  de'  Medici, 

che  rinunziò  nel  1709  per  la 
successione  di  sua  famiglia. 

1686  Domenico  Maria  Corsi. 

1690  Francesco  Barberini  giuniore. 

1690  Bandino  Panciatici. 

Secolo  XVIII. 

1706  Lorenzo  Corsini  poi  Clemen- 
te XII. 

1706  Francesco  Martelli  :  nel  men- 
tovato catalogo  si  fa  promos- 
so nel   1698. 

1724  Alessandro  Falconieri. 

1730   Alamanno  Salviati. 

1730  Alessandro  Aldobrandini. 

1730  Neri  Maria  Corsini. 

173 1  fr.  Giannantonio  Guadagni: 
Bernardo  è  detto  nel  catalo- 
go de'  canonici  fiorentini. 

1734  Jacopo  Lanfredini. 

1743  Girolamo  Bardi. 

1745  Antonio  Girolami:  Raffaello 
è  chiamato  nel  predetto  ca- 
talogo. 

1753  Luca  Melchior  Tempi. 


a6 


FIR 


1753   Giuseppe  Maria  Ferroni. 

1753   Luigi  Maria  Torregiani. 

17^9  Filippo  Acciaiuoli. 

1  j5q  fr.  Giuseppe  Agostino  Orsi. 

1777   Gregorio  Salviati. 

1794  Giovanni  Rinuccini. 

Secolo  XIX. 

I  84 1    Cosimo  Corsi. 

Firenze  soprannominata  la  bella, 
in  latino  chiamasi  Florentia,  e  gli 
abitanti  Firentini  o  Fiorentini,  In- 
vestigando il  succitato  Vettori  don- 
de Firenze  fu  cosi  detta,  dice  che 
ad  essa  tu  attribuito  tal  nome,  se- 
condo che  scrive  Bartolomeo  Sca- 
la, da  quel  prato  ad  Munionis  ri- 
parti, che  germogliava  fiori  in  ab- 
bondanza, e  precisamente  gigli  nel- 
la primavera  ;  sicché  essendo  stato 
racchiuso  dentro  le  mura  della  nuo- 
va città  per  augurio  di  felicità,  die 
poi  il  nome  alla  città  stessa ,  e 
quindi  si  prese  l' insegna  del  giglio, 
che  ancor  oggi  conserva.  Non  sem- 
bra valutabile  l'opinione  del  Ma- 
lespina  e  del  Villani ,  che  fecero 
derivare  questo  vocabolo  da  un 
certo  Fiorino  capitano  de'  romani. 

II  medesimo  Vettori  aggiunge  che 
il  p.  Stefano  Menochio  spiega  la 
parola   Florentia  in    questo  modo  : 

Jlores  liliorum  in.  candelabris  ;  e 
che  nella  glossa  interlineare  si  os- 
serva, che  vi  ha  una  specie  di  gi- 
gli ne'  candelabri,  sopra  i  quali  po- 
nevano le  lucerne  gli  antichi.  Tut- 
lavolta  sembra  che  questa  sia  opi- 
nione più  strampalata  di  quella  del 
Malespina,  alla  quale  può  almeno 
dar  qualche  tuono  l'osservare,  che 
i  fiorentini  han  voluto  chiamar 
fiorino  la  lor  moneta  improntata 
«lei  giglio.  La  fondazione  di  Firen- 
ze alcuni  ia  fecero  derivare  da  Er- 


F1R 
cole    Libio  ;    altri    all'anno  Hf)  a- 
vanti  l'era  volgare,   con  alcune  case 
che  si  costrussero  i  soldati  di   Sii- 
la.  L'origine  di  Firenze  tuttora  in- 
certa, sembra  però  che  abbia  avu- 
to principio  dagli  abitanti  di  Fie- 
sole, che  scendendo  dal  monte  fie- 
solano  nella  pianura  a  fare  i   loro 
mercati,  circa  cento  anni  prima  del- 
l'era volgare,  principiassero  a  fab- 
bricarvi delle    abitazioni,    ed  inco- 
minciassero   a  stabilirvisi ,    allettati 
dalla   comodità  del  sito,  che   vi  at- 
tirò in  progresso   degli   altri  abita- 
tori.   Quelli     che    attribuiscono  ai 
soldati   di   Siila  i   primordii   di   Fi- 
renze, narrano  che  quarantadue  an- 
ni  dopo  l'epoca  accennata,   gli  abi- 
tanti  di   Fiesole  scelsero  ad   abitare 
le  case  che   avevano   costruito  per 
tenervi   i   loro  mercati  ,    e  che  essi 
chiamaronla  Fluenlia,  dal  corso  del- 
le acque  del  fiume  che  costeggiava 
la  pianura  detta  Villa  Amina,  no- 
me che  poi  cambiò    per  quello  di 
Florentia,  forse  dalla  floridezza  del 
sito.  Altri    infine    dicono    piuttosto 
che  le  colonie  sillane  aumentarono 
la  fìesolana  emigrazione,  ed  amplia- 
rono il  nuovo  paese,  che  andò  sem- 
pre più  prosperando.  Secondo  altri 
diventò   colonia    romana    al  tempo 
de'  triumviri    Ottaviano   Augusto, 
Marc'Antonio,  e  Lepido.  Delle  sue 
grandezze  in  epoca    romana  poche 
ed  incerte  vestigia   vi  sono,  sebbe- 
ne avesse    avuto  terme,    il  campo 
Marzio,    l' ippodromo  ,  il  campido- 
glio ec.    e    gli    altri    edifizi    propri 
delle  colonie  romane.   Il  suo   mag- 
gior ornamento  però  consisteva  nel- 
l'anfiteatro, di  cui  si   hanno  tracce 
nelle  vicinanze    di    Santa  Croce,  il 
quale  a  niun  altro  cedeva  per  am- 
piezza: evvi    tradizione  che  in  esso 
s.  Miniato,   e  moltissimi   altri    mar- 
tiri  vi  sieuo  stati  esposti  alle  fiere. 


FIR 
Gli  antichi  e  solidi  acquedotti  eb- 
bero pure  celebrità 

I  primi  abitanti  di  Firenze  uni- 
camente occupali  a  godere  i  van- 
taggi di  una  deliziosa  situazione  di- 
ventarono preda  di  tutti  i  barba- 
ri, che  scorsero  ferocemente  l'Ita- 
lia, e  le  vittime  della  gelosia  dei 
loro  vicini,  segnatamente  dei  fie- 
solani  da  cui  ripetevano  l'origine, 
i  quali  più  volte  la  molestarono 
ed  inquietarono.  Verso  la  metà  del 
testo  secolo,  i  soldati  di  Totila  re 
dei  goti,  si  dice,  saccheggiarono  e 
rovinarono  Firenze.  Ai  tempi  di 
Carlo  Magno  e  dopo  l'estinzione 
del  dominio  longobardico,  la  cit- 
tà risorse  sotto  i  di  lui  auspicii  : 
venne  riedificata,  e  cinta  di  mura, 
decorata  di  chiese  e  palazzi  ad  i- 
mitazione  delle  altre  principali  cit- 
tà d'Italia,  giacché  i  fiorentini  nel- 
1'  anno  802  poterono  ristabilir  il 
municipio,  e  richiamar  gli  abitan- 
ti dispersi  lungo  l' Arno.  La  città 
si  ripopolò  rapidamente,  e  divenne 
potente,  erigendosi  in  repubblica  : 
già  la  Toscana  governata  dai  con- 
ti e  dai  duchi  nel  nono  e  nel  de- 
cimo secolo  soggiacque  al  potere 
de' marchesi  di  Toscana,  e  pel  pri- 
mo di  Bonifacio  di  Baviera,  men- 
tre da  altro  Bonifacio  nacque 
la  celebratissima  Contessa  Matilde 
(Vedi)  ,  che  ingrandì  il  dominio 
temporale  della  santa  Sede  colle 
sue  donazioni.  Nel  io55  fu  onora- 
ta la  città  dalla  presenza  di  Vit- 
tore II  romano  Pontefice,  e  del- 
l'imperatore  Enrico  III.  11  Papa 
vi  fece  ritorno  nel  1057,  ed  ivi 
morì  a'28  luglio ,  venendo  sepolto 
nella  chiesa  di  s.  Reparata,  come 
attestano  il  Papebrochio  in  Pro- 
pylaeo  pag.  191  ,  num.  3,  ed  il 
Baronio  a  detto  anno,  num.  9.  Gli 
successe  Stelano    X    di    Lorena,  fi- 


F1R  27 

glio  del  duca  Gozzolone;  nel  io58 
si  recò  a  Firenze,  e  morì  tra  le 
braccia  di  s.  Ugone  abbate  di  Clu- 
ny  a'  29  marzo,  e  fu  tumulato 
in  s.  Reparata.  V.  Leone  Ostien- 
se 1.  2,  Chron.  Cassiti.,  e.  97. 
Nel  suo  sepolcro  operò  Iddio  mol- 
ti miracoli,  ed  il  suo  nome  tro- 
vasi in  alcuni  martirologi  col  tito- 
lo di  santo:  anzi  vivente  ne  operò 
due  in  virtù  di  Dio,  venendo  in- 
vaso dal  demonio  quel  suddiacono 
che  aveagli  avvelenato  il  calice  con- 
sagrato,  come  narrammo  altrove, 
e  quindi  liberò  il  suddiacono  dal 
diabolico  spirito  con  istupore  dei 
fiorentini.  Indi  fu  creato  Papa  Ge- 
rardo vescovo  di  Firenze,  che  pre- 
se il  nome  di  Nicolò  II,  il  quale 
nel  1060  fece  ritorno  a  questa  cit- 
tà, che  pur  visitò  altra  volta,  e  vi 
lasciò  di  vivere  a' 22  luglio  tofii, 
e  fu  sepolto  nel  duomo.  Tuttavol- 
ta  il  Panvinio  ueìì'Epit.  Rom.  Pont. 
lib.  Il,  p.  66 ,  sostiene  che  morì 
in  Roma,  e  che  fu  seppellito  in 
Vaticano.  Il  fatto  si  è  che  non  si 
trovano  in  duomo  i  sepolcri  di 
questi    Papi. 

Intanto  Firenze  sempre  più  mi- 
gliorando, nel  1078  si  trovò  nel- 
la necessità  di  ampliarsi  con  un  se- 
condo circuito  di  abitazioni  e  di 
mura.  Nell'anno  1  104,  o  iio5, 
o  1 106  Firenze  venerò  il  Pontefi- 
ce Pasquale  II ,  nel  concilio  che 
ivi  come  diremo  celebrò.  Fu  verso 
l'anno  1  i  io,  che  vinta  Fiesole  dai 
fiorentini,  quando  che  fosse,  e  gli 
abitanti  a  poco  a  poco  abbandonan- 
dola, e  passando  a  dimorare  in 
Firenze,  si  vide  questa  città  andar 
sempre  più  crescendo,  e  meravi- 
gliosamente progredire  in  tutte  le 
virtù  civili  e  militari  ,  come  nelle 
scienze,  nelle  arti  e  nelle  lettere. 
^  ero  si    è    però    che  debbe    priu- 


*8  FIR 

cipaltnente,  come  abbiamo  detto 
di  sopra,  la  sua  grandezza  ed  o- 
pulenza ,  alla  mercatura  ed  alle 
arti,  essendo  prima  della  scoperta 
di  America,  tra  le  città  italiane 
l' emporio  del  traffico  e  della  ric- 
chezza. Firenze,  come  dicemmo,  con 
la  sua  arte  del  cambio  faceva  gran 
commercio  di  denaro ,  e  l'arte  del- 
la lana  e  della  seta  mantenevano 
gran  numero  di  manifattori  nel 
popolo.  La  forma  del  suo  antico 
governo  era  repubblicana  -  demo- 
cratica, ma  per  risiedere  nel  su- 
premo magistrato,  composto  di  un 
gonfaloniere  e  di  alcuni  priori,  con- 
veniva essere  ascritto  alle  arti,  che 
si  dividevano  in  maggiori  e  mino- 
ri, quindi  anche  i  potenti  nobili 
di  contado  vi  si  facevano  ascrive- 
re. Dopo  che  nel  1 1 1 3  Firenze 
guerreggiò  contro  Enrico  V  impe- 
ratore, nemico  de'Pontefici  per  la 
questione  delle  investiture  ecclesia- 
stiche, la  città  fu  annoverata  tra 
quelle  aderenti  al  Papa,  ed  av- 
verse all'imperatore.  Nel  1 1 38  il 
vescovo  Gotti fredo  prese  le  armi 
per  difendere  dai  fiorentini  pre- 
potenti le  ragioni  e  beni  del  ve- 
scovato, assistito  dall'autorità  di 
Papa  Innocenzo  II.  Firenze  seb- 
bene fosse  sempre  del  partito  guel- 
fo, parteggiando  pel  Papa,  fu  spes- 
se volte  travagliata  dal  partito  ghi- 
bellino ,  seguace  dell'  imperatore', 
che  tenevano  alcune  delle  sue  prin- 
cipali famiglie;  quindi  al  prevale- 
re di  un  partito  erano  frequenti 
le  espulsioni,  le  rilegazioni,  gli  e- 
silii,  gl'incendi,  le  confische,  le  uc- 
cisioni, che  tante  volte  barbara- 
mente travagliarono  questa  città. 
Fu  nel  1 2 1 5  che  le  fazioni  dei 
guelfi  e  ghibellini  incominciarono 
a  macchiare  di  sangue  civile  Fi- 
renze,  in  occasione    che  Buondel- 


FIR 

monte  di  voto  al  Papa,  doveva  in 
questa  città  sposare  una  giovine 
della  famiglia  Amidei  ligia  all'im- 
peratore. Disuaso  Buondelmonte  di 
cotal  matrimonio ,  nel  di  di  Pa- 
squa fu  trucidato  da  Mosca  Lam- 
berti ghibellino:  e  seguirono  in  Fi- 
renze trentatre  anni  di  massacri. 
Per  la  grave  discordia  insorta  nel 
1233  tra  i  sanesi  ed  i  fiorentini, 
il  Pontefice  Gregorio  IX  s'inter- 
pose a  pacificarli.  Nel  1256  i  fio- 
rentini avendo  rotto  i  pisani  a 
Val  di  Serchio,  fecero  quivi  ta- 
gliare un  gran  pino,  sopra  il  cep- 
po del  quale  fecero  battere  il  fio- 
rino d'  oro ,  con  allusione  alla  ri- 
portata vittoria.  Nell'anno  1258 
ai  i4-  di  settembre  i  guelfi  in 
piazza  di  s.  Apollinare  empiamen- 
te mozzarono  il  capo  al  beato  car- 
dinale Tesauro  Beccaria,  il  quale 
essendo  legato  per  pacificarli  coi 
ghibellini,  a  questi  i  guelfi  lo  cre- 
devano favorevole.  I  fazionari  non 
si  contentavano  di  spingere  fuori 
della  patria  gli  emuli,  inferocivano 
contro  i  loro  palazzi,  torri  e  ca- 
se, diroccandole  sino  dai  fonda- 
menti, la  qual  detestabile  frenesia 
non  poco  sformò  la  bellezza  di 
alcune  città.  Ciò  specialmente  av- 
venne in  Firenze,  Bologna,  Cre- 
mona, per  tacere  di  alcune  altre. 
Famoso  è  poi  quanto  fecero  in 
questo  tempo  i  fuorusciti  di  Fi- 
renze. Dacché  essi  ebbero  nel  1260 
a  Monte  Aperto  data  una  gran 
rotta  ai  guelfi  dominanti  in  Firen- 
ze ,  e  furono  vincitori  rientrati 
nella  città ,  nulla  men  pensarono 
che  di  spianarla  tutta  per  toglie- 
re così  ricovero  ai  loro  avversari. 
Poco  mancò  che  non  eseguissero 
sì  furiosa  risoluzione  ;  ma  costante- 
mente si  oppose  Farinata  degli 
Uberti,  uomo  saggio,  pel  quale  re- 


FIR 

sto    salva    da    quel    pezzo    furore 
Firenze.    V.    Guelfi.   Nel   1273  il 
b.  Papa  Gregorio  X,  accompagna- 
to dai  cardinali ,    da  Baldovino  II 
imperatore    di    Costantinopoli  ,  da 
Carlo    I    d' Angiò    re    di  Sicilia,  e 
da  molti    magnati,  si  condusse    in 
Firenze  ove  si    trattenne  tre  mesi, 
sperando    di    riconciliare     perfetta- 
mente i  guelfi  coi  ghibellini,  ch'e- 
ransi    divisi    in    bianchi    e    neri . 
Sembrava  che  avesse  raggiunto  l'in- 
tento,  per    cui    in  s.  Reparata    ai 
12  giugno  rese  pubbliche  e  solen- 
ni grazie  a  Dio    di  tal    concordia; 
quando  i  guelfi,  come  più  potenti, 
furono  i  primi  a   rompere  l'accor- 
do,   il    perchè   molto    ne   soffri    il 
buon    Pontefice   che    tutto    coruc- 
ciato    partì    dalla    città,    che    punì 
coll'interdetto.  Indi  si  recò  in  Lio- 
ne a  celebrale  il  concilio  generale 
dopo  il  quale  giunse  a  Firenze  ai 
17  dicembre  1275;  e  siccome  non 
vi  voleva  entrare  per  cagione  del- 
l' interdetto,   nel     passaggio  che  vi 
fece,  perchè  1*  inondazione  dell'Ar- 
no gì'  impediva    tragittare    per    le 
mura,  e  mentre  traversava  il  pon- 
te, col    segno    della  croce  assolve- 
va la  città  dall'interdetto,  che  poi 
subito    rimise   e  vi  perseverò    per 
tre  anni ,    finché  morto    Gregorio 
X  in  Arezzo  nel   1276,  a'21   gen- 
naio ,    il  successore    Innocenzo    V 
riconciliò    colla    Chiesa  i  fiorentini 
e  tolse  l'interdetto  a  Firenze. 

Nel  1 284  fu  per  la  terza  volta 
accresciuta  ed  ampliata  la  città, 
come  di  presente  si  vede.  A  giu- 
sta gloria  de'  fiorentini  non  si  de- 
ve passare  sotto  silenzio ,  che  nel 
1295  si  trovarono  davanti  a  Bo- 
nifacio Vili  dodici  ambasciatori 
fiorentini,  inviati  a  congratularsi 
col  Papa  per  la  sua  esaltazione,  a 
nome  di   altrettanti    potentati,  on- 


F1R  29 

de  quel  gran  Pontefice  esclamò  :  ì 
fiorentini  nelle  cose  umane  sono  il 
quinto  elemento.    V.  Crist.    Landi- 
no   nella    sua    Apologia    premessa 
al    Commento    di    Dante  j    Pietro 
Monaldi,    Storia  delle  famiglie  fio- 
rentine; Paolo  Mini,  Discorso  del- 
la  nobiltà    di  Firenze.  Il    Murato- 
ri  nella  dissertazione    LI,    parlan- 
do   dell'  origine   e   progresso  delle 
fazioni  guelfa    e   ghibellina  in  Ita- 
lia, osserva    che  grandi  e  continui 
furono  gli  studi  della    potente  re- 
pubblica fiorentina,  che  ognor  più. 
estendeva  i    suoi  limiti  per  lo  più 
attaccata   alla  setta  de'  guelfi,   per 
abbattere    la  contraria,  per  incita- 
re i  collegati,    ed  anche  i  principi 
lontani  a  far  fronte  agl'imperatori. 
Non    si    può    credere,   quanto    oro 
impiegasse  in   questo    l' industriosa 
ed  accorta  nazione  :  questo  special- 
mente essa  operò    nei    primi    anni 
del  secolo  XIV,    allorché    calò   in 
Italia  l'imperatore  Enrico  VII,  in 
unione  con  Bologna,  Lucca,  Siena, 
Modena,  Reggio,    ed   altre    città  e 
guelfi.  Il  perchè  nel   i3i2  l'impe- 
ratore in  Pisa    fulminò    una   fiera 
sentenza  contro  i  comuni  di  Firen- 
ze, Siena,  Lucca  ec,  perchè  gli  ne- 
gavano ubbidienza;  di  Bologna  non 
parlò  come  città  pontificia.  All'in- 
cominciar di  questo  secolo  ,  e  nel- 
l'anno  i3oo    crebbero    in   Firenze 
le    dissensioni    tra    i  Bianchi  [Fe- 
di), e  i  neri.  Prevalendo  in  Firen- 
ze i  ghibellini ,    spedirono    i  guelfi 
ambasciatori  a  Bonifacio  Vili,  ac- 
ciò   pel    bene    della   città    seguace 
del  Papa,  vi  ponesse  l'ordine.  Quin- 
di Bonifacio  Vili  nel    giugno  spe- 
dì a  tale  effetto  per  legato  il  car- 
dinale Matteo  d'Acquasparta,  il  qua- 
le   voleva   provvedere    alle    inimi- 
cizie de'  bianchi  e  de'neri,  eleggen- 
do   tra   loro    a    sorte    i  priori,  da 


3o  FUI 

cambiarsi  ogni  due  mesi  ;  ma  i 
bianchi  che  guidavano  la  signoria 
della  città,  per  timore  di  perdere 
il  potere  non  vollero  ubbidire,  on- 
de il  legato  lasciò  la  città  coll'in- 
terdetto  ecclesiastico.  Il  Papa  aven- 
do chiamato  in  Italia  Carlo  di  Va- 
lois  per  l' impresa  di  Sicilia ,  en- 
trò nel  i3oi  in  Firenze  colle 
sue  genti  onoratamente  accolto  ; 
ma  mentre  si  occupava  di  pacifi- 
care le  fazioni,  insorsero  tumulti 
e  cospirazioni  contro  il  principe 
francese  dalla  parte  bianca,  che 
perciò  fu  umiliata,  e  messa  in  ban- 
do; ed  allora  andò  pure  con  es- 
sa in  esilio  Dante  Alighieri,  che 
tutto  l'animo  rivolse  alle  lettere,  e 
divenne  eccellente  e  sommo  poeta. 
Successe  nel  pontificato  Benedetto 
XI,  il  quale  bramoso  di  pacifica- 
re i  guelfi  e  i  ghibellini,  i  bian- 
chi e  i  neri,  creò  legato  il  cardi- 
nal Albertini  di  Prato.  Firenze  lo 
ricevette  con  festa  a' io  marzo,  ed 
egli  nella  pubblica  piazza  di  s.  Gio- 
vanni, in  un  discorso  dichiarò  le 
facoltà  di  cui  era  munito,  ed  e- 
spose  l' intendimento  paterno  del 
Pontefice  per  pacificare  i  fiorenti- 
ni, massime  quelli  che  reggevano 
la  città.  Questi  allora  gli  diedero 
piena  autorità  di  accomodare  le 
cose,  e  di  far  priori  e  gonfalonieri. 
Il  cardinale  quindi  rinnovò  l'or- 
dine di  diecinove  gonfalonieri  so- 
pra altrettante  compagnie,  secon- 
do 1'  antico  costume  di  Firen- 
ze. Però  alcuni  potenti  veden- 
do con  ira  che  ai  fuorusciti  bian- 
chi e  ghibellini  venivano  resti- 
tuiti i  beni  e  la  libertà  di  ripa- 
triare,  provocarono  grave  tumulto, 
per  cui  fu  il  cardinale  consigliato 
a  riconciliare  insieme  quei  di  Pra- 
to. Quivi  ancora  i  faziosi  provoca- 
rono dissidi,  temendo  che  il  legato 


FIR 
favorisse  i  bianchi  e  i  ghibellini, 
per  cui  parti  dalla  città  lasciando- 
la interdetta.  Ritornato  a  Firenze 
bandì  contro  i  faziosi  pratesi  la 
crociata;  ma  ingelositisi  i  guelfi 
fiorentini ,  il  cardinale  vedendosi 
male  corrisposto,  parti  a'  4  ghigno 
da  Firenze,  dicendo  ai  fiorentini 
queste  parole:  »  Dappoiché  volete 
»  essere  in  guerra  e  in  maledizio- 
«  ne,  e  non  volete  udire,  né  ub- 
»  bidire  al  messo  del  Vicario  di 
«  Dio,  né  avere  riposo  né  pace 
»  fra  voi,  rimanete  colla  maledi- 
»  zione  di  Dio ,  e  con  quella  di 
«  santa  Chiesa  ".  Scomunicando  i 
cittadini  colpevoli,  e  lasciando  l'in- 
terdetto alla  città. 

Partito  da  Firenze  il  cardinal 
Alberimi,  la  città  cadde  in  iscom- 
piglio  per  le  feroci  cittadinesche 
battaglie,  e  per  l'incendio  appic- 
cato ad  alcune  case ,  narrando  il 
Rinaldi  che  fra  palazzi,  torri  e  ca- 
se ne  perirono  mille  settecento  e 
più  a'  io  giugno,  per  cui  molte  fa- 
miglie spogliate  di  tutto  divennero 
povere.  Giunto  il  cardinale  in  Pe- 
rugia, ov'era  Benedetto  XI,  si  dol- 
se in  concistoro  di  coloro  che  reg- 
gevano la  città  di  Firenze,  raccon- 
tando il  disonore  e  il  tradimento 
che  avevano  fatto  alla  santa  Sede 
mentre  occupavasi  del  loro  bene  : 
ciò  produsse  l'indignazione  del  Pa- 
pa e  dei  cardinali,  laonde  Benedet- 
to XI  fece  formalmente  citare  sotto 
pena  di  scomunica  i  fiorentini,  a 
mandare  a  lui  procuratori  ed  al- 
cuni caporali  di  parte  guelfa  e  ne- 
ra ,  che  guidavano  tutto  lo  slato 
della  città.  I  fiorentini  ubbidirono, 
ma  come  dicemmo  altrove,  la  mor- 
te che  seguì  del  Papa  si  attribuì 
a  loro  o  ad  altri.  Né  deve  tacersi 
che  verso  l'anno  i3o6  il  vescovo 
Lottieri  della  Tosa,  fattosi  capo  de. 


FIR 

bianchi  per  difendersi  dalla  fazione 
dei  neri,  ridusse  il  suo  palazzo  ve- 
scovile ad  una  piazza  d'armi,  riem- 
piendolo di  armati  seguaci  del  suo 
pallilo;    armò  la   torre  del   vesco- 
vato a    guisa   di    fortezza  o  rocca  , 
rizzandovi   un  edifizio  in    forma  di 
manganella  .      Inlanto     inutilmente 
l'imperatore  Enrico  VII   pose  l'as- 
sedio a  Firenze,  che  si  vide  libera 
da  sì  potente  nemico  quando  mo- 
rì nel  1 3  1 3  :  alla  difesa  di  Firen- 
ze   si  distinse   con    valore    militare 
Antonio    d'Orso.    Nel    i3i5    i    fio- 
rentini vedendosi  minacciati  dal  ghi- 
bellino   Uguccione  della    Faggiuola 
signore  di   Pisa  e  di  Lucca,  che  si 
nccampò  a  Monte  Catini,   invocaro- 
no   l' aiuto  di   Filippo    principe   di 
Taranto,   fratello    del    re  Roberto, 
che  vi  accorse  col  suo  figlio  Carlo 
alla    testa  di    cinquecento    cavalieri 
assoldati    dai  fiorentini.    Nell'agosto 
si    venne    a    memoranda    battaglia 
nella    valle   di  JNievole  :    Uguccione 
vi   perdette  il  figlio ,  riportò   vitto- 
ria, e    prese    il    castello    di   Monte 
Catini.    1    fiorentini    ebbero    morti 
Pietro  fratello  di  detto  re,   il  men- 
tovato Carlo,  e  molti   di    loro,  con 
numerosi    prigionieri.    Fra   le  inte- 
ressanti   cartapecore    che    si   custo- 
discono   nella    canonica  fiorentina  , 
avvi  la    bolla    di    Giovanni  XX 11  , 
del  r 333,  per  la  quale  si  sospende 
l'interdetto  fulminato  contro  la  cit- 
tà e  diocesi    di   Firenze,    ad  istanza 
del  cardinal   Giovanni  di  s.  Teodo- 
ro per  conto  della  pieve  di  s.  Ma- 
ria  Jmpruneta.    Il    vescovo    Angelo 
Acciainoli   nel    1 343   fu   il  liberato- 
re della  città  dalla  tirannia  del  duca 
di   Atene  Gualtieri,  che  reggeva  la 
città  pel  duca  di  Calabria  cui  erano 
ricorsi  i  fiorentini  contro  Uguccione. 
Il  vescovo  dunque  nel    dì  festivo  a 
s.  Anna,  si  mostrò  a  cavallo  per  le 


FIR  3r 

vie  e  piazze  di  Firenze,  animando 
i  cittadini  ad  armarsi  e  seguirlo, 
ed  obbligò  il  duca  a  fuggirsene,  e 
restituire  la  libertà  alla  repubblica. 
Dipoi  ,  come  racconta  il  Vettori , 
i  fiorentini  dai  conti  Guidi  com- 
prarono Monte  Murlo,  Lucca  colle 
castella  del  contado,  ed  occuparo- 
no Volterra  ;  e  dal  Rinaldi  all'an- 
no 1376  abbiamo  come  il  comu- 
ne di  Firenze  avendo  coli' autorità 
de'  romani  Pontefici  acquistato  la 
libertà,  e  dilatata  la  signoria,  co- 
minciò ad  aspirare  anche  a  quella 
dello  stato  ecclesiastico,  profittando 
dell'assenza  da  Roma  dei  Papi  che 
risiedevano  in  Avignone.  Quindi  i 
fiorentini  stimolarono  i  vassalli  del- 
la Chiesa  alla  ribellione,  mandan- 
do loro  stendardi }  ne'  quali  a  let- 
tere grandi  era  scritto:  Libertà.  Ma 
Gregorio  XI  scomunicò  i  fiorentini 
per  tali  mene,  per  non  aver  rein- 
tegrato la  Chiesa  dei  danni  fatti , 
e  per  aver  maltrattati  i  legati  apo- 
stolici ;  perlocchè  li  condannò  se- 
condo l' ordine  giudiziale  di  quei 
tempi,  alla  confìsca  di  tutti  i  beni 
in  favore  di  quelli  che  se  ne  fos- 
sero impossessati,  e  abbandonando 
le  loro  persone  a  servitù.  Gravi  fu- 
rono i  danni  perciò  sofferti  dai  fio- 
rentini, mentre  si  narra  che  il  loro 
legato  Salvadori,  fieramente  in  Avi- 
gnone rispondesse  al  Papa,  che  dal- 
le sue  censure  appellava  al  tribu- 
nale di  Dio.  Ciò  accrebbe  il  risen- 
timento di  Gregorio  XI,  ma  placa- 
to da  s.  Caterina  da  Siena,  che  i 
fiorentini  spedirono  colle  credenziali 
di  ambasciatrice  in  Avignone,  il 
Papa  restituì  loro  la  pace,  che  di 
poi  si  turbò  non  agendo  i  fioren- 
tini con  sincerità ,  perchè  il  magi- 
strato ingannò  lui  e  la  santa.  A 
pacificarsi  Gregorio  XI  co'  fiorenti- 
ni, nel  1 3yy,    poco  dopo  di  essere 


3^  FIR 

giunto  in  Roma,  li  richiamò  all'ub- 
bidienza; ma  essi  in  vece  divenen- 
do peggiori,  non  solo  disprezzarono 
l'ecclesiastiche  censure,  ma  voleva- 
no uccidere  s.  Caterina,  che  per  or- 
dine del  Papa  procurava  il  loro 
bene;  e  nei  primi  del  1378  si  fece 
in  Lucca  un  solenne  parlamento  di 
ambasciatori  per  riconciliare  i  fio- 
rentini colla  Sede  apostolica. 

Dopo  la  morte  di  Gregorio  XI, 
avvenuta  in  detto  anno,  i  fioren- 
tini sotto  Urbano  VI  ritornarono 
all'ubbidienza  della  Chiesa,  e  nel 
lungo  e  lagrimevole  scisma  insorto 
contro  quel  Pontefice,  restarono  a 
lui  fedeli.  Dipoi  nel  i4o5  i  fioren- 
tini sottomisero  Pisa  alla  loro  si- 
gnoria; città  che  nel  i4°9  conces- 
sero per  la  celebrazione  del  conci- 
lio ,  a  quei  cardinali  eh'  eransi  ri- 
bellati a  Gregorio  XII,  perchè  con- 
tro le  promesse  aveva  creato  nuo- 
vi cardinali,  comandando  inoltre  i 
fiorentini  che  ninno  più  ubbidisse 
a  quel  Papa ,  ed  in  vece  riconob- 
bero Alessandro  V  eletto  in  quel 
concilio.  Nel  i4'0  colle  armi  i  fio- 
rentini repressero  gli  sforzi  di  La- 
dislao re  di  Napoli,  che  voleva  do- 
minare sui  d 0111  i  11  ; i  della  Chiesa  , 
e  ne  furono  lodati  da  Alessandro 
V,  cui  morto  gli  successe  Giovan- 
ni XXIII.  Sotto  di  questi  Ladislao 
minacciando  occupare  Roma ,  co- 
strinse il  Pontefice  a  fuggire  nel 
1 4 J  3  :  a'  22  giugno  era  a  Siena, 
quindi  si  trasferì  a  Firenze,  e  poi 
nel  principio  della  seguente  qua- 
resima si  recò  a  Bologna.  Siccome 
ad  un  tempo  vivevano  pure  Gre- 
gorio XII ,  e  1'  antipapa  Benedetto 
XIII  ,  per  estinguere  lo  scisma  fu 
celebrato  il  concilio  di  Costanza,  ove 
Gregorio  XII  rinunziò  al  pontifi*- 
cato,  Giovanni  XXIII  vi  fu  depo- 
sto,  Benedetto  XII I  scomunicato, 


FIR 
ed  in  vece  eletto  agli  1 1  novem- 
bre i4'7  Martino  Y  ,  il  quale  in 
appresso  si  portò  in  Firenze,  fa- 
cendovi solennissimo  ingresso  a'  26 
febbraio  i4ic)>  entrando  per  la 
porta  di  s.  Gallo,  ricevuto  da  tutti 
i  magistrati,  e  da  cento  giovanetti 
di  nobili  famiglie  vestiti  riccamente. 
Indi  con  solenne  processione  del  clero 
il  Papa  si  portò  al  duomo.  Mentre 
quivi  si  tratteneva  Martino  V,il  depo- 
sto Giovanni  XXIII,  essendo  sempli- 
cemente Baldassare  Cossa,  fuggì  dalla 
sua  prigione,  e  si  gettò  a' piedi  del 
legittimo  Martino  V.  Fu  da  lui  ac- 
colto colle  maggiori  dimostrazioni 
di  tenerezza  ed  affabilità  ;  assolto 
dalle  scomuniche ,  e  perdonato  di 
sua  contumacia.  Lo  creò  il  Papa 
vescovo  di  Frascati,  cardinal  deca- 
no del  sagro  collegio,  destinandogli 
sedia  più.  eminente  di  quella  degli 
altri  cardinali  :  siccome  vuoisi  che 
ottenesse  tal  dignità  ad  istanza  dei 
fiorentini,  il  Cossa  fu  poi  chiamato 
il  cardinal  di  Firenze.  Di  questi 
onori  il  Cossa  poco  godè  :  passati 
sei  mesi,  di  cordoglio  o  di  veleno 
morì  in  Firenze  a'  22  dicembre 
i4'9?  e  gli  furono  fatte  non  nella 
chiesa  di  s.  Gio.  Battista ,  ma  in 
s.  Maria  del  Fiore  solennissime  ese- 
quie per  nove  giorni,  coll'interven- 
to  della  signoria,  con  tutti  i  ma- 
gistrati, i  cardinali,  i  vescovi  e  tut- 
ti i  prelati  della  corte  pontificia. 
Bensì  in  s.  Gio.  Battista  fu  sepolto 
in  ricco  deposito,  nella  cui  iscrizio- 
ne essendosi  posto  quondam  Pa- 
pam,  Martino  V  fece  delle  forma- 
li lagnanze  che  si  togliesse,  essen- 
do morto  cardinale,  ma  inutilmen- 
te. Di  questo  sepolcro  di  marmo 
ne  riporta  la  figura  l'Oldoino,  tom. 
II,  pag.  794,  il  quale  soggiunge, 
essergli  stato  eretto  da  Cosimo  de 
Medici  il  Vecchio,  suo  amicissimo , 


FIR 

che  per  merzo  di  Giovanni  XXIII 
era  divenuto  l'uomo  piti  ricco  che 
rilava  ci  fosse.  Qui  noteremo  che 
dell'  origine  della  famiglia  Medici 
(  l'edi),  potentissima  in  Firenze,  la 
quale  poi  ne  divenne  sovrana ,  se 
ne  tratta  a  quell'  articolo,  come 
delle  relative  vicende  che  riguar- 
dano questa  città. 

Narra  l'In  fessura  nel  suo  Dia- 
rio, presso  il  Muratori,  Script,  rer. 
uni.  tom.  Ili,  par.  II,  pag.  1123, 
che  Martino  V  dimorò  in  Firenze 
per  due  anni  e  due  mesi  (  altri  di- 
cono soltanto  dieciotto  mesi);  ed  il 
Rinaldi  dice,  che  mentre  egli  slava 
per  partirne,  esaltò  la  chiesa  vescovi- 
le al  grado  di  metropoli ,  a'  2  mag- 
gio, dopo  aver  cantato  solennemen- 
te la  messa  nella  cattedrale;  indi 
il  primo  arcivescovo  Amerigo  Cor- 
sini ricevette  il  pallio  in  Roma  agli 
11  dicembre  i/f^o,  per  mano  del 
cardinal  Rinaldo  Brancacci.  A'  9 
settembre  1420,  secondo  la  richie- 
sta fattale  dai  romani ,  Martino  V 
si  pose  in  viaggio  per  Roma.  Del- 
la sua  partenza,  e  degli  onori  fat- 
tigli dai  fiorentini  ne  tratta  Felice 
Contelori  nella  di  lui  vita.  Il  co- 
mune elesse  otto  de'  maggiori  cit- 
tadini, i  quali  accompagnarono  il 
Pontefice  per  tutto  lo  stato  della 
repubblica,  alloggiandolo  splendida- 
mente ne'  luoghi  ove  si  fermava  , 
addestrandogli  il  cavallo  il  gonfa- 
loniere di  giustizia  allorché  uscì  per 
la  porta  di  s.  Pietro  dalla  città, 
mentre  ventiquattro  de'  principali 
cittadini  sostenevano  su  di  lui  un 
pallio  d'oro  :  a  detta  porta  Marti- 
no V  benedì  que'  signori ,  ed  av- 
viossi  per  Viterbo  alla  capitale  del 
mondo  cattolico.  Qui  noteremo,  che 
nel  1422  tre  personaggi  fiorentini 
della  famiglia  Strozzi  si  ritrovaro- 
no in  Venezia  ambasciatori  di   tre 


FIR  33 

diversi  governi  a  quella  repubblica. 
A  Martino  V  successe  Eugenio  IV, 
contro  il  quale  essendosi  nel  i434 
sollevati   molti    romani ,  pei  danni 
che    ricevevano    da    Nicolò   Forte- 
braccio  ,  fuggì  pel  Tevere  a   Pisa  , 
e  nella  vigilia  della  festa  di  s.  Gio. 
Battista  onorato  da  tutto   il  popo- 
lo fiorentino  entrò  in  Firenze,  ove 
da  tutte    le  parti    accorsero  i  pre- 
lati e  i  cortigiani  per  stargli  dap- 
presso. Mentre  che  il  Pontefice  Eu- 
genio IV  risiedeva  in  questa  città, 
siccome    quando    vi    giunse    trovò 
vacante  la  sedia  arcivescovile  per  la 
seguita  morte   di  Amerigo    Corsini 
ultimo    vescovo    ed  insieme  primo 
arcivescovo,  per  sé  la  ritenne  qua- 
si due  anni,  ne'  quali  fra  le  mag- 
giori cose    che   operò   a  decoro  di 
essa,    nomineremo  l' istituzione  del 
collegio  de'  chierici    dal    suo  nome 
detto  Eugeuiano,  di  cui  parlammo 
superiormente;  scuola  che  divenne 
famosa  ,  ed    assai  utile  pei  chierici 
onde    formarsi    ottimi    ecclesiastici. 
La   fondazione  la  fece    colla   bolla 
Ad  exequtndum   Stimmi  Pontificis 
officii  debitum  ,  spedita  nel  1 435  , 
mentre  con  altra  del  i44r  aog'un" 
se  molte  grazie  ai  chierici  di  que- 
sta scuola  ,    per  la  quale  neh"  isti- 
tuirla  assegnò  la  somma    di  nove- 
mila novecento  fiorini  d'oro.   Il  p. 
Ridia  nel  tomo  VI,  pag.  102  e  se- 
guenti ,    non    solo    fa    la    storia  di 
questa  scuola  Eugeniana,  ma  altre- 
sì  della  compagnia  di  s.  Zanobi,  e 
del    cimitero.    Intanto   la   presenza 
di  Eugenio  IV    in    Firenze ,  valse 
nel  i434    ad    impedire    lo    spargi- 
mento di  torrenti  di  sangue  a  ca- 
gione di  Rinaldo  degli  Albizii  com- 
petitore del  potere  di  Cosimo  de'Me- 
dici,  che  per  un  anno  patì  il  ban- 
do dalla  città.  Il  governo  di  Cosi- 
mo fu  pacifico  e  prospero. 
3 


14  FIR 

Mentre  Eugenio  IV  nel  i435  di- 
inorava in  s.  Antonio  fuori  le  mu- 
ra della  citlà,  scampò  run  tradi- 
mento ordito  da  certo  Riccio  spa- 
gnuolo,  famoso  per  l'insidie,  onde 
consegnarlo  al  suo  nemico  Filippo 
Maria  Visconti  duca  di  Milano.  Stan- 
do in  Firenze  Eugenio  IV,  a'  9  a- 
gosto  1437,  celebrò  la  seconda  pro- 
mozione, .in  cui  creò  cardinale  il  ce- 
lebre Giovanni  Vitelleschi.  Le  dis- 
grazie che  incontrò  questo  Papa 
appena  salito  al  trono,  l'avevano 
costretto  ad  approvare  quanto  si 
faceva  nel  concilio  di  Basilea  {Ve- 
di). Questo  tuttavia  si  proseguiva 
con  suo  estorto  consenso ,  quando 
insorta  discordia  tra  i  padri  conci- 
liari sopra  il  luogo  ove  si  aveva  da 
trasportare  il  concilio  per  la  riu- 
nione de'  greci  che  avevano  rifiu- 
tato Basilea,  essendo  alcuni  di  pa- 
rere che  si  dovesse  adunare  o  a  Fi- 
renze, o  ad  Udine,  Eugenio  IV  tro- 
vandosi in  Bologna,  il  primo  otto- 
bre i437  ordinò  che  si  trasferisse 
a  Ferrara  (  Fedi)  ;  ma  ostinandosi 
j  padri  di  Basilea  di  non  dipartir- 
si, e  continuando  co'  loro  perversi 
decreti ,  la  loro  adunanza  divenne 
vero  conciliabolo. 

Mentre  in  Ferrara  celebravasi 
la  continuazione  del  concilio  gene- 
rale ,  fu  la  città  assalita  dalla  pe- 
ste, onde  il  Papa  che  lo  presiede- 
va fu  costretto  trasportarlo  in  Fi- 
renze nel  14^9,  ed  egli  vi  si  con- 
dusse nel  gennaio.  A  questo  cele- 
bre concilio,  come  si  dirà  in  fine, 
intervennero  l'imperatore  d'Orien- 
te Giovanni  Paleologo,  che  abitò  la 
casa  dei  Peruzzi,  il  di  lui  fratello 
despota  di  Morea,  un  gran  nume- 
ro di  cardinali  e  di  vescovi  delle 
chiese  latina  e  greca.  Vi  si  pubblicò 
il  decreto  dell'  unione  delle  due 
chiese,  e  quello  pegli  armeni,  gia- 


FIR 

cobiti,  abissini    ec.j    vi  morì    nella 
confessione    romana  il   patriarca  di 
Costantinopoli,  e  vi  fu  condannalo 
il  conciliabolo  basileese.  Mentre  ce- 
lebravasi in  Firenze  il  concilio  ge- 
nerale, Eugenio  IV  a'  18  dicembre 
1439  fece  la  terza    promozione  in 
cui   creò    dieciselte    cardinali,  fra  i 
quali    nomineremo  i  seguenti.    Isi- 
doro di  Tessalonica  arcivescovo  ru- 
teno di  Kiovia.  Bessarione  di  Tre- 
bisonda  arcivescovo  di  Nicea.   Anto- 
nio Martino  de  Chaves  portoghese. 
Giovanni   le  Jeune  francese,  amba- 
sciatore del  duca  di  Borgogna  al  con- 
cilio fiorentino.  Guglielmo  d'Estou- 
teville,  del  regio  sangue    di  Fran- 
cia. Giovanni    Turrecremata  teolo- 
go insigne ,    ed  esimio  canonista  di 
questo  concilio.   Continuando  Euge- 
nio IV  a  dimorare  in  Firenze,  a'  11 
giugno  i44°  f*ece  la  quarta  promo- 
zione di  due  cardinali,  cioè   Lodo- 
vico Scarampo  Mezza  rota,  valoroso 
militare  ;  e  il   proprio   nipote    Pie- 
tro Barbo,  poi  Paolo  li.  Perchè  poi 
questo    concilio    ricevesse    maggiore 
autorità,  Eugenio  IV    volle    tener 
l' ultima  sessione    nella  basilica  la- 
teranense,  per  cui  parti  da  Firen- 
ze   con    ventiquattro    cardinali ,    e 
giunse    in    Roma    a'  2 1   o  22  set- 
tembre i443,  dopo  aver  impegna- 
to   a'  fiorentini    la    sua    mitra    pre- 
ziosa per  quarantamila    scudi  ,  che 
diede  a'  greci  per  le  loro  spese.  In 
Roma  Eugenio  IV  rinnovò  la  sco- 
munica contro  l'antipapa  Felice  V 
eletto  dai  basileesi,   e  contro  Fran- 
cesco   Sforza    invasore    delle    terre 
della  Chiesa.    E  siccome  egli  veni- 
va aiutalo    dai   fiorentini  ,  non   ce- 
dendo questi  alle  ammonizioni   del 
Pontefice,  gli  mosse  contro  Alfonso 
V  re  di  Aragona,  assolvendolo  dal 
giuramento  di  non  invadere  la  To- 
scana,  per  mezzo  del  cardinal  lega- 


FIR 

to  Scarnmpo.  11  re  assalì  nel  1 447 
i  fiorentini  nella  speranza  d' insi- 
gnorirsi della  Toscana  ;  ma  essi  in 
unione  ai  sanesi  si  difesero  egregia- 
mente, laonde  altro  non  potè  fare, 
che  occupare  alcuni  piccoli  castelli, 
e  dar  il  guasto  alla  campagna. 

Pio  II  volendo  abbassare  la  cre- 
scente potenza  degli  ottomani  ,  in- 
timò un  general  congresso  di  prin- 
cipi italiani  da  tenersi  in  Mantova 
nel  i4^9-  Bramoso  di  presiederlo, 
a'  i5  aprile  giunse  a  Firenze,  trat- 
tato con  regia  splendidezza  da  Co- 
simo de'  Medici  padre  della  pa- 
tria, allora  reggente  della  repub- 
blica fiorentina,  ed  il  più  opulen- 
to ed  onorato  signore  de'  suoi  tem- 
pi. Stando  Pio  II  in  Firenze,  ed 
essendo  morto  l'arcivescovo  s.  An- 
tonino, il  gonfaloniere  di  giustizia 
Bernardo  Gherardini,  con  eloquen- 
za e  spirito,  in  s.  Maria  Novella 
ottenne  dal  Papa  un  fiorentino  per 
successore  nella  persona  di  Orlan- 
do Bonarli,  pubblicato  poscia  nel 
concistoro  che  Pio  li  tenne  in  Bo- 
logna a'  12  maggio.  Il  Papa  or- 
dinò in  s.  Maria  del  Fiore  a  sue 
spese  pubbliche  esequie  al  defunto 
arcivescovo,  coli' assistenza  de'car- 
dinali,  de'  vescovi,  e  della  sua  cor- 
te, in  maniera  che  sembrò  piutto- 
sto una  canonizzazione  che  un  fu- 
nerale, essendosi  conceduta  da  Pio 
Il  l'indulgenza  di  sette  anni  ed 
altrettante  quarantene  a  tutti  quelli 
che  fossero  andati  in  s.  Maria  del 
Fiore  a  baciar  il  santo  corpo,  che 
sulla  sera  fu  trasferito  nella  chie- 
sa di  s.  Marco,  dove  per  otto  gior- 
ni dai  religiosi  si  replicarono  l'ese- 
quie. Dopo  avere  Pio  II  ricevuto 
in  Firenze  diversi  ambasciatori , 
per  Bologna  proseguì  il  viaggio  a 
Mantova,  ove  nel  congresso  anche 
i  fiorentini    promisero    contribuire 


FIR  35 

alla  sagra  guerra.  Di  ritorno  nel 
i46o  Pio  11  onorò  di  nuovo  Fi- 
renze di  sua  presenza,  trattato  nuo- 
vamente con  magnificenza,  per  la 
quale  mai  aveva  tanto  speso  la  re- 
pubblica. Nel  1468  morì  Cosimo 
de'  Medici  dopo  aver  governato  la 
repubblica  più  anni.  Pietro  suo  fi- 
glio fece  ogni  sforzo  per  continuar- 
la lui,  ma  vi  si  opposero  anche  i 
suoi  amici,  perchè  la  signoria  non 
si  stabilisse  in  una  famiglia,  con 
pregiudizio  della  comune  libertà;  e 
cacciati  in  esilio  dalla  parte  dei 
Medici  ricorsero  a  Bartolomeo  da 
Bergamo,  e  venuti  a  battaglia,  re- 
stando dubbiosa  la  vittoria,  se  ne 
partirono.  Riuscì  a  Paolo  li  nel 
1468  di  porre  line  a  tali  guerre 
cittadine,  stabilendosi  che  Bartolo- 
meo da  Bergamo  prode  e  valente 
in  armi,  volgesse  queste  contro  i 
turchi  colla  qualifica  di  capitano 
generale  della  lega,  e  collo  stipen- 
dio di  centomila  fiorini  d'oro  al- 
l'anno. 

Nel  seguente  pontificato  di  Si- 
sto IV  le  due  famiglie  potentissi- 
me di  Firenze  de'Pazzi,  e  de' Me- 
dici che  tutte  le  altre  ecclissavano 
per  le  loro  ricchezze,  si  disputava- 
no il  dominio  dello  stato;  i  Pazzi 
fondati  sulla  antichità  di  loro  no- 
biltà, e  i  Medici  sulla  preponde- 
ranza del  credito  che  gli  avea  acqui- 
stato il  loro  avo  Cosimo  il  Vec- 
chio, a  cui  la  gloria  e  la  prospe- 
rità erangli  state  senza  interruzio- 
ne compagne  sino  al  sepolcro.  Le 
intestine  guerre  della  repubblica 
nelle  quali  presero  più  o  meno 
parte  le  primarie  famiglie  di  Fi- 
renze, terminarono  col  portare  al 
supremo  potere  ed  alla  magistra- 
tura di  essa  la  casa  de'  Medici,  i 
cui  individui  cransi  distinti  nell'e- 
sercizio delle  virtù,  e  nella   magni- 


36  FUI  FIR 
licenza  colle  loro  ricchezze,  per  cui  era  corso  al  palazzo  per  impadro- 
il  detto  Cosimo,  Pietro  e  Lorenzo  nirsene ,  ed  uccidere  i  magistrati 
il  Magnifico  furono  successivamen-  che  vi  si  opponessero,  fu  preso  da 
te  principi  della  repubblica ,  seb-  questi  ed  appeso  ad  una  finestra 
bene  semplici  cittadini.  E  fama  che  con  altri  pochi,  che  con  lui  erano 
il  Papa  Sisto  IV  non  potesse  sof-  in  compagnia;  quindi  imprigiona- 
frire  i  de  Medici,  perchè  frastorna-  rono  il  cardinal  Riario.  I  fioren- 
vano  l' ambizione  del  suo  nipote  tini  dierono  a  Lorenzo  de'  Medici 
Girolamo  Riario  divenuto  signore  una  guardia  per  sicurezza,  e  Tarn- 
di  Forlì,  e  che  per  tal  cagione  i  ministrazione  del  pubblico  erario; 
Pazzi  ne  avessero  acquistata  la  di  indi  a  di  lui  incitazione  tentarono 
lui  benevolenza.  Presero  dunque  di  occupare  alcune  città  dello  sta- 
questi  la  risoluzione  di  cospirar  to  ecclesiastico.  Neil'  istesso  anno 
contro  la  vita  dei  de  Medici,  ed  i47$  Sisto  IV  die  sentenza  di 
invitarono  il  giovane  cardinal  Raf-  scomunica  contro  i  complici  di  si 
faele  Sansoni  Riario,  altro  nipote  fatti  delitti,  e  pose  sotto  T  inter- 
del  Pontefice,  a  portarsi  in  Firen-  detto  la  città  di  Firenze,  col  mo- 
ze  per  osservarvi  tutto  il  bello  del-  tivo  della  morte  violenta  dell'  ar- 
ia città,  senza  fargli  cenno  della  ci  vescovo  di  Pisa.  I  fiorentini  non 
trama.  Il  cardinal  vi  si  portò,  e  dierono  importanza  alle  pontificie 
ricevè  molte  finezze  e  sontuosi  censure,  come  se  fulminate  fossero 
banchetti  da  Lorenzo  e  Giuliano  per  vendetta,  né  misero  in  libertà 
fratelli  de  Medici,  i  quali  assisten-  il  cardinale  se  non  dopo  lungo 
do  col  cardinale  alla  messa  solen-  tempo;  ed  il  Lami,  nella  prefazio- 
ne che  si  celebrava  nel  duomo  ai  ne  alle  sue  Lezioni  di  antichità 
26  aprile  1478,  al  segno  del  San-  toscane,  parla  di  una  contro  sco- 
clus ,  i  congiurati  si  scagliarono  munica,  che  il  clero  fiorentino  sca- 
contro  i  de  Medici ,  restando  mor-  gliò  per  le  dette  censure.  Allora  il 
to  nel  tumulto  Giuliano,  e  fé-  Papa  si  collegò  con  Ferdinando  re 
rito  leggermente  Lorenzo  suo  fra-  di  Napoli ,  ed  inviò  contro  i  fioren- 
tello  maggiore,  che  si  salvò  nella  tini  un  esercito  composto  di  napo- 
sagrestia  tirando  a  sé  la  porta  di  litani  comandati  da  Alfonso  figlio 
bronzo,  che  vi  aveva  fatta  l'avo,  e  del  re ,  e  dalle  sue  milizie  capita- 
poi  preservato  dall'autorità  del  nate  da  Federico  duca  di  Urbino: 
cardinale,  che  sedando  il  tumulto  ne  fu  conseguenza  una  forte  lega 
fece  beu  conoscere  al  popolo  eh' e-  che  molti  principi  fecero  in  favo- 
gli  di  tutto  era  insciente  ;  ma  tale  re  de' fiorentini.  Mentre  l'esercito 
fu  la  paura  che  provò,  che  quel  faceva  diverse  conquiste  sopra  lo 
pallore  di  cui  si  cuopri  allora  il  stato  della  repubblica,  il  re  Ferdi- 
di  lui  volto  gli  restò  per  tutta  la  nando  avendo  più  a  cuore  le  cose 
vita.  sue,  che  la  causa  del  Pontefice,  trat- 
La  maggior  parte  de'  congiurati,  tò  in  Napoli  la  pace  con  Lorenzo 
col  capo  loro  Giacomo  Pazzi  fu-  de'  Medici,  il  quale  riparò  così  l'im- 
rono  presi,  e  dati  all'ulLimo  sup-  minente  eccidio  della  patria.  Nell'an- 
plizio.  Francesco  Sai  vinti  arcive-  no  1480  con  tutta  solennità  spedi- 
scovo  di  Pisa,  uno  de'  più  ardenti  rono  i  fiorentini  dodici  cittadini  am- 
fra  essi,   e  che    dopo    il   massacro  basciatori    a   Sisto  IV,   pregandolo 


FIR 
riconciliarli  colla  Chiesa,  offrendoci 
ricevere  con  sommissione  tutte  le 
coedizioni  che  a  lui  fossero  piaciu- 
te. Ed  è  perciò  die  nella  prima  do- 
menica deli'  Avvento  gli  ambascia- 
tori attesero  in  ginocchioni  nel  por- 
tico di  s.  Pietro  il  Papa ,  il  quale 
gli  assolvè  battendoli  leggermente 
con  una  bacchetta,,  secondo  il  rito 
consueto,  e  dopo  aver  ascoltata  la 
messa  ,  furono  restituite  le  terre  e 
castella  ch'erano  state  tolte  al  co- 
mune; dopo  di  che  Sisto  IV  fece 
alleanza  co'  medesimi  fiorentini ,  e 
col  re  Ferdinando  contro  i  vene- 
ziani che  assediavano  Ferrara.  Nel 
pontificato  di  Alessandro  VI  il  ve- 
scovo di  Arezzo,  Cosimo  de'Pazzi,  poi 
arcivescovo  di  Firenze  sua  patria, 
nel  iooi  colle  armi  gagliardamen- 
te si  oppose  a  Cesare  Borgia  duca 
Valentino,  che  marciava  con  po- 
deroso esercito  contro  Firenze  per 
metterla  a  sacco,  e  l'obbligò  a  ri- 
tirarsi; quindi  Cosimo  adempì  util- 
mente varie  ambascerie  per  la  re- 
pubblica: in  quella  a  Lodovico  XII 
ottenne  a'  fiorentini  la  restituzione 
di  Pisa;  ed  in  quella  al  viceré  di 
Napoli  Cardona,  liberò  Prato  dal 
formidabile  esercito  spagnuolo. 

A  Lorenzo  successe  nel  reggi- 
mento il  suo  figlio  Pietro  de' Me- 
dici, ma  per  la  cessione  di  Fivizza- 
no  a  Carlo  Vili  re  di  Francia,  do- 
vette salvarsi  colla  fuga.  Tornata 
allora  Firenze  al  governo  popolare, 
elesse  gonfaloniere  a  vita  Pietro  So- 
derini,  il  quale  avendo  favorito  gli 
eserciti  di  Lodovico  XII  re  di  Fran- 
cia_,  si  trovò  poi  esposto  al  risen- 
timento di  Giulio  II,  dal  quale  eb- 
be origine  il  ritorno,  e  il  nuovo 
ingrandimento  dei  de' Medici  ;  col- 
la deposizione  del  Soderini,  venen- 
do dichiarato  gonfaloniere  tempo- 
raneo.   Ma     il    cardinal     Giovanni 


FIR  37 

de'  Medici  figlio  del  defunto  Loren- 
zo il  Magnifico,  e  il  di  lui  nipote 
Lorenzo  aspirando  al  potere,  a'  16 
settembre  i5i2  provocarono  un 
movimento,  e  costituirono  capo  del- 
la repubblica  Giuliano  de' Medici, 
a  cui  fu  poi  associato  Lorenzo , 
mentre  nel  i5i3  il  cardinale  dive- 
nendo Pontefice  col  nome  di  Leo- 
ne X,  consolidò  il  dominio  nella  fa- 
miglia. Nel  i5i5  dopo  essersi  ab- 
boccato in  Bologna  con  Francesco  I 
re  di  Francia,  dice  il  Fellone,  Dei 
viaggi  de  Pontefici,  p.  282,  prece- 
duto dalla  ss.  Eucaristia  passò  a 
Firenze  sua  patria  per  trattenervisi 
qualche  mese,  e  finito  il  rigore  del 
verno  ritornò  a  Roma  ove  giunse 
a*  18  o  19  febbraio  i5i6.  II  Papa 
era  stato  ricevuto  solennemente  in 
Firenze  dal  cardinal  de'  Medici  ar- 
civescovo, e  suo  cugino,  alla  testa 
del  capitolo,  che  gli  die  a  baciare  la 
croce  neh'  ingresso  alla  porta  Ro- 
mana. Il  p.  Ridia  dice  ch'entrò  in 
Firenze  a'  3o  novembre  i5i5  per 
la  porta  di  s.  Pietro  in  Gattolino, 
e  tra  il  plauso  generale  venne  con- 
dotto alla  cattedrale,  nella  quale  da 
giovinetto  era  stato  canonico.  In 
Firenze  celebrò  Leone  X  molte  fun- 
zioni, come  la  solenuità  di  Natale, 
in  cui  benedì  lo  stocco  e  berretto- 
ne che  donò  al  gonfaloniere  Ridol- 
fi.  Donò  al  capitolo  una  preziosis- 
sima mitra,  valutata  dieci  mila  du- 
cati d' oro,  l'autorità  di  poter  crea- 
re notari ,  e  legittimare  bastardi  ; 
gli  aumentò  le  rendite ,  ed  ai  ca- 
nonici concesse  le  insegne  prelati- 
zie dei  protonotari  apostolici.  Ai 
sette  altari  di  s.  Maria  del  Fiore, 
assegnò  in  certi  giorni  le  indulgen- 
ze che  in  Roma  si  lucrano  in  tem- 
po di  quaresima  nelle  sette  chiese. 
Nella  detta  solennità  di  Natale  il 
capitolo,  ad  imitazione  di  quelli  di 


38 


FIR 


Roma,  offrì  al  Papa  il  presbiterio, 
consistente  in  un  borsotto  con  va- 
rie monete  fiorentine.  Lo  stesso 
capitolo  donò  700  lire  a  monsignor 
Adimari  cubiculario  del  Papa,  por- 
tatore della  suddetta  mitra.  Ma 
questa  mitra  ebbe  breve  vita,  per- 
chè nel  i529,  in  tempo  dell'assedio, 
la  repubblica  la  vendè,  come  nar- 
rano il  Varchi  Storia  Fiorent. ,  e 
il  Migliore,  pag.  46.  Vedi  l'Ammi- 
rato, Storia  Fiorent,  p.  3 18.  JVel 
medesimo  Fellone  si  legge  che  tra 
gli  accordi  che  seguirono  tra  Leo- 
ne X  e  Carlo  V  imperatore  fuvvi 
quello  che  il  medesimo  augusto 
dovesse  proteggere  la  sua  famiglia 
de'  Medici,  ed  accordare  ad  Ales- 
sandro un  principato  di  dieci  mila 
ducati  di  rendita;  ma  sul  più.  bel- 
lo delle  sue  speranze  ,  la  morte 
troncò  i  suoi  giorni  nel  i52i.  Al 
breve  pontificato  di  Adriano  VI 
successe  quello  di  Clemente  VII  nel 
15^3,  già  Giulio  de'  Medici,  figlio 
di  Giuliano  ucciso  nella  congiura 
de' Pazzi,  e  cugino  di  Leone  X  che 
l'aveva  fatto  arcivescovo  e  cardi- 
nale legato  di  Firenze. 

Nel  i526  Clemente  VII  ammise 
nella  Sagra  lega  che  aveva  conchiuso 
contro  Carlo  V  i  fiorentini,  ma  questi 
quando  videro  il  Papa  soccomben- 
te nella  guerra,  ed  assediato  in  Ro- 
ma dalle  truppe  imperiali ,  torna- 
rono a  cacciate  i  de' Medici  da  Fi- 
renze. Procurarono  i  fiorentini  col- 
legarsi coli'  imperatore,  ma  furono 
rifiutati^  e  solo  invitati  di  venire  a 
concordia  con  Clemente  VII ,  ciò 
che  ricusarono ,  anzi  deposero  il 
gonfaloniere  della  repubblica  Nico- 
lò Capponi ,  perchè  proponeva  la 
pace.  In  vece  fu  eletto  Francesco 
Carducci  uomo  temerario  che  op- 
presse gli  ecclesiastici  ,  e  commise 
sacrilegi  coatro  le  cose  sagre.  ludi 


FIR 
occuparono    il    supremo    maestrato 
uomini  vilissimi,  che  usarono  molte 
tirannie.  Rappacificatosi  il  Papa  col- 
l' imperatore  nella    lega  di  Barcel- 
lona,   venne   stabilito  di  ripristinar 
in  Firenze  la  sovranità  di  casa  Me- 
dici, e  di  dare  in  isposa  ad  Alessan- 
dro Margherita  d'Austria,  figlia  na- 
turale di  Carlo  V;  ciò  che  fu  con- 
fermato nel  congresso  tenuto  in  Bo- 
logna, ove   il  Papa  incoronò  l'im- 
peratore,  e  nella  funzione  Alessan- 
dro   portò  il  globo    imperiale;    ed 
intanto  il  principe  Filiberto  d'Oran- 
go fu  inviato  all'assedio  di  Firen- 
ze.   Clemente  VII  si  fermò  in  Bo- 
logna finché  Firenze  fu  domata  dal- 
le truppe  imperiali,  e  cambiato  il 
governo  politico  da  repubblicano  in 
monarchico,  fu  costretta  a  ricevere 
per  suo  signore    e  duca  il  suddet- 
to Alessandro  de' Medici,  e  suoi  di- 
scendenti. Il  Papa  fu  lietissimo  del- 
l' umiliazione  de'  suoi   concittadini , 
e  dell'esaltamento  di  sua  famiglia. 
Nel  lungo  assedio  accaddero  diver- 
se aspre   battaglie   combattute   dai 
fiorentini  con  coraggio,  in  una  del- 
le quali   vi  restò  ucciso  il  principe 
d' Orange ,    che    tanto    male    avea 
fatto    a    Roma    nel    famoso    sacco. 
AH'  assedio  di  Firenze  sottentrò  al 
comando  dell'esercito  Ferrante  Gon- 
zaga, dopo  la  partenza  del  marche- 
se del  Vasto  comandante  supremo. 
I    fiorentini    furono    condannati    a 
gravose  contribuzioni  ;  e  Malatesta 
Baglione    fu    lasciato    alla    guardia 
della  città    con    duemila   fanti.  Gli 
amici  della  libertà    furono  esiliati, 
altri  decapitati,  fra'  quali  Francesco 
Carducci.  Alessandro  primo  duca  di 
Firenze  era  figlio    naturale  di  Lo- 
renzo II,  e  nipote,  o,  come  altri  vo- 
gliono, figlio  di  Clemente  VII  prima 
che  fosse  cardinale.   Questo  giovine 
destro  ed  animoso  s'impadronì  del- 


TIR 
la  suprema  magistratura   in  unione 
ad  un  senato,  formato  da  quaran- 
totto    cittadini    delle    prime   fami- 
glie, che  rappresentavano   1'  estinta 
repubblica.   Durò  però  poco  la  sua 
rappresentanza  e  supremazia,  men- 
tre o  per  gelosia  di  governo,  o  ve- 
ramente   perchè    irritati  i  cittadini 
dal  suo  dispotismo  e  dalle  sue  de- 
pravazioni, sorse  nell'animo  di  Lo- 
renzo de'  Medici    detto  Lorenzino  , 
il  divisamente  di  liberare  la  patria 
da  questo  tiranno;  e  tiratolo  a' suoi 
voleri ,  sotto   pretesto    di   condurlo 
ad  illeciti  amori ,    1'  uccise  nel  suo 
proprio    palazzo    in  Via    larga   nel 
j  537  ,  con   l'aiuto  d'un    suo  fido 
sicario ,  e  poscia   se   ne  fuggì.  Ri- 
mase per    qualche    ora    occulto    il 
misfatto  al  popolo,  ed  adunatosi  il 
senato,  non    avendo  il  defunto  la- 
sciata successione  ad  eccezione  d'un 
figlio  naturale,    chiamò    al    gover- 
no della  repubblica  Cosimo  1,  figlio 
di   Giovanni  de'  Medici  detto    del- 
le   bande  nere ,   che   giovinetto   di 
circa  dieciotto  anni  viveva  in  Mu- 
gello ,  luogo  originario  della  fami- 
glia Medici,  alla  sua  villa  di  Treb- 
bio ,   sotto  la    cura  di   sua    madre 
eh'  era  una  Salviati.  Questo   giovi- 
ne di  sommo  ingegno    e    di  gran- 
de animo ,  seppe  governare   il  na- 
scente stato,    aumentarlo   di  terri- 
torio specialmente  collo  stato  sane- 
se,  ed  in  mezzo  a  molte  congiure 
e  pericoli,  dopo  aver  vinto  i  fuor- 
usciti   guidati    da  Filippo    Strozzi  , 
nella  battaglia  combattuta  a  Monte- 
murlo    il    primo    agosto    dell'  an- 
no    i53j  ,    ebbe    la    ventura    di 
fondare    la   dinastia    sovrana  nella 
sua  famiglia,  che  dal  grado    duca- 
le fu  innalzata  nel  i56o,  a  quello 
granducale    dal  Pontefice  s.   Pio  V, 
in   benemerenza  precipuamente   dei 
servigi  resi  alla  cristianità  dalle  sue 


FIR  3g 

galere  contro  i  turchi,  nelle  quali 
l' ordine    equestre    de'  cavalieri    di 
s.  Stefano,   da  lui   fondato,  si  rese 
formidabile   e   celebre   per    le   sue 
marittime   imprese.    Non    deve  ta- 
cersi che  il  predecessore  di  s.  Pio  V, 
Pontefice  Pio  IV  Medici  milanese , 
vantandosi    del     ceppo    de'  Medici 
fiorentini,  nel  prodigare  a  Cosimo  I 
i  suoi  favori ,   la  morte    gì'  impedì 
di  conferirgli  il  detto  titolo  di  gran- 
duca;   ciò   che    fece    il    successore 
malgrado  l'opposizione  degli  Esten- 
si e  dell'imperatore  Massimiliano  li. 
Cosimo  I  fabbricò  Porto-Ferraio  nel- 
l'isola dell'Elba,  asciugò  le  campagne 
di  Val    di    Chiana,  e  di  altri  pae- 
si dello    stato ,    e    sebbene  sempre 
inquietato  dai  fuorusciti    fin  presso 
le  mura  della  sua  capitale,  non  vi 
fu    opera    che    intraprendesse,   che 
non    conducesse    a    buon    termine. 
Erede  delle    ricchezze  e  del    genio 
della  sua  famiglia,  fece  magnifiche 
fabbriche  nella  capitale  Firenze,  ed 
abbellì  altre  del    granducato.  Pro- 
tesse i  letterati  e  gli  artisti,  e  sot- 
to il  suo  regno  fiorirono  in  Firen- 
ze   que'  famosi    uomini  ,   che   fe- 
cero stare  in  forse  se  fosse  tornato 
il  secolo  di  Leone  X. 

Cosimo  I  nel  i5y4  rinunziò  il 
regno  a  Francesco  Maria  I  suo  fi- 
glio, cui  nel  1587  successe  Ferdi- 
nando I  suo  fratello ,  avendo  per 
la  di  lui  morte  rinunziato  alla  di- 
gnità cardinalizia.  Questo  grandu- 
ca emulò  la  magnificenza  paterna, 
proteggendo  le  lettere  e  gli  artisti: 
sotto  di  lui,  e  nel  i6o5,  al  fioren- 
tino Clemente  VIII  successe  Leo- 
ne XI  de'  Medici ,  cugino  di  Cosi- 
mo I,  già  arcivescovo  di  questa  sua 
patria.  Indi  nel  1608  a  Ferdinan- 
do I  gli  successe  il  figlio  Cosimo  II; 
a  questi  nel  1621  Ferdinando  II, 
principe    virtuoso    e    magnanimo, 


4o  FIR 

che  si  distinse  per  l'amore  ai  suoi 
popoli,  specialmente  nelle  pestilen- 
ze del  i63o  e  i633  che  furono  le 
ultime  a  travagliare  Firenze:  que- 
ste pestilenze  furono  descritte  da 
Francesco  Bandinelli,  e  stampate 
in  Firenze  dal  Landini  nel  1634. 
Suo  figlio  Cosimo  III  nel  1670  eb- 
be a  succedergli,  ma  dissimile  dal 
genitore,  rese  malcontenti  i  suddi- 
ti; i  contrasti  con  la  moglie  Mar- 
gherita d'Orleans  portarono  la  lo- 
ro separazione,  ed  accelerarono  il 
termine  di  questa  dinastia.  Nel  suo 
regno  Cosimo  III  ebbe  il  dispiace- 
re di  veder  morire  senza  eredi  Fer- 
dinando suo  figlio ,  principe  che 
dava  le  più  belle  speranze.  Nel 
1 709  diede  moglie  al  suo  vecchio 
fratello  Francesco  Maria,  che  per- 
ciò rinunziò  la  porpora  di  cardi- 
nale, ma  non  ebbe  figli.  II  suo  se- 
condogenito Giovanni  Gastone  che 
erasi  ammogliato  in  Germania , 
però  diviso  dalla  moglie,  gli  suc- 
cesse al  trono ,  ma  sempre  visse 
malato  ed  angustiato  sin  al  1737, 
nella  quale  epoca  cessò  di  vivere, 
terminando  in  lui  l' augusta  e  ri- 
nomata famiglia  de'  Medici ,  meno 
il  ramo  stabilito  in  Napoli  de'  prin- 
cipi di  Ottajano.  Nel  1730  salì  al 
pontificato  il  fiorentino  Clemente 
XII  Corsini,  che  regnò  sino  al  1 740. 
La  Toscana  per  i  trattati  tra  le 
grandi  potenze  europee  passò  nel 
1731  all'infante  di  Spagna  Carlo 
di  Borbone,  ma  poscia  fu  in  vece 
data  nel  1737  a  Francesco  di  Lo- 
rena, duca  di  Bar,  che  aveva  spo- 
sata l' arciduchessa  Maria  Teresa 
d'Austria ,  figlia  ed  erede  dell'  im- 
peratore Carlo  VI,  che  fu  poi  di- 
chiarata imperatrice,  assumendo  il 
granduca  Francesco  li,  nel  174^,  il 
titolo  e  la  dignità  d'imperatore,  ma 
col  nome  di  Francesco  I.  Da  questi 


FIR 
ebbe  principio  la  dinastia  austriaca- 
lorenese,  che  domina  tuttora  nella 
Toscana.  Nel  1765  divenne  grandu- 
ca -il  figlio  Pietro  Leopoldo  I,  che 
nel  1790  abdicò  per  essere  stato 
eletto  imperatore.  Il  suo  secondo- 
genito Ferdinando  III  lo  successe 
nel  granducato  :  sotto  di  lui  Pio 
VI  detronizzato  dagli  invasori  fran- 
cesi fu  a'  20  febbraio  1  798  strap- 
pato da  Roma,  e  portato  prigione 
a  Siena,  ove  il  terremoto  die  gra- 
ve scossa.  Giuntane  la  notizia  a 
Ferdinando  III ,  spedì  a  Roma  il 
suo  maggiordomo  Manfredini  al  ge- 
nerale Saint-Cyr ,  proponendogli  di 
far  trasferire  il  Pontefice  nella  Cer- 
tosa di  Firenze,  della  quale  si  fe- 
ce cenno  al  volume  XI,  pag.  102 
del  Dizionario.  Convenendovi  il 
generale  francese,  Pio  VI  il  primo 
di  giugno  fu  portato  nella  Certo- 
sa, ed  ivi  subito  fu  a  visitarlo  Fer- 
dinando III,  confortandosi  scambie- 
volmente sui  comuni  disastri,  ed  a 
soffrire  le  avversità  che  si  presagi- 
vano. Il  principe  più  volte  visitò 
il  Papa  nella  sua  dimora  nella 
Certosa,  preveniva  i  di  lui  bisogni, 
e  gli  procurava  ogni  comodità  e 
religiosa  soddisfazione. 

Intanto  Firenze  era  divenuta  nel 
1 799  ricovero  ad  altri  monarchi 
detronizzati.  Carlo  Emmanuele  IV 
re  di  Sardegna  fu  costretto  ad  ab- 
bandonar la  sua  reggia  di  Torino, 
ed  a  passare  in  Sardegna  colla  re- 
gina sua  moglie ,  la  ven.  Maria 
Adelaide  Clotilde  di  Borbone,  sorel- 
la del  decapitato  Luigi  XVI ,  e  di 
madama  Elisabetta.  Questi  princi- 
pi furono  da  Ferdinando  III  con- 
dotti a  Pio  VI,  ed  il  loro  incon- 
tro e  colloquio  riuscì  veramente 
tenero.  Temendo  però  il  direttorio 
francese  sulla  dimora  del  Papa  nel- 
la Toscana,  e  vicino  a  Roma,  co- 


F 1  R 

me  cagione  di  qualche  rovescio  ili 
guerra  ,  risolse  di  condurlo  nel 
cuore  della  Francia ,  mentre  nulla 
evirando  la  neutralità  pattuita  con 
Ferdinando  III,  lece  entrare  le  sue 
annate  in  Firenze ,  intimando  al 
sovrano  la  partenza  dai  suoi  sfati, 
per  cui  il  granduca  dovè  colla  fa- 
miglia reale  passare  in  Germania. 
Dopo  tal  partenza  il  general  Gaul- 
tier,  ed  il  ministro  Rheynard,  che 
avevano  assunto  il  comando  della 
Toscana,  si  presentarono  a  Pio  VI 
nella  Certosa ,  e  con  a^pri  modi 
gì'  intimarono  di  prepararsi  ad  ab- 
bandonare quel  tranquillo  soggior- 
no, che  dovette  lasciare  a'  17  mar- 
zo 1799  ,  dopo  aver  dimorato  nel 
sacro  recinto  nove  mesi  e  ventolto 
giorni.  Valenza  di  Francia  fu  il 
luogo  ove  ebbero  termine  i  pati- 
menti di  Pio  VI,  perchè  ivi  a'  29 
agosto  1799  terminò  di  vivere. 
Pio  VII,  che  gli  successe,  avendo  do- 
mandato alla  Francia  il  di  lui  ve- 
nerando cadavere,  questo  nel  pas- 
saggio della  Toscana  fu  per  tutto 
ricevuto  onorevolmente,  e  con  di- 
vozione :  ma  appena  i  certosini  di 
Firenze  ne  appresero  la  morte ,  in 
attcstato  di  gratitudine  alla  singo- 
lare benignità  con  cui  erano  stati 
trattati  dal  defunto  gli  eressero  sul- 
la porla  principale  ove  abitò,  un 
busto  marmoreo  scolpito  dal  Belli, 
con  analoga  iscrizione,  ed  a'  16  gen- 
naio 1800  gli  celebrarono  solenni 
esequie  ,  nelle  quali  cantò  la  mes- 
sa monsignor  Eunnanuele  De  Gre- 
gorio allora  nunzio  di  Firenze,  poi 
amplissimo  cardinale. 

Intanto  la  Toscana  dopo  le  tem- 
pestose reazioni  del  1800,  fu  nel 
seguente  anno  eretta  in  regno  di 
Etruria  a  favore  di  Lodovico  I 
di  Borbone,  duca  di  Parma,  cui 
successe    Carlo    Lodovico  ,    odier- 


FIR  4* 

no  duca  di  Lucca,  sotto  la  reggen- 
za della  madre  Maria  Luisa  sino 
al  1 807  ,  dopo  la  deposizione  di 
Ferdinando  111  che  divenne  in  ve- 
ce duca  di  Salisburgo,  e  poi  gran- 
duca di  Vurtzburgo.  Mentre  era 
regina  di  Etruria  Maria  Luisa,  due 
•volte  Pio  VII  onorò  di  sua  pre- 
senza Firenze,  cioè  nel  viaggio  che 
fece  a  Parigi.  A'  5  novembre  1804 
giunse  il  Papa  alla  villa  reale  pres- 
so s.  Casciano,  alla  cui  porta  ritro- 
vò la  detta  piissima  regina  reggen- 
te; quindi  alla  chiesa  di  s.  Gaggio, 
un  miglio  distante  dalla  città  ven- 
ne incontrato  dal  conte  Selvatico, 
da  molta  nobiltà,  dall'uflìzialilà  ma  2- 
gioie,  e  dalle  mute  di  corte,  nelle 
quali  salì  il  Papa  col  suo  seguito 
dopo  aver  fatto  breve  orazione  in 
chiesa.  Giunto  in  Firenze  smontò 
dinanzi  alla  chiesa  di  s.  Spirito  ,  la 
quale  era  perciò  magnificamente,  e 
con  vaghezza  illuminata:  ivi  fu  ri- 
cevuto dall'  arcivescovo  Martini  in 
piviale ,  e  da  sei  vescovi  che  por- 
tavano le  aste  del  baldacchino  sot- 
to di  cui  fu  accolto.  Nella  chiesa 
si  cantò  con  solennità  il  Te  Deum3 
assistendovi  in  coretto  la  regina 
coli' infante  Carlotta  sua  figlia,  e 
colle  sue  dame  di  corte ,  la  quale 
dopo  la  benedizione  data  dall'arci- 
vescovo col  ss.  Sagramento  espo- 
sto, partì  subito  per  ricevere  nel 
suo  palazzo  il  capo  augusto  della 
Chiesa.  Esso  vi  giunse  tra  la  lieta 
moltitudine,  il  festivo  suono  delle 
campane  ,  e  il  fragore  delle  salve 
di  artiglieria  a  due  ore  di  notte. 
Nel  dì  seguente  alle  ore  undici  an- 
timeridiane, Pio  VII  cresimò  il  det- 
to re  Carlo  Lodovico  nella  cap- 
pella eretta  nella  gran  sala  degli 
stucchi  ,  facendole  da  padrino  per 
volere  della  regina  il  cardinal  An- 
tonelli,  come  il  più  anziano  de'  por- 


4-i  FIR 

poratì  che  accompagnavano  il  som- 
mo Pontefice.  Dopo  questa  sagra 
funzione  il  Papa  ammise  alla  sua 
presenza ,  ed  al  bacio  del  piede 
tutta  la  nobiltà  di  Firenze;  in- 
di avendo  assunto  gli  abiti  pon- 
tificali, dalla  loggia  del  palazzo  Pit- 
ti ,  tra  le  acclamazioni  divole  del- 
l' immenso  popolo  fiorentino,  com- 
parti a  tutti  T  apostolica  benedi- 
zione. Nelle  ore  pomeridiane  Pio 
VII  in  compagnia  dei  cardina- 
li Antonelli  e  Borgia  salì  in  una 
muta  di  corte,  e  seguito  dai  pre- 
lati maggiordomo,  maestro  di  ca- 
mera ,  sagrista  ed  altri  di  sua 
corte,  col  duca  Braschi,  e  il  prin- 
cipe Altieri  capitani  delle  guar- 
die nobili  pontificie ,  si  trasferì  al 
monistero  delle  monache  di  s.  Ma- 
ria Maddalena,  scortato  dalle  sue 
guardie  nobili ,  e  da  un  distacca- 
mento di  cavalleria  regia.  Si  tro- 
varono a  riceverlo  la  regina,  ed  il 
nunzio  monsignor  Morozzo ,  poi 
cardinale,  e  visitò  i  corpi  di  s.  Ma- 
ria Maddalena  de'  Pazzi ,  e  della 
beata  Maria  Bagnesi  ;  quindi  il  Pa- 
pa ammise  al  bacio  del  piede  tut- 
te quelle  monache,  e  le  educande 
che  vi  si  erano  trasferite  da  due 
conservatorii ,  ed  alcune  signore. 
Nella  sera  fu  illuminato  splendida- 
mente il  palazzo  reale,  non  che 
tutta  la  città,  e  vi  fu  il  circolo  a 
corte.  Nella  seguente  mattina  la  re- 
gina, come  nella  precedente,  col  re 
suo  figlio ,  e  coli'  infante  Carlotta 
sua  figlia,  ora  duchessa  vedova  di 
Sassonia,  ascoltarono  la  messa  del 
Pontefice,  insieme  al  nunzio  di  Fi- 
renze, a  molti  vescovi,  e  magnati 
del  regno.  Indi  tra  le  più  di  vote 
dimostrazioni  de'  fiorentini,  il  Papa 
continuò  il  suo  viaggio  per  Pa- 
rigi ,  ed  in  Pistoia  ricevette  la 
grata    e    inaspettata     visita     della 


FIR 

medesima  regina  reggente  di  E- 
truria. 

Ritornando  Pio  VII  a  Roma , 
giunse  di  nuovo  a  Firenze  a'  6 
maggio  i8o5,  al  confine  del  cui 
territorio,  come  nella  precedente 
gita,  per  parte  della  regina  Maria 
Luisa  fu  ad  incontrarlo  il  senato- 
re Salvelti,  le  guardie  nobili  ed  il 

corriere.  Alla  real    villa  di   Caffàs- 

o 

giolo  la  regina  ricevette  con  osse- 
quio il  Papa,  ed  insieme  desinaro- 
no. L' arrivo  del  Pontefice  a  Fi- 
renze fu  preceduto  da  quello  del- 
la regina,  e  nell'avvicinarsi  sull'  im- 
brunir della  sera  alla  città,  il  Papa 
trovò  le  carrozze  di  corte  su  cui 
ascese  col  pontificio  corteggio,  ed 
ammirò  poi  Io  spettacolo  clie  pre- 
sentava Firenze  tutta  riccamente 
illuminata.  Pio  VII  smontò  alla 
chiesa  di  s.  Maria  Novella  decoro- 
samente illuminata  ,  ricevuto  dal- 
l'arcivescovo, dal  clero,  dalla  pri- 
maria nobiltà  ed  uffizialità:  fu  can- 
tato l' inno  della  riconoscenza  ,  e 
data  la  benedizione  col  Venerabile. 
Terminato  ciò,  il  Papa  rimontò  in 
carrozza  coi  cardinali  Antonelli 
e  di  Pietro ,  e  si  condusse  al  pa- 
lazzo Pitti,  ch'era  superbamente  il- 
luminato, ed  ove  con  tutta  la  cor- 
te la  regina  in  cima  alle  scale  ri- 
cevette Pio  VII ,  e  nei  tre  giorni 
che  questi  si  fermò  in  Firenze  pran- 
zarono insieme.  In  questa  dimora 
il  Papa  visitò  diverse  chiese  e  ino- 
nisteri,  ove  sempre  si  trovò  ad  os- 
sequiarlo la  regina.  Nella  mattina 
dei  9  maggio  celebrò  la  messa  al- 
l' altare  della  ss.  Annunziata  nel- 
la chiesa  dei  servi  di  Maria,  am- 
ministrando con  generale  edificazio- 
ne la  comunione  alla  pia  sovrana; 
poscia  cogli  abiti  pontificali,  da  un 
loggiato  del  palazzo  decorosamente 
parato,  il  Papa  die  al  foltissimo  ed 


FIR 

esultante  popolo  l'apostolica  bene- 
dizione :  la  regina,  la  corte,  la  pri- 
maria nobiltà  e  il  corpo  diploma- 
tico la  ricevettero  sotto  un  padi- 
glione nel  vicino  terrazzo.  Nella 
mattina  de'  io  maggio  Pio  VII  par- 
tì da  Firenze  per  Arezzo ,  e  per 
Roma.  Nell'anno  1807  l'imperato- 
re Napoleone  privò  del  regno  di 
Etruria  la  dinastia  borbonica  di 
l'arma,  riunì  la  Toscana  all'impero 
francese,  ne  formò  i  tre  diparti- 
menti dell'Arno,  del  Mediterraneo 
e  dell'  Ombrone  ,  mentre  ne  fece 
granduchessa  la  propria  sorella  E- 
lisa,  sovrana  di  Lucca  e  Piombino, 
e  moglie  del  principe  Felice  Ba- 
ciocchi.  Anche  Pio  VII  non  tardò 
ad  essere  dall'  imperatore  detroniz- 
zato, venendo  portato  via  da  Ro- 
ma a'  6  luglio  1809  precipitosa- 
mente, per  cui  grandi  furono  i  pa- 
timenti del  Papa,  sì  perchè  ebbe  a 
rovesciarsi  la  carrozza  vicino  a  Pog- 
gibonzi,  come  ancora  per  essere  sta- 
to rinchiuso  in  una  carrozza  nella 
stagione  più  calda,  onde  fu  assalito 
in  viaggio  da  una  violenta  colica. 
In  tale  abbattimento  di  forze  Pio 
VII  fece  il  viaggio,  ed  agli  8  giun- 
se alla  Certosa  di  Firenze ,  ove 
prese  alcune  ore  di  riposo,  ma  fu 
impedito  a  quegli  esemplari  reli- 
giosi di  parlargli.  Colà  fu  alloggia- 
to nell'appartamento  stesso,  dove 
dieci  anni  prima  era  stato  tenuto 
in  ostaggio  Pio  VI;  e  riposò  sopra 
quel  letto  medesimo  usato  dal  pre- 
decessore. Nel  dì  seguente  di  buon 
mattino  si  portò  alla  Certosa  il  ge- 
neral Mariotti  da  parte  della  gran- 
duchessa Elisa  per  dire  al  Papa, 
che  attese  le  attuali  circostanze  do- 
veva subito  tirare  innanzi  nel  viag- 
gio di  Pisa,  siccome  fece,  venendo 
diviso  dal  cardinal  Bartolomeo  Pac- 
ca, col  quale  era  partito  da  R.oma. 


FIR  43 

Questo  temperamento  la  duchessa 
lo  prese,  perchè  allarmata  del  po- 
polare di  voto  movimento  per  dove 
era  passato  il  Papa,  rifiutossi  ve- 
gliare sopra  un  deposito  sì  perico- 
loso, che  atterriva  come  l'arca  por- 
tata in  trionfo  dai   filistei. 

Quando  poi  col  termine  della  po- 
tenza di  Napoleone  le  cose  pubbli- 
che si  ricomposero,  tornò  il  grandu- 
ca Ferdinando  III  nel  1814  a  feli- 
citare i  fiorentini  ed  i  suoi  stati  ;  e 
tranne  l'inconsiderato  movimento  del 
re  Murat,  nulla  turbò  il  pacifico  suo 
vivere.  Avendo  Napoleone  evaso 
dall'isola  dell'Elba,  ov'era  stato  con- 
finato, ed  approdato  in  Francia  per 
impadronirsi  di  quel  trono ,  da 
cui  era  stato  deposto ,  credè  be- 
ne Pio  VII  di  porsi  in  luogo  di 
sicurezza,  partendo  da  Roma  ai 
22  marzo  del  i8i5_,  seguito  dal 
sacro  collegio ,  e  dal  corpo  diplo- 
matico. Approssimandosi  a  Firenze 
trovò  alla  distanza  di  tre  miglia  il 

o 

gran  ciamberlano  del  granduca , 
una  carrozza  di  corte ,  ed  un  nu- 
mero di  persone  del  real  servigio 
con  torcie  accese  per  accompagnar- 
lo. Con  esse  entrò  nella  città  a  tre 
ore  di  notte  de'  20  marzo,  in  mez- 
zo a  numerosissimo  popolo  che 
aveva  illuminate  le  vie.  Il  clero  in 
abiti  sagri  lo  ricevè  all'  ingresso 
della  città  fra  il  suono  delle  cam- 
pane ,  lo  sparo  de'  mortari ,  e  gli 
evviva  di  tutti.  Fermatasi  la  car- 
rozza al  palazzo  Pitti ,  il  grandu- 
ca scese  ad  aprirne  lo  sportello , 
co'  più  sinceri  ed  ossequiosi  atte- 
stati di  cordiale  ospitalità;  indi  ac- 
compagnò il  Papa  al  preparato  ap- 
partamento. Il  giorno  seguente  es- 
sendo la  solennità  di  Pasqua  di 
Risurrezione,  Pio  VII  celebrò  la 
messa  nella  cappella  di  corte,  alla 
quale   assistè   Ferdinando  III  ed  il 


4i  FiR 

suo  nobile  corteggio ,  e  nel  decor- 
so della  giornata  ammise  alla  sua 
presenza  ed  al  bacio  del  piede  il 
pUro ,  la  nobiltà ,  e  comparti  piti 
volte  la  benedizione  al  popolo  fio- 
i-entino,  massime  verso  il  mezzodì 
in  cui  sulla  piazza  si  trovò  il  po- 
polo eziandio  delle  vicine  campa- 
gne, perchè  monsignor  vicario  ar- 
civescovile avea  notificato  al  pub- 
blico cotal  benedizione  papale.  Ce- 
dendo il  Papa  alle  istanze  del  so- 
vrano ,  ed  ai  voti  de'  suoi  sudditi 
si  trattenne  in  Firenze  pure  nel 
seguente  giorno,  e  con  mula  di  cor- 
te si  portò  ad  un  monistero  di  da- 
me, chiamato  la  Quiete,  tre  miglia 
distante,  e  nella  sera  provò  la  sod- 
disfazione di  vedersi  raggiunto  dal 
cardinal  Bartolomeo  Pacca  camer- 
lengo, e  suo  pro-segretario  di  stato. 
La  mattina  del  28  il  Pontefice  ce- 
lebrò la  messa  nella  chiesa  della 
ss.  Annunziata,  partendo  la  sera 
per  Livorno,  dopo  i  più  affettuosi 
abbracciamenti  seguiti  con  Ferdi- 
nando III. 

Debellato  nuovamente  Napoleo- 
ne, e  rilegato  nell'isola  di  s.  Ele- 
na, il  Papa  si  dispose  a  fare  ritor- 
no alla  sua  capitale,  e  sentendo  il 
granduca  che  si  avvicinava  alla 
Toscana,  spedi  ad  incontrarlo  alle 
frontiere  i  due  ciamberlani  cava- 
lier  Ferdinando  Riccardi ,  ed  il 
priore  Leopoldo  Ricasoli.  A'  27 
inaggio  Pio  VII  entrò  in  Pistoia  , 
ed  a'  29  passò  Prato  donde  si  re- 
cò a  Firenze  ove  giunse  alle  ore 
nove.  Fuori  della  porta  di  Prato 
si  trovò  a  riceverlo  colle  carrozze 
di  corte  il  gran  ciambellano  Ame- 
rigo Antinori.  Ivi  la  famiglia  Ma- 
gi e  Turchini  ebbe  l'onore  per  la 
seconda  volta  di  ricevere  Pio  VII 
nella  propria  abitazione,  allorché 
scese  dal  legno  di  viaggio.  II  suo- 


FIR 

no  di  tutte  le  campane  annunziò 
a  Firenze  V  ingresso  del  sommo 
Pontefice.  Alla  testa  del  corteggio 
precedeva  uno  squadrone  di  dra- 
goni, seguitato  da  un  corpo  di  fu- 
cilieri, quindi  tutto  lo  stato  mag- 
giore della  piazza ,  in  seguito  la 
muta  ov' era  Pio  VII,  e  ai  di  lui 
lati  marciavano  a  cavallo  il  gene- 
ral Bava ,  e  il  tenente  colonnello 
d'Havet:  chiudeva  il  corteggio  al- 
tro distaccamento  di  fanteria.  Per 
la  spontanea  illuminazione  della 
città,  e  per  quei  divoti  fiorentini, 
che  con  torcie  accese  accompagna- 
rono il  Papa  al  palazzo  Pitti,  la 
notte  si  trasformò  in  giorno.  Alla 
chiesa  di  s.  Maria  Novella  super- 
bamente parata  ed  illuminata  si 
diresse  il  corteggio.  Ivi  erano  ad 
attendere  il  Pontefice  gli  arcive- 
scovi e  vescovi  di  Toscana,  il  cle- 
ro di  Firenze,  i  cardinali  Opizzo- 
ni  e  Litja,  e  monsignor  Arezzo  in- 
caricato di  una  commissione  al 
granduca.  Pio  VII  si  recò  ad  ora- 
re avanti  il  ss.  Sagramento  espo- 
sto, e  ne  ricevette  dall'arcivescovo 
di  Firenze  la  benedizione,  dopo  il 
canto  dell'  inno  Te  Deum  con  scel- 
to coro.  Indi  il  corteggio  colla  ban- 
da musicale  si  avviò  al  palazzo 
Pitti,  al  cui  ingresso  riceverono  il 
Papa,  Ferdinando  III  coli' augusta 
famiglia  e  corte,  non  che  il  car- 
dinal Pacca  che  avea  preceduto  il 
suo  arrivo:  l'entusiasmo  e  il  con- 
corso del  popolo  fu  superiore  a 
qualunque  racconto.  Ricorrendo 
nel  dì  primo  di  giugno  l' ottava 
d<'l  Corpus  Domini,  il  Papa  si  portò 
a  dire  messa  in  duomo,  e  a  venerar- 
vi le  ceneri  e  la  testa  di  s.  Zanobi, 
e  poi  passò  nel  capitolo,  e  ammise 
al  bacio  del  piede  i  canonici,  e  il 
clero,  trattenendovisi  in  affabilissi- 
mo colloquio  ;  nel  giorno  tornò  al- 


FIR 

ki  metropolitana  ,  e  accompagnò 
con  torcia  Ja  processione  consueta. 
Nella  seguente  mattina  il  Papa  ac- 
colse benignamente  i  principali  per- 
sonaggi della  città,  e  in  quella  ap- 
presso fu  a  celebrale  la  messa  nel- 
la chiesa  dì  s.  Maria  Madda- 
lena ,  quindi  al  regio  conserva- 
torio di  Ripoli,  e  nelle  ore  po- 
meridiane a  quello  di  s.  Agata  ,  e 
poscia  si  pose  in  viaggio  per  Ro- 
ma. Finalmente  noteremo,  che  alla 
morte  di  Ferdinando  111,  a'  18  giu- 
gno 1824  gli  successe  il  figlio  Leo- 
poldo II  regnante  granduca  :  la  po- 
polazione supera  cento  mila  abi- 
tanti ,  senza  noverare  i  numerosis- 
simi esteri,  che  di  continuo  si  re- 
cano ad  ammirare  Firenze,  che  nel 
secolo  XIV  contava  fra  le  sue  mu- 
ra molto  più  del  doppio  degli  a- 
bitanti,  poiché  nella  pestilenza  del 
i348,  piìi  di  novantasei  mila  in- 
dividui mancarono  alla  sola  Fi- 
renze. 

La  fede  cristiana  sembra  che  sia 
stata  predicata  in  Firenze,  o  dagli 
apostoli,  o  dai  loro  discepoli,  e  si 
conoscono  vari  martiri  fiorentini 
anteriori  all'  epoca  di  Costantino. 
Giovanni  Villani  seguito  da  altri  , 
scrisse  che  s.  Frontino  ,  forse  verso 
l'anno  56,  sotto  l'impero  di  Nerone, 
insieme  a  Paolino,  ambedue  discepo- 
li ili  s.  Pietro,  furono  da  questo  man- 
dati a  promulgare  in  Firenze  la  re- 
ligione di  Gesù  Cristo,  mentre  a 
Fiesole  vi  aveva  inviato  s.  Romolo, 
ordinando  per  primo  vescovo  di 
Firenze  lo  stesso  s.  Frontino  o 
Frentino.  Con  buone  ragioni  il  Bor- 
ghini  alla  pag.  358  del  suo  trat- 
tato Della  chiesa  e  de  vescovi 
fiorentini,  dice  che  ciò  non  si  può 
con  sicuro  fondamento  affermare, 
ed  in  vece  assicura  che  il  primo 
vescovo  di    cui  si  ha    certezza  è  s. 


FIR  45 

Felice,  che  intervenne  l'anno  3i3 
al  concilio  romano  celebrato  da 
s.  Melcbiade,  soggiungendosi  dal 
p.  Richa,  Notizie  isteriche  ec.  toni. 
VI,  pag.  267,  che  tutta  volta  Fi- 
renze può  gloriarsi  essere  la  prima 
delle  città  toscane ,  che  avesse  il 
suo  vescovo,  imperciocché  ne  Pisa, 
né  Siena,  né  Fiesole,  né  Chiusi, 
né  altre  città,  stando  a  documen- 
ti autorevoli,  non  hanno  avuto  un 
vescovo  prima  del  quarto  secolo , 
ed  alcune  anche  più  tardi.  A  ca- 
gione delle  irruzioni  degli  unni , 
de'goti,  e  di  altri  barbari,  diverse 
città  toscane  rimasero  colla  chiesa 
senza  pastore ,  o  col  pastoie  senza 
gregge.  La  prima  lacuna  della  se- 
de fiorentina  fu  di  quasi  cento  an- 
ni, vale  a  dire  dopo  il  vescovo  An- 
drea mancato  alla  metà  del  quinto 
secolo,  sino  a  s.  Maurizio  martiriz- 
zato nel  55o  dai  soldati  di  Totila. 
Dopo  questo  martire  abbiamo  la 
seconda  interruzione  ancor  piìi  lun- 
ga della  prima,  non  trovandosi  ve- 
scovi sino  al  676,  nel  quale  si  ha 
Reparato  sottoscritto  nel  concilio 
romano  sotto  Agatone,  ed  a  Repa- 
ralo si  trova  immediato  successore 
Specioso  nel  724.  Tommaso  fu  ve- 
scovo nell'anno  743,  e  Rambaldo 
nell'  826  :  le  sedi  vacanti  posterio- 
ri avvennero  per  qualche  difficoltà 
insorta  nell'elezione  del  vescovo,  o 
per  dissensione  negli  elettori.  Fu  im- 
memorabile privilegio  dei  canonici 
della  cattedrale  di  Firenze  l'elezio- 
ne del  proprio  vescovo  sino  a  Cle- 
mente VI,  coll'approvazione  dell'e- 
letto dipendente  dal  Papa.  Ma  aven- 
do i  canonici  eletto  nella  sagrestia 
della  canonica  nel  1 34 1  in  succes- 
sore al  vescovo  Silvestri  il  priore 
Filippo  d'Antella,  nominarono  quin- 
di due  deputati  a  Benedetto  XII 
per    la    pontificia    approvazione ,    i 


46  Firn 

quali    Io    trovarono    morto     ed     in 
vece  creato  Clemente    VI  ,  che  con 
bolla  elesse  in   vescovo    di  Firenze 
fr.   Angelo    Acciaiuoli  ,   dichiarando 
nulla    1'  elezione    dell'  Antella  ,    to- 
gliendo per    sempre    al    capitolo   il 
privilegio  di  eleggere  il  suo  pasto- 
re. In  seguito  la  repubblica  fioren- 
tina principiò    a  supplicare  i  Papi 
per  soggetti  nazionali  e  degnissimi, 
a  mezzo  de' suoi  oratori  in  Roma. 
L' arcivescovo    di    Firenze     gode 
singolari   onori     e  prerogative,  co- 
me il  titolo  illustre  di  principe  del 
sagro  romano  impero,   che  meritò 
il    primo    per  sé  e  suoi    successori 
il  vescovo    Pietro    Corsini  dall'  im- 
peratore  Carlo  IV  nel  1  364-  H  se- 
condo   segnalato    onore    fatto    alla 
chiesa    fiorentina    fu    l' essere  stata 
innalzata  al  grado    di  metropolita- 
na da    Martino  V    nel    i42°>  a'  2 
maggio,  riconoscente  quel  Papa  alla 
graziosa  accoglienza ,  ed  ai  moltis- 
simi    contrassegni    di    filiale  alletto 
fattigli    dalla    repubblica  fiorentina 
nel  di  lui  grato    soggiorno    in  Fi- 
renze ;  attribuendogli  per  suffraga- 
ne!  i  vescovi    di  Fiesole    e    di  Pi- 
stoia.  In  progresso    simili  suffraga- 
ne! si    accrebbero ,    e  Comman ville 
registra    per  tali   i  vescovi    di  Fie- 
sole ,    Borgo    s.  Sepolcro ,    Pistoia , 
Prato,  Arezzo,  Montepulciano,  Cor- 
tona, San  Miniato  al  tedesco,  Col- 
le, e  Volterra,  cioè  nella  provincia 
fiorentina,  giacché  nota  di  esenzio- 
ne Arezzo,  Cortona,  Montepulcia- 
no, Colle,  e  Volterra.    Al  presente 
cinque    sono   i    vescovi    suffraganei 
dell'arcivescovo  di  Firenze,  cioè  di 
Borgo  s.  Sepolcro,    Colle,  Fiesole , 
Pistoia  unita  a  Prato,  e  s.  Miniato 
al  tedesco.    Il  Papa  Leone  X  con- 
cedè   all'  arcivescovo    di  Firenze   il 
privilegio  di  vestire   di   porpora  in 
alcune  solennità  dell'anno.  E  tra  le 


FIR 

molte  altre  onoranze  non  è  da  o- 
mettersi  quella  ormai  da  lungo 
tempo  cessata ,  usata  nel  possesso 
de' nuovi  vescovi,  nella  chiesa  delle 
monache  benedettine  di  s.  Pier  Mag- 
giore, la  quale  funzione  è  descritta 
p.  Richa  nel  t.  I,  p.  124  e  seg-5  Pc' 
suoi  particolari  pregi  di  antichità  , 
e  per  quelli  del  suo  clero  ;  laon- 
de questa  chiesa  (rovinata  nel  1772, 
e  quindi  soppresso  il  convento  )  nel 
possesso  de'  nuovi  arcivescovi  era  la 
prima  a  ricevere  in  città  il  suo  pa- 
store, il  quale  nel  suo  solenne  in- 
gresso facendo  la  prima  visita  a 
questa  chiesa,  dal  suo  priore  e  cap- 
pellani era  servito  in  tutte  le  sue 
funzioni  ecclesiastiche,  e  dai  mede- 
simi collocato  in  un  trono  a  tal  fi- 
ne al  vescovo  alzato,  e  con  quel 
cerimoniale  stabilito  nel  i385  dal- 
la signoria.  Le  principali  cose  del 
cerimoniale  consistevano  come  se- 
gue. 

I  guardiani,  o  custodi,  o  visdo- 
mini  del  vescovato  e  chiesa  fioren- 
tina con  corone  di  erbe  in  capo, 
con  guanti  e  bastoni  si  recavano 
alla  porta  della  città  per  la  quale 
doveva  fare  il  pubblico  ingresso  il 
vescovo,  che  ivi  trova  vasi  vestito 
de'  sagri  paramenti.  Indi  portavansi 
ad  ossequiare  il  vescovo,  il  magi- 
strato della  città,  ed  i  cleri  seco- 
lari e  regolari,  le  croci  de'  quali 
venivano  baciate  dal  vescovo.  Al- 
lora incominciava  la  processione  in 
cui  il  vescovo  cavalcava  sotto  pa- 
lio o  baldacchino,  le  cui  aste  sos- 
tenevano i  medesimi  guardiani , 
preceduto  da  un  canonico  a  ca- 
vallo, che  vestito  di  camice  o  di 
altro  paramento,  pollava  in  mano 
il  pastorale  vescovile.  Il  cavallo, 
mula,  o  chinea  veniva  addestrata 
dai  guardiani;  e  giunto  alla  porta 
della  chiesa,  discendeva  il  vescovo 


FIR 

dal  cavallo,  e  subito  i  guardiani 
(altri  dicono  gli  uomini  della  fami- 
glia Strozzi)  saccheggiavano  i  lini- 
menti e  sella  del  cavallo,  ch'erano 
ricchissimi,  ed  il  cavallo  cos'i  nudo 
restava  all' abbadessa  e  monache 
benedettine  del  monistero  di  s.  Pier 
Maggiore.  11  vescovo  entrando  in 
chiesa  veniva  incensato  ed  asper- 
so di  acqua  benedetta  dai  sacer- 
doti e  priore  della  medesima  ;  po- 
scia recavasi  ad  orare  avanti  l'al- 
iar maggiore,  e  veniva  accompa- 
gnato ad  un  palco  ove  1.'  attende- 
vano l' abbadessa  colle  monache, 
ponendosi  a  sedere  su  sedia  ricca- 
mente parata ,  mentre  quella  per 
la  badessa  era  di  nobile  drappo  di 
velluto  verde,  ed  ambedue  sotto 
baldacchino  ricchissimo  di  tela  d'o- 
ro. Dopo  questa  insediazione,  l'ab- 
badessa  si  prostrava  dinanzi  al  ve- 
scovo, che  la  faceva  sedere  alla  sua 
destra  in  detta  chiesa,  ed  alla  pre- 
senza delle  monache  e  di  tutti  gli 
spettatori  seguiva  lo  sposalizio  del 
vescovo  colla  badessa  ,  figurandosi 
quello  del  nuovo  pastore  colla  chie- 
sa fiorentina.  Perciò  il  vescovo  po- 
neva un  anello  d'oro  con  ricco  dia- 
mante, zaffiro  o  altra  gemma  in 
dito  all'abbadessa,  la  cui  mano  ve- 
niva sostenuta  dai  suoi  parenti  o 
dai  più  vecchi  della  parrocchia.  La 
badessa  rendeva  grandissime  grazie 
al  vescovo,  e  poi  caldamente  gli 
raccomandava  la  chiesa  fiorentina, 
quella  di  s.  Pier  Maggiore,  e  il  suo 
monistero  ;  baciatagli  la  mano,  e 
ricevuta  l'episcopal  benedizione  si 
ritirava  dalla  parte  del  coro.  Tutte 
le  monache  con  velo  nero  e  bian- 
co portavansi  a  baciar  la  mano  al 
vescovo,  ed  a  riceverne  la  sua  par- 
ticolare benedizione.  Dopo  di  che 
il  vescovo  si  alzava,  benediceva  il 
popolo,  pubblicava   la    perdonanza, 


FIR  47 

e  passava  a  desinare  in  una  ca- 
mera del  contiguo  monistero,  con 
quattro  canonici,  col  priore,  cap- 
pellani, guardiani,  e  l' abbadessa, 
rimanendo  ivi  pure  a  dormire.  Nel- 
la seguente  mattina  il  vescovo  por- 
tavasi colla  stessa  formalità  alla 
cattedrale  di  s.  Reparata,  ove  do- 
po l' orazione  si  poneva  a  sedere 
sulla  sedia  a  modo  d' insediazione 
ed  istallazione.  Indi  i  guardiani 
l'accompagnavano  alla  chiesa  di  s. 
Gio.  Battista,  ove  seguiva  la  terza 
insediazione,  celebrando  poscia  la 
messa,  dopo  la  quale  i  guardiani 
giuravano  fedeltà  ,  vassallaggio ,  e 
guardianeria,  e  restavano  secolui  a 
desinare,  tornando  poscia  alle  loro 
case.  Giunto  il  vescovo  all'  episco- 
pio, riceveva  il  ricco  letto  con  tutti 
i  suoi  fornimenti  di  gran  valore, 
ove  aveva  dormito,  per  donativo 
dell'abbadessa.  Tali  erano  le  anti- 
che solennità  dei  possessi  de'  ve- 
scovi ed  arcivescovi  di  Firenze,  pre- 
scritte dalla  signoria  e  repubblica 
fiorentina,  ed  il  p.  Richa  ne  tratta 
al  citalo  tom.  I,  pag.  i32  e  seg., 
cioè  dello  sposalizio  ;  ed  il  p.  Pie- 
tro Ricordati  neWIstoria  monasti- 
ca a  pag.  368.  In  progresso  di 
tempo  il  pranzo  e  la  dormita  furono 
tolti,  e  si  lasciò  sussistere  il  solo 
sposalizio  in  chiesa;  indi  anche  que- 
sto rito  fu  in  appresso  abolito  da 
Gregorio  XIII,  essendo  stato  1'  ul- 
timo quello  figurato  dall'arcivesco- 
vo Altoviti,  collabbadessa  suor  Bri- 
gida Albizii,  secondo  le  testimonian- 
ze di  Modesto  Rastrelli,  nel  tom. 
II,  pag.  ig  della  Storia  di  Ales- 
sandro de'  Medici,  Firenze  1781. 
Dal  can.  Domenico  Moreni  fu  pub- 
blicato il  libro:  De  ingressu  Anlo- 
nii  A Uovi ti  archiepisc.  Fiorentini, 
historica  descriplio  incerti  auctoris, 
Florentiae   1 8 1 5. 


48  F 1 R 

Seguendo  l'ordine  tenuto  dal  p. 
Ridia,  registreremo  i  vescovi  ed 
arcivescovi  di  Firenze  santi.  Ponte- 
fici, cardinali,  ed  altri  celebri.  Seb- 
bene tal  dotto  scrittore,  non  con- 
viene, come  si  disse,  sull'episcopato 
di  s.  Frontino,  pure  facendosene 
memoria  a'  i5  ottobre  in  vari  mar- 
tirologi, da  lui  incomincia  le  noti- 
zie sui  vescovi  ed  arcivescovi  santi. 
Si  celebra  pertanto  lo  strepitoso 
miracolo  di  avere  Iddio  per  suo 
mezzo  e  col  bastone  di  s.  Pietro 
risuscitato  certo  Gregorio,  o  Gior- 
gio, come  scrisse  Francesco  Maria 
Fiorentine,  De  sacra  Etruriae  an- 
tiauitate:  il  Baronio  attribuisce  tal 
miracolo  a  s.  Marziale,  altro  di- 
scepolo di  s.  Pietro.  Quindi  si  fa 
memoria  di  s.  Felice  prete  e  ve- 
scovo fiorentino,  il  quale  dilatò  la 
fede  in  Firenze  con  la  predicazio- 
ne, dottrina  e  santità  de'  suoi  co- 
stumi. Noteremo  qui,  che  il  Vet- 
tori dice  che  i  fiorentini  abbrac- 
ciarono la  fede  cattolica  in  tempo 
di  s.  Silvestro  I,  che  nel  3 1 3  suc- 
cesse nel  pontificato  di  s.  Melchia- 
de,  a'  tempi  appunto  di  s.  Felice. 
Aggiunge  il  medesimo  Vettori,  che 
volendosi  sapere  in  quale  epoca  la 
città  di  Firenze  assumesse  per  suo 
padrone,  protettore ,  e  tutelare  il 
glorioso  s.  Gio.  Battista,  può  ap- 
prendersi da  Giovanni  Villani,  il 
quale  nella  par.  I,  lib.  I,  cap.  IX 
della  Storia,  scrive  che  appena  ab- 
bracciarono i  fiorentini  il  cristia- 
nesimo, che  convertirono  il  culto 
di  Marte  in  quello  di  s.  Giovanni; 
ed  allora  in  vece  di  quell'abbomi- 
nevole  tempio  dedicato  a  Marte, 
uno  ne  consagrarono  a  Dio  in  ono- 
re di  s.  Gio.  Battista,  e  chiama- 
ionio  duomo  di  s.  Giovanni,  or- 
dinando che  si  celebrasse  la  festa 
il  dì  della  sua  natività  con  solenni 


FIR 

oblazioni.  E  nel  cap.  LIX  asseri- 
sce lo  stesso  Villani,  clic  circa  l'an- 
no 3  20,  nel  pontificato  di  s.  Sil- 
vestro I,  abbandonata  la  paganica 
superstizione,  la  legge  di  Cristo  fu 
abbracciata  ;  onde  a  quel  tempo  si 
deve  riferire  la  consagrazione  del 
suddetto  tempio  di  Marte  in  onore 
di  s.  Giovanni.  Dante  chiamò  la 
cilladinanza  di  Firenze  ovile  dì  s. 
Giovanni,  e  Firenze  la  città  del 
Battista. 

A  s.  Felice  succede  immediata- 
mente nella  cattedra  vescovile  Teo- 
doro pure  santo:  né  si  dubita  pun- 
to che  s.  Zanobi  non  fosse  battez- 
zato da  lui,  che  poscia  lo  fece  ar- 
cidiacono. Sepolto  s.  Teodoro  nel- 
l'antica catacomba  in  mezzo  alla 
cattedrale,  gli  successe  s.  Zanobi 
insigne  protettore  della  città,  pro- 
babilmente della  famiglia  Girolami. 
Dopo  di  lui  fu  vescovo  s.  Andrea, 
sotto  del  quale  sembra  aver  avuto 
origine  il  capitolo  fiorentino  di  do- 
dici preti,  sebbene  già  esistevano 
l'arcidiacono,  il  diacono,  e  il  sud- 
diacono del  vescovo.  Nell'anno  55o 
il  santo  vescovo  Maurizio  patì  glo- 
rioso martirio  a'  28  giugno.  Nel 
martirologio  romano  a'  28  maggio 
è  registrato  s.  Podio  vescovo  di 
Firenze,  figlio  del  marchese  di  To* 
scana':  il  santo  fece  parecchie  do- 
nazioni, come  la  badiola  di  s.  An- 
drea, e  concesse  alcuni  privilegi  al 
suo  capitolo,  e  morì  nel  1002  se- 
condo l'Ughelli.  Nell'anno  1028 
governava  questa  chiesa  il  beato 
Lamberto,  che  poi  rinunziò  al  ve- 
scovato. L'  ultimo  santo  è  1'  arci- 
vescovo s.  Antonio ,  che  per  la 
gracilità  e  piccolezza  della  perso- 
na era  chiamato  nel  suo  ordine 
de'  predicatori  frate  Antonino:  egli 
fu  eletto  arcivescovo  da  Eugenio  IV, 
a'  io  febbraio    i44^>    e   ueue  sue 


FIR 
braccia  il  Pontefice  rese  l'anima  a 
Dio,  essendo  il  santo  e  dottissimo 
arcivescovo  suo  confessore,  ch'era 
della  famiglia  Frilli.  11  santo  arci- 
vescovo Antonino  a'  3  dicembre 
1841  fu  elevato  al  grado  di  com- 
patrono della  città  e  arcidiocesi  di 
Firenze  dal  regnante  Pontefice  Gre- 
gorio XVI,  alle  istanze  del  clero  e 
popolo  fiorentino,  e  specialmente 
dell'attuale  zelante  arcivescovo.  In 
oltre  il  medesimo  Papa  ha  accor- 
dato che  si  aggiunga  nella  messa 
il  simbolo  Niceno.  Oltre  questi  santi 
vescovi  si  aggiunge  preclaro  lustro 
alla  chiesa  fiorentina  ne'  seguenti 
tre  sommi  Pontefici  stati  suoi  pa- 
stori. 

il  primo  è  Gherardo  di  Borgo- 
gna ,  o  meglio  savoiardo  siccome 
nato  in  Bethlaeis  di  Savoia  ;  nel- 
r  anno  1046  fu  fatto  vescovo  di 
Firenze,  si  distinse  e  fece  conosce- 
re il  suo  gran  merito  nel  concilio 
ivi  tenuto  da  "Vittore  II,  onde  i 
padri  riconobbero  in  lui  quelle 
qualità  che  lo  resero  degno  del 
pontificato.  Ripreso  da  s.  Pier  Da- 
miani d'un  leggero  difetto  di  giuo- 
care  talora  agli  scacchi,  se  ne  asten- 
ne, e  finche  visse  per  penitenza  la- 
vò ogni  giorno  i  piedi  a  dodici 
poveri,  dando  loro  limosina  e  ce- 
na. A'  28  dicembre  io58  fu  elet- 
to Papa  col  nome  di  Nicolò  II, 
ma  per  l'amore  che  conservava  al- 
la sua  chiesa  di  Firenze  ne  riten- 
ne il  governo,  visitandola  due  vol- 
te nel  suo  pontificato  ch'ebbe  ter- 
mine in  questa  città  a'  22  luglio 
J061.  (Successore  nel  vescovato  a 
Nicolò  lì  nel  1062  fu  Pietro  Ti- 
cinese o  di  Pavia  ,  infetto  di  ere- 
sia  e  di  simonia,  per  cui  insorsero 
nella  città  grandissime  discordie  che 
s.  Pier  Damiano  speditovi  da  Ales- 
sandro 11  non  potè  quietare,  come 
voi.   xxv. 


FIR  49 

si  legge  nel  Rinaldi  all'anno  io63, 
n.  6  eseg.).  Nicolò  II  riedificò  il  con- 
vento e  la  chiesa,  che  pur  consagrò, 
di  s.  Felicita,  alla  cui  badessa  Tesber- 
ga  con  bolla  gli  donò  beni  sta- 
bili ,  e  gli  concesse  de'  privilegi. 
Con  altra  bolla  diretta  a  Giovan- 
ni priore  de'  canonici  regolari  di 
s.  Andrea  a  Mosciano,  confermò  la 
donazione  che  avea  fatto  da  vesco- 
vo della  chiesa  ai  canonici,  egual- 
mente da  lui  consagrata  e  dotata 
perchè  i  canonici  vivevano  in  co- 
mune ,  come  risulta  da  altra  sua 
bolla.  Da  altra  rilevasi  aver  fatto 
consagrare  nel  io5g  la  chiesa  dei 
ss.  Michele  e  Jacopo. 

Il  secondo  Pontefice  arcivesco- 
vo di  Firenze  fu  Giulio  de'  Me- 
dici ,  cugino  di  Leone  X,  che  lo 
dichiarò  tale  nel  giorno  di  sua 
coronazione  a'  19  marzo  del  i5i3, 
e  nello  stesso  anno  a' 2  3  settem- 
bre o  a'  24  dicembre  lo  creò 
Cardinale,  indi  nel  i5i4  legato  di 
Bologna  e  di  Toscana.  Giulio  ot- 
tenne da  Leone  X  segnalati  onori 
e  privilegi  a' canonici  fiorentini,  e 
salito  al  pontificato  accrebbe  nuo- 
vi benefìzi  al  capitolo  e  stabili  ren- 
dite. Nel  i52o  essendo  comparso  in 
Italia  un  funestissimo  male ,  pro- 
mosse la  fondazione  dell'  ospedale 
degl'incurabili,  dichiarandolo  arci- 
spedale, colle  analoghe  prerogative. 
Si  trova  una  piccola  moneta  col- 
l'arme  de'  Medici ,  e  col  cappello 
sopra  da  cardinale  ,  e  l' iscrizione  : 
iulius  card,  medices  ,  e  nel  ro- 
vescio l' effigie  di  san  Gio.  Bat- 
tista. Sembra  che  la  facesse  batte- 
re da  legato,  con  licenza  della  re- 
pubblica fiorentina,  anco  in  rifles- 
so alla  parte  che  aveva  nei  gover- 
no, mediante  il  favore  di  Leone  X, 
unito  alla  potenza  di  sua  famiglia 
de'  Medici.    A'  18  novembre   i523 

4 


5o  F I R 

questo  cardinal  arcivescovo  fu  su- 
blimato al  triregno  col  nome  di 
Clemente  VII,  ed  agli  8  gennaio 
dell'  anno  i5i/\.  fece  arcivescovo 
di  Firenze  il  cardinal  Nicolò  Ri- 
dolfo' fiorentino.  Sebbene  il  Papa 
fece  perdere  a  Firenze  la  liber- 
tà ,  procurò  mitigare  il  rancore 
di  sua  patria  con  diverse  grazie , 
le  quali  furono  il  dono  delle  insi- 
gni reliquie  che  mandò  da  Roma, 
la  libreria  Laurenziana  che  aprì,  i 
privilegi,  e  le  donazioni  fatte  a 
s.  Maria  del  Fiore,  colle  unioni  di 
chiese  e  benefizi  alla  mensa  del  ca- 
pitolo di  s.  Lorenzo,  e  finalmente 
le  molteplici  concessioni,  che  accor- 
dò a  vari  monisteri,  come  di  s.  Sal- 
vi, di  s.  Clemente,  di  s.  Giovan- 
nino ec. 

Il  terzo  Papa  già  pastore  e 
concittadino  di  Firenze  come  il 
precedente ,  fu  uno  de'  piò  illustri 
arcivescovi  di  questa  chiesa  :  egli  è 
Alessandro  de'  Medici,  ambasciatore 
in  Roma  a  s.  Pio  V  ed  a  Grego- 
rio XIII  di  Cosimo  I  suo  cugino. 
Il  secondo  Pontefice  prima  lo  fece 
vescovo  di  Pistoia,  e  dopo  pochi 
mesi  a'  i5  gennaio  \5rj/\  lo  trasfe- 
rì all'arcivescovato  di  sua  patria, 
di  cui  prese  possesso  nel  i583,  es- 
sendo stato  creato  cardinale  in  que- 
st'anno dal  medesimo  Gregorio XI IT. 
Celebrò  due  sinodi  diocesani  nel 
i58g  e  nel  i6o3;  e  consagrò  le 
chiese  di  s.  Frediano,  di  s.  Clemen- 
te, di  s.  Elisabetta  delle  convertite, 
e  nella  compagnia  di  Gesù  in  s. 
Croce  l'altare  maggiore.  Nel  primo 
di  aprile  i6o5  venne  creato  Pon- 
tefice, e  s' impose  il  nome  di  Leo- 
ne XI.  Presago  della  brevità  del 
suo  pontificato,  durato  soli  ven- 
tisette giorni,  da  giovine  erasi  scel- 
ta per  impresa  un  fàscetto  di  rose, 
col  motto  :  Sivjlovui.  Scrive  il  Mi- 


FIR 

gliore  a  pag.  1 f>2  che  se  viveva 
più  lungamente  la  cattedrale  di  Fi- 
renze l'avrebbe  elevata  al  grado  di 
patriarcale,  ed  in  camera  gli  si 
trovò  la  relativa  bolla  incomincia- 
ta. Supplicato  agonizzante  dai  cardi- 
nali a  dar  la  porpora  al  nipote  figlio 
del  fratello,  sempre  si  rifiutò,  solo 
dicendo  :  Qttae  utililas  in  sanguine 
meo  dum  descendo  in  corruptio- 
nem.  Seguono  i  fiorentini  cardina- 
li ,  in  numero  di  quindici  tra  ve- 
scovi ed  arcivescovi,  non  compresi  i 
due  precedenti  Giulio  ed  Alessan- 
dro  de  Medici. 

Il  primo  cardinale  vescovo  di 
Firenze  fu  Francesco  Atti  da  Todi, 
che  alcuni  vogliono  cittadino  fiorenti- 
no. Egli  sembra  che  non  prima  del 
1 354  fosse  eletto  vescovo,  dignità  che 
nel  i356  rinunziò  con  dispiacere 
d'  Innocenzo  VI.  Il  secondo  cardi- 
nale è  Pietro  Corsini,  che  fu  da  In- 
nocenzo VI  trasferito  nel  i36i  da 
Volterra  a  Firenze,  e  per  le  quat- 
tro nunziature  che  egregiamente 
disimpegnò  in  Germania  con  van- 
taggio della  santa  Sede,  e  soddis- 
fazione della  Germania ,  ottenne 
dall'  imperatore  Carlo  IV  il  me- 
morato diploma  per  sé  e  successo- 
ri in  questa  sede ,  di  principe  del 
sagro  romano  impero,  come  pure 
il  pregiatissimo  privilegio  allo  stu- 
dio fiorentino ,  che  fu  dichiaralo 
università  generale,  con  autorità  ui 
vescovi  di  addottorare  in  ogni  scien- 
za. Ritornato  in  Firenze  dopo  sì 
gloriose  legazioni ,  fu  chiamato  da 
Urbano  V  nel  i36g  in  Montefia- 
scone,  ed  ivi  creato  cardinale  :  mo- 
rì nel  i4o5  in  Avignone,  e  trasfe- 
rito in  Firenze  per  decreto  della 
repubblica  fu  collocato  nel  duomo. 
Chiamò  a  suoi  -eredi  il  fratello  Fi- 
lippo, e  il  monistero  di  s.  Gaggio , 
cioè  s.  Caio,  fondato  da  Touimuso 


FIR 
suo  padre.    Terzo    vescovo    di  Fi- 
renze e   cardinale  è   Nicolò   Accia- 
inoli detto  il  secondo,  fatto  da  Ur- 
bano VI  nel  i384    vescovo,  e  nel 
i385    cardinale.    Pei    suoi    grandi 
meriti  fu  molto  occupato  dai  Papi, 
e  governò  il  regno  di  Napoli  nel- 
la minorità  di  Ladislao,  per  cui  in 
quel  regno  fiori  la  pace  e  l'abbon- 
danza, ed  in  Gaeta  quale  legato  di 
Bonifacio  IX  coronò  il  giovine  re  : 
fu   sepolto    nella   metropolitana ,  e 
poscia  trasferito  alla  Certosa  di  Fi- 
renze  fondata    dal    gran  siniscalco 
Nicolò  Acciaiuoli  nel  1 364-  Dona- 
to Acciaiuoli    ne    restaurò  il  sepol- 
cro, con  l'effigie  del   cardinale   in 
basso  rilievo.   Il  quarto  cardinale  è 
Bartolomeo    Uliari  od    Olivieri    di 
Padova,  de'  minori  osservanti,  ebe 
Bonifacio  IX  fece  vescovo  nell'anno 
1387^  e  due  anni  dopo  cardinale: 
morì  legato  apostolico   in  Gaeta  nel 
1 396.  Il  quinto  fu  Alamanno   Adi- 
mari    nominato    vescovo   nel  140 1 
da  Bonifacio  IX  :  mai  ne  prese  pos- 
sesso, e  nel  1402    passò  alla  chie- 
sa di  Taranto.   Il  sesto  fu  France- 
sco   Zabarella    di  Padova ,    lettore 
pubblico  di  canoni  nello  studio  fio- 
rentino, insigne  in  letteratura.  Ales- 
sandro V  nel  1409  lo  prepose  alla 
cbiesa  fiorentina,  e  nel  i4- 1  *    Gio- 
vanni XXlll  l'esaltò  al  cardinala- 
to.  Il  Papa   l' inviò    legato  all'  im- 
peratore   per    la   convocazione    del 
concilio  di  Costanza,  in  cui  venen- 
do deposti    Gregorio  XII,  Giovan- 
ni XXIII    e    l'antipapa    Benedetto 
XIII,  tutti  i  voti  per  l'elezione  del 
nuo\o  Pontefice  riunivansi  nel  no- 
stro cardinale,  quando  Dio  lo  chia- 
mò a  sé  a'  27   ottobre  1 41 7  >  con 
uuiversal  dispiacere  di  quell'augu- 
sta assemblea,  e  dell'  imperatore  Si- 
gismondo, che  onorò  le  di  lui  ese- 
quie, e  udì  1'  orazione  funebre  re- 


F1R  5i 

citata   dal  Poggio:    il    cadavere  fu 
portato  alla  cattedrale  di  Padova. 

Col    settimo    cardinale    evvi  ac- 
coppiata   la    dignità    arcivescovile , 
perchè  Martino  V  eletto  in  Costan- 
za agli  11    novembre   i4*7>  dipoi 
nel  1420  dichiarò  metropoli  la  chie- 
sa di  Firenze ,    come    si  disse.  Nel 
1  435  Eugenio  IV    fece  arcivescovo 
il  patriarca  di  Alessandria  Giovan- 
ni Vitelleschi,  celeberrimo  guerrie- 
ro, e  ricuperatore  delle  terre  della 
Chiesa,  che  tolse  ai  debellati  tiran- 
ni ,  per  cui  Roma    gli    eresse  una 
statua  in   Campidoglio,   e  il  Papa 
nel  1437  lo  creò  cardinale.  Colla  fa- 
miglia fu  aggregato  alla  cittadinan- 
za   di  Firenze ,    e  se  ne    gloriava  ; 
ma  abusando  di  sua  grande  auto- 
rità, e  venendo  in    grave   sospetto 
ad  Eugenio  IV,  col  consiglio  di  Co- 
simo il  Vecchio  fu  da   Firenze  ove 
risiedeva  il  Papa   spedito   a  Roma 
Luca  Pitti  per    ordinare  ad  Anto- 
nio Rido  castellano  di  Castel  s.  An- 
gelo di  arrestare  il  cardiuale   vivo 
o  morto.    11  castellano  nel  passare 
il    ponte    s.  Angelo    tal    cardinale , 
calata  la  seracinesca  della  porta,  ed 
alzata  una  catena,  con  diversi  ar- 
mati s'impadronì  del  cardinale,  che 
volendosi  difendere  colla  spada,   da 
molti  soldati   fu  coperto    di  ferite , 
e  per  forza   tratto  prigione  in  ca- 
stello ,    dove    mentre    si    medicava 
una    gran    ferita    nel    capo ,   Luca 
Pitti  percuotendo    colla   sua  mano 
la  tenta  ossia  strumento  col  quale 
il  chirurgo  esaminava  la  ferita,  glie- 
la ficcò  nel  cervello,  e  subito  mo- 
rì. Altro  arcivescovo  cardinale  nien- 
te inferiore   al   precedente    per  fa- 
ma militare ,  si  fu    Lodovico  Sca- 
rampi    Mezzarola ,    nominato   arci- 
vescovo da  Eugenio  IV   nel  1 4^7  > 
e  cardinale  nel  1 44°>  perchè  essen- 
do amato  dal  Papa,  era  stato  fat- 


5a  FIR 

to  generale  di  sue  truppe  dopo  la 
morte  del  Vitelleschi:  vinse  il  fa- 
moso Nicolò  Piccinino,  e  sconfisse 
i  turchi  sotto  Belgrado.  In  Firen- 
ze fece  la  solenne  traslazione  del 
corpo  di  s.  Zanobi  dall'antica  cata- 
comba alla  uuova  cappella  sotter- 
ranea nel  fondo  della  maggior  tri- 
buna ,  e  con  immense  fatiche  alla 
celebrazione  del  concilio  ecumenico 
si  adoperò  per  l'unione  co' greci. 
I  fiorentini  per  l'amore  che  a  lui 
portavano,  gli  donarono  il  palazzo 
degli  Ardinghelli,  e  lo  ascrissero 
co'  suoi  parenti  alla  cittadinanza. 
In  suo  onore  fu  coniata  una  me- 
daglia col  suo  ritratto,  e  nel  ro- 
vescio una  piazza  con  uomini  a 
cavallo  che  si  avviano  al  tempio  , 
coll'epigrafe:  ecclesia  kestituta  ex 
alto.  Il  nono  cardinale,  ed  ottavo 
arcivescovo  fu  fr.  Pietro  Riario 
dell'ordine  de'minori,  nipote  di  Si- 
sto IV,  patriarca  di  Costantinopoli, 
e  nel  i472  arcivescovo  di  Firenze. 
Fece  la  funzione  dello  sposalizio 
dell'abbadessa  di  s.  Pier  Maggiore 
nel  suo  ingresso  nella  città,  e  fece 
qualche  vantaggio  all'  episcopio  : 
mori  nel  1 474  m  Roma,  e  fu  se- 
polto in  deposito  di  marmo  ai 
ss.  Apostoli.  Il  cardinal  Pietro  che 
trovossi  alla  congiura  de'  Pazzi,  era 
suo  nipote.  Indi  viene  il  cardinal 
Nicolò  Ridolfi  ,  cui  Clemente  VII 
gli  rinunziò  l' arciyescovato  come 
suo  parente  :  altrettanto  fece  lui 
nel  i532  con  riserva  ad  Andrea 
Buondelmonti,  alla  cui  morte  av- 
venuta nel  i542  ritornò  il  cardi- 
nale alla  sua  sede  che  nuovamente 
nel  i548  con  riserva  cede  ad  An- 
touio  Altoviti,  e  mori  nel  i55o  in 
conclave,  nel  giorno  in  cui  i  cardi- 
nali trattavano  di  crearlo  Papa . 
Nel  i65i  da  Pistoia  fu  traslalato 
a  questa  chiesa  Francesco  Nerli,  il 


FIR 

quale  pel  suo  zelo  celebrò  quattro 
sinodi,  nel  1 656,  nel  1 663,  nel  1666 
enei  1669,  nelqual  anno  Clemente 
IX  lo  creò  cardinale,  e  nel  seguente 
inori  in  Roma ,  e  gli  fu  data  se- 
poltura nella  chiesa  di  s.  Giovanni 
de'  fiorentini ,  nella  cappella  de'  ss. 
Cosma  e  Damiano  patronato  di 
sua  famiglia.  Gli  successe  il  nipo- 
te Francesco  Nerli  il  giuniore,  che 
Clemente  X  nel  1673  creò  cardi- 
nale, e  fece  segretario  di  stato,  e 
morì  nel  1708.  L'ultimo  cardinale 
arcivescovo  fu  Jacopo  Antonio  Mo- 
rigia  fatto  arcivescovo  nel  1682, 
creato  cardinale  nel  1695,  e  pub- 
blicato nel  1698;  assistè  alla  tras- 
lazione del  corpo  di  s.  Zanobi  e  di 
s.  Maria  Maddalena  de'  Pazzi,  non 
che  a  quella  di  s.  Andrea  Corsini, 
oltre  la  ricognizione  dell'  incorrot- 
to suo  corpo.  Diede  inoltre  pro- 
va di  sua  cura  pastorale  in  due  si- 
nodi, e  nel  desiderio  di  aprire  un 
seminario:  mori  nel  1708  vescovo 
di  Pavia. 

I  vescovi  ed  arcivescovi  di  Fi- 
renze, singolarmente  chiari  per  le 
virtù  sono  i  seguenti.  Da  un  di- 
ploma del  vescovo  Specioso  del  724 
rifulge  la  sua  generosità,  colla  quale 
dona  alla  chiesa  e  canonici  di  s. 
Giovanni  alcune  possessioni.  Il  di- 
ploma di  Specioso  è  datato  coiran- 
no 724,  anno  XII  del  re  Luitpran- 
do,  è  una  delle  più  insigni  perga- 
mene dell'Italia  per  la  sua  anti- 
chità, e  per  la  notizia  dell'esisten- 
za de'  canonici  fino  dal  principio 
dell'  ottavo  secolo,  checché  ne  dica 
contro  il  Fleury,  ed  altri  francesi. 
L'autografo,  che  tale  è  ad  onta  di 
qualche  scrupolo  del  Muratori,  che 
fu  pubblicato  più  volte  colle  slam- 
pe, e  ultimamente  dal  Brunetti,  si 
conserva  gelosamente  nell'  archivio 
segreto   del  capitolo   fiorentino  do- 


FIR 
•viziosissimo  di  vetustissime  perga- 
mene. Il  vescovo  Grasulfo  dell'898, 
per  le  sue  virtù  ebbe  dall'impera- 
tore Lamberto  una  gran  quantità 
di  terreno,  che  passò  ai  canonici , 
i  quali  ne  cederono  parte  a  mo- 
nache e  frati ,  e  parte  a  murar 
case.  Il  vescovo  Raimbaldo  altresì 
accrebbe  nel  o,3o  l'entrale  capito- 
lari colla  pieve  di  Signa,  e  nel- 
l' istromento  si  vedono  pure  sotto- 
scritti sedici  canonici,  sette  de'quali 
col  titolo  di  preti  cardinali.  Stu- 
penda ancora  fu  la  generosità  d'a- 
nimo del  vescovo  Ildebrando  alla 
basilica  di  s.  Miniato  da  lui  riedi- 
ficata, e  dotata:  della  liberalità  di 
altri  vescovi  coi  canonici  parlere- 
mo nel  far  menzione  del  capitolo. 
Andrea  de  Mozzi  fu  assai  beneme- 
rito del  vescovato  avendo  ricupe- 
rato i  beni  della  mensa  dai  pre- 
potenti cittadini,  vera  origine  delle 
gravi  malevolenze  suscitatesi  con- 
tro di  lui,  in  modo  tale  che  nel 
1294  supplicò  s.  Celestino  V  di 
accettare  la  sua  rinunzia ,  ed  in 
vece  fu  fatto  vescovo  di  Vicenza. 
Il  cardinal  Morigia,  e  l'arcivescovo 
Tommaso  de'  conti  della  Gherar- 
dtsca  furono  impegnati  per  l' ere- 
zione del  seminario  :  il  primo  dopo 
aver  preparato  il  necessario  per 
tal  fabbrica,  benedì  la  prima  pie- 
tra, e  la  gettò  solennemente  nei  fon- 
damenti a'  20  aprile  1687;  Tom- 
maso ebbe  la  sorte  di  proseguirlo 
con  molta  spesa,  e  di  aprirlo  con 
festa  nel  1 7 1  2  a'4  novembre,  gior- 
no sagro  a  s.  Carlo  Borromeo  alla 
cui  protezione  Io  raccomandò.  Fra  i 
chiarissimi  nelle  scienze,  va  prima 
notato  Rinieri  vissuto  quarantadue 
anni  nel  vescovato  cui  ascese  nel 
1071  ,  la  cui  eloquenza  persuase 
duemilacinquecento  fiorentini  a  par- 
tire con  Gottifredo   o    Goffredo  di 


FIR  53 

Buglione  per  la  crociata  :  cadde  pe- 
rò nell'opinione  che  fosse  nato  l'an- 
ticristo, opinione  eh' ei  ritrattò  sin- 
ceramente ai  moniti  di  Pasquale 
lì.  S.  Antonino  fu  collocato  tra  i 
primari  scrittori  ecclesiastici ,  per 
le  tante  ammirabili  opere  sue.  In- 
di è  degno  di  grandi  elogi  Anto- 
nio A  Itovi  ti,  e  per  non  dire  di  al- 
tri Francesco  Gaetano  Incontri,  ce- 
lebre non  meno  che  per  la  sua 
pietà,  per  la  sua  dottrina  che  spic- 
ca nelle  sue  opere,  e  specialmente 
ne'  suoi  Atti  umani;  e  monsignor 
Antonio  Martini  fatto  arcivescovo 
nel  1781  da  Pio  VI,  fra  le  cui 
opere  rammentiamo  con  distinzione 
la  traduzione  della  storia  dell'anti- 
co e  nuovo  Testamento ,  sì  com- 
mendata da  Pio  VI,  e  che  per  la 
fedeltà  della  versione,  per  la  op- 
portunità delle  note,  e  per  la  pu- 
rezza della  lingua  italiana  ha  avu- 
to già  moltissime  ristampe,  e  ne 
ha  tutto  giorno.  Al  presente  go- 
verna questa  metropolitana  il  ze- 
lante, dotto  e  prudente  monsignor 
Ferdinando  Minucci  fiorentino,  fat- 
to arcivescovo  da  Leone  XII  nel 
concistoro  de'28  gennaio  1828.  Lu- 
ca Ceracchini  ci  ha  dato:  Crono- 
logia sacra  de  vescovi  ed  arcive- 
scovi di  Firenze,  ivi    17 16. 

L' episcopio  degli  arcivescovi  di 
Firenze  è  sulla  piazza  stessa  della 
cattedrale.  Il  magnifico  palazzo  e 
curia  ordinaria  dell'arcivescovato  an- 
ticamente chiamavasi  Palatium  s. 
Johannis,  o  Episcopium  s.  Johan- 
nis,  si  ve  sanctae  Repara  tae.  Nei 
primi  quattro  secoli  della  Chiesa, 
in  cui  la  religione  era  perseguita- 
ta, i  vescovi  ascondevansi  nelle  grot- 
te, nelle  catacombe,  e  nelle  selve, 
massime  in  quella  chiamata  Elisbot. 
La  prima  memoria  che  trovasi  di 
episcopio  è  nel  724  ;  certa  n'è  l'è- 


14  F1R 

sistenza  al  nono  secolo  ;  nel  deci- 
mosecondo era  edifizio  notabile  ed 
ampio,  alloggiandovi  l'imperatore 
Baldovino  II.  Ebbe  parecchi  ingran- 
dimenti e  dai  visdomini,  e  dagli  stessi 
vescovi  una  volta  ricchissimi  pei 
molti  vassallaggi  de'  magnati  fio- 
rentini. I  visdomini  o  vicedomini 
custodi  e  difensori  del  vescovato 
fiorentino,  come  di  ogni  altro  ve- 
scovato, erano  in  sede  vacante  gli 
amministratori  delle  entrate  vesco- 
vili?  senza  obbligazione  di  rendi- 
mento di  conti,  facendo  per  solito 
delle  rendite  della  mensa  tre  parti, 
una  applicandola  alle  esequie  del 
-defunto  vescovo,  la  seconda  pei  ri- 
sarcimenti del  palazzo,  e  la  terza 
per  le  spese  dell'  ingresso  del  nuo- 
vo prelato,  il  quale  da  essi  ricevu- 
to alla  porta  della  città,  e  servito 
come  si  disse  per  tutta  la  solenne 
cavalcata,  condotto  finalmente  era 
dai  medesimi  al  palazzo  vescovile 
sino  alla  cappella  di  s.  Vincenzo, 
ove  a  pie  del  vescovo  sedente  fa- 
cevano i  visdomini  il  giuramento 
di  fedeltà  e  di  custodia.  Tale  anti- 
chissima cappella  esisteva  nel  i  199, 
e  nel  1 344  fu  consagrata  dal  ve- 
scovo Angelo  Acciaiuoli,  in  riguar- 
do che  era  cappella  nella  quale  si 
facevano  varie  funzioni  dai  vesco- 
vi, e  massimamente  dai  visdomini. 
Nel  i32i  i  visdomini  restaurarono 
ed  abbellirono  il  cortile,  e  nel  i/^i  1 
il  vescovo  Zabarella  operò  all'ester- 
no alcuni  restauri.  Volendo  poi  la 
repubblica  rendere  l' episcopio  de- 
gna residenza  d'un  arcivescovo,  ot- 
tennero da  Pio  II  licenza  d' impor- 
re sugli  ecclesiastici  una  tassa  di 
quindicimila  fiorini,  erigendo  per 
gratitudine  la  sua  arma  nella  tor- 
re, ove  sonovi  altre  arme  pontifi- 
cie. Nel  i523  un  incendio  abbru- 
ciò sì  bella  fabbrica,    e  le  fiamme 


F I  II 

arsero  la  parte  piti  magnifica  del 
palazzo  verso  e.  Giovanni,  meno 
la  cella  di  s.  Antonino:  con  que- 
sto disastro  restarono  incenerite  le 
più  antiche  memorie  di  Firenze, 
della  Toscana,  e  di  altri  paesi.  A 
riparo  di  sì  grave  danno  rivolse 
l'animo  l'arcivescovo  Andrea  Buon- 
delmonti,  ma  maggiori  e  più  splen- 
dide cose  fece  l'arcivescovo  Alessan- 
dro de'  Medici  con  disegno  del  va- 
lente Gio.  Antonio  Dosi.  Altri  no- 
tabili benefizi  operarono  gli  arci- 
vescovi Marzimedici,  Niccolini,  Ner- 
li  giuniore,  Morigia,  Tommaso  della 
Gherardesca,  Martelli,  ec  Inquanto 
ai  visdomini  fiorentini,  si  spensero 
nel  principio  del  secolo  XVIII  colla 
famiglia  Cortigiani  cui  apparteneva 
tal  preminenza  ed  uffizio. 

Risponde  nel  cortile  dell'  episco- 
pio la  ragguardevole  chiesa  di  s. 
Salvatore  nell'arcivescovato,  la  cui 
origine  risale  circa  al  mille,  eoa 
parrocchia  sino  al  i44r  >  *a  cm 
restò  semplice  ma  pubblica  cap- 
pella dell'arcivescovato.  Indi  nel 
i5j^.  fu  rinnovata  dall'arcivescovo 
Alessandro  de'  Medici,  che  la  ornò 
di  rare  pitture  a  fresco  colorite  da 
Gio.  Battista  Naldini,  rappresentan- 
do la  tavola  dell'altare  il  Salvato- 
re sedente  con  a  pie  la  città  di 
Firenze,  messa  in  mezzo  dalla  Beata 
Vergine,  e  da  s.  Gio.  Battista  in 
atto  di  raccomandarla  al  medesi- 
mo Cristo  ;  rimpetto  Sante  di  Tito 
fece  una  Nunziata  con  arme  dei 
Medici  iu  alto  della  tribuna,  la 
quale  era  inquartata  con  quella  di 
Gregorio  XIII  da  cui  il  detto  ar- 
civescovo aveva  ricevuto  la  porpo- 
ra. Ma  a  questa  pittura,  ed  a  quel- 
la in  cui  Naldini  figurò  il  peccato 
de'  nostri  primi  parenti  fu  dato  di 
bianco  nella  splendida  restaurazio- 
ne. Nel    1662   vi  ebbe  principio  la 


FIR 

congregatone  de'  sacerdoti  del  ss. 
Salvatore,  per  lo  zelo  del  sacerdo- 
te Lorenzo  Antinori,  col  fine  d'i- 
struire ì  chierici  ne'  ministeri  eccle- 
siastici di  prediche,  di  missioni,  ed 
altri  uffizi  apostolici;  come  a  dare 
a'  secolari,  ed  a'  chierici  ordinandi 
gli  esercizi  di  s.  Ignazio,  al  quale 
oggetto  fu  acquistato  il  convento 
della  Calza,  già  de'  gesuati.  Nel 
1737  l'arcivescovo  Giuseppe  Ma- 
ria Martelli  dai  fondamenti  con 
magnificenza  la  riedificò  con  dise- 
gno dell'  ingegnere  Bernardino  Ciu- 
rmi che  vi  fece  una  cupolina  che 
dà  grazia  e  vaghezza  alia  tribuna. 
Questa  fu  data  a  dipingersi  a  fre- 
sco a  Giovanni  Ferretti,  il  quale 
vi  colon  all'  altare  la  Natività  di 
Gesù.  Cristo  co'  pastori,  e  fece  pu- 
re a  fresco  i  dodici  apostoli  di  chia- 
roscuro intorno  alla  chiesa ,  in 
mezzo  alla  quale  dalla  parte  del 
palazzo  vi  è  una  deposizione  di  Cri- 
sto colla  Beata  Vergine  Addolora- 
ta dipinta  da  Mauro  Soderini,  ed 
incontro  si  vede  la  Risurrezione  del 
Signore,  lodala  opera  di  Vincenzo 
M eucci,  di  cui  è  pure  lo  sfondo 
della  volta  dove  rappresentò  l'A- 
scensione del  Redentore.  Pietro  An- 
derlini fece  le  pitture  giottesche,  e 
l'architettura  della  chiesa.  Magni- 
fiche poi  sono  le  stanze  a  terreno 
dell'episcopio,  aventi  un  ampio  cor- 
tile adorno  d'  iscrizioni,  ed  armi  di 
vescovi  ed  arcivescovi,  de'  visdomi- 
ni,  e  degli  Ughi  avvocati  dell'ar- 
civescovato. La  primaria  sala  è 
quella  dell'udienza,  fatta  circa  il 
i3oo,  e  serve  di  foro  alla  chiesa 
fiorentina,  ove  ammiravansi  egre- 
gie dipinture  del  Ferrucci,  essen- 
done superstite  quella  della  Beata 
\  ergine  co'  ss.  Zanobi  e  Antonino. 
Sonovi  altre  stanze  nobili  pel  vi- 
cario generale,  l'archivio,  ec. 


FIR  55 

Venendo  ora  a  parlare  della  ca- 
nonica e  del  capitolo  insigne  dei 
canonici  della  cattedrale,  diremo 
che  questi  nei  primi  tempi  convi- 
vevano in  comune,  osservando  san- 
te e  rigide  regole,  laonde  i  zelan- 
ti vescovi  per  tenere  in  vigore  tale 
esemplare  vita,  sino  dal  724  scor- 
porarono talvolta,  come  accennam- 
mo di  sopra ,  i  propri  beni  della 
mensa  per  unirli  alla  canonica,  con 
replicate  donazioni  ,  anzi  secondo 
l'antica  disciplina  della  Chiesa  i  ve- 
scovi convissero  coi  canonici  come 
loro  capi  e  direttori  principali.  Nuo- 
ve entrate  furono  attribuite  ai  ca- 
nonici dal  vescovo  Attone  nel  io36, 
col  motivo  lodevole  di  mantenere 
l' osservanza  di  vivere  i  canonici 
insieme,  ed  avendo  egli  a  tal  fine 
ordinate  le  abitazioni  in  comune , 
e  date  loro  nuove  entrate,  ne  av- 
visò il  Papa  Benedetto  IX  che  tut- 
to confermò,  insieme  alle  donazio- 
ni de'  vescovi  predecessori.  Ma  nel 
io63  raffreddatosi  forse  quel  fer- 
vore, Alessandro  II  ad  istanza  di 
s.  Pier  Damiani,  zelantissimo  di  que- 
sto modo  di  vivere ,  lo  rinvigorì 
con  nuove  e  severe  costituzioni, 
raccomandando  il  santo  ai  canoni- 
ci l'uso  della  disciplina.  Altre  co- 
stituzioni furono  prescritte  dal  ve- 
scovo Ardigno  nel  I23i,  il  quale 
volle  che  tutti  avessero  lo  stesso 
refettorio  e  dormitorio,  che  ognu- 
no facesse  septimanam  '  suam,  tam 
in  choro ,  quam  ad  altare  secun- 
dum  ordinem  suum;  e  che  gli  as- 
senti per  cagione  di  studi,  o  altra 
da  approvarsi  dal  capitolo,  doves- 
sero sostituire  un  vicario,  le  quali 
costituzioni  poi  furono  anche  con- 
fermate da  Gregorio  IX  nel  1252, 
con  bolla  data  in  Rieti.  Questa  non 
fu  delle  ultime  cattedrali  d'Italia 
a  lasciar   l'uso    di   convivere  insie- 


56                    FIR  FIR 

me,  perchè,  secondo  l'Uglielli,  gli  cedendole  privilegi,  ricche  pievi, 
ultimi  furono  i  canonici  eli  Peni-  oratorii,  ed  eziandio  la  signoria  di 
già  e  di  Gubbio  al  tempo  di  Leo-  terre  e  castella.  Ad  onta  poi  di 
ne  X,  che  vissero  in  comune  re-  quel  che  ne  cantò  il  Berni  nel  suo 
gola  claustrale  come  i  frati.  Alla  Orlando  innamoralo,  il  capitolo  fio- 
mensa  canonicale  l'imperatore  Lam-  reatino  è  stato  sempre  adorno  di 
berto  e  Ageltrude  sua  moglie  nel-  uomini  grandi:  basti  il  rammenta- 
l'8p,8  donarono  il  campo  del  re,  re  Marsilio  Ficioi,  Angelo  Ambio- 
oggi  Camporeggi,  ciò  che  coofer-  gini  di  Poliziano,  Leone  Battista 
marono  altri  augusti.  Il  luogo  del-  Alberti,  Scipione  Ammirato,  Fiati- 
la prima  ed  antica  canonica  sem-  cesco  Berni ,  Lorenzo  Panciatichi , 
bra  che  fosse  nelle  vicioaaze  del-  Francesco  Ubaldini.  Leone  X  nel 
l'odierna.  i5i6  con  bolla  data  in  Firenze 
JNel  i34o  si  concesse  al  vescovo  agli  8  gennaio  concesse  ai  canoni- 
Salvestri  da  Cingoli  di  edificar  la  ci  alcuni  privilegi  anche  giurisdi- 
canonica  verso  piazza  de'  Bonizzi  ,  zionali.  Di  poi  Clemente  XII  a'  i 
ch'era  quella  che  veniva  a  lato  gennaio  1 73 1 ,  colla  costituzione  A- 
della  chiesa  di  s.  Benedetto:  non  postol.  presso  il  Bull.  Rom.  tom. 
essendo  compita,  nel  i44$  Nicolò  XIII,  pag.  157,  confermò  la  bolla 
V  per  maggior  comodo  dei  cano-  di  Leone  X  in  favore  de' canonici, 
nici  cresciuti  di  numero,  gì'  incor-  principalmente  il  privilegio  de'  pro- 
porò  la  chiesa  di  s.  Pietro  Celorum,  tonotari  della  Sede  apostolica,  col- 
istituito  avendo  delle  entrate  della  l'uso  del  rocchetto,  cappa  magna 
chiesa  una  cappellania  in  duooio ,  paonazza,  cordone  rosso  al  cappe! - 
e  abolito  il  titolo  di  parrocchia,  lo,  calze  e  collare  paonazzo,  eh' è 
ch'era  una  delle  piò  antiche  cure  appunto  l'abito  de' protonotari  par- 
di Firenze,  dappoiché  vuoisi  edifi-  tecipanti  ec.  :  prima  di  Leone  X  i 
cata  dal  vescovo  Specioso ,  o  dal  canonici  usavano  le  cotte  e  le  ai- 
re   Luitprando     ad    imitazione    di  muzie. 

quella  di  Pavia,  e  da  quella  dipen-»  Anticamente  il  capitolo  compo- 
dente.  In  questa  chiesa  Beatrice  ma-  nevasi  di  quarantadue  canonici,  poi 
die  della  contessa  Matilde,  nel  1072  si  diminuirono  a  trentanove.  Al 
vi  fece  promulgare  la  donazione  che  presente  il  capitolo  si  compone  di 
faceva  a  Trasmondo  vescovo  di  Fie-  cinque  dignità,  cioè  dell' arcidiaco- 
sole,  con  la  solennità  del  porsi  la  no,  dell'arciprete,  del  decano,  del 
carta  dell'  istromento  sull'  altare,  prevosto  e  del  suddiacooo,  dignità 
Questo^,  luogo  voleva  dedicarsi  a  istituita  nel  1293.  Vi  sono  trenta- 
pubblica  libreria  _,  comune  a  tutti  otto  canonici  comprese  le  cinque 
gli  abitanti  di  Firenze ,  il  perchè  dignità ,  le  prebende  teologale  e 
molti  donarono  libri  pregevoli;  ma  penitenziaria,  e  due  canonici  ab 
in  vece  venne  destinato  per  l'archi-  extra;  sessantasei  cappellani,  che 
vio  del  capitolo ,  che  vi  conserva  formano  un  corpo  detto  la  Carità, 
numerose  scritture  originali  molto  e  cento  chierici  :  la  cura  è  in  ca- 
preziose,  dalle  quali  si  rileva  come  pitolo,  ma  l'amministra  la  secooda 
parecchi  Pontefici,  imperatori,  car-  dignità  dell'arciprete,  assistito  da 
dinali,  vescovi  ed  altri  benefattori  due  curati  amovibili,  e  da  due  ca- 
furouo  generosi  colla  canonica,  con-  nonici  detti    curaioli   che  ogni  an- 


FIR 
no  si  eleggono  del  rapitolo  a  voli 
segreti;  e  questi  hanno  in  curala 
parrocchia  della  cattedrale,  la  qua- 
le  non  ha  fonte  hattesiiuale,  per- 
chè l' ha  la  prossima  hasilica  di 
s.  Gio.  Battista,  di  cui  si  parlò  di 
sopra.  La  cattedrale  è  dedicata  a 
Dio,  ed  in  onore  della  Beata  Ver- 
gine Maria,  e  di  s.  Reparata  ver- 
gine. Ivi  si  venerano  insigni  reliquie, 
fra  le  quali  il  corpo  di  s.  Zanobi 
patrono  della  città  e  di  tutta  la 
diocesi,  di  s.  Eugenio  diacono,  e 
di  s.  Crescenzio  suddiacono. 

Avevamo  promesso  tornare  a  dire 
qualche  altra  cosa  di  quel  tanto  che 
dir  si  potrebbe  dell'  immensa  metro- 
politana fiorentina,  uno  de'più  rimar- 
chevoli edilizi  dell'Europa,  e  la 
prima  chiesa  fabbricata  fuori  del 
gusto  gotico,  quantunque  non  tut- 
ta all'atto  nel  gusto  antico;  ma  es- 
sendo di  soverchio  cresciuto  in  que- 
sto Dizionario  V  articolo  Firenze  , 
ed  essendo  altronde  da  mille  par- 
ti descritto  il  detto  duomo,  ci  tro- 
viamo costretti  a  dare  soltanto  al- 
cun cenno  dello  stato  moderno  , 
premettendo  ciò  che  riguarda  l'an- 
tico, coli' autorità  del  padre  Ridia. 
Nel  principio  del  secolo  Vili  si  tro- 
va nominata  come  semplice  chiesa 
la  cattedrale  di  s.  Reparata  ;  e  la 
chiesa  supposta  antichissima  del 
ss.  Salvatore,  non  sembra  che  sia 
stala  mai  cattedrale.  Piuttosto  s. 
Gio.  Battista  pare  che  si  possa  di- 
re il  primo  duomo,  o  sia  cattedra- 
le di  Firenze  dal  quarto  secolo  si- 
no al  decimosecondo.  La  chiesa  di 
s.  Reparata,  checché  sia  del  suo 
principio,  o  nell'anno  4°8,  o  trecen- 
to anni  dopo,  non  trovasi  che  ab- 
bia goduto  il  titolo  di  cattedrale 
o  di  duomo  prima  del  duodecimo 
secolo,  avanti  il  qual  tempo  trova- 
si appellata  pieve.  E  siccome  i  fio- 


FTR  57 

rentini  nel  quinto  secolo  agli  8  ot- 
tobre  riportarono  gloriosa  vittoria 
sui  goti  ,  giorno  in  cui  cade  il  dì 
natalizio  della  santa  vergine  e  mai- 
tire  Reparata,  dipoi  in  memoria  dì 
quell'avvenimento  accaduto  nel  gior- 
no a  lei  sagro,  gì' innalzarono  il 
maggior  tempio.  Da  un  documen- 
to rilevasi  che  nel  1128  s.  Repa- 
rata da  pieve  già  era  divenuta  duo- 
mo e  cattedrale,  non  essendolo  an- 
cora nel  1099.  Né  si  deve  far  caso 
che  si  trovino  in  s.  Reparata  indi- 
zi di  chiesa  cattedrale  innanzi  al 
tempo  in  cui  fu  dichiarata  tale,  co- 
me la  sedia  episcopale  murata,  la 
visita  che  vi  faceva  il  vescovo  nel 
suo  possesso  prima  di  andare  a 
s.  Giovanni ,  due  concili  ivi  pure 
celebrati,  e  parecchie  funzioni  fat- 
tevi dal  comune.  Imperocché  o  a- 
vevano  luogo  proteste  senza  pregiu- 
dizio delle  antiche  ragioni  e  dirit- 
ti di  s.  Giovanni ,  o  precedeva  il 
consenso  de'  canonici  che  la  riguar- 
davano come  loro  chiesa  e  concat- 
tedrale. Anzi  il  popolo  riguardan- 
dola come  sua  chiesa ,  la  eleggeva 
per  alcune  feste,  siccome  adatta  al- 
le cerimonie  e  sagre  solennità.  Con- 
clude il  p.  Richa  che  il  tempio  di 
s.  Giovanni  può  riguardarsi  come  la 
prima  fabbrica  de'  fedeli  in  Firen- 
ze, e  che  l'antica  chiesa  di  s.  Pie- 
parata  fosse  assai  grande  e  magni- 
fica. 

Divenuta  nel  secolo  XII  la  chie- 
sa di  s.  Reparata  duomo  e  catte- 
drale della  capitale  di  principato  e 
repubblica  indipendente,  e  trasferite 
le  preminenze  ad  essa  da  s.  Giovan- 
ni ,  questa  divenne  pieve.  Quindi 
sembrando  conveniente  di  ridurre 
la  chiesa  di  s.  Reparata  a  maggior 
grandezza  e  magnificenza,  secondo 
quanto  avevano  praticato  varie  cit- 
tà d'Italia  colle  loro  cattedrali,  me- 


58  Flit 

diante  le  buone  regole  di  architet- 
tura, come  ammiravasi  in  Firenze 
stessa  nelle  belle  chiese  del  Carmi- 
ne, di  s.  Maria  Novella  e  di  s.  Cro- 
ce, perciò  con  giusto  divisamen- 
to  i  fiorentini  deliberarono  di  co- 
struire una  fabbrica  splendidissima, 
in  un  tempo  che  Firenze  pel  fio- 
rente commercio,  e  per  la  riforma 
del  governo  era  tenuta  I'  erario 
d' Italia ,  epoca  che  dai  fiorentini 
fu  chiamata  l'età  dell'oro.  Indi 
nel  1294  s'incominciò  a  trattare 
di  rendere  la  chiesa  di  s.  Repara- 
ta, allora  molto  dì  grossa  forma , 
degna  di  sì  illustre  nazione,  rifa- 
cendola totalmente  di  pianta ,  cor- 
rispondente alla  maestà  e  grandez- 
za della  repubblica ,  venendo  pre- 
scelto 1'  architetto  Arnolfo  di  Lapo» 
Se  ne  die  partecipazione  a  Bonifa- 
cio Vili,  che  ne  provò  sommo  con- 
tento ,  e  non  potendo  recarsi  di 
persona  a  benedir  la  prima  pietra, 
inviò  a  farne  le  veci  un  cardinale 
legato,  che  vuoisi  sia  stato  Pietro 
Valeriani  di  Piperno,  ed  agli  8 
settembre  1298  ebbe  luogo  con  tut- 
te le  formalità  la  benedizione  del- 
la prima  pietra.  Però  il  Nelli  nel 
libro  intitolalo,  Piante  od  alzati 
interiori  ed  esterni  dell'  insigne  chie- 
sa di  s.  Maria  del  Fiore  ec. ,  con 
buone  ragioni  attribuisce  tal  funzio- 
ne all'anno  1296.  Il  titolo  imposto 
alla  nuova  chiesa  dal  cardinale  nel- 
l'atto di  buttare  ne'  fondamenti  la 
pietra,  ad  istanza  della  repubblica, 
fu  di  s.  Maria  del  Fiore,  che  allu- 
de al  nome  della  città,  ed  all'ar- 
me della  medesima,  qual  è  un  gi- 
glio in  campo  bianco,  come  dicem- 
mo superiormente.  Il  popolo  non 
potè  dimenticare  l' antico  nome  di 
s.  Reparata,  e  gli  fu  proibito  nel 
j4-I2,  restando  il  nome  della  san- 
ta solo   contitolare  alla  chiesa,  per 


F1R 
cui   se  ne    celebra    Y  annuale     festa 
con   1'  ottava ,    e  solennemente  col- 
l' intervento    di  tutto  il  clero  ,  con 
tutti   i  priori  e  rettori  delle  chiese 
di  Firenze,  in  segno  di  sua    antica 
preeminenza.    Oltre    la    repubblica 
contribuirono    alle     immense    spese 
del  grandioso  edifizio  ,  V  arte  della 
lana  ,  ed  anche  i  capitani  di   Or  s. 
Michele ,    le    maestranze    fiorentine 
delle    ventidue    arti ,    le   comunità 
de'  cleri  e  congregazioni    religiose  , 
e  la  pietà  de' particolari    cittadini, 
accesa  dalla  liberalità    delle   indul- 
genze a  tal   fine  concesse  dai   som- 
mi Pontefici.   Per  morte  di    Arnol- 
fo proseguì   la  sospesa   fabbrica  ver- 
so il  1 3 3  1   l'altro  eccellente  archi- 
tetto  Giotto,  e  poscia  vi   operaro- 
no il  Gaddi,  1'  Orcagna,  Filippo  di 
Lorenzo,  Filippo  Brunellesco  ,  che 
voltò  la  bellissima  cupola,  ed  altri. 
La  facciata    esterna    eretta    da   Ar- 
nolfo, la  rinnovò  il  Giotto  nel  i334» 
ma   nel  iSSS  incominciò  a  disfarsi, 
onde    fu  proposta    la    demolizione. 
Così  deforme  restò  per   varie  cause 
sino    al    i636,   in    cui   dal  grandu- 
ca Ferdinando  II  fu  gettata  la  pri- 
ma pietra  per  la  nuova,  che  lenta- 
mente   venne    proseguita.    L' opera 
di   s.  Maria   del   Fiore  ha  cura    del- 
la conservazione  dell' edifizio  ;  i  de- 
putati  e  magistrati  della  medesima 
ebbero    privilegi    e    concessioni     da 
Gregorio  XII,  da    Eugenio  IV,    da 
Nicolò  V  e  da  altri   Papi.  Pieno  di 
venerazione   Eugenio   IV    per  que- 
sta cattedrale,  solennemente  la  con- 
sagrò a' 25  marzo  1 4^6. 

Passando  allo  stato  presente  del 
duomo,  furono  demolite  nel  1824 
le  miserabili  casupole,  che  fiancheg- 
giavano quel  maestoso  edifizio  dal- 
la parte  meridionale ,  e  vi  furono 
eretti,  col  "disegno  del  cav.  Giovan- 
ni   Baccani ,  grandiosi  palazzi,   pre- 


FIR 
bendo  e  abitazioni  de  canonici ,  e 
da  ciò  -venne  ad  acquistare  la  sa- 
gra fabbrica  nuovo  lustro,  e  nuo- 
va bellezza.  Pocbi  anni  dopo  soilo 
uno  de' nuovi  palazzi  furono  collo- 
cate le  statue  colossali  di  Arnolfo 
di  Lapo  e  di  Filippo  Brunellesco, 
quasi  contemplando  l'uno  il  suo 
duomo.,  l'altro  la  sua  cupola;  com- 
ponimento sublime,  e  lavoro  am- 
mirabile dell'egregio  scultore  Lui- 
gi Painpaloni.  11  duomo  è  stato 
ultimamente  circondato  per  l'intie- 
ro, come  da  un  cancello,-  da  cate- 
ne, spranghe  e  colonnette  di  fer- 
ro fuso  nella  reale  oflicina  di  Ful- 
lonica.  In  quanto  alla  facciata  ri- 
petiamo che  non  1'  ha  ,  e  aggiun- 
giamo non  restarvi  che  leggerissi- 
me tracce  di  quella  che  in  fretta 
e  furia  fecero  a  fresco  alcuni  pit- 
tori bolognesi  ,  per  le  nozze  del 
principe  Ferdinando  figlio  di  Cosi- 
mo 111  nel  1688.  Di  questa  pittu- 
ra cosi  si  trova  scritto  sotto  l' an- 
no citato  nel  Pastoso,  diario  mss. 
della  libreria  de'  canonici  :  costò  sei 
mila  scudi,  e  perchè  fatta  in  fret- 
ta, e  in  tempi  umidi,  cominciò  su- 
bito a  guastarsi.  Neil'  interno,  cioè 
nelle  sagrestie,  una  de' canonici,  l'al- 
tra dei  cappellani ,  nel  grosso  dei 
piloni  con  gran  fatica  ed  ottima 
riuscita  si  praticarono ,  non  sono 
molti  anni,  due  comodi  stanzini,  la 
mancanza  de'  quali  era  al  clero  di 
gran  disagio,  e  di  non  poca  brut- 
tura al  contorno  del  tempio.  Nel 
ripulimento  finalmente  di  tutta  la 
chiesa,  compiuto  nel  1842,  demo- 
liti i  due  altari  di  fondo,  e  scari- 
cato il  bellissimo  coro  di  quella 
selva  di  colonne,  che  tanto  fuor 
di  luogo  parvero  al  gran  Canova, 
e  ridotta  a  miglior  forma  l' ara 
massima,  e  sormontatala  col  celebre 
crocifisso  di  Benedetto  da  Majano,  so- 


FIR  59 

no  stale  dipinte  con  somma  accortez- 
za, nel  corso  delle  navate  laterali,  due 
finestre  per  parte,  che  quantunque 
finte  sembrano  riflettere  viva  luce 
come  le  vere  formate  dai  famosi 
vetri  colorali.  Vi  è  stala  rivendi- 
cata dal  suo  squallore,  e  circonda- 
ta di  vaghissima  cornice  l'antica 
pittura,  che  rappresene  Dante,  e 
nel  campo  da  una  parte  l'antica 
Firenze,  dall'altra  un  simbolo  del- 
le tre  parti  della  Divina  Comme- 
dia ,  e  sotto  il  famigerato  tristico 
di  Coluccio.  Sono  stati  quindi  più 
simmetricamente  disposti  i  quadri, 
le  statue,  l'arche  e  le  quattro  pit- 
ture a  fresco ,  cioè  Pietro  Corsini 
arcivescovo,  Luigi  Marsili  teologo, 
Giovanni  Acuto  inglese,  e  Nicolao 
da  Tolentino,  glandi  capilani  de' fio- 
rentini ,  trasportate  felicemente  in 
tela  col  suo  nuovo  metodo  dal  ce- 
lebre Giovanni  Rizzoli  della  pieve 
di  Cento,  nell'anno  1842:  sono  sta- 
te sospese  le  prime  due  nella  cap- 
pella della  Madonna  della  Neve 
nella  terza  tribuna,  e  le  altre  due 
una  di  qua  e  una  di  là  sulle  due 
porte  laterali  alla  porta  maggio- 
re. E  stato  pure  costruito  un  nuo- 
vo coro  per  l'inverno  nella  detta 
terza  tribuna,  ammirabile  per  la  sua 
struttura,  e  per  il  suo  vantaggio. 
Ora  si  vanno  ad  abolire  le  due 
cantorie  dei  due  organi  per  co- 
struirvene  due  che  più  armonizzi- 
no colla  moderna  ristaurazione;  e 
facciamo  voti  che  alla  fine  sia  co- 
struita degna  di  tanto  tempio  la 
facciata,  il  cui  disegno  venne  or- 
dinato nel  decorso  anno,  e  perciò 
molti  ne  furono  presentati  da  egre- 
gi artisti.  Fra  questi  nomineremo 
quello  pubblicato  nell' istesso  anno 
in  Firenze  con  magnifica  edizione, 
e  belle  stampe,  pei  tipi  della  so- 
cietà tipografica,  con  questo  titolo; 


6o  F1R 

Dimostrazione  del  progetto  dell'ar- 
chitetto cav.  Nicolò  Matas,  per  com- 
piere colla  facciala  l' insigne  basi- 
lica di  s.  Maria  del  Fiore,  me- 
tropolitana della  città  di  Firenze. 
Questo  progetto  fu  da  molti  in- 
telligenti grandemente  encomiato. 

Oltre  la  cattedrale  in  Firenze 
sonovi  trentaquattro  parrocchie,  sen- 
za fonte  battesimale;  quella  di  s. 
Lorenzo,  basilica  imperiale  e  reale, 
è  pure  collegiata  insigne  ;  s.  Fre- 
diano è  semplice  collegiata  ;  Or  s. 
Michele  prepositura.  In  tutta  l'ar- 
cidiocesi  le  parrocchie  sono  circa 
quattrocento  sessantuna.  V.  Sta- 
tistica ecclesiastica  della  città,  su- 
burbio e  pivieri  dell'  arcidiocesi  di 
Firenze,  di  Luigi  Santoni  primo 
cancelliere  della  curia  arcivescovile 
fiorentina,  184.2-  Ad  ogni  nuovo 
arcivescovo  la  mensa  è  tassata  nei 
libri  della  camera  apostolica  in 
fiorini  mille  cinquecento  quarantu- 
no.  Inoltre  nella  città  evvi  il  monte 
di  pietà,  nove  conservatorii  o  educa- 
torii  per  le  donzelle,  cioè  la  ss.  An- 
nunziata (eretto,  come  sopra  accen- 
nammo, dalla  munificenza  di  Fer- 
dinando III  padre  dell'attuale  gran 
duca),  Ripoli,  le  Mantellate  già  Chia- 
rito, s.  Agata,  gli  Angiolini,  il  Con- 
ventino, le  Giovacchine,  Fuligno  e 
le  Filippine.  La  ss.  Annunziata,  e 
Foligno  sono  sotto  donne  secolari; 
Ripoli,  le  Mantellate,  s.  Agata,  gli 
Angiolini ,  e  il  Conventino  delle 
oblate,  che  però  vi  accenneremo 
tra  gli  ordini  religiosi,  le  Giovac- 
cliine e  le  Filippine  sono  una  spe- 
cie di  pinzochere,  le  ultime  delle 
quali  non  sono  riconosciute  dal  go- 
verno, e  che  si  possono  aggiungere 
alle  Filippine  accennate  da  noi  al 
proprio  articolo,  perchè  convivono 
6otto  la  regola  di  s.  Filippo  Neri, 
da  cui  hanno  il  nome.   Il   conser- 


FIR 
vatorio  di  Ripoli  ebbe  per  fonda- 
trice la  ven.  Eleonora  Ramirez 
Montalvi,  dalla  quale  fu  pure  fon- 
dato il  celebre  conservatorio  ed 
educatorio,  la  Quiete,  poco  più  di 
un  miglio  distante  da  Firenze  per 
la  porta  di  s.  Gallo.  Avvi  pure  il 
conservatorio  in  piazza  detto  di  s. 
Felice  per  le  mal  maritate,  e  il 
rifugio  delle  convertite  in  s.  Am- 
brogio, e  il  ritiro  delle  fanciulle 
pericolanti  presso  la  detta  porta  a 
Orbetello  per  infelici  sedotte,  e 
l'ospizio  delle  vedove  in  borgo  s. 
Frediano.  Quindi  il  Bigallo  per  i 
poveri  orfanelli  d'ambo  i  sessi,  l'or- 
fanotrofio di  s.  Filippo  Neti,  l'o- 
spizio de'  poveri  albergati  in  s.  O- 
nofrio.  I  monisteri  e  conventi  di  mo- 
nache e  religiosi  sono  i  seguenti. 
Va  però  avvertito,  che  quantun- 
que i  cappuccini  abbiano  il  loro 
convento  a  Montughi  fuori  di  Fi- 
renze, abitano  però  anche  negli  spe- 
dali di  s.  Maria  Nuova,  e  di  Bo- 
nifazio, in  numero  sufficiente  ad 
assistere  spiritualmente  gì'  infermi. 
Monaci  :  Monaci  benedettini  cassi- 
nensi nella  celebre  badia.  Vallom- 
brosani  in  s.  Trinità.  Camaldolen- 
si  in  s.  Maria  degli  Angeli.  Frati: 
Agostiniani  eremiti  calzati  in  s.  Spi- 
rito. Domenicani  in  s.  Maria  No- 
vella. Domenicani  della  stretta  os- 
servanza, o  Gavotti  in  s.  Marco. 
Carmelitani  calzati  in  s.  Maria  del 
Carmine.  Carmelitani  scalzi  in  san 
Paolino.  Francescani  minori  con- 
ventuali in  s.  Croce.  Francescani 
minori  osservanti  in  Ognissanti.  Ser- 
vi di  Maria  nella  ss.  Annunziata. 
Chierici  regolari:  Padri  delle  scuo- 
le pie  in  s.  Giovannino,  che  han- 
no pure  da  pochi  anni  in  qua  casa 
e  scuole  in  s.  Carlo  già  de'  barna- 
biti. Padri  ministri  degl'  infermi  in 
s.  Maria  Maggiore.  Congregazioni: 


FIR 

Signori  sacerdoti  delle  missioni,  o 
di  s.  Vincenzo  de'Paoli  in  s.  Ja- 
copo oltr'Arno.  Preti  dell'oratorio 
di  s.  Filippo  Neri  in  Firenze.  Spe- 
dali :  I  fate  bene  fratelli,  o  speda- 
lieri  di  s.  Gio.  di  Dio,  in  s.  Gio.  di 
Dio.  Vi  sono  poi  molti  ospizi  di 
religiosi ,  che  hanno'  conventi  per 
la  Toscana.  Monache:  Agostiniane 
in  s.  Martino.  Benedettine  in  s.  A- 
pollonia,  e  in  s.  Silvestro.  Carme- 
litane scalze  in  s.  Teresa.  Carme- 
litane o  barberine  della  stretta  os- 
servanza in  s.  -Maria  Maddalena. 
Domenicane  in  s.  Croce,  volgarmen- 
te la  Crocetta,  e  in  s.  Domenico 
nel  Maglio.  Francescane  in  s.  Giro- 
lamo. Clarisse  in  s.  Elisabetta.  Cap- 
puccine riformate  in  s.  Coletta.  Val- 
lombrosiane  in  s.  Spirito  sulla  co- 
sta santa  Verdiana.  Oblate:  Inser- 
vienti all'  arcispedale  di  s.  Maria 
Nuova,  e  allo  spedale  di  Bonifa- 
zio. S.  Agata,  conservatorio  e  edu- 
candato. Montalva  in  Ripoli,  con- 
servatorio. Mantellate  in  Chiarito, 
conservatorio  servite.  S.  Maria  de- 
gli Angeli,  o  gli  Angiolini,  con- 
servatorio e  educandato.  Terziarie: 
le  Suore,  dette  le  Suorine,  in  via 
della  Scala,  francescane;  le  Vedo- 
ve in  via   de'  Banchi,  domenicane. 

Concili  di  Firenze. 

Il  primo  fu  tenuto  neh'  anno 
io55,  nella  cattedrale  allora  appel- 
lata s.  Reparata,  verso  la  solenni- 
tà di  Pentecoste,  cui  alcuni  scrit- 
tori fiorentini  diedero  il  nome  di 
gpnerale,  perchè  celebrato  dal  som- 
mo Pontefice  Vittore  li,  alla  pre- 
senza dell'imperatore  Enrico  111, 
e  di  Beatrice  madre  della  contessa 
Matilde,  secondo  il  Fiorentini.  Vi 
si  trattarono  molti  punti  di  disci- 
plina ecclesiastica;  vi  si  corressero 


FIR  61 

parecchi  abusi,  come  gli  scandali 
prodotti  da  diversi  vescovi  ed  ec- 
clesiastici, nel  costume  e  nella  si- 
monia. Si  provvide  con  pena  di 
scomunica  al  dissipamento  de'  beni 
di  chiesa ,  alle  alienazioni  e  do- 
nazioni che  ne  facevano  i  prelati, 
laonde  furono  interdetti  gli  usur- 
patori de'  medesimi  beni,  rinnovan- 
dosi le  anteriori  censure  e  proibi- 
zioni. Vennero  di  nuovo  condan- 
nati gli  errori  di  Berengario,  capo 
degli  eretici  sagramentari.  Diz.  dei 
concili;  Regia  tom.  XXV;  Labbé 
tom.   IX;  ed   Arduino  tom.  V. 

Il  secondo  fu  celebrato  nel  1 062 
contro  l'antipapa  Cadalao ,  che  a- 
vea  preso  il  nome  di  Onorio  II, 
protettore  dei  simoniaci,  dei  con- 
cubinari, e  degli  incontinenti.  Re- 
gia tom.  XXV;  Labbé  tom.  IX; 
ed  Arduino  tom.  V. 

Il  terzo  ebbe  luogo  nelP  anno 
1 104, 1  io5,  1 106,  ovvero  tra  il  1099 
e  il  1 1 17,  ed  anche  questo  da  alcuni 
scrittori  fiorentini  venne  qualificato 
generale,  forse  perchè  lo  convocò 
Papa  Pasquale  II,  coli'  intervento 
di  trecento  quaranta  vescovi,  ad 
onta  dello  scisma  che  sulle  investi- 
ture turbava  la  Chiesa,  sostenuto 
successivamente  da  tre  antipapi.  Il 
vescovo  di  Firenze  Rinieri  ,  non 
Fluenzio  come  altri  il  chiamarono, 
vedendo  sossopra  il  mondo  per  la- 
grimevoli  avvenimenti,  più  per  ipo- 
condria che  persuasione  si  indusse 
a  predicare  essere  nato  l'anticri- 
sto ,  congetturandolo  dal  cumulo 
de'  disastri  forieri  della  fine  del 
mondo.  Ciò  recando  grave  pregiu- 
dizio nelle  opinioni,  giudicò  Pasqua- 
le li  di  porvi  riparo  celebrando 
questo  concilio  ,  ove  con  quel- 
la dottrina  e  soavità  che  lo  distin- 
guevano, persuase  il  vescovo  del- 
1  errore,  il  quale  domandò   ed  ot- 


€a  Fll\ 

tenne  il  perdono  ricredendosi  for- 
malmente delle  sue  assertive.  Quin- 
di il  concilio  dichiarò  condannata 
tale  dottrina ,  come  condannò  e 
scomunicò  Enrico  IV.  Dìz.  de'  con- 
cili; ed  il  p.  Mansi  tom.  II,  col. 
32r   e  222. 

11  quarto  concilio  tenuto  in  Fi- 
renze, fu  una  continuazione  di  quel- 
lo   adunato    in    Ferrara,    ed  è  l'i- 
guardato    generale    ed     ecumenico 
fino  alla  partenza  de'  greci  :  il  con- 
cilio generale   fiorentino   è  il   XVI 
in  ordine  di  concili    generali  ,    se- 
condo il  calcolo  di    quelli    che  non 
contano    per     tale     il    concilio    di 
Costanza  (Fedi).  Ad  intender  me- 
glio   ciò    che    diede    origine    alla 
convocazione    del    concilio    di  Fer- 
rara ,    e    prosecuzione    in    Firenze , 
vanno  letti  il  citato  articolo ,    non 
che    gli    articoli     Basiiea    e    Fer- 
rara.   Tuttavolta    qui    daremo   un 
ulterior    cenno     delle    cagioni    che 
indussero  Eugenio    IV    a    promul- 
gare   il  concilio  di  Basilea,    indi  a 
trasferirlo  prima  a  Ferrara,    e  poi 
a  Firenze.    Era    gran    tempo  dac- 
ché la  Chiesa  romana  od  occiden- 
tale, per  molle  giuste  cagioni  erasi 
separata    dalla    greca    o  orientale, 
benché  lo  zelo  de' Pontefici    avesse 
più   volle  tentato  di   convenire  in- 
sieme ad  una  vera  e  stabile  unità 
di   fede.   Cinque  fra  gli  altri  erano 
gli   articoli  che  fomentavano  la  con^ 
turnazione     dello     scisma,     i.9    La 
processione  dello  Spirito  Santo  dal 
Padre    e  dal    Figliuolo,    biasimata 
da'  greci,  i  quali   mal  consigliati  la 
predicavano    come     cosa     incogni- 
ta   ai    padri  del    concilio    JNiceno. 
Il    2.0    verteva    circa    la   consagra- 
zione  del  corpo  di  Cristo  in  pane 
fermentato.  Il  3.°  riguardava  l'esi- 
stenza del  purgatorio,  e  se  le  ora- 
zioni dei  vivi  giovino  a'    morti.   Il 


FIR 

4-'  era,  se  chi  ha  purgato  vivendo 
le  sue  colpe,  o  non    mai    era    in- 
corso in   peccati,  morendo  andasse 
immediatamente  in  paradiso.  E  l'ul- 
timo di   gran  gelosia  a'  greci  ,  era 
se    il    romano    Pontefice    abbia    il 
principato  della  Chiesa  universale, 
e  sia  il  vero  Vicario  di  Gesù  Cri- 
sto. A  torre  via  dunque  queste  di- 
visioni, e  per  istabilire  una  perfet- 
ta concordia,  si  presentò  un'oppor- 
tuna occasione,   la  quale    fu    l'in- 
grandimento formidabile  della  po- 
tenza    ottomana,     che     riportando 
vittorie  e  conquiste    sugl'imperato- 
ri   greci ,    quel!'  impero ,    come    lo 
splendore    di    quella    chiesa    erano 
in  decadenza.  Ed    è    perciò  che  il 
saggio  imperatore  greco    Giovanni 
Paleologo ,    e  i  prelati    orientali  si 
persuasero  a   riunirsi  ai   latini,  dai 
quali     speravano     potenti     soccorsi 
contro  i  turchi.  Ripugnando  i  gre- 
ci   di    portarsi    a    Basilea,    perchè 
l'adunanza  era    divenuta    concilia- 
bolo, si  portarono  invece  a  Ferra- 
ra da  Eugenio  IV,  avendo  alla  te- 
sta l' imperatore,  il  suo  fratello  De- 
metrio despota  di  Morea,  e  il  pa- 
triarca di  Costantinopoli  Giuseppe, 
con  gran    consolazione    del    Papa , 
e    dei    padri    della    Chiesa    latiua. 
Dopo  sedici  sessioni  tenute  in  Fer- 
rara, la  peste  costrinse  Eugenio  IV 
a  trasferire  il  concilio    in  Firenze, 
con  indicibile  gioia  de'  fiorentini,  i 
quali  apparecchiarono    lutto    l' oc- 
corrente, per  ricevere  ospiti  si  au- 
gusti, venerandi  e  rispettabili. 

Cosimo  de'  Medici  il  Vecchio , 
siccome  figurava  il  primo  in  Fi- 
renze, per  dimostrazione  del  suo 
animo  pieno  di  religione  e  genero- 
sità, a'  22  o  2  3  gennaio  i438  ri- 
cevè con  grandi  onori  il  Papa  ac- 
compagnato da  tre  cardinali,  e  da 
molti  prelati,   servito  alla  porta  di 


FIR 
.«.  Gallo  dai  priori  tt  dal  clero  fino 
alla  sala  pontifìcia  in  s.  Maria  No-? 
velia.  A'  1 3  febbraio  il  medesimo 
Cosimo  andò  ad  incontrare  il  pa- 
triarca Giuseppe  ,  uomo  per  l'età  , 
per  la  dottrina  e  pel  grado  molto 
venerando.  Egli  entrò  in  Firenze 
in  mezzo  del  cardinal  Colonna,  e 
del  cardinal  fermano  di  s.  Maria 
in  Via  Lata;  passò  per  la  piazza 
de'  Signori  discesi  nella  ringhiera, 
a  nome  de'  quali  parlò  in  greco 
Lionardo  Aretino,  e  fu  il  patriar- 
ca onorevolmente  alloggialo  nella 
casa  de'  Ferrantini  in  Finii.  Tre 
giorni  dopo  giunse  l' imperatore , 
ricevuto  con  magnificenza  conve- 
niente alla  sua  dignità,  secondo  il 
costume  grandioso  de'  fiorentini  nel 
ricevimento  de' principi.  Tutti  i  ma- 
gistrati andarono  alla  porla  della 
città,  ove  pure  il  detto  Lionardo 
in  idioma  greco  fece  all'imperato- 
re un  elegante  sermone;  e  per  re- 
sidenza imperiale  dal  gonfaloniere 
di  giustizia  Filippo  Carducci  gli  fu 
data  tutta  l'isola  delle  case  de'  Pe- 
ruzzi;  e  poco  dopo  giungendo  De- 
metrio fralello  dell'imperatore,  pas- 
sò ad  abitaie  il  palazzo  de'Castel- 
lani;  ed  a  misura  del  grado  si  or- 
dinarono a  tutti  i  prelati  splendi- 
de accoglienze.  Circa  al  cerimonia- 
le tenuto  nella  cattedrale  di  s.  Ma- 
ria del  Fiore  nell'  ordine  delle  se- 
die di  tanti  personaggi,  tolte  alcu- 
ne difficoltà  mosse  dall'  imperatore 
circa  il  trono  pontifìcio,  si  dispo- 
sero coll'ordine  seguente.  Sull'alla- 
re  tra  i  lumi  eranvi  le  immagini 
de'  ss.  apostoli  Pietro  e  Paolo,  in 
mezzo  alle  quali  era  collocala  la 
sagia  Scrii  Una,  quattro  passi  di- 
stante dall'altare.  Diversi  autori 
scrissero  che  non  le  immagini  ma 
le  sagre  teste  de'  principi  degli  a- 
postoli    furono    esposte    in    questa 


FIR  G3 

venerabile  assemblea.  Ciò  non  è 
vero,  perchè  mai  sì  preziose  reli- 
quie, dopo  che  Urbano  V  dal  Sari- 
età  Sanctorum  le  collocò  sul  cibo- 
rio che  sovrasta  l'altare  papale  del- 
la basilica  lateranense,  furono  da 
questo  luogo  rimosse,  come  dimo- 
stra il  Cancellieri  a  pag.  3o  delle 
Memorie  storiche  delle  sagre  teste 
de'  ss.  apostoli  Pietro  e  Paolo.  Fal- 
la parte  del  vangelo  era  vi  il  soglio 
del  Pontefice,  dopo  del  quale  un  pas- 
so veniva  il  trono  dell'imperatore  di 
Germania  vacante;  seguivano  lesedie 
per  otto  cardinali,  per  due  patriar- 
chi latini,  a  lato  a'  quali  eranvi  i 
prelati  ambasciatori  di  re  e  prin- 
cipi. Seguivano  otto  arcivescovi,  e 
quarantasette  vescovi,  quattro  ge- 
nerali de'  regolari ,  e  quarantuno 
abbati,  tutti  della  Chiesa  latina, 
componenti  un  maestoso  semicir- 
colo. Dall'altra  banda,  cioè  dalla 
parte  dell'epistola,  vedevasi  il  tro- 
no dell' imperatore  greco,  di  por- 
pora e  d' oro  ricchissimo,  con  alla 
sua  destra  uno  sgabello  pel  despo- 
la suo  fratello;  di  poi  la  sedia  del 
patriarca  di  Costantinopoli,  quat- 
tro palmi  inferiori  alla  pontificia, 
ornata  di  rosso,  e  coperta  di  por- 
pora ;  alquanto  discosti  da  questa 
sedevano  due  vicari  de'  patriarchi 
assenti,  dieciotto  metropolilani,  cin- 
que dignità  ecclesiastiche,  e  sette 
abbati,  tutti  della  chiesa  orientale. 
Sessione  I.  Sedutosi  Eugenio  IV 
nel  suo  trono,  andarono  a  baciar- 
gli la  mano  i  greci  e  i  latini.  Qui 
noteremo  che  nel  volume  XIX  , 
pag.  3o8  del  Dizionario,  ed  all'ar- 
ticolo Exocatacoeli  [Vedi),  par- 
lammo dell'omaggio  che  resero  ad 
Eugenio  IV  i  diaconi  patriarcali  di 
Costantinopoli,  e  di  grande  auto- 
rità, considerati  come  i  cardinali 
della  chiesa  greca.  Indi  si  cantò  in 


64  FIR 

greco  l'inno  :  Veni  Creator  Spiri- 
tus,  dopo  il  quale  il  Papa  celebrò 
la  messa.  Siccome  il  patriarca  di 
Costantinopoli  non  potè  intervenir- 
vi, essendo  caduto  infermo,  tutta 
la  disputa  passò  tra  l' imperatore 
de'  greci ,  il  quale  al  riferire  de- 
gl'  istorici  era  dotto,  e  il  cardinal 
Giuliano  Cesarmi,  già  presidente 
del  concilio  di  Basilea  ;  e  fu  con- 
chiuso, che  si  studierebbe  da  una 
parte  e  dall'  altra  qualche  ripiego 
per  riunirsi. 

Sessione  II  e  III.  Vi    si    aggirò 
la    materia  intorno    alla   processio- 
ne dello    Spirito    Santo.    Giovanni 
Turrecremata  di  Monte  Negro  pro- 
vinciale   de'  domenicani    di    Lom- 
bardia,   insigne    teologo    de'  latini  , 
con  sodi  argomenti,  colla  Scrittura, 
e  colla  tradizione  provò  che  lo  Spi- 
rito   Santo    procede    dal    Padre    e 
dal    Figliuolo.    Spiegò    dottamente 
che  cosa  si  deve  intendere  pel  ter- 
mine di    processione,    e    disse    che 
procedere  era    ricevere    la    propria 
esistenza    da    un  altro.    Marco   ar- 
civescovo    d' Efeso    avendo    questa 
proposizione  accordata,  Giovanni  ar- 
gomentando da  questa  disse:  »  Que- 
j>   gli,  da  cui   lo  Spirito  Santo    ri- 
:>   ceve  l'essere  delle  Persone  divi- 
»  ne,  ne  riceve  anche    la    proces- 
»   sione;   or  lo  Spirilo  Santo  rice- 
«   ve  l'essere    dal    Figliuolo;    dun- 
>!   que  ei  ne  riceve  ancora  la  proces- 
»   sione,  secondo  la  propria    signi- 
>'  flcazione    di    questo    termine  ". 
Ma  Marco  avendo  negato    che    lo 
Spirito    Santo    riceve    1"  essere  dal 
Figliuolo,  Giovanni  lo    provò    con 
molti  argomenti  ;  e  confutò  sì  pie- 
namente le  obbiezioni    di    Marco , 
che   lo  fece  ammutolire.  A  maggior 
chiarezza  di    questo    punto    delica- 
tissimo, non  riuscirà  discaio  esporlo 
come  si  legge  nel  Becchetti,  all'ali* 


FIR 

no  1 4^9  della  sua  Storia  ecclesia- 
stica. Egli  pertanto  dice,  che  nella 
11  e  111  sessione  vi  si  aggirò  la 
materia  intorno  alla  processione 
dello  Spirito  Santo.  Giovanni  di 
Monte  Negro  sostenne  la  disputa 
per  parte  dei  latini,  e  Marco  d'E- 
feso fu  quegli  che  gli  rispose  a  no- 
me dei  greci.  Convennero  da  prin- 
cipio ambedue  che  la  voce  proces- 
sione si  attribuiva  egualmente  al 
Figliuolo,  e  allo  Spirito  Santo,  seb- 
bene si  fosse  dai  teologi  fatta  pro- 
pria dello  Spirito  Santo,  ed  al  Fi- 
gliuolo si  fosse  attribuita  la  voce 
di  generazione.  Convennero  pari- 
menti che  lo  Spirito  Santo  si  di- 
ceva procedere  da  quella  persona, 
dalla  quale  riceveva  ab  eterno,  ciò 
che  era.  Ma  quando  Giovanni  co- 
minciò a  provare  che  esso  Spirito 
Santo  riceveva  il  suo  essere  dal 
Figliuolo  come  dal  Padre,  e  che 
in  conseguenza  da  esso  ancora  pro- 
cedeva, e  dimostrò  che  ciò  si  era 
chiaramente  insegnato  da  s.  Epifa- 
nio, Marco  d'Efeso  cominciò  a  so- 
fisticare, e  fu  d'uopo  per  convin- 
cerlo di  replicare  a  quelle  molte 
sottigliezze  e  sofismi,  che  gli  piacque 
di  produrre  per  non  dichiararsi 
convinto.   Così  il  Becchetti. 

Sessione  IV.  Lo  stesso  teologo 
Giovanni  mostrò  in  parecchi  esem- 
plari di  s.  Basilio,  ch'erano  stati 
trasportati  apposta  da  Costantino- 
poli, che  il  santo  dottore  dice  in 
termini  formali  nel  libro  terzo  con- 
tro Euuomio,  che  lo  Spirito  Santo 
procede  non  solamente  dal  Padre, 
ma  ancor  dal  Figliuolo. 

Sessione  V,  VI  e  VII.  Si  agitò 
ciò  che  risguardava  l'autorità  e  le 
testimonianze  di  s.  Basilio. 

Sessione  Vili  e  IX.  Giovanni 
Turrecremata  vi  parlò  lungamente 
con  molta  erudizione  e  precisione, 


FIR 

e  fece  vedere  che  di  tutti  i  padri 
greci  che  hanno  parlato  della  pro- 
cessione dello  Spirito  Santo,  molti 
hanno  detto ,  o  in  termini  formali 
o  equivalenti ,  procedere  dal  Padre 
e  dal  Figliuolo,  e  che  tutti  quelli 
che  hanno  detto:  Procede  dal  Pa- 
dre; non  hanno  mai  escluso  il  Fi- 
gliuolo. Inoltre  spiegò  come  si  pos- 
sono intendere  queste  due  prepo- 
sizioni ,  per  ed  ex ,  delle  quali  si 
fa  uso  per  esprimere  la  processio- 
ne dello  Spirilo  Santo:  e  diede  in 
iscritto  il  compendio  del  suo  di- 
scorso. 

I  greci  furono  divisi  :  altri  era- 
no per  la  unione,  tra' quali  l'im- 
peratore ,  e  Bessarione  arcivescovo 
di  Nicea  e  poi  cardinale;  gli  altri 
vi  erano  contrari,  e  tra  questi  Mar- 
co d'Efeso.  S'intavolarono  de' ma- 
neggi, si  esaminò  lo  scritto  di  Gio- 
vanni. Marco  lo  tacciava  di  eretico: 
Bessarione  per  lo  contrario  prote- 
stò altamente,  che  bisognava  dar 
gloria  a  Dio,  e  confessare  sincera- 
mente che  la  dottrina  de'  latini 
era  la  stessa  che  quella  degli  an- 
tichi padri  della  chiesa  greca  ;  e 
che  si  doveano  spiegar  quelli  che 
aveano  parlato  più  oscuramente, 
pegli  altri  che  si  erano  spiegati 
con  più  chiarezza.  Giustificò  poi 
in  un  lungo  discorso ,  che  si  ha 
negli  atti  del  concilio,  il  sentimen- 
to de'  latini  sopra  la  processione 
dello  Spirito  Santo,  confutò  le  ob- 
biezioni de'  greci ,  e  conchiuse  poi 
esortando  i  suoi  confratelli  alla  riu- 
nione. 11  suo  parlare  fu  sostenuto 
da  quello  di  Giorgio  Scolari,  uno 
dei  teologi  greci. 

L'imperatore  essendo  convenuto 
col  Papa ,  che  si  nominerebbero 
persone  da  una  parte  e  dall'altra 
per  deliberare  intorno  ai  mezzi  di 
arrivale  all'  unione  ,  furono  propo- 

VOL.    XXV. 


FIR  65 

sti  diversi  pareri,  niuno  de'quali 
fu  accettato  d'ambe  le  parti.  Dopo 
molti  maneggi  si  stese  una  profes- 
sione di  fede  sopra  la  processione 
dello  Spirito  Santo  3  nella  quale  è 
detto:  »  Noi  latini  e  greci  confes- 
m  siamo  ec. ,  che  lo  Spirito  Santo 
m  è  eternamente  dal  Padre  e  dal 
»  Figliuolo,  e  che  ab  eterno  ei 
»  procede  da  entrambi,  come  da  un 
»  solo  principio ,  e  per  una  sola 
»j  pi'oduzione,  che  chiamasi  spira- 
»  zione.  Noi  dichiariamo  altresì  che 
»  ciò  che  hanno  detto  alcuni  santi 
«  padri,  che  lo  Spirito  Santo  pro- 
»  cede  dal  Padre  per  il  Figliuolo, 
»>  deve  essere  preso  in  questo  sen- 
»  so,  che  il  Figliuolo  è  come  il  Pa- 
»  die,  e  unitamente  con  lui  il  prin- 
w  cipio  dello  Spirito  Santo.  E  per- 
«  che  tutto  ciò  che  ha  il  Padre , 
»  ei  lo  comunica  al  Figlio,  toltane 
m  la  paternità  che  lo  distingue  dal 
»  Figliuolo,  e  dallo  Spirito  Santo, 
«  quindi  è,  che  dal  Padre  suo  ha 
»  ricevuto  il  Figliuolo  ab  eterno 
»  questa  virtù  produttiva,  onde  lo 
»»  Spirito  Santo  procede  dal  Figliuo- 
»  lo  non  meno  che  dal  Padre  ". 

Questa  definizione  fu  Jetta,  ap- 
provata e  sottoscritta  agli  8  giu- 
gno dagli  uni  e  dagli  altri,  tolto- 
ne Marco  d' Efeso ,  il  quale  du- 
rò nella  sua  ostinazione.  Poscia  tut- 
ti si  diedero  il  bacio  di  pace  in 
segno  della  riunione.  Terminato 
così  questo  affare,  si  trattò  la  qui- 
stione  del  pane  azimo ,  e  f  greci 
convennero,  che  si  poteva  consa- 
grare   anche    con    questa   sorte   di 


pane 


egualmente  che  col  fermenta- 


to. Lo  stesso  seguì  intorno  alla  cre- 
denza del  purgatorio.  Fu  conve- 
nuto, che  le  anime  de'  veri  peni- 
tenti ,  morti  nella  carità  di  Dio , 
prima  di  aver  fatto  frutti  degni  di 
penitenza,  sono  purificate  dopo  la 
5 


66  FIR 

morte  colle  pene  del  purgatorio,  e 
che  sono  sollevate  da  quelle  pene 
pei  suffragi  de'  fedeli  viventi,  come 
sono  il  sagrifizio  della  messa,  le  li- 
mosi ne,  ed  altre  opere  di  pietà. 

Si  disputò  lungamente  intorno 
al  primato  del  Papa,  finalmente  i 
vescovi  greci  stesero  un  progetto , 
che  fu  accetto  al  Papa  ed  ai  car- 
dinali, ed  è  concepito  cosi  :  »  Quan- 
w  to  al  primato  del  Papa,  noi  con- 
«  fessiamo ,  ch'egli  è  il  Sommo 
»  Pontefice,  e  il  vicario  di  Gesù 
-->  Cristo,  il  pastore  e  il  dottore  di 
•>  tutti  i  cristiani  ;  il  quale  gover- 
"  na  la  Chiesa  di  Dio,  salvi  i  pri- 
«  vilegi  e  i  diritti  de'  patriarchi 
m  d'  Oriente  ". 

Dopo  parecchie  conferenze  il  de- 
creto di  unione  fu  steso,  e  fu  mes- 
so in  netto  in  greco  e  in  latino. 
11  Papa  lo  sottoscrisse,  e  dopo  di 
lui  i  cardinali  al  numero  di  dieci- 
otto, due  patriarchi  latini,  quel  di 
Gerusalemme  e  quel  di  Grado,  due 
vescovi  ambasciatori  del  duca  di 
Borgogna,  otto  arcivescovi,  quaran- 
tasette  vescovi  quasi  tutti  italiani , 
quattro  generali  di  ordini  religiosi, 
e  quarantauno  abbati  mitrati.  Per 
parte  dei  greci  l' imperatore  Gio- 
vanni Paleologo  sottoscrisse  il  pri- 
mo, ma  con  inchiostro  rosso  secon- 
do 1'  uso  de'  suoi  predecessori ,  e 
dopo  di  lui  i  vicari  de'  patriarchi 
di  Alessandria,  di  Antiochia,  e  di 
Gerusalemme.  Quel  di  Costantino- 
poli era  morto,  come  diremo  ,  poco 
prima.  Parecchi  metropolitani  sotto- 
scrissero in  loro  nome,  e  a  nome  di 
un  altro  assente.  Questo  decreto  fu 
pubblicato  in  nome  del  Papa ,  e 
in  data  del  nono  anno  del  suo  pon- 
tificato. I  greci  al  numero  di  tren- 
ta partirono  da  Firenze  a'  16  ago- 
sto i43g,  associati  sino  fuori  di  Fi- 
renze da  tutto  il  sacro  collegio  dei 


FIR 

cardinali,  tre  de' quali  vollero  ser- 
vire 1'  imperatore  sino  ai  confini 
del  territorio  fiorentino;  i  greci  ar- 
rivarono a  Costantinopoli  il  primo 
di  febbraio  i44o.  Non  solo  l'im- 
peratore compartì  ai  fiorentini  mol- 
ti onori  in  gratitudine  della  cor- 
tese ospitalità,  ma  fece  conte  di 
palazzo  il  gonfaloniere  Carducci  , 
tolse  la  metà  delle  gabelle  e  pas- 
saggi che  i  fiorentini  pagavano  in 
Costantinopoli  e  in  tutto  il  suo  im- 
pero per  le  loro  mercanzie ,  e  do- 
nò alla  nazione  un'abitazione  ,  che 
solevano  avere  i  pisani  pel  conso- 
le loro  in  Costantinopoli,  oltre  al- 
tre grazie  e  favori  dispensate  ai 
priori  in  compenso  degli  onori  ri- 
cevuti da  loro. 

Prima  di  dire  della  continuazio- 
ne del  concilio,  sia  permesso  nota- 
re alcuna  cosa  intorno  alle  ultime 
operazioni  de'  greci,  morte  del  pa- 
triarca, e  contegno  di  Marco  d'E- 
feso. Matteo  Palmieri  oratore  del- 
la repubblica  fiorentina,  fu  presen- 
te a  tutte  le  sessioni  elei  concilio. 
La  concordia,  o  decreto  di  unione 
delle  due  chiese  fu  pubblicata  a' 6 
luglio  i4^9  nella  cattedrale,  con 
tanto  concorso  di  popolo,  che  non 
ve  n'era  memoria.  La  pubblicazio- 
ne si  fece  alla  presenza  di  tutti 
quelli  che  facevano  parte  del  con- 
cilio, in  questo  modo.  Il  Papa  can- 
tò solennemente  la  messa,  e  dopo 
la  comunione,  coll'ampolla  gli  mi- 
se l'acqua  nel  calice  il  gonfalonie- 
re di  giustizia  Giovanni  Carducci. 
Dopo  la  messa  il  cardinal  Cesarini 
ascese  il  pergamo,  ch'era  nel  mez- 
zo del  coro ,  insieme  ad  un  dotto 
vescovo  greco,  ed  avendo  in  mano 
una  carta  pecora,  il  cardinale  lesse 
le  risultanze  de'  sunnominati  cin- 
que articoli  principali,  e  ad  ognu- 
no   tutta    1'  assemblea    rispondeva  •. 


FIR 

esser  contenti.  Indi  il  vescovo  gre- 
co prese  !a  detta  carta,  e  in  greco 
la  lesse  a  tutti  i  greci,  che  con 
alla  voce  rispondevano  :  esser  con- 
tenti, allora  di  tutto  fecero  forma- 
le rogito  quattro  notari  greci,  ed 
altrettanti  latini ,  poscia  ebbe  luo- 
go un  analogo  discorso,  e  la  fun- 
zione durò  sei  ore,  solennizzandosi 
in  Firenze  tal  giorno  come  la  do- 
menica. Narra  il  Migliore,  che  il 
decreto  dell'  unione  colle  legali  sot- 
toscrizioni fu  in  una  cassetta  d'ar- 
gento portato  in  palazzo  dal  car- 
dinal Cesarmi  a  donare  alla  signo- 
ria, perchè  restasse  in  Firenze  la 
memoria  del  grande  atto;  ed  ag- 
giunge che  simile  copia  1'  ebbe  poi 
il  cav.  Zanobi  Bettini,  come  la  fe- 
ce pur  fare  Leone  X  per  la  biblio- 
teca Vaticana,  ed  altra  il  cardinal 
Nerli  la  fece  eseguire  per  Clemen- 
te X.  Inoltre  si  sa  che  due  copie 
se  ne  procurò  il  convento  di  s.  Ma- 
ria Novella ,  ed  una  i  francescani 
di  Fiesole.  Di  poi  nel  i49^  Costan- 
tino re  de'  giorgiani  domandò  al 
Papa  Alessandro  VI  per  mezzo  del 
suo  ambasciatore,  copia  del  decre- 
to di  questo  concilio  sulla  condan- 
na degli  errori  de' greci ,  e  quello 
che  stabilì  la  Processione  dello  Spi- 
rito Santo  dal  Padre  e  dal  Figliuo- 
lo ,  e  del  riconoscimento  del  pri- 
mato del  romano  Pontefice  su 
tutte  le  chiese  del   mondo. 

Il  patriarca  di  Costantinopoli 
Giuseppe  morì  agli  1 1  giugno  14^9, 
e  fu  sepolto  con  sontuose  esequie 
in  s.  Maria  Novella.  La  tristezza 
che  produsse  tal  mancanza  a'  padri 
del  concilio,  fu  compensata  dalla 
protesta  sincera  ed  umile  confessio- 
ne di  fede  ,  conforme  agli  articoli 
della  Chiesa  latina,  da  lui  sottoscrit- 
ta prima  di  morire.  Che  poi  i  ve- 
scovi greci  per  gelosia ,   incostanza 


FIR  67 

ed  altri  motivi,  secondati  dall'osti- 
nato Marco  d'  Eleso ,  ritornati  nel 
loro  paese  riaccesero  lo  scisma  con 
maggior  vo'enza  di  prima,  abban- 
donando vergognosamente  la  giu- 
rata kàe,  lo  accenna  il  Ciacconio 
all'anno  i44^  con  queste  parole- 
»  Obii t  Costantinopoli  Joannes  Pa- 
ss leologus  imperato»1 ,  qui  concilio 
m  Fiorentino  interfuerat ,  cui  suc- 
»  cessit  Constantinus  XV,  sub  quo 
»  episcopus  Ephesinus  vix  re  versus 
»  ad  propria  apostala  vi  t  cum  epi- 
»  scopis ,  qui  cum  eo  Florentiam 
»  profecti  fuerant;  inde  ruina  im- 
»j  perii  Constantinopolitani ,  expu- 
»  gnatio  sequuta  est,  et  multa  il- 
»  lis  adversa  successerunt  ". 

La  memoria  e  principali  cose 
storiche  di  questo  concilio,  Euge- 
nio IV  le  fece  scolpire  nelle  porle 
di  bronzo  della  basilica  vaticana  ; 
e  l' incostanza  de'  greci  appena  fi- 
nito il  concilio  ,  quel  Pontefice  la 
espresse  nella  bolla  ,  Post  quam , 
data  Florentiae  i44r   'd.  aprilis. 

Ritornando  alla  continuazione 
del  concilio  fiorentino,  che  il  Papa 
ordinò  dopo  la  partenza  de'  greci , 
si  tenne  la  prima  sessione  a'  14  di 
settembre  i43o,  ,  ed  i  padri  del 
conciliabolo  di  Basilea,  che  sacrile- 
gamente avevano  deposto  Eugenio 
IV,  ed  eletto  l'antipapa  Felice  V, 
furono  trattati  come  eretici  e  scisma- 
tici. Nella  seconda  sessione,  tenuta 
a'  22  novembre,  Eugenio  IV  fece  il 
celebre  decreto  estesissimo  per  riu- 
nire gli  armeni  alla  Chiesa  roma- 
na. Questo  decreto  è  in  nome  del 
solo  Papa.  Oltre  alla  fede  della 
Trinità  e  dell'  Incarnazione ,  spie- 
gate dai  concili  generali,  che  vi 
sono  accennati,  contiene  ancora  la 
forma  e  la  materia  di  ogni  sagra' 
mento ,  esposta  alquanto  diversa- 
mente da  quel  che  sogliono  i  gre- 


68  FIR 

ci,  e  da  quel    che    spiegano   molti 
teologi ,    perchè    l' esposizione    non 
risguarda  la  sostanza,  ma  il  modo 
di  esprimersi.   Nella  III  sessione  ce- 
lebrata   a'  23    marzo  i44°    Euge- 
nio IV  dichiarò  Felice  V  per  anti- 
papa, eretico,  scismatico,  e  tutti  i 
suoi    fautori    rei    di    lesa    maestà  • 
promettendo  tuttavia  il  perdono  a 
quelli  che  dentro  il  termine  di  cin- 
quanta giorni  si  ravvedessero.  Nel- 
la IV    a'  5  febbraio    i44*    s'    ^ece 
un  decreto    di  riunione  coi    giaco- 
biti,  che  fu  sottoscritto    dal    Papa 
e  da  otto  cardinali.  L' abbate  An- 
drea deputato    del    patriarca  Gio- 
vanni ,  ricevette    ed  accettò  questo 
decreto  in  nome    di  tutti  i  giaco- 
biti  etiopi ,  e  promise  di  farlo  os- 
servare esattamente.  Nella  V  ed  ul- 
tima sessione,    tenuta   a'  26   aprile 
i442j  il  Papa  propose  la  traslazio- 
ne del  concilio  a  Roma,  affinchè  ri- 
cevesse maggior  autorità,  nella  ba- 
silica lateranense ,   come  propria  e 
prima  sede  del   romano  Pontefice, 
laonde  partendo   da    Firenze  a'  io 
marzo  i443  con  ventiquattro  car- 
dinali, arrivò  a  Roma  a'  21  o  28 
settembre,  e  con  due  sessioni  a' i3 
ottobre    lo   compì    definitivamente. 
Nella  detta  V  sessione  vi  si  fecero 
de'  decreti    intorno  la  pretesa    riu- 
nione de'  siri,  de'  caldei  e  de""  ma- 
roniti alla  Chiesa  romana.  Da  tut- 
tociò  rilevasi    quanto   fece   lo   zelo 
del  gran  Pontefice  Eugenio  IV  per 
riunire    tutte  le  chiese   di    oriente 
alla  santa  Sede,  volendole  convin- 
cere colle  testimonianze  della  sagra 
Scrittura,  de'  concili  e  de'  santi  pa- 
dri. A  queste  riunioni  alludono  quei 
versi  che  sono   incisi  nelle  suddet- 
te porte  vaticane,  e  da  noi  ripor- 
tati nel  volume  I,  pag.  28  del  Di- 
zionario. Veggasi    Gennadio,  detto 
prima  Giorgio    Scolari  o  Scolarlo, 


FIR 

nella  sua  Defentio  quinque  capi- 
timi ,  quae  in  sanata  aeeumenna 
fiorentina  continentur,  pubblicata  in 
Roma  nel  1637;  Giuliano  Cesari- 
ni,  nella  Dissertalio  de  inserenda 
in  Symbolum  particula  Filioque , 
habita  in  concilio  fiorentino,  la  qua- 
le fu  stampata  in  Firenze  nel  1762 
dal  dotto  p.  d.  Rodesindo  Aiuìosil- 
la  vallombrosano  ;  Orazio  Giusti- 
niani pubblicò  gli  atti  del  conci- 
lio di  Firenze  in  Roma  nel  i638 
con  questo  titolo:  Ada  s.  aecu- 
menici concilii  fiorentini ,  etc.  col- 
icela, disposila,  illustrata.  Regia 
tom.  XXXII;  Labbe'  tom.  XIII;  ed 
Arduino  tom.  IX. 

Il  quinto  concilio ,  detto  comu- 
nemente delle  lettere  rosse,  fu  ce- 
lebrato in  Firenze  nel  1 5i 7  dal 
cardinal  Giulio  de'  Medici  arcive- 
scovo della  medesima  ,  all'  oggetto 
di  stabilire  molti  regolamenti  nel- 
la disciplina ,  che  vennero  appro- 
vati da  Leone  X.  Da  questo  con- 
cilio sommi  vantaggi  spirituali  ne 
derivarono,  ed  è  perciò  grandemente 
lodato  dagli  scrittori.  Gli  atti  si 
stamparono  in  Firenze  nel  i5i8, 
ed  evvi  pure  la  bolla  di  Leone  X. 
Mansi  tom.  V,  pag.  407.  Notano 
gli  scrittori  fiorentini  che  il  quin- 
to e  sesto  concilio  di  Firenze  non 
sono  che  i  sinodi  1  e  II  provincia- 
li fiorentini.  V.  Hetruria  sacra, 
F.  Ildephonsi  a  s.  Moisio,  Firenze 
1782  pel  Cambiagi. 

Il  sesto  concilio  si  adunò  nel 
1073  per  dare  esecuzione  al  con- 
cilio di  Trento,  essendo  arcivesco- 
vo Antonio  Altoviti.  Questo  conci- 
lio, nel  quale  si  tennero  quattro 
sessioni,  contiene  sessantatrè  articoli 
relativi  alla  sacra  Scrittura,  ai  set- 
te sagramenti,  al  culto  dei  santi, 
alle  indulgenze ,  alla  supremazia 
della  Chiesa    romana ,    al    rispetto 


FIR 
dovuto  alle  reliquie  ec.  Trattasi 
pure  ne'  medesimi  articoli  della  ce- 
lebrazione delle  feste ,  della  disci- 
plina ecclesiastica ,  dei  doveri  del 
clero  secolare  e  regolare  ;  come  an- 
cora prescrive  molti  regolamenti 
pel  buon  ordine  dei  monisteri  ,  e 
per  le  procedure  contro  gli  eccle- 
siastici. Mansi  toni.  V,  pag.  9i5  e 
seguenti. 

L'assemblea  poi  de'  vescovi  to- 
scani, che  nel  1787  si  tenne  in  Fi- 
renze nel  regno  del  granduca  Leo- 
poldo I,  essendo  arcivescovo  di  que- 
sta città  Antonio  Martini,  ebbe  luo- 
go a  cagione  del  famoso  sinodo  di 
Pistoia  (Vedi),  celebrato  dal  ve- 
scovo Scipione  Ricci,  ardente  segua- 
ce de'  giansenisti ,  che  godeva  la 
protezione  del  sovrano  nel  conve- 
nire sulle  lagrimevoli  innovazioni  e 
riforme  ecclesiastiche.  Appena  ter- 
minato il  nominato  funesto  sinodo, 
incontrò  subilo  nella  stessa  Tosca- 
na fortissime  opposizioni,  per  sopi- 
re le  quali  risolvette  il  granduca  di 
convocare  un'assemblea  dei  tre  ar- 
civescovi ,  e  dei  quattordici  vescovi 
de'  suoi  stati ,  nella  quale  si  pre- 
parassero le  materie  da  trattare  in 
un  concilio  nazionale  3  e  si  dispo- 
nessero quei  prelati  a  favorire  i 
fatali  cangiamenti  che  il  Ricci  de- 
siderava introdurre,  ed  a  fare  poi 
in  grande  ciò  eh'  egli  eseguiva  in 
piccolo  a  Pistoia.  Degli  altri  motivi 
che  determinarono  questa  assemblea, 
degli  ordini  dati  dal  sovrano  per  la 
medesima,  ed  altro  che  gli  è  rela- 
tivo ,  ne  tratta  il  continuatore  del 
Bercastel ,  nella  Storia  del  cristia- 
nesimo ,  tom.  XXXV,  pag.  190  e 
seg.  dell'edizione  veneta  dell'Anto- 
nelli.  Il  granduca  con  moto-pro- 
prio de'  14  marzo  1787  elesse  un 
commissario  all'  assemblea  ,  accioc- 
ché in  suo  nome    soltanto  conser- 


FIR  69 

vasse  in  essa  la  libertà,  il  buon  or- 
dine e  le  reciproche  convenienze  ; 
a  cui  aggiunse  due  professori  di 
diritto  canonico  nell'  università  di 
Pisa  ,  quattro  teologi  e  due  segre- 
tari ,  questi  per  registrar  le  deli- 
berazioni e  discussioni,  gli  altri  con 
libertà  di  parlare,  senza  aver  però 
voce  deliberativa.  La  riforma  degli 
abusi  introdotti  nella  disciplina,  lo 
stabilimento  di  buone  massime  per 
la  istruzione  del  popolo ,  1'  unifor- 
mità della  dottrina  e  degli  studi , 
la  quiete  dello  stato  erano  gli  og- 
getti che  il  principe  proponeva  in 
generale  ai  suoi  vescovi.  L' assem- 
blea venne  fissata  pel  giorno  2  3 
aprile  1787  in  una  sala  del  palaz- 
zo dei  Pitti  detta  de'  Novissimi ,  e 
molti  vasti  conventi  della  città  fu- 
rono allestiti  per  alloggio  de'  vesco- 
vi. Gli  arcivescovi  erano  quelli  di 
Firenze ,  di  Pisa  e  di  Siena  ;  e  i 
vescovi  quelli  di  Colle,  di  Fiesole, 
di  s.  Miniato,  di  Pistoia  e  Prato,  di 
Chiusi  e  Pienza,  di  Borgo  s.  Sepol- 
cro, di  Massa  e  Populonia,  di  Soana, 
di  Montalcino,  di  Arezzo,  di  Cor- 
tona, di  Montepulciano,  di  Volter- 
ra, e  di  Pescia,  mancandovi  quello 
di  Grosseto,  che  pei  suoi  incomo- 
di e  decrepitezza  non  potè  inter- 
venirvi. 

L' assemblea  si  disciolse  dopo 
diecinove  sessioni ,  a'  5  giugno  , 
non  avendo  voluto  gli  arcivescovi 
e  vescovi  sentire  parlare  del  sino- 
do pistoiese ,  mostrando  contro  di 
esso  fortezza  e  petto  sacerdotale. 
Dopo  i  preliminari  usati  in  questa 
assemblea,  furono  proposti  i  seguen- 
ti ed  altri  articoli.  i.°  Che  si  rifor- 
merebbe il  breviario  ed  il  messa- 
le, restando  i  tre  arcivescovi  della 
Toscana  incaricati  di  questo  lavo- 
ro. 2.0  Che  si  tradurrebbe  in  vol- 
gare il  rituale,  perciò  che  riguar- 


7o  FIR 

da  l'amministrazione  de'  sagrameli* 

ti,  ad  eccezione  delle  parole  sagra- 
mentali  ,  che  si  direbbero  sempre 
in  latino.  3.°  Che  i  curati  avreb- 
bero sempre  la  preferenza  sopra  i 
canonici ,  anche  della  cattedrale. 
4-°  Che  la  giurisdizione  de'  vescovi 
è  di  diritto  divino.  Ricci  voleva  di 
più,  che  si  rendesse  all'episcopato 
ciò  eh'  egli  appellava  suoi  diritti 
primitivi.  Quattro  de'  suoi  colleghi 
l'appoggiarono,  ma  gli  altri  ricusa- 
rono d' intavolare  una  discussione, 
messa  sol  per  somministrar  un  mez- 
zo di  querele  e  di  discordie.  Fu- 
rono ancora  discordi  i  suffragi  sul 
piano  degli  studi  ;  sulla  moltiplici- 
tà  degli  altari  nella  stessa  chiesa , 
ciò  che  sembrava  al  Ricci  un  abu- 
so enorme ,  che  il  medesimo  non 
poteva  soffrire  :  sulla  soppressione 
degli  altari  privilegiati  ec.  Avendo 
questo  vescovo  proposto  di  cambia- 
re il  giuramento  che  al  Papa  fan- 
no i  vescovi  nella  loro  consagra- 
/ione,  dodici  de'  suoi  colleghi  riget- 
tarono questa  nuova  riforma.  11  ve- 
scovo di  Chiusi  sperando  di  trova- 
re in  questa  assemblea  de'  giudici 
meno  severi  che  a  Roma,  sottopo- 
se la  sua  pastorale  all'  esame  dei 
prelati  :  ma  questi  pronunziarono, 
come  avea  fatto  Pio  VI ,  eh'  essa 
era  piena  di  errori,  e  di  uno  spi- 
rilo di  scisma  e  di  eresia ,  e  colla 
stessa  fermezza  censurarono  gli  scrit- 
ti che  il  Eicci  faceva  stampare  a 
Pistoia  per  pervertire  l' Italia.  Sic- 
ché vedendo  questo  disgraziato  in- 
novatore, che  nulla  poteva  sperare 
dai  vescovi  attaccati  alla  santa  Se- 
de, nemici  dello  scisma,  della  di- 
scordia ,  e  che  tanto  piìi  si  crede- 
vano obbligati  a  rintuzzare  le  in- 
novazioni, quanto  queste  più  erano 
protette,  prese  il  partito  di  far  scio- 
gliere l'assemblea.  Il  granduca    fe- 


FIR 

ce  stampare  a  sue  spese  quanto  ri- 
guardava questa  assemblea  in  set- 
te tomi  in  quarto,  oltre  altro  in 
ottavo.  Il  primo  volume  contiene 
i  regolamenti  inviati  dal  grandu- 
ca a' vescovi,  colla  loro  risposta.  Il 
secondo,  le  deliberazioni  dell'assem- 
blea. Il  terzo  le  memorie  de'  pre- 
lati. Il  quarto  le  risposte  a  queste 
memorie.  11  quinto  l' esame  della 
pastorale  del  vescovo  di  Chiusi  so- 
pra molte  verità  della  religione.  Il 
sesto  l'apologia  degli  scritti  pubbli- 
cati a  Pistoia  contro  la  censura 
che  i  quattordici  vescovi  ne  aveva- 
no fatto.  Il  settimo  un  esame  cri- 
tico di  una  lettera  di  monsignor 
Franzesi  vescovo  di  Montepulciano. 
E  l'ultimo  l' istoria  dell'  assemblea 
distesa,  come  lo  poteva  essere,  dal- 
l' autore  della  collezione  medesima. 
Nel  1788  fu  stampata  a  Firenze 
in  tre  tomi  V Istoria  dell'  assem- 
blea degli  arcivescovi  e  vescovi  del- 
la Toscana  tenuta  in  Firenze  l'an- 
no  1787. 

FIRMIAN  Leopoldo  Ernesto, 
Cardinale .  Leopoldo  Ernesto  di 
Firmian  nacque  da  nobile  famiglia, 
nella  città  di  Trento,  a'22  settem- 
bre 1708.  Compiti  egregiamente 
i  suoi  studi,  avendo  inclinazione 
per  lo  stato  ecclesiastico,  si  ordinò 
sacerdote,  e  per  la  sua  lodevole 
condotta  e  cognizioni  meritò  di  es- 
sere elevato  al  grado  episcopale. 
Ed  è  perciò  che  il  Pontefice  Be- 
nedetto XIV  lo  fece  vescovo  di  Se- 
covia  nella  Stiria,  donde  il  succes- 
sore Clemente  XIII,  nel  concistoro 
de' 26  settembre  17G3,  lo  trasferì 
alla  chiesa  di  Passavia.  Quindi  il 
Papa  Clemente  XIV  nella  sua  no- 
na promozione  cardinalizia,  fatta 
nel  concistoro  de' 1 4  dicembre  1772, 
lo  creò  cardinale  dell'  ordine  dei 
preti,  destinando  monsignor  Pietro 


F I  R 

Antonio  Tioli  suo  cameriere  segre- 
to e  guardaroba,  a  portargli  la  ber- 
retta rossa.  In  occasione  poi  che 
il  Pontefice  Pio  VI  nel  1782  si 
recò  a  Vienna  dall'imperatore  Giu- 
seppe II,  nel  concistoro  che  tenne 
in  quel  palazzo  imperiale  a'  19  a- 
prilc,  impose  al  cardinale  il  cap- 
pello cardinalizio,  dipoi  fece  la  ce- 
ìiuioiiia  di  chiudergli  ed  aprirgli 
la  bocca,  gli  die  per  titolo  la  chie- 
sa di  s.  Pietro  in  Mon torio,  e  l'a- 
nello cardinalizio;  indi  nella  sera 
per  monsignor  Caleppt  uditore  del- 
la nunziatura  di  Vienna  rimise  al 
cardinale  colle  solite  formalità  il 
cappello  cardinalizio,  venendo  re- 
golato 1'  ablegato  di  una  scatola 
d'uro  contornata  di  brillanti.  Poscia 
Pio  VI  lo  annoverò  alle  congre- 
gazioni cardinalizie  di  propaganda 
fide,  de'  vescovi  e  regolari,  delle 
indulgenze  e  sagre  reliquie.  Con 
lode  di  vigilante  pastore,  siccome 
adorno  di  molte  belle  virtù,  morì 
questo  porporato  nell'età  di  settanta- 
cinque anni  in  Passavia  a'  i3  mar- 
zo 1783^  venendo  decorosamente 
esposto,  e  sepolto  in  quella  catte- 
drale. Di  questo  insigne  porporato 
vescovo  e  principe  di  Passavia,  del- 
l'antichità di  sua  nobilissima  fami- 
glia di  Trento,  e  del  celebre  con- 
te Carlo  suo  nipote  fatto  educare 
dal  cardinale  in  Salisburgo,  ne 
tratta  il  Cancellieri  a  pag.  3i  del- 
le Notizie  della  vita  di  monsignor 
Tioli,  ec. 

FIRMINO  (s.) ,  primo  vescovo 
d'Amiens.  Predicò  la  fede  nel  ter- 
ritorio di  Albi,  ad  Agen,  poi  in 
Alvergna,  neh'  Angiò,  a  Beauvais 
ed  in  Amiens,  e  sparse  il  suo  san- 
gue per  essa  verso  l'anno  287. 
Scorgesi  da'  suoi  atti,  ch'ebbe  per 
patria  Pamplona,  ove  è  onorato  co- 
me principale  patrono.  S,  Firmino 


FIR  71 

detto  il  Confessore,  gli  fabbricò  una 
chiesa  ove  Faustiniaoo  suo  padre 
lo  aveva  seppellito,  la  quale  fu  de- 
dicata alla  santa  Vergine.  Questo 
santo  martire  onorasi  il  25  settem- 
bre. 

FIRMINO  (s.),  detto  il  Confes- 
sore. Figlio  di  Faustiniano ,  uno 
dei  primi  magistrati  delle  Gallie , 
il  quale  avendolo  fatto  battezzare 
da  s.  Firmino  martire,  volle  che 
portasse  il  nome  di  quello  che  Io 
avea  rigenerato.  Fu  eletto  vesco- 
vo di  Amiens,  verso  la  metà  del 
quarto  secolo,  e  governò  la  sua  chie- 
sa per  quarant'anni.  Sepolto  nella 
chiesa  della  santa  Vergine  ch'egli 
Gvea  fatta  fabbricare ,  fu  di  là  tra- 
sferito alla  cattedrale  nel  settimo 
secolo,  da  s.  Salvio.  Otgero,  vesco- 
vo d'Amiens,  donò  nell'893  parte 
delle  sue  ossa  alla  collegiata  di  s. 
Quintino,  e  il  cardinale  Simone  le- 
gato apostolico,  nel  1279  pose  le 
di  lui  reliquie  in  un'  arca  nuova, 
le  quali  furono  verificate  da  Pie- 
tro Sabbatier,  vescovo  della  stes- 
sa città,  nel  1 7 15.  Alla  fine  del- 
l'ultimo secolo  alcuui  critici  volle- 
ro contendere  alla  cattedrale  di 
Amiens  l'onore  di  possedere  le  re- 
liquie di  s.  Firmino  confessore , 
ma  furono  solidamente  confutati. 
E  onorato  il  primo  settembre. 

FIRMINO  (s.).  Nacque  nella 
Gallia  uarbonese,  e  forse  a  Narbo- 
na,  da  ragguardevoli  genitori,  che 
lo  posero,  in  età  di  dodici  anni, 
sotto  la  guida  di  suo  zio  Norizio 
vescovo  di  Usez.  Firmino  corrispo- 
se pienamente  alle  cure  di  questo 
prelato,  per  cui  fu  ordinato  prete 
prima  dell'età  prescritta  da'eanoni, 
e  di  venlidue  anni  successe  a  suo 
zio  nel  vescovato.  L'  orazione  e  la 
mortificazione  furono  i  principali 
mezzi   di   cui  si  servì    per   santifi- 


72  F1R 

carsi  nel  suo  ministero.  Resse  sag- 
giamente la  chiesa  di  Usez,  assistè 
al  quarto  ed  al  quinto  concilio  di 
Orleans,  nel  54 1  e  549,  non  cne 
al  secondo  di  Parigi,  circa  il  55 1. 
Mori  agli  1 1  di  ottobre  del  553 
di  trentasett'  anni.  La  sua  festa  è 
indicata  in  questo  dì  nei  martiro- 
logi, ed  anche  ai  i  di  maggio, 
senza  dubbio  a  cagione  della  tras- 
lazione del  suo  corpo. 

FIRMINO,  Cardinale.  Firmino 
fu  aggregato  al  sacro  collegio  dei 
cardinali  di  santa  Romana  Chie- 
sa da  Alessandro  II,  col  quale  si 
trovò  nel  107 1  in  Montecassino 
alla  solenne  dedicazione  di  quella 
chiesa.  Fu  il  primo  tra  i  cardi- 
nali preti  che  sottoscrissero  la  me- 
moria dell'anzidetta  dedicazione. 

FIRRAO  Giuseppe  seniore,  Cardi- 
nale. Giuseppe  Firrao,  nato  di  no- 
bile famiglia  in  Napoli,  nel  1669, 
ancor  giovanetto  si  recò  a  Roma, 
cominciò  gli  studi  nel  seminario,  e 
prosegui  poi  nella  giurisprudenza, 
di  cui  ottenne  la  laurea  nell'archi- 
ginnasio romano.  Nel  i6g5  s'in- 
trodusse nella  carriera  prelatizia,  e 
poco  dopo  fu  incaricato  della  vice- 
legazione di  Urbino,  e  del  governo 
di  alcune  città  dello  stato  pontifi- 
cio, cioè  Loreto,  Ancona,  Civita- 
vecchia, Viterbo  e  Perugia.  Com- 
piuto quest'officio  con  soddisfazione 
di  Clemente  XI,  ottenne  il  posto 
di  ponente  di  consulta  e  votante 
di  segnatura,  non  che  la  carica  di 
visitatore  apostolico  delle  provincie 
dell'  Umbria  e  della  Marca.  Nel 
1714  fu  spedito  nunzio  straordi- 
nario alla  corte  di  Portogallo,  per 
recare  le  fasce  benedette  al  prin- 
cipe del  Brasile,  e  dopo  due  anni 
nunzio  ordinario  agli  svizzeri,  dove 
molto  si  adoperò  per  ristabilire  la 
disciplina  ne'  monaci  e  nei  regola- 


FIR 
ri,  e  specialmente  nel  celebre  mo- 
nistero  di  Catnpidona.  Trasferito 
dipoi  qual  nunzio  ordinario  anche 
nel  Portogallo,  dovette  trattenersi 
sui  confini  di  quel  regno  e  della 
Spagna  per  tutto  il  pontificato  di 
Benedetto  XIII,  per  motivo  di  al- 
cune controversie  insorte  colla  san- 
ta Sede.  Clemente  XII  però  lo  pro- 
mosse al  vescovato  di  Aversa,  ed 
a' 24  settembre  del  l'jZi  lo  creò 
cardinale  prete  di  s.  Tommaso  in 
Parione,  il  qual  titolo  cangiò  nel 
1740  con  quello  di  s.  Croce  in 
Gerusalemme.  Fu  ascritto  quasi  a 
tutte  le  congregazioni  di  Roma,  ed 
ebbe  la  proteltoria  della  religione 
gerosolimitana,  e  de'  romitani  di  s. 
Agostino.  Ma  sperimentato  il  clima 
di  Aversa  poco  confacente  alla  sua 
salute,  rinunziò  quella  chiesa,  e 
tornatosi  a  Roma  fu  eletto  segre- 
tario di  stato  in  luogo  del  defun- 
to cardinal  Antonio  Banchieri.  Mo- 
rì nel  1744)  e  venne  deposto  nella 
chiesa  del  suo  titolo,  nel  sepolcro 
dinanzi  l'aitar  maggiore,  che  vi- 
vente ancora  si  avea  preparato. 

FIRRAO  Giuseppe  giuniore,  Car- 
dinale. Giuseppe  Firrao  ebbe  i  nata- 
li da  famiglia  nobile  in  Napoli  a'  20 
luglio  1736,  e  corrispondente  ne  fu 
l'educazione  e  gli  studi.  Bramoso 
di  dedicarsi  in  servigio  della  santa 
Sede  si  portò  in  Roma,  e  fu  col- 
locato nel  collegio  Nazareno;  indi 
abbracciò  la  vita  clericale,  e  fu 
fatto  da  Clemente  XIII  suo  ca- 
meriere segreto  soprannumerario  , 
e  nel  17^9  dichiarato  ablegato  a- 
postolico  per  portare  in  dono  alla 
repubblica  di  Venezia  la  rosa  d'o- 
ro da  lui  benedetta.  Annoverato 
nella  romana  prelatura  fu  dichia- 
rato vicelegato  a  Ravenna  ,  e  suc- 
cessivamente venne  aggregalo  tra  i 
prelati   addetti    alle    sagre   congre- 


FIR 
razioni  dell'  immunità  ecclesiastica, 
e    della    reverenda    fabbrica    di    s. 
Pietro,  non  die  ponente  di  quella 
di  consulta  di    cui  divenne  decano, 
e  più    volte  fece  le  veci   di    segre- 
tario.    Il    cardinal    Casali    diacono 
della  insigne  cbicsa  di  s.  Maria  ad 
Martyres,  ivi  lo    nominò    suo    vi- 
cario.  Il  Papa  Pio    "VI    prendendo 
in  considerazione    le    sue    qualità , 
affabilissime    maniere  ,    e     carriera 
prelatizia,  nel  concistoro  de'2  5  feb- 
braio  1782  lo  dichiarò    arcivesco- 
vo di  Petra  in   partibus,  .indi    no- 
minollo  nunzio   apostolico    alla    re- 
pubblica di  Venezia,  da    dove    nel 
1 792    lo    richiamò    in    Roma    per 
farlo  segretario  della  sagra  congre- 
gazione de'  vescovi  e  regolari,  don- 
de l'avrebbe  promosso  al    cardina- 
lato   se   le    note    politiche  vicende 
non  l'avessero  impedito.  Finalmen- 
te ne  premiò  i   meriti  il   successo- 
re Pio  VII  nel    concistoro    de'  2  3 
febbraio    1801,  creandolo  cardinale 
dell'ordine    presbiterale,    conferen- 
dogli per  titolo  la  chiesa  di  s.  Eu- 
sebio, e  le  congregazioni  de'  vesco- 
vi   e    regolari,    della  residenza  dei 
vescovi,  della  disciplina,  e  della  sa- 
gra consulta,  indi  lo    die    in    pro- 
tettore alla  terra  di  Belvedere  nel- 
la Marca.   Benché   in    progresso  di 
tempo  sia   giunto  ad    essere  primo 
cardinale    prete ,    siccome    dimorò 
quasi  sempre  in  Napoli,  non  passò 
al   titolo  di  s.  Lorenzo  in    Lucina, 
che  sogliono  avere  i  cardinali  pri- 
mi   dell'ordine    presbiterale.     Visse 
in  quella  città  sino  alla  morte  vi- 
ta tranquilla  e  ritirata,  e  solo  por- 
tossi  in  Roma  pei  sagri   comizi  in 
cui  furono  eletti  Leone  XII,  e  Pio 
Vili.  Morì  adunque    in   Napoli  di 
circa  novantaquattro  anni    di    età , 
e    venlinove   di    cardinalato,    a'  24 
gennaio   i83o,  dopo  quaranta  gior- 


FIS  73 

ni  di  penosa  malattia,  venendo  tu- 
mulato nel  sepolcro  di  quegli  ar- 
civescovi nella  chiesa  metropolita- 
na. Francesco  Cancellieri,  che  go- 
deva la  stima  di  questo  porporato, 
celebra  i  suoi  pregi  e  quelli  del 
fratello  d.  Tommaso  principe  di 
Luzj,  a  pag.  487  de' suoi  Possessi 
de'  Pontefici. 

FISCALE  GENERALE,  e  Pro- 
curatone generale  del  fìsco  della 
reverenda  camera  apostolica.  V. 
Fisco. 

FISCHER  Giovanni,  Cardinale. 
Giovanni  Fischer,  soprannominato 
il  cardinale  Roifense,  nacque  in 
Boverlac,  diocesi  d'  York  ,  1'  anno 
i45g.  Ebbe  il  grado  di  dottore 
nell'università  di  Cambridge,  e  poi 
ne  fu  cancelliere  e  presidente.  La 
contessa  Margherita,  madre  di  En- 
rico Vili,  lo  trascelse  a  suo  con- 
fessore ,  e  direttore  spirituale  di 
tutta  la  famiglia.  A  di  lui  persua- 
sione quella  pietosa  principessa  e- 
resse  in  Castiglia  i  due  collegi  di 
s.  Salvatore  e  di  s.  Giovanni  e- 
vangelista,  non  che  la  nuova  catte- 
dra di  teologia  dommatica  nell'u- 
niversità di  Oxford.  Enrico  VII  lo 
volle  a  precettore  del  suo  figliuo- 
lo Enrico  Vili,  e  nel  i5o4>  sotto 
Giulio  II,  lo  nominò  alla  chiesa 
di  Rochester ,  eh'  egli  poi  ritenne 
sino  alla  morte,  rifiutandosi  di  ri- 
cever mai  sempre  qualche  altra 
sede  per  la  vista  di  migliorare  il 
benefizio.  Divenuto  sovrano  il  suo 
discepolo  Enrico  Vili,  non  mancò 
di  ammonirlo  con  sacerdotal  li- 
bertà per  le  scostumatezze  oude 
scandalezzava  il  suo  regno,  ed  anzi 
in  un  pubblico  concilio  raccolto  in 
York  dal  cardinal  Volseo ,  legato 
d'Inghilterra,  gli  chiese  conto  della 
disciplina  del  clero,  che  per  la  in- 
dolenza di  lui  andava  sensibilmen- 


74  FIS 

te  declinando.  1"  «[nello  stesso  con- 
cilio rimproverò  al  legato  il  fasto 
eccessivo  della  sua  corte,  e  gli  stessi 
suoi  gravi  del  itti  ;  ma  tanto  zelo 
ed  amore  pel  bene  della  Chiesa  , 
fu  appunto  un  grande  incentivo 
«Iella  gelosia  e  della  invidia,  per 
cui  alla  fine  egli  divenne  l'odio 
dello  stesso  monarca.  Infatti  avea 
scritto  assai  forte  contro  il  dete- 
stabile divorzio  fatto  dal  re  contro 
Caterina  sua  legittima  consorte  ; 
e  composto  un  erudito  volume  sul- 
l'autorità unica  e  suprema  del  ro- 
mano Pontefice  in  riguardo  allo 
scioglimento  de'  matrimoni ,  non 
ebbe  tema  di  sorta  a  presentarlo 
ai  legati  della  santa  Sede ,  che 
forse  in  qualche  parte  propende- 
vano a  favorire  le  parti  del  princi- 
pe. E  quando  Enrico  Vili,  giunto 
al  colmo  de'  suoi  eccessi ,  diehia- 
ì-ossi  capo  universale  della  chiesa 
d'Inghilterra,  levò  egli  altamente 
la  voce,  e  vi  si  oppose  con  tutto 
il  fuoco  di  un  animo  che  null'al- 
tro  sentiva  in  fuori  del  bene  della 
cattolica  Chiesa.  E  vero  che  da 
principio  avea  prestato  il  giuramen- 
to di  supremazia,  senza  ben  cono- 
scerne il  delitto,  ed  aggiugnendovi 
questo  correttivo,  salva  l'ubbidien- 
za dovuta  alle  leggi  di  Dioj  ma 
poco  dopo  se  ne  pentì  acerbamen- 
te, ed  in  pieno  consiglio  ricusò  di 
sottoscrivere  l'atto  legale,  che  sta- 
biliva codesto  primato,  adducendo 
con  tutta  fermezza  che  la  coscien- 
za, e  l'amore  della  propria  salute, 
e  il  dover  dell'esempio  non  l'avreb- 
bero giammai  permesso.  Indarno 
si  tentò  di  vincere  la  sua  costan- 
za :  e  quando  gli  fu  detto  eh' ei 
dovea  riformare  la  sua  coscienza 
ingannatrice  sopra  il  gran  consi- 
glio del  regno,  rispose  che  dovea 
piuttosto    guardarsi    dal     dividersi 


FIS 

dal  consiglio  di  tutta  la  cristiani- 
tà cattolica ,  la  quale  non  vede 
che  il  solo  suo  capo  nel  romano 
Pontefice.  Sdegnatosi  Enrico  Vili  di 
tanto  valore,  lo  fece  chiudere  in  una 
oscurissima  carcere,  ordinò  che  gli 
fossero  tolte  tutte  le  rendite  ve- 
scovili, e  che  non  gli  fossero  la- 
sciate che  alcune  povere  vesti,  col- 
le quali  appena  si  potea  guaren- 
tire dal  rigido  freddo.  Paolo  IH 
fatto  consapevole  della  di  lui  in- 
trepidezza e  del  coraggio  onde  tol- 
lerava tanta  persecuzione,  nel  con- 
cistoro de' 2  i  maggio  1 535  lo  creò 
cardinale  prete  di  s.  Vitale.  11  Pa- 
pa aveva  in  mira  d' ispirar  con 
ciò  una  maggior  venerazione  per 
quell'illustre  prigioniero,  e  d'im- 
pedire almeno  che  si  attentasse  al- 
la di  lui  vita.  Ma  questo  passo  al- 
l' incontro  non  giovò  che  a  rad- 
doppiare le  diffidenze  del  principe, 
il  quale  ordinò  di  ricercare  se  il 
prelato  avesse  richiesto  di  sua  vo- 
lontà un  tal  onore,  oppure  se  da 
prima  ne  avesse  avuto  notizia  II 
santo  vecchio  gli  mandò  a  dire , 
che  grazia  al  cielo  non  aveva  avu- 
ta mai  alcuna  ambizione  negli  an- 
ni suoi  più  floridi,  e  che  quand'an- 
che vi  fosse  stato  in  altri  tempi 
qualche  sospetto,  lo  stato  in  cui  si 
trovava,  indipendentemente  dall'a- 
vanzata sua  età ,  la  sua  prigione , 
le  sue  catene,  la  morte  di  cui  in 
ogni  istante  veniva  minacciato,  lo 
giustificavano  bastantemente.  11  re, 
lungi  dal  calmarsi  ad  una  tal  re- 
lazione, disse,  insultando  il  Papa: 
»  Ebbene  mandi  egli  pure  il  suo 
»  cappello,  quando  più  vorrà  ;  ma 
»  quando  desso  arriverà  qui,  sarà 
«  caduta  la  testa  che  dee  por- 
»  tarlo  ".  Immediatamente  fece  fa- 
re il  processo  al  santo  confessore, 
il  quale    quattro  giorni  dopo,  cioè 


FIS 

a'  11  di  8'uSn0  ^e'  !  535,  fu  con- 
dannato al  supplizio  de'  rei  di  le- 
sa maestà.  Al  momento  che  si  do- 
vca  compiere  la  sentenza ,  dicesi 
eli' egli  si  \estisse  de'  migliori  abi- 
ti che  avesse  avuti,  come  un  dì 
di  allegrezza  ,  esclamando  eh'  egli 
doveva  andare  alle  nozze.  Monta- 
to quindi  il  palco ,  e  recitato  il 
Te  Deum,  dichiarò  pubblicamen- 
te che  moriva  in  difesa  della  cat- 
tolica religione,  e  come  di  lei  ub- 
bidientissimo  figlio.  Poscia  raccol- 
tosi in  Dio,  raccomandogli  calda- 
mente il  suo  spirito,  e  pose  subito 
il  capo  sotto  alla  mannaia  del  car- 
nefice. Quella  veneranda  testa,  per- 
chè fosse  compiuto  il  sacrilegio  or- 
rendo, fu  posta  per  quindici  gior- 
ni, appesa  ad  un'asta,  sul  ponte  di 
Londra,  e  corre  tradizione  che  il 
Signore  la  conservasse  cosi  viva  e 
bella,  come  fosse  stata  nel  vigore 
della  più  robusta  gioventù.  Aveva 
egli  governata  la  chiesa  di  Ro- 
chester con  somma  edificazione  pel 
corso  di  trent'anni,  emulando  gli 
esempli  e  le  virtù  dei  vescovi  del- 
l'età  apostolica.  Era  ospitale  coi 
pellegrini,  compassionevole  dei  po- 
verelli, degl'infermi,  de' carcerati , 
liberale  co'  giovanetti  di  buon  ta- 
lento, protettore  de'  letterati,  e  de- 
votissimo di  Maria.  Con  sé  stesso 
poi  spiegava  molla  rigidezza ,  di- 
giunando sovente  e  flagellandosi 
senza  compassione.  La  di  lui  dot- 
trina pareggiava  la  sua  virtù.  A 
giudizio  de' più  dotti  critici,  egli 
è  tenuto  per  lo  scrittore  che  me- 
glio di  ogni  altro  ha  confutato  gli 
errori  di  Lutero,  di  Ecolampadio 
e  degli  altri  novatori  del  suo  tem- 
po. Si  crede  che  avesse  molta  par- 
te nel  trattato  di  Enrico  Vili  con- 
tro Lutero ,  ed  anzi  che  avendo 
egli  impreso  a  farne  tutta  la  fati- 


Fi  S  fS 

ca ,  ne  abbandonasse  poi  tutta  la 
gloria  al  suo  principe.  E  questa 
certamente  la  ragione  per  cui  que- 
st'opera intitolata  Difesa  de  selle, 
sacramenti ',  è  stata  messa  alla  te- 
sta di  quelle  di  Fischer,  le  quali  so- 
no raccolte  in  un  \oluine  in  foglio, 
stampato  in  Wirtzburgh  nel  i5o,7. 
Era  egli  eccellente  teologo,  consu- 
mato nello  studio  della  Scrittura, 
de'  padri,  delle  lingue  dotte,  pie- 
no di  buon  senso  e  d'intendiinen- 
to,  uno  de'  più  eruditi,  de'  più  e- 
satti,  de'  più  concludenti  disserta- 
tori del  secolo  decimosesto.  S.  Car- 
lo Borromeo  avea  per  questo  mar- 
tire tanta  venerazione  quanta  ne 
nudriva  pel  dottore  s.  Ambrogio, 
ed  anzi  fece  dipingere  la  sua  im- 
magine per  averlo  sempre  dinanzi 
agli    sguardi. 

FISCO.  Deriva  dalla  parola  la- 
tina Jlscus,  che  significa  un  panie- 
re di  vimini  ;  e  perchè  in  esso  si 
riponeva  il  denaro ,  i  romani  a 
tempo  degl'  imperatori ,  chiamaro- 
no Fisco  il  tesoro  del  principe,  per 
distinguerlo  dal  tesoro  pubblico , 
chiamato  sErarium,  onde  non  con- 
fondere il  tesoro  degli  imperatori , 
col  denaro  destinato  alle  spese  del- 
lo stato.  Per  fisco  s'intende:  i.° 
l' interesse  pubblico  de'  minori,  de- 
gli ospedali ,  delle  comunità  che 
sono  sotto  la  protezione  del  sovra- 
no e  degli  officiali  a  ciò  da  lui  de- 
stinati ;  i.°  per  tutti  i  beni  appar- 
tenenti al  principe,  di  qualunque 
natura  essi  sieno  ,  ed  in  particola- 
re il  regio  patrimonio j  3.°  il  teso- 
ro dello  stato.  11  Dizionario  della 
lingua  italiana,  definisce  il  fisco  : 
»  Pubblico  erario,  al  quale  s' ap- 
»  plicano  le  facoltà,  e  le  condan- 
»  nagioni  de'  malfattori,  e  le  ere- 
«  dita  di  coloro  che  muoiono  sen- 
»  za  legittimo  erede  ".  Il  fiscale  è 


yfi  FiS 

ii  capo  e  soprantcndente  del  fìsco. 
Bella,  dotta,  ed  erudita  è  la  XVII 
dissertazione  del  Muratori,  Del  fi- 
sco e  della  camera  de'  re,  vesco- 
vi, (lucili,  e  marchesi  del  regno  d l'I- 
talia, che  riporta  nel  tom.  I  delle 
sue  Dìssert.  sopra  le  antichità  ita- 
liane, della  quale  noi  daremo  qui 
appresso  un  sunto,  unendovi  l' e- 
rudizioni  analoghe  di  altri  scrittori. 
Dacché  cominciarono  sulla  terra 
ad  esservi  de'  re,  ebbe  origine  an- 
che il  fìsco,  ed  è  sempre  durato 
dipoi.  Al  tempo  degli  antichi  im- 
peratori romani  si  chiamava  sac- 
cus,  cioè  borsa  o  tesoreria  del  prin- 
cipe, per  distinguerlo  dall'altro  del- 
la repubblica  appellato  aerarium. 
Saccus  in  questo  senso  si  trova 
adoperato  da  s.  Agostino,  e  da  al- 
tri. All'articolo  Sacellario  {Vedi), 
parleremo  d'uno  de'  primi  ufficiali 
antichi  della  santa  Sede  che  por- 
tava tal  nome,  e  che  fungeva  l'of- 
fìzio  di  tesoriere.  V.  Tesoro  pon- 
tificio. 11  Rinaldi  all'anno  112,  n. 
5,  parlando  del  titolo  fiscale,  nar- 
ra che  il  Papa  s.  Evaristo  a  detto 
anno  divise  in  Roma  ai  preti  i  ti- 
toli, per  cagione  dell'ingrandimen- 
to della  religione  cristiana.  Quindi 
aggiunge  che  in  quanto  alla  voce 
titolo,  pare  che  tale  denominazio- 
ne sia  stata  presa  dalle  cose  fisca- 
li, perocché  soleva  il  fisco  appro- 
priarsi i  beni,  e  consecrarli,  come 
dicevano,  al  principe  con  porvi  il 
titolo.  Erano  questi  titoli  certi  veli 
con  l'immagini  o  co'  nomi  degl'im- 
peratori, che  s.  Ambrogio  chiamò 
regie  cortine  ;  ma  appresso  i  cri- 
stiani il  titolo  con  che  s'  applicava 
qualche  cosa  al  culto  divino ,  era 
la  croce.  Il  medesimo  Rinaldi  al- 
l'anno i34,  n.  2,  racconta  che 
1'  imperatore  Adriano  fece  1'  editto 
dell'applicarsi  al  fisco  la  ventesima 


FIS 

parte  dell'eredità,  e  da  esso  sem- 
bra eh'  egli  abbia  preso  occasione 
d'istituire,  secondo  che  ne  scrive 
Sparziano,  l'avvocato  del  fisco.  Bion- 
do da  Forlì,  nella  sua  Roma  trion- 
fante, tratta  del  fisco  a  pag.  188 
e  seg.,  ove  dice  che  l'erario  di  Ro- 
ma fu  nel  tempio  di  Saturno,  per- 
chè nel  regno  di  tal  deità  non  fu 
commesso  furto  alcuno  ,  ovvero 
perchè  ivi  lo  costituì  Valerio  Pu- 
blicola  come  luogo  sicuro  e  forte, 
e  perciò  ivi  pure  custodi vansi  gli 
atti  pubblici,  dicendoci  Svetonio  che 
Cesare  bruciò  tutte  le  obbligazioni 
di  coloro  eh'  erano  debitori  al  fi- 
sco, ch'egli   trovò  nell'erario. 

L' avvocato  Martinetti  nel  suo 
Codice  universale  de' doveri,  a  pag. 
338,  ci  dà  alcuni  cenni  sull'origi- 
ne del  fisco  e  sua  storia,  come  se- 
gue. L' idea  del  fisco  e  dell'erario 
l'avevano  pure  i  nostri  antichi,  non 
già  il  nome  sinonimo  ,  e  per  dir 
meglio  essenziale  che  gli  si  dà  og- 
gidì ,  nel  vocabolo  camera,  e  beni 
camerali.  Non  s' incontrano  tali  e- 
spressioni  nelle  pandette,  nel  codi- 
ce o  nelle  novelle,  ina  solo  nelle 
costituzioni  degli  imperatori  Fede- 
rico I,  Enrico  VII  e  Federico  III  si 
cambia  la  denominazione  del  fisco 
in  quella  della  camera,  su  di  che 
va  consultato  Pietro  Mullero  nella 
dissertazione  De  camera  principi». 
Nelle  quistioni  fiscali  o  camerali , 
nacque  quella,  se  in  caso  dubbio, 
e  nel  procedimento  di  una  verten- 
za contenziosa,  debba  il  fisco  o  la 
camera  eguagliarsi  ai  privati,  e  ser- 
virsi del  commi  diritto,  senza  ac- 
cordargli né  privilegi,  né  rescritti. 
L'economia  pubblica  sembra  deci- 
dere la  cosa  contro  il  fìsco,  e  non 
manca  di  autorevoli  appoggi  de- 
sunti dalla  storia  e  dalle  leggi.  Au- 
relio Vittore,  Epit.  cap.  3g,  ripor- 


FIS 

ta  che  Ponipca  Platina  moglie  di 
Traiano,  assai  rimproverando  V  im- 
peratore che  autorizzasse  le  vessa- 
zioni fiscali  delle  provincie ,  fece 
l'arguto  paragone  del  fisco  alla 
milza:  qued  ea  crescente  arlus  re- 
liqui  tabeseerent.  Egualmente  face- 
to è  il  paragone  tra  il  fìsco  ed  il 
ventre  del  poeta  Corippo  presso  il 
Denipslero,  in  not.  ad  Rositi,  oniiq. 
lib.  1,  e.  36.  Di  fatti  venendo  alle 
leggi,  si  offre  in  primo  luogo  la 
novella  161  ,  cap.  2,  che  si  attri- 
buisce a  Giustiniano,  ma  che  i  giu- 
reconsulti Antonio  Agostini  ^  Enri- 
co Agileo,  ed  Enrico  Scrimgero  con 
maggior  critica  rendono  all'  impe- 
ratore Tiberio ,  ed  in  essa  sono 
belli  precetti  di  vera  economia  pub- 
blica. E  tornando  alla  storia,  Giu- 
lio Capitolino  nella  vita  dell'  impe- 
ratore Antonino ,  cap.  1 2  ,  riferisce 
per  lode  :  Quod  in  compendio  cait- 
sìs  judicans,  numquam  Jisco  fave- 
ril.  Lampridio  parlando  di  Alessan- 
dro Severo  narra  :  Quod  ad  au~ 
mm  colligendiim  attenta s,  ad  ser- 
vanduni  cautns ,  ad  invenienduni 
sollicitus  fuerit ,  sede  sine  cujus- 
quarn  excidio.  Plinio  nel  panegiri- 
co a  Traiano,  non  poco  gli  dà  lode 
dicendo  :  Praecipua  gloria  tua  est  , 
saepius  vincilur  fiscus,  cuj'its  causa 
numquam  mala  est,  nisi  sub  bono 
principe.  Né  minor  lode  meritò 
Giustiniano  nella  1.  7  ,  §  4  »  c°d- 
De  cad.  toll.  E  siccome  tale  au- 
gusto non  abbandonò  il  parere  di 
Molestino,  che  interrogato  un  gior- 
no (1.  io,  §  De  jure  fìsci)  se  nel 
dubbio  dovesse  opinarsi  per  il  fì- 
sco, rispose  :  Non  cum  delinquere, 
qui  in  duliis  quaestionibus  centra 
fiscum  facile  risponderli.  Finalmen- 
te gl'imperatori  Teodosio  e  "Valen- 
tiniano  nell'anno  429  emanarono 
la  celebre  1.  4,  cod.  De  kg.  et  con- 


FIS  77 

stit.  princ.  :  Digna  vox  e$t  maje- 
state  regnantis,  legibus  alligatimi 
se  principini profìteri.  Adco  de  au- 
ctoritale  j'uris  nostra  pendei  et  au- 
cioritas ,  et  revera  majus  imperio 
est  submittere  legibus  prineipalum. 
Et  orando  praesentis  nostri  edicti, 
quod  in  nobis  licere  non  palimur, 
aliis  indicamus.  E  lo  stesso  Teodo- 
sio (1.  68,  cod.  De  app.  et  con- 
sult.  )  consagrò  il  principio  :  Salva 
enim  nostrae  reverenda  majestatis , 
jus  nobis  cum  privatis  non  dedigna- 
mur  esse  comune.  Samuele  Slriihio, 
nella  disserfazione  che  pubblicò  nel 
i634  ad  Piala,  De  scnlentia  con- 
ila fìscum  ferenda ,  strettamente 
prova  questi  due  precetti.  1 .°  Che 
in  un  caso  dubbio  il  fìsco  non  go- 
de alcun  privilegio ,  né  deve  abu- 
sare di  alcun  rescritto  per  far  pre- 
ponderare il  giudizio  a  suo  favore. 
2.0  Che  in  dubbio  il  fìsco  deve  giu- 
dicare con  le  regole  del  gius  co- 
mune, e  riputarsi  come  un  priva- 
to. Altra  consimile  dissertazione  da 
Enrico  Bergero  venne  stampata 
nel  i635  a  "WittemLerga  con  chie- 
sto titolo  :  De  jure  fisci  in  dubiis 
quaestionibus,  ove  al  §  1 3  ponesi 
questa  parola  :  Fiscus  quotìes  res 
ambigua  discutienda  est,  ulitur  ju- 
re comuni. 

Ebbero  non  meno  il  loro  fìsco  i 
re  longobardi ,  franchi  e  tedeschi 
in  Italia  ;  e  colavano  colà  i  tribu- 
ti, si  per  mantenere  la  corte,  co- 
me per  la  difesa  del  regno,  e  per 
altre  occorrenti  guerre.  Sotto  i  lon- 
gobardi spesso  è  fatta  menzione 
Curtis  regiae  :  con  questo  nome 
designavano    il    fìsco.    Nella    legge 

157  di  Rotali,  si  ha  :  Si  intendo 
fuerit   centra     Corfem    regis.    Nella 

1 58  :  Curdi  regia  ipsas  duas  un- 
oias  suscipiat.  Nella  1 85  :  Compo- 
noni  pio  culpa  in    Curie  regis  so- 


78  FIS 

lidos  ctntutn.  Lo  stesso  significava 
la  voce   Palatiwn,    e  di  quella  so- 
vente   si    servirono    gì'  imperatori 
francesi.  In  un  privilegio  concedu- 
to nell'anno  83o,  alle  monache  del- 
la Posteria  di  Pavia    da  Lotario  I 
imperatore  è  intimata    ai  trasgres- 
sori la  pena  di  sessanta  libbre  d'oro 
ottimo ,    da    applicarsi     mecìictatem 
Palatìo  nostro,  et  medietatem  par- 
li   cjusdem    monasterii.    Lo    stesso 
abbiamo  in  vari  diplomi  di   Carlo 
il   Grosso ,  di  Guido  e  Lamberto  , 
e  di  altri  imperatori.    Del  pari  u- 
savano  essi  la  parola  Fiscus,  e  mas- 
simamente nelle  donazioni  fatte  ai 
monisteri  ed  altri  luoghi  sagri,  col- 
la seguente  formola ,    che  si  legge 
in  un  diploma  di  Lodovico  II  im- 
peratore, con    cui    nell'anno    854 
conferma  a  Dodone  vescovo  di  No- 
vara  tutti  i  suoi  beni  e  diritti:  Et 
quidquid    de    praefatae    Ecclesiac 
rebus  jus  Fisci  exigere  poterai  etc., 
integrimi  praefatae  concedimus  Ec- 
clesiae.    Senza  di  questo  privilegio 
allora  i  beni  della  Chiesa  avrebbe- 
ro  pagato  tributo  al  fisco.    Perciò 
di  tal  formula    ed  indulto  abbon- 
dano tanto  in  Italia,  che  in  Fran- 
cia  e  Germania  i  privilegi    conce- 
duti alle    chiese.   Anche  ne'  vecchi 
secoli  per  significare   il  fìsco  fu  a- 
doperata    la    voce    Camera.  Viene 
riferito  da    Eginardo  il  testamento 
di  Carlo  Magno  ,  in  cui  quel  piis- 
simo monarca  ordinò,  che  le  chie- 
se e  i  poveri  si    compartissero  tlie- 
sauros  suos  et  pecuniam ,   quae  in 
illa  die  in  Camera  ejus  inventa  estj 
et  omnem  substantiam,  atque  supel- 
ìectilem  suam,  quae  in  auro,  et  ar- 
gento gemmisque,   et  ornatu    regio 
in   Camera  ejus  inveniri  poterat.  Il 
Du  Cange  nel  glossario  latino  scri- 
ve ,  usata    qui  la    parola    Camera 
prò  fisco  imperiali.  Tultavolta  sem- 


bra  al  Muratori  ,  che  non  prima 
di  Lodovico  li  imperatore  si  co- 
minciasse ad  usare  la  parola  Ca- 
mera in  vece  di  fisco.  V.  Camer\ 
Apostolica,  e  Corti.  Passiamo  ora 
a  vedere,  se  oltre  ai  nominati  mo- 
narchi godessero  altri  una  volta  il 
diritto  del  fìsco ,  o  per  dir  meglio 
della  camera ,  perchè  questa  paro- 
la pare  avere  avuto  un  significato 
più  largo. 

Dopo  che  i  re  e  gì'  imperatori 
donarono  e  trasportarono  ne'  ve- 
scovi ed  abbati  tanta  copia  di  re- 
galie ,  non  è  da  maravigliarsi ,  se 
anch'  essi  giunsero  ad  avere  la  pro- 
pria camera  ,  a  cui  si  pagassero  i 
censi ,  i  tributi  e  le  condanne  do- 
vute prima  al  fisco  regale.  E  pri- 
mieramente dacché  i  romani  Pon- 
tefici ottennero  da  Pipino  e  da 
Carlo  Magno  la  restituzione  dell'e- 
sarcato ,  e  l' ampliazione  del  loro 
principato,  non  è  a  dubitare,  che 
cominciassero  ad  avere  la  camera, 
o  sia  il  fisco  per  li  paesi  soggetti. 
Le  anteriori  memorie  sono  dubbie 
per  la  strage  che  il  tempo  ha  fat- 
to di  tanti  documenti.  Forse  Ve- 
stiarìum  fu  il  nome  significante  una 
volta  la  camera  pontificia;  dappoi- 
ché Adriano  I  in  una  bolla  data 
nel  772  ai  monaci  di  Farfa,  ordi- 
na che  in  avvenire  Priores  veslia- 
rìi  sanctae  Romanae  Ecclesiac , 
sieno  giudici  nelle  cause  del  moni- 
stero  farfense.  Ne'  secoli  seguenti 
l'arcidiacono  della  santa  Chiesa  ro- 
mana si  osserva  presidente  della 
camera  pontificia.  Nata  una  con- 
troversia tra  il  detto  monistero,  e 
quello  di  Mica  Aurea  a'  tempi  di 
Alessandro  II  Papa  del  1061,  Do- 
minus  Hildebrandus  venerabilis  ar- 
chidiaconus,  l'ascoltò  e  decise.  Acto- 
res  ed  Actionarii  erano  una  volta 
appellati  quei ,  che   ora  sono  detti 


FIS 

Chierici  di  camera  (  Ve  di  ).  E  sic- 
come dicemmo  ,   che  il  nome  Va- 
Ultima  ne'  vecchi  tempi  significava 
il  fìsco ,  di   questo  si  servivano  an- 
cora i  sommi  Pontefici.   In  una  bol- 
la del  Pontefice  Benedetto  Vili,  ri- 
portala   nella    cronaca    farfense,   si 
legge  :   lnsupcr  et  conipositurum  se 
sciat    auri    optimi    libras   cenlum , 
medùtatrm  in  sacrosancto  Lafera- 
vensis  Valatio,  et  medietatem  in  su- 
prascripto    nwnasterio.    Altra  bolla 
dello  stesso  Papa,  spettante  all'an- 
no io  17,  fa  espressa  menzione  del- 
la   camera    pontificia .    Qui  facete 
hoc   praesumpserit    eie. ,    sciat    se 
composilurum  centvm  aureos  man- 
cosos,  medietatem  Camerae  nostrae, 
et  medietatem,  ec.  Ter  altro  abbon- 
dano le  carte,  nelle  quali  i   roma- 
ni Pontefici  anticamente  intimaro- 
no non    già    pene   pecuniarie,  ma 
bensì  la  scomunica    contro  i   tras- 
gressori de'  loro  decreti ,  donazioni 
e  privilegi.  Onofrio  Panvinio  fu  di 
parere ,  che   sino   dai   tempi    di  s. 
Gregorio    VII    1'  arcidiacono    della 
santa  romana  Chiesa  presiedesse   a 
questa    camera;    e    che    da  fi    in- 
nanzi  fosse  istituito  l'uffizio  di  Ca- 
merario, chiamato  poi    Camerlengo 
di  s.  Chiesa  (  Vedi).  Trovasi  in  uno 
strumento  del    1  1  59  Dominus  Bo- 
xo   venerahilis    cardinalis    ss.  Cos- 
viae   et    Damiani   Domini    Papae 
camerarius. 

Che  anco  alcuni  vescovi  ed  ab- 
bati una  volta  avessero  la  loro  ca- 
mera, si  può  provare  colle  antiche 
memorie,  cioè  di  quelli  che  aveva- 
no ottenuto  il  comitato  delle  città, 
ed  altre  regalie,  in  vigore  delle 
quali  potevano  esigere  tributi  ed 
altri  pubblici  diritti.  Par  bene  che 
certi  vescovi  godessero  il  diritto 
della  camera,  dove  si  portassero  le 
rendite    dianzi  dovute  al    conte,  o 


FIS  79 

pure  al  donatore.  Se  anco  i  duchi, 
marchesi,  e  conti  avessero  tal  pre- 
rogativa non  apparisce  chiaro.  Non 
mancò  però  il  diritto  della  camera 
o  sia  del  fisco  ai  principi  di  Be- 
nevento, i  quali  se  si  eccettua  il 
titolo  di  re,  godevano  l'autorità 
regia  non  il  nome.  Altrettanto  fe- 
cero di  poi  anche  i  principi  di 
Salerno,  e  i  conti  di  Capua  che 
signoreggiavano  una  parte  smem- 
brata del  vasto  ducato  di  Bene- 
vento. Quanto  ai  duchi  e  marchesi 
di  Toscana ,  essi  ebbero  la  loro 
particolar  camera  e  fìsco,  come  si 
ha  da  documenti  del  X  e  XI  se- 
colo. Da  questi  apparisce  eziandio, 
che  non  mancò  ai  duchi  di  Spo- 
leto la  camera.  Però  non  si  sa  be- 
ne intendere,  che  qualora  i  duchi 
e  marchesi  di  Toscana  tenevano 
de'  placiti,  e  decidevano  liti,  allora 
imponevano  la  pena  pecuniaria  da 
pagarsi,  non  alla  sua,  ma  alla  ca- 
mera dell'  imperatore.  Forse  ciò  av- 
veniva perchè  i  tributi,  le  gabelle, 
le  condanne  ed  altre  rendite  del 
principato  appartenevano  al  sovra- 
no diretto,  sia  re  o  imperatore,  ed 
è  noto  che  gli  stessi  sovrani  ne 
assegnavano  la  sua  parte  al  mar- 
chese, al  duca,  presidente  di  tutta 
la  provincia,  e  al  conte  governato- 
re della  città,  affinchè  con  ciò  man- 
tenessero la  loro  famiglia  e  digni- 
tà. Se  erano  poi  devoluti  al  fisco 
regio  i  beni  altrui,  i  duchi  o  mar- 
chesi ne  disponevano  talvolta  a  lo- 
ro arbitrio,  come  di  cosa  propria, 
e  li  donavano  alle  chiese.  Proba- 
bilmente anche  i  conti,  cioè  i  go- 
vernatori delle  città,  ebbero  una 
specie  di  camera  :  si  sa  che  la  ter- 
za parte  delle  condanne  pervenien- 
te al  fìsco,  apparteneva  ai  conti  : 
di  modo  che  pare  che  il  fisco  fos- 
se del  re  od    imperatore ,    ma    in 


Ho  F1S 

certa  maniera  anche  del  conte.  E 
fuori  di  dubbio  che  i  dogi  di  Ve- 
nezia ne'  vecchi  secoli  godessero  i 
diritti  della  camera  e  del  fisco. 
Nel  tom.  V  dell'  Italia  sacra  del- 
l' Ughelli,  si  legge  un  decreto  di 
Tribuno  doge  di  Venezia  3  appar- 
tenente all'  anno  982,  dove  è  de- 
terminata la  pena  pagabile  Came- 
rae  nostri  palatii.  Del  pari  in  un 
privilegio  conceduto  nel  11 16  da 
Ordelafo  Faletro  si  legge  ,  che  il 
trasgressore  pagherà  per  pena  om- 
nia quae  possidel  fisco  ducali,  et 
regali.  Come  cosa  distinta  è  detto 
cpù  il  fisco  regale,  perchè  già  quel- 
la repubblica  avea  conquistata  la 
Dalmazia  e  Croazia  che  portava- 
no la  denominazione  di  regno. 

Erano  poi  molti  i  ministri  del 
fisco,  deputati  a  raccogliere  i  tri- 
buti, e  gli  altri  proventi  della  ca- 
mera regia,  o  imperiale,  che  si 
chiamavano  Actionarii,  Exactores 
tributorum ,  Exactores  reipublicae, 
o  pure  Exactores  rerum  publica- 
rum,  Aclores  fisci  regii,  Actores 
patrimonii  regii,  ovvero  curtis  re- 
giae,  i  quali  ultimi,  siccome  anche 
sotto  i  primi  imperatori,  attende- 
vano solamente  ai  beni  patrimoniali 
del  principe,  e  ne  riscuotevano  le 
rendite.  Alla  regia  camera  pare 
che  fossero  presidenti  i  gastaldi  , 
eh'  erano  i  ministri  ,  procuratori 
ed  economi  delle  corti,  poderi  ed 
altri  effetti  patrimoniali  del  prin- 
cipe regnante.  Né  mancavano  Ad- 
vocati  curtis  regis,  cioè  avvocati 
fiscali,  che  nascendo  controversie, 
sostenevano  i  diritti  della  camera 
regia.  In  un  placito  tenuto  nel- 
1'  anno  806  da  Guillerado  vescovo 
di  Pistoia,  da  uno  scabino ,  e  da 
un  Vasso  Domai  regis ,  si  dispu- 
tava il  possesso  di  una  chiesa  fra 
la  corte  del   re,  e  il    mouistero  di 


FIS 

s.  Bartolomeo  di  quella  città.  Gi- 
silari  figlio  del  fu  Gisone,  qui  cau- 
sani  curtis  domai  regis  peragebat, 
produsse  le  ragioni  assistenti  al  fi- 
sco ;  ma  fu  giudicato  contro  di 
lui.  In  Roma  vi  sono  i  tre  cospi- 
cui uffìzi,  di  avvocato  generale  del 
fisco  e  della  reverenda  camera  a- 
postolica,  che  è  sempre  un  avvo- 
cato concistoriale,  prelato  di  man- 
tellettone  ;  di  procuratore  generale 
del  fisco  e  della  reverenda  camera 
apostolica,  prelato  di  mantelleltone; 
e  dell'  avvocalo  fiscale  della  ca- 
mera capitolina,  e  tribuaale  sena- 
torio, di  cui  si  parlerà  all'articolo 
Seaato  Romano  (  Fedi)  ;  degli  al- 
tri avvocati  e  procuratori  fiscali  ne 
faremo  qui  menzione,  con  un  cen- 
no sul  pontifìcio  fisco. 

In  Roma  la  parola  Fìsco  equivale 
in  gran  parte  a  ciò  che  altrove  si 
chiama  pubblico  ministero.  Esso  è  af- 
fidato a  tre  uffìziali  superiori  di  no- 
mina sovrana  con  apposito  breve 
apostolico;  e  sono  un  avvocato  gene- 
rale del  fìsco  e  della  camera  apo- 
stolica, un  procuratore  generale  del 
fìsco,  ed  un  commissario  generale 
della  camera.  Questo  ultimo  eser- 
cita le  azioni  dell'  erario,  ed  ha  tre 
sostituti  commissari.  Il  procurato- 
re del  fisco  è  addetto  alla  parte 
criminale;  esercita  l'azione  pubblica 
per  la  punizione  dei  delitti,  ed  ha 
un  sostituto.  L' avvocato  generale 
è  un  consultore  nelle  materie  di 
diritto,  e  specialmente  ove  trattasi 
d' interpretazioni,  applicazioni  o  in- 
novazioni legislative,  e  degli  affari 
che  riguardano  le  ragioni  del  go- 
verno pontifìcio^  e  della  santa  Se- 
ve. Anticamente  esercitava  inoltre 
la  carica  di  promotore  della  i'tàe, 
ma  Benedetto  XIV  nella  sua  co- 
stituzione Inter  conspicuos  ,  sulla 
riforma  del  collegio  degli    avvocali 


FIS 

concistoriali ,  ne  formò  un  offizio 
particolare,  da  conferirsi  ad  un  al- 
tro membro  del  collegio.  11  com- 
missario è  tratto  dal  collegio  dei 
procuratori  del  sagro  palazzo  apo- 
stolico ;  il  procuratore  del  fisco  dal 
ceto  dei  giureconsulti  addetti  al 
foro  ed  alla  magistratura  crimina- 
le; l'avvocato  generale  dal  colle- 
gio degli  avvocati  presso  il  sagro 
concistoro.  Tutti,  come  dicemmo, 
godono  del  titolo  e  degli  onori  pre- 
latizi con  veste  paonazza  chiamata 
manlelletlone,  ben  diversa  dal  man- 
tellone,  e  simile  a  quella  degli  al- 
tri prelati,  se  non  che  piti  lunga 
e  senza  rocchetto.  In  Roma  vi  so- 
no pure  altri  fiscali.  La  congrega- 
zione della  rev.  fabbrica  di  s.  Pie- 
tro ha  un  procuratore  del  suo  fì- 
sco, tratto  dal  ceto  de'  curiali  del 
collegio  degli  avvocati  concistoriali. 
Hanno  inoltre  i  loro  fiscali  la  ca* 
mera  capitolina  ed  il  tribunale  se- 
natorio, come  si  è  detto,  la  sagra 
congregazione  del  s.  offizio,  e  la 
congregazione  del  buon  governo, 
e  delle  acque,  finalmente  la  pre- 
fettura generale  delle  acque  e  stra- 
de ha  un  fiscale  tratto  esso  pure 
dal  ceto  dei  procuratori  di  colle- 
gio. Nelle  provincie  dello  stato 
pontifìcio  presso  ciascun  tribunale 
vi  è  un  procuratore  del  fisco  di 
nomina  sovrana,  e  presso  ciascun 
governo  distrettuale  ve  n'  è  un  al- 
tro, che  si  nomina  dal  procuratore 
generale  del  fisco.  Le  di  lui  facol- 
tà sono  limitate  alla  parte  crimi- 
nale. Per  gli  affari  dell'  erario  vi 
è  un  procuratore  camerale  nomi- 
nato ed  amovibile  ad  mutuai  del 
prelato  tesoriere. 

Dell'avvocato  generale  del  fisco, 
e  del  procuratore  generale    del  fì- 
sco se  ne  parla  ancora  al    volume 
VII,  pag.   i4  e   i5del  Dizionario, 
VOL     xxv. 


FIS  81 

al  volume  Vili,  pag.  219,  ed   al- 
trove, non  che  agli  articoli    Avvo- 
cali concistoriali,  Difensori,  ed  al- 
tri, mentre  al  volume  IX,  pag.  72, 
73,  76,  77,  81   e  82,  come  all'ar- 
ticolo    Chinea  (  Vedi),    si    tratta 
delle  solenni  proteste   che    l' avvo- 
cato e  il  procuratore  fanno  al  Pa- 
pa nella  vigilia  e  festa  de'  ss.  Pie- 
tro e  Paolo  pei  censi  e  tributi  non 
soddisfatti.  Nelle  Brevi    indicazioni 
per   le    attribuzioni    de  cerimonieri 
pontificii,     è     notato    che     l'antica 
protesta  pei  tributi    dei    ducati    di 
Parma    e    Piacenza,    fu    rinnovala 
da  monsignor  Sabatucci  fiscale,  co- 
me anche  la  risposta  del    Pontefi- 
ce ;  e  che  il  quinto  e  sesto  maestro 
delle   cerimonie    debbono    assistere 
alle  esequie  dell'avvocato  de' pove- 
ri, dell'avvocato    fiscale,    del    pro- 
curatore fiscale,  e  del  commissario 
generale    della    camera   apostolica, 
che  sono  i  quattro  prelati  di  man- 
tellettone,  cosi  detti  perchè  come  si 
avvertì,    per    distinzione    da'  prela- 
ti   di    Mantellone  (  Vedi),    usano 
questo   più   ampio   e    dignitoso.  11 
Cohellio,     Nolilia    cardìnalatus,    a 
pag.  27,  cap.    XLV    De  Advoca- 
to ,    et     Procuratore    Fisci,    discu- 
te questi  punti:  Àdvocatus  fisci  ab 
Hadriano  imperatore   primum    in- 
stitutus;  offìcium  differt   ab  officio 
procuratoris  fisci  ;  officio    ohm  an- 
nale  erat,   deinde   a    Leone   impe- 
ratore   prorogatum  ;     offìcium    in 
Urbe    perpetuum    est ,    et    ordinis 
advocatorum     concistorialium  ;     of- 
fìcium in  Urbe  conceditur   ab  im- 
memorabili uni  ex   advocatis   con- 
cistorialibus  ;    preeminentia    quales, 
qualeq.     ipsius    munus;    àdvocatus 
quidam  fìscalis  a  Paulo  III  vepre - 
hensus  ;   fisci  procuratoris,    et  pro- 
curatoris Caesaris    differentia  ;  fìsci 
procuratoris  iu  Urbe  qualitates  que- 
6 


82  FIS 

nam  esse  debeant,  et  de  ipsius  mu- 
nere;  fisci  procurator  precedi t  com- 
missarium  camerae,  del  quale  offizio 
il  Cohellio  ne  discorre  a  pag.  274, 
cap.  XLVI,  De  generali  Cam.  Apost. 
commissario.  Quanto  riguarda  al  fi- 
sco in  curia  romana,  il  Cohellio  ne 
tratta  agli  articoli  Confiscatio,  e  Fi- 
scus  nell'Index  rerum  select arimi. 
Il  De  Luca  egualmente  nelle  sue 
opere  parla  dell'avvocato  del  fisco, 
del  procuratore  del  fisco,  e  del  com- 
missario della  camera. 

Di  questi  tre  rispettabili  uffizi, 
come  di  que'  personaggi  che  l' e- 
sercitarono,  erudite  notizie  ci  dà 
il  cardinal  Garampi  ne'  Saggi  di 
osservazioni  sul  valore  dell'  anti- 
che monete  pontificie.  A  pag.  1 47 
dice  che  antico  si  è  nella  curia 
romana  l' ufficio  di  avvocato  del 
fisca  Prima  però  noteremo,  che 
oltre  Benedetto  Caetani  poi  Papa 
Bonifacio  Vili,  furono  avvocati  ge- 
nerali del  fìsco,  Lante,  Santacroce, 
Baroncelli,  che  intervenne  al  conci- 
lio generale  di  Firenze  ;  Gabrielli, 
autore  delle  celebri  conclusioni  di 
diritto  (  opera  che  fu  chiamata 
Calepinus  doctorum);  Silvestro  Al- 
dobrandini  padre  di  Clemente  Vili; 
Orazio  Borghese  fratello  di  Paolo 
V,  poscia  uditore  della  camera; 
Cerasi  poi  tesoriere  generale  ;  Bot- 
tini uditore  di  Clemente  X,  ch'eb- 
be tra  i  suoi  discepoli  Lamberti  ni 
poi  Benedetto  XIV  ;  Sacripanti,  e 
Valenti  poi  cardinali  ;  un  Burani, 
un  Benetti,  ed  un  Barlolucci.  Al 
presente  è  avvocato  generale  del  fisco 
e  della  camera  monsig.  Giuseppe  Lui- 
gi cav.  Bartoli  ;  procuratore  genera- 
le del  fisco  e  della  camera,  monsig. 
Francesco  cav .  Leggeri  ;  e  commis- 
sario generale  della  camera,  mon- 
sig.  Angelo  Maria  cav.    Vannini. 

Abbiamo  dunque    dal  Gnrampi, 


FIS 
che  Giovanni  XXII  Papa  residen- 
te in  Avignone,  a'  dì  i5  agosto 
i320,  deputò  Carlo  de  Madalberti 
da  Cremona,  juris  civilis  professo- 
rem  in  Rom.  Curia  advocatum  in 
avvocato  fiscale:  te  apud  sedem 
A post,  nostra  rum  et  sedis  ej'usdcni 
fìscalium  advocatum,  nec  non  et 
crimìnalium  causarum,  c/ue  per 
appellationes  eoru/n,  qui  de  terris 
Ecclesiae  Rom.  existunt,  ad  sedem 
deferunlur  eamdem,  audilorem  con- 
stituimus  generalem,  diclasque.  cau- 
sas  appellationum  audicndi  ac 
edam  termina/idi  platani  concedi- 
mus  potestatem.  Similmente  nel- 
l' anno  1 363  era  avvocato  del  fi- 
sco pontificio  Nicolò  Spinelli.  Ivi 
il  Garampi  avverte,  che  non  deve 
confondersi,  come  fece  il  De  Ru- 
beis,  Defensor  rediviv.  pag.  22  3 , 
coli'  avvocato  fiscale  della  camera 
apostolica,  quello  della  camera  fi- 
scale della  città  di  Roma  :  nel  qua- 
le offìzio  vacato  per  la  morte  del 
celebre  Andrea  Santacroce  avvoca- 
to concistoriale,  fu  da  Sisto  IV  ai 
i3  dicembre  i4?3,  surrogato  Co- 
ronato de  Planca  parimenti  avvo- 
cato concistoriale,  de' quali  ambe- 
due può  vedersi  il  Cartari,  Syllab. 
adv.  concisi,  pag.  35,  54-  Il  det- 
to Andrea,  che  annoverasi  fra  i 
primi  che  cominciarono  a  coltiva- 
re Io  studio  delle  antiche  iscrizio- 
ni, compilò  eziandio  uno  speciale 
trattato  per  la  spiegazione  delle 
sigle  che  in  esse  incontransi.  Indi 
a  pag.  291  il  Garampi  dice  che 
Francesco  Cultello  fu  già  commis- 
sario genenerale  della  camera  apo- 
stolica (  del  quale  uffizio  se  ne 
tratta  pure  all'  articolo  Tesorieri 
generali,  Vedi),  dal  quale  ufficio 
passò  a'  dì  3i  gennaio  i552  a 
quello  di  procuratore  del  fisco. 
Ne   fu  poi   egli    rimosso  da   Paolo 


FIS 

IV  che  gli  sostituì  Alessandro  Pal- 
lantieri  a'  3  di  luglio   1 555,  che  poi 
divenne    governatore    di   Roma.    11 
Coltelli    fu    nuovamente    restituito 
all'uffizio  da  Pio  IV    nel    dì     i.° 
maggio  del   i563,  e  in  esso  morì; 
essendogli  poi    successo    a'i3    set- 
tembre   1 564  Giambattista  Bizzoni 
da   Lodi.  Per  supplire  la  serie  dei 
procuratori,     che    sono    sovente  e- 
nunciati     nei    documenti    riportati 
dal  Gai-ampi  nelle  sue  Osservazioni, 
cade  in  acconcio  di  qui  notare,  che 
Nicolò  degli   Ariani,    rassegnò  que- 
sto ufficio  nel  dì    i.°  settembre  del 
1497.     Ottennelo    allora    Mariano 
Coccini   romano,  chierico    coniuga- 
to, e  procuratore  in  curia,  cóme  si 
legge  ne'  libri  di  Alessandro  VI,  e 
sebbene   nella    sede    vacante   dopo 
la  morte  di   quel    Papa,    Pandolfo 
da  Sanseverino  tentasse  di   compe- 
rale un  tale  ufficio,  ciò  non  ostan- 
te il  Coccini  seguitò  ad   esercitarlo 
sino  all'anno    i5i?..  In  sua  morte 
lo  successe  Mario  Peruschi    di   cui 
si  ha  menzione    nel    1 5 1 4>    e    lie' 
monitorii  e  sentenze  pubblicatesi  nel 
1527    contro  i  Colonnesi.  Fu  indi 
conferito  questo  ufficio  a  Benedet- 
to Valenti  da  Trevi,   e    se    ne   fa 
menzione  nel    i52g,    e    nel    i54o. 
Indi  successero  Pietro  Antonio  An- 
gelini,   e    Camillo    Mentovati  ;    poi 
Siila  Goti  destinatovi  da  Paolo  III, 
nel    i544j  al  quale  successero   Ni- 
colò Farfaro,  il  Coltelli,  e    il    Pal- 
lantieri     summentovati.    Paolo     IV 
rimosse    il  Pallantieri    da    tale    uf- 
ficio, e  diedegli  per   successore  a'7 
di  ottobre    i557  Sebastiano  Atra- 
cino.  All'articolo    Famiglia   ponti- 
ficia   (  Fedi),  si  fa    memoria  del- 
l' avvocato  e  procuratore  del  fisco, 
per  la  parte  che  un  tempo  ebbero 
dal  palazzo    apostolico,    considerati 
come    famigliari     pontificii.      Nelle 


FIS  83 

Notizie    di    Roma  ,  eh'  ebbero  ori- 
gine nel    1716,    si    ha    il    novero 
degli     avvocati    e    procuratori    del 
fisco  della  camera  apostolica,  come 
dell'avvocato  del  fisco  della  came- 
ra capitolina,  e  tribunale  senatorio, 
e  de'  fiscali   di  alcune  congregazioni 
ai  cui    articoli    pur"  se    ne    tratta. 
Noteremo    che    nel    pontificato    di 
Clemente  XI li    era  Promotore  del- 
la fede  (  Vedi  )    monsignor  Gaeta- 
no Forti  di    Pescia,    il    quale    era 
pure  avvocato  fiscale    della    R.   C. 
Apostolica,     e    prelato     domestico: 
ma  a  cagione  della  precedente  di- 
sposizione di  Benedetto  XIV,  fu  l'ulti- 
mo a  riunire  i  due  cospicui  uffizi. 
Nella  raccolta  delle    leggi  e   di- 
sposizioni di  pubblica    amministra- 
zione dello  stato  pontificio,  vi  sono 
le  norme  di  quanto  riguarda  il  fi- 
sco pontifìcio,  l' avvocato    fiscale,  il 
procuratore  fiscale,  non  che  l'avvo- 
cato   fiscale    di    Campidoglio,    ed 
eziandio  quanto  concerne  i   procu- 
ratori   fiscali    e    camerali,    l' istitu- 
zione   de'  loro    uffizi    presso    ogni 
tribunale  dello  stato,    sotto   la    di- 
pendenza    di    monsignor    tesoriere 
generale  ec.   ec. 

FISSANO.  Sede  vescovile  d'Africa, 
di  cui  ignorasi  la  provincia  ,  facendone 
menzione  la  conferenza  di  Cartagine. 
FISTOLA,  o  CANNA.  Strumen- 
to il  quale  chiamavasi     anticamen- 
te   Calamus,    Pugillaris ,     Siphon, 
Armido,  Pipa,  Virgula,  Cannolust 
Cannadella  ,  Nasus,  come  abbiamo 
dal  Du  Cange,  dal    Carpentier,  dal 
Macri,  e    da    altri,  come   dimostra 
monsignor   Giorgi  nel  tom.  I,  Lit. 
Rom.    Pont,    in    disserl.    de    saero 
ministerio,    pag.     100,    e  nel   tom. 
Ili,  pag.    164,    il  quale  ha  confu- 
tato il  Dalleo    che  crede  introdot- 
to quest'uso  dai    cisterciensi,  verso 
il  fine    dell'XI    secolo,  quando   fu 


84  FIS 

proibito  da  Urbano  II  di  distribui- 
re l'Eucaristia  intinta  nel  sangue 
per  impedirne  la  effusione.  Questo 
canaletto  o  fistoletta  fu  adottata 
per  sorbire  il  calice  nella  comu- 
nione appunto  perchè  non  si  ver- 
sasse. 11  I3erlendi,  Delle  oblazioni 
aW  aliare  antiche  e  moderne,  pag. 
89,  parlando  della  comunione  del 
calice  che  i  primi  fedeli  facevano, 
dice  che  in  progresso,  crescendo  il 
numero  de'fedeli,  non  bastò  un  so- 
lo calice,  ma  fu  d'uopo  di  valer- 
sene tal  volta  di  molti,  ed  allora 
prima  che  il  divin  sangue  si  di- 
spensasse a'  fedeli,  il  diacono  dal 
calice  del  sacerdote  lo  rifondeva 
in  un  altro  calice  chiamato  mini- 
steriale o  comunicale,  a' quali  cali- 
ci negli  ordini  romani  è  dato  il 
nome  di  bicchiere,  Scyphus,  ed  a- 
vevano  due  manichi  a  fine  di  po- 
ter con  più  di  comunità  e  sicurez- 
za maneggiarli  ed  offerire  per  essi 
il  divin  sangue  al  popolo.  Da  que- 
sti calici  ne5  tempi  più.  antichi  i 
fedeli  immediatamente  bevevano  il 
divin  sangue,  con  cui  poscia  anche 
si  consagravano  gli  occhi,  la  fronte 
e  gli  organi  degli  altri  sensi,  rito 
che  particolarmente  praticossi  nella 
chiesa  di  Antiochia  e  di  Gerusa- 
lemme. Non  bevevano  però  dal 
calice  del  popolo  i  principi ,  ma 
erat  consuctudo,  dice  s.  Gregorio 
Turonense,  ut  ad  altarium  vcnien- 
tes  de  alio  calice  reges  communi- 
cent,  et  de  alio  populos.  Tal  co- 
stume restò  dipoi  mutato,  e  sen- 
za accostare  a' detti  calici  imme- 
diatamente le  labbra ,  si  praticò 
per  mezzo  di  una  fìstola,  o  sia 
canna  d' argento  o  d'oro  chiamata 
sifone,  colla  quale  succhiavasi  dai 
fedeli  il  divin  sangue  come  si  ha 
dagli  ordini  romani  I,  II  e  VI  ri- 
feriti dal    p.  Mabillone,    e    questa 


FIS 
non  si  chiama  ivi  comunione,  ma 
confermazione.  Dappoiché  siccome 
il  sagramento  dell'unzione  col  sa- 
gro crisma ,  considerato  come  un 
tal  qual  compimento  del  battesimo, 
si  chiama  confermazione;  così  se- 
condo la  frase  di  quei  tempi  la  be- 
vanda del  divin  sangue,  stante  l'u- 
so di  allora  di  comunicarsi  i  fe- 
deli sotto  l'una  e  l'altra  specie, 
consideravasi  qual  compimento  del- 
la comunione,  e  chiamavasi  con- 
fermazione. Delle  dette  fistole  fa 
ricordanza  Corrado  vescovo  nella 
cronaca  di  Magonza  :  Erant  fistu- 
lae  quinque  ad  communionem  ar- 
genteae  deauratae;  ne  parla  Ditma- 
ro  :  Calicem  cum  patena  simul, 
et  fistxda  deditt  ed  anche  molti 
altri  scrittori. 

Il  medesimo  Berlendi  afferma 
che  un  tal  rito  si  trova  praticato 
nella  comunione  pasquale  fatta  dal 
Papa  anche  nel  secolo  XIV,  qual- 
mente si  legge  nell'ordine  romano 
di  Pietro  Amelio  vescovo  di  Sini- 
gaglia  :  Diaconus  remanet  in  alta- 
ri tenendo  cum  manu  sinistra  super 
cornu  dextrum  altaris  calicem,  et 
cimi  dexlera  Jistulam  ,  cum  qua 
dat  ad  bibendum  omnibus,  qui 
communicaverunt  de  manu  Papae, 
de  Christi  sanguine,  dicendo  cuili- 
bet:  Sanguis  Domini  Nostri  Jesu 
Christi  cuslodìat  aniinam  titani  in 
vitam  aelernam.  Amen.  Vi  era  pu- 
re la  costumanza  d'infondere  in  un 
vaso  grande  di  vino  una  piccola 
parte  del  vino  consagrato,  e  così 
mescolato  si  porgeva  a  bere  ai  fe- 
deli, la  qual  infusione  facevasi  nel- 
la Chiesa  romana  dall'arcidiacono, 
secondo  che  prescrivesi  negli  or- 
dini romani  I,  e  III:  Venit  ar- 
chidiaconus  ....  et  refuso  parimi 
de  calice  in  scyphum.  Nelle  altre 
chiese  e  luoghi  ciò  non  facevasi  se 


FIS 
nou  nell'incontro  che  il  puro  san- 
gue consagrato  non  fosse  stato  ba- 
stevole al  numero  di  quelli  ch'era- 
no per  comunicarsi,  nel  qual  caso 
si  andava  aggiungendo  secondo  il 
bisogno.  Conchiude  il  Berlendi  che 
il  sorbire  il  sangue  colla  fìstola , 
esponendo  a  pericolo  d'irriverenza 
il  Sagramento,  e  riuscendo  di  nau- 
sea al  popolo,  specialmente  nel 
tempo  di  contagio,  il  dovere  met- 
tere le  labbra  sopra  il  calice,  o  so- 
pra la  fistola,  ove  altri  le  avevano 
notte,  fu  una  delle  cagioni  che  a 
poco  a  poco  tralasciato  il  costume 
si  contentarono  i  fedeli  di  comu- 
nicarsi sotto  la  specie  del  pane,  co- 
me di  poi  ordinarono  alcuni  Pon- 
tefici e  concili,  massime  quello  di 
Costanza  nella  sessione  XIII,  di 
Basilea  nella  XXX,  e  di  Trento 
nella  V,  essendo  solamente  in  qual- 
che chiesa  restato  l'uso  in  certe 
circostanze,  ovvero  festività,  di  por- 
gersi col  calice  dell'altare  a' fedeli 
il  vino  benedetto.  L'  uso  generale 
di  comunicarsi  sotto  le  due  spe- 
cie durò  fino  al  secolo  XII,  come 
meglio  dicemmo  nel  volume  XV, 
pag.  1 1  i  e  seg.  del  Dizionario,  ove 
facemmo  menzione  del  privilegio 
che  rimase  ad  alcune  chiese  e 
monarchi.  Oggi  il  solo  sommo 
Pontefice  sorbisce  il  sangue  con 
una  fistola  d'oro,  quando  celebra 
solennemente  ,  il  qual  privilegio 
fu  concesso  anco  all'abbate  di  Mon- 
te Cassino,  ove  mostravasi  una  fi- 
stola per  la  detta  cerimonia  non 
più  usata.  Ce  ne  dà  la  figura  il 
Berlendi,  insieme  a  quella  usata 
anticamente  dalla  Chiesa  romana, 
ed  a  quella  del  Papa  coli'  ago  o 
stilo  d'oro  per  purificarla.  Sino  agli 
ultimi  tempi  nella  sagrestia  pon- 
tificia si  conservava  la  fistola  d'o- 
ro   formata  da    tre  cannellini,    le- 


FIS  85 

gati  insieme  da  capo  e  da  piedi, 
de'  quali  era  più  lungo  quello  di 
mezzo,  col  quale  il  Papa  stando 
in  trono  sorbiva  il  sangue:  aveva 
una  tazzetta  nella  parte  superiore 
con  due  buchi',  che  servivano  per 
purificarla;  nel  mezzo  aveva  il  po- 
mo ornato  da  piccoli  rubini  e  sme- 
raldi, colf  iscrizione  :  Clemeits  vii 
Pont.  Max.  An.  vi.  Lo  stilo  ossia 
embolo  era  pur  d'oro,  con  un  zaf- 
firo da  capo.  La  fistola  d'oro  che 
al  presente  adopera  il  Pontefice 
è  eguale  alla  descritta,  meno  l'or- 
namento delle  gemme.  Le  antiche 
fistole  furono  d'oro,  di  argento,  di 
avorio,  e  di  stagno,  le  usarono  ed 
erano  comuni  a  tutti  i  preti,  ed  an- 
che come  dicemmo  ai  laici. 

Della  comunione  del  Papa,  e 
del  sorbire  il  sangue  ch'egli  fa  col- 
la fistola  ne'pon  tifi  cali,  e  dopo  lui 
il  cardinal  diacono,  e  il  prelato 
suddiacono  ministranti,  se  ne  trat- 
ta al  volume  IX,  pag.  29  e  3o 
del  Dizionario.  Angelo  Rocca  sa- 
grista  pontificio  nel  tom.  I  del  suo 
Thesaurus  ci  ha  dato  il  trattato  : 
dir  sacrosanctae  Eucharìstiae  me- 
dietasj  hoc  est,  Christi  corporis  et. 
sanguinis  pars  a  Summo  Ponti/Ice, 
altera  eorumdem  pars  ìnter  dia- 
conum  cardinalem  3  et  subdiaco- 
num  apostolicum  dispertila  in  so- 
lemni  comunione  ab  eisdem  suman- 
tur  ?  Cur  Sum/nus  Ponti/ex  ca- 
lamum  in  sumendo  Christi  sangui- 
ne adhibere  soleat ,  nec  non  mi- 
nistri, cardinalis  videlicet  diaconus 
et  subdiaconus  apostolicus  inter  so- 
lemniter  communicandum  calamo 
eodem  utantur.  Veggasi  il  Lindano, 
Panopl.  evangelica  I.  4*  c-  56  ; 
e  Samuele  Verner,  De  reliquiis 
per  Eucharistiae  administrationem 
remanentibus,  ut  ex  fragmentis  in 
ifisa     Caenae    adminislratione     in 


ò<]  FIS 

terrarn    decìdentibus  ,    Regioraonte 
1688.     Del     medesimo    strumento 
della  fistola  parla  il  Davantria  nel 
suo    Cerimoniale    mss.    descrivendo 
la    comunione  de' cardinali  diaconi, 
i  quali    dopo  di  avere    ricevuto  il 
corpo  di  Cristo  dalle  mani  del  Pon- 
tefice andavano  all'altare  dove  col- 
la fìstola  succhiavano  il  sangue  dal 
Calice  (Fedi),   sostenuto    dal  dia- 
cono   celebrante,  il    quale  pronun- 
ziava la  forinola  suddetta:  Sanguis 
Domini  ec.  E  se  nella  cappella  pa- 
pale si     trovava    presente    qualche 
re,    faceva  la  medesima  cerimonia, 
ed  era  accompagnato  all'altare  dal 
secondo  vescovo  cardinale,  chiamato 
sottopriore  dal    Davantria,  il  qua- 
le  inoltre  testifica    essersi  praticata 
questa  cerimonia  nel    i355,  a'tem- 
pi  d'Innocenzo  VI,  quando  nel  gior- 
no di    Pasqua  si    comunicò  Pietro 
IV  re  d'Aragona,  accompagnato  dal 
cardinal   vescovo    Albanese    all'  al- 
tare. 

Il  Macri  nella  Notizia  de'  vocab. 
eccl.  dice  che  la  fistola  fu  chiama- 
ta Pugillaris ,  per  essere  in  forma 
di  quello  stromento  con  cui  si  scri- 
veva. Dice  inoltre  che  questa  fistola 
soleva  tenersi  involtata  sotto  il  ve- 
lo con  la  patena  dall'accolito,  come 
fa  oggi  il  suddiacono  che  tiene  la 
sola  patena.  Negli  antichi  statuti 
de'monaci  certosini  si  fa  menzione 
della  fistola  :  Ornamenta  aurea, 
vel  argentea  praeter  calicem ,  et 
calamum,  quae  Sanguis  Domini 
swnitur,  in  Ecclesia  non  habe- 
mus.  Che  si  usava  dai  Certosini 
lo  afferma  pure  J.  B.  Casali,  De 
vet.  sacris  Christ.  ritibus  e.  81. 
Secondo  il  sentimento  del  citato 
Bocca,  la  fìstola  significa  la  canna 
con  la  quale  fu  dato  l'aceto  e  il 
fiele  nella  sponga  al  moribondo 
Cristo  confitto   in  croce.  Scrive  e- 


FLA 

ziandio  II  Davantria  che  nel  gior- 
no del  giovedì  santo,  il  Papa  non 
si  comunicava  nel  soglio,  ma  nel- 
l'altare, dove  non  adoperava  la  fi- 
stola prendendo  il  sangue  dal  calice, 
per  imitare  l'umiltà  del  Salvatore,  di- 
mostrata singolarmente  in  quel  gior- 
no. V,  Joh,  Voghtius,  De  hist.Jìslii- 
lae  eucliaristicae,  cujus  ope  sugi  solet 
e  calice  vinum  benedictum,  Bre- 
mae  1740:  et  in  Nov.  ad.  erud. 
Supplem.  tom.  V,  pag.  2 3 9.  Ma- 
billon  in  tom.  II  Mus.  lidi,  in 
Comm.  praevio  e.  9;  Borgia,  Meni, 
ist.  di  Benevento  tom.  I,  pag.  72 
e  162  ;  Cancellieri,  De  Secretariis, 
pag.  399  ;  De  comm.  Pont.  pag. 
27;  e  Benedetto  XIV,  De  festis 
D.  N.  J.  C.  pag.  229. 

FITIA ,  FITEO  ,  o  FITEA 
(Phytea).  Sede  vescovile  della  pri- 
ma provincia  della  Frigia  Saluta- 
re, sotto  la  metropoli  di  Sinnada, 
che  al  dire  di  Commanville  fu  e- 
retta  nel  IX  secolo,  nella  diocesi 
d'  Asia.  Si  conoscono  due  vescovi  : 
Nicola  che  sottoscrisse  al  settimo 
concilio  generale,  e  Teodegeto  che 
intervenne  al  concilio  di  Fozio,  nel 
pontificato  di  Giovanni  Vili,  come 
abbiamo  dall'  Oriens  Christ.  tom. 
I,  pag.   844. 

FLABELLO  (Flabellum).  Ven- 
taglio o  paramosche,  detto  da  al- 
tri Flabrum  ,  stromento  e  suppel- 
lettile sagra,  che  nelle  festività  usa 
il  sommo  Pontefice,  e  pochi  altri 
per  privilegio.  Questo  stromento 
fu  chiamato  Ventilabrum  ministe- 
riorum ,  nella  vita  di  s.  Epifanio 
vescovo,  nella  quale  si  legge  :  »  Pri- 
*>  mus  observat  diaconum ,  qui  a 
»  sinistris  tenebat  ventilabrum  mini- 
y>  steriorum  ".  Tali  ventagli  o  gran 
pennacchi  sono  composti  di  una 
lunga  asta  o  bastone,  lungo  circa 
palmi  nove,  foderalo  di   velluto  in 


FLA 
seta  cremisi  ossia  rosso ,  ornato  di 
una  zagana  d' oro  a  tortiglione 
per  tutta  la  lunghezza  dell'asta,  al- 
la cui  cima  in  forma  di  ventaglio 
sono  penne  bianche  di  struzzo,  a- 
venti  nell'estremità  altrettante  pen- 
ne occhiute  di  pavone,  insitate  alle 
prime  in  due  ordini ,  che  fanno 
elegante  comparsa  da  ambo  i  lati, 
e  sono  fermate  su  base  coperta  del- 
lo stesso  velluto  delle  aste,  decora- 
ta da  due  galloncini  trinati  d'oro, 
e  da  una  guida  di  fronde  e  fiori 
pure  ricamati  in  oro ,  e  nel  mezzo 
evvi  un  ricamo  d' oro  rappresen- 
tante il  triregno  pontifìcio  colle 
chiavi  incrociate:  le  due  estremità 
superiori  delle  aste  sono  guarnite 
di  metallo  dorato  con  fogliami ,  e 
le  inferiori  da  un  cerchio.  11  Papa 
li  usa  soltanto  incedendo  nelle  sa- 
gre funzioni  sedente  sulla  sedia  ge- 
statoria, e  quando  sul  talamo  por- 
ta processionalmente  il  ss.  Sagra- 
mento  per  la  festa  del  Corpus  Do- 
mini. 1  flabelli  si  portano  ai  lati 
del  Pontefice  da  due  camerieri  se- 
greti partecipanti,  ovvero  da  due 
camerieri  segreti  soprannumerari  o 
di  onore  in  abito  paonazzo ,  vesti- 
ti di  cappe  rosse.  Sono  loro  con- 
segnati dai  palafrenieri  e  sediari 
pontificii  portatori  della  sedia  ge- 
statoria ,  che  li  custodiscono  insie- 
me a  questa  nei  luoghi  ove  si  ado- 
perano. 

Nota  delle  cappelle  e  pontificie 
funzioni  ove  occorrono  i  flabelli,  o 
puramente  il  baldacchino  con  la 
sedia  gestatoria,  secondo  le  antiche 
e  stabilite  consuetudini,  restando  a 
beneplacito  de'  Papi  il  comandare 
diversamente. 

Cattedra  di  s.  Pietro ,  sedia  ge- 
statoria senza  flabelli  e  senza  bal- 
dacchino. 

Purificazione  ,     sedia     gestatoria 


FLA  ò> 

senza  flabelli  ,  con  baldacchino 
rosso. 

Annunziata,  sedia  gestatoria  con 
flabelli ,  senza  baldacchino. 

Domenica  delle  Palme,  sedia  ge- 
statoria senza  flabelli ,  con  baldac- 
chino rosso. 

Giovedì  santo  ,  sedia  gestatoria 
con  flabelli  e  baldacchino  bianco. 

Venerdì  santo,  baldacchino  ros- 
so, senza  sedia  gestatoria  e  senza 
flabelli. 

Pasqua  di  Risurrezione,  sedia  ge- 
statoria con  flabelli  e  baldacchino 
bianco. 

Ascensione ,  sedia  gestatoria  con 
flabelli  ,  senza  baldacchino. 

S.  Filippo,  sedia  gestatoria,  sen- 
za flabelli  e  senza  baldacchino  :  il 
Papa  che  regna  in  questa  cappella 
fa  uso  dei  flabelli. 

Corpus  Domini,  talamo, 'flabelli 
e  baldacchino  bianco. 

Vespero  per  la  festa  de'  ss.  Pie- 
tro e  Paolo,  sedia  gestatoria  con 
flabelli,  senza  baldacchino  :  lo  stesso 
per  quella  di  Natale.  Però  va  av- 
vertito che  il  regnante  Pontefice 
usa  i  flabelli  in  questi  due  ve- 
speri. 

Ss.  Pietro  e  Paolo,  sedia  gesta- 
toria, flabelli  e  baldacchino  rosso. 

Natività  di  s.  Giovanni  Battista , 
sedia  gestatoria  con  flabelli,  senza 
baldacchino. 

Assunta,  sedia  gestatoria  con  fla- 
belli, senza  baldacchino. 

Natività  della  B.  Vergine ,  sedia 
gestatoria,  senza  flabelli  e  senza 
baldacchino. 

S.  Carlo ,  sedia  gestatoria  con 
flabelli,  senza  baldacchino. 

Domenica  prima  dell'Avvento, 
baldacchino  bianco,  senza  sedia  ge- 
statoria e  senza  flabelli. 

Natale,  sedia  gestatoria  con  fla- 
belli e  baldacchino  bianco. 


88  FLA 

Funzione  nella  quale  il  novello 
Pontefice  va  a  ricevere  nella  basi- 
lica vaticana  la  terza  adorazione , 
sedia  gestatoria. 

Coronazione  e  consagrazione  del 
nuovo  Papa ,  sedia  gestatoria  con 
flabelli  e  baldacchino  bianco  che 
prende  neh'  uscire  dalla  cappella 
Clementina  dopo  il  canto  di  Terza. 

Possesso,  sedia  gestatoria  con  fla- 
belli e  baldacchino  bianco  portato 
dai  canonici  della  basilica  latera- 
nense. 

Apertura  e  chiusura  della  porta 
santa,  sedia  gestatoria  con  flabelli. 

Canonizzazione ,  sedia  gestatoria 
con  flabelli  e  baldacchino  bianco  ; 
i  flabelli,  il  baldacchino  e  la  sedia 
gestatoria  il  Papa  l'usa  anche  qua- 
lunque volta  celebra  pontificalmen- 
te  per  circostanze  straordinarie. 

La  Sedia  gestatoria  (  Vedi)  si 
usava  anche  in  altre  feste  e  fun- 
zioni, come  si  dirà  a  quell'  artico- 
lo, ma  in  esse  non  avevano  luogo 
uè  i  flabelli,  ne  il  baldacchino.  Pe- 
rò ne'  concistori  pubblici  il  Papa 
usava  la  sedia  gestatoria  ed  i  fla- 
belli ,  per  cui  questi  ne'  detti  con- 
concistori si  pongono  appoggiati  al- 
la coltre  o  dossello  lateralmente  al 
trono  pontificio,  subito  dopo  i  car- 
dinali diaconi. 

I  primi  flabelli  furono  di  penne 
di  pavone  ,  o  di  sottilissime  pelli , 
o  di  finissima  tela ,  coi  quali  il 
diacono  scacciava  le  mosche  dall'al- 
tare nel  tempo  del  santo  sagrificio 
della  messa.  La  loro  istituzione  ri- 
sale ai  tempi  apostolici,  giacche  nel- 
le Conslit.  Apost.  di  s.  Clemente, 
lib.  8,  cap.  12,  si  legge  :  »  Duo  dia- 
«  coni  ex  utraque  parte  altaris 
»  (cioè  nel  tempo,  che  vi  si  cele- 
»  bra  la  messa)  teneant  flabella  ex 
»  tenuissimis  membranis,  aut  ex 
»  pennis  pavonis,  aut  ex  linteo,  ut 


FLA 

»  parva  ammalia  volilantia  abigant, 
»  ne  in  calicem  incidant  ".  L' istes- 
so  rito  si  prescrive  nella  liturgia 
di  s.  Basilio.  Laonde  in  tutta  la 
Chiesa  orientale  fu  ritenuto  questo 
costume,  e  appresso  il  Marlene,  De 
antìquis  Ecclesiae  ritibiis  lib.  I,  cap. 
8,  si  riferisce  l'ordinazione  de'  ma- 
roniti tradotta  da  Giovanni  Mori- 
no, in  cui  fa  menzione  del  venta- 
glio, dicendosi  :  «  Episcopus  preca- 
«  tur,  diaconus  procedi t  in  pace, 
»  egrediuntur  cum  pompa  decente 
«  tenentes  thuribulum  ,  et  diaconi 
«flabella".  Vogliono  alcuni,  che 
sieno  stati  istituiti  pel  medesimo 
fine  da  s.  Giacomo  apostolo ,  e 
perchè  furono  prescritti  o  di  pen- 
ne di  pavone,  o  di  membrane  sot- 
tili, o  di  pannicelli  di  lino,  quindi 
è  proceduta  la  varia  forma  usata 
in  diverse  chiese.  I  greci,  i  maro- 
niti, e  gli  armeni  1'  usano  di  lastra 
sottile  di  ottone  o  di  argento  in 
forma  tonda,  alla  quale  aggiungono 
campanelli  o  sonagli,  con  un  velo 
pendente  dall'  asta  che  li  sostiene  ; 
perchè  riconoscono  in  essi  le  ali 
de'  cherubini,  come  riferisce  s.  Ger- 
mano patriarca  di  Costantinopoli, 
in  Theoria  non  eccles.  ,  veduti  da 
Isaia  cap.  6,  le  quali  coprivano  la 
faccia  della  maestà  divina.  11  p. 
Lupi  nel  tom.  I  delle  sue  Disseria- 
zioni ,  pag.  246»  osserva  col  detto 
patriarca,  essere  ben  di  ragione 
che  si  facesse  a  Dio  nascosto  nel 
Sagramento,  quell'onore  che  a  lui 
nel  trono  eccelso  della  sua  maestà 
facevano  i  serafini  veduti  da  Isaia  : 
«  Dominum  sedentem  super  solium 
«  excelsum,  et  elevatum  Seraphim 
«  stabant  super  illud  sex  alae  uni, 
»  et  sex  alae  alteri  duabus  vela- 
»  bant  faciem  ejus  ".  11  Novaes  nel 
tom.  I  delle  sue  Dissertazioni,  pag. 
1 1 6,  dice  che  i  greci  nel  conferire 


FLA 
l'ordine  del  diaconato,  fra  le  altre 

cose  consegnano  anche  il  flabello, 
leggendosi  nella  vita  di  s.  INiceta  , 
presso  il  Surio,  Vitae  Sanctoium, 
die  3  aprìlis  :  »  Sanctus  vero  Atha- 
*  nasius  assistebat  cogitai  ione  et 
»  mente  tota  intentus,  minislerii 
»  flabellum  tenens;  erat  eoi  ni  dia- 
»  conus  ".  I  greci  li  formano  di 
sottili  membrane,  nelle  quali  dipin- 
gono cherubini  ,  e  nel  tempo  del 
sacrifizio  movendoli  in  due  lati 
deil'altaie,  con  maestosa  cerimonia 
impediscono  che  le  mosche  volan- 
ti non  cadano  nei  calici.  Tanto  ri- 
ferisce Durando  lib.  1  de  Rit.  cap. 
io,  e  perchè  più  chiaramente  si 
comprendine  le  diverse  forme  dei 
flabelli,  è  a  vedersi  il  p.  Bonanni 
nella  sua  Gerarchia  ecclesiastica, 
il  quale  trattando  al  capo  XCV1II, 
Dell'i  ventagli,  coJ  quali  suol  essere 
accompagnato  il  sommo  Ponte/ice 
portato  in  sedia,  ci  dà  una  tavola 
con  tre  figure  di  flabelli,  cioè  il 
greco,  il  latino  e  l'arabo.  Il  pri- 
mo consiste  in  un'asta  alla  cui  ci- 
ma è  la  testa  di  un  cherubino  con 
sei  ali;  il  secondo  parimenti  forma- 
si di  un'asta  alla  cui  estremità  in 
forma  di  ventaglio  sono  due  dop- 
pi ordini  di  penne  occhiute  di  pa- 
vone; il  terzo  ha  sull'asta  un  di- 
sco cou  lastra  di  ottone  intorno  al- 
la quale  sono  quindici  sonagli,  con 
velo  o  panno  pendente  da  un  lalo. 
Dal  Gaetano  a  pag.  3o5  del  Ri* 
tuale  si  ha  che  i  flabelli  usavansi 
anticamente  pure  nella  Chiesa  la- 
tina ,  e  per  due  ragioni ,  una  ad 
refrigerandum  aerem,  l'altra  ad  a- 
bigendas  muscas ,  e  nella  vita  di 
Fulgenzio  antico  vescovo  ruspense, 
si  legge,  che  essendo  monaco  spes- 
so s'  impiegava  in  tessere  ventagli 
con  le  foglie  di  palma,  delle  qua- 
li fece  anche  menzione  Cirillo  mo- 


FLA  89 

naco  nella  vita  di  Eutimio  abbate, 
coni'  è  registrato  nell1 Analeclorum 
graecorum  ,  pag.  60 ,  e  si  riferisce 
dal  p.  Mabillon  nel  commento  agli 
ordini  romani,  pag.  47-  Inerendo 
il  citato  Gaetano  a  questo  antico 
costume,  nel  cap.  58  del  suo  ritua- 
le, dice  che  quando  il  Pontefice 
siede  con  la  mitra  »>  si  opportu- 
»  mira  videbitur ,  is  qui  niitram 
»  servat  stans  juxta  Pontificem,  et 
»  flabellum  tenens  abigat  ab  eo 
»  muscas",  e  con  ragione  poiché 
il  Pontefice  in  tal  tempo  tiene  im- 
pedite le  mani  sotto  una  tovaglia 
«  quam  Pontifex  semper  habere 
»  debet  cura  sedet  "  secondo  l'an- 
tico rito,  ove  si  dice:  »  uno  de  aco- 
*  lythis  espandente  supra  gremium 
«  ejus  pulchram  tobaleam  etc.  ". 
Che  sia  stato  usato  tal  rito  nel  tem- 
po di  celebrare  la  messa  nella  Chie- 
sa latina,  tra  gli  altri  ne  fa  fede 
Uldarico  nel  lib.  3  Consuetudinum 
cluniacensium  cap.  3o  ;  così  dice 
anche  nelle  consuetudini  di  s.  Be- 
nigno Divionese  cap.  12,  non  che 
Ilidelberto  arcivescovo  di  Tours 
nella  lett.  8,  il  quale  aggiunge  che 
siccome  con  questo  stromenlo  si 
cacciavano  le  mosche  dai  sagrifìzio, 
cosi  devonsi  ributtare  dalla  mensa 
eucaristica  gli  assalti  delle  tenta- 
zioni col  ventolo  della  santa  fede. 
Presso  i  greci  fungevano  questo  uf- 
fìzio i  diaconi ,  ed  appresso  i  lati- 
ni qualsivoglia  ministro,  e  in  essi 
perseverò  l'uso  sino  al  secolo  XIV, 
come  prova  il  detto  Gaetano  nel 
cap.  V  del  Rituale,  in  cui  fa  men- 
zione di  due  ventagli ,  uno  porta- 
to dal  ministro  che  conservava  la 
mitra,  l'altro  da  un  cappellano  o 
chierico  minore.  L'antichità  del- 
l' uso  de'  ventagli ,  la  provò  puro 
nelle  sue  liturgie  il  cardinal  Bona, 
lib.  !_,  e.  XXV.   Che  si  usassero  nel 


90  FLA 

pontificato  di  Nicolò  V,  si  ha  dal 
cerimoniale  mss.  di  quel  tempo, 
conservato  nella  biblioteca  Barbe- 
rini, in  cui  leggesi:  »  De  his  quae 
«  servanda  sunt  circa  ministerium, 
«  quando  episcopus  cardi nalis  mis- 
»  sae  solemnia  celebrai;  referant 
»  quoque  aeslivo  tempore  flabella 
»  ad  ejiciendas  muscas  in  ministe- 
n  rio".  Al  •  presente  non  si  usano 
i  ventagli  o  flabelli  neppure  quan- 
do il  sommo  Pontefice  celebra  la 
messa  solenne,  ma  solamente  si  por- 
tano nel  tragitto  eh'  egli  fa  in  se- 
dia gestatoria^  dalla  camera  de'  pa- 
ramenti, o  dal  luogo  ov'  è  asceso  in 
sedia,  sino  all'altare  ove  deve  cele- 
brare la  messa,  fare  od  assistere 
altra  funzione,  non  che  alle  sum- 
mentovate  processioni  del  Corpus 
Domìni,  Canonizzazioni ,  apertura 
e  chiusura  delle  porte  sante  ec. 

Il  Macri  parlando  di  tali  ven- 
tagli, nella  Notizia  de  vocabol.  eccl. 
riferisce  che  non  solo  sono  usati 
dal  romano  Pontefice  nelle  solenni 
funzioni,  ma  anche  dal  priore  con- 
ventuale dell'ordine  gerosolimitano 
de' cavalieri  di  Malta,  dall'arcive- 
scovo di  Messina  allorché  celebra- 
no pontificalmente,  e  dal  vescovo 
di  Troia  nella  Puglia,  quando  si 
celebra  la  processione  della  festa 
del  Corpus  Domini.  Aggiunge  di 
essere  stato  prescritto  il  medesimo 
rito  nel  cerimoniale  de'  religiosi  do- 
menicani al  num.  6,  ove  si  legge  : 
>■>  Tempore  quoque  muscarum  de- 
»  bet  eas  diaconus  flabello  amove- 
»  re,  ne  molestent  sacerdotem,  et 
»  abigere  a  sagrificio".  Questa  ru- 
brica però  non  fu  praticata  in  Ita- 
lia, ma  in  alcuni  luoghi  della  Spa- 
gna. Dei  flabelli  molto  ne  parlò  il 
Sarnelli  nel  cap.  38  della  sua  Ba- 
silicografia,  e  più.  di  ogni  altro  l'e- 
rudito   Giuseppe  Maria  Suarez  ve- 


FLA 

scovo  di  Vaison  ,  che  pubblicò 
una  dotta  dissertazione  su  tali  ven- 
tagli ,  De  flabellis  pontificiis  seti 
muscariis  pavonicis  ,  Vasioni  et 
Lugduni  i652.  Per  essere  questo 
libro  raro,  ne  riferiremo  le  prin- 
cipali cose.  Conviene  siili'  origine 
dai  tempi  apostolici,  come  prescrit- 
ti dalla  liturgia  di  s.  Giacomo,  ri- 
ferita anche  da  s.  Gio.  Grisostomo, 
essendo  altresì  noverati  tra  le  sup- 
pellettili sagre  della  .chiesa  Alessan- 
drina, nel  codice  dei  tempi  di  Era- 
clio. Quattro  ragioni  rinvenne  il 
Suarez  sull'uso  dei  flabelli,  la  pri- 
ma per  refrigerare  l'aria  ne'  tempi 
caldi,  principalmente  nell'estate,  e 
e  nel  tempo  in  cui  i  sommi  Pon- 
tefici solevano  andare  scalzi,  vesti- 
ti di  pesanti  addobbi  sacerdotali,  che 
perciò  vi  era  l' uso  nelle  diverse 
stazioni  ove  si  fermavano  di  tener 
pronta  l'acqua  calda,  acciocché  re- 
stassero i  piedi  mondati  dalle  soz- 
zure raccolte  nel  viaggio  colla  pol- 
vere e  il  fango ,  adoperandosi  an- 
cora il  pettine  per  ripulire  i  capel- 
li dalla  polvere:  su  di  che  può  ve- 
dersi 1'  articolo  Letto  de'  paramen- 
ti, giacché  solevano  riposarsi  su 
dei  letti.  La  seconda  per  tenere 
lontane  le  mosche  e  altri  anima- 
letti, massime  quando  vi  era  l'uso 
nella  Chiesa  di  partecipare  ai  laici 
il  vino  consagrato ,  che  perciò  si 
usavano  calici  capaci  di  molto  vi- 
no, che  ad  essi  era  distribuito,  on- 
de tali  animali  solevano  restare  im- 
mersi in  quello  allettati  dall'odore, 
ma  con  il  moto  di  tali  ventagli 
n'era  impedito  l'accesso.  La  terza 
ragione  misteriosa,  dice  essergli  sta- 
ta suggerita  da  ciò  che  scrisse  a 
Marcello  s.  Girolamo.  «  Quod  au- 
»  tem,  et  matronis  offertis  musca- 
«  ria  parva,  parvis  animalibus  even- 
»  tilaudis,  elegans  siquidem  signifì- 


FLA 

»  catio  est  ,    debere   luxuriam  cito 

•  restinguere,  quia  muscae  moritu- 
»  ne  oleum  sua  vitata  exterminant, 

«  Belzebut,  nempe  Deus  niuscarum 
«  exponitur,  quia  ab  crebras  victi- 
»  marum  caedes  in  ejus  sagri  ficiis 
-  exundante  largius  animantium 
»  cruore  infecta ,  et  uda  humus , 
»  respersumque ,  et  madens  pavi- 
*>  mentum,  sordibusque  immolatitii 
»  sanguinis  iniquitatum  niuscarum, 
«  et  culicum  numerosas  invitabat 
».  turmas  ".  Un'altra  misteriosa  ra- 
gione gli  fu  suggerita  da  Jobio  mo- 
naco con  le  seguenti  parole.  »  Do- 
»  minico  corpore  proposito  super 
m  sacra  mensa,  idcirco  his,  qui  u- 
h  trinque  sacris  ministrans  flabella 
t»  ex.  alis  facta  prolatis  veneran- 
u  dis  misteriis  admovent,  quae  sex 
n  alas  habentium  referunt  fìguras  , 
«  ut  ne  sinant  sagrifìcos  his,   quae 

*  videntur  immorari ,  sed  super 
»  omnem  materiam  elatos  mentis 
»  oculos,  et  visus  in  invisibilem  con- 
»  templationem,  et  inexcogitabilem 
»  illam  pulchritudinem,  ut  decui'- 
*>  rere  valeant,  praeparent;  etenim 
«  corporaliter  adstanti  Domino  cum 
»  timore,  ac  tremore  Seraphim  in- 
ai serviunt;  cujus  timoris ,  ac  tre- 
»  moris  signum  esse  factum  per 
»>  alas  motum,  quem  qui  ministrant 
»  ciunt". 

A  tutto  ciò  aggiunge  l' erudito 
prelato,  che  sostenendo  il  sommo 
Pontefice  le  veci  di  Dio  in  terra, 
si  manifesta  al  popolo  la  di  lui 
dignità,  mentre  è  circondato  dalle 
penne  di  pavone,  conforme  al  det- 
to d'  Isaia  profeta  riportato  di  so- 
pra. E  simboleggiandosi  ne'  detti 
ventagli  tremuli  i  serafini  riverenti 
al  trono  di  Dio,  vollero  i  greci  e 
i  maroniti  alludere  ad  essi  adope- 
randoli con  un  moto  di  mano  tre- 
mante attorno  il  sacerdote  saqrifi- 


FLA  91 

caute ,    da    cui   è  significato    Iddio. 
Oltre    di    che,    mentre  il    romano 
Pontefice  è  portalo    verso    l'altare, 
non  potendo  volgere  gli  sguardi  nel- 
le parti   laterali,  tiene  fissi    gli  oc- 
chi verso  il  luogo    ove    deve  offe- 
rire il  sagrifizio,  ed  a  quello  tene- 
re la  mira     con  tutti    i    suoi  pen- 
sieri    ed     affetti.    Cercando    poi    il 
Suarez  le  ragioni  per  le  quali  piut- 
tosto delle  penne    di  pavone,    che 
di  altri   uccelli  sieno  composti    tali 
ventagli,  dopo  aver  indicato  molti 
pregi   di  tale  uccello,  conclude    es- 
sere proprietà  di  esso  il    porre    in 
fuga  col  suo  canto  i  serpenti ,  on- 
de insegnasi     con  le  di    lui    penne 
l'odio  che  si  deve    avere  contro  il 
vizio  e  il  demonio,  oltreché  nel  pa- 
vone ottimamente  si  esprime  il  me- 
desimo Salvatore,  come  insegnò  s. 
Antonio  d'i  Padova  riferito  dal  Bo- 
sio  nella    Roma    sotterranea.   Però 
Domenico  Macri  nel  Hierolexicon, 
verbo  Flabdlum,  dice  che  le  pen- 
ne occhiute  del   pavone  significano 
che    il    Pontefice    deve  camminare 
molto  circospetto  nelle    sue    azioni, 
essendo  attorniato  da    numerosissi- 
mi   occhi    del    suo  popolo,   che  Io 
notano;  e  quali  e  quanti  occhi    gli 
sieno  necessari  per  non  perder  mai 
di  vista  gli  affari  di  tutta  la  Chie- 
sa. Il  medesimo  Macri  nota,  che  i 
flabelli  usati  dai  maroniti,  armeni, 
ed  altri  orientali  con  vari    campa- 
nelli, sono  vicino  al  celebrante  agi- 
tati da  due  chierici  o  diaconi,    nel 
pronunziare  l'inno  cherubico:  San- 
ctuSj   Sanctus    ec,    rappresentando 
col   tremore  delle  mani    quello  dei 
beati  spiriti  assistenti   al  trono  del- 
la divina  maestà     cum  timore,     et 
tremore,    che   in    alcune    chiese   si 
esprime  ancora  col  suono    dell'or- 
gano. Al  Pontefice  Pio  VII  la  mar- 
chesa Nicoletta  Durazzo  da  Geno- 


9»  FLA 

va,  nata  Mari,  donò  chic  flabelli , 
che  quel  Papa  usò  nel  1 8 1 5  nel- 
le sagre  funzioni  che  celebrò  nel 
Genovesato,  ed  in  Roma  nella  cap- 
pella della  ss.  Annunziata  nella 
chiesa  di  s.  Maria  sopra  Minerva 
nel  1816,  in  un  alla  sedia  gesta- 
toria di  elegante  e  ricco  lavoro , 
regalatagli  dalla  nazione  genovese 
per  mezzo  del  loro  arcivescovo  il 
cardinal  Spina. 

Oltre  i  nominati  autori  scrisse- 
ro sui  flabelli  il  p.  Pacciaudi  nel 
Commentar,  de  umbella  e  gest  ado- 
ne, Romae  1752;  il  citato  p.  Bo- 
nanni,  Numìsm.  Rom.  Pont.  tom. 
II,  p.  672  ;  Sebastiano  Pauli,  De 
patena  argentea  Forocorneliensis  s. 
Petri  Chrisologi  pag.  78;  Sarnelli, 
Lettere  eecl.  tom.  X,  lett.  XLVI1I, 
Del  ventaglio  che  il  vescovo  greco 
dà  all'ordinato  diaconoj  il  p.  Me- 
nochio,  Dell'uso  de'  ventagli  nella 
Chiesa  e.  55,  p.  86,  centur.  6  del- 
le sue  Stuore;  e  Michele  Ardito  , 
Dissertazione  sopra  la  materia,  e 
l'uso  de'  ventagli  appo  gli  antichi, 
Napoli  1790.  Dalla  Storia  de'  so- 
lenni possessi  del  Cancellieri,  a  pag. 
36,  si  ha  che  in  quello  preso  nel 
i/^o5  da  Gregorio  XII,  avanti  la 
ss.  Croce  «  duo  eliani  praemittun- 
>;  tur  equites ,  qui  in  longissimis 
-■'  bastis  geminos  cherubinos  inge- 
»  runt,  in  qui  bus  cadesti  um  coni- 
ti mercia  regnorum  repraesentan- 
»  tur  ".  Il  Macri  nel  Hierolexicon 
qui  crede  indicati  i  flabelli,  che 
talvolta  furono  chiamati  Cherubini 
o  Cherubini.  V.  il  Goar  neh'  Eu- 
cliologium.  Nella  descrizione  poi  del 
possesso  preso  nel  1 644  c'a  Inno- 
cenzo X  si  legge  che  fu  alzato  in 
sedia  gestatoria  con  due  ventagli 
di  penne,  con  l' arme  sue.  Final- 
mente riporta  il  Buonarroti,  nelle 
Osservazioni  sui  vasi  di  vetro j  che 


FLA 

tra  gli  ornamenti  con  cui  gli  antichi 
cristiani  nelle  feste  addobbavano  le 
chiese,  vi  ponevano  dei  flabelli  sul- 
le colonne  negli  angoli,  che  i  greci 
chiamarono  ripidi,  e  che  nella  chie- 
sa di  s.  Sabina  di  Roma,  per  imi- 
tazione di  sì  fatti  ornamenti,  ve- 
devansi  nelle  feste,  negli  angoli  fra 
arco  e  arco,  molti  di  questi  flabelli 
fatti  di  commesso  di  piccole  lastre 
di   marmo. 

FLAGELLANTI.  Eretici  che 
comparvero  a  Perugia  dopo  la  me- 
tà del  secolo  XIII,  e  si  propagaro- 
no in  tutta  l'Italia,  e  in  molte  altre 
patti  dell'Europa,!  quali  furono  così 
chiamati  perchè  uomini  e  donne  im- 
modestamente, e  sino  a  sangue  si  di- 
sciplinavano pubblicamente  andando 
per  le  città  ed  i  villaggi.  Essi  spar- 
sero molti  errori.  Riprovavano  l'u- 
so de'  sagramenti,  volendo  che  la 
flagellazione  supplisse  per  tutti,  e 
fosse  vero  martirio,  perchè  volon- 
tario, e  che  nessuno  senza  questa 
si  potesse  salvare.  Dicevano  :  1  e- 
vangelio  avere  da  loro  la  perfe- 
zione ;  cessata  l' adorazione  delle 
croci  e  delle  immagini  ;  aboliti  i 
digiuni,  fuorché  quelli  della  vigilia 
di  Natale  e  dell'Assunzione  di  M. 
V.  ;  l' acqua  benedetta  non  avere 
nessuna  virtù;  il  battesimo  d'acqua 
essere  inutile,  e  perciò  necessaria 
la  flagellazione;  favola  il  purgato- 
rio; lecito  il  giuramento;  e  che 
con  una  flagellazione  di  trenta- 
quattro giorni  acquistavasi  il  per- 
dono di  tutti  i  peccati.  Gerson 
scrisse  un  trattato  contro  le  fla- 
gellazioni pubbliche,  ed  il  concilio 
generale  di  Lione  II,  celebrato  da 
Gregorio  X,  condannò  i  flagellanti: 
dipoi  anche  il  Papa  Clemente  VI 
condannò  questa  setta  nel  i349- 
De'  flagellanti  scrisse  molte  cose  il 
p.  Gretseio  nel  toni.   IV  delle  sue 


FLA 

Opere,  de  disciplinis.  Ne  scrisse  an- 
cora la  storia  Giacomo  Boileau , 
della  quale  fece  una  bella  critica 
il  celebre  Gio.  Battista  Thiers ,  a- 
vendo  l'opera  questo  titolo  :  JJistoi- 
re  des  J/agellans,  Paris   1703. 

FLAGELLAZIONE  (  Flagella- 
tio).  Questo  cb'è  l'atto  di  flagel- 
lare, come  punizione  era  in  uso 
presso  gli  ebrei;  facilmente  s'  in- 
correva in  questa  pena,  ma  essa 
non  era  disonorante.  Subivasi  di 
ordinario  nella  sinagoga;  il  peni- 
tente era  attaccato  colle  mani  ad 
una  colonna,  o  ad  un  pilastro  ed 
aveva  le  spalle  nude;  d'uopo  era 
però  die  a  questa  specie  di  disci- 
plina, assistenti  fossero  Ire  giudici, 
de' quali  uno  leggeva  le  parole 
della  legge,  un  altro  contava  i  col- 
pi o  le  percosse,  e  il  terzo  inco- 
raggiava  l'esecutore,  ch'era  d'or- 
dinario il  sacerdote  ebdomadario. 
Fu  pure  conosciuta  la  pratica  del- 
la flagellazione  dai  greci  e  dai  ro- 
mani, ma  questo  era  supplizio  più. 
crudele  della  fustigazione.  Si  fla- 
gellavano previamente  coloro  che 
dovevano  essere  crocefissi,  ma  non 
si  crocifìggevano  tutti  coloro  che 
venivano  flagellati.  Gesù  Cristo 
prima  di  essere  crocefisso  fu  aspra- 
mente flagellato  dagli  ebrei.  Si  at- 
taccavano i  delinquenti  ad  una 
colonna  nel  palazzo  dove  ammini- 
stra vasi  la  giustizia,  o  pure  si  fa- 
cevano girare  nei  circhi  i  rei  che 
condannati  erano  alla  flagellazione. 
All'  articolo  Colonna  relìquia  in- 
signe (  Vedi  )  parlammo  di  quella 
su  cui  fu  flagellato  Gesù  Cristo,  e 
dell'  uso  di  flagellare.  Era  più  igno- 
minioso 1'  essere  flagellato,  che  non 
essere  battuto  colle  verghe  ;  i  servi 
erano  battuti  coi  flagelli,  i  liberi 
con  verghe  e  bastoni.  I  flagelli 
erano  talvolta    armati    di    ossa    di 


FLA  93 

piedi  di  montone,  e  allora  il  fla- 
gellato spirava  d' ordinario  sotto  le 
percosse.  All'articolo  Disciplina  pe- 
nitenziale (Vedi),  non  solo  si  è 
detto  della  flagellazione  volontaria, 
ma  delle  diverse  specie  di  flagelli, 
e  di  alcune  opere  che  di  essi  trat- 
tano. Il  p.  Mamachi  nel  tom.  II 
De'  costumi  dei  primitivi  cristiani, 
o  pag.  288  e  seg.  discorre  sulla 
diversità  de'  flagelli  co'  quali  erano 
battuti  i  cristiani  dai  tiranni;  ed 
il  p.  Ruinart  negli  Atti  sinceri  dei 
primi  martiri  della  Chiesa  cattoli- 
ca, nel  tom.  I,  p.  i\ 3,  parla  della 
flagellazione,  tormento  dei  servi;  a 
pag.  348,  dei  bestiari  che  prima 
si  flagellavano;  ed  a  pag.  37  1,  dei 
condannati  a  morire  a  colpi  di 
scure.  Sebbene  non  era  lecito  fla- 
gellare, o  battere  con  verghe  un 
cittadino  romano,  questo  riguardo 
non  si  usò  coi  martiri  del  cristia- 
nesimo :  i  principi  degli  apostoli  i 
ss.  Pietro  e  Paolo  furono  flagellati 
prima  del  loro  glorioso  martirio, 
ad  onta  che  il  secondo  fosse  citta- 
dino romano.  Qui  noteremo  che 
nel  trionfo  di  M.  Furio  Camillo 
dittatore,  vincitore  dei  veienti,  fu 
attaccato  al  suo  carro  trionfale  una 
campana  ed  un  flagello,  per  av- 
vertirlo a  non  insuperbirsi  del  suo 
trionfo,  e  a  ricordarsi  che  poteva 
essere  anche  flagellato  e  condotto 
anche  al  patibolo,  costumandosi 
appendere  una  campana  piccola  al 
collo  di  quelli  che  vi  erano  stra- 
scinati, acciò  niuno  si  accostasse 
loro  per  timore  di  malefìzio. 

La  flagellazione  diventò  poi  una 
pena  canonica.  Narra  il  Rinaldi  al- 
l'anno  5iZ,  num.  5  e  6,  che  i 
flagelli  furono  adoperati  ne'  giudi- 
zi ecclesiastici  per  far  confessare 
la  verità,  e  in  pena;  quindi  dice 
che  il  Papa    s.    Ormisda    trovando 


gli  eretici  manichei  ostinati  nei  loro 
errori,  dopo  averli  fatti  esaminare 
per  via  di  battiture,  li  mandò  in 
esilio,  bruciando  avanti  la  porta 
della  basilica  Costantiniana  i  loro 
libri.  Ecco  qui  la  pratica  del  giu- 
dizio ecclesiastico,  cioè  cavarsi  pri- 
ma dai  nascondigli  somiglianti  fie- 
re, e  poi  essere  esaminati  e  flagel- 
lati, perchè  confessino  la  verità. 
Né  solamente  a  far  confessare  il 
vero,  ma  anche  in  pena  furono  so- 
liti i  vescovi  di  adoperare  i  flagel- 
li, come  si  vede  appresso  s.  Gre- 
gorio I  in  più  luoghi,  di  che  il 
Pontefice  stesso  ordinò  a  Pascasio 
vescovo,  che  privando  un  tal  Ilario 
dell'  ufficio  del  suddiaconato,  del 
(piale  n'era  indegno,  e  pubblica- 
mente castigandolo  con  battiture, 
il  facesse  condurre  ad  esempio  de- 
gli altri  in  esilio.  Ma  benché  fosse 
a'  vescovi  ciò  conceduto,  pur  non- 
dimeno sovrastava  a  tutti,  siccome 
discreto  arbitro  il  sommo  Ponte- 
fice, acciocché  non  usassero  in  que- 
sto troppo  rigore.  Ed  è  perciò  che 
il  medesimo  s.  Gregorio  l  fece  di- 
vieto ad  Andrea  vescovo  di  Fe- 
rentino, che  per  due  mesi  non 
potesse  celebrare  messa,  perocché 
aveva  fatto  troppo  crudelmente 
battere  una  donna.  Assicura,  inol- 
tre il  Rinaldi  che  anco  agli  abbati 
fu  conceduto  di  punire  con  verghe 
i  colpevoli.  Indi  si  flagellavano  i 
penitenti  ;  ne'  monasteri  s'introdus- 
se la  .flagellazione,  e  questa  soven- 
te si  amministrò  anche  ne'  tribu- 
nali di  penitenza.  In  Francia  tro- 
vasi sino  dall'anno  5o8  stabilita 
la  flagellazione,  come  pena  applicata 
alle  religiose  indocili,  in  una  regola 
stesa  da  s.  Cesario  d'Arles.  Molti 
fondatori  di  ordini  e  congregazioni 
religiose  stabilirono  dappoi  la  stes- 
sa disciplina  nei    loro    ordini  ;  ma 


FLA 

non  sembra  ad  alcuni  scrittori  che 
si  desse  luogo  a  flagellazioni  volon- 
tarie avanti  il  secolo  XI;  e  questo 
può  riferirsi  pure  alla  Francia , 
perchè  si  citano  s.  Luigi,  e  s.  Pop- 
pone,  altri  dicono  s.  Guyone  ab- 
bate di  Pomposa,  e  s.  Pompone 
abbate  di  Stavela,  come  i  primi 
che  si  sottoposero  volontariamente 
a  quella  macerazione,  e  questi  mo- 
rirono l'uno  nel  io4o,  l'altro  nel 
1048.  Quello  che  più  si  distinse 
nella  pratica  della  flagellazione  vo- 
lontaria fu  s.  Domenico  Loricato 
(  Fedi  ). 

In  Italia  si  conservò  lungamen- 
te nei  secoli  bassi  il  costume  della 
flagellazione  amministrata  ai  peni- 
tenti dopo  la  confessione  sagramen- 
tale,  e  il  celebre  marchese  Boni- 
facio padre  della  contessa  Matilde, 
andando  annualmente  a  deporre 
le  sue  colpe  presso  l'abbate  del- 
l' abbazia  di  Pomposa,  diceva  che 
quell'abbate  punto  non  lo  rispar- 
miava, e  che  una  volta  specialmen- 
te lo  aveva  crudelmente  flagellato. 
Da  questo  derivò  secondo  alcuni 
1'  uso  tuttora  sussistente,  che  i  pe- 
nitenzieri, massime  delle  cattedrali 
e  de' santuari,  tengono  una  lunga 
bacchetta  fuori  del  loro  tribunale 
o  confessionale,  la  quale  però  in 
oggi  ad  altro  non  serve  se  non 
che  ad  indicare  le  facoltà  loro  più 
estese  di  assolvere  anche  dai  casi 
riservati.  Ma  del  significato  di  ta- 
li bacchette  è  a  vedersi  1'  articolo 
Confessionale.  Il  p.  Menochio  nel- 
le sue  Stuore,  tomo  II,  pag.  553, 
tratta  del  flagellare  come  si  faces- 
se dagli  antichi.  Che  i  flagellanti 
diedero  1'  origine  alle  pie  confra- 
ternite dei  laici,  lo  si  dice  all'ar- 
ticolo Confraternite  (Fedi).  Il  Can- 
cellieri nella  Settimana  santa,  pag. 
106,    descrivendo  la    lavanda  del- 


FLA 

l'altare  che  si  fa  nel  giovedì  santo 
nella  basilica  vaticana ,  per  mez- 
zo di  aspergilli  fatti  con  rami  di 
tasso  o  di  busso,  ma  comunemen- 
te di  sanguinella ,  tutti  arricciati 
e  aggiustati  a  guisa  di  diadema, 
dice  che  secondo  i  liturgici  pos- 
sono indicare  la  corona  di  spine 
messa  sul  capo  del  Redentore.,  ov- 
vero co'  loro  rami  divisi  e  tagliati 
in  più  fila,  i  flagelli  con  cui  fu 
percosso.  V.  il  Bergier,  Dizìon. 
Encidop. ,  all'articolo  Flagellanti. 

FLAGELLI.    V.   Flagellazione. 

FLANDRIN1  Pietro,  Cardinale. 
Pietro  Flandiini  trasse  origine  in 
Bourca,  oscuro  castello  delle  Gal- 
lie,  nella  diocesi  di  Viviers,  circa 
l'anno  i3oo.  Riuscì  celebre  nel  di- 
ritto civile  ed  ecclesiastico ,  e  fu 
perciò  eletto  uditore  di  rota,  de- 
cano della  chiesa  di  Bazas,  refe- 
rendario apostolico,  e  poi  da  Gre- 
gorio XI,  nell'anno  1 37  1,  diacono 
cardinale  di  s.  Eustachio.  Ebbe  la 
commissione  col  cardinal  Noelet- 
ti  o  Noellet  d' istituire  processo 
contro  1'  eretico  fr.  Pietro  Bona- 
geta  francescano;  e  così  pure  in 
società  di  altri  personaggi  ebbe  l'in- 
carico di  esaminare  la  dottrina 
di  Raimondo  Lullo.  Seguì  il  Pon- 
tefice da  Avignone  a  Roma,  e  fu 
anche  esecutore  testamentario  di 
quel  Papa,  il  crnale  lo  avea  lascia- 
to vicario  pontificio  nella  Toscana. 
Ma  eletto  Pontefice  Urbano  VI,  il 
Flandiini  si  ribellò,  e  aderì  all'an- 
tipapa senza  lasciarci  sicuri  segni  del 
suo  ravvedimento.  Morì  in  Avigno- 
ne nel  i38i,  ed  ivi  pure  fu  sep- 
pellito. 

FLANGINI  Luigi,  Cardinale. 
Luigi  Flangini  nobile  veneziano , 
da  Marco  conte  del  sagro  romano 
impero,  e  da  Cecilia  Giovanelli  nac- 
que in  Venezia  a' 26  luglio    1733, 


FLA  95 

ed  ebbe  l' educazione  conveniente 
al  suo  grado.  Coltivate  le  scienze 
e  particolarmente  la  filosofia,  si 
esercitò  pure  nella  eloquenza,  per 
cui  successivamente  fu  fatto  giudi- 
ce nella  quarantia,  avogadore  del 
comune,  censore,  senatore,  consi- 
gliere, correttore  straordinario,  dan- 
do in  tutti  gì'  impieghi  prove  di 
abilità,  e  di  zelo  per  la  patria.  Si 
attribuisce  a  lui  principalmente  il 
merito  della  proibizione  de'giuochi 
di  azzardo,  e  la  chiusura  dell'abbo- 
minevole  casa  denominata  Pudotto. 
Essendo  nel  1762  morta  la  mo- 
glie Laura  Maria  Donato,  lascian- 
dogli una  figlia  per  nome  Cecilia, 
che  poi  maritò  col  conte  Giulio 
Panciera,  dimostrò  inclinazione  di 
dedicarsi  in  servigio  della  santa 
Sede.  La  veneta  repubblica  il  no- 
minò a  tal  riguardo  uditore  di 
rota  per  la  sua  nazione  in  Pioma, 
e  Clemente  XIV  ne  approvò  la 
scelta,  facendolo  poi  uditore  Pio 
VI  a' 2 6  febbraio  1777.  Fu  questa 
la  prima  volta  che  la  repubblica 
volle  usare  del  privilegio  accorda- 
togli dal  concittadino  Clemente  XIII, 
mentre  in  avanti  l'uditore  di  rota 
per  Venezia  era  scelto  dal  Papa 
sopra  quattro  nomi  di  dottori  citta- 
dini a  lui  assoggettati  dalla  repub- 
blica. Si  vuole  che  da  Sisto  V  avesse 
origine  tale  nominazione,  ciò  che  me- 
glio si  dirà  all'articolo  Uditori  di  ro- 
ta (Vedi).\n  questo  nuovo  incarico  si 
mostrò  prelato  di  grande  sapere  in 
giurisprudenza,  e 'di  molta  integri- 
tà nell'amministrazione  della  giu- 
stizia. Per  le  istanze  della  repub- 
blica Pio  VI  voleva  crearlo  car- 
dinale nella  sua  XV11I  promozio- 
ne de'3o  marzo  1789;  ma  poi  si 
ricusò  finché  la  stessa  repubblica 
non  lo  avesse  provveduto  di  asse- 
gnamento bastante  a  mantenere   il 


96  FLA 

decoro  della  porpora.  Avendogli 
poi  la  repubblica  assegnato  per 
provvista  annui  dodicimila  ducati , 
il  Papa  nella  seguente  promozione 
dei  3o  agosto  lo  creò  cardinale 
dell'ordine  de'diaconi,  e  poscia  gli 
conferì  per  diaconia  la  cbiesa  dei 
ss.  Cosimo  e  Damiano,  annoveran- 
dolo alle  congregazioni  del  concilio, 
dell'esame  de' vescovi,  de'riti,  e  del- 
l'immunità.  Indi  passò  alla  diaco- 
nia di  s.  Agata  alla  Suburra,  e 
poi  all'ordine  presbiterale,  ed  al 
titolo  prima  di  s.  Marco,  poi  di 
s.  Anastasia  }  intervenendo  già  sa- 
cerdote nel  conclave  tenuto  in  Ve- 
nezia all'elezione  di  Pio  VII.  Nel  pri- 
mo concistoro  cbe  questi  tenne  nel 
monistero  di  s.  Giorgio  Maggiore 
a'  i  aprile,  dall'  ordine  diaconale 
trasferì  al  presbiterale  il  cardinale. 
Questo  Papa,  per  nomina  dell'im- 
peratore Francesco  II,  fatta  a'i  4  di 
novembre  1801  ,  lo  dicbiarò  pa- 
triarca di  Venezia  e  primate  della 
Dalmazia,  cui  l'imperatore  aggiun- 
se le  onorificenze  di  conte  del  sa- 
gro romano  impero,  di  consigliere 
intimo  attuale  di  stato,  e  di  gran 
croce  dell'  ordine  di  s.  Stefano  di 
Ungheria.  Mori  in  detta  città  ai 
29  febbraio  1804,  e  fu  esposto  e 
sepolto  in  quella  chiesa  patriarcale 
ora  concattedrale  di  s.  Pietro  di 
Castello,  ove  la  figlia  e  la  sorella 
gli  eressero  un'onorevole  iscrizione. 
Lasciò  alcuni  monumenti  lettera- 
ri del  suo  ingegno  e  coltura,  che 
pubblicò  colle  stampe;  e  sono: 
Annotazioni  alla  corona  poetica  di 
Quirino  Telpasinio  in  lode  della 
repubblica  di  Venezia,  sotto  il  suo 
nome  arcadico  di  Agamiro  Pelo- 
pideo,  Venezia  1750.  Col  medesi- 
mo nome,  Rime  di  Bernardo  Ca- 
pello con  annotazioni ,  Bergamo 
1753;   Orazione  per  l'esaltamento 


FLA 

del  doge  Marco  Foscarini,  Vene- 
zia 1761;  Lettera  patriarcale  per 
la  sua  assunzione  al  patriarcato, 
stampata  in  Vienna  nel  1802,  ol- 
tre altra  pubblicata  in  Venezia  nel 
1 8o4  ;  Apologia  di  Socrate  scritta 
da  Platone,  traduzione  dal  greco, 
inserita  nel  Corso  ragionalo  di 
letteratura  greca  dell'  ab.  Cesarot- 
ti; Argonauti  di  Apollonio  Rodio, 
traduzione  in  versi  con  note,  Ro- 
ma 178 r.  II  p.  Giovanni  Lamen- 
ti nella  Storia  della  diaconia  di 
s.  Agata,  a  pag.  LVII,  descrive  i 
benefizi  dal  cardinale  fatti  a  detta 
chiesa,  e  delle  due  portiere  di  drap- 
po giallo,  colle  sue  arme  ricamate. 
A  pag.  XI  poi  descrive  gli  uffizi 
da  lui  esercitati  prima  di  dedi- 
carsi allo  stato  ecclesiastico,  e  fa 
il  novero  delle  sue  produzioni  let- 
terarie. 

FLAVIADOMITILLA(s.).  Figlia 
della  sorella  del  console  Flavio  Cle- 
mente, martirizzato  per  la  fede. 
L' imperator  Domiziano,  tuttoché 
suo  parente,  la  bandi  nell'  isola 
Ponzia;  sulla  costiera  di  Terracina, 
dopo  averne  condannato  a  morte 
lo  zio.  Ella  visse  in  quell'  esilio 
negli  esercizi  della  pietà  cristiana, 
co'  suoi  eunuchi  Nereo  ed  Achil- 
leo ;  e  le  cellette  nelle  quali  abi- 
tavano separati  gli  uni  dagli  altri, 
sussistevano  ancora  trecento  anni 
dopo  il  martirio.  Troviamo  negli 
atti  de' santi  Nereo  ed  Achilleo, 
che  Domi  lilla  andò  a  Terracina,  e 
che  vi  fu  abbruciata  d'  ordine  di 
Traiano,  perchè  ricusò  di  sagri- 
fìcare  agi'  idoli.  Le  sue  reliquie 
si  venerano  in  Roma  con  quelle 
di  questi  santi,  che  suoi  servitori 
in  terra,  furono  fatti  compagni  del- 
la sua  gloria  in  cielo.  Se  ne  cele- 
bra la  festa  ai    1 1   di  maggio. 

FLAVI  ANO   (s.).  Prete  e   teso- 


FLA 

riere  della  chiesa  di  Costantinopoli, 
ne  fu  assunto  alla  dignità  di  arci- 
vescovo l' anno  447-  Questa  ele- 
zione dispiacque  all'  eunuco  Crisa- 
fio, ciambellano  dell'imperatore  Teo- 
dosio il  Giovane,  e  procurò  in  va- 
rie guise  la  rovina  dell'arcivescovo, 
approfittando  dell'ascendente  che 
avea  sul  debole  principe.  Avendo 
poscia  Flaviano,  nel  concilio  da  lui 
radunato  a  Costantinopoli  l'anno 
448,  condannato  gli  errori  di  Eu- 
tiche,  eh'  era  parente  di  Crisafio, 
l' odio  di  costui  non  ebbe  più  li- 
miti. Stimolò  F  imperatore  di  or- 
dinare la  revisione  degli  atti  del 
concilio  ;  ma  1'  esame  che  se  ne 
fece  non  servi  che  a  maggior  con- 
fusione di  Eutiche,  e  a  gloria  del- 
l' arcivescovo.  Il  perverso  Crisafio, 
vieppiù  adirato,  scrisse  a  Dioscoro 
patriarca  d'  Alessandria,  uomo  im- 
petuoso e  violento,  promettendogli 
la  sua  amicizia  e  protezione,  s'egli 
volesse  prendere  la  difesa  d' Euti- 
che, e  far  lega  con  lui  contro  Fla- 
viano ed  Eusebio  da  Dorilea  che 
l'avevano  accusato.  Poiché  ebbe  su- 
bornato il  patriarca,  procurò  di 
guadagnare  l'imperatrice  Eudossia, 
la  quale  gli  aderì  per  mortificare 
Pulcheria  sorella  dell'  imperatore, 
cui  sapeva  essere  protettrice  del 
santo  arcivescovo.  Teodosio  sedotto 
s'indusse  a  convocare  un  concilio  ad 
Efeso  per  la  pretesa  necessità  di 
metter  fine  a  tutte  le  contenzioni. 
Ordinò  a  Dioscoro  di  recarvisi  a 
presederlo,  e  condur  seco  dieci  dei 
suoi  metropolitani,  altri  dieci  ve- 
scovi e  l'archimandrita  Barsumas, 
eh'  era  tutto  de'  nemici  di  Flaviano. 
Gli  altri  patriarchi  ed  il  Papa  s. 
Leone  I  furono  altresì  invitati  al  con- 
cilio ;  ma  il  Papa  non  ebbe  che 
assai  tardi  la  lettera  dell'  impera- 
tore, tuttavia  mandò  quattro  lega- 
vol.  xxv. 


FLA  97 

ti  per  rappresentarlo .  Agli  8  di 
agosto  del  449  s'  aPei'se  4ue^  v'°" 
lento  concilio,  ove  dopo  lunghe 
contese  Dioscoro  pronunziò  la  sen- 
tenza di  deposizione  contro  Flavia- 
no ed  Eusebio  da  Dorilea.  I  le- 
gati del  Papa  protestarono  contro 
questa  sentenza,  e  molti  vescovi 
scongiurarono  Dioscoro,  allorché  "si 
mise  a  leggerla,  di  non  andare  più 
innanzi  ;  ma  egli  lungi  dal  piegarsi 
chiamò  i  commissari  dell'  impera- 
tore, e  Proclo  proconsolo  d' Asia 
entrò  seguito  da  una  compagnia  di 
soldati  con  catene,  bastoni  e  spa- 
de. Il  più  de' vescovi  spaventati  so- 
scrissero,  ma  i  legati  del  Papa  fu- 
rono sempre  fermi  contro  queste 
violenze.  Flaviano  consegnò  ad  essi 
1'  atto  della  sua  appellazione.  Dio- 
scoro furioso  si  avventò  contro  il 
santo,  in  un  con  Barsumas  ed  al- 
tri del  suo  partito,  lo  gettarono  a 
terra,  e  lo  maltrattarono  in  modo 
che  ne  mori  poco  dopo  presso  E- 
pipe,  ov' era  stato  esiliato.  L'anno 
seguente,  succeduta  al  trono  Pulche- 
ria, dopo  la  morte  di  Teodosio,  ordinò 
che  il  corpo  del  santo  fosse  solenne- 
mente trasportato  a  Costantinopoli,  e 
seppellito  cogli  arcivescovi  suoi  pre- 
decessori. Il  concilio  generale  di 
Calcedonia  nel  4^'  annoverò  Fla- 
viano fra  i  santi  ed  i  martiri,  ri- 
mise Eusebio  da  Dorilea  sul  pro- 
prio seggio,  e  condannò  Dioscoro.  Il 
Papa  s.  Ilario,  il  quale  era  stato  uno 
dei  legati  di  s.  Leone  I  ad  Efeso, 
avea  tanta  venerazione  pel  santo 
arcivescovo,  che  fece  rappresentare 
il  suo  martirio  nella  chiesa  ch'egli 
eresse  in  onore  della  croce  del 
Salvatore.  La  festa  di  s.  Flaviano 
si  celebra  il    17   febbraio. 

FLAVIANO  (s.).  V.  Monta- 
no (s.). 

FLAVIOPOLI  o  FLAVIA.  Cit- 


98  FLA 

là  vescovile  dell'  Asia  nella  Cilicia, 
situata  a'  piedi  del  monte  Tauro, 
ed  assai  vicina  alla  sorgente  del 
Calycadnus.  Deve  il  suo  nome  al- 
l' imperatore  Flavio  Vespasiano.  È 
chiamata  Flavia*  nelle  notizie  di 
Jerocle,  ed  è  verisimilmente  la  stes- 
sa detta  Flavìada  nell'  itinerario 
di  Antonino,  ov'è  marcata  sulla 
strada  di  Cesarea  di  Cappadocia 
ad  Anazarbo.  In  oggi  chiamasi  pu- 
re Vico  Filìopoli ,  in  Caramania , 
dominio  della  porta  ottomana.  Ap- 
partenne al  patriarcato  di  Antio- 
chia, ed  alla  seconda  provincia  ec- 
clesiastica di  Cilicia.  Nel  quinto  se- 
colo vi  fu  eretta  la  sede  vescovile 
suffraganea  della  metropolitana  di 
Anazarbo  detta  anche  Aesar  o  Ac- 
seraì.  I  suoi  vescovi  furono,  'A- 
lessandro  che  fu  altresì  vescovo  di 
Gerusalemme  sotto  l' imperatore  A- 
lessandro  Severo  figlio  di  Mam- 
mea;  Niceta  che  intervenne  ai  con- 
cili di  Nicea  e  di  Antiochia  ;  Gio- 
vanni che  fu  al  concilio  di  Calce- 
donia  ;  Andrea  che  trovossi  al  con- 
cilio di  Mopsueste,  radunato  per 
ordine  dell'  imperatore  Giustiniano 
I  a  cagione  di  Teodoro  di  Mop- 
sueste, e  trovossi  pure  al  quinto 
concilio  ecumenico  ;  Giorgio  che  as- 
sistè al  sesto  concilio  ecumenico; 
ed  Eustrato  che  venne  designato 
patriarca  di  Costantinopoli  dall'im- 
peratore Niceforo  Foca.  Al  presen- 
te Flaviopoli,  Flaviopolitan,  è  un 
titolo  vescovile  in  partibus,  sotto 
la  metropoli  pure  in  partibus  di 
Anazarbo,  che  conferisce  la  santa 
Sede.  Ne  furono  ultimi  vescovi 
monsignor  Giovanni  Wilkychi ,  e 
monsignor  Epifanio  Maria  Tunisi 
di  Cefalo,  fatto  dal  regnante  Pon- 
tefice nel  concistoro  de'  1 7  settem- 
bre  i838. 

FLAVIOPOLI.    Città    vescovile 


FLE 

dell'Asia  nella  Bitinia ,  nominata 
da  Tolomeo,  e  chiamata  pure  Cra- 
tea,  e  Cratia.  Nelle  notizie  eccle- 
siastiche è  registrala  nella  provin- 
cia di  Onoriade,  sotto  l'esarcato  di 
Ponto.  Fu  eretta  in  vescovato  nel 
quarto  secolo,  e  dichiarata  sufFra- 
ganea  di  Claudiopoli. 

FLECHIER  Spirito.  Vescovo  di 
Nimes,  nacque  a  Pernes  nella  dio- 
cesi di  Carpenlrasso  l'anno  i63"2. 
Entrò  di  sedici  anni  nella  congre- 
gazione de'  padri  della  dottrina  cri- 
stiana, nella  quale  era  generale  Er- 
cole Audifret  suo  zio.  Quivi  co'  piìi 
rapidi  progressi  si  educò  d'ingegno 
e  di  cuore,  essendosi  dedicato  spe- 
cialmente allo  studio  delle  belle 
lettere ,  e  degli  oratori  antichi  e 
moderni.  Piattristato-  poscia  per  la 
morte  di  suo  zio,  passò  a  Parigi , 
ove  colle  sue  poesie,  panegirici,  e 
funebri  orazioni  rese  celeberrimo  il 
suo  nome.  Per  volontà  del  duca 
di  Montausier  avea  scritta  la  vita 
di  Teodosio  il  Grande  per  am- 
maestramento del  gran  delfino , 
quando  nel  i685  fu  sollevato  al 
vescovado  di  Lavaur.  Ma  non  pas- 
sarono due  anni  che  contro  la  sua 
volontà  fu  trasferito  a  quello  di 
Nimes,  diocesi  ripiena  di  calvinisti. 
Ma  siccome  suo  carattere  era  la 
mansuetudine,  sua  principale  dote 
T  eloquenza ,  così  nel  suo  regime 
riportò  sopra  di  essi  innumerevo- 
li trionfi.  Morì  questo  illustre,  vir- 
tuoso ,  e  saggio  prelato  a  Mon- 
pellieri  nel  17 io,  d'anni  settan- 
totto, fra  le  lagrime  de'  suoi  dio- 
cesani, e  la  slima  degli  stessi  suoi 
nemici.  Le  principali  sue  opere 
sono:  i.°  Orazioni  funebri  ;  i.°  Fa- 
negiricij  3.°  alcuni  Sermonij  /L 
Storia  dell'  imperatore  Teodosio  d 
Grandej  5.°  Fifa  del  cardinal 
Coinmendoiu',    tradotta    dal    Ialino 


FLE 

ilei  Grazi  ani;  6."  Vita  del  cardi- 
nale. Ximcnes;  y.°  Pastorali,  ec. 
Fu  pure  autore  di  alcune  Lettere, 
nelle  quali  si  trovano  cose  curiosis- 
sime sulle  turbolenze  di  Cevennes. 
La  sua  orazione  funebre  pel  Tu- 
renna  è  ritenuta  da'  dotti  come  la 
principale  fra  le  sue  produzioni. 

FLEURY,  o  S.  Benedetto  sulla 
Loira  in  Francia.  Abbazia  dell'or- 
dine di  s.  Benedetto,  eli' era   situa- 
ta  in  un  borgo  del  medesimo  no- 
me, stilla  riva  destra  della  Loira , 
nella  diocesi  d' Orleans ,' tra  Sully 
e  Targeau.    Fu    fondata    verso    la 
metà  del  secolo  VII  da  Leodebaldo 
abbate  di  s.  Aignan,  sotto  l'invo- 
cazione di  s.  Pietro,  ma  in  seguito 
preso  il  nome  di  s.  Benedetto,  quan- 
do le  reliquie  di  questo  gran  san- 
to, patriarca  de'  monaci  di  occiden- 
te, furono  ivi  trasportate  da  Mon- 
te   Cassino    nel    medesimo    secolo, 
dall'abbate  s.  Mommolo   per  timo- 
re de'  barbari.  Se  il  corpo   od  al- 
cune reliquie  furono  realmente  da 
Monte   Cassino    (Vedi)    portate    a 
Fleury,  lo  si  dice  in  quell'articolo. 
Certo    è    che    in  considerazione  di 
tale  prezioso  deposito  i   Papi,  i  re 
e  molti  prelati  accordarono  il  loro 
favore  a  questa    abbazia  ,  la  quale 
fu  altre  volte  capo  dell'ordine,  non 
solamente  in  rapporto  ai   moniste- 
ri  ch'erano  da  essa  dipendenti,  ma 
altresì  per  la    preeminenza  che  gli 
fu   accordata  dai    sommi    Pon telici 
sopra    tutti    gli    altri    monisteri.    11 
Papa    Leone    VII    la    chiamava    il 
primo  ed  il  capo  di   tutti   i   moni- 
steri,  ed   Alessandro  li   accordò  al- 
l' abbate  la  qualifica    di  primo  tra 
gli  abbati  di  Francia.   Inoltre  Leo- 
ne VII    esentò   il    monistero    dalla 
giurisdizione  dell'ordinario,  e  per- 
mise  all'abbate  di  farsi  benedire,  e 
di  fare  ordinare  i  suoi  religiosi  da 


FLE  99 

quel  vescovo  che  gli  fosse  piaciuto. 
L*  osservanza  regolare  fu  lungo 
tempo  in  vigore  in  questa  abbazia: 
vi  s' insegnavano  le  scienze  divine 
ed  umane ,  e  questa  casa  fu  sem- 
pre in  grandissima  venerazione  in 
tutte  le  provincie  vicine;  ma  le  de- 
vastazioni de'  normanni  avendo  co- 
stretto molte  volte  i  religiosi  a  sor- 
tirne ,  il  rilassamento  s' introdusse 
fra  essi,  non  restando  loro  che  il 
nome  di  monaci.  Quando  s.  Odo- 
ne abbate  di  Cluny  presentossi  lo- 
ro per  ristabilirvi  la  riforma,  i  mo- 
naci si  armarono  per  respingerlo  coi 
vescovi  che  lo  accompagnavano, 
come  se  si  trovassero  ancora  in 
faccia  ai  normanni.  Quel  savio  e 
prudente  abbate  seppe  raddolcirli , 
e  potè  ristabilire  la  regolarità  e 
gli  studi  con  tanto  successo,  che 
furono  ben  presto  invitati  i  religio- 
si di  Fleury  a  fare  negli  altri  mo- 
nisteri ciò  che  aveva  egli  fatto 
nel  loro. 

Secondo  le  antiche  costumanze 
in  Fleury  facevansi  abbondanti  li- 
mosine.  Questo  insigne  monistero 
ebbe  fino  a  trenta  priorati  o  pre- 
positure nella  sua  dipendenza.  Tal- 
volta ponevansi  delle  tasse  sui  prio- 
rati per  comprare  libri  alla  biblio- 
teca, a  cui  ogni  scolaro  era  obbli- 
gato di  regalarne  due  alla  fine  dei 
suoi  studi.  Si  può  quindi  con  fa- 
cilità giudicare  quanto  numerosa 
essere  doveva  quella  biblioteca ,  a- 
vendo  l'abbazia  di  Fleury  avuto 
sino  cinquemila  scolari.  La  biblio- 
teca fu  saccheggiata  nel  i56i  e 
i56"2  dai  calvinisti,  che  portarono 
via  tutto  ciò  eh'  era  stato  lasciato 
nel  monistero  dai  satelliti  dell'in- 
degno cardinal  Odet  di  Chatillon 
deposto  da  Pio  IV ,  che  era  stato 
abbate  commendatario,  e  che  avea 
scandalosamente  abbandonata  la  re- 


ioo  FLE 

ligione  cattolica.  La  maggior  parte 
de'  libri  di  cui  era  composta  la  bi- 
blioteca di  Fleury ,  e  che  furono 
portati  via  e  venduti  a  vii  prezzo 
da  quei  fanatici  eretici,  dopo  di  a- 
verli  acquistati  la  regina  di  Svezia 
Cristina,  passarono  poi  nella  biblio- 
teca vaticana.  In  seguito  il  moni- 
stero  di  Fleury  fu  unito  alla  con- 
gregazione degli  esenti,  ossia  no  sa- 
cerdoti privilegiati,  nel  i588,  quin- 
di a  quella  di  s.  Mauro  nel  1627. 
In  Fleury  furono  tenuti  due  con- 
cili, il  primo  nel  1107  in  occasio- 
ne della  traslazione  del  corpo  ,  o 
piuttosto  delle  reliquie  di  s.  Bene- 
detto, sebbene  altri  dicono  essere 
accaduto  il  trasporto  delle  reliquie 
nel  settimo  secolo.  Il  secondo  con- 
cilio ebbe  luogo  nel  ino  risguar- 
dante  la  chiesa  di  Mauriac.  Ivo  di 
Chartres  fa  menzione  di  questi  due 
concili,  nell'epistole  216  e  2  18;  il 
Lenglet  parla  solo  del  secondo.  Il 
p.  Mansi  nel  tom.  II,  col.  241  e  242, 
dice  che  di  questo  ne  tratta  una 
lettera  del  cardinal  Riccardo  lega- 
to della  santa  Sede,  colla  quale  il  ve- 
scovo di  Arras  con  circolare  invitò 
gli  abbati  di  sua  diocesi  a  trovar- 
si in  quel  concilio,  colla  minaccia, 
in  caso  di  renitenza,  d' interdizione 
da  tutte  le  funzioni.  Baluzio  tom. 
V,  pag.  35  delle  sue  Memorie. 

FLEURY  (di)  Andrea  Ercole, 
Cardinale.  Andrea  Ercole  di  Fleu- 
ry nacque  in  Lodeve  nella  Lingua- 
doca  l'anno  1680.  Si  applicò  allo 
studio  delle'  lettere  e  delle  lingue 
nel  reale  collegio  di  Navarra ,  e 
spiegò  poi  qual  profitto  eccellente 
ne  avesse  fatto  in  quelle  pubbliche 
conclusioni  di  filosofia  che  sosten- 
ne e  difese  nella  greca  lingua.  La 
fama  del  di  lui  ingegno  si  sparse 
assai  presto,  ed  anzi ,  avutone  un 
canonicato  nella  cattedrale  di  Mont- 


FLE 

pellier,  la  regina  Maria  Teresa  d'Au- 
stria   per    averlo    più    davvicino    e 
giovarsene  del  di  lui  sapere,  lo  le- 
ce suo  elemosiniere,  e  poscia  il  re 
di  Francia  stesso  Io  nominò    a  tal 
carica  ed  alla  badia  di  s.  Maria  di 
Ripatorio  nella  Sciampagna.  I  suoi 
dolci  modi  e  la  sua  bella  modestia 
così  gli  guadagnarono  l'animo  dei 
grandi  di  Parigi,  eh'  egli    potea  di 
loro  disporre  a   suo  piacimento  ;  e 
in  vero  se  ne  valse  non  poche  volte 
per  comporre  le  discordie   recipro- 
che, e  unire  i  cuori  alla  pace.  Tra 
gli  altri  conciliò    assieme    i  celebri 
JBossuet  e  Fénclon ,   assai  tra  loro 
discordi  per  la  diversità  delle  opi- 
nioni in  fatto  di  scienze    che   am- 
bedue   coltivavano    e    difendevano. 
Innocenzo  XII  gli  conferì  il  vesco- 
vato di  Frejus  nelle  Gailie,   ed  ivi 
si  diede  con  uno  zelo    ripieno    del 
fuoco  di  carità  a  correggere  i  gran- 
di abusi   di  quella  diocesi.   Celebrò 
un  sinodo,    e    stabilì    in  quello  la 
residenza    de'  parrochi    sino    allora 
trascurata,  e  riformò  la  perieli  tante 
disciplina    del    clero.     Seguì    poscia 
a  celebrare    il    sinodo  in    ogni  an- 
no, prendendo  ad  esame    ogni  ar- 
gomento, e  nulla  lasciando  correre 
che  offender  potesse    la    delicatezza 
di  sua  coscienza.   Predicava  al   po- 
polo egli  stesso,  spiegava  l'evange- 
lio,   insegnava   la    dottrina   a'  fan- 
ciulli, per  animare  gli    ecclesiastici 
a  non    abbandonare    quest'  impor- 
tantissimo ufficio,  visitava    la    dio- 
cesi e  più  di  frequente    dov'erano 
maggiori  i  bisogni:  cosicché  in  po- 
co di  tempo  la  sua    chiesa    diven- 
ne una  delle  più   ben    ordinate    e 
fiorenti  della    Francia.    Fondò    un 
secondo  seminario  a  proprie  spese, 
e  audava  in  persona  ad  invigilare 
sulla    condotta    e    sul    profitto    dei 
chierici.    Vivea    poi   con  molta  ri- 


FLE 
strettezza  per  giovare  co'  suoi  ri« 
spninii  a'  poverelli,  che  veniano  da 
lui  beneficati  con  grande  liberalità, 
e  sovvenire  gì'  inFernii,  le  vedove, 
le  fanciulle  esposte,  per  le  quali 
fece  aprire  stabilimenti  di  lavoro 
del  loro  sesso.  Glie  se  gli  venia 
fallo  di  sapere  che  un  qualche  ec- 
clesiastico degno  di  premio  per  vir- 
tù e  sapere  venia  trascurato  per 
la  villa  de'  natali,  come  general- 
mente da'  superbi  si  usa,  egli  con 
somma  premura  non  dubitava  di 
sollevarlo  al  di  sopra  de'  nobili 
stessi.  Subito  che  fu  divulgata  in 
Francia  la  bolla  Unigenitus ,  egli 
ne  dimostrò  la  sua  obbedienza , 
e  impugnò  con  fortezza  gli  er- 
rori serpeggianti  di  Quesnello  e 
de'  suoi  seguaci.  E  quando  la  cit- 
tà di  Frejus  fu  desolata  dalla  guer- 
ra, non  lasciò  d' impiegare  ogni 
mezzo  per  impedire  i  disordini 
dei  saccheggi  ,  come  infatto  riu- 
scì, ed  è  degna  di  essere  ricordata 
la  bella  risposta  che  diede  al  re  di 
Sardegna  e  al  duca  di  Savoia,  quan- 
do entrarono  cogli  eserciti  nella 
città  e  domandavano  al  vescovo  il 
giuramento  di  fedeltà.  »  Non  sono 
>»  più  di  tre  giorni,  lor  disse,  che 
>»  voi  siete  nella  mia  diocesi,  e  for- 
»  se  non  vi  tratterrete  molto  a 
»  lungo;  non  vogliate  perciò  ob- 
»»  bligare  un  vescovo  a  mancare 
»»  di  fede  al  suo  sovrano.  Voi  stes- 
si si  non  vorreste  che  i  vostri  ve- 
»  scovi  in  simili  incontri  fossero 
y»  inconcussi  ne'  loro  doveri  "?  In- 
fatti piegò  così  bene  l' animo  di 
que'  principi,  che  non  osarono  più 
di  tentare  quella  illibata  coscienza. 
Governata  quella  chiesa  sino  all'an- 
no 171  5,  ne  fece  rinunzia  per  mo- 
tivi di  salute,  che  gì' impedivano 
di  vegliare  con  quella  accuratezza 
che  domandava  il  suo  grande  ani- 


FLE  101 

mo.  Ricusò  poscia  nel  1722,  per 
la  stessa  ragione,  l'arcivescovato  di 
Reùns;  ma  riavutosi  alquanto,  ri- 
cevette da  Luigi  XIV  le  abbazie 
di  Tournus  nella  diocesi  di  Cavail- 
lon,  e  di  s.  Stefano  nella  diocesi 
di  Bajeux,  e  assunse  l'educazione 
di  Luigi  XV  figliuolo  del  re.  Que- 
sto monarca  supplicò  il  Pontefice 
a  crearlo  cardinale ,  e  infatti  Be- 
nedetto XIII,  nell'anno  1726  a- 
gli  1 1  di  settembre,  con  universa- 
le soddisfazione  gli  conferì  la  sa- 
cra porpora.  Dipoi  lo  nominò  suo 
primo  ministro,  e  provvisore  della 
casa  di  Sorbona  e  del  collegio  di 
Navarro.  In  questo  sublime  posto 
il  Fleury  diedesi  tosto  a  pacificare 
la  Francia  sconvolta  dalle  guerre, 
dilatò  il  commercio,  favorì  le  arti, 
promosse  le  scienze,  e  sopra  ogni 
cosa  servi  la  religione ,  collocando 
personaggi  forniti  di  eminenti  pre- 
rogative al  governo  delle  abbazie 
e  delle  diocesi.  Ampliò  la  bibliote- 
ca reale  per  maniera  eh'  essa  di- 
venne una  delle  più  rinomate  di 
Europa,  e  in  ogni  officio  cosi  res- 
se il  governo  che  la  Francia  risto- 
rala per  lui ,  dovrà  benedire  per 
sempre  la  di  lui  ben  augurata  me- 
moria. Infermatosi  in  Issy ,  luogo 
non  lontano  da  Parigi,  fu  visitato 
tre  volte  dal  re,  una  volta  dalla 
regina  e  dal  delfino.  Ma  era  com- 
piuto il  corso  delle  fatiche  di  quel 
grand'uomo  :  egli  nell'età  di  no- 
vantanni spirò  nel  Signore ,  e  fu 
deposto  nella  chiesa  di  s.  Luigi  del 
Louvre,  dove  si  eresse  alla  sua 
gloria  un  grande  e  magnifico  mau- 
soleo. Nei  quattordici  anni  che  go- 
vernò la  Francia  in  qualità  di  pri- 
mo ministro,  con  centomila  lire  di 
rendita,  viveva  parcamente,  distri- 
buendo il  resto  segretamente  ai  bi- 
sognosi ;     ed    avea    impiegate    così 


103  FLE 

le  sue  ricchezze,  che  dopo  morte, 
la  vendita  delle  sue  suppellettili 
non  bastarono  neppure  a  supplire 
ai  legati  ed  alle  spese  de' funerali. 
Abbiamo  le  riflessioni  storiche  e 
politiche  sulla  condotta  gloriosa  del 
Fleury,  stampate  in  Utrecht  nel 
1741  j  ed  il  ritratto  dello  stesso 
cardinale,  composto  da  Luigi  Fe- 
derico Hudmann,  nelle  Mèmoires 
de  Trèvoux  del  1739,  pag.  284. 
11  p.  de  Neuville  gli  fece  l'orazio- 
ne funebre,  che  tradotta  dal  fran- 
cese in  italiano ,  fu  stampata  in 
Venezia  nel    1747- 

FLEURY  Claudio,  nacque  nel 
1640  a  Parigi,  ed  ebbe  a  padre 
un  avvocato  al  consiglio.  Pel  corso 
di  nove  anni  si  dedicò  al  foro,  e  vi 
si  diportò  valorosamente,  forman- 
done unico  suo  diletto  ed  occupa- 
zione giurisprudenza  e  letteratura. 
Se  non  che  vera  umanità  di  costu- 
mi, piacere  al  ritiro,  e  costante 
pietà  ne  lo  predispose  alla  profes- 
sione ecclesiastica ,  nella  quale  en- 
trò, e  fu  ben  tosto  sollevato  al  sa- 
cerdozio. Dopo  tale  mutazione  di 
stato  abbandonò  ogni  altro  studio 
che  non  avea  relazione  alle  scienze 
ecclesiastiche,  e  si  diede  a  studiare 
a  tutt'uomo  la  teologia,  la  sacra 
Scrittura  ,  la  storia  ecclesiastica,  il 
diritto  canonico,  i  santi  padri,  po- 
nendo a  parte  il  pubblico  di  quan- 
to rapidamente  andava  acquistando. 
Tale  si  fu  in  breve  tempo  la  fama 
del  Fleury,  che  nel  1672  venne  elet- 
to precettore  de'  principi  di  Conti 
fatti  allevare  dal  re  con  monsignor 
delfino  suo  figliuolo;  indi  nel  1680 
gli  venne  affidata  la  guida  del 
principe  di  Vermandois  ammiraglio 
di  Francia  ;  dopo  la  morte  del 
quale  il  re  lo  propose  all'abbazia 
di  Loc-Dieu.  Nell'anno  i68q  co- 
operò coli' illustre  Féuélon    all' isti- 


FLE 

tu/ione  de'  duchi  di  Borgogna,  di 
Angiò  e  di  Beni,  ed  intanto  l'ac- 
cademia francese  lo  scelse  quale 
nuovo  suo  membro  in  luogo  del 
La-Bruyère.  Annoiato  della  corte  si 
ritirò  onde  attendere  con  più  di 
calore  e  tranquillità  ai  suoi  studi. 
Ma  il  duca  d' Orleans,  reggente 
del  regno,  nel  17  16  lo  chiamò  al- 
la corte  per  confessore  di  Lodovico 
XV,  poich'  egli  non  era,  secondo 
il  detto  di  quel  principe,  né  gian- 
senista, né  in  ol  ini  sta  ,  ne  oltra- 
montano. Disimpegnò  con  tutta 
saggezza  e  fervore  l'assunto  diffici- 
lissimo suo  incarico,  fino  a  che  nel 
1722  per  l'avanzata  sua  età  fu 
costretto  a  ritirarsi,  e  nell'  anno  se- 
guente a'  14  di  luglio  morì  nell'età 
d'ottantatre  anni,  lasciando  di  sé  la 
gloriosa  memoria  di  un  uomo  assai 
dotto.  Abbiamo  di  lui  :  i.°  la  Storia 
del  gius  francese j  a.°i  Costumi  degli 
israeliti  j  3.°  i  Costumi  de'  cristia- 
ni j  4-°  il  Catechismo  storico,  nel 
quale  dà  una  idea  della  storia 
della  religione  dalla  creazione  fino 
a  Gesù  Cristo  e  da  Gesù  Cristo  fino  a 
noi.  Non  appena  uscì  quest'opera  che 
Arnaldo  pregò  Dodart  ad  obbligare 
l'autore  a  correggere  quanto  avea 
detto  nella  lezione  48  del  catechismo 
grande  siili"  attrizione.  Impercioc- 
ché pareagli  che  1'  autore  adottasse 
1'  errore  di  coloro,  i  .quali  preten- 
dono che  si  possa  essere  giustifica- 
to nel  sacramento  della  confessio- 
ne col  solo  timore  delle  pene,  sen- 
za amore  veruno  ;  cosa  che  non 
si  può  sostenere,  dice  Arnaldo,  sen- 
za rovesciare  dal  fondo  la  mo- 
rale cristiana.  Quantunque  sia  ella 
un'opera  stimata,  non  è  questo 
il  solo  difetto  di  esattezza,  che  si 
nota  in  questo  catechismo;  5.°  la 
l'ita  della  madre  d'  Arbuze  rifor- 
matrice di  Fai  di-Grazia  j  G."  Irai- 


FLT 

tato  di-Uà  scelta  e  del  metodo  de- 
gli studi  ;  j.°  l' Insti tuzione  al  di- 
ritto ecclesiastico;  8."  gli  Obblighi 
de'  padroni  e  de'  servi  j  g.°  uà 
corpo  di  Storia  ecclesiastica.  Il  p. 
Biagi  nelle  aggiunte  al  Dizionario 
del  Bergier,  fa  un  articolo  su  Clau- 
dio Fleury  storico  della  Chiesa,  ed 
avverte  che  appena  nel  1690  venne 
in  luce  il  primo  tomo  della  Storia 
ecclesiastica  del  medesimo,  ne  si- 
gnificò le  sue  doglianze  in  partico- 
lare la  chiesa  di  Francia,  giudican- 
do questa  storia  poco  favorevole  al- 
l'autorità  ecclesiastica,  e  dannosa 
al  cristianesimo.  Indi  soggiunge, 
che  proseguendo  i  lamenti  de'  cat- 
tolici rapporto  a  tale  istoria,  più 
di  un  francese  pubblicò  delle  opere 
in  confutazione,  e  tra  gì'  italiani 
confutatori  della  medesima  nomina 
il  p.  Zaccaria  minore  osservante,  e 
monsignor  Marchetti,  con  ragione- 
voli critiche.  Anche  il  p.  Orsi,  poi 
cardinale,  nell' intraprendere  la  com- 
pilazione della  sua  Storia  ecclesia- 
stica, ebbe  per  singoiar  iscopo  di 
opporsi  alle  falsità  di  Fleury,  e  fu 
seguito  dal  p.  Becchetti,  e  dal  p. 
Saccarelli,  benemeriti  come  1'  Orsi 
della  Chiesa.  Quindi  il  p.  Biagi  ri- 
leva i  principali  errori,  ed  avverte 
che  altre  opere  del  Fleury  furono 
proscritte  dalla  santa   Sede. 

FLIO  (Phlius).  Città  vescovile 
del  Peloponneso,  situata  in  mezzo 
alla  Sicionia  secondo  alcuni,  men- 
tre altri  dicono  che  sia  il  Vico- 
Yri,  o  'Rupela.  Forse  fu  suffraga- 
li ea  di  Corinto,  e  si  conoscono  se- 
dici suoi  vescovi.  Commanville  dice 
che  Flium  fu  una  importante  città 
d'Egitto,,  presso  Arsinoe,  e  ch'era 
abitata  da  gran  numero  di  copti. 
Al  dire  degli  arabi  fu  fabbricata 
Flium  sulla  riva  d'  un  piccolo  brac- 
cio del  Nilo  da  uno    dei    Faraoni. 


FLO  io3 

Vedi  il    p.    le    Quien    nell'  Oriens 
Christ.  tom.  II,  pag.   327. 

FLORA  e  MARIA  (ss.).  Nacque 
Flora  a  Cordova,  di  padre  maomet- 
tano, ma  di  madre  cristiana  che 
segretamente  allevolla  nella  vera 
religione.  Accusata  da  suo  fratello, 
fu  citata  davanti  al  cadì,  il  quale 
la  fece  vergheggiare,  e  tanto  fu 
battuta  nella  testa,  che  le  si  vedea 
in  molte  parti  scoperto  il  cranio  ; 
quindi  la  consegnò  al  fratello  per- 
chè la  inducesse  a  rinunziare  al 
cristianesimo.  Ella  ebbe  modo  di 
fuggire  da  lui,  e  si  ritirò  per  qualche 
tempo  ad  Ossaria  presso  una  sua 
sorella.  Ritornata  a  Cordova,  andò 
pubblicamente  ad  orare  nella  chie- 
sa del  santo  martire  Aciscolo,  ove 
trovò  Maria,  sorella  del  diacono 
Valabonso  che  avea  poco  prima 
sofferto  il  martirio.  Queste  due 
vergini  piene  di'  zelo  per  la  fede, 
convennero  tra  loro  di  presentar- 
si alla  corte  del  cadi.  Ivi  furo- 
no chiuse  in  una  oscura  prigio- 
ne, e  dopo  un  altro  interrogatorio 
condannate  a  perdere  la  testa.  Ri- 
cevettero la  corona  del  martirio  ai 
24  novembre  dell'  85 r,  e  in  tal 
giorno  sono  menzionate  nel  marti- 
rologio romano. 

FLORA  o  FLORENSE,  Con- 
gregazione monastica.  V.  il  voi. 
XIII,  pag.  217,  218  e  219  del 
Dizionario. 

FLORENTINIO  ed  ILARIO  (ss  ). 
Abitavano  nella  citta  di  Pseudun, 
nella  diocesi  di  Autun,  della  quale 
non  rimane  più  che  il  villaggio  di 
Semont,  e  facevano  gara  tra  loro 
nei  digiuni,  nell'  orazione,  e  nella 
pratica  delle  cristiane  virtù.  Allor- 
ché piombarono  i  barbari  sulle 
Gallie,  al  cominciare  del  quinto 
secolo,  essi  furono  spogliati  dei  loro 
beni  e  messi  a  morte  per  la  fede. 


io4  FLO 

I  loro  corpi  furono  trasportati  a 
Lione  alla  metà  del  nono  secolo, 
e  deposti  nel  monastero  di  Aisnay. 
Furono  in  seguito  fatte  molte  di- 
stribuzioni delle  loro  reliquie;  la 
parrocchia  di  Bremur  sulla  Senna 
a  una  mezza  lega  da  Semont,  pre- 
tende di  possedere  il  corpo  di  s. 
Florentinio.  Ricordasi  il  loro  mar- 
tirio ai  27   di  settembre. 

FLORENZI  o  FIORENZI  A- 
driano,  Cardinale.  V.  Adriano  VI, 
Papa  CCXXVI1I. 

FLORERIA  APOSTOLICA . 
Guardaroba  pontificia  esistente  nei 
due  palazzi  apostolici  vaticano  e 
quirinale,  ove  dal  fioriere,  uffìzia- 
le  palatino  dipendente  dal  foriere 
maggiore,  si  custodiscono  le  mas- 
serizie, le  suppellettili,  i  mobili,  le 
biancherie,  le  argenterie,  i  servigi 
di  tavola,  le  ramerie,  gli  addobbi, 
e  tutto  l' occorrente  per  tutte  le 
pontifìcie  funzioni,  in  una  parola 
tuttodì)  che  di  amovibile  appar- 
tiene ai  palazzi  apostolici  ;  meno 
gli  arredi  e  paramenti  sagri,  la  cui 
custodia  è  devoluta  a  monsignor  sa- 
giisla,  ed  al  p.  sotto- sagrista;  le  mu- 
nizioni di  legnami,  ferramenti,  pietre 
ed  altri  cementi  che  hanno  parti- 
colari custodi  dipendenti  pure  dal 
foriere  maggiore,  e  ciò  che  si  ap- 
partiene alle  scuderie  e  sellerie,  af- 
fidate in  consegna  dal  cavallerizzo 
maggiore  al  sopraintendente  delle 
scuderie  pontificie.  La  vasta  doreria 
del  palazzo  vaticano  ha  1'  ingresso 
nel  cortile  detto  di  s.  Damaso,  la 
cui  descrizione  in  un  alle  pitture 
che  vi  sono,  si  legge  nello  Chat- 
tard,  voi.  H.  pag.  455,  468,  e 
4^4  della  Nuova  descrizione  del 
Faticano.  La  floreria  del  palazzo 
quirinale  ha  l' ingresso  nel  gran 
cortile  dell'  orologio  :  prima  stava 
sotto  alle  due  branche   della    scala 


FLO 
regia,   ma  da    ultimo    fu    trasferita 

poco  distante,  cioè  in  parte  del 
locale  prima  occupato  dalla  segre- 
teria di  stato  ;  per  cui  ora  rac- 
chiude la  bella  cappella  del  Pre- 
sepio, con  stupendi  dipinti  a  fresco, 
che  descrivemmo  al  volume  IX, 
pag.  161  del  Dizionario.  Nella 
floreria  apostolica  si  conservano 
pregevoli  registri  antichi,  e  le  pian- 
te delle  cappelle  palatine,  come 
delle  basiliche  e  chiese  di  Roma, 
ove  il  Papa  suole  celebrare  ed  as- 
sistere alle  sagre  funzioni  ordinarie 
e  straordinarie;  colla  prescrizione 
degli  addobbi  e  di  tuttociò  che 
deve  fornire  la  floreria  pontificia, 
anche  per  ornare  e  preparare  le 
aule  palatine  pei  concistori,  con- 
gregazioni, prediche.,  ec.  ec.  Laon- 
de 1'  officina  della  floreria  è  in 
tutto  l'anno  in  attività,  ed  il  suo 
capo  si  chiama  fioriere,  addetto  al 
Foriere  maggiore  [Vedi),  primario 
ministro  del  palazzo  apostolico,  do- 
po il  prelato  maggiordomo  del 
Papa  prefetto  de'  palazzi  apostolici. 
Altrove,  ed  ai  rispettivi  articoli, 
abbiamo  detto ,  che  in  sede  va- 
cante la  custodia  delle  florerie  pon- 
tificie, e  di  tutto  altro  appartenen- 
te ai  palazzi  apostolici,  è  devoluta 
ai  chierici  della  camera  apostolica. 
Dal  Bernini,  Del  tribunale  della 
rota  pag.  124»  si  apprende,  che 
nel  pontificato  di  Severino  eletto 
l'anno  640,  erano  custodi  della 
guardaroba  de' paramenti  pontificii 
i  cappellani  uditori  di  rota,  come 
antichissimi  cubiculari!.  AH'  articolo 
Vestarario  (Vedi)  diremo  di  que- 
sto no  hi  le  ed  antico  uffizio  del  pa- 
triarchio lateranense,  custode  del 
vestiario  pontificio,  e  delle  cose  più 
preziose,  come  delle  ricche  suppel- 
lettili della  chiesa  romana,  e.  del 
danaro  che  si  conservava  pei  biso- 


FLO 
gni  straordinari,  massime  per  sol- 
levare il  popolo.  All'articolo  Sa- 
crista [Fedi),  parleremo  del  suo 
uffizio  di  prefetto  della  sagristia 
pontificia,  e  di  quello  del  p.  sotto- 
sagrista  sotto-prefetto  della  medesi- 
ma, ambedue  dell' ordine  romitano 
di  s.  Agostino,  ed  il  primo  deco- 
rato della  dignità  di  vescovo  tito- 
lare. Ambedue  sono  custodi  di  tut- 
te le  sagre  suppellettili  del  sommo 
Pontefice,  e  delle  cappelle  pontifì- 
cie. Questa  custodia  sembra  che 
incominciasse  coli' origine  della  ca- 
rica di  sagrista.  quando  cioè  Gio- 
vanni XXII  nel  1 3 1 9  stabilì  che 
un  religioso  del  detto  ordine  romi- 
tano dovesse  esercitare  gli  uffizi  di 
bibliotecario  della  santa  Sede  cu- 
stode de'  suoi  libri  (  F.  Biblioteca 
Vaticana^,  di  confessore  del  Papa, 
e  di  sagrista.  Sotto  Sisto  IV  que- 
sti tre  impieghi  furono  tolti  all'or- 
dine, ma  Alessandro  VI  con  bolla 
del  ?497  restituì  all' ordine  il  pri- 
vilegio perpetuo  del  sagristato  pon- 
tifìcio. Questa  custodia  si  esercita 
pure  in  tempo  di  conclave,  per  cui 
sì  monsignor  sagrista,  che  il  p.  sot- 
to-sagrista vi  sono  ammessi  in  ser- 
vigio de'  cardinali.  Pio  IV  per  la 
prima  volta  ammise  il  sagrista  in 
conclave  colla  nota  bolla  :  Sacrista 
quoque  cum  uno  clerico  coadjutore 
in  officio  sacristiae.  Dal  Rocca  si 
apprende  che  dopo  il  1600  fu  isti- 
tuito da  Clemente  Vili  1'  altro  of- 
ficio di  sotto-sagrista,  sotto-prefètto 
o  sotto-custode  della  pontificia  sa- 
gristia, col  come  allora  di  Cappel- 
lano o  compagno  del  sagrista , 
concedendo  a  questo  1'  aiuto  di  un 
individuo  da  scegliersi  anche  tra  il 
clero  secolare  ;  indi  il  cappellano 
dai  successivi  Pontefici  col  nome  di 
sotto  -  sagrista  di  Nostro  Signore 
tu  annoverato  al  loro  diretto    ser- 


FFO  to5 

vizio  ed  a  quello  del  sagro  palazzo 
apostolico,  dovendo  firmare  an- 
ch' esso  con  monsignor  sagrista  l' in- 
ventario delle  cose  affidate  alla  lo- 
ro custodia,  con  responsabilità  ad 
entrambi.  Già  sotto  Clemente  X 
si  legge  dal  breve  spedito  nella  no- 
mina .  del  p.  sotto-sagrista  agosti- 
niano il  titolo  di  sub  praefecti  sa- 
crarli apostolici  j  e  siccome  al 
nominato  fr.  Carlo  Bonetti  fu  im- 
pugnato il  diritto  di  votare  nei  ca- 
pitoli del  suo  ordine  romitano,  co- 
me nelle  congregazioni  del  proprio 
convento,  due  risoluzioni  della  sa- 
gra congregazione  del  concilio  ac- 
cordarono del  1674  ai  pp.  sotto- 
sagrista  pro-tempore  il  controverso 
suffragio  :  attento  servitio  quod 
praestat  sanctissimo  Domino  No- 
stro. Talvolta  i  Papi  concessero  ad 
alcun  religioso  agostiniano  anche 
la  coadiutoria  con  futura  successio- 
ne, al  sotto-sagristato,  il  quale  si 
nomina  dal  Papa  con  biglietto  del- 
la segreteria  di  stato,  come  il  sa- 
grista, ambedue  officiali  del  palaz- 
zo apostolico  ,  custodi  della  sa- 
gra guardaroba.  Del  cameriere  se- 
greto guardaroba  se  n'  è  parlato 
agli  articoli  Camerieri  del  Papa,  e 
Famiglia  pontificia  (Fedi)j  del 
bussolante  sotto-guardaroba,  egual- 
mente se  n'  è  detto  a  quest'  ultimo 
articolo,  ed  a  quelli  di  Bussolanti, 
e  Cappellani  comuni  (  Vedi  ).  Ma 
al  sotto-guardaroba  non  è  rimasta 
che  la  custodia  degli  Agnus  Dei 
benedetti,  delle  impronte  per  farli, 
ed  attrezzi  per  la  loro  benedizione; 
é  la  custodia  della  falda  e  della 
stola  pei  concistori.  Al  medesimo 
articolo  Famiglia  pontificia,  si  di- 
ce di  vari  custodi  di  oggetti  ap- 
partenenti al  Papa,  come  dei  roc- 
chetti, delle  gioie  ec,  essendo  il 
Maestro  di  camera  (Fedi),  il  cu- 


io6  FLO 

stode  dell' anello  piscatorio.  Il  pri- 
mo aiutante  di  camera  del  Pon- 
tefice è  il  custode  generale  delle 
sue  vesti,  biancherie,  ed  altro.  Dal- 
la canonizzazióne  di  s.  Brigida  fat- 
ta nel  i3gi  da  Bonifacio  IX,  si 
legge  che  a  cagione  di  certo  inco- 
modo incominciò  la  funzione  nella 
cappella  grande  del  palazzo  vatica- 
no, pel  quale  effetto  fu  parata  da 
tutti  i  lati  di  panni,  ed  ornata  di 
fronde  di  mirto  dal  Maestro  del- 
la floreria  apostolica.  Da  ciò  si 
rileva,  che  a  quel  tempo  la  guar- 
daroba pontificia  già  si  chiama- 
va floreria  _,  ed  aveva  il  capo 
col  nome  di  maestro.  Neil'  opera 
del  p.  Galtico,  Ada  selecta  caeri- 
vionialia,  è  riportato  un  codice  va- 
ticano, ove  sono  descritti  gli  offì- 
zi  palatini  al  tempo  di  Alessan- 
dro V,  eletto  nel  i4oc),  del  Fol- 
rarius  Palatii,  e  della  floreria, 
chiamata  dal  codice  Folrarìa  j  ec- 
co quanto  si  dice,  che  noi  ripor- 
tiamo tradotto  dal  latino  in  italiano. 
-  In  questo  officio  si  deve  porre 
un  ecclesiastico  o  un  secolare  one- 
sto e  fedele,  e  idoneo  a  tale  uffi- 
cio. Questo  ha  la  custodia  di  tut- 
ti i  paramenti  per  le  sedie  ponti- 
fìcie o  cattedre,  dei  sopra-teli,  dei 
banchi,  e  dei  parati  delle  camere, 
delle  seterie,  dei  tappeti ,  e  di  si- 
mili altre  cose  appartenenti  alla 
persona  del  sommo  Pontefice,  ed 
all'  ornamento  del  suo  palazzo. 
Inoltre  ha  la  custodia  dei  letti,  dei 
materassi,  delle  coltri,  delle  coper- 
ture, dei  cuscini,  delle  tele,  dei 
panni  rosati  e  rossi,  e  di  altre  si- 
mili cose  appartenenti  tanto  alle 
camere  di  Nostro  Signore,  che  al- 
le altre  per  uso  del  detto  palazzo, 
eccettualo  però  quelle  cose  che  so- 
no specialmente  commesse  alla  cu- 
stodia dei  camerieri  segreti   ". 


FLO 
«  Conviene  però  capere,  che  a 
nessuno  abitante  in  palazzo  si  som- 
ministrano li  materassi,  le  coper- 
ture, e  le  altre  cose  necessarie  per 
dormire,  ma  ciascuno  deve  prov- 
vedersele del  proprio  nel  modo  die 
più  gli  piace.  Inoltre  questo  deve 
avere  due  servitori  giovani  ,  forti, 
idonei  ed  abili  ad  addobbine  le 
camere,  il  concistoro,  il  tinello  (ti- 
nellutn  prò  caenaculo),  le  cattedre 
ed  ogni  altra  cosa,  quando  bisogna, 
secondo  le  occorrenze.  Inoltre  de- 
ve avere  nel  palazzo  una  camera 
adatta  per  conservare  le  suddette 
cose,  e  alloggiamento  (cioè  abita- 
zione) per  sé  e  per  i  suoi  servito- 
ri. Inoltre  anche  ad  esso  appar- 
tiene nelle  chiese  ove  va  Nostro 
Signore,  nella  sua  cappella,  nelje 
camere  papali,  e  in  qualunque  al- 
tro luogo,  ove  gli  avvenga  di  a- 
scoltare  le  messe,  di  pranzare,  di 
cenare,  e  di  dare  udienza,  di  pa- 
rare le  cattedre  con  panni  d'oro, 
distendere  i  tappeti,  i  panni  rosa- 
ti, o  di  broccato  ne'  luoglii  e  nel- 
le pareti  in  cui  fosse  creduto  de-, 
cente  di  porveli.  Inoltre  nel  tem- 
po invernale  deve  munire  di  stuo- 
re  le  camere  papali,  e  illumina- 
re le  cappelle  di  notte;  e  nella 
solennità  quando  il  Papa  mangia 
nel  tinello ,  deve  lo  stesso  tinel- 
lo ncir  inverno  coprire,  e  span- 
dere il  pavimento  di  fieno,  e  nel- 
l' estate  di  erba  verde .  Inoltre 
se  per  ragione  di  uffizio  faccia 
delle  spese,  come  per  esempio 
per  le  cose  sopraddette,  per  la 
riparazione  de' panni,  o  cose  simi- 
li ,  deve  queste  spese  scrivere  par- 
tilamente,  e  almeno  ogni  mese  pre- 
sentarle al  maestro  del  sagro  ospi- 
zio, o  alle  genti  di  camera.  "  Il 
medesimo  Gattico  col  detto  codice 
descrive  pure   gli   offizi    de  custode 


FLO 
'  vasellai,  de  magistro  cerae,  de  cu- 
stode aharìortun,  ce.  ec. 

li  Marini  ne'suoi  Archiatri  pon- 
tificii tom.  II,  pag.  1G6,  dice,  che 
nelle  bolle  di  Giovanni  XX111  de- 
gli anni  i4io  e  i4ii  se  ne  tro- 
vano due  pel  maestro  della  For- 
raria  del  'palazzo  apostolico;  por- 
tando poi  il  novero  de'ministri  ed 
officiali  del  palazzo  di  Pio  II  del 
]/|.6o,  de  secundo  tinello,  dopo  i 
custodi  di  prima  porta,  e  gli  scrit- 
tori, registra:  Jacquetus,  Andreas, 
lleuricus,  Thomas,  Johannes  sartor 
de  Foraria.  Nota  qui  il  Marini, 
che  altrove  si  legge  Andrea  de 
Ferrarla  D.  N.  e  del  maestro  Fer- 
rane, e  che  Foreria  in  questi  mo- 
numenti è  chiamata  quella  che 
ora  dicesi  Floreria.  Nel  Diario  del 
Burcardo  leggiamo  reposito  in  fo- 
reria Papae,  cioè  nella  guardaro- 
ba, ed  è  un  tal  luogo  citato  dal 
Carpeiìtier,  nelle  aggiunte  al  Les- 
sico del  Du  Cange.  Nel  i4^4  sot- 
to Paolo  II  era  presidente  della 
foreria  un  Alessandro.  Finalmente 
il  Marini  a  pag.  35g  ci  avverte, 
che  Foreria  diceasi  la  guardaroba 
pontificia  anche  nel  secolo  XVI,  e 
nell'  archivio  vaticano  trovasi  V In- 
ventario della  foreria  della  Sede 
apostolica  fatto  alli  3o  aprile  del 
i524-  Nel  ruolo  di  Giulio  III  del 
i55o,  nella  categoria  degli  officia- 
li de  palatio  a  tutto  vitto,  dopo 
lo  scrittore  delle  spese  sono  nota- 
ti due  forerì  della  camera  ;  in 
quello  di  Paolo  IV  del  i555,  nel- 
la categoria  degli  officiali  maggio- 
ri, sono  per  ultimo  segnati  due  fo- 
reri  della  camera  di  N.  S.  Al- 
trettanto si  legge  nel  ruolo  di  Pio 
IV  del  i56o;  più  si  legge  ch'era- 
no tre  i  custodi  del  palazzo  in  Ro- 
ma. Nel  medesimo  pontificato  sono 
notati  quattro  forieri  della  camera 


FLO  ro7 

di  N.  S.  Indi  sotto  s.  Pio  V  e- 
ranvi  due  furieri  di  camera;  sot- 
to Sisto  V  nel  ruolo  del  r58r), 
e  nel  paragrafo  Foraria,  sonovi 
due  furieri,  e  due  aiutanti,  ed  un 
servitore,  indi  il  custode  del  pa- 
lazzo: in  altri  ruoli  di  Sisto  V,  la 
floreria  sta  fra  i  Diversi  maggiori. 
Sotto  questa  categoria  nel  ruolo 
del  i5g7  di  Clemente  Vili  sono 
scritti  due  forieri  della  camera  e 
tre  aiutanti  di  foreria.  Fra  le  iscri- 
zioni sepolcrali,  che  riporta  l'Alve- 
ri  nella  chiesa  di  s.  Marta  presso 
il  Vaticano,  ve  ne  ha  ima  di  Co- 
sma Quarli  florentinus,  Clementis 
FUI  ac  Camerae  Apostolìcaeflo- 
rerius.  Nel  ruolo  del  1 6 1 5  di  Pao- 
lo V  tra  gli  offiziali  di  palazzo 
è  la  Foreria,  e  i  custodi  del  pa- 
lazzo. Nel  ruolo  del  i633  di  Ur- 
bano Vili,  tra  gli  officiali  minori 
sta  Francesco  Armanni  fioriere  con 
un  servitore,  ed  un  cavallo  per 
suo  uso,  e  cibarie  pel  medesimo, 
la  parte  di  pane,  vino,  olio,  can- 
dele, sale,  aceto,  legna,  ec.,  e  scu- 
di tre  pel  companatico  secondo 
l'antico  sistema  della  corte  ponti- 
fìcia; più  evvi  Paolo  de  Statis  suo 
compagno,  con  due  aiutanti  di 
floreria,  indi  sonovi  i  custodi  di 
Monte  Cavallo  ossia  del  palazzo 
quirinale;  ed  altro  custode  di  pa- 
lazzo. Nel  ruolo  del  i643  tra  gli 
offiziali  comuni  si  legge  la  flo- 
reria, il  custode  di  palazzo,  il  cu- 
stode di  Monte  Cavallo,  ed  il  cu- 
stode di  robe  vecchie.  Sotto  Cle- 
mente X,  nel  1675,  quattro  erano 
i  forieri,  due  con  scudi  cinque  e 
bai.  42  e  mezzo  per  compana- 
tico, e  due  con  scudi  quattro  e 
bai.  62  e  mezzo,  più  tre  aiutanti. 
Pietro  Gigli  fu  il  fioriere  di  Cle- 
mente XI  nel  1700  con  scudi  cin- 
que e  bai.    22  e  mezzo  per  coni- 


io3  FLO 

imttatico,  e  la  solita  parie  di  pa- 
lazzo, più  altra  parte  con'  scudi 
quattro  e  bai.  62  e  mezzo  pel 
companatico,  con  tre  aiutanti  di 
f  loreria  con  parte  di  palazzo  e  scu* 
di  tredici  e  baioc .  37  e  mezzo  pel 
companatico.  Però  nel  1 706  essen- 
do diminuite  le  parti  di  palazzo 
e  solo  restato  alquanto  pane,  fu 
stabilito  il  mensile  onorario,  com- 
preso il  compenso  per  la  casa,  al 
fioriere  scudi  quattordici,  e  bai. 
yi,  a  due  aiutanti  scudi  sei  e  bai. 
60  per  cadauno ,  uno  scudo  me- 
no al  terzo  aiutante,  e  scudi  tre 
e  mezzo  al  facchino.  Più  o  meno, 
così  si  procedette  a  tutto  il  secolo 
passato. 

Pio  VII  nel  1800  col  moto- 
proprio:  L'economia  del  pubblico 
erario,  nella  generale  riforma  del- 
la famiglia  pontificia,  dispose:  «  La 
floreria  resta  riformata  a  sem- 
plice guardaroba,  in  cui  altro  non 
si  .dovrà  ritenere,  conservare  e  som- 
ministrare, se  non  che  le  robe 
occorrenti  per  la  sagra  persona  di 
Nostro  Signore,  per  le  cappelle, 
concistori,  altre  sagre  funzioni,  e 
congregazioni,  il  mobilio  per  gli 
appartamenti,  e  gli  utensili  per  la 
lavanda  ,  e  tavola  degli  apostoli 
nel  giovedì  santo.  Gli  impiegati  nel- 
la guardaroba  suddetta  dovranno 
essere  un  guardaroba  colla  men- 
sual  provvisione  di  scudi  venticin- 
que, un  giovane  con  scudi  quindi- 
ci, ed  un  facchino  con  scudi  no- 
ve, restando  soppresse  ed  abolite 
tutte  le  ricognizioni  anche  straor- 
dinarie, che  gli  si  somministrava- 
no anche  dal  palazzo  apostolico 
in  qualunque  circostanza,  sia  in  de- 
naro, sia  in  generi.  Resta  inoltre 
stabilito,  che  allorquando  si  do- 
vranno scartare  le  robe,  che  si 
giudicheranno    inservibili,  dovran- 


FLO 

no  queste  vendersi,  e  deputarsene 
il  ritratto  a  favore  del  palazzo  a- 
postolico,  ed  a  disposizione  di  mon- 
signor maggiordomo  ,  d'ordine  del 
quale  potranno  anche  erogarsi  col- 
V oracolo  di  Sua  Santità  a  favore 
delle  parrocchie,  de' luoghi  pii,  e 
de'  poveri.  11  guardaroba  riceverà 
la  consegna  di  tutte  le  robe  per 
mezzo  di  un  esatto  inventario,  che 
da  lui  sottoscritto  si  conserverà 
in  computisteria.  Tale  inventario 
sarà  rinnovato  ogni  anno,  ed  in 
qualunque  tempo  a  piacimento  di 
monsignor  maggiordomo.  Sarà  in- 
oltre obbligato  il  guardaroba  di 
conservare  e  custodire  da  una  sta- 
gione all'altra  il  vestiario  della  fa- 
miglia, facendone  a  ciascuno  indi- 
viduo la  ricevuta,  la  quale  poi  ri- 
tirerà riell'  atto  che  consegnerà  il 
vestiario  medesimo.  Ricevuti  che 
avrà  i  vestiari  suddetti,  li  esamine- 
rà attentamente,  e  trovandoli  in 
cattivo  stato  ne  darà  parte  al  mae- 
stro di  casa,  che  resta  incaricato 
di  farli  raccomodare  per  indi  re- 
stituirli servibili  alla  fine  delle  ri- 
spettive stagioni   ". 

Ritornato  nel  1814  Pio  VII  al- 
la sua  sede,  la  floreria  apostolica 
per  le  cambiate  circostanze  dei 
tempi  migliorò  condizione,  tanto 
nel  suo  capo,  che  ne'suoi  addetti. 
Il  primo  riebbe  il  titolo  di  fiorie- 
re, e  nel  pontificato  di  Leone  XII 
ebbe  l' onore  di  essere  pubblicato 
nelle  annuali  Notizie,  di  Roma,  al- 
l'articolo  Famiglia  pontificia;  e 
sì  lui  che  i  suoi  subalterni  frui- 
rono significante  aumento  di  ono- 
rario. All'  articolo  Famiglia  ponti- 
ficia (Vedi)  di  questo  Dizionario, 
essendosi  riportato  un  cenno  sul 
riordinamento  dell'azienda  ed  am- 
ministrazione palatina,  mediante  il 
moto-proprio  de' 2 3  novembre  1824 


FLO 

dì  Leone  XII,  quello  del  regnatile 
l'nntt'fìce  Gregorio  XVI,  de'  io 
dicembre  i832,  le  disposizioni  del- 
l'ottobre 1 838  per  formare  i  pre- 
ventivi, e  il  regolamento  per  gli 
uffizi  eentrali  dell'azienda  palatina 
pubblieato  a'  2  maggio  184»,  si 
vedranno  le  attribuzioni  e  prero- 
gative del  fioriere,  e  quanto  ad 
CSM  ed  alla  floreria  apostolica  ap- 
partiene. Questa  ora  formasi  dal 
fioriere  col  mensile  assegno  di  scu- 
di cinquanta,  del  primo  giovane 
con  scudi  ventiquattro,  dèi  secon- 
do con  scudi  dieci,  del  soprastan- 
te ai  lavori  con  scudi  undici  e 
bai.  87  e  mezzo,  di  tre  facchini 
con  scudi  quattordici  per  cadauno, 
e  di  altrettanti  soprannumeri  con 
scudi  sedici.  In  Castel  Gandolfo 
avvi  il  guardaroba  con  mensili 
scudi  dodici  e  l' abitazione,  ed  il 
sotto-guardaroba  con  scudi  otto. 
E  qui  va  avvertilo  che  quando  i 
l'api  si  recano  alla  villeggiatura  di 
quel  palazzo,  lo  segue  il  fioriere 
con  un  inserviente  della  floreria, 
siccome  pure  fa  ne' viaggi,  prestan- 
do que'  servigi  che  disimpegna  in 
Roma  :  passiamo  ora  ad  accennare 
le  sue  principali  incombenze;  Pe- 
lò come  si  è  dello  al  citalo  arti- 
colo Foriere  maggiore,  a  questi 
spetta  il  precedere  il  Pontefice  nei 
viaggi,  la  sopraintendenza  generale 
di  essi,  e  il  preparare  gli  alloggi  e 
tutto  l'occorrente  sì  pel  Pontefice 
ebe  pel  suo  corteggio:  quando 
poi  egli  non  esercita  tale  uffizio 
viene  supplito  dal  maestro  di  ca- 
sa del  palazzo  apostolico  ,  e  dal 
fioriere  sotto  l'immediata  direzio- 
ne   di    monsignor  maggiordomo. 

Il  fioriere  è  un  officiale  palatino 
che  appartiene  alla  famiglia  nobi- 
le pontificia,  e  fa  parte  di  quella 
camera    segreta  che  precede    e  se- 


FLO  109 

guc  il  Papa  quando  vestilo  di  moz- 
zetto e  stola  recasi  in  qualche  chie- 
sa, monastero,  od  altro  luogo,  co- 
me nelle  cappelle  palatine.  Atten- 
dendo l'ora  della  uscita,  si  ferma 
nella  camera  d'onore  del  pontifi- 
cio appartamento:  e  giunta  quel- 
la, nel  frullone  con  monsignor  sa- 
grista  precede  il  treno  del  Papa, 
in  un  ad  un  giovane,  e  ad  un 
facchino  di  floreria  per  preparare 
nella  chiesa  ove  portasi  il  Ponte- 
fice lo  strato  e  i  cuscini  per  ora- 
re; quando  però  si  ritorna  al  pa- 
lazzo apostolico,  il  frullone  segue 
il  treno  al  modo  che  dicesi  all'ar- 
ticol  Tkenf.  L'abito  del  fioriere  è 
tutto  nero  e  di  panno,  cioè  sotto- 
abito corto,  gonnella,  e  vestito, 
sul  quale  assume  il  ferraiuolone  di 
seta  nera;  usa  calze  di  seta  nera, 
scarpe  con  fibbie,  manicbelli  e  col- 
lare di  merletto.  I  giovani  della 
floreria  vestono  l'abito  corto  di  ne- 
ro, e  i  facchini  l'abito  comune  a 
quelli  della  bassa  famiglia  palati» 
na,  consistente  in  vestito  bleu,  cor- 
petto, e  calzoni  corti  simili  con 
asole  rosse ,  cappello  appuntato,  e 
calze  rosse,  con  fibbie  alle  scarpe. 
Dai  citali  registri  di  floreria  si  ri- 
leva, che  quegli  inservienti  di  es- 
sa che  nelle  pontificie  funzioni  do- 
vevano fare  qualche  cosa ,  come 
lo  scuoprimenlo  dell'arazzo  dell'al- 
tare nel  sabbaio  santo,  levare  il  ta- 
lamo dopo  la  processione  del  Cor- 
pus Domini,  e  simili,  vestivano  le  boe- 
mie  di  panno  dette  ancora  zimarre. 
Siccome  il  fioriere  presiede  agli  ad- 
dobbamenti delle  cappelle  e  chic-e 
ove  il  Papa  celebra  od  assiste  alle  sa- 
gre funzioni,  così  in  queste  egli  sem- 
pre si  trova  pronto  per  qualunque 
occorrenza,  e  disimpegna  tutte  le 
incumbenze  proprie  del  suo  posto, 
inerenti  a  quanto   di  sopra  accen- 


no  FLO 

narnmo,  il  perchè  ha  molte  re- 
sponsabilità ed  occupazioni.  Ed  è 
perciò  che  gode  1'  abitazione  al 
quirinale,  e  l'uso  del  legno  pala- 
tino, per  quando  deve  adoperarti 
pel  suo  uflìzio.  Partecipa  delle  di- 
stribuzioni delle  medaglie  di  ar- 
gento in  numero  di  sei  nella  ri- 
correnza del  solenne  possesso  del 
Papa,  e  per  quella  annuale  della 
festa  de'ss.  Pietro  e  Paolo  :  prima 
in  tali  epoche  aveva  una  medaglia 
d'oro,  ed  altra  di  argento.  Final- 
mente il  fioriere  è  custode  del- 
l' appartamento  pontifìcio  quando 
non  è  abitato  dal  Papa,  come  dei 
luoghi  mobiliati.  Altre  notizie  sulla 
floreria  apostolica  e  sul  fioriere  si 
possono  leggere  nei  relativi  articoli 
del  Dizionario,  massime  Palazzi 
apostolici,  e  Famiglia  pontificia. 

FLORIA,  o  FLOXIANUM.  Se- 
de vescovile  della  Mauritialia  Ce- 
sariana,  nell'Africa  occidentale,  sot- 
to la  metropoli  di  Giulia  Cesarea. 
Not.  Afvic. 

FLÒR1ANI.   V.  Fioriani. 

FLORO  (  s.  ).  Poche  notizie  ab- 
biamo della  sua  vita;  ma  è  cer- 
to eh'  ei  fu  il  primo  vescovo  di 
Lodeve,  e  l'apostolo  di  questa  par- 
te della  Linguadoca.  Ei  non.  si  con- 
tentò di  predicare  soltanto  nella 
Gallia  narbonese,  ma  penetrò  fino 
alle  Ce  venne  e  in  Alvergna.  Si  po- 
ne la  sua  morte  circa  l'anno  339; 
e  nel  luogo  ove  fu  seppellito  fab- 
bricossi  una  chiesa.  S.  Oddone  vi 
fondò  una  badia  ,  che  poscia  Gio- 
vanni XXII  ridusse  in  vescovado. 
Le  reliquie  di  s.  Floro  sono  nella 
cattedrale  della  città  del  suo  no- 
me. V.  Flour  (Saint).  La  sua 
festa  si  celebra  a'  3  di  novembre 
ed  anche  al  primo  di  giugno,  che 
fu  certamente  il  giorno  della  sua 
traslazione. 


FLO 

FLOSCLLO  o  FLUSCOLO  (s), 
volgarmente  s.  Flou.  Viveva  verso 
1'  anno  4^o,  e  fu  il  decimo  vesco- 
vo d'Orleans.  Trovasi  il  suo  nome 
nel  martirologio  di  Usuardo  sotto 
il  dì  i  febbraio.  Nel  1029  le  sue 
reliquie  furono  solennemente  tras- 
portate ,  per  ordine  del  re  Rober- 
to, nella  chiesa  di  s.  Agnan,  dove 
sono  ancora  custodite  in  un'urna. 
Egli  è  protettore  titolare  d' una 
chiesa  d'Orleans,  appellata  per  lo 
passato  santa  Maria,  ed  oggidì  del- 
la Concezione. 

FLOUR  (Saint)  (s.  Fiori).  Città 
con  residenza  vescovile  in  Francia, 
nel  dipartimento  di  Cantal,  nell'al- 
ta Alvergna  di  cui  Saint- Flour  fu 
capitale,  capoluogo  di  circondario 
e  di  cantone,  giace  sopra  una  roc- 
ca scoscesa  basaltica  ,  già  detta 
Mons  I udiri anus ,  alla  quale  non 
si  accede  che  per  un  solo  lato.  11 
fiume  Auzon  ne  rade  gli  orli  col 
suo  corso.  È  pur  sede  della  corte . 
di  assise  del  dipartimento ,  e  del 
tribunale  di  prima  istanza  e  di 
commercio.  Ha  pure  la  conserva- 
zione delle  ipoteche ,  la  direzione 
delle  contribuzioni  indirette,  ed  una 
società  di  agricoltura.  Avvi  il  col- 
legio comunale  con  biblioteca  e  ga- 
binetto di  fisica.  E  patria  di  pa- 
recchi uomini  illustri,  come  di  I)u 
Belloy  poeta  drammatico,  autore 
dell'assedio  di  Calais,  e  del  gene- 
ral Desaiz ,  morto  nella  battaglia 
di  Marengo.  Le  minerali  sorgenti 
di  Rumhaud  scaturiscono  nelle  sue 
vicinanze,  il  perchè  vi  sono  molle 
fabbriche  di  oggetti  di  rame.  È 
pur  chiamata  Floriopolis ,  e  Fa- 
nnia sancii  Fiori. 

Questo  luogo  chiamalo  prima 
Indiciax  prese  il  nome  di  s.  Flo- 
ro,  che  credesi  abbia  predicato  il 
vangelo  neh' Alvergna  nel  quarto  o 


FLO 

quinlo  secolo,  por  cui  fu  a  suo  o- 
nore  ivi  eretta  una  cappella.  Que- 
sta alla  fine  del  decimo  secolo  es- 
sendo stata  concessa  al  monistero 
di  Soucillanges,  dell'ordine  di  Clu- 
ny,  s.  Oddone  abbate  cluniacense, 
fece  circondare  di  muro  il  borgo 
di  Saint-Flour,  ed  innalzovvi  una 
bella  chiesa  che  il  Pontefice  Urba- 
no li  dedicò  nel  1096.  In  progres- 
so di  tempo  il  monistero  divenne 
assai  considerabile,  per  cui  il  Papa 
Giovanni  XXII  residente  in  Avi- 
gnone l'eresse  in  cattedrale,  con 
vescovo  suffraganeo  della  metropo- 
li di  Bourges,  di  cui  lo  è  tuttora, 
hcIP  anno  1 3 1 7  ,  la  cui  rendita  fu 
stabilita  a  dodici  mila  lire.  11  suo 
capitolo  restò  regolare  dell'ordine 
di  s.  Benedetto  fino  ai  1&6,  ne^ 
quale  anno  fu  secolarizzato  da  Si- 
sto IV  :  i  primi  tredici  suoi  vesco- 
vi furono  tutti  benedettini.  Il  pri- 
mo fu  Raimondo  de  Moustuejouls 
de  Vehens,  fatto  dallo  stesso  Gio- 
vanni XXII,  che  nel  i3 19  lo  tras- 
ferì alla  sede  di  Saint-Papoul,  e 
nel  i3:>7  il  creò  cardinale  del  ti- 
tolo di  s.  Eusebio.  Quanto  ai  suc- 
cessori fino  alla  metà  del  secolo 
XVI  II  -veggasi  la  Gallio.  Christiana, 
nel  tomo  II  ;  gli  altri  sono  ripor- 
tati nelle  annuali  Notizie  di  Ro- 
ma. In  principio  del  corrente  se- 
colo molti  vescovi  furono  successi- 
vamente nominati  a  questa  sede, 
senza  però  che  ne  potessero  pren- 
dere possesso.  Finalmente  fu  nomi- 
nato ed  istituito  canonicamente  Lui- 
gi SifTreno  Giuseppe  di  Salmon, 
già  internunzio  del  Papa  Pio  VI 
presso  il  re  Luigi  XVI  fino  alla 
sua  morte,  poscia  amministratore 
apostolico  della  diocesi  di  Rouen, 
Lvreivx,  Bayeux  e  Coutanccs;  chia- 
nuito  a  Roma  nel  1806  da  Pio  VII, 
Mime   nominato    vescovo  in  parti- 


FLU  ni 

bus  di  Ortosia,  ed  alla  restaurazio- 
ne dei  Borboni  sul  trono  di  Fi-an- 
cia fu  mandato  nell'  istessa  città 
colla    nomina    di    uditore    di   rota. 

10  però  non  lo  trovo  nel  numero 
de'  prelati  di  quel  rispettabile  tri- 
bunale, presso  le  citate  Notizie  di 
Roma,  che  anzi  a  quell'epoca  per 
la  Francia  era  uditore  di  rota 
monsignor  Isoard  poi  cardinale. 
Certo  è  che  Pio  VII  nel  concisto- 
ro de' 29  maggio  1820  il  dichiarò 
vescovo  di  Saint-Flour,  non  aven- 
do elfetto  l' uditorato  di  rota  es- 
sendo piena  la  sede. 

La  cattedrale  è  buon  edilìzio  sa- 
gro a  Dio  sotto  l' invocazione  del 
primo  vescovo  di   Lodeve  s.  Floro. 

11  capitolo  non  ha  dignità,  ne  pe- 
nitenziere. Esso  formasi  di  otto  ca- 
nonici ,  fra'  quali  la  prebenda  di 
teologo;  di  alcuni  canonici  onora- 
ri, di  preti  per  servigio  della  chie- 
sa,  e  dei  pueri  de  choro  (enfants 
de  choeur).  Prima  era  decorato  di 
tre  dignità,  e  di  diciassette  canoni- 
cati. Annesso  alla  cattedrale  vi  è 
l'ampio  e  decente  episcopio.  Kclla 
città  vi  sono  due  chiese  parroc- 
chiali col  sagro  fonte  battesimale, 
due  confraternite,  tre  monisteii  di 
monache,  l'ospedale,  il  grande  ed 
il  piccolo  seminario.  Anticamente 
eravi  nella  città  una  insigne  chie- 
sa collegiata  composta  di  un  pre- 
vosto ,  e  di  diciotlo  canonici.  Ad 
ogni  nuovo  vescovo  la  mensa  è 
tassala  ne'  libri  della  cancelleria  a- 
postolica  in  fiorini  trecento  settanta. 

FLUWE1NCISPA   o   flumen- 

PISCA  (Flumen  Piscis).  Sede  ve- 
scovile della  Mauritiana  di  Sitifì, 
nell'Africa  occidentale,  sotto  la  me- 
tropoli di  Sitifì.  Se  ne  fa  memo- 
ria nella  conferenza  di  Cartagine, 
perchè  v'  intervenne  Vittore  suo 
vescovo. 


ii2  FOC 

FLUMEN-ZERITA.  Sede  ve- 
scovile della  Mauritiana  Cesariana, 
nell'Africa  occidentale,  sotto  la  me- 
tropoli di  Giulia  Cesarea. 

FOCA  (s.  ).  Abitava  presso  la 
porta  di  Sinope,  città  del  Ponto, 
e  vivea  coltivando  un  orto.  Nell'u- 
mile sua  condizione  imitava  le  vir- 
tù de'  grandi  patriarchi ,  albergava 
i  viandanti  che  non  sapeano  dove 
riparare,  e  sovveniva  i  poveri  col 
frutto  delle  sue  fatiche.  Le  sue  vir- 
tù vennero  coronate  dal  martirio 
in  una  crudele  persecuzione,  che 
crederi  esser  quella  suscitata  da 
Diocleziano  nel  3o3.  Gli  fu  dedi- 
cata poscia  una  chiesa,  che  diven- 
ne celebre  in  tutto  l'oriente,  e  vi 
si  depose  la  maggior  parte  delle 
sue  reliquie.  S.  Asterio,  véscovo  di 
Amasea  verso  l'anno  4°°»  ne^  Pa" 
«egirico  di  questo  santo  martire  di- 
ce che  il  magnifico  tempio  di  Si- 
nope, ove  si  custodisce  il  suo  cor- 
po, conforta  gli  afflitti,,  e  reca  sa- 
nità agli  ammalati;  che  tutti  i  luo- 
ghi ove  si  serba  qualche  porzione 
delle  sue  reliquie,  sono  celebri  per 
molti  miracoli  e  formano  l' obbiet- 
to  della  venerazione  de'  cristiani  ; 
che  i  romani ,  i  quali  possedono 
nella  loro  capitale  il  capo  del  san- 
to, l' onorano  nella  stessa  maniera 
che  s.  Pietro  e  s.  Paolo;  che  i  ma- 
rinai, tratti  spesso  per  lui  da  gra- 
vi pericoli,  cantano  degl'inni  in  sua 
lode,  e  mettono  in  serbo  parte  del 
loro  guadagno  che  chiamano  parte 
di  Foca.  La  sua  festa  cade  a'  3 
di  luglio. 

FOCEA  (Phocaea).  Città  vesco- 
vile dell'Asia  minore  che  Tolomeo 
situa  nell'Eloide  e  la  Jonia,  sulla 
costa  meridionale  del  golfo  di  Cu- 
mes,  con  due  sicuri  porti.  La  dis- 
sero alcuni  una  colonia  di  atenie- 
si, credendo  che  abbia   preso  il  no- 


FOG 

me  dalla  quantità  di  vitelli  mari- 
ni che  vi  si  pescavano,  perchè  ph<>- 
ca  in  greco  significa  vitello  inali- 
no. In  oggi  è  un  piccolo  villaggio 
chiamato  Fochia  o  Foja  vecchia  , 
per  distinguerlo  da  Fochia  nova , 
distante  da  esso  sole  dieci  miglia. 
La  città  di  Focea  ha  la  gloria  di 
aver  data  origine  alla  città  di  Mar- 
siglia,  antica  colonia  de'  focesi  e 
porto  di  mare,  ed  a  molte  altre  co- 
lonie greche  stabilite  sulla  costa  dei 
mare  Mediterraneo  in  Italia,  nelle 
Gallie,  ed  in  Ispagna.  La  sede  ve- 
scovile vi  fu  eretta  nel  quinto  se- 
colo sotto  la  metropoli  di  Efeso  , 
donde  passò  a  quella  di  Smirne  nel- 
l'esarcato d'Asia.  Dall'  Orieits  Christ. 
tom.  I,  pag.  736,  abbiamo  gli  otto 
seguenti  vescovi:  Marco,  Teotisco  , 
Quinto,  Giovanni,  Leone,  Niceta, 
Paolo,,  un  anonimo  che  olfri  il  pae- 
se a  Tamerlano  come  adatto  alla 
caccia.  Il  p.  Bremond  nel  suo  Boll. 
tom.  Il,  pag.  706,  ed  altri  notano 
questi  altri  vescovi  dal  secolo  XIV 
in  poi  :  Bartolomeo  di  Cassino , 
Giovanni  carmelitano,  Giovanni  de 
Rubeis ,  Nicolò  da  Todi,  Luigi  di 
Foro ,  Stefano  Chaan  ,  Egidio  di 
Porto,   ec. 

FOELANO  (s.).  V.  Felaxo  (s.). 

FOGARAS  (Fogaracsien).  Cit- 
tà con  residenza  vescovile  in  Tran- 
silvania  ,  capoluogo  del  distretto  del 
suo  nome,  marca  di  Mundra,  sulla 
riva  sinistra  dell'Aiuta,  che  si  attra- 
versa sopra  un  bel  ponte  di  864  pie- 
di di  lunghezza.  Fogaras  o  Fagaras 
e  assai  ben  fabbricata,  ed  ha  un  vec- 
chio castello  fortificato,  molte  chie- 
se di  diversi  culti,  una  piazza  bel- 
lissima, ec.  Ebbe  a  sostenere  due 
assedi  l'anno  1661,  uno  dal  prin- 
cipe Kemeni  ,  successore  di  Bar- 
skay,  l'altro  dagli  ottomani  che  pro- 
teggevano Michele    Apaffi.    Fogaras 


FOG 

si  rese  a  Remeni,  e  resistette  ai 
turchi  ;  ina  morto  questo  principe 
nel  1662,  non  tardò  a  riconoscere 
Apafli  per  padrone.  Nel  1774  una 
parte  di  Fogaras  fu  interamente 
incenerita,  laonde  fu  poscia  rifab- 
bricata sopra  un  piano  migliore. 
Tuttavolta  il  vescovo  ordinariamen- 
te risiede  in  Balasfalta ,  Balasfalva 
o  Blascndorf,  borgo  del  gran  prin- 
cipato di  Transilvania,  comitato  di 
Weissenburgo  inferiore,  al  confluen- 
te del  grande  e  del  piccolo  Kokel, 
in  una  fertilissima  contrada'.  E  que- 
sto il  capoluogo  della  mensa  del 
vescovo  di  Fogaras.  Vi  sono  due 
chiese  unite,  un  ginnasio,  ed  una 
stamperia.  A  qualche  altezza  ve- 
donsi  ancora  le  rovine  di  un  ca- 
stello. 

La  sede   vescovile   di  rito  greco 
unito  alla  santa  romana  Chiesa,  fu 
eretta    nei    primi   anni    del   secolo 
XVIII.    La   più  antica   notizia  dei 
suoi  vescovi  che  mi  è  riuscito  rin- 
venire, è  di  d.  Giovanni  Innocenzo 
Klaja  dell'ordine  di  s.  Basilio,  nato 
in  Transilvania   nel  1700,  e  fatto 
vescovo  da  Clemente  XII  nel  con- 
cistoro   degli    11    settembre   1780, 
ove  lo  propose  il  cardinal  Cienfue- 
gos  come  ministro  e  protettore  de- 
gli  stati  di   Carlo  VI   imperatore , 
che  nominò  tal  soggetto  al  vesco- 
vato di  Fogaras.  I  di  lui  successo- 
ri sono  registrati  nelle  annuali  No- 
tizie   di    Roma ,    lutti    suffragatici 
dell'arcivescovo  di  Gran  ossia  Stri- 
gonia.   Il    regnante    Pontefice    per 
nomina   dell'  imperatore    d' Austria 
Francesco  I,  nel    concistoro  dei  i5 
aprile  del   1 833,   dichiarò    vescovo 
di  rito  greco  di  Fogaras  monsignor 
Giovanni  Lemeny,  nato  in  Dezmer, 
diocesi    di   Fogaras,    nel  1780.    La 
cattedrale  è   in    Balasfalta,    edilizio 
di  elegante  struttura,  dedicata  alla 
vol.   xxv. 


FOG  n3 

ineffabile  ed  individua  Trinità.  Il 
capitolo  si  compone  della  dignità 
dell'arciprete,  di  sei  canonici,  di 
quattro  preti  regolari  e  di  alcuni 
chierici  secolari  addetti  all'  ufficia- 
tura del  divino  servizio.  La  cura 
delle  anime  della  cattedrale,  giusta 
la  regola  prescritta  nella  fondazio- 
ne, confermata  dal  sovrano,  e  ra- 
tificata dal  Papa  Pio  VII,  si  appar- 
tiene ai  canonici.  In  altra  chiesa 
parrocchiale  munita  di  battisterio 
la  cura  delle  anime  si  esercita  dal 
parroco  del  luogo ,  che  da  ultimo 
era  un  canonico  della  cattedrale. 
La  chiesa  cattedrale  è  fornita  di 
tutto  l'occorrente ,  meno  l'organo, 
non  essendo  in  uso  nelle  chiese  di 
rito  orientale.  Nella  medesima  si 
venera  l'insigne  reliquia  della  mano 
di  s.  Gregorio  Nisseno.  L'episcopio 
resta  duecento  passi  distante  dalla 
cattedrale,  cioè  tra  gli  avanzi  del- 
l'antico castello.  Vi  sono  i  monaci 
dell'ordine  di  s.  Basilio  Magno  con 
loro  monistero  ed  il  seminario.  Va- 
sta è  la  diocesi  ;  ed  ogni  nuovo 
vescovo  in  proporzione  della  men- 
sa, è  tassato  ne'  libri  della  camera 
apostolica  in  fiorini  duecentottanta- 
sette. 

FOGLIANTI  o  FUGLIENSI, 
Congregazione  monastica.  V.  il  vo- 
lume XIII,  pag.  2ip„  220  e  221 
del  Dizionario. 

FOGLIANTINE  o  FOGLTAN- 
TI,  Monache.  V.  il  volume  XIII, 
pag.  225  e  226  del  Dizionario. 

FOGLIETTO  (di)  Ugo,  Car- 
dinale. Ugo  di  Foglietto,  francese 
di  nazione ,  fu  canonico  regolare 
nel  monistero  di  s.  Pietro  di  Cor- 
bia  nella  Sassonia ,  e  priore  di  s. 
Lorenzo  d'Amiens,  ovvero  giusta 
l'opinione  di  altri  autori,  monaco 
di  s.  Benedetto  nella  Piccardia.  La 
profonda  sua  scienza,  l'estesa  erudi- 
8 


V  CU 1   fi    / 


n4  POI 

zione,  e  Ja  integerrima  pietà  così 
gli  meritarono  la  stima  universale, 
che  Innocenzo  II,  nel  dicembre  del 
i  1 4o,  Io  creò  prete  cardinale  della 
S.  R.  C.  Scrisse  parecchie  opere  , 
stampate  in  Parigi,  le  quali  falsa- 
mente vengono  attribuite  a  Ugone 
da  s.  Vittore.  S' ignora  il  tempo 
preciso  della  di  lui  morte,  e  vuoisi 
che  godesse  soli  venticinque  mesi 
il  cardinalato,  sebbene  alcuni  lo 
fanno  morire  nel   1 1 64. 

FOILLANO  (s.).  Figlio  di  Fin- 
tano re  di  Munster  in  Irlanda  ,  e 
fratello  di  s.  Ultano  e  di  s.  Fur- 
seo,  dal  qual  ultimo  ebbe  il  go- 
verno del  monistero  di  Rnobbers- 
burg  da  esso  fondato  nel  regno 
degli  angli  orientali.  Morto  s.  Fur- 
seo,  circa  il  65o,  passò  in  Francia 
con  Ultano.  Leggesi  in  alcuni  scrit- 
tori, che  Foillano  fece  un  viaggio 
a  Roma,  e  che  vi  fu  consecrato  ve- 
scovo regionario.  Se  ciò  fu,  non  tar- 
dò peraltro  a  riunirsi  a  suo  fra- 
tello, poiché  si  recarono  assieme  a 
Nivelle  nel  Brabante,  dove  s.  Ger- 
trude nel  652  donò  ad  Ultano  un 
tratto  di  terra  tra  la  Mosa  e  la 
Sambra,  ch'era  l'abbazia  di  Fos- 
sej  per  edificare  uno  spedale  ed  un 
monistero,  ed  affidò  a  Foillano  l'i- 
struzione delle  religiose  delle  qua- 
li era  badessa.  Il  santo  si  prese  an- 
che la  cura  d'istruire  il  popolo  nei 
villaggi  vicini.  Postosi  in  cammino 
con  tre  compagni  per  andar  a  vi- 
sitare suo  fratello  nel  655,  fu  tru- 
cidato dai  ladri  o  dagli  infedeli  nel- 
la foresta  di  Sonec,  oggidì  Carbo- 
nera,  .neh"  Hainaut.  Le  sue  reliquie 
si  venerano  nella  chiesa  di  Fos- 
se, ed  egli  è  onorato  a'  3i  di  ot- 
tobre. 

FOIX  (Fuxumo,  Fuxium).  Cit- 
tà di  Francia,  antica  capitale  del- 
la contea  di    tal  nome ,   ora  capo- 


FOL 
luogo  del  dipartimento  dell' Ariege, 
di  circondario  e  di  cantone,  a  pie- 
di de'  Pirenei ,  sulla*  riva  sinistra 
dell'Ariege,  al  confluente  del  Lar- 
get.  Ha  vari  edifizi  e  stabilimenti 
rimarchevoli  ;  vi  si  vede  l' antico 
ponte  di  due  archi,  che  attraversa 
l'Ariege,  e  tre  torri  di  gotica  co- 
struzione, situate  sopra  una  ripida 
roccia  che  domina  la  città.  Cre- 
dono taluni  che  questa  città  sia 
stata  eretta  dai  focesi,  che  gli  a- 
vrebbero  dato  il  nome  di  Phoccs, 
da  cui  sarebbe  venuto  per  corru- 
zione quello  di  Foix.  I  conti  di 
Carcassona  vi  fondarono  la  chiesa 
di  s.  Volusio,  che  divenne  in  pro- 
gresso un'abbazia.  Appartenne  que- 
sta città  al  capitolo  di  s.  Volusio, 
ed  i  conti  di  Foix,  che  successero 
ai  conti  di  Carcassona,  non  posse- 
dettero che  il  castello.  Neil'  anno 
1226  vi  si  tenne  un  concilio,  do- 
ve il  cardinal  di  S.  Angelo,  legato 
del  Pontefice  Onorio  III  nella  Lin- 
guadoca,  assolvette  dall'eresia  Ber- 
nardo conte  di  Foix  che  avea  se- 
guito il  partito  degli  eretici  albi- 
gesi,  e  che  finse  per  allora  di  con- 
vertirsi e  di  far  penitenza.  Labhé 
tom.  X,  ed  Arduino  tom.  VII.  Ce- 
lebre si  fu  la  dispensa  matrimo- 
niale ,  che  Martino  V  concesse  a 
Giovanni  conte  di  Foix ,  come  fu 
celebre  il  cardinal  Pietro  di  Foix 
fiorito  nella  prima  metà  del  seco- 
lo XV. 

FOIX    Pietko,    Cardinale.    V. 
Fuxo. 

FOLIGNO  o  FULIGNO  (Ful- 
ginaten  ).  Città  con  residenza  ve- 
scovile dell'Umbria  nello  stato  pon- 
tificio, delegazione  apostolica  di  Pe- 
rugia, che  giace  in  mezzo  alla  fer- 
tilissima umbra  pianura ,  purgata 
da  ogni  palustre  infezione,  per  o 
per 


a  del  sommo  idraulico    inligna- 


FOL 

te  Francesco  Jacobilli.    Da    questa 
città  antica  e  nobile,  quasi  da  cen- 
tro si  spartono  quattro  grandi  stra- 
de nazionali  o  corriere  di    Roma  , 
Toscana,  Marche  per  Loreto  e  Fa- 
briano,   Flaminia    per    il    Furio  e 
Romagna,  oltre  alle  minori.   Sorge 
Foligno  su  di   un'area    presso    che 
quadrata,  cui  quattro  porte    corri- 
spondenti    ai    nominati    punti     gli 
danno  l'accesso  ,    essendo  cinta  al- 
l'intorno  da    opportune  muraglie: 
anticamente  erano  sei  le  porte  del- 
la città.  Il  fiume  Topino  o  Tinna 
scorre   all'ovest    lambendone    colle 
sue  acque  il  recinto,  ed  un  manu- 
fatto canale,  che  da  quello  si  dipar- 
te, reca  una  porzione  delle    acque 
per  mezzo  all'abitato,  le  quali  dan- 
no moto  ed  attivano  molte  fabbri- 
che   ed   opifici,  gualchiere,  mole  a 
grano  ed  olio,  conce  ec,  e  rendon- 
si    opportunissime    all'  esercizio     di 
molte  altre  manifatture    ed    indu- 
strie, mentre  con  quelle  del    rapi- 
do fiume  Menotre,  e  di  varie  for- 
me   e    fossi    vengono  irrigati    non 
solamente  i   circostanti  orti,  ma  al- 
tresì condotta  l'acqua  sotto  le  prin- 
cipali interne  vie,   le  quali  per  tal 
mezzo  vengono  assai  facilmente  al- 
l'uopo rese  nette,  e  rinfrescate  dal 
corso  di  esse.  Da  ultimo  le  strade 
nell'  essere    state    perfettamente   la- 
stricate con  pietre  quadrate,    ven- 
ne   accresciuto    nuovo    pregio    alla 
loro  agiatezza,  ed  alla  figura    ret- 
tilinea con  che  nel  Trivio    vengo- 
no a  concentrarsi,  ed  anche  le  subal- 
terne non  lasciano  a  desiderare  co- 
sa alcuna  per  la   regolarità    e    co- 
modo   che    presentano.    La    piazza 
quadrilunga  è  chiusa    dai    tre    pa- 
lazzi governativo,   municipale  e  ca- 
pitolare ,    essendo  stato    il    secondo 
non  ha  guari  convenientemente  ri- 
fabbricato:   i  ori  vati  edifizi  ne  com- 


FOL  kj 

piono  l' ornato ,  oltre  la  facciata 
esterna  del  duomo,  e  le  due  tor- 
ri destinate  alle  due  maggiori  cam- 
pane del  pubblico,  e  della  mento- 
vata cattedrale,  il  di  cui  principal 
ingresso  sì  apre  in  una  piazzetta 
poco  distante.  Di  questa  insigne 
chiesa,  e  de'  suoi  notabili  abbelli- 
menti e  restauri  ne  parleremo  ver- 
so il  fine  di  questo  articolo,  col- 
l'autorità  principalmente  del  Sag* 
gio  storico  artistico  della  chiesa 
cattedrale  di  s.  Feliciano  di  Foli- 
gno, dell'ingegnere  Antonio  Rutili 
Gentili,  Fuligno  tipografia  Tomas- 
sini   1839. 

Dopo  la  chiesa    cattedrale    sono 
meritevoli  di  speciale   menzione  le 
insigni  collegiate  di  s.  Maria  infra 
Portasi  e  di  s.  Salvatore,  la  bella 
chiesa  del  seminario  già    intitolata 
a  s.  Agostino,  e  quella  di    s.    Do- 
menico   ufficiata    dai    domenicani. 
Vincenzo  Maria  Fontana,    de    Ro- 
mana provincia  ord.  praed.  ci  die- 
de le  Notizie  storiche  della  chiesa 
e  convento  di  s.  Domenico.  Vi  so- 
no ancora    le    chiese    di    s.  Nicolò 
degli  eremitani,  di    s.    Agostino,  e 
di  s.  Giacomo    de'  serviti ,   oltre  i 
diversi  monisteri  di   monache ,    ed 
altre  chiese  minori,  fra  le  quali  è 
a  nominarsi  quella  dell'oratorio  del 
Ruon  Gesù,  ove  adempie  agli  eser- 
cizi di  cristiana  pietà  una  congre- 
gazione di    preti    secolari    istituita 
dal  p.  Giambattista  Vitelli.  In  am- 
pio spedale  sono    curati   gli    infer- 
mi ,    ed    hanno    asilo     ne'  conser- 
vatoci le  orfane,  e  le  donne  peni- 
tenti, non  che  religiosa  educazione 
le  donzelle  dalle  orsoline  dette  della 
Madre  Paola,  e  dalle  maestre  pie. 
Sono  pochi  anni  che  il    benemeri- 
to sacerdote  Simeone  Fongoli  cano- 
nico della  cattedrale,   fondo  un  de- 
cente ospizio,  che  mancava  agli  or- 


n6  FOL 

fani    maschi.    Dell'istruzione   pub- 
blica erano  benemeriti  ab  antico  i 
chierici  regolari  barnabiti,    che  a- 
vevano  il  collegio  di  s.    Carlo,    in 
mancanza   de' quali    furono    surro- 
gati maestri  stipendiati  dal    comu- 
ne; però    il    seminario   ha    le  sue 
scuole    particolari.    Non    ha    guari 
con  beneplacito  del   Papa   regnan- 
te, e  sua  benigna    cooperazione,  a 
cura  e  spese  del  comune  stesso  si 
è  aperto,  e  si  mantiene   un   vasto 
e  ben  adatto  stabilimento  delle  tan- 
to benemerite  ed  utili  scuole   cri- 
stiane per  la  morale  e  civile  istru- 
zione de'  giovanetti.  Sono    delizio- 
se le  esterne  passeggiate  del  Pome- 
rio, e  molto  più   vaga    quella    in- 
terna detta   dei  Canapè    ornata  di 
alberi,  ove  ottantuno  sedili  costrut- 
ti di  materiale  circondano   un  am- 
pio prato,  nel  quale  nei  giorni  i4, 
i5  e   16   settembre  ha  luogo  una 
fiera  detta  di  s.  Magno,  per   ogni 
sorta  di  merci,  e    specialmente    di 
stoviglie,  mentre  idonea    sottostan- 
te località  viene  assegnata  alla  con- 
trattazione del  numeroso  bestiame 
che    vi    concorre,    e   lungo  la  via 
della  passeggiata  suol  praticarsi  le 
corse  equestri    dette    del    fantino , 
ed  altre  popolari  feste.  Un  bel  tea- 
tro, negli  ultimi  anni  fu  eretto  con 
architettura    dell'  ingegnere    Luigi 
Fedeli,  e  coll'opera  di  Brizi  d' As- 
sisi. Alle  accademie  letterarie  degli 
Umbri  e  de'  Forlì  è  ora   sostituita 
l'accademia  Fulginia,  che  tiene  pe- 
riodicamente   le    sue    tornate.    V. 
Jacopus  Blancanus,  De  Diis  Topi- 
cis  Fulginantium  ad  XII  viros,  ac 
caetutn  fulginalìs   academiae    epi- 
stola, Fulginii    1761,  typ.  Feliciani 
et  Philippi    Campitelli.    Fra  i  pa- 
lazzi si  distinguono  quelli    di  Bar- 
nabò  ,  Candiotti ,    Orfìni ,   Gentili- 
Spinola,  Morotti,  ed  altri  più  ino- 


FOL 

derni:  della  famiglia  Barnabò  ne 
tratta  il  Gamurrini  nel  tom.  HI 
dell'  Ist.  gen.  delle  fam.  umbre;  e 
di  quella  degli  Orfìni,  il  Frenfa- 
nelli  nell'  Orazione  recitata  nell'ac* 
cademia  Fulginea.  I  terremoti  del 
i832  arrecarono  a  Foligno  e  suoi 
dintorni  immensi  danni,  ma  le  po- 
steriori riparazioni  ne  migliorarono 
l'esteriore  apparenza. 

Poche  città  mediterranee  posso- 
no   vantare    il    titolo   di   emporio 
commerciale,  che  Foligno    ha  sino 
da    epoca   remota    meritato,    ed  è 
ben  difficile  trovare  altrove   quella 
operosità  instancabile   e  quel    con- 
tinuato movimento  industriale,  che 
ne  forma  il  migliore  elogio,  e  che 
gareggiando    colle    cure    indefesse 
della  classe  agricola,    vi    moltiplica 
a  fronte  anche  delle  avverse  circo- 
stanze le  sorgenti  d'opulenza.  Quin- 
di parecchi  sono   i    fondachi    mer- 
cantili ,    importanti     le    operazioni 
bancarie ,    estese   le  corrispondenze 
de'  spedizionieri,  ed  incalcolabile  lo 
spaccio    in    dettaglio    delle    merci 
straniere ,    e    dei    generi   coloniali 
importati,  il  perchè  è  di  ciò  il  più 
vasto  deposito  dell'Umbria.  Vi  so- 
no tuttora  in  prospero    stato    cin- 
que fabbriche  di  ottima  cera  lavo- 
rata, le  quali  verso  la  fine  del  pas- 
sato secolo  erano  tredici  ;  tra  le  al- 
tre   fabbriche    rinomatissime    sono 
quelle    delle    stupende    confetture, 
ed  i  minuti  folignati  tutti  di  zucca ro 
sono  perciò  assai  noti.    Il  Jacobilli 
a  pag.   9  del  suo   Discorso,  riporta 
gli  scrittori  che  celebrarono  i  con- 
fetti   di    Foligno.     Tra    gli    opifici 
primeggiano    quelli    delle    cartiere, 
che  si  estendono  anche  ne'  subur- 
bani villaggi  di    Vescia ,    Belfiore  , 
e  Pale,  essendo  la   più    conosciuta 
la  cartiera  delle  Ripe,  ove    l'abile 
meccanico    Antonio    Rutili -Gentili 


FOL 

siJIodatOj  v'introdusse  il  metodo  di 
lavorazione    oltramontana    sì    nelle 
macchine,    che  ne'  processi   special- 
mente per  incollare  al  tinello,  cioc- 
ché non  erasi    in   avanti    praticato 
in  altre  cartiere  dello  stato   ponti- 
fìcio, per  cui  somministra  carta  di 
particolare  bellezza.  Abbondanti  so- 
no le  produzioni  de'  fertili  terreni, 
pel  qual  complesso  di  cose  in  Fo- 
ligno da   tempo   immemorabile    fu 
istituita  la  celebre  fiera  de'  Sopra- 
stanti, che  dal  21   maggio    si  pro- 
traeva al    21    luglio   con    immensi 
privilegi,   fra'  quali   il   massimo    di 
cessare   per  que'  due  mesi    la    giu- 
risdizione  ordinaria  de' governatori, 
devolvendosi  in  vece  a  cinque  con- 
siglieri municipali,  investili  anco  del 
diritto    di    sangue.    E   sebbene    tal 
privilegio  confermato  da  molti  Pon- 
tefici siasi  mantenuto    in  pieno  vi- 
gore sino  al  nuovo    impianto    am- 
ministrativo  del    1816,    eccettuata 
soltanto  l'epoca  dell'  invasione  fran- 
cese, pur  tuttavia  la  fiera  stessa  in 
ciò  che  risguardava  specialmente  il 
numeroso    estero    concorso    fin   da 
epoca  remota  passò  quindi  in  An- 
cona per  comodità  maggiore,  e  di 
là  a  Sinigaglia  ove  tutt'ora  conti- 
nua con  gran  celebrità.  Una  terza 
fiera  si  tiene  tuttavolta  in  Foligno 
a'  25  febbraio,  posteriore  alla  festa 
di    s.    Feliciano.   Della    processione 
notturna  poi  in  cui  si  porta   il  si- 
mulacro del  santo  patrono  con  sfar- 
zo di  cerei  offerti  dalle  diverse  arti 
e    mestieri,   con    l'intervento    delle 
magistrature  e    rappresentanze    dei 
limitrofi  castelli  e  ville  fin  d'anti- 
co   tributari  e    dipendenti  dal  co- 
mune, ne  parleremo    in  fine    del- 
l' articolo. 

Da  tempo  antichissimo  ebbe  que- 
sta città  l'onore  della  zecca,  su  di 
che  è  a  vedersi  Giovanni  Mengoz- 


FOL  117 

zi,  Stilla  zecca,  e  sulle    monete  di 
Foligno  dissertazione  epistolare  di- 
retta ad  Annibale    Olivieri,   Bolo- 
gna  1775.  In  questa  zecca  Pioli 
vi  fece  coniare  monete  d'oro  e  d'ar- 
gento, per  la    meditata    spedizione 
e  crociata  navale  contro   gli   otto- 
mani. Eugenio    IV,    e   Pio  II  di- 
chiararono   presidenti    della   zecca 
di  Foligno,  non  che  di  quelle  del 
ducato  di  Spoleto,    e  di  Roma  fi- 
rn iliano  Pier  Matteo,  e  Costantino 
Orfìni  nobili  folignati.  Il  primo  di 
tali  personaggi  fu  benemerito  della 
patria  per  avere  animato   e    favo- 
rito   la    stampa    nei    primordi    di 
questa  importante    invenzione ,  co- 
me pochi  anni  prima  era  stata  lar- 
gamente   protetta    in    Roma   dalla 
nobilissima  famiglia  de'  Massimi.  Fu 
nel   1469  che   Emiliano   accolse  il 
tipografo  tedesco  Giovanni  Numei- 
ster    in   sua    casa,    ed    ivi    furono 
impresse  e  pubblicate  per    la   pri- 
ma volta  le  rarissime  e  nitide  edi- 
zioni delle  Epistole  di  Cicerone,  le 
opere  di  Leonardo  Aretino,  De  bel- 
lo   italico    adversus   gotlws ,    e    la 
Divina  Commedia  di  Dante,  la  qua- 
le uscì    quivi   per    la    prima  volta 
alla  luce  nel   i472j   poscia   diffusa 
per  l'Europa.    All'incominciar    del 
corrente  secolo  rimaneva  ancora  in 
piedi    la    gran    ruota    della  zecca , 
messa  all'uopo  in  movimento  dal- 
le acque   del    canale,  per   le  quali 
movevansi    pure    molte    mole    da 
grano,  da  olio,  da   tabacco,  mac- 
chine grandiose  di  mangano,  e  gual- 
chiere. Fuligno  diede  ne'  suoi  con- 
cittadini, santi,  beati,  Papi,   cardi- 
nali, vescovi^  valenti  uomini  d'  ar- 
mi ,  ed  altri  illustri  personaggi  nel- 
le   scienze    e   nelle    arti.    Federico 
II  imperatore,  nato  in  Jesi,  vi  eb- 
be l'educazione,  e  se  ne  mostrò  con 
suo  autografo  assai    soddisfatto ,    e 


n8 


1  OL 


riconoscente.  Lodovico  Jacobilli  ci 
die  la  Vita  di  s.  Eeliciano  mar- 
tire, vescovo  e  protettore  della  città 
di  Foligno  insieme  alle  vite  de 've- 
scovi successori,  Foligno  1626  pres- 
so Agostino  Alteri.  Ci  die  pure  le 
Vite  de'  santi  e  beati  di  Foligno, 
ivi  1628  pel  detto  tipografo.  Ab- 
biamo poi  da  Julius  Lucentius,  Ful- 
gor Fulginii  in  splendoribus  san- 
ctorum,  sive  quae  beatitudine  eoe- 
lilum,  qua  sanctimoniae  laude  il- 
lustrami personarum  Fulgìnae  ci- 
vitatis  propalarti  edit  sacra,  qua 
cogitava  elogia  cum  suis  nolis,  Ro- 
mae   1703. 

Di  Foliguo  furono  i  santi  mar- 
tiri Eraclio,  Giusto,  e  Mauro; 
Messalina  vergine  e  martire,  tutti 
martirizzati  nell'  impero  di  Decio. 
11  b.  Tommaso  martire  francesca- 
no, che  co' suoi  compagni  ridusse 
al  grembo  della  Chiesa  gran  nu- 
mero di  eretici  di  Bulgaria  ed 
Ungheria,  s.  Rainaldo,  e  i  beati 
Filippo  e  Giovanni,  tutti  e  tre  ve- 
scovi di  Nocera.  I  beati  Ermanno 
e  Leonardo  discepoli  di  s.  Fran- 
cesco. Il  b.  Angelo  fondatore  del 
couvento  di  s.  Agostino.  Il  b.  Gi- 
rolamo degli  Atti  domenicano.  Il 
b.  Placido  fondatore  del  convento 
di  s.  Giovanni  di  Recanati.  I  beati 
Matteo  e  Martino  de'  minori.  Il 
b.  Giovanni  eremita  fondatore  del- 
la chiesa  ed  eremo  di  s.  Giovan- 
ni evangelista  di  Celano,  e  di  al- 
tre chiese  ed  eremi.  II  b.  Leviano 
il  quale  per  divina  ispirazione  sep- 
pellì nel  Trivio  folignate  fuori  di 
porta  Romana,  il  corpo  di  s.  Co- 
stanzo vescovo  di  Perugia.  S.  Do- 
menico abbate  di  Sora,  detto  di  Cu- 
culio per  i  motivi  che  dicemmo 
alla  sua  biografia,  ove  celebrammo 
la  pietà  degli  odierni  magistrati 
civici  di  Foligno  ,  nel  restituire  al 


FOL 

monastero  fondato    dal   santo    con- 
cittadino in  Sora,  l'  annua  oblazione 
per  le  corde  delle   campane.    Il  b. 
Paolo    Trinci    autore  della  riforma 
nel    i368    de' minori    osservanti,  e 
fondatore  di    quattro  conventi.    La 
beata  Angela    vedova,    proteggitri- 
ce  di  Foligno,    e   celebre  terziaria 
francescana,    della  quale    parliamo 
all'  articolo     Francescano      Ordine 
[Vedi),    e    di    cui    si    hanno    vari 
scritti,  fra' quali   pienissimo    di    di- 
vota unzione    ed    affetto    è    l' opu- 
scolo intitolato  De    libro  vitae    qui 
est  Chrislus,   volgarizzato  di  recen- 
te (Torino    pel  Marietti    i83g);  e 
sua  discepola    fu  la  b.     Pasqualina 
fondatrice    dei    monasteri    di    s.  A- 
gnese  di   Foligno  da    lei   chiamato 
della  b.   Margherita,  e  di    s.  Cate- 
rina di  Spoleto,   ambedue  sotto    il 
terzo  ordine  di    s.    Francesco.    La 
b.  Paola,    una    delle  fondatrici  dei 
monasteri  di    s.    Elisabetta,    e    del 
Corpo  di  Cristo    della    città    d'  A- 
quila.    Il    b.    Pietro    Cresci    nobile 
laico,    ed    altri    venerabili    servi,    e 
serve    di   Dio,    oltre  quelli    di    cui 
in  appresso    faremo  memoria.  Dalla 
famiglia     Onofri,  detta  dell'Antico 
Romano,  trassero  1'  origine  i  ss.  Pon- 
tefici   Silvestro    I,    e    Siricio.    Par- 
lando il  Novaes   di  questi  due  Pa- 
pi, dice  nelle  loro  vite  che  furono 
romani ,    e    soggiunge  :  pretendono 
alcuni  che  s.  Silvestro  e  s.   Siricio 
sieno  della   nobile   famiglia    Onofri 
di    Foligno,   dove    passò   nell'  anno 
45 1    Valerio,   della  nobile  famiglia 
Ruffia    romana,    e    che    perciò    in 
Foligno    continuasse  a  chiamarsi  col 
cognome  dell'  Antico  Romano,  fin- 
ché   da    Onofrio ,    celebre    vescovo 
della    medesima    prosapia,    dato    a 
Foligno    da    Adriano    II    nell'  870, 
lo      cambiarono     con    quello     degli 
Onofri,    come  si  legge  nell'Ughelli, 


FOL 

Italta  sacra,  tona.  I,  col.  738.  I 
cardinali  di  Foligno  sono,  Luciano 
o  Lucino  Trinci ,  creato  l' anno 
S  |  ~>  da  s.  Leone  IV  ;  Gio.  Do- 
menico Trinci,  fatto  da   Innocenzo 

III  nel  121 1  ;  Giovanni  Vitelleschi, 
il  cui  avo  era  di  Foligno,  che  nel 
1 354  andò  ad  abitare  in  Corneto 
ove  nacque  Giovanni,  che  Eugenio 

IV  fece  cardinale  nel  1 4^7  ;  Pio 
VII  creò  due  cardinali  folignati, 
Luigi  Ercolani  nel  18 16,  e  Vivia- 
no Orfini  nel  1823.  Le  notizie  di 
questi  cinque  cardinali,  sono  ripor- 
tate alle  loro  biografie  in  questo 
Dizionario.  ' 

La  gerarchia  episcopale  conta  un 
gran  numero  dei  vescovi  di  Foligno. 
11  Jacobilli  che  pubblicò  il  suo  Di- 
scorso nel  1646,  dice  che  trenta 
folignati  furono  vescovi  della  loro 
patria,  quindi  enumera  altri  foli- 
gnati vescovi  di  diverse  diocesi,  ed 
altri  fregiati  di  parecchie  dignità 
ecclesiastiche  e  civili.  Nelle  armi 
si  distinsero  principalmente  i  se- 
guenti. Corrado  generale  di  Adal- 
berto duca  di  Spoleto,  che  per 
avere  nell'anno  C)i5  in  una  trin- 
ciera  trinciato  e  fatti  in  pezzi  molti 
saraceni  presso  il  Garigliano  nella 
Puglia,  si  acquistò  il  soprannome  di 
Trincia,  per  cui  i  di  lui  discendenti 
furono  cognominati  Trinci  ;  dal- 
l' imperatore  e  da  detto  duca  ot- 
tenne alcuni  castelli  ne'  territorii 
di  Foligno,  di  Spoleto,  di  Nocera, 
e  di  Gubbio.  Monaldo  del  conte 
Mainardo,  pel  suo  valore,  nel  1 i55, 
con  Napoleone  suo  figlio,  fu  creato 
dall'  imperatore  Federico  I,  conte 
di  Corco rone,  castello  da  cui  poi 
sorse  Montefalco,  e  di  altri  luoghi, 
non  che  capitano  principale  nel- 
l' Umbria.  Robba  Castelli  conte  di 
Gallano  e  di  Castel  reale  fu  nel 
ii  58  generale    de' milanesi,  e    sul 


FOL  119 

ponte  che  da  lui  prese  il  nome 
respinse  le  armi  di  Federico  I,  e 
stabilitosi  a  Milano,  la  sua  discen- 
denza si  chiamò  Castelli.  Ranaldo 
figlio  del  suddetto  conte  Monaldo, 
occupò  eminenti  cariche  sotto  Fe- 
derico I,  ed  Enrico  VI  suo  figlio. 
Della  stessa  famiglia  vi  fu  Gerardo 
di  Masseo,  da  cui  discesero  i  Trinci 
signori  di  Foligno;  essendo  capita- 
no di  Federico  \,  nel  e  1 89  fu 
fatto  conte  di  Vignole  già  forte 
castello  del  territorio  folrgnate.  A- 
brunamante  altro  figlio  del  conte 
Monaldo,  pel  suo  coraggio  fu  da 
Corrado  duca  di  Spoleto  nel  iio,5 
dichiarato  generale  ed  economo, 
dandogli  in  moglie  la  propria  fi- 
glia. Napoleone  figlio  del  conte  Ra- 
naldo, divenne  capitano  di  Ottone 
IV,  e  poi  di  Federico  II,  pel  qua- 
le si  fece  capo  de'  ghibellini  di  Fo- 
ligno e  dell'  Umbria,  conquistando 
diversi  castelli.  Il  suo  fratello  Ar- 
maleone,  co' suoi  figli  fu  fatto  da 
Federico  II  signore  di  vari  luoghi. 
Corrado  figlio  di  Trincia  II  dei 
Trinci  nel  i25o  era  capitan  ge- 
nerale di  Corradino  figlio  di  Fe- 
derico II,  suo  coppiere  e  mastro 
giustiziere;  il  suo  fratello  Trin- 
cia III  nel  1254  qual  capo  dei 
guelfi  scacciò  da  Foligno  i  ghibel- 
lini, e  sottomise  la  città  al  domi- 
nio della  Chiesa  romana.  Naldo  di 
lui  figlio  capo  de'  guelfi  e  de'  no- 
bili, discacciò  da  Foligno  gli  Ana- 
stasi  capi  de' ghibellini,  e  de'popo- 
lani  che  la  tiranneggiavano.  Ugo- 
lino figlio  di  Nallo  nel  i322  fu 
generale  de'  perugini  ;  respinse  nel 
1328  Lodovico  il  Bavaro,  e  ven- 
ne creato  cavaliere,  e  capitano  di 
mille  soldati  da  Lodovico  I  re  di 
Ungheria  nell'  impresa  del  regno  di 
Napoli.  Il  suo  figlio  Trincia  IV 
nel   1371   da   Gregorio   XI    venne 


iao  FOL 

nominato  generale  della  Chiesa,  co- 
me lo  fu  poi  il  figlio  Ugolino  II 
nel  i3g5  da  Bonifacio  IX,  rice- 
vendo in  guiderdone  Nocera,  Be- 
vagna,  Trevi,  Montefalco  ed  altri 
luoghi.  Inoltre  Ugolino  II,  col  fi- 
glio Nicolò  Trinci  furono  generali 
de' fiorentini,  conquistando  Bettona, 
Leonessa,  Montecchio,  ed  altri  luo- 
ghi dell'  Umbria.  E  per  non  dire 
di  altri  insigni  guerrieri,  Alessan- 
dro e  Giambattista  Orfini  furono 
generali  di  credito,  e  il  secondo 
marciò  col  duca  Valentino  Cesare 
Borgia  al  conquisto  di  Romagna. 

In  lettere  e  dottrina  uscirono 
da  Foligno  dotti  teologi,  filosofi, 
medici,  giureconsulti,  canonisti,  let- 
tori di  cospicue  cattedre,  predica- 
tori, istorici,  poeti,  ec,  dandone 
le  notizie  di  molti  lo  stesso  Jaco- 
billi  nel  libro  De  scriptoribus  pro- 
vincìae  Umbriae,  e  nelle  Cronache 
di  Foligno.  Da  ultimo  fiori  il  dot- 
tissimo cav.  Feliciano  Scarpellini 
presidente  dell'accademia  de' Lin- 
cei, la  di  cui  biografia  si  legge  nel 
tom.  VII,  pag.  337  dell'  Album, 
giornale  letterario  di  Roma.  Nella 
pittura  eziandio  si  distinsero  non 
pochi  folignati  sino  dal  secolo  XIV 
e  XV  in  cui  acquistarono  rino- 
manza un  Andrea  Cagni,  Bartolo- 
meo di  Tommaso,  Pietro  Mazza- 
forti,  Cristoforo  e  Nicolò  Libera- 
tore, Pietr'  Antonio  Mesastris,  chiu- 
dendo quell'  ultimo  secolo  Nicolò 
Alunno,  due  quadri  del  quale  si 
ammirano  presso  gli  eremitani  di 
s.  Agostino  :  questo  celebrato  pit- 
tore fu  pure  maestro  a  Pietro  Pe- 
rugino, per  lo  che  Foligno  median- 
te la  mentovata  scuola  ebbe  parte 
alla  gloria  del  risorgimento  della 
pittura  in  Italia.  Molte  altre  eccel- 
lenti tavole  di  famigerati  pittori 
si  conservano  in  Foligno  e  soprat- 


FOL 

tutto  pregevolissima  «  quella  di 
Pietro  Perugino  esprimente  il  bat- 
tesimo di  Gesù,  Cristo,  che  si  con- 
serva nella  piccola  chiesa  della  «s. 
Annunziata,  cappella  del  comune  ; 
ed  il  barone  de'  Gregori  addita 
una  sagra  famiglia  dell'  immortale 
Raffaello  da  Urbino,  cui  mancò  di 
dare  quel  sommo  l'ultima  mano. 
Il  famoso  quadro  dipinto  dal  me- 
desimo, detto  la  Madonna  di  Fo- 
ligno, al  presente  uno  de'  princi- 
pali ornamenti  della  galleria  vati- 
cana, sino  al  1799  appartenne  al- 
le monache  di  s.  Anna,  dette  le 
Contesse,  per  le  quali  fu  lavorato 
dall'  incomparabile  artista,  a  dili- 
genza di  Sigismondo  de  Comitibu9, 
benemerito  concittadino,  storico  in- 
signe, e  segretario  intimo  di  cinque 
Pontefici,  il  di  cui  ritratto  vestito 
di  cappa  rossa  vedesi  a  pie  del 
quadro.  Qui  noteremo,  che  il  det- 
to monastero  di  s.  Anna  fu  fon- 
dato nel  i3g5  dalla  b.  Angelina 
contessa  di  Corbara  e  di  Civitella 
nell'  Abruzzo,  per  le  monache  ter- 
ziarie in  osservanza,  e  sotto  i  tre 
voti  essenziali  dei  clauslri,  che  fu 
il  primo  eretto  in  Italia  sotto  tal 
istituto  ;  mentre  nel  1 4^5  nel  mona- 
stero di  s.  Lucia  di  Foligno  princi- 
piò la  riforma  del  secondo  ordine  di 
s.  Chiara.  Di  altri  uomini  illustri 
di  Foligno  ne  tratta  il  Frenfa- 
nelli  nella  sua  erudita  Orazione 
accademica. 

Fu  dominata  questa  città  da 
diversi  signori,  e  primieramente  dal 
suo  edificatore  e  suoi  discendenti, 
quindi  dai  re  di  Toscana,  che  ad 
un  tempo  signoreggiarono  tutta 
l'Umbria.  L'anno  488  dell'edifi- 
cazione di  Roma  fu  sottoposta  con 
tutta  l' Umbria  e  Toscana  ai  ro- 
mani, che  la  dominarono  sino  al- 
l' anno    7 1  o,    cui   successe    Giulio 


FOL 

Cesare  o  gl'imperatori  suoi  succes- 
sori. Nel  detto  anno  /{.SS  Foligno 
fu  dai  romani  elevata  al  grado  di 
prefettura,  e  nel  492  a  quello  di 
municipio ,  divenendo  una  delle 
quindici  città  dell'  Umbria  confe- 
derate de'  romani ,  che  nel  668 
aggregarono  i  folignati  alla  loro 
cittadinanza,  e  alla  tribù  Cornelia; 
indi,  come  meglio  si  dirà,  Foligno 
passò  sotto  il  dominio  degli  inva- 
sori d'Italia,  de' duchi  di  Spoleto, 
e  de'  romani  Pontefici,  signoreg- 
giandola pure  i  Trinci,  il  Jacobilli 
nel  più  volte  citato  Discorso,  a 
pag.  4°  e  seg-  riporta  l' erudito 
cata  ogo  de*  governatori  e  rettori  di 
Foligno,  come  di  quelli  che  in  vari 
tempi  hanno  dominato  la  città. 

Nel  governo  dopo  l' espulsione 
de'  Trinci  i  Pontefici  vi  spedirono 
un  prelato  o  vescovo  coli'  antico 
grado  di  prefetto  di  Foligno,  con 
giurisdizione  su  Nocera  ed  altri 
luoghi  dominati  prima  dai  Trinci. 
Indi  successero  i  governatori  luo- 
gotenenti dei  cardinali  legati,  ve- 
nendo fatto  governo  separato  nel 
i5ig,  il  perchè  da  Clemente  VII 
in  poi  fu  retta  dai  governatori  ef- 
fettivi, siccome  lo  è  tuttora.  Il 
medesimo  Jacobilli  a  pag.  5g  e 
seg.  ci  dà  il  catalogo  de'  podestà 
di  Foligno,  avvertendo  che  i  Papi 
costumarono  governare  Foligno  per 
un  prelato  governatore,  e  per  un 
dottore  in  legge  di  sperimentata 
idoneità  per  podestà.  L' offizio  e  il 
tribunale  del  podestà  fu  eretto  in 
Foligno  nel  i  i  g8  con  suprema 
potestà  di  mero  e  misto  impero. 
L' elezione  spettava  ai  consiglieri 
del  comune.  Il  podestà  durava 
nella  carica  un  anno,  indi  soli  sei 
mesi  a  beneplacito  de'  medesimi 
consiglieri,  promovendosi  per  1'  or- 
dinario a    tale  offizio     personaggi 


FOL  i2i 

ciliari  per  nobiltà  e  valore  :  tal- 
volta erano  eletti  a  podestà  gli  stessi 
cittadini  di  Foligno  delle  più  be- 
nemerite famiglie ,  ed  in  seguito 
divenne  si  onorevole  la  dignità, 
che  l' esercitarono  signori  potenti, 
e  persino  imperatori,  e  re  di  Na- 
poli, invitandone  i  Papi  i  consi- 
glieri ad  eleggerli.  L'  autorità  e 
tribunale  del  podestà  era  differen- 
te da  quello  di  capitano  del  po- 
polo, e  del  gonfaloniere  di  giusti- 
zia, o  signore  e  poi  governatore 
della  città  ;  poiché  al  podestà  spet- 
tavano le  prime  cause,  e  quelle 
sentenziar  per  giustizia  :  al  capita- 
no appartenevano  le  appellazioni 
delle  seconde  istanze,  e  però  quan- 
do verso  il  i4oo  fu  soppressa  la 
dignità  di  capitano,  in  sua  vece 
venne  stabilito  il  giudice  delle  ap- 
pellazioni. Al  signore  e  poi  al  go- 
vernatore spettava  la  cognizione 
definitiva  delle  terze  istanze,  come 
il  far  grazia,  segnar  le  suppliche, 
e  simili.  In  progresso  di  tempo  fu 
ristretta  l'autorità  e  la  provvisione 
del  podestà,  continuandosi  l'elezione 
dai  consiglieri,  mediante  l'approva- 
zione della  sagra  consulta,  o  del 
cardinale  sopraintendente  dello  sta- 
to ecclesiastico.  Di  poi  anche  1'  uf- 
zio  e  tribunale  di  giudice  del- 
le appellazioni  restò  abolito,  con- 
centrandosi la  giurisdizione  nel  go- 
vernatore della  città. 

Il  magistrato  civico  della  città 
componevasi  di  sei  priori  del  po- 
polo, i  quali  vestivano  di  scarlatto 
rosso ,  con  residenza  nel  palazzo 
del  comune,  ove  amministravano 
la  giustizia  :  il  consiglio  de'  nobili 
denominato  centumvirale  ammini- 
strava quelle  cose  spettanti  alla  sua 
giurisdizione  della  città  e  territo- 
rio. Al  presente  avvi  il  gonfalonie- 
re capo  del  magistrato   civico,   coi 


deputati  e  consiglieri,  come  hanno 
tutte  le  città  dello  stato  pontificio, 
secondo  le  odierne  leggi.    La  città 
prese  per  arme  un  giglio  d' oro  in 
campo    rosso  ;     altri     dicono    che 
avendo  i  folignati  ricevuto  con  ono- 
revoli distinzioni  Carlo  Vili  re  di 
Francia,   questi  gli    dasse    per    im- 
presa un  giglio  d'  oro  risplendente 
in  campo  rosso.    AH'  invasione   de- 
j;li  imperiali  francesi,  nel  1809,  Fo- 
ligno divenne  capoluogo  d'un  cir- 
condario del  dipartimento  del  Tra- 
simeno, e  sede   d' un    tribunale  di 
prima  istanza.   Vi    fu   poi    stabilita 
la  direzione  centrale  delle    dogane, 
che  tenne  lungamente  gli  uffizi   di 
amministrazione  negli  ameni  casini 
faldella,  entro  il    piccolo    villaggio 
di   Pescara,  lontano    per    una  lega 
all'  est  della  città.  Vi  si  istallò  ezian- 
dio il  tribunale  prevostale  pei  con- 
trabbandi di  estesissima  giurisdizio- 
ne.  Un  liceo  di  privata  fondazione 
militarmente    organizzato   nel    con- 
vento   eremitano    di    s.    Nicolò  ac- 
quistò in  pochi  anni  qualche  fama. 
L' alta    mercatura   però,    attese    le 
circostanze  della    guerra,    decaduta 
col  secolo  XVIII,  non  è  più  risali- 
ta all'apice,  che  aveva  sì  felicemen- 
te   attinto ,    e    delle    antiche    casse 
bancarie    note    all'Europa    intera, 
non  rimane  che  l'onorevole  rimem- 
branza.    Attualmente     in    Foligno 
oltre  il  governatore  distrettuale  di 
prima  classe,  avvi    il    tribunale    di 
prima     istanza,  erettovi    dal     Papa 
che  regna,  per  le  cui  generose  con- 
cessioni non  solo    vi  si    è  ampliato 
il    tribunale  di  commercio  di  anti- 
chissima   istituzione,    ma    aggiunta 
puranco  una    camera   di   commer- 
cio, pregi  i  più  singolari  cui    città 
mediterranea  possa  aspirare. 

Al    distretto  di    Foligno    appar- 
tengono ancora  i  governi  di  Spd- 


FOL 
lo,  Assisi t  fiorerà,  e    Gualdo    Ta- 
dino (Fedi).   Il  proprio  governo  poi 
non    comprende  che  gli    appodiati 
di   Colfiorito,    Rasiglia,    e   Scopoli. 
Novera  poi  nella    sua  amministra- 
zione   municipale    sessanta  villaggi, 
fra  i    quali  sono  a  ricordarsi  Pale, 
situato    all'  est   in    distanza  di  due 
leghe,    per    le    sue    grotte    ripiene 
di   stallatiti,    e    pei    diversi    opifici 
attivati  dal    piccolo    fiume    Meno- 
tre,   che    nella    sottoposta   valle    vi 
forma  varie    cadute    d'acqua;  Ca- 
podacqua,    per    elevarvisi  dappres- 
so l'  eminenza    chiamata   Colfonaro 
ove  nacque  s.  Domenico  abbate;  e 
s.  Eraclio  al  sud  con  antico  castello 
e  torre,  ove  le  truppe  acquartiera  vali- 
si, perciò  detta  Statio  Fulginas,  per 
trovarsi  ad    una    lega    assai  scarsa 
dalla  città,  sulla  strada  romana,  ed 
essere  ornato  da  due    vaghe  chie- 
se,  tenendovisi  fra  l'anno  parecchie 
fiere.   Questo  paese  rispetto  al  mu- 
rato   castello,    esisteva    ancora    nel 
3oo,  giacché  in   quell'epoca    vi  fu 
martirizzato  Eraclio,  uno  de'solda- 
ti    pagani    del    castello   stesso .  Del 
territorio  di  Foligno,  come  di  quel- 
lo della    sua    diocesi,  de'  principali 
suoi    prodotti,  de' fiumi    che  l'in- 
naffiano, ed    altre  cose  relative,   ne 
discorre    il    Jacobilli    nel     menzio- 
nato libro,  a    pag.    i  i    e  seg.    Nei 
suburbani    dintorni    di    Foligno    si 
trovano,  il    monastero  cassinese  in- 
titolato a  s.    Feliciano,  il  quale  fu 
posto  sull'  eculeo    nella  colonna  di 
marmo,  che  esiste  alla  croce   bian- 
ca,   e  fu    quindi    trascinato  sino    a 
quel  campo  che  denominossi  Mor- 
monzone  ove  spirò,  in  memoria  di 
che  a  pubbliche  spese  fu  edificala 
la  chiesa,  e  data  poi  ai    monaci  in 
cura  ;  il  monistero  degli    Olivetani, 
assai  grandioso,  posto  in   mezzo  al- 
la prima  campagna,  e  detto  perciò 


FOL 

di  s.    Maria  in    Campis.    Lodovico 
Jacobilli    ci    die  la    Cronaca    della 
chiesa    e    monistcro    di    s.    Maria 
in   Campis,  detta  ancìie  di  s.  Ma- 
ria   Maggiore   fuori  della    città  di 
Foligno,    ivi    i653    appresso    Ago- 
stino   Alteri.    Avvi  il  convento  dei 
minori    osservanti    posto  su  d'  una 
vaga  collina,  e    denominato    di  s. 
Bartolomeo  ,    da    dove ,  varcandosi 
angusta  valle,  si  giunge  alla  Fon- 
te-Marana  di    limpidissime    e  salu- 
berrime acque;  poco  distante,  ed  in 
situazione  più  amena  ed  elervata  avvi 
il  convento  de'  cappuccini.    Nel  so- 
vrapposto monte  vi  è  1'  antica  ab- 
bazia   e    monistero   di  s.  Croce  di 
Sassovivo,    costruita  verso  il    1070 
o    1080  da  Mai  nardo  monaco  cas- 
sinese    di    santa    vita,    e    di    mol- 
ta   dottrina,     istitutore    di  una  ri- 
forma di    monaci  benedettini,    che 
poi  divenne  capo  di  congregazione, 
prendendo    il    nome    di    Congrega- 
zione di  Sassovivo  di  Foligno,  con 
parecchi  monisteri  sotto    di  sé.   In 
questa  abbazia  a'  17    luglio     1 3 1 3 
mori  il  b.  Alana  di  Germania  mo- 
naco dottissimo,  e  tra  quelli  che  vi 
fiorirono    rammenteremo   il  b.  Al- 
berto,   Giovanni,    Dionisio,    Pietro, 
Michele  abbati  e  monaci  della  me- 
desima,  in    cui    menarono  vita    e- 
semplarissima.    Inoltre  l'abbazia  fu 
grandemente  arricchita  dai  Trinci; 
nel    pontificato    di    Benedetto    XII 
passò    in    potere    de' cisterciensi,    e 
quindi    degli  abbati  commendatari, 
fra'  quali    il  cardinal  Marco  Barbo 
che  la  divise  in  commenda  cardi- 
nalizia,  ed    in    abbazia    monastica. 
La  prima  fu    da    Pio  VII    riunita 
alla  mensa  arcivescovile  di  Spoleto, 
e  la  seconda  fu  dal  regnante  Gre- 
gorio XVI  conceduta  per    aumen- 
to di  dotazione  alla  mensa   episco- 
pale di    Foligno.  11  suddetto  Jaco- 


FOL  1^3 

billi  coi  memorati  tipi  nel  i653 
pubblicò  la  Cronica  della  chiesa 
e  monistcro  di  s.  Croce  di  Sasso- 
vivo  nel  territorio  di  Foligno. 

Nel   territorio    di    dipoli,  fra  i 
monti,  a   tre  leghe  di  distanza    da 
Foligno  è    il    santuario    di  s.  Pie- 
tro detto  de' Cancelli,  ove  pia  tra- 
dizione   addita    una    pietra  santifi- 
cata dal  contatto  del    principe  de- 
gli apostoli  nel  suo  pio  pellegrina- 
re,  concorrendovi    con    fiducia    ad 
implorare  la   sanità  le  persone  af- 
flitte da  malori  reumatici.  Non  ab- 
bonda Foligno  di  archeologici  mo- 
numenti, ma    pure  ne' dintorni    di 
s.  Maria   in    Campis   si  sono  ope- 
rati utilmente  degli  scavi,  e  si  sco- 
prirono    alcune    camere     lastricate 
a  mosaico,  gli   avanzi  d'un  tempio 
dedicato  ad  Ebe  dea  della  gioven- 
tù,   avanzi    di    acquidotti  ,    strade 
dette   ab    antico  di   ferro,    iscrizio- 
ni, marmi    figurati,  e  lumi   eterni. 
Di  altri    avanzi  d'antichità  ne  par- 
la il    Jacobilli    a  pag.    17    del  suo 
Discorso,  il    quale  inoltre    afferma 
che  in  questo  antichissimo  sobbor- 
go   eranvi    sontuosi  casini  di    deli- 
zie,   con   amenissimi    giardini,    che 
le  belle  arti  avevano  adornati   ma- 
gnificamente.    A    due    leghe    dalla 
città  per  la  via  consolare  di   Noce- 
ra  trovasi  sul  Topino  il  ponte  Cen- 
tesimo ,  designato    da    Giulio  Cesa- 
re per    additare    la     distanza  pre- 
cisa    di    cento    miglia     da    Roma. 
Dei  pregi    della    città    e  diocesi  di 
Foligno    il     concittadino    Lodovico 
Jacobilli,  nel    1646,    colle    stampe 
di  Agostino  Alteri,  pubblicò  il  me- 
morato Discorso  della  città  di  Fo- 
ligno,   colla    cronologia   de' vescovi, 
governatori  e   podestà  ;  ed  il  cata- 
logo de'  suoi  conventi  e  monisteri, 
con    l' indice    de'  castelli  e    villaggi 
del   territorio    e    diocesi    folignate. 


i*4  FOL 

Che  Foligno  In  alcun  tempo  mai 
cercò  fama  prepotente  di  domi- 
nazione sulle  vicine  città,  ma  solo 
ne' civili  consigli  della  pace,  negli 
studi  piacevoli  ed  utili  delle  let- 
tere, nelle  laboriose  investigazioni 
delle  scienze,  nell'attività  dell'in- 
dustria, e  che  contenta  si  manten- 
ne di  un  nome  onorato  e  tran- 
quillo, il  dimostrò  il  patrizio  fo- 
lignate  Giacomo  Frenfanelli,  nella 
erudita  Orazione,  che  nell'accade- 
mia Fulginia  de'  6  aprile  182 3 
pronunziò  per  l'esaltazione  del  car- 
dinal Viviano  Orfìni ,  pubblicata 
nel  1829  in  Foligno  dalla  rino- 
mata tipografia  Totnassini. 

Foligno  o  Fuligno,  in  latino 
Fulminea  o  Fulginium ,  forse  da 
fulgeo  per  Ja  sua  splendidezza,  o 
Fulci aia ,  da  fulcire,  per  la  sua 
fortezza,  nomi  di  cui  rende  ragio- 
ne il  Jacobilli  a  pag.  3  e  4>  d 
quale  pur  dice  essergli  derivato  da 
Fulginio  fondatore  della  città,  ivi 
riportando  il  nome  degli  storici 
e  geografi  che  parlano  del  sito  ove 
sorge,  e  non  altrove  come  alcuni 
opinarono  ;  cosi  a  pag.  9  discor- 
re della  sua  deliziosa  posizione,  mu- 
raglia, fortificazioni  e  temperatu- 
ra, come  della  sua  topografica  di- 
visione civile  ed  ecclesiastica.  Tut- 
tavolta  va  notato ,  che  il  lodato 
ingegnere  Rutili- Gentili,  nel  suo 
Saggio  storico,  ai  capi  I  e  II,  con 
giuste  osservazioni  ci  dà  molti 
interessanti  schiarimenti  sulla  po- 
sizione dell'antica  Fulginia,  e  sue 
attenenze  suburbane,  alquanto  di- 
versa dalle  testimonianze  de'prece- 
denti  storici,  come  della  situazione 
e  struttura  del  primitivo  tempio. 
3Von  si  deve  tacere  che  alcuni  scrit- 
tori contrastarono  alla  città  di  Fo- 
ligno una  propria  e  rimota  origi- 
ne;   ma  le  testimonianze  veridiche 


FOL 

ed  onorevoli  di  Marco  Porzio  Ca- 
tone ,  di  Marco  Tullio  Cicerone, 
di  Giulio  Cesare,  e  di  altri  tolgo- 
no ogni  dubbio  a  qualunque  con- 
traria opinione,  come  di  quegli  sto- 
rici che  ne  attribuirono  la  fonda- 
zione ai  celti  della  Liguria,  che 
poi  si  dissero  umbri,  727  anni 
avanti  l'origine  di  Roma.  Il  Jaco- 
billi narra,  coll'autorità  di  parec- 
chie storie  e  monumenti  antichi, 
che  Foligno  fu  edificata  dagli  an- 
tichi umbri,  discacciati  dai  tirreni, 
detti  poi  tusci  o  toscani ,  e  che  il 
principale  edificatore  suo  chiamos- 
si  Fulginio ,  o  Fulcinio,  uno  dei 
loro  primi  capitani,  donde  ne  pre- 
se la  denominazione,  ovvero  perchè 
ben  presto  rifulse  e  risplendette 
tra  le  città  e  luoghi  della  regione. 
Assegna  a  tale  edificazione  1'  epoca 
dell'anno  circa  il  2482  della  creazio- 
ne del  mondo,  al  tempo  di  Tirreno 
re  di  Toscana,  e  poi  d'Italia.  Per  il 
lustro  che  si  procacciò  la  città  vuoi- 
si che  dominasse  sui  popoli  di 
dieci  limitrofe  città.  Dicemmo  già 
che  Foliguo  venue  dai  romani  no« 
verata  tra  le  quindici  città  umbre 
loro  confederate,  e  ch'ebbe  succes- 
sivamente gli  onori  della  cittadi- 
nanza romana,  con  ascrizione  alla 
tribù.  Cornelia,  e  i  gradi  di  pre- 
fettura e  municipio.  I  folignati  som- 
ministrarono ai  romani  di  frequen- 
te armate  genti,  massime  nella 
spedizione  africana  di  Pisone,  ne- 
gli aiuti  che  questi  portò  a  Pu- 
blio Cornelio  Scipione  ,  e  nel- 
la battaglia  di  Canne  combattuta 
dal  cartaginese  Annibale.  Lucio 
Roscio  da  Foligno  fu  valoroso 
cavaliere ,  e  generale  di  Giulio 
Cesare  nella  guerra  contro  le 
Gallie. 

Più  volte  la  città  fu  saccheggia- 
ta e  rovinata.  La  prima  fu  l'anno 


FOL 

di  Roma   44^»   quando  i  folignati 
uniti  ad  altri  umbri  e  toscani  mar- 
ciarono contro    quella  città,   e  ve- 
nendo   disfatti    dal    console    Fabio 
Massimo,  questi   portò  poi  la  rovi- 
na sui  luoghi  nemici,  che  rinnovò 
l'anno  4^8  per  essersi  uniti  i  foli- 
gnati   a    danno    de'  romani    anche 
coi  galli-senoni  e  coi  sanniti.  Dopo 
che  Annibale  l'anno  536  di  Roma 
Tinse  i  suoi   eserciti ,    ed    uccise   il 
console  C.  Flaminio,  avviandosi  per 
Roma  punì  la   resistenza   di   Foli- 
gno con    {smantellarne  le  mura,  e 
manomettere  il  territorio.  La  città 
venne    poi    restaurata    da    Scipione 
vittorioso  de'  cartaginesi.  Nell'anno 
566    di  Roma    C.  Flaminio   figlio 
del  precedente,  colle  pingui  spoglie 
delle  vittorie  che  riportò  sui  ligu- 
ri  frisinati  ed  apuani  ,  edificò  nel- 
l'Umbria, circa  due  miglia  distante 
da  Foligno,  una  città  che  dal  pro- 
prio nome  chiamò  Foro  Flaminio; 
riedificò  le  mura  di  Foligno  rovi- 
nate   dai    cartaginesi  ,    e    dai  suoi 
schiavi  fece  lastricare  la  strada  che 
per  lui  fu  detta  Flaminia,  incomin- 
ciata già    da  Roma  dal  di  lui  ge- 
nitore. Ricevè    Foligno    altri  gravi 
danni    e  saccheggiamenti  dalle  fa- 
zioni contrarie    nelle    guerre    civili 
de'  romani,  dappoiché  nell'anno  di 
Roma    663  aderì    con    altre    città 
dell'  Umbria    ai  marsi  ,  popoli    del 
Lazio,  nella  guerra    sociale  a  dan» 
no  de'  romani ,    per  cui   L.  P.   Ca- 
tone  molto  la  danneggiò.  Tre  an- 
ni dopo  aderì  a   Caio  Mario,  con- 
tro il  dittatore  Siila;  nell'anno  704 
di  Roma    parteggiò    per   Pompeo, 
ed  otto  anni  dopo  seguì  il   trium- 
viro   Marc'Antonio.    Altri    danneg- 
giamenti provò    Foligno    nella   no- 
stra era ,    siccome   posta    in  luogo 
per  cui  si  passa  recandosi  a  Roma. 
Alarico  re  de'visogoli  nel  4 12,  Gtn- 


FOL  12J 

serico    re  de'  vandali   nel  4^2>  At- 
tila re  degli  unni  nel  4^3,  Odoa- 
cre  re  degli    eruli   nel  47^,  occu- 
parono un    dopo  l'altro,  e  rovina- 
rono Foligno,  come  pur  fece  il   re 
Teodorico.  Totila  re  degli  ostrogo- 
ti nel  546   se  ne    impadronì ,    ma 
Relisario    la    ricuperò     all'  impero 
l'anno  55o,  facendo  altrettanto  Nar- 
sete  quando   la    prese  a  Teia  ulti- 
mo re  goto.    Nel  571   Alboino   re 
de'  longobardi  avendo  occupato  tut- 
ta l'Umbria,  costituì  il  ducato  di 
Spoleto    comprendendovi    Foligno , 
ove  i  duchi    mandarono    a    gover- 
narlo sino  al   11 98   un  luogotenen- 
te e  giudice.   Agilulfo  eLuitprando, 
altri  re  longobardi,  portarono  dan- 
ni alla  città.  Quest'ultimo  portò  la 
rovina    alle    città    di    Foligno  e  di 
Foro -Flaminio     nella    guerra    che 
fece  al  duca  di    Spoleto  Trasmon- 
do ,  cui    tolse   il  ducato    per  dovlo 
al    suo    fedele   Ildebrando.    Quindi 
si   può    fissare    la    riedificazione    di 
Foligno  verso    la    metà    o  termine 
dell'  Vili  secolo.  Questa  città  rice- 
vè notabile    accrescimento  dagli  a- 
bitanti    di   F01  o- Flaminio  ,    la  cui 
città  nel  740   fu  pure  rovinata  dai 
longobardi,  le  cui   vestigia  si  vedo- 
no tuttora  ne'  dintorni  della  rura- 
le parrocchia,  che  corrottamente  si 
disse  Forflamma ,    ed    oggi  s.  Gio- 
vanni-Profiamma,  restando  una   le- 
ga   distante    sulla    destra    riva  del 
Tupino  :  si    racconta   che  neh'  epo- 
ca longobardica   Foro-Flaminio  so- 
stenesse lungo    assedio   con  sommo 
valore    ed    intrepidezza.    Nel    781 
Carlo  Magno  donò  alla   Chiesa    ro- 
mana   il    ducato    di   Spoleto ,    colle 
sue  dipendenze ,    insieme   a  questa 
città. 

Molto  soffrì  Foligno  nell!84o  dai 
saraceni,  e  dagli  ungari  nel  910  e 
nel    924.    Yerso    l'anno  1160,    ai 


iiG  FOL 

tempi  di  Federico  I  imperatore,  Fo- 
ligno fu  ampliata  con  altra  contra- 
da allora  fuori  della  porta  dell'ab- 
bazia, che  però  si  chiamò  nova  ci-  • 
vitas  Fulminei,  vcl  nova  civitas  Ab- 
baliae,  per  essersi  edificati  gli  edi- 
fici presso  un'abbazia  de'  benedet- 
tini, ch'era  nella  chiesa  di  s.  Sal- 
vatore. Divenuto  nel  i  198  Ponte- 
fice Innocenzo  III  ,  rivolse  il  suo 
grande  animo  a  ricuperare  alla  Se- 
de apostolica  tutta  l'Umbria,  com- 
presa la  città  di  Foligno.  D'allora 
in  poi  i  Papi  governarono  il  du- 
cato di  Spoleto  per  un  rettore,  il 
quale  delegava  al  governo  di  Fo- 
ligno un  luogotenente.  Di  poi  Cor- 
rado Guiscardo,  capitano  di  Fede- 
rico II,  con  grosso  esercito  entrò 
nell'Umbria,  e  per  quell'impera- 
tore nel  1227  occupò  Foligno,  e 
ne  fu  fatto  signore,  discacciando 
molti  folignati  di  parte  guelfa.  Ma 
nell'anno  seguente  il  cardinal  Gio- 
vanni Colonna  legato  di  Gregorio 
IX,  alla  testa  delle  milizie  della 
Chiesa ,  e  coll'aiuto  di  questi  foli- 
gnati ,  capo  de'  quali  Trincio  di 
Berardo  Trinci  già  capitano  di  O- 
norioIII,  discacciò  Corrado  dalla 
città,  e  la  restituì  al  dominio  pon- 
tificio. Non  andò  guari  che  nel  I235 
la  riprese  Federico  II ,  e  vi  lasciò 
per  suo  vicario  e  prefetto  il  me- 
desimo Corrado,  che  nel  1239  i 
guelfi  dell'  Umbria  e  di  Orvieto 
espulsero,  restituendo  la  città  a 
Gregorio  IX.  Tuttavolta  nell'  istes- 
so  anno  Enzio  re  di  Sardegna,  fi- 
glio di  Federico  II ,  la  sottopose 
alla  sua  dominazione.  Tommaso  di 
Aquino  napoletano,  conte  d'Acerra 
ed  avo  di  s.  Tommaso,  capitano  ge- 
nerale di  Federico  II,  entrò  in  Fo- 
ligno l'ultimo  di  gennaio  1240,  in 
compagnia  dell'imperatore,  che  fu 
ricevuto  con  grande  onore  qual  si- 


FOL 

gnore  della  città;  quindi  l'augusto 
ne  nominò  vicario  il  conte  Tom- 
maso, discacciandone  Trincio  di  Be- 
rardo capitano  de'  guelfi,  i  quali  si- 
no al  12,54  furono  infrenati  dal 
conte.  Nel  giugno  di  quest'anno, 
Bonifacio  Fogliani  da  Reggio  di 
Lombardia,  rettore  del  ducato  di 
Spoleto  per  Alessandro  IV,  con  l'a- 
iuto de' spolelini,  de' perugini  e  di 
Trincio  Trinci  figlio  del  preceden- 
te e  capitano  de'  guelfi ,  ritolse  la 
città  agli  imperiali  per  la  Chiesa  , 
stabilendo  suo  vicario  e  vice-retto- 
re Trincio,  che  restituì  i  guelfi  che 
n'erano  stati  discacciati.  Anastasio 
di  messer  Filippo  Anastasi  foligna- 
te,  essendo  priore  delle  arti  e  del 
popolo,  nel  1264  si  pose  alla  testa 
de'  ghibellini,  e  con  l' aiuto  degli 
imperiali  occupò  la  città  ,  reggen- 
dola con  molta  asprezza  col  titolo 
di  gonfaloniere  di  giustizia  del  po- 
polo di  Foligno  sino  al  1288,  epo- 
ca di  sua  morte.  Verso  questo  tem- 
po Foligno  si  collegò  con  Terni  e 
con  parecchie  altre  città  umbre,  e 
nel  1281  i  perugini  l'aveano  posta 
interamente  a  soqquadro. 

Dall'anno  1280  sino  al  1291  si 
fabbricarono  le  nuove  mura  di  pie- 
tre, tolte  da  Moutaroni,  luogo  del- 
la villa  di  Carpello.  Dentro  a  que- 
ste mura  furono  inclusi  tutti  i  bor- 
ghi ch'erano  fuori  della  città,  mas- 
sime le  contrade  del  ponte  di  Ce- 
sare,  de'Pugilli  abitato  da  quelli 
di  Fuligni  o  Fulignano,  e  di  Ca- 
stel vecchio  di  Todi  :  vi  fu  pur 
compresa  la  contrada  dell'Abbadia 
fuori  di  porta  Romana,  colle  anti- 
che porte  della  città  delle  quali  se 
ne  edificarono  altre  quattro.  In  tal 
maniera  la  città  ad  un  tempo  fu 
ampliata ,  abbellita  e  fortificata.  I 
folignati  dal  r  289  in  poi  attribui- 
scono al  patrocinio    del  loro  pria- 


FOL 

cipale  protettore  s.  Feliciano,  che 
la  città  non  fosse  più  rovinata.  Ad 
Anastasio  nell'oftìzio  e  tirannia  suc- 
cesse il  figlio  Corrado ,  che  domi- 
nò sino  al  1 3o3  in  un  ai  fratelli 
Gerardo,  Ermanno  e  Filippo,  che 
essendo  nemici  de'Trinci,  tra  di  lo- 
ro e  guelfi  e  ghibellini  successero 
molte  battaglie  e  danneggiamenti. 
Però  a  Nallo  figlio  di  Trincio,  coi 
suoi  guelfi  e  perugini ,  nel  luglio 
i3o5  riuscì  di  liberar  la  patria  dal 
giogo  degli  Anastasi  :  fu  quindi 
creato  gonfaloniere  e  capitano  del 
popolo ,  con  libero  dominio  sulla 
città  e  territorio  di  Foligno,  pro- 
fittando dell'  assenza  di  Clemente 
V  che  avea  stabilita  la  residenza 
in  Avignone.  A  Nallo  nel  13^3  suc- 
cesse nell'offizio  e  nel  dominio  il 
figlio  Ugolino  Trinci ,  ed  a  questi 
nel  i34H  il  figlio  Trincio  Trinci 
che  divenne  vicario  della  santa  Se- 
de. Questa  qualifica  nel  i36o  gli 
fu  confermata  dal  celebre  cardinal 
Egidio  Albornoz  spagnuolo,  legato 
d'Italia.  Verso  l'anno  i3fio  coll'au- 
torità  del  cardinale  fu  eretta  in  Fo- 
ligno una  rocca,  chiamandosi  cas- 
sare con  voce  spagnuola ,  la  con- 
trada ove  fu  edificata  :  questa  roc- 
ca fu  demolita  nel  1  4^9j  dopo  l'e- 
spulsione de',  Trinci.  Urbano  V  ai 
3o  novembre  1367  creò  vicario  di 
Foligno  e  suo  contado  per  la  san- 
ta Sede,  il  detto  Trincio ,  coll'an- 
nuo  tributo  di  uno  sparviere;  ed 
il  successore  Gregorio  XI,  come  di- 
cemmo, lo  dichiarò  generale  della 
Chiesa,  e  signore  di  Bevagna,  Li- 
misano  e  Giano.  Nel  1 377  gli  suc- 
cesse nel  dominio  Corrado  Trinci. 
Ugolino  primogenito  di  Trincio  , 
dopo  lo  zio  prese  le  redini  della 
città  nel  i386:  Bonifacio  IX  a'  1  7 
agosto  1  392  lo  creò  vicario  di  Fo- 
ligno ,    di    Nocera    e   di    Bevagna , 


FOL  127 

Trevi,  Giano,  Montecchio ,  Casta- 
gnola, Colle  del  Marchese,  e  della 
rocca  del  ponte  di  Cerreto  nell'Um- 
bria ,  coll'annuo  censo  alla  camera 
apostolica  di  mille  fiorini  d'oro. 

Frattanto  essendo  i  perugini  stan- 
chi delle  fazioni  di  Bucarino  e  Ba- 
spante ,  pregarono  Bonifacio  IX  di 
consolarli  colla  sua  pontificia  pre- 
senza. Il  Papa  vi  si  recò,  e  in  pas- 
sando per  Foligno  fu  da  Ugolino 
ricevuto  col  più  grande  onore.  Giun- 
se a  Perugia  a'  1 7  ottobre  1 392  , 
donde  poi  mal  soddisfatto  ne  par- 
tì ,  fermandosi  in  Assisi  sino  a'  4 
settembre  1 3g3  ,  donde  per  Foli- 
gno fece  ritorno  in  Boma  a'  i5 
settembre.  Grato  Bonifacio  IX  agli 
omaggi  ricevuti  da  Ugolino  ed  agli 
aiuti  contro  i  perugini,  lo  distinse 
col  donativo  della  rosa  d'oro  be- 
nedetta. Al  medesimo  Ugolino  il 
Papa  Giovanni  XXIII  nel  i4i3 
confermò  il  vicariato  de'  suddetti 
luoghi,  aggiungendovi  le  terre  di 
Bettona  e  di  Montefalco ,  ed  i  ca- 
stelli di  Collemancio ,  Gualdo-Cat- 
tano,  Castel-buono  e  Limisano.  In 
oltre  Ugolino  acquistò  Fiano,  Stia- 
no, le  rocche  di  Andolina,  di  Ga- 
lestro ,  di  Pasano  e  di  Amandola. 
Ladislao  re  di  Napoli  ne  cercò  l'a- 
micizia, e  gli  die  a  vita  in  gover- 
no Lionessa.  Nicolò  Trinci  primo- 
genito di  Ugolino  gli  successe  nel- 
la signoria  a' 2  giugno  1^1 5  ;  indi 
nel  seguente  anno  acquistò  la  ter- 
ra di  Nolfa,  e  i  castelli  di  Melace 
e  Polino:  ma  per  la  sua  tirannia 
co'  sudditi,  fu  ucciso  agli  1 1  genna- 
io i42r>  con  Bartolomeo  suo  fra- 
tello, nella  rocca  di  Nocera.  Succes- 
se l'altro  fratello  Corrado  II,  il  qua- 
le nel  i4^5  comprò  la  terra  di  Pie- 
deluco  col  suo  lago,  ed  il  castello 
di  Miranda,  e  nel  i43i  Vissuta. 
Ma    Corrado  II    per    favorire    i   ri- 


i28  FOL 

belli  di  santa  Chiesa ,  esercitando 
duro  dispotismo  e  tirannia  co'  sud- 
diti, determinò  il  Pontefice  Euge- 
nio IV  di  mandargli  contro  colle 
milizie  ecclesiastiche  il  celebre  e  va- 
loroso cardinal  legato  d' Italia  Gio- 
vanni Vitelleschi  patriarca  di  Ales- 
sandria, arcivescovo  di  Firenze,  il 
quale  co'  famosi  capitani  di  santa 
Chiesa  Rinaldo  Orsini,  conte  Ever- 
so dell'  Anguillaia,  Nicolò  Vitelli , 
Paolo  della  Molara  ed  altri,  mos- 
se contro  i  Trinci  con  settemila 
cavalli  e  cinquemila  fanti,  forman- 
do quattro  campi ,  e  si  impadronì 
di  Bevagna ,  Nocera  e  Trevi  ;  ma 
Foligno  sostenne  vigorosamente  per 
lungo  tempo  l' assedio ,  finché  gli 
stessi  cittadini  richiamando  l'antica 
divozione,  e  stanchi  della  tirannica 
dominazione  de' Trinci,  risolvettero 
darsi  volontariamente  al  Pontefice 
sotto  speciali  condizioni  espresse 
nella  capitolazione  (  il  cui  contesto 
conservasi  nell'  archivio  comunale, 
e  finora  mai  pubblicato),  che  pro- 
posta a  detto  legato,  e  pienamente 
da  questo  accettata,  i  medesimi  a- 
gli  8  settembre  i4^9  posero  al 
possesso  di  Foligno  il  cardinale  le- 
gato ,  che  fece  prigione  Corrado 
Trinci  ultimo  signor  di  Foligno  ; 
indi  fece  decapitare  Corrado  II 
co'  suoi  tre  figli.  Così  Foligno  con 
tutti  i  luoghi  dominati  dai  Trinci, 
tornò  al  pieno  e  diretto  dominio 
della  Chiesa  romana ,  dopo  avere 
i  Trinci  signoreggiato  in  Foligno 
per  1 34  anni.  Dorio  Durante  scris- 
se V  Istoria  della  famiglia  Trinci 
con  memorie  di  Foligno ,  Nocera , 
Gualdo,  Foligno  i638  per  Agosti- 
no Alteri.  INel  1648  si  fece  una 
seconda  edizione  di  questa  genea- 
logica storia  della  potente  famiglia 
Trinci. 

Eugenio  IV  dichiarò     rettore  di 


FOL 

Foligno  e  del  ducato  di  Spoleto, 
a'g  settembre  1439,  il  cardinal  Vi- 
telleschi, il  quale  vi  lasciò  per  luo- 
gotenente in  Foligno,  Pietro  Vitel- 
leschi cavaliere  gerosolimitano,  suo 
parente.  Nel  i44°  venne  fatto  go- 
vernatore e  prefetto  di  Foligno,  e 
di  tutti  i  luoghi  già  dominati  dai 
Trinci ,  Mattia  Fusci  vescovo  di 
Rieti,  cui  successe  nel  i44f  Loren- 
zo di  Andrea  degli  Atti  da  Todi , 
scudiere  di  onore  di  Eugenio  IV. 
Quando  il  cardinal  Domenico  Ca- 
pranica  venne  dichiarato  legato  di 
Perugia  e  del  ducato  di  Spoleto , 
deputò  in  suo  luogotenente  e  com- 
missario di  Foligno  Troilo  Verdi- 
lotti  di  Ascoli,  ch'era  giudice  del- 
le appellazioni  di  Foligno.  Nel  i4^i 
ne  fu  governatore  Cesare  Conti  di 
Lucca ,  marito  di  Caterina  Lucani 
sorella  del  Papa  Nicolò  V.  Pier 
Luigi  Borgia  di  Valenza  nipote  di 
Calisto  III,  e  generale  di  s.  Chiesa, 
fu  nominato  governatore  nel  1^.56, . 
11  conte  Giacomo  Tolomei  di  Sie- 
na, cognato  di  Pio  II  fu  da  que- 
sti nel  i4%  fatto  governatore,  e 
nel  1460  gli  die  per  successore  l'al- 
tro suo  congiunto  Nanni  Piccolo- 
mini  sanese.  Allorché  era  legato  di 
Perugia  e  dell'  Umbria  il  cardinal 
R-affaele  Riario,  il  quale  avea  pre- 
posto suo  luogotenente  in  Foligno 
Francesco  Rutilioni ,  il  di  lui  zio 
Sisto  IV  per  la  pestilenza  che  fla- 
gellava Roma ,  in  compagnia  di 
molti  cardinali,  a' 23  agosto  i47^ 
si  recò  ad  Assisi,  ed  a'  27  detto  a 
Foligno  ,  da  dove  s'avviò  per  Ro- 
ma a'  7  ottobre.  Il  di  lui  succes- 
sore Innocenzo  VIII  vedendo  che 
ne'dominii  della  Chiesa  i  guelfi  e 
ghibellini  rinnovavano  le  antiche 
fazioni,  massime  in  Todi  ed  in  Fo- 
ligno, nel  1488  invitò  Massimilia- 
no I  re  de'  romani  a  porvi  energi- 


FOL 

co  riparo.  Indi  nel  i49°  Innocen- 
zo Vili  fece  governatore  eli  Foli- 
gno, e  sue  pertinenze,  non  che  di 
Spoleto  ed  Assisi,  il  proprio  fratel- 
lo Maurizio  Cibo  genovese  ,  presi- 
dente dello  stato  ecclesiastico.  Ales- 
sandro VI  fece  governatore  nel 
i4p,5  il  cardinal  Raimondo  Pe- 
rauld  francese,  vescovo  di  Gurck, 
che  nel  i5oo  tornò  ad  esserne  gover- 
natore. E  qui  merita  pure  di  ve- 
nire ricordato,  come  lo  stesso  Ales- 
sandro VI ,  con  moto-proprio  del 
i4g3  confermato  da  molti,  posterio- 
ri Pontefici.,  concedesse  alla  città  di 
Foligno  a  titolo  di  feudo  baronale  il 
castello  di  Gualdo-Catlano,  ed  ai  ma- 
gistrati il  governo  perpetuo  del  me- 
desimo, il  quale  per  effetto  di  devo- 
to ossequio,  e  per  uniformarsi  alle 
sagge  viste  del  nuovo  impianto  am- 
ministrativo del  1816,  venne  spon- 
taneamente con  solenne  istromento 
della  medesima  città  riceduto,  re- 
stando tuttavia  conservato  al  co- 
mune l' onore  del  titolo  baronale 
su  detto  feudo.  Nel  i5iq  Clemen- 
te VII  nominò  governatore  il  suo 
parente  Giacomo  de'  Medici  di  Fi- 
renze. Pio  IV  nel  i56o  conferì  tal 
carica  al  cardinal  Lorenzo  Strozzi 
nipote  di  Leone  X,  il  quale  portos- 
si  a  risiedere  in  Foligno.  Anche 
molli  distinti  prelati,  poi  elevati  al 
cardinalato ,  furono  governatori  di 
questa  città  e  suo  territorio.  Per 
la  sua  topografica  posizione  Foli- 
gno ricevette  nelle  sue  mura  un 
grandissimo  numero  di  sovrani ,  e 
di  sommi  Pontefici,  de'  quali  ci  li- 
miteremo a  far  menzione  degli  ul- 
timi tre  Papi  che  l' onorarono  di 
loro  presenza. 

Recandosi   nel  1782    Pio   VI    a 

Vienna  dall'imperatore  Giuseppe  li, 

pernottò    la    prima    sera    del     suo 

"viaggio  }  a'  28  febbraio ,    nel  con- 

vol.   xxv. 


FOL  129 

vento  di  s.  Agostino  di  Foligno , 
ove  giunse  alle  ore  24.  Fu  rice- 
vuto colla  debita  venerazione  da 
monsignor  vescovo  Gaetano  Zinan- 
ni,  da  altri  vescovi,  e  dal  capitolo 
e  magistrato  della  città.  Nella  mattina 
seguente  ascoltò  nella  contigua  chiesa 
la  messa,  ammettendo  in  sagristia 
al  bacio  del  piede  molti  della  no- 
biltà di  ambo  i  sessi,  ed  altre  di- 
stinte persone;  indi  alle  ore  12  pro- 
seguì il  viaggio.  Reduce  da  Vien- 
na arrivò  a  Foligno  lunedì  io  giu- 
gno ad  ore  22,  venendo  incontra- 
to alla  porta  del  convento  di  s.  A- 
gostino  dai  nominati  personaggi,  e 
dal  cardinal  Antamori  vescovo  di 
Orvieto  :  nella  sera  vi  fu  generale 
illuminazione.  Nella  mattina  ap- 
presso dopo  avere  assistito  nella 
medesima  chiesa  al  santo  sagrifizio, 
e  di  avere  ammesso  nella  sagristia 
al  bacio  del  piede  gran  numero  di 
persone,  asceso  in  carrozza  si  por- 
tò al  palazzo  pubblico ,  ove  diede 
all'affollato  popolo  l' apostolica  be- 
nedizione ;  indi  Pio  VI  continuò  il 
suo  viaggio,  fra  le  acclamazioni  dei 
folignati.  Questo  gran  Pontefice  ter- 
minò il  suo  glorioso  pontificato  col 
vedere  occupati  i  suoi  dominii  dal- 
le armi  repubblicane  di  Francia. 
Nel  1797  i  francesi  fissarono  in  Fo- 
liguo  il  quartiere  generale ,  e  per 
la  sua  comoda  situazione  vi  restò 
per  lungo  tempo ,  divenendo  per 
la  sua  centralità  piazza  d'armi.  La 
città  si  mostrò  in  tutte  le  calamitose 
vicende  amica  dell'ordine  e  della  pub- 
blica salvezza,  né  le  cittadine  spa- 
de permisero,  che  i  molti  anarchi- 
ci ond'era  circondata,  s'insinuasse- 
ro dentro  le  sue  mura,  ponendo 
anche  a  perigliosi  cimenti  l'ardita 
gioventù,  le  proprie  vite,  mentre  i 
seniori  della  patria  sul  di  lei  peri- 
colo tenevano  consulta.  In  Foligno 
9 


i3o  FOL 

le  truppe  regolai-i  di  ogni  nazione 
vi  ebbero  sempre  ospitale  accoglien- 
za. Intanto  la  divina  provvidenza 
permise  cbe  al  defunto  Pio  VI,  nel 
1800  si  eleggesse  in  Venezia  per 
successore  Pio  VII,  a  cui  venivano 
restituiti  i  doni  ini  i  della  santa  Se- 
de, meno  le  legazioni. 

Avendo  stabilito  Pio  VII  di  re- 
stituirsi a  Roma,  parti  da  Venezia, 
ed  ai  27  giugno,  avendo  seco  in 
carrozza  i  cardinali  Doria  e  Bra- 
schi,  giunse  in  Foligno  tra  il  tripu- 
dio de' cittadini ,  ricevuto  dal  ve- 
scovo Marc' Antonio  Moscardini,  dal 
civico  magistrato,  e  dalle  altre  au- 
torità ,  non  cbe  da  diversi  perso- 
naggi massime  della  gerarchia  ec- 
clesiastica. Recatosi  alla  cattedrale 
all'  adorazione  del  ss.  Sagramento, 
fi  trovò  il  pio  Carlo  Emmanue- 
le  IV  re  di  Sardegna,  colla  regina 
sua  sposa  la  ven.  Maria  Adelaide 
Clotilde,  e  madama  Felicita,  i  qua- 
li compiuta  la  sagra  funzione ,  in 
cui  il  detto  cardinal  Giuseppe  Bo- 
ria die  la  benedizione  colla  ss.  Eu- 
caristia, nell'atto  che  Pio  VII  sta- 
va per  alzarsi  dal  genuflessorio , 
con  tanta  prontezza  e  divozione 
prostraronsi  a  baciare  i  di  lui  pie- 
di, eh'  egli  non  potè  impedirlo,  re- 
standone commosso  ed  edificato 
ciascuno  de'  numerosi  spettatori. 
Indi  il  Papa  si  recò  in  sagristia 
ove  s'intrattenne  coi  nominati  tre 
reali  personaggi ,  ammettendo  al 
bacio  del  piede  diversi  arcivescovi 
e  prelati,  non  che  il  capitolo,  ma- 
gistrato, nobiltà,  e  molti  del  clero 
e  di  altri  ceti.  Di  poi  il  Pontefice 
passò  ad  alloggiare  nell'episcopio  in 
cui  dette  udienza  a  più  distinte 
persone.  La  seguente  mattina  28 
giugno  ricevette  varie  deputazioni 
de'  circostanti  luoghi ,  e  gran  nu- 
mero di   nobiltà   d'ambo  i  sessi,  e 


FOL 

nuovamente  i  magistrati ,  capitolo  e 
clero  della  città.  Nelle  ore  pomeridia- 
ne il  Papa  permise  che  le  monache 
di   tutti  i  monisteri  di    Foligno  in 
due  più  ampli  e  comodi  si  riunisse- 
ro :  si  portò  a  quello  della  ss.   Tri- 
nità in  Annunziata  di  francescane, 
ove  eransi    precedentemente  recate 
in  processione  coll'accompagnamen- 
to  di  parecchie  dame,  le    religiose 
benedettine  dal  monistero  detto  di 
Betlemme,  le  domenicane  da  quel- 
lo del  Popolo,  le  agostiniane  dette 
le  Nere  da  quello  di  s.  Elisabetta, 
e  le    altre    dello    stesso    ordine  da 
quello   della    Croce ,  le  francescane 
del  terzo  ordine  da  quel  di  s.  An- 
tonio, e  le  altre    dette  le  Contesse 
da  quel  di  s.  Anna,  unitamente  al- 
le maestre    pie  della   dottrina  cri- 
stiana, tutte  ammesse  dal  Pontefice 
al  bacio  del  piede.  In  questo  istes- 
so    giorno,  vigilia    della    festa    dei 
ss.  Pietro  e  Paolo,  in  considerazio- 
ne del  gran  concorso  de'  forestieri, 
e  ad  istanza    del    vescovo  Pio  VII 
accordò  l'uso  de'  latticinii  ;  e  resti- 
tuì la  visita  ai  nominati   reali  per- 
sonaggi. E  siccome   nel  giorno  se- 
guente    ricorreva    la     festività    dei 
ss.  Pietro  e  Paolo,   celebrò  priva- 
tamente nella  cattedrale  la  messa , 
assistendovi    i    lodati    coniugi.     In 
questa   circostanza   nella    cattedrale 
comparve  più  risplendente  la  gran 
statua  di  argento  del  patrono  s.  Fe- 
liciano,  che  da  patrio  zelo  era  sta- 
ta preservata  dall'  avidità  repubbli- 
cana degli  stranieri  invasori.  Dopo 
la    messa   il   Papa    ascese  il    trono 
eretto  nella  piazza,  e  comparti  al- 
l'immenso popolo  l'apostolica  bene- 
dizione; indi  come  nel  giorno  pre- 
cedente   ammise  alla    sua  mensa  i 
tre   reali   personaggi ,    i    quali   poi 
a'  2    luglio    partirono    per    Roma. 
Nelle  ore  pomeridiane  nel  moniste- 


FOL 

io  delle  suddette  francescane,  ossia 
delle  cappuccine  di  s.  Lucia,  si  riu- 
nirono le  francescane   di  s.  Cateri- 
na ,    le    monache    urbaniste    di    s. 
Claudio,  ed  i  tre  conservatorii  del- 
le   oblate    di   s.  Orsola,    delle    o- 
blate   filippine   ed   orfane,  e  delle 
penitenti,  vi  si  portò  pure  Pio  VII 
e  le  ammise  tutte  al  bacio  del  pie- 
de, insieme  a  molte  dame  ed  altre 
donne  :  tornato  all'episcopio  ricevè 
la  uffizialità  sì  imperiale  austriaca, 
che   la    urbana.    Nella    sera    come 
nelle  precedenti    ebbe  luogo   gran- 
de illuminazione.  Pio  VII  benedet- 
ti  replicatamele  i  buoni  folignati, 
continuò  nella  mattina  dei  3o  giu- 
gno   il    suo    viaggio    per    Spoleto. 
Nel    i8o5   Pio  VII  di   ritorno   da 
Parigi ,  onorò    nuovamente  di  sua 
presenza  questa  città,  a'i3  maggio, 
venendo  incontrato  dal  vescovo  Mo- 
scardini, dal  prelato  Viviano  Orfi- 
ni  folignate,  dal  magistrato,  e  dal- 
le altre  autorità,  avendo  avuto  luo- 
go la  presentazione  delle  chiavi  del- 
la città.  Smontò  alla  cattedrale,  ove 
ricevette  col    venerabile  la  benedi- 
zione da  monsignor  Gregori,  prima 
dignità  del  capitolo,   e  passato   nel 
palazzo  priorale,  da  una  loggia  ben 
addobbata  bened\  il  popolo.,  e  po- 
scia ammise   al  bacio    del    piede  il 
clero ,   il  magistrato  ,    le    autorità  , 
molti  nobili,  dame,  ed  altre  perso- 
ne, partendo    dopo   le   ore  19  per 
SpoletOj  tra  il  plauso  de'  folignati, 
il    suono    delle    campane  ,    e    della 
banda  militare.  Il  magistrato  ebbe 
l'onore  di  servire  di  mensa  nel  sud- 
delio  suo  palazzo  priorale  il  Pon- 
tefice:  in    altra  tavola   di  sessanta 
coperte  furono  splendidamente  trat- 
tati tre  cardinali,    il  nobile  ponti- 
ficio corteggio  ed  altri  personaggi  ; 
mentre  la  seconda  tavola  più    nu- 
merosa fu  contemporaneamente  ser- 


FOL  .3r 

vita.  Nel  partire  dal  palazzo  prio- 
rale, Pio  VII  vide  nelle  scale  con 
gradita  sorpresa,  che  il  gonfalonie- 
re nobile  Giacomo  Frenfanelli  col- 
la magistratura,  aveano  eretto  una 
iscrizione  per  eternar  la  memoria 
dell'alto  onore  concesso  al  pubbli- 
co folignate.  Ancora  un'altra  volta 
Pio  VII  fu  a  Foligno,  cioè  nel  i8i4j 
ciò  che  andiamo  a  narrare. 

Avendo  gl'imperiali  francesi  pre- 
potentemente occupato  lo  stato  pon- 
tificio, nel   1809  osarono  imprigio- 
nare Pio  VII,  trascinandolo  qua  e 
là  per  cinque  anni,  finché  nel  181 4 
fu  restituito    alla    sua    sede    ed    ai 
suoi  sudditi.  Questo  ritorno   fu  un 
vero    trionfo    per    la    religione,    e 
per  quell'immortale  Pontefice.  Nel 
viaggio  che  questi  imprese  per  Ro- 
ma, dimorò  in  Foligno  nel  palazzo 
della  nobile  famiglia  Vitelleschi  fat- 
to preparare    dal    marchese    Carlo 
Giberti,  per  le   ragioni  che  si  leg- 
gono a  p.   25  della  Relazione  che 
citeremo,  cioè  ne'  giorni    17,   19  e 
20  maggio,   con    inesprimibile    en- 
tusiasmo di    tutta  Foligno    per    si 
fausta  circostanza,  in  cui  il  vescovo 
Moscardini  ebbe  per  la   terza  vol- 
ta la  compiacenza    di    ricevere  Pio 
VII.  Una  deputazione    di    cavalieri 
si     umiliò     al    Pontefice    alla    case 
nuove;  ed  un  miglio  distante  dal- 
la    città    molti    fra    i   più    distinti 
cittadini,  vestiti  di    uniforme,  stac- 
cando i  cavalli  dalla  carrozza  pon- 
tificia, vollero    con  cordoni  di  seta 
tirarla  sino  la  menzionato  palazzo. 
Si  riunirono  in  quel  punto  ancora 
tutte  le  confraternite  con    croci  di 
argento,  e  toixie    accese,    le    quali 
con    banda    musicale    precedettero 
il   treno  pontificio  processionalmen- 
te.   Alla    porta    della    città    il    ceto 
nobile  eresse  un  elegantissimo  arco 
trionfale,     con     iscrizione    analoga, 


i3a  FOL 

e  statue  simboleggianti  l' una  e  l'al- 
tra podestà.  Giunto  Pio  VII  a  det- 
ta porta  fu  ricevuto  da  monsignor 
delegato,  dal  governatore,    e    reg- 
genza   provvisoria  :     ricevette    alla 
custodia  di  sua  sagra  persona  tren- 
ta guardie  nobili  vestite  di  unifor- 
me nero,  e  con  fascia  traversa    di 
seta    gialla   e  bianca.    Con  questo 
corteggio     il    Papa    discese    dalla 
carrozza,  ed  entrò  nella  chiesa  del- 
la   confraternita    di    s.    Maria    del 
Pianto,  ove  adorato  il  ss.    Sagra- 
mento    ne  ricevè    la    benedizione. 
Rimontato  in  carrozza  e  giunto  al- 
la   gran    piazza,    ove    a    spese    dei 
signori  mercanti    era    stato    eretto 
un  magnifico  tempio  sacro  alla  fe- 
de, e  adornato  delle  statue  dei  ss. 
apostoli ,    e    da    triplici    iscrizioni, 
sopra  un    trono    posto    nel    mezzo 
del    tempio    compartì    l' apostolica 
benedizione  all'affollato  popolo  esul- 
tante ;  indi    passò   al  suo    alloggio. 
Nella  seguente  mattina  il  Papa  ce- 
lebrò la  messa    bassa    nella    catte- 
drale, e  recatosi  al  palazzo   pubbli- 
co, vestito    pontificalmente    benedì 
solennemente  il   popolo.    Ivi   e  nel 
palazzo  di  sua  residenza  ammise  al 
bacio  del  piede  ogni  ceto  di    per- 
sone. Fra  le    molte    grandiose    di- 
mostrazioni di  giubilo,  ed  i  nume- 
rosi archi  di  trionfo,    i     vari    obe- 
lischi, e  le  altre  superbe   moli  in- 
nalzate   dal    magistrato    e    popolo 
folignate,  meritano  di   essere    cele- 
brati i  tre  magnifici  archi  costruiti 
interamente  di    cera    levantina.    Il 
primo  arco  era  in  vicinanza    della 
chiesa  del  Pianto,  poco  lungi  dalla 
porta    Lauretana,    o   dell'Abbadia, 
e  s' innalzava  per  59  palmi,  aven- 
done 16  d'ampiezza,  formando  due 
frontoni  1'  uno  a  quadri,  l' altro  a 
cugni    bianchi    e  gialli ,    soprastati 
dai  pontificii    stemmi,   e   sorgendo 


FOL 

dal  mezzo  una  guglia    con    vasi  e 
fiori    di    minuto  elegantissimo    la- 
voro, da  cui  pendeva  un  fanale.  II 
suo   peso    fu    di    duemila   cinque- 
cento libbre.  Ai  lati  del  gran  tem- 
pio semicircolare  eretto  nella  mag- 
gior   piazza    per    rappresentare    il 
trionfo     della    religione,    sorgevano 
gli    altri  due    splendidissimi    archi, 
formati  con  libbre  quattromila   ot- 
tocento di  candida  cera,  tratta  in- 
teramente dalla  fabbrica  Piermarini, 
dell'altezza  di  palmi  58,  e  della  lar- 
ghezza di  palmi  34.  Posavano  poi  su 
quattro  piedistalli  dinanzi  al  tempio 
altrettanti    vasi  di  fiori,  dell'  altez- 
za di  palmi  nove,  ciascuno  acqua- 
li pesava  trenta  libbre,   e   sì   egre- 
giamente lavorati  in  cera,  che  for- 
marono pel  loro  maestrevole  lavoro 
l'attenzione  del  Papa,  al  quale  dal 
ceto    de'  mercanti    vennero    offerti, 
ed  egli  ne  presentò  poscia  in  Roma 
l' augusto  suo  ospite  Carlo    IV    re 
di  Spagna.  E  qui  va  notato  che  a 
mezzo  di  monsignor   Sala  poi  car- 
dinale, Pio  VII    con   onorifica  let- 
tera   fece    esternare    a    Domenico 
Spezi,  uno  de'  più.  zelanti  deputa- 
ti del  ceto  de' mercanti  di  Foligno, 
il  suo  gradimento  pel  dono  de'quat- 
tro  vasi  e  per  tutte  le  dimostrazio- 
ni fatte  dal  medesimo    ceto,    e   ad 
esso  deputato  rimise  due  medaglie, 
1'  una  d'oro,  l'altra  d'  argento,  cul- 
la sua  pontificia   effigie.    Nella   di- 
mora di  Pio    VII    a   Foligno   am- 
mise alla    sua    presenza    i    primari 
della  città ,    visitò    vari    luoghi,    e 
benedì  più  volte  il  popolo  :  a  spe- 
se del  pubblico  fu  incendiata  nella 
piazza     dei    Canapè   una    superba 
macchina    di    fuochi    artificiali ,    e 
lungo  il  passeggio  vi    fu    corsa    di 
cavalli.  Si  ritenne  che  la  metà  del- 
l'Umbria,  oltre  i  moltissimi  tosca- 
ni e  marchegiani,    si    recasse    per 


FOL 

sì  fausto  avvenimento  in  Foligno. 
1J  sabbato  21  maggio  Pio  VII  pro- 
segui il  suo  viaggio  per  Roma.  V. 
la  Relazione  delle  feste ,  e  delle 
pompe  fatte  in  Fuligno  in  occa- 
sione del  passaggio  del  sommo  Pon- 
tefice Pio  Papa  FU  per  la  mede- 
sima città  succeduto  nell'anno  1 8 1 4, 
Fuligno  1814  pei'  Gio.  Tomassini. 
Tante  dimostrazioni  di  fedeltà  e 
di  attaccamento  de'  folignati  ai  ro- 
mani Pontefici  rinnovaronsi  per 
ben  due  volte  nel  settembre  1841, 
al  regnante  Gregorio  XVI,  nel  viag- 
gio intrapreso  in  alcune  provincie 
de'  suoi  stati,  per  visitare  diversi 
santuari  de'  medesimi.  Vari  nume- 
ri del  Diario  di  Roma,  e  della 
Gazzetta  universale  di  Foligno, 
(la  quale  ebbe  principio  nel  1799 
appenna  cessata  la  repubblica,  fu 
interrotta  all'  invasione  francese  nel 
1809,  e  venne  ripristinata  nel  mag- 
gio 1814  al  risorgimento  del  go- 
verno pontificio,  la  cui  giunta  stra- 
ordinaria con  suo  decreto  la  qua- 
lificò per  fedelissima  e  degna  di 
particolar  privilegio  )  descrissero  la 
dimora  del  Papa  in  questa  città, 
ma  noi  desumeremo  il  seguente 
compendioso  racconto  dall'  opuscolo 
intitolato  :  Brevi  cenni  delle  pub- 
bliche dimostrazioni  di  esultanza 
in  Fuligno  quando  la  Santità  di 
Nostro  Signore  Gregorio  XVI  la 
onorava  dell'  augusta  sua  presenza 
nei  giorni  4»  5,  6,  21  e  22  settem- 
bre 1841,  dati  dal  redattore  della 
Gazzetta  universale  Francesco  Sa- 
verio Tomassini  ai  suoi  signori 
associati.  Venendo  il  magistrato  ci- 
vico di  Foligno  in  cognizione  del 
viaggio  che  intraprendevasi  dal  co- 
mmi pache  de'  fedeli,  e  loro  bene- 
fico sovrano,  allorché  egli  giunse 
a'  3  settembre  in  Spoleto,  una  de- 
putazione presentò  al  Pontefice  gli 


FOL  i33 

omaggi  d'ogni  ordine  di  persone 
della  città,  impaziente  di  venerarlo 
tra  loro.  In  fronte  alla  porta  Ro- 
mana, un'  epigrafe  ciò  confermava  : 
il  suo  interno  era  decorato  a  festa, 
e  la  bella  via  che  conduce  alla 
piazza  grande  fu  cospersa  di  fiori, 
essendo  ornate  le  finestre  di  da- 
maschi. Ivi  si  eresse  dal  collegio 
de'  mercanti,  istituito  dal  medesimo 
Gregorio  XVI ,  un  arco  trionfale 
tutto  di  cera  levantina  bianca  e 
gialla  (  colori  dello  stato  ),  ridotta 
a  spugna  col  gettito  nell'  acqua, 
con  due  analoghe  iscrizioni.  Gialla 
grezza  la  cera  che  costituiva  tutto 
il  masso  della  costruzione  ;  bianca 
in  gragnuola  era  quella  che  ne 
formava  le  decorazioni.  Inoltre  ave- 
va pilastrure  con  trabeazioni  joni- 
che.  Scompartito  nell'  archivolto  se- 
micircolare a  cassettoni  col  fondo 
giallo  e  rosoni  bianchi ,  foggiati 
a  basso  rilievo  per  la  particolarità 
dell'  industria  nel  gettito  delle  cere 
il  fregio  dell'  ordine,  la  fronte  del- 
l'archivolto,  e  tutti  gli  ornamenti 
del  pontificio  stemma.  Quest'  arco 
fu  disegnato  e  diretto  dall'  archi- 
tetto del  comune  Vincenzo  Vitali. 
Lungo  la  strada  Romana  infini- 
to era  il  popolo  accorso  dalle  cir- 
costanti città  e  castelli  :  i  paesani 
del  castello  di  s.  Eraclio  avevano 
eretto  un  arco  a  damaschi  bianchi 
e  rossi,  decorato  di  bosso  e  di  al- 
loro con  iscrizione,  la  quale  in  un 
a  tutte  le  altre  che  qui  accennere- 
mo, dal  zelante  e  benemerito  fo- 
lignate  autore  del  citato  opuscolo 
sono  in  questo  riportate.  Intanto 
il  suono  di  tutte  le  campane,  e 
quello  musicale  della  banda  de'  di- 
lettanti della  città,  accompagnato 
dallo  sparo  de'  mortari  annunzia- 
rono sul  mezzodì  de'  4  settembre 
l'arrivo    dell'  augusto    viaggiatore. 


i34  FOL 

Alla  porta  Romana  il  gonfaloniere 
della  città  conte  Alessandro  Or- 
fini  gli  presentò  le  chiavi  su  ricco 
cuscino,  con  omaggio  di  parole  di- 
vote  e  filiali,  cui  fecero  eco  le  ac- 
clamazioni del  popolo  giubilante. 
Ivi  pure  trovaronsi  ad  ossequiar  il 
Pontefice  monsignor  Pecci  delega- 
to apostolico  della  provincia,  il 
conte  Ferdinando  Dandini  de  Sylva 
governatore  della  città,  il  presiden- 
te del  tribunale  di  prima  istanza 
avv.  Francesco  INicoletti,  e  le  ma- 
gistrature de' vari  ordini,  i  capi 
della  guarnigione  militare,  co' ri- 
spettivi corteggi.  Frattanto  un  drap- 
pello di  giovani  appartenenti  a  no- 
bili e  distinte  famiglie,  vestiti  a 
nero ,  e  cinti  di  fascio  bianche  e 
gialle,  ottennero  dal  Papa  d'essere 
sostituiti  ai  cavalli  per  trarne  col- 
le braccia  la  carrozza,  che  venne 
circondata  da  un  coro  di  bellissimi 
fanciulli  inghirlandati,  vestiti  a  so- 
miglianza di  aerei  genietti,  i  quali 
spargevano  a  piene  maui  timi  e 
rose;  queste  ed  altri  fiori  a  guisa 
di  pioggia  caddero  dalle  finestre, 
mentre  le  più.  vive  acclamazioni 
intenerirono  il  cuore  paterno  del 
Pontefice ,  che  con  benedizioni  ed 
affettuosi  modi  chiaramente  dimo- 
strò commozione  e  gradimento. 
Giunto  alla  chiesa  cattedrale,  deco- 
rosamente illuminata  con  sfarzo  di 
cerei  per  cura  del  capitolo,  trovò 
disposte  ordinatamente  le  croci  di 
argento  delle  confraternite,  molto 
pregevoli  per  la  squisitezza  del  la- 
voro; fu  ricevuto  con  ogni  manie- 
ra di  ossequio  dallo  stesso  capito- 
lo, dal  collegio  dei  beneficiati  delle 
due  insigni  collegiate  della  città, 
dai  seminaristi  e  dai  chierici,  es- 
sendo alla  testa  di  tutti  1'  ottimo 
vescovo  monsignor  Arcangelo  Poli- 
dori,  che   meritamente  fu  onoralo 


FOL 

dal  Papa  di  cordiali   amplessi,  e  di 
parole    confortanti    ed     amorevoli. 
Ivi  pure  trovossi  il  cardinal  Mario 
Mattei  segretario   per    gli  affari  di 
stato  interni,  come  sopraintendente 
al     pontificio  viaggio,  non  che  di- 
versi   vescovi  limitrofi,  e  quello  di 
Nocera  die  col  ss.  Sagramento  pre- 
cedentemente esposto,  la    trina  be- 
nedizione. Quindi   i  canonici  prese- 
ro   le    aste  del   baldacchino,    sotto 
il  quale  procedette  al  palazzo  mu- 
nicipale il    Pontefice,  da  dove  be- 
nedi    l'immenso     popolo     accorso, 
consolandolo     con    atti    e    sguardi 
benevoli.     Decorosamente    era    ad- 
dobbato   tal    palazzo ,  e  nella   sala 
del    medesimo    chiamata    delle  ar- 
mi, per  le    pitture  dei  blasoni  del 
patriziato,  si   leggevano  sette  gran- 
di    iscrizioni    non    solo     celebranti 
l'avvenimento,   ma  i  benefizi    con- 
cessi da    Gregorio  XVI  ai  foligna- 
ti  col    far    rifiorire    il  tribunale  di 
commercio,   con    quelli    compartiti 
nel    i835    alla  camera  commercia- 
le, co'  soccorsi  dati  alla  città  nelle 
rovine    cagionategli    dal  terremoto, 
colla     decorazione     del     restaurato 
palazzo  pretoriale,    cogli  aiuti  dati 
allo     stabilimento    dei     benemeriti 
religiosi  delle  scuole  cristiane,  colla 
concessione  nel    1842    del  tribuna- 
le di  prima  istanza   donde  proven- 
nero   ai    cittadini     tanti    vantaggi, 
per  mediazione  del  vescovo  zelante 
che    allora  governava     la    diocesi , 
ora  cardinal  Ignazio  Giovanni   Ca- 
dolini  arcivescovo  di  Ferrara.  Qui- 
vi con    distinzione  ricevette    il  Pa- 
pa al  bacio  del  piede  la  magistra- 
tura civica,    giustamente    esultante 
del    compartitole    onore,    come    di 
vedere    tanta  benigna    amorevolez- 
za nel   principe  e  padre. 

Dal  decoroso  palazzo  municipale, 
Gregorio  XVI    si    avviò  all'episco- 


FOL 

pio,  tuo  ospizio,  ove  ammise  al  ba- 
cio   del    piede  il    capitolo,    gl'indi- 
vidui  delle  due  collegiate,  il    clero 
secolare  e  regolare,  i  membri  com- 
ponenti il  tribunale  di  prima  istan- 
za ,    quelli  della    camera    di    com- 
mercio ed  altri   pubblici    funziona- 
ri. La  sera    per  la  città   vi   fu  ge- 
nerale,   brillante  e    splendida  illu- 
minazione, quasi  tutta  eseguita  con 
mirabile  profusione    di     cera  ;  pri- 
meggiando   i   principali     edifizi    si 
pubblici ,    che     privati,    leggendosi 
sul  prospetto  di    quello  del  tribu- 
nale di  prima  istanza  il  sentimen- 
to della  curia  riconoscente,  con  la- 
tina epigrafe.  Nella  mattina  seguen- 
te, dopo   avere    il    Papa    ammesso 
alla    sua  presenza   diverse  corpora- 
zioni della  città,  si  recò  a  visitare 
i   moniste!?  delle  Clarisse  di  s.    Lu- 
cia, e  di  s.  Claudio,  e  nuovamen- 
te a  benedire   il   popolo  dalla   log- 
gia del    palazzo    municipale.    Fece 
ritorno  nella  cattedrale  a  venerare 
il  simulacro  di  s.  B'eliciano,  e  mos- 
so dall'antica  e  pronfonda  divozio- 
ne   che    i    folignati     professano  al 
medesimo,  per  le  istanze  del  capi- 
tolo   e    della    civica    magistratura, 
concesse  nuovamente  indulgenza  ple- 
naria perpetua  ogni  qualvolta    ven- 
ga   il    simulacro    esposto  per    qua- 
lunque bisogno  alla  pubblica  vene- 
razione ,    dichiarando    il    Pontefice 
che   se  ne    facesse  pubblica  memo- 
ria, indicando  precisamente  la  cir- 
costanza del   luogo,    del    giorno    e 
dell'  ora  in    cui  1'  aveva    concessa. 
lodi   restituitosi  all'episcopio,    s'in- 
trattenne coll'amato  vescovo,  come 
delizia    del  gregge    commessogli  da 
lui.  Nelle  ore    pomeridiane  Grego- 
rio   XVI  rallegrò  colla  sua  presen- 
za i  monisteri  delle  monache  della 
ss.  Annunziata,  e  quello  di  Betlem- 
me, ove  le  orfanelle  in  cura  delle 


FOL  i3~ 

oblate  filippine  gli  baciarono  il 
piede.  La  pioggia  impedì  nella  se- 
ra la  festa  popolare  disposta  alla 
passeggiata  dei  Canapè,  come  l'in- 
cendio de'  fuochi  artifiziali.  Nella 
mattina  del  giorno  6  il  Papa  s'av- 
viò alla  volta  di  Camerino. 

Tra  le  città,  che  nel   memorato 
viaggio  ebbero  la   ventura    di    ac- 
cogliere nelle  sue  mura    il    Ponte- 
fice, soltanto  Foligno    ebbe  quella 
di  riceverlo  due    volte.   Restituen- 
dosi egli  in  Roma,  sul  mezzodì  del 
2 1   settembre  ritornò  tra  i  foligna- 
ti, che  con    adatta     epigrafe  posta 
in  fronte  alla  porta    dell' abbadia, 
ciò    rimarcarono ,    venendo    incon- 
trato ossequiosamente    dalle    auto- 
rità  civili    e    militari,     ed  alla  te- 
sta di  queste  ultime  era    il    gene- 
ral Zamboni,   ed    il    maggior    Ca- 
raffa comandante  della  piazza.  L'en- 
tusiasmo nel  popolo    fu    maggiore 
della  venuta,  e  l'esultanza  fu   per- 
tanto universale.  Nel    mezzo    della 
piazza  di  s.  Agostino ,    per    volere 
della  confraternita  di  s.  Lionardo, 
si   trovò  eretta  una  statua  equestre, 
in    cui    figuravasi    personificato     il 
celebre  colle    Quirinale ,   una  delle 
due  residenze  pontificie  in  Roma , 
luogo  da  dove  era  partito  e  dove- 
va ritornare  Gregorio  XVI  :  la  sta- 
tua era  armata  a  foggia  cavallere- 
sca, avente  nelle  mani    le    chiavi , 
insegna  della  Chiesa  romana,    leg- 
gendosi nel  basamento  un'epigrafe 
dedicatoria    dello    stesso    sodalizio. 
Poco  lungi  dalla  chiesa    di  s.   An- 
na, il   Papa  vide  con  piacere  altro 
monumento  in  cera   ivi    innalzato. 
Esso  consisteva  in  un  arco    trion- 
fale tutto  di  cera  bianca    a    opera 
finita,  lucida  e  regolare.  L'arco  po- 
sava la  sua  curva  semicircolare  so- 
pra otto  colonne  scanalate  d'  ordi- 
ne   ionico    antico,    che    sorgevano 


i36  FOL 

grandiose  da  due  plinte  quadrate. 
Alle  colonne  era  corrispondente  l'ar- 
chitettura, ed  il  soffitto  ornato  di 
grande  rosone  fra  i  quattro  capi- 
telli. L'arcata  adorna  di  fascie  re- 
golari era  costrutta  a  tredici  gran- 
di cunei,  ai  quali  corrispondeva  lo 
scompartimento  del  soffitto  in  al- 
trettanti cassettoni  con  rosone.  Di 
glandi  massi  regolarmente  distri- 
buiti in  costruzione  d'opera  finita 
e  lucida  sembrando  marmo,  erano 
ambedue  le  fronti  e  i  corniciaraen- 
ti,  essendo  le  fronti  dell'attico  a 
scaglioni.  Dal  mezzo  dell'attico  sor- 
geva lo  stemma  pontificio,  e  sui 
fianchi  in  corrispondenza  degl'  in- 
tercolunni due  grandi  faci.  Ad  o- 
gni  fianco  dell'arcata  s'incrociava- 
no due  palme  a  ghirlanda.  E  le 
iscrizioni,  e  le  palme,  e  i  fregi  del- 
lo stemma  vagamente  dorati.  Que- 
st'  arco  tutto  cera  bianca,  pure  in- 
ventato e  diretto  dall'architetto  del 
comune  Vincenzo  Vitali,  offri  in- 
sieme un  monumento  grandioso , 
svelto  e  robusto.  Due  brevi  epi- 
grafi l' inaugurarono  in  nome  del- 
la città  a  Gregorio  XVI,  il  quale 
per  la  singoiar  materia  dell'  arco, 
come  per  la  sua  magnifica  e  ra- 
gionata forma,  grandemente  lo  lodò 
ed  ammirò. 

Fra  lo  spargimento  de'  fiori  dei 
fanciulli,  il  suono  delle  campane  e 
della  banda,  le  strepitose  acclama- 
zioni, progredì  il  treno  pontificio 
per  la  via  che  dal  Trivio  mette 
alla  piazza  grande.  Questa  si  vide 
abbellita  da  altro  maraviglioso  mo- 
numento in  cera,  eretto  dagl'im- 
piegati governativi  e  camerali.  Su 
di  un  gran  basamento  era  una  sta- 
tua colossale  pur  di  cera,  di  circa 
diecisette  palmi,  raffigurante  al  vi- 
vo lo  stesso  sommo  Pontefice,  ve- 
stito co'  sagri  indumenti  e  col  tri- 


FOL 
regno  in  capo,  in  atto  di  maesto- 
samente benedire  il  popolo,  di  sor- 
prendente lavoro.  La  sedia  ezian- 
dio tutta  di  cera,  ridotta  a  piena 
cordellina,  si  vide  decorata  di  belli 
ornati,  primeggiando  nel  postergale 
l'arma  del  Papa.  11  concepimento 
devesi  al  lodato  Vitali,  la  direzio- 
ne della  statua  all'ingegnere  An- 
tonio Rutili-Gentili ,  e  la  meravi- 
gliosa esecuzione  a  Filippo  Berar- 
di;  mentre  la  sedia  fu  inventata 
ed  eseguita  da  Vincenzo  Agostini. 
Ai  quattro  lati  del  basamento  si 
leggevano  in  altrettante  iscrizioni , 
l' encomio  delle  principali  virtù,  e 
i  fasti  di  Gregorio  XVI.  La  statua 
e  l'arco  di  cera  vennero  mantenuti 
otto  giorni  al  desiderio  pubblico  , 
venendo  da  molti  stranieri  dise- 
gnati. Pieno  di  soddisfazione  il 
Pontefice  nell' osservare  la  novità 
del  difficile  lavoro,  dessa  di  molto 
si  aumentò,  quando  rivolgendo  gli 
occhi  in  fondo  alla  istessa  piazza, 
vide  figurata  la  facciata  esterna 
della  cattedrale  di  sua  fortunata 
patria  Belluno,  ed  al  sopravvenu- 
to cardinal  Niccola  Grimaldi  ne 
dichiarò  le  affettuose  sensazioni  che 
aveagli  prodotto  siffatta  prospetti- 
va, e  la  corrispondente  iscrizione. 
L' idea  fu  tutta  del  gonfaloniere 
conte  Orfìni,  che  colla  civica  ma- 
gistratura fece  di  tutto  per  solen- 
nizzare la  presenza  sovrana.  Indi 
il  santo  Padre  ascese  al  palazzo 
comunale,  per  benedire  il  popolo. 
Le  illuminazioni  della  sera  furono 
più  brillanti  delle  precedenti,  e  tra 
esse  nomineremo  1'  illuminazione 
della  prospettiva  della  bellunese 
cattedrale,  quella  della  colonna  a 
spira  del  tribunale  di  prima  istan- 
za e  della  curia,  e  le  facciate  della 
chiesa  di  s.  Anna  e  dell'ospedale, 
oltre  quelle  della  cattedrale,    delle 


FOL 

canoniche,  e  de'  palazzi  di  giusti- 
zia e  del  gonfaloniere.  Per  tanti 
lumi  magico  fu  l'effetto  della  sta- 
tua colossale  del  Papa,  e  tale  re- 
sero l'arco  le  quattro  faci  di  ceri 
che  gli  ardevano  dintorno. 

La  festa  data  al  popolo  nella 
passeggiata  dei  Canapè  riuscì  bellis- 
sima, e  molte  faci  rischiararono  la 
via  che  dalla  porta  Romana  per 
entro  le  mura  conduce  :  un  gran- 
de arco  di  siile  gotico  a  tre  arca- 
te di  verzura,  illuminato,  e  sovra- 
stato dallo  stemma  pontificio  ne 
dava  l'ingresso,  per  non  dire  di 
altre  vaghe  illuminazioni  lungo  i 
canapè.  Le  circostanti  colline  con 
frequenti  fuochi,  tre  globi  aposta- 
tici, ed  un  ben  inteso  fuoco  arti- 
ficiale accrebbero  letizia  alla  festa. 
li  Papa  si  degnò  spargere  varie 
beneficenze  e  ricompense,  ed  inol- 
tre dichiarò  monsignor  Felicissimo 
Salvini  decano  del  capitolo  in  ca- 
meriere d'onore  (da  ultimo  lo 
promosse  al  vescovato  di  Acqua- 
pendente ),  commendatore  dell'  or- 
dine di  s.  Gregorio  il  gonfaloniere 
conte  Orfìni,  e  cavaliere  del  me- 
desimo Francesco  de'  marchesi  Bar- 
nabò.  Onorò  di  medaglia  i  mem- 
bri della  civica  magistratura,  quelli 
che  si  occuparono  del  regolamen- 
to sull'alloggio  dell'episcopio,  i 
quattro  artisti  del  simulacro  di  ce- 
ra ec.  ;  ed  i  giovani  che  aveano 
tirato  la  sua  carrozza,  e  i  fanciulli 
che  aveano  sparso  i  fiori  ebbero 
testimonianze  di  amorevolezza.  Gli 
ultimi  nella  mattina  de'  11  settem- 
bre alla  partenza  del  Papa,  in  un 
alle  rappresentanze  di  vari  ordini, 
inaspettatamente  trovaronsi  alla  por- 
ta Fiorentina,  e  con  riverenti  versi 
stampati  gli  dierono  Y Addio.  No- 
teremo per  ultimo,  che  avendo 
Vincenzo  Agostini  umiliato  al  Pon- 


FOL  i37 

tefìce  un  elegante  vaso  di  cera  con 
variati  e  bellissimi  fiori  di  tal  ma- 
teria, non  che  l'arco  eretto  dal  col- 
legio de'  mercanti,  e  la  statua  se- 
dente sulla  sedia,  in  piccole  di- 
mensioni ed  egualmente  di  cera,  il 
Papa  perchè  tutto  si  conservasse  ne 
fece  dono  alle  monache  camaldo- 
lesi di  Roma ,  facendo  prima  ri- 
cuoprire  i  tre  oggetti  con  campa- 
ne di  cristallo. 

Per  altre  notizie  storiche  su  Fo- 
ligno, oltre  i  citati  autori,  si  possono 
consultare  i  seguenti  :  Bonaventura 
Benvenuti,  Fragmenta  fulginatis  hi- 
sloriae  ab  anno  1  1 98,  usque  ad 
1 34 1 ,  cum  notis  doetissimi  viri  Justi- 
niani  Pagliarini  fulginatis _,exstat  in 
tom.  IV  Antiq.  Ital.  medii  aevi;  Filip- 
po Gregorii,  Origine  dell'officio  del- 
la custodia  di  Foligno,  con  diverse 
scritture  concernenti  la  traslazione 
di  esso  ne'  Gregorii  di  Foligno,  e 
le  prerogative  spettanti  al  medesimo 
officio,  con  le  ragioni  di  esso  a  fa* 
vore  de3  suddetti  Gregorii,  1 743  ; 
Giorgio  Marchesi,  Della  città  di 
Foligno,  nell'opera  intitolata  :  La 
galleria  dell'onore  ec,  Forlì  l'j'/S  : 
tra  le  quattro  famiglie  che  ricorda, 
parla  particolarmente  degli  Orfini 
e  Vitelleschi.  Il  Gamurrini  nell'  I- 
storia  delle  famiglie  umbre,  nel 
tom.  I  tratta  della  famiglia  Bon- 
compagni,  e  nel  tom.  II  di  quella 
de'  Giustiniani,  parimenti  folignate. 
A  questi  storici  si  può  aggiungere 
il  dotto  ed  erudito  Discorso,  pro- 
nunziato dal  vescovo  sullodato  Ca- 
dolini  li  4  gennaio  i832  per  la 
inaugurazione  del  novello  tribuna- 
le  di  prima  istanza,  che  si  legge 
nel  voi.  I,  pag.  42  e  seg.  delle  Ope- 
re del  medesimo  prelato,  raccolte 
e  pubblicate  da  Francesco  Saverio 
Tomassini.  Nelle  note  di  tal  Discor- 
so   il    chiaro    autore    ha  riportato 


i3tf  FOL 

preziose  erudizieni  sloriche  su  Fo- 
ligno, con  critica  e  corredo  di  au- 
torità: in  esse  parla  dell'origine  di 
Foligno,  del  suo  municipio,  de'  suoi 
pregi  e  vanti  che  lo  distinguono, 
del  novero  di  sue  franchigie  e  pri- 
vilegi; degli  uomini  illustri  che  l'o- 
norarono in  santità  di  vita,  nell'e- 
sercizio delle  virtù,  in  dignità  ec- 
clesiastiche, nelle  scienze,  nelle  ar- 
ti, e  nelle  armi  ;  dei  fasti  della 
chiesa  Fulginate,  la  cui  diocesi  dice 
comprendere  quattro  antichi  vesco- 
vati, cioè  di  Ftdginia,  di  Foro- 
Flaminio,  di  Spello,  e  di  Plestia; 
del  vicariato  di  Foligno  dato  dai 
Papi  in  signoria  alla  famiglia  Trìn- 
ci, noverandone  i  luoghi  che  ne 
dipendevano,  ec.  ec. 

La  fede  cristiana  fu  predicata  in 
Foligno  verso  l'anno  51/  di  Cristo, 
dai  santi  Bricio  di  Spoleto,  e  Cri- 
spoldo  di  Foligno  discepoli  di  s. 
Pietro.  L'  Ughelli  ed  altri  scrittori 
aggiungono  che  l'apostolo  s.  Pao- 
lo divulgasse  il  vangelo  nel  terri- 
torio foligriate.  11  Jacohilli  nel  ca- 
talogo de'  vescovi  di  Foligno,  che 
riporta  a  pag.  3i  e  seg.  del  suc- 
citato suo  Discorso ,  dice  che  s. 
Crispoldo  era  di  Gerusalemme  ,  e 
che  da  s.  Pietro  per  mezzo  di  s. 
Bricio,  egualmente  di  Gerusalemme, 
vescovo  metropolitano  dell'Umbria, 
fu  creato  l'anno  58  vescovo  di  Bet- 
tona  o  Vetlona  città  dell'  Umbria, 
aiìidandogli  la  cura  delle  chiese  di 
Foligno  e  di  Nocera  ;  e  che  poi 
nell'anno  93  sotto  l'impero  di  Do- 
miziano fu  martirizzato  a'  1 2  mag- 
gio. Aggiunge  che  immediatamen- 
te lo  successe  nella  cura  pastora- 
le di  dette  chiese,  come  di  quel- 
le di  tutta  l' Umbria  lo  stesso  s. 
Bricio,  il  quale  mori  a*  g  settem- 
bre dell'anno  97  in  Spoleto  sua 
residenza,  ove  fu  sepolto  nella  chie- 


POL 

sa  di  s.  Pietro.  Gli  successe  nel 
vescovato  un  di  lui  discepolo,  a 
questi  altro  soggetto  nell'anno  1  3o, 
indi  nel  174  fu  creato  vescovo  di 
Foligno  un  uomo  di  somma  pietà. 
San  Feliciano  originario  di  Foli- 
gno, ma  nato  in  Foro-Flaminio 
nel  j5g,  meritò  che  il  Papa  s. 
Vittore  I  l'anno  197  lo  consagrasse 
vescovo  di  Foligno,  e  ne  divenne 
poi  anche  il  principale  protettore. 
Egli  fu  un  vero  apostolo  dell'  Ita- 
lia, e  colla  sua  virtù,  dottrina,  pre- 
dicazione, e  miracoli  propagò  il 
culto  del  vero  Dio  nella  sua  città 
e  diocesi,  insieme  ai  luoghi  di  cin- 
que provincie  limitrofe.  Vuoisi  che 
ottenesse  da  Dio  che  giammai  nei 
fulignati  fosse  denigrato  l' illibato 
candore  della  fede  cattolica,  per 
cui  si  osserva  che  1'  eresia  non  mai 
allignò  in  Foligno.  E  qui  va  nota- 
to che  i  folignati  furono  religiosi 
anche  nel  gentilesimo,  e  per  tali 
vennero  celebrati  da  Cicerone.  Nel- 
la vera  fede  la  loro  pietà  fece  tali 
progressi,  che  non  dubitò  il  Pon- 
tefice Paolo  111  di  chiamare  Foli- 
gno il  Seminario  della  fede,  ed  il 
santuario  del  cristianesimo.  Il  ve- 
scovo s.  Feliciano  fu  martirizzato 
a'  i4  gennaio  del  2  53  sotto  Decio 
imperatore,  ed  il  suo  corpo  fu  se- 
polto nella  cattedrale  che  a  lui  fu 
dedicata.  Alcune  sue  reliquie  si  ve- 
nerano in  Metz  città  di  Francia, 
ed  in  Minden  città  della  Sassonia 
inferiore.  La  sede  di  Foligno  sino 
dalla  sua  erezione  fu  dichiarata 
immediatamente  soggetta  alla  san- 
ta Sede,  e  Io  è  tuttora.  Comman- 
ville  nell'  Hist.  de  tous  les  eveschez, 
assegna  1'  erezione  di  questo  vesco- 
vato l'anno  4^4-  Questo  vescovato 
fu  soppresso  con  decreto  de'  5  ago- 
sto 18  io  dall'imperatore  de' fran- 
cesi   Napoleone,    mentre    n'  era  ve- 


FOL 

scovo  »ino  dal  1796  monsignor 
Moscardini.,  che  continuò  ad  esser- 
lo, dappoiché  il  Papa  Pio  VII  nel 
18 15  dichiarò  di  niun  valore  co- 
tal  decreto. 

Il  medesimo  Jacobilli  dà  in  suc- 
cessore a  s.  Feliciano  un  suo  di- 
scepolo, ed  a  questi  nell'  anno  296 
Feliciano  li  dà  Foligno,  che  in- 
tervenne ai  concili  di  Suessa  del 
3o3,  e  di  Roma  del  337.  Paolo 
da  Foligno  fu  creato  vescovo  l'an- 
no 35o  ;  e  Urbano  da  Foligno 
l'anno  ^5:  questi  assistè  al  con- 
cilio adunato  in  Roma  nel  4^7 
dal  Papa  s.  Felice  II  detto  III. 
Fortunato  da  Foligno  divenne  ve- 
scovo della  patria  l' anno  49§,  e 
si  trovò  presente  a  cinque  concili 
romani  tenuti  dal  Pontefice  s. 
Simmaco,  insieme  a  Bonifacio  ve- 
scovo di  Foro -Flaminio,  e  di  altri 
vescovi  dell'  Umbria.  Il  Papa  s. 
Giovanni  I  uel  52  3  fece  vescovo 
s.  Vincenzo  da  Laodicea,  che  morì 
ai  24  maggio  del  55 1.  Riportandoci 
alle  serie  de'  vescovi  folignati  che 
ne  fanno  1'  Ughelli,  il  Jacobilli,  e 
le  annuali  Notizie  di  Roma,  qui 
appresso  ci  limiteremo  a  registrare 
i  più  insigni,  e  degni  di  special 
menzione.  Floro  da  Foligno  ne  di- 
venne vescovo  Panno  676,  e  con 
Decenzio  vescovo  di  Foro-Flaminio, 
ed  altri  vescovi  d'  Umbria  e  d'  I- 
talia  nel  680  si  portò  al  VI  con- 
cilio di  Costantinopoli.  Eusebio  da 
Foligno  era  vescovo  nel  740  nel 
pontificato  di  s.  Gregorio  III,  quan- 
do i  longobardi  assalirono  questa 
città  :  morì  nel  760.  Eurico  da 
Foligno  personaggio  di  gran  nome, 
canonico  regolare  di  s.  Agostino, 
creato  vescovo  nel  io3t,  donò  mol- 
te possessioni  e  beni  ai  canonici 
della  cattedrale.  Azzone  degli  Atti 
folignate  de'  conti  di  Morano,  eletto 


FOL  1 3o 

vescovo  nel  ioj7,  intervenne  al 
concilio  tenuto  in  Laterano  da  Ni- 
colò II  uel  1059,  contro  l'eresia 
di  Berengario.  San  Bonfilio  Bonfi- 
lii  da  Osimo  monaco  ed  abbate  be- 
nedettino di  s.  Maria  e  di  s.  Sil- 
vestro, fu  eletto  vescovo  nel  1078 
sotto  s.  Gregorio  VII.  Di  poi  pas- 
sò in  oriente  con  la  crociata  di 
Goffredo  di  Buglione,  ma  temendo 
di  soccombere  nei  disagi  di  quella 
spedizione  fece  ritorno  a  Foligno. 
Donò  molte  terre  e  beni  per  la 
mensa  de' canonici  della  sua  catte- 
drale; e  ritiratosi  in  uu'abbazia  di 
canonici  regolari  di  s.  Agostino,  vi 
mori  santamente  a'  27  settembre 
1 1 15,  venendo  collocato  il  suo 
corpo  in  una  chiesa  edificata  in 
suo  onore  presso  Cingoli.  Marco  da 
Foligno  creato  vescovo  nel  1128 
eresse  nel  1129  la  facciata  della 
cattedrale  verso  la  piazza  piccola. 
Benedetto  monaco  di  Fonte  Avel- 
lana, fatto  vescovo  nel  ii3o  dal 
cardinal  Giulio  romano  legato  apo- 
stolico, a'  io  marzo  1  146  fece  con- 
sagrare la  cattedrale  in  onore  di 
s.  Feliciano.  Anselmo  degli  Atti,  o 
de'  Nuti  da  Foligno  de'  signori  di 
Rocca  di  Flebeo  e  del  castello  di 
Pignoli  divenne  vescovo  l' anno 
1  160,  e  come  benemerito  della  Se- 
de apostolica,  nel    1  1 63  Alessandro 

III  gli  concesse  anche  il  vescovato 
di  Nocera  :  ampliò  la  cattedrale, 
e  morì  in  Foligno  nel    1201. 

Egidio  degli  Atti  di  Foligno  , 
monaco  di  Sassovivo,  divenne  ve- 
scovo nel  1 2 1  o,  ed  eresse  molti 
monasteri  e  conventi  nella  città  e 
diocesi.  Fr.  Paparone  Paparoni  d'il- 
lustre famiglia    romana,    Clemente 

IV  lo  nominò  vescovo  nel  1264; 
introdusse  i  suoi  religiosi  domeni- 
cani in  Foligno,  difese  i  folignati 
dal  dispotismo  dei  Trinci,  e  li  per- 


i4o  FOL 

suase  a  rifabbricar  le  mura  della 
città,  comprendendovi  i  borghi:  nel 
1285  fu  trasferito  a  Spoleto.  Be- 
rardo secondo  figlio  di  Monaldo 
de'  conti  di  Antignano  e  di  Ga- 
gliole,  detti  poi  de  Comitibus  di 
Foligno,  fratello  del  b.  Giovanni 
vescovo  di  Nocera  :  essendo  priore 
della  cattedrale,  e  cappellano  di 
Urbano  IV  fu  da  lui  fatto  vescovo 
nel  1280.  Paolo  figlio  di  Nallo 
Trinci  da  Foligno,  fu  creato  ve- 
scovo nel  i326.  Rinaldo  figlio  di 
Ugolino,  e  fratello  di  Trincio  e  di 
Corrado  Trinci  signori  di  Foligno, 
essendo  priore  della  cattedrale  di- 
venne vescovo  nel  i363.  Onofrio 
figlio  di  Trincio  Trinci  signore  di 
Foligno,  da  priore  della  collegiata 
del  ss.  Salvatore  fu  promosso  nel 
i3g7  al  vescovato.  Fr.  Federico 
Frezzi  folignate,  provinciale  dell'or- 
dine de' predicatori,  nel  i4o3  di- 
venne vescovo,  fu  al  concilio  di 
Costanza,  e  mori  nel  1416.  Giaco- 
mo Berti  folignate,  priore  di  s.  Ma- 
lia, vescovo  nel  14^3,  mori  nel 
1437.  Rinaldo  Trinci,  figlio  di  Cor- 
rado ultimo  signore  di  Foligno , 
pretendeva  in  questa  occasione  di 
essere  nominato  vescovo  di  Foli- 
gno ;  quindi  procurò  che  un  gran 
numero  di  sediziosi  suoi  fautori  lo 
eleggessero  a'  18  settembre  i4^7 
mentre  era  priore  della  cattedrale. 
Ma  Eugenio  IV  non  riconobbe  la 
turbolenta  e  forzosa  elezione  del 
capitolo,  e  proibì  che  si  consagras- 
se ;  tutta  volta  Rinaldo  col  titolo  di 
eletto  governò  sino  agli  8  settem- 
bre i4^9j  epoca  dell'espulsione  dei 
Trinci.  11  Papa  aveva  in  vece  dichia- 
rato vescovo  Cristoforo  di  Berto  Bo- 
scari  o  Boschari,  poi  de'  Ruberti  di 
Foligno,  de'  conti  del  Poggio  nella 
Val  topina,  monaco  di  Sassovivo,  ve- 
ueudo  consacrato  in  Ferrara  a'  18 


FOL 

maggio  i438.  Il  Boschari  non  si 
portò  alla  sua  sede  se  non  dopo 
la  cacciata  de'  Trinci  dalla  città, 
operata  d'ordine  di  Eugenio  IV 
dal  cardinal  Vitelleschi  legato  a 
latere:  cosi  la  città  fu  restituita  al 
pacifico  dominio  della  santa  Sede, 
con  general  approvazione  di  tutte 
le  classi  de' suoi  cittadini;  quindi 
il  Boschari  governò  tranquillamente 
la  sua  chiesa.  Nel  i444  gn  succes- 
se Antonio  di  Nicolò  Bolognino  fo- 
lignate, che  morì  a'  i4  gennaio 
1 46 1  :  per  la  vacanza  della  sede 
la  governò  con  titolo  di  vicario 
apostolico  Bartolomeo  d'  Antonio 
Tonti  da  Foligno  canonico  della 
cattedrale,  che  per  la  sua  bontà  e 
dottrina  il  clero  1'  elesse  in  vesco- 
vo, ciò  che  disapprovando  Pio  II, 
questi  nominò  vescovo  il  beato 
Antonio  d' Agostino  Bettini  sane- 
se  ,  dell'  ordine  de'  gesuati,  il  qua- 
le fuggì  a  Milano  per  non  accet- 
tare la  dignità.  Fu  però  suo  mal- 
grado ordinato,  e  fece  ben  to- 
sto vedere  eh'  egli  era  dotato  d'un 
grandissimo  talento  per  esercitare 
la  dignità  ecclesiastica  a  lui  con- 
ferita. Riformò  in  Italia  i  cister- 
ciensi,  e  con  permesso  d'  Innocenzo 
Vili  si  ritirò  nel  convento  di  s. 
Girolamo  di  Siena,  ove  d'anni  or 
morì  a' 22  ottobre  1497,  venendo 
tumulato  in  quella  chiesa.  Isidoro 
da  Chiari  nel  Bresciano,  abbate  cas- 
sinese  di  s.  Maria  di  Cesena,  di  sin- 
golare bontà  e  dottrina,  fu  il  terzo 
vescovo  che  Paolo  III  diede  a  Fo- 
ligno ;  intervenne  al  concilio  di 
Trento,  e  nel  1 548  pubblicò  alcu- 
ne costituzioni  sinodali.  Gio.  An- 
gelo de  Medici  milanese,  cardinale 
del  titolo  di  s.  Stefano  al  monte 
Celio,  Paolo  IV  a'  25  giugno  i5ì6 
lo  creò  vescovo  di  Foligno,  chiesa 
che   governò    per    mezzo    d' idonei 


FOL 

-vicari  per  circa  undici  mesi,  con 
ordine  espresso,  che  tutte  le  ren- 
dite della  mensa  episcopale  fossero 
impiegate  in  sovvenimento  de'  po- 
veri, come  narra  il  Cardella  nel 
tom.  IV,  pag.  293  delle  sue  Me- 
morie. Indi  dopo  avere  alla  dio- 
cesi concesso  altri  benefizi,  coli'  as- 
senso di  Paolo  IV,  la  rinunziò  al 
nipote  Gio.  Antonio  Sorbelloni  di 
Milano.  Gio.  Angelo  nel  i55^  di- 
venne Papa  col  nome  di  Pio  IV, 
e  nell'anno  seguente  fece  cardinale 
di  s.  Giorgio  il  nipote.  Tommaso 
di  Pier  Orfino  degli  Orfini  foli- 
gnate,  essendo  stato  fatto  da  s.  Pio 
V  vescovo  di  Strongoli,  dopo  aver- 
lo incaricato  della  visita  e  riforma 
delle  chiese  nel  regno  di  Napoli 
e  Calabria,  poscia  nel  i568  fu 
fatto  vescovo  di  sua  patria  dal  me- 
desimo s.  Pio  V,  e  mori  con  fama 
di  rara  fermezza  d'  animo  e  di 
gran  bontà  a'  i5  gennaio  i5y6: 
venne  sepolto  nella  cattedrale  in 
nobile  deposito,  e  fu  egli  uno  dei 
primi  a  pubblicar  colla  stampa 
dotte  ed  utili  costituzioni  sinodali. 
Troilo  Boncompagni  folignate,  Gre- 
gorio XUI  nel  1 58 1  dal  vescova- 
to di  Ripa  Transone  lo  trasferì  in 
questo  di  sua  patria.  Porfirio  di 
Gio.  Battista  Felieiani  da  Gualdo 
Tadino,segretario  delle  lettere a'piin- 
cipi  di  Paolo  V,  che  nel  1 6 1 1  lo  fece 
vescovo.  Gio.  Battista  Pallolta  fu 
fatto  vescovo  nel  1684  da  Inno- 
cenzo XII.  Giosafatte  Battistelli  ve- 
scovo di  Ripa  Transone,  nel  1717 
Clemente  XI  lo  trasferì  a  Foligno, 
ove  acquistò  molta  lode  e  rinomanza 
per  il  suo  sinodo  reso  di  pubblica 
ragione:  a  questi  nel  1736  Cle- 
mente XII  die  in  successore  Fran- 
cesco Maria  Alberici  di  Nocera,  già 
vescovo  di  Città  della  Pieve.  Filippo 
Trenta  di  Ascoli,  promosso  a  que- 


FOL  141 

sto  vescovato  da  Pio  VI  nel  1  78$, 
fu  Iodato  per  virtù  e  dottrina.  Per 
non  dire  di  altri  vescovi,  d'alcuni 
de'  quali  se  n'  è  fatta  superiormente 
menzione,  ci  limiteremo  per  distin- 
zione a  nominare  monsignor  Ar- 
cangelo Polidori  di  LoretOj  che  per 
la  sua  dottrina,  pietà,  e  bel  corredo 
di  virtù,  ad  onta  della  sua  ripu- 
gnanza, meritò  che  il  Pontefice  che 
regna,  nel  concistoro  de' 3o  settem- 
bre i834,  il  dichiarasse  vescovo  di 
Foligno,  ove  morì  nel  generale  com- 
pianto, per  cui  gli  furono  celebrate 
solenni  esequie,  ed  il  pubblico  lut- 
to si  manifestò  colle  iscrizioni  ed 
altre  necrologiche  dimostraziom 
pubblicate  colle  stampe.  Tanta  per- 
dita venne  dal  medesimo  Papa 
riparata  coli'  odierno  vescovo  mon- 
signor Nicola  Belletti  di  Cesena, 
che  nel  concistoro  de'jo,  giugno 
i843  traslatò  dalla  sede  d'  Acqua- 
pendente. Fedi  l'Ughelli,  Italia  sa- 
cra tom.  I,  pag.  681  e  seg.,  e  toni. 
X,  pag.  2  65  e  seg. 

La  cattedrale  è  dedicata  a  Dio, 
sotto  l'invocazione  di  s.  Feliciano 
vescovo  e  martire,  bellissimo  tem- 
pio ,  d'  interessante  memoria.  La 
sua  prima  origine  risale  all'  epoca 
del  tempietto,  sacrario  o  testimonio 
eretto  da  s.  Feliciano  nel  suo  pic- 
colo campo,  situato  nel  principal 
sobborgo  dell'  antica  Fulginia,  che 
bordeggiava  la  strada  principale 
che  da  essa  conduceva  a  Bevagna 
presso  il  trivio  nominato  negli  at- 
ti di  alcuni  martiri  dell'Umbria,  e 
delle  strade  di  Foligno,  di  Beva- 
gna, e  di  Spello,  nel  quale  s.  Le- 
vanio  folignate  raccolse  il  corpo 
di  s.  Costanzo  vescovo  di  Perugia. 
Il  trivio  folignate,  probabilmente 
destinato  al  martirio  de'  principali 
campioni  della  fede,  sembra  che 
fosse  il  luogo  in  cui  s.  Felician  o  e-    • 


ifa  FOL 

rosse  il  suo  piccolo  tempio,  facen- 
dolo seguo  alla  perpetua  pietà  del 
popolo  di  Foligno.  Lo  edificò  in 
onore  di  s.  Gio.  Battista,  e  si  cre- 
de che  la  confessione  o  sagro  sot- 
terraneo dell'odierna  cattedrale,  sia 
appunto  il  luogo  del  primitivo 
tempietto,  il  quale  aveva  l'ingresso 
dalla  parte  della  strada,  volto  al- 
l'occidente, secondo  1'  antico  stile 
de' cristiani,  ed  ove  probabilmente 
fu  sepolto  s.  Feliciano.  Si  dice  che 
fosse  munito  di  porticato  per  di- 
fendere le  pitture  di  cui  era  or- 
nato, e  quelli  che  lo  visitavano 
dalla  pioggia  o  altre  intemperie. 
Oltre  a  questa  chiesa,  contempo- 
rancamente  in  Foligno  eravi  la 
basilica  palatina  ,  forse  la  sala  del 
palazzo  pubblico  de'gentili  conver- 
tita in  chiesa  ,  la  quale  andò  di- 
strutta per  la  rammentata  guerra 
di  Luitprando  nell'ottavo  secolo. 
Alla  riedificazione  della  città,  del 
pari  si  eseguì  quella  del  piccolo 
tempio  di  s.  Feliciano,  ossia  il  suo 
ingrandimento,  probabilmente  coi 
materiali  della  vecchia  basilica  pa- 
latina, tenendosi  il  tempio  qual 
segno  centrico  alla  rinnovata  città, 
e  nella  forma  ripartito  in  nave, 
confessione,  e  presbiterio:  la  nave 
era  divisa  in  tre  navate,  da  due 
fila  di  colonne,  in  tutte  otto,  e  la 
confessione  si  formò  coll'antico  tem- 
pietto ,  elevandosi  su  di  esso  il 
pavimento  del  nuovo.  In  egual 
tempo  in  forma  ottagona  gli  fu 
dappresso  eretto  il  battisterio ,  e 
la  canonica  in  forma  di  casa  forte 
o  di  castello,  della  quale  struttura 
se  ne  fa  menzione  in  alcuni  pri- 
vilegi concessi  dall'imperatore  En- 
rico IV  alla  chiesa  e  capitolo  di  s. 
Feliciano  nel  108-2,  e  in  altri  do- 
cumenti dell'  antica  canonica:  pochi 
•    avanzi  ne  esistono.  Nel    1 1  89  il  ve- 


FOL 

scovo  Marco  riformò  ed  ampliò  in 
cattedrale,  tolse  al  tempio  la  for- 
ma di  basilica,  lasciando  intatta  la 
confessione;  rinnovò  il  prospetto  e- 
sterno,  ed  il  tutto  con  semplicità 
e  precisione;  die  finalmente  alla 
chiesa  maggior  longitudine  ed  e- 
levatezza,  lasciando  che  alla  con- 
fessione si  potesse  accedere  diret- 
tamente dalla  banda  della  piazza 
grande,  pel  suo  primitivo  ingresso. 
A  questa  epoca  si  attribuisce  l'ere- 
zione della  torre  campanaria  o  cam- 
panile, almeno  sino  ad  una  certa 
altezza. 

Altro  ingrandimento,  cioè  la  co- 
struzione del  braccio  verso  la  piaz- 
za grande,  lo  ricevette  nell'  anno 
1201  dal  celebre  vescovo  Anselmo, 
insieme  all'  erezione  delle  due  fac- 
cie  esterna  ed  interna  ,  abbellite 
da  intagli,  basso-rilievi,  ed  ornati, 
molti  de'  quali  simboleggianti  a- 
nimali,  volatili,  figure  umane,  vi- 
ti d'uva,  ed  altre  cose  mistiche 
e  storiche,  in  un  alle  effìgie  del- 
l'imperatore  Federico  li,  del  ve- 
scovo Anselmo,  del  podestà  di  Fo- 
ligno, e  del  priore  del  capitolo. 
E  qui  noteremo  che  nel  medesimo 
secolo  XIII  fu  decorato  il  battiste- 
rio, vago  ed  elegante  edificio  di 
forma  ottagona-elittica,  cui  è  fama 
che  ne  fosse  stato  architetto  il  ce- 
lebre Lapo.  Ma  la  rinnovazione  to- 
tale della  cattedrale  si  deve  al  se- 
colo XV,  avventurosa  epoca  del 
risorgimento  delle  arti,  coll'opera 
del  famigerato  Bramante  Lazzari, 
che  nel  1^.56  ridusse  a  volta  tut- 
ta la  fabbrica,  ed  eresse  la  cu- 
pola o  tribuna  non  senza  stupore 
degl'intelligenti,  attesoché  allora  in 
Italia  esiteva  la  sola  cupola  di  s. 
Maria  del  Fiore  in  Firenze.  Oltre 
a  ciò  Bramante  adornò  l' interno 
della    chiesa  con    pilastri   dorici  in 


FOL 

riquadri,  corrispondenti  agli  scom- 
parti del  volto,  ina  per  mancanza 
di  mezzi  il  compimento  si  procra- 
stinò oltre  l'anno  i5i3,  e  n'ebbe 
il  merito  l'encomiato  vescovo  Luca 
Borsciani  folignate,  creato  da  In- 
nocenzo Vili ,  che  gli  die  il  suo 
cognome  Cibo,  e  lo  stemma  per- 
chè era  suo  confessore:  egli  inter- 
venne al  concilio  generale  lalera- 
nense  V,  Fu  egli  cbe  ridusse  la 
cattedrale  alla  presente  forma  di 
perfetta  croce  latina,  con  erigere 
di  pianta  il  braccio  destro  verso 
1'  episcopio,  secondo  il  progetto  di 
Bramante.  Quindi  successivamen- 
te furono  adornate  le  numero- 
se cappelle  con  marmi ,  dipinti 
ed  altro.  Verso  la  metà  poi  del- 
l' istesso  secolo  decimosesto  il  ca- 
pitolo eresse  la  cappella  del  ss. 
Sagramento,  ossia  curetta,  una  vol- 
ta dedicata  ai  ss.  Feliciano  e  Fran- 
cesco d'Assisi,  attribuendosene  il 
disegno  all'  immortale  Michelangelo 
Buonarroti.  La  somiglianza  della 
cattedrale  alla  basilica  vaticana,  per 
la  forma  della  croce  latina  e  della 
cupola,  ispirò  all'insigne  pietà  di 
Dionisio  Biscioli ,  il  desiderio  di 
vedervi  iu  mezzo  trionfare,  come 
in  delta  basilica  ,  la  tribuna  col 
baldacchino,  con  davanti  quel  vano 
a  foggia  dell'antica  confessione,  ac- 
cessibile dal  piano  della  chiesa.  Com- 
mise pertanto  al  celebre  Andrea 
Pozzi  architetto  gesuita,  la  copia 
fedele  della  tribuna  vaticana,  ciò 
che  a  sue  spese  venne  eseguito  nel 
1698  con  molte  decorazioni.  Cono- 
scendosi in  appresso  il  bisogno  di 
rinnovarsi  con  architettura  moder- 
na l'interno  della  cattedrale,  ciò  fu 
eseguito  con  ordine  ionico  da  Salva- 
tore Cipriani,  nella  parte  del  coro, 
l'anno  1727,  sotto  il  degno  vesco- 
vo Battistclli,    essendo  autori   degli 


FOL  143 

stucchi  i    bolognesi    Mazza  e  Pier- 
lana,  e  dei  dipinti   il  Mancini. 

L'  ultima  rinnovazione  della  cat- 
tedrale si  deve  al  Vanvitelli,  la  ri- 
forma al  Piermarini  folignate,  e  il 
compimento  al  cav.  Clemente  Fol- 
cili, tutti  insigni  architetti.  11  pri- 
mo incominciò  l'opera  nel  1770, 
il  secondo  la  proseguì  con  miglior 
successo  ;  e  nel  vescovato  del  ze- 
lante monsignor  Stanislao  Lucche- 
si, nel  18 19,  il  cav.  Folcili  inco- 
minciò il  suo  compimento,  coll'ar- 
ricchire  il  tempio  di  nuove  bellez- 
ze, rimovendone  i  difetti;  e  sicco- 
me per  erigere  il  Bramante  uno 
de'  contro-forti  alla  chiesa  ,  venne 
distrutto  il  battisterio ,  il  cavaliere 
lo  rifece ,  e  iteli'  esterior  facciata 
eresse  comoda  loggia  per  la  bene- 
dizione papale,  come  inoltre  rial- 
zò il  coro.  Il  pavimento  di  pietra, 
eseguito  a  spese  del  comune,  si 
deve  pel  disegno  all'  esperto  d. 
Luigi  Landini,  con  l'opera  di  Fran- 
cesco Madami;  essendo  stato  pritt- 
cipal  promotore  degli  ultimi  restau- 
ri e  decorazioni  memorate,  d.  Fi- 
lippo de'  marchesi  Barnabò ,  deca- 
no della  cattedrale.  I  migliori  qua- 
dri che  adornano  questo  tempio, 
sono  s.  Feliciano  che  libera  Foli- 
gno dalla  peste,  pittura  del  Gan- 
dolfi  ;  la  sagra  Famiglia  ,  colorita 
dal  Lazzarini;  s.  Giovanni  che  bat- 
tezza il  Bedentore,  opera  del  pen- 
nello del  cav.  Vicar  ;  e  il  dipinto 
del  folignate  cav.  Trabalza,  in  cui 
sono  effigiati  il  b.  Pietro  Crisci,  la 
b.  Angela,  e  s.  Domenico  da  Fo- 
ligno. In  fondo  alla  tribuna  eleva- 
si la  cattedra  episcopale,  per  sin- 
goiar privilegio  sopra  sette  gradini. 
E  qui  rammenteremo  il  famoso 
simulacro  per  la  materia,  per  il 
lavoro,  e  per  la  venerazione  che 
gli    tributano    i    folignati ,    cioè  la 


i44  FOL 

grandiosa  statua  tutta  d'argento  di 
s.  Felieiano,  che  vestito  cogli  abiti 
pontificali,  è  in  atto  di  benedire. 
Egli  è  sedente  su  mirabile  sedia 
pur  di  argento  con  cesellature  nei 
basso- rilievi  di  eccellente  lavoro, 
avendovi  nel  postergale  il  fiammin- 
go Adolfo  operata  in  rilievo  la 
storia  del  martirio  del  santo,  che 
segui  in  compagnia  dei  santi  re  per- 
siani Abdon  e  Sennen,  e  della  s. 
vergine  Messalina  ;  quindi  ogni  an- 
golo ridonda  d'impareggiabili  fregi 
ed  ornamenti,  che  vincono  il  pre- 
zioso metallo.  Questo  ricco  monu- 
mento di  religiosa  divozione,  sovra- 
stato da  una  specie  di  baldacchi- 
no sostenuto  da  due  angeli,  viene 
trasportato  con  solenne  pompa  per 
le  principali  contrade  della  città , 
alle  ore  due  pomeridiane  de'  2  3 
gennaio.  Egualmente  splendido  è 
l'apparato  delle  sette  confraternite, 
che  inalberano  altrettante  croci  d'ar- 
gento di  squisito  lavoro,  essendo 
generoso  lo  sfarzo  de'  cerei ,  che 
consistono  in  corone  di  candelotti 
disposti  in  cerchio,  sopra  macchine 
ornate,  di  facile  trasporto:  tali  ce- 
rei ardono  con  profusione,  ed  il 
numero  delle  macchine  corrisponde 
a  quello  delle  diverse  arti,  cui  ne 
fanno  la  di  vota  offerta.  Inoltre  nel- 
la cattedrale  vi  sono  ampi  sotter- 
ranei, comodamente  praticabili,  per 
dar  sepoltura  ai  defunti ,  ed  ono- 
rarne con  epigrafi  e  depositi  la 
memoria.  Dei  corpi  santi  e  reli- 
quie che  si  conservano  nella  cat- 
tedrale con  gran  venerazione,  oltre 
quanto  si  è  detto ,  noteremo  che 
ne  parla  il  Jacobilli  a  pag.  7.5  del 
suo  Discorso,  ove  pur  dice  de' cor- 
pi santi  e  reliquie  che  sono  nei 
diversi   luoghi  della  diocesi. 

Il  rapitolo  si  compone   di  quat- 
tro dignità,    essendo    la    principale 


FOL 

quella  di  priore,  poi  vi  sono  il  de- 
cano, l'arciprete,  già  istituite  fino 
dalla  più  rimota  antichità,  a  cui 
aggiunse  il  regnante  Pontefice  una 
quarta  col  titolo  di  primicerio,  do- 
tandola coi  beni  tutti  della  sop- 
pressa parrocchiale  e  priorale  chie- 
sa di  s.  Maria  Maddalena,  rovina- 
ta totalmente  per  l' orribile  terre- 
moto de'  i3  gennaio  i832,  vo- 
lendo che  fruisse  di  tutti  gli  onori 
e  privilegi ,  non  che  d' indossare 
mantelletta  negra  e  rocchetto  sulla 
foggia  delle  altre  dignità.  Inoltre 
componesi  il  capitolo  con  sedici  ca- 
nonici, con  le  prebende  di  teologo 
e  penitenziere,  otto  canonici  ono- 
rari, dieci  mansionari,  ed  altri  preti 
e  chierici  addetti  al  divino  servi- 
gio. Questo  capitolo  gode  di  di- 
versi privilegi  e  prerogative.  Bene- 
detto XIV  con  breve  de'  2  3  mar- 
zo 1741  concesse  al  priore  della 
cattedrale ,  e  ai  di  lui  successori 
l'uso  della  mantelletta  paonazza  in 
tutte  le  funzioni  ecclesiastiche  si 
nella  città  che  nella  diocesi.  Ai  ca- 
nonici il  regnante  Gregorio  XVI 
ha  concesso  l'uso  della  mitra ,  ed 
altre  insegne  prelatizie  ;  fanno  uso 
della  mitra  bianca,  in  tutte  le  ec- 
clesiastiche funzioni  quando  indos- 
sano i  paramenti  sagri,  entro  i  li- 
miti però  della  diocesi.  Hanno  pu- 
re il  privilegio  del  canone  e  bu- 
gia, e  cantando  la  messa,  del  pre- 
te assistente  in  piviale,  e  questo 
anche  fuori  di  diocesi.  Le  insegne 
prelatizie  poi  accordate  dal  Papa 
che  regna  al  capitolo  di  Foligno 
consistono  nel  fiocco  paonazzo  al 
cappello,  potendo  i  canonici  dell'u- 
no e  dell'altro  far  uso  in  ogni  tem- 
po ed  in  ogni  luogo,  come  appa- 
risce dal  breve  che  si  conserva  nel 
loro  archivio. 

La  cura  delle  anime   della    cat- 


FOL 
tediale    è    affidata    al    priore ,  e  a 
tre  sacerdoti  a  ciò  eletti    dal  capi- 
tolo. Nella  città  vi  sono    altre    sei 
parrocchie,  ma  senza  Iònie  battesi- 
male, ch'è  nella  sola  cattedrale.  Vi 
sono    pure    le    due    sum mentovate 
collegiate,  sei  monisteri  e   conventi 
di  religiosi,  sei  monisteri  di  mona- 
che, due  conservatorii,  l'orfanotro- 
fio, l'ospedale,  il  monte    di    pietà, 
il  seminario  cogli  alunni,    ed  altri 
pii  stabilimenti.   II  Jacobilli  a  pag. 
85  ci  dà  il  catalogo  de'  luoghi    di 
tutta  la  diocesi,  la    quale   al    pre- 
sente   si    estende    per    circa  trenta 
miglia.  Il  palazzo  vescovile  è  pros- 
simo alla  cattedrale,  venne  restau- 
rato ed  ampliato  nei    vescovati  di 
monsignor  Cadolini,    ora    amplissi- 
mo cardinale,  e  di  monsignor  Po- 
lidori  defunto.  La  mensa  episcopale 
ad  ogni    nuovo    vescovo    è  tassata 
ne'  libri  della  camera  apostolica  in 
fiorini  cento:   questa  mensa  a  cura 
del  prelodato  cardinale  e  per  mu- 
nificente   generosità    del    Pontefice 
regnante  ,  è  stata  considerevolmen- 
te accresciuta  nelle  rendite,    mercè 
la  riunione  alla  medesima  dei  be- 
ni del  soppresso  monistero  dei  mo- 
naci Olivetani  di  Sassovivo.  Diremo 
per  ultimo  che  questo  zelante  por- 
porato   pel    flagello    del  terremoto 
pubblicò  una  notificazione  per  l' os- 
servanza del  voto  fatto  dalla  città 
per  tale  peripezia,    più    un'omelia 
piena    d'  unzione ,  e  diversi  editti , 
ed  il  tutto  venne  pubblicato   colle 
stampe  nell'  opuscolo  :   Voto   solen- 
ne della  città  di  Foligno,  fattosi  il 
19  febbraio    i832,    Foligno,  tipo- 
grafia   Tomassini.    Il    voto  consiste 
in  un  digiuno  locale  da  farsi  ogni 
anno,  per  anni  cento,  la  vigilia  della 
commemorazione  della  beata  Ver- 
gine del   Pianto  ,    e  nell'  assistenza 
del  magistrato  alla    messa ,    che  si 

VOL.    XXV. 


FOL  i45 

celebra  nel  d'i  della  commemora- 
zione detta,  nella  chiesa  della  con- 
fraternita in  cui  si  venera  tale  im- 
magine. Il  terremoto  di  Foligno 
fu  descritto  in  terza  rima  dal  eh. 
G.  F.  Rambelli,  pubblicato  prima 
dal  giornale  L' Amico  della  gio- 
ventù, nel  fascicolo  4^  >  e  V01  a 
parte  con  lettera  dedicatoria  al  cav. 
Luigi  Sassoli  persicetano. 

FOLMARO,  Cardinale.  Folmaro 
in  Verona  nel  sabbato  di  Pentecoste 
del  1  1 86  fu  creato  cardinale  da  Ur- 
bano III;  fu  arcivescovo  di  Tre- 
viri, e  legato  nella  provincia  di 
Sciampagna.  S'ignora  in  qual  an- 
no avesse  fine  la  sua  mortale  car- 
riera. 

FOLQUINO  (s.)  Figlio  di  Gi- 
rolamo, fratello  del  re  Pipino.  Ab- 
bandonò gì'  impieghi  che  aveva  alla 
corte,  per  abbracciare  lo  stato  ec- 
clesiastico. Eletto  nell' 817  vesco- 
vo di  Terovana,  corresse  gli  abusi 
ivi  originati  dalle  scorrerie  dei  bar- 
bari, e  rimise  per  tutto  la  purità 
de'  costumi  e  della  fede.  Egli  ten- 
ne dei  sinodi,  e  assistette  a  parec- 
chi concili  che  si  ragunarono  a'  suoi 
dì.  Fece  la  traslazione  delle  reli- 
quie di  s.  Audomaro,  il  più  cele- 
bre de'  suoi  predecessori ,  e  per 
timore  delle  incursioni  dei  norman- 
ni, nell'  846  nascose  il  corpo  di  s. 
Berlino  sotto  l'altare  di  s.  Marti- 
no. Morì  facendo  la  visita  della 
sua  diocesi  a'  i4  dicembre  dell'855. 
Il  suo  corpo  fu  portato  nel  mo- 
nistero di  s.  Bertino ,  e  seppellito 
presso  a  quello  di  s.  Audomaro  ; 
fu  poi  dissotterrato  a'  i3  novem- 
bre del  928.  La  sua  festa  princi- 
pale si  celebra  a'  14  dicembre;  ma 
egli  è  ancora  onorato  a'  7  di  giu- 
gno e  a'  1 3  di  novembre,  in  me- 
moria delle  traslazioni  delle  sue 
reliquie. 

io 


i4<3  FON  FO  AF- 
FONDI. Città  vescovile  del  re-  di  Fondi),  erano  assai  celebri  tra 
gno  delle  due  Sicilie,  nella  provin-  gli  antichi,  e  furono  lodali  da  Stra- 
cia di  Terra  di  Lavoro,  capoluogo  bone,  da  Plinio  e  da  Marziale  ;  ed 
di  cantone,  e  del  contiguo  villag-  anche  al  presente  sono  rinomatis- 
gio  di  San  Magno ,  giace  presso  le  simi.  Vi  si  coltivano  da  per  tutto 
frontiere  dello  stato  pontificio  dal-  olivi  e  cedri.  Presso  la  città  si  ve- 
la parte  di  Terracina,  in  una  pia-  de  la  bella  fontana  detta  di  Pe- 
nula bassa  alquanto  paludosa,  ma  tronio,  e  alcuni  avanzi  di  bagni 
deliziosa,  ai  piedi  del  sub-apenni-  antichi.  In  vicinanza  al  lago  di 
no  romano.  E  attraversata  dalla  Fondi ,  Lacus  Fttndanus,  si  vede 
via  Appia,  eh' è  assai  bene  conser-  la  grotta  nella  quale,  secondo  Ta- 
vata  e  che  ne  forma  la  strada  prin-  cito,  Seiano  salvò  la  vita  a  Tibe- 
cipale,  incrociandosene  altre  due  da  rio  imperatore, 
angoli  retti.  La  detta  via  vi  man-  Fondi  era  un'antica  città  mnni- 
tiene  il  traffico,  e  ne  rende  meno  cipale  del  Lazio  nuovo,  nel  canto- 
disaggradevole  il  soggiorno:  parec-  ne  degli  ausonii,  indi  appartenne 
chi  torrenti ,  ed  un  pestifero  lago  alla  Campania.  Alcuni  dicono  che 
sboccano  nel  vicino  mare  Mediter-  fosse  una  delle  città  degli  aurun- 
raneo.  Il  lago  vi  dà  foce  per  due  ci.  La  Chiesa  romana  ebbe  fino 
canali  ;  esso  abbonda  di  anguille,  e  dai  primi  secoli  grandi  poderi  nel 
si  estende  per  circa  quattro  miglia,  territorio  di  Fondi,  i  quali  trovan- 
aventi  le  rive  coperte  di  mirti  e  si  mentovali  da  s.  Innocenzo  I  clct- 
pioppi  .  Fondi  è  di  forma  qua-  to  Papa  nel  4°2>  allorché  diede  ai- 
drata, sono  notabili  le  sue  mura,  la  basilica  di  s.  Vitale  e  de' ss.  Ger- 
perchè  si  pretende  che  la  parte  in-  vasio  e  Protasio,  edificata  in  I\o- 
feriore  di  esse  preceda  l'epoca  della  ma  per  munificenza  di  Vestina  il- 
fondazione  di  Roma.  La  cattedra-  lustre  femmina,  possessionem  Fan- 
le  dedicata  a  s.  Pietro  apostolo  è  danensem  in  territorio  Fundano  rum 
di  gotico  disegno:  avvi  pure  una  adiacentibus  attiguis  XV ,praestan- 
collegiata,  cioè  s.  Maria  della  Piaz-  tem  solid.  CLXXXI ,  et  tremisscm. 
za,  cui  presiede  un  arciprete  con  Sopra  di  questi,  e  forse  di  altri 
otto  canonici,  un  monistero  di  he-  beni,  che  la  Chiesa  romana  pos- 
nedettine,  tre  conventi  di  religio-  sedeva  in  Fondi,  ella  acquistò  l'uso 
si,  due  case  di  carità,  ed  altri  pii  delle  regalie  superiori,  le  qunli  poi 
stabilimenti.  Si  mostra  a'forestie-  estese  a  tutto  il  territorio,  ed  anco 
ri  dai  domenicani  la  camera  ove  alla  città  sino  al  grado  di  averla 
studiava,  e  dava  le  sue  lezioni  di  alla  piena  sua  ubbidienza.  Il  Pon- 
teologia  il  dottore  san  Tommaso  tefice  Giovanni  Vili  donò  a  Doci- 
d' Aquino,  come  nella  chiesa  del-  bile  e  Giovanni  suo  figliuolo,  dil- 
la ss.  Annunziata  un  bel  quadro  chi  ed  ipati  di  Gaeta,  e  loro  suc- 
rappresentante  il  saccheggio  dato  cessoli  in  perpetuo,  nell'anno  882, 
a  questa  città  dal  pirata  Earba-  l'inclito  patrimonio  di  Traclto,  e 
rossa.  I  dintorni  sono  fertili  ,  ma  la  città  e  territorio  di  Fondi  in 
l'acqua  stagnante  rende  l'aria  mal-  pieno  dominio,  acciocché  gucrreg- 
sann  :  i  suoi  vini ,  massime  dei  giassero  contro  i  saraceni  ,  come 
monti  Caerubi  (cosi  chiamando  i  poi  fecero.  Questa  donazione  fu  Io- 
romani    le    montagne    dei  contorni  ro  confermata    dal    Pontefice  Gio- 


FON 
Maini  X  nei  916,  il  quale  aiutato 
da  eletti  «lucili  alla  testa  dell' eser- 
cito, sconfisse  interamente  i  sarace- 
ni, che  da  quaranta  anni  si  erano 
annidati  nel  castello  di  Garigliano 
nella  Terra  di  Lavoro.  V.  il  Borgia, 
Breve  istoria  del  dominio  tempora- 
le delia  Sede  apostolica  nelle  due  Si- 
cilie,§§  XXXIII,  XXXIV  e  XXXV. 
Quindi  abbiamo  dal  Rinaldi  all'an- 
no 12 12,  num.  2,  che  la  contea  di 
Fondi  fu  donala  alla  Chiesa  ro- 
mana. Racconta  poi  il  Novaes  nel- 
la vita  di  Innocenzo  III,  che  aven- 
do questi  scomunicalo  nel  12 io 
l'imperatore  Ottone  IV  perchè  a- 
vea  usurpato  molle  terre  della  Chie- 
sa ,  sciolse  dal  giuramento  i  suoi 
vassalli,  onde  i  principi  della  Ger- 
mania elessero  in  suo  luogo  Fede- 
rico II  re  di  Sicilia,  il  quale  si  mi- 
se subito  in  viaggio  per  Roma,  e 
nel  12 12  fu  ricevuto  da  Innocen- 
zo III  con  somma  onorificenza.  Fe- 
derico II  allora  confermò  alla  san- 
ta Sede  la  donazione  che  poco  pri- 
ma gli  avea  fatto  della  contea  di 
Fondi,  ed  allre  baronie  ,  il  signo- 
re di  esse  Riccardo  dell'Aquila,  che 
in  sua  morte  ne  avea  istituito  cre- 
de la  Chiesa  romana. 

In  progresso  di  tempo  Fondi  fu 
concesso  alla  nobilissima  famiglia 
Ca etani  (Pedi),  e  mentre  n'era 
conte  Onorato,  ivi  fu  eletto  V Anti- 
papa Clemente  VII  (Vedi),  al  mo- 
do che  dicemmo  a  quell'articolo, 
ed  agli  articoli  Anagni  ed  Avigno- 
ne (  Vedi).  Per  dar  qui  un  cenno 
dello  strepitoso  avvenimento,  ch'eb- 
be per  conseguenza  il  lagrime vole 
scisma,  che  dal  1 378  ebbe  fine  nel 
1 4 1 7  colla  rinunzia  di  Gregorio 
XII,  deposizione  di  Giovanni  XX III, 
scomunica  dell'antipapa  Benedetto 
X11I  successore  di  Clemente  VII, 
e  coll'clezione  di   Martino  V  ,  dire- 


FON  i/Ì7 

ino  quanto  segue.  Restituita  in  Ro- 
ma da  Avignone   da    Gregorio  XI 
la    residenza    pontificia ,    alla    sua 
morte   nel  1378    gli    fu    dato    poi- 
successore  Urbano  VI,  contro  il  qua- 
le poco  dopo  ribellaronsi  alcuni  car- 
dinali, che  portatisi  in  Anagni,  osa- 
rono   deporre   il    legittimo    Papa  ; 
quindi  essendo  stati  cacciati  dal  po- 
polo di  Anagni,  profittando  del  dis- 
gusto che  eravi  tra  Urbano  VI  ed 
Onorato    Caetani    conte    di  Fondi , 
passarono  in   questa  cittàj  ove  co- 
gli   aiuti  di    Giovanna  I  regina   di 
Napoli,  a'  20  settembre  scismatica- 
mente elessero    in  pseudo-pontefice 
il  cardinal  Roberto  di  Ginevra  che 
prese  il  nome  di  Clemente  VII.  Ciò 
saputosi  da  Urbano  VI,  a'  6  novem- 
bre lo  depose  e  privò  del  cardina- 
lato e    dei   benefizi  ecclesiastici  con 
altre  pene,  scomunicandolo  insieme 
ai    16  cardinali  adunati  in  Fondi, 
ed  ai  principali  autori  dello  scisma. 
A'  29  dello  stesso  mese  fulminò  le 
censure  contro  i  fautori  dell'antipa- 
pa, e  contro  Onorato  Caetani,  An- 
tonio di    Caserta  ed    altri    signori. 
Clemente  VII   era    stato    coronato 
nella  cattedrale  di  Fondi  alla  pre- 
senza di  Ottone  di  Brunswick  ma- 
rito di  Giovanna  I,  del  principe  di 
Taranto,    di    Nicolò    Spinelli    am- 
basciatore di  delta  regina,  del  con- 
te   Onorato ,    e    di    molta    nobiltà 
del   regno  di  Napoli.   Dopo  un  fat- 
to d' armi   tra  le  truppe   pontifìcie 
e  quelle  dell'antipapa,  essendo  sta- 
te le  seconde  disfatte,  Clemente  VII 
risolvette  di  ritirarsi  a  Fondi  a'  18 
maggio  1379,  nel  qual  giorno  Ur- 
bano VI  rinnovò  in  Roma  la  sen- 
tenza   di    scomunica    contro  lui,    t 
suoi   seguaci ,  promulgando    a  loro 
danno  la  crociata,  con   amplissima 
indulgenza  a  chi  gli  avesse  impri- 
gionati. Non  vedendosi  ClcmeuteVH 


i48  FON 

sicuro  in  Fondi  passò  a  Napoli  ;  ma 
ribellandosi   poscia  quel  popolo,  il 
costrinsero  a  fuggire,    laonde  pas« 
so  in  Avignone  a  fondarvi  una  cat- 
tedra di  pestilenza.    Intanto  Urba- 
no VI  avendo  deposto  Giovanna  I, 
die  il  suo  regno  al  re  Carlo  III  Du- 
razzo,  colla  cessione  di  varie  signo- 
rie, e  tra  queste  le  contee  di  Ca- 
serta e  di  Fondi,  al  proprio  nipote 
Francesco  Prignani,  siccome  si  leg- 
ge in  Lodovico  Agnello  Anastasio, 
Istoria  degli  antipapi  tom.  II,  cap. 
XV.  Morto  Urbano  VI  nel  i389, 
non  andò  guari  che  dovette  repri- 
mere una  ribellione   che  in  Roma 
avea  tramata  Onorato  conte  di  Fon- 
di, ed  altra  superò  nel  1397   pro- 
vocata   dal  re  Martino  d' Aragona 
e  dal  medesimo  conte,  fautori  del- 
l'antipapa Benedetto  XIII.   Quindi 
nel  i3gg   Bonifacio  IX   ordinò  un 
rigoroso    processo    contro  Onorato 
Caetani   primario   sostenitore  dello 
scisma,  dichiarandolo   reo    di  apo- 
stasia ,  di  lesa  maestà ,  e  di  ribel- 
lione,  e  pubblicando  una  crociata 
contro  di  lui.  Tuttavolta  Onorato 
nel  seguente  anno  unito  coi  Colon- 
nesi ,  tentò   di  occupare   Roma ,  e 
di  arrestare  il  Papa,  ciò  che  sareb- 
be avvenuto,  se  le  guardie  del  Cam- 
pidoglio non  l'avessero  respinto  al 
primo  assalto.  Di  poi  il  buon  Pon- 
tefice nel  1401   assolvette  dalle  cen- 
sure i  Colonnesi,  Giacomello  Caeta- 
ni figlio  del  defunto  Onorato,  e  gli 
restituì  i  castelli  di  Ninfa,  Bassano 
e  Sermoneta   già   confiscati  e  inca- 
merati ;  e  nel  1 402  creò  cardinale 
Antonio  Caetani  de'  conti  di  Fondi. 
Mentre  il  Papa  Gregorio  XII  lot- 
tava  coli' antipapa  Benedetto  XIII , 
e  con  Alessandro  V  eletto  nel  i4°9 
dal  concilio    di    Pisa ,    fuggitivo    si 
recò  presso  Ladislao  re  di  Napoli, 
passando  per  Ortona   e    per  Fon- 


FON 

di.  Questa  città  nel  secolo  XVI  fu 
donata  da  Ferdinando  V  re  di  Spa- 
gna e  di  Napoli,  a  titolo  di  feudo, 
al  generale  Prospero  Colonna.  Nel 
i534  fu    sorpresa   dai    turchi,  co- 
mandati dal  famigerato  ammiraglio 
Ariadeno  o  Arouch  soprannomina- 
to Barbarossa,  irritato  per  non  aver 
potuto  rapire  Giulia  Gonzaga,  bel- 
lissima fra  le  donne  d'Italia,  la  qua- 
le   rimasta    vedova    di    Vespasiano 
Colonna  conte   di   Fondi,  ivi  stava 
ritirata  e  piangendo  la  sua  disgra- 
zia. Il  Barbarossa  improvvisamente 
di  notte  sbarcò  sulla  vicina  spiaggia, 
ed  appena  ebbe  tempo  la  misera  Giu- 
lia di  porsi  in  salvo.  Furente  perciò 
il  mussulmano  versò  l'ira  sua  sull'in- 
tera città,   mettendola  a  sacco,  ro- 
vesciandone la  cattedrale,  e  facen- 
do schiavi  molti    de'  suoi  abitanti. 
Ad  un  secondo  saccheggio  per  par- 
te de'  turchi,  Fondi  soggiacque  nel 
1 5g4 .    Appartenne    poscia    questa 
città  colla  sua  contea,  e  col  titolo  di 
principato,  alla  casa  di  Sangro.  Due 
volte  il  Papa  Benedetto  XIII  ono- 
rò di  sua   presenza    Fondi ,  essen- 
done   vescovo   Antonio   Carrara  di 
Sora.  Volendo  nel  1727  quel  Pa- 
pa visitare  la  sua  antica  chiesa  ar- 
civescovile di  Benevento,  che  anco- 
ra continuava  a  governare,  partì  da 
Roma  a'  24  marzo.  A  Terracina  si 
fece    precedere   dal    ss.    Sagramen- 
to,  ed  al  confine  trovò  il  cardinal 
d' Althan  viceré  di  Napoli,  che  pre- 
se seco    in  carrozza  sino  a  Fondi , 
dove  restò  a   dormire  nel  conven- 
to   de'  domenicani ,    tra'  quali    era 
stato  religioso,  e  nel  seguente  gior- 
no di  sabbato,  onorato  dalle  milizie 
napolitane,  prosegui  il  viaggio  per 
Itri.    Nel  1729    Benedetto  XIII   si 
recò  a  Benevento  per  celebrarvi  il 
terzo  concilio  provinciale,  giungen- 
do a  Fondi  il  primo  di  aprile,  pren- 


FON 

derido  alloggio,  e  riposando  la  not- 
te dai  medesimi  domenicani  :  nel 
dì  seguente  riprese  il  \iaggio  suo. 
Nel  restituirsi  a  Roma  ,  la  dome- 
nica de'  29  aprile  si  fermò  dai  do- 
menicani dove  pranzò  e  dormì,  ed 
il  lunedì  passò  a  Terracina. 

Dicesi  che  s.  Sotero  eletto  Papa 
a'  4    magS'°    dell'anno   175,   cui 
molti    danno    il    pronome    di  Con- 
cordio,    nacque  in    Fondi;    e    che 
s.  Paterno  di  Egitto  soffrì  il  mar- 
tirio in    questa    città ,    de.ducendosi 
da  ciò  che  la  fede  cristiana  fu  pre- 
dicala in  Fondi  sino  dai  primi  tem- 
pi della    Chiesa.  Ignoto  è  il  nome 
del    primo    vescovo ,   e   solo   si    sa 
che    il    Papa    s.   Antero    l' ordinò , 
quando  passò  da  Fondi,  ritornan- 
do dalla  Sardegna  in  Roma.  Nelle 
vite  de'  Papi  si  legge  che  s.  Ante- 
ro fu  eletto  a'  3  dicembre  dell'  an- 
no 287,  che  creò  un  solo  vescovo, 
cioè  questo  per  Fondi ,  e  governò 
la  Chiesa  appena  trenta  giorni.  Non 
si  deve  tacere  che  Commanville  affer- 
ma essere  stata  eretta   la  sede  ve- 
scovile di  Fondi  verso  l'anno  5oo, 
la   quale   venne   dichiarata    imme- 
diatamente soggetta  alla  santa  Se- 
de.   L'  Ughelli    nell'  Italia    sacra  , 
tom.  I,  pag.  719,  aggiunge  che  Vi- 
tale fu  il  secondo  vescovo,  il  qua- 
le assistè  ai  concili    di  Roma  sotto 
il   pontificato   di   s.  Felice  II   detto 
III ,   e  sotto   il    Papa    s.  Simmaco 
negli  anni  489,  5o  1 ,  5o2  e  5o4. 
Tra  i  vescovi  di  Fondi  noteremo  i 
seguenti.    S.  Andrea    di    cui    parla 
s.  Gregorio  I  nel    libro    3  ,  cap.   7 
Dial.    L' annalista   Baronio  lo  dice 
vescovo  nel  585.    Mariano  il  qua- 
le depose  nella  cattedrale  di  Fon- 
di   il   corpo    di    s.  Mauro    martire 
d  Àfrica.    Giovanni    che    fu    legato 
pontificio  in  Francia,   speditovi  dal 
santo  Pontefice  Nicolò  I  nell'  862  , 


FON  149 

sulla  domanda  del  re  Lotario  I, 
per  celebrare  un  concilio  a  Metz. 
Giovanni  che  intervenne  al  conci- 
lio generale,  che  Alessandro  III  ten- 
ne in  Laterano  nel  1179:  a  que- 
sto vescovo  Riccardo  conte  di  Fon- 
di concesse  alcuni  privilegi,  esten- 
sivi ai  di  lui  successori.  A  Daniele 
vescovo  nel  1180  il  capitolo  die  in 
successore  Giovanni  de  Pastina,  che 
Innocenzo  III  riprovò,  facendo  in- 
vece vescovo  Benedetto.  Roberto  di 
Pi  perno ,  priore  de'  cisterciensi  di 
Fossanova,  dotto  e  virtuoso,  diven- 
ne vescovo  nell'anno  12 io.  Leonar- 
do Tacconi  nobile  di  Piperno,  illu* 
stre  per  virtù.,  fu  fatto  vescovo  nel 
1  348  da  Clemente  VI.  Sembra  che 
al  tempo  dello  scisma  la  sede  fosse 
vacante,  giacché  non  dice  1'  Ughel- 
li quando  il  vescovo  Raimondo 
morisse ,  notando  che  il  successore 
fu  Stefano  de  Sardis  pisano,  fatto 
nel  1 3gi  da  Bonifacio  IX.  Rinun- 
ziò per  entrare  tra  i  canonici  re- 
golari di  s.  Antonio  di  Vienna  nel 
1399,  laonde  quel  Papa  gli  die  in 
successore  Domenico  Astalli  roma- 
no, che  morì  nel  i4*4  m  Roma 
in  casa  di  Cristoforo  Caetani,  nella 
regione  di  Campitelli.  Nel  i47^ 
Sisto  IV  dichiarò  vescovo  Pietro 
Caetani,  che  morì  nel  i5oo. 

Francesco  commendatore  di  s. 
Antonio  in  Roma,  nominatovi  da 
Leone  X  nel  i520.  Giacomo  Pel- 
legrini, nipote  di  Nicola  Pellegrini 
(  già  vescovo  di  Fondi  dal  1 5oo  al 
i52o),  occupava  questo  seggio  epi- 
scopale, quando  nel  i534  i  turchi 
saccheggiarono  la  città  :  rinunziò  a 
Paolo  III  la  dignità  nel  i537.  Fau- 
sto Caffarelli  romano ,  eletto  nel 
i555  da  Paolo  IV,  intervenne  al 
concilio  di  Trento,  e  morì  nel  1  566. 
Matteo  Guerra  di  Cosenza,  uno 
de' più  dotti  teologi  che  hanno  as- 


I  jo  F  O  N 

sislito  al  concilio  di  Trento,  nomi- 
nato da  s.  Pio  V  nel  i56j,  fu  poi 
trasferito  al  vescovato  di  s.  Marco 
in  Calabria  da  Gregorio  XIII  nel 
1576.  Fr.  Gio.  Pietro  da  Teano, 
dell'  ordine  de'  minori ,  confessore 
della  moglie  del  viceré  di  Napoli, 
vescovo  nel  1640  fatto  da  Urba- 
no Vili,  cessò  di  vivere  nel  1661. 
Vittore  Felice  Conci  di  Todi,  de- 
cano della  cattedrale  di  Montelìa- 
scone,  Clemente  XI  lo  fece  ve- 
scovo di  Fondi  nel  1703.  L'ul- 
timo vescovo  fu  Gennaro  Vincenzo 
Tortora  di  Nocera  de'  Pagani,  fat- 
to vescovo  da  Pio  VI  nel  concisto- 
ro de' 27  febbraio  1792,  dappoiché 
nella  nuova  circoscrizione  delle  dio- 
cesi fetta  da  Pio  VII ,  questi  colle 
lettere  apostoliebe,  De  utiliori  do- 
minicele, quinto  Ralendas  julii  1 8 18, 
soppresse  la  sede  vescovile  di  Fon- 
di, e  1'  uni  a  quella  di  Gaeta  [Ve- 
di). Il  capitolo  della  cattedrale  coni- 
ponevasi  di  dodici  canonici ,  com- 
prese le  dignità  di  primicerio,  di 
tesoriere  e  di  decano,  non  che  del- 
le prebende  di  teologo  e  peniten- 
ziere. Il  decano  faceva  da  parroco 
nella  cura  della  cattedrale. 

FONSECA  Pietro,  Cardinale. 
Pietro  Fonseca,  nato  in  Portogallo 
da  illustre  famiglia,  fu  creato  pseu- 
docardinale dall'antipapa  Benedetto 
XIII.  Però  disingannatosi  del  suo 
errore,  nel  1 4  '  9  si  recò  in  Firen- 
ze a'  piedi  di  Martino  V,  il  quale 
lo  creò  diacono  cardinale  di  s.  An- 
gelo, e  commendatario  del  vescova- 
do di  Siguenza,  non  che  legato  a 
latere  in  Costantinopoli  per  la  unio- 
ne della  chiesa  greca.  Altri  però 
dicono  che  Martino  V  con  diplo- 
ma del  primo  agosto  i4'8,  dato 
in  Ginevra,  dichiarasse  il  Fonseca 
per  vero  cardinale.  Tal  legazio- 
ne poi  non  ebbe  il  suo  effetto,  per- 


che   ammalatosi  gravemente    in     I- 
spagna,     dove    avea     implorata    la 
protezione    del     re,    si    distolse    dal 
viaggio  nella  Grecia.  Ebbe  anche  la 
commissione    di     procedere    contro 
l' antipapa     rifugiato     in     Ispagna  ; 
ma  fosse  la  grave  malattia,  ovvero 
le  segrete  arti  del    re    di    Aragona 
che  vi  si  opponessero,  è   certo  che 
non  se  n'  ebbe  alcun  buon    effetto. 
Portatosi    quindi    a    Ruma ,   venne 
impiegato  nella  legazione  di  Napo- 
li, dove  fu  incontrato  non  solamen- 
te dalle    galere    del    re,    ma    dallo 
stesso  Alfonso  d'  Aragona,   il   quale 
avea    concepito  il  disegno  di  occu- 
pare le  provincie  di  Napoli.    11   le- 
gato però  seppe  richiamarlo  a  cou- 
sigli di  pace,  e  diradare  que'  torbi- 
di che  poteano    produrre    de'  fune- 
stissimi effetti.  Ma  nel  ritornare  dalla 
sua  legazione,  fermatosi  in  Vicovaro, 
diocesi  di  Tivoli,  per  respirare  un'a- 
ria più    pura,  ovvero    per    visitare 
il  Papa  dimorante  in  quel    castel- 
lo, cade  per  accidente  da  una  scala 
del    convento    de'  frati     minori    in 
cui  alloggiava,  e  fu  sì  grave  la  per- 
cossa che  ne  riportò,  che  poche  ore 
dopo  passò  di  questa   vita.   La  sua 
morte  accadde  nel  1422.   Trasferito 
poscia    in  Roma ,    fu    seppellito    in 
una  tomba  di  marmo  adorna  di  co- 
lonne e  di  statue,  nella  basilica  va- 
ticana, al  manco  lato  della  cappel- 
la di  s.  Tommaso  apostolo.  Uà  co- 
desto luogo  poi,  nel    1608,  fu  tra- 
sferito nelle  grotte  vaticane,  presso 
i  sepolcri  d' Innocenzo  IV   e    Mar- 
cello II  ,  dove  si  vede  la  sua  efijgie 
in    marmo    cogli    abiti    propri    del 
suo  ordine. 

FONTANA  Francesco  LuiGr, 
Cardinale.  Francesco  Luigi  Fonta- 
na nacque  in  Casal  Maggiore  da 
pii,  onesti,  ed  agiati  genitori,  il  28 
agosto    1750.   Giunto  all'età  disc- 


FON 

dici  anni  seguir  volle  l' esempio  di 
(lue  altri  suoi  fratelli  col  consagrarsi 
al  Signore  nella  congregazione  dei 
chierici  regolari  di  s.  Paolo,  detta 
volgarmente  de' barnabiti,  nella  qua- 
le professò  i  voti  solenni  l' anno 
1 767,  dopo  di  ebe  passò  allo  stu- 
dio della  filosofìa,  e  quindi  a  quel- 
lo di  teologia,  ne'  quali  fece  mara- 
vigliosi  progressi.  Nel  1772  chia- 
mato dall'imperatrice  Maria  Teresa 
il  p.  d.  Ermenegildo  Pini  celebre 
naturalista  a  visitare  le  miniere  di 
Ungheria,  gli  fu  dato  a  compagno 
il  giovane  Fontana,  alla  salute  del 
quale  l' intensità  dello  studio  reca- 
to avea  qualche  nocumento.  Essen- 
do egli  in  Vienna  conobbe  vari 
letterati,  tra'  quali  il  rinomato  Pie- 
tro Metastasio,  e  quantunque  in 
età  di  soli  ventidue  anni  la  sua 
pietà,  la  sua  prudenza,  il  suo  sa- 
pere, il  finissimo  suo  gusto  in  ogni 
maniera  di  letteratura  trassero  in 
ammirazione  di  sé  ognuno  che  il 
trattò.  Ritornato  che  fu  dopo  un  an- 
no in  Italia,  suo  fratello  d.  Maria- 
no, nome  caro  alle  scienze  ed  alle 
lettere  (abbiamo  dal  p.  Grandi, 
De  vita  et  scrìptis  Mariani  Fon- 
tanile commentar.  Komae  1 8 1 1  ), 
lo  volle  per  circostanze  scabrosis- 
sime socio  nella  reggenza  del  col- 
legio di  s.  Luigi  di  Bologna  già 
de'  gesuiti,  in  cui  si  diportarono  i 
due  fratelli  in  guisa  da  riscuoterne 
comune  applauso,  in  modo  che  la 
congregazione  poco  appresso  affidò 
loro  eziandio  il  collegio  de'  nobili 
di  s.  Saverio,  e  il  ginnasio  di  s. 
Lucia.  Poco  dopo  fu  destinato 
Francesco  ad  insegnare  l' eloquenza 
e  la  poesia  prima  nel  ginnasio  o 
scuole  Arcimbolde  di  s.  Alessandro, 
e  poi  nel  collegio  superiore  di  Mi- 
Inno  ,  detto  imperiale  de'  nobili , 
dove     tanto     avanzò     nella    perizia 


FON  ijl 

dello  scrivere  nelle  tre  difficilissi- 
me lingue,  italiana,  latina  e  gre- 
ca ,  da  gareggiare  co' primi  lette- 
rati d'Italia  allora  viventi;  e  nel- 
la greca  singolarmente  tanto  si  era 
addestrato,  da  giungere  perfino  a 
comporre  in  quella  estemporanea- 
mente in  versi.  E  già  scritte  in  cia- 
scuno de'  detti  tre  linguaggi  si  hau- 
110  alle  stampe  operette  di  lui,  e  in 
verso  e  in  prosa,  le  quali  vennero 
assai  bene  accolte;  ed  è  soprattutto 
degno  di  essere  rammentato  I'  elo- 
gio che  scrisse  di  Benedetto  Mar- 
cello, posto  dal  Fabbroni  nella 
serie  degli  elogi  che  pubblicò,  e 
trasportato  poi  dall'  idioma  latino 
nel!'  italiano.  In  questo  medesimo 
tempo  coltivò  pure  le  scienze,  e 
particolarmente  le  sagre,  nelle  quali 
quanto  fosse  profondamente  versa- 
to, lo  dimostrò  iu  seguito  l'  uso 
che  ne  fece  in  vantaggio  della 
Chiesa  di  Dio.  La  sua  congregazio- 
ne, da  cui  assaissimo  era  stimato 
e  riguardato  come  un  oracolo,  at- 
tesa particolarmente  quella  rara 
prudenza  con  che  soleva  adoperar- 
si nel  disbrigo  dagli  affari  più  dif- 
fìcili e  delicati,  come  per  la  dolcezza 
del  suo  tratto,  lo  elesse  a  superio- 
re della  fiorentissima  provincia  di 
Milano,  eh'  egli  governò  in  turbo- 
lentissimi tempi,  cioè  nell'  invasione 
francese,  e  con  successo  tanto  felice, 
che  salvò  tutti  i  collegii  di  quella 
provincia  dal  minacciante  univer- 
sal  naufragio  in  cui  il  governo  de- 
mocratico tutti  voleva  avvolti  i  cor- 
pi regolari.  Fu  in  Milano,  e  nel 
1790  che  pubblicò  le  interessanti 
vite  di  molti  uomini  dotti  italiani, 
inserite  nei  tomi  IX,  X,  e  XI  del- 
le Vitae  italorum  doclrina  prac- 
slantium  del  Fabroni  citato.  Seda- 
te alcun  poco  le  politiche  vicende 
di  que'  difficili  tempi,  ed  eletto    a 


,5a  FON 

capo  della  Chiesa  il  glorioso  Pio 
VII,  fu  per  opera  dell'immortale 
cardinale  Gerdil,  già  alunno  de'  me- 
desimi barnabiti,  chiamato  nel  1801 
a  Roma  il  Fontana,  siccome  giusto 
estimatore  del  suo  merito.  Ivi  giun- 
to appena  fu  fatto  procuratore  ge- 
nerale dell'ordine  suo,  indi  consul- 
tore de'  riti,  e  non  molto  dopo  an- 
che del  s.  offizio,  non  che  segreta- 
rio della  correzione  de'  libri  della 
chiesa  orientale  ;  e  con  unanime 
applauso  il  1807  proposito  genera- 
le della  sua  congregazione.  11  Pon- 
tefice che  vedeva  nel  Fontana  un 
uomo  secondo  il  suo  cuore,  lo  ama- 
va con  tenerezza,  e  seco  il  volle 
nel  viaggio  che  fece  a  Parigi  per 
coronare  V  imperatore  Napoleone, 
in  qualità  di  teologo.  Egli  però  vi 
menò  vita  ritirata,  né  comparve 
mai  ad  alcuna  pubblica  cerimonia. 
Ritornato  in  Roma,  intraprese  nel 
1806  unitamente  al  p.  Scati,  una 
edizione  completa  delle  opere  del 
cardinal  Gerdil  dedicata  al  sommo 
Pontefice  in  venti  volumi  in  foglio, 
colla  vita  dell'  autore.  Questa  edi- 
zione interrotta  dalle  vicende  poli- 
tiche, fu  più  tardi  continuala  dal 
p.  Grandi.  Raccolse  ampie  memo- 
rie per  servire  alla  storia  letteraria 
di  sua  congregazione,  ed  avendo 
fatto  una  dotta  scrittura  per  il 
ven.  Antonio  Maria  Zaccaria,  la  sua 
causa  fu  introdotta  per  la  beatifi- 
cazione. Fu  in  seguito  adoperato  in 
affari  importantissimi  per  la  santa 
Sede.  Occupato  nel  1809  dalle  ar- 
mi francesi  di  Napoleone  lo  stato 
pontificio,  e  strappato  dalla  sua  se- 
de l'invitto  Pio  VII,  il  Fontana 
insieme  cogli  altri  capi  degli  ordi- 
ni religiosi  fu  tradotto  in  Francia, 
e  rilegato  ad  Arcis-sur-Aube,  da 
dove  fu  chiamato  a  Parigi  per  es- 
sere adoperato  in  una  commissione 


FON 

ecclesiastica,  in  negoziati  di  somma 
rilevanza.  Continuando  però  egli  a 
difendere  con  petto  sacerdotale  i 
diritti  della  santa  Sede,  sia  col  no- 
tificare al  cardinale  Maury  il  bre- 
ve pontificio  col  quale  venivagli  in- 
giunto di  abbandonare  la  sede  di 
Parigi  a  cui  1'  avea  nominato  Na- 
poleone, sia  col  disapprovare  il  se- 
condo matrimonio  da  questi  con- 
tratto ,  fu  posto  in  stretta  prigio- 
ne nelle  torri  di  Vincennes,  nelle 
quali  non  è  a  dire  quanto  soffrisse, 
ma  con  tal  rassegnazione,  che  me- 
ritò dallo  stesso  custode  della  car- 
cere il  soprannome  di  virtuoso,  e  da 
altri  quello  di  santo.  Stette  in  pri- 
gione il  Fontana  per  tre  anni  e 
tre  mesi,  avente  per  compagno  fe- 
dele de'  patimenti  fratel  Carlo  Sam- 
biagio  barnabita,  che  meritò  la  sua 
stima ,  fiducia  ed  affezione .  Non 
deve  passarsi  sotto  silenzio,  che  fra 
i  prigionieri  che  onorarono  tal  car- 
cere, sono  a  nominarsi  i  cardinali 
Opizzoni,  Gabrielli,  di  Pietro,  mon- 
signor de  Gregorio  poi  amplissimo 
cardinale,  ed  il  barone  di  Geramb, 
al  presente  abbate  e  procuratore 
generale  de'  trappisti,  come  si  legge 
nell'Elogio  storico  del  cardinal  Etn- 
manuelc  de  Gregorio,  scritto  dal 
cav.  Giulio  Barluzzi,  massime  alle 
pag.  23  e  24»  ove  parla  di  tali 
illustri  compagni  di  sventura  del 
Fontana.  Questi  riacquistò  la  liber- 
tà quando  le  armi  vittoriose  dei 
sovrani  alleati  entrarono  in  Parigi. 
Tornò  egli  in  Italia  con  pensiero  di 
ritirarsi  a  Monza,  ove  avea  assunto 
la  veste  religiosa  de'  barnabiti.  Ma 
Pio  VII  il  volle  a  Roma,  dove  su- 
bito lo  aggregò  alla  sagra  congre- 
gazione della  riforma,  e  nell'  istesso 
anno  18 14  il  fece  segretario  con 
voto  della  congregazione  sugli  affa- 
ri   straordinari    della  Chiesa,    con 


FON 

quell'onorevole  biglietto  del  cardi- 
nal Pacca,  che  riportammo  al  voi. 
XVI,  pag.  i56  del  Dizionario  j 
non  accettando  1*  arcivescovato  di 
Torino,  che  gli  venne  offerto  dal  re 
di  Sardegna,  credendo  di  non  me- 
ritar nulla. 

Alla  ricomparsa  del  detronizzato 
Napoleone  in  Francia,  e  all'avvi- 
cinamento a  Roma  di  Murat  re 
di  Napoli,  obbligato  per  cautela  a 
partir  di  nuovo  da  Roma  Pio  VII 
nel  i8i5,  ed  andarsene  a  Geno- 
va, ebbe  ordine  di  seguirlo  colà 
ancora  il  Fontana,  il  quale  ciò  fece 
in  compagnia  del  p.  reverendissi- 
mo Luigi  Lambruschini,  ora  am- 
plissimo cardinale  segretario  di  sta- 
to, ed  in  allora  correligioso,  ed  uno 
de'  maggiori  e  più  stimati  amici 
del  Fontana.  Ritornata  dopo  non 
molto  tempo  colla  prigionia  di  Na- 
poleone la  calma,  si  restituirono  il 
Papa  alla  sua  Sede,  e  il  Fontana 
a  Roma,  dove  nel  concistoro  del 
primo  marzo  1816  lo  creò  cardi- 
nale dell'  ordine  de'  preti,  dignità 
che  accettò  per  obbedienza,  e  bello 
fu  il  vedere  bagnar  di  lagrime  e 
scaldar  di  baci  la  veste  regolare, 
quando  gli  fu  tolta  di  dosso  per 
ricoprirlo  colla  porpora,  e  pregò  i 
suoi  confratelli  che  in  morte  lo 
tumulassero  colla  veste  religiosa  ; 
il  medesimo  Pio  VII  poscia  gli  die 
in  titolo  la  chiesa  di  s.  Maria  so- 
pra Minerva.  Insignito  egli  di  di- 
gnità tanto  cospicua,  in  nulla  can- 
giò il  tenore  di  sua  vita  religiosa, 
continuando  a  vivere  nella  casa  di 
s.  Carlo  a'  Catinari  in  mezzo  ai 
suoi  figli  e  confratelli  che  tenera- 
mente amava,  in  piccole  stanze 
addobbate  con  moderazione  religio- 
sa, solo  ricche  di  libri  e  di  scritti. 
Fu  fatto  prefetto  della  sagra  con- 
gregazione dell'  indice,  e   poscia  di 


FON  i53 

quella  di  propaganda  fide  e  sua 
stamperia,  alla  quale  si  aggiunsero  in 
seguito  anche  la  prefettura  degli  stu- 
di del  collegio  romano,  e  della 
correzione  de'  libri  della  chiesa  o- 
rientale,  essendo  pur  membro  del- 
la congregazione  del  s.  offizio,  dei 
vescovi  e  regolari,  della  disciplina 
regolare,  degli  affari  ecclesiastici,  e 
degli  studi.  Sostenne  egli  tutti  que- 
sti pesi  senza  mentovare  i  gravis- 
simi straordinari,  ed  in  particolare 
l'arduo  e  scabroso  di  propaganda  fi- 
de, in  modo  che  la  fama  della  sua 
integrità,  della  sua  giustizia,  del  suo 
amore  per  la  verità,  del  suo  disin- 
teresse, della  sua  prudenza,  e  del 
suo  finissimo  accorgimento  nella 
decisione  degli  affari  furono  cono- 
sciuti ed  ammirati  in  tutto  l'orbe 
cattolico.  Intanto  oppresso  dalle  con- 
tinue fatiche  andava  decadendo  ogni 
giorno  di  forze,  fino  a  che  assalito 
da  una  febbre  acuta  dovette  soc- 
combere sotto  la  gravezza  del  ma- 
le. Munito  de'  ss.  sagramenti  rice- 
vuti con  edificante  pietà  in  mezzo 
alle  lagrime  de'  religiosi  suoi  figli, 
di  cui  era  vicario  generale,  e  al 
dispiacere  di  tutta  Roma,  rese  l'a- 
nima al  Signore  il  giorno  19  mar- 
zo 1822,  alle  ore  21,  siccome  pia- 
mente da  più  anni  desiderava,  giac- 
ché soleva  dire,  che  se  gli  fosse 
accordato  di  morire  nel  giorno  sa- 
gro a  s.  Giuseppe,  gli  parrebbe  que- 
sto un  segnale  di  futura  felicità , 
essendo  quel  santo  protettore  dei 
moribondi.  Egli  fu  sepolto  come 
avea  desiderato  in  vita,  colla  veste 
di  barnabita,  colla  quale  celebrava 
privatamente  la  messa  nella  sua 
cappella  domestica.  Così  terminò  il 
corso  di  sua  vita  mortale  il  car- 
dinal Fontana ,  le  di  cui  gloriose 
gesta  non  mai  si  cancelleranno  dal- 
la memoria    de'  posteri.    Se  di  lui 


i54  l'Otf 

pub  formarsi  in  tutto  l'idea  del 
perfetto  cardinale,  va  commendato 
il  paterno  amore,  la  carità,  l'affa- 
bilità, e  le  benelicenze  di  cui  fu 
largo  in  qualunque  bisogno  colla 
sua  famiglia  domestica.  Mirabile  fu 
il  metodo  e  regolamento  che  ad 
essa  prescrisse  nelle  giornaliere  e 
serali  orazioni,  nell'assistenza  alla 
santa  messa,  nella  frequenza  de'  sa- 
gramene, e  nella  cristiana  condot- 
ta, di  cui  si  faceva  loro  modello 
ed  esempio,  sino  all'  intervento  nel- 
le mentovate  pratiche  di  pietà,  od 
alla  celebrazione  stessa  della  messa. 
Prudente  e  modesto,  fu  alieno  di 
accettare  protettone,  e  solo  fu  pro- 
tettore de'  monaci  maroniti  anto- 
niani  del  Monte  Libano.  In  una 
parola  il  Fontana  ademp"i  nel  tem- 
po stesso  i  doveri  del  cardinale  e 
del  regolare,  sembrando  che  si  fosse 
proposto  di  copiar  il  modello  che 
uvea  offerto  del  suo  compagno  e 
confratello  cardinal  Gerdil ,  il  cui 
nome  è  un  elogio ,  nella  orazione 
funebre  che  recitò  e  pubblicò  colle 
stampe  componendo  anche  il  di  lui 
epitaffio.  Umile,  quanto  dotto,  fe- 
ce lungo  e  severo  studio  de'  doveri 
che  a'  cardinali  sono  propri,  in 
que'  libri  che  ne  trattano  partico- 
larmente ;  e  siccome  avea  voluto 
conoscere  la  storia  di  quelli  che 
colle  virtù  avevano  onorato  la  por- 
pora, si  rattristava  in  riflettere  che 
di  tanto  numero  la  Chiesa  non  ac- 
cordò che  a  pochi  il  culto  o  di 
santi  o  di  beati  che  noi  enume- 
rammo all'articolo  Cardinale  (Ve- 
ili).  E  la  stanza  delle  sue  orazioni 
e  de'  suoi  studi  ne  avea  in  altret- 
tanti quadretti  l'effigie,  fatte  dipin- 
gere ad  olio  da  lui,  e  nel  guar- 
darle supplicava  Dio  di  concedergli 
1.»  grazia  d'imitare  almeno  alcuna 
delle  individuali  virtù  praticale  da 


FON 

quelli  che  rappresentavano.  Il  cardi- 
nale era  in  corrispondenza  con  vari 
dei  più  distinti  scienziati  del  suo  tem- 
po, fu  membro  di  molte  cospicue 
accademie,  ed  uno  de'  fondatori  in 
Roma  della  celebre  accademia  di 
religione  cattolica.  Il  cardinale  eb- 
be lunga,  costante ,  affettuosa  sti- 
ma, ed  inlima  amicizia  col  p.  ab- 
bate d.  Mauro  Cappellani  camal- 
dolese, ora  Papa  Gregorio  XVI,  e 
n'era  in  tutto  corrisposto  piena- 
mente. Raro  fu  quel  giorno  che 
tra  loro  non  conversassero.  Ogni 
giorno  il  cardinale  recavasi  a  pren- 
dere l'amico  colla  sua  carrozza,  e 
ìiell'  innocente  e  breve  sollievo  del- 
l'autunnale stagione,  che  effettua  - 
vasi  anche  per  ragione  di  salute 
ne*  tranquilli  e  religiosi  luoghi  del 
monistero  di  Grottaferrata  de'  ba- 
siliani,  e  nell'eremo  camaldolese  di 
Frascati,  il  cardinale  volle  sempre 
seco  il  p.  abbate,  trovando  nella 
sua  compagnia,  amicizia  e  collo- 
quio, conforto,  soddisfazione  e  te- 
nera compiacenza  :  dappoiché  la 
profonda  ed  estesa  scienza,  e  le  no- 
te virtù  del  p.  abbate  erano  al 
cardinale  di  pascolo  ed  ammira- 
zione sempre  più  crescente. 

M  23  marzo  nella  chiesa  di  s. 
Carlo  a'  Culinari  de'  barnabiti  si 
tennero  le  consuete  solenni  esequie 
pel  cardinale,  coli'  intervento  del 
sagro  collegio,  della  prelatura,  ed 
altri  che  vi  hanno  luogo,  celebran- 
do la  messa  e  facendo  le  solite  as- 
soluzioni il  cardinale  Emmanuele 
de  Gregorio;  dopo  di  che,  secondo 
la  disposizione  del  defunto,  fu  nel- 
la medesima  chiesa  tumulato  il  suo 
cadavere  nel  sepolcro  de'  suoi  cor- 
religiosi  :  a  fianco  poi  della  cap- 
pella di  s.  Biagio,  la  sua  congre- 
gazione coll'opera  del  valenle  scul- 
tore cav.  Giuseppe  Fabro  beu  ai- 


FON 

fetto  al  cardinale,  gli  eresse  un 
marmoreo  deposito,  dal  medesimo 
artista  immaginato  ed  eseguito.  Es- 
so consiste  in  una  base  che  stando 
a  ridosso  del  destro  pilastro  della 
cupola,  regge  il  bassorilievo  in  cui 
è  la  Fama  con  un  ginocchio  pie- 
gato in  atto  di  scrivere  in  carat- 
teri d'oro  le  virtù  morali,  i  me- 
riti letterari,  le  cariche  e  le  ono- 
revoli vicende  del  cardinale ,  ed 
alludono  a  tali  virtù  gli  analoghi 
simboli  ivi  pure  scolpiti.  Sopra  ev- 
vi  in  bassorilievo  una  specie  di 
sarcofago,  il  quale  termina  in  cima 
con  una  sepolcrale  cimasa  ;  e  nel 
mezzo  vi  si  apre  una  sferica  nic- 
chia che  racchiude  il  busto  al  na- 
turale del  defunto,  fatto  dal  me- 
desimo artista  somigliantissimo  per 
ossequio  mentre  era  in  vita  il  car- 
dinale; termina  il  monumento  in 
alto  con  frontespizio,  ove  nel  mez- 
zo si  vede  lo  stemma  del  porpo- 
rato, il  tulio  di  marmo.  La  stessa 
congregazione  nel  giorno  26  del 
medesimo  mese  di  marzo  gli  volle 
dare  un  pubblico  attestato  della 
venerazione ,  alta  stima ,  e  della 
profonda  riconoscenza  verso  la  sua 
illustre  memoria,  facendo  celebrare 
nella  loro  nominata  chiesa  un  so- 
lenne funerale  onde  pregar  pace 
alla  di  lui  anima.  Monsignor  Pie- 
tro Caprano  arcivescovo  d'Iconio, 
poi  cardinale,  cantò  la  messa,  do- 
po la  quale  il  p.  abbate  d.  Placi- 
do Zurla  camaldolese,  poi  cardi- 
nale ,  lesse  il  funebre  elogio  del 
defunto,  in  cui  con  somma  mae- 
stria, con  soda  eloquenza,  e  con 
prudente  finissimo  giudizio  rilevò 
i  rari  pregi,  ed  i  meriti  distinti 
del  medesimo,  e  che  poscia  fu  pub- 
blicato colle  stampe.  Il  p.  d.  An- 
ton Maria  Grandi,  pro-vicario  ge- 
nerale pel  cardinale  nella    cougrc- 


FON  i55 

gazione  de' barnabiti,  e  procurato- 
re di  essa,  ne  scrisse  la  vita  che 
voleva  stampare  colle  opere  del  de- 
fuulo,  ma  la  morte  che  colpi  sì 
rispettabile  barnabita  ne  impedì 
l'ellettuazione.  Questa  la  dobbiamo 
al  p.  d.  Carlo  Maria  Narducci  bar- 
nabita, che  nel  1823  pubblicò  in 
Roma  coi  tipi  del  Bourliè  la  Fitti 
ed  operette  divote  del  cardinal  Fran- 
cesco Luigi  Fontana,  dedicando 
l'opuscolo  al  cardinal  Emmanuele 
de  Gregorio.  Inoltre  il  p.  Grandi 
compose  l' epigrafico  elogio  che  si 
legge  nel  suddescritlo  monumento 
sepolcrale. 

FONTANA  o  FONTANIS.  Luo- 
go della  diocesi  d'Elna,  ove  nel- 
l'anno 947  fu  tenuto  un  concilio 
sulla  disciplina  ecclesiastica.  Lab- 
bé  tom.  IX;  Arduino  tom.  VI; 
Lenglet,    Tavolette  cronol. 

FONTANA  o  FONTE.  Luogo 
donde  scaturiscono  le  acque.  UMil- 
liu  definisce  la  fontana,  luogo  pre- 
parato dalla  natura  o  dall'arte,  nel 
quale  si  riunisce  l'acqua  di  una  o 
di  diverse  sorgenti,  affinchè  servir 
possa  ai  bisogni  dell'uomo.  Talvolta 
sotto  il  vocabolo  fontana  s'indica  un 
edifizio  destinato  a  ricevere,  e  a  di- 
stribuire l' acqua  che  vi  è  condot- 
ta naturalmente  o  artificialmente. 
Le  fontane  erano  uno  degli  orna- 
menti di  cui  le  città  greche  pi- 
gliavano grandissima  cura  onde  ab- 
bellire i  diversi  loro  quartieri.  I 
greci  dierono  a  quelle  fontane  un 
aspetto  esteriore  piacevole,  affinchè 
si  trovassero  in  armonia  colle  belle 
statue,  e  i  sontuosi  edilìzi  pubbli- 
ci che  ciascuna  città  condecorava- 
no.  Ciascuna  di  esse  per  lo  meno 
aveva  una  fontana  celebre,  consa- 
giata  a  qualche  divinità,  o  indi- 
cata col  nome  del  suo  fondatore, 
o    con    quello    talvolta    del    luogo 


i56  FON 

in  cui  trovavasi  situata;  alcune  fon- 
tane avevano  anche  un  nome, 
che  alla  memoria  richiamava  qual- 
che grande  avvenimento  che  av- 
venuto fosse  nelle  vicinanze.  Pau- 
saniu  parlò  molto  delle  fontane 
principali  della  Grecia;  e  di  mol- 
te di  queste  fontane  ne  facemmo 
menzione  ai  rispettivi  articoli.  Del- 
le odierne  e  più  rinomate  egual- 
mente se  -ne  fa  parola  in  parec- 
chi articoli  di  questo  Dizionario,  e 
di  quelle  di  Roma  all'articolo  Fon- 
tane di  Roma  (Vedi).  Ne  si  deve 
tacere  che  antichissimo  è  l'uso  di 
distribuire  il  vino  al  popolo  per 
mezzo  di  fontane  di  vino,  in  occa- 
sione di  gioia  e  di  festeggiamenti. 
In  Italia  si  fece  scorrere  sovente 
il  vino  per  le  fontane  nelle  feste 
puhhliche:  sovente  di  fontane  di 
■vino  parlano  i  nostri  storici,  e  que- 
ste vedevansi  a  Roma  sino  al  de- 
clinar del  secolo  passato,  nella  piaz- 
za o  cortile  ove  abitava  1'  amba- 
sciatore del  re  delle  due  Sicilie,  in 
occasione  della  solenne  presenta- 
zione al  Papa  del  tributo  della 
chinea,  per  quel  regno.  Nei  pos- 
sessi de'  Pontefici,  e  in  quelli  del 
senatore  di  Roma,  in  questa  città 
più  volte  le  fontane  di  Campido- 
glio gettarono  gran  copia  di  squi- 
sito vino,  e  talora  dispensavasi  con- 
temporaneamente a' poveri  il  pane: 
il  vino  poteva  beverne  chiunque. 
Nelle  relazioni  dei  possessi  presi 
della  basilica  lateranense  da  Leone 
X,  ed  altri  Papi,  in  alcuni  luoghi 
le  fontane  gettavano  vino  :  in  quel- 
li di  Urbano  Vili,  Innocenzo  X, 
Clemente  IX,  Clemente  XI,  Inno- 
cenzo XIII  ec.  le  fontane  dei  leo- 
ni di  basalto  che  sono  alla  scalina- 
ta di  Campidoglio  egualmente  get- 
tarono vino.  Anzi  ne'  possessi  di 
Clemente    IX    e    di  Clemente    X, 


FON 

lo  gettò  pure  la  fonte  a  pie  della 
scalinata  del  palazzo  senatorio.  Pen- 
ta I  funzione  Alessandro  VII  fece 
dispensar  gran  quantità  di  vino 
nel  palazzo  apostolico.  Per  l'ele- 
zione dell'imperatore  Ferdinando 
III,  il  cardinal  Maurizio  di  Savoia 
al  suo  palazzo  a  monte  Giordano 
fece  da  un  fonte  uscir  vino.  Per 
quella  del  gran  maestro  di  Malta 
Zondadari,  gettò  vino  la  fontana 
del  mascherone  di  Farnese.  Che  le 
fontane  della  piazza  di  tal  nome 
gettarono  vino,  lo  dicemmo  all'ar- 
ticolo Farnese  Famiglia.  Quando 
nel  1841  il  regnante  Pontefice  si 
portò  a  Montefiascone,  una  fonta- 
na gettava  vino,  per  gioia  e  tri- 
pudio di  quegli  abitanti.  V.  Acqua 
e  Vino.  11  Ghezzi  scrisse  sulPOn- 
gine  delle  fontane ,  e  dell'addolci- 
mento dell'acqua  marina,  Venezia 
1742;  ed  il  cav.  Filippo  Scolari 
da  ultimo  nel  1840  ci  diede  l'e- 
rudita Memoria  delle  lodi  dell'ac- 
qua comune,  e  del  saper  beveria 
e  farne  uso  a  presidio  e  riparo 
dell'  umana  salute. 

Nella  sagra  Scrittura  questo  vo- 
cabolo fontana,  fonte,  o  pozzo  è 
usato  in  diversi  significati ,  cioè 
per  ogni  sorta  di  sorgenti  d'acqua, 
ed  anche  con  significato  mistico 
ed  allegorico.  Nelle  medesime  sa- 
cre carte  si  legge  di  varie  fontane, 
celebri  alcune  anco  a'  nostri  gior- 
ni, come  la  fontana  del  Giudizio 
o  di  Misphat,  quella  di  Eliseo, 
quella  di  Agar,  di  Rogel,  del  Dra- 
gone, di  Sansone,  d'Etiope,  la  fon- 
tana o  pozzo  di  Giacobbe  presso 
la  città  di  Sichem  o  Sicar,  ed  al- 
tre, come  di  Siloe  ec.  Il  Rinaldi 
parla  di  molte  fontane  miracolose, 
delle  quali  se  ne  fa  menzione  in 
alcuni  luoghi  del  Dizionario,  e  ne- 
gli  articoli    delle   Chiese  m  Roma: 


FON 

in  quello  della  Chiesa  di  s.  Maria 
a  Trastevere,  si  dice  del  fonte  di 
olio,  prodigiosamente  ivi  scaturito 
alla  nascita  di  Gesù.  Cristo.  V . 
Fo^te  Battesimale,  ove  dicesi  di 
quelli  miracolosi.  Eranvi  già  delle 
fontane  avanti  alle  antiche  chiese, 
destinate  per  lavarsi  le  mani  ed  i 
piedi.  Oltre  di  quanto  dicemmo 
sull'uso  di  queste  fonti,  nel  volu- 
me XI,  pag.  228  del  Dizionario, 
aggiungeremo  che  il  Rinaldi  al- 
l'anno 57,  num.  io5,  afferma  che 
gli  antichi  cristiani  oltre  all'acqua 
benedetta  che  tenevano  nei  pili 
all'  ingresso  delle  chiese,  solevano 
edificare  dappresso  a  queste  le  fon- 
tane, cioè  avanti  le  porte  delle  chie- 
se, negli  atri  o  portici,  per  lavar- 
si le  mani  e  la  faccia  prima  di 
entrare  nella  casa  di  Dio.  Cerimo- 
nia che  derivò  dai  riti  osservati 
dagli  ebrei,  che  lavavansi  le  mani 
avanti  di  orare,  ed  i  loro  sacer- 
doti si  lavavano  pure  i  piedi  a- 
vanti  di  entrar  nel  tabernacolo 
e  recarsi  all'altare.  Anche  i  genti- 
li si  lavavano  nel  recarsi  ai  loro 
templi ,  essendo  ammaestramento 
di  natura,  non  dover  1'  uomo  ac- 
costarsi a  Dio  se  non  puro:  i  gen- 
tili per  le  purificazioni  fuori  delle 
porte  de'  templi,  in  mancanza  di 
fonti,  tenevano  vasi  con  acqua.  Che 
costumassero  i  cristiani  sì  della 
Chiesa  greca,  che  della  latina  la- 
varsi le  mani  avanti  l'orazione, 
l'insegnano  le  antiche  testimonianze 
degli  scrittori  ecclesiastici,  sebbene 
non  mancano  molti  santi  padri  di  de- 
clamar contro  quelli  che  si  lavavano 
le  mani,  e  non  la  coscienza.  Altri 
opinano  che  in  luogo  del  lavacro 
è  succeduta  l'acqua  benedetta  [Ve- 
di), che  tuttora  si  tiene  nell'ingres- 
so delle  chiese.  Il  Sarnelli  ne!  toni. 
VI  delle  Lettere  ecclesiastiche,  lett. 


FON  i57 

XXV,  num.  9,  dice  che  stavano  le 
fonti  avanti  la  chiesa  affinchè  quelli 
che  dovevano  ricevere  la  ss.  Eu- 
caristia si  lavassero  le  mani,  per- 
chè secondo  gli  antichi  riti  por- 
gevasi  in  mano  anco  de'  laici ,  e 
per  porsela  in  bocca,  e  per  por- 
tarsela a  casa,  ed  ivi  conservarla 
privatamente,  come  rilevasi  da  s. 
Cipriano,  De  lapsis,  ove  riporta  mol- 
ti esempi  di  castighi  divini,  dati 
a  coloro  che  con  indegne  mani  ri- 
cevevano la  ss.  Eucaristia. 

Sì  fatti  fonti  presso  le  chiese  vo- 
glionsi  eretti  anco  per  comodila  dei 
poveri  ;  tale  fu  quello  che  eresse  il 
Papa  s.  Damaso  I  nell'atrio  della 
basilica  vaticana.  Questo  fonte  per 
comodo  de'  poveri  e  de'  pellegrini 
era  diverso  da  quello  dal  medesi- 
mo Pontefice  e  nell'istesso  luogo 
edificato  pel  battesimo ,  come  av- 
verte il  Severano,  Memorie  sagre, 
pag.  j5  e  seg.  Dell'origine  ed  uso 
di  questi  fonti,  colle  testimonianze 
de' padri  e  degli  storici  antichi,  il 
Severano  ne  parla  a  p.  62,  dicen- 
do che  Papa  s.  Simmaco  n'eresse 
uno  nell'atrio  della  Jxisilica  di  s. 
Paolo,  e  che  il  Pontefice  s.  Uaio 
nel  fabbricare  presso  il  battisterio 
lateranense  l'oratorio  della  Croce, 
dinanzi  fece  fare  un  fonte  nel  por- 
tico, circondato  di  cancelli  di  bron- 
zo, e  di  colonne  di  porfido  forate, 
le  quali  gettavano  l'acqua  nell'istes- 
so fonte.  Il  p.  Lupi  che  nel  tom.  I 
delle  sue  Dissertazioni  discorre  eru- 
ditamente degli  antichi  fonti  delle 
chiese,  come  dei  pili  per  l'acqua 
benedetta,  distinguendo  gli  uni  da- 
gli altri,  dice  che  tali  fonti  presso 
le  basiliche  furono  pure  chiamati 
bagni  pei  pellegrini  e  pei  poveri , 
come  fu  quello  del  patriarchio  la- 
teranense, della  basilica  vaticana  di 
s.  Leone  III,  del  monistero  di  s.  Pao- 


ìóltt  FON 

10  sulla  via  Ostiense,  e  in  s.  Loren- 
zo al  campo  Verano.  Circa  il  rap- 
presentarsi dagli  antichi  artisti  nel- 
le pitture  e  mosaici  delle  chiese 
simbolicamente  fonti  e  fiumi,  il  Se- 
vcrano  ci  dà  la  spiegazione  de'  fiu- 
mi e  del  fonte  rappresentato  nel 
mosaico  della  tribuna    lateranense. 

11  Buonarroti  nelle  Osservazioni  sui 
vetri  antichi  j  dice  che  quando  si 
simboleggiano  i  fiumi  del  paradiso 
terrestre  che  scaturiscono  dal  mon- 
te, in  cui  è  Cristo,  o  l'agnello,  si- 
gnificano gli  evangelisti  ;  nelle  sue 
Osservazioni  sui  medaglioni  antichi, 
a  pag.  94  parla  de'  fiumi  o  striscie 
rosse  in  certe  vesti  de'  greci  chia- 
mate mandia.  Parlando  allegorica- 
mente delle  fonti,  con  esse  venne- 
nero  indicati  i  figliuoli  e  tutta  la 
posterità  d' Israele  ;  la  purità  del- 
la dottrina  della  Chiesa  cattolica, 
quella  cioè  degli  apostoli  mandati 
dal  Salvatore;  il  santo  battesimo, 
la  vera  e  celeste  sapienza;  la  gra- 
zia santificante  che  ha  seco  la  ca- 
rità e  gli  altri  doni  dello  Spirito 
Santo,  e  per  non  dir  di  altre  mi- 
stiche allegorie,  i  fonti  sono  figure 
di  Cristo  stesso,  da  cui  derivano 
tutte  le  salutifere  e  limpidissime 
acque  per  dissetar  coloro  che  vi- 
vranno eternamente. 

FONTANE  di  ROMA.  Delle  Ac- 
que ed  acquedotti  di  Roma ,  come 
della  Congregazione,  cardinalizia 
delle  acque,  ne  parlammo  a  quegli 
articoli.  Volendo  ora  qui  dire  qual- 
che altra  cosa  sulle  acque,  e  com- 
pendiosamente trattare  delle  fonta- 
ne e  fontanili  della  città  di  Roma, 
principalmente  facciamo  notare  il 
comune  opinamento,  che  non  av- 
vi città  in  tutta  1'  Italia  dove  le 
acque,  le  fontane,  e  i  fontanili  sie- 
no  più  abbondantemente  e  più  ric- 
camente   all'  uso    pubblico    esposti , 


FON 

alla  delizia,  all'ornamento,  al  de- 
coro della  città,  alla  salute  de'  suoi 
abitanti,  come  Roma  e  le  sue  vil- 
le e  giardini.  La  natura,  gli  anti- 
chi romani ,  e  i  sommi  Pontefici 
cooperarono  progressivamente  con 
indefesso  zelo  a  rendere  anche  con 
le  acque ,  meravigliosa  la  capita- 
le del  mondo,  ed  ora  del  cri- 
stianesimo, ricca  comunque  di  ve- 
ne limpide  e  perenni,  ed  alcu- 
ne di  scaturigine  incerta.  Ne  vi 
ha  abituro  o  cortile,  non  viale  o 
giardino  senza  che  un  sonante  fon- 
te lo  animi  e  rallegri.  Svariate,  ra- 
pide ed  in  buon  numero  sono  le 
sorgenti  indigene  delle  acque,  che 
la  natura  avea  già  predisposte  nel- 
le sue  viscere,  avanti  pure  che  dal- 
la vigilanza  e  munificenza  de' Papi 
venissero  di  quando  in  quando  rial- 
lacciate tali  vene.  Contansi  in  fatti 
tra  le  scaturigini  proprie  del  suo 
terreno  molte  vene  serpeggianti  nel- 
le cisterne ,  le  più  profonde  delle 
quali  sembrò  ad  alcuno  che  fosse- 
io  quelle  che  si  versano  dentro  ai 
pozzi  del  famigerato  colle  Palati- 
no, innalzandosi  a  mano  a  mano 
dentro  gli  altri  non  men  celebri 
colli  Pincio,  Aventino,  Esquilino  e 
Viminale.  Questi  interni  ruscelli 
che  sono  pur  limpidi  e  freschi,  e 
che  poco  o  nulla  di  minerale  con- 
tengono in  soluzione,  nascono  tutti 
dal  suolo  romano;  ed  è  opinione 
dei  naturalisti  che  il  volume  di 
tante  acque  basterebbe  da  per  sé 
solo  a  dissetare  gli  abitanti,  e  ser- 
virebbe ai  comodi  ancora,  quando 
coli'  opera  dei  noti  pozzi  artesiani 
fosse  con  giusta  bilancia  distribui- 
to. Anticamente  le  sorgenti  indige- 
ne erano  in  maggior  numero  e  vo- 
lume, tutte  però  potabili  per  la 
loro  saluberrima  qualità. 

Scile  sono  le  principali  vene  che 


FON 
olire  a  ci?»  manda  fuori  il  suolo  «li 
Roma ,  le  acque  delle  quali  pure, 
chiare  e  dolcissime,  si  raccolgono 
in  altrettante  fonti  ad  uso  pubblt- 
ro.  La  prima  di  queste  si  chiama 
1*  acqua  del  Grillo,  perchè  uscendo 
fuori  ni  la  falda  meridionale  del  col- 
le Quirinale  cade  in  una  fontana 
posta  dentro  al  palazzo  di  proprie- 
tà de'  signori  Grillo,  situato  presso 
l'arco  de'  Pantani,  d'onde  tiene  tal 
nome.  Chiamasi  la  seconda  di  s. 
Felice,  perchè  nel  fabbricato  di  quel 
cortile  posto  alla  làida  occidentale 
del  Quirinale  ed  incontro  la  date- 
ria, ove  dimora  parte  della  fami- 
glia pontifìcia,  essendo  stato  il  con- 
vento de' cappuccini  prima  che  pas- 
sassero ove  sono,  avevano  essi  costrui- 
to la  fonte,  ed  insieme  al  fabbricato 
ed  al  cortile  prese  il  nome  dal 
convento  ch'era  detto  di  s.  Felice. 
Al  principio  della  salita  di  s.  Ono- 
frio, che  conduce  sul  celebralo  col- 
le Gianicolo ,  sorge  fuori  I'  acqua 
Lancisiana  ,  dal  suo  ritrovatole 
Lancisi  archiatra  di  Clemente  XI 
cos'i  appellata.  Siccome  acqua  uti- 
le persuase  il  Papa  a  concederla 
nel  1720  in  vantaggio  del  vicino 
arcispedale  di  s.  Spirito  in  Sassia  ; 
e  siccome  dicemmo  altrove,  per 
cura  del  commendatore  di  quello 
stabilimento  monsignor  Antonio 
Cioia ,  sgorga  in  un  recipiente  al 
lato  sinistro  del  porto  Leonino  a 
beneficio  pubblico  sino  dal  i83o, 
essendo  decorato  delle  armi  mar- 
moree di  Pio  Vili,  e  del  suo  se- 
gretario di  stato  cardinal  Giuseppe 
Albani,  al  tempo  de'  quali  il  fon- 
te fu  eretto.  Qui  però  noteremo 
che  il  porto  Leonino  ha  nel  suo 
mezzo  un  altro  fontanile,  decoralo 
da  un  gran  mascherone  di  marmo, 
da  cui  discende  la  Pia  :  acrjua  che 
sorge  alla    laida  del  Gianicolo,  sot- 


FON  ìru) 

io  la  villa  Marescotti,  e  che  prima 
messa  a  speco  da  Pio  IV  in  picco- 
Io  fonte  a  porta  Cavai  leggieri,  ma 
poscia  smarrita,  fu  da  Clemente  XI 
ricuperata,  e  da  Pio  VII  rintrac- 
ciata e  riallacciata  di  nuovo:  fi- 
nalmente Leone  XII  nel  1827  ne 
condottò  una  porzione  dentro  la 
città  per  uso  del  detto  arcispeda- 
le ,  e  per  comodo  pubblico  nella 
mentovata  fonte  di  mezzo  al  por- 
to ,  per  suo  ordine  fabbricato  in- 
contro il  palazzo  Salviati.  Altrove 
pur  si  disse,  che  dal  Gianicolo  pro- 
viene I'  acqua  Jnnocenziana ,  per- 
chè incondottata  da  Innocenzo  XI 
od  isgorgare  in  una  pubblica  va- 
sca per  comune  utilità  al  principio 
della  salila  che  conduce  alla  chie- 
sa di  s.  Pietro  Montorio.  La  sesta 
acqua  è  poi  quella  di  s.  Damasp, 
di  antico  corso,  come  rilevammo  in 
alcuni  articoli ,  e  che  circa  un  mi- 
glio distante  dalla  porta  Cavalleg- 
gicri  si  rinvenne  nel  quarto  secolo: 
di  quest'  acqua  è  il  fonte  del  cor- 
tile del  palazzo  vaticano  detto  per- 
ciò di  s.  Damaso,  ed  anche  delle 
loggie  di  Raffaello,  per  quelle  ivi 
dipinte  da  quel  sommo  artista.  In- 
nocenzo X  la  diramò  nel  1649,  ed 
eresse  il  fonte  in  discorso.  La  set- 
tima è  Y  acqua  delle  Api,  che  ha 
le  scaturigini  alle  radici  del  colle 
Vaticano,  pregevole  per  la  salubri- 
tà e  leggerezza,  fu  scoperta  nel 
giardino  papale  nel  1  G37  sotto  Ur- 
bano Vili,  il  quale  la  fece  condur- 
re in  una  fonte  del  portico  del 
gran  cortile  di  Relvedere,  e  dal 
suo  slemma  gentilizio  scolpilo  nel 
fonte  chiamasi  delle  Api.  Dopo  ses- 
santa anni  dacché  fu  trovala  la) 
sorgente,  venne  quest'acqua  deri- 
vata in  parte  fuori  del  palazzo  va- 
ticano, e  passa  nell'atrio  della  vi- 
cina chiesa   di    s.  Maria  delle  Gra- 


160  FON 

zie  presso  la  porta  Angelica.  Da 
ultimo,  e  nell'odierno  pontificato, 
mediante  una  macchina  idraulica , 
l'acqua  delle  Api  è  slata  distribui- 
ta in  buona  parte  per  comodo  del- 
le diverse  abitazioni,  facendola  sa- 
lire sino  al  tetto  del  medesimo  son- 
tuoso palazzo,  con  grandissimo  uti- 
le de'  famigliari  pontificii. 

Tutte  le  suddette  acque  sono 
potabili,  e  devono  reputarsi  delle 
migliori  per  le  loro  proprietà  fisi- 
che, di  natura  benigna,  tersa  e 
limpida.  Il  eh.  dottore  Pietro  Car- 
pi professore  di  mineralogia  e  sto- 
ria naturale  neh'  università  roma- 
na, avendo  analizzato  le  acque  di 
Roma  trovò  in  esse  qualità  tali  da 
annoverarle  fra  le  acque  potabili 
le  più  pure  che  si  conoscono.  Dal- 
la sua  analisi  chimica  pubblicata 
nel  1 83 r,  risulta,  che  in  una  lib- 
bra medicinale  delle  medesime  ac- 
que, composta  di  grani  6912,  tro- 
vami appena  da  due  a  quattro  gra- 
ni di  sostanze  fisse,  cioè  di  principii 
stranieri  che  vi  sono  disciolti.  Dal 
che  concluse  quel  dotto,  analizzan- 
do ancora  le  acque  avventizie,  non 
esservi  città  in  cui  le  acque  pota- 
bili sieno  tanto  abbondanti  e  tanto 
salubri  quanto  Roma.  E  la  natura, 
che  a  largo  mano  profuse  di  che 
dissetare  gli  abitatori  del  suolo  ro- 
mano, non  fu  avara  nemmeno  di 
acque  acidule  e  minerali  alla  pur- 
gazione de'  visceri,  ed  a  riacquistar 
la  salute,  anche  usate  come  bagno 
sono  buone.  Tali  sono  1'  acqua  ace- 
tosa, V  acqua  santa,  e  l' acqua  di 
s.  Giorgio  :  ma  le  chimiche  quali- 
tà di  questa,  ultima  non  corrispon- 
dono alla  fiducia  che  ne  ha  il  vol- 
go, ed  ha  le  proprietà  dell'  acqua 
naturale  e  comune.  Il  ruscello  del- 
l' acqua  di  s.  Giorgio  in  VelabrOj 
presso  la  chiesa  di  tal  nome,  va  a 


FON 

perdersi  nella  cloaca  massima.  Di 
queste  tre  acque  ne  parlammo  nel 
citato  articolo  Acque,  per  cui  qui 
faremo  cenno  dell'  edilìzio  delle  due 
prime.  L'  acqua  acetosa,  così  delta 
dal  suo  sapore  acidulo,  ha  la  sor- 
gente fuori  della  porta  Flaminia  , 
lungo  il  Tevere  presso  il  ponte 
Milvio ,  ed  esce  da  tre  bocche. 
La  fonte  deve  la  sua  costruzione 
al  cavalier  Lorenzo  Bernini ,  ed 
i  Pontefici  Paolo  V ,  Innocenzo 
X,  Alessandro  Vìi,  e  Clemen- 
te XI ,  ebbero  cura  di  mante- 
nerla a  vantaggio  della  città  ,  i 
cui  abitanti  in  gran  numero  vi 
concorrono  nelle  prime  ore  del 
mattino  della  primavera,  e  di  esta- 
te principalmente,  dappoiché  si  pre- 
ferisce di  beveria  ove  sorge  per 
provarne  gli  utili  effetti.  Tre  mi- 
glia circa  fuori  della  porta  s.  Gio- 
vanni, nella  via  Appia  nuova,  a 
a  destra,  si  trovano  i  bagni  del- 
l'acqua minerale  detta  acqua  santa, 
il  di  cui  comodo  locale  è  proprie- 
tà dell'  arcispedale  di  s.  Giovanni 
in  Laterano.  Questa  è  un'  acqua 
che  ha  la  sorgente  in  fondo  alla 
valle,  per  le  cui  qualità  è  eccellen- 
te anche  in  bevanda,  della  quale 
ordinariamente  se  ne  intraprende 
la  cura  nella  stagione  estiva.  La 
detta  acqua  poi  di  s.  Giorgio,  che 
molti  bevono  nell'  estate  ove  sorge, 
come  limpida  e  leggera,  vuoisi  che 
sia  1'  acqua  medesima  chiamata  da- 
gli antichi  acqua  di  Mercurio,  che 
scaturiva  poco  distante  dalla  por- 
ta Capena.  Dicesi  ancora  che  sia 
l' acqua  celebre  di  Argentina,  e 
quella  che  animava  l' antico  e  no- 
to fonte  di  Giuturna.  Il  dottissimo 
avv.  Fea  commissario  delle  antichi- 
tà romane,  trovò  le  due  sorgenti  in 
un  antico  bottino  situato  nell'orto 
o  vigna  del  monastero  di   s.    Gre- 


FON 

gorio  sul  monte  Celio,  di  proprietà 
de'  monaci  camaldolesi. 

Le  acque  del  fiume   Tevere  (Ve- 
di) che  attraversa  la  città  di  Roma, 
potrebbero    usarsi    depurate    in    ci- 
sterne per  bevanda,  come  ne  fece- 
ro uso  gli  antichi  romani    sino    al 
quinto  secolo  di  Roma.    Più    tardi 
1'  usarono  molti    abitanti    della  re- 
gione di  Trastevere,  ed  i  Papi  Cle- 
mente VII,  Paolo  III,  e    Gregorio 
XIII;  acqua  assai  superiore  a  quel- 
le   del  Tamigi  e  della   Senna,   se- 
condo le  interessanti  analisi  del  eh. 
Antonio  Chimenti   professore  .degli 
elementi  di    chimica  nell'  università 
romana,  pubblicate    nel   i83o.  Ciò 
è  quanto  la  natura  seppe  insinua- 
re di  fluido  nel   terreno   del    suo- 
lo romano,   e  a   meglio  esprimersi 
quanto  il  caso  e  l' industria  seppe- 
ro trarre   fuori   dal   suo   seno.   Ma 
non  se  ne  contentarono  gli  antichi, 
ai  quali  forse  una  maggiore  popo- 
lazione, o  un  timore    d' incendio  e 
assalto,  richiedevano  maggiori    co- 
se. Trassero    in    fatti    i   sagacissimi 
romani    antichi    tante'    sorgenti   di 
acqua  nella  loro  patria,  che  al  dire 
degli  idraulici    più  sensati,     i    loro 
acquedotti  conducevano  tanto  liqui- 
do in   Roma,   quanto    ne    conduce 
giornalmente  la  Senna  in  mezzo  a 
Parigi,  quando   le   sue    acque    non 
soverchiano  il  loro  ordinario  livello. 
Secondo  una  statistica,  oltre  i  cin- 
que acquedotti,  le  fontane    pubbli- 
che monumentali  si  fanno  ascendere 
a  cinquanta,  e  le  piccole  fonti  pub- 
bliche a  cento.  Il  Fontana  ci  diede 
in  Roma  nel  1647:  Raccolta  delle 
principali  fontane  di  Roma.  Mon- 
signor   Nicolò     Maria     Nicolai    nel 
1829  stampò  in  Roma  :  Opera  sul- 
la presidenza  delle  strade  ed    ac- 
que e  sua  giurisdizione  economica. 
Contiene  il  lesto  delle  relative  leg- 
vol.  xxv. 


FON  161 

gi,  i  regolamenti,  l' istruzioni,  e  i 
dettagli  di  esecuzione.  Finalmente 
1'  avvocato  d.  Carlo  Fea,  lume  ed 
onore  anche  di  questo  argomento, 
pubblicò  in  Roma  nel  i832:  Sto- 
ria delle  acque  antiche  sorgenti  in 
Roma  perdute,  e  modo  di  ristabi- 
lirle j  e  storia  dei  condotti  antico- 
moderni  delle  acque  Vergine ,  Fe- 
lice e  Paola,  e  loro  autori.  Con 
suggerimenti  per  aumentare  le  loro 
acque,  e  migliorarne  la  qualità  ; 
loro  analisi  chimica  ,  unitavi  quel- 
la delle  acidule  e  termali  nelle  vi- 
cinanze della  città.  Con  un  codice 
diplomatico  delle  costituzioni  dei 
sommi  Pontefici  restauratori  delle 
medesime.  Delle  provvidenze  prese 
finora  dalle  congregazioni  destinate 
sopra  di  esse,  dai  cardinali  camer- 
lenghi, presidenze  delle  acque,  ca- 
mera capitolina  ec.  ;  colla  relazione 
delle  iscrizioni  antiche,  ultimamente 
scoperte  delle  acque  Claudia,  o  Tra- 
iana  ;  ed  altre  moderne  relative  ai 
condotti  attuali,  parte  inedite,  parte 
stampate  inesatte. 

Le  fontane  pubbliche  e  monu- 
mentali di  Roma  vengono  alimenta- 
te principalmente  da  tre  diverse  ac- 
que, cioè  la  Felice,  la  Paola,  e  la 
Vergine  detta  anche  di  Trevi.  Pri- 
ma parleremo  dell'  acqua  Felice, 
poi  della  Paola,  indi  della  Vergine, 
e  per  ultimo  delle  principali  fon- 
lane  pubbliche  e  monumentali  di 
Roma.  Nel  pontificato  di  Gregorio 
XIII,  come  indicammo  di  sopra, 
gli  abitanti  della  regione  di  Tras- 
tevere, ed  altri  erano  costretti  di 
bere  1'  acqua  del  fiume  Tevere,  che 
i  benedettini  di  s.  Calisto,  e  i  car- 
melitani scalzi  di  s.  Maria  della 
Scala,  dimoranti  nella  slessa  regio- 
ne, per  non  dire  di  altri,  depurava- 
no entro  apposite  cisterne:  in  tem- 
pi anteriori  giravano  per  Roma  i 
1 1 


iC2  FON 

■venditori  di  acqua,  anzi  vuoisi  che 
per  mancanza  di  fonti  ciò  durasse 
sino  a  Sisto  V,  e  il  famoso  tribu- 
no Cola  di  Rienzo,  era  figlio  di 
una  donna  che  vendeva  l' acqua 
per  Roma.  Fu  pertanto  nel  i58i 
proposto  a  quel  magnanimo  Pon- 
tefice di  restituire  ai  colli  di  Roma, 
ridotti  in  gran  parte  disabitati  e  a 
vigne,  le  acque  che  anticamente 
godevano,  progettandosi  di  far  de- 
posito presso  le  terme  Diocleziane 
di  quelle  acque  che  copiosamente 
scorrevano  a  rivoli  nelle  alture  di 
Pantano  de'  Griffi  dappresso  al  ca- 
stello della  Colonna,  unendovi  le 
acque  già  servite  all'acquedotto  del- 
l'imperatore Alessandro  Severo  per 
le  sue  terme.  Mentre  il  Papa  vo- 
leva mandare  ad  esecuzione  il  piano 
colla  cooperazione  dei  conservatori 
di  Roma,  che  ne  volevano  acqui- 
stare porzione  per  condurla  al  Cam- 
pidoglio, morì  nel  i585.  Gli  suc- 
cesse Sisto  V  d' animo  grande  e 
nato  fatto  per  strepitose  imprese, 
il  quale  approvò  il  progetto  con 
alcune  modificazioni ,  e  si  accinse  a 
farlo  eseguire  per  vantaggio  della 
città,  ed  anche  per  servirsi  di  tali 
acque  nelle  sei  fonti  della  villa  vi- 
cino alle  terme  Diocleziane  da  lui 
fabbricata,  ed  ora  del  principe  Mas- 
simo, il  quale  nel  1 836  pubblican- 
done le  Notìzie  storiche,  in  argo- 
mentò ci  die  analoghe  ed  erudi- 
tissime nozioni.  Quindi  a' 4  giugno 
1^87,  dopo  avere  Sisto  V  visitato 
le  sorgenti,  a'  i5  dello  stesso  me- 
se l' acqua  si  vide  fare  magnifica 
mostra  di  sé  sulla  piazza  di  Ter- 
mini presso  le  terme  memorate  :  ne 
furono  arebitetti  Matteo  Bartolani, 
e  Giovanni  Fontana  che  compì  l'o- 
perazione, nella  quale  s' impiegaro- 
no da  due  mila  a  tre  mila  lavo- 
ranti per  le    livellazioni  ed   acque- 


FON 
dotti.  L'  universal  tripudio  de'  ro- 
mani per  aver  guadagnato  700  on- 
de d'acqua,  e  la  medaglia  fatta 
perciò  coniare  dal  Papa  colla  sua 
effigie,  e  l'epigrafe:  unda  sempf.h  fe- 
iix,  resero  più  celebre  questa  ma- 
gnifica provvidenza.  Le  medaglie  fu- 
rono dispensate  da  Sisto  V  ai  prin- 
cipali signori  della  città,  a' suoi  fa- 
migliari, ed  a  quelli  che  avevano 
avuto  parte  nell'  opera.  Dal  suo 
nome  battesimale,  il  Pontefice  cbia- 
mò  Felice  tale  acqua,  ma  non  es- 
sendo stato  eretto  nel  condotto  al- 
cun purgatorio,  come  usavano  gli 
antiebi,  restò  il  difetto  della  sua 
poca  purezza,  il  quale  si  aumentò 
dopo  l'unione  ad  essa  delle  due  ri- 
folte de'  mulini  di  Pantano,  una 
delle  quali,  cioè  la  nuova  spettante 
al  principe  Borghese,  fu  tolta  nel 
1828,  sotto  Leone  XII. 

Nel  1621  Gregorio  XV  fece  al- 
lacciare nel  territorio  della  sua  fa- 
miglia Ludovisi,  oggi  appartenente 
ai  Pallavicini ,  due  vene  di  circa 
4o  oncie ,  tutte  e  due  delle  Pan- 
tanelle  e  fontana  Galla ,  la  quale 
acqua  riconosciuta  buona  fu  ag- 
giunta alla  Felice.  Nel  1642  Ur- 
bano Vili  ne  raccolse  altre  3oo 
oncie  in  un  bottaccio  rimanente 
dietro  la  rifolta  verso  la  mola  di 
Pantano ,  e  trovatele  egualmente 
buone  fece  introdurle  nel  condot- 
to. Da  ultimo  e  nel  1 838  a  cagio- 
ne della  poca  buona  costruzione , 
il  condotto  dell'acqua  Felice,  un 
miglio  circa  fuori  la  porta  Maggio- 
re, rovinò  un  tratto  ch'è  nella  vi- 
gna de'  religiosi  serviti.  Il  Papa 
che  regna  accorse  a  riparare  il  gra- 
ve danno  colla  direzione  del  va- 
lente capo  degli  ingegneri  cav.  Lui- 
gi Brandolini  ,  facendo  rifare  di 
nuovo  quindici  archi  con  ottima 
opera  muraria.   Accioccbè  il  hvoro 


FON 

progredisse   con    diligenza   e  pron- 
tezza, di  frequente  vi  si  porto  Gre- 
gorio XVI,  non  risparmiando  ascen- 
dere sull'acquedotto,  ed  incoraggi- 
re  gli  esecutori  del  lavoro  :  a  me- 
moria del  benefìzio,  sui  nuovi  ar- 
chi fu  collocata   una   marmorea  i- 
scrizione.    Già    sino    dai    6    agosto 
i834   il    medesimo    Pontefice,   col 
chirografo  L'  evidente  di/iiiiiuzione, 
diretto  al  cardinal  Gazzoli,  prefet- 
to della  congregazione  delle  acque 
e  strade,    e  presidente    d'ella  com- 
missione deputata  per  l'acqua  Fe- 
lice ,   provvide   all'  uniformità    del 
metodo  e  regolarità  di  sistema  da 
osservarsi    nella    distribuzione    del- 
l'acqua Felice    fra   coloro   che  per 
diritto  ne  godono  l' uso.  Di  fianco 
alla    fontana    di    Termini ,    vi   è  il 
nuovo    castello    fatto   costruire  dal 
lodato  Pontefice,  quando  die  ope- 
ra all'  accennata   distribuzione  del- 
l' acqua  Felice ,   e  sulla  porta  una 
marmorea    iscrizione    tramanda    ai 
posteri  sì   fatta  misura.   E  qui  no- 
teremo che  nella  Raccolta  delle  leg' 
gì  e  disposizioni  di  pubblica  animi- 
lustrazione   dello    stato    pontifìcio, 
sono  riportati    altri    regolamenti   e 
provvidenze    emanate    negli    ultimi 
tempi  non  solo    sull'  acqua  Felice , 
ma  ancora  sulle  acque  Paola  e  Ver- 
gine. Ivi  sono  pure  riportati  i  re- 
golamenti   e    le    provvidenze    pub- 
blicate per    le    fontane    di   Roma , 
comprese   quelle   soggette  alla  giu- 
risdizione del   magistrato  romano. 

L'acqua  Paola  è  l'antica  acqua 
Traiana  che  l' imperatore  Traiano 
fece  condurre  in  Roma  onde  for- 
nire di  acque  salubri  la  regione 
trasteverina,  la  quale  era  ridotta  a 
servirsi  dell'acqua  Alsieatina,  luri- 
da e  poco  salubre,  e  ch'era  sta- 
ta condottata  da  Augusto  per  la 
sua  naumachia.  Le  sorgenti  dell'ac- 


FON  itì3 

qua  Traiana  sono  venticinque  mi- 
glia lungi  da  Roma  fra  il  lago  Sab- 
batino   poi    detto   Bracciano ,  e    le 
terre  di  Bassano  e  dell'Oriolo,  do- 
ve si  vedono  le  antiche  allacciatu- 
re ed    i  ricettacoli    che   riuniscono 
le  acque   presso   Vicarello   in    uno 
speco  comune.  Questa  acqua  fu  di- 
retta a  Roma  sul  colle  Gianicolo , 
ove  giungeva  per  mezzo  di  un'ope- 
ra arcuata,  le  cui  vestigia   veggon- 
si  a  sinistra  fuori  la  porta  s.  Pan- 
crazio, ed  in  Roma  sotto  il  casino 
di  villa  Spada ,  dove  l' acquedotto 
terminava  formando  una  magnifica 
fontana.  L'  acqua  continuò   a    flui- 
re sino  all'anno  537  dell'era   no- 
stra,   ed    una    parte    di    essa    era 
particolarmente  destinata  a  far  gi- 
rare le  mole  erette  sulle  falde  del 
Gianicolo,  per  cui  Vitige  all'assedio 
di  Roma   troncò   l' acquedotto  per 
privar  la  città  di  macinazione,  ed 
obbligarla  alla  resa.  Quindi  Belisa- 
rio  ristaurò  l' acquedotto ,    che  nel 
752  fu  di    nuovo    troncato  da  Ai- 
stulfo  re  longobardo ,  restando  in- 
terrotto vent'anni,  finche  Adriano  I 
nel   772   lo  ristaurò,  e  cosi  ristabi- 
lite vennero  le  mole.  Nel  secolo  IX 
l' acquedotto  restò  di  nuovo  inter- 
rotto, venendo  nell'827   l'istaurato 
da  Gregorio  IV;    e  dopo    le   irru- 
zioni de'  saraceni  dell'  846,  essendo 
di  nuovo  rimasto   troncato ,  fu  da 
s.  Nicolò  1  ristabilito.  Altro  non    si 
sa  di  questo  acquedotto,  che  tutta- 
volta  proseguiva  a  fluire  nel   Vati- 
cano nel  i56i  sotto  Pio  IV.  Men- 
tre era    in    pieno   deperimento ,    il 
grandioso  Paolo  V  nel  1607   inco- 
minciò   a    trattare    co'  conservatori 
di  Roma  il  ripristinamento  di  tale 
acqua,  che  nell'anno  seguente  per 
la     maggior    parte    acquistò    dagli 
Orsini ,  mentre    nel  1 6 1 1    portò    a 
compimento    l'operazione   a  mezzo 


164  FON 

di  Giovanni  Fontana  e  di  Carlo 
Maderno.  Il  Papa  fece  riedificare 
dai  fondamenti  porzione  del  con- 
dotto colla  spesa  di  scudi  quattro- 
cento mila,  in  parte  ricavati  dalla 
vendita  dell'acqua  a  scudi  duecen- 
to 1'  oncia  ,  avendone  donata  mol- 
tissima. Cosi  Paolo  V  ridonò  il 
corso  alla  sola  e  pura  acqua  Traia- 
na  in  once  mille  e  cento,  dirigendo- 
ne 800  alla  sua  mostra  principale 
presso  la  chiesa  di  s.  Pietro  Mon- 
torio,  e  3oo  al  Vaticano  :  due  me- 
daglie celebrarono  queste  provvi- 
denze, una  col  fontanone  della  gran 
mostra ,  l' altra  coli'  acquedotto  ri- 
pristinato, oltre  diverse  iscrizioni  in 
marmo  collocate  in  differenti  luoghi. 
11  Fea,  nella  Storia  delle  acque, 
dice  che  Paolo  V  ricondusse  in 
Roma  la  maggior  parte  dell'acqua 
Traiana,  e  che  la  comprò  coi  con- 
dotti antichi  per  ignoranza,  o  per- 
chè non  si  volle  valere  del  diritto 
pubblico. 

Di  poi  essendosi  rotti  i  condot- 
ti della  gran  mostra  mentovata, 
insinuandosi  l'acqua  nel  monte  Gia- 
nicolo ,  cagionò  la  caduta  dell'  in- 
ferior  parte  di  esso  con  ispavento  dei 
trasteverini,  e  pericolo  della  chiesa 
e  convento  di  s.  Pietro  in  Molito- 
rio :  Urbano  Vili  prontamente  ne 
riparò  il  danno.  In  seguito  le  ac- 
que si  aumentarono,  avendone  nel 
1646  raccolte  buona  quantità  In- 
nocenzo X  nel  territorio  dell'  An- 
guillaia, nel  luogo  chiamato  Am- 
polline. Indi  nel  pontificato  di  Ales- 
sandro VII,  venendo  nel  i658  mi- 
surala 1'  acqua  da  Luigi  Bernini , 
se  ne  trovarono  oncie  1752  e  mez- 
za, cioè  oncie  337  e  mezza  anda- 
vano al  Vaticano,  e  707  al  Gia- 
nicolo,  le  quali  venivano  dimedia- 
te avanti  di  giungere  alla  gran  mo- 
stra per  la  quantità  d'  acqua  ven- 


FON 

duta  o  regalata  a  parecchie  vigne, 
giardini  e  ville,  fra  le  quali  oncie 
37  donate  da  Urbano  Vili,  e  da 
Innocenzo  X  alla  villa  Pamphily, 
della  famiglia  del  secondo.  Paolo  V 
per  la  manutenzione  dell'acquedot- 
to e  condotti  assegnò  in  luoghi  di 
monti  annui  scudi  900,  a  cui  ne 
aggiunse  altri  Innocenzo  X;  ma  es- 
sendo poi  diminuita  tal  rendila,  la 
supplenza  venne  ripartita  a  coloro 
che  usavano  dell'acqua  Paola.  Alla 
custodia  di  questa  amministrazione 
delle  rendite  fu  istituita  la  congre- 
gazione dell'acqua  Paola,  compo- 
sta dai  prelati  tesoriere,  commen- 
datore di  s.  Spirito ,  da  un  chieri- 
co di  camera,  e  dal  commissario 
della  medesima ,  sotto  la  presiden- 
za d'  un  cardinale:  però  questa 
presidenza  Clemente  XI  la  riunì  a 
quella  dell'acqua  Vergine  e  Feli- 
ce, sebbene  l'acqua  Paola  conser- 
vò 1'  offizio  separato  di  notare  Nel 
1659  il  duca  Ferdinando  Orsini 
esibì  ad  Alessandro  VII  l'acqua 
del  lago  Sabbatino,  detto  dell'  An- 
guillaia o  di  Bracciano,  per  nutrir 
le  grandi  fontane  della  piazza  Va- 
ticana. L'  offerta  fu  ricusata  per 
l' impurità  dell'  acqua  del  lago  ,  e 
poscia  dal  duca  Flavio  nel  1672 
venne  offerta,  ed  accettata  da  Cle- 
mente X,  nel  quantitativo  di  mille 
oncie.  Fu  stabilito  che  giunta  l'ac- 
qua a  Roma,  la  metà  appartenes- 
se al  tribunale  dell'acque,  e  le  al- 
tre 5oo  oncie  a  disposizione  del 
duca.  L' acquedotto  camerale  del- 
l'acqua  Paola  di  circa  1809  oncie 
dividesi  in  due  rami  al  luogo  chia- 
mato la  Tedesca  :  il  ramo  princi- 
pale si  dirige  a  s.  Pietro  Montorio, 
per  la  gran  mostra ,  distribuzione 
agli  utenti,  movimento  di  mole, 
cartiere,  gualchiere  ec. ,  ed  entran- 
do nella   botte  de'  Sette  dolori,  si 


FON 

sparge  in  moltissimi  luoghi  pub- 
blici e  privati.  L'altro  ramo  di  on- 
ce 780  si  conduce  al  palazzo  e 
giardino  Vaticano,  non  che  ad  al- 
tri luoghi  sì  pubblici  che  partico- 
lari. Da  ultimo  nel  1829  alle  ac- 
que del  lago  Sabbatino  si  aggiun- 
sero quelle  di  un  lago  minore  det- 
to Marsignano,  alquanto  più  alto, 
e  ciò  per  supplire  nelle  stagioni  di 
gran  siccità  alla  scarsezza  delle  ac- 
que del  lago  Sabbatino. 

L'acqua  Vergine  si  deve  a  Mar- 
co Vipsanio  Agrippa,  il  quale  mol- 
to operò  essendo  edile  in  vantag- 
gio degli  acquedotti  per  abbellire 
i  suoi  deliziosi  giardini  che  avea 
nel  Campo  Marzio  ne'  dintorni  del 
Pantheon,  e  principalmente  per  for- 
nire di  acqua  perenne  le  terme  ivi 
da  lui  edificate.  Senza  profittare 
delle  acque  già  introdotte  in  Ro- 
ma, costrusse  un  nuovo  acquedot- 
to allacciando  le  sorgenti  che  for- 
mavano pantani  nell'agro  Lucullano, 
otto  miglia  distante  dalla  città  sul- 
la via  Collatina,  l'anno  di  Roma 
727,  che  corrisponde  a  27  anni 
avanti  la  nostra  era.  Marco  diede 
a  questa  acqua  il  nome  di  Vergi- 
ne, perchè  andando  i  suoi  soldati 
in  traccia  delle  sorgenti,  una  ver- 
ginella ne  mostrò  alcune  che  ser- 
virono di  guida  a  conoscere  le  al- 
tre. Questa  è  la  stupenda  acqua 
che  viene  tuttora  in  Roma  in  gran- 
de abbondanza ,  ed  è  purissima  : 
comunemente  chiamasi  di  Trevi 
dal  nome  della  contrada  dove  og- 
gi forma  la  gran  fontana.  L'acque- 
dotto ha  circa  quattordici  miglia 
di  giro,  ed  entra  in  R.oma  moder- 
na traversando  il  monte  Pincio  sot- 
to la  villa  Medici ,  indi  alle  Ter- 
me. Quest'acqua  ch'era  di  livello 
inferiore  all'Amene  vecchio,  anche 
anticamente  era    la  più  apprezzata 


FON  iG5 

fi-a  le  acque  di  Roma  per  la  grata 
sua  temperatura.  Siccome  l'acque- 
dotto veniva  fuori  della  città  qua- 
si sempre  sotterra,  ebbe  a  soffrire 
meno  l'anno  537  nel'a  memorata 
devastazione  di  Vitige.  La  trascu- 
ratezza però  de'  secoli  seguenti  ri- 
chiamarono la  munificenza  di  A- 
driano  I,  che  nel  786  lo  risarcì  in 
modo  che  restituì  a  Roma  le  ab- 
bondanti sue  acque.  Nicolò  V,  ver- 
so la  metà  del  secolo  XV  ristaurò  i 
suoi  condotti  prossimi  ad  essa  an- 
dati in  rovina,  ed  ornò  la  princi- 
pale fonte  entro  la  città.  I  condot- 
ti furono  pure  rislaurati  da  Sisto 
IV ,  e  di  poi  Pio  IV  incominciò 
1'  opera  di  riportare  in  Roma  l'ac- 
qua Vergine  dalla  sua  sorgiva  di 
Salone ,  compiendone  l' impresa  s. 
Pio  V,  il  quale  diede  corso  a  vari 
ristagni  dell'acqua  Vergine,  ossia 
di  Salone,  specialmente  nelle  vici- 
nanze di  monte  Pincio ,  con  che 
venne  pure  a  purgarsi  le  strade,  ed 
a  farsi  migliore  l'aria.  Questa  ope- 
razione ebbe  ad  esecutori  Luca  Pe- 
to, Giacomo  della  Porta,  e  Bar- 
tolomeo Gritti.  Quindi  s.  Pio  V 
con  moto -proprio  del  1570  com- 
mise la  custodia  dell'  acquedotto , 
l'amministrazione  e  la  distribuzio- 
ne dell'  acqua  Vergine  a  due  car- 
dinali, ed  ai  conservatori  di  Roma, 
oltre  tre  cavalieri. 

Il  successore  Gregorio  XIII  nel 
i574  cominciò  e  proseguì  la  distri- 
buzione dell'acqua  per  tutta  la  cit- 
tà, ciò  che  la  morte  impedì  effet- 
tuare al  predecessore.  Il  medesimo 
Gregorio  XIII  diresse  la  gran  condot- 
tura  per  sei  ampi  condotti  subalterni, 
esistenti  ne'  rioni  di  Ponte,  di  Pa- 
rione,  di  Campo  Marzio  e  di  s.  Eu- 
stachio, in  servigio  de'  privati  e  del 
pubblico,  come  pure  in  ornamento 
singolare  di  Roma.  A  Gregorio  XIII 


166  FON 

pure  si  attribuisce  il  costoso  lavo- 
ro del  secondo  ramo  del  condotto 
annesso,  il  quale  diviso  in  tre  tubi 
uniti  entro  un  masso  di  muro,  dal- 
la botte  in  piazza  di  Spagna  detta 
di  s.  Bastianello,  si  dirige  lungo  la 
via  Condotti  alla  botte  di  Gaetani, 
da  dove  per  gli  accennati  sei  tubi 
si  diffonde  in  tante  diverse  parti 
della  città;  mentre  il  primo  ramo 
antico  del  condotto,  di  sotto  il  Pin- 
cio  passando,  conduce  l'acqua  alla 
principale  sua  mostra  presso  al  Tri- 
vio. Va  notato  die  il  ramo  dell'ac- 
qua Vergine  proveniente  dal  Pin- 
cio ,  da  Gregorio  XIII  diretto  per 
la  via  Condotti  alla  botte  de'  Gae- 
tani ,  fu  fatto  scorrere  entro  tre 
condotti,  uno  grande  nel  mezzo,  for- 
mato da  due  lastre  di  travertino 
1'  una  sull'  altra ,  e  due  laterali  di 
terra  cotta,  detti  doccioni,  il  tutto 
circondato  da  un  gagliardo  masso 
di  muro.  Nel  pontificato  di  Leone 
XII  però ,  nella  parte  superiore 
della  via  Condotti,  venne  sostituito 
ai  tre  mentovati  condotti  un  solo 
grosso  tubo  di  piombo,  e  nell'odier- 
no del  regnante  Gregorio  XVI,  nel- 
la parte  inferiore  della  via  stessa , 
ad  esso  tubo  se  ne  congiunsero  tre 
altri  pure  di  piombo,  che  cammi- 
nando entro  una  comoda  forma, 
vanno  a  far  capo  alla  ridetta  bot- 
te Gaetani.  E  qui  aggiungeremo 
che  entrando  l' antico  acquedotto 
nel  Campo  Marzio  sopra  archi,  va- 
ri monumenti  contava,  dove  questi 
traversavano  pubbliche  vie,  ed  uno 
ancora  ne  rimane  presso  il  collegio 
Nazareno.  Consiste  questo  monu- 
mento in  un  arco  interrato  di  tra- 
vertino ,  analogo  per  la  costruzio- 
ne e  per  "io  stile  a  quello  grandio- 
so dell'acqua  Claudia  a  porta  Mag- 
giore (  il  quale  è  stato  isolato  e  reso 
al   primiero  splendore  dal  Papa  re- 


FON 
gnante  ).  Dalla  sua  iscrizione  rile- 
vasi che  Claudio  l' anno  di  Roma 
799,  e  dell'era  nostra  46,  avea  ri- 
fatto dalle  fondamenta  gli  archi 
dell'acqua  Vergine,  distrutti  dal 
suo  predecessore  Caligola  impera- 
tore. Ora  passeremo  a  indicare,  col 
medesimo  ordine  alfabetico,  le  prin- 
cipali fontane  pubbliche  di  Roma 
fregiate  di  qualche  decorazione,  sen- 
za parlare  delle  moltissime  erette 
a  solo  comodo  de'  cittadini  ,  inco- 
minciando da  quelle  alimentate  dal- 
l' acqua  Felice ,  proseguendo  con 
quelle  che  derivano  dall'acqua  Pao- 
la,  terminando  con  quelle  nutrite 
dall'  acqua  Vergine.  Sulle  località 
ove  sono  erette  tali  fontane,  sono 
a  vedersi  gli  articoli  delle  chiese  , 
piazze  ed  edilizi  presso  cui  sono. 
Di  altre  fontane  degne  di  speciale 
menzione  esistenti  in  Pvoma,  e  luo- 
ghi suburbani ,  ne'  palazzi ,  giardi- 
ni, ville  ed  altri  edilizi,  se  ne  trat- 
ta a' rispettivi  articoli,  in  molti  dei 
quali  facemmo  pur  menzione  del- 
le seguenti  fonti.  Per  le  fontane  di 
Roma,  oltre  gli  autori  succitati,  e 
quelli  mentovati  all'  articolo  Ac- 
que, fra' quali  si  distinse  Alberto 
Cassio ,  nella  sua  dotta  opera  che 
trattando  del  corso  delle  acque  an- 
tiche portate  sopra  quattordici  ac- 
quedotti da  lontane  contrade  nelle 
XIV  regioni  o  rioni  di  Roma,  del- 
le moderne  e  di  altre  nascenti  nel 
1757,  parla  con  piena  cognizione 
delle  fontane  di  Roma;  di  queste 
ne  scrissero  pure  egregiamente  Ri- 
donino Venuti  nella  sua  Roma  mo- 
derna, ed  Antonio  Nibby  nella  sua 
Roma  nell'anno  1 838  descritta, 
opera  mai  abbastanza  Iodata  per 
erudizione  e  critica:  nella  parte 
prima  antica  ha  trattato  degli  ac- 
quedotti antichi ,  e  de'  monumenti 
superstiti  relativi  alle  acque,  castelli 


FON 
di  divisione,  fontane,  ninfei,  pisci- 
la ee.  ;  nella  seconda  moderna  ha 
descritto  le  fontane  pubbliche  di 
Roma,  con  tavole  incise  delle  prin- 
cipali. In  quanto  alle  medaglie  co- 
niate per  le  fontane  di  Roma,  sono 
a  vedersi  le  opere  dei  niunismati 
pontificii. 

Fontane  dell'acqua  Felice. 

Fontana    di  Ter/nini.  Forma   la 
mostra  principale  di  tale  acqua,  ed 
è    situala    nel    rione    Mónti    sulla 
piazza  di  s.   Susanna,  lungo  la  stra- 
da   che    conduce    a  porta    Pia.    E 
chiamata  corrottamente  di  Termini 
dalle    vicine  terme    di  Diocleziano. 
Sisto  V   la    fece    edificare     dall'ar- 
chitetto   cav.    Domenico    Fontana, 
tutta    di   travertini,  con  l'ornamen- 
to di   quattro  colonne   ioniche,  due 
di  cipollino,  e  due  di  breccia  gri- 
gia, le  quali  coi   loro  contropilastri 
reggono  l'architrave.  Su  di  questo 
s'alza    l'attico,    terminato  da    una 
cornice  sostenuta    da    due  pierritti, 
sopra  la  quale  si   vede  l'arme  Pe- 
retti    di    quel    Pontefice ,    retta  da 
due    angeli,  e    sovrastata    da     una 
croce    posta  su  tre  monti,  essendo 
ai  due  lati    due    piccole  guglie.  In 
mezzo  all'attico  viene  celebrata  da 
un'iscrizione  l'acqua  Felice,  porta- 
la in    Roma    da  Sisto   V.    Tra  le 
quattro  colonne  apronsi  tre    grandi 
nicchie  sfondate  e  decorate  :   le  due 
laterali  contengono  altrettanti  bas- 
sorilievi in    marmo,  rappresentanti 
quello  a    destra    Gedeone,  il  qua- 
le fa  esperimento,  dal  modo  di  be- 
re,   de  suoi    migliori  soldati,  scolpi- 
to   da    Flaminio    Vacca  ;   quello    a 
manca    Aronne    che    guida    il     po- 
polo alle  acque  sospintissime  dopo 
lunga    e    crudel    sete,    scoi  tura  di 
Gio.  Battista    della  Porta.  La   nic- 


FON  167 

chia  di    mezzo    contiene  la    statua 
di    Mosè,    il    quale    accenna    colla 
mano    dritta     le    acque     scaturite 
prodigiosamente  dal  sasso    a  risto- 
ro del  popolo  d'Israele,  opera  del- 
lo  scultore  Prospero    Bresciano.  Se 
Della   Porta  cadde    nell'  errore   di 
rappresentare  Aronne  vestito  degli 
abiti    sacerdotali,  mentre  il    sacer- 
dozio   non  era    stabilito,    Prospero 
pose  nella    mano    sinistra  di  Mosè 
le  tavole    della    legge    che  non  a- 
veva  ancora    ricevute,  ed  in  fron- 
te que'raggi  che  Dio  gli  fece  spun- 
tare   dappoi,    e  quel  eh'  è  peggio 
esegui  la  statua  più  corta  del  bi- 
sogno, ad  onta  che  ne  fosse  repli- 
catamente  avvertito  nel  lavorarla  : 
quando  si   persuase  del   grave     er- 
rore, ne    morì  in  giovanile  età    di 
malinconia,   perchè     in'  essa    perde 
l'onore  ch'erasi  acquistato  colle  pre- 
cedenti  scolture.  Per  di  sotto   alla 
statua    di    Mosè  ed  ai  due    basso- 
rilievi  sgorgano    tre  grosse  bocche 
d'acqua,    la  quale  va    a    cadere  in 
tre    vasche    sottoposte ,    tramezzate 
da  quattro  leoni  di  marmo  bianco 
gittanti    acqua    dalla  bocca,     entro 
altre  tre    vasche  poste  innanzi  alle 
prime.  Questi    leoni  appartenevano 
alla  villa  che  la  famiglia  Cibo,  già 
signora  di    Carrara,  aveva    in  Ca- 
stel   Gandolfo,    che    essendo    stata 
acquistata    da    Clemente    XIV,    in 
un  alle  altre  statue  divennero  pro- 
prietà del    palazzo  apostolico,    per 
cui   Pio    VII  li    fece    insieme  tras- 
portare nel  pontificio  giardino  del 
Quirinale.  Da   questo    li  rimosse  il 
regnante   Gregorio   XVI,    e  li  fece 
collocare  ad  ornato  del  fonte  Sisti- 
no,  in    luogo  di  que'  quattro  leoni 
che    nella    sua    erezione   vi  si  po- 
sero,   reputando    quelli    di  grauito 
piuttosto    degni  del  Museo -Egizio 
(Fedi),  che  in  Vaticano  ha  eretto, 


i68  FON 

per  meglio  conservarli,  per  il  loro 
distinto  pregio,  e  per  le  iscrizioni 
<>  geroglifici  egizi  che  hanno  nelle 
basi;  mentre  gli  altri  due  leoni  per 
la  loro  decadenza  non  erano  più. 
convenienti  ad  ornare  il  fonte,  per 
cui  a  cagione  del  loro  cattivo  stato 
furono  posti  nel  detto  giardino  Qui- 
rinale. I  primi  due  leoni  sono  di 
granito  egiziano  bigio,  più  duro  del 
granito  orientale;  ed  anticamente 
stavano  sulla  piazza  del  Pantheon, 
e  si  crede  che  servissero  di  deco- 
razione al  sepolcro  di  Marco  Agrip- 
pa. Gli  altri  due  leoni  sono  di  mar- 
mo statuario,  ed  esistevano  ai  lati 
della  porta  di  s.  Giovanni  in  La- 
terano,  prima  che  Sisto  V  li  to- 
gliesse per  porli  coi  due  altri  leo- 
ni in  questa  sua  fontana,  che  ha 
all'intorno  una  balaustrata  di  tra- 
vertini. L' edilizio  ha  un  aspetto 
nobile  ed  imponente.  Il  Novaes  nel- 
la vita  di  Sisto  V,  tom.  Vili, 
p^g.  n3  e  1 1 43  nel  descrivere  l'ac- 
qua da  lui  portata  in  Roma,  e 
questa  maggior  mostra  della  me- 
desima, dice  che  nella  medesima 
piazza  di  Termini  eresse  una  pub- 
blica vasca  d'acqua,  affinchè  in  es- 
sa le  donne  potessero  lavare  i  pan- 
ni comodamente. 

Le  quattro  fontane.  Sono  nel 
rione  Monti,  agli  angoli  del  qua- 
drivio formato  dalle  quattro  stra- 
de, delle  quali  una  conduce  al  Qui- 
rinale; l'altra  a  piazza  Barberina, 
via  Felice,  e  monte  Pincio;  la  ter- 
za a  porta  Pia;  e  la  quarta  a  s. 
Maria  Maggiore.  Queste  quattro 
fontane  l'eresse  Sisto  V:  ciascuna 
è  contenuta  entro  una  nicchia  sca- 
vata appositamente.  Due  di  queste 
nicchie  sono  quadre,  e  due  girate 
io  arco:  quelle  stanno  ai  lati  del 
palazzo  Barberini,  e  del  palazzo 
Galoppi,    queste    agli    angoli   della 


FON 

chiesa  di  g.  Carlino,  e  del  palaz- 
zo Albani.  Le  statue  6ono  giacenti, 
di  travertino,  maggiori  del  vero, 
avente  ciascuna  dappresso  un  pic- 
colo getto  d'acqua,  che  si  versa 
in  sottoposta  vasca  di  egual  pietra. 
La  prima  statua  l'appresenta  la 
Fedeltà,  che  ha  vicino  il  cane  sim- 
bolo della  medesima  ;  la  seconda 
la  Fortezza,  che  appoggiasi  ad  un 
leone,  e  vicino  una  palma  ed  uno 
struzzolo;  la  terza  e  la  quarta  fi- 
gurano due  fiumi,  versanti  acqua 
da  un'urna,  forse  l'Aniene  e  il 
Tevere.  Pietro  Berrettini  da  Corto- 
na architettò  la  fonte  sotto  il  pa- 
lazzo Barberini;  delle  altre  ne  fu 
architetto  Domenico  Fontana.  Que- 
ste quattro  fonti  danno  il  nome 
alla  contrada,  una  delle  più  belle 
di  Roma. 

Fontana  del  Tritone.  Questo 
vaghissimo  fonte  posto  nel  rione 
Colonna,  si  ammira  in  mezzo  alla 
piazza  Barberini,  così  detta  dal  vi- 
cino e  sontuoso  palazzo  della  fami- 
glia di  tal  nome,  della  quale  fu 
Urbano  Vili,  che  ivi  la  fece  erigere 
dal  cav.  Lorenzo  Bernini.  Questi 
siccome  spiritoso  nelle  invenzioni, 
pose  quattro  delfini  colla  testa  in 
basso  e  le  code  rivolte  in  su,  fra 
cui  sono  due  arme  del  Pontefice,  e 
sulle  quali  collocò  una  gran  con- 
chiglia aperta.  Da  questa  esce  con 
tutto  il  busto  un  gigantesco  trito- 
ne, il  quale  ha  la  faccia  rivolta  al 
cielo,  e  alzando  le  braccia  dà  fiato 
vigorosamente  ad  una  buccina,  e 
da  essa  si  slancia  in  alto  con  im- 
peto un  grosso  zampillo  d'acqua, 
che  con  mirabile  effetto  ricade  in 
ispruzzo  nella  conchiglia,  da  dove 
si  versa  dentro  un'ampia  vasca  cen- 
linata,  chiusa  all'intorno  con  ispran- 
ghe  di  ferro,  in  parecchie  colonnine 
di  marmo.  Nella  piazza  medesima, 


FON 
sul  canto  destro  di  via  Felice,  Ur- 
bano Vili  eresse  un  altro  minor 
fonte,  pei  bisogni  del  popolo.  11 
Bernini  lo  compose  di  una  conchi- 
glia di  marmo  bianco,  dentro  la 
quale  dalle  bocche  di  tre  api  sgor- 
gano le  acque,  e  nel  cui  coperchio, 
che  figura  d'  essere  aperto,  e  per- 
ciò appoggiato  alla  parete,  in  me- 
moria del  benefizio  fu  scolpita  una 
iscrizione  in  cui  essendo  segnato 
1'  anno  XXII  del  suo  pontificato,  e 
morendo  il  Papa  prima  che  vi  en- 
trasse, fu  cassato  un  numero  e  ri- 
dotto a  XXI.  Ciò  die  motivo  ad 
una  satira  del  frizzante  Pasquino, 
che  il  Novaes  descrive  nel  tom.  IX, 
pag.  274  e  seg.  in  un  all'iscri- 
zione. 

Fontana  incontro  a  Villa  Me- 
dici sul  Pincio.  Sotto  un  ombroso 
cocchio  di  antichissime  querce,  e  nel 
rione  Campo  Marzio,  si  vede  que- 
sto fonte.  Componesi  d' una  tazza 
di  granito  con  piede  di  marmo,  po- 
sato su  d'  un  piedistallo  simile  ot- 
tangolare. Nel  centro  della  tazza  da 
una  grossa  palla,  e  prima  da  un 
giglio,  sgorga  un  getto  d'  acqua,  che 
poi  cade  nella  tazza,  e  da  essa  in 
una  vasca  interrata  di  forma  otta- 
gona  con  fasce  di  travertino.  II 
fonte  fu  fatto  erigere  dal  cardinal 
Alessandro  de'  Medici,  poi  Leone 
XI,  dinanzi  alla  villa  di  sua  nobi- 
lissima famiglia,  con  disegno  di  An- 
nibale Lippi. 

Fontana  del  Quirinale.  V.  Obe- 
lisco Quirinale. 

Fontane  del  Campidoglio .  V. 
Campidoglio. 

Fontana  in  piazza  d' Aracoeli. 
Questa  nel  rione  Campitelli  rimane 
incontro  al  palazzo  Muti-Bussi,  e  fu 
fatta  erigere  da  Sisto  V.  Sorge  nel 
piano  sopra  due  gradini  di  traver- 
tino ovali  e  centinati.  Si    compone 


FON  169 

d' una  tazza  di   forma    simile,    ma 
di  marmo  bianco,  ornata  con  cin- 
que teste  di   leone.  Su  questa  taz- 
za ve  n'è  altra  di    simile   marmo, 
ma  di  forma  rotonda,  con  suo  pie- 
de in  cui  sono  le  arme  del  senato 
e  popolo   romano,    oltre    quelle  di 
Alessandro  VII,  che  fece    ristorare 
la  fontana,  aggiungendovi  in    poca 
distanza  un  abbeveratoio  per  pub- 
blico comodo.  In  mezzo    alla  tazza 
superiore  vi  è  un  gruppo  di  quat- 
tro putti  in  marmo  bianco,  tenente 
ognuno  un'  anfora,  ed  insieme  sos- 
tenendo sulle  spalle  tre  monti,  fa- 
centi parte  della    stemma    di    Sisto 
V,  mentre  dal  più  alto  monte  sgor- 
ga l' acqua  in  uno    zampillo,  rica- 
dendo poi  nella  tazza  rotonda,  e  da 
questa  per  quattro  bocche    di  mo- 
stri riversandosi  nella  tazza    ovale. 
Fontana  in  piazza  di  s.  Maria 
in  Portico  o   Campitelli.  Nel  rione 
di  tal  nome  è  tal  piazza,  nella,  cui 
estremità  orientale   a'  tempi   di  Si- 
sto V  fu  eretto   il    fonte,    con    ar- 
chitettura di  Giacomo  della  Porta. 
Si  compone  d'  un  basamento  otta- 
gono centinato,  sul  quale  posa  una 
tazza  di  simile  forma,  in  cui  sono 
le  armi  del  senato  e  popolo  roma- 
no, il  tutto  di  pietra  tiburtina.  Den- 
tro la  nominata  tazza  ne  sorge  al- 
tra rotonda  di    marmo    bianco,    il 
cui  piede  è  adorno  di  qualche  fre- 
gio :  da  questa  sgorga  in  alto  1'  ac- 
qua, che  poi  si  riversa  nella  prima, 
da  dove  per  la  bocca  d'  un  mostro, 
cade  poscia  in  un  piccolo    abbeve- 
ratoio a  vantaggio  pubblico.  Il  fonte 
appartiene  al  senato    romano,    che 
più  volte  lo  fece   restaurare,    ed  è 
chiuso  all'  intorno  da    colonnine  di 
travertino,  e  spranghe  di  ferro. 

Fontana  detta  delle  Tartarughe. 
Fu  edificata  nel  rione  s.  Angelo, 
nel    1 585,  dal  magistrato  di  Roma, 


i7o  FO| 

co'  disegni  di  Giacomo  della  Porta. 
Questa  bella  ed  elegante  fontana 
esiste  propriamente  sulla  piazza 
Matlei  detta  delle  Tartarughe,  da 
quelle  che  adornano  il  fonte,  ed 
incontro  alla  porla  che  mette  alla 
giunta  fatta  al  ghetto  degli  ebrei  da 
Leone  XII,  come  dicemmo  a  quel- 
l' articolo.  Consiste  in  una  vasca 
centinata  di  travertini,  con  basamen- 
to interno  di  marmo  bianco  a  quat- 
tro faccie,  con  suoi  ornamenti.  Sul 
basamento  posa  una  tazza  rotonda 
<iJ  cgual  marmo  con  piede  liscio 
ed  alto.  Ciascun  angolo  del  ba- 
samento ha  una  statua  in  bronzo 
rappresentante  un  giovane  intera- 
mente nudo,  e  tutti  e  quattro  sono 
in  varie  attitudini,  tenendo  ciascuna 
statua  uo  piede  sul  capo  d'un  del- 
fino, che  sgorga  acqua  dentro  la 
sottoposta  conchiglia  di  marmo 
bianco,  e  sollevando  un  braccio  mo- 
stra di  tenere  una  tartaruga  di 
metallo  sul  labbro  della  tazza  supe- 
riore, quasi  per  farla  bere.  Tanto 
1'  acqua  che  in  questa  tazza  ricade 
dal  getto  saliente,  quanto  quella 
che  rigurgita  dalle  conchiglie  va  a 
riversarsi  nella  vasca  inferiore.  Tut- 
to il  monumento  è  chiuso  in  giro 
ila  spranghe  di  ferro,  ferme  in  pic- 
cole colonne  di  travertino,  e  dalla 
parte  del  ghetto  avvi  congiunto  un 
abbeveratoio  per  uso  del  popolo, 
nel  1750  eretto  dal  senato  romano. 
Matteo  bandi  ai  modellò  le  quattro 
belle  statue  dei  giovani,  ed  Ales- 
sandro VII  nel  1661  fece  restau- 
rare il  fonte. 

Fontana  di  piazza   Giudea.    V. 

EfiSSL 

Fontana  in  piazza  Montanara. 
Rimane  nal  rione  Ripa,  poco  di- 
stante del  teatro  di  Marcello,  ed  è 
formata  di  due  tazze  di  travertino, 
una   maggiore  sorgente    dal    piano, 


FON 

minore  l' altra,  e  collocata  sulla 
prima,  posandosi  su  piedistallo,  da 
cui  sgorgano  quattro  bocche  d'  ac- 
qua per  servizio  del  popolo,  men- 
tre il  getto  superiore  serve  di  ab- 
bellimento. Il  fonte  appartiene  al 
magistrato  romano  come  si  vede 
dagli  stemmi,  e  dal  medesimo  fu 
più  volte  ristorato,  ciò  che  pur  fe- 
ce Innocenzo  XII.  V.  Chiesa  di  s. 
Nicola  in  Carcere,  ove  parlasi  di 
questo  luogo. 

Fontana  della  bocca  della  ven- 
ta. Nel  rione  Ripa,  sulla  piazza 
della  chiesa  di  s.  Maria  in  Cosine- 
din,  Clemente  XI  nel  1  7  i5  l'eres- 
se con  architettura  di  Carlo  Biz- 
zacchcri,  con  bella  immaginazione. 
Sul  piano  della  piazza  si  vede  una 
vasca  amplissima  di  travertino  cen- 
tinata, con  sottoposto  gradino  di 
egual  pietra.  Nel  mezzo  della  vasca 
è  un  aggruppamento  di  scogli, 
egregio  lavoro  di  Filippo  Bai  :  que- 
sti scogli  servono  di  base  a  due. 
giganteschi  tritoni  scolpili  da  Fran- 
cesco Moratti  in  travertino,  i  quali 
appoggiano  le  loro  code  sul  masso 
intrecciandole  bizzarramente  fra  lo- 
ro, ed  alzando  le  braccia  mostrano 
di  reggere  sul  dorso  due  conchiglie 
aperte  e  congiunte,  ove  sono  le  ar- 
me di  Clemente  XI.  I  monti,  parte 
del  medesimo  suo  stemma,  sono 
nel  mezzo  delle  conchiglie,  e  dal 
più  alto  sgorga  con  impeto  l'acqua 
che  ricade  poi  sulle  conchiglie,  e 
nella  gran  vasca.  Poco  lungi,  a 
pubblico  vantaggio,  Clemente  XI 
fece  erigere  un  vasto  ed  ampio  fon- 
tanile, per  cui  i  conservatori  di  Ro- 
ma proibirono  1'  abbeverare  gli  ani- 
mali nel  fonte  nobile,  che  per  cau- 
tela fu  circondato  da  molte  colonne 
di  travertino.  I  canonici  della  men- 
zionala chiesa  celebrarono  1'  erezio- 
ne del  fonie  e  1'  appianamento  del- 


FON 
la  piazza,  con  iscrizione  in  marmo, 
che  posero  sotto  il  portico. 

Fontana  in  piazza  di  s.  Maria 
de  Monti.  Nel  rione  di  tal  nome  e 
sulla  piazza  di  fianco  a  questa  chie- 
sa, nel  pontificato  di  Sisto  V  il 
senato  romano  la  fece  erigere  da 
Giacomo  della  Porta.  Su  tre  gra- 
dini di  pietra  tiburtina,  ricinti  da 
piccole  colonne  con  isbarre  di  ferro, 
sorge  la  vasca  ottagona  di  egual 
marmo,  in  cui  sono  scolpite  le  ar- 
mi del  detto  civico  magistrato. 
Dentro  sono  due  tazze  di  travertino 
co'  loro  piedi  1'  una  sopra  1*  altra  : 
dall'ultima  più  eminente,  esce  il 
getto  d'acqua,  che  ricade  in  essa  e 
si  riversa  poi  nella  seconda  più 
bassa,  da  cui  per  la  bocca  di  quat- 
tro teste  leonine  piove  nella  vasca 
ottagona.  Dal  lato  orientale  il  fon- 
te ha  un  piccolo  abbeveratoio,  nel 
quale  sgorga  l'acqua  per  tre  monti, 
porzione  dello  stemma  di  Sisto  V. 
Dal  canto  opposto,  di  rimpetto  al 
fianco  della  chiesa,  esiste  nella  va- 
sca ottagona  un  distico  fattovi  scol- 
pire dal  senato  romano,  ed  allusi- 
vo ai  restauri  procurati  al  fonte  da 
Innocenzo  X. 

Fontana  in  piazza  di  s.  Gio- 
vanni in  Luterano.  V.  Obelisco 
Lateranense. 

Fontana  in  piazza  di  s.  Maria 
Maggiore.  Nel  rione  Monti  ed  in- 
contro alla  facciata  esterna  di  tal 
chiesa,  congiunta  alla  colonna,  di 
cui  parlammo  al  volume  XIV,  pag. 
3  1 5  del  Dizionario^  si  eleva  il  fonte 
sopra  quattro  gradini,  cou  vasca  di 
forma  oblunga  centinaia  di  traver- 
tino, avente  nei  lati  maggiori  due 
piccole  tazze  con  getto  d'  acqua  per 
pubblico  uso.  Nel  centro  della  va- 
sca sorge  sul  suo  piede  una  tazza 
rotonda,  di  mezzo  a  cui  sgorga  in 
alto  un  zampillo  che  in   essa  rica- 


FON  ,7. 

de,  e  per  otto  listole  si  diffonde 
poi  nella  sottoposta  vasca.  Ne  fu 
architetto  Carlo  Maderno,  per  or- 
dine di  Paolo  V  che  l'eresse. 

Fontane  dell'acqua  Paola. 

Fontana  o  Fontanoni  di  s.  Pie- 
tro in  Molitorio.  Dietro  questa  chie- 
sa, nel  rione  Trastevere,  sulla  vetta 
del  colle  Gianicolo,  si  vede  questo 
imponente  fonte,  che  è  la  mostra 
principale  dell'acqua  Paola  o  Tro- 
iana, la  quale  prende  il  nome  dal 
luogo.  Questa  amplissima  fontana 
fu  fatta  erigere  dal  munifico  Pao- 
lo V  con  architettura  di  Giovanni 
Fontana  e  di  Carlo  Maderno.  Il 
suo  magnifico  prospetto  è  .tutto  di 
pietra  tiburtina  con  l'ornamento  di 
sei  colonne  ioniche  poste  sopra  al- 
te basi,  le  quali  quattro  sono  di 
granito  rosso,  e  due  di  bigio  :  tutte 
insieme  sostengono  l'architrave  e  i 
suoi  membri  d' intaglio ,  nel  cui 
fregio  è  il  nome  del  Pontefice,  e 
l'anno  1612,  epoca  in  cui  l'opera 
fu  eseguita.  Sopra  l'architrave  s'in- 
nalza un  attico  che  ha  all'  estre- 
mità due  draghi,  parte  dello  stem- 
ma Borghesiano  di  Paolo  V,  e  nel 
mezzo  uno  specchio  o  tavola  di 
marmo  con  cornice  sostenuta  da 
due  pierritti,  ove  si  celebra  V  ac- 
qua restituita  a  Roma,  con  analo- 
ga iscrizione.  Sulla  cornice  dell'at- 
tico elevasi  una  nicchia  in  arco , 
ornata  ne'  fianchi  con  cartocci  ed 
aquile,  nel  cui  centro  è  Io  stem- 
ma di  Paolo  V  retto  da  due  geni 
alati,  e  sovrastato  da  una  croce 
posta  tra  due  fanali.  Nei  cinque 
vani  che  ricorrono  fra  le  sei  co- 
lonne, apronsi  altrettante  nicchie 
sfondate,  tre  maggiori  nel  mezzo, 
e  due  minori  dai  canti.  In  fondo 
alle  prime  sono  tre  vani,  corrispon- 


*7* 


FON 


denti  ad  un  amenissimo  orto ,  e 
per  di  sotto  le  acque  sgorgano  a 
guisa  di  tre  fiumi  in  grosso  volu- 
me, cadendo  con  fragore  in  tre 
conche  sottoposte,  da  dove  poi  con 
strepito  crescente  si  precipitano  nel- 
l'immensa vasca  di  marmo  bianco 
che  dà  finimento  alla  fontana,  e 
costruita  con  quelli  del  foro  di 
Nerva.  Le  nicchie  laterali  minori 
contengono  due  draghi,  dalla  cui 
bocca  esce  l'acqua  con  prodigiosa 
veemenza,  e  si  versa  nella  gran 
vasca.  Dipoi  nel  1691  Alessandro 
Vili,  volendo  perfezionare  l'opera 
meravigliosa  di  Paolo  V,  non  solo 
fece  purgar  il  condotto  ed  aggiun- 
gervi nuove  acque,  ma  per  accre- 
scere la  magnificenza  di  questa  mo- 
stra principale,  dilatò  l'ampia  con- 
ca, ingrandì  l'area  dinanzi  ad  essa, 
che  stava  sull'orlo  del  precipitoso 
monte,  assicurandone  il  ripido  de- 
clivio con  parapetto  di  gagliardo 
muro;  in  memoria  di  che  dentro 
la  nicchia  di  mezzo  fu  posta  l'ar- 
me degli  Oltobuoni,  ai  quali  ap- 
parteneva Alessandro  Vili ,  con 
corrispondente  iscrizione.  Nel  pon- 
tificato del  successore  Innocenzo 
XII ,  monsignor  Paolo  Borghese 
fece  erigere  un  fontanile  lateral- 
mente al  giardino,  allora  botanico, 
oggi  nobile  sede  dell'inclita  Acca- 
demia d'Arcadia  (  Fedi),  per  ab- 
beverare le  bestie  onde  non  più 
ciò  facessero  alla  gran  vasca ,  che 
a  meglio  difenderla  Con  basse  co- 
lonne di  marmo  la  cinse,  e  saldi 
ripari  di  ferro.  V^.  Chiesa  di  s. 
Pietro  Mortorio. 

Fontana  in  piazza  di  s.' Maria 
in  Trastevere.  Nella  piazza  e  rio- 
ne di  tal  nome,  Adriano  I  eresse 
un  fonte,  forse  alimentato  dalle 
acijue  del  prossimo  monte  Giani- 
colo,    ristorato    poi    da   Alessandro 


FON 

VI,  e  da  Giulio  li  nel  i5io.  In- 
di essendo  rimasto  privo  d'acque, 
i  conservatori  di  Roma  lo  nutri- 
rono con  quelle  della  Felice,  con- 
dottevi pel  ponte  antico  senatorio 
rifatto  da  Gregorio  XIII,  ed  ot- 
tenute in  dono  da  Gregorio  XIV 
nel  1 59 1.  Però  a  cagione  d'una 
furiosa  inondazione  del  Tevere , 
spezzatosi  il  condotto,  dovè  risar- 
cirlo Clemente  Vili,  contribuen- 
dovi il  romano  magistrato,  con  di- 
segno del  Fontana.  Essendosi  di 
nuovo  spezzato  il  condotto  del  pon- 
te, Alessandro  VII  vi  condusse  l'ac- 
qua Paola  ,  restaurando  ed  abbel- 
lendo il  fonte,  ciò  che  pur  fece 
Innocenzo  XII  a  mezzo  di  Carlo 
Fontana,  che  totalmente  lo  rinno- 
vò. In  tal  modo  la  fontana  diven- 
ne una  delle  più  ragguardevoli  di 
Roma,  sia  per  l'elegante  forma,  sia 
per  la  copia  e  ragionata  distribu- 
zione delle  acque.  Dal  piano  della 
piazza  elevasi  una  gradinata  otta-, 
gona  di  quattro  scaglioni,  circon- 
data da  ventiquattro  colonnine,  nel- 
la più  parte  di  granito  bigio  e  rosso  : 
su  di  essa  posa  l'ampia  vasca  di  tra- 
vertino a  quattro  facce  con  risalti  ne- 
gli angoli,  formanti  quattro  altre  fac- 
ce minori.  Nel  centro  di  questa  vasca 
è  una  base  coll'arme  de' conservato- 
ri di  Roma,  su  cui  posa  il  piede 
d'una  tazza  rotonda  di  granito; 
dal  mezzo  della  tazza  elevasi  un 
grosso  gettito  saliente  d'acqua,  la 
quale  poi  ricade  in  essa,  e  per  la 
bocca  di  quattro  teste  di  lupo  zam- 
pilla in  altrettante  conchiglie ,  da 
dove  si  riversa  nella  sottoposta  va- 
sca. Le  conchiglie  sono  situate  agli 
angoli,  ed  hanno  il  coperchio  che 
si  rovescia  in  fuori ,  contenendo 
nella  parte  esteriore  quattro  tar- 
ghe ornate  di  festoni  ,  il  tutto  di 
pietra  tiburtina.   Sotto  alle    targhe 


FON 

si  leggono  quattro  iscrizioni ,  che 
l'anno  la  storia  del  fonte.  Sulla 
stessa  piazza ,  poco  distante  dalla 
chiesa,  evvi  un  abbeveratoio  pub- 
blico, con  acqua  abbondante. 

Fontana  di  ponte.  Sisto.  Accan- 
to al  ponte  di  tal  nome ,  nel  rio- 
ne Regola,  incontro  alla  spaziosa 
■via  Giulia,  Paolo  V  feccia  erigere 
da  Giovanni  Fontana ,  con  282 
once  d'acqua  condottavi  sopra  gli 
archi  del  ponte.  Ha  il  prospetto 
di  travertino  a  bugne  con  grande 
nicchia  sfondata  e  girata  in  arco, 
ai  cui  lati  sono  due  colonne  ioni- 
che di  marmo  venato,  le  quali  sor- 
reggono l'architrave.  Su  questo  s'al- 
za un  attico  con  ornato  ai  fianchi 
di  cartocci ,  e  terminato  da  un 
frontespizio  acuto,  tagliato  in  mez- 
zo per  contenere  l'arme  del  bene- 
fico Papa  :  nello  specchio  dell'atti- 
co si  vede  una  iscrizione  monu- 
mentale. In  fondo  alla  nicchia,  nel- 
la parte  superiore,  sgorga  il  mag- 
gior volume  dell'acqua  per  larga 
bocca,  e  dopo  essere  caduta  nella 
sottoposta  conca  retta  da  menso- 
la, cade  con  molto  strepito  e  bel- 
l'effetto dentro  la  vasca  di  traver- 
tino a  centine,  situata  a  livello 
della  strada.  In  questa  vasca  en- 
trano pure  i  due  violenti  zampilli 
uscenti  dalle  bocche  dei  draghi  a- 
lati,  scolpiti  nell'  imbasamento  del- 
le colonne,  come  pure  vi  si  ver- 
sano quelle  che  sgorgano  dalla  boc- 
ca di  due  teste  leonine,  poste  ai 
lati  de'  draghi.  Tutto  il  monumen- 
to è  cinto  in  basso  da  ringhiera 
di  ferro,  assicurata  su  sei  mezze 
colonne  di  granito  rosso. 

Fontana  del  mascherone  di  Far- 
nese.  V.  Farxese  famiglia. 

Fontana    sulla  piazza  Farnese. 
V.  Farnese  famiglia. 

Fontana    dentro    il  ghetto    degli 
ebrei.    V.   Ebrei.    . 


FON  i73 

Fontana  di  piazza  di  Castello. 
Nel  rione  Borgo,  al  principio  della 
Città  Leonina  (Fedi),  dappresso  il 
Castel  s.  angelo  (Fedi),  e  tra  le 
due  strade  di  Borgo  vecchio,  e  di 
Borgo  nuovo,  cioè  nell'angolo  for- 
mato dalla  casa  che  le  divide,  è 
la  fonie  edificata  da  Paolo  V  con 
architettura  di  Carlo  Maderno.  Dal 
piano  della  strada  s'alza  la  vasca 
centinaia  di  travertino,  incassata  nel 
muro  della  casa,  e  chiusa  innanzi 
con  ispranghe  di  ferro,  fermate  in 
cinque  colonnine  di  marmo,  aventi 
scolpito  un  drago,  parte  inferiore 
dello  stemma  di  quel  gran  Papa. 
Cade  l'acqua  nella  vasca,  rigurgi- 
tando da  una  conchiglia  superiore, 
ove  la  versa,  formando  un  venta- 
glio, la  bocca  d'una  maschera,  or- 
nata nei  lati  di  cartocci ,  e  sopra 
dall'aquila  borghesiana.  Più  in  al- 
to, entro  cornici,  fregiata  d'ornati 
diversi,  e  sormontata  dall'arme  di 
Paolo  V,  avvi  l'iscrizione  a  suo 
onore. 

Fontana  in  piazza  dì  s.  Giaco- 
mo Scossa  cava  Ili.  Nella  piazza  di 
tal  nome  nel  rione  Borgo,  rimpet- 
to  al  palazzo  Torlonia,  già  Giraud, 
con  lodevole  disegno  di  Carlo  Ma- 
derno,  Paolo  V  innalzò  sì  elegan- 
te fonte.  Su  due  scaglioni  di  pie- 
tra tiburtina  elevasi  l'ampia  vasca 
sferica  centinata,  avente  ne'  quat- 
tro lati  altrettanti  zampilli,  che 
sgorgano  in  alto.  Nel  mezzo  della 
vasca  ,  è  un  imbasamento  quadro 
su  cui  è  posta  una  tazza  rotonda 
cogli  stemmi  di  Paolo  V,  veden- 
dosi nel  centro  una  specie  di  pian- 
ta acquatica  da  dove  esce  il  getti- 
to saliente.  La  fonte  è  chiusa  in 
giro  da  sedici  colonnine,  quasi  tut- 
te di  bigio,  munite  di  spranghe  di 
ferro.  A  comodo  poi  del  pubblico 
il  medesimo  Papa  fece  erigere  due 


174  FON 

fontanelle  agli  angoli  del  palazzo 
laterale,  sulla  via  di  Borgo  vecchio, 
abbellite  cogli  ornati  suoi  stemmi. 
Fontane  sulla  piazza  dì  s.  Pie- 
tro in  Faticano.  Questa  magnifica 
piazza,  posta  nel  rione  Borgo,  sino 
dagli  antichi  tempi  fu  ornata  con 
alcune  fonti.  Una  se  ne  ammirava 
nel  quadri  portico  della  prossima 
basilica  vaticana,  decorata  colla  pi- 
gna e  pavoni  di  bronzo,  al  modo 
che  si  disse  all'articolo  Chiesa  di 
s.  Pietro  in  Praticano  (Vedi).  Di- 
seccata tal  fontana  ,  Adriano  I  la 
nutrì  di  nuove  acque  prese  dal 
lago  Sabbatino,  come  scrissero  al- 
cuni, ma  piuttosto  da  quelle  Tra- 
iane  da  lui  ricondotte  in  Roma. 
Un'altra  fonte  rimaneva  sulla  piaz- 
za innanzi  alla  basilica ,  a  piedi 
delle  sue  scale ,  con  tazza  di  gra- 
nito,  eretta  d'ordine  del  Papa  s. 
Simmaco.  Una  terza  fonte  nel  mez- 
zo della  piazza  l' innalzò  Innocen- 
zo Vili,  assai  bella  ed  adorna.  Il 
successore  Alessandro  VI  la  ridusse 
in  miglior  forma  ,  e  Paolo  V  con 
disegno  di  Carlo  Maderno  l'abbel- 
lì, e  coll'acqua  Paola  ne  arricchì  lo 
sgorgo.  Di  poi  questa  fonte  fu  da 
Alessandro  VII,  colla  direzione  del 
cav.  Bernini,  trasportata  in  quel  la- 
to della  piazza  che  risponde  al  pa- 
lazzo pontificio,  ove  oggi  si  vede, 
avendogli  impedito  la  morte  di  co- 
struirne un'altra  simile  dall' oppo- 
sta parte.  Ne  eseguì  però  il  conce- 
pimento Clemente  X,  coli' opera  del 
cav.  Carlo  Fontana,  e  nella  vigilia 
dell'anno  santo  1675  gettò  acqua 
con  applauso  universale.  Alla  po- 
chezza delle  accpie  in  proporzione 
di  sì  grandiose  foriti  supplì  Inno- 
cenzo XI,  aggiungendovi  nuove  ac- 
que prese  dal  lago  Sabbatino.  Que- 
ste due  fonti  sono  eguali  in  tutto 
e   per    tutto    nella    forma  ;    hanno 


FOX 
palmi  sessanta  di  altezza,  e  pongo- 
no in  mezzo  degnamente  1'  Obelì* 
sco  Vaticano  (Fedi).  La  loro  fi- 
gura è  ottangolare,  e  si  compongo- 
no di  una  gran  vasca  centinaia  di 
travertino,  che  gira  12G  palmi,  e 
si  estolle  dal  piano  della  piazza  poi- 
palmi  quattro.  L'  attorniano  venti 
colonnette  di  granito  con  isbarre 
di  ferro,  per  servirgli  di  riparo. 
Dal  centro  della  vasca  si  alza  un 
piedistallo  a  otto  facce  con  arme, 
negli  specchi  principali,  de'  Pontefici 
che  le  fecero  costruire,  cioè  di  Cle- 
mente X  in  quella  dalla  parte  del 
s.  offizio ,  e  di  Paolo  V  nell'altra 
dall'opposto  canto.  Posa  sul  piedi- 
stallo una  tazza  di  granito  orien- 
tale di  un  sol  pezzo,  con  suo  pie- 
de rotondo,  la  quale  ha  palmi  set- 
tantadue di  circonferenza  e  cinque 
di  altezza.  In  mezzo  ad  essa  è  col- 
locato uno  zoccolo  o  base,  pure  di 
otto  facce,  ornato  ne'  lati  da  quat- 
tro cartocci  a  guisa  di  mensole  ro- 
vesciate ,  il  quale  sostiene  un  cap- 
pello di  marmo  a  squamine  della 
circonferenza  di  circa  palmi  cin- 
quantaquattro, e  tre  di  altezza.  So- 
pra tale  cappello  scaturiscono  per 
molte  fistole  le  acque  salienti  mi- 
rabilmente e  con  magico  effetto, 
le  quali  a  guisa  d'impetuosa  gran- 
dine, tutte  spumanti,  per  circa  pal- 
mi trenta  in  aria  alzandosi ,  rica- 
dono poi  sul  cappello  e  nella  taz- 
za, da  dove  con  gagliardo  strepito 
sonoro  si  rovesciano  nella  vasca  in- 
feriore. Di  queste  lontane  pure  se 
ne  parla  al  citato  articolo,  e  mas- 
sime al  volume  XII,  pag.  166  e  267; 
notando  qui  clie  quella  dalla  par- 
te del  palazzo  apostolico  vuoisi  più 
regolare  ne!  disegno  dell'altra,  es- 
sendo la  tazza  di  miglior  gusto  del- 
l'altra. Noteremo  che  nella  piazza 
Rusticucci,  congiunta   a  quella  Va- 


FON 

licann,  e  die  gli  serve  quasi  d'in- 
gresso, quando  nel  i8?.5  venne  sel- 
ciata a  spese  della  rev.  fàbbrica 
di  s.  Pietro,  fu  rimossa  la  fontana 
di  pietra  di  forma  quadrilunga,  che 
ivi  sorgeva  ad  uso  pubblico  (che 
ora  vedesi  inoperosa  dietro  le  fon- 
damenta della  basilica  vaticana),  ed 
in  vece  Leone  XII  eresse  il  fonte, 
eh'  è  al  destro  lato  dell'arco  eret- 
to da  Pio  IV  al  principio  della  stra- 
da, che  dal  colonnato  di  s.  Pietro 
conduce  a  porta  Angelica.  Questo 
fonte  è  incassalo  nel  muro;  dalla 
bocca  d' un  mascherone  di  marmo 
sgorga  l'acqua,  che  cade  su  ampia 
vasca  semicircolare,  mentre  da  due 
minori  cannelle  esce  quella  per  at- 
tingersi a  mano. 

Fontane  dell'  acqua  tergine 
o  di   Trevi. 

Fontana  di  Trevi.  Nel  rione  di 
tal  nome ,  e  nella  piazza  dinanzi 
alla  chiesa  de'ss.  Vincenzo  ed  Ana- 
stasio, ammirasi  questa  sontuosa 
e  principal  mostra  dell'acqua  Ver- 
gine o  di  Trevi.  Avanti  il  ponti- 
ficato di  Urbano  Vili  l'acqua  Ver- 
gine aveva  il  suo  maggiore  emis- 
sario per  tre  bocche  nel  luogo 
stesso  ove  ora  trovasi,  ma  rivolta 
all'occidente,  quasi  di  fianco  alla 
chiesa  di  s.  Maria  in  Trivio,  giusta 
denominazione  ,  essendo  corrotta 
quella  di  Trevi.  (Di  questa  chiesa, 
ora  de'  chierici  regolari  minori,  è 
a  vedersi  il  volume  XI,  pag.  2o5 
del  Dizionario).  Però  Urbano  Vili 
verso  l'anno  1627,  volendo  render 
l' emissario  più.  visibile  ai  passeg- 
gieri,  lo  volse  dal  lato  meridiona- 
le in  cui  sta  ancora.  Inoltre  aveva 
stabilito  di  abbellire  l'emissario  o 
castello,  con  parecchie  statue,  ma 
venne   impedito    d'  eseguirlo    dalle 


FON  175 

guerre  che  afflissero  l'Italia.  Rima- 
sero le  tre  bocche  dell'  emissario 
disadorne,  versandosi  T  acqua  in 
semplice  e  bassa  conca.  Innocenzo 
XIII  Conti  de' duchi  di  Poli,  nel 
suo  breve  pontificato  non  potè  se- 
condare alle  premure  de'  parenti 
di  ornare  la  mostra  di  questo  fon- 
te, il  cui  condotto  scorreva  nasco- 
sto lungo  l'intero  suo  palazzo  pa- 
terno, del  quale  si  parlò  all'artico- 
lo Conti  Famiglia  (Vedi).  Nell'ul- 
timo anno  del  suo  pontificato,  be- 
nedetto XIII  volendo  nobilitare  il 
fonte,  si  propose  di  erigere  sui  tre 
canali  la  statua  di  Maria  Vergine, 
con  allusione  al  nome  dell'acqua; 
ma  la  morte  ne  impedì  l'effettua- 
zione. Gli  successe  Clemente  XII, 
che  siccome  d'  animo  grande,  tro- 
vando disdicevole  che  mentre  l'ac- 
qua Paola  sul  Gianicoto,  e  la  Fe- 
lice sull'  Esquilino  avevano  ma- 
gnifici monumenti ,  la  sola  acqua 
Vergine,  sebbene  più  di  quelle 
pregevole  ,  e  nel  cuore  di  Roma 
situata,  si  rimanesse  assai  negletta. 
Quindi  ordinò  ai  migliori  architet- 
ti un  condegno  modello  per  l'e- 
dilìzio che  voleva  costruire.  Molti 
esperti  artisti  avendo  corrisposto 
al  pontificio  desiderio,  ed  esibite 
al  pubblico  le  loro  opere,  con  ap- 
plauso fu  prescelto  il  disegno  di 
Nicola  Salvi  architetto  romano,  e 
prefetto  dell'acqua  medesima.  Dis- 
posto l' occorrente ,  e  condotta  a 
fine  la  maggior  parte  dell'  edifizio, 
sperava  Clemente  XII  di  presto 
farvi  scorrere  l'acqua  al  nuovo  pro- 
spetto, nel  quale  fece  porre  le  sta- 
tue che  dovevano  esservi,  lavorate 
in  istucco,  finché  fossero  scolpite 
quelle  di  marmo.  Intanto  nel  1736 
fece  coniar  la  medaglia  coll'epigra- 

fe  :    FONTE      AQUAE     VIRGIMS      ORNATO, 

e    sull'  alto    del     prospetto     ordinò 


,76  FON 

che  si  collocasse  analoga  iscrizio- 
ne. Tuttavolta  a  cagione  delle  oc- 
correnti spese ,  nel  1 740  morì  il 
Pontefice  senza  la  bramata  soddis- 
fazione, dovendosi  abbassare  l'an- 
tico speco  per  renderlo  capace  di 
maggior  quantità  d'acqua,  necessa- 
ria a  mostrar  nella  sua  uscita  il 
mare  Oceano.  Benedetto  XIV  che 
gli  successe,  non  potè  sino  al  1  744 
mandar  l'acqua,  accresciuta  di  vo- 
lume, nella  nuova  e  magnifica  sua 
mostra.  Mentre  però  lavoravansi 
dagli  scultori  la  maggior  parte  del- 
le statue  in  marmo,  quel  gran 
Papa  passò  nel  1758  agli  eterni 
riposi.  Appena  Clemente  XIII  sa- 
lì sul  pontificio  soglio,  die  opera 
all'ultimazione  dell'edifìzio,  che  nel 
1761  finalmente  ebbe  il  suo  splen- 
dido compimento ,  e  fu  discoperto 
in  sua  presenza  a'  22  maggio,  con 
generale  tripudio. 

Questo  imponente  edilìzio  è  po- 


FON 

sto  dal  lato  di  mezzogiorno  del 
palazzo  Poli  ,  ora  proprietà  del 
principe  Boncompagno.  L'  intero 
prospetto  è  murato  in  travertini, 
e  sorge  da  terra  su  imbasamento 
a  bugne,  in  cui  apronsi  parecchie 
finestre  con  inferriate,  rispondenti 
dal  lato  orientale  nel  castello  del- 
l'acqua ,  e  dall'occidentale  in  al- 
cune stanze  a  terreno.  L'ampia  fac- 
ciata è  adorna  ai  fianchi  di  sei 
pilastri  corinti ,  e  nel  mezzo  ove 
forma  un  risalto,  da  quattro  co- 
lonne simili,  quelli  e  queste  sorreg- 
genti un  architrave  con  fregio  a 
cornice,  al  quale  è  sovrapposto  un 
attico  finestrato  nelle  parti  laterali, 
ed  in  quella  di  mezzo  un  attico 
sporgente,  terminato  da  balaustra- 
ta che  ha  nel  centro  lo  stemma 
di  Clemente  XII,  retto  da  due  fa- 
me, il  tutto  scolpito  in  marmo  da 
Paolo  Benaglia,  e  sotto  la  seguente 
iscrizione  : 


CLEMENS    .    XII    .    PONT    .    MAX. 

AQVAM    .    VIRGINEM 

COPIA    .    ET    .    SALVBRITATE    .    COMMENDATAM 

CVLTV    .    MAGNIFICO    .    ORNAVIT 

ANNO    .     DOMINI    .    MDCCXXXV    .    PONT    .    VI 

Nel  fregio  dell'architrave,  proprio  nella  parte  risultante,  si   legge: 

PERFECIT    .    BENEDICTVS    .    XIV    .    PONT    .    MAX. 


Framezzo  ai  pilastri,  tanto  da  una 
banda  quanto  dall'altra,  apronsi  due 
ordini  di  finestre,  che  corrispondo- 
no alle  camere  del  palazzo.  II  ri- 
salto del  centro  del  prospetto  con- 
tiene tre  nicchie  scavate  fra  le  co- 
lonne: quella  di  mezzo  è  in  for- 
ma di  tribuna,  ed  ha  per  ornato 
quattro  colonne  ioniche  sostenenti 
l'architrave  su  cui  girasi  la  calot- 
ta abbellita  da  un  gentile  scom- 
parto di  cassettoni.  Le  due  nicchie 


laterali  sono  assai  minori  e  di  for- 
ma quadra  :  nel  fregio  che  ricor- 
re su  tutte  tre  le  nicchie  sono  que- 
ste parole  allusive  al  compimento 
dato  all'opera  da  Clemente   XIII: 

POSITIS  SIGNIS  ET  ANAGLYPHIS  TABU- 
LIS  JUSSU  CLEMENTIS  XIII  PONT.  MAX. 
OPUS      CUM     OMNI      CULTU      ABSOLUTUM. 

A.  domini  mdcclxi.  La  nicchia  gran- 
de ossia  tribuna  contiene  la  statua 
colossale  in  marmo  bianco,  scolpita 
da  Pietro  Bracci,  rappresentante  Ì'O- 


FON 

cenno.  Egli  personificato  sta  in  pie- 
di sul  carro  composto  di  conchi- 
glie, e  sembra  che  in  quel  punto 
esca  dalla  propria  reggia,  in  atteg- 
giamento maestosissimo.  Il  carro  è 
tirato  da  due  smisurati  cavalli  ma- 
rini condotti  da  due  tritoni,  quelli 
e  questi  pure  scolpiti  dal  Bracci. 
Il  cavallo  a  dritta  dell'  Oceano  è 
in  atto  d'  impennarsi,  1*  altro  pro- 
cede placido  e  quieto,  con  ciò  vuoi- 
si alludere  all'  incostanza  del  mare 
ora  tempestoso  ed  ora  calmo.  Per 
di  sotto  al  carro  scaturisce  l'acqua 
in  prodigiosa  copia,  la  quale  a  so- 
miglianza d'un  rapido  fiume  entra 
in  una  conca,  da  dove  frangendosi 
precipita  in  un'  altra  più  ampia,  e 
da  questa  entro  una  terza  più 
vasta  ancora ,  cadendo  poi  nella 
sterminata  vasca  inferiore  con  istre- 
pito  sempre  crescente. 

Nella  nicchia  laterale,  a  diritta  di 
chi  osserva,  è  collocata  la  statua 
colossale  della  Salubrità  coronata 
d'  alloro,  ed  avente  nelle  mani  una 
verga  ed  una  coppa  in  cui  si  ab- 
bevera un  serpe;  l'altra  nicchia  a 
manca  contiene  la  statua  della  Fer- 
tilità, presso  la  quale  è  un  vaso 
rovesciato  versante  acqua,  mentre 
essa  tiene  colle  mani  un  cestello 
ricolmo  di  frutta  d' ogni  specie  : 
queste  statue  furono  scolpite  da  Fi- 
lippo Valle  fiorentino.  Sopra  la 
Fertilità  vedesi  un  bassorilievo  qua- 
dro esprimente  Agrippa  che  osser- 
va la  pianta  degli  acquedotti  del- 
l' acqua  Vergine,  scoltura  di  Gio. 
Battista  Grossi  romano;  1'  altro 
bassorilievo  sopra  la  Salubrità  rap- 
presenta la  vergine  ninfa  in  atto 
di  mostrare  agli  assetati  soldati  di 
Agiippa  la  scaturigine  dell'acqua 
stessa,  opera  di  Andrea  Bergondi 
romano.  L'attico  sovrapposto  al  ri- 
salto del  prospetto  ha  quattro  sta- 
vo!, xxv. 


FON  177 

tue  assai  grandi,  rispondenti  al  vivo 
delle    colonne,    che    significano    le 
quattro  stagioni    co'  loro    attributi. 
La  Primavera  fu  scolpita  da  Bar- 
tolomeo Pincellotti ,  l'Autunno  dal 
cav.  Queriolo ,  1'  Estate  dal  Ludo- 
visi  ,  e  l' Inverno  dal    Corsini.  Dai 
lati  del  gruppo  di    mezzo    e   delle 
tre  conche  si  allargano  due  immen- 
se scogliere    bizzarrissime,  sparse  di 
piante  aquatiche    e  di   arbusti,  fra 
le  quali  in  modo  diverso  scorrono 
acque   abbondanti,   ora   in   ruscelli 
nascosti,  ora  in  zampilli  palesi,  sem- 
pre però  con  varietà  mirabile  e  bel- 
la   distribuzione.     L'  edilìzio     dalla 
banda  d' occidente  è  chiuso  da   un 
ricinto  di  piccole  colonne  di  marmo 
bianco  con  isbarre  di  ferro,  il  quale 
prosiegue  anche  nella  faccia  meridio- 
nale, se  non  che  in  questo  ve  n'  è 
un    secondo,   posto    più    in    basso  : 
dal  canto  di  oriente  rimane  chiuso 
da  un  saldo  muro  che    sostiene  la 
strada,  e  forma  parapetto.    Al  fine 
di  questo    muro,   verso    la    piazza, 
è  un  abbeveratoio  per  uso  pubbli- 
co, con  grosso  gettito  d'  acqua,  aven- 
done anche  due  altre  copiose  boc- 
che per  disotto  entro  il  recinto.  Dal 
mezzo  della  faccia  orientale  per  die- 
ci gradini  si  scende  al  piano  ov'  è 
la  gran  vasca  centinata  di   marmo 
bianco  in  cui    tutte    le    acque    del 
fonte  si  raccolgono.  La  fontana   di 
Trevi  per  l'imponenza  dell'edilìzio, 
per  l' incessante  spettacolo    del  fra- 
goroso   gettito    di    fiumi     d' acqua 
spumeggiante,  e  pel  complesso    dei 
suoi  pregi,    non    dubitarono    gì'  in- 
tendenti  di    giudicarla    il  più   no- 
bile e  decoroso  fonte,  e   forse   l' u- 
nico    di    tal     genere    che    sia    al 
mondo,  sebbene   i   critici    dell'arte 
vi  rinvennero  alcuni  difetti  per  di- 
chiararla opera  perfetta.  Dal  fianco 
orientale  poi  della  gran  mostra  del- 
12 


i7B  FON 

l' acqua  Vergine  è  situato  il  suo 
castello,  su  cui  è  l'arme  di  Bene- 
detto XIV,  con  marmorea  iscrizione 
che  ne  dichiara  la  sua  beneme- 
renza. 

Fontana  in  piazza  di  Venezia. 
Nella  piazza  di-  tal  nome,  nel  rione 
Pigna,  sotto  il  palazzo  di  Venezia, 
accanto  alla  porta  dell'  oratorio  di 
s.  Maria  in  s.  Marco,  evvi  il  fonte 
che  componesi  di  un'  urna  ovale  di 
granito  rosso  egiziano,  versandosi 
entro  l' acqua  per  due  tubi  latera- 
li. Questa  preziosa  urna  balnearia, 
come  dicemmo  all'  articolo  Farnese 
Famiglia  (  Fedi),  fu  trovata  nel 
pontificato  di  Paolo  III  in  una  vi- 
gna fuori  di  porta  s.  Lorenzo,  ed 
il  cardinal  Alessandro  Farnese  ni- 
pote del  Papa  ne  fece  l'acquisto, 
onde  surrogarla  a  quella  che  prima 
ivi  avea  eretta  Paolo  II  edificatore 
del  contiguo  palazzo,  e  che  il  car- 
dinale collocò  nella  piazza  del  suo 
palazzo  Farnese,  accompagnandola 
ad  altra  simile.  Ciò  essendo  avve- 
nuto con  beneplacito  di  Clemente 
Vili,  e  del  magistrato  romano,  in 
mezzo  al  prospetto  semplice  di 
marmo  bianco,  è  scolpita  l' arme 
del  senato  e  popolo  romano ,  con 
analoga  iscrizione. 

Fontana  detta  del  Facchino.  Nel 
rione  Trevi,  all'  angolo  meridionale 
del  palazzo  de  Carolis,  poscia  Simo- 
netti,  ed  oggi  Boncompagno,  qua- 
si rimpetto  alla  chiesa  di  s.  Mar- 
cello ,  la  fece  erigere  Gregorio 
XIII  Boncompagno.  SI  compone 
d'  una  mezza  figura  di  marmo 
bianco  appoggiata  alla  parete,  rap- 
presentante un  facchino  vestito  se- 
condo il  costume  del  XVI  secolo, 
il  quale  colle  mani  tiene  avanti  di 
sé  un  barile,  dal  cui  buco  o  coc- 
chiume esce  1'  acqua  e  si  versa  in 
una  sottoposta  conca,  poco  più  al- 


FON 
ta  del  livello  della  strada,  che  è  la 
nobile   via  del  Corso. 

Fontana  di  piazza  Colonna.  In 
questa,  nel  rione  del  suo  nome,  ed 
incontro  alla  colonna  di  Marco 
Aurelio  Antonino,  ed  al  palazzo 
Boncompagno,  Gregorio  XIII  di 
questa  famiglia  la  fece  erigere  con 
gentile  disegno  di  Giacomo  della 
Porta.  Su  due  gradini  di  traverti- 
no, muniti  attorno  con  colonnette 
di  granito  bigio  a  sbarre  di  ferro, 
evvi  una  bella  vasca  ovale  centina- 
ia, composta  di  più  pezzi  di  mar- 
mo detto  porta  santa,  a  quel  tem- 
po trovato  in  abbondanza  nell'isola 
sacra  di  Porto;  ed  ornata  in  giro 
con  fasce  di  marmo  bianco  e  teste 
leonine.  Ai  lati  settentrionale  e 
meridionale  della  vasca,  sono  due 
piccoli  scogli ,  con  sopravi  due 
delfini  per  ciascuno  intrecciati  col- 
le code  in  una  conchiglia  rial- 
zata ,  il  tutto  di  marmo  bian- 
co :  i  quattro  delfìni  gettano  ac- 
qua dalla  bocca,  e  di  essa  due 
zampilli  n'  escono  ancora  da  due 
colonnine  situate  ne'  canti  orientale 
ed  occidentale  della  vasca.  In  mez- 
zo elevasi  una  piccola  tazza  rotonda 
di  travertino  da  cui  scaturisce  uà 
getto  saliente.  All'  occasione  che  nel 
1829  ne  fece  incominciare  il  re- 
stauro Leone  XII,  fuvvi  posta  nel 
mezzo  la  tazza  rotonda,  e  vi  furo-1 
no  collocati  i  gruppi  dei  delfini, 
scoltura  di  Achille  Stocchi. 

Fontana  in  piazza  della  Roton- 
da.  V.  Obelisco  della.  Rotonda. 

Fontana  in  piazza  di  campo 
de'  Fiori.  Nella  piazza  di  questo  no- 
me, nel  rione  Campo  Marzio,  Gre- 
gorio XIII  la  fece  erigere  a  bene- 
fizio pubblico  ;  e  perchè  il  livello 
dell'acqua  Vergine  rimaneva  assai 
più  basso  del  luogo,  così  l' archi- 
tetto pose  la  fonte  circa    uà  uomo 


FON 
sotterra.  Su  ri"  un  ripiano  lastricato 
di  travertini,  a  cui  si  scende  per 
due  scaglioni,  è  una  tazza  ovale  di 
marmo  bianco,  con  suo  piede  si- 
mile, ai  lati  della  quale  sgorga 
l' acqua  per  quattro  bocche.  La  taz- 
za ha  il  coperchio  di  pietra  tibur- 
tina  con  suoi  corniciamenli,  termi- 
nato sull'  alto  da  una  palla.  Gre- 
gorio XV  la  fece  interamente  re- 
staurare; e  lo  scarpellino,  di  sua 
volontà  o  comandato,  sulla  cima  del 
coperchio  sotto  la  palla  scolpì  que- 
sta sentenza  morale  :  Ama  Dìo  e 
non  fallire.  Fa  del  bene  e  lassa 
dire.  MDCXXI. 

Fontane  di  piazza  Navona.  V. 
Obelisco  di    piazza  Navona. 

Fontana  detta  della  Scrofa.  Nel 
rione  s.  Eustachio,  sotto  al  conven- 
to de'  religiosi  agostiniani,  lungo  la 
via  che  da  s.  Luigi  de'francesi  con- 
duce a  Ripetta,  e  nella  località  del 
suo  nome.  Sì  compone  della  tazza 
di  marmo,  sollevata  dal  piano  in 
cui  cade  l'acqua,  che  sgorga  dalla 
bocca  d'  una  piccola  scrofa,  scolpi- 
ta di  basso  rilievo  in  marmo ,  e 
murata  nella  parete. 

Fontana  di  Ripetta.  V.  Porto  di 
Ripetta. 

Fontana  sotto  il  palazzo  Val- 
dambrini.  Nel  rione  Campo  Mar- 
zio ,  presso  la  chiesa  di  s.  Rocco , 
Clemente  XIV  nel  1774  l'eresse 
nell'angolo  settentrionale  del  nomi- 
nalo palazzo,  già  de'  Fioravanti,  e 
del  marchese  Correa.  Consiste  in 
una  nicchia  quadrata ,  con  orna- 
menti di  architettura  ed  analoga 
iscrizione.  Dentro  la  nicchia  è  mu- 
rata in  alto  una  bizzarra  testa  di 
uomo,  scolpita  in  marmo  bianco , 
dalla  cui  bocca  sgorga  l' acqua  in 
piccola  tazza,  da  dove  per  due  fi- 
stole cade  in  un  imbuto  o  mastel- 
lo ,  che    la    trasmette   pel   buco   o 


FON  179 

cocchiume  entro  una  botte  di  mar- 
mo bianco,  posata  in  una  specie  di 
vasca,  e  contornata  di  alcuni  scogli. 

Fontane   in  piazza   del  popolo. 
V.  Piazze  di  Roma. 

Fontana  del  Babuino.  Nel  rione 
Campo  Marzio,  nella  via  che  dalla 
piazza  del  Popolo  conduce  a  piaz- 
za di  Spagna ,  a  mezzo  cammino 
dal  manco  lato,  Gregorio  XIII  fe- 
cela  erigere.  Nella  parete  di  una 
casa  apresi  una  nicchia  girata  in 
arco ,  ornata  ne'  fianchi  con  due 
pilastri  a  bugne  rustiche ,  sorreg- 
genti una  cornice  architravata  a  cui 
sono  posti  parecchi  scogli  sparsi  di 
piante  acquatiche ,  ed  abbelliti  al- 
l' estremità  da  due  grandi  delfini , 
il  tutto  di  pietra  tiburtina.  Nella 
nicchia  è  seduto  su  alcuni  scogli 
un  satiro  in  figura  al  naturale , 
presso  cui  è  un  gettito  d'  acqua 
che  si  versa  nell'  urna  quadrilunga 
di  granito  bigio,  retta  da  due  pie- 
di o  zoccoli.  La  statua  è  di  tra- 
vertino, e  per  la  sconcia  sua  figu- 
ra ,  il  popolo  la  chiamò  Rabuino , 
nome  che  prese  la  contrada. 

Fontana  detta  della  Barcaccia. 
V.  Piazza  di  Spagna. 

FONTE  RA.TTESIMALE  o  SA- 
GRO FONTE.  Rattisterio  chiama- 
si l' edificio  che  contiene  il  fonte 
battesimale,  il  quale  è  un  vaso  di 
pietra,  di  marmo,  o  di  bronzo,  in 
cui  si  conserva  l' acqua  benedetta 
che  si  adopera  per  battezzare.  So- 
no bacini  ordinariamente  di  forma 
rotonda ,  ed  elevati  da  terra,  posti 
sopra  una  base  o  pilastro.  I  fonti 
battesimali  sono  chiamati  fontes  lit- 
strales,  fontes  sacri,  fontes  bapli- 
smatìs.  Nella  Chiesa  romana  due 
volte  all'anno  si  fa  solennemente  la 
benedizione  delle  fonti  :  cioè  la  vi- 
gilia di  Pasqua  di  Risurrezione,  e 
la  vigilia    di    Pentecoste.    Le  ceri- 


180  FON 

inotiie  e  le  orazioni  che  si  adope- 
rano sono  relative  all'uso  antico  di 
battezzare  principalmente  in  quei 
giorni  ;  e  questa  è  una  professione 
di  fede  eloquentissima  degli  effetti 
del  battesimo,  e  delle  obbligazioni 
che  s'impongono  a  quelli  che  l'han- 
no ricevuto.  In  fatti  la  Chiesa  chie- 
de a  Dio  che  faccia  discendere  sul- 
l' acqua  battesimale  la  virtù  dello 
Spirito  Santo,  e  che  doni  a  quella 
il  potere  di  rigenerare  le  anime, 
di  cancellarne  le  macchie,  e  render 
loro  la  primitiva  innocenza.  Si  me- 
schia  con  quest'acqua  il  santo  Cri- 
sma (Fedi),  che  è  il  simbolo  del- 
l'unzione della  grazia;  vi  si  aggiun- 
ge dell'olio  de' catecumeni,  per  in- 
dicare la  fortezza  da  cui  dev'  esse- 
re animato  il  battezzato;  vi  s'im- 
merge il  cereo  pasquale,  che  colla 
sua  luce  rappresenta  lo  splendore 
delle  buone  opere  e  delle  virtù 
che  il  cristiano  deve  praticare,  ec. 
Questa  benedizione  delle  fonti  è  an- 
tichissima; e  s.  Cipriano  dice  che 
si  usava  nel  terzo  secolo,  e  s.  Ba- 
silio nel  quarto  la  riguardava  co- 
me una  istituzione  apostolica.  Es- 
sendo costume  presso  che  generale 
delle  chiese,  almeno  romane,  che 
nel  sabbato  santo  celebrano  con 
solennità  la  funzione  della  benedi- 
zione del  fuoco  e  del  Lumen  Cìiri- 
sti  (  delle  quali  parlammo  ai  volu- 
mi VII,  pag.  202,  e  VlII,pag.  319 
del  Dizionario),  di  coronar  l'asta 
triangolare  che  lo  sostiene  dei  fiori 
più  odorosi  e  gai,  cadendo  tal  fun- 
zione appunto  nei  bei  giorni  di 
primavera  ;  quindi  nella  stessa  mat- 
tina avendo  luogo  la  benedizione 
del  fonte  battesimale ,  è  costume 
dei  canonici  e  clero  vaticano ,  che 
dopo  celebrata  tale  benedizione  se 
ne  ritornano  in  processione  verso 
il  coro,  portando  in  mano  un  maz- 


FON 

zetto  di  fiori  freschi,  che  loro  viene 
distribuito  dal  maestro  delle  ceri- 
monie nel  venire  che  fa  il  clero 
dalla  cappella  del  fonte,  il  luogo 
del  quale  è  pure  asperso  di  fiori 
e  di  verzure. 

Va  però  qui  rammentato,  come 
si  disse  altrove,  che  il  battesimo 
non  solo  conferivasi  nei  due  sabba- 
ti santi  di  Pasqua  ,  e  Pentecoste  , 
ed  anticamente  dai  soli  vescovi  nel- 
la cattedrale,  ma  eziandio  nella  fe- 
stività dell'  Epifania  (Fedi),  per 
cui  è  ancora  in  vigore  in  alcuni 
luoghi  e  diocesi  la  lodevole  con- 
suetudine ,  secondo  il  rito  greco , 
eh'  è  già  il  gregoriano  romano  an- 
tico, di  benedir  l' acqua  nella  vi- 
gilia dell'  Epifania.  Dilatatasi  la  cri- 
stianità fu  d'uopo  permettere  non 
solo  che  anco  fuori  di  necessità 
ogni  giorno  si  amministrasse  il  bat- 
tesimo, ma  che  altresì  si  estendes- 
se più  oltre  della  cattedrale  la  fa- 
coltà d'  amministrarlo  ,  e  quindi  in 
varie  chiese  della  diocesi  si  eriges- 
se il  fonte  battesimale,  dando  ai 
sacerdoti  che  presiedevano  ad  es- 
se lo  specioso  titolo  di  decani.  In- 
di a  tali  chiese  si  die  il  nome 
di  matrici,  alle  quali  dovessero  an- 
dar soggette  tutte  quelle  che  non 
hanno  il  sagro  fonte,  benché  par- 
rocchiali ,  ingiungendo  ai  decani 
de'  parrochi  il  dovere  di  portarsi 
nei  detti  due  sabbati  alla  sagra  so- 
lenne benedizione  dell'acqua  batte- 
simale. Ed  è  perciò  che  in  ogni 
diocesi  trovasi  una  legge  sinodale 
su  tal  proposito.  E  che  non  è  pro- 
prio se  non  delle  matrici  il  bene- 
dir il  sagro  fonte ,  lo  prescrivono 
pure  parecchi  decreti  della  sagra 
congregazione  de' riti,  riportati  dal 
Cardellini.  V.  Battisterii,  e  il  vo- 
lume XI  del  Dizionario  a  pag.228, 
ove  se  ne  parla. 


FON 
Il  Marangoni,   Delle  eose  genti- 
lesche e  profune  trasportate  ad  uso 
ed  ornamento   delle  chiese,    tratta 
pure  de'  fonti  battesimali,  narran- 
do a  pag.    2 1 1     come   il  fonte  di 
Diana  fu   commutato   in    chiesa   e 
sagro  battisterio  miracoloso,  men- 
tre a  pag.   293    discorre  di  alcuni 
fonti   battesimali    delle  chiese,    for- 
mati colle  urne,  sarcofaghi  e  mar- 
mi de*  gentili,  e  del  fonte  di  Fau- 
no cangiato  in  battisterio  dall'apo- 
stolo s.  Pietro.  11  Buonarroti   nelle 
Osservazioni  de'  medaglioni  antichi, 
descrive  le   fonti    adornate   con  te- 
ste di  leone    per    bocchette  ,  e  coi 
cervi  dai  romani  Pontefici  ne'  bat- 
tisterii  ;  come  ancora  della  bocchet- 
ta per  i  medesimi,  fatta  in  forma 
di   maschera  scenica.    Alberto  Cas- 
sio nel  tora.  II  del  Corso  delle  acque 
antiche,  con  l' illustrazione  di  mol- 
te antichità,  eruditamente  ragiona 
del  fonte  perchè  vicino  ai  templi;  del 
fonte    di    Pastore   ove    situato    dal 
Nardini  ;     de'  fonti    santificati    dai 
ss.  Pietro  e  Paolo  per  battezzare  in 
via  Lata,   o   nel  carcere  Mamerti- 
110;  simile  di  s.  Felice  IV  Papa  nel- 
la chiesa  de'ss.  Cosimo  e  Damiano, 
non  che  di  altri  fonti.  Per  non  di- 
re di  altri,  abbiamo  dall'annalista 
Rinaldi  molte  analoghe  nozioni,  co- 
me dei  fonti  miracolosi  battesimali. 
Sulla  benedizione  del    sagro    fonte 
veggasi  il  Diclich,  Dìz.  sacro-litur- 
gicOj  all'articolo  Sabbato  santoj  ed 
il  Supplemento    del    Ferrigni-Piso- 
ne,  al  medesimo  articolo. 

FONTE  AVELLANA.  Congre- 
gazione monastica ,  ora  monistero 
de'  monaci  Camaldolesi  (  Fedi  ). 
Inoltre  sono  a  consultarsi  gli  arti- 
coli Avellala  e  Pergola,  nella 
cui  diocesi  esiste  quell'  insigne  ed 
antichissimo  monistero,  tanto  be- 
nemerito della  Chiesa. 


FON  181 

FONT-COUVERT  (Fons  Coo- 
pertus).  Luogo  della  diocesi  di  Nar- 
bona,  ove  fu  celebrato  un  concilio 
nella  chiesa  di  s.  Giuliano  martire, 
l'anno  911,  relativo  alle  questioni 
insorte  tra  il  vescovo  d'Urgel  ed 
un  altro,  per  i  limiti  delle  loro 
diocesi.  Gallia  Christ.  tom.  VI, 
pag.  2  3  e  53  ij  e  Lenglet,  Tavo- 
lette cronologiche. 

FONT-EVRAULT  o  FONTE- 
BRALDO.  Congregazione  monastica 
benedettina,  composta  di  monaci  e 
monache.  Il  beato  Roberto  d'Ar- 
brissel  ne  fu  il  fondatore  nel  1 1 00, 
il  quale  consagrò  le  sue  fatiche  alla 
conversione  delle  zitelle  dissolute  ; 
ne  congregò  un  gran  numero  nel- 
l' abbazia  di  Font-Evrault,  e  loro 
inspirò  il  proposito  di  consagrarsi 
a  Dio  :  si  associò  alcuni  compagni 
per  cooperatori,  che  riunii  pure  coi 
voti  monastici.  Questo  pio  e  zelan- 
te uomo  fece  riflessione  alla  con- 
dotta tenuta  da  Gesù  Cristo  sulla 
croce,  allorché  vicino  a  spirare  rac- 
comandò a  Maria  Vergine  sua  ma- 
dre di  prendere  il  suo  diletto  di- 
scepolo, l' apostolo  s.  Giovanni,  per 
suo  figlio,  ed  a  questi  di  riguardar 
quella  per  madre,  e  d' ubbidirgli 
interamente.  Volendo  seguire  que- 
sto esempio,  costituì  una  religiosa 
per  direttrice  e  superiora  generale 
di  tutto  l' ordine,  o  congregazione 
da  sé  fondala,  colla  regola  di  s. 
Benedetto.  Questa  congregazione  si 
compose  di  molti  monasteri  d' uo- 
mini e  di  donne  che  ubbidivano 
tutti  alla  superiora.  I  monaci  assi- 
stevano le  monache  in  tutti  i  loro 
bisogni  spirituali,  e  ciò  non  deve 
recar  sorpresa,  sebbene  in  alcuni 
luoghi  ai  religiosi  furono  sostituiti 
de'  cappellani,  direttori,  e  confessori 
stipendiati,  che  assistevano  i  moni- 
steri  delle  medesime  monache.  Que- 


sii  sacerdoti  secolari  erauo  soggetti 
al  sistema  e  regolamenti  dei  mona- 
steri, né  potevano  da  questi  uscire 
ed  allontanarsi  senza  l' approvazio- 
ne delle  superiori  locali.  Non  erano 
stabili  ma  amovibili,    e   dipendenti 
dai  vescovi  diocesani.   Ciò  che  que- 
sti sacerdoti  facevano    era    per    ac- 
condiscendere a'  loro  prelati,  mentre 
i  religiosi  l' adempivano  per  istitu- 
to,  e  sotto  l' immediata  dipendenza 
del    sommo    Pontefice,    e    sotto    la 
vigilanza  d'  un  visitatore  apostolico. 
Il  benemerito  fondatore   non   andò 
esente  da  calunnie,  con  cui   fu  at- 
taccato il  suo  ordine,  contro  il  qua- 
le   scrissero     Marbodo    vescovo    di 
Rennes,  Geoffredo  abbate  Vindobo- 
nense,    e    l' eretico    Roscelino    con- 
dannato anche  dal  concilio  di  Sois- 
sous.  Essi  vennero  confutati  dal  p. 
Giovanni  Mainferme,  celebre  religio- 
so di  questa  congregazione,  in  una 
opera  in  tre  volumi  intitolata  :  Cly- 
peus  nascenlis  Fontebralclensis  ordì- 
nis.  Tuttavolta  non  si  deve  tacere 
che  Marbodo  e  Geoffredo  si  disin- 
gannarono, e  divennero    in  seguito 
intimi  amici  del    b.    d'Arbrissel,  e 
suoi  benefattori,  come  per  l' addie- 
tro. Inoltre  la    condotta    di    questo 
santo,    fu    pure    giustificata    dalle 
testimonianze  degli  storici  contem- 
poranei, dai  Papi,  dai   loro    legati 
apostolici,  dai  vescovi,  dai  principi, 
e   da  tutta  la    chiesa    di    Francia. 
Avverte  il  Bergier   che   altra   soda 
apologia  del  b.  Roberto,  e  del  suo 
ordine  contro  i  motteggi  di  Bayle, 
fu  stampata  in  Anversa  nel    1701. 
11  b.  Roberto  diede   al   suo    or- 
dine la  regola  di  s.  Benedetto,  con 
alcune  particolari  costituzioni  da  lui 
aggiunte,  e    ne  accrebbe    la    gloria 
col  zelo  delle  sue  predicazioni,  colla 
santità  della  sua  vita,    e    col    gran 
numero  de'  suoi  miracoli.  Il  b.  Ro- 


FOiN 
berlo  nel    1106  ottenne  l'approva- 
zione del  6uo  istituto  dal  Pontefice 
Pasquale  II,    e    prese    il    nome    di 
FoiiL-Evrault ,    Fons-Ebraldi,    dal 
primo    monastero    da    lui    fondato 
nel    1100  nella   foresta    di    tal    no- 
me, nella  diocesi  di  Poitiers,  a  tre 
leghe  da    Saumur,    sui   confini  del 
Poitou,  dell'  Anjou  e  della  Turrena. 
Il  medesimo  Pontefice  approvò  nuo- 
vamente l'ordine  nel    1  1  1 3.  Molte 
principesse  si  posero  sotto  la  dire- 
zione di  questo  santo  uomo,  il  qua- 
le ispirò  loro  il  disprezzo  delle  gran- 
dezze umane,  per  cui  dopo  la  sua 
morte  alcune  religiose,  ed  un  gran 
numero    di    principesse,    cercarono 
religioso  asilo  in  Fontebraldo,  e  vi 
si  consegrarono  al  Signore,  laonde 
non  è  meraviglia,  se  quel  moniste- 
ro  giungesse  a    possedere    l' annua 
rendita  di  centomila  lire.  Dopo   la 
morte  del  beato,  divenne  superiora 
generale    la    vedova    Petronilla    di 
Craon    de     Chemillé.    Tra    le    sue 
trentasei  abbadesse  che  hanno  go- 
vernato l'ordine  si  annoverano  quat- 
tordici principesse,  cinque  delle  qua- 
li della  real  casa  di  Borbone.  Sono 
a  ricordarsi    s.    Matilde    figlia    del 
conte  d'  Angers  ;  Giovanna  di  Bren- 
na  nipote  di  Roberto,  figlia  di  Lo- 
dovico   VI    re    di    Francia;    Anna 
d'  Orleans  sorella  del  re    Lodovico 
XII,  ed  altre  di  nobilissimo  sangue, 
rammentate   dal    Baronio   all'  anno 
1117.  Va  pure  per  distinzione  ram- 
mentata   l' abbadessa   Maria    Mad- 
dalena di  Rochechovalt,  sorella  del 
maresciallo  di    Vivonne,    morta   ai 
i5  agosto    1704.  L'abbate    Suger 
scrivendo  a  Papa  Eugenio  III,  cir- 
ca cinquantanni  dopo  la  fondazione 
di  questa  congregazione,  narra  ch'e- 
rasi  talmente  propagato  l'istituto,  che 
contava  da  cinque  a  sei  mila  reli- 
giose. Di  poi  Sisto  IV   la    riformò 


FON 

■d  istanza  dell'  abbadessa  generale, 
e  vi  ristabilì  la  purità  della  rego- 
la di  s.  Benedetto,  con  le  costitu- 
zioni del  fondatore.  De'  privilegi 
dell'  abbedessa  generale  di  Font- 
Evrault,  ne  tratta  il  p.  Chardon, 
Storia  de'  Sagramene,  toni.  II,  pag. 
3o.  L'  ordine  era  diviso  in  quattro 
provincie,  cioè  di  Francia,  d' A- 
quitania,  d' Alvernia,  e  di  Bretagna, 
ed  in  tutto  comprendeva  cinquan- 
tasette priorati.  A  Font-Evrault 
mettevasi  d'ordinario  le  dame  di 
Francia,  come  le  figlie  dei  re,  per 
educarle,  durante  la  loro  giovi- 
nezza. 

11  p.  Bonanni  nel  suo  Catalogo 
degli  ordini  religiosi  parte  I,  pag. 
ii 4,  trattando  di  quest'ordine  ne 
racconta  1'  origine  in  questo  mo- 
do. Il  monastero  principale  di  que- 
sti religiosi  prese  il  nome  da  un 
l'onte  elei  luogo,  che  fu  fondato  da 
un  nobile  giovane  chiamato  Ebral- 
do,  il  quale  essendo  di  cattivi  co- 
stumi, con  alcuni  compagni  facinoro- 
si infestava  i  viandanti  ;  ma  per  l'e- 
sortazioni dell'  insigne  predicatore 
Roberto  Blesio  teologo  parigino, 
non  che  monaco  benedettino,  chia- 
mato pure  Arbrissel  o  Arbicello, 
mutò  costumi  verso  l'anno  iioo. 
Acceso  quindi  di  menar  vita  au- 
stera, fondò  un  monastero  sì  per 
gli  uomini,  che  per  le  donne  nel 
pontilìcato  di  Urbano  li.  In  quan- 
to all'abito  dice  ch'era  nero,  e  ne 
riporta  la  figura,  come  quelle  che 
nel  1666  pubblicò  il  p.  Lodovico 
Beurrier  celestino.  Lo  stesso  p.  13o- 
nanui  nella  parte  II,  a  pag.  5o, 
parla  delle  monache  di  Fonte-E- 
braldo,  e  ne  dà  l' origine  alle  pa- 
role succennate  del  Redentore:  Ec- 
eo  la  madre  tua  j  ecco  il  figlio  tuo. 
Ne  riporta  la  figura  vestita  di  ne- 
ro,   con    velo    e    sotloguLi    bianco. 


FOR  183 

Indi  nella  seg.  pag.  5i  discorre 
delle  monache  di  Fonte-Ebraldo 
riformate,  dicendo  che  il  citato  Ba- 
ronio  racconta  che  mentre  Maria 
Brittanna  era  abbadessa  di  Fonte- 
Ebraldo,  a  di  lei  istanza  fu  rifor- 
mata la  congregazione  con  l'auto- 
rità pontificia  di  Sisto  IV,  che  a 
tale  effetto  deputò  gli  arcivescovi 
di  Lione  e  di  Bourges.  Avverte 
che  il  b.  Arbrissel  dedicò  tutti  i 
monasteri  dei  monaci  a  s.  Giovan- 
ni apostolo  ed  evangelista,  e  quelli 
delle  monache  alla  santa  Vergine 
Maria,  il  perchè  fu  chiamato  l'or- 
dine della  Madonna  e  di  s.  Gio- 
vanni evangelista.  Ivi  ancora  il  p. 
Bonanni  riporta  altra  figura  di  det- 
te monache,  ma  con  il  mantello  e 
col  velo  nero  su  quello  bianco  del 
capo.  I  romani  Pontefici  hanno 
accordato  a  quest'ordine,  che  cessò 
colle  note  politiche  vicende,  molte 
grazie  e  privilegi,  come  si  può  leg- 
gere ne' seguenti  autori  che  ne  trat- 
tarono. Il  suddetto  p.  Maio  ferme 
nell'  opera  mentovata  ;  il  Martiro- 
logio gallicano  ai  27  decembre  ; 
Benedetto  Gonone  celestino,  nella 
Crònica  della  Beata  Vergine^  al- 
l'anno  1099;  la  cronaca  di  Tours; 
Onorato  Niquet,  scrittore  della  sto- 
ria di  quest'  ordine,  ed  altri.  Font- 
Evrault  al  presente  è  un  borgo  del 
dipartimento  di  Maina  e  Loira,  nel 
quale  evvi  porzione  dell'  antica  ab- 
bazia, cioè  quella  parte  avanzata 
dalle  distruzioni  che  soffrì,  che  serve 
di  casa  centrale  di   detenzione. 

FORANTONIANA  (Forum  An- 
tonianum).  Sede  vescovile  della  Bi- 
zacena  nell'  Africa  occidentale,  che 
Commanville  chiama  Foratiana  e 
Frontoniana,  sotto  la  metropoli  di 
Adramito.  Forse  è  la  medesima  cit- 
tà di  cui  si  fa  menzione  dal  Bol- 
lando nella    vita    di    s.    Fulgenzio, 


184  FOR 

al  primo  gennaio,  sebbene  il  me- 
desimo Bollando  legga  Forum  Nun- 
tortini,  ed  il  Surio  Vintorum.  Fe- 
lice è  l' unico  vescovo  conosciuto 
di  questa  città,  e  trovasi  notato 
tra  i  vescovi  della  provincia  Biza- 
cena,  i  quali  nel  4^4>  per  un  edit- 
to del  re  de'  vandali  Unnerico,  fu- 
rono esiliati  da  Cartagine,  per  aver 
con  fermezza  sostenuta  la  fede  di 
G.   C.  contro  la  setta  de' donatisti. 

FORATIANA,  FORTIA  o  FO- 
RATIA.  Sede  vescovile  della  Biza- 
cena  nelF  Africa  occidentale,  sotto 
la  metropoli  d'  Adramito,  chiamata 
pure  Foria.  Bonifazio,  unico  vesco- 
vo che  si  conosca,  si  trovò  al  con- 
cilio di  Cartagine,  celebrato  l' anno 
484j  ed  è  il  terzo  dei  quattro  ve- 
scovi che  dichiararono  ad  Unnerico 
re  de'  vandali  la  professione  di  fe- 
de de'  vescovi  cattolici  contro  la 
setta  dei  donatisti. 

FORCHEIM  o  FORCHAIN.  Cit- 
tà della  Baviera,  circondario  del 
Meno  superiore,  capoluogo  di  pre- 
sidiale, sulla  riva  destra  della  Re- 
gnitz  al  suo  confluente  colla  Wie- 
sent.  Prima  apparteneva  al  circolo 
di  Franconia,  e  dagli  scrittori  lati- 
ni è  chiamata  Forchetta,  Fartovia, 
Locoritum,  Frutavia.  E  cinta  di 
mura  e  fosse,  avendo  qualche  altra 
fortificazione  :  ha  una  collegiata, 
due  altre  chiese,  un  ospedale  ec. 
Vi  si  tenne  un  concilio  nell'  anno 
890,  ed  un  altro  nell'anno  1077 
a'i3  marzo,  in  cui  Rodolfo  duca 
di  Svevia,  in  vece  di  Enrico  IV, 
vi  fu  eletto  re  de'  romani  a'  1 5  di 
detto  mese,  e  consagrato  a  Magon- 
za  dodici  giorni  dopo  ;  il  Pontefice 
s.  Gregorio  VII  per  allora  non  ap- 
provò la  sua  elezione,  ma  poscia 
gli  mandò  in  dono  una  real  coro- 
na. Gallio.  Christiana  tom.  Ili,  pag. 
649,  e  Diz.  de' concili. 


FOR 

FOREST  (de  la)  Pietro,  Car* 
dinaie.  Pietro  de  la  Forest  nacque 
in    Susa,    diocesi    di    Mans.    Pare 
che    da    principio    fosse    monaco  e 
poi    archimandrita    di  s.  Dionigi  e 
professore  del  diritto  civile  ed  ec- 
clesiastico.   Recatosi    a    Parigi ,  fu 
dichiarato  dal  re  avvocato  del  par- 
lamento, e  canonico  di  quella  cat- 
tedrale. Nel    i349  fu    eletto  vesco- 
vo di  Tournay,  e  l'anno  dopo  tra- 
sferito   alla    chiesa    di    Parigi.    Da 
questa  sede,  nel  i352,  passò  a  queb 
la  di  Roan  colla  carica  di  Cancel- 
liere   del    regno.    Sostenne    anche 
l'ambasceria    del    re    cristianissimo 
presso  la  santa  Sede.  Fu  creato  a's3 
dicembre  1 356  cardinale  assente  del 
titolo  dei  santi  apostoli  da  Innocenzo 
VI,  dimorante  allora  a  Villanova,ed 
il  quale    ad  istanza  de' due  porpo- 
rati legati    nelle  Gallie,  gli  mandò 
il  cappello  cardinalizio.  Ebbe  la  le- 
gazione  nella  Sicilia  e  nell'  InghiU 
terra    per    conciliare   la    pace    tra  - 
questo  regno  e  la  Francia.   Fu  vit- 
tima d'anni  quarantasette  del  con^ 
tagio  in  Avignone,  dove  ebbero  se- 
polcro   le  mortali    sue    spoglie    nel 
i36r. 

FORFIAMMA  o  FORIFIAM- 
MA  (  Forum  Flaminii).  Città  epi- 
scopale antica  d' Italia  nell'Umbria, 
che  fu  rovinata  dai  longobardi  ver- 
so l'anno  74° :  fu  pur  chiamata 
s.  Giovanni  iti  Forifiamma,  e  per 
altre  notizie  va  letto  1'  articolo 
Foligno,  presso  di  cui  giaceva,  ed 
ove  fu  trasferita  e  riunita  la  sua 
sede.  Neil'  Italia  sagra  del  p. 
Ughelli,  tom.  X,  pag.  101,  sono 
nominati  due  soli  vescovi  di  For- 
fìamma,  cioè  Bonifacio  che  inter- 
venne nell'  anno  5o3  al  concilio 
che  celebrò  in  Roma  il  Pontefice 
s.  Simmaco;  e  Decenzio  che  nel 
pontificato  di  s.  Agatone  fu  al  con- 


FOR 

cilio  romano ,  tenuto  nell'  anno 
G89.  Lodovico  Jacobilli  riporta 
molte  notizie  di  questa  città  e  ve- 
scovato ,  nell'  opuscolo  intitolato  :. 
Discorso  della  città  di  Foligno, 
ec.  suo  territorio  e  diocesi,  Foligno 
1 646.  Commanville  nell'  Histoire 
de  tous  les  archcvesehcz  et  ève- 
schez  de  Vunivers  dice  che  Forum 
Flaminii  fu  fatta  vescovato  nel 
quinto  secolo. 

Il  p.  Brandimarte  nel  suo  Pice- 
no annonario,  a  pag.  l47>  dice 
che  Foro  Flaminio  rimaneva  nella 
via  Flaminia  tra  Bevagna  e  Pon- 
tecentesimo  piccolo  villaggio  della 
valle  Topina,  e  precisamente  pres- 
so la  chiesa  parrocchiale  di  s.  Gio- 
vanni Profiamma,  distante  dall'o- 
dierno Foligno  circa  due  miglia  e 
mezzo  :  essendo  situata  in  una  pia- 
nura,, e  venendo  ridotti  i  campi 
a  coltura,  poche  memorie  vi  si  os- 
servano; e  che  dalle  di  lei  rovine, 
e  da  quelle  dell'  antico  Fulgineo 
ne  sorse  Fuligno  ,  mentre  i  vesti- 
gi dell'antico  si  osservano  intorno 
alla  chiesa  di  s.  Maria  in  Campis 
distante  quasi  un  miglio  da  delta 
città.  Aggiunge  che  ivi  trovanti 
anticaglie  e  pezzi  dell'antiche  stra- 
de romane  dette  di  ferro.  Ivi  pas- 
sava la  via  Flaminia  ,  e  da  Ful- 
gineo andava  a  Foro  Flaminio. 
Dall'  essersi  discostata  la  via  pre- 
sente dall'  antica  non  si  contano 
più  da  Roma  a  Pontecentesimo 
cento    miglia,    ma    cento    quattro. 

FORGACH  Francesco,  Cardi- 
nale. Francesco  Forgach  ebbe  i 
natali  nel  i566,  nella  città  di 
Slrigonia,  regno  d'  Ungheria.  Sor- 
tito un  felice  talento  e  un'indole 
assai  dolce,  si  affezionò  1'  animo 
dell'imperatore  Rodolfo  II,  cosi  che 
ben  volentieri  affldogli  affari  di 
grande  rilievo,  e  lo  incaricò  di  pa- 


FOR  i85 

rccchie    ambascerie  ,    specialmente 
per  cose  risguardanti   l'interesse  di 
quel  regno.  Rodolfo  lo  nominò  da 
prima    al    vescovato  di  Vesprin,  e 
poi    a  quello  di    Nitria.   Nel     iGof> 
fu     trasferito     all'  arcivescovato     di 
Strigonia    colla    dignità   di  primate 
e    di    gran    cancelliere    del  regno , 
cosa    che    gli    procurò    non    pochi 
nemici.  Ma  la  virtù  che  lo  accom- 
pagnava   in    qualunque    si  fosse  il 
di  lui    avanzamento,  seppe  vincere 
qualunque  maldicenza  e  contrarie- 
tà che  avesse    fatto    sorger   l' invi- 
dia. Ad  istanza   dello    slesso    prin- 
cipe, Paolo  V  nel    1607  a'  io  di- 
cembre,  altri  dicono  nel    1608,  lo 
creò  prete  cardinale  della  S.   R.    C, 
e  nell'anno  seguente,  metropolilano 
dell'Ungheria  e  regio  luogotenente. 
Celebrò  il  sinodo  in  Tirnavia    con 
grande  vantaggio  della  ecclesiastica 
disciplina.  Molto  adoperossi  per  pa- 
cificare   1'  imperatore  colf  arciduca 
Maltia,    ch'egli   avea    solennemente 
coronato,  e  indusse  il   primo  a  ce- 
dere, il  regno  di  Ungheria  all'arci- 
duca.   Fu    causa    eziandio    che  co- 
desto  principe  emanasse    nelle  sue 
provincie  un  severo  decreto  contro 
de*  protestanti.   Sostenne  grandi  fa- 
tiche per    l'incremento  della  santa 
Sede,  e    superò    con    molta    fran- 
chezza tutti  quegli  ostacoli  che  san- 
no gli  eretici  opporre  a' zelanti  a- 
postoli  dell'  evangelio.   Morì  santa- 
mente   ne'  bagni    di    Santacroce    in 
Ungheria,    l'anno    161 5,  e    trasfe- 
rito in    Moravia,    quantunque  egli 
avesse  altrimenti  disposto,  fu  sepol- 
to   ad    istanza    del    capitolo    nella 
chiesa    di   s.  Nicolò. 

FORIERE  MAGGIORE  DEL 
PAPA  (Forerius  major).  11  primo 
uffiziale  palatino,  dopo  il  prelato 
maggiordomo  del  Papa,  ed  il  se- 
condo cameriere  segreto  laico  par- 


186  FOR 

tecipante  di  spada  e  cappa.  Anti- 
chissimo è  il  nobile  uffizio  del  fo- 
riere maggiore,  come  rilevasi  dai 
ruoli  della  Famiglia  pontificia  [Ve- 
di), ove  in  quelli  di  Giulio  III,  e 
ili  Paolo  IV,  che  sono  i  più  an- 
tichi degli  archivi  del  palazzo  apo- 
stolico, è  annoverato  tra  i  primi 
uilìziali  della  famiglia  nobile  del 
sommo  Pontefice.  In  fatti  si  legge 
ne' ruoli  di  Paolo  IV,  nella  cate- 
goria Diversi  famigliari  maggio* 
ri,  il  Forerò.  Sotto  Pio  IV,  e  sot- 
to s.  Pio  V  si  chiamò  Foriere 
maggiore,  venendo  registrato  fra 
gli  scudieri.  Inoltre  sotto  Paolo 
IV  eranvi  quattro  forieri  della 
camera  di  Nostro  Signore  ;  nel 
Pontificato  di  s.  Pio  V  sono  no- 
tati due  forieri  di  camera ,  che 
sotto  s.  Pio  V,  e  Sisto  V  prese- 
ro luogo  tra  i  Diversi  maggiori  o 
gli  ufficiali  maggiori.  Nel  ruolo  di 
Clemente  Vili,  del  i5g3,  il  forie- 
re maggiore  si  vede  registrato  tra 
i  camerieri  segreti;  ed  il  simile 
venne  praticato  ne'  successivi  pon- 
tificati ,  massime  in  quello  del 
j633  di  Urbano  Vili.  In  quanto 
ai  due,  tre,  quattro,  o  sei  forieri 
della  camera  di  Nostro  Signore  il 
Papa,  che  leggonsi  in  diversi  ruo- 
li, essi  erano  famigliari  addetti  al 
sagro  palazzo  apostolico  ,  ed  alla 
cma  e  custodia  delle  sue  camere 
e  robe,  per  cui  si  leggono  notati 
sotto  la  categoria  di  Offiziali  di 
palazzo,  e  perciò  nulla  di  comu- 
ne col  foriere  maggiore,  anzi  da 
lui  dipendenti  come  individui  del- 
la Floreria  apostolica  (Vedi).  Sic- 
come questo  rispettabile  ministro 
per  impotenza,  assenza,  o  vacanza 
di  monsignor  maggiordomo  ne  sup- 
plisce le  veci  nella  direzione  del- 
l'azienda palatina,  e  per  essere  il 
suo    itnpiegu    a    vita,  cosi  allorché 


FOR 
dal  Papa  a  mezzo  di  un  suo  bre- 
ve apostolico  è  prescelto  e  nomi- 
nato alla  carica  di  foriere  maggio- 
re, presta  il  giuramento  nelle  ma- 
ni dello  stesso  Pontefice  genufles- 
so, e  vestito  in  abito  di  città,  leg- 
gendo la  seguente  forinola,  e  giu- 
rando col  tatto  de'  santi  evan- 
geli. 

»  Juramentum    Forerii   majoris. 

»  Ego    N.    N.    futurus  Forerius 

»  apostolicus    major,    ab  hac  hora 

»»  deinceps    fidelis,  et  obediens  ero 

«  beato  Petro  apostolo,  sanctaeque 

«  Romanae  Ecclesiae  et  Vobis  Do- 

«  mino     meo    Domino    N.    divina 

»  providentia  Papa  N.    Vestrisque 

»>  successoribus    canonice    intranti- 

»  bus,  ac  officium  Forerii  majoris 

»  a    Sanctitate   Vestra  mihi    com- 

»  missum  promitto,    et  juro  bene, 

«  et  fideliter    exerciturum ,  et  ad- 

»  ministraturum. 

»   Sic  me  Deus  adjuvet,  et  haec 

»  sancta  Dei  evangelia. 

Sembra  che  il  ragguardevole  uf- 
fizio del  foriere  maggiore  sia  suc- 
ceduto in  molte  incumbenze  pala- 
tine che  prima  si  fungevano  dal 
Maestro  del  sagro  Ospizio  (Vedi), 
essendo  le  sue  principali  ingerenze 
sotto  la  dipendenza  del  prelato 
maggiordomo,  non  solo  di  fare 
parte  della  congregazione  ammini- 
strativa palatina,  ma  di  avere  cura 
delle  fabbriche  dei  palazzi  aposto- 
lici ed  edilizi  che  gli  appartengo- 
no, e  perciò  deve  verificare  ed  ap- 
provare i  prezzi  de'  conti  degli  ar- 
tisti ,  in  cui  è  aiutato  dal  busso- 
lante sotto-foriere,  come  ancora  si 
occupa  della  conservazione,  rinno- 
vazione di  condotti» re,  e  concessio- 
ni di  acque.  Sopraiuteude  pure  al- 


FOR 
le   suppellettili,    mobili,    masserizie 
ed  altro  de'  medesimi  palazzi  apo- 
stolici, venendo  in    ciò    rappresen- 
tato dal  fioriere.  Nel  voi.    VII,   a 
pag.  38  del  Dizionario }  dicemmo  di 
altre  sue  attribuzioni,  anche  risguar- 
danti    i   Viaggi  [Vedi),   e    le   Vii- 
foggiature    de  Papi    (Vedi)3   come 
ancora    che    nei    tieni    di    città    e 
nobile  prende    luogo    nel    frullone 
col   Cavallerizzo   maggiore   (Fedi), 
terzo  cameriere  segreto    laico  par- 
tecipante, col  quale    incede    anche 
a  piedi,  e  con  lui  ha  comuni  tan- 
to   l'abito    nero    di  spada,   che  le 
monture,    essendo    ivi    descritto  il 
primo    e    le    seconde.    AH'  articolo 
Cavallerizzo  ,     sono    riportate    di- 
verse notizie  che  riguardano  il  fo- 
riere   maggiore.    Il     foriere    mag- 
giore   non    solo    nei  treni  di  città 
precedeva  a    cavallo    il  Papa  ,  ma 
nelle  gite  alla  villeggiatura  di  Ca- 
stel Gandolfo ,  egli    col    cavalleriz- 
zo maggiore  cavalcavano  agli  spor- 
telli della  carrozza    del    Pontefice  : 
ne'  luoghi  ove  incombe  al  cavalle- 
rizzo aprire  tali  sportelli,  nella  sua 
assenza    li   apre  il   foriere   maggio- 
re, non  perchè  sia  minore  in  gra- 
do gerarchico  del  cavallerizzo,  ma 
perchè  a  lui    spettava    prima    tale 
uffizio;  e  quando  il    Pontefice    in- 
cede in  carrozza  con  due  cardina- 
li ,    lo    sportello    viene    aperto  dal 
prelato  maggiordomo,  come  il  pri- 
mo   magistrato   della   corte    ponti- 
fìcia.   Questo    prelato   a    pie   delle 
scale  del  palazzo  apostolico,  in  com- 
pagnia del  foriere  maggiore,    apre 
lo  sportello  della  carrozza  ove  so- 
no i  sovrani  che  recansi  a  visitare 
il  Pontefice  :    ciò    prima    faceva    il 
foriere  maggiore,    il  quale    antica- 
mente pure  a  pie    delle    scale    del 
palazzo    apostolico    riceveva    i    no- 
velli cardinali,    che    si  recavano  a 


FOR  187 

prendere  la  berretta  rossa  dalle 
inani  del  Papa.  Di  altre  mansioni 
del  foriere  maggiore  se  ne  parla 
in  parecchi  articoli  del  Dizionario, 
come  di  Cappelle  pontificie,  Pran- 
zi, Palazzi  pontificii  ec.  ed  altri 
i-elativi,  Viaggi,  ec,  ne'  quali  è  of- 
flzio  del  foriere  maggiore  il  pre- 
cedere il  Papa  ne'  suoi  viaggi  on- 
de allestire  gli  alloggi  per  la  sua 
sagra  persona,  e  per  tutta  la  sua 
corte,  come  fece  il  marchese  Sci- 
pione Sacchetti  nel  viaggio  intra- 
preso da  Pio  VII  quando  si  recò 
a  Parigi  a  coronare  Napoleone,  nel 
quale  il  foriere  maggiore  ebbe  l'in- 
tero carico  della  direzione  del  viag- 
gio ed  alloggiamenti,  e  la  soprain- 
tendenza  generale.  Nel  1724  per 
impotenza  del  maggiordomo,  il  fo- 
riere maggiore  d.  Girolamo  Colon- 
na ne  supplì  le  veci ,  in  ciò  che 
il  maggiordomo  fa  al  cadavere  del 
defunto  Pontefice  prima  di  chiu- 
dersi la  cassa,  cioè  nel  cuoprire  il 
cadavere  con  drappi ,  e  porre  ai 
di  lui  piedi  le  tre  borse  di  vellu- 
to colle  monete  e  medaglie  conia- 
te nel  suo  pontificato.  Qui  notere- 
mo che  il  maggiordomo  quando 
vi  è  il  cardinal  nipote  o  padrone 
non  cuopre  il  volto  del  defunto , 
ne  pone  le  tre  borse  nella  cassa , 
toccando  tali  cose  a  farsi  dal  car- 
dinale; almeno  così  praticavasi  an- 
ticamente, come  ho  letto  nei  re- 
gistri della  floreria  apostolica.  EJ 
nel  1732  il  foriere  maggiore  mar- 
chese Capponi  pose  la  prima  pie- 
tra fondamentale  con  alcune  me- 
daglie, nei  fondamenti  del  maesto- 
so palazzo  della  consulta  sulla  piaz- 
za del  Quirinale.  A'  nostri  giorni 
poi,  quando  il  regnante  Pontefice 
nel  i838  volle  affidare  la  custo- 
dia e  cura  del  celebre  museo  Ca- 
pitolino d  magistrato  roumuo,  sic- 


,88  FOR 

come  esso  apparteneva  alla  imme- 
diata    giurisdizione    di     monsignor 
maggiordomo,  per  questi  esegui  la 
consegna  il   marchese  Scipione  Sac- 
chetti foriere  maggiore,  u'  3    otto- 
bre, a  tale  atto    specialmente    de- 
putato,   come    diremo    all'articolo 
Museo  Capitolino,  ove  riporteremo 
la  formalità  con  cui  venne  esegui- 
ta l'onorifica  commissione.  Il  Can- 
cellieri nella  Lettera  al  dottor  Ko- 
rejfy  in  più  luoghi   parla    del    fo- 
riere   maggiore ,    per    ciò    che    ri- 
guarda il  luogo  che  prese  nelle  gi- 
te a   Castel    Gandolfo ,   come   alle 
pag.  123,  1 47>  i5'>  180,186,225, 
228,    239    e   248,    riportando    gli 
analoghi   estratti  de'  Diari   di  Ro- 
ma. A  pag.    igo  e  seg.  poi  ripor- 
ta la  descrizione  del    solenne    con- 
vito imbandito    sotto    la   direzione 
del    foriere    maggiore   il   marchese 
Patrizi  Chigi   Montori,  nell'aula  del 
palazzo  di  Castel  Gandolfo,  per  la 
consagrazione    che    Clemente   XIII 
fece  in  vescovi,  de'  cardinali   Erba 
Odescalchi  ,    e    Valenti  ;  quindi    a 
pag.   204  dice  che  il  marchese    a- 
vendo  fatto  rappresentare    in    due 
quadri  la  consagrazione  ed  il  con- 
vito, fece  dono  di    tali    dipinti    al 
Pontefice.'  Nelle    cavalcate    pubbli- 
che per    le   cappelle   della   ss.  An- 
nunziata, di  s.  Filippo,  della    Na- 
tività   di    Maria    Vergine,    e   di  s. 
Carlo,  in  principio  di  esse    dopo  i 
cavalleggieri     e    le    lancie   spezzate 
cavalcavano  il  foriere  maggiore,  e 
il  cavallerizzo  maggiore   del  Papa, 
con  abiti  guarniti  di    maglia  ossia 
merletto  nero,  massime  il  mantello, 
indi   seguivano  due  sopraintendenti 
alle  scuderie  pontificie,    e   i  came- 
rieri de'  cardinali  colle   valigie. 

Anche  nelle  cavalcate  dei  solen- 
ni possessi  de'  Pontefici  il  cavalle- 
rizzo  iu    un    al   foriere    maggiore 


FOR 

cavalcavano.    In    quello    del     iGGj 
di   Clemente  IX,  si  legge  che  mon- 
signor    Accarigi    foriere     maggiore 
cavalcò  co'  camerieri  d'onore  in  a- 
biti  rossi,  seguito    dal    guardaroba 
e  sotto-guardaroba.  Lo  stesso  posto 
presero   Urbano  Rocci  foriere  mag- 
giore di  Clemente  XI,  nel  possesso 
che  questi  prese  l'anno  1700;  e  d. 
Girolamo  Colonna  foriere   maggio- 
re d'Innocenzo  XIII,    nel    possesso 
da  questi  preso  nel  1721,  con  bel 
cavallo    bardato,    e   ornato    di    fet- 
tuccie  con  nobile  livrea:    nel   pos- 
sesso    di     Benedetto    XIII,    l'anno 
1724,  il  medesimo  d.  Girolamo  ca- 
valcò pure  come  foriere  maggiore. 
Nel   1730  pel  possesso  di   Clemen- 
te XII  cavalcò  il  foriere  maggiore 
marchese  Gregorio  Alessandro  Cap- 
poni ;  nel   1741   per  quello  di  Be- 
nedetto XIV,  cavalcò   il    marchese 
Gio.    Patrizi    Chigi    Montori,    coa- 
diutore   del    foriere    maggiore,  in- 
sieme  al    marchese    Gio.    Antonio 
Vasè  Pietramelata,    coadiutore  del 
cavallerizzo.     Clemente     XIII     nel 
1758  si  recò  alla    basilica    latera- 
nense  con  nobile  cavalcata  per  pren- 
dervi il  possesso  :  dessa  secondo  il 
solito  si  apri  dai  cavalleggieri,  dal- 
le   lancie    spezzate ,    dal    marchese 
Gio.  Patrizi  Chigi  Montori  suo  fo- 
riere maggiore,  unitamente  al  conte 
Petroni  romano  cavallerizzo,  i  quali 
erano  succeduti  dai  valigeri  de' car- 
dinali :  i  medesimi  soggetti  in  egual 
modo    incederono    nella    cavalcata 
del  possesso  del   1769  di  Clemen- 
te XIV.  Nel   1775  pel  possesso  di 
Pio  VI  cavalcarono  in  tale    luogo 
il  marchese  Girolamo  Serlupi  Cre- 
scenzi  cavallerizzo.  Il  marchese  Sci- 
pione   Sacchetti    foriere    maggiore, 
ed  il  barone  Giuseppe  Testa    Pic- 
coloinini  cavallerizzo,  nel  loro  abi- 
to di  maglia  nera  di  gran  forma 


FOR 
liti»,  cavalcarono  nel  possesso  che 
prese  nel  1801  Pio  VII.  Ne'susse- 
guenli  possessi  non  avendo  avuto 
più  luogo  la  cavalcata  solenne,  il 
foriere  maggiore  ed  il  cavalleriz- 
zo precedettero  come  nei  treni  di 
città  e  nobili  la  carrozza  del  Pon- 
tefice, cioè  nel  solito  frullone  pa- 
latino in  compagnia  del  prelato  e- 
lemosiniere. 

A  voler  nominare  alcuni  forieri 
maggiori  pontificii,  di  Pio  IV  fu 
certo  Andrea;  di  s.  Pio  V,  Alber- 
to Franchino  ;  di  Sisto  V,  Girola- 
mo Grassis;  di  Urbano  Vili,  Gia- 
como Gittio  ;  d'Innocenzo  X,  Bac- 
cio Aldobrandino  che  nel  1602 
creò  cardinale  ;  di  Clemente  IX , 
monsignor  Clemente  Accarigi ,  già 
coppiere  del  predecessore  Alessan- 
dro VII,  continuando  ad  apparte- 
nere ai  camerieri  segreti  ecclesia- 
stici partecipanti  in  abito  paonaz- 
zo, e  con  titolo  di  monsignore. 
Alessandro  Vili  nel  1690  fece  fo- 
riere maggiore  Urbano  Rocci,  che 
continuò  ad  esserlo  con  Innocenzo 
XII,  e  con  Clemente  XI.  Innocen- 
zo XIII  nel  1721  nominò  foriere 
maggiore  il  suddetto  d.  Girolamo 
Colonna,  che  continuò  ad  eserci- 
tare la  carica  sotto  Benedetto  XIII. 
Nel  1730  Clemente  XII  promosse 
a  questo  uffizio  il  nominato  mar- 
chese Capponi,  al  quale  nel  1740 
Benedetto  XIV  nominò  in  coadiu- 
tore il  marchese  Gio.  Patrizi  Chi- 
gi Molitori,  che  nel  1 746  diven- 
ne effettivo  per  morte  del  prede- 
cessore, e  servì  pure  Clemente  XIII, 
e  Clemente  XIV  sino  al  1772  in 
cui  morì,  ed  il  Pontefice  ne  riem- 
pì la  vacanza  col  marchese  Camil- 
lo Massimo  generale  delle  poste. 
Pio  VI  nel  177 5  fece  foriere  mag- 
giore il  marchese  Gio.  Battista  Col- 
ligola,  e  nel   1794  per    sua  morte 


FOR  109 

gli  die  per  successore  il  marchese 
Scipione  Sacchetti,  allora  suo  ca- 
vallerizzo maggiore;  promozione  che 
meritò  per  le  sue  doti,  e  funse  la 
nobile  carica  anche  nei  pontificati 
di  Pio  VII,  di  Leone  XII,  di  Pio 
Vili,  e  di  Gregorio  XVI,  il  quale 
in  benemerenza  delle  sue  egregie 
qualità,  e  di  quelle  del  degno  fi- 
glio marchese  Girolamo,  nel  1 838 
a'  26  gennaio  glielo  die  in  coa- 
diutore, e  poi  il  successe  a' 18  no- 
vembre 1839,  come  si  legge  nel 
numero  94  del  Diario  di  Roma 
di  quell'anno;  mentre  il  marchese 
Scipione  cessò  di  vivere  a'23  gennaio 
del  1840.  Le  di  lui  esequie  furono 
celebrate  nella  chiesa  di  s.  Giovanni 
de'  fiorentini,  coll'assistenza  ed  in- 
tervento della  famiglia  nobile  pon- 
tificia tanto  in  abito  paonazzo,  che 
di  spada.  Il  numero  i3  del  Dia- 
rio di  Roma  di  detto  anno  ripor- 
ta una  bella  necrologia  di  sì  vir- 
tuoso signore,  e  la  descrizione  del- 
le solenni  esequie,  assistite  dal  mag- 
giordomo, dal  maestro  di  camera, 
e  dalle  cariche  palatine;  avendo 
cantato  la  messa  monsignor  sa- 
grista. 

La  funzione  delle  esequie  dei  fo- 
rieri maggiori  è  descritta  nei  Dia- 
ri di  Roma,  ai  numeri  che  citere- 
mo. Il  numero  2068  dell'  anno 
1730  descrive  quelle  di  d.  Giro- 
lamo Colonna  celebrate  in  s.  Ca- 
terina de'  Funari ,  ove  cantò  la 
messa  monsignor  Leoni  guardaro- 
ba, coll'assistenza  de'  cantori  della 
cappella  pontificia,  e  l'intervento 
di  tutta  la  camera  segreta,  com- 
presi i  camerieri  di  onore,  e  i  ca- 
valieri di  spada  e  cappa.  Il  nu- 
mero 4^4  dell'anno  1746  ripor- 
ta la  descrizione  de'  funerali  fatti 
nella  chiesa  di  s.  Giovanni  de'  fio- 
rentini al  marchese  Capponi,  il  cui 


iqo  FOPt 

cadavere  fu  esposto  in  alto  letto , 
circondato  da  ventisei  candele  e 
quattro  torcie:  monsignor  Bocca- 
paduli  elemosiniere  cantò  la  messa 
solenne,  servito  dai  ministri,  e  dai 
cappellani  cantori  della  cappella 
pontifìcia,  e  con  l'assistenza  della 
camera  segreta  a  cornu  evangelii, 
e  dei  camerieri  segreti  e  di  onore 
di  spada  e  cappa  a  cornu  epistolae. 
Il  numero  8384  dell'anno  1772 
narra  il  funere  fatto  nella  basilica 
di  s.  Maria  Maggiore  al  marchese 
Patrizi  Chigi  Molitori,  ove  oltre  quel 
reverendissimo  capitolo,  assistè  alla 
messa  di  requiem  tutta  la  camera 
segreta.  Ed  il  numero  2020  del- 
l'anno 1794  ci  dà  la  descrizione 
delle  esequie  pel  marchese  Colli- 
gola.  Il  suo  cadavere  vestito  in  a- 
bito  di  città  venne  prima  esposto 
nel  suo  appartamento,  ove  si  eresse 
un  altare  per  la  celebrazione  delle 
messe,  e  che  Pio  VI  dichiarò  pri- 
vilegiato. L'  esequie  ebbero  luogo 
nella  chiesa  di  s.  Maria  in  Monte 
Santo  ;  da  monsignor  Dini  prefet- 
to delle  cerimonie  pontificie  gli  fu 
cantata  la  messa  solenne,  accom- 
pagnata dai  pontificii  cantori,  con 
l' intervento  di  monsignor  Vinci 
maggiordomo,  e  di  tutta  la  came- 
ra segreta,  di  cui  il  foriere  maggio- 
re fa  parte. 

Il  foriere  maggiore  ritrae  dal  pa- 
lazzo apostolico  l' onorario  mensile 
di  scudi  settantaquattro ,  e  gode 
l'abitazione  nel  palazzo  apostolico: 
dell'abitazione  del  foriere  maggio- 
re nel  palazzo  vaticano  ne  tratta 
lo  Chattard  nel  tom.  Il,  pag.  72 
e  73  della  Descrizione  del  palaz- 
zo apostolico  vaticano.  Nella  dispen- 
sa annuale  delle  medaglie  di  ar- 
gento, e  per  il  possesso  ne  perce- 
pisce quattro  (  prima  ne  aveva  co- 
me   il    cavallerizzo    una    d'oro    ed 


FOR 
una  di  argento),  non  che    la    di- 
stribuzione delle  candele,  delle  pal- 
me, e  degli  Agnus  Dei  benedetti  : 
tanto  il    foriere    maggiore,    che    il 
cavallerizzo  nelle  canonizzazioni  han- 
no per  emolumento  scudi  cinquan- 
ta per  cadauno.  Tra  gli  uffizi  del 
foriere  maggiore  nelle  funzioni  che 
celebra  od  assiste  il  Papa,  va  ram- 
mentata   la    direzione    della    Sedia 
gestatoria  (Vedi)t  sulla    quale    ve- 
stito co'  sagri  paramenti  dai   pala- 
frenieri è  portato    il    Pontefice.    A 
tale    effetto    a  lui    incombe,    dopo 
che  il  Papa  si  è  assiso  sulla  sedia, 
ordinarne  l'innalzamento  colla  pa- 
rola alzate^    come    l'abbassamento 
colla  parola  abbassale:    precede  la 
stessa  sedia,  e  diligentemente  invi- 
gila che  sia  portata  in  piano,  con 
uniformità  e  con  sicurezza  :  altret- 
tanto dicasi  della    macchina    o    ta- 
lamo, sul  quale  il  Pontefice  porta 
il  ss.  Sagramento  nella  processione 
del     Corpus     Domini.    Quando    il 
Pontefice  incedendo  a  piedi  in  moz- 
zetta    e   stola,    genuflette  avanti  il 
ss.  Sagramento  chiuso  nel  ciborio, 
è  uffizio  del  foriere  maggiore  por- 
gere  e    levare    il    cuscino    per   tal 
genuflessione.    Prima    tanto   il    fo- 
riere maggiore,    che   il  cavallerizzo 
maggiore  godevano  della    parte  di 
palazzo  consistente  in    pane,    vino, 
legna,    cera,    ed  altre  cose,    come 
di  cavalli  e  cibarie  per  il  loro  man- 
tenimento.  I    privilegi  e  prerogati- 
ve del    foriere    maggiore  sono    in- 
dicali nel    volume  VII,  pag.  27  e 
28  del  Dizionario,  e  meglio  al  ci- 
tato    articolo    Famiglia   pontificia, 
ove  sono    pure    riportate  le    prov- 
videnze prese   dai  Pontefici    sull'a- 
zienda   palatina  ,    massime    di    Pio 
VII,  Leone  XII,  e  Gregorio  XVI, 
sia  col  moto-proprio  de'  io  dicem- 
bre    i83?.,    sia    colle    dilucidazioni 


FOR 

emanate  nell'ottobre  1 838 ,  che 
col  regolamento  per  gli  uffizi  cen- 
trali dell'azienda  palatina,  pubbli- 
cato a'  i   maggio     1840. 

11  sotto- foriere  poi  è  un  uffìziale 
palatino  che  appartiene  alla  famiglia 
Debile,  ed  alla  classe  dei  Bussolanti 
pontifìcii  (Vedi),  addetto  inti- 
mamente quale  aiuto  del  foriere 
maggiore.  Ed  è  perciò  che  il 
bussolante  sotto-foriere  invigila  sul- 
la esecuzione  delle  fabbriche  dei 
palazzi  apostolici  e  sue  apparte- 
nenze, loro  restauri  ed' abbelli- 
menti ;  ne  riscontra  e  misura  i  la- 
vori, e  rivede  i  conti  degli  artisti. 
Allorquando  il  Papa  va  in  sedia 
gestatoria,  e  sul  mentovato  talamo, 
siccome  il  foriere  maggiore  n'è  il 
regolatore,  il  sotto-foriere  n'è  il 
sor  vegliatore,  per  cui  in  veste  ros- 
sa con  cappa,  cioè  coli'  abito  di 
bussolante,  veglia  nella  parte  di 
dietro,  perchè  sia  portata  dai  pon- 
tificii palafrenieri  e  sediari ,  con 
egualità  e  sicurezza.  Col  medesimo 
abito  nelle  distribuzioni  che  fa  il 
Papa  delle  candele  e  palme  be- 
nedette, genuflesso  sul  ripiano  del 
trono  in  un  ad  altro  bussolante,  rice- 
ve dal  sotto  -  maestro  di  casa  le 
candele  e  palme  benedette ,  che 
somministra  al  prelato  chierico  di 
camera,  il  quale  le  porge  al  car- 
dinal secondo  diacono,  e  questi  le 
presenta  al  Pontefice:  altrettanto 
faceva  prima  degli  Agnus  Dei,  pe- 
rò sono  dati  ora  dal  bussolante 
sotto  -  guardaroba ,  all'uditore  del- 
la rota  genuflesso.  Allorquando  i 
bussolanti  debbono  intervenire  nel- 
la cappella  pontificia,  o  in  qualche 
basilica  o  chiesa  per  sostenere  le 
torcie  nelle  processioni,  incombe  al 
sotto  -  foriere  il  destinare  con  bi- 
glietto i  bussolanti  che  debbono 
portarle    («jue'  bussolanti   poi    the 


FOR  191 

debbono  fare  un'  ora  di  orazione 
ncll'  annuali  divozioni  delle  qua- 
ran l'ore  e  del  sepolcro,  che  si  fan- 
no nella  cappella  pontificia,  sono 
avvertiti  con  biglietto  del  segre- 
tario della  elemosineria  apostolica, 
la  quale  è  incaricata  delle  spese 
dell'illuminazione),  come  per  quei 
bussolanti  che  nei  palchi  del  corpo 
diplomatico  e  delle  dame,  nelle 
funzioni  che  assiste  e  celebra  il 
Pontefice,  sono  destinati  a  custodir- 
ne l' ingresso  coi  camerieri  segreti 
e  di  onore  soprannumerari  di  spada 
e  cappa  ;  i  quali  biglietti  il  sotto- 
fioriere  rimette  al  decano  della  sa- 
la pontifìcia,  perchè  sieno  diramati 
ai  bussolanti  destinati  alle  mento- 
vate incombenze.  Però  va  notato 
che  pel  servizio  dell'  anticamera  del 
Papa,  che  si  presta  dai  medesimi 
bussolanti,  n'  è  regolato  il  turno 
dal  decano  degli  stessi  bussolanti  :  e 
che  monsignor  maggiordomo  è  quel- 
lo che  stabilisce  i  bussolanti  che 
debbono  assistere  i  sovrani,  o  prin- 
cipi sovrani,  come  altezze  reali  ec. 
nelle  sagre  funzioni.  11  sotto-foriere 
inoltre  esercita  altre  onorifiche  in- 
combenze, gode  1'  abitazione  al  qui- 
rinale, e  l'uso  del  legno  palatino 
per  quando  deve  adoperarsi  pel 
suo  uffizio.  Partecipa  delle  distri- 
buzioni delle  medaglie  di  argento 
in  numero  di  tre,  e  gode  il  mensile 
onorario  di  scudi  cinquantacinque. 
Prima  il  sotto-foriere,  come  gli  al- 
tri famigliari  del  Papa,  godeva  la 
parte  di  palazzo,  consistente  in  pa- 
ne, vino  ed  altro,  e  talvolta  ebbe 
la  medaglia  d'  oro,  come  apparten- 
ne al  ceto  dei  camerieri  extra  mu- 
WS,  riuniti  poscia  ai  bussolanti.  Al- 
tre notizie  sul  sotto-foriere  si  pos- 
sono leggere  negli  articoli  che  lo 
riguardano,  massimamente  in  quel- 
lo della  Famiglia  pontifìcia. 


nj2  FOR 

All'articolo  Maggiordomo  (Ve- 
di), si  riporta  come  il  foriere 
maggiore  ed  il  sotto-foriere  accom- 
pagnano tal  prelato  nella  visita 
eh'  egli  fa  nella  vigilia  della  festa 
del  Corpus  Domini,  dei  luoghi  per 
dove  nel  dì  seguente  deve  passare 
la  solennissima  processione,  in  cui 
il  Papa  porla  sul  talamo  il  ss.  Sa- 
grameli to.  Ivi  pur  si  dice  come 
prima  ciò  facevasi  con  cavalcata, 
incendendo  a  destra  del  maggior- 
domo il  foriere  maggiore,  ed  a  si- 
nistra un  cerimoniere  pontificio,  e 
Ira  gli  scudieri  e  camerieri  extra 
cavalcava  il  sotto-foriere.  Inoltre  si 
descrive  la  cavalcala  che  aveva  luo- 
go se  il  maggiordomo  non  v'  in- 
terveniva, in  cui  pei  primi  caval- 
cavano il  cerimoniere  in  mezzo  al 
sotto-foriere  in  abito  paonazzo  di 
soltana  di  seta  con  fascia  simile,  e 
mantellone  di  saia,  ed  al  primo 
giovane  di  floreria  in  abito  di  cit- 
tà ed  in  collarone.  11  tutto  estratto 
dalle  Brevi  indicazioni  per  le  at- 
tribuzioni ed  esercizio  dei  cerimo- 
nieri pontificii,  compilate  dai  mon- 
signori Giovanni  Fornici,  e  Giu- 
seppe de  Ligne,  presso  analogo  e 
più  ampio  lavoro  fatto  da  monsi- 
gnor Giuseppe  Dini  primo  maestro 
delle  cerimonie  di  Pio  VI. 

FORLÌ'  (Forolivien).  Città  con 
residenza  vescovile  nello  stato  pon- 
tificio ,  capoluogo  della  provincia 
e  legazione  apostolica  del  suo  no- 
me, della  quale  daremo  prima  un 
cenno  storico,  come  della  sua  po- 
sizione topografica.  La  legazione 
apostolica  e  provincia  di  Forlì  co- 
fina  al  nord-est  ed  al  nord  con 
quella  di  Ravenna,  all'est  col  ma- 
re Adriatico,  al  sud  colla  legazio- 
ne di  Urbino  e  Pesaro  e  la  repub- 
blica di  s.  Marino,  ed  all'  ovest  col- 
la   Toscana.    Parlando    il  eh.  avv. 


FOR 
Castellano  nell'opera  intitolata  Lo 
stato  pontifìcio,  della  legazione  for- 
livese, dice  che  molti  furono  i  no- 
mi, varie  le  vicende,  ed  illusili  si- 
no da  remotissimi  tempi  le  gesta 
de'  popoli,  che  oggidì  compongono 
le  quattro  legazioni  ,  cioè  fra  1'  A- 
pennino  ed  il  mare,  dai  fiumi  Po, 
Panaro  e  Conca  circoscritte.  Felsi- 
nei campi,  da  Felsina  capitale,  chia- 
marono un  lungo  tratto  di  paese 
gli  etruschi  fondatori  delle  dodici 
città  transapennine,  edificate  a  si- 
militudine delle  dodici  Lucumonie. 
Nella  posteriore  irruzione  de'  galli 
sull'  Italia  settentrionale,  tutta  que- 
sta regione  entrò  a  far  parte  del- 
la Gallia  Cisalpina,  la  quale  at- 
traversata dal  Po,  subì  la  natu- 
rale divisione  di  Traspadana  e 
Cispadana;  e  la  parte  Cispada- 
na si  distinse  anche  col  nome  di 
Gallia  Togata ,  dalle  toghe,  che 
que'  barbari  nell'  apprendere  il  vi- 
vere civile  incominciarono  ad  in 
dossare.  Però  secondo  le  diverse  tri 
bù  che  vollero  stabilirvisi,  le  diver 
se  parti  assunsero  un  titolo  specia 
le  ;  verso  la  montagna  i  boi,  e  nel 
la  marittima  spiaggia  i  lingoni  v 
presero  sede.  Quando  poi  i  roma 
ni  vincitori  incominciarono  in  tem 
pò  di  pace  ad  edificare  nei  princi 
pali  luoghi  monumenti  degni  d 
loro  coll'opera  de'propri  operosi  sol 
dati ,  fu  il  primo  il  console  Caio 
Flaminio,  il  quale  da  Roma  a  Ri 
mini  costruì  la  strada  che  pre 
se  il  di  lui  nome,  detta  perciò  Fio 
minia  come  la  porta  di  Roma  ove 
la  via  incominciava,  anzi  la  stess; 
provincia  Flaminia  fu  appellata 
Poco  dopo  il  console  Marco  Emi 
lio  Lepido  edificò  l'altra  strada 
Rimini  a  Piacenza,  la  quale  per  li 
fu  detta  Emilia,  nome  che  si  este 
se  anco  alla  corrispondente  regione 


POR 

Le  barbariche  irruzioni  ne  cam- 
biarono i  destini,  e  dopo  l' eccidio 
de' goti,  mentre  i  longobardi  dispu- 
lavano a' greci  gli  spaisi  brani  del- 
lo sfaceli  a  to  impero  romano,  spal- 
leggiati i  cisalpini  dalle  milizie  clel- 
\  Esarcato  (fedi),  e  protetti  dai 
sommi  Pontefici,  che  meno  Tallo 
dominio  quasi  nominale  degli  im- 
peratori greci,  esercitavano  sui  po- 
poli di  cpiesta  parte  d'Italia  la  prin- 
cipale influenza,  si  distinsero  nella 
fedeltà  al  nome  romano,  né  cedet- 
tero che  alle  violenze  del  re  dei 
longobardi  Astolfo,  dopo  la  totale 
espulsione  degli  esarchi,  e  n'ebbe- 
ro in  premio  il  nuovo  nome  di 
Romagna  (Romandiola)  che  rima- 
se alla  contrada  in  perpetuo  dopo 
il  trionfo  di  Carlo  Magno,  sebbe- 
ne in  più  stretto  senso  i  soli  abi- 
tatori del  lato  sud-est  sieno  chia- 
mati Romagnuoli.  E  quella  di  Forlì 
la  legazione  più  meridionale,  che 
ha  il  seguito  dell' Apennino  all'o- 
vest ,  per  cui  dalla  Toscana  è  di- 
visa, mentre  l'Adriatico  bagna  al- 
l' est  la  sua  spiaggia ,  ed  al  nord 
una  linea  ideale  tirata  da  Cervia  a 
Faenza  la  separa  dalla  legazione 
Ravennate.  Sono  suoi  fiumi  il  Con- 
ca già  Cruslumio ,  che  scaturisce 
dai  monti  di  Carpegna ,  e  per  le 
terre  feltresche  alla  stazione  posta- 
le della  Cattolica  discende,  presso 
cui  in  riva  al  mare  si  veggono  gli 
avanzi  dell'  antica  città  di  Conca 
sommersa  dalle  onde.  Gli  altri  fiu- 
mi sono  l' Amavano ,  che  sarebbe 
un  torrente ,  se  dalle  pendici  di 
s.  Marino  non  si  gettasse  nell'Adria- 
tico senza  rendersi  d' altrui  tribu- 
tario ;  il  Marecchia,  detto  prima 
Arimino ,  che  sgorga  dal  toscano 
monte  della  Verna,  e  vicino  alla 
foce  lambisce  le  mura  della  città', 
che  ne  conserva  il  nome  antico;  il 
voi,,  xxv. 


FOR  iq3 

Luso,  torrente  anch'esso,  che  scor- 
re direttamente  al  mare;  il  Fiu- 
micino, famoso  per  le  alte  sue  ri- 
membranze, tanto  perchè  presso  la 
sua  foce. la  più  probabile  opinione 
pone  l'isoletta  triumvirale  formata 
dagli  inlluenti  Riosalto  e  Rigossa  , 
nel  luogo  detto  oggi  la  Cagnona 
dal  nome  degli  attuali  proprietari 
del  fondo,  sì  perchè  nel  più  borea- 
le degli  influenti  suoi  si  riconosce 
il  celebre  Rubicone  (  celebrato  con 
quelle  opere  che  sono  registrate 
nella  Bibliografia  storica  delle  cit- 
tà dello  stalo  pontificio  ,  alcune 
delle  quali  indicheremo  parlando 
di  Savignano),  che  ritiene  ancora 
presso  la  sua  sorgente  il  corrotto 
nome  di  Urgone ,  e  dicesi  poi  jRf- 
scialello  dui  fondo  Piscinianuniy 
quando  prossimo  a  confondere  col 
mare  le  proprie  acque,  volgesi  al 
sud  per  ingrossare  il  suo  vicino. 
Attraversano  inoltre  il  territorio  di 
questa  provincia  il  Savio,  il  Roncot 
il  Montone,  passando  poi  ad  innaf- 
fiare la  confinante. 

I  doni  della  natura  sono  profu- 
si per  tutta  la  provincia  forlivese 
a  lax-ga  mano,  essendo  il  suolo  fer- 
tilissimo, e  principalmente  abbon- 
dante di  ottimo  e  vigoroso  vino. 
Sono  dappresso  i  monti  considere- 
voli miniere  di  zolfo,  e  cave  di 
pietra  :  la  industria  manifatturiera 
è  assai  animata.  La  legazione  apo- 
stolica di  Forlì  secondo  l' ultimo 
riparto  territoriale  fino  al  i833^ 
conta  nella  sua  popolazione  194,399 
abitanti,  ne' tre  distretti  di  Forlì, 
di  Cesena  e  di  Rimini  in  cui  è  di- 
visa. Formasi  della  parte  meridio- 
nale dell'  antica  Romagna  ;  e  sotto 
il  regno  italico  costituiva  la  mag- 
gior parte  del  dipartimento  del  Ru- 
bicone. P.  Sigismondo  Marchesi , 
Supplimento  storico  dell'antica  cìt- 
i3 


,94  FOll 

tà  di  Forlì ,    MI  cui  si  descrive  la 
provincia  della   Romagna,    cori  la 
serie  in  fine   delle   armi  gentilizie 
di    tutte   le  famiglie  nobili  3   e   del 
catalogo    de  vescovi    e   governatori 
della   medesima  città,    Forlì  1678 
per   Giuseppe    Selva.    Da    Giorgio 
Marchesi  abbiamo  :  Monumenta  vi- 
rorum   illuslrium    Galliac  Togalae, 
Forolivii  ex  typ.  Pauli  Silvae,  an- 
no 1727.  Si  può  consultare  Ange- 
lus   Torzanus  M.,    Orationes   quae 
de   Umbriae ,    Romandiolaeque  ce- 
leberrimarum  regionum  Italìae,  ur- 
biumque  suarum  praecipuarum  lati- 
dibus  agunt,  Venetiis   i562.  Il  di- 
stretto di  Forlì  contiene  oltre  For- 
lì', Bertinoro  ,  Polenta  ,  Forlimpo- 
poli,  Meidola  e  Ci  vi  Iella.   11  distret- 
to di  Cesena,  oltre  Cesena    contie- 
ne Cesenatico,  Sarsina,  Sogliano  e 
Savignano.    Il  distretto    di    Rimini 
contiene  oltre  Rimini ,  Verucchio  , 
Sant'Arcangelo,  Coriano,   Saludec- 
cio   e   la    Cattolica.    Col    medesimo 
ordine  de'  luoghi  componenti   i  tre 
distretti,  passiamo  a  dare    di  tutti 
un  semplice  cenno  storico,  incomin- 
ciando da  quello  di  Forlì. 

Bertinoro  (Vedi),  città  vescovile. 

Polenta.  Villaggio  piccolo  ma  fa- 
moso per  aver  da  esso  desunta  l'o- 
rigine i  Polentani  che  dominarono 
Ravenna  (  Vedi)  dopo  la  cessazio- 
ne degli  esarchi.  Trovasi  in  ame- 
na altura  innaffiata  dal  torrente 
d'Avesa.  Da  Polenta  dipende  l'al- 
tro villaggio  di  Collinella. 

Forlimpopoli  [Vedi),  città  ve- 
scovile, al  presente  abbazia  nullius. 

Meidola,  Meldula.  A  sinistra  del 
Ronco,  che  si  trapassa  per  un  pon- 
te di  pietra,  è  situato  questo  bor- 
go, il  quale  primeggiò  fra  i  castel- 
li de'  bassi  tempi.  Non  mancano  di 
regolarità  i  suoi  templi  e  gli  edi- 
lìzi; vi  è    la  collegiata  di  s.  Nico- 


FOR 
lo  di  Bari ,  che   dipende    dal  capi- 
tolo della   patriarcale  basilica    vati- 
cana, perchè  Meidola  sta  nella  dio- 
cesi  dell'  abbazia    di    Forlimpopo- 
li.   Sono    famosi    nella  Romagna    i 
suoi  mercati,    che     somministra  il 
territorio  in  gran  copia  tutti  i  ru- 
rali prodotti.  I  Malatesta  signori  di 
Rimini  vi  dominarono,  indi  la  re- 
pubblica di  Venezia   per  la  cessio- 
ne  che  ad  essa    ne    fece    Pandolfo 
Malatesta,    quindi    tornò    al    pieno 
regime  de'  Pontefici.  Però  Leone  X 
ne  investì  Alberto  Pio  de'  signori  di 
Carpi,   fratello  di  Leonello  signore 
di  Bertinoro,  che  l'ebbe  poscia  iu 
retaggio.  Meidola  soffrì  gravi  disav- 
venture dall'esercito  di  Carlo  con- 
testabile   di     Borbone    nel    1527  , 
quando  recavasi  ad  assediare  Roma. 
Vuoisi  che  fosse  l'antico  Mutilimi, 
e  Pasquale    Amati   nel    1776  pub- 
blicò in  Bologna  :   Dissertazione  so- 
pra il  passaggio  dell' Spennino  fat- 
to  da   Annibale,  e  sopra  il  castel- 
lo Mutilo  degli  antichi  galli.  Essa 
fu    scritta    contro    la    Dissertazione 
sopra    il   passaggio    dell'  A pennino 
per  Modigliana  fatto   da  Annibale 
cartaginese,  di   Pietro  da  Modiglia- 
na, che  l'avea  pubblicata  colle  stam- 
pe   in  Faenza    nel  1 7  7  1 .    Del    suo 
convento  di  s.  Rocco  ne  tratta  Fla- 
minio da  Parma,   nelle  sue  Memo- 
rie istoriche. 

Civitella.  Borgo  posto  alle  radi- 
ci dell' Apennino ,  presso  i  limiti 
della  Romagna  toscana ,  e  bagna- 
to dal  Bidente,  detto  poi  Viti,  vi- 
cino a  Meidola,  che  in  fine  presso 
Forlì  assume  il  nome  di  Ronco. 
Civitella  era  luogo  forte,  ma  delle 
sue  fortificazioni  ora  non  si  vedo- 
no che  avanzi.  I  forlivesi  vi  ebbe- 
ro uno  scontro  favorevole,  co'  fio- 
rentini capitanati  da  Guido  Selva- 
tico.   Per    questa    terra     corre    la 


! 


F  0  R 
strada    provinciale ,    che    da    Forlì 
porta  al  gran  ducato    di  Toscana , 
dalla  parte  di  Galeata,  servendo  al 
commercio  di   Romagna  colla  pro- 
vincia del  Casentino.   Questa  strada 
nell'  XI  secolo  chiama  vasi   Vìa  Ro- 
mipetarum ,    perchè,  come    la    più 
breve,  era  frequentata  dai  pellegri- 
naggi ;  essendo  allora  a  comodo  dei 
pellegrini  fornita  di   frequenti  ospi- 
zi   di  gratuito  alloggio.   Secondo  il 
dottor    Amati    di    Savignano,    per 
questa  via  passò  Annibale  nella  me- 
morabile sua  spedizione  contro  Ro- 
ma, e  per  questa  passò  il  contesta- 
bile di  Borbone  nel  iSij ,  quando 
andava  a   guerreggiare   con  formi- 
dabile esercito  contro  il  Papa  Cle- 
mente VII.  Dipoi  nel  1642   Odoar- 
do    Farnese   duca   di    Parma ,  alla 
testa  di  cinquemila  cavalli  per  ricu- 
perare Castro,  fece  allo  in  Civitella, 
vi  si   trattenne  tre  giorni,  e  la  sac- 
cheggiò, perchè  dalla  famiglia  Ma- 
la testa,  che  teneva  le  parti  di   Ur- 
bano Vili,  gli  fu  ucciso  un  alfiere. 
E  qui  noteremo    che    quella  fami- 
glia   cotanto    potente    pel  dominio 
esercitato  su  varie  città  di   Roma- 
gna ,  restò  già  estinta   colla   morte 
del  conte  Lamberto ,    ultimo  figlio 
del  conte  Cesare,  feudatario  di  Val- 
doppio,  avvenuta  nel  1757.  Pel  ter- 
ribile terremoto  del  22  marzo  1661, 
Civitella  rimase    quasi  interamente 
distrutta   ne'  suoi  edilìzi,  colla  mor- 
te di  cento  venlidue  persone  ;  solo 
vi  restò  illeso  il  santuario  di  s.  Ma- 
ria della  Suasia.   Concorse  allora  a 
rifabbricarla  il  governo    pontificio , 
coli'  esenzione  dai   tributi  per  ven- 
t'  anni  :   il  nominato  santuario  è  di 
molta  venerazione  e  concorso.    Sul 
confine   toscano,  alla  distanza  di  un 
miglio,  si  vedevano  le    vestigia  del 
palazzo,  che  per  suo  diporto  verso 
l'anno  5 16   fece    fabbricare  il  goto 


FOLI  kj7 

Teodorico  re  d'Italia.  Ad  altro  mi- 
glio sopra  detto  palazzo  eravi  l'in- 
signe monistero  di  s.  Ellero,  i  cui 
abbati  furono  un  tempo  signori 
temporali  di  questa  contrada,  mo- 
nistero che  il  Papa  Adriano  I  rac- 
comandò con  lettera  a  Carlo  Ma- 
gno. La  collegiata  rimase  soppres- 
sa nelle  vicende  repubblicane  ;  avvi 
un  ospedale,  e  presso  la  sponda  del 
Bidente  una  sorgente  d'acqua  me- 
dicinale. È  sede  di  governo,  ed  ha 
soggette  le  comuni  di  Mortano , 
paese  con  buoni  fabbricati,  coll'ap- 
podiato  Spinello  ;  di  Predappio , 
coli' appodiato  Rocca  d'Elmicij  e 
di  Fiumana.  Dall'  amministrazione 
municipale  poi  dipendono  gli  ap- 
podiati  Cuscrcoli ,  antico  castello 
de'  conti  Malatesta,  stato  poi  sino 
al  1797  feudo  de' marchesi  Guidi 
del  Bagno  di  Mantova,  e  Valdop- 
piOy  distrutto  forte  degli  stessi  couti. 

Cesena  (  Fedi),  città  vescovile , 
e  distretto  cui  soggiacciono  i  seguen- 
ti luoghi. 

Cesenatico.  Borgo  importante 
lungo  la  spiaggia  marittima,  eh' è 
attraversato  dalla  strada  che  con- 
duce da  Rimini  a  Ravenna.  Fu  e- 
difìcato  nel  pontificato  di  Giovan- 
ni XXIIJ,  nei  primi  anni  del  seco- 
lo XV ,  e  nelle  sue  vicinanze  al 
sud-est  si  additano  le  nuove  Ta- 
verne Cossuziane  (  ad  novas  Ta- 
bernas  Cossuntianas  )  eh'  erano  le 
frontiere  Cispadane  della  repubbli- 
ca romana.  JNe'  suoi  dintorni  è  il 
luogo  della  città  di  Ficocle  sulla 
via  Reginia ,  che  dagli  Apennini 
giungeva  all'Adriatico  :  qui  va  no- 
tato, come  si  disse  all'articolo  Cer- 
via, che  sembra  questa  città  vesco- 
vile essere  succeduta  all'  antica  Fi- 
cocle. Ha  una  rocca  presidiata,  che 
gì'  inglesi  nel  1 8 1 3  in  uno  sbarco 
incendiarono.    Su    questo    borgo  e 


i96  FOR 

porlo  del  territorio  di  Cesena,  Mat- 
teo Zacchiroli    pubblicò    nel    1783 
un  opuscolo    in    Cesena    intitolato  : 
Saggi  sopra  l'aria  del   Cesenatico. 
Sarsina  (Fedì),  città  vescovile. 
Sogliano,  Sullianum.    Borgo    si- 
tuato   sopra    un  colle ,    a   pie    del 
quale  scorre  il   Fiumicino  ,  che  ad 
una  stessa  foce  col  Pisciatello  si  get- 
ta nell'Adriatico.  Secondo  l'Amati, 
Sogliano  deriva  dalla  gente  Sullia, 
o     da     Siila  ,    ovvero    die    cjuesta 
provenne  da  Sogliano.    E  cinto  di 
muraglia  ,    ed  ha  una  bella  chiesa 
parrocchiale,  dedicata  a  s.  Lorenzo, 
e  nominata  dal  Pontefice  Lucio  li 
in   una  sua  bolla^  oltre  alcuni   edi- 
flzi  di  qualche  rilevanza.   Abbraccia 
le  comuni  di    Borghi  e  di   Ronco- 
freddo  j  l'etimologia  di  Roncofred- 
do  venne  da  un'altissima  torre  che 
quivi  esisteva    in  tempi  antichi ,  e 
chiama  vasi   la  Rocca  fredda  per  la 
sua  altezza;  qui   fu  assassinato  alla 
mensa  il  conte  di    Chiazzolo  dallo 
zio   Patidolfo    Malalesta   nel   iZi^. 
Vi  sono    gli  appodiati    Monte  Co- 
druzzo,  Monte  Leone   e  Sarrivoli , 
non  che  vari  montani  casali  qua  e 
là  sparsi.  Dipendono  poi  dalla  comu- 
nale   amministrazione  gli  appodiati 
Montebello,  Monte  Gelli,  Monte  Tiffì 
e  Rontagnano  con  diversi  villaggi  mi- 
nori ,  oltre  sette  rurali  parrocchie. 
Alberto  Fortis,  scrisse  la  Memoria 
sopra  la  miniera  di  carbone  di  So- 
gliano, Cesena  1790.  Il  p.  Flami- 
nio da  Parma,  nelle  sue  Memorie 
isloriche  delle  chiese  e  conventi  dei 
riformali  della  provincia  di  Bolo- 
gna, stampate  in  Parma  nel  1760, 
non    solo    tratta    del    convento    di 
s.  Croce  di  Sogliano,  ma  sull'ori- 
gine, progressi  e  signori  di  Soglia- 
no stesso. 

Savignano,    Sabinianum.    Borgo 
posto  in  piano,   già  esteso  latifon- 


FOll 
do,  che  la  romana  famiglia  Sabi- 
niarta  vi  possedeva,  la  quale  dal  me- 
desimo borgo  antichissimo  ripete 
la  sua  origine,  e  probabilmente  da 
un  Caio  Sabino.  Dapprima  fu  edi- 
ficato il  borgo  nel  rurale  villaggio 
che  ora  dicesi  S.  Maria  in  Castel 
Secchio,  e  quindi  trasferito  nell'a- 
rea odierna.  V^i  scorre  il  Fiumici- 
no, sopra  il  quale  è  il  ponte  di  mar- 
mo costruitovi  da  Ottaviano  Au- 
gusto nel  suo  settimo  consolato,  sot- 
to il  qual  ponte  credè  taluno  che 
vi  passasse  l'antico  Rubicone.  Dal 
secolo  XIV  in  poi  si  è  menato  gran 
rumore  per  riconoscervi  il  Rubi- 
cone a  preferenza  del  Luso  rimi* 
nese  e  del  Pisciatello.  Viene  loda- 
to il  dotto  savignanese  Basilio  Ama- 
ti ,  che  per  amore  di  storica  veri- 
rità,  nelle  sue  ricerche  non  conven- 
ne colle  opinioni  del  degno  geni- 
tore, né  nella  sentenza  del  rispet- 
tabile arciprete  Nardi,  che  aggiudi- 
cato sia  per  sempre  il  Rubicone 
a'  savignanesi ,  invece  si  decise  per 
1'  Urgone  o  Pisciatello,  Piscinia- 
num.  Vedi  Pasquale  Amati ,  Dis- 
sertazioni tre  sopra  alcune  let- 
tere del  doti.  Bianchi ,  e  sopra  la 
moderna  iscrizione  savignanese ,  e 
il  Rubicone  degli  antichi,  Faenza 
1761.  Dissertazione  seconda  sopra 
alcune  lettere  del  doti.  Bianchi ,  e 
sopra  il  Rubicone,  Faenza  1763. 
Gabriele  Maria  Guastuzzi,  Confer- 
ma e  difesa  del  parere  sopra  il 
Rubicone  degli  antichi.  Lettera  di- 
retta al  p.  Calogerà  contro  una 
lettera  scritta  al  Randelli  in  con- 
futazione della  scrittura  del  p.  Ser- 
ra contro  i  riminesi  ed  i  sarcange- 
lesi  in  proposito  del  Rubicone.  Si 
legge  nel  tona.  I  della  nuova  raccol- 
ta degli  Opuscoli  scient.  Parere  so- 
pra il  Rubicone  degli  antichi,  Ve- 
nezia 1749-    A.  carte  tor    v'ha  la 


descrizione  del  ponle  di  Sa  vignano. 
Nella  questione  nata  tra  i  cesena- 
ti,  i  ri  ni  inesi  e  i  savignanesi  per 
attribuirsi  ognuno  il  Rubicone,  il 
Guastimi  difende  i  savignanesi.  11  p. 
Gio.  Angelo  Sena  gli  si  oppose  con 
l'opera  intitolata:  Fiume  Rubico- 
ne difeso  dalle  ingiuste  pretensioni 
delle  due  comunità  di  Ri/nini  e 
s.  Arcangelo,  stampata  in  Faenza. 
Abbiamo  pure  di  Pietro  Borghesi, 
Lettera  in  difesa  della  sua  iscrizio- 
ne posta  al  fiume  diSavignano,  con- 
tro il  dottor  Giovanni  Ciancili  di  Pii- 
uiini.  Checché  ne  sia,  non  abbiso- 
gna Savignano  di  questi  causali  van- 
ti, per  essere  anuoverata  tra  le  più 
celebri    terre. 

Nel  secolo  XIII  Savignano  era 
ben  noto  e  popoloso  ;  ma  verso  la 
metà  del  seguente  venne  per  cura 
del  cardinale  legato  Albornoz  cin- 
to di  turrite  mura,  e  munito  di 
fosse  per  la  pericolosa  sua  posi- 
zione in  mezzo  alla  via  consola- 
re. Queste  fortificazioni  ebbero  fi- 
ne nel  i36i  nel  pontificato  d'in- 
nocenzo  VI.  Fu  assai  lodevole  l'an- 
tiveggenza di  quel  gran  cardinale 
in  que' tumultuosi  tempi  per  la  re- 
sidenza dei  Papi  in  Avignone,  laon- 
de il  paese  in  seguito  maggiormen- 
te si  aumentò  s  essendovisi  dilatati 
i  due  ampi  borghi ,  uno  de'  quali 
ne  forma  oggi  quasi  la  miglior  par- 
te. Molti  vani  assalii  furono  suc- 
cessivamente dati  a  Savignano,  e 
ne  fu  respinto  Barnabò  Visconti 
colle  milizie  pontifìcie  guidate  dal 
conte  Carlo  di  Davadola,  il  quale 
però  pagò  cara  la  vittoria  colla  per- 
dita della  propria  vita.  Tutta  volta 
i  viscontiani  nel  principio  del  seco- 
lo XVI  gli  diedero  furioso  sacco;  e 
Francesco  Maria  della  Rovere  duca 
d'Urbino,  co' suoi  alleati  chiesero 
a  moderate  condizioni  il  passaggio 


FOR  TQ7 

per  le  sue  mura.  Insigne  è  la  sua 
collegiata  di  s.  Lucia,  alla  quale  do- 
nò Clemente  XIII  il  quadro  che 
adorna  l'altare  maggiore;  la  chie- 
sa matrice  è  antichissima  d'origine. 
Vi  sono  pure  altre  belle  chiese,  co- 
me quelle  di  s.  Rocco,  di  s.  Salva- 
tore, di  s.  Giuseppe ,  ed  un  con- 
vento di  osservanti.  Il  succitato  p. 
Flaminio  da  Parma,  nelle  sue  Me- 
morie, tratta  del  convento  di  s.  Se- 
bastiano. Le  strade  ,  le  piazze  ,  i 
frequenti  palazzi  abbelliscono  il  ma- 
teriale aspetto  di  Savignano.  Co- 
piose sono  le  benefiche  istituzioni,  e 
fra  queste  nomineremo  il  monte  di 
pietà;  l'ospedale  già  convento  dei 
girolamini;  una  fiorentissima  biblio- 
teca eretta  nel  secolo  XVII,  ed  aper- 
ta alla  pubblica  istruzione,  dovizio- 
sa di  più  di  diecimila  volumi;  una 
collezione  numismatica  forse  la  più. 
completa  d' Italia  quanto  alle  me- 
daglie consolari,  senza  mancare  del- 
l' imperatorie  e  d' ogni  altro  gene- 
re, adorna  il  palazzo  dei  Borghesi; 
né  manca  di  teatro  convenientemen- 
te decorato.  Il  eh.  Calindri  nel  Sag- 
gio statistico  storico  dello  stato  pon- 
tificio ,  dice  che  il  museo  Borghe- 
siano  numismatico  di  trentamila 
medaglie  consolari  ed  imperiali  ro- 
mane, è  stato  trasportato  a  s.  Ma- 
rino, ove  si  è  stabilito  l'illustre 
suo  proprietario.  Caldi  di  amor 
patrio  i  savignanesi,  ed  amanti  del- 
la coltura  dell'ingegno,  con  lode- 
vole divisamento  hanno  voluto  e- 
ternare  la  gloria  dell'avervi  avuto 
i  natali  il  sommo  filologo  Giulio 
Perticari  a'  i5  agosto  1779,  co^a 
istituzione  in  suo  onore  dell'acca- 
demia de'  Simpemeni-filopatridi-ru- 
biconii,  nella  prima  adunanza  della 
quale,  tenuta  a' 17  maggio  1825,  s'in- 
nalzò l'analoga  lapide  del  dotto  e  eh. 
Bartolomeo  Borghesi  savignanese. 


ic.,8  FOR 

In  prossimità   poi   di  Savignano 
era  l'antica  Compitimi,  o  ad  Con- 
Jluentes ,    città    secondo   alcuni ,    o 
grosso  paese  secondo  altri,  situato 
ove  incrociando    la  via  Emilia  col 
Decumano ,  eh'  era  un  ramo  della 
■via  Regima ,    formavasi  un  ampio 
quadrivio,  su  del    quale  sorgeva  il 
magnifico  tempio  Compitale  aper- 
to da  quattro  lati,  nel  quale  a  ce- 
lebrare le    compitali    feste   concor- 
correva  la  moltitudine:   tal  tempio 
dicesi  eretto  due  secoli  avanti  l'era 
volgare.  D.  Luigi  Nardi    nel  1827 
pubblicò   in  Pesaro,  Dei    Compiti, 
feste  e  giuochi  compitali  degli  an- 
tichi, e  dell'antico   Compito    savi- 
gnanese  in  Romagna.  La  chiesa  di  s. 
Giovanni  in  Compito  n'era  l'antica 
pieve,  ed  ebbe  il  suo  capitolo,  che 
fu  poi  riunito  alla  collegiata  di  Sa- 
vignano.   Rimase    in    fiore   sino  ai 
tempi  di  Giustiniano  I,  e  fu  dipoi 
nelle  guerre  de'  longobardi  distrut- 
to, essendo   derivati  dalle   sue  ro- 
vine i  due  paesi  del  nuovo  e  vec- 
chio Savignano,  e  al  dire  di  alcu- 
ni Gaggio  o  sia  Gaio,  donde  sur  se 
l' odierno    Savignano.    Negli    scavi 
fatti  ne' dintorni  trovaronsi  anelli, 
armille,  colonne  scanalate  del  graiv 
tempio  Compitale,  idoletti ,  meda- 
glie e  sepolcri.  Il  Nardi  ci    dà    e- 
ruditissime  notizie  sull'origine,  fe- 
racità, pregi,  fortezza,  e  vicende  di 
Savignano.  Come    ancora    dichiara 
che   Compitimi    era    un    antichissi- 
mo paese  vicino  a  Savignano  ;  che 
fu  grossissimo  paese    e  municipio; 
che  sempre  si  appellò  così,  e  chia- 
mato pure  Confluentes j  che  vi  con- 
fluivano l'Emilia  e  la  Regima;  par- 
la della  sua  amena  situazione,  del 
magnifico  suo  tempio,  degli  ogget- 
ti  antichi  ivi  trovati  ;  cli'era  cinto 
di  grosse  mura,  e  termine  del  po- 
polo romano;  eranvi  de'  bagni,  la 


F  O  R 

Mutalio  o  posta  antica  ;  che  esistè 
intero  sino  al  VI  secolo,    che   va- 
sto era  il  suo  territorio,  e  che  dal- 
l'immense monete  ed  anticaglie  ivi 
trovate  si  formò  il  museo  del  lodato 
letterato  Borghesi.  In  poca  distanza 
da   Savignano    vi   è  la   superba  vil- 
la   del    conte   Ginnani.    Dipendono 
dall'attuale    governo   di   Savignano 
le  comuni  di   Gatteo ,  di   Gambet- 
lola,  che  viene  generalmente  deno- 
minato il    Bosco,    e  di   Longiano , 
coll'appodiato  s.  Mauro,  e  con  mol- 
te rurali  parrocchie.  Longiano  si  dis- 
se ancora  Lonzano,  e  si    vuole  fab- 
bricato fra  il  VII  e  1' Vili   secolo 
dagli  avanzi  Compitani,  la  cui  pie- 
ve antichissima  era  nel   territorio  , 
secondo  il  citato  Calindri.  Vi  è  un 
santuario    del    ss.    Crocifisso     nella 
chiesa    de'  francescani  ,    dipinto    in 
tela,  di  greca   maniera,  il  quale  si 
rese    prodigioso    nel    maggio  1 49^. 
Vi  è  una  ricca     e    scelta  libreria , 
fabbriche  ed  opifici.   Nel  territorio 
seguirono  molti  fatti  d'arme:   i  fab- 
bricati sono  belli  e  vasti,  con   mu- 
ra all'intorno,  e  borghi  all'esterno. 
Ewi  la    collegiata    di    s.  Cristoforo 
martire,  già  esistente  nel  1  r 44-  Ab- 
biamo da  Cristoforo  Giovanni   Ar- 
naduzzi,     Longiani   devoluti o  ,    ad 
S.  R.  E.   sub   Gregorio  XIII   per 
Octavianwn  Longianensem  conscri- 
pta  narratio,  quam  ex  apogranho 
secretioris   Tabularii   Arcis  Adria- 
nae  depromsit.  Exst.    in    tom.    Ili 
Anedoct.  litter. 

Rimini  [Vedi),  città  vescovile  e 
distretto  cui  sono  soggetti  i  luoghi 
seguenti  : 

Verucchio.  Città  posta  su  di 
elevato  colle  in  aria  buonissima, 
alla  destra  del  Marecchia,  assai 
nominata  nelle  storie  per  essere 
stato  il  primo  luogo  ove  i  Ma  la  te- 
sti   stabilirono    il    loro    dominio,  e 


FOR 

fu  il  primo  seggio  di  Malatestino 
Mabtesta  I,  datogli  dall'  imperatore 
Otlone  T,  allorché  venne  questa  fa- 
miglia con  lui  dalla  Germania:  an- 
cora si  vedono  avanzi  delle  sue 
antiche  fortificazioni.  Nell'esteriore 
villaggio  di  Cor  polo,  nell'estate  si 
ravvisano  sgorgare  salutifere  acque, 
1'  uso  delle  quali  si  sperimenta  ec- 
cellente pei  bagni.  Antichissima  è 
l' origine  di  Verucchio,  credendosi 
da  alcuni  eretta  dai  popoli  dell'  i- 
sola  di  Chio.  Leone  X  prima,  poi 
Clemente  VII  a'i5  settembre  \5i5, 
Paolo  III  a' 5  dicembre  i53g,  e 
s.  Pio  V  nel  dì  primo  aprile  i566 
la  chiamarono  e  dichiararono  città, 
anzi  Leone  X  vi  prepose  a  gover- 
natore e  conte  Giovanni  Maria  ec- 
cellente suonatore  di  lui.  In  questa 
città  vi  è  la  collegiata  di  s.  Mar- 
tino. Di  Verucchio,  Veraculum,  si 
ha  da  Filippo  Antonini  :  Discorso 
in  cui  si  ribatte  l' opinione  che  i 
Malatcsà  abbiano  avuto  la  loro 
origine  da  Rimi  ni  ;  exstat  a  pag. 
78  dell'opera  seg.  dell' istesso  au- 
tore :  Supplemento  alla  cronica  di 
ì  e  nicchio  terra  della  diocesi  di 
Ri/nini,  Bologna    161 8. 

Santo  arcangelo.  Città  il  cui  ter- 
ritorio è  in  colle  e  in  piano  di 
aria  ottima,  posta  sopra  una  colli- 
na alla  destra  «riva  del  Luso,  non 
lungi  dalla  via  Emilia.  È  di  origine 
antichissima,  e  fu  un  vico  della 
colonia  romana  di  Ri  mini.  Fu  già 
uno  de'  più  fortificati  castelli  che 
avessero  i  Mala  testi  ;  e  Leone  XII 
la  fece  città  agli  8  agosto  1828. 
Il  tempio  di  Giove  fu  consagrato 
in  chiesa  nell'  anno  345,  venendo 
dedicato  a  s.  Michele  Arcangelo.  A 
questo  è  dedicata  l' insigne  colle- 
giata. Nel  territorio  si  rinvennero 
rottami  di  antichi  edifizi,  idoli,  va- 
si   lacrimali,    monete,   e    statuette. 


FOR  199 

La  principale  piazza  è  regolare,  ed 
ha  diversi  moderni  edifizi  di  bella 
apparenza:  vi  è  pure  un'antica 
canonica  di  solitarii  che  più  non 
vi  abitano.  Qui  nacque  il  b.  Simo- 
ne Ballacchi  domenicano,  ed  un 
copiosissimo  numero  di  uomini  il- 
lustri ,  noverati  con  dottrina  ed 
erudizione  da  monsignor  Marino 
Marini  prefetto  del  pontificio  archi- 
vio vaticano,  in  una  sua  disserta- 
zione letta  nell'  accademia  romana 
d' archeologia.  Gio.  Vincenzo  An- 
tonio Ganganelli,  oriundo  di  Borgo- 
pace,  nella  diocesi  e  distretto  di 
Urbania,  a'3i  ottobre  1705  nacque 
in  s.  Arcangelo,  progressivamente 
divenne  cardinale,  e  nel  1769  Pa- 
pa col  nome  di  Clemente  XIV 
(  Vedi )  :  i  concittadini  per  eternar- 
ne la  memoria  gli  eressero  un  ar- 
co in  marmo.  A  Sant'  Arcangelo 
soggiacciono  le  comuni  di  Poggio 
de'  Berni,  e  di  Scorticata,  con  pa- 
recchi casali,  otto  de'  quali  vanno 
uniti  alla  sua  amministrazione  mu- 
nicipale. Poggio  de'  Berni  fu  gover- 
nato dai  duchi  di  Urbino  sino  dal- 
la più  rimota  età  di  quella  possente 
famiglia,  che  terminò  di  signoreg- 
giarlo nel  i63i.  E  una  terra  la 
cui  origine  è  assai  antica,  con  ter- 
ritorio in  monte  ed  in  piano.  Nel 
1  765  la  reggenza  di  Toscana  ven- 
dè Poggio  de'  Berni  alla  camera 
apostolica,  nel  pontificato  di  Cle- 
mente XIII,  per  la  somma  di  scudi 
cinquecentomila,  comprensivamente 
ad  altri  beni  allodiali. 

Coriano.  Borgo  posto  nella  pia- 
nura innaffiato  dal  fìumicello  Ama- 
rano,  e  cinto  di  vecchie  mura.  La 
principal  chiesa  matrice  non  manca 
di  eleganza,  né  v'  ha  particolarità 
alcuna  rimarchevole  nei  rimanenti 
edifici.  Presso  il  borgo  è  la  villa 
de'  conti  Zollio,  che   inerita    osser- 


200  FOR 

vazione.  Abbraccia  le  comuni  di 
Monte  Scucialo  (da  Clemente  VII 
concesso  ai  conti  Bagno,  con  forte 
torre,  e  borgo  con  buoni  fabbrica- 
ti ),  coli'  appodiato  Albereto  j  di  s. 
Clemente,  coll'appodiato  Marciano  ; 
di  Monte  Colombo,  con  alcuni  ca- 
sali; e  di  Milano  :  non  lungi  dal 
mare  ha  due  scaturigini  d' acqua 
dolce,  limpida,  abbondante  e  fre- 
sca. Vi  sono  poi  direttamente  com- 
presi a  Coriano  gli  appodiati  Ce- 
rasolo,  e  Mulazzano,  con  diversi 
"villaggi,  cinque  de'  quali  fanno  par- 
te di  sua  popolazione. 

Saludeccio.  Borgo  situato  in  col- 
lina tra  il  Conca  ed    il  Foglia,  per 
l' libertà  assai  noto  nelle  terre  circo- 
stanti ;  e  visi  tengono  grosse  fiere  di 
bestiami.  E  opinione  di  alcuni  che 
Decio    imperatore  essendo    malato , 
quivi  si  ritirasse  per  migliorare  aria, 
e  che  allora  nascesse  il  paese.  Altri 
poi  lo  vogliono  originato  dall'essere  a 
quell'  epoca    dieci  miglia  lungi    dal 
mare,  e  che  però  debba  chiamarsi  Sai- 
tusdecimus.   Era     questo    un  feudo 
deirantica  famiglia  Ondedei,  passata 
poi  in  Pesaro.  Si    possono    consul- 
tare il    Clementini,    l' Adimari,    ed 
il  Grandi  nelle  vite  dei  beati  Ama- 
to ed  Omodeo  Omodei,   corrotto  in 
Ondedei.  Tra  i  suoi  belli  fabbricati 
va  notata    la    chiesa    matrice,    ove 
riposa  il  corpo    del    beato    Amato. 
Saludeccio,    o    Salodeccio    è    tutto 
cinto  di    mura,   ed    ai     18    agosto 
i344  tornò  al  dominio  dei    Mala- 
testa.  Novera  le  comuni    di    Mon- 
daino,  ove  sono  avanzi  di  sontuosi 
bagni  molto  antichi,  da'  quali    do- 
vè nascere    questo    paese,    col    suo 
piccolo  borgo;  di  Monte   Gridolfo, 
edificato  nel   1 337,  perchè    Tanti- 
co  paese  crollò  in  gran    parte  ;    di 
Monte  Fiore,  che  nella  sua  origine 
fu  molto  fortificato,  ed  è  una  delle 


FOR 
quattro  terre  più,  antiche  della  Ro- 
magna, essendo  il  suo  archivio  an- 
teriore di  37  anni  a  quello  di  Ri- 
mini :   vi  fu  di  residenza  un  prelato 
di  mantelletta,  ed  un   tribunale  di 
segnatura,  e  ciò  prima  del  1462; 
a  tal    prelato    fu    ancora    unito    il 
governo  di  Fano.  Inoltre  Saludeccio 
ha  sotto  di  sé  le  comuni  di   Gem- 
mano ,    di    s.    Giovanni    in    Mali- 
gnano, fortificato  nel  i442»  Pei"  cul 
assediandolo  il  Piccinino    noi    potè 
prendere  colla  numerosa  sua  arma- 
ta, è  cinto  di  mura  con  due  bor- 
ghetti,  e  tra  i  suoi  belli  fabbricati 
nomineremo    la    chiesa    matrice,  e 
l' altra    di    s.    Maria    della    Scuola 
spettante  alla  comune ,  e  di  Catto- 
lica di  cui  parleremo  qui  appresso. 
Direttamente  poi  soggiace  a    Salu- 
deccio l' appodiato    Meleto.    Ridon- 
da la  campagna  di  sparsi  casali. 

Cattolica.  Villaggio  posto  nella 
via  Flaminia  fra  due  torrenti,  che 
precedono  il  Conca.  Havvi  una  de- 
cente chiesa  parrocchiale  dedicata 
a  s.  Apollinare,  pochi  rimasugli 
delle  antiche  mura,  con  una  porta, 
e  la  stazione  postale.  Prese  la  de- 
nominazione di  Cattolica  allorché 
quivi  si  ritirarono  i  venti  vescovi 
o  padri  cattolici,  perchè  seguaci 
della  dottrina  ortodossa,  quando  si 
separarono  dagli  ariani  nel  concilio 
di  Rimini.  Vicino  al  mare  sono  le 
rovine  della  città  di  Conca  ,  la 
quale  nella  più,  parte  venne  som- 
mersa ;  altri  poi  credono  che  quel- 
le rovine  non  sieno  di  Conca,  ma 
bensì  di  Crustumio  ;  comunque  sia 
la  cosa,  sembra  certo  che  una  por- 
zione di  que'  popoli  fabbricarono 
questo  paese.  Accennate  le  princi- 
pali cose  che  riguardano  la  provin- 
cia e  legazione  di  Forlì,  ed  i  luoghi 
principali  esistenti  ne'  suoi  tre  di- 
stretti, passiamo  a  parlare  della  sua 


FOR 
capitale,  quanto  antica,    altrettanto 
celebre. 

Forlì,  Forum   Lh'ii,  bella  ed  il- 
lustre città,  giace  in  una  spaziosa, 
ridente,  ed  aperta  pianura,  alta  di 
sito,   esposta    a    tutti    i    venti,    che 
col   loro    spirare    allontanano    ogni 
cattivo    vapore,    e    perciò    in    aria 
mollo  salubre.  Questo  monumento 
della  consolidata  romana   grandez- 
za trovasi  fra    i  due  fiumi    Ronco 
e  Montone,  ambedue  presso  gli  an- 
tichi celebrati.  Le  vecchie  .mura  co- 
stituivano un   tempo   la  sua  difesa, 
e  le  rocche  di   porta    Ravaldina    e 
di  porta  Scbiavonia  sono  abbando- 
nate. Grande   per  1'  area,  e  magni- 
fica -pel  disegno  e  pei    nobili    edi- 
fìzi   è  la   maggior  piazza,   la    quale 
ha   vanto  fra   le  più  belle  cY  Italia. 
Ne  forma  la  principale  decorazione 
l'amplissimo    palazzo    governativo, 
che  deve  la  fondazione  al  valoroso 
legato  il  cardinal  Egidio  Albornoz 
spagnuolo,  agli  Ordelaffi  ed  ai  Riari 
molti  abbellimenti,  ed  il  suo  ridu- 
cimento  nell'odierna    maestosa    ed 
elegante  forma  ai  nuovi    destini  ed 
onorificenze  che  le  toccarono,  dopo 
essere  tornata  al  rango  di    metro- 
poli provinciale  e  di  legazione  apo- 
stolica, e  perciò  residenza  del  car- 
dinal legato  di  Forlì.  Il  salone  che 
serviva  una  volta  ai  consigliati  ra- 
dunamenti ,    era    dipinto    non    da 
Raffaello,  come  molti  crederono,  ma 
da    Livio    Agresti ,    insigne    artista 
forlivese,    quasi    contemporaneo    di 
Raffaele  medesimo.    Le    pitture    in 
legno   poste  al  soffitto  vennero  con 
moderni    trova  menti    estratte    per 
intero,   ed  altrove  trasportate.  Det- 
to   salone  ridotto  a    nuova    foggia 
e  oggi  frapposto  agli  appartamenti 
occupati   dal  cardinal   legato. 

Nel  febbraio  i3c)4  sulla  torre  del 
pubblico  palazzo  venne  per  la  prima 


FOR  20 1 

volta    posto    l' orologio ,    opera    di 
irate  Gaspare  domenicano,    profes- 
sore eccellente  ed  ingegnere.  Di  poi 
il   famoso  meccanico  Arbario  Praga 
fabbricò    il    grande    orologio    della 
pubblica  torre  in   cui  segnava  sette 
mostre,  quattro  cioè  sulla  facciata 
della  stessa  torre,  due  all'  arco  prin- 
cipale della  piazza  in  oggi  atterrato, 
e  la    settima    in    mezzo    alla    gran 
volta  del  pubblico  salone  del  palaz- 
zo governativo:    nel     179J    questo 
artefice  restaurò  l'opera    sua.    Nel 
1824  si  die  compimento    al  locale 
pel  giuoco  del   pallone,  eretto  nella 
più    parte    colle    offerte    spontanee 
de' cittadini,  di   fianco  alla  barriera 
di     porta    Gotogni    oggi    Pia.    Nel 
1827,  a  spese  del  conte  Domenico 
Matteueci,    si    terminò    la    facciata 
dell'  ospedale.  Anco  le  vie    ingran- 
dite   e     raddrizzate  ,    specialmente 
quella  del  Corso,  ne    rendono  l' a- 
spetto  imponente;   e    grato   campo 
al  giocondo    trattenimento    e    pas- 
seggio de'  cittadini    offrono    i    pub- 
blici giardini  pochi    anni    addietro 
aperti.    Dopo    l'antichissima    chiesa 
Ravennate,  ha    nella    Romagna    la 
sede    episcopale    di    Forlì    i    primi 
onori,  siccome  diremo  per  ultimo. 
La  chiesa  cattedrale  risponde    alla 
maestà  della  sua  destinazione,  e  vi 
si  venera  la    prodigiosa    immagine 
della  Beata    Vergine    Maria    detta 
del  Fuoco,  per  essere  stata  preser- 
vata dalle  fiamme,  verso    la  quale 
massimamente    coli'  annua    rimem- 
branza, i  circostanti  popoli  in  gran 
numero  concorrono.   Sontuosa  è  la 
cappella  che  s'incominciò  a  costrui- 
re  nell'anno    1619  con  disegno  del 
p.  Paganelli  domenicano,  architetto 
di  Paolo  V,  per  gli    ornati   d'oro 
e  d'  argento,  per  le  dipinture,  mar- 
mi, ed  altri  pregi  :  il  bolognese  Car- 
lo Cignani  col  suo  esimio  pennello, 


2oi  FOk 

vagamente  effigiò  l'Assunzione  della 
B.  Vergine  in  cielo;  e  condotta  al 
suo  termine  vi  si  collocò  la  men- 
zionata miracolosa  immagine.  Deve 
avvertirsi  che  il  Cignani  dopo  aver 
dipinto  in  Forlì  la  cupola,  fu  fatto 
nobile  della  città,  ove  essendo  mor- 
to ed  avendovi  piantato  famiglia, 
viene  chiamato  forlivese.  Mentre 
era  vescovo  di  Forlì  monsignor 
Giacomo  Teodoli,  ai  20  ottobre 
i636  segui  la  traslazione  di  tal  sa- 
gra immagine  nella  tribuna  costrut- 
ta appositamente,  con  apparato  so- 
lenne di  ecclesiastica  pompa.  Di 
Giuliano  Becci  abbiamo  :  II  fuoco 
trionfante,  racconto  della  traslazio- 
ne della  immagine  delta  la  Ma- 
donna del  fuoco,  solennizzata  dal- 
la città  di  Forlì  sotto  il  20  otto- 
bre i636,  Forlì  per  Giovanni  Ci- 
matti 1 636,  con  figure.  Questo  poe- 
ta ed  oratore  egregio,  in  detto  li- 
bro descrive  pure  la  superba  cap- 
pella ov'  è  riposta.  Fu  per  sì  lieta 
circostanza,  che  nella  piazza  mag- 
giore fu  eretta  la  colonna  di  mar- 
mo, colla  statua  della  B.  Vergine 
in  bianco  marmo  di  Carrara,  ope- 
ra di  Clemente  Molli  famoso  scul- 
tore. 

Per  la  sua  altezza  e  per  la  sin- 
golare sua  architettura  si  distingue 
la  torre  che  serve  di  campanile 
al  tempio  abbaziale  eretto  in  ono- 
re del  patrono  della  città  s.  Mer- 
curiale, già  posseduto  dai  cliinia- 
censi, e  dopo  il  i4$7  dai  valloni- 
brosani.  Paolo  Bonoli,  nella  Storia 
di  Forlì,  all'anno  1178  narra  che 
si  principiò  la  fabbrica  della  torre 
di  s.  Mercuriale ,  con  architettura 
di  Francesco  Deddi,  ed  ebbe  ter- 
mine nel  1  180;  edilìzio  che  per 
l' altezza,  proporzione,  e  comodità 
di  scale,,  polendovi  anche  un  giu- 
mento   salire    sino    alle    campane, 


1  OR 

merita  di    essere,    per   fabbrica  di 
mattoni,  fra  le  torri  principali  an- 
noverato, ed    aggiungo  che  servirà 
a  perenne  testimonianza  dell'  opu- 
lenza e  potere  della  città  di  Forlì 
in  quei  tempi.  Le  molte  altre  chie- 
se    sono    pur    grandiose,   e    ricca- 
mente dotate,    molte    essendovene 
in  cura  dei  vari  ordini  religiosi  di 
ambedue  i  sessi,  come  poi  si  dirà. 
Vi    si    osservano    vari    dipinti    dei 
forlivesi  Melozzo,  Palmezani,  Livio 
Agresti  ,    Francesco    e    Pier  Paolo 
Menzocchi,    Andrea  Felice    Bondi, 
non   che   di  Guido,  del   Guerrino, 
del    Maratta ,  di    Carlo,    Felice,   e 
Paolo  Cignani,  e  di  altri  eccelleiì- 
ti    artisti;    come     pure     opere    di 
scultura  di  Desiderio  da  Setignano, 
di  Benedetto    da    Maiano,  di  Do- 
nalo fratello  di  Donatello,  di  Gia- 
como Tatti  detto  il  Sansovino,  del 
Bernini,  di    Leandro  Bilioski.  e  di 
Gaetano  Lombardini.    Le  pie  fon- 
dazioni, i    benefici    istituti    offrono 
asilo    e  sovvenimento  di  ogni  spe- 
cie all'umanità  sofferente.  Il   mon- 
te della  pietà  eretto  co'denari  pub- 
blici   è    un  bel    monumento    della 
sensibilità    de'  forlivesi    verso  i  cit- 
tadini;   l' edilizio  venne    cretto  nel 
i5l4.     Gli    istituti    di    beneficenza 
che  ancora    esistono    in  Forlì   dan- 
no una  rendita  di  quarantaquattro 
mila  scudi.    V.  le  Memorie  sloriche 
intorno  ai  forlivesi  benemeriti  del- 
l'umanità e   degli  sludi  nella    loro 
patria,  e  sullo    stato  attuale    degli 
stabilimenti    di    beneficenza  e  d' i- 
struzione  in  Forlì,  del  conte  Sesto 
Matteucci    forlivese,    Faenza    1 84-3 
pel  Conti.   Vi   ha  pure  una  cassa  di 
risparmio,  la  quale  fiorisce  al  pari 
di  qualunque  altraj  serbata   la  de- 
bita   proporzione    in    tutto. 

Nella   pregiata   ed   interessante  o- 
pcra  del    conte    Sesto  Matteucci  si 


FOR 

fa  la  storia  degli  spedali  di  Forlì, 
di  quello  degli  esposti  ,  del  monte 
di  pietà,  della  congregazione  gene- 
rale dei  pii  istituti  comunali  ;  del- 
le condotte  mediche  e  chirurgiche 
della  città  ;  dell'  istituto  s.  Carlo 
Borromeo ,  antica  compagnia  della 
carità  ;  dell'  ospizio  de'  pellegrini  ; 
dell'eredità  Orsi,  cioè  di  quella  la- 
sciata nel  1771  dal  conte  Checco, 
con  la  quale  dispose  che  si  cele- 
brassero delle  messe,  e  si  sovvenis- 
sero annualmente  i  poveri  della 
città,  ma  Clemente  XIV  autorizzò 
che  invece  delle  messe  s'istituissero 
due  mansionerie  per  la  cattedrale 
col  fondo  di  tremila  scudi,  ed  e- 
gual  somma  si  erogasse  per  le  det- 
te limosine;  dell'istituto  de'  men- 
dicanti sotto  il  titolo  di  s.  France- 
sco Regis  ;  del  conservatorio  delle 
mendicanti  sotto  quello  di  s.  Anna; 
dell'orfanotrofio  d'ambo  i  sessi; 
della  congregazione  generale  de'  pii 
istituti  ecclesiastici;  dell'istituto  per 
dotare  le  zitelle;  della  spezieria  pei 
poveri;  dei  ricoveri  privati  Albici- 
ni,  Maioli  e  Matteucci  ;  dell'istitu- 
to Teodoli  ;  della  cassa  di  rispar- 
mio; della  confraternita  della  Bea- 
ta Vergine  del  fuoco.  Delle  scuole 
normali;  del  ginnasio  Cesarmi  Maz- 
zoni ed  unite  scuole  comunali;  del 
seminario  vescovile  ;  deli'  eredità 
Tartagli]  Mervelli;  delle  istituzioni 
per  mantenimento  di  giovani  a 
studio  ;  della  libreria  pubblica  ed 
unita  pinacoteca  ;  delle  accademie 
letterarie  de'  Filargiti ,  di  quella 
Ecclesiastica  fondata  nel  1699  dal 
can.  Maldenti,  di  quella  dell'Odor 
letterario  istituita  nel  iyiodall'ab. 
Pellegrino  Dandi,  di  quella  degl'/e- 
neutici  eretta  nel  17^9,  di  quella 
di  Giove  Crelense  fondata  nel  iy55t 
de'  Monomonici  eretta  nel  1  784  , 
de'  Ponerasti,  dell'  ateneo  forlivese 


FOR  ao3 

o  istituto  accademico  forlivese  sta- 
bilito nel    1818,  ec. ,  ec. 

Il  fiume  Montone  oltre  irrigare  le 
mura  della  città  dalla  banda  di  mez- 
zogiorno ed  occidente,  passa  per 
mezzo  la  città  un  canale  delia  sua 
acqua,  che  comincia  dalla  villa 
Calanco  da  uno  de'  due  rami  o 
fiumi,  de'quali  è  composto  il  Mon- 
tone, e  finisce  nel  fiume  Ronco 
nella  villa  detta  Coccolia.  Antica- 
mente con  un  ramo,  e  poi  tutto 
intero,  il  borgo  Schiavonia  attra- 
versava ,  sopra  la  ripa  del  quale 
era  situato  il  tempio  della  ss.  Tri- 
nità, antico  duomo,  scorrendo  sot- 
to il  ponte  d' un  sol  arco,  detto 
de'  Morattim,  per  avere  questa  fa- 
miglia ivi  intorno  abitato:  ponte 
che  per  la  sua  bellezza ,  mostra 
che  fu  fatto  in  quel  secolo,  quan- 
do all'  ombra  della  grandezza  ro- 
mana fiorivano  le  scienze  e  le  ar- 
ti più  nobili.  Egli  era  tutto  di 
sotto  intonacato  di  marmo,  e  co- 
sì bene  unito,  ch'era  lodato  da- 
gl'intelligenti, come  si  vedeva  in 
quelle  parti  non  corrose  dall'acqua 
e  dal  tempo:  questo  ponte  è  oggi 
interrito,  e  se  ne  vede  solo  un 
magnifico  vestigio  nel  cortile  d'una 
casa  privata,  posta  sul  menzionato 
borgo  di  Schiavonia.  Questo  pon- 
te di  antichissima  costruzione  ro- 
mana essendo  formato  d'  un  solo 
arco  non  poteva  contenere  che 
le  acque  del  torrente  Acquacheta, 
ricordato  dal  poeta  Dante  nel  XVI 
canto  dell'Inferno.  Siccome  poi  a 
motivo  delle  forti  pioggie  strari- 
pando innondava  sovente  la  stra- 
da della  città,  Scarpetta  II  Oide- 
laffi  nel  1042  fece  condurre  l'ac- 
qua di  questo  nell'altro  in  poca 
distanza,  chiamato  Rabbi ,  e  per 
l'unione  de' medesimi  formando  il 
corpo    intero    del     fiume  la    figura 


so;  FOll 

di  una  testa  di  montone ,  venne 
poi  in  seguito  chiamato  con  tal 
nome.  Il  traflìco  di  Forlì  è  molto 
animato,  sia  pei  prodotti  del  suo 
fertile  territorio,  che  il  citato  Bo- 
noli  descrive  al  lib.  f,  sia  per  es- 
sere posto  fra  la  riva  adriatica  ed 
il  confine  toscano,  il  quale  non  è 
lungi  che  due  leghe  dalle  mura 
della  città,  mediante  la  vallata  di 
Montone,  ov'è  il  toscano  distretto 
di  Eliopoli  o  Terra  del  Sole.  Og- 
gidì il  detto  traffico  è  pur  assai 
ampliato  per  le  fabbriche  e  ma- 
nifatture introdotte  ,  cui  non  è 
nostro  scopo  parlare. 

Onorevoli  prerogative  vanta  For- 
lì, ch'ebbe  dominio  e  giurisdizioni 
sopra  diverse  città  e  luoghi  intor- 
no ad  essa,  e  sino  dai  tempi  an- 
tichi fu  appellata  città  potente, 
ed  ai  tempi  di  Augusto  s'ebbe 
il  grado  di  municipio  romano. 
Jn  vari  tempi  Forlì  è  stato  capo 
della  provincia  di  Romagna,  e  se- 
de de'legati,  si  è  retta  a  repubbli- 
ca, ed  ha  conseguito  notabilissime 
vittorie,  e  fu  sì  potente,  che  per 
soggiogarla  partirono  in  diversi  tem- 
pi da  remote  contrade  poderosi 
eserciti;  è  stata  sede  di  principi,  ed 
ha,  come  diremo,  dato  parecchi  uo- 
mini segnalati  per  lettere  e  pel- 
armi. Vuoisi  che  l'imperatore  Fe- 
derico II  accordasse  al  magistra- 
to e  senatori  forlivesi  di  vestir 
porpora  foderata  di  pelli  di  dosso 
conforme  vestivano;  dipoi  si  dirà 
del  grande  consiglio  civico  di  For- 
lì, sua  istituzione ,  stabilimento  e 
riforma.  Gli  statuti  furono  emen- 
dati o  riformati,  con  giunta  di 
nuove  leggi  dai  dottori  Antonio 
Denti,  Assalonne  Savorelli,  Pier- 
paolo Agostini,  Ottaviano  Aspini, 
e  Bernardino  Albicali ,  e  dietro 
superiore  approvazione  si  pubblica- 


la)!! 
rono  nel  1616.  Gli  ordini,  le 
leggi,  le  concessioni,  e  privilegi 
d(4  magistrato  di  novanta  Pacifici 
di  Forlì,  furono  stampati  nel  l55q 
in  Venezia,  e  nel  17 19  in  Cese- 
na. Per  istemma  ebbe  Forlì  dai 
romani,  come  solevano  praticare 
colle  città  da  essi  edificate,  il  cam- 
po vermiglio.  Dall'aver  fatto  parte 
i  forlivesi  nel  declinar  dell' XI  se- 
colo della  prima  crociata  di  Pa- 
lestina, per  le  prodezze  ivi  eserci- 
tate, e  pel  glorioso  combattimento 
di  Sigismondo  Brandolini  con  un 
arabo,  cui  rapì  l'impresa  degli  scor- 
pioni, e  cooperò  alla  vittoria  di 
Ottone  Visconte,  che  tolse  l'im- 
presa del  tortuoso  serpente,  insegna 
dell'  abbattuto  nemico,  i  forlivesi 
ben  a  ragione  aggiunsero  al  pro- 
prio stemma  la  bianca  croce,  e  do- 
po il  124.1  l'aquila  imperiale  in 
campo  d'oro,  per  concessione  di 
Federico  II  imperatore.  La  parola 
poi  Liberlas  che  si  legge  nel  me- 
desimo stemma,  1'  adottò  Forlì  in 
segno  d' essersi  retta  un  tempo  a 
repubblica.  In  segno  di  essere  For- 
lì tornata  all'ubbidienza  della  san- 
ta Sede,  Onorio  IV  gli  donò  la 
sua  impresa,  cioè  il  gonfalone  col- 
le chiavi  incrociate  in  campo  ros- 
so. Pei  benefizi  poi  che  la  città 
avea  conseguito  dal  concittadino  s. 
Valeriano,  non  solo  lo  annoverò 
tra  i  suoi  protettori,  ma  lo  effigiò 
nel  sigillo  del  comune,  rappresen- 
tandolo a  cavallo ,  con  lo  scudo 
in  braccio,  e  su  di  esso  scolpita 
la  croce;  sull'elmo  ha  l'aquila,  e 
nello  stendardello  della  lancia  la 
parola  Libertas.  Intorno  al  sigillo 
prima  eranvi    queste  parole:  sigil- 

LUM     COMMUXITATIS    FOROLIVII,    e    po- 

scia  :     sanctus     valerianus     martyr 

PROTECTOR  C1V1TATIS  FOROLIVII.   Il  me- 
desimo imperatore   die  facoltà  alla 


FOR 
città  di  battere  moneta,  laonde  nel- 
l'anno «496  Caterina  Sforza  si- 
gnora di  Forlì,  si  valse  di  tal  pri- 
vilegio facendo  coniare  moneta  di 
argento  e  rame  a  diverse  impron- 
te e  valore.  V.  Guido  Zannctti, 
Delle  monete  forlivesi,  dissertazio- 
ne, Bologna  1778.  Dessa  è  dedi- 
cata al  duca  Raffaello  Riario  Sfor- 
za di  Napoli,  e  nella  lettera  dedi- 
catoria vi  sono  delle  note,  le  qua- 
li ci  danno  un  saggio  storico  di 
questa  illustre  famiglia  un  dì  si- 
gnora di  Forlì ,  d' Imola,  e  di  al- 
tri luoghi. 

Nel  1 574  essendo  Forlì  stata 
sempre  feconda  di  letterati,  di  o- 
ratori  e  di  poeti,  si  fondò  la  ce- 
lebre accademia  de'  Filargitì  stata 
molto  utile  all'istradamento  dei  gio- 
vani disposti  alle  scienze,  e  da  cui 
ne  uscirono  ad  ogni  tempo  uomi- 
ni di  gran  rinomanza;  ove  si  so- 
no fatte  erudite  adunanze  al  co- 
spetto di  principi  e  gran  prelati; 
ove  si  sono  esposte  tante  ingegno- 
se imprese,  e  dati  in  luce  tanti 
parti  di  felice  ingegno  ;  ed  alla 
quale  in  fine  non  isdegnarono  ve- 
nire aggregati  i  primi  soggetti  di 
Italia.  In  progresso  di  tempo  es- 
sendosi diminuito  il  lustro  di  que- 
sta antica  accademia,  e  quasi  an- 
data in  disuso,  fu  con  saggio  con- 
siglio nel  i652  ravvivata  median- 
te le  cure  di  molti  virtuosi  della 
medesima,  e  particolarmente  di  Si- 
gismondo Marchesi  cavaliere  di 
Pisa,  e  primo  principe  all'accade- 
mia, laonde  potè  nel  i655  cele- 
brare le  lodi  della  detta  Cristina 
di  Svezia  degnamente,  ed  alla  sua 
presenza  quando  passò  per  Forlì 
nel  recarsi  a  Roma.  Giuseppe  Ga- 
vulTi  Malatesta,  nella  sua  Italia 
accademica,  ha  trattato  pure  del- 
l' Accademia    di    Fora.     Giorgio 


FOR  2o5 

Marchesi  per  cura  di  Ottaviano 
Petrignani  segretario  dell'  accade- 
mia, ci  ha  dato  le  Memorie  isto- 
riche  dell'  accademia  de  Filargiti 
di  Forti,  ivi  1  7 4 1  •  Inoltre  nella 
colta  Forlì  vi  sono  e  fioriscono 
le  accademie  de  Filarmonici,  l'al- 
tra da' Filodrammatici,  e  l'ultima 
de'Filoginnaslici.  Le  scieme  fisico- 
matematiche, 1'  economico-morali  , 
le  lettere  ed  arti,  l'industria  e  mec- 
canica occupano  distintamente  le 
quattro  sezioni  de'Filargiti,  né  man- 
cano tutte  le  accademie  d'  intra- 
prendere dotte  investigazioni  ne- 
gli esercizi  che  chiamansi  di  espe- 
rimento, ed  offrile  gioconde  insie- 
me ed  istruttive  conversazioni  ne- 
gli esercizi  delti  di  turno,  dando 
poi  in  solenni  occasioni  pubblico 
saggio  de'commendevoli  loro  lavo- 
ri. Tali  accademie  trovavansi  riu- 
nite nell'ateneo  forlivese,  che  ri- 
splendè pel  novero  degli  scienziati 
che  le  composero.  L'  ateneo  non 
esiste  più,  essendo  stato  soppresso 
nel  1  83 1  :  anche  tutte  le  accademie 
recenti  de'  filoginnastici,  dramma- 
tici, ec.  sono  egualmente  soppres- 
se. In  ogni  tempo  Forlì  ha  dato 
personaggi  chiari  per  santità  di 
vita,  per  dignità  ecclesiastiche  e  ci- 
vili, per  dottrina,  per  arti,  per  va- 
lore nelle  armi,  e  per  altre  egre- 
gie qualità  lodati  e  famosi.  Il  no- 
minato Giorgio  Marchesi  ci  diede 
le  Vitae  virorum  illustrium  Foro- 
liviensium,  Forolivii  typ.  Pauli  Sil- 
vae  anno  1726.  In  Forlì  per  An- 
tonio Barbiani  nel  1757  fu  stam- 
pato il  libro  che  porta  per  titolo: 
Lustri  antichi  e  moderni  della 
città  di  Forti,  colle  memorie  dei 
suoi  più  celebri  cittadini. 

A  voler  far  menzione  degl'  illu- 
stri forlivesi  sarebbe  argomento  as- 
sai copioso,  per  cui  qui   ci  limite- 


206  FOR 

remo  accennare  dopo  i  santi,  beali, 
e  cardinali,  solamente  i  principali, 
mentre  di  altri  se  ne  fa  memoria 
nel  progresso  dell'articolo.  Molti 
forlivesi  furono  pretori,  podestà, 
prefetti,  governatori,  e  capitani  del 
popolo  delle  più  nobili  e  potenti 
città  d' Italia,  occupandone  le  prin- 
cipali magistrature.  I  santi  sono  s. 
Mercuriale,  s.  Grato,  s.  Marcello, 
s.  Valeriano  e  compagni  martiri  di 
cui  si  parlerà,  e  s.  Pellegrino  La- 
gosi de' servi  di  Maria.  I  beati  so- 
no Marcolino  Arnanni  domenicano, 
morto  nel  1397,  cui  il  vescovo  Ni- 
colò Asti  eresse  un  nuovo  deposi- 
to ;  Nicolò  Solombrini  minor  con- 
ventuale, morto  in  Cingoli  nel  i443 
circa  ;  Bonaventura  Tornitili  servi- 
ta ,  grande  teologo  e  predicatore 
apostolico,  morto  nel  1490  io  U- 
dine,  da  dove  fu  trasferito  il  suo 
corpo  in  Venezia  nella  chiesa  dei 
Servi  :  i  beati  poi  Geremia  Lam- 
bertenghi  comasco ,  Giacomo  da 
Venezia,  Giacomo  Ungarelli  pado- 
vano, ed  altri  servi  di  Dio,  mori- 
rono in  Forlì,  ed  ivi  si  venerano 
i  loro  corpi.  I  .cardinali  forlivesi 
sono  Alberto  Teodoli  crealo  da 
Onorio  II  nel  1  127  ;  Gregorio  Teo- 
doli fatto  da  Innocenzo  III  nel  1 2  1 3; 
Stefano  Nardini  promosso  da  Sisto 
IV  nel  i473,  fondatore  in  Roma 
del  Collegio  Nardini,  in  cui  i  for- 
livesi godevano  cinque  posti  ;  Cri- 
stoforo Numai,  creato  da  Leone  X 
nel  i5i 7;  Francesco  Paolucci,  fatto 
da  Alessandro  VII  nel  1657;  Ste- 
fano Agostini,  esaltato  da  Innocen- 
zo XI  nel  168 1  ;  Fabrizio  Paoluc- 
ci, promosso  da  Innocenzo  XII,  nel 
1697;  Giulio  Piazza,  fatto  da  Cle- 
mente XI  nel  1 7  12  ;  Camillo  Mer- 
lali Paolucci,  esaltato  da  Benedetto 
XIV  nel  1743;  Lodovico  Merlini, 
creato  da  Clemente  XIII  nel  1759, 


POR 
le  notizie  de*  quali  sono  riportate 
nel  Dizionario  alle  loro  biografie; 
e  Paolo  Orsi  Mangelli  dal  regnan- 
te Gregorio  XVI  annoverato  al  sa- 
gro collegio  nel  concistoro  de'  27 
gennaio  i843.  Per  la  di  lui  pro- 
mozione al  cardinalato  il  magistrato 
di  Forlì  colle  stampe  del  Bordun- 
dini  pubblicò  un  opuscolo  in  cui 
sono  raccolti  i  poetici  componimen- 
ti che  celebrarono  si  meritata  esal- 
tazione. Né  va  qui  taciuto  che  sino 
dai  2  febbraio  del  1822  siede  ono- 
ratamente nel  sagro  tribunale  della 
rota  il  forlivese  Giuseppe  Bofondi, 
eh'  essendone  divenuto  il  decano  , 
giusta  il  costume  de' benefìci  Pon- 
tefici, ancor  lui  sarà  fregiato  della 
dignità  cardinalizia.  Questo  rispet- 
tabile prelato  fu  sostituito  nell'  u- 
ditorato  di  rota,  per  la  provincia 
di  Romagna,  a  monsignor  Zinuani 
ravennate  defunto  in  Cesena. 

Il  più  antico  illustre  forlivese  è  Cor- 
nelio Gallo,  dall'imperatore  Augusto 
fatto  pretore  e  legato  o  primo  pre- 
fètto di  Egitto,  non  che  luogotenen- 
te e  tribuno  :  fu  valoroso  in  armi 
e  nelle  lettere,  ma  da  favorito  per 
essere  troppo  libero  nel  dire  cadde 
in  disgrazia  del  principe,  e  si  pri- 
vò di  vita.  Gerardo  abbate  gene- 
rale de'  monaci  camaldolesi  sinché 
visse.  Tra  i  migliori  discepoli  di 
Giotto  è  notato  Guglielmo  degli 
Organi,  fiorendo  a  quella  età  1'  al- 
tro pittore  Guglielmo  Baldassare 
Carfari.  Andrea  Saffi  o  Ziaffi  dot- 
tore in  legge.  Paolo  Salazio  fisico 
e  chirurgo.  Guglielmo  Baletti  arci- 
diacono di  Forlì,  cappellano  e  lega- 
to di  Giovanni  XXII.  Rinalduccio 
romitano  di  s.  Agostino,  teologo  e 
filosofo.  Checco  di  Mileto  de  Rossi 
segretario  di  Francesco  Ordelaffi  il 
grande;  e  Nerio  Morandi  segretario 
dell'  imperatore  Carlo  IV,  ambedue 


FOR 

legisti  insigni  e  poeti  famosi.  Marco 
vescovo  Vandalense,  celebre  predi- 
catore. Giuliano  Numai  medico  e 
filosofo:  tale  fu  pure  Giacomo  Al- 
legretti, poeta  egregio,  che  pubbli- 
cò una  buccolica  e  molte  composi- 
zioni di  Cornelio  Gallo.  Benedetto 
abbate  di  s.  Giusto,  e  Clemente  ge- 
nerale a  vita,  entrambi  monaci  ca- 
maldolesi. Baiozzo  Ponliroli  caio  a 
Nicolò  marchese  d'  Este  ed  a  Gio- 
vanni XXI li  di  cui  fu  cameriere 
segreto.  Tito  Torelli  destro  nelle 
ambascerie.  Pietro  Vitali  dotto  mi- 
nore osservante.  Flavio  Biondo  se- 
gretario di  più  Papi ,  autore  di  clas- 
siche opere  storiche,  sì  dell'Italia,  che 
delle  antichità  di  Roma,  ove  fu  se- 
polto in  chiesa  d' A racoeli.  Carlo  Nar- 
di ni  arcivescovo  di  Milano.  Nicolò  Asti 
vescovo  di  Recanati  e  Macerata,  già 
arcidiacono  di  Forlì ,  di  somma 
dottrina.  Marco  Melozzi  o  Melozio 
architetto  valente  pittore,  massime 
nella  prospettiva  e  negli  scorci  ;  in 
Roma  sono  varie  sue  opere.  Mar- 
co Palmeggiani,  altro  eccellente  pit- 
tore, che  servì  i  Riari  e  Caterina 
Sforza  nelle  loro  cappelle.  Guido 
Peppo  dello  della  Stella  medico  e 
letterato.  Leone  Cobelli  pittore  , 
storico  e  suonatore.  Pace  Bomba- 
ci il  primo  ricamatole  de'  suoi  tem- 
pi, architetto  di  Alessandro  VI,  es- 
sendo suo  disegno  la  canonica  di 
s.  Sebastiano.  Fausto  Andrelini  dot- 
tore in  legge,  ristoratore  della  lin- 
gua Ialina  in  Francia,  e  coronato 
dal  re  Lodovico  XII  con  corona 
poetica  di  lauro.  Palmerio  versato 
in  molte  lingue.  Antonio  da  For- 
lì gran  letterato,  canonico  ed  alta- 
rista  vaticano.  Guglielmo  Lamber- 
telli  dottore  di  legge  ed  uditore  di 
rota  in  quella  istituita  dal  duca 
\  alenlino  in  Cesena.  Bartolomeo 
Lombaidiui  filosofo  e  medico,  cu- 


FOR  207 

io  Federico  III  imperatore,  Giro- 
lamo Riario,  il  duca  Valentino  ed 
altri  personaggi  :  in  s.  Francesco 
(il  Pantheon  forlivese),  nella  sua 
nobile  cappella  è  il  suo  bel  depo- 
sito di  marmo.  Va  qui  notato  che 
la  chiesa  fu  fatta  demolire  dai  fra- 
li per  farla  costruire  sul  disegno 
di  altre  esistenti  in  Roma,  e  il  det- 
to bel  deposito  scolpito  dal  Bari- 
lotti di  Faenza  fu  in  parie  traspor- 
talo nel  casino  Monsegnani  nella 
pieve  di  Quinto,  ed  in  parte  nel- 
la certosa  di  Bologna.  Per  della 
demolizione  perirono  molti  capi  di 
opera  tanto  di  pittura  che  di  scol- 
tura,  massime  del  tempo  de' primi 
Ordelaffi. 

Nicolò  Tornielli  dottore  in  leg- 
ge e  grande  politico;  fu  sepolto  in 
s.  Domenico  con  molta  pompa  nel- 
la cappella  degli  avi  suoi,  nel  sito 
ove  riposa  il  corpo  del  b.  Giaco- 
mo da  Venezia.  Gianfrancesco  Ber- 
ti detto  Codio,  distinto  letterato, 
discepolo  di  Pomponio  Leto.  Paolo 
Guari  ni  poeta  e  storico,  e  Madda- 
lena di  lui  consorte.  Filippo  Erco- 
lani  vescovo  di  Alatri,  ed  Antonio 
Ercolani  vescovo  di  Cariali  ;  il  lo- 
ro fratello  Cesare  divenne  prode 
capitano  di  Carlo  V,  e  pel  primo 
ferì  il  cavallo  di  Francesco  I  quan- 
do' fu  fatto  prigioniero,  per  cui  eb- 
be uno  de'  suoi  speroni  d' oro  e 
una  falda  del  giubbone  :  l' impera- 
tore lo  creò  barone ,  Io  decorò  di 
privilegi,  e  dell'  aquila  imperiale  ; 
fu  sepolto  in  s.  Girolamo  con  ono- 
revoli memorie.  Lodovico  Vannini 
detto  de'  Teodoli  morì  vescovo  di 
Berlinoro  al  concilio  di  Trento. 
Piergiovanni  Aleotti  fu  guardaroba 
di  cinque  Pontefici,  e  da  Giulio  111 
fatto  custode  del  tesoro  di  Castel 
s.  Angelo:  divenne  vescovo  di  For- 
lì, e  maestro  di  camera  di   Giulio 


2o8  FOR 

III  e  di  Pio  IV;  ebbe  molta  par- 
te nell'erezione  de'  Pacifici.  Fran- 
cesco Marcolini  disegnatore,  eccel- 
lente negli  intagli  di  stampe  a  le- 
gno e  tipografo  erudito.  Francesco 
Menzocchi  insigne  nel  colorire.  Li- 
vio Agresti  si  rese  immortale  nel- 
la pittura  ,  e  fu  sepolto  in  s.  Spi- 
rito di  Roma.  Marcolino  Monse- 
gnani,  e  Pierpaolo  Torelli  prelati. 
Guglielmo  Gaddi  dottore  in  legge 
ed  uditore  di  s.  Carlo  Borromeo. 
Francesco  Gaddi  medico  e  filosofo, 
e  canonico  di  s.  Maria  Maggiore. 
Delia  famiglia  Padovani,  già  Mon- 
lirosi,  fiorirono  dotti  medici.  Girola- 
mo Mercuriali ,  onorato  da  Massi- 
miliano 11  imperatore  in  più  guise, 
celeberrimo  medico,  e  grande  let- 
terato: si  mantenne  splendidamen- 
te, e  fece  raccolta  di  superba  gal- 
leria di  quadri  ;  il  magistrato  l' o- 
norò  di  visita  nel  punto  estremo  , 
e  gli  decretò  una  pubblica  statua 
da  erigersi  in  piazza.  Fu  sepolto 
nella  cappella  da  lui  eretta  in  s. 
Mercuriale ,  ove  riposano  le  ceneri 
di  questo  santo.  Delle  sue  opere  e 
scienza  ne  tratta  il  Marchesi ,  Vi- 
tae  vìrorwn  iUustrium  forolivensium. 
In  santità  fiorì  il  p.  Francesco  Or- 
selli  domenicano.  Il  vescovo  di  Cit- 
tà della  Pieve  Fabrizio  Paolucci  : 
morì  in  Roma  e  fu  sepolto  con 
bell'epitaffio  in  s.  Maria  in  Vallicella. 
D.  Aurelio  Casali,  tre  volte  gene- 
rale de' vallombrosani.  Andrea  Fac- 
chinei  ;  Livio  Sordi;  il  p.  Marcan- 
tonio Macinelli  gesuita;  il  p.  Vin- 
cenzo Serughi,  altro  gesuita,  tutti 
distinti  letterati.  Pomponio  Mattei, 
per  la  scienza  militare.  Cesare  Ros- 
setti medico.  Clemente  Merlali  udi- 
tore di  rota,  meritando  un  epitaf- 
fio da  Alessandro  VII  al  suo  sepol- 
cro in  s.  Maria  Maggiore  di  Roma. 
Giovanni   Moratti  ni    ed  Alessandro 


FOR 

Padovani  medici  e  letterati.  Anto- 
nio Porri  giurista  ,  collaterale  di 
Campidoglio,  sepolto  in  Aracoeli. 
Piermartire  Meritai  ;  Baldas «are  , 
Melchiorre  e  Guglielmo  Gaddi,  ed 
Andrea  Mangelli,  tutti  prelati.  An- 
tonio Merenda  enciclopedico.  Bar- 
tolomeo Moraltini  medico.  Gio- 
vanni Paolucci  prode  militare  se- 
polto nella  cattedrale  di  Ratisbona. 
Tommaso  Serughi  altro  valente  ca- 
pitano della  Chiesa.  Lungo  sareb- 
be a  tessere  l'ulteriore  elenco  degli 
uomini  illustri  forlivesi,  tanto  più  che 
di  alcuni  se  ne  fa  memoria  nel  de- 
corso dell'articolo.  Però  rammen- 
teremo il  principe  degli  anatomici, 
1'  uomo  europeo  dello  scorso  seco- 
lo, Gio.  Ballista  Morgagni,  medico, 
letterato  e  filosofo  insigne,  profes- 
sore cattedratico  all'  università  di 
Padova,  membro  di  tutte  le  socie- 
tà scientifiche  d'  Europa,  dichiara- 
to principe  degli  anatomici  non  so- 
lo dal  celebratissimo  anatomico  ba- 
rone de  Haller ,  ma  ancora  dalle 
accademie  di  Londra  e  di  Parigi , 
principato  che  niuno  de'  posteri  po- 
tè mai  contendergli ,  essendo  stato 
come  il  creatore  della  anatomia  pa- 
tologica ,  avendo  l' intera  Europa 
seguito  le  sue  tracce,  ed  essendosi 
valsa  de'suoi  travamenti  ed  insegna- 
menti immortali  :  onore  tanto  più 
singolare,  in  quanto  che  gli  esteri 
furono  sempre  gelosi  della  gloria 
italiana.  Nel  1774  a  spese  del  co- 
mune gli  fu  eretto  un  monumen- 
to nella  cappella  della  ss.  Conce- 
zione, nella  chiesa  di  s.  Girolamo, 
ora  parrocchia  di  s.  Biagio.  Inol- 
tre il  vivente  cavaliere  Giorgio  Re- 
gnoli  forlivese  cattedratico  di  cli- 
nica chirurgica  alla  università  di 
Pisa,  del  quale  è  un  grande  elo- 
gio l'essere  in  essa  cattedra  degno 
successore    del     famigerato    Vacca 


FOR 

Bcrlinghieri,  è  uomo  assai  beneme- 
rito della  umanità  per  la  sua  dot- 
trina, per  la  stima  che  gode  dei 
più  grandi  uomini  de'  tempi  nostri, 
che  è  ascritto  alle  primarie  scien- 
tifiche accademie  d' Italia  ,  d' In- 
ghilterra, di  Francia  e  di  Germa- 
nia, e  che  in  fine  onora  molto  la 
patria  per  la  fama  a  cui  ha  saputo 
arrivare. 

Antichissima  è  1'  origine  di  For- 
lì ,  per  cui  il  Sigonio  di  Forlì  dis- 
se esserne  incerto  l'autore,  e  Fla- 
vio la  chiamò  civitas  vetusti  nomi- 
nis ,  potendo  essere  stata  fondata 
con  altro  nome  di  quello  che  an- 
diamo a  narrare,  per  molti  anni 
innanzi,  a  cagione  della  memorata 
fertilità  del  terreno  ,  dolcezza  del- 
l'aria  salubre,  e  bontà  delle  sue 
acque.  Si  vuole  che  prima  del  Sa- 
linatore,  Forlì  fosse  già  di  non  or- 
dinaria considerazione,  e  forse  ori- 
ginata dagli  antichi  etruschi.  Cer- 
to è  che  il  suo  nome  è  Forum  Li- 
vii,  o  come  altri  dicono  Forolivìum 
o  Forlivium,  e  nel  nostro  idioma 
Forti,  Furti,  e  Forolivio,  cioè  Foro 
di  Livio,  perchè  ivi  esistendo  un 
Foro  (Fedi),  fosse  da  un  Livio 
pretore,  il  cui  officio  era  di  ren- 
der ragione  e  mantenere  i  popoli 
delle  provincie  di  Roma  alla  sua  di- 
vozione, o  principiato  o  frequentato. 
Si  osserva  che  il  nome  di  Fora , 
contiene  le  sole  sillabe  di  Forum 
Livii.  Debellati  dai  romani  per  mez- 
zo di  L.  Emilio  ed  Attilio  conso- 
li, l'anno  di  Roma  528,  i  galli  boi 
che  possedevano  queste  parti,  l'an- 
no seguente  fu  ridotta  la  Roma- 
gna, allora  Gallia  Togata,  in  pro- 
vincia ,  massime  per  opera  di  T. 
Manilio  e  Q.  Fulvio  consoli  ;  quin- 
di vi  spedirono  i  ministri  per  go- 
vernarla, fra' quali  due  Livii  si  tro- 
vano, M.  Livio  Salinatore,  e  C.  Li- 
vol.   xxv. 


FOR  209 

vio  pur  Salinatore,  ed  uno  di  que- 
sti due  die  principio  alla  città  di 
Forlì.  Marco  Livio  Salinatore,  fu 
così  detto  dall'  imporre  pel  primo 
in  Roma,  essendo  censore,  il  dazio 
del  sale,  ed  il  suo  cognome  passò 
negli  altri  della  famiglia.  Marco 
dopo  avere  nell'  anno  545  di  Ro- 
ma superato  il  cartaginese  Anniba- 
le, qual  proconsole  in  Toscana  fu 
mandato  con  l' esercito  ad  unirsi 
con  Spurio  Lucrezio  pretore  a  Ri- 
mini,  per  opporsi  a  Magone,  che  si 
diceva  far  quella  strada  per  con- 
giungersi col  fratello  il  formidabi- 
le Annibale  nell'  ultima  Calabria  , 
ove  l'Otto  Asdrubale  si  era  ritira- 
to. Essendo  dunque  stato  M.  Livio 
in  questa  regione  un  anno  e  mez- 
zo senza  far  la  guerra ,  probabil- 
mente avrà  reso  ragione  ai  soldati 
ed  ai  paesani,  e  avrà  a  ciò  desti- 
nato il  foro  ov' è  Forlì,  giacché 
1'  autorità  di  proconsole  era  come 
quella  del  pretore.  Caio  Livio  Sa- 
linatore fu  console  con  M.  Valerio 
Messala  l'anno  562  di  Roma;  ven- 
ne in  questa  provincia  con  eserci- 
to a  rendere  ragione ,  essendogli 
toccata  in  sorte.  Potrebbe  essere 
che  Marco  Livio  cominciasse  il  fo- 
ro, e  Caio  Livio  lo  continuasse,  cioè 
diciassette  anni  dopo ,  del  cui  au- 
mento non  è  da  dubitare  per  l'a- 
menità del  sito.  Incominciandosi 
l'edificazione  da  Marco  Livio,  fu 
fondato  Forlì  206  anni  avanti  la 
nascita  di  Gesù  Cristo.  La  mag- 
gior parte  degli  scrittori  danno 
l'onore  della  fondazione  di  Forfì 
a  M.  Livio  trionfatore  di  Asdru- 
bale; quindi  aggiungono  che  edifi- 
cato il  foro,  nel  partire  Io  donò 
ad  Evonio  suo  centurione  e  solda- 
to veterano  benemerito;  e  ad  altri 
soldati  vecchi,  in  premio  delle  lun- 
ghe  fatiche    della    guerra ,    alcuni 

>4 


aio  FOR 

terreni  distanti  dal  foro  più.  d'  un 
miglio  e  mezzo,  secondo  la  consue* 
ta  romana  generosità. 

Lucio  Ermio  ricordevole  del  be- 
neficio ,  co'  suoi  compatriotti  fece 
fabbricare  per  loro  stanza  molte 
abitazioni  col  nome  di  Livia  ,  per 
cui  venendo  il  sito  frequentato  dai 
popoli  circostanti,  divenne  popola- 
to e  civile.  Intanto  allorché  Au- 
gusto recossi  da  queste  parti ,  for- 
se quando  mosse  le  armi  contro 
gli  schiavoni  ribellati,  e  contro  i 
pannonii ,  fece  trasferire  in  Forlì 
gli  abitatori  di  Livia  e  di  altre  ter- 
re vicine,  per  compiacere  a  Livia 
sua  moglie  ed  a  Cornelio  Gallo 
forlivese  suo  favorito.  Di  ciò  ne 
die  cura  al  pretore  Clodio,  il  qua- 
le ,  seppure  non  fu  il  popolo ,  ad 
onorare  la  memoria  di  Livio  Sa- 
linatore,  fondatore  primario  della 
città  ,  eresse  sulla  piazza  la  statua 
del  benemerito  Livio ,  con  questi 
versi. 

Livhis  ecce  :  fuit  romanus  con- 
dì tor   Urbis 

Hujus,  et  liane  voluti  terram  in- 
coluisse   Quirites 

Magnanimos  ;  populisque  deciti 
cognomen  et  arma. 

Ed  è  perciò  che  Plinio  parlando 
di  questa  città  nell'ottava  regione, 
la  chiamò  Forum  Clodii  Livii ,  per 
averla  Clodio  ingrandita,  afferman- 
dolo nelle  correzioni  pliniane  Er- 
molao Barbaro,  che  aggiunse  a  det- 
te parole,  quelle  di  UH  Populi , 
perchè  quattro  luoghi  e  comuni , 
tra'quali  Livia,  concorsero  all'ac- 
crescimento di  Forlì,  de'  quali  luo- 
ghi se  ne  rinvennero  poscia  diver- 
si avanzi  ne'  dintorni  della  città  ;  e 
le -pitture  che  sino  al  ifòi  esiste- 
vano nella   sala  maggiore   del  pa- 


FOR 

lazzo  pubblico,  rappresentavano  Au- 
gusto e  Livia  sua  moglie,    benefat- 
tori e    ristoratori   di  Forlì,  giacché 
Livia  discendeva  dai  Salinatori.  Non 
si   deve    tacere    che    prima    di   tale 
epoca  ,  in   questi   luoghi  erano  ac- 
cadute non   poche  battaglie  e  sac- 
cheggi  tra  i  partigiani    di  Mario  e 
quelli   di    Siila,    perchè  quivi  erasi 
contagiato  Carbone,  che  colla  Ro- 
magna favoriva   Mario,  che  poi  re- 
stò perditore;    ciocché    produsse  a 
Forlì    notabile    decadimento  ;    che 
per  aver   da    Augusto  ricevuto   ri- 
parazione ed  incremento,  in  riguar- 
do di    Gallo  e  di  Livia,  e  da  quel- 
la  Livia  riunita  città  ,    furono  an- 
che  detti  i  forlivesi  Livienses  e  Li- 
vìadae.   In  memoria  di  che  il  quar- 
tiere   di    s.   Valeriano    anticamente 
era  appellato  Livia,  né  mancarono 
chi  suppose   essere  esistiti  in  quel- 
le vicinanze   gli    abitatori  della  di- 
strutta  Livia,  confermandolo  il  ri- 
trovamento ivi    fatto  di  molte  an- 
tichità ,    iscrizioni    ec.    Da    una    di 
queste    volle    dedurai   essere    stata 
Forlì  città,  che  si  reggeva  con  pro- 
prie leggi  e  statuti,    che    fosse  di- 
chiarata  municipio    dai  romani  ,  e 
che  quindi   partecipasse  degli  ono- 
ri e  dignità    di   Roma.    Alcuni  di- 
cono che  Forlì  fosse  dichiarata  cit- 
tà 35o  anni   avanti  Gesù  Cristo,  e 
nell'anno  ?.qi  colonia  romana,  ve- 
nendo ammessi   i  cittadini  con  vo- 
to nel  senato,  attribuendogli  Augu- 
sto gli  onori   di  municipio. 

Sinché  la  grandezza  romana  si 
conservò  formidabile  al  mondo, 
Forlì  sotto  la  sicurezza  di  quella 
si  mantenne  e  conservò.  Ma  tras- 
portando Costantino  la  sede  del- 
l'impero in  Bisanzio,  e  diviso  esso 
in  orientale  ed  occidentale ,  prese- 
ro ardire  le  straniere  nazioni ,  per 
invadere  la  loro  antica    dominatri- 


FOR 

ce ,  lasciata  indifesa  dai  successori 
di  Costantino,  laonde  i  goti  aven- 
do invasa  l' Italia,  sotto  la  condot- 
ta del  loro  re  Alarico,  presero  Ro- 
ma nell'anno  4°9-  Fra  le  provin- 
cie  che  soffrirono  le  barbarie  dei 
goti,  una  fu  l' Emilia;  ed  in  For- 
lì, saccheggiati  i  borghi,  i  prigio- 
nieri in  numero  di  circa  duemila 
furono  mandati  schiavi  nelle  parti 
della  Spagna  concesse  dall'impera- 
tore Onorio  ad  Alarico.  Questo  re 
essendo  mortalmente  malato,  aven- 
do ricuperato  la  sanità  per  le  ora- 
zioni del  santo  vescovo  Mercuriale, 
alle  preghiere  di  quel  santo  rese 
la  libertà  ai  nominati  forlivesi  im- 
prigionati, per  cui  essendo  essi  tor- 
nati con  gran  giubilo  in  patria,  il 
borgo  ove  erano  stati  fatti  schiavi 
prese  il  nome  di  Schiavonia  che 
tuttora  conserva.  Ataulfo,  che  suc- 
cesse nel  regno  ad  Alarico,  per  av- 
ventura di  Forlì  celebrò  ivi  con 
pompa  sovrana  le  sue  nozze  con 
Galla  Placidia ,  giacché  gli  furouo 
restituite  le  sue  leggi  municipali  , 
colle  quali  proseguì  a  reggersi.  A- 
vendo  l'imperatore  Onorio  stabili- 
ta la  sua  sede  in  Ravenna,  soven- 

r 
te  portossi  a  Forlì  per  la  benigni- 
tà dell'aria.  In  Ravenna  pure  abitò 
il  successore  Valentiniano  111,  sotto 
il  quale  gli  unni  infestarono  l'im- 
pero in  molte  parti  ,  ed  il  feroce 
loro  re  Attila  marciò  alla  volta  di 
Roma,  veuendone  però  distolto  dal 
Papa  s.  Leone  I  ;  ma  la  città  ben 
presto  soggiacque  alle  distruzioni 
di  Genserico  re  de'  vandali ,  dopo 
la  partenza  del  quale  e  la  morte 
dell'  imperatore,  molti  si  fecero  in 
Italia  proclamar  successori  ,  che 
piuttosto  accidentali  imperatori,  che 
occidentali  potevansi  chiamare,  l'ul- 
timo de' quali,  A ugustolo,  fu  depo- 
sto da  Odoacre  re  degli  eruli. 


FOR  iti 

Teodorico  re  de' goti  disfece  O- 
doacre,  cui  ubbidiva  la  Romagriii 
e  Forlì,  e  fissò  come  il  preceden- 
te la  sua  residenza  in  Ravenna , 
distribuendo  il  resto  de' suoi  goti 
nelle  circonvicine  città;  laonde  in 
Forlì  il  borgo  da  loro  abitato  pre- 
se il  nome  di  Gotogni.  Renefico  fu 
il  re  Teodorico  con  Forlì,  dappoi- 
ché accrebbe  privilegi  alle  sue  leg- 
gi municipali.  Ma  Giustiniano  I  col 
valore  di  Relisario  liberò  l'Italia 
dal  dominio  de' goti,  il  qual  prode 
condottiero  premiò  la  prodezza  di 
Rrando  col  dono  della  terra  di  Ra- 
gnacavallo ,  pegli  aiuti  che  nella 
guerra  avea  recato ,  nel  far  parte 
del  collegato  esercito  erulo.  Rran- 
do die  origine  alla  nobile  famiglia 
forlivese,  che  chiamandosi  Rrando- 
li  e  poi  Rrandolini  fiorì  per  molti 
celebri  guerrieri.  Frattanto  nel  568 
venne  istituito  l'esarca  di  Ravenna 
o  supremo  governatore,  e  Longino 
ne  fu  il  primo.  Narsete  disgustato 
coli' imperatrice  Sofia,  chiamò  in 
Italia  il  re  Alboino  co'  suoi  longo- 
bardi ,  per  cui  l'esarca  fortificò  le 
terre  dell'  esarcato  che  governava 
per  duci,  fra  le  quali  Forlì.  Alboi- 
no conquistò  la  Gallia  Cisalpina , 
che  per  lui  prese  il  nome  di  Lom- 
bardia, e  Forlì  che  restò  fedele 
agli  imperatori  d'oriente ,  soggiac- 
que alle  scorrerie  longobardiche. 
Infelice  avvenimento  fu  per  Forlì 
l'assunzione  al  trono  longobardico 
di  Clefi,  per  opera  di  Rosmunda 
vedova  di  Alboino,  perchè  soggiac- 
que a  nuova  e  deplorabile  inva- 
sione, dovendo  sostenere  periglioso 
assedio,  da  cui  liberossi  per  celeste 
favore  ;  e  mantenne  di  poi  lunga 
fede  agli  esarchi  ravennati,  che  in 
nome  degli  imperatori  d'oriente 
amministravano  la  cosa  pubblica 
in  queste  parti.  Nel  648  Lupo  ca- 


2i2  FOR 

pitano  de'  forlivesi  agognava  di  sog- 
giogare l' Italia ,  ma  colle  truppe 
fu  tagliato  a  pezzi  dai  bavari  gui- 
dati da  Caccano  per  ordine  del  re 
Grirnoaldo  :  i  vincitori  saccheggia- 
rono quindi  Forlì,  ed  uccisero  con 
molti  schiavi  Arnesco  figlio  di  Lu- 
po, che  aspirava  al  ducato  pater- 
no. Inoltre  dicesi  che  Grirnoaldo 
in  egual  tempo  saccheggiò  Forlim- 
popoli,  come  meglio  si  esporrà  a 
quell'articolo,  ed  interamente  la  ro- 
vinò col  ferro  e  col  fuoco,  il  perchè 
i  superstiti  abitanti  ricoveraronsi  in 
Forlì.  Mentre  Forlì  ad  onta  di  con- 
trarie circostanze  si  aumentava ,  ver- 
so l'anno  725  il  re  Luitprando  oc- 
cupò quasi  tutto  l' esarcato  ,  meno 
Ravenna,  per  cui  le  città  come 
Forlì  erano  in  continua  agitazione, 
perchè  l'imperatore  Leone  l'Isau- 
rico ,  e  i  longobardi  a  vicenda  le 
occupavano  e  perdevano  ;  ma  Leo- 
ne per  la  persecuzione  che  dichia- 
rò alle  sagre  immagini ,  perde  la 
più  gran  parte  d'Italia,  e  il  duca- 
to romano  e  le  città  di  Campania 
si  dierono  al  Pontefice  s.  Gregorio 
II ,  sotto  del  quale  incominciò  il 
dominio  temporale  de'  Papi.  Dipoi 
vedendosi  l'esarcato  in  balia  di  e- 
ventuali  dominatori,  si  pose  sotto 
la  protezione  del  santo  Pontefice 
Zaccaria.  Questi  dimenticando  le 
ingiurie  ricevute  dal  perfido  Leo- 
ne e  suoi  ministri ,  si  adoperò  in 
guisa  con  Luitprando ,  che  lo  in- 
dusse a  restituire  al  greco  dominio 
ciò  che  teneva  nell'esarcato. 

Correndo  l' anno  748  Zenone 
capitano  imperiale  insolentemente 
baciò  Faustina,  moglie  di  Alberto 
Alvini  nobile  forlivese,  mentre  an- 
dava alla  messa.  Il  popolo  solle- 
vossi,  uccise  Zenone,  e  fece  in  pez- 
zi quasi  tutta  la  sua  compagnia, 
né  l'esarca  Eutichio  per  la  sua  de- 


FOR 
bolezza   e  per  la  forte  provocazione 
potè  fare  alcuna  dimostrazione.  Eu- 
tichio fu     1'  ultimo    esarca,    perchè 
Astolfo  re     de'  longobardi,    insigno- 
ritosi di    tutto  1'  esarcato,  die  termi- 
ne al  dominio  de'  greci  imperatori. 
Non  contento  di  ciò   occupò    molti 
luoghi  spettanti  all'  immediato    do- 
minio della  santa  Sede.  Il  Pontefi- 
ce Stefano  II  detto  III  non  poten- 
do ottenere  da  Astolfo  la  liberazio- 
ne dell'  esarcato,  che  come  dicemmo 
era  passato  sotto  la  protezione  del- 
la Chiesa    romana,    e    de'  suoi  do- 
mimi occupati,  domandò  ed  ottenne 
il   poderoso  aiuto  di  Pipino    re    di 
Francia,  che    prima    coi    trattati  e 
poi  colle  armi,  neh'  anno  755   co- 
strinse Astolfo  non  solo    a  restituire 
al  Papa  le  occupate    terre    di    ra- 
gione della  Chiesa,  ma  eziandio  l'e- 
sarcato., avendo  conosciuto  l'impo- 
tenza    de'  greci     di     mantenere    in 
Italia  alcun  dominio,  e  la  dedizio- 
ne alla  santa  Sede  dei    popoli    dei- 
medesimo.  Così  Pipino    ingrandì  il 
principato  della  Sede  apostolica  con 
tutte  le   città    dell'  Emilia,    e    con 
altre  ventidue  città  compresa  For- 
lì, come   leggesi    in    Anastasio    Bi- 
bliotecario   in    Vita    Stephani  III, 
coli'  autorità  del  diploma   di    Pipi- 
no, che  in  gran  parte  si  legge  nel 
Borgia,  Memorie  isteriche    tom.    I, 
pag.    18.  Quindi  Foldrado    abbate, 
lasciato  dal  re  di    Francia    all'ese- 
cuzione del    pattuito    con    Astolfo, 
cogli  ambasciatori  di    questi    portò 
a  Roma  le  chiavi    de'  luoghi    rila- 
sciati, tra'  quali  Forlì;    sebbene  A- 
stolfo  ritenendo    Faenza,    Bagnaca- 
vallo    e  Ferrara,  i  patti  non  adem- 
pisse interamente.  Alla   sua  morte, 
coli' aiuto  di  Stefano  III   lo  succese 
Desiderio,    che    ingratamente    sotto 
frivoli  pretesti    attaccò  il   Forlivese 
colle  piazze  vicine,    e    s' impossessi 


Fon 

«li  molte  città.  1  Pontefici  $.  Paolo 
I,  e  Stefano  IV  ricorsero  al  re  di 
Francia,  e  siccome  nel  772  Deside- 
rio minacciava  l'eccidio  di  Roma  stes- 
sa, perciò  Adriano  I,  implorò  la  pro- 
tezione di  Carlo  Magno,  il  quale 
■vinse  i  longobardi,  e  pose  termine 
al  loro  regno  coli' imprigionare  nel 
773  il  re  Desiderio;  quindi  Carlo 
Magno  confermò  alla  romana  Chie- 
sa le  donazioni  e  restituzioni  fat- 
tegli dal  suo  padre  Pipino,  come 
dell'esarcato  e  della   pentapoli. 

La  pentapoli  eomponevasi  di  cin- 
que città ,  cioè  Ravenna,  Classe, 
Forlì,  Cesena  e  Forlimpopoli,  ed 
era  così  delta  con  voce  greca.  Al- 
lora Carlo  Magno  volle  che  la  pro- 
vincia che  prima  si  chiamava  Emi- 
lia e  Flaminia,  per  l'avvenire  si 
nominasse  Romagna,  come  fra  tutte 
le  altre  la  più  (Ida  all'  impero  ro- 
mano, per  essere  stata  più  costante, 
ed  ultima  ad  uscire  dalla  sua  si- 
gnoria ;  benché  altri  stimino  che 
Romagna  significhi  quasi  Roma  ma- 
gna, che  se  quella  veniva  composta 
da  sette  colli,  questa  di  sette  città, 
compresa  Forlì.  In  questa  città  e 
provincia  più  tardi  inviò  la  santa 
Sede  ministri  ecclesiastici  a  gover- 
narla. Il  Papa  s.  Leone  III  nell'an- 
no 800  ripristinò  in  Carlo  Magno 
l' impero  d'  occidente,  imponendo- 
gli solennemente  in  s.  Pietro  la 
imperiale  corona.  Dopo  lunga  guer- 
ra ch'egli  ebbe  coli' imperatore  di 
Oriente  Niceforo,  chiedendo  questi 
la  pace  per  ambasciatori,  Carlo  Ma- 
gno ne  spedì  pur  lui  per  confer- 
marla, tra'  quali  Aigone  conte  for- 
livese. Di  questi  conti  in  Forlì, 
qual  ne  fosse  il  governo,  non  potè 
conoscerlo  il  Bonoli,  che  però  av- 
verte, sia  per  la  lontananza  de' mo- 
narchi francesi  conservatori  degli  sla- 
ti della  Chiesa  romana,  sia  perchè  i 


FOR  2.3 

Pontefici  in  queste  parti  non  eser- 
citavano ancora  il  loro  pieno  do- 
minio, principiarono  le  città  a  poco 
a  poco  a  reggersi  a  repubbliche, 
e  a  modo  loro,  insorgendo  non  po- 
chi tiranni  a  signoreggiarle.  Ai  fran- 
chi imperatori  successero  i  due 
italiani  Berengari,  che  alcuni  scris- 
sero di  stirpe  forlivese,  per  essere 
stata  in  Forlì  una  famiglia  di  co- 
gnome Berengari,  e  per  altre' ragio- 
ni e  testimonianze  che  si  possono 
leggere  negli  scrittori,  e  nel  Bonoli 
al  lib.  II  della  Storia  di  Forlì,  che 
racconta  come  un  Berengario  Be- 
rengari avendo  salvato  la  patria 
coli'  aiuto  de'  principali  cittadini 
contro  le  mire  de'  bolognesi,  e  per 
la  generosità  delle  donne,  in  com- 
penso ottenne  parte  dell'esercito 
vincitore.  Quindi  postosi  al  soldo 
de'  franchi  imperatori  s'  ebbe  il  du- 
cato del  Friuli  in  compenso,  e  po- 
scia fu  elevato  all'  impero.  Qui  va 
notato  che  tra  gli  altri  Berengario 
arrolò  con  alcune  truppe  un  capi- 
tano di  Germania,  chiamato  Aloro 
dell'  Affla  ossia  d'  Alfia,  che  lasciò 
governatore  delle  armi  in  Forlì 
quando  passò  al  ducato,  mentre 
Aloro  fu  lo  stipite  degli  Ordelaffi, 
cognome  derivato  da  Aloro  d' Alfia, 
che  come  si  vedrà  divennero  po- 
tentissimi, e  lungamente  signoreg- 
giarono Forlì  ed  altri  luoghi. 

Inoltre  si  ha  che  Aloro  tolse  in 
moglie  l'anno  910  l'unica  figlia 
di  Tiberio  Berengari,  colla  dote  del- 
le terre  Poggio,  Cuimano  e  La- 
dino, e  si  stabilì  in  Forlì,  ove  nac- 
quero tre  figliuoli.  In  progresso 
tentò  d' insignorirsi  della  città,  ed 
evitando  il  furore  popolare  si  ri- 
fugiò prima  in  Bavenna,  poi  in 
Venezia  ove  morì.  I  figli  temendo 
insidie  voltarono  il  cognome  in  Fa- 
ledro,  che  al   rovescio    suona    Or- 


214  FOR 

deiafj  ma  richiamati  a  Forlì  con 
la  ricupera  de'  loro  castelli  e  pa- 
lazzo de'  Berengari,  uno  de'fratelli, 
di  nome  Filippo,  restò  a  Venezia 
e  diede  principio  alla  chiarissima 
dinastia  de'  Faledri  o  Falieri,  dal- 
la quale  tra  gli  altri  uscì  il  famoso 
doge  Ordelaffo  Faledro.  Dal  rifu- 
giarsi 1'  Aloro  e  i  figli  in  Venezia, 
diversi  storici  dissero  da  quella  cit- 
tà originati  gli  Ordelaffi  signori  di 
Forlì.  Della  famiglia  Ordelaffi,  tra 
gli  altri  ne  scrisse  il  Sanso  vi  no, 
Origine  e  fatti  delle  famiglie  illu- 
stri cC  Italia  ;  e  1'  autore  delle  Gé- 
nèalogies  hist.,  Seigneurs  de  Forlì 
de  la  maison  d'  Ordelaffo .  11 
Cancellieri  riporta  alcuni  autori  che 
trattarono  di  questa  famiglia,  nella 
Dissert.  intorno  agli  uomini  dotati 
di  gran  memoria,  ec,  a  pag.  7, 
parlando  dell'  incendio  del  palazzo 
di  Pino  degli  Ordelaffi  in  Forlì.  Il 
citato  Francesco  Sansovino,  nel  suo 
Ristretto  delle  più  notabili  e  famo- 
se città  d' Italia,  parla  pure  della 
città  di  Forlì.  Questa  città  e  terri- 
torio non  solo  furono  confermati  in 
sovranità  della  santa  Sede  da  Lo- 
dovico I  imperatore,  ma  passato 
l'impero  dagli  italiani  Berengari  nei 
tedeschi,  altrettanto  fecero  Ottone 
I,  Rodolfo  ed  altri  imperatori,  co- 
me si  ha  da  Giacomo  Cohellio, 
nella  sua  Notitia. 

Neil'  anno  997  tra  alcuni  prin- 
cipali della  città  di  Forlì,  anch'  essa 
alle  fazioni  e  guerre  civili  di  quei 
tempi  sottoposta,  suscitaronsi  tali 
nimicizie  e  discordie  che  col  favore 
di  molti  cittadini  e  parenti  de'  di- 
scendenti d'  Aloro,  furono  introdot- 
ti Scarpetta  e  Sinibaldo  Ordelaf- 
fi, e  fu  allora  che  seguì  la  resti- 
tuzione a  tal  famiglia  de'  suoi  beni 
e  castella.  La  prudenza  però  di 
Scarpetta  lungi  dal  fomentar  le  dis- 


roR 

sensloni,  si  studiò  di  tranquillare 
e  riconciliare  il  torbido  degli  animi, 
con  tanta  soddisfazione  del  popolo, 
che  lo  elesse  in  proprio  capitano; 
dignità  che  seguitò  poi  lungo  tem- 
po nella  repubblica  forlivese,  e  ven- 
ne dalle  primarie  città  d'Italia  adot- 
tata. Narra  il  Bonoli  che  sotto  il 
magistrato  di  Scarpetta  decretossi 
di  riedificare  Forlim popoli  spianato 
come  dicemmo  dai  longobardi,  mos- 
si i  cittadini  dalle  preghiere  di 
que'  pochi,  che  nelle  sparse  reliquie 
di  quella  città  erano  rimasti,  e 
dalla  gloria  che  perciò  avrebbero 
conseguita.  Nel  io44  s'incominciò 
il  lavoro,  benché  poi  non  vi  ritor- 
nassero i  cittadini  in  varie  parti  ri- 
fuggitisi. Avverte  il  Bonoli  che  la 
storia  di  Forlimpopoli  non  ammet- 
te che  la  riedificazione  fosse  opera 
dei  forlivesi,  ma  solo  la  ristorazio- 
ne, adducendo  in  prova  che  For- 
limpopoli dopo  la  rovina  cagiona- 
tagli da  Grimoaldo  continuò  ad 
avere  i  suoi  vescovi,  e  nel  709 
fornì  considerabili  soccorsi  all'arci- 
vescovo di  Ravenna  ;  però  non 
manca  di  addurre  altre  prove  che 
favoriscono  la  riedificazione  di  For- 
limpopoli fatta  dai  forlivesi.  Lo 
Scarpetta  fece  pure  tagliare  il  fiu- 
me A  equa  vi  va,  ed  unirlo  all'altro 
ramo  del  Montone  sopra  Forlì  mez- 
zo miglio,  mescolandosi  prima  con 
quello,  passata  la  città  verso  set- 
tentrione; e  dove  in  parte  scorreva 
il  fiume,  mandò  poscia  il  canale, 
sopra  cui  fabbricò  due  ponti  con- 
tigui alla  piazza  maggiore,  uno 
detto  del  pane,  1'  altro  de'  cavalie- 
ri :  quello  del  pane  essendo  caduto 
fu  riedificato  nel  I2i4-  Divenuto 
imperatore  nel  io56  Enrico  IV, 
questi  per  la  sua  condotta  s' inimi- 
cò colla  santa  Sede,  che  travagliò 
colle  armi,  e  fu  cagione  di  scisma. 


FOR  FOR                    2i5 
Era  suo  partigiano  l'arcivescovo  ili  ti  collocati  nel  cimiterio  di  s.  Mer- 
Raveuna,   benché  il    resto    di    Ro-  curiale,  provarono    gli  effetti  della 
magna  disapprovasse    la    sua    con-  divina  vendetta.    Indi  nel   1087   il 
dotta.    Si    vuole    che    l' imperatore  borgo  di    Gotogni    per  le  orazioni 
donasse     all'  arcivescovo     la    detta  del  b.  Bernardo  vallombrosano,  poi 
provincia,  ovvero  Forlì,  Forlimpo-  cardinale,  restò    liberato  da  furio- 
poli    e  Sarsina  :   ma  tal  donazione  so     incendio.     Alla     crociata     pub- 
o  non  fu  vera,  o  non  venne  rico-  blicata  da    Urbano  II   per  liberare 
nosciuta  dai  popoli  ;  e  quando  nel  dai    maomettani  i    santi  luoghi  di 
10)8  i  ravennati  sorpresero  Forlì,  Palestina,    Forlì  si    distinse    tra  le 
benché  la  città  fosse  a    cagione  di  città  romagnole  nell'inviarvi  croce- 
contagiosa  malattia  poco    popolata,  signati,    fra'  quali  non  pochi    delle 
essendosi   ritirati  buona  parte  degli  famiglie     principali  ,    non   che    pel 
abitanti  sui  colli  e  nelle  vicine  vii-  valore  con    cui  si  diportarono,  co- 
le,  furono  valorosamente  con  loro  me  si  è  detto  parlando  dello  stem- 
confusione  respinti.  In  questo  tem-  ma  della    città.  Presa  dai    crocesi- 
po  i  faentini   temendo  l'audacia  dei  guati    Gerusalemme  ,    tra    le  alle- 
ravennati  prestarono  soccorsi  ai  for-  grezze    che  si  fecero    in  Forlì,    fu 
livesi,   né  sembra  probabile  il  favo-  eretta  in    piazza  una    rocca  di    le- 
loso  racconto  che   i  ravennati  aven-  gno,  per  figurar  tale  espugnazione, 
do    distrutto     una     parte    di  Forlì  Indi  nel    1099    si    aumentò  il  tri- 
vi    seminassero    il    sale  ,    e     che    i  pudio  de'  forlivesi    per  l'esaltazione 
faentini  ne   operassero    la  riedifica-  al   pontificato    di    Pasquale  II,  che 
zione.  Anzi  i  forlivesi  a  quell'  epoca  gli    storici  forlivesi  dicono     nativo 
fecero    molte  cose  proprie  alle  cit-  del  distretto  e  giurisdizione  di  For- 
là  libere  e  potenti,  e  non  temendo  lì,  dalla  parte  montuosa  che  mira 
ie    armi    imperiali ,    sovvennero    il  verso  Toscana,  nel  castello  di  Bie- 
Pontefice  s.  Gregorio  VII  con  gente  da  o  Beda  non  lungi  da  Galeata: 
ed  altri  soccorsi.  altri    storici    fanno  Pasquale    II  di 
Nel  1080  i  ravennati   furono  pò-  Bieda  nella  contea  Galliata,  diocesi 
sti    in    fuga    dai    faentini    allorché  di  Viterbo,  nella    Toscana  pontifì- 
infestavano     il     proprio    territorio;  eia,  e  perciò  non  di  Romagna,  co- 
già  nel   1075  in  uno  scontro  d'ar-  me  affermano  Panvinio,Papebrochio, 
nù  avevano  i  faentini  imprigionato  Novaes  ed  altri,    contro  il  Platina, 
molti  ravennati ,    a  cui    tagliarono  I  medesimi  storici  forlivesi  aggiun- 
le  dita    per  levarne    le  anella,  per  gono    che     Pasquale    II    era    stato 
il  che  venne    poscia  decretato  non  monaco    nero    in  s.    Mercuriale,  e 
doversi   più    portare  anella,   massi-  nel  monistero  di  s.   Maria  di   Fiu- 
me  in    guerra.   Nel    1084    Enrico  maua,  e  che  divenuto  Papa  creas- 
IV  fece  eleggere   in  antipapa   l'ar-  se     molti    cardinali     e    vescovi     di 
civescovo    di    Ravenna    Guiberto ,  questa  provincia  e  forlivesi  ;  ma  il 
che    prese    il     nome    di    Clemente  sottoscriversi  che  facevasi  allora  coi 
III,  indi  s'avviò  per  Roma  contro  soli  titoli    e  diaconie    delle  chiese, 
il  legittimo  Pontefice,  al  quale  ub-  e   la  penuria  di  memorie  certe,  ne 
bidivano  i    forlivesi.  Avendo  i  sol*  fanno  ignorare  i  nomi, 
dati    imperiali    manomesso    gli  ar-  Cresceva   intanto    più    che    mai 
menti  che  per  sicurezza  erano  sta-  la  libertà  nelle  terre  di  Romagna, 


216  FOR 

e  per  conseguenza  la  discordia  fra 
loro,  ed  i  forlivesi  uniti  ai  raven- 
nati marciarono  contro  i  faentini. 
Intanto  in  mezzo  a  sì  fatto  stato 
di  cose,  per  assicurare  nell'unione 
i  propri  interessi,  nel  1 1 38  i  for- 
livesi e  ravennati  convennero  tra 
loro  con  nodo  di  strettissima  ami- 
cizia, in  guisa  tale  che  sembrò 
Forlì  e  Ravenna  riunite  in  una 
sola  città.  Diede  molto  a  sospettare 
al  resto  di  Romagna  un  tale  ac- 
cordo, nel  quale  non  facendosi 
alcuna  menzione  del  Papa  o  della 
romana  Chiesa,  suprema  signora 
d'ambedue,  sembra  che  da  essa 
allora  avessero  alieno  l'animo  loro, 
e  che  i  Pontefici  non  esercitassero 
la  sovrana  autorità ,  per  cui  reg- 
gevansi  a  talento.  Nel  1 142  i  for- 
livesi, i  ravennati  e  i  riminesi  en- 
trarono in  guerra  coi  faentini  col- 
legati coi  bolognesi,  laonde  ebbe- 
ro luogo  per  Cesena  e  per  Ca- 
stelleone  vari  fatti  d'armi;  inoltre 
i  forlivesi  aiutarono  i  ravennati 
nella  guerra  contro  i  veneziani,  ter- 
minata nel  n45.  In  questo  tem- 
po Forlì,  Ravenna,  Rimini  ed  al- 
tre città  meditarono  la  distruzione 
del  contado  dei  faentini,  i  quali 
soccorsi  da  Bologna  e  da  Cesena 
uscirono  a  battaglia  e  posero  in 
disordine  il  nemico.  Inaspriti  gli 
animi  con  nuovi  conflitti,  si  riac- 
cesero le  antiche  offese,  il  perchè 
nel  n 49  i  forlivesi  co' ravennati 
per  difender  i  conti  di  Cunio  e 
Bagnaca  vallo  ebbero  nuova  crude- 
lissima pugna  coi  faentini  e  bo- 
lognesi, e  fu  tale  che  il  rio  ove 
seguì  prese  il  nome  sanguinario 
che  porta,  sebbene  la  vittoria  ri- 
mase incerta.  Nel  1 155  accadde  in 
Faenza  un  incendio  distruttore,  men- 
tre fra  Bologna  e  Forlì  seguirono 
nuovi    disturbi   pel  transito  di    al- 


FOR 
cune  strade,  rifiutandosi  i  bologne- 
si di  pagar  le  gabelle  pel  sale  di 
Cervia:  l'imperiai  protezione  si  spie- 
gò in  favore  de' forlivesi,  onde  Bo- 
logna venne  ad  oneste  convenzioni. 
Essendo  Federico  I  imperatore  in 
discordia  col  Pontefice  Alessandro 
III,  la  Romagna  aderì  al  primo, 
particolarmente  Forlì  e  B.avenna, 
e  l' imperatore  mandò  nella  pro- 
vincia un  suo  residente  col  titolo 
di  conte,  volendo  con  tal  mezzo 
a  poco  a  poco  riassumere  l'antica 
giurisdizione  dell'  impero  in  que- 
ste parti.  Il  nuovo  ministro  in  pro- 
va di  assoluto  dominio,  vedendo 
che  Cesena  non  era  molto  affezio- 
nata all'augusto,  ivi  fabbricò  una 
forte  rocca.  Per  accomodarsi  alle 
circostanze ,  Guido  arcivescovo  di 
Ravenna  si  mostrò  di  voto  all'im- 
peratore che  gli  concesse  giurisdi- 
zioni sul  Forlivese,  Pompiliese,  Sar- 
sinatense,  e  Castelnuovo,  città  e 
luoghi  tutti  del  dominio  di  Forlì, 
come  risulta  da  documenti,  che 
provano  qual  fosse  ancora  la  po- 
tenza di  questa  città. 

I  ministri  imperiali  usando  di 
troppa  autorità  e  modi  severi  fu- 
rono cagione  che  molti  luoghi  si 
ritirarono  dalla  loro  amicizia;  ed 
i  faentini  senza  far  caso  di  tali 
ministri  si  prepararono  nuovamen- 
te ad  assediare  Castelleone,  dai  for- 
livesi edificato  in  sito  eminente,  e 
sì  vicino  a  Faenza,  che  coll'onibra 
sua  quasi  ne  cuopriva  gli  edifizi. 
Allora  i  forlivesi  vedendo  assediato 
Castelleone  da  forze  collegate  ed 
imponenti,  si  mossero  col  loro  e- 
sercito  e  gli  aiuti  de'ravennati,  ri- 
minesi, bertinoresi  ed  altri  amici; 
tanto  bastò  perchè  i  faentini  pron- 
tamente abbandonassero  l'assedio, 
e  sebbene  poscia  fecero  delle  scor- 
rerie, si  conchiusero  pacifici  aceor- 


FOR 
di,  anche  vedendo  avvicinarsi  Fe- 
derico I  che  ambiva  il  dominio 
d'Italia.  Al  suo  arrivo  molte  città 
per  amore  o  per  tema  si  dierono 
a  lui,  ma  Forlì,  Faenza,  Imola  e 
i  luoghi  adiacenti  negarono  sotto- 
porsi al  suo  dominio,  preferendo 
mitigare  con  denari  l'animo  cru- 
dele ed  avaro  di  quel  principe, 
per  cui  parve  si  mostrasse  in  se- 
guito più  benigno  a'romagnoli.  In- 
tanto ad  Alessandro  III  essendosi 
collegate  le  città  lombarde,  Fede- 
rico I  riportò  tali  rotte,  che  con 
poca  sua  gloria  ritornò  in  Ger- 
mania, e  le  città  italiche  alle  pri- 
miere discordie.  Faenza  minacciata 
con  assedio  dai  ravennati  e  bo- 
lognesi, fu  soccorsa  dai  forlivesi, 
riportando  a  s.  Procolo  completo 
trionfo  de'  nemici  ;  e  grata  al  be- 
neficio ricevuto,  convenne  di  pren- 
dere dai  forlivesi  il  pretore  ed  il 
capitano  nel  1169.  Nell'anno  se- 
guente tornarono  i  bolognesi  su 
Faenza,  con  poderoso  esercito,  e 
col  carroccio,  di  cui  parlammo  al- 
l'articolo Carrozze  {Vtdi)^  la  pri- 
ma volta  da  loro  adoperato:  i  faen- 
tini ebbero  la  peggio,  e  di  for- 
livesi vi  restarono  prigioni  Pietro 
di  OrdelalTo  Ordelaffi ,  Giovanni 
Gherardini,  Alberto  degli  Offizi,  ed 
Ugo  Berardenghi,  che  alla  conclu- 
sione della  pace  furono  restituiti. 
Nel  1 1 7 3  un  incendio  tra  le  altre 
cose  consumò  gran  parte  dell'ar- 
chivio dell'  insigne  abbazia  di  s. 
Mercuriale,  mentre  Cristiano  arci- 
vescovo di  Magonza,  con  grosso  e- 
sercito  imperiale  per  rendere  le 
città  ossequiose  a  Federico  I,  ed 
aiutato  dai  forlivesi  e  dal  resto  di 
Romagna,  die  notabile  rotta  ai  bo- 
lognesi, concedendogli  tregua  per 
sei  anni  quando  dovè  partire  in 
{.occorso    dell'  imperatore    sconfìtto 


FOR  217 

in  Lombardia.  Dipoi  6eguì  la  pace 
generale,  per  cui  nel  1  1 83  Fede- 
rico I  fu  lietamente  ricevuto  in 
Italia,  meno  che  dai  faentini,  per 
il  che  vennero  puniti  dai  cesarei 
a'quali  eransi  uniti  i  forlivesi  e  i 
cesenati. 

Nel  11 90  divenuto  imperatore 
Enrico  VI,  dichiarò  il  suo  scalco 
Marcoaldo  duca  di  Romagna  e  mar- 
chese d'Ancona,  ciò  che  equivalen- 
do a  feudo  non  toglieva  a'popo- 
li  la  propria  autorità  all'uso  di 
repubbliche,  non  avendo  l' investi- 
to che  certe  regalie,  solite  darsi 
agl'imperatori.  Divenuto  però  nel 
11 98  Pontefice  Innocenzo  III,  sic- 
come dotato  di  molta  energia,  vol- 
se l'animo  alla  ricupera  delle  an- 
tiche giurisdizioni  e  proprietà  del- 
la sede  Apostolica,  mandando  Car- 
sidonio  con  un  esercito  in  Roma- 
gna, i  di  cui  popoli  siccome  avvez- 
zi alla  libertà  ed  all'  ubbidienza 
degl'imperatori  si  mostrarono  con- 
trari ;  laonde  dopo  le  scomuniche 
supplì  alla  deficienza  di  sue  trup- 
pe con  quelle  de'  bolognesi,  i  qua- 
li e  per  abbassar  la  potenza  di 
Marcoaldo,  e  per  acquistarsi  la  gra- 
zia del  Papa  uscirono  col  carroccio 
pronti  ad  ogni  tentativo,  sotto  il 
comando  di  Ubertino  Visconti  lo- 
ro pretore.  Indi  Carsidonio  prese 
alcune  castella,  portossi  coll'arma- 
ta  ne'dintorni  di  Forlì,  ma  il  po- 
polo si  sollevò  contro  il  preto- 
re Roberto  romano,  che  coi  suoi 
partigiani  voleva  introdurre  gli 
ecclesiastici  nella  città,  e  supera- 
tolo 1'  uccise  ,  facendo  il  simile 
col  nipote  del  Pontefice  ch'era  en- 
trato in  F01T1  per  combinar  gli 
accordi  col  pretore;  oltre  a  ciò  i 
forlivesi  si  portarono  a  saccheggiar 
il  territorio  di  Ravenna,  togliendo- 
gli   Cervia    per    essersi    dati    i  ra- 


3  1,8  FOil 

vcnnali    col    resto    di    Romagna    a 
Carsidonio.    Questi  però  congiunse 
alle    sue    le    forze    de'  bolognesi    e 
delle  città  che  avevano  riconosciu- 
ta   la  dominazione  papale,    astrin- 
se anche    Forlì  all'ubbidienza,    che 
nell'anno    seguente    concorse  a  co- 
stringere Marcoaldo  di  cedere  alla 
Chiesa  romana  il  dominio  e  le  ra- 
gioni che  appartenetegli.  Mitissimo 
fu   1'  esercizio    della    pontificia    so- 
vranità,   dappoiché    Innocenzo  III 
si  contentò    del  giuramento  di    fe- 
dii là,  d'un  semplice  tributo,  e  l'ob- 
bligo alle  città  riconquistate  di  pre- 
slare  all'occorrenza  soccorso  di  mi- 
lizie: del  resto    le  città  di    Roma- 
gna   continuarono    come     libere    a 
governarsi ,    ed     a     disporre     della 
pace   e    della    guerra,    per  cui  po- 
scia   ripullularono     gli     antichi    ri- 
sentimenti   colle    città     limitrofe    e 
confinanti,    come    tra  Forlì,  Faen- 
za    e    Cesena  ,    continuando     però 
l'amicizia  della  prima  con  Ravenna. 
Non    mancarono    calamità     che 
al  principio    del    secolo  XII l  afflis- 
sero la  provincia  di  Romagna,  co- 
me del  contagioso  morbo    che  de- 
cimò le  popolazioni,  pel  flusso  con- 
tinuo   del    sangue    dal    naso.    Mo- 
mentaneo   fu  il    conquisto  di  Cer- 
via fatto    da' forlivesi  per   la  prov- 
visione de'sali,  cui  segui  la  guerra 
coi     bolognesi     e     faentini  ,    perchè 
questi    quasi  sui  confini  del  Forli- 
vese eressero  il    castello  di  Cosina, 
e  ricusarono    demolirlo,  se    prima 
Forlì  non  faceva  altrettanto  su  Ca- 
stelleone,    che    sovrastava     Faenza. 
Varie  furono    le  conseguenze  della 
guerra,  Castelleone  fu  preso  e  de- 
solato a' io  ottobre    1202,  ed    è  il 
presente  Castione;   il  fortino  di  Co- 
sina fu  spianato  dagli  stessi  bologne- 
si  disgustati    dei    faentini    per  l'ec- 
cidio di  Castelleone  fatto  senza  lo- 


FOli 
ro   intesa,  sebbene    altri    storici    at- 
tribuiscono ai    bolognesi,    che  aspi- 
ravano a  dominar  sulla  Romagna, 
il  diroccamento  di    Castelleone,  co- 
stringendo di    più  i  faentini  a  pa- 
gar mille   lire  ai   forlivesi,  non  so- 
lo   perchè     questi    si     preparavano 
a  nuovi    attacchi,   ma    per   aver  il 
vescovo  dì  Forlì    fulminato  la  sco- 
munica, essendo  il  castello  sua  dio- 
cesi ,    ove    possedeva    casa  che    so- 
vente abitava  nelle  turbolenze  del- 
la città:    per  togliere     ogni  dissen- 
sione  pure  il  castello  della    Cosina 
fu    demolito.    Dopo     la    rotta    che 
patirono  i     faentini    alla  Frattaria, 
seguì  la  pace,  restituendosi  Cervia 
ai     ravennati     correndo     il     1202, 
chiamato    l' anno   della   fame    per 
la  carestia    di    tutta   Italia.   Frutto 
della  concordia    goduta  dai  forlive- 
si   fu    la    restaurazione  delle  mura 
della    città,    edificandole  in    quelle 
parti  ch'erano,  di  bastioni  soltanto, 
e    condurre   il    canale    per    mezzo, 
della  città.    In  questo  mentre  l'im- 
peratore Ottone  IV  mandò  in  Ro- 
magna per   suo    vicario    Leonardo1 
da  Tricano    col  solo  titolo  di   con- 
te; ma  per  la  discordia  suscitatasi 
col    Pontefice    svanirono    i    disegni 
de'  ministri   imperiali.    Lunga     lite 
si  agitò    tra    il    pubblico  di    Forlì 
e  Pietro  abbate  di  s.  Mercuriale  al- 
la  presenza  di  Oddone  vescovo  di 
Cesena,  e  di  Clemente  abbate  di  s. 
Lorenzo,   giudici  apostolici,  intorno 
al  campo    dell'abbate,  oggi  piazza 
pubblica ,    ove    si    faceva    mercato. 
L'accordo  che  seguì  agli    1 1  dicem- 
bre   1 2 1 2   nel  palazzo  del  consiglio, 
fu    che  l'abbate  dovesse    concedere 
l'investitura   del  campo  alla  comu- 
nità   di    Forlì    per  cento    anni,    e 
questa  pagare  ogni  anno  nel  mese 
di    marzo    una  libbra    di    cera    al- 
l' abbate.  Inoltre  i     forlivesi    riedi- 


FOR 

ficarono  le  Caminate,  terra  nobi- 
le sui  monti  di  Forlì,  già  distrut- 
ta dagl'imperiali  quando  vi  espul- 
sero i  Belmonti  che  n'erano  i  si- 
gnori: edificarono  pure  o  amplia- 
rono Melidonio  o  Melidolo  forse 
Meldola. 

L'anno  121 3  fu  l'epoca  in  cui 
Castrocaro  fu  debellato  dai  forlivesi. 
Questo  luogo  detto  Salsubium  da 
un  vicino  fonte  di  acqua  salsa,  so- 
vrastando al  territorio  di  Forlì, 
considerandosi  qual  frontiera  ne  fu 
creduto  spediente  1'  acquisto.  I  for- 
livesi n'  erano  stati  signori  prima 
della  discesa  de'  longobardi  in  Ita- 
lio,  indi  concesso  in  feudo  ad  una 
famiglia  particolare,  trovandosi  dal- 
l' Anastasio  enumerato  tra  i  luoghi 
dati  da  Pipino  a  Stefano  III.  Alle 
censure  emanate  da  Innocenzo  III 
contro  Ottone  IV,  seguì  la  sua 
deposizione,  e  l'elezione  all'impero 
di  Federico  lì.  Non  andò  guari  che 
i  forlivesi  con  altri  collegati  guer- 
reggiarono con  Cesena .,  che  temendo 
soccombere  si  sottopose  ai  bologne- 
si, con  riceverne  il  pretore,  finché 
il  Papa  Onorio  III  tranquillò  gli 
animi.  I  forlivesi  divertirono  poscia 
il  corso  del  fiume  Montone  con 
danno  di  Faenza  ;  e  qui  nuove  dis- 
sensioni si  suscitarono,  non  senza 
spargimento  di  sangue.  Nel  1220 
fu  coronato  in  Roma  Federico  II, 
il  quale  incominciò  a  ledere  le  giu- 
risdizioni ecclesiastiche  particolar- 
mente in  Romagna,  di  cui  fece 
conti  prima  Ugolino,  poi  Golfredo 
Blanderate,  indi  Alberto  vescovo  di 
Magdeburgo,  che  minacciò  di  guer- 
ra i  bolognesi  e  faentini  che  di- 
mostravansi  alieni  dal  suo  partito; 
giacché  a  quell'  epoca  le  tremende 
fazioni  de' guelfi  e  ghibellini,  vera 
peste  d'Italia,  ripresero  vigore,  per- 
chè favoriti  i  secondi  contro  il  Pon- 


tefice  dall'Imperatore.  Ritornato  pei 
conte  di  Romagna  Blanderate,  For- 
lì, Ravenna,  ed  altre  città  si  di- 
chiararono per  Federico  II,  e  la 
prima  fornì  il  conte  di  soccorsi  a 
danno  de'  bolognesi,  opinandosi  da 
alcuni  essere  allora  Forlì  capo  di 
provincia.  Nel  i23o  l'imperatore 
si  recò  in  Romagna,  fece  il  suo  so- 
lenne ingresso  primieramente  in 
Foilì,  e  dopo  lunga  dimora  passò 
in  Ravenna,  ove  intimò  un  consi- 
glio generale  degli  oratori  e  pri- 
mati della  città,  sotto  pretesto  di 
voler  comporre  le  cose  d'  Italia.  Ma 
essendo  stato  Federico  JI  scomuni- 
cato da  Gregorio  IX  per  mancan- 
za ai  giuramenti  di  partir  per  la 
crociata  di  Palestina,  e  per  invade- 
re le  terre  della  Chiesa,  i  forlivesi 
implorarono  ed  ottennero  le  pon- 
tificie assoluzioni  dalle  censure  per 
1'  arcivescovo  di  Ravenna.  Non  com- 
parso alcuno  al  consiglio,  l' impe- 
ratore tornò  in  Germania,  lascian- 
do conte  di  Romagna  Carnesale  o 
Carnevale,  mentre  la  lega  de'  prin- 
cipi di  Lombardia  preparavasi  con- 
tro di   lui. 

Trovandosi  nel  1282  pretore  di 
Forlì  Rinaldo  di  Belmonte  signore 
delle  Caminate  e  Brisighella,  tentò 
di  farsi  signore  della  città,  ma  ven- 
ne prontamente  espulso,  ed  uccisi 
alcuni  suoi  fautori,  quindi  resi  va- 
ni gli  ulteriori  sforzi  di  Rinaldo. 
Nel  1233  Forlì  come  altre  città 
pagò  sei  mila  scudi  a  Federico  II, 
restando  così  affatto  libera,  per  al- 
tro col  semplice  annuo  tributo,  in 
segno  di  ricognizione,  di  cento  lire 
alla  camera  imperiale.  Perchè  poi 
Bologna,  Faenza,  Cesena,  ed  altri 
luoghi  di  Romagna  stavano  per  la 
parte  guelfa  divola  al  Papa,  i  for- 
livesi siccome  ghibellini  in  senato 
si  unirono  ai    ravennati,    riuiinesi, 


o.xo  FOR  FOR 
berli  noresi  ed  altri,  col  patto  di  usurpò  non  poche  terre  della  santa 
reciproco  soccorso  ed  unione  in  ca-  Sede,  il  perchè  inorgogliti  i  elu- 
so di  guerra,  e  per  sostener  l' o-  bellini,  in  ogni  luogo  prevalsero, 
nore  dell'  impero  in  Romagna.  La  come  in  Romagna,  meno  Ravenna 
momentanea  irruzione  su  Faenza,  che  soggiacque  al  guelfo  Paolo 
il  comporre  le  differenze  de'  ra-  Traversare  In  questo  tempo  i  for- 
vennati,  per  cui  i  forlivesi  furo-  livesi  avendo  assediata  Faenza,  fu- 
no  dichiarati  arbitri,  e  l'occupa-  rono  rotti  ed  imprigionati  ;  e  con- 
zione  del  castello  di  Solarolo  fu-  temporaneamente  il  cardinal  legato 
l'oiio  i  principali  avvenimenti  di  Montelonghi  prese  Ferrara,  e  de- 
Forlì dopo  il  1235,  castello  che  presse  i  partigiani  dell' imperatore, 
rilasciarono  a  mediazione  de'  bolo-  in  modo  che  la  Romagna  si  con- 
gnesi.  La  discrepanza  degli  storici,  vertì  in  guelfa,  eccetto  Forlì  in  cui 
particolarmente  patrii,  produce  non  risiedendovi  il  conte  della  provin- 
poca  contraddizione  negli  avveni-  eia,  questi  vi  conservava  l'autorità 
menti,   facendo  talvolta    vincitori   i  imperiale. 

perditori  :  così  accade  ne'  fatti  sue-  Conoscendo  Federico  II  necessa- 
cessi  tra  Faenza  e  Forlì,  nella  fre-  ria  la  sua  presenza  in  queste  par- 
quenza  delle  loro  discordie,  né  trat-  ti,  partì  coli'  esercito  ;  e  fatta  inas- 
tandosi di  erudizioni  compendiate,  sa  a  Forlì,  ove  molto  si  trattenne, 
è  facile  mostrare  la  verità  o  alme-  prese  Ravenna,  e  gli  altri  luoghi 
no  la  probabilità  dei  successi,  in  riconobbero  la  sua  autorità,  eccet- 
tui parzialità,  prevenzioni  ed  altro  tuata  Faenza  che  perciò  venne  da 
diressero  la  penna  di  non  pochi  lui  col  figlio  Corrado  assediata  da 
scrittori.  I  ravennati  coi  forlivesi,  tutte  parti,  co'  soccorsi  de'  forlivesi, 
forlimpopolesi,  e  bertinoresi  nel  Penuriando  l' imperatore  a  tale  as- 
1235  predarono  il  territorio  di  Ce-  sedio  di  moneta  ne  fece  battere  in 
sena,  ma  s' ebbero  la  peggio,  per-  Forlì  di  corame,  a  condizione  del 
che  i  cesellati  non  solo  li  scompi-  cambio  in  oro  terminata  l' impresa, 
gliarono,  ma  fecero  prigione  Sclat-  Superata  Faenza,  l' imperatore  vi 
ta  Uberti  pretore  di  Forlì,  mentre  mandò  a  governarla  i  forlivesi  Te- 
i  faentini  fecero  saccomanno  sino  baldo  Ordelaffi  per  pretore,  e  Su- 
alle  porte  di  Forlimpopoli  e  di  perbo  Orgogliosi  per  capitano  del 
Piavenna;  quindi  successero  altri  fatti  popolo,  volendo  così  premiare  For- 
d'armi  tra  i  forlivesi,  faentini  ed  altri,  lì  per  la  fedeltà,  ed  aiuti  ricevuti  ; 
con  diversa  fortuna  :  ma  il  castello  quindi  eresse  una  rocca  in  Cesena, 
delle  Caminate  fu  dai  primi  spianato,  depresse  le  altre  città,  ed  accrebbe 
in  punizione  di  Rinaldo  suo  signo-  di  dominio,  di  riputazione,  e  di 
re.  Frattanto  Gregorio  IX  senten-  privilegi  Forlì.  La  città  di  Cervia 
do  il  vituperevole  accordo  fatto  in  passò  in  dominio  de'  forlivesi,  così 
Palestina  dall'  imperatore  co'  sarà-  la  loro  giurisdizione  dal  giogo  del- 
céni,  spedì  con  gente  di  Romagna  l'Apennino,  al  dir  del  Ronoli,  si 
e  di  Lombardia  all'acquisto  per  la  estendeva  sino  all'Adriatico,  e  tut- 
Chiesa  della  Puglia,  Giovanni  di  to  il  paese  frapposto  a  detti  mon- 
Brenna  già  re  di  Gerusalemme.  Ciò  ti  ;  Matelica  e  la  via  Flaminia  tro- 
saputosi  dall'imperatore,  calò  in  vavasi  sotto  la  signoria  di  Forlì, 
Italia,    ricuperò    il    perduto,    e    si  che  di  nuovo,  col  tributo  ordinario 


FOR 

di  cento  lire,  Federico  II  aveva  di- 
chiarata libera,  per  cui  pretendono 
si  reggesse  a  governo  democratico. 
Tra  questi  luoghi  eravi  compresa 
MeldoJa,  terra  nobile  non  solo  sog- 
getta, ma  ancora  aggregata  e  fatta 
territorio  forlivese,  e  vi  durò  sino 
al  1282,  dopo  il  qual  tempo  ebbe 
a  soffrire  or  sotto  Forlì  e  suoi  prin- 
cipi, or  sotto  d'  altri  varie  vicende. 
Seguì  nel  1242  grave  questione 
in  consiglio  tra  senatori ,  ed  in 
piazza  restarono  uccisi  Nicolaccio 
Segafèni,  e  Marino  Rafhnelli.  L'an- 
no seguente  i  veneti  all'improvvi- 
so assediarono  Forlì,  ma  usciti  dal- 
le porte  gli  abitanti,  con  danno  ri- 
tiraronsi  gli  aggressori,  i  quali  po- 
scia gli  tolsero  Cervia  :  non  si  co- 
nosce qual  mira  avesse  la  repub- 
blica di  Venezia,  e  si  congettura 
che  facesse  ciò  a  persuasione  del 
legato  del  Papa,  ovvero  per  am- 
pliare il  suo  dominio,  per  cui  len- 
tamente procurava  insignorirsi  del- 
la Romagna,  potendogli  fare  osta- 
colo la  crescente  possanza  de'  for- 
livesi. 

Sconfìtto  l'imperatore  sotto  Par- 
ma, e  deposto  nel  concilio  gene- 
rale celebrato  in  Lione  da  Innocen- 
zo IV,  questi  inviò  in  Italia  il  car- 
dinal Ottaviano  Ubaldini,  il  quale 
coi  bolognesi  e  fuorusciti  guelfi 
tentò  di  ridurre  la  Romagna  al 
partito  della  Chiesa,  e  per  la  pri- 
ma s'impossessò  di  Forlì,  come 
sede  principale  de'  ghibellini,  ciò 
che  agevolò  1'  occupazione  delle  al- 
tre città  :  i  forlivesi  capitolarono 
con  onorevoli  convenzioni ,  e  rico- 
nobbero nel  1248  per  legato  del 
Papa  il  cardinale.  Restituì  questi 
i  guelfi  fuorusciti  alla  patria ,  ed 
espulse  i  più  sospetti  ghibellini  , 
praticandosi  altrettanto  nelle  altre 
città  ghibelline.    In    tale  occasione 


FOR  221 

Rinaldo  Delmonli  ricuperò  il  diru- 
to castello  delle  Cantinate.  Morto 
Federico  II  i  forlivesi  si  solleva- 
rono e  cacciarono  dopo  lunga  con- 
tesa la  parte  guelfa,  giacché  Forlì 
poteva  dirsi  allora  metropoli  dei 
ghibellini,  nò  sembra  probabile  che 
soggiacesse  al  dominio  de'  bologne- 
si, anzi  i  forlivesi  ricusarono  da  lo- 
ro il  pretore,  che  per  solito  se- 
condo l'uso  doveva  essere  stranie- 
ro, per  impedir  le  gare  fra  i  cit- 
tadini per  divenirvi.  Rensì  Rolo- 
gna  ad  eccezione  di  Forlì  e  di  Ri- 
mini, soggiogò  le  altre  città  di  R.o- 
magna.  All'esaltazione  all'impero 
di  Rodolfo  d'  Absburgo  ,  nel  con- 
fermare alla  satita  Sede  le  sue  pos- 
sessioni, vi  comprese  la  Romagna, 
ma  non  perciò  gl'irrequieti  ghibel- 
lini si  quietarono,  che  in  Rologna 
erano  capitanati  dai  Lambertazzi 
amici  de'  forlivesi,  mentre  capi  dei 
guelfi  bolognesi  erano  i  potenti  Ge- 
remei.  Questi  volendo  togliere  ai 
ghibellini  di  Romagna  i  forlivesi 
debilitandone  le  forze,  s'adoprarono 
in  senato  perchè  gli  fosse  spedito 
contro  un  esercito,  e  col  carroccio 
portaronsi  ad  assediar  la  città,  che 
trovarono  ben  difesa  da  Guido  da 
Montefeltro,  perchè  i  forlivesi  dai 
loro  amici  avevano  penetrato  la 
tempesta  che  gli  sovrastava;  laon- 
de con  qualche  perdita  dovettero 
ritirarsi  i  bolognesi.  Nel  1273  giun- 
se in  Forlì  Odoardo  re  d' Inghil- 
terra di  ritorno  dalla  sagra  spedi- 
zione di  Terra  Santa,  ed  infruttuo- 
samente s' interpose  a  pacificare  i 
Geremei  coi  Lambertazzi.  Tutla- 
volta  Guido  da  Montefeltro  mar- 
ciò su  Faenza,  la  prese  in  un  a 
Solarolo  ov'  eransi  ritirati  i  Man- 
fredi, e  fece  molti  prigioni. 

Intanto   i  Geremei    provocarono 
una  seconda  spedizione  contro  Forlì, 


222  FOB 

quando  sul  punto  di  partire  il  car- 
roccio, la  fazione  contraria  con 
molti  forlivesi  si  cacciarono  sugli 
emoli,  e  seguirono  gravi  zuffe,  lin- 
cile giunta  a  Bologna  grossa  mano 
di  guelfi  lombardi  ,  i  principali 
Lambertazzi  colle  loro  famiglie  fu- 
rono discacciati,  che  accolti  in  For- 
lì molti  di  essi  vi  si  fermarono. 
Allora  Bologna  regolata  interamen- 
te dai  Geremei  decretò  la  rovina 
di  Forlì,  la  cui  potenza  sempre 
bramò  deprimere,  congiungendo  al- 
le sue  forze  quelle  di  Bavenna,  di 
Cesena,  d'Imola,  e  de'  fuoruscili 
guelfi  di  Lombardia  ed  altre  parti, 
sotto  il  comando  di  Malatesta  Ma- 
latesti  di  Bimini.  A  tanto  appara- 
to i  forlivesi  fecero  i  maggiori  sfor- 
zi e  continuando  a  tenere  assolda- 
to il  prode  Guido,  caldo  ghibellino, 
gli  associarono  molti  periti  capi- 
tani, non  che  Superbo  Orgogliosi  e 
Teodorico  Ordelalii  forlivesi.  Oltre 
il  ponte  di  s.  Procolo  nel  1275 
seguì  l' asprissima  mischia,  in  cui 
la  vittoria  si  dichiarò  pei  forlivesi, 
che  tagliarono  a  pezzi  ottomila 
nemici,  s'impadronirono  di  tremila 
carri  di  bagagli  e  munizioni,  e  del 
gonfalone,  la  cui  asta  per  molto 
tempo  fu  conservata  in  s.  Giaco- 
mo poi  chiesa  di  s.  Domenico.  Il 
carroccio  sul  quale  salì  Montefel- 
tro,  fu  fatto  tirare  da  cinquecento 
prigioni,  e  condurre  a  Forlì,  con 
quella  pompa  militare  che  vedesi 
dipinta  nella  sala  del  general  con- 
siglio. Becatisi  poi  i  forlivesi  sul 
territorio  di  Bologna,  saccheggia- 
rono alcune  ville,  ed  occuparono 
molte  castella  ;  incendiarono  Castel 
s.  Pietro,  e  riconquistarono  Cervia 
e  la  sua  rocca.  Indi  si  mossero  a 
danno  di  Cesena  soggetta  ed  allea- 
ta de' bolognesi,  s'insignorirono  del 
castello  di    Bovcrsano,   e  sbaraglia- 


FOB 

rono  compiutamente  il  nemico ,  il 
perchè  Cesena  aprì  le  porte  ai  fol- 
li vesi,  giurò  fedeltà  ed  obbedienza, 
ricevendo  in  governatori  l'Ordelaf- 
fi  e  l'Orgogliosi.  Non  restava  al 
partito  guelfo  di  Bologna  che  Ra- 
venna, al  soccorso  della  quale  mar- 
ciarono i  Geremei,  ed  anco  per  te- 
nerla nella  divozione  de' bolognesi. 
Frattanto  i  forlivesi  assediarono 
Bagnacavallo,  ed  edificarono  Coti- 
gnola,  per  assicurare  da  quella  par- 
te il  territorio  faentino,  e  porre  in 
maggiori  angustie  detta  terra.  Nar- 
ra il  Bonoli  che  gli  fu  dato  il  no- 
me di  Cotignola  perchè  i  nuovi 
abitanti  furono  tolti  da  Forlì  dal 
borgo  di  Cotogni  o  Gotogni ,  tal- 
ché Cotignola  divenne  colonia  di 
forlivesi  :  questa  terra  produttrice 
d'uomini  segnalati  die  i  natali  a 
Sfor/a  Atlendolo,  da  cui  derivò  la 
polente  e  nobilissima  casa  Sforza  , 
che  trasse  origine  da  un  ramo  dei 
Calboli  forlivesi  colà  mandato.  Ma 
su  Cotignola,  e  sulla  più  antica  sua 
edificazione,  va  letto  quanto  dicem- 
mo al  volume  XXII,  pag.  299  e  seg. 
del   Dizionario. 

Bagnacavallo  non  potendo  soste- 
nere l'assedio  si  die  ai  forlivesi,  che 
furono  puniti  coli'  interdetto  da 
Bonifacio  arcivescovo  di  Bavenna, 
perchè  Bagnacavallo  era  raccoman- 
data a  quella  chiesa.  Frattanto  i 
fiorentini  raccolto  numeroso  eser- 
cito guelfo,  ne  dierono  la  direzio- 
ne a  Guido  Selvatico  conte  di  Bo- 
mena,  che  attaccò  lo  stato  forlive- 
se dalla  parte  del  confine ,  impa- 
dronendosi di  parecchi  castelli,  i 
cui  signori  feudali  erano  guelfi 
fuorusciti.  Ma  il  senato  forlivese 
spedì  a  quella  volta  1'  esercito ,  e 
non  lungi  da  Civitella  di  tanto  im- 
peto venne  assalito  il  campo  ne- 
mico, che  dopo  poche  ore  di  coni- 


FOR 

battimento,  con  propizia  sorte  dis- 
siparono e  ruppero;  quindi  all'au- 
ra della  vittoria  agevole  fu  il  ri- 
cupero delle  castella,  come  l'ac- 
quisto di  alcuni  luoghi  di  dominio 
fiorentino.  Seguirono  altri  fatti  d'ar- 
mi, tra'  quali  fu  arso  e  spianato 
Calboli,  castello  poscia  dai  suoi  si- 
gnori riedificato  nel  pontificato  di 
Martino  IV,  come  famiglia  poten- 
te fatta  ricca  di  privilegi  dall'im- 
peratore Ottone  III,  ed  in  Forlì 
capi  della  fazione  guelfa.  In  vista 
di  avvenimenti  sì  prosperi,  resa  a 
tutti  formidabile  la  potenza  de'fòr- 
livesi ,  Ravenna  e  Rimini  a  loro 
sicurezza  e  quiete  pensarono  strin- 
gere secolei  amicizia  e  confedera- 
zione, e  già  l'arcivescovo  Bonifacio 
avea  sciolti  dalle  censure  i  mede- 
simi forlivesi.  Allora  i  bolognesi 
implorarono  il  soccorso  del  Pon- 
tefice ìNicolo  III,  che  inviò  loro  il 
nipote  Bertoldo  Orsini,  il  quale 
rappresentando  il  padre  comune, 
con  molto  zelo  conchiuse  la  pace 
fra  i  guelfi  e  ghibellini  di  Bolo- 
gna. Dopo  la  morte  del  Papa  si 
riaccesero  le  discordie,  e  i  ghibel- 
lini bolognesi  cacciali  rifugiati  ven- 
nero dai  forlivesi  in  Faenza,  ma 
poscia  per  diverse  cagioni  stacca- 
rono questa  città  alla  divozione 
di  Forlì,  che  spedì  il  generale  Mon- 
tefellro  a  saccheggiarne  il  territo- 
rio, quindi  fece  altrettanto  su  quel 
di  Ravenna,  ch'era  divenuta  l'asilo 
de'  guelfi  e  de'  ribelli  di  Forlì , 
anzi  udita  la  sedizione  di  Faenza 
avea  danneggiato  i  confini  dello 
stalo  forlivese. 

Vedendosi  i  ravennati  impotenti 
a  sostenersi  contro  Forlì,  dopo  va- 
rie conferenze  cogli  oratori  de'Ge- 
remei,  dei  3Ialatesta  ed  altri  guel- 
fi, e  più  di  tulli  co'  faentini  che 
temevano  un  nuovo  assedio  dai  for- 


FOR  11$ 

livesi,  cooperarono  presso  il  nuovo 
Pontefice  Martino  IV  di  nazione 
francese,  a  far  sì  che  i  fuorusciti 
come  perturbatori  fossero  totalmen- 
te sterminati,  che  si  dovesse  umi- 
liar il  soverchio  potere  de'  forlive- 
si, che  spettando  le  città  circostanti 
per  antiche  ragioni  alla  romana 
Chiesa,  non  doversi  i  suoi  nemici 
proteggere  da  Forlì  ,  e  che  sog- 
giogati i  forlivesi,  gli  altri  ghibel- 
lini venivano  ad  un  tempo  doma- 
ti. Il  Papa  pertanto  bramoso  di 
riprendere  le  antiche  giurisdizioni 
di  santa  Chiesa  (  che  i  forlivesi  im- 
pugnavano riconoscendo  solo  l'im- 
pero a  superiore,  né  valutando  le 
confermate  donazioni  di  Rodolfo 
siccome  non  coronato  in  Roma  per 
mano  del  Papa  ) ,  e  cedendo  ai 
guelfi  s'  indispose  contro  i  ghibel- 
lini, intimò  guerra  a  Forlì,  che  a 
mezzo  de'  suoi  ambasciatori,  lungi 
dal  prendere  perniciose  brighe  col- 
la Chiesa,  voleva  discendere  ad  o- 
neste  condizioni.  Gli  emuli  de'  for- 
livesi impedirono  che  gli  oratori 
in  Orvieto  potessero  eseguir  col 
Papa  la  loro  missione  ;  in  vece 
nel  pontifìcio  nome  fu  fatto  loro 
intendere,  che  se  Forlì  voleva  pa- 
ce cacciasse  i  bolognesi  Lambertaz- 
zi,  e  non  convenire  al  Papa  pegh 
antichi  diritti  che  avea  su  Forlì  e 
suo  stato,  capitolar  coi  sudditi. 
Provarono  i  forlivesi  inviare  a  Mar- 
tino IV  altra  ambasceria  compo- 
sta di  ragguardevoli  personaggi,  al- 
meno per  assegnar  alcun  luogo  ni 
Lambertazzi  per  loro  rifugio,  ma 
dalla  fazione  contraria,  alla  cui  te- 
sta era  Carlo  I  d'Angiò  re  di  Si- 
cilia, non  fu  permesso  avvicinar  il 
Papa,  per  cui  i  forlivesi  si  prepa- 
rarono alla  guerra.  Teneva  Mar- 
tino IV  preparalo  un  ordinario 
esercito,  in  cui    primeggiavano    ot- 


2^4  F0R 

tocento  nobili  ed  agguerriti  fran- 
cesi; dichiarò  generale  e  conte,  os- 
sia presidente  di  Romagna  Guido 
d' Appia ,  che  altri  erroneamente 
chiamano  Giovanni  di  Pa  o  di  A- 
pia,  uno  de'  primi  capitani  di  Fran- 
cia, ed  a  cui  il  Pontefice  avea 
dato  in  moglie  una  nipote:  due 
furono  i  valorosi  capitani  pontifi- 
cii di  cognome  Appia ,  il  primo 
Guido ,  il  secondo  Giovanni  ,  ciò 
die  motivo  che  alcuni  dissero  es- 
sersi Guido  chiamato  anche  Gio- 
vanni. 

Guido  per  Firenze  portossi  a 
Bologna  coli' esercito,  spesato  per 
la  più  parte  da  Filippo  III  re  di 
Francia ,  che  ivi  s'  ingrossò  colle 
truppe  de'  bolognesi,  imolesi,  faen- 
tini, ravennati,  perugini,  de' Mala- 
testa,  e  del  marchese  Obizzo  d'E- 
ste,  il  quale  mandò  mille  fanti  fer- 
raresi, guidati  da  Ciaccolo  Ciacco- 
li :  tra  i  prodi  capitani  figurava 
anche  Taddeo  Novello  Montefeltri, 
cugino  del  conte  Guido  generale 
de'  forlivesi ,  ma  di  lui  nemico. 
Dalla  città  di  Forlì  si  allestirono 
que'  preparamenti  che  si  potè  mag- 
giori, per  affrontare  sì  temuto  e- 
sercito.  L' Appia  nel  1281  si  avan- 
zò all'assedio  della  città,  incomin- 
ciando dalla  porta  di  s.  Valeriano, 
il  cui  borgo  fu  dai  francesi  incen- 
diato ;  ma  i  forlivesi  attaccando  di 
fianco  i  papalini,  dopo  lungo  con- 
trasto ,  con  grave  loro  perdita  li 
costrinsero  alla  ritirata.  Pieni  i  for- 
livesi di  contento  per  la  vittoria, 
la  porta  di  s.  Valeriano  fu  poi 
nomata  della  Rotta.  Vedendo  l'Ap- 
pia  la  difficoltà  di  prendere  Forlì 
con  assedio  e  di  forza ,  intese  ad 
averla  per  fame;  laonde  nel  se- 
guente anno  1282  ne  saccheggiò 
il  distretto,  e  pose  vari  presidii  ad 
impedire  l'ingresso  alle  vettovaglie, 


FOR 

né  lasciò  di  profittare  dell'  interne 
corrispondenze  de' guelfi,  che  disco- 
perti, furono  puniti  con  inusitato 
supplizio.  Quindi  divise  l'Appia  l'e- 
sercito in  due  campi ,  ne  piantò 
uno  a  s.  Martino,  l' altro  alla  Ro- 
vere presso  i  prati  del  Cassirano. 
Intanto  Guido  da  Montefeltri  ge- 
nerale de'  forlivesi,  dopo  una  gio- 
stra bellissima  rappresentata  il  gior- 
no di  s.  Mercuriale,  con  la  com- 
parsa di  trecento  forlivesi  a  ca- 
vallo riccamente  abbigliati,  profit- 
tando del  buono  spirito  ch'era  nei 
suoi ,  che  fidavano  ne'  favorevoli 
prognostici  loro  dichiarati  da  Gui- 
do Bonatti,  volle  provarsi  a  tentar 
fortuna,  e  liberar  la  città  già  ves- 
sata dalla  fame.  Nel  dì  primo  mag- 
gio Guido  fece  generale  rassegna  , 
animò  il  popolo  e  l'esercito  a  spe- 
rar bene,  e  riflettendo  non  potersi 
superare  un  nemico  con  forze  co- 
tanto maggiori,  senza  qualche  stra- 
tagemma, lasciando  in  aguato  par- 
te de'  suoi  presso  le  mura,  fece  spa- 
lancar le  porte  dal  canto  di  mezzo- 
giorno, e  per  quelle  munite  di  s. 
Biagio  e  di  s.  Pietro,  in  atto  di 
fuga  portossi  sull'alba  ad  assalir  il 
campo  alla  Rovere,  eh'  era  sepolto 
nel  sonno.  Quelli  del  campo  s. 
Martino  avvedendosi  delle  due 
porte  abbandonate  ne  dierono  av- 
viso all' Appia  dicendo  che  il  conte 
era  fuggito.  Senza  perder  tempo 
l'Appia  mosse  il  campo,  e  perven- 
ne a  Forlì,  nel  tempo  stesso  che 
il  conte  attaccava  l'altro  campo.  1 
capitano  francese  dubitando  di  qual- 
che inganno,  fece  occupare  la  por- 
la Ravaldino,  e  far  alcune  esplo- 
razioni, quindi  determinossi  all'in- 
gresso ,  abbandonandosi  i  francesi 
al  saccheggio  ed  alla  crapula ,  in 
cui  furono  imitati  dagl'italiani,  tra- 
cannando a  gara    il     vino.    Stando 


FOR  FOR                   2^5 

il  Bonatti  vigilante,  vedendo  il  tem-  benedire,  appellata  perciò  volgar- 
po  opportuno,  die  il  segno  conve-  mente  la  Crocetta,  che  descrive  il 
nulo  all'agnato,  suonando  a  mar-  succitato  Giuliano  Becci.  Colle  spo- 
tello  la  campana  maggiore  su  la  glie  de'  francesi  fu  acquistato  un 
torre  di  s.  Mercuriale  Allora  i  na-  podere,  col  frutto  del  quale  ogni 
scosti  si  gettarono  con  impeto  sugli  settimana  a  loro  suffragio  si  cre- 
sparsi francesi,  ed  aiutati  persino  brava  una  messa  ;  quando  poi  nel 
dalle  donne  ne  uccisero  molti.  1616  alla  cappelletla  fu  sostituita 
In  tal  frangente  l'Appia  con  una  la  colonna  marmorea  di  cui  par- 
scelta  mano  de'più  intrepidi,  fecesi  lammo,  il  pio  legato  venne  sod- 
forte  in  piazza,  uccise  duemila  for-  disfatto  dai  vallombrosani.  Gli  sto- 
livesi,  per  cui  gli  altri  erano  per  rici  attribuiscono  gran  parte  del- 
darri  alla  fuga,  quando  giunse  il  l'onore  delle  due  memorabili  vit- 
conte  Montefeltri  vincitore  del  cam-  torie,  una  in  città,  l'altra  fuori,  ai 
pò  alla  Rovere,  quindi  inasprita  consigli  del  gran  filosofo  ed  astro- 
la  zuffa,  questa  durò  tutto  il  gior-  logo  Guido  Bonatti  che  pur  fanno 
no,  e  gran  parte  della  notte,  coin-  forlivese;  il  Bonatti  col  Montefel- 
battendo  in  confusione  per  le  pinz-  tri  si  fecero  religiosi  di  s.  France- 
se e  per  le  vie,  su  cui  i  vecchi  e  sco,  e  l'eredità  dei  discendenti  del 
le  donne  scagliavano  sassi  e  tego-  primo  pervenne  alla  romana  fa- 
le.  con  orrendo  danno  de'  nemici,  miglia  Rondoni,  per  essersi  ad  uno 
che  cedendo  a  tante  forze  unite,  di  loro  impalmata  la  superstite  Bo- 
furono  quasi  tutti  tagliati  a  pezzi,  natti.  Immensi  poi  sono  gli  elogi 
fra'  quali  Guido  Appia,  e  Taddeo  che  furono  tributali  alla  sagacità, 
Montefeltri.  11  numero  de'  morti  antiveggenza  e  prodezza  di  Guido 
d'ambe  le  parli  ascese  a  dieciotto-  da  Montefeltro,  il  quale  è  altamente 
mila.  In  tal  modo  il  Bonoli  narra  encomiato  da  Dante  nella  Divina 
il  fatto  d'armi  tra  Guido  da  Mon-  Commedia,  dall'Ariosto,  e  da  altri, 
tefeltro,  e  Giovanni  d'Appia;  ma  Udita  eh'  ebbe  Martino  IV  la 
sulla  più  esatta  veridicità  può  con-  strage  de' suoi ,  ordinò  nuova  re- 
sultarsi la  descrizione  che  ne  pub-  colta  di  genti ,  e  spedì  s.  Filippo 
blicarono  i  fratelli  Mamiani  di  Pe-  Benizzi  generale  de' serviti  a  predi- 
saro  prima  del  i83o,  coi  tipi  del  care  ai  forlivesi  l'ubbidienza;  però 
]NTobili,  tratta  dalle  cronache  di  Gui-  non  ebbe  ascolto  ,  e  fu  cacciato 
do  Bonalti  (nel  qual  fatto  d'armi  fuori  delle  mura  da  cento  giovani, 
vi  ebbe  grandissima  parte)  e  ridotto  tra  i  quali  era  Pellegrino  Laziosi, 
a  buona  lezione  dal  rinomatissimo  uno  de'  nobili  principali  del  paese, 
Bernardino  Baldi.  Viveva  a  quest'e-  il  quale  poi  pentito  di  tale  eccesso, 
poca  in  Forlì  il  b.  Giacomo  Sa-  vestì  l'abito  de' serviti ,  e  meritò 
lomoni  domenicano  veneto,  al  cui  d'essere  solennemente  canonizzato 
suggerimento  i  forlivesi  eressero  per  santo  da  Benedetto  XIII.  Quin- 
in  mezzo  alla  piazza  maggiore,  in  di  il  Papa  dichiarò  Giovanni  d'Ap- 
cui  erano  stali  seppelliti  molti  dei  pia  generale  dell'esercito,  che  fu 
francesi  uccisi,  una  cnppelletta,  sul  ingrossato  colle  truppe  del  re  Car- 
cui  altare  era  una  croce  sostenuta  lo  I,  e  con  tremila  fanti  de'bologne- 
da  un  leone  scolpito  in  marmo,  e  si,  oltre  gli  aiuti  di  Ravenna,  Faen- 
nel  mezzo  una  mano  in  atto  di  r.a  e  delle  altre  città  guelfe.  Di 
voi.   xxv.  i5 


226  FOR 

primo  arrivo  Giovanni  scorse  da 
tutte  le  parti  il  territorio  forlive- 
se, dando  il  guasto  all'imminente 
raccolto  per  affamare  al  più  presto 
la  piazza  ,  e  sovente  occupando 
qualche  castello  vicino,  sebbene  i 
forlivesi  uscissero  spesso  a  scaramuc- 
ciare, non  senza  riportare  de'  van- 
taggi, coli' uccisione  di  persone  di- 
stinte. Indi  Giovanni  sloggiando  il 
presidio  di  Cervia,  avendo  corrot- 
ti i  difensori  con  sedicimila  fiorini 
d'oro ,  se  ne  impadronì.  Laonde  i 
forlivesi  stanchi,  e  mal  ridotti  dal- 
la fame,  dalla  nuova  guerra,  e  da 
tanti  nemici  sovrastanti  all'intorno, 
allettati  dalle  lusinghe  de'  pontifi- 
cii,  determinarono  arrendersi  con 
patti  onorevoli,  salvo  le  persone  e 
gli  averi,  consegnata  la  terra  di 
Meldola  ai  fuorusciti  ed  al  Monte- 
feltri.  Con  Forlì  acquistatosi  dal 
conte  Giovanni  anche  il  suo  stato, 
esiliò  i  principali  ghibellini,  rimet- 
tendo all'opposto i  guelfi  fuorusciti, 
e  poscia  assediò  que'  ghibellini  che 
erano  in  Meldola,  dopo  aver  scam- 
pato grave  pericolo.  Lieto  Marti- 
no IV  per  tali  successi,  mandò  in 
Romagna  il  cardinal  Girolamo  ve- 
scovo di  Palestrina,  ed  il  cardinal 
Giacomo  Colonna ,  per  comando 
de'  quali,  e  secondo  gli  ordini  del 
Pontefice,  furono  spianate  le  mu- 
ra, e  riempiute  le  fosse  della  città  di 
Forlì  in  castigo  dell'  uccisione  di 
Guido  Appia ,  e  privata  di  molte 
giurisdizioni  e  castella.  Continuan- 
do Giovanni  l'assedio  di  Meldola, 
costrusse  a  ricovero  de'  suoi  solda- 
ti un  fortino ,  che  dal  suo  cogno- 
me fu  chiamato  Pietra  d'Appio  , 
ridotto  poi  a  castello  della  giuris- 
dizione di  Forlì.  Guido  di  Monte- 
feltro  dopo  lunga  resistenza  si  ar- 
rese, ed  umiliato  a'  piedi  del  Papa 
n'ebbe  il  perdono,  mentre  i  fupr- 


FOR 
usciti    furono    esiliati  dalla  Roma- 
gna ,   ma    la   provincia   non    restò 
perciò  tranquilla. 

Avvezze  le  citta   romagnole,  ed 
in  ispecie  Forlì,  a  comandare,  mal 
soffrivano  il  dispotismo  dell'Appia, 
che  col    cardinal  vescovo  di  Porto 
legato  in  tutto  s'intrigava,  e  dispo- 
neva a  capriccio   delle  cose,  men- 
tre per  lo  avanti  la  provincia  non 
era    tenuta    che  ad   alcuni   piccoli 
tributi ,  ed  a  somministrare  se  ri- 
chiesta   un   contingente    di  milizie. 
Conseguenza  di  che  furono  violen- 
ti avvenimenti.  Malatesta  da  Rimi- 
ni   quantunque    guelfo    diede     pel 
primo   il    segnale    al    sollevamento 
de' popoli  contro  l'Appia.  Già  i  for- 
livesi incominciavano   ad  ammuti- 
narsi, solo  trattenuti  dalle  domesti- 
che discordie,  e  lo  stesso  dicasi  dei 
faentini;    laonde   trasferitosi    Mala- 
testa   a  Forlì,   riconciliò  gli  Orgo- 
gliosi ed  Ordelaffi  coi  Calboli,  quel- 
li   ghibellini,  e    questi  guelfi ,  tut- 
te famiglie  assai  ragguardevoli.  An 
che  l' arcivescovo    di    Ravenna  era 
malcontento,  perchè  dovette  con 
gnar  all'Appia  le  ricuperate  caste 
la  di  sua  giurisdizione;  si  era  com 
posto  co'  forlivesi,  e  li  aveva  assol 
dalle   censure   pe'  danni     recati 
Tudorano,   con    ricevere    novem 
lire    di    compenso.    Agli    accennati 
motivi  di  disgusto  si  aggiunse  l'im 
posizione   di    nuove   gabelle ,    ond 
la  provincia  in  gran   parte  diven 
tumultuante.    Sapendo   l' Appia    l 
mene  del  Malatesta,  lo  assalì  me 
tre  tornava  a  Rimini,   fece  prigi 
ne  Giovanni  Malatesta,  indi  sott 
pose  a  processura  e  condanne  i  fo: 
livesi  e  faentini  più  caldi.  Martin 
IV  in  sostenimento  di  sua  autori 
tà  inviò  in  Romagna   considerabi 
presidio  francese,  sotto  la  condott 
di  Guido  da  Manforte;    venne   ri 


ira 

I 

m- 

ila 


FOR 
s  cai  tato  il  Malatesta,  i  faentini  e 
ferii vesi  dierono  cauzione,  l'Appia 
si  condusse  con  maggiore  pruden- 
za, ed  il  lutto  restò  pacificato.  Se 
non  clic  morto  nel  1285  Martino 
IV,  l'Appia  partì,  restando  al  co- 
mando di  tutto  il  cardinale  legalo 
•vescovo  di  Porto  ,  che  pel  primo 
impose  alla  provincia  un  tributo , 
per  pagar  le  truppe  di  presidio. 
Onorio  IV  espulse  di  Romagna  il 
Montefellri  che  indisponeva  i  po- 
poli, e  benevolo  con  Forlì.,  gli  die 
per  insegna  quella  della  romana 
Chiesa,  e  nel  1286  spedì  a  gover- 
natore, rettore  o  conte  della  pro- 
vincia Guglielmo  Durando  sommo 
legista,  ch'ebbe  nella  sede  -vacante 
in  successore  Pietro  di  Stefano,  che 
si  mostrò  severo  co'Polenlani  e  Ma- 
latesta.  Nicolò  IV  promosse  al  go- 
verno della  provincia  prima  Er- 
manno Monaldeschi,  e  poi  Stefano 
Colonna ,  in  compagnia  di  Pietro 
Saraceno  vescovo  di  Vicenza,  le- 
gato e  superiore  negli  affari  eccle- 
siastici e  spirituali.  Il  nuovo  conte 
convocò  in  F01T1  la  dieta  di  pro- 
vincia, e  ricevette  dagli  oratori  del- 
le città  de'  luoghi  al  suo  governo 
soggetti ,  il  giuramento  solito  di 
fedeltà. 

Stefano  rimise  i  Malatesta  in  Ri- 
mini ,  ma  volendo  toglier  la  rocca 
di  Ravenna  ai  Polentoni ,  per  far- 
la custodire  ai  ministri  pontifìcii,  ai 
16  novembre  1230  fu  imprigiona- 
to colla  famiglia,  e  gravi  tumulti 
seguirono.  I  Malatesta  insignoriron- 
si  di  Rimini,  i  Calboli  sebbene  per 
lo  innanzi  parziali  alla  Chiesa  can- 
giarono partito,  ed  il  vescovo  Pie- 
tro d'ordine  del  Papa  pubblicò  in 
Forlì  la  crociala  contro  i  contu- 
maci e  nemici  della  Chiesa.  Ma  ai 
20  dicembre  con  pena  potè  salvar- 
si colla  fuga,  quando  i   faentini ,  i 


FOR  227 

ravennati    e    i   riminesi,  d'accordo 
coi  malcontenti  di  Forlì,  s'introdus- 
sero nella  città,  che  elesse  in  pre- 
tore Guido  Polentani,   poi  Mainar- 
do  di  Susinana  già  pretore  di  Faen- 
za. Udite  Nicolò  IV  sì  fatte  rivolu- 
zioni ed  eccessi ,   spedì   Ildebrando 
o  Aldobrandino  vescovo  di  Arezzo, 
che  Mainardo  accorto  ghibellino  ri- 
cevè con  onore  in  Castrocaro,  e  gli 
donò  il  castello  di  Baccanano  per 
disarmarne  lo  sdegno,  ed  averlo  fa- 
vorevole. Le  stesse  affettuose  acco- 
glienze Ildebrando  ricevè  dal  rima- 
nente della  provincia ,   ed  in  F01T1 
fu  accollo  con  regia  magnificenza, 
ove  pubblicata  la  consueta  adunan- 
za, intervennero  gli  ambasciatori  di 
tutte  le  città,  tranne  Ravenna.  Il- 
debrando promettendo  proscioglie- 
re   i    Polentani    delle    pene   spiri- 
tuali e  temporali,  ottenne  oltre  la 
scarcerazione  del  conte,  il  compen- 
so a  questi  di  tremila  fiorini.  Ste- 
fano   Colonna    e  la  famiglia  a'  24 
gennaio  1291  furono  rilasciati.  Indi 
Ildebrando  intimò  un'altra  dieta  in 
Forlì,  in  cui  rese  ostensibili  le  pon- 
tificie patenti   di  sua  potestà ,  e  si 
convenne  dagli  oratori  a  nome  del- 
le città  di  estrarre   dalla  provincia 
ventimila    fiorini    per  la   paga    dei 
soldati,  guardia  del  conte  ed  altre 
spese  ;  nello  stesso  tempo  Ildebran- 
do   vietò   alle   città   d' imporre  tri- 
buti, acciò  prive  di  danaro  non  po- 
tessero assoldar  gente,  e  sollevarsi. 
Dipoi  Ildebrando  conciliò  in  Imola 
i   Nordilii  cogli  Alidosii,  alcuni    dei 
quali  stabilironsi  in  Forlì,  da  dove 
passarono    a    Siena.    Di    ritorno    a 
Forlì  Ildebrando  dissimulò  l'affron- 
to fattogli  da  Mainardo ,  nel  chiu- 
dergli in  faccia  le  porte  di  Faenza. 
Morto  Nicolò  IV  i  Polentani  e  Mai- 
nardo  costrinsero  Ildebrando  a  fug- 
gir colla  parte  guelfa  in  Cesena,  che 


»9Ò                    FOR  FOR 
subito  assediarono,  dopo  aver  im-  tuale,  non  che  conte  nel   fempora- 
prigionato    il  di    lui    fratello    conte  le,  Pietro  arcivescovo,  il  quale  ben 
Aghinolfo    di    nomena  :     Malatesta  diverso    dai    precedenti,    colle    «ne 
consigliò    Ildebrando   a  ritirarsi    in  maniere    nella    sessione    provinciale 
Castrocaro  come  luogo  più  sicuro,  tenuta  in   Imola   a'   io  aprile  no5 
e  questi  qual    conte  e  legato  della  pacificò  i  Manfredi  con  Mainardo   e 
provincia  colpì  di  scomunica  i  coni-  gli   altri  ghibellini,   rimettendoli   in 
plici  di   tante  sedizioni,    non  che  i  Faenza;   a  Guido   Montefeltri  ginn- 
bolognesi  per   aver  occupata   Imola  to  a  Forlì,  restituì  i  beni  confisca* 
ed  espulsi   gli  Alidosii,  sebbene  poi  ti  al   tempo  di  Onorio  IV.   Ciò  non 
placato  gliela  concesse.  Quindi  segui-  pertanto  Pietro  fu  accusato  al   Pa- 
rano multe  e  bandi   della  vita  con-  pa  di   favorir  i  ghibellini,  e  perciò 
tro  i   principali  ribelli.  gli     successe    Guglielmo    Durando, 
Inutilmente   s'intromisero    i   ho-  stato  altra    volta    conte    di  Roma- 
lognesi    colle  città  ,    siccome    quelli  gna,  il  quale   trovò  i  guelfi  avvili- 
che   aspiravano  al  dominio  di    no-  ti,  e  i  ghibellini  ovunque   baldan- 
magna;  soltanto  i  forlivesi   elessero  zosi   per  la  presenza  di   Montefeltri, 
nell'agosto  1292  a  pretore  per  sei  per  lo  più  dimorante  in  Forlì,  che 
mesi  il  cardinale  Napoleone  Orsini,  teneva  in  conto  di  patria.   Gugliel- 
che    abitava    in    casa    del     pretore  mo  intimò  il  congresso    di   provini 
Bandino  Conteguidi,  conte  di  Mo-  eia    in    Cesena,    dove    riconosciuto 
digliana.   Faenza  si   fortificò,  e  coi  ministro  del   Papa,    poscia  si  con- 
popoli circostanti  pose  in  armi  tren-  dusse  alla  solila  residenza  in  Forlì. 
tamila   fanti  e  mille  cavalli,  venen-  Qual  conte    di    Bomagna    era    pur 
do  considerata  qual  frontiera  di  no-  marchese  della  Marca,  come  i  pre- 
magna, e  facile  ad  essere  attaccata  decessori;   laonde   nel  portarsi  a  vi 
dai   bolognesi  :  fu  fatto  generalissi-  sitare  la  seconda,  lasciò  qui  in  si 
mo  il  pretore  Bandino,    ma   i   bo-  vece  Guido  vescovo  di  Pavia.  Que 
lognesi   non    fecero    alcuna    mossa,  sii  ricevè  ordine  di  rivocare  i  bei 
In  Forlì    ebbe    luogo    la  riconcilia-  al  Montefeltri,    e  di    togliere    a   li 
zione  con   Ildebrando,  giacché  i  col-  ed  a  qualunque  di  sua  famiglia 
legati  non  desideravano  l'espulsione  dignità    e    magistrature    che     nell 
dei  ministri  pontificii,  ma  solo  di  limi-  provincia    esercitavano.    Ciò    bast? 
farne  la  preponderanza  ;  ma  azzuf-  per  suscitar  nuove  turbolenze  e  ri 
fati  gli  Orgogliosi  e  i  Calboli_,  que-  voluzioni,    come    a  provocare    alla 
sti   vennero  cacciati.   Il  Papa  s.Ce-  scoperta    nuove  confederazioni    dei 
lestino  V  rimosso   Ildebrando,  nel-  ghibellini     d'ogni     luogo;  anzi    a- 
l' ottobre  1294  dichiarò  conte  del-  vendo    in    non    cale  i  bandi    e    le 
la  provincia  noberto  Gernaio:  que-  censure,  per  rendersi   più.  formida- 
sti  si  portò  a  Forlì,   poi   a  Faenza  bili  trassero  al  loro  partito  il  mas 
ed   Imola  ove  destinò  la  provincia-  cliese  d'  Este,  che  aspirava  alla  si- 
le    adunanza  ;    ma    perchè    esigeva  gnoria    di    Bologna.    Quindi    nella 
che  il  Pontefice  fosse  libero  nel  do-  dieta  generale  tenuta  in  Argenta,  i 
minio  della  provincia,  la  Bomagna  forlivesi  e  soci  per  compiacere  all'E- 
passò  in    aperta  sedizione.  Divcnu-  stense  si   offrirono   a   procurar  che 
to  Papa  Bonifacio  Vili  costituì  nuo-  Imola  si  togliesse  ai  bolognesi,  e  fo*- 
to   rettore  e    vicario   per   lo  spiri-  sero  iLambertazzi  ritornati  in  patria. 


FOR 

Venuto    Durando    in  cognizione 
di   tanti   maneggi,  ne  fece  avvertiti 
i  bolognesi ,  che  non    seppero  gio- 
varsene ,    perdendo    Imola    mentre 
Durando  pubblicò  rigoroso  proces- 
so, in  cui   comprese  i  principali  for- 
livesi, e  quelli  delle  altre  città  fe- 
derate, alcuni    de'  quali  posero  in- 
tanto  l'assedio  a  Castelnuovo  del- 
la  famiglia  Calboli  capi   de'  guelfi, 
fuorusciti  forlivesi.   Questi  allora  im- 
maginarono il  tentativo  di  sorpen- 
ilere  per  assalto  Forlì,  e  rimettersi 
in  patria.  Raccolti  dunque    gli  op- 
portuni aiuti  entrarono  in  città  uc- 
cidendo molti  ghibellini,  tra'quali  un 
Ordelafli  ed   un  Orgogliosi.  Avutosi 
di  ciò  notizia  dagli  assedianti,  Scar- 
petta Ordelaffi  assunse  l' incarico  di 
liberar    la    patria,    e   giungendovi 
precipitosamente,  dopo  lungo  com- 
battere col   favore  del  popolo,  fu- 
gò   ed    uccise    i  nemici,    fra'  quali 
due  Calboli,  in  tutto  mille  e  tre- 
cento nemici,  facendo  così  memo- 
rando il    12    luglio    1296.   Nel   se- 
guente   anno  i  forlivesi   fecero   sul 
territorio  ravennate  liceo   bottino, 
poscia    praticarono    altrettanto    sul 
bolognese.  11  Pontefice  licenziato  il 
Durando,  creò  conte  di  Bologna  e 
del  resto  di  Romagna  Massimo  Pri- 
vernale,  il  cui  fratello  cardinal  Pie- 
tro Duraguerra  fece  legato;  ma  sul- 
le prime  poco  poterono  operare,  es- 
sendo gli  animi   troppo  esasperati , 
e  la  Romagna  divisa    in  partili.  Fu 
in  questo  anno  che  Guido  Monte- 
feltri  con  ammirazione  di  tutti,  al- 
lorché la  sua  fazione  predominava, 
vestì   l'abito  di  s.  Francesco.   Entra- 
to il  1297,  al    generalato    del  ghi- 
bellino   Mainardo    fu  sostituito  U- 
guccione   Fagioli,  continuandosi    o- 
vunque  le  scorrerie  e  le  conquiste 
sui  guelfi.  Non  mancavano  il  con- 
te ed   il   legato    all'ufficio  loro,  e 


FOR  2>-9 

vennero  a  rigorose  condanne,  mul- 
te e  processi  ;  inquisirono  e  pro- 
cessarono molti  forlivesi.  Venendo 
poi  alla  condanna  generale,  per  la 
particola!1  punizione  de'  misfatti  e 
delle  pene  inflitte,  essa  è  descritta 
minutamente  dai  Rossi  nella  storia 
di  Ravenna  ,  e  dal  Ronoli  al  libro 
quinto,  essendo  un  documento  in- 
teressante. Nelle  quali  condanne  , 
ascendenti  le  multe  a  venticinque 
mila  marche  d'argento,  non  facen- 
dosi menzione  che  della  città  di 
Forlì  e  suoi  abitanti,  si  deduce  es- 
sere stati  i  forlivesi  capi  e  diret- 
tori degli  avvenimenti,  anzi  soli 
disponenti  del  resto  degli  alleati _, 
per  la  fòrza  in  cui  fioriva  la  città, 
ad  onta  delle  calamità  soiferte  nel 
pontificato  di   Martino  IV. 

Di  poca  efficacia  riuscirono  le 
anzidette  minacce,  per  esserne  com- 
messa la  esecuzione  alla  sbirraglia 
semplicemente,  laddove  erano  sul- 
le armi  intere  squadre.  Indi  Ugitc- 
cione  prese  Lugo  e  Castel  s.  Pie- 
tro, ed  i  forlivesi  predarono  il  ter- 
ritorio di  Rimini.  A  mediazione  di 
Bonifacio  Vili  seguì  la  tregua  tra 
gli  alleati  e  i  bolognesi,  subentran- 
do al  comando  dei  primi  Uberto 
Malatesta  ghibellino,  cui  successe 
Zappettino  Oberimi  ;  ma  termina- 
ta la  tregua  ebbe  luogo  tra  i  so- 
praddetti grossa  scaramuccia  al  fiu- 
me Silero,  mentre  Fulcherio  Cal- 
boli eletto  generale  della  Chiesa  per 
la  spedizione  della  Marca,  domò  il 
tiranno  di  Osimo,  e  ridusse  la  cit- 
tà ed  altre  terre  all'antica  domi- 
nazione del  Papa.  Finalmente  nel 
1 299  i  bolognesi  si  pacificarono 
co'  confederati,  essendo  nominati  in 
primo  luogo  i  forlivesi;  e  nel  se- 
guente anno  il  cardinal  Matteo  d'Ae- 
quasparta  legato  di  Romagna  pro- 
sciolse le  città  alleate  dalle  seuten- 


2  3o  FOR 

ze  contro  loro  pubblicate,  sommi- 
nistrando   opportunità    maggiore  a 
cancellare  le  colpe  l'universale  giu- 
bileo ripristinato  da  Bonifacio  Vili. 
Questa    indulgenza    trasse  a  Roma 
Carlo    di  Valois    fratello    di  Filip- 
po IV  re  di  Francia,  che  dal   Pa- 
pa venne   nominato   conte    di  Ro- 
magna ,  nello  scopo   forse  d' infre- 
nare le   città    col   timore   di  tanto 
principe,  essendo  quasi  tutte  domi- 
nate da    particolari    signori    o    dai 
ghibellini ,    meno    Cesena    ed    altri 
luoghi.  Carlo    in   sua    vece    mandò 
al  governo   di    Romagna   Giacomo 
Pagani    vescovo   di   Rieti ,   munito 
eziandio  dell'autorità  di  vicario  pon- 
tificio nello  spirituale;   ma  rimosso 
nel  i3o2,  gli  successe  il  b.   Rinal- 
do Concoreggio  vescovo   di  Vicen- 
za.   Espulsi    in    questo    mentre   di 
Firenze  i  Bianchi  (  Vedi),    tra  cui 
Dante  Alighieri,  dalla  contraria  fa- 
zione dei  Nerij   ebbero  tutti  rico- 
vero  in  Forlì,    giacché    bianchi   e 
ghibellini   erano    una   fazione.    Per 
ingerirsi  il  conte  Rinaldo  con  trop- 
po di  libertà   nelle    faccende   pub- 
bliche  e  politiche,    fu   dal    popolo 
geloso  del   potere  espulso  di  città 
e  mortalmente  ferito.  Bologna  do- 
minata dai  ghibellini  strinse  allean- 
za coi  forlivesi,  faentini  e  Can  del- 
la Scala,  contro  Carlo  II  re  di  Na- 
poli, per  opera  del  quale  erano  sta- 
ti cacciati  i  bianchi  da  Firenze,  ed 
intendeva  allo  sterminio  del  nome 
ghibellino.  Poscia  fu  fatto  genera- 
le dell'esercito  confederato  Scarpet- 
ta Ordelaffi  forlivese,  avviandosi  a 
soccorrere  con  seimila  fanti  ed  ot- 
tocento cavalli  i  bianchi  di  Firen- 
ze, ove  era  pretore  Fulcherio  Cai- 
boli  di  parte  nera  o  guelfa;  ma  es- 
sendosi ritirati  i  bolognesi   temen- 
do le  mire    del   marchese  d' Este  , 
inefficace  fu  tale  spedizione. 


FOR 

Morto  Bonifacio  Vili ,    e  creato 
Benedetto  XI ,  questi  mandò  conte 
di  Romagna  Tebaldo  Brusati,  ma 
con  poca  gente,  operando   allora  i 
Papi  e  loro  ministri  più  col  mez- 
zo delle  leggi,  che  con  quello  del- 
le armi.  Ad  onta  di  ciò  Tebaldo  a 
punire  Forlì  di  quanto    fece  al  b. 
Rinaldo,  e  per    l'ospitalità    accor- 
data ai  bianchi j  come  pure  a  ren- 
derla ubbidiente,  raccolse  coll'assi.- 
stenza    de'  Malatesti    un   sufficiente 
esercito.    Ma  per    la  morte  di  Be- 
nedetto XI,  il  conte  nella  lunga  se- 
de vacante    sospese    qualunque  di- 
mostrazione, ond' ebbero  agio  di  as- 
sodarsi nel  dominio  delle  giurisdi- 
zioni di    s.  Chiesa  i  tiranni  che  le 
signoreggiavano,  tanto  più  che  l'e- 
letto Clemente  V  avendo  stabilita  la 
residenza  pontifìcia  ad  Avignone  in 
Francia,  non  poteva   per  la  lonta- 
nanza tenerli  in  freno.    Successiva- 
mente   Faenza    ritornò    al    partito 
guelfo,  Forlì  fu  divisa  da  cittadi- 
ne guerre ,  ed  in  Bologna  i  Lam- 
beitazzi  di  nuovo  furono  cacciati 
tornando    anch'  essa    a'  guelfi  ,    eie 
che  aumentò    gli  abitanti   di  Fori 
pei    ghibellini  e  bianchi    fuoruscii 
che    accolse.    Di    nuovo   i   faentini 
vennero     superati     dai    ghibellini 
quando  Clemente  V    spedì  in  Ro- 
magna il  cardinal  Napoleone  Orsi- 
ni, in  qualità  di  amplissimo    legate 
nello  spirituale,  anche  della    Lom- 
bardia, Marca,  Toscana,  Liguria  ec, 
e  nel  temporale  qual  conte  e  mi  ■ 
nistro  supremo  sui  luoghi  del  de 
minio  della  Chiesa.    Laonde  i  foi 
livesi  fidati  nella  sua  amicizia  de 
posero  ogni    timore ,    e  fu    accolte 
con  dimostrazioni    di  molto  giubi 
lo  nella  città,    ov' egli  tenne  la  die 
ta  provinciale.   Trasferitosi  a  Bole 
gna  per    ricomporre  gli    animi, 
fu  espulso  per  sospetto  di   aderei 


FOR 

ze  coi  Larabertazzi  e  coi  bianchi,  il 
perchè  in  Imola  il  cardinale  sco- 
municò i  bolognesi,  privandoli  del- 
lo studio  ed  altri  privilegi.  Frat- 
tanto i  Calboli  furono  tolti  da  Ber- 
tinoro,  che  occupò  Pino  Ordelaffi 
valoroso  capitano,  e  vi  fabbricò 
molte  delizie  per  Ja  stagione  esti- 
va; ed  essendo  in  Forlì  prefetto, 
ingrandì  ed  ornò  il  palazzo  pub- 
blico. 

Il  cardinal   Napoleone   nella  se- 
conda dieta  di  Forlì,  luogo  di  sua 
residenza,  rappresentando  il  padre 
comune,  trattò  di  rimettere  i  bian- 
chi in  Firenze ,   e  per  conseguirne 
l' intento    si  recò   in   Toscana.    Fi- 
renze gli  negò  l'ingresso,  onde  sco- 
municata   la    fazione    contraria,  di 
forza    voleva    introdurre    i  bianchi 
nella  città  coll'aiulo  di  Arezzo;  ma 
in  questa  si  vide  assediato  da'  fio- 
rentini, laonde  i  forlivesi  con  Fe- 
derico Montefellri  accorsero  a  sal- 
varlo.   Assaliti    però  in  istrada    dai 
guelfi  a  Montecchio,  poi  se  ne  ven- 
dicarono   incendiando    ai    cesenati 
Monte  Saraceno,    cui    per  pariglia 
Malatesta  signore    di  Cesena  tentò 
l'occupazione   di  Bertinoro,  ma  vi 
perdette    oltre  i   morti    mille  otto- 
cento prigioni,  che  i  forlivesi  porta- 
rono a   Forlì  in  trionfo.  Nel  i3o8 
il  fuoco    divorò    nel    palazzo  pub- 
blico molte  preziose  memorie  sto- 
riche, continuandosi  le  scorrerie  sul 
territorio   di  Cesena,  finché  la  pa- 
ce ricompose  gli  animi.  In  questo 
tempo    abitava    in   Forlì   il    poeta 
Dante,  qual  segretario  di  Scarpet- 
ta Ordelaffi,  cogli  altri  bianchi  fuor- 
usciti. Nel  i3o9  le  città  di   Iesi  e 
d'Osimo,  col  soccorso  de'  forlivesi , 
riportarono    gloriosa    vittoria   sugli 
anconitani;  essendo  conte  della  pro- 
vincia Raimondo  d' Aspello,  che  di- 
morando nel  castello  d' Oriolo,  dal- 


FOR  a3i 

la  Romagna  contribuivasi  il  solito 
danaro  pei  pochi  soldati  di  sua  cu- 
stodia. Questo  conte  vegliava  con- 
tinuamente sui  ghibellini ,  che  fa- 
cevano di  tutto  per  reprimerne  il 
potere ,  e  coi  forlivesi,  non  senza 
strage,  imprigionarono  ih  Faenza  il 
pretore  postovi  dal  conte.  Per  tut- 
tociò  il  Pontefice  Clemente  V  ve- 
dendo i  suoi  ministri  di  Romagna 
in  disistima,  odiati  coloro  che  si 
mostravano  papalini,  e  tiranneggia- 
te le  giurisdizioni  della  Chiesa,  die- 
de per  certo  tempo  la  provincia 
in  governo  a  Roberto  re  di  Napo- 
li, che  l'amministrò  pe*  suoi  vicari, 
il  primo  de'  quali  fu  Nicolò  Carac- 
cioli,  avendo  il  re  con  circolari  am- 
monito le  città  all'ubbidienza.  Gli 
abitanti  ricevettero  con  onore  Ni- 
colò, che  informatosi  in  Forlì  del- 
lo stato  delle  cose,  piegò  alla  pace 
gli  Ordelaffi,  gli  Orgogliosi  ed  al- 
tri ghibellini ,  coi  Calboli  e  guelfi 
fuorusciti  :  altrettanto  praticò  in 
Faenza,  tra  i  Rauli,  Manfredi  ed 
Accarisi,  comprendendo  nella  pace 
Scarpetta  Ordelaffi,  che  vuoisi  di- 
venisse siniscalco  del  re  Roberto. 
Nelle  altre  città  addimostrossi  Ni- 
colò tutto  propenso  alla  quiete, 
perdonò  le  anteriori  delinquenze , 
e  ad  affezionarsi  vieppiù  gli  ani- 
mi, di  consenso  del  re  donò  a  mol- 
te famiglie  i  gigli  d'oro  coi  rastel- 
li  rossi  in  campo  azzurro,  impresa 
di  quel  monarca,  e  solita  a  dispen- 
sarsi a  quelli  di  fazione  guelfa. 

I  forlivesi  in  gran  numero  si  de- 
dicarono al  servigio  del  re ,  parte 
in  corte,  parte  negli  eserciti,  fra  i 
quali  si  distinse  Nardo  Nardi  va- 
loroso soldato,  che  divenne  vice-re 
di  Napoli,  e  dalla  cui  scuola  usci- 
rono altri  prodi  capitani  forlivesi. 
L'  autorità  del  Caraccioli  fu  gran- 
de, ma  breve  perchè  il  re  lo  voi- 


a3a  FOR 

le  presso  di  sé ,  sostituendogli  Si- 
mone de  Bellox  cavaliere  gerosoli- 
mitano; ed  indi  a  non  molto  Ni- 
colò Gilberto  Santillo  di  Catalogna, 
il  cui  governo  fu  aspro  e  severo. 
Giunse  in  questo  mentre  in  Italia 
nel  1 3  i  i  Enrico  VII  per  coronarsi 
imperatore  a  Roma,  colla  brama 
di  riassumere  l'antica  giurisdizione 
imperiale,  e  con  eleltrizzamento 
de'  ghibellini.  Ciò  indusse  il  re  Ro- 
berto a  spedir  in  Romagna  buon 
nerbo  di  cavalleria  e  d'  infanteria 
catalana ,  con  ordine  al  Santillo 
che  cacciali  i  bianchi  e  fuoruscili 
fiorentini,  carcerasse  i  capi  ghibel- 
lini, acciocché  all'arrivo  dell'impe- 
ratore non  avessero  a  tumultuare. 
Furono  dunque  in  Forb  imprigio- 
nati i  fratelli  Scarpetta  e  Pino  Or- 
delaffi,  con  Bartolomeo'  loro  ni- 
pote; non  che  Nero  e  Marchese 
Orgogliosi ,  Fulcherio  e  Nicoluccio 
Calboli,  a'  quali  poi  die  il  Santil- 
lo i  governi  di  alcune  città  per  af- 
fezionarseli: le  fosse  di  Forlì  ven- 
nero riempite,  e  le  nuove  fortifica- 
zioni diroccate ,  per  togliere  cosi 
ogni  difesa  alla  metropoli  de'  ghi- 
bellini. Il  re  Roberto  spedì  pure 
molte  genti  di  Romagna  in  favore 
degli  Orsini  a  Roma;  ma  Enrico 
VII  avendo  inutilmente  assedialo 
Firenze,  morì  nel  1 3 1  3,  troncando 
le  speranze  de' ghibellini.  Nel  i  3  1 4- 
gli  Ordelaffi  ebbero  accanita  baruf- 
fa coi  Calboli  ,  cui  imputavano  la 
loro  prigionia.  Intanto  per  la  lun- 
ga sede  vacante  cagionata  dalla 
morte  di  Clemente  V,  insorsero  in 
Romagna  gran  cambiamenti,  men- 
tre il  Santillo  era  in  Firenze  per 
opporsi  ad  Uguccione  Fagioli  si- 
gnor di  Pisa  ed  ardente  ghibelli- 
no. Allora  i  Calboli  per  togliere 
Forlì  alla  divozione  del  re,  e  ban- 
dire gli  Orgogliosi,    con  diecimila 


FOR 

fanti  e  cinquecento  cavalli  entra- 
rono in  Forlì  il  giorno  di  s.  Pao- 
lo; ma  gli  Orgogliosi  ritiratisi  nel 
palazzo  pubblico,  tanto  si  difesero, 
che  il  Santillo  ebbe  campo  di  giun- 
gere al  soccorso,  e  tutti  uniti  cac- 
ciar gli  aggressori,  colla  morie  tra 
gli  altri  di  Viviani  Calboli,  e  il  fe- 
rimento di  Luigi  Calboli ,  uomo 
saggio  e  letterato. 

1  trambusti  di  Forlì  oscillavano 
in  Romagna ,  onde  il  re  Roberto 
procurò  spegnere  quelle  dissensioni, 
pacificando  le  nominate  famiglie , 
multandosi  i  Calboli  di  diecimila 
lire  di  bologniui.  Così  il  Santillo 
vide  difesa  la  città  dai  ghibellini , 
ed  oppressa  dai  guelfi  tanto  da  lui 
beneficati  ;  del  resto  ambedue  le 
fazioni  in  cuore  non  erano  né  pa- 
palini, né  imperiali ,  ognuna  aspi- 
rava a  dominare,  ed  alla  circostan- 
za si  mostrava  nemica  di  quello, 
cui  in  apparenza  figurava  seguir- 
ne le  parti,  e  talvolta  per  privali 
vantaggi  da  una  fazione  passava 
all'altra.  I  nomi  di  guelfi  e  ghi- 
bellini ,  di  bianchi  e  di  neri  non 
servivano  che  a  palliare  le  inten- 
zioni e  le  passioni  degli  uomini  del 
secolo  XI li,  XIV  e  XV.  Tutti  era- 
no nell'animo  nemici  principalmen- 
te ai  ministri  ecclesiastici ,  laonde 
faceva  di  mestieri  alla  quiete  co- 
mune, ed  alla  sicurezza  del  princi- 
pe estirpare  entrambe  le  fazioni , 
ma  sarebbe  ciò  stato  un  distrug- 
gere le  città.  Tale  era  la  condizio- 
ne di  quegli  infelici  tempi,  che  non 
vedevasi  di  meglio  che  tenerli  in 
modo  equilibrali ,  che  fossero  gli 
uni  d'impedimento  e  freno  agli  al- 
tri ,  ed  impotenti  alla  ribellione. 
Vedi  Guelfi,  e  Ghibellini.  Ed  et 
co  che  nel  seguente  anno  i3i5, 
rottasi  la  pace,  o  per  nuovi  dis- 
gusti insorti,  o  stimolati  da  ambi- 


FOR  FOR  233 

zinne  c  sete  di  dominare  con  pie-  governatori     disponevano     del     ci- 
potenza,  i  Calboli  concertarono   di  vile    e    del    criminale,  mentre   che 
sorprendere  con    nuovo  insulto  ed  il    prefetto,  detto    ancora    capitano 
improvviso    assalto    la    patria  ,    di  del   popolo,  aveva  cura  ed  era  pre- 
consenso cogli  Ordelafli,  e  a  dan-  posto  alle  armi.  D'ordinario  avau- 
no  degli  Orgogliosi.    Questi  infatti  ti  quest'epoca  per  capitani  del   po- 
furono  costretti  a  cedere  colla  mor-  polo    s'  istituivano    individui    foie- 
tedi  Orgoglioso  Orgogliosi;  e  seb-  stieri ,    per    prudenti     riguardi    ad 
bene  Scintillo    co'  suoi  catalani    sia  evitare    abuso  di   potere.  Frattanto 
subito  accorso  per  reprimere  i  nemi-  Marchese  Orgoglioso,  essendosi   coi 
ci  appena  entrati    in  città,  vedeu-  suoi  ricoverato    in  Faenza,  con  l'a- 
do  la  strage  de' suoi  ,    e  il  popolo  iuto     di      Manfredi     tentò     scalare 
in   favore  degli  Ordelafli,  voltò   le  le    mura  di  Forlì;    ma  discoperto, 
spalle   e   se   ne    parti.    La    vittoria  molti  furono    dati  a  morte,    men- 
non  fu  senza  tristezza,  essendovi  ri-  tre  Marchese    di    cordoglio  mancò 
inasto  ucciso  il  celebre  Riniero  Cai-  di   vita   in  Faenza.   Egli    fu    uomo 
boli  signore  della    rocca  s.   Cassia-  per  molli    fatti   illustre,    ed  escrci- 
no,  di  Castelnuovo  ed  altri  luoghi,  tò  la  pretura  e    prefettura   in  mol- 
ISè    ebbe    lunga    durata    l'alleanza  te  città  principali,  fra   le  quali  Fi- 
de' Calboli  cogli    Ordelafli,  i  quali  renze.  Scacciali  i  Calboli  e  gli  Or- 
aspirando  al  dominio  assoluto,  pas-  gogliosi,  i  quali  conteudevansi  il  pil- 
lati due  mesi  scacciarono  i  Calbo-  ino  posto  nella  città,   vennero,    co- 
li,  incauti  e  lontani    ad  aspettarse-  me    si    disse,     invece    innalzati    gli 
lo,  dalla  città,  che  restituirono  al-  Ordelafli,  ciò  che  per  la  quiete  del 
l'antica  divozione  e  preponderanza  popolo    fu  mezzo    più    spediente    e 
de' ghibellini.  sicuro.  Nel    i3i6   giunse  in  qualità 
Cecco    Ordelafli    di    Zampettino  di  nuovo  vicario  regio  Diego  della 
fu  fatto    capitano    a   vita  dai  forli-  Ralta  spagnuolo,  e  sotto  ì'ubbidien- 
vesi,  trovandosi  per  vecchiezza  ina-  za  del  re  Roberto  stavano  solo  Ce- 
bile  al    governo    Sinibaldo    di    lui  sena,    Bertinoro ,    Meldola     e    Ca- 
padre,  e  dandosi  in  tal  modo  prin-  strocaro ,    essendo    i    Malatesli    più, 
cipio  al  dominio  degli   Ordelafli  in  amici    che  sudditi.    A  questi  unito 
questa  città,  la  quale,  bencbè    più  ideando  Diego  l'attacco  della  città 
tardi,   seguì    finalmente    il    destino  di   Forlì.  l'Ordelaflò  pel  primo,  coi 
delle  altre,  col  vedersi  signoreggiata  forlivesi    ed    alcune    compagnie  te- 
dai  propri  cittadini.  Dappoiché  quan-  desche  licenziate  da  Uguccione,  as- 
tunque  per  alcun    tempo  tenessero  saltò  e  prese  la  Pionla,  castello  dei 
gli   Orgogliosi  il    primo  posto  nel-  cesenati  ;    indi    Diego    assalì    i  fol- 
la repubblica  e  vi  esercitassero  mol-  livesi    astringendoli    alla  ritirala,  e 
ta   autorità,  non  usurparonsi    però  portossi    co'  fuorusciti    ad  assediare 
mai  l'assoluta    padronanza,  e  il  ti-  Forlì.  Durò   per  lungo  tempo  l'as- 
tolo    perpetuo  di    capitani  del   pò-  sedio,  con    alcune    scaramuccie,  ed 
polo.   E  qui   noteremo,  che    prima  a  cagione  delle  vendemmie,  per  l'en- 
i  pretori,  poi  i   podestà,  formavano  Irate    grandi    che  si    traevano    dal 
il  magistrato  supremo  nelle  repub-  vino,  si   venne  alla  concordia, 
bliche  italiane,    e  di  maggiore  au-  Nel  pontificato  di  Giovanni  XXIf, 
tonta  dei    podestà. I    pretori    come  l'anno   i3i8,  nuovo  vicario  in  Ro- 


234  ViJ& 

magna  fu  spedilo  Rinieri  orvieta- 
no, l'ultimo  de'ministri  del  re  Ro- 
berto, essendo  presso  che  al  line 
il  termine  degli  ott'anni,  accordato- 
gli dal  defunto  Clemente  V  all'  am- 
ministrazione della  provincia.  Sot- 
to il  regime  di  Cecco  Ordelafiì  le 
cose  progredirono  con  molta  quie- 
te. Cessato  il  governo  del  re,  nel 
1  3  1 9  Giovanni  XXII  mandò  per 
conte  di  Romagna  Americo  da 
Castel  Lucio,  il  quale  non  ebbe  tan- 
to di  forza  d'impedire  che  gli  Ar- 
ticlini,  fuorusciti  di  Cesena,  pren- 
dessero il  castello  di  Formignano; 
scelto  a  sua  residenza  Bertinoro, 
vi  fabbricò  una  rocca,  che  oltre 
la  detta  terra  non  teneva  alla  sua 
ubbidienza  che  Meldola  e  Castro- 
caro.  Le  altre  appena  sembravano 
parteggiare  per  la  Chiesa,  dominan- 
do i  Polentani  in  Ravenna  e  Cer- 
via, i  Manfredi  in  Faenza,  gli  Or- 
delaffi  in  Forlì  e  Forlimpopoli, 
ed  i  Malatesta  in  Cesena  e  Rimi- 
ni. Nel  i3s4  fu  represso  in  Ce- 
sena un  tentativo  di  Claudello 
Articlino,  favorito  dagli  Ordelaffi 
ed  ospite  in  Forlì,  unico  rifugio 
in  Romagna  de'ghibellini,  per  cui 
si  accrebbero  gli  odii  tra  gli  Or- 
delafli  e  i  Malatesti.  Per  le  ver- 
tenze tra  il  Papa  e  Lodovico  di 
Baviera,  in  favore  di  questo  im- 
peratore molti  stati  d'Italia  si  col- 
legarono, per  il  che  i  ghibellini 
ovunque  fecero  audaci  dimostra- 
zioni, ed  in  Romagna  i  forlivesi  pre- 
sero momentaneamente  Lugo ,  ciò 
che  die  motivo  alla  guerra  con 
Faenza  cui  spettava.  A  mediazione 
del  cardinal  Bertrando  Pouget,  le- 
gato di  Bologna ,  si  convenne  alla 
pace.  Intanto  i  forlivesi  inviarono 
all'imperatore  i  loro  ambasciatori 
in  Trento ,  ove  comparvero  quel- 
li   de' Visconti,    Estensi,    Scaligeri, 


FOR 
ec.     Nel    i3a8     le     scorrerie    delle 
squadre  pontifìcie    invasero  i   terri- 
torii   forlivese    e  ravennate,  talché 
temendo  l' Ordelaffi  la  potenza  del 
legato  alleossi  coi  Polentani.  Questi 
per  assodarsi  nel  potere,  quantun- 
que guelfi,  s'unirono  coi  ghibellini 
e    coi    forlivesi ,    perchè    Lodovico, 
che  aspirava  alle  antiche  imperiali 
giurisdizioni ,    mandasse    i  conti  di 
Romagna.    Subito    furono    esauditi, 
inviando  Chiaramonti  di  Sicilia,  il 
quale    da    Cecco    e    dai    Polentani 
fu  ricevuto  con  regia  magnificenza. 
La  prima   impresa  del  conte  fu 
contro  Cesena,  benché  il  suo  porto 
detto    Cesenatico  sia  rimasto  preda 
de'  forlivesi   e  ravennati,  che  il  co- 
strinsero   con    ottocento    cavalli   ed 
ottomila    fanti    alla    dedizione  ;     né 
paghi    di  ciò   appiccatogli  il  fuoco, 
ed    interrato   il    canale  lo  dirocca- 
rono  affatto,  acciò  con    la  sua  ca- 
duta   crescesse    di     riputazione     e 
traffico    il   porto  di     Ravenna.  Ri- 
tornato Lodovico  in  Germania,  gli 
Estensi  d'ordinario  partigiani  della 
Chiesa,   con  questa    si    composero; 
laonde  scorgendo    i   Polentani  l'in- 
grandimento   del    Papa ,  a    lui     si 
vollero    unire ,    mandando  il    lega- 
to persona,  che  a  nome  della  Chie- 
sa risiedesse  in  Ravenna.   Solo  For- 
lì,  in  cui  dimorava  il  conte  impe- 
riale, punto  non  temendo  le  forze 
ecclesiastiche,    con  1'  Ordelaffi  per- 
sisteva   contumace ,  e    sarebbe  sta- 
ta stretta  d'assedio  dal  cardinal  Ber- 
trando, se  ad  impedir  il  soverchio 
potere  di  questi,  i  principi    alleati 
di  Lombardia,  non  gli  avessero  con- 
tro mosse    le  armi.  Ma  nel    i33i 
il    legato,  dopo   avere  ridotto  alla 
sua  divozione  Rimiui,  assediò  For- 
lì iu  due  punti  coi  cesenati,  rimi* 
nesi,  ravennati,  faentini,    imolesi  e 
bolognesi.  Otto  mesi  durò  l'assedio, 


FOR 

e  la  città  reggevasi  da  Francesco 
Ordelaffi  fratello  di  Cecco  defunto; 
ma  essendosi  preso  Folli mpopoli , 
a'26  marzo  i33a  capitolò  la  resa, 
a  condizione  che  avesse  a  restargli 
Forlimpopoli;  ed  il  tutto  si  stabi- 
lì in  Faenza,  ove  il  cardinale  ave- 
va pubblicato  la  dieta  provinciale. 
Bertrando  si  portò  a  prender  pos- 
sesso di  Forlì,  con  solenne  ingresso 
equivalente  ad  un  trionfo,  col  tre- 
no di  mille  cinquecento  cavalli,  ed 
accompagnato  da  molta  nobiltà. 
Cessate  le  guerre  esterne ,  i  for- 
livesi tornarono  alle  intestine  di- 
scordie, avvegnaché  privati  gli  Or- 
delaffi del  dominio,  i  loro  nemici 
uccisero  Paolo  fratello  a  Francesco, 
ed  Andrea  Pontiroli  loro  congiunto. 
A  nuovo  conte  in  provincia  giun- 
se il  conte  d'  Armagnac,  mentre  il 
cardinal  legato  volendo  occupare 
in  pieno  dominio  Ferrara,  l'assediò 
con  l'aiuto  de'  romagnoli,  i  princi- 
pali de'  quali,  come  Francesco  Or- 
delaffi e  il  conte  d'Armagnac,  re- 
starono prigioni  nella  disfatta  ebe 
gli  Estensi  fecero  degli  ecclesiastici. 
A  tale  indiscreta  aggressione  si  sa- 
rebbero ribellati  i  bolognesi,  se  Gio- 
vanni re  di  Boemia,  ch'era  in  Ita- 
lia, non  l'impediva.  A  rovesciar  la 
potenza  del  legato,  l'Estense  ri- 
lasciò i  prigioni,  specialmente  i  ti- 
ranni di  Romagna,  con  tacito  ac- 
cordo di  soccorrerli  al  riacquisto 
degli  antiebi  domimi. 

Il  primo  ad  eseguir  il  concerta- 
to fu  Francesco  Ordelaffi,  il  quale 
appiattatosi  in  un  carro  di  fieno,  ai 
19  settembre  1  333  s'introdusse  in 
Forlì,  ove  gridatosi  dagli  amici  il 
suo  nome,  si  sollevò  il  popolo,  che 
espulse  i  ministri  pontificii,  ritenne 
prigione  Guglielmo  Truello  tesorie- 
re della  provincia,  lacerò  ed  arse 
tutte  le   scritture  e  decreti  del  le- 


FOR 


a35 


gato.  Anche  i  Malatesti  occuparo- 
no Rimini,  mentre  il  legato  man- 
dava i  rettori  alle  città,  contro  l'an- 
teriore costume,  secondo  il  quale 
senza  l'influenza  del  legato,  o  del 
conte,  si  eleggevano  i  pretori  solo 
dalle  città.  Per  mezzo  de'  ghibellini 
si  ribellò  pure  Cesena,  che  istilla 
pretore  il  conte  di  Ghiazzolo,  e  ca- 
pitano Francesco  Ordelaffi,  ambedue 
di  parte  imperiale,  anzi  il  secondo 
corifeo  del  ghibellinismo,  come  lo 
furono  tutti  di  sua  famiglia,  ed 
inutilmente  il  cardinale  soccorse  la 
rócca.  B.avenna  imitò  l'esempio  di 
Forlì,  ed  Astagio  Polentani  se  ne 
rese  signore  in  un  a  Cervia:  Berti- 
noro  eziandio  fu  tolta  alla  ubbidien- 
za pontificia.  Il  marchese  d'Este  po- 
se l'assedio  ad  Argenta  in  compa- 
gnia di  Francesco  Ordelaffo,  il  qua- 
le per  sospetti  fece  deporre  il  con- 
te di  Ghiazzolo  dal  pretorato  di 
Cesena  per  governarla  lui  solo,  giac- 
ché oltre  la  prefettura  venne  eletto 
pretore.  In  tal  guisa  egli  divenne 
padrone  di  quella  città,  cui  ristorò 
le  mura,  e  signore  non  solo  di 
Forlì  sua  patria  e  residenza,  ma 
di  Forlimpopoli,  loro  castella  ed  al- 
tri luoghi,  divenendo  il  più  possen- 
te signore  di  Romagna;  e  sposan- 
do Marzia  di  Vanni  Ubaldini  di 
Susinana,  soprannominata  Zia  o  Cia, 
dunna  di  coraggio  virile  e  degna 
di  tal  marito.  Vinta  Argenta  il 
cardinale  cadde  di  riputazione  ;  i 
bolognesi  pure  lo  cacciarono,  de- 
molendo il  forte  Galliera  che  avea 
edificato  per  freno  al  popolo.  Nel 
1 335  fu  creato  pretore  di  Cesena 
Giovanni  Ordelaffi,  nato  dalla  pri- 
ma moglie  di  Francesco,  il  quale 
guerreggiava  con  Francesco  Calbo- 
li  vescovo  di  Sarsina,  signore  tem- 
porale di  vari  castelli,  aiutato  da 
Francesco  Consolila    arcidiacono  di 


a36  FOR 

quella  chiesa,  nemico  del  vescovo, 
per  avergli  tolto  Monte  Pielra.  In- 
tanto l' Ordelaffi  signore  di  Forlì 
si  diportava  con  clemenza,  amo- 
revolezza, e  rigore  per  farsi  amare 
e  temere;  tuttavolta  cogli  alleati 
inutilmente  assediò  lungamente  Mel- 
dola,  difesa  pel  Papa  dai  fiorenti- 
ni. Indi  prese  Riolo  in  un  all'arci- 
vescovo di  Ravenna,  che  colla  sua 
corte  condusse  a  Forlì,  ove  intima- 
to un  general  consiglio,  fece  mori- 
re diversi  nobili  forlivesi  che  vi 
erano  intervenuti,  per  rendersi  più 
temuto  a'  popoli;  indi  munì  la  roc- 
ca di  Cesena,  e  fece  spianar  le  con- 
tigue case  dei  canonici. 

Benedetto  Xll  da  Avignone  nel 
i33G  mandò  conte  della  provincia 
Guglielmo  dalla  Quercia,  cortese- 
mente accolto  da  Manfredi  in  Faen- 
za, ove  pubblicò  il  congresso  pro- 
vinciale; ivi  i  più  potenti  conven- 
nero di  pagar  lo  stipendio  dei  sol- 
dati per  la  guardia  del  conte,  gli 
altri  di  minor  forza,  e  più  divoti 
alla  santa  Sede,  giurarono  ubbidi- 
re agli  ordini  del  conte.  Questi  pas- 
sò a  risiedere  a  Meldola ,  incontra 
alla  quale  per  disprezzo  l'Ordeiaf- 
fo  eresse  il  forte  di  Castelnuovo, 
ed  acquistò  Yaldinoce.  Nel  1 337 
si  fece  sentire  un  orribile  terremo- 
to, e  morì  Sinibaldo  Ordelaffi.  Al- 
tro conte  di  Romagna  fu  Giovan- 
ni Ambuccio,  e  fatto  il  consiglio  in 
Faenza  ivi  restò,  divenuta  Meldola 
mal  sicura  pel  castello  fabbricato 
da  Francesco  Ordelaffi.  Esso  nul- 
ladimeno  fu  rimesso  in  grazia,  ed 
insieme  al  fratello  Alessandro,  ven- 
ne dichiarato  feudale,  vicario  per- 
petuo di  Forlì,  Cesena  e  Folli  m- 
popoli  ,  col  peso  d'annui  tremila 
fiorini  d'oro  in  tributo  alla  Chiesa, 
e  di  cinquecento  fanti  e  duecento 
cavalli  richiestone  all'occorrenza.  In 


FOR 

questo  tempo  fiori  nelle  aliai  Pao- 
lo di  Fulcherio  Calboli  pretore  del- 
la repubblica  di  Siena;  e  nelle  let- 
tere Riniero  Arsendi,  già  uditore 
in  Roma  del  sagro  palazzo,  lettore 
nello  studio  di  Padova,  come  gran 
legista  ;  egli  fu  consigliere  di  Car- 
lo IV  imperatore,  e  maestro  del 
famoso  Bartolo  da  Sassoferrato.  In- 
tanto l' Ordelaffi  s'ebbe  il  castello 
di  Taibo,  e  da  Nino  Petrelano  la 
rocca  della  città  di  s.  Leo,  che  pe- 
rò cede  a  Nicolò  Monteleltri  oc- 
cupatola di  s.  Leo.  Avendo  Ful- 
cherio Calboli,  fratello  di  Onestina 
madre  di  Francesco  Ordelaffi,  ven- 
duto per  sei  mila  fiorini  Castroca- 
so  a  Francesco  Manfredi,  l' Orde- 
laffi che  lo  desiderava  arùontemen- 
te,  pose  Taxodio  a  Calboli  ì.°n 
munito  Ja  Fulcherio,  che  inoltre 
eras»  collegato  ai  bolognesi,  estensi, 
ed  altri,  in  modo  che  per  due  fà- 
i  nglie  forlivesi  tutta  Romagna  fu 
ulle  armi  ;  sinché  a  mediazione  dei 
fiorentini,  dopo  un  sanguinoso  con- 
flitto colia  peggio  dell'  Ordelaffi,  fu 
conchiusa  la  pace.  Comparendo  nel 
1 34o  in  Trento  Lodovico  di  Ba- 
viera, il  Papa  Benedetto  XII,  ac- 
ciocché da  esso  non  riconoscessero 
Io  stato  che  signoreggiavano  molti 
potenti  de'dominii  ecclesiastici,  li 
dichiarò  e  confermò  vicari ,  come 
fece  cogli  Ordelafìi,  venendo  così 
tutti  ad  essere  legittimi  signori  del- 
le città  e  luoghi  che  occupavano. 
Anzi  molti  si  allearono  contro  Lo- 
dovico, come  allacciato  dalle  censu- 
re, e  deposto. 

In  Romagna  però  l'Ordelaffi  coi 
forlivesi  ostinati  per  la  fazione  ghi- 
bellina, si  tennero  dalla  parte  del 
Bavaro,  uniti  coi  Visconti,  Gonza- 
ghi,  Canari,  '  e  pisani,  assoldando 
la  compagnia  di  tedeschi  comanda- 
ti da  Gerneiio.  Essendo  per  la  Cine- 


roii 

m  rettore  della  provincia  Petronci- 
no  vescovo  di  Vercelli,  Taddeo  Po- 
poli co'  bolognesi  mosse  le  armi 
contro  l'Ordelaffi,  ma  con  sinistro 
successo.  Nel  1 34 1  Bonifacio  e  Fi- 
lippo de'Tornielli  germani,  famiglia 
che  nell'anno  i?.54  mediante  un 
Obizzo  da  Novara  si  trapiantò  in 
Forlì,  sposarono  due  sorelle  figlie 
del  cav.  Lelio  Berengari  ,  della  ce- 
lebre famiglia  mentovata  superior- 
mente. Nel  i343  Clemente  VI  spe- 
dì conte  di  Romagna  Almerico  o 
Armingone,  cui  unironsi  molti  di 
parte  guelfa  contro  i  ghibellini,  tra' 
quali  primeggiarono  Cesena  e  For- 
lì. 11  conte  credendo  agevole  sog- 
giogarle, raccolto  grossissimo  eserci- 
to, in  un  ai  confederati  da  ambe- 
due venne  respinto.  Nel  i346  go- 
dendo l'Ordelaffi  senza  disturbi  la 
signoria,  il  Papa  nominò  nuovo  conte 
Astorgio  Duraforte;  indi  nel  dicem- 
bre del  seguente  anno  passò  per  Ro- 
magna Lodovico  ìj  re  d'Ungheria, 
che  andava  a  vendicar  la  morte  di 
suo  fratello  Andrea  re  di  Napoli. 
Festeggiato  in  Bologna  dal  Pepoli, 
venitegli  fatta  splendida  accoglienza 
da  Francesco  Ordelaffi,  che  l'incon- 
trò a' confini  con  trecento  nobili 
giovani  a  cavallo,  e  cinquecento  fan- 
ti. Nel  tempo  che  si  trattenne  in 
Forlì  il  re,  dichiarò  cavalieri  Gio- 
vanni e  Lodovico  figli  di  France- 
sco, il  quale  volle  accompagnarlo 
alla  conquista  di  Napoli.  Ma  dovè 
quindi  correre  in  Romagna,  perchè 
il  conte  Astorgio  aveva  invasa  la 
città  di  Forlì,  pel  censo  dall' Orde- 
laffi non  pagato  ;  laonde  Francesco 
subito  pagò  il  tributo,  invocò  l'as- 
soluzione dalle  censure,  e  la  pace, 
non  potendo  sperare  in  Lodovico 
il  Bavaro  defunto,  cui  era  succedu- 
to Carlo  IV  alieno  dalle  fazioni 
italiche.    11    conte    Astorgio    reduce 


FOR  *3? 

da  Avignone,  ove  erasi  portato  nel 
i35o,  trovò  Manfredi  in  Faenza  ri- 
bellato, ed  unito  agli  Ordelaffi,  ai 
Polentani,  ed  ai  Pepoli  che  -vende- 
rono Bologna  ai  Visconti.  Poco  do- 
po Bertinoro ,  il  tanto  bramalo 
Castrocaro,  Meldola  e  Castelnuovo 
caddero  in  potere  di  Francesco , 
ed  il  primo  e  l'ultimo  a  mezzo 
del  figlio  Lodovico  divenuto  valo- 
rosissimo. Nel  ritorno  il  re  d'Un- 
gheria si  trattenne  due  giorni  in 
Forlì  tra  i  conviti,  i  festini  e  i 
tornei.  Indi  Francesco  mediante  il 
prode  figlio  e  col  solito  di  sua  for- 
tuna ,  tolse  lo  stato  al  conte  di 
Ghiacciolo.  I  Visconti,  i  Manfredi 
e  i  Polentani,  benché  di  opposte 
fazioni,  temendo  il  risentimento  del 
Papa  si  confederarono,  e  strinsero 
poi  alleanza  coli'  Ordelaffi ,  e  in- 
darno assediarono  il  conte  Astorgio 
in  Imola  difeso  dagli   Alidosi. 

Nel  i352  divenne  Pontefice  In- 
nocenzo VI,  il  quale  con  pieni  po- 
teri acciò  ricuperasse  in  Italia  lo 
stato  ecclesiastico  usurpato  dai  ti- 
ranni, spedì  legato  il  cardinal  E- 
gidio  Cardio  Albornoz,  perito  nella 
scienza  militare.  Nel  i353  Rober- 
to e  Luigi  principi  di  Taranto , 
fermandosi  alcuni  giorni  in  Forlì, 
furono  splendidamente  alloggiati  da- 
gli Ordelaffi,  che  poscia  liberarono 
dall'  assedio  Gentile  da  Mogliano 
signore  di  Fermo  oppresso  dal 
Malatesta,  ed  a  cattivarsi  Bernar- 
dino Polentani  signor  di  Ravenna 
gli  cederono  le  ragioni  su  alcune 
terre.  Intanto  il  Visconti  accolse 
con  isfarzo  il  cardinal  Albornoz,  che 
gli  confermò  Bologna  coli'  annuo 
tributo  di  dodici  mila  fiorini.  Il 
legato  avendo  poi  conquistata  tut- 
ta la  parte  verso  Roma,  e  la  Mar- 
ca, e  confermati  vicari  alcuni  che 
rinvenne  obbedienti,  intimò  a  com- 


a38  FOR 

parire  tra  gli  altri  Mala  testa ,  e 
l' Ordelaffi,  i  quali  unironsi  con 
Gentile  da  Mogli  a  no,  che  coll'aiuto 
di  Lodovico  figlio  del  cognato  Fran- 
cesco Ordelaffi,  ritolse  Fermo  al 
cardinale.  Trovandosi  l' imperatore 
Carlo  IV  in  Pisa  di  transito  per 
Roma,  andarono  l' Ordelaffi  e  il 
Malatesta  a  visitarlo,  e  gli  si  di- 
chiararono suoi  vicari,  sperando  a- 
iuto  contro  il  Pontefice;  ma  resta- 
rono mal  soddisfatti  ,  giacché  al 
dire  del  Rinaldi  non  volle  neppu- 
re vederli  come  nemici  del  Papa. 
In  questo  mentre  il  legato  nominò 
suo  generale  Ridolfo  Varani  signo- 
re di  Camerino,  avendo  seco  po- 
deroso esercito  di  spagnuoli,  fran- 
cesi, ungheri,  bretoni  e  teutonici, 
ed  insieme  condottieri  di  esperimen- 
tata bravura,  fra'  quali  il  nipote 
Gomez  Albornoz  ed  altri  personag- 
gi di  gran  valore.  Il  cardinale  for- 
tificò Recanati  assediato  poi  da 
Galeotto  Malatesta  generale  della 
lega,  che  dal  Varani  fu  sconfitto 
e  fatto  prigione,  laonde  domandò 
per  lui  la  pace,  restituendo  le  cit- 
tà tutte  al  di  là  del  Metauro,  e 
ritenendo  per  anni  dodici  a  titolo 
beneficiario  Rimini',  Pesaro,  Fano, 
e  Fossombrone,  ed  unendosi  col 
legato  contro  1'  Ordelaffi.  Fermo 
fu  ripreso,  e  Gentile  imprigionato 
dai  pontificii.  Gli  Ordelaffi  uniron- 
si al  Manfredi  signor  di  Faenza,  e 
maltrattarono  vari  luoghi  dei  Ma- 
latesta.   . 

A'  17  agosto  i355  seguì  nel  Ce- 
sellate grossa  scaramuccia  coli'  e- 
sercito  legatizio  ;  ma  essendo  alla 
custodia  di  Cesena  Cia  o  Zia  mo- 
glie di  Francesco  Ordelaffo,  arma- 
tasi montò  a  cavallo,  ed  animando 
il  popolo  uscì  con  iscelta  mano  di 
gente  contra  il  nemico,  e  lo  rup- 
pe, colla  morte  di  vari   signori  al- 


l'OH 
leali.  Sembra  che  anche  Lodovico 
pretore  di  Cesena  fosse  benemerito 
di  tal    vittoria.    Intanto   Innocenzo 
VI,  oltre  le  censure,  bandì  la  cro- 
ciata contro  Forlì  e    l' Ordelaffi,  a 
predicar  la  quale  tra  gli  altri  de- 
stinò Vitale  Avanzi  bolognese    ge- 
nerale de'  serviti.  Allora  Francesco 
fece  demolire    alcune    fortezze   per 
non  indebolirsi  in  tante  difese,   ed 
occupate    non    divenissero    propu- 
gnacoli a'  nemici,    intimandosi    dal 
cardinale  la  guerra  pel  marzo  i356. 
Morto  in  Cesena  Lodovico,  con  gran 
solennità  fu  portato  il  cadavere  in 
Forlì,   e   sepolto    in    s.    Francesco: 
alcuni  attribuirono  tal  morte  al  di 
lui  padre,  perchè  il  figlio  lo    con- 
sigliava   a    sottomettersi    al    Papa. 
Fortificatasi  da    Francesco    Cesena, 
e  la  rocca  sul  vicino  monte,  con  cit- 
tadella per   fosse    e    bastioni    assai 
forte,   lasciovvi   in  guardia  la    mo- 
glie Marzia,  ed  egli    si    restituì    a 
Forlì,  mentre  il  cardinale   attacca- 
ta  la  guerra  scorreva  ovunque  per 
affamare     il    paese,    venendo    però 
disturbato  dal  conte  Landi  a  favo- 
re dell'  Ordelaffi,  che  si    dilatò  sul 
Ravennate  per    punire  i  Polentani 
rappattumati  col  legato.    Inoltre  il 
conte  Landi  cogli  aiuti  di  Barnaba 
Visconti,  indispettito    per    la    pro- 
mulgata   crociata ,    colle     genti  di 
Forlì  piombò  sul    Riminese  recan- 
dogli   grave    danno.    Faenza    cede 
al  legato,  mentre  Francesco  si  pre- 
parò a  difendere  Cesena,    Forlim- 
popoli,  gli  altri  suoi  castelli,  e  For- 
lì sino  all'  ultimo  :  fatta  la  rassegna 
de'  suoi,  trovò  ascendere    le    squa- 
dre a  novecento,  i  cavalli  a  quat- 
tromila, non  compresi    i    venturieri 
specialmente  ghibellini  che  da  molte 
parti  accorrevano.  In  questo  frattem- 
po    giunse    d'  Avignone    il     legato 
Androino  abbate  di  Cluny,  richia- 


for 

mando  il  Papa  1' Alboraoz  per  aver 
bisogno  di  lui,  essendo  infestato 
dalla  magna  compagnia  del  conte 
Savoiardo  ad  istanza  dell'  Ordelaffi, 
che  il  tentò  per  distrarre  le  forze 
della  Chiesa,  o  almeno  per  allon- 
tanar d' Italia  il  valoroso  ed  accor- 
to cardinale.  Ma  essendo  pregato 
dal  nuovo  rettore  a  ricuperar  lo 
stato  tenuto  da  Francesco,  il  car- 
dinale l'esaudì,  e  fatta  mostra  di 
sue  genti  dichiarò  suo  consigliere 
e  commissario  di  campo  Francesco 
Calboli  vescovo  di  Sarsina,  il  qua- 
le con  tutti  di  sua  casa,  cogli  Or- 
gogliosi ed  altri  fuorusciti  di  For- 
lì, trovavansi  nell'  esercito  ponti- 
ficio. 

Ai  5.4  aprile  i356  incominciò 
la  guerra  all'  Ordelaffi,  occuparonsi 
due  castelli,  si  fecero  scorrerie  sul 
Forlivese,  e  si  assediò  Cesena,  per 
cui  gli  abitanti  all'insaputa  di  Marzia 
cedettero.  Costretta  essa  a  ritirarsi 
nella  rocca,  la  difese  da  più  as- 
salti con  stupore  de' nemici,  che 
vedevano  prontamente  riparati  i 
danni  che  facevano  alle  fortificazio- 
ni, diportandosi  quella  femmina 
egregiamente  e  qual  valentissimo 
capitano.  Crollata  la  torre  princi- 
pale della  cittadella,  Cia  passò 
nella  rocca,  che  dal  legato  giorno 
e  notte  con  macchine  ed  assalti 
venne  battuta;  mentre  l'invitta 
guerriera  con  nuovi  ripari  prolun- 
gava la  dedizione.  11  di  lei  padre 
Vanni  eh'  era  al  servigio  del  car- 
dinale ,  entrato  nella  rocca,  dopo 
aver  altamente  encomiata  la  figlia 
l' esortò  ad  arrendersi ,  facendogli 
considerare  im manchevole  la  per- 
dita, grande  l' indulgenza  del  car- 
dinale, e  che  già  erasi  resa  abba- 
stanza immortale.  Cia  rispose  al  ge- 
nitore, che  quando  la  concesse  al 
consorte,  1'  esortò  all'  ubbidienza,  e 


FOR  23n 

che  avendogli  esso  ingiunto  non 
cedere  la  piazza  senza  suo  cenno, 
noi  farebbe  a  costo  della  vita  :  pre- 
so il  padre  da  meraviglia  se  ne 
partì.  Tanto  ardire  non  diminuì 
quando  i  propri  soldati,  che  sino 
allora  avevano  esposta  la  vita,  ve- 
dendo inevitabile  la  loro  rovina, 
deliberarono  di  cedere  ;  il  perchè 
Cia  ai  soli  riflessi  di  vedersi  ab- 
bandonata, e  amando  di  salvare 
chi  per  lei  aveva  sostenuto  tanti 
travagli,  in  fine  patteggiò  col  car- 
dinale di  rendere  la  rocca,  e  che 
i  soldati  e  gli  altri  fossero  tutti  li- 
beri. Essa  poi  fu  contenta  rimaner 
prigione  col  figlio  Sinihaldo,  la  fi- 
glia, i  due  nipoti  Giovanni  e  Te- 
baldo figli  del  defunto  Lodovico, 
che  li  ebbe  da  Caterina  Malatesta, 
con  altri  tre  nipoti  Cecco,  Pino,  ed 
Isabella  nati  da  Giovanni ,  esso 
pure  figlio  di  Francesco  Ordelaf- 
fi, e  da  Taddea  sorella  di  detta 
Caterina,  non  che  con  due  altre 
nipoti,  figlie  di  Gentile  Mogliani,  i 
quali  tutti  perchè  in  tenera  età  era- 
no affidati  in  custodia  a  donna  sì 
illustre.  Seguì  la  resa  a'  1 1  giugno 
i357,  ed  a' 24  luglio  quella  della 
rocca  di  Bertinoro,  ceduta  da  Gio- 
vanni Ordelaffi,  salve  le  persone! 
Intanto  i  fiorentini  mandarono  ni 
legato  poderosi  aiuti,  e  con  dispia- 
cere videro  che  il  cardinale  avea 
promesso  cinquanta  mila  fiorini  al 
conte  Landi  padrone  della  magna 
compagnia,  acciò  per  un  triennio 
non  molestasse  lo  stato  della  Chie- 
sa e  quello  de' collegati. 

Neil'  agosto  1 357  f"  posto  l' as- 
sedio a  Forlì,  ed  il  cardinale  e- 
sortò  Francesco  ad  arrendersi,  né  a 
volersi  ostinale  contro  le  forze  sì 
poderose  del  Papa ,  specialmente 
per  aver  nelle  mani  la  di  lui  mo- 
glie e  figli.  Vuoisi  che  ne  riportas- 


240  FOR 

se  por  fiera  risposta,  che  ti  faceva 
meraviglia  come  per  imporre  di- 
cesse avere  nelle  sue  mani  la  sorte 
della  moglie,  de'  figli,  e  de'  nipoti, 
mentre  che  se  egli  avesse  preso  il 
cardinale,  dopo  tre  giorni  lo  avreb- 
be fatto  appendere  per  la  gola. 
«Si  racconta  ancora  che  una  figlia 
di  Francesco,  scongiurandolo  ad 
arrendersi  per  veder  libera  dal 
carcere  la  madre,  l'uccidesse;  ma 
ciò  non  è  sicuro.  Il  Rinaldi  al- 
l'anno i355  narra  le  crudeltà  e 
bizzarrie  dell'  Ordelafìì,  dicendo  che 
fece  strangolare  sette  sacerdoti  per- 
chè rifiutavano  di  violare  l'inter- 
detto cui  soggiaceva,  e  scorticarne 
altri  sette  per  mettere  spavento  ne- 
gli altri  ;  ed  avendo  saputo  di  es- 
sere stato  scomunicato,  fece  accen- 
dere un  gran  fuoco  e  bruciare 
l'immagine  del  Papa  e  de' cardi- 
nali ;  e  facendosi  beffe  delle  scomu- 
niche, diceva  ironicamente  quelle 
non  mutare  punto  il  sapore  degli 
squisitissimi  cibi,  né  punto  offende- 
re la  sanità  del  corpo.  Pressato  il 
cardinale  con  nuove  lettere  di  ritor- 
nare ad  Avignone,  fu  costretto  par- 
tire a'  i4  settembre,  rimanendo  la 
cura  del  conquisto  di  Forlì  al  det- 
to abbate  di  Cluny,  con  l'esercito 
composto  di  due  mila  cavalli  e 
venti  mila  fanti,  il  quale  avea  già 
dato  il  guasto  al  contado  forlivese 
per  indurre  carestia  negli  assedia- 
ti :  ma  Francesco  avea  espulso  dal- 
la città  i  più  vecchi  ed  i  fanciulli, 
a  conservarsi  più  a  lungo  coi  viveri 
ch'avea  provvisto.  L'Ardoino  o  An- 
droino  dunque  insieme  al  capitano 
Galeotto  Ma  la  testa  continuò  l'assedio 
in  cui  seguirono  molte  scaramuccie 
tra  gli  assedianti  e  i  forlivesi  gui- 
dati da  Francesco,  il  quale  pre- 
miando i  valorosi,  e  tutti  animan- 
do, tutte  le  volte  che  usci  a  com- 


FOR 

battere  restò  vincitore,  con  poche 
perdite.  Ripresi  dai  pontificii  i  quar- 
tieri d'inverno,  all'ultimo  di  apri- 
le i3T8  s'accostarono  di  nuovo  a 
Foilì,  e  prevedendo  un  lungo  as- 
sedio costruirono  un  castello  sul 
fiume  Ronco,  lungi  due  miglia  dal- 
la città,  detto  s.  Croce,  perchè  l'e- 
rezione incominciò  il  giorno  dell'In- 
venzione della  croce,  in  cui  abitò 
quasi  sempre  il  legato,  ed  un  altro 
ne  costrussero  tra  Forlì  a  Faenza 
per  impedire  il  transito  de'  viveri 
nella  città,  e  così  più  presto  affa- 
marla, trovandosi  il  resto  dell'eser- 
cito intorno  a  Forlì.  Frequenti  era- 
no gli  assalti,  indomabile  la  forza 
e  costanza  degli  assediati,  e  grande 
l'animo  di  Francesco,  che  princi- 
palmente dimostrò  quando  respinse 
i  nemici,  che  a'  17  giugno  per  tra- 
dimento di  alcuni  erano  entrati  in 
città.  Tra  i  prigioni  nobili  che  fe- 
ce 1'  Ordelaffi ,  a  quelli  eh'  erano 
decorati  di  croce,  con  ferri  infuo- 
cati fece  scolpir  croci  sulla  fronte 
e  sul  petto,  e  ad  altri  fece  trarre 
la  pelle.  Più  di  fortuna  ebbe  il  le- 
gato nella  presa  di  Meldola,  e  la 
rocca  salve  le  persone  poscia  si 
arrese. 

Almerico  Cavalletti  con  una  sua 
compagnia,  col  bottino  fatto  sul  Ra- 
vennate e  Cervese  ristorò  i  forlivesi 
già  vessati  dalla  penuria  de'  viveri, 
i  quali  si  accrebbero  con  altre  in- 
cursioni, giacché  i  pontificii  eransi 
ritirati  dall'assedio  e  fortificati  ne 
luoghi  vicini,  onde  le  zuffe  eranc 
frequenti.  Vedendo  il  Papa  Innc 
cenzo  VI  non  essere  per  anco  dal- 
l' Ardoino  presa  Forlì,  determinò, 
così  consigliato  da' cardinali  in  cor 
cistoro,  di  spedir  nuovamente  il 
cardinal  Albornoz,  che  a'  17  di- 
cembre giunse  in  Romagna,  accolte 
magnificamente  in  Castel  s.  Pietr 


FOR 

dilli' Oleggio  signore  di  Bologna. 
Venuta  Ja  primavera  del  i35g 
cinse  nuovamente  d'  assedio  la  città, 
ed  in  una  scaramuccia  Francesco 
restò  ferito  d'una  mazza  nella  testa, 
da  >icoluccio  Calholi  ;  guarito  che 
fu  operò  altra  sortita,  ma  sover- 
chiato da  maggiori  forze  venne 
costretto  a  ritirarsi.  Questo  fu  l'ul- 
timo sforzo  dell' OrdelalFo,  giacché 
stanco,  e  crescendo  la  fame  nella 
città,  cominciò  tinalmente  e  pensar 
di  cedere,  e  per  mezzo  dell'  Oleg- 
gio  si  concluse  l'accordo  'colle  se- 
guenti condizioni.  Che  Francesco 
cedesse  al  legato  Forlì  e  tutti  i 
presidii  e  castelli  ;  che  il  legato 
rendesse  all'  OrdelalTo  la  moglie,  i 
figli  e  nipoti,  ed  il  prosciogliesse 
dalle  censure  e  scomuniche  ;  e  gli 
avesse  a  concedere  per  un  decen- 
nio Forlimpopoli  e  Castrocaro  (al- 
tri aggiungono  Meldola  e  Bertino- 
ro  ),  ma  che  le  fortezze  si  mante- 
nessero col  presidio  in  comune  del 
Papa  e  dell'  Orde  latto,  il  quale  con 
nuovo  giuramento  fosse  tenuto  di- 
chiararsi suddito  della  Chiesa:  il 
Rinaldi  dice  che  le  fortezze  doves- 
sero affidarsi  alla  guardia  di  amici 
comuni.  Nella  città  di  Forlì,  1'  ul- 
tima dello  stato  pontificio  ad  ar- 
rendersi, entrò  il  cardinal  Albornoz 
a'  4  luglio  con  letizia  universale 
del  popolo,  debilitato  dal  lungo  as- 
sedio ;  ed  arrivato  alla  porta  del 
palazzo  creò  cavaliere  Albertaccio 
Ricasoli  fiorentino  consultore  di 
guerra.  Quindi  ordinata  la  guardia 
alla  città,  e  lasciatovi  un  suo  vi- 
cario, andò  in  Faenza,  ed  ivi  in 
pubblico  parlamento,  alla  presenza 
di  parecchi  personaggi,  Francesco 
Ordelaffò  già  capitano  di  Forlì , 
umilmente  riconobbe  e  confessò  tut- 
ti i  suoi  falli  ed  errori  commessi 
contro  la  romana  Chiesa  ed  i  Pa- 
voi..  xxv. 


FOR  ?4r 

pi,  invocando  perdono  e  misericor- 
dia. 11  legato  ripetendo  le  ingiurie 
e  1'  eresie  dell'  OrdelalFo,  con  le  pe- 
ne nelle  quali  era  incorso,  il  privò 
d' ogni  dignità  ed  onore,  gli  fece 
la  convenevole  riprensione,  e  per 
penitenza  gì'  impose  la  visita  di  al- 
cune chiese  in  Faenza  in  certa  for- 
ma ;  e  ciò  fatto  il  legato  cavalcò 
ad  Imola  ove  venne  il  signore  di 
Bologna,  e  dopo  lungo  colloquio, 
a'  1 7  luglio  il  cardinale  coi  con- 
sueti riti  ricomunicò  nella  messa 
Francesco,  e  nominatamente  tutti 
i  suoi  fautori  ed  aderenti,  e  resti- 
tuitolo agli  onori  della  cavalleria, 
gli  perdonò  tutte  le  colpe  :  il  tutto 
fu  formalmente  confermato  in  A- 
vignone  da  Innocenzo  VI. 

Muniti  i  luoghi  più  forti  e  i 
posti  più  considerabili,  il  cardinale 
ordinò  1'  arresto  di  dodici  preti  che 
neh'  assedio  di  Forlì  avevano  osato 
celebrare  la  messa  nella  città  sco- 
municata, e  con  essi  Giacomo  Bian- 
chi che  avea  esortato  i  cittadini  a 
non  darsi  al  Pontefice.  Assai  piacque 
al  legato  Forlì,  talché  la  elesse  per 
sua  dimora,  e  vi  riponeva  la  mo- 
neta esatta  dai  domimi  ecclesiastici 
pel  Papa,  e  composevi  varie  leggi 
accennate  di  frequente  nello  statuto 
di  Forlì,  col  nome  di  Egidiane. 
Edificò  il  pubblico  palazzo,  la  cui 
fronte  venne  poi  decorata  di  por* 
tico  dagli  Ordelaffi,  e-  più  tardi 
perfezionato  dal  cardinal  Donghi  le- 
gato di  Romagna.  Lastricò  pure  la 
piazza  con  puliti  mattoni,  e  fece 
altre  cose  degne  di  lui;  per  le  qua- 
li, e  per  aver  insignito  molte  nobili 
famiglie  di  privilegi,  loro  donando 
la  sbarra  cerulea  del  proprio  stem- 
ma, il  cardinale  si  rese  general- 
mente oggetto  di  amore  e  di  rive- 
renza. Tentando  Barnaba  Visconti 
prender  Bologna,  1'  Oleggio  la  cede 
16 


*4*  FOR 

al  legato,  ricevendo  in  cambio  Fer- 
mo con  cinquanta  mila  fiorini.  Al- 
lora Barnaba  dichiarata  la  guerra 
al  Pontefice,  istigò  Francesco  Or- 
delaffo,  proclive  all' armi  e  d' indo- 
le turbolenta,  e  Giovanni  Manfredi 
a  tentar  la  ricupera  di  Forlì  e 
Faenza  col  dar  loro  molta  gente. 
Il  cardinal  discoprì  le  mene,  punì 
severamente  i  traditori,  ed  intento 
alla  guerra  di  Bologna,  diede  in  cu- 
stodia Forlì  a  Malatesta  Guastafami- 
glia,  colla  dignità  di  pretore.  L'Or- 
delaffi  assediato  in  Forlimpopoli 
implorò  l' indulgenza  del  legato,  ed 
ottenne  salvacondotto  di  portarsi 
ad  Ancona  ove  trovavasi  il  cardi- 
nale ;  ivi  rompendo  la  data  fede  fu 
posto  in  carcere,  e  minacciato  di 
vita,  per  salvarla  dovè  cedere  asso- 
lutamente Forlimpopoli  e  le  altre 
terre,  ed  essere  confinato  a  Chiog- 
gia.  Uscito  di  prigione  ruppe  di 
nuovo  gli  accordi,  ed  accostatosi  al 
Visconti ,  fu  eletto  generale  alla 
guerra  di  Bologna,  riuscendogli  va- 
no il  tentativo  fatto  6U  Forlì.  Le 
ostilità  dell'  Ordelaffo  furono  imi- 
tate dai  forlimpopolesi ,  resisten- 
do al  cardinale,  che  a  tremendo 
esempio  delle  altre  città,  nel  1 36o 
fece  miseramente  spianare  Forlim- 
popoli, e  sull'  area  seminarvi  il  sa- 
le. Gli  annali  forlivesi  aggiungono, 
che  Forlimpopoli  soggiacque  a  tan- 
ta pena,  per  aver  i  cittadini  tu- 
multuariamente ucciso  il  proprio 
vescovo  Ugolino,  mentre  gli  esor- 
tava a  rendersi  al  legato.  Dell'  ec- 
cidio di  Forlimpopoli,  e  della  pre- 
tesa uccisione  del  vescovo  meglio  se 
ne  tratta  all'articolo  Forlimpopoli. 
Gran  parte  de'  forlimpopolesi  si 
ricoverò  in  Forlì,  da  cui  soprattut- 
to si  fece  acquisto  del  corpo  di  s. 
Rufillo  primo  vescovo  e  protettore 
di  Forlimpopoli,    che    non    creden- 


FOR 

dosi  sicuro  in  quella  città  desolata, 
da  Bartolomeo  vescovo  di  Forlì,  Ro- 
berto vescovo  di  Bertinoro,  e  Gio- 
vanni Numai  vescovo  di  Sarsi na 
con  divota  pompa,  e  coli'  interven- 
to del  senato  forlivese  fu  riposto 
in  s.  Giacomo  in  Strada,  poi  chie- 
sa di  s.  Lucia.  Nel  detto  anno  mo- 
rì il  vescovo  di  Sarsina  Francesco 
Galboli  forlivese,  che  con  egual  va- 
lore trattò  la  spada  e  il  pastorale, 
riverito  in  pace  e  temuto  in  guer- 
ra. Bologna  era  per  essere  superata 
dagli  Ordelaffi,  senza  il  pronto  aiu- 
to dei  Malatesta,  che  costrinsero  il 
Visconti  ad  abbandonar  l' assedio, 
mentre  l' Ordelaffo  avea  fatto  una 
scorsa  su  Lugo  o  Rimini.  Ma  nel 
pontificato  di  Urbano  V,  l' anno 
i362,  seguì  la  pace,  dopo  aver  il 
cardinale  sconfitto  sul  Modenese  Vi- 
sconti, che  restituì  Lugo.  Nel  1 364 
il  cardinale  tornò  in  Avignone,  e 
il  successe  I'  Androino  divenuto  car- 
dinale, il  quale  è  conosciuto  meglio 
sotto  il  nome  di  Androino  de  la 
Roche  o  Rocca,  ovvero  della  Ru- 
pe. Questi  a  mezzo  del  cav.  Giret- 
ti rettore  particolare  della  provin- 
cia ,  die  esecuzione  alle  benigne 
istruzioni  di  Urbano  V  nel  man- 
tener i  patti  del  cardinal  Albornoz, 
col  perdonare  a'  ribelli  pentiti,  re- 
stituendo loro  i  beni  tolti  per  la 
guerra  del  Visconti,  e  ciò  per  quie- 
te di  Romagna.  Fu  perciò  reitegra- 
to  Francesco  Ordelaffo  il  grande 
di  Castrocaro,  e  del  territorio  di 
Forlimpopoli-,  ma  cessato  di  vivere 
in  Venezia,  il  di  lui  figlio  Sinibal- 
do  e  i  suoi  nepoti  entrarono  in 
possesso.  11  cadavere  di  Francesco 
e  quello  di  Marzia,  Cia  o  Zia  sua 
moglie  furono  poscia  nel  i38o  da 
Sinibaldo  trasferiti  a  Forlì  con  mol- 
ta magnificenza,  e  deposti  nell'  an- 
tico sepolcro  degli    Ordelaffi    in    s. 


FOR 

Francesco.   Fatto  nuovo  rettore  del- 
la  provincia,  con   titolo  di     vicario, 
1  Vtioncino  o  Petruccino    arcivesco- 
vo di   Ravenna,    convocò    in     Fori) 
i  provinciali,  prestando  visi  per  mez- 
zo di  procuratori  la  solita  ubbidien- 
za dai    titolati    e    beneficiati    della 
Chiesa  in  temporale,  salvo  il  vigore 
de*  privilegi    rispettivi.    Praticarono 
altrettanto  le     città    governate    dal 
Papa   a  mezzo  di  governatori   par- 
ticolari ;  nel  resto  eleggevano  i  ma- 
gistrati  loro  a    tenore    del    sistema 
di     prima.    Nel     1 366    Urbano    V 
fece  legato    d' Italia,    e    vicario    di 
tutto  Io  stato    ecclesiastico,    il    fra- 
tello cardinal   Angelico    Grimoardi, 
mentre  Forb  godeva  tranquilla  pa- 
ce,   e     moriva    Petroncino    rettore 
della    provincia.    Ma    siccome    cosa 
di  quaggiù  passa   e  non  dura,  colla 
morte  del   Pontefice  cessò  la  quiete 
clic  aveva  rallegrato    tutta    la    Ro- 
magna. 

Gregorio  XI   spedì  legato   in  I- 
talia   Pietro  cardinale    Bituricense  , 
il   quale  a  suggerimento  di  Galeot- 
to   generale    della    Chiesa    prese  a 
soldo  Giovanni  Aucuto  inglese,  ca- 
po d'una  compagnia,    il   quale  ca- 
gionò gravi   disastri     nella    provin- 
cia ed  in  Italia,    e    primieramente 
fece  insorgere  sospetti   a  danno  dei 
fiorentini,  mentre  in  Forlì  nel  1872 
s' incominciò  a   fabbricar  la  fortez- 
za  di   Ravaldino.  A  Giovanni    Nu- 
mai    forlivese     vescovo    di    Sarsina 
fu   restituita  la  temporale    giurisdi- 
zione che  godevano    i  suoi    prede- 
cessori ;  indi   uel    1 37 3    il  cardinal 
Grimoardi   fu  di   nuovo  preposto  a 
legato,  ma  il  suo  contegno  rigoro- 
so ,  e    quello    de'  soldati    inglesi  e 
nazionali,  cagionò  malcontento.  Col 
negare  ai   fiorentini  viveri  nella  ca- 
restia che  soffrivano,  quelli  si  con- 
fermarono del  male  umore  cui  ve- 


FOR  »4* 

nivano    riguardati,  ed  unendosi  coi 
Visconti  dichiararono  la  guerra  ,  fo- 
mentando segretamente  la  ribellio- 
ne de'  popoli.  Forlì  disgustata  de- 
gP  inglesi  fu  la  prima  a  dar  il  se- 
gnale della  rivolta  nella    vigilia  di 
s.   Tommaso,  ad  onta    dei  provve- 
dimenti   dell'accorto  legato:    dopo 
essersi  per  quindici  giorni    retta  a 
governo  popolare,  essendosi   divisa 
in    fazioni,  i  ghibellini  richiamaro- 
no gli  Ordelafìì,    e   Pino  vi    entrò 
a'  5  gennaio    i3y6  ;  indi  con  molta 
gente  Sinibaldo,  con  Cecco  e  Tebal- 
do   nipoti.    Ma    oppostasi  la    parte 
guelfa,  che  prese  a  difendere  il  pa- 
lazzo e  le   strade  con    barricate  di 
catene,  ebbe   principio    crudel    ba- 
ruffa   colla    peggio    de'  guelfi    che 
andarono    espulsi  dalla  città,  e  Si- 
nibaldo   qual    figlio    di    Francesco 
Ordelaffi   ne  assunse    il    pieno    do- 
minio.   Nel     tumulto     furono    sac- 
cheggiate le   case,  e  proscritti  i  be- 
ni de'  guelfi   fuorusciti,  i  cui  nomi 
si   leggouo   in  principio  del  settimo 
libro  del  Bonoli,  Storia    di   Forti, 
e   pei  primi  i   Calboli  e  gli   Orgo- 
gliosi    appellati     pure     Argogliosi. 
Chiamato  in    Faenza    dal    vescovo 
tarragonese    rettore   della  provincia 
l' Aucuto  j    commise    stragi    e    sac- 
cheggi  orribili,  dai   quali    non  an- 
dò   esente    Cesena.    1    forlivesi    re- 
spinsero gì'  inglesi  e  bretoni,  ribel- 
landosi i  ravennati   per    isfuggir  le 
loro  barbarie.  Venuto  Gregorio  XI 
in  cognizione  di  sì  fatti  avvenimen- 
ti, mentre  preparavasi  egli  stesso  a 
tornar  in  Italia  restituendo  a    Ro- 
ma la   residenza  pontificia,  nel  giu- 
gno   1376    spedì    nuovo    legato    il 
cardinal  Roberto  di  Ginevra,  poscia 
antipapa    Clemente  VII,  con  seimi- 
la cavalli  britanni,  detti  bretoni,  ed 
altri    ottocento    italiani,    che    uniti 
agi'  inglesi,  ed  ai    rinforzi  de'  pria* 


244  FOR 

cipi  amici,  in  tutto  formavano  cir- 
ca ventimila  combattenti.  I  fioren- 
tini però  ed  il  Visconti  mandaro- 
no a  Sinibaldo  loro  alleato  alcune 
compagnie  di  armigeri. 

La  prima  intrapresa    del    legato 
fu  diretta  contro  Bologna,  ma  sen- 
za frutto;  onde  per  quartieri  d' in- 
verno distribuì  le  truppe  a  Faenza, 
Bertinoro  e    Cesena,  non   che    ne- 
gli altri  luoghi  ubbidienti  al  Pon- 
tefice. L'insolenza  de' soldati  britan- 
ni, tollerata  dai   ministri  per  man- 
canza di   mezzi  a  pagarli,  ridusse  i 
cesenati    a    tumultuare    scannando 
ottocento  bretoni  ;  fingendo  il  car- 
dinaie  di  aver  ciò    gradito    in    re- 
pressione    della     militare    rapacità, 
per  tema  che  chiamassero    i    forli- 
vesi e  i  fiorentini.    Ma  avendo  in- 
trodotto nella  rocca  l'esercito,  que- 
sto in  vendetta  commise  tali  atro- 
cità che  rifugge  la  penna  descrive- 
re, già  accennate  all'articolo  Cesena 
ed  altrove  :  a  cinque   mila  persone 
fu  tolta  la    vita,    il    resto    disperso 
come  narra  s.   Antonino.    Partiti  i 
bretoni  da  Cesena,    il    legato    pose 
nella  rocca  un    presidio    d' italiani, 
ripatriando    i    miseri     e     superstiti 
cesenati.  A'  17  gennaio  1377,  giun- 
se in  Roma  Gregorio    XI,    che  ivi 
morto  nell'anno  seguente,  fu  eletto 
a  succedergli  Urbano  VI,  cui    ben 
presto  ebbe  a  funestissimo  compe- 
titore il    cardinal    di    Ginevra,    col 
nome  di  Clemente    VII;    il    quale 
ardi    mantenersi    nello    scisma ,    e 
pseudadignità,   coli' inviare    contro 
il  vero  Papa  il  proprio  nipote  Mon- 
zoja   coi  suoi   bretoni.   Dessi   furono 
tagliati  a  pezzi  a  Marino    dal    ro- 
magnolo Alberico  conte  di  Barbiano 
colle  truppe  pontificie,  e    da    Mo- 
starda Perilio  o  della  Strata,  e  dal 
Brandolini  esperti  capitani  forlivesi  ; 
mentre   Urbano  VI  pacificavasi  coi 


FOR 
fiorentini,  i  quali  protestarono  aver 
guerreggiato  contro  i  crudeli  mini- 
stri, non  contro  la  Chiesa.  Intanto 
Forlì  procedeva  tranquillo  sotto  Si- 
nibaldo Ordelaflì,  per  aver  saputo 
difender  la  patria  dall'  anglo  furo- 
re ;  la  letizia  si  accrebbe  quando 
sposò  Paola  Bianca,  figlia  del  già 
Pandolfo  Malatesta  signore  di  Pe- 
saro e  sorella  di  Galeotto,  la  cui 
condotta  egregia  per  la  santa  Se- 
de, gli  avevano  da  essa  procacciata 
la  signoria  di  Cesena,  acciò  non  ca- 
desse nelle  mani  di  principe  nemi- 
co. In  fatti  Astorgio  Manfredi  che 
s'  era  insignorito  di  Faenza,  col  Vi- 
sconti s'accinse  a  sorprenderla  ;  ma 
nel  passar  che  fece  pel  territorio  di 
Forlì,  Sinibaldo  se  gli  fece  incon- 
tro col  popolo  armato,  e  Io  costrin- 
se a   retrocedere. 

Galeotto  a  compensare  il  cogna- 
to di  favore  sì  grande,  col  Ponte- 
fice, appresso  cui  molto  poteva,  tan- 
to si  adoperò,  che  Sinibaldo  Orde- 
laffi riebbe  il  favore  pontificio,  e 
venne  dichiarato  nel  1 379  per  do- 
dici anni  vicario  della  Chiesa  in  For- 
lì, e  confermato  nella  signoria  di 
Castrocaro,  e  territorio  di  Forlim- 
popoli,  conforme  ai  capitoli  già  con- 
venuti col  padre.  Contemporanea- 
mente Cecco  o  Francesco  di  Gio- 
vanni Ordelaffi,  e  nipote  a  Sinibal- 
do, creato  primo  capitano  dell'e- 
sercito veneto,  da  valoroso  portava- 
si nella  guerra  di  Chioggia  contro 
i  genovesi  ,  né  dava  saggio  mi- 
nore di  sua  crescente  bravura  Gio- 
vanni di  Lodovico  Ordelaffi,  cugi- 
no di  Cecco,  qual  colonnello  a  quel- 
la guerra,  ed  acquistò  sì  onorata 
rinomanza,  che  molti  principi  gli 
affidarono  i  loro  eserciti.  La  guerra 
di  Chioggia  in  cui  dai  genovesi  e 
Carraresi  si  minacciava  Venezia,  fu 
famosa  pel  mirabile  uso  delle  bona- 


FOR 

barde,  ivi  adoperate   per   lii    prima 
volta  dai  veneti,  che  come  furono  di 
molto  spavento    al    mondo,    furono 
pure  causa  di  vittoria  ai  veneziani, 
i  quali  riacquistato  il  perduto    pa- 
cificaronsi    coi    genovesi.    E    quindi 
una  delle  glorie  di  Forlì,  che  le  bom- 
barde, oggidì  la  forza  più  formida- 
bile degli  eserciti,    si    adoperassero 
la  prima    volta    sotto    il    comando 
di  forlivesi.  Nel  i38o  Sinibaldo  co- 
minciò a    riedificare   Forlimpopoli, 
ed  ivi   il  giorno  di  s.   Gio.  Battista, 
tra   molte  feste    si  fece  la  corsa  di 
cavalli  alla    sua  presenza  ed  a  quel- 
la di  molti  di  sua  famiglia  e  cor- 
te ;  aggregò  Forlimpopoli    al   terri- 
torio forlivese,  ed  accorciò  la  citta- 
dinanza di   Forlì  ai  pompiliesi  ossia 
forlimpopolesi.     Così     Forlimpopoli 
per  ben  due  volte  fu  n'edificata  dai 
forlivesi,  e    in    ambedue    v'  ebbero 
parte  gli  Oidelaflì:  le  castella  delle 
Caminate  e  di  Belfiore  furono  pu- 
re ristorate  per  Sinibaldo,  amante 
di     fabbricare  .    In    questo    tempo 
Carlo  III  Durazzo,  detto  della  Pa- 
ce, del  real  ceppo    di    Roberto    re 
di   INupoli,  con  l'esercito  avuto  dal 
re  d'  Ungheria,   recandosi  a  soggio- 
gare di   regno  di  Napoli   ed  a  soc- 
correre   Urbano     VI,   a'  16    agosto 
passò  pel   territorio  forlivese,  e  ven- 
ne accolto  con    molto    onore    nella 
città,  alloggiato  in  s.    Varano.   Po- 
co dopo  il  senato    di    Siena    elesse 
Giovanni   Ordelaffi    a    suo    pretore 
e  prefetto,  e  conservatore  della  pa- 
ce e  del    popolo    sanese.  La    peste 
nel    1082   fece  strage   in   Modiglia- 
na,  Castrocaro,  e  Forlì  ove   mori- 
vano cento  persone    al    giorno.    In 
pari  tempo  Lodovico  d' Angiò  con- 
tro   Carlo     III     con     poderosissimo 
esercito  passò  per  la  via  di  Roma- 
gna, per  conquistare  il  di    lui    re- 
gno,  essendo    partigiano   dell'  anti- 


FOft  245 

papa  che  aveva  in  Avignone  stabi- 
lito una  cattedra  di  pestilenza,  alla 
quale  obbedivano  varie  città  e  na- 
zioni. 

Grande  si  era  il  tumulto  e  spa- 
vento d'Italia  per  esercito  così  im- 
ponente, per  cui  il  Pontefice  spedi 
in     Romagna    colla    compagnia   di 
s.   Giorgio,   Alberto    conte    di    Cu- 
nio,  il  quale  distribuita  parte    dei 
soldati  nei  dominii  de'Malatesti,  con 
trecento    scelti    cavalli    si  pose    in 
Forlì,  in  faccia  alle  cui  porte  com- 
parve  l'esercito  francese  a'  i  3  ago- 
sto. NenJico  all'Ordelaffi,  Guido  Po- 
lentani    signor  di  Ravenna  aderiva 
all'antipapa  Clemente  VII  e  a  Lo- 
dovico, che  da  lui    veniva  provvi- 
sto di    viveri;  quindi    Lodovico     a 
suggerimento  del  Polentani  attaccò 
Forlì  dalla   parte    di  porta   Schia- 
vonia,  ma    in  vano   perchè  brava- 
mente   difeso    da    Sinibaldo ,    da 
Alberico     e    dai     forlivesi,     laonde 
Lodovico  si   sfogò  nel    saccheggiar 
le  ville;    ma    restò    punito,  poiché 
inseguito  da  Alberico  colle  squadre 
del  Papa  e  di  Carlo  III,  fu  disfatto 
in   una  battaglia,  per    cui  dall'an- 
goscia, e   da    una    ferita    riportata 
mori  Lodovico  nel    i384-  Alberico 
venne  salutato    liberatore  d'Italia, 
e    ristoratore    dell'  antica    milizia , 
neh'  istituzione  della  qompagnia  di 
s.    Giorgio  in   cui    non  erano  am- 
messi che  italiani,  i  quali   colle  lo- 
ro    eroiche    imprese    dimostrarono 
che  non  era  più  bisogno  ricorrere 
al  venale  estero  braccio.  Morì  Giu- 
liano Numai,    causa  principale  del 
ritorno  degli  Ordelaffi,  e  Tebaldo 
di  questa  famiglia.   I   Polentani  fu- 
rono   scomunicati    da     Urbano  VI, 
esponendo  la  di  lui  signoria  ch'era 
feudo  della    Chiesa,  all'invasione  e 
dominio    di  chi    la    volesse;    ed    è 
perciò  che  Galeotto  Malatesta,  eoa 


246  FOR 

Pino    Ordelaffi    ed    altri    forlivesi , 
occupò    Cervia.    Vacando    la    sede 
forlivese,  l'antipapa  Benedetto  XIII, 
ch'era   successo  a  Clemente  VII,  da 
Avignone    nominò    certo    Ortando, 
e  ciò  per    provare  audacemente  la 
sua  falsa    autorità.  Un  soldato  del 
principe  di  Conciato  signore  di  Cosse, 
parente  del  re  di  Francia,  nel  di  lui 
passaggio  per  Forlì,   vendè  a  Siili- 
baldo  la  testa  di  s.  Donato  vesco- 
vo e  protettore  di  Arezzo,  fregiata 
d'  oro  e  di    gemme,  e    dal    mede- 
simo depredata  negli  anteriori  sac- 
cheggiamenti    al  passaggio  de'  fran- 
cesi per  Arezzo  coll'armata  di  Lo- 
dovico d'Angiò  nel    i384-  L'Orde- 
lafìi  per  pagamento  fece    carcerare 
ed    impiccare  il    soldato.    Indi    Si- 
nibaldo scampò  nel  i385  per  pro- 
digio   la  vita  alla  caduta  di    parte 
del    tempio    delle     monache    di    s. 
Giuliano,  poi  s.   Caterina.   Nel  me- 
desimo    tempo    Pino    celebrò    con 
pompa    le    nozze    con    Branca    de' 
Brancaleoni  di  Castel  Durante,  don- 
na di  singolare    bellezza;    ma  Ga- 
leotto Malatesta,  personaggio  d'im- 
mortal  memoria,  finì  di  vivere.  Nel 
giugno  Sinibaldo  con  pubbliche  al- 
legrie di   giostre,  corse  e  corte  ban- 
dita   solennizzò    il  dì    festivo    di  s. 
Donato,  il  di    cui  capo  avea  ripo- 
sto nella  chiesuola  del  proprio  pa- 
lazzo con  molta  venerazione;  e  con- 
fermò la    consuetudine   che  si  con- 
tinuasse a    celebrar  il  giorno  di  s. 
Mercuriale    con     torneamene,  gio- 
stre e"  pubblici  spettacoli. 

Sinibaldo  iniquamente  si  appro- 
priò tremila  lire  ch'erano  state  ru- 
bate ad  Andrea  Orselli,  e  con  pre- 
testi e  falsità  condannò  questi  a 
prigione  perpetua,  confiscando  per 
la  stessa  ingordigia  i  beni  del  fra- 
tello ;  tal  fatto  attirò  l'odio  comu- 
ne   sopra    Sinibaldo  ,    laonde    Pino 


FOR 
Ordelaffi  per  ismania  di  dominare 
congiurò  con  Cecco  di  lui  fratello, 
simulando    quando    Sinibaldo    loro 
zio  per  avvertenza  di  Giacomo  Al- 
legretti  voleva   metterli  a  parte  del 
dominio.  Fatta  numerosa  congiura  la 
notte  de' 1 3  dicembre  1 385,  mentre 
Sinibaldo  colle  sue  genti  erano  im- 
mersi nel  sonno,  i  congiurati  for- 
zarono la  porta    del  palazzo,  e  lo 
fecero  prigioniero  nel  forte  Raval- 
dino.   I   nipoti    vollero    dallo    zio  i 
contrassegni    d'ogni    rocca,    e    nel 
giorno  seguente    scorsa  la  città  ne 
vennero  acclamati  capitani  e  signo- 
ri; indi  alla  morte  di  Giovanni  Nu- 
mai  vescovo  di  Sarsina  s' impadro- 
nirono della  città   e  luoghi   vicini , 
di  cui  poscia  ne  vennero  per  dodici 
armi  infeudati   vicari     da  Bonifacio 
IX  nel  i3go  :  s' impadronirono  pu- 
re del    castello    di    Ciola    ed    altre 
terre    alla    morte    del    vescovo    di 
Todi  Benedetto.  Nel  i386  si  scuo- 
prì   una  congiura   contro  i   fratelli, 
alla  cui    testa  era   Giovanni,    altro 
nipote  di  Sinibaldo,    per  ristabilir 
questi  nella  signoria  :   molti   furono 
puniti,  altri   fuggirono.   Ai    28   ot- 
tobre   morì    in  carcere    Sinibaldo, 
non  senza  sospetto  di  veleno,  e  per 
togliere  forse  con   la  sua  morte  o- 
gni   speranza  e  tentativo  a   riporlo 
in  signoria.    L'ultimo  regime  di  sua 
vita  gli  fa  poco  onore,  ma  del  r< 
sto  fu  eloquente,  affàbile,  sagace, 
divoto,  di  acuto  ingegno  e  di  cuc 
re  magnanimo;  con  solenne  poi 
pa    il  suo   cadavere    fu    sepolto 
s.  Francesco.   Gli  aretini   coll'intei 
posizione  della  repubblica  di  Firer 
ze  ricuperarono  la  testa  del  loro 
trono  s.  Donato,  che  fu  riposta  m 
l'antica  sua  chiesa  con  di  vota  coi 
solazione  di  que' cittadini,   come  si 
legge    nel  Burali,     Vite    de'vescovi 
aretini  pag.  88  ;    e    nel    libro  ititi- 


FOR 

tolato  Monumenti    e  notìzie  istori- 
che  riguardanti  la  chiesa  vescovile 
di  Arezzo  p.  1 08,  §  XXXI,  stampa- 
to in  Lucca  nel  1755.  Nel  seguente 
anno  1 387    Pino    e   Cecco    sconfis- 
sero la  compagnia    dei  conti  Lan- 
dò e  Corrado,  facendo   prigione  il 
secondo,    perchè  minacciavano  oc- 
cupare F01T1  in  unione  di  Giovan- 
ni  Ordelaffi.    11    Visconti    pel     suo 
valore  lo  creò  colonnello  e  gli  die 
facoltà  di    portarsi    all'  acquisto    di 
Forlì,  ma  inutilmente;  passando  al 
servigio    dei    Malatesti    signori    di 
Rimmi.   L'anno  1 388   Cecco  Orde- 
laffi sposò    Caterina    figlia    del    si- 
gnore di  Reggio    Guglielmo    Gon- 
zaga :  si  celebrarono  in  Forlì  gran- 
di  feste  ed  allegrezze,  ed  a  palazzo 
vi  fu  corte  bandita;   di  queste  cor- 
ti bandite  se  ne  parla   all'  articolo 
Corte  ( Fedi).    Nel  i38g    si   fecero 
nella  città  solenni    esequie  ad    Ur- 
bano VI,  il  cui  successore  Bonifa- 
cio IX   partecipò  la  sua  elezione  a- 
gli  Ordelaftì,  quali  vicari  della  Chie- 
sa, come  apparisce  dalla  lettera  di 
proprio   pugno,  e  da  quella  del  sa- 
gro collegio    de' cardinali;    per  cui 
gli    Ordelaffi    spedirono     a    Roma 
Tommaso    Pontiroli    prete  ,    detto 
per  nobiltà  domicello,  e  Baldo  Bal- 
di notaio,  per  ambasciatori  al  Pon- 
tefice ad  esternargli    sensi  di   esul- 
tanza  per  la    sua    esaltazione.   Bo- 
nifacio IX  concesse    agli  ambascia- 
turi   la   conferma    per  Cecco  e  Pi- 
no  intorno  alla  signoria   di  Forlì, 
Forlimpopoli,  Sarsina,  Castrocaro, 
Riolo  ed   altre    terre,    essendo  de- 
corsi  i   dodici  anni   dell'investitura 
fatta   a   Sinibaldo.   Riolo  fu  poi   in- 
vocato    come     giurisdizione     della 
chic>a     di    Ravenna,    uuliadimcno 
pubbliche  e  solenni    furono    le  di- 
mostrazioni   di     giubilo    in     Forlì 
per  tal  pontificia  conferma. 


FOR  347 

Cecco  Ordelaffi  nel  i3()i   si  por- 
tò in  Roma   con  Alberto  d'Este, 
che  nel  ritorno  in  Ferrara  si  trat- 
tenne in   Forlì.    Divenuti    gli    Or- 
delaffi signori  di  Roversano,  i  Ma- 
latesta  s' inimicarono,  recando  dan- 
ni al  Forlivese.  Tentò  Pino  sorpren- 
dere inutilmente  Bertinoro,    la  cui 
rocca   era   in   custodia   di  Antonio 
Tomacelli  parente  del  Papa,  il  qua- 
le gli  scrisse  con   risentimento,  non 
cessando  i  Malatesta  di  nuocere  ai 
forlivesi.    A  terminar  tali    disunio- 
ni, Bonifacio  IX  spedì  in  Romagna 
il  cardinal   di  Bari,    il    quale   con 
prudenza  singolare  compose  gli  a- 
nimi  alla  pace.   In  Romagna  il  Pa- 
pa non  possedeva    libera   che  Ber- 
tinoro, che   volle   vendere    per  pe- 
nuria di  numerario.    Gli   Ordelaffi 
fatta  una    colletta  generale    per  lo 
stato,  offersero  ventimila  fiorini,  ma 
Antonio  Tomacelli  loro  nemico  im- 
pedì che  il  Papa  gli  cedesse  Berti- 
noro, e  ad  onta  della  data  parola, 
per   ventidue    mila   fiorini    la  fece 
concedere  ai  Malatesta.  Egualmen- 
te per   bisogno   di  danaro   Bonifa- 
cio IX  vendè  ai  fiorentini  le  ragio- 
ni   che  aveva  su  Castrocaro,  e  que- 
sti nell' impossessarsene  ebbero  a  sos- 
tenere gravi   fatti  d'armi.  Nel  1 3<)t) 
si  eccitò  ne'  popoli    un  fervore  di- 
voto ,  incedendo    vestiti    di  bianco 
processionalmente  di  città  in  città, 
di  chiesa    in    chiesa   disciplinandosi 
e  facendo  orazioni  :  con  questo  spi- 
rito   di    pietà  e  di  perdonanza    gli 
Cjrdelaffi     richiamarono    in     patria 
molti  esuli ,    tra'  quali  i  Calboli  e 
gli    Orgogliosi ,    cui    restituirono    i 
beni  ;   ed    inoltre    invitarono    nella 
città  e  a  parte  della  signoria   il  lo- 
ro cugino    Giovanni    Ordelaffi   di- 
morante in  Rimini ,    ma   poco  so- 
pravvisse; egli  nacque  di  Lodovico, 
uno  de'  figli  di  Francesco  il  gran- 


248  FOR 

de.  Nel  i4oi  morì  pure  Pino,  che 
conoscendo  1'  inerzia  del  fratello 
Cecco,  e  quanto  era  odiato  dai  cit- 
tadini, prima  di  spirare  diede  i  con- 
trassegni delle  fortezze  al  vescovo 
di  Forlì  Scarpetta  Ordelaffi,  figlio 
naturale  di  Francesco,  ed  alla  pro- 
pria moglie  Venanzia;  laonde  di- 
visa la  città  in  partiti ,  molti  ac- 
clamarono Cecco  ,  altri  Scarpetta  , 
il  quale  più  prudente,  e  calcolan- 
do le  conseguenze  cede  i  contras- 
segni ricevuti,  ed  allora  fu  promul- 
gato assoluto  signore  Cecco.  Que- 
sto sul  principio  dissimulò  lo  sde- 
gno, ma  poi  pose  nella  rocca  di 
Ravaldino  il  vescovo ,  ed  oppresse 
e  rovinò  molli  cittadini  ;  dopo  due 
mesi  il  vescovo  morì  prigione  , 
e  venne  il  cadavere  trasferito  in 
duomo. 

Agli  8  dicembre  r4oi  Cecco  eb- 
be da  Bonifacio  IX  Ja  conferma 
dello  stato  che  governava:  ricevet- 
te pure  la  notizia  che  Antonio  di 
lui  figlio  naturale ,  giusta  la  fatta 
inchiesta,  era  stato  espulso  dall'or- 
dine gerosolimitano  ,  onde  poter 
nella  signoria  succedere  al  padre 
in  mancanza  di  prole  legittima. 
Immerso  Cecco  ne'  vizi  fece  stroz- 
zare certo  Pietro  ministro  delle 
sue  estorsioni  ed  angarie,  avocan- 
do a  sé  i  ricchi  di  lui  averi  ;  indi 
die  l' unica  sua  figlia  Lucrezia  in 
isposa  a  Malatesta ,  ma  poco  so- 
pravvisse al  matrimonio.  Così  per 
stravizzi  morì  il  padre  Cecco  nel 
i^o5,  determinando  che  Antonio 
suo  figlio  naturale  diventasse  prin- 
cipe, prima  di  rendere  1'  ultimo  re- 
spiro ,  a  cagione  degli  aspiranti  al 
potere,  fra'  quali  eravi  Giorgio  Or- 
delaffi figlio  naturale  del  defunto 
Tebaldo.  Superata  la  congiura  di 
questi,  Cecco  radunò  nelle  sue  stan- 
ze i  principali    della    città,    e  per 


FOR 

un  suo  segretario  gì'  invitò  ad  ac- 
cettar il  figlio  Antonio  per  princi- 
pe. Sopraffatti  gli  astanti  da  sì  ina- 
spettato discorso,  mancò  loro  la  pa- 
rola per  contraddire  ;  ma  usciti 
di  palazzo  riflettendo  all'odio  che 
portava  il  popolo  a  Cecco  ,  e 
vergognandosi  che  avesse  loro  da 
imperare  un  giovane  che  ne'  vizi 
somigliava  il  padre,  si  dimostraro- 
no malcontenti.  Quindi  passati  ven- 
tiquattro giorni ,  che  fu  a  3  set- 
tembre, sparsasi  voce  Cecco  esser 
morto,  il  popolo  entrò  a  forza  nel 
palazzo,  ove  Cecco  giacente  in  let- 
to lottava  colla  morte.  A  tal  vista 
la  plebe  s' inasprì,  strascinò  per  le 
scale  il  suo  corpo  che  fra  mille  lu- 
dibrii  spirò  infelicemente.  In  tal 
sommossa  fu  saccheggiato  1'  erario 
e  il  palazzo,  imprigionandosi  Cate- 
rina figlia  di  Giovanni  Ordelaffi  e 
Francesca  la  madre  :  Antonio  si 
salvò  nella  rocca  di  Ravaldino  ,  e 
poscia  trasportato  a  palazzo  gli  fu- 
rono tolti  i  contrassegni  di  essa  e 
di  quella  di  Forlimpopoli,  e  quin- 
di di  nuovo  tradotto  prigione  in 
Ravaldino.  II  popolo  assunse  il  go- 
verno della  città,  si  giurò  libertà 
sotto  la  protezione  della  Chiesa , 
cui  protestarono  pagare  quel  tri- 
buto istesso  che  Cecco  annualmen- 
te soddisfaceva;  e  si  elessero  dodi- 
ci priori  pegli  affari  di  guerra  e 
di  pace,  rivestiti  perciò  di  poteri 
amplissimi  :  in  loro  nome  fu  pre- 
sidiata la  rocca  ,  svolazzandovi  il 
vessillo  del  pubblico. 

In  tempo  di  tali  rivolte  Giorgio 
Ordelaffi  stimolato  dai  suoi  aderen- 
ti si  avvicinò  a  Forlì,  ma  tentan- 
do l'ingresso  in  Forlimpopoli  lo 
impedirono  i  forlivesi ,  che  a  ca- 
stigo de'  pompiliesi  saccheggiaro- 
no le  case;  così  mira  esito  ebbe  il 
tentativo  su  Forlì,  come  fu  repres- 


1  OR 
so    quello    de'  fautori     di    Azzo    di 
Castelbarco ,    figlio  di  Onesiina  di 
Francesco  Ordelaflì.    In   Roma   fu 
da  Paolo    Orsini    ucciso    Moscardo 
o  Mostarda  illustre  capitano  forli- 
vese, già  compagno  d'Alberico  ci ì 
Barbiano,  nelle  cui   truppe,  al  dire 
del    Bonoli  ,    introdusse    pel  primo 
1'  uso  d'armare  i  soldati  di   ferra  , 
ebe  prima  lo  erano  di  cuoio,  don- 
de ne  derivò  il   nome    di  corazze; 
servi  per  lungo  tempo  la   Cbiesa  e 
n'  ebbe    in    premio    alcuni    castelli 
nella  Marca,  giacebè  espugnò  Asco- 
li ed  Assisi,  e  meritò   d' essere  se- 
polto nella   basilica   vaticana.  Inte- 
sa la  morte   di   Cecco,    il  cardinal 
Cossa   legalo  di   Bologna,  poi   Gio- 
vanni XXI II,  si    recò  a  Faenza,  e 
quindi  ordinò  ebe  si  spedissero  am- 
basciatori   a    Forlì     a    cbiedere    la 
città  per  la  Cbiesa,  come   ad  essa 
devoluta  per  la  mancanza  de'  suc- 
cessori legittimi    nella    casa    Orde- 
laih";  ma  fu  risposto  che  avrebbe- 
ro i  forlivesi  pagato  alla  Cbiesa  lo 
slesso  censo  degli   Ordelaflì,  ed  an- 
co   altri    pesi    salvo    il    regime    at- 
tuale, quindi   il  consiglio  e  i  priori 
decisi  di  difendersi,  inviarono  am- 
basciatori ad   Innocenzo  VII.  A'i7 
ottobre  il  cardinal    per   due  trom- 
bettieri intimò  la  guerra,  togliendo 
alcune  castella   ai   forlivesi,    mentre 
Forlimpopoli  si  die  alla  Chiesa.  Il 
legato  fece   mozzar  la    testa  ad  A- 
sloigio  Manfredi    che  di   tutto  av- 
visava  i   forlivesi,    i  quali   pei  loro 
oratori   implorando  soccorso  e  pro- 
tezione dalla    repubblica    di   Vene- 
zia, gli  offrirono  in  dominio  la  cit- 
tà, in  più.  luoghi  della  quale  fece- 
ro dipingere    l'impresa    veneta    di 
s.  Marco.  Ma  i  saggi  veneziani,  co- 
me i   fiorentini,  si  ricusarono,  cono- 
scendo per    esperienza    essere    van- 
taggioso godere  il  favore  della  san- 


FOR  249 

ta  Sede.  Nel  14.06  il  Malatesta  al- 
leato del  cardinale  prese  diverse 
castella  de'  forlivesi,  e  questi  gli  re- 
sero la  pariglia  sul  Cesellate.  Bal- 
do Baldi  fece  un  tentativo  in  città 
a  favore  del  Papa ,  ma  ne  restò 
vittima,  ed  aspra  barufla  seguì  col 
saccheggio  di  varie  case.  A'  20  a- 
prile  con  sue  genti  tornò  il  cardi- 
nale all'assedio  di  Forlì.,  occupan- 
do il  castello  di  Riolo,  nel  mentre 
che  ritornavano  da  Pioma  gli  am- 
basciatori di  Innocenzo  VII,  il  qua- 
le per  tema  che  le  repubbliche  di 
Firenze  e  Venezia  assumessero  la 
protezione  dello  stato  di  Forlì,  con- 
cesse la  pace  alle  seguenti  condi- 
zioni. 

Che  venisse  tolto  l'interdetto; 
che  la  città  rimanesse  libera  col 
dominio  delle  sue  castella,  ma  a 
contrassegno  di  ossequio  e  divozio- 
ne pagasse  alla  Chiesa  l'annuo  censo 
solito  a  pagarsi  dagli  Ordelaflì;  che 
in  emergenza  di  guerra  fosse  tenu- 
ta prestar  soccorso  alla  Chiesa  con 
fanti  e  cavalli  ;  che  Forlimpopoli, 
come  era  attualmente,  restasse  nel- 
le mani  del  Papa,  e  nella  cui  roc- 
ca si  ponesse  presidio  per  la  Chie- 
sa insieme  e  pei  forlivesi;  finalmen- 
te che  in  Forlì  avesse  di  continuo 
a  risiedere  un  oratore  pel  Ponte- 
fice. 11  cardinale  ritornò  a  Bologna 
accompagnato  da  una  squadra  di 
forlivesi  vestila  a  verde,  e  da  una 
di  faentini  a  bianco  e  rosso,  e  colà 
per  tre  giorni  vi  si  fece  giostre  e 
torneamenti  ,  l'onore  di  cui  ripor- 
♦tarono  i  forlivesi  sempre  destri  ne- 
gli esercizi  cavallereschi.  Dipoi  Gior- 
gio ed  Antonio  Ordelaflì,  il  quale 
per  la  pace  con  bando  perpetuo 
erasi  posto  in  libertà,  senza  suc- 
cesso provarono  occupar  Sadurano, 
indi  abbandonarono  la  Piomagna. 
Vivevasi   nella  città  tranquillamea- 


:,m  FOR 

te  quando  Giovanni  di  P.  Largia- 
uo  fuoruscilo  forlivese  persuase  il 
legato  d'impadronirsi  a'  18  luglio 
della  rocca  di  Ravaldino,  ove  spie- 
garono la  bandiera  del  Papa,  ac- 
clamando il  di  lui  nome  e  quello 
de' guelfi ,  inlantochè  avvicinavasi 
col  l'esercito  il  cardinale,  con  Albe- 
rico di  Balbiauo.  Il  popolo  sopraf- 
fatto dall'inatteso  avvenimento  si 
sollevò,  mentre  il  cardinale  per  la 
rocca  entrò  in  città ,  che  si  vide 
presa  avanti  di  essere  assalita.  Il 
legato  subito  fece  decapitare  i  più 
pertinaci  della  fazione  ghibellina , 
indi  fece  eostruire  alla  porta  Sehia- 
vonia  una  fòrte  rocca  per  meglio 
infrenare  i  forlivesi  ,  la  quale  po- 
scia il  cardinal  legato  Ri  vaiola  nel 
secolo  XVII  fece  smantellare  per 
abbellire  la  porta.  Collocati  i  pre- 
sidii  ebe  giudicò  opportuni,  il  car- 
dinal Cossa  esiliò  i  cittadini  prin- 
cipali e  più  sospetti,  e  se  uè  tornò 
a  Bologna,  lasciando  in  sua  vece  a 
governatore  Guido  Torelli  capitano 
del  marebese  Nicolò  d'Este,  confe- 
derato ed  amico  della  Sede  aposto- 
lica. Forlì  per  alcun  tempo  sotto 
Gregorio  XII,  ed  Alessandro  V  eb- 
be a  godersi  una  quiete  insolita; 
ma  Giorgio  Ordelalli,  che  vegliava 
sempre  a'  propri  interessi,  tanto  si 
adoperò  che  nel  1^.10  Forlimpo- 
poli  si  die  a  lui,  cacciato  il  presi- 
dio ecclesiastico,  e  inutilmente  tentò 
il  conquisto  di  Forlì;  più.  tardi 
acquistò  Fiumana  e  Riolo,  come 
Faenza  fu  occupata  da  Giangaleaz- 
zo  Manfredi. 

Divenuto  il  cardinal  Cossa  Gio- 
vanni XXIII ,  spedì  in  Romagna 
per  legato  e  rivestito  di  estesi  po- 
teri, il  cardinal  Lodovico  Fieschi, 
il  quale  subito  si  accinse  a  pren- 
dere Forlimpopoli,  ma  non  senza 
perdita    dovette    ritirarsi.    Trovan- 


FOR 
dosi  Giovanni  XXIII  agitato  dalle 
guerre,  e  dallo  scisma  che  ancora 
lacerava  la  Cbiesa,  non  solo  perchè 
tuttora  viveva  l'antipapa  Benedet- 
to XIII,  ma  eziandio  perchè  Gre- 
gorio XII  era  sostenuto  dai  Mala- 
testa  e  da  altri,  volle  compiacere 
gli  Ordelaffi  dell'antico  dominio  o 
per  cattivarsi  la  loro  amicizia,  o  per 
non  poter  tra  tante  angustie  divertir 
le  sue  forze  a  difesa  di  questo  sta- 
to. Adunque  agli  11  maggio  1 4-1  1 
Giorgio  ed  Antonio  Ordelafti  furo- 
no accolti  in  Forlì  e  riammessi  nel- 
la solita  signoria,  ed  entrarono  per 
porta  s.  Pietro  con  duemila  caval- 
li, tutti  esuli  ghibellini,  con  letizia 
universale;  disputandogli  poscia  i 
guelfi  la  consegna  delle  fortezze, 
per  cui  accaddero  alcune  baruffe  e 
morti.  Assicurato  in  tal  modo  lo 
stato,  Giorgio  meditò  la  perdita 
d'Antonio,  e  lo  fece  tradurre  nella 
rocca  di  Ravaldino  ;  indi  sposò  Lu- 
crezia di  Lodovico  Alidosi  signore 
d  Imola,  al  quale  consegnò  la  cu- 
stodia d'Antonio.  Nel  i4-i3  Gior- 
gio si  trasferì  a  Forlimpopoli,  ove 
ricevè  il  possesso  della  rocca  tenu- 
ta dai  guelfi,  ed  al  fanciullo  che 
ivi  nacque  gì' impose  il  nome  di 
suo  padre  Tebaldo.  Nel  1 4  ■  5  Gio- 
vanni XXIII  o  perchè  di  nuovo 
aspirasse  al  dominio  di  Romagna, 
o  perchè  questi  popoli  aderissero 
al  suo  competitore  Gregorio  XII 
che  risiedeva  in  Rimini,  vi  mandò 
Braccio  da  Montone  suo  capitane 
con  l'esercito,  il  quale  recò  gravi 
danni,  e  prese  il  castello  di  Sa- 
durano,  che  Giorgio  soccorso  di 
denari  dal  pubblico  di  Forlì  po- 
scia riscosse  ;  e  riavuto  il  favo- 
re di  Giovanni  XXUI  venne  con- 
fermato vicario  della  signoria  da  lui 
posseduta,  purché  riammettesse  in 
patria,  e  ne'  loro  beni  gli  esuli  di 


FOR 
guelfo  partito.  Intanto  nel  concilio 
di  Costanza  adunato  per  togliere 
lo  scisma,  ed  al  quale  Giorgio  avea 
spedito  il  forlivese  fr.  Guglielmo, 
celebre  teologo  agostiniano,  Gio- 
vanni XXI 11  fu  deposto  ed  impri- 
gionato, Gregorio  XII  generosa- 
mente rinunziò,  l'antipapa  Bene- 
detto XIII  fu  scomunicato,  ed  agli 
li  novembre  1 41 7  fi*  eletto  di 
comun  consenso  Martino  V  Colon- 
na romano.  Questi  per  la  via  di 
Ravenna  nel  marzo  i4x-9  giunse 
a  F01T1,  ove  con  molto  onore  ven- 
ne ricevuto  da  Giorgio  Ordelaffi, 
e  per  quattro  giorni  con  somma 
letizia  trattenuto,  scorsi  i  quali  il 
Pontefice  prosegui  il  suo  cammino 
per  Firenze. 

Siccome  i  bolognesi  si  mantene- 
vano pertinaci  contro  il  Papa,  per- 
chè sottratti    dall'  ubbidienza    della 
Chiesa  nel    1^.16,  1' Ordelaffi    e  gli 
altri    principi    di    Romagna    spedi- 
rono oratori  a  Bologna  a  fine  d'in- 
durre   quel    senato    a     riconoscere 
Martino  V  a  supremo  signore,    al- 
trimenti le  loro  forze  unite  a  quelle 
della  Chiesa  tentato  avrebbero  colle 
armi,  quanto    non    ottenessero  col- 
le parole.   Ma  persistendo    i    bolo- 
gnesi nello  stesso  sentimento,  il  Pa- 
pa aiutato  dai  predetti   mandò  l'e- 
sercito su  Bologna,  per  cui  atterriti 
gli  abitanti  si  diedero  tosto  al    le- 
gato apostolico.  La  quiete  di  Forlì 
cessò  nel  i4^i  colla  morte  di  Gior- 
gio, che  lasciò  sotto  la  tutela  della 
moglie  Lucrezia    il  figlio    Tebaldo 
d'anni  dieci,  e  come  dicono  alcuni 
sotto  la  protezione  del  duca  di  Mi- 
lano, e  del    marchese    di    Ferrara. 
Lucrezia  mandò  Tebaldo  ad  Imola 
per  l'educazione  e  custodia,   indi  a 
governatori   imolesi  consegnò  l'am- 
ministrazione, ed  a'  soldati    imolesi 
le  fortezze  dello  stato  con  gran  dis- 


FOR  a5'i 

piacere    de'  forlivesi  ,    che     ne     fe- 
cero   pubbliche     rimostranze.     Lu- 
crezia esasperò  gli  animi    con    im- 
prigionar   Paolo    Laziosi    cittadino 
riputato,  sottoponendolo  a  rigoroso 
processo.   Caterina  Ordelaffi  moglie 
di  Bartolomeo  Fregoso   pensò  pro- 
fittar delle  turbolenze ,  comprando 
a  tal  effetto  Castel   Bolognese,  ove 
accolse  i  malcontenti.    Ma    i    saggi 
cittadini  considerando    che    il    pas- 
sar da  una  femmina  ad  altra  non 
conveniva ,    per    aver    Tebaldo    in 
Forlì    ricorsero    a     Filippo     Maria 
Visconti  duca  di  Milano,  che  aspi- 
rando al  dominio  d'  Italia    accettò 
la  mediazione.  Lucrezia  però  si  po- 
se in   guardia,   mentre    il    cardinal 
Alfonso  Carillo  legato    espulse    da 
Castel  Bolognese  Caterina  col  ma- 
rito ;  ma    quando    pronunziò    sen- 
tenza di    morte    contro    il    Laziosi 
il  popolo  si  sollevò,  liberò    il    cit- 
tadino ,    chiuse    in    buona    camera 
Lucrezia  ,    trucidò    molti  de'  suoi , 
cacciando  gì'  imolesi,  ovunque  pro- 
clamando il  nome  di  Tebaldo.  In- 
di   si    elessero    otto    consiglieri    di 
cui    fu   fatto  capo  Gianiaeopo   Tor- 
nielli   per  prender   le  redini  del  go- 
verno in  nome  di  Tebaldo    Orde- 
laffi, avvisando    in    pari    tempo    a 
Lugo  le  milizie    del  duca    di    Mi- 
lano, i   cui  comandanti    con  quelli 
dell'Estense  occuparono    Forlì    per 
Tebaldo,  e  la  rocca   di    Ravaldino 
dai  milanesi. 

Lucrezia  fuggì  per  una  finestra 
a  Forlimpopoli,  ed  ivi  si  fece  por- 
tar da  Imola  Tebaldo,  per  tenere 
in  fede  il  popolo.  I  fiorentini  vi- 
dero con  rancore  le  mire  del  Vi- 
sconti, e  subito  si  dierono  a  soc- 
correre Lucrezia  per  cacciare  i  mi- 
lanesi, provocati  eziandio  dalle  pre- 
mure dell'  oratore  pontificio,  e  dai 
Malatesta.    Le    milizie    giunsero   a 


25;  FOR 

Forlimpopoli  inalberando  le  in- 
segne degli  Ordelaflì,  e  gridando 
il  nome  di  Tebaldo,  riè  valse  l'in- 
tervenzione per  la  pace  del  mar- 
chese d'Este.  Incominciata  la  guer- 
ra sotto  Forlimpopoli,  i  fiorentini 
ebbero  la  peggio.  Allora  i  fio- 
rentini stabilirono  di  proseguir- 
la con  tutto  il  vigore,  e  taccian- 
do di  parzialità  il  cardinale  ne  ot- 
tennero da  Martino  V  la  remo- 
zione, che  in  vece  vi  mandò  il 
cardinal  Gabriele  Condulmieri,  ni- 
pote di  Gregorio  XII,  e  poscia 
Papa  Eugenio  IV.  Con  un  esercito 
di  sei  mila  cavalli ,  e  quattro  mi- 
la fanti  sotto  il  comando  del  ge- 
neralissimo Carlo  Malatesta,  i  fio- 
rentini proseguirono  la  guerra.  In 
questo  mentre  il  duca  Visconti  al 
suo  comandante  Cecco  da  Mouta- 
gnana,  aggiunse  Agnolo  della  Per- 
gola ,  valoroso  capitano.,  il  quale 
con  rinforzi  arrivò  a  Forlì  nel 
i424>  ea*  a  punire  l'Alidosi  vicario 
in  Imola  pel  Papa ,  e  promotore 
di  questi  disturbi,  i  milanesi  sor- 
presero la  rocca,  e  s'impadronirono 
della  città,  mandando  prigione  a 
Milano  1'  Alidosi  che  poi  si  fece 
religioso  francescano.  Presa  cosi 
Imola,  venne  tratto  dalle  carceri 
Antonio  Ordelaffi ,  che  recossi  a 
ringraziare  il  duca,  presso  il  quale 
restò  alcun  tempo.  Jl  cardinal  le- 
gato fu  dolentissimo  per  tanti  av- 
venimenti ,  ed  il  Papa  come  prin- 
cipe supremo  vietò  il  passaggio 
tanto  ai  fiorentini  che  ai  milane- 
si; indi  mandò  a  Bologna  in  luo- 
go del  cardinale  l'arcivescovo  di 
Arles  cardinal  Alamanni  che  fece 
al  duca  ogni  male.  I  fiorentini  con 
più  di  calore  continuarono  la  guer- 
ra sul  Forlivese  occupando  Fiuma- 
na, e  Sadurano  da  loro  spianato 
per  la    resistenza   opposta  dagli  a- 


FOR 
tritanti;  indi  assediarono  Forlì,  ma 
furono  interamente  sbaragliati,  e 
fatti  prigioni  i  capi,  fra'  quali  il 
Malatesta,  ed  altri  uccisi.  Seguen- 
do Agnolo  della  Pergola  il  corso 
della  vittoria  riacquistò  a'  forlivesi 
Fiumana ,  le  Cantinate,  Belfiore, 
ed  altre  terre;  ebbe  pure  Forlim- 
popoli con  la  rocca,  Berti noro,  Sa- 
vignano,  Verucchio,  Santarcangelo, 
Dovadola,  Rocca  s.  Cassiano,  Por- 
tico, e  Bagno  con  immenso  botti- 
no. I  fiorentini  storditi  di  veder 
disfatto  un  possente  esercito,  fecero 
molte  alleanze,  mentre  altrettanto 
faceva  il  duca  Visconti  con  Mar- 
tino V,  col  Malatesta  che  liberò  da 
prigione,  e  con  Giovanna  li  regi- 
na di  Napoli;  quindi  dichiarò  la 
guerra  al  Manfredi,  il  quale  nei 
primi  vantaggi  che  riportò  si  eb- 
be molti  prigioni  forlivesi  ,  che 
coi  fiorentini  portò  a  Faenza. 

Francesco  Sforza  mandato  dal 
duca  Visconti  per  capitano,  asse- 
diò in  detta  città  il  Manfredi,  ma 
trasferita  dagli  alleati  la  guerra 
in  Lombardia,  fu  costretto  richia- 
mar l'esercito  di  Romagna,  ed  es- 
sendo morto  di  peste  in  Ri  mini 
Tebaldo  Ordelafìi,  consegnò  al  Pa- 
pa Forlì ,  Imola  e  Forlimpopoli, 
delle  cui  città  a  nome  della  Chie- 
sa ne  prese  possesso  il  cardinale 
Alamanni.  Il  Papa  mandò  poi  pre- 
sidente di  Forlìj  Imola,  Forlimpo- 
poli, e  di  tutti  i  dominii  di  que- 
ste provincie  spettanti  alla  santa 
Sede  il  celebre  Domenico  Caprani- 
ca  vescovo  di  Fermo,  poi  cardi- 
nale, il  quale  con  applauso  straor- 
dinario venne  accolto  in  Forlì,  che 
fece  sua  residenza  nel  1426.  Di- 
poi nella  notte  de'4  febbraio  1428, 
mentre  il  dottissimo  Lombardino 
da  Ripetrosa  insegnava  pubblica- 
meute    umane    lettere     nella    sua 


FOR  FOR                 2^3 

scuola,  questa  fu  investila  da  un  in  Lugo  colle  genti  di  Visconti, 
incendio.  Ivi  era  l' immagine  di  Tommaso  accrebbe  il  rigore,  e  fe- 
Nostra  Signora  effigiata  in  carta  e  ce  entrare  in  Forlì  con  molta  sol- 
sovrapposta  su  tavoletta,  cui  in  ogni  datesca  Gattamelata  generale  del- 
sabbato  i  discepoli  recitavano  le  li-  la  Chiesa. 

tanie,  la  quale  prodigiosamente  re-  Nel  i433  si  macchinò  nuova 
sto  illesa  in  mezzo  alle  fiamme  congiura,  che  sollevando  il  popolo, 
divoratrici  che  consunsero  tutta  la  corse  a  palazzo,  presero  Tommaso 
casa,  anzi  ne  fu  visto  il  luogo  col-  cui  imputarono  di  voler  cedere  la 
pito  da  celeste  splendore.  A  con-  città  ai  veneziani,  e  lo  dierono  in 
siglio  dei  Capranica  venne  la  sa-  custodia  ai  Laziosi,  i  parenti  dei 
già  immagine  portata  solennemen-  quali  erano  stati  da  lui  preceden- 
te in  duomo,  ove  a' divoti  subito  temente  carcerati,  mentre  Gattame- 
incominciò  ad  essere  larga  dispen-  lata  era  passato  a  Bologna.  Subito 
satrice  di  grazie.  In  questa  con-  per  corriere  s'invitò  Antonio  Or- 
giuntura  la  cattedrale  intitolata  delaffi,  che  si  portò  di  notte  in 
alla  santa  Croce,  a  motivo  di  con-  Forlì,  tra  i  fuochi  e  le  illumina- 
servarvisi  un  grosso  pezzo  della  ve-  zioni  fatte  a  gara  dal  popolo.  Alle 
ra  croce,  venne  molto  ingrandita  preghiere  dei  Polentani  il  vescovo 
per  le  pie  largizioni  de'  fedeli  a  Tommaso  fu  lasciato  andare  in  Ra- 
detta  immagine,  che  dal  portento-  venna,  mentre  il  vescovo  Caffarelli 
so  miracolo  fu  poi  chiamata  la  che  avea  impedito  il  riforno  del- 
Madonna  del  fuoco.  È  qui  da  no-  1' Ordelafli,  si  esentò  dalla  sede; 
tarsi  che  nel  luogo  della  casa  ove  per  la  qual  cosa  dal  clero  e  capi- 
fu  l'incendio,  nel  1819  a  cura  e  tolo  forlivese  venne  dichiarato  imo- 
spese  del  canonico  penitenziere  d.  vo  vescovo  Giovanni  Bevilacqua,  a 
Angelo  Poggiolini  si  eresse  un  mediazione  del  quale  Battista  Ca- 
tempietto  ad  onore  della  stessa  poferri  castellano  della  rocca  Ra- 
Madonna  del  fuoco.  Intanto  a  mez-  valdino,  vedendo  Eugenio  IV  im- 
zo  del  Capranica  Martino  V  ri-  pegnato  nella  guerra  contro  Nicolò 
chiamò  a  dovere  gl'insorti  bolo-  Fortebraccio,  il  giorno  ultimo  di 
gnesi,  venendo  fatta  in  Forlì  la  rac-  dicembre  la  consegnò  all'  Ordelaf- 
colta  dell'  esercito  pontificio  forte  fi.  Ne  seguirono  1'  esempio  Forlim- 
di  dieci  mila  armigeri.  Costretti  popoli  e  le  altre  castella  ;  quindi 
nel  1429  i  ribelli  all'ubbidienza  nel  marzo  l'Ordelaffi  tolse  in  mo- 
de'ministri  della  Chiesa,  ne  fu  no-  glie  Caterina  di  Gherardo  Rango- 
minato  vice-legato  Giovanni  Calla-  ni,  dal  popolo  festeggiata.  Eugenio 
relli  romano  vescovo  di  Forlì.  Al-  IV  essendosi  ritirato  a  Firenze, 
l'insigne  preside  Capranica,  succes-  quivi  spedì  ambasceria  1'  Ordelam, 
se  Tommaso  da  Venezia  vescovo  ad  implorar  perdono,  e  l' investi- 
Traconense  ,  che  all'  elezione  di  tura  dello  stato,  ma  inutilmente, 
Eugenio  IV  fece  celebrare  in  For-  perchè  adirato  il  Pontefice  sì  per 
lì  straordinarie  allegrezze.  Mal  con-  l'intrinsichezza  che  Antonio  avea 
sigliato  il  nuovo  preside  divenne  col  Visconti,  sì  per  aver  privato 
odioso,  per  cui  si  scoperse  e  pu-  del  vescovato  il  CalTarelli.  Nuova- 
«1  la  congiura  che  voleva  dar  la  mente  ribellata  Bologna  dai  Cane- 
città  ad    Antonio  Ordelaffi   eh'  era  toli,  e  datasi   Imola  ai    milanesi,  il 


s54 


FOR 


Papa  inviò  un  esercito  in  Roma- 
gna, che  presso  Castel  Bolognese 
restò  disfatto  da  Nicolò  Piccinino  ca- 
pitano del  duca.  Allora  Eugenio 
IV  confermossi  nell'  alleanza  coi 
veneti  e  fiorentini,  e  vi  aggiunse 
i  Malatesti  e  i  Manfredi  ,  dichia- 
rando generale  e  gonfaloniere  del- 
la Chiesa  Francesco  Sforza  capita- 
no di  sommo  valore,  cui  die  nella 
Marca  grossa  signoria  con  titolo  di 
marchese;  ordinandogli  insieme  di 
liberare  il  Lazio  dalle  incursioni 
del  Fortehraccio,  soldato  di  gran 
fama,  che  unito  a'  Visconti  operava 
a' danni  della  Chiesa,  la  quale  in 
un  agli  alleati  avea  prodi  forlivesi 
per  capitani,  come  i  Brandolini, 
i  Mostarda,  gli  Scaramuccia,  e  gli 
Arni  uzzi  o  Za  m peschi. 

AH' Ordelaffi  nel  i435  nacque 
un  figlio  cui  impose  il  nome  del 
genitore  Cecco,  mentre  lo  Sforza 
lasciato  il  patriarca  Vitelleschi  nel- 
1  Umbria  volò  in  Romagna  per 
impedir  1'  unione  di  Fortehraccio 
al  Piccinino,  e  quando  questi  en- 
trava in  Forlì  egli  giunse  in  Ce- 
sena, indi  seguirono  reciproci  dan- 
ni :  nondimeno  per  la  venuta  del 
Gattamelata,  lo  Sforza  impedì  a 
Piccinino  progredir  più  oltre,  ed 
ambedue  schivarono  un  combatti- 
mento, per  tema  di  porre  tutto  a 
repentaglio.  Intanto  il  Fortehraccio 
nella  Marca  restò  ucciso  in  un  con- 
flitto da  Cristoforo  da  Forlì,  essen- 
done conseguenza  la  pace,  col  re- 
stituirsi dal  duca  Imola  alla  Chie- 
sa, ed  il  ritiramento  delle  sue  gen- 
ti. A  questo  tenne  dietro  la  ricon- 
ciliazione di  Antonio  Ordelaffi  con 
Eugenio  IV,  e  lo  Sforza  he  fu  il 
mediatore  ,  laonde  il  Papa  con 
paterno  affetto  Io  assolvette  da  tut- 
te le  pene  costituite  contro  i  ribel- 
li ;  per    cui    Onofrio     e    Mainardo 


FOR 

Carpentieri  andarono  ad  ossequiar 
il  Pontefice,  dal  quale  ne  riporta- 
rono la  bolla  che  dichiarava  l'Or- 
delaffi  vicario  della  Chiesa,  a  con- 
dizione però  del  ritorno  del  Gaffa  - 
felli  al  vescovato,  e  della  rifazione 
de' danni  a  Tommaso  vescovo  Traco- 
nense.  Il  gaudiosi  raddoppiò  alla  na- 
scita ad  Antonio  d' un  figlio,  che 
chiamò  Pino,  tenuto  a  battesimo  dal- 
lo Sforza.  Ma  questi  nel  seguente  an- 
no i436  ebbe  ordine  di  marciar  con- 
tro 1'  Ordelaffi,  perchè  oltre  di  par- 
teggiare pel  duca  che  avea  rotto 
la  pace.,  non  eseguiva  gli  accordi  . 
Forlim popoli,  Ronco,  e  Fiumana 
subito  caddero  in  potere  dello  Sfor- 
za, ma  Pietra  d'Appio  si  difese  va- 
lorosamente. In  seguito  assalito  For- 
lì fu  vicino  lo  Sforza  ad  entrarvi, 
ed  in  altra  volta  poco  gli  mancò  a 
restar  prigione.  Anche  i  fiorentini 
danneggiarono  1'  Ordelaffi,  e  prese- 
ro Rocca  s.  Cassiano.  Benché  l'Or- 
delaffi  senza  speranza  di  soccorso  si 
ostinasse  alla  resistenza,  i  cittadini 
pensando  ai  danni  che  ricevevano 
dallo  Sforza,  e  al  pericolo  evidente, 
nel  luglio  arrestarono  sul  ponte  del 
Pane  Antonio  Ordelaffi,  e  lo  con- 
dussero in  casa  di  Ducciolo  Lazio- 
si,  ove  furono  pur  condotti  la  mo- 
glie e  i  figli,  indi  a  mezzo  di  An- 
drea Becci  capitolata  la  resa  col- 
lo Sforza,  l' introdusse  in  città  cor 
Renzio  tudertino  presidente  del  Pa- 
pa nella  provincia.  La  fortezza  Ra- 
valdino  non  fu  consegnata,  che 
patto  di  lasciar  libero  Antonio  col 
le  masserizie  e  famiglia,  ritirandc 
si  a  Ferrara.  Eugenio  IV  con  giu- 
bilo accolse  gli  ambasciatori  forli 
vesi,  e  mandò  governatore  della 
città  e  di  tutto  il  dominio  di  Ro- 
magna monsignor  di  Capua  vescovc 
di  Tropea,  che  con  Riniero  da  To- 
di podestà  fece  solenne  ingresso. 


FOR 

Appena  tornò  Forlì  sotto  il  re- 
gime della  Chiesa,  rimosso  il  bevi- 
lacqua, fu  dato  a  vescovo  Lodovico 
Piranni  forlivese,  e  Giovanni  Caf- 
farelli  ebbe  la  sede  d'  Ancona  per 
prudenziali  riflessi  :  Lodovico  fu 
persona  eccellente  per  bontà  e  dot- 
trina, per  il  che  nel  concilio  inco- 
minciato a  Ferrara,  e  compito  in 
Firenze,  gli  fu  dato  incumbenza 
con  altri  sei  teologi  di  esaminare  e 
decidere  le  dispute  de'  greci  in  mol- 
ti punti  riguardanti  la  fede.  Frat- 
tanto Nicolò  Piccinino  simulando 
amicizia  col  Papa,  perchè  lo  Sforza 
suo  capital  nemico  sembrava  ade- 
rire al  Visconti,  si  ridusse  in  Pio- 
magna  sotto  colori  mendicati,  sor- 
prese Ravenna,  ma  Forlì  lo  co- 
strinse a  ritirarsi  con  Antonio  Or- 
delaffi  eh'  eravi  con  lui  accorso.  Nel 
i438  Eugenio  IV  vedendo  male 
amministrato  l'ospedale  de' poveri 
della  casa  di  Dio  (  che  suppone- 
va juspatronato  della  comunità  ed 
anziani  di  Forlì)  fa  col  lizzò  i  frati 
e  monache  del  terz'  ordine  di  s. 
Francesco  ad  assistervi  gì'  infermi, 
come  si  legge  nella  bolla  Eximiae 
devotionis  affeclus  eie,  data  in  Fer- 
rara nonis  maji,  e  diretta  agli  An- 
lianìs  et  Consilio  civitatis  nostrae 
Forolivien.  Dopo  alcuni  prosperi 
successi  del  Piccinino  nella  Marca 
sui  domimi  dello  Sforza,  alla  sco- 
perta di  nuovo  si  chiarì  nemico 
del  Papa,  e  tentò  l'acquisto  di  Ro- 
magna. Presa  Imola,  con  parte  di 
sue  truppe  spedì  Antonio  Ordelaf- 
fi  verso  Forlì,  per  vedere  qual  mo- 
vimento facessero  i  cittadini  ;  di 
fatti  la  plebe  assai  affezionata  al 
suo  nome  e  governo,  gli  si  offerse, 
e  superati  gli  ostacoli  l' Ordelaffi 
col  Piccinino  entrarono  in  città,  ed 
il  primo  di  bel  nuovo  fu  proclamato 
signore  di  Forlì,  Forlimpopoli,  e  di 


FOR 


255 


tutto  il  primiero  dominio.  Poco  dopo 
il  Piccinino  tolse  Bologna  ancora 
all'ubbidienza  della  Chiesa,  indi  la- 
sciato in  Romagna  Francesco  di 
lui  figlio,  si  recò  in  Lombardia  per 
servire  il  duca  contro  i  veneti.  De- 
luso lo  Sforza  dalle  promesse  del 
duca,  si  accostò  di  nuovo  alla  lega, 
per  la  quale  si  recò  in  Lombardia, 
sorprendendo  Forlimpopoli,  e  sca- 
ramucciando intorno  a  Forlì,  che 
abbandonò  per  portarsi  al  suo  de- 
stino, secondo  le  nuove  premure 
della  lega.  Mentre  il  Visconti  ebbe 
due  grandi  sconfitte  in  Lombardia 
e  Toscana  ,  il  cardinal  Lodovico 
Scarampi  in  questa  capitano  del- 
l'armata pontifìcia  e  fiorentina  pas- 
sò in  Romagna,  ove  i  Malatesta 
tornarono  alla  divozione  del  Papa, 
prendendo  Massa,  Lugo,  Bagnaca- 
vallo,  Mortano,  e  Castel  Guelfo; 
quando  i  ravennati  dai  Polentani 
e  dal  duca  si  diedero  alla  repub- 
blica di  Venezia.  A  tali  avvenimen- 
ti il  duca  convenne  alla  pace  ge- 
nerale, che  si  concluse  senza  1'  in- 
tervento del   Pontefice. 

Eugenio  IV  malcontento  dello 
Sforza  intendeva  privarlo  dei  do- 
mimi a  lui  concessi  nella  Marca, 
e  voleva  muover  le  armi  contro 
1' Ordelaffi  :  chiamò  al  ruo  soldo  il 
Piccinino  che  di  buon  grado  ab- 
bandonò il  Visconti,  perchè  avea 
dato  la  sua  figlia  Bianca  in  moglie 
al  suo  emulo  Sforza.  Nel  1 4-4  * 
Sigismondo  Malatesta,  e  Francesco 
Piccinino  fecero  un  tentativo  su 
Forlì,  ma  vennero  respinti,  e  ri- 
coverandosi in  Forlimpopoli,  questa 
città  fu  poi  ricuperata  dagli  Orde- 
laffi. Nel  seguente  anno  i44?-  1° 
Sforza  con  la  sposa  Bianca  passa- 
rono per  la  città ,  onoratamente 
accolti  dall'  Ordelaffi ,  che  inoltre 
gli  die  una  squadra  di  forlivesi  per 


■2Ì6  FOR 

la  difesa  dei  dominii  marchegiani, 
tanto  più  che  il  Visconti  erasi  di- 
chiarato in  favore  del  Papa  e  contro 
il  genero.  Nel  1 447  morì  Eugenio 
IV  e  gli  successe  Nicolò  V,  che  per 
amore  della  pace,  usando  molta 
indulgenza  co'  baroni  e  co'  popoli 
tributari  alla  santa  Sede,  con  di- 
ploma de'  27  maggio  dichiarò  An- 
tonio Ordelaffi  vicario  per  la  me- 
desima della  città  e  contado  di 
Forlì,  con  annuo  censo  determina- 
to, riconciliandolo  colla  Chiesa;  ma 
iiell'  agosto  del  seguente  anno,  An- 
tonio cadde  vittima  della  peste. 
Tale  perdita  fu  pianta  dal  popolo 
per  la  sua  umanità,  ed  ebbe  splen- 
didi funerali  da  Cecco  e  Pino  suoi  fi- 
gli, che  gli  successero  pure  nel  prin- 
cipato. Si  ritiene  che  fosse  Antonio 
che  cominciasse  il  palazzo  del  po- 
destà, poi  luogo  di  pubblica  istru- 
zione, lavorato  con  diligente  preci- 
sione ;  e  vi  furono  posti  il  suo 
stemma  e  quello  di  Caterina  Pian* 
goni  sua  moglie,  a' quali  i  figli  che 
il  compirono,  vi  aggiunsero  lo  stem- 
ma de'  Manfredi  cui  s' imparenta- 
rono. Nell'anno  i/f^o  ebbe  prin- 
cipio in  Fornovo  il  magnifico  tem- 
pio di  s.  Maria  delle  Grazie,  di 
figura  rotonda,  per  la  manifestazio- 
ne dell'  immagine  eh'  era  nella  me- 
desima villa  di  Fornovo  appesa  ad 
un  tronco  ;  e  ciò  principalmente 
per  opera  di  certo  Pietro  da  Du- 
razzo  città  d'  Albania  d'  Epiro,  fa- 
moso corsaro,  eh'  erasi  convertito 
per  detta  immagine,  per  cui  ivi 
cominciò  a  menare  vita  penitente 
ed  eremitica.  E  qui  noteremo  che 
questo  Pietro  detto  1'  eremita  por- 
tandosi spesso  in  Forlì  esemplar- 
mente, presso  le  mura  costruì  un  a- 
bituro  con  chiesuola,  appellata  la 
cel Ietta  dello  Zoppo,  perchè  zoppi- 
cava da  un  piede.   In  egual  tempo 


FOR 

Francesco  Sforza  per  la  morte  del 
Visconti  ereditò  lo  stato  di  Milano, 
quando  i  veneti  gli  dichiararono 
guerra,  militando  per  loro  Cecco 
Ordelaffi,  con  una  mano  floridissi- 
ma de'  suoi  sudditi,  e  per  France- 
sco l' altro  forlivese  Tiberto  Bran- 
dolini  adottato  nella  famiglia  Vi- 
sconti, che  fece  prigione  Cecco: 
questi  fu  subito  liberato  a  patto 
che  Pino  e  Cecco  togliessero  al  go- 
verno di  Forlì  Ugo  Rangoni  uomo 
severo  e  detestato.  La  famiglia  di 
Tiberto  soggiacque  a  persecuzioni 
e  confische,  il  popolo  fece  tumul- 
to, e  i  pregiudicati  reclamarono  a 
Papa  Calisto  III,  per  essere  gli 
Ordelaffi  feudatari  della  Cbiesa,  che 
deputò  nel  i/±56  due  cardinali  per 
1'  esame  delle  cose. 

Cecco  sposò  Elisabetta  di  Astor- 
gio  Manfredi  signore  di  Faenza  , 
ma  la  gelosia  di  comando  tra  fra- 
telli compariva  più  scopertamente; 
indi  nel  1 4^9  Cecco  si  portò  a 
Ferrara  ad  ossequiare  il  nuovo 
Pontefice  Pio  li.  Nel  1 465  Pino 
dopo  aver  scampato  gravissima  in- 
fermità ,  di  cui  è  memoria  in  un 
altare  di  s.  Francesco,  prese  in  mo- 
glie Barbara  di  Astorgio  Manfredi 
con  quattro  mila  fiorini  larghi  di 
dote,  la  cui  sorella  teneva  Cecco. 
Questi  a'22  aprile  i46fi>  non  sen" 
za  sospetto  di  veleno  per  le  accen- 
nate dissensioni ,  terminò  i  suoi 
giorni.  Avvi  medaglia  di  Cecco  col- 
la sua  effigie^  ed  intorno  l' iscrizio- 
ne :  Ciccus  III  Orddaphus  For- 
livii  P.  P.  ac  Princeps;  nel  rove- 
scio è  un  Curzio  nell'atto  di  pre- 
cipitarsi nella  voragine,  coli' epigra- 
fe: Sic  mea  vitali  Patria  est  mihi 
carior  aura.  Terminati  i  fune 
rati  del  fratello,  Pino  confermar 
do  i  sospetti  di  sua  morte,  toste 
ne  fece    imprigionare  i  figli   Antt 


FOR 
Ilio  o  A  ntonmarin,  Francesco,  e  Lo- 
dovico spurio,  i  quali  poi  in  un 
con  la  madre  se  ne  fuggirono ,  e 
con  essi  i  Teodoli  e  i  Bifolchi,  fa- 
miglie principali  e  partigiane  di 
Cecco.  Nel  medesimo  anno  a'  7  ot- 
tobre mori  Barbara  moglie  di  Pi- 
no, clic  siccome  bellissima  e  di  bon- 
tà impareggiabile,  fu  dal  marito 
pianta  a  lagrime  inconsolabili  ,  fa- 
cendola seppellire  in  s.  Girolamo 
con  isplendidi  funerali;  e  per  ono- 
rarne la  memoria  gli  eresse  un 
magnifico  ed  elevato  mon.umento 
di  marmo,  colla  statua  giacente, 
ed  analogo  epitaffio.  Nel  seguente 
anno  mori  pure  Caterina  madre 
di  Pino,  ebe  gli  fece  celebrare  ma- 
gnifiche esequie.  Mentre  la  città 
godeva  quiete  sotto  il  governo  di 
Pino,  a'  27  agosto  1^6$  il  fuoco 
distrusse  nella  torre  del  pubblico 
palazzo  la  campana  maggiore  del 
popolo  e  quella  de  soldati  ;  si  scom- 
pose l'orologio  di  bellissimo  lavo- 
ro, e  notabili  furono  gli  altri  dan- 
ni. Nel  i4^9  Paolo  II  continuando 
la  guerra  contro  i  Malatesta,  per 
le  forti  alleanze  da  questo  fatte,  i 
veneziani  compatrioti!  del  Papa  lo 
aiutarono  con  truppe  sotto  il  co- 
mando di  Pino  signore  di  Forlì , 
il  quale  unitosi  all'  altro  forlivese 
Zampeschi  e  agli  altri  capitani  del- 
la Chiesa,  s'ebbero  la  peggio,  e  da 
offensori  dovettero  pensare  a  di- 
fendersi. Tuttavolta  Pino  spianò  le 
Calumate,  castello  de'riminesi  Bei- 
monti,  i  quali  davano  asilo  ai  mal- 
contenti di  Forlì,  e  facevano  scor- 
rerie sul  suo  territorio  ;  quindi  nel 
gennaio  i4?°  partì  per  Roma  ad 
inchinare  il  Pontefice  Paolo  II,  da 
cui  ricevette  accoglienza  molto  ono- 
rifica, e  conferma  nella  signoria  di 
Forlì.  Ritornato  in  patria  prese  in 
moglie    Zaffiro    figlia    di    Taddeo 

VOL.    XIV. 


FOIl  2.7  7 

Manfredi  .signore  d'  Imola  ,    dotala 
di   amabili    prerogative. 

Il  duca  di  Milano  nel  1  .{7 1  e- 
les^e  Pino  Ordelaffi  suo  generale 
in  Romagna  e  conservatore  de'do- 
minii  clic  vi  aveva,  in  quella  par- 
te cioè  che  chiamano  Romagnuo- 
la,  per  lo  che  furono  fatte  pub- 
bliche dimostrazioni  di  allegrezza  : 
s'aggiunse  aver  Pino  nel  tempo  stes- 
so rimesso  gli  esuli  guelfi,  e  dato 
general  perdono.  Immuni  per  lun- 
go tempo  queste  parti  dagli  erro- 
ri guerreschi,  Pino  volle  far  cono- 
scere essere  la  pace  che  conserva 
ed  abbellisce  le  città  ,  e  più  ma- 
gnifiche le  rende;  dappoiché  non 
avendo  più  le  soldatesche  che  il 
gravassero  di  spese,  diedesi  nel  ter- 
ritorio forlivese  a  ristorare  le  ca- 
stella dalle  guerre  ne'  tempi  anda- 
ti stranamente  malconcio;  fortificò 
eziandio  Forlimpopoli,  e  con  som- 
ministrare quattro  mila  lire  del 
proprio  fece  restaurare  le  mura  di 
Forlì,  ed  ove  mancavano  le  rifece. 
La  piazza  pubblica  ornò  di  ampie 
loggie  sostenute  da  colonne  lavo- 
rate con  artifizio  e  spesa,  ma  ri- 
maste imperfette  le  compì  il  car- 
dinal legato  Donghi.  Pino  rese  il 
palazzo  copioso  di  stanze,  abbellì 
le  sale  con  oro  e  dipinture,  e  nel- 
le finestre  vi  pose  marmi  foggiati 
in  varie  guise  ,  ove  fece  scolpire 
gli  stemmi  Ordelaffi,  de' Manfredi 
sua  consorte ,  e  quello  de'  Rango- 
ni  di  lui  madre  sotto  il  portico. 
Questo  principe  per  la  sua  giu- 
stizia ,  liberalità  ed  affabilità  fu 
sommamente  amato  e  caro  ai  sud- 
diti; abbellì  e  beneficò  molti  luo- 
ghi pii ,  accomodò  e  lastricò  varie 
strade,  diede  cominciainento  alla 
cittadella  di  Ravaldino ,  anzi  con 
immenso  dispendio  ne  ricostruì  la 
rocca.,  ridicendola  foltissima,  come 

«7 


i58 


FOR 


dal  suo  lato  rese  la  città  inespu- 
gnabile. Nella  prima  domenica  del 
i473  in  s.  Francesco  furono  lette 
le  bolle  di  Sisto  IV,  che  in  ampio 
tenore  confermavano  nella  città  vi- 
cario della  Chiesa  Pino  e  i  di  lui 
figli  legittimi  o  naturali,  e  in  loro 
mancanza  Sinibaldo  di  lui  spurio. 
Tal  gaudio  fu  turbato  dalla  mor- 
te di  Zaffira  consorte  di  Pino,  senza 
prole,  come  non  l'ebbe  dalla  terza 
moglie  Costanza  de'conti  Pichi  della 
Mirandola.  Pino  Ordelaffi  nel  i474 
ricevette  dal  Papa  il  titolo  di  ge- 
nerale della  Chiesa  alla  conquista 
di  Città  di  Castello,  dentro  la  qua- 
le Nicolò  Vitelli  ostinatamente  si 
difendeva  contro  Sisto  IV;  la  città 
dovette  cedere,  e  l'Ordelaffi  si  man- 
tenne nella  carica  militare  ne'  sus- 
seguenti anni.  In  Forlì  nel  i^j5 
venne  stabilito  un  consiglio  com- 
posto di  quaranta  individui  i  più 
distinti  per  nobiltà  e  prudenza,  con 
approvazione  del  principe:  tale  si- 
stema essendosi  poi  lasciato,  nuo- 
vamente fu  introdotto  da  Caterina 
Sforza,  e  vi  durò  sin  che  la  città 
al  tempo  di  Giulio  li  venuta  affat- 
to sotto  la  Chiesa  si  formò  poi  il 
consiglio  al  modo  che  trovasi. 

Pino  nel  i477  m  eletto  genera- 
le dei  fiorentini  con  provvisione  in 
tempo  di  guerra  di  sei  mila  scu- 
di, e  di  quattro  mila  in  tempo  di 
pace;  ma  essendo  Pino  incomo- 
dato di  salute,  si  fece  rappresen- 
tare dal  forlivese  Lodovico  del- 
l'Orso- Disgustato  Sisto  IV  co'fio- 
reutini,  ciò  fu  causa  che  l'Orde- 
laffi qual  feudatario  del  Papa  si 
togliesse  dal  servigio  della  repub- 
blica. Ma  non  così  diportossi  il  ce- 
lebre capitano  Antonello  Zampe- 
sebi,  il  quale  si  accostò  ai  fioren- 
tini in  un  a  Malatesta  signore  di 
Rimini,  scelto  generale  in  luogo  di 


FOR 

Pino,  e  che  nel  ricevere  la  ver- 
ga di  comando  nel  duomo  di  Ri- 
mini, creò  cavaliere  Brunoro  fi- 
glio d'Antonello.  11  Papa  al  con- 
trario, preso  di  alto  sdegno,  spe- 
cialmente per  aver  riportata  una 
sconfitta  sul  Perugino,  privò  lo 
Zampeschi  de'feudi  s.  Mauro,  Ta- 
lamello  ec. ,  investendone  il  pro- 
prio nipote  Girolamo  Riario,  e  col- 
pito di  scomunica  il  Malatesta  gli 
interdisse  eziandio  lo  stato,  per  cui 
egli  paventando  l'ira  del  Pontefice 
rassegnò  la  carica  di  generale,  che 
i  fiorentini  diedero  al  forlivese  An- 
tonello. In  questo  mentre  contro 
i  fiorentini,  co'  veneti  e  milanesi, 
1'  Ordelaffo  imperava  in  Toscana 
alle  schiere  della  Chiesa,  colla  so- 
praintendenza  per  altro  di  Girola- 
mo Riario;  ma  ricaduto  Pino  ma- 
lato, a' io  febbraio  1480  mori,  la- 
sciando erede  Sinibaldo  suo  figlio 
naturale,  cui  essendo  di  pochi  an- 
ni destinò  a  curatori  Sisto  IV  e 
Ferdinando  re  di  Napoli,  e  a  tu- 
trice  Costanza  sua  consorte.  Lasciò 
vari  pii  legati ,  e  il  suo  cadavere 
in  s.  Girolamo  con  cinquecento 
scudi  per  l'erezione  del  sepolcro: 
la  quiete  goduta  sotto  di  lui  dai 
forlivesi  si  convertì  in  turbolenze, 
e  cambiamento  di  stato.  Furono 
fatte  correre  per  la  piazza  e  vie 
principali  di  Forlì  a  nome  di  Si- 
nibaldo alcune  squadre  di  cavalle- 
ria ed  infanteria,  che  tal  era  in  quei 
tempi  la  formalità  praticata  dai 
principi  novelli  nel  prender  posses- 
so dello  stato;  indi  a  cattivarsi  la 
nobiltà,  Costanza  scelse  sedici  gen- 
tiluomini-a  consiglieri,  e  per  sicu- 
rezza si  condusse  con  Sinibaldo 
ad  abitare  nella  rocca.  Il  Papa 
ad  attestare  la  sua  gratitudine  per 
la  confidenza  in  lui  riposta  dal 
principe  defunto,  confermato  Sini- 


FOR 

baldo  a  Signore  di  Forili,  spedì  a 
sua  difesa  cinquecento  finiti,  man- 
dandogliene altrettanti  la  repubbli- 
ca di  Venezia.  Si  credeva  a  tutto 
provveduto  quando  Antonio,  Fran- 
cesco e  Lodovico  Ordelaffì  nipoti 
di  Pino,  che  dopo  l'espulsione  vi- 
vevano presso  lo  zio  Galeotto  Man- 
fredi, cominciarono  a  tentare  delle 
novità,  a  ciò  stimolati  dai  Teodo- 
li, bifolchi  ed  altri  esuli,  perchè 
Cecco  loro  genitore,  qual  primo- 
genito era  stato  infeudato  co'  figli 
da  Paolo  II  in  signore  di  Fpriì. 

I  forlivesi  di  mal  animo  si  ve- 
devano da  una  donna  governali, 
e  loro  pur  dispiaceva  la  fanciullezza 
di  Sinibaldo  che  ritardava  quegli 
spettacoli  e  feste  di  cui  il  popolo 
fu  sempre  avidissimo,  da'quali  spet- 
tacoli era  aliena  Costanza.  Questa 
fatta  accorta  delle  popolari  macchi- 
nazioni in  favore  de'tre  fratelli,  or- 
dinò 1'  arresto  di  alcuni  che  poi 
fece  rilasciare,  raddoppiando  però 
le  guardie  alla  piazza  e  al  maggior 
palazzo.  Finalmente  i  partigiani  de- 
gli Ordelaffi,  ch'eransi  assembrati 
in  casa  di  Graziolo  dell'  Orso  in 
compagnia  di  alcuni  da  Forlitn- 
popoli,  assalirono  il  palazzo,  e  tut- 
ta la  città  si  diede  ad  Antonio, 
Francesco  e  Lodovico ,  che  falli 
consapevoli  dell'  avvenuto  furono 
subito  in  Forlì  co' fuorusciti  e  le 
genti  di  Manfredi,  incontrati  dal 
popolo  liipudiante.  Le  guardie  di- 
sperse, la  rocca  fu  assediala  dagli 
Ordelaffì ,  mentre  quella  di  For- 
limpopoli  stette  fedele  a  Sinibaldo. 
Si  racconta  che  Costanza  in  vede- 
re Anlonio  all'assedio  tentasse  far- 
selo marito,  donandogli  le  superbe 
divise  militari  del  consorte,  per 
cui  l'assedio  fu  l'allentato.  Altri  di- 
cono che  ciò  fosse  politica  in  Co- 
stanza, per  guadagnar  tempo  fin  che 


FOR  2Ò9 

giungessero  i  soccorsi  del  Papa  o  del 
re  di  Napoli;  ma  colto  Sinibaldo 
da  mortale  infermità  terminò  di 
vivere  nella  rocca  di  Piavaldino  ai 
i4  luglio  1480.  Allora  Sisto  IV 
considerando  devoluto  lo  slato  al- 
la Chiesa,  non  dovendosi  valutare 
l' investitura  di  Paolo  II  a  Cecco 
e  di  lui  figli,  ritenendosi  più.  valida 
la  posteriore  a  favor  di  Pino,  la 
cui  linea  era  già  mancata,  e  che 
le  prime  disposizioni  dalle  susse- 
guenti restano  abrogate,  spedì  a 
Forlì  con  l' esercito  Federico  duca 
d'Urbino.  Avanzandosi  questi  con 
Roberto  Malatesta ,  a  Pozzecchio 
disperse  alcune  squadre  di  forli- 
vesi, e  le  inseguì  sino  alla  porta  di 
Gotogni.  Vedendosi  gli  Ordelaffì 
con  deboli  fòrze,  ricoveraronsi  a 
Faenza,  mentre  i  forlivesi  spediro- 
no destri  deputati  al  duca  di  Ur- 
bino, col  quale  stabilirono  con  ge- 
nerale soddisfazione,  che  Gio.  Fran- 
cesco da  Tolentino  assumesse  il 
possesso  di  Forlì  per  la  Chiesa,  con 
l'esenzione  dalle  gabelle  di  maci- 
na, delle  doti,  delle  divisioni,  e  da 
ogni  dazio  di  consumo,  e  che  l'e- 
sercito si  allontanasse  dal  terri- 
torio in  vista  de' danni  che  ne  se- 
guivano: a  tutto  si  die  esecuzione, 
e  il  Tolentino  se  ne  impadronì 
il  giorno  di  s.  Lorenzo.  Costanza 
rese  la  rocca  a  patto  che  gli  ve- 
nose lasciato  libero  il  tesoro  e  sup- 
pellettili di  Pino,  sicché  portò  seco 
oltre  trenta  caira  di  mobili,  e  cir- 
ca duecento  mila  scudi,  in  un 
alle  scritture  degli  Ordelaffi,  che 
ripose  nell'archivio  della  Miran- 
dola. 

Sisto  IV  impossessatosi  di  Forlì 
e  di  Forlimpopoli  come  sotto  la 
sua  giurisdizione,  ne  investì  Giro- 
lamo Riario  da  Savona  suo  nipo- 
te, perchè  nato  da   Violante   della 


26o  FOll 

Rovere  di  lui  sorella,  i)  quale  era 
già  generale  della  Chiesa,  e  signore 
d'Imola  avula  per  dote  di  Cate- 
rina Sforza  sua  consorte,  e  iìglia 
naturale  di  Galeazzo  Maria  dùca 
di  Milano,  nelle  mani  di  cui  era 
essa  città  pervenuta  per  le  dissen- 
sioni de'  Manfredi  che  n'  erano  si- 
gnori. Dai  forlivesi  ad  ossequiare 
in  Roma  il  novello  principe  ven- 
nero spediti  quattro  ambasciatori, 
i  quali  riportarono  la  ratifica  del 
capitolato  anzidetto,  con  altri  pri- 
vilegi ed  esenzioni.  Frattanto  il  Pa- 
pa ed  il  re  di  Napoli  pacificatisi 
co'  fiorentini  ed  alleati,  Antonello 
Zampeschi  riebbe  il  favore  di  Sisto 
IV,  ed  il  Riario  gli  sborsò  mille 
ducati  per  s.  Mauro  e  Talamello, 
castelli  da  lui  posseduti,  di  cui  lo 
Zampeschi  n'  era  slato  signore.  11 
conte  Girolamo  Riario  nel  1481 
ordinò  in  Forlì  che  si  edificasse  la 
cittadella  alla  rocca  di  Ravaldino, 
avendo  poco  progredito  dopo  la 
morte  di  Pino,  per  cui  l'onore  del- 
la fabbrica  viene  giustamente  at- 
tribuito al  Piiario.  A'  14  di  giugno 
si  ricominciò  il  lavoro  dall'abile 
architetto  Giorgio  Fiorentino,  che 
avea  servito  gli  Ordelaffi  nella  co- 
struzione delle  mura  ed  altri  edi- 
fizi,  e  il  conte  Girolamo  in  Imo- 
la. Perchè  poi  venne  Forlì  dal  no- 
vello signore  destinata  a  sua  resi- 
denza, volle  pure  ingrandire  il  pa- 
lazzo pubblico,  e  in  tutte  guise  a- 
dornarlo.  Indi  ad  emettere  in  perso- 
na gli  ordini  più.  opportuni,  a  ri- 
formare il  governo  e  consolare  il 
popolo  di  sua  presenza  si  recò  in 
Romagna  con  la  consorte  ed  una 
comitiva  di  baroni,  fra  cui  Gio- 
vanni Colonna,  Giordano  e  Paolo 
Orsini,  e  Gabriello  Cesarmi,  e  con 
questi  buon  numero  di  armali  dal 
conte    abbigliati    superbamente,  e 


FOll 
paggi  in  vistoso  numero  in  ricche 
livree,  con  altri  uomini  e  palafre- 
nieri ,  sicché  formavusi  corteggio 
reale  e  maestoso.  Fecero  di  tutto 
i  forlivesi  per  onorare  i  nuovi  prin- 
cipi, gli  andarono  incontro  con  tal 
pompa  ed  apparato  che  maggiore 
non  poteva  farsi;  quindi  oltre  gli 
archi,  le  statue,  le  pitture,  gli  em- 
blemi, i  carri  trionfali,  le  musiche 
e  salve  d'artigliere,  costrussero  in 
piazza  un  castello  di  legno,  che  a 
giubilo  infinito  degli  astanti  venne 
assalito  dalle  lande  spezzate  e  da  al- 
cuni forlivesi,  e  preso  in  difesa  da- 
gli uomini  d'arme;  ed  il  primo  a 
salirvi  e  riportarne  il  premio,  seb- 
bene colla  perdita  d'un  occhio,  fu 
Francesco  forlivese  marescalco  di 
Pino. 

Girolamo  e  Caterina  sua  moglie 
alla  porta  della  città  vennero  ri- 
cevuti dal  maestra to,  che  loro  pre- 
sentò le  chiavi;  e  circa  un  miglio 
fuori  del  paese  aveali  incontri 
il  clero,  ed  una  turba  di  gio\ 
netti  vestiti  a  bianco  e  aventi 
mano  rami  d'  ulivo.  Molti  noi 
in  abili  di  seta  ricamali  d'  or< 
portarono  a  vicenda  le  aste 
baldacchino ,  sotto  il  quale  acce 
scro  il  conte  e  la  signora ,  che 
scesa  dalla  lettiga  era  montala  su 
d'  una  chinea  learda  con  gual- 
drappa e  bardatura  d'argento:  que- 
sta fu  donna  veramente  grande 
per  somma  prudenza,  viril  valore 
ed  avvenenti  forme,  le  cui  gesta 
furono  celebrate  da  parecchi  scrit- 
tori rammentati  dal  Bonoli,  Storia 
di  Fora,  lib.  IX.  In  sì  lieta  oc- 
casione furono  liberati  tutti  i  pri- 
gioni, e  richiamati  gli  esuli;  indi  si: 
riformò  e  diede  sesto  ad  ogni  bi- 
sogno dello  stato.  Dipoi  il  conte 
fece  annunziare  una  pubblica  e  so- 
lcnnissima     giostra    sotto    la    dire-* 


FOR 

rione  di  Giordano  Orsini,  e  Gio. 
Francesco  da  Tolentino,  ed  alla 
quale  tra  gli  altri  vi  concorsero 
molli  gentiluomini  bolognesi  abili 
a  tale  esercizio.  Dcssa  ebbe  riuscita 
assai  vaga,  sì  pel  corredo  de'cava- 
iieri,  che  per  l'ampiezza  e  como- 
dità della  piazza  di  Forlì,  molto 
acconcia  a  spettacoli  di  simil  sor- 
ta. 11  palio,  che  fu  una  pezza  di 
velluto  cremesino  con  fodera  di  vaio, 
toccò  a  Giuliano  uomo  d'arme  del 
conte:  questi  protrasse  per  un  me- 
se in  Forlì  la  sua  dimora,  é  per 
tal  tempo  bello  fu  il  vedere  la  si- 
gnora e  sue  damigelle  ogni  giorno 
cangiar  vesti,  ed  il  credenziere  per 
una  settimana  intiera  variar  sem- 
pre 1'  apparecchio  de'  piatti  e  vasel- 
lami d'oro  e  d'argento,  essendo 
immensa  la  ricchezza  dei  coniugi, 
mentre  il  conte  poteva  dirsi,  spe- 
cialmente in  molte  guerre  impor- 
tanti, generale  amministratore  del- 
lo stato  pontificio,  e  Caterina  po- 
teva moltissimo.  Oltre  a  ciò,  il 
conte  era  stato  erede  delle  ricche 
suppellettili  ed  argenterie  del  car- 
dinal Pietro  suo  fratello,  considera- 
to per  isplendidezza  e  profusione 
uno  de'  più  ricchi  di  quel  secolo. 
11  conte  con  quelli  di  sua  corte 
parti  per  Venezia,  ove  venne  di- 
chiarato nobile  di  quella  repubbli- 
ca, oltre  varie  altre  onoranze  ivi 
conseguite,  tra  le  quali  la  di  lui 
aggregazione  al  maggior  consiglio. 
Scopo  di  tal  viaggio  fu  il  dise- 
gno di  stabilire  a  nome  del  Papa 
la  lega  contro  Ercole  I  duca  di 
Ferrain,  per  cui  nel  1482  Rober- 
to Malatesta  fu  creato  generale  dai 
veneti,  e  il  conte  col  grado  di  ge- 
nerale della  Chiesa  fu  spedito  da 
Sisto  IV  coli'  esercito  ai  confini,  per 
impedire  ad  Alfonso  duca  di  Cala- 
bria d'  aiutar  i'  Estense    già    altac- 


FOR  a6( 

cato  dai  veneziani,  che  per  altro 
crasi  unito  ai  fiorentini,  al  duca  di 
Milano,  a  Giovanni  Bentivoglio  si- 
gnor di  Bologna,  al  marchese  di 
Mantova,  ed  a  Manfredi  signor  di 
Faenza.  A  distornare  il  conte  Gi- 
rolamo, gli  alleati  decretarono  in- 
vadere Forlì  in  unione  d' Antonio 
Ordelafìi,  ma  inutilmente  due  vol- 
le ne  fecero  il  tentativo,  avendo  il 
vescovo  d'Imola  Magnani,  governa- 
tore della  città,  fatto  suonare  a 
martello  la  campana  del  pubblico, 
e  i  forlivesi  non  curando  l'Orde- 
laffo  con  gran  valore  bravamente 
respinsero  i  nemici,  finché  ricevet- 
tero soccorsi  dal  Papa  e  dai  vene- 
ziani, ed  il  conte  gli  mandò  con 
supremi  poteri  Gianfrancesco  da  To- 
lentino. Intanto  la  guerra  progre- 
diva, quando  il  Malatesta  unitosi  al 
Riario  venne  a  Velletri  alle  mani 
colle  truppe  del  duca  di  Calabria, 
le  sconfìsse  interamente  e  ricuperò 
le  piazze  perdute.  Commosso  il  Pa- 
pa della  sorte  dell'Estense  si  paci- 
ficò, ed  ebbe  luogo  la  concordia 
tra  le  parti,  rinunciandosi  da  Er- 
cole I  il  Polesine  di  Rovigo  a'  ve- 
neziani. Ciò  avvenne  al  i483,  me- 
morabile ai  forlivesi  anche  per  l'or- 
ribile terremoto  che  li  funestò  agli 
1  r  agosto  ad  un'  ora  della  notte  : 
suonarono  da  sé  le  campane  di  s. 
Mercuriale,  la  pigna  del  campanile 
si  aprì  e  bisognò  rifare  due  torri- 
cini  ;  caddero  altri  torricini  e  torri 
della  città,  un  pezzo  di  chiostro  che 
a  s.  Francesco  faceva  lavorare  il 
conte  Riario,  ed  alcune  chiese  del 
contado.  Questo  flagello  continuò 
a  farsi  sentire  per  Io  spazio  circa 
d'  un  mese.  Nel  seguente  anno  ac- 
cadile la  morte  di  Sisto  IV,  che 
pose  in  profondo  cordoglio  il  conte 
nipote,  per  cui  passò  da  Roma  al 
governo  de' suoi  dominii  ed  alla  sua 


26a  FOR 

residenza  in  Forlì,  ove  erano  tor- 
nati i  seguaci  degli  Ordelaffi,  ed 
ove  a  ristorare  alquanto  il  popolo 
de'  danni  sofferti  nella  guerra  pas- 
sata abrogò  il  dazio  delle  carni,  e 
fece  abbondante  provvista  di  fru- 
mento, essendovene  penuria.  Eletto 
Innocenzo  Vili,  questi  confermò  il 
Riario  a  generale  della  Cbiesa,  e 
ne'  feudi  da  lui  posseduti  in  Ro- 
magna ;  per  la  qual  cosa  si  diero- 
no  in  tutto  lo  stato  pubbliche  di- 
mostrazioni di  giòia.  I  figli  di  An- 
tonello Zampeschi  non  valutando 
la  vendita  fatta  dal  suo  genitore  al 
conte  delle  ragioni  di  s.  Mauro,  lo 
invasero  a  viva  forza,  senza  farse- 
ne dal  conte  rimostranza,  temendo 
che  vi  fosse  intervenuto  il  consen- 
so del  Papa. 

Caterina  si  sgravò  di  un  figlio, 
con  molta  pompa  battezzato  a  s. 
Mercuriale,  col  nome  di  Giovanni 
Livio  per  allusione  a  Forlì ,  onde 
far  cosa  grata  ai  sudditi;  al  sagro 
fonte  fu  tenuto  dal  duca  di  Fer- 
rara, dal  marchese  di  Mantova,  e 
dal  Malatesta:  il  Riario  trova  vasi 
già  padre  di  tre  figli,  cioè  Otta- 
viano, Cesare  e  Bianca  avuti  in 
Roma;  in  seguito  ebbe  in  Forlì 
Galeazzo  e  Sforza.  Aveva  Innocen- 
zo VIII  intimata  la  guerra  a  Fer- 
dinando re  di  Napoli,  perchè  ricu- 
sava il  pagamento  de'  censi  dovu- 
ti alla  santa  Sede  per  quel  reame; 
laonde  per  Forlì  marciò  il  Sanse- 
verino  in  aiuto  del  Papa  coll'eser- 
cito  veneto ,  ed  Ettore  Zampeschi 
fece  altrettanto  colla  sua  spada , 
per  cui  videsi  confermato  ne'  feu- 
di di  s.  Mauro ,  Giovedio  ec. ,  ciò 
che  fu  indizio  del  consenso  ponti- 
ficio nell!  anteriore  invasione  del 
primo.  Nel  1 485  in  compagnia  di 
alcuni  vescovi  si  recò  a  Forlì  dal 
parente  Girolamo,  il  cardinale  Raf- 


FOR 

faele  Sansoni-Riario ,  ricevuto  con 
molto  decoro,  col  quale  eziandio  fu 
trattato  per  quel  tempo  che  si  fer- 
mò nella  città.  Il  dispendio  a  questi 
tempi  del  conte  era  veramente  esor- 
bitante, dappoiché  oltre  la  numero- 
sa corte,  e  la  copia  de'  provvigio- 
nati,  maggiore  di  quando  ammini- 
strava i  redditi  di  Sisto  IV,  ed  ol- 
tre ai  presidii  aumentati  per  l'oc- 
cupazione improvvisa  di  s.  Mauro, 
spendeva  eziandio  in  edilizi  immo- 
deratamente.  Fece  la  volta  alla  na- 
vata di  mezzo  della  cattedrale,  ove 
pose  il  suo  stemma,  cioè  Ja  rosa 
inquartata  alla  vipera,  arme  di  Ca- 
terina, perchè  la  casa  Sforza  era 
adottata  in  quella  de'  Visconti.  Die 
compimento  al  monistero  delle  mo- 
nache osservanti  detto  della  Torre, 
cominciato  a'  tempi  di  Pino  Orde- 
laffi; altrettanto  ordinò  pel  chio- 
stro de'  frati  di  s.  Francesco,  il  qua- 
le caduto  in  gran  parte  appena  ter- 
minato, si  rifece  di  nuovo.  Ciò  non 
pertanto  continuava  il  conte  prin- 
cipalmente a  dar  opera  incessante 
per  compire  la  cittadella,  facendo- 
vi quartieri,  spaziosi  appartamenti, 
ampie  stalle,  e  fosse  profondissime 
tutte  selciate;  lavoro  in  cui  con- 
sumò immensa  somma  di  danaro, 
per  cui  si  ridusse  ad  averne  penu- 
ria. Spinto  dalla  necessità  adunò  il 
consiglio,  ove  con  acconcio  discorso 
richiese  i  cittadini  a  volergli  accor- 
dale i  dazi  già  da  lui  annullati, 
ma  che  pagavano  a  Pino  Ordelaffi, 
e  comechè  erasi  cattivati  gli  animi 
de'  gentiluomini  principali  ,  ne  ri- 
portò l'approvazione  generale.  11 
popolo  però  vide  ben  diversamen- 
te la  cosa,  sia  per  la  sua  istabilità, 
sia  perchè  dimenticando  facilmente 
i  benefizi  si  ferma  a  ciò  che  non 
gli  aggrada  senza  riflessione,  e  fo- 
mentatori non  mancano  per  accen- 


FOR 
dere  le  passioni.  Incominciò  dun- 
que il  popolo  a  guardar  di  cattivo 
occhio  Girolamo,  e  ordire  congiu- 
re, che  promoveva  Antonio  Orde- 
laffi  capitano  de'  veneti  nella  vici- 
na Ravenna,  macchinando  sempre 
il   ritorno   al   paterno  dominio. 

Nel  1 486  Caterina  erasi  portata 
in  Milano  dai  fratello  Gio.  Galeaz- 
zo che   ivi   l' avea    invitata,   ma   la 
grave  infermila   che  colse  il  mari- 
to in  Imola,  ov'eia  andato  nel  tem- 
po   dell'  esazione    delle    gabelle    in 
Forlì ,    la    richiamò    in    Romagna. 
Intanto    1'  ione-tese    Innocenzo    Co- 
dronchi,    capo  de'provvigionati  os- 
siano  laucie  spezzate  del  conte,  oc- 
cupò la  fortezza  di  Ravaldino,  uc- 
cidendone   il    castellano   Melchiorre 
da   Genova  ;  ma  essendo  corsa  Ca- 
terina   in  Forlì,    con    promessa  di 
perdono  potè  ricuperarla,  e  darla 
in    custodia    a    Tommaso    Feo   da 
Savona  nuovo  castellano.  Di  mag- 
gior   importanza    e    pericolo   fu  la 
trama  ordita  da  Antonio  Ordelaf- 
fi,  e  avvalorala  da  Lorenzo  de'  Me- 
dici nemico  del   conte  per  la  con- 
giura famosa  de' Pazzi,  siccome  uno 
de'  promotori  di  essa  al  modo  che 
narra  il  Giovio;    in  questa  trama 
riuscì  a  Domenico  Rolli  impadro- 
nirsi di  porta  Gotogni,  ma  con  in- 
felice successo,    e  punizione  di  lui 
ed  aderenti,  pel  rigore  che  usò  Ca- 
terina   anche    neh'  esiliarne    molti . 
Misure   tanto   severe   aumentarono 
la    malevolenza   contro  il  conte,  il 
quale  ristabilito  in  salute  era  tor- 
nato in  Forlì.    A'  17   agosto  1 4^7 
da  Caterina  nacque  un  altro  figlio 
che  si  chiamò  Sforza,  tra  le  gran- 
di allegrie  che  perciò  «i  fecero:  in 
questo  anno  tra  il  duca  di  Ferra- 
ra e   il  conte    Girolamo    insorsero 
alcune  differenze  sui  confini  terri- 
toriali, che  alcuni  arbitri  accomo- 


FOR  263 

darono.  Ma  ecco  che  tremenda  con- 
giura   ne    fa    vittima  il  conte,    ed 
immerge  lo    stato  in  guai    e  peri- 
pezie.   Nel   1488    Checco    figlio   di 
Andrea  del  Deddo,  che  sopranno- 
minato Orso,  per  essere  di  natura 
peloso,  trasmise  alla  famiglia  il  co- 
gnome Orsi ,  andando  debitore  al 
conte    di    alquante    rate    dovutegli 
pel  dazio  delle  carni  preso  in  ap- 
pallo   da  Andrea ,    aveva    ricevuto 
per  tale  morosità  delle  minacce  dal 
medesimo  conte.  Temendo  egli  del 
loro  effetto,  o  per  altro  motivo  che 
non  si  conosce,  determinò  di  ucci- 
derlo.  Trasse  Checco  nella  congiu- 
ra Lodovico  di  lui    fratello  dotto- 
re in  legge,  che  fu  senatore  in  Ro- 
ma nel  1482,  i  figli   d'entrambi, 
Giacomo  Pionchi  e  Lodovico  Pansec- 
co,  già  amici  al  Riario  e  consiglieri  al 
riattivamento    de'  dazi.    Quindi  gli 
Orsi  empirono  il  loro  palazzo  di  si- 
cari e    di  partigiani   armati    senza 
nulla  svelare  ;  e  come  potenti  nella 
città  avvisarono  i  molti  parenti  ed 
amici,  ad  esser  pronti  di  loro  aiu- 
to, allontanando  Orso  vecchio  ge- 
nitore dalla  città. 

Era  costume  del  conte  termina- 
ta la  cena  licenziar  i  servi  perchè 
si  cibassero  ,  e  sovente  ammetteva 
all'  udienza  qualcuno.  Tal  tempo 
stabilirono  i  congiurati  opportuno 
al  loro  pravo  disegno,  e  nella  sera 
dei  i4  aprile  occuparono  la  porta 
e  le  scale  del  palazzo  presso  la  tor- 
re che  guidava  all'appartamento  di 
Caterina.  Checco,  Pansecco  e  Ron- 
chi si  avviarono  alla  stanza  detta 
delle  Ninfe ,  ove  il  conte  con  un 
gomito  appoggiato  alla  finestra  che 
guarda  la  piazza  ragionava  con  un 
savonese.  Checco  entrò  senza  am- 
basciata, perchè  usava  parlare  a 
quell'ora  al  conte,  e  come  riguar- 
dato famigliare.   11  conte  al  di  lui 


264  F0R 

arrivo  gli    si    fece    incontro  dicen- 
dogli:  e.    che    va  facendo    Chccco 
mio?  e  n'ebbe  in  risposta  ferita  mor- 
tale nel  fianco  destro  ,   per  cui  al- 
zando grida  in   atto  di  rifuggirsi  in 
altra    stanza  ,    fu    sopraggiunto    da 
Pausecco  e  dal  Ronchi,  e  percosso 
di  più  colpi,  talcbè  stramazzato  sul 
pavimento  spirò.    Sbalorditi    il  sa- 
vonese ,    il  cancelliere    e  un  came- 
riere cb'  erano  presenti  dall'orren- 
dezza del  caso,  e  per  sé  stessi  temen- 
do, mancò  loro   lena  di  soccorrer- 
lo. Intanto  alle  grida  del  conte  tardi 
accorsero  molti   di  sua  famiglia,  ed 
azzuflàronsi      sanguinosamente      coi 
congiurati,  i  quali  dalle  finestre  gri- 
dando libertà  sollevarono   il  popoio; 
e  per    l' aiuto    degli    amici   i  corti- 
giani dovettero  cedere   colla   morte 
di    alcuni.    Non    giovò    a   Caterina 
l'essersi    assicurata    in   una  camera, 
colla   propria   madre   Lucrezia  ,  coi 
figli  e  le  damigelle   prigioniera    fu 
condotta   dai  congiurati  alla  casa  di 
Cbecco.    Ad  avvenimento  sì  spieta- 
to,   pendeva   il    popolo    irresoluto, 
allorché  Marco  Scossaearro  di  For- 
limpopoli    e  Carlo    da    Imola    con 
altri  sicari  degli   Orsi   iniquamente 
gittarono  dalla   finestra  in  piazza  il 
cadavere  del  Riario  :   fu  allora  che 
la  volubile  plebe    fattasi  insolente, 
senza    ritegno    entrò  in  palazzo,  e 
con  furia    lutto    pose    a  sacco ,    in 
un  ai    denari    della    gabella    e  del 
salano,  chiamando  i  congiurati  con 
^schiamazzo  liberatori   della  patria 
dalle  mani  del  tiranno;  ed  il  ghet- 
to degli   ebrei   fu   lutto  quanto  de- 
rubalo   dalla    popolare   rapacità  ed 
ingordigia.   Frattanto  con  edificante 
pietà    la  confraternita  della  morte, 
trasportò  il  sanguinoso  cadavere  del- 
l'infelice  conte  Girolamo  all'ospe- 
dale, poi  luogo  delle  monache  con- 
vertile ,    ed    il    ripose   in    sagristia. 


FOR 
Era  Girolamo  Riario  d"  umore  ipo- 
condria), e  solo  dalla  ciccia  pren- 
•deva  piacere.  La  sua  effigie  con 
quella  della  consorte ,  e  a"  alcuni 
de'suoi  figliuoletti  si  vede  in  s.  Gi- 
rolamo di  Forlì  dei  minori  osser- 
vanti, nella  cappella  de'lliari,  pei 
dogli  Acconci,  dedicata  a  s.  Caldi- 
na, in  un  dipinto  di  Marco  Pal- 
meggiani,  il  quale  neh'  istcssa  chie- 
sa effigiò  Caterina  in  abito  di  pel- 
legrinaggio nella  cappella  di  Giaco- 
mo  Feo,    poi  dei   conti   Gaddi. 

Checco  dell'  Orso  e  il  rimanen- 
te de'  congiurali  vedutisi  all'aura 
del  favore  popolare  instarono  per 
l'adunanza  del  consiglio,  e  dei  capi  dei 
quartieri  s.  Mercuriale,  s.  Croce,  s. 
Pietro,  es.  Biagio.  In  presenza  di  essi 
i  congiurali  procurarono  giustifi- 
care il  commesso  omicidio,  provan- 
do con  ragioni  la  necessità  da  cui 
furono  guidati  a  pubblico  bene,  di- 
chiarando necessaria  la  morte  del 
conte;  quindi  per  tema  che  Inno- 
cenzo Vili  avesse  a  x'isentirsene, 
concordemente  tutti  conchiusero  si 
avesse  la  -città  a  sottoporre  alla 
Chiesa  ;  e  vedendo  propenso  anche 
il  popolo  a  tal  determinazione,  in- 
viarono a  Cesena  un  ambasciatore 
per  offrire  Forlì  a  monsignor  Gia- 
como Savelli  governatore  pontificio 
di  quella  città.  Saggiamente  il  pre- 
lato titubò  nell'  accettare  l'invito, 
non  solo  pel  poco  conto  che  deve- 
si  fare  d'un  popolo  ammutinato, 
ma  perchè  ragionevolmente  temeva 
le  lòrze  dei  duca  di  Milano  fratel- 
lo a  Caterina,  e  di  Govanui  Ben- 
tivogli  tiranno  di  Bologna  ,  i  quali 
avrebbero  sostenuto  il  partito  e  le 
ragioni  de'  Ria  ri,  a  nome  de'  quali 
custodivansi  tuttora  le  fortezze.  Ri- 
flettendo poi  che  Caterina  e  i  figli 
potevano  essere  esposti  a  gravi  in- 
sulti, che  forse  in  caso  di  rifiuto  i 


FOR 
forlivesi  nel  calure  della  circostan- 
za si  sarebbero  pillali  nelle  brac- 
cia di  allro  principe,  e  temendo  la 
taccia  di  vile  per  ciò  ebe  riguarda 
i  diritti  della  Sede  apostolica  ,  ac- 
cettò il  partito  e  si  condusse  a  For- 
lì, ove  il  popolo  spiegate  le  papali 
insegne,  acclamò  per  tutto  il  nome 
«.Iella  romana  Chiesa .  La  prima 
cosa  l'atta  dai  favelli  fu  una  visita  in 
casa  degli  Orsi  alla  illustre  vedova 
ornerà,  la  quale  siccome  d'ani- 
mo invitto,  ad  onta  del  grandissi- 
mo dolore  di  cui  era  trafitta,  non 
fece  in  tante  sventure  trapelar  se- 
gno di  avvilimento;  per  cui  am- 
mirando il  Savelli  la  virtù  di  que- 
sta eroina ,  a  maggior  sicurezza  e 
per  ogni  buon  bue,  ordinò  ebe  as- 
sieme ai  figliuoli  si  custodisse  nel- 
la piccola  rocca  di  porta  s.  Pietro, 
sotto  la  guardia  di  Bartolomeo  Ca- 
poferri,  Bartolomeo  Serugbi  nipote 
all'Orsi,  Francesco  di  Filippo  Den- 
ti, ed  altri. 

Tornato  il  Savelli  a  palazzo  die- 
de opera  a  stabilire  il  governo  del- 
la città,  eleggendo  otto  cittadini  ri- 
vestiti di  ampio  potere.  Vedendo 
poi  non  potersi  assolutamente  man- 
tener la  città  nello  stato  attuale 
senza  le  fortezze ,  monsignore  coi 
congiurati  progettarono  di  tentare 
i  castellani  col  mezzo  di  Caterina, 
a  questa  coi  figli  promettendo  la 
liberazione  se  li  avesse  disposti  al- 
la resa ,  e  avvenendo  il  contrario 
minacciarla  di  strazi  e  di  più  dura 
servitù.  Condotta  Caterina  alla  roc- 
ca di  Ravaldino  parlò  al  castellano 
Feo  in  senso  de'  mentovati,  ma  que- 
sti conoscendo  ebe  Caterina  dissi- 
mulava, ed  essendo  certo  che  i  soc- 
corsi non  potevano  mancare,  prese 
tempo  a  risolvere.  Venne  quindi 
condotta  Caterina  alla  rocca  di 
Scbiavonia   sul   Montone ,  e  fu  ri- 


FOR 


^65 


sposto  dal  castellano  che  si  sareb- 
be regolalo  come  Feo.  Allora  Ca- 
terina accortamente  potè  convince- 
re il  prelato  e  gli  altri,  che  se  libe- 
ra la  lasciassero  nella  rocca  di  Ra- 
valdino  era  sicura  dell'  intento,  la- 
sciando loro  in  ostaggio  i  figli.  En- 
trata Caterina  nella  rocca  dichiarò 
non  volerne  uscire,  se  non  veniva 
guarentita  da  ogni  offesa  coi  figli. 
Scherniti  così  i  congiurati  condus- 
sero alla  fortezza  Ottaviano  e  Ce- 
sare figli  di  Caterina ,  minaccian- 
dola di  ucciderli  se  non  mantene- 
va la  promessa.  Si  racconta  che  la 
gran  donna  dai  merli  della  rocca 
rispondesse  :  che  se  le  avessero  spen- 
to i  figli ,  non  le  era  d  ostacolo 
V  età  a  poter  tornar  madre ,  per 
non  aggiungere  altre  parole  che  ad 
essa  attribuiscono  alcuni  storici.  La 
verità  poi  si  è,  che  temendo  il  ca- 
stellano che  la  vista  de  figli  trion- 
fasse sull'animo  di  Caterina,  finse 
minacciare  scarica  di  spingarde  se 
non  partivano,  essendo  la  signora 
a  letto  indisposta  di  salute;  e  al- 
lora i  congiurati  se  ne  andarono. 
Vedendo  il  Savelli  che  nulla  con- 
cludevasi,  risolvette  prendere  le  for- 
tezze di  viva  forza  ;  fece  venir  da 
Cesena  artiglierie,  nella  cui  rocca 
rinchiuse  i  cittadini  sospetti ,  e  ri- 
chiamò quelli  esiliati  dal  conte.  Per 
consolidare  poi  il  tutto,  si  spediro- 
no due  ambasciatori  al  Papa  per 
rendergli  ubbidienza  a  nome  della 
città,  implorando  conferma  ai  ca- 
pitoli stabiliti  col  Savelli,  non  che^ 
aiuto.  Indi  il  Bentivogli  per  tener 
in  freno  gl'imolesi,  e  sgomen- 
tare i  forlivesi  inviò  un  araldo  mi- 
nacciandoli se  Caterina  non  fosse 
riconosciuta  signora ,  e  co'  figli  ri- 
lasciata libera.  Ravaldino  vigorosa- 
mente si  difendeva,  quando  la  roc- 
ca di  Schiavonia  si  arrese  salvi  gli 


266  FOR 

averi,  le  persone  e  il  dono  di  mil- 
le duecento  ducati  al  castellano. 
Tosto  vi  si  inalberarono  le  bandie- 
re colle  chiavi  di  s.  Pietro,  e  vi  si 
pose  il  presìdio  con  due  castellani, 
uno  per  la  Chiesa ,  l' altro  per  la 
città.  Poco  dopo  la  rocca  di  For- 
limpopoli  fece  altrettanto. 

Dalla  rocca  di  Ravaldino  non 
mancava  Caterina  di  animar  gli 
aderenti,  e  di  assicurarli  che  vici- 
no era  il  soccorso.  Difatti  un  trom- 
bettiere del  duca  di  Milano  intimò 
la  guerra,  indi  giunsero  a  Castel 
Bolognese  le  truppe  di  lui  e  del 
Bcntivogli,  ascendenti  a  circa  dodi- 
ci mila  combattenti,  oltre  un  gran 
numero  di  venturieri  allettati  dal- 
la speranza  di  saccheggiare  Forlì. 
Eranvi  in  persona  Giovanni  Benti- 
vogiio,  Galeazzo  Sanseverino  ed  al- 
tri prodi,  che  inutilmente  tentaro- 
no un  accordo,  perchè  attende  vasi 
risposta  e  soccorso  da  Roma.  Non 
■vedendo  il  popolo  nulla,  preso  da 
timore  pel  pericolo  imminente  cui 
avealo  esposto  pochi  congiurati,  ces- 
sò dal  proteggere  i  sediziosi,  i  qua- 
li cumulate  le  cose  più  preziose,  ri- 
solvettero salvarsi  colla  fuga,  per- 
chè l'inimico  poteva  entrar  in  cit- 
tà dalla  rocca  di  Ravaldino.  Pri- 
ma però  da  disperati  macchinaro- 
no di  uccidere  i  figli  del  conte; 
quindi  Lodovico  Orsi  e  Giacomo 
Ronchi  si  presentarono  alla  rocca 
di  porta  s.  Pietro  domandando  in  no- 
me del  Savelli  di  parlare  ai  fanciulli 
^prigioni  ;  ma  i  sunnominati  custodi 
penetrando  il  pravo  disegno,  e  cal- 
colando la  rovina  che  sovrastava 
alla  patria  si  rifiutarono.  Allora  vo- 
lendo essi  ricorrere  alla  forza,  con 
questa  furouo  respinti  malconci,  e 
co'  propri  figli  fuggirono  a  Cesena 
ed  altrove,  non  curando  la  salvez- 
za del  vecchio  Andrea  che  innoceu- 


FOR 
te  era  ritornato  iu  Forlì.  Veden- 
dosi il  popolo  libero  dai  congiurati, 
diedesi  apertamente  a  sostenere  i 
Riari,  gridando  per  le  piazze  il  no- 
me del  primogenito  Ottaviano  e 
di  Caterina,,  per  il  che  gli  anziani 
recaronsi  alla  rocca  ad  ossequiare 
Ottaviano  guidalo  dal  Serughi  ,  e 
a  visitar  Caterina,  ed  indi  giunse 
il  Capoferri  cogli  altri  figli  che  a- 
veva  in  custodia,  salutati  meri- 
tamente ambidue  que'  gentiluomi- 
ni ,  liberatori  e  padri  della  patria. 
Le  truppe  dello  Sforza  erano  già 
pervenute  alle  mura  della  città,  e 
Caterina  fatte  entrare  due  squadre 
di  cavalli  ordinò  di  percorrere  la 
città  a  nome  di   Ottaviano. 

Accompagnata  da  una  parte  del- 
l'esercito, Caterina  a'  29  aprile  en- 
trò in  città  recandosi  subito  a  reu- 
der  grazie  a  s.  Mercuriale  del  pro- 
spero evento.  Tosto  vennero  arre- 
stati monsignor  Savelli  e  i  capitani 
della  Chiesa ,  non  che  alcuni  par- 
tigiani de' congiurali,  Andrea  Orsi 
e  le  donne  di  questa  famiglia.  Ca- 
terina ricevette  le  congratulazioni 
dal  Bentivogli,  passò  in  casa  di 
Francesco  Numai,  essendo  il  palaz- 
zo spogliato  d'ogni  arredo ,  e  cu- 
rando la  cessione  delle  rocche,  con- 
venne sulla  salvezza  delle  persone 
ed  averi;  indi  nel  giorno  seguente 
ordinò  nella  chiesa  di  s.  Francesco 
le  esequie  al  defunto  marito,  dopo 
le  quali  fece  trasferire  il  cadavere 
dal  cimitero  del  duomo  di  Forlì 
nella  cattedrale  d'Imola,  nella  cap- 
pella de'  Riari  sagra  a  s.  Maria 
Maddalena,  non  giudicando  conve- 
nevole avesse  sepoltura  iu  Forlì 
ov'  era  stato  barbaramente  ucciso. 
Venne  poscia  affisso  un  editto  in 
cui  ordina  vasi  la  restituzione  degli 
effetti  tolti  di  saccheggio  al  palaz- 
zo, e  tutlo  Caterina  riebbe,  Lamie 


FOR 

alcune  ricche  suppellettili,  cui  di- 
cono portassero  seco  i  congiurati  , 
contro  i  quali  si  emanarono  ordi- 
ni pieni  di  rigore,  e  vennero  im- 
poste grossissinie  taglie.  Intanto  il 
palazzo  Orso  fu  dato  a  sacco  e  spia- 
nato, ad  onta  delle  suppliche  di 
Carlo  Grati,  onde  venisse  rispar- 
miata fàbbrica  sì  bella,  capace  a 
servire  per  alloggi  e  quarlierare  le 
truppe:  sulle  di  lei  rovine  si  eres- 
sero il  monte  di  pietà,  e  la  chie- 
sa e  casa  dei  filippini.  Fecesi  lo 
slesso  alla  vicina  casa  di  Graziolo 
fratello  di  detto  Orso ,  il  quale  si 
condusse  a  veder  la  distruzione  del 
suo  palazzo,  indi  fatto  morire  ven- 
ne trascinato  attorno  alla  piazza  a 
coda  di  cavallo.  Tal  fu  pure  la  fi- 
ne di  Andrea  nell'età  di  85  anni, 
infelice  nella  morte  quanto  avven- 
turoso in  vita  ;  uomo  di  tale  au- 
torità che  in  sette  rivoluzioni  v'eb- 
be alcuna  parte;  rispettato  da' prin- 
cipi ,  la  di  lui  casa  fu  dichiarata 
luogo  di  sicurezza  e  d'asilo  ;  molto 
dovizioso  di  beni  di  fortuna ,  e  di 
gran  seguito  in  patria.  Confiscali  i 
di  lui  beni  unitamente  a  quelli  de- 
gli altri  congiurati,  cui  vennero  pur 
spianate  le  case  e  fatte  molte  altre 
cose  di  rigore.  Tuttavolla  Caterina 
soltanto  la  perdonò  alle  doune.  11 
Scossacarro  fu  appiccato  alla  fine- 
stra per  ove  gittò  il  cadavere  del 
conte ,  ed  altri  lo  furono  ai  merli 
della  rocca,  ed  alle  finestre  del  pa- 
lazzo del  podestà:  il  bando  fu  da- 
to a  parecchi,  morendo  molti  Del- 
l' esilio.  In  grazia  del  Benlivogli  fu 
rilasciato  monsignor  Savelli  co'  per- 
sonaggi ch:  erano  seco  ,  ritenendosi 
le  artiglierie  condotte  da  Cesena. 

Di  nuovo  si  riconobbe  con  giu- 
ramento Ottaviano  signore  di  For- 
lì, e  a  tale  oggetto  uno  per  ogni 
casa  si   portò   alla    cittadella.    Kuu 


FOR  267 

essendo  la  sua    tenera    età  atta  al 
governo,  Caterina  di  lui  madre  as- 
sunse la  di  lui   tutela  e  quella  de- 
gli altri    figli,  e  l'amministrazione 
dello  stato,  prestandosi  a  di  lei  gua- 
rentigia alcuni  gentiluomini  forlive- 
si, essendo  presente  allatto  il  car- 
dinal Raffaele    Sansoni-Riario ,  che 
intese  le  descritte  sciagure,  erasi  da 
Roma  trasferito  a  Forlì.   Non  è  a 
dire  con   quanta  equità  reggesse  lo 
stato  Caterina,  appellata  d'ordina- 
rio Madama,  e  con  quanta  destrez- 
za si  portasse    co'  principi,  e  trat- 
tasse   cogli    ambasciatori    affari    di 
somma   importanza    in  guerre ,   ed 
in  congiunture  pericolose;  con  quan- 
ta .amorevolezza   accogliesse  le  sup- 
pliche degli   infelici,  e  tutti  rendes- 
se contenti.   Ordinò  solenne  proces- 
sione ed    altre   religiose    funzioni  a 
rendimento    di    grazie    de'  pericoli 
evitati,  piacendole  così  al  suo  regi- 
me dar    cominciamento    con    Dio. 
Licenziò  il  Bentivogli  colle  truppe,  e 
nominò  governatore  di  Forlì  Giam- 
pietro Bergamini,  stabilendo  quattro 
squadre  per  sua  guardia.  Anche  gli 
imolesi  con  giuramento  riconobbero 
Ottaviano  a  loro  signore,  il   quale 
erasi    perciò    recato    ad    Imola    col 
Bentivogli,  e  da  Papa  Innocenzo  Vili 
ebbe  conferma  di  vicario  di  Forlì, 
per  cui  pubbliche  furono  le  dimo- 
strazioni di   gioia.    A  consiglio  del 
cardinal    Riario  ,    per     guadagnarsi 
vieppiù  l'amore  del  popolo,  Cateri- 
na diminuì  i  dazi  della  pesa,  del  sa- 
le,    e  le    tasse.    In     questo    tempo 
in  Lombardia  restò  ucciso  France- 
sco   Ordelallì ,    fratello   di  Antonio. 
Nel  i49°    furono    richiamati  gli  e- 
brei    ch'erano   partiti    dopo    il  sac- 
cheggio ,  con    pregiudizio  del  com» 
mercio;    essi  vi  tornarono  col  pat- 
to che  il  comune  li   guarentisse  da 
ogni  dauuo  ed  interesse,  per  gucr- 


268  FOR 

ra  o  cangiamento  tli  stato.  Nel  1491 
Caterina  represse  alcuni  movimenti 
rivoluzionari  in  Imola  ed  iu  For- 
lì ,  essendo  ne'  secondi  implicato 
l' Orde lafli  al  servizio  de'  veneziani; 
indi  ripristinò  il  consiglio  de' qua- 
ranta istituito  da  Pino,  cioè  dieci 
individui  per  ognuno  de'  quattro 
quartieri.  Nel  seguente  anno  fu  su- 
blimato al  triregno  Alessandro  VI 
Borgia ,  che  da  cardinale  avea  te- 
nuto al  sagro  fonte  Ottaviano:  Ca- 
terina spedì  due  ambasciatori  a  con- 
gratularsene, ricevuti  benignamente, 
e  rinviati  cou  un  plenario  giubileo 
per  tre  anni. 

L'odio  che  Lodovico  Sforza  du- 
ca di  Milano  avea  contro  Alfon- 
so re  di  Napoli,  trasse  Carlo  Vili 
re  di  Francia  in  Italia  ad  invadere 
quel  regno,  mentre  Alfonso  fece  al- 
leanza col  Papa  e  coi  fiorentini.  Le 
parti  procurarono  guadagnar  Cate- 
rina, che  tutto  ponderato,  e  col 
consiglio  del  cardinal  Riario,  si  unì 
agli  alleati  di  Alessandro  VI;  ma 
provando  già  i  funesti  effetti  dei 
nemici  francesi  per  sopravvenute 
circostanze,  a  questi  e  al  signore 
di  Milano  suo  zio  si  collegò.  Nel 
passaggio  delle  truppe  i  francesi 
videro  con  risentimento  nella  piaz- 
za di  Forlì  la  memoria  della  Cro- 
cetta, contro  Appia  loro  conna- 
zionale, di  cui  parlammo  superior- 
mente. I  più  prudenti  opinarono 
per  la  demolizione  del  monumen- 
to, ad  evitare  futuri  affronti,  altri 
vi  si  opposero.  Intanto  nel  i49^ 
si  celebrarono  le  nozze  di  Astorgio 
Manfredi  signore  di  Faenza  con 
Bianca  Riario  sorella  di  Ottaviano, 
con  molta  soddisfazione  de'  sudditi. 
A  Tommaso  Feo  da  Savona,  Ca- 
terina avea  dato  in  successore  nel- 
la casteilama  di  Ravaldino  il  fra- 
tello Giacomo,    che    dicesi    segreto 


F  O  II 

marito  di  Caterina,  e  a  sua  inchie- 
sta crealo  conte  e    barone    dal   re 
di  Francia,  per  cui  oltremodo  inor- 
goglito  erasi    a    molti    del    popolo 
fatto  esoso.  Or  mentre    ritornando 
in  carrozza  dalla  caccia  Caterina  ed 
Ottaviano,    Giacomo    li    seguiva    a 
cavallo,  quando  giunse  al  ponte  dei 
Brighieri    poi    de'  Morattini    venne 
ucciso  da    Gio.  Antonio    e    Dome- 
nico di  Ghia  imolesi,  e  da  altri  se- 
guaci.  Irritata     acerbamente   Cate- 
rina, ne  prese  aspra  vendetta  cogli 
uccisori    e  complici,  non  perdonan- 
dosi per  l' estremo    rigore  neppure 
ai  fanciulli  ;    indi    fece    celebrare  a 
Giacomo  un  superbo  funerale  in  s. 
Girolamo    ov' ebbe    sepoltura,     ed 
erigere    una    memoria    di    bronzo, 
dicesi  coli'  opera  del  celebre  scultore 
Donatello,  nella    rocca  di   R.avaldi- 
no,  poscia  distrutta  dai  soldati  del 
duca  Valentino.  Rallenne  alquanto 
il    risentimento    di    Caterina    1'  an- 
nunzio della  promozione  in  arcive- 
scovo di  Pisa  di  Cesare  Riario  suo 
figlio,  giovane  di  grandi    speranze, 
che  da  pochi  mesi  erasi  ,dato   alla 
Chiesa,  ed  il  quale    con  Tommaso 
Asti   vescovo  di  Forlì    recossi    per- 
ciò a  Roma  a    ringraziar    Alessan- 
dro VI.  D'ordine  di    Caterina    nel 
1496  si  cominciò  a  demolir  il  pa- 
lazzo dalla  parte  verso  s.    Gugliel- 
mo, luogo  ove  nella    congiura    de- 
gli   Orsi    era    rimasta    prigioniera , 
avendo  in  orrore  l'abitarvi  per    la 
memoria  dell'ucciso  consorte.  Si  at- 
terrarono pure  altre  parti,  valendosi 
dei   materiali  per  la  nuova  fabbrica 
del  Revellino,  la  quale  unisce  la  porta 
della  citlà  alla    rocca    di    Ravaldi- 
no ;    luogo  per    la    magnificenza    e 
bellezza  da  lei    chiamato  Paradiso, 
e  che  scelse  ad  abitazione,  come  più 
sicuro  ad  ogn'  incontro  ;  ma  di  tal 
fabbrica  non  ve  ne  sono  più  vesti- 


Fon 

già.  Dalla  parte  poi  verso  oriente 
contigua  alla  cillà,  Caterina  fece 
costruir  nell'  esterno  un  parco  pel- 
le fiere  di  più  di  tre  miglia  di  cir- 
conferenza, e  nel  mezzo  edificò  un 
palazzo  per  1'  estate,  dipinto  a  ver- 
zura,  con  logge,  e  cinto  all'intorno 
da  un  boschetto  di  cipressi  per  la 
caccia  di   lepri  e  caprioli. 

Valendosi  Caterina  del  privilegio 
accorciato  da  Federico  II  ai  forlivesi, 
di  poter  battere  moneta,  ne  fece 
coniare  in  argento  e  in  rame  a 
diverse  impronte  e  valore.  In  al- 
cune delle  di  lei  monete  eravi  da 
un  latos.  Mercuriale  con  le  parole: 

S.    MERCURIALE    FORL.   FROT.    ed    al  10- 

vescio  effigiata  la  fortezza  e  citta- 
della coli'  iscrizione  :  cater.  sfor- 
tia  vicecom.  ;  altre  portavano  la 
parola  forumlivii,  ovvero  octavia- 
nus  riar.  comes;  ed  alcune  altre 
un  semplice  C  con  un  S  a  tenore 
della  grandezza  delle  monete.  Il 
Ratti  nella  part.  II,  pag.  5r,  Del- 
la famiglia  Sforza,  narrando  l' e- 
ducazione  data  dalla  contessa  Ca- 
terina ad  Ottaviano,  massime  nel- 
la politica  e  nell'arte  della  guerra, 
dice  che  mentre  Ottaviano  eserci- 
tavasi  nelle  armi  sotto  i  fiorentini, 
fu  coniata  una  medaglia  avente  nel 
diritto  1'  effigie  di  Ottaviano  col 
busto   armato,    ed   intorno  :    octa- 

VIAN'US    SF.    DE    EIARI0     FORLIVII,    IMO- 

iae  q.  c .,  e  nel  rovescio  il  me- 
desimo a  cavallo  avente  nella  de- 
stra una  spada  in  atto  di  guerrie- 
ro, e  nell'  esergo  octavius  ri.  Di 
due  medaglie  poi  coniate  in  onore 
della  contessa  Caterina  lo  slesso 
Ratti  ce  ne  dà  la  descrizione  a 
pag.  44-  £*e'  contagio  e  carestia 
che  molti  luoghi  provarono  nel 
1496,  per  la  vigilanza  di  Caterina 
poco  ne  risentirono  i  sudditi  ;  ed 
a  sovvenir    le    famiglie    povere     e 


FOR  269 

vergognose,  ella  a    mezzo    del    ve- 
scovo   Tommaso     Asti     istituì     la 
congregazione  della  Carità,  e  se  ne 
dichiarò    preside.    Nel    i497    morì 
Lodovico  Orsi  podestà  di  Camerino, 
uno    de'  congiurati    contro    Girola- 
mo ;  ed  in  Forlì  dietro   assenso  di 
Lodovico    Sforza    e    di    Ottaviano, 
Caterina    si    rimaritò    a    Giovanni 
da     altri    chiamato    Giordano    dei 
Medici,  commissario     de'  fiorentini 
nel  dominio  che    tenevano    in  Ro- 
magna,   però    con    matrimonio   se- 
greto,    acciocché    divulgandosi,  se- 
condo  le  leggi  non  venisse    esclusa 
dall'amministrazione.  Subito  n'eb- 
be un  figlio  di   nome  Lodovico,  ma 
colto  poi  Giovanni  da  grave  malat- 
tia, spirò  nelle  braccia    di    Cateri- 
na ;  il  di  lui  cadavere   dal  fratello 
Lorenzo   si    trasferì    a    Firenze,    e 
Caterina  in  Forlì  pubblicò  il    ma- 
trimonio, ed    assunse    la   tutela   di 
Lodovico,   facendone  malleveria  Ot- 
taviano con   Luffio  Numai.   Lodovi- 
co in  memoria  del  padre  si    chia- 
mò egli  pure  Giovanni,  e  divenne 
il  più  valente    capitano    della    casa 
Medici,   e  fu  appellato  delle  bande 
nere,    Y  invincibile^  ed  il  folgore   di 
guerra.    Da  lui  e  da  una   Salviati 
nacque  Cosimo  il  Grande,  e  sicco- 
me Lorenzo   de'  Medici    detto    Lo- 
renzino    uccise     Alessandro    primo 
duca  di  Firenze,   il  quale  morì  sen- 
za lasciar  eredi,   dal  popolo  fioren- 
tino fu  eletto  Cosimo  I    successore 
in  quel    ducato,    poscia    da    s.  Pio 
V  dichiarato  e   coronato  granduca. 
Laonde  Forlì  a  buon  diritto  vanta 
che  i  granduchi    di  Toscana    della 
gloriosa  casa    Medici,    derivano    da 
uno,  il  quale  in  essa  ebbe  i  natali. 
Proseguiva  la  guerra   con    vario 
successo  tra   il  duca  di  Milano  e  i 
fiorentini ,    contro    i    veneti ,    nella 
quale  ebbe  qualche  parte  Caterina, 


270  FOR 

che  colla  sua  attività  ben  presto  fece 
cessare  il  micidial  contagio  del 
1499.  ^e'  seguente  anno  alleossi 
Alessandro  VI  a  Lodovico  XII  re 
Francia,  colla  condizione  che  occu- 
pato il  ducato  di  Milano,  avrebbe 
soccorso  il  suo  figlio  naturale  Ce- 
sare Borgia  al  conquisto  di  Roma- 
gna, per  motivo  di  non  essere  dai 
principi  di  queste  città  stati  pagati 
i  censi  dovuti  alla  Chiesa,  e  per- 
ciò aver  stabilito  scacciameli  per 
render  poi  Cesare  duca  di  Roma- 
gna, di  cui  erane  questi  ambizio- 
sissimo. Avendo  Caterina  appreso 
tali  maneggi,  e  vedendosi  priva  di 
appoggi  perchè  gli  affari  dello  zio 
duca  dì  Milano  peggioravano,  e 
priva  dell'appoggio  del  defunto  ma- 
rito Giovanni  su  cui  molto  contava, 
previde  la  catastrofe  che  avvenne. 
Spedì  al  Papa  in  ambasciatore  Gio- 
vanni dalle  Selle,  ma  non  fu  rice- 
vuto ,  ricusandosi  da  Alessandro  VI 
di  ammettere  in  compenso  quanto 
Caterina  doveva  avere  dalla  Chiesa 
in  conto  degli  assegni  dovuti  a  Gi- 
rolamo Riario  di  lei  marito,  somma 
d'  assai  maggiore  al  dehito  preteso 
dai  ministri  pontifìcii  pei  censi  non 
soddisfatti.  Conoscendo  Caterina  es- 
sere inevitabile  la  guerra,  volle  co- 
noscere la  volontà  del  popolo,  me- 
diante un'allocuzione  pronunziata 
dai  figlio  Ottaviano,  che  tutti  li 
esortò  alla  difesa.  Indi  pose  mano 
a  fortificar  la  città  ne'  luoghi  più 
deboli,  lavorandovi  lo  stesso  Otla- 
viano,  il  quale  esplorò  eziandio  l'a- 
nimo degl'  imolesi,  e  ad  assicurarsi 
vieppiù  dell'  amore  della  plebe  tolse 
il  dazio  della  macina  e  delle  car- 
ni. Fecesi  la  rassegna  di  tutte  le 
truppe,  distribuissi  al  popolo  co- 
razze, elmi  e  lande,  e  si  fece  prov- 
visioni di  viveri,  sovvenendo  Cate- 
rina chi  mancava  de'  mezzi,  ed  ella 


FOR 

in  persona  assisteva  all' opera  delle 
fortificazioni.  Pose  idonee  persone 
nelle  rocche,  e  alla  difesa  ile'  luo- 
ghi de'Riari,  e  fece  molte  altre  co- 
se che  lungo  sarebbe  il  narrare. 

Cesare  Borgia  duca  Valentino, 
partitosi  dallo  stato  di  Milano  oc- 
cupato dai  francesi,  con  trecento 
lande  sotto  il  comando  d' Ivone 
Allegri  o  Allegre,  quattro  mila  sviz- 
zeri sotto  il  bali  di  Digiuno,  ed  al- 
tre genti  componenti  un  esercito 
di  dieci  mila  fanti  e  tre  mila  ca- 
valli, venne  in  Romagna,  ove  per  la 
prima  assediò  Imola,  la  quale  pel- 
le dispari  forze  presto  si  rese,  e  la 
fortezza  rovinata  dalle  artiglierie 
si  diede,  salve  le  persone  e  le  ro- 
be, al  Valentino.  La  caduta  di  que- 
sta piazza  trasse  seco  quella  delle 
altre  da  essa  dipendenti,  per  cui  Ca- 
terina che  in  Firenze  avea  già  posti 
in  sicuro  gli  altri  figli  e  gli  effetti  più 
preziosi,  mandò  colà  anche  Ottavia- 
no, ed  ella  ritiratasi  nella  rocca,  la- 
sciò il  conte  Alessandro  Sforza  (suo 
fratello  ed  uno  de'naturali  di  Galeaz- 
zo Maria  Sforza  )  ad  intendersela 
coi  cittadini,  ed  a  scuoprirne  l'ulti- 
ma loro  intenzione,  capo  de'  quali 
era  allora  Nicolò  Tornielli.  Questi 
alla  presenza  degli  anziani  e  prin- 
cipali della  città  descrisse  i  spro- 
porzionati mezzi  di  difesa  della  città 
contro  nemico  sì  poderoso,  sebbene 
si  avesse  coraggio  di  tentar  l' e- 
stremo  di  loro  forze  per  serbar  il 
dominio  in  potere  de'Riari  ;  né  fi- 
darsi delle  soldatesche,  sì  perchè 
composte  di  molti  francesi,  sì  per 
aver  altri  contrastato  col  popolo 
per  la  loro  militare  licenza,  e  che 
faceva  d'uopo  consultare  anche  il 
consiglio  de'  quaranta.  Alessandro 
riferì  tutto  a  Caterina,  che  ben 
comprese  non  potersi  sostener  la 
città,  per  cui  volse  l'animo  a  cu- 


FOR 

stcnliie  la  sola  fortezza  di  Ravaldi- 
110.  Intanto  i  cittadini  si  decisero 
per  la  volontaria  dedizione  ed  in- 
viarono al  Valentino  il  vescovo  Asti 
e  Giovanni  dalle  Selle,  e  il  duca 
ne  fece  prendere  possesso  in  suo 
nome  da  Ercole  Benlivogli,  Achille 
Tiberti  da  Cesena,  e  Bernardino 
di  Ghia  imolese  con  alquanti  ca- 
valli. Ad  annunzio  di  tal  sorta  Ca- 
terina prese  a  bersagliare  la  città 
non  1'  artiglierie  ;  quindi  a'  i  7  de- 
cembre  1 499  Cesare  Borgia  pre- 
ceduto dall'  esèrcito  entrò  in  Forlì 
per  la  porta  s.  Pietro.  Era  arma- 
to e  cavalcava  generoso  destriero, 
una  gran .  piuma  candida  gli  sor- 
montava la  berretta;  stringeva  nel- 
la  destra  sguainalo  lo  stocco,  ed 
uno  il  precedeva  col  vessillo  spie- 
gato della  Chiesa.  L'armata  venne 
ripartita  per  la  città  con  grave  in- 
comodo de'  cittadini,  ed  egli  prese 
alloggio  in  casa  di   LulFo  IVurnai. 

Prontamente  incominciarono  le 
soverchierie  de'  soldati,  saccheggian- 
do le  ^ptteghe  intorno  alla  piazza, 
e  distruggendosi  dai  francesi  attor- 
no alla  Crocetta  le  memorie  del 
trionfo  contro  di  essi  riportato  ver- 
so la  fine  del  secolo  XIII.  Molti 
cittadini  furono  maltrattati,  tutti 
disarmati,  e  presa  la  rocca  di  Schia- 
vonia  il  Valentino  si  accinse  a  bat- 
tere l'altra,  non  essendo  giovate  le 
lusinge  colle  quali  aveva  invitato 
Caterina  a  cederla,  lusinghe  che 
non  meritavano  fidanza  per  la  no- 
ta mala  fede  di  quel  fortuna- 
to duca.  Piantò  sulla  chiesa  di  san 
Giovanni  Battista  una  batteria  di 
sette  cannoni  e  dieci  falconetti  con- 
tro il  Revellino  del  Paradiso,  ma 
non  se  ne  fece  uso,  succedendo  una 
sospensione  d'  armi.  Entrato  l'anno 
i5oo  il  Valentino  fece  piantare  al- 
tra batteria  contro  la    cortina  del- 


FOR  271 

la  rocca  dalla  parte  esterna  della 
città,  che  fu  sì  gagliarda  che  diroc- 
cò gran  parte  del  muro  i  cui  rot- 
tami riempirono  il  fosso  ;  laonde 
ad  onta  dell'  incredibile  diligenza 
di  Caterina,  dopo  lungo  contrasto 
entrarono  dentro  i  soldati  del  Va- 
lentino, che  inoltre  fece  circondar 
la  rocca  di  cavalleria  a  debita  di- 
stanza. I  difensori  tentarono  ripa- 
rare nella  cittadella,  ma  nella  con- 
fusione alla  rinfusa  vi  entrò  pure 
il  nemico,  mentre  il  castellano  dan- 
do fuoco  alla  polvere  ne  fece  stra- 
ge. Caterina  rifugiossi  nella  torre 
da  quella  parte  chiamata  Inferno, 
allorché  uno  delle  lancie  del  bali 
di  Digiuno  la  fece  prigioniera  in 
un  alle  sue  donne  a'  12  gennaio, 
giorno  memorabile  anche  per  la 
morte  di  diversi  prodi  cittadini,  ve- 
nendo tagliata  a  pezzi  tutta  1'  in- 
fanteria; tra  i  prigionieri  sono  a 
nominarsi  Scipione  figlio  naturale 
del  conte  Girolamo,  Giovanni  da 
Casale  castellano,  il  conte  Alessan- 
dro Sforza,  e  diversi  nobili  forli- 
vesi, tutti  riscattati  con  somme  vi- 
stose. Dalla  parte  del  Valentino 
morirono  circa  cinquecento  soldati, 
ed  altrettanti  feriti;  tra  le  persone 
di  conto  vi  perderono  la  vita  Fer- 
nando dalla  Maida  portoghese  se- 
polto nella  cattedrale  con  pompa 
solenne,  Perotino  da  Crevalcore 
francese,  e  Giovanni  Piccinino,  che 
ebbero  sepoltura  nella  chiesa  del 
Carmine.  Caterina  in  mezzo  al  du- 
ca, ed  all'  Allegri  fu  condotta  iu 
casa  Numai,  e  la  rocca  di  Forlim- 
popoli  cedette,  quando  il  castellano 
seppe  caduta  quella  di  Ravaldino. 
Indi  il  duca  confermò  il  consiglio 
de'quaranta,  a  condizione  che  aves- 
sero a  cambiarsi  annualmente,  e 
dispose  che  l' antico  magistrato  col 
nome  d'anziani    sussistesse    iu    uu- 


272  FOR 

moro  di  dodici,  che  dovessero  du- 
rare in  carica  un  anno  ;  e  questa 
adunanza  e  magistrato  rivesti  di 
supremo  potere  negli  affari  riguar- 
danti il  pubblico,  i  cui  individui 
prestarono  in  mano  al  Valentino 
il  consueto  giuramento  di  fedeltà, 
ed  a  tal  effetto  spedirono  in  Roma 
ad  Alessandro  VI  in  ambasceria 
Gaspare  Moratlini,  Lodovico  Or- 
ceoli,  Giovanni  dalle  Selle,  e  Ber- 
nardino Paulucci. 

Intanto  il  bali  di  Digiuno  tolse  di 
notte  all'impensata  Caterina  dalle 
mani  del  Valentino,  dicendo  a  lui 
appartenergli  perchè  arrestata  da  un 
suo  soldato,  aver  essa  detto  arren- 
dersi prigioniera  ai  francesi  e  loro 
re,  e  non  convenir  il  carcere  a  da- 
ma di  tanta  onoranza,  e  vietarlo  le 
leggi  di  Francia.  Altamente  ne  re- 
stò adontato  il  Valentino,  a  segno 
di  ordinare  agl'italiani  e  spagnuo- 
li  del  suo  esercito  di  vendicarne  l'af- 
fronto, ed  altrettanto  essendosi  fat- 
to da' francesi,  si  schierarono  tutti 
sulla  piazza  in  ordinanza  guerresca. 
Mentre  i  cittadini  trepidavano  sul- 
le conseguenze  dell'avvenimento,  da 
Forlimpopoli  sopraggiunse  l'Allegri, 
e  seppe  sì  destramente  operare,  che 
il  bali  fu  contento  avesse  il  Valen- 
tino a  ritener  Caterina  sinché  la 
chiedesse  il  re  di  Francia,  e  che 
quindi  la  rimettesse  al  Papa.  In  fat- 
ti per  la  legge  in  favore  delle  don- 
ne vigente  allora  in  Francia,  men- 
tre l'Allegri  passò  per  Roma  per 
l'impresa  di  Napoli,  ne  ottenne  co- 
me diremo  la  liberazione,  facendo- 
ne istanza  a  nome  del  re  Lodovi- 
co XII.  Il  duca  allora,  lasciando 
governatore  della  città  Ramiro  del- 
l'Orca spagnuolo,  castellano  di  Ra- 
valdino  Cousai vo  Mirafonte,  ed  Er- 
cole Bentivogli  in  custodia  del  pae- 
se, s'avviò  alla  conquista  di  Pesa- 


FOR 
ro.  Saputosi  peiò  che  Lodovico  Sfor- 
za marciava  per  la  ricupera  di  Mi- 
lano co'  rinforzi  di  Germania,  il  re 
di  Francia  richiamò  la  sua  arma- 
ta in  Lombardia,  laonde  il  Valen- 
tino prese  la  via  di  Roma,  ove  a 
guisa  di  trionfo  seco  menò  Cateri- 
na avvinta  con  catene  d'oro,  pre- 
giandosi egli  d'aver  soggiogata  que- 
sta rara  donna  più  che  qualunque 
altro  temuto  guerriero.  Fecela  cu- 
stodire nel  Vaticano  dalla  parte  di 
Belvedere,  forse  nella  torre  Borgia 
fatta  edificare  da  Alessandro  VI,  ma 
avendo  tentato  di  fuggire  corrom- 
pendo la  guardia,  il  Papa  ordinò 
che  si  trasportasse  in  Castel  s.  An- 
gelo ed  ivi  fosse  strettamente  cu- 
stodita, finché  nel  t5o2,  per  volere 
del  monarca  francese,  dopo  dieciol- 
to  mesi,  a' 26  giugno  venne  riposta 
in  libertà ,  ottenuta  la  quale  si  ri- 
tirò a  Firenze  ov'erano  i  di  lei  fi- 
gli, dandosi  interamente  alla  pietà; 
ed  ivi  nel  1 509,  non  a'  24  ma  a 
29  maggio,  terminò  la  vita,  e  ven- 
ne sepolta  nella  chiesa  dell^ mona- 
che benedettine,  tra  le  quali  da 
qualche  tempo  viveva  in  ritiro.  Non 
sussiste  che  Caterina  avesse  tentato 
avvelenare  il  Papa  a  mezzo  d'una 
lettera,  e  nel  forgiai  il  processo  si 
scuoprì  la  falsità  dell'accusa. 

Il  Ratti  succitato,  a  pag.  35  e 
seg.,  riporta  la  biografia  di  Cateri- 
na Sforza  con  molte  notizie  riguar- 
danti la  nobile  famiglia  Riario.  Que- 
sta gran  donna  sorprendente  per 
bellezza,  senno,  eloquenza,  virtù  e 
valore  guerriero,  è  paragonata  a 
Marzia  moglie  di  Francesco  Orde- 
laffo  il  grande,  anzi  se  non  nel  do- 
minio, almeno  nella  prodezza  un'al- 
tra Semiramide  e  Zenobia .  Dei 
di  lei  figli  avuti  dal  conte  Girola- 
mo Riario,  Ottaviano  dopo  la  mor- 
te d'Isotta  Benlivoglio  sua  moglie, 


FOR 

dalla  quale  non  ebbe  successione, 
abbracciò  la  vita  ecclesiastica,  e  nel 
i5o8  da  Giulio  II  fu  fatto  vesco- 
vo di  Viterbo,  pei*  cessione  fattane 
dal  cardinal  Raffaele  Riario;  inter- 
venne al  concilio  generale  latera- 
nense  V,  e  governò  saviamente  quel- 
la chiesa  sino  al  i522,  epoca  di 
sua  morte.  Cesare  oltre  l'arcivesco- 
vato di  Pisa  summentovato,  fu  fat- 
to patriarca  di  Alessandria,  e  nel 
i5i8  sotto  Leone  X  dalla  prima 
chiesa  per  cessione  del  cardinal  Ria- 
rio passò  al  vescovato  di  Malaga  ; 
mori  in  Padova  e  restò  sepolto  nel 
convento  de' frati  di  s.  Antonio. 
Bianca  come  si  disse  sposò  il  signore 
di  Faenza.  Per  non  dire  degli  altri, 
che  superiormente  nominammo,  Ga- 
leazzo tenuto  al  sagro  fonte  dagli 
ambasciatori  del  duca  d'Urbino,  di 
Lorenzo  de'  Medici,  e  del  signore 
di  Carpi  (avendo  avuto  l'onore  di 
recarlo  alla  chiesa  di  s.  Mercuriale 
il  nobile  forlivese  Sigismondo  Erco- 
lani)  continuò  l'illustre  discenden- 
za della  famiglia  Riario,  che  fiorì 
nei  duchi  Riario-Sforza  senatori  di 
Bologna,  e  al  presente,  essendosi 
la  famiglia  trasferita  a  Napoli,  nei 
principi  napolitani,  dal  primogenito 
de'quali  oltre  il  titolo  di  duca,  si 
porta  il  titolo  di  marchese  di  Cor- 
leto  feudo  della  famiglia.  In  Bolo- 
gna i  Riari  ebbero  due  palazzi,  uno 
ornato  di  belli  fregi  in  terra  cotta, 
nella  strada  s.  Donato,  oggi  de'  con- 
ti Scarselli;  l'altro  che  fu  già  dei 
Loiani  nella  strada  maggiore,  ador- 
no di  un  bel  fregio  dipinto  da  Gio. 
Battista  Cremonini  colle  gesta  di 
Riario-Sforza,  poi  rimodernato  a 
spese  del  conte  Aldini,  ora  possedu- 
to da  Donzelli.  Di  questa  cospicua 
prosapia  Riario-Sforza,  in  Roma 
sono  il  cardinal  Tommaso  Riario- 
Sforza,  primo  dell'ordine  de'dia- 
vot.  xxr. 


FOR  273 

coni,  da  Pio  Vili  fatto  legato 
di  Forlì,  e  dal  regnante  Pontefi- 
ce Gregorio  XVI  prima  dichiara- 
to legato  di  Urbino  e  Pesaro,  e  poi 
camerlengo  di  s.  Chiesa;  e  monsi- 
gnor Sisto  Riario-Sforza  nipote  del 
cardinale,  dal  medesimo  Pontefice 
promosso  a  suo  cameriere  segreto 
partecipante,  e  segretario  d'amba- 
sciata, non  che  canonico  della  ba- 
silica vaticana.  V.  Rovere  Fami- 
glia, dalla  quale  uscirono  Sisto  IV 
e  il  suo  nipote  Giulio  II;  e  il  Bur- 
niel,  Vita  di  Caterina  Sforza- Ria- 
rio contessa  d' Imola  e  signora  di 
Forti,  Bologna  1793  in  tre  tomi. 
Ritornando  agli  ambasciatoli  for- 
livesi che  partirono  per  Roma, 
quivi  resero  ubbidienza  ad  Ales- 
sandro VI,  venendo  accolti  con  di- 
stinzione ed  onore,  ottenendo  la 
conferma  de'  soliti  privilegi  della 
città,  di  cui  e  delle  altre  che  te- 
neva in  Romagna  il  Papa  nel  me- 
desimo anno  i5oo  ne  creò  duca 
Io  stesso  Cesare  Borgia  romano, 
duca  del  Valentinois  in  Francia, 
già  cardinale.  Indi  portossi  in  Ro- 
magna un  commissario  a  pubbli- 
care tale  investitura,  ed  insieme  a 
recare  ai  forlivesi  il  breve  ponti- 
fìcio delle  grazie  ed  esenzioni  ac- 
cordate; cioè  l'estinzione  di  alcu- 
ne gabelle,  tra  le  quali  le  tasse 
dei  cavalli  pe'  villici,  ed  il  pedag- 
gio del  tragitto  del  Ronco  devolu- 
to alla  comunità  a  motivo  di  ri- 
costruirvi il  ponte,  durando  allora 
quello  di  Schiavonia  sul  Montone. 
Dipoi  in  nome  di  Cesare,  Baldas- 
sare  Morattini  prese  possesso  di 
Sarsina,  Meldola,  e  castelli  adia- 
centi consegnatigli  da  Pandolfo  Ma- 
latesta  pel  prezzo  di  cinque  mila 
scudi;  e  Roberto  Bancini  commis- 
sario del  medesimo  Cesare,  prese 
quello  della  rocca  di  Rimini  per 
18 


2?4  F°R 

due  mila  cinquecento  ducati.  Nel 
i5oi  il  duca  s'insignorì  di  Faenza, 
e  godendo  quindi  momentanea  quie- 
te la  Romagna  sotto  un  ,  solo  prin- 
cipe ,  nel  1 5o2  passò  per  Forlì 
Lucrezia  Borgia  sorella  di  Cesare, 
che  andava  in  Fei'rara  sposa  ad 
Alfonso  d'  Este,  primogenito  del 
duca  Ercole  I:  fu  incontrata  da 
tutte  le  truppe  comandate  da  Fran- 
cesco Pontiroli,  e  da  cento  zitelle 
vestite  a  bianco  e  paonazzo,  con 
un  drappello  di  dame  riccamente 
abbigliate.  Intanto  nell'agosto  i5o3, 
come  dicemmo  agli  articoli  Ales- 
sandro VI ,  e  Borgia  famiglia 
[Vedi),  venne  ecclissata  la  grandez- 
za di  Cesare  per  la  grave  malat- 
tia di  questo ,  e  per  la»  morte  del 
Papa;  laonde  in  sede  vacante  su- 
bito gli  Orsini  e  i  Colonnesi  riac- 
quistarono il  toltogli  da  Cesare , 
serbandosi  fedele  la  Romagna,  co- 
noscendo vantaggioso  il  suo  domi- 
nio. Tuttavolta  il  duca  ordinò  al 
suo  luogotenente  Diagomiro  spa- 
gnuolo,  d'imprigionare  alcuni  prin- 
cipali forlivesi  per  sicurezza  del- 
la città  ;  e  già  Antonio  Ordelaffi. 
ancor  vivente,  col  favore  de'veneti 
aspirava  dì  ritornar  al  dominio, 
come  avea  fatto  in  Rimini  Pandol- 
fo  Malatesta. 

Assunto  al  pontificato  Pio  III,  se 
non  del  tutto  favorevole  a  Cesare 
non  eragli  interamente  contrario; 
ma  l'alleanza  convenuta  tra  i  vene- 
ziani, spagnuoli,  Colonnesi,  Orsini, 
Savelli,  ed  altri  diede  l'ultimo  crol- 
lo al  vacillante  dominio  del  duca, 
compiendosi  la  sedizione  quando 
i  baroni  romani  fugando  le  trup- 
pe di  Cesare,  costrinsero  questi  a 
rifugiarsi  con  beneplacito  del  Pa- 
pa in  Castel  s.  Angelo.  Cesena  ri- 
tornò alla  Chiesa,  restando  al  du- 
ca la    rocca;    Faenza    fu    occupata 


FOR 

dai  veneziani  ;  Pesaro  chiamò  Gio- 
vanni Sforza;  Imola  nella  perples- 
sità di  darsi  alla  Chiesa,  o  di  ri- 
chiamare i  Riari,  non  prese  alcu- 
na risoluzione;  ma  in  Forlì,  avutasi 
con  astuzia  la  rocca  di  Schiavonia 
dal  Palmeggiani  a  nome  dell'  Or- 
delaffi, venne  tosto  dai  fautori  di 
questa  famiglia  acclamato  il  nome 
di  Antonio,  il  quale  non  fidandosi 
dei  veneti,  col  soccorso  de'fiorentim 
trovavasi  a  Castrocaro;  per  cui  en- 
trò in  Forlì  a' 22  ottobre,  fulmi- 
nando col  cannone  sì  la  rocca  di 
Ravaldino  che  la  città,  con  danno 
enorme  degli  edifizi.  Dal  popolo 
si  prestò  ad  Antonio  il  consueto 
giuramento  nella  cattedrale,  dopo 
di  che  creò  suo  capitano  generale 
Nanni  Morattini,  e  richiamò  Lo- 
dovico suo  fratello  illegittimo  da 
Ghiaradadda ,  eh'  era  al  servigio 
della  repubblica  di  Venezia.  Alle 
trincere  intorno  della  rocca  ala- 
cremente si  lavorava  sotto  la  di-, 
rezione  di  Girolamo  Albicini  é 
Paolo  Guarini,  per  rendere  sicuro 
da  quella  parte  il  paese,  quando 
per  sospetto  1'  Ordelaffi  licenziò  le 
truppe  fioi'entine.  Dopo  ventisei 
giorni  di  pontificato  morì  Pio  III, 
a  cui  passati  dodici  giorni  gli  fu 
dato  in  successore  Giulio  li.  A 
questi  Antonio  spedì  per  amba- 
sciatori Nicolò  Tornielli ,  e  Gio- 
vanni dalle  Selle,  onde  impetrare 
la  conferma  della  paterna  inve- 
stitura. Ed  è  perciò  che  in  Roma- 
gna al  duca  Valentino  non  resta- 
vano che  le  rocche  di  Forlì,  Ce- 
sena, Bcrtinoro  e  Forlimpopoli,  la 
quale  ultima  indi  a  poco  dal  ca- 
stellano venne  per  ottocento  scudi 
consegnata  all'  Ordelaffi.  Tornati 
gli  ambasciatori  riferirono  che  Giu- 
lio II  avea  risposto,  come  non 
potendo  l'Ordelaffi  tenersi  sicuro  del 


FOR 

domìnio  prima  d'  aver  la  rocca , 
non  poter  egli  per  conseguenza  con- 
fermarvelo.  Essendo  Berto  di  Gia- 
como Orioli  tesoriere  del  Valentino, 
sospetto  ad  Antonio,  ed  essendo 
fuggito,  questi  ne  fece  saccheggiar 
le  case. 

Frattanto  l' Ordelaffi  patteggiò 
per  quindicimila  scudi  con  Consal- 
vo  Miratònte  castellano  di  Raval- 
dino  la  cessione  della  piazza,  quan- 
do Antonio  preso  da  grave  infer- 
mità, con  universale  cordoglio  mo- 
ri a' 6  gennaio  i5o4,  e^  ebbe  se- 
poltura nella  canonica  del  duomo. 
Terminati  i  funerali  gli  animi  dei 
cittadini  erano  incerti  a  chi  avesse 
a  devolversi  la  signoria  :  i  Mo rat- 
tini  e  loro  seguaci  si  dichiararono 
per  l'illegittimo  Lodovico  Ordelaf- 
fi, che  subito  corse  in  città;  i  Nu- 
mai  armata  mano  co'  loro  aderenti 
vi  si  opposero,  ma  arrestati  e  con- 
dotti nella  rocca  di  Forlimpopoli , 
le  loro  case  furono  saccheggiate, 
incominciando  così  una  terribile 
guerra  civile,  che  fu  quasi  lo  ster- 
minio di  Forlì.  Divenuto  principe 
Lodovico  ordinò  la  liberazione  dei 
prigioni,  e  la  restituzione  del  tolto, 
per  cattivarsi  famiglie  sì  potenti,  e 
mentre  da  lui  cumu lavasi  il  dena- 
ro per  la  resa  della  rocca  ,  si  co- 
nobbe che  Cesare  Borgia  era  stato 
mandato  prigione  in  lspagna,  mo- 
rendo poscia  in  Navarra ,  e  che 
Giulio  II  procedeva  alla  ricupera 
di  Romagna.  Quindi  gì' imolesi  si 
dierono  ai  ministri  pontificii ,  fa- 
cendo il  simile  que'  di  Forlimpo- 
poli, meno  la  rocca  custodita  da 
Bartolomeo  Ercolani  fratello  uteri- 
no dell'Ordelaffi.  Il  Papa  spedì  sul 
Forlivese  con  truppe  Guidobaldo 
duca  d' Urbino,  il  quale  danneggiò 
molti  villaggi,  scaramucciò  con  vari 
cittadini,  tra'  quali  insorsero  molte 


FOR  27$ 

discordie.  Gli  Orsi  temendo  non 
tornasse  la  città  a  ricadere  sotto  i 
Riari,  si  opposero  al  partito  eccle- 
siastico, e  con  Lodovico,  che  non 
si  conosceva  da  tanto  per  difen- 
dere Forlì,  proponevano  accostarsi 
ai  veneti  allora  potenti  in  Roma- 
gna ;  dai  Fiorini  si  parteggiava  per 
la  Chiesa  ;  i  Morattini  e  i  Teo- 
doli esortavano  il  popolo  in  favo- 
re d' Ordelaffi.  In  questo  tempo 
tratto  in  inganno  l' Ercolani  con- 
segnò a  monsignor  Giovanni  arci- 
vescovo di  Ragusi  e  legato  del  Papa 
la  rocca  di  Forlimpopoli,  al  cui 
esempio  Nicolò  Teodoli  cede  Pie- 
tra d'Appio,  per  cui  in  Forlì  mol- 
to soffrì  la  di  lui  casa.  Avvicinan- 
dosi le  milizie  pontificie,  e  ricu- 
sando i  veneziani  ricevere  l'offerta 
città.  Lodovico  Ordelaffi  per  non 
irritar  di  più  Giulio  II  lasciò  in 
loro  balia  i  forlivesi,  che  spediro- 
no due  oratoli  al  legato,  col  qua- 
le capitolarono  la  resa,  riservando 
all'  Ordelaffi  alcune  pensioni  per 
sostentamento  di  Lodovico.  Allora 
questi  diede  l'estremo  addio  alla 
città  di  Forlì  posseduta  sì  lunga- 
mente dai  suoi  maggiori  ;  casa  no- 
bile, illustre  e  di  grande  splendore 
al  paese,  che  ne  pianse  la  perdita, 
stabilendosi  poscia  i  discendenti  in 
Pesaro  ed  in  Mantova. 

Dopo  la  partenza  dell'  Ordelaffi, 
i  Morattini  percorsero  la  città  per 
la  Chiesa,  il  cvii  vessillo  venne  dis- 
piegato alle  finestre  del  pubblico 
palazzo,  e  nell'avviciuarsi  di  mon- 
signor legato  a  prenderne  il  pos- 
sesso, furono  ad  incontrarlo  il  cle- 
ro e  i  conservatori.  Intanto  a'  6 
aprile  verso  le  ore  ig  insorse  in 
città  grave  sconvolgimento ,  pro- 
dotto dal  temersi  da  alcuni  che  il 
legato  colla  comitiva  alloggiasse  a 
descrizione,  o  che    il    dominio    da 


276  FOR 

lui  si  prendesse  non  per  la  santa 
Sede,  ma  per  consegnarlo  ai  Ria- 
ri.  Raccontavano  i  tumultuanti  cer- 
te pretese  convenzioni  tra  il  Pa- 
pa, e  i  cardinali  Ascanio  Sforza  e 
Raffaele  Riario,  credute  per  vere 
dal  popolo,  per  cui  i  nemici  dei 
Riari,  ed  i  fautori  degli  Ordelaf- 
fi  pubblicamente  se  ne  lagnavano, 
preferendo  i  secondi  dopo  il  Pon- 
tefice. Il  legato  impose  ai  capi  tran- 
quillarsi, e  replicalamente  assicurò 
tutti  prendere  la  città  esclusiva- 
mente per  la  romana  Chiesa,  cioc- 
ché attestò  pure  il  commissario  a- 
postolico.  Gridandosi  pertanto  con 
evviva  il  nome  della  Chiesa,  il  le- 
gato entrò  in  compagnia  di  Gio- 
vanni Sassatelli,  e  Ramazzotto  ca- 
pitani pontificii,  ricevè  alla  porta 
le  chiavi  della  città,  ed  alla  porta 
del  palazzo  fu  piantata  la  di  lui 
bandiera;  e  compita  nella  catte- 
drale l' ultima  cerimonia,  si  recò 
ad  abitar  in  casa  Numai.  Indi  il 
legato  per  quindicimila  ducati  ot- 
tenne la  consegna  della  cittadella  e 
rocca  di  Ravaldino,  dal  castellano 
Consalvo  :  in  tal  guisa  la  città  di 
Forlì  tornò  sotto  il  benigno  regi- 
me della  Chiesa,  e  non  ne  fu  sot- 
tratta che  al  declinar  del  decorso 
secolo ,  e  al  principio  del  corren- 
te per  alcuni  anni ,  e  per  po- 
chi giorni  nella  nota  insurrezione 
del  i83i.  Subito  il  legato  si  ap- 
plicò agli  affari  governativi,  ed  alla 
riforma  del  paese,  compiacendo  il 
popolo  che  amava  essere  governa- 
to come  a'  tempi  del  cardinal  Al- 
bornoz,  ed  adunossi  il  gran  consi- 
glio presso  di  lui,  che  poi  si  sciol- 
se quando  Giulio  II  lo  accrebbe  e 
confermò  nel  i5o8,  poi  riformato 
nel  1 5 1 3  ;  indi  si  estrassero  in  con- 
servatori Baldi  per  capo,  Micheli- 
na Neri,  Tornielli ,  Denti,  e  Car- 


FOR 

pentieri,  e  si  divenne  alla  scelta 
degli  altri  ufficiali  del  comune.  Il 
nuovo  magistrato  civico  fece  il  so- 
lenne ingresso,  preceduto  giusta  il 
costume  da  una  guardia  d'alabar- 
dieri in  uniforme,  da  molti  don- 
zelli in  livrea ,  e  da  alcuni  che 
portavano  mazze  d'argento,  a  guisa 
de'fasci  consolari  tenuti  dagli  an- 
tichi littori  ;  avevano  inoltre  vari 
gonfaloni,  trombettieri,  ed  altro. 

A  Giulio  II  si  diressero  amba- 
sciatori Morattini,  Bici,  Xelio,  e 
Sassi,  i  quali  riportarono  la  con- 
ferma de'  convenuti  capitoli,  e  va- 
ine esenzioni,  cioè  che  appartenesse 
alla  città  il  terminar  le  prime  e 
seconde  cause  d'appello,  reclami, 
nullità  ec,  e  le  seconde  ed  ultime 
al  governatore  o  suo  luogotenente 
prò  tempore,  il  qual  governatore 
deputato  dal  Pontefice  avesse  ad 
essere  prelato,  e  si  stipendiasse  dal- 
la camera  apostolica;  che  la  città 
e  contado  fossero  esenti  da  qualsi- 
voglia dazio  e  gabella,  vale  a  dire 
di  macina,  bocche,  ponti,  doti,  di- 
visioni, e  di  tutto  altro  di  vitto  e 
vestito,  e  liberi  pure  dalle  tasse  ec; 
che  gli  altri  dazi  e  gabelle  di 
inoliti  di  navi ,  trasporto  di  robe 
e  merci,  ed  altri  proventi  soliti  ad 
esigersi  dalla  città  a  questa  pure 
appartenessero  :  al  comune  poi  la 
macelleria,  il  danno  dato,  e  la  balìa; 
che  i  contadini  non  venissero  gra- 
vati d'alloggi  militari  ;  che  al  co- 
mune fosse  devoluta  la  metà  d'o- 
gni condanna  sì  in  città,  che  nel 
distretto  ;  facendosi  pure  allo  stes- 
so comune  donazione  di  tutti  i  be- 
ni e  stabili  già  posseduti  dai  ces- 
sati dominatori,  per  non  dire  di  al- 
tre esenzioni  :  fra  i  detti  stabili  ven- 
ne compreso  il  palazzo  comunale, 
come  ricavasi  dalla  bolla  di  Gii 
lio    II,  data    li    25    giugno   i5o4. 


FOR 

ftel  resto  la  città  sarebbe  tenuta 
pagar  annualmente  alla  camera  a* 
postolica  mille  fiorini  d'oro  in  quat- 
tro rate,  il  tutto  rilevandosi  dalla 
suddetta  bolla  di  Giulio  11,  la  cui 
copia  s'inserì  nello  statuto  della  cit- 
tà. Solo  non  accordò  il  Papa  che 
Forlimpopoli  fosse  giurisdizione  e  di- 
stretto forlivese,  né  com'era  di  stile 
precedente ,  gli  si  potesse  mandare 
il  pretore,  mentre  il  volle  immedia- 
tamente soggetto  alla  santa  Sede. 
Concesse  però  ai  forlivesi  .per  det- 
ta terra,  e  dal  suo  territorio  il 
transito  ed  estrazione  delle  derra- 
te senza  pagamento  di  gabelle.  As- 
sodatosi in  Forlì  il  dominio  eccle- 
siastico, i  cittadini  cui  pei  continui 
cambiamenti  mancava  il  travaglio, 
e  la  presenza  insieme  del  principe 
di  massimo  freno,  e  governati  in 
vece  dai  soli  ministri  che  rinnova- 
vansi  frequentemente,  presero  a  su- 
scitare le  primiere  adesioni  di  par- 
tito, e  queste  fomentate  da  sdegno 
d'alcune  famiglie  principali,  conse- 
guenza de'  precedenti  avvenimenti, 
che  non  è  nostro  proposito  ripor- 
tare, benché  diremo  che  talora  si 
usò  anche  le  artiglierie,  il  barricare 
le  strade,  il  saccheggio ,  lo  spiana- 
mento di  case,  proditorie  uccisioni 
ed  altri  lagrimevoli  orrori  ;  come 
ancora  i  diversi  furibondi  partiti 
facevano  leghe  con  intere  nume- 
rose famiglie,  col  nome  di  confra- 
ternita, con  giuramenti,  solennità, 
rogiti  notarili,  lambendo  il  sangue 
degli  uni  e  degli  altri,  che  face- 
vano stillar  dalle  loro  braccia.  E 
siccome  i  magistrati  facevano  de- 
molir le  case  di  quelli  che  aveva- 
no diroccate  le  altrui ,  e  la  città 
vedevasi  in  procinto  di  rimaner  de- 
serta, alcuni  neutrali  e  saggi  cit- 
tadini eressero  poscia  il  collegio 
de' Pacifici   per    arrecarvi    provve- 


FOR  2-7 

dimento,  e  fu  salutare    e    gloriosa 
istituzione. 

Continuando  Giulio  II  a  ricu- 
perare le  ragioni  della  Chiesa,  e 
quanto  ad  essa  era  stato  usurpato, 
a  togliere  Bologna  ai  Bentivogli 
con  un  esercito  si  parti  da  Roma 
a'  2  3  agosto  i5o6:  per  Cesena  e 
Forlimpopoli  giunse  a  Forlì  con 
ventiquattro  cardinali,  molti  signo- 
ri e  prelati.  Venne  solennissima- 
mente incontrato  ed  ebbe  presenti 
ricchissimi  dal  pubblico,  ferman- 
dosi nella  città  circa  quindici  gior- 
ni, essendo  ivi  visitato  da  molti 
principi  ed  ambasciatori  di  vari 
potentati  ;  il  Papa  fece  al  suo  co- 
spetto convocare  i  principali  par- 
tigiani, e  confermar  le  paci  delle 
sanguinose  e  tremende  discordie 
che  poc'anzi  erano  state  sopite  da 
monsignor  Traiano  Bertoni  di  Je- 
si, vescovo  d'Asti  e  governatore  di 
Forlì,  tra  i  Morattini,  Numai  e 
loro  numerosi  e  potenti  seguaci. 
Intesa  ch'ebbe  Giulio  II  la  fuga 
di  Giovanni  Bentivoglio,  lasciò  Forlì, 
e  per  Imola  entrò  in  Bologna  ai 
i  o  novembre ,  da  dove  ne  partì, 
a'  20  o  22  febbraio  i5o7.  In  que- 
sto ritorno  Giulio  II  visitò  la  chie- 
sa di  s.  Maria  delle  Grazie  in  For- 
no nel  territorio  forlivese,  tratte- 
nendosi alcuni  giorni  nel  contiguo 
convento,  per  cui  ivi  fu  eretta  una 
memoria,  e  la  sua  effigie  fu  posta 
presso  la  porta  della  cappella  mag- 
giore. E  perchè  poi  temeva  che  i 
cittadini  di  diversa  opinione,  giac- 
ché i  nomi  e  le  tendenze  de'guelfi 
e  ghibellini  tuttora  duravano,  col 
frequente  conversare  ritornassero  a 
turbar  la  pubblica  quiete,  Giulio 
li  ordinò  principalmente  ai  Numai 
ed  ai  Morattini,  che  si  allontanas- 
sero dalla  patria,  laonde  dieronsi  al 
mestiere    delle    armi,   e    divennero 


278  FOK 

eccellenti  soldati.  Giulio  II  intimò 
pure  una  nuova  erezione  del  gran 
consiglio ,  in  centotredici  senatori, 
individui  di  scelte  famiglie  allora 
fuoruscite.  Oltre  al  gran  consiglio 
per  grazia  speciale  ebbe  Forlì  an- 
che il  consiglio  detto  segreto,  per- 
chè scelto  dal  primo  di  molti  se- 
natori, per  trattar  i  pubblici  affa- 
ri. Frattanto  il  Pontefice  entrato 
nella  lega  di  Cambrai  formata 
contro  i  veneziani,  non  mancò  di 
usare  le  armi  spirituali  e  tempo- 
rali per  indurli  a  lasciare  quanto 
in  Romagna  tenevano  della  Chie- 
sa; indi  da  Francesco  Maria  della 
Rovere  duca  d'Urbino,  generale  e 
nipote  del  Papa,  que'  luoghi  ven- 
nero assaliti,  e  in  breve  nella  mag- 
gior parte  ricuperati ,  e  gli  altri 
avuti  a  legittimo  diritto  di  guerra. 
Ma  poscia  come  padre  comune 
Giulio  li  si  ritirò  dalla  lega  e  pa- 
cificossi  coi  veneti  ;  mentre  per  giu- 
ste ragioni  mosse  guerra  al  duca 
di  Ferrara,  ed  acciocché  procedes- 
se con  energia,  volle  il  Pontefice 
assistervi  di  persona,  facendo  ri- 
torno in  Romagna  con  quattordici 
cardinali  nel  1 5 1  o  ;  e  dopo  essersi 
per  alcun  tempo  fermato  a  Forlì, 
sul  finir  di  settembre  passò  a  Bolo- 
gna, figurando  ne'  suoi  eserciti  alcuni 
valorosi  forlivesi;  altri  de'quali Giulio 
Une  promosse, come  un  Morattini  a 
vescovo  di  Bertinoro,  ed  un  Teodoli 
in  arcivescovo  di  Cosenza,  ma  que- 
sti, come  diversi  di  sua  rispettabile 
famiglia,  essendo  ghibellino,  non  fu 
più  creato  cardinale  com'erasi  sta- 
bilito da   Clemente  VII. 

Per  le  accennate  guerre,  in  cui 
presero  parte  spagnuoli  e  francesi, 
soffrì  la  Romagna  non  pochi  gua- 
sti, anzi  dopo  la  famosa  battaglia 
di  Ravenna  in  cui  ebbero  la  peg- 
gio i  pontificii,  per   evitare  la  pro- 


FOR 

pria  rovina,  tranne  le  rocche  di 
Forlì  ed  Imola  si  arrese  al  nemi- 
co, ed  ai  cardinali  ribelli  ch'eransi 
adunati  in  conciliabolo  a  Pisa.  Ta- 
li sconvolgimenti  porsero  occasione 
in  Forlì  ad  alcuni  fuorusciti  di  ten- 
tare delle  novità  a  pregiudizio  del- 
la pubblica  quiete,  e  a  danno  dei 
Morattini  ed  altri  guelfi ,  i  quali 
con  uccisioni  resero  la  pariglia  ai 
ghibellini.  Assunto  al  pontificato 
nel  i5i3LeoneX,  questi  prescris- 
se a  monsignor  Girolamo  Campeg- 
gi governatore  di  Forlì  la  riforma 
del  gran  consiglio  ,  il  quale  elesse 
sedici  idonei  cittadini  che  lo  ri- 
formarono. Ordinò  pure  il  Papa , 
mediante  Lorenzo  de'  Medici  ,  che 
di  nuovo  dovessero  pacificarsi  i  Nu- 
mai  coi  Morattini ,  paci  che  ven- 
nero stabilite  in  Castel  s.  Angelo, 
in  presenza  di  Leone  X,  a'  7  lu- 
glio, indi  ratificate  e  confermate  in 
Forlì  dinanzi  a  monsignor  Nicolò 
Pandolfini  vescovo  di  Pistoia,  pre- 
sidente di  Romagna  e  governato- 
re di  Forlì,  nel  pubblico  palazzo. 
Siffatte  concordie  non  ebbero  dura- 
ta, ed  in  seguito  si  tornò  alle  inimi- 
cizie, uccisioni,  stragi  e  saccheggia  - 
menti,  e  ad  ogni  genere  di  turbo- 
lenze, incendi,  ec,  ad  onta  dell'au- 
torevole interposizione  de'presidi  che 
talvolta  furono  rimossi  per  le  bri- 
ghe cittadine.  Nel  1 5 1 6  non  con- 
tento Antonio  di  Giovanni  Sassi  di 
aver  ucciso  il  bargello  perchè  vo- 
leva arrestarlo,  d'ordine  del  presi- 
dente e  vicelegato  di  Romagna  mon- 
signor Alessandro  vescovo  alessan- 
drino, tolse  a  questi  e  a  tre  di  sua 
famiglia  la  vita,  volendosi  ricuo- 
prir  il  misfatto  come  effetto  di  ge- 
losia. Ammutinato  giustamente  il 
popolo  per  sì  enorme  e  inaudite 
attentalo,  il  Sassi  e  correi  fuggiro- 
no, venendo  spedito  per  nuovo  pre- 


FOR 
fidente  monsignor  Bernardo  de'  Ros- 
si da  Parma,    essendo    governatore 
di  Forlì  monsignor  Antonio  de'  San- 
ti. Rallentate  le  ostilità  per  l'esilio 
volontario  di  molti  cittadini,  come 
partecipi  della  mentovata  catastro- 
fe, la  quiete    al  solito    ebbe   corta 
durata.    Morì    nel  1 5i  i     Lepue  X 
con  dolore  de'  forlivesi  da  lui  bene- 
ficati, che  al  successore  Adriano  VI 
inviarono  tre    oratori,  che  furono 
fregiati  de'  privilegi  con    la  confer- 
ma delle  grazie  accordate  .dai  pre- 
decessori ;   indi    nel  i523  incomin- 
ciarono le  zuffe  colla  peggio  de'Mo- 
rattini,  e  perciò  del  partito  guelfo, 
restando  uccisi  sessanta  di  quel  par- 
tito nella  prima   baruffa ,  giocan- 
dosi a  piastrelle   colle  teste  mozza- 
te, e  demolendosi  più  di  quaranta 
case  con    dolore    di    Clemente  VII 
che  deputò  presidente  in  Romagna 
Francesco  Guicciardini.  Fatti  al  so- 
lito i  processi    vennero    restituiti  i 
fuorusciti    guelfi,   esiliati    e    morti 
molti  ghibellini ,  e  spianato  il   pa- 
lazzo Teodoli    edificato   di    recente 
con  superba  munificenza    presso  s. 
Domenico  ;   sulle  cui  vestigie  i  su- 
perstiti Teodoli    fabbricarono  alcu- 
ne case ,    essendo  stato  dato  il  re- 
sto   agli     agostiniani ,    a'  quali    tal 
famiglia    fu    larga   di    beneficenze , 
e    poscia    fu  trapiantata    in    Roma 
ove  fiorisce,  esseudo  da  essa  usci- 
ti Alberto,  Gregorio,  e  Mario  Teo- 
doli degnissimi'  cardinali,  ed  altri 
chiari   personaggi. 

Clemente  VII  non  solo  confer- 
mò i  privilegi  de'  forlivesi ,  gli  sta- 
tuti ed  ordini,  ma  pure  il  collegio 
de' dottori,  concedendo  al  monte 
di  pietà  le  prerogative  che  gode- 
vano altri  primari.  Nel  i527  re- 
candosi a  guerreggiare  contro  Roma 
il  coutestabile  di  Borbone,  Forlì 
ne    scampò   le   conseguenze  per  la 


FOR  279 

moderazione   del   forlivese    Andrea 
Serughi    capitano    nell'esercito  ne- 
mico ;  ma   Meldola   andò  saccheg- 
giata. Roma   come  ognun   sa  vide 
morto  al  primo  assalto  il  Borbone, 
ma  poi  fu  vittima  del  più  barba- 
ro   spogliamento,    come    delle   più 
crudeli  barbarie,  colla  prigionia  del 
Pontefice.    Acquistò    la  libertà  sot- 
to diverse  dure    condizioni ,  fra  le 
quali    la   consegna   a    Carlo  V    di 
Ostia,    Civitavecchia,   Civitacastella- 
na,  e  la   rocca  di  Forlì.    A   Paolo 
III  i  forlivesi  spedirono   i  consueti 
ambasciatori ,  e  il  conte  Antonello 
Zampeschi  nel  i535  permutò  s.  Ar- 
cangelo   con    Forlimpopoli ,  col  di 
più  di  dieci   mila  scudi,  sposando- 
si   in    Roma   con   Lucrezia    Conti. 
Dopo  il  i53g  avendo  i  guelfi  Pau- 
lucci  ucciso  Francesco  Teodoli  pro- 
de capitano,  e  Nicolò  Bruni,  resta- 
rono morti  due  di  loro,  cui  segui- 
rono   carnificine    tra    i   partigiani  ; 
ciò   mosse   nel  seguente    anno,  in- 
coraggiti dallo   zelo  del  presidente 
monsignor     Giovanni     Guidiccioni , 
diversi  saggi  cittadini  all'istituzione 
del    celebre    e   benemerito    collegio 
de'  novanta  Pacifici,  di  cui  era  of- 
ficio sedar  le  discordie,  conservare 
in  tranquillità  il  paese ,   alla  circo- 
stanza   frapporsi    colle    armi*  a  ter- 
minar litigi,  e  tener  lungi  dalla  pa- 
tria   i    sediziosi.    A  tal    effetto  for- 
marono   un   corpo    di    cinquecento 
soldati ,  che  al    tocco  della  campa- 
na a  martello  dovevano   con  l' ar- 
mi accorrere  ove  li  chiamasse  il  bi- 
sogno, e  secondo  i  comandi  ;  si  de- 
stinò inoltre    al  palazzo  una  guar- 
dia perenne  d'uomini  forlivesi,  che 
in  divisa  e  con    alabarde    precede- 
vano il  governatore  e  il   magistra- 
to quando  uscivano   in  forma  pub- 
blica. Il  capo   del  collegio  si  eleg- 
geva ogni  due   mesi   col   nome   di 


a8o  FOR 

priore,  ed  il  comune  assegnò  all'  i- 
stituto  molti  slabili  ed  entrate,  e  gli 
ailidò  le  mura  e  porte  della  città, 
abbandonandosi  alle  sue  paterne 
cure.  I  Pontefici  fecero  frequenti 
encomi  a  sì  santa  assemblea,  e 
Paolo  III  nel  transitar  che  fece  per 
F01T1  nel  1 54  «  volle  esser  chiama- 
to del  numero;  albergò  nella  loro 
residenza,  concesse  alla  chiesa  mol- 
te indulgenze,  e  privilegi  e  grazie 
ai  Pacifici.  La  pace  da  tanto  tem- 
po sbandita  in  Forlì,  si  riacquistò 
per  sì  avventurosa  istituzione  che 
venne  imitata  con  eguale  vantag- 
gio da  Ravenna  ed  altri  luoghi  vi- 
cini. Dopo  la  fondazione  del  col- 
legio Forlì  fiori  vieppiù  per  dovi- 
zie, popolazione,  edilizi  e  uomini 
illustri  in  lettere  ed  armi,  essendo 
divenuto  Bello  Belli  castellano  di 
Castel  s.  Angelo  di  Giulio  III  ,  e 
Matteo  Aleotti  maestro  di  campo 
di  Paolo  IV,  ed  altri  al  servigio  di 
possenti  monarchi. 

Neil'  aprile  i5/\.t  i  beni  tut- 
ti degli  spedali  delle  confraternite 
dette  de' battuti,  vennero  uniti  ed 
assegnati  all'  ospedale  della  casa  di 
Dio,  in  cui  oltre  la  cura  degl'  in- 
fermi vi  si  allevavano  gli  esposti  ; 
si  conservò  lo  spedale  di  s.  Pietro 
de'  battuti  bigi  per  albergo  ai  pel- 
legrini ,  ove  alloggiavano  le  don- 
ne prive  di  abitazione,  in  un  ai  fi- 
gli mendicanti.  Eranvi  pure  in  que- 
sto tempo  il  convento  pegli  orfa- 
ni, e  quello  delle  orfane  spettanti 
a'  battuti  bianchi;  le  case  per  le 
femmine  d' infelice  maritaggio ,  e 
quelle  delle  zitelle  pericolanti  det- 
te di  s.  Giuseppe,  erette  e  custodite 
dalla  famiglia  dei  marchesi  Albicini. 
Alle  confraternite  poi  de' battuti  neri 
incombeva  la  sepoltura  de'  forestieri 
e  persone  estere  uccise  e  morie  nel- 
le strade  e  piazze,  e  de'  giustiziati. 


FOR 

Fattosi  permanente  il  dominio 
della  Chiesa,  terminate  le  civili  di- 
scordie, la  storia  di  Forlì  non  pre- 
senta avvenimenti  straordinari  de- 
gni di  particolar  menzione ,  e  di 
questi  cenni ,  laonde  ci  limiteremo 
accennar  le  cose  più  importanti. 
Nel  1578  moti  il  forlivese  Bruno- 
10  Zampeschi  signore  di  Forlimpo- 
poli ,  glorioso  capitano ,  che  sicco- 
me l'ultimo  di  sua  casa,  i  di  lui 
domimi  ricaddero  alla  santa  Sede: 
fu  compianto  dai  pompiliesi,  nella 
cui  chiesa  di  s.  Rullilo,  Battisi  ina 
Savelli  di  lui  consorte  gli  fece  eri- 
gere un  magnifico  monumento  con 
statua  equestre  che  lo  rappresenta 
in  atto  di  comandare  l'armata.  In 
Forlì  gli  vennero  celebrati  solenni 
funerali ,  dai  Numai ,  Asti  ed  Al- 
bicini suoi  stretti  parenti.  Indi  la 
pestilenza ,  la  carestia ,  i  terremoti 
ed  i  banditi  fecero  provare  non 
poche  calamità  alla  Romagna.  Es- 
sendo nel  i5g4  presidente  di  Ro- 
magna monsignor  Fantino  Petri- 
gnani ,  prelato  di  cortesissimi  modi, 
al  palazzo  pubblico  si  aggiunse  l'ap- 
partamento elegaute  corrisponden- 
te a  piazza  s.  Carlo ,  chiamate  ìp 
camere  Fantine  dal  medesimo  pre- 
side, per  averle  abitate  quasi  in  tut- 
to il  tempo  del  suo  governo.  Mor- 
to il  duca  di  Ferrara  Alfonso  II, 
quel  ducato  in  un  alla  bassa  Ro- 
magna per  mancanza  di  legittima 
discendenza  fu  devoluto  alla  santa 
Sede ,  per  cui  recossi  a  prenderne 
possesso  Clemente  VIII,  il  quale 
nel  suo  ritorno  l'anno  i5g8  pas- 
sò per  Forlì,  ove  si  trattenne  una 
notte  alloggiato  nel  palazzo  pub- 
blico, accolto  dai  cittadini  con  in- 
contro magnifico,  e  con  pubbliche 
dimostrazioni  di  archi  trionfali  ec 
altri  contrassegni  di  giubilo.  Ne 
i6o5  la  città   spedì  Antonio  Don- 


FOR 
ti  e  Nicolò  Marciane»  ambasciato- 

ri  al  nuovo  Pontefice  Paolo  V,  ri- 
portandone grazie  ed  onori.  Nel 
1616  di  ritorno  da  Lombardia 
passò  per  Forlì  Cosimo  II  de'  Me- 
dici granduca  di  Toscana,  col  car- 
dinal di  lui  fratello,  e  d'ordine  del 
cardinale  legato  fu  atterrata  la  me- 
moria della  Crocetta,  ed  in  sua  ve- 
ce si  eresse  la  colonna  pur  sudde- 
scritta.  Dopo  lunghissima  quiete  la 
guerra  di  Urbano  Vili  contro  O- 
doardo  Farnese  duca  di  Parma,  ne 
alterò  alquanto  la  tranquillità. 

Con  un  esercito  agguerrito  di 
quattromila  cavalli ,  il  duca  si  ac- 
ciuse  alla  ricupera  del  ducato  di 
Castro,  ne'  pontificii  dominii,  quan- 
do nel  settembre  1642,  mentre  i 
forlivesi  erano  tutti  intenti  alla  ven- 
demmia, essi  non  credettero  all'av- 
viso di  star  vigilanti  nell'  approssi- 
marsi del  nemico ,  dato  per  parte 
del  cardinal  legato  Frangiotti  resi- 
dente in  Imola.  Ad  onta  che  non 
si  avessero  mezzi  sufficienti  di  dife- 
sa ,  fu  negato  l' ingresso  al  duca 
nella  città,  come  il  detto  cardinale 
glielo  avea  concesso  per  Imola  e 
per  Faenza ,  ciò  che  ignoravano  i 
forlivesi,  almeno  in  quanto  alle  con- 
seguenze. Il  duca  irritato  da  tale 
ripulsa,  avente  l'esercito  malconcio 
dalla  pioggia,  non  si  arrese  alle  ri- 
mostranze di  alcuni  deputati  a  pla- 
carlo ,  né  del  vescovo ,  ed  allora 
venne  concesso  l' ingresso  e  l'allog- 
gio di  transito,  salve  le  persone, 
onore  ed  averi  de'  cittadini.  Il  du- 
ca abitò  nel  palazzo  Paulucci  già 
de'  Mercuriali ,  e  tranquillamente 
parti  nel  giorno  seguente,  prenden- 
do la  volta  di  Mcldola;  in  questo 
mentre  arrivò  l'armata  papale  co- 
mandata da  d.  Taddeo  Barberini 
nipote  di  Urbano  Vili,  per  cui  in- 
coraggiti i    forlivesi    danneggiarono 


FOR  281 

il  retroguardo  del  duca.  Accesa  così 
apertamente  la  guerra,  tutto  si  po- 
se in  opera  a  difesa  della  cit- 
tà, ove  giunto  il  cardinal  Antonio 
Barberini  fratello  di  d.  Taddeo , 
dopo  aver  ivi  con  cerimonia  solen- 
ne preso  il  bastone  di  generale,  e 
l' amministrazione  delle  tre  lega- 
zioni di  Romagna,  Bologna  e  Fer- 
rara ,  volle  il  disegno  della  pianta 
topografica  di  Forlì  per  porla  in 
grado  di  sostener  gli  attacchi  del 
granduca  di  Toscana  cognato  del 
Farnese ,  ed  insieme  assicurare  la 
Romagna  ;  indi  nominò  castellano 
il  bolognese  valoroso  Macchiavel- 
li,  e  generale  di  Romagna  il  fran- 
cese di  Cotré  capitano  coraggioso , 
che  risiedendo  in  Forlì  ne  fu  fat- 
to cittadino  e  gentiluomo.  Fra  i 
forlivesi  eh'  ebbero  grado  militare 
nell'esercito  pontificio  nomineremo 
a  cagione  d'  onore  Serughi,  Orsi , 
Monsagnani,  e  Fondi,  il  quale  libe- 
rò il  cardinale  quando  fu  circon- 
dato dal  nemico.  Così  vanno  loda- 
ti Valeri,  Agostini,  Rolli,  Mattei, 
Stelladoro,  Maldenti,  Briccioli,  Piaz- 
za, Aspini,  Saffi  ed  altri,  talché  il 
cardinal  Antonio  pubblicamente  si 
disse  soddisfattissimo  de'  forlivesi. 
La  città  fu  pure  encomiata  dal  car- 
dinal Francesco  Barberini  soprain- 
tendente  di  tutto  lo  stato  ecclesia- 
stico, e  fece  grandi  allegrezze  quan- 
do Urbano  Vili  creò  cardinale  Ma- 
rio Teodoli  oriondo  forlivese,  per- 
sonaggio di  merito  sublime,  laonde 
a  perenne  monumento  ne  fu  posta 
memoria  nel  pubblico  pretorio.  Sta- 
bilita finalmente  la  pace,  e  morto 
il  duca  Odoardo,  quantunque  nel 
pontificato  d'Innocenzo  X  si  susci- 
tassero altri  germi  di  guerre,  la 
Romagna  non  ne  risentì  danno. 

Nel  i655  onoratamente  ricevette 
Forlì  Cristina  regina  di  Svezia,  che 


2'8a  FOR 

albergo  nel  palazzo  pubblico,  essen- 
do incontrata  con  treno  magnifico 
dal  cardinal  legato  Acquaviva,  e  dai 
cittadini  con  quaranta  carrozze  a 
sei  cavalli ,  oltre  due  compagnie 
d'uomini  d'armi,  ed  una  di  gen- 
tiluomini a  cavallo,  i  quali  con 
monsignor  Fulvio  Petrozi  gover- 
natore incedevano  di  scorta  alla  re- 
gia carrozza.  Allorché  fu  sull'en- 
trare in  città  fu  salutata  da  diver- 
si colpi  di  cannone ,  ed  essendo 
notte  le  vie  erano  decorosamente 
illuminate,  coi  regi  stemmi  e  fuo- 
chi d'artifizio,  i  quali  s'incendiaro- 
no dopo  che  la  regina  giunta  nel 
palazzo  fu  ossequiata  dalle  princi- 
pali dame;  il  trattamento  fu  splen- 
dido, e  la  cattedrale  fu  addobbata 
a  festa,  quando  nel  dì  seguente  vi 
ascoltò  la  messa.  Nel  i656  di  ri- 
torno da  Roma  la  regina  di  Sve- 
zia lietissima  del  precedente  tratta- 
mento, transitò  per  Forlì  accompa- 
gnata dal  cardinal  Acquaviva,  e  pre- 
se alloggio  nel  palazzo  del  marche- 
se Giuseppe  Albicini.  Successero  a 
queste  allegrezze  quelle  fatte  per 
l'esaltazione  al  cardinalato  del  for- 
livese Francesco  Paulucci,  e  di  Ni- 
colò de'  Contiguidi  Bagni  patrizio 
della  città,  per  benignità  di  Ales- 
sandro VII.  Nel  1661  pel  terremo- 
to le  campane  suonarono  da  per 
sé,  soffrirono  le  torri  di  s.  Mercu- 
riale, di  s.  Agostino,  del  duomo  e 
del  pubblico;  mentre  nel  territorio 
v'  ebbero  da  settanta  chiese  e  case 
totalmente  diroccate,  ed  altre  mol- 
to rovinate,  con  morte  di  persone 
e  bestiame;  indescrivibile  fu  la  ro- 
vina delle  torri  più  alpestri,  e  Ci- 
vitella  col  suo  territorio  restò  di- 
roccata affatto.  Quello  che  accreb- 
be la  desolazione,  e  fece  morir  mol- 
ti di  disagio ,  fu  una  pioggia  ec- 
cessiva e  di  lunga  durata.  Dopo  il 


FOR 
terremoto  del  1279  m  cui  restaro- 
no diroccate  tutte  le  castella  di  Ro- 
magna, non  ve  n*  era  stato  in  que- 
sti luoghi  altro  più  micidiale. 

Nel  dì  primo  dicembre  1705  ri- 
mase afflitta  Forlì  per  la  morte  del 
conte  Luigi  Paulucci  de'  Calboli  ge- 
nerale delle  armi  di  s.  Chiesa,  indi 
a'  24  marzo  1 706  gli  furono  fatte 
solenni  esequie  nella  chiesa  di  s.  Gi- 
rolamo ,  ove  poi  gli  venne  eretto 
magnifico  monumento.  Dopo  la  fa- 
mosa battaglia  di  Torino  seguita 
nel  1706,  le  armi  austriache  si  ri- 
volsero alla  conquista  di  Napoli,  e 
sebbene  il  Pontefice  Clemente  XI 
facesse  ogni  sforzo  onde  impedire 
il  passaggio  di  quelle  de'  suoi  sta- 
ti, pure  il  giorno  23  maggio  1707 
giunsero  a  Forlì  i  generali  Dahum, 
Paté  e  Wetzel  con  circa  ventimila 
uomini  d' infanteria,  ed  il  generale 
Waubon  con  cinquemila  di  caval- 
leria. I  primi  furono  alloggiati  nei 
diversi  conventi  della  città,  ed  i 
secondi  accampanatisi  lungo  il  fiu- 
me Ronco,  riducendosi  gli  ufficiali 
die  comandavano  in  diversi  casini 
situati  poco  lungi  al  fiume  istesso. 
Il  comune  fu  gravato  di  tutte  le 
spese  pel  vino,  carne,  legna,  biade, 
foraggi  ec.  Dopo  tali  vicende  nac- 
quero le  vertenze  del  ducato  di 
Parma  fra  Clemente  XI  e  l' impe- 
ratore Giuseppe  I,  il  quale  avendo 
già  pronte  nello  stato  pontificio  le 
sue  armate,  a'  7  novembre  1708 
quelle  papali  si  posero^ in  fuga,  ciò 
che  produsse  grave  timore  negli  a- 
bitanti ,  ed  ognuno  procurò  porre 
in  salvo  le  cose  preziose.  In  fatti 
dodici  compagnie  nemiche  seguite 
da  altre  fecero  provare  alla  città 
gli  effetti  di  una  forza  militare  e 
prepotente;  anzi  a'  20  giugno  1709 
furono  saccheggiate  parecchie  case, 
e  malmenati   diversi    cittadini,  che 


FOR 

dal     governatore     monsignor    degli 
Onofri   erano  stati  invitati  a  difen- 
derle.   Poco    dopo    fu    eonchiusa   la 
pace   tra  il    Papa    e   gì'  imperiali , 
che   perciò    ritiraronsi    da  Forlì,  la 
quale  sino  al  i  796  godè  d'  una  per- 
fetta tranquillità.  Nel  1728  i  forti* 
'  vesi  festeggiarono    per  molti  giorni 
l'ammissione  fra  il    novero  de'  san- 
ti del  loro  concittadino  il  b.  Pelle- 
grino   Laziosi  ;    e  di   poi  nel  1759 
quella  tra  il  sagro  collegio  dell  al- 
tro concittadino    mousignqr   Lodo- 
vico Merlini  presidente  d'  Urbino  , 
al  quale  gli    portò    come    ablegato 
apostolico    la    berretta     cardinalizia 
il  suo  parente    monsignor    Merlini. 
Essendo    protettore    della     città     il 
cardinal  Enrico  duca  d'  Yorck,  vol- 
le egli  stesso  fare  l' imposizione  del- 
la berretta  al  suo  nuovo  collega  in 
Forlì,  nella  cappella  maggiore  del- 
la chiesa  di  s.  Pellegrino,  a  memo- 
ria di  che ,  nella  sala  del  comune 
fu  posta  un'  iscrizione  che  nel  1  796 
fu  tolta.  Di  poi  nel  1770  rovinò  il 
ponte  sul    fiume   Ronco,    costruito 
fino    dal  ia63:    era    stato  già   di- 
strutto   nel   I745    dagli    spagnuoli 
nella  guerra  per  l'occupazione  del 
regno  di  Napoli,   battuti  dai   tede- 
schi a  Campo  Santo  nel  Modenese, 
quindi    malamente  ricostruito ,   per 
lo  che  si  provvide  con  edificar  al- 
tro ponte  di  legno  che  sussiste.  Nel 
1772    fu  condotta    a    compimento 
ed  inaugurata  la  chiesa  dei  poveri 
della    Misericordia  :  i  dipinti  d'  or- 
nato li  eseguì  il  bolognese  David , 
quelli  di    figure    il  forlivese    Mar- 
chetti; ivi  il  conte  Ferrante  Orsel- 
li  patrizio    della   città   raccolse  più 
di  duemila  reliquie  autentiche.  Nel- 
l'anno seguente    il  vescovo  Rizzarri 
prese  possesso    del    collegio  de'  ge- 
suiti ,  e  Mercuriale   Prati    forlivese 
fu  fatto  da  Clemente  XIV  genera - 


FOR  a83 

le  dei  vallombrosaui  :  per  la  morte 
del  qual  Papa  la  città  celebrò  so- 
lenni esequie  nel  duomo ,  e  spedì 
oratori  al  successore  Pio  VI  ad  u- 
miliare  i  voti  di  fedele  sudditanza 
anche  a  nome  della  popolazione. 
Nel  1776  si  condusse  a  compimen- 
ta il  teatro  comunale,  e  siccome  il 
cardinal  Rorromeo  legato  residente 
in  Ravenna  avea  favorito  l'erezio- 
ne di  tal  fabbrica ,  fu  onorato  di 
un  busto  sopra  la  sala  maggiore 
del  palazzo  apostolico,  esistente  tut- 
tora. Questo  teatro  di  poi  nel  1809 
fu  ristaurato  ed  ampliato,  non  che 
dipinto  dai  famosi  Gaetano  Rerto- 
lani  ornatista ,  e  Felice  Gianni  fi- 
gurista. 

Nel  1777  si  aprì  il  nuovo  gin- 
nasio di  cui  fu  benemerito  Cesarmi 
Mazzoni,  e  la  spezieria  pei  poveri 
ordinata  per  testamento  della  con- 
tessa Eufemia  Marchesi  Pabizzi.  Nel 
1779  i  cappuccini  celebraVono  in 
Forlì  il  capitolo  provinciale;  mal- 
grado la  siccità,  il  comune  spedì 
diecimila  staia  di  grano  all'  abbon- 
danza frumentaria  di  Roma.  Nel 
1781  si  ripetè  il  terremoto  straordi- 
nario del  1778,  e  in  modo  il  più. 
orribile,  scuotendo  tutti  i  fabbrica- 
ti :  le  monache  del  Corpus  Domini 
dovettero  traslocarsi  al  seminario 
vecchio,  già  casa  de'  gesuiti  ;  e  nel- 
le chiese  di  s.  Agostino,  di  s.  Fran- 
cesco, e  di  s.  Domenico  si  dovet- 
tero sospendere  i  divini  offtzi.  Nel 
totale  i  danni  si  valutarono  a  cir- 
ca mezzo  milione  di  scudi.  Monsi- 
gnor Dini  nel  Diario  del  viaggio 
fatto  a  Vienna  da  Pio  VI,  nel 
1782,  dice  che  a' 7  marzo  da 
Cesena  passò  per  Forlì  e  Faen- 
za, recandosi  a  pernottare  ad  Imo- 
la, donde  nel  ritorno  a'  26  maggio 
per  Faenza  e  Forlì  giunse  a  Cese- 
na   sua    patria.    In    questo    tempo 


28|  FOR 

essendo   tuorlo   il   vescovo  di     Forlì 
Giuseppe  Vignoli,    il    granduca    di 
Toscana  Leopoldo  I  fece  sapere  al- 
l' arcidiacono  Livio   d' Aste    vicario 
capitolare  di  non  ingerirsi   per  l'av- 
venire nelle  chiese,  parrocchie  e  po- 
polo della  parte  di  diocesi  forlivese 
situata  negli  slati  toscani,  di  cui  ve- 
niva rimessa    l'amministrazione    al 
vescovo    di    Borgo    s.    Sepolcro.  Si 
finirono  in  detto  anno  le  due  can- 
torie di   marmo  fino  nella  cappella 
della  Madonna  del  fuoco,  si  perfe- 
zionò l' organo,  e  si   provvide    det- 
ta cappella  di   musici.  Terminaron- 
si  anche  di  dipingere    le    chiese  di 
s.  Domenico  e  del  Carmine,   si  re- 
staurò la  chiesa  e  cupola  del  Suf- 
fragio, ornandosi   con   magnifici  di- 
pinti dal  celebre    Serafino    Barozzi. 
Morendo  il  notaio  Sebastiano  Nico- 
la   Mazzoni  ,    lasciò    quindici    mila 
scudi  alla  compagnia  di    Carità.  11 
vescovo  Mercuriale  Prati    forlivese, 
nel  1785  a'  19  aprile  fece  aprire  il 
sarcofago  di  rozzo  marmo,  esistente 
nella  cappella  di  s.    Valeriano  nel- 
la cattedrale,  ove  si  rinvennero  le  di 
lui  ossa  e  quelle  de'  suoi  compagni, 
coi  teschi  dei    ss.   Grato  e  Marcel- 
lo, e    furono  riposte    in    altra    ur- 
na di  marmo  finissimo.  Nel    1786 
l' ex    gesuita    d.    Pietro    Michel  ini 
avendo    ottenuto    dalla    santa    Se- 
de   di    ridurre    sotto    altra    regola 
le    monache    cosi    dette    converti- 
te ,     ne    restaurò    il    monastero ,    e 
le    mise  in    possesso  del   medesimo 
a'  i  o  dicemhre,  volendo   che  assu- 
messero il  nome  di  Clarisse  dell'  a- 
dotazione  perpetua.  A  cura  di  que- 
sto sacerdote  ed  a  sue  spese  fu  fab- 
bricato l' eremo  di    Montepolo    sul 
territorio  toscano  non  molto  disco- 
sto da  Forlì,  ove    si    vuole    che  s. 
Antonio  di  Padova  vi  sia  slato  riti- 
rata alcun  tempo.  Nel  1787  i  cano- 


FOR 
nici  regolari  renani  di  Forno  avendo 
fatto  acquisto  dell'  antico  locale  dei 
gesuiti  si  portarouo  ad  abitarlo,  sor- 
tendone i  seminaristi  che  vi  erano 
andati  dopo  che  avea  servito  d' epi- 
scopio al  vescovo  Giuseppe  Vignoli. 
Dalla  città  si  celebrò  la  centenaria 
funzione  della  Beata  Vergine  che  si 
venera  sotto  il  titolo  della  ferita, 
in  una  delle  due  principali  cappelle 
della  cattedrale,  ed  anche  detta  del- 
la canonica.  Nel  1791  passarono 
per  Forlì  le  zie  dell'  infelice  re  Luigi 
XVI  ;  nell'anno  seguente  a  cagione 
delle  politiche  circostanze  Pio  VI  rac- 
colse truppe,  e  ne  affidò  in  questa 
provincia  il  comando  al  marchese 
Fabrizio  Paulucci  de'  conti  di  Cai- 
boli.  Nel  medesimo  anno  si  presero, 
parte  col  fucile  e  parte  con  basto- 
ni, venti  pellicani,  uccelli  straordi- 
nari in  questo  clima. 

Nel  Pontificato  di  Pio  VI,  men- 
tre Forlì  era  governata  da  un  pre- 
lato governatore,  e  faceva  parte 
della  legazione  apostolica  di  Roma- 
gua,  il  cui  cardinale  legato  risiede- 
va iti  Ravenna,  scoppiò  la  funesta 
rivoluzione  di  Francia,  rimbombò 
per  tutta  V  Europa,  e  tra  gli  stali 
che  ne  provarono  le  tristi  conse- 
guenze uno  principalmente  si  fu  lo 
stalo  pontificio.  Proclamata  in  Fran- 
cia la  repubblica,  successe  l'invasio- 
ne d' Italia,  e  s' incominciò  quella 
dei  dominii  della  Chiesa  al  modo 
che  dicemmo  in  tanti  articoli,  come 
in  quello  di  Ferrara  [Vedi).  A  re- 
spingere la  temuta  invasione,  il  go- 
verno ordinò  nel  1793,  che  tutti 
gli  uomini  di  forza  dovessero  essere 
pronti  ad  opporsi,  al  tocco  della  se- 
conda campana  della  torre  del  pub- 
blico, dato  col  martello.  Nel  1793 
si  vide  per  la  prima  volta  giunge- 
re in  Forlì  la  carrozza  della  dili- 
genza dello  stato  a  sei  cavalli,  del- 


FOR 

la  capacità   di    otto   passeggieri  ;  e 
Tenne  istituita   l'  accademia    dei  fi- 
larmonici,   di    cui    fu    fatto  primo 
presidente    il    marchese    Francesco 
Paulucci.  Nel   1796  non   potendosi 
contare    sui    duecento    soldati    del 
sagro    numero    per    mantenimento 
della  quiete,    si   formò    la    guardia 
civica,  giacché  i    tumultuanti  vole- 
vano forzare  il  monte  di  pietà.  In- 
tanto il  generale  francese  Aligera u 
da  Bologna    si    portò  in    Ravenna, 
ove  tenne  congresso    colle  deputa- 
zioni delle  città  romagnole,  le  quali 
invitò  ad  unirsi  colla  Romagna  in- 
sieme al  Ferrarese  e  Bolognese  oc- 
cupato dai  francesi,  e    n'  ebbe    ri- 
pulsa. Indi  il  generale  passando  per 
Forlì  fu  da   alcuni    insultato,   e  il 
popolo  di  forza  accorse  al  deposito 
delle  armi  e  se  ne  impadronì.  La  po- 
polazione   facoltosa    spaventata    dai 
sovrastanti  pericoli,    nella    maggior 
parte  fuggì  dalla  città.   Intanto  al- 
cuni  francesi  spogliarono    il   monte 
di  pietà   del  più    prezioso   del    va- 
lore di    circa   cento    sessantacinque 
mila  scudi,  indi    tassarono    la  pro- 
vincia di    Forlì    per    ottanta    mila 
scudi,  per  essere  questa    la  somma 
che  la  città ,  territorio    e    distretto  ♦ 
pagavano    alla     camera    apostolica. 
Se  ne  pagarono  ventidue  mila  scu- 
di, ma  dovettero  i  forlivesi  sommi- 
nistrar molte  cose  all'  esercito  fran- 
cese :    le    contribuzioni    che    allora 
ritirarono  i  francesi  dalla  Romagna, 
ed  in  ispecie  da  Ravenna,  si  calco- 
lano cinquecento  mila  scudi. 

La  prima  città  che  i  francesi  inva- 
sero fu  Bologna,  nella  quale  a*2  3  giu- 
gno 1796  fu  conchiuso  colla  media- 
zione della  Spagna  un  armistizio,  in 
cui  Pio  VI  oltre  ad  altri  sagrifizi  do- 
vette convenire  alla  cessione  delle 
provincie  e  legazioni  di  Bologna  e 
di  Ferrara,  e  della  città  di    Faen- 


FOR  28  > 

za.   Allora  le  truppe  francesi  si   ri- 
tirarono al  di   là  del  ponte  del  Se- 
nio presso  Castel  Bolognese,  e    nel 
mese  di  luglio  il  cardinal  Dugnani 
legato    di    Ravenna,    e    il    vescovo 
Prati  avvertirono  i  popoli  che  nin- 
no ardisse  insultare    i    francesi.    In 
questo  tempo  vuoisi  che  nella  città 
diverse  sagre   immagini    della    Ma- 
donna  aprissero   gli   occhi.   Nuova- 
mente i  francesi  volendo  porre  ad 
effetto  l'intenzione    dell'occupazio- 
ne di   tutto  lo  stato  pontificio,  que- 
sto si  pose  in  guardia  vedendo  inu- 
tili gli  immensi    sagrifizi    fatti    nel 
trattato  di  Bologna;  laonde  con  edi- 
to   governativo    degli    8    ottobre  si 
ordinò  ai  forlivesi,  che  al  tocco  del- 
la campana  a    martello,    tutti    do- 
vessero prendere  le  armi    per    op- 
porsi agli  invasori  ;  indi   si   pose  in 
circolazione  la    moneta   erosa,    per 
far  fronte    alle    ingenti    spese  dello 
stato.   Intanto  il  Papa  mandò  trup- 
pe ed  artiglieria  a  Faenza,   ed    in- 
caricò il  marchese  Tiberio  Albicini 
di  Forlì,    d' investigare    quanti    ar- 
mati   poteva    fornire    il    territorio, 
con  ordine   a    tutti    i    parrochi    di 
far  suonar  la  campana   a   martello 
e  a  stormo  al  primo  segnale,  elegge- 
re un   capo-massa,  e  tener    pronte 
Je  loro  genti  a  disposizione  del  go- 
verno.    Avendo    il    governo    ponti- 
ficio esaurito  tutti  i  mezzi  di  paci- 
ficazione   coi    francesi    inutilmente, 
quindi  volendo    Pio  VI    tentare    la 
forza    per    respingere    la    forza,    le 
sue  truppe  furono  dal  nemico     fu- 
gate   a'  2    febbraio     1797     presso 
il  ponte  del    fiume    Senio,    al  mo- 
do    che    accennammo    all'  articolo 
Faenza  (  Pedi).    Fu  allora  che    il 
general  Victor  senza  fatica  s'impa- 
dronì di  Forlì,  in    cui    a' 3   giunse 
il  general  Rusca    comandante  della 
Romagna,  e  nel  dì  seguente  il  gè- 


9.86  FOR 

neral  in  capo  Napoleone  Bonaparte 
preceduto  da  un  migliaio  di  fanti, 
e  prese  alloggio  in  casa  del  conte 
Melchiorre  Gaddi  da  Schiavonia. 
Chiamò  a  sé  il  vescovo,  la  muni- 
cipalità, e  i  più  notabili,  a  cui  ener- 
gicamente parlò,  invitandoli  a  con- 
dursi pel  pubblico  bene,  altrimenti 
avrebbe  usata  la  forza.  Intanto  or- 
dinò alla  giunta  della  repubblica 
Cispadana  di  portarsi  a  Ravenna 
per  organizzarvi  una  centrale  am- 
ministrazione, ed  ai  5  si  recò  a 
Cesena  :  alcuni  militi  dei  tremila 
dell'esercito  d'occupazione  erano  ve- 
stiti di  verde,  aventi  lustri  di  otto- 
ne sul  cappello  in  cui  era  scritto  : 
Rigenerazione  italiana,  libertà,  o 
morte.  Alcuni  signori  furono  tras- 
portati da  Forlì  a  Bologna  come 
ostaggi  della  tranquillità  de'  loro 
concittadini.  Da  Ravenna  giunse  in 
Forlì  il  conte  Antonio  Colomhani, 
memoro  della  centrale  dell'Emilia, 
ad  organizzare  la  municipalità.  Il 
nuovo  governo  vietò  le  vesti  cleri- 
cali a  chi  non  era  ecclesiastico,  on- 
de gli  avvocati,  i  procuratori,  i 
notari  ec,  comparendo  in  abito  se- 
colaresco mossero  il  popolo  alle  risa. 
Ai  22  febbraio  transitò  nuova- 
mente per  Forlì  il  generale  Bona- 
parte  proveniente  da  Tolentino,  ove 
aveva  stipulato  coi  plenipotenzia- 
ri di  Pio  VI  la  cessione  di  questi 
alla  sovranità  delle  tre  legazioni  di 
Bologna ,  Ferrara  e  Romagna,  e 
progredì  il  suo  viaggio  per  Campo 
Formio  onde  stipulare  il  trattato 
colla  casa  d' Austria,  dopo  che  i 
francesi  avevano  espugnato  Manto- 
va. In  seguito  i  francesi  emanarono 
diverse  provvidenze  in  Forlì,  man- 
darono 1'  orologio  pubblico  secondo 
il  metodo  francese,  ed  ai  28  feb- 
braio fecero  piantare  l'albero  della 
libertà  nella  piazza  di  Forlì.  L'ara- 


FOR 

ministrazione  centrale  dell'Emilia 
residente  in  Ravenna,  per  disposi- 
zione del  generale  in  capo  Bona- 
parte,  trasportò  la  sua  residenza  in 
Forlì  a'  28  aprile  del  medesimo  an- 
no 1797.  Tra  le  cose  che  fece, 
sciolse  la  guardia  del  sagro  nume- 
ro, per  essersi  ricusata  al  giura- 
mento di  fedeltà  ;  molti  però  si  ar- 
rollarono  tra  i  volontari  della  pri- 
ma coorte  dell'  Emilia,  e  la  guardia 
nazionale  assunse  il  servizio  della 
città.  Indi  a'  9  luglio  il  general  su- 
premo Napoleone  Bonaparte  riunì 
in  una  sola  le  due  repubbliche  da 
sé  prima  formate,  Cispadana  e  Tras- 
padana sotto  il  nome  di  repubbli- 
ca Cisalpina  poscia  regno  d' Italia, 
di  cui  poi  egli  ne  fu  coronato  re  in 
Milano,  divenendo  Forlì  capoluo- 
go del  dipartimento  del  Rubicone, 
nel  quale  si  comprendeva  anche  la 
legazione  di  Ravenna.  Provvistosi 
il  governo  di  facoltà  pontificie  per 
secolarizzare  i  regolari,  intimò  a 
questi  di  abbandonare  le  loro  case, 
ove  furono  posti  militari,  uffizi,  ed 
occupate  in  altre  guise,  quindi  mol- 
te chiese  andarono  demolite  ;  la 
stessa  sorte  toccò  alle  confraternite, 
e  ad  altri  luoghi  pii.  Decretò  che 
i  cadaveri  si  trasportassero  al  se- 
polcro senza  accompagnamento,  e 
questo  si  vietò  persino  al  ss.  Via- 
tico ;  fece  consegnare  alla  coorte 
Emilia  della  guardia  nazionale  la 
bandiera  repubblicana;  pose  in  ven- 
dita i  beni  delle  soppresse  corpo- 
razioni religiose,  che  quel  governo 
chiamava  nazionali  ;  requisì  tutte  le 
argenterie  delle  chiese,  tranne  le 
necessarie  ;  abolì  il  dritto  d' asilo 
ed  immunità  ecclesiastica;  coman- 
dò l'espulsione  del  vicario  di  For- 
limpopoli,  e  l' incorporazione  alla 
diocesi  di  Forlì  delle  parrocchie  di 
Busecchio,  Carpena,    Maiano,   Gii- 


Fon 

sognano,  Collina,  ed  il  Ronco  ;  Mel- 
dola  poi  fu  devoluta  alla  diocesi  di 
Bei  l inoro. 

Nel  novembre  1797  essendosi 
abolite  le  centrali  sovrane,  la  pro- 
vincia fu  divisa  nei  due  diparti- 
menti del  Lamone  e  del  Rubi- 
cone, e  capoluogo  furono  le  città 
di  Faenza  e  di  Rimini ,  laonde 
Forlì  spedì  per  rappresentanti,  un 
deputato  a  Milano,  l'altro  alla  cen- 
trale di  Faenza.  In  seguito  della 
nuova  organizzazione  territoriale , 
tutto  il  potere  amministrativo  e  po- 
litico restò  devoluto  alla  rappre- 
sentanza municipale.  Dalla  chiesa 
di  s.  Agostino  minacciante  rovina, 
si  trasportarono  le  ceneri  di  s.  Si- 
gismondo duca  di  Borgogna  alla 
cattedrale  nella  cappella  di  s.  An- 
drea Avellino,  ove  poi  furono  de- 
positate anche  le  ceneri  di  s.  Se- 
verina  vergine  e  martire,  che  più 
tardi  il  legato  cardinal  Sanseverino 
donò  alla  medesima  cattedrale.  Nel 
seguente  anno  a  Forlì  fu  restituito 
il  grado  e  prerogativa  di  capoluo- 
go del  dipartimento  del  Rubicone. 
Completatasi  dai  francesi  V  invasio- 
ne di  tutto  Io  stato  della  Chiesa, 
detronizzarono  Pio  VI,  che  a'  20 
febbraio  1798  tradussero  prigionie- 
ro in  Francia  dove  morì.  Nel 
maggio  del  seguente  anno  1 799  i 
tedeschi  s' impadronirono  di  Raven- 
na, indi  di  Forlì,  e  nella  prima 
stabilirono  l' aulica  imperiale  reg- 
genza austriaca .  Allora  i  monaci 
e  i  domenicani,  con  autorizzazione 
del  vescovo  munito  di  apostoliche 
facoltà,  ritornarono  nelle  loro  case. 
Si  celebrarono  i  funerali  al  defun- 
to Pio  VI  ;  e  redatto  il  conto  del- 
la distrazione  dei  beni  ecclesiastici 
fatta  dalla  repubblica,  si  trovò  ascen- 
dere a  piò  di  quattrocento  ottan- 
totto mila  scudi.  Eletto   nel    1800 


FOR  287 

Pio  VII  gli  furono  restituiti  i  soli 
domimi  ritenuti  dal  predecessore 
nel  trattato  di  Tolentino,  e  si  por- 
tò dal  conclave  di  Venezia  in  Ro- 
ma. Non  andò  guari  che  avendo 
il  generale  Bonaparte  salito  le  Al- 
pi con  settanta  mila  uomini,  For- 
lì fu  di  nuovo  occupato  dai  fran- 
cesi ,  pel  generale  Salignac,  e  di 
nuovo  fu  eretto  1'  albero  della  liber- 
tà ,  ed  eletta  altra  municipalità. 
Passati  pochi  giorni  i  tedeschi  ri- 
presero Forlì,  ma  presto  l'abban- 
donarono ai  francesi,  onde  la  mal- 
menata popolazione  provvista  di 
differenti  coccarde  usava  quella  del- 
la circostanza.  L'albero  della  libertà 
si  rialzò,  e  i  religiosi  di  nuovo  furono 
espulsi.  Indi  nel  dicembre  i  tede- 
schi entrarono  nuovamente  in  For- 
lì, innalzandovi  gli  stemmi  imperiale 
e  pontificio;  ma  nei  primi  del 
1801  i  francesi  riposero  piede  nel- 
la città,  erigendo  per  la  quinta  ed 
ultima  volta  l'albero  della  libertà. 
Col  trattato  d'Amiens  i  francesi 
rimasti  signori  delle  legazioni,  isti- 
tuirono in  Forlì  il  tribunale  d'ap- 
pello dipartimentale,  e  quello  di- 
strettuale sotto  il  nome  di  pretura. 
Nel  1 8o3  ebbe  luogo  per  la  pri- 
ma volta  l' illuminazione  notturna 
dei  lampioni,  a'  16  aprile.  La  co- 
scrizione fu  estesa  nella  provincia, 
che  ricusandosi  dovè  somministra- 
re il  doppio  conlingente  di  mille 
e  cinque,  uomini.  A' 25  maggio 
i8o5  essendo  stato  coronato  in  re 
d'Italia  l'imperatore  Napoleone,  l'al- 
bero della  libertà  fu  atterrato,  ed 
elevata  invece  l' aquila  napoleoni- 
ca, proseguendosi  a  governare  For- 
lì per  un  prefetto .  Continuando 
le  politiche  vertenze  tra  l'impero 
e  la  santa  Sede,  le  provincie  resta- 
te a  questa  poco  a  poco  furono 
dai  francesi  occupate;  ma  non  pò- 


288  FOR 

tendo  convenire  Pio  VII  nelle  esi- 
genze politiche  e  religiose  dell'im- 
peratore Napoleone  Bonaparte,  pre- 
potentemente fu  spogliato  de'  su- 
perstiti stati,  e  nel  1809  qual  pri- 
gioniero tolto  via  da  Roma.  Sotto 
il  governo  imperiale  fu  completa- 
ta la  strada  "dalla  porta  Pia  al 
Ronco  con  filoni  d'alberi;  si  for- 
mò il  Campo  Santo  fuori  la  por- 
ta s.  Pietro;  si  fece  la  strada  al 
di  là  del  ponte  della  Schiavonia , 
per  non  dire  di  altro.  Nel  settem- 
bre 181 3  gli  austriaci  cogli  ingle- 
si occuparono  Ravenna,  ed  ai  26 
dicembre  Forlì,  essendo  investito 
del  superiore  comando  il  general 
Nugent  residente  in  Ravenna,  poi 
fatto  dal  Papa  principe  romano. 
Fu  cambiato  il  governamento  del 
regno  italico;  ed  i  napoletani  u- 
nitisi  alle  potenze  alleate  occupa- 
rono nel  1814  i  dipartimenti  del 
Rubicone  e  del  Reno,  giungendo 
in  Forlì  nel  febbraio  il  re  Gioa- 
cbino  Murat;  indi  i  napoletani  oc- 
cuparono i  dipartimenti  del  Tron- 
to, del  Musone ,  e  del  Metauro. 
Non  si  deve  tacere  che  nel  detto 
anno  18 14  la  comune  donò  al 
colonnello  Gavenda  uno  stendardo 
ricamato  con  l'effigie  di  s.  Vale- 
vano e  l'arme  della  città,  perchè 
questa  col  suo  reggimento  austria- 
co avea  tenuto  quieta.  Avendo  poi 
la  provvidenza  disciolto  1'  impero 
francese,  ed  incenerilo  il  trono  di 
Napoleone,  Pio  VII  gloriosamente 
fu  restituito  a'suoi  sudditi  restati- 
gli per  la  predetta  pace  di  To- 
lentino. Le  truppe  francesi  con  at- 
to solenne  consegnarono  alle  armate 
austriache  e  napoletane  alla  linea  del 
Taro  presso  Borgoforte,  a'  i5  marzo 
1 8  1  4j  la  sagra  persona  del  Pontefice,  e 
questa  lieta  notizia  propagatasi  a  For- 
lì dispose   il  popolo  a  somma  gioia. 


FOR 

Neil'  aprile   1 8 1 4,  proseguendo  il 
Papa  il  viaggio  per  Roma,  si  fermò 
alquanti  giorni  in  Imola  suo  anti- 
co vescovato,  ove    si  recò  una  de- 
putazione del    capitolo  forlivese  ad 
ossequiarlo.    Ai     1 5  di  detto    mese 
un  distaccamento  di  ti-uppa  civica 
e    una    compagnia    scelta    di    cac- 
ciatori, e  monsignor  vescovo  Brat- 
ti col    suo  vicario   generale  e  cap- 
pe nere,  si  recarono  al  confine  del 
comune    alla    volta  di  Faenza,    ad 
attendere  Pio  VII,  che  da    Imola 
procedeva    alla    direzione    di  For- 
lì. Il   Papa  poco  avanti  al  mezzo- 
dì in  vicinanza  della  città,  fu  pu- 
re   incontrato    dal    prefetto    della 
medesima,  marchese  Lodovico  Bei- 
monti  :  il  popolo    accorse  in    folla, 
staccò    con    entusiasmo    i    cavalli 
della  carrozza,  e  volle  tirarla  a  brac- 
cia.   Alla    porta    di    Schiavonia    il 
podestà  e  corpo  municipale,  e  tut- 
te le  autorità  civili  e  militari  pre- 
sentatasi al  sommo  Pontefice.  Era 
un'  ora   circa    pomeridiana     allor- 
ché   Pio  VII    fece  il   suo    ingresso 
in    Forlì ,    annunziato    dal    suono 
generale   delle  campane.    Scese    al- 
la cattedrale,  e  dopo  avere  ivi  ora- 
to, processionalmente  salì  al  palaz- 
zo attuale  della  legazione,  ove  pu- 
re risiede  la    magistratura,  ed  im- 
partì  all'  adunata    moltitudine  1'  a- 
postplica   benedizione;  poscia  andò 
a    smontare    alla    casa    del    conte 
Antonio    Gaddi ,    allora    in    borgo 
Ravaldino,    che  aveva    per   moglie 
donna  Teresa  de'  marchesi  Chiara- 
monti  di  Cesena,  nipote  del  Papa. 
Nella    notte    la    casa    Gaddi    ebbe 
sempre  a  continua  guardia  la  trup- 
pa civica,  che  scortò  Pio  VII  quan- 
do alle  ore  nove  antimeridiane  del 
giorno  seguente    partì  per    Raven- 
na, indi    per  Cervia    giunse  a  Ce- 
sena sua  patria,  ove    battezzò  una 


FOR 
bambina,  nata  ai  suoi  nipoti  d. 
«Scipione  Chiara  monti,  e  principes- 
sa d.  Teresa  Barberini i  ne  furono 
padrino  e  madrina  i  coniugi  mar- 
chese Luigi  dei  Calboli  Paul  ucci 
di  Forlì,  e  la  principessa  donna 
Maria  Beatrice  Albani,  e  gli  s'im- 
posero i  nomi  di  Maria  Beatri- 
ce Pia  Barbara  Luigia  Veronica. 
Si  ha  dal  Placucci  ,  Memorie  isto- 
riche  sul  passaggio  della  città  di 
Forlì  di  sua  Santità  Pio  Papa 
f  II.  Faenza  1822.  Dai  francesi 
essendo  passato  il  Forlivese  come 
la  Romagna  in  potere  degli  au- 
striaci, come  si  è  detto,  e  poi  agli 
alleati  napoletani,  questi  al  termine 
della  guerra,  essendo  slato  stabilito 
Napoleone  all'  isola  dell'Elba,  la- 
sciarono i  due  dipartimenti  del 
Reno  e  Rubicone ,  ritirandosi  a 
Pesaro,  continuando  ad  occupare 
i  tre  memorati  dipartimenti  delle 
Marche,  Metauro,  Musone,  e  Tron- 
to. In  Forlì  ritornarono  gli  au- 
striaci, onde  tornandosi  ad  abolire 
i  prefetti,  essi  ristabilirono  i  delega- 
ti di  governo,  secondo  i  loro  si- 
stemi. Nel  181 5  Napoleone  fuggì 
dall'  isola  dell'  Elba  in  Parigi,  il 
re  di  Napoli  Murat  invase  parte 
dello  stato  pontificio,  onde  Pio  VII 
per  sicurezza  passò  in  Genova.  Gli 
austriaci  furono  costretti  ritirarsi 
da  Forlì,  ove  entrò  il  re  Murat 
a'3i  marzo,  proclamando  l'indi- 
pendenza italiana;  pernottò  in  ca- 
sa del  marchese  Paulucci,  e  con- 
tinuò il  viaggio  per  Bologna.  Non 
tardò  molto  ad  avere  i  napole- 
tani la  peggio,  e  ai  22  aprile  fu- 
rono obbligati  dai  tedeschi  a  ri- 
tirarsi da  Cesena,  per  cui  di  nuo- 
vo fu  in  Forlì  impiantato  il  go- 
verno austriaco.  Caduto  Napoleone  a 
Yaterloo,nel  mese  di  luglio  furono  re- 
stituiti alla  santa  Sede  i  suoi  domimi. 
voi.   xxv. 


FOR  289 

Fu  dunque    nel     181 5,  che    es- 
sendo   state    restituite    a   Pio    VII 
quelle    provincie    ritenute    dopo  la 
seconda  invasione,  e  le  tre  legazioni 
di    Romagna,   Bologna    e    Ferrara, 
quel     gran     Papa     a    voler  meglio 
ripartire  il  governamenlo    delle  le- 
gazioni   apostoliche,    col    moto-pro- 
prio de' 6  luglio    18 16  pubblicò  la 
classificazione   delle  medesime  lega- 
zioni e  delegazioni    apostoliche.  Ed 
è  perciò  che  delle  tre  legazioni  ne 
furono  formate  quattro,  cioè  Bolo- 
gna, Ferrara,  Forlì   e  Ravenna,   a- 
venti  ognuna  un  cardinale  per  legato 
residente  in  ciascuna  delle  mentova- 
te città,  siccome   capi-luoghi   d'  ogni 
legazione.  Così   Forlì    fu   elevata  al 
grado    di    legazione    con    residenza 
permanente    d'un  cardinale,    co'  ri- 
spettivi  vantaggi  che  ne  derivano,  e 
con  quelle  provvidenze  emanale  pu- 
re  da   Leone    XII,  e  dal    regnante 
Gregorio    XVI ,    che    dichiarammo 
all'  articolo  Delegazioni    e    legazio- 
ni aposloliclie  dello   slato  pontificio 
[Fedi).   Però  rientrata  la  santa  Sede 
in    potere    di  Forlì,  vi  mandò    per 
delegato  monsignor   Tiberio   Pacca, 
cui  successe  monsignor  Cesare  Nem- 
brini-Pironi  poi  cardinale,  e  por  as- 
sessore civile    l'avvocato  Anton  Do- 
menico   Gamberini,    poscia   elevato 
alla  stessa  dignità.  Appena  Forlì  si 
vide   nuovamente    sotto    il    pacifico 
regime   pontifìcio,  il    clero    spedì   a 
Roma    una    deputazione    capitolare 
ad  pedes  Pontfficis  ad  umiliargli  le 
proteste    della    duplice     sudditanza 
ecclesiastica  e    temporale,  e    ne  ot- 
tennero i  canonici  della  cattedrale  la 
decorazione  d'  una  croce  d'oro  appe- 
sa al  petto  con  nastro  rosso,  avente 
nel  centro  da  una  parte  l' effigie  del 
martire   s.    Valeriano,    e    dall'  altra 
quella  di  Pio  VII.  Il  nastro  di  egual 
colore  per  il  cappello,  ed  il  collare 
•9 


ago  FOR 

paonazzo  ai  detti  canonici,  fu  dal 
Papa  pur  concesso  unitamente  all'uso 
della  bugia  per  la  celebrazione  della 
messa;  la  distinzione  però  del  col- 
lare paonazzo  venne  estesa  anche  ai 
mansionari  e  cerimonieri.  11  capito- 
lo eresse  per  riconoscenza  a  Pio  VII 
nella  residenza  capitolare,  un  busto 
marmoreo,  con  apposita  epigrafe; 
il  consiglio  comunale  alla  porta  Co- 
togni di  Forlì  impose  il  nome  di 
Pia,  in  occasione  che  ne  venne  in- 
grandito il  piazzale.  Più  tardi  Pio 
VII  ordinò  che  si  ripristinassero  le 
antiche  istituzioni  pie.  Per  primo 
cardinale  legato  Pio  VII  spedì  a 
Forlì  il  rispettabile  cardinale  Giu- 
seppe Spina  di  Sarzana,  che  vi  giun- 
se a' 12  novembre  1816,  e  per  vi- 
ce-legato il  prelato  Lodovico  Con- 
ventati, al  presente  decano  de' votanti 
di  segnatura;  indi  nel  18 18  nominò 
successore  al  primo  l'applaudito  car- 
dinal Stanislao  Sanseverino  napoli- 
tano, ed  al  secondo  il  prelato  Gio- 
vanni Rusconi.  Morì  il  cardinal 
Sanseverino  in  Forlì  agli  1  1  mar- 
zo del  1826  con  dispiacere  di  tut- 
ti i  forlivesi  (che  a  lui  intitolarono 
una  strada,  essendo  benemerito  dei 
restauri  ed  abbellimenti  del  palaz- 
zo pubblico),  per  cui  Leone  XII 
nominò  pro-legato  di  Forlì  mon- 
signor Giovanni  Antonio  Benve- 
nuti di  Sinigaglia ,  poi  cardina- 
le ,  ed  in  vice-legato  monsignor 
Giacomo  Luigi  Brignole,  al  presen- 
te cardinale.  Qui  noteremo  che  il 
Benvenuti  nella  sede  vacante  del 
1823  dal  sagro  collegio  fu  prepo- 
sto a  pro-legato  delle  quattro  lega- 
zioni di  Bologna,  Ravenna,  Ferra- 
ra e  Forlì,  con  residenza  in  Bolo- 
gna. Allorché  nel  dicembre  1828 
fu  creato  cardinale,  assunse  il  gover- 
no il  cardinal  Macchi  legato  di 
Ravenna.    Nella    sede    vacante    del 


FOR 

1829  i  cardinali  elessero  in  pro- 
legato monsignor  Giovanni  Benedet- 
to Folicaldi  ora  vescovo  di  Faen- 
za; quindi  il  nuovo  Papa  Pio  Vili 
promosse  a  questa  legazione  il  car- 
dinal Tommaso  Riario  Sforza  di 
Napoli,  della  medesima  sunnomina- 
ta famiglia  che  signoreggiò  nel  For- 
livese, che  restò  soddisfatto  del  go- 
verno benevolo  del  discendente  di 
Girolamo  Riario  e  Caterina  Sforza. 
Per  vice-legato  Pio  Vili  nominò 
monsignor  Gregorio  Caracciolo  San- 
tobuono  nel  i83o,  carica  vacante 
sino  dal    1826. 

Nella  Sede  vacante  del  i83o- 
1 83 1  i  cardinali  elessero  in  pro-le- 
gato di  Forlì  monsignor  Lodovico 
Gazzoli  ora  cardinale.  Negli  ultimi 
giorni  della  sede  vacante  scoppiò 
in  Bologna  la  fatale  rivoluzione, 
che  pose  a  soqquadro  la  maggior 
parte  dello  stato  pontifìcio,  e  che 
si  propagò  anche  in  Forlì  a' 5  feb- 
braio i83i;  ignorandosi  ne' paesi 
insorti  che  ai  2  dello  stesso  mese 
era  stato  eletto  in  sommo  Pontefi- 
ce il  regnante  Gregorio  XVI;  quin- 
di come  negli  altri  luoghi  ribellati 
si  costituì  in  Forlì  e  sua  provincia 
un  governo  secondo  il  notissimo 
nuovo  ordine  di  cose,  delle  così  dette 
provincie  unite  italiane,  il  cui  centro 
fu  Bologna.  Da  tutte  le  parti  i  ri- 
voluzionari armati  accorsero  a  For- 
lì, come  a  luogo  centrale;  indi  ai 
12  febbraio  la  maggior  parte  della 
turba  armata  marciò  da  Forlì  a 
Forlimpopoli,  e  quindi  a  Cesena, 
donde  direttisi  ad  Ancona  la  occu- 
parono, e  poscia  si  erano  proposti 
dirigersi  alla  volta  di  Roma.  Intanto 
recaronsi  a  Forlì  Napoleone,  e  Lui- 
gi Napoleone  figli  dell'ex  re  d'Olan- 
da, ora  conte  di  san  Leu,  fratello 
di  Bonaparte;  il  primo  de' quali  si 
infermò    e    morì.    Ma    in     Ferrara 


POR 

gli  austriaci  a' 6  marzo  fecero  ces- 
sare il  detto  governo,   ed  il  simile 
ottennero  in  Bologna  a'  2  1    marzo, 
mentre  i  ribelli  in  numero  di  cir- 
ca tre  mila,  compresi  i  fuggitivi  di 
Modena,    condussero    in  Ancona    il 
cardinal  Benvenuti  legato  a  Intere. 
Fino  però  dai  24  febbraio  gli  au- 
striaci comandati  dal   general   Gep- 
per  erano  entrati  in  Forlì,  inseguen- 
do i  ribelli  a  Rimini.  Allora  il  Pa- 
pa   dichiarò    il     cardinal    Opizzoni 
arcivescovo  di  Bologna  legato  a  In- 
tere delle  quattro  legazioni.  In  For- 
lì e  in   altri  luoghi  si  crearono    le 
guardie  civiche,  per  mantenimento 
dell'ordine    pubblico,    presto    però 
manifestarono   il  loro   spirito    rivo- 
luzionario  ed  esaltato,  donde    pro- 
venne la  così  detta  lega  anarchica. 
Il    cardinal    Opizzoni    legato    delle 
quattro  legazioni,  nel  giugno  cessan- 
do tal  sua  rappresentanza,  dal  Pon- 
tefice   in  cadauna  fu    nominato  un 
pro-legato    e    la    congregazione    go- 
vernativa, ed  in  Forlì  fece  pro-le- 
gato il  marchese  Luigi  Paulucci  de' 
Calboli,  e   consiglieri    della   congre- 
gazione l'avv.    Luigi    Pani,    il   con- 
te Antonio  Albicini,  il  marchese  Fer- 
dinando   Ghini,  e  il  conte    Vincen- 
zo Mangelli  ;  mentre  a  vice-presiden- 
te provvisorio  del   tribunale  di  pri- 
ma  istanza   prepose  Luigi  Petrucci. 
Già  sino  dai    i3  maggio  la  città  di 

DO 

Forlì  aveva  conseguito  l'onore  che 
la  sua  deputazione  umiliasse  al  re- 
gnante Pontefice  l'omaggio  di  sua 
fedele  sudditanza,  non  che  le  più, 
vive  e  rispettose  congratulazioni  pel 
di  lui  innalzamento  al  pontificato. 
La  deputazione  si  compose  di  mon- 
signor Albertino  Bellenghi  arcivesco- 
vo di  Nicosia,  vicario  e  •  visitatore 
apostolico  della  chiesa  e  diocesi  di 
Forlì,  e  dei  conti  Vincenzo  Savo- 
relli,  e    Francesco  Mangelli    patrizi 


POR  2t)t 

forlivesi.  La  ritirata  delle  truppe  te- 
desche seguita  nel  luglio  fu  danno- 
sa alle  legazioni,  dappoiché  in  quel- 
le  di  Bologna,  Ravenna  e   Forlì,  e 
nella  Romagnola  soggetta  alla  lega- 
zione   di  Ferrara,    per  opera  di   al- 
cuni ebbero  luogo  delle  sedizioni,  e 
quasi     una     nuova     rivoluzione.  In 
Forlì     molta     gioventù     insorse    in 
drappelli,   e  la  lega  anarchica  si  fe- 
ce più    minacciosa,  per  cui  il  mar- 
chese   pro-legato  a'  7   agosto  si  riti- 
rò a  Firenze,  sebbene  occupasse  Ri- 
mini il  conte  colonnello    Bentivoglio 
colle  milizie  pontificie.  Intanto  a  lui 
successe  nel  comando  il  tenente  co- 
lonnello Barbieri,  ed  a' 22  dicembre 
ripatriò  il   marchese  pro-legato.  Nel 
seguente  anno   i832  essendosi  con- 
centrate le  truppe  pontifìcie,  in  nu- 
mero di   quattromila  circa,  ai  con- 
fini delle   quattro  legazioni,    ebbero 
ordine  nel  gennaio  di  marciare  nel- 
le   medesime,  onde    porre    termine 
ai  disordini    che  vi  accadevano,  es- 
sendo   stato    dichiarato   commissario 
apostolico  delle  medesime  e  con  be- 
nigne   intenzioni    del     Pontefice,    Il 
cardinal  Giuseppe  Albani    protetto- 
re di  Forlì.  Questi  si    avanzò    col- 
le   medesime  truppe,  che  i  civici  ri- 
belli bolognesi,    forlivesi  ec,  in  nu- 
mero di   mille  cinquecento   osarono 
affrontare  a  Cesena,  ma  prontamen- 
te disfatti  e  posti  in  fuga  ;  le  trup- 
pe dopo  aver  traversato  Forlimpo- 
poli    incominciarono    il    loro  ingres- 
so in  Forlì,  ove  nacque  grave  tram- 
bustOj   ignorandosene  tuttora  il  ve- 
ro motivo:  nella  fucilita  gli  uffizia- 
li    procurarono    contenere  la  solda- 
tesca irritala,  che  onninamente  vo- 
leva sparare  i  cannoni  sulla  pubbli- 
ca piazza,  il  perchè    furono  dal  car- 
dinale richiamate  le  truppe  austria- 
che  a  coadiuvar  le  papali,  che  dal- 
la parte    di  Modena    e    di  Ferrara 


292  FOR 

entrarono  nelle  legazioni  ed  in  For- 
lì a'27  gennaio,  e  così  fu  dato  rior- 
dinamento alle  cose  pubbliche,  riti- 
randosi le  milizie   pontificie    a  Pe- 
saro. II    governo  papale    nominò   i 
nuovi  consiglieri  comunali,  fece  ar- 
restare i  faziosi  che  ciò  stornavano, 
la  quiete  tornò  nella  città,  e  i  con- 
sigli comunali  ebbero  il  loro  pieno 
effetto.  Nel  dicembre   i832    nell'e- 
remo   di    s.   Bernardo    di    Lugano 
morì  il  marchese  d.  Ottavio  Albi- 
cini,  ivi  ridottosi  a  penitenza  sotto 
il  nome  di  Valeriano.  Nel  commis- 
sariato delle   legazioni  successe    nel 
declinare  del  i832monsig.  Giacomo 
Luigi  Brignole,  e  nel  principio  del 
i833   fu  dato  tale  incarico  al  car- 
dinale   Ugo    Pietro   Spinola,    conti- 
nuando nelle  medesime   legazioni  i 
pro-legati   secolari,  tranne    Ferrara, 
che  aveva  un  prelato:  in  quest'an- 
no a'  1 2  gennaio  arrivarono  iu  For- 
lì ottocento  svizzeri    assoldati  dalla 
santa  Sede.  Nel   i834  nelle  legazio- 
ni furono  istituiti  i  volontari    pon- 
tificii, e  nel  seguente  anno  il    car- 
dinal Vincenzo  Macchi  ebbe  la  no- 
mina al  predetto  commissariato,  pas- 
sando  a  Forlì  a'  3o    settembre  nel 
recarsi  a  Bologna  sua  residenza.  Fi- 
nalmente questo  fu  sciolto  dal  Pa- 
pa a' 16    luglio   i836,    che    inoltre 
ristabilì  i  cardinali    legati  in   Bolo- 
gna, Ferrara.,  Forlì    e    Ravenna,  e 
i    separati    governi   delle    rispettive 
legazioni;    ed    i  volontari  pontifìcii 
divisi    in    quattro    brigate    sotto   la 
dipendenza  di  ciascun  legato.  Quin- 
di Forlì  vide  con  piacere  eletto  in 
nuovo  legato  il  cardinal  Nicola  Gri- 
maldi di  Treia,  ch'ebbe  a  successore 
il  cardinal  Alessandro  Spada  roma- 
no; dopo  il  quale  fu  legato  di  Forlì 
il  cardinal  Luigi    Vannicelli-Casoni 
d  Amelia:  finalmente    nel  corrente 
anno   1 844>   '1   Pontefice    ha    no- 


FOR 

minato  per  legato,  il  cardinal  Pa- 
squale Gizzi  di  Ceccano.  Tra  i  be- 
nefizi poi  di    cui  il  regnante   Gre- 
gorio XVI    è  stato  largo  con  Forlì, 
rammenteremo  la  ripristinazione  del 
tribunale   di  prima    istanza,  e    dei 
consultori  di  legazione,  e  la  conces- 
sione del  consiglio  ed    amministra- 
zione   provinciale  sedente   a  Forlì. 
Oltre  i  citati  scrittori  delle  cose  di 
Forlì  abbiamo  i  seguenti.  Aunales 
Forolivienses  ab  anno   1275  usrjue 
ad  annum   i^jS  anonymo  auctore, 
nunc  primum  prodtuntex  mss.  Codi' 
ce  corni tis  Brandolini  de  Brandolinis. 
Exst.  in  ter  Rerum  ital.  Scriptor.   t. 
XXII.     Hieronymus    Foroliviensis , 
Chronicon  Foroliviense  ab  anno  1397 
usque  ad  annum     i433,  mine  pri- 
mum in  lucem  editimi  ex  mss.  Co- 
dice comitis  Brandolini  de  Brando- 
linis.    Exstat    inter    Rerum     italic. 
Script,  tom.  XIX.  Cristoforo  Cicco, 
Cronica  di    Forti,    Venezia    «574* 
Paolo  Bonoli,  Istorie  della  città  di 
Forti  intrecciale    di  vari   accidenti 
della  Romagna    e  dell'Italia,  F01P1 
1661,  per  il  Cimati  e  Saporetti.  Nel 
1826  il  tipografo  forlivese  Bordandi- 
ni,  caldo  di  amor  patrio,  ha  ristam- 
pato in  due  volumi  la  Storia  di  Fora 
scritta  da  Paolo  Bonoli,  corretta  ed 
arricchita    di    nuove    addizioni  ;    e 
siccome  questa   celebre    storia,  che 
servì  a  noi  di  guida  principale  alla 
compilazione  di    quest'  articolo,  ar- 
riva sino  all'anno    1661,  il  mede- 
simo editore  fa  voti  perchè  sia  con- 
tinuata, ciò    ch'egli    avrebbe    fatto 
se  fosse  stato  un  Aldo.  Bartolomeo 
Riceputi,  La  verità  rediviva  a  fa- 
vore   della    città    di   Forlì,    ovvero 
difesa  delle  antiche  ragioni   dell'  ì- 
stessa     città     già     della     Rediviva 
Faenza  del  Cavina,  Forlì  1673  per 
Gioseffo    Selva.    Giorgio    Marchesi, 
Compendiuni    kistoricum    celeberri- 


por 

rune  eìvilalis  Forolivii,  i ! > i ci .  1722 
excudebat  Alexander  de  Fabiis.  Il 
medesimo  Marchesi  nella  Galleria 
deli'  onore  parla  della  città  di  For- 
lì, e  delle  sue  famiglie  distinte, 
massime  degli  Albicini,  Augustini , 
Manfredi,  Marchesi,  Numai,  Orselli, 
Paolucci,  e  Torcili. 

La  fede  cristiana  in  Forlì  è  as- 
sai probabile    che    sia  stata  predi- 
cata   molto  per    tempo,    come  nei 
suoi  dintorni,  dagli  apostoli  o  dai 
loro  discepoli,  essendo  poi  certo  che 
s.  Apollinare  discepolo  del  principe 
degli    apostoli    s.  Pietro   predicò    il 
vangelo  di   Gesù  Cristo  in   Roma- 
gna, mandatovi  da  quel  primo  Pon- 
tefice.   Non  si  trova    fatta  menzio- 
ne alcuna  dei  vescovi  di  Forlì  pri- 
ma dell'anno  35<),  non  devesi  non- 
dimeno   conchiudere,    che    non  ve 
ne  sieno  stati    anche    prima    di  tal 
epoca,  potendo  anche  per  avanti  es- 
sere stata  Forlì  decorata  della  cat- 
tedra episcopale,  fiorendo  il  primo 
suo  vescovo  s.  Mercuriale,  nativo  di 
Albania    d'Armenia,  verso    l'anno 
4oo ,    ed  alcuni    sostennero   avere 
esistilo    due   ed   anche    tre  s.  Mer- 
curiali. Secondo  il  Bonoli  un  s.  Mer- 
curiale visse  nell'anno  i3o:  sembra 
però  più  verisimile,  che  nei   primi 
secoli    della    Chiesa  ,    tutta    questa 
provincia  fosse  affidata  alle  cure  di 
s.   Apollinare    e  de' suoi  successori, 
e  che  solo  dopo  la  pace  data  alla 
Chiesa  da   Costantino  avesse  anche 
questa  città  il  proprio  vescovo.    Il 
Marchesi   ammette  due  s.  Mercuria- 
li, il   primo  quello  del  secondo  se- 
colo; mentre  l'altro  santo  vescovo 
di  tal  nome  intervenne  nel  35g  al 
celebre    concilio  di  Rimini,  con  s. 
Ruffillo    vescovo  di    Forlimpopoli , 
contro  P  ariana    eresia    protetta  in 
esso  dall'  apostata    Tauro  ,  prefetto 
dell'  imperatore    Costanzo  principal 


FOR  ao,3 

fautore  dell  errore.  Con  s.  Mercu- 
riale fiorirono  i   forlivesi  ss.   Grato 
e  Marcello,  1'  uno  diacono  ,  1'  altro 
suddiacono.   Il  santo   vescovo  Mer- 
curiale dopo  aver  liberato  per  vir- 
tù di  Dio  il  popolo  da  un  orribi- 
le drago,  volle  visitare  i  santi  luo- 
ghi di  Gerusalemme,  da  dove  por- 
tò in  Forlì  preziose  reliquie,  come 
la  mascella  di  s.  Giacomo  apostolo, 
gran  porzione  del  cranio  di  Gere- 
mia   profeta ,    le  ossa   di  tre  santi 
Innocenti  ec.  Queste  reliquie  si  ve- 
nerano   nella    chiesa    già    sagra    a 
s.  Stefano,  poi  a  s.  Mercuriale,  coi 
corpi  de'  ss.  Grato  e  Marcello,  che 
morirono    ancor    vivente    il    santo 
pastore,  sebbene  anche  la  cattedrale 
pretenda  possederli  sotto  l'altare  di 
s.  Valeriano.    Forse  avrà  parte  dei 
loro  corpi,  come  ha  sino  dal  1576, 
e  per  opera  del  vescovo  Giannotti 
un    braccio    di    s.  Mercuriale ,    un 
pezzo  del  legno   della    vera  croce  , 
delle  ossa  di  s.  Matteo  apostolo  ed 
evangelista,  ed  altre  reliquie.  Dopo 
avere  s.  Mercuriale  guanto  Alarico 
re  de'  goti  da  gravissimo  male,  e  per- 
ciò liberati    circa    duemila  forlivesi 
tratti  in   ischiavitù ,    volò    al  cielo 
verso  l'anno  /\o6  a'  3o  aprile,  ve- 
nendo sepolto  nella  detta  chiesa  di 
s.  Stefano,  che   prese   il  di  lui  no- 
me quando  con  molta  magnificen- 
za   venne    ingrandita.    Non    manca 
chi  asserisce    essere   il   cadavere  di 
s.  Mercuriale   sepolto    nella   chiesa 
della  ss.  Trinità,  antico  duomo,  e 
poi  trasferito  in  s.  Stefano ,  certo  è 
che  ivi  si  custodisce    la  sua  testa  ; 
fu  poi  traslatato  il  corpo  di  s.  Mer- 
curiale dall'  aitar   maggiore  di  sua 
chiesa,  alla  cappella  a  lui  dedica- 
ta, e  magnificamente  eretta  dal  ce- 
lebre  filosofo   e    medico    Girolamo 
Mercuriali  forlivese. 

L'  imperatore    Valentiniano  III, 


s94  FOR 

•verso  l'anuo  4^i     dispose  che  fos- 
sero  suffraganei    della    chiesa    me- 
tropolitana di    Ravenna  dodici  ve- 
scovati, tra' quali  Rimini,  Cesena, 
Foriimpopoli,  Forlì,  Sarsina,  Faen- 
za, Imola,  città  di  Romagna:  que- 
sti vescovati   e  la  loro  suffraganei- 
tà  a  Ravenna,  l' anno  5g4  furono 
confermati  con    autorità  apostolica 
dal  Pontefice  s.  Gregorio  I  il  Gran- 
de. Sotto  l'imperio  di  Maggiorano, 
tra  le   rigidezze    d'un  eremo,  fiorì 
il  giovine  forlivese  s.  Valeriano,  ce- 
lebre   per    miracoli ,    massime    nel 
liberare    gli    invasi    dal    demonio , 
come  liberò  un  figlio  d' Olibrio  pa- 
trizio romano  poi  imperatore  d'oc- 
cidente.   Ciò   saputosi    da    Leone  I 
imperatore  d'oriente  Io  chiamò  in 
Costantinopoli    perchè    liberasse  un 
suo  figlio  o  nipote  ossesso.  Avendo 
Dio   glorificato  il  suo   servo  Vale- 
riano   colla     bramata     liberazione , 
1'  imperatore    dichiarollo    capitano 
contro  gli  eretici  ed  infedeli,  in  cui 
il  santo  operò  non  poche  prodezze, 
conseguendo  anche  altri  onori  dal- 
l' imperatore.  Ritornato    poi  Vale- 
riano in  patria ,  fu  destinato  capi- 
tano di  una  squadra  in  difesa  del- 
la città    e  distretto;    ma  opponen- 
dosi egli  a  Leo    Bachio  proconsole 
nella    provincia    e    governatore    dì 
Forlì,  che  siccome  crudele  e  fana- 
tico seguace  dell'arianesimo  oltrag- 
giava i  cittadini   nell'onore  e  nelle 
robe,  fu   sorpresso    dai    satelliti    di 
costui  mentre   orava,   con    ottanta 
compagni.    Quindi    in    odio    parti- 
colarmente della   cattolica  fede,  Leo 
fece  tutti  tormentare,  ed  a'  i4  mag- 
gio  del  460  decapitare  ;  le  loro  ve- 
nerande ossa  furono  riposte  in  luo- 
go distinto,  massime  quelle  di  s.  Va- 
leriano ,    nella    chiesa    di  s.  Croce , 
che  poscia  nel  1267   furono  solen- 
nemente   riconosciute    dal     vescovo 


FOR 
Richelmo.  Da  una  chiesa  al  suo 
nome  dedicata  derivò  quello  della 
villa  di  s.  Valeriano,  poi  s.  Vara- 
no, dicendosi  in  quelle  parti  mar- 
tirizzato. La  Madonna  del  fuoco , 
s.  Mercuriale  vescovo,  s.  Valeriano 
martire,  e  s.  Francesco  Saverio  ge- 
suita confessore,  sono  i  protettori 
della  città  e  diocesi  di  Forlì. 

Il  secondo  vescovo  di  Forlì  che 
si  conosca  è  s.  Crescenzio,  che  nel- 
l'anno 649  intervenne  in  Roma  al 
concilio  adunato  dal  Papa  s.  Mar- 
tino I  ;  in  quello  lateranense  cele- 
brato dal  santo  Pontefice  Agatone 
nel  680,  vi  fu  presente  il  vescovo 
di  Forlì  Vincenzo ,  prelato  di  sin- 
goiar bontà.  Altri  fanno  secondo 
vescovo  di  Forlì  Teodoro,  che  fio- 
rì nel  4^2  >  dando  poi  per  terzo 
vescovo  nel  648  il  mentovato  Cre- 
scenzio. In  quanto  ai  successori  ne 
fa  il  catalogo  1' Ughelli  nell'Italia 
sagra  tom.  II ,  pag.  5j^.  e  seg. ,  e 
toni.  X,  pag.  ?,65,  continuato  dalle 
annuali  Notizie  di  Roma,  oltre  gli 
storici  della  città  e  diocesi  di  For- 
lì. Noi  solo  faremo  menzione  dei 
vescovi  di  Forlì  meritevoli  di  spe- 
cial memoria.  Primieramente  note- 
remo che  Bartolomeo  dell'  887  , 
e  Paolo  che  fiorì  nel  939,  ambidue 
vescovi  di  Forlì  ,  non  trovatisi  or- 
dinariamente nel  catalogo  de'  vesco- 
vi forlivesi  ,  come  in  alcun  altro. 
Neil'  anno  910  al  vescovo  Rug- 
giero successe  s.  Apollinare  o  Apol- 
lonio. Nel  g63  viveva  Uberto  for- 
livese, vigilantissimo  pastore  :  a  tal 
epoca  vuoisi  che  i  vescovi  soggior- 
nassero frequentemente  in  s.  Maria 
di  Schiavonia ,  chiesa  che  dai  ca- 
nonici fu  lungamente  ufficiata,  fin- 
ché furono  tutti  alla  cattedrale  ag- 
gregati. Nel  11  16  Pasquale  II,  ad 
istanza  della  contessa  Matilde,  di- 
chiarò   vescovo    di  Forlì    Pietro  I. 


FOR 

Mentre  era  vescovo  Alessandro  I , 
l'imperatore  Federico  I  concesse  ai 
vescovi  di  Romagua  il  privilegio 
di  non  poter  essere  costretti,  nep- 
pure dall'  intei  nunzio  imperiale,  ad 
alcuna  angheria,  tranne  le  cose  ri- 
guardanti opere  pie ,  e  decretate 
dalle  antiche  leggi:  il  vescovo  Ales- 
sandro I  intervenne  al  concilio  ge- 
nerale convocato  da  Alessandro  III 
romano  Pontefice ,  dopo  il  quale 
cede  s.  Martino  ed  altri  beni  al 
convento  di  s.  Mercuriale,  donazio- 
ne poi  confermata  nel  12  33  da  Ri* 
naldo  commissario  di  Papa  Grego- 
rio IX.  Inoltre  Alessandro  I  fu  fat- 
to suo  vicario  nel  1 1 88  da  Gerar- 
do arcivescovo  di  Ravenna,  quando 
parti  per  la  crociata  di  Palestina  : 
nell'archivio  di  s.  Mercuriale,  pri- 
ma che  si  bruciasse  nel  1173,  esi- 
steva un  istromento ,  in  cui  appa- 
riva che  l'abbate  di  tal  chiesa  avea 
date  al  vescovo  di  Forlì  tredici  tor- 
na ture  di  terreno  per  fabbricarvi  il 
palazzo  episcopale ,  ricevendo  iu 
cambio  altrettanta  terra  dal  vesco- 
vo presso  la  torre  de'  Fiorentini  ; 
tanto  asserì  Alessandro  I  ai  più 
vecchi  della  città.  Nel  122.5  fu  con- 
sagrato vescovo  Ricciardello  Bei- 
monti  de'  signori  delle  Caminate, 
amato  assai;  e  nel  1237  lo  diven- 
ne il  forlivese  Enrico  I  di  Pelle- 
grino Bulgarello  Carbonesi. 

Nel  1255  divenne  vescovo  Ri- 
chelmo  arcidiacono  della  cattedra- 
le, che  intervenne  al  sinodo  di  Ra- 
venna ,  per  rimediare  ai  disordini 
di  quella  chiesa,  e  delle  suffraganee, 
e  per  reprimere  la  violazione  delle 
giurisdizioui  ed  immunità  di  dette 
chiese,  per  cui  i  forlivesi  furono 
scomunicati  dall'arcivescovo  Filip- 
po. Venuto  il  senato  di  Foiii  nel 
1264  ad  un  accordo  coli' arcive- 
scovo,   fu     stabilito  eh'  egli  doves- 


FOR  ig5 

se  essere  cittadino  e  nobile  di  For- 
lì ;  che  i  forlivesi  dovessero  in 
Romagna  difendere  la  giurisdizione 
della  chiesa  ravenuate,  e  viceversa 
questa  proteggere  la  città  di  Forlì 
contro  chiunque  volesse  opprimer- 
la, tranne  il  Papa  e  l'imperatore, 
ed  altre  cose  che  il  Bonoli  riporta 
a  detto  anno.  Indi  l'arcivescovo  di 
Ravenna  nel  1267  convocò  in  s. 
Mercuriale  il  sinodo  provinciale,  e 
con  altri  nove  vescovi  fu  presente 
alla  consagrazione  che  fece  Richel- 
mo  dell'  altare  di  s.  Valeriano  nel- 
la cattedrale,  apri  l'arca  e  fece  la 
ricognizione  delle  ossa  di  quel  san- 
to martire  e  glorioso  patrono  di 
Forlì.  Questo  benemerito  vesco- 
vo nichelino  edificò  1'  episcopio 
nell'anno  1260,  in  seguito  am- 
pliato dai  successori.  Nel  1270 
gli  successe  Rodolfo  I,  che  al  capi- 
tolo e  canonici  di  s.  Croce  cede  la 
chiesa  di  s.  Valeriano  in  Castruccio 
con  le  sue  pertinenze  e  ragioni  che 
aveva  sulla  pieve  di  s.  Maria  del- 
l'Acquedotto. Nel  1285  o  1286  fu 
fatto  vescovo  Rinaldo,  e  Bonifacio 
arcivescovo  di  Ravenna  celebrò  il 
sinodo  provinciale  nelle  stanze  di 
s.  Mercuriale,  coll'intervento  de'  ve- 
scovi di  Forlimpopoli,  Cesena,  Sar- 
sina,  Faenza,  Imola,  Adria,  e  Ri- 
naldo di  Forlì ,  e  de'  procuratori 
de'  vescovi  di  Parma,  Modena,  Bo- 
logna e  Cervia,  tutte  chiese  suffra- 
ganee. In  esso  si  trattò  di  molte 
cose  pertinenti  al  divin  culto,  alla 
immunità  delle  chiese,  autorità  dei 
vescovi  e  simili.  Per  morte  del  ve- 
scovo Taddeo,  venne  eletto  alla  se- 
de di  Forlì  dal  capitolo ,  Peppo 
Ordelaffi  arciprete  di  s.  Martino; 
ma  Rinaldo  conte  della  provincia 
vietò  a  nome  di  Bonifacio  Vili  ad 
Obizzio  arcivescovo  di  Ravenna  di 
consagrarlo,  e  di    approvarne    l' e- 


?96  FOR 

lozione:  eletto  ancora  dai  pompi- 
liesi  alla  sede  di  Forlimpopoli,  ven- 
ne egualmente  riprovato  da  Bene- 
detto XI. 

Nel  1 346  divenne  vescovo  di 
Forlì  Raimondo,  che  non  appari- 
sce ne'  cataloghi  de'  vescovi  di  que- 
sta chiesa.  Nel  i348  si  dice  vesco- 
vo Pietro  di  Pino  beneventano;  ma 
questi  o  fu  solamente  eletto  vesco- 
vo di  FoiTi,  o  poco  dopo  la  sua 
elezione  a  questa  cattedra  fu  tras- 
portato a  quella  di  Viterbo.  Paolo 
da  s.  Rufììlloera  vescovo  nel  1379, 
e  nel  1 384  ebbe  a  successore  Si- 
mone de  Pagani  da  Reggio  di  Lom- 
bardia ,  già  vescovo  di  Volterra  ; 
quantunque  1'  antipapa  Benedetto 
XIII  a  provare  giuridica  la  pro- 
pria scismatica  autorità  nominasse 
nel  1  3go  certo  Ortando,  che  quale 
intruso  fu  deposto  da  Bonifacio  IX. 
Nell'anno  seguente,  a  Simone  fu 
dato  in  successore  il  forlivese  Scar- 
petta Ordelaffi  figlio  naturale  di 
Francesco,  che  fece  suo  vicario  l'ab- 
bate di  s.  Mercuriale  Giovanni  Numai 
pure  di  Forlì,  personaggio  di  som- 
ma prudenza ,  che  di  poi  lo  suc- 
cesse nel  vescovato;  intervenne  al 
concilio  di  Pisa  nel  i4°9>  e  morì 
in  Roma  nel  i4ir>  essendo  anche 
abbate  commendatario  di  s.  Mer- 
curiale: fu  sepolto  in  s.  Maria  Mag- 
giore. In  suo  luogo  Giovanni  XXII I 
elesse  il  forlivese  Matteo,  che  alcu- 
ni dicono  de'  Fiorilli,  e  morendo  nel 
1 4-  '  3>  <]uel  Papa  nominò  in  sua  vece 
Alberto  III  de'Boncristiani  :  non  potè 
prenderne  possesso,  giacché  Grego- 
rio XII  ch'era  in  Ri  mini  creò  ve- 
scovo Giovanni  Strafa  imolese  di 
potente  e  ricca  famiglia ,  il  quale 
essendosi  presentato  prima  dell'al- 
tro ottenne  il  possesso,  enei  1 4- 1 8 
fu  confermato  da  Martino  V.  Avan- 
ti questo  Papa,    Alberto  nel  conci- 


FOR 
lio  di  Costanza,  e  nel  venerdì  san- 
to 1418  recitò  una  solenne  orazio- 
ne latina,  e  fu  fatto  vescovo  di  Co- 
macchio.  Al  detto  Giovanni  V  nel 
i4^7  successe  Giovanni  VI  Caffa- 
relli  romano,  il  quale  fu  al  conci- 
lio generale  di  Ferrara;  elesse  in 
vicario  Ugolino  orvietano,  arcidia- 
cono di  s.  Croce,  il  primo  del  suo 
tempo  nella  scienza  musicale,  di 
cui  lasciò  molti  pregiati  libri,  e  fu 
l' inventore  delle  note  sugli  artico- 
li delle  dita:  sotto  il  vescovato  del 
Cantarelli  accadde  nel  1428  il  pro- 
digio della  Beata  Vergine  del  fuo- 
co. Nel  i433  Guglielmo  Bevilacqua 
forlivese  s'intruse  nella  sede,  e  fu 
deposto  da  Eugenio  IV.  Nel  i437 
fu  fatto  vescovo  il  forlivese  Lodo- 
vico Pi  ranni  minore  conventuale. 
Nel  i449  Maria*10  vescovo  passò 
alla  sede  di  Sarsina,  e  viceversa  il 
vescovo  di  quella  città  Daniele  d'A- 
lunno da  Lodi  ebbe  la  cattedra  ve- 
scovile di  Forlì;  lodato  per  sapere 
e  consiglio.  Gli  successe  nel  1 463 
Giacomo  Paladini,  nobile  ed  arci- 
diacono della  cattedrale  di  Forlì, 
che  venne  consagrato  con  molta 
pompa  in  s.  Francesco  dai  vescovi 
di  Bertinoro,  Cesena  e  Faenza.  Il 
di  lui  vicario  Alessandro  Numai  for- 
livese, di  grande  letteratura  e  già 
arcidiacono  di  Forlì  e  protonotario 
apostolico,  fu  da  Paolo  II  fatto  ver 
scovo  nel  1470.  Indi  Sisto  IV  Io 
spedì  nunzio  all'imperatore  Federi- 
co III,  che  al  di  lui  fratello  Luffo 
concesse  diversi  privilegi  :  fu  il  pri- 
mo ohe  in  Germania  accordò  nel 
1476  facoltà  ai  domenicani  di  pro- 
mulgar la  recita  del  rosario  pub- 
blicamente, e  ciò  alla  presenza  del- 
l' imperatore. 

Tommaso  Asti  forlivese  nel  i48t> 
fu  fatto  vescovo  da  Innocenzo  VIIF, 
e  pel  suo  sapere  e  destrezza  fu  dai 


FOR 

Pontefici  adoperato  in  molti  affa- 
ri; già  si  disse  che  sotto  di  lui  eb- 
be origine  la  congregazione  di  ca- 
rità: mori  in  Roma  nel  1 5 12,  e 
con  onorevole  memoria  fu  sepolto 
in  s.  Tommaso  in  Parione  presso 
il  collegio  JVardini.  Giulio  II  elesse 
in  vece  Pietro  II  Griffi,  prelato  egre- 
gio cui  furono  affidate  importanti 
nunziature  e  legazioni:  morì  in  Ro- 
ma nel  i5i6,  dove  Leone  X  creò 
vescovo  Bernardo  di  Antonio  Me- 
dici canonico  di  Firenze}  ma  aven- 
do questi  rassegnata  la  sede,  Cle- 
mente VII  nel  1 5 ?.6  la  conferì  al 
celebre  cardinal  Nicolò  Ridolfi  fio- 
rentino, suo  parente,  perchè  nato 
dalla  sorella  di  Leone  X.  Il  Car- 
della  nelle  Memorie  sloriche  dei 
cardinali  tóm.  Ili,  pag.  267,  dice 
che  il  cardinal  Alessandro  Farnese 
poi  Paolo  III,  fu  fatto  nel  i533  ve- 
scovo di  Forlì;  altrettanto  nella  vi- 
ta di  Paolo  III  scrive  il  Novaes,  ci- 
tando l'Oldoino  nelle  Acid,  al  Ciac,' 
conio  tom.  Ili,  col.  555.  L'UghelIi 
narra  che  il  cardinal  Ridolfo  nel 
i59,8  rassegnò  la  chiesa  di  Forlì  a 
Bernardo  Medici  nipote  all'altro  di 
egual  nome;  e  che  rinunziando  an- 
cor lui  nel  i55r,  fu  in  vece  elet- 
to il  forlivese  Pietro  Giovanni  Aleót- 
ti,  senza  far  memoria  del  vescovato 
del  cardinal  Farnese.  Il  vescovo  Aleot- 
ti  ebbe  gran  parte  nell'erezione  del 
collegio  de'novanta  Pacifici,  donò  alla 
cattedrale  molte  suppellettili  e  il  pre- 
zióso tabernacolo,  ed  introdusse  in 
Forlì  i  gesuiti.  Antonio  Giannótti 
padovano  cameriere  di  Pio  IV,  nel 
i563  fu  da  questi  esaltato  a  que* 
sta  cattedra  ,  e  ristorò  e  di  molto 
abbellì  il  palazzo  episcopale.  Sisto  V 
nel  1587  dichiarò  vescovo  di  Forlì 
l'egregio  prelato  Fulvio  Teodoli  ro- 
mano, della  famiglia  oriunda  di  que- 
sta città;  morì  nel  i5g4,  e  fu  se- 


FOR  3c,7 

pollo  nella  cattedrale  ,  ove  al  lata 
destro  della  pòrta  maggiore  fu  col- 
locata la  sua  effigie  con  onorevole 
iscrizione.  Clemente  Vili  allora  fe- 
ce vescovo  Alessandro  de  France- 
schi romano,  dell'ordine  de' predi- 
catori ,  e  siccome  di  ceppo  ebreo 
cognominato  1' Ebreino  :  in  fanciul- 
lezza fu  conosciuto  da  s.  Ignazio,  e 
per  umiltà  ed  amor  di  quiete  pas- 
sati tre  anni  rinunziò.  Inoltre  Cle- 
mente VIII  nel  1^99  e'evo  a  que- 
sta sede  Corrado  Tarlarmi  di  Città 
di  Castello  ,  il  quale  coronò  solen- 
nemente la  Beata  Vergine  del  fuo- 
co. Cesare  Bartolelli  perugino,  nel 
1601  fatto  vescovo  da  Clemente 
Vili,  trasportò  le  ceneri  di  s.  Mer- 
curiale   dall'  altare    maggiore    nella 

DO 

nuova  cappella  erettagli  nella  chie- 
sa de'  vallombrosani,  e  pose  la  pri- 
ma pietra  della  cappella  della  Beata 
Vergine  del  fuoco;  governò  trenta- 
tre anni,  fu  prelato  di  grande  ripu- 
tazione e  dottrina,  e  governatore  di 
Roma;  morì  nel  i635,  per  cui  Ur- 
bano VIII  elesse  vescovo  Giacomo 
Teodoli,  già  arcivescovo  d'Amalfi, 
ed  oriundo  forlivese,  che  abdicò  nel 
i665  lasciando  diverse  onorevoli 
memorie  :  essendo  vescovo  il  Teo- 
doli si  riaprì  il  seminario  di  s.  Giu- 
liano, da  qualche  tempo  quiescen- 
te, il  di  cui  luogo  ne'  tempi  an- 
teriori era  lo  spedale  de'  sacerdoti 
itineranti  sulla  via  Gatogni ,  alla 
qual  misura  si  devenne  in  vista  di 
trovarsi  altro  spedale  a  ciò  destina- 
to, oltre  l'ordinario  de' pellegrini  ;  e 
dopo  pel  seminario  si  scelsero  a- 
cune  case  presso  il  monte  di  pietà, 
come  più  comode  alla  cattedrale. 
Si  fecero  sotto  il  vescovo  Teodoli 
le  solenni  traslazioni  della  Beata 
Vergine  del  fuoco,  e  di  s.  Pellegri- 
no Laziosi  dalle  antiche  alle  nuove 
cappelle;  la  prima  nel    i6363  e  la 


298  FOR 

seconda  nel  iG38.  Alessandro  VII 
lece  vescovo  Claudio  Ceccolini  di 
Macerata,  morto  nel  1688.  Inno- 
cenzo XI  gli  die  a  successore  Gio- 
vanni de  conti  Rasponi  di  Raven- 
na, il  quale  fece  il  coro  e  il  pul- 
pito nella  cattedrale.  Tommaso  Lui- 
gi Silvio  Torelli  di  F01T1  fu  elevato 
a  questo  seggio  nel  1 7 1 4  da  Cle- 
mente XI,  e  visse  sino  al  1760 
con  lunghissimo  vescovato;  era  nato 
nel  1673.  Clemente  XIII  gli  die 
in  successore  il  concittadino  Fran- 
cisco Piazza.  Altro  forlivese  fu  d. 
Mei  curiale  Prati  monaco  valloin- 
Li  osano,  fatto  vescovo  nel  1784 
da  Pio  VI  ;  ed  essendo  morto  nel 
1807  sotto  Pio  VII,  gli  successe  il 
canonico  preposto  Andrea  Bratti  di 
Capo  d  Istria,  del  quale  vescovo,  no- 
minalo dall'  imperator  JNapoleone,  e 
riconosciuto  dal  Papa, e  pubblicato  in 
concistoro,  paria  il  Pistoiesi  nel  tom. 
IH,  pag.  193  della  Fila  di  Pio 
P II.  Monsignor  Bratti  a'  1  2  sette- 
bie  1819  consagrò  la  chiesa  una 
volta  dei  carmelitani  scalzi,  sotto 
il  titolo  di  s.  Anna,  in  oggi  par- 
rocchia e  chiesa  di  s.  Antonio  ab- 
bate di  Ravaldino:  questo  prelato 
fu  richiamalo  in  Roma,  indi  passò 
in  Fi  lenze,  e  terminò  i  suoi  giorni 
nella  propria  patria  agli  1  1  novem- 
bre i835.  Leone  XII  nel  1826 
die  a  questa  diocesi  per  vicario  e 
visitatore  apostolico  Filippo  de  An- 
gelis  d'  Ascoli  vescovo  di  Leuca  in 
partibus,  al  presente  cardinale,  che 
ebbe  nello  stesso  grado  in  successo- 
ri nel  i83o  monsignor  Albertino 
Bellenghi  nativo  di  Forlimpopoli, 
arcivescovo  di  Nicosia  in  partibus, 
per  volere  di  Pio  Vili;  e  monsi- 
gnor Stanislao  Vincenzo  Tomba  del- 
la congregazione  di  s.  Paolo  detta 
de'  barnabiti  di  Bologna,  dal  re- 
gnante Gregorio  XVI    fatto    egual- 


FOR 
mente  vicario  e  visitatore  apostoli- 
co, e  uel  concistoro  de'  17  dicem- 
bre i832  preconizzato  vescovo  di 
Rodiopoli  in  parlibusj  quindi  essendo 
morto  il  vescovo  Bratti  in  Capo 
d  Istria  ov'  erasi  ritirato,  allora  pel 
saggio  e  zelante  suo  governo  me- 
ritò monsignor  Tomba  che  il  me- 
desimo Gregorio  XVI  nel  concistoro 
del  primo  febbraio  18 36  lo  dichia- 
rasse vescovo  di  Forlì  che  al  pre- 
sente provvidamente  governa.  Veg- 
gasi  {'Allocuzione  che  recitò  in  oc- 
casione del  suo  possesso  solenne  pre- 
so a'  19  marzo  1 836,  e  pubblicata 
in  Forlì  colle  stampe  da  Luigi  Bor- 
dandoli. Questi  co'  suoi  tipi  die  al- 
la luce  1'  Omelia  che  il  medesimo 
monsignor  vescovo  pronunziò  a'  4 
maggio  di  detto  anno,  giorno  sagro 
ai  martiri  ss.  Valeriano  e  compa- 
gni  protettori  della  città. 

L' antica  cattedrale  era  dedicata 
alla  ss.  Trinità,  l'odierna  lo  è  alla 
ss.  Croce  dalla  preziosa  reliquia  che 
di  questa  ivi  si  venera,  essendovi 
pure  come  si  è  detto  i  corpi  di  s. 
Valeriano  e  compagni  martiri,  ed 
altre  insigni  reliquie  :  vi  sono  pure 
reliquie  della  vera  croce  in  altre 
chiese  della  città.  Questa  cattedrale 
fu  eretta  nei  primi  secoli  del  cristia- 
nesimo e  prima  dell'anno  572: 
non  pare  tuttavia  che  la  chiesa  di 
s.  Croce  sia  stata  allora  cattedrale, 
lo  fu  però  certamente  alcuni  secoli 
prima  del  1000,  e  sembra  che  dap» 
prima  fosse  pure  di  forma  basilica- 
le, come  lo  era  ultimamente,  per 
quanto  si  è  potuto  raccogliere  da- 
gli scavi  fatti  per  le  fondamenta 
della  nuova  chiesa,  che  ora  come 
diremo  si  sta  riedificando,  ma  di 
assai  minore  capacità  della  presen- 
te. In  seguito  alzatosi  il  suolo  della 
città,  fu  riedificata  con  disegno  più 
ampio,  sempre  però  a    tre    navi, 


FOR 

con  archi  a  sesto  acuto,  siccome  si 
conobbe   da    alcuni    di    essi    archi, 
che  ancora  si  scorgevano  al  di  so- 
pra delle  volte.  L'  opera  ebbe  mag- 
gior incremento  nei   primi    del    se- 
colo XV,    quindi  fu  ingrandita  no- 
tabilmente dopo  il   1428,  il  perchè 
dal  vescovo  Alessandro  Numai  for- 
livese   fu    consagrata    a'  20    marzo 
i475.  Questo  tempio    si    aumentò 
progressivamente,  massime  per  le  pie 
largizioni  fatte  da'  fedeli,  per  esser- 
vi stata  nel    i42°*   detto  trasportata 
la  prodigiosa  immagine  della  Beata 
Vergine  del  fuoco,  di  cui  come  del- 
la sua  cappella  se   ne  tenne  di    so- 
pra  proposito.   All' incremento  della 
cattedrale  contribuì  pure   il   favore 
de'  magistrati,  e    principalmente    di 
Monsignor  Capranica  allora  gover- 
natore di  questa  provincia,  il  qua- 
le   concorse    col    suo     peculio    al- 
l'abbellimento della    medesima.  Fu 
in    appresso    che    si    aggiunsero    le 
cappelle  laterali,    e    principalmente 
le  due  maggiori   dette  della  Ferita 
o  Canonica,  e  della  Beata  Vergine 
del   fuoco,  che  davano  alla    Chiesa 
una  ceita  cotal   forma  di  croce  gre- 
ca. Di  poi  verso  il    1 469   'a  porta 
maggiore  di  questa  cattedrale  o  duo- 
mo venne  ornata    delle    statue    dei 
santi   protettori  Mercuriale  e  Vale- 
riano,  postovi  nel    luogo    più    alto 
lo  stemma  degli  Ordelaffi  :  la  por- 
ta fu  lavorata  da    Marino    Cedrini 
veneziano.  L  immagine  della  Beata 
Vergine  detta   anche    la    Madonna 
della  Canonica,  per  esser  dipinta  so- 
pra un  muro  della    strada    antica- 
mente abitata    dai    canonici    vicino 
alla  cattedrale,  facendo  continui  mi- 
racoli    mosse     nel     i49°    Caterina 
Sforza  contessa  di   Forlì,   in  un  al 
divoto  popolo  che   di    frequente  vi 
concorreva  lasciando  copiose  limosi- 
ne,  ad  erigerle  una  magnifica  tri- 


FOR  ago. 

buna  nella  cattedrale,  ed  ivi  tras- 
portarla. Quindi  a'  27  settembre 
diedesi  incominciamento  all'edilizio, 
col  quale  si  aumentò  il  numero 
delle  cappelle  della  cattedrale.  A 
tale  lavoro  si  destinarono  soprain- 
tendenti  quattro  gentiluomini  for- 
livesi, cioè  i  due  canonici  Mattei  e 
Belli,  e  due  secolari  Denti  e  Mo- 
ratlini.  Grandi  furono  le  oblazioni 
che  fece  tutta  la  Romagna,  per  cui 
la  cappella  riuscì  magnifica  :  dal- 
l'Istria e  da  altri  luoghi  si  fecero 
venire  i  marmi  lavorati  da  Gia- 
como di  Lanfranco  da  Caravaggio, 
e  da  altri  scultori;  essendo  lodati 
specialmente  i  fogliami  capricciosi,  e 
le  figure  della  porta  che  guarda  a 
ponente,  opera  di  Simone  fratello 
di  Donatello.  Ne  furono  secondo  il 
Bonoli  gli  architetti  Pace  Bombaci, 
di  cui  è  il  disegno,  Cesare  da  Car- 
pi ,  Silvestro  de'  Sarti  da  Lago 
Maggiore,  e  Cristoforo  da  Forlì, 
perchè  trascorse  del  tempo  per  por- 
tare a  compimento  la  fabbrica,  es- 
sendo terminata  la  cupola  nel  i52  1  : 
non  si  deve  lacere,  che  alcuni  di- 
cono, che  la  cappella  sia  disegno 
del  Brunelleschi,  ovvero  del  pitto- 
re Melozio  da  Forlì.  Nel  secolo 
XVII  la  cappella  venne  ampliata, 
e  fattovi  1'  ornato  di  sasso  con  co- 
lonne di  paragone,  essendo  dentro 
e  fuori  nel  resto  quasi  tutta  di 
marmo:  questa  è  la  cappella  in  cui 
officia  il  capitolo,  e  perciò  chiama- 
ta la  Canonica,  ed  è  la  prima 
delle  due  cappelle  maggiori  ;  1'  al- 
tra, come  di  sopra  accennammo,  fu 
incominciata  nel  1619,  e  fu  con- 
dotta a  termine  con  limosine  pub- 
bliche e  private.  Fu  fatta  presso 
a  poco  del  medesimo  disegno  del- 
l' altra,  e  ne  fu  architetto  il  ram- 
mentato p.  Paganelli  faentino.  Que- 
sta cappella  fu  di  poi  arricchita;    e 


feto  FOfe 

la  tribuna  poi  ove  si  venera  de- 
corosamente la  Madonna  del  fuoco, 
ebbe  compimento  nel  i636,  anno 
in  cui  segui  ivi  il  suo  collocamen- 
to. Nel  1706  vi  fu  collocato  il  su- 
perbo dipinto,  capo  d'opera  di  Car- 
io Cignani  ;  indi  nel  1716  il  Car- 
dinal Fabrizio  Paolucci  vi  fece  l'al- 
tare di  marmi  preziosi,  e  di  bron- 
zi dorati;  e  negli  ultimi  anni  po- 
steriori, a  spese  dei  divoti  e  del  san- 
tuario stesso,  fu  tutta  la  cappella 
rivestita  di  marmi  e  di  stucchi 
dorati,  e  sostituite  alle  due  orche- 
stre di  legno  due  altre  di  marmo. 
Fra  i  vescovi  benemeriti  della  cat- 
tedrale summentovati,  Piergiovan- 
ni  Aleotti  donò  alla  medesima  de- 
gli arredi  sagri  di  valore,  una  cro- 
ce ornata  di  gemme  preziose,  ed  una 
tiara  ,  o  mitra  gioiellata  degna  di 
un  Papa,  non  che  un  tabernacolo 
per  la  custodia  della  ss.  Eucari- 
stia, opera  del  divino  Michelange- 
lo Buonarroti,  tutto  ripartito  in  va» 
rie  intarsiature  di  pietre  finissime, 
abbellito  da  intagli,  cornici,  colon- 
ne e  statuette  :  fu  collocato  all'al- 
tare maggiore,  e  poscia  trasferito 
nella  contigua  cappella  del  ss.  Sa- 
giamento,  decorata  dalle  pitture  del 
valente  forlivese  Livio  Agresti.  Ne' 
Precetti  di  pittura  di  Giambattista 
Armenini,  questo  tabernacolo  è  lo- 
datissimo.  Ma  la  cattedrale  per  la 
sua  antichità  minacciando  rovinare 
nel  184°  per  l'abbassamento  di  al- 
cune colonne,  e  portare  grave  pre- 
giudizio alla  nobilissima  cappella 
della  Madonna  del  fuoco,  l'odierno 
vescovo  monsignor  Tomba,  pieno  di 
fiducia  in  Dio,  nella  B.  Vergine 
del  fuoco,  e  ne' santi  protettori  di 
Forlì,  con  religioso  coraggio  si  pro- 
pose riedificarla,  col  consentimento 
del  capitolo  facendola  demolire,  ec- 
cettuandone   le    due  sontuose    cap- 


FOR 

pelle  della  Canonica,  e  di  quel! 
della  Madonna  del  fuoco.  A  tal 
uopo  si  stabili  di  atterrare  tutto 
il  corpo  di  mezzo  della  chiesa  , 
e  di  aprire  un  concorso  di  ar- 
chitetti, onde  presentassero  un  pro- 
getto di  ricostruzione,  con  che  ri- 
manessero illese  le  due  grandi  cap- 
pelle, e  si  riparasse  a  qualche  difet- 
to di  simmetria,  che  si  scorge  nel- 
le medesime.  Presentati  i  progetti, 
e  sottoposti  al  giudizio  dell'accade- 
mia pontificia  di  s.  Luca,  fu  pre- 
scello  quello  del  forlivese  Giulio  Jan- 
bianchi.  Quindi  ai  3  maggio  1841 
con  solenne  cerimonia  ed  ecclesia- 
stica pompa,  con  gran  concorso  di 
popolo,  pose  la  prima  pietra  nelle  fon» 
damenta  secondo  i  consueti  riti  con 
medaglia  di  argento  appositamente 
coniata  :  questa  da  un  lato  ha  scol- 
pita la  ss.  Croce  raggiante,  sotto 
la  quale  è  1'  iscrizione  :  greg.  xvi 
p.   m.   auspice.   All'intorno  si   legge: 

CRUCI   D.    N.    F0R0LIVIEIVSIUM     PRAESIDIO 

coivsensu  ord.  et  civ.  Nel  rovescio 
poi   avvi    questa    iscrizione:    novum 

TEMPLUM  MAX.  RITE  INCHOATUM  AS- 
NO     MDCCCXXXX1.     VINC.     TOMBA.      PONT. 

n.  praeeunte.  Vi  fu  posta  ancora 
una  piccola  medaglia  d'argento,  che 
porta  1'  effìgie  della  B.  Vergine  del 
fuoco,  e  di  s.  Valeriano,  e  che  ha 
nel  margine  inciso  intorno  :  v.  ivo- 
nas  mah  an.  mdcccxli.  Fu  conia- 
ta nell'anno  1828  in  occasione  del- 
la solenne  centenaria  celebrata  con 
grandissima  pompa  da  monsignor 
de  Angelis,  ora  cardinal  arcivesco- 
vo di  Fermo,  ed  allora  vicario  e 
visitatore  apostolico,  giacché  a  quel- 
1'  epoca  fu  trasportata  la  santa  im- 
magine all'  altare  maggiore  dell'an- 
tica cattedrale  magnificamente  ad- 
dobbata sino  a  parere  una  nuova 
chiesa.  Si  celebrò  solenne  triduo 
cui  intervennero  i    monsignori    Ca- 


FOR 

dolini  vescovo  di  Cesena,  ni  presen- 
te cardinal  vescovo  di  Ancona,  e 
Falconieri  arcivescovo  di  Ravenna, 
ora  cardinale.  Alla  detta  piccola 
medaglia  di  argento  fu  incisa  la 
memorata  iscrizione  nel  iHzJt,  al 
momento  del  gettito  della  prima 
pietra  della  nuova  fabbrica  del 
duomOj  perchè  si  volle  anch'  essa 
porre  ne'  fondamenti,  per  dedicarsi 
il  risorgente  edifizio  alla  ss.  Cro- 
ce, e  alla  B.  Vergine  ed  a  s.  Ya- 
leriano. 

La  nuova  chiesa  è  pure  in  for- 
ma di  basilica,  siccome  la  più  con- 
veniente ad  una  cattedrale,  e  la 
più  adatta  a  nascondere  le  accen- 
nate irregolarità  delle  due  cappel- 
le superstiti.  Essa  è  d' ordine  co- 
rintio, decorata  di  portico,  e  sì  nel- 
l' interno,  che  neh'  esterno  ornata 
di  marmi  a  maggior  solidità  ed 
eleganza  di  questo  sagro  edificio. 
Questo  oggidì  trovasi  pervenuto 
alla  cornice  ;  e  se  la  nota  pietà  dei 
forlivesi  non  manca  all'impresa, 
sperasi  di  vederlo  presto  giunto  al 
suo  compimento.  Va  qui  altamen- 
te lodata  la  religiosa  specialissima 
divozione  che  il  popolo  forlivese 
ha  sempre  professato ,  e  tuttora 
ferventemente  professa  alla  sua  prin- 
cipal  protettrice  Maria  santissima 
del  fuoco.  E  cosa  commovente  il 
vedere  il  concorso  onde  si  affolla 
il  popolo  alla  chiesa  in  tutti  i  gior- 
ni della  novena  preventiva  alla  fe- 
sta, che  si  celebra  il  giorno  anni- 
versario del  miracolo,  eh' è  il  4 
febbraio.  Già  in  tutto  l' anno  la 
cappella  del  santuario  è  in  tutte 
l'ore  frequentata,  e  specialmente 
poi  nei  due  giorni  28  maggio  e 
20  ottobre,  nel  primo  de'  quali  si 
canta  messa  pel  volo  fatto  pel  ter- 
remoto, e  che  cessato  si  continua 
a  solennizzare  quel  giorno,  e  vi  è 


FOR  3<ri 

processione  con  un  paliolto  della 
Beata  Vergine  simboleggiata  por- 
tante in  mano  la  città  di  Forlì,  e 
con  un  concorso  grandissimo;  l'al- 
tro in  cui  si  fa  l'ofhzio  della  tras- 
lazione della  santa  immagine  mi- 
racolosa alla  presente  sua  cappella, 
e  quando  occorrono  tridui  per  al- 
cun pubblico  bisogno.  Ma  nei  gior- 
ni poi  della  novena  ,  e  della  fesla 
solenne  non  è  a  dire  quale  e  quan- 
ta sia  J 'affluenza  del  popolo,  e  la 
divozione  e  i  trasporti  di  lui  verso 
Maria  santissima.  Già  per  tu  Ito 
quel  tempo  si  tronca  il  carnovale, 
moltissimi  digiunano  la  intera  no- 
vena, quasi  tutti  ne  fanno  la  vi- 
gilia e  per  lo  più  in  pane  e  vino, 
tuttoché  non  sia  obbligatoria,  e 
ne  osservano  rigorosamente  la  fe- 
sta, sebbene  non  prescritta ,  colla 
chiusura  delle  botteghe,  cessazione 
de'  lavori,  assistenza  alla  messa  ec, 
e  sebbene  alcun  anno,  venendo 
presto  la  quaresima  rimangono  pri- 
vi del  carnovale,  non  per  questo 
se  ne  lagnano  o  violano  per  nien- 
te la  novena,  la  quale  per  como- 
do delle  {unzioni  incominciasi  sem- 
pre il  24  gennaio ,  e  così  poi  vi 
sono  disgiunti  tre  altri  giorni  di 
gran  concorso  e  divozione,  cioè  la 
Purificazione,  la  vigilia  e  la  festa 
nella  quale  quasi  lutto  il  popolo 
si  accosta  ai  ss.  Sagramenti.  Una 
tale  divozione  si  è  latta  poi  vede- 
re straordinaria  in  questi  quattro 
ultimi  anni,  mentre  dovendosi  tras- 
portare la  miracolosa  immagine 
nei  giorni  della  novena  e  festa 
nella  chiesa  di  s.  Mercuriale,  a  mo- 
tivo della  fabbrica  del  nuovo  duo- 
mo, che  non  dava  luogo  a  con- 
corso di  popolo,  pure  si  è  veduta  ac- 
crescere la  divozione,  e  il  popolo  in 
folla  accorrere  lutto  'I  giorno  a 
venerare  la  sagra  inani,  gine,  e  ve- 


3o2  FOR 

gliarvi  in  parte  la  notte,  e  quasi 
per  dir  così  la  intera  città  uscire 
ad  accompagnarla  nel  trasporto,  in 
mezzo  ai  plausi,  ed  alle  grida  non 
interrotte  di  Viva  Maria,  ed  al 
pianto  quasi  universale:  ne  hanno 
impedito  questi  segni  di  divozione 
affettuosa  ne'  primi  due  anni  le 
nevi  a  dirotto  cadenti ,  che  abbi- 
sognava portare  la  santa  immagi- 
ne in  carrozza ,  che  anzi  pareva 
che  facessero  a  gara  i  di  voti  in 
mezzo  ai  ghiacci  e  alle  nevi  a  ti- 
rare la  carrozza,  e  coi  lumi  e  coi 
plausi  e  colla  molta  folla  del  po- 
polo addimostrare  il  loro  fervore. 
Il  capitolo  della  cattedrale  si 
compone  di  due  dignità,  cioè  del- 
l'arcidiacono e  del  primicerio,  i 
quali  per  privilegio  vestono  l'abito 
prelatizio,  di  sedici  canonici  fra  i 
quali  vi  è  il  penitenziere  ed  il  teo- 
logo, di  nove  beneficiati  o  mansio- 
nari, e  di  altri  preti  e  chierici  ad- 
detti al  servigio  divino  :  un  cano- 
nico coadiuvato  da  un  prete  ha 
la  cura  delle  anime  della  cattedra- 
la ,  ov'è  il  fonte  battesimale.  In 
quanto  all'  antico  capitolo  è  a  sa- 
persi, che  sino  al  iit^S  dal  vesco- 
vo di  Forlì  unitamente  al  legato 
a  lalere  del  Papa  erasi  stabilito  , 
che  attesa  la  tenuità  delle  rendite 
della  chiesa,  non  si  avesse  ad  au- 
mentare il  numero  dei  canonici  a 
più  di  nove,  compresovi  l' arcidia- 
cono ;  e  tale  decreto  ebbe  confer- 
ma da  Innocenzo  IV.  Poscia  que- 
sto Pontefice  concesse  facoltà  di  ac- 
cettare in  canonici  due  sacerdoti  : 
conforme  a  tale  licenza  nomina- 
ronsi  a  cane  liei  un  sacerdote  ed 
un  chierico  in  minoribus,  ed  il  Pa- 
pa cui  si  ricorse  e  ch'era  Clemen- 
te IV,  nel  1266  approvò  in  Vi- 
terbo tal  elezione.  In  progresso  il 
capitolo    s'\   compose    delle    dignità 


FOR 

dell'arcidiacono,  del  preposto,  e  del 
primicerio  ,  oltre  i  canonici  e  man- 
sionari; quindi  nel    i5ig  Leone  X. 
vi  aggiunse  la  dignità   di    arcipre- 
te. Oltre  la  cattedrale    vi    sono  ita 
Forlì  altre  sette  parrocchie  :  prima 
del  pontificato  di    Benedetto   XIV 
aveva  il  battisterio  ancora  la  chie- 
sa arcipretale  della  ss.  Trinità,  già 
antica  cattedrale,  come  rilevasi  dal- 
l' iscrizione  esistente  nel  luogo  ove 
era   il   battisterio,  fatta  dal  p.  Gua- 
stimi abbate  camaldolese.    Al  pre- 
sente oltre  il  sagro  fonte  della  cat- 
tedrale, ve  ne  ha  uno    nell'antica 
chiesa  primiceriale  di  s.  Tommaso 
apostolo  in  s.  Mercuriale,  ed  altro 
nella  piccola  chiesina  dello  Speda- 
le, che  serve  soltanto  per  gli  espo- 
sti. Le    corporazioni    religiose   che 
sono  ora    in    Forlì    si    riducono  a 
sette  di  regolari,  e  tre  di  monache. 
I   primi  sono  i  domenicani,  i   mo- 
naci camaldolesi,   i  carmelitani  cal- 
zati,   i  servi  di    Maria    ripristinati 
per    le    cure   di    monsignor    Grati 
vescovo  di  Callinico  del  medesimo 
ordine  nel  santuario    di    s.    Pelle- 
grino Laziosi  dietro  rescritto    pon- 
tificio, per  cui  fu  subito  ceduta  la 
chiesa  ai  serviti,    i    quali    compra- 
rono il  contiguo    convento;    i    mi- 
nori osservanti,  i    cappuccini,    e    i 
gesuiti    che  hanno  pubbliche  scuo- 
le con  grande  vantaggio  della  gio- 
ventù.  Le  religiose  sono  le    mona- 
che camaldolesi  di  s.    Caterina,    le 
Clarisse  del   Corpus    Domini,    e    le 
francescane.  L' origine   dei  religiosi 
d'ambo  i  sessi    in    Forlì ,  tanto  di 
quelli  sussistenti,  che  di  quelli  che 
a    cagione    delle    politiche    vicende 
non  sono  più,  la  riportiamo  al  ter- 
mine di  questo   articolo.    Vi    sono 
pure  due  orfanotrofi,  diverse    con- 
fraternite   e  pie   istituzioni    di    ca- 
nta cristiana,  l'ospedale  ,  il   monte 


FOR 

di  pietà,  e  il  seminario:  da  ulti- 
mo nel  1 834  andò  in  attivila  la 
compagnia  del  Redentore  nella  chie- 
siua  dell'  ospedale  maggiore.  Sugli 
stabilimenti  di  beneficenza  e  d'i- 
struzione trattò  il  sullodato  Sesto 
Matteucei.  L'  episcopio  è  distante 
dalla  cattedrale,  ed  ogni  nuovo  ve- 
scovo è  tassato  ne'  libri  della  came- 
ra apostolica  in  fiorini  centocinquan- 
ta. Segue  per  ordine  alfabetico  lo 
stabilimento  dei  regolari  d'ambo  i 
sessi  in  Forlì. 

agostiniani  eremitani.  Antichis- 
sima è  la  loro  introduzione  in 
Forlì,  ed  ebbero  la  chiesa  di  s.  Si- 
gismondo detta  poi  s.  Agostino. 
In  questa  chiesa  l'anno  1 38 1  fu- 
rono celebrate  solenni  esequie  ai 
cadaveri  di  Francesco  Ordelaflfo  il 
Grande,  e  di  Maria  sua  consorte 
trasferiti  da  Venezia,  coll'assistenza 
dei  seicento  agostiniani  ivi  adunati 
per  la  celebrazione  del  capitolo  ge- 
nerale ;  ma  venuti  tra  loro  in  gra- 
te questione,  nel  giugno  la  chiesa 
e  il  convento  fu  dato  agli  agosti- 
niani riformati  della  congregazione 
di  Lombardia.  Questi  religiosi  au- 
torizzati dal  cardinal  Cossa  legato 
di  Innocenzo  VII  ,  a'  2  maggio 
i4o5  rimossero  il  corpo  di  s.  Si- 
gismondo martire  e  re  di  Francia 
o  duca  di  Rorgogna,  collocato  sul- 
l'altare principale  posto  nel  mezzo 
della  chiesa,  e  lo  trasferirono  nel 
nuovo  altare  maggiore  in  capo  alla 
chiesa,  a  quella  parte  che  si  u- 
nisce  al  coro. 

Camaldolesi.  Nel  1202  Oliviero 
Migliocci  forlivese  donò  una  pos- 
sessione con  casale  ai  monaci  ca- 
maldolesi, per  cui  con  altri  sussi- 
dii  del  vescovo  Giovanni,  eressero 
il  loro  monistero  con  chiesa  sotto 
il  titolo  di  s.  Maria,  e  nell'anno 
seguente  essendo  Sanguigno  preto- 


FOR  3o3 

re  della  città,  gli  furono  concessi 
dal  pubblico  molti  privilegi  ed  e- 
senzioni.  Dipoi  nel  12.40  venne  il 
monistero  a  miglior  forma  ridotto, 
e  dichiarato  dal  vescovo  Richelmo 
esente  ed  assoluto  in  perpetuo  dal- 
la giurisdizione  episcopale,  per  ro- 
gito di  Giacomo  Segaferri  in  data 
i3  ottobre.  In  seguito  il  luogo  si 
appellò  Camaldoli  e  Camaldolino , 
dappoiché  verso  il  1  f\$o  essendo 
diminuito  il  monistero,  venne  ri- 
dotto dentro  la  città ,  e  concesso 
ai  monaci  quello  di  s.  Salvatore,  già 
monistero  di  monache  camaldolesi, 
le  quali  restate  poche  di  numero  su- 
perstiti alla  peste,  furono  aggrega- 
te al  monistero  di  s.  Caterina.  In 
tal  modo  rimasto  s.  Salvatore  ai 
monaci  crebbe  e  fu  ampliato,  tal- 
ché nella  riforma  della  congrega- 
zione l'anno  i5i  3,  si  annovera  per 
uno  de'diciassette  monisteri  prin- 
cipali de'  camaldolesi.  E  qui  va 
avvertito  eh'  erano  in  Forlì  altri 
due  monisteri  di  monache  camal- 
dolesi, cioè  di  s.  Caterina,  e  di  s. 
Mattia  ;  diminuiti  questi  per  le  ci- 
vili discordie  furoro  incorporati  a 
quello  di  s.  Salvatore  circa  il  1 433  ; 
in  seguito  per  la  peste,  come  di- 
cemmo, avvenuto  altrettanto  a  quel- 
lo di  s.  Salvatore  fu  unito  a  s. 
Caterina,  e  s.  Salvatore  dato  ai 
monaci.  All'epoca  repubblicana  le 
ceneri  del  beato  Geremia  Lamber- 
tenghi,  dalla  chiesa  del  di  lui  or- 
dine di  s.  Francesco  di  Valverde 
furono  trasportate  nella  chiesa  dei 
camaldolesi,  indi  a  qualche  anno 
dopo,  a  cura  e  spese  del  canonico 
Gaspare  Guiducci,  già  provinciale 
del  terz'ordine,  fatte  depositare  a 
pubblica  venerazione  nella  cappel- 
la della  Beata  Vergine  della  Fe- 
rita, detta  comunemente  della  Ca- 
nonica,   in  cattedrale.    L'epoca    in 


3o4  FOR 

cui  tornarono  i  camaldolesi  in  For- 
lì, dopo  le  suddescritte  vicende, 
appellati  monaci  bianchi  dal  co- 
lore dell'abito  loro,  è  il  7  luglio 
1822. 

Canonici  regolari.  Morto  l'ere- 
mita Pietro  Durazzo,  di  cui  parlam- 
mo di  sopra,  la  chiesa  della  Ma- 
donna delle  Grazie,  ove  quello  di- 
morava ed  ebbe  onorata  sepoltura, 
con  l'abitazione  e  sue  pertinenze, 
da  Pino  Ordelaffi  a1  6  aprile  1 477 
fu  concessa  alla  congregazione  dei 
canonici  regolari  del  ss.  Salvatore , 
die  a'  29  maggio  ne  domandarono 
ed  ottennero  la  conferma  da  Sisto 
IV.  Ne  fu  primo  superiore  d.  Lo- 
dovico Orlandiui  da  Forlì ,  di  tal 
dottrina  ed  integrità  di  vita  che 
dieci  volte  fu  eletto  generale  di  sua 
congregazione.  Ricusò  la  mitra  di 
sua  patria,  ed  intervenne  al  conci- 
lio di  Trento.  In  questo  moniste- 
ro,  come  si  disse,  vi  fu  Giulio  II 
per  alcuni  giorni. 

Cappuccini.  Verso  l'anno  i55i 
si  stabilirono  in  città,  mentre  pri- 
ma stavano  fuori  le  mura,  non  lun- 
gi a  porta  Gotogni  nel  luogo  det- 
to i  Cappuccini.  Ebbero  la  chiesa 
di  s.  Gio.  Battista,  ove  edificarono 
il  convento  con  numerosa  famiglia 
di  frati.  Molti  forlivesi  cappuccini 
ivi  si  sono  distinti  per  santità  e  dot- 
trina ,  come  due  frati  Angeli ,  fr. 
Modesto,  fr.  Giovanni  ,  ed  in  par- 
ticolare fr.  Girolamo  Torelli  insigue 
predicatore,  morto  nel  i566.  Fr. 
Girolamo  Paolucci,  chiamalo  l'apo- 
stolo della  Madonna,  per  la  divo- 
zione che  ne  propagava,  e  per  es- 
sere stato  il  primo  a  coronare  so- 
lennemente le  sagre  immagini,  e 
per  avergli  eretto  chiese  e  cappel- 
le colla  sola  limosina  raccolta  in 
una  predica,  nelle  quali  era  valen- 
tissimo: morì    in  Parma  nel  1260. 


FOR 
Nel  i564  i  cappuccini  tennero  in 
questo  convento  il  XII  loro  ge- 
nerale capitolo,  in  cui  restò  eletto 
generale  fr.  Evangelista  da  Carnolio. 
Dopo  che  i  cappuccini  nelle  politi- 
che vicende  andarono  soppressi,  ri- 
tornando in  Forlì  nel  1822  ebbe- 
ro non  l'antico  convento,  ma  quel- 
lo dei  religiosi  trinitari  del  riscat- 
to, così  delti  della  Madonna  de'  fio- 
ri, fuori  di  porta  s.  Pietro,  con  la 
chiesa  de'  ss.  Vito  e  Modesto,  dai 
cappuccini  acquistato  dal  marche- 
se Luigi  Paulucci  de'  Calboli. 

Carmelitani.  Nel  1 3  48  Peppo  di 
Orabone  Oraboni  e  Caterina  coniu- 
gi ,  dierono  incominciamento  nelle 
proprie  case  alla  chiesa  e  convento 
della  ss.  Annunziata  in  Forlì  ,  in- 
troducendovi i  carmelitani  ;  questo 
fu  il  primo  convento  che  tali  reli- 
giosi ebbero  nella  provincia,  la  qua- 
le comprende  la  Romagna  e  la 
Marca. 

Domenicani.  Verso  il  1229  que- 
sti religiosi  incominciarono  in  Forlì 
il  loro  convento,  in  seguito  accre- 
sciuto ed  abbellito,  ed  in  cui  fio- 
rirono religiosi  insigni  in  virtù  e 
letteratura.  A  mediazione  del  p. 
Tommaso  Massa  forlivese  priore, 
Giulio  Antonio  Fiorini  eresse  una 
magnifica  cappella  in  detta  chiesa 
ai  beati  Marcolino  e  Carino,  i  cui 
corpi  vi  furono  collocati  nel  1659: 
in  egual  tempo  in  mezzo  al  chio- 
stro fu  eretta  una  colonna  di  mar- 
mo, con  sopravi  la  statua  di  s.  Do- 
menico di  metallo  dorato. 

Eremitani  girolamini.  Questi  re- 
ligiosi di  s.  Girolamo  della  congre- 
gazione del  b.  Pietro  da  Pisa,  nel 
i5io  ebbero  la  chiesa  di  s.  Maria 
fuori  le  mura  vicino  a  porla  Schia- 
vonia,  ove  edificarono  il  convento. 
Siccome  poi  da  quel  lato  si  domi- 
nava  la  città,    perciò   la   chiesa    e 


FOR 

convento  nel  i55i6  vennero  demoliti 
d'ordine  di  Antonio  Caraffa  nipo- 
te di  Paolo  IV  e  generale  della 
Chiesa,  e  ciò  per  sospetto  di  guer- 
ra, stante  1'  esercito  francese  calato 
in  Italia,  e  che  poi  si  effettuò  con 
quella  che  Fdippo  II  re  di  Spagna 
dichiarò  al  Pontefice.  Quindi  a'  2 1 
settembre  i  girolainini  vennero  in- 
trodotti in  città,  e  loro  data  la 
chiesa  di  s.  Michele  de'  battuti  ros- 
si. Rifabbricata  poi  nel  1D70  la 
chiesa  fuori  di  Forlì  sotto  il  titolo 
della  Madonna  del  Voto,  per  vari 
prodigi  ivi  operati  da  un'immagi- 
ne della  ss.  Vergine,  nel  iS'jZ  ven- 
ne di  nuovo  con  cura  di  anime 
concessa  ai  medesimi  eremitani  gi- 
rolamini.  Nel  secolo  XVII  rovinata 
di  nuovo  la  chiesa  e  il  convento 
dall'impeto  del  vicino  fiume,  si 
riedificò  in  forma  più.  angusta,  ed 
un  solo  vi  rimase  de'  religiosi  alla 
cura  delle  anime,  e  questo  tolto 
per  decreto  d'  Innocenzo  X  ,  come 
per  altri  dichiarati  conventiui  av- 
venne ad  altre  congregazioni  reli- 
giose sì  in  Forlì  che  altrove,  per 
cui  ai  girolamini  restò  il  solo  con- 
vento di  s.  Michele  in  città. 

Filippini.  Fabrizio  dall'Aste  pre- 
te forlivese  fu  il  fondatore  della 
congregazione  di  s.  Filippo  in  que- 
sta città,  erigendo  colle  sue  indu- 
strie e  sussidi  sulle  rovine  del  pa- 
lazzo Orsi  l'elegante  chiesa  e  l'an- 
nesso convento:  in  odore  di  santi- 
tà morì  nel  i655. 

Gesuiti.  Nel  \5Zf  s.  Francesco 
Saverio,  uno  de'  primi  soci  di  s.  1- 
gnazio  fondatore  della  compagnia 
di  Gesù,  eletto  poi  per  protettore 
di  Forlì,  portandosi  a  Bologna,  si 
fermò  nell'  ospedale,  donde  lo  tras- 
se a  casa  sua  il  canonico  Girola- 
mo Casalini  forlivese  rettore  di  s. 
Lucia,  ove  poi  i  gesuiti  fondarono 
voi.  xxv. 


FOR  fcl 

un  magnifico  collegio.  Indi  nel 
i558  s'introdusse  la  compagnia  in 
Forlì  dal  vescovo  Piergiovanni  Aleot- 
ti  forlivese,  il  quale  gli  fece  dota- 
zione e  dono  tra  le  altre  cose  del 
prezzo  di  uno  scrigno  o  sia  studio- 
lo già  annesso,  dicono,  a  quello  che 
serve  di  tabernacolo  in  duomo,  sti- 
mato dagli  intendenti  sei  mila  scu- 
di,  e  venduto  a  Paolo  III  o  IV  che 
lo  mandò  al  re  di  Spagna.  I  gesuiti 
prima  dimorarono  in  s.  Gio.  Bat- 
tista ,  poi  dato  ai  cappuccini ,  indi 
nel  1567  dai  battuti  turchini  che 
trasferironsi  alla  chiesa  di  s.  Ber- 
nardo, per  cui  gli  cederono  la  pro- 
pria chiesa  di  s.  Antonio  nel  bel 
mezzo  di  Forlì  sulla  contrada  di 
Schiavonia.  Questa  fu  dai  gesuiti 
ampliata,  dando  cominciamento  ad 
un  nobile  edifizio  ed  al  collegio  sot- 
to gli  auspicii  di  s.  Francesco  Bor- 
gia allora  generale  della  compagnia; 
e  fu  il  primo  collegio  che  fondaro- 
no i  gesuiti  in  Romagna,  com'  era 
accaduto  ad  altre  religioni  che  da 
Forlì  diramaronsi  poscia  per  la 
provincia.  Nel  i584  Dorotea  figlia 
del  duca  di  Lorena  i  e  moglie  del 
duca  Enrico  di  Brunswick -Lune- 
burgo,  denò  ai  gesuiti  di  Forlì  la 
statuetta  della  ss.  Vergine  detta  di 
Germania,  la  quale  sagra  imma- 
gine essendo  in  un  monistero  di 
quella  provincia,  che  fu  preso  e  pro- 
fanato dagli  eretici,  fu  da  Dorotea 
involata.  In  occasione  che  nel  1600 
i  religiosi  dalla  sagrestia  trasferirono 
in  chiesa  la  statuetta, si  avvidero  che 
racchiudeva  un  pezzo  della  destra 
manica  dell'abito  della  B.  Vergine 
Maria,  la  quale  insieme  ad  un  pezzo 
della  fascia  di  Gesù  infante,  e  ad 
alcune  anella  della  catena  di  s.  Pie- 
tro si  stabilì  esporsi  alla  pubblica 
venerazione.  Dei  prodigi  fatti  dalla 
detta  sagra  immagine,  ne  tratta  il 
20 


3o6  FOK 

sommario  stampato  nel  iGo3  dal 
collegio  Partenio  di  Forlì,  e  ne  fa 
menzione  anche  il  p.  libò  gesuita 
ne'  suoi  Sabati  ed  esempi  della  Ma- 
dot  ina. 

Minori  conventuali.  Il  convento 
e  custodia  de'miuori  conventuali  di 
Forlì,  già  esistente  in  queste  parti 
sino  ai  tempi  di  s.  Francesco  e  s. 
Antonio,  per  beneplacito  d' Inno- 
cenzo., IV  fu  di  fuori  cb' egli  era 
introdotto  in  città  ;  ed  ebbero  la 
celebrazione  del  loro  capitolo  ge- 
nerale nel  contiguo  convento  di 
s.  Francesco  nell'  anno  1 42  i  e 
nel  i5ii.  L'antica  chiesa  dei  con- 
ventuali era  nella  piazza  di  s.  Fran- 
cesco ;  i  religiosi  la  demolirono,  e 
ne  fabbricarono  una  nuova,  che 
nel  tempo  dell'  invasione  francese 
fu  distrutta. 

Minori  osservanti.  Nel  1422  fon- 
darono il  convento  nelle  case  di 
Francesco  Ordelaffì,  dipoi  accresciu- 
to, essendone  stato  fondatore  il  p. 
Giacomo  Primadicci  bolognese  ,  di 
«anta  vita.  Dipoi  nel  i65g  il  p. 
Angelo  Soriano  guardiano  di  que- 
sto convento  lo  migliorò,  e  in  det- 
to anno  ivi  si  tenne  il  concilio  pro- 
vinciale con  molto  concorso  e  so- 
lennità. Fedì  Meni,  islor.  de'conv. 
de'miuori  riformati  della  provincia 
di  Bologna,  del  p.  Flaminio  da 
Parma  :  del  convento  di  s.  Giro- 
lamo. Dopo  le  narrate  vicende,  re- 
stituendosi i  minori  osservanti  in 
Forlì,  non  ritornarono  in  s.  Giro- 
lamo, ma  bensì  nel  locale  o  chiesa 
di  Valverde  già  dei  religiosi  Tre- 
beccanti,  o  sia  del  terz' ordine  di 
s.  Francesco. 

Paolotti.  Nel  161 4  s'introdusse- 
ro in  Forlì,  edificando  sul  borgo 
Gotogni  ora  Pio  il  loro  convento 
e  chiesa  :  questa  al  presente  è  la 
chiesa    paroccbiale    di    s.    Giacomo 


Maggiore,  detta  di  s.  Lucia,  ■  cui 
nel  1829  il  più  conte  Domenico 
Matteucci  terminò  la  farcia ta  esterna. 

Servi  di  Maria.  \  uoUi  che  il 
loro  convento  avesse  principio  nel 
19.84,  e  perciò  uno  de' più  antichi 
della  Romagna.  Ivi  nella  eliiesa  fu 
tumulato  il  corpo  di  Ir.  Pellegrino 
Laziosi  nel  i34t>,  poi  beatificato  e 
canonizzato,  anzi  il  di  lui  corpo  iu 
nel  1640  trasferito  solennemente 
nella  magnifica  eappella  a  lui  eret- 
ta. In  questo  convento  nel  1 5 1  1 
si  -tenne  dai  serviti  il  capitolo  ge- 
nerale. Agli  11  novembre  1 83 5  i 
serviti  furono  ripristinati  in  Forlì, 
come  si  è  detto,  non  neli'  antico 
convento ,  ma  nella  casa  attigua 
alla  loro  chiesa,  da  essi  religiosi 
acquistata. 

Terziari.  11  terzo  ordine  di  s. 
Francesco  nel  1*221  da  esso  fon- 
datore immediatamente  istituito,  da 
Nicolò  IV  confermato  nel  1289,  e 
nel  i3oo  dichiarato  ordine  reli- 
gioso, nel  tempo  stesso  venne  in- 
trodotto in  Forlì,  avendosi  la  chie- 
sa di  s.  Maria  di  Valverde  dall'ab- 
bate di  s.  Mercuriale.  Fra  Pietro 
Negri  da  Sernia  n'ebbe  investitura 
a  vita,  del  1 4-72  n<  Ambrogio  da 
Milano,  e  morto  questi  il  p.  Gio- 
vanni da  Verona  generale  l'ebbe 
con  orti  e  case  in  dono  per  sé 
stesso  e  suoi  religiosi  successori.  I 
religiosi  rifabbricarono  ia  chiesa  an- 
nessa, che  fu  poi  consagrata,  aven- 
do nell'altare  della  ss.  Annunziata 
il  corpo  del  b.  Geremia  Lamber- 
teughi  del  medesimo  ordine ,  in 
elegante  cappella. 

V allombrosani.  Pochi  anni  dopo 
la  morte  dì  s.  Gio.  Gualberto  fon- 
datore della  congregazione  de'  mo- 
naci vallombrosani  benedettini,  la 
quale  verso  il  1080  conseguì  nel 
territorio  forlivese  s.   Manu  di  Fin- 


FOR 
orano,  e  poi  la  pie\e  di  s.  Stefano 
<na  s.  Mercuriale  e -già  abbazia,  ad 
aiuunnUtrorvi  i  sacramenti.  Gio- 
\ m tini  Nomai  \esco\o  ili  Forlì,  mor- 
to nel  141  1,  era  stato  iibbate  com- 
mendatario di  s.  Mercuriale,  giac- 
ché non  essendosi  i  monaci  uniti 
alla  congregazione,  quando  questa 
abolì  le  abbazie  separale,  l'abbazia 
di  s.  Mercuriale  era  stata  dichiara- 
la commenda  .  Così  procederouo  le 
(<>>e  tino  ai  tempi  di  Girolamo 
Riaria,  allorché  l'abbate  Nicola  Bar- 
loliui  forlivese,  nel  1487  'a  rinunziò 
ccn  pernione  d'annui  trecento  du- 
cali ai  monaci  della  congregazione, 
i  quali  vivevano  a  Fiumana,  ed 
allora  tornarono  ad  abitare  in  For- 
lì. Nel  contiguo  monastero  nell'  a- 
prile  del  1  5/yo  i  valìombrosani  ten- 
nero il  loro  primo  capitolo,  in  cui 
si  devenne  alia  elezione  de'  primi 
generali   di    triennio. 

In  quanto  alle  monache,  dei  tre 
monasteri  delle  carnoldolesi,  lo  di- 
cemmo parlando  dei  monaci  delia 
medesima  congregazione.  Ai  1 3  ot- 
tobre 1245  il  capitolo  di  Foilì 
accordò  facoltà  alle  monache  di  s. 
Domenico  di  edificare  il  loro  mo- 
nastero, dotalo  la  prima  volta  dal- 
la comune;  per  cui  le  monache  si 
obbligarono  somministrare  al  capi- 
tolo una  libbra  d' incenso  per  la 
lesta  dell' Invenzione  deila  ss.  Cro- 
ce, assuntosi  tale  obbligo  F.  On- 
dedeo  lòndatore  del  monastero . 
Questo  monastero  nel  i5ì2,  fu 
soggetto  alla  riforma  per  introdur- 
vi quella  di  Lombardia,  per  la  qua- 
le vennero  mandate  dal  monastero 
di  s.  Caterina  da  Siena  di  Ferrara 
selle  monache,  la  prima  delle  qua- 
li fu  Samaritana  Calcagnine  Pino 
Ordelaffi  cominciò  il  monastero 
delle  monache  osservanti  ,  dette 
della  Torre,    che  poi  compì    verso 


FOR  307 

il  i486  Girolamo  Riario.  Nel  i653 
ebbe  principio  il  monastero  delle 
monache  cappuccine  sul  borgo  Go- 
togni,  e  poscia  la  chiesa  dedicata 
a  s.  Elisabetta  regina  d'  Ungheria. 

11  monastero  delle  monache  di 
s.  Febronia  s'incominciò  nel  166 1  , 
mentre  le  monache  di  s.  Chiara  a 
tale  anno  diedero  termine  alla  loro 
chiesa.  Le  monache  di  s.  Febronia 
dette  comunemente  le  Paoline,  nel 
i8o5  furono  concentrate  ed  unite 
colle  monache  di  s.  Cecilia  in  s. 
Chiara,  le  quali  non  erano  state 
soppresse  neh'  epoca  repubblicana. 
Nell'anno  1810  l'imperatore  Na- 
poleone emanò  il  decreto  della 
soppressione  de' regolari  d'ambo  i 
sessi  restati  in  Forlì,  cioè  dei  mi- 
nori osservatili  di  s.  Girolamo,  dei 
cappuccini,  dei  filippini,  non  che 
delie  monache  cappuccine  ,  delle 
adoratrici  del  ss.  Sagramento ,  e 
di  queste  di  s.  Cecilia  in  s.  Chiara. 
Vi  ha  pure  il  monastero  delle 
monache  Clarisse  del  Corpus  Do- 
mini, francescane  così  dette  perchè 
adoralrici  del  ss.  Sagramento,  eret- 
to dall'ex  gesuita  d.  Andrea  Miche- 
lini  di  Bologna  nel  1786,  onde 
da  lui  furono  pur  chiamate  Miche- 
line,  nel  luogo  ove  era  quello  delle 
monache  convertite:  l'antica  chiesa 
ristorata ,  e  la  nuova  fabbricata 
ebbero  compimento  nel    170,4. 

FORLIMPOPOLI.  Citta  già  ve- 
scovile, ed  ora  abbazia  nullius  del- 
la basilica  di  s.  Pietro,  dello  stato 
pontificio,  nella  legazione  di  Forlì. 
Questa  antichissima  città  della  Gal- 
lici Togata,  fu  uno  dei  quattro  Fo- 
ri sulla  strada  Emilia  ,  dei  quali 
fa  menzione  Plinio,  cioè  Forum  Li- 
vii  ossia  Forlì,  Forum  Pompi  Hi  o 
Forlimpopoli,  Forum  Cornrìii  o  I- 
mola,  e  Forum  Novum  ora  Forno 
o  Forno vo,  ov'è  il  maguifico  tempio 


3o3  FOR 

di  s.  Maria  delle  Grazie,  di  cui 
parlammo  all'  articolo  Forti  [Fe- 
di). Forlim popoli  è  posta  in  una 
pianura  sulla  via  Emilia,  a  poca 
distanza  dagli  ameni  colli  di  Ber- 
tinoro,  ad  otto  miglia  da  Cesena, 
a  cinque  da  Forlì  per  dove  si  at- 
traversa sopra  un  ponte  di  legno 
(il  quale  si  ha  speranza  che  quanto 
prima  si  rifabbrichi  di  pietra  a 
mezza  strada)  il  fiume  Ronco,  me- 
morabile per  le  vittorie  de' forlive- 
si sui  Malatesta:  a  sinistra  di  esso 
era  un  forte  castello  detto  del  Ron- 
co, ove  stanziò  Francesco  Sforza  mo- 
vendo contro  gli  Ordelaffi,  essendo- 
vene  vestigio  in  una  chiesuola.  For- 
limpopoli  fu  una  di  quelle  città  in 
cui  i  magistrati  romani  tenevano 
le  loro  corti  di  giustizia,  ed  una  di 
quelle  de' quattro  loro  tribunali  su- 
periori. Ma  distrutta,  come  diremo, 
dai  longobardi,  e  sebbene  venisse  poi 
dai  forlivesi,  ed  anche  dai  Pontefi- 
ci rifabbricata,  e  munita  pure  di 
fortificazioni,  non  potè  più  tornare 
all'antico  suo  lustro  e  florido  sta- 
to. E  tuttavia  popolata  nel  mura- 
to suo  recinto  di  un  miglio  da 
ben  duemila  e  duecento  abitanti, 
oltre  ad  altrettanti  sparsi  ne!  suo  con- 
tado, ristretto  ma  fertile  assai  di  bia- 
de, vini,  seta  e  canapa;  laonde  tra 
per  questo,  e  per  la  vicinanza  delle 
altre  città  e  terre  per  le  comode 
strade  che  ogni  di  si  restaurano,  è 
fatta  centro  a  floridissimi  mercati 
settimanali,  pei  quali  n'ebbe  privi- 
legio fino  da  Giulio  II  nel  i5o4- 
Ha  una  insigne  collegiata  sagra  a 
s.  Rumilo,  il  primo  vescovo  di  cui 
si  abbia  chiare  notizie,  con  quin- 
dici canonici ,  con  altre  sette  chie- 
se, e  un  monastero  con  educandato 
di  monache  agostiniane,  unico  or- 
dine regolare  ripristinato  dei  tre 
che  prima  vi    erano.    Conta  dodici 


FOR 
ben  corredate  confraternite,  di  cui 
alcuna  numerosa  di  oltre  a  cento 
individui.  Possiede  un  dovizioso 
monte  di  pietà,  un  ospedale  già 
prima  destinato  a  solo  ricovero  dei 
pellegrini,  e  che  ora  per  pia  libe- 
ralità del  suo  cittadino  d.  Luigi  Sal- 
laghi, defunto  nel  i832,  può  ricet- 
tare e  soccorrere  tutti  gì'  infermi  e 
invalidi  della  città  e  suo  territorio. 
Altro  benefico  concittadino,  il  dot- 
tore Ippolito  Massi,  nel  1840  prov- 
vide largamente  alla  istruzione  del- 
la gioventù,  legando  il  suo  ricco 
patrimonio  di  oltre  quaranta  mila 
scudi  al  mantenimento  di  giovani 
nei  collegi  ed  università  dello  stato. 
A  premure  del  rispettabile  capi- 
tolo vaticano  ordinario,  si  ottenne 
dai  pompiliesi  e  dal  Pontefice  Cle- 
mente XIII,  con  sua  bolla  del  pri- 
mo ottobre  1767  l'erezione  dell'o- 
pera pia,  e  l'erogazione  dei  redditi 
di  alcuni  pingui  benefizi  ecclesiastici, 
di  che  piuttosto  abbondava  la  cit- 
tà, alla  istruzione  cioè  di  alcuni 
chierici  in  taluno  dei  più  rinoma- 
ti seminari.  La  sua  piazza  è  vasta, 
quadrata,  adorna  di  regolari  edifi- 
zi,  e  le  sue  strade  sono  ampie,  di- 
ritte, pulite.  Vi  si  vedono  ancora 
gli  avanzi  della  forte  sua  rocca,  ove 
Giulio  II  e  Paolo  III  pernottarono 
nel  transitare  per  questa  città.  Do- 
po che  Sinibaldo  Ordelaffi  riedifi- 
cò Forlimpopoli,  e  dopo  esservi  ri* 
entrata  buona  parte  dei  dispersi 
cittadini,  ciò  che  avvenne  nel  i38o, 
il  Pontefice  Urbano  VI  confermò 
il  titolo  di  città  che  precedentemen- 
te godeva,  non  come  altri  scrisse- 
ro ,  allora  la  dichiarò  città,  ciò 
che  confermò  pure  Leone  XII  ai 
2  3  dicembre  del  1828,  perchè  tal 
titolo  col  tempo  era  andato  in  di- 
menticanza. Della  famosa  abbazia 
detta  di  s.    Rumilo  dal  suo    primo 


FOR 
vescovo  e  patrono,  già  dell' ordine 
di  s.  Benedetto,  ora  soggetta  al  ca- 
pitolo vaticano ,  che  vi  tiene  un 
vicario  generale,  la  cui  chiesa  ere- 
desi  eretta  sulle  rovine  d'un  tem- 
pio d'Ercole,  e  ricolmata  di  privi- 
legi da  Benedetto  VII,  Alessandro 
HI  ed  altri  Papi,  non  che  da  Ot- 
tone III  ed  altri  imperatori,  se  ne 
tratta  in  fine  di  questo  articolo.  In 
quanto  alla  città  altri  molti  ponte- 
fici romani  furono  generosi  di  gra- 
zie e  privilegi  verso  d'essa,  special- 
mente Giulio  II,  Leone  X,  Adria- 
no VI,  Paolo  III,  Pio  IV,  e  Si- 
sto V. 

Forlimpopoli     venne    denomina- 
ta   Popilia,  o  Foro   di    Popilio,    o 
Pompilio,  e  perciò  i   suoi    abitanti 
popiliesi    o  pompiliesi,  dal  suo  fon- 
datore di  tal   nome,  su   di  che  av- 
vi   questione,    nel  sapere  cioè   qual 
fosse    questo    Popilio    o   Pompilio, 
L'Ughelli  néY  Italia  sagra  toni.  II, 
pag.  589  asserisce  essere  stato  Mar- 
co Popilio  Lena,  console  per  la  quar- 
ta volta,  che  ne  gettò  i  primi  fon- 
damenti   dopo   aver   debellato   i  li- 
guri, ch'egli    vendette  con  tutte  le 
loro  sostanze    verso  l' anno  58 1   di 
Roma  ;    ma    i    romani    non    erano 
ancora   penetrati  a  quel  tempo  nel- 
la Gallia,  e  non  trovasi  nella  storia 
alcuno  di  questo  nome  che  moves- 
se guerra  ai  galli.  Egli  è  vero  che 
Popilio  vendette,  come  in  pubblico 
mercato,    i  prigionieri    da    lui    fatti 
nella  guerra  contro  i  liguri,   e  che 
quest'atto    dispiacque    sommamente 
ai  romani,  i  quali  gliene  fecero  gra- 
a  i  rimproveri,  e  lo  costrinsero  a  ricu- 
perarli, ed  a  rimandarli  alle  loro  ca- 
se. La  storia  aggiunge  che  il  senato 
gli  ordinò  di  uscire  dalla  liguria  sen- 
za dilazione,  e  di    ritornare  a   Ro- 
ma. Quale  apparenza  pertanto  che 
questo    console   abbia  voluto    darsi 


FOR  309 

vanto  di  una  azione  che   la  repub- 
blica riputava  a  sé    ignominiosa,  e 
che   altamente  rimproverò?    E   egli 
a  credersi    che  Popilio  volesse  per- 
petuarne la  memoria  colla  fondazio- 
ne di  una  città  che  avrebbe  rinfac- 
ciato a' romani  la  loro  crudeltà,  ed 
a    lui  slesso    la    propria    perfìdia  ? 
Quei  popoli    dopo  la    vittoria   con- 
seguita  da  Popilio  Lena  o  Levate, 
come   altri  il   chiamano,   gettate  le 
armi  si  arresero  al  vincitore.  E  dun- 
que a  presumersi  con  maggior  pro- 
babilità, che  i  liguri  stessi    edificas- 
sero   la  città,    e  gli  dessero  un  tal 
nome    in  memoria  del    tragico  av- 
venimento. Ma  sulla  sua  origine  e 
progresso  si  consultino    queste  ope- 
re. Giacomo  Besi,  Bertinoro  rimpro- 
verante ,    riflessioni    sloriche    sopra 
un  discorso  in  difesa  di  Forlimpo- 
poli, composto  da  Matteo  Vecchiaz- 
zani,     Cesena  "per    il    Neri     1660. 
Matteo    Vecchiazzani,  Historia    di 
Forlimpopoli    con    varie  rivoluzioni 
delle   altre   città   di    Romagna,  Ri- 
mino   1647   pel  Simbeni.   Orazio  il 
figlio  aggiunse    alla   parte  prima  il 
catalogo  de' consiglieri  in  allora  vi- 
venti con    il  loro  stemma.    Matteo 
Vecchiazzani,  La  verità  difesa  con- 
tro Bertinoro  rimproverante,  rispo- 
sta alle  riflessioni  istoriche  di  Gia- 
como Besi,  Faenza  pel  Zarafagli  1 66 1 . 
Forompopiliensi  jurisdictionis,    Ro- 
mae  typis  Monetae    1776.    E    una 
scrittura  con   la    quale    si    dimostra 
contra  il  Besi,  che  sebbene  Forlim- 
popoli   sia  alquanto    decaduta  dal- 
l'antico  splendore,  non    per   questo 
deve    perdere  il  nome   di  città  ve- 
scovile. 

Sebbene  al  citato  e  precedente 
articolo  Forlì  si  siano  compendio- 
samente narrati  i  principali  avve- 
nimenti risguardanti  Forlimpopoli, 
pel   legame   che    hanno    con  quelli 


3  io  FOR 

di     Forlì,  qui    riepilogheremo    con 
semplici    cenni    le    cose    meritevoli 
di   particola!"  menzione.    Forlimpo- 
poli   seguA    i!    destino    del    romano 
impero,  e  cadde  con   Ini.  Grimoal- 
do  re  de'  longobardi     verso    l'anno 
669  saccheggiò  la  città,  uccise  gran 
parte  de' cittadini,   l'incendiò  rovi- 
nandola interamente;  chi  potè  fug- 
gire si  rifugiò  in  Forlì.    Nel    pon- 
tificato di   Stefano  II   detto  III    a- 
vendo  Pipino  re  di     Francia   li  he 
rato  questi    luoghi    dalla    domina- 
zione di   Astolfo  re  de'  longobardi, 
nel   7  56  restituì    alla    santa     Sede 
i   luoghi  di  sua    ragione,    ed    altri 
ne  donò    a  s.   Pietro,    fra' quali  si 
novera    Forlimpopoìi  .    In    seguito 
circa  l'anno     ioj4    '   forlivesi    alle 
istanze  de'  pompi  liesi    riedificarono 
Forlimpopoìi.   La   storia  pompiliese 
però  non  ammette  l'autorità  di   co- 
loro, che  affermano  essere  stato  dai 
forlivesi    riedificato;    ma    pretende 
fosse  solamente  ristorato,  adducen- 
do  per  ragione  l'avere    Forlimpo- 
poìi a'  tempi  addietro    i   vescovi,  e 
contribuito  soccorso  considerabile  ai 
ravennati  in  favore  dell'arcivescovo 
nell'anno   709.    I  ribelli  contro    la 
romana  Chiesa  nel  1 268  sorprese- 
ro Forlimpopoìi    e  Bertinoro.   Nel 
1291    i    Polentani  disubbidienti   al 
conte   Aldobrandino  ministro  pon- 
tificio,   da    Vitale    Bagnoli,    fecero 
all'improvviso    nel     1291    occupar 
Forlimpopoìi,  non    riuscendo    fare 
altrettanto  su  Bertinoro.   Signoreg- 
giata Forlimpopoìi   dagli    Ordelaffi 
dominatori  di   Forlì,  nel     1 33  1    fu 
loro  tolta  dall'esercito  del  cardinal 
legato  Bertrando,  e    restituita  nel- 
l'anno   seguente    a  Francesco    per 
convenzione.  Nel  cedere  Forlì  Fran- 
cesco   Ordelaffi    nel     i36o    fu    as- 
sediato in   Forlimpopoìi    dal    car- 
dinal  Albornoz,    dal    quale  fu    co- 


FOU 

stretto  abbandonarla;  avendo  i  pom- 
piliesi   sostenuto  il  ribelle,  e  al  di- 
re di  alcuni    ucciso    il    vescovo  fr. 
Ugolino,  mentre  li  esortava  ad  ar- 
rendersi,  la   città    fu  spianata,    se- 
minandovisi  il  sale.   Gran  parte  del 
popolo   ricov'rossi  in  Forlì,  e  la   se- 
de vescovile   fu    trasferita    in   Ber- 
tinoro {Vedi).   Dipoi  nel    1367  con- 
siderando* Bartolomeo    vescovo    di 
Sartina  che  il   venerando  corpo  di 
s.  Rullìi  lo  primo  vescovo  e  patro- 
no  di   Forlimpopoìi   quivi   non   era 
sicuro,   giudicarono    trasferirlo   nel- 
la chiesa  di  s.  Giacomo  della  Stra- 
de, poi   s.   Lucia    in  Forlì,     perchè 
tal  chiesa   era   sotto   la   giurisdizio- 
ne   deli'  abbazia    di  s.  Rufhilo    di 
Forlimpopoìi,  e  nella  quale    erano 
le  spoglie  di  s.  Mercuriale  suo   com- 
pagno in  vita:   veramente  sull'epo- 
ca di  questa   traslazione    gli  storici 
sono  un   poco  discordi. 

Ma  sull'eccidio  di  Forlimpopoìi, 
e  sulla  pretesa  uccisione  del  vesco- 
vo, ci  permettiamo  una  breve  di- 
gressione. Francesco  Ordelaffi  nel 
i36o  fu  assediato  in  Forlimpopoìi 
dal  cardinal  Egidio  Alboino/  lega- 
to d'Innocenzo  VI,  il  quale  por 
vendicarsi  degli  Ordelaffi  distrusse 
la  città,  adeguandone  al  suolo  le 
sagre  e  profane  abitazioni,  e  so- 
pra seminandovi  il  sale,  e  disper- 
dendone gli  abitanti.  I  principali 
di  essi  posero  dimora  chi  in  F01T1 
come  i  Teodoli,  i  Belli,  gli  Artusini, 
gli  Armuzzi,  i  Salimbeni,  ed  altri: 
quali  in  Faenza,  cioè  i  Ronda  ni- 
ni, gli  Avarisi,  i  Paganelli  ec. ,  e 
quali  a  Ferrara  ed  in  Modena,  (ili 
Spada  ricoverarono  in  Val  d'Arnio- 
ne, e  furono  stipite  dell'attuale 
principesca  famiglia  Spada.  Il  ve- 
scovo poi,  ch'era  un  tal  Roberto, 
si  rifugiò  nel  vicino  Bertinoro  ca- 
stello di   sua  giurisdizione,  ove  du- 


for 

rendogli  profondo  dolore  per  l'ec- 
cidio del  suo  gregge,  e  la  rovina 
della  sua  città,  nel  i36ì  sponta- 
neamente rassegnò  il  suo  grado 
nelle  mani  del  cardinale  legato  di 
Urbano  V,  che  fu  pure  il  cardi- 
nal Albornoz,  come  si  ha  dai  re- 
gistri vaticani.  Da  ciò  ci  pare  evi- 
dente L'errore  di  alcun  troppo  cre- 
dulo storico,  che  asserisce  avere  i 
forlimpopolesi  in  tali  circostanze 
ucciso  il  loro  vescovo  di  nome  fra 
Ugolino,  mentre  è  fuor  di  dubbio, 
che  questi  era  morto  nel  i35o, 
cioè  dieci  anni  avanti  tal  catastro- 
fe: e  meno  poi  poterono  aver  com- 
messa tanta  empietà  nella  persona 
del  nominato  Roberto  I  che  in 
quell'epoca  n'era  realmente  vesco- 
vo, se  questi  viveva  ancora  nel 
l365,  vale  a  dire  cinque  anni  do- 
po; e  a  lui  rinunciante  venne  so- 
stituito Roberto  li  de'  Resinelli  , 
come  si  rileva  da  una  lettera  del- 
l' Ughelli  al  Vecchiazzani  che  la  in- 
serì nella  sua  Verità  difesa  con- 
tro Berliiìoro  rimproverante,  pag. 
GH,  e  ciò  dietro  accurato  esame 
dei  registri  del  vaticano,  e  del  li- 
bro delle  provvigioni  dei  prelati 
sotto  Urbano  V.  Dopo  questa  e- 
poca  fatale  a  Forlimpopoli,  si  ri- 
masero, come  diremo,  i  vescovi  in 
Rertinoro,  conservando  però  il  ti- 
tolo della  vera  loro  antica  chiesa 
per  buon  tratto  di  tempo.  In  se- 
guito vi  aggiunsero  anche  l'altro 
di  Bertinoro,  come  testifica  il  ci- 
tato Libelli,  Italia  sagra  par.  i,  p. 
323,  3^4,  che  riferisce  i  vescovi  suf- 
fragane! al  metropolitano  di  Raven- 
na nel  1647.  Più  tardi  essi  vescovi 
s'intitolarono  unicamente  di  Berti- 
noro, sebbene  allo  stesso  diligente 
Ughelli  non  venisse  fatto  di  rinve- 
nire alcuna  bolla  che  stabilisca  l'e- 
rezione di  Berli noro  in   vescovato. 


FOR  3n 

Sinibaldo  Ordelaffl  signore  e 
vicario  pontificio  di  Forlì  riedificò 
Forlimpopoli,  ma  in  un  giro  più 
ristretto  di  due  terzi,  ciò  eh'  es- 
sendo terminato  nel  i38o  in  un 
al  recinto  delle  mura,  Sinibaldo 
vi  celebrò  alcune  feste,  aggregando 
al  territorio  forlivese,  ed  accordan- 
do la  cittadinanza  di  Forlì  ai  pom- 
piliesi,  e  fu  allora  che  Urbano  VI 
riconfermò  alla  ricostrutta  Forlim- 
popoli il  titolo  di  città.  Dopo  la 
morte  di  Cecco  Ordelaffi,  nel  1 4o  1 
Forlimpopoli  si  diede  nuovamente 
alla  Chiesa,  poscia  la  riprese  Gior- 
gio Ordelaffi,  assediato  indarno  nel 
i4io  dalle  milizie  papali.  Agnolo 
dalla  Pergola  nel  1 4^4  l'occupò  pel 
duca  di  Milano  Visconti,  in  un  a 
Bertinoro;  indi  fu  di  nuovo  assog- 
gettata dagli  Ordelaffi,  i  quali  nel 
i4^6  dovette  consegnarla  insieme 
agli  altri  dominii  al  cardinal  Ala- 
mand  legato  di  Martino  V.  Ripre- 
sa dagli  Ordelaffi,  ad  Antonio  la  ri- 
tolse nel  i436  Francesco  Sforza, 
generale  di  Eugenio  IV;  ma  nel 
1 44 r  Antonio  la  riprese.  Dopo  va- 
rie vicende,  fece  parte  dei  dominii 
dei  Riari,  e  del  duca  Valentino, 
quando  Giulio  II  s'impossessò  del- 
la città  e  della  rocca  nel  i5o4, 
e  nel  i5o6  vi  si  portò  in  per- 
sona, mentre  reduce  da  Bologna 
nel  seguente  anno  l'onorò  un'altra 
volta  di  sua  presenza,  fermandosi 
alcuni  giorni  in  s.  Maria  delle 
Grazie  di  Forno.  In  seguito  ne  fu 
investita  la  celebre  famiglia  Zam- 
peschi,  l'ultimo  de' quali  Brunoro 
Zampeschi  signore  di  Forlimpopo- 
li, s.  Mauro  e  Giovedio,  mori  nel 
1578.  Ma  la  vedova  sua  consorte 
Battistina,  figlia  del  principe  ro- 
mano d.  Gio.  Battista  Savelli,  don- 
na virile  e  magnanima  ,  propo- 
stasi   per  modello    la  celebre   Ca- 


3.2  FOR 

terina  Sforza  già  signora  di  Forlì, 
alla  testa  di  gente  armata  ebbe  il 
coraggio  di  resistere  all'esercito  ec- 
clesiastico portatosi  per  ordine  di 
Gregorio  XIII  ad  occupare  gli  stati 
di  Brunoro  devoluti  alla  santa  Se- 
de per  mancanza  di  successione. 
Tuttavolta  a  mediazione  dei  car- 
dinali Savelli  e  Farnese,  Battisti- 
ria  ottenne  dal  Papa  la  rocca,  il 
fìscOj  ed  altre  prerogative  a  di  lei 
■vita. 

Il  Ratti  nella  Storia  della  fa- 
miglia Sforza,  parlando  a  pag.  3 1 6 
e  34i  della  parte  li  della  fami- 
glia Savelli,  osserva  die  Battistina 
non  aveva  tutti  i  torti  di  preten- 
dere sull'eredità  del  marito.  Dap- 
poiché non  solo  era  stata  lasciata 
erede  universale  del  medesimo,  nel 
caso  che  non  avesse  avuto  figli 
maschi,  purché  vivesse  in  istato  ve- 
dovile; ma  con  un  moto -proprio 
di  s.  Pio  V  de' g  giugno  i5ji  gli 
era  stato  concesso  il  governo  e  la  ren- 
dita di  Forlimpopoli  sua  vita  duran- 
te, sopravvivendo  al  marito;  e  ciò 
tanto  pei  meriti  di  Brunoro,  quan- 
to principalmente  per  quelli  di  An- 
tonello Zampeschi  di  lui  padre,  e 
rispettivamente  suocero  di  Battisti- 
na, che  tra  gli  altri  servigi  presta- 
ti alla  Sede  apostolica  nel  pontifi- 
cato di  Paolo  III,  somministrò  al- 
la medesima  dieci  mila  scudi  d'oro 
del  sole  per  la  guerra  contro  il 
turco.  I  beni  di  Battistina  esistenti 
in  Romagna  passarono  al  principe 
d.  Paolo  Savelli,  che  nel  1623  ai 
28  gennaio  li  vendette  per  scudi 
settantacinque  mila  al  cardinal  Cap- 
poni. Così  Forlimpopoli  ritornò  pie- 
namente al  paterno  regime  de'som- 
mi  Pontefici,  cui  fu  tolto  quando 
nel  1797  i  repubblicani  francesi 
invasero  la  Romagna,  facendo  par- 
te   della    repubblica     Cispadana    e 


FOR 
Cisalpina,  come  anche  del  regno 
italico  del  dipartimento  del  Rubi- 
cone. Finalmente  restituita  nel  181 5 
la  Romagna  a  Pio  VII  (che  nel- 
l'anno precedente  nel  restituirsi  al- 
la sua  sede  si  credeva  avesse  ono- 
rato questa  città  di  sua  presenza, 
per  cui  eransi  preparate  le  maggio- 
ri dimostrazioni  di  giubilo  dai  pom- 
piliesi;  ma  il  di  voto  desiderio  non 
ebbe  effetto ,  perchè  il  Papa  nel 
recarsi  alla  sua  patria  Cesena,  pas- 
sando per  Ravenna,  lasciò  fuori 
Forlimpopoli),  ritornò  sotto  la  do- 
minazione della  romana  Chiesa. 

La  fede  in  Forlimpopoli  sembra 
predicata  ne'  tempi  apostolici  da 
s.  Apollinare  discepolo  di  s.  Pietro. 
S.  Ruffillo  greco  di  Atene,  per  la  sua 
modestia  fino  da  fanciullo  fu  dai 
6uoi  compagni  chiamato  il  vescovo; 
in  pellegrinaggio  si  recò  a  Roma , 
ove  colle  sue  virtù  acquistò  tanto 
credito,  che  dal  Pontefice  s.  Silve- 
stro I  verso  l'anno  33o  fu  creato 
vescovo  pompiliese,  ove  recatosi  con- 
vertì molti  gentili  alla  fede,  facen- 
do altrettanto  nei  dintorni.  Il  tem- 
pio d' Iside  lo  ridusse  in  chiesa  per 
onorare  il  vero  Dio,  e  la  B.  Ver- 
gine Assunta  in  cielo ,  sotto  il  pa- 
trocinio del  principe  degli  apostoli 
s.  Pietro.  Nell'anno  359,  con  S-  ^bsr- 
curiale  vescovo  di  Forlì,  s.  Ruffillo 
intervenne  al  concilio  di  Rimini,  e 
con  ecclesiastico  zelo  vi  difese  la 
credenza  apostolica,  e  poscia  santa- 
mente morì  a'  5  luglio  dell'  anno 
383.  Il  secondo  vescovo  di  Forlim- 
popoli fu  Grato,  che  fiorì  nel  4^4i 
indi  gli  successe  Sabino  nel  494  5 
poi  Agello  che  intervenne  al  con- 
cilio romano  celebrato  dal  Papa 
s.  Simmaco  l'anno  5oo,  e  quei  ve- 
scovi che  riporta  l'  Ughelli  loco  ci- 
tato: qui  faremo  memoria  de'  più 
distinti.  Stefano    che   fu  al  concilio 


FOR 

provinciale  di  Ravenna  del  649  ; 
Giovanni  fiorito  nell'  898,  che  fu 
presente  al  concilio  celebrato  da 
s.  Nicolò  I  ;  Guinicino  del  980 , 
sotto  del  quale  il  Papa  Benedetto 
A  II  emanò  un  diploma  in  favore 
dell'abbate  di  s.  Ruflìllo;  Sergio  fio- 
rito ne'  primi  anni  del  secolo  XII, 
imo  de'  principali  benefattori  del- 
l' abbazia  di  s.  Ruflìllo  ;  Ausarico 
del  1  i52,  e  Gregorio  suo  successo- 
re; Guelfo  Belmonti  eletto  nel  i2o3, 
ed  Ubertello  che  il  successe  ;  Desi- 
gnato che  nel  i25i  alloggiò  nella 
vigilia  de'  ss.  Simone  e  Giuda  il 
Pontefice  Innocenzo  IV  reduce  dal- 
la Francia  ;  Almerico  camaldolese 
abbate  di  Classe,  promosso  nel  1262. 
Peppo  Ordelaffi  eletto  dal  capitolo 
di  Forlì ,  non  fu  riconosciuto  da 
Bonifacio  VIII,  indi  scelto  a  proprio 
vescovo  dai  pompiliesi  venne  egual- 
mente rigettato  da  Benedetto  XI,  il 
quale  in  vece  creò  vescovo  di  For- 
limpopoli  nel  1 3o4  fr.  Pietro  del- 
l'ordine de' minori ,  succedendogli 
Pietro  abbate  di  s.  Ruflìllo;  Ugoli- 
no Gabrielli  di  Gubbio ,  che  nel 
i323  ebbe  in  successore  fr.  Ugoli- 
no domenicano,  traslato  dalla  sede 
vescovile  di  Sinigaglia  ;  dopo  Ugo- 
lino per  molti  anni  governò  la  dio- 
cesi il  vescovo  Roberto,  sotto  di 
cui  r  Ughelli  pone  l'eccidio  della 
città  spianata  al  suolo,  per  cui  ri- 
fuggitosi il  vescovo  in  Bertinoro , 
morì  nell'  afflizione  l' anno  1 364- 
Sotto  fr.  Roberto  de  Resinella,  ere- 
mitano di  s.  Agostino,  seguì  coll'au- 
torilà  del  Pontefice  Urbano  V ,  e 
del  successore  Gregorio  XI  ì'  ere- 
zione della  chiesa  vescovile  di  Ber- 
tinoro, coli' unione  di  questa  di 
Forli  inpopoli.  Veramente  si  dubita 
che  Urbano  V,  Gregorio  XI  ed  Ur- 
bano VI  abbiano  eretto  il  vescovato 
di   Bertinoro,  e  niuna    bolla  in  pro- 


FOR  3i3 

posito  potè  rinvenire  l'Ughelli  tanto  in 
ciò  giustamente  interessato.  Sembra 
piuttosto  ch'essi  Pontefici  approvas- 
sero la  traslazione  della  sede  di 
Forlimpopoli  in  Bertinoro,  giacché 
a  lungo  questi  vescovi  mantennero 
il  titolo  solo  della  prima  sede,  co- 
me è  dimostrato  più  sopra.  Sicco- 
me poi  la  chiesa  di  Bertinoro  fu 
unita  a  quella  di  Sarsina  (  Vedi') , 
a  questo  articolo  nomineremo  gli 
altri  vescovi.  Passiamo  ora  a  dare 
alcuni  pochi  cenni  intorno  all'ab- 
bazia di  s.  Buflìllo. 

Essendosi  dalla  pietà  dei  ricono- 
scenti pompiliesi  eretta  fuori  delle 
mura  della  città,  sulle  rovine  d'un 
antico  tempio  d'Ercole,  una  chiesa 
al -loro  s.  Ruflìllo,  ove  far  deporre 
le  sagre  sue  spoglie  mortali,  fu  pen- 
siero del  vescovo  Fortunato  di  affi- 
darne la  cura  ai  monaci  benedet- 
tini che  quivi  nel  582  fondarono 
una  loro  abbazia.  E  questa  col  tem- 
po, e  pei  privilegi  e  donazioni  di 
tanti  Pontefici ,  e  specialmente  di 
Benedetto  VII,  di  Alessandro  III,  e 
poscia  di  Onorio  III ,  non  che  dei 
vescovi  locali  Giumizio,  Onesto, 
Sergio  ed  Ubertillo ,  come  anche 
degli  imperatori  Ottone  III  del  995, 
ed  Enrico  V  del  1  1  1  1,  che  nel  loro 
transitare  per  Forlimpopoli  abita- 
rono presso  queJ  monaci  e  ne  ser- 
barono sempre  affettuosa  ricordan- 
za, crebbe  a  molta  ricchezza  non 
solo  di  beni  temporali,  ma  fu  ezian- 
dio conferita  ai  suoi  abbati  giuris- 
dizione episcopale  in  molta  parte 
dell'  in  allora  vastissima  diocesi  , 
che  si  estendeva  fino  agli  Apenni- 
ni ,  non  che  in  tanta  parte  della 
città  ,  ove  pur  ebbero  cura  d'ani- 
me; il  che  si  rileva  dalle  bolle 
de'  ricordati  Pontefici,  e  dai  diplo- 
mi dei  memorati  imperatori.  Do- 
po la  riedificazione  di  Forlimpopo- 


3i4  FOU 

li  del  i38o,  per  opera  di  Sinibal- 
do  Ordelaffi  ritornarono  anche  i 
benedettini,  ed  eressero  il  loro  mo- 
nistero  ed  il  tempio  a  s.  Ruffillo 
sulle  rovine  della  cattedrale  che  lo 
stesso  santo  da  tempio  d'Iside  aveva 
convertito  a  chiesa  in  onore  pure 
dell'Annunziamone  della  B.  Vergi- 
ne. Fino  ad  un  secolo  circa  dopo 
tale  epoca  si  trova  sempre  men- 
zione del  mouistero  e  dei  monaci; 
ma  da  indi  in  poi  non  si  rinviene 
più  parola  di  essi  ,  ma  sihbene  di 
commendatori  dell'  abbazia  di  s. 
Ruffillo,  fra  i  quali  nel  1^65  d'un 
Tommaso  dall'  Aste  vescovo  anche 
di  Forh  sua  patria,  che  incorporò 
nella  propria  diocesi  la  parrocchia 
di  s.  Giacomo  in  Strada  dentro  For- 
lì, di  pertinenza  già  di  questa  ab- 
bazia ,  e  dove  era  stato  traslato  il 
venerando  corpo  di  s.  Ruffillo;  di 
un  Ascanio  Raffini  patrizio  roma- 
no vescovo  di  Melfi,  che  nel  i52i 
eresse  il  campanile  dell'abbazia;  del 
cardinal  Alessandro  Farnese,  che 
fu  poi  il  Papa  Paolo  III,  e  ch'era 
anco  protettore  della  città:  il  no- 
minato Ruffini  dall'  Ughelli  è  chia- 
mato Marino,  lo  dice  affine  di  Pao- 
lo IH,  prelètto  della  Mole  Adriana 
o  Castel  s.  Angelo  di  Roma,  ove 
morì  nel  i548.  Marino  aveva  ras- 
segnato al  suo  fratello  Alessandro 
Ruffini  l'abbazia  di  Fori im popoli  , 
eri  il  Papa  aveva  fatto  questi  coa- 
diutore con  futura  successione  al 
precedente  nella  sede  di  Melfi,  di- 
venendone vescovo  effettivo  alla 
morte  del   predetto  Marino. 

Mentre  dunque  era  abbate  com- 
mendatario di  s.  Ruffillo  il  vesco- 
vo di  Melfi  Alessandro  Ruffini  ro- 
mano, parente  di  Paolo  III,  sicco- 
me il  capitolo  della  patriarcale  ba- 
silica di  san  Pietro  in  Vaticano, 
andava    creditore    della    camera    a- 


Fon 

postolica    di    cinquanta    mila   ducati 
d'oro,  che    in    varie  epoche,  e    col 
frutto  del    cinque    per    cento    avea 
somministrati   pei   bisogni  dell'  era- 
rio pontificio  (che  altri    fanno  de- 
bitore de!  capitolo  di  soli    quaran- 
ta  mila   ducati  d'oro),   il  Pontefice 
Pio   IV,   ottenendo    dal    capitolo  la 
rinunzia  al  suo  credito,  in  compen- 
so  l'investì   in   perpetuo   dell  abba- 
zia e  commenda  di    s.    Ruffillo    di 
Forlimpopoli,  alla  quale  aveva    ri- 
nunziato   il     commendatario    Ales- 
sandro   Ruffini    vescovo    di    Melfi. 
Questa    investitura  al    capitolo   va- 
ticano Pio  IV  la  fece  coli'  autorità 
della    bolla     Insnpcr    eminenti   di- 
gnitatis  Apostolicae  specula  ,  ema- 
nata a' 20   giugno    1  5 6 4 >    la    qi,fd 
bolla  si   conserva   neh'  archivio  del- 
la   basilica    vaticana  ,    in    un    alle 
carte  eh'  erano  appartenenti  all'ab- 
bazia.   In  detta  bolla  non  si  fa  pa- 
rola  del    trapasso  dell'  abbazia  dai 
monaci   benedettini    ai    commenda- 
tari ,   solo  si  dice  quanto  accennam- 
mo sul  credito  del  capitolo,    rasse- 
gna   di    Marino    ad     Alessandro,    e 
rinunzia  di  questi,  dichiarandosi  pe- 
rò  dal  Pontefice,  che  l'abbazia  da 
regolare    la    ridusse    a    secolare:     e 
qui  noteremo  che  Alessandro  Ruf- 
fini avendo  pure  nel    i5y4    rinun- 
ziato al   vescovato  di  Melfi,   Grego- 
rio  XIII   lo  nominò  canonico  della 
basilica  di  s.  Pietro.    Con   tale  dis- 
posizione di   Pio  IV  il  capitolo    va- 
ticano  venne  in   possesso  deità  giu- 
risdizione quasi  episcopale  di  quella 
metà  di    Forlimpopoli    che  fu    già 
degli  abbati  e  dei  commendatari   di 
s.  Ruffillo,   mentre  l' altra  spettava 
ai  suoi   vescovi   in    Rertinoro.  Que- 
sta  circostanza   di     due  ordinari    iri 
una  stessa    sola    ristretta    città    era 
cagione  di    molti    inconvenienti    ed 
imbarazzi,   per  cui   il   Pontefice  Pio 


1  Oli 
%  li,  con  bolla  de'  5  novembre  1816, 
unì  alla  diocesi  nullità  la  parte  di 
città  soggetta  a  Bertinoro,  cóntro 
un  compenso  di  parecchie  parroc- 
chie di  campagna,  dal  capitolo  va- 
ticano a  quel  vescovo  accordale.  La 
bolla  di  Pio  VII  incomincia  con 
queste  parole:  «  In  supremo  A  po- 
ti itolatus  fastigio  ex  omnipotentis 
-•'  Dei  benigni  tate  licct  immerentes 
"  constiluli  legittima  Ecclesiarum  o- 
m  mnium  jura  vindicari  adigimur,  ac 
■>  prolueri,  ne  prava  caeterorum  ma- 
»  cbinalione  aut  alterius  commen- 
•>  tatione  fallaci  non  sine  ammarimi 
•'  discrimine  turbealur  -•>.  Di  pre- 
sente questa  diocesi  nulli  ust  oltre 
Forlimpopoli  tiene  nella  sua  giu- 
risdizione ancora  la  grossa  e  ricca 
terra  di  Meldola,  di  cui  parlammo 
all' articolo  Forlì,  e  altre  sei  par- 
rocchie, con  una  popolazione  in 
totale  di  circa  dodici  mila  anime. 
Diremo  per  ultimo,  che  di  non 
pochi  uomini  di  rinomanza  in  ar- 
mi, in  scienze,  e  in  lettere  si  glo- 
ria Forlimpopoli ,  e  fra  essi  più 
specialmente  come  di  rinomati  ca- 
pitani, oltre  i  ben  celebri  Zampe- 
sebi,,  anche  di  due  Mignani,  di  un 
Agostino  Mazzolini,  dei  due  Giro- 
lami  e  Antonio  Briganti,  di  un  Gia- 
como Ricci  Spazzoli  ed  altri.  E 
nelle  scienze  ebbe  chiari  un  Maz- 
zolini fisico,  un  Vecchiazzani,  un 
Camillo  Uccellini  eletto  vescovo  di 
Parma,  e  morto  mentre  avviavasi  a 
Roma  per  esserne  consagrato.  Fe- 
ce pure  onore  a  questa  patria  il 
canonico  dell'  insigne  chiesa  e  basi- 
lica di  s.  Maria  ad  Martyrcs  o 
Pantheon  di  Roma,  d.  Benedetto 
Righini  (allievo  e  nipote  del  cano- 
nico  d.  Paolo  Ossio  di  ancor  viva 
memoria  ),  non  solo  per  specchiata 
vita  ecclesiastica,  somma  prudenza, 
e  vaste  cognizioni,  ma  perchè  i  cai 


I -OR  3i5 

«liliali  Casoni,  Braschi  nipote  di  Pio 
VI,  Fontana,  e  De  Gregorio,  i  cui 
nomi  fanno  splendore  al  sagro  col- 
legio, il  vollero  per  intimo  segreta- 
rio, uditore,  consigliere,  e  confiden- 
te, essendo  personaggio  di  maturo 
consiglio,  e  di  sperienza  felice  nei 
più.  gravi  affari.  Il  regnante  Pon- 
tefice Gregorio  XVI  da  moltissimi 
anni  ebbe  col  canonico  benevola 
amicizia,  e  grandemente  lo  stima- 
va ;  ed  io  mi  vanto  di  avergli  pro- 
fessato servitù  fino  dalla  più  tenera 
età,  e  di  avere  poscia  appreso  dal- 
le sue  frequenti  ed  affettuose  istru- 
zioni, non  comuni  nozioni  riguar- 
danti la  nobile  arte  del  segretario, 
nella  quale  forse  egli  al  suo  tempo 
tenne  il  primo  posto  in  Roma,  ove 
fu  assai  compianta  la  sua  perdita 
quando  morì  nel  i833.  Essa  destò 
tristezza  profonda  nell'  amato  e  de- 
gno suo  fratello  ,  il  cav.  Giuseppe 
Righini  allora  presidente  del  tri- 
bunale di  prima  istanza  in  Came- 
rino, ove  per  due  anni  fu  pro-de- 
legato sotto  Pi'o   VII;  e  dipoi  sotto 

Leone  XII  e  Pio  Vili  luoaotenen- 

o 

te,  riconosciuto  mai  sempre  per  in- 
tegerrimo magistrato.  Egual  dolore 
provò  il  cugino  e  concittadino  Lui- 
gi Righini,  d' animo  grande  e  be- 
nefico, vero  genio  nell'  esecuzioni 
più  difficili  dell'  arte  di  edificare, 
per  cui  meritò  la  grazia  ed  onore- 
voli commissioni  dal  celebre  cardi- 
nal Consalvi  segretario  di  stato  di 
Pio  VII  nel  pontificato  di  questo, 
ed  il  sullodato  Gregorio  XVI  lo 
propose  alla  cura  dei  lavori  di  ma- 
nutenzione e  grandi  riparazioni  dei 
magnifici  stabilimenti  del  Vaticano. 
Finalmente  per  ultimo  faremo 
menzione  distinta  del  dottissimo  ca- 
maldolese monsignor  Albertino  bel- 
lenghi  arcivescovo  di  Nicosia  ,  che 
ebbe  i   natali  in  Forlimpopoli  a'9.4 


3i6  FOR 

settembre  17^8,  come  risulta  dal- 
la fede  battesimale  della  chiesa 
parrocchiale  ed  abbaziale  di  s.  Buf- 
filo, essendo  stato  il  di  lui  primo 
nome  Filippo.  Di  questo  egregio 
prelato  ci  diede  una  bella  ,  detta- 
gliata ed  interessante  biografia  il 
eli.  cav.  Francesco  Fabi  Montani, 
che  col  novero  delle  di  lui  molte 
opere  pubblicate,  e  somigliante  ri- 
tratto, inserì  neh'  Àlbum,  giornale 
letterario  di  Roma,  distribuzione  X 
del  i83g,  non  che  negli  Annali 
delle  scienze  religiose,  nei  fascicoli 
di  settembre  ed  ottobre  del  medesi- 
mo i83g.  Il  Bellenghi  appartenne 
a  famiglia  antica,  civile,  e  possi- 
dente di  Forlimpopoli,  ma  siccome 
il  di  lui  padre  Francesco  si  trasfe- 
rì in  seguito  a  Forlì,  dove  apri 
casa,  e  fermò  domicilio ,  cosi  fu 
detto  forlivese  monsignor  Bellen- 
ghi. Divenne  egli  non  solo  abbate 
di  governo  della  rispettabile  con- 
gregazione camaldolese,  ma  anche 
vicario  generale,  e  procuratore  ge- 
nerale ;  e  del  1  isorgrmento  di  essa 
dopo  le  note  politiche  vicende,  ed 
anco  per  altro,  fu  perciò  beneme- 
rentissimo dell'ordine  suo.  Meritò 
quindi  di  essere  fatto  per  nomina 
pontificia  consultore  di  varie  con- 
gregazioni cardinalizie,  e  presidente 
del  collegio  filosofico  in  Peonia.  Leo- 
ne XII  lo  elevò  al  grado  arcivesco- 
vile, nominandolo  con  ampie  fa- 
coltà delegato  e  visitatore  aposto- 
lico nella  Sardegna  per  riordinar- 
vi la  disciplina  dei  regolari  ;  inca- 
rico che  esercitò  con  zelo  e  pru- 
denza. Nel  t83o  Pio  Vili  lo  man- 
do a  Forlì  per  vicario  e  visitatore 
apostolico  di  quella  diocesi  ;  ma 
mentre  per  annuenza  del  medesi- 
mo Papa  che  regna,  già  suo  anti- 
co ed  alfettuoso  compagno  di  vita 
monastica,  in  Roma    viveva    Iran- 


FOR 

quilli  i  suoi  giorni,  la  morte  con 
dispiacere  universale  li  troncò  a' 2 1 
marzo  i83g.  Fu  tumulato  nella 
cappella  Salviati  della  celebre  chie- 
sa di  s.  Gregorio  al  Monte  Celio 
de'  camaldolesi,  e  per  le  cure  del 
p.  d.  Ambrogio  Bianchi  abbate  ge- 
nerale di  essi,  ed  ora  cardinale,  gli 
fu  eretta  onorevole  e  meritata  iscri- 
zione marmorea,  che  pur  si  legge 
nella  ricordata  biografìa.  Il  suo  no- 
me sarà  sempre  chiaro  e  conosciu- 
to dai  dotti,  per  le  molte  opere 
da  lui  scritte,  nelle  quali  ebbe  o- 
gnora  in  mira  o  la  religione,  o  la 
pubblica  utilità,  siccome  fornito  di 
singolare  e  vasta  erudizione  d'ogni 
genere;  profondo  nelle  teologiche 
discipline,  nell'archeologia  sagra  e 
profana,  come  nelle  scienze  natu- 
rali. Appartenne  a  quindici  acca- 
demie, nelle  quali  lesse  parecchie 
dissertazioni ,  e  ne  fu  vero  orna- 
mento. Lasciò  moltissimi  manoscritti 
di  varie  materie,  de'quali  in  un  alla 
collezione  delle  sue  opere  stampa- 
te, ed  a  tuttociò  che  possedeva,  ne 
fece  donativo  al  monistero  di  s. 
Biagio  in  Fabriano  di  cui  era  sta- 
to abbate.  Ammiratore  dalla  più 
giovanile  età  delle  virtù  e  del  ra- 
ro sapere  di  sì  venerando  uomo, 
ed  onorato  sempre  di  sua  benevo- 
lenza ,  mi  sia  graziosamente  con- 
donato se  alquanto  mi  diffusi  in 
questo  cenno. 

FORMA.  Sede  episcopale  della 
Mauri  liana  Cesariana,  nell'  Africa 
occidentale,  sotto  la  metropoli  di 
Cirta,  presso  la  città  d'Idcirca,  For- 
inenses  ad  Idcircam.  Si  conoscono 
tre  vescovi:  Urbano;  Giusto,  che 
morì  nel  41  l  mentre  recavasi  alla 
conferenza  di  Cartagine,  alla  quale 
in  sua  vece  sottoscrisse  Marziale 
vescovo  d'Idcirca  ;  e  Politicano,  uno 
de'  vescovi  di  Numidia    esiliati  da 


FOR 

Unnerico    re  de'  vandali    nell'  anno 

484. 

FORMA.  Sede  episcopale  della 
Mauri  tiana  Cesariana  ,  nell'Africa 
occidentale ,  chiamata  Forma  di 
Missore,  Formenscs  Missoris,  dal 
nome  del  suo  vescovo  Missoreo 
Messore.  Questo  vescovo  è  uno  di 
quelli  di  Numidia  esiliati  dal  re 
de'  vandali  Unnerico,  dopo  la  con- 
ferenza di  Cartagine.  Ritornò  Mis- 
sore nella  sua  sede  l' anno  5i5  ; 
fu  egli  altresì  primate  di  Numi- 
dia,  e  ricevette  diverse  lettere  da 
Bonifacio  di  Cartagine  riportate 
dall'  Arduino,  Concil.  tom.  II,  pag. 
1072;  e  negli  atti  del  concilio  di 
Cartagine  leggonsi  varie  sue  let- 
tere a  Bonifacio,  assai  importanti. 

FORMALE.  Gemma  o  lamina 
d' oro  o  di  argento  gemmata,  la 
quale  portano  il  Papa  e  i  vescovi 
nel  petto,  dove  si  ferma  ed  affib- 
bia il  Piviale  (Fedi).  Il  Macri  nel- 
la Notizia  deJ  vocaboli  eccl.,  verbo 
Formalium,  dice  che  fu  pur  chia- 
mate Firmale  o  Firmaculum ,  per- 
chè esso  allude  al  razionale  dell'an- 
tico sacerdote,  il  perchè  in  alcuni 
antichi  rituali  viene  chiamato  Ra- 
tionale.  Pompeo  Sarnelli  nel  tomo 
HI  delle  sue  Lettere  eccl.,  lettera 
XXV,  Del  gioiello  pettorale,  che  u- 
sano  i  vescovi  adoperando  il  pivia- 
le, aggiunge  che  il  Cerimoniale  dei 
vescovi  chiama  questo  gioiello  Pe- 
ctorale  a  riguardo  del  sito  in  cui  si 
pone,  dicendosi  nel  lib.  II,  capo  I  : 
»  Episcopus,  etc.  capiet  sacra  in- 
»  dumenta,  videlicet,  amictum,  al- 
«  barn,  cingulum,  crucem  pectora- 
»  lem,  stolam  a  collo  pendentem, 
«  deinde  pluviale  cuna  pectorali  in 
>»  conjunctura  iilius,  etc.  "  Quindi 
rileva  che  si  chiamò  Formalium 
dalla  voce  toscana  fermaglio,  lib.  I, 
cap.  7,  laddove  parla  del  prete  as- 


FOR  3i7 

sistente:  «   Super  eo  pluviale   tem- 
m   pori  congruum,    sine  tamen  for- 
»   malio  ad  pectus.  "  Il  formale  dei 
vescovi     consiste    in    un    fermaglio, 
ciarpa,  bottone,  o  fibbia  per  chiu- 
dere sul  petto    le  due  parti  del  pi- 
viale.  Si  sogliono  fare  di  piastra  di 
metallo  inargentato  o  dorato,  di  ar- 
gento   e    di   oro ,    con   una    o   più 
gemme    o  con    bassorilievi    rappre- 
sentanti qualche  sacra  immagine.  In 
Roma  i  vescovi  non  sogliono  usar- 
lo ,    meno,  come   diremo,  i  sei   car- 
dinali vescovi   delle   chiese  suburbi- 
carie,  che  ne    fanno  uso    uniforme. 
Non    appartiene   al  prete    assistente 
tale  ornamento,    perchè  non    è  or- 
namento   semplice,    ma    misterioso, 
figurando     1'  antico     razionale    del 
sommo  sacerdote  degli  ebrei,  e  pe- 
rò ne' rituali  antichi,  come  si  è  det- 
to, venne  chiamato  Rationale.  Cosi 
il  sommo    sacerdote    antico    vestiva 
prima  la  veste  di  lino,  indi    la  to- 
nica di  giacinto,  sopra  questa  il  so- 
praumerale,  ed  appresso  il  raziona- 
le,  che  al  sopraumerale   si   attene- 
va,  su   di   che    è   a   consultarsi    s. 
Tommaso  nella  prima  della   2,  que- 
stione   102,    art.  5.    V.  Efod    ove 
parlasi  del  razionale. 

Il  sommo  Pontefice  sino  al  de- 
clinare del  secolo  passato  usava  tre 
formali,  cioè  il  formale  usuale,  nei 
tempi  che  diremo  parlando  di  quel- 
lo di  Clemente  Vili,  il  formale  pre- 
zioso, ne' tempi  che  diremo  descri- 
vendo quello  di  Cosimo  I,  ed  il  for- 
male preziosissimo  di  Clemente  VII, 
nei  vesperi  pontificali,  e  nel  recar- 
si a  celebrare  solennemente  la  mes- 
sa, deponendolo  col  piviale  dopo 
essersi  cantata  l'ora  di  terza  :  al 
letto  de' paramenti  glielo  mette  il 
cardinale  primo  diacono,  e  se  ivi  lo 
depone  glielo  leva  lo  stesso  cardinal 
primo  diacono;  al  trono  dopo  l'ora 


3i8  FOR 

di  tei-za  il  formale  viene  levato  al 
Papa  dal  cardinal  diacono  mini- 
stranie.  I  cardinali  suburbicari,  che 
com'è  nolo  sono  sei,  quando  nel- 
le cappelle  pontificie  assumono  il 
piviale,  usano  il  formale,  il  quale 
formasi  di  tre  pigne  in  linea  per- 
pendicolare di  metallo  coperte  di 
perle  orientali.  Micbiel  Lonigo,  Del- 
le vesti  purpuree  de  cardinali  ec, 
Venezia  1 6-23,  a  pag.  3i,  dice  che 
i  cardinali  assumono  i  paramenti 
sagri  bianchi,  rossi  e  paonazzi  nei 
tempi  che  noia,  e  che  i  vescovi 
cardinali  suburbicari  portano  i  plu- 
viali con  il  pastorale  o  formale  di 
oro,  coi  tre  nodi  di  perle:  da  ciò  si 
apprende  altro  nome,  come  fu  chia- 
mato il  formale ,  ed  altra  forma 
dell'ornamento  triplo  di  perle.  A 
pag.  32,  come  noi  pure  notammo 
altrove,  riferisce  che  anticamente  ai 
vesperi  solenni  tutti  i  cardinali,  ve- 
scovi, preti  e  diaconi  portavano  i 
piviali  del  colore  conforme  al  tem- 
po ed  alla  festa  corrente.  La  più 
antica  memoria  del  formale  usato 
dai  romani  Pontefici,  è  quella  che 
si  legge  nella  vita  di  Lorenzo  Gili- 
berto presso  il  Vasari,  il  quale  nel 
tom.  II,  p.  78,  File  de'  pittori,  scul- 
tori ec,  narra  che  Giliberto  fece  a 
Martino  V  del  1 4i 7  un  bottone 
d  oro,  che  quel  Papa  teneva  nel 
piviale,  con  figure  tonde  di  rilievo, 
e  fra  tutte  gioie  di  grandissimo 
prezzo,  essendo  cosa  molto  eccellen- 
te. Il  medesimo  bottone  è  espresso 
nel  piviale  della  sua  medaglia,  ri- 
portata dal  p.  Bonanni ,  Numism. 
Pontificum  Rom.  tom.  I,  p.  3.  Am- 
brogio Teseo  racconta  che  il  Cara- 
dosso  non  avea  l'eguale  nella  co- 
gnizione delle  gemme  e  pietre  pre- 
ziose, e  che  avendo  Giulio  II  ac- 
quistato un  diamante  pel  prezzo  di 
ventiduemila    e    cinquecento    scudi 


POR 

d'oro,  il  legò  con  lamine  d'oro  e 
d'argento  iu  cui  ciano  con  finissi- 
mo lavoro  scolpiti  i  quattro  dolio- 
ri  della  Chiesa;  del  qual  diamante 
soleva  valersi  il  sommo  Pontefice 
ne' solenni  pontificali.  Fedi  il  Tira- 
boschi  tom.  X,  pag.  3 12,  nelle 
giunte  al  toni.  II,  par.  Ili,  pag. 
46o.  Il  Cancellieri  nella  Descrizio- 
ni di  tre  pontificali,  riporta  la  sto- 
ria del  formale  preziosissimo,  che 
Clemente  VII  lece  fare  al  celebre 
Benvenuto  Cellini.  Rappresentava  il 
Padre  Eterno  sedente,  sopra  un  dia- 
mante di  tondo  di  1 36  grani,  cui 
fingevano  di  sostenere  vari  angelel- 
ti  e  cherubini  fra  due  zaffiri  orien- 
tali di  rara  purezza,  e  due  balasci 
orientali  con  varie  gioie.  Il  detto 
Vasari  nella  vita  di  tale  artista, 
nel  descrivere  questo  bottone  da  pivia- 
le, dice  che  oltre  il  pagamento  ebbe  in 
dono  da  Clemente  VII  l'ufficio  di 
una  mazza,  cioè  il  posto  di  maz- 
ziere pontificio,  che  allora  rendeva 
più  di  duecento  scudi  V  anno.  Fu 
tanta  la  fama  del  merito  di  questo 
lavoro,  che  1'  imperatore  Carlo  V 
portatosi  in  Roma  sotto  il  succes- 
sore Paolo  III  disse  al  Cellini,  co- 
in'  egli  stesso  narra  nella  sua  cu- 
riosissima vita,  aver  veduto  quel 
bottone  del  piviale  di  Papa  Cle- 
mente VII,  dove  avea  falle  tante 
mirabili  ligure.  Questo  formale  fu 
guastato  per  ordine  di  Pio  VI  nel- 
le lagrimevoli  vicende  in  cui  tro- 
vossi  lo  stato  pontificio  nel  decli- 
nar del  secolo  passato.  Quando  s. 
Pio  V  nel  1 569  dichiarò  e  coronò 
granduca  di  Toscana  Cosimo  I  , 
fra  i  regali  offerii  a  quel  Papa,  e 
da  lui  disposti  in  vari  bacili  d'o- 
ro, era  vi  pluviale  cani  formaho 
pretiosiisinto  cum  adamantìbus  ma- 
gnae  aestiniatioiiis.  Aveva  due  fi- 
gure d'  010  di    Adiamo   ed  Eva,  che 


FOR 

«[elidevano  le  mani  in  alto  di  pren- 
dere il  pomo  vietato,  e  col  nome 
di  Gesù  Cristo  in  lettere  gotiche, 
tutto  ornato  di  diamanti,  rubini,  e 
perle  orientali  all'  intorno.  Questo 
formale  chiamato  il  prezioso  1*  u- 
sarono  i  Papi  sino  ed  inclusive  a 
Pio  VI  in  tutte  le  solennità,  ma 
custodivasi  con  quello  preziosissimo 
in  Castel  s.  Angelo,  coi  triregni,  e 
colle  mitre  preziosissime  :  cjuesto 
formale  prezioso  si  adoperava  dal 
Papa  in  tutte  le  solennità  in  cui 
portava  la  mitra  di  tela  d'  oro, 
cioè  in  quelle  non  pontificali,  in  cui 
si  usava  il  preziosissimo,  mentre  le 
altre  eccettuazioni  le  andiamo  a 
dire  nel  descrivere  il  formale  usua- 
le. Clemente  Vili  del  1-^92  fece 
fare  un  formale  detto  usuale  tutto 
d'  oro  con  un  ramo  d'  olivo  dello 
stesso  metallo,  smaltato  di  verde,  che 
serviva  di  ornamento,  e  circondava 
tre  pigne  grosse,  composte  di  perle 
orientali,  (ormate  in  forma  trian- 
golare, a  differenza  del  formale  dei 
cardinali  vescovi  suburbicari ,  che 
come  dicemmo  portano  le  tre  pi- 
gne ili  perle  in  linea  perpendico- 
lare. Questo  formale  di  Clemente 
Vili  nel  1781  iu  rinnovato  da  Pio 
VI  per  usarsi  nelle  funzioni  meno 
solenni,  come  nelle  domeniche  di 
quaresima  tranne  la  IV,  nella  pri- 
ma, seconda  e  quarta  dell'avvento, 
e  nella  commemorazione  de'  fedeli 
defunti,  e  iu  tutte  le  ailre  di  ese- 
quie e  funerali. 

Al  presente  il  Papa  usa  tre  for- 
mali, cioè  quello  con  le  perle,  il 
comune  ed  il  prezioso,  non  essen- 
dovi più  alcuno  de'  suddesci  itti  :  i 
formali  hanno  nella  piastra  di  den- 
tro due  grandi  uncinelli,  i  quali 
servono  per  fermarli  sul  piviale. 
Quello  con  le  perle  lo  usa  quando 
assume  la   mitra  d'argento,    vale  a 


I  OR  319 

dire  nelle  domeniche  di   quaresima, 
ad    eccezione    della    IV,    in    quella, 
dell'avvento    meno   la    111,  e  nelle 
funzioni   in  cui  deve  usarsi   tal  mi- 
tra ;  usa  inoltre    il  formale  con    le 
perle  nelle  cappelle  di  esequie.  Esso 
è  formato  di   una   piastra  ovale  di 
metallo  dorato  avente  intorno  l'or- 
nalo di   un  perle,  e  di   una  guida 
di  fiondi  di  vite  con  grappoli  d'uva, 
e  in   mezzo    tre  pigne    dello    stesso 
metallo    coperte    di   perle,  le   quali 
pigne  sono    situate  in  forma  trian- 
golare.   Il  formale    comune  adope- 
iasi   dal    Pontefice  nelle  altre    fun- 
zioni,  eccettuati    i  vesperi  e  messe 
pontificali   in   cui  si   usa  il  formale 
prezioso.   11  formale  comune  consi- 
ste in    una  piastra  di    metallo  do- 
rato,   di   forma  ovale,    decorato  di 
un  perle,  e  di  una  guida  di  fion- 
di di   vite  con  grappoli  d'uva,  es- 
sendo scolpito   nel   mezzo    sotto  fi- 
gura  di  colomba   raggiante  lo  Spi- 
rito  Santo  :    tra   i   raggi,  e  la  gui- 
da  di  frondi  souo  disposte  in  giro 
dodici  pietre  preziose,  cioè    rubini, 
smeraldi    ed    amaliste .    Il   formale 
prezioso    che  si    usa    dal    Papa    iu 
tutti   i  vesperi  e    messe  pontificali, 
e     in     qualche     altra     solennissima 
funzione  dev'essere  uno  dei  dodici 
formali,    che  possedeva    il    palazzo 
apostolico  o    sagrestia  pontificia  a- 
vanti  le  accennale  vicende  politiche, 
giacché  nel  di    dietro  ev'vi  scolpilo 
la    B.    Vergine    del   Rosario,    e    le 
immagini   di  s.   Domenico  fondato- 
re dell'ordine  de' predicatori,    e  di 
s.  Filippo  Neri  fondatore  della  cou- 
gregazione  dell'  oratorio,   tutti   pro- 
tettori  di   Benedetto   XIII,  e  perciò 
fatto  sotto   il    di   lui   pontificato,    e 
da   lui   uso;    essendovi  altresì  scol- 
piti  il    cane  e    la   torre,    la  rosa  e 
le  sbane,    slemma  dei    domenicani 
cui  era  egli  appartenuto,  e  della  sua 


3ìo  FOR 

casa  Orsini,  confermandolo  l' iscri- 
zione: Anno  Domini  MDCCXX1X. 
Questo  formale  prezioso  di  argento 
doralo,  rappresenta  nel  centro  di 
una  piastra  cesellata  ad  arabeschi 
in  rilievo,  lo  Spirito  Santo  in  for- 
ma di  colomba,  abbellito  di  pietre 
e  gemme  preziose,  cioè  di  amatiste, 
acque  marine,  smeraldi,  giacinti, 
rubini  ed  altre  gemme.  Questo 
formale  si  ricuperò  dalla  eredità 
del  cardinal  Giuseppe  Albani  mor- 
to nel    1 834- 

FORMATE.  Lettere,  litlerae  for- 
matele, che  il  Macri  nella  Notizia 
de  vocaboli  eccl.  dice  pure  chia- 
mate Cotnnauiicatoriae,o  Canonicae, 
con  le  quali  si  mostrava  la  comu- 
nione ed  unione  colla  Chiesa  ;  e 
dai  greci  nominate  Pacificae,  e 
da  altri  Ecclesiaslicae.  Di  queste 
parla  Ottato  Milevitano,  dicendo: 
Cam  quo  nobis  totus  orbis  com- 
mercio formaturum  in  una  com- 
munioiiis  societate  concordat,  lib.  i 
contra  Parmen.  Delle  lettere  for- 
mate parla  pure  s.  Agostino,  quan- 
do scrive  :  Quaerebam  utrum  epi- 
slolae  communicatorias,  quas  for- 
mata* dirimila  possent,  quo  vellent 
dare.  August.  epist.  i63.  Erano 
chiamate  queste  lettere  formate, 
cioè  sigillate,  coma  dichiara  la  Glos- 
sa vaticana  antica.  La  forinola  di 
queste  lettere  fu  prescritta  dal  con- 
cilio Niceno  I  e  pubblicala  da  At- 
tico vescovo  costantinopolitano,  re- 
gistrata nel  fine  del  concilio  Cal- 
cedonese,  nella  quale  al  principio 
di  lettera  si  ponevano  queste  pa- 
role :  Pater,  Filìus,  Spiritai  San- 
ctus, Petrus,  nominando  il  principe 
degli  apostoli  per  riverenza  della 
Sede  romana,  secondo  il  Baronio, 
su  di  che  non  conviene  il  citato 
Macri.  Il  Novaes  nella  vita  di  s. 
Sisto    I  del     i32,    dice   che   deter- 


FOR 

minò  secondo  il  libro  pontificale, 
che  niun  vescovo  chiamato  in  Ro- 
ma e  ritornato  nel  suo  vescovato, 
vi  fosse  ricevuto  senza  presentare 
al  popolo  le  Lettere  apostoliche 
(Fedi)  chiamate  formate,  colle  qua- 
li significavansi  e  mantenevausi  l'u- 
nità della  fede  e  il  mutuo  e  scam- 
bievole amore  fra  il  capo  e  le 
membra  della  Chiesa:  aggiunge  il 
medesimo  Novaes  che  furono  dette 
formate  o  dal  loro  sigillo,  o  dalla 
particolare  forma  con  cui  seri  ve  vasi 
ad  impedire  ogni  frode.  Il  Rinaldi, 
Annali  eccl.,  parla  di  queste  lettere 
all'anno  142,  num.  6,  7  ;  ed  al- 
l'anno 3i5,  num.  162  riporta 
(pianto  su  di  esse  ordinò  il  conci- 
lio di  Nicea,  per  provvedere  alla 
loro  idoneità,  ed  alle  astuzie  degli 
eretici,  dicendo  che  l'epistola  chia- 
mata formata  prese  tal  nome  co- 
me simbolo  di  comunicazione  cat- 
tolica il  contenuto.  Indi  spiega 
perchè  dal  concilio  fu  stabilita  la 
formola  colle  parole  narrate  dal 
Macri,  dicendo  che  le  lettere  gre- 
che iniziali  dovessero  essere  quelle 
del  Padre,  del  Figliuolo,  e  dello 
Spirito  Santo  per  significare  la  ss. 
Trinità  contro  gli  ariani,  e  che  la 
prima  del  nome  Pietro  per  deno- 
tare, che  nella  sede  di  s.  Pietro 
dimora  il  principato  di  tutta  la 
Chiesa  cattolica,  per  cui  provavasi 
esser  vero  cattolico  quello  il  quale 
era  unito  per  comunione  col  Papa 
successore  del  principe  degli  apo- 
stoli. Ed  ancora  con  quattro  altre 
lettere  greche  s' indicavano  i  nomi 
della  persona  che  scriveva  ,  di 
quello  a  cui  si  scriveva,  dell'  al- 
tro su  cui  scriveva,  e  del  luogo 
da  cui  si  scriveva.  A  dichiararsi 
meglio  aggiungeremo  che  si  pren- 
deva la  prima  lettera  di  chi  scri- 
veva l'epistola,  la  seconda  di  colui 


FOR 

cui  si  scriveva,  la  terza  da  chi  la 
riceveva,  la  quarta  della  città  don- 
de si  scriveva,  e  il  numero  dell' in- 
dizione corrente;  e  colla  somma 
dei  numeri  corrispondenti  a  cia- 
scuna delle  lettere  greche  inserite 
nella  formata,  e  nel  fine  ponevasi 
Amen.  1  quattro  caratteri ,  cioè 
Padre,  Figlio  e  Spirilo  Santo,  Pie- 
tro, e  YAmen  non  si  dovevano  mai 
mutare;  ma  gli  altri  significanti  i 
nomi  di  chi  scriveva,  di  chi  por- 
tava la  lettera,  di  chi  la  riceveva, 
del  tempo  ch'era  scritta,  e  del  luo- 
go dond'  era  scritta  la  formata  , 
mutavansi  secondo  le  occasioni  del- 
le persone  diverse,  de'  luoghi,  e 
de' tempi.  Trovò  il  concilio  JViceno 
questa  nota  Pater,  Filius,  Spiritus 
Sanctus,  Petrus,  Amen,  ad  imita- 
zione degli  apostoli  ;  imperocché 
s.  Paolo  soleva  aggiungere  alle  sue 
epistole  :  Gratta  Domini  ec.  ;  e  s. 
Ignazio  :  Amen,  Grada. 

Ma  l'erudizione  e  la  critica  colla 
quale  ha  scritto  sulle  lettere  for- 
mate monsignor  Marino  Marini  nel- 
la sua  dottissima  dissertazione  inti- 
tolata: Diplomatica  pontificia,  è  ta* 
le  da  potersi  congetturare  dai  se- 
guenti cenni  che  dalla  sua  opera 
ricavammo.  11  Maffei  nella  Storia 
diplorn.  pag.  8g,  scrive  che  dai  sug- 
gelli ebbero  nome  di  formate  le 
lettere  per  l'uso  di  autenticarle  con 
bollo  o  sigillo  in  cui  erano  figure; 
derivando  la  parola  formate  da  for- 
ma. Diversi  autori  ne'  loro  lessici 
tanti  altri  significati  danno  alla  vo- 
ce forma,  che  come  sarebbe  ridico- 
lo volere  da  alcuni  di  essi  trarre 
l'origine  delle  formate ,  cosi  è  in- 
certo, o  anzi  di  quasi  niun  fonda- 
mento,, debbasi  dedurre  dall'imma- 
gine impressa  ne'  sigilli.  I  Manritti 
scrivono  che  le  lettere  ecclesiastiche, 
che  i  greci  appellano  canoniche  e 
vol.  xxv. 


FOR  3ai 

i  latini  formate,  posero  alla  tortu- 
ra la   critica    dei    dotti    dell'ultimo 
secolo;  e  che  oggi  però  da  tutti  si 
conviene  eh'  esse    deducano    il  loro 
nome    dal  tipo   o    dalla   forma  del 
sigillo ,    che    v'  è    impresso.    Anche 
l'abbate  Zaccaria   nel  suo   Onotna- 
sticon     deriva    dal   suggello  la  de- 
nominazione delle  formate;  è  vero 
che  forma  dicevasi    qualunque  im- 
magine   dipinta    o    scolpita ,    come 
l'usò  Onorio  Auguslodonense ,    co- 
sì forma  appellavasi  anche  la  figu- 
ra o  tipo  che  imprimevasi  sulle  mo- 
nete e  suggelli,  vedendosi  in  più  leg- 
gi, scrive  Maffei,  che  formar  le  mo- 
nete valeva  effigiarle.  Tutta  volta  for- 
mata non  si  disse  la  moneta,  bensì 
pecunia.   Riflette  il  eh.  Marini,  che 
se  tante  ecclesiastiche  lettere  da  tut- 
to altro  trassero   il  loro  nome  che 
dal  suggello,  perchè  le  sole  forma- 
te lo  avrebbero  dedotto,  che  furo- 
no una  medesima  cosa  delle  dimis- 
sorie ,    dette    apolitiche    nel  canone 
XVII  del  concilio  di  Trullo,  delle 
commendatizie  ossia  sistatiche,  del- 
le pacifiche    ossia    ireniche   e  delle 
comunicatone?  Anzi  scriveva  il  me- 
desimo Maffei  che   a    specie  di  ec- 
clesiastici diplomi  possono  anche  ri- 
dursi l'epistole  formate;    e  Sandini 
disse    che    le    formate    furono  pur 
chiamate  canoniche,  comunicatone, 
ecclesiastiche  e  pacifiche;    e  questa 
medesimezza  delle  formate  con  al- 
tre lettere   fu   riconosciuta    da  pa- 
recchi   autori.    Cosicché   se   alcuna 
differenza   le   distingueva    fra   esse, 
consisteva    nel    nome ,    in    qualche 
espressione,  ed  in  ciò  che  le  com- 
mendatizie, le  dimissorie,  le  forma- 
te si  rilasciavano   ai  soli  chierici  e 
a  persone  di   maggior    distinzione  : 
lis  solis  personis  quae  honoratiores 
sunt  praeberi  oporlel,  come  prescri- 
ve il  canone  XI  d'  un  concilio  del 

21 


322  FOR 

45 1  ;  e  le  altre  a  tutti  in  testimo- 
nianza della  fede  che  professavano, 
e  della  pace  che  aveano  col  pro- 
prio vescovo.  Per  conseguenza  le 
formate,  che  furono  una  cosa  stes- 
sa di  quelle  lettere,  non  ripetono 
il  loro  nome  dall'impressione  del 
sigillo,  ma  dall'affare  su  cui  versa- 
vano, dal  fine  a  cui  erano  dirette, 
dalle  persone  e  particolari  circostan- 
ze che  le  qualificavano,  concluden- 
do il  prelato  Marini,  che  le  forma- 
te neppure  debbono  trarlo,  ma  dal- 
le formole,  dall'argomento  e  dal 
fine  proposto. 

Sirmondo  però  scrive  nelle  Glos- 
se vaticane,   Formatam  epistolam, 
s' interpreta  sigillatavi ,    del    quale 
sentimento  è  il  citato  Zaccaria;  ma 
il  Garampi  nella  dissertazione  sulle 
lettere  formate  recitata  alla  Miner- 
va nel   I747>  nell'accademia  del  p. 
Mamachi  ,    dice   non   doversi   fare 
gran  caso  di  quelle  glosse,  perchè 
ignora  a  qual    tempo    appartenga- 
no, e  perchè  in  esse  la  voce  sigil- 
latam  non  sta  come  spiegazione  ma 
come  aggiunto;  e  l'altra  di  forma 
vi  ha  due  sensi,    di  scritta  cioè,  e 
di  sigillata;  e  finalmente  con  mag- 
gior ignoranza  vi  si  spiega  la  voce 
formata  per  firmata,  attesa  l'analo- 
gia che  passa  tra  formare,  e  firma- 
re j  che  tutto  al  più  da  quelle  glos- 
se si  rileverebbe,  che  quando  esse 
comparvero  ,     si    suggellavano    le 
pontifìcie   lettere.    A    sostenimento 
del  parere  di  Garampi,    il  Marini 
riporta  quanto  lesse  nel  codice  va- 
ticano i5S6,  a  pag.  4°>  ch'è  una 
glossa  anonima  del  decreto  di  Gra- 
ziano, distin.  5g6,  ove  si  dice:  si- 
ne   signatis    apicibus  ;   addii   auod 
Sedes  apostolica  quamlibet   legacio- 
nem  suscipere  non   solet  sine  litte- 
ris  sigillatis  ;  e  alla  distinzione  397: 
hodie    sufficit     si   singuli    episcopi 


FOR 

unàm  epistolam  formatam  habeant, 
sicut  supra  dictum  est;  mentre  i 
chierici  dovevano  almeno  presentar- 
ne cinque.  Si  distingue  dunque  la 
formata  dalle  lettere  sigillate;  ne 
si  allude  nella  glossa  ai  primi  tem- 
pi delle  formate.  Dopo  avere  il  Ma- 
rini parlato  perchè  le  leggi  e  le 
epistole  degl'  imperatori  si  appellas- 
sero forme,  conchiude  che  le  for- 
mate cosi  denominaronsi,  sia  che 
si  scrivessero  con  certe  e  stabilite 
formole;  sia  fosse  in  esse  la  for- 
mola  ovvero  simbolo  alla  fede  che 
si  professava. 

Il  Pontefice  s.  Gelasio   I  scrisse 
a  Lorenzo  vescovo    di    Macedonia  : 
quia  mos    est  Romanae   Ecclesiae 
sacerdoti  noviler  constituto  formam 
fidei    suae    ad    sanctas   Ècclesias 
praerogare.    Niuno    credè    mai    di 
poter    essere   vero    membro    della 
cattolica  Chiesa,    e    per    tale  rico- 
nosciuto, ove  non  godesse    di  una 
perfetta  comunicazione  colla    santa 
Sede:  questa   scambievole   alleanza 
ed    unità   solevasi    dimostrare   coi 
presenti  colle  tre  comunioni   dette 
ecclesiastica,  laica  e  peregrina  ;  co- 
gli assenti,  come  dicemmo  altrove, 
dichiaravasi  o  col  trasmettere  loro 
del    pane   consagrato,   ovvero   con 
uno  scambievole  commercio  di  ec- 
clesiastiche lettere,  le    quali    servi- 
vano per  testimoniali   della    comu- 
nione,   che    intendevasi   avere   con 
quelli    a'  quali  erano  dirette.    Non 
si  può  perciò    adottare    l' opinione 
di  quelli  che  dai  sigilli  vorrebbero 
ripetere  il  loro    nome.    Tuttavolta 
non  si  nega  che  anco  le  lettere  ec- 
clesiastiche  siensi    dette    un  tempo 
formate,  suggelli,  sfragides    in  gre- 
co, bolle;  e   che   cotale   denomina- 
zione sia  loro  venuta   dall'  impres- 
sione del  suggello  dalla  bolla  pen- 
dente.   Questa    strana    derivazione 


FOR 

d'improprietà  di  nomi  le  rammen- 
tano Goffredo  Yindocinense,  e  Mar- 
col  fo  monaco ,  che  vivevano  nel 
VI  e  VII  secolo;  laddove  le  for- 
mate sino  dall' incominciare  del  se- 
condo tali  si  appellavano,  sebbene 
allora  di  suggello  non  fossero  mu- 
nite, che  certamente  prima  non 
erano  a  suggelli  raccomandate.  Né 
deve  tacersi  che  il  Buonarroti  nel- 
le Osservazioni  sui  vasi  antichi  di 
vetro,  a  pag.  29,  dice  che  le  let- 
tere pacifiche  avevano  il  mono- 
gramma di  Cristo,  conforme  per 
testimonio  di  Papia  l' avevano  le 
lettere  formate,  e  ne'  primi  tempi 
s'intese  sempre  aver  la  pace  del 
Signore  chi  avesse  la  comunione 
della  Chiesa,  significata  come  si 
disse  anche  a  mezzo  delle  lettere, 
la  qual  comunione  fu  chiamata 
specialmente  pace,  onde  nelle  iscri- 
zioni de'  cristiani  in  pace  vuol  di- 
re, che  il  defunto  morì  nella  co- 
munione della  Chiesa  :  così  il  Buo- 
narroti. Che  se  queste  lettere  si 
dissero  formate  e  formali,  ciò  non 
fu  che  ad  imitazione  degli  antichi, 
che  da  forinole  particolari,  e  dal 
contenuto  ne  dedussero  il  nome,  e 
così  dalle  forinole  e  dalla  forma 
debbonsi  denominarle.  Finalmente 
ad  escludere  la  derivazione  del  no- 
me delle  formate  dal  suggello,  è 
noto  che  l'apposizione  de'  suggelli 
fu  posteriore  di  molto  alla  esisten- 
za di  esse.  Le  formate  rimontano 
a'  tempi  apostolici,  ove  si  vogliano 
considerare  una  cosa  stessa  colle 
Commendatizie,  e  colle  Dimissorie. 
Delle  formate  se  ne  ha  menzione 
in  s.  Sisto  I  al  modo  che  dicem- 
mo ,  anzi  Coustant  suppone  che 
prima  di  quel  Papa  tali  lettere  fos- 
sero in  uso.  Della  memorata  pre- 
scrizione di  s.  Sisto  I,  è  deposita- 
rio il  pontificale  attribuito    al    Pa- 


FOR 


323 


pa  s.  Damaso  I  del  367  ,  ove  si 
legge  che  l'arcidiacono  della  Chie- 
sa romana  rilasciava  la  formata  ai 
vescovi,  affinchè  al  clero  a  cui  fa- 
cevano ritorno,  recassero  testimo- 
nianza di  loro  consagrazione.  V. 
Sigilli  e  Diplomi  Pontificii. 

FORMIAE  o  FORMIES  (ffor- 
miae).  Città  vescovile  della  Cam- 
pania, di  antica  origine,  all'est  del 
golfo  di  Cajeta,  ed  all'  ovest  del 
Min  turno.  Fondata  da  Lamur  o 
secondo  altri  dai  lacedemoni ,  fu 
l'antica  dimora  dei  lestrigoni,  po- 
poli feroci  e  selvaggi.  Discacciati 
e  distrutti  i  lestrigoni ,  Formies 
venne  fabbricata  dai  laconiani,  in- 
di conquistata  dai  romani.  Sotto 
di  loro  divenne  considerabile,  e 
Cicerone  aveva  nelle  sue  vicinan- 
ze una  casa  di  campagna  chiama- 
ta Formianum,  e  poscia  Cicerone: 
ma  gli  arabi  saraceni  distrussero 
questa  città  nell'anno  84o.  La  sua 
sede  vescovile  eretta  nel  terzo  se- 
colo, per  tale  disastro  fu  dal  Pon- 
tefice Gregorio  IV  trasferita  a  quel- 
la di  Gaeta,  la  qual  città  si  ac- 
crebbe colla  superstite  popolazione 
di  Formies.  11  piccolo  borgo  del 
molo  di  Gaeta  è  costrutto  sopra 
una  parte  dell'antica  città,  in  ame- 
nissima  situazione.  Undici  sono  i 
vescovi  citali  dall'Ughelli  nel  tom. 
X,  pag.  97  dell'  Italia  sacra.  Il 
primo  si  chiamò  Probo ,  ignoran- 
dosi l'epoca  in  cui  visse.  Marti- 
niano  è  il  secondo  che  intervenne 
al  concilio  romano  celebrato  nel 
487  dal  Papa  s.  Felice  II  detto 
111.  Adeodato  fu  a  tre  concili  adu- 
nati dal  Pontefice  s.  Simmaco  in 
Roma.  Bacuado  fiorito  nel  ponti- 
ficato di  s.  Gregorio  1,  cui  gli  suc- 
cesse nel  5g7  Albino.  Indi  Bonito 
fu  al  concilio  romano  del  649. 
Adeodato    che    nell'anno    680   in- 


3a4  FOll 

tervenne,  e  si  sottoscrisse  al  con- 
cilio di  Roma  di  s.  Agatone.  Cani- 
pio  di  Gaeta  del  790.  Giovanni 
al  quale  successe  Leone  vescovo  di 
Minturno  e  di  Formia  nell'  840  ;  e 
Costantino  dell'  846. 

FORMOSO  Papa  CXIV,  prima 
chiamato  Daruaso,  nacque  da  Leo- 
ne, e  come  afferma  contro  ogni  al- 
tra opinione  1'  Oldoini  nell'  Ate- 
neo Ligustico,  pag.  181,  nella 
Corsica.  Altri  lo  dicono  romano,  o 
della  città  di  Porto;  e  Luitprando 
di  Pavia.  Mentre  era  canonico  re- 
golare venne  creato  da  s.  Nicolò  I, 
nell'  864,  vescovo  cardinale  della 
chiesa  di  Porto.  Cosa  di  non  lieve 
rimarco  si  è  nella  vita  di  Gio- 
vanni VIK  la  scomunica  cui  ripor- 
tò Formoso  da  questo  Pontefice 
essendo  vescovo  di  Porto,  ed  è 
questa,  per  quanto  sembra,  la  cau- 
sa, che  narra  il  Mabillon,  in  Praeph. 
ad  saec.  V  :  dicesi  dunque,  che 
essendo  stato  Formoso  legato  di 
s.  Nicolò  I  nell'866,  insieme  con 
Paolo  vescovo  di  Populonia,  a  Mi- 
chele re  dei  Bulgari ,  per  istruire 
lui  e  il  popolo  nei  misteri  della 
fede,  e  per  consegnare  la  risposta 
del  Papa  a  centosei  questioni  , 
avea  costretto  quel  re  a  giurar- 
gli, che  dopo  la  morte  di  quel 
Pontefice  non  avrebbe  riconosciuto 
altro  Papa  che  lui,  ed  avea  ambito 
contro  i  canoni  di  passare  dalla 
chiesa  di  Porto  alla  Romana,  e  che 
anzi  senza  licenza  del  Papa  avea 
abbandonata  la  sua  chiesa,  cospi- 
rando contro  il  bene  della  repub- 
blica e  dell'  impero.  Fu  ancora 
il  cardinal  Formoso  accusato  al 
Papa  Giovanni  Vili,  cioè  mentre 
era  nella  sua  seconda  legazione  di 
Francia,  di  altre  gravi  mancanze, 
come  di  essersi  unito  a  Gregorio 
Nomenclatore    della  Chiesa    roma- 


FOR 
na,  e  ad  alcuni  personaggi  in  una 
congiura  tramata  contro  Carlo  il 
Calvo,  e  contro  lo  stesso  Giovanni 
Vili,  come  narrano  il  p.  Turselli- 
no  nel  libro  7  delle  sue  Storie ,  <; 
l'Oudin  nel  suo  Commentario  degli 
scrittori  ecclesiastici  a  pag.  564, 
opera  che  va  letta  con  particolar 
cautela,  come  apostata  della  reli- 
gione e  della  fede.  Il  Platina  riferi- 
sce l'opinione  di  coloro,  che  pen- 
sarono essere  stato  Formoso  con- 
sapevole della  prigionia.,  in  cui  fu 
stretto  Giovanni  Vili  in  Roma. 
Atterrito  Formoso  della  severità 
del  Pontefice,  ricusò  di  comparire, 
per  lo  che  irritato  Giovanni  Vili, 
comminò  contro  di  lui  l'anatema, 
e  con  sentenza  provvisionale  lo 
privò  del  vescovato  di  Porto  in  un 
sinodo  tenuto  in  Roma  nella  chie- 
sa di  s.  Maria  ad  Martyres,  e  ripor- 
tato dal  Becchetti  nella  Storia  ec- 
clesiastica tom.  VI,  p.  4^7-  Que- 
sta sentenza  il  Papa  confermò  nel- 
la quarta  sessione  di  un  numeroso 
sinodo  tenuto  da  lui,  dopo  il  suo 
passaggio  in  Francia,  in  Troyes  di 
Sciampagna  nell'  878.  Aggiunge  il 
Muratori  nel  tom.  V  de'suoi  An- 
nali, parte  I,  che  Giovanni  Vili 
avuto  nelle  mani  il  cardinale,  seco 
lo  condusse  nelle  Gallie,  dove  lo  co- 
strinse a  giurare  di  contentarsi  della 
sola  comunione  laica,  e  di  non  mai 
ritornare  più  né  a  Porto,  né  a  Roma. 
Sappiamo  poi,  come  scrive  l'Eggs, 
Ponti ficium  doctum  ,  pag.  273, 
che  avendo  il  Pontefice  Marino  I 
o  Martino  II  riconosciuta  la  di  lui 
innocenza  e  la  specchiata  virtù,  lo 
assolse  dall'  estorto  giuramento  e 
lo  restituì  alla  pristina  dignità;  co- 
me pure  fu  distinto  ed  onorato 
dai  due  Pontefici  Adriano  III  e 
Stefano  V  detto  VI.  II  p.  Nardi 
nelle   Vite  de'  Pont.   tom.   II,   pag. 


FOR 

18,  23,  in    me77o    alle    tante  e  sì 
variate   opinioni    sopra    le    accuse 
contra    Formoso,    adduce    tali  ar- 
gomenti   che    ne    lo    giustifica  va- 
lorosamente da    tutti    i    delitti  che 
gli  furono  imputati;  conchiudendo, 
che  il  tempo  alla  fine  pose  in  chia- 
ro   l'innocenza    di    quel    cardinale, 
il  quale  dopo  tante  peripezie  fu  e- 
letto   sommo    Pontefice    a'  19    set- 
tembre 89 r,  il  primo  che    da  ve- 
scovo di  determinata  chiesa  salisse 
al  pontificato,  come  osserva  il  Pan- 
vinio  nelle  annotazioni-  al  Platina, 
pag.    112.  E  ben  lo  meritava,  co- 
me quello,  che  nella    legazione  ai 
bulgari  eseguì  il  suo  ministero  con 
sommo    decoro    e    riputazione,     e 
pari  contentezza  di  que'  popoli,  di 
cui  ne  guadagnò  a  Cristo  una  mol- 
titudine innumerabile,    ed    essi   di 
comun  consenso  a  loro  pastore  con 
grandi  istanze    il  richiesero    a  san 
Nicolò  I,  come  riporta  il  Cardella 
nella  sua    biografia,  Memorie    sto- 
riche de'  cardinali,  tomo  I,    parte 
I,  pag.  5g  e  seg.  Questi  aggiunge 
che    Flodoardo     chiama    Formoso 
uomo  religiosissimo,  d'illibato    co- 
stume, illustre  per  la  scienza  delle 
divine  scritture,  chiaro  per  la  san- 
tità di  vita.  A  tante  difese  sull'in- 
nocenza di  Formoso,  conchiude  il 
Novaes  nella  sua  vita,  che  non  sa- 
rebbe lontano  dal  persuadersi,  che 
Giovanni  Vili    colla    stessa    debo- 
lezza,   con  cui    restituì  Fozio    alla 
sede    di  Costantinopoli,    condannò 
ancora  Formoso,  prestando   subito 
fede  alle  calunnie    che   gì'  imputa- 
rono, tanto  più  che  i    coetanei  di 
Formoso  lo  encomiarono  come  uo- 
mo di  gran  virtù  e  religione. 

Formoso  dunque  succedette  nel 
pontificato  a  Stefano  V  detto  VI, 
e  siccome  questi  avea  ricevuto  let- 
tere  dall'imperatore  Leone  VI,  che 


FOR  3ì" 

Fozio  avea    di    sua   voglia    rinun- 
ziato al  vescovato,  e  tutto  al  con- 
trario   i     vescovi    di    oriente ,    col 
pregarlo  inoltre  di  ricevere  alla  co- 
munione della  Chiesa   gli    ordinati 
dal  medesimo  Fozio,  Papa  Formo- 
so ricevette  queste    lettere  essendo 
già  morto  il  predecessore,  e  accon- 
sentì alla  preghiera  de' vescovi,  pur- 
ché gli  ordinati  da  Fozio,  protestasse- 
ro in  iscritto  di  aver  commessa  reità, 
e  ne  domandassero  il  perdono.  Ri- 
dotte   a     soqquadro     nell'  8g5     le 
cose  d' Italia,  attesa  la  morte    del- 
l'imperatore  Guido,  Formoso  chia- 
mò   occultamente     a    Roma  il    re 
della  Germania  Arnolfo,  per  repri- 
mere la  fazione  che    gli    era    con- 
traria di  Lamberto    figlio    di  Gui- 
do,   e    nell'  anno  stesso  lo   coronò 
imperatore  in  benemerenza,  che  col 
suo  pontificio  consenso  avea    preso 
la    città    di    Roma,    e    scacciati    i 
suoi  nemici.   Tanto  riporta  il  Pagi, 
Breviar.    Pont.,    in   Vita  Formosi, 
num.    12.  Morì   il   Pontefice  For- 
moso   a'  4    di   aprile  dell'896,  do- 
po   avere    governato    quattro     an- 
ni,   sei    mesi    e    diciassette    gior- 
ni.   Significante    è    l'elogio    che   a 
lui    fece    Ausilio,    ricavato    da   un 
codice   mss.    fiscanense,    in    cui  si 
afferma    che  Formoso    in    tutta  la 
vita  non  beve  mai  vino,  né    man- 
giò carne,    e    morì    vergine    come 
era  vissuto.  Fu  sepolto    nel    Vati- 
cano, ma  Stefano  VII  con  inaudi- 
to   sacrilegio   fece  dissotterrarne  il 
cadavere,  e  fattolo  vestir  cogli  abi- 
ti sagri,  l'insultò  al  modo  che  di- 
cemmo ai  volumi  V,    pag.    67,    e 
VI,  pag.   2o5  del  Dizionario,    ove 
pure  si  descrisse  come  fu  poi  ono- 
rato  tal  cadavere,    e    come    viene 
scusato  Stefano  VII.  Dopo  la  mor- 
te del  Pontefice  Formoso,  vacò  la 
santa  Sede  sei  giorni. 


286031 


3a6  FOR 

FORMOSO,  Cardinale.  V.  For- 
moso Papa. 

FORNERIO  o  FOURNIER  Ja- 
copo, Cardinale.  V.  Benedetto 
XII   Papa. 

FORNO  SACRO  (Furnus  Sa- 
cer).  Presso  i  greci  chiamavasi  for- 
no sagro  una  piccola  apertura  o  ca- 
vità praticata  sotto  l'altare,  e  nella 
quale  deponevano  le  cose  sagre,  che 
erano  usate  o  corrotte.  Presso  i  cat- 
tolici in  tutte  le  chiese  avvi  pure 
un  luogo,  dove  si  buttano  e  ver- 
sano le  lavature  dei  vasi,  dei  pan- 
ni o  simili,  che  servono  immedia- 
tamente al  sagrifizio,  ed  è  quel  luo- 
go chiamato  Sacrario.  Il  p.  Sicard 
gesuita  dice  che  nelle  chiese  de'  co- 
pti avvi  dietro  le  loro  sagristie  un 


FOR 
forno   fatto   espressamente  per  cuo- 
cere    i    pani     destinati    pel    sagri- 
fizio. 

FORO  {Forum).  Giurisdizione  : 
primieramente  si  distingue  in  foro 
interno  ed  in  foro  esterno  ;  il  foro 
interno  è  il  tribunale  di  Dio,  il  foro 
esterno  è  il  tribunale  degli  uomini. 
Vi  sono  due  sorte  di  foro  interno,  il 
foro  della  coscienza  ed  il  foro  della 
penitenza  o  della  confessione  sagra- 
mentale.  Per  esempio  1'  assoluzione 
dalle  censure  pub  darsi  nel  foro 
delia  coscienza  anche  fuori  della 
confessione  sagramentale.  Vi  sono 
altresì  due  sorta  di  foro  esterno,  il 
civile  e  l'ecclesiastico.  11  foro  ester- 
no tollera  molte  cose,  le  quali  sono 
condannate  dal  foro  interno. 


FINE    DEL    VOLUME    V1GES1MOQU1NTO. 


BX  841  .M67  1840 

SMCR 

fioroni  ,    Gaetano, 

1802-1883. 
Dizionario  di  erudizione 

storico-ecclesiastica 
AFK-9455  (awsk)